The red sect

di JTown
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 00 Ϟ Prologo ***
Capitolo 2: *** 01 Ϟ La nuova casa ***
Capitolo 3: *** 02 Ϟ Il ragazzo dell'interno otto ***



Capitolo 1
*** 00 Ϟ Prologo ***


The red sect
00 Ϟ Prologo

 
Nonostante fosse ormai abituato, lo strano silenzio che avvolgeva quel parco abbandonato restava comunque suggestivo. La luna piena splendeva alta e maestosa nel cielo illuminando in modo androgeno il viso del ragazzo.
S’insinuò con sicurezza tra l’erba alta, saltò un piccolo stagno e s’incamminò su per le scale. Era quasi arrivato alla meta quando un fruscio alla sua sinistra lo fece sobbalzare.
«Sei in ritardo» Era una voce piatta ed apatica che non sopportava ma che, purtroppo, conosceva fin troppo bene.
Il ragazzo non disse nulla, sospirò soltanto e continuò a camminare.
«Al Signore non piace aspettare, lo sai»
Ma lo sapeva, lo sapeva eccome.
Finalmente il ragazzo si voltò in direzione della voce – la sua collega – e scrollò le spalle.
«Ho avuto un contrattempo» Fu la sua unica giustificazione.
Lei annuì distrattamente per poi sparire dietro il tronco di un albero. Il ragazzo restò immobile una manciata di secondi a riflettere circa la stupidità delle sue azioni e seguì a ruota la sua collega posizionandosi ad un metro di distanza.
Lentamente qualcosa si levò dal terreno. Un turbine nero, una macchia densa e scura come la pece, acquisì forma. La sagoma ricordava vagamente quella di un uomo – forse un tempo molto bello – ma non vi era nulla a parte l’oscurità.
Il ragazzo, la sua collega ed una terza figura, si chinarono di fronte al loro Signore.
La grande ombra gracchiò e i suoi occhi presero colore. Il ragazzo non poté fare a meno di fissarli, erano così terribilmente rossi e brillanti. Gli ricordavano sempre i rubini ma quando ci ragionava meglio si accorgeva che erano dello stesso colore del sangue fresco.
Rabbrividì a quel pensiero e cautamente si alzò da terra.
Il Signore Ombra bisbigliò nuovamente qualcosa che un qualsiasi essere umano avrebbe potuto scambiare per il fruscio del vento o il verso della civetta ma loro tre sapevano come decifrare il messaggio del padrone e capirono subito cosa volesse.
L’Ombra indicò qualcosa in lontananza, poi sparì lasciando nell’aria nebbia e un forte odore di bruciato.
Dall’altra parte della strada la luce di una casa si era appena accesa.
 
La nebbia si era infittita notevolmente nelle ultime due settimane. La foschia somigliava tanto ad una patina biancastra rimasta appiccicata nei vicoli e sulle case del piccolo paese di Beehouse. Lo scenario era talmente bello da dare i brividi ma gli abitanti sapevano che presto sarebbe successo qualcosa.
Nessuno ne parlava più ma ogni volta la storia si ripeteva e tutto aveva inizio proprio da lì, dalla nebbia.


Angolo autrice: sono molto contenta di poter ricominciare qualcosa. Fondamentalmente sono una ragazza dalle idee molto confuse ma non ho dubbi riguardo questo racconto. La mia unica speranza è quella di poter trasmettere anche voi l'aurea di mistero che aleggia attorno a questo piccolo paese. Al momento il prologo non spiega poi molto ma il mio obiettivo è quello di lasciare in voi dubbi e voglia di continuare a leggere.
Per il momento questo è tutto ma tornerò presto (la prossima settimana, per intenderci) con l'aggiornamento.
Un abbraccio,
JTown.

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Capitolo 2
*** 01 Ϟ La nuova casa ***


The red sect
01 Ϟ La nuova casa

 
Nonostante il viaggio di ritorno fosse stato decisamente più tranquillo rispetto a quello dell’andata, Bonnie continuava a sentire lo stomaco sottosopra. Aveva passato l’intera traversata aerea con le unghie conficcate nei braccioli dei comodi sedili cercando di non pensare all’atterraggio e a ciò che l’avrebbe aspettata dopo. Quando era scesa, valigia alla mano, i suoi amici si erano volatilizzati tutti in un batter d’occhio lasciandola da sola al Terminal tre.
La folta chioma bianca e nera di suo padre fece capolino in mezzo alle altre. Bonnie l’osservò avanzare verso di lei a passo sicuro e sguardo duro. Si affrettò ad indirizzare gli occhi altrove poiché temeva che un qualsiasi contatto visivo avrebbe rivelato brutte notizie così prese a giocherellare con il mazzo di chiavi nella tasca destra del giacchetto.
«Bonnie» La salutò suo padre accennando un cenno del capo e sfilandole la valigia di mano «Come è andato questo viaggio post-diploma?»
Era una domanda di pura cortesia e Bonnie distinse immediatamente lo scarso interesse che suo padre aveva nell’ascoltare la risposta. Avrebbe davvero voluto raccontare delle mille avventure vissute nella meravigliosa Finlandia, del cibo che aveva mangiato e dei posti che aveva visitato ma, scoraggiata dal poco entusiasmo dell’uomo, decise di rispondere con un banalissimo e secco: «Bene».
Suo padre annuì distrattamente e s’incamminò verso l’uscita mentre Bonnie tratteneva a stento un sospiro di rassegnazione.
Poco importa, si disse, risparmierò fiato prezioso.
Attraversarono la strada e trovarono il resto della famiglia – madre e fratello minore – che attendeva nella macchina parcheggiata in doppia fila. Bonnie attese pazientemente che suo padre sistemasse zaino e valigia nel portabagagli e poi, in gran fretta, aprì la portiera e s’infilò nell’automobile.
«Ciao tesoro» La salutò sua madre girandosi appena per guardarla «Come è andato il viaggio?»
A lei interessava davvero. Bonnie sorrise tra sé e sé e inclinò il capo a sinistra mentre suo padre avviava pigramente l’automobile per uscire dall’aeroporto.
«Benissimo!» Gridò talmente forte che suo fratello Scott si svegliò di soprassalto. Il ragazzino le sorrise debolmente e  la salutò con la mano.
«Sei arrivata, finalmente…» Borbottò con la voce ancora impastata di sonno.
La sorella annuì ridacchiando e proseguì con il racconto – perché finalmente qualcuno voleva davvero stare a sentire le sue inutili chiacchiere –: «Appena arrivati abbiamo deciso di raggiungere l’hotel a piedi così avremmo visto il posto ma dopo due ore a girare a vuoto, per colpa di Helena, abbiamo chiamato un taxi dividendo la spesa. È stato un tantino caro ma almeno alla fine abbiamo raggiunto l’albergo senza troppi intoppi. In compenso, con tutto quel girovagare, abbiamo anche scoperto un ristorantino niente male… A proposito, che c’è per cena? Ho così fame!»
Scott si voltò di scatto verso di lei e le rivolse uno strano sguardo. Aprì la bocca per parlare ma sua madre, quasi terrorizzata, lo bloccò prima che potesse dire qualcosa.
«Non so, di cosa hai voglia? Pasta, pizza, carne,… Decidi tu!»
Di tutta risposta lo stomaco di Bonnie brontolò facendo ridacchiare tutti, compreso suo padre.
«Direi che una bella pizza andrà più che bene!»
«Menomale che abbiamo fatto la spesa oggi!» Esclamò Scott lasciandosi scappare un teatrale sospiro di sollievo «Quel nuovo frigorifero sembrava così vuoto che…»
Nuovo frigorifero? Prima che potesse chiedere delucidazioni al riguardo, suo padre scosse il capo mentre sua madre riprendeva il fratello.
«Scott! Quante volte ti ho ripetuto di tenere la bocca chiusa?»
Il ragazzino abbassò lo sguardo ed arricciò le labbra: non gli piaceva essere  rimproverato dalla madre tantomeno davanti a tutta la famiglia.
«Scusami… È solo che sono così contento della nuova casa che mi dispiac… Ops…»
Bonnie si abbandonò sul sedile e sgranò gli occhi: «Come sarebbe a dire “nuova casa”?»
Ma non vi fu bisogno di risposte: proprio in quel momento suo padre svoltò imboccando una strada che Bonnie mai e poi mai avrebbe voluto percorrere.
Si erano trasferiti e non le avevano accennato nulla per non rovinarle la vacanza.
«Abbiamo dovuto affrettare i tempi, sai, la ditta del trasloco premeva e noi non vedevamo l’ora di sistemarci nella nuova casa» Cercò di spiegare frettolosamente sua madre nel vano tentativo di calmare la figlia «È molto più grande rispetto al vecchio appartamento! Pensa un po’, ora hai anche una camera tutta per te. Certo, è tutto da sistemare ma sono sicura che ti piacerà…»
«Mamma» Bonnie scandì lentamente le due sillabe che componevano quella parola «A me quel posto non piacerà mai e sono sicura che faccia schifo anche a voi!»
«Bonnie!» Tuonò suo padre. Dal tono di voce intuì immediatamente che l’aveva fatto veramente arrabbiare e che forse avrebbe fatto meglio a tacere «Non ci sei neanche mai stata e già ti lamenti. Perché per una buona volta non chiudi il becco e fai semplicemente come ti diciamo noi? Stiamo tutti facendo un sacrificio e tu per prima dovresti contribuire»
Le poche parole utili per controbattere le morirono in gola. Bonnie chiuse gli occhi cercando di non piangere e con la mano destra raggiunse il mazzo di chiavi che teneva in tasca: ora non erano che dei pezzi di metallo che non avrebbero più aperto alcuna porta.
Si addormentò soltanto dopo una manciata di minuti quando, finalmente, la sua mente fu del tutto sgombera.
 
Una morbida curva a sinistra, poi a destra. Un dosso e la macchina sussultò facendo svegliare di colpo Bonnie.
La ragazza stropicciò gli occhi e guardò fuori dal finestrino: tutto quel che vide furono le luci di alcune case che lentamente si avvicinavano.
«Non mi piace questo posto… Sembra un presepe» Borbottò ancor prima di rendersi conto di quel che aveva appena fatto.
«E menomale!» La canzonò il padre senza staccare gli occhi dalla strada «Questo è soltanto il paese vicino, il nostro è più su» Continuò poi indicando un punto indistinto nel buio.
Bonnie si sporse tra i sedili davanti e strizzò gli occhi per vedere meglio: un altro agglomerato di luci, molto più piccolo rispetto a quello dell’altro paese, prendeva vita tra la fitta vegetazione.
«Assolutamente niente di interessante» Commentò buttandosi nuovamente all’indietro.
Scott stava invece con il naso appiccicato al finestrino rapito dal paesaggio notturno che si stagliava sotto il suo sguardo meravigliato. I due paeselli, talmente vicini da poter quasi essere uno solo, erano collocati entrambi sulla stessa collinetta ricoperta di ulivi ed altri tipi di alberi che Bonnie non riuscì a riconoscere.
Saint Gregor, Bonnie apprese il nome del primo paese da sua madre, era un piccolo borgo medievale che sorgeva qualche metro più in basso rispetto a Beehouse, il luogo in cui era situata la sua nuova casa.
La macchina dei Sullivan costeggiò il castello di Saint Gregor e proseguì su, verso una salita poco illuminata. Dovettero procedere altri cinque minuti prima che Beehouse prendesse effettivamente forma.
La prima struttura che accoglieva visitatori e abitanti era niente di meno che il cimitero che, a detta di Bonnie, era già tutto dire. Sulla sinistra, di tanto in tanto, si aprivano una serie di salite che portavano chissà dove in cima alla collina, verso i campi di ulivi. Suo padre imboccò una lunga strada costellata di case basse e vicine con massicce porte di legno, continuò verso una piccola piazza su cui si affacciava il palazzo baronale  – il cui stendardo di famiglia non era altro che un’enorme ape poggiata su un ramo di ulivo – e svoltò a sinistra verso l’ennesima salita.
«Dove stiamo andando? Credevo che casa nostr… Ehm, la nostra nuova abitazione fosse giù al paese» Pronunciò la frase con un certo sollievo.
«Non essere sciocca Bonnie» La riprese sua madre mentre un sorrisetto malizioso le spuntava sulle labbra «Okay trasferirsi dalla città ad un piccolo paese ma io per prima non avrei mai rinunciato ad abitare in un comodo appartamento».
Alla destra della stradina percorsa da suo padre si apriva un’enorme rotatoria con un’aiuola al centro e, proprio lì accanto, una serie di palazzi tutti nuovi e rigorosamente uguali prendevano forma. Quelle strutture andavano a cozzare con l’immagine medievale del borgo, era uno strano accostamento tra nuovo e antico.
«Siamo leggermente più alti rispetto a Beehouse» Spiegò suo padre mentre parcheggiava vicino ad uno di quei quattro palazzi «Hanno dovuto abbattere una gran quantità di ulivi per costruire questo posto e poco più giù c’è anche un parco ma quello è stato abbandonato. Gli abitanti della zona si sono lamentati dei progetti perché, come ti sarai accorta tu stessa, queste case sono diversissime da quelle giù in paese. Non amano i cambiamenti… E non amano nemmeno gli stranieri».
Quel discorsetto e quella breve spiegazione demoralizzarono ancora di più la povera Bonnie: non solo si era trasferita in un ex borgo medievale, ma la loro casa moderna era mal vista dagli abitanti che non sopportavano un granché i nuovi arrivati. Cos’altro poteva andare storto?
Scott, che non aveva più spiaccicato parola per il resto del viaggio, osservava con aria assorta un piccolo balcone al primo piano. Una figura scura, dall’aria minacciosa, si muoveva nel buio.
Bonnie cercò di afferrarlo per il braccio e trascinarlo via da lì ma Scott sembrava completamente imbambolato. Il ragazzino inspirò e, portandosi le mani alla bocca, gridò: «CJ! CJ!»
Di tutta risposta il piccolo balcone si illuminò e l’ombra acquistò un viso ed un corpo: CJ era un ragazzo alto e magrolino, dai capelli scuri e ricci e l’aria trasognata.
Quello si sporse in avanti ed abbozzò un saluto prima verso Scott e poi verso i suoi genitori ignorando Bonnie che per tutto il tempo era rimasta lì ad osservarlo assieme al fratello.
«Ciao caro!» Ululò sua madre.
Il ragazzo li salutò di nuovo e poi, come se niente fosse, spense la luce e se ne ritornò dentro casa.
«È davvero simpaticissimo» Commentò Scott mentre toglieva a Bonnie lo zaino dalle mani «Sono sicuro che andrete molto d’accordo»
«Già davvero simpaticissimo» Replicò Bonnie borbottando appena.
I quattro salirono le scale fino al secondo piano, l’ultimo, mentre la ragazza cercava inutilmente di combattere contro le lacrime che sarebbero uscite da lì a poco. Quando sua madre spalancò la porta di casa, Bonnie non poté fare a meno di commentare quell’orrenda abitazione con un «Che schifo» carico di disprezzo.
Cercò immediatamente la camera da letto per rifugiarsi sotto le coperte. Ne aveva già abbastanza di quel posto nuovo e di tutti i cambiamenti che avrebbe dovuto affrontare da quel momento in poi. Si addormentò sperando che quello fosse soltanto un brutto incubo.
 
Angolo autrice: dopo una settimana dall'inizio di questa nuova avventura sono nuovamente qui per l'aggiornamento. Che dire? Innanzitutto ringrazio tutte quelle persone che hanno letto e dedicato un po' di tempo a me e alla storia. Inoltre grazie anche a chi ha recensito e a chi ha supportato o sta supporetando questo esperimento. 
Primo capitolo tranquillo, senza troppi colpi di scena o grandi rivelazioni. Siamo solo all'inizio quindi non temete, con i prossimi aggiornamenti verranno fuori sempre più cose che vi manderanno fuori di testa (hanno avuto questo effetto anche su di me, posso garantirvelo). Bonnie è... Arrabbiata ma io la capisco perfettamente e le voglio bene ed è un personaggio che mi piace anche se il mio cuore appartiene ad un altro (chi sarà mai?)
Per il momento è tutto ma tornerò martedì con il prossimo capitolo (già steso e in fase di revisione).
Grazie a tutti coloro che mi dedicheranno un po' di tempo.
Un abbraccio,
JTown.

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Capitolo 3
*** 02 Ϟ Il ragazzo dell'interno otto ***


The red sect
02 Ϟ Il ragazzo dell'interno otto

 
Quel rosa costellato di tanti piccoli brillantini fu la prima cosa che Bonnie notò non appena aprì gli occhi. Quel colore così brillante e tremendamente chiaro era praticamente ovunque e per un attimo la ragazza temette di essersi svegliata nella casa delle bambole.
Si tirò su lentamente per studiare meglio la sua nuova stanza: scatoloni ancora imballati se ne stavano in un angolo a prendere polvere in attesa che qualcuno –Bonnie – gli desse una controllata, due peluche erano appoggiati sulle mensole di fronte al letto, proprio sopra al televisore che ancora non era mai stato acceso. L’armadio – celeste, reduce della vecchia cameretta in comune con Scott – era stato sistemato sulla parete destra e una delle quattro ante era socchiusa.
Per tutta la notte non aveva fatto altro che sognare il suo vecchio quartiere – nonché città – nella speranza di risvegliarsi al primo piano del suo amato appartamento di periferia.
E invece eccola lì a contemplare i muri della sua nuova stanza della sua nuova casa del suo nuovo paese della sua nuova vita.
Si alzò dal letto e si diresse in cucina dove l’aspettava una misera colazione a base di the freddo e biscotti secchi al cioccolato. Ne sgranocchiò qualcuno sul divano e dovette mandarne giù sette prima di rendersi conto dello strano silenzio in cui era immersa la casa.
«Scott?» Chiamò dirigendosi verso la camera del fratello.
Con calma aprì la porta della stanza e vi fece capolino alla ricerca del dodicenne ma di lui non c’era traccia.
Niente panico, si suggerì mentre in preda all’isteria afferrava il cellulare per chiamare sua madre, forse è andato al lavoro con papà o magari… Dove diavolo si è cacciato?
Il telefono squillò a vuoto,  poi cadde la linea.
«Perfetto» Sbottò lei armeggiando con il touchscreen «In questo stupido posto non c’è neanche campo… Scott! Scott per l’amor del cielo questo gioco non è divertente! Esci fuori Scott!»
Nonostante si suggerisse di mantenere la calma, Bonnie sentiva che da lì a poco sarebbe scoppiata. Perlustrò il bagno, si chinò sotto il tavolo e controllò che non si fosse nascosto fuori su uno dei due balconi ma Scott non rispondeva.
Tornò a trafficare con il cellulare e, nel disperato tentativo di trovare la linea, iniziò a passeggiare freneticamente per casa mentre a gran voce continuava a chiamare il fratello.
Un vecchio fogliaccio, strappato da chissà quale quaderno, attirò immediatamente la sua attenzione. In realtà lo aveva visto già da qualche minuto, più o meno da quando si era versata del the verde in bicchiere di plastica, ma prima di allora non gli aveva dato conto. Era appeso con una calamita a forma di pesce proprio al centro del frigorifero e su di esso c’era scritto:

Sono a casa di CJ al piano di sotto. Vieni a pranzo con noi? Fai come vuoi tanto io ti aspetto da lui comunque.
Ciao, Scott.

Bonnie sospirò ed accartocciò il foglio per poi lasciarlo cadere sul pavimento. Era arrabbiata con suo fratello – e con i suoi per non averla avvertita – ma almeno era vivo e lei  non rischiava l’ergastolo.
L’idea di dover fare amicizia con quel CJ la spaventava e disgustava allo stesso tempo: non aveva voglia di legarsi con nessuno né aveva intenzione di farsi per amico uno che abitava in un posto chiamato “Beehouse”. Eppure qualcosa dentro di lei le suggerì che forse parlare con qualcuno che non facesse parte della sua famiglia le avrebbe fatto bene e così, lavandosi in fretta ed indossando le prime cose pescate dall’armadio, scese a bussare all’interno otto.
 
La stessa figura alta e mingherlina che aveva visto la sera prima le si presentò davanti solo che questa volta Bonnie poté cogliere maggiori dettagli. Innanzitutto CJ la superava in altezza di almeno una spanna e quella montagna di capelli ricci e scuri, rasati ai lati della testa – Bonnie pensò immediatamente ad un cespuglio – lo rendevano ancor più alto di quanto già non lo fosse. Al naso portava un orecchino d’argento, lo stesso che lei avrebbe tanto voluto, e aveva le iridi di un bell’azzurro chiaro. Nel complesso CJ non era esattamente il suo tipo, era strano, magrolino e pallido, ma non riusciva proprio a scollargli gli occhi di dosso.
Attorno a lui aleggiava una bellezza tutta particolare, intimamente sua, che mai prima di allora Bonnie aveva visto.
CJ accennò un sorriso scoprendo i denti – i suoi incisivi erano separati da un piccolo spazietto – ed abbozzò un saluto con la mano facendosi da parte per lasciarla entrare.
La posizione delle stanze era identica a quella del suo appartamento ma casa di CJ era arredata in modo completamente diverso: in primo luogo il pavimento era di marmo – terribilmente bianco e brillante – che riprendeva lo stesso colore smorto e statico delle pareti. Mobili chic, dalle rifiniture d’oro, erano sparsi per il salone dove un fantastico divano di pelle nera attendeva di essere tastato dal sedere di Bonnie. La ragazza cercò di sopprimere l’impulso di gettarsi sopra di esso e proseguì il tour dell’abitazione mentre CJ, alle sue spalle, richiudeva la porta.
La cucina sembrava essere l’unica parte vissuta dell’intera casa perché alcuni piatti sporchi giacevano nel lavello aspettando che qualcuno si prendesse la briga di scrostarli. Scott era seduto su uno sgabello davanti ad un bancone – anch’esso oro e bianco – quando la salutò con la manina come se niente fosse.
Bonnie gli si parò davanti e puntò i pugni sui fianchi assumendo un’espressione severa.
«Scott!» Tuonò. In quel preciso istante somigliava così tanto a sua madre «Per poco non mi facevi prendere un accidente! Ma perché non mi hai svegliata per dirmelo?»
Il ragazzino si strinse nelle spalle e lanciò un’occhiata a CJ sperando in un suo aiuto, ma quando si accorse di doversela vedere da solo, scosse il capo e disse semplicemente: «Quando provo a svegliarti tu mi sgridi sempre…» Doveva immaginarselo.
Bonnie alzò gli occhi al cielo e sventolò le mani in segno di resa: «D’accordo, d’accordo, hai ragione ma comunque sappi che mi hai fatto prendere un accidente!»
Il breve momento di trionfo di Scott venne interrotto da CJ che, saltando qualsiasi tipo di convenevole, servì il pranzo per tutti e tre.
Bonnie decise di sedersi a capotavola da sola per godersi il panorama desolato che la finestra della cucina aveva da offrire.
Mandò giù un pezzo di carne – che aveva il sapore e la consistenza della suola della scarpa – e ascoltò con disinteresse il discorso sui videogame che CJ e Scott stavano affrontando.
Al di fuori del vetro non un solo movimento rompeva la staticità di quel posto addormentato. In lontananza si udivano le auto percorrere la strada, qualche clacson, ma non una sola vettura svoltò mai per imboccare quell’enorme rotatoria.
«Che noia…» Bofonchiò Bonnie con la bocca ancora piena.
CJ fece tintinnare la forchetta sul piatto – aveva finito di mangiare – e commentò: «Beh, questo posto non è poi tanto male. Vuoi o non vuoi dopo due anni di completo mortorio cominci a trovare interessanti anche le cose che normalmente non lo sono. Tipo il cimitero. O i bar.» Concluse facendo spallucce.
Bonnie si voltò verso di lui per dire qualcosa, a lei non importava un fico secco di stupide bare di persone che neanche conosceva, ma quando ruotò la testa per controbattere, si alzò di scatto per avvicinarsi meglio alla finestra.
«Cos’è quello?» ma non appena pronunciò la domanda, la risposta le balzò in mente in un attimo «Il parco abbandonato…» Bisbigliò. Suo padre glielo aveva accennato giusto il giorno prima ma Bonnie non se ne era minimamente interessata. Eppure a guardarlo da lì, da quella distanza, la ragazza sentì immediatamente la necessità di scavalcare la ringhiera e di addentrarsi in quel posto pieno di erbacce ed alberi.
«Sì, io sono arrivato qui che i lavori erano già stati bloccati» Spiegò CJ mentre si avvicinava a Bonnie per guardare meglio «Dicono che siano stati gli abitanti di Beehouse ad impedirne la costruzione, già non vedevano di buon occhio questi palazzi, figuriamoci un parco intero!»
«Oh, i loro poveri ulivi» Grugnì Bonnie lasciandosi andare in una risatina sommessa.
«Ma tu ci credi? Voglio dire… Ne hanno a centinaia di ulivi, se non a migliaia, e si arrabbiano e protestano per “pochi” alberelli?» Effettivamente il ragionamento di CJ non faceva una piega ma Bonnie proprio non riusciva a trovare un altro perché.
«Magari fanno parte della loro famiglia, che ne sai! Adesso è perfino vietato volere tanto bene ad un ulivo?» Ennesima risatina, pur non volendo CJ iniziava a piacerle.
«Sembrate due piccioncini» S’intromise Scott facendosi spazio tra di loro per avere una visuale migliore «Secondo me dietro c’è un mistero!» Esordì poi il ragazzino dopo una lunga pausa di riflessione.
CJ e Bonnie si scambiarono una veloce occhiata d’intesa e poi entrambi sorrisero a Scott che attendeva pazientemente un responso alla sua tesi. Bonnie gli accarezzò i capelli e gli diede un’amichevole pacca sulla spalla.
«Tu vedi troppi film horror, fratellino…» Ma Scott non sembrò né offeso né sorpreso da quella sua risposta. In fin dei conti Bonnie era scettica per natura e non credeva più in niente – neanche a Babbo Natale che non aspettava più da quando aveva tre anni – quindi era più che normale che non gli avrebbe dato ascolto nemmeno quella volta.
«Sarà» Proseguì Scott girandosi su sé stesso e dirigendosi verso il salone «Ma io ne sono convinto e ve lo dimostrerò. Prima però ho bisogno di dormire un po’… Bonnie salgo su casa, tu che fai?»
Il suo piano di non stringere amicizia con CJ era andando completamente a monte quindi perché si sarebbe dovuta rinchiudere in camera sua? Aveva voglia di passare del tempo con una persona nuova – per parlare della sua vecchia vita, ovviamente – e CJ sembrava decisamente il più indicato per questo compito.
«Penso… Penso che resterò qui ancora un po’. Non ti preoccupare, tanto ho il mio mazzo di chiavi» Spiegò facendo tintinnare tra di loro i pezzetti di metallo.
Scott annuì e lasciò finalmente i due soli. Un imbarazzante silenzio calò sulla coppia che se ne stava ancora ferma in cucina ad osservare il parco.
«Oh che sbadato!» Sbottò d’un tratto CJ tirandosi una sonora pacca sulla fronte «Ancora non mi sono presentato. Mi chiamo Christopher Joshua Abrahams ma tutti mi chiamano CJ» La informò allungandole la mano.
Bonnie osservò titubante le sue dita lunghe e affusolate – il contatto umano la metteva sempre un po’ a disagio – ma alla fine decise di non fare la maleducata e contraccambiò il gesto stringendogli la mano.
«Io sono Bonnie Sullivan ma tutti mi chiamano Bonnie e basta»
«D’accordo “Bonnie e basta”» La canzonò stringendosi le braccia al petto «Come mai vi siete trasferiti proprio qui? In questo posto dimenticato da Dio e dai suoi stessi abitanti?»
Bonnie corrugò la fronte ed aggrottò le sopracciglia: «Aspetta un secondo, non eri tu quello che fino a pochi secondi fa esortava la bellezza delle cose che solitamente non la hanno?»
Sul viso di CJ spuntò un sorriso malizioso «Non ho mai detto di essere attratto da quel tipo di bellezza. È solo che dopo un po’ ci fai l’abitudine e cominci a sopportare l’idea che in tutto il paese non ci sia un solo negozio – se non si tiene il conto dei tre bar e l’unica locanda in tutta Beehouse – e che quei pochi ragazzi della tua età che ci sono continuano ad evitarti chissà per quale oscura ragione. Menomale che siete arrivati voi altrimenti io e Megan saremmo impazziti insieme nel giro di qualche mese» Sospirò.
«Megan? Stai per caso cercando di dirmi che c’è qualche altra forma di intelligenza che non abbia più di ottant’anni?»
«Certo! Bonnie, non so che idea tu ti sia fatta di questo posto ma giuro che la popolazione non è poi così anziana… I ragazzi della nostra età ci sono ma Megan è l’unica che sembra abbia voglia di fare amicizia. È una ragazza simpatica, sono sicuro che…»
«Sì, sì, diventeremo amiche. Perché ho come l’impressione che tutti ripetiate sempre le stesse cose?» La sua vena polemica stava finalmente uscendo fuori ma CJ, invece di mostrarsi infastidito o irritato da quel suo cambiamento umorale improvviso, le sorrise e si strinse nelle spalle.
«Ti capisco, sai? Anche io all’inizio provavo le tue stesse emozioni quindi è più che normale che tu abbia tutta questa repulsione nei confronti del paese ma credimi, prima o poi imparerai a conviverci e no, non sto dicendo che ti piacerà» Spiegò immediatamente non appena notò il cambio d’espressione della ragazza «Ma ci farai l’abitudine. Ti piacciono i film di Star Wars?»
Quella variazione improvvisa di argomento confuse Bonnie. Aprì la bocca per rispondere ma poi la richiuse immediatamente perché CJ l’aveva spiazzata: okay che lei fosse lunatica e polemica ma quel ragazzo la batteva decisamente.
«Come dici scusa? Star Wars?»
E poi rivide tutti: Jeremy che la supplicava di accompagnarla a vedere quel film, Sasha e Jade che discutevano a proposito del vecchio cast, Kyle che aveva quella passione sfrenata per il cinema. Lei stava quasi per dimenticare i suoi vecchi amici.
Indietreggiò appena cercando di trattenere le lacrime: adesso che abitava così lontano rivederli sarebbe stato ancor più difficile. Loro avrebbero continuato ad uscire insieme, avrebbero fatto le stesse cose di sempre, sarebbero andati al cinema, al ristorante e anche a pattinare mentre lei… Lei avrebbe vissuto la sua vita a Beehouse, un piccolo paese lontano dalla sua vecchia città e da tutto ciò che la faceva sentire semplicemente “Bonnie”.
No, quel posto non le sarebbe mai piaciuto, CJ non le sarebbe mai piaciuto e lei non si sarebbe mai abituata.
Il contatto con la mano calda del ragazzo la riportò nella realtà.
«Tutto bene Bonnie e basta?» Ridacchiò ma sembrava sinceramente preoccupato per lei.
La ragazza scosse il capo e si voltò: lui non sarebbe mai stato suo amico e lei avrebbe fatto il possibile per tornarsene nel vecchio quartiere, dai suoi veri amici.
«No, io… È meglio che torni a casa. Ci si vede» E senza aspettare alcuna risposta, lasciò CJ solo.
Aveva passato con lui appena una quarantina di minuti, tempo necessario a capire che quel posto non sarebbe mai stato casa sua.
 
Angolo autrice: con un giorno di ritardo torno ad aggiornare la storia. Vorrei ringraziare tutte quelle bellissime persone che continuano a seguirla, a leggerla e a recensirla. Per me è sempre un piacere sapere cosa ne pensate e quali siano le vostre domande ed opinioni circa i personaggi, il luogo, la vicenda e tutto il resto. Finalmente abbiamo fatto conoscenza di CJ e ora posso dirlo: è proprio per lui che ho un debole. Aspettate, cercate di non fraintendere le mie parole perché anche tutti gli altri mi piacciono ma lui ha quel non so che in più. Comunque posso anticiparvi che, già dal prossimo capitolo, le cose iniziaranno a farsi davvero ingarbugliate per i due e... Quand'è che diventeranno un trio? Chi è Megan? Cosa vuole il Signore? 
Tutto questo potrete scoprirlo soltanto andando avanti con la storia *fa sorriso furbetto* per il momento posso solo dirvi grazie ♥ e sperare che continuerete ad accompagnarmi in questa folle, folle impresa.
Un abbraccio,
JTown.

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