Il tempo dei Mede

di QWERTYUIOP00
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 17: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Attenzione: questa storia è la terza parte di una serie che comprende “Segreti nella baia” e “La rivolta del Niben”, si raccomanda la lettura di queste storie prima di cominciare questa.
 
Le assi scricchiolavano.
Il legno emetteva quello strano rumore preoccupante sotto i piedi dei prigionieri che avanzavo incerti.
La fila avanzava mestamente, il capo basso, che guardava l’acqua torbida che scorreva sotto di loro trascinando con sé le lame metalliche che luccicavano sotto la fredda luce del sole autunnale e i corpi che, essendo sprovvisti della pesante armatura metallica, non erano ancora affondati.
Gli sconfitti continuarono a camminare lentamente, dondolandosi pigramente, solo uno, l’ultimo, proseguiva senza la teatralità che contraddistingueva i suoi compagni, mantenendo però la stessa velocità.
Superato il piccolo ponticello, i prigionieri indirizzati lungo un corridoio che si era formato tra le due file di soldati armati che esibivano gli emblemi delle città di appartenevano.
Il gruppo sfilò sotto gli stendardi raffiguranti il lupo di Kvatch, la quercia di Chorrol, gli spicchi di luna di Skingrad, le punte di freccia di Anvil e i numerosi vessilli che circondavano l’esercito di Elsweyr che ondeggiavano dolcemente.
In lontananza, vicino i cancelli cittadini, sventolava un enorme drappo che esibiva il drago imperiale.
Sullo sfondo della marcia vi erano i macabri resti delle baracche carbonizzate, sommerse nel silenzio.
Il muto corteo arrivò alla piazza antistante alla distrutta Cappella di Mara dove, davanti alla statua della Signora fortunata, era stato posto un tendone da campo di fronte al quale vi era un uomo completo di armatura proveniente da Anvil.
Il soldato, dai capelli castani corti davanti e dietro raccolti in un codino e dai glaciali occhi azzurri, avanzò verso il gruppo, raggiunto da un addetto che teneva una lista in mano, assieme ad un carboncino per scrivere.
-Prigionieri- iniziò il soldato di Anvil –Ora dobbiamo identificarvi, perciò comunicate la vostra identità e la vostra mansione-
Lentamente l’ufficiale marciò davanti al gruppo che si era disposto in fila, facendosi dire i nomi e i lavori della servitù del castello mentre l’altro li segnava sul foglio, per poi  fermarsi davanti ad una Khajiit, la penultima della compagnia.
-Suppongo tu sia Dro’Nahrahe- disse con aria compiaciuta.
-Sei una vera volpe, Hieronymus- rispose sorridendo amara la sovrintendente del Castello di Bravil –di quelle furbe, sai, grandi, grigie…-
Gli occhi del comandante si fecero stretti, due fessure cariche d’odio diretto tutto sulla Khajiit.
-Molto divertente- convenne sprezzante l’Imperiale alzando la mano per preparare un manrovescio.
-I prigionieri non devono essere toccati- lo fermò l’altro soldato –e lei, in quanto sovrintendente di Bravil, è di estrema importanza per il conte-
Lentamente la mano rivestita col guanto di ferro scese mentre Hieronymus si ricomponeva convenendo: -Ma certo. E lui?-
I due passarono all’ultimo prigioniero, un giovane Bretone che aveva osservato la scena attentamente, senza dire nulla.
-Chi sei?- chiese il soldato con in mano la lista.
Il Bretone inspirò profondamente, poi rispose: -Mi chiamo Rodrick Saine-
I due ufficiali si guardarono negli occhi per qualche secondo, per poi tornare al ragazzo.
-Sei Rodrick Saine, attendente di Servatus Bantos?- chiesero.
-Lo è- confermò Dro’Naharahe –O almeno lo era, suppongo ne sappiate qualcosa-
-Nessuno ti ha chiesto nulla, Khajiit – la zittì Hieronymus.
-Lo sono- confermò il Bretone, inspirando un’altra volta prima di parlare.
-Comandante Lex, dobbiamo portarlo dal conte- parlò il soldato con la lista.
-Ormai non è più importante, la guerra è finita!- ribatté scocciato l’altro, per poi cedere sotto l’insistenza del compagno –E va bene, seguimi-
Rodrick fece come gli era stato ordinato, camminando dietro a Hieronymus Lex, che si dirigeva verso il tendone.
“Dunque conoscerò questo Titus Mede” pensò il Bretone eccitato, ma anche nervoso e spaventato.
Riusciva a sentire lo sguardo di tutti fissato su di sé, specialmente quello di Dro’Nahrahe, che sembrava preoccupata.
Aveva richiesto uno sforzo immane parlare con sicurezza davanti a tutte quelle persone, ma ce l’aveva fatta; rimaneva soltanto riuscire a farlo con Titus Mede.
Arrivati all’ingresso del tendone, Lex sollevò un lembo all’ingresso ed entrò, seguito da Rodrick.
L’interno era austero, ma allo stesso tempo raffinato; sulla sinistra vi era un letto, mentre al centro vi erano due scranni, sui quali erano seduti un uomo e una donna che ridevano mentre stavano sorseggiando del vino, e un tavolo.
In fondo, vi era una scrivania dietro il quale era seduto un altro uomo che sorrideva leggermente; dietro di lui, c’era un’armatura d’ebano placcata per assumere una colorazione violacea, al centro della placca pettorale vi era lo stemma del lupo di Kvacth mentre alla vita era appesa una katana akaviri dorata finemente decorata che splendeva grazie sia alla luce delle candele che a quella esterna.
-Signori- si scusò Hieronymus chinando il capo –desolato di dovervi disturbare, ma ho con me una persona che il conte Mede aveva richiesto personalmente-
La coppia seduta al centro del tavolo si voltò verso l’uomo dietro alla scrivania, che fissava il comandante con la fronte aggrottata.
-E chi sarebbe questa persona?- chiese volendo lo sguardo sul Bretone.
Il ragazzo ricambiò lo sguardo dell’uomo.
Quello indossava una semplice ma elegante tunica nera avvolta in un mantello di pelle tinto di viola, era pelato e sul volto aveva soltanto una corta barba brizzolata che partiva dalle basette, i suoi occhi erano marroni scuri e duri.
Un respiro profondo.
-Sono Rodrick Saine- rispose il Bretone, aggiungendo poi, e chinando il capo: -mio signore-
Una scintilla parve passare per un attimo sugli occhi di Mede, che si alzò dalla sedia, seguito dagli altri due.
-Miei signori- disse –se volete scusarci-
La coppia uscì e Hieronymus parve accennare a seguirli quando venne fermato dalla mano del conte di Kvacth, ce si era solennemente alzata.
-Comandante Lex, ho un lavoro per i suoi uomini- comunicò Mede –cercate tra le macerie della cappella qualche pezzo intatto. Potrebbe essere utile per la ricostruzione della Cappella di Akatosh a Kvatch-
Il comandante chinò il capo in segno di assenso e uscì lasciando Rodrick da solo con Mede.
-E, quindi, finalmente ti ho trovato, Rodrick Saine- cominciò l’Imperiale, ridacchiando –non hai idea di quanto siate stati utili tu e quel Bantos-
Il Bretone piegò la testa di lato, stupito e confuso.
“Utili?” pensò il ragazzo.
-Utili?- chiese per avere conferma.
-Esattamente- annuì Mede –Vedi, questa era la mia situazione prima di tutto ciò: io ero il cittadino più potente di Kvatch, ma senza nessun titolo, con buoni rapporti con i conti della Colovia e complottavo per far passare la linea di rifornimento principale per la capitale per il mio territorio, questo suppongo tu lo sappia, no?-
Rodrick annuì, continuando a non capire.
-Ora- proseguì l’Imperiale –per decreto del monarca Thules, per ricompensarmi dei i servigi svolti nel reprimere la Rivolta del Niben, sono stato insignito del titolo di Conte di Kvatch, ho radunato in un unico esercito ai miei comandi tutti gli eserciti della Colovia e di Elsweyr, e ho in mano anche Leyawiin, la contessa Caro è figlia della contessa Valga di Chorrol, di sicuro lo sai, e Bravil è rasa al suolo. E quindi possiedo anche il Niben ora, e , come ultimo tocco, ho in mio potere entrambe le vie di rifornimento per Città Imperiale. Non capisci? Ora sono l’uomo più potente di Cyrodiil-
Il Bretone spalancò gli occhi.
“Tutto quello che abbiamo fatto…” pensò “tutte quelle morti…”
Gli tornò alla mente K’Rahttad.
“È stato tutto inutile” convenne alla fine, amaro.
-Del resto- continuò Mede alzandosi  e versandosi del Brandy Cyrodillico–se vuoi che le cose siano fatte alla tua maniera, devi usare la forza. E gli inganni. Credi che il supporto di tutti questi conti sia gratuito? Offerte, persuasioni, ricatti, specialmente ricatti. Non hai idea di quante cosa questi nobili abbiano da nascondere…  inganni, inganni. Il solo pensiero di aver dovuto collaborare con una persona come Maudelaire mi disgusta…- bevve un sorso –Ma erano cose che dovevano essere fatte. Grazie a te e al tuo padrone, ora sono in condizione di prendere quella maledetta città. La legione imperiale si è mossa appena mi ha visto arrivare verso il forte dove si è rifugiato Terentius, dove si sta dirigendo anche Alessia Caro. Appena il forte sarà caduto… schiacceremo da ambo i lati la legione e la guerra potrà cominciare-
“Quindi non è ancora finito? Ci sarà un’altra guerra?” pensò Rodrick, ritornando ai pensieri che faceva poco prima che il castello cadesse.
-Ed ora…- concluse Mede –Tu sai tutto questo, ma non devi preoccuparti, ormai è troppo tardi perché tu riesca ad evitare la rivolta, quindi… cosa me ne devo fare di te?
Rodrick guardò verso il pavimento, il suo cuore cominciò a battere più velocemente, le parole di Tersitus gli tornarono alla mente.
“Scegli!”
Il Bretone sollevò lo sguardo verso Titus Mede, che lo osservava duro e paziente, come lo era stato per tutti quei mesi.
-Io…- rispose –voglio combattere-
Le sopracciglia del Conte i Kvatch si alzarono, stupite, mentre la bocca si piegò in un sorriso.
Un sorriso di vittoria.
 
 
 
 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


L’acqua si muoveva leggermente, rimanendo limpida e mantenendo il riflesso del plumbeo colore del cielo.
S’Virr lanciò il sasso che aveva in mano con tutta la forza che aveva, emettendo un leggero gridolino per lo sforzo.
Stava cominciando a recuperare la fluidità nei movimenti, a parte che con la gamba ferita, che rimaneva ancora rigida.
Il sasso ruppe la perfetta superficie dell’acqua che si increspò piegata dalle onde concentriche che si andavano formando.
“Che ora è?” si chiese il Khajiit guardando il cielo. Una leggera brezza passò, facendogli venire i brividi.
“Sono stato anche troppo qui” rifletté S’Virr alzandosi e prendendo la gruccia e fece per avviarsi verso l’accampamento quando si fermò, inizialmente stupito.
Silenziosa, vuota, nera.
Una sagoma slanciata si trovava davanti a lui, avvolta in un oscuro mantello col cappuccio, le braccia conserte, il viso sereno, ma che presentava un’espressione compiaciuta.
Sapeva che sarebbero arrivati, sapeva che non ci avrebbero messo molto, ma quell’arrivo lo lasciò stupito.
Aveva passato i giorni precedenti a pensare cosa avrebbe dovuto dire, e le notti ad osservare il viso sorridente di Tsavi.
Vedendo che il Khajiit non s’accennava a parlare, ci pensò la figura, una Bosmer dai vispi occhi marroni.
-Ho tutto il tempo che voglio per guardarti lanciare i sassi- disse –ma forse tu preferisci che io passi il tempo osservando qualcun altro, o sbaglio?-
Ore e ore passate a trovare un modo per porre la faccenda eppure S’Virr non sapeva come chiederlo.
“Oh, al diavolo” pensò “è un’assassina a commissione, non c’è bisogno di tanti giri di parole”
-La voglio uccidere- dichiarò il Khajiit.
-Oh, questo lo so- ribatté l’assassina –mi basta un nome-
-Non hai capito- riprese l’altro –voglio essere io a farlo. Devo essere io ad ucciderla. Tu devi soltanto permettermelo, uccidendo le guardie per esempio…-
-Non devi essere tu ad insegnarmi il mio lavoro- lo interruppe la Bosmer, curiosa in volto –è un contratto insolito… ma mi affascina, sei fortunato. Forse è per questo che la Madre Notte mi ha scelto per mandare quelle anime al Vuoto. Ah, a proposito… come intendi pagarmi?-
-Tutto quello che sarà nella tenda della contessa potrai prenderlo- rispose S’Virr.
-Non mi serviva la tua autorizzazione- osservò l’altra –ma la mia curiosità mi costringe ad accettare questo incarico…-
L’emissario della Confraternita Oscura si avvicinò silenziosamente al bordo dell’acqua, raccogliendo un sasso nel tragitto.
Rialzatasi, l’assassina ponderò l’oggetto in mano per qualche secondo.
Con un agile e sinuoso movimento, la Bosmer lanciò il sasso verso il fiume, lontano più del doppio del lancio di S’Virr.
-Quando?- chiese infine guardando il Khajiit.
-Stanotte- rispose con decisione lo zoppo –Festeggeranno tutti la fine della rivolta, saranno tutti ubriachi e le difese saranno più lente-
“Proprio come a Leyawiin” pensò macabramente, ritornando con la mente al massacro al castello.
-Sarò qui a mezzanotte- annunciò l’assassina –sii presente, e ringrazia Sithis che io abbia accettato un contratto così… inusuale-
-Avrà i miei ringraziamenti quando Alessia Caro sarà morta- ribadì S’virr, voltando le spalle alla Bosmer e avviandosi zoppicando, supportato dalla gruccia, verso l’accampamento.
Aveva aspettato giorni e giorni, ma il momento era arrivato.
La sua vendetta era a portata di mano.
-Riposerai in pace, presto- sussurrò –Tra poco avrai la tua vendetta, Tsavi-
Giunse all’accampamento, dove i cavalli bianchi di Leyawiin correvano nel tessuto verde degli stendardi ondulanti.
Le sentinelle lo fecero passare accompagnandolo con le solite battutine che per anni avevano tormentato S’Virr, ma che in quel momento non erano nemmeno notate.
La tenda della contessa lo richiamava nel suo cuore, gli occhi giravano senza tregua per non far posare lo sguardo su quell’ingresso, il suo sangue ribolliva nelle vene, i suoi pensieri non conducevano che a quello che sarebbe successo quella notte.
Vicino ai cavalli trovò Lucien, intento ad accarezzarne uno.
-Ah, S’Virr…- sussurrò quello vedendolo –devo parlarti. È che… non sono completamente sicuro…-
-Non sei sicuro?!- esclamò il Khajiit, cominciando ad emettere una grottesca risata –il tuo tempo per ripensarci ce lo avevi… ora non ne hai più-
-Ne sei sicuro? Magari… possiamo annullare il sacramento…- cominciò il ragazzo –è sempre mia madre…-
-Anche se fosse stato possibile, ora non lo è più- lo zittì S’Virr –sono arrivati-
Le pupille del giovane si dilatarono, il suo busto si inarcò sotto il peso della delusione, sconfitto.
-Allora… suppongo non ci sia nulla da fare- disse infine l’Imperiale.
-Ne abbiamo già parlato- concluse il Khajiit –stanotte fatti presente, noi agiremo-
-Noi?- chiese Lucien.
-Accompagnerò l’assassino- annunciò S’Virr.
Il ragazzo annuì silenziosamente, poi, separatosi dal cavallo si avviò verso le tende.
-Dove vai?- domandò il Khajiit.
Lucien Caro sospirò, poi, senza voltarsi, rispose: -A dire addio a mia madre-
Un brivido scosse la schiena di S’Virr.
“Perché vuole mandare tutto all’aria?!” pensò dando un calcio ad un sasso per terra “Ha ucciso suo padre. Deve vendicarsi! Non può mandare tutto all’aria…”
Il Khajiit sollevò la testa, osservando il cielo coperto dalle nuvole provenienti dal nord.
Il sole non era in vista, era impossibile capire che ore fossero, ma quando il crepuscolo sarebbe arrivato S’Virr se ne sarebbe accorto.
E il momento sarebbe giunto.
Zoppicando, si diresse verso il limite del campo, dove vi erano delle panchine, una botte di idromele e qualche boccale.
Raccolto uno di quelli, fece scendere il dolce liquido dorato dal legno della botte e, una volta riempito il contenitore, si sedette.
Una smorfia di dolore apparve sulla sua faccia, mentre la sua mano destra andò subito a massaggiare la parte dolorante della schiena, quella dove un tempo vi era stata una coda, ma che in quel momento era un pietoso moncherino.
“Questa potrebbe essere la mia ultima bevuta” pensò il Khajiit guardando l’idromele nel boccale.
Sollevando lo sguardo, S’Virr notò la verde spianata, circondata da alberi ad ovest e dal Niben ad est, al cui centro si ergeva il forte espugnato dalla legione il giorno stesso.
Vide l’accampamento dei legionari sul limitare della foresta, i cui fuochi erano appena stati accesi, vide alcuni soldati che, senza armatura, giravano per l’accampamento finalmente felici d’essere al sicuro.
In lontananza, vide persino l’albero dal quale pendevano i cadaveri dei due Terentius.
Sollevò il braccio sinistro in quella direzione, chinando il capo, poi bevve l’idromele tutto d’un sorso.
Rinfrescato, appoggiò il boccale vuoto e chiuse gli occhi, accogliendo la vista di Tsavi, sempre sorridente che lo guardava.
Per un attimo, fu felice.
 
 
 
Poi la notte arrivò.
I raggi della luna scendevano pallidi, amplificati dall’acqua cristallina del Niben, passando attraverso la nera coltre di nubi in cielo.
Lentamente, S’Virr discese dal sentiero che conduceva al punto di incontro, il cuore gli batteva in petto.
Credette d’essere il primo ad aver raggiunto il luogo, quando dalle ombre comparve la sagoma nera dell’assassina della Confraternita Oscura.
-Ripensamenti?- fece la donna avanzando sotto la luce lunare.
-Mai- rispose secco il Khajiit, andandosi a sedere sulla roccia dalla quale, qualche ora prima, si era messo a lanciare i sassi nell’acqua.
-Aspettiamo qualcuno?- chiese la Bosmer.
-Il figlio della contessa- disse S’Virr.
-La faccenda è sempre più interessante…- ridacchiò l’assassina, scorgendo in lontananza il ragazzo atteso, recante un sacchetto.
Lucien arrivò sommessamente e si rivolse subito al sicario con tono supplice: -Ti prego, prendi questi septim e torna dai tuoi confratelli… come se non fosse successo nulla, come…-
Il Khajiit voltò la testa di scatto squadrando il giovane.
“No, no…” pensò “non può essere serio”
-Che cosa ti è preso?!- esclamò rivolto a Lucien.
-Non… non ce la faccio…- rispose sulla difensiva quello, che aveva cominciato a tremare.
-Il contratto è stato sancito dal Sacramento- gli disse in tono duro S’Virr alzandosi –Alessia Caro deve morire. E morirà, stanotte-
-Non ve lo posso permettere… non potete farlo…- cominciò Lucien, poi aggiunse: – Guardie! Venite!- facendo per correre verso l’accampamento, quando il Khajiit, di riflesso, mulinò la gruccia in aria per poi colpire Lucien alla nuca.
In una frazione di secondo, il giovane Caro era a terra, morto.
La Bosmer era rimasta immobile ad osservare la scena, alzando soltanto il sopracciglio destro.
L’assassino si chinò a terra verso la sua vittima e, presala per le gambe, ne trascinò il cadavere verso il fiume, rimanendo in silenzio.
Il corpo fu lievemente sollevato dall’acqua che passava sotto la schiena e, dolcemente, si mosse verso il centro del letto.
La sua faccia era contratta, gli occhi erano serrati per il dolore del colpo mortale.
Dopo qualche decina di secondi, scomparve dalla vista dei due assassini sulla riva, avvolto nelle ombre.
L’assassina si chinò, prendendo il sacchetto colmo di monete sonanti dicendo: -lo considero l’inizio del pagamento, se per te non è un disturbo. Sai, è meglio avere delle assicurazioni…-
S’Virr seguì in silenzio, con gli occhi sbarrati, il tragitto del cadavere, l’ultimo viaggio dell’erede della contea di Leyawiin, l’ultimo Caro venuto al mondo, ne era certo.
Inspirando profondamente, si volse verso la Bosmer e, raccogliendo la gruccia, disse: -Andiamo, prima questa storia sarà finita, meglio sarà-
L’emissario della Confraternita si limitò ad annuire, seguendo il Khajiit verso l’accampamento dei soldati di Leyawiin.
Mentre S’Virr si addentrava nell’accampamento, la Bosmer lanciò un incantesimo e divenne invisibile.
Camminarono lentamente tra le tende, puntando a quella centrale e più grande della contessa, la cui entrata era sorvegliata da sei soldati.
Il Khajiit si fermò ad osservare meglio la situazione; oltre a loro non c’era nessun altro nei paraggi.
Tutti i soldati erano andati ad ubriacarsi presso i piccoli falò che risaltavano come scintille nella notte.
Le loro urla e schiamazzi si potevano udire fin da quella distanza.
Persino le guardie presenti all’ingresso volgevano lo sguardo con sofferenza verso i bracieri accesi in lontananza volendo aggiungersi.
“I Nove hanno scelto un destino diverso per loro” pensò S’Virr mentre, fingendo di zoppicare più del normale.
Vedendo inizialmente un movimento, i soldati portarono la mano all’elsa della spada ma, subito dopo, riconoscendolo, la riposero lungo i fianchi.
Dall’espressione sembravano delusi.
-Che cosa ci fai qui, gatto?- chiese uno di quelli –la contessa non ti ha richiesto-
-Devo parlarle- rispose il Khajiit, appoggiandosi alla gruccia.
-Sta dormendo- ribatté lo stesso soldato.
S’Virr si chiese dove fosse l’assassina.
“Ero convinto di averla dietro…” pensò “ora… dovrei… ma dove è finita?!”
Improvvisamente un movimento interruppe i suoi pensieri.
Una guardia alzò la testa, le sue braccia si alzarono per poi ricadere di lato, accompagnate da un verso di dolore della vittima. La gola di quello si aprì da parte a parte e tutti i presenti vennero inondati dai fiotti i sangue emanati dal collo reciso. Ormai cadavere, cadde a terra in preda a convulsioni.
Gli altri cinque sguainarono le spade scattando indietro, volgendo lo sguardo verso il nemico invisibile.
Un pugnale da lancio si materializzò conficcandosi nell’occhio di un soldato, che cadde anch’egli morto.
Gli altri quattro terrorizzati si guardarono prima di lanciarsi all’assalto verso la minaccia sconosciuta.
Un altro pugnale da lancio volò conficcandosi nel fianco di una guardia che rimase indietro, cercando di fermare la perdita di sangue.
S’Virr sollevò la gruccia e la calò con violenza abbattendo il ferito.
I tre superstiti cominciarono a mulinare gli le spade d’argento tentando di colpire la Bosmer che sembrava scomparsa.
Dopo qualche secondo riapparve, senza incantesimo d’invisibilità, dietro le guardie piantando e ritirando il pugnale che teneva in mano nella schiena di un soldato coperta solo da cotta di maglia.
I due superstiti si voltarono di scatto e fendettero l’aria con le loro lame,  che l’assassina schivò abbassandosi di colpo, per poi risalire puntando il pugnale dritto alla gola di uno di quelli.
La vittima cadde all’indietro, lasciando cadere la spada e afferrando con le mani l’arma che era rimasta conficcata nel proprio collo.
Un altro fendente passò a pochi centimetri dal cappuccio della Bosmer, che era rimasta senz’armi.
S’Virr si chinò prendendo la spada e, con agilità inaspettata, si avventò verso il soldato che, colpito al petto, lasciò la solida presa sull’elsa della spada e cadde, morto.
L’assassina recuperò i pugnali dai cadaveri delle guardie.
-Più facile di quanto pensassi- si limitò a dire.
Il Khajiit rinfoderò l’arma ed entrò nella tenda.
La contessa, svegliata dal trambusto, si era alzata dal letto e, in vestaglia, avanzava in quel momento all’interno della tenda.
-S’Virr, cosa ci fai qui? Non ti ho convocata. E cos’era quel baccano?- chiese, aggiungendo con tono preoccupato, vedendo entrare la Bosmer: -E lei chi è?-
Dopo poche rapide occhiate, Alessia Caro comprese e tentò di correre, ma venne bloccata da un incantesimo di paralisi lanciato dall’assassina e cadde a terra, immobile.
Il Khajiit la trascinò verso il letto, ponendola su di esso perché le fosse più vicino.
-È un'assassina della Confraternita Oscura- le sussurrò con tono, si rese conto, insolitamente sadico –e lo sai chi l’ha chiamata? No, non io… , ma il tuo piccolo Lucien…-
Nonostante l’immobilità dei muscoli mimici, il S’Virr poté percepire lo shock interiore della donna, e ciò gli piacque.
-Oh, ma sta tranquilla- aggiunse in tono freddo –è morto. Proprio come Tsavi. Dovrei semplicemente lasciarti vivere per vivere nel lutto fino alla fine dei tuoi giorni… ma… ti giuro. Non ne sono capace. Durante tutta questa una settimana l’unica cosa che mi ha fatto andare avanti è stato il pensiero che un giorno avrei potuto ucciderti. Per gli dei… quel giorno è arrivato-
Dopo quelle parole, il Khajiit  non sapeva più quali fossero le emozioni nel cuore di Alessia Caro; paura, rabbia, disperazione… per un attimo gli fece quasi pena. Ma chiuse un’ultima volta gli occhi per vedere il prezzo che aveva dovuto pagare e, sospirando, strinse tra le mani il collo chiaro della contessa.
Non un urlo soffocato, neanche un tentativo di difesa, la vedova di Marius Caro moriva in quel momento nella sua calda tenda, mentre i suoi soldati festeggiavano la fine della guerra con boccali d’idromele.
L’assassina osservava a braccia conserte la scena in silenzio.
Dopo qualche secondo, l’assassino sentì l’incantesimo di paralisi lasciare il corpo della contessa.
Quell’ultimo diventò di nuovo flessibile, sotto forma di cadavere, e scivolò dal letto fino a terra.
S’Virr lasciò cadere il corpo mantenendo le mani immobili in aria, esterrefatto.
“Ce l’ho fatta veramente” non poté far altro che pensare.
Si voltò verso l’assassina; c’era qualcosa che non andava, non era come previsto.
Chiuse gli occhi.
E non vide altro che l’interno della sue palpebre.
Lei era sparita.
“Dov’è?!”pensò tremante guardandosi intorno “Cos’ho fatto? Lei dov’è?!”
Le lacrime gli giungevano agli occhi.
“Dov’è, dov’è?! Loro… lei! Me l’hanno portata via… me l’hanno portata via… di nuovo! Che cosa farò adesso?!”
Notò su un mobiletto un piccola lettera.
Per una strana forma di curiosità la prese e si mise a leggerla.
“Indirizzata ad Alessia Caro… dalla madre Arriana Valga?”
Dopo averla letta la ripose da dove l’aveva presa.
“Il tradimento le era stato ordinato da sua madre… la contessa Valga era la vera responsabile?”
Richiuse gli occhi.
Lei ancora non c’era.
Uscì dalla tenda, lasciando sola l’assassina, che non disse nulla, a passo svelto.
“Che cosa farò adesso?” pensò “Ucciderò Arriana Valga”
 
 
Scusate veramente per il ritardo, ma ovviamente quando dico che non avrò impegni, questi arrivano subito, accumulandosi. In più, mi sono bloccato nella scrittura di quello che doveva essere il capitolo 1 e ho deciso di invertire l’ordine, per questo sono presenti dei piccoli “spoiler” in questo testo riguardo al capitolo 2, che, essendo in larga parte già scritto non dovrebbe richiedere molto tempo, spero…
Detto questo, scusate ancora, spero vi piaccia questo capitolo, alla prossima.

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Atmah scostò le tende, lasciando entrare la fredda brezza notturna nella camera da letto.
Le candide strade del quartiere dei Giardini Elfici erano immerse nel silenzio.
In lontananza, ai lati del portale che conduceva al quartiere del Mercato, piccole fiammelle si agitavano nella notte, sorrette da un paio di stanche guardie.
La Redguard inspirò a fondo.
Si voltò ad osservare l’uomo che in quel momento si rigirava tra le coperte nel letto.
Thules sbadigliò sommessamente, aggrottando la fronte.
La donna osservò per qualche secondo l’uomo armato che faceva la guardia alla porta della palazzina sul ciglio della strada.
Atmah raccolse un telo per terra e se lo adagiò sulle spalle, lasciate scoperte dalla sottile e leggera vestaglia da notte.
Si mise a scorrere silenziosamente le varie lettere e i numerosi documenti posti sulla scrivania al centro della stanza, cercando notizie, segreti, qualsiasi cosa.
“Non c’è niente di nuovo per Sintas” osservò delusa, per poi dirigersi al tavolino di fianco alla finestra, sul quale era poggiata una bottiglia di Suirille 399.
Versò con discrezione il liquido scuro nel calice, per poi berlo tutto d’un fiato.
Stava per riprendere il collo della bottiglia quando sentì un lieve rumore di passi.
Provenivano dalla strada.
Velocemente posò bottiglia e calice e tornò ad affacciarsi alla finestra.
Un’esile figura, ammantata di nero stava procedendo verso la guardia alla porta.
Questi lo notò e, portata la mano all’elsa della spada, si avvicinò alla figura.
I due bisbigliarono per qualche secondo, l’unica parola che la Redguard riuscì a capire fu: “Scavatus”.
“Notizie della guerra!” pensò subito la donna per poi indietreggiare e chiudere le tende, legandole.
Riuscì a sentire la porta di sotto che veniva aperta.
Optò per tornare a letto e far finta di dormire col monarca.
Avvolta nella coperta, si mise nella posizione più comoda accanto all’uomo, pur sapendo che l’avrebbe tenuta per poco.
I passi degli stivali metallici della guardia che sorvegliava l’interno della magione si facevano sempre più vicini e chiari.
Atmah chiuse gli occhi, distendendo le gambe.
Due colpi precisi.
Le nocche ammantate di ferro cozzarono contro la porta di legno per due volte, poi vi fu silenzio.
Il sopracciglio destro di Thules si abbassò con decisione e le spalle si inarcarono, mentre trascinavano parte delle coperte con loro.
Dopo qualche secondo la guardia riprovò con altri due colpi.
Allora gli occhi del monarca si schiusero lentamente.
La Redguard poteva percepire la sua posizione mentre quello si mise a sedere, si strofinò gli occhi, e controllò il più silenziosamente possibile che la donna stesse ancora dormendo.
Dopo un profondo respiro, si alzò dal letto e, presa una tunica, aprì la porta, facendo entrare uno spiraglio di luce proveniente dal braciere posto al centro dell’altra stanza.
-Che cosa c’è adesso?- borbottò con tono seccato.
Senza farsi notare, Atmah si rigirò e aprì leggermente gli occhi, per vedere la guardia che protese il braccio porgendo al monarca una lettera o un rapporto.
Thules osservò il documento per qualche secondo poi, sollevato lo sguardo verso la guardia, gli chiese: -Da?-
-Il legato Scavatus, mio signore- rispose sottovoce la guardia chinando il capo –è arrivata adesso tramite un messaggero mandato dal legato stesso-
-L’ha già vista qualcun altro?- chiese il monarca, prendendo in mano il rapporto e aprendo la busta che lo conteneva.
-Il messaggero giura che siete il primo, signore- rispose con diligenza il soldato -ma prima di venire qua era andato alla Torre, le guardie lo hanno indirizzato qui, perciò…-
-Il suo arrivo è già noto, capisco- concluse Thules, per poi volgere lo sguardo alla missiva.
Le sopracciglia dell’uomo si alzarono mentre quello leggeva e le sue labbra si curvarono in un sorriso soddisfatto.
Sollevò la testa, e notò che la Redguard lo stava fissando.
-Oh, mi dispiace di averti svegliato- sussurrò eccitato –ma sono giunte notizie a dir poco entusiasmanti. Guardia, prepariamo per muoverci, dobbiamo tornare subito a palazzo. Sarà una giornata impegnativa-
Detto ciò, posò la lettera sulla scrivania e uscì dalla camera, per vestirsi, seguito dalla guardia.
Appena i due uomini furono scomparsi, Atmah scattò verso la missiva, la raccolse e la lesse.
“Appena espugnato il castello, mi sono permesso di lasciare la città di Bravil per dirigermi al fortilizio all’interno del quale si nascondeva il traditore Regulus Terentius. Con una fortunata marcia a tappe forzate la legione ha preceduto gli uomini di Leyawiin. Siamo arrivati, abbiamo preso la torre e abbiamo impiccato i traditori”
La donna corse subito a prendere la sua veste.
“La guerra è finita, Sintas lo deve sapere subito” pensò.
Una volta finito di vestirsi, si diresse verso l’uscita, quando venne fermata da Thules.
-Ah ah ah, ferma ferma, tu sai qual è il tuo compito, vero?- le disse quello tendendola per il braccio – voglio sapere ogni singola parola che Sintas pronuncerà una volta saputa la notizia-
-Che notizia?- chiese la Redguard con tono innocente.
Il monarca sorrise accarezzandole il mento: -Sei una pessima mentitrice, lo sai? Stasera voglio sapere tutto-
-Stasera? Due giorni di fila non sarebbe troppo evidente?- chiese la donna.
-Stasera ci sarà un gran ballo, in onore della fine della guerra- rispose Thules -dì anche questo a Sintas, non voglio che manchi, come non voglio che manchi tu-
-Sarà fatto- annuì Atmah, per poi uscire dalla casa.
 
 
 
-Avanti- la voce dell’uomo era calma e pacata.
La Redguard aprì la porta dello studio, per poi dirigersi verso la scrivania.
Cornelius Sintas stava leggendo una lettera  sulla quale la donna riconobbe la dolce calligrafia di Herminia, sua moglie.
-Lei come sta?- si azzardò a chiedere Atmah.
L’Imperiale sollevò lo sguardo distratto: -Oh, bene, bene, la malattia è in fase di stallo da un po’ di tempo. Chissà, forse c’è ancor speranza...- sospirò- mi ha chiesto di andare a trovarla…-
-La guerra è finita- annunciò la Redguard –ora è tempo di pace-
Il vecchio sbuffò.
-Tutto questo non è stato nient’altro che un preludio- disse con tono amaro –l’apertura delle danze. C’è bisogno di me adesso, qui, nella capitale. Mia moglie… può aspettare-
-Al palazzo stasera vi è un ballo in onore della fine delle ostilità- comunicò la donna.
-Thules sa bene quanto è precaria la situazione- ridacchiò Sintas –vuole fare un rassegna degli alleati e dei nemici e accattivarsi la nobiltà cittadina-
-È proprio disperato- osservò Atmah.
-E fa bene- concesse l’Imperiale –i pezzi sono in posizione, si tratta soltanto di muoverli. E lui lo farà presto-
-Titus Mede?- chiese la Redguard.
L’altro annuì.
-Quando mi sono immischiato in questa faccenda non avevo idea delle proporzioni delle conseguenze, né sapevo quanto questo avrebbe arricchito e rafforzato quell’uomo- disse  lentamente –Eppure eccoci qui. Devo rimediare al mio errore… poi potrò ritirarmi alla mia villa sulla Costa d’Oro, da mia moglie. E magari anche tu potresti tornare a Sentinel… potrei far liberare tua sorella…-
-Il mio posto è qui- dichiarò la donna con fermezza.
-Come desideri- acconsentì Sintas –allora… non abbiamo un ballo a cui partecipare?-
 
 
 
Thules non era certo andato al risparmio per la festa, che, da quel che si vedeva, era stata organizzata molto prima.
Tutti i membri del Consiglio degli Anziani erano arrivati, portando con loro un folto seguito.
La maggior parte degli invitati rimaneva all’esterno della Torre Oro Bianco, che svettava bianca nel cielo serale.
La Green Emperor way, lo spazio che circondava il Palazzo Imperiale, era composto da una grande via circolare, suddivisa a raggiera dalle piccole strade che collegavano i cancelli che portavano ai quartieri cittadini alla Torre Oro bianco.
Gli spazi ritagliati dalle vie avevano al loro interno i sepolcri di importanti personalità dell’Impero.
Atmah non riuscì a non ridere nel vedere il mausoleo della famiglia Terentius, che il giorno prima si era estinta, sotto il marchio di traditrice dell’Impero.
Sintas decise di fare un giro della Green Emperor Way prima di accedere al Palazzo.
Nel percorso incontrarono diversi membri del Consiglio degli Anziani e, infine, L’ambasciatore del Dominio Aldmeri.
-Cornelius- lo salutò l’elfo –Vedo che hai portato anche la tua…-
-Cameriera- si affrettò a rispondere la Redguard –mio signore-
Non voleva che l’Altmer cominciasse ad avanzare strane ipotesi.
-Capisco- si limitò a dire l’altro.
-Ambasciatore- salutò l’Imperiale, mellifluo –il monarca ha invitato anche te, a quanto vedo-
-Perché non dovrei partecipare anch’io a questo ballo?- chiese il Thalmor –Il Dominio è felice di partecipare alla pace restaurata nell’Impero-
Un Imperiale, in divisa da generale, si aggiunse al gruppo.
-Ho paura che allora la felicità dei Thalmor non durerà ancora a lungo- disse intromettendosi nel discorso.
-Generale Gratiatus- salutò Sintas –Vedo che anche lei ha deciso di partecipare-
-La vedo… come dire… turbato stasera, generale- constatò Lewie sorridendo –che cosa intende?-
-Voi elfi forse la considerate pace questa- rispose il comandante –Ma non è altro che una pausa. Finché tutti i problemi non saranno risolti… non v’è pace-
-Allora temo che l’Impero non sarà in pace per un lunghissimo tempo- dichiarò l’Altmer fissando Gratiatus.
-Temo proprio di sì- convenne l’Imperiale restituendo lo sguardo.
La situazione venne interrotta dall’arrivo del monarca Thules, affiancato dal generale Maudelaire, comandante in capo dei Maghi Guerrieri.
Il Bretone indicò una coppia di soldati, un uomo e una donna, appartenenti al reparto da lui comandato.
-Siccome la sicurezza del Monarca è la nostra priorità- cominciò Maudelaire con voce grossa –e dato che l’Impero, anche in tempo di guerra, ha sempre nemici; vorrei fare regalo dei miei due uomini migliori a voi, sire-
Tutti gli invitati alla cerimonia cominciarono ad applaudire, dirigendosi verso l’entrata della torre, dove vi era il monarca.
I due Maghi Guerrieri si inginocchiarono e fecero giuramento di fedeltà e protezione verso Thules, che applaudiva soddisfatto, spostando lo sguardo sulla folla.
-Magnifico- borbottò tra sé e sé Gratiatus, udito solo da Atmah, -un altro paio di spie. Maudelaire sta giocando in grande-
Le due nuove guardie cominciarono a dare prova delle loro capacità tramite incantesimi pirotecnici, davanti allo sguardo attento degli invitati.
-Devo riconoscere che, anche se umani, il loro talento nelle arti della magia è degno di nota- si concesse Lewie cercando di riavviare il discorso.
-Nella legione Imperiale viene accettato soltanto il meglio, specialmente per il corpo di guardia del regnante- dichiarò Gratiatus, anche se, dal tono in cui lo disse, non pareva del tutto convinto.
Il piccolo spettacolo delle nuove guardie terminò e l’ingorgo che si era creato all’ingresso del Palazzo Imperiale si sciolse; pian piano tornarono tutti ai loro discorsi.
Gli occhi di Thules, dopo tanto cercare, si incontrarono finalmente con quelli della Redguard.
“Vuole delle notizie” pensò la donna “e ha visto con che personalità stavo parlando. Chissà cosa si aspetta!”
Senza farsi notare, diede dei piccoli colpetti alla schiena di Sintas, che, voltatosi, capì subito la situazione.
-Dagli quello che vuole- si limitò a sussurrare.
Lentamente, Atmah si diresse verso un angolo appartato, lontano dal vociare che permeava la Green Emperor Way, facendo in modo che Thules la potesse vedere.
Quello, con le dovute accuratezze, cominciò ad allontanarsi dal centro del ballo.
-Allora?- chiese non appena arrivato.
-Si è stupito della velocità con la quale Terentius ha capitolato- rispose velocemente la Redguard.
Thules alzò il sopracciglio.
-E basta? Non ha detto altro?- incalzò.
-Secondo lui non è finita qui- disse decisa la donna.
-Tu non mi menti mai, vero?- chiese il monarca prendendole il braccio; poi indicando gli invitati aggiunse: -li vedi tutti questi? Sono tutti, dal primo all’ultimo, potenzialmente nemici. Sono tantissimi. Io cerco di tenermeli buoni tutti, ma ogni tanto qualcuno comincia a tramare, e ciò non è bene. Guardali. Se non controllassi chiunque in quella folla…-
Ma la frase rimase in sospeso.
Da un cancello era arrivato un legionario in armatura. Lui era ferito e la sua piastra pettorale era scalfita.
Thules sbucò fuori dal nascondiglio, andando incontro all’ultimo arrivato.
Il silenzio era calato tra gli invitati.
-Che cosa succede, soldato?- chiese il monarca.
Il legionario si avvicinò gli sussurrò all’orecchio qualcosa, poi cadde a terra, sfinito.
Thules chiuse gli occhi e serrò le mani a pugno per qualche momento, respirando profondamente, poi indicando Sintas e i generali, fece loro segno di seguirlo mentre entrava nel Palazzo.
Atmah lo seguì per qualche metro, poi qualcuno la prese per il braccio, fermandola.
-Non credo che ti lasceranno entrare- le disse Lewie, sorridendo.
La Redguard lo guardò dubbiosa.
-Perché sorridi?- gli chiese.
-Sai chi è il miglior alleato del Dominio?- rispose l’elfo –L’Impero stesso. Non passa giorno in cui voi umani non vi distruggiate dall’interno; te lo posso assicurare, quest’Impero ha vita breve-
-Ci sarà pur qualcuno che si saprà opporre- ribatté acida la donna.
-Qualcuno?- chiese l’Altmer –Guardati intorno. Li vedi, tutti questi nobili e generali? Nessuno di loro può fare qualcosa. Troppo impegnati a ballare per accorgersi anche soltanto di chi stia dando il ritmo-
Il Thalmor la lasciò andare.
-Fossi in te lascerei la capitale. Vi attendono giorni bui- le disse, poi se ne andò.
Dopo pochi minuti, Sintas uscì dal Palazzo, seguito dai generali.
Di Thules, nessuna traccia.
-Cosa succede?- chiese Atmah, pur conoscendo già la risposta.
Sintas la guardò grave. Per la prima volta appariva stanco, vecchio.
-Temo che Herminia dovrà aspettare ancora un po’- disse mestamente –Titus Mede ha attaccato la legione del legato Scavatus ma è stato respinto. La contessa Caro è stata trovata assassinata nella sua tenda, quindi Nelles, il capo dei maghi guerrieri ha preso il comando dei soldati di Leyawiin. Senza di loro la legione non ce l’avrebbe fatta. Sembra che Mede non se l’aspettasse-
-E adesso?- continuò la Redguard.
-Re Waylas attendeva da tempo questo momento. Il suo esercito, composto dalle forze di Hammerfell, High Rock e Orsinium è accampato al confine con Cyrodiil- rispose l’Imperiale –caleranno sulla Colovia e la distruggeranno. Un alto prezzo… ma almeno avremo risolto una volta per tutte il problema di Titus Mede-
Atmah si guardò intorno notando gli invitati che stavano velocemente scomparendo.
-Non è più tempo di festeggiare- constatò Sintas grave –siamo in guerra. Di nuovo-
 
 
 
 
 

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


-Forza muoversi, muoversi!- urlò il cavaliere mentre trottava da una parte all’altra della colonna.
-Cerca di non rimanere indietro, Rodrick- sussurrò Alexia, una ragazza che serviva nel suo stesso reparto,  aiutandolo nel passare una fossa –o qui ci lasciano davvero alla Legione-
La presa dell’Imperiale era salda, e grazie a lei, il Bretone saltò senza problemi.
Non era abituato al peso dell’armatura, anche se leggera.
Marciavano dalla notte precedente, in seguito all’attacco a sorpresa fallito.
Titus Mede, dopo la loro conversazione nella tenda, lo aveva affidato a Savlian Matius, capitano della guardia di Kvatch perché lo addestrasse.
Savlian sembrava essere molto noto tra la sua gente; i soldati dicevano che comandasse lui quando l’esercito di Daedra aveva distrutto la città sedici anni prima, che avesse protetto i cittadini durante la ritirata e che, aiutato dall’Eroe di Kvatch, avesse riconquistato il castello in mano agli esseri dell’Oblivion.
Alexia era una guardia al servizio di Matius che aveva due anni in più di Rodrick, fino all’arrivo del Bretone era la più giovane della compagnia.
Il compito del loro reparto durante l’attacco era stato di passare silenziosamente affianco alla Legione Imperiale per congiungersi con i soldati di Leyawiin, ma quelli, al loro arrivo, avevano cominciato ad attaccarli, fino a respingerli.
L’esercito di Mede, nel suo attacco frontale alla Legione accampata lungo la riva del Niben e all’interno della torre dove si era rifugiato Terentius, si era ritrovato scoperto sul fianco destro.
La carica aveva perso forza e in poco tempo gli ufficiali avevano cominciato ad ordinare la ritirata.
Rodrick non aveva neanche avuto il tempo di partecipare allo scontro, tutto il tempo della battaglia lo aveva passato spinto da una direzione all’altra.
All’inizio era stato spinto in avanti, verso il nemico, circondato dagli urli di guerra dei soldati coloviani e da quelli furiosi degli uomini di Leyawiin che gridavano: -Assassini!- o –Per la contessa!-
In seguito all’impatto con l’altro esercito, diverse file più avanti, il Bretone era stato costretto ad indietreggiare sempre di più, finché i soldati non cominciarono a voltare le spalle al nemico per scappare più rapidamente.
L’avanguardia, composta da Khajiit che montavano degli enormi felini bruni era intervenuta in quel momento, travolgendo le prime file dell’esercito di Leyawiin e permettendo una ritirata sicura al reparto di Kvatch.
Rodrick aveva perso la cognizione del tempo e dello spazio.
Gli sembrava di essere in quel campo di battaglia da sempre, non capiva più dove si trovava e dove stesse andando.
Savlian aveva cominciato a urlare ordini; voleva che il reparto si raggruppasse intorno al vessillo cittadino, il lupo nero su sfondo viola, per poter affrontare meglio l’avanzata nemica una volta che la carica dei Khajiit fosse finita.
Gli uomini, tutto intorno, cominciavano ad agitarsi.
Non era andato come previsto.
Per niente.
Davanti ai loro occhi vedevano la cavalleria Khajiit muoversi come fulmini nell’oscurità, le loro pellicce chiare che risaltavano debolmente nella notte.
E, intorno a loro, i soldati che recavano nella corazza pettorale il cavallo bianco in campo verde di Leyawiin che si univano, formando piccoli gruppi, per resistere alla tempesta che si stava abbattendo su di loro.
All’improvviso, vivida tra le ombre, un bagliore accecante, era comparsa una palla di fuoco che avanzava verso i Khajiit.
Tutte le formazioni si erano rotte, i destrieri felini ardevano mentre venivano sollevati in aria, coloro che li montavano, invece, erano stati catapultati a metri di distanza.
I soldati di Kvatch si erano scambiati sguardi terrorizzati mentre cominciavano a scorgere un cavallo bianco galoppare verso di loro.
Sopra di esso un uomo in armatura col cappuccio da Mago Guerriero cominciò a scagliare incantesimi di Distruzione, mentre incitava i suoi compagni.
-Per la contessa!- aveva urlato –Per l’Impero!-, e così lo avevano seguito i soldati di Leyawiin.
L’avanzata nemica si era ripetuta, più forte di prima, col supporto del Mago Guerriero e la breccia creata nel loro esercito si era consolidata e allargata.
Dopo pochi minuti, Titus Mede, resosi conto della sconfitta, aveva fatto raggruppare i reparti di cavalleria e si era lanciato in varie cariche sulle linee nemiche per coprire la ritirata del suo esercito.
I soldati della legione e di Leyawiin non si erano aspettati una risposta così forte ed erano dovuti indietreggiare.
La battaglia si era conclusa, e l’esercito ribelle batteva in ritirata passando tra i boschi, verso ovest.
Avevano subito più perdite del previsto in quella battaglia, seppe poi Rodrick, specialmente tra la cavalleria Khajiit.
Il loro stesso comandante era morto negli scontri, tra i dardi ardenti del Mago Guerriero, il re di Rimmen, J’Rakka, lo stesso re col quale il Bretone aveva parlato nel suo breve soggiorno ad Elsweyr, quando lavorava ancora per Servatus Bantos.
Lo stesso re che aveva fatto uccidere K’Rahttad.
Rodrick si stupì del fatto che per la morte del sovrano non aveva provato altro che piacere.
L’unico pensiero che riusciva a formulare era che giustizia era stata fatta per il suo amico.
La salma era stata fatta passare tra i ranghi Khajiit, per poi essere caricata su un carro per essere spedita verso sud, tra le calde sabbie di Elsweyr.
E loro avevano cominciato a camminare.
 
 
 
In lontananza, tra gli alberi, comparve la sommità di un forte in rovina.
-Ah, manca poco…- disse rallegrata Alexia.
-A cosa?- chiese Rodrick, confuso –non dobbiamo arrivare fino a Skingrad?-
-Skingrad è ancora lontana, ci arriveremo domani- gli comunicò l’Imperiale –ma tra poco giungeremo al Priorato dei Nove, il punto d’incontro stabilito con le forze che Mede aveva lasciato con la contessa Arriana Valga a Fort Variela, sempre che i messaggeri siano arrivati… passeremo la notte lì-
-E i Cavalieri dei Nove ci lasceranno accampare al loro monastero?- chiese il Bretone.
-Non credo potranno opporsi ad un intero esercito- rispose Alexia –mi preoccuperei piuttosto per la contessa di Chorrol; non vorrei essere nei suoi panni-
-Perché?- domandò curioso Rodrick.
-Beh, sua figlia ci ha tradito, lo sai- disse l’altra –Leyawiin doveva combattere dalla nostra parte in quella dannata battaglia, abbiamo perso per il loro tradimento… Mede sarà furioso…-
Infine, raggiunsero il forte abbandonato; vennero mandati degli esploratori perché salissero sulla sommità della torre e riportassero eventuali spostamenti nella zona.
Savlian, intanto, si avvicinò ai due ragazzi.
-Quella era la tua prima battaglia, non è vero Rodrick?- chiese il capitano.
-Sì, signore- rispose debolmente il Bretone.
-Mi dispiace che la tua prima esperienza in guerra sia stata una sconfitta, ma per lo meno sei sopravvissuto, ed è un bene- lo confortò con voce sicura.
-Non ho neanche combattuto- ribatté il ragazzo.
-Vorrà dire che i Nove hanno deciso che tu non eri ancora pronto per combattere- dichiarò Matius –beh, a questo rimedierò io. Alla prossima battaglia tu sarai pronto, te lo prometto. Per sta sera puoi riposarti, ma le prossime, specialmente quando arriveremo a Skingrad…  be, sappi che ti renderò un soldato, Rodrick-
Il Bretone annuì con sicurezza, ringraziando l’ufficiale.
Una volta accertatosi che nessuno fosse in vista e che la legione fosse ancora distante, l’esercito riprese la marcia verso il Priorato.
 
 
 
Il terreno declinava sempre di più e gli spogli alberi si facevano sempre più radi, finché i soldati non si ritrovarono in una piatta radura.
Al centro, vi era un monastero composto da una piccola cappella, una casa, e delle stalle; era la sede dei Cavalieri dei Nove, l’ordine fondato nella Terza Era, poi scioltosi durante la Guerra del Diamante Rosso; era stato rifondato dall’Eroe di Kvatch dopo la fine della Crisi dell’Oblivion, divenuto poi noto come Divino Crociato.
Dopo la scomparsa del Crociato i Cavalieri si erano indeboliti fino a ritirarsi nel loro piccolo monastero sperduto vicino al confine con Elsweyr, ma continuando a conservare le Reliquie del primo Crociato Pelinal Whitestrake.
All’arrivo dell’esercito, nove cavalieri uscirono dalla casa, con indosso la corazza bianca con la losanga rossa del loro ordine.
Al centro vi era una donna molto anziana, che parlò per prima.
-Salute, mio signore, Titus Mede- esordì con voce apparentemente stanca, ma che conservava ancora la decisione e il vigore di un tempo –benvenuto nell’umile dimora dei Cavalieri dei Nove. Io sono Sir Avita, a capo del nostro sacro Ordine. Che cosa cerchi qui?-
Mede scese da cavallo e chinò il capo in segno di rispetto per l’anziana donna poi parlò con sicurezza –I miei saluti, sir, vengo qui in cerca di ospitalità per questa notte per me e per il mio esercito. Ci accamperemmo qui fuori per non disturbare la quiete del vostro Priorato, in attesa dei nostri compagni se voi ce lo concederete-
-Dunque il ribelle cerca un riparo per la notte?- rispose Avita senza mostrare alcun segno di scherno o disprezzo nel tono –L’Ordine agisce per il bene di tutti, senza distinzioni. Sei il benvenuto, Titus Mede-
Il Conte di Kvatch chinò il capo di nuovo.
-I miei ringraziamenti- disse con voce solenne.
Tutti gli uomini, intorno cominciarono ad allestire le tende e i posti di guardia, nel caso di un attacco da parte della Legione Imperiale.
Rodrick, per curiosità, si separò dal gruppo per esplorare il luogo, vedendo, dietro alla casa un giardino.
Al centro di esso vi era un’enorme vetrata circolare che doveva formare la copertura di una qualche cripta sotterranea, magari la stessa nella quale erano contenute le Reliquie.
L’opera raffigurava una lotta tra un uomo in armatura bianca che combatteva contro un colosso dorato che brandiva uno spadone a due mani.
“Ma certo!” pensò il Bretone stupefatto “il leggendario scontro tra Pelinal Whitestrake e Umaril l’Implume, sovrano degli schiavisti Ayleid!”
Rodrick aveva più volte letto di quell’avvenimento leggendario, ma non ne aveva mai visto una raffigurazione.
Dopo aver ammirato per qualche momento la vetrata, decise di riunirsi ai suoi compagni ma, mentre si dirigeva verso l’accampamento allestito poco prima, si fermò sentendo due voci.
-Ah, Sir Avita…- fece la prima, che il Bretone riconobbe come quella di Mede –vorrei chiedervi un altro favore… sempre se è possibile, ovviamente-
-Dipende da qual è il favore, mio signore- rispose sicura Avita.
-Vorrei… visitare la Cripta che conserva le Sacre Reliquie del Crociato- dichiarò il Conte di Kvatch, con un sincero tono supplice.
La donna ponderò per qualche istante la richiesta, guardandosi intorno.
-Va bene- concesse –ma non con quella- aggiunse indicando la Katana dorata che Mede portava alla cintura.
L’uomo parve capirne il motivo e per quello annuì; prese l’arma e la diede ad una suo attendente, per poi sparire insieme ad Avita all’interno della casa.
Non fu più visto fino a notte fonda, quando i soldati che erano di guardia avevano notato dei movimenti nel bosco.
Dopo qualche attimo di agitazione generale, le acque si calmarono quando fu noto che si trattava di Arriana Valga e degli uomini lasciati a Fort Variela.
Titus Mede comparve sulla soglia della porta degli alloggi dei Cavalieri; il suo volto esprimeva molto bene il suo temperamento.
I soldati arrivarono infine, portando con sé la Contessa di Chorrol, che proseguiva mesta sul suo cavallo.
-Finalmente sei arrivata- l’accolse freddamente il Conte di Kvatch –forse potrai spiegarci perché gli uomini di tua figlia ci hanno attaccato durante la battaglia…-
-È così che accogli, mio signore, una donna fedele alla tua causa?- lo interruppe Arriana con voce rotta, ma carica di energia –Talmente fedele da scrivere quell’infame lettera per Leyawiin, quella lettera… che ha mietuto così tante vittime… forse nella tua fretta hai dimenticato di prestare orecchio a ciò che ti accadeva intorno, mio signore, ma mia figlia mai ci ha tradito. La scorsa notte è stata assassinata nella sua tenda; i soldati di Leyawiin non hanno combattuto dietro suo ordine. In questo momento, io, vedova, dovrei piangere in solitudine mia figlia a Chorrol, nel mio castello. Invece io sono qui, perché ti sono fedele e, anche se sola, non smetterò di combattere finché la lotta non sarà finita… o finché la mia anima in questo vecchio, vecchio corpo non si sarà spenta-
Il silenzio piombò in quel luogo.
Tutti guardavano la contessa, ritta sulla sua sella, o Titus Mede, che la osservava, ingobbito, ma senza battere ciglio.
-È meglio che riposiate, mia signora- disse infine il Conte di Kvatch, con un tono stranamente caldo –domani dovremo arrivare a Skingrad il più presto possibile-
La tensione accumulata in quei momenti e in quelle ore precedenti si sciolse in un attimo, rimpiazzando dai sinistri interrogativi che i presenti in quel momento si ponevano.
“Da chi è stata assassinata?” si chiese Rodrick “E chi lo ha fatto conosceva quindi il piano di Mede e Valga? E come aveva fatto a saperlo?”
Decise di non pensarci e di andare a dormire, era sfinito.
Quel giorno aveva partecipato alla sua prima battaglia e, anche se non aveva avuto l’occasione di combattere, ne aveva potuto percepire le emozioni.
Dal timore iniziale, sostituito dall’eccitazione creata insieme ai propri compagni, alla paura durante la ritirata.
E Rodrick sapeva che il giorno sarebbe arrivato, e lui avrebbe dovuto combattere veramente sul campo di battaglia.
“Sarò pronto?” si chiese, una volta arrivato al giaciglio, prima di stendersi.
“È tardi, ora” si rispose “ e questi sono pensieri per un altro giorno”
Si sdraiò, e si mise a dormire.

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


-Che strano fatto- disse Sintas osservando le carte, per poi fare un profondo respiro.
-Che cosa?- chiese Atmah volgendo le spalle alla finestra dalla quale stava guardando.
-L’assassinio della contessa- rispose l’Imperiale senza distogliere lo sguardo dai documenti –Dicono sia stato un Khajiit, uno che accompagnava l’esercito… ovviamente è scomparso, come del resto il figlio di Alessia Caro-
-Magari era un assassino mandato da Mede per far precipitare nel caos i ranghi dell’esercito di Leyawiin- propose la Redguard.
-Bel lavoro, ha fatto- commentò sarcastico l’altro, per poi alzare lo sguardo –e se ci fosse qualcos’altro sotto? Magari Maudelaire, o addirittura Thules stesso sono i colpevoli. Era la figlia di Valga, aveva buoni rapporti con i vassalli di Mede, e non dimenticare la lettera che ha ricevuto di cui nessuno sa ancora il contenuto… e non saprà mai, temo. O magari qualcosa slegato totalmente dalla guerra e dai complotti? Era un Khajiit, a quanto pare, non è un segreto che la contessa li odiasse tutti… magari… non sapremo neanche questo-
-Perché tanto interesse nella morte di Alessia Caro?- domandò Atmah confusa –Mede è stato respinto, ed ora è in ritirata… perché concentrarsi su un dettaglio così poco importante?-
-Tu sostieni che sia poco importante- ribatté Sintas –io ho visto Mede, l’ho conosciuto. L’ho aiutato nei suoi piani riguardo alle rotte di approvvigionamento per la capitale. Lui ha pianificato tutto; fin nei minimi particolari; e quello era niente in confronto ad un’aperta rivolta contro il Potentato, come ha fatto a lanciarsi così impreparato nella prima battaglia per poi perderla?-
-Forse voleva saggiare le forze imperiali- suggerì la Redguard, messa in difficoltà.
-E sacrificare così tanti suoi uomini e lo stesso re di Rimmen? No, non credo- dichiarò l’Imperiale –Siamo in un situazione estremamente delicata e critica. Leyawiin e Bravil sono nell’anarchia e l’ultima delle due è stata distrutta dalla Legione Imperiale. La Colovia ed Elsweyr sono in piena rivolta, e, se Re Waylas di Hammerfell sconfiggerà Mede, l’intera regione potrebbe fare la stessa fine delle città nibenesi; come se non bastasse, dal nord arrivano messaggi di una rivolta dello Jarl di Falkreath contro il Re dei Re Geirmund… al Dominio basterebbe assemblare un piccolo esercito per distruggerci tutti e Lewie ogni giorno ci guarda distruggerci dall’interno e, ridendo, comunica le nostre debolezze ai Thalmor nelle Isole Summerset-
Atmah annuì debolmente, non le importava molto in realtà.
Qualcuno bussò alla porta con decisione.
-Un informatore?- chiese la Redguard a Sintas, che fece segno di non saperne nulla.
La donna si sistemò la veste e si diresse a passi lenti verso la porta.
Dall’altra parte bussarono di nuovo, con insistenza.
Atmah riuscì a percepire il suono di metallo che colpiva il duro legno dell’uscio.
La Redguard accelerò il passo arrivando alla porta.
-Chi è?- chiese nascondendo male un velo d’irritazione per la fretta che pareva avere quella persona.
-Aprite, è urgente- ordinò una voce profonda e potente dall’altra parte.
La donna aprì e si ritrovò davanti un anziano Imperiale, dal viso percorso da profonde rughe, che indossava una splendente armatura bianca con rifiniture dorate.
Atmah si ricordò di averlo già incontrato al gran ballo tenuto il giorno prima, ma il nome in quel momento le sfuggiva.
L’uomo rimaneva immobile, sull’attenti, fissandola glacialmente.
-Salve…- improvvisò la Redguard, non sapendo cosa dire –voi siete…-
-Sintas è qui? Ho bisogno di parlargli- si limitò a dire lui senza battere ciglio.
Solo il tono della voce esprimeva l’agitazione del soldato, l’aspetto rimaneva calmo e freddo.
-È qui, generale…- ipotizzò la donna voltandosi verso Sintas.
Quello si era alzato dalla sedia e li aveva raggiunti silenziosamente.
-Gratiatus- completò per lei l’Imperiale, facendo cenno all’ufficiale di entrare.
-Cosa posso fare per voi, generale?- chiese Sintas, una volta che Gratiatus fu entrato.
Il generale guardò Atmah con insistenza.
-Non vi preoccupate- lo rassicurò l’altro –lei è alle mie dipendenze, è affidabile-
Dopo qualche secondo di silenzio, Gratiatus annuì e chiese di potersi sedere.
-So che non è un segreto il fatto che Maudelaire ed io non siamo in buoni rapporti- cominciò –ma dovete credermi… quel Bretone sta tramando qualcosa-
Sintas scoppiò in una sonora risata.
-C’è qualcuno in questa città che non lo è, generale? Non c’era bisogno che veniste voi a dirmelo- commentò.
-No davvero- convenne Gratiatus –ma, come voi sapete bene, Maudelaire è particolarmente legato a Titus Mede, e quest’ultimo è in particolare difficoltà. Se c’è un momento in cui un suo alleato debba uscire allo scoperto… è questo-
-Sappiamo che è legato a Mede, non alleato- ribatté Sintas –non ne abbiamo la certezza, né prove. E il suo uomo, il legato Scavatus ha fatto un ottimo lavoro a Bravil-
-Certo, certo, ma magari Maudelaire lo ha proposto proprio per… toglierlo dalla capitale, in modo da avere le mani libere, conoscendone la lealtà; e certamente vi ricordate che gli ultimi arrivati nella guardia personale del monarca Thules, due maghi guerrieri al servizio di Maudelaire…-
-Perché siete qui, generale?- chiese Sintas interrompendo il discorso e sedendosi sul suo seggio.
-Dovete aiutarmi a convincere Thules a spedire Maudelaire lontano da qui- rispose il comandante, sicuro.
-Devo?- chiese Sintas, inclinando la testa e abbozzando un debole e languido sorriso.
-È un vostro dovere di cittadino imperiale fare la cosa giusta per il bene dell’Impero- dichiarò Gratiatus –nel caso vi rifiutaste… non mi è concesso arrestare un generale come Maudelaire… ma posso arrestare voi per tradimento-
Il sorriso si trasferì dalla bocca di Sintas a quella del generale.
 
 
 
Atmah bussò distrattamente alla porta della magione mentre si guardava in giro notando i passanti.
Quelle persone camminavano spensieratamente per strada senza avere idea del caos che dilagava per Cyrodiil da mesi ormai; continuavano a vivere le loro vite sentendo soltanto accenni delle guerre e delle rivolte che stavano dissanguando tutto l’Impero, il massimo che avevano patito era stato l’aumento dei prezzi a causa delle continue interruzioni delle vie di rifornimento della Città Imperiale: prima era stato il Niben, in quel momento era la Colovia.
Ma, se Gratiatus aveva ragione, presto anche le loro vite avrebbero conosciuto la guerra.
Presto… ma quando? La Redguard doveva agire al più presto, o lei e Sintas sarebbero stati rovinati.
Bussò di nuovo, con più insistenza.
Si accorse che in strada vi era un ragazzo, probabilmente Bretone, che stava correndo.
Subito sorrise pensando si trattasse di un normale ragazzo che si era cacciato in qualche guaio, poi si accorse che le stava andando incontro.
Pensò di scappare, ma si accorse che non si trattava d’altro che della nuova guardia del corpo del monarca Thules, il mago guerriero “regalato” da Maudelaire.
-Ecco, ecco, sono arrivato- disse quello col fiatone, una volta arrivato alla porta della casa, tirando fuori da una tasca un mazzo di chiavi nere, dal quale ne scelse una lunga e spessa.
La porta della magione venne aperta e i due entrarono.
-Il monarca è in ritardo, arriverà a breve- annunciò il mago guerriero, continuando a gonfiare il petto per respirare.
-Aspetterò- si limitò a dire la donna.
Detto ciò, salì le scale, dirigendosi nella camera da letto.
Thules arrivò dopo un quarto d’ora, accompagnato dalla maga guerriera che, insieme a quello che aveva aperto la porta ad Atmah poco prima, si era unita il giorno prima alla guardia.
-Allora…- disse il monarca, sfregandosi le mani –che novità mi porti?-
La Redguard si tolse il soprabito che indossava.
-Il generale Gratiatus è venuto a parlare con Sintas stamattina- rispose dirigendosi verso un tavolino sul quale vi era appoggiato un cesto di frutta.
La donna prese un coltello e cominciò a sbucciare una mela.
-E di cosa hanno parlato?- domandò Thules con tono insistente, mentre si spogliava.
Non gli piaceva il dover chiedere.
-Hanno dei dubbi riguardo la fedeltà di Maudelaire- continuò Atmah, finendo di sbucciare il frutto e cominciando a mangiarlo-hanno intenzione di parlarvene-
Il monarca ridacchiò, infilandosi sotto le coperte –chiunque avrebbe dei dubbi riguardo la sua fedeltà, una volta conosciutolo, ma non credo che sia intenzionato  colpire così… presto. Gratiatus si sta lasciando trasportare troppo dalla sua invidia per Maudelaire-
La Redguard lo osservò per qualche istante.
“Sei davvero uno stupido se lo credi” pensò “e ti fidi così tanto di quell’uomo da farti accompagnare soltanto dai suoi soldati in queste ‘visite di piacere’…”
Thules invitò Atmah a raggiungerlo nel letto con un cenno del braccio.
In breve la Redguard finì la mela e andò sotto le coperte, premurandosi di non mostrare il coltello che teneva in mano.
 
 
 
Il petto del monarca si alzava e si abbassava ritmicamente ormai da mezz’ora, ma Atmah non aveva chiuso occhio per neanche un secondo.
La porta della camera si aprì molto silenziosamente, ma non abbastanza perché la Redguard non la sentisse.
La maga guerriera avanzava con passo incredibilmente leggero, probabilmente grazie ad un incantesimo di Illusione.
Una luce si generò di fianco al letto.
La maga guerriera stava per lanciare una palla di fuoco.
Atmah inspirò profondamente e cominciò a contare fino a tre.
“Uno”
Cominciava a sentire il calore della palla che si generava a un metro e mezzo da lei.
“Due”
La luce era aumentata.
L’incantesimo era quasi pronto.
“Tre”
La Redguard scattò fuori dalle coperte e conficcò con tutta la sua forza il freddo coltello che stringeva in mano nel costato della maga guerriera, protetta soltanto da una leggera veste.
La donna ferita urlò e l’incantesimo si disperse nel nulla, mentre Thules, risvegliato dalle urla, si alzò in modo fulmineo e, con un incantesimo, scaraventò dalla parte opposta della stanza la fonte del rumore.
-Che cosa sta succedendo?!- chiese ad Atmah, che rispose, urlando: -Quella donna ha tentato di ucciderci!-
L’oggetto della discussione, dall’altra parte della stanza, si rialzò a fatica, solo per essere colpita da una lancia di ghiaccio generata dal monarca.
-Non sapevo tu fossi in grado di maneggiare le armi- disse Thules –chi ti ha insegnato?-
-Mia sorella. E io non credevo sapeste lanciare incantesimi!- esclamò stupita Atmah.
-Prima di ascendere al trono imperiale ero uno dei maghi guerrieri più potenti di Cyrodiil- disse in risposta Thules, con un tono d’orgoglio –veramente non ne avevi mai sentito nulla?-
La Redguard scosse la testa.
L’altro parve deluso, ma subito si vestì ed uscì dalla camera per occuparsi dell’altro attentatore.
Quello, allarmato dalle urla, aveva capito che qualcosa era andato storto e si era appostato in modo tale da intercettarli sulle scale.
Il monarca si fermò di scatto dopo aver percorso i primi gradini bloccando Atmah con il braccio.
La Redguard si accorse delle rune del fulmine che si illuminavano a metà scalinata.
Un dardo elettrico li sfiorò di qualche centimetro, andando a colpire il muro.
Thules si ritrasse trascinando Atmah con sé.
-È meglio che tu stia qui, me ne occupo io- le ordinò per poi evocare un famiglio delle fiamme che, con un solo balzo, saltò le due rune delle scale, per poi esplodere di fianco al mago guerriero ribelle.
Il monarca si affacciò per lanciare un’altra lancia di ghiaccio, che finì il soldato morente.
-Devi saltare- dichiarò Thules –te la senti?-
La Redguard annuì e, presa una piccola rincorsa, saltò lungo i gradini per evitare le due rune del fulmine; cercò di attutire la caduta con una capriola ma la veste glielo impedì e lei cadde distesa per terra.
Il monarca la raggiunse subito dopo essersi lanciato un incantesimo di protezione.
-Ti sei ferita?- le chiese mentre la aiutava ad alzarsi.
-È tutto a posto- lo tranquillizzò lei lisciandosi la vestaglia mentre si guardava attorno.
Il cadavere del mago guerriero ucciso poco prima era ad un paio di metri da lei.
Il corpo era ustionato in più punti, la faccia quasi irriconoscibile, a causa degli sfregi, il centro del petto era stato bucato  dalla lancia di ghiaccio che lo aveva finito.
-Dobbiamo andarcene- disse Thules –Maudelaire pagherà caro questo tradimento; devo contattare le mie guardie e il corpo della Legione… forse il generale Gratiatus saprà cosa fare-
“Se ti fossi fidato delle mie parole forse non saresti in questa situazione” non poté far altro che pensare Atmah.
Il monarca aprì la porta della magione per poi rimanere immobile.
-Che cosa c’è? Soldati?- chiese la Redguard.
-Scappa- si limitò a sussurrare Thules per poi alzare le mani in segno di resa e avanzare in strada.
Atmah non se lo fece ripetere e, presa un’altra rincorsa, superò le due rune sulle scale.
“Sarò al sicuro quassù” pensò.
Entrata nella camera da letto, la Redguard si affacciò alla finestra facendo in modo di non farsi notare.
In strada il monarca era circondato da una compagnia di soldati, una decina dei quali teneva l’arco puntato verso Thules.
Circondato da guardie, al centro, vi era Maudelaire, sorridente e a braccia conserte.
Uno dei maghi guerrieri lanciò un incantesimo di paralisi, e il monarca deposto cadde a terra inerme, tenendo sempre le mani fisse in alto.
-Controllate la casa- ordinò Maudelaire –imprigionate chiunque vi sia dentro-, poi se ne andò, scortato dalla maggior parte dei soldati.
I cittadini erano rimasti a guardare inermi.
Tre soldati, però, entrarono nella magione, sguainando le spade.
Atmah si guardò intorno disperata, nel tentativo di trovare un nascondiglio, e prese il coltello, ancora conficcato nel costato della maga guerriera.
Sentì le esplosioni provocate dalle rune sulle scale.
“Almeno uno è morto” pensò continuando a cercare un riparo.
La porta si spalancò e due legionari entrarono con le armi in mano; la Redguard tentò di saltare dalla finestra, ma le mani guantate dal freddo metallo la raggiunsero prima, tenendola ferma.
Cominciarono a tirare, le dita iniziavano a lasciare segni sulla pelle scura della donna che, giratasi, tentò di accoltellarne uno, ma venne intercettata.
Atmah, cominciò a dimenarsi e a scalciare, urlando.
Poi la colpirono alla testa.
 
 
 

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


Le scure guglie in cima alle torri delle mura di Skingrad risaltavano nel grigio cielo di quel giorno.
Il paesaggio declinava dolcemente ai lati della Via d’Oro, che, verso ovest, conduceva fino ad Anvil, sulla Costa d’oro, lo sbocco di Cyrodiil sul Mare Abeceano.
Rodrick staccò un grappolo d’uva dalle vigne dei fratelli Surillie, che erano tra le più pregiate di Tamriel, senza farsi notare, per poi dirigersi verso la tettoia ai margini del campo per gustarsi il frutto vicino ai suoi compagni.
Alexia era seduta su una piccola sedia di legno, mentre gli altri erano accovacciati per terra mangiando uva.
Di Matius non c’era traccia.
Una volta arrivato a Skingrad, l’esercito era stato accolto col massimo rispetto dagli abitanti con tanto di cibo e, per gli ufficiali, un letto caldo alle locande, mentre i soldati semplici si erano sistemati in tende lungo le strade.
I nobili, compreso Mede, erano stati ospitati nel castello del conte, Janus Hassildor, che non era mai stato visto durante la loro permanenza.
Durante la notte era arrivato un messaggero dal nord, giravano voci riguardo ad un’invasione della Colovia da parte dell’esercito di Hammerfell.
Se quelle voci si fossero rivelate vere, la guerra di Mede poteva già essere conclusa, come un completo fallimento.
-Secondo te, quando partiamo?- chiese Rodrick ad Alexia.
-Uh, se ci stanno veramente invadendo… un’ora e saremo in marcia- rispose quella sicura, dopo aver scrutato il cielo, come se fosse servito a qualcosa.
Il Bretone si mise in bocca un chicco d’uva assaporandone il succo, per poi girarsi a contemplare le mura cittadine.
I cancelli della città si aprirono e un gruppo di cavalieri, circondati da stendardi, uscì.
Alla testa del gruppo vi era Titus Mede, con un’espressione ferrea in volto, seguito da Corvus e Millona Umbranox, il conte e la contessa di Anvil, Arriana Valga e da Lazare Milvan, un nobile bretone che un anno prima aveva ricevuto in dono dal Potentato i territori di Forte Sutch,  una fortezza nel nord ovest della Colovia fino a qualche anno prima occupata dai banditi, perché li amministrasse come conte.
Lui aveva preso possesso dei territori e degli uomini del forte, ma aveva continuato a vivere a Skingrad, preferendo il suo palazzo ad un fortilizio ormai in rovina a causa di un attacco dei Daedra durante la Crisi dell’Oblivion.
Dopo il passaggio dei cavalieri, fu il turno del resto dell’esercito, accampato all’interno delle mura cittadine.
-Beh, forse anche meno di un’ora- osservò Alexia mangiando l’ultimo chicco e alzandosi dalla sedia di legno.
Rodrick cominciò a straccare più acini alla volta per finire il grappolo prima della partenza per non doverlo buttare.
Dai portali della città comparve Savlian Matius, che si stava massaggiando la tempia, mentre puntava verso il gruppo.
La sera prima lui e Rodrick si erano addestrati per un’ora; il Bretone era riuscito a malapena a parare e schivare i violenti attacchi del capitano della guardia di Kvatch, e infatti ancora in quello momento aveva le gambe e le braccia dolenti.
Ma verso la fine, dopo un affondo di Savlian andato a vuoto per pura sfortuna, Rodrick aveva fatto una piroetta e con la spada di legno aveva colpito con inaspettata forza l’avversario alla testa.
Tra le imprecazioni, il capitano si era congratulato, per poi ritirarsi a bagnare la tempia colpita.
Tutti i compagni, che erano stati a guardare per tutto il tempo schiamazzando e scherzando, si erano congratulati con Rodrick, che non aveva potuto far a meno di arrossire.
Il Bretone finì il grappolo che aveva in mano per poi sistemarsi la spada alla cintura e assicurarsi lo scudo al braccio, che, a causa dell’addestramento della sera prima, faceva fatica a sollevare.
Savlian Matius giunse alla tettoia dove si trovavano i suoi uomini.
-Ah, vedo che vi trattate bene, qui- osservò indicando ciò che rimaneva de grappoli –mi dispiace, ma, come avrete capito, dobbiamo muoverci-
-Quindi è confermata l’invasione da parte di Re Waylas, signore?- chiese Alexia, mettendosi a braccia conserte.
Il capitano annuì, per poi aggiungere –dobbiamo sbrigarci, l’esercito di Hammerfell potrebbe raggiungere Chorrol in giornata, dobbiamo far vedere loro che noi ci siamo, siamo pronti ad affrontarli a viso aperto; questo è l’unico modo che abbiamo per impedire che distruggano la Colovia-
-Ma, signore quell’armata comprende anche reparti di High Rock e Orsinium, è uno degli eserciti più forti in circolazione, siamo sicuri di poterlo affrontare in una battaglia aperta?- chiese un piccolo soldato biondo che, a giudicare dal tono della voce, aveva molta paura.
Savlian sospirò, poi disse: -Non vi dovete preoccupare; Mede sa quello che fa, ha i suoi piani, e noi dobbiamo rispettarli-, poi, rivolgendosi a Rodrick: -Affronterai una vera battaglia tra poco, eh, ragazzo? Ma non ti preoccupare. Ti ho addestrato bene, se meni come hai menato ieri sera, i Redguard, i Bretoni, e anche gli Orchi fuggiranno da te impauriti-
La compagnia rise, compreso Rodrick, ma il Bretone cominciò a preoccuparsi della battaglia imminente.
Quell’esercito era composto dai migliori guerrieri di Tamriel… lui cosa poteva fare contro di loro?
Alla fine però, sorrise a Savlian e si fidò di lui e di quei “piani” che aveva in mente Mede.
L’esercito si mise in marcia abbandonando la Strada d’Oro e attraversando i boschi sul lato nord, dirigendosi verso il confine con Hammerfell.
Nonostante il dolore, Rodrick cercò di tenere allenate le braccia durante la marcia per essere pronto una volta che la battaglia fosse iniziata.
Dopo un paio di ore passate avanzando sotto gli spogli rami degli alberi, la vegetazione cominciò a diradarsi e l’esercito entrò nella brulla regione delle Highlands Coloviane.
Il colore predominante era il giallo oro, il terreno era in gran parte ricoperto da piccoli arbusti o rocce che circondavano i pochi alberi spogli.
In lontananza, ad ovest, si elevava il colle sul quale era stata costruita Kvatch, ad est si riusciva a intravedere la sommità della Torre Oro Bianco, mentre a nord, su una piccola collina rocciosa, spuntava un torrione abbandonato.
-Forte Dirich- disse Savlian Matius –potrebbe costituire una buona posizione per la battaglia-
-Questo a meno che i Reguard non lo abbiano già occupato- osservò Alexia -ormai dovremmo averli visti, ma non vi è traccia-
-Pensi che sia una trappola?- chiese Rodrick, all’improvviso preoccupato.
-Non lo so- sospirò l’Imperiale, per poi aggiungere: -Certo, potremmo saperne di più se avessimo dei rapporti sul territorio… perché Mede non ha mandato avanti degli esploratori?-
-Non è una trappola- dichiarò il capitano ma, come per smentire quella sa affermazione, davanti al forte comparve un uomo a cavallo col volto coperto.
Una compagnia di cavalieri formò un muro tra quello e Mede, che parlò in sella al suo cavallo stringendo l’elsa della sua katana dorata.
-Chi sei? E chi ti manda?- chiese con quella sua voce imperiosa.
-Il mio signore, Re Waylas, e i suoi comandanti desiderano parlarvi faccia a faccia prima della battaglia- rispose il messaggero.
Titus Mede si voltò e squadrò la contessa Millona Umbranox di Anvil, che gli restituì uno sguardo soddisfatto.
-E dove vorrebbe incontrarci?- domandò il conte di Kvatch al nunzio.
-Il nostro esercito è posizionato a Forte Ontus, dall’altra parte di questa piana- rispose l’uomo indicando lo spazio alle sue spalle –in mezzo alla piana vi è la rovina Ayleid di Nonungalo. Re Waylas vorrebbe incontrarvi lì tra due ore-
Titus Mede lasciò la presa ferrea che aveva sull’elsa della katana e, per qualche secondo, rimase a scrutare il messaggero.
Tutto l’esercito osservava in silenzio.
-Comunica a Re Waylas che ci saremo- dichiarò il conte di Kvatch.
-Sarà fatto- rispose il messaggero, poi, dopo aver chinato il capo, partì al galoppo verso il suo accampamento.
-I comandanti mi raggiungano all’interno del forte- ordinò Mede –tutti gli altri… sorvegliate l’esercito nemico e al primo segnale di attacco preparatevi alla battaglia-
Savlian Matius si diresse all’entrata del forte, portandosi dietro anche Rodrick e Alexia.
Il Bretone fu grato della scelta del capitano, in quel momento voleva essere in qualsiasi posto che fosse anche solo vagamente lontano dal campo di battaglia.
Una volta raggiunto il forte, Rodrick poté dare un’occhiata alla piana che a breve avrebbe ospitato la battaglia, una brulla pianura al cui centro vi era una rovina con qualche costruzione in marmo bianco, e quasi gli venne un colpo quando vide l’esercito di Hammerfell schierato al di fuori di Forte Ontus.
-Quanti… quanti uomini saranno?- chiese a Savlian, indicando l’armata.
Il capitano sospirò, scrutando il forte, poi aggiunse cupo: -Circa diecimila-
-E noi?- continuò il Bretone.
-La metà- rispose Savlian entrando nel forte.
La sala interna era dotata di un tavolo attorno al quale si erano seduti i conti e le contesse, mentre Mede era rimasto in piedi, silenzioso.
-Sire, non vorrete prestare ascolto alla proposta del nemico?- domandò sdegnato Lazare Milvan, avvolto in un farsetto verde smeraldo.
-È una follia- concordò Corvus Umbranox, al cui seguito vi era Hieronymus  Lex, il capitano che aveva scortato Rodrick nel suo primo incontro con Titus Mede.
-È sicuramente un trappola- riprese Malvan –chissà quanto guadagnerebbe Re Waylas con la vostra morte… la ribellione stroncata con un colpo solo, la gratitudine del Potentato, la mano libera per tutta la Colovia e il Mare Abeceano…  lo ribadisco: per me quella è una trappola-
Il conte di Kvatch rimaneva in silenzio a testa china, il volto pensieroso, mentre con la mano destra lisciava l’elsa della sua katana dorata.
-E allora, voi, come vorreste portare avanti questa battaglia?- chiese l’anziana Arriana Valga stringendosi per il freddo nel suo vestito blu, recante lo stemma della quercia di Chorrol.
-Sono uno stimatissimo cavaliere- assicurò Milvan –se me lo concedete, signore, potrò condurre per voi l’avanguardia in modo da spezzare le linee nemiche…-
Il discorso venne interrotto dalla risata di Millona Umbranox, che sghignazzava scuotendo la testa.
-Voi uomini e la vostra insana passione per la battaglia- commentò –e, spiegatemi, come intendete spezzare le linee della loro avanguardia formata dagli orchi di Orsinium, sopravvivere agli incantesimi scagliati dai Bretoni per poi affrontare i migliori guerrieri naturali di Tamriel in netta minoranza numerica? Pensate che se Waylas ci volesse tendere una trappola non l’avrebbe già fatto? Anche prima del nostro arrivo al forte?
Mio signore, questo è un chiaro segno di ciò che vi avevo annunciato a Skingrad. Re Waylas vuole allearsi con voi, vuole appoggiare la vostra giusta causa!-
Il silenzio calò nella sala.
Tutti fissavano Titus Mede.
Il conte di Kvatch alzò gli occhi fissando prima Millona Umbranox, poi Lazare Milvane.
-Preparate una squadra- ordinò -incontrerò Re Waylas-
Rodrick fu grato del fatto che gli avessero dato un cavallo; dopo la marcia le sue gambe erano doloranti.
Il gruppo, composto da una decina di cavalieri, tra cui vi erano Titus Mede, Millona Umbranox, Savlian Matius, Alexia e Hieronymus Lex, si allontanava lentamente da forte Dirich per avvicinarsi al luogo dell'incontro.
Dall’altra parte della piana, si intravedevano una quindicina di figure a cavallo che avanzavano lentamente.
Dietro di loro, l’esercito di Hammerfell e High Rock attendeva in silenzio.
Dopo una decina di minuti, il gruppo dell’esercito di Mede arrivò alle rovine di Nonungalo, ma i cavalieri dell’altro schieramento erano ancora lontani.
-Re Waylas è in ritardo, a quanto pare- osservò Hieronymus Lex.
Mede continuava a fissare gli uomini a cavallo che venivano nella loro direzione, portando la mano all’elsa della propria arma.
-È una dannatissima trappola, lo sapevo!- esclamò Lex dopo alcuni secondi di silenzio –signore, dobbiamo andarcene prima che…-
-Non c’è alcun motivo perché voi ve ne andiate- disse una voce.
Al centro dello spiazzo in mezzo alla rovina comparvero tre uomini che portavano preziose armature: un Redguard, un Orco e un Bretone.
-Re Waylas- salutò Millona Umbranox chinando il capo.
Il Redguard fece altrettanto, poi aggiunse: -Perdonateci per questo piccolo stratagemma. Gli uomini che vedete a cavallo dietro di me sono solo una copertura. Volevamo solo essere sicuri che voi non avreste teso un’imboscata per questo incontro. Ed ora… che siete arrivato, possiamo dare inizio a queste trattative-
Titus Mede scese dalla sella senza levare la mano dall’elsa, poi aiutò la contessa di Anvil a scendere.
-Hammerfell è da sempre legata all’Impero, e lo sarà sempre, anche tra cento, centocinquant’anni. Ma non a questo Impero; è un cosa che non posso accettare. Mi rifiuto di essere partecipe della rovina della più grande opera del Nono Divino, ed è proprio quello che sta succedendo. Sappiamo tutti quanto il regno di Thules il balbuziente sia stato fallimentare, sotto ogni aspetto. In voi, Mede, vedo qualcosa. Vedo la possibilità per l’Impero di tornare grande; noi tutti lo vediamo- disse Waylas indicando i suoi compagni provenienti da High Rock –per questo siamo qui. Per questo vi stiamo facendo questa proposta di alleanza, per questo vi stiamo offrendo la nostra lealtà e la nostra fiducia-
-E di questo vi sono immensamente grato, e lo sarò sempre- rispose Titus Mede, lasciando la presa sulla katana.
Dietro di lui, Millona Umbranox sorrideva soddisfatta.
-Noi… richiediamo solo una cosa, una promessa- dichiarò il Bretone.
-Che, dopo essere salito sul trono e aver risistemato l’Impero voi riconduciate il Dominio Aldmeri nell’abisso, che lo rendiate cenere, proprio come aveva fatto Tiber Septim- completò l’esponente di Orsinium, un Orco di due metri che aveva uno sfregio lungo la guancia sinistra che passava anche per le labbra spaccate.
-Avete la mia promessa- dichiarò Mede –quando l’Impero sarà tornato in forze, per i Thalmor non vi sarà alcuna speranza, ve lo assicuro-
-Non so come hai fatto, Rodrick- sussurrò Savlian Matius, al fianco del Bretone –ma devi ringraziare la tua buona stella, il divino o chiunque sia colui che ti protegge, perché anche per questa volta sei scampato alla battaglia-
Rodrick tirò un sospirò di sollievo, vedendo i tre re giurare fedeltà in ginocchio a Titus Mede.
“Sì, sono fortunato” pensò “ma per quanto ancora lo sarò?”
 
 

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


Davanti a loro si estendeva la piana sopra la quale svettava il castello di Skingrad.
Una piccola ma robusta fortezza, che si estendeva più in altezza che nella pianta, costruita su una collina collegata ai rilievi circostanti solo tramite un ponte in pietra che poggiava su enormi arcate, la cui carreggiata era illuminata da due file di bracieri che si estendevano ai suoi lati.
Ai piedi della collina, separata dal castello, si estendeva la città di Skingrad; formata da due quartieri entrami circondati da mura e separati dalla Strada d’Oro che passava attraverso il centro urbano.
Isolata, si stagliava nel cielo la torre della Cappella di Julianos, che arrivava all’altezza del ponte che congiungeva il castello alle terre circostanti.
Silenzioso, il legato scrutava l’orizzonte, verso ovest, in cerca di indizi, segni, conferme.
Erano giorni, ormai, che inseguivano l’esercito del ribelle Titus Mede per i territori della Colovia; prima erano passati costeggiando il confine con Elsweyr, poi si erano diretti a nord e avevano attraversato la Grande Foresta, per poi riprendere la direzione verso occidente.
Finché non erano giunti davanti a Skingrad.
Una gelida brezza si sollevò in quel momento, facendo rabbrividire Ignatius, pur nella sua armatura della Legione Imperiale.
Erano sul ciglio di una piccola collina spoglia, dietro la quale si era accampato l’esercito, al lato di un vecchio albero spoglio, a causa della stagione.
L’Imperiale continuava a guardare Scavatus, che a sua volta fissava la città, davanti a sé.
L’ufficiale era diventato sempre più teso dopo la caduta di Bravil; era voluto partire dalla città subito dopo la notte dell’assalto, lasciando le macerie ancora fumanti delle case e della stessa cappella di Mara e senza aver preso il castello.
Avevano marciato a tappe serrate attraverso i boschi che costeggiavano il Niben sulla riva occidentale per raggiungere la torre dove si nascondeva il conte Terentius prima di Alessia Caro e del suo esercito proveniente da Leyawiin.
Nonostante i loro sforzi, però, la contessa era stata più veloce di loro; si era accampata all’esterno del forte, ma non aveva ancora intrapreso nessuna azione per la presa del fortilizio.
Era semplicemente rimasta ad attendere la Legione.
Scavatus aveva subito ordinato di attaccare la torre, per impedire che gli uomini di Caro potessero usarla come postazione nel caso di una battaglia.
La guarnigione del forte era molto scarsa in fatto di numeri e penetrare attraverso il portone principale si era rivelato più facile del previsto; era volata una sola freccia.
All’interno, però, le cose si erano fatte più interessati.
Ignatius aveva sentito parlare del passato del conte Regulus Terentius come cavallerizzo pluripremiato e vincitore di numerosi tornei e giostre, prima della sua misteriosa caduta in disgrazia.
Prima della sua trasformazione in ciò che era conosciuto da tutti come il pigro, tronfio e corrotto conte di Bravil.
Ma non si sarebbe mai aspettato di vederlo in armatura, con la spada d’argento salda nella mano destra, mentre lottava contro decine di legionari.
Aiutato dai pochi soldati rimastigli fedeli, Terentius era riuscito a farsi strada tra le file della Legione, per poi essere circondato e ucciso da un affondo di un capitano della Legione.
Ad Ignatius parve di vedere una lacrima scendere lungo la guancia del conte durante la sua caduta, mentre volgeva lo sguardo verso la sommità del torrione, per poi cadere a terra.
In poco tempo, anche le guardie superstiti vennero sconfitte, e i legionari riuscirono a catturare Gellius Terentius, figlio del conte, che, da quel che aveva sentito Ignatius, era conosciuto come un poco di buono, dipendente dalla skooma e in costante contatto con i malviventi della città, prima che quello si potesse buttare dalla cima della costruzione.
Lo avevano impiccato poco dopo come traditore dell’Impero, e ,di fianco, avevano appeso a testa i giù il corpo esamine del padre.
La sera stessa, era avvenuto ciò che Scavatus, i generali alla Città Imperiale e tutti i cittadini imperiali avevano temuto per mesi, ormai.
Mentre i legionari stavano festeggiando nel forte conquistato, brindando ai cadaveri della decaduta famiglia Terentius, l’esercito i Mede si era mosso e aveva attaccato sia la Legione che l’esercito di Leyawiin, tendando una manovra di accerchiamento per schiacciare l’armata contro il fiume Niben.
Ignatius e gli altri ufficiali erano subito corsi fuori dalla torre, imbracciando le armi, per muovere le truppe in risposta all’attacco dell’esercito coloviano.
L’avanguardia Khajiit sfrecciava davanti a loro compiendo piccoli ma letali assalti, in seguito coadiuvata dal resto dell’armata dei ribelli.
Scavatus aveva raggiunto il campo di battaglia e, al suo ordine, le formazioni della legione si erano compattate per resistere meglio agli attacchi nemici.
Improvvisamente, dalla loro sinistra erano comparse luci e urla; quando il legato aveva mandato qualcuno ad indagare, avevano scoperto che la contessa Alessia Caro era morta e che Albert Nelles, un mago guerriero al suo seguito, aveva preso il comando degli uomini di Leyawiin e stava facendo battere in ritirata le forze di Mede schierate su quel lato.
Avevano visto la cavalleria Khajiit scomparire dalla loro vista, allontanarsi nel buio, verso il lato dove i soldati di Leyawiin, incoraggiati da Nelles, avevano ripreso a combattere, urlando: -Assassini!- ai loro nemici.
A causa di quell’indebolimento dello schieramento centrale, Scavatus aveva avuto l’occasione di riformare i ranghi della Legione, rotti dai continui assalti, per poi organizzare un contrattacco.
Lasciando scoperto il fianco sinistro, che era coperto dalle forze di Leyawiin, i legionari avevano formato un cuneo, seguendo gli ordini del legato, che dall’inizio della battaglia continuava a urlare ordini passando da una compagnia all’altra.
La formazione dello schieramento imperiale aveva in poco tempo fatto breccia nelle file dell’esercito nemico, che sul fianco sinistro ormai stava battendo in ritirata e i soldati coloviani dovettero subire gli stessi violenti assalti che poco prima stavano infliggendo alla Legione Imperiale.
Voltandosi, i legionari potevano ormai vedere i primi raggi del sole che stavano sbucando da dietro i rilievi al confine con Black Marsh, oltre l’altra riva del Niben, quando i corni coloviani erano stati suonati per indicare la ritirata.
Prima di incominciare l’inseguimento, però, Scavatus aveva voluto aspettare per riformare i propri ranghi e per accertarsi di quante perdite la Legione aveva subito e quante invece erano state inflitte all’esercito avversario, per avere un’idea di quanto fosse stato indebolito da quella prima battaglia.
Un centinaio erano stati i morti per i legionari; il conteggio per il nemico non era sicuro.
Dopo quasi mezza giornata di preparazione, Scavatus aveva dato il via all’inseguimento e, dopo tanto marciare, erano finiti lì, alle porte di Skingrad.
Un urlo proveniente dall’accampamento li fece voltare.
Videro un soldato semplice che stava salendo sulla collina e, di fianco, in una splendente armatura, un uomo che Ignatius conosceva molto bene.
Scavatus andò incontro ai due, dopo aver lanciato un’ultima occhiata alla città di Skingrad, che rimaneva, silenziosa, alle loro spalle.
-Generale, è un piacere avervi qui- disse il legato –ma posso chiedere il motivo? Stavamo per preparare l’assalto a Skingrad, se volete unirvi…-
-Non attaccherete Skingrad- dichiarò il Generale Gratiatus, col volto cupo –Il vostro nuovo obbiettivo è la Capitale-
-La capitale?- chiese dubbioso Scavatus, lanciando un’occhiata a Ignatius, che fece segno di non saperne nulla.
-C’è stato…- cominciò il generale –un cambio di potere alla Città Imperiale; e noi dobbiamo rimediarvi al più presto…-
 
 
 
Al centro di Tamriel, di Cyrodiil, del gigantesco Lago Rumare, della verde isola della città, in mezzo alla bianca capitale dell’Impero costruita millenni prima dagli Ayleid, si elevava nel grigio cielo autunnale la candida e snella Torre Oro Bianco, abbellita dalle profonde scanalature che ne solcavano le mura in tutta la sua mostruosa altezza.
La Legione si avvicinava a passo spedito alla città occupata dai soldati di Maudelaire, al comando del Generale Gratiatus e del legato Scavatus.
-Thules ha spedito diversi contingenti, quasi tutti in realtà, in tutta la Nibenay per calmare ogni possibile focolaio di ribellione- dichiarò il generale, l’unico dell’esercito ad essere a cavallo –e gli uomini veramente fedeli a Maudelaire, a parte i maghi guerrieri, sono meno di quanti lui crede; siamo in netta maggioranza numerica, ora dobbiamo sfruttare questo vantaggio e quello dell’attacco a sorpresa per riprenderci la capitale-
Il secondo in comando annuì seccamente, con la mascella contratta.
Non l’aveva presa bene la notizia del tradimento del Bretone a capo dei Maghi Guerrieri.
Del resto era stato proprio Maudelaire a raccomandarlo al consiglio di guerra all’inizio della rivolta del Diarcato del Niben.
“Si sarà sentito parte di quel complotto” suppose Ignatius.
L’esercito era arrivato a Weye, il piccolo villaggio posto di fianco all’estremo del ponte che collegava la Città Imperiale al resto di Cyrodiil; le porte cittadine si erano aperte e un gruppo di soldati era uscito.
-Li abbiamo allertati col nostro arrivo- osservò Gratiatus –dobbiamo colpire adesso-
Scavatus non se lo fece ripetere; sguainò la spada sollevandola in aria e urlò: -Legionari! Con me! Per l’Impero!-
Tutti i legionari imbracciarono le armi e cominciarono a correre, urlando verso i cancelli della città.
Ignatius, in prima fila, vedeva avanzare, davanti a sé, il legato, mentre si avvicinavano alle bianche mura della città, percorrendo il ponte.
I soldati che erano usciti dai cancelli cittadini rimasero inizialmente impauriti dall’improvviso impeto di coloro che si trovarono di fronte, e perciò indietreggiarono fino alle porte della città, che si chiusero improvvisamente, lasciandoli chiusi fuori.
-Ci arrendiamo!- urlarono quando le prime file dell’esercito di Scavatus erano a pochi metri da loro.
-Arriva la giustizia per Maudelaire e per i traditori suoi complici!- urlò il legato –se siete fedeli soldati dell’Impero unitevi a noi. E voi, che controllate i cancelli! Noi apriremo comunque queste porte! Sta a voi decidere se morire per tradimento o se aiutare la causa imperiale!-
Vi fu qualche secondo di silenzio, durante il quale gli addetti ai cancelli, in cima alle mura, continuavano a guardarsi intorno.
-Lo avete voluto voi!- gridò Scavatus –portate l’ariete, sfonderemo i cancelli alla vecchia maniera-
Ma gli addetti, che guardavano dall’altra parte delle mura annuirono a un ordine che i legionari inizialmente non capirono.
Le porte della città si aprirono, mostrando, dall’altro lato, un assembramento di soldati e maghi guerrieri, davanti ai quali vi era Maudelaire.
-Scavatus- disse il Bretone –sei venuto a porgere i tuoi omaggi per la mia recente nomina come monarca?-
Poi, a giudicare dalla sua espressione, vide il Generale Gratiatus, che era rimasto indietro all’inizio dell’ attacco, e constatò: -Ah, ti ha portato lui. Eri un bravo soldato, Aurelius. Un vero peccato-
Appena finito di parlare, Maudelaire scagliò una palla di fuoco contro le prime file dello schieramento avversario.
Ignatius la schivò per un soffio, ma una decina di uomini ne rimase gravemente ferita.
Dopo qualche istante di choc, i soldati di entrambi gli schieramenti si scagliarono contro i nemici sotto l’arco che costituiva le porte della città.
Ignatius, rimasto intontito per qualche secondo per l’esplosione, raggiunse i suoi compagni nello scontro mulinando la spada in avanti e gridando: -Per l’Impero!-
Gratiatus, rimasto in groppa al cavallo nelle retrovie, rimaneva a guardare con un’espressione cupa.
Ignatius si trovò davanti il primo avversario, una maga guerriera Imperiale che utilizzava incantesimi di ghiaccio.
Dopo due fendenti andati a vuoto, il legionario si lanciò in un affondo che trafisse da parte a parte l’avversaria, prima che quella potesse reagire con uno dei suoi incantesimi.
Sfilata la spada, Ignatius mulinò l’arma intorno a sé, sgozzando un nemico che si era avvicinato per colpirlo mentre era distratto con la maga guerriera.
Dopo essersi spostato per non essere investito dai fiotti sangue che fuoriuscivano dal collo reciso, l’Imperiale scattò in avanti lanciandosi contro un soldato corazzato che si stava creando un varco nelle file della Legione, ma quello, grazie alla pesante armatura, riuscì a reggere l’urto e, con un destro, mandò a terra Ignatius, facendogli cadere la spada.
Mentre il legionario strisciava per raccogliere la propria arma, il soldato corazzato stava per dare il colpo di grazia con un fendente dell’enorme spadone che usava come arma, quando un’esplosione vicina lo fece volare urlante oltre il parapetto del ponte.
Le mura che sostenevano l’arco della porta cittadina cominciavano a creparsi; ai loro piedi, invece, si accumulavano pile di cadaveri che, per fare spazio per il passaggio dei soldati, venivano spostati ai lati, formando dei mucchi di corpi.
Palle di fuoco, lance di ghiaccio, saette e frecce venivano scagliate continuamente da una parte all’altra dello stretto campo di battaglia.
I difensori della città, dopo un’iniziale vantaggio causato dal massiccio uso di incantesimi, cominciavano ad indietreggiare, fino a ritirarsi all’interno delle mura.
La legione, ricompattatasi all’estremità del ponte, entrò con sicurezza nella capitale, diramandosi nei vari vicoli.
Ignatius, seguendo il corpo centrale, non deviò la sua traiettoria e si ritrovò nella Talos Plaza, una piazza circolare in mezzo alla quale vi era una statua di un drago, al centro di un piccolo colonnato circolare.
All’interno della piazza si erano raccolti i resti dell’esercito di fedeli di Maudelaire, che vennero rapidamente circondati dalla Legione.
Ignatius si ritrovò ad affrontare due maghi guerrieri insieme, il primo venne ucciso facilmente con un fendente alla spalla destra, ma l’arma rimase incastrata nel corpo del soldato e il legionario dovette lasciarla per schivare la lancia di ghiaccio scagliata dalla maga guerriera che rimaneva, una snella ma agile Nord.
Ignatius si avventò sulla nemica, venendo colpito alla spalla da un incantesimo.
Gridò, ma, lottando contro il dolore, riuscì a raggiungere la maga guerriera e a buttarla a terra; le saltò addosso prendendola per il collo e sbattendole la testa contro il duro selciato della piazza.
Le mani della Nord si agitavano tentando di fermarlo o di lanciare un incantesimo, ma, dopo qualche secondo, si rilassarono e, senza opporre più resistenza, ricaddero sul corpo della maga guerriera, morta.
Gli ultimi fedeli di Maudelaire si batterono strenuamente, finché il loro stesso capo non si ritrovò la testa mozzata a causa di un fendente calato da Scavatus alle sue spalle.
Il corpo acefalo del Bretone  cadde a terra, esamine, nell’improvviso silenzio generale.
Sullo stesso volto di Scavatus, Ignatius poté riconoscere un’espressione di orgogliosa soddisfazione.
Lentamente, i difensori della città si arresero, e con l’arrivo del Generale Gratiatus, fu dichiarata la vittoria della Legione e dell’Impero stesso dai sopravvissuti e dai cittadini esultanti.
Dopo i primi festeggiamenti andarono a liberare Thules nelle segrete della Prigione Imperiale, che fu alquanto sorpreso di rivedere Gratiatus e Scavatus; nella stessa cella avevano messo anche una giovane Redguard che rimase per tutto il tempo in silenzio finché non le chiesero chi fosse.
-Sono soltanto una cameriera di Cornelius Sintas- aveva risposto lei, senza menzionare il perché si ritrovasse nella stessa cella del monarca; però, fu rispedita dal nobile senza fare ulteriori domande, dietro ordine del suo stesso compagno di cella.
E già dopo un paio d’ore un messaggero proveniente dalla Colovia era arrivato e Thules aveva convocato un consiglio di guerra con i pochi comandanti rimasti alla capitale.
-Che cosa riporta il messaggio?- chiese Gratiatus.
-Re Waylas e tutto il suo esercito e quello di High Rock si sono uniti alla causa di Titus Mede- annunciò il monarca, senza nascondere una vena di rabbia nella voce.
-Dobbiamo subito radunare l’intero esercito imperiale qui nella capitale- disse il generale Sintav, un Imperiale pelato e tozzo che a malapena entrava nella propria armatura.
-Non abbiamo abbastanza tempo- ribatté Gratiatus –Mede marcerà qui a breve, se non troviamo il modo di tenerlo occupato-
Thules, con un sorrisetto malizioso dipinto sul volto, annuì.
-Ha in mente qualcosa, monarca?- chiese il legato Scavatus.
-Il Re dei Re Geimund di Skyrim sta sedando una rivolta nel feudo del Falkreath, al confine con Cyrodiil. Ha raccolto il suo intero esercito; tredici mila uomini secondo le mie fonti- rispose l’altro –è un esercito che non si può ignorare, e, se scendesse qui a Cyrodiil…-
-Avremmo sicuramente abbastanza tempo per raccogliere i vari frammenti dell’esercito imperiale ancora fedeli- completò Gratiatus –ma come intendete convincere il Re dei Re Geimund a combattere contro Mede?-
Thules sorrise languidamente.
-Gli offrirò qualcosa a cui non potrà dire di no- rispose, prendendo un foglio e cominciando a scrivere.
-Che cosa?- domandò Sintav, con tono incredibilmente stupido, alle orecchie di Ignatius.
Il monarca alzò gli occhi, senza smettere di sorridere.
-Il trono-
 
 

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


I rami degli alberi si muovevano dolcemente sopra di lui, cullati dal vento proveniente da nord, da Skyrim.
S’Virr rabbrividì stringendosi nella sua tunica.
Odiava il freddo, in tutte le sue forme; gli ricordava di quando viveva a Morrowind.
In più, lui era un Khajiit; il suo corpo era fatto per vivere in calde distese di sabbia, o in rigogliose foreste pluviali.
Imprecò.
“Io non sono più un Khajiit” pensò mentre con la mano si andava a tastare la superficie dove un tempo era attaccata la sua coda.
La sua faccia si contrasse in una smorfia nel ripensare agli eventi di Leyawiin.
Al conte Marius Caro, ad Albert Nelles, alla contessa Alessia, al giovane Lucien, il cui cadavere galleggiante doveva ormai avere raggiunto la Baia di Topal.
E a Tsavi, ovviamente.
Scagliò il bastone che usava per camminare meglio per via della sua gamba ferita contro il tronco di una robusta quercia, per poi rimanere fermo, fissando la verga, ansimando per la fatica.
S’Virr cadde in ginocchio, rannicchiandosi sull’umida terra.
“Io l’ho uccisa” si disse “l’ho uccisa. Adesso dormirà per l’eternità… non potrà vedere suo figlio crescere, non vedrà più sua madre, le sue ricchezze verranno consegnate a qualcun altro, e lei sarà soltanto ricordata per l’infamia che ha macchiato quei maledetti saloni del castello di Leyawiin. Adesso è un corpo senza vita, sepolto sotto terra…”
Rialzò la testa, fissando il tronco di quercia davanti a sé che sembrava fissarlo curioso.
“Almeno lei ha una sepoltura” disse una voce acuta nella sua testa “Il suo cadavere non vaga nel mare al largo della coste di Elsweyr, o Black Marsh, o addirittura in rotta per Aldmeris”
Imprecò di nuovo mentre, alzandosi, pensava che avrebbe dovuto buttare anche il cadavere della contessa nel fiume.
“Insieme a quello dl suo caro figlio” si disse.
Un ghigno sinistro comparve sulla sua faccia a causa del gioco di parole.
A passi lenti, si avvicinò all’albero prima colpito, per raccogliere il bastone, poi si rimise in marcia.
Da quel che aveva sentito, la contessa Arriana Valga aveva lasciato Forte Variela qualche giorno prima per congiungersi col resto dell’esercito di Titus Mede che, a quanto pare, era anch’egli in rivolta.
Sembrava, però, che la guerra non fosse cominciata bene; la stessa notte della morte della morte della contessa Caro il conte di Kvatch aveva attaccato la Legione Imperiale, permettendo inconsapevolmente una facile fuga a S’Virr, ma si era dovuto ritirare dopo poche ore di battaglia.
Un pellegrino gli aveva detto che in quel momento Mede stava vagando per la Colovia, ma il giorno dopo il Khajiit aveva scoperto che gli eserciti di Hammerfell e High Rock si erano uniti alla causa del nobile coloviano.
Altre voci riferivano di un’entrata in guerra di Re Geimund di Skyrim contro Mede, ma non erano del tutto certe.
Ciò che era certo era che la contessa Valga era al nord.
E che S’Virr stava arrivando.
“Presto la prenderò” pensò “presto potrò farle fare la stessa fine di quella sua figlia degenere; presto pagherà per la lettera che ha scritto; pagherà per la morte di Tsavi. Tutti i colpevoli pagheranno”
“E poi?” disse quella voce acuta.
Il Khajiit agitò davanti a sé la mano destra, come per scacciare un insetto fastidioso.
“Adesso devo pensare alla contessa di Chorrol” si disse per rassicurarsi.
Chiuse gli occhi, nella speranza che quel volto sorridente di Tsavi ricomparisse, rimanendo, però, deluso.
Imprecò un’altra volta.
 
 
 
Dopo un’ora di marcia raggiunse una locanda, una piccola costruzione in legno col basamento di pietra e il tetto di paglia delimitato da un muricciolo in pietra al cui esterno si trovavano le stalle, vuote.
Il Khajiit, guardando il cielo che si stava annuvolando, e controllando che gli rimanessero in tasca ancora dei septim, decise di entrare.
Lo spoglio interno era composto da alcuni tavoli rotondi sul lato dell’ingresso, mentre in fondo alla locanda vi era uno spesso bancone ad u dietro il quale una Khajiit sorridente puliva alcuni boccali.
Oltre a lei, vi erano tre clienti seduti ad uno dei tavolini all’ingresso che stavano bevendo dell’idromele.
-Salute straniero- disse la locandiera con una voce gracchiante –posso aiutarti in quale modo? Desideri un pasto, o magari un letto? Devi solo dirmelo-
“Non devono passare molti clienti in questi tempi di guerra” pensò S’Virr, dirigendosi al tavolino più lontano da quello degli altri clienti.
-Una bottiglia di idromele per me, grazie- rispose sedendosi.
Capendo che il nuovo arrivato non era uno che voleva fare conversazione, la Khajiit gli portò ciò che aveva chiesto, prese i suoi septim, e tornò al proprio posto a pulire i boccali.
S’Virr bevve dalla bottiglia, per poi aggrottare la fronte pelosa in un’espressione disgustata.
“C’è più acqua che idromele qua dentro” pensò, continuando però a bere.
Dopo una decina di minuti un nuovo avventore arrivò alla locanda.
Un piccolo ma robusto uomo, avvolto in una leggera tunica marrone.  Era calvo, con una rada e ispida barba bianca che gli copriva il mento e le guance; il lato destro della faccia era solcato da una profonda cicatrice che deturpava il duro viso.
Nonostante l’avanzata età che dimostrava, l’uomo percorse senza fatica la distanza che intercorreva tra l’uscio e il bancone, per poi chiedere con voce roca alla locandiera: -Avete del vino per un primate che si allontana dalla guerra?-
La Khajiit, dopo qualche attimo di esitazione durante il quale scrutò con occhio vigile il cliente come per avere la conferma che fosse veramente un sacerdote, tirò fuori una piccola bottiglia contenente un liquido scuro.
-Temo si debba accontentare- disse in tono freddo.
-Andrà più che bene- rispose l’altro prendendo la bottiglia e voltandosi verso i tavoli.
-Da dove vieni, sacerdote?- fece uno dei  clienti, un Redguard che doveva avere una cinquantina d’anni.
-Bravil- rispose secco l’interpellato.
-Ne devi avere passate tante!- esclamò il Redguard –Ho sentito che la cappella di Mara sia crollata durante l’attacco della Legione-
Le pupille del primate si strinsero; a giudicare dalla sua faccia pareva che il solo rivisitare quei momenti fosse doloroso come una pugnalata nel petto.
-Infatti- si limitò a dire dirigendosi verso i tavoli.
-Non se la devono passare bene giù a Bravil…- continuò il Reguard –ma che possiamo farci, se non brindare alla loro salute?- chiese alzando il boccale –A ciò che resta di Bravil! E all’inverno, che oggi è cominciato! Che ci porti meno morti del solito; a quello ci ha già pensato la guerra…-
Il compagno di bevute del Redguard gli sussurrò di smetterla, aggiungendo che era ubriaco.
Il sacerdote guardò torvo il cliente brillo per poi andarsi a sedere nel tavolo di fianco a S’Virr, che fino a quel momento era rimasto ad osservare in disparte la scena.
-Disturbo se mi siedo qui?- chiese il vecchio, indicando la sedia sulla quale si era già accomodato.
Il Khajiit scosse la testa, aggiungendo: -Tanto sto per andarmene-
-Abbiamo fretta, qui?- commentò l’altro –E dove deve andare, un tipo come te?-
-Non sono affari che ti riguardano, sacerdote- ribatté S’Virr –vado al nord, ti basti-
Gli occhi duri del primate lo squadrarono per qualche istante, poi la sua secca bocca si aprì e disse: -Curioso-
-Cosa?- domandò il Khajiit aggrottando la fronte.
“Sarà meglio che mi tolga questo prete di torno” pensò “prima che mi porti guai“
-Il fatto che non ci siano molti Khajiit senza coda che vadano di fretta al nord- sussurrò il sacerdote –ho sentito parlare di uno che sta scappando per non essere preso dalle guardie di Leyawiin…-
Le sopracciglia di S’virr si alzarono; il suo cuore cominciò a battere freneticamente.
Velocemente, i suoi occhi scrutarono tutta la stanza e i presenti, mentre il suo cervello valutava quanto sarebbe stato difficile scappare dopo aver ucciso il primate.
-Non ti preoccupare- lo rassicurò quello, serio –non è mia intenzione riportarlo alle autorità o a qualsiasi altra persona. L’unico motivo per cui ti ho avvicinato è perché volevo sapere il motivo di un tale gesto. Non mi sembri un sicario, né un assassino della Confraternita Oscura. Non credo tu abbia agito per un contratto. Ma quindi… perché? Se tu vuoi spegnere una vita donata dagli dei, dovresti almeno dichiarare loro il motivo-
-Gli dei non centrano nulla con questa storia- sibilò S’Virr –e non c’entreranno mai. Loro stessi non vogliono essere immischiati-
Il sacerdote sospirò, poi rispose pacatamente: -Gli dei vegliano sempre su di noi. Sempre-
-Ah sì?- domandò furioso il Khajiit, protendendosi in avanti –E dov’erano allora gli dei quando le navi nella Baia di Niben venivano affondate? Quando Caro e Terentius avevano deciso di ribellarsi? Dov’erano quando noi cittadini di Leyawiin venivamo massacrati a casa nostra durante il tradimento della contessa? Quando Tsavi…-
Si fermò improvvisamente, poi vuotò tutto d’un fiato il suo idromele, si alzò ed uscì dalla locanda, portando con sé il bastone.
Una volta fuori, chiuse gli occhi, assaporando la gelida aria notturna.
Scosse la testa.
“No. Gli dei non c’entrano; io sono solo” si disse “ed ora devo andare ad uccidere Arriana Valga”
Fece qualche passo verso la strada, per poi fermarsi al sentire la familiare voce.
“E poi?”
La porta dietro di lui si aprì, S’virr sentì dei leggeri passi sul selciato davanti all’uscio venire verso di lui.
-Tsavi…- disse la voce del primate –è anche lei una Khajiit?-
L’altro annuì silenzioso, senza voltarsi.
-E tu… l’amavi?- continuò il sacerdote, avvicinandosi.
S’Virr non si mosse.
Due freddi rigagnoli scorrevano sulle sue pelose guance.
-E per te la vendetta ha cambiato qualche cosa, in questa vicenda?- domandò incalzante il primate.
-Adesso non la vedo più…- sussurrò il Khajiit; ma per il prete dalla sua bocca fuoriuscì soltanto vapore, che poco dopo si disperse nella fredda notte.
-Che cosa hai intenzione di fare, adesso?- chiese il sacerdote.
S’Virr si voltò e scrutò la dura faccia del suo interlocutore, che sembrava trasparire un senso di pena in quel momento.
“Non lo dirà a nessuno” pensò “e comunque, ormai, è troppo tardi”
-Devo uccidere la contessa Valga- rispose con voce spenta.
Le lacrime, raggiunto il suo mento, cominciarono a cadere sul terreno del selciato.
I muscoli facciali del sacerdote non si mossero di un millimetro.
-E poi?- chiese.
Eccola.
La domanda che aveva cominciato ad infiltrarsi nella mente del Khajiit, che cominciava a minare la sua forza di volontà.
Il primate attendeva fermo, sicuro, una risposta.
S’Virr guardò il nero cielo sopra di sé, per non dover sopportare lo sguardo incessante del prete.
La miriade di stelle, sparsa per tutta la volta celeste, osservava imperscrutabile, lontana, ma sempre presente, la scena.
“E poi la raggiungerò” si disse.
-Sono un sacerdote da molto, molto tempo- disse l’altro –e prima ho partecipato a tante guerre. So riconoscere quando qualcuno si è perso… e ha bisogno di qualcuno che lo riconduca alla luce… io mi chiamo Tersitus, e non ce la faccio a sentire storie del genere e rimanere in disparte, a lasciare che gli eventi facciano il loro corso; semplicemente non è nella mia natura. Permettimi di aiutarti, ti prego-
Il Khajiit abbassò lo sguardo e lo fissò per qualche secondo.
-E come avresti intenzione di “riportarmi alla luce”?- domandò, sperando sinceramente che il primate avesse una risposta.
-Per prima cosa- rispose il prete –devi abbandonare questo tuo folle progetto. Lo so io, lo sai tu. Questa è una pazzia, e non permetterò che altre vite vengano sprecate per questa storia-
-Ha dato lei l’ordine alla figlia- ribatté rabbioso S’Virr.
-E qualcuno lo avrà dato a lei- rispose Tersitus –hai intenzione di massacrare tutta Cyrodiil finché non rimarrai solo tu, accompagnato dai tuoi rimpianti e i tuoi sensi di colpa?-
Il Khajiit si asciugò le lacrime.
-Io devo andare a nord- dichiarò, per poi mettersi in cammino.
Il sacerdote lo seguì.
-La strada per Chorrol è ancora lunga- disse-e c’è ancora del tempo perché tu possa recuperare la ragione… e la tua vita. E io sarò affianco a te in questo viaggio-
S’Virr voleva dire di no, scacciarlo, minacciarlo se necessario; ma non ce la fece.
L’unica cosa che riuscì a fare fu di annuire e continuare a camminare.
 
 
 
Raggiunsero sul far del giorno il Lago Rumare.
Il sentiero seguiva parallelo le frastagliate sponde del lago, interrotto a volte da piccoli rigagnoli che si insinuavano nell’entroterra, i quali venivano superati tramite robusti ponticelli in pietra.
-Pare ci sia stata una battaglia la settimana scorsa nella capitale- disse S’Virr.
-Diverse battaglie, da quel che ho sentito- ribatté Tersitus –e adesso sembra che Re Geimund scenderà in guerra dalla parte del Potentato per sconfiggere una volta per tutte Mede-
-Ce la faranno, secondo te?- chiese il Khajiit.
Il primate aggrottò la fronte.
-Non lo so- rispose –per me l’unica cosa importante è che la guerra finisca al più presto. E chiamare in campo un altro esercito come quello dei Nord non credo sarà tanto utile in tal senso-
-Chi credi che debba vincere?- domandò curioso il S’Virr, fermandosi per la stanchezza.
Il sacerdote lo fissò, dicendo: -Non interessarti ai giochi dei nobili e dei signori della guerra. Quello non è il tuo spazio, né il mio; è soltanto uno spettacolino col quale i potenti giocano con le vite dei deboli. Preoccupati piuttosto di te, e degli altri come te; preoccupati dei deboli, pensa a loro. Tu non sei perduto come credi di essere: ogni uomo ha il diritto di cambiare, di avere una possibilità di perdono-
Il Khajiit scosse la testa, rispondendo: -Le persone non dimenticano; nulla è perdonato-
-Sei tu stesso il primo a non volerti perdonare- ribatté Tersitus –Hai subito delle cose orribili; hai compiuto atti orribili, ma non è tutto perduto. Ma, ovviamente, devi essere  tu a voler cambiare-
-Io lo vorrei. Tanto- disse S’Virr, chinando poi la testa in silenzio.
“Ma come potrei perdonarmi per aver lasciato che Tsavi venisse uccisa?” pensò “Come potrei perdonarmi per non averla vendicata?”
-Non credo- ribatté il primate scuotendo la testa –ritieni che la contessa non stia già soffrendo? Anziana, vedova, ha appena perso l’unica figlia e il nipote-
-Non… abbastanza- rispose il Khajiit dopo qualche attimo di esitazione.
-E tu cosa ne sai del dolore che prova?- domandò il sacerdote, intento a sfruttare al massimo la breccia che cominciava ad aprirsi nella ferrea volontà dell’altro –Ti ritieni un giudice, che possa stabilire le pene per coloro che sbagliano? Pensi di essere l’unico a soffrire? L’unica vittima di ciò che è successo a Leyawiin? Beh, non lo sei. Hai sofferto, ma perché continuare a soffrire in questo modo, quando la cura è a portata di mano?-
-Ma la è veramente a portata di mano?- chiese S’Virr, fissando il suo interlocutore.
-Ti basterà solo allungare il braccio- rispose Tersitus.
S’Virr rimase in silenzio, confuso.
Il primate rimaneva lì, a fissarlo.
“Che ci sia veramente una possibilità? È davvero possibile che tutto questo possa passare?” pensò.
E, in un attimo, un breve impercettibile momento, gli parve di rivederla.
Era di nuovo lì, davanti a lui.
Sorridente.
Tsavi.

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***


Jaeger si svegliò di soprassalto.
“Probabilmente è stato un lupo, nulla di cui preoccuparsi” pensò.
Si alzò dalla piccola fossa che si era scavato nell’umida terra bruna, all’ombra dei vecchi abeti che caratterizzavano quella regione.
In lontananza, il nero fumo si estendeva dalla casa lunga dello Jarl, il tetto di paglia aveva al centro un enorme buco, che vomitava quella oscura esalazione.
Non che il resto della città fosse messo meglio, anzi.
Le prime case che si incontravano lungo la strada principale erano completamente distrutte; le zanne d’avorio avevano lacerato i muri di legno come se fossero carne. Non ne rimanevano che brandelli.
All’inizio Jaeger era stato molto scettico riguardo all’insolita richiesta dello Jarl, ma la carica di Thane era sempre la carica di Thane.
Così era subito partito da Solitude per la tundra della regione di Whiterun, in cerca di un accampamento di giganti.
La magnifica città, situata sull’enorme collina al centro della piana era stata spettatrice della sua grandiosa impresa.
Un’azione pulita, complicata ovviamente, ma andata per filo e per segno; il gigante disorientato dalla miriade di trappole che il Nord aveva piazzato nel suo stesso accampamento durante i giorni precedenti senza che lui se ne accorgesse, si era spento a causa di una freccia, la cui punta era stata immersa nel veleno dei Chaurus, piantata in mezzo alla fronte, dopo essere stato ferito svariate volte.
La seconda parte del piano era stata quella più difficile, ma tutto era andato come previsto e i mammut erano stati soggiogati.
Alcune truppe, mandate dal Re dei Re Geimund, avevano presi in custodia i due mastodontici animali e Jaeger si era goduto in solitudine il suo viaggio di ritorno a Solitude, dove ricevette la nomina promessa, nonostante non possedesse una casa all’interno delle mura cittadine.
Odiava la vita sedentaria, gli dava fastidio il solo sentire l’appoggio morbido di un materasso.
Lo faceva sentire vecchio, gli faceva ricordare che erano trascorsi ormai vent’anni da quando aveva affrontato le prove di Kyne.
Per quello non si era mai stabilito in una città, per quello non si era mai fermato, nelle sue peregrinazioni in giro per Skyrim, e per quello, dopo la battaglia, si era andato a cercare un posticino tranquillo dove schiacciare un pisolino.
Sceso dal declivio coperto dagli abeti, Jaeger raggiunse la strada che conduceva alla città.
Sulla bruna terra si riconoscevano ancora le impronte dei guerrieri dell’esercito che alcune ore prima avevano marciato lungo quella via, rassicurati dalla presenza del loro re e del leggendario Thane.
E dai due mammut che marciavano con loro, ovviamente.
A pochi metri, davanti a lui, si stagliavano le macerie, osservate poco prima, delle case e della costruzione in legno che doveva proteggere il piccolo insediamento dall’attacco di banditi.
Non certo da un esercito di tredici mila Nord accompagnati da due mammut.
I guerrieri giravano tra le case distrutte cercando soldi, armi o qualcos’altro da portarsi a casa.
Il vento, che spirava da nord est, da Windhelm, recava con sé la conferma dell’arrivo del duro inverno.
Jaeger sorpassò i cancelli lignei della città divelti e si diresse verso lo spiazzo davanti alla Casa lunga del defunto Jarl di Falkreath, passando davanti alla locanda, una delle poche costruzioni rimaste in piedi, dentro la quale si stavano raccogliendo i cittadini sopravvissuti all’attacco, mentre i feriti venivano portati al laboratorio alchemico.
Il Nord, durante i suoi viaggi, si era più volte fermato in quella città ormai distrutta, per vendere pelli o per sbrigare commissioni, aveva vagato per quelle strade tetre, in quel momento piene di feriti, aveva parlato con quelle persone che in quel momento lo guardavano in cagnesco sussurrando parole sprezzanti a coloro che potevano sentirle, si era inchinato di fronte allo Jarl che poteva vedere impiccato, davanti alla sua stessa casa.
Ma, un giorno era capitato a Falkreath, un altro potrebbe capitare a Whiterun, o a Solitude.
“La vita è in continuo movimento” si disse Jaeger, cercando di allontanare un senso di colpa che stava comparendo nella sua testa “se si vuole stare a cavallo bisogna seguirne i movimenti ”
Aveva raggiunto lo spiazzo davanti alla dimora dello Jarl, dove un gruppo di soldati si erano radunati.
-Sapete dove si trova Re Geimund?- chiese con voce tonante il Nord.
-Al cimitero- risposero in coro i guerrieri senza neanche voltarsi.
Il cacciatore si diresse verso il luogo nominato.
“Il cimitero” sbuffò.
Se c’era un luogo di Falkreath che lui aveva sempre odiato, era quel dannato cimitero.
“Così pieno di pietre intente a fissarti per dirti: ‘Io sono qui per un motivo. Tu che cosa hai fatto?’”
Davanti alle tombe si trovava il Re dei Re di Skyrim, col capo chino, intento a leggere un messaggio scritto su una pergamena.
In quella posizione, avvolto nel pesante mantello i pelle d’alce grigio, circondato da quel luogo tanto austero, poteva anche incutere timore e rispetto alla maggior parte dei Nord, ma non a Jaeger.
Coronato da una capigliatura castana ricercata, il volto squadrato, i cui lineamenti sembravano scolpiti nel ghiaccio, metteva in soggezione la maggior parte dei visitatori del palazzo, mentre i furbi occhi riuscivano ad accattivarsi la simpatia di tutti.
In quella figura coesistevano l’anima guerresca e fiera dei Nord e quella più sottile e astuta degli Imperiali, ereditata da antenati Septim, che si erano sposati con la famiglia regnante a Solitude, in nome del profondo legame tra la città e l’Impero.
A sentire i passi di Jaeger, il re si voltò, mostrandosi sollevato dalla sua presenza.
-Questa- disse esibendo la pergamena –è una lettera di Thules. Mi invita a scendere in campo contro Mede per difendere l’Impero. Il mio impero, dice-
Come per rispondere all’espressione confusa e sorpresa allo stesso tempo del suo interlocutore, aggiunse: -Mi ha promesso il trono imperiale-
“Beh, questa sì, che è una sorpresa” pensò il Nord.
Dopo qualche attimo, però, si accorse del tono con cui Geimund aveva pronunciato quelle parole.
“Almeno per me…” si disse.
-Perdonatemi se ve lo chiedo, maestà- disse –ma… ve lo aspettavate?-
Non servirono parole, lo sguardo del re era espressivo quanto mille discorsi.
“Per gli dei” pensò.
-State dicendo…- chiese –che quella che tutti ritengono una risposta eccessiva, una dimostrazione di forza per sedare la rivolta di Falkreath, un compito che avrebbe richiesto un piccolo sforzo bellico, non era altro che una gigantesca scusa per radunare il vostro intero esercito ai confini con Cyrodiil?-
“Sono stupito” si disse “voi sarete un grande imperatore”
-Mi stai forse giudicando, Jaeger?- rispose Geimund.
-Non ho detto questo- disse l’altro –ma… allora… se tutto è deciso, perché tentennate?-
Il re si voltò verso il cimitero.
-Pensavo di essere pronto… eppure, vedere tutto questo… io le conoscevo queste persone, conoscevo lo Jarl che ora è appeso alle travi della sua stessa casa. E questo… non è nulla di ciò che mi aspetta se decido di partire per Cyrodiil- dichiarò –credi che quella serpe di Thules mi voglia veramente dare il trono? Lui vuole soltanto farci scornare con Mede, per poi arrivare al campo di battaglia tinto di cremisi per finire il vincitore.
-E non pensi al mio popolo? L’inverno è arrivato, i venti soffieranno gelidi, le bufere inonderanno le nostre strade di neve, i magazzini si svuoteranno sempre più… e cosa faranno i Nord, senza il loro re?
-Sono venuto qui per vedere il luogo dove anonimi eroi di Skyrim sono stati seppelliti, dopo aver lottato per la loro patria. La domanda è: sono disposto ad erigere migliaia di queste tombe?-
-Sapete che cosa ne penso dei cimiteri?- chiese Jaeger –credo che servano per ricordarci che per ogni grande impresa, per ogni cambiamento, ci sia un prezzo a pagare. Sta a voi scegliere se essere disposti a pagarlo o no. Ma se non avete intenzione di pagarlo, ricordate che nessuno andrà a riflettere sula vostra tomba-
Il silenzio scese nel cimitero, che cominciava ad avvolgersi di nebbia, mentre Geimund chiudeva gli occhi inspirando profondamente, per poi andarsene.
 
 
 
I monti Jerall, avvolti nel candido manto di neve e ghiacci, declinavano ripidamente fino alla città di Bruma, che si riusciva a intravedere, nonostante le  nubi presenti a quelle altitudini, a chilometri di distanza.
Avevano impiegato due giorni per passare da un fianco all’altro delle montagne, principalmente a causa dei rallentamenti causati dai due mammut, il cui trasporto si era rivelato più difficoltoso del previsto.
Vi era stato un punto, quando erano ancora sul versante di Skyrim, in cui il passaggio stava per crollare, ma per un miracolo tutto era andato per il meglio.
L’unico incidente era stata la perdita di una decina di uomini in seguito ad una piccola valanga; gli esploratori erano riusciti a recuperare tre sopravvissuti, che erano poi morti in preda ai deliri causati dalle pessime condizioni di salute.
L’intera Cyrodiil, in quel momento, era ai loro piedi.
Ad un paio di chilometri di distanza, ad una minore altitudine, si ergeva il Tempio del Signore delle Nubi, la roccaforte, il quartier generale dell’Ordine delle Blade, che in quegli anni si era ritirato nei propri templi in attesa di un nuovo Sangue di Drago da servire.
-Siete sicuri che vi daranno il loro appoggio?- chiese Jaeger –potrebbero anche attaccarci-
-Attaccare un esercito di tredici mila Nord?- rispose Re Geimund sbuffando –sarebbe molto sciocco da parte loro-
-Sono comunque Blade- ribatté il cacciatore.
-E la loro lealtà va all’imperatore- concluse fermamente il sovrano Nord.
L’esercito continuava a marciare, immerso tra le nebbie.
Jaeger si fermò, prendendosi qualche momento per apprezzare l’unicità dell’avvenimento.
Il respiro cadenzato fuoriusciva dalla sua bocca sotto forma di vapore, che si disperdeva velocemente tra le gelide correnti d’aria che li colpivano da ogni lato.
Un esercito di quelle dimensioni che attraversava i Jerall; doveva essere qualcosa che non succedeva da più di un secolo.
Un passo dopo l’altro, il gruppo di Nord si ritrovava sempre più in basso e i contorni delle mura del Tempio del Signore delle Nubi si facevano sempre più definiti, così come le sagome delle sentinelle Blade.
“Chissà se riuscirà a convincere le Blade a stare dalla sua parte; sarebbe già una grande vittoria” pensò il Nord guardando il re, in groppa al suo cavallo, con lo sguardo  stranamente perso nel vuoto.
 Gli si avvicinò con passo sicuro; sembrava che in quel momento il sovrano avesse bisogno di qualcuno che lo rassicurasse, di qualcuno che gli dicesse: “stai facendo la cosa giusta”
“Forse non è l’uomo più adatto a diventare imperatore: è un ottimo comandante, ma che odia sacrificare i propri uomini, insomma, un buon uomo” pensò Jaeger “un buono uomo. È questo il problema. Ma è l’unico uomo a cui possa affidarmi per contare un giorno, nella Città Imperiale. A meno che…”
Il Nord scosse violentemente la testa per scacciare il pensiero, poi parlò.
-Tutto bene, maestà?- chiese – vi vedo… come assente-
Geimund sbatté le palpebre per qualche secondo, poi fissò il cacciatore.
-Tutto bene, Jaeger- rispose –è solo… vedere la capitale… pensare che vi sto giungendo come imperatore… è… è un pensiero che sgomenta- concludendo con un sorriso che, nonostante il sangue imperiale, appariva falso.
Geimund si schiarì la voce, il volto amichevole e preoccupato scomparve, sostituito da un volto duro e freddo.
-Tutto bene- ribadì con voce decisa –stavo soltanto pensando a cosa dire alle Blade-
-Molto bene, maestà- disse Jaeger inchinandosi –vi lascio pensare in pace-
“La recita sta cominciando” si disse il Nord, allontanandosi “e il protagonista ha appena indossato la maschera”
 
 
 
Le pesanti porte del Tempio vennero spalancate una volta che l’esercito si fu radunato davanti ad esse.
I venti invernali provenienti dai Monti Jerall avevano amplificato la loro potenza e in quel momento arrivavano come pugni ai visi dei guerrieri.
La delegazione Nord era preceduta da Re Geimund, che percorse la scalinata frontale senza nemmeno scendere da cavallo.
Al termine dei gradini, si fermò nello spazio antistante la facciata in stile Akaviri del tempio, dove si era radunato un gruppo di Blade.
Dal gruppo, si fece avanti una donna, una Bretone probabilmente, che non indossava armatura, ma una tunica da monaca.
-Saluti, Re Geimund, di Skyrim. Il mio ordine ti dà il benvenuto- disse quella, guardando il sovrano negli occhi.
Quello rispose dopo un breve, quasi impercettibile battito di ciglia: -Imperatore, a dire il vero, sorella…-
-Vivienne- concluse la Blade –e, riguardo al vostro titolo, sarà deciso in seguito alla battaglia di domani-
-Che battaglia, sorella Vivienne?- chiese il re Nord.
-Oh, non lo sapevate?-domandò, lasciandosi sfuggire un sorriso divertito, la Bretone –Titus Mede sta venendo qua col suo esercito, la contessa di Bruma, Narina Carvain, ha richiesto l’aiuto del conte di Cheydinhall, Andel Indarys, che sta accorrendo qui. Credo proprio che lei e i suoi alleati dobbiate parlare un po’di strategia…-
-Da questo consiglio devo dedurre che le Blade appoggeranno la mia giusta causa?- domandò Geimund.
-Questo consiglio sarà l’unica cosa che avrà dal mio ordine- rispose sorella Vivienne.
-Voi servite il legittimo imperatore…- protestò il Nord.
-No- lo interruppe la Bretone –noi serviamo il Sangue di Drago-
-Non vi è alcun Sangue di Drago al mondo dalla Crisi dell’Oblivion- ribatté il sovrano.
-Noi attendiamo. E continueremo ad attendere- disse la Blade, con voce sicura –anche se fossero necessari secoli-
Re Geimund, dopo aver brevemente chinato il capo, voltò il cavallo ed uscì dalla cinta muraria che circondava il tempio, seguito dalla sua delegazione.
-Maestà, rinunciate così facilmente al supporto delle Blade?- chiese Jaeger una volta che ebbe raggiunto il sovrano.
-Non cambieranno idea, neanche se vincesse Mede- ribatté quello –e per questo li rispetto. Ma adesso ho altro di cui occuparmi. Dobbiamo trovare quel pellegrigia di Indarys prima che perda per qualche sciocchezza tutti gli uomini di Cheydinhall-
-Ma signore…- balbettò il cacciatore.
-Niente ma, Jaeger. Mede sta arrivando- lo zittì Geimund, la cui voce non ammetteva repliche.
“La voce di un imperatore” pensò il Nord.
-Domani si deciderà la sorte dell’Impero- continuò il re –e io, voglio… no, pretendo di vincere-

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 ***


Gli stendardi erano mossi dal forte vento del nord.
Re Geimund avanzava fiero sul suo cavallo bianco, lo stesso colore del terreno su cui le due ambasciate si stavano incontrando.
L’impassibile volto di lupo in campo rosso del vessillo di Solitude osservava la scena ondeggiando sgraziatamente avanti e indietro.
La faccia di Andel Indarys, conte di Cheydinhall, era contratta in una smorfia che palesava quanto quella situazione fosse a lui fastidiosa, mentre il suo braccio destro reggeva il pesante mantello che lo copriva dal freddo e dalla neve.
Jaeger continuava a spostare lo sguardo tra il volto sereno e fiero di Geimund e quello cinereo e pervaso dalle rughe del Dunmer.
-Un ottimo modo per cominciare il nuovo anno- dichiarò con tono ironico, ma al tempo stesso amaro, Farwyl Indarys, anch’egli in sella ad un cavallo, in una rilucente armatura, appena dietro suo padre.
-Quest’anno sarà diverso- rispose Geimund –e il cambiamento comincerà proprio oggi-
-E questo chi me lo assicura?- gracchiò Andel Indarys squadrando il suo interlocutore con i suoi occhi scarlatti –Thules non è in grado di dare una svolta, di far finalmente filare le cose per il meglio-
-Esattamente- replicò il Re dei re di Skyrim –per questo sarò io a farlo-
Un sorriso malizioso comparve lentamente sul volto del conte di Cheydinhall.
-Certe persone, udite queste parole, le chiamerebbero “alto tradimento”…- disse.
“E adesso stai decidendo se tu saresti una di quelle persone, vero bastardo di un pellegrigia?- pensò Jaeger
-Niente affatto- dichiarò Geimund sventolando la lettera che il monarca gli aveva inviato –Thules mi ha promesso il trono in cambio di un aiuto contro Titus Mede-
Per qualche secondo, gli occhi cremisi di Andel Indarys fulminarono il comandante nord carichi d’odio, poi l’espressione si rilassò e ricomparve un sorriso.
“Ha capito il piano di Thules” si disse Jaeger.
Il vento si agitò ancor più di prima, colpendo in pieno le due delegazioni.
Quando si fu calmato, seguirono alcuni secondi di silenzio, poi Indarys tornò a parlare.
-Parleremo di chi siederà sul trono una volta che questa battaglia sarà finita- dichiarò –e Mede sarà sconfitto-
Re Geimund annuì, sorridendo a sua volta.
-Dato che siete voi a guidare l’esercito più numeroso- aggiunse il Dunmer –ritengo ragionevole concedervi il comando generale-
“Cerchi di ingraziarti il prossimo imperatore? Oh, povero, povero pellegrigia…” pensò Jaeger, sorridendo.
-Grazie, conte- rispose il Re dei re di Skyrim –ma vi concederò comunque un’ampia autonomia nel controllo dei vostri uomini-
-Sarà mio figlio Farwyl a guidarli- disse il Andel Indarys –io sono… troppo vecchio per le battaglie, temo. Ma vi assicuro che egli è un ottimo comandante; coraggioso di natura. Diciassette anni fa aveva guidato una spedizione all’interno di un Cancello dell’Oblivion ed è tornato sano e salvo, chiudendo il cancello. Con gli anni ha anche imparato la prudenza e adesso è l’uomo perfetto per questa battaglia-
“Ho sentito quella storia” si disse Jaeger riuscendo a mala pena a non ridere “interessate come si sia dimenticato di far notare che era stato l’Eroe di Kvatch a salvare Farwyl e il suo vice, unici superstiti della spedizione, e a chiudere il Cancello dell’Oblivion… molto interessante”
-Anche Titus Mede è un ottimo comandante, con un passato di signore della guerra alle spalle, ed è anche in superiorità numerica, perciò dobbiamo stare molto attenti- rispose Geimund –dobbiamo dividere il suo esercito. Ed è a questo che servirà la vostra guarnigione: ad attirare parte del suo esercito lontano dalla piana di Bruma, mentre noi assalteremo ciò che rimarrà dell’esercito nemico che starà assediando la città-
-Quindi noi saremo un diversivo?- domandò in tono non esattamente entusiasta Farwyl Indarys, per poi essere zittito dal padre.
-Vi prego di non sottovalutare il vostro compito- aggiunse il comandante nord, serio in volto –sarete in netta inferiorità numerica e dovrete sopravvivere per tutta la durata della battaglia sotto le mura di Bruma. Poi noi arriveremo in vostro soccorso-
L’erede di Cheydinhall voltò il suo cavallo, senza dire nulla.
-Buona fortuna- disse Andel indarys –che dopo di oggi, nessuno debba più preoccuparsi di Titus Mede-
-Che i Nove vi accompagnino- si congedò Geimund, per poi voltare anch’egli il cavallo e andarsene, seguito dal resto della sua delegazione.
Jaeger si avvicinò al re.
-Almeno abbiamo superato l’incontro con i pellegrigia- disse.
Il Re dei re sorrise, rispondendo: -Credo onestamente che questa sarà stata la parte più difficile, alla fine-
Entrambi risero, avviandosi verso il resto dell’esercito di Skyrim, circondati dalla neve e inseguiti dai venti brutali del nord.
 
 
 
Davanti alla porta nord di Bruma si estendeva una piccola piana, circondata a est e ad ovest da una foresta di pini, sul lato nord il terreno si inclinava e cominciavano i monti Jerall.
Sulla piana, i reparti dell’esercito di Hammerfell si erano ammassati, premendo contro le mura, mentre le retrovie preparavano le macchine d’assedio per assaltare i cancelli cittadini.
Dall’alto delle mura, tutti i soldati della guarnigione di Bruma, che risaltavano per il campo giallo dello stendardo all’interno del quale svettava una nera aquila, inondavano le forze assedianti di frecce e massi.
L’avanguardia dell’esercito Nord avanzava in silenzio tra i tronchi delle conifere, i passi attutiti dalla neve.
I guerrieri del nord si preparavano mentalmente alla battaglia: vi era chi provava l’arma contro un nemico inesistente mentre avanzava silenziosamente, chi pregava con gli occhi chiusi, pur mantenendo deciso il passo, chi tirava fuori da una borsa l’ultima bottiglia di idromele per scolarla e poi lasciarla cadere con noncuranza.
Tredici mila nord si avvicinavano silenziosamente all’esercito recante le insegne di Hammerfell e di Titus Mede.
Re Geimund, nella sua splendente corazza li raggiunse, scendendo da cavallo.
Ben presto fu raggiunto da uno scudiero che, inginocchiandosi, gli porse la spada, ancora nel fodero.
-Il momento è giunto- tuonò all’improvviso il re.
Tutti i guerrieri si fermarono.
-Secoli fa, ormai- aggiunse il Re dei re –quasi cinquecento, ormai, Talos, il nono divino, attraversò queste montagne, calpestò questo terreno. Quasi cinquecento anni fa, Talos entrò a Cyrodiil con gli eserciti di Skyrim conquistando in seguito la Colovia. Da qui!- urlò indicando per terra –Da qui ebbe inizio l’ascesa di Talos. Da qui nacque Tiber Septim. Da qui comincia la fine della Seconda Era, l’era del caos. L’impero che il nono divino ha fondato, però, ormai sta morendo. Ma noi, oggi, possiamo impedire che un nuova era del caos inizi! Possiamo riparare ciò che la Crisi dell’Oblivion ha distrutto! Oggi noi cominciamo una nuova era per l’Impero!
-Lo riporteremo alla gloria, gli ridaremo la potenza che si merita. E quegli esseri dalle orecchie a punta non potranno far altro che piegarsi!-
Da tutto intorno giunsero urla di euforia.
I soldati non si distraevano più. Puntavano tutti gli occhi su Re Geimund, oppure guardavano innanzi a sé, verso quello che a momenti sarebbe diventato il campo di battaglia.
-Miei guerrieri! Miei fieri Nord!- ricominciò il comandante estraendo la spada dal fodero, sostenuto fino a quel momento dallo scudiero, e sollevandola in aria –Oggi combattiamo!-
L’intero esercito urlò.
Pareva il ritorno dei draghi.
La piena potenza di Skyrim stava per esplodere.
Jaeger non poté non riconoscere una scintilla di fierezza e soddisfazione nello sguardo di Geimund, prima che questi abbassasse la spada nella direzione dell’esercito nemico, ormai certamente a conoscenza del loro arrivo.
I soldati corsero in avanti sfoderando le armi e lanciando le loro urla.
Jaeger imbracciò la sua ascia e si unì all’eccitazione generale; alla sua età, aveva partecipato a tante battaglie, ma mai ad una di quelle dimensioni.
E sospettava che pochi in quell’esercito lo avessero fatto, per non parlare di Geimund.
Dopo qualche secondo i primi dell’esercito cominciarono a superarono gli alberi, arrivando alla piana; l’esercito di Hammerfell aveva rinforzato il fianco interessato e le prime linee, formate da Redguard armati di picche, si erano messe in posizione.
Le loro facce, visibili per gli elmi senza visiera, erano feroci, i loro muscoli tesi; stavano per accogliere il nemico, usando tutta la forza che avevano in corpo.
Poi, da sud, arrivarono i mammut.
Le file si ruppero. E non ressero l’assalto.
Jaeger raggiunse il primo lancere in fuga e, con un balzo, gli affondò l’ascia in mezzo alla schiena; poi tirò a sé l’arma, e il corpo rimastovi attaccato, e usò questo come scudo.
Le urla, terrorizzate quelle dei Redguard ed esaltate quelle dei Nord, lo circondavano.
Inspirò assaporando quel momento, poi scattò in avanti.
Una lancia si conficcò nella corazza dello scudo umano; il cacciatore localizzò in poco tempo chi l’aveva lanciata e vi si avventò contro.
Il soldato nemico, rimasto senza lancia, sfoderò la scimitarra e si preparò all’assalto del nord, che gli lanciò addosso il cadavere con tanto di lancia ancora attaccata.
Il Redguard fu abbastanza svelto da schivare il corpo e, dopo aver parato subito dopo il fendente dell’avversario, gli tirò un calcio per fargli perdere l’equilibrio.
“Un osso duro, questo qui” pensò Jaeger, per poi fare una piroetta e colpire col gomito la testa del nemico.
Quello incassò male il colpo e, dopo essersi buttato a terra, rotolò ripetutamente per aver una distanza sufficiente dal Nord, che in quel momento incombeva su di lui.
Jaeger, per impedire che il Redguard si rialzasse, gli scagliò addosso l’ascia, che si conficcò nel costato dell’uomo a terra.
In fretta, il Nord raccolse l’arma e tirò un calcio al costato ferito, facendo imprecare l’avversario; poi gli tolse l’elmo, gli prese la testa per i capelli e, freddamente, gli tagliò la gola.
Una volta lasciato andare il cadavere dello sconfitto, Jaeger si guardò intorno.
L’ala dell’esercito Redguard attaccata era completamente sfaldata, i soldati correvano via, talvolta scivolando sul terreno ricoperto di neve, che si stava lentamente macchiando di sangue.
I mammut caricavano i reparti in fuga creando corridoi tra le fila nemiche, nei quali i guerrieri Nord si infilavano, contribuendo a disgregare i ranghi dei Redguard, il cui esercito si stava lentamente spostando verso le montagne, incitati dalla pioggia di dardi provenienti dalle mura cittadine, che si era intensificata dopo l’arrivo dei rinforzi.
“Oh, quella sarebbe una pessima via di fuga, specialmente per voi Redguard” pensò Jaeger ridacchiando “peccato che sia è l’unica che avete”
Re Geimund comparve davanti a lui, mulinando la sua spada per farsi spazio tra le file nemiche, circondato dalle sue guardie personali.
-Jaeger!- gli urlò –Prendi una compagnia e carica i bastardi sul lato della montagna. Non li lasceremo scappare così facilmente!-
Il nord si guardò intorno, la guarnigione di Markarth era ad un centinaio di passi da lui.
Agitando l’ascia davanti a sé per impedire che qualche nemico si mettesse nella sua traiettoria, Jaeger corse verso i soldati provenienti dal Reach.
-Ehi!- urlò –Ehi! Seguitemi. Geimund ha ordinato di tagliar la via di fuga ai Redguard. Seguitemi!-
Rassicurato dalla presenza degli uomini di Markarth, il Nord corse verso l’inizio del declivio.
Re Wayals aveva fatto richiamare i reparti corazzati, i quali si erano raggruppati per formare una linea difensiva per bloccare gli assalti, specialmente quelli dei mammut, che, nonostante le frecce conficcate nel manto peloso, continuavano ad attaccare e a mietere vittime.
Dalle retrovie dell’esercito Redguard si potevano sentire le urla degli ufficiali, che, cercando di sovrastare quelle dei feriti, ordinavano ai soldati di Hammerfell di riordinare i ranghi e mantenere le posizioni.
“Non ci pensano  nemmeno alla ritirata” osservò Jaeger, stupefatto “credono veramente che Titus Mede arriverà in tempo per salvarli”
-Bene!- urlò ai guerrieri del Reach una volta raggiunti i piedi della montagna –formate i ranghi, uccidete tutti coloro che cercano di fuggire e, man mano, avanzate. Presto li intrappoleremo sotto le mura della città! Forza! Per Skyrim! Per l’Impero!-
-Per Skyrim!- risposero in coro facendo cozzare le loro armi con gli scudi lignei raffiguranti la testa d’ariete gialla in campo verde –Per l’Impero!-
I poveri Redguard fuggitivi, una volta visto il comitato d’accoglienza organizzato dai loro nemici, voltavano le spalle per tornare al loro esercito, perciò l’avanzare lungo il declivio non fu un problema per la compagnia.
L’esercito di Hammerfell si compattava sempre di più, stringendosi contro le mura della città assediata, sulle cui sommità le guardie avevano cominciato a lanciare macigni presi dalle abitazioni.
L’impatto della compagnia di Markarth contro le prime linee dell’esercito nemico fu brutale.
Tutti intorno, in un unico momento, Jaeger sentì la rottura delle ossa, l’amputazione delle braccia, il trafiggere di addomi, le decapitazioni…
Il comandante del reparto Redguard, con indosso un’armatura pesante a placche che lo ricopriva completamente e armato di una scimitarra a due mani, prese come bersaglio Jaeger, che, con sorprendente agilità, schivò il pesante fendente del nemico, non riuscendo però ad evitare che questi lo caricasse col proprio corpo, facendogli perdere l’equilibrio.
A terra, il Nord tossì violentemente artigliando il terreno e, non trovando la propria arma, si rialzò in fretta e scattò in avanti per allontanarsi dall’avversario.
Quello, per impedirgli di fuggire, alzata la scimitarra, la abbassò caricando il colpo il più possibile.
La punta affilata si conficcò brevemente nella spalla sinistra di Jaeger, che urlò per il dolore, ma, imprecando, riuscì ad allontanarsi dal Redguard, che stava tirando a sé la propria arma, piantata nel terreno per la violenza del colpo precedente.
Un soldato di Hammerfell di spalle.
Il Nord colse al volo l’occasione e gli si lanciò addosso prendendolo per il collo.
L’arma del Redguard sfuggì dalla mano del proprietario, il quale cadde a terra tramortito, cercando con le mani di togliersi il nemico di dosso.
Jaeger gli sputò negli occhi e, velocemente, raccolse l’arma caduta.
La scimitarra si conficcò nel petto del proprietario, che morì sul colpo.
Il Nord si alzò e raccolse l’arma, vittorioso.
Guardandosi intorno, vide com’era la situazione.
Le file dei Redguard erano spezzate, i mammut mietevano vittime all’interno delle file più interne, i soldati cercavano di fuggire, terrorizzati, venendo però trucidati dalla compagnia di Markarth.
“La battaglia è vinta” si disse trionfante Jaeger, ma, come per smentirlo, un corno suonò.
Il suono si espanse in tutta la piana; il Nord riuscì a capire in fretta che veniva dal declivio dietro di loro.
-I Nove ci proteggano- sussurrò.
 
 
 

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Capitolo 11
*** Capitolo 10 ***


L’esploratore, giunto a cavallo, si fece largo tra le fila dell’esercito, dirigendosi verso la piccola collina innevata sul quale si era posizionato Titus Mede.
Il conte di Kvatch osservava silenzioso il terreno circostante, in direzione nord, verso la città da conquistare, verso il nemico da sconfiggere.
Rodrick si avvicinò al suo fianco e gli disse: -Maestà, l’esploratore è arrivato-
Titus Mede lo fissò per qualche secondo.
-Questa sarà la tua prima battaglia, vero ragazzo?- chiese.
Il Bretone annuì.
-E che battaglia!- esclamò l’Imperiale –La battaglia per il destino dell’Impero. Una di quelle che vengono raccontate nelle ballate. Chissà quanti bardi saranno venuti con l’esercito nord per osservare la battaglia, per cantarne i vincitori, o magari addirittura per combatterla. Trenta mila uomini che lottano fino alla morte sotto le mura di Bruma. Mi chiedo soltanto quanti morti vi saranno, quanti non ce la faranno…-
-Ce la farò- rispose in tono deciso Rodrick fissando il comandante negli occhi.
Quello sorrise.
-Non è la prima volta che combatto qua a Bruma. Questa non è la prima battaglia combattuta in queste montagne- aggiunse tornando a guardare in lontananza –Diciassette anni fa. Sembra ancora ieri. Io ho combattuto tra le fila dell’esercito di Cyrodiil contro le orda dei Daedra. Lì- disse indicando la città –Martin Septim guidò quel piccolo esercito contro i seguaci di Mehrunes Dagon che uscivano dai cancelli dell’Oblivion. Lì l’Eroe di Kvatch era entrato all’interno del Grande Cancello uscendone con una Grande Pietra Sigillo. E mentre io ero lì, mentre sentivo parlare Martin Septim, pensavo: “Questo è l’imperatore di cui ha bisogno Tamriel. Questo è il mio imperatore”.
-Ma le cose sono andate diversamente, l’Impero si è salvato, condannandosi però ad una lenta morte, mentre le province cominciavano a separarsi. Il Dominio Aldmeri, Il Regno di Argonia… poi l’Anno Rosso…
Ma io ancora mi ricordo di quel giorno, mi ricordo delle parole di Martin. Mi ricordo ancora dell’Eroe di Kvatch, anche se è scomparso. Questa…- continuò sfilando la sua katana dorata –era una sua arma. Io ancora li ricordo, e mai li dimenticherò. I tempi bui dell’Impero devono finire oggi. Per sempre-
-Quindi voi avete conosciuto Martin Septim e L’Eroe di Kvatch?- chiese Rodrick.
-Solo visti- rispose Titus Mede, scendendo da cavallo –Ad ogni modo, ecco l’esploratore-
-Maestà- cominciò quello, inginocchiandosi –L’esercito Nord è ancora fermo, nelle montagne, mentre il contingente di Cheydinhall ha aggirato la città, dirigendosi verso sud-
-Farsi circondare sarebbe un pessimo inizio per questa battaglia- commentò grave Re Waylas di Hammerfell –Se avessimo deciso di assediare la Città Imperiale, invece che farci intrappolare tra questi monti non saremmo in questa situazione!-
-Non ci faremo circondare- lo zittì il Conte di Kvatch –ci divideremo. Waylas, ho bisogno che voi e il vostro esercito cingiate d’assedio Bruma, mentre gli uomini di Cyrodiil si occuperanno di quelli di Cheydinhall. Avete capito?-
Il Redguard annuì, aggiungendo: -Sarà un grande onore, maestà- e andò a raccogliere le sue truppe.
-Andel Indarys che prende ordini da un Nord- sbuffò Mede –questa mi è nuova-
-Che cosa intendete dire… maestà?- chiese il Bretone.
-Lo vedremo molto presto- sorrise il Conte di Kvatch, per poi urlare: -Preparatevi a partire! Si va ad uccidere qualche nemico!-
 
 
 
Il contingente dell’esercito di Titus Mede formato dagli uomini di Anvil, Kvatch, Chorrol, Skingrad, Elsweyr e High Rock si muoveva con sorprendente agilità tra le montagne della zona nord di Cyrodiil, mentre davanti ad esso intere squadre di esploratori setacciavano la regione in cerca di tracce dell’esercito di Cheydinhall.
Immersi nella neve, i soldati continuavano ad avanzare, mentre dentro di loro cominciava a montarsi l’euforia per la battaglia imminente.
Rodrick, tra le file della guarnigione di Kvatch, continuava a sfoderare la spada menando in aria fendenti.
“Ci siamo” pensò respirando profondamente “Sta per cominciare”
-Sta tranquillo, Rodrick- lo rassicurò Alexia, di fianco a lui –andrà tutto bene-
Il Bretone annuì sicuro.
-Lo so- rispose –andrà tutto bene- ripeté, come per convincersi.
-Alt!- l’ordine riecheggiò per la valle, ripetuto dai vari ufficiali e comandanti.
Davanti a loro, lungo il crinale di una piccola collinetta, si era formata una fila di cavalieri.
Davanti a loro, spiccava un Dunmer in armatura d’acciaio, che subito indossò l’elmo e sfoderò la spada lunga.
-Formate i ranghi!- sbraitò Mede che, seguito dal reggimento di cavalleria, si pose sul lato sinistro dell’esercito, lasciando il comando dell’avanguardia e dei picchieri a Lazare Milvan, conte di forte Sutch.
-È giunto il momento- si disse Rodrick, tra le file dell’ala destra dello schieramento.
-Buona fortuna- gli sussurrò Alexia.
Il braccio dell’elfo oscuro a comando dell’esercito nemico si protese in avanti e la fila di cavalieri cominciò la carica.
-Arcieri!- gridò Corvus Umbranox.
-Maghi guerrieri!- urlò il re di Daggerfall, a capo dell’esercito di High Rock.
-Fuoco!- ruggì Mede.
La carica di cavalleria, duramente colpita da frecce e dardi infuocati, perse il suo slancio; sempre più soldati cadevano, strisciando per svariati metri, il corpo distrutto, mentre i cavalli proseguivano ignari il loro percorso, andando incontro a morte certa.
Il segnale fu dato; le ali laterali dell’esercito si mossero in avanti, circondando le esigue forze di cavalleria nemiche e quelle di fanteria, rimaste ancora intatte.
La cavalleria guidata da Mede massacrò l’intera ala destra dell’esercito di Cheydinhall.
L’ala della guarnigione di Kvatch caricò senza paura l’esercito nemico.
Dopo aver alzato il bracciò destro, Rodrick scaricò con tutta la sua potenza il colpo sulla testa di un nemico che, grazie all’elmo, rimase soltanto stordito, per poi essere trafitto dal Bretone stesso.
Il ragazzo era euforico.
Guardò negli occhi l’uomo che aveva appena ucciso, provando per un attimo un senso di orribile disgusto.
Come se quello che avesse fatto lo avesse condannato a marcire nel Soul Cairn, come se avesse appena sfidato apertamente i Nove.
Subito dopo, però, quella sensazione fu rimpiazzata da pura frenesia, voglia di farlo ancora, la sensazione che quello non era altro che l’inizio.
“Dunque è questo che provarono quelli che uccisero Llanas, o K’Rahttad? O Servatus?” fu la prima domanda che gli venne in mente.
Per un attimo pensò di poterli capire.
Ma non vi era tempo per pensare, vi era una battaglia in corso.
Subito sfilò la spada dal petto del nemico sconfitto per avventarsi sulla prossima preda.
I soldati di Cheydinhall quasi non rispondevano agli attacchi, erano circondati, le loro fila erano spezzate e la cavalleria nemica faceva strage.
Rodrick mulinò la spada intorno a sé, falciando due soldati nemici, che caddero in ginocchio, e poi a terra, imprecando e supplicando pietà.
Ma dopo mezz’ora di scontri tutto finì improvvisamente, così come era cominciato.
Una freccia saettò tra le fila di cavalieri di Cheydinhall, conficcandosi nel collo di Farwyl Indarys, che guidava l’esercito di Cheydinhall.
Tutti i soldati del suo schieramento si fermarono in una decina di secondi, guardando il loro generale ferito.
Sul campo di battaglia scese il silenzio.
“Che cosa succede, adesso?” si chiese Rodrick, fermandosi anche lui con la spada sospesa in aria.
Dalla collinetta dalla quale era partita la carica suicida comparve una piccola compagnia che sventolava vessilli bianchi, mentre avanzava verso il campo di battaglia.
Alla testa del gruppo, a cavallo, avanzava un Dunmer, che Rodrick identificò come Andel Indarys, che andava incontro al reggimento di cavalleria guidato da Titus Mede, il quale si dirigeva anch’egli verso il conte nemico.
Alla base della collinetta i due gruppi si incontrarono, sotto lo sguardo attento dei due eserciti, in quel momento completamente immobili.
-Che giorno infame per incontrarci, Mede- cominciò amaro Indarys.
-Dovete appellarvi a me come “imperatore”, Indarys- ribatté l’altro, freddo.
-Ah, già- rispose il Dunmer, enfatizzando la frase battendosi il guanto di velluto contro la fronte rugosa –dimenticavo della crescente tendenza dei comandanti a dichiararsi “imperatore”, ultimamente, perdonatemi. Ah, mi chiedo quanto sia disperato Thules, dal dover richiedere l’aiuto di un barbarico Nord promettendogli il trono, le mie congratulazioni, in proposito. Per quanto possa essere disposto, però a stringere i denti e a servire temporaneamente un Nord in attesa che il monarca lo sconfigga una volta completato il suo ruolo, non sono altrettanto disposto a lasciar morire il mio unico figlio erede, nato dalla mia amata Llathasa, per lo scopo-
-Capisco…- assentì il Conte di Kvatch, annuendo e accennando ad un sorriso.
-Perciò…- continuò Indarys –quali sarebbero le condizioni per la resa?-
-La vostra fedeltà e i vostri uomini- rispose seccamente Titus Mede, che già assaporava la vittoria –anche nel prossimo scontro con Thules-
Il Dunmer annuì e, sceso da cavallo, si inginocchiò, prestando giuramento al conte di Kvatch.
-Vostro figlio sarà curato dai miei migliori esperti di Recupero-assicurò Mede, per poi rivolgersi a tutto il suo esercito, urlando: -Ma adesso abbiamo una battaglia da vincere, sotto le mura si Bruma!-
Tutti gli uomini di Cyrodiil, Elsweyr e High Rock presenti nella piana urlarono insieme, acclamando il conte di Kvatch e incitando alla battaglia.
Persino Rodrick si ritrovò ad urlare, con la spada in aria.
 
 
 
Un braccio, dal centro dell’avanguardia dell’esercito si sollevò e, a poco a poco, tutto l’enorme schieramento si fermò lungo il crinale della montagna.
Ai loro piedi, la piana davanti ai cancelli nord di Bruma pullulava di gente; l’enormità del massacro si riusciva a vedere fin da quell’altezza.
Da quel che potevano vedere, l’esercito di Hammerfell era allo sbando, circondato da quello di Skyrim su tre lati, mentre dietro di sé aveva le mura della città, dalle cui sommità i soldati della guarnigione di Bruma lanciavano massi e frecce, mietendo vittime.
Ma ciò che pareva essere il maggior problema, per i Redguard, era la presenza di due mammut che massacravano i soldati di Hammerfell, rompendone le fila.
Rodrick, in prima fila, nell’ala sinistra, inspirò profondamente l’aria gelida, mentre Titus Mede, fatto qualche metro in avanti verso l’inizio del declivio, sopra il suo cavallo, cominciò a percorrere da un estremo all’altro le prime file del suo esercito.
Quando il suo forte braccio sfoderò la katana Akavir dorata che portava sempre, la sua voce potente e autorevole riecheggiò sul crinale.
-I Monti Jerall. Bruma- disse indicando con la katana il suolo innevato, sul quale il suono del trotto del suo cavallo risultava attutito –Molte volte nella storia, il nord di Cyrodiil ha ospitato battaglie colossali. Più volte, da questa regione, gli eserciti nemici tentarono di invadere la nostra preziosa provincia, e tante volte… hanno fallito. E questo giorno non sarà un’eccezione!
-Tra questi monti, la provincia si riunì sotto Reman Cyrodiil e sconfisse gli invasori Akavir, fermandone l’avanzata e fondando il Secondo Impero. Poco più a sud, tra le foreste, Tiber Septim sconfisse gli eserciti di High Rock e Skyrim a Sancre Tor, trovando l’Amuleto dei Re e ponendo le basi per la nascita del Terzo Impero. Qui, diciassette anni fa, a Bruma, Martin Septim e l’Eroe di Kvatch, guidando un esercito che comprendeva uomini di tutta Cyrodiil, sconfissero l’orda di Daedra provenienti dall’Oblivion e salvando la città, e l’intera Tamriel.
-Ed oggi, noi, siamo qui. Chiamati ancora una volta a proteggere la nostra provincia e a imporre una svolta alla storia dell’Impero; oggi noi fermeremo la sua decadenza! Lo salveremo dalle grinfie degli eserciti del nord, e poi marceremo sulla Città Imperiale! L’ultimo baluardo del debole Thules! Oggi, noi, firmiamo la sua condanna e prendiamo in mano le redini dell’Impero, per riportarlo alla gloria! Oggi, noi, vinceremo! Non per la gloria, non per la vendetta. Non per Thules, non per Geimund, non per me. Per l’Impero!-
Detto ciò, senza aspettare una risposta dei suoi soldati al discorso, partì al galoppo, la katana alla mano, lungo il declivio.
Prima lo seguì un urlo.
Poi un esercito.
Tutti gli uomini corsero in avanti, brandendo le armi e urlando, scendendo lungo il fianco della montagna.
Le urla e il suono penetrante dei corni li circondavano, e tutti proseguivano sopra la neve, le gambe che scattavano senza fermarsi o rallentare.
L’euforia dentro di Rodrick non era mai stata così potente, così come la sua voce, che si propagava sopra le altre in quell’enorme grido di guerra, mentre i reparti di cavalleria lo superavano, lanciando l’enorme assalto.
Le prime file dell’esercito Nord cominciarono a girarsi e, nonostante la distanza, il Bretone poteva riconoscere le facce sconvolte, terrorizzate, che  malapena riuscivano a tenere salde le armi, nonostante la loro naturale predisposizione alla guerra e al combattimento.
Loro erano sempre più vicini, la velocità aumentava, l’energia pure.
Era tutto immenso.
Mancava così poco, i picchieri Nord, radunatisi in fretta e furia sul lato nord della piana, cominciavano ad arretrare, mentre i pochi arcieri scoccavano le frecce che erano rimaste, e sempre meno erano i dardi che colpivano un nemico.
La cavalleria di Mede arrivò al contatto; in un brevissimo momento, parve che la terra stessa stesse per spaccarsi, mentre i ranghi dei picchieri si sfaldavano e, dopo aver tentato di riorganizzarsi dopo il passaggio dei cavalli, venivano travolti dalla fanteria nemica, che li schiacciava.
Tre soldati vennero uccisi soltanto da Rodrick in quell’assalto.
Ma l’esercito di Mede non si fermò a quello e continuò ad avanzare rompendo i rigidi ranghi dell’esercito di Skyrim, puntando a ricongiungersi a quello di Hammerfell.
Colto di sorpresa, uno dei due mammut venne travolto da un assalto della cavalleria di Lazare Milvane, la quale, dopo avergli trafitto più volte le zampe pelose, riuscirono a colpire con una freccia un occhio.
L’animale, dopo un breve attimo di follia, durante il quale fece strage sia di uomini Geimund che di Mede, stramazzò al suolo, su un fianco, spirando in mezzo al caos più totale.
Rodrick si fece strada a suon di fendenti, mozzando arti e decapitando soldati che, a guardare le loro facce, parevano già morti.
Dopo vari minuti di sgomento iniziale, alcuni reparti dell’esercito nord cominciarono a riorganizzarsi e a dare una risposta ai violenti assalti dell’esercito di Titus Mede.
Da lontano, si riusciva a intravedere il Re dei Re di Skyrim cavalcare tra i ranghi del suo esercito ruggendo ordini, mentre i suoi guerrieri gridavano insulti ai soldati di Cheydinhall e al loro conte.
Un segnale di Re Geimund e il mammut superstite venne richiamato per lanciare un assalto frontale, mentre attorno ad esso si raggruppavano i soldati di Skyrim.
Quando la carica partì, dopo il tremendo impatto iniziale, l’avanzata dell’esercito di Cyrodiil, Elsweyr e High Rock si fermò, e addirittura la parte centrale dell’esercito si ritrovò ad indietreggiare, travolta dal gigantesco animale.
Le urla si sparsero per tutto il campo di battaglia, venne richiamata la cavalleria, interrompendo il suo avanzamento, e tutti i soldati si concentrarono sul mammut, circondandolo.
I nemici parvero riprendersi d’animo e, richiamati da un anziano ufficiale che brandiva un’ascia, organizzarono un contrattacco contro l’ala sinistra, cogliendo di sorpresa gli uomini di Kvatch.
Rodrick, raccogliendo uno scudo, si riparò dai violenti attacchi dei nemici, che si avventavano contro di lui con rinnovata aggressività.
Poi tutto cambiò un’altra volta.
Un’enorme esplosione di fuoco proveniente dal centro dell’esercito fece tremare la terra; quando Rodrick, dopo aver schivato un fendente e aver finito il nemico con un affondo, si voltò, vide il mammut, circondato da maghi guerrieri bretoni, orribilmente sfigurato e con la pelliccia bruciata, cadere su un fianco dopo un lungo lamento, schiacciando una decina di soldati di entrambi gli schieramenti.
Il contrattacco nord perse slancio e si fermò.
I guerrieri di Skyrim erano scoraggiati ancor più di prima, ormai non vedevano più alcuna speranza di vittoria, compressi tra due eserciti e in inferiorità numerica.
-Per Mede! Per l’Impero!- ruggì Savlian Matius, guidando un contrattacco dall’ala sinistra.
Rodrick lo seguì in quell’assalto, massacrando nemici e mulinando l’arma.
Mai si era sentito più vivo.

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Capitolo 12
*** Capitolo 11 ***


Dopo aver raccolto un’altra ascia da terra, Jaeger diede ordine ai suoi uomini di passare avanti per fermare l’avanzata dell’esercito nemico, che in quel momento sembrava inarrestabile.
Lui andò nella direzione opposta, verso le retrovie, verso il fianco destro, lungo il crinale dal quale cominciava un declivio e, arrivatovi, si voltò per osservare il campo di battaglia.
“Non c’è speranza” pensò spiazzato “è questione di poco, un’ora, forse”
L’esercito nord, seppure abbattuto, continuava a combattere fieramente facendo costare il più possibile al nemico ogni metro di terreno conquistato; i Redguard si erano ripresi dallo stato nel quale erano precipitati, e cominciavano a conquistare anch’essi terreno, mentre l’armata di Skyrim si ritrovava sempre più schiacciata, e vicina alla disfatta.
-Bisogna agire- si disse con mente lucida, uscendo da quello stato di impotenza –rischio di perdere tutto, tutto, tutto il lavoro fatto…-
Prese per il braccio un guerriero che gli era appena passato di fianco.
-Trovami il re- gli ordinò –devo parlargli. Svelto, forza!-
Una volta che il soldato fu partito, Jaeger incitò ancora una volta i suoi uomini a resistere, per poi controllare che il messaggero stesse realmente andando a contattare il re.
Una decina di cavalieri nemici irruppe in quel momento nell’ala, travolgendo quattro uomini.
-Serrate i ranghi! Fermateli!- urlò  Jaeger mentre, dopo aver opportunamente preso la mira, scagliava una delle sue asce contro un nemico rimasto fermo, il quale, colpito al torace, lasciò andare la spada e, gettandosi all’indietro, cadde da cavallo.
L’animale impazzì e cominciò a scalciare in tutte le direzioni provocando la rottura di un paio d’ossa prima di essere abbattuto.
Recuperata l’arma, il Nord si lanciò contro un cavaliere che passava proprio in quell’istante, conficcando le due asce nel costato del cavallo, che, rallentando di colpo, cadde, scagliando in avanti il soldato.
Quello, ripresosi dall’urto, si rialzò e, sguainata la spada, attaccò Jaeger con un paio di fendenti seguiti da un affondo, che venne schivato dal Nord con un balzo laterale.
L’Imperiale, per non farsi cogliere alla sprovvista, si ritirò con sorprendente agilità, riprendendo la posizione di guardia iniziale.
Dopo qualche secondo fu Jaeger a fare la prima mossa.
Dopo aver sollevato il braccio sinistro per sferrare un colpo ed essersi accertato che il nemico stesse assumendo una posizione difensiva, col braccio destro scagliò l’altra ascia, la quale andò a conficcarsi nel piede dell’Imperiale, che non ebbe abbastanza tempo per gridare e togliere la lama da suo stivale.
L’ascia presente nella mano sinistra calò,  non fermata dalla spada del nemico, il cui braccio, in uno spasmo di dolore, si era abbassato.
L’acciaio si conficcò nel collo del soldato con tanta violenza da penetrare la cotta di maglia e la carne viva, rimanendovi anche dopo che il soldato, lanciato un ultimo grido, cadde all’indietro, morto.
Raccolte le due armi, il Nord, guardandosi attorno, poté osservare con piacere che l’assalto della piccola squadra di cavalleria era fallito; dei nemici rimaneva soltanto un uomo appiedato, che, camminando all’indietro per allontanarsi dai guerrieri di Skyrim, si stava inavvertitamente avvicinando a Jaeger.
Il Nord non si fece scappare l’occasione.
A passo felpato si avvicinò alle spalle del nemico e, dopo un giro su se stesso per caricare il colpo, impegnò tutta la forza del suo braccio per conficcare l’ascia nel corpo dell’ignaro nemico.
La lama passò da parte a parte il collo e, per un breve attimo, testa e corpo rimasero impilati ancora una volta, per poi cadere, separati,  sulla soffice neve macchiata di striature scarlatte.
Jaeger emise un urlo di esultanza, che fu riprodotto dai suoi uomini, per poi ordinare loro di riprendere le posizioni mentre lui si sarebbe allontanato per qualche minuto.
Aveva riconosciuto il cavallo di Re Geimund e gli stava andando incontro.
-Che cosa c’è, Jaeger?- chiese il Re dei Re- Non ho molto tempo per parlare, il fronte sta cedendo- 
“Oh lo credo che non hai molto tempo per parlare, dopo averci cacciato in questa trappola mortale” sibilò tra sé e sé il Nord, rispondendo: -Maestà, come avete detto, il fronte sta cedendo. Dopo che si saranno ricongiunti con i Redguard e avranno diviso il nostro esercito a metà sarà solo questione di tempo. Ora è solo questione di tempo-
-Cosa state insinuando?- domandò con voce fredda Geimund, facendo compiere un giro del cavallo attorno al suo interlocutore.
-La battaglia è persa, maestà- dichiarò senza mezzi termini quello –Lo sapete benissimo. Un’ora, e Titus Mede potrà sfondare liberamente i cancelli di Bruma mentre a noi resteranno soltanto i corvi e questo terreno ghiacciato-
-Occupati di mantenere la posizione- sibilò il re incitando il cavallo a partire, quando Jaeger impugnò al volo le redini, trattenendo lo stallone.
-Pensate che ignorare il problema migliorerà la situazione?- disse guardando il sovrano dritto negli occhi – Pensate che nelle ballate verrete ricordato meglio? Come il comandante senza paura? Dov’è finito il re indeciso sull’andare o no in guerra per il trono imperiale proprio per il rispetto che egli provava per i propri uomini?-
-Che cosa, esattamente, mi state chiedendo di fare, soldato?- continuò gelido Geimund.
-Sto soltanto dicendo che, nella mia umile opinione, voi preferireste essere ricordato piuttosto come il comandante che salvò i propri uomini, o magari addirittura…-
-Stai insinuando che dovrei arrendermi?!- tuonò il re –Jaeger, lascia andare le redini, è un ordine. Ho un esercito da guidare-
-Signore, riponete la vostra corazza d’onore e lasciate parlare il vostro fedele consigliere, e magari potreste anche accontentare le vostre ambizioni- dichiarò l’ufficiale –Potete essere ricordato come il comandante che salvò i propri uomini… e vinse la battaglia. Sfidate a duello, ora, su questa stessa piana, Titus Mede per decidere chi dei due sia il più adatto ad aspirare al trono. Mede può essere, come non essere, un uomo d’onore… ma se vuole mantenere il rispetto che i suoi vassalli nutrono… dovrà accettare la sfida-
Jaeger lasciò la briglia.
Re Geimund rimase a fissarlo.
 
 
 
Un’ambasciata, recante uno stendardo bianco fu mandato.
La proposta venne ascoltata, e accettata.
Come grazie ad un incantesimo, in tutta la piana i combattimenti cessarono e i soldati volsero lo sguardo per terra, sulla candida distesa di neve martoriata da cadaveri e sangue.
In silenzio, alcuni morti cominciarono ad essere raccolti, i feriti assistiti.
Al centro della piana, si raccoglievano i resti di gran parte dei due eserciti, in un'unica massa indefinita, al cui centro vi era uno spiazzo circolare.
Gran parte dei combattenti si era radunata lì, per vedere chi sarebbe stato il vincitore di quella cruenta battaglia, mentre altri gruppi sparsi di soldati, a cui ormai non importava più, giravano per la piana, in cerca di conoscenti, di parenti, di amici, coi quali fino a poche ore prima avevano riso insieme, avevano condiviso razioni di cibo, o un’intera vita.
Al centro dello spiazzo circolare vi erano i due pretendenti all’avida mano della corona: Titus Mede, composto, intento a guardare il terreno o a sussurrare parole, probabilmente preghiere, e Re Geimund, fiero e, al tempo stesso, insicuro, mentre continuava a posare lo sguardo sui propri uomini o sul suo nemico.
Dopo qualche minuto di studio reciproco, i due sfidanti estrassero contemporaneamente le proprie armi:  I Il Nord impugnava uno spadone d’acciaio della Forgia Celeste, sulla cui lama correvano striature azzurre, frutto dell’incantamento di gelo, mentre l’Imperiale reggeva la sua katana dorata.
Dopo un breve fendente di prova contro l’aria, Geimund si slanciò in avanti con un affondo seguito da altri due fendenti laterali, opportunamente schivati da Mede, che, cogliendo la scarsa difesa presentata dalla posa del nemico alla fine dell’attacco, mulinò la lama Akaviri per poi attaccare dall’alto verso il basso, cercando di colpire la spalla del nemico.
Ma quello, riconoscendo i movimenti, riuscì a prevenire la decapitazione frapponendo lo spadone.
Le due lame cozzarono producendo un acuto stridio, mentre gli sfidanti insistevano nel bloccare l’uno la spada dell’altro.
Le venature azzurre dello spadone lampeggiavano vistosamente.
Il Coloviano, cogliendo al volo l’occasione, tirò un calcio al Nord, che, per non cadere, dovette mettere le braccia in avanti.
L’Imperiale ritentò il colpo verticale, che Geimund riuscì a schivare all’ultimo grazie ad una capriola.
Una volta rialzatosi, il Re dei Re di Skyrim si slanciò in avanti di corpo, riuscendo a far cadere a terra Mede, al quale sfuggì l’arma, che cadde due metri più a sinistra.
Riuscendo a strisciare, il Coloviano raggiunse appena in tempo la katana, riuscendo a parare il violento colpo che Geimund si apprestava a infierire.
Lo sgradevole suono acuto quella volta rimase nell’aria per qualche secondo, mentre le lame delle due armi vibravano sensibilmente.
Titus Mede, rialzatosi, assunse la posizione di guardia, fissando il nemico.
Entrambe le braccia del Re dei Re di Skyrim si alzarono, il corpo scattò in avanti, la bocca emise un urlo; si avvicinava sempre di più all’Imperiale, sempre di più vicino, sempre più...
Rapidissimo, il fendente passò quasi non visto dai soldati spettatori.
Con una rotazione da sinistra verso destra, dal basso verso l’alto, la katana dorata si insinuò sotto le braccia del Nord, che cominciavano a scendere per vibrare il colpo.
Sempre più vicino…
La lama dorata colpì tra le giunture del gomito, passò la cotta di maglia, la pelle, i muscoli, disintegrò l’osso, e uscì dall’altra parte.
Il braccio mozzato di Re Geimund si librò nell’aria per un secondo, per poi cadere sulla soffice neve, con ancora l’elsa dell’arma in pugno.
Le grida di dolore e i fiotti di sangue che uscivano dal braccio mozzato invasero la piana, mentre il Re dei Re di Skyrim, gettatosi a terra, si contorceva invocando aiuto.
Silenzioso e freddo, Titus Mede prese per i capelli la testa del nemico con la mano sinistra, sollevandola, mentre con la destra passò la lama lungo il collo, recidendolo completamente.
Il busto tornò a terra, quella volta senza convulsioni, mentre la testa rimaneva appesa in aria, la faccia pietrificata per l’eternità in una smorfia di dolore.
Il silenzio cadde nella piana.
Tutti guardavano Titus Mede, che ancora reggeva con la mano sinistra il capo dello sconfitto.
-Per i Nove Divini- sussurrò Jaeger, immobile –questa è la fine-
 
 
 
Jaeger si inginocchiò, come il resto dell’esercito Nord che non aveva intrapreso il ritorno a Skyrim, dopo la disfatta.
La maggior parte dei guerrieri, seguendo il senso dell’onore che nella loro cultura aveva così tanta importanza, non si era voluta sottomettere a Titus Mede, mentre gli atri, quasi la metà dell’esercito, quelli più come Jaeger, non si fecero troppi problemi.
Almeno, finché erano nell’esercito, potevano contare su pasti giornalieri garantiti e i morsi della fame, che l’inverno avrebbe portato, sarebbero stati attenuati.
Le nere volute di fumo provenienti dai bracieri che si alzavano nel cielo plumbeo descrivevano ampi archi all’altezza dei merli delle mura.
Dopo il giuramento, i Nord si alzarono e fu il turno delle guardie di Bruma a inginocchiarsi, giurando fedeltà al conquistatore.
Dopo la morte di Geimund, e la fine della battaglia, la contessa Narina Carvain aveva tentato una strenua resistenza, che molti si sarebbero affrettati a dichiarare “orgogliosa” o “fiera”.
Per Jaeger, semplicemente “vana”.
Tutti i vassalli di Mede erano presenti alla scena, ad eccezione di Arriana Valga, che in quel momento riposava nel castello a causa di un malessere, e sorridevano soddisfatti, consci del fatto che non rimaneva loro che un ultimo scontro, quello definitivo.
Nonostante il conte di Kvatch godesse, in quel momento, del supporto di tutte le provincie e delle contee di Cyrodiil, la partita non era ancora finita.
Il monarca Thules teneva ancora la Città Imperiale, e aveva ancora al suo comando le Legioni Imperiali che, a detta egli esploratori, si stavano radunando in quel momento alla capitale.
Dopo la fine del giuramento, le compagnie vennero sciolte e i nobili si ritirarono nel castello di Bruma, dove passarono la notte.
Il mattino seguente fu richiamato l’intero esercito pronto per la partenza.
-Si parte per la capitale!- gridavano i soldati.
“Chissà quanti ci arriveranno effettivamente, alla capitale” pensava Jaeger.
L’armata di Titus Mede, rinforzata dall’esercito di Skyrim e dalla guarnigione di Bruma lasciò la città per la quale così tanti soldati erano morti, dirigendosi verso sud.
A poco a poco, le montagne cominciarono a svanire, le distese innevate divennero più rade, per poi scomparire, il gelido vento invernale lasciò il posto ad una fresca brezza.
Raggiunta la pianura, gli alberi cominciarono a presentarsi più frequentemente, e l’esercito entrò nella Grande Foresta.
E, poco dopo aver superato il limite della foresta, appena dopo che le prime linee dell’esercito si fossero ritrovate circondate dagli alberi, la contessa di Chorrol cadde da cavallo.
Subito un’intera compagnia la circondò, cercando di capire se fosse rimasta ferita.
Titus Mede si fece strada nella folla e Jaeger, sfruttando il corridoio creatosi per il comandante, si infilò anch’egli nel gruppo.
-Non sarei dovuta andare a Bruma- rantolò con voce soffocata Arriana Valga, sorridendo, nonostante il dolore –la mia salute non è più quella di una volta-
-Necessita di cure immediate- decretò il comandante di Chorrol, un certo Bittneld –col vostro permesso, maestà, ho intenzione di riportarla a Chorrol. Non siamo molto lontani-
-Valga sarebbe orgogliosa della tua fedeltà- ribatté Mede, senza neanche guardare il proprio interlocutore negli occhi –ma voglio aiutare come posso. Ci penseranno i miei uomini di Kvatch a portarla a Chorrol, vero Savlian?-
Il comandante della guarnigione di Kvatch fece un rapido inchino.
-Bene- decise Titus Mede –portati tre uomini, non di più. Non possiamo permetterci di perdere altri soldati-
“Complimenti” pensò Jaeger ironico “in questo modo ti assicuri che gli uomini di Chorrol ti seguano e non si ritirino all’ultimo, nel momento decisivo. Ma usare come ricatto una donna in fin di vita… sei proprio senza cuore”
La contessa venne messa sul cavallo del capitano Savlian Matius, che si allontanò in fretta dall’esercito, seguito da due imperiali, un uomo e una giovane donna, e un ragazzo bretone.

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Capitolo 13
*** Capitolo 12 ***


I rami spogli degli alberi ondeggiavano lievemente, cullati dal vento.
Guardando a sud si riusciva a intravedere l’ammasso grigio scuro di nuvole che si avvicinava a grande velocità.
-Tra non molto comincerà a piovere- commentò con voce amara S’Virr, fermandosi a prendere fiato.
-Non credo arriverà qui prima che tramonti il sole- ribatté il primate Tersitus, scrutando l’orizzonte.
Erano da giorni che camminavano verso nord e ormai avevano abbandonato le tranquille acque del Niben e del Lago Rumare.
Erano completamente circondati da alberi, erano da giorni che non incontravano anima viva.
Il sacerdote si sedette su un sasso.
-Tra poco arriveremo al Priorato di Gottlesfont, un monastero un tempo glorioso, ma che adesso non è che una pallida imitazione di ciò che era un tempo- disse –le sorelle che vi risiedono non dovrebbero aver problemi ad ospitarci per una notte-
-E poi?- chiese S’Virr.
-Poi?- rispose Tersitus –Poi, ripartiremo-
“Per dove? Per dove?!” pensò il Khajiit “Dove sto andando? Che cosa sto facendo?”
Tsavi non gli era più riapparsa, né in sogni, né nella memoria, da quell’ultima volta.
Tentava e tentava, ma il vuoto gli riempiva la mente; la notte non dormiva, di giorno era stanco, cominciava a perdere appetito.
Ma il ricordo di ciò che, dopo tanto tempo, aveva rivisto, sulla riva del Lago Rumare, era bastato.
Si era aggrappato a quel momento, nella sua testa si era fatta strada l’idea che quella fosse la via giusta… eppure Tsavi non appariva.
Al suo posto, S’Virr non riusciva a pensare a nessun altro che ad Arriana Valga, contessa di Chorrol.
Aveva ancora con sé la lettera, la lettera scritta dalla contessa alla figlia, la lettera che era stata la causa del massacro di Leyawiin, della morte di Tsavi, di Marius Caro, dell’amputazione della coda...
Il Khajiit tremò per un attimo, nel ripensare a quei momenti.
-Dovremmo ripartire- decise il primate, alzandosi.
S’Virr annuì, e i due si rimisero in marcia.
Dopo un’ora di cammino, come previsto dal sacerdote, giunsero ai resti del Priorato di Gottlesfont: una piccola cappella, una capanna di legno col tetto di paglia e un orticello.
Una donna Imperiale, vestita con una veste verde e il cappuccio abbassato, stava zappando il terreno.
-Salute, stranieri- disse quella, vedendo arrivare i due, lasciando l’attrezzo per terra –come mai passate da queste parti? Verso nord, incontrerete soltanto guerra, morte e devastazione-
-Salve, sorella- si presentò l’Imperiale – il mio nome è Tersitus, un tempo priore di Bravil… e questo mio compagno nonché mio accolito, si chiama… Ma’Dran. Siccome questi, purtroppo, non sono più luoghi sicuri come un tempo, ed è in arrivo un temporale, vorremmo sapere se fosse possibile ripararci sotto il vostro tetto, per questa notte-
-Suppongo non ci siano problemi- rispose cordiale la sacerdotessa – io sono Sorella Astinia. Entrate, entrate pure, Sorella Lyra sta preparando la cena. Bisogna avvertirla-
-Grazie di cuore, sorella- rispose il sacerdote – che i Nove vi proteggano-, per poi accogliere l’invito ad entrare nella capanna.
Dopo che le presentazioni vennero fatte, Terentius chiese il permesso di andare a pregare nella cappella, chiedendo a S’Virr se volesse accompagnarlo, ma il Khajiit rifiutò.
Il falso accolito uscì dalla capanna, e andò a sedersi ai piedi di un albero, per riprendersi dalla lunga camminata.
Scrutando il lavoro di Sorella Astinia, poté notare che questa gli lanciava qualche occhiata severa.
Vedere un accolito che rifiuta l’invito di un primate a pregare insieme soltanto per riposare doveva essere sembrato alquanto strano.
“Che pensino quello che vogliono” si disse a denti stretti S’Virr “che scoprano la mia identità, che lo riferiscano alle guardie. Renderebbe tutto soltanto più facile”
 La cena fu pronta appena prima che il temporale si fosse abbattuto sul priorato.
Tutti e quattro erano al caldo, nella capanna, mangiando un minestrone di verdure coltivate nell’orto e qualche pezzo di formaggio di capra, accanto al focolare.
-Dove siete diretti?- chiese Sorella Lyra, sorridendo –Le regioni del nord in questo momento sono pessime mete, con tutti gli scontri che si stanno verificando…-
-Hammerfell- rispose cordialmente il priore –vi sono tanti piccoli paesi nel deserto Alik’r che necessitano dei Nove, in questo momento, e, inoltre, per ora dal punto di vista militare pare essere una zona tranquilla-
-Ah, su questo non so se si possa contare- commentò Sorella Astinia –Quale provincia, quale contea è veramente sicura? Adesso pare che la guerra si muoverà di nuovo a sud… e passeranno di qua, questo è certo-
-Ci sono novità da Bruma?- domandò Tersitus curioso.
-Oh, non avete sentito?- s’intromise Sorella Lyra –Titus Mede ha vinto la battaglia, e ha tra le sue file, adesso, anche i guerrieri di Skyrim e la guarnigione di Bruma-
-E adesso pare che dalla Città Imperiale stiano per partire le legioni- aggiunse Astinia –da queste parti potrebbe esserci una cruenta battaglia tra non molto… speriamo l’ultima. Chiunque sia il vincitore. Ormai al popolo non interessa più chi sarà l’imperatore; al popolo importa soltanto che la guerra finisca-
-Quindi… Titus Mede sta andando a sud con il suo esercito?- chiese Tersitus, dopo aver brevemente lanciato un’occhiata a S’Virr, finendo la sua porzione di minestrone.
Da fuori si sentì il rumore di un tuono che aveva colpito non molto lontano dal priorato, poi tornò il picchiettio delle gocce d’acqua sul tetto di paglia, rumore al quale ormai si erano abituati.
-Sì- confermò Sorella Lyra –saranno a tre giorni da qui, più o meno. Non sono ancora arrivati a Chorrol-
Fu il turno del Khajiit a lanciare un’occhiata all’Imperiale, soffermandosi per più di qualche secondo.
-Il vostro accolito non è un tipo molto loquace, non è vero?- scherzò Sorella Lyra, passando a raccogliere le ciotole.
-È una persona molto riservata- rispose sorridente il primate, alzandosi.
-Se non vi dispiace, vorrei andare a pregare con lui nella cappella- aggiunse.
-Niente affatto- risposero in coro le due sacerdotesse.
Tersitus e S’Virr, una volta che furono usciti dalla baracca, si diressero il più velocemente possibile verso la piccola costruzione in pietra che riprendeva lo stile delle grandi cappelle nelle principali città di Cyrodiil, mentre venivano punzecchiati da una miriade di fini gocce di pioggia.
Una volta entrati, cercarono nel migliore dei modi di asciugare le vesti, poi si diressero verso l’altare.
Il primate si inginocchiò e chiuse gli occhi.
Dopo qualche attimo di esitazione, il Khajiit seguì l’esempio del suo “maestro”.
-Non sono ancora arrivati a Chorrol- osservò l’Imperiale –se domani ci sbrighiamo, potremmo arrivarci prima di loro e partire prima che essi possano addirittura vedere le mura-
-La zona sarà comunque molto sorvegliata- ribatté S’Virr –ogni guardia sarà attentissima in fatto di avvistamenti di Khajiit senza coda-
-Probabilmente tutti pensano che tu ti sia subito diretto a sud, ad Elsweyr. Alla tua patria in cerca di rifugio, non di certo a nord, no di certo verso coloro che più ti stanno cercando- disse il sacerdote.
-C’è un’altra questione-  dichiarò l’”accolito” –se stiamo veramente andando verso Hammerfell, Chorrol è l’ultimo centro abitato in quella direzione. Non possiamo attraversare i Monti Jerall e ritrovarci nel deserto Alik’r senza adeguate provviste-
“Che cosa sto facendo?” si chiese “devo allontanarmi al più presto da questa contea, perché sto tentando di trattenerci?”
Ma lasciò la domanda in sospeso. La risposta era alquanto evidente.
Lei sarebbe passata da Chorrol, e lui sarebbe stato là, ad aspettarla.
Per quanto ne sapeva, quella sarebbe stata la sua unica possibilità.
Scacciò in fretta il pensiero.
-Hai ragione- convenne Tersitus – e tornare indietro è troppo pericoloso. C’è una grotta, non molto lontano dalle mura. Potrebbe fare al caso nostro, mentre io vado in città a prepararci adeguatamente per il viaggio. Tu potrai aspettare là-
“Stupido, stupido!” si disse S’Virr “Questo è uno sbaglio colossale, me lo sento!”
Rientrarono nella baracca, dove dormirono fino al mattino seguente.
Appena dopo l’alba, i due ringraziarono le due sacerdotesse e si incamminarono verso Chorrol, dove arrivarono a metà del pomeriggio.
A ovest, non molto distante dalla città, vi era una miniera abbandonata, una volta covo di goblin.
La resero la loro dimora, dove S’Virr avrebbe dovuto aspettare nascosto mentre Tersitus andava in città comprando e barattando per acquisire ciò di cui avevano bisogno per il viaggio.
Ma S’Virr non riusciva a passare le ore in quella caverna.
Un macigno gli pesava sul cuore, sentiva il bisogno di pensare alla propria vendetta, e al tempo stesso cercava ogni modo possibile per non pensarci.
“Prima o poi l’esercito di Mede passerà di qui” pensava “prima o poi lei arriverà”
Ormai il volto Tsavi non gli attraversava più la mente, non lo visitava più nei sogni. Quell’apparizione in riva al Lago Rumare non doveva essere stata altro che una coincidenza.
“Come può aiutarmi un viaggio ad Hammerfell?” si diceva la notte, mentre il primate dormiva, ignaro dei pensieri del compagno “Che cosa mi aspetta, là?”
“Il perdono?” si rispondeva da solo, allo stesso tempo non sicuro del senso di ciò di cui stava parlando.
“E a cosa mi serve il perdono? Perdono?!”  ribatteva “Sono io il malvagio, ora? Dopo tutto ciò che è successo… io mi devo giustificare? E a chi?”
Tutti interrogativi che rimanevano senza risposta, così come la sua vita rimaneva senza risposta.
“Io non sono il cattivo, qui” si diceva per addormentarsi “Io… non… faccio male alle persone innocenti, non le ferisco…  sono loro, loro…”
Loro chi?
“Alessia Caro, Arianna Valga, Marius Caro, Titus Mede, i soldati di Leyawiin, gli uomini, gli Dei…”
Era come se tutto il mondo si stesse divertendo a giocare con la vita di S’Virr.
“Ma io… io… che cosa ho fatto? Che cosa ho fatto?!” gridava silenziosamente avvolto nella leggera coperta “Tsavi… lei che cos’ha fatto? Tutto… tutto questo perché?”
Perché Alessia Caro e Arriana Valga erano quelle malvage.
Lui?
Lui era quello che doveva sconfiggerle, scacciarle dal mondo, nonostante si ritrovasse contro tutti; lui doveva fare il suo dovere.
Per proteggere le persone innocenti, come lui.
“Sì” si diceva “Sì. Tutto questo mi è successo… perché io possa impedire che questo succeda ad altri. Sì, sì”
E, insieme alla fine del discorso, arrivava il sonno.
Il secondo giorno il Khajiit volle andare a raccogliere della legna, per poter osservare meglio la zona.
Stette via tutta la mattinata, ma nulla era in vista.
Al ritorno, Tersitus volle sapere il motivo del ritardo, ma la fretta di svolgere le commissioni non gli permise di andare in fondo alla faccenda.
-Domani partiremo- annunciò prima di dirigersi in città –di’ pure addio a questa terra-
Eppure S’Virr era sicuro che il sacerdote sospettasse qualcosa.
Poco dopo che l’Imperiale fu partito, il Khajiit tornò fuori, rimanendovi tutto il pomeriggio.
Alla sera, un gruppo di quattro cavalieri, ed un’anziana donna che pareva in fin di vita, arrivarono, fermandosi davanti al Priorato di Weynon, il piccolo monastero ormai abbandonato che ospitava un ordine di seguaci di Talos.
S’Virr si avvicinò di soppiatto.
Quella donna…
Quell’anziana donna…
Possibile?
Quello che sembrava il capo del gruppo la teneva tra le braccia, agitandola e assicurandosi che fosse ancora viva, poi, quando la porta del Priorato si aprì urlò.
Il Khajiit si era avvicinato abbastanza per sentire.
-È la contessa! Sta morendo! Ha bisogno di cure immediate!- urlò il capitano, per poi ordinare al più giovane del gruppo, probabilmente un Bretone o un Imperiale, di andare ad avvertire il castello delle condizioni della contessa.
La dona venne portata dentro l’edificio.
S’Virr non credeva ai propri occhi.
La contessa, soltanto tre soldati e un monaco.
Esitò per qualche istante; pensò a Tersitus, a Tsavi, al Lago Rumare…
-Devo farlo-  si disse, facendo un profondo respiro, stringendo col pugno destro l’elsa della spada e dirigendosi verso la porta.
Tre colpi. Dopo qualche secondo, un Imperiale venne ad aprire.
-Scusate- disse il Khajiit in un falso tono affabile –è… è vero? C’è la contessa lì dentro?-
-Questo non è affar tuo- ribatté duramente l’altro.
-Oh… quanto ti sbagli…- sibilò con un sorriso S’Virr sguainando la spada e bucando da parte a parte il petto dell’altro, prima che quello potesse mettere mano all’arma.
Il soldato emise un rantolo soffocato, per poi cadere in avanti.
Una giovane Imperiale, quasi una ragazzina, gridò vedendo la scena, ma, dopo un attimo di choc, sguainò la propria arma e si gettò all’assalto.
Il Khajiit alzò la spada, parando il colpo, per poi indietreggiare.
L’urlo di prima aveva attirato l’attenzione del capitano, che non aveva tardato a fare capolino in cima alle scale dell’edificio.
S’Virr ringhiò facendo una finta a destra, per poi colpire la spada della nemica a sinistra con tanta forza da farla volare dall’altra parte della stanza e ferendo il braccio dell’Imperiale, che subito cerco di tamponre la ferita, trattenendo il dolore.
Il Khajiit, con un manrovescio, scaraventò violentemente la ragazza per terra, per poi avanzare verso le scale.
Il capitano si affrettò ad impugnare l’arma e lo scudo, scendendo i gradini.
-La pagherai, mostro- latrò avvicinandosi all’avversario.
-È proprio il motivo per cui sono qui- ribatté quello, assumendo una posizione di guardia –per farla pagare ad un mostro-
-Credi davvero di potercela fare?- sbuffò l’Imperiale –Presto tutte le guardie di Chorrol saranno qui-
-Me ne sarò già andato per quel tempo- dichiarò S’Virr – e se così non fosse… almeno avrò completato il mio dovere-
Il capitano mulinò la spada, per poi attaccare dando un colpo di scudo, che il Khajiit fu abbastanza abile da schivare indietreggiando, riuscendo anche all’andare al contrattacco con un affondo, che penetrò nella spalla sinistra del nemico.
Quello gemette, ma riuscì a sopportare il dolore e a tirare un calcio all’avversario e, fattolo cadere, tirò un fendente trasversale verso il basso.
La punta della lama riuscì a squarciare i muscoli più superficiali del polpaccio di S’Virr, che gridò per il dolore causato dalle ferite alla gamba del massacro di Leyawiin che si stavano riaprendo.
Con un formidabile, scatto, il Khajiit riuscì ad alzarsi e a passare all’offensiva al meglio delle sue capacità.
Dopo cinque fendenti parati, la difesa dell’Imperiale cominciò a cedere, finché la lama di S’Virr non si riconficcò nella spalla sinistra del capitano, andando, quella volta, più in profondità, squarciando i pettorali e arrivando al cuore.
-Savlian!- gridò la ragazza imperiale, tentando di avvicinarsi strisciando e cercando di contenere il dolore, sia fisico che emotivo.
Dopo un rapido sguardo confuso, il Khajiit salì le scale ed entrò nella stanza dove era tenuta la contessa.
L’anziana donna era stesa su un letto, completamente coperta dalla trapunta, la pelle era di un pallido malsano, e si udivano i faticosi rantoli provenienti dalla sua piccola bocca semiaperta.
Ai piedi del letto, il monaco implorava pietà.
-Abbiate pietà! Per la contessa, per ciò che rappresenta, per i Divini e questo posto! Sono solo un umile servo di...- frignava con le mani congiunte, non rivolto agli dei, ma a S’Virr.
-Vattene- lo interruppe quello con voce secca –non voglio doverlo ripetere-
Ma il monaco, proprio mentre pareva sul punto di andarsene, tirò fuori un pugnale e tentò di avventarsi addosso al Khajiit, che, riuscì miracolosamente a schivare l’attacco e facendo cadere a terra l’anziano nemico.
-I miei giorni da Blade sono passati da tempo, suppongo…- sussurrò il vegliardo mentre S’Virr lo immobilizzava e impugnava il pugnale.
-In ogni caso, finiscono ora- rispose il Khajiit, ficcando la punta della lama nel collo del monaco e lasciandola lì, mentre si alzava.
Dopo due passi, raggiunse il letto, sul quale Arriana Valga lo stava guardando, impotente, ma, sorprendentemente per S’Virr, calma.
-Mi ci è voluto tanto per arrivare qui, ma ce l’ho fatta- ringhiò il Khajiit –Ho ucciso tuo nipote, ho ucciso tua figlia, ho ucciso la tua scorta… e adesso sono qui-
-Fa quello per cui sei venuto, allora- rispose con estrema fatica la contessa di Chorrol.
-Ci puoi giurare- sibilò l’assassino, per poi prendere la donna per i piedi e trascinarla giù dal letto di forza, facendole sbattere la testa per terra.
Poi, dopo aver estratto il pugnale dalla gola del monaco, la accoltellò ripetutamente al petto, continuando anche dopo che la scomparsa dei segni vitali.
Fradicio di sangue, S’Virr si alzò in piedi.
-È fatta- disse ad alta voce, con tono sereno –è fatta-
Chiuse gli occhi, e non vide nulla.
-È fatta- ripeté – doveva accadere. Ora è fatta-
“E ora?” pensò subito.
Scendendo le scale, rimase per qualche secondo ad osservare la ragazza imperiale, che piangeva e lo malediceva, accanto al corpo del capitano.
Quell’immagine lo lasciò turbato per qualche secondo, e il pensiero di uccidere l’ultimo testimone non lo sfiorò nemmeno.
Guardando dritto davanti a sé avanzò a passi veloci, per quanto glielo permettesse la gamba, fino alla porta, rimasta aperta per tutto il tempo.
Sulla soglia, si voltò.
Non riusciva a non pensare a quella scena, vi era qualcosa lì che lo sconvolgeva, qualcosa che non capiva.
Si voltò di nuovo.
-È fatta- ripeté ad alta voce, con tono più deciso, ma al tempo stesso, più duro.
“E ora?”
 
 

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Capitolo 14
*** Capitolo 13 ***


I pesanti cancelli cittadini recanti il simbolo cittadino, la Grande Quercia di Chorrol, si aprirono, rivelando allo sguardo una piazza circolare al cui centro vi era un’enorme statua di una donna che reggeva il corpo di un soldato morto.
Rodrick passò sotto l’arco d’ingresso velocemente, entrando nella piazza.
Da lì, partivano tre strade, la prima, a sinistra, conduceva ad un quartiere che comprendeva la Cappella di Stendarr, la seconda conduceva al Cancello Nord della città, subito dopo un piazzale al cui centro si elevava la Grande Quercia, e la terza, a destra, conduceva sulla sommità di una piccola collina sulla quale si ergeva il castello.
Un uomo anziano, un Imperiale, stava passando di fianco alla statua, dirigendosi verso i cancelli.
Il Bretone, che stava per fare uno scatto verso il colle, si fermò un attimo a guardarlo più attentamente.
Lo aveva già visto, quello. Non tanto tempo prima… ma quando?
Alla Città Imperiale? Lavorava alla commissione?
Scosse la testa.
No, no… era ad Elsweyr? A…
A Bravil.
Quello era il primate della cappella di Bravil.
Si ricordava… Tersitus, quello era il suo nome; Rodrick lo aveva aiutato con i feriti, aveva parlato con lui, dei cittadini, di Bravil, della guerra…
Il ricordo della promessa sul non arruolarsi fece chinare in basso la testa a Rodrick, eppure subito dopo il Bretone la rialzò deciso.
Ripensò a com’era durante l’assedio di Bravil e pensò a com’era in quel momento.
Che cos’era cambiato?
“La battaglia” si disse il Bretone.
Non era più la pecorella spaventata a Morrowind, non era più il ragazzo che faceva le commissioni per Servatus, non era più quello che incassava la morte di K’Rattad e la seppelliva tra i suoi sentimenti, quello spaventato dell’arrivare dei soldati Imperiali e quelli di Mede, rintanato nelle sale del castello, non era più il giovane Bretone balbuziente.
No, lui aveva combattuto, aveva ucciso, aveva scelto di diventare un soldato; tutto quel percorso lo aveva scelto lui, e lì, nella piana davanti ai cancelli di Bruma, lì, circondato da uomini morenti, sia amici che nemici, si era sentito al comando, si era sentito vivo.
Aveva affrontato una battaglia, era sopravvissuto, si era rivelato più forte del nemico, e aveva vinto.
L’Impero si stava avviando verso un cambiamento, ancora qualche settimana, e il popolo avrebbe acclamato un nuovo imperatore.
E Rodrick sarebbe stato lì, sapendo di averlo scelto lui, di essere stato un partecipante attivo della vicenda.
No. Non aveva nulla di cui vergognarsi.
Anche l’Imperiale in quel momento lo stava fissando, anche lui si ricordava.
-Salve- esordì il Bretone –Primate Tersitus-
-Tu…- rispose quello –sei quel ragazzo di Bravil, vero? Quello alla cappella di Mara…-
-Mi chiamo Rodrick- dichiarò annuendo il ragazzo.
-Rodrick… sì…- sussurrava l’altro, annuendo anch’egli –vedo che ti sei arruolato- sentenziò infine.
-Già, abbiamo vinto la battaglia di Bruma- annunciò non senza una vena d’orgoglio nella voce il Bretone.
-E quindi… l’esercito sta passando di qui?- chiese l’Imperiale, i cui occhi erano diventate fessure.
-No, la contessa Valga sta male e io e altri tre soldati l’abbiamo accompagnata qui. Adesso è a Priorato di Weynon. Dovrei andare ad avvertire il castello-
-Hai detto tre uomini?!- tuonò l’anziano, assumendo un’espressione sconvolta –la contessa è al priorato con soli tre uomini?!-
-Sì perché?- domandò Rodrick turbato –Qual è il problema?-
Il sacerdote si allontanò velocemente, passando per i cancelli e lasciando il Bretone senza dire una parola.
Dubbioso per qualche secondo, e inizialmente indeciso se seguire il primate o no, il ragazzo optò per eseguire gli ordini prima, cominciando a correre verso il castello.
Seguì la strada, ai cui lati serpeggiavano dei muriccioli in mattoni, salendo per la collina.
L’improvviso cambiamento d’animo di Tersitus lo turbava, ma decise di non darci troppo peso, accelerando il passo nel passare sotto l’arco d’ingresso del castello.
Un paio di guardie lo fermarono.
-È la contessa!- rispose indicando dietro di sé –sta molto male, l’abbiamo portata al Priorato di Weynon, ma ha bisogno di un medico-
-Come mai siete voi a portarla?- domandò una guardia, dopo aver indicato al compagno di andare a chiamare la maga di corte.
-Lo ha ordinato Titus Mede- rispose prontamente il Bretone –Siamo della compagnia di Kvatch-
La risposta parve accontentare la guardia, e dopo pochi minuti arrivarono la maga di corte, una Redguard di nome Chanel, e una decina di soldati, che ordinarono a Rodrick di fare strada.
In fretta, il gruppo fece a ritroso il percorso che pochi minuti prima aveva compiuto il ragazzo: scese per la stradicciola lungo la collina, sotto gli occhi di alcuni cittadini curiosi, passarono per la piazza e attraversarono i cancelli cittadini, ritrovandosi nella foresta che circondava la città.
Vedendo l’insicurezza del Bretone sul percorso giusto da seguire, le guardie lo rassicurarono: -Tranquillo, ragazzo, conosciamo la strada-
Rodrick annuì e lasciò la guida ai soldati.
Dopo qualche minuto di camminata raggiunsero il priorato.
All’esterno della casa vi erano ancora i cavalli che avevano portato i quattro soldati di Kvatch a Chorrol, eccetto uno, quello di Savlian Matius.
“Sarà scappato” pensò il Bretone “nella fretta, il capitano lo avrà legato male al palo”
Eppure quel comportamento sembrava così strano per quell’Imperiale, che la spiegazione immediata non convinse del tutto Rodrick.
E, aggiunto al fatto del Primate Tersitus, quell’evento cominciava a suscitare preoccupazione nel ragazzo.
“C’è qualcosa di strano” pensò il Bretone.
Si avvicinarono ancora di più al monastero, erano ad una cinquantina di passi ormai, e cominciavano a intravedere i dettagli della scena.
La porta era aperta.
Qualcosa era posato sui gradini che conducevano all’ingresso.
Rodrick e il resto del gruppo si lanciarono un’occhiata.
Si avvicinarono ancor di più.
Quello era un cadavere.
Le guardie sguainarono le spade, la maga preparò i suoi incantesimi, il Bretone cominciò a correre.
Raggiunse la porta; quello era il cadavere di Lucius. Giaceva a faccia in giù lungo i gradini di pietra, trafitto da parte a parte.
Il ragazzo impugnò la spada, spaventato per la prima volta dopo tanto tempo, poi entrò.
A terra, verso le scale, vi era il corpo di Savlian Matius, il torace squarciato, la spada ancora in pugno.
Voltandosi a destra…
Alexia, visibilmente sconvolta, era seduta su una sedia, con il braccio appoggiato al tavolo; affianco a lei, Tersitus.
-E tu cosa ci fai qui?!- urlò Rodrick, avvicinandosi mentre alzava l’arma –sei stato tu a…-
-Non è stato lui- lo zittì la giovane Imperiale, indicando un vistoso taglio –è arrivato cinque minuti fa, e mi sta curando il braccio-
-E allora cosa…- cominciò il Bretone, prima di venire zittito dall’arrivo delle guardie di Chorrol.
-Cosa diavolo è successo qui?!- sbraitò una di esse, per poi assumere un tono cupo –la contessa…-
-È… è… è morta- rispose Alexia, volgendo lo sguardo verso il basso –è avvenuto tutto circa un quarto d’ora fa-
-Appena sono partito?- chiese turbato il ragazzo mentre due soldati salivano le scale a controllare le stanze superiori.
-Subito dopo- confermò, con un’ombra di vergogna e rabbia sul volto, l’Imperiale –è stato un Khajiit… prima ha trafitto Lucius a sorpresa, poi mi ha ferita… e ha ucciso il capitano Matius. Poi è salito di sopra e, dopo essere tornato giù, se n’è andato-
-Tre soldati ben addestrati, con una storia di battaglie nell’esercito di Titus Mede che vengono sconfitti da un Khajiit…- cominciò furente la guardia di prima, per poi assumere un’espressione preoccupata –Quel Khajiit… aveva qualche… tratto singolare?-
-Non aveva la coda- rispose deglutendo Alexia.
I soldati si scambiarono un’occhiata esaustiva.
-E tu? Perché sei viva?- tornò alla ribalta uno di loro  -E tu sacerdote. Cosa ci fai qui?-
-Sono un membro dell’ordine di questo priorato- rispose con tono deciso Tersitus –all’arrivo della contessa mi è stato ordinato di andare a prendere le nostre erbe medicinali. Quando sono tornato, ho visto il Khajiit uscire e, entrando, ho visto quello che avete visto voi-
-Io… non so perché sono viva… veramente… non sto facendo altro che chiedermelo- disse la giovane Imperiale.
-Quanto a te- concluse la guardia rivolgendosi a Rodrick –o non sapevi nulla o sei un maledetto attore perfetto. Voi tre uscite, e rimanete nel cortile. Claudius, accompagnali e controlla che non scappino-
Le due guardie salite al piano superiore tornarono nel gruppo recando espressioni surreali, mentre Alexia, Tersitus e Rodrick venivano scortati fuori da Claudius.
Dopo essersi allontanati un po’ dalla guardia, il Bretone partì all’attacco.
-Cosa vi facevate lì?! Perché quella reazione al cancello?! E perché avete mentito?- domandò al sacerdote.
Si sforzava di concentrarsi unicamente su quella faccenda per non dover pensare a ciò che era successo.
Eppure, inevitabilmente, una fitta gli attanagliava lo stomaco, la consapevolezza che, anche quella volta, non aveva potuto fare nulla, chi gli era caro era stato attaccato, ucciso barbaramente, e lui non aveva potuto impedirlo.
Dunque quei pensieri dopo la battaglia non erano stati altro che illusioni? Non era al comando di nulla? Non contava veramente niente, e il suo destino non era altro che aspettare di essere schiacciato da qualcuno di più forte?
Si chiese se, poco prima di morire, Servatus Bantos aveva avuto gli stessi pensieri.
-So chi è stato- rispose con decisione Tersitus –e posso condurvi da lui, dopo che ci avranno lasciato andare, se promettete di non dire nulla alle guardie-
-Puzza di trappola- disse Alexia ritraendosi.
-Io andrò ad affrontarlo comunque. Da solo, se necessario- dichiarò l’Imperiale –Questo… è un mio fallimento… sono stato cieco. Ma non è ancora finita. Né per lui, né per noi-
-Per lui sarà finita molto presto- sibilò con inaspettata freddezza il ragazzo.
Del resto, la situazione non era del tutto persa. Non era come le altre volte.
Era stato ferito ancora, ma quella volta aveva il potere di farla pagare al colpevole.
Poteva vendicarsi.
-Questa non è una giustizia privata- ribatté aspro il primate –Non vi condurrò là  per il vostro piacere personale della vendetta. Se questo è ciò che vi guida, potete rimanere qui, per quel che mi riguarda-
-Perché vi ostinate a difenderlo?- chiese Alexia.
Tersitus assunse un’espressione cupa.
-Come tu ben sai, Rodrick, anch’io ho combattuto. Per anni- rispose –ne ho viste decine e decine di storie… no, queste non sono storie… di persone. Persone rovinate dalla guerra. Vittime innocenti che si trasformano in mostri. Agnelli in lupi. Durante il nostro viaggio verso nord, poiché volevo portarlo al più presto al di fuori di Cyrodiil per evitare che fosse tentato da intraprendere di nuovo quella strada, mi ha raccontato una parte della sua storia-
-Di nuovo?- domandò il Bretone.
-La contessa Caro di Leyawiin- dichiarò dopo un sospiro l’Imperiale.
-Era lui?!- chiese stupefatta Alexia.
-La sua vita prima della guerra non doveva essere stata semplice, ma non me ne ha voluto parlare; eppure, dopo essere arrivato a Leyawiin, pare avesse trovato una sorta di equilibrio grazie a questa Tsavi, la maga di corte Khajiit e alla benevolenza del conte, nonostante l’odio che la contessa provasse per la sua razza. Nel massacro di Leyawiin, lui era un soldato di Marius Caro, perse l’amata Tsavi e venne ferito e mutilato. Qualche giorno dopo vide morire il suo signore, e venne preso come “giullare” da Alessia Caro. Per qualche strana ragione la furia omicida non si scatenò subito in lui, ma crebbe lentamente nella sua anima. Mi ha  confessato senza battere ciglio di avere assassinato l’erede di Leyawiin, un ragazzo di sedici anni e poi la contessa. Subito dopo, ha scoperto di una lettera in cui Arriana Valga ordinava invitava la figlia a compiere il massacro a Leyawiin… non so se per vera vendetta o semplicemente se se lo fosse prefissato come obiettivo per la sua vita, per giustificarla, proseguì su questa strada.
-Ma io gli ho parlato, l’ho conosciuto! So. So che non lo voleva veramente, ma non sono riuscito a farglielo capire… e questa è la mia colpa. Adesso… che anche la contessa di Chorrol è morta… non so cosa potrebbe fare, cosa potrebbe arrivare a progettare pur di avere qualcosa a cui aggrapparsi… deve essere fermato. Ma non con la violenza. Lui non deve essere ucciso. Merita anche lui la misericordia di Stendarr –
Rodrick e Alexia rimasero ad ascoltare, leggermente frastornati nel sentire quella storia.
-Quindi, se volete accompagnarmi- concluse il primate –siete certi di riuscire a perdonare?-
Dopo qualche attimo di esitazione, i due risposero affermativamente.
Ma certi, non lo erano affatto.
 
 
 
Dopo che le guardie lasciarono andare il gruppo, i due ragazzi seguirono il sacerdote tra gli alberi, fino ad arrivare all’entrata di una cava abbandonata.
Al di fuori, il cavallo di Savlian Matius gironzolava tra i cespugli.
Cautamente, Tersitus aprì la porta che bloccava l’entrata e si inoltrò nei cunicoli della miniera.
Rodrick e Alexia gli stavano dietro, con la mano appoggiata all’elsa della spada, e avanzavano guardandosi intorno alla ricerca di una minaccia.
Svoltarono prima a destra, poi a sinistra, e infine di nuovo a destra e, dopo una breve ma ripida discesa, arrivarono in uno stretto corridoio che svoltava destra.
Dopo quell’ultima curva, arrivarono ad un punto della cava in cui lo spazio si allargava a formare come una stanza più o meno circolare.
Al centro, un focolare, ai cui lati vi erano delle cuccette.
Dietro al fuoco scoppiettante vi era un masso, sul quale era seduto, di spalle, un Khajiit senza coda.
Vedendolo, Rodrick non si fece sopraffare dalla rabbia, ma sentì accendersi dentro di sé un fuoco.
Nonostante ciò che quell’essere avesse fatto, non riusciva ad odiarlo, ma, allo stesso tempo, malgrado il racconto del sacerdote, non riusciva a compatirlo.
Lo vedeva soltanto, semplicemente, per quello che era.
Un Khajiit senza coda seduto su una roccia.
Quello, sentendo i passi dei nuovi arrivati, si alzò e si voltò, squadrando i tre ospiti. Quando il suo sguardo passò su Alexia, si ritrasse immediatamente, per concentrarsi su Tersitus.
Il pelo sotto i suoi occhi era umido.
-Primate- esordì con voce neutra –Sapevo che sareste tornato-
-Lo sai tu e lo so io- dichiarò l’Imperiale –Non è ancora troppo tardi, S’Virr-
-Per cosa?- fece l’altro, amaro –Pentirsi? Redimersi? E quando… quando sarà troppo tardi? Quando avrò ucciso anche te? O questi ragazzi? È da un po’ che mi sto chiedendo… non se posso avere la possibilità di redimermi, per quello so già la risposta, ma se debba effettivamente farlo. Erano veramente gesti orribili, quelli? Chi può dirlo, voi? E chi siete per poterlo fare?
-È necessario pentirsi di un atto, se quando lo si compiva si era felici? Se si era sicuri della sua validità? Io ho assolto il mio compito, nient’altro-
Quella strana figura risultava sempre più strana a Rodrick, mentre un formicolio gli pervadeva nel braccio destro.
-Ma ti senti, adesso?- sbottò Tersitus –Hai idea di cosa stai dicendo? Tu non lo volevi fare! Eri pentito. E se tu non avessi ceduto…-
-L’ho fatto perché lo volevo!- urlò S’Virr –L’ho fatto perché era giusto!-
-Era giusto uccidere uomini innocenti come Lucius e Savlian?!- intervenne Alexia, gridando.
Il Khajiit rimase per qualche secondo a fissarla.
-Ascolta, S’Virr…- disse il sacerdote avvicinandosi al suo interlocutore, quando quello, con un manrovescio, lo scaraventò a terra urlando: -Stai lontano da me!-
I due ragazzi estrassero le spade, il nemico la sua.
Il Bretone si fiondò all’attacco calando l’arma dall’alto, mancando, però, il bersaglio, che nel frattempo si era spostato.
L’Imperiale lo ingaggiò con una serie di fendenti, ma il Khajiit riuscì a pararli tutti, indietreggiando lievemente.
Il primate provò a infilarsi in mezzo per fermare lo scontro, ma venne spinto a terra, quella volta da Rodrick.
 Dopo aver scostato la lama di S’Virr con un fendente, Alexia tirò un pugno contro la guancia scoperta.
Il Khajiit fece qualche passò in avanti per non perdere l’equilibrio, per poi attaccare entrambi i suoi avversari mulinando la spada.
Indietreggiando, Rodrick mise male il piede su una roccia e, poiché il nemico lo aveva notato, venne colpito con un calcio alla gamba in bilico.
Dopo essere caduto, si allontanò rotolando dal combattimento.
Era rimasto stranamente sorpreso dall’abilità in combattimento dell’avversario, nonostante sapesse benissimo che stava affrontando l’assassino di Savlian Maitus.
Le spade di Alexia e S’Virr cozzarono ripetutamente mentre la prima cercava di rompere la difesa del secondo, finché l’Imperiale non optò per una finta a destra seguita da un affondo.
La tecnica non funzionò, e la situazione precaria nella quale Alexia era dopo l’affondo permise al Khajiit di tirarle una ginocchiata al costato, facendola cadere.
Anche lei rotolò di lato, cercando di schivare i colpi di lama che S’Virr faceva cadere dall’alto, finché non intervenne il Bretone, che, lanciandosi contro l’avversario e facendolo cadere, permise alla ragazza di rialzarsi.
A quel punto, il Khajiit, cogliendo l’occasione di avere affianco Rodrick a terra, gli calciò via la spada e gli cinse il collo con un braccio, per poi usarlo come scudo umano contro Alexia.
L’Imperiale passò alla difensiva per qualche secondo, per poi tentare un fendente.
Ma l’attacco si fermò quando il Bretone le venne spinto contro, e l’Imperiale, indifesa dopo aver spinto di lato con un braccio il compagno, venne ferita al braccio un’altra volta.
Urlando, caricò il colpo con tutta la forza presente nell’arto, ma nel mentre dell’attacco, venne trafitta dalla spada di S’Virr.
Rodrick urlò.
Tutti i suoi anni di silenzio, di balbettii e di cenni con la testa vennero liberati in un unico urlo.
La sua mente ripercorse tutta la sua vita ancora una volta.
Pensò a tutte le perdite, a tutte le persone care che erano morte.
Dai suoi genitori, a Llanas, a K’Rattad, a Savlian… e infine Alexia.
In quel momento lo sentì.
L’odio che si era caricato dentro di lui, la fiamma che gli avvampava dentro, esplose, rivelava tutta la sua potenza sepolta negli anni.
E ci era voluta la morte di quella giovane Imperiale, un’altra perdita, per fargli rompere l’ultima barriera, per disintegrare il guscio che lo aveva rinchiuso per tutti quegli anni di soprusi.
Ma in quel momento era lì.
E quell’essere, quell’assassino, quel mostro… anche lui era lì.
E tra di loro non vi era altro che le cotte di maglia che indossavano.
La sentiva… quella forza, quell’euforia che lo pervadeva prima della Battaglia di Bruma, e in quel momento era pronto a scatenarla.
E urlava.
E piangeva.
Il Khajiit alternava, come impietrito, lo sguardo tra lui e Alexia.
Guardava il corpo che perdeva lentamente vita, come spaventato.
Lo lasciò andare, e si guardò le mani, tremando.
Rodrick si alzò, impugnando l’arma.
-Rodrick, no Rodrick, fermati!- urlò Tersitus, mentre il Bretone partiva alla carica mulinando la spada.
Le lame cozzarono un’altra volta, molto più velocemente.
Il ragazzo continuava a cambiare posizione, attaccava con colpi veloci, cambiando continuamente, colpi veloci, ma straordinariamente violenti.
Per qualche motivo, forse per paura, ritenne il Bretone, il Khajiit rimaneva sulla difensiva, limitandosi a parare a fatica gli attacchi, mentre fissava impietrito il suo avversario.
-Rodrick, ti prego… fermati!- continuava dietro il sacerdote.
Il ragazzo cominciò a far indietreggiare il nemico, e, sfruttando lo slancio, eruppe in una nuova serie di assalti, sempre più violenti, sempre più estremi… finché un semplice contraccolpo lo fece cadere.
La spada gli sfuggì di mano e, dal basso, vide S’Virr troneggiare su di lui, mentre lo fissava con occhi vuoti, e alzare la lama per sferrare il colpo.
Ma, parve un momento, una frazione di secondo, l’ormai vincitore esitò.
Subito il Bretone si tolse dalla zona di pericolo, schivando il fendente arrivato in ritardo e, raccolta la spada, ritornò all’attacco, più ferocemente di prima.
Ormai non sentiva neanche più i richiami del primate, lui colpiva, colpiva e colpiva.
Non pensava, non vi era altro.
Con un fendente laterale fece perdere la posa di guardia al nemico e, cogliendo l’occasione, menò il colpo più forte che avesse mai sferrato con quell’arma.
Ancora una volta, come un presentimento, un’esitazione.
La parata arrivò in ritardo, e l’avambraccio destro del Khajiit venne completamente reciso.
Il monco cadde a terra, urlando.
Quella volta, era Rodrick a troneggiare.
Sentiva quella gioia della battaglia, l’essere finalmente al comando di se stesso, l’essere libero.
-Rodrick…- quell’ultima preghiera era quasi un rantolo –non… non diventare come lui-
Quelle poche, semplici parole lo travolsero con tutta la loro forza celata.
Si pietrificò.
Si voltò, e lui guardò, quella volta, l’Imperiale con occhi vuoti.
Nella sua mente, in quel momento, l’euforia si dissipò, tutto svanì.
Non riusciva a pensare ai suoi genitori, a Llanas, a K’Rattad, a Savlian, ad Alexia… si guardò e vide Helseth Darys, Servatus Bantos, il Re di Rimmen, il conte Terentius… e quel S’Virr.
“Che cosa sto facendo?” pensò, come se si fosse appena svegliato da un incubo “Che cosa sono diventato?”
Tornò a guardare il Khajiit, che lo guardava con impazienza, rimanendo immobile.
Le lacrime tornarono a rigare il suo volto.
La sua mano si aprì, e la spada cadde a terra.
Lui indietreggiò, avvicinandosi a Tersitus e aiutandolo ad alzarsi.
-Hai fatto la cosa giusta- gli sussurrò quello, abbracciandolo –va tutto bene-
Ma, quando si voltarono, videro il Khajiit, in piedi, che reggeva nella mano sinistra la lama.
-S’Virr- disse l’Imperiale –che cosa stai facendo?-
-Giustizia- sussurrò l’altro, per poi trafiggersi  più volte con l’arma.
Caduto a terra, mentre il sangue sgorgava a fiotti sul pavimento roccioso della miniera, rantolava, ripetendo: -Giustizia, Tsavi… giustizia-
Rodrick rimase a fissarlo per qualche secondo.
Tersits fece una veloce preghiera ad Arkay per i due morti.
-Non… non possiamo lasciarli qui- soggiunse infine.
Il Bretone annuì e, insieme, trasportarono fuori dalla miniera i due corpi e li seppellirono uno affianco all’altro appena fuori dalla cava con una vanga che l’Imperiale aveva trovato verso l’uscita.
Ad ovest, il sole era quasi del tutto scomparso dietro l’orizzonte.
-E adesso… che cosa farai?- domandò il sacerdote –Mede non dev’essere molto distante da Chorrol, e le guardie avranno cominciato a cercarti… è meglio che ti incammini-
-No- rispose secco Rodrick.
Pensava a ciò che era successo, tutto ciò che gli era successo, alle persone che aveva conosciuto, quelle che aveva combattuto e quelle che aveva ucciso, quelle che aveva amato e quelle che aveva odiato.
Si domandava perché.
Perché tutto quello era avvenuto, perché aveva dovuto compiere quelle azioni, perché gli altri avevano dovuto compiere quelle azioni.
Si guardò e si schifò di se stesso, per aver perso quell’innocenza che lo aveva sempre caratterizzato, e si chiese quando l’aveva persa.
In guerra? No, no… in guerra quello era soltanto venuto fuori.
C’era qualcosa in quel mondo, in quell’Impero, qualcosa che non andava, che rendeva le persone così… cos’era successo? E Rodrick aveva optato per il cambiamento, supportato Mede, combattuto per lui… ma solo in quel momento capiva che nulla sarebbe cambiato, che la storia aveva preso un certo corso, e nulla avrebbe potuto cambiarlo.
-Rodrick, devi andare o crederanno che tu fossi in combutta con S’Virr- lo esortò Tersitus.
-Non m’importa- rispose il Bretone –me ne voglio andare via di qui-
Ne aveva abbastanza di Cyrodiil, di quelle persone e di quei luoghi. Voleva andare via, non tornare mai più.
-Per andare dove?- chiese stupito il sacerdote.
Il ragazzo rimase in silenzio per qualche secondo.
-A casa- rispose, quasi senza pensarci.
Casa.
Quel pensiero si inoltrò nel suo cervello.
Qual era la sua casa? L’aveva mai avuta?
A Wayrest. Lì era nato, lì abitavano i suoi genitori, prima di morire.
E lì sarebbe tornato.
-A casa- ripeté avvicinandosi al cavallo di Savlian e salendovi in groppa.
-Sarai considerato un disertore- lo avvertì l’Imperiale.
-Sarò ben lontano da qui- ribatté il Bretone –e presto sarò dimenticato-
-Addio, primate Tersitus- aggiunse infine.
-Addio Rodrick- rispose l’altro con un sorriso sincero sul volto –abbi cura di te-
Dopo un ultimo sguardo dietro di sé, il ragazzo partì al galoppo.
Tutto intorno l’oscurità notturna cominciava a diffondersi, sugli alberi, sulle colline, sui ruscelli.
Ma lui cavalcava, veloce come il vento, seguiva i sentieri, saltava le rocce, scendeva per i declivi, e andava verso ovest, verso il sole, per la prima volta veramente libero.
 

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Capitolo 15
*** Capitolo 14 ***


-Non si è presentato alla seduta del Consiglio degli Anziani- riferì il generale Gratiatus, cupo.
-Questo è un bene o un male?- domandò il legato Scavatus, sedendosi.
-Ormai sono settimane che non si presenta a quelle riunioni, rimane all’interno del palazzo e conferisce esclusivamente con i generali, tra poco è previsto un consiglio di guerra. I membri del Consiglio degli Anziani ormai stanno cominciando ad avere dubbi su chi ripongono il loro supporto, ed alcuni stanno addirittura lasciando la capitale. Cornelius Sintas si è dimesso ieri ed è partito con la sua attendente Redguard- rispose il generale.
-Dannazione!- esclamò il legato battendo il pugno su un bracciolo della poltrona –lui era uno dei pochi alleati su cui potevamo ancora contare. Ma perché Thules si sta comportando in questo modo?-
Gratiatus alzò le spalle, stremato –Suppongo che dopo il colpo di stato di Maudelaire abbia visto quanto il Consiglio lo supportasse e ha deciso di lasciarlo perdere, di tagliarlo fuori dalla gestione della guerra, e dell’Impero, magari… e forse, rimanendo all’interno del palazzo si sente più sicuro-
-La gente ormai non lo vede più, il monarca comincia a perdere la sua già scarsa popolarità… ieri sono stati arrestati dieci persone, ricchi mercanti o nobili, di Talos Plaza che tramavano di assoldare degli assassini per uccidere Thules, ho sentito dire che saranno giustiziati oggi- intervenne il generale Sintav, che aveva appena emesso n sospiro di sollievo nel togliersi la corazza pettorale, indumento alquanto fastidioso per lui, a causa del grande appetito.
-Non è passata neanche una settimana dagli arresti di quei sacerdoti che incitavano la folla alla rivolta e già si scoprono altri tradimenti?- commentò Scavatus.
-La gente ha fame- rispose Gratiatus –la via di rifornimento  della capitale passante per il Niben e quella passante per la Colovia sono in mano a Titus Mede e dall’est non arriva nulla, con Morrowind distrutta, il sostentamento veniva esclusivamente da Skyrim, ed era a malapena sufficiente. Adesso che la Battaglia di Bruma è in corso non arriva nulla nemmeno da là-
-Chissà come se la starà ridendo l’ambasciatore Lewie!- esclamò Sintav – A quell’ ”orecchie a punta ” starà andando di traverso il Tamika-
-Di certo, tutti i legionari accampati in città non giovano, con le loro ruberie e le risse- dichiarò amaro l’altro generale, ignorando il commento precedente.
-Ogni giorno, gestire l’intero esercito imperiale diventa sempre più difficile- concordò il legato –bisogna partire al più presto-
-Prima dobbiamo attendere che la battaglia al nord si concluda- ribatté il secondo generale –Thules è ancora il monarca, e dobbiamo seguire i suoi ordini-
Qualcuno bussò alla porta.
Dopo un rapido cenno di capo di Gratiatus, Ignatius, che era rimasto in silenzio per tutto il tempo, si alzò dalla sedia e percorse a passi rapidi l’ufficio del generale.
Bussarono di nuovo, e subito dopo l’Imperiale aprì la porta.
Dall’altra parte, vi era un uomo canuto, sulla sessantina, che indossava gli abiti del Consiglio degli Anziani.
I suoi occhi stanchi e incavati, circondati da pesanti palpebre, lo osservavano, con calma.
-Il generale è qui?- chiese.
-Sì, chi lo desidera?- domandò in risposta il soldato.
-Martin Valga- rispose brevemente l’Imperiale.
-Fallo entrare- ordinò Gratiatus, alzandosi, seguito dagli altri presenti nell’ufficio.
-Come possiamo aiutarvi, consigliere?- domandò Sintav, ossequioso, incrociando le braccia sul voluminoso ventre.
-Sono giunte notizie dal nord- annunciò Valga – e il monarca Thules ha convocato il Consiglio di guerra al Palazzo Imperiale. Ha ordinato di preparare le truppe alla partenza-
-Ci siamo- dichiarò l’anziano generale –Legato, riferite l’ordine ai comandanti. Voglio le Legioni schierate ai cancelli per la fine della riunione-
-Sì, signore- annuì  Scavatus, lasciando la stanza.
-Dopo di lei, generale- disse il comandante, facendo passare Sintav, per poi aggiungere: -andiamo, Ignatius, abbiamo una battaglia da preparare-
 
 
 
Giunsero ad un’ampia sala circolare ampiamente arredata, con al centro un tavolo rotondo; era la stessa stanza dove si era tenuto il Consiglio di Guerra per preparare la strategia per schiacciare la Rivolta del Niben, alcuni mesi prima.
Solo che in quel  momento era il Potentato la fazione più debole che stava lottando disperatamente per la propria sopravvivenza, e in più, il Consiglio aveva perso tre membri, il Generale Maudelaire, un Nord e un Imperiale, giustiziati per aver architettato il colpo di stato.
Vi erano soltanto il monarca Thules, i generali Gratiatus e Sintav, l’Ammiraglio della Flotta Imperiale, un Redguard, e Martin Valga, come rappresentante politico.
-Sedete- ordinò il primo, prendendo posto sullo scranno più sfarzoso.
-Come stavo dicendo- iniziò il Redguard –potrebbe essere necessaria la vendita di alcune navi della flotta per alleviare il debito delle casse imperiali-
-Ciò è fuori discussione- ribatté scocciato il monarca, battendo un pugno sul tavolo –questo è il momento per cui abbiamo più bisogno di un esercito al massimo delle sue capacità-
-Ma, maestà- si intromise Valga –tra il processo di inflazione cominciato per schiacciare economicamente il Diarcato del Niben, che, come sapete non si è mai fermato, anche dopo la fine della ribellione, ma anzi sta continuando ad aumentare, e il completo isolamento della capitale, adesso che Titus Mede ha vinto a Bruma, i prezzi sono semplicemente esorbitanti; i cittadini non possono più permettersi il pane e le casse imperiali non possono permettersi regali alla popolazione. Il nostro debito è diventato ingestibile-
-Per ora dobbiamo resistere- continuò Thules, duro –continuiamo a battere moneta, ormai è l’unica cosa che possiamo fare. La gente sa che in tempo di guerra si è costretti a fare sacrifici, eppure all’inizio di ogni conflitto pare dimenticarselo…-
-Vostra maestà, perdonate se mi intrometto- disse Sintav –ma quindi le notizie giunte dal nord erano queste? Mede ha vinto?-
-Quella e un’altra- rispose il monarca – la contessa Arriana Valga di Chorrol è morta, senza lasciare eredi, tra l’altro. Quindi, qui presente, abbiamo il legittimo pretendente alla nomina di Conte di Chorrol, titolo che assumerà non appena la guerra sarà finita. Congratulazioni-
Martin Valga fece un leggero inchino col capo.
Non sembrava molto segnato dal lutto per la vedova di suo cugino.
-Come è avvenuto?- domandò Gratiatus.
-I dettagli non si sanno ancora… ma pare sia stata assassinata, proprio come sua figlia Alessia- rispose Thules sorridendo.
-Ancora la storia del Khajiit senza coda?- eruppe stupefatto Sintav –Per gli Dei… che creatura maligna… assassinare così due donne indifese…-
-Una di loro era una traditrice, generale, non dimenticarlo- ribatté il monarca, di colpo di nuovo serio –e proprio indifese non lo erano. Erano pur sempre contesse-
-Con tutto il rispetto- si intromise Gratitus –non ritengo sia questo il problema principale da discutere in questa riunione. Titus Mede ha riunito gli eserciti di tutte le provincie dell’Impero: Skyrim, High Rock, Hammerfell ed Elsweyr e tutte le contee di Cyrodiil. L’esercito che si sta schierando ai cancelli della capitale è l’unica cosa che si frappone ora tra il trono imperiale e quel signore della guerra troppo ambizioso. Qual è il piano?-
-Il piano è molto più semplice di quanto tu immagini, generale- rispose il monarca –andiamo incontro a questo ambizioso signore della guerra e decidiamo, una volta per tutte, chi debba portare la corona. Una battaglia che concluda la guerra, una volta per tutte-
-E chi dovrebbe, tra noi generali, il comandante dell’armata?- domandò Gratiatus.
Thules lo fissò per diversi secondi.
-Il tempo dei giochetti e delle farse è finito- rispose autorevole –questa volta, noi due ci scontreremo sul campo di battaglia faccia a faccia. Io guiderò l’Esercito Imperiale-
 
 
 
Il comandante salì in groppa ad un destriero bianco.
Il corpo era ricoperto da un’armatura d’acciaio, tanto puro e lucido da colorarsi di bianco, quando la luce del giorno vi era riflessa, mentre la testa reggeva una piccola corona d’oro, un cerchio metallico sul cui lato frontale era incastonato un rubino.
Tutt’intorno, schierati nella Talos Plaza, vi erano i reparti speciali della cavalleria, mentre sul ponte che collegava la città al resto di Cyrodiil le truppe di fanteria, che osservavano la scena attraverso i cancelli cittadini spalancati.
All’altra estremità del ponte, il resto della cavalleria attendeva.
Sui balconi dei quattro palazzi, che, con le loro facciate curve, delimitavano la forma circolare della piazza, le famiglie nobili contemplavano l’avvenimento, mentre i cittadini normali dovevano riuscire a farlo dietro alle file della cavalleria.
AI lati del cavallo del monarca, vi erano i generali Gratiatus e Sintav, mentre, di fronte al gruppo, posto davanti al piccolo colonnato circolare al cui centro vi era una statua di drago, vi era uno stuolo di membri del Consiglio degli Anziani.
-Lascio a voi, Martin Valga, l’onere di governare la città mentre sarò via- esordì Thules ad alta voce, con un tono troppo acuto per risultare autorevole –che possano i Nove aiutarvi a governare con saggezza in questo periodo-
L’interpellato si inchinò, seguito dagli altri consiglieri, per poi rispondere: -Vi ringrazio maestà. Non vi deluderò-
Il monarca fece un cenno a Gratiatus, che urlò: -Legionari! In marcia!-
Il gruppetto composto dai tre cavalieri fece il giro della piazza, attorno al colonnato, per poi passare per il portale cittadino, seguito dalla compagnia di legionari a cavallo.
Il corteo passò lungo il ponte, in mezzo alle due colonne di uomini appiedati.
Una volta che il gruppo ebbe raggiunto Weye, il minuscolo villaggio all’altro estremo del ponte, i reparti di fanteria si ricompattarono e cominciarono la marcia.
Ignatius si voltò indietro per guardare la Città Imperiale.
Lei era lì, eterna, sulla sua isola, con le sue bianche mura, le sue candide torri e la sua sporca anima.
Guerre erano state combattute, massacri erano stati compiuti, popoli interi avevano lottato e si erano estinti per lei.
Prima gli Ayleid, poi l’Impero Alessiano, il Secondo Impero, il Potentato degli Tsaesci, l’Impero dei Septim, e di nuovo il potentato di Ocato e Thules.
Ma lei rimaneva lì, e pareva che nulla fosse cambiato, che nulla la potesse cambiare, neppure l’Invasione dei Daedra.
E forse, era veramente così; le ere sarebbero passate, gli imperi e i regni e i domini sarebbero crollati e risorti, sovrani sarebbero stati incoronati, e generali li avrebbero spodestati, tutti loro sarebbero morti, e così i loro figli, e i figli dei loro figli, ma lei non sarebbe cambiata.
Sarebbe rimasta lì, tronante sul suo verde trono e immersa nel suo mantello bianco a proiettare una lunga ombra su Tamriel, un’ombra che neanche la Montagna Rossa poteva distendere, un’ombra che sarebbe rimasta nera come la notte, ma senza Masser e Secunda e le stelle a mitigarla, un’ombra che sarebbe arrivata ovunque, persino nei loro cuori, e li avrebbe corrotti e istigati.
Ma loro cosa potevano farci? Distruggerla? Lei era il dolce frutto di Tamriel, era lei la Bellezza dell’Alba, e senza di lei cosa sarebbe rimasto loro?
 
 
 
I limiti della Grande Foresta ospitavano l’accampamento dell’esercito.
Gli esploratori erano tutti via per sondare il terreno, mentre nell’angolo dell’agglomerato di tende più immerso nel bosco i generali e il monarca erano riuniti, studiando una mappa posta su un tavolino traballante.
-Signore, ne è veramente sicuro? Posso comandare io l’esercito, non è ancora troppo tardi per tornare alla capitale- disse Gratiatus con tono grave.
-Ho detto di no!- esclamò con voce stridula Thules scagliando via la mappa –Che senso avrebbe tornare alla Città Imperiale ed essere considerato un codardo? Perché ancora voi non lo capite? Il rispetto i cittadini dell’Impero non me lo concederanno mai così facilmente! Io non sono un Septim, Gratiatus. E nemmeno Ocato. Ho provato. Ho tentato con tutte le mie forze di essere il sovrano buono dell’Impero. Sono stato ai ridicoli giochi di palazzo dei membri del Consiglio degli Anziani, ho assecondato sacerdoti, diplomatici, dignitari e persino i cittadini più umili… ma tutto questo… dopo sette anni ancora non solo non sono rispettato, ma sono addirittura odiato e sbeffeggiato! Città da sempre vicine all’Impero, e presenti nella stessa Cyrodiil, nello stesso Niben si rivoltano come non mai! E un semplice signore della guerra, quando decide di diventare imperatore riesce a raccogliere un così grosso seguito… Gratiatus… perché? Che cosa ho fatto a quest’Impero?-
-Maestà…- tentò di replicare debolmente il generale –ci sono altri modi…-
-No… no. Non ce ne sono- ribatté il monarca enfatizzando la risposta muovendo il capo –Da quando c’è stato il colpo di stato ho capito di essere arrivato alla fine. I bei tempi sono passati. Non avrò mai l’amore, né il rispetto di questa gente. Non in vita almeno. Io continuavo ad illudermi e pensavo a cos’avrei fatto dopo la fine della guerra. Ma quando è arrivato quel messaggero, quando ho saputo che Mede aveva vinto la Battaglia di Bruma e che stava marciando verso la capitale, ho compreso. Ho compreso che io e lui siamo stati creati, tutti noi siamo stati creati per essere condotti  a questa battaglia, a questa svolta nelle nostre vite. C’è… qualcosa… una voce, più acuta di tutte le musiche che mi chiama. Io sento che da questa battaglia otterrò qualcosa. Non avrò mai il rispetto, o l’amore da questo popolo, non in vita, ma potrò avere il timore, se vincerò. E se perderò… chissà. Magari potrei anche avere onore ai loro occhi-
I due generali e Ignatius osservavano Thules, immobili e in silenzio.
-In arrivo!- urlò un esploratore –Stanno arrivando!-
L’intero accampamento si rianimò e l’intero esercito correva da una parte all’altra dello spiazzo per recuperare il necessario.
-Preparate le formazioni- ruggì Sintav, allontanandosi.
Da lontano, si potevano sentire gli ordini gridati dal legato Scavatus.
-Farò preparare le truppe in modo che possiate fare il vostro discorso- disse Gratiatus accennando ad allontanarsi.
-Niente discorso- lo fermò il monarca, salendo in cima al suo destriero –In questa giornata, per la quale le nostre vite sono state forgiate non ho voglia di mentire. E se dovessi tenere un discorso direi a quei legionari che stiamo combattendo per la mia reputazione. Ma non ritengo sarebbe adatto… lasciamoli pur credere di star combattendo per l’Impero-
 

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Capitolo 16
*** Capitolo 15 ***


Titus Mede cavalcò tra i ranghi dell’esercito gridando ordini e incitando i soldati.
Le squadre armate marciavano da una parte all’altra dello schieramento, sbraitavano e ruggivano.
Acciaio cozzava contro acciaio, l’agitazione aumentava sempre di più nelle truppe.
Jaeger fece ruotare le proprie asce nelle mani, per poi riporle alla cintura.
Quella sarebbe stata l’ultima.
Lui era vecchio, il ricordo delle Prove di Kyne era giorno dopo giorno sempre più remoto, e quella era la sua ultima battaglia.
Ormai di quel giorno non si ricordava più che aspetto avessero le belve che aveva dovuto affrontare, non si ricordava come si fosse svolto lo scontro, soltanto le sue sensazioni venivano alla mente.
L’oppressivo torcere di viscere causato dalla paura poco prima del combattimento, quando i suoi occhi e quelli del suo avversario animale si erano incontrati.
Dopo quell’evento, nessuna battaglia aveva infuso in lui alcun timore, nessuno scontro era sembrato impossibile da vincere, nemmeno i mammut che aveva catturato per Re Geimund; gli stessi mammut che giacevano sul proprio fianco, morti, sulle distese innevate davanti a Bruma, affianco al luogo della sconfitta del loro padrone.
Ma il momento di dire addio alle armi era arrivato, quella sarebbe stata l’ultima battaglia, nel bene o nel male.
Se avessero vinto, quelli che in quel momento tenevano la Città Imperiale non sarebbero stati talmente pazzi da tentare di resistere, e se avessero perso… non sarebbe stato un problema di Jaeger.
Titus Mede passò cavalcando davanti alla prima fila, concentrando su di sé l’attenzione di tutti.
Il suo volto era teso, ma in quell’armatura, a bordo di quel cavallo, l’autonominatosi imperatore appariva deciso.
Il suo braccio si sollevò, gli arcieri incoccarono le frecce, prendendo bene le misure della distanza che dovevano percorrere i dardi.
Mede urlò abbassando il braccio in avanti, verso il nemico, e il suo urlo venne seguito da una schiera di frecce che spiccavano il volo, andandosi ad abbattere contro la Legione Imperiale che si era schierata.
Le punte che cozzavano contro le armature producevano lo stesso rumore della grandine.
Udirono qualcuno trottare, da dietro di loro sbucò Lazare Milvan, conte di Forte Sutch, che conduceva avanti il cavallo, incitando gli altri.
Jaeger fece eco sollevando le asce per aizzare i suoi compagni nord, che risposero al richiamo.
Tutti partirono correndo verso il nemico.
Era cominciata, l’ultima battaglia.
Le urla cominciarono a venire anche dal lato opposto della radura, i legionari avevano sguainato le lame e si dirigevano verso i nemici.
L’impatto fu brutale; le prime due file davanti al nord scomparvero in una frazione di secondo, lo schieramento si frantumava man mano che i soldati andavano avanti.
I fronti degli eserciti si insinuavano l’uno nell’altro, come dita di due mani che si stringevano.
Jaeger si ritrovò circondato da sconosciuti in recanti i simboli imperiali; senza pietà affondò le lame nelle giunture delle armature di due legionari che gli davano le spalle.
Le loro urla non fecero altro che galvanizzarlo, ritirò velocemente le asce e subito le conficcò nel petto di un soldato sprovveduto.
Il mucchio davanti a lui cominciò a dissiparsi; il nord capì appena in tempo che stava arrivando un assalto di cavalleria per buttarsi di lato facendosi spazio con spintoni e colpi d’ascia.
La fila di cavalieri passò a velocità impressionante, sollevando un turbinio d’aria polverosa che entrava nelle narici già affaticate dei combattenti, e investendo un bretone che, spinto dall’urto, volò urlante per cinque metri, per poi spegnersi gemente a terra.
A capo della carica, Jaeger riconobbe, grazie agli stemmi imperiali, il monarca Thules, circondato da guardie del corpo, mentre scagliava saette e palle di fuoco in ogni direzione.
“Ha avuto il coraggio di venire fin qui, gliene do atto” concesse il nord, sinceramente impressionato.
Subito una spada gli calò di fianco, ferendo di striscio la schiena.
Dopo aver gridato per il dolore, Jaeger si girò di scatto, colpendo con un’ascia l’arma nemica, per tenerla ferma, e con l’altra il petto del soldato,
L’assalitore si inginocchiò, respirava a malapena, la spada era caduta, e il sangue cominciava a fuoriuscire dalla bocca.
Il nord passò oltre.
Vide, su una leggera altura poco lontano, una ventina di soldati che circondavano una figura a cavallo, che dell’armatura pareva un generale, intenta a urlare ordini.
Jaeger cercò con lo sguardo un capitano; dopo pochi secondi trovò quello della guarnigione di Solitude.
-Torklid!- chiamò, indicando col braccio sinistro ciò che aveva visto –Raccogli i tuoi uomini! Abbiamo un lavoro da fare!-
Gli uomini recanti lo stemma del lupo nero in campo rosso si riunirono in una formazione a cuspide, frantumando le formazioni imperiali mentre spingevano verso l’esterno, lungo il leggero declivio.
Il nord si unì all’assalto, mettendosi a mulinare le proprie asce in mezzo ai nemici; dall’alto della collina, echeggiavano le indicazioni del comandante.
Le file dei nemici si compattavano sempre di più; andare oltre diventava sempre più complicato, i reparti di fanteria pesante si avvicinavano sempre di più.
Jaeger si voltò, per osservare come procedeva la battaglia: la piana era completamente ricoperta di soldati, nella massa uniforme si riuscivano a riconoscere come delle correnti interne che giravano per tutti gli schieramenti. Le cavallerie continuavano a mietere vittime e a supportare avanzate senza mai incontrarsi, i due comandanti si attaccavano senza mai affrontarsi.
Non si riusciva a capire chi stesse avendo la meglio.
Il nord si voltò di nuovo e riprese ad avanzare, incitando i compagni.
-Avanti!- esortava –C’è un generale là sopra!-
Nonostante gli sforzi, non si riuscivano a fare progressi; dopo una decina di minuti stavano ancora combattendo per gli stessi due metri di terreno.
Ma, all’improvviso, le file nemiche si assottigliarono in un solo istante, in un unico grido soffocato dal respiro e dal rumore degli zoccoli dei cavalli, seguiti da una decina di reparti di fanteria.
I legionari si guardarono intorno, terrorizzati, circondati, sconfitti.
Gettarono le spade e alzarono le braccia al cielo al passaggio di Corvus Umbranox, conte di Anvil, a cavallo.
-Ho preso il controllo dell’avanguardia- annunciò ai nord increduli.
-E cosa è successo a Milvan?- chiese Jaeger.
-Una freccia. Non ce l’ha fatta- rispose il conte prima di ordinare ai suoi reparti di prepararsi a ripartire –Posso contare su di voi per riprendere quel colle?-
-Sarà fatto!- urlò di risposta il nord –Non ci saranno problemi-
-Eccellente!- si limitò ad esclamare Umbranox , prima di sparire seguito dai suoi uomini.
Dopo un paio di minuti, Jaeger raggiunse la sommità dell’altura.
Il generale scese da cavallo sguainando la spada, affianco a lui vi erano un ufficiale e un legato.
-Sono il generale Gratiatus- annunciò il primo, per poi indicare gli altri –e questi sono il sergente Ignatius e il legato Scavatus. Per essere arrivato fin qui, pensavo che avresti meritato di conoscere i nomi dei tuoi uccisori-
-Io sono Jaeger di Morthal- rispose lo sfidato –questo sarà il nome che i vostri familiari malediranno al vostro funerale-
I due ufficiali scattarono in avanti, lanciandosi in potenti fendenti verticali.
Riconoscendo l’inesperienza di quello di destra, che pareva avere come nome Ignatius, il nord fece una piroetta, per poi aspettare la fine dell’attacco e fare la propria mossa.
Dopo due rapidi fendenti laterali, roteò con le lame, indebolendo la difesa nemica, e infine colpì violentemente l’elmo di Ignatius, stordendolo.
Scavatus con un paio di falcate aggirò il compagno e fece un serie di affondi e finte per fare indietreggiare il nemico, che però, riconoscendo la tattica e i movimenti, riuscì a pararne uno, mettendo in bilico l’avversario, che cadde dopo una spallata.
Ignatius tentò di tornare nella mischia, ma venne facilmente disarmato da Jaeger.
-Aspetta…- tentò di dire lo sconfitto, prima di essere trafitto al petto da entrambe le lame del nord.
-Bastardo d’un Nord!- ruggì il generale, per poi gettarsi addosso al nemico.
Colto di sorpresa, Jaeger fece uno scatto indietro, schivando il colpo, lasciando che la spada si andasse a conficcare per terra.
Il nord decise di passare ad una tattica difensiva per poter avere tempo di pensare ad una soluzione per sconfiggere i due nemici.
La compagnia di Solitude, richiamata da Umbranox, stava scendendo per il declivio, andando a premere sul fianco dell’esercito imperiale, che, dopo aver perso il colle e il contatto con Gratiatus, stava cominciando a ripiegare mentre le fila nemiche lo stavano circondando.
I tre guerrieri erano soli, la battaglia infuriava ad una cinquantina di metri di distanza.
Jaeger si limitava a parare gli attacchi spostandosi ogni volta un po’ a sinistra.
Sapeva che doveva colpire il generale prima perché, a causa dell’età, sarebbe stato il bersaglio più debole; dopo averlo tolto di mezzo, il duello sarebbe stato alla pari.
L’occasione si presentò dopo una decina di secondi, Gratiatus si era allungato troppo e si era sbilanciato.
Con l’ascia sinistra, il nord gli mozzò l’avambraccio che portava l’arma.
Fiotti di sangue sgorgarono con irruenza in tutte le direzioni; il liquido caldo arrivò persino in faccia a Jaeger, che, però, non si fece distrarre nemmeno dal grido di dolore che irrompeva nelle sue orecchie, e, con una mossa decisa, conficcò l’altra lama nel collo del generale.
Altro sangue sprizzò con violenza dai vasi sanguigni recisi.
Coprendosi il volto, il nord indietreggiò con un balzo, lasciandosi sfuggire l’ascia che teneva nella mano destra.
Fece appena in tempo a vedere il fendente che lo stava per colpire per buttarsi a terra.
Il corpo di Gratiatus cadde di lato, in preda agli spasmi.
Al suo fianco, con l’armatura imbrattata di sangue che risplendeva alla luce del sole, si ergeva il legato Scavatus, la spada stretta nella mano destra, il volto contrattò in un’espressione di furia pura.
-Adesso siamo solo io e te- ridacchiò crudele il nord.
-No- rispose duro l’altro –soltanto io- per poi impugnare in entrambe le mani la lama e caricare un fendente verticali diretto verso la testa dell’uomo a terra.
Prontamente Jaeger sollevò l’ascia, andando  a intercettare il colpo.
Le due lame cozzarono producendo un suono acuto che rimase nell’aria per qualche momento, mentre l’arma del nord volò via per una mezza dozzina di metri.
In una frazione di secondo, Jaeger si alzò a si gettò addosso all’Imperiale, riuscendo a farlo sbilanciare e mollare la presa sulla spada.
Entrambi erano distesi, disarmati.
Scavatus tirò una ginocchiata al fianco del nord, per poi rialzarsi, barcollante.
Gemendo, per il colpo subito, Jaeger fece lo stesso, tirando, contemporaneamente, un montante destro al nemico, che fece un’enorme fatica a rimanere in piedi.
Seguì un altro pugno, e poi un altro, e un altro ancora.
 Il quinto venne bloccato, e l’Imperiale cominciò a rispondere.
Il nord indietreggiò, spinto dall’impeto del nemico.
Con un balzò, si allontano abbastanza per avere il tempo di guardarsi intorno, trovando la posizione della spada del legionario.
Dopo una finta col sinistro, tirò un colpo violentissimo col destro, rallentando Scavatus, per poi gettarsi sull’arma.
Ma appena dopo aver impugnato l’elsa, la mano  fu costretta a mollare dopo un calcio dell’Imperiale, che andò a raccogliere la spada.
Il nord scattò in piedi, per poi gettarsi addosso al legionario, atterrandolo.
Circondando con le proprie la mano destra, che recava l’arma, la portò verso di sé, la girò, e spinse, usando il peso del proprio corpo, verso il petto di Scavatus.
Quello, con la mano sinistra, cominciò a tirare pugni in faccia al nemico, mentre con la destra cercava di allontanare la lama.
Resistendo ai continui assalti, Jaeger continuò; urlò imprimendo più forza, e, dopo aver raggiunto il massimo dello sforzo, riuscì a trafiggere il petto dell’Imperiale.
Tutto si fermò, i pugni cessarono, e la spada rimase ferma, conficcata tra le piastre dell’armatura.
Alzandosi, il nord andò a raccogliere le proprie asce, accompagnato dai rantoli del moribondo.
-Te lo concedo, legato- ansimò mentre si inginocchiava affianco al legionario –hai combattuto con onore. Non meriti una morte lenta… addio-
Uno stridulo provenne dalla gola ripiena di sangue di Scavatus appena prima che entrambe le lame si conficcassero, ponendo fine alla vita del soldato.
Il nord prese le proprie armi, le mise alla vita, e guardò prima il campo di battaglia, e poi i tre cadaveri che aveva lasciato.
“Sembra una maniera adatta per concludere una carriera” notò, e decise che quella battaglia e quella guerra erano finite per lui.
Si sedette sul crinale, guardando i combattimenti ancora in corso, prese dalla tasca la sua pipa di skooma, che non usava da anni ormai, la riempì e, usando un basilare incantesimo delle fiamme, la accese.
-La storia di Ragnar inizia così, senza che nessuno l’attendesse quel dì…- cominciò a canticchiare con la voce lievemente alterata dal vapore narcotico che cominciava a levarsi nell’aria.
-Entrò tracotante brandendo la lama, urlando spavaldo di gloria e di fama…- Thules con la sua cavalleria cominciava a compiere giri più larghi nel campo di battaglia, costretto dall’avanzata dell’esercito di Mede.
 -Ma poi tutto a un tratto il tono scemò, quando di Matilda lo sguardo incrociò…- l’autoproclamatosi imperatore tentò di colpire il comandante avversario con un assalto laterale, ma, dividendosi, le file imperiale riuscirono a sopravvivere.
-Siam stanchi di udire si fatte menzogne, orsù diamo un limite a queste vergogne!- il drappello di un generale imperiale si era arreso dopo essere stato circondato dai reparti di Corvus Umbranox, che svolgeva il suo lavoro decisamente meglio di Lazare Milvan.
-Così d’un baleno il duello iniziava, con la prode Matilda che parava e affondava…- l’ala comandata da Re Waylas di Hammerfell aveva tagliato la strada alla cavalleria di Thules, che si ritrovava in quel momento circondata; quella di Mede, intanto, preparava la carica finale.
-Del povero Ragnar la sorte è segnata, di lui ci rimane una testa mozzata!!-i due schieramenti si scontrarono un’ultima volta. Dopo mezzo minuto di caos, un grido cominciò a levarsi e a diffondersi per tutta la piana: -Thules è morto! Thules è morto!-
Nel giro di una decina di minuti, tutti i reparti delle legioni imperiali si arresero e cominciarono ad inneggiare: -Titus Mede! Titus Mede imperatore!-
Jaeger scoppiò in una risata ebra.
La guerra era finita, anche per loro.
 
 
 
I pesanti cancelli cittadini si aprirono; il nord si incamminò lungo l’immenso ponte di candido marmo che collegava la Città Imperiale al resto di Cyrodiil.
Si appoggiò ad un parapetto e si mise a guardare il panorama.
 Il Lago Rumare si estendeva calmo, delimitato dalle sue frastagliate sponde coperte da un manto di vegetazione spoglio in quella parte dell’anno, le acque placide riflettevano l’azzurro intenso del cielo.
Su un isolotto si ergeva il complesso del porto, un arco di muratura che accoglieva al suo interno i magazzini, dal quale una nave era appena partita.
Si dirigeva verso sud; le coste meridionali del bacino d’acqua, collegate soltanto da un ponte, lasciavano spazio alle correnti del fiume Niben, che scorrevano con pacata decisione verso sud…
Il fiume era tornato percorribile dopo quasi un anno; la nave avrebbe incontrato lungo il suo percorso le rovine di Bravil, poi Leyawiin, e, più in là ancora, la Baia di Topal, da cui l’oceano sarebbe apparso.
Acqua, acqua e acqua, tanta quanto l’occhio ne poteva vedere… e, ancora più in là, chissà… forse Aldmeris.
Un boato proveniente dalla Talos Plaza ruppe il silenzio di quella tranquilla partenza.
In quel momento, Martin Valga stava consegnando a Titus Mede la Città Imperiale, chiudendo la rivolta e, forse, tutte le guerre che avevano preceduto quel momento, cominciate appena dopo la fine della Crisi dell’Oblivion.
Il condottiero coloviano aveva voluto portare con sé soltanto duemila uomini del suo esercito per la marcia sulla capitale; gli eserciti di Hammerfell, High Rock, Skyrim e Elsweyr erano stato mandati a mettere in sicurezza la proprie terre, così come buona parte delle guarnigioni cittadine e della legione.
Jaeger, non avendo nessun legame ufficiale con l’esercito nord, aveva avuto il permesso di seguire Mede fino alla Città Imperiale.
Il nuovo imperatore, dopo la battaglia, si era congratulato personalmente con il nord, per poi accettare di buon grado la sua richiesta di aver un posto stabile a corte.
-E così è finita- sussurrò Jaeger, per poi rivolgere lo sguardo alla nave in partenza.
Si guardò intorno; osservò le distese selvagge della Colovia e i maestosi monti Jerall, dietro i quali si celava la sua patria, la sua casa.
Un senso di malessere lo pervase. Voleva veramente abbandonare tutto quello?
Abbassò lo sguardo sulle proprie asce, che teneva ancora alla cintura, poi lo alzò puntando direttamente alla punta della Torre Oro Bianco.
Aveva sentito dire, una volta, che quella torre proietta le persone in alto, se quelle erano capaci di dominare quel mezzo; ma i pochi che erano arrivati alla cima non potevano che cadere.
Osservò di nuovo le proprie armi, poi le stalle, e poi il ponte che si estendeva davanti a lui.
Ripensò alle Prove di Kyne, ai suoi viaggi e alle sue avventure in giro per Skyrim, al suo ingresso nella guerra affianco a Geimund, e poi affianco a Mede, e allo scontro che aveva avuto con i tre legionari e la sua visione della battaglia.
E lui era diventato vecchio, ma c’erano ancora decine di cose da fare, luoghi da esplorare, belve da domare, piaceri da provare…
Afferrò le proprie asce e, dopo un attimo di esitazione, le scagliò nelle acque del Lago Rumare.
Le due armi fecero un singolo, solenne tonfo nella superficie cristallina, per poi scomparire per sempre.
Jaeger tornò a guardare la Torre Oro Bianco.
“Una persona per vincere non deve raggiungere la cima” pensò “Il vincente è quello che riconosce a che piano fermarsi“
Guardò i cancelli cittadini.
“Questo è il mio” si disse, per poi scomparire dietro i portali lignei recanti lo stemma del Drago Imperiale dei Septim.

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Capitolo 17
*** Epilogo ***


Il gruppo, composto da tre uomini e una donna, avanzava a cavallo lentamente, lungo la Gold Road.
Il paesaggio spoglio li accompagnava silenzioso; a un paio di miglia di distanza da loro si ergevano le mura di Anvil, coronate da una sfumatura arancione, proprio come i tetti delle case.
-Tra quanto dovremo lasciare la Gold Road?- chiese Atmah.
-Noi la lasceremo tra un miglio- rispose Sintas con tono stanco.
 -Noi?- domandò la Redguard, turbata.
-Noi- si limitò a confermare l’Imperiale, continuando a cavalcare, gli occhi rivolti all’orizzonte.
Il picchiettio causato dagli zoccoli dei cavalli che battevano sul selciato della via tornò ad essere l’unico rumore presente per un paio di minuti.
Erano tre giorni, ormai, che cavalcavano. Sintas non era voluto rimanere nella Città Imperiale dopo aver appreso la notizia della vittoria di Titus Mede a Bruma e, dopo qualche giorno di preparativi, si era dimesso dal Consiglio degli Anziani e aveva lasciato la capitale.
La notizia della sconfitta di Thules nella radura della Grande Foresta si era diffusa rapidamente in tutta Cyrodiil; nonostante tutti i tentativi di resistenza, in quel momento avevano un nuovo imperatore, che si prometteva di restituire la pace all’Impero e di riportarlo al suo splendore dell’epoca dei Septim, che, in quel momento, appariva così lontana.
Atmah ripensò a Thules, a Mede,  a Maudelaire, ai vari generali e a Sintas, e si ricordò le parole dell’ambasciatore Lewie.
“Sono così impegnati a ballare da non accorgersi di chi stia dando il ritmo”
Avevano un nuovo imperatore, ma nulla sarebbe cambiato, pensò.
“Eppure la storia va avanti” si disse, proprio come stavano facendo loro sulla Gold Road.
-Perché hai specificato “noi”?- domandò a Sintas, distraendolo dalle sue meditazioni.
-Tu hai un percorso diverso davanti a te- rispose quello –una nave sta per partire dal porto di Anvil, diretta a Daggerfall. Farà scalo a Sentinel-
-Non salirò su quella nave- dichiarò scontrosa Atmah.
-Oh, sì che ci salirai- ribatté l’Imperiale ridendo. Era da giorni che non lo faceva.
-Come diavolo ti è venuto in mente?! E senza neanche consultarmi?!- inveì la donna, sporgendosi dalla sella.
-Non sei più mia serva, sei libera, vai- continuò Sintas, ignorandola –Hai una casa che ti aspetta. Ognuno ce l’ha. Nel mondo c’è il male, il mondo è dominato dal male; ma ognuno, anche il più misero ha sempre un posto dove tornare, delle persone a cui affidarsi-
La Redguard lo fissò, silenziosa.
L’Imperiale ricambiò il suo sguardo, sorridendo.
-Un saggio uomo un giorno disse che ci sono due modi per non soffrire l’inferno. Il primo, più facile per molti, è di accettarlo e di diventarne parte al punto da non vederlo più. Il secondo, molto più difficile e rischioso, è di capire e riconoscere chi e cosa non è inferno, e proteggerlo, farlo sopravvivere, e dargli spazio- disse accarezzandole la guancia col dorso della morbida mano rugosa –Vai a casa, Atmah. Nulla è impossibile, l’importante è non smettere di crederci, qualsiasi cosa succeda. E un giorno, quando anche tu sarai vecchia, e la vita ti ripresenterà nella sua interezza, potrai ripensare a piccoli momenti, quelli belli. E il mondo non ti apparirà così terribile. Guarda tu stessa; è tutto buio intorno a noi, eppure… la vedi là in fondo quella luce? Il sole sta sorgendo. Questa è l’alba di una nuova età per tutti, ma non esserne spaventata, anzi, affrontala e rendila tua. Io ho combattuto e tramato per tutta la mia vita, fino pochi giorni fa, e sono stato battuto, infine. Ma questa è soltanto la mia opportunità per passare il tempo che mi rimane con la mia Herminia. E tu… non devo dirti io come passare la tua vita. Solo… vivila! Può accadere di tutto… ma tu vivila, la tua vita!-
Dopo qualche secondo, a Redguard si sporse dalla sella e abbracciò Sintas.
Ricambiato l’abbraccio, l’Imperiale prese dalla propria borsa un grosso sacchetto di tela e due buste.
-Questi sono un po’ di septim per permetterti di sistemarti, il lasciapassare per la nave, e una lettera che farà liberare tua sorella- spiegò porgendole i tre oggetti.
Dopo qualche momento di silenzio, Atmah prese gli oggetti, scendendo da cavallo, e ringraziò con un muto cenno di capo.
-La tua nave partirà a breve, e noi dobbiamo avviarci. Quando dovremmo arrivare a casa?- chiese Sintas continuando a guardare le donna.
Una delle due guardie scrutò pensierosa il cielo, poi posò lo sguardo sulle colline che si estendevano verso nord.
-Al tramonto, se siamo veloci- dichiarò convinto –Ma non dovremmo avere problemi-
-Allora dobbiamo partire- disse l’altro armato –non ci sono locande fuori dalla Gold Road, e la notte non è sicuro addentrarsi nelle radure-
-Non c’è bisogno che mi diate consigli- rise l’anziano imperiale –sono nato e cresciuto in queste terre-
-Però hanno ragione- aggiunse rivolto alla Redguard –è giunto il momento di separarsi-
-Addio…- sussurrò con voce fioca Atmah.
-Addio- rispose Cornelius Sintas –che tu possa tornare a casa senza problemi-
Le due guardie chinarono il capo in segno di saluto, per poi spronare i propri cavalli a partire, seguiti dal loro padrone.
Le tre sagome si allontanarono, fondendosi col paesaggio dorato.
La Redguard rimase a fissarli per un po’, per poi voltarsi verso le mura di Anvil.
Dopo aver dato un ultimo sguardo ai tre cavalieri, si incamminò verso la città.
Due guardie assonnate le aprirono i cancelli cittadini, permettendole di passare in mezzo alle case, ancora immerse nel silenzio e nel sonno; si sentivano soltanto i lontani rumori metallici causati dallo sfregamento dei pezzi d’armatura che indossavano le guardie, che pattugliavano tenendo un occhio chiuso a causa della stanchezza.
Atmah girò a sinistra e, passate le sedi delle gilde, si ritrovò davanti alla sagoma del campanile della Cappella di Dibella, di fronte alla quale si ergeva un piccolo portico sorretto da eleganti archi a sesto acuto.
Mentre vi passava davanti, l’attenzione della donna fu catturata dal suono della campana che si propagava deciso nel cielo che sovrastava la città.
“Dev’essere iniziata la settima ora del giorno” pensò “meglio sbrigarsi”
Accelerando il passo, raggiunse i cancelli che consentivano l’accesso al porto e al castello.
La costa dorata si piegava in quel punto in una piccola baia, che era stata sfruttata in dall’antichità dagli abitanti del posto per il commercio.
Su un piccolo isolotto nella parte sud si ergeva il castello, che quel giorno era splendidamente addobbato da festoni e stendardi per l’imminente ritorno dei conti Corvus e Millona Umbranox, mentre all’estremità di un piccolo promontorio a nord era stato costruito un faro, da sempre utilizzato come meta turistica per la magnifica vista che permettevano la sua altezza e la sua posizione.
In mezzo, dal lato delle mura, vi erano i magazzini, una locanda e un alloggio per marinai, mentre all’altro lato era attraccate le navi mercantili.
Ad ovest, si estendeva il Mare Abeceano, a nord vi erano Hammerfell e High Rock, e a sud si poteva arrivare fino alle Isole Summerset.
Atmah si diresse verso la seconda nave più vicina, sulla quale un gruppo di marinai stava incitando i passeggeri a salire.
-È questa la nave diretta a Daggerfall con scalo a Sentinel?- chiese a quello che pareva un ufficiale.
-Sì, signorina, siete nel posto giusto- rispose vivace quello, lanciando un paio di occhiate a dir poco “ardite”- Voi dovete essere la Redguard di cui mi avevano parlato… quella che lavora per il nobile del Consiglio degli Anziani-
-Lavoravo- precisò la donna –sì, sono io. Ecco il lasciapassare-
-Benvenuta a bordo, signorina…- esclamò l’uomo.
-Atmah- completò l’altra, per poi salire a bordo.
Dopo cinque minuti, tutti i passeggeri furono saliti e il vascello partì.
A differenza del resto dei viaggiatori, Atmah decise di rimanere sul ponte, a guardare il sole che stava ultimando la sua lenta comparsa.
Anche un giovane bretone non era andato in coperta e, dopo aver lanciato un’ultima, lunga occhiata a Cyrodiil, raggiunse Atmah sul bordo del ponte, rimanendo ad un paio di metri di distanza.
Dopo un ultimo sforzo, la dorata forma rotonda del sole fu completa; il suo viaggio nel cielo era appena ufficialmente ricominciato, ed era cominciato un nuovo giorno.
Era cominciata una nuova era per tutti, per gli abitanti della Città Imperiale, sotto un nuovo imperatore, per Sintas, ma anche per Atmah, o addirittura per il Bretone che le stava di fianco, ne era certa.
La Redguard guardò un’ultima volta la busta.
Una nuova era era cominciata, e quella volta lei era lontano da tutto il male che aveva vissuto.
Un gruppo di gabbiani passò sopra di loro, emettendo un lungo garrito che si disperse nell’aria.
Il sole continuava a salire; completamente libero dall’orizzonte, illuminò tutto l’oceano.
L’acqua si trasformò in un attimo in una distesa di vetro dorato.
La grigia nave continuava ad andare avanti.
Verso ovest.
Verso casa.
 
 
 
 
 
Uh, ce l’ho fatta.
Dopo tre storie e trentaquattro capitoli la serie di Downfall è conclusa; non penso che scriverò altro su questi personaggi, ritengo che mi abbiano dato tutto quello che potevano darmi, e spero lo abbiano fatto anche con chi abbia letto questa storia; la sua scrittura ha richiesto più di un anno di lavoro, ma mi ha dato tante soddisfazioni.
E tutto questo anche grazie a voi, a chiunque abbia letto queste storie, perciò: GRAZIE.
Grazie di tutto, in particolare a Nuanda TSP, Curse_My_Name, Royce, Helmyra, IlMareCalmoDellaSera e WindMaker9­_ per aver recensito anche soltanto un capitolo della serie.
Grazie ancora, spero di rivedervi presto, ad una storia vostra o mia.
Un saluto,
QWERTYUIOP00
 
 
 

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