Safe Destiny - Running Scared

di _Reset_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo

 

Era un caldo pomeriggio estivo quando finalmente il postino portò le lettere con le conferme. L'uomo era in bici e fischiettava felice pedalando lungo il vialetto d'ingresso della villa, sicuro che la padrona sarebbe stata in veranda ad aspettarlo, cosa che faceva da ormai più di un mese. Come previsto la donna gli si avvicinò con la solita espressione speranzosa. Senza dire nulla il postino le porse le tre lettere a lungo attese. Il volto della donna si illuminò di gioia facendo sorridere l'uomo poiché quell'espressione la faceva proprio sembrare una bambina, nonostante avesse 23 anni.

- Amore, hanno risposto! Hanno risposto tutti!- esclamò la donna correndo in casa verso il marito che le sorrideva dolcemente essendo cosciente di quanto lei ci tenesse.

La donna aprì la prima lettera e lesse velocemente il contenuto, poi gridò:- Evviva!-.

Il marito la guardò perplesso, ma rimase tranquillamente seduto sulla poltrona vedendo la moglie raggiungerlo. La donna si sedette sulle sue gambe ed indicandogli la prima lettera mormorò:-Arrivano stasera e portano anche Johnathan! Non vedo l'ora di vederlo! Dobbiamo preparare tutto! O mamma mia, quanto lavoro!-.

L'uomo le diede un bacio sulla guancia e le sussurrò:- Prima leggi le altre, amore, così prepariamo tutto.-. La donna annuì ed aprì velocemente anche la seconda lettera.

- Finalmente rivedremo il piccolo Philip! Da quanto tempo non lo vediamo! Anche per loro devo preparare tutto per questa sera... Vediamo cosa dicono questi ultimi...- borbottò lei rivolta al marito che la stringeva dolcemente a sé.

Aprì la terza busta e lesse avidamente il contenuto, poi esclamò:- Fantastico! Vengono tutti allora! Portano anche Lydia e Mark! Certo che però potevano avvisare un pochino prima... anche loro vengono stasera...-.

- Tranquilla, ti aiuto io! Vedrai che sarà tutto pronto per il loro arrivo. Comunque i bambini li dividerei in base all'età nelle camere...due per stanza dovrebbe andare bene...- le sussurrò il marito per calmarla.

Un tenero zampettio sulle scale li fece tornare alla realtà.

- Mamy, mamy! Allora vengono?- domandò la piccola Lucy entrando nel salotto subito seguita dal gemello Samuel, da tutti chiamato Sammy.

La coppia sorrise e la donna si alzò, prese in braccio la figlia e dolcemente rispose:- Sì, tesoro. Arrivano tutti questa sera, quindi dobbiamo preparare tutto velocemente, ok?-.

Si misero allora tutti al lavoro, ognuno a modo suo, affinché tutto fosse pronto per la sera.

Nel frattempo le tre famiglie attese erano in viaggio.

Johnathan si trovava con i suoi genitori su un treno piuttosto vecchio in corsa lungo dei binari arrugginiti che lo facevano sobbalzare in continuazione impedendo al piccolo di dormire. Rinunciando al tentativo di sonnecchiare, nonostante quella mattina si fosse dovuto alzare alle tre per il viaggio, il bambino cercava con i suoi occhi attenti qualcosa di particolare da osservare per far passare il tempo più velocemente. Inizialmente fissò il paesaggio fuori dal finestrino ammirando la moltitudine di colori di cui si tingeva il cielo con il tramonto, ma poi il treno entrò nella galleria sotterranea che Johnathan sapeva essere molto lunga, quindi soffermò lo sguardo sui suoi giovani genitori. Erano otto anni che stava con loro e ancora non si capacitava del loro legame. Lei appoggiava dolcemente il capo sulla spalla di lui mentre il compagno la sosteneva controllando che non cadesse. John sapeva che i suoi genitori erano diversi da quelli degli altri bambini che conosceva, non solo per il loro aspetto, dato che lei pareva una diciassettenne mentre lui un diciannovenne, ma anche per il loro legame. Infatti il padre era elegante e distaccato e la madre espansiva e socievole, ma nonostante le differenze il loro legame era eterno, il loro amore prossimo alla perfezione. Il sonno prese il sopravvento nel bambino che lentamente chiuse gli occhi tenendo impressa nella mente l'immagine del padre che scostava i capelli alla moglie e le baciava la fronte facendola sorridere dolcemente.

Su una nave nell'oceano Atlantico intanto stavano viaggiando Philip ed i suoi genitori. Le onde riflettevano l'accecante luce del tramonto e Philip le fissava sperando di scorgere un delfino o magari una balena. Gli altri passeggeri non notavano lo splendore dell'oceano: l'aria era invasa dalla musica e tutti si stavano muovendo a ritmo, qualcuno in modo elegante, altri in modo ridicolo. - Philip, tesoro, vieni anche tu! È divertente!- esclamò sua madre avvicinandosi a lui continuando a seguire la musica con i movimenti. Il bambino le sorrise, ma scosse la testa e tornò a fissare le onde. - Hey, cucciolo, non puoi fare l'asociale... siamo in vacanza! Hai sette anni, vieni a divertirti con noi!- esclamò il padre raggiungendolo. Il bambino scosse nuovamente la testa senza spostare lo sguardo facendo sbuffare il genitore. Philip si sentì preso in braccio ed il padre gli sussurrò nell'orecchio:- Se ti faccio vedere un delfino poi vieni? Sai che la mamma ci tiene... Siamo d'accordo?-. Come promesso dopo alcuni istanti un delfino saltò fuori dall'acqua schizzando il volto del bambino. Il padre lo portò nel mezzo della pista da ballo dove li aspettava la madre che fece posare a terra il figlio, gli prese la mano ed iniziò a ballare un po' a caso. Anche il padre riprese a ballare stringendo tra le braccia la moglie. I lunghi capelli neri e mossi della madre ondeggiavano leggeri nell'aria confondendosi a volte con quelli del padre dello stesso colore ma lisci. La madre ventisettenne ed il padre di due anni più vecchio erano molto simili e non solo per i capelli: entrambi avevano la carnagione di un dolce color dorato ed erano alti quasi uguali ma la caratteristica in cui erano più simili era il carattere, infatti nessuno era mai riuscito a lasciarli senza parole. Lui scherzava sempre in modo beffardo mentre lei era la regina dell'ironia e del sarcasmo e quindi non c'era modo per zittirli se volevano dire qualcosa. La cosa però che più piaceva a Philip dei suoi genitori era il loro legame: spontaneo, unico, indissolubile, quasi eterno e perfetto.

Il bambino constatò che la madre aveva ragione dicendo che era divertente ballare, ma ciò nonostante in quei brevi istanti in cui riusciva a vedere l'acqua dell'oceano sperava comunque di poter vedere un'altra creatura marina nella sempre più fioca luce del tramonto.

Nel frattempo stavano viaggiando su un aereo in volo Lydia e Mark con i loro genitori. Entrambi i ragazzi stavano ascoltando la musica a tutto volume mentre ragionavano su cosa sarebbe successo: loro erano i più grandi tra i figli degli amici dei loro genitori, avevano infatti tredici e quindici anni, ed inoltre Lydia e Lucy erano le uniche femmine. Ciò però non preoccupava la ragazza perché sapeva di essere forte, proprio come sua madre che in quel momento stava parlando con il marito con aria severa, come se gli stesse ricordando delle regole. Lydia si voltò verso il fratello che aveva iniziato a giocare al suo videogame preferito in cui doveva sparare agli zombie e che a lei non piaceva: era troppo facile! Tornò allora a fissare i suoi genitori che ora stavano chiacchierando sorridendo. Le sue compagne di classe la prendevano sempre in giro per il loro legame, dicevano che non si amavano, ma lei le ignorava dimostrandosi superiore. Loro erano solo delle femminucce, che ne sapevano? Loro non li conoscevano quanto lei, nonostante la ragazza sapesse di non poter ancora capire tutto di quella strana coppia. La madre era piccola in statura, ma grande in carattere: severa, sportiva e molto forte in ogni senso si possa assegnare alla parola. Era anche molto impulsiva e non c'erano molte cose che potessero impedirle di raggiungere ogni obiettivo lei si ponesse. Tra questi c'era il marito, calmo e riflessivo nonostante fosse anche lui molto sportivo e forte, ma esprimendo ciò in modo diverso. Infatti se la madre manifestava la sua forza soprattutto nella sua parte fisica, il marito ne mostrava tutta la sua efficacia nella parte morale. Anche le loro caratteristiche fisiche rappresentavano i diversi caratteri: lei piccola dai capelli neri, lisci e gli occhi verdi, lui alto dai capelli biondi, sempre lisci e gli occhi blu, lei sembrava una gothic, lui un principe azzurro delle fiabe. Eppure nonostante tutte le loro differenze Lydia era certa che si amassero, magari non nello stesso modo come i genitori delle sue compagne di classe, ma sicuramente il loro legame era di un purissimo e raro amore. La ragazza sorrise compiaciuta per conoscere una cosa in più delle altre ragazzine con cui purtroppo doveva passare molto tempo assieme, poi si voltò verso il fratello per osservare cosa stava facendo. Mark era ormai all'ultimo livello del videogame, ma non gli stava prestando attenzione: ormai lo conosceva a memoria e le sue dita digitavano velocemente per automatismi i tasti che gli permettevano di vincere. Poteva benissimo chiudere gli occhi e disconnettere il cervello da tutto, dallo sguardo da detective di sua sorella, dalle gomitate involontarie che gli dava la madre nel gesticolare, dalle chiacchiere degli altri passeggeri dell'aereo, dalla musica a palla nelle cuffie, dal videogame che stringeva tra le mani,... tanto avrebbe vinto lo stesso, lui vinceva sempre. Non solo in quel videogioco, ma in tutto. Non si sarebbe mai permesso di perdere se solo gli fosse possibile essere vinto. Assomigliava molto più a sua madre che al padre: preferiva l'azione alla riflessione attenta delle possibilità e purtroppo ciò lo portava spesso ad entrare nei problemi. Infatti spesso i suoi compagni di classe lo sfidavano per vedere chi fosse il più forte e per orgoglio lui non poteva rifiutare, ma veniva sempre scoperto dai professori e quindi tutti i giorni tornava a casa con una nota che fortunatamente riusciva sempre a far firmare dalla madre che era sempre molto comprensiva al riguardo e riusciva a scampare ai predicozzi di cui sentiva parlare i compagni. Se però fosse stato come il padre, o anche solo più simile alla sorella, sicuramente non avrebbe avuto questi problemi. La sorella si salvava sempre con minacce, insulti, sguardi, gesti, frasi colme di sarcasmo e finti attacchi a quelle sue odiose compagne che si credevano tanto più di lei in tutto. Lydia era forte fisicamente, molto più di quelle stupide, eppure non sfruttava mai ciò, se non con lui. Solo lui aveva il privilegio di sentire lo sfogo di tutta la rabbia a stento repressa, di tutta quella furia e voglia di battersi che la invadeva tutti i giorni. Quando i due fratelli si battevano non era perché stavano litigando: era un modo per tenersi allenati, per sfogarsi e divertirsi. Mark non avrebbe mai potuto perdere, perché sapeva che ribellandosi agli stupidi che credevano di poterlo battere faceva anche un favore alla sorella che era sempre lì ad osservarlo silenziosa mentre probabilmente il cervello le diceva che ciò era sbagliato, mentre il cuore la spingeva ad agire.

Durante questa vacanza però non si sarebbero battuti contro nessuno se non tra loro: gli altri erano molto più piccoli ed inoltre non erano come i loro compagni di scuola: non erano normali, banali e scontati, anche loro erano diversi in quella maniera che quando lo dicevano o lo pensavano li faceva brillare di orgoglio.

Mark alzò lo sguardo verso sua sorella continuando tuttavia a giocare. Lydia ricambiò subito lo sguardo e sorrise. Durò un attimo, una frazione di secondo, ma durò: quello sguardo era l'unica cosa che serviva per dimostrare la propria intesa. Entrambi tornarono alle proprie faccende pensando alle loro valige stracolme e a come avrebbero fatto a starci insieme a quelle dei genitori in un solo taxi fino ad arrivare a quella che sarebbe stata la loro casa per molto tempo.

 

* * *

 

Lucy e Sammy erano accovacciati su una poltrona vicino alla finestra della veranda sporgendosi fino a quasi toccare il vetro con i loro piccoli nasini sperando di veder arrivare le luci dei taxi con dentro i loro amici che aspettavano da tanto. I loro genitori intanto stavano dando gli ultimi ritocchi all'enorme tavolata che avevano preparato per la cena.

- Mamy, papy, arrivano!- esclamò improvvisamente Lucy vedendo il primo fascio di luce avvicinarsi alla casa. Tutti corsero velocemente fuori per dare il benvenuto agli ospiti.

Dal primo taxi uscirono Lydia e Mark seguiti dai loro genitori. Le loro valige erano veramente enormi e ce ne erano due attaccate sopra il veicolo perché il baule era pieno. Lucy e Sammy andarono subito a salutare i loro amici di molto più grandi, mentre i loro genitori aiutavano a portare in casa le valige, nonostante i genitori degli amici fossero molto più forti di quelli dei bambini.

I due ragazzi si tolsero le cuffie della musica e salutarono con un gesto della mano quasi simultaneo i due bambini. Dai loro volti si vedeva che erano un po' stanchi per il viaggio, ma né Lucy né Sammy osò farglielo notare perché sapevano benissimo che non amavano mostrare le proprie debolezze.

Non fecero in tempo a parlare che giunse anche il secondo taxi.

Quando la portiera si aprì ne uscì il giovane Johnathan sbadigliando per il sonno. Con un lento gesto della mano salutò i suoi amici e prese la sua valigia. Si avvicinò poi ai due ragazzi e ai due bambini e borbottò ancora non completamente sveglio:- Come va?-.

- Bene, grazie, tu?-. - Tutto bene, voi due invece?-. - Benissimo! Adesso manca solo Philip!-.

A differenza di Mark, Lydia e Sammy, Lucy non rispose ma gli corse in contro e gli si lanciò al collo per dargli un bacio sulla guancia: lui era il suo migliore amico, nonostante avessero tre anni di differenza. Scoppiarono tutti a ridere per poi voltarsi tutti verso il vialetto che rimaneva scuro e vuoto.

- Che strano! Di solito Philip vuole sempre arrivare per primo...- borbottò John stringendo un po' a sé la piccola Lucy per non farla cadere. Gli altri annuirono pensierosi, ma subito l'atmosfera seria si dissolse, perché le luci dell'ultimo taxi fecero capolino sul vialetto sterrato dell'ingresso della casa.

Dall'auto saltò subito fuori Philip che corse dagli amici ed ansimando esclamò:- Scusate il ritardo... Pa' e ma' hanno voluto fare una deviazione per fare il lungomare...-.

Tutti scoppiarono a ridere ed entrarono finalmente nella casa.

Non appena gli adulti ebbero finito di sistemare i bagagli tutti si sedettero a tavola. Ognuno aveva il proprio piatto personalizzato con la pietanza preferita. Tutti mangiarono molto velocemente perché il viaggio li aveva resi affamati. Alla fine della cena Lucy e Sammy accompagnarono i loro amici nelle rispettive camere per potersi organizzare, poi si radunarono nella camera dei più piccoli per chiacchierare un po' mentre i genitori finivano di organizzare tutto e di lavare i piatti della cena.

Alle dieci anche gli adulti salirono nella cameretta dei due gemelli per assicurarsi che tutto fosse a posto e che andassero a dormire. I ragazzi però, nonostante il lungo viaggio, non avevano sonno, nemmeno i due più piccoli perché la gioia di avere lì i loro amici gli impediva di dormire.

- Papy, perché non ci racconti una storia?- suggerì il piccolo Sammy per non dover andare subito a dormire.

Anche gli altri erano favorevoli a sentire una storia pur di non andare a dormire, quindi l'uomo chiese:- Quale storia volete che vi racconti?-.

- Safe destiny!- esclamò subito Lucy entusiasta.

La madre le si avvicinò sorridendo dolcemente e sussurrò:- Ma te l'ha già raccontata migliaia di volte!-. Il padre però si sedette sul letto del piccolo Sammy ed esclamò:- Non ho problemi a raccontarla di nuovo. Va bene a tutti? Anche agli adulti?-.

Tutti annuirono felici e cercarono un posto dove sedersi comodi: alcuni si sedettero sul bordo dei letti dei due bambini, altri per terra, altri cercarono delle sedie.

Quando tutti furono seduti comodi l'uomo borbottò:- Da dove posso cominciare...?-.

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Capitolo 1

 

La neve fluttuava lenta nell'aria immobile e si posava leggera su ogni ramo o roccia del bosco come una candida coperta.

Tutto era fermo e silenzioso, come se anche gli alberi fossero andati in letargo.

Tra quegli alberi, in cerca di riparo, correva la piccola Emily.

Aveva gli occhi rossi, ma non stava piangendo. Indossava il suo cappotto preferito che lasciava vedere solo il bordo della gonnellina, le calzamaglie e delle scarpette calde che però si vedevano a stento perché sprofondavano nella neve lasciando delle piccole impronte.

Il suo respiro irregolare per la corsa creava delle piccole nuvolette, ma non poteva fermarsi: mamma e papà non avrebbero voluto che si fermasse. La bambina sapeva che la stava seguendo, che lui le voleva fare del male, proprio come ai suoi genitori.

Si fermò un istante e si voltò a guardare le sue impronte. Oltre le cime degli alberi vide un denso fumo nero che lei sapeva trasportare il suo passato, la sua casa, i suoi genitori.

Riprese a correre fino a raggiungere una parte del bosco dove gli alberi si diradavano formando una zona quasi circolare priva di vegetazione. Lì, dall'altro lato della radura, si stagliava un'ombra avente figura umana.

Per un istante la bambina pensò potesse essere lui, ma poi si levò una gelida folata di vento che mosse i capelli dell'uomo: non era lui, lui non aveva i capelli lunghi.

La piccola Emily sentì un rumore di passi avvicinarsi. Riprese a correre, ma questa volta, a differenza di prima, aveva una meta.

- Signore, signore, la prego, signore, mi aiuti! La prego!- iniziò a gridare avvicinandosi alla figura intravista.

La neve però le impediva di vedere dove appoggiava i piedi, quindi no vide un ramo adagiato per terra ed inciampò. Chiuse gli occhi impaurita facendo scivolare lentamente le prime lacrime lungo le guance, ma l'impatto tardò ad arrivare. Riaprì lentamente gli occhi e si trovò tra le braccia di un ragazzo dall'aria elegante, pallido e con i capelli lunghi mossi e neri tenuti in una coda di cavallo che la stava sorreggendo in modo dolce e premuroso.

Con il suo aiuto la piccola Emily si rialzò e si asciugò le lacrime. Si pulì poi il cappotto e si ordinò i codini, poi finalmente osò alzare lo sguardo per fissare meglio quello che lei riteneva già il suo salvatore.

Indossava dei lunghi pantaloni neri di un tessuto liscio e soffice e una giacca antiquata dalla quale sbucava una candida camicia che formava delle morbide onde sia al colletto sia alle maniche e che si intravedeva anche al bordo basso della giacca.

Le stava sorridendo dolcemente restando piegato appoggiando un ginocchio per terra per rimanere alla sua altezza.

- Come ti chiami, piccola?- domandò cortesemente raccogliendo da terra la sciarpa caduta alla bambina che, guardando timidamente il ragazzo, rispose:- Emily.-.

- E cosa fai tutta sola nel bosco? Quanti anni hai?- domandò nuovamente lo sconosciuto.

La bambina per rispondere alzò la manina con il palmo aperto sorridendo fiera.

Un rumore alle sue spalle la fece voltare e cambiare espressione in terrorizzata: lui l'aveva raggiunta.

Aveva gli occhi rossi, così come la bocca e la camicia che erano sporche di sangue.

La piccola Emily strinse le braccia attorno alla gamba del giovane sconosciuto cercando riparo.

- Ciao, piccola. Se fai la brava e vieni qui risparmio il tuo amico, ok? Fai la brava bambina...- mormorò l'uomo in modo beffardo.

La bambina non ebbe il tempo di pensare, perché il giovane sconosciuto si alzò, allungò un braccio verso lei per impedirle di muoversi ed esclamò in tono di sfida:- Vieni a prenderla!-.

L'uomo iniziò a correre e la piccola Emily chiuse gli occhi impaurita sentendo però la gamba del giovane liberarsi dalla sua presa. Non sentì grida né rumore di corpi in movimento, poi improvvisamente si sentì sfiorare la guancia e riaprì gli occhi terrorizzata.

Il giovane sconosciuto le stava di fronte sorridendo dolcemente e con il colletto della camicia sporco di sangue; dietro di lui il corpo immobile dell'uomo.

La bambina era sbalordita e sollevata perché si era già affezionata al giovane, quindi allungò le braccia e strinse forte a sé il suo salvatore.

- Ti va di raccontarmi cosa ti è successo?- le domandò in modo premuroso.

La piccola Emily annuì ed iniziò a raccontare:- Abito con mamma e papà in una casetta nel bosco. Oggi quel signore ha buttato giù la porta. Prima credevamo che fosse della milizia cittadina, ma poi i suoi occhi sono diventati rossi. Mamma e papà mi hanno detto di correre via e così ho fatto. Lui gli ha fatto del male e adesso la mia casa sta bruciando.- sussurrò indicando la coltre di fumo.

- Hai un posto dove stare?- chiese subito il giovane.

Emily scosse la testa ed esclamò:- Però voglio andare in città perché mamma e papà me lo hanno detto... hanno detto anche che in città non ci sono i vampiri.-.

Il ragazzo si irrigidì e sussurrò pensieroso:- Non ci sono i vampiri in città...-. La bambina annuì sicura e spiegò:- I vampiri sono cattivi!-.

- Ne sei sicura, piccola?- domandò lentamente il giovane e quando Emily annuì le chiese:- Come fai ad esserne così certa?-.

La bambina esclamò subito:- Me lo hanno detto mamma e papà!-.

Il ragazzo sorrise e mormorò:- Tesoro, non tutti i vampiri sono cattivi.-.

Emily lo guardò perplessa e boffonchiò indicando il cadavere alle sue spalle:- Ma lui era una vampiro ed era cattivo!-.

Il giovane le sorrise intenerito, le arruffò dolcemente i capelli e le domandò:- Io sono cattivo?-.

Subito la piccola scosse la testa con convinzione.

- Io sono un vampiro.- mormorò lui.

Emily non sapeva come reagire: doveva credere che tutti i vampiri fossero cattivi come le avevano insegnato i suoi genitori, oppure doveva fidarsi di quel ragazzo sconosciuto che le aveva appena salvato la vita? Fissò per alcuni istanti la colonna di fumo che si ergeva alle sue spalle, poi si voltò verso il giovane sorridendo e mormorò:- Allora si erano sbagliati mamma e papà.-.

Il giovane le accarezzò dolcemente il volto, poi esclamò:- Ma che scortese, mi sono dimenticato di presentarmi! Io sono Dorian e abito con il mio clan in una villa in questo bosco. Se vuoi puoi passare la notte da noi e domani ti aiuto a trovare qualcuno con cui stare, magari un parente...-.

La bambina annuì entusiasta e si fece prendere in braccio.

Solo in quel momento, salva e coccolata, si sentì esausta per la corsa, debole per l'ansia e triste per i genitori. Strinse con più forza le braccia attorno al collo del ragazzo e lentamente si addormentò, vedendo per ultima cosa il paesaggio che scorreva veloce intorno a lei grazie alla celebre velocità dei vampiri.

Si svegliò solamente quando sentì dei sussurri vicino a lei.

- Ma sei impazzito? Perché l'hai portata qui?- sussurrò una voce in tono altezzoso e tutt'altro che felice.

- Dorian, non credo che sia una buona idea.- mormorò una voce maschile in modo cauto.

Emily si sentì sfiorare la fronte, poi una voce femminile sussurrò dolcemente:- Ha la febbre molto alta... se non l'avesse portata qui probabilmente non avrebbe visto sorgere il sole ancora... Dobbiamo aiutarla!-.

- Io non voglio fare il babysitter!- borbottò una voce maschile.

- Ragazzi, state zitti: si sta svegliando.- esclamò un'altra voce femminile.

La bambina aveva infatti iniziato a sbattere lentamente le palpebre e si era messa a sedere.

Quando aprì gli occhi si trovò su un divano in pelle in un salotto arredato in modo antiquato ed elegante illuminato solo da candele e circondata da sette ragazzi di circa vent'anni, tre ragazze e quattro ragazzi, tra cui Dorian.

- Ti chiedo scusa se ti abbiamo svegliata. Come ti senti? Loro comunque sono il mio clan, non aver paura.- le mormorò dolcemente, ma la piccola Emily aveva sentito una parte della discussione ed era preoccupata: se non poteva stare lì dove sarebbe andata? E anche se Dorian fosse riuscito a convincere i compagni, sarebbe stata la causa di un litigio e problemi per il suo salvatore?

Non poteva permettere di essere la causa di un disagio per quel ragazzo che era stato così buono con lei, quindi si alzò dal divano senza rispondere ed iniziò a cercare il suo cappotto con gli occhi. Non appena lo trovò appeso ad un attaccapanni, si avvicinò e allungò le braccia per prenderlo, ma era troppo in alto per lei. Si voltò un po' imbarazzata e rivolta verso Dorian mormorò:- Me lo potresti passare?-.

- Emily cara, ti ho già detto che puoi restare qui a dormire. Se hai freddo ti prendo una coperta...-esclamò il ragazzo, ma la bambina scosse la testa e borbottò:- Devo andare.-.

Tutti restarono di stucco.

Una ragazza con i capelli rossi lunghi le si avvicinò sussurrando:- Non puoi andare da nessuna parte con la febbre che hai! E poi Dorian ci ha detto che non hai un posto dove andare...-.

- Devo andare.- borbottò nuovamente Emily cercando di controllare la voce ma sentendo gli occhi riempirsi di lacrime.

Un ragazzo basso e biondo esclamò:- Oddio, ragazzi, sta piangendo! È tutta colpa tua Elenor!-.

- E perché dovrebbe essere colpa mia? Sei tu quello che ha detto di non voler fare il babysitter!- ribatté subito la ragazza bionda.

La bambina capì che nessuno l'avrebbe aiutata a prendere la giacca, quindi corse fuori dalla stanza e trovò alla sua sinistra il portone d'ingresso. Non appena fu fuori il gelido vento la fece rabbrividire, ma ciò non riuscì a fermarla, quindi iniziò a correre senza meta.

Aveva oltrepassato solo alcuni alberi quando si sentì sollevare. Dorian l'aveva presa in braccio, la strinse forte a sé per non farle sentire il freddo e la riportò nella villa.

- Ma io devo andare...- sussurrò Emily sentendo gli occhi umidi, ma il ragazzo la interruppe mormorando:- Tu non hai un posto dove andare, piccola! Loro non pensano veramente ciò che dicono... Sono certo che capiranno ed accetteranno, li conosco, sono miei amici!-.

La bambina si asciugò la lacrima traditrice che le era scivolata lungo la guancia ed annuì poco convinta.

- La piccola può restare, Dorian. Però sarai tu ad organizzare tutto ciò che le serve.- mormorò un ragazzo alto con i capelli neri, lisci, più lunghi di quelli di Dorian ed anch'essi raccolti in una coda di cavallo.

Emily si sentì sollevata e tornò con i due ragazzi nel salotto. Adesso tutti le stavano sorridendo e finalmente la bambina si sentì accettata, quindi sussurrò:- Grazie.-.

La ragazza dai capelli rossi le porse la mano esclamando:- Vieni, cara. Ti porto a fare un bel bagno caldo.-. Insieme tornarono nell'ingresso, salirono la scalinata marmorea e svoltarono a sinistra, seguirono il corridoio nella curvatura a novanta gradi verso destra ed proseguirono fino al fondo.

Il bagno aveva il pavimento bianco coperto da morbidi tappeti azzurri, mentre le pareti erano ornate da mattonelle azzurre di varie sfumature.

- Come vuoi l'acqua? Bollente, caldina o tiepida?- chiese la ragazza dolcemente e la piccola rispose:- Come le è più comodo, signorina.-.

La giovane scoppiò a ridere e preparando la vasca da bagno esclamò:- Per favore, non chiamarmi signorina! Mi chiamo Alicia, chiamami pure per nome e dammi pure del tu!-.

Con il suo aiuto Emily si spogliò ed entrò nella vasca da bagno. L'acqua calda la fece subito sentire meglio ed iniziò a giocare con la schiuma. Si voltò poi verso Alicia che la guardava dolcemente, quasi come la guardava sua madre...

Qualcuno bussò alla porta distogliendo l'attenzione della bambina dai tristi ricordi. La porta si socchiuse ed entrarono velocemente le altre due ragazze viste nel salotto. La prima aveva i capelli castani scuri tenuti a caschetto con due ciocche appena più lunghe ai lati del volto e gli occhi azzurri tendenti al grigio tanto erano chiari. La seconda era molto alta e slanciata, con i lunghi capelli biondi lisci e gli occhi di un blu acceso. Tutte e tre le ragazze avevano un'aria molto elegante ed erano secondo Emily molto belle, anche se in modo diverso. Infatti Alicia a differenza delle altre due era molto meno distaccata ed i suoi occhi color nocciola brillavano di affetto ogni volta che incrociavano quelli della piccola, la ragazza bionda invece sembrava un po' altezzosa e vanitosa, proprio come la bambina si era sempre immaginata le principesse, mentre quella castana sembrava una via di mezzo tra le due.

- Emily cara, queste sono Elenor e Caelia.- esclamò Alicia indicando prima la ragazza bionda e poi quella castana. Le due giovani fecero un cenno sorridendo, poi iniziarono a chiacchierare a bassa voce con la compagna riguardo tutte le varie necessità della bambina, cercando di non disturbarla dal suo bagnetto.

La piccola Emily giocò a lungo con la schiuma mentre pensava alla giornata.

Finito il bagno Alicia la aiutò ad asciugarsi mentre Caelia le pettinava i capelli in modo affettuoso. Elenor le portò una piccola camicia da notte, probabilmente molto lussuosa e di moda qualche secolo prima, e l'aiutò ad indossarla. Le tre ragazze poi l'accompagnarono a quella che sarebbe poi diventata la sua stanza, le aggiustarono le coperte e le diedero la buonanotte prima di raggiungere i ragazzi.

La bambina però non si addormentò subito: stava ammirando la sfarzosa camera che già le piaceva molto. Come il resto della villa anche quella stanza era arredata in modo antiquato e dava l'idea di essere molto lussuosa: le pareti erano rivestite di una stoffa verde scuro e dello stesso colore, in toni leggermente più scuri o chiari, erano le coperte, le tende e i rivestimenti dei cuscini e delle sedie. C'era un enorme armadio di un legno scuro che ricopriva un'intera parete, mentre le altre erano decorate con quadri e mobili di vario tipo ed uso, come un'enorme e magnifico specchio.

Il letto aveva il baldacchino e ciò fece sorridere Emily che si sentì una vera principessa.

La bambina si rigirò più volte nel letto, ma non riusciva proprio a prender sonno: troppi pensieri le vagavano nella mente e troppe paure invadevano il suo cuore.

Decise quindi di cercare un qualche conforto nella villa: si alzò dal letto ed uscì in corridoio camminando scalza per non fare rumore.

Trovò nel corridoio una porta socchiusa dalla quale usciva un raggio di luce di candela. Bussò delicatamente ed entrò timorosa.

La stanza era molto simile alla sua, ma era tutta ricoperta dalla stoffa nei vari toni del blu con ricami dorati. Su una poltrona c'era Dorian con un libro in mano che ora la fissava con uno sguardo affettuoso.

- Non riesci a dormire?- le chiese dolcemente alzandosi ed avvicinandosi a lei. La bambina annuì un po' imbarazzata per aver disturbato ancora il suo salvatore. Il ragazzo si inginocchiò davanti a lei e le carezzò il volto facendola arrossire.

Emily prese un respiro profondo, poi sussurrò velocemente:- Posso dormire con te?-.

Dorian le sorrise un po' imbarazzato a sua volta per la domanda inaspettata, poi le chiese:- Hai paura a stare da sola?-.

Nuovamente la bambina annuì, sempre più rossa in viso.

- Se ti può essere di conforto dormire con me, allora certamente puoi rimanere qui, piccola.- mormorò il ragazzo facendo sorridere in modo raggiante Emily che subito si buttò sul letto accoccolandosi sotto le coperte aspettando che Dorian la raggiungesse.

Al giovane sfuggì una risata di tenerezza, spense la candela e si coricò di fianco alla bambina.

Emily gli diede un bacino sulla guancia e sussurrò:- Buonanotte, Dorian.-. Gli si avvicinò ulteriormente e si accoccolò appoggiando la testa sulla spalla del ragazzo e stringendogli nella manina un lembo della camicia.

Il ragazzo sorrise nella penombra della camera e mormorò:- Buonanotte.-.

In pochi minuti la bambina si addormentò. Non ebbe incubi quella sera, ma solo bellissimi sogni che la fecero sorridere dolcemente nel sonno.

 

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