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Una
piccola isola, silenziosa e solitaria, era nel bel mezzo di un lago segreto in
un bosco di Logres, il regno dove Artù era il sovrano.
Su
quest'isola si trovava un piccolo castello composto da tre torri e due edifici in
pietra e legno. Non aveva una cinta muraria poiché non c'erano tesori o
ricchezze all'interno, ma solamente cibo, mobilio essenziale,vestiti e calde pellicce per l'inverno. Le
cose più preziose nel castello erano i libri, scritti in latino, greco,
egiziana, ebraica e persiana.
Fortunatamente,
nessuno avrebbe attaccato un castello per rubare solamente dei libri.
Non
c'era un Signore del maniero, ma una Signora di nome Elaine di Corbenic. Era una bella ragazza, i suoi capelli erano
lunghi e biondi e gli occhi verdi e luminosi.
Lei
non era sposata, ma aveva un figlio.
Madre
e figlio non abitavano da soli, ma con loro vivevano qualche contadino, un
vecchio saggio e letterato e un maestro d’armi.
Il
bambino era intelligente e pio, sempre gentile e curioso. Gli piaceva correre
nei campi, fare il bagno nel lago, arrampicarsi sugli alberi, giocare con la
spada e amava leggere anche.
Cresceva
tranquillo, sano, forte, buono, intelligente. Il suo nome era Galahad.
Un
giorno, un nuovo agricoltore del maniero stava piangendo per il proprio destino:
era nato come uomo ricco, ma era stato ingannato da un vicino invidioso che gli
aveva rubato tutti i suoi soldi. Così era diventato un povero contadino.
Malediceva il suo nemico, augurandogli sofferenza e disgrazie.
Il
piccolo Galahad, sentendo le imprecazioni del
contadino, gli disse: “Perché vuoi che il tuo nemico soffra? Non sai che la
sofferenza rende gli uomini migliori di ciò che sono? Quando si spera
sofferenza per qualcuno, lo si benedice. Se vuoi maledire qualcuno, devi sperare
che tragga piacere dalle sue cattive abitudini, poiché i vizi sono il vero
flagello. Un uomo povero può essere grande, un malvagio è solo infelice.”
Questo
è uno dei tanti esempi della saggezza di Galahad.
Tutti
erano stupiti da lui. Quando qualcuno gli chiedeva: “Come è possibile che un
bambino come te parli come un saggio?”
Egli
rispondeva: “Leggendo la storia di uomini passati, ho vissuto mille volte. Sto
imparando dai loro errori e successi. "
Gli
agricoltori lo ammiravano e, quando avevano bisogno un consiglio, ponevano le
loro domande al giovane ragazzo.
Galahad aveva un solo
desiderio: conoscere suo padre.
Non
lo aveva mai incontrato né aveva mai visto un ritratto.
Quando
chiese a sua madre di parlargli di suo padre, lei rispose: "E’ un grande
cavaliere, il più bello, molto coraggioso e forte. Egli è uno dei migliori con
la spada o la lancia. Aiuta chiunque e non vuole mai premi per il suo aiuto
".
"Davvero?
Il suo cuore deve essere puro. "
"No,
non lo è. Mi sono sbagliata: vuole una ricompensa, ma non è in denaro, oro o
gioielli. Lui ha un regno al di là del mare, quindi non ha bisogno di
ricchezze. Tuo padre vuole la gloria e la fama. Aiuta le persone non solo
perché è giusto, ma anche perché vuole essere un eroe. Vuole essere onorato in
tutto il mondo. La sua bontà è accompagnata dal suo ego. Il suo peccato è l’eccessivo
orgoglio ".
"Perché
non è mai venuto qui? E’ sempre occupato di salvare qualcuno? "
Elaine
aveva le lacrime agli occhi e rispose: "No. Lui è arrabbiato con me, perché
io non sono la donna che ama."
"Qual
è il nome di mio padre?"
"Non
è il momento per te di saperlo. Sappi solo che lui è Cavaliere della Tavola Rotonda.
"
Galahad capiva che la
questione era dolorosa per la madre, così non le chiese mai più ulteriori
informazioni.
Tuttavia
il ragazzo era curioso di scoprire qualcosa su suo padre, così ogni volta che
un viaggiatore che richiedeva ospitalità nel castello, Galahad
lo frastornava di domande sui cavalieri del re: quali imprese avessero compiuto
o quali novità ci fossero. Era affascinato dai racconti di battaglie, sfide
eroiche e misteri magici.
Spesso
il ragazzo, in serata, osservava l'orizzonte per controllare se ci fosse
qualche viaggiatore. Quando avvistava qualcuno, sperava che lo straniero fosse
un cavaliere, forse suo padre. Purtroppo un famoso cavaliere non passò mai da
lì. Così il bambino si accontentò di scrivere tutte le informazioni riferite da
stranieri.
A
volte rileggeva le sue note e immaginava di vivere avventure simili o cercava di
indovinare quale cavaliere fosse suo padre: Galvano, il cavaliere perfetto? Era
impossibile: Galvano aveva amato molte fanciulle e sempre si era curato dei
suoi figli e figlie, legittimi e non. Allora, forse, Lancillotto, il campione
della Regina? O il possente Estor delle paludi?
Oppure Mordred, il nipote più giovane del re?
I
cavalieri della Tavola Rotonda erano undici, escluso Artù, quali di essi
avrebbe potuto essere suo padre?
Ognuno
di loro era coraggioso, eroico, gentile e giusto. Chiunque di loro fosse suo
padre, Galahad poteva essere orgoglioso di essere suo
figlio, tuttavia voleva conoscerlo.
A
volte sognava o immaginava di stare con suo padre e di cavalcare un corsiero
attraverso boschi e campi oppure di combattere mostri e uomini malvagi.
Il
ragazzo non aveva incontrato suo padre finora, ma a suo avviso il genitore era
l'uomo migliore del mondo.
Il
bambino non riusciva a credere che suo padre lo avesse abbandonato, così si
ostinava a credere che erano stati separati da una maledizione o un misterioso
pericolo. Per lui, credere che suo padre fosse via per proteggerlo era più
facile che pensare che il genitore non lo amasse.
Il
bambino aspettava fiducioso il giorno in cui suo padre sarebbe tornato. Nel
frattempo lui era felice di ascoltare racconti sui cavalieri.
Galahad aspettava
sempre con viva impazienza un ospite speciale che visitava il castello due volte
l'anno: era Merlino, l’incantatore.
Il
bambino sapeva che Merlino era il mago più potente del mondo, secondo i racconti
degli altri viaggiatori. Aveva istituito la Tavola Rotonda ed era il principale
consigliere di Re Artù. Merlino non era geloso del proprio sapere circa la
magia, anzi spesso aveva scelto discepoli e insegnava loro i segreti della
magia. I suoi due allievi più famosi erano Morgana La Fata, sorella di Re Artù,
e Viviana, chiamato Dama del Lago, la madre di Lancillotto.
Merlino
era saggio ma amava scherzare e giocare e spesso si era presentato sotto
mentite spoglie di un contadino, cacciatore, o bardo e aveva suonato alcuni
brani, prima di rivelarsi.
Galahad era affascinato
dal mago e, a suo avviso, i migliori giorni c'erano quando Merlino era lì.
Il
bambino gli aveva chiesto molte informazioni relative alla magia e gli parlava
delle strane cose che aveva visto o di cui aveva letto. Spesso il ragazzo gli ha
chiesto perché a volte aveva la sensazione di essere osservato, ma Merlino gli
rispondeva sempre che era solo un'impressione. Le conversazioni sulla magia erano
sempre interrotti da Elaine che sembrava non gradire questo argomento.
In
questo modo Galahad aveva trascorso la sua infanzia
fino all'età di dieci anni.
Un
giorno di giugno, Galahad aveva fatto una nuotata e,
quando era tornato al castello, un servo gli aveva detto che uno straniero era
arrivato e ora parlava con Elaine.
Galahad non voleva
disturbare la madre, così andò nelle sue stanze a leggere.
Dopo
un'ora, qualcuno bussò alla sua porta.
"Avanti!"
disse il ragazzo.
La
porta si aprì ed Elaine entrò con un uomo. Lo straniero era alto, aveva i
capelli neri, gli occhi come il magma e il suo corpo era muscoloso e forte. Indossava
un armatura leggera e aveva una spada al fianco. Era evidente che fosse un
cavaliere, uno dei migliori.
Galahad fu stupito e un
po' di speranza nacque di nel suo cuore: quello poteva essere il cavaliere suo
padre?
Il
ragazzo si alzò per rispetto, ma non disse nulla ed aspettò.
Elaine
disse: "Figlio mio, questo cavaliere vuole parlarti. Sii gentile e
rispondi alle sue domande. Vi aspetterò a cena, tra un’ora. "
La
donna uscì e il cavaliere e il bambino rimasero soli. Si guardarono negli occhi
per un po’ di tempo, poi l'uomo si sedette su una sedia di legno ed esordì:
"Per favore, siediti. Dimmi: come ti chiami?"
"Galahad, signore."
"Quanti
anni hai?"
"Dieci,
signore."
"Quand'è
il tuo compleanno?"
"Il
tre agosto, signore."
Il
cavaliere sembrò calcolare qualcosa, poi annuì.
Galahad rimase in
silenzio perché sapeva che, per rispetto e buona educazione, non poteva parlare
a un cavaliere, senza il suo permesso. Così aspettò.
Lo
sconosciuto chiese: "Chi può essere chiamato Contento e Soddisfatto tra
gli uomini?"
"Nessuno
potrebbe essere Contento fino a che non è morto, poiché durante tutta la nostra
vita siamo soggiogati dal Fato. Alcuni uomini sono felici per la loro famiglia,
altri per il loro successo o ricchezza. In questo mondo ci sono più cose che
potrebbero rendere felice un uomo durante un lungo o breve periodo di tempo
nella loro vita, ma nessuna di queste cose è eterna. Chi ora è ricco, domani
potrebbe non esserlo più; come azzardarsi dunque a chiamarlo felice finché e
vivo? Solo la vita dei morti può essere giudicata, poiché già conclusa. In
verità, non possiamo realmente possedere parenti, denaro, onori o altre cose di
questo mondo, tutto ciò è semplicemente un prestito, quindi è stupido avere
paura per la perdita di qualcosa che non abbiamo o essere felici per la sua
presenza. Possediamo solo le nostre anime e possiamo acquisire solo la
conoscenza. L'uomo che è felice con la sua anima e la sua conoscenza e sapere,
che non ha bisogno di qualsiasi altra cosa, ecco lui potrebbe essere chiamato
Contento."
Il
cavaliere era rimasto sbalordito: come poteva un bambino di dieci anni dare
tale risposta saggia?
Commentò:
"Queste parole sembrano essere di tuo nonno."
"Supponiamo
tu lo sia. Vinci una battaglia e puoi prendere la metà dei cavalli del nemico.
Quali sceglieresti?"
Galahad pensò per
qualche minuto, poi rispose: "Vorrei la metà anteriore di ogni cavallo."
Il
cavaliere fu felice poiché quella era la risposta giusta, ma voleva testare ancora
il ragazzo, così chiese: "Vuoi uccidere tutti i cavalli e tagliarli? In
questo modo non guadagneresti niente. "
"Sì,
signore. Io preferisco non avere una ricompensa, ma privare di cavalli i miei
nemici. "
"Hai
ragione. Ultima domanda. Sei amico di Merlino? "
"Credo
di esserlo, o almeno lo spero."
"Per
favore, chiedi a lui di persuadere re Artù di fare un'alleanza con i Sassoni."
"No
signore. I Sassono sono i nostri nemici, sono crudeli
e la loro presenza nelle nostre terre è un pericolo per tutti noi."
Il
cavaliere sfoderò la spada e mise la lama vicino al collo di Galahad e ordinò: «Fa’ quello che ti ho detto."
Galahad rimase impassibile
e replicò: "No, io non sono un traditore del mio Re. Se tu fossi un uomo
corretto mi permetteresti di prendere la mia spada per combattere lealmente."
Il
cavaliere, contento, accettò abbassò la lama. Il bambino prese la propria spada
che era in una custodia di legno sulla scrivania.
Cominciarono
il duello. In un primo tempo, il cavaliere non fece del suo meglio perché
voleva testare le abilità del bambino, ma dopo pochi minuti l'uomo lo disarmò.
Così il cavaliere premette la lama sulla gola del ragazzo e lo avvertì:
"Se farai quello che ho richiesto, risparmierò la tua giovane vita."
Galahad non sembrava
spaventato e ribadì: "Non farò mai qualcosa che potrebbe danneggiare il mio
re e il mio paese."
Il
cavaliere posò la spada, prese il bambino, lo sollevò e andò vicino alle
finestra. L'uomo mise il ragazzo fuori dalla finestra, tenendolo sotto le
ascelle, e ribadì: "E' la tua ultima possibilità."
"La
mia scelta non cambia."
Il
cavaliere riportò il bambino al sicuro nella stanza e, sorridendo, gli disse:
"Sono orgoglioso. Sei saggio, intelligente e coraggioso. Sicuramente, devi
essere mio figlio. Merlino mi ha detto di conoscere mio figlio. Io non gli credevo,
così ho deciso di venire qui per verificare. Quando ho visto tua madre l’ho
riconosciuta subito e mi ricordai ciò che mi aveva detto dieci anni fa, ma ho voluto
metterti alla prova. Ora, sono sicuro: tu sei mio figlio. Vieni e abbracciami."
Galahad rimase
scioccato: finalmente incontrava suo padre. Fu il giorno più bello della sua
vita.
Immediatamente,
il bambino si precipitò dal cavaliere e lo abbracciò.
"Non
mi chiedi chi sono?"
"Tu
sei mio padre, è la cosa più importante. Mia madre mi ha detto che sei un cavaliere
della Tavola Rotonda; è vero?"
“Sì,
sono Lancillotto Del Lago."
Galahad era stupito:
Lancillotto era uno dei due più famosi cavaliere della Tavola Rotonda, l'altro
era Sir Galvano.
Immediatamente,
il ragazzo ricordò tutte le storie su Lancillotto e le sue avventure, un
mucchio di domande riempiva la sua mente, non sapeva quale porre per prima, ma
presto una domanda prevalse sulle altre, quindi il bambino ha chiese: "Ora,
resterai qui? Oppure io e mia madre verremo con te? "
Lancillotto,
dispiaciuto, guardò suo figlio e rispose: "No. Quando crescerai, se
vorrai, potremo viaggiare e combattere insieme. Ma, ora, io devo servire il re
e tu devi avere un’adeguata formazione per un ragazzo nobile. "
Galahad era dispiaciuto:
aveva appena incontrato suo padre e subito gli aveva detto che non sarebbero
rimasti insieme. Tuttavia il bambino non protestò perché sapeva che il dovere
di un cavaliere era di servire il re e i bisognosi. Egli sapeva che il regno
aveva bisogno di Lancilloto.
Inoltre
suo padre non lo stava abbandonando: si sarebbero rivisti. Se Lancillotto stava
pensando alll'istruzione di suo figlio, significava
che il cavaliere aveva cura del bambino.
Così
Galahad chiese: "Manderai qui nuovi insegnanti e
maestri?"
"No.
Ti porterò in un'abbazia dove i figli di molti cavalieri imparano tutto ciò che
hanno bisogno di sapere: letteratura, storia, filosofia e, ovviamente, arti di
lotta con ogni sorta di armi e senza. E potrai studiare molte altre cose,
secondo i tuoi interessi."
"Perché
devo andarmene da casa mia? Non voglio lasciare mia madre. Sarà triste, da
sola."
"Non
ti preoccupare per lei: è d'accordo. E' giusto che tu cresca con altri ragazzi
come te e che tu sia più inserito nella società. "
Dopo
dieci giorni, padre e figlio lasciarono il castello, cavalcarono per due
settimane prima di arrivare all'abbazia che Lancillotto aveva scelto come la
scuola per il figlio. Infatti a quei tempi non c'erano scuole: solo pochi uomini,
nobili o chierici, potevano ricevere un'istruzione. Così i genitori o assumevano
insegnanti privati o mandavano i propri figli in alcune abbazie.
Galahad era felice di restare
quasi un mese con il padre. Avevano cacciato e pescato e giocato con le spade.
Il bambino voleva sapere ogni cosa di suo padre, così Lancillotto aveva
raccontato molte delle proprie avventure e qualcosa intorno alla sua infanzia,
quando era stato portato da Viviana nel suo castello
del Lago, in Francia.
Re
Ban, il padre di Lancillotto, era morto in guerra
prima che il figlio nascesse e il suo nemico aveva conquistato il suo regno.
Viviana aveva cresciuto figlio di Ban e suo nel
castello, celato nel Lago. Per questo motivo aveva scelto come cognome DuLac che in francese significa
Del Lago. Quando ebbe quindici anni, Lancillotto era andato a Camelot per diventare cavaliere, assieme ai suoi cugini
Lionel e Bors; poi aveva incontrato il suo
fratellastro Estor Delle Paludi. A vent'anni Lancillotto
era già famoso e molto rispettato, così aveva chiesto a Re Artù aiuto per
riconquistare il regno del padre in Francia. Artù era stato d'accordo per due
motivi: primo perché Lancillotto era leale ed eccellente cavaliere, secondo
perché Ban era stato un grande alleato nei primi anni
del suo regno. Così Re Artù aveva riunito il suo esercito per combattere in
Francia; avevano vinto la guerra molto presto e Lancillotto divenne re di Benoic, ma poi aveva preferito servire ancora come cavaliere
della Tavola Rotonda e vivere molte altre avventure.
Alla
Tavola Rotonda poteva sedersi solo tredici cavalieri: re Artù, suo fratello
adottivo Keu, i nipoti: Galvano, Agravain,
Gaheris, Gareth, Iwein e Mordred; Lancillotto,
Lionel, Bors ed Estor. La
tredicesima sedia non aveva avuto ancora un cavaliere poiché chiunque si sedeva
su di essa, immediatamente moriva.
Merlino
aveva detto che quella sedia, chiamata il Seggio Periglioso, stava aspettando il
cavaliere che era predestinato a trovare il Santo Graal.
Lancillotto
raccontò a suo figlio queste e molte altre storie.
Galahad iniziò a vivere
in abbazia con gli altri ragazzi. Ogni mattina si svegliavano alle 5.00 e per
un'ora facevano ginnastica. Alle 06:30 avevano colazione e dopo passavano le
loro giornate studiando, facendo esercizi con le armi e aiutando i monaci nei
lavori agricoli.
Questa
fu la vita di Galahad per sei anni.
Era
il migliore sia nello studio sia nella lotta così era dagli altri ragazzi
ammirato od odiato. Aveva pochi amici perché era pio ed obbediente: non aveva
voglia di infrangere le regole, bere bevande alcoliche o di cercare una ragazza
quando avevano giorni liberi e potevano andare nei vicini villaggi. Per queste
ragioni molti studenti in abbazia pensavano che fosse noioso.
A
volte si sentiva solo e un po' triste, ma
non appena leggeva un libro, tornava felice.
Il
giorno peggiore era stato il suo undicesimo compleanno. Era usanza che, quando
qualcuno compiva gli anni, i suoi genitori andavano a fargli visita o gli
recapitavano doni. Così, quando ci fu il compleanno di Galahad,
il ragazzo sperava di vedere sua madre o suo padre, forse entrambi, ma nessuno
venne per lui. La sera, tornato nella sua camera da letto, trovò una nuova scacchiera
sulla sua scrivania. Si stupì e, dopo pochi istanti, prese un pezzo per
osservarlo meglio.
"E
'un regalo per il tuo compleanno." disse una voce alle sue spalle.
Galahad, impaurito, si
voltò e vide un uomo nella sua camera. Era seduto su una sedia e sembrava che
avesse una ferita alla gamba destra.
"Chi
sei?" il bambino chiese, sospettoso.
"Un
amico. Vuoi un amico? "
"Non
ne sono sicuro. Perché sei qui? Come fai a sapere che oggi è il mio compleanno?
Come hai fatto ad entrare qui? E qual è il tuo nome?"
"Quante
domande!"
"Di
solito sono più educato, ma tu sei un intruso."
"Hai
paura di me?"
“Non
è timore, è prudenza."
"È
giusto. Il mio nome era Yahuda, ma ora tutti mi
chiamano Pelléas. Sono amico di Merlino e conosco i
tuoi genitori. Oh, sì, Elaine ti augura un buon compleanno. "
“Perché
non è venuta?"
"Lei
non può, ma ci sono io."
"Non
è lo stesso."
"Lo
so, ma penso di essere meglio di niente."
"Probabilmente.
Così dici -Buon compleanno- a tutti gli studenti? "
"No,
solo a te."
"Come
mai?"
"Sono
sicuro che potresti diventare un grande uomo, quindi voglio conoscerti."
“Senza
offesa, ma è inquietante."
“So
che sei uno studente eccellente e che ti piace imparare tutto. Merlino mi ha
detto che sei interessato a imparare la magia, è vero? "
"Sì.
Non voglio diventare un mago, ma mi piacerebbe conoscere meglio la magia e,
forse, essere in grado di fare piccolo incantesimo. "
“Beh,
io ho un'idea. Fino a che vivrai qui, verrò per il tuo compleanno, Natale e
Pasqua e ogni volta ti dirò qualcosa sulla magia e tu mi racconterai dei tuoi
studi. Sei d'accordo?"
Galahad pensò per qualche
minuto e infine disse: "Va bene, scelgo di fidarmi di te."
"Perfetto.
Le prime informazioni che ti do sulla la magia è che essa si divide in tre
parti: il potere, il fulcro e l’effetto. Pensa a questo nei prossimi mesi. Ho
deciso di parlare con te di magia, perché Merlino mi ha detto che sei un bambino
molto saggio. È necessario che ricordi che la magia è potenzialmente un'energia
illimitata, ma potrebbe essere pericolosa quando il potere vince il buon senso.
"
Il
bambino era confuso, voleva fare alcune domande all’uomo che, però, era
sparito. Il ragazzo rimase scioccato: come poteva una persona scomparire in un
secondo?
Nell'aria
c'era una strana eco: "Abbiamo progetti per te ..."
Non
vide più questo uomo fino al giorno di Natale.
Pelleas rispettò la sua
promessa di dare ogni volta una nuova informazione sulla magia e le sue
operazioni. Galahad ogni volta era molto felice e
parlava a lungo della sua vita, studi ed esperienze in abbazia. Il ragazzo, di
solito, non aveva confidenti e quindi era soddisfatto dai dialoghi con quello
strano uomo; non sempre erano d'accordo ma non si arrabbiavano mai.
Così
erano passati sei anni.
Un
giorno, la vita di Galahad cambiò di nuovo. Era
aprile, la Pasqua era appena trascorsa, quando Lancillotto ed Elaine giunsero
all'abbazia. Galahad era stupito da
questa notizia: dopo tanti anni entrambi i genitori erano venuti a fargli
visita!
Mentre
loro parlavano con l'abate, il ragazzo indossò la sua migliore camicia e i pantaloni
più belli: voleva essere perfetto per i suoi genitori.
Lancillotto
osservò il figlio e gli disse felice: "Sei cresciuto bene. Sembri forte e
agile: un vero guerriero! Sai come me, quando avevo la tua età! Anche l'abate
dice che sei eccellente in tutti i campi. Complimenti! Io e tua madre siamo
fieri di te. "
Galahad era imbarazzato
e felice per le parole di suo padre, così mormorò: “Grazie, signore ... Oh,
voglio dire: Grazie, padre."
"Siamo
venuti qui per un motivo importante. Negli ultimi mesi, io e tua madre ci siamo
riavvicinati. Dopo Natale, ho avuto un periodo terribile ed Elaine mi ha
aiutato ed era meravigliosa. Così, dopo lunghe riflessioni, ho deciso di
tornare a Benoic, il mio regno in Francia, e ho
chiesto di Elaine se volesse venire con me. Lei è d'accordo. Saremo molto
felici se scegliessi di vivere con noi, così alla fine potremo essere una
famiglia. So che forse penserai che sia tardi, ma non è vero. Non è mai troppo
tardi per la famiglia."
"Sono
d'accordo." disse Galahad "La famiglia è il
luogo dove sono dimenticati tutti gli errori e l’amore vince su ogni sbaglio.
Ho avuto una madre e una casa, ma ho perso un padre. Se ora posso avere
entrambi i miei genitori, sarebbe stupido rifiutate perché il mio passato non è
stato perfetto. La vita a volte ci da buone cose, a volte cattive, dobbiamo
accettare tutte e due e prendere il meglio da entrambe."
In
questo modo, la nuova famiglia partì da Logres e raggiunse
Benoic.
Gli
abitanti Benoic furono felici per il ritorno di
Lancillotto, perché, nonostante la sua lontananza, la sua celebrità lo aveva
reso grande nelle loro menti. Così Lancillotto e la sua famiglia furono i
benvenuti.
Per
la prima volta, Galahad vide posti nuovi e visitò
alcune città, scoprì come la maggioranza delle persone vivevano e, aiutando il
padre, ebbe il suo primo approccio con la pratica della politica, delle
amministrazioni e la giustizia. Aveva letto molti libri intorno a questi argomenti,
ma la teoria era diversa dalla pratica, ma ben presto si conquistò il rispetto
delle persone. Questa nuova attività non gli impedì di allenarsi tutti i
giorni.
Galahad era molto
contento della sua nuova vita. Aveva tutte le cose che aveva sempre voluto: una
famiglia, la possibilità di studiare e combattere e soprattutto la possibilità
di fare del bene.
In
quegli anni non rivide Pelléas. Galahad,
ricordandosi che l'uomo misterioso gli aveva detto di conoscere i suoi
genitori, chiese loro chi fosse. Lancillotto non sembrò felice, ma rispose:
"Pelleas è un raro amici di Re Artù e Merlino, e
insieme hanno deciso di istituire la Tavola Rotonda. Egli vive in un castello
magico e possiede una collezione speciale. Ne parleremo in un altro giorno.
"
Ma
quel giorno non venne.
Ma,
anche senza di Pelléas, la magia non uscì dalla vita
di Galahad. Infatti, dopo non molto tempo dal loro
arrivo in Benoic, Lancillotto pensò che fosse una
cosa giusta che suo figlio incontrasse sua madre. Così, un giorno, il cavaliere
disse il ragazzo per preparare i cavalli per un breve viaggio. Cavalcarono per
tre ore, prima in campagna, dopo nel bosco. Infine arrivarono
alla riva di un lago, Lancillotto suonò il suo corno da caccia e
da guerra; il lago ribollì qualche istante e poi scomparve e al suo posto, ora,
c'era un castello magnifico, adornato d'oro, argento, avorio, conchiglie e
corallo.
“Cos'è
successo?” domandò Galahad, stupefatto.
"Questo
è il castello segreto di mia madre, Viviana, la Dama Del Lago. Suppongo che
sarai felici di conoscere tua nonna ".
"Sì,
certamente!" il ragazzo era in estasi.
Entrarono
nel castello e subito alcuni servi li accolsero, presero in custodia i loro
cavalli e li accompagnarono davanti a Viviana che stava aspettando in un
giardino.
"Ben
arrivati! Benvenuti!" disse la Signora, non appena li vide.
Sembrava
avere non più di 30 anni, ma in realtà era più anziana. Era bionda con gli
occhi grigi.
Viviana
si alzò in piedi e abbracciò Lancillotto. Dopo offrì le proprie attenzioni a Galahad e gli fece molte domande. Quando passò mezz'ora, gli
chiese: "Cosa sai di me?"
“So
che sei una delle migliori maghe di questa era e che il tuo maestro è Merlino."
"Era.
Lo è stato un tempo. Non ho bisogno di un maestro da moltissimi anni. Merlino non
è così saggio come le persone credono. Ricorda: mai fidarti delle donne,
soprattutto se sono belle ".
"Perché
mi dai questo consiglio?" chiese il ragazzo, perplesso.
"Perché
molti uomini pensano che le donne siano sempre innocenti e buone, ma non è vero.
Innumerevoli uomini, nel corso della storia, sono stati manipolati e distrutti
dalle donne. Tuo padre lo sa molto bene. Ma non parliamo di lui. Voglio
raccontarti come ho imparato i segreti di Merlino. E' stato molto semplice: si
è innamorato di me, della mia bellezza, così facilmente l'ho convinto a
insegnarmi tutta la magia che conosce, illudendolo del mio affetto. Quando ho
ottenuto ciò che volevo, lo cacciato via senza difficoltà.”
"È
terribile! Probabilmente ha sofferto."
"Il
problema è suo. Merlino è stato affascinato solo dalla mia bellezza. Quando
l'ho incontrato per la prima volta, ha chiesto il mio amore, ma ho rifiutato. Quindi
mi ha offerto un incantesimo per un bacio. In quel momento ho capito che io
avuto una grande fortuna e un’arma: grazie al mio corpo e alla stupidità degli
uomini. A volte ho pensato di diventare sua moglie, ma spesso eravamo in disaccordo
circa l'uso della magia e io mi sono detta che sarei stata veramente stupida a
rinunciare alla mia libertà. Merlino è terrorizzato dal suo vero potere e dal
suo potenziale. Questo mondo ha problemi che la magia potrebbe risolvere. C’è
bisogno del coraggio di usare la magia. Merlino viene fermato dalla sua idea di
moralità. Una strana morale perché potrebbe cambiare il mondo in meglio, ma lui
preferisce permettere agli uomini di fare di testa loro. La magia deve essere
utilizzata. Ma, via, non è il caso di parlarne adesso, ora voglio mostrarvi il
mio castello.”
Così
Galahad trascorse in Francia gli ultimi anni della
sua formazione. Lancillotto lo aiutò a perfezionare le sue abilità di guerriero;
il ragazzo ampliò le sue conoscenze con l’esperienza e talvolta parlò di magia
con sua nonna.
Lancillotto
rimase a Benoic per alcuni anni, non molti in realtà.
La vita del regnante non lo appagava quanto quella del cavaliere errante. Non era
stanco di battaglie e d’avventura, sognava le mille imprese che si stava
lasciando sfuggire, rimanendo nel proprio regno.
Ogni
volta che in Benoic si aveva notizia di qualche banda
di briganti o di qualche mistero, Lancillotto subito montava in sella e andava
a risolvere la faccenda, sperando di rivivere i brividi del passato, ma mai
nulla era sufficiente per lui. Pericoli magici non ve ne erano, poiché Viviana
era talmente potente che nessuno poteva utilizzare la magia in quel territorio,
senza che lei lo sapesse e fosse d’accordo. Questo la rendeva agli occhi di
alcuni una protettrici, agli occhi di altri una tiranna.
Respingere
soldati Longobardi, o di qualche altro popolo invasore, era quasi un noia per
la facilità con cui Lancillotto riusciva ad ottenere la vittoria. L’unica cosa
che gli teneva su il morale era il fatto che suo figlio andava in battaglia con
lui.
Dopo
un lustro, tuttavia, Lancillotto decise che la vita tranquilla a Benoic non era adatta per la sua indole e dunque decise di
tornare a Logres e riprendere a servire re Artù. Oltre
al brivido e all’adrenalina delle avventure in quelle terre, c’era anche il suo
cuore che lo spronava a tornare a visitare Camelot.
Presa
tale decisione, la comunicò alla sua famiglia. L’uomo dava per sottinteso che
Elaine sarebbe rimasta e Benoic, per cui si limitò a
chiedere al figlio che cosa preferisse fare: se seguirlo, oppure restare al
castello e amministrare il regno che, in fondo, gli spettava di diritto.
Galahad non ebbe
esitazioni nello scegliere: avrebbe accompagnato il padre, anche lui ansioso di
intraprendere qualche impresa e, soprattutto, di esplorare nuovi luoghi e
apprendere qualcosa di più. Il giovane aveva ormai ventuno anni e già da tempo
desiderava lasciare il castello per vivere le avventure di cui aveva sentito
raccontare innumerevoli volte da bambino, tuttavia non aveva ancora avuto il
cuore e l’occasione di domandarne il permesso ai genitori. Ora che era il padre
ad offrirgli una tale opportunità non l’avrebbe certo rifiutata.
Lancillotto,
soddisfatto, iniziò i preparativi per la partenza, con grande attenzione nella
scelta dell’equipaggiamento, dei cavalli, armi e armature. Fece cucire ex novo
uno stendardo col simbolo dei tre leopardi d’argento che lo distingueva da
sempre: in tutte le terre, infatti, egli era anche noto come il Leopardo.
Lancillotto
avrebbe voluto che anche il figlio scegliesse tale animale come stemma
araldico, per rimarcar care il loro legame, ma a Galahad
il leopardo non piaceva affatto, poiché nei bestiari era sempre indicato come
una fiera malvagia, impura e traditrice. Il giovane non sapeva quale simbolo
scegliere per decorare il suo scudo e il resto delle armi; per il momento
decise di limitarsi a scegliere i propri colori: l’argento e l’azzurro.
Finalmente,
dopo banchetti d’addio, giunse il giorno della partenza e padre e figlio
abbandonarono il castello e il regno di Benoic,
raggiunsero le sponde del canale della Manica e trovarono una nave che li
traghettasse dall’altra parte. Navigarono di notte e dunque si misero a
dormire, ma quando il mattino dopo si svegliarono, non si trovavano più sulla
nave, ma erano stati sbarcati assieme alle loro cose su una spiaggia.
“Dove
siamo?” chiese Galahad, confuso, guardandosi attorno “Perché
non ci siamo accorti di nulla?”
“Dove
siamo, non lo so, ma basta spostarci un po’ verso l’entroterra e dovrei
capirlo. Per il fatto che ci abbiano lasciati qua senza che ci svegliassimo,
beh credo si tratti di magia, oppure di un qualche potente sonnifero che hanno
mescolato all’infuso di ieri sera.”
“Non
credevo che viaggiare fosse così poco sicuro.”
“Tal
volta lo è, ma non pensavo ci saremmo imbattuti in qualcosa così presto,
pazienza. Comunque, da questa sera, faremo i turni per dormire e così sempre,
almeno finché non saremo certi di essere in posti sicuri. Suvvia, pensiamo a
mettere qualcosa nello stomaco e poi mettiamoci in marcia.”
Cavalcarono
per quasi un giorno intero, per lo più costeggiando campi coltivati, ma senza
incontrare una sola persona a cui chiedere informazioni. Prima che il Sole cominciasse
a calare dietro l’orizzonte, tuttavia, avvistarono le torri di un castello, per
cui si lanciarono al galoppo per raggiungerlo prima che facesse buio e vi
riuscirono. Furono bene accolti, i loro cavalli vennero portati nelle stalle
per mangiare ed essere strigliati, mentre loro furono condotti presso il
signore del maniero che, pur con modi educati e cortesi, li mise in guardia: “Io
sono re Evrain e questo è il castello di Brandigan, costruito talmente bene che non teme né re, né
imperatori. Non temiamo assedi, poiché all’interno di queste mura crescono in
abbondanza grano, frutta e verdura, vi sono fonti d’acqua purissima e abbiamo
bestiame in abbondanza e i nostri guerrieri sono talmente valorosi e abili che
si potrebbe dire che le fortificazioni sono state costruite più per un fattore
estetico che non per utilità di difesa. Nulla del mondo esterno ci spaventa, la
nostra unica paura si trova proprio qui con noi. Essa ha nome Gioia della Corte. Nessuno dei miei
cavalieri osa più affrontare tale prova, dunque ho stabilito di accordare
ospitalità solamente a coloro che si impegneranno a tentare quest’impresa. Sarò
ben lieto di offrirvi la cena e un letto dove riposare, ma solo a patto che domattina
vi cimentiate in questa prova che finora non ha visto nessuno uscire vivo.”
“Signore,
accettiamo ben volentieri. Sono Sir Lancillotto Del Lago, ho superato moltissime
ardue prove nella mia vita, sono sicuro che anche questa volta ne uscirò
vittorioso.”
Per
la sala si levò un mormorio di sorpresa ma anche contentezza. Evrain sorrise, sollevato, e disse: “Se voi siete davvero
chi affermate di essere, allora domani sarà sicuramente l’ultimo giorno della Gioia della Corte!”
Lancillotto,
orgoglioso, si rivolse a Galahad: “Visto, figliolo, come
la mia fama mi precede?”
Udendo
queste parole, Evrain specificò: “Noi non dubitiamo
del vostro valore, messer Del Lago, tuttavia la nostra certezza deriva d’altro.
Dovete sapere che un cavaliere e una damigella di questa corte sono stati
imprigionati dalla Fata amica di Guingamar, il
Signore di Avalon; ella disse che tutto ciòera una trappola per voi, Sir Lancillotto. Alcuni
dei miei uomini hanno voluto tentare l’impresa a voi riservata per amicizia
verso i prigionieri, ma hanno fallito. Domani, che voi ne usciate vincitore o
sconfitto, sarà il momento in cui i nostri amici saranno comunque liberati.”
Lancillotto
non rimase spaventato per quella scoperta e confermò la sua disponibilità ad
affrontare la prova.
Dopo
aver cenato, mentre si preparavano per andare a dormire, Galahad
domandò: “Chi è la Fata di cui ha parlato Evrain?”
“Morgana.
Difficilmente potrebbe essere un’altra, soprattutto se ce l’ha con me.”
“Come
mai?”
“Sono
il campione della Regina Ginevra e tra Morgana e Ginevra non è mai corso buon
sangue.”
“Perché?
Ho studiato molte cose del passato, ma purtroppo non so granché delle questioni
di corte. Ho sentito molti racconti sui cavalieri, ma pochissimo sulle donne.”
“La
questione è semplice. Morgana ha solo un anno in più di Artù e, quando Re Uther è morto, lei non era ancora stata data in moglie, a
differenza delle sue sorelle che avevano sposato Lot
delle Orcadi e Re Urien. Conobbe Artù pochi mesi
prima che lui estraesse la spada dalla roccia, divennero subito amici e il loro
legame si rinsaldò ulteriormente, quando scoprirono di essere fratello e
sorella. Si volevano molto bene, erano moltissimo uniti e Artù si consultava
con la sorella quasi quanto con Merlino. La situazione non cambiò dopo che il
re sposò Ginevra che divenne presto gelosa della cognata, giustamente. Artù si
confidava molto più spesso con la sorella anziché la moglie e questo è un
comportamento sbagliato per un uomo. Ginevra era l’unica che si rendeva conto
di come Morgana manipolava il re e quindi tutta la politica di Logres. La Regina soffriva molto, sia perché vedeva il Artù
agire in modo che lei riteneva sbagliato, sia perché si rendeva conto di non
poterlo persuadere che aveva ragione lei e mostrargli i suoi errori. Per fortuna,
Morgana commise un grave peccato: senza essere sposata, ebbe una relazione d’amore
con Guingamar, il cugino della Regina. Ginevra,
allora, mostrò la loro colpa alla corte e Morgana fu coperta di vergogna e
disonore e Artù dovette esiliarla. Da allora Morgana vuole vendicarsi e oltre a
prendersela con la Regina, se la prende anche con chiunque simpatizzi per lei.”
“Morgana
è molto potente nella magia.” osservò Galahad “Non
hai paura?”
“No,
i suoi incantesimi possono fare poco contro di me. Hai presente l’anello che
tua nonna Viviana ti ha regalato? Me ne donò uno anche a me, la prima volta che
partii all’avventura, è un potentissimo talismano contro i malefici e la magia
in generale. Domani lo indosserò.”
“Sai,
padre, sono entusiasta nel pensare alla sfida che ci attende tra qualche ora.”
“Figlio
mio, mi spiace, ma affronterò la Gioia
della Corte da solo. È una sfida per un singolo cavaliere per volta e
tenterò io.”
Galahad era deluso, ma
non contestò il volere del padre.
Il
mattino dopo, i due cavalieri furono accompagnati da Evrain
e il resto della corte in un bellissimo verziere che prosperava all’interno del
vasto perimetro della cinta di mura. Vi era un boschetto e uno splendido prato
con alberi e cespugli fioriti dai mille colori. Si sarebbe detto uno spicchio
di paradiso terrestre, se non fosse stato per la presenza di quindici picche
piantate nel terreno: su quattordici era impalata una testa mozzata, con ancora
l’elmo indosso, nell’ultima invece era appeso un corno.
“Non
vi sono mura o cancelli” osservò Lancillotto “Come possono essere prigionieri i
vostri amici? Nonpossono uscire?”
“No,
una barriera magica protegge quel luogo, vi si può solo entrare da una
strettoia che, comunque, non consente di uscire.”
Il
cavaliere decise che era il momento di iniziare la sfida, per cui spinse il
proprio cavallo all’interno del verziere e poi si diresse verso il boschetto.
Trascorse
oltre mezz’ora. Galahad, Evrain
e il resto dei presenti osservavano il verziere in attesa che accadesse
qualcosa.
“Normalmente
che cosa succede?” chiese il giovane.
“Non
lo sappiamo con esattezza. Semplicemente dopo un po’ dal bosco esce un
cavaliere con una picca e la testa dello sconfitto e le va a collocare accanto
alle altre.”
Passarono
altri venti minuti, poi finalmente si vide qualcosa: Lancillotto uscì dal
boschetto, fiero sul suo cavallo, non vi era nessun altro. Raggiunse la picca a
cui era appeso il corno e lo suonò. Allora si alzò un forte vento all’interno
del verziere. Chi era fuori poteva vedere la polvere alzarsi, rami e fiori
staccarsi e vorticare in aria, assieme alle picche e alle teste. Presto non si
poté più vedere nulla. D’improvviso il vento cessò. Il verziere sembrava
intatto, mancavano solamente i teschi e Lancillotto.
Evrain e i suoi erano
esterrefatti: mai era accaduto qualcosa del genere, mai nessuno aveva suonato
il corno e non sapevano che cosa aspettarsi.
Poco
dopo dal bosco uscì un cavallo montato da un cavaliere e una damigella. Il Re
esclamò: “Sono loro! I prigionieri! Sono finalmente liberi!”
I
due raggiunsero Evrain e subito la donna scese da
cavallo e si getto ai piedi del sire, chiedendo perdono. Spiegò: “La colpa è
mia. Quando il mio amato venne nominato cavaliere, temetti di perderlo, nonostante
sia uno dei più valenti; allora chiesi consiglio alla Fata che vive nel
castello nella piana nebbiosa e lei disse di potermi aiutare. La supplicai di
fare qualcosa e allora lei lanciò un sortilegio che imprigionò me e il mio
amico nel verziere finché non fosse giunto un cavaliere in grado di sconfiggere
il mio amico. Il mio campione era costretto a uccidere tutti gli sfidanti, perché
se li avesse graziati allora l’incantesimo mi avrebbe uccisa. Poco fa è giunto
un cavaliere che ha battuto il mio amico in duello e che lo ha graziato, dopo
aver ascoltato la nostra storia e così ci ha salvati entrambi. Dov’è qual
cavaliere? Voglio ringraziarlo.”
Evrain le raccontò
allora di ciò che era accaduto dopo che il corso era stato suonato. Tutta la
corte era felice che i prigionieri fossero finalmente liberi, ma anche molto
costernati per la misteriosa sorte del loro salvatore.
Galahad era piuttosto
preoccupato per il padre, temendolo prigioniero di Morgana, per cui decise di
non trattenersi oltre in quel maniero e partire alla ricerca del castello della
Fata. Si rivolse quindi ad Evrain per ottenere il suo
permesso di congedarsi e per avere delle indicazioni per come raggiungere la
piana nebbiosa. La damigella, che vi era stata, gli spiegò come raggiungere la
piana, ma lo mise anche in guardia: la nebbia era piena di spettri e pericoli
ed era impossibile raggiungere il castello, senza che Morgana stesso lo
volesse. Il giovane ringraziò per i consigli, poi prese il proprio cavallo e le
cose sue e del padre e si mise in viaggio.
Dopo
un paio di giorni, mentre era fermo presso un crocevia per pranzare e per
accertarsi di essere sul giusto cammino, Galahad vide
in lontananza giungere un gruppetto di quattro cavalieri avanzare. Anche loro
si accorsero di lui e infatti uno si staccò dagli altri e avanzò più
velocemente. Raggiunse il giovane e gli disse: “Buongiorno, il mio Signore
vuole conoscere il vostro nome.”
“Perché
dovrei rivelarlo a chi non si degna di presentarsi per primo?”
“Non
siate sciocco, ragazzino, non avete idea di chi vi ha posto la domanda.”
“Appunto
per questo non voglio darvi risposta. Sono cavaliere quanto voi, la vostra età
maggiore mi ispira rispetto, ma se voi rifiutate di dirmi in nome di chi
parlate, anch’io tacerò.”
“Non
posso dirvi il nome del mio Signore, spero vi basti il mio: sono Mordred delle Orcadi. Ora tocca a voi.”
“Potete
riferire che sono Galahad Del Lago e vengo dalle
terre di Benoic, oltre il mare.”
Mordred si accigliò,
poi volse il cavallo per andare a portare la risposta al suo Signore.
Il
giovane aveva preso il cognome del padre e della nonna ed era piuttosto fiero
di quelle origini; durante gli anni in cui aveva vissuto in Benoic,
era spesso andato al Lago ed era rimasto meravigliato dai suoi prodigi anche se
diverse volte aveva avvertito una sensazione di disagio e timore davanti ai
portenti della magia; Viviana lo aveva sempre rassicurato dicendogli che era
normale per chi aveva poco potere sentirsi in soggezione davanti a fenomeni
scaturiti da immensa energia. Ricordava esattamente le parole della nonna: “Non
devi avere paura di ciò che è sovrannaturale: finché lo temerai, esso potrà
sconfiggerti. Non c’è potere od energia che non possa essere sottomessa. I limiti
che credi di avere sono solamente illusioni e li devi abbattere per progredire.
Un tempo, un re storpio obbligò tutti i suoi sudditi a camminare con le
stampelle, pena la morte; visse talmente a lungo che la gente dimenticò che si
poteva camminare senza le stampelle e quindi continuò a camminare con esse
anche dopo che il re era morto. Non ci sono limiti, tutto ciò che li pone vuole
solo ingabbiarti e indebolirti. Nemica principale è la paura. So che diventare
un mago non è nei tuoi progetti, ma quel che ti dico vale in ogni aspetto della
vita. È ciò che ho insegnato anche a tuo padre e che lo ha reso così grande. Ricorda
sempre la ricetta del potere, qualsiasi potere: sapere, volere, osare, tacere.”
Galahad vide un altro
cavaliere staccarsi dal gruppo e precipitarsi verso di lui. Il sopraggiunto lo
scrutò con attenzione e poi gli chiese: “Siete voi che affermate di venire da Benoic e che vi fregiate del casato Del Lago?”
“Sì,
signore. Voi chi siete?”
“Sono
Estor delle Paludi, figlio di Re Ban,
fratello di Sir Lancillotto Del Lago. Voi affermate di appartenere alla mia
famiglia, ma io non vi conosco, né ho mai sentito alcuno dei miei parenti
parlare di voi. Potete dimostrare che state dicendo il vero?”
Galahad sgranò gli occhi,
stupito e un po’ rattristato: possibile che suo padre non avesse mai raccontato
di lui? Si vergognava? Lo voleva tenere segreto? Non capiva. Si sentiva ferito,
ma era sicuro che sicuramente il padre aveva una qualche buona ragione, gliel’avrebbe
chiesta quando lo avrebbe rivisto, per il momento doveva scacciare qualsiasi
emozione negativa.
Il
giovane prese la bisaccia e tirò fuori lo stendardo del padre e lo mostrò al
cavaliere.
Estor lo riconobbe e,
sospettoso, domandò: “Come lo avete avuto?”
“È
di mio padre, Lancillotto. Un sortilegio molto potente lo ha fatto sparire
davanti ai miei occhi e ora lo sto cercando. Spero sia nel castello di Morgana
o, almeno, di trovare lì qualche indizio. Questa è la verità che voi la
crediate oppure no. Vi prego di non trattenermi, poiché non voglio perdere
tempo e, se non vorrete lasciarmi proseguire, sarò costretto ad incrociare la
mia lama con la vostra, benché siate mio zio.”
“Non
è necessario. Sei il figlio di Elaine, giusto?”
“Sì.
Dunque mio padre vi ha parlato di me?!”
“Si
è confidato con me a tal proposito, sì, ma non mi aspettavo di incontrarti, non
qui, non adesso, almeno. Lancillotto si vergogna del proprio peccato, ma si è
sentito anche molto in colpa per non essersi preso cura di te. Credo abbia
trovato la forza di parlarne con me perché io sono un figlio illegittimo di Ban e dunque mi è più facile capire lasituazione. Non parliamone adesso, il tempo è
poco. Hai detto che pensi che Lancillotto sia prigioniero di Morgana?”
“Esatto.”
“Bene,
siamo fortunati. I tre cavalieri con cui sto viaggiando sono Re Artù in persona
e i suoi nipoti Galvano e Mordred. Diremo loro che tu
stai raggiungendo tuo padre che ti risulta essere ospite presso Morgana. Il Re
sarà entusiasta di andare a trovare la sorella e il suo vecchio amico e quindi
vorrà accompagnarti. La sua presenza dovrebbe essere sufficiente per impedire a
Morgana di aggredirti con chissà quali mostruosità e costringerla a liberare
Lancillotto senza protestare.”
Galahad era perplesso e
chiese conferma: “Quindi mentiamo al re perché non crederebbe che la sua cara
sorella abbia imprigionato il suo miglior cavaliere?”
“Precisamente.
Ecco, ormai sono arrivati, stiamo attenti a non contraddirci.”
Arrivarono
gli altri tre cavalieri, tutti quanti sembravano avere circa quarant’anni e Galahad capì che probabilmente Merlino manteneva giovane il
Re e i suoi più fedeli e valorosi cavalieri; infatti Artù doveva avere almeno
una sessantina d’anni, mentre Galvano era poco più giovane di lui, infine Mordred era forse il solo che dimostrava gli anni che
realmente aveva.
Galvano,
che aveva ricci capelli neri, barba e baffi ben curati, sorridendo domandò: “Allora,
amico, hai risolto il mistero legato al tuo albero genealogico?”
“Sì,
mio buon amico, questo giovane è figlio di Lancillotto.”
“Lancillotto?!”
esclamò Artù, che aveva lisci capelli castano chiaro e una folta barba, mentre
in testa aveva lasua corona di elettro con incastonata una pietra azzurra “Dove si trova
ora il mio leale cavaliere, il mio ottimo amico? È da tanto che no dà sue
notizie.”
Galahad raccontò una
storia che in parte corrispondeva al vero e in parte seguiva la bugia ideata da
Estor: “Mio padre voleva presentarmi a Camelot per Pentecoste e non vi ha informato di ciò per
fare una sorpresa lieta al vostro cuore. Mi ha preceduto nel viaggio di una
settimana e ora si trova ospite presso vostra sorella Morgana, io mi stavo
recando colà per ricongiungermi a lui.”
Bastarono
queste parole e, come previsto da Estor, il Re
immediatamente decise di accompagnare il giovane, assieme ai suoi cavalieri.
Fu
così che Galahad conobbe Artù e alcuni dei cavalieri
della Tavola Rotonda. Cavalcarono assieme per oltre una settimana e il giovane
si fece subito ben volere da tutti quanti poiché dimostrava la sua bravura con
le armi nella caccia e sfoggiava le proprie conoscenze, pur mantenendo sempre
un atteggiamento umile, senza sembrare adulatorio. Sia Galvano che Estor vollero duellare con la spada con il giovane per
vedere come se la cavasse, si divertirono molto e rimasero soddisfatti.
La
piana nebbiosa non era vicina, per raggiungerla era necessario superare una
foresta in cui si avanzava lentamente, poiché non vi erano sentieri battuti. Un
giorno, mentre procedevano a piedi utilizzando accette per sfoltire rami e
arbusti per consentire ai loro cavalli di avanzare, udirono in lontananza
musica e canti. Un po’ incuriositi e un po’ speranzosi di poter trovare
finalmente un poco di civiltà dove ristorarsi, tutti e cinque tesero le
orecchie per cogliere l’esatta direzione da cui provenivano le melodie e le
seguirono. Vagarono per circa un’ora poi finalmente trovarono una radura,
completamente immersa nella foresta. Non vi erano edifici, ma solamente un
padiglione in legno e stoffa, con tavoli imbanditi con molte leccornie e con
fiaschi di vino e idromele, mentre tutt’attorno uomini e donne danzavano e
ridevano, mentre musici suonavano senza sosta.
Nessuno
andò loro incontro per accoglierli, ma subito sia Artù che i suoi cavalieri
andarono verso una tavola per mangiare e bere qualche prelibatezza. Solamente Galahad trovò sospetto un simile scenario e rimase un poco
in disparte, senza toccare nulla: sapeva che fate, folletti, elfi e spiritelli
potevano dar vita a grandi festeggiamenti e non sempre escludevano gli umani,
tuttavia le persone che vedeva erano apparentemente uomini e donne comuni: da
dove venivano? Non c’erano tracce del loro passaggio. E il cibo dove veniva
cucinato?
Si
accorse che anche Artù e i cavalieri avevano iniziato a danzare, si avvicinò
loro per condividere i suoi dubbi e si accorse che parevano non sentirlo:
ballavano e ridevano, ignorandolo completamente. Galahad
si preoccupò ancor maggiormente e si guardò attorno alla ricerca di qualche
indizio utile che lo aiutasse a capire che cosa fosse successo e come liberare
i suoi compagni di viaggio e il resto della gente da quella danza incessante e
frenetica. Era abbastanza certo che il cibo o il vino centrasse qualcosa con
tutto ciò, per cui decise di rimanerne alla larga dalle vivande. Notò che
nessuno entrava nel padiglione e quindi pensò che al suo interno ci potesse
essere qualcosa di importante o qualche spiegazione. Si avvicinò, scostò una
tenda ed entrò. Il padiglione era illuminato da una indefinita luce fredda, non
vi era molto al suo interno: tappeti che coprivano il suolo, un letto
circondato da tende, un tavolino basso su cui era posta una scacchiera e ai
lati due cuscini a sgabello; su uno di essi sedeva un uomo.
Quest’ultimo
alzò lo sguardo e fu abbastanza sorpreso di vedere il giovane, ma scacciò
presto lo stupore, indicò lo sgabello davanti a sé e disse: “Prego, accomodati.
È passato molto tempo dall’ultima volta che qualcuno è entrato qui senza essere
invitato da me. Fa piacere vedere che c’è ancora qualcuno che usa il buon senso
prima di assecondare la fame o i piaceri. Non so, però, se basterà.”
“Basterà
per cosa?” chiese Galahad sospettoso, avanzando di
qualche passo.
“Sciogliere
l’incantesimo, ovvio.”
“Ovvio
… Quindi è un tuo sortilegio che costringe quella gente a danzare; perché?”
“Oh,
lo capirai. Voglio essere generoso, visto che non sei caduto vittima dell’incantesimo
come gli altri, puoi decidere se andartene ed essere certo di avere salva la
vita, oppure tentare di liberare gli altri, ma rischiando di morire. Scegli con
attenzione.”
“Dovrei
andare a salvare mio padre da un’altra parte, ma dal momento che tra i tuoi
prigionieri ci sono mio zio e il mio Re, penso che darò la priorità a spezzare
quest’incantesimo. Cosa devo fare?”
“Battermi
a scacchi, se ci riuscirai, tutti quanti saranno liberati. Se perderai, invece,
morirai. Ora, se sei ancora d’accordo, dillo e non potrai più ritrattare. Se ti
impegni, non potrai abbandonare la partita.”
“D’accordo,
sono sicuro.”
L’uomo
sorrise, con la mano indicò la scacchiera e disse: “Bene, a te la prima mossa.”
Cominciarono
a giocare, per alcuni minuti non accadde nulla di strano e l’unica cosa che meravigliava
Galahad era che il suo avversario usava una strategia
molto aggressiva che mirava a mangiare molte pedine, anziché predisporre i
pezzi in vista di uno scacco matto. Dopo aver perso tre pedine, il giovane
cominciò a sentirsi leggermente stanco o forse era più esatto dire indebolito. Al
quarto pezzo catturato dall’avversario, la vista di Galahad
iniziò ad essere piuttosto sfuocata. Il giovane si sfregò occhi e si diede
qualche schiaffetto per concentrarsi.
L’uomo
allora osservò, piuttosto gaio: “Oh, finalmente qualche effetto!”
“Che
cosa significa?”
“Per
ogni pezzo che perdi, perdi anche un sedicesimo del tuo sangue. Sei robusto
quindi dovresti avere molto sangue, ma credo che un paio di litri tu li abbia
già persi.”
“È
così che vinci le tue partite a scacchi? Indebolisci i tuoi avversari
meschinamente in modo che non possano giocare al meglio?”
“Sì,
ma la finalità del dissanguare i miei avversari non è la vittoria, è un’altra. Vedi
il letto alle mie spalle? Lì c’è mia figlia è molto malata e nessun medico o
stregone è stato in grado di curarla. L’unico modo per non farla morire e darle
nuovo sangue ogni settimana. Per questo attiro i viandanti in questa radura e
li imprigiono nella danza frenetica, poi ogni settimana ne scelgo uno per la
sfida a scacchi. Oggi, purtroppo, è capitato a te.”
“Mi
dispiace per vostra figlia, ma sono ancora intenzionato a vincere.”
Non
fu facile per Galahad proseguire la partita poiché,
oltre a cercare lo scacco matto, doveva resistere alla debolezza che gli
rendeva più difficile il pensare e cercare di proteggere tutte quante le sue
pedine per non peggiorare le proprie condizioni.
Non
fu affatto semplice, la partita si protrasse per diverse ore. Dopo aver perso
un altri due pezzi, Galahad cominciava a risentire
parecchio della perdita di quasi metà del sangue che normalmente aveva in
corpo. Iniziava a temere di non farcela. Chiuse gli occhi per cercare la
concentrazione che ormai gli sfuggiva. Accadde allora qualcosa di strano: vide Pelleas, sempre ferito alla gamba, seduto su un seggio, in
una stanza piena di libri e pergamene; Yahuda gli
disse: “Quando giocavi a scacchi con me, non eri mai così in difficoltà. Su,
riprenditi, non puoi morire adesso, devi ancora riuscire a trovarmi. Ricorda che
la tua mente e il tuo spirito sono più forti del tuo corpo; anche se esso è
debole, puoi sempre lo stesso raggiungere la vittoria. Non è certo questa l’occasione
in cui è fondamentale la forza fisica.”
Galahad riaprì gli
occhi, confuso e certo si fosse trattato di un delirio, tuttavia, perché non
dargli ascolto?
Ricordò
uno degli esercizi che gli aveva insegnato sua nonna, che consisteva nell’ottenere
un livello di concentrazione tale da tenere la mente come isolata dal corpo. Vi
riuscì e grazie a ciò poté continuare la partita perfettamente lucido e presto
ottenne la vittoria, per perdendo altro sangue.
L’uomo
che aveva architettato tutto ciò rimase esterrefatto e si disperò pensando al
fatto che il suo incantesimo era ormai rotto e dunque perdeva la possibilità di
mantenere viva sua figlia.
Galahad si alzò in
piedi per andare a controllare se il Re e le altre vittime del sortilegio
fossero state realmente liberate, ma dopo pochi passi barcollò e svenne.
Intanto,
fuori dal padiglione, la gente aveva finalmente smesso di ballare e si sentiva
libera. Artù e i suoi, che avevano visto il loro giovane amico entrare nel
padiglione, vi entrarono per cercarlo e trovarono lui svenuto e l’uomo in
lacrime.
Il
Re si fece raccontare quanto accaduto e appresa la faccenda per intero disse
che era abbastanza sicuro di avere una soluzione. Sciolse dal proprio fianco il
fodero di Excalibur e lo legò alla vita della ragazza che giaceva sul letto. La
pietra azzurra sulla corona del re brillò e in pochi minuti la fanciulla tornò
sana e florida. Artù fece la stessa cosa su Galahad
per fargli riacquistare rapidamente il sangue perso e, nel suo caso, non fu
neppure necessario che la corona si illuminasse.
Il
Re e i suoi cavalieri furono molto grati al giovane per essersi esposto per
tutti loro e averli salvati.
Il
padre e la figlia erano contentissimi e l’uomo offrì a tutti quanti erano stati
suoi prigionieri cibo e ricchezze per farsi perdonare.
Artù
e i suoi, comunque, non si trattennero a lungo nella radura e ripresero il loro
cammino per la piana nebbiosa, ormai vicinissima.
Erano
trascorse quasi due settimane da quando Galahad si
era unito ad Artù, Galvano, Mordred ed Estor ed erano trascorsi un paio di giorni dalla brutta
disavventura con l’uomo e la scacchiera dissanguatrice. Il legame tra i cinque
si era notevolmente rinforzato dopo quell’ultimo episodio.
Galahad era tuttavia
piuttosto pensieroso era certo di avere delle domande per cui non avrebbe
ottenuto risposta, una volta che si fossero ricongiunti con Lancillotto. Non gli
pareva giusto indagare ciò che suo padre non voleva che ancora sapesse, ma
d’altra parte non voleva neppure restare ancora con mille dubbi. Si decise
quindi a vincere le sue incertezze.
Una
sera, attorno al fuoco, Galahad si fece coraggio e
disse: “Pur lontano da Camelot e da qualsiasi altra
corte frequentata dai vostri cavalieri, ho sentito raccontare moltissime storie
e oserei dire che mi pare quasi di conoscere le personalità più di spicco di Logres. Vi è però un uomo di cui ho sentito il nome alcune
volte, che sembra essere importante, ma che nessuno è mai riuscito a spiegarmi
chi sia esattamente e che cosa faccia.”
Mordred commentò,
ridacchiando: “Se intendi Keu, ce lo chiediamo tutti
quanti.”
“Chi,
dunque?” domandò Galvano.
“Pelleas è il suo nome.”
L’aver
rivisto o ripensato a quell’uomo dopo tanto tempo, aveva fatto riaffiorare in Galahad i quesiti su di lui; si era ricordato che il padre
gli aveva fatto cenno al fatto che Pelleas centrasse
con la Tavola Rotonda, per cui sperò che i suoi compagni di viaggio gli
fornissero spiegazioni.
I
cavalieri e il Re si scambiarono qualche occhiata perplessi, poi Artù disse:
“Sei già molto fortunato ad aver sentito il suo nome e mi piacerebbe sapere
come sia possibile. Solitamente lui raccomanda sempre il silenzio su di sé e
quasi mai si è rivelato a qualcuno che non fosse Merlino o membro della Tavola
Rotonda. In realtà, solamente io e Merlino lo conosciamo piuttosto bene e
sappiamo … beh, per te sarà già un onore sapere quello che sanno i cavalieri
della Tavola Rotonda: è lui che, diverse volte, ci indica dove intervenire ed è
a lui che consegniamo gli oggetti più pericolosi in cui ci imbattiamo. Questo è
quanto.”
Galahad era forse ancor
più dubbioso che non soddisfatto da quella mezza risposta.
Mordred chiese: “Tu da
chi hai sentito il suo nome?”
Estor intervenne
rapidamente: “Sicuramente da sua madre Elaine, non ti sembra?”
“Ah,
già” borbottò l’altro “Mi sembra ancora strano pensare che Lancillotto abbia
avuto un figlio da quella donna. Quando mai li si è visti assieme?!”
“Fratello,
non è gentile parlare in questo modo.” lo ammonì Galvano.
Mordred sbuffò e non
disse null’altro. La conversazione deviò su altri argomenti e Galahad accantonò le proprie curiosità per qualche ora,
finché non rimase sveglio da solo con lo zio per il turno di guardia.
“Zio,
che cosa sai di mio padre e mia madre? Lei mi ha sempre detto che lui non le
aveva mai perdonato il fatto che lei non fosse la donna che lui amava; che cosa
intendeva dire? Non capisco … e poi che cos’è cambiato, anni fa, che li ha
convinti a formare una famiglia?”
Estor non rispose
subito, rimase pensoso e mosse la mani nervosamente, ma infine disse: “Sei
grande, dopo tutto, non credo che conoscere la verità, almeno quella che è
stata detta a me, possa turbarti. Lo so che molti immaginano i genitori
innamorati, uniti e così via, ma la vita spesso va contro agli ideali. Tuo
padre ama una donna, di cui non farò il nome poiché è sposata e non voglio
creare imbarazzi. Durante uno dei suoi viaggi Lancillotto ha incontrato Elaine,
non so che cosa sia accaduto esattamente; lui dice di essere stato ingannato,
non saprei. So per certo che non volle più sentir nominare né lei, né Pelleas finché non ti ha conosciuto, dopo aver visto te si
è addolcito. Sei anni fa, mi pare, a causa di un malinteso, la donna amata da
tuo padre cadde preda della gelosia e lo ferì, emotivamente, in maniera molto
profonda. Lui andò in depressione, si isolò finché ad un tratto lo raggiunse
Elaine che si prese cura di lui, gli stette vicino e lo aiutò a riprendersi.
Lancillotto le fu molto grato per questo e decise di darle una possibilità e
vivere assieme a lei, in Francia, dove non si sapesse che non sono sposati,
lontano dal suo vero amore che lo ha fatto soffrire … ma credo che l’unico
motivo per cui sia riuscito a stare lontano da Logres
così a lungo sia stato perché tu eri con lui. La sola presenza di Elaine non
sarebbe bastata a trattenerlo.”
“Che
cosa c’entra mia madre con Pelleas? È già la seconda
volta che li colleghi.”
“Non
lo sai?!” si meravigliò Estor “Non è stata lei a
parlarti di lui?”
“No.”
“Chi
allora?” il cavaliere era stato piuttosto incalzante.
Il
giovane, vedendo lo zio innervosito ma non per rabbia, decise di dire la
verità: “L’ho conosciuto di persona. Mi è venuto a far visita, tal volta,
mentre ero solo. Non capita più da quando vivo con mio padre. Non mi ha mai
raccontato nulla di sé, ma abbiamo sempre e solo parlato di nozioni e studi.”
“Quindi
tu l’hai visto fuori dal suo castello? Com’è possibile? Come fa a muoversi con
la ferita che si ritrova? Va beh, non ha importanza. Galahad
… io non so se posso dirtelo, cioè, se avesse voluto che tu lo sapessi, te lo
avrebbe detto lui stesso. Pazienza, tanto vale che te lo dica, lasciarti col
dubbio mi pare crudele. Pelleas è il padre di Elaine,
o almeno così si dice.”
Il
giovane strabuzzò gli occhi e rifletté ad alta voce, quasi per convincersi,
tanto gli pareva sorprendente il fatto: “Quindi lui è mio nonno?!”
Rimase
con quel pensiero per tutta notte e si coccolò ricordando le conversazioni avute
con lui. Si chiedeva il perché del tenere segreta la loro parentela, ma
preferiva godersi la sensazione di avere un altro tassello sulla propria
famiglia, le proprie origini e dunque la propria identità.
Vi
avrebbe pensato volentieri anche il giorno seguente, ma venne coinvolto nelle
conversazioni di Artù e dei cavalieri.
Giunsero
finalmente alla piana nebbiosa. Usciti dalla foresta, videro un muro di nebbia
alzarsi a un chilometro circa da loro; saliva fino in cielo ed era così largo
che lo sguardo non poteva abbracciarlo completamente. Si avvicinarono e si
resero conto di quanto la nebbia fosse fitta e che sarebbe stato praticamente
impossibile vedere alcunché, una volta entrati in quell’area.
Estor domandò:
“Galvano, Mordred, come andate a trovare vostra zia,
di solito? Avete idea di come raggiungere il castello?”
“No,
di solito ci incontriamo in altre residenze, oppure viene lei nelle Orcadi.”
“Come
procediamo?” continuò a chiedersi Estor, preoccupato
per il fratello.
“Intanto
quante corde abbiamo?” chiese Galahad.
“Corde?”
domandò Galvano, poi capì “Certo, ci leghiamo assieme per non perderci una
volta dentro, ottima idea.”
Artù
era piuttosto tranquillo, si sfilò il fodero con Excalibur e disse: “Galvano,
prendila tu al momento, io userò Marmiadoise, la sua
luce dovrebbe aiutarci ad avanzare. Sono convinto che Morgana, quando si
accorgerà che siamo noi, ci aprirà un passaggio per il suo castello senza
difficoltà. Dobbiamo solo farci notare.”
“E
respingere i suoi guardiani, finché non vi avrà riconosciuti.” aggiunse Estor.
Il
Re diede la propria spada al nipote e per sé ne prese una che aveva legata al
cavallo, assieme a bisacce e altri bagagli; appena la lama fu sfoderata, brillò
di una tale luce da abbagliare gli altri e costringerli ad abbassare lo
sguardo.
Galahad provò un
brivido d’emozione: quella spada era appartenuta, un tempo, ad Ercole e Artù
l’aveva conquistata in battaglia, sconfiggendo il gigante Frollo.
Il
giovane era estasiato: era la prima volta che vedeva dal vivo qualcosa di
considerato leggendario e il trovarsi in presenza di un oggetto che era stato
protagonista di alcune delle grandi imprese dell’umanità, gli provocava una
sensazione di ammirazione ed entusiasmo e ne era elettrizzato.
I
cinque uomini legarono se stessi e i cavalli in una cordata, ma non in fila
indiana. Artù era davanti e accanto a lui c’era Galvano, dietro erano stati
messi i destrieri divisi in due fila, alla loro sinistra c’era Estor, a destra Mordred, mentre Galahad era dietro a tutti a far da retroguardia.
Dopo
alcuni minuti si udì un frullio d’ali. Il gruppo si arrestò. Artù agitò Marmiadoise per aria, cercando di illuminare un poco ciò
che li circondava; infatti la nebbia era talmente fitta che anche la potente
spada non riusciva a schiarire se non per tre metri di diametro. Videro delle
ombre volteggiare sopra di loro, ma non poterono distinguerle con precisione,
ma sembravano rapaci molto grossi. Pochi istanti dopo, alcuni di essi
piombarono in rapidissima picchiata contro di loro. Gli uomini sollevarono gli
scudi per ripararsi, ma gli uccelli erano numerosi e parevano giungere da tutte
le parti, dunque era difficile proteggersi, anche perché l’attacco fu molto
rapido.
I
rapaci avevano becchi e artigli molto robusti e affilati e riuscirono a ferire
i cavalieri e anche a strappare loro qualche brano di carne. La cosa più
agghiacciante era stata che, cozzando contro gli scudi o le spade, con cui gli
uomini avevano tentato di respingerli, per l’aria erano vibrati suoni
metallici.
Un
attimo dopo una pioggia di frecce si abbatté sul gruppo.
Galvano,
che era vicino al re e dunque aveva una visuale migliore, si rese conto che ciò
che li stava colpendo non erano dardi normali, bensì piume di bronzo. Il
cavaliere sbuffò e comunicò agli altri: “Uccelli Stinfalidi!”
“Idee
utili per affrontarli?” domandò Mordred “Non credo
che potremo seguire l’esempio di Ercole e abbatterli con le frecce.”
“Bah,
io posso anche accontentarmi di abbatterli a spadate
quando si avvicinano” disse Estor “Il tempo lo
abbiamo.”
Galahad rapidamente
pensò a ciò che sapesse su quelle bestie e disse: “Hanno un udito molto
sensibile, potremmo trovare la maniera di sfruttare questo fattore per
confonderli o disturbarli.”
“Ci
vorrebbe un suono molto acuto” disse Galvano “Non saprei però come produrlo.”
“Ci
penso io.” li tranquillizzò Artù.
La
gemma azzurra della corona si illuminò e si sentì una nota lunga e acuta, che
costrinse gli uomini a tapparsi le orecchie. Gli uccelli parvero disorientati e
infastiditi, ma appena il suono cessò, ripresero l’attacco. Questa volta, i
cavalieri furono più abili a difendersi e ne riuscirono ad abbattere qualcuno
con le loro spade.
“Non
è stato sufficiente, dannazione!” disse Morded,
furente.
“Ci
vorrebbe qualcosa di più acuto ancora, ma forse ci rimetteremmo anche noi.”
“Pitagora!”
esclamò Galahad “Pitagora ha studiato anche la musica
e il suono, ha osservato che le note hanno diverse e specifiche lunghezze e
vibrazioni e per questo corde differenti producono suoni diversi su una cetra.
Ipotizzò che potessero esserci tonalità con vibrazioni tali da non poter essere
sentite dalle orecchie delle persone ma solo da alcuni animali.”
“Sono
solo ipotesi!” ribatté Mordred “Come potremmo, poi,
ottenere un suono che non sappiamo se esiste?”
Artù
invece, annuì: “Ho capito che cosa intende il ragazzo. Con la corona posso
farcela … basta ch’io abbia ben chiaro in mente come sia scientificamente
possibile quel suono e la corona dovrebbe riuscire ad emetterlo. Io provo.”
Poco
dopo gli uccelli parvero cadere preda della follia, si agitarono, alcuni
riuscirono a fuggire lontano, ma la maggior parte cadde a terra, morta.
I
cinque uomini si rimisero in ordine, cercarono di capire se i cavalli stessero
bene e poi si rimisero in cammino. Passarono pochi minuti e improvvisamente si
aprì uno squarcio nella nebbia, come un varco, che rivelava un sentiero in un
prato fiorito che conduceva a un solido castello poco distante.
Artù
sorrise e disse: “Ecco, Morgana si è accorta di noi e ci mostra il passaggio,
andiamo.”
Attraversarono
quel varco che subito si richiuse alle loro spalle. Non vi era più nebbia, ma
un’atmosfera primaverile in un ambiente che aveva del selvatico e
dell’addomesticato al medesimo tempo, come se qualcuno avesse voluto ricreare
un luogo silvestre.
Salirono
a cavallo e galopparono fino al castello. Vennero ben accolti da servitori, non
tutti umani, che li aiutarono a scendere da cavallo e procedettero alle solite
procedure quando giungevano ospiti di riguardo. Estor,
allora, fu rapido: prese un biglietto che aveva preparato nei giorni
precedenti, senza farsi notare dai suoi compagni di viaggio, lo mise in mano a
uno dei servi, ordinandogli di consegnarlo
immediatamente a Morgana.
Il
messaggio era semplice: avvertiva la Fata che Artù era convinto di trovare lì Lancillotto
come ospite, dunque le conveniva avvalorare tale teoria per evitare che il Re
scoprisse che cosa avesse davvero fatto.
I
cinque uomini vennero fatti accomodare in un salone dove poterono sedersi,
rifocillarsi ed essere medicati alle ferite che avevano subito dagli uccelli Stinfalidi.
Presto
li raggiunse Morgana: era bellissima, alta e magra, di carnagione lattea ma
luminosa, occhi di smeraldo e lunghissimi capelli lisci color rame. Andò subito
ad abbracciare il fratello e i nipoti esi profuse in mille saluti. Rivolse poi un saluto anche ad Estor e, infine, notando la presenza di Galahad
domandò chi fosse.
Artù
rispose: “È colui che stavi aspettando, è il figlio del tuo ospite che doveva
raggiungervi, noi lo abbiamo incontrato e abbiamo deciso di accompagnarlo. A
proposito, dov’è il mio buon Lancillotto? Desidero riabbracciarlo, ormai manca
da vari anni.”
Morgana
si sorprese nello scoprire che Lancillotto aveva un figlio e subito un’idea le
balenò nella testa e illuminò il suo sguardo, però nascose tutto ciò ai suoi
ospiti; simulò un sorriso e disse: “Il vostro cavaliere è stato a caccia, è
rientrato poco prima del vostro arrivo, ora si sta lavando e cambiando, presto
ci raggiungerà.”
La
verità era che Morgana, letto il biglietto, dopo essere andata su tutte le
furie ed essersi calmata, era andata nella stanza in cui teneva prigioniero
Lancillotto e gli rivelò le circostanze che lacostringevano a rendergli la libertà, dicendogli poi di rendersi
presentabile e raggiungere il salone il prima possibile.
Così
avvenne e Lancillotto si riunì col suo Re, coi suoi amici e con suo figlio.
Artù
era molto contento di poter stare in compagnia della sorella che praticamente
non aveva più visto da quando era stato costretto ad esiliarla e parlavano con
una tale amicizia e intesa che pareva non si fossero mai separati.
Il
Re erra così lieto che si fermò in quel castello per una settimana e poi decise
di partire, solo perché i suoi cavalieri gli ricordarono che, se non fosse
giunto a Camelot per la Pentecoste, la Regina e tutta
la corte si sarebbero molto preoccupati.
Durante
quel soggiorno, tuttavia, Morgana mise in atto un piano che le era nato nella
testa non appena scoperta l’identità di Galahad. Il
secondo giorno, la Fata mostrò al fratello e ai suoi compagni il proprio
castello con anche i cortili, i campi coltivati e gli allevamenti, tenendo per
ultime le scuderie, poiché ben sapeva come i cavalli attirassero grandemente
l’attenzione di quegli uomini.
Mentre
il Re e i cavalieri ammiravano i destrieri, notarono uno stallone nero non
ancora domato, tenuto in un recinto. Ne rimasero tutti affascinati, poiché
appariva robusto e adatto sia alle battaglie che a lunghi viaggi. Morgana
spiegò che quel corsiero era comparso nelle sue terre qualche mese addietro e
che con grande fatica erano riusciti a spingerlo in quel recinto, ma che
nessuno era riuscito ancora domarlo e dunque era intenzionata a donarlo a chi
ne fosse stato capace.
Artù
allora disse: “Mi piace molto quest’animale e son certo che mi servirebbe bene,
tuttavia la tradizione impone che a tentare sia prima il più giovane e poi si
vada in crescendo, dunque spetta a Galahad di tentare
per primo.”
Il
giovane non si tirò indietro e Morgana fu soddisfatta poiché gli eventi stavano
prendendo la piegache lei aveva
previsto. La Fata aveva mentito a proposito del cavallo, esso infatti era un
animale sovrannaturale, nato dal sangue di Medusa, che lei aveva evocato
tramite la propria magia; aveva gli zoccoli in acciaio e il suo fiato era
incandescente, tanto da poter arrivare anche a sputare fiamme, mentre il suo
nitrito atterriva chi lo udisse. Morgana aveva richiamato una tale creatura
poiché desiderava che il giovane morisse nel tentativo di domarla, proprio
davanti agli occhi di suo padre. Non aveva potuto tenere imprigionato
Lancillotto, ma non aveva rinunciato alla possibilità di farlo soffrire.
Le
cose, tuttavia, presero una differente piega da quella desiderata dalla Fata.
Galahad prese un paio
di briglie di quelle offerte da Morgana ed entrò nel recinto. Si pose davanti
al cavallo che, dopo averlo guardato per qualche istante, si precipitò in
carica contro di lui, nitrendo tremendamente, come urla infernali. Il giovane
si scostò in tempo per evitarlo, ma dopo poco lo stallone lo stava puntando
nuovamente. Galahad fu rapido e agilissimo: mentre la
bestia gli passava accanto, appoggiò le proprie mani sul suo dorso e si diede
la spinta per balzare in groppa; fu l’affare di pochi secondi e tutti rimasero
stupiti. Era riuscito, tuttavia, solo a salire sul destriero, domarlo sarebbe
stato ben più complicato.
Tenendosi
stretto soltanto con la forza delle proprie gambe, il giovane aveva le mani
impegnate nel tentativo di mettere le briglie; il cavallo si ribellava
fieramente a tale tentativo, agitando il collo e, ogni tanto, soffiando col suo
fiato incandescente contro le mani del giovane, che ignorò il dolore e, dopo un
paio di tentativi falliti, riuscì a infilare le briglie.
Ora
teneva saldamente le briglia e cercava di calmare il cavallo che si agitava
furiosamente e cercava di disarcionarlo in ogni modo: si scuoteva vigorosamente,
galoppava a zig-zag e si impennava.
Galahad resisteva,
senza spaventarsi, ma d’improvviso le briglia di cuoio si spezzarono e lui,
perso il suo sostegno, cadde a terra. Il corsiero si precipitò nuovamente
contro di lui, sollevò le zampe anteriori e cercò di schiacciarlo sotto i suoi
zoccoli d’acciaio. Il giovane si rotolò da una parte e dall’altra per evitare
di essere pestato. Vedeva le zampe imperversare sopra di lui, mentre tutt’attorno
la polvere si alzava, disturbando la vista e irritando il respiro. Non riusciva
ad allontanarsi il tanto necessario per rimettersi in piedi. Raccolta grinta ed
energia, Galahad alzò le braccia e afferrò gli
zoccoli e si oppose alla loro spinta. Rimasero in quella posizione per lunghi
momenti: sopra lo stallone che cercava di abbattere le sue zampe, sotto il
giovane che resisteva per respingerlo; due forze contrapposte che lottavano in
un’immobile tensione per sopraffarsi.
Il
cavallo nitrì per incutere timore nell’uomo, ma non ebbe successo; allora
soffiò fuoco dalle sue narici. Galahad prima voltò il
capo per ripararsi in parte e poi si sforzò di accostare le mani e tenerle in
corrispondenza del viso, in modo che le zampe stesse dall’animale lo
riparassero dalle sue fiamme.
Ad
un tratto un tremore scosse i due avversari. Le braccia del giovane si
piegarono per un istante, per poi raddrizzarsi di nuovo dando una vigorosa
spinta all’equino che venne sbalzato prima verso l’alto e poi di lato e cadde
per terra, ma subito si rialzò, furioso. Il tempo era però stato sufficiente
affinché Galahad si rimettesse in piedi.
Uomo
e cavallo si diedero ancora battaglia. Il giovane replicò la stessa agile mossa
con cui era salito in groppa la prima volta ed ebbe di nuovo successo, ora però
non aveva briglie che lo potessero aiutare. Serrò le gambe in modo che
bastassero a tenerlo in equilibrio, poi passò un braccio attorno al collo dell’animale
e serrò la presa, mentre con l’altra mano gli afferrò la criniera.
Lo
stallone era ancora imbizzarrito, ma le salde prese di Galahad
si facevano sentire e iniziavano a sortire qualche effetto. Dapprima il giovane
strattonava la criniera e bloccava il collo; la furia del destriero andò pian,
piano scemando e l’uomo gradualmente abbandonò le maniere brusche e lasciò
andare il collo e con la mano prese ad accarezzare la criniera e il dorso.
Il
cavallo era diventato docile e obbediva ai comandi di Galahad.
Il ragazzo, soddisfatto, fece un giro del recinto al passo, poi al trotto e
infine al galoppo, per poi tornare placido. L’uomo smontò e carezzò
affettuosamente il muso del corsiero che lo ricambio con un nitrito amichevole.
Gli
spettatori erano rimasti sbalorditi da tale impresa e non poterono che ammirare
la bravura del giovane e lo applaudirono abbondantemente.
Galahad condusse il
cavallo davanti ad Artù e gli disse: “Sire, vi faccio dono di questo cavallo.”
Il
Re sorrise e rispose: “E io lo rendo a te, valoroso amico, hai ben dimostrato
che siete degni l’uno dell’altro.”
“Vi
ringrazio infinitamente, mio signore.”
Lancillotto
gli disse: “Dagli un nome, figliolo, questo cavallo ti sarà ottimo compagno.”
Il
giovane ci pensò un poco, poi disse: “Penso che un nome adatto sia Brannon.”
Galvano
commentò: “Se ricordo bene, è il nome di un demone, secondo la tradizione
normanna … direi che calza a pennello.”
Furono
tutti contenti e orgogliosi della buona riuscita del ragazzo. Solamente Morgana
era scontenta per il fallimento del proprio piano; stava già pensando a un
qualche nuovo tranello, ma poi le venne un’idea differente: non avrebbe più cercato
di uccidere Galahad, avrebbe lasciato che
raggiungesse Camelot e che fosse presentato a tutta
la corte di modo che Ginevra scoprisse che Lancillotto non le era stato fedele.
Era certa che la cieca superbia e gelosia della Regina si sarebbero risvegliate
tremendamente e sarebbero state sufficienti per far soffrire Ginevra; in fondo,
la Fata aveva giurato odio alla moglie del fratello, mentre considerava
Lancillotto solo come un ostacolo per i propri piani o un mezzo per ferire la
sua nemica.
Il
Re e i cavalieri conclusero il loro soggiorno presso Morgana e si rimisero in
viaggio alla volta di Camelot. Erano ancora distanti
da Logres e dunque il cammino era piuttosto lungo e
attraversava anche territori ostili.
Dopo
alcuni giorni trascorsi senza trovare ospitalità da alcuna parte, poiché erano
passati solo per zone rurali, giunsero nei pressi di un castello austero. I viaggiatori
decisero di chiedere di trascorrere la notte lì e dunque si avvicinarono al
portone serrato, cercando qualcuno a cui rivolgersi.
Dalla
torretta che sovrastava la porta, una guardia si sporse e li avvertì: “Mal
venuti, signori, al Castello della Pessima Avventura.”
Galvano
ribatté, offeso: “Villano, perché accogli in tal maniera dei viaggiatori?”
“Perché?
Lo capirete bene se farete un altro passo ed entrerete in questa fortezza. Parlo
per il vostro bene: se entrerete qui, troverete solo ingiurie ed oltraggi.”
Mordred replicò: “State
parlando a Re Artù! Apriteci e smettetela con questa
sceneggiate.”
“Al
mio Signore non spaventa il nome del vostro. Entrare qui non è un problema, è
uscirne il difficile. Se insistete, aprirò il portone, ma siate consapevoli che
non lo varcherete una seconda volta.”
I
cavalieri non si lasciarono intimidire ed entrarono ugualmente. Non trovarono
nessuno ad accoglierli. Lasciarono i cavalli nel cortile e si incamminarono per
ispezionare il palazzo e cercare qualcuno. Entrati nell’edificio, trovarono
trecento donne, vestite poveramente, intente a
tessere in un grande salone. Meravigliati di ciò, si accostarono ad una di loro
e domandarono chi fossero, per chi lavorassero e dove potessero trovare il
signore del maniero.
La
donna tristemente rispose: “Siete stati stolti ad entrare in questo castello e
presto incontrerete il nostro malvagio padrone e il suo tremendo fratello. Sono
figli del diavolo! Non dico tanto per dire, lo sono realmente: loro madre era
una strega e loro padre un demone. Essi hanno la forza di cento uomini e sono
eccellenti guerrieri, ma non possono uscire da questo castello, dunque ogni
volta che arrivano degli stranieri li sfidano a duello e, dopo averli vinti e
uccisi, li divorano. Solo il nostro precedente re è riuscito sopravvivere, ma a
caro prezzo: egli ottenne di avere salva la vita, ma a patto che ogni anno
inviasse qui trenta fanciulle come pagamento di un tributo. Quelle che vedete
in questa stanza sono le donne mandate qui nell’arco di dieci anni. Siamo costrette
a lavorare tutto il giorno e il nostro padrone vende le stoffe da noi prodotte
e si arricchisce, mentre noi restiamo in povertà e con pochissimo cibo.”
“Non
abbiate timore” la rassicurò il sovrano “Sono Artù Pendragon
e i miei compagni sono alcuni dei miei più valenti cavalieri, vi do la mia
parola d’onore che faremo qualsiasi cosa in nostro potere per porre fine alla
vostra prigionia.”
“Ah,
Dio vi benedica per la vostra buona volontà e vi protegga, anche se temo che
nemmeno voi ne uscirete vivi.”
Artù
e i suoi proseguirono l’esplorazione del castello, salirono uno scalone e
raggiunsero una sorta di sala del trono dove trovarono due uomini alti oltre
due metri, muscolosi, con pelle spessa e dura color grigiastra, occhi rossi da
felino, denti come zanne. Erano i fratelli demoniaci.
“Oh,
bene, abbiamo visitatori!” esclamò uno dei due, sogghignando “Erano alcuni mesi
che non ricevevamo ospiti … iniziavo giusto ad avere un certo languore.”
“Suvvia,
fratello” lo richiamò l’altro “Dove sono finite le buone maniere? Dobbiamo
almeno presentarci ai nostri ospiti, spiegare loro le nostre tradizioni.”
“Sappiamo
già quanto occorre sapere.” annunciò Artù, solennemente “Siamo qui per porre
fine alle vostre angherie.”
“Oh,
che carino!” commentò uno dei due mezzidemoni “Anche
lui ripete la solita frase fatta. Quante volta l’abbiamo sentita?” e scoppiò in
una risata.
“Preferiremmo
saltare le formalità e giungere subito al combattimento.” dichiarò Artù.
“D’accordo,
come volete.”
I
due fratelli si alzarono in piedi e si prepararono al duello, impugnando le
loro armi: due bastoni biforcuti di corniolo.
Lancillotto
si fece avanti e domandò: “Sire, permettete che sia io a battermi con costoro. È
da molti anni che non vi rendo un servigio.”
“Te
lo accordo, mio buon amico. Dal momento che i campioni da affrontare sono due,
vorrei fosse tuo figlio ad affiancarti in questa prova, poiché ancora non l’ho
visto battersi contro un nemico reale.”
Lancillotto
e Galahad si strinsero l’elmo e la corazza, presero
scudo e spada e si prepararono ad affrontare i due mezzidemoni.
Il
duello cominciò. I signori del maniero assestavano colpi e mazzate dai quali
elmo e scudo non era riparo: sotto quelle percosse le protezioni si ammaccavano
e spaccavano e il ferro e il bronzo fondevano come ghiaccio.
Padre
e figlio tuttavia non erano da meno e si battevano con grande abilità; presto
però capirono che non era saggio affrontare ognuno il proprio avversario,
ignorando l’altro duello, dunque si strinsero fianco a fianco e utilizzarono
una tattica che richiedeva grande sincronia e armonia tra di loro, infatti
cominciarono ad attaccare e a difendersi come fossero stati un’unica persona. Attenti
l’uno all’altro e agendo come fossero una sola mente, riuscirono più facilmente
a fare fronte ai possenti nemici, ad evitare i loro attacchi, difendersi e controferire.
Se
i demoni si affidavano soprattutto alla potenza dei loro colpi, i cavalieri
puntavano soprattutto sulla rapidità: le loro lame vorticavano da ogni lato, in
alto e in basso e quando riuscivano a colpire una zona scoperta, anziché cercare
di andare più in profondità (che avrebbe richiesto più forza e tempo), si
limitavano a scorrere rapidamente la lama per allargare la ferita.
Per
oltre un’ora combatterono senza che nessuno riuscisse a prevalere sugli altri,
ma alla fine sia Galahad che Lancillotto ebbero la
meglio, concentrandosi sui colli dei loro avversari che erano la parte più
vulnerabile. Il padre mozzò il capo del suo nemico, mentre il figlio piantò la
propria spada nella gola dell’altro, trapassandola da parte a parte.
I
due tiranni del castello furono così sconfitti Artù decise di donare la
fortezza alle donne che erano state lì prigioniere per tanto tempo.
Dopo
aver trascorso la notte lì per riposarsi e aver fatto provviste, il Re e i suoi
cavalieri ripresero il loro viaggio.
Artù
e i suoi compagni giunsero finalmente a Camelot senza
ulteriori ostacoli degni di nota.
Siccome
il castello era molto vasto e dato che spesso i cavalieri vi soggiornavano anche
per mesi, ognuno di loro aveva non semplicemente una camere in cui alloggiare,
ma un vero e proprio appartamentino di tre o quattro stanze.
Stanchi
del lungo viaggio, tutti quanti si ritirarono dunque nei propri alloggi. Era
sera e quindi si fecero portare la cena in stanza e dormirono quasi subito.
Galahad si addormentò
pensando a come la sua vita stesse cambiando, in realtà non era ancora successo
granché di diverso dal solito, eppure sentiva che aver conosciuto Artù, che
subito lo aveva trattato d’amico, ed essere arrivato a Camelot
erano degli eventi fondamentali, che lo avrebbero trasformato, che lo avrebbero
messo alla prova per dimostrare se era davvero un eroe, un cavaliere come aveva
sempre ambito, oppure se non ne era degno. Per la prima volta si sentiva
insicuro: si era sempre considerato un eccellente combattente e si era sempre
impegnato per scrollarsi di dosso vizi ed egoismi, per fortificarsi nella
virtù, eppure ora si domandava se era davvero l’uomo che voleva essere, oppure
se tutto ciò fosse un’illusione e un’apparenza. Sentiva che fino a quel momento
aveva comunque agito in un ambiente protetto, dove non aveva mai realmente
rischiato e dove non era mai stata realmente testata la sua morale.
Le
imprese che aveva affrontato da quando aveva messo piede in quelle terre erano
state molto più ardue di tutto ciò che avesse fronteggiato in Benoic, ma che non erano gesta eclatanti, bensì comuni per
un cavaliere; altre ben più complesse lo avrebbero atteso in futuro, ne sarebbe
stato all’altezza?
Galahad si addormentò,
in parte turbato da tali dubbi, in parte emozionato dalla speranza e dalla
voglia di mettersi alla prova. Poco prima di scivolare nel sonno, gli parve di
udire un canto lontano, ma credette fosse semplice
frutto della sua mente stanca.
La
notte successiva ebbe la stessa sensazione, ma non se ne curò; la terza sera,
tuttavia, era ancora ben sveglio quando sentì una voce femminile intonare una
canzone chissà dove. Incuriosito, il giovane decise di scoprire di cosa si
trattasse. Probabilmente era semplicemente una suora o una sacerdotessa che
pronunciava le preghiere usuali, tuttavia voleva accertarsene.
Uscì
dalla stanza e camminò nel corridoio, cercando di capire da dove provenisse il
canto. Impiegò diversi minuti prima di rendersi conto che la voce non proveniva
da una delle stanze del castello, bensì da fuori. Le porte di Camelot erano chiuse di notte, dunque Galahad
si procurò una corda, l’assicurò saldamente ad un merlo e poi si calò fuori
dalle mura. Toccato il suolo, si diresse verso il piccolo fiume che scorreva lì
vicino e che portava acqua alla città; la Luna era piena e quindi il giovane
riusciva a vedere piuttosto bene, senza bisogno di torce. Guidato dal canto
sempre più nitido, arrivò infine nel punto in cui il fiumiciattolo si
trasformava in un laghetto; lì vide una figura umana femminile con lunghi
capelli, era seduta di spalle e aveva la veste tirata su in modo tale da
lasciar pensare che avesse i piedi e le gambe fino alle ginocchia immerse
nell’acqua. Era lei che cantava.
Galahad, incerto,
avanzò di qualche passo e, dopo qualche minuto in cui non accadde nulla,
mormorò: “Scusate …”
La
figura di spalle drizzò la schiena, come spaventata, poi si spinse in avanti e
si gettò nel laghetto, scomparendo sott’acqua.
Il
giovane, sorpreso, si accostò alla riva e guardo la superficie dello specchio
d’acqua che era assolutamente liscia e non mostrava segno di essersi increspata
per l’immersione.
Galahad era stato
spesso messo in guardia dalla nonna e dal padre circa il fatto che spesso le
creature fatate fossero pericolose per gli umani anche quando volevano far loro
del bene, poiché la loro differente percezione della realtà le portava a
conclusioni differenti da quelle del senso comune umano; il giovane, però, era
rimasto incuriosito e, pur con le dovute cautele e mantenendosi vigile, volle
saperne di più e si azzardò a parlare: “Scusatemi. Non volevo spaventarvi, mi
dispiace. Non ho cattive intenzioni, ero solo incuriosito. Guardate, non ho
armi con me. Sì, so che ci sono persone in grado di aggredire anche senza armi,
ma io non sono di quelle. Vi do la mia parola d’onore che ciò che mi ha
condotto qui è stato unicamente il vostro canto.”
La
superficie si increspò leggermente, si mosse in cerchi concentrici e poi una
testa emerse. Era una fanciulla di quindici o sedici anni, il viso tondo era
fresco come la primavera, gli occhi erano grandi e brillavano del riflesso
della luna, mentre i capelli erano mossi e, nonostante l’ombra, si poteva
essere certi fossero corvini.
L’acqua
arrivava fino alle spalle della giovane. Galahad si
stupì di non vedere l’abito ch’ella indossava poco prima, ma presto si rese
conto che in quel momento solamente la testa e il collo della ragazza avevano
la forma di un corpo umano, mentre il resto era diventata acqua.
La
fanciulla guardò con stupore l’uomo e gli chiese: “Il mio canto, avete detto?
Dove eravate per udirlo?”
“Nella
mia stanza a Camelot.”
“Mentite,
non è possibile!”
Galahad si voltò e si
rese conto che la fortezza era ad oltre un chilometro di distanza, confuso
disse: “Ora pare assurdo anche a me, ma vi giuro che è la verità. Da quando
sono giunto a Camelot, tre sere fa, ogni notte ho
udito il vostro canto.”
La
ragazza sbatté alcune volte rapidamente le palpebre per esprimere il proprio
interesse, poi emerse completamente dalle acque e una tonaca lunga e bianca la
rivestì. Si avvicinò al giovane con circospezione, ma senza timore, anzi anche
lei ricambiava la curiosità. Lo osservò dapprima da capo a piedi, poi il suo
sguardo si fissò sugli occhi di lui e lo scrutò come se stesse leggendo
qualcosa.
Galahad, un poco
perplesso, domandò: “Va tutto bene?”
“Sì
…” rispose lei prima con tono sospeso, poi sorrise e ripeté: “Sì. Il mio nome è
Melissa. Qual è il vostro?”
“Galahad. Sbaglio o il vostro accento indica che non siete
originaria di queste zone?”
La
fanciulla rise e commentò: “Vi stupisce il mio accento e non che sia uscita
dall’acqua completamente asciutta?”
“Beh,
ho pensato voi foste una Naiade o un’altra tipologia di ninfa delle acque e
dunque mi stupisce che non siate presso il vostro corso d’acqua.”
Il
sorriso di Melissa si allargò ancor di più, come contenta di trovarsi davanti
qualcuno competente in materia: anche se in quei tempi le creature fatate
popolavano la Terra molto più di adesso, la maggior parte delle persone non si
curava di conoscerle e si limitava ai luoghi comuni e al sentito dire.
La
ragazza dunque disse: “Mia madre è una Pegea, mio
padre un umano. Ho vissuto con lei alla sua fonte, lontano da qui, fino
all’anno scorso, quando mio padre ha deciso di portarmi qui. Non avevo mai
vissuto in una città e spesso sento la nostalgia dell’acqua, per questo la
notte vengo qui.”
“Avete
i vantaggi di una ninfa e la mobilità degli umani, dunque?”
“Non
tutti i vantaggi. Posso diventare acqua pura solo per breve tempo e neppure ho
la longevità delle Pegee, infatti cresco e
invecchierò secondo i ritmi umani.”
“Quindi
siete davvero giovane come apparite?”
“Sì.
Ho sedici anni, quindi non sono neppure troppo giovane, anzi a giudizio di qualcuno
sono anche vecchia, almeno per prendere marito. Non saprei, ero abituata alla
percezione del tempo che hanno le Pegee, devo ancora
entrare per bene nei ritmi umani.”
“Non
avete paura a venire qui, da sola, di notte? No, beh, in effetti potete sempre
rifugiarvi in acqua come avete fatto poco fa.”
“Oppure
gli lancerei un incantesimo.”
“Questa
mi è nuova.” commentò, sorpreso, il giovane “Mi risulta che le ninfe possano
solamente manipolare l’acqua e che abbiano qualche abilità curativa.”
“Nulla
ci vieta, però, di apprendere la magia. Ammetto che non è una scelta comune, io
l’ho fatto soprattutto perché le mie capacità naturali sono più limitate di
quelle di una normale Pegea e per il fatto che ho la
possibilità di avere eccellenti insegnanti.”
“In
effetti, da questa parte del mare ci sono alcuni dei più famosi praticanti di
magia dei nostri tempi. Anche sul continente, però, si trova qualcuno degno di
loro, per esempio in Benoic.”
“Ho
capito, vi riferite alla Dama del Lago e alle sue discepole, giusto?”
“Esatto.
Le conoscete?”
“Solo
di fama e, comunque, i miei maestri hanno avuto dei dissapori con lei, in
passato.”
“Voi
è da molto che avete iniziato questo apprendistato?”
“Qualche
anno; si è trattato soprattutto di preparazione spirituale e di contatto con le
energie interiori ed esterne … complicato da spiegare in breve, soprattutto a
quest’ora. Più che incantesimi ho appreso regole generali.”
“Potere,
focus ed effetto?”
“Beh,
sì, anche, ma quella è ritualistica che chiunque può applicare. Io pensavo più
che altro ad energia, immaginazione e volontà, oppure la triplice luce
dell’anima neschamah, ruach,
nephesch.”
“Questa
è cabala.”
“La
cabala è soltanto uno dei molti linguaggi con cui si cerca di spiegare e
conoscere la magia, ma essa non può essere carpita con la mente, dev’essere percepita e vissuta con lo spirito e nello
spirito.”
“Mi
hanno sempre parlato della magia in maniera piuttosto razionale, con un
approccio quasi scientifico, oppure come una fonte di potere a cui attingere.”
“Sì,
so che ci sono molti che la percepiscono in questa maniera, come una disciplina
tra le tante.” il tono della giovane si fece sognante, guardava l’orizzonte e
sembrava cercare le parole per esprimersi “Per me la magia è una filosofia, un
modo di essere, un legame con l’altrove che ti cambia.”
Galahad trovò
quell’affermazione simile a ciò che gli aveva accennato Merlino, qualche volta
in passato, talmente tanto tempo addietro che se ne era dimenticato.
“Mi
considererete gretto se vi domando che cosa sapete esattamente fare con la
magia?”
Melissa
rise divertita e rispose: “Gretto voi? Non lo si può certo pensare. Il vostro
animo è uno dei più limpidi che abbia mai visto.”
“Che
cosa ne sapete, voi, del mio animo? Mi avete appena conosciuto.”
“Tutti
emaniamo energia e in essa c’è l’impronta di ciò che siamo e che proviamo,
sempre in mutamente: ogni nostra azione, ogni pensiero e ogni emozione la
altera in un qualche modo. Percepire tale alone permette di farsi un’idea di
chi abbiamo davanti, è come uno specchio dell’anima, mostra la vera natura,
deformata o sublimata in base al nostro essere … è difficile da spiegare. Ci
sono maghi in grado di scoprire l’intero passato di una persona e dedurne il
futuro, semplicemente percependo questa impronta energetica.”
“Il
futuro? Dunque sarebbe già stabilito?”
“No,
ma si può prevedere la piega che prenderanno gli eventi in base alle premesse e
predisposizioni attuali; ovviamente si può intervenire per cambiarle.”
“Avete
detto che il mio animo è limpido, che cosa intendevate? Che cosa significa?”
“Io
sto ancora muovendo i primi passi in questo ambito, posso percepire la vostra
aura ma non visualizzarla nitidamente: devo ancora affinare i miei sensi. Posso
dirvi, però, che vi sento libero ed elevato, dimostrate una sorta di distacco e
disinteresse da ciò che normalmente avvinghia gli uomini. Sento anche paura e
insicurezza, per cosa non so dirlo. Infine credo che, al momento, i vostri
nemici, ciò che potrebbe macchiare la vostra anima, siano l’orgoglio e la
superbia.”
Galahad rimase colpito
da quelle parole: erano piuttosto calzanti, per lo meno per l’ultima parte e
per ciò che lo turbava. Rimase in silenzio, non sapeva cosa dire; da una parte
l’educazione gli suggeriva di essersi trattenuto fin troppo, dall’altra sentiva
la voglia di restare lì: in fondo non stava facendo nulla di male e non vi era
nessuno nei paraggi che potesse fraintendere e malignare. Eppure non riusciva a
trovare un valido argomento di conversazione che gli consentisse di trattenersi
ancora un poco.
Alla
fine cambiò argomento di punto in bianco e chiese: “Che cosa stavate cantando,
quando vi ho disturbata? Mi è parso fosse latino, ma non ho distinto bene le
parole.”
“Era
il De RaptuProsepinaedi Claudiano.”
Galahad si meravigliò e
commentò: “Un autore alessandrino, se non mi inganno, e il suo testo è
piuttosto tetro, quasi un’esaltazione degli Inferi.”
“La
discesa negli Inferi è necessaria.”
“Mi
piacerebbe ascoltarvi, il latino lo capisco benissimo. È possibile?”
La
ragazza si sentì piacevolmente sorpresa e rispose di sì con un cenno della
testa e poi cominciò: “Inferni raptorisequos, afflataquecurrusideraTaenario, caligantesqueprofundaeJunionisthalamos, audaci proderecantumenscongestaiubet. Gressusremovete, profani! Iam furor humanos de nostro
pectore sensusexpulit; ettotumspirantpraecrodiaPhoebum.”
La
ragazza recitò a memoria l’intero poema che era composto da circa un migliaio
di versi, ma a quei tempi non era inusuale sapere mnemoticamente
molti lunghi testi.
Dopo
aver ascoltato tutto quanto, Galahad iniziò a
sentirsi assonnato e decise di tornare al castello; si offrì di accompagnare la
ragazza alla sua abitazione, ma leirifiutò, dicendo che aveva desiderio di restare ancora un poco presso il
fiume.
Il
giovane raggiunse le mura, si riarrampicò su di esse
con la corda che aveva lasciato lì e rientrò nella propria stanza e presto si
addormentò. Nelle sere successive non sentì più il canto.
A
Camelot i giorni trascorrevano piuttosto rapidamente
nei preparativi per la grande festa di Pentecoste. A corte si stavano
radunando, giorno dopo giorno, cavalieri, nobili, sacerdoti e personalità di
spicco del regno di Logres e anche dei confinanti.
Artù
accoglieva tutti quanti con grande riguardo e amicizia e si assicurava che
nessuno dei propri ospiti avesse motivo di essere scontento. Pur prestando
attenzione a tutti quanti, il Re si circondava soprattutto coi suoi nipoti e
gli altri cavalieri della Tavola Rotonda, in più anche Galahad,
che aveva preso molto in simpatia durante il loro viaggio. Lancillotto, invece,
spesso scompariva per intere mattine o pomeriggi, ma nessuno sembrava farci
caso.
Dopo
una settimana da quando Artù era tornato a Camelot,
giunse colà Merlino.
Galahad non lo seppe
subito, poiché quel giorno era andato a caccia, desiderando donare al re della
selvaggina. Ne fu informato quando rientrò a corte, portando un cervo e un
cinghiale che aveva inseguito e ucciso da solo, senza neppure l’aiuto dei
segugi.
Il
giovane fu felice nello scoprire ciò: erano oltre dieci anni che non vedeva il
mago e aveva gran voglia di rivederlo e conversare con lui. Chiese a un
servitore di annunciare a Merlino che desiderava incontrarlo, ma gli venne
risposto che il mago, al momento, era impegnato in un colloquio e dunque
avrebbe dovuto attendere. Pazientemente, il giovane si sedette davanti la porta
della torre in cui alloggiava Merlino ed aspettò.
Passata
un’ora, l’uscio si aprì e lo varcò Melissa. Galahad rimase
sorpreso di trovarla lì, ma subito ricordò le buone maniere, salutò
educatamente e poi aggiunse: “Non mi aspettavo di incontrarvi qui a corte, non
vi ho mai vista nei giorni scorsi.”
“Non
trascorro qui molto tempo, anche se dovrei. Preferisco gironzolare per il borgo
o fuori dalle mura. Comunque io ho intravisto voi un paio di volte, ma eravate talmente
assorto in non so quali conversazioni col Re e i suoi cavalieri che non mi
stupisce non mi abbiate notata.”
“Sappiate
che me ne dispiaccio.” tacque qualche momento “Quindi è Merlino il vostro
maestro di magia? Non c’è che dire, siete capitata dal migliore.”
Da
dentro la torre si udì la voce del mago chiamare: “Galahad,
vieni.”
Il
giovane si affrettò: “Devo andare, mi ha fatto piacere rivedervi e sappiate
che, quando e se lo desiderate, potete disturbarmi in ogni momento, anche se mi
trovo con il Re. Buona serata.”
“Me
ne ricorderò, grazie. Temo, però, che non mi tratterò a Camelot
a lungo, dopo la Pentecoste me ne andrò.”
“È
comunque una settimana di tempo. Come mai ve ne andrete? Vostro padre dovrà
allontanarsi e voi lo seguirete?”
“No.
Merlino pensa che sia giunto il momento, per me, di fare un po’ di esperienza
di vita: viaggiare, scoprire, apprendere direttamente e mettermi un poco alla
prova, prima di riprendere lo studio teorico.”
Il
giovane stava per replicare qualcos’altro, ma la voce di Merlino lo chiamò
nuovamente e, dunque, si congedò.
Galahad entrò nella
torre, salì un paio di rampe di scale e si trovò nel salotto di Merlino che era
intento a preparare una tisana. Il mago gli dava le spalle, ma non appena lui
varcò la soglia, egli gli disse: “Oh, finalmente è arrivato il momento di reincontrarci. Mi fa piacere constatare che non sei affatto
cambiato, nonostante l’adolescenza, direi che la parte più difficile l’hai
superata.”
“Perdonate,
ma non mi sembra affatto di aver affrontato chissà quali difficoltà.”
“Eh,
come tutti gli altri pensi che i problemi vengano dall’esterno e non ti rendi
conto che gli avversari peggiori sono dentro di te? Da bambino ne eri conscio.”
“Lo
sono ancora, ma credo di avere avuto una vita, finora, non dico normale, ma
sicuramente felice. Mi pare che il mio animo non sia mai stato realmente messo
alla prova. Non sofferenze, non tormenti, non ardue scelte si sono poste sulla
mia strada. Seneca insegnava che il saggio viene costantemente afflitto per
rafforzare il suo animo e poiché le fatiche e i dolori vengono inflitti per
fare grandi gli uomini. Io, tuttavia, non mi sono mai trovato realmente a
patire, dunque non conosco la mia grandezza, ammesso e non concesso che l’abbia.”
Merlino
si mise a sedere su uno scranno e fece cenno all’altro di fare altrettanto e
gli disse: “Amico mio, hai proprio una strana concezione della realtà. Conosco bene
tutto il tuo passato. Mentre eri un ragazzino all’Abazia, non hai mai lasciato
che le frivolezze, le distrazioni e i facili piaceri avessero attrattiva su di
te. È in quel periodo che si formano i vizi e le virtù dei futuri uomini, le
loro inclinazioni verso ilmale o il
bene e tu hai ben definito il tuo schieramento.”
“Ma
quelle erano piccole cose, da nulla.”
“Resistere
alle piccole tentazioni è il primo passo per resistere alle grandi. Poi sei
andato a vivere con tuo padre nel suo regno e non hai permesso che la
condizione di figlio di re, il potere e il prestigio con cui ti sei ritrovato,
ti offuscassero e ti facessero perdere il senso della misura e del dovere. Nonostante
avessi una moltitudine di servi, non ti sei scordato che il re e i principi
debbono essere i primi servitori nel regno. Sei stato al fianco di tuo padre
nel difendere e prendersi cura di Benoic.”
“Ho
fatto il mio dovere, nulla di più.”
Due
tazze colme di tisana volteggiarono per l’aria e andarono a porsi una tra le
mani del giovane, l’altra in quelle di Merlino che disse: “È molto più di quello
che fa la maggior parte degli uomini. Tantissimi sono coloro che rifiutano il
proprio dovere a causa di una strana e distorta visione della libertà. Tu, per
fortuna, non la consideri come il poter fare tutto ciò che si vuole.”
“No,
signore. So bene che la libertà è una delle armi a doppiotaglio
più pericolose che esistano. Libertà e responsabilità vanno a braccetto, sono l’opportunità
per le persone di migliorare ed evolversi, ma il più delle volte provocano
disordine perché la gente è egoista e non riesce a cogliere le responsabilità
che ha verso gli altri.”
“Esatto.
Comunque ho visto anche ciò che hai fatto da quando hai messo piede da questa
parte del mare: non le giudicherai imprese da poco, voglio sperare?”
“Certamente
sono stato ciò che di più pericoloso ho affrontato nella mia breve vita,
tuttavia mi rendo conto che sono questioni comuni per un cavaliere.”
“Dunque
è per questo che hai paura? Hai anelato a ciò per tutta la vita e ora hai
timore, lo sento. Che cosa avresti allora intenzione di fare? Rinunciare senza
neppure provare, così da poter dare la colpa del fallimento al fatto di non
aver tentato e non alle tue capacità?”
“No
di certo. Sono giunto fin qui e non mi tirerò certo indietro.”
“Giusto,
dunqueè inutile che ti lasci turbare
dalla paura. Temi di non essere all’altezza delle aspettative tue, di tuo padre
e del re, ma devi ricordarti che il tuo compito è quello di fare del bene e non
di compiacere qualcuno. La paura di deludere spesso porta ad agire troppo
impulsivamente o a perdere di vista i reali obbiettivi, oppure può indurre a
rinchiudersi in una prigione di superbia per paura di vedere i propri limi. Non
lasciarti condizionare.”
Galahad non rispose:
che cosa mai poteva dire di fronte a quella sacrosanta verità? Riconosceva che
Merlino aveva detto esattamente ciò che aveva bisogno di sentirsi dire per
rinfrancarlo.
Il
mago continuò: “Io sono assolutamente sicuro che tu diventerai molto più di ciò
che ora tu speri. Non voglio però rivelarti ciò che vedo. Quando ti sembrerà di
non fare abbastanza, quando ti sentirai frustrato dagli eventi e ti parrà di
non poter fare la differenza, pensa a Democrito e alla sua teoria degli atomi:
ogni corpo complesso è formato da particelle minuscole, apparentemente insignificanti,
ma è su di esse che tutto si fonda. Nessuna azione, per quanto piccola, rimane
senza eco e non ha effetto.”
Galahad sorrise, annuì
e disse: “Grazie, non lo dimenticherò.”
“Dimmi,
di cosa mi volevi parlare?”
“Beh,
dei dubbi e le perplessità, ma hai già detto tutto. C’è, però, un’altra
faccenda: nessuno mi vuol dire chi sia Pelleas. Anche
voi ritenete ch’io non lo debba sapere? Lui è stato mio amico, sporadico ma
costante, mentre ero in Abazia, poi è scomparso e quando ho provato a capire
chi fosse, nessuno ha voluto dirmelo.”
“Porta
pazienza, entro un anno, lo saprai: te lo avrà spiegato egli stesso.”
“Davvero?”
“Sì.
Pelleas vuole che tu lo trovi e quando lo troverai ti
racconterà tutto. Tra qualche giorno, la faccenda ti sarà più chiara. Fidati.”
“Va
bene, ho fiducia in voi.”
La
festa della Pentecoste era sempre più prossima e a corte furono organizzati
alcuni banchetti pubblici a cui tutti gli ospiti prendevano parte ed erano
sistemati attorno ai tavoli in base al loro rango e il loro prestigio.
Fu
durante una di queste occasioni che Galahad scoprì
che il padre di Melissa era niente di meno che Galvano, il quale aveva
commentato, a proposito della figlia: “È un po’ selvatica e ostinata, ma le
voglio un gran bene.” e poi aveva spiegato che lui, a 12 anni, era stato
mandato a Roma per imparare a combattere e diventare cavaliere e lì era rimasto
fino ai vent’anni, per questo di tanto in tanto tornava in quelle zone per
nostalgia della gioventù. Circa diciassette anni prima, si era fermato presso
le sorgenti del Clitunno per ristorarsi e lì aveva
visto le Pegee, di una delle quali si era innamorato
e ne era divenuto l’amante per alcuni mesi e così era poi nata Melissa.
I
giorni a corte erano diventati piuttosto frenetici e ricchi di eventi come
battute di caccia, competizioni con le armi, l’ascolto di menestrelli, balli,
mercati e molto altro ancora.
Galahad si sentiva un
poco frastornato: a Benoic erano state organizzate
grandi feste, ma nessuna di esse era paragonabile a quella che stava animando Camelot.
Ebbe
anche occasione di vedere qualche volta la Regina Ginevra che nei giorni
precedenti non si era mostrata spesso e anche adesso era quasi sempre in
disparte col suo seguito di damigelle. Galahad ebbe
soltanto un paio di occasioni per porle i suoi omaggi, come era doveroso per
ogni ospite della corte, ed ebbe l’impressione che la Regina fosse piuttosto
fredda e sbrigativa. Si domandò se quello fosse il carattere della donna,
oppure se l’avesse offesa in un qualche modo, ma alla fine pensò che fosse
tutta quell’atmosfera che poteva aver creato tedio nella Regina o aver distorto
la sua percezione.
I
festeggiamenti ebbero il culmine nel giorno di Pentecoste, quando era stato
organizzato un grande torneo al quale tutti i cavalieri potevano partecipare. Lancillotto
e Galvano furono pregati da Artù di non scendere in lizza, altrimenti l’esito
del torneo sarebbe stato scontato fin dal principio: se avessero partecipato,
sicuramente il vincitore sarebbe stato uno di loro.
Il
torneo non consisteva in una serie di prove d’abilità o di singoli duelli ben
organizzati, bensì sarebbe stato una simulazione di una battaglia dove due
schieramenti si sarebbero affrontati per poi perdere le distinzioni di fazione
e lasciare spazio a una mischia in cui tutti erano contro tutti.
Lo
scontro durò l’intero pomeriggio e il vincitore fu Galahad,
applaudito e acclamato dal pubblico; ciò non generò invidia tra i cavalieri,
bensì ammirazione e speranza poiché le nuove generazioni si mostravano all’altezza
delle vecchie.
Durante
il banchetto in suo onore ricevette complimenti da tutti quanti e il Re lo
volle seduto accanto a sé.
Già
dal giorno seguente gli ospiti iniziarono a lasciare Camelot
e dopo tre sere il castello era tornato alla calma. Fu così che un giorno Artù
si rivolse a Galahad: “Buon amico, stai dando prova
di essere un ottimo cavaliere e vorrei tanto poterti nominare compagno della
Tavola Rotonda, tuttavia non sono io a decidere a chi conferire tale onore,
contrariamente a quanto si pensa. A decidere è Pelleas
e non gli si può semplicemente fare richiesta. Se vuoi tentare, questo è ciò
che devi fare: mettiti in viaggio, affronta le imprese in cui ti imbatterai,
mostra il tuo valore e, soprattutto, le tue virtù. In questo modo Pelleas ti noterà e ti permetterà di trovare il suo
Castello Meraviglioso; là lo troverai e sarà lui a parlarti della Tavola
Rotonda e a decidere se ne sei degno.”
Galahad accolse molto
bene quelle parole, sia perché gli riconfermavano la stima del sovrano, sia
perché finalmente gli davano un indizio per trovare Pelleas
e forse scoprire qualcosa in più su di sé.
Nei
giorni successivi il giovane preparò l’equipaggiamento necessario per errare
per il regno alla ricerca di avventure; salutò il padre e i cavalieri che ormai
gli erano affezionati e partì in groppa al suo fido cavallo Brannon.
Galahad si mise in
viaggio, non aveva una meta, sapeva solo di dover cavalcare finché non si
sarebbe imbattuto in una qualche impresa, il che non era cosa rara in quelle
terre.
Dopo
un paio di giorni, si trovò all’incrocio di più sentieri e non sapeva quale
imboccare: uno portava verso un villaggio, dunque poteva sperare che là vi
fosse qualche problema da risolvere; il secondo si inoltrava in una foresta,
quindi avrebbe potuto imbattersi in qualche creatura fatata; l’ultimo conduceva
sopra un’altura ove sorgeva un eremo.
Mentre
rifletteva, vide un monaco che dal paese tornava verso il convento, il giovane
allora gli domandò dove convenisse andare per chi era in cerca di avventura.
L’uomo
gli rispose: “D’avventure io non so nulla, ma se raggiungerete una fontana qui
vicina, non tornereste indietro senza pena. Se volete impiegare bene i vostri
passi, andate verso il villaggio e non inoltratevi nella foresta, ove avresti
presto da smarrirti.”
“Se
la fontana è nella foresta, è lì che andrò. Ditemi, buon frate, com’è questa
fontana e perché la ritenete pericolosa?”
“Si
trova vicino ad una cappella e la sentirete gorgogliare, benché sia più gelida
del marmo; le fa ombra l’albero più bello di quelli creati dalla natura, il suo
fogliame resiste ad ogni stagione; a uno dei suoi rami è appeso un bacile con
una catena di ferro, se con esso raccoglierete l’acqua e poi la rovescerete
sulla grande pietra lì vicino, allora vedrete scatenarsi una grande bufera.
Nella foresta non rimarrà un solo animale e il vento spezzerà i rami e
sradicherà gli alberi, mentre la grandine e i fulmini si abbatteranno al
suolo.”
“Che
altro?!”
“Oh,
nessuno lo sa. Nessuno di coloro che ha tentato è ritornato indietro, io racconto
solo ciò che è possibile vedere da lontano. Questa fontana è spesso fonte di
sciagura per i forestieri, poiché molti o non hanno la fortuna di essere
avvertiti o sono stolti e non credono a ciò che viene loro detto. Date retta a
me: voi siete giovane, non pensate a questa fontana e andate oltre.”
Detto
ciò, il monaco riprese la sua strada verso l’eremo.
Galahad decise di voler
indagare sulla faccenda e dunque prese il sentiero che si inoltrava nella
foresta; effettivamente risultava difficoltoso orientarsi tra gli alberi e gli
arbusti, ma il giovane riuscì a procedere senza problemi. Dopo un paio d’ore,
raggiunse una radura e lì vide la cappella, la fontana, l’albero che era un
maestoso pino millenario col tronco talmente largo che cinque uomini non avrebbero
potuto abbracciarlo; il bacile che era in oro e non in ferro come gli era stato
descritto, infine la pietra era un otre scavato in un solo smeraldo e sorretto
da tre grossi rubini.
Il
giovane provò una grande meraviglia nel veder ciò e si avvicinò con
circospezione. Avvicinandosi e vedendo meglio, la prima cosa che notò fu che il
piccolo edificio non era una cappella, benché ne avesse le sembianze.
“Strano
che il monaco si sia confuso” pensò Galahad scendendo
da cavallo, volendo ispezionare l’interno della struttura “Forse non ha mai
visto da vicino questo posto e si è accontentato del sentito dire di altri,
oppure ha visto da lontano la croce celtica e l’ha scambiata per quella
cristiana.”
Entrò
nella falsa cappella, essa aveva un solo ambiente e gli unici oggetti che vi si
trovava vano erano un catino e un braciere, entrambi posti su un treppiede. Il
giovane notò che vi era anche un cumulo di terra e un buco nel soffitto.
Tutt’attorno, sulle pareti e al suolo, si potevano distinguere simboli più volte
tracciati e cancellati, resi di cera, cenere d’incenso, ossa bruciate, anche
qualche traccia di sangue. Evidentemente si trattava di un luogo di culto e di
ritualismi connessi alla tradizione celtica. Il giovane lo capì bene e fu certo
che da poco era stato celebrato un qualche rito, poiché il braciere era ancora
caldo. Impossibile da capire era quale tipo di rito si trattasse, poiché la
confusione lì attorno era eccessiva.
Galahad uscì
dall’edificio e decise di rovesciare l’acqua nello smeraldo per vedere che cosa
sarebbe accaduto e indagare su ciò che succedeva in quel luogo.
Appena
l’otre fu colmo d’acqua il cielo si lacerò: lampi accecanti provenienti da
sedici direzioni, le nubi si ammassarono e vomitarono pioggia e grandine. I
fulmini piombavano al suolo, incenerendolo e il giovane doveva balzare da un
lato e dall’altro per evitare essi e i rami che si spezzavano, mentre dal suolo
parevano emergere le ossa di chi lì era morto. Si sentirono ululati, ringhi e
versi terrificanti, ma chi poteva dire se erano di bestia feroce o
semplicemente causati dal vento?
Galahad provò a
rifugiarsi dentro al piccole edificio, per ripararsi, ma trovò la porta
bloccata e quando provò a sfondarla, un’onda d’urto lo scaraventò a diversi
metri di distanza; così si limitò a togliersi di dosso e gettare via tutti gli
oggetti metallici che aveva, nel tentativo di non attirare fulmini.
La
tempesta, piano, piano, si acquietò, lasciando distruzione nella radura. Il
giovane pensò di essere al sicuro, ma tale illusione durò pochi secondi: dal
bosco emersero lupi alti due metri, tori furiosi e orsi con zanne.
“Allora
non tutti gli animali della foresta scappano” commentò, ironico, tra sé e sé
“Solo quelli che hanno paura di incontrare questi.”
Le
bestie si slanciarono in carica contro di lui che si trovava disarmato e senza
protezioni. Si gettò a terra per evitare un assalto, poi rotolò rapidamente per
qualche metro per poter afferrare la spada e lo scudo. Pensando principalmente
a difendersi, corse verso il pino in modo tale che il tronco gli coprisse la
schiena e dunque gli evitasse di essere accerchiato, mentre i rami bassi
avrebbero impedito alle bestie di balzargli addosso.
Non
volle chiamare in aiuto il suo cavallo, poiché temeva che potesse essere
sopraffatto dal gran numero di avversari e non lo voleva mettere in pericolo,
tuttavia Brannon corse in soccorso del suo padrone,
soffiando fiamme dalle narici e colpendo coi possenti zoccoli.
Galahad si riparava con
lo scudo dalle artigliate, mentre affondava la spada ora in lupo, ora in un
orso e il sangue schizzava da tutte le parti. Quando, però, il suo scudo finì
tra le fauci di un lupo e lui lo dovette abbandonare per non rischiare di
perdere un braccio, decise di balzare su uno dei grossi rami e combattere da
lì, benché gli fosse più difficile colpire, era anche più al sicuro.
Mentre
era lì che resisteva e combatteva, si ricordò della benda con cui si era
fasciato il braccio sinistro per tenere più comodamente lo scudo; la slegò
rapidamente, poi ne strinse un’estremità attorno all’elsa della spada, l’altra
al proprio polso: in questo modo poteva scagliare la spada per colpire più
facilmente e poi ritirarla subito su.
Il
piano funzionò talmente bene che si ripromise di usare un bracciale e una
catenella in metallo, in futuro, per replicare tale strategia. La fascia,
infatti, era troppo fragile e dopo che la lama aveva già ucciso alcune delle
creature, la benda si spezzò e l’arma rimase a terra.
Galahad allora corse
lungo il ramo per allontanarsi dalle tre bestie rimaste e saltò a terra.
Immediatamente, però, il toro cercò di incornarlo. Il giovane lo afferrò per le
corna e lo trattenne, ma la spinta dell’animale era molto vigorosa; allora
ruotò lentamente in modo da avere le altre fiere alle proprie spalle, ossia di
fronte al toro, poi lasciò la presa e si gettò a terra; si lasciò travolgere e
si ruppe un paio di costole, ma il toro nel suo impeto lo sorpassò e finì con
l’incornare i due lupi poco più in là sulla sua traiettoria.
Il
giovane si rimise in piedi e cercò di capire se la sua spada fosse abbastanza
vicina per essere recuperata prima di un altro assalto; purtroppo non lo era.
I
due lupi erano morti, ma il toro era ancora inferocito e presto puntò
nuovamente contro l’uomo. Brannon si frappose tra
loro col suo fiato di fiamme. Galahad allora corse a
prendere la propria spada e poi si slanciò contro il bovino, trapassandogli il
collo.
Era
fatta: era riuscito a sopravvivere. Il giovane staccò le corna dei due tori che
aveva abbattuto in quel combattimento per rivenderle alla prima occasione, poi
andò alla fontana per rinfrescarsi e pulirsi dal sangue e permettere al suo
cavallo di bere.
La
sfida, però, non era ancora conclusa.
Dalla
foresta si levò un fruscio per nulla rassicurante e presto uscirono strane
creature di varie altezze che avevano solo vagamente la forma umana, ma assai
contaminata da aspetti animaleschi: c’era chi aveva zampe di capra o di cervo,
alcuni erano coperti di pelliccia o lunghi aculei come istrici, altri avevano
minacciose corna o artigli o grosse zanne, alcuni erano dotati di ali.
Oltre
a ciò alcuni avevano armi, sia rudimentali, sia opera di eccellenti artigiani.
Dopo
che si erano mostrati alcuni di quegli esseri, si sentì il terreno vibrare leggermente
e si udirono dei tonfi e dal fitto del bosco emerse un’altra di queste
creature: alto quasi quattro metri, aveva zampe possenti e scattanti ma, al
posto di piedi o zoccoli, aveva grosse mani, il busto era squamato come quello
di un rettile e resistente come un carapace, aculei sulla schiena, mani con
artigli; il volto era incorniciato da una lunga capigliatura e una folta barba
ispide e crespe, in cui erano aggrovigliate foglie, piume, ragnatele e chissà
cos’altro.
Attorno
al collo aveva un medaglione d’oro, in testa aveva una corona e appesa al
fianco aveva uno spadone pregiatissimo. Evidentemente quello era il capo.
Costui
lanciò un verso che sembrava a metà tra un ruggito e un ululato, poi sfregò i
denti e parve di sentire il rumore di lame che cozzano. Puntò l’indice contro
il giovane e gli disse: “Tu! Sei stato tu a ridurre così la mia foresta, il mio
regno!”
“Veramente
è stata la tempesta.” precisò Galahad, poco convinto
di far cambiare idea all’essere, ma preferendo tentare di evitare uno scontro,
date le condizioni in cui si trovava e il soverchiante numero delle creature
che lo guardavano minacciosamente.
“Tu
per curiosità o arroganza, come tutti quelli che ti hanno preceduto, hai
versato l’acqua sullo smeraldo e hai devastato la foresta. Le nostre case sono
distrutte a causa della tua superbia e ora verrai distrutto come tutti i folli
che ti hanno preceduto.”
Galahad si rese conto
che non sarebbe stato con la dialettica che si sarebbe salvato da quella
situazione, per cui accettò l’idea di dover combattere. Provò tuttavia a dire:
“Ignoravo che questo luogo fosse abitato da voi e se vi ho recato danno od
offesa sono pronto a pagare l’ammenda. Vi esorto a un comportamento giusto e
far sì che questo dissidio si risolva con duello tra me e voi o chi riterrete
più idoneo a difendere i vostri interessi.”
La
creatura scoppiò in una risata agghiacciante che fece tremare tutti gli alberi
nei paraggi, poi esclamò: “Giustizia?! Che cosa ne sapete voi, umani, di
giustizia? Vi comportate come invasori, distruggete e disprezzate e invocate la
parola giustizia solo per difendere voi stessi e i vostri interessi: voi la
potete infrangere quanto vi pare, ma siete pronti a fare le vittime non appena
qualcuno vuole rendervi pan per focaccia.” poi si rivolse ai suoi sudditi e
gridò: “Andiamo, annientiamolo! Che le sue ossa intarsino i manici dei nostri
coltelli!”
Galahad fece appena in
tempo a recuperare il proprio elmo e giavellotto e a salire in groppa a Brannon. Il giovane ormai si fidava del proprio destriero e
quindi si sorreggeva solo in sella e con le staffe, senza tenere le briglia; in
questo modo poteva brandire in una mano la spada, nell’altra il giavellotto,
con la prima falciava, col secondo perforava; il difficile era riuscire a
tenere sotto controllo ciò che accadeva attorno a lui e prevenire gli attacchi
sia da destra che da sinistra.
Il
fiato ardente del cavallo aiutava a tenere a distanza gli assalitori e i suoi
zoccoli calpestavano in una frenetica cavalcata chiunque fosse sul suo cammino.
Il
sovrano di quelle creature, tuttavia, non se ne stette in disparte e si unì
allo scontro: con forza speronò Brannon e il giovane
fu sbalzato via, cadendo in mezzo a un manipolo di nemici che subito gli saltò
addosso, ma lui resisteva e quando fu privato del giavellotto, usò una delle
corna di toro per difendersi ed attaccare, mentre gli esseri aumentavano le
proprie dimensioni per colpirlo con maggior potenza.
Galahad sanguinava
copiosamente e le costole rotte non erano l’unica cosa a fargli male, tuttavia
resisteva e continuava a combattere senza incertezze.
Ad
un tratto, le bestie che lo stavano assalendo vennero sbalzate all’indietro di
alcuni metrida una forza invisibile. Il
giovane se ne sorprese, ma ne approfittò per riprendere fiato e armi, prima di
interrogarsi su cosa fosse successo; un attimo dopo, però, si sentì trascinare
all’indietro di qualche metro e si ritrovò di fianco Melissa. A quel punto lo
stupore era tale che non poté trattenersi dal domandare: “Che cosa ci fai qui?”
“Dopo.
Restate nel cerchio e non potranno avvicinarsi.”
Galahad guardò a terra
e riconobbe quello che era un sigillo di protezione, evidentemente appena
tracciato dalla giovane. Ribatté: “Io li devo combattere.”
“Vi
ammazzeranno! Sono troppi e voi non avete l’equipaggiamento adatto.”
“Il
vostro piano sarebbe rimanere nel sigillo per il resto dei vostri giorni?”
“Prima
o poi si stuferanno di aspettare e se ne andranno.”
“No.
Faranno turni di guardia e appena metterò un piede fuori riprenderemo a
combattere.”
“Allora
approfittatene per riprendere energie.”
“No,
a riposarmi rischio di sentire di più gli effetti delle ferite, a meno che voi
non abbiate qualcosa per un’immediata guarigione.”
“Temo
di no; potrei fare qualcosa in quanto mezza Pegea, ma
mi occorre del tempo e …”
“Codardo!
Vigliacco!” tuonò la voce del capo delle creature “Prima dici di voler pagare
pegno per i tuoi errori e poi ti sottrai alla lotta!”
“Calmatevi!”
replicò Galahad “Torno subito a combattere!” poi si
voltò verso la ragazza e le disse sottovoce: “Credo che questi siano Spriggan, il che significa che possono aumentare le loro
dimensioni gonfiandosi.”
“Quindi?”
“La rana e il bue, avete presente?”
“Certo!”
esclamò lei, capendo.
“Bene,
puoi farlo? Basterà sul loro capo: faccio i conti che, sconfitto lui, gli altri
si ritirino.”
“O
lo vendicheranno?”
“Tentiamo.
Voi, comunque, restate nel vostro sigillo.”
Il
giovane uscì dal cerchio e riprese il suo combattimento, senza esitazione
alcuna.
Melissa
aveva capito che cosa doveva fare: nella favola, la rana che voleva eguagliare
in grandezza il bue si gonfiava e gonfiava fino ad esplodere; Glahad si aspettava che lei riuscisse a far gonfiare il
capo dei mostri contro la sua volontà fino a farlo scoppiare.
La
ragazza sapeva bene di non poter costringere la creatura a fare ciò che lei
voleva e neppure era in grado di creare un’illusione che mostrasse un essere
così grande da indurre la creatura ad aumentare le proprie dimensioni. Tutto
ciò che poteva fare era di introdurre a forza lei stessa dell’aria dentro al
mostro. Per fortuna si trattava solo di spostare dell’aria e, dunque, vi riuscì
senza troppe difficoltà.
La
bestia si sorprese di vedere il proprio corpo ingrandirsi, senza che lei lo
volesse; cercò di buttare fuori aria ma
non vi riuscì. Cresceva sempre di più: sei metri, nove metri, tredici metri …
un gran boato e brandelli della bestia piovvero su tutta la foresta. I suoi
sudditi, spaventati e confusi, scapparono in ogni direzione.
Rimasti
soli nella valle, Galahad si voltò verso la ragazza e
le disse: “Non hanno optato per la vendetta.”
“Potrebbero
tornare o potrebbe arrivare di peggio, è meglio andarcene alla svelta.”
“Non
ancora: devo prima capire come impedire che tutto ciò si ripeta.”
“Dubito
che riaccada: questa era una trappola per voi.”
“Per
me, dite? Impossibile. Un monaco mi ha detto che da vario tempo accade tutto
ciò.”
“Vi
ha mentito, allora. Andiamo in paese e domandate agli abitanti se hanno mai
sentito parlare di tutto ciò.”
“Voi
dite una trappola, ma chi potrebbe avercela con me? Non ho fatto torto a
nessuno.”
“Per
qualcuno la vostra stessa esistenza è un torto.”
Galahad si accigliò,
era turbato da quelle parole, ma anche infastidito: non le poteva credere vere.
Domandò: “A chi, dunque?”
“La
Regina Ginevra vi ha in odio perché siete la prova che Lancillotto non le è
stato fedele.”
Il
giovane fu scosso da un fremito di rabbia e affermò: “Questa è una menzogna e
un’accusa imperdonabile che voi muovete sia contro la Regina, sia contro mio
padre! un tradimento talmente grave non può essere!”
Galahad, però, si
ricordò che lo zio Estor gli aveva raccontato che
Lancillotto era innamorato di una donna sposata, poi gli vennero in mente tutte
le volte in cui suo padre, a Camelot, fosse sparito
senza che nessuno sapesse dove si trovasse e che, puntualmente, neppure la
Regina si mostrava in quelle occasioni. Infine vide in un’ottica diversa la
freddezza che Ginevra aveva manifestato nei suoi confronti.
Il
giovane, tuttavia, non voleva ancora credere a ciò e chiese: “Voi come lo
avreste saputo?”
“Me
lo ha detto la mia prozia, Morgana.”
“Lei
è in esilio e piuttosto distante da qui.”
La
ragazza rise e poi fece notare: “Credete davvero che la Fata non abbia modo di
comunicare a dispetto della lontananza?”
“Ammesso
e non concesso che sia vero che la Regina mi odi, come può essere responsabile
di tutto ciò?”
“È
cugina del Signore di Avalon, credete davvero che non
conosca anche lei piuttosto bene le creature non umane e che non abbia dei
fedeli incantatori pronti a servirla? Quel piccolo edificio è il loro
tempietto, percepisco la traccia dei rituali che vi sono stati svolti e
l’ultimo dev’essere stato quello che ha creato questa
trappola con la tempesta, le belve e gli Spriggan.”
“Tutto
questo ve lo ha detto Morgana?”
“No,
lei mi ha detto solo che Ginevra vi voleva morto e che avrebbe ordito qualcosa,
ma non sapeva di cosa si trattasse.”
“Vi
ha detto di seguirmi?”
“No,
non credo le importi di voi. Ho scelto io. Giacché Merlino mi ha detto di fare
esperienze di vita, girovagando per il regno, ho pensato che seguire voi fosse
un buon modo per cominciare.”
Galahad alzò un
sopracciglio, piuttosto confuso circa come quella frase dovesse farlo sentire,
poi scrollò le spalle e chiese: “Voglio essere certo che qui non vi siano altri
incidenti: avete qualche idea su come impedirlo?”
“Mi
pare che l’epicentro di questo sortilegio sia lo smeraldo. Distrutto quello,
non dovrebbe più accadere nulla di male.”
Il
giovane si avvicinò ad esso, lo osservò e poi disse: “Distruggerlo mi pare un
peccato. Non sappiamo esattamente a cosa serva e come funzioni, magari potrebbe
rivelarsi utile. È piccolo e non dovrebbe essere pesante, lo porterò con me,
finché non mi sarà più chiaro che cosa sia. Comunque, grazie per quello che hai
fatto e per avermi avvisato.”
“Aspettate;
quanta fretta!” esclamò Melissa, avvicinandosi “Innanzitutto, lasciate che vi
curi; non tornerete in splendida forma, ma almeno vi toglierà il grosso delle
ferite e in pochi giorni dovreste rimettervi del tutto.”
“Siete
molto gentile, grazie; purtroppo non so come ricompensarvi.”
“Vedrete
che ce ne sarà l’occasione, durante il viaggio.”
“Non
capisco a cosa vi riferiate.”
“Voglio
viaggiare con voi.”
“Non
credo sia il caso e posso cavarmela benissimo da solo.”
“Come
cavaliere avete il dovere di aiutare chi si rivolge a voi. Sono una damigella
sola che chiede la vostra protezione durante un viaggio attraverso terre
sconosciute e voi osereste negarmelo?”
Era
evidente che Melissa si appellasse a quella legge per voglia di seguire il
giovane e non per paura del mondo.
Galahad lo capì e le
chiese, ironico: “Siete la stessa damigella che fino a poco tempo fa usciva
dalla città, di notte, sprezzante di tutto e di tutti?”
“Questa
non è la campagna di Camelot.”
Alla
fine il giovane cedette: “D’accordo, viaggeremo insieme, almeno per un po’.”
La
ragazza ne fu molto felice e fece qualche saltello, gioiosa.
Finita
di sistemare la situazione attorno alla fontana e messo lo smeraldo e il
piedistallo di rubini in una bisaccia, i due giovani si misero in viaggio,
prefiggendosi come prima meta il paese lì vicino per cercare un posto dove
rifocillarsi e riprendere energie, dopo quell’avventura.
Trascorsero
alcuni mesi viaggiando dentro e fuori i confini di Logres,
talvolta ospiti in castelli, altre accontentandosi di modesti ripari. Galahad era sempre pronto a mettersi al servizio di chi
avesse bisogno: ora scacciava briganti, ora affrontava creature o sortilegi che
rendevano pericolosi sentieri o luoghi.
Quelle
che un tempo sarebbero apparse come imprese straordinarie al giovane, ora erano
diventate normale amministrazione e le affrontava piuttosto serenamente,
imparando sempre qualcosa, ma senza essere più particolarmente impressionato.
L’impresa
che lo aveva fatto sudare maggiormente in quei mesi era forse stato
l’affrontare una sorta di orco, ma di origine demoniaca, che si era stabilito
nei pressi di una città e pretendeva un tributo di un carro di grano ogni
giorno, solo che poi divorava anche i buoi che avevano tirato il carro e la
persona che lo aveva condotto.
Quando
aveva avuto notizia di ciò, Galahad aveva
immediatamente deciso di affrontare la creatura e dopo una strenua lotta. Le
difficoltà non erano state causate dalla forza o abilità in combattimento,
bensì dalle capacità demoniache dell’orco in grado di agitare l’animo del suo
avversario: risvegliare le sue paure, provocargli allucinazioni, stuzzicare
rabbia, orgoglio od altro per farlo distrarre o cadere in errore.
In
futuro si sarebbe accorto che quell’orco aveva solo grattato la superficie del
suo animo, ma quella prima esperienza bastò per turbare alquanto il giovane che
si era reso conto di avere, assopito dentro di sé molto più di quel che
credeva.
Durante
tutte queste imprese, Melissa gli era rimasta sempre accanto, a volte
seguendolo negli scontri, altre rimanendo ad aspettare. Non si era però
limitata ad accompagnare il giovane, prestava sempre grande attenzione ai
luoghi che attraversavano e si fermava o imponeva deviazioni quando aveva
l’occasione di consultare manoscritti, oppure di cercare qualche druido o
sacerdote o mago più o meno deciso a fare l’eremita per poi porgli domande.
Tali soste non dispiacevano neppure a Galahad.
Un
giorno, mentre cavalcavano lungo un sentiero fiancheggiato da campi di grano,
incontrarono un anziano zoppo che procedeva lentamente, appoggiato ad un
bastone.
Come
lo vide, subito Galahad scese da cavallo e offrì al
vecchio di salire sul destriero: lo avrebbero accompagnato fino alla sua
destinazione. L’uomo, però, rifiutò. Il giovane allora gli domandò se avesse
bisogno di denaro o in quale altro modo poteva essergli utile, ma il viandante
negava di aver bisogno d’aiuto. Il cavaliere chiese se ne fosse proprio sicuro,
allora l’anziano gli disse: “Io sto bene, ma se proprio vuoi rendermi un
servizio, ti chiedo di accordarmi un favore.”
“Qualsiasi
sia lo accetto, purché non rechi onta o danno a qualcun altro.”
“Ve
lo garantisco. Dunque, impegnate la vostra parola?”
“Certamente,
domandate pure.”
“Bene,
il favore che mi avete accordato è quello di non rivelare ad alcuno il vostro
nome fino al nostro prossimo incontro. Se qualcuno vi domanderà chi siete, gli
risponderete con un falso nome, sempre diverso.”
Galahad fu certo
sorpreso da tale richiesta, tuttavia aveva promesso e quindi assicurò al
vecchio che si sarebbe comportato così.
Dopo
quell’incontro, non trascorse giorno in cui Galahad
non dovesse cimentarsi in una grande impresa e ne uscisse vittorioso. Sembrava che,
d’improvviso, tutti i portenti di questo mondo si fossero piazzati sulla sua
strada: combattere bande di ladroni era ormai il minimo che gli potesse
accadere, poiché suoi avversari erano diventati mostri serpentini, bestie sputafuoco, chimere e manticore, spettri, cavalieri
maledetti e così via, oppure doveva recuperare le reliquie di un qualche santo
per la tale o tal altra chiesa, o armi smarrite nei secoli addietro o scettri o
calderoni appartenuti a qualche stregone del passato.
Ogni
giorno una nuova avventura e intere città o villaggio colmi di ammirazione e
gratitudine si rivolgevano al giovane, volendogli rendere i giusti omaggi e
concedergli la gloria. Sempre gli domandavano il nome per poterlo ricordare e
scrivere storie sulle sue gesta; il giovane, memore della promessa fatta al
vecchio, mentiva sempre circa la propria identità.
Gli
dispiaceva perdere il merito di tali imprese? Inizialmente sì, certo.
Avrebbe
potuto rivelare il proprio nome, tanto il vecchio non lo avrebbe scoperto?
Probabile.
Aveva
timore di perdere la propria identità per sempre, visto che chissà quando e se
avrebbe visto l’uomo? Sicuramente.
Dopo
un po’ di tempo, tuttavia, si era abituato a quell’anonimato; aveva imparato a
sentirsi appagato dalla consapevolezza di avere fatto la cosa giusta, dal
pensiero di avere fatto del bene. La gloria gli iniziava ad apparire come una
gran maschera: bella ma vuota.
In
questa maniera trascorsero altri tre mesi. Una sera, mentre attraversavano un
bosco e ormai si erano rassegnati a dormire alla diaccio, i due giovani
scorsero una luce in lontananza. Galopparono in quella direzione e trovarono un
castelletto. Chiesero ospitalità e fu loro concessa.
Sembrava
esserci un solo valletto in tutto l’edificio; li accolse lui, fece lasciare
loro i cavalli nella stalla, poi li condusse in un edificio separato dal corpo
centrale della fortezza. Li lasciò soli una mezz’ora, poi tornò con della zuppa
calda che offrì loro per cena e se ne andò nuovamente. Tornato a prendere le
scodelle vuote, li informò che il signore del castello desiderava incontrare il
giovane cavaliere.
Galahad fu un poco
restio: quel luogo e quei comportamenti non gli piacevano molto e lo rendevano
sospettoso, quindi non riteneva prudente che lui e la sua amica si separassero.
Dopo aver viaggiato assieme per quasi un anno e aver vissuto esperienze di ogni
tipo, i due giovani si erano molto affiatati e legati d’affetto, avevano
imparato a conoscere i ritmi e le esigenze l’uno dell’altro e quando
affrontavano insieme un’impresa, spesso non avevano neppure bisogno di parlarsi
mettersi d’accordo su come agire o dove andare: istintivamente avevano le
medesime idee o prendevano le stesse decisioni.
Galahad, dunque, non
era certo che dividersi in quella situazione fosse la cosa migliore da fare,
Melissa tuttavia gli disse che sentiva che era importante che lui andasse ad
incontrare il loro anfitrione, così alla fine il giovane si convinse e accettò.
Il
valletto lo accompagnò fino al portone d’ingresso al cuore del maniero, lo aprì
e poi lasciò che il cavaliere entrasse da solo.
Galahad attraversò un
lungo corridoio primo di porte ai lati, il che era alquanto singolare, si trovò
poi davanti ad un uscio, lo aprì e si ritrovò in un’immensa sala con numerosi
scaffali straboccanti di papiri e rotoli e vi erano anche alcuni oggetti posti
in teche e su piedistalli. Il giovane immediatamente riconobbe l’Arca dell’Alleanza.
Notò anche che ai lati della porta c’erano due statue in oro di grandi leoni
addormentati. Non vedendo nessun altro, si avvicinò ai rotoli per vedere di che
cosa si trattasse; i primi che gli capitarono sott’occhio riportavano nelle intestazioni
nomi come Eraclito, Pitagora, Orfeo, Zoroastro,
Ermete. Non fece però in tempo a guardarli, poiché udì una voce alle sue spalle
dargli il benvenuto.
Galahad si voltò di
scatto e si meravigliò di vedere Pelleas, seduto su
una sedia, sempre con la gamba sanguinante, e sua madre Elaine.
“Son
felice di rivederti Galahad, sei cresciuto bene,
vedo. Tua madre me lo aveva raccontato.”
Il
giovane era confuso, aveva varie domande, ma poi esclamò: “Madre, che cosa ci
fate voi qui? Non siete in Benoic?”
“Figliolo,
il mio compito non è essere sposa di tuo padre.” gli rispose la donna “Gli sono
stata accanto fintanto che tu sei stato con noi e avevi bisogno di me. Il mio
posto, tuttavia, è questo ed è anche il tuo.”
“In
che senso?”
“Tu
appartieni a questa Biblioteca” spiegò Pelleas “Gli
altri cavalieri l’hanno servita egregiamente in questi anni, ma tu ne sarai il
custode.”
“Non
capisco.” ribatté il giovane “E poi avete detto Biblioteca?”
“Sì,
ora ti spiegherò meglio, avvicinati.” lo esortò l’uomo “Come ti dissi una
volta, il mio nome è Yahuda. Nacqui in Alessandria
all’epoca dell’imperatore Augusto. Nei primi decenni della mia vita, ho
assistito a grandi prodigi e ho conosciuto il bene e il male che derivano dal
soprannaturale. Mi fu concessa l’immortalità a patto che mi impegnassi a
difendere l’equilibrio tra la magia e il resto del mondo, tra creature mistiche
e gli uomini normali. Il mio compito è custodire le conoscenze esoteriche e
raccogliere artefatti che non devono cadere nelle mani di stolti o malvagi. Decisi
così di fondare la Biblioteca, quella della mia città mi è stata d’ispirazione
ed è là che si trova l’ingresso principale, questo castello è un portale
secondario che posso spostare a piacimento. Per secoli ho portato avanti il mio
ruolo da intermediario e difensore e, come puoi vedere, mi sono fatto una bella
collezione. Cento anni fa, tuttavia, sono stato ferito alla gamba destra da un’arma
magica e, per questo, il taglio non si è mai rimarginato. S’io fossi stato un
umano normale, sarei morto dissanguato in poche ore, ma la mia immortalità non
l’ha permesso.Questa ferita, tuttavia,
mi ha impedito di proseguire il mio lavoro, dunque ho dovuto cercare un
sostituto o un’idea che mi aiutasse. Quando la fama di Merlino mi raggiunse, mi
recai presso di lui per domandargli se la sua visione perfetta del passato e
del futuro gli sapesse indicare come potevo guarire. Egli mi disse che ciò che
poteva curare la mia ferita era la Lancia di Longino
e che essa si trovava assieme al sacro Graal in un luogo talmente segreto e
protetto che nessuno sarebbe stato in grado di trovarli, se non il cavaliere
perfetto e incorruttibile. Era necessario, quindi, aspettare l’arrivo di costui.
Merlino, sapendo che cosa faccio e ritenendolo un ottimo servizio, ebbe l’idea
di istituire la Tavola Rotonda, dove avremmo ammesso i cavalieri migliori ai
quali avrei affidato i compiti che io sono impossibilitato ad eseguire. Il primo
che coinvolgemmo nel progetto fu Artù ed è a lui che rivelo quali artefatti
occorre recuperare o quali gravi minacce vanno affrontate e lui distribuisce
queste missioni ai suoi cavalieri che io e Merlino abbiamo selezionato. Ho
risposto a tutte le tue curiosità?”
“Abbastanza,
ora mi la situazione mi è un po’ più chiara, benché su alcune cose siete stato
vago.”
“Non
posso certo rivelare subito tutto quanto. Procediamo. Tu sei stato messo alla
prova, per stabilire se fossi pronto per unirti ai cavalieri della TavolaRotonda.”
“Mi
avete osservato durante quest’ultimo anno?”
“Sì,
ma la prova non l’hai affrontata e superata con la spada o l’ingegno. Ciò che
poteva privarti di questo posto era l’orgoglio, per questo mi sono mascherato
da vecchio e ti ho imposto di non rivelare il tuo nome.”
“Eravate
voi, dunque?!” si stupì il giovane.
“Sì.
Volevo vedere se saresti stato capace a rinunciare alla gloria e, soprattutto,
a non soffrirne. Questi ultimi tre mesi hanno purgato il tuo animo dalla
superbia. Ora ci sono ancora debolezze e timori in te, ma non ti possono
corrompere. Ritengo quindi che tu possa essere annoverato tra i cavalieri della
Tavola Rotonda.”
“Davvero?!”
“Sì.
Torna pure a Camelot e, quando Artù e gli altri
siederanno attorno alla Tavola Rotonda, aspetta che tutti abbiano preso posto,
poi siediti sulla sedia che rimane. A quel punto si solleveranno
perplessitàche saràMerlino a spiegare.”
“Vi
ringrazio davvero tanto per quest’onore e questo dovere che mi affidate.”
“Io
ringrazio te di esserti dimostrato degno e volenteroso. Comunque, ti piace la
Biblioteca?”
“Certamente!
Ho appena intravisto il dorso di qualche rotolo e la mia attenzione è stata
catturata.”
“Puoi
rimanere quanto desideri e leggere tutto ciò che ti interessa.”
“Grazie,
sarà un vero piacere. Qua fuori, tuttavia, c’è una mia amica che apprezzerebbe
davvero molto questo luogo. Posso invitarla ad entrare?”
“No.”
Yahuda fu cortese, ma inesorabile “Questo è un luogo
segreto ed inviolabile. Soltanto Merlino, Artù, Galvano e Lancillotto sono
entrati qui, prima di te, a nessun altro è stato accordato tale privilegio. Ho osservato
anche la tua amica, durante gli ultimi mesi, sembra una brava persona, ma non
basta ciò a poter entrare qua.”
“Allora
non mi tratterrò oltre, non voglio lasciarla sola. Durante il mio viaggio ho
recuperato alcuni oggetti che forse dovrebbero stare qui: ve li consegnerò e
poi prenderò congedo.”
“Come
vuoi.” acconsentì Pelleas, benché non sembrasse
realmente contento “Ricordati ciò che dovrai fare a Camelot.”
Galahad lasciò
l’edificio in cui aveva incontrato Yahuda e sua
madre. Alla fine non aveva domandato conferma di ciò che gli aveva raccontato Estor, ossia che l’uomo fosse il padre di Elaine, ma in
fondo sentiva che non gli importava più saperlo o forse aveva timore a
chiedere. Non capiva bene perché, ma l’iniziale sensazione di stupore ed
entusiasmo era stata un poco offuscata da una sorta di fastidio, benché non gli
fosse chiaro il motivo.
Tornò
nell’edificio dove era rimasta Melissa e la trovò assorta in meditazione, per
cui decise di non disturbarla; si sedette a terra, con la schiena appoggiata al
muro, e rifletté su quanto aveva appena scoperto. Non passò molto e la giovane
si scosse dal proprio esercizio, vedendo l’amico si avvicinò a lui e gli chiese
come fosse andato l’incontro con il signore del maniero.
Galahad aveva uno
sguardo mesto e rispose: “Bene, direi. Ho scoperto che era questa la meta del
mio viaggio.”
“Non
sembri soddisfatto.”
“Non
so, c’è qualcosa che non mi convince, ma non capisco cosa sia, pazienza.”
“Forse
avevi diverse aspettative e aver trovato la realtà diversa ti ha un poco
deluso?”
“Potrebbe
essere.”
“Ti
andrebbe di parlarne?”
“Sì,
ma non so se posso. Gli altri cavalieri fanno gran mistero di tutto questo …
D’altra parte, però, nessuno mi ha detto di tacere su quanto mi è stato detto e
di tenere il segreto … quindi, teoricamente, non dovrei contravvenire alcuna
regola, se ti raccontassi, giusto?”
“Questi
sono i rari casi in cui approvo il sofismo. Dimmi
pure.”
“Ho
parlato col misterioso signore che è all’origine della fondazione della Tavola
Rotonda e mi ha ammesso tra i suoi cavalieri. Sostiene di avere cinquecento
anni, circa, e di combattere il male, raccogliendo oggetti che sarebbe
imprudente lasciare alla portata di chiunque e fronteggiando le manifestazioni
malvagie o pericolose della magia e del soprannaturale. Raccoglie anche molti
scritti antichi …”
“Sì,
ma la nominata una volta Merlino, per poi subito dire che non avrebbe dovuto
parlarne. Secondo me è stato uno di quei casi in cui uno vuole far sapere
qualcosa, ma ufficialmente non potrebbe. Se davvero non avesse voluto ch’io me
ne ricordassi, Merlino avrebbe senza dubbio manomesso la mia memoria, se non
l’ha fatto vuol dire che in realtà voleva ch’io sapessi qualcosa.”
“Strano.
Teoricamente Pelleas e Merlino sono alleati, anche se
effettivamente è un po’ strano: Pelleas sembra molto
diffidente nei confronti della magia ed ha sempre parlato sottolineando come
vedesse soprattutto la pericolosità della magia, anziché i suoi benefici. Per
meglio dire, ha sempre ritenuto l’umanità troppo meschina e d’animo basso per
poter utilizzare la magia saggiamente, oppure che troppo facilmente si lasci
corrompere dal potere magico. Inoltre, anche circa le creature sovrannaturali è
sempre stato piuttosto ambiguo: ne parla come se li frequentasse abitualmente
ma, allo stesso tempo, non si fida mai.”
“Sembra
che tu conosca piuttosto bene quest’uomo, per avergli parlato sì e no una
mezzora.”
“In
realtà l’ho conosciuto anche in passato e abbiamo avuto lunghe conversazioni,
ma all’epoca non sapevo chi fosse. Merlino cosa ti ha detto esattamente?”
“Non
molto, visto che ha subito affermato che non avrei dovuto saperlo. Comunque ne
ha parlato come un’opera buona negli intenti, ma con qualche pregiudizio e
preconcetto da cui si lascia troppo condizionare. Merlino spera di poterli
aiutare a vedere le cose in maniera un poco diversa.”
“Ecco
che cosa non mi convince. Mi hanno dato l’impressione di una sorta di chiusura
mentale, un atteggiamento di chi si barrica e annichilisce, anziché di
apertura, ascolto e incontro come invece potrebbe essere, dato il grande sapere
che hanno a disposizione.”
“Non
credi di avere affrettato un po’ troppo il giudizio?”
“Forse,
ma il fatto che si avvalgono dell’aiuto dei cavalieri della Tavola Rotonda, ma
solo ad alcuni di loro hanno rivelato come stiano effettivamente le cose e
abbiano loro permesso di entrare là dentro ... mah, non mi piace.”
“Quindi,
che cosa vorresti fare?”
“Semplicemente
capire. Anche se adesso non credo di condividere pienamente il loro
atteggiamento, penso che comunque stiano facendo qualcosa di buono e quindi
voglio aiutarli. Vedrò in futuro se le cose cambieranno e come.” rimasero in
silenzio un poco, poi lui aggiunse: “Mi ha infastidito che ti abbiano esclusa
in maniera così … così … poco educata.”
“Se
sono così riservati come hai detto, non c’è da stupirsene.”
“Un
briciolo di tatto avrebbero potuto usarlo.”
“E
come?”
“Non
lo so. È da un anno che io e te viaggiamo assieme e, se Pelleas
ha osservato me, avrà sicuramente visto anche te. Le qualità non ti mancano!
Poi col fatto che sei figlia comunque di Galvano, che è nella Tavola Rotonda, e
discepola di Merlino, secondo me le credenziali per entrare là dentro le
avevi.”
“Suvvia,
vuoi veramente offenderti al posto mio?” chiese Melissa, ridendo.
Galahad fu contagiato
dalla risata e si rilassò. Parlarono ancora un poco e poi si addormentarono.
Il
mattino seguente, dopo una rapida colazione, andarono nella stalla per sellare
i cavalli e ripartire. Mentre erano intenti in questi preparativi, Elaine li
raggiunse, portando con sé uno scudo e una spada e li porse al figlio.
Galahad guardò prima lo
scudo: era bianco, segnato con una croce rossa; osservandolo bene, esclamò: “Ma
questo è sangue fresco, non pittura!”
“Sì.”
confermò la madre “È sangue di Pelleas, di quello che
sgorga dalla sua ferita insanabile. Ti proteggerà e ti aiuterà in vari modi.”
Il
giovane legò lo scudo al cavallo, poi prese la spada e l’esaminò: “Sembra
piuttosto antica e orientale, per la fattura, tuttavia non sembra consumata dal
tempo e dall’usura.”
“È
la spada di re Salomone” spiegò Elaine “Non so che virtù abbia, ma sono certa
ti servirà bene.”
“Io
con la spada di re Salomone? Non so se ne sono degno.”
“Tu,
come tuo padre, discendi da re David, dunque questa spada ti appartiene come
eredità dei tuoi antenati. Pelleas avrebbe voluto
consegnarti queste armi ieri sera, ma sei andato via di fretta e non ce n’è
stato modo.”
Il
giovane ringraziò, piuttosto sorpreso, ma felice. Abbracciò la madre per
prendere congedo da lei che gli sussurrò un’ultima cosa all’orecchio: “C’è una
missione che solo tu puoi compiere, al momento. Solo un uomo puro può portarla
a termine e tu, attualmente, lo sei. La tua purezza e verginità, però, possono
essere corrotte e potresti perderle, dunque sta ben attento a mantenerti puro e
a impedire a qualsiasi cosa o persona di corromperti.”
In
tutto ciò, Elaine non aveva affatto considerato la presenza di Melissa nella
stalla; uscendo le passò accanto e si soffermò qualche istante a scrutarla in
maniera ambigua, poi uscì.
I
due giovani finirono i preparativi, montarono a cavallo e lasciarono il
castello. Dopo qualche metro, Glahad si volse
indietro per guardare un’ultima volta quel luogo misterioso, ma dietro di sé
non c’era che bosco e da nessuna parte vi era traccia del castello.
Avendo il giovane raggiunto lo scopo del
proprio viaggio ed essendo ormai passato l’anno che Melissa doveva trascorrere
facendo esperienza del mondo, i due si trovarono d’accordo sull’idea di tornare
a Camelot.
Il viaggio di ritorno fu costellato da
qualche altra avventura, ma nulla che potesse turbare o inquietare i due
giovani, ormai avvezzi ai pericoli di quelle terre.
Giunsero a Camelot
appena in tempo per prendere parte ai festeggiamenti di Natale e Capodanno.
Sia Lancillotto che Galvano furono
felici del ritorno dei loro figli, benché si stupirono di vederli arrivare
assieme, poiché non avevano avuto notizia che i due avessero viaggiato in compagnia.
Artù fu molto contento di rivedere il
giovane amico,dopo così lungo tempo, e
lo esortò a sedersi accanto a lui e a raccontargli di tutto ciò in cui si era
imbattuto da quando aveva lasciato la corte, in particolare interessandosi a se
avesse trovato Pelleas alla fine. Fu molto contento
di sapere che il ragazzo fosse stato ammesso alla Tavola Rotonda: era certo che
si sarebbe meritato tale onore.
Trascorsero le giornate di festa con
gran gioia di tutti quanti. Giunto il primo gennaio, come da tradizione, venne
aperta la stanza della Tavola Rotonda attorno alla quale il Re e i suoi
cavalieri migliori si sarebbero riuniti per un pranzo che avrebbe rinsaldato la
loro alleanza e i loro propositi; quell’anno sarebbe stata anche l’occasione
per accogliere il nuovo compagno.
Galahad si ricordò quel
che Pelleas gli aveva detto, dunque rimase in piedi
finché tutti gli altri non ebbero preso posto, poi si sedette nell’unico posto
libero: quello alla destra del Re.
“NO!” gridò Lancillotto, vedendo il
figlio far ciò.
“Fermo!” esclamò Artù, spaventato.
Tutti i cavalieri fecero eco a quelle
intimazioni, ma ormai era tardi: Galahad si era
seduto.
Qualche istante di terrore generale:
tutti gli occhi erano puntati sul giovane. Non accadeva nulla. I cavalieri
mutarono la paura in sorpresa e si guardarono tra di loro perplessi. Dicevano:
“Com’è possibile?”
“Non lo so!”
“Non è morto?”
“Nessuna voragine questa volta?”
“Sarebbe lui il predestinato?”
“Dal momento che non è morto …”
Il giovane ancora faticava a capire che
cosa turbasse tutti quanti.
Merlino, che era presente, in piedi e in
disparte, avanzò e disse: “Galahad, ti sei appena
seduto sul Seggio Periglioso.”
Il giovane si ricordò improvvisamente di
quella leggenda.
Il mago continuò: “Tale posto è
riservato al cavaliere perfetto, puro e incorruttibile, l’unico degno di
trovare il Santo Graal. Chiunque osasse sedersi in quello scranno senza esserne
degno, era destinato a morire all’istante. Tu ti sei seduto e ancora vivi,
questo significa che tu troverai la sacra coppa di Cristo e con essa la Lancia
di Longino.”
Re e cavalieri cominciarono ad
applaudire e a congratularsi con lui, a rivolgergli segni di stima e omaggio.
Galahad era piuttosto
stordito da tutto ciò e quasi non si accorgeva di quel che gli accadeva
attorno, poiché era assorto nei propri pensieri: lui il cavaliere perfetto?
Incorruttibile? Puro? Sua madre gli aveva detto qualcosa del genere, ma credeva
fosse dovuto al fatto che le madri idealizzano sempre i figli. Anche Pelleas gli aveva parlato della ricerca del cavaliere
perfetto a cui affidare la missione del Graal e quella di ritrovare la Lancia
che lo avrebbe curato; non aveva però sospettato si stesse riferendo a lui? Pelleas lo sapeva? Lo sperava? Per questo lo aveva
osservato, per assicurarsi che fosse davvero adatto a tutto ciò? E anche
Merlino lo sapeva, visto che lo aveva seguito nell’infanzia?
Un dubbio gli attraversò la mente: se
Elaine era davvero figlia di Pelleas o, per lo meno,
fosse una sua stretta collaboratrice da tempo, era possibile che non trovando
un cavaliere perfetto avessero cercato di ‘crearne’ uno, facendo nascere un
bambino e crescerlo in modo tale che diventasse il cavaliere di cui avevano
bisogno?
Quel pensiero lo impressionava, era sia
orribile che sublime: da una parte si sentiva strumentalizzato, ma dall’altra
era grato che tutta quella gente si fosse impegnata per renderlo la persona
migliore che potesse esistere.
Presto scacciò la parte negativa del
pensiero e accolse solamente quella gradevole che gli trasmetteva anche un gran
senso di responsabilità e del dovere: ora più che mai sentiva la necessità di
servire il paese e di dare sempre il massimo per non deludere mai.
Artù invitò Galahad
a non ripartire subito per la nuova avventura, ma di aspettare il ritorno del
caldo e dunque di rimanere a Camelot con gli altri
cavalieri per qualche mese. Il giovane accettò, a patto che non si raccontasse
in giro che si era seduto sul Seggio Periglioso.
Trascorse così l’inverno e giunse la
primavera e con essa la Pasqua. Camelot era di nuovo
in festa e Galahad aveva intenzione di ripartire dopo
la conclusione di quelle cerimonie.
Una grave notizia, tuttavia, sconvolse
quelle gaie feste, la corte e il popolo intero: un cavaliere gigante aveva
rapito Ginevra e le sue dame, mentre erano in un giardino, fuori dalle mura,
per raccogliere fiori con cui intrecciare ghirlande da dare in premio alla
giostra che si sarebbe tenuta il giorno seguente.
Dei contadini avevano assistito da
lontano al rapimento ed erano corsi in città a dare notizia. Subito il re e i
cavalieri si erano armati ed erano partiti all’inseguimento del gigante, ma
ormai era già lontano e le tracce del suo passaggio si profilavano lungo l’orizzonte
distante, distante.
Sconfortati, ma decisi a salvare la
Regina le altre donne, i cavalieri stavano pensando di organizzare una
spedizione in piena regola: prima sarebbero andati dei perlustratori per
trovare la casa del gigante e poi sarebbero andati assieme a reclamare coi
mezzi necessari.
Prima di tornare in città, però, incrociarono
un nano vestito da giullare che rideva di loro e li ingiuriava. Molti cavalieri,
offesi, lo avrebbero attaccato, se non fossero stati trattenuti da Artù che
domandò: “Chi sei tu che osi insultare gli uomini più valorosi di Logres?”
“Ahahaha, il
paese è in pessime mani, allora. Siete voi, vero, i cavalieri che si sono
lasciati rapire la regina sotto il naso? Come potete difendere il paese, se non
siete neppure capaci di proteggere chi lo governa? I buffoni siete voi, non io!
Con quelle spade fareste meglio ad arare i campi e dovreste attaccare i vostri
cavalli ai carretti. Cavalieri della Tavola Rotonda, vi fate chiamare, no?
Tavola Rotonda delle osterie, è questo che intendete! Le uniche cose che siete
in grado di assaltare sono gli arrosti.”
“Smettila o pagherai a caro prezzo la
tua insolenza.” lo ammonì Lancillotto.
Galvano gli intimò: “Se avete delle
informazioni sul rapimento, parlate!”
Il nano continuò, irriverente: “Ah, sono
queste le buone maniere i cui vi fate vanto? Allora la vostra magnanimità è
solo millantata. Vi dirò: il gigante che ha rapito Ginevra è Carados e sta portando le prigioniere alla Torre Dolorosa
dal Burgravio Mardoc.”
“Chi?!” domandarono alcuni cavalieri.
Galahad, che nel corso
dei suoi studi aveva avuto modo di sentirlo nominare, spiegò: “Mardoc è un necromante molto
potente, non si conosce esattamente cosa sia in grado da fare, ma si è certi
che non vi è alcuno che conosca meglio di lui la morte e il suo dominio.”
“E perché ha fatto rapire Ginevra?”
domandò Lancillotto.
Il nano rispose: “Mardoc
ha tanto sentito parlare di Re Artù e dei suoi cavalieri e ha voluto sfidarlo. Lui
non può lasciare la Torre Dolorosa e quindi ha ordinato a Cardoc
di portare là la Regina, certo che Artù sarebbe andato a combatterlo. Andate pure,
sire, raccogliete i vostri uomini e seguite la strada spianata. Affrontate il vostro
nemico, se ne avete il coraggio.”
Artù e, raccolte delle provviste, accompagnato
da una ventina di cavalieri, partì alla volta della Torre Dolorosa. Vi giunsero
dopo un mese di galoppo e fecero un piccolo accampamento. Presto affrontarono l’esercito
di Mardoc; i comandanti erano due giganti, Cardoc e Burmalt, mentre i
soldati avevano molto poco di umano: in parte erano ombre ad alta densità, che
però potevano diventare più leggere e mutevoli e se con una delle loro mani
toccavano un cavaliere, quello rimaneva paralizzato dal terrore, in preda ad
allucinazioni, oppure era investito da un tremendo freddo che gli congelava
dalle punta delle dita pian, piano fino al cuore. Un’altra parte dei soldati
apparivano invece come umani immortali o, per essere più precisi, come morti
che combattevano, ignorando le ferite e, quando perdevano un arto,
semplicemente se lo riattaccavano.
Artù e i suoi impararono presto che
anche di notte non potevano restare tranquilli: infatti, le prime mattine
trovarono alcuni di loro in preda al delirio, oppure privati di ogni goccia di
sangue o, peggio ancora, vivi ma incapaci di svegliarsi, come se fossero stati
prosciugati delle loro energie e forze. La sera successiva potenziarono i turni
di guardia e scoprirono che spettri e vampiri uscivano dalla Torre Dolorosa e
cercavano di intrufolarsi nel loro accampamento.
Ben presto ad Artù fu chiaro che l’assedio
non sarebbe stato né breve né semplice. Decise di chiamare rinforzi e ordinò
che anche Merlino lo raggiungesse, mentre rimandò a CamelotMordred, affidandogli il compito di governare in sua
vece.
Il mago conosceva bene la potenza del necromante, dunque aveva portato con sé alcuni dei propri
allievi, tra cui anche Melissa, affinché lo aiutassero a svolgere i
numerosissimi compiti: sanare i feriti e le vittime degli spettri e delle
ombre, rendere ammazzabili i soldati nemici, difendere l’accampamento con
barriere magiche, impedire che le provviste finissero e altro ancora.
L’assedio durò oltre cinque anni e la
situazione pareva essere sempre di stallo: nessun esercito riusciva a prevalere
sull’altro. L’unica cosa che pareva evidente agli assalitori era che i veri
ostacoli erano i due giganti, ma ancora non erano riusciti ad ucciderli: solo
Excalibur pareva riuscire a ferirli, ma tuttavia essi guarivano
rapidissimamente.
Una sera di settembre, Galahad per cena si unì al falò attorno al quale erano
riuniti Re Artù e gli altri cavalieri della Tavola Rotonda. Si accostò a
Galvano e gli chiese: “Sai per caso dov’è tua figlia Melissa? Sono diversi
giorni che non la vedo.”
“Non saprei, anch’io è da un po’ che non
la incrocio, ma va beh, l’accampamento è grande quanto una piccola città,
ormai, quindi è anche normale non vedersi sempre.”
“Di solito, però, ogni giorno viene ad
assicurarsi della nostra salute. Non sei preoccupato?”
“Merlino l’avrà mandata a cercare
qualche erba, è già capitato.”
“Sì, ma le altre volte ci ha avvisato
della sua assenza.”
“Vero, vero … ma non credi che Merlino
ci avrebbe avvisato, se le fosse accaduto qualcosa?”
“Sì, in effetti è plausibile … però, non
capisco …”
“Perché ti preoccupi così tanto per mia
figlia?” Galvano lo aveva domandato quasi ridendo, con un pizzico di malizia.
“Beh, siamo buoni amici, penso sia
naturale preoccuparsi, soprattutto dal momento che ci troviamo in guerra.”
“Sei sicuro di non averla fatta
arrabbiare in un qualche modo e quindi ha deciso di non farsi vedere per un po’?
Le donne reagiscono in maniera strana.”
“Sono certo di non averla offesa. Inoltre,
se fosse arrabbiata con me, perché eviterebbe anche te?”
“Ovvio: per non correre il rischio di
incontrarti.”
“Bah! Penso che andrò da Merlino a
chiedere informazioni.”
“Vengo con te ragazzo.”
I due cavalieri lasciarono il falò e
andarono nella zona dell’accampamento dove risiedevano il Mago e i suoi collaboratori.
Entrarono nella tenda di Merlino e lo trovarono intento a pronunciare un
incantesimo protettivo, per cui attesero sulla soglia che egli avesse finito e
dicesse loro di accomodarsi. Sedutisi su di un mucchio di pellicce, poi, gli
domandarono dove fosse Melissa e come mai non l’avessero vista nell’ultima
settimana.
Il Mago sospirò e rispose: “Ho sperato
tanto che lei tornasse, prima che voi veniste ad interrogarmi.”
“Dov’è andata? Perché non ci ha detto
nulla?” domandò, rapido, Galahad.
“Calma, adesso vi dirò tutto. Da un po’
di tempo io e Melissa stiamo cercando di escogitare la maniera per vincere
questa guerra. Ci siamo resi conto che voi cavalieri avete ragione nel dire che
Cardoc e Burmalt sono i due
ostacoli maggiori: Mardoc li ha trasformati in una
sorta di talismani viventi, ha rinchiuso dentro di loro il proprio potere e per
questo li protegge più di ogni altra cosa. Se si riuscisse ad ucciderli, Mardoc sarebbe finito.”
“Che assurdità!” esclamò Galvano “Perché
confinare il proprio potere dentro ad altri esseri? È più rischioso!”
“Sì, ma il potere di cui Mardoc è impossesso è troppo vasto per essere gestito tutto
in una volta e ospitato nel suo solo corpo.”
“Ah, ecco perché neppure tu sei riuscito
a sconfiggerlo, ma solo a contrastarlo, non che non te ne siamo grati. Comunque,
dov’è mia figlia?”
“Abbiamo scoperto che vi è solamente una
spada che può uccidere quei due giganti.”
“E non è Excalibur, suppongo.”
“No. È ClaìomhSolais.”
“La spada di luce?!” esclamò Galahad, sbigottito.
Sentendo la traduzione, anche Galvano
capì e chiese conferma: “Quella di Nuada Mano d’Argento?”
“Esattamente.” annuì Merlino “Melissa ha
voluto recarsi dai Tuatha De Danann
per ottenere tale spada, almeno in prestito.”
“È uno dei loro quattro tesori: non la
cederanno mai!” fece notare Galahad, alquanto
alterato.
“Pelleas ci ha
chiesto più volte di recuperarli, ma abbiamo rinunciato, dopo la morte del
terzo cavaliere.” aggiunse Galvano, cupamente.
Galahad guardò
severamente il Mago e gli chiese: “Perché hai permesso che andasse via sola?”
“Ha insistito e alla fine ho voluto
darle fiducia.”
“Perché non ci ha detto nulla? Perché
non ha voluto farsi accompagnare?”
“Ha intenzione di dare la spada a te,
Galvano, dunque voleva farti una sorpresa. Non ha voluto coinvolgere te, Galahad, per paura di offenderti, nel chiederti aiuto in un’impresa
che sarebbe servita per dare onore ad un altro.”
“Che scrupolo inutile!” inveì il giovane,
poi domandò con apprensione: “Da quanto tempo è via, esattamente? È normale che
ancora non sia di ritorno?”
“È partita da una settimana e,
considerando le distanze e la difficoltà della missione, direi che per altri
quattro o cinque giorni non c’è da preoccuparsi, se ancora non torna.”
“Eppure non sono tranquillo.” dichiarò Galahad, scuotendo il capo “Preferisco andarla a cercare
subito e, magari, scoprire che è stato inutile, piuttosto che lasciarla giorni
in più nelle mani di chissà chi. I Tuatha De Danann sono piuttosto civili, ma sono anche implacabili
verso chi si mostra loro nemico. Galvano, per favore, aiutami ad ottenere da
Artù il permesso di andare a cercare Melissa: voglio partire entro un’ora.”
“Amico mio, ti ringrazio per l’impegno e
la buona volontàche dimostri nel voler
salvare mia figlia, ma aspetta almeno domattina per metterti in viaggio. Non è
saggio uscire dall’accampamento di notte, ricordi?”
“Il mio scudo mi proteggerà da qualsiasi
attacco.”
Era vero: il sangue di Pelleas sullo scudo proteggeva chi lo indossasse da gran
parte degli attacchi sovrannaturali.
I due cavalieri tornarono presso il loro
Re, riferirono ciò che Merlino aveva loro raccontato e Galahad
manifestò la propria volontà di partire. Artù gli accordò il permesso: in fondo
era negli interessi di tutti recuperare quella spada e al più presto. Il giovane
raccolse il minimo indispensabile tra equipaggiamento e provviste, sellò Brannon e partì.
Aveva messo poco più di un chilometro di
distanza fra sé e l’accampamento, quando si innalzò all’improvviso un banco di
nebbia piuttosto fitta. Il giovane non riusciva a vedere a più di un paio di
metri davanti a sé, quindi smontò da cavallo e, tenendolo per le redini, lo
precedette per assicurarsi che il sentiero fosse sicuro e che non vi fossero
ostacoli improvvisi.
L’aria attorno iniziò a farsi sempre più
gelida, la nebbia si condensava in brina che rimaneva sospesa in aria, mentre
il terreno sotto i suoi piedi ghiacciava, diventando scivoloso.
Galahad comprese che
tutto ciò era opera degli spiriti evocati da Mardoc,
dunque non vi era altra soluzione che fermarsi ed affrontarli. In che modo,
però? Non poteva certo trafiggerli con la spada.
In passato, quando si era ritrovato di
fronte a creature di quel genere, il giovane aveva sempre avuto al proprio
fianco Melissa con qualche soluzione magica; in quel momento, però, poteva fare
affidamento solo su di sé. Decise di rimanere in attesa per scoprire di quali
entità si trattasse.
Cercò di prendere il proprio scudo, per
proteggersi da influssi magici, si voltò verso il proprio cavallo e non lo
trovò: Brannon era sparito!
Si guardò nella mano in cui era convinto
di tenere le redini e si accorse di non stringere nulla.
Fiocchi di neve iniziarono a
volteggiare, il loro turbinio era ordinato e pareva seguire un ritmo preciso. Sentì,
poi, una melodia suonata da bicchieri di cristallo o tintinnata dai metalli più
leggeri e puri. D’improvviso l’inquietudine di Galahad
stava scivolando via e una sensazione di serenità lo pervadeva lentamente.
I fitti fiocchi di neve si raggrupparono
in cinque cumoli differenti che assunsero una forma umana e, quando furono
completi, furono attraversati da un fremito e la neve cadde a terra, lasciando
posto a cinque giovani donne: pelle candida, liscia e luminosa, biondi capelli
lisci e sottili lunghi tutta la schiena, occhi di cristallo, i loro corpi erano
esili e flessuosi, quasi non avessero ossa, ma estremamente ben proporzionati
tanto che si potevano notare la vita sottile e i fianchi morbidi, nonostante l’abito
di pelliccia che indossavano.
Cominciarono a danzare in cerchio
attorno al cavaliere, ridevano armoniosamente, mentre i lunghi capelli
volteggiavano nell’aria. Di tanto in tanto si avvicinavano all’uomo e lo
sfioravano con le dita sottili.
Galahad era come
ipnotizzato dalla loro bellezza e dal loro candore, rimaneva immobile, quasi inconsapevole:
vedeva ciò che accadeva ma non pensava a nulla, non reagiva; più guardava
quella danza, più la sua mente si assopiva.
Le donne si strinsero attorno a lui, lo
accarezzarono sul capo, il viso e l’armatura. I loro tocchi erano come piccole
scosse che provocavano un turbamento, subito acquietato dalla malia dei volti
delle fanciulle e il loro ancheggiare.
Una delle scosse, più forte delle altre,
risvegliò la coscienza di Galahad quel tanto che fu
sufficiente per decidere di chiudere gli occhi e restare in apnea. Senza vedere
e respirare, riuscì finalmente a riflettere: si era imbattuto in spiriti che
tramite suoni, movimenti e impercettibili profumi ipnotici colpivano la mente
degli uomini, inibivano la loro volontà e le loro capacità, rendendoli
impossibilitati a reagire: non paralizzavano il corpo, ma il cervello. Una volta
intrappolata la vittima, ne risucchiavano l’energia vitale, fino a lasciare un
corpo vivo ma vuoto. Il corpo, aggredito, cercava di risvegliare il cervello
con quelle che sembravano scosse, ma raramente la vittima riusciva a ridestarsi
e a reagire: quasi la totalità degli uomini che si imbatteva in quelle
creature, moriva.
Galahad, dunque, non
poteva conoscere alcuna procedura consolidata per sfuggire alle grinfie di
quegli spettri: doveva trovare da solo una soluzione. Dopo un rapido pensare,
afferrò la propria spada, la sguainò e si inflisse un fortissimo fendente all’avambraccio
sinistro, rompendo le protezioni in cuoio. Il dolore lancinante risvegliò totalmente
il cervello assopito. Il giovane riaprì gli occhi e vide che l’ambiente attorno
a lui era tornato alla realtà: niente nebbia o neve e Brannon
era dietro di lui.
Il cavaliere montò in sella e infilò lo
scudo che, oltre a preservarlo da ulteriori illusioni, guarì la sua ferita. Lanciò
il cavallo al galoppo.
Nota dell’Autrice:
Salve a tutti!
^____^
Vi ringrazio
per leggere la mia storia, spero vi piaccia anche se non include i personaggi
centrali della serie. Se continuerete a seguirmi, probabilmente prolungherò la
storia rispetto ai miei piani originari e dedicherò dei capitoli ad un periodo
post seconda stagione.
Per quanto
riguarda l’episodio arturiano di Mardoc, ci tengo a
condividere con voi la fonte che mi ha ispirato che non è delle più famose.
Galahad galoppò per due
giorni, sostando solo poche ore, il minimo indispensabile: Brannon
era un ottimo cavallo e, come il suo padrone, non necessitava di molto
riposoper poter dare il meglio di sé.
Procedevano all’interno di una foresta e non incontrarono nessuno, benché il
giovane avesse notato le tracce della presenza di qualcun altro. Durante la
mattina del terzo giorno, Galahad udì l’avvicinarsi,
dalla parte opposto la sua, del rumore di zoccoli di un cavallo al trotto, non
potendo avere una visuale di chi si stesse avvicinando, a causa delle curve e
della fitta vegetazione, si tenne pronto ad ogni evenienza. Avanzò cautamente e
alla fine si ritrovò faccia a faccia con Melissa.
La
maga era su un baio rosso e si teneva ben stretta quella che evidentemente era
una spada avvolta in stracci. La giovane fu sorpresa, ma felice di vedere
l’amico; arrestò il cavallo e scese per essergli più vicino e, sorridendo,
domandò: “Galahad! Che cosa ci fai qua?”
Il
cavaliere scese di sella a propria volta per abbracciarla e rispose: “Quando mi
han detto che eri andata a cimentarti in un’impresa da cui nessun eroe è
tornato indietro, beh ho pensato di venire a sostenerti, darti una mano … ma
vedo che te la sei cavata egregiamente da sola. È quel che penso io?” domandò,
indicando gli stracci.
“Sì,
è ClaìomhSolais. I Tuatha De Danann me l’hanno
prestata volentieri.”
“Evidentemente
i cavalieri hanno completamente sbagliato approccio.”
“Ai
Tuatha non piace essere derubati dei loro, ma sono
persone estremamente ragionevoli, stanno progettando di trasferirsi in
Irlanda.”
“L’isola
di fronte? Temo troveranno difficoltà: è abitata da una specie umanoide anfibia
assai bellicosa, sanguinaria e ostile.”
“Non
credo avranno troppe difficoltà, con questa spada, la lancia di Lug e il loro calderone sempre pieno di cibo, un po’ come
una cornucopia. Sai, sembrano molto raffinati e la loro magia è elegante e
sofisticata, non avevo mai visto nulla del genere. Mi è parso di capire che
questa non sia la loro terra d’origine,ma che siano giunti qui in nave, da isole del nord. Abbiamo veramente
poche informazioni su di loro e, spesso, sono sbagliate.”
“Per
come ne hai parlato, mi sono venuti in mente gli Iperborei. Sono leggendari,
chissà se c’è qualche collegamento.”
I
due amici rimontarono a cavallo e assieme si avviarono verso la Torre Dolorosa,
continuando a discorrere. Il giorno seguente, mentre tutto pareva continuare
tranquillamente, Brannon cominciò a mostrare
inquietudine: era restio ad avanzare, si impennava senza motivo o nitriva,
sputando fiamme tutt’attorno, rischiando di incendiare la foresta.
“Non
capisco che cosa gli sia preso.” commentò Galahad,
cercando di tranquillizzare il destriero “Non si è mai comportato così, non
senza motivo, almeno … lo sai anche tu. Sembra che ci voglia avvertire di un
pericolo, ma qui non c’è nessuno. Sono ore che continua, non vorrei stesse
male.”
“Se
non ti ha mai tradito e non si è mai sbagliato, forse dovremmo dargli fiducia
anche questa volta.”
“Credi
che abbiamo a che fare con nemici invisibili, spettrali o demoniaci? Non siamo
molto distanti dalla Torre Dolorosa, ma speravo di non imbattermi negli
scherani di Mardoc, prima del nostro arrivo. Abbiamo
un modo per farli uscire allo scoperto?”
“Dobbiamo
prima scoprire di cosa si tratta.”
“Giusto.
Facciamo un rituale di individuazione ed identificazione?”
“Facciamo? Ti ricordi ancora?”
“Certo,
tu me l’hai spiegato e io l’ho memorizzato.”
“Sono
passati più di cinque anni e da allora hai sempre combattuto nell’assedio della
Torre Dolorosa, senza avere la possibilità di mettere in pratica altro che non
fosse l’arte della guerra.”
“Il
fatto che non ne abbia avuto bisogno, non significa che abbia dimenticato.
Allora, proviamo?”
“D’accordo.
Prepara la scodella con l’acqua ed energizza una barra di ferro; io penserò a
trovare la zona più adatta e poi purificherò l’acqua e l’aria.”
Poco
dopo, entrambi erano seduti sul prato, messi uno di fronte all’altro con in
mezzo una ciotola d’acqua; Galahad stava imponendo le
mani sopra la scodella, mentre Melissa agitava la bacchetta di ferro vicino
all’acqua, ripetendo una brevissima formula più e più volte, tuttavia non
accadeva nulla.
“Che
cosa succede?” domandò il cavaliere, dopo alcuni minuti “Ci sono delle
interferenze?”
“Sì
e molto potenti. Il fulcro è distante, eppure riesce a impedirmi di proiettare
la mia volontà nell’etere e usare la magia, neppure questa che è mezza
ritualistica e, quindi, molto semplice. Riesco a connettermi con le energie
sottili, ma non ad interagire attivamente con loro.”
“Niente
magia, quindi.”
“Non
per me.”
“Brannon se ne era accorto.”
In
quel momento la Maga venne afferrata da una forza invisibile, trascinata ad
alcuni metri d’altezza e poi fu trainata in una precisa direzione che non era
la Torre Dolorosa.
“Melissa!”
gridò Galahad, scattando in piedi e pronto a balzare
a cavallo.
“Aiuto!”
gridò la donna.
Il
cavaliere era già in sella a Brannon e non aveva bisogno
di speronarlo furiosamente: il destriero era già partito al galoppo sfrenato,
inseguendo la giovane rapita. Andò talmente rapido che, nonostante rimase un
poco indietro, non la perse mai di vista, finché la Maga non venne riportata a
terra.
Galahad recuperò
facilmente il chilometro che lo separava dal punto in cui aveva visto atterrare
l’amica. Giunse in fretta e furia in quella radura e vide Melissa legata ad una
specie di altare, mentre in piedi si trovava un essere umanoide, non troppo
deforme. La creatura con un artiglio solcò un taglio sulla guancia della
ragazza, poi con la lingua biforcuta leccò il sangue, bevendolo.
Galahad, pur da
lontano, notò che sull’altare in pietra era incisa una canaletta di scolo e
sotto di essa un’ampolla grossa quanto un secchio era pronta per essere
riempita: evidentemente l’umanoide aveva intenzione di uccidere la donna e
raccoglierne tutto il sangue in un recipiente.
Sull’altare,
oltre a un coltello forse rituale, era appoggiato anche uno strumento adatto
per estrarre il midollo dalle ossa.
Il
cavaliere non perse tempo e in un attimo fu addosso alla bestia che reagì
prontamente. La creatura si alzò in volò e sputò una fiammata contro il giovane
che si riparò dietro lo scudo, per poi agilmente salire in piedi sul dorso del
cavallo e, con la spada, colpire i piedi del mostro. Costui allora provocò un
grosso vento, ma il cavaliere non cadde, anzi, spiccò un balzo e, afferrate le
caviglie dell’umanoide lo trascinò a terra. Combatterono dunque a piedi: l’uomo
con la spada e lo scudo, la bestia con artigli grossi come accette e una pelle
dura come il diamante e, ogni tanto, sputava fiamme o scaricava piccoli
fulmini. Galahad, allora, si accorse che ogni volta
che la creatura stava per usare la magia, le brillava d’azzurro una pietra
incastonata nel mezzo della fronte; dunque si impegnò per gettare al suolo
l’avversario, tenerlo fermo a terra il tempo necessario per colpire con l’elsa
e tutta la propria forza la gemma. Vi riuscì. La pietra si crepò e andò in
frantumi e la bestia morì all’istante.
Galahad, assicuratosi
che non ci fossero altre sorprese, rinfoderò la spada e corse a sciogliere le
corde che tenevano legata Melissa che, una volta libera, si gettò tra le sue
braccia e lo strinse più forte di qualsiasi altra volta.
“Tranquilla,
dovrebbe essere tutto passato. Era quel coso che ti inibiva la magia.”
“Sì.”
“Che
cos’era?”
“Non
ne sono certa: stacchiamogli la testa e portiamola a Merlino, ne sarà
interessato. Grazie mille.”
“Dovere.”
Galahad mozzò la testa
della creatura: ora il corpo non era più inscalfibile.
I due giovani passarono un paio d’ore per ritornare sulla giusta strada e
recuperare il cavallo della donna e, per fortuna, anche la spada magica.
Proseguirono il cammino e a sera si accamparono e mangiarono qualcosa.
Galahad aveva deciso di
montare la guardia per tutta la notte, non avendo paura di perdere qualche ora
di sonno. Sedeva e si guardava attorno.-
Ad
un tratto Melissa gli si avvicinò, era completamente svestita se non per una
leggerissima veste senza maniche e poco accollata, che le scendeva a mala pena
fino a metà delle cosce. Si mise in ginocchio davanti all’amico e lo guardò
senza dire nulla.
Galahad fu sconcertato
e perplesso, poi voltò il capo da un’altra parte e con rimprovero la esortò:
“Vestiti e dormi.”
“Una
parola solamente.” lo supplicò lei.
“Cosa?!”
replicò lui, seccato e sempre guardando altrove.
Melissa
si mise di nuovo davanti a lui e gli disse: “Sono sette anni, ormai, che ci
conosciamo e praticamente non abbiamo quasi passato un giorno senza che ci
vedessimo, senza che vivessimo una qualche avventura fianco a fianco o che ci
trovassimo a riversare l’uno, nell’altro le emozioni, i pensieri e l’esperienze
del giorno trascorso. Tutto ciò che è di mio, io l’ho trasmesso e affidato a
te. Non è stato un colpo improvviso, come quello che cantano i poeti, nessuna
freccia mi ha colpita accendendomi d’un tratto un fuoco di paglia. No. Vivendo
e condividendo con te gioie, difficoltà, grandi e piccole vittorie o delusioni
… la sorte tal volta ci ha sorriso, altre ci ha sottoposti a prove, ogni volta
diverse, ma sempre con una costante: eravamo assieme. Giorno dopo giorno si è
formato un braciere di quelli che possono essere sepolti dalla cenere, ma che
continuano ad ardere per mesi e mesi. Il mio cuore, la mia mente e la mia anima
ti appartengono da lungo tempo. Dimmi, li ho forse affidati a un non adatto
custode che non ha ricambiato il pegno?”
Galahad sorrise per
quelle parole: lo scaldavano pienamente. Eppure non sapeva cosa rispondere, non
sapeva come accogliere quella dichiarazione, né che cosa dovesse fare. Riuscì
solo a sussurrare: “No.”
“No,
cosa?”
Il
giovane fece uno sforzo e ammise: “Ciò che tu hai donato a me, io l’ho donato a
te. Perché mi parli così, ora?”
“Perché
da troppo tempo me lo tenevo dentro. Con una guerra in corso, non mi pareva mai
il momento adatto per rivelarti il mio cuore … ma oggi … ho temuto di morire e
allora mi sono detta che non avrei voluto più vivere un giorno di più
nascondendo i miei sentimenti. Fa male amare e doversi limitare, avere paura a
manifestarlo. Questo era l’unico segreto che c’era tra di noi ed è stato giusto
abbatterlo.”
“Melissa,
sei sicura di quel che hai detto, oppure è stata appunto l’emozione e il
terrore di oggi che ti hanno fatta parlare.”
“Dubiti?!”
si offese lei.
“Voglio
essere certo che il tuo parlare sia libero da condizionamenti. Non è onesto
approfittare della gratitudine di qualcuno.”
Melissa
corrucciò la fronte e replicò: “Ogni parola che ti ho detto stasera, l’ho
studiata nella mia mente per mesi, assieme a mille altre che in forma diversa
avrebbero espresso lo stesso desiderio. Tu, piuttosto, sei freddo e distaccato
come mai lo sei stato prima d’ora. Perché? Hai mentito per non recarmi dolore,
oppure ammettere questo sentimento ti terrorizza?”
Galahad appoggiò le
proprie mani sulle spalle della ragazza, la strinse e le disse: “Non so perché
tutto questo mi blocca e mi confonde, ma sono certo che non voglio separarmi da
te e che con te voglio affrontare la vita. Per ora, però, ci basti questa certezza.
Scambiamoci una promessa di ciò che sarà in futuro, ma non macchiamo questo
momento con ciò che non è onorevole. Io ti prometto che, quando i tempi lo
consentiranno, io ti sposerò.”
“E
io ti prometto che ti aspetterò … sperando che tale tempo giunga presto: ho
ventitre anni, ormai sono vecchia per il matrimonio.”
“Nella
fretta spesso vi è l’errore; l’attesa è consacrazione.” Galahad
diede un bacio sulla fronte all’amica e le disse “Ora vestiti e riposa.”
Melissa
obbedì, non certa di doversi sentire delusa. Il cavaliere continuò a fare la
guardia, domandandosi come mai si sentisse così scombussolato: forse perché
fino a quel momento aveva sempre dato per scontato che lui e l’amica non si
sarebbero mai lasciati, senza rendersi conto che ciò significava amore? Forse
perché prima d’ora non aveva mai pensato al matrimonio? Eppure una famiglia
felice e normale era ciò che desiderava da sempre. Temeva che il non aver avuto
una famiglia vera e propria da bambino gli impedisse di saperne gestire una da
adulto? Forse aveva paura che la realtà stridesse coi suoi sogni e le sue
illusioni e, peggio ancora, di essere lui stesso la causa del fallimento?
Era
certo che non avrebbe trovato facilmente una risposta, così come era certo che
non indulgere ai piaceri della carne quella notte fosse stata una saggia
decisione.
Ripreso
il viaggio il giorno dopo, giunsero alla Torre Dolorosa quando la notte era già
calata e molti cavalieri si erano già ritirati nelle proprie tende per dormire.
I due amici decisero di andare immediatamente da Merlino e gli riferirono
dell’aggressione, mostrando la testa del mostro.
Il
Mago la scrutò e disse: “Dunque aveva una gemma incastonata nella fronte?
Pessimo.”
“Di
cosa si tratta?” domandò Galahad, con apprensione
“Che bestie sono?”
“Nulla
che la natura, neppure quella magica, abbia deciso che debba esistere. Credo
che ci troviamo davanti ad un costrutto: un essere creato dall’assemblaggio di
parti di corpi di viventi e parti artificiali, a cui si infonde vita e potere,
tramite la magia. La pietra che hai distrutto era il potere che lo animava. Un
mago o una maga deve aver concentrato molta magia dentro alla gemma e l’ha
inserita nel costrutto in modo tale da renderlo vivo. Il fatto che volesse
raccogliere sangue e midollo significa che gli era stato ordinato di prendere
le parti del corpo maggiormente permeate di energia, che possono essere usate
per pozioni, rituali o per distillare magia da sfruttare in altri modi.”
“Chi
può essere così tanto crudele e incurante della vita altrui?!” domandò Galahad, sconvolto: di tutto ciò che aveva visto e udito
nella sua vita, quella gli sembrava la cosa più abominevole.
Merlino
sospirò e con amarezza rispose: “Temo che tu la conosca piuttosto bene:
Viviana, La Dama del Lago.”
“Che
cosa?!” esclamò ed inorridì il cavaliere “Mia nonna a volte esagera nel
sentirsi potente e ha scarsa considerazione per chi le sta attorno, ma non è
così malvagia o folle.”
“Spero
tu abbia ragione, mi rincrescerebbe scoprire un tale cattivo uso dei miei
insegnamenti. Sarò sincero, con voi. Non arrivano splendide notizie dal resto
di Logres e Artù preferisce non farne parola con
nessuno. Ci sono state alcune razzie da parte di regni vicini e qualche leggera
sommossa, ma queste sono situazione che Mordred
riesce a gestire tranquillamente. Ciò che mi preoccupa è la notizia che si
verificano spesso attacchi a miei discepoli o loro allievi, in questi ultimi
mesi. A volte da parte di altri praticanti di magia, altre volte aggrediti da
bestie come il costrutto che avete affrontato voi, altri semplicemente
scomparsi. Sono quasi venti i morti di cui ho avuto notizia. Morgana sta
cercando di contattare tutti quanti e riunirli, sperando che lo stare uniti li
possa proteggere. Qualcuno sta approfittando del fatto ch’io sia costretto a
rimanere qui; almeno qua ci sono i miei discepoli migliori.”
“Chi
può avercela tanto con noi?” domandò Melissa, incupita.
“Morgana
è persuasa sia Viviana, ma io non ho ancora visto prove.”
“Ecco”
replicò Galahad “Quindi non accusiamo frettolosamente
le persone. Che motivo avrebbe, poi, Viviana di aggredire i maghi di Logres? Non vi sono conflitti in atto tra i nostri paesi.”
“Non
sono i maghi di Logres in generale che vengono presi
di mira, bensì quelli appartenenti alla mia scuola … e non si può negare che
Viviana e il suo Lago abbiano sempre manifestato ostilità e competizione nei
nostri confronti … D’altra parte non vedo perché una guerra tra maghi, se
politicamente i nostri regni sono in pace, anzi alleati.”
Melissa
domandò: “Che provvedimenti prenderai?”
“Dovrò
indagare e approfondire la faccenda, è ovvio, ma non posso neppure abbandonare Artù
in questo momento. Per fortuna avete recuperato ClaìomhSolais, se abbiamo ragione sarà sufficiente per
concludere questa guerra in pochi giorni e dunque potremo poi tornare a Camelot e io dedicarmi a questa nuova faccenda.”
Merlino
aveva avuto ragione: non appena Glavano ebbe tra le
mani la nuova spada, poté facilmente abbattere i due giganti, non perché la sua
bravura fosse aumentata, ma poiché solo la magia di cui era permeata quell’arma
era in grado di impedire la rigenerazione di quegli esseri.
Sconfitti
i due giganti e dunque disperso e dissipato il potere di Mardoc,
fu facile per Artù e i suoi cavalieri sbaragliare il resto delle truppe,
penetrare nel castello e conquistarlo.
Un
mese dopo, il Re, il suo esercito e le prigioniere liberate erano rientrati a Camelot e avevano ricominciato a vivere la loro vita
normale, dopo un breve festeggiamento.
Artù
si ritrovò alquanto oberato di lavoro; Mordred aveva
fatto del proprio meglio per mantenere l’ordine e gestire le difficoltà,
tuttavia molti nobili, dentro e fuori da Logres,
avevano iniziato a creare problemi, cercando indipendenze o nuovi territori,
ritenendo Artù indebolito dalla guerra. Se negli anni precedenti questi
signorotti avevano combattuto separatamente, ora che il Re era tornato al
proprio posto, avevano capito che sarebbe stato meglio allearsi tra di loro, se
avessero voluto realmente ottenere qualcosa. Seguì dunque un periodo di
guerriglia all’interno del regno, simile a quello che aveva caratterizzato i
primi anni di governo di Artù, ma i cavalieri riuscirono a sistemare la
situazione in poco più di un anno.
Durante
quel periodo era capitato che Galahad finisse
prigioniero di Hueil, uno dei quattro nobili a capo di
tale cospirazione. Fu torturato per oltre un mese, ma non gli fu carpita
nessuna informazione. Alla fine fu Lancillotto, a capo di un manipolo di altri
cavalieri, che prese d’assalto il castello e lo liberò.
Galahad aveva resistito
alle torture con grande forza di volontà e lealtà, sempre confidando che non
sarebbe morto lì, ma che in un modo o nell’altro, prima o poi, sarebbe tornato
libero. Quando vide che in suo soccorso era giunto il padre, lagioia che lo riempì aveva dell’incredibile. Suo
padre lo aveva salvato, che cosa c’era di strano? Non era forse un atteggiamento
più che naturale? Sarebbe stato più strano se non lo avesse fatto.
Lancillotto
si era preoccupato per il non ricevere notizie sul figlio, lo aveva cercato,
aveva raccolto informazioni e poi era andato a liberarlo. Nessun buon genitore
avrebbe fatto meno di così.
Eppure
tutto ciò aveva meravigliato Galahad e lo aveva
riempito di felicità e rassicurato. Era come se per tutti quegli anni avesse
vissuto col dubbio di non essere amato dal padre e ora, quel gesto spontaneo da
genitore, glielo aveva dimostrato.
Dunque
Lancillotto non era deluso da lui, non lo considerava un incidente di cui,
tuttavia, sentiva la responsabilità? Evidentemente no. L’affetto paterno era
sincero e totale e Galahad ne era confortato. Si accorse
che, per la prima volta, sentiva che la sua vita non era né un errore, né un’usurpazione.
In fondo, nonostante fosse sempre stato ben accolto da tutti, dal Re e dai
cavalieri, il giovane aveva sempre il timore di essere di troppo o di essere in
un mondo che non aveva calcolato che anche lui esistesse. Galahad
non ragionava su ciò quasi mai neppure con sé stesso, era un pensiero molto
doloroso che lo assaliva nei momenti di solitudine o tranquillità, per questo
cercava sempre di essere impegnato o con le armi o con lo studio. Si riempiva ogni
momento della giornata per impedire a quelsenso di estraneità di coglierlo.
Artù
non era forse suo amico? Lancillotto non lo aveva forse riconosciuto come
proprio figlio, presentandolo al mondo? Certo, eppure ciò non gli dava la
certezza di meritare tutto ciò.
Si
sentiva perennemente in debito col mondo, di dover giustificare la propria
esistenza.
Forse
era per tutto questo che dava sempre il massimo di sé e aveva raggiunto le
vette più alte in virtù, valore, arte di combattimento, studi, saggezza e tutto
ciò che faceva. Forse era per questo che era diventato il cavaliere perfetto. Temendo
di non avere diritto ad esistere, si era prodigato per essere sempre utile.
Questa
consapevolezza, però, era latente nell’animo di Galahad
che, appunto, non ne faceva mai parola né lo ammetteva con sé stesso o voleva
rifletterci sopra. Soltanto una volta si era confidato con Melissa su questa faccenda,
ma si era talmente incupito e innervosito che aveva deciso di non pensarci più.
Per
questo Galahad si era stupito nel vedere Lancillotto
correre in suo aiuto e gliene fu infinitamente grato: gli aveva dimostrato che
aveva diritto a vivere.
Nemmeno
Melissa gli aveva mai trasmesso una simile sensazione; generalmente, quando pensava
all’amica, la vedeva come una gioia che accidentalmente il fato gli aveva
regalato, ma che sentiva di non meritare.
Lancillotto
e il figlio avevano poi assestato l’ultimo colpo che annientò le forze degli
insubordinati o che, per lo meno, li persuase a chiedere perdono ad Artù e
tornare obbedienti vassalli o tranquilli confinanti.
Durante
quel relativamente breve periodo di piccola rivolta, Merlino non era stato
accanto al Re. Il Mago, assai preoccupato per ciò che accadeva ai suoi
discepoli, si era ritirato dalla Corte per indagare sulla faccenda. Non volendo
però lasciare sguarnito Artù dal punto di vista magico, aveva affidato tutti i
propri compiti a Melissa che, oltre ad essere diventata un’abile Maga, aveva la
fiducia del Re e della Corte, essendo figlia di Galvano. Per svolgere tale
incarico, dunque, la ragazza non aveva accompagnato Galahad
in quelle imprese di ristabilimento dell’ordine.
Ritornata
finalmente la pace in Logres e trascorsi altri mesi
senza alcuna notizia di Merlino, Artù cominciò a preoccuparsi per la sua
assenza e così un giorno Galahad e Melissa si
offrirono per andare a cercare il Mago e, se non convincerlo a tornare
indietro, almeno poter rassicurare tutti circa il fatto che stesse bene.
Non
avevano indizi circa dove Merlino si trovasse, per cui decisero di recarsi
innanzitutto nella foresta di Brocelandia: un bosco
considerato sacro dai pagani e abitato da creature fatate di varie razze che,
straordinariamente, vivevano in un’unica società. Normalmente, infatti, le
creature, pur mescolandosi spesso tra di loro e con gli umani, politicamente e
amministrativamente erano divise per specie. Poteva dunque capitare che
centauri e ninfe abitassero in villaggi vicinissimi, ma entrambi avevano un
proprio governo, proprie regole, tradizioni e così via. Questo valeva per ogni
altra razza, ovviamente. L’unica eccezione di cui si aveva notizia era appunto
la foresta di Brocelandia in cui Merlino era
diventato la massima autorità. Il Mago aveva vissuto lì, dopo ilsuo incontro con Vortighen
e prima dell’arrivo di Uther a Logres,
poi vi era spesso tornato nei momenti di pace, oppure quando aveva bisogno di
meditare oppure voleva impartire lezioni speciali ai suoi allievi. Benché avesse
trascorso a Camelot molta parte della propria vita,
Merlino considerava Brocelandia come propria casa.
Per
i due giovani era dunque evidente che quello fosse il primo posto in cui
cercare. Arrivati nella foresta, Melissa fece strada verso la capanna in cui
viveva il Mago, poiché vi era già stata in passato; inoltre molte delle
creature l’avevano già conosciuta, per cui non furono diffidenti o aggressive
come invece avrebbero fatto se ad avventurarsi da quelle parti fosse stato un
semplice umano.
Merlino
si trovava effettivamente lì. La capanna in cui abitava era piccola e misera
solo esternamente, poiché una volta varcata la soglia ci si trovava in una
specie di piccolo castello, fornito di vari comfort e con la biblioteca del
Mago, la sua collezione di oggetti magici e il suo laboratorio per i rituali,
con un fornitissimo scaffale di ingredienti.
Merlino
accolse volentieri i due giovani, ma era evidente che l’amarezza lo pervadeva. Offrì
loro un bagno caldo per ristorarsi dal viaggio, poi li invitò a tavola dove mangiarono
abbondantemente e bevvero tisane.
“Sono
contento di vedervi.” disse il Mago “Ho procrastinato a lungo la mia partenza,
poiché desideravo incontrarvi, prima di andarmene.”
“Dove?”
chiese Melissa.
“Non
potevi farci chiamare?” domandò il cavaliere “Oppure passare da Camelot? Sono sicuro che Artù si dispiacerà nel sapere che
sei partito per chissà dove e quanto, senza salutarlo.”
“Lo
so, ma passare a Camelot potrebbe trattenermi più del
dovuto, oppure mutare la mia decisione e così non deve essere. Inoltre ho
voluto mettere alla prova il volere del Destino per verificare se un’altra mia
decisione è appropriata come penso e, evidentemente, lo è.”
“Di
cosa si tratta?”
“Amici
miei, sono felice di avervi conosciuto e sono fiero di ciò che siete diventati.
Ho seguito entrambi fin dall’infanzia e tra tutti coloro che ho osservato nella
mia lunga vita, voi siete quelli che mi infondono maggior speranza per il
futuro.”
“Perché
parli in questo modo, maestro? Sembra che ti stia congedando.”
“Lo
sto facendo, infatti, Melissa. Partirò per la mia ultima missione e non tornerò
più indietro. Mio padre mi ha dato la capacità di conoscere il passato, mentre
il buon Dio quella di vedere il futuro. So che sto andando incontro ad una
prigionia eterna, ma se mi tirassi indietro peggiori sarebbero le sorti che ci
abbatterebbero sul mondo, dunque lo accetto. Tempi tristi incombono comunque
sulla Terra, ma se restassi sarebbe peggio. Me ne vado, sì, ma consapevole che
in questo mondo c’è qualcosa e qualcuno che ancora può salvare l’umanità e la
magia. È sciocco separare le due cose, in fondo non sono due mondi diversi, ma
due aspetti di questo universo in cui tutti noi viviamo. La divisione tra
naturale e sovrannaturale è soltanto nelle nostre menti ed è sbagliatissimo esaltare uno dei due aspetti e disprezzare o
condannare l’altro. La separazione e contrapposizione è male e caos. Io ho
sempre cercato di mostrare che naturale e sovrannaturale non si combattono,
bensì si completano; la missione che mi ero dato era quella di abbattere questa
divisione illusoria e restituire finalmente l’armonia e cooperazione tra la
magia e l’umanità. Devo però ritirarmi prima che ciò si compia. Miliardi sono i
futuri che io posso vedere e coesistono tutti quanti finché i fatti del
presente non avvengono rendendone impossibile qualcuno. Vedo il telaio del
fato: vedo ciò che è stato tessuto finora e tutto ciò che potrebbe essere
tessuto. Vedo mondi senza magia e vedo mondi in cui essa tiranneggia, la
sofferenza e l’errore sono in entrambi, poiché manca l’equilibrio. Vedo anche
la possibilità di convivenza e armonia. Adesso ci sono isemi e i germogli che renderanno, un giorno,
possibile questo tipo di futuro, se non verranno estirpati prima. Non ho la
certezza che le cose andranno per il meglio, ma ne ho la speranza e tanto mi
basta per accettare il mio destino.”
Galahad era rimasto
molto colpito da quelle parole e da quella visione del mondo: non aveva mai
visto le cose in quella maniera, eppure l’idea che ci fosse continuità tra l’umano
e il sovrannaturale gli pareva perfetta.
Il
cavaliere disse: “Sono sicuro che Artù e i compagni della Tavola Rotonda
continueranno la tua missione. Riferiremo loro le tue volontà.”
“Non
lo farete. Purtroppo è giunto al termine anche il regno di Artù e della
TavolaRotonda e voi non li rivedrete
più.”
“Cosa?!”
esclamò Melissa, afflitta, rattristata non tanto per la caduta del regno, ma
per il non poter rivedere e riabbracciare il padre.
“Quando
lascerete Brocelandia, inizierete l’avventura forse
più importante della vostra vita, finora. Quando tornerete, Camelot
non esisterà più.”
“L’avventura
può aspettare!” esclamò Galahad “Io difenderò il re.”
“Se
rifiuterai la missione, essa non si offrirà più a te, perderai la tua grandezza
e la tua virtù, non riuscirai a salvare il regno e forse nemmeno la vita. Credetemi,
il fato di Camelot ormai è segnato: non esiste più
alcun futuro in cui essa sopravviva. Quando scoprirete le sue sorti, ne
soffrirete, ma sicuramente meno rispetto a quanto patireste vivendo la sua
caduta. Perderete molto comunque, ma se tornerete a corte e non vivrete la
missione che vi aspetta fuori dalla foresta, perderete le cose più preziose che
avete.”
“Che
cosa sarebbero?” chiese Galahad, perplesso.
“La
vostra identità. Vivere la caduta di Camelot vi
scuoterebbe completamente, vi rivolterebbe e, se sopravviverete,
non sarete più quelli di adesso, ma una versione sconfitta dal dolore e dall’ira.
La seconda cosa che perderete sarà l’appartenenza l’uno all’altra. Ciò che si
prepara sarà in grado di distruggere l’affetto che vi unisce.”
Galahad, tra il
sofferente e l’indignato, domandò: “È cosi debole il nostro affetto? E sono
così facili da manipolare le nostre personalità?”
Merlino
ribadì: “Non è una guerra comune quella che sta per avvenire. Eris scenderà sulla Terra e possiederà gli uomini. Sta per
accadere qualcosa che segnerà una frattura insanabile nella storia … insanabile
no, ma vi vorranno molti secoli, molto più di un migliaio d’anni, per
rimarginarla. Logres sarà considerato leggenda e i
suoi eroi non verranno più considerati uomini, ma personaggi del mito. Quasi tutti
i futuri che vedo restano con questa ferita aperta, ma ne vedo qualcuno in cui
si vede la cicatrice, ma il male è stato sanato. In questi sporadici futuri in
cui l’armonia si raggiungerà, c’è un fattore comune, come fosse un elemento
necessario per la loro esistenza e venuta in atto.”
“Quale?”
“Voi
due. Voi due come siete adesso o quasi: uniti. Le vostre anime, le vostre menti
e i vostri cuori sono come fossero uno solo, diviso in due corpi. È come se l’Uno
avesse avuto bisogno di scindersi in Due per poter agire. Separati, ma
connessi. La caduta di Camelot, ribadisco, sarà una
frattura nella storia e vi allontanerà irreparabilmente l’uno dall’altro se la
vivrete in prima persona. Non respingete la prossima missione che si offrirà a
voi, essa è la più nobile e se la rifiuterete, rimarrà incompiuta in eterno,
temo.”
Galahad aveva ascoltato
attentamente e, pur trovando incredibili molti dei fatti che aveva udito, non
si sentiva in grado di poter giudicare errato l’operato di Merlino: si fidava
del Mago e avrebbe seguito il suo consiglio circa ciòche fosse meglio per il mondo.
Vi
era qualcosa, però, che non gli tornava e chiese: “Hai detto che occorreranno
molti più di mille anni per riparare il danno che sta per essere causato, ma
hai detto anche che quei futuri saranno possibili solo se io e Melissa non ci
lasceremo separare. Dunque le nostre azioni adesso, avranno una ripercussione
così importante attraverso il tempo?”
“Lascia
un poco i mistero, amico mio. La missione che ti aspetta, ti chiarirà come sarà
possibile per voi influenzare il futuro. Ad ogni modo, quando avrete concluso
la missione, cercate Pelleas e la sua Biblioteca.”
“Sopravvivrà
alla caduta di Camelot?”
“Certamente.
Esiste da più di cinque secoli e durerà in eterno … almeno in molti futuri.”
“La
Biblioteca, dunque, è giusta? Possiamo fidarci di Pelleas?”
“Perché
dubiti, Galahad?”
“Non
lo so … quell’uomo mi pare nascondere molte cose, non è sempre sincero, tende a
manipolare le persone e i fatti … almeno nella mia impressione.”
“Penso
sia un atteggiamento naturale per chi ha vissuto così a lungo. Avere un’esperienza
di cinquecento anni ti porta a soppesare molto le informazioni da confidare a
chi la storia non l’ha vissuta. Pelleas è un buon
uomo, conosce l’importanza dell’equilibrio e ha la buona intenzione di
mantenerlo … l’unico problema è che potrebbe essere tal volta confuso circa
quale sia il giusto equilibrio da rispettare. Rischierà di diventare, in
futuro, come una madre iperprotettiva che tiene i figli in una campana di
vetro, recando loro del danno, pensando di fare il loro bene. Cerca di ricordartene
e di agire di conseguenza.”
Galahad annuì, restando
assorto nelle proprie riflessioni su tutta quella vicenda.
Merlino,
allora, si rivolse alla discepola: “Melissa, per quanto riguarda te, vorrei
affidarti questo luogo e il mio sapere. Vorrei che Brocelandia
fosse la tua casa e che ti prendessi cura di lei come ho fatto io. Non costantemente
qui, ma essere qua quando è necessario, soprattutto per il tuo spirito. Vorrei che
tu fossi la mia erede. Pochi futuri si profilano per me, data la decisione che
ho preso, cercherò di realizzare quello che mi permetterà, pur imprigionato, di
farti udire la mia voce, almeno quando sarai vicino alla mia prigione, così da
poter ancora guidarti, quando ne sentirai il bisogno. Sei d’accordo di
accettare questa eredità?”
“Come
si potrebbe rifiutarla? Dimmi, però, perché riponi questa fiducia in me? Non sono
la migliore dei tuoi allievi. Morgana è senza dubbio la più potente e
qualificata.”
“Sì,
è più potente, ma sai bene che la magia non è semplicemente potere. Morgana è
già lontana dall’equilibrio, la sua mente è avvelenata da alcune delle passioni
più comuni nei viventi. Non c’è nulla di male in ciò, ma non la rende adatta a
ricevere la mia eredità. Inoltre, le sorti di Camelot
la trasformeranno ulteriormente.”
I
due giovani rimasero presso Merlino un paio di giorni che cercò di trasmettere
loro tutte le conoscenze, soprattutto filosofiche, che riteneva necessarie
affinché portassero a termine il suo progetto; oltre a ciò consegnò
ufficialmente le chiavi metaforiche di Brocelandia e
la sua eredità a Melissa.
I
due amici lasciarono il mago con amarezza: sapendo ciòche stava per accadere e sapendolo
inevitabile, non potevano certo essere allegri, ma solamente sopportare il peso
di ciò che avevano appreso, in attesa di scoprire come sarebbero andate
esattamente le cose.
Galahad e Melissa si
erano lasciati alle spalle la foresta di Brocelandia,
procedevano poco loquacemente, ancora turbati e confusi per ciò che Merlino
aveva annunciato. Non potevano fare a meno di pensare alla caduta di Camelot: come sarebbe accaduto? Artù aveva resistito ad
ogni colpo per oltre mezzo secolo, che cosa sarebbe stato capace di abbattere
il suo regno? A cosa i cavalieri della Tavola Rotonda non sarebbero riusciti a
far fronte?
Merlino
aveva detto che Eris avrebbe posseduto le menti degli
uomini … che cosa intendeva dire? Era una metafora, oppure no?
Il
loro pensiero era fisso su quell’argomento ed entrambi pensavano spesso ai
rispettivi padri che temevano di non rivedere mai più.
Tornarono
a concentrarsi sulla realtà quando un pomeriggio trovarono sul proprio sentiero
uno stormo di cigni, a terra, che occupava tutta la strada: erano centinaia e
centinaia.
I
due giovani si stupirono sia per la gran quantità di animali, sia per il luogo
dove li avevano incontrati. Era impossibile avanzare.
I
cigni, poi, si fecero aggressivi, iniziarono a starnazzare e a beccare le zampe
dei cavalli e, alzandosi in volo, anche i due umani. I due amici provarono a
fuggire, voltando i destrieri, ma gli uccelli li inseguirono, incalzandoli da
una parte e dall’altra, in modo tale che prendessero la direzione voluta da
loro. Sospinti così ferocemente dai cigni, i giovani giunsero ad un cimitero,
dentro il quale furono costretti ad entrare. Gli uccelli circondarono il
camposanto, ma senza entrarvi, come se volessero rimanere di guardia per
assicurarsi che i due non uscissero.
Galahad e Melissa
avevano ben capito che quelli non erano cigni comuni e che c’era qualcosa di
sovrannaturale in quella faccenda, ma non fecero in tempo ad esprimere i propri
dubbi, che scorsero due lapidi coi loro nomi incisi sopra. Si scambiarono
un’occhiata e non ebbero bisogno di dirsi nulla per decidere unanimi di
avvicinarsi ad esse per cercare di capire la situazione. Mossi un paio di
passi, però, la terra davanti alle lapidi crollò, rivelando una scalinata che
scendeva verso l’ignoto e le tenebre.
Il
cavaliere sospirò e disse: “Se non fossero bastati i cigni a dirci di fare un
viaggio nell’oltretomba, questo è un segnale ancor più eloquente. Che ne dici?
È una morte, morte quella che ci aspetta, o una morte iniziatica? Guarda, lì
c’è il simbolo del melograno, quindi forse c’è speranza di uscirne vivi.”
“Penso
che la morte sarà morte, renderla iniziatica dipende da noi, la possibilità ci
sarà offerta, speriamo di coglierla.”
“Allora,
scendiamo? Dovremo lasciare i cavalli qua, ma non credo ci siano pericoli per
loro.”
Legarono
i destrieri vicino a un’altra lapide. L’uomo prese spada e scudo.
Melissa
osservò: “Non credo che quelle servano.”
“Hai
ragione.” annuì Galahad, riponendo le armi “Forza dell’abitudine.”
Si
avvicinarono alla scale che scendeva verso l’abisso. Erano piuttosto
emozionati: quella volta l’ignoto faceva più paura del solito. Rivolsero l’uno
lo sguardo all’altra nel medesimo istante, si sorrisero nervosamente per farsi
coraggio, poi si presero per mano e scesero il primo gradino, poi il secondo e
così via.
Il
buio li circondava, non potevano vedere nulla. L’aria si faceva pesante,
rimaneva inodore, ma era sempre più densa e difficile da respirare. Più scendevano,
più l’aria pareva trasformarsi in sabbia incandescente che bruciava il naso e i
bronchi, oltre che a graffiarli come carta vetrata.
Continuarono
a scendere, nemmeno loro seppero per quanto, poi la scalinata finì davanti a un
piccolo arco che introduceva a una sorta di piana sotterranea: il terreno era
brullo, secco e attraversato da un’infinità di crepe e, a calpestarlo, si
sollevava un sacco di polvere. Da lontano si scorgevano sagome di alberi ma,
arrivati vicino ad essi, ci si accorgeva che erano solo tronchi secchi, piante
morte poste a simulare una vita che non avevano. Allo stesso modo di tanto in
tanto pareva di scorgere animali, ma in realtà erano solo pellicce su ossa. Di
acqua non ce n’era da nessuna parte, mentre una luce solare (pur non potendo
venire dal Sole) picchiava sul terreno; sopra le loro teste, invece, vi era
solo oscurità.
“Il
panorama non sembra cambiare: deserto a perdita d’occhio.” commentò Galahad, dopo alcune ore “Che cosa facciamo?”
“Non
ne ho idea. Non so neppure in che oltretomba ci troviamo!”
“Perché,
ce n’è più d’uno?”
“Con
tutti i morti che ci sono, si faticametterli tutti in un unico luogo e farli amministrare soltanto da una
persona o poco più. Ogni popolo ha un suo specchio negli inferi … o almeno
questo è ciò che mi hanno insegnato nella famiglia di mia madre.”
“Personale
che gestisce i morti, dici?”
“Sì,
mica si autoamministrano gli spiriti dei defunti …
anche se, in realtà, la questione è complicata. Gli spiriti comuni, o per
meglio dire gli spiriti rimasti allo stadio evolutivo più comune negli uomini,
quando il corpo muore e perdono dunque il loro veicolo, vengono attratti
naturalmente negli Inferi, è come una forza magnetica che li attrae e trattiene
qua. Gli abitanti veri e propri degli Inferi hanno dunque potere su di loro e
quindi decidono come accoglierli, come trattarli, se punirli oppure no. Non ci
sono regole universali e comuni, gli Inferi sono semplicemente mondi
sotterranei, gestiti da creature come le altre. Quando uno muore, semplicemente
scende nell’Infero più vicino.”
“Aspetta,
fammi capire bene: ci sono ninfe varie per ogni tipologia di concentrazione d’acqua,
Driadi per le piante, Oreadi per le montagne, tutte quelle di boschi, valli,
prati etc; poi ci sono quelle aeree come Esperidi,
Pleiadi, Silfidi e via dicendo. Salamandre per il fuoco e dovrei avere fatto
esempi un po’ per tutte le tipologie che vivono sulla terra e nei cieli. Dunque,
se abbiamo ninfe sulla Terra e in Terra, significa che ce ne sono anche sotto?”
“Sì.
Avernali o Lampadi le chiamavano
i miei parenti; suppongo che qui abbiano un altro nome.”
“Dobbiamo
cercare chi comanda qui, secondo te?”
“Sì.
Suppongo che non ci avrebbero invitati ad entrare, se non avessero voluto che
noi li raggiungessimo e non ci stessero aspettando.”
“Perché
non ci hanno anche dato un qualche indizio su dove andare? Mah, probabilmente
ce li hanno dati e non ce ne siamo accorti. Proviamo un attimo a riflettere. Abbiamo
trovato molte cose che sembravano vive, ma in realtà erano morte … questo dovrebbe
essere il regno dei morti ma è in realtà governato da vivi, visto che Avernali o chi per loro sono in vita. Sembrerebbe, quindi,
che le cose siano rovesciate, ogni cosa è l’opposto di come appare. Forse per
sbloccare la situazione dovremmo fingerci morti.”
“Sembra
sensato. Sei geniale!”
“Vediamo
prima se funziona. Scaviamo due fosse e poi sdraiamoci dentro e vediamo che
cosa accade.”
Scavare
con le mani richiese molto tempo, fatica e sopportazione del dolore: le loro
mani sanguinavano per il tanto lavorare, ma non se ne diedero pena. Preparate le
due fosse, vi ci si collocarono e chiusero gli occhi, in attesa.
Dopo
qualche minuto avvertirono una leggera e piacevole brezza accarezzarli. Nello stesso
istante decisero di sollevarsi e guardarsi attorno. Si trovavano in un ambiente
tendenzialmente buio, ma illuminato da strane pietre brillanti o da alcune
piccole e strane piante che non si erano mai viste sulla terra, erano per lo
più rampicanti che crescevano su puntoni di roccia. Non lontano si sentiva scorrere
un fiume. Era senza dubbio un paesaggio inusuale, ma ciò che colpì maggiormente
i due amici, fu la presenza degli spiriti: erano forme eteree delle persone che
erano state. Non avevano un atteggiamento comune, ma differivano le une dalle
altre: alcune volavano da una parte e dall’altra, abbattendo ciò in cui si imbattevano,
oppure scontrandosi con gli altri; c’era chi si guardava attorno nervosamente
alla ricerca di cibo, chi scrutava chiunque con sospetto e paura, chi non la
smetteva di infastidire gli altri, uomini che inseguivano donne, donne che
inseguivano uomini, uomini e donne che stavano fin troppo volentieri assieme;
alcuni erano sdraiati, ignorando tutto quel che accadeva attorno, altri erano
irrequieti. Vi erano così tanti spiriti che è impossibile dire di ciascuno che
cosa stese facendo.
I
due viventi si incamminarono alla ricerca di qualcuno con cui dialogare o di un
nuovo indizio. Intanto Galahad domandò: “Non mi
aspettavo di trovare così tanta attività tra i morti. Le descrizioni di
oltretomba che ho letto erano piuttosto concordi tra di loro e diverse da
queste. I fantasmi erano sempre tristi, avviliti, colmi di rimpianto,
accomunati dalla malinconia e dalla vaghezza; qui, invece, sembrano piuttosto coinvolti,
anche se non capisco esattamente in cosa.”
“Tu
ti stai riferendo all’aldilà descritto da Omero o Virgilio o, comunque, a
quella tipologia dove i morti sono consapevoli della loro condizione e per ciò
ne sono afflitti. Questa, invece, mi pare essere una di quelle versioni in cui non
si rendono conto di cosa e dove sono, ma semplicemente sono in preda alle
passioni e ai desideri che li hanno posseduti in vita. Questi mi pare non abbiano
neppure ricordo della loro vita e hanno pure perduto il proprio ego.”
“Credo
che anche questo cammino non ci porti da nessuna parte. Stando a quello che hai
detto, in questa fase dobbiamo capire da cosa siamo controllati nella vita e
riuscire a liberarcene. Può essere?”
“Sembra
logico, ma non è facile. Credo che la cosa migliore da fare sia che ognuno
faccia notare all’altro da cosa lo vede condizionato; forse ascoltare chi ci
vede da fuori è più semplice che giudicarci da soli. Secondo te, qual è il mio
punto debole? Facendo leva su cosa, agisco impulsivamente, anziché secondo
ragione e giustizia?”
Galahad rifletté per
qualche momento, poi disse: “Penso che tu abbia paura. Ti mostri sempre molto
sicura di te, spesso puoi sembrare arrogante a chi non ti conosce, sei
piuttosto chiusa e hai lasciato avvicinare poche persone. Non credo che ci sia
qualcuno che abbia mai visto il tuo lato più sereno e dolce, a parte me, tuo
padre e Merlino. È come se ti aspettassi sempre del male da parte degli altri,
quindi poni delle immense distanze tra te e loro, come per proteggerti. Da un
lato sembra che tu non ritenga la maggior parte della gente degna della tua
attenzione e dall’altro sembra che tu abbia paura che essere più amichevole e
aperta verso gli altri possa minare il tuo lavoro; non vuoi mostrarti per paura
di perdere il rispetto degli altri, che le persone, considerandoti amica, ti
prendano meno sul serio e si prendano più libertà, oltre a temere che, vedendo
le tue debolezze, le sfruttino per farti del male.” poi tacque e la osservò per
vederne la reazione.
Melissa
pensò per un po’, poi annuì, rise amaramente e disse: “Sì. La paura mi condiziona
alquanto.”
“Di
me, cosa dici?”
“Scarsa
autostima. Sei estremamente insicuro, nonostante tu non abbia ragione di
esserlo. Vuoi sempre avere l’approvazione degli altri o, almeno, di chi ti è
caro, dunque agisci sempre come loro si aspettano. Per fortuna hai ottimi
modelli e le persone che non vuoi deludere, tuo padre, Artù, si aspettano un
comportamento virtuoso e giusto. Credo, però, che ormai sia il momento, per te,
di perseguire la Giustizia e il Bene semplicemente perché è quello che vuoi,
perché li conosci e vuoi realizzarli, senza aspettarti che le tue azioni ti
portino l’approvazione e la stima di altri. Un giorno, forse molto presto
stando a quello che ha detto Merlino, non avrai più il Re o Lancillotto a cui
guardare e del cui benestare essere contento. Come sarai, allora? Liberati dal
bisogno del loro consenso, del consenso di chiunque altro, anche del mio se ha
mai avuto peso. Agisci per il bene perché è giusto così e non per soddisfare
altri.”
Galahad non poté fare
altro che sorridere, con un po’ di vergogna, ed annuire. Poi chiese: “Come
facciamo a liberarci di queste dipendenze?”
“Penso
che dovremo lavorarci piano, piano, una volta usciti da qui. Per il momento
penso basti averle riconosciute ed ammesse; ora cerchiamo il fiume che
sentivamo gorgogliare poco fa e immergiamoci lì.”
“Panta rei. Acqua che scorre via, purificando: ottima
intuizione.”
Andarono
al fiume e vi si immersero. La corrente era forte, li trascinò sott’acqua e poi
li fece riemergere in una fontana, al cospetto del signore di quegli inferi.
“Benvenuti!”
li accolse l’umanoide, con la pelle verdognola “Mi chiamo Lactos
e governo su questi luoghi. Avete fatto un ottimo lavoro, finora. Avete dimostrato
che la vostra volontà è forte e ben consolidata. Il vostro spirito è superiore
a quello degli uomini comuni e, se non lo svilirete nel resto delle vostre
vite, non verrà attratto dagli Inferi, ma si volgerà verso altre vette. Meritate
di uscire da qui e riprendere il vostro cammino, tuttavia c’è un problema. Chi viene
qui, non esce. Vi è un solo sentiero che collega questo posto, con la Terra di
sopra. I vostri occhi non sono adatti alle tenebre di tale strada e quindi non
potete vedere le centinaia di orme che procedono tutte in un’unica direzione:
dall’esterno verso l’interno. Ora, se io vi lasciassi uscire, gli spiriti
noterebbero che qualcuno da qui è tornato sulla Terra e quindi mi
tormenterebbero, chiedendo di andarsene e tutto ciò causerebbe non poco danno. Come
fare, quindi, per evitare una rivolta tra i morti?”
Galahad rispose senza
esitare: “Cammineremo all’indietro, in questo modo le nostre orme saranno
appariranno come quelle di chi sta entrando e non uscendo.”
Melissa
annuì, pensando a come tale soluzione fosse usata spesso e volentieri nella
mitologia.
“Mi
pare giusto.” commentò Lactos “Potete andare, ma a
una condizione: non potrete tenervi per mano, né parlare tra di voi finché non
sarete fuori. Chi non obbedirà a ciò, verrà di nuovo trascinato qui e non vi
potrà più uscire.”
I
due giovani accettarono e si misero in cammino. Lo stesso tragitto che avevano percorso
all’andata, questa volta lo batterono camminando all’indietro, sempre avvolti
dalle tenebre, non potendo parlarsi o toccarsi, dunque senza avere la certezza
che anche l’altro stesse davvero uscendo da quegli Inferi. Mentre camminavano
in silenzio, udivano l’uno la voce dell’altro: parole disperate, chiedevano aiuto,
supplicavano e, non ricevendo risposta, insultavano e maledicevano.
Sia
Galahad che Melissa erano consapevoli che quelle voci
erano solamente un inganno, una prova per tentarli, per indurli in errore e ritrascinarli tra i morti. Era l’ultima prova che testava
la loro forza di volontà.
Dopo
un lungo cammino uscirono finalmente all’aria aperta, sotto il Sole, sulla
comune Terra. Rivedendosi si abbracciarono per dimostrare il sollievo di aver
superato quell’avventura che, in un qualche modo, li aveva trasmutati.
Quando
si voltarono per cercare di capire dove si trovassero, ebbero un’incredibile
sorpresa: una grossa nave volteggiava a un paio di metri dal suolo. Appena si
avvicinarono per osservarla meglio, una scala di corde si srotolò da sola per
permettere loro di salire. Si issò prima il cavaliere, volendo essere certo che
non ci fossero pericoli, poi lo seguì la maga. Sul ponte della nave c’erano i
loro cavalli e tutto il loro equipaggiamento.
Non
vi era nessun altro a bordo. C’era una sala da pranzo, ma non una cucina né una
dispensa, una stanza con dei libri e giochi da tavola e infine due camere da
letto.
La
nave si sollevò in volo e iniziò a dirigersi chissà dove. I due giovani,
stupiti e preoccupati si precipitarono verso il timone, sperando di poter
trovare qualcosa, ma esso era inamovibile; tuttavia notarono una scritta in
ebraico che diceva: Salomone mi fece.
Venne
la sera e trovarono la tavola imbandita. Così trascorsero settimane: in viaggio
sulla nave volante, senza che mai toccasse terra, ma con ogni cibo a
disposizione quando si aveva fame, sia per loro che per i cavalli e anche la
sala dello svago si rinnovava spesso con nuovi libri e altri giochi. Fu un’esperienza
del tutto nuova per i due amici: mai avevano trascorso così tanto tempo
assieme, senza dover affrontare pericoli e avventure. Di solito, nei periodi di
pace che avevano trascorso a Camelot, non erano mai
stati così a lungo in compagnia l’uno dell’altra; anzi, generalmente a corte si
vedevano di rado al di fuori dei ritrovi comuni, poiché Galahad
trascorreva il tempo col padre, il Re e i cavalieri, mentre Melissa riceveva
insegnamenti da Merlino e si concentrava sul potenziare le proprie capacità e
approfondire gli studi.
Quelle
settimane di pace e tranquillità sulla nave furono quindi qualcosa di mai
sperimentato prima. Si trovarono bene, tuttavia, non ci furono screzi tra loro,
trascorrevano alcune ore assieme, mentre in altre erano separati, rispettando
tempi e spazi l’uno dell’altro, senza mai problemi.
Un
giorno la nave atterrò sopra a un monte. Scesero e trovarono l’ingresso di una
grotta, che era stato scolpito in modo tale da assomigliare ad un portale. Su di
esso campeggiava una scritta che avvertiva che l’ingresso era consentito
solamente a colui che aveva ottenuto tale impresa nel proprio destino. Fu
quindi evidente che l’unico ad entrare doveva essere Galahad
che partì immediatamente, mentre Melissa lo aspettò fuori.
La
maga si era sdraiata sull’erba: era da tantissimo tempo che non aveva più un
contatto con l’energia della terra e sentiva il bisogno di ricaricarsi di nuova
energia pura e rilasciare quella ormai contaminata. Un po’ come la respirazione
di ossigeno ed espulsione dell’anidride carbonica, allo stesso modo funzionava
quella traspirazione energetica.
Era
lì, con gli occhi chiusi, che si godeva i raggi del Sole, quando avvertì un
influsso magico: non era un incantesimo aggressivo, quindi non ritenne di
doversi difendere, però qualcosa accadde. Sentì di non trovarsi più nel proprio
corpo e, anche se non aveva aperto gli occhi, vide qualcosa attorno a sé:
acqua, acqua ovunque e una donna bellissima e altera, con lunghi capelli biondi
e occhi grigi. Anche se non l’aveva mai vista prima, Melissa la riconobbe
immediatamente: Viviana, la Dama del Lago.
Dopo
ciò che le aveva detto Merlino ed essere stata messa in guardia anche da
Morgana, Melissa temette di essere in pericolo, eppure non avvertiva ostilità. Si
limitò a guardare un poco torvamente l’altra donna e aspettò in silenzio.
Viviana
aveva un’espressione comunque conciliante, un sorriso gentile ma non del tutto
spontaneo; esordì: “Salve, Melissa, finalmente riusciamo a parlarci.”
“Finalmente?”
replicò, perplessa, la giovane.
“Sì.
Ho sentito raccontare molte cose su di te, speravo capitasse l’occasione di
vederci di persona, ma visto che ho aspettato tanto, senza che ti venissi mai a
trovare dalle mie parti, ho deciso di contattarti. Conosci questo tipo di
magia?”
“No.”
ammise Melissa “Deve essere molto potente per trasportare la coscienza di una
persona in un luogo extradimensionale, senza il suo consenso … io non mi sono
mai spinta oltre la telepatia.”
“Immaginavo.
Merlino ha rivelato solamente a me i segreti più profondi della magia.”
“Lo
so. Vi ha dato un potere straordinario, ma non i mezzi per non esserne succube.”
“Oh,
è questa la favoletta che raccontano? È Morgana a
raccontare queste menzogne? Lei è sempre stata invidiosa di me. Non mi odia
quanto odia Ginevra, ma più o meno siamo lì. D'altronde, la gelosia e l’invidia
regnano a Camelot. La verità è che Merlino si infuriò
terribilmente quando si accorse di quanto fossi diventata potente, di quanto
avessi imparato e conoscessi la magia e i suoi meccanismi. Sai che cosa si
ottiene quando si ha il potere? La libertà. Non avevo più bisogno di un maestro
e delle sue petulanti regole o subdole richieste. Ero indipendente e questo
Merlino non poteva sopportarlo. A lui piaceva comandare, avere tutto e tutti sotto
il proprio controllo. Diciamo la verità: Artù portava la corona, ma a governare
era Merlino. Non gli piaceva quando altri prendevano un’iniziativa, voleva
avere seguaci e non amici. per questo ha considerato sbagliato l’insegnamento
impartito a me e, da allora, è stato molto più avaro coi propri discepoli. Non ha
mai rivelato a nessun altro la verità sulla magia e ha sempre tenuto tutti i
suoi discepoli molto al di sotto di lui, in modo tale che continuassero sempre
a venerarlo come il grande mentore indispensabile e dunque fossero sempre
pronti a venerarlo.”
“Merlino
non è affatto così.”
“Due
errori in cinque parole. Merlino era così, io l’ho conosciuto meglio di
qualsiasi altro. Punto secondo, devi abituarti a parlare di lui al passato,
ormai.”
Melissa
ricordò che il Mago aveva annunciato la sua vicina scomparsa: era già avvenuta?
Vollechiedere conferma: “Perché? Gli
hai fatto qualcosa?”
“Mi
ha costretta. Stavo elaborando un grande progetto e lui, invidioso, lo ha sabotato.
Ho dovuto rinchiuderlo in una prigione d’aria, ma ormai aveva distrutto gran
parte del mio lavoro. Sono riuscita a portare a compimento solo la prima parte
del mio piano … il che è un peccato, perché non ci potrà essere il rinnovamento
che avevo ideato … e dire che mi ero data tanto da fare per raccogliere l’energia
necessaria!”
“Uccidendo
i maghi allievi di Merlino?”
“Mi
hanno incolpata anche di questo?”
Lo
stupore di Viviana non pareva sincero. Continuò: “Tu ti fidavi ciecamente di
Merlino? Pensi che abbia sempre fatto il tuo bene?”
“Non
ne ho mai dubitato.”
“Questo
è un grave errore! Dubita sempre di chi ti offre la verità senza sacrifici, una
soluzione perfetta, senza prezzo da pagare. Mi risulta ti abbia scelta come
erede, è così?”
“Sì.”
“Eppure
non ti ha trasmesso tutto il suo sapere. Non ti ha mai mostrato la magia
applicata al tempo o alle altre dimensioni, vero? Non ti fa dubitare delle sue
intenzioni?”
“Presumo
non ne abbia avuto il tempo e che confidasse potessi arrivare da sola a quelle
conoscenze, in futuro.”
“Se
ti fa piacere crederlo …” lasciò sottintendere il resto.
Melissa
si era un poco innervosita, ma si impose la calma e domandò: “Avete detto che
volevate parlarmi, è solo per screditare il mio maestro? Inoltre, come mai
sapevate di me?”
“Credi
che solo Galahad sia diventato famoso, grazie alle
imprese che avete condotto assieme? Le persone che avete aiutato, i nemici che
avete abbattuto ma non ucciso ricordano ed elogiano sia il cavaliere che la
maga. Come ben sai, Galahad è mio nipote, quindi mi
interesso a ciò che fa ed è stato inevitabile sentire parlare anche di te. So che
sono quasi dieci anni, ormai, che siete inseparabili per questo speravo che,
prima o poi, lui decidesse di passare dal Lago e presentarti anche a me.”
Melissa
rimase confusa, non capiva bene se quelle parole contenessero secondi fini od
altro.
Viviana
continuò: “So che ora non siete a Camelot, anzi,
siete molto distanti da Logres. Ascoltate il mio
consiglio: non tornate in quelle terre! Il fatto di non essere riuscita a
completare il mio progetto ha gettato il regno di Artù nel caos. È inutile che
vi rechiate là, adesso. Venite da me. Vi aspetto al Lago. Galahad
sa dove trovarmi. Vi ospiterò volentieri: sono tanti anni che non vedo mio
nipote e desidero passare del tempo con lui; sarò anche felice di conoscerti e
di completare la tua conoscenza della magia, se lo vorrai.”
Melissa
non ebbe il tempo di replicare; si ritrovò sbalzata via da quello strano luogo
e sentì di essere nuovamente nel suo corpo, sul fraticello, sotto i raggi del
Sole.
Si
mise a sedere e si guardò attorno: non doveva essere trascorso molto tempo.
Dopo
non molto, vide Galahad uscire dalla grotta e dietro
di lui levitavano una lancia e un calice: sicuramente il Graal e la Lancia di Longino.
La
donna sorrise e gli andò incontro, domandando: “Allora, è stato difficile?”
“No,
per nulla. Credo che le difficoltà fossero nell’arrivare a questo punto. Tu,
piuttosto, mi sembri turbata, o sbaglio?”
“È
successa una cosa strana. Prima saliamo sulla nave e poi ne parliamo?”
Il
cavaliere acconsentì, quindi si imbarcarono e ripartirono. Seduti sul ponte
della nave, godendosi la brezza tra le nuvole, la ragazza riferì la
conversazione con Viviana.
Galahad sembrava
sospettoso e disse: “Non credo che mia nonna senta semplicemente la mia
nostalgia. Non sappiamo che cosa sia successo a Logres
e lei vorrebbe che non lo sapessimo, per questo ti ha detto di andare
direttamente da lei. Nel migliore dei casi, ha detto la verità e teme che a Camelot si parli tremendamente male di lei e non vuole che
fossimo influenzati dalle dicerie. Nel peggiore dei casi, invece, la colpa è
sua e vorrebbe farci credere il contrario.”
“Perché
ha parlato con me e non direttamente con te?”
“Questo
l’ha detto chiaramente: voleva conoscerti. Il che significa che voleva testarti
in un qualche modo o, almeno, farsi un’opinione su di te. Inoltre, probabilmente
ritiene che, convincendo te, riuscirà ad avere anche me.”
“Non
avrebbe più senso il contrario?”
“Mia
nonna sa che diffido di lei. Mi ha insegnato moltissime cose, senza dubbio, ma
la sua mentalità non mi è mai piaciuta troppo. Portare te dalla sua parte,
significherebbe impossessarsi della scuola di Merlino; a questo sicuramente ci
ha pensato, ma ha pensato anche al fatto che tu potessi influenzare me.”
“Quindi
non andremo al Lago.”
“Non
lo so, ma di certo non sarà la prima tappa. Innanzitutto devo consegnare il
Graal e la Lancia a Pelleas e alla sua Biblioteca.”
“Credevo
non ti stessero troppo simpatici nemmeno loro.”
“Confido
comunque più in loro che in Viviana. Inoltre questa missione è come se me l’avesse
affidata Pelleas, quindiè giusto così. In base a quel che
constateremo a Logres, decideremo se passare poi dal
Lago, oppure no.”
Galahad, poi, si alzò e
si ritirò sottocoperta. Vi rimase in solitudine alcune ore, saltando anche la
cena, infine tornò sul ponte che la notte era già calata; aveva con sé il Graal
e lo appoggiò per terra, mettendosi a sedere di nuovo accanto all’amica. Non era
tranquillo. La sua era quella preoccupazione che agita chi è risoluto a fare
una cosa ma, allo stesso tempo, è turbato dalla consapevolezza di quanto tale
strada cambierà per sempre e irrevocabilmente la sua vita, una volta
intrapresa.
Melissa
lo notò, ma rimase in silenzio, con un semplice sguardo incoraggiante, poiché
sapeva che domandare avrebbe messo l’amico ancor meno a proprio agio. Lui aveva
bisogno dei propri tempi e quindi glieli lasciò.
Dopo
un poco di silenzio, Galahad si decise: “Ricordi ch’io
chiesi a Merlino come sarebbe stato possibile per noi influenzare un futuro
tanto lontano e lui ci disse che lo avremmo capito dopo questa missione?”
“Sì.”
“Ecco
… guarda dentro il Graal … no, non toccarlo, osserva e basta … vedi che c’è il
sangue, il sangue di Gesù?”
“Ebbene?”
Il
cavaliere sospirò per farsi forza e continuò: “Nella grotta mi è stato detto
che, bevendolo, è possibile ottenere l’immortalità … ovviamente se la si
merita, altrimenti si morirà all’istante. Nella grotta mi è stato fatto capire
che devo bere da questo calice, anche se mi spaventano l’immortalità e le
responsabilità che essa comporta nei confronti del mondo, per via delle mie
scelte di vita. Proteggere i deboli, servire la Giustizia, compiere il Bene per
l’eternità è una prospettiva allettante, ma anche gravosa … gli oneri … le
sopportazioni … Alla fine mi sono detto che questo è quello che voglio fare,
voglio accollarmi questa missione, ma ad una condizione: voglio condividerla
con te. Da solo ho paura di crollare nei momenti in cui la speranza sembrerà
sparire o … non credo che sopporterei l’immortalità senza di te … Per cui berrò
dal Graal solo se lo farai anche tu … ma allo stesso tempo ho paura: non sei
potuta entrare nella grotta e là non mi hanno parlato di te … So che Merlino ha
parlato di entrambi e la prova nell’oltretomba è stata per tutti e due …
tuttavia vorrei avere la certezza di non perderti, nel tentativo di averti con
me per sempre.”
Melissa
si commosse per quelle parole che suonavano come una dichiarazione. Senza dare
una risposta, senza lasciare il tempo a lui di reagire, afferrò il Graal e
bevve un sorso.
Galahad si era stupito
e spaventato, poi vedendo che la ragazza continuava a vivere, lo afferrò a
propria volta e bevve.
Si
guardarono negli occhi, spaesati.
Melissa
domandò: “Siamo diventati immortali?”
“Teoricamente
sì. Io non mi sento diverso.”
“Nemmeno
io. Abbiamo solo l’immortalità o anche la giovinezza eterna?”
“Spero
entrambe, non mi va di fare la fine di Titone. Perché
hai bevuto senza esitare, senza timore?”
“Ho
bevuto senza esitare per impedire al timore si protestare. Mi fido di Merlino
e, comunque, il passare l’eternità con te era un buon motivo di rischiare la
vita.”
“Sei
sempre sicura di amarmi? Perché?”
“Perché
non dovrei?”
“Non
ho da offrirti che una vita erratica a sfidare i pericoli.”
“Finora
non mi sono mai lamentata, mi pare.”
“Che
ho fatto per meritare il tuo amore?”
“L’amore
non si merita, è assolutamente gratuito. Potrei elencarti i tuoi pregi, il tuo
valore, la tua bontà … ma non servirebbero a spiegare perché ti amo. Non c’è
una ragione, non ce ne sono mille, è un legame che nasce da un’affinità e da una
armonia che non so spiegare, ma senza la quale la mia vita sarebbe vuota.”
“Io
… grazie.”
“Non
ho fatto nulla.”
“Hai
avuto pazienza e non ti sei arrabbiata. Mi avevi offerto il tuo amore, ma l’ho
respinto, pur ricambiandolo, e tu non ti sei indignata o infuriata come molte
donne avrebbero fatto.”
“Tu
hai rifiutato il mio corpo, non il mio amore. Il mio amore lo hai sempre
accettato, permettendomi di starti accanto, fidandoti di me, confidandoti e
condividendo … e lo hai sempre ricambiato.”
“Voglio
che tu sappia che quella volta ti respinsi a causa del Graal. Dovevo mantenermi
puro, vergine, per poterlo prendere. Non sapendo esattamente che cosa si
intendesse con tale definizione, non ho voluto correre rischi. Adesso, però,
possiamo essere realmente una coppia, completamente. Abbiamo bevuto il sangue
di Cristo per poter stare per sempre l’uno con l’altra … penso che come
consacrazione del nostro amore davanti a Dio, possa essere più che valido. Cosa
ne dici?”
“Dalle
parti di mia madre, per suggellare momenti come questi, si usa dire: ubi te Caius, ego Caia.”
Galahad sorrise, poi
avvicinò il proprio volto a quello della donna e, per la prima volta, la baciò.
Dopo
un paio di settimane di viaggio, la nave di Salomone atterrò in una valle poco
frequentata, vicino a Camelot. Dall’alto si erano
visti segni di una guerra o un assedio conclusi da poco.
I
due giovani scesero dalla nave e rifletterono circa come far scendere i cavalli
da lì, ma in un attimo l’imbarcazione svanì e i due destrieri erano accanto a
loro. Non si fecero domande, ma montarono in sella e si diressero verso Camelot: pur sapendo già che non avrebbero avuto buone
notizie, erano in apprensione; si domandavano quanto grave fosse la situazione
e, soprattutto, chi ne fosse stato la causa? Una nuova ondata di Sassoni? Un
improvviso risveglio di Roma? Eppure i cavalieri di Logers
erano i migliori!
Arrivarono
a Camelot e trovarono un’atmosfera un poco desolata;
vi erano molte più persone del consueto, ciò indicava che molti dalle campagne
si erano rifugiati in città per cercare protezione.
Mentre
attraversavano le strade, i due giovani si accorsero di essere notati dalla
gente e che molti additavano soprattutto Galahad e
borbottavano qualcosa, tal volta con aria cupa, altre con comprensione.
Ad
un tratto un uomo afferrò un sasso e lo scagliò contro il cavaliere, gridando:
“Traditore! Vattene!” alcuni gli fecero eco.
Un altro, invece, si rivolse a quello,
dicendo: “Taci! Lui è l’unico non coinvolto! E anche Lancillotto non ha tradito
nessuno.”
“Credi a quelle bugie? Sei senza
cervello!”
Si creò una certa confusione e né il
cavaliere né la Maga avevano modo di capire o replicare. Giunse allora un uomo
con le vesti di chi prestava servizio a Corte, accompagnato da alcune guardie
semplici. Disperse la folla e poi si avvicinò ai due e li salutò: “Sir Galahad Del Lago, Lady Melissa, siamo lieti di vedervi
incolumi, dopo gli ultimi eventi. Vi prego di scusare questa accoglienza, ma
sapete come la situazione sia tesa.”
“A dire il vero, non ne abbiamo idea.”
rispose il cavaliere “Siamo appena tornati da un viaggio piuttosto lungo, in
terre lontane. Abbiamo udito esserci stato del trambusto in Logres,
ma non sappiamo cosa sia accaduto.”
“Seguitemi, vi scorterò fino alla Corte,
lì vi racconteranno cosa sia accaduto.”
“Artù vive?” chiese la donna.
“No, ahimè.”
“Chi troveremo a corte?”
“Lady Morgana, la Fata.”
Galahad si corrucciò e
chiese: “Come mai lei?”
“È sorella del Re … era. Il nuovo
sovrano le ha dato l’incarico di amministrare Logres
e provvedere al sostentamento dei sudditi, finché lui non avrà placato le
ultime rivolte e tornerà.”
“Chi è il nuovo re?” Galahad
lo domandò con preoccupazione.
“Costantino III di Cornovaglia, cugino
del Re.”
“Perché il cugino e non uno dei nipoti?
Quando si accennava alla questione dell’erede, Artù guardava sempre o a mio
padre Galvano, o mio zio Mordred.”
“Lady Melissa, trattenete le vostre
domande. Io non voglio dire altro, lasciate che sia Lady Morgana a spiegarvi.”
Quel discorso non fu certo rassicurante,
ma decisero di aspettare per saperne di più. Quando finalmente furono al
cospetto della Fata, furono accolti bene. Morgana abbracciò la nipote, poi
guardò Galahad, dapprima duramente, poi si addolcì
leggermente e gli disse: “Mi hanno detto che nel borgo avete attirato
attenzioni indesiderate … mi scuso a nome degli abitanti di Camelot,
benché avessero qualche ragione a dubitare di voi.”
“Spero me le illustrerete.”
“Subito. Ginevra ha tentato di
avvelenare Galvano.”
“Come?!” sbalordì Melissa.
“Gli ha offerto una mela avvelenata e,
solo per un puro caso, l’ha presa un altro cavaliere e, mangiandola, èmorto all’istante.”
“Perché voleva uccidere mio padre?!” si
stupì Melissa.
“Pare perché era un personaggio troppo
di spicco nella politica del regno. Andiamo con ordine. Dopo questo misfatto,
Ginevra è stata processata davanti a tutto il Consiglio e i cavalieri. Era
evidente ciò che aveva fatto, tutti quanti erano concordi nel condannarla,
tranne Lancillotto e il suo clan.” dicendo ciò scoccò un’occhiata a Galahad “Lancillotto ha difeso ad oltranza Ginevra,
arrivando addirittura a dire che ero stata io a complottare per incolparla. Il
che è ridicolo per duemotivi: primo,
non avrei mai fatto del male a mio nipote; secondo, ero ancora in esilio a
miglia e miglia di distanza: come avrei potuto? Davanti a quelle accuse
ridicole e infondate mosse contro di me per difendere Ginevra che era
evidentemente colpevole, Mordred ed Agravein denunciarono ciò che da tempo sospettavano ma che,
per rispetto e pudore, non avevano ancora condiviso con gli altri.”
“Che cosa?” chiese Galahad,
colmo di apprensione.
“Non solo Lancillotto e Ginevra erano
amanti da anni, come comunque qualcuno già sapeva a Corte, ma anche stavano
complottando contro il Re.”
“È una menzogna! Mio padre era fedele ad
Artù e aveva un proprio regno, non avrebbe mai cospirato!”
Morgana con calma replicò: “Io non sto
affermando che ciò sia vero, ma solo che questo è ciò che i miei nipoti hanno
scoperto e che hanno denunciato. Sicuramente devono avere avuto delle prove,
dato che il Consiglio si è convinto di ciò. So che hanno fatto riferimento anche
ad alcuni strani contatti avuti da Lancillotto con Viviana. Comunque, non
trovandosi Merlino a cui chiedere il parere, Artù ha deciso di rimettere la
sentenza nelle mani del solo Consiglio, astenendosi dal partecipare alla
discussione e alla votazione. La sentenza è stata di esilio per Lancillotto, in
virtù dei grandi servizi resi in passato, mentre di morte per Ginevra, poiché
il suo tradimento, sia verso lo sposo, sia verso il regno, è stato considerato
imperdonabile e tremendo, al pari di quello di Bruto. Sembrava che tutto fosse
in ordine e avrebbe seguito quell’ordine, ma …”
“Ma …?”
“Il giorno dell’esecuzione, mentre il
patibolo era preparato e Ginevra era condotta lì, Lancillotto e il suo clan
hanno fatto irruzione, uccidendo chiunque, compresi i miei nipoti Agravein, Gaheris e Gareth.”
Melissa trasalì nello scoprire la morte
degli zii. Galahad, invece, abbassò lo sguardo, non
sapendo bene cosa pensare: suo padre, sicuramente innocente dall’accusa di
cospiratore, si era però realmente macchiato di tradimento, liberando una
condannata a morte. Certo, probabilmente Ginevra non meritava tale sorte … ma
valeva la pena tradire il Re per una singola ingiustizia commessa? Oppure la
giustizia non centrava affatto nell’azione di suo padre? L’amore per la Regina
aveva offuscato il buon senso di Lancillotto?
La forza dei cavalieri, sia della Tavola
Rotonda, sia in generale di Logres, risiedeva anche
nel loro essere uniti, unanimi e concordi. La vittoria aveva sempre arriso ad
Artù, poiché le sue fila erano compatte e non vi erano in esse invidie,
competizioni o rancori. Lancillotto e i suoi famigliari avevano infranto
quest’armonia. Era giusto, per salvare una sola persona, distruggere quel
perfetto meccanismo che proteggeva tanta gente?
Galahad era consapevole
che, stando così le cose, suo padre era stato il responsabile della caduta di Camelot, poiché si era rivoltato, dividendo i cavalieri.
Era la verità? O c’era altro?
Intanto Morgana continuava: “Lancillotto
e il suo clan sono poi fuggiti oltre il mare, a Benoic.
Artù non ha potuto certo lasciare impunito un simile gesto, ha radunato parte
del suo esercito ed è partito, lasciando Mordred qui
come reggente.”
Melissa, apprensiva, domandò: “E mio
padre?”
“Ha seguito Artù, ovviamente, voleva
vendicare la morte dei suoi fratelli. Benoic è stata
quindi assediata per diverso tempo, finché non si è giunti ad un accordo:
divieto per Lancillotto e tutto il suo clan di rientrare a Logres,
mentre Ginevra sarebbe stata reclusa in un convento. Galvano, però, non era
placato, voleva ancora vendetta, quindi ha sfidato Lancillotto.”
“E com’è andata?” domandarono
all’unisono i due giovani.
“Un pareggio. Hanno combattuto un giorno
intero, senza che nessuno dei due prevalesse sull’altro. Solo che poi …”
Il tono di Morgana era sempre più cupo e
sofferente e la preoccupazione degli ascoltatori aumentava.
“Artù ricevette notizia che qui a Logres erano sorti problemi. Mordred
aveva perso completamente la testa. Non so se siano stati i quasi cinque anni
di potere avuti prima e poi la frustrazione nel tornare un semplice nobile
oppure se, come ha più volte affermato, davvero non riteneva più Artùadatto al governo … in effetti la pace appena
conclusa era un segno di debolezza … fatto sta che Mordred
ha dichiarato Artù decaduto e si è autoproclamato nuovo sovrano di Logres … ed è stato sostenuto da parte della nobiltà, tra
cui anche quelli che erano insorti recentemente. I lealisti ad Artù ovviamente
si sono opposti … vi lascio immaginare il resto. Mio fratello e rientrato dalla
spedizione contro Lancillotto, la guerra civile è dilagata in ogni parte del
regno … Artù non aveva più neppure l’aiuto di Galvano.”
“Come?!” esclamò Melissa.
“Purtroppo le ferite ricevute da
Lancillotto lo hanno ucciso lentamente durante il viaggio di ritorno, poiché
non poteva disporre delle adeguate cure mediche.”
Gli occhi della ragazza si riempirono di
lacrime, ma si trattenne dal piangere, volendo ascoltare il resto del racconto:
per il dolore il tempo non sarebbe mancato.
“L’ultima battaglia è stata a Calmann ed entrambi gli eserciti sono stati distrutti. Artù
e Mordred si sono affrontati in un duello e si sono
uccisi a vicenda. Non c’è stato un vincitore. C’è stata solo una grande
distruzione da tutte le parti e dalle macerie si sta cercando di ricostruire.
Costantino sta facendo un ottimo lavoro … non vedo l’ora che rientri a Camelot, così potrò andarmene e ritirarmi ad Avalon.”
“Avalon?”
chiese Melissa, stupita “So che vai spesso in viaggio lì ma, dal tuo tono, pare
che tu abbia intenzione di restarvi.”
“Sì. Merlino è scomparso, Artù è morto,
i miei nipoti pure, Camelot non sarà più come una
volta … tempi e luoghi troppo tristi per viverci. Ad Avalon
ho Gaiomar e poi ho portato lì il corpo di Artù. Vi
ospiterei entrambi qui ben volentieri, ma non so quanto la gente possa
sopportare la presenza di Galahad. Capite bene che,
essendo figlio di Lancillotto, è visto come parte dei traditori. Conviene anche
a voi lasciare queste terre. Potete precedermi ad Avalon,
se vorrete.”
“Grazie, zia, ma per il momento la
nostra meta è un’altra.”
Galahad aggiunse: “Se
potrete rifornirci di qualche razione di cibo per il viaggio, ci allontaneremo
subito e la mia presenza non desterà problemi.”
I due giovani fecero in tal modo e si
rimisero in viaggio, questa volta alla ricerca di Pelleas
e della Biblioteca, nonostante non avessero idea di dove si potesse trovare: il
Castello della Meraviglie, in cui si erano imbattuti la prima volta, era un
luogo errante e nessuno poteva sapere dove sarebbe apparso.
Il cavaliere si era fatto dare un largo
mantello con un cappuccio che potesse nascondergli il volto: date le
circostanze, preferiva non essere riconosciuto.
Galahad era rimasto
parecchio impressionato dal racconto di ciò che era accaduto. Nella sua breve
vita si era imbattuto numerose volte nella morte: gente innocente vittima di
uomini malvagi o mostri, compagni d’arme caduti in battaglia, oppure i nemici
che lui stesso aveva abbattuto. Non gli aveva mai dato fastidio il sangue, né
che fosse lui o un altro a spargerlo. Certo, deprecava la violenza usata da
altri per imporsi e che recava danno ingiustamente, tuttavia la considerava
come qualcosa di naturale ed umano. Le bestie si massacrano ogni giorno e non
c’è male in ciò, è l’ordine naturale delle cose. Galahad
vedeva la brutalità umana come qualcosa di inevitabile, che andava punito ma
non lo inorridiva. L’uccidere era un meccanismo come un altro all’interno della
società, per questo non si era mai scosso di fronte alla morte.
L’idea del massacro totale dei
cavalieri, tuttavia, era qualcosa che gli aveva squarciato l’animo. Tutti
quegli uomini valorosi, tra cui alcuni suoi amici, annientati in pochi giorni …
per cosa? Una brama di potere che aveva distrutto ogni cosa. Un mondo non
perfetto, ma ben funzionante annientato per una follia. Un faro di speranza
spento dal sangue.
Forse per la prima volta la morte lo
turbava perché la vedeva del tutto insensata ed inutile. In passato aveva
ucciso per punire e i suoi compagni erano morti per difendere. Le uniche morti insensate
erano quelle perpetrate dai malvagi e, tal volta, non si potevano neppure
definire tali: più di una volta i malvagi
erano tali solo perché su un fronte opposto, oppure erano creature che di
natura mangiavano carne umana per sopravvivere.
Quel massacro di quelli che considerava
buoni da parte di altri buoni lo addolorava parecchio. Gli parve una prova di
come il male era se non più forte, almeno più seducente, più facile da
abbracciare. Uomini che si erano sempre mantenuti retti, d’improvviso si erano
lasciati governare dalla bramosia che li aveva trascinati in comportamenti rei
e folli, fino alla totale distruzione.
Il male non aveva potuto prendere Camelot dall’esterno, dunque era nato nel suo seno,
portandola al suicidio. Se Camelot non aveva
resistito, chi avrebbe potuto?
A sera, accampatisi, i due viaggiatori
avevano acceso un falò per scaldarsi; avevano mangiato qualcosa ed erano
rimasti in silenzio finché Galahad disse: “Ora
capisco perché Merlino non ha voluto che fossimo presenti.”
“Credi che ci saremmo divisi?”
“Non lo so … ma in fondo sono state le
nostre due famiglie a mettersi l’una contro l’altra e a causare tutto ciò. La
Tavola Rotonda era formata solo da membri della tua famiglia e della mia …
divisi loro, tutto è andato in malora. Io probabilmente avrei seguito il mio
dovere di figlio e sarei stato al fianco di mio padre … mentre tu avresti avuto
tutte le ragioni del mondo per rimanere coi tuoi. Io non avrei sopportato che
si insultasse mio padre, tacciandolo di tradimento e cospirazione, mentre tu
avresti avuto la ferita viva dei tuoi tre zii uccisi, nonché il supposto
tentativo di avvelenare tuo padre.”
“Com’è stato possibile tutto ciò?!
Merlino ha parlato di Eris e questa sembra proprio
opera sua.”
“Non lo so, ma credo che Morgana non ci
abbia detto la verità.” Galahad lo diceva soprattutto
perché non poteva davvero credere che suo padre stesse complottando contro il
Re; inoltre ricordava bene di quando aveva avuto a che fare con la Fata e
dunque la considerava falsa, dedita agli intrighi e crudele.
“Non penso abbia mentito.”
“Non ho detto che abbia mentito, ma che
non ci abbia detto la verità. Forse nemmeno lei sa come siano andate realmente
le cose e, quindi, ci ha riferito ciò che è ufficiale, anche se non corrisponde
al vero. In fondo, forse la situazione non sarebbe così tragica se Galvano non
fosse stato assetato di vendetta.”
“Che cosa stai insinuando?”
“Che probabilmente è stato il suo voler
vendicare i fratelli che ha spinto il re ad organizzare l’esercito per andare a
combattere mio padre. Insomma, se sia lui che Ginevra si trovavano ormai in Benoic, che bisogno c’era di andare a muover loro guerra?
Solo per vendicare l’onore.”
“Quindi Artù avrebbe dovuto lasciare
impunito un tradimento così grave?”
“Mio padre non avrebbe mai abbandonato
il Re, se non fosse stata condannata Ginevra. Non dico che abbia agito
correttamente, tuttavia è stato costretto dalle circostanze ... causate tra
l’altro da Mordred ed Agravein.”
“Causate da loro? Si sono limitati a
esporre un’accusa, basata anche su un tentato omicidio commesso da Ginevra. Può
non essere vera, ma non era campata per aria e si basava su indizi, se non
prove.”
“È evidente che abbiano cercato di
incastrare la Regina, per far scoppiare tutto questo putiferio, per creare la
divisione e lotta fra fazioni.”
“Chi può averlo fatto e a che scopo?!”
“Una mela avvelenata ha detto Morgana,
giusto? Eris hagià usato una mela, in passato …”
“Il pomo d’oro della discordia che portò
alla guerra di Troia. Ha senso … ma come ha agito? Perché?”
“Lo scopriremo.” Galahad
sospirò e aggiunse: “Stavamo già litigando … figurati se avessimo vissuto tutto
ciò.”
“Non lo definirei un litigio … e poi
semplicemente vogliamo scrollarci di dosso il peso di ciò che è accaduto.”
“Il peso? Sai che ti dico? La colpa non
è nostra. Sono stati altri che hanno causato tutto ciò e il fatto che fossero
nostri famigliari, non macchia anche noi. Quel che è stato, è stato, purtroppo;
non possiamo tornare indietro e non ha senso ritenere qualcuno di noi
responsabile per come hanno agito altri.”
Melissa sorrise: non poteva che
approvare e ciò la fece sentire meglio.
Il giorno dopo erano nuovamente in
cammino e si imbatterono a più riprese in alcune persone spaventate che
raccontavano di un pazzo armato che si aggirava per il bosco, urlando e
sproloquiando, affermando di essere il diavolo.
I due giovani decisero di andare a dare
un’occhiata ed eventualmente intervenire e si stupirono enormemente quando si
trovarono davanti Lancillotto, completamente fuori di sé che alternava momenti
di furia verso se stesso e ciò che lo circondava a momenti di grida rabbiose,
maledizioni o anche preghiere in cerca di perdono, per poi asserire che tutto
il male veniva da lui, dunque doveva essere un demonio.
Galahad lo avvicinò per
cercare di parlargli, ma fu inutile: il genitore neppure lo riconobbe, sembrava
alienato dal mondo, assorto nei deliri. Dovette fronteggiarlo, ma non fu
difficile, e lo tramortì. Melissa quindi poté usare la magia sull’uomo svenuto
per scacciare dalla sua mente la follia e farlo tornare lucido e consapevole.
Quando riprese i sensi, Lancillotto fu molto felice e stupito di vedere il
figlio e lo abbracciò amorevolmente; verso la Maga, invece, mostro un certo
imbarazzo e subito si disse dispiaciuto per la morte di Galvano. Infine, quando
il figlio lo invitò a spiegare la sua versione dei fatti, l’uomo disse: “È
colpa mia. S’io non fossi stato tanto ardito e stolto da divenire l’amante di
Ginevra, tutto questo si sarebbe potuto evitare. Come potevo, però, non amare
una simile donna? Quando giunsi a Camelot per la
prima volta, fui travolto dalla bellezza della Regina, tanto che rimasi
inebriato per giorni e giorni. Il mio pensiero era solo su di lei e nemmeno mi
accorgevo di ciò che mi accadeva attorno. Ah, dannata la debolezza della carne!
Avrei potuto amarla da lontano, limitarmi a servirla e invece … Inutile ormai
nasconderlo! Sono stato il suo amante per tutto questo tempo. Il Re mi aveva
dato piena fiducia, mi considerava un ottimo amico e io, invece, inducevo sua
moglie a tradirlo. Giuro, però, che tra me e Ginevra vi è stato solo amore, mai
ordimmo del male contro Artù o il regno. Il potere non ci interessava, ci
importava solo d’amarci. La nostra era comunque una grave colpa e i nemici del
Re hanno approfittato di essa per tessere i loro intrighi. Mordred!
Che tu sia dannato! È lui che ha architettato tutto ciò! Mentre noi
combattevamo alla Torre Dolorosa, lui governava e si era attaccato al potere al
punto di non voler più farne a meno. Con riluttanza lo ha restituito allo zio e
subito ha iniziato ad ordire il complotto. È stato lui ad avvelenare la mela,
senza dubbio con l’aiuto di Morgana, voleva uccidere Galvano e far ricadere la
colpa su Ginevra. I motivi per cui cercò di uccidere il fratello maggiore sono
evidenti: egli era un personaggio di grande rilievo, poteva essere un ostacolo
per lui e il suo assassinio sarebbe stato deprecato da chiunque. Mordred ha poi additato me e Ginevra come complici in un
tentativo di colpo di stato proprio perché voleva provocare un scisma tra i
cavalieri, farli combattere gli uni contro gli altri … chissà, se le cose
fossero andate diversamente e io e Artù avessimo combattuto qui, forse Mordred lo avrebbe ucciso nel sonno, per poi in un qualche
modo accusare nuovamente me, mostrarsi lui come il giustiziere che rimette
ordine e quindi prendere il potere. Non lo so se avesse un piano preciso, o se
abbia deciso di improvvisare man mano. Sta di fatto che alla prima occasione ha
voluto spodestare Artù. Io non fui subito informato di ciò che stava accadendo
a Logres, quando vidi i miei assedianti ritirarsi.
Conobbi la situazione solo dopo alcune settimane e, pur con l’esilio sul capo e
la disapprovazione dei miei parenti, ho deciso di tornare qui per combattere
per Artù, ma ormai era troppo tardi. Ho visto il campo di battaglia di Calmann, ho camminato tra i cadaveri dei nostri amici. Il
dolore mi ha stravolto la mente: il sapere di aver provocato tutto ciò mi ha
condotto alla follia dalla quale mi avete tratto fuori.Io!
Io ho causato tutto ciò! Camelot era perfetta, il
regno di Logres era prospero e armonioso, Artù un re
saggio, giusto capace di governare per il bene di tutti. Questo era un regno
beato e ovunque nel mondo lo invidiava. I problemi esistevano, certo, ma qui
venivano risolti, questa era la grande differenza. La magia era sottomessa al
buon governo, era uno strumento eccellente per il buon andamento delle cose …
ora chi ne garantirà questo ottimo uso? Camelot eri
perfetta e io, io ti ho distrutta!”
“È stato Mordred!”
esclamò Galahad, che non sopportava di vedere il
padre così affranto, così disperato e pieno di sensi di colpa.
“Ma io gli ho spianato la strada. Il mio
amore illecito ha permesso a Mordred di trovare una
crepa su cui battere, da ingigantire, per distruggere tutto il resto. Chi o
cosa avrebbe potuto attaccare, se avesse trovato la Regina integra e fedele?
Sono stato io per primo a portare il tradimento e l’inganno a Camelot, questo non può essere negato. Io ho portato il
seme del male che poi altri han fatto germogliare. Io sono il responsabile, mia
è la colpa.”
“Padre!” esclamò Galahad
quasi a rimprovero, poi disse gentilmente: “Hai parlato di seme e, forse, è
vero che lo hai portato tu ma il seme da solo non basta: terreno, pioggia,
calore sono gli elementi che lo fanno germogliare. Tu hai commesso un errore,
ma ben più grave è l’azione di chi ne ha approfittato, chi l’ha fatto sembrare
peggiore di quanto fosse in realtà. La maggior parte delle parole di Mordred erano menzogne e, visto quel che ha commesso in
seguito, sono certo che avrebbe cercato un altro pretesto per provocare un
scisma e una guerra fratricida.”
“No. Mordred è
stato scelto come cavaliere della Tavola Rotonda, ha superato prove che ne
hanno messo alla prova il carattere e la virtù. Era uno di noi e non avrebbe
agito come ha fatto se non fosse stato sobillato da qualcuno. La colpa è di
Morgana, ne sono certo. La sua invidia e il suo rancore verso Ginevra l’hanno
spinta a corrompere e manipolare l’animo di Mordred,
gli ha offuscato la mente e l’ha consigliato e aiutato in questo folle piano!”
“Questo non è vero!” replicò Melissa,
offesa “Che prove avete per accusare mia zia?”
Lancillotto ribatté veemente: “È noto
all’universo che Morgana odiasse Ginevra e ha sempre cercato di portare
sventura a lei e a me! Ricordo ancora quando fece giungere a corte una coppa
dalla quale poteva bere solamente chi aveva la moglie fedele. Uscire fuori da
quell’impiccio è stato un miracolo! E questo è solo un episodio, dovessi
elencare tutti i suoi intrighi, e solo quelli di cui sono a conoscenza,
passerebbero tre giorni, prima di finire.”
“Che cosa c’è di male se Morgana voleva
avvisare suo fratello del fatto che la moglie lo tradisse?”
“Era un comportamento illecito, sì, ma
non recava danno a nessuno. Ginevra non avrebbe mai fatto del male a nessuno,
non ha mai desiderato che le cose cambiassero.”
“Ginevra ha tentato di uccidere tuo
figlio, per cancellare la prova del tuo tradimento nei suoi confronti. Non mi
stupirei davvero se avesse trovato un motivo per avercela con mio padre e
quindi abbia tentato di avvelenarlo.”
“Come osi!”
Lancillotto aveva snudato la spada e
stava per scagliarsi contro la donna, ma Galahad si
frappose e lo trattenne, cercando di richiamare la calma.
“Non permetto a nessuno di insultare la
Regina. Ginevra è l’unica donna ch’io abbia amato, anzi, è l’unica che amo e
che amerò e difenderò il suo onore in ogni luogo e tempo.”
“Difendere ilsuo onore? Strano sentirlo dire da chi gliel’ha
fatto perdere.”
“Melissa, basta anche tu.” la richiamò Galahad che, vedendo gli animi un poco quieti, domandò al
padre: “Che cosa vuol dire che il vostro amore è solo per la Regina? Da cosa
sono nato io, allora?”
“Dall’amore e dall’inganno. Ero ospite
di Pelleas, dopo avergli consegnato un falcetto
druidico che mi aveva chiesto di recuperare, prima che finisse in mani
sbagliate; una notte vidi Ginevra entrare nella mia stanza e l’accolsi nel mio
letto. Il mattino dopo, però, scoprii che non si trattava delle Regina, bensì
di Elaine che, con un sortilegio, aveva assunto l’aspetto della mia amata
perché sapeva che in altro modo non mi avrebbe potuto avere. Ero furioso e
pronto ad ucciderla, ma poi mi disse che quella notte era stato concepito un
figlio e, allora, mi calmai. Non sopportavo l’idea di essere stato imbrogliato,
né di aver tradito Ginevra ma il pensiero di avere un figlio, che altrimenti
non avrei mai potuto avere, cancellò la mia ira e mi limitai a lasciare il Castello
immediatamente.”
Galahad si era
commosso.
Melissa, invece, chiese: “Vi aspettate
che si creda a questa storia? È evidente che ve la siete inventata per non ammettere
che, pur amando la Regina, non disdegnavate di trascorrere qualche notte che
altre dame.”
“Ho detto il vero.”
“Allora siete stupido.”
“Come, scusa?” Lancillotto era sorpreso
da quelle parole, più che offeso.
“Eravate in un Castello lontano da Camelot, una notte ti appare la Regina e per voi è
assolutamente plausibile che lei sia lì e non vi ponete il minimo dubbio al
riguardo? Vi prego, aggiungete il dettagli che eravate ubriaco o vittima di
qualche profumo stordente, per giustificare il fatto che non abbiate avuto
sospetti circa la presenza di Ginevra. Comunque, questa storia, è copiata pari,
pari da quella della nascita di Artù: anche Uther ha
assunto le sembianze di Gorlois per potersi
avvicinare ad Igraine.”
“Ovvio: se ha funzionato la prima volta,
perché non ripetere lo stesso schema?” replicò Lancillotto, ironico “Pelleas e la sua Biblioteca sono dietro anche alla nascita
di Artù. Merlino e Pelleas avevano deciso che queste
terre avevano bisogno di un nuovo Re, uno plasmato da loro e così ne hanno
approfittato di Uther per generare Artù e poi portarglielo
via e crescerlo secondo i loro canoni. Credete, forse, che avrebbero affidato
Excalibur e una corona in grado di controllare la magia a una persona che non
fosse stata plasmata da loro? Allo stesso modo hanno agito con te, Galahad: si sono procurati un bambino da crescere ed
educare secondo il loro criterio. Insomma, Merlino mi ha avvisato della tua
esistenza ben sapendo che in quel periodo ti avrei mandato all’abazia; tua
madre che non ha mai avuto interesse per me, è comparsa per starmi vicino e aiutarmi
in un brutto periodo, al solo scopo ch’io pensassi di tornare a Benoic con te e lei. È stato tutto controllato fin dall’inizio!
Artù lo volevano come sovrano e te … non lo so, ma qualche piano lo hanno di
sicuro.”
Galahad ripensò alla
questione del Graal e della lancia, ma non disse nulla al riguardo, preferì
domandare: “Credi che abbiano sbagliato? Che siano stati malvagi?”
Lancillotto esitò, poi sospirò e con un’arrendevolezza
che raramente manifestava, rispose: “Non lo so. Credo di no. Non mi piace il
fatto che abbiano preso delle persone e ne abbiano condizionato la vita, in un
certo senso privandole della possibilità di scegliere liberamente. Eppure mi
rende anche conto che tutto ciò che ho visto loro fare finora è stato per il bene,
per assicurare protezione e benessere. Ci sarebbe stato un Artù e una Tavola
Rotonda senza di loro? Probabilmente no. Probabilmente Logre
sarebbe stato come tutte le altre terre che lo circondano e quelle che sono
oltre il mare: guerre continue, carestie, magia senza controllo. Certo, tal
volta il loro concetto di sicurezza e protezione riguarda esclusivamente gli
umani e va a danno di creature fatate che mia madre mi ha insegnato a
rispettare, tuttavia pur con mezzi discutibili Pelleas
e Merlino hanno permesso a Camelot, regno migliore di
ogni altro sulla Terra, di vivere per oltre cinquant’anni.”
“Che cosa pensi di fare, ora, padre? Tornerai
a Benoic?”
“No. Non voglio governare, lascio volentieri
lo scettro ad Estor. Desidero continuare la mia vita
di cavaliere che protegge. Cercherò Pelleas e gli
chiederò di continuare ad affidarmi missioni.”
“Bene. Noi stiamo andando proprio alla
Biblioteca.”
“Biblioteca?”
“Sì, il suo Castello.”
“Ah, già, è vero che lo chiama anche
così.”
Fu così che continuarono il viaggio in
tre e passarono pochi giorni, prima che si imbattessero nel Castello delle
Meraviglie. Anche quella volta si occuparono personalmente di lasciare i
cavalli nella stalla; tornati nel piazzale davanti all’edificio principale, vi
trovarono Elaine che li invitò ad entrare tutti quanti, compresa Melissa che la
prima volta era stata esclusa.
Si recarono nella sala maggiore, quella
piena di scaffali straripanti di rotoli. Lì, Pelleas
li accolse calorosamente, si disse dispiaciuto per le sorti di Camelot, ma non si trattenne molto sulla faccenda. Si concentrò
soprattutto sul successo di Galahad nel ritrovare le
due preziosissime reliquie e lo esortò a prendere la Lancia di Longino e a sfiorare con la punta la ferita che aveva sulla
coscia. Il giovane obbedì e Yahuda guarì all’istante.
Più tardi cenarono assieme e,
sollecitato dalle domande dei commensali, Pelleas
espresse il proprio parere circa ciò che era accaduto: “Viviana ha senza dubbio
buona parte della colpa. Merlino ha scoperto troppo tardi ciò che la Dama Del
Lago stava preparando. Conoscete la teoria delle Quattro Ere? Melissa,
riassumila tu: sei una maga e sono curioso di verificare la tua preparazione.”
“Beh c’è una teoria secondo cui l’evoluzione
spirituale degli esseri è basata su un modulo di tre fasi, sempre tendenti all’evoluzione,
mentre il mondo corporeo è soggetto a cicli di Quattro che, come le stagioni,
hanno un momento di nascita, uno di prosperità, uno di decadimento e uno di
sterilità, distruzione, per poi ricominciare daccapo. Non è dato sapere,
tuttavia, se tali cicli abbiano una durata sempre uguale o se cambi a seconda
delle circostanze.”
“Esattamente.” annuì Yahuda
“Viviana, ritenendo di trovarsi nella fase di decadimento, ha voluto cercare di
affrettare i tempi: provocare ora la distruzione, per poter avere poi una nuova
età dell’oro. La sua visione non era limitata solamente alla prospera Camelot, ma guardava al resto del mondo conosciuto: la
caduta dell’impero di Roma e le invasioni continue di altri popoli: unni,
longobardi e così via, le guerre continue e il crollo delle città, devono
esserle sembrate un chiaro segno che l’autunno di questo ciclo era iniziato. Viviana
ha quindi pensato che non fosse giusto far perdurare questo periodo di sofferenza
e disordine chissà per quanto tempo ancora e quindi ha cercato di provocare la
fine di questo ciclo, pur sapendo che la primavera viene solo dopo una grossa
morte. Pensate, ad esempio, al diluvio che ha separato due cicli. La Dama Del
Lago ha ritenuto fosse necessario provocare lei stessa una semi fine del mondo.
Per farlo ha avuto bisogno di molta energia e di alcuni artefatti. Ora non sto
a descrivervi tutto per filo e per segno, sia perché vi annoierei, sia perché
Merlino non ha avuto il tempo di raccontarmi ogni dettaglio. Fatto sta che
Merlino ha scoperto questo progetto quando ormai era già avviato. È riuscito,
comunque, ad interromperlo e a inviare qua uno degli artefatti che Viviana
stava per usare: il vaso di Pandora. Per interrompere il rituale, però, Merlino
ha dovuto usare tutta la sua energia e la sua concentrazione e quindi non ha
potuto difendersi dall’incantesimo con cui la Dama Del Lago lo ha colpito per
vendetta e per toglierlo di mezzo una volta per tutte. Come dicevo, però, parte
del rituale era già in atto, quella che aveva come artefatto di riferimento il
pomo d’oro di Eris; dunque la discordia si è espansa
ovunque, giungendo fino a Logres, dove ha fatto leva
sulle ambizioni e i malcontenti già presenti, che attendevano solo di essere
fatti emergere. In particolare hanno trovato cuori a cui attecchire bene nei
petti di Morgana e Mordred che hanno causato la
caduta di Camelot.”
“Dunque la colpa di chi è?” chiese
Lancillotto confuso.
“Ognuno ha la sua parte di colpa.
Viviana ha agito da folle, mentre Morgana e Mordred
avevano già inclinazioni al male e non hanno avuto la forza di resistere.”
Lancillotto chiese ancora: “Quindi
Morgana ha davvero influenzato ed istigato Mordred.”
“Ritengo di sì.” rispose Pelleas.
Melissa scosse il capo e ribatté: “Morgana
non avrebbe mai voluto la morte di Artù, né la caduta del regno.”
Pelleas le disse: “Quando
si agisce guidati dall’odio, non ci si rende conto di tutte le conseguenze. Probabilmente
lei voleva solo distruggere Ginevra e non immaginava che cosa è poi accaduto.”
Galahad, invece,
domandò: “Il piano di Viviana era davvero estremamente sbagliato? Capisco che
parlare di una mezza distruzione del mondo suona come tremendo, ma se deve
comunque avvenire, presto o tardi, per poi dare qualcosa di migliore, perché
non accelerarla? Mi pare che lei abbia agito cercando di fare del bene, perché
Merlino ha ritenuto di doverla fermare?”
Yahuda corrucciò la
fronte, come sorpreso e preoccupato che quello fosse il punto di vista del
giovane, comunque gli spiegò: “Certi tempi della natura sono impossibili da
forzare e, in ogni caso, anche se fosse possibile non bisognerebbe affatto
toccarli: ci sono equilibri e moti cosmici in cui l’uomo non deve interferire.”
Non parlarono oltre della faccenda. Dopo
aver mangiato ed essersi separati per distrarsi un poco, ad un certo punto Pelleas affiancò Galahad, che si
trovava da solo accanto ad una finestra, e gli disse: “Ho parlato con tuo padre
e ha espresso il desiderio di rimanere qui e continuare a combattere per la
Biblioteca. Ho sempre pensato che, una volta guarito, sarei tornato io stesso
ad affrontare i pericoli in prima persona … tuttavia mi sono anche reso conto
di quanto sia importante amministrare e soprattutto curare questo luogo. Non ho
più solo qualche papiro e qualche arma greca o persiana o amuleto egizio da
tenere nascosto. In cinquecento anni di attività mi sono procurato molto
materiale e la collezione è notevolmente incrementata grazie alla
collaborazione della Tavola Rotonda. Penso che sia giusto per me occuparmi di
tenere in ordine la Biblioteca e curarla, coordinare le sue attività di
raccolta del materiale, opposizione alla magia usata per il male, preservare il
sapere. Mi fa ben piacere, quindi, che Lancillotto resti qui: lui sarà l’uomo d’azione
che agirà fuori da queste mura. Mi farebbe molto piacere, se anche tu
scegliessi un tale ruolo.”
Galahad continuò a
scrutare il cielo in silenzio per lunghi momenti, prima di rispondere semplicemente:
“No.”
“Come?” si meravigliò Yahuda, un poco imbarazzato “Tu sei nato per questo luogo!”
Ecco la frase che il giovane aspettava. Era
stato colpito da ciò che il padre gli avesse detto circa come la Biblioteca era
in grado di condizionare la vita delle persone che sceglieva, tanto da impedire
loro di decidere liberamente. Galahad si chiedeva se
era stato fatto nascere unicamente per servire la Biblioteca o se poteva
scegliere della propria vita. Quella frase di Pelleas
gli aveva fatto capire che non era nato per poi trovare il proprio posto nel
mondo, ma che nel mondo c’era un posto vuoto per riempire il quale era stato
creato qualcuno. Galahad non era certo di voler
accettare quell’imposizione o, per lo meno, voleva che quella diventasse una
propria scelta.
Si limitò a rispondere: “Adesso non
voglio fermarmi qui. Ho un altro posto da visitare e poi preferisco girovagare
per il mondo ad aiutare chi incontro sulla mia strada e non stare chiuso tra
quattro mura e uscire su chiamata. Voglio vedere il mondo, sono molti i luoghi
in cui ancora non sono stato, voglio conoscerlo.”
E non
avere la visione limitata che deciderai di mostrarmi- aggiunse solo
nei propri pensieri.
“Comunque non dubitare: nel caso il mio
aiuto sia indispensabile, sarò sempre disponibile per te e la Biblioteca.”
“D’accordo e ti ringrazio. Sappi che la
Biblioteca è casa tua e ci sarà sempre posto per te. Se desidererai tornare
qua, la Biblioteca lo saprà e si farà trovare.”
Galahad si trattenne
pochi giorni in quel luogo e poi fu pronto a ripartire. Domandò a Melissa se
anche lei fosse d’accordo con tale decisione e se lo volesse seguire; la Maga
si disse un po’ dispiaciuta di non potersi fermare di più per consultare i
rotoli custoditi in Biblioteca, ma preferiva sicuramente viaggiare col
cavaliere.
Partirono e cavalcarono per molti giorni
per poi giungere al mare ed imbarcarsi: avevano deciso di recarsi al Lago.
Quando vi arrivarono, furono accolti con
entusiasmo e Viviana si mostrò molto gentile con entrambi: forse credeva di
poterli considerare propri alleati.
Galahad domandò anche a
lei che cosa ne pensasse della caduta di Camelot. La
Dama Del Lago non nascose il progetto di distruzione che aveva tentato di
portare a termine e lo difese strenuamente, circa la questione del se fosse
legittimo o meno forzare i tempi, rispose: “Se posso fare una cosa e la ritengo
utile, non vedo perché dovrei trattenermi dal compierla. Sbaglia Pelleas a dire che i tempi cosmici non possano essere
modificati: basta conoscere le leggi che li regolano. Io ho studiato la magia e
i suoi meccanismi ben più approfonditamente di chiunque altro, perfino di
Merlino. Non mi sono fermata davanti a quelli che parevano i limiti. La magia è
scienza e la scienza insegna che per ogni effetto c’è una causa. Io non mi sono
arrestata alle manifestazioni delle cose, ma ho indagato circa il perché e come
esistessero, quali fossero le cause che le hanno portate in essere e poi ho
studiato le cause delle cause e così sempre più a fondo, sempre più addentro
alle leggi su cui tutto l’universo si regge. Leggi che non possono essere
violate, è vero, ma che possono essere usate ed applicate per ottenere gli
effetti ch’io voglio. È su questo, in fondo, che si basa tutta la magia:
conoscere le regole e usarle a nostro piacimento per raggiungere i nostri
scopi. Come ti ho sempre detto, nella magia è necessario: volere, sapere, osare
e tacere. Conoscere il mondo dà la possibilità di cambiarlo, ma bisogna osare
farlo. Merlino era spaventato dal potere che sono riuscita a carpire, aveva
paura che la mia gloria, nel nuovo mondo che avrei creato, avrebbe perduto la
sua … e poi era troppo codardo e ignorante per accettare la necessità del
sacrificio che volevo compiere e per vedere i benefici che ne sarebbero scaturiti.
Ha sabotato il mio piano, mi ha privata del materiale necessario per
realizzarlo e quindi ora ci toccherà rimanere bloccati in quest’era di
decadenza, in attesa della distruzione spontanea.”
“Quindi la caduta di Camelot
è stato un effetto collaterale.” commentò Galahad.
“Ah, no. Io non c’entro nulla con la
fine di Camelot. A quella ha pensato Morgana.”
Melissa, che ascoltava, stufa di sentire
ancora una volta accusata la zia, domandò: “Perché date la colpa a lei? Non c’è
un solo indizio che possa far supporre che Mordred
sia stato istigato, anziché abbia agito di testa propria.”
“Mordred non
sarebbe stato capace di elaborare un simile piano, dovresti sapere che tuo zio
era più un uomo d’azione diretta e non un complottatore.
Morgana ha avvelenato la mela che poi ha fatto avere a Ginevra! Forse non
voleva la caduta di Camelot, ma voleva Mordred sul trono, è stata lei a sobillarlo e guidarlo.”
“Perché?!” insisté Melissa “Che cosa
sapete che a me è ignoto? Date la colpa a Morgana, senza considerare l’affetto
infinito che lei provava per Artù.”
“Sono ben consapevole dell’affetto di
cui tu parli, ben più morboso di quello tra sorella e fratello. Artù e Morgana
sono stati amanti, prima di scoprire di essere fratelli. Lei era pure rimasta
incinta e, per nascondere lo scandalo, affidò il neonato alla sorella maggiore,
facendolo credere figlio suo. Il frutto di questo incesto è stato Mordred. Anche dopo aver scoperto la loro parentela, il
rapporto tra Artù e Morgana non mutò, almeno in privato, ma per molti era
evidente. Artù quindi sposò Ginevra anche per mettere a tacere i pettegolezzi e
solo allora egli smise di fare ciò che con una sorella non bisognerebbe fare;
Morgana, tuttavia, era comunque tenuta in altissima considerazione da Artù, che
trascorreva con lei gran parte del tempo e le chiedeva consiglio sul governo. Tra
le due donne del Re fu subito guerra aperta: l’invidia era palese, erano sempre
in competizione e cercavano di screditarsi a vicenda. Finché Ginevra non scoprì
che suo cugino Gaiomar nutriva interesse per Morgana,
allora lo fece venire a Corte, gli fornì tutte le occasioni per restare da solo
con la Fata, favorì in tutti i modi il nascere di quell’amore, solo per poi
svelarlo alla Corte, facendo ricadere la vergogna sui due innamorati e
costringendoli all’esilio.”
“Come sapete tutto ciò?” chiese Melissa
che era a conoscenza solo dell’ultima parte di quel racconto.
“All’epoca non avevo ancora interrotto i
miei rapporti con Merlino e lui mi raccontava ogni cosa.”
“Conosco bene l’odio che mia zia nutriva
per la Regina ed è assolutamente plausibile che abbia fornito a Mordred le prove della relazione tra Ginevra e Lancillotto
e che se ne sia pure inventata qualcuna per farli apparire come cospiratori,
per essere certa che la sua nemica ricevesse la massima pena. Non posso però
accettare l’accusa di aver voluto la destituzione di Artù: con lui non era
irata, anzi gli faceva quasi pena perché lo vedeva ingannato e a volte
manipolato. Ha anche portato il suo corpo ad Avalon!”
“Morgana era molto affezionata sia a
Galvano che a Mordred. A tuo padre perché era stato
il suo primo nipote e quasi lo aveva cresciuto nell’infanzia; a Mordred era ancor più legata poiché suo figlio e si sa che
le madri perdono la testa per la propria prole, quanto gli uomini perdono la
ragione per una bella donna. Mordred era consapevole
della propria nascita e anche Artù non lo ignorava. Lo tenevano ben segreto, ma
sapevano di essere padre e figlio e si comportavano come tali. Mordred ha dunque sempre saputo di essere l’erede al trono
e, a lungo andare, si è stufato di aspettare. Dopo avere assaporato il potere,
non ne poteva più fare a meno. Ha cercato di trattenersi e si è confidato con
la madre e Morgana, anziché infondergli la pazienza, l’ha assecondato e
istigato ancor di più, favorendo il colpo di stato. Su una cosa, tuttavia, hai
ragione la Fata non voleva la morte di Artù, voleva solo che luiperdesse il regno, per portarlo ad Avalon e vivere in pace con lui, senza afflizioni, senza
protocolli, benpensanti e tutte le pesantezze della vita di Corte. Si è dovuta
accontentare del cadavere.”
Galahad, ormai
abbastanza persuaso che Morgana avesse avuto un ruolo importante nella caduta
di Camelot, commentò: “È stata sconsiderata! Avrebbe dovuto
immaginare che Artù avrebbe reagito.”
“Forse sperava che, a causa dell’età e
della delusione della perdita di moglie e amici, il Re si sarebbe fatto
volentieri da parte in favore del figlio.”
Viviana invitò il nipote e la sua
compagna a fermarsi al Lago per un po’ di tempo. I due giovani non erano del
tutto tranquilli a rimanere lì, ma da una parte non volevano dispiacere la
Dama, temendo sue rappresaglie, se si fosse sentita offesa. Inoltre, ella
trasmetteva una sensazione d’ambiguità: da una parte le sue azioni erano state
terribili e la indicavano come una pericolosa irresponsabile (o forse aveva
solo una visione più ampia degli altri?), dall’altra i suoi modi di fare erano
gentili, dolci e comprensivi. Ogni tanto aveva momenti in cui era evidente di
come il proprio potere la inebriasse, ma per il resto appariva come una
splendida persona.
Dopo essersi consultati, Galahad e Melissa decisero di accettare l’ospitalità per
qualche tempo. Il cavaliere ne approfittò per rilassarsi e per allontanare dal
proprio animo il dolore che la caduta di Camelot e la
morte degli amici gli avevano provocato; rimase spesso in compagnia di creature
fatate e riprese gli studi che a causa delle imprese eroiche aveva trascurato.
Melissa, invece, cercò soprattutto di
studiare Viviana, cercare di capire che donna fosse e quali fossero realmente i
suoi obbiettivi. Per far ciò, accettò di ricevere degli insegnamenti da lei ed
evitò di contestare il suo considerare la magia come un mezzo, anziché un fine.
Dopo alcuni mesi, i due giovani
lasciarono il Lago. Erano ancora nei suoi paraggi, quando la Maga sentì una
voce portata dal vento. Dapprima non riuscì a comprenderla, per cui seguì la
direzione da cui proveniva e si fece più chiara: chiamava proprio lei ed era la
voce di Merlino.
Giunsero davanti a una grossa lastra di
marmo, con vari simboli incisi sopra, Melissa ne riconobbe solo alcuni.
“Eccoti, finalmente!” disse la voce di
Merlino “Questa è la mia prigione d’aria. Sulla lastra che vedete è stato
effettuato il rituale e ad essa sono vincolato. Posso solo parlare con chi è
qui vicino e non più usare la magia. Portatemi a Brocelandia.
Non ho intenzione di toglierti l’eredità che ti ho affidato, ma voglio stare in
quella che considero la mia casa.”
“D’accordo, lo faremo.” acconsentì
Melissa.
Galahad aggiunse, con
amarezza: “Si è avverato tutto ciò che ci avevi detto … spero anche che per il
futuro lontano tu abbia avuto ragione.”
“Ora non vedo più nulla, non posso. Come
vi ho detto, al momento esistono moltissimi futuri in contemporanea. Ci sono
quelli positivi, ma sta alle vostre scelte farli avverare. Voglio comunicarvi
anche l’ultima profezia che mi è venuta alla mente, prima che fossi
imprigionato e perdessi i miei poteri: Quando il mondo avrà disperatamente
bisogno, Artù ritornerà.”
Scusate per la nota all’inizio, anziché
alla fine del capitolo. Questa nota avrebbe dovuto chiudere il precedente, ma
erano le 4 del mattino e mi sono scordata.
Si è conclusa la prima parte di questa fanfiction, ne seguiranno almeno altre due (più brevi) e
forse una terza (di nuovo lunga).
Tra lo scorso capitolo e quello che
vado a cominciare c’è un’ellissi temporale di quasi trecento anni, dunque ci
troviamo nell’anno 800. Il tutto è liberamente ispirato all’Orlando Furioso.
La
quiete regnava a Brocelandia. Era una delle poche
regioni in cui non giungevano mai le guerre che dilagavano altrove. La pace era
dovuta sia alla potente magia che proteggeva la foresta dalle intrusioni
esterne (infatti chi, senza appartenere a quel luogo, provava ad entrarvi, si trovava
immediatamente fuori, dalla parte opposta), sia dal fatto che i suoi abitanti,
pur molto variegati, erano una comunità parecchio chiusa: il numero di abitanti
era limitato e vi erano regole piuttosto rigide per garantire
l’autosufficienza. Si promuoveva largamente lo spirito comunitari, il senso di
essere prima di tutto un membro della società e poi un individuo. Ciò non
significava il doversi conformare o il dover reprimere i propri interessi,
bensì che si doveva innanzitutto pensare a rendersi utili alla comunità per
qualche ora ogni giorno e poi si era liberi di occuparsi di se stessi. Non vi
era denaro, né alcuna forma di commercio, poiché la comunità produceva per se
stessa: ognuno faceva la propria parte di lavoro e poteva liberamente disporre
di ogni cosa. Un simile sistema, tuttavia, poteva funzionare solo se tutti
quanti erano concordi nel ritenerlo giusto e quindi solo se nessuno si
approfittava della disponibilità altrui e della gratuità delle cose. Per questo
si invitava chi aveva grandi ambizioni o desiderio di ricchezza di andare nel
mondo fuori dalla foresta e se veniva individuato qualche fannullone lo si
allontanava. Le decisioni venivano prese democraticamente, tramite discussioni
a cui potevano prendere parte tutti gli abitanti, benché molti partecipassero
solo a quelle in cui le loro competenze e conoscenze potevano risultare utili.
Questo modo di amministrare funzionava abbastanza bene in virtù del fatto che
gli abitanti non erano numerosi e tutti quanti avevano grande consapevolezza e
senso di responsabilità. Benché tutti quanti fossero considerati allo stesso
livello, agli anziani era data grande importanza.
Brocelandia era dunque un
paese pacifico e prospero, ma per mantenersi tale non poteva espandersi e
doveva allontanare gli elementi che, non adeguandosi a quel sistema,
rischiavano di metterlo in crisi.
Convivevano
sia umani, sia creature fatate e proprio le differenze tra i vari abitanti
erano la forza del paese: ognuno aveva una qualche capacità necessaria agli
altri, la diversità permetteva a tutti si essere utili in un qualche modo.
C’era
chi aveva più influenza degli anziani a Brocelandia e
costoro erano Galahad e Melissa, il cui parere o
giudizio era richiesto e sempre accettato per le questioni di maggiore
importanza che mettevano in difficoltà gli altri. Loro due però non risiedevano
sempre in quella foresta, vi trascorrevano solo alcuni periodi, alternandoli a
lunghi viaggi in cui giravano per il mondo per aiutare gli umili e i grandi,
risolvendo questioni di poco conto e occuppandosi di
provare a gestire i grandi equilibri delle nazioni, per questo avevano amici
sia tra i contadini, sia tra i regnanti.
Era
l’anno 800 e Galahad e Melissa si trovavano in quella
che era stata la casa di Merlino, ma che ormai da quasi tre secoli era la loro
dimora. Una sera il cavaliere rientrò, dopo un pomeriggio trascorso ad aiutare
nella costruzione di una diga, vide la donna piuttosto turbata e subito le
domandò: “Che cosa succede? La divinazione che hai fatto oggi pomeriggio ha
rivelato brutte notizie?”
Lei
annuì.
“Come?!
L’ultima volta che siamo stati sul continente avevamo lasciato la situazione in
un buone condizioni: Papa Leone III stava facendo un ottimo lavoro per guidare
Carlo re dei Franchi. Ci siamo forse sbagliati nel considerarlo un potenziale
ottimo sovrano? Non è in grado di restaurare un impero, non dico come quello di
Roma, ma almeno unitario in Europa? Leone III gli ha già fornito da tempo le
Chiavi della Tomba di Pietro e il Vessillo di Roma, sono artefatti piuttosto
potenti che avrebbero dovuto garantirgli la vittoria e il consolidamento del
governo. Si è forse accontentato di rinchiudersi ad Aquisgrana e godere di un
piccolo regno, anziché accettare la responsabilità di pacificare il continente
che ormai è diviso e dilaniato da guerre da troppo tempo? Che fanno, invece, i
nostri pupilli, i principi inglesi e scozzesi: il prode Rinaldo, l’astuto Astolfo, la coraggiosa Bradamante
e loro cugino, il possente Orlando? Non dovevano essere i paladini di Carlo e
non solo proteggerlo ed aiutarlo, ma anche impedire che si arrestasse nell’impresa?”
“Galahad, fermati con le domande, dammi il tempo di
riferirti ciò che ho visto e se, poi, avrai ancora dei dubbi, mi chiederai.”
“Scusa, è che sono così sorpreso! Mi
aspettavo buone notizie e invece … va bene, va bene, dimmi pure.”
“Carlo non si è fermato, si è
addirittura guadagnato l’appellativo di Magno.”
“Non mi stupisce: grande e grosso com’è!”
“Il problema giunge dall’Africa. Il re Agramante, con migliaia di arabi e convertiti, ha oltrepassato
lo stretto di Gibilterra, si è rintrodotto in Spagna e ha marciato verso la
Francia, dove finalmente ha trovato la resistenza di Carlo, dei paladini e del
resto dell’esercito cristiano. Sono ormai due anni che combattono.”
“Agramante?”
si meravigliò Galahad e rimase pensoso “Se non
ricordo male il suo regno non era piccolo, ma nemmeno di grandi dimensioni e le
sue forze non gli avrebbero certo permesso di passare in Europa e conquistare
così tanto terreno. Certo, in Spagna può aver trovato dei simpatizzanti per via
dell’occupazione araba, scacciata da poco da Carlo, però … i Mori non si
stavano espandendo verso la Persia? Agramante chi ha trovato come alleati occidentali?”
“I popoli germanici e barbari che dall’impero
romano sono passati in Africa si sono convertiti già da tempo, nell’esercito di
Agramante ci sono pochi Mori, ma molti discendenti di
popoli nordici. Comunque, sì, nemmeno io mi spiego dove abbia trovato tutta
questa potenza militare. Ho percepito la presenza di qualcuno dietro di lui,
non esattamente un finanziatore, ma qualcuno che lo potenzia dal punto di vista
magico, ma non riesco a capire di chi si tratti: deve essere piuttosto potente,
per riuscire a celare la propria identità.”
“Quindi Carlo è impantanato nella guerra
con Agramante? I paladini non sono sufficienti?”
“Lo erano ma …”
“Come sarebbe a dire erano? Sono morti?”
“No, ma hanno perso di vista le
priorità: hanno tutti abbandonato il campo di battaglia per inseguire l’amore,
l’unico a non averlo fatto è stato Astolfo che, però,
si è allontanato per cercare i cugini. Qualche mese fa è arrivata al campo una
bellissima donna, affermando di essere una principessa del Catai
e di chiamarsi Angelica. La maggior parte dei cavalieri se n’è innamorata ed
ella disse che avrebbe sposato colui che fosse stato in grado di sconfiggere il
guerriero che l’accompagnava. In realtà era solamente un tranello per uccidere
i paladini, infatti appena il suo campione fu sconfitto, lei si è rifiutata di
sposarsi come promesso, ma si è data alla fuga e quindi molti cavalieri hanno
disertato per cercarla e conquistarla. Purtroppo, i due che sono rimasti
maggiormente incantati da Angelica sono Rinaldo ed Orlando che non solo vagano
per l’Europa senza meta e senza essere utili a nessuno, ma perfino si sono
messi l’uno contro l’altro.”
“E Astolfo,
invece, li cerca per riportarli da Carlo, giusto?”
“Esatto. Anche lui non è rimasto
indifferente al fascino di Angelica, ma sa bene quale sia il suo dovere e cosa
sia realmente importante.”
“Almeno lui! Certo che è buffo: Astolfo è sempre parso il più sfaccendato dei tre cugini,
quello più incline a seguire sogni e meno interessato alla vita militare e, invece,
si è dimostrato il più accorto.”
“Astolfo, lo
sai, ama più andare all’avventura, come facciamo noi, piuttosto che essere
inquadrato in un esercito o sopportare la vita di corte con la burocrazia e il
resto.”
“Ho capito. Di Bradamante,
invece, che mi dici? Non credo si sia innamorata anche lei di Angelica.”
“No, lei ama Ruggiero.”
“Sbaglio o è uno dei campioni di Agramante, quello nato da genitori Cristiani, poi subito
morti, separato dalla sorella che è diventata una guerriera e allevato dal mago
Atlante?”
“Proprio lui! Bradamante
si è innamorata di uno dello schieramento nemico ed è ricambiata. Purtroppo,
però, Atlante sa che Ruggiero è destinato a morire poco dopo aver lasciato un
erede e, quindi, ha mandato il proprio ippogrifo a rapirlo e ancora non so dove
lo abbia portato. Bradamante, allora, ha abbandonato
il campo di battaglia per cercarlo. In questo momento è in pericolo, poiché sta
viaggiando con un uomo che appartiene a una casata acerrima nemica della sua:
se lui scoprirà la sua identità, la ucciderà.”
“Dovremmo proteggerla, allora.”
“Provvederò con la magia. Voglio portarla
qui e, vicino alla lastra di Merlino, illustrarle la stirpe a cui darà vita,
assieme a Ruggiero.”
“Fai il prima possibile, per favore. Penso
che noi dovremmo metterci alla ricerca di Orlando e Rinaldo e farli ragionare. Date
le circostanze, sarà meglio dividersi.”
“Hai ragione: dobbiamo fare qualcosa e
alla svelta.”
“Io mi metterò sulle tracce di Orlando e
tu di Rinaldo, quando li avremo trovati o, non potendo trovarli, avremo delle
informazioni, ci ritroveremo a Roma, da Leone III, è un buon punto d’appoggio e
ci può aiutare in questa operazione.”
“D’accordo. Comunque per sicurezza
preparerò anche delle pietre di comunicazione, così potremo parlarci anche
distanti, se necessario.”
“Sì, sono sempre utili. Mi mostri come
si incantano? Non si sa mai che ne venga bisogno.”
“Volentieri!” rispose Melissa,
sorridente “Lo sai che mi fa sempre piacere quando vuoi apprendere qualche
pratica di magia.”
“Lo sai che adoro la magia, ma mi
accontento della ritualistica … non saprei se essere adatto oppure no per
essere un mago.”
“Sei il cavaliere incorruttibile! Chi più
di te sarebbe adatto? E poi qualche volta ti sei anche cimentato in qualche
incantesimo.”
“Solo in casi di estrema necessità … e
poi io sono un cavaliere, non un mago.”
“Ti sei lasciato impressionare da Yahuda, dopo che siamo dovuti andare a recuperare Wiraz che si era perso nell’oltretomba zoroastriano.” c’era
un velato tono di rimprovero, in quelle parole “Yahuda
ha tanto calcato sul fatto di come chi pratica la magia possa finirne vittima,
di come la magia può avere il sopravvento su chi vi si avvicina, che tu hai
finito per provarne orrore e spavento.”
“Non è andata esattamente così …” si
difese Galahad “Mi ha fatto capire l’importanza di
essere prudente e moderato.”
Melissa gli si avvicinò e lo abbracciò,
sussurrandogli all’orecchio: “Tu, però, hai un autocontrollo e una purezza d’animo,
che non corri il rischio di essere sopraffatto dalla magia, se la praticassi.”
L’uomo le carezzò i capelli e replicò: “A
te la magia, a me il cavalierato. Siamo un binomio perfetto, non alteriamolo.”
I due si baciarono teneramente: dopo
tanti decenni erano sempre in sintonia tra di loro e mai avevano provato noia o
sazietà l’uno dell’altra.
Galahad continuò: “Non
ci sono proprio idee circa chi possa sostenere Agramante?
Nessun sospetto? Nemmeno una diceria?”
“Pare di no.”
“Sappiamo almeno chi pratica magia di
altro grado? Intendo dire oltre a chi già conosciamo. Forse potremmo sentire da
Leone III se ha qualche informazione al riguardo. Accidenti, lo sai che mi
sembra ancora incredibile che abbiamo fatto eleggere Papa un mago?”
“A me sembra più incredibile che abbiamo
fatto eleggere uno che non è nobile. Comunque, lo interpelleremo: dobbiamo
consultare ogni fonte possibile. A proposito di magia, però, ho captato alcune
strane informazioni, durante la divinazione.”
“Ossia?”
Melissa si rabbuiò e chinò lo sguardo,
cercando le parole.
Galahad capì e chiese: “Centra
tua zia Morgana?”
“Sì … ma è una cosa strana.”
Il cavaliere la guardò con un pizzico di
rimprovero: l’unica cosa su cui discordavano era l’opinione sui reciproci
parenti. Galahad considerava Morgana una persona
spregevole e crudele che traeva piacere nell’infliggere sofferenze agli altri,
spesso con articolati e contorti meccanismi; vedeva invece Viviana come una
donna molto potente che comunque si limitava a stare nel suo Lago, senza
interferire con il resto del mondo. Al contrario Melissa vedeva la propria zia
come una persona appartata rispetto alla vita mondana, che si godeva l’isola di
Avalon e proteggeva il proprio spazio dalle
intrusioni, forse un po’ troppo strenuamente, così come forse eccedeva nel
difendersi quando qualcuno tentava di aggredirla, accusandola di aver fatto
cadere Camelot. Melissa, poi, considerava la Dama del
Lago come una donna colma di ambizione, con la mente ottenebrata dal potere,
intenta a spingersi oltre ogni limite per dimostrare la propria superiorità, ma
incurante delle conseguenze.
Per Galahad
era dunque naturale pensare che Morgana agisse in maniera scorretta e ordisse
intrighi, mentre Melissa considerava soltanto dicerie quelle che si sentivano
in giro. Di certo Morgana aveva fatto parlare di sé molto più di Viviana, che
teneva il Lago assai più celato ed inaccessibile di Avalon.
Il cavaliere incalzò gentilmente: “Allora,
che cosa ha messo in evidenza la divinazione su di lei?”
“In realtà è emersa una triade: Morgana,
Alcina e Logistilla. Questi
ultimi due nomi, però, mi sonodel tutto
nuovi.”
“Possono essere sue discepole ad Avalon, non credi?”
“Forse, ma non credo. Pare che Morgana e
Alcina siano considerate malvagie e pericolose,
mentre Logistilla sarebbe benevola e perseguitata
dalle altre due.”
“Potrebbero generare problemi, quindi
bisognerà approfondire la questione, però potremmo occuparcene dopo aver
risolto il problema di Carlo, a meno ché non emerga una correlazione.”
“Non so esattamente in che misura e se
direttamente o collateralmente, ma di certo sono coinvolte anche loro in quel
che sta accadendo in Europa. I paladini pare abbiano avuto a che fare con
Morgana e i suoi trabocchetti ad Avalon, tentando di
sottrarle alcuni dei suoi oggetti incantati. Su Alcina,
invece, non c’è nessun racconto preciso, poiché pare che nessuno di quelli che
siano finiti sulla sua isola sia poi anche tornato indietro.”
“Circa la terza?”
“Nulla, solamente che è buona, gentile e
appunto perseguitata.”
Galahad rimase pensoso
qualche momento e poi osservò: “Mi chiedo se anche Yahuda
e mio padre si stiano occupando di questa faccenda e se sia il caso di
contattarli per unire le forze, oppure no.”
“Yahuda non
era molto favorevole a supportare Carlo, preferisce non intervenire nelle
vicende degli uomini.” gli ricordò Melissa “Solo con una divinazione non
possiamo sapere esattamente che cosa stia accadendo. Partiamo alla ricerca di
Orlando e Rinaldo e poi valutiamo se è il caso di interpellare la Biblioteca.”
“Sì. In effetti non mi va di sentire Yahuda che rimarca il fatto che lui ci aveva detto di non
interferire e così via … io però non me la sento di lasciare che la gente si
uccida in guerre continue, senza almeno tentare un’unificazione e
pacificazione.”
Messisi così d’accordo su come
affrontare la faccenda, almeno in un primo momento, si prepararono per partire,
ma attesero un paio di giorni per parlare con Bradamante.
Come previsto dalla Maga, l’uomo che
viaggiava con Bradamante, scopertane la famiglia d’appartenenza,
volle ucciderla, scaraventandola giù da un dirupo. Melissa, però, che vegliava
su di lei, inviò un vento magico che le impedisse di precipitare e che la
portasse fino a Brocelandia. La Maga condusse la
guerriera davanti alla tomba di Merlino e lì evocò le ombre della sua
discendenza, mostrandole i tanti e grandi eroi e governanti che sarebbero nati
grazie all’unione di Bradamante e Ruggero. Era un
modo per infondere sicurezza e speranza nella guerriera cheda molti mesi vagava invano in cerca dell’amato.
Melissa, poi, le disse: “Io al momento
non posso vedere dove si trovi Ruggiero, poiché la magia del Mago Atlante lo
cela egregiamente. Segui, però, il mio consiglio: va in Spagna e cerca tra i
Pirenei il castello di Atlante: è possibile che il mago tenga rinchiuso lì il
suo pupillo. Dovrai stare molto attenta, poiché la tua abilità nel combattere
non ti basterà per salvarti e liberare i prigionieri del castello. Tieni dunque
questo anello incantato: se lo terrai al dito ti proteggerà da ogni
incantesimo, se lo metti in bocca ti renderà invisibile. Adesso va e, se
troverai altri paladini sulla tua strada, convincili a tornare da re Carlo, che
ha bisogno del suo esercito.”
La guerriera, confortata, ripartì colma
di determinazione nel ritrovare il suo amato: non le importava quali ostacoli
avrebbe trovato sulla strada, era certa che la sua spada l’avrebbe ben servita;
conosceva anche lei la profezia secondo cui Ruggiero sarebbe presto morto, dopo
la nascita del suo primogenito, la mente le consigliava di stare lontana da lui
per salvarlo, ma l’amore era invincibile.
Sistemata tale faccenda, Galahad e Melissa si misero in viaggio per cercare i due
migliori paladini di Carlo Magno. Procedettero insieme fino all’attraversamento
della manica, poi si separarono per perlustrare il continente.
Melissa vagò per alcune settimane, senza
avere novità. Ricordò, allora, ciò che aveva sentito raccontare sull’isola di Alcina: lì i cavalieri sparivano. Che Rinaldo fosse
capitato da quelle parti e fosse anche lui rimasto imprigionato? Le pareva poco
probabile che un tale valoroso si fosse lasciato sopraffare, tuttavia decise di
andare a controllare: in fondo voleva scoprire qualcosa di più su quell’Alcina che la gente metteva in relazione con Morgana e
soprattutto voleva capire come mai i cavalieri scomparissero.
La Maga scoprì facilmente l’isola in cui
viveva Alcina e vi ci si recò, usando un incantesimo
che impedisse all’altra donna di percepire la sua presenza. Procedette con
circospezione, poiché rischiava comunque di essere vista, ma presto si imbatté
in Ruggiero: lo aveva visto solamente in alcune visioni, ma lo riconobbe
facilmente.
Il campione di Agramante
era privo delle sue armi, seduto in mezzo al fango, con lo sguardo attento
rivolto ad un recinto di maiali.
Melissa gli si avvicinò, perplessa, e lo
chiamò: “Ruggiero … Ruggiero …”
Il giovane sospirò. Allora la Maga lo
colpì alla testa con un bastone, non forte da fargli male, ma abbastanza per
scuoterlo dai propri pensieri e richiamarlo alla realtà.
L’uomo si scosse, guardò offeso la donna
ed esclamò: “Come osate colpirmi! Io sono il prode Ruggiero!”
“Sì, gli somigliate, ma non siete lui.” replicò
Melissa, volendo provocarlo “Ruggiero è certamente presso il suo re, Agramante; oppure con la sua innamorata, Bradamante, ma di certo non è qui e non fa la guardia ai
porci.”
“Ah, voi mi ricordate i miei doveri e
non sbagliate a dire che per ben altre imprese io sono nato. Voi, tuttavia,
ignorate quale forza mi incatena qui e qual dolore il mio cuore patisca.”
“Avete forse promesso a uomo degno di
rimanere qua? O questo nuovo compito giova qualcuno?”
“Io sono innamorato della bella Alcina. So che promisi il mio amore a Bradamante,
ma ora solo colei di cui sono prigioniero e schiavo aggrava il mio petto. Oh, Alcina! Mai i miei occhi si posarono su creatura più bella!
Il tuo seno colmo, la tua vita sottile, le tue gambe invitanti. Qualsiasi uomo
che posi lo sguardo su di te, dal desiderio è vinto e non può far altro che
inginocchiarsi davanti alla tua perfezione e obbedire alla voce che il labro
tuo dischiude, sperando che l’obbedienza e devozione possano guadagnare un tuo
bacio.” d’improvviso, il tono estasiato e ardente di Ruggiero si tramutò in
ira: “Ah, dannazione! Che tu sia maledetta, divina bellezza che hai piegato i
grandi guerrieri, come Venere ha sedotto Marte! Che tu sia maledetta, bellezza
sensuale che mi hai fatto schiavo, nonostante io fossi stato avvisato della tua
crudeltà! Tu tutti seduci, Alcina, ma mai a nessuno
ti concedi, io lo so, eppure sono qui ad ubbidire e sperare … ma già so che
quando ti sarai stufata di me, mi tramuterai in pietra o pianta, così come hai
fatto con chi mi ha preceduto. Astolfo, mio nemico,
mi avvisò della tua tela, ma nonostante io conosca la verità e la mia sorte,
non posso schiacciare aracne.”
Melissa aveva ascoltato tutto quanto con
attenzione, scosse il capo con disappunto e commentò: “Voi uomini siete stolti
e vi fate sempre guidare e ingannare dalla lussuria. Le cure che una donna
impiega per voi, le sue attenzioni, il suo affetto, il suo aiuto e sostegno,
tutto ciò voi dimenticate in un istante, quando vedete un bel corpo. Per un
istante di godimento, siete disposti a sacrificare anni di bene. Non sapete
dare il giusto peso alle cose: misurate tutto in base alla bellezza. Così la
donna che vi ama e che per voi farebbe di tutto, la tenente in poco conto se il
suo corpo non è come quello di Elena e allo stesso tempo vi crogiolate nelle
crudeltà di una donna che gode nel manipolarvi. Se poteste vedere la
gentilezza, anziché la beltà!”
Melissa sospirò e aggiunse: “Voglio
troppo bene a Bradamante e non permetterò che soffra,
trovandovi in questo luogo.” appoggiò la mano sinistra sugli occhi di Ruggiero “Via!
Tolgo il velo della lussuria che annebbia il vostro giudizio: quando tornerete
da Alcina, la vedrete per quella che è realmente. Allora
non fatele capire che non subite più il suo fascino, fingete quel tanto che
basta per riprendere le vostre armi e l’ippogrifo e poi tornate da me.”
“Chi siete voi che mi salvate e perché
lo fate?”
“Sono un’amica di Bradamante,
se così si può dire. Non mi dispiacerebbe lasciarvi qui, dal momento che siete
uno dei campioni di Agramante, mentre io sostengo re
Carlo dei Franchi, tuttavia vedo la conversione nel vostro futuro e poi … non è
giusto lasciare qualcuno aggrovigliato in questo inganno, benché lo
meritereste, come prezzo della vostra superficialità. Piuttosto, ora
rispondete: poc’anzi avete detto che Astolfo vi aveva
avvertito, dove lo avete visto?”
“Vittima anche lui di questo inganno
atroce, fu tramutato in un mirto e in quella forma io l’ho trovato, quando
giunsi su quest’isola.”
“Tale sorta è toccata anche a molti
altri cavalieri, stando alle tue parole.”
“Sì, questo è ciò che mi ha detto Astolfo che, pur essendo mio nemico in battaglia, ha voluto
avvisarmi per risparmiarmi tanta pena. Io non vi conosco, ma se avete veramente
sciolto la malia che mi rendeva schiavo, forse potete anche liberare gli altri
da questo sortilegio?”
“Mi metterò subito all’opera. Piuttosto,
avete idea di come abbandonare l’isola?”
“Sì. Alcina
possiede una nave, ruberemo quella e andremo da Logistilla.”
“Vi fidate di lei?”
“È dolce e buona e incarna ogni virtù,
così come Alicna e Morgana incarnano tutti i vizi.”
Melissa decise di sorvolare sul
difendere la zia ed esortò il cavaliere ad andare a recuperare armi e armatura
e a portarle l’ippogrifo.
Così avvenne, Ruggiero rientrò nella
dimora di Alcina e, per fortuna, la trovò
addormentata al piano di sopra; come la vide, la trovò ancora bella, ma nessun
desiderio si mosse in lui. Lieto di non essere più sotto quell’influsso, l’uomo
tornò al pian terreno e aprì la porta in cui la strega conservava le armi
sottratte ai cavalieri caduti in sua balia. Presto giunsero altri prigionieri,
tornati in forma umana, per riprendere il loro equipaggiamento e abbandonare l’isola;
un incantesimo li rendeva silenziosi, in modo che Alcina
non fosse destata dal rumore e non si accorgesse della fuga.
Ruggiero mantenne la promessa e portò l’ippogrifo
a Melissa, la ringraziò ancora e le domandò se avesse bisogno, ma lei lo esortò
ad andare, così egli e i cavalieri liberati salparono verso l’isola di Logistilla. Soltanto uno rimase lì: Astolfo.
La Maga gli aveva chiesto di rimanere, poiché sapeva che sarebbe stata assai affaticata
dall’utilizzo della magia necessaria per spezzare l’incantesimo che aveva
tramutato gli uomini in piante e rocce. Si era rivolta a lui poiché lo
conosceva da quando era bambino e lo aveva visto crescere e dunque si fidava e
ne riconosceva capacità e valore.
Astolfo, abbandonata la
forma di mirto, era stato assai allegro e si era abbandonato a un canto e a un
semplice balletto, ma poi si era ricomposto e aspettava paziente qualche
istruzione. Non aveva mai ben capito chi fossero quella maga e il suo amico
cavaliere, tuttavia sapeva per certo che i suoi genitori e i suoi zii, discenti
da famiglie nobili che governavano da diverse generazioni, si rivolgevano
sempre a quei due quando c’erano problemi, oppure davano sempre loro ascolto,
quando spontaneamente offrivano un consiglio. Era su loro indicazione che lui e
Rinaldo avevano lasciato l’Inghilterra e la Scozia per raggiungere il cugino
Orlando e poi divenire paladini del re dei Franchi. Ora era ben felice di
rivedere la Maga, soprattutto perché lo aveva liberato, tuttavia era rimasto un
poco stupito: non immaginava che lei o il cavaliere suo amico agissero
attivamente nelle vicende, poiché li aveva sempre visti unicamente come
consiglieri.
Quando notò che Melissa era esausta, la
aiutò a non cadere e la fece sedere con calma a terra.
“Vi sentite male? Posso fare qualcosa?”
si preoccupò Astolfo.
“No, grazie. Devo solo riprendere
energie, riposando un poco. L’unica cosa, resta all’erta e pronto con la spada,
se dovesse arrivare qualcuno.”
“Oh, meglio, questo mi riesce molto
bene. Avete notizie dei miei cugini?”
“No, li stiamo cercando.”
“Io sarò stato stolto a lasciarmi
abbindolare da Alcina che mi ha ingannato, ma loro
sono più tonti con Angelica, visto che lei li ha rifiutati apertamente, ma loro
insistono. Piuttosto, come mai mi hai fatto restare? Anzi, perché siamo restati
e non siamo fuggiti con gli altri? Non è che abbia molta voglia di rivedere Alcina, avrei preferito recarmi da Logistilla
con gli altri.”
“Io, invece, voglio conoscerla per
capire esattamente chi è e che cosa voglia. Tu che cosa ne sai di lei e di
quell’altra da cui tutti sono andati, ritenendola pura?”
“Morgana, Alcina
e Logistilla sono tre sorelle.”
Melissa ben sapeva che ciò non era vero,
tuttavia non interruppe e volle continuare ad ascoltare.
“Le prime due sono crudeli e molto unite
tra di loro, mentre Logistilla è diversa: è gentile e
cortese, seguace della virtù. Per questo le maggiori la odiano e la
disprezzano. Quando loro padre è morto, hanno fatto di tutto per privarla dell’eredità
ed allontanarla e per attirare su di lei sciagure.”
“Tutto questo, chi ve l’ha detto?”
“Alcina
stessa. Sproloquia spesso e volentieri e ci ha raccontato come lei e Morgana
hanno perseguitato la povera Logistilla. Per questo
tutti i cavalieri son voluti andare da lei: vogliono mettersi al suo servizio e
aiutarla a vendicarsi sulle sorelle e riottenere ciò che le spetta.”
“Da quanto tempo sei prigioniero di Alcina?”
“Quasi due mesi.”
“Hai mai visto Morgana qua?”
“No, perché?”
“Non ti sembra un po’ strano? Alcina parla tanto di quanto lei e sua sorella siano unite
e alleate nel perseguitare la terza, ma Morgana non la viene mai a trovare?”
“Effettivamente è un dettaglio a cui non
avevo pensato. Che senso avrebbe, però, inventarsi cose del genere?”
“Non saprei …” Melissa era cogitabonda “Ho
come l’impressione che abbiano voluto trasmettervi l’idea che questa Logistilla fosse buona e bisognosa … non puoi negare che
siano andati tutti ad offrirle la loro lealtà …”
Le riflessioni della Maga vennero
interrotte, poiché si accorse che Galahad la stava
contattando tramite la pietra di comunicazione. Lei prese la propria che teneva
tra gli amuleti appesi al collo e rispose: “Eccomi! Dimmi tutto.”
“Bentrovata
Melissa, come stai? Procede bene la tua ricerca?” chiese la voce di Galahad.
“Eh, ho qualcosa su cui aggiornarti, ma
prima dimmi tu.”
“Ho trovato Orlando ma è in pessime
condizioni.”
“È ferito?!” esclamò Astolfo,
preoccupato “Chi è stato? Ferraù per prendergli l’elmo?!”
“No … che ci fai lì, Astolfo?”
“Fa parte della storia che ti racconterò
a breve.” intervenne Melissa “Spiegaci di Orlando.”
“La salute fisica non gli manca: l’ho
trovato che sradicava alberi a mani nude, quindi direi che è in forma. È la
testa che non sta bene, è letteralmente impazzito, completamente furioso. Ho chiesto
in giro e mi è stato riferito che Orlando è uscito di sé quando ha scoperto che
Angelica ha sposato Medoro.”
“Chi?” chiese Astolfo.
“Un fante di Agramante,
pare. I testimoni di fatto parlano di follia dovuta ai dolori dell’amore, ma io
la vedo diversamente.”
“In che modo?”
“Credo che il senno gli sia stato
rimosso con la magia.”
“Sono intervenute creature come le
Erinni o le Furie?”
“Non saprei. Il fatto è che ho visto
molti folli nella mia vita, ma nessuno come lui. I pazzi hanno comunque una
loro logica o coerenza, per quanto assurda a noi possa sembrare. Orlando,
invece, sembra aver perso ciò che rende umani anche i più folli. Si comporta
come una bestia feroce: distrugge tutto ciò che c’è sul suo cammino: assale,
uccide, mangia, dorme e poi il giorno dopo ricomincia daccapo. Non c’è modo di
attirare la sua attenzione, è come un animale. Non può essersi ridotto così
solo per amore: deve esserglistato
tolto il senno. Se siamo fortunati, è nel solito posto dove vanno le cose
perdute. Andresti a controllare? Io devo seguire Orlando per impedire che
faccia male a ignari passanti.”
“Io al momento non posso andare” replicò
Melissa “Sto cercando di capire cosa nasconda Alcina.
Non avendo trovato traccia di Rinaldo, ho voluto controllare se fosse tra i
cavalieri scomparsi presso Alcina, li ho liberati ma
lui non c’è. In compenso ho trovato Astolfo. La situazione
sembra più complessa di come appare e vorrei indagare.”
“Non possiamo lasciare Orlando in queste
condizioni troppo a lungo: è ingestibile!”
Astolfo esclamò: “Posso
andare io a recuperare il senno di mio cugino. Ditemi dove lo trovo e non c’è
problema.”
“No, è fuori discussione.” commentò Galahad.
“Perché no?” gli chiese la Maga.
“Perché è Astolfo!
È irresponsabile e si distrae facilmente!”
“Sono principe d’Inghilterra, suvvia,
puoi darmi un po’ di credito.” ribatté l’interessato “Sì, a volte mi lascio
prendere un po’ dalla situazione o gozzoviglio un poco, ma non sono mai venuto
meno al mio dovere e le cose importanti le ho sempre portate a termine … più o
meno … in un qualche modo … Suvvia, lasciate che vi aiuti! Si tratta di mio
cugino, dopotutto!”
Galahad sospirò e
disse: “Va bene, prova pure, mal che vada fallirai, ma non dovrebbe farsi male
nessuno.”
“A parte me medesimo. Allora qual è la
direzione?”
Melissa salutò Galahad
e si rivolse al giovane: “Allora, il luogo da trovare non è semplice. Le cose
perdute sulla Terra finiscono sulla Luna.”
“Sulla Luna? E come ci arrivo?”
“Devi trovare il paradiso terrestre, lì
troverai Enoch, Elia e San Giovanni, uno di loro ti
accompagnerà.”
“Ah, l’Eden, qui dietro l’angolo, ci
vado ogni domenica.” commentò Astolfo, sarcastico.
Melissa lo rimproverò: “Sei tu che ti
sei offerto volontario.”
“Sì, ma infatti scherzo. Comunque, come
ci arrivo all’Eden?”
“Non c’è una strada, continua a cercarlo
finché non apparirà. Diciamo che il paradiso terrestre sa che lo stai cercando
e si mostrerà a te, quando ne sarai degno: un sacco di luoghi hanno una loro
intelligenza e funzionano così. Quando passerai vicino all’Inferno, allora
saprai che presto lo troverai.”
“Incredibile. Sarò felice di trovarmi
all’Inferno. Suppongo che dovrò fare un po’ di cose eroiche prima di meritarmi
l’ingresso, ma per questo non c’è problema, piuttosto, come mi muovo? Non so
dove sia il mio cavallo ma, in ogni caso, dubito sia adatto a un simile
tragitto.”
“Prendi l’ippogrifo.”
“Ma io non sono il suo padrone: sarà ancor
più ostile che se lo trovassi selvaggio.”
“Su, pensala come una prima delle prove
per giungere sulla Luna.”
“Eh va beh, andrò solo, con la mia spada
e la mia lancia d’oro.”
“No, aspetta, ti do un paio di cose che
ti potranno essere utili.”
Melissa frugò nella bisaccia che aveva
con sé e che evidentemente era incantata per poter contenere molti più oggetti
di quelli che consentiva la sua capienza apparente. Tirò fuori un corno e un
libro, li consegnò ad Astolfo, dicendogli: “Il suono
di questo infonderà terrore nei tuoi nemici, mentre il libro è incantato e ti
potrà essere utile in vari modi.”
Mentre Melissa spiegava ad Astolfo come agire, Galahad era
tornato ad osservare Orlando. Lo seguiva da qualche decina di metri di distanza
per non essere notato e per poter prontamente intervenire, se ce ne fosse stato
bisogno. Finché il furioso se la prendeva con piante o animali, non c’era bisogno
di fermarlo, ma se si fosse rivolto verso altri uomini, allora si sarebbe
dovuto interferire.
Trascorsero un paio di giorni. Orlando si
era addormentato sotto una quercia, Galahad aveva
trovato la postazione da cui vegliare e potersi riposare. Sentì dei passi nel
bosco dietro di sé, strinse l’elsa della spada, pronto ad agire, ma per il
resto non si mosse, onde evitare di insospettire chi si stava avvicinando, nel
caso avesse avuto cattive intenzioni.
Si sentì sussurrare: “Galahad!”
Il cavaliere riconobbe all’istante la
voce, si voltò di scatto ed esclamò sottovoce: “Padre!”
Tra le piante e l’oscurità si fece
avanti Lancillotto. Subito il figlio scattò in piedi e lo abbracciò, poi si
rimisero a sedere e Galahad domandò: “Come mai sei
venuto qua? La Biblioteca o …?”
L’altro lo interruppe: “Sono venuto
perché volevo vederti e perché ti devo parlare di una decisione che ho preso.”
Il figlio notò il tono molto serio del
padre; tacque, annuì e rimase in ascolto.
“Ho riflettuto molto a lungo … anni a
dire il vero … Ho deciso di abbandonare la Biblioteca. Ho provato e riprovato
ad andare d’accordo con Yahuda, comprendere la sua
visione delle cose e farla mia, ma proprio non ci riesco. Sul proteggere il
mondo siamo d’accordo, così come sul combattere i malvagi, però per me non è
abbastanza. Fin da subito mi è parso che mancasse qualcosa, che svolgessi un
lavoro solo a metà con la Biblioteca, ma non capivo esattamente, anche perché
chiuso quasi sempre là dentro non ho avuto molte occasioni di confronto. Poi qualche
anno fa tu e la tua amica avete proposto a Yahuda di
aiutarvi a cercare un nuovo leader per il mondo o, almeno, l’Europa, qualcuno
che come il nostro caro Artù fosse carismatico e abile in guerra, che potesse
unificare territori ben più vasti di Logres e poi
governarli equamente. Ho capito che era questo che mi mancava: io per la
Biblioteca non ho fatto altro che fermare la tal sventura, togliere dalla
circolazione artefatti pericolosi, però non ho mai fatto nulla che potesse
aiutare o migliorare la situazione. So che è un progetto ambizioso, che
richiede impegno, tempo, pianificazione e aiuti esterni, tuttavia perché non
tentare? Perché limitarci a sistemare qualche inconveniente in un mondo
comunque caotico e colmo di gente che si fa male con ogni mezzo, anziché
cercare di costruire un mondo migliore, più giusto, più ricco, più sereno? La Biblioteca
ha le risorse per poter fare qualcosa del genere! Tra gli artefatti e i testi
che vi sono racchiusi si possono trovare mezzi e poteri per mettere in ordine
questo mondo! Insomma, Yahuda vede gli uomini che si
scottano col fuoco e, invece di istruire loro, spegne la fiamma. Io voglio che
la fiamma arda e che offra a tutti i suoi benefici. Certo, ci saranno dei
prezzi da pagare e qualche sacrificio da fare, ma sarà per un bene superiore. Un
bene finalmente duraturo e per tutto.”
“Cosa stai pensando di fare?”
“Te l’ho detto, ho abbandonato la
Biblioteca. Già da tempo intrattenevo conversazioni con mia madre, anche lei mi
ha ricordato quanto la magia sia potente e quanto essa possa aiutare a
risollevare le sorti. Anche lei sogna un nuovo governante capace di garantire
la pace e la prosperità. Mi ha parlato di quest’idea che hanno in India di
Sovrano Universale, dove il re terreno ha il dovere e il potere di far
rispettare le leggi universali. Non sarebbe stupendo? Non sarebbe come riavere
Artù?”
Galahad annuì: “Nel
sostenere Carlo re dei Franchi, io e Melissa certo non avevamo una versione
così universalistica, ma ammetto che hai descritto qualcosa di meraviglioso. Hai
ripreso ed elevato il mio pensiero.”
“È stata Viviana soprattutto. Ovvio, non
si può certo partire adesso col progetto, stiamo gettando le basi, stiamo
pensando a raccogliere forze, suddividerci i compiti e pian, piano inizieremo a
capire come riuscire a trovare un Sovrano Universale e a come fargli ottenere
il trono. Intanto, Viviana mi ha chiesto di essere il braccio armato e più
secolare del Lago. Ho già alcuni guerrieri che mi seguono. Voglio continuare
sulla strada della protezione, ma aggiungerci anche il far conoscere e l’insegnare
… certo io non sono l’esperto che può insegnare la magia, ma troveremo chi lo
farà. Recupererò ancora artefatti che non debbono cadere nelle mani sbagliate,
ma non avrò paura ad usarli oppure a consegnarli a chi può farci qualcosa di
buono. Voglio essere un novello Prometeo. Ti piace quest’idea?”
“Sì, moltissimo.”
“Sai un’altra cosa che non mi è piaciuta
della Biblioteca? Il non entrare quasi mai in contatto con le creature fatate. Sai
bene quanto mi trovo a mio agio con loro, eppure Yahuda
non ha mai voluto frequentazioni, se non ridotte al minimo indispensabile o
anche meno, e li ha sempre guardati con sospetto. Non ne potevo più di quel
posto, mi soffocava! Sono contento di essermene andato e di aver creato una
sorta di contro biblioteca. L’ho chiamata Confraternita
del Serpente, perché il serpente in molte mitologie è legato alla magia,
alla conoscenza totale, alla guarigione, alle profezie e all’immortalità. Mi pare
proprio un ottimo simbolo. Ecco, è di questo che ti volevo parlare e,
soprattutto volevo farti una domanda importante, figliolo. Tu vuoi fare parte
di tutto ciò? Vuoi aiutarmi nel costruire tutto ciò?”
Galahad stava per
rispondere di sì, senza esitazione, ma poi si trattenne, ragionò un poco e poi
disse: “Mi piacerebbe molto e spero di essere al tuo fianco. Adesso, però, devo
prima finire di sorvegliare Orlando e poi ne vorrò parlare con Melissa. È giusto
informarla e convincerla ad aderire.”
“Se non dovesse accettare, tu che farai?
Se dovessi scegliere tra questo progetto e lei, che cosa faresti?”
“Sono certo che accetterà. L’unico
ostacolo potrebbe essere l’antipatia che nutre verso Viviana, ma sono sicuro
che davanti a un simile progetto supererà quest’astio, legato soprattutto a un
pregiudizio.”
“Lo spero. Io sono felice di averti visto
e sono contento che condividiamo le stesse idee … sai, non ci vediamo spesso e,
quindi, non so mai in quale modo … va beh, non facciamo confusione. Ti dico, di
fretta non ce n’è, quindi concludi quel che devi, parlane con la tua amica,
prenditi i tuoi tempi. Io spero di vederti presto. Sono impaziente di
intraprendere questo progetto con te, come padre e figlio.”
Melissa
aveva fatto alcune raccomandazioni ad Astolfo e poi
lo aveva fatto allontanare con l’ippogrifo. Dopo di che si era concentrata in
una meditazione energizzante, per riprendere completamente le forze e poter
affrontare Alcina che, sicuramente, si sarebbe presto
svegliata. Pur in quello stato di raccoglimento in sé, la Maga era
sufficientemente sensibile e ricettiva verso il mondo esterno per accorgersi di
eventuali pericoli e potersi subito risvegliare e reagire.
Melissa
rimase assorta per alcune ore e si ridestò quand’era già scesa la sera. Le sembrò
strano l’aver potuto ristorarsi così a lungo, senza interruzioni: Alcina probabilmente si era destata ben prima di lei,
doveva essersi accorta della scomparsa dei cavalieri, doveva aver reagito in un
qualche modo. Non si era guardata attorno? Non aveva fatto alcun incantesimo
per scoprire come fossero andate le cose? Forse sì, ma aveva deciso di non
affrontarla direttamente.
La
Maga decise di dirigersi verso il palazzo di Alcina
per rendersi conto di come fosse la situazione. Si incamminò e si accorse che
il cuore aveva iniziato a batterle piuttosto rapidamente, i suoi nervi erano
tesi, il respiro era a scatti: come se fosse spaventata, eppure non ne aveva
motivo. Non vi erano sinistri rumori, ombre misteriose o qualsiasi altra cosa
che potesse destare paura, tutto era normale e tranquillo, tranne l’animo di
Melissa che si colmava sempre più di terrore. Presto, però, fu certa di una
cosa: quella paura non nasceva in lei, ma era indotta dall’esterno; qualcuno la
stava riempiendo di paura con un qualche incantesimo. Decise di fermarsi per
calmarsi e respingere quell’influsso che la scuoteva completamente e le
impediva di poter agire nel migliore dei modi.
Ferma
in piedi in mezzo a un sentiero quasi di campagna, provò ad allontanare quella
paura imposta; iniziò con respiri profondi per rilassarsi e in quel momento sentì
delle vibrazioni insolite. Spesso quando rimaneva in ascolto, riuscendo ad
ignorare i rumori che la circondavano, la Maga sentiva la magia che
attraversava ogni cosa, sentiva le sue onde e le sue vibrazioni che si
alteravano e increspavano a seconda dell’ambiente, il tempo atmosferico, l’umore
delle persone e molti altri fattori.
Ciò
che sentiva in quel momento sull’isola d’Alcina, però,
non era una vibrazione comune, era qualcosa che non ricordava di aver mai
sentito prima. L’aria era così impregnata di magia che quasi trasudava ed era
molto potente e aggressiva.
Melissa
si stupì nel percepire tutto ciò, ebbe l’impressione di un’immensa entità
avversa che incombeva su di lei.
Si
guardò attorno alla ricerca di indizi ma ciò che la stava circondando, pronto a
ghermirla, non poteva essere visto con gli occhi.
Galahad continuava a
pedinare Orlando da più di una settimana e negli ultimi giorni ripensava spesso
a ciò che suo padre gli aveva detto. Quel progetto gli piaceva molto, vedeva in
esso la speranza per poter finalmente acquietare gli animi umani e non e farli
vivere finalmente in modo armonioso come nella famigerata età dell’oro per i
greci, il Satyayuga degli
indiani, l’Eden degli Ebrei … quel mondo dove lupo e agnello avrebbero
pascolato assieme, descritto dal profeta Isaia. Certo sapeva che era solo una
metafora: gli animali non avrebbero mutato i loro istinti, ma gli uomini e le
creature senzienti … per loro c’era speranza? Sì, lo credeva. Aveva studiato
Platone e la tripartizione delle anime: concupiscibile, irascibile e razionale;
e la metafora del carro. Non erano semplici speculazioni di un singolo filosofo:
in tantissime tradizioni aveva ritrovato questo numero 3 per indicare le parti
dell’anima o le fasi di un percorso spirituale. Ne era convinto: gli esseri
dotati di ragione potevano sperare di elevarsi rispetto allo stato attuale,
smettere di farsi guidare dalle passioni, i desideri, l’ira, l’avidità e il
resto dei vizi, abbracciare una purezza d’animo e vivere finalmente sereni e
felici. Un po’ come ai tempi di Camelot, ma ancora
meglio. Sì, inizialmente ci sarebbe dovuta essere un’elite a governare e a
garantire ordine e giustizia, finché gli animi di tutti non si sarebbero
elevati e allora si sarebbe potuto vivere in tutto il mondo un po’ come a Brocelandia.
Sapeva
di correre troppo con il pensiero. Il cambiamento avrebbe richiesto dedizione,
impegno e, soprattutto, tanto tempo: avrebbero dovuto lavorare con calma e
pazienza per decenni e non avrebbero dovuto pretendere di arrivare subito al meglio,
ma procedere per gradi, un piccolo cambiamento dopo l’altro fino ad arrivare
all’obbiettivo finale.
In
fondo era ciò che aveva spesso immaginato con Melissa. L’addestrare Leone III e
farlo diventare Pontefice, il sostegno a Carlo Magno, la formazione dei
paladini erano tutte azioni che puntavano a un miglioramento del mondo. Era certo
che la Maga sarebbe stata contenta nello scoprire che qualcun altro condivideva
le loro idee … certo non sarebbe stata entusiasta, inizialmente, di trovare
degli alleati in Viviana e il Lago, tuttavia era sicuro che alla fine avrebbe
scacciato il vecchio astio.
Galahad era parecchio
entusiasta, soprattutto per l’idea di collaborare fianco a fianco col padre che
aveva visto relativamente poco dopo la caduta di Camelot.
Lancillotto era stato sempre in Biblioteca, usciva solo lo stretto
indispensabile per svolgere le varie missioni; Galahad
invece era stato piuttosto distante da quell’ambiente e solo raramente era
stato contattato per dare una mano in qualche impresa, generalmente le più
aspre: fermare una furiosa guerra tra Naga e Garuda in India, sgominare una
setta di stregoni invasati in Siberia, impedire che il dio egizio Seth
conquistasse il mondo … ecco quella era stata probabilmente l’esperienza
peggiore. Se in Siberia era rimasto inorridito dalla follia umana, il confronto
con Seth e il suo regno non gli avevano solo mostrato la crudeltà, ma gliela
avevano fatta vivere sulla sua stessa pelle. In passato era già stato
torturato, ma ciò che patì in quella missione era stato in grado di fargli
rimpiangere l’immortalità, tuttavia anche quella volta non aveva ceduto.
A
distanza di decenni, tuttavia, il dolore delle torture era passato, mentre ciò
che era rimasto maggiormente infisso nella sua memoria e nel suo animo era
proprio la Siberia poiché era convinto che quei folli e le persone cadute sotto
la loro influenza, potessero essere salvate e riportate alla ragione, eppure le
circostanze lo avevano costretto ad ucciderli tutti. Non era stato né fiero, né
contento di aver concluso quella missione, anzi la considerava un fallimento. Certo,
aveva fermato la setta e impedito che quella furia contagiasse altre persone,
però aveva visto quegli uomini, quelle donne e quei bambini non come malvagi,
bensì come vittime stesse di quelle pratiche che non comprendevano appieno, ma
che avevano seguito. Fu in quell’occasione che per la prima volta rimase
inorridito dalla magia e che, forse, l’aveva capita appieno: prima la
considerava una disciplina, un mezzo da utilizzare e che fosse neutrale e
totalmente in mano a chi la praticasse e dunque la bontà o la cattiveria stava
nelle persone; in Siberia, invece, comprese ciò che spesso Melissa aveva
tentato di spiegargli: la magia influisce sullo spirito e sulla mente e i maghi
devono combattere per sottomettere la magia al proprio volere e non esserne
sopraffatti.
Quando
si era trovato davanti ai settari, avrebbe voluto salvarli, ma non sapeva come
fare e non poteva prendersi il tempo di trovare una soluzione, poiché essi non
si arrestavano nella loro follia distruttrice. Era stato dunque costretto ad
ucciderli tutti, per poterli fermare e massacrare quella gente lo aveva fatto
sentire tremendamente in colpa.
Per
qualche giorno era stato in bilico, col rischio di scivolare nella depressione,
ma poi si era riscosso e aveva deciso di approfondire le sue conoscenze circa
la magia, per poter essere maggiormente preparato in futuro: commiserarsi per ciò
che aveva fatto era inutile, poteva solo cercare di migliorare.
Comunque,
padre e figlio si erano visti solamente in quelle sporadiche circostanze in cui
erano ugualmente in buona sintonia però entrambi avvertivano che mancasse
qualcosa.
Galahad era dunque
contento che il padre lo avesse voluto coinvolgere in quel progetto poiché gli
ricordavano l’affetto e la stima che nutriva per lui, di cui ogni tanto ancora
dubitava, soprattutto ripensando alla propria nascita.
Il
cavaliere non vedeva l’ora di parlare di tutto ciò con Melissa e imbarcarsi con
lei in quel nuovo progetto proposto da Lancillotto.
Era
trascorsa una settimana dall’ultima volta che aveva parlato con lei. Non aveva
più sue notizie da quando lo aveva informato di aver liberato i cavalieri
imprigionati da Alcina. Gli sembrava molto strano non
aver avuto ulteriori aggiornamenti, aveva provato a contattarla con le pietre
di comunicazione, ma lei non aveva mai risposto. Questo lo preoccupava
parecchio: perché non rispondeva da giorni? Forse aveva perso la pietra … ma di
certo avrebbe potuto fabbricarsene un’altra. Da una parte avrebbe voluto
scoprire che cosa fosse successo a Melissa, dall’altra non voleva lasciare
Orlando senza che qualcuno lo sorvegliasse. Alla fine la preoccupazione ebbe la
meglio, per cui ricorse a un rituale magico col quale tracciò un perimetro
oltre il quale Orlando non poteva uscire, né chi era fuori poteva entrare. Galahad non era certo di quanto a lungo quel sigillo
avrebbe funzionato, ma era la cosa migliore da fare.
Galahad si domandò dove
gli convenisse recarsi: cercare l’isola d’Alcina,
oppure andare a Roma, dove lui e la Maga avevano deciso di incontrarsi al
termine delle rispettive ricerche? Forse lei lo aspettava lì e, per un qualche
motivo, non poteva comunicare. Optò per passare da Roma, visto che la città era
sulla strada per raggiungere l’isola. Il suo buon cavallo Brannon
lo portò lì in un paio di giorni, tempo del tutto impossibile per un destriero
normale.
Si
presentò in Vaticano e disse ad un valletto di annunciare al Pontefice che era
giunto Galahad Del Lago e che desiderava incontrarlo.
Il cavaliere fu ricevuto immediatamente, ma non nella sala delle udienze, bensì
negli appartamenti privati del Papa, dove avrebbe dovuto attendere qualche
minuto. Rimase basito quando, entrando, vide che anche Yahuda
ed Elaine si trovavano lì.
“Che
sorpresa è mai questa?!” domandò Galahad “Non avete
mai fatto visita a Leone, prima d’ora!”
“In
realtà volevamo venire da voi, in Brocelandia, ma ci
è stato detto che tu e Melissa eravate partiti, quindi siamo venuti qua,
abbastanza certi che sareste passati o, almeno, che avremmo trovato informazioni.”
spiegò Yahuda, calmo.
Elaine,
invece, seccamente domandò: “Sai che cos’ha fatto tuo padre?”
Galahad pensò: Ecco perché mi hanno cercato: avevano
bisogno che lo sostituissi! Figurarsi se si fanno vivi senza chiedere qualcosa.
Si
limitò a rispondere: “Sì: ha abbandonato la Biblioteca.”
“Abbandonato
…” ripeté Elaine, sempre acida “Sì, possiamo dire che ha abbandonato la
Biblioteca, dopo averla depredata e distrutta.”
“Che
cosa?!” sbalordì Galahad: la versione di Lancillotto
era diversa.
“È
vero.” confermò Yahuda “Da alcuni anni non c’era più
l’armonia dei primi tempi e Lancillotto se ne stava spesso in disparte, ma non
immaginavamo che covasse rabbia o odio nei nostri confronti. Come abbiamo fatto
con te, lo avremmo lasciato libero di andare via se ci avesse detto di non
trovarsi più bene e preferire un’altra vita. Invece, non era semplicemente
questo, c’era qualcosa di più che l’ha portato a desiderare di annientarci.”
“Ha
detto che condivide come sempre l’idea di combattere il male e cercare di
portare la giustizia, ma non gli piace il vostro metodo che consiste nel nascondere
e togliere, anziché insegnare. Lui vuole cambiare il mondo, renderlo
consapevole e non smussare gli spigoli e basta.”
“Lo
hai visto?” chiese Elaine “Gli hai parlato?”
“Sì,
è venuto lui da me. Ha detto di essersene andato dalla Biblioteca e mi ha
spiegato le sue ragioni e i progetti per il futuro … però ha omesso la parte in
cui ha distrutto tutto.”
Yahuda commentò: “Sa
di aver fatto un’azione sbagliata e non ha voluto dirtela affinché tu vedessi
solo il buono in lui.”
Elaine
tornò aspra: “Ha mandato in fumo ottocento anni di lavoro! Un giorno han fanno
irruzione un manipolo di guerrieri e cominciano a devastare tutto. Nel cercare
di difendere la Biblioteca ci siamo battuti anche io e Yahuda,
come facevamo ai vecchi tempi. Ci domandavamo dove fosse Lancillotto, perché
non fosse lì con noi e poi lo abbiamo visto che guidava i nostri nemici. Siamo stati
costretti a fuggire. Si è impadronito di tantissimi manufatti e testi. Compresi
il melo delle Esperidi e lo scrigno di Freya, per
continuare a garantirsi l’immortalità.”
“Avete
perso tutto?!” domandò il cavaliere.
“Quasi.
Siamo riusciti a portare in salvo alcuni rotoli e pergamene, la Lancia di Longino, il Graal, Excalibur e poco altro, è tutto qui per
il momento.”
“L’Arca
dell’Alleanza?” si preoccupò Galahad “Quella è una
delle poche cose che credo anch’io debbano essere nascoste.”
“Non
è con noi, ma se la magia che la protegge ha funzionato a dovere, è stata
teletrasportata nei sotterranei del tempio di Gerusalemme, per cui al momento
non c’è da preoccuparsi.” Yahuda rispose.
Elaine
commentò: “Mi chiedo dove li abbia portati e che cosa abbia intenzione di
farne.”
Galahad pensò
immediatamente che dietro tutta quella faccenda ci potesse essere Viviana:
Lancillotto aveva detto apertamente di aver avuto molti e lunghi dialoghi con
la madre, prima di prendere quella decisione, che lei gli aveva fornito i
guerrieri di supporto e che lui voleva essere il braccio armato del Lago.
Viviana
aveva escogitato tutto ciò: stimolare l’insoddisfazione di Lancillotto, indurlo
a rivoltarsi contro la Biblioteca, rubare gli artefatti probabilmente per
consegnarli a lei. Era però un male? Il progetto di cui gli aveva parlato il
padre era positivo e per metterlo in atto senza dubbio sarebbero state utili le
risorse della Biblioteca. Prenderle in quel modo, però, non era stato corretto.
C’era da ammettere, tuttavia, che Yahuda non le
avrebbe certo cedute spontaneamente. Quante volte lui, Galahad,
aveva provato a esporre le proprie idee a Yahuda,
aveva cercato di convincerlo ad agire diversamente, ma si era sentito
rispondere di no, senza nemmeno una vera discussione?
Il
cavaliere non era certo di che opinione nutrire su quella faccenda, per cui
decise di non dire nulla riguardo a Viviana per il momento.
Prima
che la conversazione potesse continuare, finalmente entrò nella stanza Leone
III che subito andò a salutare con grande rispetto il cavaliere e, dopo i
convenevoli, gli domandò che cosa lo avesse portato lì. Galahad
raccontò delle preoccupazioni circa Carlo Magno e Agramante,
di come lui e Melissa si erano separati per guadagnare tempo e di come non
avesse più notizie da parte sua.
“Qua
non si è fatta vedere e nemmeno io l’ho sentita.” disse il Papa, pensieroso “Non
capisco cosa possa esserle successo … mi vengono in mente solo due ipotesi: o
sta celebrando un qualche rituale potentissimo e difficilissimo che richiede
giorni e giorni per portarlo a termine, oppure è stata presa prigioniera,
peggio non voglio pensare … ma non so chi può avere abbastanza potere per avere
la meglio su di lei.”
Galahad, invece, pensò
immediatamente al Lago: Viviana e forse anche alcune delle sue allieve avevano
di sicuro le capacità per tener testa a Melissa. Il Lago, tuttavia, non era
coinvolto in quella faccenda. Vi era però qualcun altro il cui nome era già
comparso.
Il
cavaliere disse: “In giro per l’Europa tutti sostengono che Morgana fosse in
combutta con Alcina ai danni di una terza maga di
nome Logistilla. Confermate? Bene. Se Alcina è stata apprendista di Morgana, allora potrebbe
essere abbastanza abile per fare del male a Melissa. In ogni caso, Melissa
aveva espresso la volontà di indagare più a fondo, quindi forse si è recata lei
stessa da Morgana per avere spiegazioni e poi chissà cosa le può essere
successo. Credo che la cosa migliore da fare per scoprire qualcosa sia che io
vada da Morgana a parlare o contrattare, vedremo che cosa la situazione
richiederà.”
“Sei
sicuro di voler andare da solo da Morgana?” chiese Elaine “Lo sai quanto è
pericolosa.”
“Solo
se la si irrita.” precisò Leone.
“Non
ho paura ad andare, l’unica cosa è che mi dispiace lasciare in sospeso la
faccenda di Carlo Magno. Non so esattamente come stiano le cose per lui,
adesso. A parte Orlando e Astolfo, gli altri paladini
sono tornati? Si hanno notizie di Rinaldo? Invece Agramante
che cosa sta facendo?”
Il
Papa gli rispose: “I due eserciti si stanno riformando. Molti cavalieri erano
finiti di nuovo prigionieri del secondo castello di Atlante, pur essendo stati
liberati già una volta da Bradamante; questa volta ci
ha pensato Astolfo e Atlante non dovrebbe più dare
problemi. Mancano ancora numerosi cavalieri, ma Carlo e Agramante
paiono determinati ad affrontarsi di nuovo. Non ti preoccupare, tu vai pure, ci
penserò io a tenere sott’occhio la situazione e ad aiutare il re dei Franchi,
ormai ha piena fiducia in me, siamo buoni amici.”
Yahuda, con gran
stupore di tutti, disse: “Anch’io darò il mio contributo contro Agramante.”
“Davvero?”
“È
una minaccia per tutti, in fin dei conti. Inoltre, voglio provare a conoscere
questo Carlo che tutti voi apprezzate tanto, sono curioso di vedere cos’abbia
di speciale.”
Galahad, molto grato
per quell’aiuto insperato, si disse pronto a ripartire subito. Leone III allora
lo trattenne, dicendogli che avrebbe usato un incantesimo per aprire un varco
in diretto collegamento con Avalon, in questo modo il
viaggio sarebbe stato istantaneo e non lungo settimane, inoltre lui si sarebbe
potuto riposare qualche ora e rifocillare. Così avvenne.
Quando
fu giunto ad Avalon, Galahad
cavalcò tranquillamente verso il castello di Morgana che era stato costruito
intagliando, scolpendo e scavando un unico e immenso blocco di smeraldo, era
poi decorato con gemme preziose e piante rampicanti e cariche di fiori. Arrivato
a un paio di chilometri dal castello, il cavaliere notò cadaveri di guerrieri sparsi
a terra e ne trovò ancora fin sotto le mura, parevano essere lì da un paio di
giorni. Di guardia al castello trovò dei centauri che lo interrogarono circa
chi fosse, da dove venisse, che cosa volesse e così via. Lo lasciarono fuori
dal portone in attesa di avere l’autorizzazione a farlo entrare, poi gli
imposero di lasciare le armi e il cavallo a loro. Un satiro lo scortò fin da
Morgana. Galahad era stupito di vedere il palazzo
deserto e no pieno di vita, ninfe, musici, creature varie intente
in feste e divertimenti. Domandò al satiro spiegazioni al riguardo di ciò e dei
morti che aveva visto per strada e scoprì che il castello era stato assalito
tre giorni prima. Finalmente il cavaliere si trovò solo dinnanzi a Morgana.
La
Fata aveva un’espressione severa e glaciale che la mostrava terribile, non
aveva la solita finta infantilità dipinta in volto. Pareva irritata dalla
presenza di Galahad e gli domandò: “Come mai sei qui
da solo? Hai abbandonato mia nipote per seguire anche tu Logistilla?”
“Bene,
essere diretto è quello che volevo anch’io. No, non ho lasciato Melissa, non lo
farei mai. Se sono qui da solo è proprio perché speravo di trovarla qua. Come mai
hai nominato Logistilla?”
“Calmo.
Prima tu mi spieghi perché sei qua e risponderai ad eventuali mie domande, dopo
deciderò che cosa è il caso di dirti.”
Galahad avrebbe voluto
controbattere: non gli piacevano affatto i metodi della Fata e il suo modo di
trattarlo, tuttavia non voleva perdere tempo o trattenersi lì più del dovuto,
per cui rispiegò brevemente tutta la faccenda.
Gli
occhi di Morgana furono accessi dall’ira ed esclamò: “E così vanno in giro a
dire che io sarei in combutta con questa Alcina? Ma
per favore! Non so nemmeno chi sia e di certo non ho interesse a imprigionare
cavalieri.”
“Già,
preferisci ucciderli, per quel che ho visto.”
“Voleva
assaltare il mio castello, mi sono semplicemente difesa, nulla di strano o di
crudele.”
“Avresti
potuto liberarti di loro senza ammazzarli.”
“Sarebbero
tornati a infastidirmi: meglio eliminare definitivamente i problemi. Inoltre,
non vedo perché dovrei avere pietà per chi per me non aveva intenzione di
averne. Comunque, hai detto che Melissa è scomparsa poco dopo aver liberato i
cavalieri che questa Alcina teneva prigionieri,
giusto?”
“Sì.
Se ho capito bene, avevano più o meno tutti intenzione di raggiungere Logistilla, perché la ritenevano perseguitata da te ed Alcina.”
“Ridicolo!
Io non ho idea di chi siano queste due! ...” toccò una pianta di glicine che
incorniciava una delle finestre e la fece seccare in pochi istanti, poi ebbe un’intuizione
e, calmatasi, disse: “Forse ho capito: sono Alcina e Logistilla in combutta contro di me. La prima ha attirato i
cavalieri, li ha fatti soffrire e ha fatto in modo che essi, nelle loro menti,
la associassero a me e dunque mi detestassero, inoltre li ha indotti ad avere
compassione per Logistilla, in questo modo, quando
sono stati liberati, sono andati da quest’ultima che li ha aizzati contro di
me. Ecco perché mentre tentavano l’assedio gridavano vendetta per Logistilla … beh, è stata una pessima scelta la loro e la
loro stupidità conferma che ucciderli è stato un favore per il mondo.”
“Qualcosa,
però, devi aver fatto a queste due maghe, se ce l’hanno tanto con te.”
“Non
necessariamente.” Morgana ragionò un poco, poi sbuffò e aggiunse: “Non avrei
voluto raccontartelo, ma penso possa aiutare a far luce sulla faccenda,
discolpare me dai tuoi assurdi pregiudizi e, spero, aiutarci a ritrovare
Melissa.”
“Cosa?”
“Credo
che l’assalto al castello fosse un diversivo per permettere a un altro
cavaliere di tentare di rubare la corona di Artù.”
“Tu
hai la corona di Artù?”
“Sì,
voi vi siete accaparrati Excalibur, ma almeno la corona è con lui, nel letto di
fiori in cui riposerà finché la profezia di Merlino non si compirà … Melissa me
l’ha riferita. Comunque sono riuscita ad impedire che quel manigoldo violasse
il luogo dove riposa mio fratello e l’ho rinchiuso in una cella, perché voglio
capire esattamente chi sia, da chi sia stato mandato qui esattamente … forse
riuscirò a scoprire chi sia davvero questa Logistilla.”
“Come
hai fatto ad occuparti di lui, se stavi uccidendo tutti gli altri?”
“Trappole
e allarmi magici. Artù è circondato da protezioni. Conosco la mania che ha Pelleas di collezionare oggetti magici nella sua
Biblioteca, quindi già da tempo ho ideato un sistema di sicurezza capace di
fermare persino tuo padre.”
“Oh,
da lui hai poco da temere, ormai: ha distrutto la Biblioteca.”
“Per
una volta ha fatto qualcosa di giusto.”
“Hai
ottenuto qualche informazione dal tuo prigioniero?”
“Al
momento nulla di utile, se non che si chiami Ruggiero.”
“Ruggiero?
Ti hanno mandato uno dei migliori cavalieri in circolazione, è il campione di Agramante, non credo che riuscirai ad ottenere alcunché da
lui.”
“Mi
sottovaluti.”
“Ho
un’idea migliore. Consegnami la corona e fammi liberare il prigioniero. Crederà
ch’io sia stato inviato da Logistilla per completare
la missione e salvarlo. Mi condurrà da lei e così avrò l’opportunità di
indagare dall’interno e, spero, ritrovare Melissa. Se le è successo qualcosa
sull’isola di Alcina, lo scoprirò sicuramente e potrò
salvarla.
Galahad oltre a ciò che
aveva detto, aveva il secondo fine di togliere un oggetto tanto potente come la
corona di Artù dalle mani di Morgana. Non era certo di ciò che ne avrebbe
fatto: avrebbe potuto offrirla a Carlo Magno, oppure conservarla per il progetto
prospettatogli dal padre. Avrebbe deciso in futuro.
Morgana,
che non era sciocca e ben sapeva che, se avesse ceduto la corona, non l’avrebbe
vista mai più, finse di acconsentire alla richiesta del cavaliere, ma aveva l’intenzione
di dargli non la vera corona, bensì una copia perfetta: lui non era un mago e
dunque non si sarebbe accorto dell’inganno.
“Hai
ancora il cavallo che prendesti da me?”
“Brannon! Sì, certo, è il mio fedele compagno.”
“Niente
smancerie. Posso potenziarlo con la capacità di volare? Così non sarà un problema
abbandonare l’isola e poi sarai più rapido per andare dove si nasconde quell’infida
Logistilla.”
“Puoi
davvero dargli le ali?”
“Ovviamente.”
Morgana
operò un incantesimo rituale per potenziare il cavallo che aveva creato secoli
prima, poi diede la falsa corona a Galahad che non si
accorse dell’inganno. La Fata tentò di divinare Melissa, per scoprire dove si
trovasse e in quali condizioni fosse, ma purtroppo non riuscì: c’erano
interferenze che nemmeno lei riusciva a superare e ciò la faceva infuriare.
Il
cavaliere aspettò la notte per far evadere Ruggiero e fuggire in groppa a Brannon. Ruggiero fu diffidente solo per qualche momento,
ma presto accettò quel soccorso e si convinse che il suo liberatore era stato
inviato dalla buona Logistilla, anche perché gli
aveva parlato della donna che aveva dissolto l’inganno di Alcina.
Quando
si furono allontanati da Avalon e stavano sorvolando
il continente, Galahad convinse Ruggiero a tornare
presso il suo re e cercare l’amata Bradamante. In questo
modo giunse da solo presso Logistilla, l’ubicazione
della cui abitazione gli era stata rivelata dall’altro cavaliere.
Logistilla non abitava in
un castello e nemmeno in un palazzo, bensì in una semplice casetta, un po’ più
carina e confortevole di quelle della gente comune, ma non paragonabile a una
dimora nobiliare. Galahad pensò che l’aspetto di
quella casa facesse parte della strategia per commuovere i cavalieri e legarli
a Logistilla.
Non
era certo di cosa dovesse aspettarsi, ma si fece coraggio e bussò.
Sentì
dei passi e una voce dolce chiedere: “Chi è?”
“Galahad Del Lago.”
La
porta si aprì e si mostrò una ragazza giovanissima, con riccioli d’oro, grandi
occhi cangianti, un’espressione timida. Lo scrutò, poi sorrise e disse: “Siete voi
davvero.”
“Mi
conoscete?” si stupì il cavaliere.
“Mi
hanno parlato molto di voi. Venite, entrate.”
Galahad entrò, un poco
sospettoso: capiva perfettamente come Logistilla
avesse potuto spronare centinaia di cavalieri ad assalire Avalon,
la sua giovinezza e il suo candore avrebbero intenerito e conquistato chiunque.
Per fortuna lui era stato avvertito e non si sarebbe lasciato ingannare.
Tirò
fuori dalla bisaccia la corona di Artù, la mostrò e disse: “Mi risulta voi
stiate cercando questa.”
Logistilla fu realmente
sorpresa nel vederla, strabuzzò gli occhi e chiese: “Chi ve lo ha detto?”
Galahad si aspettava
una domanda del genere e aveva pensato a differenti opzioni per rispondere, ma
non aveva ancora deciso quale utilizzare. Al momento, gli venne da dire: “Se
sapete chi sono, non dovreste stupirvi, non credete?”
Il
volto di Logistilla cambiò espressione: non più
candore fanciullesco, ma un misto di orgoglio e cinismo. Replicò: “Non sapevo
foste già entrato nel progetto. Da quando ho iniziato a recitare la parte della
povera esule, non ho più avuto contatti, onde evitare di destare sospetti. Finalmente
abbiamo la corona e posso mettere fine a questa messinscena. Venite, ho una via
diretta.”
Galahad era rimasto
senza dubbio stupito da quel cambio repentino di Logistilla
e dal modo diretto in cui gli aveva detto di seguirla per andare immediatamente
chissà dove. Avrebbe voluto chiedere dove lo stesse conducendo, ma non lo fece,
certo che una simile domanda avrebbe compromesso la sua finzione. La seguì in
un’altra stanza dove si trovavano quattro grossi cilindri di metallo; lì Logistilla armeggiò con uno strano macchinario che il
cavaliere non riuscì ad identificare, poi l’aria attorno ai cilindri crepitò e
in mezzo ad essi si aprì un varco su un altro luogo.
Galahad riconobbe un
modo diverso di effettuare un rituale per aprire un varco nello spazio per
annullare le distanze, come una porta che potesse aprirsi su qualsiasi posto: era
un tipo di magia che lo affascinava e gli piaceva tantissimo.
Il
cavaliere attraversò il varco senza esitare per non far insospettire Logistilla che, afferrato lo strano marchingegno, lo seguì.
Giunto
dall’altra parte, Galahad si guardò attorno e riconobbe
immediatamente quel luogo: era al Lago.
Era
dunque la Dama Del Lago a volersi impossessare della corona di Artù; lui lo
aveva sospettato, ma non aveva voluto confidarlo a Morgana.
I
cortigiani si meravigliarono di vedere lì il cavaliere, ma presto sopraggiunse
Viviana che lo accolse gentilmente e come se lo stesse attendendo, poi lo
invitò a seguirla nel palazzo.
Quando
finalmente nonna e nipote furono da soli, lei gli domandò: “Non ho voluto
sbandierare davanti a tutti che sei arrivato qui senza permessi, senza essere
parte del progetto. Non mi piace dare spettacolo, né mostrare debolezze ai miei
subalterni; inoltre, voglio sperare che tu sia venuto qui con buone intenzioni.
Dimmi tutto.”
Galahad era un poco in
imbarazzo, sapeva di dover calibrare ogni parola, poi si ripeté che lui non era
certo andato lì con intenzioni ostili, per cui poteva parlare liberamente.
Inoltre, probabilmente Viviana conosceva già molti dettagli, per cui sarebbe
stato stupido mentire.
“Io
e Melissa stavamo cercando di ritrovare i paladini di Carlo Magno e ci siamo
separati. Durante il viaggio ho incontrato mio padre che mi ha raccontato del
suo gesto verso la Biblioteca, del fatto di aver fondato la Confraternita del
Serpente come forze armate per i tuoi progetti e mi ha parlato anche dell’idea
che avete di Sovrano Universale … così quando ho scoperto che Logistilla voleva rubare questa …” tirò fuori la corona
dalla bisaccia “Ho immaginato che fosse una delle tue allieve e che stesse
agendo per conto tuo. La corona d’Artù è l’ideale per un Sovrano Universale.”
“E
così hai pensato di fare un favore alla tua nonna? Come mai? È molto che non mi
fai visita.”
“Ho
sempre molto da fare, comunque puoi chiedere conferma a mio padre: quando mi ha
detto del vostro progetto, ne sono rimasto entusiasta. Io e Melissa avevamo in
cantiere un’idea simile, vagheggiando un impero sorretto da Carlo Magno, per
questo lo stavamo sostenendo.”
“Io
ho in mente qualcun altro, in realtà, ma ne parleremo eventualmente tra poco.
Dimmi, piuttosto, come hai saputo della corona e di Logistilla?
E come l’hai ottenuta?”
Galahad sentì che
quello era la parte più difficile perché, per quanto fosse vera, aveva
dell’incredibile, per cui decise di cambiare qualche dettaglio. Rispose: “Non
ho notizie di Melissa da tempo. Sono andato da Morgana, sperando di trovarla là
o di avere almeno delle informazioni. Purtroppo non ho saputo nulla su Melissa,
in compenso ho scoperto che La Fata era stata da pochi giorni assalita e che
aveva fatto un prigioniero, Ruggiero. Ho aspettato la notte per parlargli e ho
scoperto che aveva avuto segretamente l’incarico di prendere la corona, quindi
l’ho liberato, abbiamo recuperato la corona e siamo fuggiti. Ho lasciato poi
Ruggiero in Spagna, affinché raggiungesse Agramante,
mentre io sono venuto qui.”
Viviana
rimase in silenzio a riflettere, poi si convinse della sincerità del nipote.
Prese la corona, la osservò ed evidentemente si accorse che c’era qualcosa che
non andava e disse: “Non riesco a percepirne l’energia … ovvio, Merlino avrà
sicuramente messo qualche lucchetto magico per impedire che qualcuno diverso da
Artù la indossasse. Dovrò lavorarci su per sbloccare il suo potere.” appoggiò
la corona e guardò il nipote, sorridendo: “Allora, ti piace davvero l’idea che
abbiamo elaborato io e tuo padre?”
“Certamente.
Te l’ho detto, io e Melissa stavamo tentando la medesima cosa. Certo non ci
aspettavamo l’arrivo di Agramante e della sua
potenza.”
“Arrivati
a questo punto, voglio condividere con te alcuni dettagli che non ho ancora
rivelato a tuo padre. Ho sostenuto segretamente Agramante.
Penso che una guerra come quella che è in corso sia ottima per epurare l’Europa
da una nobiltà avida, prepotente, che pensa solo ad inseguire ricchezze, gloria
e potere; una classe dirigente effimera che si occupa di se stessa anziché del
popolo.”
Galahad rabbrividì al
pensiero che la nonna ritenesse necessaria una strage, anche se poteva capirne
vagamente le ragione: un’epurazione era molto più semplice e rapida di una
rieducazione. Comunque non commentò e rimase in ascolto.
“Penso
che, quando questa casta sarà annientata, allora potremo mostrare al mondo il
Sovrano Universale e lui potrà iniziare a risanare questa società.”
Lo
sguardo di Viviana era acceso dall’esaltazione, come se avesse perfettamente
chiaro davanti a sé il mondo che voleva realizzare e già ne potesse godere.
Aveva un’espressione estatica, ma questo inquietava un poco il cavaliere.
“Sarà
difficile trovare qualcuno d’adatto.”
“Si
dovrà cooperare in molti, ognuno dovrà fare la propria parte per rigenerare
questo vecchio, marcio mondo. La magia garantirà il nuovo buon governo. Saremo
molti responsabili delle sorti del nuovo ordine, ma uno su tutti primeggerà
apertamente per tenere lo scettro e il globo. Io penso che questa sovranità
debba investire Lancillotto.”
“Mio
padre?” si meravigliò Galahad “Lo sa?”
“Non
ancora. È appena uscito dalla Biblioteca, non voglio sovraccaricarlo. Lui è
sicuramente adatto a rivestire un ruolo pubblico, inoltre i bardi in tutte le
corti cantano ancora le gesta di Lancillotto e lo esaltano più di ogni altro
cavaliere della Tavola Rotonda. La sua fama sarà ottima per conquistare
facilmente la devozione delle masse. Ulteriore garanzia di successo è la
profezia di Isaia. Ricordi Isaia 11?”
Galahad annuì e citò: “Un germoglio spunterà dal tronco di Iesse, un virgulto germoglierà dalle sue radici. Su di lui
si poserà lo spirito del Signore, spirito di sapienza e di intelligenza,
spirito di consiglio e di fortezza, spirito di conoscenza e di timore del
Signore. Si compiacerà del timore del Signore. Non giudicherà secondo le
apparenze e non prenderà decisioni per sentito dire; ma giudicherà con
giustizia i miseri e prenderà decisioni eque per gli oppressi del paese. La sua
parola sarà una verga che percuoterà il violento; con il soffio delle sue
labbra ucciderà l'empio.Fascia dei suoi
lombi sarà la giustizia, cintura dei suoi fianchi la fedeltà. Continuo o
basta così?”
“Va
bene. Sai bene che l’albero di Iesse è la discendenza
di Iesse, quindi di re Davide, re Salomone e così
via, fino ad arrivare a re Ban, quindi a
Lancillotto.”
Galahad ricordò che
anche Yahuda aveva annoverato i re ebrei tra i suoi
antenati. Continuò ancora a tacere: quel discorso lo turbava e gli suscitava
sensazioni contrastanti. Concettualmente lo approvava pienamente, a parte la
discutibile idea della strage della nobiltà, tutto il resto era sensato, anche
l’idea di affidare la corona a Lancillotto; eppure la freddezza con cui ne
parlava Viviana lo inquietava. Il padre gli aveva esposto le medesime cose ma
con un tono pieno di passione e si poteva leggere la speranza nei suoi occhi.
Viviana, invece, era estremamente calma e flemmatica, non pareva mettere
l’anima in quel progetto. In fondo, però, il cavaliere non aveva mai visto la
nonna turbata da emozioni, era sempre stata una persona molto controllata.
Forse era un bene affrontare quei grandiosi progetti con lucida razionalità e
non lasciarsi offuscare dall’entusiasmo.
Viviana
lo osservò attentamente e gli chiese: “Vuoi unirti davvero a questa missione?”
“Sì.
Ho portato la corona qui perché quando mio padre mi ha parlato di ciò che state
progettando, io ho subito capito che è la cosa giusta da fare.”
“Mi
fa molto piacere anche se lo trovo un po’ strano: in tutto questo tempo non hai
mai mostrato particolari simpatie per il Lago, nonostante noi non ti abbiamo
mai fatto nulla di male e, anzi, saremmo sempre pronti ad accoglierti.”
“Fino
ad ora non ho mai avuto notizia di vostri progetti. Io non ho mai voluto recidere
i rapporti con voi, non ho mai fatto niente che lo possa far supporre. Uso
sempre Del Lago come cognome, sento l’appartenenza a questo luogo. Forse sarei
passato più spesso a trovarvi, ma lo sai che a Melissa non stai proprio
simpatica.”
“Oh,
non mi è sfuggito. Hai trascorso questi trecento anni sempre con lei, vero?”
“Sì,
a parte qualche brevissimo periodo di quando in quando.”
“Non
ti sei mai annoiato? Stancato? Irritato?”
“No.
Sarebbe impossibile.” Galahad aveva lo sguardo
innamorato nel dire ciò.
“Eh,
non ti avevo forse avvertito, dicendoti di stare attento alle donne?!” non era
un vero rimprovero “Sono curiosa, come funziona il vostro rapporto?”
“In
che senso?”
“Come
sono gli equilibri? Chi comanda?”
“Nessuno.
Direi che le decisioni le prendiamo assieme, anzi, spesso non c’è neppure
bisogno di consultarci o discutere, poiché siamo in ottima sintonia.”
“Ha
messo però il veto sul tuo venire al Lago, giusto?”
“No.
Non veniamo qui, così come non andiamo da Morgana che io non gradisco. Non
capisco il motivo di queste domande.”
“Niente,
voglio solo capire quanta influenza lei abbia su di te.”
“Temi
ch’io mi tiri indietro da questo progetto, se Melissa non sarà d’accordo?”
“Esattamente.
Io sono felice di riaccoglierti, ma voglio essere certa che tu sia sicuro delle
tue decisioni e che esse non possano essere revocate.”
Galahad esitò: quello
era il punto più problematico. Con grande serietà rispose: “Io ho sempre messo
al primo posto ciò che ritengo giusto. Ad ogni modo sono persuaso che sarò in
grado di convincere Melissa a sorvolare sul passato ed essermi accanto anche
qui al Lago. Non vedo perché non dovrebbe appoggiare il progetto.”
Viviana
rimase in silenzio, con lo sguardo fisso altrove, come se stesse riflettendo.
Dopo
alcuni momenti, il nipote disse: “Comunque sono preoccupato per lei. È
trascorso troppo tempo dall’ultima volta che ci siamo sentiti, non mi ha più
risposto …” aveva lo sguardo basso e mesto “Penso che non mi tratterrò a lungo
qui, anzi, domani stesso partirò per cercarla … Un momento!” si colmò di
speranza “Tu potresti provare a divinarla per scoprire dove sia. Morgana non ci
è riuscita, ma forse tu sei più potente.”
“Forse?!
Io sono sicuramente più potente di quella Fata. Vai a riposare, ora, più tardi
ti dirò che cosa avrò scoperto.”
Galahad ringraziò
sinceramente e poi seguì uno dei domestici che lo accompagnò in una stanza dove
poté lavarsi e poi dormire. Quando si risvegliò era ora di cena e dunque si
recò nella sala da pranzo dove una ricca tavola era stata imbandita, pur
ospitando pochi commensali. Il cavaliere sedette e desinò, avrebbe preferito
rimanere in silenzio, ma gli altri lo riempivano di domande. Infine si ritrovò
nuovamente da solo con la nonna. Il suo sguardo era piuttosto eloquente ed
esortava una risposta.
Viviana
parve avere un’espressione dispiaciuta e disse: “Poco lontano dall’isola di Alcina, c’è un altro isolotto aspro e sassoso; lì vive una
creatura tremenda: ha il busto di donna, ma due code di pesce al posto delle
gambe, artigli nelle mani palmate, serpenti al posto dei capelli, vola con ali
da pipistrello, mentre il volto è coperto da una maschera di fango, da cui si
intravedono solo gli occhi infuocati. La tua amica è passata nei pressi di quel
luogo ed è stata catturata dal mostro.”
“Dannazione,
i soliti mostri marini che rapiscono o divorano donne,mi pare di aver sentito che pure Astolfo ne abbia dovuto affrontare uno … piuttosto, è
viva?!”
“Sì.
Puoi ancora salvarla, se ucciderai la bestia.”
“Allora
devo partire immediatamente!”
“Di
notte? Col buio? Aspetta che si faccia giorno.”
“No,
domattina potrebbe essere già tardi.”
Galahad recuperò le
proprie armi, poi sellò Brannon e partì, volando nel
cielo. Viaggiò per ciò che restava della notte e arrivò in vista dell’isolotto
quando il cielo si era tinto d’aurora. Lo riconobbe subito poiché era l’unico
privo di vegetazione.
Atterrò
sull’isolotto e si guardò attorno: non c’erano molti luoghi in cui potesse
nascondersi un mostro come quello che gli era stato descritto. La sua
attenzione fu catturata da una spelonca che pareva sprofondare molto nel
terreno. Non ebbe bisogno di esplorarla, poiché appena si avvicinò uscì fuori
l’orribile creatura.
Galahad si mise subito
in guardia con la spada e lo scudo pronto a difendersi e ad attaccare, poi
richiamò Brannon: la bestia era alta cinque metri ed
era molto più semplice combatterla stando su un cavallo volante che poteva
volteggiare da un lato e dall’altro e pure sputare fuoco.
Per
diversi minuti si affrontarono rapidamente: il cavaliere affondava la spada o
menava un fendente svelto e poi subito si ritirava e, più che agli artigli,
fuggiva dai serpenti della chioma del mostro che da ogni parte tentavano di
morderlo.
Nel
fitto del combattimento, però, sentì: “Galahad …
Aiuto … Galahad!”
Il
cavaliere trasalì, si guardò un attimo attorno, senza però distrarsi dal
combattimento, ed esclamò: “Melissa! Dove sei?! Non ti preoccupare, sono qui!”
La
voce continuò: “Galahad … attento …”
“Non
temere, non è facile sconfiggermi e questo mostro, nonostante l’aspetto, non è
poi così feroce in battaglia.”
“No,
Galahad … poni attenzione …”
“A
cosa? Ci sono altri pericoli?”
“Ascolta
… ascolta …”
Il
cavaliere era confuso, non capiva bene che cosa stesse accadendo, ma poi si
rese conto di una cosa: la voce di Melissa gli aveva parlato direttamente nella
sua testa. Non veniva da fuori, la donna non gli stava gridando da dentro la
caverna o da chissà dove, bensì stava usando la telepatia.
“Dove
sei?” le chiese.
“Non
… non posso … dirl ...”
“Stai
facendo fatica a comunicare: sei lontana o indebolita? Oppure stai lottando
anche tu in un qualche modo?”
La
telepatia non era mai stata un problema per la Maga, benché avesse un raggio
limitato, se non potenziata con qualche rituale, per questo usavano le pietre
di comunicazione, quando erano molto distanti. Se ora faticava così tanto,
significava o che si trovava a una discreta distanza da lì, forse in fondo alla
grotta?, oppure che stava usando la magia in qualche altro modo, forse per
difendersi da altri nemici?, oppure che vi era una sorta di barriera magica che
la ostacolava.
Sentì
ancora la voce di Melissa, dirgli solo: “ … persona … persona …”
Galahad si accigliò:
quello era davvero uno strano messaggio.
Persona … perché aveva
voluto dirgli quella parola? Che cosa voleva indicare? Su cosa voleva porre la
sua attenzione?
Persona
… persona … Che cosa gli faceva venire in mente? Era una parola latina,
significava suonare attraverso … era
stata coniata originariamente per indicare le maschere del teatro greco …
Maschera!
Certo!
Il
mostro aveva una maschera di fango sul volto. Che cosa significava, però? Forse
il potere della bestia stava nella maschera … difficile, non gli risultava
nulla del genere, solitamente le maschere che servivano a proteggere o
potenziare qualcuno erano composte da cenere, sangue o polvere d’ossa o cose
simili, ma semplice fango no. Inoltre, non gli risultava che i mostri marini
avessero usanze simili. Forse la maschera era davvero solamente una maschera,
qualcosa che nascodeva la verità, una finzione.
Galahad puntò dritto
verso il volto della bestia; tenne alto lo scudo per proteggere dai serpenti il
lato sinistro, mentre le fiamme del fiato di Brannon
avrebbe tenuto alla larga i serpenti dal lato destro. Lui con la spada si
avventò contro la maschera, intaccandola e sgretolandola, usando la lama non
per ferire ma solo per rimuovere il fango.
Per
ogni porzione di fango rimosso, qualcosa nell’aspetto mostruoso scompariva: i
serpenti diventavano capelli, le code di pesce si facevano gambe, le ali
scomparvero, le mani persero ciò che non avevano di umano; la creatura
diminuiva la sua stazza.
Quando
la maschera di fango fu completamente rimossa, l’orribile creatura non c’era
più, ma al suo posto c’era Melissa. Galahad era
alquanto sorpreso, non capiva cosa fosse successo, ma era soprattutto
preoccupato per la donna, quindi si concentrò sull’assicurarsi che stesse bene.
Melissa
dapprima era piuttosto confusa e indebolita, ma presto tornò abbastanza lucida
per poter spiegare: “Ero da sola sull’isola d’Alcina,
avevo già inviato Astolfo con l’ippogrifo a
recuperare il senno di Orlando. A un certo punto ho sentito un enorme un potere
ostile, tutto attorno a me, enorme e incontrastabile … mi ha attanagliata e
neutralizzata e, quando ho ripreso conoscenza, ero imprigionata in quella
maschera. È una magia di trasmutazione molto potente poiché non si limita a
mutare l’aspetto, ma anche intrappola la coscienza e impedisce di avere il
controllo su quello che si fa … un po’ come accade coi licantropi. Per fortuna,
anch’io sono piuttosto potente e ho potuto parzialmente influenzare l’agire del
mostro in cui ero bloccata e a comunicare con te.”
“È
tremendo! Chi può aver fatto una cosa così orribile? Chi ha le capacità di
farlo? Alcina?”
“È
plausibile, voleva vendicarsi per il fatto che ho liberato i cavalieri e si è
dimostrata abile nelle trasmutazioni, però … l’incantesimo della maschera è
molto più potente di trasformare qualcuno in una pianta o in una roccia. Non ti
arrabbiare se ti dico questo, ma io credo che un simile potere appartenga al
Lago. Non ho avuto la possibilità di tracciare la fonte di energia ma …”
“No.
Forse hai ragione.” disse Galahad, cupamente “Alcina e Logistilla cospiravano
assieme ai danni di tua zia. Hanno aizzato i cavalieri contro di lei per
rubarle la corona di Artù e poi consegnarla a Viviana, poiché agivano per suo
conto.”
“Come?!”
esclamò Melissa, sorpresa: non si aspettava una situazione così complessa.
“Ha
avuto la nostra stessa idea, circa la necessità di un sovrano unico e giusto,
ma come al solito il suo progetto è più ambizioso. Non capisco … che sia stata Alcina o qualcun altro del Lago, non ha senso quello che ti
hanno fatto. Insomma, loro volevano che qualcuno liberasse i cavalieri per
compiere il loro piano, quindi non avevano motivo di vendetta.”
“Lo
sai che tua nonna ce l’ha con me perché non ho voluto riconoscerla come
superiore ed entrare nelle sue fila e sono la sua principale rivale, in quanto
erede di Merlino.”
“Che
ci sia astio lo so bene, nemmeno Viviana finge che non ci sia, però … perché
farti questo? Perché adesso e non prima? Non ne avrebbe avuto l’occasione? E
poi è stata lei a dirmi che eri qua, credeva che fossi prigioniera del mostro
e, in un certo senso, è così. Non c’è da stupirsi se la divinazione non è stata
chiara, visto che Morgana non ha visto nulla.”
Un
tremendo pensiero aveva attraversato la mente di Galahad:
che Viviana avesse approfittato della situazione per originare un piano così
contorto non solo per liberarsi della rivale, ma addirittura per far sì che
fosse lui ad ucciderla? Sua nonna lo aveva ingannato per spingerlo ad ammazzare
la donna che amava?
No!
Non voleva e non poteva credere una cosa del genere.
Melissa
probabilmente intuì il tremendo sospetto di Galahad e
come ciò lo facesse soffrire, per cui decise di non insistere su quella
questione, ma di cambiare argomento: “Hai parlato della corona di Artù, dov’è?”
L’uomo
si sentì un poco imbarazzato e disse: “ … l’ho portata a Viviana.”
“Come?”
“Morgana
me l’ha data per aiutarmi ad indagare su cosa stesse accadendo.”
Melissa
lo guardò divertita e gli chiese: “Credi davvero che mia zia ti abbia dato la
corona di Artù spontaneamente, senza bisogno di minacce, ricatti o altro?”
Galahad pensò qualche
istante e disse: “Già, probabilmente mi ha ingannato. Viviana sarà furiosa quando
se ne renderà conto e forse crederà ch’io l’abbia imbrogliata consapevolmente.
Meglio non tornare al Lago, per il momento.”
“Dove
si va, allora?”
“Andiamo a Roma, ci sono un paio di
questioni su cui ti debbo aggiornare.”
Viaggiarono entrambi a dorso di Brannon e Galahad raccontò di suo
padre, della Biblioteca e di ciò che gli aveva detto Viviana, senza però
specificare a chi la Dama Del Lago pensasse come possibile Sovrano Universale.
Giunsero da Leone III dopo pochi giorni
e presto si ritrovarono a fare una riunione con lui, Yahuda
ed Elaine. Il Pontefice li informò che ormai i due eserciti di Carlo Magno e Agramante si erano ricompattati ed erano pronti per
l’ultima grande e decisiva battaglia che avrebbe posto finalmente fine al
conflitto e avrebbe stabilito le sorti d’Europa.
Concluse poi dicendo: “Credo che se
vogliamo andare fino in fondo a ciò che abbiamo organizzato e sperato in questi
anni, dovremmo raggiungere l’accampamento di Carlo e sostenerlo in quest’ultimo
scontro: non possiamo lasciare la situazione al caso. Se rimanessimo in
disparte a guardare, il rischio di sconfitta non sarà indifferente, ma se
interverremo in maniera più o meno diretta, saremo sicuramente in grado di
assicurare lavittoria al re dei Franchi
e io sarò pronto ad incoronarlo imperatore proprio la notte di Natale. Ho
finito di scrivere un testo con inni e formule magiche che potranno supportare
a lungo l’imperatore nel governo, l’ho chiamato Enchiridion. Io ho intenzione di
consegnarglielo prima della battaglia. Se non altro lo aiuterà ad avere
maggiore fiducia in sé e ad incitare l’esercito. Lady Melissa, Sir Galahad, voi sarete con me?”
“Certamente. Abbiamo iniziato questo
progetto insieme ed andremo fino in fondo.”
“Voglio aiutarvi anch’io.” annunciò Yahuda, stupendo tutti quanti “Non so se quest’uomo in cui
confidate così tanto sia davvero degno delle vostre speranze, nella mia lunga
vita mi sono accorto che raramente un mortale può fare la differenza, per
quante ricchezze e potere acquisti in vita. Credo che Elaine sia d’accordo con
me su questo. Ad ogni modo, voglio provare a scommettere su ci lui come avete
fatto voi ed assecondarvi. Tra gli oggetti che siamo riusciti a portare via con
noi dalla Biblioteca, c’è la Lancia di Longino. Voglio
che la consegnate a questo Carlo: gli garantirà la vittoria e l’autorità e il
carisma per governare … il saggiamente sarà, invece, esclusivamente compito
suo.”
“Davvero?!” si meravigliò Galahad “Davvero vuoi sostenerci?”
“Sì, perché ti stupisci?”
“Non ti piace, solitamente, né
intervenire in maniera costruttiva nelle faccende per così dire secolari, né
affidare compiti a uomini relativamente comuni.”
“Lo so, ma per come sono andate le cose
finora, data la situazione in cui si trova la Biblioteca … penso che tentare
anche questo male non possa fare. Se l’esperimento andrà bene, saprò che anche
questa strada può essere percorsa in futuro, mentre se andrà male, forse anche
voi capirete le mie posizioni.”
Raggiunto questo accordo, Yahuda consegnòla
Lancia del Destino a Galahad, poiché aveva deciso di
non partire per il momento. Si misero in viaggio il Papa, il cavaliere e la
Maga; grazie alla magia accorciarono di molti giorni il viaggio, ma decisero di
non usare un varco nello spazio, per evitare di attirare attenzioni
indesiderate.
Quando giunsero all’accampamento dei
Franchi, Carlo li accolse molto amichevolmente; era al colmo della gioia e spiegò
il perché: i suoi paladini erano finalmente tutti tornati e ora era certo di
non avere alcun motivo di temere i Mori. Rinaldo era stato il primo a
rientrare, mentre quel giorno stesso erano giunti Astolfo
ed Orlando.
Leone III ebbe il compito di consegnare
Lancia ed Enchiridion a Carlo, poiché aveva maggiore confidenza
con lui; Galahad e Melissa, invece, si trovarono coi
tre paladini per farsi raccontare come fossero andate le cose ed accertarsi che
fosse tutto tornato nella norma.
Astolfo era entusiasta
nel riferire ciò che aveva dovuto compiere prima e dopo aver trovato il senno del
cugino: aveva combattuto e imprigionato le arpie, era stato in una delle parti
più esterne di un mondo infero, aveva restituito la vista a re Senapo, distrutto il secondo castello di Atlante,
imprigionato il vento Noto in un otre, tramutato dei sassi in cavalieri più una
serie di vittorie in comuni battaglie, oltre ovviamente a raggiungere la Luna.
Ora non vedeva l’ora di slanciarsi in quell’ultimo scontro contro Agramante.
Carlo Magno ordinò ai soldati di
ritirarsi a dormire appena dopo la cena, per essere freschi per la battaglia. Gli
unici a non dormire erano i soldati posti di guardia.
Galahad aveva deciso di
vegliare sulla tenda di Carlo Magno. La situazione rimase tranquilla per gran
parte della notte finché, poco prima delle tre del mattino, il cavaliere
avvertì rumore di passi in avvicinamento. Si mise in allerta, ma senza
preoccuparsi eccessivamente, e si guardò attorno in cerca di chi aveva
provocato quel rumore. Girò attorno alla tenda e si trovò una spada puntata al
collo, rapidamente si scostò per evitare di rimanere sotto minaccia e poi
estrasse la propria arma e domandò: “Chi siete?”
“Galahad?!” si
sorprese l’intruso “Sei tu? Sono tuo padre.” detto ciò, Lancillotto si levò l’elmo
per rivelarsi.
Nonostante l’oscurità della notte, il
figlio lo riconobbe e gli chiese: “Che cosa sei venuto a fare qui? Perché ti
aggiri per il campo come un nemico?”
“Devo uccidere il re dei Franchi.”
“Cosa?! Perché?”
“Noi del Lago abbiamo un progetto …”
“Lo so.” lo interruppe l’altro “Ho
incontrato Viviana e mi ha detto tutto. Mmm,
conoscendola, probabilmente non mi ha detto tutto, ma molto. Perché vuoi
uccidere Carlo Magno?”
“Poi devo eliminare anche Agramante. Senza i loro comandanti, gli eserciti andranno
allo sbaraglio e si massacreranno senza risparmiarsi e così saremo certi di
avere epurato la società dalla casta corrotta.”
“Sì, ha senso in base a quello che ha
detto anche lei. Non sono tutti in preda al vizio e all’ambizione, questi
uomini, ci sono anche eroi.”
“Non possiamo processarli tutti quanti. Pulizia
generale, poi nell’aldilà andranno dove meritano. Suvvia, sono destinati a
morire presto: quanto potranno vivere ancora? Dieci? Venti anni? Trenta, forse,
forse, i più giovani e fortunati, comunque un’inezia.”
“Sono un soffio di vento per noi che
siamo immortali, ma per loro è tantissimo.”
“Quando si vogliono cambiare le cose,
dei sacrifici sono necessari. Che il costo sia in vite umane e non, poco mi
importa. La lotta è insita nella natura. Questo pianeta è forse cattivo, quando
provoca terremoti, tempeste od eruzioni vulcaniche, facendo morire centinaia di
persone e altre creature? No. Semplicemente ha fatto ciò che era necessario per
mantenere il proprio equilibrio e benessere. Allo stesso modo, la morte di questa
nobiltà malata e grama è un naturale ed indispensabile effetto collaterale per
la nascita di una nuova società. Comprendi, vero?”
“Sì. Si tratta di guardare il quadro
generale e non solo un dettaglio, però … sembra lo stesso sbagliato. Piuttosto,
Viviana ti ha detto chi vuole come Sovrano Universale?”
“No. Dobbiamo ancora scegliere,
selezioneremo con attenzione e …”
“Vuole te.”
“Come lo sai?”
“Me l’ha detto e mi aveva avvertito di
averti tenuto all’oscuro di ciò per il momento.”
“Infatti non ne avevo idea.” Lancillotto
pareva parecchio frastornato da quella notizia.
“Padre, io credo che tu possa farcela,
credo che tu possa rendere migliore questo mondo e governarlo secondo
giustizia.”
“Io non so … Io, finora, sono sempre
stato al servizio di qualcuno, non ho mai regnato … va beh, a parte pochi anni
a Benoic … ho magari condotto drappelli di cavalieri,
ma è tutt’altra cosa rispetto al governare. Io non sono Artù, non sono come lui
… non posso!”
“Hai vissuto per oltre tre secoli, hai
esperienza e consapevolezze in abbondanza.”
“Tu non speravi nel re dei Franchi?”
“Sì, ma paragonato a te è del tutto
inesperto.”
“Figlio mio, aveva fatto bene Viviana a
non dirmi nulla, perché io non me la sento di caricarmi di un simile onere. Aiutare,
supportare, sì, ma io in prima persona assolutamente no!”
“Perché?”
Lancillotto non rispose a quella domanda,
ma disse: “Lasciamo che il re dei Franchi tenti, vediamo come se la cava come
imperatore, nel peggiore dei casi, avremo tempo e modo di rimediare in futuro,
non credi?”
Galahad annuì. Padre e
figlio si abbracciarono e salutarono, entrambi senza sapere che cosa sperare
per l’imminente battaglia.
Il giorno dopo, lo scontro si concluse
con la schiacciante vittoria di Carlo Magno e la definitiva sconfitta dei Mori
che abbandonarono l’Europa nel giro di pochi giorni.
Il Papa era molto soddisfatto e non
vedeva l’ora che il nuovo Sacro Romano Impero fosse finalmente sorto e
ufficializzato, certo che avrebbe portato pace duratura e rinascita sociale ed
economica.
Yahuda aveva raggiunto
Galahad e Melissa, rallegrandosi per il successo
nella battaglia e sottolineando il fatto che, però, Carlo Magno aveva ancora
molto da fare e da dimostrare per poter dire che sperare in lui fosse stata un’ottima
soluzione.
Dopo questo discorso, era passato a
parlare di ciò che realmente lo interessava: “C’è da ricostruire la Biblioteca
adesso. Non tanto i locali in sé, ma piuttosto ricostituire tutte le
collezioni, sia di manoscritti, sia di artefatti. Oltre poi al solito compito
di proteggere dalle minacce sovrannaturali. Insomma, c’è molto, molto lavoro da
fare.”
Galahad guardò Melissa,
come per essere certo di poter rispondere a nome di entrambi, poi disse: “Ti
daremo una mano all’inizio, per riorganizzare tutto e velocizzare i tempi, ma
poi torneremo alle nostre solite abitudini.”
“Sei sicuro? Non avresti voglia di
essere il Bibliotecario? Sei nato per la Biblioteca, perché cerchi la felicità
altrove?”
“Tu dici ch’io appartengo a quel luogo,
ma io non lo sento affatto mio, non avertene a male.”
“Non hai mai fatto nulla, però, per
provare a stare in Biblioteca. Sei sempre e solo passato di sfuggita, senza mai
fermarti, è naturale che non ne senti l’appartenenza. Perché la eviti? Che cosa
ti fa paura?”
Galahad rimase
perplesso: effettivamente non aveva mai pensato al fatto di avere paura della
Biblioteca o di volerla evitare, eppure le parole di Yahuda
gli sembravano perfette per descrivere le sue sensazioni.
L’altro uomo continuò: “Potresti provare
per qualche anno, almeno. Insomma, dopo il tradimento di tuo padre, di chi
posso fidarmi? Su chi può contare la Biblioteca.”
“Prendi un Bibliotecario temporaneo, non
renderlo immortale, tienilo finché vive e poi cercane sempre uno nuovo.”
“Ah, certo sarà più difficile che
tradisca. Sarà difficile trovare sempre qualcuno con le capacità, le conoscenze
e l’animo adatto per portare avanti la nostra missione. È l’animo, soprattutto,
che dovrà essere preservato dalla corruzione: impedire che l’esperienze
affliggano troppo la mente e il cuore del Bibliotecario e far sì che rimanga
sempre uomo umile, dedito a servire la causa e non interessi personali. Sarà complesso.
Non solo trovare un uomo con tutte queste caratteristiche, ma soprattutto che le
mantenga nonostante tutto.”
Intervenne allora Elaine: “Nemmeno tu
hai affrontato tutto quanto da solo, ricordi? Prima della ferita, prima dell’alleanza
di Merlino, quando a conoscere la Biblioteca eravamo di fatto solo in due. Nemmeno
tu hai fatto il Bibliotecario da solo: io ti ho aiutato a sopportare tutto
quanto.”
Un’idea balenò nella testa di Yahuda che disse: “Hai perfettamente ragione. È per questo
che cercheremo una Guardiana per il Bibliotecario, qualcuno che lo aiuti e
sostenga dal punto di vista morale e magari che lo difenda, se necessario … non
so se troveremo sempre cavalieri edotti a sufficienza.”
Galahad domandò: “Affiderai
questi compiti esclusivamente ad umani?”
“Certamente. Perché?”
“Vuoi escludere anche da questa nuova
Biblioteca le creature sovrannaturali? Voglio dire, vi occupate di magia, ma
tagliate sempre fuori chi è maggiormente a contatto con essa. Ho avuto modo di
vedere e leggere lo Statuto della Biblioteca, ci sono molti elementi di cui poi
non hai tenuto conto.”
Yahuda sospirò: “Lo
so. Quando fondai la Biblioteca mi assunsi l’incarico di proteggere tutto il
mondo, comprese anche le creature sovrannaturali, ma alla fin fine sono gli uomini
gli esseri più fragili e che più facilmente si mettono nei guai e devono essere
protetti, così come si sono altre creature che per loro natura tendono a
danneggiare gli altri e devono essere fermate. Sai bene quanto sia vasto e
vario il mondo e per me è stato impossibile tenere dietro a tutto quanto da
solo.” lasciò passare qualche istante, riflettendo “Ho un’idea. Ti andrebbe di
occuparti dei rapporti tra la Biblioteca e i non umani? Li conosci ormai molto
bene, grazie alla tua permanenza a Brocelandia,
potresti occuparti di tutti quei punti sullo Statuto della Biblioteca che io ho
dovuto tralasciare.”
Galahad si entusiasmò e
stava per accettare immediatamente, poi si voltò verso Melissa e le chiese: “Secondo
te, sarebbe fattibile? Potrei occuparmene, senza rischiare di rimanere separati
troppo a lungo? Non vorrei mai che ci allontanassimo.”
“Non ti preoccupare. Sono sicura che il
modo e il tempo per vederci o parlarci, di certo non mancherà. Inoltre, finché Brocelandia rimane un posto tranquillo, nulla mi vieta di
viaggiare, seguirti e aiutarti; anzi, ravvivare i rapporti con gli altri popoli
non è mai un male.”
Il cavaliere sorrise e si rivolse di
nuovo a Yahuda: “Molto bene, noi ci occuperemo di
questo.”
“Bene. Ora non ci resta che trovare
qualcuno di adatto per fare il Bibliotecario e poi un Guardiano.”
Melissa suggerì: “Provate con Astolfo, non è nuovo ad uscire vittorioso con scontri col
sovrannaturale e si è mostrato il più affidabile dei Paladini.”
Elaine replicò: “Ci saranno sei mesi di
prova, poi diventerà a tutti gli effetti il nuovo Bibliotecario.”
Nota dell’Autrice:
Eccoci alla
fine della seconda parte. Spero vi sia piaciuta anche se più breve. Ho evoluto
un poco le dinamiche e i rapporti tra i personaggi e le varie fazioni, ma
ancora sono distanti da ciò che abbiamo conosciuto nella serie.
Ci sarà un’altra
ellissi di qualche secolo e arriveremo alla terza parte.
Grazie a tutti
per continuare a leggere e seguirmi. ^___^
“Mille
e non più Mille! Preparatevi! La fine del mondo è vicina, l’Anticristo muoverà
i propri passi sulla Terra e porterà discordia e odio, infiammerà gli animi e
scatenerà guerre. Gli uomini e le donne cadranno in preda della follia e del
peccato, non riusciranno più a dominare le tentazioni e agiranno secondo gli
impulsi e gli istinti bestiali. La sete del vizio e non la ragione guiderà gli
animi degli uomini che si preoccuperanno solo dell’immediato appagamento, senza
vedere le conseguenze. Non ci saranno più re, né capipopolo, l’anarchia
sconvolgerà il mondo e i malvagi agiranno indisturbati, senza che alcuno curi
la giustizia. I demoni si mescoleranno agli uomini e non ci sarà più
distinzione tra essi. Tutto sarà caos e distruzione, violenza, poteri incontrollabili
saranno scatenati e la volontà di nessuno potrà arginarli. Alla fine della
devastazione, il Salvatore scenderà sulla Terra e chiamerà i giusti che hanno
resistito alle tentazioni, che in mezzo al male sono rimasti saldi nella fede e
avranno trovato in Dio la loro ancora di salvezza. Allora i peccatori
bruceranno all’Inferno in eterno e i giusti saranno ammessi alla contemplazione
del Signore. Vendete i vostri beni, confessate i vostri peccati e chiedete
perdono. Pentitevi! Penitentiam agite! Abbandonate
l’orgoglio, l’avidità, la lussuria e ogni altro vizio, pensate alle vostre
anime. La fine è vicina! Mille e non più Mille!”
A
parlare in questa maniera era un monaco che in una mano brandiva una croce e nell’altra
una campana per richiamare l’attenzione. Un fitto campanello di gente era
stretto attorno a lui per sentirlo: molti credevano alle sue parole, altri lo
ascoltavano divertiti.
Poco
distanti e a portata di orecchio, seduti a un tavolo all’aperto di una locanda,
si trovavano Galahad e Melissa. Mangiavano una zuppa
di legumi e conversavano.
Il
cavaliere ogni tanto lanciava qualche occhiata al sedicente profeta, infine
chiese alla compagna: “Secondo te è una semplice moda, oppure c’è qualcosa di
vero? Ho perso il conto, ormai, di quanti frati, eremiti e predicatori abbiamo
sentito annunciare la fine dei tempi negli ultimi mesi. Non possono essere
tutti folli, deve esserci qualcosa sotto. Non dico sia realmente la fine del
mondo, ma potrebbe essere che ci sia qualcuno che abbia interesse a farlo
credere. Che cosa ne dici?”
“Non
saprei. Ho provato a guardare nel futuro e a comunicare con gli spiriti, sembra
che qualcosa effettivamente ci sia, ma quel poco che ho visto era nebuloso e
confuso e non sono riuscita a capire.”
“Strano.
È raro che tu non riesca in qualcosa … a meno che non ci sia qualche altro
potente mago o strega a contrastarti. Potrebbe esserci qualcuna delle nostre
vecchie conoscenze dietro ciò, oppure qualche nuovo talento della magia che non
abbiamo notato?”
“Non
credo. Non mi pare sia nebuloso perché qualcuno cerchi di impedirmi di vedere.”
“Cosa
ti confonde, allora?”
“Non
lo so. È come se ci fosse troppa energia, troppa potenza per poter essere
percepita; ho come l’impressione che di riuscire a vedere solo una piccola
parte di una forza troppo vasta ed è per questo che non riesco a comprendere
quel che sarà.”
“Forza
troppo vasta? Potrebbe centrare con i poteri incontrollabili di cui parlano i
predicatori?”
“Non
lo escludo, ma di questi parolai non mi fido molto. Spesso non sanno neanche
quel che dicono, ripetono quel che han sentito da altri, senza capirlo e
modificando ciò che non ricordano esattamente.”
“Mi
piacerebbe indagare su questa faccenda, se ci fosse qualcosa di vero, sarebbe
bene prevederlo e impedirlo o, se fosse troppo tardi per fermarlo, almeno
riuscire a fronteggiarlo.”
“Sei
sicuro?” lo sguardo di Melissa era un poco preoccupato.
“Sì,
perché?”
“Beh,
dopo l’ultima impresa … eri piuttosto scosso, per questo avevamo deciso di prenderci
un periodo di vacanza, senza immischiarci in avventure.”
Galahad abbassò lo
sguardo e si morse le labbra; dopo qualche momento di silenzio, disse: “Lo so,
ma forse non è stata la decisione giusta … voglio dire … abbiamo avuto
delusioni, più di quante ci aspettassimo, le nostre iniziative decisamente non
hanno dato i risultati sperati e … spesso ci siamo trovati in conflitti che
avremmo preferito evitare. ... Tutti quei morti ...”
Melissa
non voleva vedere l’amato così abbattuto e animosamente cercò di rincuorarlo: “Non
pensarci! Abbiamo sempre fatto di tutto per provare ad evitare i conflitti, non
è colpa nostra se hanno scelto di combattere.”
“Ci
sono sempre state molte morti collaterali, di chi si è trovato nel posto
sbagliato al momento sbagliato. Quante volte abbiamo sperato di cambiare le
cose? Salvare qualcuno? Impedire disgrazie?” Galahad
aveva un tono aspro e di rimprovero “Ma nonostante ciò, su questa terra, c'è
sempre qualcuno pronto a distruggere e uccidere per qualche stupido ed
egoistico motivo.”
“Lo
so che vorresti un mondo privo di malvagità, che tutte le creature vivano
tranquillamente, ma questa è un'utopia.”
“Se
non credessi di poter migliorare le cose, non varrebbe neppure la pena di agire
come facciamo, ma sarebbe meglio goderci la vita e basta.”
“Come
stiamo facendo negli ultimi anni, vero? Senza però essere realmente contenti. Il
mondo e le singole pressione possono migliorare, ma ciò non implica la
perfezione. Galahad, i nostri interventi hanno spesso
impedito catastrofi e il sangue versato è stato comunque minore di quello che
sarebbe potuto sgorgare se non avessimo fatto nulla: dobbiamo essere fieri di
ciò.”
“Lo
so, ma se ripenso a tutti i nostri amici o compagni che sono morti,
sacrificandosi per un bene che non è mai arrivato …!” l’uomo era amareggiato “I
Bibliotecari di Yahuda non riescono a sopravvivere
più di cinque anni, nemmeno con un Guardiano a proteggerli...ed è stata nostra
l'idea di istituire i Bibliotecari, noi li abbiamo mandati a morte!”
“Sono
uomini adulti, consapevoli dei pericoli, che hanno accettato di consacrare la
vita alla Biblioteca. Loro hanno scelto! Inoltre è Yahuda
che continua ad arruolarli, nonostante i risultati, quindi se mai la responsabilità
è sua, non nostra.”
“Sì,
ma se io fossi più abile con la diplomazia, se riuscissi a gestire meglio le
interazioni tra gli esseri e le creature e...”
“Tu
hai sempre fatto tantissimo e non puoi sentirti responsabile delle coscienze
malvagie di altri. Non puoi obbligare qualcuno ad essere buono o ragionevole o
cancellare la sua sete di potere. Abbiamo tutti il libero arbitrio e tu non
puoi imporre la tua volontà agli altri.”
“Sento
ugualmente il peso di tutti i morti. Soprattutto ... lo sai ... Lo vedo sempre
davanti ai miei occhi ... nostro...” le parole gli morivano in gola.
“Galahad, per favore, ascoltami! Soffro quanto te per lui,
tuttavia non mi arrendo. Se non possiamo migliorare il mondo, possiamo almeno
cercare di evitare che peggiori.”
“Hai
ragione ed è a questo che volevo arrivare, prima che mi interrompessi. Volevo
dire che, appunto, nonostante i fallimenti e il dolore, stare fermo e a riposo
non ci riesco anzi, forse è peggio. Sento e vedo quel che accade attorno a me e
lo sento il richiamo dell'azione, nonostante la consapevolezza che ogni
soluzione è solo provvisoria. Sento il richiamo della speranza che mi sportiva
a fare qualcosa. Facciamo! Agiamo! Io non so se questa fine del mondo tanto
annunciata sua vera oppure no, ma non voglio stare ad aspettare che accada
qualcosa. Indaghiamo!" "Volentieri! Se te la senti di tornare in
azione, io sarò al tuo fianco come sempre. Penso che innanzitutto dovremmo
raccogliere informazioni e forse sarà meglio spartirsi le persone da
consultare. Io proverò a sentire mia zia e poi la pietra di Merlino.”
“Io
proverò a sentire Viviana. Potremmo ricongiungerci in Biblioteca, sono certo
che Yahuda sappia qualcosa di quel che sta accadendo,
o per lo meno si starà informando anche lui, non penso gli siano sfuggiti i
discorsi apocalittici.”
Nota d’Autrice:
Ciao a tutti! Sono tornata, non so con
quale frequenza posterò i capitoli, intanto ho messo questo, per creare un po’
di atmosfera.
Galahad e Melissa si erano separati per condurre le proprie
ricerche. Non si separavano spesso, solo in casi di stretta necessità. Stavano
assieme da quasi cinque secoli eppure non si staccavano mai l'uno dell'altro:
godevano della reciproca compagnia e i loro animi erano legati ogni giorno di
più; si sostenevano e si arricchivano a vicenda e i reciproci difetti non li
turbavano. Se dovevano separarsi, non si disperavano: nessuno dei due reputava
l'altro come la fonte della propria del felicità, ma come un miglioramento,
come il venticello in una giornata estiva, come i fiori che decorano una
stanza, come il formaggio sulla pasta. Non erano indispensabili l'uno all'altro
per vivere, ma ognuno rendeva migliore la vita dell'altro. Non erano giovani
invasati dalla passione, il loro rapporto non era morboso. Adoravano stare
insieme e preferivano condividere ogni momento possibile, tuttavia quando erano
separati non soffrivano la nostalgia, non eccessivamente almeno: l'amore era un
piacere e non una tortura, nemmeno quando erano lontani.
I due si erano dunque separati per alcuni
giorni e ognuno era andato a consultare le proprie fonti. Melissa aveva deciso
di consultare innanzitutto sua zia Morgana. La Fata era piuttosto sospettosa
nei confronti di chiunque e temeva molto per se stessa, a causa di quelle che
lei riteneva maldicenze sul suo conto; per proteggersi, dunque, aveva sempre
arrivo un rituale che impediva a chiunque di avvicinarsi con mezzi magici o
improvvisi a meno di cinque chilometri da lei, quando era fuori dalla propria
isola. Quest'ultima, invece, essendo il suo regno era del tutto impenetrabile,
senza il consenso della Fata. Morgana, inoltre, aveva reso impossibile il
poterla divinare così da non poter essere spiata. Melissa quindi non aveva idea
di dove fosse la zia e di come raggiungerla rapidamente, per cui si diresse
verso l'isola, sperando di trovare lì la Fata e non doverla andare a cercare
chissà dove.
Melissa viaggiò per un paio di settimane e fu
fortunata perché trovò la zia sull'isola. Morgana la accolse allegramente.
“Come mai sei così di buon umore, zia? Sembri più
entusiasta del solito e qui sembrano tutti in subbuglio, come mai? Stai preparando
qualcosa?”
“In
effetti sì, ci stiamo organizzando in vista della fine del millennio.”
“Allora
sta davvero per accadere qualcosa …”
“Certo,
non lo sai ancora? … Strano … ma forse no.”
“Ho
provato a guardare nel futuro ma non ha funzionato, è come se qualcuno cercasse
di impedirmi di vedere. Sento chiaramente che c’è un potere che si frappone tra
me e la divinazione di questo evento. Percepisco che ci sarà qualcosa di grosso
e posso essere sicura che sarà qualcuno a provocarlo poiché è costui che mi
annebbia la vista … quindi vogliono tenermi lontana.”
“Che
compagnie stai frequentando? Sempre la Biblioteca? Sempre Galahad?”
“Galahad sì. Siamo sempre insieme, non abbiamo mai avuto
problemi, la nostra armonia è sempre perfetta, nonostante tutto: il male del
mondo e le sofferenze non ci hanno scalfiti. La Biblioteca, invece, non
proprio. Non siamo in cattivi rapporti, ma è molto tempo che non ci abbiamo a
che fare … sai, dopo il lutto, ci siamo presi una lunga pausa da quell’ambiente,
dalle missioni e così via.”
“Ecco
perché da qualche decennio eri irrintracciabile, vi siete isolati dal mondo
magico. È un peccato, altrimenti probabilmente sapresti che cosa si sta
preparando.”
“Non
puoi dirmelo tu?”
“No.
Mi dispiace, Melissa, ma io in questa faccenda non decido nulla, mi limito a fare
la mia parte. Abbi fiducia. Stiamo preparando qualcosa di grandioso, una
rigenerazione totale, una salvezza per il mondo. Non ti preoccupare, attendi con
pazienza e vedrai che sarai soddisfatta … anzi, chissà, forse c’è ancora il
tempo utile affinché anche tu sia coinvolta. Non ti preoccupare, torna da Galahad e aspetta.”
Melissa
non fu affatto soddisfatta da quelle parole, anzi l’avevano fatta preoccupare:
era certa che ciò che entusiasmava così tanto Morgana probabilmente non avrebbe
avuto lo stesso effetto su molti altri. Lei non pensava che la zia fosse
malvagia, ma sapeva che spesso le sue idee di bene e felicità non
corrispondevano con i canoni comuni.
La
Maga, tuttavia, pensò che fosse meglio non mostrare le proprie perplessità e
quindi disse: “Va bene. Grazie per l’ospitalità, verrò a trovarti più spesso.”
Melissa
presto lasciò l’isola della Fata e si affrettò ad andare nella foresta di Brocelandia, piena di domande e timori più di quando aveva
iniziato l’indagine. Arrivò in poco tempo e cercò di non farsi notare dagli
abitanti della foresta: non le sarebbe dispiaciuto parlare con le cerature
fatate che non vedeva da molto tempo ormai, tuttavia era di fretta, non voleva
perdere tempo e scoprire che cosa stesse accadendo, quindi non poteva fermarsi
a parlare con vecchi amici.
Entrò
nella sua casetta: erano decenni che non vi entrava, per evitare che quelle
stanze le ricordassero momenti di gioia che le erano stati strappati via.
Si
diresse subito nella camera dove era custodita la lastra di pietra in cui era
stato rinchiuso Merlino. Salutò subito l’antico maestro, scusandosi per la
lontananza, ma non ebbe risposta. Si stupì di non udire nulla. Gli parlò di
nuovo, ma ancora silenzio. Capì che era accaduto qualcosa di grave durante la
sua assenza. Appoggiò entrambi i palmi delle mani sulla lastra e cercò un
contatto spirituale tra sé e l’anima del Mago, ma lo sentì terribilmente
lontano, come se fosse in uno stato di quiescenza irraggiungibile anche con le
tecniche più potenti e sottili della magia.
Melissa
si rese conto che qualcuno aveva aggredito Merlino, riducendolo in una
situazione ancor peggiore rispetto a quella già misera in cui era costretto prima.
La
donna si sentì responsabile: forse, se lei non fosse stata lontana, avrebbe
potuto proteggere il suomaestro. Per la
prima volta si sentì in colpa di essersi presa una pausa. Chissà quante cose
erano successe da quando lei e Galahad avevano deciso
di vivere come persone comuni, chissà quante cose avrebbero potuto sventare, se
fossero stati attenti al mondo. Avevano permesso che il dolore e faccende
personali li allontanassero dai loro doveri. Erano stati egoisti, avevano
cercato un balsamo per il proprio animo ma era stato inutile; non avevano
ritrovato la serenità e in più avevano trascurato il benessere del mondo, per
il quale un tempo si erano tanto preoccupati.
Melissa
si sentì terribilmente in colpa per tutto ciò e si ripromise che non avrebbe
mai più commesso un simile errore, non avrebbe mai più smesso di prendersi cura
degli altri.
Tentò
ancora una volta di entrare in contatto con Merlino ed ottenne un labile
risultato: non riuscì a parlare con il Mago, ma sentì un’eco, come fosse un
messaggio memorizzato, lasciato lì in attesa di essere ascoltato; una sola
parola: Nun.
Melissa
ricordò che quello era il nome dell’energia primordiale nella tradizione
egizia, quindi decise di andare in Biblioteca per approfondire la faccenda e
cercare di capire che cosa stesse per accadere nel fatidico anno Mille. Non poteva
essere certa che Merlino fosse stato aggredito dalla stessa persona che si
preparava al Mille e non più Mille, tuttavia era altamente probabile e dunque
la Maga decise che quella era la giusta pista da battere.
Galahad era partito per
cercare Viviana e, ovviamente, si era diretto immediatamente al Lago, quasi
sicuro di trovarla lì o, almeno, di trovare la maniera per contattarla. Viaggiò
per alcune settimane e raggiunse la meta.
Si
stupì quando, una volta entrato nel cortile del castello celato, gli andò
incontro suo padre.
“Figliolo!
Sono proprio contento di vederti. È il fato che ti manda.”
“Dite
davvero, padre?”
Galahad si meravigliò
nell’accorgersi che provava ancora soggezione nel trovarsi di fronte al
genitore. L’ammirazione e la stima per il padre erano sempre annidati nel suo
cuore e quasi gli sembrava di tornare bambino, quando aveva a che fare con lui.
“Sì,
sono decenni che tu e la tua amica siete scomparsi dalla circolazione e non c’è
stato modo di rintracciarvi. Temevo per la tua vita, anche se sei immortale
come me. Ti ho cercato a lungo invano, ero molto preoccupato.”
“Mi
avete cercato? Perché …?”
“Che
domande! Sono tuo padre. Non siamo mai stati così tanto tempo senza vederci;
prima, o in un modo o nell’altro, ci incontravamo con una qualche frequenza.”
“Come
mai siete dalla nonna?”
“Beh,
ti sarai reso conto anche tu che le cose a questo mondo non vanno bene. Da tutte
le parti c’è discordia, guerre … il male dilaga. Insomma, siamo arrivati ad un
collasso, ogni società è malata, non solo quella degli umani, ma anche elfi,
fate, ondine, tritoni, silfidi, salamandre e qualsiasi altra creatura del
piccolo popolo ti venga in mente. Il mondo è malato e ci sono solo due opzioni:
lasciarlo morire o curarlo. Viviana ha trovato la medicina.”
“È
un discorso un po’ generico.”
“Negli
ultimi cinque anni ti ho cercato praticamente senza sosta perché volevamo
coinvolgerti in questo progetto, ma purtroppo non ti ho trovato. Per questo
dico che è il fato che ti ha portato qui:tu devi essere al nostro fianco e, visto che io non ti ho trovato, sei
venuto tu qui.”
“Sembra
plausibile anche se, a dire il vero, io ero venuto a chiedere alla nonna se sa
qualcosa di questo Mille e non più Mille di cui molti predicatori vanno
parlando in questi ultimi tempi.”
“È
il nostro progetto. Seguimi, sarà Viviana ad illustrartelo.”
Galahad, un poco
titubante, seguì il genitore. In realtà l’idea di prendere parte a un’iniziativa
di famiglia gli piaceva parecchio, però conosceva la megalomania della nonna e,
dunque, voleva ben capire di cosa si trattasse, prima di farsi coinvolgere.
Raggiunsero
Viviana che era splendida come al solito: i biondi capelli le scendevano lungo
la schiena come un mantello, un abito dai colori cristallini le fasciava il
perfetto corpo, al collo aveva una collana con un pendaglio a forma di gallo,
le labbra erano piene e gli occhi brillanti.
La
Dama abbracciò il nipote e lo accolse dolcemente, poi lo fece accomodare e,
dopo avergli offerto infusi e biscotti, iniziò a spiegare ciò a cui stava
lavorando: “Conosci il mito della creazione secondo la mitologia egizia?”
“Ce
ne sono parecchi a dire il vero.”
“L’inizio,
però, è sempre uguale, giusto?”
“Sì.
In principio c’è il Nun: energia pura, caotica, il
potenziale di tutto.”
“Esatto,
poi?”
“Poi
dal Nun emerge la collina primordiale e a questo
punto le versioni iniziano a differire: a seconda delle città e delle epoche,
gli egizi hanno attribuito a diverse divinità il merito di essere la prima, autogenerata e che poi ha creato tutto.”
“Sai
anche in che modo è avvenuta la creazione?”
“Sì.
La divinità pensa alla cosa che vuole creare e la chiama in essere. Crea tramite
la parola. Un sistema molto simile a quello riferito dalla Bibbia.”
“Giusto.
Non si tratta, però, di una creazione ex novo, non parte dal nulla, bensì parte
dal Nun. La parola divina da una forma al Nun. Il Nun è sostanza senza
forma. La parola divina è una sagoma morta che ha bisogno di essere animata dal
Nun. Per la creazione sono necessari entrambi gli
elementi: l’energia e ciò che la ordina.”
“È
un mito, comunque.”
“No,
corrisponde al vero … per lo meno il meccanismo. Esiste il mondo come
contenitore, così come lo vediamo, e l’energia che lo anima e lo rende vivo. La
Creazione e il Nun sono ancora in contatto; c’è una
sorta di portale (ma la parola non è corretta) che permette il fluire dell’energia
dall’infinito serbatoio del potenziale che è il Nun
verso il nostro mondo. La magia funziona in questo modo: i maghi attingono al Nun e con la loro volontà e le loro parole danno forma all’energia
e la proiettano nel mondo; il risultato visivo sono gli incantesimi. Capisci?”
“Sì.
Ne sapevo già qualcosa, anche se non supponevo in questi termini l’esistenza
del Nun. Che cosa c’entra, però, tutto questo?”
“Presto
capirai. Prima voglio verificare che il nostro pensiero sia concorde: credi
anche tu che il mondo sia malato? Dalla caduta di Camelot
le cose non hanno fatto altro che peggiorare e tutto è andato via più
spegnendosi?”
“Sì.”
convenne Galahad “Effettivamente sembra che le cose
stiano marcendo. Ristagniamo nellastessa situazione da secoli, non c’è progresso. Tutto sembra perdere
vitalità ed essere solo un’ombra. Io e Melissa lo abbiamo notato, ci pare
sempre più di essere circondati da rovine, da cose vuote. Pensavo fossero il
mio dolore e la mia longevità a farmi apparire le cose come svuotate … ma forse
non è così … È questo che mi stai dicendo?”
“Esatto.
Io penso che al mondo siano rimaste molte forme prive di essenza. Sto lavorando
da anni e anni per allargare il canale che connette Creazione e Nun e inondare il mondo con energia in abbondanza, come una
sorta di diluvio universale, ma puramente energetico e a questa nuova linfa che
vivificherà nuovamente il mondo, potremo dare noi la forma. Potremo rendere le
cose migliori, ridonare felicità e bontà a tutti gli esseri viventi, riportare
la luce dove ora sembrano albergare solo tenebre, disperazione e crimine. Questo
è il Mille e non più Mille che ho in mente. Mi aiuterai? Appartieni ancora alla
nostra famiglia? Al Lago? Io, tuo padre e te: uniti per rigenerare il mondo.”
Capitolo 15 *** "Sai, mille anni fa, quando io e te cessammo di essere ... qualunque cosa fossimo ..." ***
Melissa
giunse davanti alla Biblioteca. In quel periodo si trovava in Francia, a Codalet, presso l’abbazia benedettina di Saint-Michel di Cuxa. La Maga era stata lì molte volte in passato: dopo che
Lancillotto aveva tradito e distrutto la Biblioteca circa duecento anni prima [NdA vedi capitolo 11], Yahuda
aveva spostato continuamente la sede della Biblioteca, anche perché gli erano
rimasti pochi libri e manufatti, fino all’879, anno in cui si accordò con
l’abate Protasio per collocare il nuovo ingresso
della Biblioteca in una nuova abbazia benedettina, con amanuensi e copisti
molto attivi.
Yahuda aveva sempre
mantenuto quest’alleanza con gli abati successivi. Galahad
e Melissa avevano trascorso lì diversi decenni, a inizio secolo, prima del
lutto che li aveva spinti a prendersi quella lunga pausa che li aveva isolati
dal mondo della magia. Era da quei tempi che la Maga non tornava lì, chissà se
era cambiato qualcosa, chissà come l’avrebbero accolta; fece un respiro
profondo e bussò.
Un
giovanissimo frate novizio aprì la porta e si stupì di vedere una donna da
sola. Melissa non ci fece caso e, gentile ma sbrigativa, comunicò che voleva
vedere l’Abate. Fu accontentata; a quest’ultimo disse di essere venuta in cerca
di Yahuda. L’Abate rimase un poco perplesso: non
aveva mai visto quella donna e non c’erano mai visitatori od ospiti per la
Biblioteca, quindi le disse di attendere. Poco dopo la raggiunsero due giovani
sui venti anni, maschio e femmina, avevano un atteggiamento piuttosto sicuro e
scrutavano la Maga con sospetto. La donna non si fece certo intimidire e capì
che probabilmente si trovava davanti al Bibliotecario e alla sua Guardiana, o
alla Bibliotecaria e il suo Guardiano, in realtà non le interessava più di
tanto.
“Buonasera”
esordì l’uomo, rimanendo fermo in piedi, a quattro metri di distanza “Con chi
abbiamo il piacere di parlare?”
“L’Abate
non mi ha annunciata? Sono Melissa.”
L’altra
donna aveva in mano uno strano oggetto circolare in metallo e pietre dure, lo
stava osservando; alzò lo sguardo e disse rivolta all’uomo: “Pratica magia.”
“Non
è certo una novità.” ribatté la Maga, un po’ seccata per quella diffidenza.
“Di
questi tempi non è certo una buona referenza.” ribatté l’uomo, facendosi ancor
più sospettoso.
“Senti,
ragazzino, il tuo zelo è encomiabile, Yahuda sa
perfettamente chi sono, per cui ditegli che sono qui e ho urgenza.”
“Non
c’è in questo momento.”
Melissa
si preoccupò e chiese: “Eleine invece?”
“Sono
andati via insieme.”
“Da
quanto mancano?”
“Perché
ti interessa?”
“Perché
potrebbe essere in pericolo, razza di idiota!”
L’altra
donna intervenne: “Lo dici perché tu centri con il pericolo?”
“Ascoltate!”
si spazientì Melissa “Suppongo che anche voi vi stiate preoccupando per questo Mille e non più Mille, ho un indizio
circa cosa potrebbe essere e mi serve la conoscenza della Biblioteca per
capire. Ora, fatemi entrare con le buone maniere, perché se, come mi è sembrato
di capire, Morgana è coinvolta in questa storia, allora non possiamo perdere
nemmeno un minuto!”
“Morgana
la Fata?” chiese l’uomo perplesso.
“Ne
conosci altre che possano essere una minaccia per l’umanità?”
I
due lavoratori della Biblioteca si scambiarono qualche occhiata.
“Ci
fidiamo, Matilde?”
“Non
lo so, Amedeo, non ci ha dato nessun segno che ci possa far credere che non
stia mentendo.”
“Volete
forse che vi dia una dimostrazione di magia, così capirete che se avessi avuto
cattive intenzioni, sarei semplicemente entrata e non starei qui a chiedervi
educatamente il permesso?”
“Ho
un’idea” disse Matilde “Dicci come sai della Biblioteca e che si trova qui.”
Melissa
sbuffò fra sé e sé: “Peggio di quando sono arrivata la prima volta e han faatto entrare solo Galahad,
lasciandomi fuori ad aspettare.”
“Cos’hai
detto?” domandò Amedeo, che aveva sentito in parte il borbottio “Hai detto Galahad?!”
“Sì.
A quanto pare vi hanno parlato solo di lui.”
“Ma
allora tu sei quella Melissa! Ci hanno raccontato anche di te, solo che non
pensavamo fossi tu.”
Matilde
aggiunse: “C’era stato detto che eravate scomparsi dell’ambiente, per cui non
credevamo che … scusaci.”
“Acqua
passata, capisco che ci sia la sicurezza da salvaguardare” tagliò corto la Maga
“Adesso, però, affrettiamoci.”
“Sì,
per di qua.” le indicò la strada Amedeo.
Melissa
lo precedette, sapendo perfettamente dove andare. Giunsero davanti ad un arazzo
su cui era rappresentata una sfinge che pose loro un enigma che Amedeo risolse
in un lampo; il telo si scostò da solo e rivelò una porta che permetteva di
accedere a un corridoio lunghissimo che portava alla Biblioteca; le pareti del
corridoio erano adornate coi ritratti dei Bibliotecari, Melissa ne riconobbe un
buon numero e, arrivata quasi in fondo, si soffermò davanti a un quadro in cui
era dipinto un giovane sui trenta anni che in una mano stringeva una spada,
nell’altra un globo. La Maga rimase immobile ad osservarlo e i suoi occhi
divennero lucidi per qualche lacrima che non usciva.
“Che
cosa dobbiamo cercare, esattamente?” domandò Amedeo, che l’aveva sorpassata,
scuotendola dai suoi ricordi.
“Religione
egizia, il Nun.”
“Il
Nun? Non credo ci siano testi che ne parlino, se ne
fa a malapena un cenno nei miti della creazione.”
“Sì,
questo è quello che so anch’io, ma auspico che la Biblioteca possa contenere
qualcosa in più, anche senza la collezione originaria.”
“Collezione
originaria?” ripeté Matilde, confusa.
“Sì,
la Biblioteca è stata distrutta duecento anni fa, non ve lo hanno detto?” la
Maga si guardò attorno e chiese: “Dov’è Excalibur? Di solito mi saluta …”
“Excalibur
non è più qui.” rispose Matilde.
“Avevamo
Excalibur?!” esclamò Amedeo, sorpreso.
“Da
quanto fai il Bibliotecario?” chiese Melissa.
“Neanche
due anni …”
“Tu,
invece, sei la sua Guardiana, giusto? Da quanto lavori per la Biblioteca?”
“Sei
anni.”
“Sai
perché Excalibur non sia qui?”
“Sì.
Umberto, il Bibliotecario prima di lui, la stava usando durante una missione …
non ci eravamo accorti da subito che stavamo affrontando la Confraternita del Serpente; eravamo
circondati, non pensavamo ci sarebbero stati avversari più avanti, io rimasi
indietro per fermare i soldati che ci circondavano, Umberto è andato oltre per
portare a termine la missione e si è trovato davanti a Lancillotto che lo ha
ucciso e gli ha tolto Excalibur. Io non capisco ancora come ho fatto a
salvarmi.”
“Pazienza,
adesso torniamo a concentrarci sulla minaccia attuale.” intervenne Amedeo, non
volendo che la sua Guardiana continuasse ad intristirsi “Di testi egizi ce ne
sono parecchi, quindi avremo molto da fare.”
“Forse
Yahuda saprebbe già quale minaccia possa comportare
il Nun …” ragionò Melissa “Non c’è modo di contattarlo?”
“Sperando
che non sia andato lontano …” disse il Bibliotecario “Matilde, prova a fare una
perlustrazione nei dintorni e se trovi lui od Eleine,
avvertili.”
La
Guardiana uscì e gli altri due cominciarono a leggere papiri. Dopo circa un’ora,
rientrarono Yahuda, Eleine
e Matilde.
“Melissa,
è bello rivederti qui” la salutò Yahuda “Anche se le circostanze
non sono certo felici. Dov’è Galahad?”
“Sta
indagando sul Mille e non più Mille
per altre strade … spero non abbia incontrato guai … teoricamente dovrebbe
raggiungerci qui. Tu sai qualcosa sul Nun?”
“Sì,
Matilde mi ha detto che stai cercando informazioni al riguardo. So bene cosa
sia, ma non so di alcun rituale legato ad esso, se è mai esistito, se n’è persa
consapevolezza molti secoli prima ch’io nascessi e se ne era rimasta notizia,
probabilmente era in quei papiri che avevo preso nella camera sotto la Sfinge,
ma che sono andati persi durante la distruzione della prima Biblioteca.”
“Dicci
tutto quello che sai, comunque!”
“Non
c’è molto da dire, il Nun è una fonte inesauribile di
potere magico. La volontà o le emozioni lo richiamano da un altro mondo a
questo: attraversa un passaggio e corre lungo le ley-line
per raggiungere i maghi che lo invocano, oppure le creature fatate che ricevono
energia vitale da esso.”
“Non
sembra una cosa negativa nemmeno detto così.” rifletté Melissa.
Amedeo
esclamò: “Forse ho trovato qualcosa!” stava ancora consultando i papiri “Qui c’è
un’invocazione a Horo, Ra e Khnum
in cui li si prega di conservare la Maat e non
permettere al Nun di entrare nel mondo.”
Yahuda annuì e disse: “Adesso
che ci penso, gli egizi erano abbastanza terrorizzati dall’idea che il Nun potesse venire in questa dimensione. Il Nun era stato fondamentale per la creazione, ma un suo
eccesso avrebbe portato caos.”
“Il
Mille e non più Mille può essere
questo?” si preoccupò Melissa “Un esondare del Nun nel nostro mondo?”
“Sembra
abbastanza apocalittico, in effetti.” convenne Eleine.
“Non
abbiamo idea di se ciò sia realmente possibile e come.” ribatté Yahuda, poi fu folgorato da un pensiero e disse: “Forse è
solo una coincidenza … Il punto da cui il Nun entra
in questo mondo, èla roccia in cui era
confitta Excalibur … e Lancillotto ha recentemente preso la spada … se l’abbiarubata perché potrebbe servire in un qualche
rituale legato al Nun? … Quanto vorrei sbagliarmi.”
“Galahad è al Lago … sperava di ottenere informazioni da
Viviana.”
“Sperando
che non sia lei ad aver architettato questa faccenda” si crucciò Yahuda “Dobbiamo andare, dobbiamo raggiungere la Roccia al
più presto.”
“E
Galahad?” domandò la Maga “Se non ci troverà qui …”
“Ci
penserò io” la interruppe Eleine “Io resterò in
Biblioteca e lo informerò, quando arriverà.”
Yahuda, Melissa,
Amedeo e Matilde si affrettarono a radunare l’indispensabile per il viaggio e
si misero in marcia.
Nel
frattempo Galahad era ancora al Lago, riposava in
quella che era la sua stanza, ogni volta che andava lì. Sentì bussare alla
porta e poi entrò suo padre che andò a sedersi vicino a lui.
“Sono
contento della tua scelta, figliolo.”
“Sembra
la cosa giusta da fare.”
“Sembra? Non sei convinto?”
“Lo
sono … ma so anche che non sempre le mie scelte si rivelano sagge.”
“Ti
capisco.”
“Davvero?”
“Sì,
penso di sapere a quale scelta rimpiangi. Credimi, anche se in quel periodo
eravamo lontani, so cos’è successo e ne ho sofferto anch’io, mi è dispiaciuto
molto per te. Non devi fartene una colpa, Yahuda sa
essere molto persuasivo … lo so bene … gli ho permesso di condizionarmi per
molto tempo, prima di capire e scuotermi e fondare la Confraternita del Serpente, io penso che si debba aiutare la gente,
fare attivamente qualcosa per migliorare le cose e non limitarmi a nascondere
ciò che potrebbe essere pericoloso.”
“Sì,
hai ragione. L’ignavia della Biblioteca non è una buona cosa. Sacrificano giovani
nel combattere contro il male, per proteggere la gente … è giusto, sì, ma
aspettano sempre che accada qualcosa, prima di intervenire, non pensano a
prevenire le minacce, a cambiare le cose in questo mondo, a renderlo migliore;
a salvarlo non solo dalle aspirazioni di qualcuno, ma anche dalla sua
intrinseca follia.”
“Per
fortuna non esiste solo la Biblioteca … esiste anche il Lago. Presto doneremo
al mondo nuova energia, gli permetteremo di risvegliarsi dall’assopimento in
cui è sprofondato. Da sei secoli non c’è altro che caos, perenne guerra, tutto
muore, tutto ristagna: è ora che ci sia una rinascita o finiremo di marcire,
imputridire e infine morire. Noi non vogliamo che il mondo muoia, vogliamo
vivificarlo!”
“Ce
la farete … Ce la faremo!”
“Sì,
ormai è tutto pronto, presto inizieremo il rituale.”
“Vorrei
che ci fosse anche Melissa; permettimi di andarla a cercare e portarla qui.”
“Non
hai bisogno di chiedere il permesso, se vuoi farlo, vai. Tuttavia te lo
sconsiglio, se vuoi essere presente al momento della cerimonia. Purtroppo non
possiamo celebrarla in un momento qualsiasi, ma dobbiamo farlo nel momento
stabilito: luna nuova al solstizio d’inverno. Accadrà tra due giorni, non
faresti in tempo a trovare Melissa e raggiungerci.”
“In
effetti, è vero …”
“Se
almeno sapessimo dove si trovi con esattezza, potremmo usare la magia per
raggiungerla e poi portarla qui, ma senza sapere nulla nemmeno Viviana può.”
“So
che sarebbe andata da Morgana, poi forse alla Biblioteca.”
“Da
Morgana? Perfetto. Se è riuscita a trovare la Fata, allora sarà stata informata
di quel che stiamo preparando.”
“Morgana
è coinvolta?”
“Sì,
è una causa talmente nobile che è riuscita a mettere d’accordo sia Viviana che
la Fata.”
“Incredibile!
Sembra quasi un sogno che finalmente ci possa essere un’alleanza. Comunque, in
cosa consiste esattamente il rituale dell’apertura del varco e dove lo avete scoperto?”
“Allargamento
della porta, non apertura, mi raccomando, non dimenticare la differenza. In
antichi rotoli di papiro che ho trovato in Biblioteca, quando la frequentavo. Non
avevo idea di che cosa fossero, non ci capivo nulla, non erano scritti neppure
coi geroglifici, ma in una lingua ancora più antica. Viviana li ha studiati molto
a lungo prima di decifrarli e riuscire a comprenderli. Abbiamo lavorato a lungo
per procurarci tutti quanti gli elementi necessari, prepararci al grande
momento e aspettare il giorno giusto. Sai qual è una bella cosa? Non so se
abbia un reale senso o sia solo una coincidenza, ma per me è una cosa che scalda
il cuore e mi rassicura. Il fulcro della cerimonia sarà la roccia in cui era
incastrata Excalibur e la spada stessa. Non è bello che il rinnovamento del
mondo avvenga lì dove Artù ha dato origine a quel bel mondo, durato troppo
poco? Le nostre origini, in fondo, sono lì. Penso che sia ben augurante.”
“Sì,
in effetti è una bella coincidenza. È come se Artù abbia potuto fare quello che
ha fatto grazie a un poco di quel potere che ora andremo a richiamare.”
“Esatto!
Adesso ti spiego con precisione. La roccia è la serratura ed Excalibur la
chiave. Bisogna reinserire la spada nella roccia per poter aprire, chiudere o
fare modifiche. Le variazioni perònon
le fa Excalibur, per quelle è necessario usare lo scettro di Seth.”
“Lo
Uas, fonte di potenza? La Biblioteca non è mai
riuscita a trovarlo.”
“Con
l’aiuto del Lago l’ho recuperato. Lo userà Viviana durante la cerimonia. C’è un
altro bastone che andrà usato: lo scettro di Anitya.”
“Mai
sentito.”
“Ci
credo, tu sei arrivato al massimo in Persia; Anitya è l’impermanenza nella tradizione dell’India.”
“Eh,
sì, lo ammetto, quello è un mondo che ancora non ho affrontato … credo, però,
che potrei andare a studiare quelle culture e i loro segreti, nei prossimi
anni. Ad ogni modo, questo scettro a cosa serve?”
“A
dissolvere alcuni vincoli che rischiano di imbrigliare e intrappolare il Nun. Se ne occuperà Morgana.”
“Io
e te cosa faremo?”
“Proteggeremo
la zona, faremo in modo che nessuno possa interrompere il rituale.”
“Molto
bene, sono pronto.”
“Eh,
non c’è fretta, rilassati fino a domani sera.”
Trascorse
così il tempo, senza problemi.
Al
tramonto del Sole del giorno successivo, Viviana usò un incantesimo per
lasciare il Lago e portare con sé Lancillotto e Galahad
fino a Londra, alla Roccia. Lì attesero qualche minuto e poi giunse anche
Morgana.
“Vedo
che non avete ancora cominciato, molto bene, allora stiamo veramente
collaborando.” esordì la Fata, senza salutare.
“Non
avremmo potuto iniziare nemmeno se avessimo voluto” replicò Viviana, con un
falso sorriso “Dal momento che lo scettro di Anitya
lo hai tu.”
“Che
ci fa lui, qui?” domandò poi Morgana, aspramente, indicando Galahad.
“Ci
aiuterà” rispose la Dama “Ho spiegato a mio nipote che cosa ci apprestavamo a
fare e lui, da buon Del Lago qual è, ha deciso di prendere parte al progetto.”
“Dov’è
Melissa?” domandò Galahad “Non è venuta da te?”
“Sì,
voleva sapere cosa stava accadendo, ma io non gliene ho parlato, visto che
credevo che la cosa dovesse rimanere segreta.”
“Pazienza”
tagliò corto Viviana “Presto si accorgerà del cambiamento e non potrà che
esserne contenta. Ora, cominciamo, se perdiamo il momento, dovremo aspettare
ancora centoquarantatre anni, prima di poter riprovare.”
“Sì,
d’accordo, procediamo.”
“Lancillotto,
a te l’onore di reinserire la spada nella Roccia, poi tu e Galahad
mettetevi in guardia.”
Lancillotto
obbedì: prese Excalibur, si avvicinò alla roccia e la infilò. L’aria iniziò a
crepitare, attraversata da piccoli e sottili fulmini blu.
Viviana
sollevò lo scettro di Seth, iniziò a pronunciare una formula e presto andò in
trance. Morgana aspettava il suo momento, stringendo lo scettro di Anitya.
Sembrava
procedere tutto normalmente finché Lancillotto non si accorse di qualcuno che
correva contro di lui. Non si scompose, non ebbe paura, estrasse la spada e si
preparò a combattere.
L’assalitore
era Matilde.
Il
gruppo della Biblioteca era arrivato in tempo per intervenire. La Guardiana,
vedendo Lancillotto, aveva provato rabbia e desiderio di vendetta, per questo
si era slanciata contro di lui, senza aspettare gli altri, da sola.
Le
fu fatale: Lancillotto la uccise con pochi fendenti.
Intanto
anche Yahuda, Melissa e Amedeo erano arrivati sul
posto. Accorgendosi che il tutto era già in atto, non ebbero bisogno di dirsi
nulla per capire che dovevano intervenire e seguire l’istinto. L’obbiettivo era
arrivare a Viviana e sapevano bene che per farlo avrebbero dovuto superare gli
altri.
Melissa
avrebbe voluto domandare a Galahad se fosse
consapevole di a che cosa stava partecipando, ma sapeva anche di essere l’unica
a poter fronteggiare Morgana, per cui si diresse verso di lei e subito ne
nacque un duello di magia.
Amedeo,
che era di origine nobile, era cresciuto con le armi, per cui non ebbe paura di
prendere la spada e affrontare Lancillotto per vendicare l’amica.
Yahuda si mise di
fronte a Galahad, ma nessuno dei due aveva intenzione
di combattere.
Il
primo Bibliotecario disse: “Ti trovo bene Galahad. Mi
fa piacere vedere che ti è tornata la voglia di agire, è un buon segno … però
non capisco la tua scelta di campo. Me la spiegheresti, per favore?”
“Portiamo
nuova energia al mondo, lo vivifichiamo.”
“Col
Nun? Certamente sarà nuova energia, sul vivificante,
invece, ho qualche dubbio.”
“Perché?”
“Vedo
che avete lo scettro di Anitya, ma non quello di
Maya, quindi distruggerete le forme che contengono il Nun,
ma non gliene darete di nuove … il che significa che avrete energia selvaggia,
non contenuta, che imperverserà nel mondo, travolgendo tutto e tutti senza
alcun controllo.”
“Cosa?!”
Galahad si stupì.
“Se
la vostra intenzione fosse solo fare entrare un po’ più di Nun
di quel che filtra normalmente, si creerebbero difficoltà, perché la magia
diverrebbe accessibile a più persone, ma almeno si manterrebbero le leggi
naturali che governano il mondo. Se con la scettro di Anitya,
invece, distruggete la Maat, annientate tali regole,
l’energia non avrà più contenitori. Se aveste lo scettro di Maya, potreste dare
nuove regole, ma visto che non lo avete …”
“Non
ascoltarlo!” gridò Lancillotto che, ucciso Amedeo, si era avvicinato di
soppiatto.
“La
Dama del Lago ha commesso un errore di valutazione.” replicò Yahuda “Nella sua megalomane follia ha dato origine a un
piano per riplasmare il mondo secondo il suo volere, senza assicurarsi tutti i
mezzi per riuscirci.”
“È
vero, padre? Era il riplasmare il mondo il vero obbiettivo?”
“Riplasmarlo,
vivificarlo … l’importante è salvarlo. Fare qualcosa di concreto, lo hai detto
anche tu!”
“Non
giocando a fare gli dei!” esclamò Galahad, finalmente
consapevole “Dobbiamo fermarla!”
“Figliolo,
ascoltami, noi stiamo rifondando il mondo, lo stiamo salvando! Non ascoltare un
vecchio timoroso del cambiamento, uno che ha sempre e solo avuto paura della
magia. Scommetto che quello scettro di Maya se l’è inventato solo per
confonderti le idee.”
“Melissa
gli crede.”
“È
stata ingannata anche lei. Se Morgana le avesse spiegato, sarebbe anche lei d’accordo:
non permettere alla Biblioteca di sfruttarti ancora.”
“Padre,
anch’io penso che le cose come stiano ora non siano buone, che serva cambiarle
e agire, ma il Lago sta osando troppo. Basta davvero un piccolo errore e tutto
il mondo, che vogliamo salvare, finirebbe distrutto. Io non voglio correre
questo rischio.”
"Galahad: non aver paura. La paura è per i deboli e tu non
lo sei."
"Lasciami
passare... Avrei dovuto capirlo che, come al solito, stavate eccedendo.
Continuo a fidarmi, perché ti voglio bene e vorrei che potessimo essere una
famiglia normale, ma devo accettare il fatto che sia impossibile."
"Non
è vero, figlio mio, possiamo esserlo! Abbiamo sempre potuto esserlo, solo che
non lo abbiamo fatto, siamo stati lontani. Adesso, però, abbiamo un'occasione
unica. Non c'è nulla che possa dividerci ancora."
"Tu
non mi hai voluto, sono nato per errore e con l'inganno."
"Il
suo inganno!" Lancillotto, iroso, additò Yahuda
"Lui inganna sempre, mente per i suoi scopi, lui ti ha voluto creare come
arma, io però ti ho accolto come figlio e ti voglio bene. Tu sei più simile a
me che a lui."
"Lo
so ... ma non posso permettere che la Dama del Lago porti a compimento questo
rituale. Perdonami, ma io devo fermarla, anche a costo di mettermi contro di
te."
"Posso
rispettare la tua scelta, anche se non la ritengo libera, ma non posso permetterti
di interrompere il rito."
Yahuda allora
intervenne, si accostò a Galahad e con molta calma
gli disse: "Se mi fai la cortesia di prestarmi la tua spada, lo trattengo
io."
Padre
e figlio lo guardarono basiti: non lo avevano mai visto combattere.
A
quegli sguardi Yahuda replicò: "Che c'è di
strano? Sono stato un Bibliotecario anch'io!"
Galahad gli cedette
l'arma e andò verso la Roccia. Lancillotto tentò di trattenerlo, ma Yahuda si frappose e lo costrinse a combattere con lui.
Galahad lanciò un'occhiata
a Melissa, preoccupato per lei: Morgana era in vantaggio, grazie allo scettro di
Anitya, ma la Maga resisteva.
L'uomo
si disse che doveva sbrigarsi, sebbene non sapesse a far cosa. Viviana era
ancora in trance e non si accorgeva di quanto accadeva attorno a lei.
Galahad ragionò
velocemente: Excalibur era una chiave per aprire e chiudere il passaggio,
quindi se fosse riuscito a chiudere il passaggio, probabilmente il rituale si
sarebbe interrotto. Come funzionava la serratura? Non ne aveva idea.
Nel
dubbio e dovendo fare qualcosa, afferrò l’elsa di Excalibur; sentì il Nun attraversarlo, era un’energia che lo faceva sentire
potente, pensò che avrebbe potuto fare qualsiasi cosa: far germogliare piante
con lo schiocco delle dita, far precipitare le stelle con un cenno del capo,
farsi obbedire dagli animali … dagli uomini … cambiare il corso degli eventi,
anche quelli passati, poiché tempo e spazio si mescolavano e sovrapponevano
dentro di lui e nell’infinito Nun.
Quante
cose avrebbe potuto compiere? Ora capiva perché Viviana era così attratta da
quel potere.
No!
Non
poteva lasciarsi tentare. Doveva chiudere quel varco.
Chiuditi,
chiuditi … CHIUDITI!!!
Il
portale obbedì. Galahad sentì il flusso del Nun interrompersi; non scomparve l’energia già presente nel
mondo, semplicemente smise di giungerne altra.
Appena
il varco fu chiuso, la spada si sfilò dalla Roccia da sola, mentre Melissa,
Morgana e Viviana caddero a terra, svenute.
“Lo
riaprirò, appena sarò sicuro che voi non potrete più abusarne. Il che
probabilmente sarà tra qualche ora.”
“No”
intervenne Yahuda “Non dovrà più essere riaperto.”
“Cosa?”
esclamarono padre e figlio all’unisono.
“Il
mondo si accontenterà della magia che già contiene. D’ora in avanti, non bisognerà
più attingere al Nun; chi vorrà praticare magia dovrà
riuscire a concentrare l’energia necessaria, prendendola da quella dispersa
nell’etere. La magia sarà una energia più o meno potente in base alla sua
intensità e alla capacità del praticante di concentrarla tramite un focus.”
“Non
parlare di magia, tu che non sei in grado di conoscerla realmente!” lo ammonì
Lancillotto, con disprezzo.
“Che
cos’è accaduto a Melissa e alle altre?” si preoccupò Galahad.
“L’uso
della magia le teneva sempre in contatto con il Nun e
hanno sentito troppo forte l’interruzione del flusso; non temere, si riprenderà
presto. Su, prendi Excalibur e i due scettri, il loro posto è nella Biblioteca.”
si voltò verso Lancillotto e aggiunse: “Se hai qualcosa in contrario, non hai
che da sfidarmi.”
Lancillotto
scosse il capo: sapeva che quello non era il momento adatto, che avrebbe dovuto
aspettare.
Galahad recuperò i due
scettri, la spada gli volteggiava accanto; li consegnò a Yahuda,
poi sollevò Melissa tra le proprie braccia e disse: “Andiamo, la Biblioteca ci
aspetta.”
Nota d’Autrice
Ciao a tutte e a tutti!
Scusate la lunga attesa, ma ovviamente
l’ispirazione viene quando devo studiare, non quando sono in vacanza -___-“ XD
Vi chiedo perdono.
Questo capitolo è stato l’ultimo.
Forse ci sarà in futuro una fan fiction
sequel, ma voglio aspettare di vedere alcune cose nella terza stagione.
Spero di non avervi annoiati e che
siate soddisfatti.