Xena:Warrior Queen

di BelleDameSansMerci
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Something old, something new ***
Capitolo 2: *** Wanderings ***



Capitolo 1
*** Something old, something new ***


Era una mattina di metà autunno e il sole sfiorava timidamente le coste del Pireo. Le onde lambivano placidamente il porto, trascinando in una danza leggera i sassi che rotolavano sospinti dall'acqua. Una galea ondeggiava pigramente in lontananza, lì vicino alla linea dell'orizzonte, oltre alla quale forse finiva il mondo. Gabrielle ricordava la sua prima volta a bordo di una nave. Riusciva ancora a sentire la nausea mescolata all'odore penetrante della pece che ricopriva il ponte dell'imbarcazione di Cecrops. Era stata una bella avventura, quella. Una bella avventura che le piaceva ancora ricordare ogni tanto, se aveva orecchie pronte ad ascoltarla parlare. Le piaceva ancora insegnare quel vecchio trucco per bloccare la nausea che le aveva mostrato Xena, afferrandole i polsi. Funzionava ancora, dopo tutto quel tempo. 
Erano passati così tanti anni. Così tanti che a Gabrielle pareva già di avere cent'anni, nonostante ci fossero ancora mattine in cui si svegliava tastando il lato vuoto del suo letto, per poi realizzare improvvisamente di non essere più una giovane donna. 
Erano passati quasi vent'anni dall'ultima grande avventura con la principessa guerriera. Aveva ancora gli stessi capelli color del grano maturo, solcati da qualche striscia canuta in più, che portava ancora corti come allora e la sua bellezza non sembrava essere sfiorita di un giorno; eppure aveva da tempo un luce più opaca negli occhi. 
Gabrielle guardò il sole sorgere sul porto, proprio come faceva ogni mattina: dopo una vita di avventure ed imprevisti, non aveva mai perso l'abitudine di svegliarsi di buon'ora. Sorrise leggermente aggrappandosi al ricordo dell'abbraccio energico di Xena dopo il suo salto rocambolesco sulla nave di Cecrops per non abbandonarla al suo destino. Le era ancora facile ricordare il suono penetrante del suo urlo di battaglia, tante volte l'aveva sentito. Che esibizionista che eri...Pensò ridacchiando. 

"Maestra..." Gabrielle si girò di scatto, si sentiva come colta in flagrante, quasi fosse possibile che qualcuno potesse spiarle i pensieri.
"Lyria, vedo che mi hai seguita fino a qui" disse con l'espressione dura e al tempo stesso affabile che da ormai molto tempo era diventata la sua autorevole maschera ufficiale. 
"Si tratta di una sciocchezza a dire il vero...le pergamene...ci hai dato l'ordine di classificarle, ma non hai indicato quale criterio preferissi che adottassimo, quindi ho pensato di chiedertelo...ti ho cercata, ma quando ti ho vista eri già salita sulla collina...". 
Lyria era bella, intelligente ed era esperta nell'arte della copiatura delle pergamene: una capacità rara e preziosa che richiedeva grande precisione e dedizione, due qualità che le erano innate. 
"È vero...non ho lasciato alcuna indicazione..." Disse Gabrielle fermandosi a metà frase con lo sguardo perso sull'orizzonte. Cosa le stava succedendo? Da qualche settimana era scostante, inquieta. La notte faceva degli incubi orribili e di giorno non faceva che sprofondare nei ricordi di quella che le sembrava ormai un'altra vita.

Lyria si era accorta che qualcosa turbava la sua Maestra. Non parlavano molto dei fantasmi del loro passato, ma lei era un'ottima osservatrice e sapeva quando era il momento di concedere della solitudine a chi la necessitava. "Ne potremo parlare più tardi, non preoccuparti" poi le si avvicinò e le cinse le spalle, stringendola forte a se senza aggiungere nient'altro. Gabrielle rispose con un sorriso e con un bacio sulla sua fronte che faceva un po' fatica a raggiungere, tanto era alta. Così alta... proprio come lo eri tu, le capitò di pensare per un secondo.
Gli occhi grigi di Lyria la guardavano intensamente tra i ricci castani che le incorniciavano il viso, mentre con le braccia la teneva ben salda, quasi avesse paura che avrebbe potuto cadere da un momento all'altro. Gabrielle aveva imparato ad amare quegli occhi scuri e profondi, quel viso coperto da lentiggini di circa dieci dieci anni più giovane del suo. Quando la abbracciava si sentiva in pace, amata. Però non si sentiva a casa, quello no e lo sapeva. Erano anni ormai che si sentiva come un senzatetto in cerca di rifugio per la notte. Lo sapeva e non voleva ammetterlo a se stessa. La notte preferiva ancora dormire da sola, eppure Lyria non aveva mai avuto niente da ridire ed era proprio questo che amava di più in lei: condividevano lunghi momenti di silenzio, riuscivano a comunicare e a capirsi senza bisogno di usare parole, pur rimanendo un tacito sostegno l'una per l'altra quando i loro pensieri volavano lontani, in un'altra epoca.
Io: taciturna e silenziosa. L'avresti mai creduto possibile, Xena? Pensò inspirando l'odore dei capelli di Lyria. 
Quando sciolsero il lungo abbraccio, il sole era ormai già alto nel cielo, quindi le due donne si presero per mano e scesero la collina, dandosi una mano l'un l'altra per non inciampare. 

L'agora di Atene era in fermento, sembrava che tutti, tra filosofi, commercianti e guerrieri stessero parlando della stessa cosa sciamando come api attorno alla nuova notizia invitante come polline succoso. 
"Hai sentito?" 
"Si, si, ho sentito" 
"Ma credi sia possibile?" 
"Beh io ho sentito dire che c'è chi l'ha già vista" 
"Di cosa parlate voi due signore?" Chiese un guerriero con la pelle cotta dal sole e l'elmo calato sulla fronte. 
"Abbiamo sentito dire che è tornata..." Disse la più giovane in un filo di voce 
"Chi è tornata? Basta con questi giochetti!" Disse il guerriero con fare fintamente minaccioso, sapeva che gli bastava poco per incutere timore. 
"Si dice che sia tornata la...la principessa guerriera!" 
Il guerriero, Michaliss, guardò le due donne con fare accigliato e disse di getto: "la principessa guerriera non è andata proprio da nessuna parte, è lì dove è sempre stata e come ogni pomeriggio verrà a declamarci una poesia o un racconto scritti di suo pugno, come ha sempre fatto e come sempre farà." Il guerriero aveva una fede incrollabile nella figura della principessa guerriera, del bardo battagliero, della Maestra. Da bambino, quando rubava al mercato per sopravvivere, aveva per la prima volta ascoltato quello che gli parve un angelo declamare le avventure che lo avevano ispirato a imbracciare le armi per diventare protettore della città e, chissà, forse persino membro della sua guardia personale, un giorno. 
"Siete degli sciocchi, tutti e tre" disse sogghignando un uomo che non doveva avere più di quarant'anni, ma che a giudicare dalla barba e i capelli grigi era sfiorito molto in fretta. "Tu" disse rivolgendosi alla guardia "almeno lo sai chi è la principessa guerriera? Da dove ha preso il suo titolo?" 
Michaliss gonfiò il petto "certo che so chi è: lei è poetessa, filosofa, ma anche guerriera e si è guadagnata la propria fama per aver ricordato al popolo cosa fosse la giustizia e quale fosse il modo per riconquistarsela. I bardi più giovani ancora riportano il discorso che fece quasi quattro lustri or sono sull'Aeropago, che recita - amici, compagni, fratelli e sorelle, figli miei. Imbracciate le armi quando la notte si fa più oscura e ricordate che..." 
"...che l'oscurità alberga nel vostro cuore, non altrove. Combattete per lasciar entrare la luce dov'era scesa l'ombra; combattete fieramente e perseguite la giustizia e nessuno di voi sarà perduto, fintanto che la scintilla che arde nei vostri cuori non sarà spenta."
L'uomo aveva interrotto Michaliss per completare un discorso che conosceva anche lui a memoria, quindi aggiunse con un'espressione indulgente: "Davvero un bel discorso, si. Solo Gabrielle avrebbe potuto partorire un discorso in grado di accendere gli animi di giovanotti come te e di meno giovani come me. Si anche io la ammiro molto" disse rispondendo allo sguardo interrogativo del giovane guerriero.
"Però ti manca qualcosa. Dite, voi tre, chi sa dirmi qualcosa di Xena?" Chiese quindi guardando a turno negli occhi le due donne e il giovane. "Era una conquistatrice, una sanguinaria..." rispose la più giovane con sguardo spaventato riportando le parole del nonno, che sosteneva di aver visto la leggendaria Xena staccare le braccia e le teste dei propri avversari a mani nude. "Era la maestra della nostra guida, colei che la ispirò a combattere per la giustizia!" Ribatté Mihaliss.

"Beh, io ho sentito delle storie niente male sulla loro amicizia – speciale –, tutti sanno delle preferenze della tua 'Maestra', ragazzo. Però ora che importa, lo sanno tutti che quella Xena è crepata molti anni fa in una terra lontanissima da qui, di cui non ricordo il nome." Disse la più vecchia con sguardo cinico e annoiato. 
"Noto che Gabrielle ha preferito fare divulgazione sul proprio passato a modo suo, comunque sappiate che c'è della verità nelle affermazioni di ciascuno di voi tre" dissi quindi l'individuo carezzandosi la barba incolta che gli cresceva sul mento. "Trovo comunque molto interessante che certe voci siano giunte fino a qui, noto che i pettegolezzi corrono più velocemente della peste"
"Per gli dei, ma tu chi sei? Parli della nostra Maestra come se la conoscessi perfettamente e non ti si è mai visto prima d'ora e io ho un'ottima memoria per le facce" disse infastidito Mihaliss indicando il pastrano logoro che indossava quell'uomo misterioso.
"Ragazzo, non invocare gli dei, dovresti saperlo che l'Olimpo è ormai vuoto da molto tempo!" Disse con una risata canzonatoria. "Ti basti sapere che conoscevo bene Gabrielle e ancor meglio di me la conosceva mio padre, che l'ha amata sopra ogni cosa. Arrivederci." Virgil si girò senza salutare e si avviò a passo sicuro tra le vie gremite di persone. 

La biblioteca era quasi totalmente illuminata e il sole filtrava tra i fregi dipinti con i colori luminosi che era stata Gabrielle stessa a scegliere. Rosso, pervinca, blu egiziano; aveva voluto circondarsi di colore una volta riuscita a riportare allo splendore quella piccola biblioteca al limitare dell'Agora di Atene. Si trattava di un edificio di modeste dimensioni, eppure già da anni era il centro della cultura del suo tempo, il fiore all'occhiello dell'Attica. Ogni giorno venivano a chiedere udienza filosofi e signori della guerra per parlare con colei che più di ogni altro era stata in grado di mostrare la via verso il perseguimento della verità e della giustizia e innumerevoli erano i giovani che desideravano sottoporre al giudizio del bardo le loro opere. 
Quando Virgil entrò nella biblioteca però c'era un silenzio quasi assoluto, c'era solo una donna di spalle che sistemava silenziosamente i rotoli di alcune pergamene su degli scaffali.
"Chiedo venia" disse con tono sicuro. Lyria si girò, lo guardò dritto negli occhi e per un secondo Virgil credette di poter essere inghiottito da quello sguardo profondo come l'oceano di notte. "Parli pure la ascolto, ma se cerca udienza presso la Maestra le consiglio di attendere un altro momento, tra non molto si recherà all'agora per la sua lettura quotidiana e tornerà solo prima del tramonto". 
Virgil ammirò lo straordinario ed elegante contegno di quella donna, che si parava davanti a lui con una posa fiera che incuteva un certo timore, nel suo essere misteriosa. Quasi non se la sentiva di prendere nuovamente parola. 
"Temo di doverla vedere immediatamente, ho una notizia davvero molto importante da darle" disse quindi dopo aver schiarito la voce. 
"Di cosa si tratta" chiese seccamente Lyria. 
"Di qualcosa che devo dirle direttamente, faccia a faccia, non posso rimandan..."
"Virgil..." disse quindi una voce nota alle sue spalle. Virgil si girò di scatto e vide Gabrielle in piedi davanti a lui, che indossava una semplice toga verde. Sono finiti i giorni delle armature e dei bracciali in cuoio, pensò di sfuggita sorridendo tra se.  Allargò le braccia e le corse incontro, lei lo abbracciò con trasporto, ridendo  per la gioia e la sorpresa. 
"Sei ancora bellissima!" Disse Virgil staccandosi dall'abbraccio . "Ahaha non posso dire altrettanto di te, sembra che inseguire Eve nelle sue predicazioni in giro per il mondo ti abbia sciupato un pochino! Sarà almeno un lustro che non vedo la tua brutta faccia!".
"Sono sette anni per la precisione, l'ultima volta che ci siamo visti ti ho donato quella poesia che avevo scritto per il tuo genetliaco, ricordi?"
Per un momento scese un'ombra sugli occhi di Gabrielle ricordo ancor meglio un'altra poesia, ricevuta sempre per un mio genetliaco, "certo che mi ricordo e la rileggo sempre con piacere, ti ho sempre detto che hai una dote naturale per i versi e attendo ancora di leggere la tua 'grande opera', come ti piace chiamarla". Lyria guardò Gabrielle ridere così tanto, come forse mai le aveva visto fare prima di quel momento e sentì al tempo stesso un moto di felicità e di invidia. Decise di dileguarsi, ma Gabrielle la fermò afferrandola per la mano. 
"Virgil, lascia che ti presenti Lyria: la mia protetta, una poetessa straordinaria e soprattutto la mia compagna" disse stringendosi al suo braccio.
Non posso crederci, sempre le migliori deve prendersi, non poté fare a meno di pensare Virgil.    
Lyria non aggiunse nulla, lo fissò semplicemente negli occhi con uno sguardo raggelante. 
"Che maleducato, in effetti non mi ero presentato: mi chiamo Virgil, aedo e soprattutto figlio di Joxer il magnifico, ne avrai indubbiamente sentito parlare!" Disse ridacchiando, ma suo malgrado non riuscì a scatenare l'ilarità della sua nuova conoscenza, che accolse freddamente la sua ostentata allegria. "Sono felice di fare la tua conoscenza" decise quindi di aggiungere col più affabile dei suoi sorrisi. 
Gabrielle interruppe la silenziosa schermaglia: "Ora dimmi però, non tenermi sulle spine, ho sentito che dicevi a Lyria che avevi qualcosa di importante da dirmi, ebbene?"
"Ebbene..." Ebbene, come posso dirglielo? Come glielo dico davanti alla sua bella - anzi, bellissima - compagna?

"Dunque Gabrielle, davvero non so come dirtelo... Eve..."
"Eve? Cosa le è successo?" Sussurrò stringendo il braccio di Lyria con un filo di voce. Non Eve, è troppo giovane ancora, non può essersene andata prima di me, è sua figlia, pensò colta da una stretta di panico. 
"Ma cosa?!" Gabrielle cominciava a spazientirsi e Virgil sapeva che non era mai un bene. 
"... Ma mi ha mandato qui ad Atene per dirti che ha visto sua madre. Xena è viva, Gabrielle." 



Disclaimer:  Cari lettori, sono lieta di fare la vostra conoscenza e ne approfitto per dare alcune informazioni di servizio. Ho deciso di scrivere questa fan fiction ispirata dalle voci di corridoio della NBC secondo le quali si starebbe pensando ad un reboot per far resuscitare (letteralmente, immagino) Xena e i suoi amici direttamente dai favolosi anni '90 che, inutile dirlo, mancano a tutti noi (anche a quelli di voi nati nel 2000, non fa differenza perché gli anni '90 mancano a prescindere). 

Mi è venuto spontaneo pensare che un qualunque reboot che non prevedesse la partecipazione degli interpreti originali potrebbe provocare una generale esplosione di inevitabili ulcere pancreatiche e per questo motivo ho deciso di scrivere la mia personale versione di una nuova storia su Xena ambientata circa vent'anni dopo, perché diciamocelo: Lucy e Renée continuano ad essere favolose. Noterete che ho mantenuto i nomi originali, anche se alcuni epiteti ho preferito tradurli perché inserire all'interno di un paragrafo in lingua italiana definizioni come "te battling bard" o "joxer the mighty" mi sembrava un poco ridondante.  Spero che vi divertirete a rincontrare vecchi amici e a fare conoscenza con nuovi personaggi, sono molto curiosa delle vostre opinioni. Vi auguro un'eccellente giornata da principesse/principi guerriere/i.

Ah, nessun personaggio originale dello Xenaverse è stato seviziato durante la stesura di questo capitolo.  

Αλεξάνδρα

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Capitolo 2
*** Wanderings ***


«Moooomoooookooooo!!!! Vieni qui immediatamente, subito!!» La signora Yamada era molto, molto arrabbiata, Momoko sapeva di averla fatta grossa, questa volta.

«Come ti sei permessa?! La nostra ospite sarà furiosa!» Urlò con gli occhi porcini fuori dalle orbite. Momoko la detestava, con tutte le sue forze. Lavorava nella sua locanda da quando era poco più che una bambina e sapeva che, anche se era una vecchia zitella senza eredi, la signora Yamada avrebbe preferito impiccarsi piuttosto che lasciarle in eredità quella sudicia bettola. Poco male, pensò.

«Mi dispiace Yamada-San, volevo solo mettere in ordine le sue cose...» Cercò quindi di giustificarsi. 

«Mettere in ordine le sue cose?! Ho trovato la sua spada nascosta dentro al tuo tatami arrotolato, cosa credevi di fare? Di giocare al guerriero?»

«Io non volevo fare nulla di male e poi la nostra ospite è partita già da una settimana, non sappiamo nemmeno se farà ritorno!»

«Oh si che tornerà e spero per allora di vederla farti lo scalpo a mani nude, piccola ladra insolente che non sei altro!» Gridò quindi brandendo la scopa con fare minaccioso. Era una donna corpulenta e complessivamente ingombrante, nonostante la statura piuttosto ridotta. Tutti sapevano che non andava contraddetta e Momoko per prima: come prova della sua celebre irascibilità aveva diversi lividi causati proprio da quella stessa scopa, uno strumento tutt'altro che innocuo tra le mani della donna. 

«Rimetterò immediatamente la spada al suo posto!» Disse quindi scomparendo dietro l'uscio della cucina scappando come un gatto alla vista di un cane rabbioso. 

Momoko salì nella soffitta dove dormiva la servitù – ossia lei sola e un vecchio cane pulcioso – e srotolò il suo tatami. Le piaceva quella spada che aveva rubato alla loro ospite perché era diversa da tutte quelle che aveva visto prima di allora: non era lunga e affusolata come una katana, ma era pesante, intarsiata. 

Sapeva di aver corso un grande rischio ad averla sottratta dalla stanza della loro ospite: in effetti solo una persona piuttosto pericolosa poteva possedere un'arma del genere; pur vero è che non l'aveva mai vista maneggiarla e nonostante quella donna misteriosa alloggiasse presso la loro locanda già da qualche settimana, non l'aveva mai vista indossare nient'altro che la stessa logora tunica grigio topo. Forse l'ha rubata, forse non è davvero sua , pensò; però, anche se non sapeva bene perché, sapeva di sbagliarsi. 

Fu proprio mentre faceva quei pensieri che sentì un rumore di zoccoli sul sentiero davanti alla locanda: non poteva che essere una sola persona. Momoko si precipitò giù per le scale e corse nella stanza degli ospiti per rimettere ciò che aveva sottratto nella sua postazione originaria, quindi saettòverso le stalle, per aiutare a dissellare il cavallo. 

La straniera salutò cortesemente la signora Yamada e si recò sul retro, tenendo la giumenta pezzata per le redini. Momoko non aveva mai osato guardarla direttamente negli occhi: la signora Yamada le aveva insegnato a comunicare con gli ospiti solo per lo stretto necessario e sapeva che era molto maleducato per una serva guardare un cliente direttamente in volto, quindi come sempre chinò la testa e disse semplicemente: «Bentornata, Xena-san». 

«Ti ringrazio, Momoko-chan» rispose la donna con un sorriso che la ragazzina non aveva potuto vedere. Le piaceva quella ragazzina. Era sottile come un giunco e aveva due occhi neri giganteschi, come quelli di un felino curioso. Sapeva che non era solamente ciò che sembrava ad uno sguardo disattento, mi ricorda come eri tu quando eri solo una ragazzina, proprio come lei, pensò. 

«Mi aiuteresti a dissellare la mia cavalla, per piacere?» Aggiunse quindi abbassandosi per incontrare gli occhi di Momoko, che annuì immediatamente, reprimendo a stento un sorriso. 

Le mansioni di Momoko erano solitamente così ripetitive e identiche che aveva già da diversi anni imparato a rigovernare la locanda e servire i clienti quasi senza accorgersene: riusciva a svolgere gran parte delle faccende in automatica e proprio per questo aveva un sacco di tempo per pensare e fantasticare. La cosa che preferiva sopra ogni altra era spiare gli ospiti cercando di impossessarsi di piccoli pezzi delle loro vite, occasionalmente sgraffignando qualche loro piccolo oggetto. Le piaceva provare a immaginare come fossero le loro esistenze, cosa li avesse portati lì in quella piccola locanda fuori Okinawa e dove se ne sarebbero andati una volta partiti. 

Le sarebbe piaciuto andarsene, essere “di passaggio” e non immobile, per una volta. 

La prima volta che Momoko vide quella straniera dagli occhi del colore del cielo, stava servendo la zuppa a due avventori abituali e fuori pioveva terribilmente. Se lo ricordava bene: all'improvviso una figura molto alta e incappucciata apparve sulla soglia e fu in quel momento che vide in volto quella strana donna; «Buonasera, cerco alloggio per me e il mio cavallo» disse semplicemente con un giapponese tutt'altro che stentato, per una straniera come lei. Era entrata sola, nessuno l'aveva accompagnata. Fu la prima volta che Momoko pensò alla folle idea che anche le donne potessero avventurarsi nel mondo da sole.

Momoko si rese presto conto che Xena – questo era il nome con il quale le si era presentata la prima volta che la aiutò a dissellare la giumenta – non era una donna come tutte le altre, perché lei viaggiava da sola e non parlava mai con nessuno e nessuno osava rivolgerle la parola. Stranamente però era stata sempre molto gentile con lei e ora che ci pensava lei era forse l'unica persona in quella locanda alla quale avesse detto il proprio nome. 

 

«Xena-San, dov'è stata durante la sua assenza?» Per una frazione di secondo Momoko sperò di non aver davvero pronunciato quella frase, ma era ovviamente troppo tardi. Xena osservò la ragazzina mortificata per aver avuto l'ardire di farle una domanda. Ti faccio così paura? Pensò tra se. 

«Mi dispiace Momoko-chan, ma non posso dirtelo. Spero però che continuerai ad aiutarmi come sempre: Athena qui ha bisogno di cure, né io né lei siamo più nel fiore degli anni e dobbiamo entrambe riposare e prepararci per metterci in viaggio.» Disse con il tono più gentile del suo repertorio carezzando contemporaneamente il dorso dell'animale. 

«Partirà per sempre, Xena-San? Non farà mai più ritorno?» Si lasciò sfuggire la ragazzina, rabbrividendo alla sola idea. Non può lasciarmi qui a marcire.

«Non oggi Momoko-chan» fu l'unica risposta che ricevette. 

 

Quella notte Momoko non riuscì a prendere sonno. 

Dov'è stata Xena durante la sua assenza? Dove andrà? Porterà con se la spada? Ma non aveva una risposta a nessuno degli interrogativi che le assillavano la mente. 

 

Non posso lasciare che se ne vada così, poi lo so: tutto tornerà ad essere incredibilmente noioso. Cosa avrebbe potuto fare d'altronde? Non poteva certo impedirle di partire... però forse un'alternativa c'era. Se lo sentiva, era il suo destino: la straniera piena di segreti non sarebbe andata da nessuna parte senza di lei.

 

 

Eve era costernata. Faceva quasi fatica a starsene seduta composta, aveva un fortissimo impulso di abbandonarsi ad uno di quegli attacchi d'ira che sembravano appartenere ad un'altra vita. Faceva caldo e il sari giallo le si era appiccicato contro la pelle sudata.

«Ravi... Temo di non aver compreso. In quale possibile... modo... puoi aver visto mia madre?»

«E' come le ho detto mia Signora: ero a pochi chilometri da Okinawa per incontrare il nostro fratello Takeo, come mi ha chiesto, e ho visto sua madre con alcuni contadini trasportare degli utensili da lavoro... Non so spiegarmelo, ma ne sono certo.» Rispose Ravi deglutendo, questa volta parlando piùlentamente. La donna di fronte a lui era stata la ragione della sua salvezza, grazie ai suoi insegnanti aveva saputo ridare un significato alla sua vita, eppure non aveva mai smesso di temerla. 

Eve faticava a mantenere la calma. 

«Ravi, mia madre è morta molti anni fa. Lo sai bene. Potresti esserti confuso, alcune di quelle donne sono molto simili a quelle della mia terra natia, alcune hanno persino hanno occhi chiari»

Proprio mentre pronunciava quelle parole però, sapeva che Ravi le aveva detto la verità. Sento che è così..ma come può essere? In tutti questi anni, madre, non ho mai avvertito la tua presenza in questo mondo. Dove sei?

«Mia signora, purtroppo sono l'unico dei nostri compagni ad aver mai visto con i propri occhi vostra madre, quindi non potete che fidarvi della mia parola, ma ascoltatemi: sono certo di quello che dico.»

«Non so come sia possibile, fratello, ma sento che dici il vero. Ma allora spiegami questo: perché non le hai parlato? Perché non l'hai portata qui?» chiese quindi aggrottando la fronte. Quando era turbata, era impossibile non notare la somiglianza con colei che fu la Principessa Guerriera.

«Il fatto, mia signora, è che è successa una cosa molto strana... ho visto vostra madre sulla sommità della collina insieme a quei contadini, quindi ho corso dai nostri fratelli per dirgli di attendermi di modo che potessi inseguirla, ma quando mi sono girato di nuovo... beh...»

«Ebbene?»

«Era sparita, come un'ombra.»

 

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