Based on Pretty Little Liars: BLACK HOOD I di SamuelRoth93 (/viewuser.php?uid=244355)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Scheda personaggi ***
Capitolo 2: *** 1x01-I mostri nascono a Rosewood (Parte I) ***
Capitolo 3: *** 1x02-I mostri muoiono a Rosewood (Parte II) ***
Capitolo 4: *** 1x03-Chi c'è nella bara? ***
Capitolo 5: *** 1x05-Obbligo o verità ***
Capitolo 6: *** 1x04-Un brivido lungo la schiena ***
Capitolo 7: *** 1x06-Topi in trappola ***
Capitolo 8: *** 1x07-Le regole del gioco ***
Capitolo 9: *** 1x08-Una serie di sfortunati eventi ***
Capitolo 10: *** 1x09-Punto di rottura (Parte I) ***
Capitolo 11: *** 1x10-La sera del ballo (Parte II) ***
Capitolo 12: *** 1x11-Il mistero degli Stuart ***
Capitolo 13: *** 1x13-Assassini in libertà ***
Capitolo 14: *** 1x12-La mossa del diavolo ***
Capitolo 15: *** 1x14-La quiete prima della tempesta (Parte I) ***
Capitolo 16: *** 1x15-Il lungo sonno (Parte II) ***
Capitolo 17: *** 1x16-L'ultimo dipinto di Edward Blanc ***
Capitolo 18: *** 1x17-Il lato oscuro di Rosewood (Parte I) ***
Capitolo 19: *** 1x18-99 problemi ***
Capitolo 1 *** Scheda personaggi ***
ANTHONY DIMITRI
ALBERT PASCALI
RIDER STUART
NATHANIEL
“NAT” BLAKE
ERIC LONGO
SAM DAVIS HAVERY
CHLOE FIZPATRICK
LINDSAY ELISABETH STUART
TYLER BLAKE
COURTNEY JACOBSON
VIOLET RHIMES
LISA NELSON/TRECCIOLINE
MORGAN PATTERSON/RINOCERONTE
MARINO
COLTON RHIMES/ALBUME
PROF.
SEBASTIAN
PALMER/INSEGNANTE DI LETTERATURA
PROF. JULIAN
BRAKNER/INSEGNANTE DI MATEMATICA
ALEXANDRA
“ALEXIS” YOUNG
CLARKE DIMITRI/FRATELLO DI
ANTHONY
JASPER LAUGHLIN
KEVIN DIMITRI/PADRE DI ANTHONY
AMANDA DIMITRI/MADRE DI ANTHONY
CARTER HAVERY/PADRE DI SAM
RICHARD STUART/PADRE DI RIDER
ELLEN STUART/MADRE DI RIDER
JENNIFER LONGO/MADRE DI ERIC
CLAIRE BLAKE/MADRE DI NATHANIEL
GEORGE BLAKE/PADRE DI NATHANIEL
DENNA
MARX/PROFESSORESSA DIPARTIMENTO INGEGNERIA ELETTRONICA
BRIANNA
SANTONI/STUDENTESSA ROSEWOOD HIGH SCHOOL
JAMIE PAXTON/ASSISTENTE MANAGER RISTORANTE DEI BLAKE
PETE DOWLING
CAMERON ASHCROFT/STUDENTE ROSEWOOD HIGH SCHOOL
JULIE ORLANDO/SORELLASTRA DI DENNA MARX
WESAM GRIMES/PSICOLOGO
NORA YOUNG/MADRE DI ALEXIS
PRESTAVOLTO
DEI PERSONAGGI
Todd
Regan/Titolare del Brew: Craig
Horner.
Daniel
Longo/Padre di Eric: Scott
Patterson.
Tasha Danvers/Cugina
di Rider: Taylor
Swift.
Quentin Weller: Rami Malek.
Edward Blanc: Simon Baker.
Detective Michael
Costa: Rick
Cosnett.
Dashan Raymond: Keiynan Lonsdale.
Norman Anholt: Lorenzo James Henrie.
Ector Sherman: Giacomo
Gianniotti.
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Capitolo 2 *** 1x01-I mostri nascono a Rosewood (Parte I) ***
CAPITOLO UNO
“Pilot
(Part I)”
Cosa
c’è in loro da renderci tanto diversi?
Perché sono
seduto qui in mensa, da solo, a guardarli prendere il vassoio del
pranzo,
quando potrebbero essere loro, qui, al posto mio, a parlare di me?
Certo, loro
sono affascinanti, intelligenti, atletici, dal sorriso ingannevole e
dalle
parole persuasive; Insomma, piacciono a tutti i tipi così:
Insieme, formano il
gruppo perfetto. Nessuno osa mettersi contro di loro. Sono rispettati
senza
dover fare praticamente nulla e senza pretenderlo. Cosa ho sbagliato?
Esclusi
alcuni miei difetti fisici e pessime scelte di moda, non ho sbagliato
niente; Eppure
sono qui: emarginato e preso continuamente in giro.
Anthony
Dimitri, invece, nonostante giri per la scuola
con quell’aria arrogante e prepotente, è comunque
amato e, questo, perchè ha la
perfezione dalla sua parte: l’altezza, i suoi capelli neri,
così dark, e quel
fisico snello ma piazzato allo stesso tempo. Perfetto. Quello che non
sa, però,
è che la perfezione può essere smascherata e
quando vedi le persone per come
sono davvero sotto quel velo di apparenza costruita ad arte, ecco che
diventano
esattamente come te. Non c’è più
differenza, diventiamo esattamente uguali e, magari…potrei
risultare anche migliore!
Il
gruppo di ragazzi più popolari della scuola di
Rosewood era appena entrato in mensa e, con il vassoio del pranzo tra
le mani,
si stavano dirigendo ad uno dei tavoli.
Non
erano i tipi da tavolo fisso, si sedevano ovunque
volessero. Anthony, però, il leader della sua cricca, decise
che il tavolo al
quale sedersi quel Martedì per pranzare, doveva essere
quello occupato da
Albert Pascali.
Insieme,
si avvicinarono, tenendosi dietro ad Anthony.
Dietro alla sua ombra.
“Stai
occupando il tavolo
in cui vogliamo sederci per pranzare. Ti
dispiace…lasciarlo!” infierì Anthony,
arrogante e con il solito sorriso beffardo, di chi amava deridere il
prossimo,
cercando subito lo sguardo complice dei suoi compagni per farlo sentire
ancora
più a disagio.
“Ci
sono molti altri tavoli
liberi!” replicò Albert, inaspettatamente. Quel
sottile tono di ribellione,
sembrò rimbombare in tutta la sala, attirando
l’attenzione di tutti.
Anthony,
accorgendosi di
avere tutta la scuola a guardarlo, fece il giro del tavolo,
posizionandosi accanto
al ragazzo, minaccioso: “Te lo dico per l’ultima
volta, - squadrò i suoi
abiti da cima a fondo – Maglione
della Nonna …TOGLITI-DAL-NOSTRO-POSTO!”
L’altro
sorrise, quasi a
provocarlo: “Ho detto NO! E mi chiamo Albert, non Maglione della Nonna, ok? Posso anche non
aver mai reagito alle tue
prepotenze, gli anni scorsi, ma quest’anno non mi
lascerò trattare come una
pezza da piedi da uno come te!”
Anthony si
guardò attorno,
notando qualcuno che annuiva e storceva il naso, come a dare ragione al
suo
avversario. Quella, allora, fu la molla che gli fece perdere la
pazienza.
L’intera mensa sobbalzò, nel momento in cui prese
Albert per la camicia e lo
sollevò dalla sedia: “E come sarei io, eh?
– poi gli sussurrò qualcosa ad un
centimetro dal suo naso – Qui nessuno è dalla tua
parte, nessuno si alzerà per
difenderti, capito? Le persone che vedi sedute qui intorno, hanno avuto
la
fortuna di non essere dei totali sfigati come te…E quando
non sei uno degli
sfigati della scuola, ti piace guardare lo spettacolo!”
Uno dei quattro
amici di
Anthony, Sam Havery, nell’indifferenza circostante, fece
sentire la sua voce,
intimando all’amico di fermarsi: “Dai, lascialo
perdere. E’ solo un tavolo!”
Naturalmente,
non venne
ascoltato.
Uno dei
professori, appena
entrato in sala mensa, non potè non notare la scena. Corse
immediatamente a
separare i due o, perlomeno, salvare il povero disagiato.
“Dico,
siamo impazziti?
Fare questo tipo di scenate QUI, nella mensa della scuola, con tutti
che vi
guardano? – mentre parlava, spostava lo sguardo verso
entrambi i ragazzi, poi,
solo verso il vero bullo della situazione – sarò
costretto a convocare i suoi
genitori, Dimitri!”
Quello,
immediatamente,
impallidì, cercando di non darlo troppo a vedere:
“Non credo ci sia bisogno di
chiamare nessuno. Non ne vale la pena. E, ora, se non le dispiace, io e
i miei
amici vorremmo pranzare. – si mossè - Ci spostiamo
ad un altro tavolo!
Il professor
Palmer, però,
non lo lasciò andare via senza un’ultima
raccomandazione: “Non voglio più
assistere a scene ti questo tipo, intesi? – quello si
andò a sedere, seguito
dai suoi compagni, senza nemmeno voltarsi - Vedete di non mancare alla
mia
lezione, alla quinta ora!” e se ne andò, subito
dopo essersi accertato che
anche Albert si era calmato, risedendosi.
E poi, come in
ogni liceo
Americano che si rispetti, tornarono tutti a farsi gli affari propri,
chiacchierando e mangiando, come se nulla fosse successo; come se il
bullismo
scolastico fosse di routine.
Nonostante
fossero seduti
lontano, però, Anthony ed Albert si scambiarono un ultimo
sguardo fulmineo.
“Non
pensavo che Albert
Pascali si sarebbe mai ribellato!” commentò Rider
Stuart, ora che erano
finalmente seduti a pranzare. Un tipo intellettuale, di piccola
statura, gli
occhiali neri sulla punta del naso, il capello riccio e castano. Un
libro sempre
con sé, aperto su una mano, mentre con l’altra
usava la forchetta per
imboccarsi.
“Beh,
ha avuto quello che
si meritava: essere umiliato!” esclamò Anthony,
ancora livido di rabbia in
viso.
“Avete
visto il maglione
che indossa oggi? Cos’è, hanno aperto un mercatino
con i vestiti smessi di Rory
Gilmore dal set della prima stagione?” prese parola anche
Eric Longo, il tipico
ragazzo egocentrico che pensa solo al suo aspetto. Nel parlare, non
perse occassione
per aggiustarsi i suoi ciuffi biondi sulla prima superficie riflettente
che
incontrava con lo sguardo. Come quella del vassoio, in questo caso. Il
filo di
barba in viso lo rendeva ancora più attraente. Si sentiva, attraente.
Sam, invece,
meno cinico
rispetto ai compagni, snello e fragile, moro e di media altezza,
sembrò trovare
assurdi i loro discorsi: “Voleva solo pranzare in pace a quel
tavolo, non c’era
bisogno di umiliarlo!”
L’ultimo
di loro, Nathaniel
Blake, un tipo da felpe e tutte sportive, moro anche lui e fisico
atletico, condivise:
“Sono d’accordo, se ne stava per conto suo. Potevi
evitare, Anthony!”
Quello,
irritato, lanciò
un’occhiataccia a tutti e due: “Non ho chiesto la
vostra opinione! – guardò
male anche gli altri due, che gongolavano per non essere stati sgridati
– E
nemmeno della vostra. Dovete solamente ascoltarmi!”
Poco dopo,
lontano, una
ragazza bionda e con i capelli corti, si affacciò alla
mensa, facendo cenno con
le mani ad uno di quelli seduti al tavolo di Anthony.
Quest’ultimo, fu l’unico
a notarla.
“Ma
guardate, c’è Chloe
Friendzoned! Corri, Sammy, corri!”
commentò ironicamente, strappando un sorriso ai presenti.
Sam mise in
bocca l’ultimo
boccone, velocemente. Sempre di corsa, si alzò con il suo
zaino, facendo cenno
alla ragazza che stava arrivando, poi si girò verso Anthony,
seccato dal suo
comportamento: “Devi dare un soprannome proprio a
tutti?”
“I
soprannomi servono a
darti una personalità. Senza, le persone sono noiose e
anonime!” rispose
quello, cinico. Sam se ne andò, non replicando, raggiungendo
l’amica.
Non appena
uscito dalla
mensa, Anthony parlò di lui con gli altri:
“Credete che Sammy sia gay?”
Perplesso, Eric,
distolse
lo sguardo dal touchscreen del suo telefono spento, dentro il quale si
stava
specchiando: “Non lo so, non ci ho mai fatto caso. Di solito
non guardo come si
comportano gli altri!”
“Due
anni fa ebbe una
relazione con quella certa Miranda…”
ricordò Rider, sollevandosi gli occhiali
scivolati lungo il naso, ancora una volta.
“…Ed
è uscito con quella
Jane, ricordate? Ha parlato per ore di quell’appuntamento con
me e Nathaniel.
Vero?” raccontò Eric per poi chiamare
l’amico in causa.
“Sì,
ma a noi cosa importa
alla fine? Perché ne stiamo parlando? E alle sue spalle per
di più? Se lo è o
non lo è, non deve darci di certo una spiegazione, non siamo
degli
inquisitori!”
Anthony
giocò con la
forchetta nel piatto, non pensandola allo stesso modo: “Dico
solo che siamo
amici. Se è gay, perché non ce lo dice? Mi fa
pensare che non si fidi molto di
noi. La cosa non vi offende?”
Rider espresse
il suo
pensiero, non distogliendo mai lo sguardo dal suo libro: “No,
non
particolarmente. Alla fine si tratta di un segreto: chi non ne
ha?”
A quel punto,
Anthony osservò
Rider, malizioso: “Qualcuno ha appena sottointeso di avere un
segreto?”
L’altro
gli fece un
smorfia: “Non essere ridicolo, dietro alle lenti dei miei
occhiali troverai
solo due occhi e un cervello che deve studiare tutto il pomeriggio per
i test
di domani!” e tornò a leggere il suo libro.
Quello,
però, lo stuzzicò
ancora: “Devo leggere tra le righe?”, ma
l’altro si limitò solo ad alzare lo
sguardo per un secondo, per poi riabbassarlo subito.
Scocciato da
quei discorsi,
Nathaniel si alzò: “Io vado, ci vediamo alla
quinta ora!”
Anthony,
però, intuì che c’era
qualcosa che non andava, dall’aria seccata che aveva:
“Che c’è, Nat? Ti stiamo
annoiando con questi discorsi su Sammy…o Rider, che sembrano
avere dei
segreti?”
“Non
ho segreti, smettila!”
replicò l’altro, sbuffando.
“No,
voglio solo andare in
classe e recuperare dei compiti che non ho ancora svolto.
Più tardi ho gli
allenamenti di nuoto e non ho il potere di fare matematica
sott’acqua!”
Poco convinto,
ma senza
darlo a vedere, Anthony lo congedò con un sottile cinismo:
“D’accordo, come
vuoi. Solo…cerca di essere più presente con i
tuoi amici, Nat! Non vorrai di
certo trasformarti in un asociale come gli altri sfigati che girano a
scuola,
spero.”
Con un sorriso
altrettanto
cinico, l’altro replicò: “Tranquillo,
sei già più presente tu con noi. Nessuno
di noi quattro correrà il rischio di trasformarsi in uno
sfigato asociale!” e
si voltò, andosene via.
Non contento
della
risposta, Anthony rimase a guardarlo storto, mentre si allontanavano.
*
Nei corridoi,
nel
frattempo, Sam e la sua amica Chloe stavano cambiando i libri
all’armadietto.
“Ha
fatto dei commenti su
di me come al solito, vero?” chiese lei, fissandolo, mentre
prendeva i libri.
Distratto,
quello chiese:
“Chi?”
Sussultò:
“Anthony, dico!”
Sam,
però, fece il vago:
“Ah, lui? No, in realtà parlava di una ragazza che
era in mensa!”
Ma Chloe non ci
cascò: “Si,
certo! Non sono cieca, guardava verso di me e vi sussurrava cose.
Almeno mi hai
difesa? E’ per colpa sua che sono diventata Chloe
Friendzoned! ”
Esasperato, si
arrese: “E
va bene, parlava di te! Lui parla di chiunque entri nel suo campo
visivo!”
Ora, camminavano
per il
corridoio.
“Continuate
a stare sempre con lui, come se
fosse una calamita che funziona davvero!”
Quelle parole
demoralizzarono
Sam, in quanto assolutamente vere: “Beh, la calamita funziona
ed è anche bella
potente. Non ci posso fare niente!”
“E
tutto perché non vuoi
confessare di quella tua stupida cotta! Se io mi chiamo Chloe
Frienzoned, non vuol dire che anche tu avrai la mia stessa
sfortuna di essere rifiutato da
tre
persone in un semestre!”
“Tu
sei stata respinta da
tre persone, ma credimi…essere respinto da lui è
una batosta che vale quanto i
tuoi tre messi insieme! Inoltre, confessare il mio amore per lui,
sarebbe come
fare coming out con tutta la scuola!”
“Ma
lui non è come gli
altri ragazzi, Sam. Tra tutto il tuo gruppo di amici, lui è
l’unico che non
butterei giù dal Daily planet assieme a Loise
Lane!”
Sam
accennò un sorriso al
sarcasmo dell’amica, poi tornò serio:
“Non parlo di lui, Chloe. Lui non direbbe
mai a nessuno che sono gay, non mi umilierebbe mai. Parlo di Anthony!
Lui usa
questo mio segreto per tenermi attaccato al suo gruppo perfetto, che si
è
raccolto attorno. Dal giorno in cui l’ha scoperto, ha potere
su di me. E quando
Anthony non ha potere su di te, si scatena!”
“Sono
sicura che tiene in
pugno anche Rider, Nathaniel ed Eric con un segreto. Mi rifiuto di
credere che
stiano con lui volontariamente!”
“Beh,
io so che conosce solo
il mio di segreto e non voglio metterlo contro di me. Forse gli altri
sono
veramente suoi amici, forse non hanno segreti.”
L’altra
gli lanciò una
lunga occhiata: “Tutti hanno dei segreti, Sam. Persino il mio
gatto ha un
segreto, ma non lo scoprirò mai perché quando sto
con lui se ne sta fermo come
una statua e non se ne va da nessuna parte. Si muove soltanto quando
non è solo
e la mia vita è troppo breve per scoprire cosa nasconde un
gatto. – fece una
pausa – Comunque, tornando ad Anthony, sappiamo che conosce
il tuo segreto e
che non perde occasione per minacciarti con toni sottili di rivelarlo
in giro,
se non rimani suo amico e annuisci ad ogni sua parola. – era
indignata - Le
amicizie non dovrebbero essere forzate!”
In
quell’istante, Sam
ricordò il giorno in cui Anthony aveva scoperto il suo
segreto: “Beh,
all’inizio non è iniziata come amicizia forzata.
Voleva soltanto un favore!”
FLASHBACK
Sam
si trovava nello spogliatoio della squadra di nuoto, non
c’era
nessuno, deserto. Soltanto una sottile nube di vapore, proveniente
dalle docce,
perché qualcuno, infatti, se ne stava facendo una.
Il
ragazzo, a passi silenziosi, si avvicinò
all’ingresso delle docce,
sentendo il rumore dell’acqua che scorreva, sempre
più forte. Lì, completamente
nudo, Nathaniel Blake, che dopo l’allenamento si stava
concedendo una doccia,
prima di tornare a casa.
Sam
lo trovava bellissimo, i suoi occhi lo ammirarono e restò
nascosto
ad osservarlo. Il più a lungo possibile.
Improvvisamente,
alle sue spalle, arrivò qualcuno: “Ehi, ti sei
perso?”
Era
Anthony Dimitri.
Sam
si spaventò, voltandosi senza fare rumore e rivelare la loro
presenza a Nathaniel: “Ehm, stavo cercando il mio armadietto,
ho lasciato una
cosa!”
L’altro,
perplesso, smontò la sua frase: “Il tuo
armadietto? Sbaglio o
questo è lo spogliatoio della squadra di nuoto? Non mi
sembra che tu abbia il
fisico di un nuotatore. Inoltre, conosco tutta la squadra e non mi
sembra che
tu ne faccia parte, o sbaglio? – si rispose da solo,
gongolando davanti al suo
silenzio – No, non sbaglio!”
Smascherato,
Sam non sapeva che dire e Anthony, scansandolo, vide ciò
che stava osservando e sorrise: “Nathaniel
Blake…Bello, vero? Un fisico
perfetto e tutte quelle gocce d’acqua che scivolano sul suo
corpo…”
Il
povero ragazzo, imbarazzo, deglutì e allo stesso tempo si
sentiva
quasi un libro aperto: “Io-io non lo so, non stavo guardando.
Cioè, sono
entrato qui per caso. Io…”
L’altro
lo squadrò: “Incredibile come le bugie sembrino
ancora più tali,
quando si è in imbarazzo e la voce trema,
balbetta…Non devi vergognartene!”
“Di
cosa?” sussultò.
“Del
fatto che stavi ammirando un bel ragazzo sotto la doccia!”
Sam
cercò di smentire ancora una volta: “Non lo stavo
guardando!”
L’altro
gli lanciò una lunga occhiata, aveva capito tutto ormai:
“Oh,
andiamo, non fare così! Se ti piacciono i ragazzi, per me
non è un problema,
non devi nasconderlo. Anzi, non lo dirò a nessuno.
Però…”
“Però,
cosa?” l’amica volle
sapere come andava a finire il racconto.
“Mi
chiese di scoprire se
anche un altro ragazzo era gay. Mi indicò chi, ma non era
della nostra scuola.
Dopo, Anthony sparì completamente, lasciandomi con quel
compito. Ovviamente,
non sapevo da dove iniziare, poi ho avuto la fortuna di beccarlo su una
chat
gay, che uso di solito, era in live-cam. Ci ho parlato per qualche
notte, poi
ci sono anche uscito. Nemmeno di lui sapeva nessuno. Una settimana
dopo, poi,
Anthony mi ha incontrato per i corridoi della scuola e ha voluto sapere
cosa
avevo scoperto.”
Curiosa,
l’altra chiese:
“E…?”
“Gli
ho riferito tutto! Che
siamo usciti solo una volta e che sembrava un tipo abbastanza chiuso.
Sobbalzava ogni volta che passava una macchina, credo di essere stato
il suo
primo appuntamento!”
Perplessa, Chloe
gli chiese
ancora: “Perché non me l’hai mai detto?
Di questa cosa del favore?”
“Non
mi sembrava qualcosa
di rilevante!”
Erano arrivati
davanti alla
classe, ormai.
“Beh,
sai che puoi dirmi
tutto, sono la tua migliore amica! E come tale, ti consiglio di
rivelare a
Nathaniel che sei innamorato di lui, così puoi allontanarti
da quella cattiva
influenza che emana Anthony Dimitri da tutti i pori!”
Sam,
però, non era abbastanza
forte: “Non è così facile, non
è la tua vita che sarà rivoltata come un calzino
solo perché tutti sapranno che non sei la persona che
credevano!”
“Meglio
rivoltare la tua
vita come un calzino, che essere il calzino usato di Anthony
Dimitri!”
E sulla scia di
quel
discorso, giunto al termine, i due entrarono per la lezione.
*
La campanella
suonò
nuovamente, si trattava dell’ultima ora. In un aula vuota,
Nathaniel se ne
stava seduto da solo davanti ad un banco a studiare.
Improvvisamente,
qualcuno entrò.
Nathaniel si voltò e vide erano Anthony e Rider.
“Ah,
siete voi!” esclamò,
per poi tornare a fare ciò che stava facendo.
“Allora
era vero che dovevi
fare i compiti!” notò Anthony.
L’altro,
distaccato, ribadì:
“Ve l’avevo detto, ho gli allenamenti di nuoto
questo pomeriggio. Domani c’è il
test di biologia e praticamente conosco solo il titolo del
libro!”
“Potevi
chiedermi aiuto, io
sono preparato!” si intromise Rider, sedendosi e poggiando la
sua tracolla sul
banco, esausto.
Nathaniel rimase
sorpreso davanti
a quell’offerta d’aiuto: “Non sono uno
che ama studiare in gruppo, ma grazie lo
stesso…”
“Dai,
insisto. Siamo amici,
no?” continuò Rider.
Anthony lo
sollecitò: “Sì,
siamo amici, ha ragione! Fatti aiutare. A volte penso che
l’unico filo
conduttore di questo gruppo sia io e che senza di me, siate dei
completi
estranei.
Rider e
Nathaniel si
guardarono, di fronte a quel commento.
Alla fine,
quest’ultimo,
cedette: “D’accordo, Rider. Che ne dici di stasera
alle otto, quando sarò di
ritorno dagli allenamenti? Sempre che per te non sia un
problema!”
L’altro
si dimostrò
disponibile: “Assolutamente si, abitiamo a tre isolati di
distanza. Non mi
costa nulla e poi aiutarti mi servirà come ripetizione per
il test di domani!”
Anthony, ne
uscì contrario:
“Alle otto di stasera? Perché non
adesso?”
“E’
la quinta ora, c’è la
lezione del Professor Palmer, ricordi? ” lo
incalzò Rider.
“Già,
ricordi cosa ha detto
in mensa? Che ci vuole tutti in classe alla sua lezione!”
aggiunse Nathaniel.
Anthony prese in
mano il
telefono, scrivendo dei messaggi e ignorando quello che stavano dicendo.
“E io
dico che possiamo
saltarla quella lezione!”
Rider, curioso,
domandò: “A
chi stai scrivendo?”
“Ho
scritto a Sam ed Eric
di raggiungerci!”
Nathaniel scosse
la testa,
basito: “Ma non hai sentito quello che abbiamo appena
detto?”
Quello
sbuffò, roteando gli
occhi: “Rilassati, non ci cascano le teste se ci perdiamo
un’ora dei suoi
racconti su Giovanna D’arco e la sua guerra dei
trent’anni. – parlò tra sé e
sé, poi – Dio, quanto odio i nuovi insegnati che
credono di poter fare la
differenza!”
Qualche secondo
dopo, Rider
trovò opportuno correggerlo su quanto detto su Giovanna
D’arco, pignolo:
“Veramente, sono dei cent’anni! E’ la
guerra dei cent’anni!”
Anthony gli
lanciò
un’occhiataccia, irritato: “Sono comunque tanti,
ok? Non mi meraviglio che sia
morta decapitata!”
Rider,
imbarazzato, lo
corresse ancora una volta: “Ehm, veramente l’hanno
bruciata sul rogo! Forse ti
confondi con Maria Stuarda di Scozia…”
Anthony gli
lanciò
l’ennesima occhiataccia, costringendolo ad abbassare lo
sguardo, placata, poi, dall’arrivo
degli altri due compagni.
“Ehi,
che succede?” esordì
Sam, entrando.
“Perché
siete qui? Pensavo
foste già in classe!” aggiunse Eric.
Il loro leader,
tranquillamente seduto a messaggiare, li aggiornò subito:
“Salteremo quella
lezione, oggi. Rider deve aiutare Nat a studiare per il test di
biologia di
domani!”
Sam si
scambiò un rapido
sguardo con gli altri, confuso: “Ma il Professor Palmer ha
detto che…”
Anthony,
però, non lo
lasciò completare, alzando la voce: “Sò
cos’ha detto il Professor Palmer, ma
noi non ci andremo lo stesso. – fissò tutti, uno
alla volta, minaccioso - Intesi?”
Dopo quello
sguardo,
nessuno più si oppose, stranamente. Anzi, Rider si sedette
accanto a Nathaniel
per aiutarlo e gli altri presero una sedia e si sedettero, restando in
silenzio.
La parola di Anthony, dettava legge all’interno del suo
gruppo.
Calmati i
dissensi, Anthony
girò per la classe, avvicinandosi all’armadietto
che c’era accanto alla
lavagna. Lo aprì e dopo averlo scrutato a fondo,
scoperchiò una scatola
polverosa. Da essa, ne tirò fuori una vecchia telecamera,
altrettanto
polverosa, sulla quale ci soffiò sopra.
“Ehi,
guardate che cosa ho
trovato!” la
mostrò agli altri.
Eric
accennò un finto
sorriso d’interesse: “Sembra vecchia,
chissà da quanti anni è chiusa lì
dentro!”
“Ma la
sai usare, almeno?”
commentò Sam, osservandolo pigiare i tasti.
Suscettibile,
Anthony
esclamò: “Sò usare una stupida
telecamera, ok?”
“Direi
che non c’è dubbio,
l’hai appena accesa. La lucetta rossa sta
lampeggiando!” fece notare Rider.
Entusiasta,
Anthony la
visionò meglio: “Bene, non è rotta.
Però sembra non esserci nulla dentro…”
“Sto
cercando di studiare!”
si lamentò Nathaniel, sospirando.
L’altro
lo ignorò
completamente, eccitato all’idea di volerla usare:
“Ci registriamo sopra
qualcosa? – incontrò lo sguardo di ognuno di loro,
in cerca di approvazione –
Eh?”
“Del
tipo?” Eric ful il
primo a prendere parola.
Nathaniel si
lamentò
nuovamente: “Cosa non avete capito della frase: sto cercando di studiare ?”
Fu ignorato
ancora, mentre
Anthony rispondeva ad Eric: “Parliamo degli sfigati della
scuola, di cosa
pensiamo di loro! Forza, sarà divertente!”
Tutti si
guardarono, non
molto presi dall’idea.
Sam disse anche
la sua,
trovando stupida l’idea: “Perché
dovremmo farlo?”
“E
perché non dovremmo?
Insultiamo quelli come loro, in faccia, ogni giorno. Farlo alle loro
spalle
cambia qualcosa? – ancora una volta si rispose da solo
– NO, perciò se dico che
dobbiamo farlo, allora LO FACCIAMO!” rispose Anthony,
assumendo nuovamente lo
sguardo minaccioso su tutti.
Nessuno
sembrò voler
discutere nemmeno questa volta, intimoriti.
“D’accordo,
da chi dovremmo
iniziare? In fondo, non ho altro da fare!” fu sarcastico,
Nathaniel. Era
chiaramente seccato di non poter completare il suo studio in santa pace.
Divertito,
Anthony puntò la
telecamera proprio verso di lui: “Ok, adesso sta registrando,
parliamo di
Morgan Rinoceronte marino! ”
“Ehm,
cosa potrei dire su
di lui? – l’amico gli fece cenno di improvvisare
– E’ il pezzo grosso della
squadra e con pezzo grosso non mi riferisco al fatto che sia un
astronascente
del nuoto, ma grosso inteso come grasso!”
Anthony rise,
gli sembrò
una battuta divertente, anche se Nathaniel stava solo parlando a
vanvera per
compiacerlo.
Tuttavia,
continuò: “Suo
padre ha costretto il coach a farlo entrare in squadra, ma non sa che
suo
figlio fatica ad arrivare a metà vasca. Morgan usa la
palestra quattro volte a
settimana, arrivando a scuola un’ora prima degli altri
studenti per allenarsi e
perdere peso e… - Anthony suggerì con il
labbiale, di esagerare – Una volta
l’ho visto scivolare per terra, dopo che era risalito dalle
scalette della piscina.
Sarebbe stato esilarante se qualcuno l’avesse visto! E se
qualcuno sapesse che
sta cercando di dimagrire, riderebbe, dal momento che lo si vede
ingozzarsi a
pranzo e nei corridoi, continuamente!”
Anthony rise di
gusto,
spostando, poi, la telecamera su Eric. Era il suo turno.
“E di Treccioline ? Che mi dici?”
gli chiese.
“Lisa
Nelson? Beh, mi corre
dietro da anni e mi da leggermente fastidio quando mi fissa nei
corridoi.
Sembra Lindsay Lohan appena uscita di galera con quello sguardo da
psicotica!”
“Leggermente
fastidio?” lo
spronò Anthony.
“Ok,
MOLTO fastidio! Come pensa
di conquistarmi se viene a scuola conciata come Pippi calzelunghe? Non
l’ho mai
vista un giorno senza quelle dannate trecce ai capelli! E’
patetica, ma non lo
vuole capire. Io cerco sempre di essere gentile con lei,
ma…Cavolo, tuo padre è
molto ricco, pagati una seduta di bellezza e un appuntamento dal
parrucchiere. –
ormai ci stava prendendo gusto - L’ultima volta che mi ha
visto, si stava quasi
soffocando con una mentina per passare accanto a me e salutarmi. Si
stava
letteralmente preparando al mio arrivo! Insomma, chissà per
quanto tempo è
rimasta appoggiata a quell’armadietto, aspettando che io
arrivassi. La cosa più
buffa è che nessuno si è accorto che stava
soffocando!”
Anthony era
sempre più
divertito, non voleva fermarsi: “Forte, questa mi
è piaciuta! – rise di gusto –
Sotto a chi tocca: avanti Sam!”
E continuarono a
registrare, ignari che dietro alla porta, Albert Pascali si era fermato
ad
ascoltare tutto quello che dicevano.
*
Usciti
dall’aula in cui si
trovavano, Anthony si era diviso dal resto del gruppo assieme a Rider,
pronti a
tornare a casa.
“Mi
accompagni a prendere
una bottiglietta d’acqua dal distributore, prima di
andare?” chiese Anthony,
all’amico.
L’altro
annuì, facendo un
commento: “Beh, ci credo che hai sete, con tutte le
cattiverie che hai detto
davanti a quella telecamera! Hai parlato male anche dei non-sfigati, ti
rendi
conto?”
Quello gli
lanciò una lunga
occhiata: “Non solo gli sfigati mi danno fastidio in questa
scuola, Rider!”
Poi, mentre
camminavano,
Anthony osservò nuovamente l’amico, sempre
distratto dallo stesso libro che
leggeva a mensa: “La vuoi smettere di leggere in
continuazione? E’ snervante!”
“Leggere
mi distrae e un
buon libro è sempre la miglior compagnia!” rispose
con tono sottile, senza
staccare gli occhi dalle pagine.
L’altro,
riflettè su una sua
potenziale insinuazione: “Stai dicendo che un libro
è migliore di me?”
“No!
Quello che sto dicendo
è che ho mal di testa e che un libro non parla!”
Anthony si
arrese,
trovandolo stupido: “Fa un po’ come ti
pare!” e a Rider, la cosa non sfiorò
minimamente.
Improvvisamente,
dall’aula
che stavano sorpassando, ne uscì una ragazza. Era al quanto
trasandata, mentre
cercava, invano, di ricomporsi.
“Ciao,
ragazzi!” esclamò,
colta di sorpresa, trovandoseli davanti agli occhi.
“Ciao,
Lindsay!” la salutò
Anthony, il suo solito sorrisino cinico.
La ragazza
scavalcò i due,
andando via in tutta fretta, senza dire altro. Superata
quell’aula, Anthony
cominciò a parlare.
“Tua
sorella non ha perso
il vizio, eh!” esclamò, sarcastico.
Rider non aveva
dubbi sul
fatto che avrebbe fatto un commento, il volto pallido: “La
vuoi smettere? Vuoi
anche aumentare il volume della voce, per caso?”
“Dico
solo che tua sorella
è un amante del pericolo…”
continuò, il tono provocatorio.
Quando si
girarono, videro
uno dei professori, uscire dalla stessa aula in cui si trovava Lindsay.
Trasandato anche lui. Non ne erano affatto sorpresi.
“…E
dei buoni voti!”
aggiunse, ridendo.
“Girati
o penserà che l’hai
visto!” lo richiamò Rider, agitato.
“Che
mi importa di quel
pervertito del Professor Brakner? Al massimo è lui che
dovrebbe avere paura di
me. Anzi…di chiunque lo veda con la cerniera lampo
aperta!” aggiunse, un
sorrisino alla fine di quella frase.
Rider, stavolta,
si
infuriò: “La vuoi smettere? Non sei
divertente!”
Anche
l’altro si irritò:
“Nemmeno tu sei divertente, sai? Trovo più
divertente persino il tuo
insopportabile libro; il che la dice lunga su di te!”
L’altro
si ammutolì, più
calmo nel rivolgersi nuovamente a lui: “Va bene, ma, ora, ti
prego, basta
parlare di quello che abbiamo appena visto. Sono affari di mia
sorella!”
“Affari
disgustosi, direi!
Se fosse mia sorella, avrei già denunciato
quell’ultratrentenne pervertito che
si crede Zack Efron in 17
again! ”
A quel punto,
dopo un colpo
di tosse, Rider cercò di cambiare discorso
“…E Comunque, dove l’hai messa? La
telecamera, dico.”
“In
quella stupida scatola
polverosa! Come vuoi che me ne faccia?”
Rider era
confuso, adesso:
“Ma ci hai fatto registrare quelle cose a che scopo,
scusa?”
“Così,
per gioco. Dovevamo
passare il tempo, no? E’ una cosa iniziata e finita
lì!”
“Ma se
la trova qualcuno?”
domandò, spaventato all’idea.
“Chi
vuoi che la cerchi in
una scatola vecchia milioni di anni?!” lo trovò
improbabile, Anthony.
Quello
annuì, d’accordo:
“Già, hai ragione!”
Improvvisamente,
la
notifica di un messaggio riempì l’aria. Era il
telefono di Anthony, che, con
una mossa, lo tirò fuori dallo zaino, normalmente. Quando
portò il messaggio ai
suoi occhi, rimase perplesso per qualche secondo. Fermandosi in mezzo
al
corridoio, addirittura.
“Sarai
smascherato,
attendi di esserlo.”
-A
Rider, che stava
continuando a camminare, distratto dal suo libro, finalmente si accorse
di non
avere più Anthony di fianco. Si voltò, trovandolo
dietro di sé, così fece una faccia
stranita.
“Ehi!
Perché ti sei
fermato?” e lo raggiunse, notando quanto fosse preso dallo
schermo del suo
telefono. Tant’è che allungò il collo
per leggere il messaggio che aveva
ricevuto.
“Chi
è A? Si tratta di un
nuovo linguaggio sms?”
Anthony,
mettendo via il
telefono, rispose distrattamente, pensieroso:
“Dev’essere qualche idiota che
vuole farmi uno scherzo!”
“Bello
scherzo, dice di
volerti smascherare!” infierì Rider, ironico.
“Io
non ho nulla da
nascondere!” alzò la voce.
Rider
sussultò, aggredito:
“Ok, scusami tanto!”
Quando furono
quasi vicini
all’uscita della scuola, attraverso il vetro, Anthony vide un
uomo all’esterno
che stava pe entrare. Lo riconobbe e impallidì
immediatamente, bloccandosi
nuovamente.
“Quel
figlio di
puttana…L’ha chiamato!” e corse
immediatamente via, lasciando Rider da solo e
perplesso.
Raggiunse
quell’uomo,
mettendosi davanti a lui, parlando con lui in maniera animata,
guardandosi
continuamente intorno, come se non volesse essere visto assieme a
quell’uomo.
Rider stava
osservando la
scena, raggiunto alle spalle da Nathaniel.
“Ehi,
che ci fai ancora a
scuola?”
Ma non rispose,
costringendo l’amico a seguire il suo sguardo:
“Guarda, c’è il padre di
Anthony!”
“Cavoli,
il Professor
Palmer è davvero uno stronzo!” esclamò,
osservando la scena a braccia conserte
assieme a Rider.
Ora, Anthony,
stava
addirittura spintonando il padre, cercando di mandarlo via.
Rider fece
un’osservazione:
“Non ti sembra ubriaco?”
“Chi?
Anthony?”
Ricevette una
rapida
occhiataccia: “NO, suo padre!”
Nathaniel,
allora, osservò
meglio: “In effetti, vacilla un
pò…”
“Caspita,
non avevo mai
visto Anthony così disperato. Immagina se qualcosa passasse
di qui, sarebbe
umiliante per lui!” pensò Rider, quasi come se
desiderasse che accadesse.
L’uomo,
dopo un’ultima
spinta, finalmente se ne andò. Anthony rimase davanti
all’ingresso da solo,
cercando di riprendersi, poi si voltò verso i suoi amici,
che a stento
riuscivano a reggere il suo sguardo, provando disagio per aver
assistito.
Quello, alla fine, se ne andò, senza tornare da loro.
Nathaniel non
commentò
oltre, dirigendosi verso una direzione: “Beh, io devo
scappare agli allenamenti.
Ci vediamo stasera per studiare!”
L’altro,
ancora fermo,
assorto da quella scena, lo salutò distrattamente:
“Ok, ciao!” poi si mosse
anche lui, dimenticando.
*
Dopo aver
lasciato la
scuola, ormai lontano, Eric si stava incamminando da solo verso casa.
Una
macchina si fermò, riconoscendolo. Era Sam.
“Eric?
Che fai a piedi,
dov’è la tua auto?”
L’altro,
colto di sopresa,
rispose quasi in maniera tesa: “Oh, Sam, sei tu! Ehm,
l’ho dovuta lasciare nel
parcheggio della scuola, sono rimasto a secco. Ieri ho dimenticato di
fare
benzina!”
“Nel
parcheggio? Dici
sempre di parcheggiarla fuori dalla scuola, perché hai paura
che te la righino
con un mazzo di chiavi!” trovò strano, Sam.
Eric rise
nervosamente,
sudando: “Sì, volevo dire fuori, non nel
parcheggio, hai ragione!”
L’amico,
sorvolando sul suo
strano atteggiamento, che non aveva nemmeno notato più di
tanto, gli suggerì:
“Dai, sali, ti do un passaggio!”
“No,
non è necessario, sono
quasi arrivato!”
“Insisto,
dai!” gli fece
cenno di salire.
Quello, alla
fine, si
arrese, salendo. Dopo cinque minuti di strada, però, Sam era
in attesa di
un’indicazione. Ad Eric, sudavano le mani, strizzandole
continuamente, mentre
teneva la faccia rivolta verso il finestrino.
“Ok,
quanto manca? Dove
devo girare?” chiese Sam, a quel punto.
“Vai a
destra, tre isolati
più avanti… - si corresse, impreciso e nervoso -
Anzi, scusa, cinque isolati!”
L’altro
sorrise, mentre
svoltava: “Sicuro di sapere dove abiti? Sembra quasi che tiri
ad indovinare; un
po’ come me a cinque anni. Pensa che mio padre, quando ero
piccolo, mi metteva
sempre addosso una diquelle stupide collane con sopra incisi il numero
di casa
e l’indirizzo. Così, in caso mi fossi perso, sarei
riuscito a ritrovare la
strada di casa con l’aiuto di qualcuno!”
“Hai
un padre davvero
premuroso…” accennò un sorriso, Eric.
“Da
quando è morta la mamma,
gli sono rimasto solo io e…Beh, sai, non vuole rischiare di
perdere anche me!”
Eric si
mortificò: “Mi
dispiace. Insomma, sapevo di tua madre, ma…non ne abbiamo
mai parlato!”
“Già,
a volte sembriamo un
gruppo di estranei…Come agli alcolisti anonimi, dove nessuno
conosce gli altri,
ma tutti conoscono il tizio che li riunisce. E per noi, quel tizio,
è Anthony…”
“Mi
chiedo cosa accadrebbe
se Anthony sparisse nel nulla!” fantasticò, Eric.
E Sam,
riflettendoci un
attimo, esclamò: “Forse smeteremmo di pensare
all’alcol e le sedute agli
alcolisti anonimi non ci servirebbero. Anthony è come una
dannatissima
bottiglia di Brandy e il mio tasso alcolemico è alle stelle,
ormai. – fece una
pausa, poco prima di tornare alla realtà – Ma
Anthony, purtroppo, non sparirà
mai dalle nostre vite, perciò…Smettiamola di
sognare!”
Distratto dal
discorso,
quasi utopico, Eric tornò a guardare la strada, mentre Sam
ancora guidava: “Oh,
sono arrivato! Ferma pure qui!”
Quello
fermò l’auto, lasciò
scendere l’amico, che, prima di andare, si
affacciò dal finestrino per
salutarlo.
“Grazie
di avermi
accompagnato e… - sentì di dover aggiungere altro
– Mi dispiace di aver detto
quello che ho detto davanti alla telecamera, a scuola. E anche di quel
commento
al maglione di Albert!”
Sam,
apprezzò: “Non
dispiacerti, abbiamo detto tutti cose orribili davanti a quella
telecamera.
Cose orribili dettate da Anthony…Per quello che vale, lo so.
– gli sorrise, con
le mani sul volante – sò che non sei la persona
che vediamo tutti i giorni,
quella che sei costretto a mostrare per compiacerlo.”
L’altro
non aggiunse nulla,
un mezzo sorriso sulle labbra, lo sguardo basso.
Sam
aguzzò la vista alle
sue spalle: “Vivi in un bel quartiere!”.
“Non
è niente di che!”
“Beh,
allora ci vediamo
domani. Come sempre!” e l’altro annuì,
salutandolo.
Pochi secondi
dopo, era già
lontano e quando l’auto di Sam scomparve del tutto dal suo
campo visivo, Eric
non entrò in una delle case di quel quartiere, ma se ne
andò, camminando a
ritroso lungo il marciapiedi, un aria triste in volto.
*
Nel tardo
pomeriggio,
Anthony era appena rientrato a casa, salendo immediatamente in camera
sua,
ignorando suo padre davanti alla televisione, ubriaco, e le cinque
bottiglie di
birra vuote sul tavolino e una di Vodka.
Chiuse
energicamente la
porta alle sue spalle, isolandosi e poggiando il suo zaino sul letto.
Stanco,
si diresse alla sua scrivania per sedersi al PC. Man mano che si
avvicinava,
però, non fece a meno di notare una finestra bianca aperta
con del testo sopra.
Finalmente era seduto e il messaggio era davanti ai suoi occhi,
più chiaro che
mai.
“Non
immaginavo di
trovare quello che ho trovato. I tuoi segreti sono tutti miei,
ora.”
-A
Anthony
aveva gli occhi sgranati sullo
schermo, bianco come un cencio, non riusciva a chiudere la bocca per lo
shock.
La rabbia sopraggiunse, a quel punto, costringendolo a battere un pugno
sulla
scrivania, in maniera energica. Rimase lì, impalato, davanti
al PC, furente
nello sguardo, il fiato che usciva dalla bocca in maniera incontrollata
e il
petto che si gonfiava e sgonfiava. Improvvisamente, bloccò
ogni sua reazione,
voltandosi e scattando verso la porta, che aprì. Scese
rapidamente le scale,
raggiungendo il soggiorno, dov’era suo padre.
Si
fermò davanti a lui, mettendosi davanti
alla televisione, che stava guardando.
“Chi
hai fatto entrare in casa? EH? CHI?”
esclamò, furibondo.
L’altro,
lo sguardo vuoto, spostava la testa
per tornare a vedere il programma tv che stava guardando: “E
levati!”
“Può
aspettare la nuova stagione di American next
topmodel, brutto frocio
alcolizzato! DIMMI CHI E’ ENTRATO IN CASA NOSTRA!
ORA!” sussultò, urlando.
Suo
padre, guardandolo finalmente negli
occhi, si alzò in piedi, non molto contento di
ciò che gli era stato detto:
“Come, scusa?”
Anthony
deglutì, indietreggiando, ripetendo
la domanda: “Hai fatto entrare qualcuno in casa, oggi? Sai,
non sei molto
lucido, magari nemmeno ti sei accorto che qualcuno è entrato
in casa!”
“Ma
di che cazzo stai parlando?”
“Di
che cazzo sto parlando? Parlo di TE che
mi hai rovinato la VITA! – fu brusco, nel parlare, pieno di
rancore – L’hai
rovinata a tutti noi, razza di bastardo! Prima tradisci la Mamma con un
uomo –
non mi meraviglio per niente che se ne sia andata da tutto questo
schifo – e
Clarke, beh, Clarke era disgustato a tal punto da tutta questa storia
che se
n’è dovuto andare anche lui. – lo
fissò con disgusto, ora - E io…Io sono dovuto
rimanere qui, incastrato con te, perché frequento ancora il
liceo e non posso
andarmene!”
“Esci
da questa casa! Vattene pure da tua
madre o tuo fratello!” esclamò suo padre, il tono
pacato ma pieno di delusione.
“Odio
anche loro, per avermi abbandonato qui
con te! E hai avuto anche il coraggio di presentarti alla MIA scuola,
ubriaco
fradicio perché ancora non riesci a credere di esserti
beccato l’AIDS dal tuo
schifoso amante!”
“ESCI
FUORIIIII!” urlò quello, al limite.
“SPERO
CHE TU MUOIAAA!” urlò anche Anthony,
mentre suo padre si dirigeva al telefono.
“Adesso
chiamo uno dei tuoi amici, così te ne
vai a stare da uno di loro!”
Ed
Anthony, respirando nervosamente, fissò la
bottiglia di Vodka che c’era sul tavolino a lungo, poi la
prese e senza
pensare, senza ragionare, lo colpì in testa, facendolo
accasciare. Tutto molto
rapidamente.
Dopo
qualche secondo, in cui finalmente stava
realizzando cosa aveva fatto, lasciò cadere la bottiglia sul
tappetto, ormai
insanguinata. L’uomo non si muoveva, rivolto a pancia sotto,
mentre la cornetta
del telefono ciondolava sopra la sua testa, anch’essa
insanguinata; c’era
talmente tanto sangue, che ormai si era formata una chiazza enorme sul
pavimento.
Anthony,
bianco in volto, si chinò, toccando
la con due dita la giugulare, in cerca di un battito. La mano gli
tremava e
tremò ancora di più quando si rese conto che suo
padre era morto. Per davvero.
Sconvolto,
si risollevò in piedi,
indietreggiando lentamente per poi scappare al piano di sopra.
Tornato
in camera sua, prese il suo telefono,
scrivendo subito un messaggio.
*
Come
promesso, Rider si presentò alla porta di casa del suo amico
Nathaniel. Erano le otto in punto.
Lui,
tutto bagnato, con addosso l’accappatoio, si
affacciò alla porta, al
quanto sorpreso: “Sei già qui? Caspita, ci credi
che sono le otto e nove secondi?
LETTERALMENTE, ho controllato prima di aprire!”
“Hai
detto alle otto, no?” si accomodò, Rider.
“Si
si, ma non pensavo alle otto – OTTO! Pensavo alle otto e
dieci
minuti o alle otto e ventiquattro minuti! Non ho fatto la doccia a
scuola per
arrivare in fretta a casa!”
Rider
poggiò lo zaino sul tavolo, una volta arrivato in cucina:
“Ho una
collezione di orologi da taschino e la maggior parte di essi gli ho
presi in
diversi viaggi in Inghilterra. Questo può farti capire
quanto io tenga alla
puntualità!”
Nathaniel,
basito, gli domandò: “Ok, sei serio?”
“Sì,
ne ho ventisei in camera mia!” esclamò, tirando
fuori i libri.
L’altro,
allora, si arrese: “Okay, vado a vestirmi e torno!”
“Per
me puoi restare anche così, anzi perderemmo più
tempo se ti vai a
cambiare! – gli fece un cenno con la mano - Tranquillo, non
sono invidioso dei
tuoi addominali. Non sembra, ma ce li ho anche io!”
L’amico
si risedette, parecchio a disagio: “Buono a
sapersi…Cominciamo?”
Rider,
completamente tranquillo, replicò senza mai fissarlo una
volta,
mentre apriva il libro: “Finiremo prima che i tuoi capelli
corti si asciughino.
E prima che i tuoi genitori tornino e pensino a cose strane!”
Nathaniel
finse un sorriso: “Buono a sapersi, due volte!”
Subito
dopo, il silenzio. Rider continuava a girare le pagine del libro
di biologia molto velocemente. Era quello il suo che rimbombava nella
stanza,
assieme alle lancette dell’orologio.
“Forse
è meglio se mi cambio, mi sento strano!” si
alzò Nathaniel,
spezzando il silenzio.
Rider
fu d’accordo, sollevato: “Già, pensavo
di farcela, invece…Hai
tutta la mia invidia, ho sbirciato! – e si fermò a
riflettere su ciò che aveva appena
detto – Okay, è strano, corri!” e quello
corse via per mettersi addosso
qualcosa.
Rimasto
solo, in cucina, Rider trovò finalmente il capitolo dalla
quale
dovevano partire per il ripasso. In quell’esatto istante,
però, arrivò un fax.
Quello, d’istinto, si avvicinò e lo lesse.
Subito
dopo, arrivò Nathaniel, che si era cambiato al volo, e Rider
si
voltò verso di lui al quanto curioso:
“Una
ricetta medica, intessante! – lesse il nome del farmaco -
L6KD9?
Qualcuno di voi soffre di cuore?”
E
l’altro si avvicinò a lui, strappandogli il foglio dalle mani:
“C’è qualcosa che non
sai?”
“Non
lo sapevo, prima di avere una zia alla quale hanno diagnosticato
uno scompenso cardiaco!”
Nathaniel,
rigido, aggiunse, sperando concludere: “Beh, mio padre soffre
di questi problemi!”
Ma
Rider continuò, curioso: “E il vostro Dottore
è Tyler Blake? Un
parente, per caso?”
“Cugino!
– si sedette, mettendo il fax in tasca - Ora possiamo
rimetterci a studiare?”
Assai
perplesso, tornò a sedere, finalmente:
“Ooook!” e iniziarono a
studiare per davvero, stavolta.
Peccato
che dovettero interrompersi nuovamente, però, in seguito
all’arrivo di un messaggio.
Messaggio
da: Anthony
“SOS”
Nathaniel,
assai stranito, girò lo schermo del suo telefono verso
Rider,
che aveva ricevuto lo stesso messaggio.
“SOS?”
lo lesse in maniera letterale.
Rider
fece una smorfia: “Si pronuncia Esseoesse!
E’ una richiesta d’aiuto!”
Nathaniel
si rese conto della sua gaffe: “Oh, quell’SOS!
– poi riflettè
sul significato del messaggio – Perché Anthony
dovrebbe chiederci aiuto?”
“Andiamo
a scoprirlo!” esclamò, prendendo le chiavi della
macchina.
*
Sam
era appena rientrato a casa con in mano le buste della spesa,
accompagnato da Chloe. Suo padre, Carson Havery, stava giusto scedendo,
dal
piano di sopra, in quell’esatto istante, dopo aver sentito la
porta d’ingresso
chiudersi.
“Ma
guarda chi fa l’uomo di casa, quando non guardo!”
esclamò il Signor
Havery, aiutando i due a portare le buste in cucina.
“Papà
non recitare davanti a Chloe, lo sa che i soldi me gli hai dati tu
assieme alla lista della spesa!” esclamò,
svuotando le buste, mentre si
scambiava un sorriso con Chloe.
“E
io che pensavo di impressionarla, affinchè si metta con
te!” esclamò,
teatrale, suo padre.
“Signor
Carson, io e suo figlio siamo solo amici! E glielo dico ogni
giorno da quando ho messo piede in questa casa, la prima volta, tre
anni fa!”
Sospirò,
fingendosi deluso: “Beh, io ci ho provato. Sai, siete due
bravi
ragazzi ed è davvero un peccato!”
Chloe
e Sam si guardarono, scoppiando un po’ a ridere.
Confuso,
l’uomo guardò entrambi: “Che
c’è? Che ho detto?”
“Niente,
Papà. Niente!” e continuò a ridere con
Chloe, anche dopo che
suo padre era passato nell’altra stanza.
“Se
solo sapesse…” aggiunse Chloe.
“Che
metterò fine la sua dinastia? Già!”
ironizzò, Sam.
“Beh,
se anche i tuoi cugini sono come te, allora addio generazione
Havery!”
“Ho
solo tre cugini, speriamo bene!” esclamò, ancora
un sorriso,
sistemando la spesa con lei nella dispensa.
“Tuo
padre non è in servizio, stasera?”
domandò Chloe, sedendosi a bere
un succo.
Anche
Sam se ne versò un po’ nel bicchiere: “E
il suo giorno libero…E
anche se fosse, qui a Rosewood non succede mai nulla di interessa. Il
crimine
più alto sarà al massimo il furto di una collana
di caramelle!
“Uao,
Rosewood è davvero noiosa! Ci vorrebbe proprio un super
criminale
a smuoverla un pò!”
“Solo
scartoffie per la polizia di Rosewood. Taaante scartoffie!”
esclamò, prima di sorseggiare dal bicchiere.
Sul
tavolo, il telefono di Sam vibrò. Era appena arrivato un
messaggio.
Fu Chloe a leggerlo e a Sam non diede fastidio, dal momento che lui non
aveva
segreti per lei.
“Chi
è? Ho già un appuntamento gaio grazie a quella
app che ho
installato l’altro giorno?” era impaziente, Sam.
L’altra,
perplessa, girò lo schermo verso l’amico:
“Non è una notifica
di GagagaYO, che tra
l’altro è una
app scadente quanto il suo nome. Si tratta di Anthony! – fece
una smorfia,
confusa - Che diavolo di messaggi vi scambiate? SOS?”
“Sono
quasi sicuro che si legga Esseoesse!
E comunque non mi scambio nessun messaggio con Anthony,
è la prima volta!”
“Quindi?
Avrebbe bisogno di aiuto?”
“Può
essere! – prese le chiavi della macchina – Vado e
torno!”
Quella
roteò gli occhi, seccata: “D’accordo, ma
fa presto o guarderò il
mid-season finale di How to get away with murder senza di te!”
Poco
prima di lasciare la stanza, Sam le sorrise simpaticamente:
“So che
non lo farai, hai bisogno di scorticare vivo il mio braccio quando ci
sono le
parti sconvolgenti!”
“Dannazione,
esci e torna presto” urlò, mettendo il broncio.
*
Due
auto si fermarono contemporaneamente davanti all’abitazione
di
Anthony. Spenti i motori, da una ne uscirono Rider e Nathaniel e
dall’altra Sam
ed Eric. Tutti e quattro si guardarono, perplessi.
“Ci
siente anche voi, eh!” esclamò Rider.
“Anthony
ha mandato l’esseoesse anche a voi?”
domandò Eric, ora che
erano più vicini.
Rider
rise, prendendo in giro Nathaniel: “Ecco qualcuno che ha
capito il
messaggio! Nat ha letto SOS!”
E
mentre quello si prendeva un’occhiataccia dal diretto
interessato,
anche Sam si lasciò sfuggire una risata: “Anche
Chloe ha letto SOS!”
“Un
lapsus, ok? Possiamo smetterla, grazie?” si irritò
Nathaniel.
“Eric,
come mai non sei venuto con la tua auto?” chiese Rider a lui.
Sam
rispose per lui: “La sua auto è rimasta a scuola.
Ha dimenticato di
fare benzina, ieri, perciò è rimasto a secco.
Sono passato a prenderlo al
Brew!”
Rider
si mostrò nuovamente perplesso, mentre Nathaniel stava
camminando
da solo verso la casa di Anthony: “Che ci facevi al
Brew?”
E
mentre quello era in procinto di rispondere, la voce di Nathaniel, li
fece sobbalzare: “Beh? Ci muoviamo? Rider, guarda che
dobbiamo tornare a
studiare, ricordi? Meno domande e cammina!”
“Agli
ordini, Mister Muscolo!” esclamò Rider, avanzando,
mentre Sam si
affiancava a lui, curioso.
“Perché
Mister Muscolo?”
“Perché
ho visto i suoi muscoli!”
“Perché
hai visto i suoi muscoli?”
“Perché
mi stai chiedendo perché ho visto i suoi muscoli?”
“RAGAZZI!”
gridò Nathaniel, ormai vicino alla porta, assieme ad Eric,
che aspettavano soltanto loro.
Sam
e Rider si avvicinarono, guardandosi ancora l’un
l’altro, straniti,
per il ping pong di domande appena avuto.
“E’
socchiusa, la porta!” fece notare Eric.
“Entriamo,
no?” suggerì Sam, non dando peso
alla cosa.
Ignarari
di cosa avrebbero trovato una volta dentro, non restarono
davanti alla porta un secondo in più…
CONTINUA
NEL SECONDO
CAPITOLO
|
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Capitolo 3 *** 1x02-I mostri muoiono a Rosewood (Parte II) ***
CAPITOLO
DUE
“Pilot
(Part II)”
Finalmente
erano dentro l’abitazione, le luci erano accese. Si sentiva
solo il rumore della televisione, poco lontana.
“Anthony?”
gridò Rider, il suo nome, mentre
avanzavano verso e scale, uno dietro l’altro.
Nessuna
risporta.
“Anthony??”
gridò Nathaniel, stavolta,
avvicinandosi al soggiorno.
La
prima cosa che vide, fu la televisione
accesa e una bottiglia per terra. Poi si addentrò ancora di
più e il suo
sguardo, inevitabilmente, si posò sul corpo disteso a terra,
dentro una pozza
di sangue.
“Oh
mio Dio!” esclamò, indietreggiando,
scioccato dalla scoperta.
Eric
sopraggiunse alle sue spalle, portandosi
una mano alla bocca: “Oh, cavoli!”
Fu
la volta di Sam, in un grido
incontrollato: “OH MIO DIOO!”
Rider,
invece, era salito al piano di sopra e
stava tornando giù, gridando il nome dell’amico,
ancora ignaro del corpo
ritrovato dai suoi compagni: “Aaaanthoonyyyy??”
Raggiunse
i ragazzi a quel punto: “Ragazzi,
di sopra non… - si bloccò, trovandosi anche lui
davanti al corpo. Più
disorientato che spaventato – C-che
cos’è quello?” indicò,
fissando i suoi
amici. Scolvolti.
“M-mi
prendi in giro? E’ il padre di Anthony!
Morto sul pavimento!” esclamò Nathaniel, allibito
dalla stupida domanda.
Rider
iniziò a
prendere coscienza della cosa,
spaventandosi: “Ok. Bene. Cioè, no, non va bene
per niente. Lui dov’è?”
“Ciao,
ragazzi!” spuntò proprio Anthony, alle
loro spalle, facendoli sobbalzare.
Sam,
con una mano sul petto, deglutì prima di
rivolgergli la parola: “C-ciao,
ragazzi? Dici
sul serio? Anthony, qui in soggiorno c’è tuo padre
che galleggia in una pozzanghera
di sangue!”
“L’hai
ucciso tu?” gli chiese Eric, diretto.
Anthony,
apparentemente tranquillo, aveva il
volto pallido, gli abiti in disordine, i capelli bagnati e si sfregava
le dita
come un disturbato: “Io-io…Lui mi ha aggredito,
era ubriaco, mi sono dovuto
difendere!”
Nathaniel
prese il telefono, iniziando a
digitare dei numeri: “Ok, è legittima difesa
allora!”
Ma
Anthony lo fermò bruscamente: “Ehi, NO!
Non chiamare nessuno!”
“Cosa?
DEVE farlo!” esclamò Sam, trovando
assurdo il comportamento di Anthony.
Quello,
quasi piagnucolò: “Ragazzi è una cosa
grossa questa, non potrei sopportarla. Inoltre, potrei andare in galera
se
qualcosa non torna, insomma, avete visto anche voi quei film in cui la
gente
innocente va in galera, no?”
Intrevenne
Eric, ora: “Sì, ma quelli sono solo
film! E poi, cosa pensi di fare, tagliare tuo padre a pezzettini e
metterlo nel
congelatore in stile Dexter Morgan?”
Quello
si limitò a rimanere in silenzio,
fissandolo.
Rider
era a dir poco sconcertato: “Oh mio
Dio, ci stai davvero pensando?”
Anthony,
allora, si decise a parlare: “No,
ma…Sentite, ho messo la casa in disordine e ho preso tutti i
contanti dalla
cassaforte, lasciando aperto lo sportello. Sembrerà che
siano entrati i ladri
e…”
Nathaniel
lo fermò, sbalordito, reagendo male:
“E cosa? Vuoi che ti colpiamo in testa e ti trasciniamo
vicino a tuo padre per
creare una falsa scena del crimine?”
“NO,
niente di tutto questo! L’unica cosa che
dovete fare è accompagnarmi alla stazione di Rosewood,
ok?”
“Ancora
non capisco cos’hai in mente!”
esclamò Sam, disorientato.
Rider
intuì: “Io, forse, sì. –
fissò Anthony,
psicanalizzandolo – Vuoi sparire, fingendo di essere stato
rapito, non è così?
Ti serve un passaggio da noi, perché se prendi la tua auto
potrebbe risultare
strano…”
Dopo
qualche secondo, Anthony annuì: “Sì,
hai
indovinato. – guardò ognuno di loro, fragile
– Ragazzi, non posso rimanere qui.
Aiutatemi!”
I
quattro amici si guardarono fra loro, dando
rapide occhiate anche al cadavere. Ci rifletterono e finalmente
arrivarono ad
una decisione.
*
Erano
tutti nella macchina di Rider, diretti
verso la stazione di Rosewood. Prima, però, erano passati a
casa di Sam per
lasciare la sua auto, dato che era di strada.
Improvvisamente,
Rider fermò l’auto, preso
dalla paranoia: “E se avessimo contaminato la scena del
crimine? Potrebbero
trovare un nostro capello, in media perdiamo molti capelli al giorno e
le ruote…Potremmo
aver lasciato dei segni di preneumatico quando abbiamo
parcheggiato!”
E
mentre gli altri sembravano presi dalla
paranoia quanto lui, lo sguardo perso, Anthony roteò gli
occhi, aprendo la
portiera e scendendo dall’auto. Aprì la portiera
di Rider, a quel punto: “Scendi!”
“Cosa?”
quello lo fissò, stranito.
“Mettiti
al mio posto, tu non sei in grado di
guidare e io non ho tempo da perdere!”
I
due fecero il cambio di posto, poi
ripartirono.
“Restate
calmi, abbiamo passato dieci minuti
a scegliere il percorso più sicuro, che non include negozi
con le telecamere di
sorveglianza o altre zone videosorvegliate. Nessuno saprà
che mi avete visto
questa notte o che eravamo in giro per la città!”
E
tutti annuirono, ripetendosi che sarebbe
andato tutto bene, mentre Anthony andava sempre più veloce.
La
velocità con cui andava, però,
preoccupò
Rider, che si stava reggendo: “Forse dovresti rallentare, non
siamo così
lontani dalla stazione!”
Anthony
lo guardò attraverso lo specchietto
retrovisore: “Rider, sta calmo, prima arriviamo,
prima…”
Ma
non potè completare ciò che stava dicendo,
perché in mezzo alla strada spuntò fuori
qualcuno, che investì letteralmente.
Il corpo colpì il parabrezza per poi rotolare sul tettuccio
e cadere dall’altro
lato. Anthony, sotto le urla dei compagni, frenò
l’auto.
Inizialmente,
ci fu silenzio, mentre i
cinque, a bocca aperta e occhi sgranati, fissavano la strada davanti a
sé. Non
riuscivano nemmeno a muoversi, consapevoli che alle spalle della loro
auto c’era
un corpo disteso sull’asfalto.
Dopo
aver deglutito, Anthony trovò il
coraggio di scendere a vedere.
In
un breve stacco di tempo, anche gli altri
scesero, benchè sconvolti, raccogliendosi intorno al corpo.
Anthony
si chinò, girando il corpo, dato che
era rivolto a pancia sotto.
Con
sua grande sorpresa, conosceva quella
persona: “Albert?”
Gli
altri, che avevano lo sguardo basso per
il disagio, lo sollevarono, al suono di quel nome.
Sam
avanzò, incredulo, per vedere meglio:
“Albert… - si rese conto di aver alzato troppo la
voce, guardandosi poi
intorno, ritentando con voce più bassa – Albert
Pascali?”
“Ma
che ci faceva in giro a quest’ora?”
domandò Rider, scambiandosi un’occhiata con i suoi
amici.
“Sì,
ma è morto?” volle sapere Eric,
terrorizzato dalla risposta che poteva ricevere.
“Sì…
- controllò – è morto!”
esclamò Anthony,
facendo precipitare a terra il morale di tutti.
“Tutto
questo non sta accadendo davvero!”
pensò Nathaniel, sconvolto, camminando avanti e indietro,
accanto all’auto, le
mani tra i capelli.
“Io-io
non ci sto credendo, che facciamo
adesso?” sussultò Sam, cercando una risposta negli
occhi degli amici, spaesanti
quanto lui.
Anthony,
intanto, aveva iniziato a frugare
negli abiti del ragazzo, attirando su di sé strane occhiate.
Eric
fu l’unico a trovare le parole per
chiedergli cosa stesse facendo: “Ma che fai
adesso?”
Ma
quello non rispose, trovando ciò che stava
cercando: il telefono di Albert.
Dopo
averlo maneggiato per qualche istante,
esclamò energicamente: “Sì! Lo sapevo
che eri tu A!”
“A?
Ma di che stai parlando?” Nathaniel faticava a seguirlo,
mentre Rider no,
ricordandosi del messaggio a scuola, restando comunque zitto in merito.
“Ho
un’idea!” Anthony si voltò verso di
loro,
serio, ignorando le perplessità di Nathaniel.
“Ho
paura ogni volta che hai un’idea,
Anthony. Una paura tremenda!” esclamò Sam.
“Torniamo
a casa mia, mettiamo il corpo di
Albert accanto a quello di mio padre e appicchiamo
un’incendio. Il fuoco
distruggerà il DNA e la polizia darà per scontato
che si tratti di me e mio
padre. Niente omicidio, niente galera!”
“Avevi
detto che era leggittima difesa!”
esclamò Eric, agghiacciato quanto gli altri per il modo di
ragione di Anthony.
“Lo
è stata, infatti! – ribadì Anthony,
cercando di convincere poi i suoi amici ad aiutarlo –
Ragazzi, vi prego,
aiutatemi con Albert, poi mi lascerete in stazione e ognuno di voi
potrà
tornare a casa a fare sogni tranquilli!”
“Sogni
tranquilli? Ho il parabrezza rotto e
sto tremando. Sarebbe più opportuno parlare di incubi:
questa è la notte più
assurda della mia vita!” pensò Rider, trovando
assurda ogni parola che usciva
dalla sua bocca.
“Ok,
mettiamo che tutto fili come dici tu, ma
come la mettiamo con Albert? Qualcuno si accorgerà che
è scomparso!” sollevò la
questione, Nathaniel.
Rider
seguì la scia del suo discorso, nervoso
e paranoico: “E troveranno il suo sangue sulla mia auto e a
quel punto io andrò
in galera, mentre tu sarai a Las vegas o chissà dove con
addosso una ghirlanda
di fiori!”
“Metti
l’auto nel tuo garage, lavala con il
tubo e il sangue verrà via. I tuoi torneranno
Mercoledì, no? Più tardi ti darò
il numero dell’autofficina di un mio amico, và da
lui e tutto tornerà come
nuovo. Per quanto riguarda Albert, non c’è niente
che ci collega a lui e il suo
telefono me lo porterò via con me. –
cercò di convincerli ancora una volta –
Forza ragazzi, si può fare! Non posso fermare la mia fuga
per Albert. Ormai è
morto e voi non volete guai, vero?”
Quelle
ultime parole, parvero quasi una
minaccia, come se Anthony avrebbe trascinato giù anche loro.
I quattro si
guardarono e senza avere scelta, aiutarono il loro leader, subito dopo,
a
mettere Albert nel bagagliaio.
*
Tornati
nel soggiorno
di casa di Anthony, esausti, avevano appena messo il corpo di Albert
accanto a
quello del Signor Dimitri. Rider aveva in mano una tanica di benzina,
che
Anthony gli prese dalle mani.
“Fortuna
che Rider è un
tipo previdente e ha sempre della benzina di riserva!”
esclamò quello,
sorridendo.
Rider,
però, non
sorrideva per niente: “Possiamo fare in fretta, per favore?
Non ce la faccio
più!”
“Voglio
andarmene anche
io, sto perdendo la testa!” esclamò Eric.
“Già,
facciamola
finita, Anthony! Muoviti!” aggiunse Nathaniel.
Anthony
smise di sorridere,
sentendo che i suoi compagni non lo sopportavano più. Ma
poco gli importava e
allora iniziò a versare la benzina sui corpi, senza ritegno
né morale. In
maniera fredda, come gli assassini.
Una
volta versata la
benzina, rimasero tutti e cinque impalati e increduli.
Sam
scosse la testa, lo
sguardo perso e spento: “E pensare che adesso dovrei essere
con Chloe, nella
mia camera, a vedere How to get away with murder!”
Nel
silenzio generale,
Rider scoppiò in una risata isterica: “Annalise
Keating ci offrirebbe la sua
consulenza per quanto siamo messi male!”
Anthony
lo riprese:
“Non essere sciocco, ne usciremo come se non fosse accaduto
nulla!” e dopo aver
acceso il fiammifero, lo gettò sui corpi, che presero fuoco.
“Forza,
andiamo!”
esclamò loro, che uno alla volta, lo seguirono fuori
dall’abitazione.
*
Parcheggiati
davanti
alla stazione, Anthony era davanti al finestrino, accanto
all’auto, con i
ragazzi che lo guardavano da dentro.
Con
il borsone sulla
spalla, salutò i suoi amici: “Beh, è
arrivato il momento, a quanto pare…Voi-voi
tornate ognuno a casa propria e fate finta di niente. Ma, soprattutto,
non fate
parola con nessuno di quello che è successo stanotte.
– fissò Sam, in
particolare – Sam, dico a te. Non dire nulla a Chloe, so
quanto siete amiconi
voi due!”
Quello
nemmeno lo
guardò, pieno di odio: “Mi vergognerei a
raccontare di questa notte a me
stesso, davanti allo specchio, figuriamoci ad un'altra
persona!”
Anthony,
allora, annuì,
rendendosi conto che il tempo era scaduto: “Adesso devo
andare, statemi bene...
– tutti avevano lo sguardo che puntava da altre parti, freddi
– Beh, Buona
vita!” e capì che non sopportavano più
la sua presenza, così si voltò e
camminò
verso l’ingresso della stazione.
Finalmente,
poi, trovarono
il coraggio di voltarsi e guardarlo allontanarsi.
“Ed
ecco a voi l’ultimo
grande discorso di Anthony Dimitri. Dove non si è pentito di
assolutamente
nulla!” commentò Nathaniel.
“Dovrei
essere felice
che sia finalmente uscito dalle nostre vite,
eppure…” pensò Sam, inquieto.
“Fai
passare qualche
giorno e vedrai che lo sarai. Lo saremo tutti, quando questa storia
sarà
archiviata!” aggiunse Rider, fiducioso per il meglio.
“Adesso,
vorrei solo
andare a casa!” esclamò Eric, esausto.
“Bon
Voyage, Anthony!”
augurò Rider, accendendo il motore e portando finalmente
tutti a casa.
TRE
GIORNI DOPO
Nella
bianca chiesa di
Rosewood, si erano appena svolti i funerali di Anthony Dimitri. Gli
abitanti
che avevano preso parte alla funzione, la stavano lasciando, scendendo
per le
gradinate. Tra questi, quattro ragazzi: i migliori amici di Anthony.
Fermi
davanti alla
chiesa, mentre tutti andavano via, cercavano di mantenere le apparenze.
“Chloe
è andata a
prendere la macchina, vado via con lei!” esclamò
Sam.
“Accidenti,
c’è più
gente di quanto pensassi!” esclamò, subito dopo,
Nathaniel.
“Direi
che è finita,
no? Tutto è andato come previsto da Anthony!” si
sentì più sollevato, Eric.
“Rider,
cos’hai fatto
per la tua auto?” gli domandò Nathaniel, parlando
a bassa voce, mentre la folla
si dileguava lentamente.
“Come
nuova, l’amico di
Anthony è stato bravo. Mi ha anche fatto uno sconto per il
lutto!”
Qualche
secondo di
silenzio e una brezza, investì il gruppo, che stava appena
realizzando un
qualcosa che non provavano da molto.
Sam
fu il primo ad
esternare quella sensazione, accennando man mano un sorriso:
“Per quanto sia
stata orribile quella notte e quello che è successo al
povero Albert, noi non
abbiamo colpa di nulla. Non abbiamo ucciso nessuno. E, per la prima
volta, dopo
tanto tempo, mi sento finalmente…”
“Libero?”
completò
Nathaniel per lui.
“Sì!
– rise Sam – Che
bella sensazione, vero?”
e gli altri non
poterono che essere d’accordo.
“Assaporate
la vita
senza Anthony Dimitri!” respirò la pura aria,
Rider, mentre continuavano a
ridere, incuranti della gente che li fissava basiti.
Improvvisamente,
però,
quel sorriso dovette spegnersi, nel momento in cui i loro telefoni
iniziarono a
suonare nello stesso momento, notificando un messaggio.
Trovando
strana la
cosa, si lanciarono una rapida occhiata, prima di aprire quello che era
un
allegato al messaggio: un video.
Mostrava
Anthony che
aspettava il treno, da solo, quella notte. Chi stava filmando, si stava
avvicinando alle sue spalle, ma non fu così silenzioso da
non rivelare la sua
presenza.
“Oh,
guarda chi c’è! – finse di guardare
l’orologio, Anthony, restando tranquillo – Sto
aspettando una cugina, arriva
dall’Oklahoma. Non sto partendo come sembra!”
Eric
commentò il video che stavano guardando:
“Perché
sta mentendo?”
“Non
puoi far credere di essere morto nell’incendio di
casa tua, se qualcuno ti vede lasciare la città!”
spiegò Rider.
“Mi
ha appena mandato un messaggio, ha
detto che prenderà il treno di domani. – rise
– A saperlo prima, mi sarei
risparmiato tutto questa strada fino a qui. –
iniziò ad allontanarsi – Ora
credo proprio che tornerò a casa, ci si vede!”
concluse Anthony.
Quella
persona, però, sembrò seguirlo ed
Anthony se ne accorse.
“Ok,
si può sapere che stai cercando di
fare? – notò qualcosa di nascosto – Ehi,
ma-ma mi stai filmando?”
La
videocamera si abbassò, facendo bruschi
movimenti. Qualcosa accadde subito dopo
“Aspetta!
No no NOO!” urlò Anthony.
“Ehi,
ma che sta
succedendo?” domandò Sam, mentre spostava lo
sguardo tra lo schermo del
telefono e i suoi amici, sconvolto. Si sentirono strani rumori, come di
una
persona che sta soffocando.
Improvvisamente,
il
video si bloccò e comparve una scritta.
“Tutti
credono di essere andati al
funerale di Anthony...Ma se questo fosse davvero il funerale di
Anthony? Siamo
in gioco, stronzetti!”
-A
I
quattro si
scambiarono uno sguardo agghiacciato, realizzando che la
libertà era molto più
lontana di quanto credessero.
CONTINUA
NEL SECONDO CAPITOLO
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Capitolo 4 *** 1x03-Chi c'è nella bara? ***
CAPITOLO
TRE
“After the Crimes, After
We’ve Lied”
PREVIOUSLY
ON BLACK HOOD:
Albert
affronta Anthony in mensa; tra i due c’è astio.
Anthony
costringe i suoi amici a girare un video sugli
sfigati della scuola, saltando le lezioni, mentre Albert è
nascosto dietro la
porta.
Subito
dopo, riceve un messaggio da parte di qualcuno
che si firma A e che minaccia di
smascherarlo su qualcosa.
Ognuno
dei quattro ragazzi nasconde un segreto: La
sorella di Rider si apparta con uno dei professori, di nascosto; Eric
viene
accompagnato a casa sua da Sam, in un bel quartiere, ma non entra in
nessuna di
quelle case, tornando indietro, subito dopo averlo visto svoltare;
Nathaniel
riceve il fax di una ricetta medica e davanti a Rider la spaccia per
suo padre;
Sam, infine, è segretamente gay e ha una cotta per
Nathaniel. Anthony sembra
conoscere tutti i loro segreti e tiene in pugno l’intero
gruppo, secondo Chloe,
la migliore amica di Sam.
Il
padre di Anthony si presenta a scuola, contattato dal
preside, a cui, probabilmente, è stato notificato
l’atto di bullismo in mensa.
E’ ubriaco ed Anthony cerca di mandarlo via, osservato da
Rider e Nathaniel.
Tornato
a casa, Anthony scopre che qualcuno ha violato
il suo computer e quel qualcuno è la stessa persona che gli
ha inviato la
minaccia a scuola: A.
Furibondo,
ha una violenta lite con il padre e finisce
per colpirlo alla testa con una bottiglia di vetro, uccidendolo.
Preso
dal panico, manda un SOS ai suoi quattro amici,
che lo raggiungono a casa sua e scoprono del cadavere. Anthony,
apparentemente
tranquillo e inquietante, spaccia la cosa per legittima difesa e
costringe i
compagni ad inscenare la sua scomparsa, facendola passare per un
rapimento a
seguito di un furto in casa.
Diretti
alla stazione di Rosewood, Albert spunta,
improvvisamente, davanti alla strada ed Anthony, alla guida, lo
investe. Scesi
tutti dall’auto, scoprono che è morto ed Anthony
trova il suo cellulare,
confermando la sua teoria: Albert era la A
che l’ha minacciato.
Mentre
il gruppo cerca di metabolizzare ciò che sta
accadendo, sconvolti, Anthony cambia i suoi piani di fuga e propone di
portare
il corpo di Albert a casa sua e metterlo accanto a quello del padre,
per poi
bruciare entrambi. La scena del crimine sarebbe risultata
più credibile e la
polizia avrebbe dato per scontato che si tratti di lui.
Aggiustata
la scena del crimine, i ragazzi accompagnano
nuovamente Anthony alla stazione e quello dice loro addio, pronto a
sparire per
sempre.
Tre
giorni dopo, tutto va secondi i piani di Anthony: la
polizia ha identificato Albert come lui. I suoi amici prendono parte al
funerale e all’uscita dalla chiesa, ricevono un video da A, dove Anthony viene
assassinato…
~
AND
NOW...
In piedi, fuori
dalla
chiesa di Rosewood, i quattro ragazzi tenevano ancora fra le mani i
loro
telefoni, cercando di capire cosa stesse accadendo.
“Chi
diavolo è questa A?
E’ già la seconda volta che ne sento
parlare!” si innervosì Nathaniel, turbato,
cercando una risposta negli occhi
dei suoi compagni.
Rider si
affrettò a far
presente loro, un avvenimento di cui non erano a conoscienza:
“A ha scritto un messaggio
ad Anthony il
giorno in cui abbiamo girato quel filmato a scuola, non appena abbiamo
lasciato
l’aula. Ero con lui. Diceva che lo avrebbe
smascherato!”
Sam
fissò ognuno di loro,
confuso: “Smascherare cosa, esattamente?” e Rider
sollevò le spalle, non lo
sapeva.
Eric,
però, aveva altre
perplessità: “Un secondo, Anthony ha frugato negli
abiti di Albert, quella
notte, e ha tirato fuori il suo cellulare, scoprendo che era stato
proprio lui a
mandargli il messaggio, perciò…”
“Perciò,
cosa?” ribattè
Nathaniel, odiando quella suspence.
Fu Rider,
però, a mettere
in chiaro le cose: “Quello che sta cercando di dire Eric
è che A è
Albert, ma lui è morto e a noi è
appena arrivato un messaggio di A.”
Sam stava a dir
poco
impazzendo, ora, ma cercava di mantenere un contegno, di fronte alle
persone
che stavano lasciando la chiesa: “Ok, a meno che Albert non
sia magicamente resuscitato
come un personaggio di The vampire diaries
per mandarci questo video e il conseguente messaggio,
cosa diavolo significa tutto questo?”
“Mi
sembra chiaro, si tratta di due A!
Una era Albert e quest’altra…Beh,
forse, è un suo amico!” pensò
Nathaniel, in piedi accanto a lui, trovandolo
ovvio.
“Chiunque
sia, non ha ricavato
questo pseudonimo dal nulla. Avrà iniziato questo scherzo
con Albert!” suppose,
Sam.
Nathaniel
sussultò: “Uno
scherzo? – lo trovò un pessimo eufemismo -
Ragazzi, Anthony è stato assassinato!”
Sam, allora,
fece un
cattivo pensiero, per niente tranquillo: “Forse era
psicopatico! E lo è anche
questo suo amico segreto…insomma, è risaputo che
quelli come Albert sono come
tacchini del ringraziamento che si riempiono di cattiverie e
umiliazioni nel
corso della vita per poi uscire dal forno sottoforma di serial killer e
sociopatici!”
“Oppure
il vero psicopatico,
qui, è Anthony! – Rider attirò la loro
attenzione, trovando ridicole le loro
supposizioni – Ma dai, che razza di amicizie pensate che
Albert frequentasse? E
stiamo parlando dell’inetto-Albert, quello che a scuola
sedeva in mensa con
altre sedie!”
Nathaniel non
capì: “Cioè?
Spiegati!”
“Avete
visto come si è
comportato Anthony, quella notte, no? Prima diceva di aver ucciso il
padre, poi
che era stata legittima difesa, confondendosi. Mette in disordine la
casa per
fingere l’irruzione di qualche ladruncolo, poi investe un
ragazzo e, anziché
andare nel panico per il suo secondo omicidio della giornata, cosa fa?
Pianifica
un’altra scena del crimine? Decisamente psicopatico!
– aveva ormai coinvolto i
suoi amici, in quel ragionamento – Per non parlare del video
che ci è appena
arrivato…Avanti, avete davvero creduto a quei finti versi di
soffocamento o
qualunque cosa fosse? E’ tutta una montatura, è
palese! Albert non ha nessun
amico serial killer – anzi,
correggo –
non ha amici in generale! E’ stato assurdo anche solo
persarlo. – rise - Parliamo
di qualcuno che, abilmente, è riuscito a scambia due corpi,
svalcando ogni tipo
di sistema: una cosa totalmente impossibile!”
“Questo
vorrebbe dire che
qualcuno ha aiutato Anthony: nel video c’è una
seconda persona, anche se non si
vede. Non è un po’ assurdo?”
pensò Nathaniel.
“Beh,
Anthony è una persona
assai influente, ha sempre saputo come manipolare le persone per
aiutarlo. E
poi, chi di noi lo conosceva veramente? – fissò i
suoi compagni – Io non l’ho
mai frequentato fuori dall’ambiente scolastico, eccetto
qualche volta. Chissà
che gente frequentava o che razza di vita aveva! Ha sicuramente
contattato
qualcuno dopo che ce ne siamo andati e quel qualcuno l’ha
aiutato a girare il
suo video da premio Oscar, prima di lasciare Rosewood e i suoi problemi
per sempre!”
Cominciarono a
scendere le
gradinate della chiesa, mentre Sam continuava a parlare con toni bassi
e ancora
perlessi: “Io non capisco,
allora…Perché Anthony avrebbe dovuto montare una
recita
del genere? Mandarci questo video falso.”
Rider
marcò la risposta, a
braccia conserte e sguardo acceso: “Perché non si
fida di noi! E ora vuole
farci credere che è morto, così da tenere la
bocca chiusa per sempre!”
“Questa
è follia! Pensava che
saremmo stati vittima di una lobotomia, dopo aver visto qualcuno
ucciderlo in
video? Anche un bambino di otto anni denuncerebbe una cosa simile al
volo!”
commentò Nathaniel, andando contro l’opinione di
Rider.
Eric, convinto
dalla teoria
di Rider, invece, cercò di convincere Nathaniel e anche Sam:
“Rispondi, allora:
Andresti mai alla polizia a raccontare che qualcuno ha ucciso il tuo
amico,
senza raccontare anche che con lui hai investito un ragazzo,
l’hai caricato nel
bagagliaio e trascinato accanto al cadavere di suo padre per poi
accendere un
fuocherello?”
Il silenzio di
Nathaniel,
rispondeva da sé; ciò non tolse che aveva ancora
molti dubbi.
Vicini alla
macchina di Rider,
fu proprio quest’ultimo a prendere nuovamente parola:
“Ascoltate, Anthony ha
avuto quello voleva e ci ha lasciato il suo ultimo, epico e bizzarro
regalo d’addio.
Sono passati tre giorni, ormai, e non siamo nei guai. E’
finita! Andiamo avanti
con le nostre vite, io ne ho già abbastanza!”
Quello, poi,
aprì la
portiera, pronto ad andarsene. Ormai la folla di persone davanti alla
chiesa si
era totalmente dileguata.
Sam lo
fermò, però, ancora
troppo insicuro: “E se non avessi ragione? E se quello nella
bara fosse davvero
Anthony e questa A ha scambiato i
corpi per spaventarci? Siamo in gioco,
stronzetti
: non mi sembra una frase che miri ad una conclusione!”
L’altro
sembrava assai
indisposto ad ascoltare altro; aveva già la sua teoria,
ormai: “Non
scoperchierò una bara per capire se un pezzo di carbone
è Anthony o Albert. E
di A non me ne frega niente,
perché
è Anthony, ragazzi! Lui ci ha mandato il video e il
messaggio, non
l’immaginario amico fuori di testa di Albert che vuole fare
giustizia!”
Lentamente, il
gruppo
sembrò convincersi del tutto, dopo essersi scambiato una
rapida occhiata.
“Spero
che tu ed Eric abbiate ragione. Perché
se il video e il messaggio non ci sono stati mandati da Anthony, allora
avremmo
un bel problema!” concluse Nathaniel, mentre si
allontanavano, prendendo ognuno
la propria auto.
In
quell’esatto istante, Chloe
passò a prendere Sam, dopo aver recuperato la sua auto.
Quando se ne andarono
tutti, anche un’altra macchina, dai vetri oscurati, che fino
a poco prima era
rimasta parcheggiata, partì.
*
Erano le quattro
di
pomeriggio, mentre Rider sedeva davanti al tavolo della cucina, su uno
sgabello.
Di fronte a sé, il suo PC, intento a scorrere la bacheca dei
vari messaggi
postati dagli studenti della scuola di Rosewood. Molti di essi
riguardavano
Albert Pascali e la sua scomparsa, dichiarata qualche giorno prima.
C’erano
addirittura foto con le dediche. Ogni messaggio che leggeva, si
rifletteva sui
suoi occhi, lucidi, assieme alla luce dello schermo.
“Sappiamo perché te ne sei
andato… - si soffermò su uno di essi,
leggendolo a voce – Lo stronzo
è morto,
torna a casa! ”
“Possiamo essere amici…”
“Non sarai più solo! ”
Quello che lesse
subito
dopo, però, lo costrinse a raddrizzarsi con la schiena e a
sgranare un po’ gli
occhi: “Morite,
stronzetti!”
Scese in basso
con lo
sguardo per leggere chi l’aveva postato.
“…Anonimo.”
A quel punto
deglutì,
cercando di rilassarsi. Pensò che chiunque avrebbe potuto
scriverlo, data la
situazione.
Improvvisamente,
squillò il
telefono, facendolo sobbalzare: era Sam.
“Ehi,
Sam!” rispose.
“Stai
leggendo anche tu i
commenti?” chiese con la voce rotta, come di chi aveva pianto.
“Certo…
- pensava che
fossero il colmo – E trovo incredibile quanto la gente sia
ipocrita e falsa.
Insomma, queste sono le stesse persone che fino ad una settimana fa gli
passava
davanti, ignorandolo come si fa con un mendicante che chiede
l’elemosina e
adesso tutti vogliono essere suoi amici, gli scrivono
dediche…”
“Ci
sono commenti anche su
Anthony…e anche qualcuno su di noi.”
“Beh,
la morte non
ripulisce la tua immagine di colpo! E nemmeno la nostra: I seguaci del
diavolo!”
Sam fece una
pausa, prima
di riprendere parola: “Ho pianto per quasi venti minuti, dopo
essere tornato a
casa…Ci siamo ripetuti nella mente che potevamo essere
liberi e felici, dopo
l’addio di Anthony, ma…Non mi sento per niente
libero né felice. Penso ad Albert
e a come l’abbiamo messo nel bagagliaio, buttandolo
lì dentro come si butta una
busta della spazzatura. Mi rivedo nella mente e mi chiedo a cosa
diavolo stessi
pensando in quel momento, quando ho fatto quelle cose con
Anthony.”
Rider
deglutì a fatica,
sentendosi strozzare, rosso in viso, ripercorrendo quella notte.
Condivise
perfettamente le sensazioni dell’amico: “Lo stesso
vale per me. E’ come se
quella notte, qualcosa si fosse impossessato di me per eseguire ogni
richiesta
di Anthony. Senza ragionare, senza pensare a quel povero
ragazzo… - una nota di
pentimento nella voce - Potevamo ribellarci, chiamare qualcuno e,
invece, no.
Volevo solo tornare a casa…”
“Mi
sento in colpa come se
l’avessi ucciso io e non riesco a respirare ogni volta che
incrocio mio padre
per casa con la sua divisa e il suo distintivo e tutti i valori che ha
racchiuso lì dentro.” aggiunse
Sam.
“Beh,
dobbiamo trovare il
modo di superare la cosa. Non possiamo fare altro, Sam. Domani
torneremo a
scuola e Dio solo sa cosa dovremmo affrontare, ma passerà.
Non saremo per
sempre gli amici del mostro.”
Sentì
un rumore provenire
dal piano di sopra, qualcuno stava scendendo le scale.
“Ascolta,
Sam, ora devo
chiudere. Spegni il computer e riposati un pò. Ci
sentiamo!”
“Ok!”
concluse anche Sam, chiudendo.
Alle spalle di
Rider,
arrivò sua madre, Ellen Stuart, una donna elegante,
all’apparenza, con indosso
un cappotto nero e la ventiquattrore stretta
alla mano destra. Stava per uscire.
“Ehi,
com’è stato il
funerale? – gli diede una bacio sulla testa – Stai
bene?”
Tirò
un sospiro, fingendo
un sorriso: “Sto bene, Mamma. Starò
bene!”
“Tesoro,
non cercare di
essere forte. Hai perso un amico, è più che
comprensibile che tu soffra.” si
soffermò, lei, a controllare le sue condizioni.
Improvvisamente,
anche
Lindsay entrò in cucina, dirigendosi verso il frigo.
Lo
aprì, prendendo un
piattino con sopra una fetta di torta, ignorando completamente i
presenti.
Ellen,
voltandosi, la
ammonì: “Ehi, che stai cercando di fare?”
L’altra
girovagò con lo
sguardo, stranita per quella domanda: “Ehm, sto per mangiare
questa fetta di
torta, madre?”
“Quella
è per tuo fratello,
oggi ha seppellito un suo caro amico, sii gentile per una
volta!”
“Ah,
è così? – si infuriò,
lei - Però quando è morta la mia amica di penna
in Australia non ho trovato
l’ultima fetta di torta in frigo con sopra il mio
nome!”
Ellen, allora,
le si
avvicinò e le prese di mano il piattino: “Sei la
maggiore, cerca di comportarti
come tale! Abbi un minimo di rispetto.”
E quella rimase
a braccia
conserte, poggiata al frigo, tenendo il musone, la testa rivolta da
un’altra
parte, mentre la madre poggiava il piatto vicino al portatile di Rider.
Gli prese il
mento, poi,
premurosa: “Tesoro, mangia un pò, ok? E prenditi
una pausa dallo studio, hai
già fin troppe‘ A’
sul tuo curriculum
scolastico!”
Poi si
voltò verso la
figlia, tornando seria in viso.
“TU!
Porta Toby allo
studio, verso le sei, intesi?
L’altra
reagì male,
incredula: “Cosa? Perché io?” ricevendo
immediatamente un’occhiataccia, che la
costrinse a sbuffare.
“A
proposito, come sta
Toby?” chiese Rider, preoccupato.
“Credo
si sia slogato la
zampa, lo visiterò meglio. – fece un commento -
Sapevamo quant’era vivace,
quando l’abbiamo preso in casa nostra. – si
voltò verso Lindsay, poi – Non
mancare!” e uscì dalla porta sul retro della
cucina, facendo un ultimo sorriso
al figlio.
Rider
tornò a fissare la
sorella, che lo stava già fissando prima che lui incontrasse
i suoi occhi.
Scuoteva la testa, un sorriso cinico.
“Puoi
anche smetterla con
la recita della tristezza, fratellino. TUTTI possiamo finirla con
questa
recita, ora che Anthony è morto. Mi fissava come se fossi
una sgualdrina, ogni
volta che mi salutava per i corridoi, e io dovevo fare sempre la
carina, affinchè
non dicesse in giro ciò che sapeva di me. Dovresti essere
contento anche tu,
ora che non dovrai più essere suo amico per mantenere il mio
segreto. Era un
pessimo soggetto e nessuno piangerà sulla sua
tomba!”
Rider rimase in
silenzio,
anche se dentro di sé voleva dirgliene quattro su
ciò che pensava di lei e il
suo professore. Lindsay, poi, si avvicinò a lui.
“E
questa… - prese il
piattino con sopra la fetta di torta, una smorfia perfida sul viso
– la prendo
io, per festeggiare!” e lasciò la stanza, seguita
dallo sguardo irritato del
fratello, furioso con sé stesso per non averla messa al suo
posto.
*
Seduto su uno
dei divanetti
del Brew, anche Eric stava leggendo i commenti sulla pagina della
scuola. Ad un
certo punto, non ne potè più di leggere e chiuse
il portatile, sospirando
e mettendosi più comodo sul
divanetto, nel tentativo di scaricare la tensione. Osservava le persone
che
entravano e uscivano per un caffè o una ciambella, annoiato,
finchè ad un certo
punto non notò la barista, mai vista prima. Intuendo fosse
nuova, si alzò e
decise di avvicinarsi al bancone, ma non prima di essersi voltato verso
le
porte vetrate del locale, nelle quali si riflettè. Il suo
primo istinto fu
quello di aggiustarsi i capelli e la mano si portò quasi da
sola fino alla
testa. Eric, però, la fermò di colpo, poco prima
di arrivare a toccarseli,
fissandosi a lungo. Tornò, poi, ad avviarsi verso il bancone
e comprese che non
aveva bisogno di sistemarsi. Che non doveva essere come Anthony gli
aveva insegnato
ad essere.
“Salve,
cosa le posso
dare?” domandò la ragazza, dietro al bancone,
notando Eric lì davanti. Aveva la
carnagione chiara, dei lunghi capelli neri, raccolti a coda di cavallo,
ma con
due ciuffetti che cadevano ai lati del viso. Si intravedevano anche
delle ciocche
azzurre, che si abbinavano perfettamente con i suoi occhi.
Cadendo dalle
nuvole,
quello abbassò gli occhi sulla vetrinetta: “Ehm,
vediamo, queste due focaccine
sulla destra. Da portar via!
Quella
eseguì, gentile, facendo,
però, fatica a prenderle, dal momento che le cadevano in
continuazione. Ad un
certo punto, se ne imbarazzò, diventando rossa.
Eric non
potè che lasciarsi
sfuggire una risata: “Puoi prenderle con le mani, se vuoi.
Sempre che tu non le
abbia messe nel posto meno igienico della terra!”
L’altra,
sempre più
imbarazzata, rise a sua volta per sdrammatizzare la sua figuraccia:
“Scusa, che
imbranata, non le so usare queste grosse pinze… -
riflettè, guardandole meglio
- Sempre che si chiamino così! E comunque, no, le mie mani
non sono mai state
nel posto meno igienico della terra!”
Eric
annuì, sfumando la
risata in un accenno di sorriso: “Buono a sapersi
e…Francamente non ho idea di
come si chiamino quelle grosse pinze con cui si prende il cibo. Magari
si
chiamano proprio così, alla fine. Insomma, se le avessi
inventate io le avrei
chiamate pinze o grosse pinze!”
“Sì,
anche io. Grosse pinze
è proprio da me; praticamente io VIVO di cose banali! Sono
la banalità fatta a
persona. Sono quella che chiamerebbe il proprio figlio con il nome di
un pazzo
serial killer letto sulla prima pagina del giornale, senza sapere che
è il nome
di un pazzo serial killer!”
scherzò lei,
mentre stava già incartando le focaccine.
“Beh,
pare che i nomi dei
serial killer siano parecchio carini. – quello
azzardò una domanda - Non sei
incinta, vero?”
Quella
sgranò gli occhi:
“Io? NO! No no, assolutamente no! Come minimo tra dieci anni
e mezzo!”
Eric
sollevò le
sopracciglia, lasciandosi scappare un’altra risata:
“Non so cosa c’entri il
mezzo, ma aspettare dieci anni è più che giusto.
Nemmeno io voglio essere padre
così presto, sono ancora un moccioso!”
L’altra,
consegnandogli le
focaccine, scoppiò a ridere: “Ok, moccioso!
– sfumò in un accenno di sorriso,
restando impalata - Ma come siamo passati dalle pinze giganti al
progettare la
data di nascità dei nostri futuri figli?”
Ne era stupido
anche lui,
ma seppe trovare una risposta adeguata: “Benvenuta nel mondo
delle conversazioni
tra estranei, che, pur di chiecchierare, parlebbero di qualsiasi
argomento.”
Ad un certo
punto, però, la
ragazza dovette sottrarsi dalla piacevole conversazione. Questo,
perché fissata
dal suo capo, a distanza: “Beh, credo che rimarremo due
estranei, - si allacciò
meglio il grambiule per poi passare uno straccio sul bancone -
perché devo
tornare a lavoro o il mio capo intensificherà ancora di
più le sue occhiatacce!”
Eric si
voltò a guardarlo:
“Rilassati, ora non ti sta guardando più.
– si voltò nuovamente verso di lei –
Sei nuova, vero? Non ti avevo mai vista qui al Brew!”
Nonostante non
fosse più
osservata, continuò a muoversi: “Cosa mi ha
tradita? Il fatto che non sappia
usare delle grosse pinze o che mi preoccupo delle occhiatacce del capo?”
“Le
occhiatacce del capo:
senza dubbio! Quando sei nuovo, ti preoccupi sempre che il capo non ti
veda
commettere errori, poi, con il passare del tempo, te ne freghi sempre
meno.”
L’altra
dovette congedarlo:
“Ed è per questo che devo salutarti, lavoro qui da
circa venti minuti! –
spostando lo
sguardo tra lui e ciò che
stava facendo - Riprendiamo la conversazione tra centoventi giorni,
quando inizierò
a fregarmene sempre meno.”
L’altro
rise, stringendo
tra le mani la busta di carta con dentro le focaccine:
“Centoventi giorni, eh? –
disse allontanandosi, verso la tromba delle scale interna al
locale– Spero di
sopravvivere senza conoscere il tuo nome!”
Perplessa nel
non vederlo
uscire dalla porta d’ingresso, si fermò dal
pulire, domandandogli: “Abiti qui?”
Quello si
voltò,
sorridendo: “Già, al piano di sopra. Credo proprio
che ci vedremo spesso!”
“Sono
Alexis, comunque!”
“Ok,
Alexis-grosse pinze!”
esclamò, ormai sulle scale.
Quella,
sorrise da sola, come una stupida, per
poi tornare al suo dovere.
Eric, arrivato
alla porta
del suo appartamento, girò la chiave, entrando.
L’ingresso era completamente inondato
da scatoloni, come di chi aveva appena traslocato, pochi mobili.
“Mamma,
sono tornato! Ho
portato le focaccine!” esclamò, cercando di capire
dove fosse, girovagando con
lo sguardo.
Quando fece
silenzio,
riuscì a sentire la sua voce, provenire dalla stanza
accanto, dove c’era la
cucina.
Senza rivelare
la sua
presenza, rimase nascosto, al lato della porta, ascoltandola parlare al
telefono. Al quanto stanca nella voce, faceva avanti e indietro, dentro
la sua
tuta grigia.
“Quindi
è andato bene il colloquio? […] Bene bene, noi
siamo nel nuovo appartamento da qualche giorno e stiamo andando avanti
con i
soldi della vendita ricavata dall’auto di tuo figlio. Ho
anche venduto qualche
mio gioiello, perciò… –
sospirò – ce la stiamo cavando, più o
meno. – si grattò
la fronte, portando poi i suoi capelli dietro le orecchie –
Forse dovrei
iniziare a cercarmi un lavoro, i soldi non sono molti. […]
D’accordo, ci
sentiamo stasera!”
Terminata la
conversazione,
Jennifer Blake, poggiò il telefono, sedendosi
un’attimo, massaggiandosi le
tempie, esausta. Eric, allora, si rivelò.
“Ehi!”
L’altra
si voltò, colta di
sorpresa, fingendo un sorriso davanti a suo figlio: “Ehi, sei
tornato!”
“Era
Papà?” domandò,
avvicinandosi.
“Sì,
era lui. Ha trovato un
lavoro!”
Eric si sedette,
tirando un
sospiro di sollievo: “Grazie a Dio!”
La madre fu
d’accordo:
“Già, dopo quello che è successo,
è un miracolo!”
“Certo,
è dovuto andare
parecchio lontano, però!” commentò,
triste.
“Ci
rimetteremo di nuovo in
sesto, ok? Tuo padre ha commesso un grosso errore, ma lo
supereremo.– si
rattristò per lui, accarezzandogli la guancia –
Dev’essere dura per te, in più
hai dovuto seppellire un tuo compagno di scuola, oggi…
– prese il portafoglio,
gli occhi lucidi, tirando fuori qualche contante – Tieni
questi, forza, vorrai
sicuramente comprarti qualcosa. So quanto ci tieni ad apparire sempre
bello e
con dei vestiti nuovi!”
“No,
Mamma, no! – li
rifiutò, spingendoli via – Ho ancora parecchi
vestiti che non ho mai usato e
poi…non mi interessa neanche più!”
“Mi
dispiace tanto, Eric. I
ragazzi della tua età dovrebbero stressarsi per lo studio e
non per lo stato
che ti confisca la casa. – pianse, cercando, però,
di trattenersi – Ora vado a
farmi una doccia, ok? – gli accarezzò la spalla
– Ok.”
Ed Eric la
seguì con lo
sguardo, dispiaciuto per lei, per la situazione, gli occhi lucidi.
Subito dopo,
notò il giornale aperto sul tavolo: una foto di Albert,
annunciato come
scomparso alla cittadina di Rosewood. Fissò a lungo il suo
viso, il sorriso
forzato che aveva in quella foto, i suoi abiti, il suo aspetto, la sua
evidente
solitudine. Quell’immagine portò a galla diversi
pensieri in lui.
FLASHBACK
Anthony
era
intento a frugare nel suo armadio, mentre Eric sedeva sul suo letto a
contemplare ogni parete e soprammobile; era la prima volta entrava
nella sua
camera da quando lo conosceva.
“Mi
dispiace
per quello che è successo alla tua famiglia, vedrai che vi
riprenderete. Anche
la mia famiglia ha avuto i suoi alti e bassi, accade a tutti. Poi si
ritorna
sempre all’apice, alla fine. Più in alto di prima,
magari.” parlò con la testa
ancora dentro l’armadio.
L’altro
rise,
sdrammatizzando: “La mia famiglia ha subito un enorme danno,
Anthony. Il Signor
Lincoln ha fatto in modo che mio padre non lavorasse più per
nessuna azienda di
questo stato; è un uomo molto influente e pieno di
conoscenze e non ha
tollerato ciò è accaduto. –
sospirò, sconsolato - L’apice è ben
oltre le
nuvole, credimi.”
L’altro
fece
un commento a caldo, mentre si risollevava con in mano tanta roba:
“I ricchi e
potenti sono proprio degli stronzi! – cambiò, poi,
discorso, passandoli i
vestiti - Ecco, questi non gli ho mai usati, perciò nessuno
noterà mai che
indossi i miei vestiti!”
Senza
parole,
Eric esclamò, quasi a disagio: “Ma sono nuovi,
hanno ancora l’etichetta! Sembra
che tu li abbia appena comprati.”
“Sciocchezze,
li ho comprati qualche tempo fa e lasciati nell’armadio. Ho
anche parecchie
scarpe, sai?”
Eric
era
fortemente in imbarazzo: “Accidenti, non so che dire. Io-io
non posso
accettare, mi stai aiutando fin troppo e non siamo nemmeno
così tanto amici. –
aveva delle perplessità, a quel punto –
Perché lo stai facendo?”
Anthony
sorrise:
“Semplice, Eric: se fossi al tuo posto, vorrei tanto che
qualcuno mi aiutasse e
mantenesse le apparenze per me. Nessuno dovrebbe precipitare senza un
paracadute di salvataggio.”
“Già.
Non è
bello schiantarsi al suolo, quando ti sei vantato di saper
volare…” pensò,
ripensando a tutte le volte che aveva ostentato la sua immagine.
Quello,
poi,
scappò verso la porta: “Torno subito, vado a
prenderti qualche paio di scarpe!”
Quando
tornò,
mise tutto in delle buste, poggiandole sul letto.
“Bene,
ora
puoi tornare nel mondo reale con la tua immagine intatta. Nessuno si
accorgerà
che nella tua vita è cambiato qualcosa. – gli
sorrise – Sai, nessuno è poi così
irrecuperabile. Anche se ti trovi nel pozzo più profondo, ci
sarà sempre una
corda abbastanza lunga a riportarti su. – fece uno stacco,
prima di aggiungere
una battutina ironica – Certo, tranne per Albert Pascali, sia
chiaro. Per lui
non esistono corde abbastanza lunghe a recuperarlo.”
Eric
si
lasciò scappare una risata, non trovando poi così
maligna quella battuta; poi
tornò serio, ma, soprattutto, riconoscente:
“Grazie, Anthony. Grazie davvero! –
trovò, infine, il coraggio di rivelare un suo pregiudizio -
Sai, non ti facevo così
gentile.”
“Le
apparenze
ingannano. E con i miei abiti addosso, ingannerai chiunque ti
guardi!”
concluse, per poi aiutarlo a far scendere tutto e caricarlo in auto.
E fu in
quell’istante che
Eric si voltò a guardare le scatole in cui erano chiusi i
suoi vestiti; anzi,
quelli di Anthony. Si rese conto di non aver ingannato la gente, ma
sé stesso,
credendo di poterlo fare e sentirsi bene.
*
Nathaniel, quel
pomeriggio,
intanto, fece un salto in ospedale da suo cugino, Tyler Blake, nel suo
studio;
egli era molto giovane per essere un medico e molto simile a Nathaniel,
esteticamente.
“Bene,
direi che è tutto
apposto. Cerca solo di non sforzarti troppo; ad esempio, evita qualche
allenamento, inventa una scusa. Insomma, sei eccezionale nel nuoto, non
ne hai
bisogno!” esclamò, andando a sedere alla sua
scrivania, mentre Nathaniel,
seduto sul lettino, si stava rimettendo la maglietta.
“Sì
che ne ho bisogno! – si
andò a sedere davanti a lui – Non ho voti molto
alti e il nuoto è la mia unica
possibilità per ottenere una borsa di studio e accedere ad
un buon college,
dopo il diploma!”
Tyler comprese
perfettamente, ma con riserva: “Lo so, me lo ripeti ogni
volta, ma cerca di
andarci piano. Ne va della tua salute e della mia carriera, non
dimenticarlo.
Potrei essere radiato dall’albo per averti autorizzato ad
entrare nella squadra
di nuoto con un certificato che attestava tutto il contrario. Hai uno
scompenso
cardiaco, tenuto sotto controllo da un farmaco. E hai ancora due anni,
prima di
diplomarti. Fa attenzione!”
E Nathaniel,
senza
aggiungere altro, si alzò e prese il suo borsone sportivo,
poggiato sull’altra
sedia.
Prendendo sul
serio,
finalmente, le preoccupazioni del cugino, lo accontentò:
“D’accordo…Per oggi
salterò l’allenamento!”
Felice di
sentirlo, accennò
un sorriso: “Bene. Grazie!”
L’altro,
voltandosi, si
avvicinò alla porta, in procinto di uscire dalla stanza.
Improvvisamente, si
fermò, poco prima di aprire la maniglia e si girò
nuovamente verso il cugino,
costringendolo a distogliere il suo sguardo dalle cartelle che stava
esaminando, con una domanda: “L’obitorio si trova
al piano terra, vero?”
Tyler
sollevò lo sguardo,
rispondendo distrattamente: “Ehm, sì, assieme alla
lavanderia, le cucine,
patologia e radiologia, perché?”
“Frequento
un corso alla
Hollis, ultimamente: scrittura creativa! – mentì
– Sai, per i crediti extra,
perciò…Volevo capire bene
dov’è collocato esattamente l’obitorio,
per il
racconto che sto scrivendo!” tornò leggermente
indietro, mentre ne parlava.
Perplesso, Tyler
si tolse
gli occhiali da vista che portava: “Frequenti un corso di
scrittura creativa? E
da quando? Praticamente vivi dentro la piscina!”
“Ehm,
a volte non mi sgridi
a vuoto. Ho seguito il tuo consiglio e il Venerdì,
anziché allenarmi, mi siedo
e do sfogo alla mia immaginazione. Sì, certo, è
un giorno a settimana, ma è pur
sempre un giorno in cui il mio cuore non si forza molto.”
Finalmente
convinto, la
testa che annuiva, era curioso di saperne qualcosa in più:
“Bello! Hai fatto
bene. E di che parla questo racconto, se posso chiedere?”
Nathaniel era
nuovamente
alla sua scrivania, dietro la sedia, con le mani poggiate sullo
schienale di
essa, che spiegava: “Ehm, parla di un uomo che spia le
infermiere attraverso le
telecamere della sorveglianza – inventò sul
momento – E’ un maniaco e quindi le
spia e poi le uccide…Una volta finito il turno,
ovviamente!”
“Mh,
interessante… - finse
che fosse così, agitando gli occhiali, la stecca stretta fra
le dita, roteando
il polso – Certo, diretto, forse un pò troppo,
ma… - non riusciva a trovare le
parole per non offendere la sua poca originalità –
Interessante!”
“Scusa
se te lo chiedo, ma…
– azzardò, Nathaniel – non è
che potresti farmi dare un’occhiata alla stanza
della videosorveglianza? Sai, un racconto dev’essere
parecchio descrittivo,
affinchè il lettore sia quasi in grado di vedere quello che
vedono i
personaggi, perciò…Ho bisogno di vedere
com’è fatta una stanza della videosorveglianza.
Sai, per coglierne i dettagli!”
Dopo un breve
attimo di
titubanza, Tyler decise di aiutarlo: “D’accordo:
perché no! – si alzò – Vado a
prendere le chiavi, ma cerca di fare in fretta!”
Sospirò
grato, l’altro, con
ripetute pacche sulla spalla: “Sei il migliore!” e
insieme lasciarono lo
studio.
Recuperate le
chiavi, Tyler
era di fronte alla porta che portava ad accedere alla stanza della
videosorveglianza,
Nathaniel alle sue spalle che volgeva lo sguardo verso entrambi i lati
del
corridoio. Il mazzo pieno di chiavi, faceva rumore e Tyler non riusciva
ad
aprire.
“Oh,
ma certo! – ebbe un
lapsus – C’è una nuova chiave nel mazzo,
quella vecchia non può aprire, hanno
cambiato la serratura. – prese la chiave giusta, stavolta
– Me l’avranno detto
almeno dieci volte!”
Nathaniel,
trovando strano
ciò che gli era stato appena detto, chiese, curioso:
“Come mai hanno deciso di
cambiare la serratura a questo antro polveroso?”
Finalmente, la
porta si era
aperta. Tyler rispose poco prima di entrare: “Nicholas, il
sorvegliante, non
becca mai la chiave giusta e finisce per incastrarci dentro almeno
venti
chiavi. L’infermiera pensa che sia stato lui a romperla, la
serratura. La
chiave giusta non girava più, per quanto
danneggiata!”
Senza aggiungere
altro,
nonostante fosse rimasto parecchio perplesso da quella storia,
Nathaniel lo
seguì, ma quasi andò a sbattere contro di lui,
pochi passi dopo. Tyler si era
fermato di colpo, in seguito ad un suono proveniente dalla tasca del
suo
camice.
“Il
mio cercapersone,
accidenti! – lo rimise in tasca – Senti, dai
un’occhiata veloce e richiudi la
porta senza danneggiare la serratura. Lascia le chiavi nel mio studio,
ok?”
E
l’altro annuì, contento
che quel cercapersone abbia squillato, assicurandogli che avrebbe
eseguito: “Si
si, vai pure, ci penso io!” e quello se ne andò,
chiudendo la porta alle sue
spalle e lasciando solo il cugino, che si voltò sul sistema
di sorveglianza in
funzione, il display che mostrava i diversi corridoi
dell’ospedale.
*
Rider, seduto
nella sua
stanza, davanti alla scrivania stracolma di libri aperti e il lume
accesso,
stava cercando di distrarsi con lo studio, mentre la sera calava sulla
città.
Al telefono con sua madre, si stava assicurando delle condizioni del
suo cane,
prima di tornare a dedicarvisi.
“Quindi
è soltato una
slogatura, si rimetterà? […] Bene, è
una fortuna avere una madre come
veterinario, sai quanto io tenga a Toby. Il fatto di non averlo qui, in
camera,
sdraiato sul letto che mi fissa studiare, mi destabilizza! E’
come una sorta di
musa ispiratrice dello studio.”
Un suono
acustico, notificò
un’altra chiamata in arrivo. Rider tolse il telefono
dall’orecchio, guardando
lo schermo, per poi riportarselo all’orecchio nuovamente.
“Mamma,
ho un amico
sull’altra linea, ci vediamo più tardi a
cena!” e premette sul display per
congedarla e prendere l’altra chiamata.
“Pronto?”
rispose.
“Ehi,
ho bisogno di aiuto,
- era Nathaniel – sono all’obitorio!”
Irrigidendosi,
Rider, si
distanziò dalla scrivania, confuso: “Da paziente
deceduto o in visita?”
L’altro,
fermo in mezzo
alla stanza, le barelle con i lenzuoli sopra, attorno a lui,
cercò di mantenere
la calma: “Non sono un fantasma, Rider! –
esclamò, una nota isterica nella voce
– Mi ha fatto entrare mio cugino, ho detto per finta che
frequento un corso di
scrittura creativa e che devo descrivere com’è
fatto un obitorio nel mio
racconto da quattro soldi!”
“Prima
che ti faccia i miei
complimenti per la menzogna perfetta, cosa ci fai
all’obitorio?”
Nathaniel
titubò, mentre
cominciava a muoversi all’interno della fredda stanza:
“Ehm, volevo…volevo…”
Rider,
però, intuì:
“Scoprire se nella bara c’è davvero
Anthony?”
A quel punto,
quello
dovette sputare fuori il rospo: “Sì! –
fece una pausa, prima di riprendere – Ascolta,
Rider, per quanto tu sia stato convincente, fuori dalla chiesa, io
vorrei
esserne sicuro. Anche Sam aveva delle buone motivazioni!”
Sospirando,
Rider si
arrese; in fondo al cuore, nemmeno lui era del tutto sicuro:
“Ok, scopriamo la
verità! – iniziò a dargli indicazioni,
avvicinandosi alla finestra e
poggiandosi di schiena – Allora, per scoprire chi
c’è nella bara, dobbiamo
controllare i referti del medico legale. Dovrebbe esserci una pila di
cassetti
d’acciao, lì nella stanza. ”
L’amico
li notò con lo
sguardo: “Sì, eccoli! – si diresse verso
di essi, continuando a parlare - A
proposito, avevo una penna USB nel borsone, con dentro qualche film che
ho
dovuto cancellare per guadagnare spazio. Ho fatto una copia dei filmati
delle
telecamere di sorveglianza che vanno dal giorno dopo
l’incendio a casa di
Anthony fino alla giornata di ieri. In pratica, il lasso di tempo in
cui A avrebbe potuto scambiare i
corpi.”
“Oh
mio Dio!” esclamò
Rider, fermando Nathaniel, che aveva già aperto qualche
cassetto.
“Che
c’è?”
“Sei
intelligente!” pensò.
Nathaniel prese
quel
commento come un’offesa, più che un complimento:
“Pensavi fossi stupido, per
caso?”
L’altro
si rese conto di
aver parlato a sproposito: “Ehm, no, che dici! E solo che,
gli atleti sono più
per l’azione che per i colpi di genio. Insomma, non hanno
tempo di ragionare,
no? – si accorse di aver detto un’altra
stupidaggine – Ok, dimentica tutto,
forse sei un ibrido!”
“RIDER!”
urlò Nathaniel,
esasperato, cercando di mettergli un freno.
“Ok
ok, la smetto! – tornò
finalmente serio – Allora, ogni cassetto, dovrebbe essere
classificato per
anno.”
“2015…2015
– stava
controllando le etichette, una ad una – 2015! Trovato!
– aprì quel cassetto, in
attesa di altre istruzioni - Adesso?”
“Tutti
i referti sono in
ordine alfabetico: iniziale del cognome, poi del nome!”
“Dimitri,
Anthony…Dimitri,
Anthony… - scorreva le dita fra le cartelle – Ok,
- lo trovò – Dimitri,
Anthony!” e la aprì, trovando dentro diverse
pagine.
“Leggimi
cosa c’è scritto!”
richiese, Rider, in attesa.
Nathaniel, parve
in
difficoltà, già alla prima pagina:
“Ehm, allora, fontanella occipitale… - si
morse le labbra, passando alla seconda pagina, più
complicata della
precendente.”
Intuendo dalla
voce
dell’amico che per lui era difficile comprendere il contenuto
delle pagine,
suggerì: “Ok, Nat, lascia perdere, vai alla pagina
riassuntiva del referto, si
trova verso la fine!”
L’altro
eseguì, trovandola
proprio tra le ultime pagine, come detto da Rider: “Ma chi
sei? – si sbalordì
di come sapeva muoversi fra quelle cose – The
mentalist?
“Spero
di no! Patrick Jane lavorava in un
circo
itinerante, prima di trovare la sua strada.”
Tralasciando
quel commento,
Nathaniel illustrò la pagina riassuntiva: “Allora,
qui dice che: L’impatto sul lato
posteriore del cranio
della vittima, indica che non era
rivolto verso l’aggressore. Il cranio era deformato verso
l’interno per
l’impatto. Il corpo contundente era curvo e smussato.
– smise di leggere,
incredulo – Non parla di ossa rotte, solo un colpo alla
testa!”
Anche nel tono
di Rider,
vigeva la stessa preoccupazione: “No, non è
possibile. Albert non ha ricevuto
un colpo alla testa, è stato letteralmente investito. Sicuro
che quel referto
non parli di ossa rotte o altro?”
“E’
la pagina riassuntiva,
dice solo questo. – Nathaniel fu costretto a sottolineare la
realtà dei fatti –
Rider, il corpo nella bara è quello di Anthony, non di
Albert. Nel filmato che
abbiamo ricevuto, si vedeva chiaramente che l’aggressore
puntava alla sua testa,
anche se non abbiamo visto quello che è successo dopo.
– dopo una breve pausa,
ribadì nuovamente il concetto – Rider, il referto
non combacia con Albert, ma
con Anthony!”
Rider
urlò, non riuscendo a
capacitarsi: “Ma-ma com’è possibile?
Come diavolo può aver fatto questa
persona, A, a rubare il cadavere di
Albert dall’obitorio e scambiarlo con quello di Anthony,
indisturbato? E’
surreale!”
Nathaniel,
sconvolto quando
l’amico, richiuse la cartella: “Ascolta, io qui
devo rimettere tutto apposto,
prima che qualcuno se ne accorga…”
Nonostante
il nervosismo,
Rider non risparmiò il suo sarcasmo melodrammatico:
“Ma figurati, se A ha
scambiato due corpi senza essere
beccato, puoi anche farci un pigiama party con quei referti!”
“Io
devo comunque andare,
ho un impegno. – richiuse il cassetto, dirigendosi, poi,
verso la porta –
Ascolta, se vuoi, posso passare a casa tua dopo, oppure vieni tu a casa
mia e
guardiamo assieme i filmati della videosorveglianza, ok?”
L’altro
ci mise un pò a
rispondere, pensieroso: “Ok, vieni pure a casa mia!”
“Ok,
a dopo!” concluse
Nathaniel, lasciando la stanza e chiudendo la chiamata.
Rider,
poggiando il suo
telefono sul bordo della finestra, si torturava le mani, non riuscendo
ancora a
credere di avere a che fare con una A,
che sembra non essere Anthony.
Improvvisamente,
si voltò
verso la sua scrivania, posando gli occhi sulle chiavi della sua auto.
*
A
casa Havery, nel
frattempo, il campanello suonava incessantemente. Sam, scendendo per le
scale,
non molto in forma per i pensieri legati all’assurda notte
vissuta con i suoi
compagni, andò ad aprire, trovandosi davanti Chloe con in
mano delle bustine da
centro commerciale nelle mani e il PC sottobraccio.
Quello,
impalato a
fissarla, attese di sentire qualcosa da lei, dato che era sorpreso di
vederla.
“Prima
di tutto, hanno
rinnovato Game of Thrones, perciò: super maratona della
prima stagione, per
festeggiare! – entrò, mentre l’altro
chiudeva la porta, seguendola nell’altra
stanza – SECONDA COSA: Mi devi tagliare i capelli!”
concluse, appoggiando tutto
sul tavolino del salotto, per poi voltarsi verso l’amico.
“COSA?
Sei ubriaca, per
caso?” reagì, stranito, Sam.
“Non
sono ubriaca! –
esclamò con un’occhiataccia cinica e leggermente
offesa – Voglio solo cambiare
look, tutto qui.”
Sam
si prese un momento,
prima di dire qualcosa: “Ok, ecco che le tue
personalità multiple riemergono
puntualmente. Ad esempio, oggi sei venuta con me al funerale di
Anthony, quando
una volta mi hai detto che se, un giorno, fosse morto, non saresti mai
andata
al suo funerale nemmeno se ci fosse stato Ian Somerhalder in prima
fila! Poi,
adesso, mi chiedi di tagliarti i capelli e fare una maratona di Game of
Thrones
per festeggiare il suo rinnovo, quando il rinnovo di Game of Thrones
è scontato
quanto quello di The Walking dead, che tra l’altro non
finirà mai!”
Chloe,
abbassando lo
sguardo, mostrò per la prima volta la sua
fragilità, raccontando le sue
ragioni: “E’ solo che…La morte di
Anthony ha scombussolato un pò tutti e ha
riportato a galla tutti i momento in cui ha tormentato me e gli altri
sfigatelli della scuola!”
Sam
fu più comprensivo e
risoluto: “Ma non ti ha mai tormentata, Chloe. Ti ha dato
solo un soprannome!”
L’altra,
non la considerò
una cosa da poco: “Un soprannome che mi ha segnata
profondamente e che mi ha
reso meno desiderabile agli occhi dei ragazzi, Sam. – una
lacrima le scese
lungo il viso - Sai cosa vuol dire per una ragazza, stare seduta
davanti alla
sua serie tv preferita e invidiare una qualsiasi Meredith Grey, amata
così
immensamente dal suo Derek Shepherd, e sapere che nessuno ti
amerà mai come
viene amata lei, o guardata come viene guardata lei? Sam, non posso
vivere l’amore
attraverso un telefilm per sempre. E se oggi sono venuta al funerale di
Anthony, non è stato di certo per compassione. Anzi, ridevo
dentro di me ed ero
sollevata…Sollevata perché non c’era
più e perché non avrebbe mai più
umiliato
nessuno o distrutto i suoi sogni. – si asciugò le
lacrime – Cambiare il taglio
di capelli è solo un modo per ricominciare da zero. Una
sorta di…Nuova era!”
Commosso,
Sam corse ad
abbracciarla, non immaginando minimamente cosa avesse provato negli
ultimi anni:
“Chloe, scusami. Non avevo capito quanto la cosa ti avesse
fatto soffrire!”
In
quell’istante, il Signor
Carson Havery stava rientrando dalla porta, notando i due, chiudendo la
porta
un po’ troppo forte, senza farlo apposta, maldestro.
I
due si voltarono.
“Spero
di non aver
interrotto qualcosa!” esclamò, sperando fosse
così.
“Non
dire sciocchezze,
Papà!” disse Sam, in maniera scocciata,
staccandosi da Chloe, che si stava
asciugando le lacrime con le maniche del maglione. Carson la
notò,
preoccupandosi con premura.
“Ehi,
tutto bene?”
L’altra
finse un sorriso,
continuando a strofinarsi gli occhi, giustificandosi: “Ehm,
sì, è solo che sto
ripensando al povero Anthony – mentì e Sam non la
smentì, annuendo – e ad
Albert, il ragazzo scomparso. E’ davvero molto triste quello
che è accaduto
loro.”
L’uomo
fu della stessa
idea: “Già, che triste storia! –
tirò un sospiro, turbato - Peccato che non sia
finita qui…”
Sam
si lanciò un’occhiata
con Chloe, inquietato da quanto aggiunto da suo padre, prima di porre
una
domanda: “Che vuoi dire?”
“La
morte di Anthony e suo
padre è stata classificata come omicidio, ma questo lo
sapevate già. Quello che
non sapete è che la polizia ha osservato attentamente la
scena del crimine e la
cassaforte spalancata e il disordine in casa, ci ha fatto subito
pensare ad un
furto finito male e quindi abbiamo dovuto indagare più a
fondo.”
“Quindi
è stato un ladro ad
uccidere Anthony e suo padre?” chiese Chloe, a braccia
conserte, il volto
irrigidito.
“Esatto.
Probabilmente,
quando si sono accorti della sua presenza in casa, quello ha reagito
con
violenza…” ma Carson sembrava molto ritirato nelle
parole, come se volesse
omettere qualcosa.
Quel
suo atteggiamento,
confuse Sam, naturalmente, in cerca di una certezza che lo
rassicurasse: “Sì,
ma è finita, no? – reagì nervosamente -
Il caso è stato archiaviato, giusto?
Non troverete mai questo ladro!”
I
due lo fissarono, quasi
spiazzati da quella reazione.
“Ehm,
no, figliolo – cercò
di spiegare, Carson – Non si può archiviare un
caso di omicidio senza aver
trovato prima l’assassino e poi…non puoi essere
certo che non troveremo mai
l’assassino. – rise – Ne sembri quasi
sicuro!”
Sam
si rese conto di aver
esagerato troppo nella sua reazione e cercò di rettificare:
“No, cioè, non ho
detto di essere certo che non troverete mai l’assassino. Dico
solo che un ladro
è abbastanza furbo da sparire nel nulla.”
“In
questo caso, noi
sappiamo perfettamente chi è stato. – Chloe
sgranò gli occhi, ma non quanto Sam,
incredulo - Quest’oggi, la Signora Dimitri e il figlio
maggiore Clarke, sono rientrati
a Rosewood per i funerali del figlio e noi li abbiamo interrogati su
chi
pensino possa aver fatto una cosa del genere. Insomma, il ladro sapeva
bene
dove trovare quei soldi, la cassaforte era ben nascosta!”
“Sì,
li abbiamo visti, eravamo
due file più dietro io e Sam!” esclamò
Chloe, mentre Carson annuiva,
dirigendosi verso le scale.
“Beh,
vi auguro una buona
serata, domani ho molto lavoro da svolgere. Quello che
c’è da sapere, lo
scoprirete dal notiziario di domani. Non serve che vi racconti tutti i dettagli!” e
appoggiò la gaccia sull’appendiabiti,
poco prima di mettere piede sul primo gradino.
Sam,
rimasto accanto a
Chloe, più calma rispetto a lui, aveva gli occhi che non
smettevano di muoversi
per l’ansia che cresceva dentro di sè e
d’impulso, fermò il padre, affamato di
risposte.
“Aspetta,
perché non puoi
raccontarci il resto? Sai perfettamente che i notiziari non riportano
mai tutto
quello che c’è dietro e Anthony era mio amico! Ho
il diritto di sapere!”
L’altro
si voltò, serio:
“Non avete l’età giusta per ascoltare
una storia simile e la Signora Dimitri ha
chiesto privacy in merito alle dichiarazioni fatte. – fece
uno stacco, prima di
tornare a parlare – Sam, sarai anche mio figlio, ma ho etica
nel mio lavoro e
lo sai. Adesso andate a guardarvi quelche film o qualunque cosa abbiate
in
programma di fare. Vado a letto!” e si congedò,
irremovibile.
Sam
rimase fermo, imbambolato,
davanti alle scale, con Chloe alle spalle.
“A
quanto pare, anche la
famiglia Dimitri ha dei segreti! – esclamò quella,
per poi voler tornare nella
stanza dov’erano – Allora, vieni a tagliarmi i
capelli o no? Tuo padre ha
ragione, dobbiamo distrarci da questa assurda storia!”
E
Sam, restando voltato,
cercò di non mostrarle quanto fosse bianco in volto,
rispondendo: “Ehm, sì,
arrivo subito. Devo-devo solo andare un attimo in cucina a
bere!”
Quando
Chloe seguì il suo
suggerimento, passando nell’altra stanza, senza di lui, Sam
tirò fuori il
telefono dalla tasca, scrivendo un messaggio, le mani che tremavano.
Messaggio
a: Nathaniel, Rider, Eric.
“La
polizia ha trovato un assassino.
Sto impazzendo.”
Il
secondo dopo, ricevette
un messaggio di risposta da uno di loro.
Messaggio
da: Rider.
“Cosa?
Ma quale assassino? Sono da te
tra un quarto d’ora!”
*
Il
messaggio era arrivato
anche ad Eric, solo che non lo sentì per via della
vibrazione impostata, il
display accesso dentro il cestino della sua bici, mentre la fermava nei
pressi
di un boschetto dietro al cimitero. Con lo zaino in spalla, stracolmo,
a
giudicare dalla cerniera non perfettamente chiusa, fissò il
terreno, come in
cerca di un punto preciso e lo trovò, posizionandosi
lì e tirando fuori dallo
zaino una piccola paletta, con la quale iniziò a scavare una
buca.
Una
volta raggiunta la
profondita giusta e la larghezza giusta, ci svuotò dentro il
contenuto dello
zaino: si trattava di vestiti.
Completata
l’azione,
gettando lo zaino a terra, ormai vuoto, per poi fissare quei vestiti
per
qualche secondo, Eric tirò fuori un accendino dalla tasca,
che accese,
tenendolo stretto fra le dita.
“Non
mi devi più alcun
favore, Anthony; i tuoi, non sono mai stati favori, del resto. Volevi
solo
rendermi di tua proprieta, ma adesso è finita!
Non ho più bisogno dei tuoi abiti, ormai. Non
ne ho mai avuto. E mi
dispiace tanto di averlo capito soltanto adesso.”
E
gettò l’accendino nella
buca, che fece prendere fuoco agli abiti, mentre contemplava le fiamme
della
sua rivincita, per quanto minima, ma necessaria per lui stesso.
Improvvisamente,
la sua
attenzione fu distolta da un rumore tra le frasche, poi da quello di un
ramoscello calpestato.
“Chi
c’è?” domandò,
aguzzando la vista nell’oscurità.
Non
fece un’altra domanda,
che si affrettò a richiudere la buca, buttando la terra sul
fuoco, mantenendo
lo sguardo fisso nel punto dal quale pensava di aver sentito provenire
il
rumore. Richiusa la buca, rimontò sulla bici, velocemente,
con il fiatone,
dimenticando lo zaino. Corse più veloce del vento.
*
Intanto,
a casa Havery, con
davanti il PC e una puntata di Game of Thones in esecuzione, Sam aveva
finito
di tagliare i capelli a Chloe, ad altezza spalle, nonostante avesse la
testa da
tutt’altra parte. Le tinse anche alcune ciocche di capelli
per dare un effetto
biondo luminescente al suo nero naturale, a giudicare dalla scatola del
colorante. Subito dopo, le arrotolò nella carta stagnola.
“Non
vedo l’ora di asciugarli
e vedere come sto. Soprattutto le meches bionde , non le ho mai
fatte!” era
eccitata Chloe, tenendo gli occhi fissi sullo schermo del portatile,
mentre Sam
continuava a fissare il telefono ogni due secondi.
Finalmente,
la chiamata che
stava aspettando: quella di Rider.
Prese
il telefono, allora,
impostato sulla vibrazione, nascondendolo dietro alle sue spalle.
“Ehm,
Chloe, vado a buttare
la spazzatura!” la avvertì, indietreggiando.
Quella,
impegnata nella
visione dell’episodio, un piattino di patatine fra le mani,
esclamò
distrattamente: “Ok ok!”
Sam,
allora, passò nel
corridoio d’ingresso, rispondendo alla chiamata:
“Ehi, allora?”
“Sono
qui fuori, esci!”
E
quello, aprendo la porta
il più piano possibile, uscì, raggiungendo Rider,
parcheggiato lì davanti, con
il motore ancora acceso. Sam fece il giro, aprendo la portiera ed
entrando in
macchina.
“Grazie
a Dio, uno di voi,
si è degnato di rispondermi. E’ da
mezz’ora che sto…”
Ma
non potè completare,
perché Rider partì a tavoletta, costringendolo
non solo a reggersi, ma a
fissarlo di stucco.
“Rider,
che cavolo stai
facendo?” gli domandò, mentre l’altro
era impegnato nella guida, molto serio.
“Devo
togliermi il dubbio,
una volta per tutte!”
“Il
dubbio di cosa? Hai
letto il messaggio che ti ho mandato?”
“Anthony,
Albert. Albert,
Anthony: ecco quale dubbio! Perciò, adesso, noi andremo alla
stazione di
Rosewood e scopriremo la verità, osservando da
più vicino la scena del
crimine!”
E
Sam, dopo aver deglutito,
cercò di restare calmo: “Ok, lo sai che ho
lasciato Chloe da sola con della
carta stagnola in testa e un episodio di Game of Thrones?”
“Bene,
per un’ora resterà
impegnata!” esclamò, mentre l’altro
rimase a fissarlo, scuotendo la testa,
seccato.
All’entrata
della stazione,
i due stavano scendendo le scale. Durante il tragitto in macchina, si
erano
aggiornati su tutto.
Sam,
allora, a dir poco
isterico e terrorizzato per le notizie apprese, quasi inciampava:
“Quindi tu e
Nathaniel siete sicuri che il corpo nella bara è di Anthony?
Lo sai che mi stai
spaventando, vero? E che questa storia ci sta sfuggendo di mano, dal
momento
che la polizia arresterà un tizio che non c’entra
assolutamente niente!”
Rider
era ancora confuso,
in merito a quella parte: “Ancora non capisco in base a cosa
la polizia pensi
che questa persona sia l’assassino!”
“Beh,
la polizia non sa
quello che sappiano noi. Non sa che Anthony ha ucciso sia Albert che
suo padre
e che ha usato Albert per farlo passare per lui. E io-io non riuscirei
nemmeno
a dormire, sapendo che il tizio che cattureranno, finirà in
prigione da
innocente!”
Rider
si sentì in dovere di
fargli una predica: “Forse sarebbe meglio che iniziassi a
renderti utile, Sam.
Hai un padre poliziotto, fingi di andarlo a trovare in centrale e
buttati su
qualche scrivania ad indagare. Cerca di scoprire chi è
questo sospettato e
quali dichiarazioni ha fatto la Signora Dimitri. – era
indignato – DIO, solo
Nathaniel ha avuto un briciolo di fegato in questo gruppo? E’
entrato dentro la
stanza di un’obitorio, Sam. – sottolineò
con enfasi - Con dei morti!”
L’altro
cercò di
giustificarsi: “HO PROVATO ad indagare! Mio padre non ha
voluto dirmi niente,
ero lì, in piedi con Chloe, e diceva che non era una storia
adatta a noi e che
la Signora Dimitri ha richiesto discrezione!”
“Te
l’ho detto, devi
intrufolarti in centrale!” suggerì nuovamente,
Rider.
“E
cosa dovrei dirgli se mi
becca lì? – si innervosì, Sam
– Ciao,
Papà, d’un tratto mi sento Veronica
Mars?”
Ma
non ricevette risposta,
solo un’occhiata, per poi voltarsi di fronte a sé:
erano giunti all’interno
della stazione, davanti ai binari. La stazione era al coperto,
all’interno di
un tunnel. Ma, soprattutto, non c’era anima viva.
“Dimenticavo
quant’è
inquietante la stazione di Rosewood a
quest’ora…” rabbrividì,
strofinandosi le
braccia. Subito dopo, si accorse di non avere più di fianco
Rider, voltandosi a
cercarlo.
Quello,
poco lontano, aveva
la testa rivolta verso l’alto, osservando le telecamere,
vicino alle luci,
intermittenti, che illuminavano il pavimento della fermata, sul quale
camminavano. Altre, invece, erano poste vicino alle colonne portanti.
“Che
stai facendo?” gli
domandò Sam, ora.
“Studio
la direzione delle
telecamere per trovare un punto cieco!” esclamò
distrattamente.
L’altro
lo fissò, stranito:
“Un punto cosa?”
Finalmente,
Rider si voltò
verso di lui: “Un punto non coperto dalle
telecamere… – allungò lo sguardo
dietro Sam, indicandoglielo – Ecco, lì, ad
esempio!”
E
Sam si voltò a vederlo,
mentre Rider si avvicinava a quel punto, continuando a parlare:
“Anthony,
mentre aspettava il treno, doveva essere per forza in piedi
qui!” esclamò,
inginocchiandosi ad osservare il pavimento da più vicino.
“Suppongo
di sì o le
telecamere avrebbero ripreso l’aggressione. – Sam
si guardò attorno, sentendosi
poco al sicuro, poi posò nuovamente il suo sguardo
sull’amico – Ma che stai
facendo?”
Quello
stava toccando il
pavimento, scuotendo la testa, perplesso: “Il pavimento
è poroso e il referto
medico riporta un cranio ripetutamente colpito. Solo che… -
osservò
attentamente quel pavimento - Dov’è il sangue?
Anche se l’aggressore avesse
provato a pulirlo, una traccia sarebbe comunque rimasta, nei piccoli
fori…”
Una
volta risollevato, Sam
fece lui, un osservazione: “Hai appena parlato di
aggressione…Inizi a credere
anche tu che Anthony sia stato ucciso?”
“Ci
sono delle prove, Sam.
E il referto è una prova schiacciante, ma non capisco come
la scena non sia
stata contaminata. Insomma, questo posto non è mica a
gravità zero, il sangue
dovrà pur essere schizzato da qualche parte, no?”
Ad
un purto morto, i due si
guardarono attorno, sospirando per quel buco nell’acqua.
Improvvisamente, si
udì un suono molto basso.
Rider
lo avvertì e alzò
subito un dito davanti a Sam, in segno di non fare alcun fiato:
“Shhhh!”
“Non
ho detto una parola!”
esclamò l’altro, a voce bassa, mentre
l’altro attizzava le orecchie.
“Sembra
lo squillo di un
telefono e… - si voltò verso i tunnel –
Proviene dal percorso del binario A…”
“Ok
e quindi?” gli domandò
Sam, vedendolo avvicinarsi al bordo, vicino alla linea gialla.
“E’
nel tunnel! Nel tunnel
del binario A c’è un telefono!”
esclamò, nuovamente, per poi scendere sopra il
binario.
Sam
spalancò la bocca,
basito: “Ti prego, dimmi che non stai per entrare in quel
tunnel
spaventosamente buio!”
L’altro
si dimostrò
indifferente: “Sì, è quello che sto per
fare!” e si voltò, iniziando a
camminare lungo il binario, seguendo il suono, mentre Sam lo seguiva da
sopra,
cercando di fermarlo.
“E
se passa un treno?”
Rider
rispose senza nemmeno
voltarsi, fisso su quella direzione: “Vedi qualcuno aspettare
il treno? – un
breve stacco e rispose per lui – No! Perciò
continuo a camminare!”
Il
suono, però, si
interruppe. Rider si fermò e anche Sam.
“E’
cessato!” esclamò,
quest’ultimo.
Rider,
fissando a lungo il
tunnel, chiese, poi, a Sam: “Chiama Anthony!”
“Cosa?”
sussultò, l’altro.
“Prendi
il telefono e fai
uno squillo al numero di Anthony!” gli urlò.
Sam,
sempre più atterrito,
lo prese ed eseguì, tenendo il telefono sul palmo della mano
per qualche
secondo, fissando Rider.
Il
suono, all’interno del
tunnel, ricominciò. I due si voltarono per poi tornare a
guardarsi,
agghiacciati; Sam lo era molto di più, però.
“Rider,
giuro su Dio che me
ne sto andando!” esclamò, spaventato.
Ma
quello riprese a
camminare, incurante.
“RIDER!”
gli urlò, Sam,
rincorrendolo, sempre da sopra.
“Non
me ne vado senza
averlo preso!” fu chiaro.
L’altro
mantenne un tono medio
basso, nervoso, mentre cercava di fermarlo: “Ti rendi conto
di cosa stai
facendo? Stai per entrare dentro un tunnel buio per recuperare uno
stupido
telefono! – gli urlò contro, ancora –
RIDER!”
Quello
si bloccò,
lansciandogli un’occhiataccia:
“L’angoscia del non sapere è
più forte della
paura!” e ricominciò a camminare, addentrandosi
nel tunnel, accendendo la
torcia del suo telefono.
Per
Sam, invece, la strada
era finita e non poteva più seguirlo, se non scendendo anche
lui.
“Rider?
– provò a chiamarlo
ancora, chinandosi in fuori, sul bordo – RIDER!” ma
non rivette risposta.
Dopo
aver tirato un sospiro
furibondo ed essersi guardato intorno, roteò gli occhi,
arrendendosi. A quel
punto, scese sul binario anche lui, raggiungendolo di corsa.
Accendendo
anche la torcia
del suo telefono, arrivò alle spalle di Rider.
“Ehi,
aspettami!”
Finalmente
camminavano a
pari passo, la luce puntata davanti a loro. Rider si voltò
verso di lui,
accennando un sorriso: “Hai acquistato un po’ di
fegato, vedo.”
“E’
una follia, ma non
potevo lasciarti entrare da solo!”
Tornati
a guardare avanti,
Sam digitò nuovamente il numero. Lo squillo riprese, erano
vicini; tant’è che
Rider, potè finalmente notare il telefono, illuminandolo con
la torcia.
“Eccolo!”
esclamò,
avvicinandosi con Sam, velocemente. Si chinò a prendendolo.
Fu,
poi, l’amico a prendere
parola per primo: “E’ suo e sembra pulito
e… - puntò la luce lì intorno
–
Niente cadaveri macabri o topi!”
Iniziarono
ad osservare il
telefono, quando, di colpo, vibrò, facendoli sobbalzare: era
un messaggio.
Prima
di aprirlo, i due si scambiarono
una rapida occhiata, tesi.
“E’
un’immagine!” esclamò
Rider, per poi aprirla.
Sam
parve confuso, nel
vederla: “Una tabella con degli orari?” cercando
spiegazioni negli occhi
dell’amico.
“Binario A, ore 23.45,
-
lesse – trasporto merci!”
esclamò,
sollevando lo sguardo dallo schermo, fissando Sam, che stava
controllando
l’orologio.
“Sono
le 23.48!” riferì,
mentre Rider guardava avanti, puntando la luce.
Anche
i loro telefoni,
ricevettero un messaggio.
“Ciuff,
ciuff!”
-A
I
due non ebbero nemmeno il
tempo di reagire, che furono investiti da una luce abbagliante, il
treno del
trasporto merci spuntò a pochi passi da loro, facendo
sgranare i loro occhi per
la sorpresa.
“CORRIII!”
gridò Rider,
tirando Sam per la giacca, mentre tornavano indietro, correndo a
più non posso.
Il fracasso del treno copriva le loro voci, che si sentivano a malapena.
“Non
ce la facciamo, non ce
la facciamo!” urlò Sam, l’uscita era
troppo lontana, il treno sempre più
vicino, così decise di prendere l’iniziativa del
loro salvataggio. Con entrambe
le braccia, spinse Rider al lato del binario, spiaccicandolo contro la
parete,
poi fu il suo turno, quello di buttarsi dal lato opposto al suo.
Il
treno passò, coprendo le
loro urla per lo spavento. Per pochi millimetri, davvero ad un palmo
dal loro
naso, se la cavarono.
Tornato
il silenzio, i due
si fissarono, senza fiato, gli occhi fuori dalle orbite per
l’adrenalina,
inginocchiati a
terra. Non dissero una
parola, in merito a quanto appena passato.
*
Un’ora
dopo, a casa di
Rider, i ragazzi furono raggiunti da Nathaniel ed Eric. Assieme a Sam,
erano
davanti al portatile di Rider, sulla scrivania, mentre lui stava
rannicchiato
sul letto con una tazza di thè fumante fra le mani e lo
sguardo assente, fisso
sulla parete.
“Ma
sta bene?” bisbigliò
Eric, riferendosi proprio a Rider.
“E’
traumatizzato e anche
io. Per poco un treno merci non ci trasformava in tappetti umani!
– fece una
pausa, ancora cercava di metabolizzare quanto accaduto – Se
quel tunnel fosse
stato più stretto…Beh, non voglio neanche
pensarci, non saremmo qui a parlarne,
probabilmente.” esclamò Sam, fissandolo assieme ad
Eric, mentre Nathaniel era
impegnato a visionare i filmati, seduto, con loro, in piedi, ai lati.
“Quindi
è tutto vero? A esiste
e non è Anthony?” era ancora incredulo
Eric, quando dodici ore prima, erano arrivati ad una conclusione ben
diversa
“A esiste e HA UCCISO, Anthony!
– sottolineò, Sam -
A ha
scambiato i corpi all’obitorio e, sempre A, ci ha fatto quasi ammazzare
stasera!”
“E
in tutto questo, la
polizia sta per catturare qualcuno che in realtà non ha
ucciso nessuno? – Eric non
riusciva davvero a crederci – Dov’è il
manicomio? – sussultò – Seriamente, qui
sembra di stare ai confini della realtà!”
Nathaniel,
finalmente, fece
sentire la sua voce, attirando l’attenzione dei compagni:
“Ascoltate, ho già
visto il filmato di Martedì, Mercoledì e ora sto
guardando quello di Giovedì.
Aiutatemi, è l’ultima registrazione e ancora non
si è visto niente. – quelli si
avvicinarono meglio - Non scollate gli occhi!”
Dopo
qualche minuto di
calma piatta, nel filmato, i tre cercarono di non demordere.
“Lasciate
perdere Mercoledì
e Giovedì. Soffermatevi su Martedì! –
Rider spuntò alle loro spalle, facendoli
lievemente sobbalzare – In un caso del genere, la polizia
avrà fatto pressioni
al medico legale. Se A ha
scambiato
i corpi, l’ha fatto Martedì, subito, senza perdere
tempo, o l’autopsia sarebbe
stata fatta ad Albert e non ad Anthony.”
Nathaniel,
rapido,
tornò sulle
registrazioni di Martedì,
mentre Eric si sincerava delle condizioni di Rider.
“Stai
bene?”
“No,
per niente. – aveva
un’espressione avvilita, gli occhi lucidi – Cercavo
di avere ragione e invece
avevo torto e…ho quasi ucciso me e Sam per questo. – si
impuntò sulle registrazioni, determinato
– Troviamo quel figlio di puttana!”
“E
dopo? Che facciamo?”
chiese Sam.
“Parleremo
con tuo padre e
lui sapra come aiutarci. Ci basta solo un volto, una prova e tutto si
collegherà perfettamente alla nostra storia!”
Nathaniel
si voltò, mentre
il filmato continuava, intervenendo: “Se raccontiamo tutto,
finiremo in galera.
Siamo complici!”
“Siamo
teenager! – esclamò
con enfasi - Raccontiamo bugie ogni giorno ai nostri genitori e alle
persone
che ci circondano. E’ il nostro pane quotidiano, siamo abili
in questo. Quando
saremo sotto interrogatorio, ci basterà aggiustare la
verità in modo che ci
danneggi il meno possibile. – si voltò verso
l’amico - E tuo padre, Sam, ci
aiuterà ad aggiustarla, perché è un
poliziotto, che sa come muoversi in queste
cose, e perché è tuo padre e non vorrà
perderti.”
E
quello abbassò lo
sguardo, pensando alla vergogna che avrebbe provato nel raccontare a
suo padre
a cosa aveva preso parte.
Qualche
minuto più tardi,
concentrati a scorgere qualcosa, nulla si decideva a comparire.
“Io
mi rifiuto!” sbuffò
Nathaniel.
“Torna
indietro!” esclamò
Rider, invece, come se avesse notato qualcosa. Naturalmente, mentre
quello
eseguiva, Sam ed Eric spostarono lo sguardo tra lui e lo schermo, con
il fiato
sospeso.
“L’infermiera!”
esclamò,
concentrando l’attenzione dei presenti su di lei, che era
appena passata
davanti alla porta dell’obitorio.
“Che
ha che non va,
l’infermiera? E’ solo passata davanti alla
porta!” pensò Sam, non trovando
nulla di insolito.
Rider
si affrettò a dare
una risposta: “E’ passata cinque volte davanti alla
porta, ad intervalli
regolari di otto minuti. Da destra a sinistra, senza mai tornare
indietro.”
Anche
Sam ed Eric lo
trovarono strano, ora che Rider glielo aveva appena fatto notare.
“Ehm,
ci sono due ascensori
nel piano. Uno nell’ala est e uno nell’ala ovest.
Avrà fatto il giro!” aggiunse
Nathaniel, giustificando la scena.
Rider,
allora, si chinò in
avanti, fermando il video, nel momento esatto in cui
l’infermiera passa davanti
alla porta.
“Guardate!
Ogni volta che
passa, ha sempre il telefono nella mano destra. Stessa espressione,
stessa
camminata, poi guarda un attimo a terra e risolleva lo sguardo.
– andò avanti
di otto minuti – Di nuovo: telefono nella mano destra, stessa
espressione, guarda
giù e continua a camminare. Ogni otto minuti, per cinque
volte, è tutto
uguale!”
I
ragazzi se ne convinsero,
a quel punto. Anche Nathaniel.
Eric
commentò a bruciapelo,
impressionato: “Ha montato lo stesso pezzo per cinque volte.
– riflettè, poi -
Saranno almeno 40 minuti!”
“E
40 minuti sono più che
sufficienti per scambiare due corpi, alle 3.25 del mattino!”
aggiunse
Nathaniel.
Sam
era incredulo: “Quindi
non abbiamo nessun volto? La polizia non troverà mai questa
persona!”
“Non
importa! – esclamò,
Rider, per poi rivolgersi all’altro amico –
Nathaniel, prendi il portatile, lo
portiamo al padre di Sam e glielo mostriamo.”
“Prima,
però, dobbiamo
raccontargli tutto.” non dimenticò, Eric.
“Ovvio!”
esclamò Sam,
mentre si scambiavano tutti uno sguardo di coesione. Nathaniel chiuse
il portatile
e si alzò, avviandosi assieme agli altri, uscendo dalla
stanza, silenziosamente.
*
Parcheggiati
davanti
all’abitazione di Sam, tutti si tolsero la cintura di
sicurezza, pronti a
scendere.
Rider
volle accertarsi di
una cosa, prima di entrare, rivolgendosi proprio a Sam:
“Chloe è ancora a casa
tua?”
“No,
è tornata a casa sua,
dopo avermi mandato un messaggio con venti faccine arrabbiate per
averla
lasciata da sola.”
Aprirono
le portiere,
pronti a scendere, ma l’arrivo di un nuovo messaggio, dovette
fermarli. I
quattro ragazzi si lanciarono nuovamente l’ennesima occhiata
fra loro, prima di
aprirlo.
“E’
di A!”
anticipò, Eric.
“Pensate
di avere la
verità in tasca e di poterla manipolare? Fate una sosta qui,
prima della
prossima tappa.”
-A
Subito
dopo, comparve un
immagine: un computer, poggiato sul banco centrale di un’aula.
“Ma
è la nostra classe,
quella!” la riconobbe, Nathaniel.
“Ho
imparato la lezione,
grazie. Ho chiuso con i posti bui!” si riufiuto Rider,
mettendo le mani in
avanti.
“Ma
non lo capite? A ci ha sentiti e
ci sta dicendo che se
faremo un altro passo, avrà anche lui qualcosa da dire!
Ragazzi, ho fin troppi
guai per averne altri!” gridò, esageratamente.
Tutti
lo fissarono, non riuscivano
a seguirlo e quello si rese conto di aver parlato a sproposito,
riferendosi ai
suoi problemi personali, che non loro non potevano conoscere,
abbassando lo
sguardo, calmandosi, sperando di non ricevere domande in merito.
“Quali
altri guai avresti,
scusa, a parte quelli con noi?” chiese, Sam, non risparmiando
quella domanda.
Rider,
intanto, stava
riflettendo su altro, dimenticandosi di ciò che aveva detto
Eric, ancora
fissato dagli altri due, in attesa di una risposta:
“Ragazzi!”
Quelli
si voltarono verso
di lui, anche Eric, che risollevò lo sguardo.
“Se
A – abbassò la
voce a quasi un bisbiglio - ha sentito quello che
abbiamo detto, significa che…”
“Oh
mio Dio, - reagì Sam,
sempre a toni bassi, gli occhi sbarrati – era in casa
tua?”
Rider
scosse la testa: “No,
il sistema d’allarme era attivo, non può conoscere
la password per
disattivarlo.”
Subito
dopo, si apprestò a
tirare fuori qualcosa dalla giacca: il telefono di Anthony.
Fissando
ognuno dei suoi
compagni, Rider indicò il telefono con il dito, arrivando a
comunicare con il
labiale: “E’ qui! – poi si mise il dito
davanti alla bocca – shhh – si diresse,
infine, verso la macchina, tornando a parlare normalmente, con un tono
da
recita – Bene, ragazzi, andiamo a scuola e vediamo di cosa si
tratta!”
Gli
altri rimasero come
imbambolati, per qualche secondo, prima di rientrare in macchina. Non
dissero
una parola per tutto il tragitto, scoperto che A
li ascoltava in qualche modo, attraverso il telefono di
Anthony.
*
Giunti
a scuola, i ragazzi
scesero dall’auto, avvicinandosi alle gradinate, mentre si
guardavano attorno.
“Forse
possiamo entrare
dalla palestra, c’è una porta, ma dovremo
snellirci, di notte è incatenata e si
apre di poco!”
Mentre
ragionavano sul come
entrare, Eric salì le gradinate, con lo sguardo fisso sulla
porta d’entrata.
Con un dito, osservato dagli amici, fece pressione sulla gigantesca
porta, che
si mosse leggermente verso l’interno, scricchiolando.
“E’
aperta. – si voltò –
Ragazzi, è aperta!”
Quelli
si scambiarono una
rapida occhiata.
“Era
ovvio! – esclamò,
Rider, ironicamente – A ci
tiene
molto a mostrarci il suo stupido portatile!”
“L’hai
lasciato in
macchina, vero?” gli domandò Nathaniel.
“Il
telefono di Anthony?
Certo!” rispose l’altro.
Sam
guardò l’orologio,
notificando ai suoi amici: “Mio padre si sveglierà
fra due ore e se non mi
trova in casa, darà di matto. Sbrighiamoci!”
E
salirono.
Percorsero,
subito dopo, i
corridoio dell’istituto, con accese le torce del telefono.
Rider ed Eric
camminavano più avanti, mentre Nathaniel e Sam erano
più dietro. Tutti e
quattro mantenevano lo sguardo vigile, mentre raggiungevano
l’aula.
Sam,
d’un tratto, ebbe un
attimo ti panico, fermandosi. Solo Nathaniel se ne accorse, fermandosi
anche
lui.
“Ehi,
che ti prende?”
“Ho
paura!” esclamò,
preoccupato, guardandolo negli occhi.
L’altro
accenno un sorriso,
quasi rassicurante: “Sam, non ci sono binari ferroviari nei
corridoi della
nostra scuola. Andrà tutto bene. Qui dentro siamo quattro
contro uno, non può
farci niente!”
Sam
finse un sorriso,
ancora impaurito: “Sai, prima Rider è
completamente crollato a casa sua, quando
in quel tunnel era stato COSI’ coraggioso, mentre io non
volevo entrarci,
perché ne ero talmente terrorizzato. Eppure, sarei dovuto
crollare io per
primo, perché ero io quello che aveva paura.”
“Che
stai cercando
di dirmi?”
“Se
dici di essere
coraggioso, non è detto che tu lo sia. Ora, sei
così sicuro di te, ma non sai
cosa sia la paura vera, finchè non la vivi!”
“Alcune
persone vivono la
paura ogni giorno, Sam. Che sia di morire o, addirittura, di vivere.
Fidati,
sono sicuro di essere coraggioso e – sorrise –
sapere che lo sei stato anche
tu, in quel tunnel, salvando la vita a Rider, mi rende ancora
più coraggioso. –
poi lo prese per un braccio, costringendolo a camminare di nuovo
– E ora
andiamo. Sono Mister Muscolo, ricordi? Non c’è
niente da temere con me!”
E
finalmente, un piccolo
sorriso, spuntò sul volto di Sam, che sentiva Nathaniel
stringergli il braccio,
toccarlo. Fu in quell’istante che la paura, finalmente,
sembrò abbandonarlo
temporaneamente. Non si era mai sentito così al sicuro,
mentre lo osservava con
occhiate rapide, arrossendo. Lui non se ne accorse, naturalmente.
Arrivati
alla soglia della
porta, si fermarono ognuno dietro l’altro, per poi entrare,
lanciandosi delle
occhiate, nel vedere un portatile accesso, poggiato sul banco centrale
dell’aula.
Si
avvicinarono,
lentamente.
“Quello
è il banco di
Albert!” lo riconobbe, Nathaniel.
“Già!”
esclamò Sam.
E
ormai ci erano davanti:
il desktop era completamente privo di cartelle, o quasi.
“Aspettate
un secondo… -
Eric osservò meglio il portatile – Questo
è di Anthony!”
“Potrebbe
essere, - Rider fece
mente locale - quella notte ho seguito Anthony in camera sua e lo stava
mettendo nel borsone. A possiede
tutta la roba che si è portato dietro per lasciare
Rosewood!”
Nathaniel
fu il primo a
mettere le mani sul portatile, muovendo la freccia verso
un’unica cartella,
posta al centro del desktop: “Ha cancellato tutto, sembra. Ha
lasciato solo
questa cartella, rinominata come La mia
verità!”
Prima
di aprirla, si
guardarono tra loro. Entrati nella cartella, c’era un
filmato, che Nathaniel
avviò.
I
primi minuti, mostravano
l’incidente con Albert e loro cinque che lo caricavano in
auto, subito dopo,
quella notte.
Nathaniel:
“Ok,
mettiamo che tutto fili come dici tu, ma come la mettiamo con Albert?
Qualcuno
si accorgerà che è scomparso!”
Rider:
“E
troveranno il suo sangue sulla mia auto e a quel punto io
andrò in galera,
mentre tu sarai a Las vegas o chissà dove con addosso una
ghirlanda di fiori!”
Anthony:
“Metti
l’auto nel tuo garage, lavala con il tubo e il sangue
verrà via. I tuoi
torneranno Mercoledì, no? Più tardi ti
darò il numero dell’autofficina di un
mio amico, và da lui e tutto tornerà come nuovo.
Per quanto riguarda Albert,
non c’è niente che ci collega a lui e il suo
telefono me lo porterò via con me”
A
bocca aperta, non
riuscendo nemmeno ad aggiungere una parola, i ragazzi proseguirono con
il
video, che mostrava loro, a casa Dimitri, ripresi da dietro una
finestra,
mentre Anthony versava la benzina sui corpi.
Anthony:
“Fortuna
che Rider è un tipo previdente e ha sempre della benzina di
riserva!”
Rider:
“Possiamo
fare in fretta, per favore? Non ce la faccio più!”
Nathaniel:
“Già,
facciamola finita, Anthony! Muoviti!”
Terminato
il filmato, fu Eric a trovare le parole per primo, mentre
avevano tutti lo sguardo fisso sullo schermo, sconvolto: “A ci ha seguiti dal momento in cui
abbiamo investito Albert.”
“Siamo
nella merda, ragazzi. Questa è chiaramente una
minaccia!” la
trovò palese, Nathaniel.
“Nemmeno
mio padre può aiutarci, non con una prova così
schiacciante. – Sam
andò nel panico, come suo solito – Ci daranno
l’ergastolo come minimo!”
“Non
esagerare, ha fatto tutto Anthony!” cercò di
minimizzare Eric,
nonostante fosse spaventato: tutti lo erano.
“Sì,
ma siamo ugualmente complici di un doppio omicidio, - aggiunse
Rider - la polizia la vedrà in questo modo! Se non ci danno
l’ergastolo,
usciremo di galera nel 2080, se siamo fortunati!”
E
fu in quell’istante che andarono tutti quanti nel panico; chi
faticava
a respirare bene, chi si metteva le mani nei capelli e chi rimaneva
immobile a
fissare vari punti del pavimento o delle pareti, con gli occhi
sgranati, il
volto pallido.
La
comparsa di un messaggio, sullo schermo del portatile, costrinse i
quattro ragazzi a voltarsi nuovamente verso di esso.
“Visto,
stronzetti? La
verità non può essere manipolata,
ma…può sempre rimanere nascosta!”
-A
Anche
questo nuovo
messaggio, portò l’ennesima ventata di confusione.
“Che-che
vuol dire questo?
– indicò, Sam, lo schermo del pc con il braccio,
tremante – Che non ha
intenzione di mostrare questo filmato alla polizia?
Intervenne
Eric, di seguito:
“Ora che ci penso, sono passati quasi quattro giorni e A ha questo filmato da quattro giorni.
Avrebbe potuto mandarlo dall’inizio.
Perché non l’avrà fatto secondo
voi?”
“Se
non vuole denunciarci,
che intende fare? Che c’è di peggio della
galera?” pensò Nathaniel, guardandosi
confuso con gli altri.
“Ha
scambiato i corpi, no?
Questo vuol dire che ha un progetto, non vuole denunciarci. Credo che A voglia… - fissò
ognuno di loro,
Rider, agghiacciandoli - qualcosa di più!”
SCENA
FINALE
A
si era appena seduto
davanti alla sua scrivania, di legno, molto mondana. indossava una
felpa nera,
il cappuccio sulla testa, i guanti di pelle nera; in mano, una tazza
fumante di
caffè, semplicemente bianca, che appoggiò sulla
superficie. Sopra vi erano
poggiate diverse cose, tra cui un portatile, lo zaino di Eric sporco di
terra,
quello che aveva dimenticato nel boschetto, e alcuni volantini con il
volto di
Albert sopra. La parete dietro alla scrivania, invece, era di metallo,
con dei
tubi che si intravedevano più alto, che gocciolavano.
Attaccata ad essa, altre
foto di Albert, in momenti diversi della sua vita, raggruppate tutte
nel lato
destro. Nel lato sinistro, le foto di Nathaniel, Sam, Rider ed Eric,
fuori
dalla chiesa di Rosewood, altre di Eric che si disfava degli abiti di
Anthony, altre
di Sam e Rider alla stazione e, naturalmente, le foto di quella notte:
quella
l’omicidio.
Improvvisamente,
su quella
scrivania, A poggiò una
telecamera,
che altro non era che quella utilizzata da Anthony per girare il video
assieme
ai suoi amici, dove aveva parlato male di parecchi studenti della
scuola.
Attaccato un cavo, passò il video sul PC, che era aperto
sulla pagina della
scuola.
Dopo
aver digitato qualche
tasto, A aveva caricato quel video
e, ora, chiunque poteva visualizzarlo…
CONTINUA
NEL QUARTO CAPITOLO
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Capitolo 5 *** 1x05-Obbligo o verità ***
CAPITOLO
CINQUE
“Shut
Your Mouth, LiAr!”
PREVIOUSLY
ON BLACK HOOD (Capitoli 1-2-3-4):
Albert
affronta Anthony in mensa; tra i due c’è astio.
Anthony
costringe i suoi amici a girare un video sugli
sfigati della scuola, saltando le lezioni, mentre Albert è
nascosto dietro la
porta.
Subito
dopo, riceve un messaggio da parte di qualcuno
che si firma A e che minaccia di
smascherarlo su qualcosa.
Ognuno
dei quattro ragazzi nasconde un segreto: La
sorella di Rider si apparta con uno dei professori, di nascosto; Eric
viene
accompagnato a casa sua da Sam, in un bel quartiere, ma non entra in
nessuna di
quelle case, tornando indietro, subito dopo averlo visto svoltare;
Nathaniel
riceve il fax di una ricetta medica e davanti a Rider la spaccia per
suo padre;
Sam, infine, è segretamente gay e ha una cotta per
Nathaniel. Anthony sembra
conoscere tutti i loro segreti e tiene in pugno l’intero
gruppo, secondo Chloe,
la migliore amica di Sam.
Il
padre di Anthony si presenta a scuola, contattato dal
preside, a cui, probabilmente, è stato notificato
l’atto di bullismo in mensa.
E’ ubriaco ed Anthony cerca di mandarlo via, osservato da
Rider e Nathaniel.
Tornato
a casa, Anthony scopre che qualcuno ha violato
il suo computer e quel qualcuno è la stessa persona che gli
ha inviato la
minaccia a scuola: A.
Furibondo,
ha una violenta lite con il padre e finisce
per colpirlo alla testa con una bottiglia di vetro, uccidendolo.
Preso
dal panico, manda un SOS ai suoi quattro amici,
che lo raggiungono a casa sua e scoprono del cadavere. Anthony,
apparentemente
tranquillo e inquietante, spaccia la cosa per legittima difesa e
costringe i
compagni ad inscenare la sua scomparsa, facendola passare per un
rapimento a
seguito di un furto in casa.
Diretti
alla stazione di Rosewood, Albert spunta,
improvvisamente, davanti alla strada ed Anthony, alla guida, lo
investe. Scesi
tutti dall’auto, scoprono che è morto ed Anthony
trova il suo cellulare,
confermando la sua teoria: Albert era la A
che l’ha minacciato.
Mentre
il gruppo cerca di metabolizzare ciò che sta
accadendo, sconvolti, Anthony cambia i suoi piani di fuga e propone di
portare
il corpo di Albert a casa sua e metterlo accanto a quello del padre,
per poi
bruciare entrambi. La scena del crimine sarebbe risultata
più credibile e la
polizia avrebbe dato per scontato che si tratti di lui.
Aggiustata
la scena del crimine, i ragazzi accompagnano
nuovamente Anthony alla stazione e quello dice loro addio, pronto a
sparire per
sempre.
Tre
giorni dopo, tutto va secondi i piani di Anthony: la
polizia ha identificato Albert come lui. I suoi amici prendono parte al
funerale e all’uscita dalla chiesa, ricevono un video da A, dove Anthony viene assassinato.
~
Dopo
i funerali di
Anthony, fuori dalla chiesa, A manda
un nuovo messaggio ai quattro ragazzi, insinuando che il corpo nella
bara
appartenga davvero ad Anthony: un video, mostrava qualcuno che lo
uccideva.
Rider
convince i suoi
amici che A, stavolta, è
Anthony,
sostenendo che abbia contattato un amico per girare una sceneggiata e
far si
che loro tenessero la bocca chiusa sulla notte degli omicidi. Nathaniel
e Sam,
sembrano gli unici a pensare che si tratti, invece, di un amico di
Albert, in
cerca di vendetta.
Tornati
a casa, Sam e
Rider cominciano a fare i conti con i sensi di colpa, in seguito ai
commenti
trovati sulla bacheca della pagina della Rosewood high shool; molti
erano a favore
di Albert, dichiarato scomparso da qualche giorno, altri di odio nei
confronti
di Anthony e il suo gruppo.
Eric,
intanto, conosce
la nuova barista del Brew, Alexis, e deve fare i conti con la crisi che
sta
attraversando la sua famiglia, economicamente; lui e sua madre, vivono
nell’appartamento sopra al locale, tenendosi costantemente in
contatto con suo
padre, fuori città, in cerca di nuovo lavoro, dopo essere
stato licenziato
dalla società in cui lavorava.
Nathaniel,
alle prese
con una nuova visita medica di routine da suo cugino, morso ancora dal
dubbio
sollevato dal video ricevuto da A,
trova un escamotage per farsi portare nella stanza della
videosorveglianza
dell’ospedale. Tyler viene chiamato dal suo cercapersone e
Nathaniel rimase
solo, passando sulla sua pennetta, indisturbato, i filmati della
sorveglianza.
Subito dopo, irrompe nell’obitorio, dove con Rider, in
contatto telefonico,
scopre che il referto del medico legale non coincide con le ferite
riportate da
Albert nell’incidente: quindi il corpo nella bara
è di Anthony e A ha
scambiato i corpi.
Sam,
nel frattempo,
scopre da suo padre che la polizia ha un sospettato sicuro, segnalato
da una
deposizione fatta dalla signora Dimitri e l’altro suo figlio,
Clarke, in
centrale.
Rider,
non convinto dalla
storia dello scambio, passa a prendere Sam e vanno alla stazione di
Rosewood,
in cerca di un indizio in più. I due, però,
vengono attirati in una trappola,
all’interno dei tunnel, ritrovando il telefono di Anthony e
un messaggio di A. Un treno, subito
dopo, quasi li
investe.
Riuniti
a casa di Rider,
ancora sotto shock, il gruppo esamina i filmati della sorveglianza,
notando la
presenza di un loop, la ripetizione di uno stesso pezzo, nel corso del
filmato.
I ragazzi si convincono di avere una prova in mano, a quel punto,
assieme al
video dell’omicidio di Anthony, ricevuto da A,
e decidono di volerne parlare con il padre di Sam e porre fine a
questa storia, pur sapendo che si sarebbero esposti a determinate
conseguenze.
Fuori
dall’abitazione di
Sam, però, i quattro ricevono l’ennesimo messaggio
di A e questo li costringe a
passare dalla loro scuola, prima di fare
un’altra mossa: aveva qualcosa contro di loro.
Giunti
a scuola, Sam,
Nathaniel, Rider ed Eric, trovarono il computer di Anthony, una sola
cartella
al centro, con dentro un filmato: mostrava loro, complici
dell’omicidio del
Signor Dimitri e di Albert. Ora, non avevano altra scelta che tacere.
E,
stranamente, A, mise in chiaro loro
che non aveva intenzione di denunciarli.
~
Costretti
a tacere da A, perché in
possesso del video che li mostra complici di Anthony
nella notte degli omicidi, i ragazzi tornano a scuola il giorno dopo,
punzecchiati dai continui messaggini del loro stalker.
Ignari
del nuovo colpo basso che ha messo in tumulto l’intera
scuola di Rosewood, i quattro discutono su come liberarsi di A senza finire nei guai con la polizia,
progettando di rubare i video che li vede protagonisti del reato dal
possibile
covo del nemico, una volta scoperta la sua identità.
Messi
all’angolo da tutti gli studenti, prima dell’inizio
delle lezioni, vengono a sapere del video di insulti che gira su
internet. Un’accesa
discussione si apre fra i ragazzi e alcuni degli studenti citati nel
video.
Violet, una di loro, sorella del ragazzo albino insultato da Anthony,
si fa
avanti e ne prendere le difese. Nathaniel si prende un pugno da Morgan
Patterson, suo compagno nella squadra nuoto.
A
quel punto, usciti dalla discussione, i ragazzi
corrono nell’aula dove è stato girato il video e
scoprono che la videocamera è
sparita. In seguito, vengono sospesi per due settimane dal preside
Ackett.
Tornati
ognuno alle proprie case, fanno i conti i loro
genitori, informati dalla scuola dell’accaduto. Tutti tranne
Sam, che straccia
il fax.
Eric
incontra Lisa Nelson al Brew e cerca di scusarsi, ma
arriva Violet ad attaccarlo, per poi lasciare il posto a braccetto con
Lisa.
Riuniti
a casa di Sam per un messaggio ricevuto da A,
i ragazzi scoprono che la polizia sospetta
di un certo Jasper Lauglin e che è impegnata nelle sue
ricerche, in seguito
alle dichiarazioni fatte in centrale dalla Signora Dimitri.
I
ragazzi aggiornano la lista dei sospettati: Violet,
Colton, Lisa e, come new entry, anche la Signora Dimitri e Clarke
Dimitri,
troppo sospetti per via delle dichiarazioni fatte verso un uomo che
loro sanno
essere innocente.
Rider
propone di passare la serata alla casa sul lago e
ne parla con suo padre, che gli fa una ramanzina sulla sospensione.
Verso la
fine, gli da comunque il permesso di andare alla casa sul lago. Subito
dopo,
ritrova nello studio del padre, un libro scritto da lui con dentro una
pagina
aggiunta da A.
Sam,
intanto, assieme a Chloe, fa un salto in centrale,
intrufolandosi in uno degli uffici e fotografando le dichiarazioni
fatte dalla
Signora Dimitri alla polizia su Jasper Lauglin, ma tra le varie
scartoffie,
trova anche un caso aperto sulla scomparsa di Albert.
Alla
casa sul lago, i ragazzi discutono sul materiale
raccolto da Sam. Si scopre che Jasper e Kevin Dimitri erano amanti e
che quest’ultimo
aveva contratto l’HIV da Jasper. Sempre secondo le
dichiarazioni, si scopre che
Kevin, per vendicarsi, ha incendiato il negozio di Jasper. In base a
questo,
Jasper sarebbe entrato a casa Dimitri per rubare i soldi e pagarsi le
medicinali che non poteva più permettersi e che, di
conseguenza, avrebbe ucciso
Kevin e suo figlio.
Sul
caso di scomparsa di Albert, invece, ci sono delle
foto sul suo ultimo avvistamento, proprio nei pressi del Wall mart, un
supermercato vicino a dove l’hanno investito. I quattro
arrivano alla
conclusione che Albert era con A e
che il loro nemico era a bordo di un’auto di colore blu e che
da quella abbia
filmato tutta la scena dell’incidente.
Affacciandosi
sul discorso della pagina trovata nel
libro del padre di Rider, infine, i ragazzi deducono che Anthony
è colpevole di
un’altro crimine e che questo sia spiegato in una misteriosa
cartella chiamata “Rosewood-riservato”
che A ha rubato dal suo pc.
Inoltre,
A, pensa che uno dei quattro sia suo
complice anche in quel crimine.
Sempre
nella stessa serata, Eric propone di rivelare i
loro segreti, quelli che Anthony custodiva e che costringeva tutti loro
ad esserli
amico.
Subito
dopo, Sam scappa fuori, preso dal panico di dover
rivelare che è gay e che ha una cotta per Nathaniel. Quando
quest’ultimo lo
segue fuori e scopre solo della sua omosessualità.
Improvvisamente, i due
notano qualcosa che si muove nel lago e pensando che sia una persona in
difficoltà, Nathaniel si tuffa per andare a controllare.
Giunto al centro del
lago, il ragazzo scopre che si tratta di una bambola gonfiabile e
quando torna
indietro, risente della bracciata, rischiando di morire, per via del
lago
ghiacciato.
Quando
i ragazzi non trovano le medicine dell’amico,
Rider deduce che si trovano nella bambola gonfiabile e Sam si tuffa a
recuperarle. A è
dall’altra parte
del lago e lo saluta dal molo.
Nathaniel
riceve le sue medicine e si salva, ma gli
altri tre amici arrivano alla conclusione che A
ha tentato di uccidere uno di loro per estorcere una
confessione
sul nuovo crimine di cui pensa che uno di loro sia colpevole assieme ad
Anthony.
~
AND
NOW…
In quel primo
mattino,
intorno alle ore 07:00, Sam stava rientrando a casa sua, dopo la
movimentata
notte al lago. Ancora sconvolto da ciò che è
accaduto, si prestò a salire nella
sua camera, silenziosamente.
Giunto davanti
alla porta
della sua stanza, si guardò alle spalle, lungo il corridoio,
attraversato dai
raggi del sole che filtravano dalle finestre. Era tutto calmo e
pensò che suo
padre, probabilmente, dormiva ancora, così girò
il pomello della porta ed entrò
nella sua stanza, cercando di richiuderla senza far rumore;
sfortunatamente,
però, essa cigolò.
“Sam?”
Sentì
chiamare il suo nome,
dal piano di sotto: era suo padre.
Il ragazzo
strinse i denti
e strizzò gli occhi, beccato. Poi stranì,
realizzando che si trovava al piano
di sotto e non in camera sua, a letto, malato.
Riaprì
la porta, allora,
affacciandosi: “Papà? Sei di sotto?”
“Sì,
sono in cucina. Sei
già svegliò?” rispose quello, facendosi
sentire.
“Ehm,
sì, - rimase impalato
davanti alla sua stanza - mi sono appena
svegliato…”
“Ok,
scendi, sto preparando
la colazione.”
Sam
sembrò volersi avviare,
richiudendo la porta, ma il suo telefono sul comodino, quello che aveva
lasciato lì il giorno prima, stava improvvisamente vibrando
e la cosa lo
costrinse a tornare indietro: “Scendo tra un minuto,
Papà!”
E si
avvicinò, timoroso, a
quel comodino, prendendo il suo telefono tra le mani: si trattava di
una
registrazione audio, mandata da A.
Istintivamente,
Sam la
aprì, per riprodurla.
“Sam?
– Papà?
Sei
di sotto? – Sì, sono in
cucina. Sei già sveglio?
– Ehm,
sì, mi sono appena svegliato… – Ok,
scendi, sto preparando la colazione.
–
Scendo tra un minuto, Papà!”
Sam
sbigottì di fronte a
ciò che aveva appena sentito; cioè sé
stesso, mentre parlava con suo padre, in
uno scambio di battute avvenuto poco prima.
Rimasto
impalato, non potè
che deglutire, sentendo crescere il panico dentro di lui, mentre
fissava un
punto qualsiasi della parte.
L’attimo
dopo, cercò di
reagire, facendo una telefonata.
“Pronto?”
rispose Eric,
dall’altra parte; si trovava ancora alla casa sul lago di
Rider, dentro una
delle stanze degli ospiti, appena svegliatosi.
“A mi ha mandato una registrazione di me
che parlo con mio padre!”
esordì, nervosamente.
Eric, sdraiato,
si alzò con
la schiena per saperne di più, con maggiore attenzione:
“Uao, ma non dorme mai?
Che registrazione è?”
“L’ha
fatta adesso! -
spiegò – Sono rientrato da due minuti e mio padre
pensa che mi sia appena
svegliato, così mi ha chiamato dalla cucina per scendere a
fare colazione. A ha
registrato quello che ci siamo detti, ma non capisco a cosa
miri.”
L’altro
ci riflettè,
avendone una mezza idea: “Pensi che A…
Insomma, questo è materiale da spionaggio,
perciò…”
“Dici
che… - si guardò
attorno, nella sua stanza, per poi bisbigliare – ha messo dei
microfoni in casa
mia?”
“Cos’altro
può essere? – ne
fu certo, Eric - Di certo non si azzarderebbe a nascondersi nella casa
di un
poliziotto, armato, per registrare due frasette con il
telefono.”
Sam
andò nel panico,
allora: “Sai che significa questo? Che io sono il prossimo,
dopo Nathaniel. E’
un chiaro messaggio rivolto a me, allora. Perseguiterà me,
adesso!”
“Non
iniziare ad andare
fuori di testa, ok? Siamo tutti bersagli, Sam.”
“No,
non è vero. Non in
questo turno, Eric. – ribattè, convinto
– C’eri anche tu ieri sera e A
parlava proprio di questo nel
messaggio che abbiamo ricevuto sul telefono di Nathaniel. Mi ha anche
salutato
da quel molo, mi ha praticamente marchiato!”
Se ne convinse
anche Eric,
a quel punto: “Ok, forse non dovresti restare da solo.
C’è tuo padre in casa,
no?”
“Sì,
ma credo che stia
meglio e che rientrerà a lavoro. Non gli è mai
piaciuto restare a letto per più
di un giorno…Il suo sistema immunitario è come
asservito alla giustizia.”
“Non
gli dirai nulla a
proposito della nostra sospensione?”
“No,
farò finta di
prepararmi per andare a scuola, tanto il fax mandato da Ackett
l’ho stracciato
e buttato ieri. Non è proprio il momento. –
cambiò argomento, poi - E tua
madre? Cos’ha detto?”
“Niente,
ha già fin troppi problemi per prendersela con me. Credo mi
compatisca!”
“Dio,
mancano ancora tredici giorni. – sospirò, Sam, in
ansia – Tredici giorni
insieme ad A!”
“Solo
tredici? Pensi che quando torneremo a scuola, svanirà come
per magia?”
“Magari…
– pensò, prima di preoccuparsi per altro
– Piuttosto, come sta Nathaniel, si è
già alzato?”
“Io
e Rider abbiamo fatto a turni per controllarlo e sta decisamente
meglio, ha un
buon colorito rispetto a quando l’abbiamo tirato fuori
dall’acqua. Direi che il
pericolo è scampato.”
“Ce
la siamo vista davvero brutta, poteva morire.”
“Ma
non è successo, grazie a te.”
Sam
tacque per qualche secondo, poi finalmente disse di nuovo qualcosa:
“Devo
andare adesso…”
“Ok,
sta attento… - volle consolarlo - Ne verremo a capo,
vedrai.”
E
Sam chiuse, senza aggiungere nulla.
*
Eric
scese al piano di sotto, trovando già svegli Rider e
Nathaniel, nel salottino.
Il primo era seduto sul tavolino, che passava una tazza di
caffè all’altro, sul
divano, dove aveva dormito.
“Buongiorno!”
Rider
si voltò, mentre Nathaniel sorseggiava, esausto e trasandato.
“Pensavo
che dopo essere arrivati alla conclusione che A
era qui, in questa casa, prima che arrivassimo per la serata,
ti
avrebbe fermato dal voler dormire da solo, al piano di sopra.”
“Ho
chiuso a chiave la porta e poi… - continuò Eric
- Volevo sentire di nuovo cosa si prova a dormire in un
letto vero e non
su un divano che si apre come una scatoletta di sardine.”
“Davvero
non hai un letto, in quell’appartamento?” rimase
perplesso, Rider.
“C’è
una camera con un letto, - ribattè, senza alcun imbarazzo -
ma ci lascio
dormire mia madre.”
Nathaniel
appoggiò la tazza di caffè, vuota, tornando
comodo, attirando nuovamente gli
sguardi su di sé.
“Ehi,
come stai?” si preoccupò, Eric.
“Meglio…
Più caldo, direi. - ripensò alla vicenda,
leggermente turbato, ma forte – Non
ho mai sentito così freddo in vita mia. Potevate anche
infilzarmi con mille
aghi, ma non avrei sentito niente per quanto il mio corpo fosse
gelato.”
Rider
intervenne, un accenno di sorriso per sdrammatizzare: “Ti
abbiamo quasi perso,
ieri sera. Francamente… - abbassò lo sguardo,
serio – Noi non sapevamo come
comportarci ed eravamo pietrificati dal terrore: queste cose non
capitano tutti
i giorni. – tornò a fissarlo – Ma Sam
è stato pronto. Non ha esitato un solo
secondo nel tuffarsi e nuotare fino alla bambola, dove A
ha nascosto le tue medicine.”
Nathaniel
ascoltò, colpito e sorpreso, e pensò di dover
ringraziare l’amico al più presto.
“Dov’è
lui? Dov’è Sam?”
“E’
tornato a casa sua.” ribattè Eric.
“Ah…
- rimase impalato con lo sguardo, prima di aggiungere altro,
preoccupandosi– E
sta bene?”
Eric
assunse un espressione che non lasciò trasparire nulla di
buono: “Ehm, sì,
fisicamente sta bene, ma psicologicamente…”
“Di
che parli? – non capì, Rider –
Psicologicamente, cosa?”
“Mi
sono appena sentito con lui al telefono e pensa che A
stia giocando il nuovo turno con lui…”
“Turno?”
sussultò Nathaniel, confuso.
Rider
si alzò, prendendo il telefono di Nathaniel, dal ripiano su
cui l’aveva
appoggiato prima di andare a letto. Si avvicinò a lui, dopo,
mostrandogli
l’ultimo messaggio ricevuto. Quello lo lesse, mentre Eric
spiegava.
“Sembra
che A abbia un nuovo obbiettivo.
Anthony ha commesso qualcosa, l’abbiamo capito dalla
misteriosa pagina trovata
nel libro del padre di Rider. A pensa
che uno di noi sia coinvolto, così ha deciso di volerci
prendere singolarmente,
in modo da scoprire chi.”
“La
cosa positiva è che puoi rilassarti. – aggiunse
Rider con una sottile ironia -
Con te ha finito, per ora.”
L’altro,
però, si allarmò: “Si, ma Sam non
può. A
ha cercato di uccidermi pur di farmi confessare qualcosa che
non ho fatto,
perché io non sono complice di Anthony. Eccetto per la notte
degli omicidi, io
non ho mai fatto nulla con Anthony.”
“Io
neanche.” aggiunse Rider.
“Neppure
io.” si aggregò Eric, con la stessa sicurezza
degli altri, a tal proposito.
“Sono
sicuro che nemmeno Sam c’entra qualcosa, l’ha
ribadito anche ieri. - pensò
Rider – Perciò, a questo punto, è
un’altra persona, ma A è
talmente fissato con noi da non capirlo. – sbuffò
– Vorrei
tanto sapere cos’ha visto nel computer di Anthony di
così terribile…”
Nathaniel,
intanto, manteneva basso lo sguardo, non molto convinto
sull’innocenza di Sam,
dopo aver scoperto da lui che aveva una cotta per Anthony, la sera
prima, e che
quindi avrebbe potuto fare qualsiasi cosa per compiacerlo: persino
commettere
un crimine. Nonostante ciò che sapeva, però,
preferì tacere.
“In
ogni caso, - continuò Eric a braccia conserte –
Sam sta andando fuori di testa,
A gli ha
mandato una registrazione vocale di lui e suo padre che
conversano. Esattamente due minuti dopo che la conversazione
è avvenuta.”
“Non
poteva essere in casa sua, c’è anche suo padre.
– Rider si lasciò scappare una
risata per l’assurdo, prima di tornare serio –
Questo vuol dire che…”
“Microfoni!
– esclamò Eric, anticipandolo – Ci
eravamo già arrivati anche noi…A quanto
pare, disfarci del telefono di Anthony non è servito a
niente, A ci ascolta in altri
modi.”
Nathaniel
intervenne, abbastanza spiazzato: “Anche nelle nostre case,
allora? E’ entrato
in tutte le nostre case?”
Rider
si voltò a rispondergli: “Anche in questa,
probabilmente…Ci sta monitorando!”
“Forse
crede che ascoltandoci con attenzione, - andò avanti, Eric -
uno di noi si
lascerà scappare qualcosa di troppo.”
“Sentite,
- Nathaniel si alzò, ne aveva già abbastanza
– io me ne torno a casa. Tanto non
c’è nulla da lasciarsi sfuggire, l’unica
colpa che abbiamo è quella di aver
risposto a quel dannato SOS di Anthony ed essere accorsi a casa sua,
quella
notte.” e lasciò la stanza, mentre lo sguardo
degli altri due non dava torto a
quanto appena detto.
Usciti
dalla casa, Rider chiuse la porta a chiave, per poi raggiungere Eric,
che stava
camminando verso l’auto. Nathaniel passò proprio
di fianco a loro, con la sua,
sgommando via.
Arrivati
vicino all’auto di Rider, Eric torturava un piccolo
bigliettino tra le mani,
quello lasciato da A nel flacone
delle medicine di Nathaniel, rendendo partecipe l’amico dei
suoi pensieri.
“Quindi
Sam ha una cotta per Nathaniel?”
“Come
dargli torto… - replicò, mentre apriva la
portiera – E’ bello, ha un fisico da
far paura ed è alto… Cosa darei per la sua
altezza!”
Eric
fece il giro, aprendo l’altra portiera, storcendo le
sopracciglia: “Ora sembra
che la cotta per lui ce l’abbia tu!”
“Naah,
non è il mio tipo. – ribattè, sedendosi
sul sedile, ironico - Il mio tipo è
tipo come me, versione ragazza, ovviamente. Nel 2011, però,
ho provato ad
essere gay, - delusione d’amore, odiavo tutte le donne del
pianeta - poi ho
letto delle cose strane su Yahoo answer
e ho lasciato perdere.”
Eric
titubò, confuso: “Cos’è Yahoo answer?”
L’altro
lo fissò a lungo, per niente stupito: “Immagino
che tu non abbia mai avuto dei
problemi da dover risolvere per arrivare a chiedere aiuto a degli
estranei con
una serie di domande.”
“E’
da un po’ che convivo con i problemi… -
replicò, sospirando - Chiedere aiuto
non serve a niente. Hanno tutti una soluzione diversa al tuo problema
e, nella
maggior parte dei casi, non fa al caso tuo. Quella giusta la puoi
trovare solo
tu.”
“Uao…
- accennò un sorriso – Non ti facevo
così profondo. – rise – Potrei
seriamente
innamorarmi di te, adesso.”
Anche
Eric rise per poi sfumare: “Beh, la mia profondità
ha perso spessore da quando
ho conosciuto Anthony. Sto recuperando ciò che mi ha
tolto.”
“Quindi…
- Rider inserì la chiave, pronto a far partire
l’auto – Se devo rimanere in
linea con il tuo discorso, vuol dire che dovremo lasciare che Sam
risolva i
suoi problemi da solo?”
“Sì,
Rider. E’ così che funziona. Suoi sono i
sentimenti che prova, sua è la scelta
di condividerli con la persona che ama…Dobbiamo starne
fuori.”
E
l’amico afferrò, pronto a girare la chiave.
Qualcosa, però, lo fermò dal far
accendere il motore: il suono di una vibrazione, che lo costrinse a
girovagare
con lo sguardo, le orecchie aguzzate.
“Lo
senti anche tu?”
Eric
annuì: “Sì…”
I
due si guardarono, per poi girarsi contemporaneamente, dietro, alle
loro
spalle. Poggiato sul sedile posteriore centrale, c’era un
telefono; il display
ancora acceso per via della ricezione del messaggio: era quello di
Rider.
Quello
lo prese in mano, leggendo il messaggio assieme ad Eric.
“Ho
recuperato il tuo telefono dal tuo armadietto. Mai abbandonare
l’unico mezzo di
comunicazione con cui ti posso tormentare.”
-A
Rider
mise via il telefono, ormai quei messaggi non erano più una
novità, ma nel suo
volto era comunque dipinta l’angoscia.
“Anche
ad A c’è una
soluzione che solo io
posso trovare?”
“No,
questa è l’unica eccezione. Serve
l’aiuto di tutti e quattro per questo.”
concluse Eric, mentre Rider metteva in moto.
*
Dopo
la colazione, Sam era risalito in camera sua e la paranoia, che
l’aveva
accompagnato tra un cucchiaiata di cereali e l’altra, lo
seguì. Nel giro di
pochi minuti, la sua stanza era sottosopra: abiti lanciati ovunque,
lenzuola
sfatte, cuscini sul pavimento, cassetti aperti, calzini che
ciondolavano dalle
lampade da notte sui comodini laterali; sembrava cercasse,
disperatamente,
qualcosa.
La
sua burrascosità, però, fu interrotta
dall’arrivo di suo padre, che bussò prima
di entrare.
“Posso?”
si affacciò, in divisa da lavoro.
Sam
si sollevò da terra, mettendosi a braccia conserte, cercando
di nascondere il
suo nervosismo: “Beh, sei già
dentro…”
L’altro
rimase impietrito, facendo un tour con lo sguardo: “Ma che
diavolo?? E’ per
caso scoppiata una guerra tra vichinghi qui dentro?”
“Ehm…
- cercò di dare una spiegazione, Sam – stavo solo
cercando una penna, ecco.”
La
ragione del trambusto, però, non convinse del tutto suo
padre: “Quindi… -
indicò sopra la sua testa – i tuoi calzini si
trovano appesi al lampadario per
una penna?”
Sam
portò nuovamente la testa giù, dopo aver guardato
il calzino: “In verità, ha un
valore affettivo. Me l’ha regalata Chloe!”
“Beh,
- parve credergli – se
ha un valore
affettivo, allora distruggi pure questa stanza per trovare quella
penna! –
rise, sarcastico – No?
Sam,
però, iniziò a puntare lo sguardo in ogni punto
della stanza, non sorridendo
come suo padre sperava, a quella battuta.
Quello
se ne accorse e si preoccupò: “Figliolo, va tutto
bene?”
Molto
distratto, finalmente gli diede retta: “Eh? Cioè,
sì, sto bene! E’ solo che mi
sono alzato davvero presto per cercare quella
penna…”
“Già,
devi essere andato a letto molto tardi per avere delle occhiaie
simili…ed
essersi alzato così presto non contribuisce... –
Ora, però, dovette congedarsi,
dopo aver guardato l’orologio – Oh, accidenti, si
è fatto tardi. – indietreggiò
per uscire – Farai meglio a sbrigarti anche tu o arriverai in
ritardo a scuola.”
“Sì,
adesso vado. – lo tranquillizzò - La
cercherò quando torno!”
Poco
prima di uscire, dopo aver dato le spalle, suo padre si
fermò alla soglia della
porta, voltandosi nuovamente.
“Dimenticavo…Ti
voglio bene, figliolo. Passa una buona giornata!”
Sam
accennò un sorriso, finalmente, ma molto malinconico, gli
occhi lucidi: “Anch’io.
Passa una buona giornata anche tu.” e quello uscì,
dedicando a suo figlio un
altro sorriso, ignaro di ciò che stava passando.
Rimasto
solo, non lo fu a lungo. Il suo telefono, in tasca, cominciò
a squillare.
Dopo
aver titubato per qualche secondo, prima di prenderlo, rimase spiazzato
dal
numero che comparve sul display.
Rispose,
finalmente.
“Ehi,
Nat.”
“Ehi,
ciao…”
“Va
tutto bene? – si preoccupò, Sam - Come
stai?”
“Come
sto? – rise – VIVO, grazie a te. I ragazzi mi hanno
detto quello che hai fatto
ieri. Devo aver perso i sensi, ad un certo punto.”
“Sì,
li hai persi. Decisamente…” non sapeva
più che altro dire.
“Grazie,
Sam. Grazie per avermi salvato la vita, ignorando quanto
l’acqua del lago fosse
gelata. Sei una persona straordinaria, davvero.”
A
Sam brillarono gli occhi, cercando di non far tremare la voce:
“Ehm, grazie,
Nat… - si grattò la testa, imbarazzato
– Forse è meglio che vada,
adesso…”
“No,
aspetta!”
“Che
c’è?”
“Eric
ci ha detto che A ti ha preso di
mira. E’ vero?”
“Ancora
non lo so, - sospirò, turbato -
ma ha
reso il mio inizio giornata al quanto soffocante. Ho praticamente messo
la
camera sottosopra in cerca dei microfoni che può aver
piazzato per registrarmi.”
“Tuo
padre è già uscito? Se vuoi vengo da te, usciamo,
facciamo qualcosa insieme. L’importante
è che non rimani da solo. Non voglio che A
se la prenda con te.”
Sam
lo trovò premuroso da parte sua, tant’è
che accenno un sorriso, ma rifiutò: “Ma
no, non ce n’è bisogno…E poi avrai
sicuramente qualcosa da fare.”
“Fare
cosa, Sam? – si lasciò scappare un’altra
risata – Dovrei essere a scuola a
quest’ora, non ho altri impegni in questa fascia oraria.
L’unica cosa che ho
fatto da che ho lasciato la casa al lago di Rider è stata
contare quanto tempo
ci mette il semaforo a cambiare da rosso a verde.”
“Uao,
questo sarebbe il momento migliore per diventare un
telefilo… - disse,
scendendo le scale – Credimi, riempie completamente la tua
vita quando non hai
nulla da fare. Potresti iniziare con…”
L’altro,
però, lo bloccò, allungando la conversazione,
più leggera e meno tesa: “Ah,
quindi quelli come te e Chloe sono telefili? Non sapevo esistesse un
termine
specifico.”
“Sì,
ma attento, non tutti quelli che guardano serie tv sono telefili. Se
guardi
tipo due o tre episodi ogni tanto, non sei un telefilo. Due o tre
stagioni a
settimana: QUELLI, ti rendono un telefilo.”
Nathaniel
rise ancora, poco prima di rispondere: “Beh, non so che razza
di vita facciate
voi telefili, ma non mi dispiacerebbe guardare quei due o tre episodi
ogni
tanto. Ti va se faccio un salto a casa tua?”
Sam,
ormai, arrivato al piano di sotto, si fermò davanti alla
rampa di scale, un
sorriso stampato sulle labbra: “Sì, dai.
– si arrese – Perché no!”
“Ok,
tempo un’oretta e sono da te!”
“D’accordo,
inizieremo con un Teen drama…Tanto
per essere in tema con le nostre vite!” ironizzò,
Sam.
“Dubito
fortemente che esistano altri quattro adolescenti, come noi,
perseguitati da A, in uno di questi
Teen drama!”
Sam
rise nuovamente: “No, non credo proprio. Gli unici problemi
degli altri adolescenti
sono i brufoli, l’amore e i bulli…”
Dopo
qualche attimo di silenzio, Nathaniel tornò a parlare,
più serio: “Torneremo ad
avere quei problemi, ok?”
L’altro,
nuovamente in preda all’angoscia e ad un pizzico di
tristezza, non ne era tanto
certo: “Non lo so, Nat. E’
insistente…”
“Ci
vediamo fra un’ora, ok? Mio padre mi ha mandato un messaggio,
devo solo
sbrigare una cosa in banca, passo al ristorante e sono da te. Cerca di
essere
fiducioso. – fu premuroso nei toni - Va bene, Sam?”
“Va
bene, - sospirò un’ultima volta - preparo la
tv!” e chiuse.
Rimasto
con il telefono in mano, il pensiero di quella telefonata, lo fece
sorridere,
quasi arrossire, per diversi secondi. Era la prima volta che sentiva
Nathaniel
così vicino ed era una bella sensazione. Bella,
finchè non vibrò il telefono.
Un nuovo messaggio lo catapultò nuovamente nel mondo di A.
“Confessare
un segreto che già tutti sospettano non è un vero
segreto, Sam. Rivela a
Nathaniel ciò che provi per lui o ti perseguiterò
per tutto il giorno.”
-A
Sam
deglutì, terrorizzato. Non aveva mai avuto il coraggio di
confessare i suoi
sentimenti a Nathaniel e non era intenzionato a farlo. Tuttavia, era
messo alle
strette da A, ma pensò
che cedere
subito alle minacce di un tiranno non era discutibile; così,
avvicinandosi al
quadrante del sistema d’allarme della casa, Sam
digitò il codice per attivarlo.
Subito dopo, sapendo di essere al sicuro, mandò un
messaggio, raccontando una
menzogna.
A
Nathaniel:
“Mio
padre ha
scoperto della sospensione, Ackett l’ha chiamato. Possiamo
rimandare? Deve
parlarmi.”
*
Al
Brew, intanto, Rider stava prendendo qualcosa al bancone, guardando
continuamente verso la rampa di scale che portava al piano di sopra.
“Prendi
qualcosa?” gli domandò Alexis, vedendolo
lì impalato.
“Ehm,
- si girò verso di lei - sì, un
cappuccino…Con sopra uno schizzo al caramello,
grazie.”
Quella,
mentre lo faceva, lo fissò a lungo: “Rider,
vero?”
L’altro,
posando di nuovo lo sguardo su di lei, rimase perplesso:
“Sì…Come mi conosci?”
“Sei
in un video che ho visto sulla pagina della Rosewood High school. Ora,
però,
siete anche su Youtube.”
“Ah,
sì? – sollevò le sopracciglia, fingendo
di essere stupito – Siamo sbarcati
anche lì?”
Sorrise,
lei, mentre poggiava il bicchierone di carta sul bancone, fumante:
“Già…I malvagi
ragazzi di Rosewood! Se
la cosa può farti sentire meglio, io non
vi giudico. E’ il fardello di avere un leader, anche io al
liceo avevo una
stronza per amica che mi comandava a bacchetta.”
Rider
sollevò gli occhiali dalla punta del naso, tirando un
sospiro di sollievo: “Oh,
grazie, sei la prima a non giudicarci. Ti va di accettare la mia
amicizia su
facebook? Ultimamente perdo amici a gruppi di trenta.”
Rise,
l’altra: “Oh, beh, non ne valgo trenta, ma sempre
meglio della sola amicizia
della Mamma!”
“Neanche
quella!” confidò, ironico.
“Sono
Alexis comunque, e…Sei venuto qui con Eric?”
domandò, una volta sfumata la
risata.
“Piacere,
Alexis, conosci anche lui? – roteò gli occhi,
tirandosi piccoli pugni sulla
testa – Dimenticavo, il video, ovvio che lo
conosci!”
“No
no, lui lo conosco sul serio. Abita al piano di sopra e abbiamo fatto
amicizia.
Ero dietro a controllare il forno, infatti non ti ho nemmeno visto
entrare
qui.”
“Sì,
è andato di sopra. Abbiamo passato la notte alla mia casa
sul lago con gli
altri nostri amici malvagi – ironizzò –
ed è andato a lasciare le sue cose.”
“Niente
scuola?”
“No,
siamo stati sospesi. Sperimentiamo l’ebrezza del dolce far
niente.”
Quella,
allora, si sentì di dare loro un suggerimento:
“Perché non andate al Bourbon's Page? Oggi fanno un mercatino
lungo la strada di quella libreria.”
Rider
si colpi la fronte con la mano, smemorato: “Oh, cavoli,
è vero! Me n’ero
completamente dimenticato! Sì, in pratica, fanno quel
mercatino ogni sei o
sette mesi…Ti dirò, ci ho trovato molti libri
interessanti!”
“Anche
a me piace leggere. Non ai tuoi livelli, ma ogni tanto lo faccio.
Peccato,
però, che sono incastrata qui!”
L’altro,
però, si soffermò su un punto: “Ai miei
livelli? – sorrise – Perché, che
livelli avrei?
“Ehm,
vediamo… – si fermò a scrutarlo
– Occhiali sulla punta del naso, - quello se li
alzò subito – colletti della camicia che spuntano
fuori dal maglione, - si
allungò in avanti, guardando in basso - scarpe
lucide…E poi nel video avevi un
libro in mano, tipico di chi ama leggere nei momenti di break. Ecco
quel è il
tuo livello e non è decisamente il mio!”
“Ottima
psicoanalisi, cercherò un libro per te! Magari uno di Sigmund Freud!”
“Oh,
sì, - divenne euforica - ricordo una sua citazione, la
adoro: “Nessun mortale
può mantenere un segreto: se
le labbra restano mute, parlano le dita.” … Stupenda,
non trovi?”
Ne
era sempre stato affascinato: “Sublime.”
In
quell’istante, arrivò Eric, sorpreso nel vederli
chiacchierare.
“Ehi!”
lo notò subito, Alexis, con un ampio sorriso.
“Ciao...”
contraccambiò il saluto, distaccato, pensieroso.
“Non
mi avevi raccontato di questa tua simpatica amica di nome Alexis dai
ciuffi
blu. Ora abbiamo una missione: troverle un libro al mercatino dei libri
usati!”
“Fantastico!”
esultò, forzatamente.
Quella
se ne accorse, ma non chiese: “Ehm… - aveva lo
sguardo rivolto verso il
salottino, interno al Brew – Ora dovrei tornare a lavoro, la
pausa chiacchiere
mi sta scalando la paga a giudicare dalle occhiatacce del mio capo.
– Rider
stava per voltarsi a guardarlo, lei lo fermò – No,
non guardarlo!”
Rider
si irrigidì, fermato in tempo: “Ok, non lo
guardo.”
L’amico
accennò un sorriso, invece, spintonando l’altro:
“Beh, noi andiamo. Ci
vediamo!”
“Ok,
ciao!” salutò, lei, subito investita da una
cliente.
*
Usciti
dal Brew, Rider smanettava il suo cellulare, silenzioso, mentre
camminavano.
Eric si interessò a ciò che stava facendo solo
dopo qualche secondo.
“Che
stai facendo?”
Quello
rispose solo dopo un pò, troppo concentrato: “Ho
appena trovato Alexis su
facebook. Il suo vero nome è Alexandra, ci avrei giurato.
– gli passò il
telefono – C’è il suo numero. Mandale un
messaggio.”
“Un
messaggio? – prese il suo telefono, confuso – Per
dirle cose?”
“Che
le chiedi di uscire!”
Eric
lo trovò sempre più assurdo: “E
perché mai dovrei chiederle di uscire?”
“Perché
lei ti piace. E perché tu le piaci.”
“E
hai capito tutto questo in dieci minuti di conversazione?”
“Platone diceva che si può
scoprire di
più su una persona in un’ora di gioco che in un
anno di conversazione: BALLE!
L’ho capito subito che le piacevi, ha chiesto di te ancora
prima che
sorseggiassi il mio cappuccino!”
L’altro
si arrese, non negando l’evidenza: “Hai ragione, un
pò mi piace, ma…Ho troppi
problemi per pensare ad un appuntamento. Quando sono salito in casa, ho
trovato
mia madre sommersa di carte da pagare e i soldi mancano. Forse dovrei
cercarmi
un lavoro, anziché pensare all’amore, che non paga
le bollette!”
“Senti,
se vuoi, posso… – si rese disponibile,
compatendolo – Che ne so, farti un
piccolo prestito.”
“NO!
– rifiutò, energicamente –
Cioè, ti ringrazio, ma no. Abbiamo due settimane di
sospensione, mi troverò un lavoro e aiuterò mia
madre, finchè mio padre non si
rimetterà in sesto. Ha appena iniziato a lavorare,
perciò dobbiamo cavarcela
come possiamo finchè non passa questo dannato
mese.”
“Mi
dispiace, Eric…” era mortificato, Rider.
“Non
dispiacerti… - guardò avanti, verso i mercatini,
ormai vicini – Piuttosto,
troviamo un libro per Alexis. Un regalo al primo appuntamento
è sempre un buon
inizio, - accennò un sorriso, dimenticando i suoi problemi -
no?”
“Direi
di sì, se vuoi conquistare me!”
Eric
gli diede una pacca sulla spalla, ridendosela con lui, ritrovando il
buon
umore, mentre raggiungevano il mercatino.
*
Nathaniel
era appena entrato nel ristorante di suo padre, dirigendosi
frettolosamente
nelle cucine. Lo trovò proprio lì, che
controllava l’operato dei suoi
dipendenti.
“Ehi,
Papà!”
“Oh,
eccoti, finalmente!” si voltò, serio, aspettandolo
da diverso tempo ormai.
Quello
tirò fuori dalla sua tracolla il portafoglio: “Non
ci crederai mai, ma una
signora era davanti a me al bancomat e ci ha messo tre ore per ritirare
solo 60
dollari.”
“Evidentemente
era anziana. – pensò, mentre prendeva i contanti
dalle mani del figlio, diretti
fuori dalle cucine – E tu sei in ritardo!”
“Aveva
almeno quarant’anni e non sono in ritardo per colpa mia!
– replicò,
giustificandosi, per poi capire di questo urgente bisogno di soldi,
perplesso –
E poi, come mai mi hai mandato al bancomat?”
“Ci
sono molti clienti oggi, tra cui un pranzo di lavoro tra pezzi grossi
prenotato
questa mattina. La cassa è quasi vuota, devo pur dare il
resto, no?”
Si
fermarono proprio alla cassa, ora, e Nathaniel rimase ancora
più peplesso:
“Vuota? Non è mai stata vuota, sei attento a
queste cose. Dove sono i soldi
degli incassi di ieri?”
L’altro,
esasperato, mentre metteva i soldi in cassa, pareva anche esausto:
“Lo sai che
porto sempre gli incassi a casa, devo averli dimenticati.”
Nathaniel
se ne meravigliò: “Tu non dimentichi mai i soldi a
casa. E poi, perché mandarmi
a prenderli al bancomat e non a casa allora?”
“Perché
la banca è qui vicina – sbottò - e
quando ti ho mandato il messaggio, eri lì
vicino, ok? Basta con tutte queste domande, ho avuto una svista, non
capiterà
più.”
“Forse
dovresti riposarti, non hai un attimo di respiro per colpa di questo
posto.”
“Sto
bene, ok? – aveva la fronte sudata – Ho scelto io
di aprire questa attività e
la porterò avanti. Ci sono doveri a cui non è
possibile sottrarsi.”
Mentre
Nathaniel fissava il padre, in silenzio, preoccupato, che contava i
soldi, a
loro si avvicinò Jamie, l’assistente manager da
poco assunto.
“Oh,
tu devi essere Nathaniel, vero?” gli allungò la
mano.
L’altro
gliela strinse: “Sì, e tu devi essere
Jamie.”
Quello
annuì, voltandosi poi verso l’uomo:
“Ehi, George, hai risolto per i soldi?”
“Sì
sì, tutto apposto, Nat è passato in
banca.”
“Bene,
qui siamo pieni di lavoro. – si rivolse a Nat, ora, con lo
sguardo puntato su
dei clienti appena entrati – Ti dispiacerebbe prendere
l’ordinazione al tavolo
nove? Sono appena arrivati dei clienti.”
“I-io?
– balbettò, colto di sorpresa – Non ho
mai lavorato qui dentro, non so come si
fa.”
“Basta
prendere carta e penna, come quando prendi degli appunti a scuola.
– accennò un
sorrisino – Oggi non hai scuola, vedo: un buon motivo in
più per stare qui a
dare una mano a tuo padre.” e gli fece
un’occhiolino, tornando nelle cucine.
Suo
padre, che aveva appena finito i suoi conti, era riuscito a sentire
qualcosa:
“Ha ragione. Renditi utile.”
Scocciato,
Nathaniel fece una battuta sarcastica, riferita a Jamie:
“Già, e lui che ci sta
a fare!.”
“Hai
detto qualcosa?” continuò George, fingendo di non
aver sentito.
“No
no… - replicò, lasciando la sua tracolla, seccato
– Vado!”
Quando
si voltò per dirigersi al tavolo numero nove,
però, riconobbe le persone che vi
si erano appena sedute, fermandosi a metà strada: erano
Clarke Dimitri e sua
madre.
Immediatamente,
tirò fuori il telefono e mandò un messaggio.
A
Sam:
“Mio
padre mi ha
bloccato al ristorante. Qui si fa interessante, ci sono la madre e il
fratello
di Anthony. Ci vediamo dopo.”
E
rimise il telefono in tasca, prendendo coraggio, un grosso respiro,
avanzando.
“Salve,
cosa vi porto?” domandò, fermandosi al tavolo.
Lei
aveva ancora addosso gli occhiali da sole, lenti a specchio, impegnata
a
guardare il suo telefono, seria e disinteressata. Fu il figlio ad
interagire
per entrambi.
“Due
bistecche accompagnate da un po’ di insalata. Una bottiglia
di vino qualsiasi,
grazie.”
Nathaniel
appuntò, tenendo lo sguardo basso. Quello lo
fissò meglio.
“Altro?”
domandò ancora, Nathaniel, accorgendosi del suo sguardo
acuto.
“Non
eri un amico di mio fratello, tu? – si ricordò
– Sì sì, ti ho visto parecchie
volte con lui, quando vivevo ancora a Rosewood, e anche al
funerale.”
Nathaniel
finse di non averlo riconosciuto: “Oh, sì, scusa,
è che non ti avevo
riconosciuto, ci siamo visti poche volte. All’epoca ero
appena diventato amico
di Anthony, perciò…”
“Sì,
hai ragione. – accennò un sorriso - E’
più facile riconoscere le solite facce
che ci sono a Rosewood, che quelle andate via da tempo.”
L’altro
buttò, nervoso, una rapida occhiata sulla Signora Dimitri,
sempre distaccata.
Improvvisamente, pensò di dover cogliere
l’occasione di azzardare qualche
domanda.
“Vi
fermate ancora per molto, qui?”
“Siamo
qui solo perché è la polizia ad averci chiesto di
restare. Tutto finirà quando
cattureranno Jasper Laughlin.”
“Siete
sicuri che sia stato lui?” ribattè, bloccando la
donna da ciò che stava
facendo. Quella si tolse gli occhiali, guardandolo fisso negli occhi,
il volto
pallido e poco amichevole.
“Sì,
- quasi lo urlò - siamo sicuri!”
Nathaniel
titubò, a disagio: “Ehm, scusate, non volevo
metterlo in dubbio. Vado a-a dare
la vostra ordinazione. Buon pranzo e ancora
condoglianze…” e se andò,
allontanandosi velocemente da quel tavolo.
Stranamente,
Clarke lo raggiunse, prendendolo per un braccio.
“Ehi!
- lo fece voltare – Scusa mia madre, lei è molto
suscettibile in questi giorni,
da quando siamo tornati a Rosewood per questa storia. Non voleva
reagire in
quel modo.”
“Ma
no, assolutamente no, è comprensibile. Tutti siamo sconvolti
per ciò che è
accaduto.”
“Però,
tu, non sembri sconvolto.”
Quell’affermazione
destabilizzò Nathaniel, che si irrigidì:
“Come?”
Clarke
rise: “Scusa, non volevo essere così diretto.
– mantenne un sorriso leggermente
pronunciato – Il fatto è che conoscevo mio
fratello e ho visto quel video che
vi ha fatto girare. Insomma, non era proprio uno stinco di santo e
immagino che
tu e i tuoi amici ce l’abbiate con lui.”
L’altro
divenne serio: “Non puoi avercela con qualcuno che
è morto, ma, sicuramente, ce
l’avevo con lui quando era vivo.”
“Nemmeno
io ero un grande fan di mio fratello. Non ti nascondo che avevamo
problemi in
famiglia, ma chi non ne ha. Tuttavia, ho lasciato casa, senza voltarmi
indietro, dopo che se n’era andata mia madre. Anthony aveva
quindici anni e io
l’ho abbandonato. Un fratello non abbandona mai un altro
fratello quando i
genitori si separano, ma non ho provato alcun rimorso
nell’abbandonarlo. Mio
fratello era un ragazzo problematico fin da allora e non potevo
rinunciare ai
miei sogni per una causa persa.”
“Sono
parole forti, queste. – lo ascoltò con attenzione,
sospettando che sapesse
qualcosa che lui e i suoi amici non sapessero – Forse non
conoscevo bene
Anthony come lo conoscevi tu.”
“Già,
non lo conoscevi come lo conoscevo io. E’ più
facile conoscere a fondo una
persona quando si ha un legame di sangue.” marcò
quelle parole, Clarke.
Nathaniel
voleva tanto chiedergli di più, impalato. Amanda Dimitri,
però, richiamò suo
figlio.
“Ehm,
ora devo tornare da mia madre. Spero che per te, e i tuoi amici, gli
ultimi due
anni di liceo siano sereni.”
“E
io spero che Jasper Laughlin sia davvero l’assassino di
Anthony e suo padre,
così questa storia sarà archiviata una volta per
tutte. Sai, a volte non sempre
la giustizia fa centro.”
Clarke
si fermò, notando delle perplessità nel ragazzo:
“E’ lui, fidati. Ci sono dei
trascorsi tra la nostra famiglia e il signor Laughlin; trascorsi di cui
preferisco non parlare. Non ci sono dubbi. – gli sorrise, un
ultima volta – Ora
devo andare. Ti auguro il meglio, - un’occhiolino -
nuotatore!” e se ne andò.
Nathaniel
rimase lì impalato, fissandolo, mentre tornava al tavolo,
accanto alla madre.
Sapeva che nascondeva qualcosa, ma la conversazione lo
lasciò confuso a tal
punto da non capire se sia realmente così; Il volto di
Clarke aveva un che di
ingannevole.
*
Nel
frattempo, Eric e Rider passeggiavano lungo il mercatino dei libri
usati;
moltre persone erano accorse, nel tentativo di acquistare un buon libro
a basso
costo. C’era chi passeggiava come loro e chi si fermava
davanti ad uno dei
tanti stand a leggere qualche paragrafo del libro tenuto in mano.
Anche
Rider faceva la stessa cosa, mentre Eric camminava, più
indietro, strisciando
la punta delle dita lungo il mucchio di libri.
“Potremmo
prenderle un romanzo True crime!” suggerì,
mentre Rider era assorto nella
lettura.
“E’
una battuta? – distolse lo sguardo per un attimo –
Scrivile di noi quattro e
Anthony, fai prima. Abbiamo una trama decisamente più
interessante dei True
crime che ci sono qui.”
L’altro
si avvicinò: “Che stai leggendo?”
“Un
giallo. Di una certa Marlene King…sembra interessante!
– si mostrò dubbioso,
distogliendo nuovamente lo sguardo dalla lettura –
Però non so se acquistarlo.
La pagina prima, sembra che debba succedere qualcosa di grosso, un
colpo di
scena che probabilmente ti lascerà senza fiato, poi arrivi
alla pagina seguente
e sembra una presa per i fondelli.”
“Oh,
- si entusiasmò – credo che sia il libro giusto
per Alexis. Sembra non
aspettarsi molto dalla vita!”
Rider
strinse gelosamente il libro a sé: “Ma lo voglio
io!”
“Hai
detto che fa schifo!”
“Non
lo so, - si mostrò confuso - è come una
droga.”
Eric,
allora, frugò in mezzo agli altri libri: “Allora
ne cerco uno uguale!”
“Eric,
- lo fermò - è un mercatino di libri usati, ogni
libro è unico qui!”
“Beh,
allora ordinalo online. – glielo tolse dalle mani –
Questo lo avrà Alexis!”
Rider
si arrese, ma finse ugualmente un broncio: “Va bene, tienilo.
Tanto non mi
piaceva.”
“Sì,
invece.” ribadì, l’altro.
“Vado
a cercare là giù. - indicò verso una
direzione - Qualcosa per me!”
“Ok,
- lo vide allontanarsi – provo a cercarti qualcosa
anch’io.”
Rider,
finalmente, sembrò essere attratto da
qualcos’altro, allo stand in cui era
giunto. Allungò la mano per recuperare il libro, ma non era
l’unico ad averci
messo gli occhi sopra. Sbattè la mano con quella di un uomo,
riconoscendolo.
“Oh,
Signor Palmer, è lei!”
L’altro
fu sorpreso nel vederlo, ma non tanto, poco dopo: “Signor
Stuart…Come procede
la sua sospensione?”
“Non
bene. – sorrise, sconsolatamente – Domani
dovrò riempire un’altra giornata
persa.”
“Sono
molto dispiaciuto, davvero. Sei un ragazzo così brillante e
sei qui a comprarti
un libro, anziché dormire o girare con la tua auto a tutto
volume, come un
nullafacente: cosa che farebbe un qualsiasi altro ragazzo sospeso.
Tuttavia,
però, bisogna prendersi la responsabilità delle
proprie azioni.”
“Me
la sono presa, infatti, o non sarei qui. E sono davvero mortificato per
il
disagio che abbiamo causato ad alcuni dei nostri compagni di scuola.
– abbassò
lo sguardo, triste - E ad Albert…”
“Spero
che non sia successo nulla di grave a quel povero ragazzo. –
Palmer si mostrò
in pensiero, come chiunque, pensando a quella vicenda - Tutti abbiamo
avuto le
nostre faide scolastiche, ma nessuno scompare per così a
lungo…”
Rider
deglutì, prima di mentire ancora una volta, sapendo la
verità: “Lo spero
anch’io. Spero che non gli sia successo niente e che
torni.”
A
quel punto, Palmer fissò il suo orologio da polso:
“Sì è fatto tardi, ho
l’ultima
ora da fare. Arrivederci, Rider.” e si avviò,
congendandosi con un sorriso,
ricambiato.
Dopo
qualche passò, però, si fermò,
voltandosi nuovamente.
“Rider?”
Quello
si girò: “Sì?”
“Appena
rientrerai, ci sarà un test a sorpresa sui padri fondatori.
Preparati!”
“E’
un test a sorpresa… - ne rimase perplesso -
Perché per me non è più una
sopresa?”
“Questa
sospensione ti ha già penalizzato abbastanza. Ti sei
impegnato molto, per
cascare proprio adesso. Cerca solo di non commettere più
errori, in futuro.” e,
stavolta, se ne andò sul serio.
Quelle
parole, stamparono un sorriso sul volto di Rider. Qualcuno credeva in
lui,
finalmente. Rimasto impalato per qualche secondo, si decise a tornare
da Eric.
Arrivando
alle sue spalle, entrambi si accorsero della presenza di Violet, vicino
ad uno
stand, più avanti.
“Ma
guarda chi ha saltato l’ora di falsologia!”
esordì Rider, sottovoce.
Eric
si accorse dell’amico, alle spalle, commentando la scena:
“Guarda, c’è anche
Colton con lei.”
“Probabilmente,
- replicò, con occhio sospettoso - fingono di guardare libri
per spiarci!”
“Sei
ancora convinto che entrambi siano A?”
era ancora scettico, Eric.
“Non
ne sono sicuro, ma Sam ha ragione: una persona sola non può
scambiare due corpi
all’obitorio. Lei potrebbe essere la mente e lui il braccio
muscoloso.”
Improvvisamente,
sia Colton che Violet, puntarono lo sguardo verso di loro. Rider ed
Eric, colti
di sorpresa, si girarono subito nella direzione opposta, spaventati.
Quest’ultimo
ritrovò le parole: “Dici che ci hanno
visto?”
L’altro
gli lanciò una lunga occhiata di ovvietà:
“Certo che ci hanno visto, non hanno
le bende agli occhi.”
“Quindi
che facciamo? – era in ansia - Dobbiamo passare di fianco a
loro per tornare
alla macchina.”
“Dio,
- sospirò, Rider – un tempo non ci saremmo mai
fatti tanti problemi a passare
di fianco ad Albume e sua sorella!”
“Perché
c’era Anthony con noi!” gli ricordò,
Eric.
FLASHBACK
La
cricca di Anthony al completo era appena entrata nella mensa
della scuola. Il leader avanzò al banco del cibo, con i suoi
quattro seguaci a
seguito, come sempre. Presero i vassoi vuoti, uno alla volta e si
fermarono
davanti al ragazzo che li riempiva: Colton Rhimes.
“Ciao,
Albume, cosa ci servi di buono oggi?” domandò
Anthony,
con il suo solito sorriso cinico e burlone.
“Purè
di patate!” rispose quello, serio, fingendo di non aver
sentito come l’ha chiamato.
Anthony
visionò ciò che c’era, attraverso il
vetro, molto
irritato.
“Non
è vero, Albume. Io vedo una mela, della carne e un succo di
frutta, che vorrei. Il purè di patate puoi darlo alla tua
sorellina, se vuoi.”
“Ho
detto che posso darvi solo il purè!” insistette, a
denti
stretti.
Improvvisamente,
arrivò una ragazza, spedita, molto gentile e
carina.
“Ciao
Colton, mi hai lasciato qualcosa? Mi sono fermata a fare
delle fotocopie e ho fatto tardi.”
Quello,
sorridendole, abbandonando completamente l’espressione
negativa che aveva fino a pochi attimi prima, le riempì
subito il vassoio, con
le cose che si rifiutò di dare ad Anthony. Li tremavano le
mani, come in preda
all’emozione.
Anthony
osservò la scena, con i suoi amici, silenzioso, come
pronto a deriderlo da un momento all’altro.
“Tieni,
Brianna!” le diede il vassoio, fissandola, premuroso.
“Grazie,
- Brianna guardò dentro il suo vassoio – mi hai
lasciato tutto quello che ti avevo chiesto. Che gentile.”
“Già,
- si intromise Anthony – togliendo il cibo a me, che sono
arrivato prima.”
Sam
strattonò Anthony, voleva solo andare a sedersi:
“Dai,
andiamo, accontentati del purè per oggi.” ma
quello non lo ascoltò nemmeno.
“Ehm…
- non sapeva cosa dire, Brianna – Scusa, Anthony, puoi
prendere il mio vassoio se vuoi, mi accontenterò del
purè. Chi tardi arriva,
male alloggia. Hai ragione.” e cercò di passargli
il vassoio.
Quello,
però, rifiutò: “No, tienitelo.
C’è tanto amore in quel
vassoio, - fissò Colton, con un sorrisino maligno
– Non è vero, Albume?”
“Che-che
– non capì, la ragazza, a cosa mirasse - vuoi
dire,
scusa?” mentre
Colton
sembrò innervosirsi, a quel punto, il cuore che batteva
forte, lo sguardo basso, gli occhi che si muovevano
all’impazzata.
“Brianna,
ma ancora non l’hai capito? Albume prova dei
sentimenti per te. – rise – Assurdo, vero? Come se
una ragazza potesse
ricambiare.”
Brianna
lanciò una rapida occhiata a Colton, sentendosi a
disagio.
“Le
ragazze cercano più tipi come lui. – Anthony
tirò avanti
Eric – Pelle perfetta, bei capelli, bei vestiti… -
fissò Colton negli occhi –
Non uno come te, Albume.”
Il
ragazzo provò rabbia, stringendo i pugni, sotto al bancone,
nell’ascoltare quelle parole.
Anthony
continuò a punzecchiarlo, perfido: “Non puoi
neanche
diventare rosso dalla vergogna…”
Brianna,
senza ascoltare altro, se ne andò. Colton la vide
andare via, amareggiato, sentendo crescere l’ira dentro di
sè, che, però, non
esplose. Gli bastò scambiarsi uno sguardo con sua sorella
Violet, seduta in
mensa, qualche tavolo più avanti, che stava osservando la
scena, per tornare
calmo.
“Vada
per il purè, Albume. Ma domani voglio le uova!”
rise di
gusto, Anthony, dopo quella battuta, cercando lo sguardo complice dei
suoi
amici, che forzarono la loro risata per compiacerlo.
Eric
e Rider si fecero coraggio e si voltarono, pronti ad affrontarli per
tornare
alla loro auto. Stranamente, però, non c’erano
più, e i due si guardarono
attorno.
“Ma
dove…???” si chiese Rider.
Eric,
invece, mentre puntava lo sguardo ovunque, finì per
abbassarlo, in direzione
dei libri, ammucchiati allo stend dove erano fermi. Uno in particolare,
attirò
la sua attenzione, costringendolo a prenderlo tra le mani.
“Ehi,
Rider, ma questo non è il libro di tuo padre?”
L’altro,
distratto, gli diede retta: “Come? – lo riconobbe,
poi – Cosa? Ma che…?” e lo
scrutò meglio, togliendoglielo dalle mani.
“Non
è lo stesso che ci hai mostrato ieri, vero?”
“No
no è un’altra copia, ma… - si
guardò attorno, indignato - Che stronzi a darlo
via con sopra delle macchie di caffè e le pagine tutte
stropicciate!”
“Ehi,
aspetta… - notò qualcosa, alla fine del libro,
indicando – C’è scritto qualcosa
qui…”
Era
una scritta in rosso, infatti.
“Che
lettura interessante, vero stronzetti?”
-A
“Come
faceva A a sapere che saremmo
venuti
qui?” Eric si guardò attorno assieme a Rider,
turbato.
“Magari
A era proprio qui, un attimo
fa!”
“Colton
e Violet?” intercettò i suoi pensieri.
“Beh,
sono passati da questo stand, prima di arrivare a
quell’altro, no? Avranno
piazzato loro il libro di mio padre.”
*
Sam,
intanto, era ancora a casa, nel salotto, seduto sul divano a guardare
la tv,
abbastanza scocciato del programma che davano.
Lo
squillo del telefono, accanto a lui, distolse la sua attenzione dalla
televisione.
Sul display comparve il numero di suo padre.
Rispose,
perplesso.
“Ehi,
Papà, perché mi chiami? Sai che sono a scuola,
no?”
“Ah,
- esordì, furioso nella voce – sei a scuola?
Davvero?”
Sam
intuì che aveva scoperto tutto, mentre quello continuava.
“Il
preside della tua scuola mi ha chiamato e mi ha raccontato tutto.
Questa sera
faremo una bella chiacchierata sulla tua condotta.”
“Papà,
mi dipiace. I-io, davvero…”
Ma
Carter non lo lasciò finire, severo: “Ne parliamo
stasera, ho detto!...Sono
MOLTO, molto deluso.”
Sam
aveva le lacrime agli occhi, ormai:
“D’accordo…” e quello chiuse.
Quando
abbassò il telefono, comparve l’ennesimo messaggio
di A.
“Sta
attento alle bugie che racconti, io posso trasformarle in
realtà.”
-A
Sam
gettò il telefono sull’altra poltrona,
digrignando i denti per la rabbia, fra le lacrime.
*
Tornati
all’auto, parcheggiata davanti al
Brew, Rider sembrava avere le idee chiare.
“Quindi
la A che ha salutato Sam,
dall’altro molo, era Colton?” cercò di
convincersene, Eric.
“Già!
– esclamò Rider, il telefono attaccato
all’orecchio, una chiamata in corso - Deve aver architettato
tutto con sua
sorella. Probabilmente vedono Anthony in tutti noi e sono sicuro che
l’amico
psicopatico di Albert è Colton: entrambi bersagliati dallo
stesso demone. –
tolse il telefono dall’orecchio – Accidenti,
perché Sam non risponde?”
“Probabilmente
è in modalità serie tv!”
“Chiamo
Nathaniel! – si rimise il telefono
all’orecchio e quello squillò – Oh, mi
sta chiamando lui. Siamo sulla stessa
lunghezza d’onda, a quanto pare. – rispose, a quel
punto – Ehi, Nat!”
“Ehi,
sono bloccato al ristorante, devo
parlarvi.”
“Anche
noi. – continuò Rider, mentre Eric
faceva il giro dell’auto, raggiungendolo, per ascoltare
– Sei in vivavoce, c’è
anche Eric con me.”
“Clarke
e sua madre sono venuti a pranzare al
mio ristorante.”
“Clarke,
il fratello di Anthony?” sussultò
Eric.
“Quando?”
aggiunse Rider.
“Verso
mezzogiorno, sono usciti da poco. In
ogni caso, ho avuto una strana conversazione con il fratello.”
Rider
voleva saperne di più, isterico: “Del
tipo? Abbiamo consegnato alla giustizia
l’assassino sbagliato, portaci una baguette?”
Nathaniel
continuò: “Ho avuto come la
sensazione che Clarke sapesse quello che sa A
su Anthony, ok? Poi la madre ha come sbottato quando ho
provato a
mettere in dubbio la colpevolezza di Laughlin.”
Eric
commentò, in merito: “Evidentemente non
ha ancora digerito il tradimento del marito con un uomo, mi sembra
ovvio.”
“Quindi
pensi che Clarke – fu il turno di
Rider - sappia qualcosa sul file Rosewood-riservato?”
“Ha
definito Anthony una causa persa e che un
fratello non abbandona mai un altro fratello, quando due genitori
divorziano,
ma lui l’ha fatto. Se n’è
andato!”
Eric
fissò Rider, inquieto: “Che diavolo di
segreto nascondeva Anthony, tanto da far fuggire suo
fratello?”
“Non
è fuggito, ragazzi! – lo trovò assurdo,
Rider – Clarke doveva iniziare il college,
all’epoca.”
“Ah,
comunque, - prese parola Eric – Rider
pensa che Colton e Violet siano A.
“Rider
pensa? – gli lanciò
un’occhiattaccia, quello – Davvero, Eric?”
L’altro
roteò gli occhi, correggendosi: “Ok,
io e Rider pensiamo che loro siano A.
Siamo andati al mercartino dei libri usati, prima, nella strada del
Bourbon's Page, e c’erano anche loro. Abbiamo trovato un libro con
dentro un messaggio
firmato da A.
“Cazzo,
ne siete sicuri?”
Rider
lo ribadì a gran voce: “Sicurissimi. Il
trenino giocattolo può averlo messo solo uno studente nel
mio armadietto. Per
non parlare del mio telefono, magicamente riapparso nella mia auto,
questa
mattina. L’avevo lasciato a scuola.”
Anche
Nathaniel se ne convinse, allora: “Ok,
che facciamo allora? Ne abbiamo già discusso su cosa avremmo
fatto, una volta
scoperto chi è A.”
“Niente!
– esclamò, Eric, seccato – Che non
avremmo fatto niente, perché ha… - si
stoppò, correggendosi, confuso – cioè,
HANNO, il video di quella notte.”
Nathaniel,
che parlava dalle cucine del
ristorante, si slacciò il grembiule: “Sentite,
torno a casa a farmi una doccia.
Mi dovevo vedere con Sam, ma ho appena trovato un suo messaggio; Ackett
ha
chiamato suo padre e gli ha raccontato tutto. Doveva aspettarselo che
non si
sarebbe fermato ad un fax.”
“Ti
vuoi vedere con noi, dopo? Poi passiamo
da Sam, così ne parliamo tutti insieme?” gli
chiese, Rider.
“Sì,
ok, ma…con Clarke che facciamo? Non
dovremmo approfittarci del fatto che è ancora qui a Rosewood
e provare a
chiedergli di Rosewood-riservato, se ne sa qualcosa?”
“E
come pensi di esordire senza dirgli di A e
di tutto questo casino?” replicò,
Rider.
All’improvviso,
il telefono di Rider notificò
un messaggio. Suonò anche quello di Eric. Entrambi si
guardarono e lo aprirono.
“Non
avrete accesso a Rosewood-riservato, finchè non ve lo
permetterò io.”
-A
Guardandosi
attorno, agghiacciato, come Eric, Rider prese parola: “Nat,
sei ancora in
linea?”
“Avete
ricevuto anche voi il messaggio?”
“Ok,
- sussultò Eric, turbato e incredulo – come
diavolo fa A a sapere quello che
ci siamo appena detti? – si voltò da ogni
parte, la gente che passava lungo il marciapiedi –
E’ qui intorno a noi,
forse?”
Rider
sospirò, lasciando perdere: “Inutile
scervellarci… - si rivolse a Nathaniel,
poi – Nat, ci vediamo dopo, così ne parliamo
meglio.”
“Ok,
a dopo.” e
chiuse.
Rider
ed Eric si lanciarono l’ennesima occhiata, per poi guardarsi
di nuovo attorno e
salire in auto.
*
Più
tardi, nel pomeriggio, Sam era ancora chiuso in casa sua. Stava
scendendo per
le scale, quando sentì suonare alla porta; si
fermò proprio agli ultimi
gradini, domandandosi chi potesse essere, facendo silenzio.
Una
voce, da fuori, si fece sentire: era quella di Chloe.
“Sam,
lo so che sei in casa! C’è la tua auto
parcheggiata qui fuori.”
Quello
rimase impalato sulle scale, non emettendo alcun suono.”
“Sam??
– gridò ancora – Ci sei?? Devo dirti
alcune cose, apri!”
Ma
niente, lui non le rispose. Dopo qualche istante, sentì
sbuffare, avvicinandosi
alla porta a passi felpati, osservando fuori attraverso lo spioncino:
Chloe
stava facendo dietro front verso la sua auto, risalendoci sopra.
Sam
si allontanò dallo spioncino, triste per averla ignorata.
Sconsolato, risalì al
piano di sopra, entrando in camera sua; passò accanto alla
sua scrivania,
sedendosi sul letto, sospirando, la testa bassa, le mani unite. Quando
sollevò
lo sguardo, davanti a sé, osservò il pc spento,
sulla scrivania.
Improvvisamente, esso si accese, irrigidendo Sam.
“Ma
che diavolo…???”
Si
pronunciò, aguzzando la vista sullo schermo, gettandosi in
avanti con la testa:
mostrava l’interno di una camera. Sam, però,
sembrava non capire a chi
appartenesse, così rimase a guardare, in attesa di capirlo.
Finalmente
qualcuno entrò, dando le spalle alla webcam. Sam riconobbe
quella persona,
all’istante, pronunciando il suo nome con un sussurro.
“Nathaniel…”
Quello,
ingnaro di essere ripreso, osservò il proprio telefono per
qualche secondo,
prima di buttarlo sul letto ed iniziare a spogliarsi. Prima la
maglietta, poi
le scarpe, i pantaloni; il tutto mentre Sam passava dal letto alla
sedia della
sua scrivania, con gli occhi incollati sullo schermo. Nel momento in
cui
Nathaniel stava per togliersi anche i boxer, la finestra video si
chiuse,
lasciando solo il desktop.
Tiratosi
indietro sullo schienale della sedia, Sam aveva ancora lo sguardo
perso, il
respiro rumoroso, il cuore che batteva forte, la fronte sudata.
Improvvisamente,
si aprì una nuova schermata sul desktop: un messaggio.
“Vorresti
andare oltre, vero stronzetto?”
-A
Il
respiro di Sam si fece ancora più tumultuoso, il petto che
si gonfiava e
sgonfiava velocemente, una sensazione di panico e soffocamento che lo
portò
all’esasperazione, fino ad alzarsi bruscamente dalla sedia e
urlare contro lo
schermo del computer.
“Bastaaaaaa,
lasciami in pace!”
Buttato
tutto quanto fuori, Sam fece grossi respiri, cercando di riprendersi.
Un altro
messaggio comparve sul desktop.
“Sai
già cosa devi fare per liberarti di me, oggi.”
-A
In
una smorfia di rabbia, chiuse il portatile con grande foga.
Fu
il suo telefono, poggiato sul letto, a portare un altro messaggio,
vibrando per
qualche secondo. Sam poteva leggerlo perfettamente dal punto in cui
era, senza
doversi avvicinare a prenderlo.
“Sono
ancora qui…”
-A
A
quel punto, riprese a respirare in maniera spasmodica, mettendosi le
mani nei
capelli ed iniziando a piangere, disperato.
*
Rider
stava rientrando a casa con in mano il libro di suo padre, quello
trovato al
mercatino. Chiusa la porta, vide il suo cane venirgli incontro.
“Tobyy!”
si piegò sulle ginocchia per accarezzarlo, sorridente.
Dalla
stessa stanza da cui era uscito Toby, si affacciò anche
Richard, suo padre.
“Sono
le quattro – controllò il suo orologio da polso
– e sei già a casa?”
Rider
si sollevò in piedi, più serio, mentre il cane
gli faceva ancora le feste:
“Sono stato al mercatino dei libri usati, poi sono andato a
pranzo con un
amico…Rosewood non ha altro da offrirmi per oggi!”
“Quello…
- notò il libro fra le sue mani – è
mio?”
“Ehm,
- lo guardò un attimo – sì, qualcuno
che avrà finito di leggerlo!”
“Deduco
che non sono il suo autore preferito, fa parte di una serie di volumi
da
collezionare, quello.”
L’altro
sorrise, sarcastico: “Evidentemente hai concluso male la
storyline di qualche
suo personaggio preferito.”
“Evidentemente!”
marcò con le sopracciglia.
Un
breve sospiro di entrambi, Rider riprese parola, morso da qualcosa che
gli era
appena venuto in mente.
“Ricordi
quando hai scritto quel libro, quello in cui c’era
quest’uomo che andava a
trovare suo figlio in un manicomio?”
“Ehm,
- titubò, ricordando – sì, ti riferisci
a il
bambino aldi là del cancello? ”
“Sì,
quello!”
“E
allora?” lo osservò a lungo, aspettando una
risposta.
“Parlavi
di questo bambino, con problemi mentali, e di come i suoi genitori
furono
costretti a rinchiuderlo in manicomio, perché era troppo
pericoloso per i suoi
fratelli, ancora troppo piccoli, come lui. Suo padre, però,
non volle
abbandonarlo, così li portò in regalo delle
bambole: rappresentavano la sua
famiglia. Solo che…non erano delle semplici bambole; dentro
ognuna di esse
c’erano dei microfoni e il bambino li ascoltava parlare, come
se fossero lì con
lui. Come se potesse interagire con loro.”
Richard,
serio, si lasciò poi scappare una piccola risata:
“Non capisco cosa stai
cercando di dirmi, Rider. Perché ricordarmi della trama di
questo libro, che
conosco a memoria?”
Quello,
allora, smise di essere vago: “Ogni volta che scrivi un
libro, ti consulti con
qualcuno. Una consulenza, giusto?”
“Sì,
ho diversi contatti. Non posso conoscere tutto, a volte devo
intervistare delle
persone.”
“Per
il materiale spionistico a chi ti rivolgi?”
“Per
quello mi sono rivolto a… - cercò di ricordare -
ad una Professoressa del
dipartimento di ingegneria elettronica a Brokehaven. Sì, una
donna di nome
Denna Marx. Un tipo abbastanza eccentrico, ha i rasta!”
“Una
Professoressa con i rasta, interessante!” aggiunse, prendendo
in mano il
telefono e passando davanti al padre.
“Tutto
qui? – quello rimase impalato, perplesso –
Perché tutti questi giri e poi,
semplicemente, te ne vai?”
“Perché,
- si fermò Rider, sulle scale, voltandosi - la mia domanda
sembrava avere un
fine?”
“Ogni
domanda ha un fine, Rider. E la tua era parecchio articolata. Sono uno
scrittore, - rise - se non noto io queste cose…”
“Ehm,
ti ho fatto queste domande, perché… -
arrancò, qualche gradino più giù,
cercando di spiegare – ho deciso di scrivere qualcosa
anch’io. – sorrise, poco
dopo aver mentito – Magari seguirò le tue
orme.”
Richard,
sbigottito, scoppiò a ridere: “Le mie orme?
– sfumò in un’espressione seria,
piacevolmente colpita - Non pensavo ti interessassi alla scrittura. La
cosa mi
rende stranamente fiero e…lusingato!”
L’altro
accennò solo un sorriso, avanzando per le scale. Suo padre
lo fermò ancora una
volta.
“Ehi,
però pretendo di leggere qualcosa!”
Rider
girovagò con lo sguardo, l’ennesimo finto sorriso:
“Ehm, sarai il primo!” e
salì di corsa quelle scale.
*
Giunto
al pianto sopra, nel corridoio, il telefono all’orecchio,
Rider avviò una
conversazione.
“Pronto?”
rispose Eric.
“Andate
a prendere Sam, andiamo a Brokehaven!”
“Brokehaven?
– rispose, mentre si sentiva la voce di Nathaniel, in
sottofondo, che urlava il
nome di Sam - A fare cosa?”
“Ma
è la voce di Nat? Dove siete?”
“Siamo
a casa di Sam. Dobbiamo parlare tutti insieme, ricordi?”
“Sì,
ma fate presto, parleremo a Brokehaven!”
“Mi
spieghi cosa c’è a Brokehaven? Perché
dobbiamo andare a Brokehaven?”
“C’è
una Professoressa, una certa Denna Marx, insegna al dipartimento di
ingegneria
elettronica. Magari puoi aiutarci a capire come disattivare questi
cosi!”
Eric
fece qualche attimo di silenzio, confuso: “Questi cosi,
cosa?”
“I
microfoni o cimici o quello che sono! A
devi averci messo qualcosa addosso, altrimenti non saprebbe quello che
ci
diciamo ogni volta, no?”
“A
parte il fatto che, probabilmente, A
sta ascoltando quello che dici…Cosa pensi di dire a questa
Professoressa? Ciao, ho diciasette anni e
qualcuno mi ha
messo una cimice addosso per scoprire quante zollette di zucchero metto
nel
caffè? ”
“Non
farla tanto lunga, ci inventeremo qualcosa. L’importante
è riuscire ad isolarci
da A!”
“Un’altra
scrittura creativa, - replicò, scocciato - come ha fatto
Nathaniel?”
Non
ricevette risposta.
“Pronto?
Rider? – si tolse il telefono dall’orecchio,
fissando lo schermo, ma la chiamata
era ancora in corso – Rider, ci sei? Guarda che sei ancora in
linea!”
“Ehm,
sì, scusa… - finalmente rispose - Testavo una
cosa!”
“Cioè?
Farmi parlare da solo?”
“Niente,
controllavo solo se dopo la mia ultima frase, A
avrebbe mandato un messaggio intimidatorio, ma non l’ha
fatto.
Questo significa che non ci ascolta tutto il tempo e che dobbiamo
sbrigarci ad
andare a Brokehaven.”
“Va
bene, ti passiamo a prendere a casa tua. A fra poco!”
“Ok,
fate presto!” chiuse anche Rider.
Intanto,
Nat stava bussando ancora alla porta dell’amico.
“Saaam??
Sam, sei in casa? Siamo noi!”
“Niente?
– si avvicinò Eric – Perché
non apre? Non hai detto che sarebbe rimasto a
casa?”
L’altro,
spostandosi alla finestra di fianco alla porta, cercò di
guardare all’interno,
attraverso il vetro: “Infatti… -
continuò a guardare dentro - Forse è andato in
centrale dal padre per parlare della sospensione, ma la sua auto
è qui.”
Eric
riprese in mano il telefono, scrivendo un messaggio:
“Continua a bussare,
magari dorme. Io, intanto, scrivo ad Alexis.”
“Chi
è Alexis? – domandò, mentre ritentava
alla porta, bussando più forte – Saaam?”
“Una
ragazza che lavora al Brew, credo di piacerle. O, almeno,
così ha detto Rider!”
Arreso,
Nathaniel si voltò a parlare meglio con lui:
“Quindi le stai chiedendo un
appuntamento?”
“Più
o meno. – ribattè, imbarazzato, la voce piccola -
Le ho anche comprato un
regalo. Un libro.”
L’amico
sollevò le sopracciglia: “E’ una Rider
femmina, per caso?”
“No!
– ci riflettè su - E’ più me,
femmina, ma con le ciocche blu.”
“Ehm…a
me sembra più una descrizione di Avril Lavigne!”
“Non
è bionda, a dire il vero.”
“Senti,
- si scocciò di parlare di Alexis – possiamo torna
a bussare?”
“Se
bussi ancora, la porta si staccherà!”
“E’
blindata, non sono così forte!”
Eric
roteò gli occhi, seccato: “Fa pure, la mano
è tua!”
Nathaniel,
allora, in procinto di bussare, fu fermato da un messaggio, che lesse,
dopo
aver allungato la mano in tasca per recuperare il telefono.
Da
Sam:
“Nat,
farò un po’ tardi, se non mi trovi è
perché sono alla casa di riposo; ho fatto
qualche dolce per gli anziani. Voi andate pure a Brokehaven senza di
me, prima
che A
si accorga di quello che stiamo
cercando di fare.”
Nathaniel
rimase assai perplesso dal messaggio, così si
voltò verso Eric: “Sam porta
dolci agli anziani?”
“Oh,
sì, – ricordò – una volta
Anthony lo prese anche in giro per questo. In pratica
sua madre lavorava in questa casa di riposo e da quando è
morta, ogni settimana
prepara dei dolci e li porta lì.”
L’altro
ne rimase sorpreso e intenerito: “Non sapevo questa cosa di
lui… - si riprese,
continuando – Comunque come sa di Brokehaven? Io stesso ne so
a malapena, ho
ascoltato a tratti la conversazione tra te e Rider.”
“Deve
averlo avvisato Rider per messaggio. E’ come una sorta di
centro messaggi in
questo gruppo!”
“D’accordo,
facciamo presto allora!” suggerì.
Insieme
si avviarono verso la macchina, abbandonando il portico
dell’abitazione.
Contemporaneamente,
all’interno della casa, Sam era inginocchiato davanti alla
porta, che
contemplava il suo telefono, sconvolto. Per tutto il tempo aveva
ascoltato i
suoi amici chiamarlo, dall’altra parte, ignorandoli. Lo
shock, però, era dovuto
al messaggio, che non era stato lui ad inviare, ma che aveva visto
scriversi da
solo, sulla tastiera del display.
Improvvisamente,
nella schermata della chat, Sam vide i tasti digitarsi da soli.
Nuovamente.
“Visto?
Riesco a scrivere anche i messaggi al posto tuo, ma, ahimè,
serve la tua voce
per rivelare i sentimenti che provi per Nathaniel e io te la
farò uscire…”
Sam
deglutì, gli occhi sgranati per lo sconvolgimento.
*Sta
digitando…*
“Ora
puoi rilassarti, Sam. Non selezionerò invio, se ancora non
ne hai abbastanza di
me.”
Quello
lasciò cadere il telefono sul pavimento, tirando indietro le
mani, chiuse in un
pugno. Lo sguardo girovagava, impazzito. Il panico stava prendendo il
sopravvento. Non sapeva cosa fare. Non ne poteva più.
*
Intanto,
Chloe, in centro, si stava dirigendo verso un negozio. Di fretta, la
borsa in
spalla è una fotocamera appesa al suo collo, era in procinto
di aprire la porta.
Una voce, però, la fermò nell’entrare.
“Ehi,
Chloe!”
L’altra
sgranò gli occhi, sorpresa e intontita: “L-lindsay
Stuart?”
“Ehm,
- rise, quella, per la reazione esagerata – non sono
Beyoncè, rilassati!”
“E’
che… - cercò di ricomporsi, imbarazzata
– sei Lindsay Stuart, una ragazza del
quinto anno, molto carina, e che non mi ha mai rivolto la parola in
vita sua!”
“Beh,
le cose cambiano. Violet Rhimes sta cambiando le cose. La scuola sta
diventando
decisamente più unita.”
Chloe
le sorrise, ancora in imbarazzo:
“Già…Ora si è anche
candidata a presidente del
comitato studentesco.”
“Probabilmente
vincerà!”
“Lo
penso anch’io!” fu di poche parole, ancora una
volta.
“Devi
aggiustare la tua fotocamera? – fissò
l’insegna – Cos’ha che non va?”
L’altra
annuì: “L’otturatore…-
Lindsay non sembrava molto interessata ad ascoltare,
come se mirasse ad altro - Ha problemi a mettere a fuoco e non
è mia. L’ho
presa in prestito, questa fotocamera.”
“A
proposito… - ribattè, Lindsay, una lunga
occhiata, che celava qualcosa dietro
al suo sorriso – Grazie per non aver detto nulla a nessuno.
Insomma, so che mi
hai vista quella notte.”
“Q-quale
notte?” titubò, Chloe.
“Avanti,
lo sai. Non fingere. – si avvicinò di qualche
passo a lei – Quella in cui mi
hai visto assieme ad Albert. Nella macchina blu.”
“Ah,
- la voce le tremava – eri tu?”
“Chloe,
- la squadrò, seria - ti sto facendo paura, per caso?
Insomma, non penserai che
Albert sia scomparso a causa mia, vero?”
“No
no, certo che no, ma… - deglutì - Sei andata alla
polizia? Sanno che sei stata
l’ultima persone ad averlo visto?”
“Non
ero da sola, quella notte. Sai, - si avvicinò al suo
orecchio, sussurrandole –
io frequento, diciamo…una persona più grande
e… - si allontanò, tornando a
parlare con un tono normale – Insomma, non volevo metterla
nei guai. La polizia
avrebbe trovato molto strana la faccenda. Lo capisci, no?”
Quella
annuì, curiosa: “Sì si, certo.
E…che ci facevi con Albert a quell’ora? Chi era
questa persona più grande con cui eravate?”
“Anthony
dava noie anche a me, non solo quelli come Albert o…te!
– fece una pausa, prima
di continuare – Hai presente il video che è stato
divulgato qualche giorno fa
su Anthony, mio fratello e i loro amici? Beh, Albert era nascosto
dietro la
porta dell’aula in cui l’hanno girato e ha
ascoltato tutto. Io stavo passando
da quel corridoio, per caso, quel giorno, e la cosa mi ha incuriosito a
tal
punto da domandargli cosa stesse facendo. Lui mi fece segno di
avvicinarmi…Quando
i ragazzi se ne andarono, entrammo e prendemmo la
videocamera.”
“Volevate
che la scuola vedesse quel video? – era confusa –
Ok che Albert volesse questo,
ma tu? Rider è tuo fratello, perché fargli una
cosa del genere?”
“Non
volevo divulgare il video, infatti. Volevo solo essere lasciata in
pace, far
sapere ad Anthony che avevamo quel video e che doveva lasciarci in
pace…Albert,
poi, fece delle copie e disse che si sarebbe preoccupato lui di parlare
con
Anthony, così ho preferito non espormi troppo e lasciare che
facesse tutto
lui.”
“Ma,
aspetta un secondo, il video è stato divulgato dopo la
scomparsa di Albert. Sei
stata tu?”
“No!
– marcò, con gra voce – Te
l’ho detto, non volevo farlo. Dopo la scuola, poi,
Albert non si fece più sentire e lo incontrai che girava di
notte verso le
parti del Wall mart. E’ salito nell’auto del
ragazzo con cui ero e gli ho
chiesto se avesse parlato con Anthony. Lui mi ha risposto che era tutto
risolto, poi scese, di fretta e…Non l’ho
più visto né sentito.”
“Ma…
- riflettè, cercando di capirci qualcosa, spostandosi i
capelli da davanti la
faccia – Se non sei stata tu a divulgare il video, allora chi
è stato?”
“Non
è evidente? – dichiarò con scontatezza
– E’ stato Albert!”
In
una smorfia perplessa, Chloe replicò: “Sicura che
questo tuo ragazzo non abbia
ottenuto una copia da Albert, nel corso della giornata? Magari
è stato lui!”
“E’
stato tutto il giorno con me! – affermò
– L’unico ad avere quel video era
Albert ed è stato lui!”
“Quindi
pensi che Albert, - si mostrò turbata - sia nascosto qui a
Rosewood?”
Lindsay
si avvicinò di più a Chloe: “Io penso
che Albert abbia ucciso Anthony e suo padre
e che per paura di ciò che ha fatto, abbia finto di sparire.
Questo, però, non
l’ha fermato nel dare il colpo di grazia a coloro che
l’hanno sempre sostenuto:
mio fratello e i suoi amici… - ora anche lei si
mostrò turbata, quasi
spaventata – Albert sembrava un tipo instabile.
L’ultima volta che l’ho visto
non aveva una bella cera.”
“Se
pensi che si nasconda qui, allora dillo alla polizia! Potrebbe fare del
male a
tuo fratello o i ragazzi.”
“E
se mi sbagliassi? Albert ha fatto delle copie di quel video. Chi mi
garantisce
che sia stato davvero lui? Magari è davvero scomparso ed
è stato qualcun altro,
magari c’è molto di più dietro e io non
voglio guai! – concluse, sorpassandola
– Ora devo andare…In ogni caso, grazie di non aver
detto a nessuno che mi hai visto
quella notte.”
E
quando si voltò per andarsene, Chloe la fermò.
“Ehi,
aspetta… - Lindsay si girò – Ti ha
detto qualcos’altro, Albert, quel giorno?”
L’altra
non capì: “Cioè?”
“Niente…
- scosse la testa – Niente, lascia stare.”
“Ok…
- rimase lì impalata per qualche secondo – Allora
ciao!” e se ne andò.
Chloe
la fissò a lungo, mentre si allontanava. Poi,
entrò finalmente dentro il
negozio.
*
Arrivati
a Brokehaven, i ragazzi stavano attraversando il campus
dell’università. Rider,
in mezzo a Nathaniel ed Eric, teneva in mano una brochure.
“Il
dipartimento di ingegneria elettronica è nella zona ovest
del campus!”
“E’
molto lontano da dove siamo?” chiese Eric, mentre controllava
il telefono.
“Sì,
– si voltò quello, lanciandogli
un’occhiataccia – se continui a
messaggiare!”
“Non
sto messaggiando, controllo se Alexis ha risposto!”
Rider,
dandogli tregua, si voltò verso Nathaniel, che, invece, era
distratto dalle
belle studentesse che giravano per l’università.
“Ehi,
calma i tuoi ormoni, siamo qui per altro! – lo
incalzò, mentre Nathaniel
roteava gli occhi – Credi che non voglia distrarmi
anch’io con due tette da
college? Sì! Ma, ahimè, non ho una stramaledetta
vita normale come tutti gli
altri per poterlo fare.”
“Troviamo
questa dannata Professoressa!” ne aveva già
abbastanza, Nathaniel.
Trovato
il dipartimento, percorrevano i corridoi, ora, ritrovandosi ad un bivio.
“Ok,
abbiamo chiesto di lei in giro e hanno detto che potrebbe essere al
laboratorio
o nel suo ufficio! – Nathaniel si mise davanti ai suoi amici
– Da questa parte
c’è il laboratorio! – indicò
verso destra – Mentre se prendiamo l’altro
corridoio ci riporta alle scale e l’ufficio di Denna Marx si
trova al quarto
piano!”
“Ufficio
o laboratorio, allora?” chiese Eric, spostando lo sguardo fra
i due amici.
“Ragazzi,
A non
rimarrà offline per sempre!”
Nathaniel
decise per tutti, a quel punto: “Ok, io controllo al
laboratorio, voi salite al
suo ufficio. Chi la trova per prima, manda un messaggio!” e
iniziò ad avviarsi.
“Ok.
– annuì Rider – Tieni il telefono a
portata di mano!” ed iniziò ad avviarsi
nella direzione opposta con Eric.
*
Rider
ed Eric stavano percorrendo il corridoio del quarto piano. Durante il
tragitto,
Rider si tolse lo zaino che aveva in spalle, aprendo la cerniera.
L’altro,
curioso, lo scrutò a lungo.
“E’
da quando siamo qui che mi chiedo cosa c’è in
quello zaino!”
“Il
mio piano A, per passare
inosservati! – tirò fuori un piccolo aggeggio nero
e rettangolare – Questo!”
“Che
cavolo è?”
Rider
gli lanciò, inevitabilmente, un’occhiataccia,
prima di rispondere: “E’ un
dispositivo di registrazione, l’ho preso dallo studio di mio
padre. Serve a
registrare!”
“Ehm,
- si sentì offeso – ci ero arrivato già
a dispositivo
di registrazione! ”
“Ok,
lascia parlare me e – lo vide nuovamente con il telefono in
mano – metti via
quel telefono! Dobbiamo sembrare più adulti, secondo il mio
piano A!”
“Ma
che intenzioni hai?” non capì ancora, Eric, cosa
avesse in mente.
Purtroppo,
però, non ricevette risposta, perché si
scontrarono con una donna, sbucata
fuori all’improvviso.
Quella
aveva una scatola in mano, che con lo scontro, si rovesciò a
terra. I ragazzi,
mortificati, la aiutarono a raccogliere tutto.
“Oh,
ci scusi tanto… - prese parola Rider, mentre si
risollevavano tutti in piedi –
Cercavamo la… - ma si bloccò, una volta vista
meglio in viso, la descrizione
che combaciava alla Professoressa che cercavano – Aspetti,
lei è Denna Marx?”
L’altra
rispose a denti stretti, quasi sarcastica:
“Dipende…Siete l’FBI?”
Rider
scoppiò a ridere, mentre Eric lo fissava, inebetito:
“Bella questa, ma no, non
siamo dell’FBI! Succedono molte cose illegali, qui?”
“Ho
fatto parecchi favori ad un paio di miei amiche… -
bisbigliò, poi – per i loro
mariti infedeli!”
“Interessante,
comunque… - allungò la mano, che Denna strinse
– Mi chiamo Taylor… - inventò
sul momento – Buh! Taylor Buh! E sono un Podcaster.”
Eric
girò lentamente il collo, fissandolo incredulo, pensando di
aver sentito male.
“Taylor
Buh…Non si sente tutti i giorni!” pensò
Denna.
“E’
il mio nome d’arte, gli studenti dell’ Illinois mi
adorano! – esclamò, per poi
tralasciare i convenevoli – Possiamo andare nel suo
ufficio?”
“Oh,
il mio ufficio… - si voltò a guardarlo un secondo
– Beh, non è più il mio
ufficio. Mi sono licenziata! – squittì - Mi
trasferisco a Miami, oggi ho dato
la mia ultima lezione!” rivelò con enfasi,
sollevando le sopracciglia, eccitata
all’idea.
“Miami?”
ribattè Eric, spiazzato.
“Già,
Miami! Sono pazza, vero?”
“Lasciare
un posto fisso per girare in infradito tutto il giorno? Se sei
milionaria, non
tanto. Se non lo sei, un pò!” aggiunse Rider.
“Beh,
- spiegò – Ultimamente sono venuta in possesso di
una piccola fortuna,
quindi…Perché no, giusto? – quelli
annuirono, guardandosi fra loro – Allora, di
cosa avete bisogno?”
“Quindi
può dedicarci dieci minuti?” le
domandò, Rider.
“Ma
certo! Ho l’aereo fra… - controllò
l’orologio – tre ore, più o
meno!”
“Andiamo
di corsa, eh? – continuò l’altro
– Comunque grazie, non le porteremo via molto
tempo.”
“Di
cosa volete che vi parli?”
“Stalking!
– esclamò Rider -
Noi pensiamo che mettere
le persone al corrente di tutti i dettagli sull’argomento e
su come reagire a
questo fenomeno, possa essere parecchio utile per chi un giorno dovesse
affrontare questa minaccia. – si guardò con Eric,
mentre continuava – Insomma,
gli stalker di oggi hanno parecchi mezzi per tormentare le loro
vittime, no?
Mezzi avanzati, per così dire!”
“Ehm…
- quella si aggiustò gli occhiali, distratta, grattandosi il
capo – Sì, questo
è verissimo. Mi-mi sembra un’ottima informazione
da divulgare.”
“Bene,
possiamo entrare, allora?” suggerì Eric.
“Ma
certo, accomodiamoci!” Denna riaprì la porta del
suo ufficio, facendoli
entrare.
*
Nathaniel,
intanto, si stava affacciando dentro ad un laboratorio. Muovendosi al
suo
interno, curioso, sembrava non esserci nessuno; solo strumenti
elettronici,
banchi e vari progetti costruiti dagli studenti della
facoltà.
Camminando
tra i banchi, fu attirato da uno dei progetti, in fondo
all’aula: una sorta di
casa in miniatura, come quella delle bambole. Sulla facciata anteriore
vi era
scritto “MouseHouse”.
Sempre
più incuriosito, mise un occhio davanti ad una delle tante
finestre della casa,
cercando di vedere cosa ci fosse dentro.
Vedeva
solo un corridoio e dei piccoli mobiletti. Improvvisamente, poi,
spuntò un topo
e lui indietreggiò, gettando un piccolo urlo, disgustato.
Alle
sue spalle, una voce lo fece sobbalzare ulteriormente.
“Inquietante,
vero?”
Era
una ragazza. Stava poggiando dei libri su uno dei banchi.
“Oh,
beh – si voltò, ricomponendosi – Diciamo
che non ho mai visto una cosa simile!”
Quella
mantenne un sorriso di circostanza: “L’ha
progettata Ella Duval, secondo anno.
Io la chiamo la casa del grande fratello dei ratti!”
“O
una casa delle bambole per ratti!” aggiunse,
l’altro, tornando a guardarla.
“E’
monitorata!”
“Come?
– si voltò nuovamente, distratto –
Monitorata?”
“Sì,
vedi quel tablet là giù! – glielo
indicò, poggiato sulla superficie di un banco
accanto a lui – Puoi vedere in quali stanze si trovano i
topi!”
Nathaniel
prese in mano il tablet, il display mostrava la planimetria della casa.
Sopra
dei puntini rossi che lampeggiavano.
“Aspetta,
i topi hanno un cip?”
L’altra
rise: “Tranquillo, non è sottocutaneo. Hanno un
cinturino avvolto intorno al
corpo e il cip è attaccato al cinturino. I puntini rossi che
vedi sono i topi
che si muovono.”
“Quindi…puoi
sapere dove sono in qualunque momento?”
“Esatto,
ma io la trovo un’idea stupida, usarla sui topi. E’
più eccitante sulle
persone!”
“Questa
Ella è al secondo anno e sa già costruire un
cip?” domandò, rimettendo apposto
il tablet.
“Ma
no, figurati. L’ha aiutata la Professoressa Marx!”
“Aspetta,
- riconobbe il cognome - Denna Marx?”
“Già,
lei… - poi scosse la testa, confusa sulla sua presenza
– E comunque, tu chi saresti?
Non ti ho mai visto qui.”
“Ehm,
sono una futura matricola!”
“Oh,
capisco…Io sono Zoe, a proposito, e adesso dovrei andarmene,
sono passata qui
solo per lasciare questi libri. Se ti serve una visita
guidata…”
“No
no, ti ringrazio. – le sorrise – Io sono
Nat…Nathan!”
“Bene,
Nathan. – si avviò verso la porta - E’
stato un piacere! Ciao!” e se ne andò,
mentre Nathaniel tornava a guardare la casa dei topi.
*
L’intervista
alla Professoressa Denna Marx, nel frattempo, stava procedendo da
qualche
minuto, mentre erano seduti alla scrivania del suo ufficio. Rider
teneva il
registratore sulla sua mano destra, tenendo premuto il pulsante,
puntato verso
di lei.
“…E
quindi, in questo modo, è possibile bloccare ogni tipo di
intruso!”
I
due annuirono all’ennesima risposta ricevuta. Rider aveva
ancora una domanda.
“E
se queste persone non sanno di essere nel mirino di uno stalker? Come
si
interviene? Parlo di…microfoni nascosti, cimici. Insomma,
roba da Norman Bates
ultimo stadio di follia!”
“Ehm,
se non lo sanno, non si può intervenire. Ma se lo
sospettano…”
Intervenì
Eric, a quel punto: “Esatto, se lo sospettano, come si
interviene?”
Quella
spostò lo sguardo fra i due, lasciandosi scappare una
piccola risatina: “Ehm,
si va dalla polizia?”
“Sì,
ma… - Rider restò serio - se la vittima non
può rivolgersi alla polizia, cosa
fa?”
“Deve
rilevarla, in qualche modo. Le microspie non emettono alcun rumore o
vibrazione, difficile capire dove siano state messe. Servono gli
strumenti
giusti, le cimici sono piccole; ne esistono di piccolissime, davvero
piccolissime. Inanzitutto, parliamo di dispositivi elettronici,
facilmente
rilevabili da soffisticate apparecchiature che individuano di tutto:
telecamere
nascoste, dispositivi avanzati, addirittura spenti, non più
funzionanti o
qualsiasi tipo di trasmissione in RF,IR, onde convogliate, linee
telefoniche. –
i ragazzi la ascoltavano, frastornati, mentre continuava, logorroica -
Tra
questi, abbiamo i rilevatori di giunzione non lineari, atti a rilevare
qualsiasi tipo di circuito elettronico e…”
Rider,
esasperato, scosse la testa, grattandosi la fronte: “Ehm, mi
scusi se la fermo,
Professoressa, ma…In parole povere, come diavolo si chiama
questa
apparechiatura?”
L’altra,
assai spiazzata dalla reazione del ragazzo, rispose comunque:
“Beh, ne esistono
di tanti tipi, come…”
Fu
la volta di Eric, con foga: “Il più
diffuso!”
“Ehm,
ok… – li trovava sempre più strani
– il metal detector dell’aereoporto, vi va
bene? Non che sia proprio atto a rilevare microspie, ma è
pur sempre un
rilevatore di metalli e…”
“Come
si disattiva, una volta trovato?” domandò Rider,
ancora, senza darle il tempo
di finire le frasi.
“Disattivarlo?”
“Sì,
- esclamò Eric, nervosamente –
Disattivarlo!”
“Ragazzi,
vi perdete in un bicchiere d’acqua. – rise ancora
– La parte difficile è
trovare la cimice…poi quando si trova, basta distruggerla.
In qualsiasi modo.
O, semplicemente, buttarla via!”
“Ah!”
ribatterono entrambi, sentendosi stupidi.
I
due ragazzi si alzarono di colpo, allora. Rider sforzò un
sorriso di congedo,
mentre metteva via il registratore.
“Ehm,
direi che abbiamo finito. Abbiamo tutto quello che ci serve.”
Quella
rimase ancora seduta, sbigottita dal loro comportamento.
“Ah,
sì? Di già?”
“Già!
Buon viaggio a Honolulu!” esclamò Eric, mentre
uscivano velocemente.
“Grazie!”
aggiunse Rider.
“Vado
a Miami, comunque!” urlò quell’altra,
quando ormai erano fuori dal suo ufficio.
Si
alzò, poi, raggiungendo la porta, affacciandosi fuori,
fissando i due ragazzi
con sguardo sospetto, mentre si allontanavano.
*
Era
ormai calata la sera su Rosewood, ormai da qualche ora. Sam si era
appisolato
sul divano: era tutto buio, solo la televisione faceva luce. Dopo
essersi
stiracchiato, fece uno sbadiglio, comprendosi la bocca, per poi
controllare
l’ora sul telefono e i messaggi, le labbra secche. Di
messaggi, stavolta, però,
non ce n’erano.
Assetato,
si alzò, dirigendosi in cucina, praticamente ad occhi
chiusi, perché continuava
a grattarseli. Non accese alcuna luce, giunse davanti al frigorifero
senza
problemi, aprendo lo sportello. La luce interna lo illuminò,
costringendolo a
spostare lo sguardo, infastidito, recuperando la bottiglietta
d’acqua. Senza
chiudere lo sportello, si voltò dall’altra parte,
sorseggiando grandi quantità
d’acqua. Improvvisamente, però, si
fermò, osservando quella parte della cucina
ben illuminata dalla luce del frigorifero. Poggiò la
bottiglietta, aguzzando la
vista, agghiacciato: le sedie erano girate al contrario, poggiate sulla
superficie del tavolo, come quando si fanno le pulizie. La cosa,
inoltre, gli
parve molto strana, dal momento che, prima che si addormentasse, erano
poggiate
a terra.
Sam
uscì velocemente dalla cucina, dirigendosi
all’ingresso, davanti al quadrante
del sistema d’allarme.
Allarme
disattivato, lesse.
Preso
dal panico, provò ad uscire da casa sua, ma ecco che un
messaggio, precedette
quell’azione.
“Hai
bevuto l’acqua che ti ho lasciato in frigorifero? Fresca,
non è vero?”
-A
In
quell’esatto istante, Sam iniziò a vederci doppio,
costretto a reggersi sulla
parete. Continuava a scuotere la testa ad occhi chiusi, cercando di
liberarsi
da quella sensazione, ma la cosa peggiorò. Sempre
più debole, iniziò ad
accasciarsi, la mano che strisciava sulla carta da parati. Perse i
sensi, ormai
steso sul pavimento.
Poco
dopo, Sam riaprì gli occhi, ma non completamente; si sentiva
ancora stordito.
Gli sembrava di svegliarsi a scatti, a distanza di minuti. Un attimo
prima,
aveva la sensazione che qualcuno lo tenesse in braccio, che lo stesse
trasportando da qualche parte, sempre all’interno di casa
sua, sulle scale.
Cercava di scrutare un volto, ma perdeva i sensi ancora prima di
metterlo a
fuoco. L’attimo dopo, invece, gli parve di essere sdraiato su
qualcosa di
morbido; il suo letto, pensò. Da lì, vedeva
qualcuno muoversi, davanti a lui. Sembrava
solo un’ombra, un cappuccio nero. Gli occhi si chiusero
ancora, non riuscì a
vedere nulla di più.
*
Rider
ed Eric stavano raggiungendo il laboratorio, al terzo piano. Lungo il
corridoio, discutevano sulla conversazione avuta con la Professoressa
Marx.
“Quindi
ora che facciamo, Rider? – domandò, isterico
– Eh? So a cosa stai pensando!”
“Ah
sì? – replicò, mantenendo lo sguardo
fissò davanti a sé, mille cose che gli
passavano per la testa – Sai a cosa penso? Bene, a cosa
penso?”
“Dimmi
che non ci butteremo sotto al metal detector di un aereoporto per farti
contento!”
“Caspita,
la tua telepatia è disarmante!”
Eric
lo fermò per le spalle: “Rider, seriamente! Avremo
dovuto raccontare tutto a
quella Professoressa e lei ci avrebbe aiutati. Come diavolo rileviamo
una
cimice, da soli? Tanto vale darci fuoco!”
“NON-POSSIAMO-COINVOLGERE-NESSUNO!
Ok? A si vendicherebbe!
– si scosse,
liberandosi dalla presa – Ecco il laboratorio, cerchiamo
Nathaniel e andiamocene.
Troveremo questa apparecchiatura su internet!”
I
due si affacciarono, le luci erano accese, ma sembrava non esserci
nessuno.
“Nat??”
lo chiamò Rider, puntando lo sguardo in tutta la stanza.
Una
testa spuntò fuori da sotto ad uno dei banchi. Era lui.
“Ehi,
eccoti! – esclamò Eric – Che cavolo ci
fai nascosto lì sotto?”
“Ehm…
- si guardò attorno, per terra – sto,
ehm…cercando topi!”
“Cosa?
– si allarmò Rider – Ma di che stai
parlando? – seguì il suo sguardo, sempre
più spaventato – Perché guardi a
terra?”
“Ehm,
aspettate…” si avvicinò alla lavagna,
scrivendo qualcosa, evitando di dirlo a
voce.
Quelli
lessero, dopo che aveva finito.
“C’è
questa casa dei topi e i topi
hanno addosso dei cinturini con sopra un cip localizzatore. Ho pensato
di
staccarli dai topi per usarli con i nostri sospettati e vedere chi ci
porta al
covo di A per
recuperare i nostri video e
andare finalmente alla polizia!”
“Geniale!”
esclamò, Eric. Un sorrisino si dipinse sulle sue labbra.
L’altro
non la pensava allo stesso modo e quando sentì squittire,
salì sopra uno dei
banchi.
“Ratto!”
gridò Rider, in piedi sul banco, indicandolo.
I
due lo fissarono, cercando di non sorridere, ma fu inevitabile.
Eric
si avvicinò al topo, prendendolo tra le mani.
“Rider,
rilassati. E’ un topo, non una palla di fuoco!”
“Ehi,
devi metterlo qui! – lo chiamò Nathaniel,
indicando la casa – Il cinturino
gliel’ho già tolto, ma mi era sfuggito.”
Quello
rimise il topo dentro la casa, mentre Rider scendeva dal banco,
disgustato.
“Possiamo
andarcene, adesso? Fino a prova contraria stiamo commettendo un
furto!”
“Aspetta,
dimenticavo. – Nathaniel recuperò il tablet
– Anche questo ci serve!”
E
avanzò verso di loro. Nel preciso momento in cui Nathaniel
si spostò dal punto
in cui era, Rider notò qualcosa che prima non aveva notato,
preso anche dalla
paura per il topo.
“Oh
mio Dio… - fissò quella cosa – Ditemi
che quella è una riproduzione fedele di
un metal detector...”
“Dio,
è proprio un metal detector!” esclamò
Eric, mettendoci gli occhi sopra.
“Che
mi sono perso?” domandò Nathaniel, confuso.
Rider,
avvicinandosi al metal detector, si affrettò a spiegare:
“Abbiamo parlato con
la Professoressa Marx. Ci ha suggerito di usare un metal detector,
più o meno!”
“Non
le avrete detto mica la verità, spero.”
“No,
si è finto un podcaster!”
“Cos’è
un podcaster?”
Ma
Rider lo ignorò, mettendosi davanti
all’apparecchiatura, quasi ipnotizzato.
“Togliete
anelli, bracciali, orologi…Tutto!”
Quelli
eseguirono, guardandosi fra loro.
Dopo
che Rider aveva fatto lo stesso, si apprestò a passare sotto
l’apparecchiatura,
come si fa in aereoporto.
Ci
passò, ma non si sentì alcun suono. Guardandosi
con i compagni, ci ripassò una
seconda volta, ma niente.
Basito,
rimase lì impalato.
“Ma
che diavolo??”
“Ok,
dai. – si avvicinò Nathaniel – Ci provo
io!” e dopo aver appoggiato l’orologio,
i cinturini dei topi e il telefono, passò sotto la lastra.
Anche
con lui, dopo due tentativi, l’apparecchio non emise alcun
suono.
Eric,
a braccia conserte, pensò: “Dite che A si
è accorto di quello che stiamo facendo e ha disattivato le
cimici?”
“Se
ce li ha messi addosso, - replicò Rider, con disappunto - il
metal detector
dovrebbe rilevarli ugualmente, anche se sono stati
disattivati.”
“Provo
io!” si avvicinò Eric.
Mentre
ci stava passando sotto, Rider lo avvertì di lasciare il
telefono, che aveva in
mano.
“Ehi,
aspetta!”
Troppo
tardi, però, perché Eric ci era passato sotto. E
il metal detector aveva
suonato. Quello si spostò immediatamente.
“E’
normale, no? – chiese Nathaniel – E’ un
telefono con parti in metallo, no?”
“Sì,
è normale, ma… - riflettè Rider,
attentamente, fissando i due amici – Se non
abbiamo le cimici addosso, questo vuol dire che…”
“Oh
mio Dio, - ci arrivò Eric, prima che l’amico
continuasse - sono nei telefoni!”
“Ma
ne siete sicuri?”
Rider
ne era certo: “Dove altro possono essere, se non sono addosso
a noi? Ogni volta
che ci diciamo qualcosa, sono i nostri telefoni ad essere con
noi…Avremmo
dovuto intuirlo prima, A l’aveva
già
fatto con il telefono di Anthony.”
Anche
Nathaniel se ne convinse, a quel punto: “E adesso che
facciamo?”
“La
parte difficile è trovare la cimice, poi, quando si trova,
basta distruggerla.
In qualsiasi modo. - Eric citò la Professoressa
Marx – Dobbiamo distruggere
i nostri telefoni!”
“Cosa?
– lo trovò assurdo, Nathaniel, guardando entrambi
– Dite sul serio?”
“Hai
presente il piano che vuoi realizzare? – cercò di
convincerlo, Rider - Come
pensi di farlo se ci ascolta?”
Quello
ci riflettè, trovandosi d’accordo con lui:
“Hai ragione… - e suggerì, a quel
punto – Tra Brokehaven e Rosewood c’è
una stazione di servizio. Li distruggiamo
lì.”
In
uno sguardo d’intesa, erano tutti d’accordo, pronti
a lasciare il dipartimento.
*
Intanto,
Sam, aveva appena aperto gli occhi. Stavolta, perfettamente cosciente,
anche se
abbastanza intontito. Steso sul suo letto, sbattè le
palpebre, per via degli occhi
leggermente annebbiati. Scrutò la sua stanza, ricordandosi
dell’ombra che aveva
visto e che, prima di chiudere gli occhi, si trovava in piedi al piano
di
sotto. Il suo sguardo, poi, si spostò verso la porta aperta,
il corridoio buio
e silenzioso. Si sollevò, per alzarsi, poi si
bloccò di colpo, provando una
strana sensazione sulla bocca. Immediatamente, se la toccò
con le mani,
sentendo qualcosa di ruvido e rendendosi conto che non riusciva ad
aprila;
qualcosa glielo impediva, era come serrata.
Preso
dal panico, si alzò dal letto e corse in bagno, accendendo
la luce. Un
messaggio in rosso sullo specchio e la sconvolgente scoperta: A aveva incollato le sue labbra.
“Hai
voluto tenere la bocca chiusa? Ora ce l’hai chiusa per
davvero.”
-A
I
suoi occhi si riempirono subito di lacrime, gemiti disperati, nel
tentativo di
staccarsi le labbra; il sangue cominciò a fuoriuscire,
mentre agiva con forza.
*
Giunti
a Rosewood, i ragazzi si erano ormai disfatti dei loro telefoni.
Discutevano
sulla prossima mossa, mentre Nathaniel era alla guida.
“Quindi
abbiamo solo sette cip, giusto?” chiese conferma, Eric.
Rider
annuì: “Direi che sono sufficienti, sospettiamo
solo di Violet e Colton!”
“E
se non fossero loro? – pensò, Nathaniel - Forse
dovremmo sfruttarli tutti e
sette!”
“E
su chi altro?” ribattè Eric.
“Su
tutti quelli citati nel video!”
“Mezza
scuola, allora! – Rider si rilassò sul sedile
posteriore, sarcastico – Forse
dovremmo tornare indietro ad acciuffare qualche altro topo!”
Nathaniel
gli lanciò un’occhiataccia attraverso lo
specchietto retrovisore: “Parlo di
persone specifiche, come Morgan Patterson, che mi ha tirato un pugno,
ricordi?”
“O
Lisa Nelson, che se n’è andata via dal Brew
assieme a Violet!” aggiunse Eric,
seduto accanto a Nathaniel.
“Bene,
allora consultiamo anche Sam, avrà sicuramente un nome anche
lui! – esclamò
seccato – Ma sono sicuro che Violet
e Colton sono A. Vedrete se non ho
ragione!”
“Dio,
- Nat controllò l’ora - si è
già fatto buio. Ho promesso a Sam che sarei stato
con lui, dopo i messaggi che A gli
ha inviato!”
“Ma
almeno sa che siamo andati a Brokehaven? – chiese Rider -
Avete detto che non
c’era a casa sua, no?”
Perplesso,
Nathaniel lo fissò nuovamente dallo specchietto:
“Sam lo sa che siamo andati a
Brokehaven. Lo hai avvisato tu, no?”
“Io?
– fece una smorfia, confuso – Non sento Sam dalla
notte al lago!”
Quello,
allora, fermo la macchina, voltandosi meglio.
“Come
sarebbe?”
Eric
si aggregò alle sue perplessità: “Sam
ci ha mandato un messaggio, sapeva di
Brokehaven. Se non gliel’hai detto tu, - fissò i
due – allora chi...??”
“Oh
mio Dio… - Nathaniel abbassò lo sguardo,
comprendendo che Rider non ne sapeva
davvero nulla – è stato A
a scrivere
il messaggio.”
E
immediatamente mise in moto la macchina, mentre Rider metabolizzava
quanto
dedotto dall’amico.
“Stai
scherzando, vero? – andò nel panico – E
se l’avesse rapito o fatto del male?”
Nathaniel
non rispose, Eric si limitò a fissarsi con Rider, pensando
al peggio, gli occhi
sgranati.
*
Circa
dieci minuti dopo, i ragazzi erano di fronte all’abitazione
di Sam. Erano
appena scesi dalla macchina. La porta era aperta.
“Non
è un buon segno, - dedusse Eric, intimorito -
vero?”
Nathaniel
era già dentro, Rider lo seguì a ruota e anche
Eric.
“Saaam?”
urlò, Nathaniel, affacciandosi in tutte le stanze buie.
Eric
e Rider accesero luci e lampade, gridando il suo nome. Insieme salirono
al
piano di sopra, dove c’era una stanza già accesa:
il bagno.
Si
precipitarono tutti lì, restando bloccati alla soglia,
sgranando gli occhi per
la scena a cui assistettero a primo impatto: Sam inginocchiato a terra
con la
bocca e le mani insanguinata, il pavimento macchiato.
Nathaniel
ed Eric lo aiutarono subito a rialzarsi, mentre quello era in lacrime,
sotto
shock.
“Oh
mio Dio… - sussurrò, Rider, ancora impalato,
mentre osservava il messaggio
sullo specchio – è totalmente fuori di
testa…”
“Sam,
stai bene?” gli domandò Nat, mentre lo portavano
nella sua camera.
Quello
scosse la testa, liberandosi dalla stretta dei due.
“No
no, non ci torno in camera. – si dimenò,
instabile, tremante, lo sguardo basso,
per poi urlare – Portatemi via da qui!”
Rider,
dietro di lui, lo prese per le spalle: “Sta calmo, ho capito.
Ora puliamo tutto
quanto, in modo che tuo padre non veda nulla. Ti portiamo a casa mia,
ok? –
cercò di tranquillizzarlo - Resterai da me!”
Sam,
scoppiando in lacrime, lo abbracciò.
“Ok,
ok…” singhiozzò ancora, creando un
magone nei suoi amici, che lo osservavano
pietrificati.
Mentre
si sfogava, Rider si lanciò uno sguardo preoccupato con gli
altri due. Si erano
appena resi conto che la faccenda non era più un gioco di
semplici messaggi e
minacce. A stava andando oltre.
SCENA
FINALE
A
era
appena
entrato nei bagni di una stazione di servizio. Si avvicinò
al cestino che c’era
in fondo, accanto allo sportello aperto dell’ultimo bagno.
Con la mano, sempre
i guanti neri indosso, spostò le cartacce sporche, trovando
sotto dei telefoni,
distrutti, a pezzi. Li prese, ne erano tre. Li mise dentro un sacchetto
di
carta che teneva con l’altra mano.
Uscito
dai bagni, si diresse al bar. Entrò, poggiandosi sul bancone
con i gomiti. La
tv fissata alla parete, in alto, dava il notiziario notturno.
Si
avvicinò il barista, anziano; asciugava un bicchiere di
vetro con un panno:
“Non ti fa freddo con solo quella felpa addosso?”
A
scosse
la
testa.
“Cosa
ti do?”
A
gli
fece
cenno di alzare il volume della televisione.
“Vuoi
che alzi il volume? – l’atteggiamento di A
lo lasciò perplesso – Non ami parlare
molto, eh?”
Ed
eseguì, senza aggiungere altro.
Il
notiziario parlava di un arresto, appena avvenuto.
“La
polizia ha finalmente catturato
Jasper Laughlin, ricercato da giorni per l’omicidio di Kevin
Dimitri, 44 anni, e
Anthony Dimitri, suo figlio, di 17. L’uomo è stato
trovato al confine dello
stato con molti contanti e un’auto
noleggiata…”
CONTINUA
NEL SESTO CAPITOLO
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Capitolo 6 *** 1x04-Un brivido lungo la schiena ***
CAPITOLO
QUATTRO
“Living
in a Dark DreAm”
PREVIOUSLY
ON BLACK HOOD:
Dopo
i funerali di
Anthony, fuori dalla chiesa, A manda
un nuovo messaggio ai quattro ragazzi, insinuando che il corpo nella
bara
appartenga davvero ad Anthony: un video, mostrava qualcuno che lo
uccideva.
Rider
convince i suoi
amici che A, stavolta, è
Anthony,
sostenendo che abbia contattato un amico per girare una sceneggiata e
far si
che loro tenessero la bocca chiusa sulla notte degli omicidi. Nathaniel
e Sam,
sembrano gli unici a pensare che si tratti, invece, di un amico di
Albert, in
cerca di vendetta.
Tornati
a casa, Sam e
Rider cominciano a fare i conti con i sensi di colpa, in seguito ai
commenti
trovati sulla bacheca della pagina della Rosewood high shool; molti
erano a favore
di Albert, dichiarato scomparso da qualche giorno, altri di odio nei
confronti
di Anthony e il suo gruppo.
Eric,
intanto, conosce
la nuova barista del Brew, Alexis, e deve fare i conti con la crisi che
sta
attraversando la sua famiglia, economicamente; lui e sua madre, vivono
nell’appartamento sopra al locale, tenendosi costantemente in
contatto con suo
padre, fuori città, in cerca di nuovo lavoro, dopo essere
stato licenziato
dalla società in cui lavorava.
Nathaniel,
alle prese
con una nuova visita medica di routine da suo cugino, morso ancora dal
dubbio
sollevato dal video ricevuto da A,
trova un escamotage per farsi portare nella stanza della
videosorveglianza
dell’ospedale. Tyler viene chiamato dal suo cercapersone e
Nathaniel rimase
solo, passando sulla sua pennetta, indisturbato, i filmati della
sorveglianza.
Subito dopo, irrompe nell’obitorio, dove con Rider, in
contatto telefonico,
scopre che il referto del medico legale non coincide con le ferite
riportate da
Albert nell’incidente: quindi il corpo nella bara
è di Anthony e A ha
scambiato i corpi.
Sam,
nel frattempo,
scopre da suo padre che la polizia ha un sospettato sicuro, segnalato
da una
deposizione fatta dalla signora Dimitri e l’altro suo figlio,
Clarke, in
centrale.
Rider,
non convinto dalla
storia dello scambio, passa a prendere Sam e vanno alla stazione di
Rosewood,
in cerca di un indizio in più. I due, però,
vengono attirati in una trappola,
all’interno dei tunnel, ritrovando il telefono di Anthony e
un messaggio di A. Un treno, subito
dopo, quasi li
investe.
Riuniti
a casa di Rider,
ancora sotto shock, il gruppo esamina i filmati della sorveglianza,
notando la
presenza di un loop, la ripetizione di uno stesso pezzo, nel corso del
filmato.
I ragazzi si convincono di avere una prova in mano, a quel punto,
assieme al
video dell’omicidio di Anthony, ricevuto da A,
e decidono di volerne parlare con il padre di Sam e porre fine a
questa storia, pur sapendo che si sarebbero esposti a determinate
conseguenze.
Fuori
dall’abitazione di
Sam, però, i quattro ricevono l’ennesimo messaggio
di A e questo li costringe a
passare dalla loro scuola, prima di fare
un’altra mossa: aveva qualcosa contro di loro.
Giunti
a scuola, Sam,
Nathaniel, Rider ed Eric, trovarono il computer di Anthony, una sola
cartella
al centro, con dentro un filmato: mostrava loro, complici
dell’omicidio del
Signor Dimitri e di Albert. Ora, non avevano altra scelta che tacere.
E,
stranamente, A, mise in chiaro loro
che non aveva intenzione di denunciarli.
AND
NOW…
“Buongiorno,
Bugiardi! Pronti per iniziare con me una nuova
giornata?”
-A
Fu
Sam a visualizzare per primo quel
messaggio, all’alba di quella mattina. Pensava ancora di
sognare, mentre si
strofinava gli occhi, i capelli scompigliati dal sonno. Pensava che A non fosse reale e che doveva
svegliarsi; sfortunatamente per lui, però, era
più che sveglio e A era
più reale che mai.
“Fottiti!”
esclamò, buttando il
telefono sul comodino, esasperato, sollevando, poi, le lenzuola, per
uscire dal
letto.
Si
diresse verso la finestra,
aprendola, facendo entrare in camera quella fredda brezza mattutina,
tipica dei
mesi autunnali, che lo investì, mentre teneva gli occhi
chiusi e si prendeva un
attimo per respirare quell’aria pura e distendere i nervi.
Subito
dopo, sopra un mobiletto lì
vicino, vi era poggiata una fotocamera digitale. La prese,
tornò alla finestra
e, con addosso il suo pigiama, strisciò fuori, sul tetto,
per poi rimettersi in
piedi e camminare più in alto, sopra le tegole, fredde.
Quando vide,
finalmente, il sole che sorgeva, si sedette a gambe incrociate e mise
l’obbiettivo davanti all’occhio destro, mentre il
sinistro era chiuso; dopo
qualche secondo, immortalò quell’alba. Rivedendola
sul display, però, non gli
sembrò bella come si vede ad occhio nudo, così
tornò a
guardarla, poggiando la fotocamera,
consapevole che quell’alba sarebbe stata l’unica
cosa positiva di quella
giornata.
*
Eric
fu il secondo a visualizzare
quel messaggio, riappoggiando il telefono, con indifferenza, sulla pila
di
scatole che c’era nella sua stanza e che sembravano quasi
fungere da mobili,
per come erano sistemati vicino alla parete.
Davanti
ad uno specchio, si stava
provando dei vestiti, ma non i soliti, quelli alla moda che usava
indossare;
erano semplici felpe e semplici jeans, molto trasandati. Alla fine, da
tutto il
mucchio che c’era sul letto, optò per dei normali
blu jeans, il cui colore era
parecchio sbiadito, e una felpa grigia, abbinate a delle scarpe bianche
da
ginnastica. Lasciata la stanza, dopo un’ultima occhiata, Eric
si sentì fiero di
sé stesso: apparire non era più una
priorità e i vestiti di Anthony, ormai, non
facevano più parte del suo guardaroba.
Alcune
abitudini, però, erano
difficili da dimenticare ed Eric, giunto in bagno, pensò che
mettersi addosso
un pò di profumo non significasse essere per forza vanitosi,
ma, semplicemente,
di gradevole odore; così, aprì lo sportellino
destro della specchiera, dove gli
aveva sistemati, per prenderne uno. Nel momento in cui prese in mano
quello
scelto, però, sentì un’improvvisa
sensazione glaciale lungo la pelle; tant’è
che lasciò cadere la bottiglietta di profumo dentro il
lavandino. Assunse
immediatamente un espressione di sconcerto, quando notò uno
strano alone sulla
superficie di quella bottiglietta: sembrava ghiaccio. Subito dopo, si
accorse
che anche le altre bottiglie di profumo avevano lo stesso aspetto e che
dietro
ad una di esse c’era un bigliettino, che prese, leggendone il
contenuto.
“L’unico
profumo che puoi avere addosso è quello della paura che
avrai presto di me.”
-A
Dopo
aver deglutito, seriamente
turbato da quel messaggio, prese tutte le bottigliette e le
gettò nel cestino,
mettendo il biglietto minaccioso in tasca, uscendo velocemente dal
bagno,
raggiungendo la finestra affacciata sulla scala antincendio. Come
pensava, era
socchiusa e questo significò che A
era
entrato nel suo appartamento. La cosa non lo lasciò
indifferente, infatti. Si
guardò attorno con apprensione.
*
Le
lezioni stavano quasi per
cominciare alla Rosewood high school e gli studenti giravano per la
scuola, in
attesa del suono della campanella. Rider, in particolare, con lo zaino
sulle
spalle, si stava dirigendo verso il suo armadietto, inserendo la
combinazione,
abbastanza assonnato e con i capelli leggermente in disordine. Aperto
lo
sportello, qualcosa cadde a terra. Rider guardò
giù, scorgendo quello che
sembrava essere un treno giocattolo, che si apprestò a
raccogliere; non prima
di essersi guardato attorno, assicurandosi che nessuno lo stesse
guardando. Con
in mano il treno, pronto a rimetterlo dentro, contrariato, dovette
bloccarsi,
notando un biglietto, incastrato dentro.
“Sei
pronto per un altro giro? Ciuff ciuff!”
-A
Roteando
gli occhi, davvero stufo,
Rider gettò il treno dentro l’armadietto,
sbattendo lo sportello, per poi
allontanarsi. Alle sue spalle, però, qualcuno lo
chiamò, constringendolo a
voltarsi.
“Ehi,
Rider, aspetta!” esclamò Eric,
in compagnia di Nathaniel e Sam, mentre lo raggiungevano a passo veloce.
“Uao,
che faccia!” fece un commento,
Nathaniel, in merito al suo viso.
Rider
alzò il bigliettino ricevuto:
“Già, devo ringraziare A
per questo
aspetto orrendo. Non fa che punzecchiarmi con messaggini e regalini.
– era a
dir poco isterico - Ho trovato un treno giocattolo nel mio
armadietto!”
Sam prese parola, subito
dopo: “E io ho
ricevuto il buongiorno!”
“Quello
lo abbiamo ricevuto tutti,
credo.” replicò Rider, con ovvietà.
Nathaniel
intervenne: “Io no! Sono
uscito a correre presto e ancora non ho accesso il telefono.”
“Bene,
non farlo. – gli suggerì Eric,
tirando fuori un bigliettino dalla tasca: quello che aveva ricevuto - I
suoi
messaggi sono a dir poco inquietanti.”
Sam
avvicinò la faccia al biglietto,
leggendo ad alta voce: “L’unico
profumo
che puoi avere addosso è quello della paura che avrai presto
di me? –
fissò Eric , preoccupato – Eric, questa
è una minaccia seria, sta attento!”
“Lo
so, stamattina ho trovato tutti i
miei profumi letteralmente congelati!” raccontò,
preoccupato a sua volta.
“Cosa?
– reagì Nathaniel, mentre
camminavano lungo il corridoio – Che significa
congelati?”
Fu
la volta di Sam, atterrito, gli
occhi sbarrati: “Oh mio Dio, - rabbrividì
– E’ entrato in casa tua?”
Eric
si sentì oppresso: “Significa
che li ha messi nel congelatore, come dei surgelati…
– rispose a Nathaniel, poi
a Sam – E sì, è entrato in casa
mia!”
Rider
scosse la testa, indignato da
questa storia: “Non lo accetto, mi sembra
incredibile!”
Sam
era a dir poco terrorizzato:
“Già, puoi dirlo forte, - fissò tutti,
poi – che cosa facciamo? Vogliamo
davvero che questa A invada la
nostra vita? E non lo dico solo perché ho quasi rischiato di
essere rinvenuto
dai binari della stazione di Rosewood con delle pinzette per le
sopracciglia!”
“Niente,
Sam. – commentò Nathaniel,
più pacato. – Sai perfettamente che non possiamo
fare niente. A ci tiene in pugno e
stiamo ancora
cercando di capire cosa vuole da noi.”
Rider,
però, aveva perfettamente
chiaro il quadro della situazione: “E invece no! Quello che
vuole A è chiaro come
il sole: vuole
torturarci e renderci la vita impossibile per quello che abbiamo fatto.
Anthony
ha già avuto quello che gli spettava e ora tocca a
noi!”
“Forse
è il caso che iniziassimo a
capire chi ci tormenta e mi sembra ovvio che si tratti di qualcuno che
odiava
Anthony e che teneva ad Albert a tal punto da vendicarlo.”
pensò Eric,
esternando le sue ipotesi.
“Già,
io la penso come Eric. – si
aggregò Sam, convinto. – Siamo praticamente
tornati alla mia teoria iniziale,
quella dell’amico segreto e psicopatico di Albert, che ora
vuole vendicarlo.”
Nathaniel,
però, trovava assurdi quei
discorsi: “Queste teorie sono inutili e anche il voler
stanare il tizio che si
nasconde dietro a questi messaggi. Ragazzi, avete pensato al fatto che
se
smascherassimo A, non potremmo
comunque farlo arrestare? Possiede dei filmati su di noi e siete dei
poveri
illusi se pensate che non li condividerà con la polizia per
farci affondare
assieme a lui. L’unica cosa che otterremmo, sarebbe dividere
la cella con A che ci scrive
messaggi inquietanti
sulle federe dei cuscini, mentre dormiamo.”
Rider
si fermò, a quel punto;
qualcosa gli venne in mente: “Potremmo
sottrarglieli!”
Quelli
si fermarono con lui, in mezzo
al corridoio.
“I
filmati, dici?” chiese Eric.
“Sì!
Chi crede ad un pazzo
psicopatico stalker, se non ha le prove di quello che dice? –
fece una pausa,
cercando di spiegarsi meglio – Ogni super cattivo che si
rispetti ha un covo
segreto, dove conserva i suoi trofei. Troviamo il covo, prendiamo i
nostri
video, smascheriamo il cattivo e lo consegnamo alla polizia con tutta
la
serenità del mondo.”
Nathaniel
non era molto convinto: “La
fai facile, Rider. Chi ti dice che A,
di quel filmato, non ne abbia fatto
un milione di copie?”
“Già!
– esclamò Sam, perfettamente
d’accordo – Una volta ho visto un film dove un
tizio diceva ad un altro tizio
che se avesse provato ad ucciderlo, qualcuno avrebbe spedito una busta
alla
polizia con dentro delle cose compromettenti.”
Rider
fece una faccia stranita,
cercando di interpretarlo: “Stai dicendo che se facessimo
arrestare A, un suo complice
sarebbe pronto a
spedire alla polizia il filmato che ci vede complici di Anthony nella
notte
degli omicidi?”
Sam
si stranì a sua volta, titubando:
“Ehm, no, questo lo stai dicendo tu!”
Eric
si innervosì, stressato di suo:
“Già, Rider, questo lo stai dicendo tu, mentre Sam
citava solo la trama di un
film per fare un esempio. Ci manca solo che A
abbia un complice!”
“Ok,
quindi come rimaniamo per la
faccenda A?”
cercò di arrivare al
dunque, Nathaniel, prima di giungere in classe.
“Io
dico di seguire il piano di
Rider, - suggerì Sam, per primo – sperando che A non abbia davvero fatto delle copie di
quel video.”
“NO!
– esclamò, Rider – Dobbiamo sederci
e ragionarci come matti. Qui non stiamo giocando contro una star di
Jersey
shore, ma con un vero e proprio mostro di intelligenza! –
pacò i toni, subito
dopo – Prima, però, ho bisogno di concentrarmi sui
test di oggi, TUTTI dovremmo
concentrarci. Poi, dopo, ci siederemo con calma e capiremo meglio cosa
fare.”
E
quelli furono d’accordo, mentre
svoltavano all’angolo del corridoio.
Improvvisamente,
però, dovettero bloccarsi,
riprendendo a camminare più lenti: il corridoio era
affollato e tutti gli occhi
erano puntati su di loro. Inoltre, c’era un silenzio tombale,
animato soltanto
da alcuni bisbigli.
Trovando strana
quella situazione, Nathaniel,
sfacciato, si rivolse ai presenti: “Beh, che succede? Che
avete da guardare?”
Una ragazza, tra
i tanti studenti che c’erano,
si avvicinò loro, mostrando il suo telefono. C’era
un video, aperto sul
display, che non appena partì, venne subito riconosciuto dai
quattro ragazzi,
che si guardarono tra di loro: si trattava del video di insulti girato
con
Anthony.
A quel punto, il
gruppo non ebbe il coraggio
di proferire parola, nemmeno riuscivano ad alzare lo sguardo, il loro
volto si
dipinse di vergogna e mortificazione: un disagio che non avevano mai
provato.
Improvvisamente, uno degli studenti, Morgan Patterson, soprannominato Rinoceronte marino da Anthony, si fece
avanti e non si fece scrupolo a tirare un pugno a Nathaniel, che
l’aveva
umiliato nel filmato, sparlando di lui e del suo peso. Il ragazzo
caddè a
terra, con un bel livido sulla guancia.
“Ehi!”
gridò Rider a Morgan, difendendo
l’amico.
“Ti si
è fuso il cervello, per caso?” aggiunse
Sam, alterandosi, mentre Eric aiutava Nathaniel a rialzarsi.
“Che
coraggio!” esclamò una ragazza, tra i
suoi compagni, sbigottita, facendosi avanti. Si chiamava Violet Rhimes
e non sembrava
somigliare ad uno degli sfigati che Anthony amava prendere in giro.
Attirata
l’attenzione dei ragazzi, Violet
continuò, furibonda: “Mio fratello non
è venuto a scuola per colpa di quel
video che avete girato. Avete idea di cosa significhi essere diverso
dagli
altri? Colton è albino e, ok, se n’è
fatto una ragione dalla nascita, ma
ricordarglielo ogni giorno con insulti, risate in sottofondo e, ora,
addirittura, con un video…Beh, è diabolico! E
Anthony non mancherà proprio a
nessuno, se devo dare voce al pensiero di tutti.”
Molti furono
d’accordo con lei, facendo
sentire la propria voce.
Eric si
sentì in colpa, naturalmente, nel
sentire quelle parole, mentre reggeva l’amico: “Mi
dispiace, ok? Anzi, CI
dispiace!”
Anche Rider era
dispiaciuto, ma aveva qualcos’altro
da aggiungere e non lo fece in maniera cordiale: “Sono
dispiaciuto anche io per
quel video orrendo che è stato Anthony a costringerci a
girare, ma chiedere
scusa non è un optional, miei cari studenti di Rosewood.
– fissò tutti; anche
Lindsay, sua sorella, era presente, più dietro - Anche voi
avete alimentato
quel potere che permetteva ad Anthony di essere quello che era e di
prendere in
giro chiunque non fosse alla sua altezza o che fosse goffo!”
Nathaniel,
nonostante lo zigomo dolorante e
livido, disse anche la sua: “Già,
perché le stesse persone prese di mira da
Anthony, sono le stesse persone che avete ignorato ed emarginato.
– si rivolse
poi a Violet – Non mi sembra che tu sia mai andata contro
Anthony quando
insultava tuo fratello, perciò… –
guardò tutti gli studenti, ora – non fate gli
ipocriti e riflettete su come questa scuola sia arrivata ad avere dei
mostri e
delle vittime. Non si sono di certo creati da soli.” e se ne
andò, nel silenzio
plateale, seguito a ruota dagli altri tre.
Sam
passò di fianco a Chloe, c’era anche lei.
I due si scambiarono un’occhiata, ma quello non si
fermò a parlarle, data la
situazione.
*
Il
gruppo, dopo l’accaduto, raggiunse
frettolosamente l’aula in cui la settimana prima avevano
girato il video con
Anthony. Rider fu il primo a spalancare la porta, entrando, seguito da
Eric. I
due, arrivati prima dei loro compagni, iniziarono a frugare dentro
l’armadietto, nervosamente.
“Ti
ricordi in quale scatola l’ha
rimessa apposto, Anthony?” chiese Rider, mettendo le mani
ovunque.
“Forse,
in questo ripiano in basso. –
si chinò Eric, più giù – Non
ricordo bene, volevo solo andarmene.”
“Già,
pure io!”
Subito
dopo, arrivò Nathaniel,
toccandosi ancora lo zigomo dolorante. Poi arrivò Sam, una
busta del ghiaccio
in mano.
“Ho
preso del ghiaccio in mensa… -
prese Nathaniel per il braccio, facendolo sedere su una delle sedie che
c’erano
in aula – Vieni, mettiti qui!” e gli mise il
ghiaccio sul livido, mentre con
l’altra mano gli teneva il mento.
Nathaniel
si imbarazzò, nel momento
in cui incontrò il suo sguardo, mantenuto per più
di qualche secondo;
l’imbarazzo fu tale, che Nathaniel dovette togliergli la
busta del ghiaccio
dalle mani, trovando strana quella scena.
“Ehm,
faccio da solo grazie.”
Sam
si scansò, intuendo il suo palese
disagio: “Oh, certo, - gli tremava la voce, il cuore in gola
- scusa. Stavo
solo…”
“Non
c’è, accidenti!” Rider tirò
un
colpo all’armadietto, furioso, attirando lo sguardo degli
altri due verso di
sé.
Eric,
che stava ancora frugando,
trovò un biglietto: “Ehi, ragazzi… - lo
mostrò – Un altro messaggio!”
Sam
si avvicinò, leggendolo: “Il
kArma
è davvero bastardo, vero stronzetti? A!”
“Se
A è il nostro karma, sta
facendo un ottimo lavoro!” commentò
Nathaniel, seccato.
Rider
scosse la testa, dopo aver
riflettuto in disparte: “No, questa non è opera di
A. Non ha rubato la telecamera che
c’era dentro questo armadietto,
ma l’ha fatto Albert!”
“Cosa
te lo fa credere?” gli domandò
Eric.
“Il
primo messaggio di A, quello
ricevuto da Anthony, parlava
di smascheramenti, no? Era chiaramente riferito a questi video. Poi,
dopo che
Anthony ha investito Albert, abbiamo scoperto che era stato lui a
mandare quel
messaggio, quindi Albert ci stava tenendo d’occhio, quel
giorno, ed è entrato
in quest’aula, non appena ce ne siamo andati.”
Sam
riflettè a lungo prima di dire
qualcosa, cercando di seguirlo: “Questo significa che la
nuova A sta continuando quello che
Albert non
ha potuto fare? Cioè smascherarci con questi
video?”
Eric
intervenne: “Aspettate, questo
vuol dire che Albert e A si sono
incontrati durante quella giornata?”
“Magari,
poco prima che lo
investissimo con la macchina.” aggiunse Nathaniel.
Sam
non aveva più dubbi: “Ma certo,
ecco perché Albert girava per Rosewood a
quell’ora. Si è incontrato con
A!”
“Albert
arrivava da destra, vero? –
chiese Rider, cercando di fare mente locale
- Quando è sputanto in mezzo alla strada,
dico.”
“Sì,
arrivava da destra!” confermò
Eric con certezza.
“Che
c’era nell’altra corsia? –
domandò, invece, Nathaniel - Quella da dove proveniva
Albert.”
“Negozi,
supermercati…perché?” si
incuriosì, Sam.
Rider
ci arrivò, prima che
rispondesse: “Telecamere!”
Eric
fece un pensiero: “Dite che A era
parcheggiato davanti al Wall mart, il
supermercato?”
“Per
forza! – esclamò, Rider – Il video
che A ci ha fatto, l’ha
fatto
dall’interno della sua auto e data l’inquadratura,
sembrava proprio che lo
stesse girando dalle parti del Wall mart!
Era in direzione.”
Sam,
a quel punto, intervenne con un
cinico sarcasmo: “E quindi? Cosa dovremmo fare, sfondare le
vetrate del Wall mart con un bidone della
spazzatura ed entrare a
rubare i filmati della sorveglianza?”
Rider
lo guardò con disappunto: “Sai,
Sam, mi deludi molto. Dico, hai mai visto il film Qui
dove batte il cuore?”
Sam
non solo l’aveva visto, ma intuì
cosa frullava nella sua mente: “Certo che l’ho
visto e ti rispondo
assolutamente NO, Rider!”
Nathaniel,
confuso quanto Eric,
spostava lo sguardo tra i due: “Che sta succedendo? Io non ho
visto quel film,
che ha capito Sam?”
Quest’ultimo
si voltò verso di lui,
spiegandoglielo: “Parla di una donna incinta che viene
abbandonata dal ragazzo
e che, senza un soldo, decide di nascondersi all’interno di
un supermercato. Ci
ha anche partorito lì dentro!”
Eric
e Nathaniel fecero una faccia
disgustata.
“Quindi
quello che sta suggerendo
Rider è di metterci un pancione finto e nasconderci nei
bagni del Wall mart,
finchè non chiude?” commentò
Eric.
“Ragazzi,
stiamo parlando di un
filmato che mostra l’auto di A
con
tanto di targa! A Sam basterà entrare nel database della
polizia, dal computer
di suo padre, per risalire a chi appartiene.”
cercò di convincerli, Rider,
intento a seguire proprio quel piano.
“Assolutamente no,
Rider! - si oppose, Sam –
Non lo pensare nemmeno! Che faccio, mi metto alla scrivania di mio
padre,
scontrando la mia tazza di caffè con quella del collega di
fianco?”
“Questo,
se non veniamo arrestati
prima, per esserci accampati dentro al supermercato!”
continuò Eric, ironico.
“Spiritoso,
Mister Tutina!” Nathaniel
notò il suo insolito look.
Rider,
invece, si infuriò: “Ma allora
come diavolo facciamo a scoprire chi è questo mostro? Me lo
dite?”
“Troveremo
un altro modo, ma non
questo!” ribadì, Sam.
Nathaniel
fu d’accordo: “Già, Rider,
troveremo un altro modo. Fare quello che dici tu è
oltrepassare il limite
consentito. Ragioni come se non esistesse un sistema
giudiziario.”
A
quel punto, Rider si arrese, ma non
si risparmiò: “Bene, ma non vi lamentate quando A se la prenderà con voi. E
non intendo un messaggino minaccioso!”
Improvvisamente,
l’altoparlante della
scuola, fece una comunicazione.
“Sam
Havery, Eric Longo, Rider Stuart e Nathaniel Blake sono pregati di
recarsi in presidenza...”
I
quattro alzarono la testa, in
direzione della voce.
“Che
altro c’è, adesso?” domandò
Eric, guardandosi con gli altri, scocciato.
E
quelli iniziarono ad avviarsi verso
la porta, cercando di non farsi attendere molto.
“Non
lo so, ma spero che i corridoi
siano deserti. – sospirò, Sam, nervoso - Non
riuscirei ad affrontare nuovamente
lo sguardo di tutti!”
E
si guardarono tra loro un’ultima
volta, prima di lasciare l’aula.
*
Seduti
in presidenza, davanti alla
scrivania del preside Ackett, i quattro erano in attesa di ascoltare
quale
fosse il motivo della loro convocazione. Egli li osservava con volto
serio, quasi
indispettito.
Quella
tensione, costrinse Nathaniel
a prendere parola: “Perché siamo qui, Preside
Ackett? Che succede?”
“Che
succede? Davvero, signor Blake? – rispose Ackett,
basito – Pensa che io sia
una sorta di totem che non vede, non sente e non parla?”
Il
ragazzo, allora, abbassò lo
sguardo, deglutendo: “No, non l’ho mai
pensato!”
“Bene,
signor Blake. Anzi, no, non va
bene per niente… - fissò tutti, per poi sbattere
le mani sulla scrivania,
furente, facendoli sobbalzare – Come avete osato saltare una
lezione intera per
girare un video così abominevole? Eh? Avete idea di cosa
avete fatto?”
Non
ebbero il coraggio di rispondere,
mantenendo lo sguardo con lui a tratti.
“Siete
la parte oscura di questa
scuola e sarete sospesi per due settimane intere. – quelli
sgranarono, mentre
continuava – E in più, quando ritornerete,
resterete qui anche di pomeriggio
per delle attività extra!”
“COSA?”
sussultarono.
“Pensavate
che i genitori non
sarebbero venuti a sapere di quel video a dir poco schifoso? Molti
studenti non
sono venuti a scuola, perché gli avete umiliati; quando
quelli che dovrebbero
vergognarsi siete voi!”
“Come
faccio con il nuoto, Signor
Ackett? La prego!” per Nathaniel era impensabile rinunciare
al nuoto.
“Non
è nella posizione, signor Blake.
Taccia!” replicò Ackett, severo.
Anche
Rider si mostrò contrario:
“Io-io sono uno studente modello, vado bene in tutte le
materie e…insomma…Ha
idea di quanto questo influirà sul mio curriculum
scolastico?”
Ackett
si voltò verso di lui:
“Infatti è lei quello che mi stupisce di
più, signor Stuart. Dovrebbe essere in
grado di distinguere le scelte giuste da quelle
stupide…Come, ad esempio,
seguire la scia del vostro Anthony Dimitri. Che Dio lo abbia in
gloria!”
Fu
Sam a scattare, ora: “Oh, ma per
favore, ci risparmi le sue frasette di compassione. Non gliene frega
niente di
Anthony Dimitri, come a tutti, del resto.”
“Giravate
per i corridoi con il
diavolo, signor Havery… - lo fissò a lungo,
disarmandolo - E questo che voleva
sentirmi dire?”
Eric
si alzò, concludendo con una
frecciatina: “Peccato che il diavolo era molto più
autoritario del padrone di
casa!” che lasciò il segno, mentre, con i suoi
amici, si dirigeva verso
la porta.
“Non
fatevi vedere all’interno di
questo edificio per due settimane. Intesi?” si fece sentire
Ackett, ancora.
Fuori
dalla presidenza, chiusa la
porta alle loro spalle, i quattro si fermarono lì davanti.
Alcuni studenti,
lungo quel corridoio, li fissavano con la coda dell’occhio,
fingendo di non
farlo. A Nathaniel non gli andò giù, impuntandosi
su uno di loro, che stava
bevendo dalla fontanella.
“Se
non giri quella testa, giuro che
ti faccio bere un pugno!” lo minacciò, alterato,
mentre quello scappava via.
Sam
gli mise una mano sulla spalla:
“Calmati, Nat!”
Quello,
gettò via il suo braccio, aggressivo:
“La smetti di toccarmi sempre?”
Tutti
lo fissarono; Sam più degli
altri due, non aspettandosi quella reazione, che lo devastò
dentro.
Deglutì,
prima di calmarsi un attimo:
“Sentite, io me ne vado. – disse loro, Nathaniel -
Tanto che ci rimango a fare
qui!” e se ne andò per conto proprio.
Gli
altri tre rimasero ancora lì,
increduli di quanto accaduto.
“Due
settimane…” Rider era a dir poco
senza parole, mentre ci pensava ancora, lo sguardo perso nel vuoto.
A
Sam, intanto, gli si erano gonfiati
gli occhi di lacrime, ma cercò di non darlo a vedere:
“Ehm, me ne vado anche
io. Ci sentiamo, ok?” e percorse il corridoio opposto a
quello di Nathaniel,
seguito dallo sguardo degli altri due.
“Sbaglio
o Sam stava per piangere?”
se ne accorse Eric.
L’altro,
però, era distratto dai suoi
pensieri: “Ehm, non lo so, non ci ho fatto caso, ma sto
piangendo anche io!
Dovrebbe essere una reazione più che ovvia con tutto quello
che ci sta
accadendo.”
Eric
storse le sopracciglia: “E dove
sarebbero le lacrime?”
“Sto
piangendo dentro di me, ok? A ci
ha fatto sospendere, - presero a
camminare – in più sembra che, improvvisamente,
tutti si siano risvegliati dal coma in cui si trovavano.
Prima Violet e ora
il preside Ackett, che non hanno mai detto una parola durante
l’età Anthonyana,
mentre adesso sembrano avere una testa pensante.”
“Quindi
che si fa, adesso? Dobbiamo
tornare a casa?”
L’altro
gli lanciò una lunga occhiata
di ovvietà: “Non abbiamo altra scelta, Eric. Qui
non siamo al college, dove
anche i barboni possono infiltrarsi ad una lezione senza essere
notati.”
“Mi
dai un passaggio?” gli chiese, il
volto bisognoso.
Rider
stranì: “Ma dov’è la tua
auto?”
“Ehm,
si è rotto un cerchione,
ultimamente, e ho dovuto portarla in officina a farla
aggiustare.” inventò,
convincente.
Rider
non aggiunse altro e insieme
raggiunsero l’ingresso.
*
Qualche
corridoio più avanti, Sam
stava raggiungendo il suo armadietto, prima di lasciare anche lui la
scuola.
Mentre girava l’angolo, si scontrò con Chloe.
“Oh,
eccoti!” esclamò lei, riprendendosi
dal colpo.
“Scusa,
Chloe, ma me ne sto andando!”
e continuò a camminare, gli occhi rossi.
Quella
rimase impalata per qualche
secondo, prima di corrergli dietro: “Uo, uo, come sarebbe che
te ne stai
andando? – era a paripasso con lui, ora, ma con
difficoltà manteneva il suo
stesso ritmo – Il preside Ackett vi ha convocati,
cos’è successo?”
“Ci
ha sospesi, ok? – manteva lo
sguardo fisso davanti a sé, provato – Non ne
voglio parlare!”
L’altra,
però, fu insistente: “Ok, ma
per il video? A proposito, spiegazioni? Perché non me ne hai
mai parlato?
Pensavo ci dicessimo tutto, noi.”
Sam,
allora, si fermò, diretto e
coinciso: “CHLOE! – urlò, esasperato -
Ho detto che non ne voglio parlare, ok?
Voglio solo andarmene da questo schifo di posto!”
E
continuò a camminare, lasciandola
da sola, ferma nel corridoio, gli occhi sbarrati per il trattamento che
non si
aspettava.
“Almeno
mi accompagni alla Hollis
oggi pomeriggio? – quello non si voltò –
Sam?” e restò fissa lì a guardarlo
scomparire, alla fine di quel corridoio.
“Non
ha nemmeno notato come mi sta il
nuovo look di capelli…” dissè fra
sé e sé, sconsolata.
*
Nathaniel
rientrò a casa, gettando la
sua tracolla vicino alla rampa di scale che portava al piano superiore,
sbuffando. Ancora nervoso per la storia della sospensione, si diresse
in
cucina, verso il frigorifero, abbastanza scocciato. Nel tragitto,
ignorò le due
donne all’interno della stanza: una che era seduta, con della
plastica intorno
al collo e i capelli bagnati e l’altra, in piedi, con in mano
delle forbici,
alle sue spalle. Entrambe lo seguirono con lo sguardo: erano,
rispettivamente,
sua madre e sua zia.
“Ecco
il mio teppistello preferito!”
esclamò quella seduta, sua zia, ricevendo una sgridata
dall’altra, allibita.
“Courtney!
– dopo alzò lo sguardo su
Nathaniel, che stava bevendo un sorso d’acqua –
Nathaniel, ha chiamato la
scuola e ha detto che sei stato sospeso. E’ vero o me lo sono
immaginato?”
“Non
te lo sei immaginato, sorellona.
C’ero anch’io! – si rivolse al nipote,
poi, roteando il dito attorno alla
tempia – E’ pazza!”
“Ti
ho sentita!” esclamò l’altra,
irritata.
“E’
quello che volevo!” sorrise a
Nathaniel, dispettosa ; del resto, era la sorella minore,
più giovane, uno
spirito libero.
Nathaniel
chiuse la porta del frigo,
fermandosi a spiegare, oppresso: “Sono stato sospeso,
sì! Possiamo evitare la
ramanzina? Mi sento già abbastanza in colpa!”
“Bene!
– si arrabbiò, sua madre -
Gradirei che andassi a sentirti in colpa nella tua camera, adesso. Sono
molto
delusa e preoccupata. Il preside Ackett mi ha parlato di quel video, in
cui
insultate altri studenti, e io non riuscivo a crederci. – si
corresse – Anzi,
no, ci ho creduto, perché, in fondo, sapevo che
quell’Anthony era una cattiva
influenza e mi terrorizza sapere che frequenti ancora quegli altri tre!
Che
fine hanno fatto i tuoi amici della squadra di nuoto? –
cercò di ricordare
qualche nome – Quel Martin, ad esempio: un caro, carissimo
ragazzo e anche
molto educato.”
“Il
tipo biondino, dici? – Courtney
girò la testa verso di lei, straparlando - Quello che una
volta ho beccato sul
portico a farsi una canna?”
“COSA?”
sgranò gli occhi, l’altra.
Courtney non aggiunse altro, voltandosi di nuovo verso il nipote, che
le lanciò
un’occhiataccia.
Nathaniel,
poi, cercò di sorvolare:
“Mamma, loro non sono come Anthony, ok? Era solo lui la
cattiva influenza!”
Quella,
riprese a tagliare i capelli
alla sorella, più calma: “Beh, adesso vai in
camera tua… - riflettè ancora
sull’accaduto - DUE SETTIMANE! – urlò,
indignata – DUE! – impigliò le forbici
tra i capelli della sorella, facendole emettere un gridolino - Ma ci
rendiamo
conto?”
“Puoi
rendertene conto senza
strapparmi i capelli? – reagì infastidita -
Rilassati, Claire, non hanno mica
bruciato uno studentello sul rogo. Sono le solite cose da liceali!
– indicò il
ragazzo, scrutandolo da capo a piedi, giustificandolo - Insomma, hai
visto il
fisico di Nathaniel, no? Non ha altra scelta che essere un bullo.
E’
predisposto il ragazzo!”
“Zia
Courtney! Non sono un bullo!”
enfatizzò, Nathaniel, in disaccordo con le parole di sua zia.
“Già,
non lo è! Chiudi quella bocca!”
la riprese ancora, Claire.
Nathaniel,
a quel punto, si guardò
attorno, mentre quelle si lanciavano sguardi fulminei: “Hai
finito di fare la
parrucchiera abusiva? – tutte le sue cose in giro - C’è
parecchia confusione, qui.”
La
madre tornò a dargli retta:
“Finchè non ristruttureranno il mio salone, la
cucina sarà il mio nuovo posto
di lavoro per clienti che ne hanno bisogno. Immagina cosa accadrebbe se
i
lavori dovessero durare più di tre settimane. Le mie clienti
conoscerebbero
nuovi saloni, nuove parrucchiere che vogliono arruffianarsele e io
sarei
fregata!”
Courtney
intervenì: “Ecco perché ho
consigliato a tua madre di trasferire il suo salone a casa. Vedi?
– ammiccò -
Sono ancora una sua cliente!”
“Come
vi pare! – esclamò,
disinteressato - E papà?”
“E’
ancora al ristorante!” replicò
sua madre.
L’altro
se ne meravigliò, perplesso:
“Pensavo che dopo aver assunto quel Jamie, avrebbe avuto
più tempo per
riposarsi.”
“Mmm
quel Jamie… – fantasticò
Courtney, eccitata – Sono passata al ristorante,
l’altro giorno, e quasi
chiedevo a George di assumermi.”
Claire
la punzecchiò, sarcastica: “Ma
tu non sai fare né la cameriera, né la cuoca,
cara!”
“Come
se non sapessi tenere in mano
due piatti!” ribattè l’altra, sicura di
sé.
“Sì,
ma c’è Jamie al ristorante, no?
– si preoccupò della faccenda, Nathaniel
– L’abbiamo assunto come assistente
manager, affinchè Papà non vivesse dentro a quel
ristortorante 24 ore su 24!”
“Tesoro,
- sua madre si fermò nel
tagliare i capelli di sua sorella, nuovamente – Tuo padre sta
meglio, dopo
l’incidente. Ormai sono passati due mesi, si è
quasi ripreso del tutto. Jamie
sta facendo il suo lavoro, lui è lì solo per
controllarlo, nessuno sforzo.”
Courtney,
più attenta, notò che
qualcosa non andava nel ragazzo: “Nathaniel, stai bene?
Perché sei così
preoccupato? Non fai altro che scattare su ogni minima cosa.”
E
quello abbassò lo sguardo, cercando
di fingere che non abbia nulla di particolare: “Ehm, stress!
Immagino sia
quello. La morte di Anthony, il video, la sospensione…Solo
stress! – si
allontanò dal frigorifero – Credo che
andrò a riposarmi, adesso.”
E
sua madre annuì, seguendolo con lo
sguardo, assieme a Courtney.
Quest’ultima,
però, era assai
sospettosa: “Sento che c’è qualcosa di
più!”
L’altra
riflettè a lungo: “Droga?”
Courtney
le lanciò una lunga
occhiata, basita: “Da quando in qua la droga provoca
stress?”
“E
che diavolo ne so, - sbottò,
l’altra - non sono mai stata una drogata, tiravo solo ad
indovinare!”
La
sorella si limitò a scuotere la
testa, trovandola stupida, senza replicare, mentre si lasciava
finalmente
completare il taglio.
*
Nel
pomeriggio, in seguito ad un
messaggio ricevuto da Chloe, Sam era parcheggiato davanti casa sua,
aspettandola con il motore acceso.
Finalmente
uscì, raggiungendolo.
“Sei
la mia ancora di salvezza!”
esordì, aprendo la portiera.
“Dove
devi andare di così urgente?”
“Ho
un corso alla Hollis di montaggio
video e mio zio non mi ha potuto accompagnare.
E’ andato fuori città per comprare
alcuni pezzi di ricambio per la sua
stupida auto d’epoca. Fortuna che non sei
impegnato!”
L’altro
le lanciò un’occhiataccia:
“L’hai dato per scontato, perché sono
stato sospeso?”
“No!
– ribattè lei con tutt’altra
spiegazione - L’ho
dato per scontato,
perché sei gay. E i gay sono sempre disponibili verso le
loro migliori amiche
non-gay.”
“Sarebbe
un commento omofobo,
questo?” non capì Sam, mentre guidava.
“No,
per niente. – gli sorrise,
scherzosa - Sono la tua Rachel Berry, non potrei mai farti un commento
omofobo!”
Quello
accennò un sorriso, tornando
alla guida: “Sì, ma ne abbiamo già
parlato, io non sono il tuo Kurt. Siamo
completamente diversi, i suoi outfit sono gayosamente gay,
ma… - la fissò, più
calmo rispetto all’ultimo incontro avuto con lei - Un
commento alla Kurt lo
posso fare, cioè che stai benissimo con il nuovo
taglio!”
L’altra
ne fu gioiosa: “Oh, grazie… -
poi rise a crepapelle – e poi, quello su Kurt, era un
commento omofobo.
Parecchio omofobo!”
“Non
è un commento omofobo se fatto
da un altro gay!” si giustificò Sam, ironico.
Improvvisamente,
il suo telefono
vibrò, sopra la plancia dell’auto.
Chloe
lo prese subito: “Leggo io!”
Sam
cercò di riprenderselo, spostando
lo sguardo tra lei e la strada: “Ehi, forza,
ridammelo!”
Quella
si scansò, lanciandogli un’occhiata
perplessa: “Che ti prende? Leggo sempre i tuoi
messaggi!” e quello zittì, teso,
mentre l’amica leggeva.
Il
volto di Chloe, da divertito,
divenne serio.
“Ehm…
- gli mostrò il messaggio,
curiosa di un particolare notato – Chi è A?”
“Notiziario
locale: ore 17.00; non perdertelo!”
-A
Dopo
averlo letto, il volto
improvvisamente pallido, Sam tolse il telefono dalle sue mani,
bruscamente:
“Ehm, nessuno, un ragazzo che ho conosciuto su gagagaYO,
si chiama Aaron ed è fissato con i notiziari, -
inventò,
la risata isterica - non se ne perde uno!”
“Ah,
sì? – non sembrò molto convinta
– Come mai non mi hai parlato di lui?”
“Oh,
avanti, non possiamo raccontarci
sempre tutto. – sorrise istericamente – Mi
sarà sfuggito!”
Quella
scosse la testa, offesa: “No,
non è vero, a noi non sfugge mai nulla. Abbiamo organizzato
il funerale di Dora
l’esploratrice, comprando una bambola che le somigliasse,
ricordandoci
perfettamente quali erano i colori dei suoi vestiti orrendi!”
“Senti,
non mi piaceva e non gli
rispondo nemmeno più, a quei messaggi. Non mi è
sembrata una cosa rilevate, ok?
Chloe,
allora, annuì: “Capito…Poi mi
mostri una sua foto, magari ti costringo a ripescarlo!”
“Impresa
ardua, ha una personalità
abbastanza fuori dal comune!” accennò un sorriso,
tornando a guardare la
strada, silenzioso.
Chloe,
lo guardò con la coda
dell’occhio, sospettosa. Non convinta fino in fondo.
*
Eric
stava scendendo dal suo
appartamento, in mano dei soldi. Si stava dirigendo al bancone della
caffetteria, fermandosi poco prima. Davanti ad esso, in piedi,
c’era Lisa
Nelson alias Treccioline, che
prendeva la sua ordinazione da Alexis.
A
quel punto, il ragazzo prese fiato
e si fece coraggio, facendosi avanti.
“Lisa!”
la chiamò, facendola voltare.
Quella
lo squadrò, spiazzata, senza
dire una parola.
“Ehm…
– pensò che era suo dovere
rompere il ghiaccio – E’ stata una fortuna
incontrarti qui, ti cercavo!”
“Ah,
sì? – divenne nervosa,
arrossendo – E come mai?”
Osservato
da Alexis, che fingeva di
pulire il bancone per ascoltarli, quello si espresse, mortificato:
“Volevo
chiederti scusa per il video che abbiamo girato con Anthony. Sono
davvero,
profondamente, dispiaciuto, Lisa. Ti ho umiliata e non volevo
farlo…”
La
ragazza sembrò non essere
arrabbiata, ma soggetta a lui, timida: “Ehm, no, non ti
preoccupare. – accennò
un sorriso – Sto bene e poi hai ragione: -
ridacchiò, stupida – Chi mai
troverebbe attraente una ragazza che viene a scuola conciata come Pippi calzelunghe, no? –
tornò più seria
– Ma questa sono io e non ti darò più
fastidio…” e si voltò per andarsene.
Eric
la fermò per il braccio: “No,
Lisa, aspetta! – la fissò negli occhi, sincero e
premuroso – Non
sottovalutarti, non ascoltare quello che gli altri dicono di te. Ma
soprattutto, – le sorrise – non ascoltare le parole
dello stupido ragazzo che
ti è di fronte!”
Quella,
imbarazzata, tentennò con lo
sguardo, mentre un applauso si fece sentire alle sue spalle.
“Ma
che discorso strappalacrime,
Eric. – si complimentò Violet, cinica, quando si
voltarono a guardarla – Vedo
che hai una testa pensante, caro il mio Dottor Octopus, ora che le
braccia
meccaniche che ti manipolavano sono state amputate. – sorrise
- Quanto ti senti
leggero, ora, senza Anthony addosso?”
Eric
mantenne un atteggiamento
distaccato: “Che vuoi dire, scusa?”
Ancora
più cinica, quella replicò:
“Oh, andiamo, immagino la sensazione di smarrimento che
starete provando tu e i
tuoi amichetti. Ora vi odiano tutti, Anthony non
c’è più e l’unica cosa che
potete fare per recuperare è chiede scusa: mossa al quanto
disperata!”
“Non
è una mossa disperata, - si
difese, Eric – sto chiedendo scusa, perché
è giusto così!”
“Ma
certo! E la poverina, ingenua, ti
ha anche perdonato. – citata, Lisa abbassò lo
sguardo – Ma a scuola non tutti
hanno il perdono facile, mio caro. E lo vedrai con i tuoi stessi
occhi.”
Intervenne
Alexis, a quel punto: “E’
una minaccia, forse?”
Violet
si limitò a lanciarle una
lunga occhiata, perplessa dal suo intervento: “E tu che vuoi?
Non ti conosco
nemmeno!”
“Beh,
Eric è mio amico e se le ha
chiesto scusa, le ha scusa davvero, ok?”
“Immagino
tu non abbia visto il video
uscito sulla pagina della Rosewood high school. Al prossimo
caffè, verificherò
se sarai ancora della stessa opinione…”
“L’ho
visto, invece! – la spiazzò -
Non cambia niente, tutti meritano una seconda possibilità.
Le nostre cattive
azioni non dipendono sempre da noi, cara!”
Violet,
però, non si fece intimidire:
“Non sei molto perspicace, torna a sfornare Muffin, che a
giudicare dall’odore
che si sente nell’aria, stanno bruciando!”
Alexis,
annusando l’aria, si accorse
che aveva ragione, correndo sul retro, sentendosi patetica.
Un
sorriso compiaciuto, si dipinse
sul volto di Violet, che tornò a poggiare lo sguardo su
Eric: “Il perdono è una
lunga e tortuosa strada, Eric. Se vuoi davvero farti perdonare di
qualcosa,
pensaci prima di intraprenderla. Non sarà facile, - gli fece
un’occhiolino - ma
domani è un nuovo giorno, no?” e si
avvicinò all’ingresso, mantenendo un
sorriso che celava molto di più.
Prese
Lisa a braccetto, poi, non
badando più a lui.
Quello,
sorpreso, le fermò: “Ma siete
amiche, adesso?”
Violet
si voltò ancora una volta:
“Sì, adesso si. Non saranno più
commessi gli stessi errori che sono stati fatti
con Albert. La nostra scuola sarà molto più
unita, d’ora in poi. – fece una
pausa, enigmatica – E comunque, io e Lisa ci siamo date
appuntamento qui, non
ci siamo incontrate per caso!” e amiccò, poco
prima di andarsene con lei.
Eric
non potè aggiungere altro,
indispettito, ma, soprattutto, sospettoso.
Alexis,
intanto, tornò con la teglia
dei muffin, notando che le due ragazze erano sparite.
“Ehi,
se ne sono andate?”
L’altro,
nonostante pensieroso, le
rispose: “Ehm, sì, proprio adesso.”
“E’
davvero una stronza, quella! –
esclamò, sistemando i muffin sul vassoio – Si
può sapere perché ce l’ha con te?
E’ una di quelli che avete insultato nel video? Non sembra
una sfigata!”
Eric,
nel raccontare, si vergognò:
“No, suo fratello. E’ Albino e, quindi, ci abbiamo
scherzato sopra!”
Alexis
ebbe una curiosità, a quel
punto: “Ma…l’Anthony di cui parlava
quella ragazza è lo stesso Anthony uscito
sui giornali? Quello bruciato vivo insieme al padre?”
“Sì,
proprio lui. – annuì,
raccontando – Era mio amico e non era proprio un buon
soggetto. Ha lasciato me
e miei amici in un mare di guai. – uno sguardo sofferente -
Hai presente quando
passa un tornando e tu ti fermi a raccogliere le macerie, poco dopo?
Beh,
quelle macerie sembrano non finire mai.”
Quella,
fissandolo negli occhi, ebbe
un nodo alla gola: “Ehm, sì, ho presente. Tutti
abbiamo avuto macerie da
raccogliere nella nostra vita, ma sono sicura che tutto si
sistemerà. – cercò
di consolarlo con un sorriso - Insomma, nulla è per sempre,
no?”
“Peccato
che tutto questo stia
duranto talmente tanto da sembrarlo…”
“E’
solo una cosa tra adolescenti,
Eric. – pensò, lei - Il liceo finirà
prima o poi!”
Lui
accennò un sorriso, fingendo di
condividere il suo pensiero: “Già, lo spero tanto!
– si distanziò dal bancone –
Beh, io devo andare. Mi ha fatto piacere parlare con te, anche se
inizio ad
avere la sensazione che tu sia molto più grande di
me!”
“Cosa?
– sgranò gli occhi, fingendosi
sconvolta, ridendo – Non esageriamo, vado al college, secondo
anno!”
“Hollis,
vero?” aggiunse, mentre si
allontanava.
“Perspicace!”
ribattè, sarcastica.
“Ci
si vede, allora!” le fece un
cenno con la mano, uscendo.
Lei
rimase a fissarlo attraversare la
strada, come attratta, fra le nuvole, tornando al suo lavoro, subito
dopo.
*
Sam,
tornato dalla Hollis, dopo aver
accompagnato Chloe, parcheggiò davanti a casa sua, trovando
i suoi amici vicino
alla porta. Dopo aver chiuso l’auto, si avvicinò
loro.
“Nathaniel?”
domandò, non vedendolo.
Fu
Eric a rispondere: “Hai mandato a
tutti l’SOS?”
Quello
annuì, mentre Rider sembrava
su di giri.
“Ok,
possiamo smettere di parlare di
Nathaniel? – si rivolse a Sam – Eric ha incontrato
Violet al Brew ed è stata a
dir poco inquietante!”
L’amico
fece una smorfia con il viso,
smentendolo: “Non ho detto che è stata
inquietante, Rider. E’ stata solo un pò
stronza!”
“Stronza,
inquietante, chi se ne
importa: Violet è A!”
fu irruento,
Rider.
“Uo
uo, frena, mi sono un pò perso! –
esclamò Sam, confuso – Quando siamo arrivati a
questa conclusione?
“Mai!
– Eric lanciò un’occhiata a
Rider - Non ho mai
detto che Violet è A!”
“Sì,
ma da quello che mi hai
raccontato… - Rider cercò di costruire la teoria
– Insomma, ci sono state delle
parole chiave, no? Come:
Non
sarà
facile, ma domani è un nuovo giorno!
Questo
mi puzza di messaggio mandato da A,
questa mattina!”
Sam
intervenne, perplesso: “E
dovremmo pensare che Violet è A,
solo perché ha azzeccato qualche parola usata da A? E poi, secondo me, A
è
un uomo o un ragazzo…In ogni caso, di sesso
maschile!”
Rider
tentennò, confuso: “E’ una cosa
gay, questa? Hai il radar gay alla A?”
“Ma
no! – sussultò - Dico solo che
tutte le azioni compiute da A, fino
ad ora, non sono cose che riuscirebbe a fare una donna.”
“Beh,
anche le donne posso compiere
un omicidio!” pensò, Eric.
“Si,
ma tutto il resto? – pensò Sam,
convinto - Una donna non può aver scambiato due corpi
all’obitorio, da sola,
per poi trascinare via Albert fino al suo covo segreto!”
Rider,
vedendo uno dei vicini di Sam,
dall’altro lato della strada, che annafiava le piante,
suggerì di fermare la
conversazione: “Forse è meglio se
entriamo!”
Quelli
seguirono il suo sguardo, notando
la presenza dell’uomo, dall’altra parte.
Sam
si stoppò e aprì la porta.
“Che
ore sono?” chiese, mentre
raggiungevano la cucina.
Rider
controllò il suo orologio da
polso: “Quasi le 17.00!”
“Bene,
A ha detto che non dobbiamo perderci
il notiziario…”
Si
sedetterò, mentre Sam tirava fuori
qualcosa dal frigo: una torta.
“Ne
volete un pezzo?”
Eric
annuì: “Sì, perché no. Tanto
ci
odiano tutti!”
Sam
mise il piatto anche a Rider,
mentre quello continuava a parlare.
“Ti
ho già detto, Sam, che Violet è
andata via a braccetto con Treccioline?”
“Lisa
Nelson, Rider!” lo richiamò,
Eric, trovandolo irrispettoso.
“Sì,
lei. – scosse la testa, Rider,
disinteressato, continuando – Il punto è che
Violet potrebbe essere la mente,
Lisa il suo braccio destro e suo fratello, Colton,
il braccio sinistro. Insieme formano
l’inquietantissima A che
ci sta
perseguitando. Il movente ce l’hanno, no?”
Sam
rabbrividì: “Se la metti così
è
decisamente inquietante. – si rivolse ad Eric – Tu
riesci a vedere Violet, Lisa
e Colton dietro ad A?”
Ci
riflettè un pò, prima di
rispondere: “Colton inquieta anche me, ma non
perché è Albino…Non so, è
sempre
cupo, sulle sue, poi distribuisce il cibo alla mensa con quella
cuffietta
bianca in testa e ti fissa fin dentro il cranio… -
ingoiò, finalmente, il pezzo
di torta che stava masticando – Comunque, buona la
torta!”
Sam
sorrise: “Grazie…Dopo la
fotografia, la cucina è la mia seconda passione!”
“Da
piccolo ho partecipato ad alcune
gare di canto ed ero anche molto bravo… -
fantasticò, fissando il soffitto –
Forse dovrei riprendere, ero proprio bravo, sul serio!”
“Una
volta hai detto che il tuo sogno
nel cassetto era quello di fare il modello!” Sam
continuò la chiacchierata,
mentre Rider spostava lo sguardo fra i due, allibito.
“Seriamente?
– sbottò, battendo le
mani sul tavolo – Siamo stalkerati da chissà chi e
voi pensate ai vostri sogni
nel cassetto? Ragazzi, riprendetevi!”
Quelli
abbassarono lo sguardo,
cadendo dalle nuvole.
Subito
dopo, Eric notò che il notiziario
era cominciato, la televisione era accesa.
“Ehi,
prendi il telecomando, – disse
a Sam – alza il volume!”
E
l’altro eseguì, mentre si voltavano
per vedere e ascoltare attentamente.
“La
polizia di Rosewood è attualmente impegnata nelle ricerche
di Jasper
Laughlin, nel caso Dimitri. Secondo alcune dichiarazioni fatte dai
famigliari
delle vittime, in concomitanza con vari dettagli colti sulla scena del
crimine,
l’uomo è sospettato di omicidio e la sua
improvvisa scomparsa da Rosewood ha
fortificato le basi della sua colpevolezza. Per chiunque stesse
seguendo questo
notiziario, state in allerta, c’è un assassino a
piede libero. Ripeto, c’è…”
Sam
spense la televisione,
guardandosi con i due amici, spaesato.
Fu
Eric, però, ad aprire la
conversazione: “Ok, prima di capire ciò che
diavolo sta succedendo in questa
dannata città, qualcuno di voi ha idea di chi sia questo
Jasper Laughlin e di
come sia collegato alla famiglia Dimitri?”
Quelli
scossero la testa, entrambi.
“Un
fratello di Anthony di cui non
sapevamo nulla? O un cugino?” fu il turno di Sam, di iniziare
con le ipotesi.
“Un
fratello? – gli lanciò una lunga
occhiata, Rider – Il suo cognome è Laughlin, non
Dimitri. Non hai sentito?
“Esistono
le adozione!” ribattè,
l’altro.
Eric,
però, aggiunse: “Sì, ma avete
visto la foto sul notiziario, no? Avrà almeno una trentina
di anni o più!”
“Se
la Signora Dimitri ha indicato
lui alla polizia, nelle dichiarazioni che ha fatto, -
continuò, Sam – significa
che quest’uomo non è estraneo alla
famiglia.”
“Questo
è vero… - fu d’accordo, Eric,
per poi riflettere sulla cosa – Quindi dobbiamo supporre che
la Signora Dimitri
abbia incastrato questo Jasper?”
“Forse
è minacciata da A anche
lei!” pensò, Sam.
“O
forse A è
lei!” ribattè, Rider, invece, inquietando i due.
Sam,
però, vacillò, perplesso:
“Perché la Signora Dimitri avrebbe dovuto uccidere
suo figlio per poi torturare
noi, se è A? Non ha
senso!”
“Cosa
sappiamo del divorzio dei
genitori di Anthony?” Eric
volle
soffermarsi su questo punto.
Rider
ci pensò: “Ehm, sappiamo quello
che Anthony ci ha detto, cioè che sua madre ha tradito suo
padre e quindi si
sono lasciati. Tutto qui. Passammo, poi, a parlare di una ragazza che
aveva un
sedere grosso come quello di Nicki Minaj.”
Eric
era pronto a trarre conclusioni:
“Quindi nella lista A,
aggiungiamo
anche la Signora Dimitri, oltre a Violet, Lisa e Colton?”
“E
Clarke, il fratello di Anthony! –
intervenne, Sam - Lui è andato in centrale con la madre e
lei non può aver
raccontato quello che ha raccontato, senza che il figlio ne sapesse
nulla.
Forse sono complici!”
Rider
sbottò, angosciato dal non
sapere: “Dobbiamo assolutamente scoprire quello che la madre
di Anthony ha
detto in centrale. Questo Jasper è stato incastrato,
altrimenti non sarebbe
fuggito!” e fissò Sam, a lungo.
“Che
c’è? – si accorse del suo
sguardo insistente, poi intuì – NO! Non
andrò in centrale a fare la Signora in
giallo, scordatelo!”
Eric
era d’accordo con Rider, però:
“Sei l’unico aggiancio che abbiamo con la polizia,
Sam. – cercò di convincerlo
– Non sei curioso anche tu di sapere cosa
c’è dietro?”
“Già!
– continuò Rider – Quello che
ha dichiarato la Signora Dimitri, potrebbe portarci avanti su chi sia A e capire meglio come
comportarci.”
L’altro
sospirò, voltando la testa da
un’altra parte, combattuto. Improvvisamente, si
udì un colpo di tosse provenire
dal piano di sopra.
Eric
e Rider sobbalzarono,
voltandosi, osservando la rampa di scale, che si vedeva dalla cucina,
agghiacciati.
“Avete
sentito?” Rider guardò
entrambi gli amici, inquieto, alzandosi.
Anche
Eric si agitò: “Dite che è A?”
Sam,
invece, rimase calmo, anzi,
smentì i loro pensieri: “Non è A,
ragazzi. E’ mio padre!”
“Non
dovrebbe essere in centrale?”
Rider osservò l’orologio.
“Non
è andato a lavoro oggi, non si
sentiva bene. – spiegò - Influenza!”
“Lo
sa che sei stato sospeso?” gli
domandò Eric.
Sam
si avvicinò ad una pila di fogli,
accanto al frigorifero, prendendone uno e mostrandolo ai compagni:
“Non credo
che mio padre abbia risposto al telefono, visto che il preside Ackett
ha
mandato un fax!”
“Beato
te, - lo invidiò Rider, con un
espressione angosciata - io
ho paura a
tornare a casa!”
Eric
sospettò il perché: “Ah,
già,
oggi torna tuo padre da Siracuse. Aspetto con ansia l’uscita
del suo prossimo libro!”
“Dio,
- si mise le mani sulla faccia,
piagnucolando - mi farà una ramanzina lunga quanto una
lettura di 400 pagine!”
Anche
Sam si demoralizzò: “E io dovrò
fingere di andare a scuola, ogni mattina, finchè non
troverò il coraggio di
dire a mio padre che sono stato sospeso.”
“Non
riesco a stare tranquillo,
ragazzi. Riesco solo a pensare a quello che A
potrebbe farci ancora. – esternò, Eric - E’ entrato in
casa mia, dalla finestra!”
Tutti
e tre si sentivano allo stesso
modo, restando in silenzio per qualche secondo. L’istante
seguende, Rider ebbe
un’idea.
“Ehi,
che ne dite se andiamo alla mia
casa sul lago? – fissò entrambi, dubbiosi
– Insomma, solo per una notte, giusto
per staccare un po’ la spina da questa storia. Solo noi
quattro.”
Sam
fu il primo a dare una risposta,
più convinto: “Ok, perché no.
– guardò Eric – Tu che ne
dici?”
“Ehm,
- annuì - va bene…”
“Lo
dite voi a Nathaniel? – domandò
Rider – Io ho lasciato il mio telefono
nell’armadietto della scuola e
francamente sono contento di averlo lasciato lì
dentro!”
“Io
l’ho spento questa mattina, poco
dopo il messaggio di A. –
spiegò,
Sam - Non mi va tanto di accenderlo.”
“Beh,
io l’ho lasciato in macchina di
Rider ed è acceso…Gli scriverò
io.” si offrì, Eric.
“Ma…
- Sam, azzardò una domanda – Hai
ricevuto qualcos altro da stamattina?”
“No,
niente. Forse A si sta facendo un
pisolino!” pensò
Eric, ironico.
Rider
intervenne, più serio: “Oppure
sta lavorando alla prossima mossa!” riportando cupi, i volti
dei suoi
amici.
CONTINUA
NELLA SECONDA PARTE (DOMANI)
*
Rientrato a
casa, Rider si annunciò, scrutando dentro le varie stanze
della casa, man mano che camminava. Sembrava non esserci nessuno, ma
volle
ugualmente controllare meglio; anche sul retro, in veranda. Come
pensava, c’era
suo padre, davanti al pc, a scrivere.
“Papà!”
L’altro
si voltò appena, tornando a ciò che stava
facendo, preso dal
suo lavoro: “Oh, ciao Rider. Sei a casa.”
“Si,
ero da un amico…” rimase impalato.
“Ah,
capisco…” fu di poche parole, l’altro,
impegnato.
Rider,
però, continuò, cercando un dialogo
più esteso:
“Ehm…Com’è
andata la promozione del libro a Siracuse? Stai già
lavorando al sequel?”
“Bene,
bene, c’erano molte persone… - rispose in maniera
distaccata,
gli occhi fissi sullo schermo del computer – E sì,
sto lavorando già lavorando
ad un nuovo libro, ma non al sequel di quello appena
pubblicato.”
Rider
accennò un sorriso, curioso: “Ah, sì?
E’ di cosa parla?”
“Parla
di come il mondo vada a rovescio, - raccontò, una nota
cinica -
mentre tutti preferiscono pensare che non sia così. Vengono
apprezzati i falsi,
i traditori, ma non chi contribuisce a renderlo migliore… -
lo fissò, serio -
Persino gli assassini la fanno franca, mentre gli innocenti
soccombono.”
Rider sorrise a
malapena, cercando di deglutire, dopo la sua ultima frase:
“Capisco, bella trama… Di solito mi fai trovare
una copia del tuo nuovo libro.
– scrutò la tavola -
Dov’è?”
“Oh,
perdonami, devo essermene dimenticato. – fu freddo, nel
rispondere - Dovrebbe
essercene una
copia nel mio studio, secondo cassetto.”
Rider a quel
punto non potè più tacere, davanti ad un tale
comportamento: “Papà, perché mi tratti
così?”
Quello si
voltò, fingendosi perplesso: “Così,
come?”
“Come
non mi hai mai parlato in vita tua! Cioè così, in
maniera
distaccata e…delusa, deduco.”
E
l’altro, sospirando, si sentì leggermente in colpa
e decise di
spostare una sedia, togliendosi gli occhiali: “Figliolo,
siediti…”
“So
cosa vuoi dirmi!” esclamò l’altro,
accomodandosi.
“Non
tutto, Rider. – contestò, suo padre - Nessuno
può sapere tutto.
Come io non sapevo che mio figlio potesse realizzare un video tanto
orrendo;
come quello che ho dovuto guardare sulla pagina della tua scuola.
– era
indignato, ora - Non sai la delusione che ho provato, nel vedere che
mio figlio
era il bullo della situazione e che lo faceva con altri quattro
studenti, di
cui uno morto.
Con lo sguardo
basso, Rider cercò di giustificarsi: “E’
stato Anthony
a costringermi a farlo. Ha costretto tutti noi… -
cercò di trovare le parole -
Era-era implacabile e crudele.”
“E che
razza di persona è mai questa? E che razza di persona sei
TU,
per esserli stato amico?”
Devastato dalle
parole forti di suo padre, gli lacrimavano gli occhi:
“Io-io… - riprese fiato - Hai ragione, quando dici
che non si può sapere tutto.
Ma voglio che tu sappia che quella persona che hai visto nel filmato,
non ero
io. Quella persona non ero io. E solo che…in quel momento ho
dovuto essere così
e mi vergogno di essere stato così. E ti chiedo scusa per
avermi visto così.”
L’altro
tentò di essere comprensivo: “Sai, Rider? Nelle
mie storie,
alcuni personaggi sono costretti a fare certe cose, perché
qualcuno costringe
loro a farle. Ci sono molti modi in cui la gente tiene in pugno altra
gente, ma
nella realtà è ben diverso. Nelle storie, i
personaggi cedono al ricatto e commettono
degli errori, perché è l’autore a
scrivere che le cose debbano andare così.
Nella realtà, però, l’autore del tuo
personaggio sei tu e puoi decidere di non
errare e di non cedere alle manie di grandezza di nessuno…Ma
immagino che io ti
abbia fatto questo discorso un po’ troppo tardi.”
Rider
aveva ancora gli occhi lucidi: “Hai ragione, avrei dovuto
scrivere una storia migliore per il mio personaggio e forse non sarebbe
andata
a finire così. Mi dispiace tanto di averti
deluso…”
“Rider,
non permettere mai più a nessuno di toccare la tua pagina
bianca. – gli raccomandò - La penna è
tua, e non di chiunque te la chieda in
prestito.”
Suo
figlio, a quel punto, si alzò.
“Grazie
per aver parlato con me. Ne avevo bisogno. A proposito, ero
venuto qui per dirti che io e i miei amici passeremo la notte alla casa
sul
lago. Sai, vorremmo distrarci da tutto quello che è successo
ultimamente…”
“Certo,
- annuì, nulla in contrario - ma…si tratta di
amici che rubano
le penne altrui?”
L’altro
sorrise: “No, papà. Sono brave persone, puoi
fidarti. Diciamo
che quella penna ci è stata rubata a tutti dalla stessa
persona.”
E
dopo aver chiarito con suo padre, lo lasciò al suo libro e
si
diresse in camera per preparare il suo borsone. Nel tragitto,
però, si fermò
davanti allo studio di suo padre e decise di prendere la copia del suo
libro,
nel cassetto della scrivania, per poterlo iniziare a leggere alla casa
sul
lago. Quando la prese in mano, sorrise, non vedendo l’ora, ma
c’era qualcosa di
strano: un segnalibro rosso proprio al centro della storia.
Rider
lo sfilò e sul cartoncino del segnalibro vi trovò
la lettera A stampata sopra.
Ciò che sconvolse
Rider, in seguito, fu la pagina che segnava.
“LA
tenevA
in mano, come se gli piAcesse
filmAre
per Rosewood-riservAto.
Come può stAre
lì in piedi a guArdAre?
E’ suo complice nel crimine, Ancora
unA
voltA; non
lo seguirebbe fino fondo, Altrimenti.
E’ colpevole quAnto lui, vediAmo
se riesco A indovinAre
chi è di loro quAttro.
Le nAscondo
dietro lA
bAmbolA,
hA
una cernierA
sullA
schienA e lì dentro sArAnno
Al
sicuro. Se morirÀ,
magAri
l’altro si sentirÀ
in
colpA
e confesserÀ o, mAgAri,
è proprio lui e io avrò AssAporAto
lA
vendettA Al
primo colpo.”
Rider,
confuso da questo strano testo, richiuse immediatamente il
libro, pronto a prepararsi a raggiungere i suoi amici alla casa sul
lago e
mostrare loro cosa aveva trovato.
*
Sdraiato
sul suo letto, Nathaniel stava ascoltando alcune canzoni sul
suo ipod, mentre tra le mani aveva il suo telefono. Continuava a
scorrere su e
giù la sua rubrica, con i vari contatti; si
soffermò in particolare su quelli
dei suoi compagni del nuoto, per poi tornare a guardare quelli di
Rider, Sam ed
Eric, indeciso su chi contattare per passare la serata.
Improvvisamente,
sull’ipod, partì una canzone che stranì
Nathaniel:
era di un gruppo Heavy metal, i metallica.
“Ma
che…???”
Subito
premette il tasto per cambiare brano, ma ecco che anche il
seguente apparteneva allo stesso gruppo. Nathaniel premette
più volte il tasto,
la playlist era completamente dedicata ai Metallica e la cosa lo
sconvolse a
tal punto che tirò via le cuffie dalle sue orecchie,
buttando l’ipod vicino
alle sue gambe, fissandolo, che riproduceva ancora.
Fu
lo squillo del telefono a catturare il suo sguardo, poi: era Eric.
“Pronto?”
“Ehi,
ciao, volevo farti sapere che io e Sam siamo stati a casa di
Rider. Ci ha invitato alla sua casa sul lago, stasera, per distrarci un
po’,
sei dei nostri? Abbiamo delle novità.”
“Ah,
sì? – si interessò Nathaniel,
distrattamente, fissando ancora
l’ipod, inquieto – Che novità?”
“La
polizia cerca un certo Jasper Laughlin, pensano sia stato lui a
uccidere Anthony e suo padre. E’ stata la Signora Dimitri a
fare il suo nome.”
“Dio,
- sospirò, trovando tutto così assurdo
– c’è da uscire matti con
questa storia!”
“Già,
ti daremo maggiori dettagli quando ci vediamo. Allora, vieni?”
Nathaniel
si grattò la testa, tornando a guardare l’ipod:
“Ehm, sì, ci
vediamo lì!”
“Bene,
a dopo.” chiuse l’altro.
Subito
dopo, arrivò un messaggio.
“Hai
gradito i miei gusti musicali? Pensa un pò, sono gli stessi
che aveva Albert…”
-A
Nathaniel
sgranò gli occhi, correndo alla finestra. Guardò
fuori,
attentamente, cercando di scrutare qualcosa nel buio, ma non
c’era nessuno.
*
Parcheggiato
davanti alla Hollis, Sam stava aspettando Chloe. Quella
arrivò
dopo alcuni minuti, correndo, in mano la borsa del computer e la giacca.
“Eccomi,
scusa, ho dato il mio numero ad una ragazza per aiutarla con
il suo lavoro!” esordì, col fiatone, chiudendo la
portiera, mettendosi comoda.
“Sono
il tuo autista personale, adesso?” ribattè
l’altro, per essere
accorso nuovamente ad un suo messaggio.
“Solo
per oggi, - spiegò, esausta - ho letteralmente licenziato
mio
zio con il pensiero. Quando l’ho chiamato, diceva di essere
bloccato nel
traffico!”
“Ok,
c’era qualche ragazzo carino al corso?”
domandò Sam, mentre
guidava, facendo conversazione.
“No,
solo un poster di Enrique
Iglesias sulla parete, che ho fissato per tutto il tempo,
mentre roteavo
gli occhi perplessa, sconvolta dal fatto che ero attratta da un pezzo
di carta.”
Sam
fece un commento ironico: “E io che pensavo che i ragazzi del
college fossero sexy!”
“Credimi,
- ribadì lei – trovo più attraente tuo
padre che uno
studente della Hollis… - ricevette smorfia disgustata
– A proposito, come sta?”
“Dorme
sotto quattro tonnellate di piumone e ha un campanellino sul
comodino per attirare la mia attenzione, quando vuole
qualcosa.”
Quella
scosse la testa in avanti, fingendosi colpita: “Mmmh,
interessante, io monto video di maratone fra le lepri in un boschetto e
tu fai
da Alfred Pennyworth a tuo padre.”
“Non
voglio essere nei miei panni quando
scoprirà della mia sospensione.”
replicò, angosciato.
Chloe
sobbalzò sul sedile: “Ancora non lo sa?”
“Già!
– confermò, sollevando le sopracciglia –
Dovrò vagabondare per Rosewood, fingendo di essere andato a
scuola…”
“Potresti
trovarti un lavoro, due settimane
sono tante… - ci riflettè sopra –
Magari il dogsitter; ho letto su una rivista
di attualità che secondo una ricerca, fatta da non so chi,
gli uomini al di
sopra dei 25 anni che possiedono un cane e vivono da soli, sono gay e
anche
molto affascinanti... – fece una pausa, riflettendo ancora,
amareggiata – La
stessa ricerca non vale per gli etero, credo. Il mio vicino di casa ha
27 anni,
ha un cane e fa davvero schifo. Sul serio, il vomito chiede di uscire
dalla
bocca, ogni volta che lo incontro per buttare la spazzatura.”
Sam,
però, non la stava ascoltando, troppo
impegnato a fissare la centrale di polizia. Ci stavano passando davanti.
“Sam,
mi hai sentita? – notò che non le stava dando
retta - Se hanno un cane, sono affascinanti e over
25, sono gay!”
Quello
parcheggiò, voltandosi finalmente verso
di lei.
Perplessa,
continuò: “Perché hai fermato la
macchina?”
“Ehm,
mio padre ha dimenticato un mazzo di
chiavi in ufficio, devo andarlo a prendere.”
“Bene,
vengo con te. – aprì la portiera - Devo
sgranchirmi le gambe e ripulire il mio nome!”
L’altro,
però, rimase fermo, restio al suo
accompagnamento: “Forse è meglio che vado da
solo.”
“Che
c’è? Hai paura che ci scambino per Bonnie
e Clayde? – fece una battuta
ironica, prima di scendere – Dai, facciamo presto, ho un
nuovo episodio di Shameless che mi
aspetta a casa. Guai
far aspettare i Gallagher!”
Sospirando,
Sam non potè insistere nel
trattenerla in macchina e scese anche lui, avvicinandosi alla centrale
con lei.
All’interno
del distretto, gli agenti facevano
avanti e indietro, impegnati; tant’è che nessuno
notò la loro presenza.
“Aspettami
qui, - le raccomando, tenendola
ferma per le spalle - vado alla scrivania di mio padre!”
“Ehm…
- il suo sguardo era perso fra i
poliziotti che le passavano di fianco – Si si, vai pure, io
ingannerò il
tempo…”
Sam
si allontanò da lei, incontrando uno dei
colleghi di suo padre.
“Ehi,
Sam!” lo salutò, quello, una ciambella
in mano, che masticava.
“Oh,
Ronnie, ciao… - fu colto di sorpresa –
Ehm, come stai?”
“Bene
e tuo padre?”
“Sempre
malato, probabilmente rientrerà
Mercoledì!”
Ronnie,
a quel punto, trovò strana la sua
presenza: “Capito... – diede un altro morso alla
ciambella - Comunque che ci
fai qui?”
“Papà
ha dimenticato un mazzo di chiavi e ha
mandato me. Le prendo e me ne vado.”
“Oh,
certo, fai pure… - qualcuno fece cenno a
Ronnie, lo stava chiamando – Ora vado, saluta Carson da parte
mia!” e Sam
annuì, dopo aver aspettato che si allontanasse.
Subito
dopo, si andò a sedere alla scrivania
di suo padre e iniziò ad aprire tutti i suoi cassetti,
mantenendo lo sguardo
vigile. Improvvisamente, Chloe gli fece cenno da lontano, agitando il
suo
telefono, muovendo le labbra.
“E’
mio zio, vado a rispondere fuori…”
Nonostante
la confusione, Sam riuscì a
sentirla e annuì. Quando la ragazza, però, si
voltò per uscire, andò a sbattere
contro un poliziotto, che si rovesciò il caffè
addosso, sui suoi pantaloni,
attirando l’attenzione e anche qualche risatina da parte dei
colleghi.
Chloe
sgranò gli occhi, imbarazzata: “Oh mio
Dio, mi scusi. Mi scusi tanto, non l’avevo vista…
- prese dei fazzolettini
dalla borsa – Ecco, ora la aiuto.”
Sam,
intanto, trovò delle chiavi, ma erano
dell’ufficio privato, quello dove si lavorava ai casi e dove
erano custoditi i
fascicoli. Richiuse immediatamente il cassetto, dopo averle prese, e, a
passo
felpato, si allontanò, indisturbato, approffittando della
distrazione dei
poliziotti.
Nell’altra
corridoio, meno trafficato,
raggiunse la porta, girando la chiave, puntando lo sguardo a destra e
sinistri,
cauto; l’attimo seguente, era dentro la sala, chiudendo la
porta alle sue
spalle e anche le tendine. La grande tavola che si prostrava
davanti ai suoi occhi, aveva molti fascicoli poggiati
sopra. Poco prima che potesse avvicinarsi a cercare quelli interessati,
un
messaggio arrivò al suo telefono.
“Come
siamo intraprendenti, Sam. Attento, però, a non
essere beccato, il tuo diversivo è appena uscito dal
distretto.”
-A
Sam,
agitato, rimise il telefono in tasca,
cercando in fretta il fascicolo che gli serviva; purtroppo,
però, ne erano
tanti. Improvvisamente, si fermò, voltandosi verso la
stanzina di fianco alla
sala: dentro vi erano degli scaffali con sopra delle scatole
etichettate.
Una
volta dentro, le squadrò tutte da cima a
fondo, finchè sembrò aver trovato ciò
che cercava, leggendo ad alta voce: “Caso
47B362: Dimitri! Eccolo!” e subito la trascinò
fuori, posandola a terra,
scoperchiandola.
Mentre
faceva uscire tutto il contenuto, teneva
d’occhio la porta, nell’altra stanza, teso. Tra le
mani, un fascicolo:
“Deposizione, Angela Dimitri…” lesse,
aprendolo velocemente.
Dopo
una rapida lettura, bastarono poche frasi
a sconvolgerlo, ma il tempo stringeva, così posò
il fascicolo a terra, prese il
telefono ed iniziò a scattare foto a tutte le pagine. Subito
dopo, richiuse
tutto dentro, rimettendo la scatola al suo posto. Passò
nella sala, pronto ad
uscire, ma una cartella, lì sul tavolo, attirò la
sua attenzione: “Albert
Pascali?” e una volta riconosciuto il nome, aprì
quella cartella, trovando
delle foto stampate, l’inchiostro sbiadito, prese dalle
videocamere di
sorveglianza di un supermercato: mostravano Albert, uscire da
un’auto. Anche in
quel caso, Sam fece delle fotografie e rimise tutto via, lasciando la
stanza,
richiudendo la porta.
Uscito
dal distretto, si guardò attorno,
mentre si dirigeva verso la sua auto.
“Ehi,
- esordì, entrandovi – hai visto
qualcuno quando sei uscita dalla centrale?”
“Qualcuno?
– non capì, Chloe – Di che stai
parlando?”
“Dico,
- farneticò – c’era qualcuno qui fuori?
Qualcuno che ti fissava?”
“Ehm,
no, non credo… - immediatamente, poi,
cambiò discorso, infuriandosi – Come hai potuto
lasciarmi da sola? Ho quasi
pulito per sbaglio le parti intime di quel poliziotto con un
fazzolettino, lo
sai?”
L’altro
finse un accenno di sorriso, mentre
metteva in moto: “Interessante, ti riaccompagno a
casa!”
Quella
lo fissò, seria: “Sei strano, lo sai?”
Sam
si limitò a darle una rapida occhiata,
troppo concentrato a guidare: “Voglio solo tornare a
casa!”
*
Nel
frattempo, Eric, rientrato a casa da un
pezzo, era vicino alla finestra, con un trapano in mano, che fissava
una
chiusura di metallo.
Sua
madre stava rientrando proprio in quel
momento, facendo subito caso al rumore.
“Ehi,
che sta succedendo, qui?” poggiò la
borsa e un sacchetto, avvicinandosi.
Eric
si fermò, volgendo la testa verso di lei:
“Sicurezza, Mamma!”
“Sicurezza
per cosa?” domandò, le braccia
conserte, in attesa di una risposta.
“Così
è chiusa. – spostò il pezzo,
orizzontalmente
– Così è aperta: sicurezza!”
L’altra
si lasciò scappare una risata,
perplessa: “Sì, però, non capisco
perché.”
“Questa
scala antincendio collega tutti gli
appartamenti, - spiegò - meglio essere previdenti.”
“Previdenti?
– si lasciò
scappare un’altra risata – Tesoro, al piano di
sopra non vive Robin hood!”
“Al
proprietario non
dispiacerà se facciamo qualche lavoretto, questa finestra
non si chiudeva
nemmeno bene, prima che ci mettessi mano… - si mosse verso
l’altra stanza,
seguito dalla madre – Hai preso da mangiare giù al
Brew?”
“No,
take away!”
Eric
si voltò verso di
lei, mortificato: “Mamma, un mio amico mi ha invitato a casa
sua a dormire. Ci
saranno anche altri due nostri amici, posso andare?”
“Un
piagiama party tutto
al maschile? – sgranò gli occhi, meravigliata e
sospettosa – Un pò insolito,
non credi?”
“Mamma,
tranquilla, non
sto coprendo una mega festa con tanti alcolici. Saremo solo in quattro,
davvero.”
“E
questi amici sono gli
stessi con cui sei stato sospeso?”
“Sì,
Mamma. – sospirò,
esausto – Vogliamo solo passare una serata tranquilla, sono
stati giorni
difficili. Prima la morte di Anthony, poi la sospensione, molte persone
ci
odiano. E io devo sopportare uno stress maggiore con quello che
è accaduto alla
nostra famiglia…”
Quella
si avvicinò,
intenerita, accarezzandogli la guancia: “Va’ pure,
tesoro. Ma niente alcol,
intesi?”
“L’alcol
è l’ultimo dei
miei pensieri, – le sorrise – credimi.”
*
Qualche
ora più tardi,
Rider era già alla casa sul lago, assieme a Nathaniel. I due
stavano camminando
lungo il pontile che si affacciava sul lago, di fronte alla casa,
illuminato
dalla luna. Rider, in particolare, aveva in mano un portatile, quello
di
Anthony, e anche un telefono, sempre di quest’ultimo.
L’altro, aveva in mano
una catena e un lucchetto.
“Sicuro
che…” cominciò
Nathaniel.
“Shhh!”
lo zittì,
subito, l’altro, indicandogli il telefono.
Arrivati
alla punta del
molo, Rider prese la catena dalle mani di Nathaniel e la avvolse
attorno al
portatile; non prima, però, di averci attaccato sopra il
telefono con il nastro
adesivo. Messo il lucchetto alla catena, ben stretta, gettò
tutto nel lago.
I
due rimasero a lungo
in silenzio.
“Ora,
però, possiamo
parlare!” esclamò, Rider, notando che
l’amico se ne stava ancora zitto.
“Ah,
beh, aspettavo una
parola di sicurezza. Come nel sadomaso.”
Rider
gli lanciò una
lunga occhiata, mentre tornavano indietro: “Spiritoso, siamo
sempre più nella
merda.”
“Ti
riferisci alla
misteriosa pagina messa da A, nel
libro di tuo padre?”
“Non
solo questo, Nat. –
reagì, l’altro, angosciato - A
potrebbe
incastrarci come sta facendo con questo Jasper Laughlin e non mi piace
per
niente la piega che sta prendendo questa situazione.”
“A ha già chiarito che non
intende denunciarci, Rider. Quello che
vuole è vederci camminare a testa in giù sul
soffitto, mentre usciamo fuori di
testa!”
“Dio,
ha davvero messo
le mani sul tuo ipod?”
“Già!
– esclamò,
sospirando - Prima entra a casa di Eric per congelare i suoi profumi e
ora in
casa mia per farmi amare un nuovo gruppo musicale. Che diavolo
facciamo?”
Rider,
però, non aveva
una risposta a quella domanda e l’arrivo di Sam ed Eric,
concluse la loro
conversazione.
“Ehi,
- esordì Sam,
camminando verso di loro con dei fogli in mano – sono stato
al distretto!”
Lo
sguardo di Rider si
fissò su quei fogli, incredulo: “Oh mio Dio, mi
hai ascoltato. Sono le
dichiarazioni della Signora Dimitri?”
Eric,
che già ne aveva
parlato con Sam durante il tragitto, rispose al posto suo:
“Sì, e c’è anche
dell’altro!”
“Sentite,
entriamo a
parlare dentro. – bisbigliò, poi, Sam – A
dev’essere qui in giro, era fuori dalla centrale,
me l’ha fatto capire con
un messaggio.”
“Ok,
entriamo!” esclamò
Rider, mentre si avviavano verso la porta.
Sam
si trovò di fianco a
Nathaniel, dandogli una rapida occhiata: “Ehi, ciao, sei
venuto…”
“Ehm,
sì…” annuì,
distaccato, mentre entravano.
Poco
dopo, riuniti nel
salone, il camino accesso, Sam, spiegava ad alta voce il contenuto
delle
dichiarazioni, mentre Rider fissava i fogli.
“Il
padre di Anthony era
gay e Jasper Laughlin era il suo amante…”
“Quindi
Anthony ci ha
mentito? E’ stato il padre a tradire sua madre, non
viceversa. – pensò,
Nathaniel, perplesso – Perché?”
“Beh,
dire che tua madre
ha tradito tuo padre è una storia migliore di tuo
padre ha tradito tua madre con un altro uomo e si è preso
l’HIV!” ribattè
Sam, coinciso.
“Il
punto è che la
polizia pensa che Jasper abbia rubato i soldi dalla cassaforte per
pagarsi le
medicine e tutto il resto. – spiegò Eric a
Nathaniel - Aveva un negozio di
fiori e il giorno in cui il padre di Anthony scoprì di
essere positivo, lo
incendiò e con sé, anche la sua unica fonte di
reddito.”
“E
i soldi
dell’assicurazione?” replicò Nathaniel.
Fu
Sam a rispondere,
stavolta: “Pare che Jasper avesse un bel pò di
debiti…”
“Ok,
- Nat fece il punto
della situazione - quindi la Signora Dimitri ha fatto presente di
questa storia
alla polizia, perché pensa che sia Jasper
l’assassino?”
“Il
movente c’è, -
replicò Eric
- ma noi sappiamo
perfettamente che ad aver aperto quella cassaforte e a prendere i soldi
è stato
Anthony, quella notte. Voleva creare la scena di un finto furto in
casa, poco
prima di cambiare i suoi piani con Albert.”
“Io,
Rider ed Eric –
continuò Sam – pensiamo che A
possano
essere sua madre e Clarke, il fratello maggiore di Anthony.”
“Beh,
sì, - aggiunse
Eric - ci sarebbe anche Violet, però, ma…Direi
che loro sono i sospettati
numero uno, per ora.”
Nathaniel,
a quel punto,
si mise le mani nei capelli, incredulo, ridendo per
l’assurdo: “Quindi un tizio
andrà in galera, perché la scena del crimine gli
calza a pennello, mentre noi
sappiamo la verità?”
“Lo
so, - Sam deglutì,
angosciato - ci sto male anche io, ma non possiamo dire una parola, A ci rovinerebbe!”
“Jasper
è fuggito, a
proposito…” fece presente Eric.
“Fantastico,
- commentò
Nat - ora sembrerà più colpevole!”
“Beh,
ha fatto bene, non
c’è scappatoia in questa storia. –
intervenì Rider, spostando la sua attenzione
dai fogli – Direi che ha una bella sfortuna, è un
candidato perfetto, dati i
precedenti con la famiglia Dimitri.”
“Che
c’è di interessante
lì?” gli chiese Nathaniel, a proposito dei fogli
che stava leggendo.
“Le
indagini sulla
scomparsa di Albert. Avvicinatevi!”
E
quelli eseguirono,
sedendosi vicino a lui, mentre sistemava i fogli sul tavolo: erano foto
di
Albert.
“Albert
ha veramente
incontrato qualcuno, quella notte. – indicò con il
dito la parte superiore
dell’immagine - Guardate l’orario.”
“Alle
23.12? – prese
parola, Nathaniel - Sbaglio o stavamo accompagnando Anthony in
stazione, a
quell’ora?”
“Sì,
- confermò Rider –
e cinque minuti dopo abbiamo investito Albert. Il video è
preso dalle
telecamere del Wall mart, avevamo
ragione.”
“Ed
è stato lì che A ha
iniziato a seguirci e ci ha
filmati!” esclamò Sam.
“Quindi
quell’auto blu
nella foto è…” Eric fissò
tutti, cercando di finire la frase.
Fu
Rider, però, a
completarla: “Sì, quella è
l’auto di A.
Peccato, però, che non si veda la targa; potrebbe possederla
chiunque, non è un
auto particolare o costosa.”
Nathaniel,
a quel punto,
si alzò e prese un libro, poggiato sulle mattonelle del
camino.
“Veniamo
al problema
numero due, - mostrò il libro -
io e
Rider ne stavamo parlando poco prima che arrivaste.”
Sam
aguzzò la vista,
osservando la copertina: “Richard
Stuart:
La rosa dalle spine d’oro… - si
voltò verso Rider – Ma è il libro di
tuo
padre: allora?”
Quello
si alzò,
prendendolo dalle mani di Nathaniel. Lo aprì e lo mise
davanti agli occhi di
Eric e Sam, che notarono immediatamente il paragrafo tempestato di
lettere A in rosso. Rimasero
agghiacciati.
Fu
Sam ad azzardare
qualcosa, dopo aver letto, confuso: “Complice
nel crimine, ancora una volta? Che
diavolo significa? E che cos’è Rosewood-riservato?”
“A conosce qualcosa di Anthony, qualcosa
di grave, evidentemente,
che noi non conosciamo. Pensa, però, che uno di noi sia
coinvolto con lui.”
“Ehm,
- intervenne
Nathaniel - io so quello che sapete voi. Di chiunque parli A, non sono io.”
“Nemmeno
io! – esclamò,
Sam, a gran voce, paranoico – Se qui c’è
qualcuno che conosce Anthony meno di
tutti, quello sono io. Ho sempre avuto Chloe per passare il mio tempo,
dopo la
scuola. Non so di cosa A stia
parlando.”
“Ok,
non ti agitare!”
aggiunse Rider.
“NO,
- urlò – mi agito,
invece, perché qui parliamo di un crimine in più,
Rider. E di A che ci minaccia di
morte! – andò nel
panico – Vuole ucciderci, adesso? I piani sono
cambiati?”
Nathaniel,
intanto,
stava osservando Eric, pensieroso.
“Eric,
che hai?”
Quello
alzò lo sguardo:
“Non so cosa voglia dire il resto del testo, ma so
cos’è Rosewood-riservato!”
FLASHBACK
“Torno
subito, allora, vado a
prenderti qualche paio di scarpe.” Anthony si
assentò dalla stanza, procurando
altro da indossare per il suo amico.
“Ok!”
esclamò Eric, restando lì,
da solo.
Camminando
avanti e indietro,
aspettandolo, si sedette alla sua scrivania, davanti al suo PC.
C’erano molte
cartelle sul desktop e alcune di queste lo incuriosirono;
tant’è che provò a
sbirciarci dentro. Subito, puntò la freccia del mouse su una
delle cartelle:
una dal nome particolare e misterioso. Quando fu sul punto di aprirla,
ecco che
Anthony ritornò. Vedendolo, venne preso dal panico ed ebbe
una strana reazione.
“No,
non toccare!” gli tolse via
il mouse dalle mani, bruscamente
Eric
si alzò dalla sedia,
mortificato: “Scusa, non volevo. Mi dispiace.”
L’altro,
riprendendo il
controllo che aveva perso in quell’attimo,
esclamò: “No, scusami tu, non dovevo
essere così aggressivo. E’ che non mi piace che la
gente guardi le mie cose.
Hai presente quando uno scrittore scrive una storia, ma non gli piace e
quindi
non vuole che nessuno la legga? Beh, io sono un po’
così!”
Eric,
ora, era perplesso:
“Scrivi storie?”
“Ehm,
non esattamente… - fu vago
- Scrivo cose che vanno ben oltre le storie inventate. Cose
interessanti che
condivido solo con me stesso.”
L’altro
rimase colpito da quelle
parole, non sapeva cosa intendesse esattamente e per questo rimase
immobile a
guardarlo. Anthony, poi, gli diede tutto quello che gli aveva procurato
dall’armadio, non aggiungendo altro.
“Quindi
Rosewood-riservato
è una cartella con dentro qualcosa di
privato, che Anthony custodiva gelosamente?” riassunse Sam.
“A deve aver sbirciato in quella
cartella, prima di cancellare tutto dal suo computer e farcelo
trovare.”
Commentò, Nathaniel, subito dopo.
“Mi
gioco
tutto quello che volete che gli altri scheletri nell’armadio
di Anthony erano
in quella cartella! – esclamò, Rider – E
ora A pensa che uno di noi sia
appeso lì dentro.”
“Dio,
- Sam
si morse le labbra, preoccupato – cos’altro
c’è, ancora? Chi diavolo era
Anthony, veramente?”
Eric,
lo
sguardo basso, una vena di rabbia, lo disse a bassa voce: “Un
mostro travestito
da ragazzo, ecco cos’era!”
“Eric,
che ci
facevi a casa sua, quel giorno?” pensò di
chiedere, Rider.
L’amico
sospirò, evitando lo sguardo dei compagni, poi ebbe il
coraggio di guardarli
negli occhi, finalmente: “Anthony conosceva qualcosa su di
me, probabilmente
era dentro Rosewood-riservato.
–
tutti si guardarono, sapendo perfettamente di cosa parlasse,
perché anche loro
avevano un segreto che Anthony conosceva – E credo che, a
questo punto, A lo sappia, quindi
tanto vale
confessare… - nessuno proferì parola,
così potè iniziare –
C’è un motivo se
invento continuamente scuse per avere un passaggio o per il fatto che
sono
continuamente al Brew. Vivo lì, adesso. Al piano di sopra,
in un piccolo
appartamento. – quelli ascoltarono, incantati –
Circa un anno fa, mio padre ha
preso in mano la società del suo capo per qualche mese, il
Signor Lincoln
dovette subire un intervento e i tempi di riabilitazione erano quelli
erano,
così si fidò di mio padre e affidò a
lui la società. Sfortunatamente, però,
qualcosa andò storto e, mio padre, fu costretto a fare delle
manovre finazierie
piuttosto illecite per salvare la situazione, ma non ci
riuscì. Il danno fatto
era talmente evidente che quando tornò il Signor Lincoln, lo
cacciò senza
battere ciglio e fece in modo che nessuno potesse assumerlo, in tutto
lo stato.
Abbiamo perso la casa e abbiamo dovuto vedere gioelli, macchine,
qualsiasi cosa
potesse aiutarci a tirare avanti. Ora mio padre ha trovato lavoro, a
Riverton.
– gli vennero le lacrime agli occhi - Anthony
scoprì tutto e, inizialmente, mi
aiutò, prestandomi i suoi vestiti, le sue
scarpe…Ben presto, però, mi resi
conto di aver fatto un patto con il diavolo e da allora non ho fatto
che
compiacere Anthony, apoggiandolo in tutto e per tutto, insultando gli
altri
studenti e trasformandomi in un'altra persona.”
Sam,
con una
mano sul petto, commosso, si sedette accanto a lui, mettendogli una
mano sulla
spalla.
“Dovevi
dircelo, Eric. Non avevi motivo di nascondere una cosa del
genere…”
Anche
Rider,
poi, si sentì di vuotare il sacco: “Mia sorella ha
una relazione intima con il
Professor Brakner!”
Nathaniel
sgranò gli occhi, come Sam: “COSA?”
“Rimanevo
fedele ad Anthony solo per questo, - raccontò ancora, a
braccia conserte, lo
sguardo basso - lo aiutavo con i compiti, anzi, glieli facevo io,
mentre lui se
ne andava chissà dove, dopo avermi scaricato il suo
zaino…”
Nathaniel
sembrò preoccupato, insinuando qualcosa: “Ma il
Professor Brakner…???”
“NO!
–
esclamò, Rider, intuendo – No no, credo che si
amino davvero, lui non è un
pervertito; non saltiamo a conclusioni.”
“Io,
invece…
- Nathaniel sentì che era il suo turno, mentre Sam lo
fissava, teso, sapendo di
dover essere il prossimo – Ho uno scopenso cardiaco che mio
cugino Tyler mi
aiuta a tenere sotto controllo con un farmaco. E’ grazie a
lui che sono entrato
nella squadra di nuoto, ha scritto lui il certificato medico; rischia
molto,
insomma. I miei genitori non lo sanno.”
Rider
lo fissò,
per niente sorpreso: “Quel giorno, quando sono venuto a casa
tua per aiutarti
con biologia, sapevo che quella ricetta era tua.”
“E
io sapevo
che tu l’avevi capito, ma ho preferito fingere che non fosse
così… - gli
accennò un sorriso – Grazie per non aver detto
niente.”
Sam spostò lo sguardo fra i due, letteralmente sconvolto e
furibondo: “Grazie per non aver
detto niente? -
si alzò in piedi, vaneggiando –
Questo-questo è pericoloso, potresti morire, Nathaniel, lo
sai questo? Sei
impazzito, forse? – si voltò verso Rider,
aggressivo – E TU? Perché non gli hai
detto qualcosa? Eppure dovresti essere il più sveglio tra
noi!”
“Ehm,
- cercò
di difendersi, Rider - saranno anche fatti suoi? Ho solo rispettato la
sua
scelta.”
“Scusa,
ma il
tuo problema quale sarebbe? STO BENE, ok?” ribattè
Nathaniel con lo stesso
tono.
“Nessuno,
Nat. – passò in mezzo a loro –
Nessuno!” e uscì dalla stanza.
A
Nathaniel
non andò giù, però, questa sua
reazione: “Eh no, così non
vale…” e lo inseguì.
Fuori
dall’abitazione, Sam iniziò a camminare
velocemente verso il molo, stringendo
la sua giacca, nervoso.
Nathaniel
spuntò alle sue spalle, rincorrendolo: “Aspetta,
Sam! – lo raggiunse,
prendendolo per il braccio e voltandolo - EHI!”
“Che
vuoi?”
rispose in malomodo.
“Non
puoi
fare così, ok? Lì dentro ci siamo aperti tutti
quanti, non puoi tirartene
fuori. Capisco che tu sia tanto scioccato per me, ma questo non ti da
il
diritto di svignartela. – fece una pausa, più
calmo, prendendolo per le spalle
– Anche io avevo paura a rivelare il mio segreto, sono
continuamente sotto
pressione, ma facevo male a tenermi tutto dentro. Questa storia di A ci collega tutti, in qualche modo, e
mi ha dato la forza di aprirmi con voi. – lo fissò
dritto negli occhi – Sam,
puoi confidarti con noi. Nessuno ti giudicherà.”
L’altro,
girovagando con lo sguardo, gli occhi lucidi, trovò
finalmente il coraggio di
confessare: “Sono gay, ok?”
Nathaniel
mantenne lo sguardo fissò su di lui, per poi dire qualcosa
in merito: “Lo so…”
“Lo
sai?”
sussultò, l’altro.
“Ti
ho visto
fissare Anthony, una volta. Molto intensamente. E, allora, ho
capito… - Sam
restò un attimo perplesso, lasciandolo parlare –
Adesso, non so se anche lui…”
“No
no, non
lo era. Sapeva di me e io… - mentì –
Sì, avevo una cotta per lui, ma non
gliel’ho mai detto.”
“Spero
che
non te l’abbia fatto pesare in qualche modo, ultimamente non
gli eri stato
molto fedele e, infatti, a mensa, ha parlato di te con noi, il giorno
in cui è
morto. Non direttamente, ma lo stava insinuando.”
“Bastardo…”
replicò Sam, volgendo lo sguardo da un'altra parte.
Improvvisamente,
Nathaniel sembrò aver notato qualcosa, in corrispondenza del
lago.
Sentendolo
troppo silenzioso, Sam tornò a fissarlo, seguendo, poi, il
suo sguardo: “Che
c’è? Che stai guardando?”
“C’è
qualcosa
nel lago. – indicò – Là
giù, lo vedi anche tu?”
Sam
scrutò
una piccola luce che si agitatava: “Ma è una
persona? – si allarmò – Oh mio
Dio, credo che sia qualcuno che sta annegando, non si vede molto
bene.”
L’amico
non
perse altro tempo, si tolse la maglietta: “Se è
qualcuno che sta annegando,
dobbiamo salvarlo. C’è una piccola barca in mezzo
al lago, chiunque sia,
dev’essere caduto…” e percorse il molo,
inseguito da Sam.
“Aspetta,
-
cercò di fermarlo, preoccupato - forse non è una
persona. Non ne sono sicuro,
non andare!”
“Non
è
lontano, ci metterò pochi minuti ad arrivare fin
lì!” e si gettò in acqua,
iniziando la bracciata.
“Nathaniel,
NO! – tentò di fermarlo ancora, urlando, invano -
L’acqua è troppo fredda!”
Gli
altri due
compagni, sentendo le grida, uscirono.
“Ma
che
succede?” esordì Rider, mentre con Eric
raggiungevano Sam, lungo il pontile.
“Credo
di
aver visto una persona, - si affrettò quello a spiegare, con
lo sguardo fisso
su Nathaniel, la voce tremante, cercando di non perderlo di vista - al centro del lago.
Nathaniel si è tuffato
per andare a vedere.”
Rider
affinò
lo sguardo: “Sembra che ci sia una
barca…”
“Che
ci fa
una barca in mezzo al lago, a quest’ora, in pieno
Ottobre?” lo trovò strano,
Eric.
“NATHANIEEEL!”
gridò Sam a squarcia gola, avvicinandosi alla punta del
molo. Quasi cadeva.
“Ehi,
- lo
avvertì, Rider - stai attento o così
cadrai.”
“Chi
abita
dall’altra parte del lago?” gli chiese Sam,
indietreggiando accanto a lui.
“Non
so,
persone che vengono qui d’estate. Conosco i miei vicini, ma
non quelli che
abitano dall’altra parte del lago.”
Eric
trovò la
faccenda sempre più strana, avvicinandosi a loro:
“Se le case sono disabitate,
allora chi sta annegando?”
E
tutti
rimasero a fissare il lago, inquieti ed ignari di cosa stesse accadendo.
Nathaniel,
nel frattempo, stava ancora nuotando. Bracciata dopo bracciata. Ormai
sentiva
freddo fino alle ossa. Finalmente, poi, arrivò a quella
luce, che altro non era
che una torcia. La cosa sconcertante, però, fu che la torcia
era nelle mani di
una bambola gonfiabile a cui Nathaniel si appoggiò,
incredulo ed esausto.
“Ma
che
diavolo…??”
Non
aveva più
fiato, eppure riuscì a scorgere un biglietto attaccato al
petto della bambola.
“Sapevo
che saresti venuto tu. Ce la farai a tornare
indietro con quel piccolo problemino che hai appena condiviso con i
tuoi
amici?”
-A
“Figlio
di
puttana!” commentò, quasi senza fiato per il
freddo e la lunga nuotata.
Subito,
il
ragazzo, raccolse le poche forze rimaste e iniziò a tornare
indietro.
Poco
dopo,
gli altri lo videro arrivare in lontananza e Sam gridò
subito ai suoi compagni:
“Sta tornando! Presto, prendetegli qualcosa per
asciugarsi!”
Eric
corse
subito in casa, mentre Rider e Sam si tenevano pronti a soccorerlo.
Nathaniel
toccò il molo con una mano, stremato, e Sam si
gettò letteralmente accanto a
lui per sollevarlo,mentre Rider lo tirava da sopra.
Eric
arrivò
con un paio di asciugamani, che Sam gli strappò dalle mani
per asciugare
Nathaniel.
“Ma
che è
successo? - voleva sapere Rider - Allora?”
L’altro
stava
riprendendo ancora fiato e Sam glielo ricordò severamente:
“E’ appena uscito
dall’acqua gelata, dagli un secondo!”
Finalmente,
poi, Nathaniel riuscì a parlare, steso a terra, tremante:
“Non c’era nessuno.
Era una bambola…Una bambola gonfiabile. –
allungò il biglietto che stringeva
fra le mani – Con questo!”
Rider
lo
lesse ad alta voce, prendendoglielo: “Sapevo
che saresti venuto tu. Ce la farai a tornare indietro con quel piccolo
problemino che hai appena condiviso con i tuoi amici? A!”
Eric,
sconcertato, si domandò: “Oh mio Dio, ci ha
sentiti? – si rivolse a Rider – Ma
non l’avevi buttato il telefono di Anthony?”
“L’ho
fatto!
– replicò – Assieme a Nathaniel, poco
prima che tu e Sam arrivaste.”
“Ma
allora
era in casa con noi? – Eric, sbiancando, si voltò
verso la casa – Dite che è
ancora lì?”
“Non
credo…”
pensò Rider.
Improvvisamente,
le condizioni di Nathaniel peggiorarono.
Sam
tolse le
mani dal suo corpo, che fino ad un attimo prima stava strofinando, nel
tentativo di riscaldarlo: “Oh mio Dio, sta diventando
viola.”
“Le
mie…le
mie... – tossì, Nathaniel, gli occhi socchiusi,
una mano sul petto – medicine.
Tasca destra.”
Sam
ripetè
quello che aveva appena detto, standogli accanto: “Le sue
medicine! Sono nel
borsone, fare presto!”
Ed
Eric,
senza perdere un solo secondo, corse a prenderle, tornando dopo quasi
un minuto
con l’intero borsone in mano e con una nota di panico, che
avevano tutti, a
quel punto.
“Non
riesco a
trovarle, - frugò ancora, davanti a loro - non sono dove ha
detto lui.”
“Trovatele,
presto, sta morendo!” gridò Sam, in maniera
incontrollata, mentre
Rider si univa ad Eric, mettendo
sottosopra quel borsone. Ad un certo punto, però, Rider si
fermò.
“Oh
no… –
sgranò gli occhi – Non sono qui dentro, lo
erano!”
“E
dove sono,
allora?” gli chiese, Eric.
“Le ha prese A!” rispose, fissandosi con gli
altri due.
Sam
perse la
testa, a quel punto: “Mi state prendendo in giro? –
si alzò in piedi – Vado a
prendere il mio telefono, chiamo il 911. ORA!”
Rider
lo
fermò per un braccio.
“Sam,
aspetta, credo di sapere dove sono!”
L’altro
lo
fissò, basito, trovandolo assurdo: “TU, credi?
Rider, continuate pure a giocare
a Sherlock Holmes con A, io vado a chiamare
un’ambulanza e
poi la polizia. – tornò a camminare verso
l’abitazione, rapido -Questa storia è
già durata fin troppo!”
“Sono
nella
bambola gonfiabile!” aggiunse Rider, insistendo.
Sam
si fermò,
voltandosi.
“La
pagina
messa da A nel libro di mio padre,
parla di una bambola gonfiabile. Non è una coincidenza. Sam,
non possiamo
perdere tempo a chiamare un’ambulanza. Guardalo! –
indicò Nathaniel, steso sul
pavimento di legno del pontile, livido in volto e con il respiro corto
– Non ce
la farà mai, dobbiamo prendere quelle medicine!”
“Bene,
prendiamole allora!” si arrese Sam, fissando Rider.
“Io-io
non so
nuotare, - rispose quello, titubando - inutile che guardi
me.”
Sam
guardò
Eric per una frazione di secondo, anche lui impalato, così
decise subito di
prendere l’iniziativa, lasciandoli perdere, una smorfia di
delusione, prima di
voltarsi e correre lungo il molo.
Mentre
si tuffava,
Rider gli ricordò, avanzando: “Sono dietro la
schiena della bambola, c’è una
cerniera!”
Poi
si voltò
verso Eric, rimasto abbastanza provato e mortificato.
“Perché
hai
esitato? Hai più possibilità, rispetto a Sam.
Possibilità fisiche, intendo.”
L’altro,
a
disagio, rivelò: “Ho paura dell’acqua,
ho avuto un’esperienza quasi traumatica
quando ero piccolo e…Mi fa paura. MOLTA paura.”
Rider
si
avvicinò a Nathaniel, continuando a tenere
d’occhio Sam: “Fortuna che c’è
lui…”
Sam,
intanto,
infreddolito e affannato, arrivò alla bambola, cercando una
cerniera sotto di
essa; le mani tremavano e i denti battevano. Girò la bambola
verso la
superficie, rivelando la cerniera. Subito, dopo averla aperta,
estraette il
flacone, sorridendo sollevato, le labbra viola. Improvvisamente, le
luci del
molo attiguo si accesero in una luce abbagliante. Sam era molto vicino
a quel
molo, tant’è che dovette mettere una mano davanti
alla faccia, accecato.
Quando
quella
luce si attenuò, Sam riuscì a scorgere qualcuno
che camminava lungo quel molo;
qualcuno con
indosso un cappuccio nero,
i guanti neri, il volto coperto: un’ombra, nella luce. Sam
continuò a fissare
quella persona, si sentiva solo il rumore del suo respiro, mentre se ne
stava
aggrappato alla bambola. Dentro di lui, iniziò a crescere la
paura. Più
osservava quella figura, lì, ferma, a guardarlo,
più sentiva che quella figura
oscura era A. Ne fu certo, quando
quello alzò la mano e lo salutò. A quel punto,
Sam si staccò dalla bambola e
nuotò il più velocemente possibile, temendo che
l’avrebbe raggiunto per fargli
del male. Non aveva mai provato così tanta paura in vita sua
e l’adrenalina gli
permise di fare grandi bracciate.
Mentre
Rider
stava accanto a Nathaniel, nel tentativo di riscaldarlo e rassicurarlo
con
qualche parola, Eric si avvicinò
all’estremità del molo per aiutare Sam a
risalire, dato che stava tornando. Immediatamente, quando si
avvicinò, lo prese
per il braccio, tirandolo sopra con lui, notando la sua espressione di
terrore.
“Sam,
stai
bene?”
“Si
si, sto
bene. – Sam si accasciò sulle assi del pontile,
senza fiato, alzando solo il
braccio, nella mano stringeva il flacone del farmaco – Ora
dobbiamo dare le
pillole a Nathaniel, portarlo dentro e riscaldarlo”
Eric
glielo
prese dalle mani, aprendo immediatamente il flacone. Dentro,
però, trovò un
bigliettino.
“Che
gesto romantico, non trovi? Forse Nathaniel ti
ricompenserà con un bacio…”
-A
Eric,
ignorando quel che c’era scritto, si
mise il biglietto in tasca, visto soltanto da Rider, con cui si
scambiò un’occhiata;
Sam non si accorse di nulla, in quanto stremato, con la faccia a terra.
Rider
prese la pillola dalle mani di Eric e la
mise in bocca a Nathaniel. Dopo, cercò di farlo bere dalla
bottiglietta d’acqua
che trovò nel borsone, lì di fianco.
Qualche
secondo dopo, Nathaniel sembrò
respirare meglio.
“Bene,
sta funzionando. – Rider tirò un
sospiro di sollievo, assieme ad Eric e Sam, che aveva alzato la testa
– Ora
dobbiamo portarlo dentro e stabilizzare la sua temperatura
corporea.”
Prima
che potessero muoversi, però, Sam
riprese la parola, nonostante avesse ancora il fiato e il corpo che
tremava:
“Ho visto A! Era
dall’altra parte
del lago e mi ha salutato…E’ fuori di
testa…”
Rider
ed Eric, misero gli occhi sull’altro
molo, ancora acceso. Quest’ultimo, prese un altro asciugamano
e lo mise sopra
Sam.
“Andiamo
dentro, dai!”
Ma,
ancora una volta, furono fermati da
qualcosa: un messaggio. Il telefono di Nathaniel vibrò
all’interno del suo
borsone.
Rider
lo prese e mostrò a tutti il contenuto
del messaggio, il viso sconcertato.
“La
morte è un sogno, stronzetti. E io lo renderò
così
oscuro da trasformarlo in un incubo senza fine. Chi sarà il
prossimo a giocare
con me? Sembra che Nathaniel sia riuscito a sopravvivere al suo turno,
voi
farete altrettanto?”
-A
I
tre si guardarono, un brivido lungo la
schiena…
SCENA
FINALE
A
era
nuovamente nel suo covo, la sua scrivania libera completamente libera,
eccetto
la tazza di caffè e un contenitore di cercamica con dentro
delle penne. Le foto
dei quattro ragazzi e Albert, sempre attaccate sulla parete metallica,
i tubi
che gocciolavano. Una lampadina illuminava la superficie del tavolo;
verso il
bordo, un auto giocattolo con dentro quattro bambole di pezza, simili a
Nathaniel, Rider, Eric e Sam, nei dettagli, come gli abiti cuciti sopra
e i
diversi tagli di capelli, ricreati con dei fili di spago. Fu la bambola
di
quest’ultimo, Sam, ad essere presa da A, portata più vicina alla
luce. La
poggiò, aprendo uno dei cassetti, subito dopo, tirando fuori
un tubetto di
colla a fissaggio rapido. Fischiettando, riprese la bambola con una
mano,
mentre con l’altra stringeva il tubetto, facendo fuoriuscire
il liquido e
adagiandolo lungo la cucitura che simulava la bocca. Infine, ci
soffiò sopra,
nel tentativo di farlo asciugare. Dopo, portò il suo dito
davanti alla sua
bocca, emettendo un lieve suono.
“Shhhh…”
CONTINUA
NEL QUINTO CAPITOLO
|
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Capitolo 7 *** 1x06-Topi in trappola ***
CAPITOLO
SEI
“House
of CArds”
PREVIOUSLY
ON BLACK HOOD:
A inizia
a tormentare Sam, minacciando di
non lasciarlo in pace se non confessa il suo amore per Nathaniel; il
suo scopo
è quello di portarlo al limite e costringerlo a rivelare di
essere complice di
Anthony in un crimine ancora ignoto ai ragazzi. Un crimine di cui solo A è a conoscenza.
La
Signora Dimitri e suo figlio Clarke, intanto, entrano
nel ristorante del padre di Nathaniel e quest’ultimo ha una
strana
conversazione proprio con Clarke, che insinua di sapere molte cose su suo
fratello,
parlandone negativamente. Nathaniel inizia a pensare che sappia
qualcosa sul
misterioso file Rosewood-riservato.
Rider
ed Eric, nel frattempo, fanno un salto al
mercatino dei libri usati per cercare un libro ad Alexis, ma la loro
passeggiata di piacere prende una piega diversa quando incontrano
Violet e
Colton, i loro sospettati; Anthony, quando era vivo, prendeva
continuamente
Colton in giro per la sua pelle e lo chiamava Albume.
Subito
dopo, i due trovano un messaggio di A dentro
uno dei libri del mercatino.
In seguito ad una telefonata con Nathaniel, i
tre
parlano del file Rosewood-riservato e del fatto che Clarke potrebbe
saperne
qualcosa, ma ecco che un ennesimo messaggio di A
vieta loro di indagare su quel file finchè non
sarà lui stesso a
renderlo noto.
Dopo
che Sam ed Eric l’avevano ipotizzato, anche Rider
si convince che il gruppo sia spiato da microfoni e propone a tutti di
andare a
trovare una Professoressa di ingegneria informatica a Brokehaven per
scoprire
come rilevare la presenza di un microfono e disattivarlo.
Chloe,
intanto, viene fermata da Lindsay in centro.
Subito,quella, ringrazia Chloe per non aver detto a nessuno di averla
vista con
Albert, nell’ultima notte in cui era a Rosewood. Rivela di
aver rubato il video
di insulti girato da Anthony, assieme ad Albert, subito dopo che lui e
i suoi
amici avevano lasciato la classe e di aver pianificato di voler
ricattare il
ragazzo ed essere lasciati in pace, altrimenti avrebbero mostrato il
video a
tutti. L’incontro in macchina, di quella notte, spiega
Lindsay, sarebbe
avvenuto solo per accertarsi che Albert avesse portato a termine
ciò che
avevano pianificato per essere liberi da Anthony. Infine, rivela di non
aver
detto alla polizia di essere stata l’ultima persona ad aver
visto Albert per
non avere problemi e tutelare se stessa e la persona che guidava
l’auto. Infine
confida di pensare che Albert si nasconda a Rosewood e che abbia ucciso
lui
Anthony, per averlo visto instabile, quella notte.
I
ragazzi arrivano al dipartimenti (Sam messaggia loro
che non parteciperà alla piccola gita) e si dividono per
cercare la
Professoressa. Eric e Rider sono i primi a trovarla e Rider si finge un
podcaster con l’intento di divulgare informazioni sullo
stalking e come
proteggersi da questo fenome. La donna rivela di essersi licenziata e
di essere
in partenza, ma concede ugualmente ai due un’intervista.
Nathaniel,
intanto, si intrufola in un laboratorio del
dipartimento, attirato da una casa dei topi monitorata con dei chip
attaccati
ai piccoli roditori. Viene raggiunto da Rider ed Eric e in quello
stesso
laboratorio, grazie alla riproduzione di un metal detector, scoprono di
avere
dei microfoni installati nei loro telefoni. Nathaniel, subito dopo, ha
un
piano: monitorare i loro sospettati con i chip. Prima di lasciare il
dipartimento, rubano quelli dei topi.
Sam,
intanto, si accorge di non essere più solo in casa,
ma quando tenta di scappare, sviene, dopo aver bevuto un sorso
d’acqua. A lo porta in
camera sua e lo sistema
nel suo letto, mentre l’altro e semi-cosciente.
Quando
i ragazzi tornano a Rosewood, trovano Sam in casa
sua con la bocca sanguinante: A gliel’ha
chiusa con la colla. Rider suggerisce di portarlo a casa sua.
AND
NOW…
~
La mattina
seguente
all’aggressione a Sam, Rider stava preparando il
caffè nella sua cucina. Eric
entrò dalla porta sul retro, affannato e sudato in fronte.
“Scusa
il ritardo… - esordì
– Ma sfido chiunque a fare sette isolati in bicicletta con
due ore di sonno!”
“Tieni,
- gli passò un
bicchiere d’acqua – bevi e andiamo da
Sam!”
Poco prima di
bere, però,
ebbe delle perplessità da estirpare: “Sicuro che i
tuoi genitori non si siano
accorti che dorme nel vostro capanno?”
“Sicuro!
– confermò, mentre
riempiva un thermos di caffè – La camera dei miei
genitori è dalla parte
opposta al capanno e anche la camera di Lindsay. Solo la mia si
affaccia sul
cortile… - lo fissò, facendogli segno di alzarsi
dallo sgabello – Forza, sbrigati!”
“Ok, -
aggiunse, dopo aver
bevuto in fretta, anticipando un’espressione seria
– so che adesso dobbiamo
pensare a Sam, ma fermiamoci un secondo a pensare a quello che sta per
accadere…
– si mostrò nervoso – Lo sai che noi due
saremo i prossimi, vero? Insomma,
finito il turno di Sam, si passa al successivo e i-io –
balbettò, preso
dall’ansia - non posso permettermi un attacco da parte di A. Ho già fin troppi
problemi!”
“E
cosa vuoi che ti dica,
Eric? – lo fulminò con lo sguardo; quello di chi
non aveva una risposta al
problema - Di comprarti una museruola così che A non ti possa chiudere la bocca con una
striscia di colla a
fissaggio rapido? – fece una pausa, mentre l’altro
deglutiva – Ho paura
anch’io, ma non posso vivere con la paura addosso tutto il
tempo. Devo
occuparmi di quello che mi si presenta davanti e non di quello che
ancora non
si è presentato, ok?...E in questo momento, nel mio capanno,
c’è Sam, che ha
bisogno di me. Di NOI! Perciò andrò da Sam,
cercando di fingere che sopra di me
non ci sia l’ascia di un boia pronta a tagliarmi la
testa.”
Eric scosse la
testa, non
molto d’accordo su come stava affrontando la situazione:
“E’ proprio del boia
che dovresti preoccuparti e non di Sam. Se uccidi il boia, starai bene
tu, starà
bene Sam e staremo bene tutti quanti!”
“Abbiamo
un piano, ok? –
replicò, oppresso - Non stiamo brancolando nel buio,
Eric.”
In
quell’esatto istante, in
cucina, entrò Ellen, sua madre, con la solita ventiquattrore
in mano, pronta ad
uscire.
“Un
piano per cosa,
tesoro?”
Eric si
voltò, assiame allo
sguardo di Rider, che tacque immediatamente.
“Buongiorno,
Signora
Stuart!”
Quella
rallentò,
avvicinandosi al frigorifero, poggiando la ventiquattrore sul tavolo,
fissando
il ragazzo.
“Ehm,
salve a te… - cercò di
ricordare il suo nome – Ehm…”
“Eric!”
esclamò quello.
“Eric!
Esatto! – finse di
conoscerlo, mentre si versava del succo – Il club dei
sospesi, eh?”
“Già!
– Rider finse un
sorriso – Comunque parlavamo di un piano di studio, in modo
da recuperare i
giorni d’assenza. Ci vedremo tutti insieme per studiare.
Probabilmente useremo
il capanno ogni tanto.”
Eric
fissò Rider, stranito,
chiedendosi perché avesse citato il capanno, visto che ci
nascondeva dentro
Sam.
“Bene,
mi sembra una buona
idea. – sospirò - Ora, però, devo
andare… - si avvicinò alla porta, dopo aver
messo il bicchiere vuoto nel lavandino – Ah, dimenticavo, -
si fermò ancora,
rivolgendosi nuovamente al figlio – porta tu a spasso il cane
dopo cena. Toby
si sta riprendendo velocemente dalla slogatura e ogni volta che Lindsay
lo
porta fuori diventa praticamente lei il cane. Ieri ha tirato talmente
forte il
guinzaglio che tua sorella è finita a quattro zampe sul
marciapiedi. – sospirò
di nuovo, squotendo la testa – Mai mandare una donna a fare
il lavoro di un
uomo!”
“D’accordo,
scriverò “Portare a
spasso Toby” su un post-it e
lo attaccherò sulla fronte. Buonagiornata, Mamma!”
“Buonagiornata,
Signora
Stuart!” la salutò anche Eric, mentre quella
usciva.
Rider si
voltò verso
l’amico.
“Adesso
andiamo da Sam!”
alzando lo zaino dal pavimento, che teneva nascosto vicino ai piedi.
Dentro ci
mise il thermos di caffè.
“Che
c’è nello zaino?”
domandò Eric, curioso.
“Mi
prendi in giro? – gli
lanciò un’occhiataccia – E’ la
roba che abbiamo rubato a Rattoville!”
“Ah,
già…Oggi è il grande
giorno allora!”
Insieme uscirono
dalla
porta sul retro, diretti verso il capanno.
“Ehi,
perché hai detto a
tua madre che studieremo nel tuo capanno, dove, tecnicamente, nascondi
Sam?”
“Gli
ho creato un alibi, in
caso lo becchino lì dentro. Sai, mia madre ha finto di
ricordarsi di te perché
gli Stuart amano ignorare l’elefante in salotto. Ignorare
qualcuno che vive,
mangia e dorme nel tuo capanno, però, è ben
diverso. In quel caso chiamerebbero
la polizia per elefanti!”
Ad Eric girava
la testa:
“Ti prego, basta metafore!”
Finalmente
entrarono nel
capanno. Sam era seduto sulla poltrona del piccolo salottino allestito
lì
dentro, la copertina che lo copriva fino al busto, il tecomando in
mano, gli
occhi fissi sulla televisione.
“Ehi,
Sam, ciao!” esordì
Eric, la voce piccola.
Quello non si
voltò,
continuò a fissare la televisione, come assente.
“Ehm,
- rise Rider,
brevemente – che guardi di bello?”
Sam
pronunciò qualcosa,
dopo qualche secondo: “Hanno arrestato Jasper Laughlin.
– raccontò, serio,
senza guardare gli amici negli occhi – Lo hanno trovato al
confine con un auto
noleggiata e una busta di contanti. Molti contanti.
Eric e Rider si
guardarono,
spiazzati, sedendosi sui divanetti.
“Ma
tutto questo non ha
senso. - pensò Rider – L’auto, la fuga,
i soldi…E’ come ammettere di essere
l’assassino!”
“Ma
non lo è! – ribadì Eric
– Quindi come mai un uomo innocente si ritrova a dover
noleggiare un auto,
fuggire e portare con sé dei contanti?”
Fu Sam a
rispondere, privo
di vitalità, lo sguardo spento e basso, le labbra ancora
ferite: “E’ stato
incastrato. A l’ha
incastrato! E non
venitemi a dire che dietro a tutto questo c’è la
Signora Dimitri, solo perché
ha fatto una dichiarazione contro di lui. E’ solamente una
donna piena di
rancore e rabbia che ha preso la palla al balzo. – una
lacrima gli scese dal
volto – Jasper ha avuto la sfortuna di quadrare perfettamente
con tutte le
coincidenze che ci sono su questo omicidio.”
“Sam,
-intervenì Rider
- noi è
dalla casa sul lago che non
sospettiamo più che A siano
la
Signora Dimitri e Clarke, bensì Violet e suo fratello. Mi
sembra ormai evidente
che A abbia dato quei soldi a
Jasper, in modo che, una volta trovato dalla polizia, collegassero quei
soldi a
quelli rubati da casa di Anthony.”
“Dio
mio, - Eric scosse la
testa, incredulo – come ha fatto A a
progettare tutto nei minimi dettagli?”
Sam finalmente
si voltò
verso di loro, fortemente provato: “Fa paura, vero? Pensare a
quanto stia
diventando dannatamente reale la follia di questa persona. Quello che
dovete capire
è che più la cosa andrà avanti e
più diventerà violento, credetemi.”
“Okey,
Sam, ma… - Rider lo
fissò a lungo, profondamento turbato – che stai
cercando di dirci?”
“Vi
prego, - le lacrime
iniziarono a scorrere a fiumi, la sofferenza evidente nello sguardo
– andiamo
alla polizia e raccontiamo tutto. Raccontiamo che è stato
un’incidente, che
eravamo spaventati e che Anthony è uscito fuori di testa,
quella notte. I-io
non posso continuare così, non ho chiuso occhio per tutto il
tempo, da ieri
sera.”
Rider si
avvicinò a lui,
disperato, inginocchiandosi, prendendo le sue mani: “Ti
prego, Sam, non lo
fare. Forse tu non ti rendi conto di quello che ci faranno,
perché non ne
usciremo puliti da questa storia, te lo garantisco. Il primo reato di
cui ci
accuseranno è quello di complicità,
perché aver investito Albert e non aver
detto nulla è omissione di soccorso, ok? Abbiamo poi
trascinato il suo corpo a
casa di Anthony e gli abbiamo dato fuoco assieme al corpo del padre:
omicidio
plurimo di primo grado, d’accordo? – scosse la
testa, secco – E’ troppo tardi,
Sam. Per non parlare del fatto che A troverebbe
un modo per incastrarci ancora di più, non contento del
fatto che ci siamo
rivolti alla polizia.”
Sam si mise le
mani davanti
al viso, impotente, devastato, urlando: “Allora cosa
facciamo? Ce ne stiamo qui
a giocare alla ruota della tortura con A?
Dovrei smettere di dormire, bere e mangiare per paura di essere drogato
nuovamente, forse? Eh?”
Rider
tirò fuori una
lettera dalla giacca, mettendogliela tra le mani e tornando a sedere.
“Che
cos’è?” domandò
quello, fissando i compagni.
“E’
il nostro piano. –
spiegò Rider – Leggi il foglio e poi
brucialo.”
Sam lo lesse,
sollevando
nuovamente lo sguardo.
“E
avete scelto su chi…??”
“Sì,
ma… - replicò Rider –
Se vuoi aggiungere qualcun altro…”
“Non
ne ho la minima idea,
francamente. Scegliete voi, mi sembra che abbiate già le
idee chiare.”
Il silenzio
avvolse la
stanza, subito dopo. Nessuno aveva altro da aggiungere. Ognuno fissava
punti
diversi della stanza, Sam torturava il foglio che aveva appena letto,
accartocciandolo.
Dopo averlo
fissato a
lungo, attirato dal rumore della carta, Eric volle sapere
cos’era accaduto
esattamente, la notte prima: “Non sei riuscito proprio a
vederlo? – conquistò la
sua attenzione, un’espressione di marmo da parte di Sam - A, dico.”
“No,
Eric…Non ci sono
riuscito. Ero drogato e a malapena ricordo ciò che
è successo. – si voltò,
continuando, straziato dalle immagini che li tornavano alla mente
– Ricordo
soltato di essere stato tra le sue braccia, mentre mi portava al piano
di
sopra. Non credo fosse una ragazza. Era un lui e mi ha toccato con il
suo
corpo; riuscivo a sentirlo.”
“Ragazzi
è Colton, -
concluse Eric, risoluto - non c’è dubbio.
Probabilmente sua sorella era al
piano di sotto che si specchiava dentro la lama di un coltello, prima
di
lasciare quell’inquietantissima scritta in bagno con il
rossetto rosso: perché
quella scritta è stata fatta con un rossetto, no?”
Rider lo
fissò, statico,
per poi voltarsi verso Sam.
“A
proposito della scritta
in bagno…E’ per quella che ieri sera mi hai
sussurrato all’orecchio di non
chiamare Nathaniel, oggi?”
Quello
annuì, a disagio.
“Sam,
puoi parlare con noi,
ok? – lo rassicurò Eric - La sera che hai
recuperato il flacone di medicine,
c’era un biglietto di A,
dentro.
Alludeva ad una cotta che hai per lui, per Nathaniel.”
Sam non poteva
più
nasconderlo, a quel punto: “Sì, è la
verità. Provo qualcosa per lui, ma lui non
lo sa. A ha giocato su questo con
me
e per tutto il giorno non ha fatto che tormentarmi: o raccontavo a
Nathaniel
ciò che provavo o confessavo la mia complicità
nell’altro crimine che non
conosciamo… - assunse un espressione sbalordita
e terrorizzata allo stesso tempo – Riusciva a
mandare messaggi al posto
mio, aveva il pieno controllo del display, della tastiera. –
i ragazzi lo
ascoltavano, assorti - Controllava anche il mio computer, ha persino
acceso la
webcam di Nathaniel, mentre era in camera sua, che si stava spogliando
per fare
la doccia…”
Rider
intervenì, in merito
all’ultima parte, curioso: “E
l’hai…visto…???”
“NO!
– Sam esclamò
energicamente, imbarazzato – Insomma, ha chiuso prima che
potessi…Insomma, non
che io volessi… - si stava aggrovigliando - Senti, cambiamo
discorso, per
favore?”
Rider
sollevò le
sopracciglia, guardando altrove.
Mentre i due
erano ancora
imbarazzati per lo scambio di battute, chiaramente riferito al nudo
integrale
di Nathaniel, Eric riflettè su quanto detto, al quanto
stupito.
“Quindi
A può accedere alle
webcam dei nostri
computer, ascoltare le nostre conversazioni e comporre messaggi? Ma che
razza
di tecnologia è mai questa?”
“E
come può permettersela,
aggiungerei! – esclamò Rider – Credo che
A
abbia un bel po’ di soldi, ma… - era
confuso, ora – questo toglierebbe di
mezzo la teoria dello studente, perché fino a prova
contraria siamo minorenni e
i minorenni non hanno tutti questi soldi.”
“I
soldi che ha preso Anthony
dalla cassaforte? – suggerì Sam, pensandoci
– A ha ucciso Anthony,
no? E i soldi erano nel borsone di Anthony,
quindi i soldi se li è tenuti A!”
“Già!
– si trovò d’accordo
Eric, spostando lo sguardo tra i due – E questo ci riporta
nuovamente a
sospettare di Violet e Colton senza incongruenze.”
Rider,
però, non si
convinse così facilmente: “Sì, ma
quanti soldi potranno esserci stati in quella
cassaforte? Nessuno di noi sa quanti soldi c’erano dentro o
quanti ne abbia
presi Anthony per fuggire da Rosewood.”
“Conoscendolo,
- ribattè
Sam - avrà preso tutti quelli che
c’erano.”
“In
ogni caso, - Rider si
alzò in piedi – Violet e Colton hanno fatto un
pessimo investimento, perché i
telefoni gli abbiamo distrutti. – prese il telefono di Sam da
sopra il tavolino,
notandolo subito dopo quanto aveva detto – Ora tocca al
tuo!”
Sam
si alzò di scatto,
stappandoglielo dalla mano: “NO, tu non distruggi proprio
niente!”
“Sam,
- ribattè l’altro,
allibito dalla sua reazione - non so se ci sei ancora con la testa, ma
ti
ricordo che i nostri telefoni sono praticamente telecomandati per
telecomandare!”
“Possono
anche farsi
spuntare due ali e volare, ma non distruggo il mio telefono per giocare
il
doppio turno con A!”
Eric
intervenì, alzandosi
in piedi anche lui: “Ma Sam, è così che
lui ci ascolta e ci controlla!”
“Bene!
– urlò – State lontani
da me allora. Dubito che A caverà
un
ragno dal buco sul nostro piano, ascoltandomi guardare South park in
televisione!”
“Ascoltandomi
guardare?” si
soffermò Rider in una smorfia esagerata.
“Dai,
hai capito!”
A
quel punto, Eric tirò
Rider: “Forza, seguiamo il suggerimento di Sam.
Andiamo!”
Quello
indietreggiò, pronto
ad uscire con l’amico. Sam, improvvisamente teso, li
fermò.
“Ehi,
aspettate! – guardò
Rider – Sicuro che non verrà nessuno
qui?”
“Sicuro!
Mia madre è allo
studio fino a stasera, mio padre è in casa che discute con
il suo agente letterario
e Lindsay è a scuola; dopo di che, passerà
probabilmente l’intera giornata
assieme al nostro professore di Matematica. Per quanto riguarda A, questo capanno è peggio di
Alcatraz
e poi con mio padre a qualche metro da qui, non si azzarderà
a farti visita…Più
tranquillo?”
Sam
si sentì meglio:
“D’accordo…Fate del vostro meglio, mi
raccomando.”
“Ce
la faremo!” ribadì
Eric, mentre uscivano. Un sorriso di conforto, prima che la porta si
chiudesse.
L’altro
si risedette sul
divano, fissando il suo telefono, lo schermo spento, poggiato sul
tavolino.
Sospirò, cercando di non pensare ad
A.
*
In
una grande e sontuosa
villa, quella mattina, Nathaniel stava nuotando all’interno
di un’enorme
piscina privata al chiuso, circondata interamente da pareti in vetro,
attraverso il quale si poteva ammirare il giardino circostante e
Rosewood,
dall’alto della collina. Accanto al bordo piscina, una serie
di lettini, dove
sua zia Courtney era seduta di fianco ad un uomo, vestito tutto di
bianco,
sportivo, il capello rivolto al contrario, sulla trentina passata. Con
in mano
il timer, egli si alzò in piedi, fermando il tempo, mentre
Nathaniel
riemergeva.
“65
vasche in 14 minuti e
23 secondi. Chi diavolo sei, - urlò, sbalordito -
amico?”
Courtney,
battendo le mani
come una ragazzina, prese l’accappatoio e corse ad avvolgere
suo nipote, che
sorrideva all’uomo, lusingato.
“Potevo
fare meglio!”
“Oh,
taci! – lo incalzò
lei, trovandolo sciocco – Sei stato bravissimo!”
L’uomo
si avvicinò, davvero
impressionato.
“Davvero,
hai talento!”
“Merito
di questa favolosa
piscina!” ne fece una panoramica con lo sguardo, mentre si
strofinava con
l’accappatoio addosso.
“Devi
sapere che Pete è il
coach di una squadra dell’Oklahoma city!”
spiegò Courtney, il sorriso
spigliato, mentre glielo raccontava.
“Oh
mio Dio, - azzardò il ragazzo
– gli Oklahoma Dolphine?”
Pete
annuì.
“Abbiamo
gareggiato contro
di loro, due anni fa. Sono davvero bravi, ma non mi ricordo di lei come
loro
coach.”
“Sono
il loro coach da un
anno, gli ho davvero messi sotto!”
Courtney
rise e anche Pete
a sua volta, mentre Nathaniel si limitava a guardarli inebetito, dato
che la
loro era una risata molto rumorosa e infantile.
“Quindi…
- cercò di
infilarsi nuovamente nel discorso – Posso venire qui ogni
volta che voglio?”
“Ma
certo! – gli diede una
forte pacca sulla spalla, quasi lo faceva cadere –
L’importante è che porti
anche la sua simpatica zietta Courtney! – rise ancora,
assieme a lei – Le mie
porte sono sempre aperte!”
“Bene!
– Courtney sfumò la
sua risata – Adesso andiamo, ci vediamo Sabato Pete. - gli
fece un’occhiolino –
Ok?”
Quello
ricambiò
l’occhiolino. I due si guardarono a lungo, silenziosi,
sorridendo e mordendosi
le labbra in maniera seducente. Nathaniel spostava lo sguardo tra i
due,
leggermente disgustato.
“Ehm…
- tentò un colpo di
tosse per interromperli – Zia Courtney?”
“Sì!
– scattò – Eccomi! –
gridò – Ciao Pete!” lo salutò
con la manina, muovendosi come un robot per
l’imbarazzo.
E
si voltò, allontanandosi
con il nipote.
“A
Sabato!” gridò l’altro.
Usciti,
giunsero all’auto.
Nathaniel si era già cambiato.
Perplesso,
aprì la portiera,
entrando dentro: “Ma dove diavolo l’hai trovato
questo?”
“Intendi
Pete?”
“No,
intendo Kermit la
rana… - fu sarcastico – Sì,
Pete!”
L’altra
si stava mettendo
la cintura: “Beh, su un sito di
incontri…”
“Perché?
– non capì – Non è
nemmeno il tuo tipo. IO sono il tuo tipo!”
Courtney
lo fissò, una
smorfia disgustata: “Detta così è al
quanto inquietante!”
“Beh,
è la verità, Zia
Courtney.Tu esci con tipi che somigliano a me e non con i tipi come
Pete: con
la risata da pappone, la pancetta e la collana da rapper!”
“Ok,
hai ragione, non è il
mio tipo. Il mio tipo è alto, con un bel fisico,
moro… - lo indicò,
arrendendosi - Beh, uno come te, sì, ma con dieci anni in
più ovviamente…Ho
semplicemente scoperto che possiede questa gigantesca villa e una
piscina
privata e…allora ho pensato che magari potevo sfruttare la
cosa. Per te.”
“Cioè?”
“Non
puoi utilizzare la
piscina della scuola per due settimane per via della sospensione e ti
lamenti
sempre di quanto sia affollata la piscina pubblica. So quanto ci tieni
ad
allenarti e volevo solo dare una mano al mio nipote preferito. Tutto
qui.”
“Oh!
– esclamò, colpito –
Grazie, ma…non c’è bisogno che ti
sacrifichi.”
“Non
mi sto sacrificando,
Nathaniel. Non sono una prostituta!”
“Lo
spero! – sorrise,
scherzoso - Mamma non ne sarebbe tanto felice.”
“Sta
zitto! – gli diede un
colpo sulla spalla, lasciandosi scappare una risata– Tu pensa
a cavalcare
l’onda, non badare a me. E poi, Pete non è male.
Mi fa ridere.”
“Sul
serio? Stamattina ha
fatto quella battuta sul gatto senza coda della sua vicina
d’infanzia e ha riso
per dieci minuti perché non aveva una coda. Non mi ha fatto
ridere, pensavo che
la battuta non fosse completa e invece era quella: il gatto senza
coda!”
“Beh,
a me ha fatto ridere;
proprio perché non fa ridere. – sospirò
– Ascolta, Nat…le mie relazioni con i
tipi come te non sono andate molto bene. C’era chi faceva
battute migliori di
Pete, ma che era pessimo in altri campi. I tipi come te, molte volte
deludono.
Pete non sembra come loro,
perciò…perché non dargli una
chance?”
Nat
si intenerì, sorridendo:
“Allora d’accordo. Diamo a Pete e alla sua
magnifica piscina una chance!”
E
i due risero, per poi
partire.
*
Rider
aveva appena parcheggiato
davanti alla scuola. Eric scese per primo, notando del fermento vicino
all’entrata.
“C’è
qualcuno che distribuisce
spille e volantini, hai visto?”
“E’
la settimana delle
elezioni, credo.” commentò Rider, chiudendo la
macchina.
“Ok,
ma se ci vede Ackett?
Moltiplicherà i nostri giorni di sospensione per
duecento.”
“Rilassati,
- ribattè,
mentre si avvicinavano - Ackett
è sempre
nel suo ufficio. Probabilmente la sedia della sua scrivania
avrà fatto il calco
del suo sedere…”
“Allora…
- Eric iniziò a
riflettere sul da farsi – su chi mettiamo il chip per primo?
E come, per di
più?”
“Beh,
con Lisa Nelson sarà
facile. Una volta che le avrai rivolto la parola, puoi praticamente
ordinarle
di metterselo addosso!”
“Dai,
non scherzare. – gli
lanciò una lunga occhiata – Sul serio, come
facciamo ad avvicinarci a queste
persone?”
“Ci
inventeremo qualcosa. –
erano sulle gradinate – Non sarà poi
così difficile!”
La
ragazza che distribuiva
spille e volantini, intanto, si era avvicinata ad un altro gruppo di
studenti,
rivolgendosi a loro con gran voce.
“Votate
anche voi per
Violet Rhimes, candidata a presidente del comitato
scolastico… - allungò loro
le spille – Un voto per Violet, un voto per
l’unità!”
“Cosa?”
sobbalzò Rider,
scambiandosi una rapida occhiata con Eric, sconvolto. Si avvicinarono
immediatamente alla ragazza.
“Violet
Rhimes si è
candidata a presidente del comitato scolastico? –
domandò Eric – E contro chi
concorre?”
Quella
rise: “Mi stai
prendendo in giro? – indicò Rider, diretta -
Contro il tuo amico!”
“Eh?
– reagì Rider, confuso
– Ma di che diavolo stai parlando?”
“UAO,
- sbigottì, sgranando
gli occhi – siete davvero strani!” e si
allontanò, continuando la pubblicità
con gli altri studenti.
Eric
si voltò verso
l’amico, incredulo: “Ti sei candidato?”
“NO!
– esclamò
energicamente – Dev’essere uno scherzo,
oppure… - riflettè, per poi posare
nuovamente lo sguardo su quella ragazza e rincorrerla – Ehi,
TU! – quella si
voltò – Dammi un paio di quelle spille!”
La
ragazza stranì, con lo
sguardo: “Sei ubriaco, forse?”
“DAMMELE!”
urlò.
“Okeey,
- lo fissò
spiazzata, mentre ne prendeva alcune dalla scatola che aveva in mano
– Tieni,
ma calmati un pò!”
Rider
le prese con foga:
“Grazie! – si voltò verso
l’amico, continuando la salita dei gradini, a passo
rapido – Mi è venuta un’idea!”
“Bene.
Per fortuna. Pensavo
fossi impazzito!”
Si
fermarono nel corridoio
davanti l’ingresso, Rider guardò a destra e
sinistra, per poi tirare Eric per
un braccio, portandolo all’interno di un’aula.
Dopo
aver chiuso la porta,
Eric lo fissò, intontito. Rider aprì il suo zaino
sopra un banco, tirando fuori
i chip, il tablet e poggiando anche le spille.
“Rider,
- seguì i suoi
movimenti - quella ha detto che sei ubriaco e inizio a pensarlo
anch’io!”
L’altro
ignorò le sue
parole, allungando il braccio e aprendo il palmo della sua mano:
“Sputa la
gomma!”
“Eh?”
“Sputala,
ho detto!”
“Rider,
mi stai facendo
paura!”
“Dovrebbe
farti paura il
fatto che A mi abbia candidato a
questo scempio. Anzi, volevo dire “Violet”, che
è A e che sicuramente
mi ha inserito tra i candidati per umiliarmi
ancora di più e avere una vittoria assicurata, dal momento
che tutti ci odiano
– lo fissò, isterico – Sputa la gomma,
Eric!”
Quello
eseguì,
togliendosela dalla bocca e mettendola sulla sua mano. Rider si
voltò nuovamente
davanti al banco, intento a fare qualcosa.
“Ma
com’è possibile che
Violet sia riuscita a farti candidare? Insomma, non ci vuole il tuo
consenso o,
perlomeno, la tua presenza?”
“E’
A, Eric. Dopo essere quasi finito
sotto ad un treno, non mi chiedo
più come faccia a fare certe cose. Le fa è
basta!”
“E
tu che stai facendo?”
domandò, osservandolo.
“Attacco
i chip dietro le
spille e una la restituirò al mittente con una specie di
scenata!”
“Rider,
fa attenzione. Se
Violet è davvero A, lei
e suo
fratello sono molto pericolosi.”
Dopo
aver attaccato tutti i
chip, Rider mise le spille nelle mani dell’amico, dandogli
delle istruzioni.
“Trova
Lisa Nelson e fai in
modo che si tenga la spilla. Poi vai negli spogliatoi della squadra di
nuoto e
metti la spilla nel borsone di Morgan. La combinazione del suo
armadietto è
4354324, me l’ha detta Nathaniel. Io mi occuperò
di Violet, poi ce la filiamo.”
“E
Colton?”
“Basterà
la sorella, tanto
vanno sempre in giro insieme come quei vecchietti che vedi al parco
sopra i
tandem!”
“Ok,
ma dove sarà lei
adesso?”
Rider
prese il tablet,
collegandosi a Facebook.
“E’
in biblioteca. – lesse
uno stato sulla pagina della scuola, una foto di Violet e
un’altra ragazza – Si
sta facendo aiutare da Brianna Santoni. Ha messo l’hashtag #WorkInProgressWithBrianna. Probabilmente
si riferisce alla
preparazione del discorso!”
“E
tu ce l’hai un
discorso?”
L’altro
mise via il tablet,
rispondendo con una sonora negazione: “NO!...Se pensa che mi
presterò a questa
buffonata, sta sognando ad occhi aperti!”
“Ok,
sbrighiamoci. –
controllò l’orologio – Ci vediamo tra
venti minuti!”
E
i due lasciarono l’aula,
dividendosi.
*
Sam,
ancora all’interno del
capanno degli Stuart, era appena uscito dalla doccia, indossando
l’accappatoio.
Il
telefono squillò, nell’altra
stanza. Si apprestò ad andare a rispondere.
“Pronto?”
rispose.
“Ehi,
Sam, dove sei? – era
suo padre - Sono appena rientrato a casa e non ti ho trovato.”
“Ehm,
sono da un
amico.”
“Pensavi di evitare la ramanzina sulla sospensione?”
“No
no…assolutamente no. E
che… - mentì – non sei tornato ieri
sera e non mi andava di stare da
solo…Comunque come mai hai fatto così
tardi?”
“Jasper
Laughlin,
l’assassino del tuo amico, è stato arrestato
questa notte. Era al confine dello
stato e, dal momento che Laughlin è residente a Rosewood,
è sotto la nostra
giurisdizione.”
“Sei
andato a prenderlo
tu?”
“Io
e altri cinque agenti.
L’abbiamo riportato a Rosewood, gli abbiamo fatto diverse
domande e non ha
risposto. Ha preteso un avvocato, ma per il momento è stato
trasferito al
penitenziario Chester’s Mill a Philadelphia. Ci
sarà un processo.”
Sam
aveva lo sguardo perso
nel vuoto, turbato: “Mio Dio…”
“L’importante
è che quel
mostro non sia più in libertà. Possiamo tirare
tutti un sospiro di sollievo.”
“Ehm,
sì si, certo.
Ascolta, io sarò fuori tutto il giorno, probabilmente resto
a dormire dal mio
amico anche stasera.”
“Cosa?”
borbottò il padre.
“Devo
andare!”
“Sam,
no! Aspetta!”
Quello
chiuse la chiamata,
tremando, per aver fatto una cosa del genere. Riprese fiato e si
rivestì.
Uscito
dal capanno, Sam
provò a fare una telefonata, continuando a guardarsi alle
spalle, nel cortile, per
paura di essere scoperto dal padre di Rider. Arrivato al cancello, si
affacciò
alla strada, richiudendolo.
Improvvisamente,
mentre attendeva
una risposta, le macchine parcheggiate lungo il vialetto riempirono
l’aria con
il loro suono d’allarme. Tutte. Contemporaneamente. Sam
sobbalzò, colto di
sorpresa, terrorizzato; tant’è che fece cadere il
telefono a terra, osservando
le auto.
Il
minuto seguente, le auto
smisero di suonare e Sam, ancora impietrito, si chinò a
raccogliere il
telefono. Arrivò un messaggio.
“Visto,
Sam? Non serve un
telefono per farmi sentire. Riferisci ai tuoi amici.”
-A
E
dopo essersi guardato attorno a lungo, iniziò a correre via.
*
Rider
irruppè nella
biblioteca della scuola, guardandosi attorno, in cerca di Violet.
Quando la
trovò con lo sguardo, si diresse impacciato verso di lei,
seduta ad un tavolo
assieme a Brianna Santoni e numerosi fogli davanti.
“Ciao,
Violet!” esordì, un
sorrisino cinico.
La
ragazza, assieme a
Brianna, lo fissarono.
“Ehm,
- lo fece a lungo,
Violet - che cosa vuoi?”
Rider
volse lo sguardo su
Brianna: “Puoi lasciarci un attimo da soli, per
favore?”
Quella
si stava già
alzando: “Vado a… - si rivolse all’amica
– prendere qualcosa al distributore.”
L’altra
annuì, per poi
guardarla allontanarsi. Finalmente si girò verso di lui, con
aria di
sufficienza.
“Allora?
Che vuoi?”
“Puoi
smetterla con la messa
in scena, Violet. So chi sei e cosa stai cercando di fare!”
“Non
so a cosa tu ti
riferisca.”
“Ah
no? Quindi io mi sarei
candidato di mia spontanea volontà?”
“Senti,
- fece una smorfia,
perplessa, mentre tornava a fare le sue cose – non ho tempo
da perdere e dici cose
senza senso!”
Rider
si avvicinò con la
faccia, mettendo le mani sul tavolo, furioso: “So che sei
stata tu a candidarmi
a queste elezioni. Non so come hai fatto, ma sei stata tu. Vuoi
vincere, ma
vuoi farlo in grande stile. Umiliandoci, ad esempio.”
“Umiliandovi?
– rise – Vi
siete umiliati da soli, io non ho fatto proprio nulla.
L’unica cosa che sto
facendo è creare un ambiente scolastico più
sicuro e che sia in grado di
tutelare gli studenti e, soprattutto, i più
deboli.”
“Oh,
sono commosso. – finse
una tenera smorfia – Buffo come Violet Rhimes sia uscita
tutta in una volta,
ora che Anthony non c’è più. Prima eri
solo un fantasma!”
“Pff,
non sapevo nemmeno
che suono avesse la tua voce, quando Anthony era vivo. Ora,
però, sembri averla
tirata fuori.”
“Già,
Violet. – la fulminò
con lo sguardo – E stai pur certa che mi farò
sentire forte e chiaro. Sei solo
un castello di carte, mia cara. Basterà cercare la carta
meno rigida per farti
crollare.
“Il
castello di carte siete
voi, non io. – puntò il dito contro di lui,
minacciosa – Avete scelto di essere
amici di Anthony e ora avete la vostra reputazione. – si
lasciò scappare
l’ennesima risata – Non so davvero con che coraggio
hai deciso di candidarti,
ma quando l’hai fatto, ho deciso di farlo anch’io,
perché la scuola non finirà
nelle vostre mani di nuovo.”
Rider
scosse la testa,
basito: “Te lo ripeto per l’ultima volta: io non mi
sono candidato!”
“Devi
avere qualche rotella
fuori posto… - prese il suo telefono dalla borsa, agitandolo
davanti a lui – Se
non sei stato tu a candidarti, allora chi mi ha mandato questo
messaggio
vocale, appena dopo la vostra sospensione?”
E
fece partire la
registrazione.
“Ti
sei messa contro le persone sbagliate, Violet,
parlandoci in quel modo, davanti a tutti gli studenti. Ho appena fatto sapere ad Ackett che mi
candiderò per le
prossime elezioni del comitato studentesco. Hai sporcato la nostra
immagine, ma
noi recupereremo e tu sarai di nuovo un grido nel vento. Non riuscirai
a
mettere la scuola contro di noi. Tornerà tutto come
prima.”
La
voce della registrazione
era quella di Rider e lui stesso rimase impietrito
nell’ascoltarsi, perché non
era lui a parlare.
“Se
mi sono candidata è
perché non ho paura delle tue minacce. Non ho mai avuto
paura di voi quattro. E
non lascerò la scuola in mano a voi quattro. Ti consiglio di
preparare un buon
discorso, perché ho praticamente vinto.”
“Come
hai fatto?” le
domandò, riprendendosi dallo shock.
“Fatto
cosa?”
Ora
fu Rider a farsi
sfuggire una risata, tanto non avrebbe ammesso nulla:
“Niente, Violet. Sono
solo venuto a dirti che la vittoria è tua e che non
farò alcun discorso. Hai
ragione, hai vinto. – prese la spilla che aveva in tasca e la
attaccò alla
giacca di Violet – Ecco, ora sei perfetta. Spero vivamente di
vederti alla Casa
bianca, un giorno.”
Quella
era sempre più
confusa: “Tu non sei normale, lo sai?”
“La
normalità è
sopravvalutata, Violet. Goditi la vittoria!” e si
congedò con un finto sorriso.
Intanto,
Eric, era appena
uscito dagli spogliatoi della squadra di nuoto, dove aveva messo il
chip nel
borsone di Morgan Patterson.
Lungo
il corridoio, vide in
lontananza una ragazza che beveva dalla fontanella. Man mano che si
avvicinava,
gli sembrò di riconoscerla e la cosa lo scioccò a
tal punto da pronunciare il
suo nome, quando fu proprio a due passi da lei.
“Lisa?”
Quella
si voltò verso di
lui. Era proprio lei, era diversa: più bella, con abiti
nuovi,e, soprattutto, senza
le trecce.
“Oh,
ciao. – lo salutò, seria
– Strano che tu sia qui, non eri stato sospeso?”
“Ehm,
sì. – era ancora
disorientato dal suo aspetto – Sono solo tornato
perché-perché Rider ha bisogno
di una cosa, di un libro che ha lasciato qui. L’ho
accompagnato e…Dove sono le
tue trecce? – cambiò immediatamente discorso -
Insomma, sei-sei… - cercò di
trovare le parole – sei… ”
“Diversa?”
suggerì lei.
Eric
ne era incantato: “In
realtà stavo per dire…bellissima!”
L’altra
sorrise, mentre
poco lontani da loro, due ragazzi, vicino agli armadietti, stavano
avendo una
discussione.
Lisa
si voltò a guardarli per
un attimo ed Eric approfittò del suo momento di distrazione
per gettare la
spilla, con attaccato il chip, dentro la sua borsa, poggiata a terra,
accanto
alla fontanella.
“Ehm,
grazie del complimento
– si girò nuovamente, raccogliendo la borsa
– Ora, però, devo andare a lezione,
sta per suonare la campanella.”
“Oh,
certo… - annuì -
Allora ciao!”
“Ciao!”
ricambiò, voltandosi
rapidamente, i capelli che ondeggiavano, lucenti e perfetti.
Alle
sue spalle, arrivò
Rider, frettoloso.
“Non
ci crederai mai!”
“Ehi,
hai visto Lisa
Nelson? – Eric non gli diede retta, indicandogli la ragazza
– E’ praticamente
nuova di zecca!”
Rider
non ne era
meravigliato, mentre la scrutava distrattamente: “Beh,
sì, preparati, perché al
nostro ritorno a scuola ci saranno parecchi studenti 2.0! Violet non ha
praticamente rivali e anche se tentassi di competere, non saprei
nemmeno cosa
scrivere per il discorso, la gente mi odia.”
“Cos’altro
deve succedere
ancora? – non se ne capacitò – Il nostro
mondo si sta davvero capovolgendo!”
L’amico,
però, aveva ancora
una sorpresa per lui: “E questo è niente, reggiti
forte! – si guardò in giro,
parlando sotto voce – Quando ho chiesto a Violet se
c’entrasse qualcosa con la
mia candidatura, mi ha guardato come se fossi matto e mi ha fatto
ascoltare una
registrazione in cui la minaccio.”
“La
minacci? – sussultò - Perché
l’hai minacciata?”
“Non sono stato io, è stata la mia voce!”
Quello
scosse la testa,
intontito: “Ehm, ok, adesso non ti
seguo…”
“Ho
fatto sapere a Violet
che mi sono candidato e di conseguenza si è candidata anche
lei! – sospirò,
scocciato - La mia voce deve aver parlato anche con Ackett!”
“Rider,
- lo prese per le
spalle, sempre più confuso – di che cavolo stai
parlando?”
“Violet
ha copiato la mia
voce al computer e la sta usando per cose malvagie, ok? Ti è
più chiaro ora?”
“Era
proprio la tua voce?
Identica?”
“Sì
ed è stato inquietante;
come quando parli da solo allo specchio e la tua voce rimbomba in tutta
la
stanza.”
“Ma
come… - era sbigottito
– come fa a fare queste cose?”
“Dev’essere
un androide,
non c’è altra spiegazione!”
“Comunque
ho messo il chip
nella borsa di Lisa e l’altro nel borsone di
Patterson.”
“E
io ho messo il chip a
Violet!”
“Bene.
Ora non ci resta che
aspettare che uno di loro ci porti al covo, così potremo
recuperare i nostri
video e finire questa cosa una volta per tutte.”
Rider
si guardò ancora una
volta intorno, teso: “Meglio filare via da qui, prima che
qualcuno mi riconosca
ed inizi a gettarmi pomodori addosso.”
“Si,
andiamo.”
*
Sam
era seduto sulle
gradinate del portico della casa di Nathaniel, che lo aspettava da
quasi
un’ora. Improvvisamente, sentì un rumore di
portiere che si chiudevano e delle
voci, così si alzò, sperando fosse lui, le mani
nelle tasche del giaccione.
Erano
lui e sua zia, che
ridacchiavano e avanzavano con degli acquisti.
“E’
possibile che quella
commessa mi abbia detto che quel vestito mi stava male
perché se lo voleva
accaparrare lei con lo sconto dipendenti?”
“Probabile,
perché quando
lo ha rimesso a posto, l’ha tipo accarezzato.”
“E’
sempre bello fare
shopping con mio nipote. – gli sorrise per poi ripensare a
quella commessa con
cinismo nello sguado - La prossima volta assisterai al licenziamento di
quella
brutta Cài cân dùng cho vàng
và bąc!”
“EH?”
non capì.
“Significa
Troia in
Vietnamita!”
Quello
rise assieme a lei,
fermandosi dal camminare e sorridere non appena poggiò lo
sguardo sull’amico.
“Sam!”
“Ehi!”
ricambiò, mentre
Courtney spostava lo sguardo tra i due.
“Oh,
un amichetto di
Nathaniel un pò secco!”
“Zia
Courtney!” la
richiamò.
“Scusami,
- rise lei,
rivolgendosi a Sam, gesticolando con le buste che ciondolavano dai
polsi – e
che sono abituata ai ragazzi palestrati amici di Nathaniel! Credo di
avere una sorta
di memoria addominografica o qualcosa del genere.”
Quello
le lanciò un’occhiataccia,
mentre Sam sorrideva, imbarazzato.
“Oookay,
vado dentro a
provarmi le cose che ho comprato e che mi renderanno più
giovane di due anni. –
scappò via, passando di fianco a Sam – Piacere di
averti conosciuto!”
“Anche
a me!”
Poi
Nathaniel si avvicinò a
lui.
“Tutto
bene? Che ci fai
qui?”
“Amici
palestrati?” ignorò
la domanda.
“Si
riferisce ai miei amici
della squadra; magicamente scomparsi dopo l’uscita del nostro
video scandalo!”
“Beh,
- gli sorrise – hai
sempre me, Rider ed Eric, no?”
“Già…
- ricambiò il sorriso
– E comunque le tue labbra sembrano migliorate.”
“Ehm,
- se le toccò –
insomma, sono ancora ruvide e spaccate. Ci vorranno dei giorni
affinchè tornino
come prima, se mai torneranno come prima.”
“Comunque
non hai risposto
alla mia domanda: che ci fai qui?”
“Jasper
è stato arrestato
ieri sera. Aveva molti contanti con sé e anche un auto
noleggiata.”
“Mio
Dio…”
“Già,
sembra che A l’abbia
incastrato per bene e io sono
preoccupato per noi quattro. Che accadrà quando si
sarà stancato di giocare con
noi? Molto probabilmente proverà ad incastrarci come ha
fatto con Jasper.”
“Ascolta,
Sam, ci stiamo
già lavorando. Rider e ed Eric ti hanno messo al corrente
del piano, no?”
“Sì,
ma siamo sicuri che A non ne
sappia nulla? Insomma, pensavate
di essere andati a Brokehaven di nascosto e invece A
lo sapeva.”
Il
dubbio si insinuò in
Nathaniel: “Beh, non saprei, ci siamo liberati dei telefoni,
perciò…”
“Perciò
nulla, Nat. Non
puoi saperlo. Potrebbe esserci un microfono persino nella cassetta
della posta,
stiamo solo facendo arrabbiare A.”
“E
cosa dovremmo fare? –
alzò la voce - Arrenderci?...Ora più che mai
dobbiamo ricorrere a qualunque
mezzo per fermare questo mostro. Dopo quello che ti ha fatto, lo avrei
ucciso
con le mie stesse mani se fosse stato davanti a me. E’ un
codardo, chiunque
sia.”
Sam
deglutì, le sue parole
lo emozionarono, anche se cercò di non darlo a vedere:
“Ehm, sì, è senz’altro
un codardo…”
“Quindi
sei venuto qui solo
per dirmi di Jasper?”
“In
verità, no. Ho parlato
con mio padre questa mattina e mi ha detto che è stato
trasferito al
penitenziario di Chester’s mill, a Philadelphia. Ci
sarà un processo, ma
resterà rinchiuso lì…Dubito che
qualcuno pagherà la sua cauzione, non ha
nessuno che possa aiutarlo.”
“Ok,
ma… - sentì che c’era
qualcos’altro – Perché ti sei informato
su dove si trova?”
“Voglio
andare a parlare
con lui!”
“COSA?”
lo trovò assurdo.
“Pensaci:
Jasper non ha un
soldo ed è stato ritrovato a scappare con una mazzetta di
contanti e una
macchina. E se A fosse venuto a
contatto con lui? Insomma, come poteva, Jasper, da solo, sapere che
c’era un
mandato d’arresto per lui? E’ stato avvertito e
aiutato a fuggire con
l’inganno.”
“Quindi
credi che Jasper
conosca il viso di A?”
“Forse.
Vale la pena
seguire questa pista, perché francamente credo che con la
storia dei chip
faremo…”
Nathaniel
gli tappò la
bocca di getto, ritirando subito le mani, mortificato.
“Oh,
scusa, non volevo… -
temeva che fossero ascoltati - E’ che stai parlando del
nostro piano e…”
“No
no, rilassati. Ho
nascosto il mio telefono in un posto, prima di venire qui.”
“Ah,
ok… - tirò un sospiro
di sollievo – Dicevi?”
“Dicevo
che non ho molta
fiducia in questo piano. Da quando A mi
ha toccato…ho come la sensazione di riuscire a percepire
quando siamo sulla
strada sbagliata.”
“Pensi
che Violet e Colton
non siano A?”
“Francamente?
Non tanto.”
“Senti,
va bene. – lo
appoggiò – Probabilmente A
ci sta
precedendo come al solito, ma non può stare dietro a due
gruppi. Andiamo a
Philadelphia, mentre è impegnato a tenere d’occhio
Eric e Rider.”
Nathaniel
iniziò a
muoversi, diretto verso l’auto. Sam era ancora fermo.
“Ehi,
Nathaniel!”
“Che
fai? – si voltò – Non
vieni?”
“Grazie….
– gli sorrise –
Sei l’unico che riesce a capirmi davvero.”
“Muoviti,
- rise,
scherzandoci sopra – prima che sembri una cosa gay!”
Anche
Sam rise. Meno,
quando Nathaniel si voltò. Lo amava, ma lui non lo
sospettava minimamente.
Entrambi
salirono in auto,
diretti a Philadelphia.
*
Eric
e Rider, nel
frattempo, erano appena entrati al Brew. Alexis li salutò
come sempre.
“Ciao,
ragazzi!”
“Ehm,
- Eric prese le
chiavi del suo appartamente dalla tasca e le diede all’amico,
fissando Alexis –
inizia a dare un’occhiata a quella cosa, io ti raggiungo
subito.”
Rider
spostò lo sguardo fra
i due: “Ook!” e se ne andò.
Alexis
percepì qualcosa di
strano.
“Devi
dirmi qualcosa per
caso? – sorrise – Avevo piacere a scambiare due
chiacchiere anche con Rider,
dato che mi avevate promesso un libro.”
“In
verità, sì. – divenne
serio – Come mai non hai risposto ai miei messaggi?”
“Mi
hai mandato dei
messaggi? – se ne sorprese, ammiccando - E che mi hai scritto
di bello?”
“Davvero
non gli hai ricevuti?”
“Evidentemente
hai
stalkerato la ragazza sbagliata, perché non ho ricevuto
nulla… - riflettè, poi
– Aspetta, e poi come avresti trovato il mio
numero?”
“L’ho
trovato su facebook,
a dire il vero.”
L’altra
rise: “Fingerò che
questa cosa dell’avermi cercata su Facebook sia una cosa
normale e non da
Psyco. E comunque, quello è il mio vecchio numero.
L’ho cambiato.”
“Ah,
ok. – rise, sentendosi
stupido – Pensavo non volessi rispondermi e ci ero rimasto
male.”
“Ah,
sì? – si appoggiò al
bancone, curiosa – E cosa c’era scritto su questi
messaggi?”
“Vuoi
uscire con me?” fu
diretto.
“Oh!
– esclamò, sorpresa,
buttandosi indietro – Davvero?”
“Sì,
davvero. Perché non
dovrebbe essere per davvero?”
“Perché
alla gente piace
più scherzare che fare sul serio.”
“Beh,
io non sono la gente.
– sussurrò, poi - Io faccio sul serio!”
Quella
sorrise, felice:
“Bene! Alla grande! Finisco per le 21.30, ci sarai?”
“Hai
intenzione di uscire
con me con il grembiule addosso? – rise - Non torni a
cambiarti a casa come
fanno tutte le ragazze del mondo?”
“Beh,
io non sono tutte le
ragazze... – ribattè, un lungo sguardo –
Cenerentola non era sicura di sè
stessa ed è per questo che si è fatta bella per
andare al ballo. Quello che non
sapeva, però, era che il suo principe l’avrebbe
notata anche con degli stracci
addosso.”
“Farsi
belli non è insicurezza.
E’ svegliarsi la mattina e dire: Oggi
mi
faccio bello perché mi fa stare bene.”
Alexis
lo fissò a lungo
prima di replicare, secca: “Appunto, è insicurezza
quella! Io non ho paura di
uscire con un grembiule sotto al cappotto. So che il mio principe mi
riconoscerà ugualmente. Che riconoscerà la vera
me: Questo mi fa stare bene!”
Eric
sorrise ancora,
continuamente sorpreso dalla sua personalità:
“Beh, il tuo principe ti ha
notata!”
“Ah,
sì? – giocò, fingendo
di cercarlo - E dov’è?”
I
due risero, finchè non si
presentò qualcuno al bancone. Un ragazzo.
“Scusa,
puoi passarmi dei
tovaglioli, per favore? Ho rovesciato la tazza accanto al mio
portatile!”
Si
trattava di Clarke
Dimitri. Eric lo fissò, indietreggiando di un passo,
sorpreso di vederlo.
“Ehm…
- Alexis guardò
ovunque – Vado a prenderli dietro, pare che qui non ce ne
siano più. Torno
subito!” e corse via.
Rider,
intanto, era sceso,
fermandosi di colpo, appoggiandosi allo scorrimano delle scale, quando
notò
Clarke vicino ad Eric. Quello, aspettando i suoi tovaglioli, si
voltò
finalmente verso Eric, scrutandolo per qualche secondo prima di parlare.
“Nathaniel
Blake, giusto?”
“Come,
scusa?” tentennò,
Eric.
“Dico,
sei amico di
Nathaniel? L’ho conosciuto al ristorante di suo padre e ti ho
visto con lui ai
funerali di mio fratello, in chiesa. Eri amico di Anthony anche
tu?”
“Ehm,
- annuì – sì, lo
ero.”
Clarke
annuì, un sorriso
gentile. Eric, in quel momento di stacco, si girò verso le
scale, incontrando
lo sguardo di Rider. A quel punto, Eric costrinse l’amico a
voltarsi verso uno
dei tavoli, in fondo a Brew, dove erano poggiate le cose di Clarke.
Rider capì
cosa dovette fare.
Per
distrarlo dall’amico,
Eric riprendette il discorso.
“Ti
fermi ancora per molto
a Rosewood?”
“Ehm,
io no, ho un volo tra
un’ora, ma mia madre sì. Tornerò in
vista del processo a Laughlin, che è stato
arrestato ieri.”
“Sì, - annuì, cercando trattenerlo con
lo sguardo - ho sentito al notiziario.”
Rider,
intanto, si era
avvicinato al tavolo e buttando una rapida occhiata verso il bancone,
mise uno
dei chip dentro la borsa del ragazzo, poggiata sulla sedia. Subito,
poi, si
allontanò.
Alexis
tornò con i
tovaglioli, interrompendo la conversazione.
“Ecco,
tieni!” glieli
passò, gentile.
“Grazie!
– esclamò,
voltandosi verso Eric – E’ stato un piacere.
Ciao.”
“Anche
per me!” ribattè,
mentre quello tornava a sedere.
“Ma
conosci tutti quelli
che entrano qui dentro? – lo incalzò Alexis -
Prima quella Lisa, ora questo
ragazzo.”
“Rosewood
è più piccola di
quanto pensi! – rise, cercando di non attirare altre domande
– Ora è meglio che
vada da Rider. – si girò a guardarlo, sulle scale,
mentre quella seguiva il suo
sguardo – Come vedi, è tornato giù. Non
è molto paziente!”
“Ok!
– sorrise - Allora a
stasera!”
Lui
le fece un’occhiolino:
“A stasera!” e si allontanò dal bancone.
Raggiunte
le scale, salì
con Rider al piano di sopra.
“Fortuna
che sei sceso!”
“Ho
dovuto! – marcò con
gran voce – La chiave si è spezzata nella
serratura!”
“Cosa?
– si indignò –
Rider!”
“Che
c’è? – si sentì
attaccato ingiustamente - E’ una serratura strana! E poi
guarda il lato
positivo, non sarei mai sceso per mettere il chip anche a Clarke; che
dai
racconti di Nathaniel sembra sapere qualcosa su
Rosewood-riservato.”
L’altro
lo guardava ancora
male, raggiunto il pianerottolo. Si chinò davanti alla
serratura, scocciato.
“Rider,
l’hai spezzata
davvero!”
Quello,
nel frattempo, aveva
tirato fuori il tablet, che stava osservando.
“Pensavi
che scherzassi? –
replicò, disinteressato – Comunque Violet si
è spostata di soli due metri…”
Eric
lo fulminò con lo
sguardo, nuovamente.
“Che
c’è? – borbottò Rider
– Non è colpa mia se i nostri topi non si muovono
di molto!”
Arrabbiato,
Eric tornò sui
gradini: “Mia madre ha lasciato un doppione delle chiavi,
giù al Brew. Vado a
prenderle e poi cerco di togliere il pezzo incastrato nella
serratura.”
“Ok,
io guardo i topi!”
esclamò, mentre l’amico scendeva.
*
Qualche
ora dopo, a
Philadelphia, Nathaniel e Sam, vennero perquisiti, prima di accedere
alla
stanza più grande del penitenziario, quella delle visite ai
carcerati.
“Pensavano
di trovare un
tesoro nelle mie mutande? – si lamentò Nathaniel,
mentre camminavano - Mi hanno
palpato il pacco quattro volte!”
“E’
un carcere di massima
sicurezza, Nat. Ti aspettavi una stretta di mano, forse?”
“No,
ma… - lasciò perdere –
Chi se ne frega, troviamo Jasper!”
“C’è
parecchia gente… –
cercò di scrutare tra i tavoli sparsi –
E’ enorme questo posto, sembra di
essere al centro commerciale, ma senza negozi e scale mobili.”
“Oh
mio Dio! – esclamò
Nathaniel, con lo sguardo fissò in un punto, fermandosi
– Credo di averlo
visto.”
Sam
seguì il suo sguardo.
“Cavoli,
è lui. – sbiancò,
teso – Oh mio dio, che facciamo? Ho tanta voglia di tornare
indietro adesso.”
Nathaniel
prese
l’iniziativa e avanzò, sotto gli occhi sorpresi
dell’amico, rimasto fermo a
titubare.
“Ehi,
aspettami!” lo
rincorse.
Quando
furono più vicini al
tavolo, Jasper si accorse della loro presenza. Solo quando si
sedettero, quello
comprese
che erano lì per
lui. E sbigottì per questo.
“E’
una specie di scherzo?
E’ lei che vi manda?”
Nathaniel
e Sam si
guardarono tra loro, confusi, prima di aprire bocca.
“Lei
chi?” fu Nathaniel a
domandarlo.
“Amanda!
Amanda Dimitri! So
chi siete voi due…Siete amici di Anthony, vi ho
già visti prima d’ora.”
“Non
ci manda lei, - spiegò
Sam - non la conosciamo nemmeno!”
“E
allora che ci fate qui?
– urlò, ma nei limiti – Eh? Volete
ottenere una prova per incastrarmi?”
“Ma
tu sei stato GIA’
incastrato! – ribattè Sam, lasciandolo irrigidito
– Non siamo qui per ottenere
una prova, credimi.”
“Di-di
che cosa state
parlando? – balbettò, intontito – Il mio
avvocato ha detto che non devo dire
una parola. Stanno verificando il mio alibi.”
“Hai
un alibi?” constatò
Nathaniel, sorpreso.
“Certo
che ce l’ho, ma non
è abbastanza solido.”
“Jasper,
ascoltami
attentamente. – Sam lo chiamò alla sua attenzione
– Qualcuno ti ha incastrato,
ma non è la Signora Dimitri, ok? Adesso devi dirci
perché sei scappato e perché
avevi con te tutti quei soldi e un’auto noleggiata. Come
facevi a sapere del
mandato d’arresto su di te?”
Quello
deglutì, restio. Non
riusciva a fidarsi.
“Jasper,
puoi parlare con noi.
Sappiamo tutto di Kevin Dimitri e della vostra relazione... –
continuò
Nathaniel – Inoltre…”
Si
guardò con Sam, che
continuò la staffetta.
“Sappiamo
che sei
innocente!”
Jasper
sgranò gli occhi,
spostando lo sguardo fra i due, fortemente provato in viso per
ciò che stava
passando.
“Certo
che lo sono, io non
avrei mai potuto uccidere Kevin e suo figlio.”
“Lo
sappiamo! – esclamò
Nathaniel – Perché è stato Anthony ad
uccidere suo padre.”
Sam
si voltò verso
Nathaniel, il volto pietrificato; non si aspettava che avrebbe svelato
un
segreto così importante e pericoloso al tempo stesso. Non si
erano organizzati
per dire questo.
“I-io
non capisco… - scosse
la testa, Jasper, più confuso di prima – Anthony
è morto! L’hanno trovato
accanto a Kevin!”
“Quello
non era Anthony, –
continuò Nathaniel – ma un ragazzo che
Anthony ha ucciso e che ha fatto spacciare per lui, in modo da poter
fuggire e
non essere beccato dalla polizia.”
“Anthony
è vivo?” sussultò.
Sam
prese finalmente parola,
meno teso, ora che, ormai, erano entrati nel vivo del discorso:
“No, è stato
assassinato anche lui.”
“Come
fate a sapere tutte
queste cose? – si agitò, Jasper -
Perché le state dicendo a me e non alla
polizia?”
“Perché
la persona che ha
ucciso Anthony -
rispose Nathaniel -
è la stessa che ti ha incastrato e che sta
tormentando noi.”
“Per
quale motivo?” domandò
Jasper, sempre più sconvolto.
“Per
vendetta!” replicò
Sam.
“Per
cosa?”
“Per
il ragazzo che Anthony
ha ucciso!” ribattè ancora.
“Si,
ma cosa c’entrate voi?
Cosa c’entro IO?”
“Eravamo
con Anthony quella
sera. – spiegò Sam – Questa persona ci
accusa di essere suoi complici, anche se
non abbiamo fatto nulla. Tuttavia, non vuole denunciarci, ma solo
rendere le
nostre vite un inferno…Il ragazzo che Anthony ha ucciso,
veniva nella nostra
stessa scuola e questa persona sembra che tenesse molto a lui. A tal
punto da
fare tutto questo.”
“Quindi
ha mandato me in
galera per fermare le indagini della polizia e farsi giustizia
privata?”
Il
loro silenzio fu un
ammissione.
Jasper
si rilassò un
secondo sulla sedia, tirandosi indietro con la schiena, lo sguardo
perso,
mentre metabolizzava la cosa.
“Io
ancora non capisco
perché lo state dicendo a me e non alla
polizia…Insomma, se siete innocenti, perché
non vi rivolgete a loro? Capiranno la vostra posizione, siete solo
degli
adolescenti.”
“Perché
ci minaccia,
Jasper. Tu ancora non ti rendi conto di chi stiamo parlando. Questa
persona proverebbe
ad incastrare anche noi se solo ci provassimo, ci ha già
avvertiti. – aggiunse
Nathaniel – E non parlo di veri crimini, ma di cose
inventate, che riesce a
rendere vere. Per questo sei qui. Per questo devi aiutarci a capire chi
sia.”
“Sapete
che quello che mi
avete appena detto, potrei dirlo al mio avvocato, vero? Per salvarmi,
intendo.”
“Non
ti salverai, Jasper. –
ribattè Sam, secco – Vedi le mie labbra?
E’ stato lui a farmi questo, dopo
avermi drogato. – gli occhi divennero lucidi –
Quando mi sono risvegliato, la
mia bocca era completamente serrata da una striscia di colla a
fissaggio rapido
che ho dovuto staccare fino a sanguinare, inginocchiato sul pavimento
del mio
bagno…Lui, ormai, ha il totale controllo della mia vita e io
devo fare tutto
ciò che desidera finchè non trovo i mezzi per
fermarlo. Tu sei solo un capro
espiatorio, uno dei tanti pezzi del puzzle. Se tu fai parola con
qualcuno, di
quello che ti abbiamo appena detto, lui farà in modo che non
ci siano prove e
che nessuno ti creda. Poi si vendicherà di te nel peggiore
dei modi; peggio di
quello che già ti sta facendo! E quando avrà
finito con te, passerà a noi.”
“A può fare cose che vanno ben
oltre il normale. – raccontò
Nathaniel - Non puoi nemmeno immaginare.”
“A?” Jasper si portò
in avanti con la schiena.
“E’
così che si firma nei
messaggi che ci manda.” spiegò Sam.
“Io-io…E’
stato qualcuno di
nome A a darmi i soldi.”
“Di
persona? – quasi urlò,
Nathaniel, guardandosi con Sam, in attesa di una risposta rapida
– Dove?”
“No
no, non di persona. Li
ho trovati nella cassetta della posta, assieme ad una pen drive.
Conteneva la
deposizione di Amanda, che parlava di me alla polizia e di come fosse
sicura
che ero stato io. Dentro alla busta c’era anche un biglietto
firmato da questa A. Mi suggerito di
scappare.”
“Ma
non hai detto che avevi
un alibi? Perché hai seguito il suo consiglio?”
“Perché,
come ho già detto,
il mio alibi non è abbastanza forte e le accuse contro di me
erano praticamente
schiaccianti in modo assurdo...Vivo da solo e non ho molti amici. La
notte
dell’omicidio, stavo andando in un locale, il Ginseng.
Volevo solo distrarmi un pò… – aveva le
lacrime agli occhi
– Solo che…Amavo davvero Kevin, e per me
è stato difficile dovermi staccare da
lui. Non mi ha voluto più vedere, dopo aver scoperto che era
positivo all’HIV.
La paura e il pensiero di poter contagiare un altro uomo e distruggere
un'altra
vita, mi ha costretto a tornare a casa. Se solo fossi entrato in quel
locale,
qualcuno avrebbe potuto dire di avermi visto quella notte. –
pianse, lo sguardo
basso – Se solo fossi entrato…”
“Hai
detto stanno
verificando il tuo alibi… - ricordò Nathaniel
– Se sei tornato a casa, cosa
stanno verificando di preciso?”
“Un
uomo, dalle parti di
quel locale, mi ha chiesto se avevo da accendere, ma io non fumo,
quindi gli ho
risposto di no. Aveva un cappotto lungo e nero e una sciarpa rossa.
Biondo e
con gli occhiali. E’ l’unico che mi ha visto quella
sera, ma aveva un marcato
accento Francese… Dubito che lo troveranno.”
Sam
era commosso, provò
molta pena per lui: “Mi dispiace…”
“Jasper,
ascolta. – lo
chiamò Nathaniel – Stiamo cercando di fare il
possibile per scoprire chi sia
questa persona, ma tu devi prometterci che non farai cazzate. Che non
farai
parola con nessuno di quello che ti abbiamo detto oggi. Noi siamo la
tua unica
ancora di salvezza e se mandi tutto al diavolo, resterai qui a vita. A ha bisogno che tu resti qui in
prigione per avere campo libero con noi e farà in modo che
le cose restino
così, perciò non tentare nulla e lascia che ce ne
occupiamo noi.”
“Devi
resistere, Jasper. –
Sam allungò la mano sul tavolo, stringendo quella
dell’uomo – Ti faremo uscire
da qui, ma devi darci tempo. Noi sappiamo la verità, ok?
Sappiamo che sei
innocente e questo deve bastarti.”
“D-d’accordo…”
annuì,
esausto, quasi in procinto di piangere nuovamente.
“Hai
qualcos’altro da
dirci? – Nathaniel non voleva andarsene a mani vuote -
Qualcosa che potrebbe
aiutarci? Ogni dettaglio potrebbe essere utile.”
“No,
niente. Mi dispiace...
– una lacrima solcò il suo viso, la voce rotta
– Non riesco credere che un
figlio possa uccidere il proprio padre. Io lo amavo
davvero…”
“E
noi non possiamo credere
di essere stati gli amici di un tale mostro…”
commentò Nathaniel.
Dopo
un breve sguardo tra i
tre, Sam e Nathaniel si alzarono.
“Torneremo
a trovarti. –
aggiunse Sam – E ti aggiorneremo. Resisti!”
Entrambi
si voltarono,
allontanandosi.
“Ragazzi!”
li fermò,
Jasper.
“Si?”
si girò Sam per
primo.
“Siete
solo degli
adolescenti. Come pretendete di farcela?”
“Ce
la faremo!” esclamò
Nathaniel, un tono determinato.
Jasper
non aggiunse altro,
lo sguardo fiducioso. I due se ne andarono, mentre Jasper veniva
riportato in
cella.
*
Raggiunto
il parcheggio del
penitenziario, Sam era arrivato per primo alla macchina, fermandosi
davanti alla
portiera a testa bassa. Alle sue spalle arrivò Nathaniel.
“Ascolta,
Sam, forse è
meglio che… - vide il suo volto riflesso sul vetro della
macchina: stava
piangendo – Ehi, - lo voltò – tutto
bene?”
“Jasper
ha ragione! – urlò,
tra le lacrime – Come pretendiamo di farcela contro A? Mi è bastato vedere
quell’uomo, rinchiuso dentro quel posto,
distrutto, per rendermi conto del potere che detetiene quel
bastardo.”
“Sam,
ascolta…” Nathaniel
cercò di incoraggiarlo, ma quello non glielo permise.
“NO,
Nat! Non abbiamo la
minima idea di chi sia, mentre Rider ed Eric perdono tempo a correre
dietro a
persone che chiaramente non possono essere A.”
“Non
puoi saperlo.”
“Sì,
che lo so! Pensi
davvero che Violet sia capace di fare tutto questo? Jasper ha ricevuto
la
deposizione di Amanda Dimitri in una pen drive, Nathaniel. Sai cosa
significa
questo? Che A ha hackerato il
sistema della polizia per ottenere quella deposizione e una
diciassettene non è
in grado di fare questo.”
“Quindi
pensi che si tratti
di una persona più grande? – cercò di
ipotizzare, poi – Con una laurea,
magari?”
“E’
una persona più grande,
che ha parecchia esperienza in queste cose. Forse più di
una, non lo so.”
“E’
che legame avrebbe con
Albert?”
“E’
quello che dobbiamo
capire, prima che A si stanchi di
giocare con noi e ci metta dietro le sbarre.”
I
due si guardarono. A
lungo.
“Nathaniel,
io… - i suoi
occhi divennero lucidi, di nuovo – C’è
una cosa che non ti ho detto.”
“Per
caso c’entra con il
fatto che stamattina volevo venire a vedere come stavi e Rider si
è inventato
mille scuse per tenermi lontano?”
Sam
restò a guardarlo a
lungo, combattuto dai suoi sentimenti. Improvvisamente, vinto da
questi, lo
abbracciò, le braccia intorno al suo collo e il cuore in
gola per la timidezza
di quel gesto. Nathaniel sgranò gli occhi, colto di sopresa,
le braccia giù,
mentre quello parlava.
“A ha giocato con uno dei miei segreti
più importanti, un segreto
che conosceva anche Anthony. Confessa che
sei innamorato di lui o ti perseguiterò tutto il giorno,
mi scriveva. –
pianse, mentre l’altro lo ascoltava, silenzioso, gli occhi
spalancati, in pena –
Avevo così tanta paura a dirtelo, che mi sono rinchiuso in
casa, sperando che
smettesse di tormentarmi. Ma non è stato
così.”
Nathaniel,
inaspettatamente, alzò le braccia, ricambiando
quell’abbraccio, meno rigido.
“Dovevi
dirmelo, Sam. I
segreti alimentano la crudeltà di A.”
“Non
sapevo come avresti
reagito e non riesco nemmeno a staccarmi da te perché ho
paura di guardarti
negli occhi, ora che te l’ho detto.”
“Sapere
che provi qualcosa
per me, mi ha tolto un forte dubbio che mi logorava.”
Sam
si staccò, fissandolo,
perplesso.
“Quale
dubbio?”
“Alla
casa sul lago, mi
avevi detto di avere una cotta per Anthony. Da quel momento ho pensato
che
potessi essere tu il suo complice, in quell’altro crimine di
cui parla A. Pensavo che magari
avessi fatto
qualcosa con lui per compiacerlo, perché ne eri
innamorato.”
“Beh,
ho mentito. L’unico
di cui sono innamorato sei tu.”
Il
silenzio si fece di
nuovo vivo, mentre si guardavano, le pupille che si muovevano rapide.
Nathaniel
sorrise, ad un certo punto.
“Ma
guarda…Avevi paura a
guardarmi negli occhi e ora, inconsapevolmente, lo stai
facendo.”
Imbarazzato,
Sam lo guardò
meno intensamente, buttando lo sguardo giù. Nathaniel gli
sollevò la testa,
prendendolo dal mento.
“Sam,
so che non pretendi
che io contraccambi i tuoi sentimenti, ma come qualunque innamorato,
speri che
io lo faccia e…”
Quello
lo fermò subito:
“Appunto, Nathaniel, non pretendo che tu… -
Nathaniel gli prese il volto dalla
guancia destra, accarezzandolo dolcemente, fissando la sua bocca, come
se non
lo stesse ascoltando, avvicinandosi lentamente, – C-che stai
facendo?”
“Shh…
- sussurrò - Provo
una cosa…”
“Non
sei costretto…” replicò,
mentre le loro bocche erano quasi
vicine e ognuno poteva sentire il respiro dell’altro, il
cuore a mille di Sam.
“Mi
hai salvato la vita…
Devo provare…” e lo baciò.
Accadde
tutto in un ritmo
molto lento, ad occhi chiusi. Sembrava quasi che stessero assaggiando
qualcosa
di nuovo, cercando di assaporarne il gusto. Qualche secondo dopo,
Nathaniel si
ritirò, mentre Sam apriva gli occhi, incredulo; la persona
che amava, l’aveva
baciato.
“Allora?”
trovò le parole,
quest’ultimo, per domandargli cosa avesse provato.
La
risposta tardò, da parte
di Nathaniel, che ci stava ancora riflettendo: “E’
un bacio… Non è tanto
diverso da tutti quelli che ho già dato nella mia vita,
però…”
“Però
cosa? Che vuol dire?”
“Non
lo so, ma mi sento
strano. – era a disagio, guardava da altre parti, non
reggendo più quelli
sguardi - Cioè, non è colpa tua.”
Sam
rimase deluso dalla sua
reazione, ma cercò di non darlo a vedere:
“Ascolta, tranquillo. E’ solo una
cotta, me la farò passare. E come ti ho detto, non ho alcune
pretese.”
“Mi
dispiace, Sam.”
“Non
dispiacerti. – finse
un sorriso – Hai provato e hai capito che non fa per
te.”
“Forse
è meglio che ci
avviamo…” prese le chiavi dell’auto, un
altro sguardo fra i due.
“Sì,
andiamo.” finse un
altro sorriso, che scomparve, non appena Nathaniel smise di guardarlo
per
entrare in auto.
*
Riusciti
ad entrare
nell’appartamento, Eric e Rider erano seduti in cucina a
mangiare cibo
d’asporto. L’unica cosa che illuminava la stanza,
era la lampada accesa nella
sala di fianco e le luci della strada che entravano dalla finesta.
"Non
pensavo che
andassi così pazzo per il cibo d’asporto. Gli
Stuart non mangiano caviale ogni
giorno?”
Rider
rise, mentre
ingurgitava un nuovo boccone: “Scherzi? Questi ravioli al
vapore mi fanno
impazzire. E poi noi non mangiamo caviale tutti i giorni, figurati. Mia
madre
torna così tardi dallo studio, che i cibi surgelati si
gettano da soli nel microonde.”
Mentre
sorrideva della sua
battuta, Eric controllò l’orologio: “Tra
un’ora e mezza devo vedermi con
Alexis…”
“Conti
i minuti?” ribattè, girando
la forchetta dentro alla scatola.
“Ehm,
sì, dal momento che i
nostri sospettati non hanno ancora intrapreso percorsi
sospetti!”
Rider
diede un’occhiata al
tablet, trascinandolo davanti ai suoi occhi: “Pff, Violet
è ancora in
biblioteca! – roteò gli occhi, seccato –
Cos’è, sta preparando il discorso da
Presidente degli stati uniti?”
“Oppure
è morta!” esclamò,
sarcastico.
“Spero
di no… – si lasciò
sfuggire una piccola risata – Se A non
è lei, allora non so chi sia!”
“Suo
fratello!”
“E
se non è nemmeno suo
fratello?”
“Allora
dovremmo seriamente
iniziare a preoccuparci!”
I
due si guardarono a
lungo, improvvisamente angosciati. Rider preferì cambiare
discorso, sperando di
azzeccare l’identità di A
al primo
colpo.
“Tua
madre?”
“E’
andata a trovare i miei
nonni per un piccolo prestito!” spiegò con tono
scialbo.
“Sono
i suoi genitori,
perché non chiedere aiuto. Mi sembra giusto in un momento di
difficoltà.”
“Tra
mia madre e i miei
nonni non corre buon sangue. Non hanno mai voluto che mia madre
sposasse mio
padre. Lei, però, se n’è fregata della
loro opinione e l’ha sposato
ugualmente.”
“Accidenti!
– sibilò a
denti stretti – Per tua madre non sarà stato bello
tornare da loro con la coda
tra le gambe.”
“Già,
considerando che è
una tipa orgogliosa e a cui non piace ammettere la sconfitta.”
“Non
è mai una sconfitta
rivolgersi alla famiglia. Anche alla più
peggiore.” replicò,
pulendosi la bocca con il tovagliolo.
“Sai,
Rider… - sorrise,
mentre l’amico era distratto – eccetto il fatto che
ci ho messo due ore a
sfilare il pezzo di chiave rotta dalla serratura, sono contento che
siamo
amici.”
“Beh,
io ho sempre pensato
che il nerd e il ragazzo fico, fossero l’accoppiata
vincente!”
I
due risero assieme,
finchè un suono proveniente dal tablet non attirò
la loro attenzione. Eric lo
prese in mano, mentre Rider faceva il giro del tavolo, fermandosi alle
sue
spalle per vedere cosa stesse accadendo.
“Qualcuno
si è spostato di
molto…” dedussè Eric.
“Caspita,
si muove
velocemente.”
“Di
chi è questo chip?”
Rider
cliccò sul puntino
rosso, che rivelò il nome: “L’abbiamo
messo a Morgan Patterson, questo.”
“E
ora che facciamo? Magari
sta tornando a casa con la bicicletta e noi stiamo interpretando male
la cosa.”
“Aspetta,
si è fermato!”
Entrambi
restarono con lo
sguardo fisso sul puntino rosso per qualche minuto.
“Perché
non si muove più? -
chiese Eric nervosamente - Dici che è arrivato a casa
sua?”
“Dubito
che abiti al centro
della strada!”
“Perché
è fermo in mezzo
alla strada?”
Rider
fissò Eric: “Non ne
ho idea, forse ha tolto la spilla dal borsone e l’ha
buttata.”
“Non
ha senso buttare via
la spilla, non può sapere che ci abbiamo messo il
chip.” pensò Eric.
“Sempre
che non sia A e l’abbia
scoperto!” esclamò,
dirigendosi verso la sedia a prendere la sua giacca.
“Presto,
non dobbiamo
lasciarcelo scappare!” ribattè Eric, mentre
uscivano dall’appartamento.
*
Tornati
a Rosewood,
Nathaniel fermò la sua auto davanti a casa di Rider per
lasciare Sam. Tra i due
c’era ancora imbarazzo, tant’è che
buttavano i loro sguardi in direzioni
opposte, fingendo che tra loro non fosse successo nulla.
“Forse
non dovremo fare
parola con Rider ed Eric di quello che è successo.”
Sam
deglutì, mentre quello
aggiungeva: “Della chiacchierata con Jasper,
intendo.”
“Ouh,
quello! – Sam pensava
si riferisse al bacio - Cioè, sì, lo credo
anch’io, ma…”
“Ma
cosa?”
“E
se avessimo commesso un
errore? – si fece cogliere dal panico – Insomma, se
riuscissimo davvero a
scoprire chi sia A e a riprenderci
i
nostri video…come potremmo aiutare Jasper ad uscire di
prigione senza rimanere
incastrati anche noi? Gli abbiamo fatto una promessa e lui non sa
quanto
realmente siamo coinvolti. Non sa dei filmati che A
ha contro di noi.”
Nathaniel
cercò di
tranquillizzarlo: “Una volta che avremo i nostri video,
potremo pensare a cosa
dire per aiutare Jasper. Inventeremo una storia, ok?”
“Continuo
a pensare che sia
stato un errore, - si disperò, comprendosi la faccia con le
mani – perché gli
abbiamo raccontato di A? Questa
storia ci sfuggirà di mano, me lo sento. Perché
l’hai fatto?”
Quello
rimase un attimo
perplesso, in merito all’accusa: “P-perché
l’hai fatto? L’ho
fatto per te! –
urlò – Come potevamo ottenere qualcosa da Jasper
senza raccontarli che diavolo
ci facevamo lì? Ho dovuto raccontargli di A
e che è stato incastrato da lui. Solo
così ci avrebbe creduto e detto qualcosa!”
“Sì,
ma Jasper non ci ha
detto nulla di illuminante, non l’ha mai incontrato di
persona per prendere i
soldi… - fece una pausa, prima di continuare ad esternare le
sue paure -
Nathaniel, non scopriremo chi è A
da
un momento all’altro e passeranno dei giorni. Giorni in cui
Jasper si chiederà
se vale la pena restare zitto o salvarsi con quello che li abbiamo
detto.”
Rendendosi
conto che Sam
aveva ragione, Nathaniel chiuse gli occhi, massaggiandosi le tempie,
nervoso:
“Ok, ammetto di non aver pensato in quel momento, ma ero
così stanco di
dipendere da qualcuno che si nasconde dietro ad un messaggio e un
cappuccio
nero e che quasi ci porta a rischiare la vita. Pensavo che Jasper ci
avrebbe dato
qualcosa, - tirò un colpo al volante –
accidenti!”
“E’
stata anche colpa mia,
ok? – gli mise una mano sul braccio per calmarlo –
Ho detto molte cose anch’io
e non sono riuscito a fermarmi…E’ stato
così liberatorio poterne finalmente
parlare con qualcuno.”
I
due presero un respiro
profondo, cercando di calmarsi.
“Senti,
possiamo tenere
sottocontrollo questa cosa, - suggerì Nathaniel - ma non
dobbiamo farne parola
con Rider ed Eric, intesi?”
“Quindi
abbiamo un
segreto?”
“Sì,
Sam. Abbiamo un
segreto.”
“Siamo
sempre rimasti uniti
da quando è iniziata questa cosa di A.
Mantenere nascosto un segreto a due di noi è come firmare la
fine di questo
gruppo.”
“E’
un rischio che dobbiamo
correre. L’errore l’abbiamo commesso noi, loro non
c’entrano nulla.”
Sam
annuì, trovandosi
d’accordo. Sospirando
ancora una volta,
buttò lo sguardo davanti a sé, sulla strada,
dov’erano parcheggiate le altre
auto. Improvvisamente, sembrò aver notato qualcosa di
sospetto, chinandosi in
avanti con la schiena per aguzzare meglio la vista.
“Oh
mio Dio…”
“Che
c’è? – domandò
Nathaniel, seguendo il suo sguardo – Che hai visto?”
“Quella
non è l’auto di A?
– la indicò, dall’altro lato del
marciapiede - La stessa che abbiamo visto nelle foto che erano nel
fascicolo di
Albert e dalla quale è sceso, prima di essere investito da
noi?”
“Non
si vedeva la targa, -
anche lui si fece avanti con la schiena - ma, sì, sembra
quella della foto. Non
può essere una coincidenza.”
“Scendiamo!”
non ci pensò
due volte, Sam, aprendo la portiera. Nathaniel lo seguì a
ruota.
Spediti,
raggiunsero la
vettura. Sam ci guardò dentro, mettendo le mani sul vetro e
avvicinando la
faccia.
“Allora?
– lo raggiunse
l’altro, alle spalle – Cosa
c’è dentro?”
“Una
tracolla vintage marrone…
- elencò – E una scatola; dentro ci sono molti,
molti fogli. Sembrano test di
verifica...”
“Test
di verifica?”
“Sì,
ma… - si distanziò dal
vetro – non riesco a vedere bene, è troppo buio e
non abbiamo neanche un
telefono per fare luce.”
I
due si guardarono
intorno, sbuffando, finchè lo sguardo di Nathaniel non si
focalizzò sul capanno
nel cortile di Rider.
“Hai
per caso lasciato la
luce accesa nel capanno?”
Sam,
fissandolo perplesso,
si voltò a guardare: “No, vivo praticamente in
clandestinità dentro quel
capanno.”
“E
allora chi c’è dentro?”
“Prova
a indovinare! –
esclamò con ovvietà – Forse sta
cercando il mio telefono, ma l’ho nascosto da
un’altra parte!”
“Vieni!
– lo tirò per il
braccio – Scopriamo chi è, poi lo seguiamo fino al
suo covo!”
Sam
annuì, mentre entravano
nella proprietà degli Stuart, dal piccolo cancello.
A
passi lenti, raggiunsero
il capanno, nascondendosi sul retro.
“Ehi,
c’è una finestrella
là su! – indicò Nathaniel –
Possiamo vederlo da lì!”
“Ci
sono delle casse qui! –
notò Sam – Aiutami a spostarle, così
possiamo salirci sopra.”
I
due cominciarono a
spostarle, senza far rumore, mettendole una sopra l’altra,
davanti alla parete.
Subito dopo, Nathaniel aiutò Sam a salirci, poi anche lui.
Davanti alla
finestrella, in punta di piedi, riuscirono a guardare
l’interno del capanno, in
attesa di vedere il volto del loro stalker.
Improvvisamente,
qualcuno
entrò nella stanza: erano Lindsay e il Professor Brakner,
molto intimi.
“Ma
quello è l’insegnante
di Matematica, - lo riconobbe Nathaniel, bisbigliando - il Professor
Brakner!”
“Già!
– ribattè isterico,
l’altro – Suppongo che Rider avrebbe potuto
avvertirmi che questa era la loro
location d’amore. E se mi avessero beccato qui dentro?
Sarebbe stato al quanto
imbarazzante.”
“Oh
mio Dio… - Nathaniel
stava comprendendo qualcosa – Quelli nell’auto sono
test di Matematica e la
tracolla è di Brakner! – alzò gli
occhi, scambiandosi uno sguardo con Sam – Brakner
è A!”
“Ma
che ci faceva Albert
nell’auto di Brakner, quella notte?”
“Non
ne ho idea, ma la cosa
è inquietante!”
Quelli,
poi, tornarono a
guardare, mentre i due si abbracciavano e baciavano. Nel mentre, la
ragazza
fece una confessione all’uomo.
“Ho
parlato con Chloe…Non dirà a nessuno che ci ha
visti
quella notte.”
“Chloe?
– Sam potè udirlo,
grazie alla finestrella semi-aperta – Che c’entra
Chloe?”
“Shhh,
ascoltiamo.” lo
zittì l’altro, cercando di sentire.
“Perfetto,
hai fatto bene a seguirla e ad accertarti che
tenesse la bocca chiusa. Dobbiamo stare lontani da questo
casino.” ribattè
Brakner.
“Ma
di che stanno parlando?
– si agitò Sam – Che sta
succedendo?”
Nel
contempo, Lindsay e
l’uomo iniziarono a spogliarsi, mentre Nathaniel smetteva di
guardare.
“Andiamo
via,
presto!” e invitò l’amico a scendere.
“Che
facciamo
adesso?” urlò l’altro, una volta rimessi
i piedi a terra.
Nathaniel
tirò
fuori dalla tasca uno dei chip rubati al dipartimento: “Ne ho
tenuto uno!
Mettiamolo alla macchina di Brakner e seguiamolo con il
tablet!”
L’altro
annuì,
anche se ancora confuso. I due corsero alla macchina, chinandosi
accanto alla
ruota posteriore, una volta arrivati.
“Ehm…
- Sam ebbe
un dubbio – Come lo attacchiamo?”
“Aspetta!
– gli
intimò l’altro, mettendosi una gomma da masticare
in bocca – Ancora un
secondo…”
Sam
allungò la
mano, guardando continuamente verso il cancello, per paura che
arrivasse qualcuno:
“Sputala, fa presto!”
Quello
eseguì:
“Non ti schifi?”
“Schifarmi?
– lo
trovò esagerato, mentre sprofondava il chip nella gomma
– Ti ho baciato meno di
due ore fa!”
“Ah,
già!”
ricordò, mentre Sam attaccava il chip sotto
l’auto, in un punto nascosto.
“Fatto,
andiamocene!” esclamò, rialzandosi.
I
due corsero
verso l’auto di Nathaniel a gran velocità.
*
Nel
frattempo,
Rider ed Eric seguivano le indicazioni del tablet, trovandosi a vagare
in un
vicolo in centro. Ad un certo punto, furono costretti a fermarsi.
“Dice
che è qui!”
esclamò Rider, guardandosi attorno.
“Beh,
qui non c’è
niente…Eccetto il gatto che dorme sul cassonetto.”
replicò l’altro, perlesso.
“E’
assurdo, il
nostro puntino è sopra l’altro puntino!”
Eric
gli lanciò
una lunga occhiata, confuso. L’altro si affrettò a
spiegare.
“Anche
noi abbiamo
un chip, Eric. Altrimenti non riusciremmo a capire quanto siamo
vicini.”
“Tu
mi avverti
sempre, eh? – si irritò - Poi la faccio io la
figura dello stupido!”
L’altro
sospirò,
dopo un lungo silenzio, cercando di riflettere: “Allora, se
il nostro puntino è
sopra il puntino che stiamo cercando, dove devo… - entrambi
abbassarono
lentamente lo sguardo sui loro piedi – guardare?”
C’era
un tombino,
sotto di loro. Fecero un passo indietro.
Eric
si lasciò scappare
una risata, per poi tornare serio: “Oh, ti prego, non dirmi
che…???”
“Sembra
che il
rinoceronte marino abbia deciso di farsi una nuotatina nelle
fogne…”
“E’
assurdo che
sia nelle fogne, forse abbiamo sbagliato di qualche isolato.”
“No,
siamo nel posto
giusto. E’ sotto di noi!”
“E
cosa dovremmo
pensare adesso? Che Morgan è A e
il
suo covo da supercattivo odora di fogna?”
“Rider,
distratto
dai suoi pensieri, continuò a fissare il tombino:
“Ho un piede di porco nel
bagagliaio…”
L’amico
lo fulminò
con lo sguardo, incredulo: “Stai scherzando, vero?”
“La
smettete di chiedermi
sempre se sto scherzando? – si irritò –
E’ una fogna, non un buco nero.
Scendiamo solo per due minuti, ok?”
“Ti
ricordo che
l’ultima volta che hai seguito il tuo istinto, un treno ha
quasi spalmato te e
Sam sui binari della stazione.”
“Nelle
fogne non
passano i treni, ok? – beffeggiò, minimizzando la
cosa – E poi quella è stata
una coincidenza, A non ha il
controllo sui treni.”
“Ti
faccio
presente che tremavi quel giorno!”
“Io
scenderò in
quella fogna, d’accordo? – insistette, determinato
– Ho anche delle torce nel
bagagliaio!”
Eric
iniziò a
seguirlo, mentre tornavano alla macchina:
“C’è qualcosa che non hai dentro al
tuo dannatissimo bagagliaio?”
Piu
tardi, dopo
aver aperto il tombino, i due si calarono attraverso la scaletta. Rider
toccò
terra per primo, puntando la torcia a destra e sinistra. Eric fu il
secondo,
abbastanza seccato.
“Ripetimi
perché
ho deciso di seguirti…– fu colto immediatamente da
uno sgradevole odore – Dio mio,
che cos’è?”
“E’
cacca, credo…
- rispose, tirando fuori il tablet dallo zaino – E Morgan
sta… - fissò la
posizione del puntino, perplesso – correndo?”
“Cosa?
– si
avvicinò alle sue spalle, mantenendo alta la sua torcia
– Ma non era sotto di
noi?”
“Beh,
si è
spostato. E a gran velocità!”
“Ma
è matto?”
pensò Eric.
“E’
quello che
succede quando togli la ruota al criceto…”
Eric
lo fissò a
lungo: “Non l’ho capita!”
“Andiamo!”
suggerì
quello, tralasciando.
*
Scesi
dall’auto,
Nathaniel e Sam stavano attraversando la strada per raggiungere il Brew.
“Dici
che stavolta
abbiamo fatto centro?” lo sperava, Sam.
“Hai
detto che per
te A è una persona
più grande, no?
Rider, invece, è convinto che sia uno studente
perché ha trovato un treno
giocattolo nel suo armadietto…Quello che non abbiamo messo
in conto è che anche
un Professore può avere facile accesso ai nostri armadietti.
Molto più di uno
studente. Tutto combacia!”
“Perché
Brakner
dovrebbe farci questo?”
“Devi
parlare con
Chloe e scoprire cosa ha visto quella notte. Albert è uscito
dalla macchina di
Brakner prima di essere investito da noi e la domanda è:
Perché? In che
rapporti era con lui?”
Il
discorso
angosciò Sam, mentre varcavano l’ingresso del
Brew. Non c’era nessuno al suo
interno, eccetto Alexis che puliva il bancone. Quella alzò
lo sguardo su di
loro.
“Ehm,
ragazzi, mi
dispiace ma stiamo per chiudere.”
“Tu
devi essere
Alexis, vero?” Nathaniel si avvicinò al bancone.
La
ragazza li
fissò, stranita: “Ci conosciamo?”
“Siamo
amici di
Eric!” intervenì Sam.
“Oh,
ma certo! –
si colpì la fronte – Mi sembravate due volti
conosciuti, vi ho visti nel
video.”
“Senti,
- continuò
Nathaniel, serio - sai se è di sopra?”
“In
verità è
uscito con l’altro vostro amico, Rider. Non sono
più rientrati da che gli ho
visti uscire ore e ore fa e… - guardò
l’orologio – Comunque io avrei un
appuntamento con Eric, quindi dovrebbe arrivare a minuti.”
“Capito!”
esclamò
Sam, nervosamente, scambiandosi una rapida occhiata con Nathaniel.
Alexis
non potè
non notare quello scambio di sguardi: “E’ successo
qualcosa per caso?”
“Ehm,
no, dobbiamo
solo parlare con lui.”
L’altra
sorrise,
perplessa: “Sì, ma vi ho detto che ha un
appuntamento con me.”
“Ci
vorranno solo
due minuti!” replicò Sam.
“Due
minuti?”
ribattè Nathaniel, sottolineando che ci sarebbe voluto molto
di più.
“Sentite,
- Alexis
spostò lo sguardo tra i due, trovando strano il loro
atteggiamento – io vado a
chiudere la porta sul retro…”
I
due le sorrisero
giusto un secondo per poi tornare nervosi e impazienti non appena
quella se ne
andò.
Sam,
con l’unghia
del pollice tra i denti, mentre Nathaniel batteva il piede sinistro sul
pavimento a braccia conserte, perse la calma: “Ok, che ne
dici di andare a
recuperare il mio telefono? Così li contattiamo!”
“Ma
non hanno più
i loro telefono!”
“E
se A avesse fatto loro del
male?” pensò
Sam, terrorizzato.
“A è nel capanno di Rider,
ricordi?”
“45
minuti fa!”
“Hai
sentito
quella Alexis, no? Ha un appuntamento con Eric. Vedrai che
starà arrivando.”
“Chi
ha un
appuntamento, solitamente arriva con quattro ore d’anticipo.
Per me sta
succedendo qualcosa. Se non sono qui e nemmeno a casa di Rider, dove
diavolo
sono?...Andiamo almeno a controllare se A
ci ha lasciato un messaggio.”
Combattuto,
Nathaniel si arrese: “D’accordo, andiamo a prendere
il tuo telefono. Però non
dobbiamo lasciarci sfuggire nulla o Brakner capirà che
l’abbiamo scoperto.”
“Va
bene, facciamo
presto!”
E
i due corsero
fuori dal Brew, ignari che Alexis era nascosta e aveva ascoltato tutto.
La
ragazza si affacciò, finalmente, uscendo
dall’ombra, confusa da quanto
ascoltato.
*
Intanto,
sottoterra, Rider ed Eric continuavano a vagare nelle fogne.
“Ma
quanto abbiamo
camminato?” Eric puntò la sua torcia alle loro
spalle.
“Siamo
quasi fuori
Rosewood! – esclamò l’altro, osservando
il tablet – Morgan continua a correre
verso questa direzione.”
“Accidenti!
–
borbottò, guardando l’ora sull’orologio
– Alexis mi starà aspettando!”
“Dimenticati
di
Alexis, siamo nelle profondità
dell’inferno.”
“Non
mi rivolgerà
più la parola.”
Rider,
allora, si
fermò, voltandosi verso l’amico, diretto:
“Vuoi fermare A o andare
ad un appuntamento? Pensaci bene, perché quando ci
saremo liberati del nostro stalker potrai avere tutti gli appuntamento
che vuoi
con Alexis. Ma, soprattutto, appuntamento normali, senza alcuna
interferenza.”
L’altro
roteò gli
occhi, sospirando, esasperato: “D’accordo,
d’accordo!”
Tornato
a guardare
di fronte a sé, Rider fu costretto a fermarsi nuovamente.
“Dobbiamo
scendere, c’è un'altra scaletta.”
“Sbaglio
o stiamo
andando sempre più giù?”
Rider
si affaciò,
un lungo percorso d’acqua sporca e maleodorante, alto un paio
di centrimetri.
Mettendosi sulla
scala di metallo, era
pronto a scendere nell’altro tunnel.
“Attraversiamo
questo tunnel, c’è un’altra scala
dall’altro lato, la vedi?”
“Sì,
- l’altro era
ancora in piedi, che aspettava il suo turno – la vedo, ma
dovrò dire addio alle
mie uniche scarpe buone.”
“Forza,
siamo
vicini!” lo incoraggiò.
Attraversato
il
fiume d’acqua, i due risalirono per l’altra scala,
entrando in un nuovo
percorso.
“Siamo
davvero vicini…
- Rider riprese il tablet in mano – Il puntino si
è fermato.”
Eric,
colto dal
panico, mise le sue mani nello zaino dell’amico:
“Dammi il piede di porco!”
“Cosa?
– si sentì
tirare all’indietro – Ma che fai?”
“Stiamo
per avere
un faccia a faccia con Morgan, che a questo punto è
parecchio inquietante come
persona.”
Rider
rabbrividì,
fermandosi un secondo: “Ok, ora me lo sto immaginando.
Torniamo indietro?”
“NO!
– lo spinse
in avanti – Non ho sacrificato le mie scarpe buone per
tornare indietro. Siamo
due contro uno e io ho un piede di porco in mano.”
“Bene!
– si
autoincontraggiò – Siamo più
forti!”
E
continuarono a
camminare, nonostante la tensione si faceva più alta e il
suono del bip si
faceva più insistente.
Si
sentì un
rumore, ad un certo punto.
“Ehi,
lo senti
anche tu?” domandò Eric.
“Sembrano…
- puntò
l’orecchio verso l’origine del suono –
Campanellini?”
I
due si
scambiarono uno sguardo perplesso, ma continuarono a camminare.
“Ok,
ora dobbiamo
girare l’angolo.” indicò, tenendo lo
sguardo fisso sullo schermo digitale.
Eric
alzò il piede
di porco con la mano destra e con l’altra teneva in pugno la
torcia. Finalmente
svoltarono e il bip del tablet si bloccò in un suono
continuo, che stava a
significare una distanza nulla.
I
due ragazzi puntarono
meglio la luce verso quello che era un vicolo cieco e con grande
sconcerto si
resero conto che non si trattava di Morgan.
“Toby??”
urlò
Rider, vedendo il suo cane. Quello abbaiò; il rumore dei
campanellini proveniva
dal suo collare.
“Il
tuo cane? –
non ci potè credere, l’altro – Che
cavolo vuol dire?”
Rider
poggiò tutto
a terra, chinandosi a terra, accarezzandolo e assicurandosi che stesse
bene.
“Ehi,
come ci sei
arrivato qui? – continuò ad accarezzarlo
– Eh?”
L’amico,
intanto,
puntava la luce alle loro spalle, ancora incredulo.
“La
spilla con il
chip è attaccata al collare di Toby…A
ci
ha trollati, oltre ad aver rapito il mio cane!”
“Che
significa che
ci ha trollato?”
“Ci
ha presi per
il culo, Eric. Ecco cosa significa! – si sentì un
imbecille per esserci cascato
nuovamente – A quanto pare A sapeva
tutto fin dall’inizio. Distruggere i telefoni non
è servito a nulla, non
abbiamo ingannato nessuno.”
“Torniamo
indietro, - si strofinò le braccia - inizio ad avere
freddo.”
Rider,
pronto a
risollevarsi per seguire il suggerimento dell’amico, dovette
restare nella
medesima posizione, tentennando, dopo aver notato qualcosa nel collare
del suo
cane.
“Ehi,
- ci mise le
mani sopra – qui c’è qualcosa!”
Sfilò
un
biglietto, mentre Eric ci puntava la luce, avvicinandosi alle sue
spalle.
“Chi
sono i topi
adesso?”
-A
”Ora
capisco
perché ci ha fatti venire qui. – si
irritò Eric – Aveva bisogno di marcare la
metafora!”
“Inizio
ad averne
abbastanza!” commentò l’altro,
risollevandosi.
Improvvisamente,
si sentirono altri rumori.
“E
adesso che
succede?” sussultò Eric, mentre Toby abbaiava.
“Sembra
che
qualcuno stia colpendo i tubi…”
I
due si
guardarono, mentre quel rumore smetteva. D’un tratto, poi,
avvenne un
esplosione, che fece tremare la terra sotto ai piedi dei ragazzi.
Inevitabilmente, quelli persero l’equilibrio, cadendo a
terra, mentre il cane
si agitava sempre più.
“Ma
cosa è stato?”
urlò Eric, spaventato.
“Non
lo so, - si
rialzò - ma sento un rumore di acqua che scorre.”
e iniziò a correre,
preoccupato.
Eric
gli corse
dietro, stoppandosi alla fine del percorso assieme a lui; quasi
cadevano.
Entrambi
sgranarono gli occhi alla visione del tunnel dalla quale erano
risaliti:
completamente inondato, un fiume in piena e il livello
dell’acqua che si
sollevava sempre di più.
“Ok,
come torniamo
dall’altro lato? – urlò Eric –
Da dove arriva quest’acqua?”
Rider
prese subito
il tablet, zoommando sulla piantina.
“Siamo
nei pressi
di una camera stagna, dev’esserci una fabbrica qui vicino.
Qualcuno ha fatto
esplodere la parete.”
“Con
qualcuno
intendi A? –
urlò, stufo – No perché
ne ho piene le tasche di sentirti chiamarlo qualcuno
o persona e noi stiamo per morire
affogati! – divenne logorroico per lo stress emotivo della
situazione – Io non
pensavo neanche che una fogna potesse allagarsi!”
“Rider
lo prese
per le spalle: “Sta calmo, ok? C’era una grata
sopra le nostre teste, dove
eravamo prima. Torniamo indietro e usiamola come via
d’uscita.”
Eric
tentennò, con
lo sguardo fisso sull’acqua che scorreva potentissima.
“Forza!”
gli
gridò, tirandolo per la manica.
In
una corsa
sfrenata, tornarono al punto in cui avevano trovato Toby, puntando le
torce in
alto.
“Ouh,
ok – Rider
rimase leggermente deluso – Sembrava molto meno in alto,
prima.”
Ricevette
un’occhiataccia furiosa: “Sul serio,
Rider?”
“Ok,
restiamo
calmi… - cercò di riflettere – Se
faccessimo una scaletta…”
Fu
immediatamente
interrotto: “Sì, certo: io tu e il tuo cane!
– esclamò, isterico – Ma se a
quella grata non ci arriva nemmeno una piramide umana di giocatori di
basket!”
L’altro
si morse
le labbra, rendendosi conto di quanto fosse stupido ciò che
aveva detto e tornò
a guardare la grata. Qualche secondo dopo, Eric spostò lo
sguardo a terra,
sollevando un piede dall’acqua.”
“Ehm,
Rider… - si
voltò, notando che anche il loro corridoio si stava
allagando, entrando nel
panico – L’acqua sta arrivado anche qui!”
Quello
si voltò:
“Sotto dev’essersi allagato completamente.
– sorrise – Bene!”
“Bene?
– sobbalzò,
scioccato – Ok, se questa è la follia che sta
prendendo il sopravvento su di te
perché siamo bloccati qui sotto, allora inizio a non
sentirmi per niente
tranquillo.”
“Non
sto perdendo
la sanità mentale. Quello che sto dicendo è che
man mano che questo corridoio
si riempirà d’acqua, arriveremo sempre
più vicini alla grata. Galleggiando!”
Eric
non sembrò
stare meglio, guardando sempre a terra e vedendo l’acqua
già alle caviglie:
“Ok, ricordi la notte al lago? Quando Sam si è
tuffato al posto nostro per
recuperare le medicine di Nat e io ti ho detto che ho esitato
perché ho avuto
una brutta esperienza con l’acqua quando ero piccolo?
– Rider annuì – Beh,
adesso siamo bloccati qui e l’idea che questa stanza sta per
allagarsi, mi sta
terrorizzando.”
“Io
non so
nuotare, ok? – cercò di confortarlo - Ma quella la
sù e la nostra unica via
d’uscita e non ho paura a raggiungerla.”
“E
se la grata non
si aprisse?”
“Ho
un piano… -
prese il tablet – Mando un messaggio ai ragazzi con le nostre
coordinate.”
“Qui
sotto c’è
campo?” lo trovò assurdo.
“Sembra
assurdo,
ma ci sono due tacche.” ribattè l’altro,
mentre scriveva.
“Ok,
quindi lo
stai mandando a Sam?”
“E’
l’unico di noi
che ha ancora il telefono!”
“Se
ha messo il
silenzioso per guardare How to get away with murder, giuro che lo
perseguiterò
dall’aldi là!”
“Mandato!
– si
guardò con Eric – Speriamo bene!”
“Già…
- abbassò lo
sguardo, pensieroso - Speriamo!”
*
Ricevuto
il
messaggio, diverso tempo dopo, Nathaniel e Sam si erano mossi per
aiutare i
loro amici. Ormai nella periferia di Rosewood, seguivano il GPS.
“Non
riesco ancora
credere che A abbia intrappolato
Rider ed Eric nelle fogne!”
Nathaniel,
che
stava guidando, indicò con gli occhi lo schermo acceso del
telefono sulle gambe
dell’amico.
“E’
di nuovo
Rider, - lo prese l’altro, riassumendo il contenuto - si sta
assicurando per la
sesta volta se abbiamo preso tutti i cacciavite che abbiamo trovato. E
ha
aggiunto che sono con l’acqua alla gola.”
“Ho
portato
l’intera borsa degli attrezzi che avevo in garage, -
ribadì, tenendo d’occhio
la strada scoscesa – dobbiamo solo trovarli!”
“Ok,
fermati. –
gli intimò – Il GPS dice che ci siamo.”
“Scendi!”
esclamò
l’altro, spegnando il motore.
Presa
la borsa dal
bagagliaio, Sam iniziò a guardarsi attorno, urlando.
“Rideeeer???
Eric???”
“Eric,
- si
aggregò anche Nathaniel - fatevi sentire!”
Qualche
secondo dopo,
i due si fecero sentire. Risultando molto più vicini di
quanto pensassero. Sam
e Nathaniel seguirono le voci, trovandoli.
“Vi
prego, -
esordì Rider, mentre quelli lo guardavano
dall’alto, attraverso la grata - ditemi
che avete preso tutti i cacciavite che esistono nel mondo!”
“Oh
mio Dio...”
sbiancò Sam, guardandosi con Nathaniel.
Quelli
erano a
pochi centimetri dalla grata, che galleggiavano assieme al cane con
l’acqua al
collo. Ma non era per quello che Sam e Nathaniel si guardarono
sconvolti.
“Dai,
fate presto,
- ordinò loro, Eric, in difficoltà - tra qualche
centimetro l’acqua avrà
riempito completamente questo posto e noi non potremo più
respirare. Aprite la
grata!”
“Ehm,
non so come
spiegarvelo, ma… - iniziò Sam, mentre quelli lo
fissavano – non ci sono viti
che bloccano la grata. E’ semplicemente fissata.”
“Cosa?
– urlò
Rider, incredulo – Ci state prendendo per il culo?”
“Ok,
- si
intromise Nathaniel – non perdete la calma. Nel bagagliaio ho
una lunga catena
con i gangi. Io e la mia famiglia l’abbiamo usata
l’estate scorsa, in vacanza,
quando l’auto di mio zio si fermò nel viaggio di
ritorno. – iniziò a correre
via, diretto alla macchina – torno subito!”
Sam,
intanto, si
inginocchiò al suolo, prendendo la grata per le sbarre,
cercando di tirarla
via, ma invano.”
“Per
favore, fate
presto. – urlò Eric, esausto – Lo spazio
per respirare sta per finire.”
“Resistete!”
ribattè Sam, in pena per loro.
Qualche
minuto
dopo, Nathaniel tornò con la macchina.
“Sam,
attacca il
gancio! – scese, lanciandoglielo – Bene, mi
raccomando!” e si rimise in auto.
“Sì,
d’accordo! –
replicò l’altro, attaccando il gancio, mentre dei
suoi amici si vedeva ormai
solo la punta del naso – Oh mio Dio… - si
incantò, per poi voltarsi verso la
macchina – Tira, fa presto!”
“Spostati
Saaaam!”
gridò Nathanuel, dall’auto. Quello
eseguì.
Passarono
diversi
secondi in cui la catena era ormai in tensione.
Distrutto
dall’ansia, Sam spostava lo sguardo tra l’auto e la
grata, chiedendosi perché
ancora non si staccasse.
“Nathaniel
accellera di più, non si stacca!”
Quello
ingranò
ancora di più, finchè finalmente la grata non si
staccò, volando per aria.
Sam
corse
immediatamente davanti al buco lasciato dalla grata, mettendo le mani
nell’acqua.
“Ragazzi,
avanti!
– gridò, non vedendo riemergere nessuno
– Ragazziii!”
E
all’improvviso
riemerse il cane, che Sam afferrò immediatamente. Subito
dopo arrivò Nathaniel,
che aiutò ad uscire anche Rider ed Eric, riemersi subito
dopo Toby.
I
due,
completamente bagnati e infreddoliti, stavano riprendendo fiato distesi
al
suolo, esausti. Tutti stavano rimprendendo fiato per quanto accaduto,
mentre
l’acqua, ormai, fuoriusciva.
Nathaniel
fu il
primo a ritrovare le parole, mentre Rider riabbracciava il suo cane:
“Ma che
cavolo è successo?”
I
quattro si
guardarono, allibiti. Nessuno riuscì ad aggiungere qualcosa.
*
Erano
alla casa
sul lago di Rider, ora. Molto più vicina rispetto alla
città. Il camino era
accesso e Rider ed Eric avevano una coperta attorno alle spalle, che
stringevano a sé, tremando ancora, lo sguardo fisso sul
fuoco che ardeva.
Riuniti nel caldo salottino, Toby che gironzolava accanto ai loro
piedi, il
gruppo iniziò a discutere su quanto accaduto durante la loro
giornata.
Fu
Rider il primo
a parlare: “Abbiamo messo il chip a quattro persone, oggi:
Lisa, Violet, Morgan
e Clarke.”
“Aspetta,
- lo
interruppe Nathaniel – Clarke? Perché?”
“Non
gli abbiamo messo
il chip perché pensiamo sia A.
-
intervenne Eric – Abbiamo pensato che dopo quella strana
conversazione che ha
avuto con te al ristorante, in cui sembrava che sapesse qualcosa su
Rosewood-riservato, ci avrebbe portati a qualcosa. Oggi, al Brew, ha
detto che sarebbe
ripartito nel giro di un’ora, ma l’ultima volta che
abbiamo controllato sul
tablet era ancora in albergo.”
“In
ogni caso, -
riprese Rider – Dopo qualche ora, Morgan è stato
l’unico a fare grossi
spostamenti. E’ lui che abbiamo seguito nelle fogne, anche se
il chip l’abbiamo
trovato addosso al mio cane e di lui non c’era
l’ombra.”
“A sapeva dei chip già dal
giorno in cui
siamo stati al dipartimento da Denna Marx. –
continuò Eric – Ho messo la spilla
con il chip nel borsone di Morgan, nel suo armadietto. Se lui
è A e sapeva che
stavamo mettendo il chip
a tutti, deve averlo tolto e messo al cane, mentre noi eravamo
concentrati su
Violet. Naturalmente, noi non abbiamo visto alcuno spostamento sul
tablet,
perciò deve aver lasciato il borsone a scuola ed essere
andato a prendere Toby
a casa di Rider per attirarci nelle fogne.”
Nathaniel,
però,
aveva nuove informazioni e, quindi, nuove teorie: “Oppure la
vera A ha aperto
l’armadietto di Morgan e ha
preso la sua spilla per farci puntare il dito su di lui e sviare i
sospetti da
sé.”
“Ragazzi,
c’è una
cosa che dobbiamo dirvi, a proposito. – Sam si
guardò con Nathaniel – Riguarda
il Professor Brakner.”
“Il
nostro
insegnante di Matematica? – Rider si guardò con
Eric, confuso – Quello che sta
con mia sorella?”
“Sì,
ed era
proprio con tua sorella, nel capanno dove mi hai sistemato, che si
baciavano e
intrattenevano una conversazione al quanto strana.”
“Strana
come?”
domandò Eric, precedendo Rider.
“Lindsay
parlava a
lui di Chloe. – spiegò Sam - Pare che quella
notte, li abbia visti insieme.”
Rider
era al
quanto intontito e voleva capire meglio: “U-un secondo, quale
notte? QUELLA
notte? La NOSTRA notte?”
“Rider,
-
intervenì Nathaniel, secco - Brakner ha la stessa macchina
che abbiamo visto
nelle foto che Sam ha scattato al fascicolo di Albert, ok? Albert
è sceso
dall’auto di Brakner, prima di essere investito da
noi.”
Sia
Rider che Eric
rimasero a bocca aperta, sconvolti. Quest’ultimo non riusciva
nemmeno a trovare
le parole per fare chiarezza nella sua mente.
“Okey,
quindi ci
state dicendo che Brakner è A?”
“Non
lo stiamo
dicendo. E’ palese!” esclamò Sam.
“Perché
un
Professore dovrebbe farci una cosa del genere? –
impazzì Eric nel cercare di
trovare un senso – Che cosa c’entra Brakner con
Albert?”
“Beh,
- provò Nathaniel
a rifletterci, mentre Rider sembrava completamente assente per lo shock
–
Brakner ha un segreto, tanto per cominciare… -
fissò Rider, mentre lo diceva –
Ha una relazione con una studentessa! E Anthony sapeva di questo
segreto e di
certo non era un suo fan.”
“Ora
c’è da capire
quanto c’entri Lindsay in tutta questa storia. –
aggiunse Sam, serio,
guadagnandosi un’occhiataccia da Rider, pronto a scattare
– Insomma, sono
entrambi A? Ci hanno filmato
entrambi, quella notte?”
“Come,
scusa? – si
alzò in piedi, Rider, lasciandosi cadere la coperta di dosso
– E Chloe che fine
fa in questa conversazione? Non era a casa tua che ti aspettava per
vedere il
finale di metà stagione di come cavolo si chiama? Eh?
– urlò – Che ci faceva in
giro a quell’ora?”
Anche
Sam si alzò
in piedi e non con toni cordiali: “Ancora non so
perché Chloe sia uscita dopo
di me, quella sera, ok? Devo ancora parlare con lei…E poi,
scusami, ma tua
sorella non è in una bella situazione, date le ultime
scioccanti scoperte.”
“Chloe
odiava Anthony
quanto chiunque altro. – continuò Rider con toni
alti - Chi ci dice che non sia
stata lei a raggiungerlo alla stazione di Rosewood e ad ucciderlo, per
poi
tormentare noi?”
Sam
si lasciò
scappare una risata, prima di sfumare in un’espressione seria
e furiosa: “E’
assurdo quello che stai dicendo, la mia migliore amica non mi
chiuderebbe mai
la bocca con una striscia di colla, ok? E’ tua sorella quella
sospetta e non
Chloe. La mia teoria è fondata: E’ un adulto che
ci sta facendo questo, ok? E
tua sorella è coinvolta!”
A
quel punto, anche
Nathaniel si alzò, distanziando i due, l’uno
dall’altro: “Ok, calmiamoci un
attimo… - spostò lo sguardo su Rider, cercando di
farlo ragionare – Rider,
ammetterai che la cosa è strana. Noi siamo stati filmati
dall’interno di un
auto ed è quella di Brakner. Chloe, inoltre, ha visto
Lindsay dentro quella
macchina, quindi Lindsay era con Brakner…Ascolta, A ci ha mostrato quei video e non
può averli rubati a loro, ok?”
“No,
non può
essere. – Rider scosse la testa, nervoso, la fronte sudata
– Questo
significherebbe che mia sorella ha ucciso Anthony assieme a
Brakner.”
Sam,
più calmo,
mise una mano sulla sua spalla: “Senti, nel migliore dei
casi, tua sorella è
manovrata da lui.”
L’amico
deglutì,
guardandolo negli occhi, più calmo, ma spaventato. Il
silenzio investì il
gruppo, finchè non fu Eric a romperlo.
“Quindi
lo
possiamo dire ad alta voce? Stavolta abbiamo indovinato?”
“Sì,
io credo di
si. – lo confermò Nathaniel - Brakner è
A,
ma dobbiamo ancora capire molte cose.”
“A
proposito, -
ricordò Sam - abbiamo messo il chip sotto alla sua auto.
Possiamo seguire i
suoi spostamenti.”
Rider
si avvicinò
al camino, sulle mattonelle era poggiato il tablet. Lo accese.
“Bene,
almeno ho
testato la sua resistenza all’acqua… - perplesso,
si rivolse a Nat e Sam –
Comunque quando eravamo nelle fogne, non è comparso nessun
nuovo puntino… -
osservò la schermata – E non
c’è nemmeno adesso.”
“Cosa?
– sussultò
Nathaniel, guardandosi con Sam, stranito – Ma noi
l’abbiamo messo.”
Rider
si voltò:
“L’avete attivato, vero?”
“In
che senso?”
non capì Sam.
“Il
chip ha una protuberanza
nella parte inferiore. Andava premuta per attivare il chip.”
Nathaniel
sospirò,
coprendosi la parte superiore del viso con la mano, massaggiandosi la
fronte:
“Dio, non ci credo…”
“Merda,
non lo
sapevamo!” esclamò, invece, Sam.
Rider,
smettendo
di comunicare con loro, si concentrò nel fare qualcosa:
“Un secondo…Questo è un
tablet del dipartimento e i chip sono collegati a questo tablet,
perciò… - alzò
lo sguardò sui suoi compagni – Forse possiamo
attivarlo da qui!”
“Bene,
ragazzi… –
cominciò Eric – Adesso che sappiamo chi
è A,
qual è la prossima mossa?”
E
i quattro si
guardarono tra loro, riflettendoci attentamente.
SCENA
FINALE
A
stava
camminando lungo una strada,
illuminata dai lampioni, nel cuore della notte, passando accanto a
delle auto
parcheggiate, sfiorandole con la punta delle dita, coperte dal solito
guanto
nero che portava. Si fermò davanti ad una di colore blu,
fissandola per qualche
secondo. Dopodichè, si chinò, cercando qualcosa,
sotto l’auto, accanto alla
ruota posteriore. Smise di muovere il braccio, ad un certo punto:
trovò ciò che
cercava e lo tirò fuori. Si risollevò in piedi,
poi, aprendo il
palmo della mano: era un chip
inglobato in una gomma da masticare. A lo
gettò a terra, schiacciandolo con un piede; più e
più volte. L’aveva distrutto.
CONTINUA
NEL SETTIMO CAPITOLO
|
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Capitolo 8 *** 1x07-Le regole del gioco ***
CAPITOLO
SETTE
“I
Care WhAt the Monster
Thinks”
TEN DAYS
LATER…
Era la mattina
del ritorno
a scuola, dopo la lunga sospensione di due settimane. Ne erano accadute
di cose
in quel lasso di tempo e Sam, scendendo le scale frettolosamente,
sapeva che molte
cose sarebbero ancora accadute. Con la tracolla che dondolava sul
braccio,
scivolata dalla spalla, continuava a guardare verso il piano di sopra,
cauto,
mentre lanciava un’occhiata all’orologio, che
segnava le sei e mezzo. Sceso
l’ultimo gradito, Sam si diresse in cucina, con la testa
ancora girata verso le
scale.
Dovette fermarsi
bruscamente, quando si voltò davanti, trovando suo padre
alla soglia della
cucina. La cosa lo colse di sorpresa, l’uomo aveva le maniche
della camicia
arrotolate e un piatto di pancakes nella mano destra.
“Oh,
mi era sembrato di
sentirti scendere!” lo accolse con un sorriso beffardo.
L’altro
si irrigidì,
abbassando quasi sempre la testa e cercando di inumidire le labbra per
non
mostrare le ferite ancora presenti: “Ehm, pensavo che ti
saresti svegliato più
tardi oggi!”
“Beh,
perché svegliarsi più
tardi se questo significa non vedere il proprio figlio per il decimo
giorno
consecutivo!” si evinse una nota furibonda nel tono.
“Non
è vero che non mi vedi
per il decimo giorno consecutivo.”
“Per
almeno tre o quattro
giorni hai continuato a dirmi per telefono che te ne stavi da un amico
e quando
sei tornato a casa, non hai fatto altro che passare velocemente accanto
alle
stanze in cui mi trovo io. – spiegò, irritato
– Sam, non posso diventare un
mostro da evitare solo perché decido di fare una ramanzina a
mio figlio per la
sua pessima condotta a scuola… - fu più calmo,
dopo aver alzato leggermente la
voce – Ramanzina che, tra l’altro, ti ho fatto per
telefono nell’unica volta
che non mi hai chiuso la chiamata in faccia.”
“Papà,
non ti sto evitando,
ok?” si giustificò quello, mortificato, mantenendo
un atteggiamento ritirato.
“Lo
spero, Sam. – lo fissò
dritto negli occhi - Perché da quando è morto il
tuo amico non sembri più tu.”
“Devo
andare a scuola, ok?”
Sam cercò di evadere da quella conversazione.
“Non
è un po’ presto?” lo
incalzò, intuendo che era una scusa.
“Papà,
non sono arrabbiato
con te, ok? – urlò, esasperato – Non ti
sto evitando, non sto mentendo.”
Le labbra del
ragazzo
iniziarono a sanguinare per averle sforzate troppo.
“Cos’hai
alle labbra?” notò
suo padre, aguzzando la vista. Quasi cercò di sfiorarle con
le dita.
Sam
indietreggiò, pulendosi
il sangue con la mano: “Niente, mi sono morso le
labbra!”
“A me
sembrano strane, ora
che le vedo meglio…” non gli credette, sempre
più perplesso.
“Devo
andare!” si voltò,
spedito verso la porta.
“Fai
almeno colazione! –
quello non si voltò - Sam!”
“Farò
colazione con i miei
amici, buonagiornata!” esclamò con freddezza,
uscendo.
Suo padre rimase
in piedi,
immobile, lo sguardo fissò sulla porta che si era appena
chiusa. Non riusciva a
capire cosa era preso a suo figlio, ma sentiva una profonda
inquietudine per
come l’aveva percepito.
Sam, fuori, si
fermò appena
più avanti alla porta, gli occhi chiusi, che cercava di
riprendere fiato e
trovare la forza di superare quel momento. Quasi gli scese una lacrima
per aver
mentito l’ennessima volta e per non poter dire la
verità a suo padre.
Nonostante ciò, riprese a camminare, scendendo le gradinate.
Improvvisamente,
dovette fermarsi nuovamente: una scatola di media grandezza era
poggiata a
terra, alla fine dei gradini.
Sam scese
lentamente,
inginocchiandosi per prendendola in mano, una volta giunto vicino ad
essa.
C’era un biglietto attaccato sopra.
“Ambasciator
non porta
pena. Un regalo per i bugiardi!”
-A
Dopo aver letto
il
messaggio, Sam si guardò attorno per tutto il tragitto fino
alla macchina.
*
Riuniti nella
camera di
Nathaniel, quest’ultimo, Rider ed Eric fissavano la scatola
poggiata sul letto
a braccia conserte, mentre Sam osservava le foto e la stanza
dell’amico con
tanta spensieratezza.
“Sam,
sei sicuro di non
aver visto nessuno? – lo chiamò Rider –
Poteva anche uscire tuo padre, penso
che A fosse lì e
sapesse che saresti
uscito tu per primo.”
Quello non
rispose,
incantato a guardare una foto di Nathaniel in piscina da bambino, sulla
scrivania. Rider si voltò, chiamandolo più forte.
“Sam?
Mi hai sentito?”
“Eh?
– si girò
distrattamente – Hai detto qualcosa?”
“Hai detto qualcosa? –
la trovò una
domanda assurda – Sam, c’è una scatola
mandata da A qui davanti a noi e mi
stai chiedendo se ho detto qualcosa?”
“Scusa…
- sorrise quello,
mortificato – è che non ero mai stato nella stanza
di Nathaniel.”
Eric e Rider lo
fissarono abbastanza
straniti, più di Nathaniel, che, invece, si sentì
in imbarazzo.
“Anche
per me è la prima
volta, ma non credo che andrò a scriverlo sul mio diario
segreto…” commentò
Eric, sarcastico.
Nathaniel fece
un colpo di
tosse, focalizzando nuovamente il gruppo sulla scatola: “Ok,
la mia camera
emoziona anche me, ma adesso dobbiamo pensare alla scatola. E farlo in
fretta!
Se arriviamo tardi al nostro rientro dalla sospensione, Ackett
aumenterà le
nostre ore extracurriculari fino alla luna piena!”
Tutti si
voltarono nuovamente
verso la scatola, Sam si avvicinò accanto a loro, mentre la
fissavano.
“Beh,
è un regalo, no? E i
regali si aprono…” Rider mise le mani sopra di
essa, scoperchiando lentamente
la scatola.
Con il fiato
sospeso per il
contenuto, Rider finalmente aprì la scatola, per poi farsi
indietro. I quattro
rimasero alquanto perplessi da ciò che stavano osservando:
quattro telefoni e
quattro bracciali.
“Si
può rifiutare un
regalo?” domandò Sam, rabbrividendo.
I telefoni si
accessero
contemporaneamente.
Eric
fissò i suoi compagni,
prima di tornare a guardare i telefoni: “Sembra che ci sia un
nuovo messaggio
per tutti noi… - deglutì – E i miei
peli delle braccia hanno appena avuto un
erezione!”
Rider ne prese
uno; ogni
telefono aveva davanti un cartellino con i loro nomi per segnalare a
chi
appartenesse.
“Nel
mio ci sono tre
messaggi…”
“Io
solo due…” aggiunse
Nathaniel, seguito anche da Sam ed Eric.
Rider
deglutì amaramente,
mentre tutti leggevano il primo messaggio. Uguale per ognuno di loro.
“Nuovi
telefoni, nuove
regole.”
-A
I quattro si
guardarono tra
loro, per poi passare al secondo messaggio. Anche questo, uguale per
tutti.
“Indossate
i bracciali
con i vostri nomi.”
-A
Si guardarono
nuovamente,
sempre più preoccupati da ciò che aveva in mente
il loro nemico. Subito dopo,
eseguirono.
“Perché
il mio è rosa? –
sussultò Nathaniel, irritato – Non lo
metto!”
“Nat,
hai letto quello che
ha scritto A, no? – lo
richiamò
Rider con tono serio – Se ci dice che dobbiamo mettere i
bracciali, noi
mettiamo i bracciali!”
“E da
quando ti interessa
quello che dice il mostro?”
“Mi
interessa da quando io,
Eric e il mio cane abbiamo quasi respirato acqua di fogna dentro i
nostri
polmoni.” ribattè Rider, ancora provato da quella
vicenda.
Alla fine,
Nathaniel si
arrese, indossandolo.
“Dai,
al massimo lo metti
sotto alla manica e non lo vede nessuno.” gli
consigliò Eric.
Quando lo
indossarono anche
gli altri, le due estremità si agganciarono con un sonoro
click. Lo trovarono
talmente bizzarro che si guardarono l’un l’altro,
mentre Sam provava a
toglierselo.
“Ehi,
ma… - si sforzò nel
cercare di sganciarlo – Non si toglie
più!”
“Ma
dai! – esclamò Rider,
una nota scettica nel tono, mentre ci provava anche lui –
Certo che si
togl… -
si affannò, nel tentativo – Ma
che diavolo??”
Anche Nathaniel
ed Eric
provarono a toglierselo, ma invano.
“Ok,
questo sì che è
strano!” si espresse Nathaniel, sgranando gli occhi.
“Dobbiamo
preoccuparci?”
Eric si rivolse a tutti, spaesato.
Nessuno sapeva
cosa dire,
mentre abbassavano i telefoni. Solo Rider aveva ancora un messaggio da
leggere
e lo fece, osservato dai suoi compagni.
“Torna
a casa, c’è un
altro pacco per te. Quando avrai finito, raggiungi i tuoi amici
all’entrata
della scuola.”
-A
“Un
altro pacco? – Sam si mostrò preoccupato
– Non sarà pericoloso?”
“Ho
altra scelta?” replicò Rider, seccato.
“Ha
scritto che dovrà raggiungerci a scuola, no? –
fece notare Eric –
Non penso che gli accadrà qualcosa.”
“Dev’essere
di nuovo il mio turno, questo. – pensò Rider
– Evidentemente
è qualcosa inerente alle elezioni.”
“Non
sarà stato difficile per A mettere
quest’altro pacco a casa tua!” Sam alluse a Lindsay.
Rider
si irritò, fissandolo a lungo, per poi lanciare una
frecciatina:
“Hai parlato con Chloe?”
“E’
ancora nel South Dakota, da sua madre.”
Rider
si alterò: “Pensava che la disinfestazione sarebbe
durata un
mese?”
“Strano,
non abbiamo mai avuto problemi di topi a scuola…”
pensò Eric a
braccia conserte.
“C’è
un seminterrato sotto la scuola… - intervenne Nathaniel -
Saranno
arrivati da lì!”
“Topi
o no, - Rider si avvicinò alla finestra, dando le spalle -
la
scuola ha riaperto due giorni fa e Violet ha fatto il suo discorso. Ha
praticamente vinto, non mi sono nemmeno presentato…E questo
dimostra quanto me
ne frega, gli studenti mi voteranno sicuramente.”
“E
adesso Violet è rilevante in questo discorso per quale
motivo? – ribattè
Sam, perplesso – Insomma, abbiamo ormai capito che non
è A,
perciò…”
Rider
si voltò, teso: “Non sarà A,
ma ci odia! Immagina come saranno i nostri ultimi due anni con tutti
che
pendono dalle sue labbra. Saremo ancora più emarginati e
c’è chi ne trarrà
piacere a trattarci come Anthony trattava tutti…Io non
voglio stressarmi e iniziare
ad andare male in tutte le materie. Ho già A
a cui pensare e la serenità scolastica
è qualcosa che mi serve o giuro che
crollerò.”
“Sentite,
forse se è meglio se ci avviamo. –
suggerì Eric, osservando
l’orario - Stiamo perdendo già troppo
tempo!”
“Eric
ha ragione.” lo appoggiò Nathaniel.
I
quattro si guardarono, abbastanza esausti da quella situazione.
*
Rientrato
a casa, Rider stava salendo le scale, diretto verso la sua
stanza. Nel corridoio si imbattè in Lindsay, quasi ci
sbatteva contro.
“Ehi,
ma che problemi hai? Non eri uscito?” si alterò,
quella, irritata
come di suo solito.
“E
tu che ne sai?”
“Ehm,
- fu sarcastica – la tua camera era vuota?”
“Sei
entrata in camera mia? – alzò la voce –
Perché sei entrata in
camera mia?”
L’altra
lo fissò a lungo, perplessa dal suo comportamento:
“Guarda che
ci sono passata solo davanti. La porta era aperta. –
spiegò, disgustata –
E poi non ti ho nemmeno sentito parlare da
solo come al solito, così ho pensato che eri uscito. Tutto
qui.
Rider
era più calmo, ma comunque sul chi va là:
“Io non parlo da solo!”
“E
invece lo fai continuamente. Ripeti tutte le materie del giorno,
prima di andare a scuola. Quando ti alzi, quando fai colazione, quando
ti lavi
i denti…Ripeti, ripeti, ripeti! Oggi, invece, quando mi sono
svegliata, c’era
il più totale silenzio…La casa puzzava di
ignoranza senza te, Mamma e Papà.”
concluse con una vena sarcastica.
“E’
per questo che ce l’hai sempre con me? Perché ti
senti inferiore?”
“Non
mi sento inferiore a te, fratellino. Non mi sento inferiore a nessuno.
Io diventerò famosa, una modella! Forse anche
un’attrice… - sorrise – E
arriverà il giorno in cui voi capirete che
l’intelligenza sta anche nel saper
usare anche il resto del corpo e non solo la testa. La bellezza
è un arma che il
cervello stesso non può concepire. E un giorno
sarò fiera di me stessa, perché
avrò raggiunto tutto da sola. Nonostante nessuno abbia mai
creduto in me.”
“Oh,
ti prego, risparmiami il clichè delle ragazze bionde che
sono
stupide. Non l’ho mai pensato!”
“Sì,
che l’hai pensato. Lo pensate tutti!”
urlò, sofferente nel tono.
FLASHBACK
Rider
cercava qualcosa nei cassetti della
sua scrivania. Anthony era in piedi davanti alla porta, socchiusa alle
sue
spalle.
“Come
hai fatto a perdere la copia del test
di Matematica?” lo rimproverò, mentre
l’altro sudava nel cercarlo, risollevando
continuamente gli occhiali dalla punta del naso.
“Semplice,
io non ho bisogno delle
risposte corrette. Io STUDIO per rispondere correttamente!”
replicò con un
pizzico di ribellione nel tono.
“Beh,
ti avevo chiesto quella copia del
test almeno una settimana fa!”
Rider
si fermò dal cercare, fissandolo: “E
io avevo quel test già dal giorno dopo in cui me
l’hai chiesto. Eri tu che non
c’eri, ti ho mandato un sacco di messaggi.”
“Sono
stato impegnato, ok? – si giustificò
quello, preso in contropiede – E se non trovi quello stupido
foglio, chiedi a
tua sorella di procurarsene un altro. Non credo che per lei
sarà un problema.”
alluse alla relazione della ragazza con il suo Professore.
“No,
non credo.” ribattè, incapace di
andare contro di lui, abbassando lo sguardo.
Improvvisamente,
Anthony assunse un
espressione beffarda: “Mi chiedo come a nessuno risulti
strano che tua sorella
vada male in tutte le materie, tranne che in Matematica. –
rise – Se sei
intelligente in una materia, dovresti esserlo anche nelle
altre.”
“Solo
tu riesci a notare queste cose,
Anthony.” replicò Rider, assumendo un espressione
seria e svogliata.
“E
anche tu! - esclamò, lasciandosi
scappare una risata cinica – Non sono l’unico in
questa stanza a sapere della tua
cara sorellina che va a letto con il professore.”
“Senti,
possiamo non parlare di lei? Sono
affari suoi!” si irritò.
“Di
sicuro non miei, non sono suo
fratello. – lo guardò con finta compassione
– Sai, un po’ mi dispiace per te.
Non dev’essere bello avere una sorella che cerca di fare del
suo meglio nella
vita, rotolandosi sotto ad una coperta…O saltando su una
cattedra, in questo
caso.”
“A
me non dispiace, ok? – si alterò – Siamo
completamente diversi e non mi è mai interessato nulla della
sua vita. Presto
le nostre strade si divideranno e potrà usare i suoi stupidi
neuroni come
diavolo vuole! – si calmò, poi – Ora
possiamo cambiare discorso?”
“Adesso,
sì!” rispose, sogghignando, come
se il suo scopo fosse quello di farlo arrivare al limite.
Lindsay
era dietro la porta socchiusa e
aveva ascoltato tutto.
“Pensi
che non ti abbia mai
sentito parlare con Anthony di me? Di quello che pensavate
entrambi?” fece
presente Lindsay, di tutte le volte che passava dalla sua stanza.
“Ma
non pensavo davvero
quelle cose. – cercò di giustificarsi - Era dovuto
alla rabbia del momento,
Anthony era così stronzo.”
“E
invece le pensavi…E le
pensi tutt’ora!” ribadì.
“Penso
solo che tu stia
commettendo un errore a stare con uno più grande di te e che
fa l’insegnante.
Non ti rendi proprio conto?”
“Io lo
amo davvero. E lui
ama me. Non è una stupida cotta, ok? Alcune volte gli amori
proibiti non sono
del tutto sbagliati.”
“Questo
lo è! – la prese
per i polsi, mostrandosi esageratamente preoccupato –
Credimi! Tiratene fuori,
prima che…”
L’altra,
fulminandolo con
un occhiata confusa, tirò via i suoi polsi: “Prima che, cosa? Ti droghi per
caso?”
“Lindsay,
ascoltami!”
insistette, fermato nuovamente.
“NO,
non ti ascolto! Non
rinuncerò a Julian solo perché tu non sai cosa
vuol dire amare qualcuno…Perché
noi ci amiamo davvero e lui crede in me a differenza di tutti voi. E
stai certo
che un giorno lasceremo Rosewood insieme!” e si
voltò, andandosene via,
furente.
“Lindsay,
aspetta!” le
urlò, cercando di fermala, ma quella era già al
piano di sotto. La porta
d’ingresso sbattè: era uscita.
Rimasto da solo,
Rider
sospirò, per poi entrare in camera sua e trovare il pacco
lasciato da A, sul suo letto.
Avvicinatosi,
abbastanza
teso, prese in mano il biglietto che c’era sopra.
“Indossa
ciò che trovi
dentro e raggiungi i tuoi amici a scuola.”
-A
Intimorito dal
contenuto,
scoperchiò la scatola, restando agghiacciato
all’istante. Subito dopo, iniziò a
togliersi gli occhiali, gli occhi ancora sgranati.
*
Nel frattempo,
gli altri
avevano raggiunto la scuola. Sgattaiolati nel pargheggio, Sam,
Nathaniel ed
Eric stavano puntando una delle auto, mentre chiacchieravano.
“E se
ci becca?
Diventerebbe alquanto imbarazzante, non credere?” si
pronunciò Eric, che
camminava avanti ai due.
“Rider
non è riuscito ad
attivare il chip dal tablet, quindi dobbiamo farlo per forza
manualmente!”
replicò Sam.
“E poi
Brakner è sicuramente
dentro, - spiegò Nathaniel – abbiamo campo
libero!”
Ora erano
proprio accanto
all’auto dell’uomo e Sam si inginocchiò
accanto alla ruota posteriore, muovendo
il braccio sotto la vettura, in cerca del chip.
“Allora?
– aprì bocca Eric,
dopo qualche minuto – Che succede?”
“Non
riesco a trovarlo… -
cercò ancora Sam, per poi arrendersi e risollevarsi
– Deve averlo tolto, l’ha
scoperto!”
Nathaniel ne
rimase
incredulo: “Incredibile, non abbiamo più i nostri telefoni da più
di una settimana e A ci ascolta
ugualmente.”
“Beh,
abbiamo parlato del
chip alla casa sul lago. – ribbatè Eric
– Magari A ha messo dei
microfoni anche lì!”
Sam
sbuffò: “Sono stanco di
non avere più una privacy…Finiremo per imparare a
parlare telepaticamente pur
di non farci ascoltare da lui!”
“Torniamo
all’ingresso, -
suggerì Eric, guardandosi attorno – Rider
starà per raggiungerci.”
Gli altri due
annuirono,
prima di avviarsi.
Improvvisamente,
mentre
camminavano, Eric si fermò, in seguito ad un pensiero che lo
lasciò riflettere.
Sam si voltò, accorgendosi che si era fermato.
“Ehi,
che hai?”
Anche Nathaniel
si voltò,
aspettando una risposta.
“E se
Chloe ci avesse
visti? – fissò i due a lungo – Insomma,
se ha visto Lindsay, Albert e Brakner,
avrà visto sicuramente anche noi, arrivare subito
dopo.”
“No, -
scosse energicamente
la testa, Sam – me l’avrebbe detto sicuramente e,
inoltre, non era sconvolta
quando mi sono rivisto con lei dopo quella notte. Chloe non sa
mascherare la
paura, la conosco. Dev’essere andata via
immediatamente.”
“Sam,
Rider ha ragione, -
pensò Nathaniel - devi parlare con Chloe. Non solo capiremo
che diavolo ci
facesse in giro a quell’ora, dopo che eri uscito tu, ma
potrà anche dirci
cos’ha visto e sentito.”
“Ragazzi,
voglio scoprire
queste cose almeno quanto voi, ma Chloe non mi risponde. Quando va
fuori
Rosewood è come se sparisse nel triangolo delle
bermuda.”
Ripresero a
camminare.
“Perché
la madre di Chloe non
vive a Rosewood? – domandò Eric, curioso
– Lei vive da sola con i suoi zii,
qui, giusto?”
“Perché
la madre di Chloe
vive nel South Dakota e la sua vita è lì.
E’ stata Chloe a decidere di voler
venire a Rosewood a vivere con i suoi zii. Dopo che sua madre si
è risposata,
ha acquisito dei “fratelli” e Chloe non va molto
d’accordo con la sua
sorellastra. Per lei era insostenibile restare in quella casa e
frequentare la
scuola con loro.”
“In
ogni caso, continua a
chiamarla!” aggiunse Nathaniel.
Da dove si
trovavano, ora,
riuscivano a scrutare l’ingresso della scuola. Davanti alle
gradinate, un
ragazzo. Di spalle.
I ragazzi si
fermarono uno
dietro l’altro, come un effetto domino. Abbastanza
impressionati.
“Ma
quelli sono i vestiti
di…” pensò Sam, mentre Eric completava
la frase.
“Albert?”
Quel ragazzo si
voltò, ed
era Rider. Si diresse verso i suoi amici, notandoli, stringendo le
cinghie
dello zaino in maniera insicura, lo sguardo di tutti addosso.
Giunse davanti a
loro, lo
sguardo ancora basso, abbastanza a disagio:
“Ehi…”
“Rider,
ma quelli sono…” Nathaniel
lo scrutò da capo a piedi, agghiacciato.
“I
vestiti di Albert? Sì! –
esclamò con una nota seccata nella voce – Ci
mancava solo che mi facesse
tingere i capelli come i suoi.”
“I
tuoi occhiali? –
intervenne Sam, incredulo - Ci vedi senza?”
“Ho
delle lenti a contatto…
- si guardò attorno, sempre con gli occhi addosso
– Dio, perché mi sta facendo
questo? – pensò, nervoso – Prima ha
fatto in modo che mi odiassero tutti per
aver preso parte a quel video, poi mi ha candidato alle elezioni e ora
questo!”
“Tutti
abbiamo preso parte
a quel video… - specificò Sam, ricevendo
un’occhiataccia dall’amico – Che
c’è?
Dal minuto otto al minuto quattordici è il mio primo piano
che si vede mentre
parlo!”
Eric intervenne,
cambiando
argomento: “Ehi, siamo stati alla macchina di Brakner. Niente
chip, l’ha
tolto!”
“Cosa?
– Rider reagì con
una smorfia esagerata – Ma-ma…Adesso come facciamo
ad arrivare al covo di
Brakner? Non abbiamo più chip. Quello che avevo addosso
nelle fogne, l’ho
perso!”
E mentre si
guardavano l’un
l’altro, spaesati, il suono dei loro telefoni
notificò un messaggio. Dopo una
rapida occhiata tra loro, ognuno alzò il proprio telefono
per leggere.
“Bentornati
a scuola,
bugiardi. L’unione fa la forza, perciò
affronterete questo primo giorno da
soli. Separatevi fino a nuovo ordine, oppure…”
-A
“Oppure
cosa? – si alterò
Rider – Ci lega all’asta della bandiera?”
“Rider!”
lo richiamò
Nathaniel, cercando di calmarlo.
“Cosa,
Nat? – urlò – Eh?
Per te sarà facile restare da solo oggi, tanto non sei tu
quello che è vestito
da Albert!”
“Adesso
calmati, Rider. –
si intromise Sam – Non eri tu quello che diceva che dovevamo
assecondare il
mostro?”
Rider si
zittì, abbassando
lo sguardo. La campanella stava suonando.
“Ragazzi,
credo sia meglio
entrare. – suggerì Eric - Non voglio scoprire qual
è la conseguenza al mancato
ordine di A.”
Rider
roteò gli occhi,
avviandosi. Seguito dallo stesso Eric e poi da Sam. Nathaniel rimase
indietro.
“Ehi,
Sam!”
Quello si
voltò, mentre gli
altri continuarono a camminare.
“Che
c’è?”
“Sta
lontano da Brakner, se
lo incontri… - lo fissò negli occhi, preoccupato
per lui – Ok?”
Sam, restando
incantato a
guardarlo per qualche secondo, colpito dalla sua preoccupazione,
finalmente
disse qualcosa: “Ehm, ok…Sta attento anche
tu!”
“So
badare a me stesso. –
sorrise – Tu pensa a te, va bene?”
Sam
ricambiò il sorriso:
“Va bene…” e si voltò,
continuando a camminare, accentuando quel sorriso,
genuino.
*
Rider aveva
appena richiuso
il suo armadietto, diretto in classe. Rallentava, non appena vedeva
qualcuno
fissarlo. Molti scuotevano la testa, bisbigliando disgustati. Preso un
sospiro,
accellerò il passo. Il telefono suonò nuovamente:
un nuovo messaggio era
arrivato.
“Sei
pronto per il test a
sorpresa sui padri fondatori? Barra tutte le A, magari una risposta
riesci ad
azzeccarla.”
-A
Rider
si fermò un attimo, non credendo a quel messaggio. Aveva
studiato
molto per quel test, dopo essere stato avvertito dal Professor Palmer,
incontrato
al mercatino dei libri usati la settimana prima.
Non
appena entrò in classe, demoralizzato, fu proprio il suo
sguardo che
incontrò.
Palmer
sgranò gli occhi nel vederlo.
“…Stuart,
prenda posto.” si pronunciò, allibito.
Rider
si diresse al suo banco, osservato dai compagni e da Sam,
Nathaniel ed Eric, seduti l’uno distante
dall’altro. Nemmeno le parole di
Palmer riuscirono a spostare gli sguardi incessanti della classe.
“Preparate
le vostre penne, ragazzi. – Palmer prese una pila di fogli
dalla sua borsa – Test a sorpresa sui padri
fondatori!”
Un
lamento generale si fece sentire, mentre distribuiva i test. Quando
Rider ricevette il suo, assieme ad una lunga occhiata di Palmer, quello
deglutì
malamente.
Le
sue mani sudate presero la penna e ad ogni domanda, c’erano
quattro
opzioni. Sfortunatamente, però, era stato costretto a
sceglierne solo una; alla
prima domanda, infatti, Rider mise una crocetta sulla
A, consapevole che avrebbe scelto la stessa opzione fino alla
fine
del test.
*
Più
tardi, verso l’ora di pranzo, Eric era appena entrato in
mensa. Gli
arrivò un messaggio, mentre camminava.
“Prendi
il posto di
Colton Rhimes alla mensa della scuola. I poveri distibuiscono il cibo,
non si
fanno servire.”
-A
Quando
sollevò il capo,
infatti, Colton non era più alla sua solita postazione, ma
era seduto assieme a
sua sorella e altri studenti ad uno dei tavoli.
Eric
assunse un broncio serio sul volto, mentre quelli ridacchiavano,
lanciando
rapide occhiate: Violet per prima. Senza obbiettare, sotto gli occhi
dei suoi
amici, seduti a tavoli diversi, si diresso al banco del cibo,
indossando la
cuffietta bianca e il grembiule. Eric si scambiò un rapido
sguardo con Sam,
Rider e Nathaniel, prima di dar retta a due studentesse con in mano il
vassoio.
Improvvisamente,
l’altoparlante della scuola, fece un annuncio. Era il preside
Ackett a parlare.
“E
con una vittoria schiacciante e più che prevedibile,
il nuovo presidente del comitato studentesco è Violet
Rhimes. Congratulazioni!”
Immediatamente,
tutta la
mensa si alzò in piedi, applaudendola, mentre lei si
mostrava lusingata e
sorridente.
Sam, Eric, Rider
e
Nathaniel si scambiarono nuovamente uno sguardo, più isolati
che mai.
*
Poco
prima di iniziare la sessione pomeridiana, Sam si prese una pausa,
rinfrescandosi nel bagno dei ragazzi. Davanti al lavandino,
provò a richiamare
la sua amica.
“Chloe
appena ascolti questo messaggio, richiamami. E’ importante!
–
sospirò – Richiamami, per favore.”
Messo
il telefono giù, il ragazzo sbuffò, poggiato al
lavandino con
entrambe le mani, gli occhi chiusi. Improvvisamente, qualcuno lo prese
per i
fianchi e lo bacio sul collo. Sam reagì di scatto,
scansandosi. Si trattava di
uno studente.
“Ma
che cavolo ti dice il cervello??” lo fissò,
sconcertato.
L’altro
rise, arrogante: “Io so che sei gay e tu sai che sono
gay…Pensavo fosse chiaro cosa ho nel cervello!”
“Tu
sei gay?” se ne meravigliò Sam.
Quello
lo fissò, confuso: “Ma che problemi hai?”
“Che
problemi hai TU, Cameron! – si alterò –
Sta alla larga da me, ok?”
“Prima
mi attiri qui e poi mi respingi? – si infuriò
– Mi stai filmando,
forse? E’ una trappola?”
Sam
lo fissò a lungo, confuso: “Ma di cosa stai
parlando? Io non ti ho
attirato in un bel niente!”
“Mi
hai mandato un messaggio! – prese il suo telefono,
mostrandoglielo –
Questo è il tuo numero, mi pare.”
Da
Sam:
“Ti
va
se ci vediamo in bagno fra dieci minuti?”
“Cosa? – reagì, scioccato, difendendosi
immediatamente - Non te l’ho mandato
io!”
“Strano,
perché sono tre giorni che messaggi con me!”
“Tre
giorni???” si chinò in avanti con la testa per lo
stupore.
“Senti…
- si avvicinò verso di lui – So che sei spaventato
ora che le
cose si sono fatte serie. Nemmeno io volevo incontrarti, ma
è bello sapere che
c’è qualcun altro come
te, nella tua
stessa scuola… - lo riprese nuovamente per i fianchi
– E poi, ti ho sempre
trovato carino quando ti vedevo gironzolare per i corridoi assieme ad
Anthony e
il suo gruppetto…” e tentò di baciarlo,
mentre l’altro era disagio.
“No,
smettila… - si scansò, ma quello lo
riacciuffò – Basta, lasciami,
CAMERON! – cercò di spingerlo via, urlando
– Lascimi, ho detto!”
A
tirarlo via da Sam, prendendolo da dietro, fu Nathaniel, che lo
sbattè
al muro.
“Stai
bene?” chiese a Sam.
Quello
annuì, mentre Cameron riprendeva fiato.
“Ma
che vuol dire tutto questo? – si rivolse a Sam – Ti
stai prendendo
gioco di me?”
“Farai
meglio ad andartene, - lo avvertì Nathaniel - prima che dica
a
tutta la scuola che Cameron il donnaiolo è in
realtà un finocchio!”
Indignato,
guardò i due, per poi andarsene, furioso.
Sam
era fortemente provato, mentre si sciaquava la faccia.
“Si
può sapere che cavolo è successo?”
“Non
lo so, ok? – urlò Sam – Mi è
sputato alle spalle all’improvviso e ha
tentato di baciarmi. – quasi non riusciva a respirare, aveva
un attacco di
panico – Dice che ho messaggiato con lui per giorni e che gli
ho detto io di
venire qui in bagno.”
“Ok,
sta calmo… - gli mise una mano sul petto e una sulla
schiena,
cercando di farlo respirare meglio – Dammi il tuo
telefono.”
Sam
glielo consegnò e Nathaniel potè esaminarlo.
“Ha
ragione, qui ci sono delle conversazioni tra di voi… -
alzò lo
sguardo su Sam – Conversazioni molto intime.”
L’altro
era a dir poco agghiacciato: “C-cioè, adesso si
spaccia anche
per noi con altre persone? Oggi vengo aggredito da Cameron, domani
chissà da
chi altro? – si agitò – E’
questa la mia vita, adesso?”
“Ci
sta solo provocando, ok? Vuole che uno di noi crolli,
affinchè
confessi tutto: E’ questo il suo obbiettivo!”
“E’
assurdo, - era in lacrime - nessuno di noi confesserà mai
qualcosa
che non ha fatto. Tanto vale che ci dica di cosa si tratta, non
può torturarci
così!”
“Sta
allungando il brodo per Albert. Dobbiamo scontare anche quello,
ricordi?”
“Voglio
solo che tutto questo finisca… - si calmò, ma era
comunque
distrutto – E invece mi sembra che più andiamo
avanti e più le cose si
accumulino. Come la nostra visita a Jasper, che abbiamo nascosto a
Rider ed
Eric. – deglutì, prima di riprendere a parlare
– Mi sembra di impazzire a dover
ricordare tutto quello che devo dire o non devo dire. Di mentire a mio
padre, a
Chloe, a Eric e Rider…. – si asciugò le
lacrime - Passano i giorni e se penso a
come fare per uscirne, non vedo via d’uscita.”
Nathaniel
titubò: “I-io non so cosa dirti. Siamo sulla
stessa barca,
Sam.”
“Beh,
la barca sta affondando con noi dentro. – ribattè,
demoralizzato -
Tappi un buco e ne si aprono altri tre!”
“Lo
ammetto, non abbiamo un piano, ma adess… –
improvvisamente ricevette
una scossa, al livello del polso, urlando – Ma che
diavolo??”
“Che
cos’era?” Sam lo fissò, abbastanza
confuso.
Nathaniel
scoprì il braccialetto sotto alla manica.
“Mi
ha dato una scossa!” esclamò, incredulo.
Fu
il turno di Sam, poi, che sobbalzò per il dolore.
“Ma
stiamo scherzando?” urlò, sconvolto.
“Ecco
a cosa servono i bracciali…” ci arrivò
Nathaniel, scioccato.
Sam
provò a toglierselo con forza: “No, mi dispiace,
non sarò la sua
scimmietta ammaestrata!”
Ricevette
una nuova scossa, più forte.
“Sam,
smettila! – lo fermò Nathaniel, prendendolo per le
spalle –
Aumenterà il voltaggio, se continui
così!”
“Perché
ci sta dando delle scosse?” alzò la voce, non
capacitandosi di
tutto ciò.
“Forse
perché stiamo insieme…Nella stessa stanza,
intendo. Ci aveva
detto di separarci fino a nuovo ordine.”
“Quindi
prendiamo una scossa non appena facciamo qualcosa che ad A
non va a genio?”
“Credo
che sia questo il senso dei bracciali.”
“Dobbiamo
trovare il modo di toglier… - ebbe un’altra
scossa, chinandosi
a terra – DIAMINEE!”
Nathaniel
indietreggiò, alzando gli occhi al soffitto, le mani alzate:
“Ok ok, me ne sto andando! Smettila con le scosse!”
Sam,
col fiatone, lo guardò uscire dal bagno, basito.
*
All’uscita
della scuola, era ormai buio. Eric e Rider poggiavano il loro
fondoschiena sul cofano anteriore dell’auto di
quest’ultimo, mentre Sam era
davanti ai due ragazzi con la giacca sottobraccio. Sembrava aver
riferito loro
quanto accaduto durante la giornata. Dopo un attimo di silenzio, Rider
si
espresse abbastanza sconcertato.
“Quindi
i braccialetti servono a darci una scossa, ogni volta che
disubbidiamo ad A? – si
guardò con
Eric, allibito – Al prossimo giro ci regala un collare per
cani che ci da
fuoco?”
“Rider,
seriamente! – lo riprese Sam – Tu non hai idea di
quanto faccia
male.”
Quello
stette in silenzio, mentre Eric aveva altre perplessità.
“Quindi
Cameron è davvero gay? – ne era ancora incredulo
– Il ragazzo
più ricco della scuola, il festaiolo numero uno di Rosewood
e con una fama da mai stato single di ragazze…è
gay?”
Sam
sollevò la mano all’atezza del petto, con il palmo
rivolto verso di
loro, disgustato: “Oh, ti prego, non dire single
di ragazze…Fai sembrare le donne come articoli da
mercato!”
“Non
mi aspettavo un commento del genere da un ragazzo gay.”
intervenne
Rider, sarcastico, guadagnandosi una lunga occhiata da parte
dell’amico.
“Rider,
non tutti i gay odiano le donne! – gesticolò
nervoso, cambiando
discorso – E poi non è questo il punto! A
fa lunghe chattate con i nostri telefoni con gente a caso,
perciò controllate
sempre i vostri messaggi.”
I
due, prendendo sul serio quell’avvertimento, tirarono fuori i
loro
telefoni, controllando.
“Allora…
- Rider fissò il suo telefono a lungo, prima di alzare la
testa
– Zero messaggi! – annuì, quasi
sentendosi patetico per quel numero – Eccetto
quelli di A, ovviamente; quelli non
mancano mai!”
“Da
me è tutto ok, solo messaggi di A
e Alexis.”
Sam
compatì l’intero gruppo, mettendo il broncio:
“Mi rendo sempre più
conto di quanto la nostra vita sociale faccia schifo!”
“Già!
– fu d’accordo Rider – Anthony era come
un paio di occhiali 3D, in
grado di farti vedere tutte le cose in un’altra
prospettiva.”
“Ora
che non ci sono più quegli occhiali… -
continuò Eric – vediamo
tutto per com’è realmente.”
Dopo
qualche attimo di riflessione, mentre ognuno di loro guardava verso
una direzione, assorti, Sam fu colto da un piacevole ricordo, che lo
fece
sorridere: “Ricordate quando Anthony ci portò a
quel party? Proprio a casa di
Cameron?”
“Casa?
– Eric sollevò le sopracciglia, sorridendo per
quell’eufemismo –
Volevi dire villa gigante con piscina!”
“Fu
il mio primo party… - ricordò Rider con piacere
– Pensai finalmente
di far parte di qualcosa. Pensai…Caspita,
sto finalmente vivendo la mia adolescenza a pieno e non immaginando di
viverla
tra le mura della mia stanza e la penna fra le dita… - sorrise
– Anthony
non ci ha regalato solo parti buie, ma all’epoca…
- tornò serio – non pensavo
che ci sarebbero state.”
“Anch’io
non lo pensavo, ma è accaduto. – aggiunse Sam,
tornando a
sorridere – Nemmeno ci parlavamo noi quattro. O almeno, non
davvero, come
stiamo facendo adesso…Come stiamo facendo dalla sua
morte.”
Anche
Eric sorrise, continuando sulla scia di quel ricordo:
“Camminavamo
dietro Anthony come se fossimo i suoi cuccioli. Eravamo troppo
impegnati a
sbalordirci di essere lì che a parlare tra di
noi…”
Gli
altri due annuirono, mentre il sorriso sfumava. Eric si
voltò verso
Rider.
“E
la tua giornata? Com’è andata?”
“Ho
passato tutta la settimana a studiare per il test a sorpresa, ma non
è servito a niente. A mi
ha ordinato
di barrare tutte le A, e per un secondo…solo per un
secordo….ho quasi risposto
C, alla domanda numero otto. – rise, sdrammatizzando
– Fortuna che non l’ho
fatto o A mi avrebbe
fulminato.”
Sam
si rattristò per lui: “Rider mi
dispiace…So quanto ci tieni alla tua
media dei voti.”
Ad
un certo punto, Eric si voltò verso la scuola:
“Dite che Nathaniel
l’avrà ricevuto il messaggio di A?
Quello in cui ci dice che possiamo finalmente riunirci?”
“Starà
facendo ancora qualche vasca e comunque – fissò
l’orologio – io
devo tornare a casa, mio padre mi aspetta per cena. Con la scusa che ho
dormito
a casa di amici, nell’ultima settimana, pensa che lo stia
evitando.”
“Và
pure, aspettiamo noi Nathaniel!” esclamò Rider.
Sam
iniziò ad allontanarsi, fermato subito da Eric, apprensivo.
“Ehi,
vuoi che ti accompagnamo alla tua auto?”
“No,
è proprio là giù! – la
indicò, facendo rumore con il mazzo di
chiavi fra le dita – A domani!”
Rimasti
soli, Rider ed Eric continuarono a conversare.
“Cos’altro
ti ha fatto fare A,
oltre a sabotare il tuo test?”
“Niente,
Eric. – rispose abbastanza giù di morale - Per il
resto, ci
hanno pensato gli studenti della Rosewood high school.”
“Qualcunoti
ha preso a pugni perché eri vestito come Albert?”
“No
no… - scosse la testa – Ma sarebbe stato meglio,
forse. Evidentemente
questa generazione ha capito che uno sguardo è
più forte di un pugno…Ogni volta
che fissavo negli occhi ognuno di loro, riuscivo a sentire quanto poco
mi
tollerassero, quanto disgusto provavano nei miei confronti: volevo
sparire.”
“E’
quello che ho provato anch’io, in mensa. Ed è
stata la stessa cosa
che Colton provava tutti i giorni, ogni volta che arrivavamo
noi.”
Rider
sospirò, amareggiato: “Violet vince, A vince…Persino Anthony che
è morto, vince; l’aldi là è
sicuramente
meglio di quello che sta capitando a noi… - un altro sospiro
– Tutti
vincono, tranne noi. I ragazzi della
terra di mezzo…”
Eric
tornò a fissare la scuola, cercando di non piangersi
addosso:
“Forse dovremmo andare a chiamarlo. Anche io ho una casa a
cui tornare!”
“Andiamo
a chiamarlo, è meglio! – si sollevò dal
cofano – Probabilmente
non l’ha proprio letto il messaggio.”
Mentre
i due si avviavano verso l’ingresso, Nathaniel era in
palestra
che nuotava, facendo grosse bracciate, la testa sott’acqua.
Non si era reso
conto che qualcuno lo stava spiando, all’entrata della
palestra.Qualcuno che
indossava un cappuccio nero.
*
Rientrato
a casa, Sam sentì l’odore della cena provenire
dalla cucina
con grande intensità; ciò gli fece brontolare la
pancia, costringendolo a
raggiungere rapidamente la stanza.
Non
appena vi entrò, la tavola era apparecchiata e nei piatti
c’era del
pollo con patate. Era ancora fumante, probabilmente appena tirato fuori
dal
forno, ma di suo padre non c’era l’ombra.
“Papà?”
lo chiamò, appoggiando le sue cose sulla sedia.
Tornato
nel corridoio, continuò a chiamarlo, finchè non
lo trovò nel
salotto, seduto, che guardava in basso, i gomiti sulle ginocchia, le
mani fra i
capelli.
“Ehi,
Papà!” lo chiamò ancora, perplesso da
come l’aveva trovato:
sembrava disperato.
Quello
si sollevò lentamente, girandosi verso il figlio. Gli occhi
rossi
e umidi, di chi aveva pianto. Con espressione seria, prese
energicamente il suo
telefono, poggiato sul tavolino davanti a sé e si
alzò.
“Qualcuno
ti ha fatto del male?” domandò con tono deciso.
“Cosa?”
non capì Sam, mentre l’altro lo ripeteva,
più forte.
“HO
DETTO: Qualcuno ti ha fatto del male?”
Sam
era turbato: “Papà, adesso mi stai spaventando,
che succede?”
“Rispondi,
dannazione!” urlò, fuori controllo.
L’altro
sussultò, sgranando gli occhi.
“No,
Papà! – ribattè, urlando, confuso
– Ma che cos’hai?”
Suo
padre sollevò il telefono, mostrandogli delle fotografie:
ritraevano
lui, con le labbra distrutte e sanguinanti; sembravano autoscatti,
alcune erano
sfuocate, mentre le scorreva.
“Che
cosa sono queste?”
“I-io,
non lo so. – balbettò sconvolto –
Davvero, io…”
“Me
le hai mandate tu, Sam. Anzi, data la tua espressione stupita, forse
me le hai mandate per sbaglio!”
“Vado
nellla mia camera, - scappò via, gli occhi lucidi -
scusami!”
Il
padre lo inseguì nel corridoio, fermandolo per un braccio,
prima che
potesse salire le scale.
“No,
stavolta non te la caverai così!”
L’altro
si liberò, urlando.
“Lasciami!”
e corse velocemente sulle scale, diretto di sopra.
“Sam,
se è stato qualcuno della tua scuola a farti questo, sappi
che
andrò dal preside a denunciare la cosa e a scoprire la
verità!” gli urlò.
Sam
si fermò, voltandosi: “No, non farlo. Ti prego!
– fece qualche passo
più giù – Non è stato
nessuno.”
“Non
ti credo… - scosse la testa – E’ per il
video di insulti? Le
persone che hai insultato, qualcuno di loro ti ha ridotto le labbra
come nella
foto? Eh?”
“Ti
ho risposto di no! – urlò, in lacrime –
Perché non capisci?!”
“Se
non è stato nessuno: CHI, Sam? CHI?”
alzò ancora di più la voce,
furioso.
Sam
rimase a fissarlo, le labbra serrate, il volto serio e sofferente.
Si voltò e si diresse in camera, chiudendo energicamente la
porta. Si poggiò di
schiena ad essa, scoppiando in un pianto silenzioso. Improvvisamente il
suo
sguardo si posò sul suo vecchio telefono, sulla scrivania.
Si avvicinò e lo
prese, trovando le sue foto nei messaggi inviati.
Stringendo
i denti per la rabbia che provava nel vedere quelle immagini,
gettò il telefono con forza contro la parete, mandandolo in
mille pezzi.
Inginocchiatosi
a terra, sentì il padre che stava salendo, così
gattonò
velocemente verso uno dei pezzi del cellulare, raccogliendolo. Era
sottile e tagliente
e lo fissò intensamente, portandolo vicino al polso. Chiuse
gli occhi,
procurandosi un taglio, mentre suo padre stava entrando.
Quello
lo vide, sgranando gli occhi, buttandosi contro di lui e
separandolo da quel frammento appuntito, tirando via il lenzuolo del
letto,
accanto a loro, e premendolo sul polso, velocemente.
“Ma
che ti è saltato in mente?” gli gridò,
sconvolto, mentre Sam
piangeva tra le tue braccia.
“Sono
gay, Papà… - pianse più forte, mentre
quello sgranava ancora di
più gli occhi – Sono gay!”
Suo
padre lo distanziò dal suo petto, guardandolo negli occhi:
“E’
questo il motivo per cui lo stai facendo?”
Sam
deglutì, evitando il suo sguardo e poi annuì,
spiegandosi: “Avevo
paura a dirtelo, non sapevo quale sarebbe stata la tua reazione.
– singhiozzò,
mentre mentiva - E poi, poi a scuola è così
difficile, io…”
Suo
padre lo prese di getto tra le sue braccia, stringendolo forte, ad
occhi chiusi, come sollevato.
“E’
solo questo, Sam? – gli chiese con un filo di voce - Solo
questo?”
Poi
lo distanziò, prendendolo per la faccia.
“Non
devi avere paura, ok? Non devi fare queste cose, mi hai sentito?
–
gli sorrise, le lacrime scendevano copiose – La puoi
affrontare con me questa
cosa, io ti voglio bene. Sei sempre Sam, per me. Puoi dirmi
tutto!”
Sam
cercò di sorridere, mentre le lacrime gli scorrevano sul
viso.
Nonostante fosse una bugia, era sorpreso dalla reazione di suo padre.
“I-io
non pensavo fosse ancora un problema tra voi giovani, non essere
accettati.”
“Papà,
è un problema che ci sarà sempre.”
“Sì,
ma problemi come questi… - gli prese il polso, scuotendolo
cautamente – Non devono portare a questo! Sam, devi
affrontarli i problemi, ok?
Non distruggerti! Devi essere fiero di te stesso e di come sei. Devi
cercare di
far vedere agli altri che stai bene e che non ti interessa di
ciò che pensano.
– le parole gli uscivano soffocate, per la commozione che
stava provando e le
lacrime – E puoi cominciare dal fatto che io ti accetto
pienamente e che sto
bene, perché le cose peggiori sono altre; come la morte
così prematura di tua
madre.”
Dopo
quell’ultima frase, Sam si buttò nuovamente tra le
braccia di suo
padre, piagendo altre lacrime. Suo padre gli accarezzò la
testa e poi la baciò,
mentre erano inginocchiati a terra.
“Non
avere più paura, Sam. Non ce n’è
motivo. Non più.” lo rassicurò
nuovamente, tenendolo abbracciato a sé.
*
Mentre
Nathaniel nuotava indisturbato, l’incappucciato era accanto
ad un
quadrante con dei pulsanti. Improvvisamente ne premette uno, che
azionò la
copertura automatica della piscina. Nathaniel era a metà
vasca, quando la
copertura gli passò sopra la testa, colpendo il suo braccio.
Immediatamente,
iniziò a colpire il telo, urlando.
“EHIII???
EHI, C’E’ NESSUNO???”
L’incappucciato
indietreggiò, lasciando la palestra. Rider ed Eric,
intanto, si stavano dirigendo lì, alzando il passo, nel
sentire le urla del
ragazzo. Nel giro di pochi istanti, l’incappucciato
spuntò in mezzo al
corridoio, correndo dalla parte opposta ai ragazzi. Quelli si
bloccarono, nel
vedere A. Compresero che si
trattava
di lui dalla felpa nera che aveva indosso. Dietro, però,
aveva disegnata una
tigre.
“Oh
cavoli!” sgranò gli occhi Rider, mentre Eric
smetteva di restare
impalato, iniziando ad inseguirlo.
Rider
lo seguì a ruota, subito dopo, ma dovette fermarsi quando
passarono di fianco alla palestra, facendo caso a Nathaniel, bloccato.
Entrò,
allora, in palestra ad aiutarlo, abbandonando Eric.
“Nathaniel
resisti, sono io!”
“Presto,
tirami fuori!” gli urlò.
Rider
azionò il pulsante che ritirò la copertura.
Corse, poi, ad aiutare
l’amico ad uscire dall’acqua.
“C’è
A!” urlò
nuovamente
Nathaniel, dopo aver ripreso fiato.
“L’abbiamo
visto, Eric lo sta rincorrendo.”
Nathaniel
si sollevò in piedi, con l’acqua che gocciolava
dal suo corpo,
iniziando a camminare, pronto a raggiungere l’amico.
“Dobbiamo
bloccarlo!”
*
Eric
aveva inseguito A fino
al seminterrato. Stava camminando, vigile, dopo aver perso le sue
tracce. I
corridoi erano stretti, l’illuminazione scarsa, le pareti
arrugginite, i tubi
gocciolavano e c’erano tante scatole e cianfrusaglie ovunque
Qualche
passo più avanti, venne attirato da una parete, dove
c’era una
sottile fessura verticale che partiva da terra fino al soffitto. Eric
la toccò
con le dita, per poi apoggiare l’orecchio alla parete.
“Eric?
– gridò Rider, in lontananza – Eric, sei
qui?”
“Da
questa parte!” si fece sentire quello, mentre continuava a
dare
un’occhiata.
I
due ragazzi lo raggiunsero.
“Bene,
sei davvero nel seminterrato. – esordì Nathaniel,
con il fiatone
– Pensavamo che fosse stato A a
mandarci il messaggio, per ingannarci.”
“Potevi
almeno metterti qualcosa addosso!” lo squadrò,
Eric, con occhio
disturbato. Aveva indosso un costume a slip molto aderente e niente
più.
Nathaniel
si guardò per poi replicare: “Beh, avrei inseguito
A anche nudo!”
“Oookey,
- intervenne Rider – abbiamo capito che Nat non ha problemi a
mostrare i suoi genitali. Ora, però,
dov’è A?
– si guardò attorno, aspettando una risposta da
Eric – Eh? Dov’è?”
“L’ho
perso, una volta sceso qui.”
Gli
altri due reagirono delusi, mentre l’altro indicava loro la
parete.
“…Ma
ho trovato questa strana parete, vedete? – mise la sua mano
sulla
fessura – Esce dell’aria, proveniente
dall’altra parte.”
Rider
si avvicinò, incuriosito.
“Potrebbe
essere una porta scorrevole?” ipotizzò Nathaniel,
mentre Rider
la ispezionava attentamente.
“E’
una panic room! – dedusse –
C’è una stanza qui dietro.”
“Una
panic room?” ribattè Nathaniel, confuso.
“Sì,
è una specie di stanza blindata. –
spiegò Rider - Oggi giorno viene
installata anche negli appartamenti in caso di rapimenti, atti
criminali,
attacchi terroristici. E’ progettata per affrontare qualunque
tipo di minaccia
esterna. Inoltre, queste panic room, sono dotate di un
soffisticatissimo sistema
di sorveglianza, in modo che chi è dentro, può
vedere quello che accade fuori.”
Eric
e Nathaniel si guardarono.
“Un
posto perfetto per A, -
pensò Nathaniel – non credete?”
“Quando
sono sceso, prima, – raccontò Eric – ho
sentito un forte rumore.
Come quello di una porta che si chiude. Forse era la panic room.
Spiegherebbe
come A sia sparito.”
“Bene,
come la apriamo? – Nathaniel si mostrò impaziente
di agire – Se
questo è il covo di A,
abbiamo fatto
un bel colpo stavolta!”
“Rilassati,
incredibile Hulk. – lo estirpò Rider –
Aprire una panic room
è come tentare di aprire un buco nero con una filastrocca:
cioè impossibile!”
“Quindi
torniamo tranquillamente a casa, fingendo che Brakner non faccia
la sua pausa pranzo qui sotto?” lo trovò assurdo
Eric, quanto lo trovava
assurdo anche Nathaniel.
“Ragazzi,
avete idea di come sia strutturata una panic room? E’ fatta
di
cemento armato rivestito con lamiera balistica antiproiettile. Nemmeno
una
bomba la apre.”
“Stai
scherzando, vero?” commentò Nathaniel, incredulo.
“No,
non scherzo. Sarebbe più facile conoscere i codici per
aprirla, ma…
- si guardò intorno, osservando le pareti – Non
vedo alcuna tastiera dove
inserirli. Forse l’ha aperta con un telecomando o qualcosa di
simile.”
Nathaniel,
demoralizzato, si avvicinò alla porta, mettendoci le mani
sopra: “E pensare che qui dietro potrebbero esserci i nostri
video.”
Rider
sembrò riflettere: “Potremmo rivolgerci
a…” ma non finì la frase,
che il braccialetto gli lanciò una scossa.
La
stessa cosa accadde ai braccialetti di Nathaniel ed Eric.
“Oh
mio Dio! – urlò Rider, quando cessò
– Sarebbe questa la scossa di
cui parlava Sam?”
“Credo
che non ci voglia qua giù!” spiegò
Nathaniel, interpretando la cosa.
“Non
l’avevamo capito!” aggiunse Eric, sarcastico.
“Io
me ne vado! – iniziò ad allontanarsi Rider
– Non voglio sperimentare
l’ultima tacca con l’immagine del
teschio!”
Gli
altri due lo seguirono, d’accordo.
Usciti
dalla scuola, stavano raggiungendo l’auto a passo rapido. In
quello
stesso parcheggio, Eric notò qualcosa e si fermò
per farlo notare anche agli
altri.
“Ehi,
guardate, l’auto di Brakner è ancora
qui!”
Nathaniel
era a dir poco furioso, mentre fissava quell’auto:
“Mi chiedo
perché usi ancora quello stupido cappuccio nero, ormai
sappiamo che è lui il
cattivo.”
“E
mia sorella intende avere un lieto fine con lui, - commentò
Rider,
angosciato - lontano da Rosewood.”
I
due si girarono a guardare Rider, dispiaciuti per ciò che
stava passando.
*
Più
tardi, Rider telefonò a Sam per informarlo di ciò
che era accaduto a
scuola. Entrambi erano nella propria camera.
“Quindi
questa panic room potrebbe essere il covo di A?”
chiese conferma, Sam, mentre era
seduto alla sua scrivania a contemplare i pezzi del suo vecchio
telefono,
ammucchiati sopra il libro di algebra.
“Puoi
anche smettere di chiamarlo
A, sappiamo benissimo chi è… -
ribattè, tirando fuori un paio di pantaloni
da un cassetto – E comunque parlami di ciò che
è successo con tuo padre, sembri
abbastanza turbato.”
“Puoi
dirlo forte, A… - si
confuse, per poi correggersi – Cioè, Brakner, gli
ha mandato delle foto mie, di
quando le mie labbra erano messe male. Mio padre ha pensato subito che
qualcuno
a scuola mi avesse fatto del male per via del video con
Anthony.”
“Perché
ti sei scattato delle foto?” domandò, allibito,
mentre
appoggiava delle camicie sul letto, accanto al pantalone.
“Credi
davvero che volessi scattarmi un selfie post-trauma? –
trovò
assurda la sua accusa – A controllava
i nostri telefoni, perciò deduco che abbia attivato la
fotocamera interna
mentre controllavo i messaggi.”
“E
come l’hai spiegato a tuo padre?”
“Ho
praticamente fatto una scenata, sono corso in camera e ho spaccato
il telefono contro il muro. – assunse improvvisamente una
parlantina rapida per
il resto - Poi mi sono tagliato un polso e gli ho detto che sono
gay!”
Rider
si fermò da ciò che stava facendo:
“COSA?”
“Già,
ho dovuto farlo. Negli ultimi giorni sono stato così strano
che ho
dovuto dare una ragione alle mie stranezze.”
“Usando
la tua omosessualità?”
“Oh,
ti prego, odio quella parola…”
“Ehm…Gayosità?”
“Senti,
ci ha creduto, ok? Pensa che il mio disagio fosse quello…Ho
risparmiato a mio padre un’inutile caccia alle streghe!
– preferì cambiare
discorso, a quel punto – Piuttosto, che abbiamo in mente?
Sappiamo chi è A,
perciò come andiamo avanti col
gioco? Non ho intenzione di farmi molestare anche domani!”
Rider
si sedette sul letto, grattandosi il capo, privo di idee:
“Forse
dovremmo…ehm…Non lo so, siamo ad un punto morto.
Purtroppo, finchè Brakner ha
quei video su di noi, possiamo fare ben poco per
contrattaccare.”
“Io
avrei un’idea, ma non so se A
ci sta ascoltando…”
“Oh
cavoli… - Rider trovò qualcosa nella tasca dei
suoi pantaloni –
Vieni sul fisso!”
Sam,
intanto, stava torturando, con il dito, il mucchietto che rimaneva
del suo telefono, notando qualcosa di particolare: “Ehi,
credo di aver trovato
il dispositivo che A ha messo nei nostri
telefoni… - non sentì alcuna risposta da
parte dell’amico – Rider??”
Sam
si accorse che non era più in linea, così
lasciò la sua camera,
scendendo al piano di sotto. Il telefono di casa squillava. Finalmente
rispose.
“Pronto?
Rider, sei tu?”
“No,
una pizzeria...Sì, sono io, perché ci hai messo
tanto?!” si
infuriò.
“Beh,
non mi hai di certo avvisato, prima di riattaccare.”
replicò,
stringendo tra le mani il piccolo e quadrato aggeggio nero.
“Nella
tasca del mio pantalone, quello che avevo nelle fogne, ho trovato
uno dei chip che avevamo. Credo che funzioni, però devo
prima verificare con il
tablet, ma se funziona…Possiamo metterlo addosso a Brakner,
così quando si
dirigerà alla panic room, noi potremo seguirlo e vedere come
ci entra.”
“Io
avrei pensato ad un’altra cosa… - Sam
sembrò parecchio restio nel
voler condividere il suo pensiero - Tipo tu che parli con Lindsay
supplicandole
di aiutarci a recuperare i nostri video. Insomma, se lei lavora con il
nemico,
saprà sicuramente tutto. Tanto vale fare questa
chiacchierata vis-à-vis!”
“E’
un’idea stupida, non sappiamo nemmeno quanto sia coinvolta
mia
sorella in tutto questo e se sappia proprio tutto.”
“Chloe
l’ha vista nell’auto di Brakner, quella notte. A me
sembra
abbastanza coinvolta, invece.”
“Non
ci aiuterà, ok? O l’avrebbe già
fatto!”
“Ma
è tua sorella! Quale sorella non aiuterebbe suo fratello da
un pazzo
psicopatico. Se riavremo i video, potremmo finalmente
denunciarlo!”
“Lei
è innamorata del pazzo psicopatico, ecco perché
non ci aiuta!”
Sam,
a quel punto, sbuffò, mentre l’altro sospirava. Si
incantò a
guardare il dispositivo, durante quell’attimo di silenzio,
notando qualcosa di
insolito.
“Di
solito non c’è un numero di serie su questi
così elettronici?”
“Adesso
cosa c’entra?”
“Sul
dispositivo ci sono delle lettere… - cercò di
vedere attentamente,
ma erano troppo piccole - Aspetta, ho una lente di ingrandimento.
– corse a
prenderla da un cassetto, di un mobile nel corridoio
- Ecco, sono cinque lettere: DFPDM!”
“Aspetta,
ma non è possibile… - Rider sollevò il
chip che aveva in mano
– Anche i chip che abbiamo rubato al dipartimento hanno
quella sigla.”
I
due rimasero alquanto perplessi da tale scoperta, cercando di capirci
qualcosa.
*
Il
giorno seguente, Eric era pronto per andare a scuola. Quando si
affacciò in cucina per salutare sua madre, la
trovò lì in piedi con uno
splendido tailleur blu, un tacco nero e lungo e un grosso sorriso.
“Allora?
Come sto?”
“Uao,
mamma, sei stupenda!” ne rimase a bocca aperta.
“Dici
che non è troppo?” si guardò
attentamente.
“Beh,
tutte le commesse dei negozi d’abbigliamento vestono con
classe.
Direi che vai decisamente bene!”
Jennifer
non stava più nella pelle, mentre gesticolava briosa:
“Sono
così emozionata per il mio primo giorno!”
Bussarono
alla porta. Eric continuò a sorridere alla madre, mentre
andava ad aprire. Era Alexis.
“Muffin
e caffè! – li agitò, portando avanti il
contenitore di plastica
che li conteneva – Qualcuno ha fame?”
Eric
le sorrise, felice di vederla.
“Arrivi
sempre nel momento giusto, cara!” esclamò
Jennifer,
avvicinandosi.
“Caspita,
Signora Longo…Che schianto!” commentò
Alexis, squadrandola
dalla testa ai piedi.
“Oh,
per favore, – gettò la mano in avanti - esci con mio figlio,
chiamami Jennifer…o
Jen, come preferisci!”
“D’accordo,
Jen… - rise, imbarazzata, girandosi verso Eric - Jen
è
carino, non trovi?”
“Già!”
ribattè Eric, divertito.
“Alexis,
sappi che sarò la tua personal shopper, se mai verrai a
trovarmi da Valerìe. Con
il corpo che
ti ritrovi, immagino già degli abiti favolosi per
te!”
Alexis
si mostrò subito restia, non molto allettata
all’idea dalla
smorfia che aveva assunto il suo viso: “Ouh, no, non credo
proprio. Sono più
una tipa del ghetto, odio vestirmi bene.”
Jennifer
si mise una mano sul petto, tramortita da quelle parole:
“Sai,
anche le ragazze del ghetto hanno il loro lato principesco. Basta osare
per
tirarlo fuori.”
“Non
sono una principessa, Jen. Nemmeno un pò, credimi.”
“Ti
sottovaluti troppo, cara. Lascia che ti mostri quella parte di te
che non conosci.” Insistette Jennifer.
Alexis
era ancora indecisa. Fu Eric a darle un incentivo in più.
“Dai,
lasciati aiutare da mia madre. Se io sono passato alle tute da
ginnastica, tu puoi passare ai capi d’alta moda senza
problemi. E poi domani
sera abbiamo un appuntamento, ricordi?”
“Il
quarto appuntamento, per la precisione!” aggiunse Jennifer.
“Li
sta contando, per caso?” sorrise Alexis, sempre
più imbarazzata.
Quella
ammiccò, facendole un’occhiolino: “Ti
porto qualcosa da Valerìe,
allora? E la proviamo domani pomeriggio? – la
fissò a lungo – Dai, sarà
divertente!”
Alexis
guardò Eric, prima di rispondere:
“D’accordo!”
“Evviva!”
esultò la donna.
“Beh,
credo che sia ora di andare! – sorrise ancora Eric,
dirigendosi
alla porta con Alexis – Buon primo giorno, Mamma!”
“Grazie,
tesoro… - poi si rivolse ad Alexis – E a te ti
aspetto domani,
eh!”
“Certo!”
esclamò Alexis, tirata da Eric.
Non
appena la porta si chiuse, i due si ritrovarono sul pianerottolo,
dove Eric portò la ragazza contro il muro, baciandola
appassionatamente, mentre
sorridevano ad occhi chiusi ogni volta che separavano le loro bocche.
“Tua
madre sa anche a che numero di baci siamo arrivati?”
Eric
rise, mentre la teneva bloccata per i fianchi: “Difficile, ho
perso
il conto persino io…”
L’altra
rise, per poi diventare seria, mentre quello si distanziava:
“Sono davvero contenta di come stanno andando le cose tra
noi. Insomma, fino a
dieci giorni fa non avrei mai detto che le cose si sarebbero evolute
così
velocemente, ma è successo…E sicuramente, tu
vorrai passare ad un altro livello
di questo rapporto. Dico bene?”
Nonostante
fosse confuso, rispose sinceramente: “Beh,
sì…Continuiamo ad
uscire, a baciarci e ad essere in sintonia, ma ancora non abbiamo
parlato di
rendere ufficiale la cosa.”
“Eric,
in genere non sono una che ama ufficializzare le cose. Ma quando
lo faccio, devo essere sicura di quello che sto facendo.”
“Cioè?
– non capì, tentennando confuso – Non
sei sicura di voler stare
con me?”
“Non
sono sicura di riuscire a vederti completamente. E’ come se
dentro
la tua testa ci fossero due grandi blocchi: uno rappresenta
ciò che conosco di
te, le cose basilari, che hai condiviso con me. Poi
c’è quest’altro blocco,
molto più grande, dove risiedono le cose più
importanti, che non vuoi
raccontarmi.”
“Pensi
che ti stia nascondendo qualcosa?”
“Non
lo so…Lo stai facendo?”
Eric
titubò, prima di rispondere con gran sicurezza:
“Tutto quello che
sai è quello c’è… - la
baciò di nuovo, freddamente – E ora devo andare a
scuola!” concluse, iniziando a scendere le scale.
Alexis
lo seguì solo dopo qualche secondo, non molto convinta dalle
sue
parole.
*
Anche
Sam stava per uscire di casa, quando sentì il padre parlare
al
telefono, passando accanto alla cucina.
“Lasci
che gliene
parli, poi decideremo quando prendere questi appuntamenti. Grazie per
la sua
disponibilità!”
Sam
entrò in cucina di soppiatto, mentre quello poggiava il
telefono.
“Con
chi parlavi, Papà?”
Quello
si voltò, colto di sopresa: “Ehi, ciao…
- gli sorrise
nervosamente - Tutto bene?”
“Papà
devi smetterla di chiedermi se va bene, ogni dieci minuti.”
“Lo
so, è che dopo ieri…Beh, mi hai fatto preoccupare
molto.”
Sam
sorrise: “Tranquillo, ora sto molto meglio. Mi ha fatto bene
dirti
finalmente tutto.”
“Beh,
sì, questo si… - spostò lo sguardo
altrove, nervoso – Ehm, però,
Sam… - ora lo fissò dritto negli occhi, serio -
questo non basta a farmi stare
tranquillo.”
“Che
vuoi dire?”
“Ho
parlato con uno psicologo, poco fa…”
Sam
si lasciò sfuggire una risata, prima di tornare serio e
leggermente
infastidito: “U-uno psicologo? Papà, non sono
matto!”
“No,
non sei matto ma hai dei problemi. Problemi di
autolesionismo!”
“Cosa?
– rise nuovamente – E’ assurdo anche solo
pronunciare quella
parola.”
“Non
stai prendendo sul serio la cosa, Sam. Se ogni volta che sei
depresso per qualcosa, ti fai del male, hai bisogno di essere aiutato.
Insomma,
ieri non hai battuto ciglio nel tagliarti il polso.”
“Ma
ti ho detto che sto bene e che non accadrà
più!” urlò.
“E
ti dovrei credere sulla parola? – ribattè con un
tono più alto - Per
poi pentirmene quando ti succederà qualcosa?”
“Non
andrò da uno psicologo.” si rifiutò
categoricamente.
“Sam,
non ti sto mica chiedendo di essere internato. Si tratta solo di
qualche seduta a settimana con qualcuno che può aiutarti
dove io non riesco.
Che può farti stare meglio e vivere meglio, ok? –
lo fissò con il cuore in mano
– Ti prego, fallo per me.”
Sam
era combattuto, ma alla fine si arrese alle preoccupazioni del
padre, abbassando lo sguardo: “Va bene, farò
qualche seduta… - tornò a fissarlo
- E’ una donna?”
“E’
un uomo…Si chiama Wesam Grimes!”
“Ouh…
- si imbarazzò Sam - Ok!”
Suo
padre intuì il motivo del suo imbarazzo, o, almeno, lo
immaginò,
subito dopo: “Oh Dio, aspetta, non è mica un
problema per te se è un…”
L’altro
lo fermò subito: “No no, non è un
problema! – iniziò a sudare,
molto imbarazzato - Cioè, non mi interessa se è
un uomo o una donna.”
“Capisco…”
annuì, leggermente a disagio, guardando da altre parti.
Anche
Sam lo era: “Forse è meglio che vada!”
“Bene,
- sorrise l’altro - allora ti mando gli appuntamenti per
email!”
Sam
sollevò il pollice, mentre usciva:
“Ottimo!”
*
Più
tardi, a scuola, il Professor Palmer stava distribuendo i test
corretti. Rider era nuovamente vestito come Albert, anche quella
mattina, con
una camicia di diverso colore ma pur sempre nello stile di Albert.
Aveva appena
ricevuto il suo compito, accompagnato da un’occhiataccia poco
positiva del suo
insegnante.
“Non
è possibile… - Rider lo visionò,
incredulo – Le ho sbagliate
tutte!”
Sam,
Eric e Nathaniel lo udirono da dove erano seduti.
Rider
si alzò con il foglio, dirigendosi alla cattedra.
“E’
uno scherzo? Non è possibile che in un test, la risposta
giusta sia
divisa in tre opzioni quando ce ne sono quattro. Su quindici domande,
vuole
farmi credere che nemmeno una è la A?”
Palmer
lo fissò abbastanza basito, come tutto il resto della
classe: “Anche
io mi chiedo se tutto questo sia uno scherzo, Signor Stuart. Prima si
veste in…
- lo squadrò da capo a piedi, indignato – questa
maniera, poco rispettosa nei
confronti di un ragazzo che è scomparso e che non
è più tornato a casa perché
si sentiva ogni giorno ridicolizzato dal vostro gruppo, poi sbaglia
tutte le
risposte del test barrando la stessa opzione a tutte le domande e ha il
coraggio di venire qui a chiedermi spiegazioni?”
“Non
ho tutta questa faccia tosta! – deglutì, Rider,
difendendosi –
Almeno cinque domande del test avevano come risposta giusta la A, ma
nel mio
test sono state spostate. – si avvicinò ad una
ragazza al primo banco e prese
il suo foglio – Non me lo sto inventando, ora le faccio
vedere… - cominciò a
cercare la domanda con lo sguardo - Allora, domanda numero
sette…numero sette…
- la stava guardando – Ricordo che la numero sette era
A.”
Tutti
lo stavano fissando, abbastanza scioccati. Sam, Eric e Nathaniel
si guardarono tra loro, impietriti.
Rider,
fermo a guardare il foglio, si stava rendendo conto che non aveva
ragione.
“No,
non è possibile… - si voltò, prendendo
il foglio di un altro
studente – Io lo ricordo perfettamente, la numero sette era
la A!”
“Signor
Stuart…” lo richiamò il Professore,
abbastanza seccato.
Rider
prese ancora un altro foglio, dal banco di un altro compagno:
“Le
dico che la numero sette era…”
Palmer
battè la mano sulla cattedra, alzandosi, urlando, ne aveva
abbastanza: “SIGNOR STUART, ESCA DALLA CLASSE! ORA!”
Quello
si bloccò, fissandolo, gli occhi sgranati per lo spavento.
Tutti
si irrigidirono.
“Vada
fuori! – gli intimò ancora una volta - Se non
accetta il suo voto,
si senta in dovere di contestarlo al preside, ma dubito che lo
farà dal momento
che il suo test è una presa in giro.”
Senza
aggiungere nulla, Rider si incamminò verso la porta, ma non
prima
di aver guardato i suoi amici, allibito. Poi uscì.
*
Più
tardi, in mensa, la tensione era alle stelle per i quattro ragazzi.
Sam era seduto da solo, che cercava ancora di contattare Chloe, mentre
si
lanciava continui sguardi con Nathaniel, seduto più avanti.
Rider, invece, non
riusciva ancora a capacitarsi di cosa fosse andato storto con il test e
si
stava dirigendo con il vassoio al banco del cibo, dove c’era
Eric.
Prima
di lui, arrivarono Violet e il suo gruppo; tra questi vi erano
anche suo fratello e Lisa.
“Allora
Eric, come ti trovi dietro al banco?” esordì lei,
un sorriso
cinico. Gli altri ridacchiavano alle sue spalle.
“Come
dovrei trovarmi? – restò calmo, quasi
indifferente, per non darle
soddisfazioni – Sono dietro ad un banco e distribuisco il
cibo. – sorrise loro,
sforzatamente – cosa vi servo?”
“Quello
che ho preso ieri e due uova sode!” esclamò
Colton, con tono
arrogante. Sembrava un’altra persona, più sicura
di sé.
Eric
sorrise, beffardo, mentre riempiva i vassoi: “Serve
altro?”
“Sai,
Eric… – Violet non volle congedarsi senza avere
qualche
soddisfazione – Come nuovo presidente del comitato
studentesco, mi è stato
detto che morivi dalla voglia di distribuire il cibo alla mensa. Per
questo ti
trovi qui.”
“Quindi?
– scosse la testa Eric, indifferente, per poi chiarire la sua
posizione – Se pensi che farò una scenata, qui,
dentro la mensa, per gonfiare
il tuo ego e quello del tuo esercito della salvezza…Beh,
dovrai fare di
meglio!”
“Esatto!”
si avvicinò Rider, che aveva ascoltato tutto.
Violer
si voltò verso di lui, così come gli altri, con
sorriso cinico:
“Ma guardate chi c’è, Mr.
A!”
“Come,
scusa?”
“E’
questo il tuo soprannome, - spiegò Violet, divertita - dopo
che hai
delirato all’ora di letteratura.”
“Chissà
chi è la fonte, pazza stronza!” ribattè
Rider, sprezzante. Ne
aveva abbastanza
Colton
intervenì, spintonandolo. Rider lo fece a sua volta, mentre
gli
altri gridavano loro di fermarsi. Eric fece il giro del bancone.
Nathaniel
lasciò il suo tavolo, raggiungendo l’amico e
dividendolo da Colton assieme ad
Eric.
I
due gruppi si guardavano con sguardi fulminei, mentre i ragazzi
riprendevano fiato e si ricomponevano.
“Perché
non vai a giocare alla dittatrice da un’altra
parte?” suggerì
Nathaniel a Violet, in maniera poco amichevole.
“Qui
nessuno sta dettando niente. Il tuo amico mi ha dato della pazza,
quando il pazzo è lui che si veste da Albert e si mette a
delirare in classe su
risposte giuste e sbagliate.”
“Avete
avuto quello che volete. – aggiunse Eric - La scuola, la
vostra
rivincita e anche il cibo. Perché non ve ne andate,
adesso?”
“Ce
ne andiamo! – esclamò quella – Ma
perché siamo noi a volerlo. Non
comandate più voi, qui…” si
congedò, dando le spalle, sorridendo soddisfatta,
assieme al suo gruppo, mentre si dirigevano ai tavoli.
“Stai
bene?” domandò Eric a Rider.
“No!
– si svincolò dai due ragazzi, nervoso –
Oggi va tutto storto!”
“Ehi!
– li raggiunse Sam – Tutto a posto?”
Improvvisamente
ricevettero tutti la scossa, agitandosi.
“STRONZO!”
urlò Rider, quando la scossa terminò.
Attirò qualche sguardo,
naturalmente.
“Torniamo
ai nostri tavoli, non possiamo ancora stare insieme: è la
regola. ” ricordò loro, Nathaniel.
Annuirono
tutti, dividendosi nuovamente. Eric tornò dietro al banco e
gli altri ai tavoli. Rider lasciò la mensa, invece,
lanciandosi ancora sguardi
fulminei con Violet.
*
Finite
le attività extracurriculari, verso il pomeriggio, i quattro
si
riunirono intorno ad uno dei tavoli che c’erano nel cortile
interno alla
scuola. Da soli. Dopo il messaggio di A,
poterono finalmente ricongiungersi.
“Ragazzi,
voi mi credete, vero? A
ha spostato le risposte per farmi prendere zero, ne avevo
prese almeno
cinque su quindici. Avrei potuto recuperare, ma ora...ora come cavolo
faccio?
Sempre che A non decida di
aiutarmi
anche nella prossima verifica! ”
spiegò, sofferente.
“Certo
che ti crediamo, Rider. – intervenì Nathaniel -
Stiamo
combattendo tutti con la stessa persona, sappiamo di cosa sia capace.
Rider
continuò: “La cosa che non capisco è
come Palmer non abbia battuto
ciglio su quello che gli stavo dicendo. Insomma, i test gli ha fatti
lui,
perciò sapeva sotto quale lettera erano le risposte giuste e
che la risposta
esatta alla domanda numero sette non poteva passare dalla A alla C,
come per
magia. Ed è impossibile che su quindici domande, nemmeno una
di quelle giuste sia
sotto la A!”
Anche
Eric prese parola: “Smettila di scervellarti inutilmente. A avrà scassinato
l’armadietto di
Palmer e avrà fatto la magia. E Palmer non ti ha creduto per
il semplice fatto
che hai barrato tutte le A senza ragionare alle domande, come se non
avessi
studiato, nonostante ti avesse avvertito di questo test. La delusione
nei suoi
occhi per i risultati che hai ottenuto, l’ha completamente
accecato e si è
giustamente sentito preso in giro.”
“Almeno
a voi è andata bene… - sospirò Rider,
scivolando sullo schienale
della sedia - Del resto vi ho avvisati io di questo test a
sorpresa!”
“Ti
rifarai, ok? – cercò di consolarlo, Sam, mentre
tirava fuori i chip
dalla borsa e li metteva sul tavolo – Piuttosto, dobbiamo
aggiornare anche Eric
e Nat della nostra telefonata di ieri.”
Nathaniel
rimase perplesso, confuso quanto Eric: “Aggiornarci su
cosa?”
“Ieri
ho spaccato il mio telefono, non chiedetemi perché.
Comunque, ho
trovato il chip che Brakner ha messo nei nostri vecchi telefoni, mentre
Rider
ha trovato uno dei chip che avete rubato al dipartimento.”
“E
quale sarebbe l’aggiornamento? Una collezione di
chip?” non capiva
ancora Eric.
Sam
tirò fuori una lente di ingrandimento.
“Osservate
le sigle sui chip… - continuò, mentre Eric e
Nathaniel
guardavano i chip da vicino – DFPDM è la stessa
sigla che viene riportata su
entrambi i chip.”
Eric
si guardò perplesso con Nathaniel, prima di dire qualcosa:
“Ma
questo vuol dire che…”
Rider
prese parola per confermare i loro pensieri: “Sì,
i chip che
Brakner ha messo nei nostri telefoni provengono dal dipartimento di
ingegneria
elettronica a Brokehaven.”
“Che
strana coincidenza che noi siamo stati lì, parecchio tempo
dopo A.”
pensò Nathaniel.
“Nessuna
coincidenza. – chiarì Rider - Prima di andare a
Brokehaven, ho
chiesto a mio padre chi intervistasse per i suoi libri, per la parte
tecnologica. A è stato
nello studio
di mio padre per lasciarmi quel libro che parlava del crimine commeso
da
Anthony e dove si trovavano le medicine di Nathaniel, ricordate? Beh,
avrà
guardato la sua agenda e così ha trovato il contatto di
Denna Marx. Semplice!”
“Un
momento… - Nathaniel fermò tutti, ricordando una
cosa – Quando sono
stato nel laboratorio del dipartimento, ho conosciuto una certa Zoe,
che mi ha
detto che il progetto dei chip sui topi era un’idea di una
studentessa chiamata
Ella Duval ma che l’aveva aiutata Denna Marx.”
“Ok,
quindi Ella Duval sarebbe il braccio destro di A?
– dedusse Sam, trovando tutto pazzesco e bizzarro –
Chi cazzo è
questa, adesso?”
“Non
credo! – precisò Nathaniel – Zoe mi ha
fatto intendere che Denna ci
aveva messo più di una mano sopra quel progetto.
Perciò è Denna il braccio
destro!”
Rider
ed Eric erano a dir poco senza parole. Sam continuava a trovare
tutto assurdo.
“Denna
Marx? Che cosa cavolo c’entra con noi questa donna?”
“Niente,
Sam. – continuò Rider - Brakner
l’avrà pagata!”
Anche
Eric si espresse: “E profumatamente, direi: stava partendo
per
Miami!”
Rider
fissò tutti, serio: “Avete lasciato i telefoni
negli armadietti?”
Quelli
annuirono.
“Bene,
non voglio che Brakner ci ascolti…Dobbiamo trovare Denna
Marx e
minacciarla. Che ci aiuti almeno a levarci questi dannati bracciali,
prima che
i miei neuroni comincino ad abbandonarmi uno ad uno a forza di scosse
elettriche!”
“E
come la minacciamo, scusa?” replicò Nathaniel.
“Ehm,
- ribattè Rider con ovvietà - torture su
minori?”
“Scusate
se sono ripetitivo, - si intromise nuovamente Eric – ma Denna
è
partita per Miami, ricordate? L’unico modo per parlarle
è iniziare a fare una
scorta di infradito e collane di fiori per raggiungerla al resort a
cinque
stelle in cui sicuramente starà alloggiando!”
Rider
rimase in silenzio, mentre gli altri lo fissavano. Rider fissava
loro a sua volta, come se dietro al suo silenzio si celasse il suo
solito
pensiero estremo. Sam lo intercettò.
“Rider,
vai al diavolo! Io dopo la vicenda del treno ho deciso di non
seguirti più da nessuna parte.”
“A
chi lo dici!” aggiunse Eric con enfasi, riferendosi, invece,
alla
vicenda delle fogne.
Quello
lanciò una lunga occhiataccia ai due, offeso:
“Grazie mille, eh!
E comunque non sono così folle da spingermi fino a
Miami…Anzi, forse non è come
sembra!”
Nathaniel
perso il filo del discorso: “Cioè, che vuoi
dire?”
“Dico
che, secondo me, Denna Marx è ancora tra noi.
Dev’essere tutta una
farsa, non credo che sia partita…Altrimenti non si
spiegherebbero i
braccialetti che abbiamo appena avuto. Se c’è una
cosa certa è che Brakner ha
solo una laurea in matematica e sguardi seducenti!”
“Quindi
torniamo al dipartimento?” dedusse Eric, mentre si alzavano.
“Sì,
mi fingerò nuovamente podcaster e ci faremo avere
l’indirizzzo del
suo domiciglio!”
I
quattro raggiunsero i loro armadietti, recuperando i telefoni. Sam
ricevette un messaggio, puntato immediatamente dallo sguardo degli
altri.
“E’
solo mio padre!” spezzò la suspence.
“Dovremmo
avere una suoneria personalizzata solo per A.
Odio questi momenti in cui le nostre
mandibole precipitano a terra ad ogni sms che riceviamo!”
pensò Nathaniel,
riprendendo fiato.
“Sì,
- continuò Sam, mentre avevano ripreso a camminare
– comunque…non
posso fare i compiti con voi domani!”
Quelli
si fermarono nuovamente. Intuirono che si trattava di una frase
in codice, che mascherava la gita al dipartimento.
Rider
fu il primo a prendere parola: “Perché?”
“Ho
uno psicologo, grazie ad A!
– rispose, sarcastico e irritato – Lo incontro
domani, Mercoledì e Venerdì!”
Nathaniel
era confuso a quel punto, come Eric: “Un secondo, che mi sono
perso? Perché tuo padre ti manda dallo psicologo?”
Fu
Rider ad aggiornarlo: “Perché Brakner gli ha
mandando foto di Sam di
quando aveva le labbra malconce. Ha
dovuto inventare qualcosa prima che corresse qui a scuola a cercare il
suo
bullo.”
“Tipo
cosa?” cercò di capire Nathaniel, fissando Sam.
Fu
sempre Rider a rispondere, incurante: “Tipo fare coming out,
tagliandosi un polso!”
“COSA?”
gridarono in coro Eric e Nathaniel, sgranando gli occhi.
Sam
lanciò un’occhiataccia a Rider per averlo detto in
quel modo.
“Risparmiati
quella faccia, Sam. Ho avuto una giornata di merda!”
Quello
attenuò la sua smorfia, voltandosi a spiegare agli altri due.
“Sentite,
dovevo dare un senso a quelle foto. Fingere di avere una
specie di disagio interiore! - roteò gli occhi, seccato -
Peccato che ora mio
padre pensi che l’autolesionismo sia il mio nuovo
hobby!”
“Sam,
è stato pericoloso fare quello che hai fatto. – lo
sgridò Eric,
mentre Nathaniel si mostrava seriamente allibito e preoccupato
– Poteva andarti
peggio!”
Sam
alzò la manica, indifferente, mostrando il polso fasciato:
“E’ solo
un taglietto, rilassatevi!”
Nathaniel
si infuriò: “Un taglietto?? Sam, ti rendi conto di
che potere
ha A su di te?”
“Ha
potere su tutti noi, Nat!” ribettè
l’altro.
“No,
non è vero. Di certo non giustifico i miei disagi camminando
su un
cornicione!”
Sam,
stufo, si sistemò la tracolla, superando i compagni.
“Io
me ne vado, ci vediamo domani!”
Mentre
Nathaniel lo fissava altamente infastidito, voltare loro le
spalle, Rider lo fermò.
“Sam,
chiamami domani mattina. Sul fisso!”
Quello
roteò gli occhi ancora una volta, prima di voltarsi
nuovamente e
andare: “Ok!”
*
Come
concordato, Sam e Rider si sentirono per telefono la mattina
seguente.
“Sam,
devi venire con noi a Brokehaven oggi. Non puoi non venire.”
“Lo
sai che non posso. Tra le ore extra a scuola e lo psicologo, non ho
il potere di sdoppiarmi in due.”
“Davvero?
– si pronunciò con finto scetticismo –
Mi stai dicendo che per
te lo psicologo è più importante di quello che
dobbiamo fare? Avanti, non me la
bevo!”
“Che
vorresti dire, scusa?” Sam percepì un velo di
insinuazione.
“Intendo
dire che, forse, Nat ha ragione. Che A ha
molto potere su di te!”
“Noi
facciamo continui buchi nell’acqua, ok? Non
pagherò le conseguenze
anche questa volta!”
“Sam, noi ci andremo ugualmente a Brokehaven. E se riusciamo
a togliere i
bracciali, Brakner se la prenderà solo con te,
perciò decidi tu.”
Sam
sospirò, fissando la parete. Improvvisamente
sentì un suono
provenire dall’esterno.
“Rider…
- cercò di guardare fuori, attraverso le finestre,
abbastanza
distratto da quel suono insistente – Ne riparliamo a scuola,
ok? Ora devo
andare!”
Quando
mise giù la cornetta, ancora si sentiva la voce di Rider che
parlava, nell’intento di trattenerlo e finire il discorso.
Sam
era già alla porta, subito dopo, uscito a vedere di cosa si
trattasse. Con gran sorpresa, trovò Nathaniel, che camminava
con accanto un
tandem, suonando il campanellino.
Confuso,
Sam sorrise, avvicinandosi.
“E
questa bicicletta?”
Nathaniel,
altrettanto divertito, prese un biglietto dal cestello e
glielo fece leggere. Il sorriso scomparse immediatamente dal viso di
Sam, non
appena lo lesse.
“Dopo
il vostro primo
bacio, sarete sicuramente felici di fare un giro romantico prima di
andare a
scuola.”
-A
Sam
alzò la testa, sentendosi in colpa, una mano sul petto:
“Nat, mi
dispiace. Sono così mortificato.”
L’espressione
dell’altro era totalmente serena: “E’
tutto ok, Sam.
D’accordo?”
“Ma
ci vedranno tutti! – si disperò –
E’ tutta colpa mia, ora A pensa
che siamo una coppia.”
“Senti,
sono stato io a baciarti. E’ tutto a posto, ti ho
detto.”
Sam
lo fissò a lungo, in una smorfia angosciata: “E io
che pensavo che A sarebbe stato
impegnato con Eric e
Rider, mentre noi andavamo in carcere da Jasper. Questo vuol dire che
sa che
abbiamo parlato con lui.”
“Forse
ci ha seguiti Lindsay. Brakner non poteva preparare la trappola
ad Eric e Rider ed essere a Philadelphia con noi,
contemporaneamente.”
“Pff,
e poi Rider dice che sua sorella non è coinvolta
più di tanto.
Secondo me ci è dentro fino al collo!”
Nathaniel
suonò il campanello della bicicletta, accennando poi un
sorriso, per sdrammatizzare.
“Dai,
sali! – ci montò sopra, aspettando
l’amico - Non
avevo mai provato una bicicletta a due
posti…”
Sam
era ancora restio nel voler fare questo giro: “Nat, ma le
persone…”
Quello
lo zittì immediatamente.
“Smetti-di-parlare.
Ok? Non mi importa di quello che dice la gente. Mi
importa di quello che dico io…E quello che dico io mi fa
stare bene, perciò
sali su questo dannato tandem!”
Sam
lo fissò a lungo, colpito dalle sue parole, arrendendosi:
“Beh, A ci ha detto di
fare un giro, ma non
ha specificato dove. Propongo di andare al parco, così
eviteremo di dare
qualcosa di cui sparlare ai cittadini di Rosewood.”
“Te
l’ho detto, non ho problemi. Ma se desideri questo, che parco
sia!”
Sam
montò sul tandem.
“Ok,
ci sono!”
Nathaniel
si voltò, assicurandosi che potessero partire.
“Pronto?
Possiamo andare?”
“Sì!”
accennò un sorriso, l’altro.
I
due iniziarono a pedalare, allontanandosi lungo il viale.
*
Più
tardi, a scuola, Eric e Rider erano seduti sulle panche che
c’erano
davanti alla scuola, in attesa del suono della campanella. Mentre
quest’ultimo
controllava il telefono, l’altro osservava alcuni annunci sul
giornale.
“Violet
ha dato una festa per la sua vittoria: 67 foto… - Rider le
vide
una ad una, facendo delle smorfie con il viso – Ah, no, -
accentuò la smorfia,
seccato – sono 72!... –
notò dell’altro,
poi - Ehi, ha
appena pubblicato uno
stato: Il ballo degli ex alunni si
avvicina, suggerimenti per la band da chiamare? –
sollevò lo sguardo dal
telefono, indignato – Pazzesco, ha già ricevuto
108 like!”
“Rider,
la smetti di controllare il profilo di Violet? Sto cercando di
concentrarmi!”
Quello
buttò un occhio sul suo giornale, perplesso:
“Concentrarti su
cosa? Sugli annunci dei cani scomparsi?”
“No!
– girò la pagina, Eric, nervoso – Sto
cercando gli annunci di lavoro,
voglio aiutare mia madre.”
“Sono
alla fine, comunque…” indicò con gli
occhi.
“Grazie…
- ribattè, giù di morale, andando alla fine del
giornale – In
più, Alexis sembra avere dei ripensamenti su di
me.”
“Pensavo
che andasse a gonfievele tra di voi.”
“Beh,
pensa che io nascondi qualcosa…Il che è vero: A!”
“Non
azzardarti a raccontarle assolutamente nulla. So che è dura,
ma
devi lasciarla fuori da questa storia.”
“Non
è facile… - si mise le mani sulla faccia,
oppresso – Non ce la
faccio più, diventa sempre più pesante la nostra
situazione.”
“E
lo dici a me? Ieri sono stato letteralmente cacciato fuori
dall’aula!”
Eric,
intanto, aveva posato lo sguardo su una ragazza che stava salendo
le gradinate della scuola: Chloe. La indicò con gli occhi a
Rider, che era di
spalle e non poteva vederla. Quando si voltò, la vide anche
lui.
“Era
ora! – Rider prese subito il telefono – Avverto
Sam… - ma si
bloccò, sgranando gli occhi a qualcosa che aveva appena
visto – OH-OH!”
“OH-OH,
cosa?” volle sapere Eric, incuriosito.
Rider
gli mostrò il telefono: una foto di Sam e Nathaniel, al
parco, su
un tandem.
“L’ha
appena postata Cameron Ashcroft. – spiegò,
leggendo lo stato – Quanti like per
#Nathaniam, la nuova ship della
scuola?
“Cameron
sa essere assai vendicativo. E’ dura essere rifiutati;
soprattutto per uno come lui.” pensò Eric.
“E
A sa essere assai
creativo! Non so se riuscirò a sorprendermi di
qualcos’altro, dopo il tandem!”
“Povero
Nat, - ribattè Eric - almeno Sam è gay per
davvero, ma lui no.”
“E’
umiliante per entrambi, credimi.”
Improvvisamente,
videro Sam e Nathaniel arrivare a piedi, ignari della
foto che stava circolando.
Eric
e Rider si alzarono per andare verso di loro e metterli al corrente
di tutto, ma un messaggio li costrinse a fermarsi.
“Non
avvicinatevi a loro.
E già un privilegio avervi concesso di restare a
coppie.”
-A
I
due sollevarono lo
sguardo, scuotendo la testa. Sam e Nathaniel compresero perfettamente
che non
potevano avvicinarsi a loro. Anche questi ricevettero un messaggio.
“Entrate
a scuola per
mano.”
-A
I
due sgranarono gli occhi, fissando il vuoto. Poi si guardarono.
Nathaniel non era più così sereno come prima,
stavolta era in pubblico.
“Nathaniel,
non sei costretto a…”
“Lo
sono, invece…Non abbiamo altra scelta.”
Entrambi
deglutirono, nel panico, mentre gli amici, da lontano, gli
osservavano, cercando di capire cosa stesse succedendo. Mentre Sam era
completamente immobile, fu Nathaniel a prendere l’iniziativa
e a prendergli la
mano. Sam sentì il cuore che gli batteva forte, mentre,
tesi, si incamminavano.
Eric e Rider si scambiarono una lunga occhiata, in pena per loro.
Una
volta dentro, ogni studente aveva gli occhi puntati su di loro.
Espressioni di stupore spaziavano i corridoi, tra bisbigli e risate
silenziose.
I due continuarono a camminare senza guardare nessuno,
finchè la cosa sembrò
sempre meno percettibile e gli studenti tornavano a fare ciò
che stavano
facendo prima del loro arrivo. Inoltre, la campanella
contribuì ad interrompere
quel momento imbarazzante.
Improvvisamente,
Sam vide Chloe in lontananza, lasciando la mano a
Nathaniel in maniera brusca. Quello si sentì ancora strano,
quasi come se si
era abituato a tenergliela.
“E’
tornata! – gli disse, prima di camminarle in contro
– Chloe?” la
chiamò, mentre quella stava parlando con altre due ragazze.
Il
suono della campanella copriva la sua voce, ma era a metà
strada e la
stava raggiungendo. Nathaniel lo guardò allontanarsi e anche
Eric e Rider, più
dietro. Tutti non vedevano l’ora che parlasse con lei.
“Chloe?”
la chiamò ancora, ma quella non lo sentì,
iniziando ad
allontanarsi con le due ragazze verso le classi.
Sam,
a quel punto, alzò il passo, ma fu fermato da un nuovo
messaggio
che non lo lasciò indifferente.
“Prova
a parlare con
Chloe e ti faccio esplodere il braccio.”
-A
Barcollò,
agghiacciato, mentre la ragazza era ormai scomparsa dalla sua
visuale. Un brivido corse lungo la sua schiena, fino alle braccia. Era
il
messaggio più minaccioso che avesse mai ricevuto. I ragazzi
non capivano cosa
stesse facendo lì impalato, in mezzo al corridoio.
Finalmente
Sam si voltò, aveva gli occhi rossi e lucidi ed era alquanto
scosso. Fissò i suoi compagni per qualche secondo, prima di
scappare in bagno.
Nathaniel si voltò alle sue spalle, guardandosi con Eric e
Rider, poi lo seguì.
Quando
lo raggiunse, Sam era a dir poco sotto shock e cercava di
sfilarsi il bracciale con forza, disperato.
“Sam,
mi dici che cosa è successo? – si fermò
accanto a lui – Perché non
hai raggiunto Chloe?”
“A ha detto che se provo a
parlarle, mi fa esplodere il braccio. – spiegò,
piagnucolando, per poi mettersi
una mano sul petto – Non riesco a respirare, - si
voltò verso di lui – Oddio,
può farlo davvero? Può farmi esplodere il
braccio?”
“Non
essere ridicolo, Sam.” cercò di tranquillizzarlo,
anche se era
spaventato anche lui.
Improvvisamente,
qualcuno entrò in bagno. Si trattava di Cameron. I due
si voltarono a guardarlo e Sam si rimise giù la manica,
cercando di ricomporsi.
“Sam…
- esordì nervoso, accorgendosi anche della presenza di
Nathaniel –
Ragazzi, non sono stato io a postare la foto, ok?”
Nathaniel
non capì di cosa stesse parlando: “Quale
foto?”
Cameron
vide confuso anche Sam: “Ouh, non l’avete ancora
vista allora… -
mortificato, prese il suo telefono, mostrandola a loro –
Qualcuno deve aver
prese il mio telefono, perché vi giuro
che…”
Nathaniel
lo prese immediatamente dal petto, inchiodandolo al muro. Sam
intervenne.
“Lascialo,
lascialo! – tirò Nathaniel per un braccio
– Dice la verità,
lo sai che è la verità!”
Quello
lo lasciò, mentre l’altro ragazzo parve incredulo.
“Mi
credete, allora…” lo trovò abbastanza
strano.
“Vattene!”
gli urlò Nathaniel, facendolo sobbalzare.
Il
ragazzo indietreggiò, quasi inciampando.
“Sì,
ma non dite a nessuno che sono gay. – supplicò -
Per favore!”
Fu
Sam a pronunciarsi, serio: “Credimi, non ce ne frega niente.
Quelli
sono affari tuoi!”
Cameron,
nonostante fosse stranito dal loro comportamento, uscì,
senza
aggiungere altro.
Il
silenzio calò improvvisamente sulla stanza e Nathaniel si
appoggiò al
muro con le braccia. Sam, alle sue spalle, non sapeva se rivolgergli la
parola;
temeva una sua brutta reazione, dato lo stress accumulato.
“Nat,
stai bene?”
Dopo
un po’, quello si voltò, più calmo:
“Non proprio, ma…Insomma, va
bene così…”
“Mi
dispiace che tu sia finito in mezzo a questa storia. Per me non
è un
problema, a questo punto, ma…Non voglio che tu ci
soffra.”
“Senti,
non mi interessa…Che mi credano gay o quello che vogliono.
Prima
o poi smetteranno di fare caso a noi.” concluse, tendendogli
la mano.
Sam,
con un sorriso poco marcato, la bocca serrata, prese la sua mano e
i due uscirono, spavaldi.
*
Dopo
la scuola, i ragazzi giunsero a Brokehaven come programmato. La
segreteria del dipartimento era ancora aperta, ma la donna di colore
che era di
turno, era assai difficile da convincere in quanto ad informazioni
confidenziali. Rider era avanti ai suoi amici che parlava con lei.
“Che
significa che non può darci l’indirizzo di Denna
Marx?”
“C’è
la privacy su queste cose!” chiarì quella.
“La
privacy? – titubò, incredulo – Dove
siamo, alla NASA?”
“La
professoressa non lavora più qui e noi non siamo tenuti a
dare alcun
recapito. Ora, se non vi dispiace, ho dei fogli da spillare!”
e si congedò,
lasciando i quattro con un palmo di naso.
Rider
si voltò verso i suoi amici, abbastanza furioso.
“E’
incredibile, ora come la troviamo?”
Nessuno
di loro aveva alcuna idea, ciondolando con loro sguardo.
Improvvisamente, una voce fece voltare i ragazzi.
“Nathan?”
era una ragazza, fermatasi accanto a loro.
“Zoe!”
la riconobbe Nathaniel, avvicinandosi a lei, mentre gli altri tre
si scambiarono una rapida occhiata, confusi.
Quella,
stringendo il libri al petto, fu felice di vederlo:
“E’ un po’
presto per le iscrizioni, non pensavo di rivederti così
presto.”
“In
verità, - si fece avanti Rider – stavamo cercando
la Professoressa
Marx!”
“Pff,
chi non la cerca! – esclamò quella – Da
quando se n’è andata, i
suoi studenti si sentono tutti abbastanza spaesati.”
“Sai
per caso dove abita?” ne approfittò Nathaniel, con
discrezione.
“Certo,
mia madre è stata il suo agente immobiliare quando si
è
trasferita qui. Ha visto almeno tredici case prima di
decidersi!”
“Oh,
ma è fantastico! – si entusiasmò Rider
– Potresti scriverci il suo
indirizzo?”
“Dubito
che la troverete, si è trasferita a Miami.”
Stavolta
fu Sam ad intromettersi: “Non ha qualche parente,
qui?”
“In
verità, sì. So che ha una
sorella…”
“Puoi
scriverci il suo indirizzo?” insistette Rider.
“Ehm…
- lo fissò quella, iniziando a stranirsi – Ok,
dammi carta e
penna…”
“Hai
una penna?” ribattè Rider.
“Si!”
la tirò fuori dalla borsa.
“Bene,
scrivimelo sul braccio!”
“Ouh…
- lo fissò, sempre più perplessa –
D’accordo…”
Nathaniel
lanciò un’occhiataccia a Rider per i suoi
atteggiamenti
bizzarri, mentre quella scriveva l’indirizzo.
“Ecco
fatto!” indietreggiò la ragazza, rimettendo la
penna nella borsa.
I quattro la sorpassarono.
“Grazie,
Zoe. – si pronunciò Nathaniel - Sei stata molto
gentile!”
“Per
caso… - li fermò quella, con un espressione
dubbiosa – Avete nulla
a che fare con il furto dei chip, al laboratorio? –
fissò Nathaniel – Insomma,
ti ho incontrato lì, quel giorno.”
“No!
– scosse la testa Nathaniel, come tutti gli altri –
Direi proprio
di no.”
Poco
convinta, Zoe continuò con un’altra domanda:
“Ok…E posso sapere
perché cercate la Professoressa Marx, almeno?”
“Speravo
di poterla intervistare di nuovo, sono un podcaster. –
replicò
Rider – I miei follower sono impazziti per lei. Magari mi
concederà altro del
suo tempo, via skype!”
“Credo
che inizierò a seguirti anch’io. –
annuì Zoe – Sai, mi
interessano molto gli argomenti della Professoressa Marx. Come ti
chiami? Così
ti aggiungo su Twitter.”
“Ehm…
- Rider stava iniziando a rispondere, mentre gli amici lo
fissavano abbastanza tesi – Taylor Buh! – rise
– Ora dobbiamo proprio andare!”
concluse, voltandosi velocemente e andandosene. Gli altri lo seguirono
a ruota,
dopo aver sorriso alla ragazza.
Quella
continuò a guardarli, trovandoli strani.
*
Intanto,
a Rosewood, Alexis era salita con Jennifer al suo appartamento
per provare qualche abito per l’appuntamento con Eric.
In
quel momento, la donna era in salotto che attendeva la ragazza.
Finalmente entrò nella stanza, con indosso
l’outfit che le aveve scelto. Si
trattava di un top rosso e lungo che si allargava alla vita, un
pantalone nero
di seta, un cardigan nero e un tacco rosso e alto. I suoi capelli erano
raccolti, solo due ciuffi ai lati del viso e un rossetto rosso sulle
labbra.
“Sei…
- Jennifer non aveva parole, mentre l’altra girava su se
stessa,
sorridente – Sei bellissima!”
“Dici
che sto davvero bene?”
“Sei
un incanto, tesoro. Mio figlio è davvero
fortunato.”
Alexis
si guardò ancora una volta. Jennifer pensò che
mancava qualcosa.
“Aggiungerei
solo un accessorio… - si tolse dal polso una serie di
bracciali incastrati fra loro, color argento – Me lo
regalò mio marito al
nostro primo appuntamento e da allora non ci siamo più
lasciati.”
Si
diresse verso di lei per darglielo, ma Alexis indietreggiò,
subito
contraria.
“No
no, non è necessario Jen!”
“Non
essere sciocca, sta meglio a te, questa sera.” glielo
infilò al
polso.
“Ma…
- Alexis era a disagio - E se lo perdo?”
“Non
lo perderai…” le sorrise, premurosa.
E
quella se lo ammirò, facendo poi una giravolta e scoppiando
in una
risata incontrollata con la donna.
*
Nel
frattempo, a Brokehaven, i quattro stavano salendo le scale di un
edificio. Eric e Sam erano avanti a Nathaniel e Rider.
“E’
l’interno 7B, giusto?” chiese Sam, esausto.
Rider
confermò: “Così
c’è scritto sul mio braccio!”
“Non
potevamo prendere l’ascensore? – anche Nathaniel
era esausto –
Questa scale non finiscono mai!”
“Meglio
di no… - sottolineò Rider – Per
esperienza personale, ho deciso
di non inficcarmi più in luoghi senza via
d’uscita!”
Nathaniel
gli lanciò un’occhiataccia.
“Che
c’è? – sussultò Rider
– A potrebbe
bloccarci anche negli ascensori!”
“Non
contesto! – intervenne Sam, mentre volgeva la testa in alto,
verso
la nuova rampa di scale da salire – A questo punto non mi
stupisco più di
niente.”
Rider
si voltò nuovamente verso Nathaniel, fissandolo.
“Sai,
hai qualcosa di diverso…” ma non capiva cosa.
“Io?”
titubò quello, confuso.
“La
tua faccia…Sembra diversa! – abbassò lo
sguardo sul resto del corpo –
Anche il tuo fisico.”
“Eh?
– stranì, toccandosi il petto e la faccia
– Sono sempre io, di che
diavolo parli?”
“Lascia
perdere, forse sto delirando per queste scale!” concluse,
raggiungendo Sam e Rider: erano arrivati.
Prima
di alzare il passo, rimasto indietro, Nathaniel si toccò
nuovamente i suoi pettorali e la sua faccia, pensando ancora alla
strana
osservazione di Rider.
“I
telefoni sono tutti in macchina, giusto? –
bisbigliò Rider, mentre
quelli annuivano, davanti alla porta dell’interno 7B
– Ricordare tutti il
piano, non avrà altra scelta che toglierceli se ha un
briciolo di umanità.”
I
quattro sospirarono, voltandosi davanti alla porta. Fu Eric a bussare.
Dopo
qualche secondo, aprì una donna, ma non era Denna Marx.
“Sì?
– domandò quella, fissandoli.
Abbassò,
poi, lo sguardo, intravedendo un bracciale sotto alla manica di
uno di loro.
Ella
sgranò gli occhi, quasi immediatamente, esplodendo in una
reazione
esagerata: “Oh cazzo! – urlò,
richiudendo la porta – Cazzo, cazzo, cazzo!”
I
ragazzi si buttarono subito contro la porta, impedendone la chiusura.
“SPINGETEEE!”
gridò Rider agli amici, mentre l’altra cedeva.
Dopo
un estenuante lotta, i ragazzi erano dentro l’appartamento.
“Sto
per chiamare la polizia!” minacciò quella,
indietreggiando,
nervosa.
“Strana
la tua reazione, - Rider le sorrise cinicamente, mentre Eric
chiudeva la porta – Noi non ti conosciamo nemmeno, ma tu
sembri conoscere noi.”
Anche
Sam e Nathaniel la guardarono con volto serio e cinico, per poi
muoversi verso le altre stanze.
“Ehi!
– spostò lo sguardo su di loro – EHI,
dove credete di andare?”
“Dov’è
Denna Marx? – le domandò Rider, mettendosi davanti
a lei – Tu
devi essere sua sorella, no?”
“Non
c’è nessun’altro, qui!”
esclamò Sam, di ritorno con Nathaniel.
Ora,
tutti la fissavano. Uno sguardo pesante che la mise alle strette.
“Ehm…
- aveva lo sguardo basso e stava sudando – Non siamo proprio
sorelle; stessa madre, padre diverso.”
“Quindi
siete sorellastre!” dedusse Sam.
Quella
annuì, riuscendo finalmente ad alzare lo sguardo.
“Mi
chiamo Julie Orlando…”
“Bene,
Julie Orlando… - cominciò Rider –
Dov’è Denna?”
“E’
andata via. E’ partita!”
“Certo,
e io sono James Bond!” non ci credette, Nathaniel.
“E’
la verità!” urlò Julie.
Eric,
a quel punto, si fece più avanti, alzando la manica e
mostrando il
bracciale al polso: “Tua sorella non può essere
partita. Altrimenti non avremmo
questi dannati cosi al polso!”
Julie
fissò a lungo quel bracciale, sempre più nervosa:
“Non gli ha
fatti lei quei bracciali…ma io!”
I
quattro ragazzi si guardarono, confusi, per poi tornare a guardarla,
in attesa di saperne di più.
“Sono
laureata anch’io in ingegneria elettronica. Denna ha solo
costruito
i vostri chip!”
“Quindi
ci conosci?” Rider strinse gli occhi, sbigottito.
“No,
non vi ho mai visti prima d’ora. Ho solo riconosciuto il
bracciale.”
“Cosa
sai su di noi e sulla persona che ti ha chiesto questi
bracciali?”
chiese Nathaniel.
“I-io…
- deglutì, a disagio – Francamente pensavo che
foste più grandi,
non degli adolescenti.”
Sam
non capì, guardandosi con gli altri:
“Cioè? Che significa?”
“Io
e Denna commissioniamo delle cose a delle persone, ogni tanto.
Queste persone ci chiamano e ci chiedono delle cose. La maggior parte,
sono
criminali. Altri sono amici di Denna.”
Quelli
ascoltarono assorti, increduli, mentre continuava.
“Molti
anni fa, Denna si è messa in un giro pericolo. Non
l’hanno mai
beccata, così ne è uscita ed è entrata
ad insegnare al dipartimento di ingegneria
elettronica, qui a Brokehaven…Solo che, ogni tanto, qualcuno
la chiama ancora.
E, ora, chiamano anche me.”
“La
persona che vi ha contattato per i chip e i bracciali – prese
parola
Nathaniel – L’hai mai incontrata di
persona?”
“Hai
mai visto una ragazza, per caso?” aggiunse Rider, sperando di
no.
“No,
non ho mai incontrato nessuno e nemmeno Denna. – scosse la
testa,
convincente – Ci ho parlato circa una settimana fa, ma aveva
la voce
camuffata.”
Fu
il turno di Rider: “E per la consegna?”
“Avete
mai visto New york taxy?”
Sam
conosceva quel film: “Gli hai messi in un bidone dei
rifiuti?”
“Mi
aveva detto di lasciarli lì, i soldi per la commissione
erano già
sul mio conto.”
“Che
cosa sai di tutta questa storia, - le chiese Eric - di
preciso?”
“So
quello che mi ha raccontato Denna, che non è molto.
Francamente, era
molto entusiasta di essere stata contattata da questa
persona…”
Flashback
– una settimana e mezza prima
Denna
era
appena rientrata a casa, raggiante, con una scatola in mano, piena dei
suoi
oggetti personali. Julie le andò in contro con una tazza di
caffè in mano.
“Fai
sul
serio?”
“Già,
mi sono
licenziata! – esclamò quella, gettando la scatola
sul tavolo – Pensavi che
scherzassi?”
“Dico
che
questa faccenda è strana, Denna. Il tuo misterioso cliente
ha chiamato di
nuovo, mentre non c’eri, e aveva una voce a dir poco
inquietante, camuffata
come nei film!”
“E
allora? –
si sedette, curiosa – Che voleva?”
“Ha
chiesto
quattro bracciali in grado di fornire una posione.”
“No,
se lo
può scordare! – si alzò, dirigendosi
verso il frigo e tirando fuori una birra –
Tra un’ora ho il volo, finisci tu questo lavoro, dal momento
che hai deciso di
non venire con me! - fantasticò su quella che sarebbe stata
la sua destinazione
– Dio, non vedo l’ora di passare le mie giornate a
bere cocktail sulla
spiaggia, nuda! – sua sorella la fissò malamente,
costringendola a rettificare
– Ok, non nuda, ma…”
“Denna,
non
mi ha chiesto solo questo. – continuò,
preoccuapata - Vuole
anche che questi bracciali generino una
scossa elettrica.”
“Perverso!
-
pensò Denna, disinteressata, sollevandosi il seno
– Dici che le mie tette sono
troppe piccole per Miami? Forse dovrei rifarmele!”
“Denna,
dico
sul serio! – la richiamò alla ragione - Nessuno ci
aveva mai chiesto cose del
genere, fino ad oggi.”
“Senti,
questa persona mi ha pagata bene! Moolto bene! –
poggiò la sua birra, ormai
vuota – Sono libera, ho finito, ho chiuso! Passerò
il resto della mia vita a
far fruttare ciò che ho guadagnato duramente e a non fare
assolutamente niente.
Solo sole, sesso, shopping, party, amici…Sesso!”
“Sei
disgustosa!”
“Beh,
la vita
è una sola, Sestra! Disgustosa
o no,
è vita vera!…Che non vivrei, stando qui a fare la
cervellona, fino alla pensione.”
L’atra
esternò
ancora le sue angosce: “Ma non pensi alle persone che
riceveranno questa
scossa? E se sono animali?”
Denna
rise:
“Non sono animali, tesoro. L’uomo crea armi solo
contro l’uomo. E in ogni caso,
non mi interessa. Ho 33 anni, ho studiato per più della
metà della mia vita e
fatto cose che non pensavo di riuscire a fare. Certo, ho fatto cose di
cui non
vado fiera, ma…nessuno di noi andrà in paradiso,
perché il paradiso non
esiste!...Ho vissuto tra la paura dell’essere scoperta in
ogni mio lavoretto e
a svegliarmi ogni mattina per istruire giovani menti su giovani menti.
Non
posso fare tutto questo per sempre, non posso. Ho finalmente una chance
di
ricominciare altrove e di godermi la mia meritata ricompensa. Una vita
che
tutti sognano di poter vivere, ma che non tutti hanno la
possibilità di vivere.”
Julie
comprese che quella di sua sorella era una scelta definitiva:
“Bene, divertiti
allora!”
Quella
si avvicinò
a lei e le prese le mani, premurosa: “Fai questa ultima
commissione e
raggiungimi. La nostra sarà una vita meravigliosa, non te ne
pentirai.”
“Ci
penserò…
- l’idea la allettava, ma aveva ancora qualche dubbio
– Prometto che ci
penserò!”
“Evviva!
–
esultò, alzando le braccia – Ora, se non ti
dispiace, vado preparare la mia
valigia di soli bikini!”
Julie
sorrise, nel vederla passare nell’altra stanza, ma subito fu
assalita dai suoi
pensieri sul misterioso cliente.
“Ci
ho pensato, ragazzi…Ci ho davvero pensato, ma…non
ci sono riuscita.
Sentivo che c’era qualcosa di sbagliato.”
spiegò Julie, dopo aver raccontato
della sua ultima conversazione con sua sorella.
“Puoi
toglierci questi bracciali, per favore? – chiese Sam,
mostrandosi
fragile per la prima volta ai suoi occhi – Ha minacciato di
farmi esplodere il braccio!”
Julie
ne rimase scioccata, gli occhi le lacrimavano per essere stata la
causa della loro sofferenza: “C-certo!”
“Grazie!
– esclamò Rider, sorpreso – Eravamo
venuti qui con un piano:
quello di fingere di ricevere una scossa talmente forte da costringere
tua
sorella a toglierceli. Perciò, grazie per averci risparmiato
la recita.”
“Pensavate
che mia sorella fosse qui? – lo trovò strano - A
proposito,
come la conoscete?”
“E’
una lunga storia, ma è davvero bizzarro come le vite delle
persone
si intreccino in questo modo quando sono coinvolte tutte nella stessa
faccenda.” rispose Eric.
Intanto
la stavano seguendo nel suo piccolo studio. La donna prese uno
strano oggetto da un cassetto con dei pulsanti sopra.
“Per
togliere i bracciali, serve una particolare frequenza. Un
suono!”
spiegò, mentre smanettava il dispositivo che teneva in mano.
Aveva anche messo
gli occhiali.
“Quanta
creatività per uno strumento di tortura!”
pensò Rider, ironico.
“Ok,
ci sono. – fissò i ragazzi, poi –
E’ meglio se vi coprite le orecchie,
il suono è molto acuto.”
Quelli
eseguirono, mentre Julie era pronta a premere il tasto.
Improvvisamente, i quattro furono colti da una potente scossa
elettrica, che li
costrinse a piegarsi in due, spaventando la donna.
“Julie,
fa prestoo! – urlò Rider – Sa che siamo
qui!”
“Ti
pregoo!” urlò anche Sam, straziato dal dolore.
“Oh
cazzo, - Julie cercò di mantenere il sangue freddo,
nonostante
avesse gli occhi sgranati per il terrore - resistete!”
Finalmente
avviò il dispositivo. Un suono acutissimo riempì
la stanza,
aumentando la sofferenza dei ragazzi anche al livello uditivo. Dopo
qualche
secondo, i bracciali si aprirono, cascando sul pavimento. Era finita.
I
quattro erano ancora piegati in due, che cercavano di riprendere
fiato, toccandosi il polso.
“Mio
Dio, - Eric fu il primo a ritrovare le parole - era come se mi
stesse staccando il braccio…”
Julie,
realmente scioccata, era senza parole: “M-ma che vuole questa
persona da voi? Perché vi sta facendo questo?”
Ognuno
di loro la fissò, senza dire nulla, abbastanza provati.
“Hai
detto che i bracciali servono a localizzare la posizione di chi lo
indossa, giusto? – si riprese Rider – Non ci hai
messo qualche microfono per
ascoltare, vero?”
Quella
scosse la testa: “No…”
“Senti,
noi non possiamo rispondere alle tue domande. Ci sono cose che
preferiamo tenere per noi e abbiamo i nostri motivi.”
chiarì Rider, guardandosi
con Eric, accanto a lui, che continuò il discorso.
Sam
e Rider si guardarono; loro non erano riusciti a mantenere il
segreto con Jasper e le parole di Rider li intimidirono.
“L’unica
cosa che possiamo dirti è che abbiamo a che fare con una
persona crudele e squilibrata. Un vero psicopatico. Non possiamo
nemmeno
chiedere aiuto alla polizia.”
“E
non potete chiedere aiuto alla polizia,
perché…???” cercò di capire
la donna, leggermente confusa.
Nathaniel
si fece avanti: “Questa persona, A,
possiede qualcosa che può usare contro di noi.”
“Ed
è una cosa grave?”
Fu
il turno di Sam: “Ascolta, Julie, siamo tutti bravi ragazzi
qui
dentro. Purtroppo, però, siamo finiti in un brutto casino.
Un casino enorme.”
“Fossi
in te, - le suggerì Eric – seguirei il consiglio
di tua sorella e
scapperei a Miami. A se la
prenderà
con te per averci aiutati a togliere i bracciali.”
La
donna si voltò dall’altra parte, verso la
finestra, dopo averli
fissati a lungo, abbastanza turbata. Molti pensieri le passarono per la
mente.
“Questa
cosa che A ha contro
di voi, non potete proprio recuperarla?”
“Julie,
non hai sentito quello che ha detto Eric? –
replicò Sam –
Vattene, finchè sei in tempo. Rovinerà anche la
tua vita.”
Quella
si girò: “No, se potete finalmente denunciarlo!
Rispondete alla
cazzo di domanda: c’è modo di recuperare quello
che ha contro di voi o no?”
I
ragazzi si guardarono e fu Rider a parlare per tutti.
“Forse,
non ne siamo sicuri. Sospettiamo che ciò che ha contro di
noi,
lo nasconda all’interno di una panic room. Solo
che…non sappiamo come
entrarci!”
Julie
annuì, riflettendo: “Capisco…E sapete
dov’è questa panic room?”
“Sotto
la nostra scuola!” rispose Nathaniel.
Inevitabilmente,
la donna si lasciò scappare una lunga risata
incontrollata: “Tutto questo è così
folle!”
Continuò
a ridere, mentre quelli la fissavano con la bocca serrata. Si
diresse al frigo, prendendosi una birra e accendendosi una sigaretta,
dando le
spalle.
“…E
mia sorella è a Miami che fa immersioni con degli squali di
merda. –
rise ancora, quasi invidiosa - Dio, che fortunata stronza!”
Eric,
a quel punto, decise di interrompere le sue riflessioni personali:
“Quindi…ci aiuterai?”
Julie
si voltò di scatto: “Certo che vi
aiuterò, idioti! Rispetto a mia
sorella, godo di un senso di colpa grande quanto il Four
season! Ho creato io i vostri strumenti di tortura e Dio solo
sa cosa vi ha fatto passare questa persona.”
Sam,
nel sentire quelle parole, ricordò ogni singola cosa che gli
era
stata fatta, gli occhi lucidi: “Credimi, non ne hai la minima
idea…”
Quella
fissò i volti di tutti e quattro, rendendosi conto di quanto
fosse seria la gravità della situazione; pur non sapendo
tutti i dettagli della
storia.
SCENA
FINALE
Eric
era appena sceso al Brew, dopo una lunga doccia. Elegante, era
pronto ad uscire con Alexis, che lo stava aspettando per chiudere il
locale e
andare.
Era
davanti al bancone, quando lui scese l’ultimo gradino. Rimase
letteralmente a bocca aperta, impalato.
“Sei
la cosa più bella che abbia mai visto…”
La
ragazza sorrise, facendosi ammirare: “E tu sei in
ritardo!”
Quello
si avvicinò a lei: “Ero fuori città, io
e i miei amici abbiamo
accompagnato un nostro amico dell’ultimo anno a visitare un
college. La cosa si
è tirata per le lunghe, sai come sono le
confraternite!”
“Un
po’ presto per iniziare a visitare college, non
credi?” pensò,
perplessa.
“Ne
ha molti da visitare, quest’anno. Meglio iniziare da ora,
è un tipo
abbastanza scrupoloso! – si avvicinò a darle un
bacio sulla bocca, per tagliare
il discorso. Poi le sorrise, fissandola negli occhi – Ma
ciao!”
“Ciao
a te!” ricambiò il sorriso, dimenticandosi tutto.
“Sei
pronta? Vogliamo andare?” le porse il braccio e lei ci
infilò la
mano.
“Non
aspetto altro…”
I
due uscirono dal locale e Alexis lo chiuse a chiave. Attraversarono la
strada, dirigendosi alla macchina.
“Mamma
ha fatto un ottimo lavoro, sembri una di quelle attrici sul Red
carpet!”
L’altra,
mentre il ragazzo apriva la portiera, si ricordò che aveva
dimenticato qualcosa, guardandosi il polso.
“Oh
no! – sbiancò, voltandosi verso di lui - Ho
dimenticato dentro il
braccialetto di tua madre, quello che tuo padre le regalò al
loro primo appuntamento.
– si agitò, mortificata – L’ho
tolto solo un attimo perché stavo lavando dei
piattini e non volevo rovinarlo.”
Eric
le sorrise: “Traquilla, non è successo nulla. Lo
vado a prendere
io.”
Quella
gli diede le chiavi: “L’ho appoggiato nel secondo
ripiano in
basso, sotto la macchinetta del caffè!”
Il
ragazzo attraverso la strada, mentre Alexis aspettava vicino alla
macchina. Qualcuno li stava osservando dall’interno di un
auto, non molto
lontano.
Arrivato
alla porta, Eric ebbe qualche difficoltà ad aprirla e la
ragazza se ne accorse dopo qualche secondo.
“Eric,
va tutto bene?”
“Sì,
- gridò quello, voltandosi un secondo – La
serratura è un po’
bastarda!”
“Devi
tirare la porta verso di te e spingere la chiave più in
dentro
fino al terzo giro. – suggerì – Anche io
ho avuto lo stesso problema i primi tempi,
ma a quanto pare una serratura nuova è chiedere troppo per
il mio boss!”
“Che
palle!” iniziò a perdere la pazienza, tirando la
porta
ripetutamente.
Alexis
intuì che non ce l’avrebbe fatta:
“Lascia perdere, sto arrivando!
– rise – Ora vedrai la Supergirl che
c’è in me!”
Eric
si voltò, arreso, aspettandola arrivare. Le sorrise,
vergognandosi.
Improvvisamente, mentre ella stava attraversando, spensierata, fu
abbagliata
dai fari di un’auto, che stava puntando verso di lei a tutta
velocità.
Il
ragazzo distolse lo sguardo, accorgendosi dell’auto prima di
lei. Il
sorriso si spense, la paura prese il sopravvento.
“Alexis,
attenta!” gridò, avvertendola.
Quella
si voltò, senza nemmeno avere il tempo di reagire:
l’auto la
prese in pieno.
La
ragazza rotolò sopra il tettucciò della vettura,
prima di finire
sopra l’asfalto.
Eric
sgranò gli occhi, correndo verso di lei, urlando.
L’auto si dileguò
in un batter d’occhio.
Piena
di sangue e lividi, Alexis non dava segni di vita al richiamo
disperato di Eric, che chiamò immediatamente
un’ambulanza.
Qualcuno
finalmente rispose: “911, qual è
l’emergenza?”
“Aiuto,
qualcuno ha investito la mia ragazza. Vi prego, fate presto.”
“Respira?”
domandò la donna al telefono.
“Ehm,
sì… - controllò la giugulare con le
dita – Credo di sì, ma è molto
debole. – pianse – Vi prego, mandate subito
qualcuno.”
“Stanno
arrivando, si calmi.”
Tra
le lacrime, il ragazzo attese l’intervento dei paramedici,
inginocchiato accanto a lei, con la voce della donna al telefono che
continuò a
parlargli.
CONTINUA
NELL’OTTAVO
CAPITOLO
|
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Capitolo 9 *** 1x08-Una serie di sfortunati eventi ***
CAPITOLO
OTTO
“WhAt’s Inside
the Panic Room?”
TWO DAYS
LATER…
Era il secondo
giorno di
fila che Eric non tornava a casa per stare accanto ad Alexis. Le teneva
la
mano, stretta nella sua, mentre la ragazza era in coma, la testa
fasciata per
via del trauma alla testa.
Dopo averla
guardata a
lungo con sguardo triste e stanco, il ragazzo spostò gli
occhi sul suo
telefono; lo stava stringendo nell’altra mano, il braccio
disteso lungo la
coscia.
Aveva ricevuto
un messaggio
alle prime luci dell’alba, che lo tormentò per ore
e ore dalla prima lettura.
“Carpe
diem, Eric: Ora
c’è un posto di lavoro libero al Brew!”
-A
Provò
rabbia nel rileggere
nuovamente quel messaggio; tant’è che la forza con
cui stava stringendo il
telefono avrebbe potuto anche farlo a pezzi.
Improvvisamente
ricevette
una chiatamata. Eric si alzò, uscendo fuori in corridoio:
era Rider.
“Ehi,
sto andando a scuola.
Si è svegliata?”
“Ehm…
- si massaggiò le tempie
– Forse oggi, non lo so. quando l’hanno indotta al
coma farmacologico hanno
detto che ci sarebbero voluti anche tre giorni affinchè si
risvegliasse da
sola.”
“Mio
Dio… - era ancora
sconcertato – Che razza di mostro investe una ragazza e poi
scappa senza
voltarsi indietro?”
Eric sapeva
benissimo chi
era, furente in volto: “…A!”
L’altro
non credette alle
sue orecchie: “Aspetta: COSA???”
“Fino
a ieri pensavo fosse
un pirata della strada, ma stamattina il mostro si è fatto
vivo e mi ha scritto
un messaggio assai lampante.”
“Perché
A avrebbe dovuto investire Alexis?
Ok
che tormenta noi, ma che c’entra una persona
innocente?”
“Quel
mostro sapeva che
cercavo lavoro per aiutare mia madre e così ha deciso di far
fuori Alexis per
farmi prendere il suo posto al Brew.”
Rider era a dir
poco
scioccato: “E adesso che farai?”
“Prenderò
quel posto, non
ho altra scelta. – spiegò, provato e sofferente -
Dopo di che lascerò Alexis,
prima che festeggi il nostro primo mesiversario al suo
funerale.”
“…Eric,
so che adesso non
vuoi lasciare Alexis da sola, ma devi passare da noi a scuola o almeno
a casa
mia. Julie ha modificato i braccialetti di A
e tu lo devi assolutamente indossare.”
“Modificati
come?”
“Non
saremo più monitorati
da A. Ogni volta che entreremo in
una stanza o in un qualsiasi posto, se ci sarà una
telecamera o un microfono
nascosto o qualunque tecnologia da spionaggio, verrà
automaticamente
individuata e disattivata.”
“Bene,
finalmente una buona
notizia… – sospirò –
E’ una fortuna che Julie abbia deciso di aiutarci con il
rischio che sta correndo.”
“Già,
ma deduco che ancora
non abbia capito con chi abbiamo a che fare. Spero che non si sganci da
noi non
appena l’avrà compreso.”
“Lo sai che Brakner farà di tutto per toglierla di
mezzo, vero? Ci sta aiutando
e questo non gli farà piacere.”
“Senti,
devo andare. – fu
evasivo – Vorrei stare qui a darti maggiori dettagli su
quello che stiamo
combinando, ma ho sempre paura che A ci
ascolti e stavolta non possiamo fallire di nuovo. Morirei se fallissimo
di
nuovo, non ce la faccio più.”
“Già,
- fu d’accordo,
stanco del nemico - non possiamo fallire!”
“Salutami
tanto Alexis,
quando si risveglia, ok?”
“Certo,
ciao!” sussurrò con
un filo di voce.
Chiusa la
chiamata, Eric
tornò nella stanza. Con gran stupore, il ragazzo si
fermò bruscamente, non
appena superata la soglia: Alexis aveva gli occhi aperti.
“Oh
mio Dio… - sorrise,
emozionato – Sei già sveglia!” corse,
scivolando sulla sedia, allungando il
collo per baciarla.
Quella
ricambiò il suo
bacio, un accenno di sorriso, stordita. Il ragazzo si staccò
da lei per darle
subito spazio.
“Sei
in ospedale, Alexis.
Te lo ricordi, vero?”
“Sì,
- tossì – ricordo… -
quello le prese immediatamente un bicchiere d’acqua, che
bevve a piccoli sorsi
- Quindi è finita questa cosa del coma?”
Eric
ritirò il bicchiere:
“E’ finita, sì. Ora chiamo il Dottore,
– si alzò, dirigendosi verso la porta –
così
ti da un’occhiata!” e si affacciò nel
corridoio, cercando un infermiera con lo
sguardo.
“Ehi,
aspetta, vieni qui…”
lo chiamò quella, che ogni tanto chiudeva gli occhi per via
del dolore alla
testa.
“Eccomi,
sono qui! – si
precipitò nuovamente da lei – Che
c’è?”
“Ti ho
sentito parlare al
telefono, poco fa. Ero sveglia, ma non molto a dire il
vero…Però ho sentito!”
Eric
girovagò con lo
sguardo: “Sentito cosa? Informavo solo Rider delle tue
condizioni...”
“E
come mai non mi guardi
negli occhi, mentre me lo dici?” domandò, secca.
“Sono
solo un po’
stressato, non dormo da due giorni, sono sempre stato qui!”
si giustificò,
mentre lo sguardo poco convinto della ragazza si intensificava.
“Che
cos’hai detto alla
polizia? Che fine ha fatto il mio aggressore?”
“Ho
raccontato ciò che è
accaduto. – spiegò, abbastanza teso, la fronte che
sudava freddo – Cioè che,
chi ti ha investita, è scappato e io non sono riuscito a
prendere il numero di
targa.”
Alexis,
improvvisamente,
iniziò a fissarlo a lungo: “…Che
cos’è A?”
L’altro
indietreggiò
lievemente con il capo, fingendo di essere confuso:
“Ehm…una lettera
dell’alfabeto?” si lasciò scappare anche
una finta piccola risata.
La ragazza,
però, lo
fissava seria.
“Tu e
i tuoi amici la
nominate spesso, questa lettera!”
“Che
vuoi dire?”
“La
settimana scorsa, ti
stavo aspettando per il nostro primo appuntamento. Quella sera, due dei
tuoi
amici sono entrati al Brew con un atteggiamento alquanto nervoso e ti
cercavano. Ovviamente ho spiegato che non c’eri e che te
n’eri andato con
Rider, ma che saresti tornato perché dovevi uscire con me.
Hanno deciso, così,
di aspettarti e io sono tornata a fare le mie cose e sono andata un
attimo nel
retro. Quando sono tornata, gli ho sentiti parlare di qualcuno o
qualcosa che
nominavano in continuazione: Questa A!...Perciò,
Eric, chi o cosa è A?”
Quello
deglutì, cercando di
non dare a vedere il suo nervosismo: “Ti assicuro che non so
di cosa parli,
Alexis.”
“Sei
arrivato tardi quella
sera; molto tardi. Avevi un odore strano addosso e le docce non durano
un’ora!”
continuò, imperterrita.
“Alexis,
basta! – alzò
lievemente la voce – Ti prego!”
“Temevano
per la vostra
vita, Eric! – andò avanti, insistente –
Chi diavolo fa questi discorsi se non
si tratta di una cosa seria?”
“Riposati,
Alexis. – la
ignorò – Vado a chiamare il dottore!”
Quella lo
fissò,
arrabbiata. Eric uscì dalla stanza, lasciandola
così.
*
Nathaniel,
ancora a casa
sua, affrontava una sorta di dubbio davanti allo specchio. Continuava a
tenere
lo sguardo fisso sul suo corpo, mentre era in boxer e si guardava da
tutte le
angolazioni. Si toccò i pettorali, che sembravano meno
tonici del solito. Si
toccò il viso, poi la barba, quasi inesistente; giusto un
accenno. Sospirò,
turbato da qualcosa che nemmeno lui riusciva a capire, pronto a
rivestirti.
Improvvisamente,
dopo aver
bussato una volta sola, sua zia Courtney si fiondò nella
stanza.
Immediatamente, la donna si mise le mani davanti alla faccia e chiuse
gli
occhi, imbarazzata.
“Oh,
cavoli, non ho visto
niente! Lo giuro! – parlò poi tra sé e
sé – Sarebbe alquanto inquietante
fissare gli addominali del proprio nipote, desiderando che non sia tuo
nipote, perversa
di una Courtney!”
Nathaniel
sorrise,
divertito, mentre prendeva una maglietta: “Zia Courtney,
rilassati. Non sarebbe
la prima volta che mi vedi in boxer!”
Quella
riaprì gli occhi,
fulminandolo con il dito: “Oh, ma questo è
incredibile! – sussultò con tono
polemico - Non lo accetto, Nat. Non lo accetto! – si
calmò, finalmente – E
comunque vestiti, che aspetti? Pete sta arrivando!”
“Pensavo
che mi avresti
accompagnato con la tua auto, visto che la mia è a
secco!”
“La
mia è dal meccanico,
perciò sbrigati!”
L’altro
assunse subito un
volto serio e preoccupato, facendo possedere nuovamente dalle sue ansie.
“Ehm…Zia
Courtney… - la fissò,
sudando – Non è che potresti…”
La donna era in
attesa di
una risposta, Nathaniel era assai frenato e si stava torturando le
dita: “Potresti,
cosa?”
“…Fissarmi
attentamente? –
completò, imbarazzato – Sai, come fai di solito
con tutto il resto del genere
maschile!”
Courtney
spalancò
leggermente la bocca, incantando il vuoto, confusa: “T-tu,
COSA? Vuoi che ti
guardi? – finalemente lo guardò, imbarazzata
– Tua madre ha sempre pensato che
io e te avessimo un rapporto strano per via delle nostre età
così vicine e ti
confesso che ora…lo sto pensando
anch’io!”
“Non
in quel senso!”
esclamò, in una smorfia esagerata, quasi disgustata.
“Oh,
grazie a Dio! – si
mise una mano sul petto, buttando aria fuori dalla bocca, sollevata
– Pensavo fossi
impazzito o sessualmente attratto da me!”
“Zia
Courtney! - la fissò a
lungo, inebetito – Ti prego, smetti di parlare!”
“Ok
ok, scusa! – si rese
conto di aver esagerato – Spara, dimmi tutto!”
“Noti
qualcosa di diverso
in me? – con lo sguardo, costrinse sua zia a focalizzarsi sul
suo corpo –
Perché io sento di non essere più lo stesso, che
qualcosa stia cambiando, ma
non capisco cosa.”
L’altra,
improvvisamente
seria e preoccupata da quelle angoscianti parole, si
avvicinò. Fece scivolare
la sua mano lungo il suo petto, attenta. Poi diede il suo responso.
“Sei
più…grosso, in
effetti!”
“Le
mie abitudini sono
sempre le stesse, tengo il mio corpo costantemente allenato. Eppure,
sembra che
io stia…ingrassando e non in senso muscolare, ma grasso
vero! Non lo so, i miei
pettorali mi fanno anche male…”
“Male,
come se…avessi delle
tette?” azzardò la donna.
“Non
stavo per dire quello,
- replicò distrurbato - ma…non li sento
più tonici come prima o forse è una mia
impressione.” spiegò.
“Sei
ancora un ragazzino,
Nathaniel. Il tuo corpo è in costante cambiamento e alla tua
età, credimi, io
avevo ancora una seconda di reggiseno prima di esplodere in una terza e
mezza
verso i diciotto anni! – era comunque perplessa - Ametto,
però, che da più
vicino, non sembri lo stesso di qualche settimana fa… - lo
fissò ancora,
prendendolo per il mento – Non so, la tua faccia ha qualcosa
di diverso…”
Nathaniel
iniziò a fare
avanti e indietro per la stanza, preoccupato: “Me
l’ha detta anche un mio amico
questa cosa, ma che mi sta succedendo?”
“Forse
dovresti fare delle
analisi! – suggerì – Facciamo un salto
da Tyler, in ospedale? Così ci togliamo
ogni dubbio? Eh? – cercò di convincerlo, mentre la
fissava dubbioso – E’ tuo
cugino, vedrai che saremo fuori nel giro di un’oretta o
due.”
L’altro
si annusò: “Forse
dovrei farmi un’altra doccia, prima. Sto sudando tantissimo,
ho delle vampate
assurde da quando mi sono svegliato…”
“Hai
davvero qualcosa che
non va, tesoro. – ora si preoccupò davvero,
sgranando gli occhi – Siamo a
inizio Novembre, non fa così caldo.”
Ora era nel
panico anche
lui: “Senti, cerchiamo di non allarmare Mamma, ok?”
“Certo,
ma lascia stare la
doccia, corriamo in ospedale!”
“Va
bene, andiamo! – si
convinse che doveva andare a fondo alla cosa, mentre si vestiva
– Però possiamo
passare un’attimo dal mio amico Rider?”
“Certo!”
annuì, per nulla
contraria, mentre usciva dalla stanza. Lui la seguì subito
dopo.
*
Più
tardi, in seguito ad un
messaggio d’avviso, Rider uscì fuori dalla sua
abitazione, camminando in contro
a Nathaniel, che stava uscendo dalla macchina di Pete. Confuso dalla
situazione, Rider si fermò davanti all’amico,
cercando di capire cosa stesse
succedendo.
“Va
tutto bene? Pensavo ci
saremmo visti a scuola.”
L’altro,
il cui volto non
era per nulla sereno, fu rapido e poco esplicito: “Hai
portato il braccialetto
di Eric come ti ho scritto nel messaggio?”
“Sì,
certo… - glielo
allungò immediatamente, fissandolo, spaventanto dal suo
palese nervosismo – Ma
che succede?”
“Non
ne sono sicuro, sto
andando a fare delle analisi…Comunque, già che
sarò in ospedale ho pensato che
potevo dare il braccialetto ad Eric, visto che, giustamente, non vuole
allontanarsi da Alexis.”
Rider era
totalmente
spaesato e ancora più preoccupato, ma non poteva farsi dire
di più, dal momento
che l’altro stava già indietreggiando:
“Ok, d’accordo…”
“Ci
sentiamo dopo la
scuola!” lo salutò, correndo alla macchina.
L’altro
restò lì, impalato,
mentre la macchina ripartiva, divorato dal non sapere. Tuttavia,
intuì che non
era nulla di buono.
*
Anche Sam era
appena uscito
da casa sua. Suo padre lo rincorse fuori, poco prima che quello salisse
in
macchina.
“Sam,
un secondo!” urlò,
scendendo le gradinate del portico.
Quello
continuò a camminare
sperdito verso la macchina, ma alla fine, davanti alla portiera,
dovette
voltarsi, malgrado volesse evitarlo. Sapeva di cosa l’avrebbe
rimproverato.
“Si?”
rispose, facendo
finta di nulla.
Suo padre lo
raggiunse, con
un po’ di fiatone: “Devo mandarti un altro
messaggio o lo sai che oggi hai
appuntamento con Wesam?”
“Si
si, lo so! – esclamò
scocciato, raccontanto l’ennesima bugia – Ti ho
già detto che quel giorno
dovevo stare con Chloe, era appena tornata dal South Dakota!”
L’altro
lo fulminò
immediatamente con uno sguardo acuto, come non convinto:
“Come mai non la vedo
più a casa nostra, ultimamente? Non avrete mica litigato,
spero.”
“Pensi
che me lo stia
inventando? – sussultò, facilmente irritabile
– Non ho saltato la seduta dallo
psicologo apposta, ok? Ero davvero con Chloe! –
spiegò, sentendosi oppresso – E
se lei non viene più qui è perché
è stata via per più di una settimana e in
più
siamo in pieno semestre, dobbiamo studiare!”
“Bhe,
tu non sembri molto presente
a casa per studiare!” puntualizzò.
Sam non ne
potè più: “Me ne
vado, sto facendo tardi…” aprì la
portiera, dando le spalle.
L’uomo
si rese conto di
aver sbagliato, cercando di riparare subito, mentre la portiera si
richiudeva:
“Sam, scusa, non volevo…”
“Lascia
stare! – lo
interruppe, ormai dentro l’auto, le mani sul volante
– Andrò all’appuntamento,
promesso!”
“Bene,
sono contento. –
annuì, cercando di essere meno severo –
E’
per il tuo bene!”
“Lo
so!” finalmente lo
guardò un attimo, meno arrabbiato. Subito dopo,
partì, abbassando il
finestrino.
Mentre si
allontanava, fissò
suo padre, ancora in mezzo alla strada, attraverso lo specchietto
retrovisore.
Strinse le mani al volante, arrabbiato con sé stesso e con A per i problemi che stavano deteriorando
il loro rapporto.
*
In ospedale,
Nathaniel e
sua zia, al quarto piano, stavano andando in contro ad Eric.
La donna, con la
borsa che
pendeva dal polso, lo squadrò, sorpassandolo, voltandosi
verso il nipote, che
si era appena fermato davanti all’amico.
“Carino
questo…Meglio del
secco!” commentò, continuando a camminare da sola.
Eric, dopo aver
finito di
fissarla, perplesso, si girò verso Nathaniel: “Chi
sarebbe il secco?”
“Sam!”
“Ah,
interessante…E che ci
fai qui?”
“Analisi!”
spiegò,
turbandolo.
“Ehi,
tutto bene?”
Nathaniel
sospirò,
abbracciandolo. I due si diedero delle pacche.
“Diciamo…
- si staccò, poi
– Mi dispiace per quello che è successo ad Alexis,
come sta?”
“Si
è svegliata, ma
dobbiamo aspettare che il Dottore finisca il giro delle
visite… - ora, però,
era più preso dalla presenza dell’amico in
ospedale – Comunque, analisi di
cosa?”
“Il
mio corpo sta subendo
degli strani cambiamenti e devo capire cosa mi sta
succedendo…” raccontò con
una nota ansiosa nella voce, mentre l’altro lo ascoltava
assai impressionato.
“Va
bene, ma fammi sapere. Sembra
una cosa seria!”
“Spero
di no! – sospirò
ancora, per poi ricordarsi del braccialetto – Ah, a
proposito, ecco il tuo
braccialetto. Rider ti ha spiegato a cosa serve, vero?”
“Si
si, me l’ha detto. –
annuì, mentre lo indossava – E’ bello
poter parlare liberamente.”
“Già,
a chi lo dici! – fu
d’accordo – E comunque la polizia ha trovato il
pirata della strada?”
Eric si
guardò intorno,
spiegando a bassa voce, tirando fuori il telefono: “Il pirata
della strada è A!”
“Oh,
cavoli! – esclamò,
fissando il messaggio dalle mani di Eric, sconvolto – Non
riesco a crederci,
adesso colpisce anche le persone a cui teniamo?”
“La
cosa sta diventando
davvero insostenibile. – esternò, mettendo le
braccia conserte - In più, Alexis
comincia a fare domande!”
“Domande
su cosa?”
“Su A!”
“Aspetta,
- pensò di aver
capito male - Alexis sa di A?”
“Stiamo
così attenti a non
farci sentire da A, che a volte ci
dimentichiamo che anche le persone che ci circondano hanno le
orecchie.”
“Ma
come…???” non se ne
capacitò.
“Ha
sentito te e Sam, il
giorno in cui siete venuti a cercarmi al Brew. Sai, quando io e Rider
cercavamo
di non affogare in un condotto fognario.”
Nathaniel si
mise una mano
sulla faccia, per poi passarsela velocemente tra i capelli,
mortificato:
“Credimi, non ne avevo idea. Eravamo così presi
nel capire dove foste finiti,
che non ce ne siamo accorti. E poi lei era andata nel retro, non
immaginavamo
che ci stesse ascoltando.”
“Rilassati,
tanto ha
sentito anche me parlarne con Rider al telefono. Non è colpa
vostra, dovevamo
aspettarcelo che prima o poi avremmo affrontato questo momento: Quello
in cui
qualcuno iniziasse a notare quanto siamo strani e agitati tutto il
tempo.”
“Riesci
a gestirla, finchè
Julie non ci aiuta ad entrare nella panic room?”
“Ha
una personalità
abbastanza forte, ma ci provo… - poi si focalizzò
su quanto detto – Quindi qual
è il piano?”
“Ne so
quanto te, credimi.
Sono Rider, Sam e Julie che ci stanno pensando. Proveranno ad entrare
nella
panic room nelle ore di lezione di Brakner; così ho
capito.”
Improvvisamente,
Courtney
si affacciò nuovamente nel corridoio, tornata a chiamare il
nipote.
“Nathaniel,
forza, Vieni!”
I due si
voltarono, mentre
quella gli faceva ancora cenno di muoversi.
“Devo
andare, ci vediamo
dopo!” esclamò, non facendola aspettare.
“Ok, a
dopo!” si congedò
anche Eric, tornando nella stanza di Alexis.
*
Più
tardi, a scuola, Sam e
Rider camminavano ai lati di Julie, con discrezione, per i corridoi
della
scuola.
“Ancora
non riesco a
credere che sei diventata la nostra consulente scolastica!”
esclamò Sam, mentre
la donna si sistemava continuamente il tailleur, nervosa per il suo
primo
giorno.
“Già,
non ci credo neanche
io!” ribattè quella, sarcastica. Gli occhi degli
studenti puntati addosso.
“E io
ancora non ci credo
che ad Ackett sia bastata una gonna corta per assumerti!”
pensò Rider,
disgustato.
Julie lo
fulminò con una
lunga occhiataccia: “Ehi, io ho una laurea importante, non
sono solo due belle
gambe!”
“Peccato
che ad Ackett
importava di più delle tue gambe che della tua laurea.
– puntualizzò Rider -
Cerca di evitarlo: E’ scapolo e non gli intessano quelle
della sua età!”
Quella
sollevò le
sopracciglia nauseata: “Interessante!”
I tre si
fermarono davanti
ad un’aula, ad un certo punto. Sam aprì la porta
ed entrarono, chiudendosi
dentro. Era vuota.
“Allora,
ragazzi, veniamo
al dunque… - Julie si fermò davanti a loro - A ha una lezione alla quinta ora,
giusto?”
Quelli annuirono.
“Beh,
scordatevelo che
scenderò in quel seminterrato da sola. Uno di voi dovrebbe
venire con me!”
“Pensavo
fosse chiaro che
muoio dalla voglia di entrare in quella panic room… -
replicò Rider con ovvietà
– Solo che dovrei trovare una scusa per lasciare la lezione
di letteratura!”
Julie lo
fissò perplessa:
“Ehm…Professore, posso
andare in bagno?
Non mi sembra così difficile!”
Sam intervenne:
“Non è così
semplice! Per colpa di A, Rider non
è più molto ben visto dal Professor
Palmer.”
“Inoltre
si suppone che
dovrei tornare in classe entro due minuti, non ho la vescica di un
orso!”
aggiunse Rider.
“Allora
ci viene Sam!”
Quello,
però, non era
alletato all’idea: “Non muoio proprio dalla voglia
di venirci…”
Julie, a quel
punto, si
infuriò: “Ok, ragazzi, siete stati voi a chiedermi
aiuto. In più, non volete
dirmi cos’ha A di
compromettente
contro di voi e perché un professore di liceo dovrebbe
tormentare quattro
adolescenti!”
“Beh,
il perché non lo
sappiamo nemmeno noi. – commentò Rider –
Anche per questo dobbiamo entrare
nella panic room, sperando di trovare qualche indizio!”
“Dovete
impegnarvi di più,
sto rischiando molto!”
Sam, allora,
ebbe un lampo
di genio: “Usa il tuo potere di consulente
scolastica!”
Rider si
girò verso di lui,
assumendo una smorfia confusa: “E quale sarebbe? Dare
consigli ai disagiati?”
“No!
– gli lanciò
un’occhiataccia – Può semplicemente
entrare in classe e chiedere a Palmer di
prenderti in prestito un secondo. Ora sei un ragazzo problematico, non
lo troverà
strano.”
Stavolta fu
Rider a
guardarlo storto. Julie, però, la trovò una buona
idea.
“Ok,
faremo così, come dice
Sam.”
Quello sorrise,
dirigendosi
alla porta: “Ora, se non vi dispiace, vado a cercare la mia
amica Chloe!”
“Era
ora!” esclamò Rider,
cinico, guadagnandosi un’altra occhiataccia.
“Scusa
tanto se A ha minacciato di farmi
esplodere il
braccio se le avessi detto anche solo ciao!”
“Siamo
liberi dai
braccialetti da due giorni, Sam!”
“Ma
Julie ha finito di
modificarli solo ieri, perciò ho preferito
aspettare!” ribattè Sam.
La donna
spostò lo sguardo
tra i due, confusa: “Che ha di importante parlare con questa
Chloe?”
“Affari
nostri! – esclamò
Rider, marcando un finto sorrisino e sollevando le sopracciglia
– Tu pensa a
scontare il tuo senso di colpa nei nostri confronti, facendoci entrare
nella
panic room!”
Quella
roteò gli occhi,
mettendosi a braccia conserte. A quel punto, Sam li lasciò.
“Io
allora vado, a dopo!” e
uscì.
*
Nel frattempo,
in ospedale,
il Dottore stava visitando Alexis, mentre Eric era in disparte, di
spalle
contro la finestra, nervoso per l’esito.
“E se
faccio così, senti
qualcosa?” domandò alla ragazza, mentre le toccava
le dita dei piedi.
“No,
niente.” rispose.
Eric si fece
avanti: “Ma
che significa, questo? Pensavo non avesse riportato gravi
danni…”
“Mi
scusi, Dottore… -
Alexis lo chiamò alla sua attenzione, prima che potesse
rispondere al ragazzo –
Prima non sentivo nemmeno le dita dei piedi della gamba destra, ma ora
le
sento, perciò… è una cosa temporanea,
giusto?”
“Lasciamo
che passi questa
giornata per poterlo dire con certezza. Lei ha subito un forte trauma,
perciò
la ripresa è graduale.” spiegò il
dottore, apparentemente ottimista.
Il ragazzo,
però, non fu
dello stesso avviso: “E se non si riprende? Finirà
su una sedia a rotelle?”
L’uomo
lo fissò a lungo,
quasi infastidito dal suo tono: “…Ho detto che ha
subito un forte trauma, non
saltiamo a conclusioni affrettate. Se Alexis non avrà
ripreso la sensibilità
agli arti inferiori entro domani mattina, faremo ulteriori controlli.
Lei,
invece, dovrebbe essere più d’aiuto, evitando di
angosciare la sua ragazza.”
Eric si
ammutolì,
incrociando lo sguardo di Alexis, che si era improvvisamente abbassato,
rendendosi
conto di aver esagerato.
Il dottore
tornò a
rivolgersi a lei, sfoggiando un sorriso rassicurante:
“Tornerò domani mattina,
ok? Vedrai che andrà tutto bene.”
Quella
annuì, ricambiando
il sorriso, meno ampio. Quando il dottore uscì, Eric ruppe
il silenzio che si
era creato.
“Mi
dispiace di aver detto
quello che ho detto.”
“Beh,
- quella aveva gli
occhi lucidi, mentre sorrideva tristemente – questa potrebbe
essere la realtà,
se domani non riuscirò a muovere entrambe le
gambe.”
Eric si
avvicinò
immediatamente a lei, prendendo le sue mani: “Ti
starò accanto, ok? Non vado da
nessuna parte, finchè non ti vedrò mettere un
piede a terra.”
“Eric…
- gli prese il viso
con la mano, tenera – Va’ a casa, fatti una doccia
e torna a scuola. Puoi
venire a trovarmi alla fine della giornata, ma non serve che tu resta
inchiodato a questo letto con me.”
Immediatamente,
al ragazzo
venne un forte magone, che a stento riusciva a trattenere. Tuttavia,
accetto il
consiglio della ragazza.
“Giuro
che stasera sarò di
nuovo qui…”
Lei sorrise:
“Lo so…”
Il ragazzo la
baciò a
lungo, prima di staccarsi da lei e lasciare la stanza con un enorme
senso di colpa.
*
Come da
concordato, alla
quinta ora, Julie si presentò nella classe dei ragazzi,
bussando prima di
entrare. Quelli sguardi puntati su di lei e l’iniziale
silenzio che riempiva la
stanza, la lasciarono un attimo impalata.
“Ehm,
salve… - si rivolse a
tutti, con un accenno di sorriso, per poi rivolgersi a Palmer
– Non è che
potrei rubare un secondo Rider Stuart?”
L’uomo
la squadrò: “Lei è
la consulente, vero?”
“Sì,
proprio io! - esclamò,
leggermente imbarazzata, facendo segno a Rider di sbrigarsi –
Forza, Stuart!”
Quello si
alzò, titubante,
per non aver ancora ricevuto il permesso.
“Non
abbiamo avuto modo di
conoscerci, non l’ho mai vista durante la pausa
caffè…” continuò Palmer,
particolarmente affascinato dalla giovane.
“Beh,
negli ultimi due
giorni ho preferito decorare il mio ufficio. Magari più
tardi!” esclamò lei,
ridacchiando, evitando il suo sguardo, che sentiva troppo addosso e che
la
imbarazzava.
“Allora
la aspetto!”
sorrise lui, mentre Rider era giunto di fianco alla donna.
“Bene…
- rimase ancora
impalata, accorgendosi delle occhiate di Rider quando
incrociò il suo sguardo –
allora noi andiamo, buon proseguimento!” salutò la
classe e, infine, il professore,
fiodandosi subito fuori, Rider a seguito.
Dopo qualche
passo, nel
corridoio, il ragazzo la riprese.
“Che
cos’era quel teatrino
a cui ho appena assistito? Magari
più
tardi? Seriamente?”
L’altra
era abbastanza tra
le nuvole, trovandolo esagerato, mentre camminavano:
“Perché no? E’ carino!”
“Ehm...hai
tipo la metà dei
suoi anni?”
“Pff,
ma per favore! –
minimizzò – L’ex moglie di Donald Trump
va a letto con dei trentenni e io non
posso prendere un caffè con il Jeffrey Morgan dei
poveri?”
“Sam
sarebbe fiero di te,
hai appena citato il suo attore preferito! –
commentò, amaramente – E comunque
fai come ti pare, non sono affari miei ora che ci penso.”
“Certo
che faccio come mi
pare! Pensi di dettare legge con me, ragazzino?”
“Non
sono così ragazzino,
non più ormai!” sottolineò con foga.
“Sì
che lo sei, Rider. Lo
siete tutti voi… - ribattè, seria e comprensiva -
Qualunque cosa abbiate
passato, restate sempre dei ragazzini.”
Quello si
limitò a
fissarla, abbassando più volte lo sguardo, mentre
proseguivano.
*
Più
tardi, poco dopo
mezzogiorno, Tyler aveva i risultati degli esami di Nathaniel. Il
ragazzo,
assieme a Courtney, erano seduti davanti alla sua scrivania, in attesa
di
sapere. Suo cugino sembrò abbastanza serio e preoccupato.
“Allora,
Tyler? Non tenerci
sulle spine, cos’è uscito?”
domandò Courtney, ansiosa.
Tyler
deglutì, lo sguardo
basso, sulla scrivania, molto serio.
“Beh?”
si inspazientì anche
Nathaniel. Finalmente quello alzò lo sguardo, incredulo su
ciò che stava per
dire.
“Nat,
stai per caso
cercando di cambiare…sesso?”
“COSA?”
urlò il diretto
interessato, chinandosi in avanti.
Courtney
sgranò gli occhi,
per poi lasciarsi scappare una risata: “Tyler, ma di che stai
blaterando?”
“Zia,
sto blaterando ciò
che ho scoperto, ciò che è uscito dagli
esami!”
“Ok,
prima di tutto mi
chiami Courtney, perché la tua età è
molto più vicina alla mia, rispetto a Nat.
– si infuriò quella – E secondo, come
diavolo puoi dire una cosa del genere?”
“Già!
– replicò Nathaniel,
che riuscì finalmente a trovare le parole – Sicuro
che non hai confuso i miei
esami con quelli di qualcun altro?”
“Quand’è
stata l’ultima
volta che ti sei fatto la barba, Nat?” chiese quello, diretto.
“Ehm…
- titubò,
riflettendoci – l’ultima volta che sei venuto a
casa mia, credo.”
“E’
stato almeno più di un
mese fa, Nat…Non ti sei mai chiesto come mai la tua barba
non cresca da
settimane?”
Nathaniel, a
quel punto, si
toccò la faccia, seriamente turbato:
“Ma…”
Tyler
continuò, spiegando
nel dettaglio: “ Gli esami riportano un calo drastico del
testosterone,
l’ormone follicolo stimolante in aumento e alterazioni a
livello epatico… - fu
coinciso, ad un certo punto – Nat, tu stai seguendo una vera
e propria terapia
ormonale a base di estrogeni per un vero e proprio cambio di sesso da
uomo a
donna!”
Nathaniel rimase
pietrificato a fissare il vuoto, mentre Courtney sbatteva gli occhi
senza
parole, per poi alzarsi e raggiungere un angolo della stanza e
riprendere
fiato.
“Insomma,
stai davvero
cercando di cambiare sesso, Nat? – domandò quella,
la voce che tremava – Cioè,
sono una zia con una mentalità molto aperta e non ti
giudicherei mai, ma è
davvero quello che vuoi?”
“NO!
– si alzò bruscamente
dalla sedia, urlando, sconvolto quanto lei – Non voglio
cambiare sesso, ma come
ti viene in mente?”
L’altra
si voltò, con una
mano sul petto: “E allora come spieghi quello che ha appena
detto Tyler, eh?
Stamattina ti facevano male anche le tette! – si
voltò verso Tyler, agitata –
E’ un sintomo, quello, no?”
“SMETTILA,
non ho le tette!
– gridò Nathaniel, furioso, rivolgendosi poi ad
entrambi – Io non ho mai
desiderato cambiare sesso, né sto seguendo una terapia, ok?
Ci dev’essere un
errore!”
Tyler
pensò che era meglio
calmare gli animi e parlarne con più traquillità:
“Ok, sedetevi un attimo… -
suggerì, mentre quelli eseguivano, dopo una lunga occhiata
tra loro – I sintomi
più comuni, in genere, all’inizio di questo
processo, sono: eccessiva
sudorazione, vampate, stanchezza, sbalzi d’umore, dolori a
livello locale,
nella zona pettorale. Potrebbero esserci anche effetti collaterali come
un
improvviso aumento di peso, se i dosaggi della terapia non sono giusti.
– fissò
Nathaniel, notando il suo sguardo che incantava alla parete –
Ti ritrovi in
questi sintomi?”
Courteney
rispose per lui,
che era leggermente sotto shock: “Stamattina ha detto di
essersi alzato con
delle forti vampate ed è leggermente aumentato di peso, ho
visto io.”
Nathaniel si
mise le mani
nei capelli, isolandosi nei suoi pensieri. Gli altri due smisero di
parlare,
fissandolo.
“Nat,
se pensi di non aver
assunto nulla, ma ne dubito…Come ti trovi in questa
situazione?” continuò suo
cugino.
Dopo qualche
attimo, il
ragazzo sembrò riprendersi, tornando a guardare suo cugino,
serio: “E’ stato un
errore mio…”
Sua zia non
capì: “In che
senso? Spiegati!”
“Volevo
essere più informa
per le gare, aumentare la massa muscolare. Così mi sono
autoprescritto delle
pillole, su internet…”
“E’
plausibile… - annuì
Tyler, guardando Courtney, come per rassicurarla – Molte
pillole sono fatte di
estrogeni e chi va in palestra tende ad assumerle, ma è
pericolosissimo!”
Quasi sollevata,
Courtney
si girò verso Nathaniel, per tranquillizzarsi del tutto:
“Quindi non vuoi
diventare un transessuale? Sicuro?”
“NO,
ho detto!” confermò,
seccato.
Quella si mise
una mano sul
petto, buttando fuori l’aria dalla bocca ad occhi chiusi:
“Oh, grazie a Dio!”
Nathaniel
roteò gli occhi,
irritato da quella reazione esagerata, poi si rivolse a suo cugino,
angosciato:
“Se fermo tutto subito, tornerò normale, giusto?
Insomma, si può sempre tornare
indietro, no?”
“Beh,
sì, sei ancora in
tempo per tornare indietro. Fortuna che sei venuto subito!”
“Quindi
mi basta smettere
di prendere queste pillole e tutto questo processo si
fermerà?”
“Assolutamente
sì, butta
quelle pillole!” gli suggerì.
Il ragazzo,
però, aveva
ancora qualche curiosità: “Ehm…se non
fossi venuto qui, che sarebbe successo?”
“Credimi,
saresti venuto
prima o poi. Difficile non accorgersi di certe cose.
L’importante è non aver
superato i sei mesi. Dopo almeno sei o sette mesi di terapia, il
processo
diventa quasi irreversibile.”
“Ah…”
mormorò, altamente
turbato, incantando il vuoto ancora una volta. Improvvisamente, il
telefono di
Courtney squillo.
“E’
Pete dal parcheggio… -
si alzò, dirigendosi alla porta – Vado a sentire
cosa vuole, torno subito!”
Tyler le
sorrise, mentre
usciva. La sua espressione, però, cambiò
radicalmente quando si chiuse la
porta. Era a dir poco furioso.
“Ma
sei impazzito??? – si
chinò in avanti, gli occhi fuori dalle orbite –
Come ti è venuto in mente di
autoprescriverti delle pillole su internet???”
L’altro
era mortificato:
“E’ stato un errore,
perdonami…”
“Un
errore??? – urlò – Se
ti fosse successo qualcosa, avrebbero scoperto del tuo problema al
cuore, ti
rendi conto? Nat, sanno tutti che sono il tuo medico!”
“Non
accadrà più, te lo
prometto.” non sapeva che altro dire, restando con lo sguardo
basso.
Finalmente Tyler
si calmò,
poggiando di nuovo la schiena: “Va bene…tu, butta
solo quelle pillole!”
“Adesso
vado, - si alzò -
grazie per avermi fatto avere subito le analisi…”
“Figurati,
ma non farmi più
questi scherzi!”
Nathaniel
annuì, amereggiato,
lasciando lo studio. Naturalmente aveva mentito, perché non
si era
assolutamente prescritto alcuna pillola su internet:
l’artefice di ciò che gli
stava capitando, sfortunatamente per lui, era qualcun altro.
*
Julie e Rider,
nel
frattempo, erano scesi nel seminterrato da qualche minuto. Avevano
delle torce
in mano, data la scarsa luminosità.
Rider faceva
strada, mentre
continuava a fissare la valigetta che la donna stringeva con
l’altra mano.
“Cosa
c’è lì dentro?”
“La
mia attrezzatura,
ovviamente… Pensavi che avrei aperto la panic room, urlando Apriti sesamo?”
L’altro
si sentì stupido:
“Giusto!”
Tuttavia, era la
tensione a
renderlo così nervoso e Julie la percepì, mentre
continuavano a camminare.
“Tutto
bene?”
Quello
continuò a guardare
avanti, senza voltarsi: “Ehm,
sì…”
“Questa
è la classica
risposta da maniaco del controllo…”
ribattè, cercando di farlo cedere.
“Cioè?”
si voltò giusto un
attimo.
“Non
sono io il nemico,
Rider. Io vi sto aiutando!”
“E
quindi?” rispose,
impassibile.
“Quindi
puoi parlare con
me. Insomma, anche io e Denna abbiamo fatto delle cose
illegali…”
Rider si
fermò bruscamente,
puntandola con lo sguardo: “Cosa ti fa credere che abbiamo
fatto qualcosa di
illegale? Non siamo come voi!”
Sorrise
cinicamente: “Però
qualcosa avete fatto…E non ne vai fiero!”
“Sì,
qualcosa è successo! –
alzò lievemente la voce, infastidito
dall’argomento – Ma è qualcosa che
riguarda me, Sam, Nat ed Eric, ok? Smettila, per favore!”
Julie non
aggiunse nulla,
continuando a fissarlo. Quello riprese a camminare, ma lei
spezzò nuovamente il
silenzio.
“…Ed
Anthony!”
Rider si
voltò nuovamente,
mentre quella continuava.
“Questa
cosa riguarda anche
il vostro amico morto, giusto?”
“Come
sai di lui?”
“Ho
visto quel video di
insulti… - spiegò - In più, non mi
avete ancora parlato di lui.”
Rider riprese a
camminare,
cercando di evitare il discorso: “Non
c’è nulla da dire, era un pessimo amico.
Fine!”
L’altra
capì che era meglio
non insistere: “D’accordo Rider, forse non ti senti
ancora pronto a fidarti di
me. Ti conosco da due giorni, quasi tre, e francamente ho capito che
non ti
fidi di nessuno, eccetto dei tuoi amici, ed è comprensibile
dato quello che
state passando…Sappi, però, che io mi sono fidata
di voi e che vi ho detto
tutto di me. E con tutto, non intendo cose come Ho
rubato un frullatore, ma cose che possono far finire me e mia
sorella dietro le sbarre.”
Il ragazzo
deglutì, quasi
stava per cedere e aprirsi, ma non lo fece: erano arrivati alla panic
room e
Rider illuminò la porta con la sua torcia, focalizzandosi su
quella.
“Benvenuta
nella tana di A!”
“Così
sarebbe questa la
panic room… – si avvicinò, toccando la
superficie della porta, gelata – Sembra
molto vecchia… - la scrutò attentamente
– Ad occhio e croce, direi che è stata
costruita prima del 2000, non credi?” si voltò
verso Rider in cerca di
conferma.
“Direi
di sì… - riflettè – Quando
questo posto è diventata una scuola, forse.”
“Prima
non lo era?”
“Al
secondo anno abbiamo
fatto un saggio sugli edifici storici di Rosewood. Io l’ho
fatto su questa
scuola, che prima era un manicomio!” spiegò.
“Ah,
interessante. –
mormorò quella, rabbrividendo – E quando
è diventata una scuola, esattamente?”
“Nel 1937!”
“E ora
dove sono finiti i
pazzi?”
“C’è
il Radley, adesso.
Fino al 36’ c’è stato il Wailord
Sanitarium, ma fu chiuso quando si scoprì che i
medici cercavano di curare l’insanità
mentale con assurdi metodi di tortura.”
Julie
rabbrividì ancora,
tant’è che la luce della torcia tremava per via
della sua mano: “Oookey, quindi
la panic room dev’essere stata inserita nel nuovo
progetto.”
“Sì,
può essere…” aggiunse,
mentre quella cercava un modo per aprire la porta, puntando la luce qua
e là.
“Come
puoi vedere, accanto
alla porta non c’è alcuna tastiera o quadrante.
Non c’è modo di entrare, a meno
che questo non sia il covo di A e
ci
siamo sbagliati. Alla fine non l’abbiamo visto entrare qui
con i nostri occhi.”
“Sì,
ma avete detto che
Eric ha sentito un forte rumore. – si avvicinò ad
una pila di scatole attaccate
alla parete, di fianco alla porta - Come quello di una porta che si
chiude!”
“Questo
seminterrato è
enorme, potrebbero esserci tanti altri posti in cui Brakner
può essersi nascosto.”
ribattè, tenendendo la luce puntata sulla donna, che stava
guardando dietro
alle scatole, in difficoltà.
“Ehi,
- si voltò verso di
lui – mi aiuti a spostarle, sono pensanti. Voglio vedere cosa
c’è dietro!”
Rider si
avvicinò subito,
poggiando la sua torcia su un’altra pila di cartoni. Insieme
riuscirono a
spostarle di qualche centimetro e Julie, nonostante avesse
già il fiatone, riprese
immediatamente la torcia e la puntò sulla parte di parete
che le scatole
comprivano.
Sorrise, per
ciò che vide:
“Bingo: una tastiera touchscreen!”
L’altro
sgranò gli occhi:
“Un po’ troppo in basso e lontana dalla porta,
direi.”
Con un altro
cenno della
donna, spostarono ulteriormente la pila di scatole, per avere la piena
mobilità
in quel punto, senza quell’ingombro. Tuttavia, il pavimento
ormai scoperto,
riservò altre sorprese.
“Oh,
cazzo! – Julie saltò
indietro, spaventata, dopo aver guardato a terra – Un
topo!”
Rider lo
puntò con la
torcia, indietreggiato anche lui in seguito all’urlo:
“E’ morto… - mormorò
disgustato – La settimana scorsa hanno disinfestato la
scuola.”
“Beh,
io non mi avvicino a
quel coso, spostalo!” gli ordinò nervosamente,
tenendosi a distanza.
Quello
sgranò gli occhi:
“CHE?? NO!” si rifiutò categoricamente,
terrorizzato quanto lei.”
“Oh,
ma che galante!”
esclamò, prendendo in giro la sua mascolinità.
Improvvisamente,
un rumore
proveniente alle loro spalle. I due, spaventati, si voltarono
immediatamente
con le luci puntate verso la sorgente di quel suono.
Restarono rigiti
per quasi
venti secondi, gli occhi spalancati. Qualcuno girò
l’angolo, restando accecato
dalle luci: era Sam.
“Potete
mettere giù le
torce? Sto per perdere la vista!” ordinò,
coprendosi a malapena gli occhi con
le mani.
Quei due
eseguirono,
buttando fuori l’aria per lo spavento preso.
“Dio,
pensavamo fosse
Brakner con un coltello in mano!” esternò Rider, i
cattivi pensieri che aveva
fatto.
“No,
ma potrebbe accadere. –
si avvicinò – Ha lasciato la sua classe,
l’ho visto.”
Julie
trovò strana la sua
presenza nel seminterrato, però: “Come sei uscito
dalla lezione?”
“Ehm…Professore, posso andare in bagno?
L’avevi suggerito tu!”
E mentre quella
si autoelogiava
con un espressione di compiacimento per quelli che pensava fossero
ottimi
suggerimenti, Rider era più preoccupato per la notizia
appena recepita.
“E’
dove è andato di
preciso?”
“In
segreteria, ha ricevuto
una chiamata!”
“Ok,
dobbiamo sbrigarci! –
pensò Julie, puntando la torcia verso la porta, restando
impalata – Prima,
però, Sam…potresti fare una cosa?”
Quello fece
immediatamente
una smorfia confusa: “Cioè?”
Fu Rider a
continuare:
“Dovresti togliere un topo! – lo
illuminò, affinchè lo vedesse –
Quello!”
Sam
sollevò le spalle,
trovandola una cosa da niente: “Tutto qui? Pff!” e
si avvicinò, prendendolo per
la coda e poggiandolo più lontano.
Gli altri due
erano a dir
poco nauseati.
“Ricordami
di non
stringerti più la mano, Sam.” Rider tratteneva a
stento il vomito, mentre Julie
si inginocchiava vicino alla tastiera, aprendo la sua valigetta.
“Tranquillo,
Rider. Tanto
non ci siamo mai stretti la mano!” esclamò, sereno.
Dopo una rapida
occhiata
tra loro, i due ragazzi restarono impalati a guardare Julie che faceva
il suo
lavoro.
“Cosa
stai facendo di
preciso?” domandò Sam, mentre quella rimuoveva la
parte frontale della
tastiera, rivelando i circuiti e le componenti del dispositivo.
“Collegherò
questo
apparecchio – lo mostrò, una volta tirato fuori
dalla sua valigetta - e attraverso
un programma ideato da Denna, ricaverò il codice
d’accesso. Cifra per cifra!”
spiegò, mentre tagliava i fili e collegava i due dispositivi.
“Fico!
– Rider sollevò le
sopracciglia, fingendosi entusiasta, quando in realtà voleva
immediatamente
entrare nella stanza – Comunque… – si
rivolse a Sam, nell’attesa – strano che
non sei preoccupato per Nat.”
“Ha
accompagnato sua zia in
ospedale, no? Che sarà mai!” esclamò,
ignaro.
L’altro
strinse i denti,
rendendosi conto che l’amico aveva capito male:
“Ehm, Sam, forse…Cioè, non è
che ha accompagnato sua zia, ma è sua zia che ha
accompagnato lui.”
“Rider!
– sussultò,
urlandogli contro – Perché non me l’hai
detto stamattina?”
“Guarda
che te l’ho detto!”
si giustificò, sollevando le spalle.
Sam
sbigottì qualche secondo,
prima di lamentarsi istericamente: “Masticavi un cornetto,
mentre me lo
dicevi…Ne hai mangiati tre!
“Stavo
morendo di fame, è
risaputo che le vittime di A hanno
bisogno di un apporto calorico in più rispetto a tutti gli
altri!”
Julie, intanto,
roteava gli
occhi mentre il suo apparecchio aveva già decifrato parte
della password.
“Ragazzi,
ci siamo quasi!”
Quelli,
però, continuarono
a discutere, ignorandola.
“Ma
sta bene? Cos’ha?”
domandò Sam, altamente preoccupato.
“Niente,
non mi ha detto
niente. Solo che doveva fare delle analisi!”
L’altro
sgranò gli occhi,
pensando al peggio: “Oh mio Dio…”
Rider
cercò subito di
rassicurarlo: “Dai, vedrai che non è
niente!”
“Non
lo so… - iniziò a
mordersi l’unghia del pollice, in ansia, mentre fissava il
vuoto – Non riesco a
stare molto tranquillo, ultimamente.”
Improvvisamente,
l’apparecchio di Julie emise un suono continuo. Quella, poi,
alzò in piedi,
mettendosi davanti alla porta, iniziando a dare istruzioni.
“Appena
la porta si apre,
dobbiamo entrare tutti nello stesso momento. Scusate la
volgarità, ma, in
definitiva, dovete starmi attaccati al culo!.”
Sam fece una
smorfia
perplessa, oltre che basita: “Ehm, che succede se non
entriamo tutti nello
stesso momento?”
Quella si
voltò, secca:
“Vieni schiacciato dalla porta, ecco che succede!
All’arpertura della panic
room, ci saranno dei sensori di movimento che rileveranno il nostro
passaggio.
Dal momento in cui entro per prima, ci saranno almeno 860 millisecondi
di
stacco che non dovete superare, perchè corrispondono davvero ad un battito
cardiaco umano a
riposo.”
“Cosa
ti fa credere che sia
così?” chiese Rider.
“La
panic room sarà stata
anche progettata più di un secolo fa, ma la tecnologia
è nuova. Questa stanza
blindata, ospita solo una persona, adesso.”
Sam e Rider
annuirono,
mettendosi dietro di lei. Julie osservò
l’apparecchio, la password fu
confermata.
“Dietro
di me! – urlò – Non
perdete tempo, dovete essere veloci!”
La porta si
aprì, emettendo
un suono meccanico. Julie ci saltò immediatamente dentro,
seguita subito dai
ragazzi che quasi saltarono con lei nello stesso istante per paura di
soccombere.
Finalmente erano
tutti
dall’altra parte, la porta si chiuse rapidamente, come aveva
detto Julie.
“Fiuu!
– sospirò Rider – Giuro
che me la sono fatta sotto!”
Sam fu
d’accordo, la fronte
sudata: “A chi lo dici!”
Julie, intanto,
scrutò il
piccolo spazio in cui si trovavano. Era un piccolo corridoio di 10 mq,
stretto,
illuminato da una luce forte, le pareti fatte di metallo arrugginito.
C’era
un’altra porta, molto più nuova rispetto alla
prima, alla fine di quel
corridoio.
“Deduco
che non siamo
ancora entrati nella panic room. – pensò la donna,
buttando gli occhi in basso,
ai lati della nuova porta – Ci sono altri due sensori di
passaggio, ma la porta
è diversa. Molto più ermetica. Il vostro
professore deve aver fatto delle
modifiche qua giù!”
Sam, dietro di
lei come
Rider, era a dir poco a bocca aperta: “E’
inquietante…Vi prego, facciamo
presto.”
Julie non se lo
fece
ripetere due volte, mentre Rider deglutiva, pensando a cosa potesse
esserci
dietro a quella porta.
Il sensore
rilevò
immediatamente la gamba di Julie, non appena quella si fece avanti.
Immediatamente si attivò l’apertura della porta
che emise un suono simile
all’aria pressurizzata.
Finalmente si
trovarono davanti
alla vera panic room, una luce meno forte e leggermente instabile. La
prima
cosa che poterono scrutare dall’ingresso, fu una tipica
botola di metallo da
terra, al centro della stanza, installata nel pavimento. La fissarono
per
qualche secondo, prima di fare un passo avanti.
Nell’istante
in cui
varcarono la porta, la porta si richiuse e i tre si voltarono,
spaventati dal
rumore che fece. Subito, poi, ripresero fiato e si concentrarono su
ciò che li
circondava, tra cui: fotografie appese alle pareti; una scrivania con
sopra un
computer acceso e una lampada spenta accanto; delle scatole sotto alla
scrivania; un tavolo con sopra tre monitor accesi; un sistema di
videosorveglianza vecchio e polveroso, appeso al muro e spento; un
vecchio
armadio marrone; una vecchia e piccola televisione impolverata sopra un
mobiletto e un videoregistratore attaccato.
Dopo che Julie
avanzò,
diretta al computer, Sam avanzò verso le foto appese ai
muri, dall’altro lato
della stanza, che in fin dei conti non era assai grande. Rider
seguì Julie,
naturalmente. I tre erano abbastanza impressionati, non avevano parole.
“A ci ha seguiti ovunque andassimo. Dal
primo momento…” mormorò Sam,
scioccato, mentre si osservava nelle foto.
Julie, intanto,
si sedette
al computer, Rider alle spalle: “Non c’è
alcuna password, possiamo guardare
tutte le cartelle che ci sono.”
“Sì,
ma dobbiamo fare
presto. La quinta ora sta per finire e Sam ha detto che Brakner
è andato in
segreteria, non sappiamo se sia ritornato in classe.”
spiegò Rider, poco tranquillo.
“Merda!
– Julie si colpì la
fronte – Ho lasciato la valigetta fuori, avevo portato una
pen drive…”
“Fa
niente, iniziamo a
guardare!” suggerì Rider.
Sam, intanto,
stava
continuando a visionare tutte le foto, sempre in disparte,
finchè non vide
quella del suo bacio con Nathaniel, davanti alla prigione di
Philadelphia.
Immediatamente sgranò gli occhi, staccandola dal muro e
mettendola nelle
mutande. Teso, si voltò verso gli altri due, tirando un
sospiro di sollievo
nello scoprire che non l’avevano visto; assieme a Nathaniel,
mantenevano ancora
segreta la loro visita a Jasper.
Facendo finta di
niente, si
avvicinò finalmente ai due, evitando la botola, sopra la
quale era quasi
inciampato.
“Perché
solo io sembro
incuriosito da questa vecchia botola?”
Rider gli
rispose subito,
mantenendo gli occhi incollati sullo schermo:
“Perché le cose più importanti
sono nei computer. E’ la prima cosa da guardare, quando si ha
poco tempo.”
“Per
me va bene, non ho
tanta voglia di scoprire cosa c’è dentro quel buco
o quello che è… - pensò,
intimidito, per poi voltarsi a guardare i tre monitor
sull’altro tavolo – Dio,
ha occhi su tutta la scuola…Saranno
almeno…”
L’amico
lo precedette:
“Trentadue telecamere, le ho già
contate!”
“Trentadue
volte
inquietante!” sollevò le sopracciglia, quello,
guardandosi nuovamente attorno.
“Sam,
ti dispiace fare
qualche foto della stanza? – si voltò Rider a
chiederglielo – Così vedono anche
Nat ed Eric…”
“Certo!
– esclamò, tirando
fuori il telefono dalla tasca – Li avviso anche che siamo
entrati…”
*
Nathaniel stava
salendo le
scale del portico di casa sua, dopo essere sceso dalla macchina di
Pete. Era al
telefono con Eric.
“Hai
ricevuto il messaggio
di Sam? Dice che sono entrati nella panic room.”
esclamò, mentre prendeva le
chiavi.
“Sì,
l’ho ricevuto…E comunque
sono al Brew, devo parlare con Todd!”
“Chi
è Todd?”
“Il
proprietario del
Brew…” mormorò
con voce amareggiata e
stanca.
“Pensavo
sapesse
dell’incidente di Alexis, no?” ribattè,
entrando in casa.
“Lo
sa, ma non è per quello
che voglio parlare con lui…Stamattina, in ospedale, ho
dimenticato di dirti che
ho ricevuto un messaggio da parte di A.
Ha investito Alexis per farmi prendere il suo posto al Brew, sapeva che
cercavo
lavoro.”
“Ma
è da malati… – pensò,
gettando le chiavi sul tavolo della cucina e appogiandosi sopra con una
mano
per concentrarsi sulla converazione – E stai pensando di
farlo davvero? Chiedere
il posto di Alexis?”
“Che
altro dovrei fare,
Nat? – si agitò – Se non lo faccio, A potrebbe
presentarsi nella stanza di Alexis con un cuscino puntato sulla sua
faccia!”
Sospirò,
rendendosi conto
che era alle strette: “Scusa, mi
dispiace…E’ davvero un gran casino!”
“Puoi
dirlo forte…E in più
sento che il peggio deve ancora arrivare, ma cosa può
esserci di peggio?
Cos’altro può fare una sola persona?”
Nathaniel
rimase qualche
secondo in silenzio, pensando a quello che stava accadendo a lui:
“…Non so se
ho mai avuto realmente paura, da quando è iniziata questa
storia di A…Ora,
però, credo di averla davvero…”
Eric
comprese perfettamente,
immaginando si riferisse in generale: “Io ho iniziato ad
avere paura la
settimana scorsa, quando sono rimasto bloccato in quella fogna.
Davvero, ho
pensato di non farcela… - preferì sorvolare quel
ricordo, poi – Comunque hai
fatto gli esami? Stai bene?”
“Preferisco
parlarvene di
persona…” rispose con un tono assai serio.
Eric
si preoccupò: “Ok,
però così mi stai
spaventando…”
“Ne
parliamo quando ci
vediamo di persona, ora devo andare. Scusami.”
Poco
convinto, l’altro non
insistette: “Va bene, a dopo!”
Dopo
aver terminato la
conversazione, Nathaniel chiuse gli occhi, appoggiandosi con entrambe
le mani
sul tavolo, chinando la testa in basso, riprendendo un attimo fiato.
Si
diresse, poi, verso il
frigo, prendendo una bottiglietta d’acqua. La
portò alla bocca, pronto a berne
un sorso, ma si bloccò improvvisamente, portandola indietro;
ripensò a quando
Sam era stato drogato con l’acqua che aveva bevuto dal suo
frigorifero, così la
rimise al suo posto, richiudendo il frigo, indietreggiando spaventato.
Improvvisamente,
sentì
qualcuno entrare in cucina alle sue spalle e si voltò di
scatto: era suo padre.
“E
tu che ci fai qui? –
aveva gli occhi leggermente chiusi, trasandato nell’aspetto
– Pensavo fossi a
scuola…”
“E
io pensavo che tu fossi
al ristorante…”
“Sono
dovuto tornare. – si
grattò il capo, una smorfia sofferente, mentre si avvicinava
ad un mobiletto –
Ho un gran mal di testa, non riuscivo a tenere gli occhi
aperti!”
“E
chi c’è al ristorante,
adesso?”
“Jamie!”
rispose,
recuperando delle aspirine.
Nathaniel
inclinò la testa,
come un gufo, perplesso: “Ma lo conosci da meno di un mese,
non puoi lasciarli
in mano l’attività di famiglia!”
Quello
si stava riempiendo
un bicchiere d’acqua per mandare giù
l’aspirina, massaggiandosi le tempie: “E’
un bravo assistente manager, Nathaniel. L’attività
di famiglia non cesserà di
esistere per un giorno che mi assento.”
“Vuoi
che vada a
controllare?” non si convinse tanto.
“No,
se la caverà! E
comunque… - continuò, dopo aver mandato
giù l’aspirina – non hai risposto alla
mia domanda. Perché non sei a scuola?”
“Ehm…
io ho… - inventò, poi
– accompagnato la zia Courtney in ospedale! Doveva fare delle
analisi, ma non
ha niente. Era preoccupata per qualcosa, ma falso allarme.”
“Mmmh,
interessante… –
disse, però, disinteressato, sollevando le sopracciglia
– Con Courtney è sempre
un falso allarme; come quella volta che mi fece girare tre volte
davanti ad un negozio
di porcellane perché pensava di aver visto Colin
Firth!”
Nathaniel
si lasciò
sfuggire una piccola risata, poco vivace: “Che diavolo ci
verebbe a fare Colin
Firth a Rosewood!”
“Già,
è quello che le ho
detto anch’io! – fissò, poi,
l’orologio della cucina – Ora devo uscire, tua
madre mi ha chiesto di comprare alcune cose per
l’inaugurazione del salone.”
“Ah,
già, è domani! Sembra
ieri che faceva la parrucchiera abusiva in casa, in attesa che i lavori
finissero.”
“Vado
allora… Poi vedrò di
passare a controllare Jamie, al ristorante. L’aspirina fa
già effetto!” si
congedò.
“Ok,
dì a Mamma di stare
tranquilla, sarà un successone!”
“Ok!”
esclamò quello, già
fuori dalla cucina.
*
Nella
panic room, intanto, i
ragazzi stavano ancora esaminando le cartelle sul desktop. Rider
sembrava
alquanto seccato, alle spalle di Julie.
“Passa
avanti, queste sono
solo foto, foto e altre foto di noi. Stiamo solo perdendo
tempo!” e quella
passò immediatamente ad ispezionare un’altra
cartella.
Sam,
intanto, si era
avvicinato alla piccola televisione, pulendo lo schermo polveroso con
la mano.
Più in basso c’era il tasto di accensione e lo
premette. Immediatamente lo
schermo si illuminò, mostrando delle immagini in bianco e
nero. Il volume era
inesistente. Quello subito si chinò in ginocchio, aprendo
gli sportelli del
mobiletto: c’erano undici videocassette.
“Non
è buffo che un professore
di matematica abbia una passione per i gialli di Agatha Christie?
– condivise
le sue perplessità, facendo voltare gli altri due
– Qui c’è tutta la prima
stagione di Miss Marple andata in
onda dal 1984 al 1992 su BBC one!”
“…A
me piace l’odore della
benzina!” commentò Julie.
Quelli
assunsero una
smorfia confusa, fissandola.
“Che
c’è? Ognuno ha le sue
stranezze!” si giustificò quella, animatamente.
Rider
scosse la testa,
tralasciando: “Sam, spegni quel coso e vieni qui!”
Julie
era tornata ad
esaminare delle cartelle e finalmente sembrò aver trovato
qualcosa, mentre Sam
si avvicinava nuovamente a loro.
“Qui
ci sono degli audio…”
portò la freccia del mouse sopra una delle tracce.
Rider
fece un rapido cenno
a Sam: “Riprendi tutto con il telefono, mi
raccomando!”
Quello
eseguì immediatamente,
mentre il primo audio era in riproduzione.
“Rider: Ehi,
Sam! – Sam: Stai leggendo
anche tu i
commenti? – Rider: Certo…
E trovo
incredibile quanto la gente sia ipocrita e falsa. Insomma, queste sono
le
stesse persone che fino ad una settimana fa li passavano davanti,
ignorandolo
come si fa con un mendicante che chiede l’elemosina, e adesso
tutti vogliono
essere suoi amici, gli scrivono dediche…”
“Ma
questa è una nostra
vecchia conversazione telefonica. - ricordò Sam –
L’abbiamo fatta dopo…”
“Il
funerale di Anthony!”
ricordò all’istante anche Rider.
Julie
continuò ad ascoltare
con attenzione, senza aprire bocca.
“Sam: Ci sono commenti anche su Anthony…e
anche qualcuno su di noi. – Rider:
Beh, la morte non ripulisce la
tua immagine di colpo! E nemmeno la nostra: I seguaci del diavolo!
– Sam: Ho pianto per
quasi venti minuti,
dopo essere tornato a casa…Ci siamo ripetuti nella mente che
potevamo essere
liberi e felici, dopo l’addio di Anthony, ma…Non
mi sento per niente libero né
felice. Penso ad Albert e a come l’abbiamo messo
nel…”
Rider
sgranò gli occhi,
esattamente come Sam, ricordando per filo e per segno quella
conversazione e
quale parola sarebbe seguita. In un lampo, prese bruscamente le redini
del
mouse, selezionando l’audio successivo in maniera nervosa.
“Passiamo
avanti, inutile
ascoltare conversazioni che abbiamo già vissuto!”
Alquanto
insospettita dal
suo comportamento, Julie rimase rigida a fissarlo perplessa:
“Ok, se lo dici
tu…”
“Lindsay: A
proposito… Grazie per non aver detto nulla a nessuno.
Insomma, so che mi hai
vista quella notte.”
Rider
sobbalzò:
“Ma questa è la voce di mia sorella!”
“Chloe: Q-quale notte?”
Sam
si chinò in avanti, riconoscendo la seconda voce:
“E
questa è di Chloe…”
“Lindsay:
Avanti, lo sai. Non fingere. Quella in cui mi hai visto assieme ad
Albert.
Nella macchina blu. -Chloe: Ah, eri
tu? – Lindsay: Chloe, ti
sto facendo
paura, per caso? Insomma, non penserai che Albert sia scomparso a causa
mia,
vero? - Chloe: No
no, certo che no,
ma… Sei andata alla polizia? Sanno che sei stata
l’ultima persone ad averlo
visto? - Lindsay: Non ero da sola,
quella notte. Sai, io frequento, diciamo…una persona
più grande e… Insomma, non
volevo metterla nei guai. La polizia avrebbe trovato molto strana la
faccenda.
Lo capisci, no? – Chloe:
Sì si,
certo. E…che ci facevi con Albert a quell’ora? Chi
era questa persona più
grande con cui eravate?”
Julie
sembrò
sempre più perplessa, mentre gli altri due ascoltavano,
assorti.
“Chi
è questo
Albert che nominano sempre?”
“Shhh!”
borbottarono entrambi.
“Okeey,
va bene!”
esclamò quella, irritata.
“Lindsay: Anthony
dava noie anche a me, non solo quelli come Albert o…te! Hai
presente il video che è stato divulgato qualche giorno fa su
Anthony, mio
fratello e i loro amici? Beh, Albert era nascosto dietro la porta
dell’aula in
cui l’hanno girato e ha ascoltato tutto. Io stavo passando da
quel corridoio,
per caso, quel giorno, e la cosa mi ha incuriosito a tal punto da
domandargli
cosa stesse facendo. Lui mi fece segno di avvicinarmi…Quando
i ragazzi se ne andarono,
entrammo e prendemmo la videocamera.”
Rider
e Sam si
guardarono, continuando ad ascoltare.
“Chloe:
Volevate che la scuola vedesse quel video? Ok che Albert
volesse questo, ma
tu? Rider è tuo fratello, perché fargli una cosa
del genere?”
“Già,
ottima domanda! Cento punti per Chloe!” commentò
Rider.
Julie
intervenne: “E zero punti per me: non ci sto capendo un
tubo!”
Quelli
la ignorarono nuovamente, interessati alla risposta.
“Lindsay: Non
volevo divulgare il video, infatti. Volevo solo essere lasciata in
pace, far sapere ad Anthony che avevamo quel video e che doveva
lasciarci in
pace…Albert, poi, fece delle copie e disse che si sarebbe
preoccupato lui di
parlare con Anthony, così ho preferito non espormi troppo e
lasciare che
facesse tutto lui. – Chloe:
Ma,
aspetta un secondo, il video è stato divulgato dopo la
scomparsa di Albert. Sei
stata tu? – Lindsay:
“No! Te l’ho detto, non
volevo farlo. Dopo la
scuola, poi, Albert non si fece più sentire e lo incontrai
che girava di notte
verso le parti del Wall mart. E’ salito nell’auto
del ragazzo con cui ero e gli
ho chiesto se avesse parlato con Anthony. Lui mi ha risposto che era
tutto
risolto, poi scese, di fretta e…Non l’ho
più visto né sentito. Chloe:
Ma… Se non sei stata tu a
divulgare il video, allora chi è stato? – Lindsay:
Non è evidente? E’ stato Albert!”
“Ehh???”
Sam si guardò perplesso con Rider.
Julie
spostò lo sguardo fra i due: “Che
c’è? Che succede? Che avete capito?”
“Julie,
potresti lasciarci ascoltare? – la richiamò Rider
– E’ una questione nostra,
grazie!”
Quella
roteò gli occhi, dopo essere stata ammonita per
l’ennesima volta.
“Chloe: Sicura
che questo tuo ragazzo non abbia ottenuto una copia da Albert,
nel corso della giornata? Magari è stato lui! – Lindsay: E’ stato tutto il
giorno con me! L’unico ad avere quel
video era Albert ed è stato lui! – Chloe:
Quindi pensi che Albert sia nascosto qui a Rosewood? – Lindsay: Io penso che Albert
abbia ucciso Anthony e suo padre e
che per paura di ciò che ha fatto, abbia finto di sparire.
Questo, però, non
l’ha fermato nel dare il colpo di grazia a coloro che
l’hanno sempre sostenuto:
mio fratello e i suoi amici… Albert sembrava un tipo
instabile. L’ultima volta
che l’ho visto non aveva una bella cera.”
“Perché
sta dicendo queste cose a Chloe?” non capì Sam,
rivolgendosi all’amico.
Rider
scosse la testa, interessato ad ascoltare il resto.
“Chloe: Se pensi che si nasconda qui,
allora dillo alla polizia! Potrebbe fare del male a tuo fratello o i
ragazzi. –
Lindsay: E se mi sbagliassi? Albert
ha fatto delle copie di quel video. Chi mi garantisce che sia stato
davvero
lui? Magari è davvero scomparso ed è stato
qualcun altro, magari c’è molto di
più dietro e io non voglio guai! Ora devo
andare…In ogni caso, grazie di non
aver detto a nessuno che mi hai visto quella notte.”
La
registrazione terminò, lasciando abbastanza perplessi i
ragazzi; Julie in primo
luogo.
“Volete
spiegarmi perché siete così tanto presi da questa
registrazione, quando chi vi
sta tormentando è un professore di matematica?”
“Ci
sono altre persone coinvolte!” si lasciò sfuggire
Sam, subito rimproverato.
“Shhh,
sta zitto! Lei non è tenuta a sapere queste cose…
- tutelò la sorella, di cui
non aveva rivelato la sua complicità con Brakner a Julie - E
TU, - si rivolse a
lei, ora, aggressivo – smettila di farci domande! Eri tenuta
solo a farci
entrare nella panic room per restituirci il favore,
nient’altro!”
“Tua
sorella parla di omicidi…E’ questo che A
ha contro di voi? Siete coinvolti?”
continuò Julie, testarda, sfidando la
pazienza del ragazzo.
Sam
cercò di spiegarle: “E’ stato un
incidente, Anthony…”
“BASTA!
– urlò Rider, fermandolo – Vuoi chiudere
quella bocca?”
“E’
coinvolta, ormai!” ribattè con lo stesso tono.
“Già,
sono coinvolta!” si aggregò Julie.
Rider
continuò sulla difensiva, testardo: “Beh, dopo
essere usciti da qui, non lo
sarai più!”
Quella
lo trovò ridicolo: “Ormai lavoro qui, non posso
licenziarmi dopo il terzo
giorno!”
Sam
troncò immediatamente la conversazione, dopo aver guardato
l’orologio: “Ehm,
ragazzi, mancano dieci minuti alla fine della quinta ora.”
L’amico
sbuffò, sedendosi al posto di Julie al computer:
“Accidenti, non siamo nemmeno
riusciti a trovare i nostri video, ci sono troppe cartelle…
- continuò ad
aprirne altre – Moltre contengono cose inutili
e…” improvvisamente si bloccò.
“E,
cosa??? – si pronunciò Sam, alle sue spalle,
notando l’improvvisa interruzione
– Rider??”
Quello
non rispose, digitando qualcosa sulla tastiera.
“Lo
sapevo! – si distanziò con la sedia dalla
scrivania – Non c’è!”
Julie
intervenne, curiosa: “Che succede?”
Rider
si voltò a spiegare, spostando lo sguado tra i due;
più verso Sam: “Tutto
questo è un bluff, A sapeva
che
saremmo entrati qui!”
“E’
impossibile che potesse prevederlo. Julie ha modificato i nostri
bracciali, non
può più ascoltarci in nessun modo!”
“Dimentichi
che A è in questo
edificio con noi e
che le porte sono molto sottili. Dovevamo fare più
attenzione, mentre ne
parlavamo.”
“Sì,
ma come hai capito il bluff?” domandò Julie.
“Manca
una cartella che dovrebbe esserci, chiamata Rosewood-riservato.
Contiene delle
cose che forse possono farci capire perché A
ce l’ha con noi. In più, questo computer
è stato riempito con molte cose.
E’ una chiara messa in scena!” spiegò
Rider.
Sam,
facendo qualche improvviso colpo di tosse, si avvicinò al
computer: “Ora che lo
vedo meglio, non sembra uno dei computer che ci sono
nell’aula di informatica?”
Quello
si voltò a guardarlo nuovamente, facendo qualche colpo di
tosse anche lui: “In
effetti, si…Deve aver messo il suo vero computer da
un’altra parte.
“Quindi…
- Julie si mise la mano a pugno davanti la bocca, tossendo, prima di
continuare
- Siamo scesi qui al vuoto?”
Rider
tossì ancora, prima di continuare: “A quanto
pare…”
Sam,
improvvisamente perplesso, spostò lo sguardo fra i due:
“Perché stiamo tossendo
tutti?”
Quelli
si guardarono, facendo caso alla cosa.
Rider
tossì ancora, per poi allarmarsi: “Ok, che sta
succedendo?”
Julie,
con lo sguardo fisso nel vuoto, riflettè, per poi voltare la
testa verso la
parete che aveva alle spalle, guardando in alto, verso una piccola
grata: “Il
condotto di aerazione… - fece notare – Quando
siamo entrati, il filo annodato
alle sbarre della grata ondeggiava…”
Sam,
con un tono poco tranquillo, descrisse ciò che vedeva:
“Ehm, ok, ma ora non
ondeggia più e questo vuol dire che…”
Rider
si affrettò a completare, una nota nervosa nel tono:
“Non c’è più cambio
d’aria, stiamo respirando anidride carbonica!”
Sam
andò subito nel panico, mentre Julie iniziava ad agire.
“Ok,
- tossì ancora, come gli altri - dobbiamo uscire
immediatamente di qui, prima
che non ci sia più ossigeno da respirare!”
esclamò, dirigendosi alla porta,
premendo più volte il pulsante verde d’uscita.
Nonostante
l’avesse premuto più volte, la porta non si apriva.
“Beh?”
domandò Sam, fissandola in maniera insistente, teso come una
corda di violino.
L’altra
si voltò, il panico nello sguardo: “Ehm, non si
apre!”
“COSA?”
urlarono entrambi, increduli.
“Deve
aver interrotto il flusso di corrente da remoto!”
spiegò quella, mentre lo
schermo del computer diventava nero.
Quelli
si voltarono a guardare e subito comparve una scritta.
“Quanti
ficcanaso servono per finire l’ossigeno in una piccola
stanza?”
-A
Rider,
esplodendo in svariati colpi di tosse, si fece prendere dal panico
più totale:
“No, non morirò qui dentro!”
Corse
immediatamente verso la porta, prendendola a calci. Sam, con il volto
rigido
per il terrore, si guardò attorno, mentre Julie teneva una
mano davanti alla
bocca e l’altra sul petto, tossendo.
“Che
facciamo, adesso? – urlò Sam, gli occhi lucidi
– E pensare che io ero in classe…”
Julie
si fissò immediatamente a guardare la botola, pensando di
poterla usare come
via di fuga, avvicinandosi: “Ehi, aiutatemi qui!”
Rider
accorse subito alla sua chiamata, stringendo il manubrio arrugginito
con le
mani e cercando di farlo sbloccare. Sam titubò, gli occhi
sbarrati, lo sgomento
che ormai l’aveva impossessato.
“E
se non ci fosse una via d’uscita sotto quella botola? E se ci
fosse solo un
buco che ospita un cadavere?”
pensò a
quello di Albert, che deteneva ancora A.
Julie
alzò la testa, atterrita: “Un cadavere?
– tossì - Quale cadavere?”
Rider
fulminò l’amico, ancora una volta, per aver
parlato troppo: “Niente, sta
vaneggiando, continuiamo a girare. Sam, aiutaci!”
Serrando
la bocca, quello esegui, inginocchiandosi assieme a loro, tra la fatica
e la
tosse sempre più insistente. Il manubrio iniziò a
sbloccarsi, ma lentamente. Le
mani di Sam scivolavano.
“Accidenti,
ho le mani sudate!”
“Anch’io!
– esclamò Rider, che subito ebbe un lampo
un’idea, guardando l’armadio - Prova
a vedere se c’è qualcosa lì dentro che
possa aiutarci a migliorare la presa!”
Sam
si alzò, traballando. Raggiunse l’armadio quasi
senza fiato, per poi aprire le
porte e restare esterrefatto.
“Un
armadio vuoto? – si voltò verso gli altri due
– Chi cavolo porta un armadio qua
dentro per non metterci nulla?”
Improvvisamente,
dopo una tosse esagerata, Julie svenì di colpo.
Entrambi
i ragazzi sgranarono gli occhi.
“Oh
no!” esclamò Sam, fissando subito Rider.
“Sam,
sbrigati, torna qui prima che sveniamo anche noi!” gli
urlò.
Quello
corse immediatamente vicino a lui, tirando il manubrio con tutte le
loro forze.
Ad un certo punto, Rider si fermò, lo sguardo perso nel
vuoto.
“Non…
Non riesco a respirare…”
“Rider?”
lo fissò Sam, spaventato.
Le
pupille del ragazzo salirono verso l’alto e svenì
anche lui.
“RIDER!
– gridò Sam, sfociando in un espressione di panico
assoluto, avvicinandosi a
lui – No, Rider, ti prego, svegliati! –
tossì, scuotendolo - SVEGLIATI!”
Quando
comprese che sarebbe stato il prossimo, Sam si guardò
attorno con il fiato
corto, non sapendo cosa fare. Farfugliando cose.
“Ok,
Sam, sta calmo... – chiuse gli occhi – sta calmo,
sta calmo…”
Subito,
poi, si tolse il maglione, mettendolo sul manubrio, stringendo le mani
sopra di
esso. Ora la presa era più salda e le mani non scivolavano
più. Sam girò quel
cerchio di metallo con tutte le sue forze, i denti stretti e il viso
livido per
lo sforzo. Man mano che girava il manubrio, quello si sbloccava sempre
più,
ruotando veloce. Era ormai al limite, stava per svenire anche lui, ma
ce
l’aveva fatta: sollevò immediatamente il
portellone. L’aria stava finalmente
entrando nella stanza. Sam si lasciò cadere
all’indietro, esausto.
Julie
e Rider ripresero a respirare, sollevandosi bruscamente, come fossero
appena
riemersi dall’acqua.
“Oh
mio Dio, sono vivo!” esclamò Rider, prendendo
grossi respiri, la mano sul petto.
“Avete
aperto voi la botola? – domandò Julie, mentre si
riprendeva anche lei – Io non
ricordo…”
“Sono
stato io! – Sam alzò la mano, mentre era ancora
sdraiato a riprendere le forze
– L’ho aperta io, ma c’è
mancato poco.”
Rider,
curioso, guardò subito dentro la botola, descrivendo
ciò che vedeva: “C’è una
scala che porta fino a giù e
dall’odore…deduco porti alle fogne! –
roteò gli
occhi, seccato – Di nuovo!”
Julie
non capì cosa intendesse: “Come sarebbe, di
nuovo?”
“Benvenuta
nel mondo delle trappole di A!
–
prese parola Sam, alzandosi – Questa non è la
prima volta che tenta di
ucciderci… - assunse un’espressione angosciata - A
volte mi chiedo se sia solo
un gioco in cui alla fine ci permette di salvarci o vuole realmente
farci fuori
e noi siamo tremendamente fortunati.”
Julie
spostò lo sguardo fra i due: “Beh, non posso dire
la mia se non conosco i
fatti. Ma ha tutta l’aria di essere una vendetta,
questa!”
“Lo
è, infatti!” sottolineò Rider, con tono
marcato.
La
donna comprese il loro disagio e pensò che era meglio
lasciare quel posto,
entrando nella botola per prima: “Usciamo da qui e torniamo a
scuola, prima che
chiamino la polizia per accusarmi di rapimento di minori!” e
iniziò a scendere,
seguita dai due ragazzi.
Poco
dopo, erano di sotto, nelle fogne. Sam aveva appena messo piede a
terra,
lasciando la scala. I tre si guardarono a destra e sinistra,
l’acqua che
scorreva al centro del tunnel.
“Rider,
come ci muoviamo per tornare sopra?” gli domandò
Sam a bruciapelo.
Quello
gli lanciò un’occhiataccia, costringendo
l’altro a giustificarsi subito.
“Che
c’è? Tu conosci questi tunnel meglio di
noi!”
Julie
fece subito una supposizione, in merito a quel commento: “A ti ha intrappolato nelle fogne, ho
capito bene?”
Rider
si voltò a risponderle: “Ha attirato me ed Eric in
un vicolo cieco e ha fatto
esplodere la parete di una camera stagna. Saremmo morti affogati se Sam
e Nat
non ci avessero trovati, quando è successo.”
Quella
scosse la testa, incredula e dispiaciuta: “…Beh,
sarà meglio trovare il tombino
più vicino e risalire.” prese, poi, a camminare,
seguita dai due.
Sam,
rimasto leggermente indietro per sua intenzione, si tolse la fotografia
che
aveva preso nella panic room dalle mutande e la gettò nel
fiumiciattolo,
alzando poi il passo.
*
Eric,
intanto, era al Brew, in piedi davanti al bancone, che guardava Todd in
fondo
al locale, parlare con una cliente seduta ad un tavolo. Oscillava da
destra a
sinistra, traballante, cercando di fargli un cenno ogni volta che
pensava
l’avesse notato. Sfortunatamente, però, quello
sorrideva, preso dalla
conversazione, così Eric si arrese, guardando in basso,
sbuffando, pronto a
salire nel suo appartamento. Improvvisamente, quando
risollevò lo sguardo, Todd
stava arrivando verso di lui e colse l’occasione al volo.
“Ehi,
Todd!”
“Ouh,
ciao Eric!” si fece cogliere distratto, mentre pensava ancora
alla
conversazione appena avuta.
“Immagino
tu abbia saputo di Alexis…” cominciò,
leggermente nervoso.
“Ovviamente!
Mi ha anche chiamato dall’ospedale, che triste
storia…” cercò di mostrarsi
dispiaciuto, mentre smanettava il suo telefono con un sorrisino
lussurioso,
voltandosi per un secondo a guardare la cliente con cui stava parlando
poco
prima; anche lei contraccambio quel sorriso.
Eric
non si accorse di tutto ciò, impegnato a trovare le parole
per chiedere il
posto di Alexis, sudando: “Senti, Todd, mi chiedevo
se…”
L’altro,
troppo distratto, voleva tagliare corto: “Tranquillo, il
posto di Alexis è al
sicuro, non assumerò altre persone. E poi Pam ha accettato
di fare anche i suoi
turni: che ragazza!” agitò i pugni, con molto
entusiasmo.
Eric
si voltò a guardare Pam assieme a lui, mentre quella
guardava loro, pulendo il
bancone assai seccata.
Todd
tornò serio, rendendosi conto dell’odio che stava
palesemente ricevendo: “Beh,
forse le ho dato un ultimatum, ma…Più soldi per
Pam, no? Dovrebbe essere
contenta, non capita tutti i giorni di poter fare turni extra
perché la tua
collega viene investita da un pirata della strada, dico bene?”
Eric
annui, sforzando un sorriso alla sua superficialità,
azzardando ciò che aveva
da chiedere: “Senti, forse potrei occupare io il posto di
Alexis!”
Quello
rimase serio per qualche secondo prima di scoppiare a ridere. Smise di
farlo,
non appena si accorse che il ragazzo non stava per niente ridendo:
“Ah, ma sei
serio?”
“La
mia ragazza è in un letto d’ospedale, potrei mai
fare dell’ironia?”
“Ok,
ma rientrerà al lavoro tra qualche giorno, no?”
“Ma
se non cammina!” rivelò.
“Non
cammina?? – rimase sorpreso – Ma al telefono ha
detto che stava bene!”
“Beh,
forse è una cosa temporanea… - si
mostrò improvvisamente triste - E poi quei
soldi li guadagnerei per lei, finchè non si rimette. Le
serve questo lavoro.
Fino all’ultimo centesimo!”
“Ascolta,
Eric. – gli prese la spalla, il tono pacato –
Assumo solo ragazze carine, qui
al Brew: le ragazze carine attirano molti clienti. Capito?”
“Un
po’ sessista, non trovi? – pensò,
guardandolo male – Sono un bel ragazzo
anch’io, non credi che potrei attirare tante ragazze? E poi a
giudicare da come
guardavi quella cliente, non preferiresti vedere tante ragazze
anziché tanti
ragazzi?”
Quello
strinse gli occhi, mettendo le labbra a papera, notando i troppi
clienti maschi
in giro per il locale: “Non l’avevo vista sotto
questo punto di vista… - disse,
fissando poi il ragazzo – Sei assunto!”
“Cosa?
Davvero?” sobbalzò, sorpreso.
“Sì,
certo, quale turno vuoi?” voleva sbrigare in fretta quella
formalità, ignorando
la contentezza del ragazzo.
“Mi
va bene quello dalle 18.00 alle 21.30!”
“Affare
fatto, allora. – si congedò, allontanandosi
– Vado a dare la notizia alla
nostra Pam, inizi domani!”
Eric
sorrise da solo per qualche attimo, felice di aver ottenuto il posto.
Poi si
rattristò immediatamente, pensando a come
l’avrebbe spiegato alla sua ragazza.
*
Intanto,
contrariamente a quanto detto dal padre, Nathaniel andò a
controllare l’operato
di Jamie al ristorante. Quando entrò, vide che
c’erano molti clienti e che
pranzavano tranquillamente. I camerieri stavano facevano il loro
lavoro,
prendendo gli ordini e tutto sembrò essere nella norma.
Subito dopo, entrò
nelle cucine, parlando con uno dei cuochi.
“Ehi,
Ramon, va tutto bene qui?”
Quello
si voltò, mentre agitava una padella sul fuoco alto:
“Todo bien, Nathaniel. Su
padre está aquí?”
“Ehm,
no no… - si guardò attorno, vedendo che era tutto
a posto - Ci sono solo io,
sono venuto a controllare come stavano andando le cose….
– ovviamente notò
tutti i dipendenti, tranne uno – Jamie
dov’è?”
“Sul
retro, ha ricevuto una chiamata!”
“Ok,
Ramon, grazie. Buon lavoro!” si congedò, ricevendo
un sorriso da parte dell’uomo,
che tornò a concentrarsi su ciò che stava facendo.
Nathaniel,
poi, si diresse fuori, a cercare Jamie. Lo vide in lontananza,
impegnato in una
conversazione abbastanza animata.
“Ti
ho detto di darmi altre due
settimane, va bene? Ancora non li ho tutti, dammi solo altre due
settimane,
ok?”
Quando
si accorse della presenza del ragazzo alle sue spalle, si ricompose,
chiudendo
in fretta la chiamata.
“Ti
richiamo, ok? – si grattò il
capo, nervoso – Ci sentiamo!”
Rimesso
il telefono in tasca, corse verso Nathaniel, che l’aveva
fissato serio per
tutto il tempo. Si vestì di un sorriso imbarazzato,
arrivando accanto a lui con
il fiatone.
“Ehi,
tutto bene? Che ci fai qui?”
“Controllo!”
esclamò, cinico.
“Ti
ha mandato tuo padre?”
“A
quanto pare, si… - mentì, guardandolo storto -
Sai, mio padre ci tiene a questa
attività, perciò…”
“Beh,
come puoi vedere va tutto bene… - sorrise ancora, ignorando
l’ostilità che
percepiva – E per quanto riguarda quello che hai appena
sentito, beh…Mia
sorella! – sollevò le sopracciglia, marcando il
classico rapporto conflittuale
tra fratelli – Colleziona monete antiche e le ho detto che da
queste parti ci
sono molti mercatini delle pulci. Da quando le ho mandato le prime due
monete,
si è fissata con il fatto che ce ne sono tipo altre nove per
completare la
collezione e ora mi ritrovo a girare anche per i negozi di
antiquariato!”
Nathaniel
annuì, sempre in maniera cinica e disinteressata:
“Interessante… - il silenzio
che si creò lo costrinse a congedarsi – Beh, direi
che la mia supervisione è
finita!”
Quello
rimase impalato, annuendo con quel costante sorrisino da ebete che
aveva
mantenuto per tutta la conversazione, come se nascondesse del
nervosismo.
Nathaniel
si voltò per andarsene, quando il suo sguardo si
posò sulla spazzatura di
fianco, che strabordava di qualche bottiglia di Vodka.
Immediatamente
si rivoltò verso Jamie: “E tutte quelle
bottiglie?”
Jamie
rispose prontamente: “Ehm, ci sono ricette che richiedono un
goccio di Vodka!”
“Un
goccio? – si lasciò sfuggire una piccola risata
nel dirlo – Sono quattro
bottiglie, è una ricetta per alcolizzati per caso?”
“Devono
essersi accumulate in cucina con il tempo. Da quando lavoro qui ho
trovato
parecchie cose che andavano buttate.”
“Mmmmh,
– verseggiò, poco convinto –
ok!” si girò nuovamente verso la spazzatura, poco
prima di andarsene per davvero, turbato dalla visione di quelle
bottiglie;
tant’è che gli tornò a galla un vecchio
ricordo.
Flashback
Nathaniel
e Anthony
erano davanti al bagagliaio dell’auto, parcheggiata davanti
alla casa di
quest’ultimo. Dentro c’erano delle casse di
alcolici vari e birre. I due le
stavano spostando a terra.
“Non
hai preso un pò
troppa roba?” pensò Nathaniel, fermandosi, mentre
l’altro continuava, gasato.
“Hai
idea di quante
persone ho invitato al party di stasera? Probabilmente questi alcolici
non
bastano; ai giocatori della squadra di football servirà
molto più che qualche
bottiglia di vodka per portarsi a letto le ragazze
dell’ultimo anno!”
Nathaniel
sembrò molto
a disagio: “Non so se riesco a venire,
Anthony…”
Quello
si bloccò
immediatamente, non molto contento della notizia: “Come?
Perché?”
L’altro
rimase in
silenzio ed Anthony comprese subito.
“Ah,
dimenticavo, è
vero…E’ per quella cosa di tuo padre che mi hai
raccontato?”
Nathaniel
abbassò lo
sguardo: “Ehm…Anthony, per me è ancora
un problema vedere gente che si ubriaca,
perdendo completamente la ragione. Quando mio padre beveva, non si
rendeva
conto di nulla e perdeva altissime somme di denaro alle slot machine
per poi
dimenticarlo il giorno dopo, perciò…Mi dispiace,
ma quando gira troppo alcol ad
una festa preferirei non trovarmi davanti a persone che possano
ricordarmi
com’era ridotto!”
“No,
Nat! – la prese
male – Tu devi esserci, questo è il primo party
che do a casa mia e io vi
voglio tutti con me. E poi tuo padre è stato in quel centro,
hai detto. La cosa
è finita, no?”
“Sì,
adesso si, ma…”
titubò.
“Ma:
un bel niente,
Nat! Saremo le star della serata!” gli sorrise.
“Beh,
forse… - alla
fine si arrese, sforzando un sorriso – D’accordo,
ci vengo!”
Anthony
riprese a tirar
fuori altre casse, contento: “…Forse stasera si
unisce al nostro gruppetto un
altro ragazzo!”
“Chi?”
domandò,
aiutandolo.
“Sam
Havery… - rivelò,
mentre, ora, portavano le casse verso casa - Cerca di non farti docce
troppo
lunghe negli spogliatoi, qualche giorno fa l’ho beccato a
guardarti.”
“A-a
guardarmi? –
balbettò, sorpreso – In che senso?”
“Nel
senso che è gay e
tu eri nudo, ma teniamocelo per noi questo suo piccolo segreto. Credo
che il
suo coming out sia ancora molto lontano. Probabilmente non ci
sarà più Obama
alla casa bianca per quel tempo…”
“Non
starai esagerando?
Adesso i ragazzi gay vengono allo scoperto più
facilmente!”
“No,
per niente. I ragazzi
come Sam, sono troppo deboli. Non ha fegato per dire a tutti chi
è in realtà…Io,
però, lo cambierò. Conoscermi, sarà
l’esperienza che stravolgerà per sempre la
sua vita e dopo sarà abbastanza forte da essere chiunque lui
voglia!”
Nathaniel
continuò a
camminare, ancora colpito da quella rivelazione, riflettendo,
leggermente
impressionato dall’immagine che aveva in testa di un ragazzo
che lo spia
segretamente.
“Non
credo che potrei
mai contraccambiare, perciò cerca di non mettere strane idee
in testa a quel
Sam. – rise al pensiero - Io non bacerò mai un
altro ragazzo!”
“Se
mai lo farai, mi
sentirai mentre mi rivolto nella tomba!” concluse, mentre
entravano in casa.
*
Dopo
la pausa pranzo, Sam stava uscendo dalla mensa, ancora scosso per
quanto
accaduto nella panic room. Più avanti, nel corridoio,
intravide Chloe e subito
le corse dietro. Quando la raggiunse, la prese per un braccio,
facendola
voltare.
“Ehi,
Chloe!”
Quella,
non molto entusiasta di vederlo, stringeva dei libri al petto:
“Ehi…”
Sam
buttò leggermente indietro la testa, incredulo, nel sentire
quel suo tono
scialbo: “…Non ci vediamo da un bel pò,
pensavo mi saresti saltata addosso.”
“Perché
avrei dovuto?” rispose seria, leggermente arrabbiata.
“Ehm,
perché siamo migliori amici?”
“Ed
eravamo migliori amici quando mi hai lasciato fuori casa tua a suonare
il
campanello finchè non mi si è consumato il
pollice?”
Sam
fu messo all’angolo: “I-io…Chloe,
io…”
“Mi
spieghi perché non mi hai aperto? – si
sentì offesa - Eri in casa, ho visto la
tua macchina. Quando sono tornata il giorno dopo per dirti che partivo
da mia
madre, tuo padre mi ha detto che sei andato a dormire da un amico e non
ti sei
nemmeno fatto sentire.”
“Le
ultime due settimane sono state un pò difficili per
me…” rivelò, abbassando lo sguardo.
Quella
si fece coinvolgere, notando che c’era qualcosa che non
andava. Improvvisamente,
il suo sguardo cadde sul suo braccio, la manica leggermente alzata, che
mostrava
un grosso cerotto bianco.
“Ehi,
che ti sei fatto?” gli prese il braccio, sollevandolo.
Sam
lo ritirò subito: “Ehm, niente, mi sono
solo…tagliato!”
“Tagliato?
– non capì – Tagliato come?”
“Me
lo sono fatto da solo, ok?” spiegò, non riuscendo
a guardarla negli occhi.
“COSA?
– quasi urlò, sobbalzando –
Perché avresti fatto una cosa del genere?”
“Perché
la scuola è pensante, ok? Da quando siamo tornati, non fanno
che trattarci
male. E questo si ripercuote sul mio stato
d’animo…e sul rapporto che ho con
mio padre!”
L’altra
era a dir poco scioccata: “Oh Dio, non pensavo che stessi
così male… - lo fissò
negli occhi, dimenticando quanto fosse furiosa con lui - V-vuoi che ci
vediamo
più tardi?”
“Ehm,
ho il pomeridiano fino alle cinque e poi mi vedo con uno
psicoterapeuta. E,
subito dopo, mi vedo con Rider, Nat ed Eric…
“Ah…
- si irrigidì, sentendosi messa al secondo posto –
Beh, il mio numero ce l’hai,
ora devo andare ad una riunione per discutere dei preparativi per
l’Homecoming!”
Sam
si focalizzò su quello, cercando di cambiare discorso:
“Bello! E con chi ci
andrai al ballo degli ex studenti?”
“Con
Cameron! - esclamò, mostrandosi eccitata, per poi notare il
cambio di
espressione dell’amico – Già, lo so, non
ci credo nemmeno io!”
“Chloe,
perché proprio con lui?” si mostrò
contrario, anziché sopreso e felice.
Lei
continuò a sorridere, ignorando la sua reazione esagerata:
“Ci siamo visti ad
alcune riunioni e… Beh, io gliel’ho chiesto e lui
ha accettato!”
Sam,
allora, fu diretto: “Io credo che Cameron non sia la persona
giusta per te,
devi andarci con qualcun altro!”
“Come?
– non credette alle sue orecchie, il sorriso scomparve
– Io ti sto dicendo che
Cameron, il ragazzo più fico della scuola, ha accettato di
venire al ballo con
me e tu mi chiedi di cercarmi un’altra persona?”
“Ti
sto solo evitando l’ennesima delusione, Chloe. –
insistette – Quella in cui ti
fissi per un ragazzo e poi finisci a piangere sulla mia spalla
perché non è
andata come avevi immaginato nella tua testa.”
“Non
è più come prima, Sam. –
ribattè, cinica - Qualcosa è cambiato in questa
scuola, tutti sono cambiati. Anch’io sono cambiata...
– lo squadrò da capo a
piedi, delusa – Ma vedo che tu e i tuoi amici siete rimasti
abbastanza indietro
rispetto a tutti noi. L’era di Anthony è finita
ormai!”
“E’
gay, Chloe!” esclamò a bruciapelo.
Quella
lo fissò a lungo, prima di lasciarsi scappare una risata
isterica: “Questo è il
colmo, Sam. – disse indietreggiando – Inizio a
pensare che tu abbia davvero
bisogno di questo psicologo!” e se ne andò
indignata.
Sam
rimase al centro del corridoio, da solo, soffrendo per quelle parole e
di non essere
stato creduto. Improvvisamente, alle sue spalle, sentì una
voce che lo
chiamava.
“Sam!”
Si
voltò: Era Nathaniel; che quando si avvicinò a
lui e lo vide con gli occhi
lucidi, lo abbracciò immediatamente. Forte.
Sam
ne rimase talmente sorpreso che sgranò gli occhi e le
braccia rimasero tese.
“Ho
incontrato Rider in cortile, mi ha detto tutto. Era sotto shock e
immagino
anche tu!”
“Ehm,
sto bene… – Sam si staccò, le lacrime
che gli scendavano lungo il viso –
Credimi, quello che è successo nella panic room è
l’ultima cosa a cui sto
pensando, oltre al fatto che è stato un enorme buco
nell’acqua… - poi si decise
a spiegare per cosa era realmente angosciato - Ho appena perso la mia
migliore
amica, credo.”
“Di
che stai parlando?”
“Io-io
non credo di farcela più, Nat. – si
sfogò, piangendo - Ogni giorno che passa,
mi sento sempre più fuori posto in questa scuola e con le
persone con cui un
tempo avevo un rapporto stupendo. Poi c’è A
che non fa altro che tentare di ucciderci nelle stazioni
ferroviarie, nelle
fogne, dentro stanze del panico, ovunque!”
“Se
ci volesse davvero morti, non saremmo qui a parlarne.”
“E
se si stesse stancando di noi? – andò nel panico
al solo pensiero, gli occhi
lucidi per il trauma - Credimi, Nat, sono rimasto conoscente sul filo
del
rasoio!”
“C’era
quella botola, giusto? – lo prese per le spalle, cercando di
tranquillizzarlo -
E Rider ha detto che Brakner poteva controllare quel condotto
d’aerazione da
remoto; l’avrebbe senz’altro riacceso ad un certo
punto.”
Sam
ormai era poco fiducioso, troppo provato, mentre si asciugava le
lacrime: “Vorrei
tanto crederci…”
L’altro
assunse un volto serio e preoccupante: “Ti basterebbe sapere
cosa ha fatto a me
per capire quanto in realtà ci voglia vivi e
vegeti!”
Quel
tono non lasciò indifferente Sam:
“Perché? Che è successo? –
poi ricordò,
angosciato dai pensieri che gli stavano passando per la mente
– A proposito,
Rider mi ha detto che sei stato in ospedale. Riguarda quello?”
Nathaniel
si guardò intorno prima di parlare e quando si
accertò che non c’era proprio
nessuno, tornò a fissarlo, cercando di trovare le parole:
“Se esistesse una
classifica dei peggiori colpi bassi di A,
sarei nettamente in testa!”
“Che
ti ha fatto? – domandò, impaziente di sapere -
Qualcosa al cuore?”
“Ehm…
- abbassò lo sguardo, torturandosi le dita –
Lui ha… Lui mi ha… - bisbigliò, la
voce che
tremava - fatto assumere degli ormoni per il cambio di sesso!”
Sam
tenne la bocca aperta per qualche secondo, confuso, prima di dire
qualcosa:
“O-ormoni? – si fece scappare una piccola risata
per l’assurdo, lasciandosi
pervadere da una furia cieca – Ma da dove prende spunto per
queste cose? E’
davvero questo il prezzo da pagare?”
“Non
lo so, ma se per i prossimi cinque mesi non smetterò di
assumere questa
terapia, sarò costretto a diventare un fenomeno da
baraccone!” esclamò
nervosamente.
“Di
che stai parlando?”
“Tyler
ha detto che c’è un limite di sei mesi, oltre il
quale il processo non sarà più
reversibile.”
“Allora
smetti di prendere la pillola. Sono pillole, giusto? Le avrà
messe al posto di
quelle che prendi per il cuore, no?” pensò.
“Non
credo, conosco le mie pillole e non sono affatto uguali a quelle. Le ho
viste
su google!”
Sam
non sapeva cosa dirgli per aiutarlo: “E
allora…Beh, allora…”
“Allora
niente, Sam. – affrontò la realtà
– Dovrò stare attento a quello che mangio e
bevo, iniziando ad evitare il frigorifero di casa, tanto per
cominciare. Non so
in che modo riesce a farmele ingerire.”
“Sì,
forse è una buona idea, alla fine A
non
può sapere che l’hai scoperto. Inoltre era qui a
scuola, mentre tu eri in
ospedale, quindi…”
“Dovrò
mangiare direttamente al supermercato, non ho altra
scelta…” ribattè ancora,
stanco e amareggiato.
Sam
provò compassione per lui: “Mi dispiace
così tanto, Nat…Come ti sei dovuto
giustificare con tuo cugino?”
Sospirò:
“Grazie a dio sono uno sportivo, esistono delle pillole a
base di estrogeni che
si prendono per aumentare la massa muscolare. Mi sono giustificato
così e sia
lui che mia zia ci hanno creduto.”
“A
Rider l’hai detto?”
“No,
c’era anche Julie e me ne sono un pò
vergognato.”
“No,
ti prego, anche tu? – si mostrò seccato
– C’è già Rider che non fa
altro che
escluderla, nonostante sia l’unica che ci abbia aiutato
fin’ora!”
“Non
la volevo escludere, è solo che preferisco non parlare delle
mie future tette
ad un’estranea!”
“Non
è più un’estranea se sa di A!”
“Ma
non sa tutto quello che c’è da sapere e ha ragione
Rider quando dice che
dobbiamo tenere il becco chiuso; cosa che noi non abbiamo fatto con
Jasper.”
“Ascolta,
dico solo che dobbiamo tenerci strette le uniche carte buone che
abbbiamo, ok?
Se non era per Julie, adesso useremmo i gesti per comunicare.”
Nathaniel
si rese conto che aveva ragione, non ribattendo.
I
due presero a camminare, cambiando argomento.
“Pensavo
non saresti venuto a scuola, oggi.”
“Scherzi?
Abbiamo 188 ore di attività pomeridiane da portare a zero.
Non mancherò un
fottuto giorno! Per Gennaio voglio essere già libero;
così potrò concentrarmi
per le gare invernali.”
“Di
Eric sai qualcosa?”
“Era
già andato via quando ho lasciato lo studio di Tyler. Ha
lasciato un messaggio
a Rider, è andato a riposarsi a casa sua.”
Sam
lo trovò comprensibile: “Beh, dopo due giorni
passati a non dormire…”
“Comunque
non so se Rider te l’ha detto, ma Alexis è stata
investita da Brakner.”
L’altro
si fermò bruscamente, sgranando gli occhi, tenendolo per un
braccio: “COSA?”
“Ah,
allora non lo sapevi per niente…”
“Beh,
Rider o mi dice le cose in ritardo o si dimentica di
dirmele!” esclamò con un
tono irritato nei suoi confronti.
Nathaniel
continuò, mentre prendevano a camminare nuovamente, diretti
agli armadietti:
“Ha ricevuto un messaggio di Brakner proprio questa mattina,
dove, con una
minaccia velata, lo invitava a prendere il posto di Alexis al
Brew.”
“Tutto
questo è assurdo… - riflettè a lungo,
mentre Nathaniel prendeva alcuni libri
dal suo armadietto – E ora che ci penso… - si
appoggiò a quello di fianco,
isterico - ho così tanto di quel materiale per la seduta con
lo psicologo, che
potrei guadagnarmi un posto sulla parete come paziente del mese o
dell’anno o
per sempre; figurati se c’è qualcuno messo peggio
di me!”
L’altro
richiuse lo sportello: “A che ora ci vai?”
“Fra
due ore! – sbuffò, lasciando cadere la sua testa
all’indietro – E in più, non
potrò nemmeno finire su quella stupida parete
perché di tutto il materiale che
ho, non ne posso fare parola. In pratica dovrò inventarmi
dei nuovi problemi
esistenziali poco interessanti!”
“Essere
gay non è poco interessante!”
Sam
gli lanciò una lunga occhiata angosciata:
“…Proprio ora che non ho nessun
problema a manifestare la mia sessualità. Ho fatto coming
out sia con la scuola
che con mio padre. Mi sono sentito bene, devo ammetterlo.”
“Persino
io ho fatto coming out!”
“Il
tuo non è un vero coming out!”
puntualizzò.
Ripresero
a camminare, mentre Nathaniel accennava finalmente un sorriso.
“Devo
dire che non è stato male fare coming out per finta. Mi sono
sentito bene
anch’io!”
Sam
non replicò, fissandolo stranito per quella affermazione
così assurda.
*
Più
tardi, l’appuntamento con lo psicologo era arrivato e Sam non
poteva non
presentarsi questa volta. Era al telefono con Rider, mentre saliva le
scale.
“Sei
già uscito da scuola?”
“No,
mancano ancora dieci minuti alla fine del supplizio e ho deciso che li
trascorrerò
con te, chiuso nel bagno dei maschi!”
“Non
ho dieci minuti, Rider. Lo studio è al quinto piano, io sono
già al secondo e
godo di una buona salute: saranno si e no due minuti scarsi!”
“Allora
parlami invece di perdere tempo!” urlò, isterico.
“Calmati,
Mr. Nygma!” fece una smorfia, mentre continuava a salire
lentamente.
“Beh,
mi ci sento! In classe ho dovuto alternare una faccina sorridente ad
una
completamente disinteressata, ogni volta che la professoressa mi
guardava e poi
si girava!”
“Ascolta,
ora smetto di perdere tempo perché sono quasi arrivato per
davvero. Quando ci
riuniremo più tardi, Nat dovrà dirvi una cosa, ma
ho paura della vostra
reazione e non voglio che si demoralizzi più di quanto non
lo è già, perciò te
lo dico…A li sta
somministrando
degli ormoni per il cambio di sesso.”
“COOOSA???”
non credette alle sue orecchie.
“Ecco,
era di questo che parlavo. Non ripetere questa tua reazione quando ve
lo dirà
Nat più tardi.”
“Ehi,
aspetta aspetta! – ora era curioso – Allora non me
l’ero immaginato, vedevo
davvero qualcosa di diverso in lui ed era questo!”
“Forse
hai l’occhio assoluto o roba simile. Sta di fatto che ora mi
sorge un dubbio!”
“Quale?”
rispose rapidamente, interessato a saperne di più.
“E’
possibile che…Cioè, io non sono un medico,
ma…questi ormoni che praticamente
sta assumendo da almeno un mese, potrebbero averli tipo
confuso…la sessualità?”
“Ehm…
- si prese un attimo, riflettendo sulla natura della domanda
– Per caso mi stai
chiedendo se Nat potrebbe essere diventato gay grazie a questa terapia?
Mi
sembra un discordo un pò malato, non lo starai mica
sperando?”
“NO!
– lo negò, disgustato – Ovvio che non lo
sto sperando! Essere malati è più una
caratteristica di A! - espose poi
le
sue perplessità – Dico solo che Nathaniel non
è più lo stesso di prima.”
“Che
ha di diverso, oltre al fatto che dovrà prenotare un
pap-test annuale?”
Sam
ignorò la sua battutina, continuando: “Quando
Morgan Patterson gli tirò un
pugno e io cercai di alleviare il suo dolore premendo un impacco di
ghiaccio
sulla sua faccia, quasi mi bruciò vivo con lo sguardo per
averci provato. Ora
mi prende la mano in pubblico di sua iniziativa, dice frasi
strane…”
“E
queste sarebbero le tue prove? Nathaniel è stato costretto
da A a darti la mano in pubblico,
non l’ha
fatto di sua spontanea volontà!”
L’altro
tacque, ma sentiva di avere ragione, così spuntò
il rospo su qualcosa di più
significativo: “Mi ha baciato e non era sotto ordine di A!”
“COOOSA???
– urlò incredulo – Quando?
Dove?”
“Ehm…
- se ne pentì quasi subito – E’ stato,
ehm…Quando tu ed Eric eravate nelle
fogne, ecco quando è stato!”
“Ok,
ma dove?”
L’altro
deglutì, non potendo rivelare che è successo
davanti al penitenziario di
Philadelphia: “C-che importa dove? – rispose
isterico – Conta che lui mi ha
baciato perché ero vulnerabile dopo che A
mi aveva incollato la bocca e in più voleva
darmelo per ripagarmi del fatto
che gli avevo salvato la vita al lago.”
“Ok,
so che quelle pillole sono fatte di estrogeni. Potrebbe essere solo
infatuazione, non è gay!”
Sam,
ormai, era arrivato al quinto piano: “Senti, sono davanti
alla porta dello
psicologo. Poi ne riparliamo!”
“No,
ehi, aspetta! Non puoi sganciarmi la bomba e poi lasciarmi
così, Sam. Voglio i
dettagli!”
“Ora
non posso, ho un’ora di strizzacervelli. Ciao!” e
chiuse, lasciando Rider con
un palmo di naso.
Dopo
aver preso un grosso respiro, poi, si decise finalmente a suonare il
campanello. La porta si aprì, emettendo il suono di una
scossa ed entrò.
La
sala d’attesa era vuota e Sam girò su se stesso al
centro della stanza, per poi
puntare un’altra porta, che si aprì
all’improvviso. Ne uscì un anziano signore,
alla quale Sam sorrise per educazione. La porta rimase aperta e
così decise di
affacciarsi.
“Posso?”
Un
giovane ragazzo gli venne in contro, già pronto ad
accoglierlo: “Certo, tu devi
essere Sam Havery!” e chiuse la porta, mentre
l’altro avanzava verso la
poltrona con lo sguardo fisso su di lui.
“Ehm,
sì, sono io!” esclamò abbastanza
imbambolato, mentre l’uomo tornava verso di
lui, tendendogli la sua mano.
“Molto
piacere, Sam. Io mi chiamo Wesam Grimes!”
Sam
strinse la sua mano, molto a lungo. Si era completamente perso nei suoi
occhi
verdi, trovandolo assai attraente e giovane.
Quello
gli sorrise: “Ok, adesso, però, me la devi
restituire…”
“Cosa?”
gli domandò, abbastanza distratto.
“La
mano, intendo.”
Sam
spostò lo sguardo sulle loro mani ancora strette e la
riprese immediatamente,
mortificato: “Ouh, certo, scusi!”
Wesam
rise, avvicinandosi alla sua postazione: “Oh, ti prego, puoi
anche non usare un
linguaggio formale. Non sono così vecchio, come puoi vedere.
– si sedette, così
come fece Sam – Fingi che sia un tuo amico più
grande o un fratello maggiore!”
Ovviamente,
Sam, era leggermente in imbarazzo: “Ehm, sta praticamente per
entrare nella mia
testa, quindi mi viene un pò difficile…”
Wesam
accavallò le gambe, girando una piccola clessidra di vetro
che segnava il
tempo, poggiata sopra un piccolo e rotondo tavolino di legno che aveva
accanto.
Poi, sempre da lì sopra, prese una sorta di agenda,
iniziando a scrivere.
Sam
deglutì, sentendosi subito a disagio nell’aver
seguito tutte le sue mosse: “Non
ho detto ancora niente. – cercò di sbirciare
– C-che sta scrivendo?”
L’altro
sollevò lo sguardo, accennando un calmo sorriso:
“Niente, ho scritto solo il
tuo nome.”
“Ah…
- si sentì stupido, mettendosi più comodo sulla
poltrona, ma sempre teso – Ok, ho
capito!”
L’uomo
intuì immediatamente di doverlo tranquillizzare:
“Ascolta, Sam, devi stare più
rilassato, ok? – la sua voce divenne quasi un sussurro, tenue
e rassicurante -
Sei qui solo per parlare con me. Non c’è nulla di
cui devi avere paura o
timore. In questo momento ti trovi in una stanza completamente isolata
da ciò
che c’è fuori e sei davanti ad un persona neutra,
incapace di giudicarti o
guardarti in un certo modo se racconti i tuoi segreti più
profondi…Sono qui
solo per ascoltarti e aiutarti. Tutto qui.”
Sam
fu talmente rapito da quelle parole, che si rilassò per
davvero e gli occhi
iniziarono a lacrimare, mentre lo fissava.
“Ora
perché sembra che tu stia per piangere, Sam?”
“La
sua voce è talmente convincente, che… - sorrise
in maniera malincolica, per poi
guardarlo finalmente negli occhi – sento davvero di aver
lasciato la paura
fuori da quella porta.”
Wesam
lo fissò attentamente, rivolgendosi ancora a lui con quel
tono pacato: “E cosa
c’è fuori da quella porta? Di cosa è
fatta questa paura? Descrivimela!”
“…Come
tutti sanno, film horror sono fatti per provare un brivido di paura.
– cercò di
dare una sua interpretazione, distogliendo lo sguardo nuovamente
– Poi ad un
certo punto il film finisce, spegni la televisione e la paura svanisce.
Ma
questo con me è diverso…Non ho mai smesso di
avere paura; come se il film
andasse avanti all’infinito, senza che io riesca a smettere
di guardarlo.”
“Quindi
la tua è una paura diversa? Qualcosa che difficilmente gli
altri possono
trovarsi ad affrontare? Qualcosa di nuovo?”
Sam
alzò lo sguardo, come se venisse capito in qualche modo:
“Io credo di sì…”
“Beh,
allora… - depennò qualcosa dall’agenda,
facendo rumore con la penna – posso
scartare l’omosessualità! – lo
fissò negli occhi, poi, mentre l’altro sgranava
leggermente gli occhi – L’omosessualità
non è una cosa nuova, Sam. Non è una
cosa che gli altri non possono trovarsi ad affrontare. Non sei
l’unico ragazzo
gay al mondo, perciò di quale paura si tratta la
tua?”
Quello
deglutì, tornando a disagio e con un tono nervosamente
pretenzioso: “Scusi, ma
che ne sa lei della mia sessualità?”
“Beh,
non sono così bravo. Ovviamente è stato tuo padre
a parlarmene. Dicendomi che
era questo il problema che gli hai rifilato e che ti ha costretto a
farti quel
taglio la giù!” indicò con lo sguardo,
il suo polso scoperto.
Sam
si abbassò immediatamente la manica, muovendosi sulla
poltrona come se fosse
pizzicato dagli insetti. Nonostante sembrasse così
trasparente, però, cercò
comunque di nascondere l’evidenza.
“Avevo
un amico, si chiamava Anthony. Giudicava chiunque li passasse accanto e
aveva
un nomignolo per ognuno. Nonostate fosse mio amico, era perfido fino al
midollo
e la paura di essere chi sono in realtà è nata
grazie a lui. Ed è rimasta anche
dopo la sua morte…La gente che prendeva di mira, non vede
l’ora di ricambiare
con la stessa moneta aspettando il mio primo segno di cedimento. Questo
è il
liceo, signor Grimes: E’ la paura di essere giudicati. La
stessa che portavo a
casa, continuando la recita con mio padre.”
Wesam
annuì, sorridendo: “…Balle! E lo
sappiamo entrambi, Sam. Non è questa la tua
paura, o non avrei trovato una foto di te che ti tieni per mano con un
altro
ragazzo, condivisa sulla pagina della tua scuola, gestita da
studenti.”
“Ma
come si permette di violare la mia privacy? – assunse
un’espressione furiosa – Sarebbe
questo il suo aiuto?”
“Prima
di tutto, io non ho violato nulla: E’ una pagina aperta a
chiunque. Secondo, i
pazienti tendono a raccontare bugie e io ho il mio metodo per non farmi
imbrogliare da loro. Una volta che so chi è il mio paziente,
faccio molte
ricerche e dopo verifico se il titolo del libro corrisponde al
contenuto. – lo
fissò con aria di sfida – E in questo caso, il
contenuto non corrisponde
minimamente al titolo, non credi?”
“Mi
sta giudicando come un bugiardo, quando lei ha detto che qui dentro non
giudica
nessuno? Nemmeno lei mi sembra sincero!”
“E
io ti ho chiesto di non avere paura né timore. Di
descrivermi la tua paura. Non
l’hai fatto e quindi le regole di questa stanza sono
crollate.” ribattè,
restando irritabilmente composto.
Sam
prese la sua tracolla dal pavimento, che aveva buttato davanti alla
gamba della
poltrona, e si alzò, esasperato, arrogante:
“Allora me ne vado, prima che
qualche maceria mi cada in testa. E non si disturbi a chiamare mio
padre, gli
dirò che sto bene, che una seduta mi è bastata e
lui mi crederà.”
“Suppongo
di sì, suo padre la asseconda molto essendo
l’unico genitore presente.”
aggiunse cinico.
Sam
non ne potè più, quasi ringhiò, ma non
aggiunse nulla, placando la sua rabbia e
dirigendosi verso la porta. Wesam pensò di fermarlo.
“Un’ultima
cosa, Sam. Prima che tu te ne vada.”
Quello
si voltò, proprio mentre stava girando il pomello della
porta.
“Sono
gay anch’io!”
L’altro
restò un attimo perplesso: “O-ok, c-che cosa
c’entra questo adesso?”
Con
molta indifferenza, scosse la testa: “Niente! –
rise – Solo un motivo che ti
costringerà a tornare qui, perchè, forse, ti
piaccio un pò a giudicare dalla
tua reazione iniziale.”
“Ho
diciassette anni, ok? – gli rispose per i toni –
Potrei farti arrestare, razza
di pervertito!”
“Ok,
ci vediamo alla prossima seduta… - controllò
l’agenda con noncuranza, quasi
beffardo – che è Martedì, sempre alla
stessa ora. E non dimenticare un bel
piatto di verità!”
Sam
rimase di stucco di fronte alla sua faccia tosta e se ne
andò sbattendo la
porta. Wesam sogghignò, rimasto da solo, convinto che
sarebbe tornato di
sicuro.
*
Era
calata la sera a Rosewood ed erano ormai diverse ore che Eric dormiva
sul
divano, esausto dai due giorni passati in ospedale. La stanza in cui si
trovava
era illuminata dalle luci che provenivano da fuori. Il suo braccio
pendeva a
terra, così come la gamba, mentre russava lievemente.
Improvvisamente, si
svegliò, iniziando a sollevarsi lentamente, sfociando in un
enorme sbadiglio.
Dopo di che controllò il telefono e si scrollò
per svegliarsi meglio. Quando
buttò gli occhi sulla porta d’ingresso,
notò che era socchiusa e si irrigidì,
guardandosi attorno.
“Mamma?
Sei tornata?” chiese.
Nessuno
rispose, così si avvicinò a piccoli passi verso
la porta, vigile. Subito la
aprì e guardò fuori, nessuno sul pianerottolo e
nemmeno per le scale. Stranito,
richiuse, restando impalato per qualche secondo davanti alla porta.
*
Intanto,
Rider, a casa sua, era davanti al computer a studiare. Con la matita in
bocca e
tanti libri aperti sulla scrivania, in un batter d’occhio
smise di pensare alle
questioni politiche Francesi del cinquecento e iniziò a
spulciare dentro
qualche sua vecchia cartella. Precisamente, di un saggio che aveva
fatto
durante il secondo anno: Quello sugli edifici storici di Rosewood; di
cui aveva
parlato a Julie poco prima di entrare nella panic room.
Lesse
rapidamente parte del testo, prima di arrivare alle immagini. Si
trattava di
una cianografia della scuola e di tutti i suoi piani. Compreso il
seminterrato.
Quando
si focalizzò proprio su quest’ultima,
notò qualcosa che non lo lasciò per nulla
indifferente.
“Oh
mio Dio!” esclamò, prima di alzarsi ed iniziare a
stampare le cianografie.
Subito dopo, mentre i fogli uscivano dalla stampante, prese il telefono
per
contattare i suoi amici.
*
Sam
era tornato a scuola, nel frattempo, facendo un salto in palestra, dove
c’era
Nathaniel che terminava la giornata con qualche vasca.
“Sapevo
che eri ancora qui!” esordì, avanzando.
Nathaniel
si fermò, notandolo: “E dove altro potrei essere?
Ora più che mai devo tenere
sottocontrollo il mio fisico!”
“E
io devo trovare una macchina del tempo!” esclamò
seccato, sedendosi a gambe
incrociate sul bordo della piscina, gettando la tracolla accanto a
sé.
“Per
lo psicologo?” domandò, nuotando verso di lui.
“Vorrei
non essermi tagliato il polso… - scosse la testa, pentito -
Ora sono costretto
ad andare da uno psicologo e questo psicologo è un vero
stronzo!”
Nathaniel
iniziò a fare delle bracciate al contrario, prendendola con
filosofia: “E’ solo
qualche seduta a settimana di sessanta minuti con un vecchietto, ce la
puoi
fare!”
“Ehm,
non è proprio un vecchietto!” precisò,
dopo una una lunga suspence.
“E’
una lei?”
“E’
un lui molto giovane e attrante, non avrà avuto nemmeno
trent’anni.” spiegò.
L’altro
si fermò di colpo in mezzo all’acqua, un
espressione stupita e molto seria:
“Giovane?”
“Mi
ha fatto arrabbiare, è così cinico e sicuro di
sè. – raccontò, gesticolando in
maniera isterica - Sa che mento ogni volta che apro bocca e sa parlare
così
bene che ti viene voglia di urlare… - si calmò
dopo un grosso sospiro - Poco
prima di uscire, ho detto che non sarei mai più tornato e
lui mi ha detto di
essere gay e che per questo sarei ritornato.”
Nathaniel
sembrò quasi turbato, mentre agitava le braccia in acqua
più lentamente: “E tu
ci tornerai?”
“Non
ho altra scelta, Nat!” rispose, non badando alle sue reazioni.
“Aspetta,
davvero ci torni? – ebbe da ridire – E’
praticamente un invito sessuale quello
che ti ha fatto, è da malati!”
“E’
solo un gioco psicologico, ok? – minimizzò,
più calmo – E poi quando è iniziata
la seduta, devo ammettere di essermi sentito bene. Credo che sappia
quello che
fa.”
Nathaniel
reagì sempre più acido: “Caspita, sei
entrato qui che praticamente eri
disgustato e ora hai cambiato idea?”
Ora,
però, Sam, fece caso allo strano comportamento
dell’amico, rispondendogli per
le rime: “Mi stai parlando con questo tono per via degli
ormoni? E’ una sorta
di effetto collaterale?”
Nathaniel
rimase a fissarlo, senza riuscire a replicare. Sam subito si
pentì di ciò che
aveva detto: “Ehm, Nat, scusa, non volevo dire quello che ho
detto.”
L’altro
scose la testa, fingendo di stare bene: “Senti fai come ti
pare, Sam. Solo: non
lamentarti con me del tuo sexy psicologo stronzo!” e riprese
a nuotare.
Sam
mise subito il broncio, rendendosi conto di aver esagerato, guardandolo
nuotare
in silenzio.
Improvvisamente,
qualcuno entrò in palestra e attirò subito lo
sguardo di Sam. Poi quello di
Nathaniel, quando riemerse a bordo piscina. Si trattava di Morgan
Patterson,
che, con il borsone in mano, si stava dirigendo negli spogliatoi.
Mentre
passava, non fu per niente intimorito da loro, reggendo lo stesso
sguardo
fulmineo che avevano. Il suo, però, sembrava pieno
d’odio.
Quando
entrò negli spogliatoi, i due ragazzi stavano ancora
guardando verso quella
direzione. Nathaniel si avvicinò lungo il bordo in cui si
trovava Sam con un
atteggiamento diverso. Più pacato.
“Puoi
andare a prendere le mie cose? Credo che questa cosa degli sbalzi
d’umore non
sia del tutto una balla e se entrò lì dentro va a
finire che gli metto le mani
addosso. Ancora non ho digerito il pugno che mi ha dato il giorno in
cui siamo
stati sospesi.”
L’altro
rabbrividì, ripensando al suo passaggio: “Hai
visto come ci ha guardati? Sembra
che nemmeno lui abbia ancora digerito noi e quello stupido video; come
tutti
del resto… - accentuò meglio il concetto, mentre
si rialzava – Il Nord non
dimentica!”
“…Eh??”
Sam
roteò gli occhi, indignato dalla sua ignoranza sui telefilm:
“Game of thrones,
Nat!”
“Si
si, ok… – starnazzò con le braccia,
scocciato - Ora gioca a riprendere i miei vestiti
dallo spogliatoio, combinazione 4493!”
“Vado,
vado!” mormorò in maniera scialba, avviandosi.
Nathaniel,
intato, uscì dalla piscina, scrollandosi di dosso
l’acqua, per poi attendere.
Nello
spogliatoio, giunto davanti all’armadietto, Sam
inserì la combinazione e aprì
lo sportello. Rapidamente, tirò fuori lo zaino che
c’era dentro e richiuse.
Si
udiva il rumore dell’acqua che colpiva il pavimento,
provenire dalle docce. Sam
sapeva che si trattava di Morgan, che aveva lasciato il suo borsone
alla fine
della panca che c’era lì, proprio accanto a lui.
Buttando
un occhio verso il corridoio che portava alle docce, si
avvicinò al borsone,
spinto dalla curiosità. In un batter d’occhio, la
lampo era aperta e Sam potè
vedere cosa c’era dentro.
Ad
una prima occhiata, fu una felpa nera a spiccare; il disegno di una
tigre
sopra. Con gli occhi sgranati, continuò di tanto in tanto a
dare delle
occhiate, mentre tirava fuori l’indumento con il cappuccio.
D’istinto fotografò
la felpa con il cellulare, pronto a rimetterla a posto subito dopo. Nel
farlo,
però, fece un’altra strana scoperta, che lo
lasciò letteralmente scioccato: una
piccola busta trasparente con dentro molte pillole;
fotografò anche quelle.
Tremando,
rimise tutto a posto, poi scappò dallo spogliatoio a gambe
levate.
Con
passò rapido, andò in contro a Nathaniel, che si
era inspazientito.
“Ehi,
Sam, da quanto tempo! – fu sarcastico - Come stai?”
L’altro,
parecchio sconvolto e bianco come un cencio, ignorò
completamente le sue
battute: “Ehi, ti ricordi che disegno aveva la felpa di A, quando Eric l’ha inseguito
nel seminterrato? – bisbigliò,
guardandosi continuamente indietro – Allora?”
Quello
lo fissò stranito, mentre tirava fuori i vestiti dallo
zaino, che aveva appena
preso dalle sue mani: “Una tigre, credo. Perché,
cosa c’entra?”
Lo
tirò per un braccio, più nervoso, dopo la sua
risposta: “Dobbiamo parlare con
gli altri. ORA!”
Letteralmente
trascinato, quasi li cadevano le cose dalle mani, Nathaniel non ebbe
nemmeno il
tempo di aggiungere altro.
*
Arrivato
in ospedale, Eric guardando il video girato nella panic room, ricevuto
da Rider,
mentre percorreva il corridoio. Impressionato, rimase talmente colpito
da un
inquadratura che quasi andò a sbattere contro un infermiera,
che lo distraette
dallo schermo del telefono.
Senza
nemmeno accorgersene, era già davanti alla stanza di Alexis
e a quel punto fu
lei ad attirare la sua attenzione: era in piedi, appoggiata ad una
donna, che
camminava.
La
ragazza si voltò, accorgendosi subito di lui.
“Eric!”
lo accolse con un grosso sorriso, non più arrabbiata come
l’aveva lasciata
diverse ore prima.
Quello
entrò, spaesato sia dal suo stato che dalla misteriosa donna
con lei.
“Ehi…
- la fissò da capo a piedi, incredulo – Ma sei in
piedi e riesci a camminare!”
“A
quanto pare era una cosa temporanea, me lo sentivo. Questo pomeriggio
già
muovevo tutte le dita di entrambi i piedi!”
Eric
sorrise, ma non con tutta sincerità; si sentì
ancora più in colpa per aver
preso il suo posto al Brew e non aveva la minima idea di come si
sarebbe
giustificato: “Ma è fantastico!”
La
abbracciò, poi. E quando si staccarono, il silenzio fu
tombale.
Alexis,
spostando lo sguardo tra i due, capì che doveva presentarli.
“Oh,
dimenticavo, questa è mia madre!”
“Ah,
tua madre…” le sorrise imbarazzato.
Quella
lo salutò con sufficienza, un sorrisino che sembrava
alquanto forzato:
“Piacere, Nora!”
Eric
badò a quello strano atteggiamento di Nora, che Alexis non
notò, per quasi una
frazione di secondo. Un messaggio lo portò a spostare lo
sguardo sullo schermo
del telefono.
Da
Rider:
“Sono
all’ingresso dell’ospedale, scendi!”
“Ehm,
devo andare un attimo di sotto. Torno subito!”
avvertì la sua ragazza.
“Certo,
vai pure, tanto qui c’è mia madre!”
“Ok…”
disse guardando le due, per poi voltarsi e uscire dalla stanza.
Quando
fu nel corridoio, Nora gli andò dietro.
“Eric,
aspetta!”
L’altro,
sorpreso, si fermò: “Si? Che succede?”
“Perché
hai preso il posto di Alexandra al Brew?” domandò,
seria e poco amichevole.
“Ehm…
- quello fu colto alla sprovvista, entrando nel panico –
I-io… Come l’ha
saputo? Alexis lo sa?”
“No,
non lo sa. Per quanto riguarda me, sono andata ad assicurarmi che il
suo capo
non la cacciasse e ho parlato con un certa Pam, l’altra
ragazza che fa i turni
con mia figlia e mi ha spiegato tutto.”
“Nora,
io l’ho fatto perché stamattina Alexis non
camminava per niente. Ho preso il
suo posto solo per non farglielo perdere e tenerlo per quando si
sarebbe rimessa.”
L’altra
era ancora restia alle sue parole: “Beh, un lavoro ti farebbe
comodo data la
situazione della tua situazione famigliare. In più
è un lavoro sotto casa, non
male!”
Eric
strinse gli occhi, serio: “Sta per caso insinuando che io mi
sia approfittato
dell’incidente che ha avuto Alexis per prendere il suo posto?
Questa è follia!”
“Lei
sembra amarti davvero. E quando Alexandra ama qualcuno, si apre
completamente.
Raccontando anche le parti buie della sua vita.”
“E
infatti mi ha raccontato molte cose, durante i nostri vari
appuntamenti, sulla
vostra famiglia!”
“Bene.
Allora se sai tutto, sai anche che quel lavoro le serve!”
“Ed
per questo che il mio stipendio andrà a lei. Non ho mai
avuto intenzione di
rubarle il lavoro, Nora.” ribattè, sentendosi
offeso dalla donna.
Quella
si stupì, cercando di non darlo a vedere troppo:
“Ah…Beh, il tuo è un bel
gesto. Spero che rimanga tale fino in fondo. – decise di
congedarsi, a quel
punto – Ora torno da lei…”
“Bene!”
esclamò quello, ancora provato dalle accuse ingiuste. Poi se
ne andò anche lui.
*
Nel
parcheggio dell’ospedale, davanti alla macchina di Rider,
Eric era ancora
frustrato da tutta la faccenda di Alexis.
“A mi sta creando problemi con Alexis e
ora anche con sua madre!”
Rider
si guardava attorno, impaziente, dei fogli arrotolati con un elastico
tra le
mani: “Beh, tecnicamente Alexis ancora non sa che hai preso
il suo al posto al
Brew. Tuttavia, potrai giustificarti dicendole che non pensavi che si
sarebbe
ripresa così in fretta e che hai deciso di occupare il suo
posto per non farglielo
perdere. In più i soldi che guadagnerai, andranno a lei, hai
detto.”
“Sì,
le dirò così. Non ho altra scelta! –
sbuffò – Però tra la scuola e il lavoro
al
Brew, non potrò cercarmi un lavoro mio e di conseguenza non
potrò aiutare mia
madre.”
L’altro
gli mise una mano sulla spalla: “Dai, tanto tuo padre torna
alla fine di questa
settimana, no?”
“Si,
per fortuna…” si consolò.
“Ma
quanto ci mettono Sam e Nathaniel ad arrivare?” si
inspazientì.
“Scusa,
ma non puoi dire già a me quello hai scoperto?”
“No,
dobbiamo esserci tutti!” insistè.
Eric,
mettendo un piccolo broncio, cambiò discorso, tirando fuori
il telefono:
“…Comunque ho visto e sentito tutto il materiale
che mi hai inviato e… - gli
mostrò l’inquadratura che l’aveva
colpito di più, indicandogli qualcosa con il
dito – Vedi questo qui sotto? Sotto la scrivania?
E’ il mio zaino! L’ultima
volta che lo usai, uscì di notte per andare a bruciare gli
abiti che Anthony mi
aveva prestato. Sentì di non essere solo, quella notte,
così rimontai subito in
bici e abbandonai lì quello zaino.”
“E
allora?” non capì cosa c’era di
importante per soffermarsi a parlarne.
“Allora,
niente! E’ solo che…Cosa diavolo se ne fa A
del mio zaino? Perché rubarmelo?”
“Forse
lo tiene come trofeo, Eric. Hai visto la panic room, no? Ci sono tante
nostre
foto. Brakner è una persona malata, non
dimenticartelo!”
“Già,
su questo non c’è dubbio. –
rabbrividì - E quella panic room è
così
inquietante!”
“Non
dirlo a me che ci sono entrato e ci sono quasi morto… -
notò, poi, i loro amici
in lontananza – Eccoli che arrivano… Ah, a
proposito, A ha fatto assumere a
Nat una terapia ormonale a sua insaputa. Sam
ci ha detto di non esagerare con la nostra reazione!”
“COSA???
Ormoni?” non credette alle sue orecchie.
Finalmente
quelli giunsero davanti a loro, mentre Eric fissava ancora Rider,
completamente
sotto shock.
“Ehi,
Eric, che hai?” gli domandò Nat, subito.
Quello
si voltò, cercando di rilassare il viso: “Ehm,
niente, è solo che Rider mi ha
raccontato quello che è successo nella panic room
e…”
“Sì,
tutto questo è terrificante…E non avete idea di
cosa sta succedendo a me!”
Eric
deglutì, fingendo di non sapere nulla: “Ah, a
proposito, come sono andate le
analisi?”
“E’
uscito che sto assumendo estrogeni, ragazzi. –
raccontò, ancora incredulo – A
mi sta facendo prendere queste pillole
per il cambio di sesso da almeno un mese e non mi sono accorto di
nulla!”
“M-ma,
non è grave se te ne sei accorto dopo un mese,
vero?” gli domandò Eric.
“No,
sono ancora in tempo per fermare tutto, ma se A
continua a somministrarmi queste pillole…dopo sei mesi, per
me
non sarà più possibile tornare come prima. Per
ora il cambiamento non è
evidente, ma tra un po’ potrebbe esserlo.”
Rider
ed Eric si mostrarono basiti, mentre Sam era particolarmente nervoso.
“Ehi,
tutto bene?” gli domandò Rider, spostando lo
sguardo di tutti su di lui.
“E’
così da quando siamo usciti da scuola, ma non ha voluto
dirmi niente durante il
tragitto!”
Sam
non riusciva a trovare le parole: “Ragazzi, io non so come
dirvelo, ma forse ci
siamo sbagliati di nuovo sull’identità di A!”
“Spiegati…”
ribattè Eric, sgranando leggermente gli occhi.
Quello
mostrò il suo telefono: “Queste le ho scattate
nello spogliatoio, c’era il
borsone di Morgan!”
“Ma
quelle sono pillole!” notò Nathaniel.
Dopodichè,
fu Rider a commentare, inquietato: “E’ quella
è la stessa tigre disegnata sulla
felpa di A, quando ci è
sputanto
davanti la scorsa volta!”
“Perché
non me l’hai detto subito?” Nat
rimproverò Sam.
“Perché
l’avresti ucciso, Nat! E’ evidente che quelle sono
le pillole che stai
assumendo!”
Rider,
intanto, non riusciva a metabolizzare la cosa: “No, mi
rifiuto. Non può essere
Morgan. Non può aver allestito quella panic room e averci
fatto passare tutto
quello che abbiamo passato!”
“Un
momento! – Eric era confuso – Perché non
stiamo prendendo in considerazione il
fatto che Morgan possa essere il complice di A?”
“Te
lo spiego io! – esclamò Sam –
Nell’audio che abbiamo ascoltato nella panic
room, Lindsay confida a Chloe che, secondo
lei, Albert ha
finto la sua scomparsa e
che potrebbe essere l’assassino di Anthony e suo padre:
Perché dire una cosa
del genere a Chloe? Che senso ha? A
non è nato per sporcare il nome di Albert, ma per sporcare
il nostro. In più,
perché A dovrebbe spiare
la loro
conversazione, quando si suppone che Lindsay sia il suo braccio
destro?”
“Questo
non solo scagionerebbe mia sorella, ma anche Brakner. Erano insieme
quella
sera, perciò Brakner non avrebbe potuto fare nulla senza che
lei lo vedesse o
partecipasse alla cosa.” pensò, iniziando a
credere alle motivazioni di Sam.
Nathaniel
disse la sua: “Si, ma non è un po’
strano che Lindsay pensi questo? Di
quell’omicidio è già stato accusato
Jasper. Dubito che non abbia visto un
telegiornale, nell’ultimo mese!”
“Forse
mia sorella sa qualcosa che noi non sappiamo…”
“O
forse… - Sam prese il telefono, utilizzando maps –
Lindsay e Brakner hanno
incrociato Jasper quella notte. – mostrò loro il
telefono – Lui era al Ginseng,
un locale gay che è proprio vicino alla zona in cui eravamo,
quando abbiamo
investito Albert.”
Eric
stranì assieme a Rider, mentre Nathaniel sbiancò:
“E tu come fai a sapere che
Jasper era in quel locale?”
Sam
non badò alle sue parole, uscite senza pensare:
“Ehm…Me l’ha detto mio padre,
ovviamente.”
“Nel
dettaglio?” anche Rider lo trovò strano.
“Beh,
- Nathaniel intervenne per aiutare Sam - non eri tu che gli dicevi di
sfruttare
il suo padre poliziotto?”
“Già,
l’ho tartassato molto!” aggiunse Sam, calmando
finalmente gli altri due, che si
guardarono apparentemente più convinti.
Eric,
a quel punto, fece il punto della situazione: “Ok, la
faccenda non sembra molto
chiara, potrebbero esserci molte teorie dietro. Perciò, o
Morgan gioca da solo
o va ad aggiungersi alla squadra Brakner-Lindsay!”
“Se
mia sorella e Brakner hanno davvero visto Jasper, non
l’avranno detto per paura
di esporsi troppo. La polizia avrebbe arrestato lui come minimo per la
loro
relazione!”
“E
se fosse una messa in scena per metterci il dubbio? –
pensò Nathaniel – A
sapeva che sareste entrati nella
panic room, perciò quello che avete trovato nel suo computer
è ciò che voleva
che voi guardaste. Magari la registrazione di quella conversazione
è stata
fatta apposta come precauzione, in modo che, ascoltandola, avremmo
annullato i
nostri sospetti su lei e lui.”
Rider
decise di tagliare corto allora: “Se scopriamo che mia
sorella e Brakner magari
non c’entrano nulla, questo significherebbe che Morgan era
nella macchina
dietro di loro. Le telecamere di sorveglianza erano fuori posizione, ma
dalle
foto che abbiamo del fascicolo si vede chiaramente che c’era
un'altra auto.
L’unico modo che abbiamo per scoprire chi è
davvero A tra loro tre o se lo sono
tutti e tre è scoprire cosa c’è nella
vera panic room!”
Tutti
si guardarono, confusi. Sam fu il primo a prendere parola.
“Che
intendi dire con la vera panic room?”
Rider
si avvicinò al cofano della sua auto, srotolando i due fogli
che aveva e
posizionandoli lì sopra.
I
ragazzi si raccolsero intorno a lui.
“Ho
recuperato un mio vecchio saggio sugli edifici storici di Rosewood.
Questa è la
cianografia del seminterrato del Wailord Sanitarium nel 36’.
– indicò un punto
del foglio, dove quelli guardarono con attenzione – Vedete
qui? Non c’è nulla!
– spostò il dito sull’altro foglio, poi
– Invece qui, un anno dopo,
c’è questo quadratino. L’unica cosa che
può
essere stata aggiunta in quel punto è la panic
room!”
Nathaniel,
però, non capì dove voleva arrivare:
“Ok, ma… Quale sarebbe la scoperta?”
Prima
che Rider potesse spiegarlo, Sam intuì immediatamente quale
fosse: “E’ più
grande!”
“Esatto!
– confermò Rider – Quella in cui siamo
entrati noi è almeno 1/3 della stanza.”
“Quindi
che significa? – chiese Eric, confuso -
Dov’è il resto della stanza?”
Rider
tirò fuori un pennarello rosso dalla tasca del suo cappotto,
dividendo il
quadrato in due: “E’ semplicemente
dall’altra parte del muro. La panic room è
divisa in due da una parete!”
“Ok,
ma non c’erano altre porte nella panic room. –
puntualizzò Sam - In che modo
accederebbe all’altra metà della panic
room?”
“O
c’è una botola anche lì e quindi ci
passa risalendo dalle fogne o c’è un altro
passaggio che non abbiamo visto!” spiegò Rider.
Improvvisamente,
lo sguardo di Nathaniel cadde sul polso di Eric. Dopo averlo fissato a
lungo,
si accorse che qualcosa mancava: “Dov’è
il tuo bracciale?”
Eric
ci fece caso, sgranando gli occhi: “Ma
che…???”
Rider
si rivolse a lui abbastanza disorientato: “Come hai fatto a
toglierlo?”
“Non
l’ho tolto io!” esclamò con foga.
Sam
fece una smorfia confusa: “Come sarebbe che non
l’hai tolto tu?”
Eric
allora riflettè, concretizzando un dubbio che ebbe:
“Credo che A sia entrato
in casa mia mentre
dormivo…”
“E
ce lo dici solo ora?” sobbalzò Nathaniel,
sbigottito.
“Ho
trovato la porta aperta, ma non ci ho pensato più di tanto.
– cercò di
giustificarsi, attaccato – Scusate se non ci sto con la testa
dopo l’incidente
di Alexis!”
Tutti
si calmarono un attimo, poi.
“Ok,
ma come ha fatto A a toglierlo?
–
domandò Sam, guardando tutti -
Julie ha
cambiato la frequenza del suono di sblocco, no?”
Rider
imbronciò, intuendolo: “Accidenti, deve aver
recuperato la valigetta di Julie
nel seminterrato. Dentro c’era l’apparecchio che
sblocca i nostri bracciali.”
“Non
ha ascoltato quello che ci siamo appena detti, vero? – chiese
Sam, nel panico –
Insomma, anche se avesse messo un microfono su Eric, i nostri bracciali
sono in
grado di disattivarlo. Giusto?”
Rider
annuì, dopo qualche secondo di staticità nella
sua espressione.
“Penso
di sì!”
Improvvisamente,
un messaggio arrivò a tutti e quattro.
Quelli
si guardarono tra loro, prima di aprirlo.
“Vi
sono mancato?”
-A
Eric andò subito nel pallone: “Che significa? Che
ci ha ascoltati? Che non
siamo più protetti?”
Rider
scosse la testa, guardandosi attorno: “No,
dev’essere qui intorno. Vuole farci
credere che può ascoltarci, ma sappiamo benissimo che non
può!”
Anche
gli altri si guardarono intorno, mentre Sam arrancava verso le portiere.
“Sentite,
andiamocene da qui!”
Dopo
un’altra occhiata intorno, i tre lo raggiunsero, salendo in
macchina.
SCENA
FINALE
A
era
all’interno della panic room, il bracciale di Eric che girava
intorno al suo
dito, come se ci stesse giocherellando. Lo poggiò accanto al
computer, subito
dopo, poi si avvicinò all’armadio, che
iniziò a spostare dalla parete con
forza.
Dietro,
c’era una porta d’acciao con una tastiera nera
sopra; si trattava di un
passaggio segreto. Quando digitò la password, essa si
aprì e lui entrò in
quella che era l’altra metà della panic room.
All’interno,
c’era un’altra scrivania con sopra un altro
computer, una telecamera sopra un
treppiedi al centro della stanza, mentre in un altro angolo
c’era un lungo
congelatore di forma rettangolare in funzione. Infine, in quella stanza
del
tutto vuota, c’era una bacheca di vetro appesa alla parete;
il vetro, però, era
oscurato e al lato di questa bacheca c’era un tasto on/off
per poterla
illuminare.
A
si
sedette
al computer, avviando un video: mostrava una persona con la testa
coperta da un
sacco per patate, seduta a gambe aperte sul pavimento, la schiena
poggiata
contro la parete di quella stessa stanza, le mani legate.
Si
sentiva il suo respiro soffocato, mentre muoveva la testa dentro quel
sacco,
probabilmente disorientata. A avvicinò
la mano, liberando chi c’era sotto: si trattava di Anthony,
che lo guardò
dritto in faccia, spaventato a morte.
“Ti
prego, non farmi del male! – pianse disperato, una ferita
sanguinante sulla
testa - Farò tutto quello che vuoi, per favore!”
Subito
dopo, volse lo sguardo alla destra di A.
Sembrava guardare più verso terra che in alto, e sconvolto
in maniera
esagerata, tornò a fissare il suo rapitore: “C-chi
è quello?”
A
si
limitò
solo a fare un suono con la bocca:
“Shhhh…”
Preso
dal panico, il petto che si gonfiava e sgonfiava, Anthony lo fissava
terrorizzato, perdendo la ragione: “AIUTOOO! –
urlò a squarciagola, sbattendo
più volte la testa contro la parete per fare rumore
– AIUTATEMI, VI PREGOOO!”
A
si
avvicinò, pronto a rimettergli il sacco in testa, mentre lui
urlava ancora. Il
video si interruppe.
CONTINUA
NEL NONO CAPITOLO…
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Capitolo 10 *** 1x09-Punto di rottura (Parte I) ***
CAPITOLO NOVE
“SupernovA”
ONE WEEK
LATER…
Pioveva a
dirotto quella
notte. Nathaniel continuava a girarsi e rigirarsi nel suo letto,
finchè non
aprì gli occhi, iniziando a fissare la sua finestra, le
gocce di pioggia che
scendevano oblique sul vetro. Improvvisamente, sentì dei
rumori provenire fuori
dalla sua stanza e si sollevò di scatto, il volto atterrito.
Dopo qualche
secondo di
suspence e uno scricchiolio di passi nel silenzio
dell’abitazione, la porta si
aprì e una persona incapucciata vi entrò,
chiudendola e restando girata di
spalle per qualche secondo. Nathaniel sobbalzò fuori dal
letto in canottiera e
boxer, indietreggiando in un angolo, spaventato.
Quella persona,
finalmente
si voltò, poggiandosi di schiena alla porta e togliendosi il
cappuccio con una
mano.
Si trattava di
Sam:
completamente bagnato, terrorizzato e con il fiatone.
“Sam??”
si avvicinò
Nathaniel, sorpreso di vederlo in camera sua.
“A mi ha aggredito in casa mia, ero da
solo. Mio padre non c’era, ha
il turno di notte, e così sono scappato! –
spiegò in lacrime, sotto shock – Mi ha
inseguito fino a qui, era dietro di me e poi non lo era più.
Non sapevo dove
andare e così ho corso fino a casa tua!”
L’altro
lo prese per le
spalle, turbato da ciò che gli stava raccontando:
“Ok, calmati, sei al sicuro
qui… - ad un certo punto, però, stranì
in volto – Piuttosto, come hai fatto ad
entrare?”
Sam
ignorò la sua domanda,
fissando vari punti della stanza in maniera disturbata, tremando:
“P-posso
dormire qui? – lo fissò negli occhi, supplicandolo
– Ti prego!”
“M-ma
certo! – continuò a
guardarlo, sconcertato dal suo stato – Certo che puoi
restare!”
A quel punto,
Sam lo
abbracciò, mettendogli le braccia intorno al collo,
stringendolo forte a sé.
Nathaniel
sgranò gli occhi,
le braccia rimasero a peso morto, prima di lasciarsi andare e
contraccambiare
quell’abbraccio. Il cuore gli batteva forte, mentre Sam si
staccava lentamente
da lui. Poi un lungo sguardo si accese fra i due e Nathaniel
iniziò ad
accarezzargli il viso, facendo scivolare le dita lungo i suoi capelli
bagnati e
poi sulla sua guancia. Sam gli prese la faccia e, lentamente, gli
stampò un
bacio. L’altro si staccò subito, guardandolo negli
occhi per qualche secondo,
poi fu il suo turno prenderlo per il viso e continuare a baciarlo, in
un
esplosione di passione.
Iniziarono,
così, a levarsi
la maglietta l’un l’altro e Sam lo spinse
letteramente sul letto, salendo sopra
di lui a cavalcioni. Nathaniel, troppo eccitato, lo prese per i
fianchi,
gettandolo alla sua destra, mettendosi lui sopra Sam. I due
continuarono ad
abbracciarsi, avvinghiati, sudati, i muscoli della schiena di Nathaniel
contratti.
La pioggia si
fece sempre
più forte e un fulmine creò un boato talmente
forte che…Nathaniel si svegliò di
colpo: perché era tutto un sogno, creato dalla sua mente.
Senza fiato, la
fronte
sudata come il suo collo arrossato e il petto che si contraeva,
Nathaniel si
mise le mani nei capelli, trovando assurdo ciò che aveva
appena sognato. Quando
fu più stabile, si voltò a guardare verso la
finestra ed era una bella notte di
luna piena, con tante stelle luminose in cielo.
Sospirò,
poi, fissando il
telefono, che prese dal comodino. Digitò un numero e poi lo
mise all’orecchio.
Dopo due suoni, qualcuno rispose.
“Pronto?”
Era Sam. Ma non
ricevette
risposta.
“Pronto,
chi è?” disse
ancora.
Nathaniel
restò immobile,
contemplando il soffitto della sua stanza, mentre lo ascoltava.
“…Sei
tu, vero? – Nathaniel
si sollevò con la schiena, pensando di essere stato scoperto
– Sei A, dico
bene?...Pff, ovvio che sei tu,
chi altro mi chiamerebbe con l’anonimo a
quest’ora!”
A quel punto,
Nathaniel si
sentì in colpa e decise di rivelarsi, ma Sam
continuò a parlare, un’improvviso
magone nel tono.
“Non
credi sia abbastanza,
quello che ci hai fatto? Sai perfettamente che non siamo stati noi a
fare del
male ad Albert. Sai perfettamente che non eravamo noi alla guida di
quell’auto,
ma Anthony…Non ci dai motivazioni, non ci dici mai nulla;
nemmeno su
Rosewood-riservato o altri crimini che pensi di aver scoperto e di cui
ci
ritieni coinvolti. Ci torturi e basta!”
Una lacrima
scese lungo il
viso di Nathaniel, che preferì non ascoltare oltre,
chiudendo la chiamata,
restando solo con i suoi pensieri per tutta la notte, fissando
nuovamente il
soffitto
*
Il giorno dopo,
la scuola
era in fermento per l’imminente ballo degli ex alunni. Sam e
Rider erano
nell’atrio insieme ad altri studenti a preparare le
scenografie: cartelloni,
drappi, decorazioni varie, costruzioni di cartone da dipingere.
I due, infatti,
si stavano
dedicando a dei finti lampioni da giardino, che avrebbero illuminato
vari punti
dell’evento, passandoci sopra delle mani di vernice. Tra una
mano e l’altra,
Sam raccontò della telefonata anonima che aveva ricevuto,
abbastanza turbato.
“Non
ha detto una sola parola,
sentivo solamente il suo respiro.”
Rider
inzuppò il pennello
nel barattolo, poco convinto: “Sei sicuro che fosse
lui?”
“Chi
diavolo chiamerebbe
dopo mezzanotte con un numero sconosciuto? Dracula?”
“Beh,
in effetti… - fece
una smorfia, arrendendosi all’evidenza – Comunque
hai deciso con chi andrai al
ballo, domani?”
“Ehm,
credo proprio con
nessuno. – sottolineò ironicamente – Sai
com’è, tra lo psicologo e le panic
room sotterranee, non ho avuto molto tempo
di pensare ad un accompagnatore.”
“La
scuola si aspetta che
tu e Nathaniel vi presentiate insieme. Sai com’è,
siete la prima coppia gay
dichiarata di questa scuola!”
“A
proposito di gay
dichiarati…Cameron ha chiesto a Chloe di andare insieme al
ballo e lei ha
accettato!” esclamò seccato.
“Ouh,
bel problema… – reagì
sorpreso - Anthony
ci aveva visto lungo
con Chloe friendzoned!”
Sam gli
lanciò una breve
occhiataccia, prima di continuare: “Questa sarà
una batosta gigantesca per
lei!”
“Non
vedo dove sia il
problema, Sam. Cameron non è dichiarato!”
“Noi
gay siamo
imprevedibili, Rider. Un giorno diciamo che non faremo mai coming out
fino alla
morte e quello dopo lo gridiamo al mondo intero con poster a caratteri
cubitali
attaccati per tutta la città! – spiegò,
nervoso – Anche se Anthony non c’è
più,
non vuol dire che per lei non sarà nuovamente
imbarazzante.”
“Ma a
lei lo hai detto che
lui è gay?”
“Sì,
ma non mi ha creduto!”
“Pff,
- si lasciò sfuggire
una risata – da quando le ragazze non credono più
ai loro migliori amici gay?
Siete come divinità scese in terra per loro.”
“Beh,
a me non da ascolto.
Ormai questa divinità è un comune mortale da
quando l’ho ignorata per tremare
di paura nella mia stessa casa!” esclamò
frustrato, continuando a dipingere.
“Se
non ti crede, mostrale
una prova. Uno come Cameron frequenterà di sicuro uno di
quei localini…”
“Dubito
che Cameron
frequenti locali gay a Rosewood, non è così
stupido!”
“Allora
trova un modo! – si
esasperò, agitando il pennello – Sicuramente
riuscirai ad inventarti qualcosa
prima del ballo.”
“E’
domani, Rider! E
comunque… - si spostò su un altro discorso
– Quando finirà questa storia
dell’esilio?”
“Intendi
Eric?” finse di
nulla, evitando il suo sguardo e concentrandosi sul finto lampione.
“Rider,
smettila con questo
atteggiamento! – si avvicinò di più a
lui per non dargli tregua – Da quando
abbiamo scoperto che la panic room non è una piccola
stanzina, hai allontanato
Eric da noi e non hai nemmeno chiesto a Julie di costruire un altro
braccialetto per lui.”
Rider,
finalmente, si
voltò: “Prima di tutto, è stato Eric ad
aver deciso di allontanarsi per il bene
del gruppo. E, secondo, non coinvolgeremo più Julie nelle
nostre cose. Fa
troppe domande e non ci costruirà mai un altro braccialetto
senza avere delle
risposte su ciò che ha visto e sentito. – gli
lanciò una lunga occhiataccia – E
su ciò che ti sei lasciato scappare con lei nella panic
room!”
“Ok,
ma…ci siamo anche
abbandonati a noi stessi. Dopo quello che abbiamo scoperto con le
cianografie
del seminterrato, non abbiamo più fatto nulla né
pensato a cosa fare.”
“Sam,
non è facile! – alzò
leggermente la voce, per poi guardarsi intorno e bisbigliare
– Per accedere
all’altro lato della panic room, dobbiamo entrare di nuovo
lì, ok? Dove
l’ossigeno ha smesso di arrivarci alla testa,
ricordi?”
“E
allora che facciamo?
Tutto quello che ci serve si trova in quella stanza. Le motivazioni di
Brakner,
chi è coinvolto, Rosewood-riservato!”
Esasperato,
Rider fece una
confessione: “Ho un piano, ok?”
L’altro
restò sbigottito
per qualche secondo prima di parlare: “…E quando
pensavi di dircelo? Che
piano?”
“Ho
scoperto che… - si
avvicinò, chinando in avanti la testa, bisbigliando
– Brakner è stato assegnato
al tiro a segno per il ballo di domani sera. Lindsay naturalmente ci
sarà per
concorrere al titolo di reginetta, mentre, per quanto riguarda Morgan,
l’ho
visto stamattina acquistare due biglietti per
l’evento.”
“Strano
che tutti e tre
saranno al ballo. - la cosa lo lasciò parecchio scettico. -
Se A era con noi nel parcheggio
dell’ospedale, avrà sicuramente visto che
guardavamo le cianografie. Dovrebbero
lasciare qualcuno di guardia, no?”
“Brakner
lo sa che non ci
azzarderemmo mai a tornare lì dentro. –
fantasticò – Credo non abbia nemmeno
cambiato la password, sa che non abbiamo più i mezzi per
scoprirla.”
Sam scosse la
testa, non
riuscendo più a seguirlo: “Ehi, aspetta, di che
parli? Tu non sai la password,
sul display sono comparsi solo degli asterischi!”
“Dieci
asterischi, per la
precisione… - si lasciò sfuggire un sorrisino
furbo – Che password ti fa venire
in mente?”
Quello ci
riflettè,
arrivandoci con grande stupore: “…Miss
Marple?”
“Esatto!
Non so perché, ma
sembra essere fissato con quella serie televisiva, visto che ha tutta
la prima
stagione in videocassetta nel suo covo.”
“Ok,
ma come la metti con quel
comando da remoto che può bloccare il sistema di
aerazione?”
“Ho
rimediato una bombola
d’ossigeno. Sai, quelle che usano i subaquei!”
Sam
restò a fissarlo per
qualche secondo: “Tu sei fottutamente pazzo!”
“Arrivati
a questo punto,
non mi interessa quello che scoprirò su Anthony in
Rosewood-riservato. Prenderò
i nostri video e poi decideremo come sbarazzarci di A!”
“Quindi
sei intenzionato ad
andarci da solo?” si preoccupò seriamente.
Rider lo prese
per le
spalle, cercando di rasserenarlo: “Sam, dovrà
sembrare una serata tranquilla
per A. Vederci tutti e quattro
insieme al ballo, gli farà abbassare la guardia. E quando
inizieranno tutti a
ballare, sgattaiolerò via con un diversivo.”
“Hai
intenzione di dirlo
anche agli altri, vero?”
“No,
Sam. Sarà più
credibile non vederci tutti tesi, perciò, tu che lo sai,
cerca di non essere
troppo teso e fai finta di nulla! – si ricordò
un’ultima cosa, poi – Ah,
assicurati che Eric e Nathaniel vengano al ballo, non si sa mai che
cambino
idea all’ultimo secondo.”
Nonostante tutti
quegli
avvertimenti, Sam non riusciva proprio a nascondere la sua
preoccupazio:
“Ascolta, forse...”
Ma non
potè completare ciò
che stava per dirgli, interrotto dall’arrivo di Brianna
Santoni.
“Sam?”
Quelli si
voltarono.
“Scusate
se vi disturbo,
ma… - spostò lo sguardo tra i due, mortificata
per la sua intrusione – ci serve
qualcuno che faccia le foto al ballo e so che tu, Sam, sei bravo con le
foto.
Me l’ha detto Chloe!”
“Sì,
si, è vero!” annuì,
inizialmente distaccato.
“Bene,
allora sei dei
nostri? So che magari preferiresti venire al ballo in altre vesti, ma
qualcuno
dovrà pur fotografare il re e la reginetta, no?”
sorrise, mentre Rider si
manteneva ostile nelle espressioni.
Sam, invece,
sembrò
improvvisamente coinvolto e quasi sospreso: “D-dei
vostri?” Ehm, ma certo!
Tanto non sapevo con chi venirci al ballo!” rise, attirando
lo sguardo
incredulo di Rider.
“Perfetto,
passa dalla
redazione appena hai tempo, così discutiamo degli altri
dettagli!” escalmò,
congendandosi.
Mentre Rider
trovava
assurda quella proposta, Sam continuò a sorridere.
“Cos’è,
adesso i seguaci di
Violet ci prendono in considerazione? – si voltò
verso Sam, contestando subito
ciò che vide – Ehm, perché stai
sorridendo?”
“Perché
è bello sapere di
non essere così odiato!”
“Beato
te, io non posso
dire lo stesso. Sanno tutti quanto sono preciso e organizzato, eppure
nessuno
mi ha chiesto di far parte dello staff che si occupa del
ballo!” esclamò,
amareggiato.
Sam gli mise una
mano sulla
spalla, cercando di consolarlo: “C’è
Violet per quello: non servono due
precisini per organizzare un ballo!”
Rider lo
fissò con il
broncio, non replicando. Improvvisamente, dopo qualche secondo, gli
altoparlanti della scuola emisero un suono assordante, che costrinse
tutti a
coprirsi le orecchie.
Poco dopo,
cessò, lasciando
tutti abbastanza storditi.
“Ma
che cavolo…???” disse
Sam, rimettendo giù le braccia.
Rider
sgranò immediatamente
gli occhi sul polso di Sam e poi sul suo: “I
bracciali!”
Immediatamente,
i due
spostarono lo sguardo a terra: erano lì.
“Ma si
sono sganciati?”
“Era
la stessa frequenza
che ha usato Julie per toglierci i bracciali la prima
volta…” ricordò Rider.
“Beh,
rimettiamoli!”
sussultò Sam.
Poco prima di
chianarsi a
recuperarli, però, ricevettero un messaggio. I due si
guardarono, costretti a
leggerlo.
“Indossateli
di nuovo e
qualcuno non arriverà al ballo di
domani…”
-A
Sam
titubò di fronte a quel messaggio, confuso:
“…Chi non arriverà al ballo di
domani? Noi?”
“Credo
che si riferisca a persone a cui teniamo!” esclamò
l’altro.
Entrambi
avevano il volto atterrito, fissando i loro braccialetti, ancora a
terra.
*
Intanto, in
palestra, il
coach prestava attenzione al tempo dei ragazzi. Nathaniel nuotava lungo
la sua
corsia, di fianco a Morgan che lo equivaleva e, più
indietro, altri due
ragazzi. Tra una bracciata e l’altra, Nathaniel si accorgeva
sempre di più del
suo rivale, quasi in testa.
Incredibilmente,
fu Morgan
ad arrivare per primo e a completare la vasca. Nathaniel
sembrò essersi
sforzato tanto, come non aveva mai fatto, dato che era sempre stato il
migliore. Non appena sentì gli applausi del coach e degli
altri compagni di
squadra, si fermò prima del dovuto, ormai sconfitto,
togliendosi gli
occhialini.
“Ottimo
lavoro, Patterson.
Hai fatto dei progressi notevoli!” si avvicinò a
lui il coach, mentre saliva la
scaletta.
Poi si
voltò verso
Nathaniel, che, palesemente provato dall’aver perso per la
prima volta, restò
in acqua a fissarli.
“Blake,
che succede? Non
hai mai fatto un tempo simile…” si
mostrò stupito e alquanto deluso.
Nathaniel,
fulminando
Morgan con lo sguardo, circordato dagli altri, che lo festeggiavano con
sorrisi
e pacche sulle spalle, si voltò verso il coach, marcando un
sorrisino arrogante.
“Evidentemente
ho messo su
qualche kilo, mentre… - fissò Morgan, mantenendo
quel sorrisino beffardo, atto
a lanciarli una frecciatina - qualcun altro si è affannato a
dimagrire e ci sta
riuscendo, a quanto pare.”
Morgan assunse
immediatamente un’espressione poco amichevole, mentre
Nathaniel saliva la
scaletta, uscendo dalla piscina. Tutti lo fissarono, alle spalle di
Morgan.
“Ti ho
battuto, Blake!
Fattene una ragione!” reagì il ragazzo, con
fermezza e sicurezza.
Nathaniel
continuò a
sorridere, sempre più arrogante, avvicinandosi a lui, muso a
muso.
“…So
quello che stai
facendo, Morgan. Ma non arriverò mai a pesare quanto pesi
tu… - sembrava quasi
Anthony nel modo di parlare - Dovessi smettere di mangiare per
sempre!”
Quello, a rabbia
accumulata,
lo spintonò di colpo, infuriandosi e facendo sussultare
tutti. Nathaniel,
barcollante, ritrovò l’equilibrio e
ricambiò con una spinta altrettanto forte.
Il coach non potè fare altro che intervenire, mentre gli
altri già cercavano di
dividerli.
“Fermi!
Basta, BASTA!” si mise
tra loro, aprendo le braccia, distanziandoli. I due si stavano ancora
fulminando con lo sguardo, trattenuti dai loro compagni.
Nathaniel si
liberò dalla
presa di alcuni di loro, con rabbia. Il coach non credeva ai suoi occhi.
“Ma si
può sapere che ti succede?
Blake, sembra quasi che tu non dorma da giorni, hai un aspetto
orribile!”
Ed era
così, infatti.
Nathaniel aveva il volto caratterizzato da un bianco cadaverico e un
contorno
viola intorno agli occhi, vispi e dilatati.
“Sto
da DIO! – esclamò al
coach, guardando di nuovo Morgan, mentre andava via, chiaramente
instabile –
Hai capito, Morgan?” e se ne andò, sotto lo
sguardo basito di tutti i presenti.
*
Più
tardi, dopo la scuola,
Sam ebbe il suo consueto appuntamento con lo psicologo. Mentre il
ticchettiò
riempiva l’aria, Wesam era lì che fissava Sam,
pronto ad ascoltarlo.
Il nervosismo
del ragazzo,
però, prese immediatamente il sopravvento, mentre fissava
delle mensole, sulla
parete, alla sua sinistra.
“Vedo
che c’è un oggettino
nuovo!” indicò.
Wesam non si
girò nemmeno a
guardare, mantenendo il suo sguardo fisso su di lui: “Vedo
che adottiamo
vecchie abitudini!”
“Cioè?”
“Nascondere
la verità,
camuffandola con queste assurde trovate, in modo da far scorrere il
tempo più
velocemente…- sorrise, poi – Ma sai una cosa? Ho
rimandato l’appuntamento che
viene dopo, perciò quando la sabbia sarà scesa
tutta, girerò nuovamente la
clessidra.”
Sam
sbiancò, per nulla
contento: “Cosa? Quaranta minuti in più?”
“Ma
guarda che strana
reazione! – lo incalzò - Allora hai finalmente
capito che non si può
temporeggiare per sempre. Che anche la verità ha una data di
scadenza.”
“Non
sto temporeggiando!”
si oppose, nonostante la sua voce tremasse.
“Inizia
a dirmi la verità,
Sam. Il vero motivo del tuo disagio. Inizia anche dalla più
piccola
preoccupazione, ma inizia da qualcosa che non sia una bugia.”
Sam
inumidì le labbra,
abbassando lo sguardo, rilassandosi: “Ultimanente…
- iniziò a raccontare – Sono
preoccupato per la mia migliore amica. – finalmente lo
guardò negli occhi – Ci
siamo un po’ distaccati e ad un certo punto ne abbiamo
parlato. Quando ha
scoperto che mi ero tagliato…si è subito
preoccupata per me.”
“Poi?
Cosa è successo?” lo
ascoltò con interesse, l’agenda sulle ginocchia.
“Mi ha
raccontato che
sarebbe venuta al ballo con un ragazzo. Un ragazzo che io so, essere
gay… -
gesticolò, nervosamente – Io l’ho
avvertita, ma non mi ha creduto. Lei ha avuto
molte delusioni in amore e non vorrei si innamorasse di lui, che la sta
usando
solo perché ha paura che gli altri sappiano chi è
realmente. Non vorrei che ci
rimanesse male come tutte le alre volte!”
“Hai
intenzione di agire in
qualche in qualche modo?” gli chiese, cogliendolo di sopresa.
“Ehm,
non saprei, cosa le
fa credere che farò qualcosa?”
“Perché
si vede dal tuo sguardo
che hai molto a cuore questa tua amica. Non vuoi che soffra di nuovo e
farai
sicuramente il possibile affinchè non avvenga.”
“Beh,
sì, ma…non sono cosa
fare. Ora come ora, non crederebbe ad una sola parola. Ci vuole una
prova!”
“Sai,
Sam? Non ci vuole
molto ad incastrare un ragazzo gay. Ci ripetiamo continuamente che
abbiamo
tutto sottocontrollo, che nessuno riuscirà mai a scoprire il
nostro segreto. La
voglia di essere ciò che siamo, però, prende il
sopravvento ad un certo punto e
prendiamo certe strade che pensiamo che altri non percorrerebbero mai.
Molte
volte, però, non ci rendiamo conto che stiamo sbagliando
qualcosa, che stiamo
abbassando la guardia, ed ecco che veniamo incastrati da noi
stessi.”
Sam,
naturalmente, notò che
Wesam si era immedesimato molto in quelle parole: “Ti sei
incastrato anche tu,
per caso?”
Quello si
lasciò scappare
una risata, per sdrammatizzare: “Abbastanza, direi. Mia
sorella mi ha beccato a
letto con il suo fidanzato…Mancavano tre mesi alle loro
nozze! – rivelò,
fissando la finestra, un’improvviso velo di tristezza sul
volto – Nessuno della
mia famiglia mi rivolge più la parola da ben tre anni.
– sorrise, tornando a
guardarlo, gli occhi leggermente lucidi – Pensa che si sono
sposati ugualmente
e lui ha definito quello che è successo con me, uno
spiacevole episodio. E il
bello è che è stato creduto, quando io so
perfettamente che lui lo voleva
quanto me, quel pomeriggio.”
Sam si commosse,
nell’ascoltarlo: “Mi dispiace così
tanto. E’ brutto avere tutti contro e sentirsi
solo. Non avere nessuno…”
L’altro
lo fulminò, serio:
“Tu qualcuno ce l’hai, Sam. Non pensare di capirmi,
perchè non sei solo. Non
hai idea di cosa sia la solitudine, te lo garantisco. –
sottolineò con fermezza
– Tuo padre ti ama più della sua stessa vita, ma
per qualche strano motivo, tu
lo stai allontanando.”
“Io so
che significa
sentirsi soli, credimi!” ribattè, a voce alta.
“Allora
dimmi cos’è! – alzò
la voce anche lui – Sei qui per questo, Sam. Per metterti a
nudo, per sfogarti,
per essere aiutato!”
Quelle parole lo
fecero
lacrimare, mentre tentava di evitare lo sguardo di Wesam.
“Lasciati
aiutare, Sam…”
disse più calmo.
E si guardarono
a lungo, il
volto di Sam chiaramente combattuto; tant’è che
stava quasi per cedere e
cedette.
“Quello
che mi sta
succedendo, io non posso raccontarlo. – Wesam si
chinò in avanti, ascoltandolo
attentamente – Circa un mese e mezzo fa, io e i
miei…”
Fu interrotto,
improvvisamente,
dallo squillo del suo telefono. Il numero che comparve, non gli
sembrava
familiare.
“Ehm,
ti dispiace se
rispondo?” si alzò di colpo.
“Certo,
fa pure!”
Sam
uscì dalla stanza,
lasciando distrattamente la porta socchiusa. Finalmente rispose.
“Pronto?
Chi parla?”
“Sta ricevendo una telefonata dal penitenziario di
Philadelphia dal
detenuto Jasper Lughlin. Premere
uno,
per accettare la chiamata.”
Sam
stranì nel sentire che
si trattava di lui, stringendo gli occhi, nervoso. Poi, premette uno e
aspettò
di sentire la sua voce.
“Sam?
Ci sei?”
“Ehi,
Jasper…” rispose con
un filino di voce, dopo aver deglutito malamente.
“Ehi, Jasper??? -
reagì in
malomodo - Dopo che ci siamo visti
l’ultima volta, non siete più venuti. Il processo
si avvicina e non ho un alibi!”
“C-come
hai avuto il mio
numero?”
“Questa
è una bella
domanda. Qualcuno ha infilato il tuo numero nella tasca della mia
divisa, ma
non ha senso!”
“Ehm…
- girovagò con lo
sguardo, a disagio – Noi ci stiamo lavorando, ok?”
“Sam, voi mi avete chiesto di aspettare e io l’ho
fatto, ma qui c’è in gioco la
mia vita. Se le cose non si metteranno bene o non troverete una
soluzione per
tirarmi fuori di qui…dirò tutto quello che mi
avete detto alla polizia e sarete
chiamati a testimoniare.”
“Oh
mio Dio… - pronunciò
sottovoce, chiudendo gli occhi – Ok, ascolta, il processo
è tra una settimana,
giusto? Dacci ancora qualche giorno, ti prego!”
“Cosa
cambia? Non
riuscirete mai a farmi uscire di galera!”
“Sappiamo
chi è A!”
esclamò a bruciapelo, come per
zittirlo.
“…Lo
sapete? Chi è?” ne
rimase sorpreso.
“Solo
qualche giorno,
Jasper. Solo qualche altro giorno, ti prego!” lo
supplicò.
“…Due
giorni, non di più!”
e la telefonata cadde di colpo.
Sam rimise
giù il telefono,
chiudendo gli occhi, i muscoli deboli per la tensione. La porta alle
sue spalle
si aprì e si affacciò Wesam, con un braccio
dietro la schiena.
“Allora?
Resti qui fuori o
torni dentro?”
L’altro
sospirò,
mortificato: “Senti, devo andare. Tanto mancano dieci minuti
alla fine della
seduta. Perdonami!”
Wesam
portò la mano avanti,
che stringeva la tracolla del ragazzo.
“Immaginavo
che non saresti
rientrato, perciò ti ho portato la borsa!”
Quello la prese,
accennando
un piccolo sorriso: “Non dirlo a mio padre o mi
perseguiterà per giorni. Ci
tiene che io faccia queste sedute!”
“Quello
che succede qui
dentro, rimane qui dentro, no? – gli fece
un’occhiolino per rassicurarlo – Ora,
se non ti dispiace, ho dieci minuti da dedicare ad una poltrona vuota,
prima
che arrivi il prossimo appuntamento che non ho mai annullato!”
Sam rise a
quella battuta,
anche se in maniera lieve. Poi se ne andò, mentre
l’altro restava lì a
guardarlo andar via. Quando tornò nella stanza, divenne
serio, scrivendo un
nuovo appunto sulla sua agenda.
“-
Jasper???
-A???
-
Processo???”
*
Verso
metà pomeriggio, Eric
era al Brew, che stava portando un vassoio di tazzine sporche al
bancone,
pronte per essere lavate. Altamente nervoso, controllò il
telefono, prima di
farlo: erano messaggi di Alexis.
Quando
sollevò il capo,
puntando la strada, vide che stava arrivando. Uscì
immediatamente da dietro al
bancone, buttando una rapida occhiata su Todd, impegnato in una
conversazione,
fiodandosi poi fuori dal Brew.
“Alexis!”
esordì con il
fiatone.
Quella,
però, non era di
buon umore: “Dov’è Todd???”
“Senti,
lascia perdere, ok?
– si interpose tra lei e la porta – Ti
aiuterò a trovare un nuovo lavoro!”
“Eric,
sono appena tornata
a Rosewood, vorrei decidere io cosa fare della mia vita,
d’accordo? Todd deve
assolutamente ridarmi il lavoro, non è di certo colpa mia se
un pazzo mi ha
investita con l’auto!”
Alexis
cercò di passare, ma
Eric le bloccava ancora il passaggio.
“Alexis,
ne abbiamo già parlato
per telefono: ti passerò il mio stipendio finchè
non troverai un nuovo lavoro,
ok?”
Immediatamente,
lei, sgranò
gli occhi, basita: “Ancora con questa storia?
Perché dovresti lavorare al posto
mio, quando sono perfettamente in grado di farlo da sola?”
“Perché
Todd, ormai, ha
assunto me! – urlò, cercando di fermarla
dall’entrare – Inizialmente pensavo di
farti un favore, mantenendo il tuo posto, per paura che assumesse
un’altra
persona, ma quando gli ho detto che stavi tornando…Beh, ha
detto che non ti
avrebbe più ripresa!”
“Ehm…
- era a bocca aperta,
scioccata, le lacrimavano gli occhi – Quindi funziona
così? Ti capita una cosa
brutta e vieni tagliata fuori in questo modo?”
Eric le prese la
mano,
dispiaciuto: “E’ solo un lavoro in caffetteria,
Alexis. Sai quanti giovani
ragazzi come noi vengono assunti e licenziati nel giro di un
anno?”
Una lacrima le
scese dal viso,
mentre guardava da un’altra parte, sentendosi impotente:
“Per telefono sembrava
che fosse tutto a posto. Todd ha detto che potevo
tornare…”
“Ha
cambiato idea, dopo che
ha saputo che saresti andata a stare da tua madre per la
convalescenza.”
“Ma
sono stata via pochi
giorni?” insistette avvilita.
“Più
di una settimana,
Alexis. – precisò – Sai
com’è fatto Todd: è uno
stronzo!”
Arresa, mise le
braccia
conserte, guardando l’interno del Brew, attraverso il vetro.
Eric la prese e
la
abbracciò: “Ti aiuterò a cercare un
altro lavoro, d’accordo? – si staccò,
tirando fuori dei soldi dalla tasca – Ah,
dimenticavo questo
è quello che mi ha dato per tutta la
settimana che ho fatto!”
Alexis si mise i
capelli
dietro le orecchie, imbarazzata: “N-non… Io non
posso accettarli, ne hai
bisogno anche tu!” indietreggiò, agitando le mani
in senso di rifiuto.
“Ho
preso questo posto per
te, ok? Mio padre torna domani, ce la caveremo. Tu hai le spese del
college e
tua madre fa tre lavori diversi per aiutarti. – glieli mise
nelle mani con la
forza – Servono più a te che a me!”
Quella lo
fissò,
mortificata e con gli occhi lucidi e alla fine li accettò.
Poi lo baciò.
“Dobbiamo
parlare di quanto
tu sia il ragazzo migliore di questo universo!” disse
accennando un sorriso,
dopo il bacio.
Lui rise:
“Nah, sei tu la
migliore!”
L’ennesimo
sorriso e un
lungo sguardo intenso, terminarono quell’incontro. Eric
rientrò al Brew, mentre
Todd arrivava proprio verso di lui, buttando un occhio verso la strada,
attraverso le vetrate.
“Quella
era Alexis?”
“Sì,
era lei!” esclamò,
strofinandosi le mani per il freddo.
“Come
mai non è entrata?
Pensavo volesse indietro il suo lavoro!”
“Ehm,
in realtà, ha trovato
un altro lavoro più vicino alla Hollis. Sembra proprio che
resterò io qui!”
Mettendo le
labbra a papera,
metabolizzando la cosa, borbottò qualcosa dandogli una pacca
sulla spalla: “Uhm,
d’accordo, come vuole lei… - si
allontanò - C’è un tavolo da pulire,
comunque!”
“Sì,
l’ho visto!” esclamò,
dirigendosi verso di esso.
Poco prima di
pulirlo con
lo straccio che aveva sulla spalla destra, però,
tirò fuori il suo telefono
dalla tasca del grembiule, leggendo un particolare messaggio ricevuto
qualche
ora prima.
“Tieniti
stretto il
lavoro o la prossima volta la investo con un camper.”
-A
Eric
deglutì malamente, per
poi sospirare. Era riuscito ad allontanare Alexis con una bugia, ma il
peso che
portava sulle spalle era ormai troppo enorme. La sua fronte sudava
freddo e la
sua espressione era del tutto spenta, mentre rimetteva il telefono in
tasca ed
iniziava a pulire.
*
Vero sera,
Rider, a casa
sua, si affacciò un ultima volta fuori dalla sua stanza con
aria furtiva.
Voleva essere sicuro che nessuno fosse nei paraggi, così
chiuse la porta e si
diresse verso il suo letto. Si abbassò a gattoni, alzando la
coperta che
toccava il pavimento: rivelò una lunga bombola
d’ossigeno, nascosta lì sotto.
Subito la
tirò fuori,
trascinandola lungo il pavimento, fino all’armadio; era
talmente pesante che si
sforzò esageratamente. Si asciugò il sudore, poi
aprì gli sportelli, fece
spazio e la posizionò lì dentro, coprendola con
degli abiti.
Di nuovo in
piedi, sbatte
le mani fra loro sporche di polvere e riprese fiato. Improvvisamente,
però,
poco prima di chiudere le porte dell’armadio, intravide sotto
ad altri abiti,
il tablet dell’istituto di ingegneria elettronica che aveva
rubato tempo prima.
Si chinò a prenderlo allora, sollevandolo davanti al suo
viso: i chip che
avevano messo a tutti, sembravano tutti inattivi; tutti tranne uno.
“Ma
che cavolo…???” aguzzò
meglio la vista, su quel puntino rosso che lampeggiava sullo schermo.
Intanto,
suonavano alla
porta di casa. Con insistenza.
Rider si diresse
immediatamente
verso il comodino, dove ci trovò un blocchetto di post-it
sopra, attaccandone
uno allo schermo del tablet.
Dal corridoio,
si sentì la
voce seccata di Lindsay che si prestava ad andare di sotto ad aprire:
“Ma nessuno sente che stanno
suonando, in
questa dannata casa?”
Rider, intanto,
stava
scrivendo su quel post-it.
“Controllare
posizione sospetta nel
bosco dopo il ponte.”
Quando
finì di scrivere
quell’appunto, mise il tablet dentro un cassetto e lo
richiuse. Poi uscì fuori
dalla sua stanza, andando dietro Lindsay.
Una volta di
sotto, la
ragazza era in piedi davanti alla porta, con qualcosa in mano. Davanti
a lei non
c’era nessuno.
“Chi
è?” domandò Rider,
scendendo l’ultimo gradino.
Quella si
voltò un attimo,
l’aria sconvolta. Poi uscì fuori, camminando per
qualche passo e guardandosi
attorno. Rider, incuriosito, si avvicinò per chiederle cosa
stesse accandendo.
“Lindsay,
ma che succede?”
Subito, lei,
tornò
indietro: una busta per gli acquisti tra le mani, molto colorata.
Nervosa, tirò
fuori ciò che c’era dentro e si prestò
a spiegare. Si trattava di un abito
celeste da neonato, accompagnato da un bigliettino.
“Ho
aperto la porta e c’era
questo! – Rider prese in mano il vestitino, mentre lei
sollevava il biglietto –
E’ un maschio, congratulazioni! –A!”
Rider la
fissò
attentamente, cercando di capire se stesse bluffando, ma sembrava
davvero
spaventata.
“Qualcuno
deve aver
scoperto della mia relazione con lui, sono rovinata!”
L’altro,
convintosi che era
seria, fu colto immediatamente da un cattivo pensiero; che altro non
era che
l’oggetto del messaggio: “Sei incinta, per
caso?”
“NOO!”
esclamò in maniera
sonora.
“E
allora che vuol dire?”
“E’
una frecciatina,
Rider!” prese tutto dalle sue mani con foga e lo rimise nella
busta,
rientrando, prima che il fratello potesse rivolgerle un’altra
domanda.
Quello rimase
lì impalato,
guardandosi attorno, il verso dei grilli nei cespugli e il sibilare
delle luci
nei lampioni. Finalmente rientrò anche lui.
*
Parcheggiato
davanti a casa
sua, Sam aveva il telefono all’orecchio e la testa poggiata
al volante, l’aria
abbastanza stressata; stava chiamando qualcuno.
Quando
finalmente ricevette
risposta, alzò immediatamente la testa.
“Pronto,
Nat?” chiamò il
suo nome, aspettando di sentire la sua voce.
“…Sì?”
replicò l’altro, in
un tono privo di vivacità.
“Ehm,
scusa se ti disturbo,
ma sei l’unico con cui posso parlare di questa
cosa!”
“…Cioè?”
sembrava
distratto.
Sam se ne
accorse: “Ma dove
sei?”
“Sono
in un market, prendo
qualcosa per il ristorante; tipo qualche bottiglia di vino
bianco!” ribattè,
masticando delle patatine che prendeva poco alla volta dal pacco,
poggiato
dentro al carrello, mentre guardava verso gli scaffali.
“Cos’è
questo rumore? Stai
per caso mangiando qualcosa?”
“Sì,
delle patatine e
magari qualcos’altro da cucinare lì, prima di
tornare a casa!”
“Un
secondo, stai mangiando
dentro ad un market?”
“Ho
fame, non mangio nulla da
stamattina!”
“Potevi
pranzare alla mensa
della scuola, no?”
“Sì,
magari una fetta di
torta al cioccolato, panna e pillole per il di cambio sesso!”
esclamò,
sarcastico.
“Nat,
è assurda questa tua
paranoia. A non può
interferire con
il cibo che ti verrà servito in mensa, non è
David Copperfield!”
“Sta
di fatto che quelle
pillole si prendono dopo i pasti, ok? E per un mese e mezzo le ho prese
senza
che me ne accorgessi!” ribadì, isterico.
Sam
sospirò, evitando di
controbattere, cambiando discorso: “Comunque ti ho chiamato
perché…mentre ero
da Wesam, dal carcere mi ha chiamato Jasper: sta perdendo la
testa!”
“Wesam,
il tuo psicologo? –
puntualizzò, una vena arrogante - Ora lo chiami per
nome?”
“E’
rilevante? Dico, hai
sentito cosa ti ho appena detto?”
“Sì
sì, ho sentito! –
esclamò seccato, per poi parlare tra sé e
sé – Non sono mica
sordo!”
Sam, perplesso
dal suo
atteggiamento, preferì sorvolare: “…Ok,
ha minacciato di raccontare tutto
quanto. Ci ha dato due giorni di tempo per tirarlo fuori di prigione,
prima che
inizi il processo!”
A quel punto,
Nathaniel
sembrò prendere sul serio la cosa e nella sua espressione si
dipinse in un velo
di preoccupazione: “…E-e cos’hai gli hai
risposto?”
“Che
gli dovevo rispondere,
secondo te? Scusa, ma la vita non
è come il
monopoli, la carta “Esci di prigione al prossimo
turno” non ce l’abbiamo?”
“Come
pretende che in due
giorni possiamo trovare un modo per tirarlo fuori di
lì?”
“Beh,
gli abbiamo fatto
delle promesse l’ultima volta… -
sbuffò, sotto stress – Abbiamo commesso un
grosso errore a rivelarli tutto. Rider ci ammazza se lo
scopre!”
“Rider
è l’ultimo dei
nostri problemi. Se Jasper parla, inizieranno ad indagare su di noi,
tutto il
caso verrà riesaminato!”
Ora, la voce di
Sam
tremava: “O-ok, ma a Jasper non abbiamo detto che eravamo con
Anthony. Pensa
che l’abbiamo solo visto o seguito, ha capito
così, no?”
“Quello
che Jasper pensa,
non è quello che la polizia penserà. Loro faranno
sicuramente due più due!”
Sam si
portò una mano alla
fronte, disperato: “Oh Dio, abbiamo combinato un
casino!”
“Domani
mi inventerò
qualcosa, magari faccio un salto da lui in prigione e cerco di fargli
cambiare
idea, darci più tempo!”
“Buona
fortuna, allora! Al
telefono non sembrava così collaborativo.” la
diede per una missione inutile.
“Ora
vado, mi sto
avvicinando alla cassa. Teniamoci aggiornati o come ti pare!”
aggiunse,
chiudendo bruscamente.
“Ma..??”
Sam non ebbe il
tempo di
replicare, restando a guardare basito il suo telefono per la fugacia
dell’amico.
Sospirando, buttò il telefono sul sedile di fianco,
sdraiandosi sul suo,
sollevando la testa in alto e abbandonandosi ai suoi pensieri, prima di
rientrare a casa.
L’attimo
seguente, il
silenzio fu rotto da una notifica. Sam buttò giù
la testa e lo prese dopo
qualche secondo, esausto di averci sempre a che fare: si trattava di
alcune
email, che lesse ad alta voce.
“Jim Gordon vuole uscire con te, rispondi al suo
invito… -
con un dito, trascinò il messaggio nel
cestino, abbastanza annoiato – No, grazie! –
un’altra email, poi – Disponibile
il box con le prime tre stagioni
di The 100, entra nel sito per acquistare… - ci
pensò su, poi trascinò
anche quella email nel cestino – Non ho il tempo di vivere,
figuriamoci una
maratona di tre stagioni! – e, ancora, un’altra
email – Brianna Santoni ti ha
aggiunto al gruppo “Homecoming
staff”…”
Sam, finalmente,
si fece
sfuggire un piccolo sorriso; sentiva tutto l’odio che per
settimane aveva
percepito nei suoi confronti, da parte degli altri studenti, svanire
lentamente. Subito dopo, fu catturato da un’email che
conteneva degli annunci.
Ciò che risaltò ai suoi occhi, fu immediatamente
quello del “Ginseng”,
un locale gay che pare
avrebbe ospitato una band abbastanza conosciuta.
A quel puno,
fissò la sua abitazione, indeciso se
scendere oppure no, stuzzicato da quell’annuncio. Poi
tornò a guardare il
telefono, pensando che aveva bisogno di quella distrazione, di quella
serata;
di un posto dove sarebbe stato solo Sam, un ragazzo qualsiasi di cui
nessuno sa
nulla. Fu per questi pensieri che non ci pensò due volte a
buttare il telefono
sui sedili posteriori, girando la chiave e partendo a tavoletta.
*
Nathaniel aveva
appena chiuso il ristorante di suo
padre, dopo aver mangiato da solo ciò che aveva comprato al
market. Mentre
camminava lungo il marciapiedi, indossava la stessa felpa grigia e gli
stessi
jeans che aveva indossato per tutto il giorno.
Dalla tasca
tirò fuori il suo ipod, si mise le cuffie
nelle orecchie e la musica lo accompagnò nella lunga corsa
che iniziò. Corse
ancora, ancora e ancora. Per due, tre isolati interi, senza fermarsi.
Ormai
aveva lo sguardo fisso sulla strada che aveva davanti, quasi in trance,
mentre
ripensava a tutti i problemi della sua vita. Quando
attraversò la strada, non
vide nemmeno l'auto che gli stava arrivando addosso;
se ne accorse solo quando la luce lo abbagliò
e quando l'auto frenò ad un passo da lui.
"Ma chi cavolo
ti ha dato la patente? - sbraitò
Nathaniel contro il conducente, che non riusciva a vedere per via degli
abbaglianti - Stronzo!"
Improvvisamente,
la portiera si aprì e Nathaniel non
fece un passo, aspettando di vedere chi era.
"Nathaniel?" non
credette ai suoi occhi,
Cameron, ormai fuori dalla vettura.
Indossava una
camicia bianca, molto elegante.
L'altro si
lasciò sfuggire una risata di incredulità:
"Ma tu guarda...di tutta Rosewood, quasi mi facevo investire da un
idiota!"
Confuso, lo
squadrò dalla testa ai piedi: "Che ci
fai in giro a quest'ora? Non sembri molto informa...Sai, stamattina
passavo
dalla palestra e ho assistito a quello che è successo con
Morgan..."
"Mi tieni
d'occhio, per caso?" lo fulminò,
infastidito, facendo un piccolo passo verso la sua direzione.
"Ho detto che ci
sono passato per caso davanti alla
palestra. Solo perché so che sei gay, non vuol dire che tu
sia l'unico al
mondo."
Quello
abbassò lo sguardo, rendendosi conto di aver
esagerato. L'altro lo fissò in silenzio, per poi rivolgersi
nuovamente a lui.
"Senti, vuoi un
passaggio? So che abiti vicino a
casa di Rider Stuart..."
"E tu che ne sai
di dove abita Rider?"
"La smetti di
trattarmi come un serial killer? Suo
padre è uno scrittore abbastanza conosciuto qui in
città e mia madre è una sua
lettrice, una volta l'ho accompagnata a farsi autografare il libro."
Con un
espressione leggermente meno sospettosa, sembrò
ancora restio nell'accettare l'invito. Tuttavia, si avvicinò
all'altra
portiera.
"Non vuol dire
che diventeremo amici, se accetto un
tuo passaggio."
"È
solo un passaggio, sta tranquillo."
Poco dopo, erano
già per strada. Cameron era concentrato
sulla guida, silenzioso. Nathaniel lo squadrava di nascosto, perplesso.
"Hai un
appuntamento? Non avevi paura che qualcuno
ti beccasse?"
Quello gli
rispose senza togliere gli occhi dalla
strada: "La notte proteggere i segreti, non lo sapevi? Nessuno sa dove
sei, nessuno sa chi sei."
"Io so
perfettamente chi sei!" puntualizzò,
cercando di smontare la sua filosofia.
"Non vale tra
persone che fino a poco tempo fa
nascondevano lo stesso segreto... - finalmente lo fissò -
Non ho paura che tu
sappia chi sono!"
Nathaniel lo
fissò in maniera profonda, come se volesse
estirpare un dubbio appena nato: "...Perché Anthony non ti
ha mai preso di
mira? Se solo avesse saputo..."
"Lo sapeva!"
rivelò, diretto.
"M-ma... -
sgranò gli occhi, sorpreso - Insomma,
era Anthony! Se lo sapeva, perché non ti ha mai umiliato?"
"Perché
io sono come voi quattro: in qualche modo,
li servivamo a qualcosa!"
"E tu a cosa gli
sei servito, esattamente?"
"Diciamo che ho
comprato il suo silenzio."
"Gli hai dato
dei soldi affinché ti lasciasse
stare?"
"Mi ha fatto
capire che ne aveva bisogno per un suo
progetto personale, ma non so di cosa si trattasse. Quindi gli ho
offerto dei
soldi, solo che...qualcosa mi dice che me li avrebbe chiesti lui, prima
che
glieli offrissi io."
"E noi a cosa li
servivamo, esattamente? Perché
eravamo così tanto speciali?"
Cameron lo
fissò per un secondo: "Quello lo sapete
solo voi, ma una cosa è certa: Anthony era solo amico di se
stesso!" e
continuò a guidare, mentre Nathaniel portava lo sguardo
sulla strada,
riflettendo su quanto appena detto.
*
Intanto, Rider,
sdraiato a letto con un solo lume
accesso, che illuminava la stanza, era al telefono con Eric.
"Che vuol dire
che tua sorella ha ricevuto un
regalo da A? È una sorta
di
messinscena, forse?"
"Non ne ho idea!
- era confuso - Sembrava
letteralmente spaventata, non stava recitando!"
"...Quindi un
vestito da neonato?"
"Sì,
un vestito da neonato! - ripetè isterico - Ho
pensato subito che fosse incinta, ma ha detto di non esserlo. E ha
aggiunto che
qualcuno potrebbe aver scoperto della sua relazione con Brakner e che
quel
regalo era una frecciatina!"
"Ti prego, non
dirmi che ci stai cascando? -
assunse un tono incredulo e seccato - Questo è Brakner che
cerca di confonderci
le idee. Forse da quando siamo entrati nella panic room, sente di aver
perso
colpi e vuole depistarci."
"Non so... - si
grattò il capo, combattuto -
Diventa sempre più complicato. Questa mattina, A ha rimosso i bracciali a me e Sam
trasmettendo quel suono con
l’altoparlate della scuola."
"Bene, se prima
non ne ero convinto, ora ne sono
certo. A vuole tenerci d'occhio e
sapere cosa combiniamo, sta perdendo il controllo."
"Dobbiamo stare
con Nathaniel, lui è l'unico che ha
ancora il bracciale. Se perde anche il suo, siamo di nuovo esposti e
non avremo
più modo di parlare in segreto."
"Possiamo
rivolgerci di nuovo a..."
Rider lo
intercettò subito: "No, Julie ci ha
aiutati una volta e il nostro rapporto con lei è concluso.
Vuole delle risposte
e noi non possiamo dargliele: fine della storia!"
"Questa storia
deve finire, Rider. - era a dir poco
furioso - Oggi Alexis è venuta a riprendersi il suo lavoro.
Un lavoro che Todd
le avrebbe restituito, ma io dovuto raccontare delle bugie e quindi non
l'ha
ripreso!"
"Dovuto?"
"A
ha
minacciato che se non mi fossi tenuto il lavoro, avrebbe investito
Alexis con
un camper! - esclamò, isterico - Sai, quelle case a quattro
ruote che si usano
per andare in campeggio!"
Rider si
massaggiò le tempie, in preda ad un forte mal
di testa: "Sì, so cos'è un camper!"
"Bene! Solo che
io non posso reggere questa
situazione per molto. Mi sono allontanato dal gruppo perché
ho perso il mio
bracciale e ora scopro che anche voi li avete persi,
perciò...dimmi che in
tutto questo, avete pensato ad un piano in tutto il tempo che non ci
siamo
visti e sentiti!"
"Ehm...No, Eric.
Non abbiamo pensato a
niente."
"...fantastico!"
esclamò, deluso e arrabbiato.
"...Buonanotte,
Eric!" lo salutò, chiudendo
subito dopo. Mortificato per avergli mentito, perché un
piano ce l'aveva ma non
poteva rischiare che qualcun altro lo ascoltasse
*
Sam, nel
frattempo, era appena entrato al Ginseng,
ritrovandosi nel bel mezzo della folla. Luci da discoteca, partivano
dal
soppalco e colpivano i clienti del locale, mentre i The
kills stavano
suonando Doing it to death.
Cercò subito di farsi
strada tra i ragazzi, puntando al bancone. La luce era fortissima,
quasi da far
girare la testa. Finalmente, dopo essere andato a sbattere contro un
petto
bello largo, di un tizio altissimo ed essersi scusato,
arrivò al bancone.
Accasciandosi sopra di esso, come un naufrago sulla terraferma,
ordinò subito
qualcosa da bere.
"Un'aranciata...con
ghiaccio!"
Il barman
sollevò le sopracciglia, eseguendo, nonostante
gli fosse quasi scappato da ridere.
Tuttavia, non
tutti mantennero lo stesso contegno. Un
uomo, alla fine del bancone, stava ridendo. Rumorosamente. Sam si
voltò a
guardarlo e non credette ai suoi occhi: era Wesam.
"Che hai da
ridere?" fu poco amichevole, assai
seccato.
L'altro cercava
di porre fine alla sua risata, il
bicchiere che tremava nella sua mano: "È solo che... -
sfumò in un sorriso
ancora divertito - non sei un tipo da posti del genere, tutto qui!"
"Uao, la seduta
continua!" roteò gli occhi,
voltandosi ad accogliere il suo drink analcolico.
Wesam si
avvicinò di soppiatto, versando parte del suo
drink in quello di Sam.
Naturalmente,
l'altro reagì in malomodo: "Ma sei
impazzito?"
"Fuori da quelle
quattro mura, non sono più uno
psicologo!"
"Fuori da quelle
quattro mura, ho ancora diciassette
anni! Per questo ho ordinato un'aranciata, idiota!"
puntualizzò con un
isterico sarcasmo, prendendo il suo drink e allontanandosi verso quelli
che
ballavano. Wesam restò lì fermo, di schiena al
bancone, con i gomiti
appoggiati, che lo fissava senza perderlo di vista.
Fuori dal
locale, intanto, si era appena parcheggiata un
auto: quella di Cameron.
Il ragazzo diede
un colpo al petto di Nathaniel, che
sembrava essersi addormentato.
"Ehi, Nathaniel!"
Quello si
svegliò di scatto, spaventandosi: "Dove
sono?"
"Ehm...non mi
ricordavo esattamente in che via
abitavi, perciò... - titubò con la testa in
maniera scherzosa - Ho continuato a
guidare!"
Nathaniel lo
fissò a bocca aperta, per poi voltarsi a
guardare fuori dal suo finestrino: ragazzi palesemente gay all'ingresso
del
locale e una musica fortissima che proveniva dall'interno.
"Mi hai portato
in un locale gay???" si voltò
immediatamente a sgridarlo, inebetito.
"Che male
c'è? Sei gay anche tu, no? - non ne fece
un caso, parlando con parsimonia - Divertiti con me, altrimenti
aspettami qui;
solo che ci vorrà molto tempo e avremo un passeggero in
più al mio ritorno,
spero."
"Non
starò qui ad aspettarti e non entrerò con te!
Tornerò a casa a piedi!" uscì dalla vettura,
aprendo la portiera.
Anche Cameron
fece lo stesso, cercando di fermarlo:
"Ah, ho capito. È perché stai con Sam?"
Quello si
fermò: "Io e Sam non stiamo insieme! -
titubò, cercando di dare una spiegazione - È una
cosa così! "
"Interessante! -
trovò, portando in avanti il
labbro inferiore e assumendo un espressione dubbiosa, che voleva essere
una
burla - Da inserire come status su facebook!"
Nathaniel lo
trovò un insulso, pronto ad abbandonarlo.
Quando si fiondò nella direzione opposta, però,
andò a sbattere contro un
ragazzo.
"Ehi, sta
attento!" esclamò scontroso.
L'estraneo,
più pacato, era mortificato: "Oh,
scusami!" e dopo una rapida occhiata che lo convinse che era tutto a
posto,
tornò a camminare verso l'ingresso del locale, mentre
Nathaniel lo stava ancora
guardando. Anzi, osservando.
"Sbaglio o
quello aveva un certo accento francese?"
domandò a Cameron, che si stava avvicinando a lui.
"Vagamente,
perché? - si fece scappare una risata -
Ti piacciono i Francesi?"
L'altro,
però, lo ignorò, alzando gli occhi sull'insegna
del locale: "Il Giseng..."
"Sì,
si chiama così!" confermò Cameron, non
badando allo strano comportamento di Nathaniel, assai preso dall'uomo e
dal
posto in cui si era imbattuto.
Per lui
sembrarono quasi delle coincidenze, che nella
sua mente trovavano senso in un piccolo ricordo del passato. Per la
precisione,
alcune parole di Jasper, quando lui e Sam li fecero visita in prigione.
"La
notte
dell'omicidio stavo andando in un locale, il Ginseng...Un uomo, dalle
parti di
quel locale, mi ha chiesto se avevo da accendere, ma io non fumo,
quindi gli ho
risposto di no. Aveva un cappotto lungo e nero e una sciarpa rossa.
Biondo e
con gli occhiali. È l'unico che mi ha visto quella notte, ma
aveva un marcato
accento Francese."
Quando Nathaniel
tornò in sè, ripeté le parole che gli
erano rimaste più imprese, quasi sussurrandole: "Biondo e
con gli occhiali...
Marcato accento Francese...Ginseng..."
Camerono lo
fissò assai stranito, quasi agghiacciato:
"...Stai bene? Non sembri molto normale..."
L'altro lo
afferò per la camicia, non badando alle sue
osservazioni: "Portami dentro quel locale. Istruiscimi, dimmi cosa si
deve
fare una volta dentro!"
Con lo stesso
sguardo di prima, gli rispose ancora più
confuso: "Ehm...non ci sono istruzioni, devono solo piacerti i
ragazzi!"
marcò quell'esclamazione, trovando assurda la sua richiesta.
"Mh, bene!"
borbottò, avanzando verso
l'ingresso. Cameron, basito, rimase per qualche secondo impalato prima
di
seguirlo.
Una volta
dentro, Nathaniel non fece altro che
puntare l'uomo Francese, senza mai
perderlo di vista; quello, ormai, era già in pista che
ballava con un uomo.
"Ti va se ci
avviciniamo al bancone a prendere da
bere? Vorrei rinfrescarmi, prima di abbordare!" suggerì
Cameron.
Con la stessa
violenza usata fuori, Nathaniel lo tirò
nuovamente per la camicia con entrambe le mani: "Vieni, balliamo!"
"Okeeey, okey!"
esclamò l'altro, trascinato in
pista e in balia di lui.
A quel punto,
Nathaniel, ballò davanti a Cameron, come
se fosse il suo ragazzo, ma tenendo lo sguardo fisso sul Francese, la
fronte
sudata.
Naturalmente,
Cameron seguì il suo sguardo e intuì.
"Ti piace il
Francese, eh?"
"Sta zitto e
balla!" gli intimò l'altro, costringendo
Cameron a sbuffare e roteare gli occhi.
Dall'altra parte
del locale, Sam si bloccò, nel bel
mezzo della pista, quando vide Cameron. Con gli occhi sgranati per la
sorpresa,
accennò un sorriso compiaciuto nel vedere che era in
compagnia di un ragazzo.
Immediatamente,
allora, tornò al bancone, davanti a
Wesam, prendendolo di punto in bianco per un braccio.
"TU! Vieni a
ballare con me!"
Confuso,
trascinò i suoi passi fino alla pista: "Non
avevi diciassette anni?"
"No, ne ho
ventisette adesso. Zitto e balla!"
esclamò, facendo qualche mossa strana davanti a lui, che
palesava il fatto che
non era molto impegnato a ballare, ma a guardare qualcuno.
Wesam lo
intuì e seguì il suo sguardo, mentre Sam,
ormai, non poteva far altro che dire la verità: "Vedi quel
ragazzo con la
camicia bianca, che balla con quel ragazzo con la felpa grigia? Quello
è
Cameron!"
"Il ragazzo che
ha chiesto alla tua amica di andare
al ballo?"
"Sì,
proprio lui. Se adesso ci avviciniamo un pò e
tu ti tieni davanti a me, magari posso scattare una foto."
"Che
infantilità!" trovò Wesam.
Sam smise subito
di guardare Cameron e gli lanciò
un'occhiataccia: "Non è infantilità, questa!
È essere un buon amico!"
I due si
guardano per qualche secondo negli occhi,
ognuno con le proprie convinzioni. Alla fine, Wesam si arrese,
indietreggiando:
"Vieni, addentriamoci!"
Sam
accennò quasi un mezzo sorriso, per essere stato
ascoltato,ma cercò di non darlo a vedere, muovendosi con
lui. Una volta più
vicini, Sam tirò fuori il cellulare.
"Direi che siamo
abbastanza vicini, resta davanti a
me."
"Non mi sposto,
non preoccuparti." disse con
tono premuroso. Sam incrociò nuovamente il suo sguardo con
il suo, per poi
schiarirsi la voce per l'imbarazzo e puntare la fotocamera.
Pronto per fare
la foto a Cameron e il suo
accompagnatore, Sam osservava tutto dallo schermo. Prima di scattare,
però,
l'accompagnatore si voltò leggermente, rivelandosi essere
Nathaniel.
A quel punto,
sconvolto, Sam abbassò il telefono e
guardò meglio: era proprio Cameron con Nathaniel. Fu
così che Sam si diresse
battagliero verso i due, lasciando Wesam da solo e confuso.
"Nathaniel?"
esordì, allucinato.
Quelli si
voltarono, entrambi sorpresi di vederlo.
"Ehi, Sam, ci
sei anche tu!" esclamò Cameron,
giocoso.
"Chiudi quella
bocca!" lo aggredirono
entrambi, Sam più isterico che mai.
"Che ci fai qui
con Cameron?"
"Ehm...cerco
di... - provò a rispondere, limitato
dalla presenza di Cameron - Risolvere i nostri problemi!"
"Rimorchiando
Cameron?" sussultò, allibito.
"Tu che ci fai
qui, piuttosto?" ribattè
Nathaniel.
Cameron stinse i
denti, aspettandosi il peggio, convinto
che i due si stessero tradendo a vicenda.
"Io...io... -
anche Sam si ammutoli di colpo - Sono
con un amico!"
"C-che amico?
– strinse gli occhi, confuso, poi
notò un ragazzo, poco lontano da loro, che guardava verso la
loro direzione -
Chi è quello?"
Sam era
più imbarazzato che mai, ora:
"Ehm...Wesam!"
Nathaniel,
irrigidendosi, strinse gli occhi, fissandolo
a lungo: "Wesam, il tuo psicologo?"
"È un
caso che l'abbia incontrato qui!" si
giustificò.
Cameron,
lasciandosi scappare una piccola risata, si
intromise: "È stato un caso anche ballare insieme?"
Sam lo
fulminò immediatamente: "Stanne fuori,
grazie."
A quel punto,
Nathaniel ne ebbe abbastanza e lo prese
per un braccio: "Senti, vieni con me!" e senza dargli il tempo di
reagire, lo trascinò fuori dal locale, mentre Cameron e
Wesam, abbandonati, si
scambiarono un'occhiata sconsolata. Cameron, poi, non trovandolo
così male, gli
sorrise gli fece anche un’occhiolino.
All'ingresso,
Sam si liberò dalla stretta dell'amico:
"Senti, non ti sembra esagerata come reazione, portarmi fuori?"
Nathaniel,
però, arrivò subito al punto: "Dentro
c'è il Francese!"
"Il Francese? -
sbigottì - Di che parli?"
"Quello del
racconto di Jasper, il Francese che gli
chiese se aveva da accendere!"
"...Non mi stai
prendendo in giro, vero?" sgranò
gli occhi, mettendosi una mano sul petto.
"È
dentro, ci ho sbattuto addosso poco prima di
entrare. La descrizione combacia: accento Francese, capelli biondi,
occhiali!"
Sam
andò nel panico: "Ok, che facciamo? Insomma,
forse non si ricorda di Jasper!"
"Prima di tutto,
dobbiamo scattare una foto chiara
al Francese. Poi la porteremo in prigione e la faremo vedere a Jasper."
"Ho capito, vuoi
guadagnare tempo!"
"Esatto. Diremo
a Jasper che lo stiamo convincendo
a testimoniare, ma, secondo me, gli basterà sapere che
l'abbiamo trovato per
tranquillizzarsi e tenere la bocca chiusa."
"E con il
Francese come ci muoviamo?"
Nathaniel
titubò, ma aveva un piano: "Sicuramente
non vorrà immischiarsi in questa storia,
perciò...uno di noi deve
rimorchiarlo!"
"Cosa?"
sussultò Sam, sbarrando gli occhi.
"È
l'unico modo, Sam. Magari possiamo estorceli la testimonianza,
registrando le sue parole. Traendolo in inganno!"
"E come pensi di
estorcergli questa confessione?
Con un C'era una volta, ti ricordi l'uomo
pluriomicida a cui hai chiesto l'accendino?"
"Ti inventerai
qualcosa, ok?"
L'altro
tentennò, pensando di aver capito male:
"I-io? Perché io?"
"Perché
io non sono gay, Sam!" puntualizzò.
"Anche gli
attori non sono gay, ma recitano
ugualmente la parte!" replicò, acido.
"Senti, io non
saprei neanche da dove
iniziare!" gesticolò con le mani, abbastanza a disagio.
"Beh, dovrai
inventarti qualcosa, perché sei
l'unico che può farcela. - lo fissò negli occhi,
cercando di convincerlo - Sei
bello, alto, atletico...chi direbbe di no ad un ragazzo perfetto come
te?"
"Ouh...grazie..."
fece fatica a deglutire,
arrossì.
"Se ci vai tu,
abbiamo più possibilità. E poi...vi
siete già scontrati prima e hai una scusa in più
per avvicinarti a lui."
Finalmente,
anche Nathaniel si convinse e annuì:
"D'accordo, ci vado io!"
Sam
accennò un sorriso, prima di rientrare:
"Bene!"
E una volta
rientrati, Sam si fondò su Cameron,
trascinandolo in pista per un braccio: "Vieni, balla con me!"
Sorridendo
divertito, si lasciò prendere: "Ok, mi
sta anche bene, ma Nathaniel?"
"Ha da fare!"
"Con il
Francesino, immagino! - sorrise ancora di
più - Certo che avete una relazione bella aperta voi due!"
Sam
sforzò un sorriso, mentre lo tirava fino al centro
del vero movimento: "Non sai quanto!" e nel mentre, incrociò
per un
attimo lo sguardo di Wesam, che lo fissava serio da un punto del
locale. Fu molto
profondo quello sguado.
Nathaniel,
intanto, aveva raggiunto il Francese al
bancone. Era sudato per via del ballo e stava sorseggiando un drink
ghiacciato.
Impacciato,
Nathaniel si mise accanto a lui, sfoggiando
il suo miglior sorriso.
"Ti sei ripreso
dal colpo?"
Distrattamente,
quello si voltò: "Oh, ciao! Sei
quello che mi è venuto addosso prima, non è vero?"
"Che memoria!"
lo adulò.
Il Francese gli
sorrise, scrutandolo con interesse, ora
che lo guardava meglio: "Non è successo molto tempo fa!"
Nathaniel si
voltò verso il resto del locale, in una
panoramica: "Trovato qualcuno di interessante?"
Quello lo
fissò con un sorriso lussurioso, palesando la
risposta"...forse!"
"Io sono
Nathaniel, comunque!" rise.
"Edward!" e si
strinsero al mano, guardandosi
negli occhi a lungo.
Dopo diversi
minuti in cui li aveva osservati, Sam li
vide lasciare il locale insieme. Nathaniel ebbe giusto un secondo per
fargli un
occhiolino, che Sam ricambiò.
In tutto questo,
Wesam, che ora ballava con un altro,
non aveva mai smesso di tenere d'occhio Sam e notò
perfettamente l'occhiolino
che si era scambiato con Nathaniel, poco prima, trovando tutto molto
strano.
*
La mattina
seguente, Eric si stava svegliando. Strinse
gli occhi esageratamente, come in preda ad un dolore fastidioso, poi
aprì gli
occhi e si sollevò. Per diversi secondi, rimase imbambolato
a fissare la
parete, ancora stordito. Improvvisamente, ebbe una strana sensazione di
fastidio, che lo costrinse a portarsi la mano sulla guancia, nel punto
in cui
la percepì. Nel momento stesso, inclinò la testa
in direzione del comodino,
portando i piedi fuori dal divano letto. Nel guardare meglio la
superficie del
comodino, che la prima volta aveva guardato distrattamente, fece una
raccapricciante scoperta: una siringa e una bottiglia di sonnifero a
gocce,
poggiava lì sopra.
Il telefono, che
era proprio accanto, vibrò, ed Eric lo
prese immediatamente, il volto pallido e l'ansia che cresceva, pronta
ad
esplodere in una reazione di panico al messaggio che stava per aprire.
"Pensi
di essere furbo? Passa solo un altro centesimo alla tua ragazza e la
prossima
volta mi prendo anche il 24!"
-
A
In allegato,
sotto al messaggio, la foto di un dente
appena estratto, dentro un piccolo contenitore: il suo.
Con gli occhi
sgranati e la bocca secca, Eric si portò
nuovamente la mano alla guancia e incantò il vuoto.
Osservando nuovamente la
bottiglietta di sonnifero, sgranò ancora di più
gli occhi, ricordandosi di sua
madre.
Immediatamente,
corse nell'altra stanza, diretto verso
la sua camera. Dovette, però, fermasi in cucina, quando si
accorse che lei era
proprio lì in piedi con una tazza di caffè, che
guardava una soap opera in
televisione.
Sudato e
affannato, la chiamò: "Mamma!"
Quella si
voltò tranquilla, non badando al suo chiaro
disagio in volto, sorridendogli: "Ti sei svegliato presto, tesoro!"
"S-stai bene?"
chiese, restando impalato e
deglutendo malamente.
Quella
titubò per qualche istante: "...Ehm, sì!
Perché non dovrei? -
rise - Ho dormito
così bene stanotte, non succedeva da tempo. - poi
fantasticò, come una
ragazzina, gli occhi al soffitto, le guance rosse - Sarà che
sto così bene,
perché oggi torna tuo padre! Mi è mancato davvero
tanto..."
"Anche a me... -
sussurrò in maniera malinconica,
poi decise di congedarsi - Io vado a lavarmi i denti..."
"Ok, tesoro. Ti
preparo la colazione!" gli
sorrise ancora, mentre quello lasciava la cucina.
Quando fu in
bagno, davanti allo specchio, provò una
sensazione di timore mai provata prima. Sospirò, per poi
aprire lentamente la
bocca e tirare la guancia indietro.
Grazie
all'illuminazione dello specchio, poté vedere che
effettivamente gli mancava un dente, così richiuse
immediatamente la bocca,
respirando in maniera asmatica per ciò che gli era stato
fatto. Ma soprattutto,
che gli poteva essere fatto nuovamente. Fino all'ultimo dente.
*
Nathaniel era
nella camera
da letto di Edward, sempre in quella mattina. Era vestito, mentre
l’altro,
nudo, dormiva profondamente, con il lenzuolo bianco che copriva solo le
sue
parti intime e lasciava ben visibile tutto il resto del corpo. Lo
fissò a
lungo, in piedi davanti al suo letto, un’espressione seria
che non lasciava
trasparire i suoi pensieri o cosa fosse accaduto la notte prima. Aveva
semplicemente un biglietto in mano, che poggiò sul comodino,
con scritto sopra:
“Grazie per la notte trascorsa
insieme.
Richiamami per quel pranzo!”.
Dopo,
tirò fuori il
telefono e gli scattò una foto. Poi un altra, prendendolo
bene in volto. Subito
dopo, lasciò l’appartamento. Silenziosamente.
*
Più
tardi, a scuola, Eric e
Rider scesero dall’auto di quest’ultimo ed erano
diretti all’ingresso. Sam, arrivato
prima per conto suo, li vide e si diresse verso di loro.
“Ehi,
lo sapevate che
Violet farà un’annuncio importante al ballo di
stasera? Si è sparsa la voce!”
esordì.
“Si sa
di cosa si tratta?”
domandò Rider, mentre Eric si torturava le mani, la mente
completamente
altrove.
“No, a
quanto pare è una
sorpresa!”
Rider
roteò gli occhi,
ridicolizzandola: “Pff, farà uscire un gruppo di
colombe da un cappello?”
“Ehm…non
ci escono i
conigli dal cappello?” Sam strizzò gli occhi,
perplesso.
“E’
magia, Sam. Dal
cappello può uscire qualsiasi cosa!”
Subito dopo, Sam
fu il
primo a fare caso allo strano atteggiamento di Eric, molto silenzioso.
“Ehi,
tutto bene? Sei
pallido!”
Anche Rider ci
fece caso,
da molto prima di scendere dall’auto:
“Già, che cos’hai? Volevo chiedertelo
quando ti sono venuto a prendere, ma mia madre mi ha tenuto al telefono
per
tutto il tragitto e quindi non ho potuto chiedertelo.”
“A mi ha staccato un dente e non ho
capito completamente il suo
messaggio!” rivelò, agghiacciando i suoi amici.
Sam
sgranò gli occhi per
primo, scambiandosi un’occhiata anche con Rider:
“Come? Un dente?”
“Fammi
vedere questo
messaggio!” richiese Rider e quell’altro gli
passò il telefono, lasciando che
lo decifrasse.
“Perché
avrebbe dovuto
staccarti un dente? Adesso, A ha
anche una laurea in odontoiatria?” trovò assurdo,
Sam.
“A mi ha costretto a prendere il posto di
Alexis al Brew, ma quando
ieri è tornata a Rosewood per riprenderselo, le ho detto che
Todd non voleva
più riassumerla, ma non è vero.”
“A ti ha sicuramente minacciato, ma mi
sembra che tu abbia seguito i
suoi ordini alla lettera. Perché staccarti un
dente?”
“Perché
avrei dato il mio
stipendio ad Alexis tutte le volte in cui Todd mi avrebbe pagato. Mi
sembrava
il minimo, visto che le ho soffiato il posto e che a lei
serviva!”
Sam
sospirò, dispiaciuto
per lui, non aggiungendo altro, mentre Rider aveva appena finito di
decifrare
il messaggio.
“Immagino
tu non abbia
capito che significhi il 24!”
“Già,
cosa significa che la
prossima volta mi prenderà il 24?”
Rider si
apprestò a
spiegarglielo: “In odontoiatria, la bocca è
suddivisa in arcate; quattro, per
l’esattezza: superiore destra o sinistra, inferiore destra o
sinistra. Ogni
dente ha una numerazione ben precisa. Il
primo numero, corrisponde all’arcata e si conta in senso
orario, mentre il secondo
numero corrisponde ad un dente, a partire dall’incisivo
centrale che è il
numero uno e si conta all’indietro.
“Quindi…
- Sam provò ad
arrivarci da solo – Arcata superiore
destra…”
Ed Eric,
inquietato, completò:
“…Premolare… - poi si
alterò, nervoso – Vuole staccarmi un premolare,
vuole
staccarmi tutti i denti quel folle!”
Rider
cercò di
tranquillizzarlo: “Eric, non ti staccherà tutti i
denti se fai come ti dice!”
“E con
Alexis che faccio?”
ribattè, isterico.
“Ehm…
- Sam azzardò un
consiglio – Secondo me, questo non è un momento
buono per avere una relazione.
Almeno finchè c’è A!”
Eric allora lo
fulminò,
attenuando poi lo sguardo, rendendosi conto che aveva ragione:
“Non posso
crederci… - scosse la testa, impotente e amareggiato - Ha anche drogato mia madre
con dei sonniferi…E
ha scassinato la porta o magari ha una copia delle chiavi!”
“Probabilmente
ha la copia
delle chiavi di casa di tutti noi!” non se ne
meravigliò, Rider.
Sam, a quel
punto, gli fece
una richiesta: possiamo vedere?”
E lui, dopo
qualche secondo
di titubanza, aprì la bocca, mentre gli altri due si
avvicinavano per guardarci
dentro.
Rider fu il
primo a
commentare: “Si vede la sutura
gengivale…”
“Come
ci è riuscito?”
commentò Sam, impressionato.
“Guarda
che non è così
difficile?” replicò, mentre Eric teneva ancora la
bocca aperta.
“Ah,
davvero? – aggiunse
Sam, sarcastico e preoccupato - Io so a malapena quali sono i primi due
elementi della tavola periodica e dovrei saper suturare una
ferita?”
Eric richiuse la
bocca,
dicendo anche la sua.
“Sarei
dovuto andare a far
estrarre quel dente settimane fa. Dovrei ringraziare A
per avermi fatto risparmiato 45 dollari, ora?”
Ripresero a
camminare,
subito dopo, e i sospiri di Eric riempirono l’aria.
“Devo
lasciare Alexis…Non
ho altra scelta!” disse sconsolato.
I suoi amici lo
fissarono,
tristi per lui. Sam appoggiò una mano sulla sua spalla.
“E’
la cosa migliore, prima
che A vi danneggi ancora di
più!”
Improvvisamente,
poi,
ricevettero tutti un messaggio. Tutti e tre si guardarono poco sopresi,
un’espressione seria. Sapevano già di chi si
trattava.
“Jasper
Laughlin sta per
cantare e non è affatto una cosa positiva per nessuno di noi
cinque. Indovinate
chi non ha mantenuto la bocca chiusa…”
Allegato:
una foto di Nathaniel e Sam
davanti al penitenziario di Philadephia.
-A
In
quell’istante, Sam
sbiancò, alzando lo sguardo dal telefono per ultimo. Rider
ed Eric erano già
puntati su di lui, abbastanza confusi.
“Che
diavolo significa
questo?” domandò Rider, abbastanza cupo nel tono,
girando il telefono verso di
lui.
Fu la volta di
Eric: “Tu e
Nathaniel siete andati a far visita a Jasper?”
Sam
deglutì malamente, la
gola improvvisamente strozzata per la pressione che stava subendo in
quella
circostanza.
“I-io…Cioè,
noi…” provò a
sputare fuori qualche parola, con difficoltà.
“Noi,
CHE COSA?” urlò
Rider, a dir poco furioso, non lasciandogli la possibilità
di esprimersi con
calma.
Sam era pronto a
spiegare,
ma le loro facce erano chiaramente contrariate e i loro umori pronti ad
esplodere. Nathaniel era proprio a qualche passo da loro, in quel
momento, e
tutti e tre si voltarono a guardarlo…
(CONTINUA NELLA
SECONDA PARTE)
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Capitolo 11 *** 1x10-La sera del ballo (Parte II) ***
“SupernovA
(Part II)”
Quando Nathaniel
giunse davanti
a loro, ingnaro di ciò che stesse accadendo,
iniziò a parlare a ruota libera,
non facendo caso alle loro facce scure e al chiaro disagio di Sam.
“Potete
finalmente parlare
in pace! – sollevò il braccio, mostrando il
bracciale – Che mi sono perso?”
Fu Rider a
prendere parola
e non lo fece con toni amichevoli: “Ti sei perso che tu e il
tuo amichetto Sam
siete usciti fuori di testa!”
Tentennando con
la testa,
Sam replicò agghiacciato: “Amichetto? Ma come
parli?”
Nathaniel
accennò un
sorriso confuso, fissando Sam ed Eric: “Che sta succedendo?
E’ un nuovo gioco,
questo?”
Allora Sam
allungò il
telefono sotto il suo sguardo e Nathaniel non potè che
rimanere pietrificato,
mentre anche Eric diceva la sua.
“Come
avete potuto farci
questo? Stiamo colando a picco se non ve ne siete accorti!”
“Volevamo
scoprire chi
fosse A, all’epoca.
Ancora non
sapevamo fosse Brakner e le cose ci sono sfuggite di mano!”
provò a
giustificarsi Nathaniel, meno teso rispetto a Sam.
“Sfuggite di mano??? –
urlò Rider, a dir poco allibito - Diciamo
anche che avete perso completamente il cervello! Come vi è
venuto in mente di
dire ad un carcerato che… - titubò, dubbioso -
Non so neanche cosa gli avete
detto!”
Con un filino di
voce, fu
Sam a rendere noti i fatti: “…Tutto! Gli abbiamo
detto dell’omicidio, di
Albert, di A…Ci
dispiace!”
A bocca aperta,
Eric e
Rider si guardarono esterrefatti.
“Io
non ci sto credendo…”
aggiunse quest’ultimo, dopo il silenzio che era calato.
“Sentite,
sto per rimediare
a questa cosa, ok? Jasper ha incontrato un Francese quella notte e noi
l’abbiamo incontrato ieri in un locale. Grazie alla sua
testimonianza,
forniremo un alibi solido a Jasper e lui uscirà di
prigione!” continuò
Nathaniel.
Fu la volta di
Sam, mentre
quelli nemmeno riuscivano a guardarli: “E terrà la
bocca chiusa su tutto!”
Rider, a quel
punto, si
lasciò sfuggire una risata: “Ma fate sul serio?
– per poi reagire con toni
aggressivi – Avete forse dimenticato chi ha fatto finire
Jasper in prigione?
Eh? Questa cosa non piacerà ad A e
non permetterò che voi due roviniate i miei piani per
salvarci il culo!”
Eric si
voltò verso Rider,
confuso: “Quale piano?”
Ma Sam prese
parola prima
di lui: “Vuole entrare di nuovo nella panic room. Stasera,
mentre Brakner,
Lindsay e Morgan saranno distratti dall’evento!”
“E
quando pensavi di
dircelo?” domandò Nathaniel, mentre Rider guardava
male Sam.
“Voi
pensate solo ad
esserci, d’accordo? Io al contrario di voi, so mantenere un
segreto!” ribatté
in maniera distaccata, come se ora fossero estranei per lui.
“Oh,
Rider, ne sono sicuro!
– Nathaniel fu stufo del suo tono – Oltre a
mantenere i segreti, hai anche un
ottimo istinto e dei piani geniali!”
“Che
vorresti dire, scusa?”
“Dico
solo che ogni volta
che tu hai un piano, noi finiamo per essere investiti sotto un treno,
affogare
nelle fogne o soffocare in una camera blindata!”
“Almeno
io cerco di fare
qualcosa di buono rispetto a voi, invece che andarmene in giro a fare
la
coppietta gay ed un threesome con un Francese!”
“Rider,
ti ricordo che è
stato A a renderci una coppietta gay, come dici tu!”
puntualizzò Sam, offeso.
“Ma
per favore, come se la
cosa ti dispiacesse. Tu ADORI questa mossa di A,
sbavi per Nat da sempre e non ti sembra neanche vero che tutto
questo stia accadendo!”
Sam, a quel
punto, gli tirò
uno schiaffo, stanco delle sue parole forti, che lo ferirono
profondamente.
“Non
rivolgermi mai più la
parola, Rider!” lo fissò dritto negli occhi,
voltandosi e andandosene via con
gli occhi gonfi di lacrime.
Rider non
poté che restare
immobile, accusando il colpo.
“Sei
proprio uno stronzo. –
aggiunse Nathaniel, furioso – Ecco la persona che sei in
realtà!”
Eric si
sentì in dovere di
difenderlo: “E voi, Nat? Cosa siete, invece? Ormai non siamo
più un gruppo, io
non mi sento più parte di un gruppo…Da tempo,
ormai! Tu e Sam pensate solo a
voi stessi o non avreste mai fatto tutto questo da soli senza dirci
nulla! – lo
fissò negli, cercando di fargli capire la gravità
delle loro azioni – Nat,
avete messo nelle mani di un estraneo tutti i nostri segreti, tutta la
nostra
vita: LA NOSTRA LIBERTÀ; che ogni giorno cerchiamo
disperatamente di non
perdere per colpa di questo mostro!”
“E’
stato un errore,
quello, ve lo giuro! – disse con il cuore in mano - Pensavamo
di poter
risolvere le cose per conto nostro e non darvi anche questa
preoccupazione, ma A non ci
dà un secondo di tregua e voi
lo sapete quanto me che questo gioco sta diventando pensante e senza
fine! –
aveva gli occhi lucidi, ormai – Guardate cosa sta facendo a
me: non dormo come
una persona decente da almeno una settimana e ho paura anche a bere un
semplice
bicchiere d’acqua per paura che ci abbia messo dentro
qualcosa!”
Con freddezza,
fu Rider a
concludere la conversazione: “A sta
facendo qualcosa a tutti noi, non solo a te. Pensi che io riesca a
dormire? Che
A non possa mettere qualcosa nel
bicchiere anche a me? – fece un breve stacco, notando che non
aveva nulla da
dire in contrario – Non fare la vittima, Nat,
perché lo siamo tutti. Ora,
l’unica cosa che puoi fare, è presentarti al ballo
di stasera e fingere di non
sapere che uno di noi entrerà nella panic room per mettere
fine a questa
storia!”
Insieme ad Eric,
poi,
scavalcarono Nathaniel, diretti verso l’entrata della scuola.
Quest’ultimo,
però, ebbe un’ultima cosa da dire a Rider e lo
fece con uno sguardo assai
serio.
“Buona
fortuna, allora!”
Quello si
voltò giusto un
attimo, cogliendo l’ironia: ovvero che non ce
l’avrebbe fatta a battere A.
*
Nell’aula
della redazione
scolastica, poco più tardi, Sam stava chiacchierando con
Brianna, mentre tutti
gli altri erano divisi in gruppi ad occuparsi di qualcosa.
“Quindi
ce l’hai già una
macchina con cui scattare le foto?”
“Si
si, ne ho molte a casa.
Un tempo facevo molte fotografie, ho vinto anche un premio una
volta.” Spiegò
lui.
Brianna
annuì, non molto
convinta: “Oh, ma certo, forse mi ricordo. Doveva essere il
secondo o terzo
anno…”
“Secondo!”
confermò.
“Beh,
allora mi fido della
tua professionalità. In pratica dovrai scattare qualche foto
qua e là, ma le
più importanti sono quelle del Re e della Reginetta del
ballo!”
“Naturalmente!”
rise,
seguito da lei.
“Fai
più foto possibili
e…mi dispiace che tu non possa goderti la serata come
avresti voluto..” disse
mortificata.
Quello
agitò la mano,
rasserenandola: “No, tranquilla, tanto non ci sarei venuto
con nessuno…”
“Ah,
no? – ne fu sopresa –
Pensavo saresti venuto con Nathaniel, E’ per caso successo
qualcosa?”
“Ehm…Diciamo
che lui non si
sente ancora pronto per questo passo. – rise, poi –
In fondo, non è il ballo di
fine anno questo. Possiamo anche saltarlo, no?”
Quella
annuì, comprensiva:
“Naturalmente!”
Sam, poi, colse
l’occasione
per dirle un’altra cosa: “Ascolta, Brianna, volevo
dirti che ti ringrazio per
avermi preso in considerazione per le foto. Dopo quello che
è successo tra i
miei amici e la scuola, non me l’aspettavo!”
“Il
passato è passato, Sam.
– gli sorrise – E poi sono certa che non eri
davvero tu a parlare in quel
video, ma Anthony che influenzava le tue parole…Ogni
cattiveria partiva solo ed
unicamente da lui. E vi costringeva ad essere come lui.”
“Credimi,
non ero io.”
aggiunse, quasi in dovere.
Brianna gli
sorrise ancora
una volta: “Tranquillo, è tutto a posto. Almeno
con me. Tu pensa solo a fare
delle belle foto e divertirti!” e se ne andò,
congedandosi con un occhiolino.
Sam si
sentì improvvisamente
meglio, nonostante fosse ancora triste per la lite con Rider ed Eric.
Alle sue
spalle, in quell’istante, arrivò Nathaniel, che lo
prese per un braccio,
voltandolo.
“Ehi,
hai un minuto?”
Tornando allo
stesso stato
d’animo di prima, lo salutò con tono spento:
“Ehi, com’è finita poi con Rider
ed Eric?”
“Ci odiano ancora, ma almeno avremo salvato un innocente
dalla galera. Alla
fine sta pagando per qualcosa che abbiamo in qualche modo commesso noi,
no?”
“Nat,
non farla sembrare
improvvisamente un’opera di bene per non darla vinta a Rider.
Non te n’è mai
fregato nulla di Jasper, forse solo a me tra tutti voi….La
verità è che abbiamo
commesso un errore, fine della storia!”
“Non
mi interessa? – quasi
urlò, allibito - Sono andato a casa di un estraneo, ieri
notte!”
“Per
salvare noi, non
Jasper!”
“L’ho
fatto sia per noi che
per lui!” ribadì.
“Ok,
l’hai fatto per tutti
quanti, ma… Com’è andata?”
“Lo
vedo dopo a pranzo, non
potevo passare al dunque dopo cinque minuti. Dobbiamo andarci
piano!”
Sam, a quel
punto, fu
curioso di sapere i dettagli nottata: “Per caso
avete…fatto…???”
“Sesso?
– completò,
lasciandolo sulle spine per qualche secondo –
Ehm…a dire il vero, pensavo
saremmo andati a letto appena arrivati a casa sua e
invece…mi ha preparato una
cioccolata calda, continuando a guardarmi dalla testa ai
piedi…”
L’altro
non riusciva a
capire: “Insomma, avete fatto sesso o no?”
“No,
ma…mi sono dovuto
togliere i vestiti!”
“Ehm…
- strabuzzò gli
occhi, sempre più confuso – Che cosa sarebbe
allora, sesso con gli occhi?”
“No,
niente sesso! –
precisò, seccato – Ha voluto solo che io gli
facessi da modello!”
“Modello per
cosa?”
“Per un quadro!”
“Dipinge?”
ne restò
meravigliato.
“Ha
molti quadri nel
soggiorno di casa sua, tutti ritratti di corpi maschili nudi. Tra due
settimane
ha una mostra e dice che si è sentito ispirato da me,
così mi ha chiesto di
posare per lui in varie circostanze!”
Sam si
lasciò scappare una
piccola risata: “C-che tipo di circostanze?”
“Non
so, nel suo
appartamento che mangio una mela, nel parco che leggo un libro tutto
nudo sotto
ad una quercia…cose così, sono quadri
particolari!”
“E ti
ha chiesto lui di
vedervi a pranzo?” domandò, abbastanza a bocca
aperta.
“Vuole
pagarmi, ma in
qualche modo cercherò di trovare un modo per dargli
ciò che vuole e avere in
cambio ciò che vogliamo noi!”
Non molto
contento di
questa vicenda, assai bizzarra da metabolizzare, Sam
continuò con le sue
perplessità: “Ok, ma sa quanti anni hai,
almeno?”
“Gli
ho detto che ne ho
ventidue e ci ha creduto. Non sembro un diciassettenne, alla
fine!”
L’altro
sospirò, stanco e
demoralizzato: “A questo punto, fai quello che devi. Voglio
solo una fottuta
vacanza dopo tutta questa maledetta storia di A!”
Nathaniel,
vedendolo in pena,
gli mise una mano sulla spalla e con l’altra gli
sollevò il mento con
tenerezza: “Ehi, non badare a quello che ha detto Rider.
E’ stressato come
tutti noi e magari ha esagerato…”
“Non
so… - si mise a
braccia conserte, ancora avvilito – Mi sento ancora molto
ferito, non me
l'aspettavo da Rider che mi parlasse in quel modo. Per un attimo ho
rivisto
Anthony in lui.”
“Già,
anch’io, ma… - lo
afferrò per le spalle, attirando il suo sguardo sul suo viso
– Anche se in
questo momento siamo divisi da questo litigio, rimaniamo comunque un
gruppo con
lo stesso obbiettivo: sconfiggere A!
Ok? Vedrai che ci perdoneranno!”
“E
saremmo noi a dover
essere perdonati? Dopo quelle parole?”
“Un
po’ ce le siamo
meritate, abbiamo messo a rischio anche la loro vita! E’
normale che abbiano
reagito così, anche noi due avremmo reagito così
se la situazione fosse stata
inversa.”
Sam
se ne convinse: “Forse
hai ragione, nemmeno io l’avrei presa tanto bene, ma al
momento non voglio
vederli.”
“D’accordo,
ti capisco, ma
dobbiamo essere tutti presenti stasera. Glielo dobbiamo!”
L’altro
annuì: “Si si, sarò
comunque qui, mi occupo delle foto!”
Nathaniel
rimase
leggermente di sasso: “…Ah, non avevo capito
che…”
“Non
te l’avevo detto?”
“Ehm…forse
o forse no. Con
tutto quello che succede è difficile ricordarsi le cose come
queste!” sembrò
deluso e Sam lo percepì.
“Nat,
per caso volevi…???”
“Chiederti
di venire al
ballo? Perché no! – sorrise – Ormai
l’abbiamo superato lo scoglio più duro con
la scuola. Non siamo più una novità!”
“Mi
dispiace…” Sam
s'imbronciò.
“Verrò
da solo, non
preoccuparti. – gli sorrise ancora - Anzi, ci
verrò con mia zia Courtney!”
“D’accordo,
va bene. Allora
ci vediamo stasera, sperando che Rider ce la faccia!”
“Speriamo!”
esclamò,
provando ad essere positivo. I due si guardarono un’ultima
volta, un accenno di
sorriso e poi si divisero lungo quel corridoio.
*
Più
tardi, nel pomeriggio,
Rider era in soggiorno, con un taccuino poggiato sul tavolino, che
riportava un
elenco di numeri. Egli li stava provando uno alla volta, barrandoli
subito dopo
aver messo giù il telefono. Sembra assai seccato.
“Ehm,
pronto, Brenda? Sono
Rider Stuart e mi chiedevo se avessi già un accompagnatore
per il ballo… Ah, ci
vai con lui?...Ok ok, capisco, non ti preoccupare! – rise
– Buona serata, grazie
lo stesso!” e mise giù, amareggiato, barrando
anche il suo numero, sbuffando
davanti al taccuino, che non aveva altri numeri utili.
Improvvisamente,
alle sue
spalle, arrivò suo padre. I suoi passi sul parquet lo
rivelarono
immediatamente.
“Come
mai nessuno ha
ritirato la posta stamattina?” esordì con in mano
svariate lettere prese dalla
cassetta della posta.
“Mamma
non ritira mai la
posta, lo sai che è sempre di fretta, mentre Lindsay a
malapena sa che esiste
una cassetta delle lettere per ogni abitazione…”
“E
tu che scusa hai?”
domandò, sollevandosi gli occhiali dalla punta del naso.
“Cerco
una ragazza che mi
accompagni all’Homecoming, ma… -
sollevò il taccuino con i numeri barrati – Non
ho avuto molta fortuna!”
Robert
sospirò, scuotendo la
testa, in pena per il figlio: “Ahh, noi
Stuart…Intelligenti, ma mai vincenti!”
“Non
dirmi che anche tu
avevi difficoltà al liceo! – rise, mentre il padre
faceva già delle smorfie a
confermarlo – Ho visto le tue foto da adolescente,
Papà, non eri niente male!”
“Beh,
gli uomini della
nostra famiglia hanno sempre portato gli occhiali. All’epoca
non era molto fico
portarli, rendeva i miopi, come me, tanti giovani Clarke Kent assai
goffi e
poco ambiti dalle ragazze…”
Rider
rise ancora: “Guarda che
ancora oggi, portare gli occhiali, è ancora da goffi Clarke
Kent o non sarei
qui a pensare di flirtare con una lampada da soggiorno per la
disperazione!”
“Molti
modelli di
Abercrombie portano gli occhiali, lo sai?” tentò
ancora di sollevare la sua
autostima in modo teatrale.
“Papà,
io non sono un
modello di Abercrombie. – sorrise rassegnato - A stento ho
mezzo addominale e
non sono nemmeno altissimo!”
“Allora
cambia, Rider!
Nulla è impossibile, basta solo spostare alcuni frammenti
del nostro essere per
avere una nuova combinazione!”
Rider
ci rifletté su, per
nulla incline al discorso ed un sorriso spensierato: “A me
piace la
combinazione che sono, stranamente…”
“E
io sono fiero di
sentirlo. – gli sorrise - Noi genitori non vogliamo che
cambiate, in realtà, ma
vi sosteniamo comunque…”
Improvvisamente,
dopo
quelle ultime parole, il sorriso di Rider sfumò, colto un
pensiero che voleva
esternare.
“…Se
Lindsay un giorno ti
dicesse di essere incinta, cosa le diresti, considerata la sua
età?”
Spiazzato
dalla domanda,
provò a rispondere con un’iniziale vena
sarcastica: “Sperando che tua sorella
non sia davvero incinta, lei direi che…Dovrebbe tenerlo!
E’ fatta, non si torna
più indietro. Hai creato qualcosa che è destinato
ad essere e non puoi
sopprimere l’esistenza di qualcuno come nulla fosse. Le direi
anche di non
darlo in affidamento, perché un figlio non si abbandona mai,
a meno che…”
Rider
restò a guardare
incantato suo padre, catturato dalle sue parole, ma quando si
bloccò, gli venne
spontaneo capire cosa avesse: “A meno che?”
Cercò
di riprendersi,
leggermente provato: “Ehm, niente, è solo un tema
molto forte. Molti anni fa mi
è capitato di assistere ad un abbandono, in un altra
famiglia: un bambino!”
Quello
tentò di ricordare
invano: “Non ricordo di questa vicenda, di che famiglia
parli?”
“Non
puoi ricordare…avevi
solo quattro anni! Era
il figlio di un
nostro vicino!"
Curioso,
Rider
volle saperne di più: "E che fine ha fatto questo bambino?"
Robert
sembrò
restio a volerne parlare: "Ehm, aveva molti problemi e così
i suoi
genitori hanno dovuto allontanarlo!"
"Mi
sembra
una storia assai familiare, sai?" pensò, strabuzzando gli
occhi.
"Ha
ispirato
uno dei miei libri!"
Rider
si ricordò,
schioccando le dita: "Ah, sì, Il
bambino al di là del cancello?”
Suo
padre annuì
forzatamente, quasi a disagio, mentre l'altro continuava.
"Deve
averti
colpito molto questo bambino per ispirarti un libro."
"Ogni
tanto
lo lasciavano da noi e giocava con te e Lindsay." accennò un
sorriso.
Non
più così
interessato, Rider alzò dal divano: "Beh, forse è
meglio che vada ora. Ho
un evento a cui partecipare da solo!"
L'altro,
però,
sembrò avere una buona notizia per lui: "Ah, dimenticavo,
sta arrivando
Tasha!"
"Ehm..
Tasha,
mia cugina?" domandò confuso.
"Sì,
l'ha
chiamata Lindsey. Pare che all'Homecoming ci sarà un vecchio
ragazzo che
frequentava al liceo."
Rider
non poté che
sorridere di felicità: "Sono a posto, allora. Tasha mi
adora, verrà al
ballo con me senza pensarci due volte!"
Suo
padre annuì
con ovvietà: "Per questo te lo sto dicendo!"
"Grazie
per
avermelo detto dopo undici chiamate umilianti! - esclamò
sarcasticamente,
dirigendosi verso il corridoio, esterno al soggiorno - Vado a
prepararmi,
ciao!"
"Buona
serata, figliolo..." gli fece un cenno, tornando a guardare le lettere
che
aveva in mano. Un espressione malinconica, legata al racconto di poco
prima,
regnava ancora sul suo volto.
*
Nathaniel
si
presentò all'appuntamento con Edward, che lo stava
aspettando da almeno
mezz'ora, seduto ad uno dei tavolini esterni al ristorante, leggendo il
giornale. Poggiando lo zaino alle spalle della sedia, si sedette
rapidamente
con il fiatone.
"Ciao,
eccomi, scusa il ritardo!"
Edward
si accorse
di lui solo quando sentì la sua voce e subito mise via il
giornale, guardando
l'orologio.
"Pensavo
non
venissi più, ero già nel pallone per la paura di
aver perso il mio modello
migliore!"
Nathaniel
rise,
sgranando gli occhi: "Addirittura il migliore?"
Quello
sorrise:
"Evidentemente la mia fama non mi precede, del resto Rosewood
è una città
così disconnessa. Comunque sia, sono un pittore abbastanza
rinomato e so quando
un soggetto è migliore di un altro."
"Rinomato?"
ripeté la parola che l'aveva più colpito.
"Sì,
ho fatto
molte mostre a New York!"
"Ouh,
quindi
sei abbastanza conosciuto!" esclamò abbastanza sorpreso,
pensieroso.
"Volevo
parlarti del prossimo posto da usare come scenario. Appena fuori da
Rosewood ho
visitato un bellissimo parco, molto illuminato di notte. All'interno
c'è questa
sontuosa fontana molto larga..."
Quello
lo fermò
subito: "Un parco, hai detto? Dovrei posare nudo in un parco
pubblico?" sussultò con poco entusiasmo.
"Non
ci sarà
nessuno quando ci andremo noi. Dovrai soltanto sdraiarti lungo il bordo
circolare della fontana e naturalmente...ti pagherò molto
per questa
seccatura!"
Nathaniel,
a quel
punto, sospirò, mettendolo al corrente di una cosa: "Ehm,
ascolta, prima
che sia troppo tardi, volevo dirti che in realtà...ho
diciassette anni!"
L'altro
rimase
assai impassibile: "E allora?"
"Ma...
- la
sua reazione lo spiazzò - non sei sorpreso?"
"Ieri
sera,
quando sei andato in bagno, il tuo portafoglio è caduto
dalla tasca dei
pantaloni. Immaginavo avessi mentito sulla tua età, chiunque
lo farebbe per soldi,
così per curiosità ho dato un'occhiata ai tuoi
dati anagrafici!"
Anche
se Nathaniel
aveva mentito sulla sua età per altri motivi, lo fece
passare per quello:
"In effetti...Scusa!" sorrise mortificato.
"Non
stiamo
facendo nulla di male, non siamo stati a letto o altro. E, come ti ho
detto,
non ci sarà nessuno in quel parco a tarda notte. Faremo
velocemente."
"Bene!
-
annuì, mostrandosi tranquillo - Quando ci andiamo?"
"Che
ne dici
di stasera?" propose a bruciapelo.
"Purtroppo
non posso, ho l'Homecoming!" mostrò i denti stretti,
mortificato.
"Domani?"
Nathaniel
sorrise:
"Domani è perfetto!"
L'altro
ricambiò,
sollevando il menù: "Ok, ordiniamo? Da quando sono qui ho
bevuto solo
mezzo bicchiere di vino ed ho bisogno di carboidrati!"
"Certo!"
esclamò prendendo anche il suo menù.
*
Sam
stava salendo
allo studio di Wesam, mentre controllava le chiamate perse, sperando
che non ce
ne fosse una di Jasper dal carcere. Quando fu davanti alla porta, mise
la mano
a pugno, pronto a bussare; ad un certo punto, però, non
bussò, prendendosi un
attimo e ripensando alla lite con Rider: la vicenda lo rattristava
ancora
molto. Scacciati tutti i pensieri, finalmente pronto, la porta si
aprì ancora
prima che il suo pugno toccasse la porta.
Sam
si ritrasse,
sorpreso. Wesam si affacciò.
“Oh,
eccoti! -
controllò l’orologio – Ti aspetto
già da cinque minuti. Dai entra!”
L’altro
deglutì,
abbassando lo sguardo, un tono mortificato: “Ehm…
- si grattò il capo –
Ascolta, oggi non posso davvero entrare, sono venuto a dirtelo di
persona
perché non conosco il tuo numero. Se l’avessi
chiesto a mio padre, mi avrebbe
sicuramente fatto mille domande,
perciò…”
“Bastava
cercarlo
nell’elenco telefonico, ma… - era confuso, quasi
preoccupato dal suo aspetto
assai titubante e malinconico –
Che
succede?”
“Niente,
è solo
che sono nello staff dell’Homecoming e devo correre a casa a
preparare
l’attrezzatura: mi occuperò delle foto!”
spiegò, sbattendo le palpebre come
fosse un tick, un tono altalenante e nervoso.
Wesam
restò
alquanto interdetto, ma non poté che assecondarlo:
“D’accordo, Sam. Va bene!”
Sam
accennò un
sorriso di ringraziamento, indietreggiando e pronto ad andarsene:
“Non mi dire
niente, ma puoi non dire a mio padre che ho saltato anche questa
seduta? Vorrei
evitare un’altra discussione con lui.”
“Finirò
per essere
pagato per un lavoro che non sto facendo!” esclamò
sarcastico.
“E’
l’ultima
volta, te lo prometto!” concluse, mettendo il piede sul primo
gradino.
Wesam
lo fermò al
volo, ricordandosi una cosa: “Ah, Sam, aspetta!”
Quello
tornò sul
pianerottolo: “Sì?”
“Ho
una cosa per
te! – tirò fuori il telefono dalla tasca
– Immagino ti farà piacere!”
Lui
si avvicinò,
curioso, mentre quello gli mostrava qualcosa: una foto di lui e Cameron
che si
baciano fuori dal locale.
Sam
inclinò la
testa, strabuzzando gli occhi: “C-che sarebbe questo? Che
significa?”
“Una
prova da
mostrare alla tua amica!”
“Chi
ha scattato
la foto?”
“Un
tipo a cui
l’ho chiesto!”
Sam se ne restò sbigottito: “E hai baciato Cameron
solo per farmi un favore?”
“Tecnicamente
ha
mentito sulla sua età, quindi niente crimine per
l’inconsapevole adulto! –
sorrise – Devo dire che non è stato difficile,
quel Cameron passa da un fiore
all’altro con molta facilità!”
“Beh,
sì…” non
sapeva cosa dire.
Wesam,
non riuscendo
a capire se Sam era contento o arrabbiato, cercò di
giustificarsi: “Ascolta, so
quanto ci tenevi a questa prova da mostrare alla tua amica,
perciò spero che tu
non mi giudichi male…”
“Ouh,
no! –
esclamò, tranquillizzandolo – L’ho
apprezzato molto, invece. Per Cameron è
sicuramente routine andare con chiunque e di qualunque età,
probabilmente…”
“Ti
mando la
foto?”
Sam,
allora, prese
la penna di Wesam dalla tasca della sua camicia e poi prese la sua
mano,
scrivendo il suo numero sul palmo della sua mano.
Wesam
lo fissò,
quasi incantandosi, mentre l’altro alzava lo sguardo ogni due
cifre che
scriveva, incrociando il suo.
Quando
finì, ce ne
fu ultimo, che lo imbarazzò a tal punto che dovette
arretrare nuovamente.
“Io
devo proprio
andare adesso. Puoi mandarmi la foto su quel numero, ok?”
Quello,
accennando
un sorriso, fermo davanti alla porta, annuì: “O lo
faccio o mi sono fatto
sporcare la mano di inchiostro per nulla!”
Sam
si fermò
nuovamente, mostrandosi improvvisamente mortificato: “Ah,
Wesam, a proposito di
ieri…Perdonami se ti ho lasciato in quel modo!”
Quello
apprezzò,
pur restando neutro nell’espressione:
“…Niente scuse, puoi fare quello che vuoi
in un locale pieno di ragazzi. E poi non ho quindici anni, Sam. Di
certo la mia
vita non ruota di fronte a queste sciocchezze. Ho comunque passato una
bella
serata.”
Sam
annuì,
sentendosi stupido: “Ah, ok allora! – gli fece un
cenno con la mano – Ciao!”
L’altro
gli
sorrise soltanto, continuando a fissarlo finché non
scomparve in fondo alle
scale. Immediatamente, la sua espressione cambiò di colpo,
diventando seria.
Richiuse
la porta,
tornando nel suo studio, aggiornando la sua agenda.
“Puoi
uscire, se
n’è andato!” esclamò, mentre
scriveva.
La
porta del
bagno, alle sue spalle, si aprì: a rivelarsi, fu il padre di
Sam.
“Come
mai non ha
fatto la seduta?” domandò Carter, mentre
l’altro si voltava, alquanto
distaccato, quasi infastidito dalla sua presenza.
“Tuo
figlio è
nello staff dell’Homecoming, non l’hai
sentito?”
“No,
non l’ho
sentito! Dovevi farlo entrare!”
“Ah!
– esclamò con
enfasi – Quindi non solo mi mandi nei locali a rimorchiare
dei minorenni.
Adesso li devo anche molestare?”
“Sei
coperto per
tutto quello che stai facendo e lo sai!”
“Non
mi piace
lavorare per la polizia in questo modo. Hai attirato tuo figlio in quel
locale
con una falsa email, ti rendi conto?” replicò.
Carter
si avvicinò
quasi ad un palmo dal suo naso: “Tu non lavori per la
polizia, ma lavori per
me!”
“E
fino a quanto
dovremmo spingerci, se posso chiedere.” restò
lì davanti a lui, non temendolo.
L’altro
fece un
passo indietro, più calmo: “Conosco mio figlio da
tutta la sua vita e so che
c’è qualcosa che non quadra, qualcosa che lo sta
spaventando a morte al punto
che non sembra più la stessa persona di prima.”
Wesam
deglutì,
sospirando. Poi prese la sua agenda e la diede in mano a Carter.
“Nella
seduta di
ieri, Sam è uscito fuori per parlare con qualcuno. Quelle
che vedi scritte sono
alcune parole chiave della conversazione.”
L’uomo
era
letteralmente inquietato da ciò che stava leggendo, mentre
l’altro volle sapere
a cosa stesse pensando.
“Chi
è Jasper? Lo
conosci?”
“Ehm…
- si grattò
il capo, fingendo di non saperlo – Non ne ho idea, forse
dovresti scoprire di
più!” concluse, sudando freddo, puntando lo
sguardo in vari punti della stanza,
molto pensieroso.
Poco
convinto dal
tono di quello e il suo comportamento, tralasciò:
“E A? Hai idea di cosa
possa significare?”
“Non
lo so, forse
è l’iniziale di un nome o è legato a
qualche numero…” rispose distrattamente.
“Sai,
ho avuto come
la sensazione che Sam stesse parlando di A
come se si trattasse di una persona. In genere,
però, non parli di quella
usando la sua iniziale. A meno che…”
Carter
lo fulminò
con lo sguardo, il tono aggressivo: “A meno che,
COSA?”
L’altro
sgranò gli
occhi, non aspettandosi questa reazione: “…Niente,
interpretavo solo la cosa.
Se parli di qualcuno utilizzando la sua iniziale, significa che non
vuoi che si
sappia chi sia o che non vuoi che qualcuno ascolti quel nome.”
L’uomo,
sempre più
nervoso, decise di andarsene: “Ascolta, qualunque cosa ti
dica Sam, tu devi
dirmela subito! E non fare mai parola di quello che ti dice con
nessuno,
eccetto me. Intesi?”
“A
chi dovrei
dirlo? Verrei radiato dall’albo, c’è la
privacy sulle sedute che tengo con i
miei pazienti!”
Carter
non
rispose, limitandosi ad una lunga occhiata che lo tradì,
perché Wesam riusciva
a capire ogni comportamento umano; soprattutto i pensieri.
Immediatamente
l’altro uscì dallo studio, senza nemmeno salutare
o aggiungere altro.
Wesam
si sedette
alla scrivania, digitando su Google le parole: “Jasper +
processo”.
Ciò
che uscì,
furono articoli legati all’omicidio di Anthony Dimitri e suo
padre e
all’arresto di Jasper Laughlin, sotto accusa di omicidio.
A
quel punto,
l’uomo si tirò indietro con la schiena, fissando
la parete. In qualche modo,
intuì che Carter intendeva di non far parola con nessuno,
riferendosi alla
polizia.
*
Più
tardi, al
Brew, Eric controllava l’orologio in continuazione. Da dietro
al bancone,
continuava a guardare la strada, attraverso i vetri delle porta
d’ingresso,
come se stesse aspettando qualcuno. Improvvisamente, quella porta si
aprì ed
entrò Julie; solo che non era sola, ma in compagnia del
Professor Palmer.
Quelli
si
diressero verso il bancone, lui li accolse con un largo sorriso.
“Salve,
signorina
Orlando! – poi fissò l’uomo –
Professor Palmer!”
“Ciao,
Eric!”
esclamò lei, ricambiando il sorriso. Palmer gli fece un
cenno.
“Volete
prendere
un tavolo?”
“Sì,
ehm… - ella
si voltò verso l’uomo – Sebastian, tu va
pure a sederti. Ordino io! – gli
sorrise – Ormai so cosa ti piace!”
L’altro
le
sorrise, assai invaghito. Eric spostò lo sguardo fra i due,
notando la loro
intesa.
“D’accordo,
sorprendimi su quanto mi conosci!” e si allontanò,
cercando un tavolo.
Quando
furono
soli, Julie si avvicinò ancora di più al bancone
ed Eric cambiò tono,
bisbigliando.
“Devi
aiutarci,
Julie!”
“Che
c’è, Rider ha
deciso che sono di nuovo dentro?”
“No,
ma mentre tu
continui ad avere appuntamenti caldi con il nostro professore, noi ci
siamo
divisi!”
Inizialmente
seccata dalla battutina, volle saperne di più:
“Avete litigato?”
“Sam
ha diciamo
violato una regola che Rider imponeva con te e ha detto troppo ad una
persona.
Quasi tutti noi abbiamo perso il bracciale e temiamo che A
ci ascolti di nuovo.”
“Quindi?”
rispose
indifferente, cercando di capire dove volesse andare a parare.
“Quindi
aiutaci,
non hai qualcosa che faccia al caso nostro?”
“Ti
ricordo che A ha rubato
metà delle mie cose in quel
sotterraneo!”
“Oh,
andiamo,
abbiamo visto il tuo appartamento: hai molta più roba di
quella!” insistette,
non bevendosela.
Quella
si arrese,
sbuffando: “D’accordo, al ballo di stasera vi
porterò qualcosa!”
“Con
chi ci
vieni?”
“Con
Sebastian,
con chi se no?”
“Fai
sul serio con
lui?”
L’altra
rispose con
gli occhi a cuoricino: “E’ un uomo così
pieno di interessi, galante e
soprattutto molto affascinante. Perché non venire con
lui?”
“Ascolta,
ti parlo
per esperienza personale: non inoltrarti troppo in una relazione con A nei paraggi!”
“A perseguita voi, non me.”
“A perseguita qualsiasi cosa si muova
intorno a noi, Julie!”
“Beh,
fin’ora mi
ha solo derubata. Evidentemente mi teme!”
“Fossi
in te, non
lo direi ad alta voce!”
Julie,
per nulla
intimorita, si aggiustò la borsa sulla spalla,
indietreggiando: “Noi siamo al
tavolo, Pam sa già cosa prendiamo di solito! – gli
fece un occhiolino – A
stasera!”
Eric
annuì,
l’espressione poco positiva. Ad un certo punto, il suo
sguardo volse nuovamente
verso la porta: fuori si era appena fermato un taxi, un uomo assai
familiare ne
uscì.
Improvvisamente
lo
riconobbe, sgranando gli occhi: era suo padre. Con il grembiule
addosso, Eric
corse fuori dal Brew, attraversando la strada come un cieco, troppo
felice per
fermarsi. Mentre stava prendendo la sua valigia dal bagagliaio assieme
al
tassista, Eric si fece sentire alle sue spalle.
“Papà!”
urlò di
gioia, facendolo voltare.
“Eric!
– gli
sorrise – ma che…”
Ma
non gli diede
il tempo di finire, che gli saltò addosso, abbracciandolo
forte. Intanto il
taxi stava ripartendo.
L’altro
rise,
quasi soffocato, la valigia accanto alle gambe.
“Accidenti,
Eric,
non sono stato in Iraq!”
Finalmente
si
staccò, mantenendo un sorriso gioioso: “Lo so, ma
è così bello riavere un
padre!”
“Strano
abbraccio,
dev’essere stato un mese infernale per voi. –
suppose, stranito - Anche
se tua madre, al telefono, sembrava
molto serena ultimamente.”
“Beh,
ora è più
felice da quando lavora da Valeriè!”
Mentre
ne parlava,
quel sorriso scomparve, come quando cerchi di mantenere la schiena
dritta, ma
poco dopo sei già incurvato, senza accorgertene. Suo padre
fece caso a quel
cambio di espressione.
“Se
ora state
bene, allora cosa c’è?”
“Niente,
è solo
che ora studio e…” fece in modo che seguisse il
suo sguardo, sugli abiti che
indossava.
“Mmmh…o
hai
trovato un lavoro o mi sono perso una nuova moda!”
Eric
rise: “Lavoro
al Brew, un grembiule non farà mai tendenza se non lo
indossa Nicki Minaj o
Justin Bieber!”
A
quel punto,
l’uomo prese la valigia dal manico, alzandola da terra:
“Non so, c’è qualcosa
di diverso in te!”
Quello
scosse la
testa, confuso: “Sono sempre io!”
“Quell’abbraccio
che mi hai dato… - ci rifletté su, rimasto
colpito - E’ come se avessi urlato
in una spiaggia deserta, sperando che qualcuno ti sentisse. Che io, ti
sentissi.”
Lui
rise ancora
una volta, esternando quanta più serenità
possibile: “Mi sei solo mancato,
Papà.”
L’uomo,
alla fine,
se ne convinse: “Beh, d’accordo…Anche
voi siete mancati a me. E ho molte
novità!”
Eric
rimase a
fissarlo, curioso, mentre attraversavano finalmente la strada.
Saliti
all’appartamento,
Jennifer era ormai attaccata al collo del marito da diversi minuti,
quasi in
lacrime per la gioia. Eric restò a braccia conserte, vicino
alla porta, a
guardarli, di nuovo posseduto da un sorriso.
“Daniel,
sono così
felice. Non hai idea di quanto sia stata dura accettare tutti questi
cambiamenti…” sussurrò quella, mentre
lui la staccava dolcemente.
“Ora
sono qui, non
dovete più preoccuparvi di nulla! –
spostò lo sguardo tra i due – Sedetevi, ho
alcune cose da dirvi!”
E
quelli,
guardandosi, eseguirono, mettendosi comodi sul divano. Lui, davanti a
loro,
iniziò a parlare.
“Il
lavoro a
Riverton, inizialmente, non si prospettava qualcosa di migliore
rispetto al
posto che avevo qui. Per voi, però, ho accettato. Quello che
non vi ho detto, è
che le mie capacità hanno parecchio impressionato gente che
lavora ai piani
alti e…”
Con
gli occhi
sgranati, Jennifer era lì che voleva sapere e non sopportava
quella suspense:
“E…???”
“Ho
ricevuto una
grossa promozione, un’offerta che proprio non mi aspettavo.
In definitiva, sono
nel consiglio di amministrazione di questa nuova azienda
emergente.” concluse
con il sorriso di un vittorioso.
Jennifer
si portò
una mano alla bocca, guardando Eric, pronta ad esplodere.
“Esattamente…quanto
ci siamo rimessi in sesto?” chiese la donna, ancora incredula.
“La
nostra vita
tornerà quella di un tempo. Anche migliore!”
Quella
gli saltò
addosso, in festa: “Oh mio Diooo!”
Eric
stava ancora
metabolizzando: “Ok, ma…con quello che
è successo con la società del Signor.
Lincoln? Non sanno niente?”
“Sanno
tutto, sono
stato onesto. Hanno detto che chiunque, in quelle condizioni, avrebbe
tentato
quelle manovre.”
“Fantastico,
ma io
dovrei tornare giù al Brew!” esclamò,
avvicinandosi alla porta.
Suo
padre, però, lo
fermò: “Aspetta, ti perdi la parte
migliore!”
“C’è
una parte
migliore di questa?” domandò sua moglie, ancora in
fibrillazione.
“Verrete
a vivere
tutti a Riverton con me!”
A
quella notizia,
Eric restò letteralmente a bocca aperta, mentre la madre
sembrò apprezzare
anche questa.
“I-io
non so
davvero cosa dire, mi sembra un sogno!”
Eric,
ovviamente,
contestò il suo entusiasmo: “Ma, Mamma, hai il tuo
lavoro da Valerìe, che
adori!”
Quella
fece un
gesto con la mano che stava a simboleggiare una cosa da poco, con
disgusto:
“Che fingevo, di adorare! Rachel è tipo Miranda de
Il diavolo veste Prada e io ingoio
la mia voglia di mandarla a quel
paese dal primo giorno!”
Di
stucco, Eric
sembrò quasi contrario a questo brusco cambiamento:
“Ma io ho il lavoro al
Brew, la scuola, i miei amici…”
“Potrai
lavorare
in un Brew di Riverton, andare in una nuova scuola e avere nuovi
amici!”
suggerì Daniel con facilità, mentre Jennifer era
al suo fianco, al settimo
cielo.
L’altro
rispose in
maniera irritata: “Non esiste un Brew a Riverton e nemmeno i
miei amici!”
Suo
padre percepì
immediatamente il suo palese disappunto e reagì con
fermezza: “Voi siete la mia
famiglia, Eric. E la mia famiglia va dove ci sono io! Quando avrai una
famiglia
anche tu, capirai questo concetto!”
Mettendo
il muso,
Eric aprì la porta, pronto ad uscire: “Siamo
proprio tornati alle origini, eh!
Peccato che questa vita non mi piace più e che iniziavo ad
adorare questa!” e
uscì, sbattendola, sotto lo sguardo sbigottito dei genitori.
Quando
fu tra le
scale, intento a tornare al suo posto di lavoro, ricevette un messaggio.
“Prova
a lasciare
Rosewood e l’incubo si sposterà a
Riverton.”
-A
Eric
si fermò
bruscamente, guardandosi alle spalle e appoggiandosi alla balaustra per
guardare
in alto, sugli altri piani. Agghiacciato e non vedendo nessuno, non
capì come
la sua conversazione con i suoi genitori fu ascoltata.
*
Molto
più tardi,
quasi alla fine del pomeriggio, Rider, nella sua stanza, teneva stretto
tra le
mani il telefono di Eric, mentre l’amico era davanti alla
finestra più teso che
mai.
“Quindi
te ne vai
così? – Rider cercò di metabolizzare la
cosa, per poi sottolineare un cavillo –
Lo sai che non puoi farlo, A deve
ancora capire chi di noi è coinvolto nel misterioso crimine
commesso da
Anthony. Per non parlare dell’obbligatoria legge del
contrappasso che dobbiamo
scontare per aver investito Albert con la macchina!”
L’altro
si voltò
bruscamente e nervoso, conoscendo perfettamente la situazione:
“E che cosa vuoi
che faccia? Che dica a mio padre di non trasferirci a Riverton
perché un pazzo
vuole fare una collana con i miei denti se provo a lasciare la
città?”
“Beh,
A non ha aggiunto questo nel
messaggio!”
“Non
importa,
Rider. Se la punizione non è un dente staccato,
sarà sicuramente un dito, i
capelli rasati a zero o qualche altra cosa da malati!”
“Quindi
sei sicuro
che A non fosse nascosto nelle
scale?”
“Non
ho visto
nessuno, forse siamo tornati ai vecchi tempi, prima di conoscere Julie.
Magari
quando è entrato ieri in casa mia la scorsa notte, ha
lasciato qualche
microfono nascosto!” esclamò assai provato.
“Sono
stanco di
questi microfoni nascosti, sai?” pensò Rider,
seccato.
“E
lo dici a me?”
marcò con le sopracciglia sollevate.
Improvvisamente,
il telefono vibrò tra le mani di Rider, che distrattamente
guardò il contenuto
del messaggio appena ricevuto.
“Alexis
ti ha
mandato una foto… - gli passò il telefono
– E’ a casa tua ed è davvero
sexy!”
“E’
con mia madre
che prova l’abito per stasera!”
Lesse
poi il
messaggio:
“Grigio
tu, grigio io: ora abbiamo
gli abiti coordinati. Ti aspetto per stasera. Baci, A.”
Rider
notò subito
l’angoscia che aveva negli occhi: “Che farai con
lei?”
“La
lascio dopo il
ballo, non ho altra scelta…” rispose con il
magone, mentre guardava la foto di
Alexis felice e raggiante con il suo vestito indosso.
Quel
silenzio che
seguì, fu poi interrotto da strani rumori provenienti
dall’altro lato della
parete.
Eric
sollevò lo
sguardo dal telefono, domandando cosa fosse: “Che succede?
Cos’è questo
rumore?”
“E’
solo la mia
cuginetta Tasha che lancia scarpe contro il muro. A proposito, lei
sarà la mia
accompagnatrice: sorpresa!” rimase sul letto a gambe
incrociate, con un
espressione che forzava l’entusiasmo.
“E
perché lancia
scarpe contro il muro?”
“Perché
quelle che
ha scelto un’ora fa in boutique non le piacciono
più. E, a quanto pare, non ama
nemmeno i gusti di Lindsey!” spiegò scialbo,
introducendo alcune
caratteristiche di sua cugina.
“Sembra
molto
esigente!” pensò Eric.
“Non
solo è
esigente, ma stasera mi userà anche per far ingelosire un
ragazzo che
frequentava al liceo e che sarà al ballo!”
marcò l’assurdo, sollevando le
sopracciglia.
“Suppongo
che
questo ragazzo non sappia che siete cugini!”
“Supponi
bene,
anche se Tasha tende a sopravvalutarmi troppo. Non rappresento questa
grande
minaccia! – ironizzò, alzandosi, diretto verso la
porta – Dai, vieni, te la
presento!”
L’altro,
però, lo
fermò per un braccio, cambiando del tutto argomento:
“Ehi, aspetta! – catturò
la sua attenzione – E’
una cosa seria
quella con Nathaniel e Sam? Insomma, io non sono più
così arrabbiato con loro. A ci
mette sotto pressione ogni
giorno…Dovevamo aspettarcelo che alcuni di noi avrebbero
ceduto prima o poi,
no?”
Rider
divenne
subito serio, non appena nominati gli altri due:
“Sì, Eric, è una cosa seria!
Talmente seria che non riesco a concepire che abbiano ceduto in maniera
così
stupida.”
“Quindi
non vuoi
più parlare con loro?”
“L’unica
cosa che
ci lega, ora, è solo A.
Se mai
parlerò nuovamente con loro, sarà solo per
parlare di quel mostro!” e dopo una
una lunga occhiata seria con l’amico, aprì la
porta ed entrambi lasciarono la
stanza.
1
*
Parcheggiato
in un
viale, Carter Havery teneva d’occhio un’abitazione
con molta preoccupazione in
volto, mentre stringeva in mano una lattina di birra che stava
consumando poco
a poco; continuava ad essere tormentato da ciò che suo
figlio nascondeva e che
poteva compromettere la sua intera vita.
Improvvisamente,
una macchina entrò nel viale e parcheggiò proprio
davanti a quella abitazione:
si trattava di Chloe.
La
ragazza scese
dall’auto, aprendo la portiera posteriore e tirando fuori il
suo abito,
rinchiuso nella plastica. Carter mandò giù
l’ultimo sorso di birra e buttò la
lattina sul sedile accanto, scendendo dall’auto.
A
passo rapido,
raggiunse la ragazza, che ormai si stava avviando verso il portico di
casa sua,
senza essersi accorta della sua presenza.
Carter,
quasi alle
spalle, la chiamò.
“Ehi,
Chloe!”
Quella
si voltò,
abbastanza sorpresa: “Signor Havery… Che ci fa
qui?”
“Stai
per andare
al ballo, vero?” chiese, sforzando un sorriso, come se
volesse fare un po’ di
conversazione prima di arrivare al punto.
“Ehm...direi!”
rise per l’ovvietà, ancora confusa dalla sua
visita.
“Ci
vai con Sam?”
L’altra
titubò,
raccontando una bugia: “In verità ci va con
un’altra ragazza, molto carina!”
Carte
alzò la
mano, fermandola: “No, tranquilla, non
c’è bisogno di mentire. So già che Sam
è
gay!”
Stupita,
sgranò
gli occhi: “Lo sa? Allora perché mi ha chiesto se
ci andavo con lui?”
“Come
amici, intendevo…
- poi fece caso alla sua reazione – Strano che Sam non ti
abbia detto che me
l’ha detto. E’ per questo che va dallo
psicoterapeuta, portava dentro questo
peso.”
“Ehm,
in verità me
l’ha detto, ma con tutti gli impegni che ho avuto, devo
averlo scordato per un
secondo…” mentì ancora, mentre dentro
di sé si sentiva seccata per essere stata
esclusa da Sam ancora una volta.
Quello
non se la
bevette: “Sicura? Va tutto bene fra voi? E’ da
molto che non ti vedo a casa
nostra a fare qualche maratona di uno dei vostri telefilm
preferiti!”
L’altra
si grattò
il capo, trovando l’ennesima scusa: “Ho i corsi
alla Hollis, sono davvero
estenuanti! – spiegò, angustiata, facendo caso,
subito dopo, all’orario – Ora,
comunque, devo proprio andare!”
Carter,
però, era
affamato di risposte e non la lasciò andare via, fermandola
per un braccio.
“Chloe,
perché ti
sei allontanata da mio figlio?”
Quel
gesto risultò
quasi aggressivo, più che disperato. Lei non potè
che sbigottire di fronte a
tutto ciò: “Di che sta parlando,
gliel’ho già detto!”
Il
nervosismo e la
paranoia dell’uomo furono sempre più evidenti:
“Eravate sempre uniti e ora non
sai nemmeno che Sam mi ha rivelato di essere gay….Ti sei
allontanata per
qualcosa che ti ha detto? Ti sei spaventata per qualcosa che hai
scoperto su di
lui?”
“Io
non so nulla
di tutto questo, Signor Havery. So solo che Sam è strano e
che non sembra più
la stessa persona di prima. – poi lo fissò dritto
negli occhi, confusa dalle
sue parole – Perché dovrei aver paura di
lui?”
Nemmeno
Carter aveva
una risposta a quella domanda; o forse conosceva la risposta, ma non
era in
grado di dirla alta voce: “I-io non saprei…Ho
notato che è strano, come dici
tu!”
“Se
ha dei
problemi, sono sicura che lo psicoterapeuta potrà aiutarlo.
Ora, però, devo
proprio andare!” si liberò dalla presa
dell’uomo, voltandogli le spalle ed
entrando in casa.
Quello
rimase lì
impalato, divorato da un unico pensiero, riguardo quella telefonata tra
Sam e
Jasper Lauglin scoperta da Wesam: complici nell’omicidio dei
Dimitri?
*
La
sera del ballo
era ormai giunta, Sam era davanti all’ingresso della scuola,
con la sua Canon
al collo, che scattava foto alle coppie che arrivavano poco a poco. Si
potevano
sentire la musica e le risate, provenire dall’interno;
ciò fece sbuffare Sam, che
non vedeva l’ora di poter entrare anche lui.
Improvvisamente
arrivò qualcun altro, un gruppo di quattro persone. Quando
Sam si voltò a
vedere chi fosse, non fu molto entusiasta di apprendere che si
trattavano di
Rider ed Eric, accompagnati da Alexis e Tasha. Anche loro ebbero una
reazione,
nel vederlo; Eric era a disagio, mentre Rider impassibile e serio.
Tasha,
ovviamente,
si fece subito protagonista della scena, fiondandosi verso
l’ingresso senza
aspettare: “Io vado dentro a cercare voi sapere chi,
perciò fatela voi la foto!
Addio!”
Alexis,
sapendo
che Sam era loro amico, pensò di lasciarli tra loro,
alzandosi il vestito
lungo: “Io la raggiungo, ho visto una fiaschetta nella sua
borsa, perciò vado a
salvarla!”
“Grazie!
– esclamò
Rider – E ricordale che stasera sono io il suo accompagnatore
e non sé stessa
ubriaca!”
Eric,
però, non la
lasciò andare senza farle l’ennesimo complimento:
“Ehi, sei bellissima!”
Quella
sorrise:
“Anche tu…” poi si voltò e
riprese a camminare, facendo un cenno a Sam, quando
gli passò accanto.
Quest’ultimo
fece
finta di guardare altrove, mentre Eric si avvicinava, Rider alle sue
spalle:
“Ehi, Nat è arrivato?”
“Ci
conosciamo?”
replicò Sam.
Rider
non stette
in silenzio, infastidito da quel tono: “Ti stiamo parlando
solo per A, ok?”
“Sta
per arrivare,
Rider. Rilassa il tuo cervello!” continuò Sam,
guadagnandosi uno sguardo
fulminante.
Proprio
in
quell’istante, arrivò anche Nathaniel, in
compagnia di sua zia Courtney
attaccata al braccio di Pete.
“Uh,
c’è l’amico secco
di Nathaniel che fa le foto! – esclamò quella,
euforica, tirando l’uomo – Vieni
Pete, facciamoci una foto come se fossimo sul red carpet!”
Eric
e Rider si
fecero subito da parte, mentre Sam si dedicava a fare la foto ai due,
super
sorridenti.
Scattata,
Courtney
si voltò verso il nipote.
“Nat,
noi
entriamo, ti aspettiamo dentro!”
“Ok!”
rispose
quello, avvicinandosi a Sam.
Quando
rimasero
soli, una certa distanza si interponeva tra i due gruppi. Gli sguardi
si
incrociavano a tratti.
“Era
ora che ti
facessi vivo!” Rider spezzò il silenzio, arrogante.
“Guarda
che sono
in orario!” replicò Nathaniel, calmo, mentre Sam
lo scrutava dalla testa ai
piedi, trovandolo molto elegante.
“Beh,
quando sei
l’unico a portare il bracciale anti-A,
hai una certa responsabilità, non credi?”
continuò quell’altro.
Sam
si infastidì:
“Non starai esagerando, adesso? Sei arrivato due minuti
fa!”
Quello,
roteando
gli occhi seccato, si avvicinò di più a loro,
così come Eric, bisbigliando:
“Non fissatemi quando saremo dentro. Tenete
d’occhio mia sorella, Brakner e
Morgan. Per il resto, ci penso io, non seguitemi per nessun
motivo!”
“Sam
mi ha detto
della bombola d’ossigeno, non è troppo pensante da
portare?” domandò Nathaniel
a Rider.
“Non
è così
enorme, ce la posso fare. Appena inizierà il ballo,
approfitterò della
confusione per sgattaiolare via, poi tornerò qui nel
parcheggio a prendere il
borsone!”
“C’è
anche un
borsone? Che altro c’è dentro?” fu il
turno di Eric.
“Tanti
piani B! Si
presume ci sia una seconda porta da aprire e se
c’è un codice, dovrò ricorrere
ad altre opzioni!”
Sam,
allora,
sbigottì nel riflettere su quali possano essere queste
opzioni: “Non avrai mica
una bomba in quel borsone, vero?”
Quello,
però, fu
vago: “Posso solo dirvi che la mia carta di credito ha
risentito di queste
piccole spese!” concluse, allontanandosi da loro, pronto ad
entrare.
Il
suono di un
messaggio appena ricevuto, riempì l’aria: era
arrivato sul telefono di Sam.
Rider
tornò
indietro, mettendosi accanto ai suoi amici intorno al telefono.
“Supernova…”
-A
Eric
fu il primo ad esprimere il suo disappunto: “Supernova? Che
significa?”
Anche
gli altri erano assai confusi. Rider preferì non dare retta
a quel messaggio,
staccandosi dal gruppo.
“Sono
stanco dei suoi messaggi senza senso. Sta solo delirando
perché noi siamo qui a
parlare e non può sentire quello che ci diciamo!”
esclamò di spalle, mentre
percorreva l’entrata.
Anche
Eric decise di andare: “Beh, io vado da Alexis…
Buona fortuna a tutti noi per
stasera, allora…” e se ne andò, dopo
che quelli avevano fatto un cenno con la
testa.
Mentre
lo guardavano entrare, Sam espresse un suo pensiero: “Eric
dovrebbe aspettare a
lasciare Alexis. Magari le cose vanno secondo i piani e vinciamo
noi!”
Nathaniel
lo fissò, serio: “O magari non vanno secondo i
piani e vince A!”
Quella
prospettiva mise angoscia a Sam, che preferì non pensarci
più.
“Vedo
che non sei venuto con altre persone…”
“La
scuola sa che sto con te, perciò non voglio
tradirti!” esclamò accennando un
sorrisino.
“E
tua
zia? Magari si aspettava che ci venissi con una bella ragazza. Non temi
che
possa scoprire di noi, qui?”
Molto
tranquillo, spiegò: “Le ho detto che ero ancora
provato dalla storia delle pillole
e che avevo bisogno di una pausa dall’universo femminile di
cui stavo per far
parte. Per quanto riguarda il fatto che possa scoprire di noi, a lei
non
importa se mi piacciono i ragazzi o le ragazze. Cioè,
all’inizio è sempre un
colpo, ma… - cercava di trovare le parole, con molta
spensieratezza - lei mi
accetterebbe comunque, qualsiasi forma io abbia.”
Intenerito
dal suo modo di parlare della zia, puntualizzò ugualmente la
realtà: “Ma a te
non piacciono i ragazzi, Nat. Perché permettere che creda a
qualcosa che non
sei?”
Quello
ci rifletté, sorridendo ancora per quelle domande
così pressanti: “Sai, è quasi
come una recita, questa…Entro sempre più dentro
questa parte, che mi sembra
quasi vera. – rise, mentre quello lo ascoltava fin troppo
attentamente – Buffo,
vero?” concluse, avanzando.
“Entri
di già?” gli domandò l’altro,
ancora confuso da quel discorso.
“Dobbiamo!”
esclamò senza voltarsi.
Sam
lo
raggiunse, poi, ma non prima di fermarsi ancora a pensare
all’ambiguità di quel
discorso, che non lasciava intendere nulla; o almeno, non totalmente.
*
[Canzone
corrente: Dua lipa – Be the one]
Sam
era davanti al piccolo bar allestito in un angolo della palestra, ormai
irriconoscibile per via delle scenografie, l’aggiunta di un
palco, i drappeggi,
i lustrini, la postazione Dj e le luci; gli studenti, ex studenti e
altri
invitati, muovevano qualche passo in pista con i loro bicchieri in mano
e una
risata che accompagnava i vari gruppetti che si erano formati.
Finalmente
il drink arrivò, ma prima che lui potesse sorseggiarlo per
fare una pausa dalle
foto, qualcuno gli bussò alla spalla.
Sam
si
voltò, sorpreso: era Chloe.
“Ehi,
ti stavo cercando…”
Quella,
però, sembrava assai furibonda.
“Ah,
mi stavi cercando? E per cosa?”
“Perché
volevo mostrarti questo! – tirò fuori il telefono,
mostrando la foto di Cameron
che bacia Wesam – Non volevo ferirti quando ti ho detto
quella cosa su Cameron.
Cercavo di proteggerti!”
“Sam,
dannazione, lo sapevo! – urlò indignata, isterica
– Non avevo bisogno di
sentirmelo dire da te, ok?”
“Ma
allora… - era confuso, mentre spaziava con lo sguardo
– Perché sei venuta al
ballo con lui?”
“Perché
ero stanca di essere Chloe friendzoned e tu lo sai meglio di chiunque
altro.
Scegliere di venire con lui, il ragazzo più popolare della
scuola, è come
cancellare un pezzo della mia storia dalla mente di tutti. Ora che
Anthony non
c’è più, non c’è
più niente che mi ricolleghi a quella ragazza etichettata
come
patetica sfigata che viene rifiutata da tutti i belli a cui va
dietro.”
“Tu
non sei patetica!”
“E
invece lo sono ancora, Sam. Mi ci sento, quando il tuo migliore amico
non ti
dice di aver fatto coming out con suo padre. – ne
parlò con gli occhi lucidi,
il magone evidente – Perché mi hai tenuta allo
scuro di una cosa così
importante? Sarei dovuta essere la prima a saperlo e invece sono sicura
che i
primi a saperlo sono stati i tuoi nuovi e strettissimi amici. Ormai non
sono
più l’unica, come un tempo…”
Sam,
anziché essere triste per lei, si soffermò
stupidamente su un altro dettaglio:
“Come l’hai scoperto?”
Quella
accennò un sorriso malinconico, per niente stupita dalla sua
insensibilità:
“Persino tuo padre non sa più chi sei. E,
comunque, lo scoperto da lui!”
rivelò, per poi andarsene.
“Chloe,
aspetta!” cercò di inseguirla, ma ormai era
scomparsa tra la folla, che aveva
già riempito la pista nel mentre.
Lui,
però, non si arrese finché non andò a
sbattere contro il petto di un uomo. Con
sua grande sorpresa, era Wesam.
“E
tu
che ci fai qui? – domandò, staccandosi rapidamente
- Sei ovunque!”
“Ho
solo accompagnato una mia amica, fa la professoressa qui!”
Mentre
guardava la folla, Sam lasciò perdere Chloe, rilassandosi un
attimino, ma
restando comunque triste per quella spiacevole discussione.
“…Comunque,
che professoressa?”
“Miranda
Crox!”
“Ouh,
certo, la conosco…Però insegna nelle classi
dell’ultimo anno!”
Wesam,
allora, mise una mano al lato della bocca, si avvicinò e
bisbigliò: “Non dirlo
in giro, ma è una paziente!”
“Davvero?”
pensò, meravigliato.
“Vive
con tre gatti che ha chiamato Do, Re e Mi ed è ossessionata
dalle sue storie
d’amore passate!”
“Beh,
è un’insegnante di musica, c’era da
aspettarselo! – rise – E poi, Taylor Swift
ne ha fatto una carriera di successo sulle sue storie
d’amore, perciò chissà!”
L’altro
scoppiò in una risata spontanea, dimenticandosi di tutti i
dubbi che aveva su
Sam dalla visita di suo padre: “Ti va se ci avviciniamo al
bar a bere qualcosa?
Male che vada sono il tuo psicoterapeuta che ti sta dicendo che la
seduta del
martedì è spostata a
venerdì!”
Sam
lo
fissò a lungo, un sorriso furbetto: “Ammiro la tua
sfacciataggine…a volte penso
che lavori per mio padre, visto che non hai per niente paura di finire
in
galera!”
Wesam
reagì con una risata isterica: “E’ solo
un drink, non ti terrò mica la mano!”
E
alla
fine si avviarono; ormai Sam stava iniziando ad abituarsi alla sua
presenza e
forse la trovava anche piacevole.
*
[Canzone
corrente: Awolnation - Woman Woman]
Eric
e
Alexis si stavano avvicinando alla pista, pronti a ballare la nuova
canzone
della serata. Julie, facendosi strada tra i ragazzi, si
avvicinò a loro,
prendendo Eric per il polso.
“Ehi,
vieni un attimo con me!” lo prese alla sprovvista, tirandolo.
Alexis,
strabuzzando gli occhi, lo trattenne, rivolgendosi alla donna:
“Scusami?!”
Eric
cercò subito di chiarire la situazione: “Ehm,
Alexis, lei è la nostra
consulente scolastica. – Julie le sorrise forzatamente,
voleva fare in fretta -
Doveva darmi una cosa, perciò…”
“Già,
ci vorranno due minuti!” aggiunse quella.
Alexis,
però, sembrò ancora infastidita e restia a
mollare il suo ragazzo: “Ma c’è il
ballo delle donne, ognuna deve portare il proprio accompagnatore in
pista e
ballare intorno a lui!”
“Beh,
sono
una donna anch’io. Vorrà dire che ci perderemo i
primi minuti!” continuò
Alexis, tirando Eric verso la sua parte.
Il
ragazzo si liberò finalmente dalla stretta della sua
ragazza, mettendole una
mano sulla spalla, dolce: “Faccio in un secondo,
d’accordo?”
Quella
annuì in maniera sforzata, non nascondendo il suo broncio,
mettendosi a braccia
conserte.
Eric
e
Julie si allontanarono, osservati ancora da lei con occhio sospettoso.
Usciti
dalla pista, raggiunsero Nathaniel, in piedi in un angolo a fissare
qualcuno
con insistenza, mentre faceva girare il ghiaccio nel suo drink con
lente
rotazioni del polso.
Julie,
incurante della sua distrazione, cominciò a parlare,
mettendo le mani dentro la
sua borsa: “Ho quello che volevate, ora vi spiego come si
usa.”
“No,
Nathaniel non sa niente ancora e nemmeno gli altri. – le
disse, per poi girarsi
verso l’amico, ancora distratto –
Nathaniel!”
Quello
finalmente diede retta ai due, ritrovandosi subito confuso:
“Che c’è? Perché
siete qui?”
“Che
stavi guardando? - Eric decise di seguire il suo sguardo, accorgendosi
di Sam
dall’altro lato della pista – Ah, guardavi lui
e… - non riconobbe la persona di
cui era in compagnia – Chi è
quell’uomo?”
“Il
suo psicoterapeuta!” esclamò, fulminando
l’uomo con lo sguardo, mentre mandava
giù l’ultimo sorso del drink.
“E
che
ci fa qui il suo psicoterapeuta?” trovò strano.
“Bella
domanda!” replicò, assai seccato. Eric
notò un sentimento di gelosia nella sua
voce e nella sua espressione.
Intanto,
Julie, aveva tirato fuori uno strano arnese.
“E’
molto semplice da usare, c’è un tasto on/off e
dovete semplicemente passare la
parte con la piastra di metallo su una superficie o su voi stessi, in
modo da
scoprire se avete cimici addosso o altro con cui A
potrebbe spiarvi!”
Quella,
poi, lo mise in mano ad Eric, che lo scrutò attentamente.
“Sembra
quasi che tu abbia spaccato a metà una piastra per capelli e
ci abbia dato solo
un pezzo!”
“Infatti
quella è una piastra per capelli del 2007 spaccata a
metà! – confermò –
Ovviamente l’ho modificata per un altro tipo di scopo che
chiaramente non è
lisciare i capelli!”
“Interessante!”
annuì Eric, impressionato, mentre Nathaniel non batteva
ciglio.
“Bene,
allora io torno da Sebastian. Non rompetela, ci ho lavorato tre
ore!” li
avvertì, lasciandoli soli.
Mentre
le ragazze della scuola continuavano a ballare divertite intorno ai
loro
accompagnatori, i due continuarono a parlare.
“Meglio
che dai quel coso a Rider, lui ha un borsone. –
suggerì Nathaniel – Non
possiamo mica tenerla in mano tutta la sera. Penserebbero che siamo dei
terroristi o chissà cosa!”
“No,
è
meglio che Rider non sappia che ho chiesto un favore a Julie o
perderebbe la
calma. Deve essere concentrato per entrare nella panic room.”
Sottolineò,
nascondendo la piastra alle sue spalle.
“Quindi
hai chiesto quel favore a Julie per poter fare riunioni segrete con
Rider senza
di noi?”
Per
quanto Nathaniel ne fosse convinto,
Eric
smentì: “L’ho fatto perché
potresti perdere il bracciale anche tu, ok? E poi
non dovresti parlare come se io e Rider fossimo i cattivi della
situazione,
quando siete stati voi a tradirci!”
L’altro
sospirò, roteando gli occhi: “Ma non vi abbiamo
traditi! E’ stato un errore,
solo questo!”
Eric
tornò a guardare la folla, più calmo:
“Beh, poco importa, perché mio padre è
tornato e presto dovrò…”
Ma
non
poté completare, perché giunse davanti a loro
Tasha, leggermente brilla.
“Mi
serve un ragazzo con cui ballare e Rider non fa che stare dietro a
Lindsey e
fissare persone a caso. – spiegò, annoiata, per
poi riacquistare subito il sorriso
- Voi siete suoi amici, no? Chi viene con me?”
Eric,
basito, intervenne: “Ehm, Tasha, sono Eric! Siamo venuti qui
insieme!”
Quella
lo fissò meglio: “Ah, già...
– borbottò delusa – Quindi tu non sei
nemmeno
disponibile perché stai con Ariel!”
“Alexis,
volevi dire!” la corresse, mentre quella aveva già
gli occhi su Nathaniel.
“Tu
sei da solo dall’inizio, se non ricordo male. – lo
squadrò dalla testa ai piedi
– E sei anche carino!”
“Ehm…grazie?”
le sorrise, trovandola una tipa strana.
“Ok,
andiamo a ballare!” lo prese di getto per un braccio,
trascinandolo via da
Eric.
Quando
furono in pista, lei iniziò a ballare intorno a lui come
stavano facendo le
altre. Nel contempo gli diceva delle cose, in maniera molto lussuriosa.
“Sai,
sono venuta qui perché c’era un ragazzo che un
tempo frequentavo. Ovviamente ha
scelto un’altra all’epoca, ma io non sono stata
così facile da dimenticare.”
“E
allora?” cercò di capire.
“Allora,
volevo fargli vedere cosa si è perso.”
“Volevo?”
notò che usava l’imperfetto.
“Già,
volevo! – gli sorrise, uno sguardo intenso – Ora mi
interessi tu!” e lo prese
per la camicia, stampandogli un bacio in bocca. Quello
allargò le braccia,
subordinato all’impeto del suo gesto.
Sam,
che stava ridendo a qualcosa che gli stava dicendo Wesam, li vide e si
distrasse per un secondo da quella conversazione.
Quando
si staccarono, Nathaniel mise subito in chiaro le cose.
“Mi
dispiace darti una brutta notizia, ma sono gay!”
“Tu
non sei gay! – esclamò, accompagnando la frase con
una risata – E se lo sei,
allora saprò che il mio destino è morire a
ventotto anni come Amy Winehouse!”
“Non
scoprirai tutto questo in una notte. Un dubbio ha bisogno di molto
più tempo
per essere estirpato!” replicò, divertito dalla
sfrontatezza della ragazza.
“Allora
vorrà dire che mi vedrai più spesso!”
sorrise lei, sicura di sé stessa. L’altro
rise, trovandola particolare.
*
Ad
un
certo punto della serata, la musica venne abbassata e Violet Rhimes
salì sul
palco con un microfono, chiedendo attenzione. Assieme a lei, anche un
ragazzo.
“Buonasera
a tutti, spero che la serata sia di vostro gradimento fino ad ora. Ne
approfitto anche per salutare gli ex studenti tornati qui per
l’Homecoming… -
sorrise loro, sparsi qua e là – Come tutti sanno
dai volantini che ho
distribuito, ho una sorpresa per l’intero istituto.”
Fece
cenno al ragazzo che era alle sue spalle, di farsi avanti.
“Lui
è
Brett Rhimes, mio cugino. E’ un informatico, lavora a New
York in una società
di videogames, e su mia richiesta, diverso tempo fa, ha sviluppato un
applicazione chiamata Second
Rosewood…”
Brett
aveva un telefono in mano e alle loro spalle, si accese lo schermo led
gigante
attaccato alla parete: mostrava la loro stessa scuola in 3D. Violet si
apprestò
a spiegare, mentre suo cugino continuava ad usare il telefono;
ciò che faceva,
lo si poteva vedere sullo schermo gigante.
“Second Rosewood ricrea
perfettamente la nostra scuola in un
mondo del tutto virtuale, al quale possiamo accedere tramite degli
avatar. – si
voltò verso il led – Come potete vedere, Brett sta
creando il primo avatar, ma
potete farlo anche voi, scaricando l’applicazione dal sito
della scuola. Lo
scopo di Second Rosewood è quello di
rivoluzionare il modo di
socializzare all’interno delle scuole. Molti di noi tendono
ad estraniarsi dai vari
gruppi o a non avere il coraggio di farsi avanti, Second
Rosewood permette
a
queste persone di socializzare con più facilità,
in modo da annullare
completamente il timore di poterlo fare nella vira reale. Inoltre,
tramite
questa applicazione, si potrà essere a scuola tutto il
tempo, anche se non lo
si è fisicamente. Se magari avete dimenticato di appuntare
dei compiti o non
avete capito la lezione, potrete entrare in Second Rosewood e cercare
il
professore o la professoressa per chiedere, oppure formare dei gruppi
di
studio; serve anche a questo.”
Gli
studenti, però, sembrarono ancora molto scettici.
Brett
prese parola, subito dopo: “Il bello di questa applicazione
è che potete
parlare. Il riconoscimento vocale, avanzatissimo, replicherà
ciò che avete detto
in scrittura: in questo modo, i messaggi saranno istantanei e non
dovrete
perdere tempo a scrivere. In più, non dovrete preoccuparvi
di aggiungere punti
interrogativi o esclamativi, basterà dare il giusto tono
alla frase. Mentre per
gli emoticon, basterà assumere un’espressione
felice, triste, tutte quelle che
conoscete e la fotocamera interna dei vostri telefoni
catturerà tutto e lo
trasformerà, appunto, in emoticon. Insomma, poi ci saranno
delle opzioni per
attivare queste funzionalità.”
Ora,
erano
tutti impressionati. Nathaniel e Sam, intanto, stavano raggiungendo
Eric,
ascoltando con attenzione. Rider restò dall’altro
lato della sala.
Violet
si apprestò a concludere.
“Spero
che, se la cosa funzioni qui, Second
Rosewood possa
diventare anche di
dominio in altre scuole. E, infine, volevo aggiungere che…
ho pensato a questa
iniziativa per Albert Pascali, che, per chi non lo conosce,
è uno studente che
frequentava questa scuola, scomparso circa un mese e mezzo fa e mai
più
tornato. – si commosse – Non aveva amici, non aveva
nessuno qui a scuola; tutto
perché era difficile socializzare e…qualcuno, in
particolare, non glielo
permetteva. – fu determinata e decise nelle sue ultime parole – Questo non
deve più accadere. La nostra
scuola deve diventare migliore e rendere tutti partecipi. Nessuno
verrà più
tagliato fuori!”
In
quel momento, la palestra si riempì di applausi e consensi,
mentre Sam, Rider,
Nathaniel ed Eric provavano un immenso disagio e i loro sguardi erano
quasi
sempre bassi.
“E’
possibile accedere all’applicazione tramite il codice della
carta studenti,
registrarsi è semplice! – aggiunse ancora
– Ora, buon proseguimento di serata,
e che la musica esploda!” concluse, sorridendo a tutti.
E
la
musica, effettivamente, esplose a tutto volume, costringendo tutti a
ballare
all’impazzata.
Eric
fu il primo a commentare quel discorso: “Direi che non
è male come iniziativa!”
“Sarebbe
dovuto essere così dall’inizio. Ora è
troppo tardi!” pensò Sam, ancora avvilito
per ciò che avevano fatto ad Albert; il discorso
riaprì vecchie ferite.
“Anthony
non avrebbe permesso tutto ciò. Avrebbe fatto il bullo sia
nella realtà che in
Second Rosewood!” urlò, per la musica troppo forte.
“A
proposito di vita reale… - cominciò Eric con tono
serio – Prima all’ingresso non
vi ho detto una cosa...”
“Ovvero?”
domandò Sam, curioso quanto Nathaniel.
“Oggi
è tornato mio padre da Riverton e a quanto pare ha ricevuto
una buona offerta
di lavoro… - spiegò, molto cauto – In
definitiva, vuole che ci trasferiamo lì
con lui. Per sempre!”
Gli
altri due sgranarono gli occhi.
“M-ma…
- balbettò Sam – Cioè, te ne vai
così?”
Quello
si lasciò sfuggire un sorriso, scuotendo la testa:
“Pensate davvero che A mi
lasci abbandonare la città come
nulla fosse?”
“A, lo sa?” percepì
Nathaniel dal suo tono.
Quello
alzò il telefono, con il messaggio: “A quanto
pare, sì!”
Sam
si
mise a braccia conserte, fissando con rabbia Brakner,
dall’altra parte della
palestra, che sorrideva al tiro a segno mentre dava un peluche ad una
ragazza
che aveva vinto.
“Siamo
come delle scimmie chiuse in gabbia. Ed è lui ad avere la
chiave!”
“Non
per molto… - replicò Nathaniel, facendo cenno ai
due di guardare al centro
della pista – Rider si sta muovendo, approfitta della
confusione.”
Eric
si voltò, allora: “Bene, dividiamoci. Teniamo
d’occhio quei tre, mentre Rider è
nella panic room!”
Nathaniel
annuì: “Ok, mando io i messaggi a Rider. Sono
l’unico ad avere ancora il
bracciale, quindi i miei sono protetti da hackeraggio!”
Mentre
quello si allontanava, Sam si apprestava a fare lo stesso, ma non prima
di
chiedere una cosa a Nathaniel: “Sbaglio o hai baciato
Tasha?”
“E
lei
che ha baciato me, molto ubriaca! – precisò
– E tu, sbaglio o parlavi con il
tuo psicoterapeuta al bar?”
“E’
lui che ha parlato con me e mi ha invitato al bar!”
“Ti
segue ovunque, non lo noti? Se non fossi tremendamente convinto che
Brakner è A, penserei
che lo sia lui!”
Sam
volle tagliare corto: “Forse è meglio tenere
d’occhio gli obbiettivi, non
possiamo distrarci proprio ora!”
“Non
potrei essere più d’accordo!”
esclamò, dopo quella lunga serie di frecciatine.
I
due
si allontanarono l’uno dall’altro.
*
Nel
parcheggio, Rider stava recuperando il borsone dalla sua macchina. Un
messaggio
di Nathaniel lo aggiornò sulla situazione:
“Hai
campo libero, fai presto.
–NAT (nel caso avessi cancellato il mio numero)”
Restò
a fissare lo schermo a lungo, come se in quel momento provasse
finalmente
dispiacere per quella lite che gli aveva divisi. Subito dopo
tornò in sé e
roteò gli occhi, chiudendo il bagagliaio e tornando verso la
scuola con il
borsone stretto alla mano sinistra.
*
[Canzone
corrente: I ain’t your mama –
Jennifer Lopez]
Eric,
nei pressi del tiro a segno, stava tenendo d’occhio Brakner.
Alexis lo
raggiunse alle spalle.
“Ehi,
eccoti! – quello si voltò, lei abbastanza seccata
– Ti ho cercato, ma dov’eri?”
“Ehm,
scusa, ero andato a parlare un attimo con i miei amici! –
spiegò, mentre
cercava di non distogliere lo sguardo da Brakner – Tu da dove
vieni?”
“Tasha
sta dando i numeri, ero venuta a dirti che la accompagno in bagno a
vomitare,
nel caso in cui ti saresti chiesto dove fossi finita!”
Molto
distratto, sembra quasi che la stesse cacciando: “Mmh, ok ok!
Io resto qui,
vai!”
Basita
per qualche istante, non si soffermò più di
tanto: “Ehm, ok!” e se ne andò.
In
quell’esatto istante, Eric ricevette un messaggio che lo
lasciò senza fiato.
“Oh
mio Dio!” esclamò, per poi fissare Brakner. Poi
Lindsey e subito dopo Morgan.
Sembravano tutti e tre distratti a fare qualcosa e non riusciva a
capire che
l’avesse mandato di loro.
A
quel
punto, pensò che i suoi amici dovessero vedere
immediatamente ciò che aveva
ricevuto.
Non
appena Nathaniel se lo vide arrivare davanti, non poté fare
a meno di chiedersi
che cosa stesse accadendo: “Ehi, non dovresti tenere
d’occhio Brakner?”
“Dov’è
Sam? – lo fulminò con uno sguardo serio
– Dovete vedere una cosa!”
Quello
arrivò proprio in quel momento, insospettito dalla loro
riunione: “Ehi, tutto
bene? Non dovevamo osservare Lindsey, Morgan e Brakner?”
Eric
non perse tempo e tirò fuori il telefono, preparandoli a
ciò che stava per
mostrare loro: “Non ci crederete mai, ma A
mi ha mandato un estratto della cartella Rosewood-riservato!”
Entrambi
sgranarono gli occhi, Nathaniel gli intimò di girare il
telefono: “Che aspetti,
facci vedere!”
E
lui
eseguì, mentre loro si raccoglievano attorno a lui.
“Non
hai trovato una
soluzione per restare a Rosewood? Anthony ha qualche suggerimento per
te!”
-A
(Segreto
N°39)
Il
signor Lincoln tradisce sua moglie con la sua migliore
amica, nonché segretaria del suo ufficio. Probabilmente la
relazione va avanti
da anni, ma ho iniziato lo stage da circa tre mesi, qui in azienda, e
li ho
visti insieme parecchie volte. Intimi. Una volta, nel parcheggio
sotterraneo.
Gli ho anche filmati con il telefono.
Sua
moglie è venuta qui una volta, è sembra non
sospettare nulla. Credo che impazzirebbe nello scoprirlo; mi ha dato
l’impressione di essere una donna abbastanza dura.
Scoperto
da: Quentin Weller
Eric,
Nathaniel e
Sam erano alquanto confusi e molte cose stavano passando per la loro
testa. Un
secondo messaggio attirò nuovamente la loro attenzione.
“Se
non hai idee
migliori, puoi usare questo. Ricorda: non ti lascerò andare
da nessuna parte!”
-A
“Ragazzi,
il
Signor Lincoln è l’ex capo di mio padre.
L’ha praticamente licenziato in tronco
e screditato con tante altre aziende. – scosse la testa,
incredulo – A vuole che
usi in qualche modo questa
informazione per restare qui, ma non capisco come?”
“Forse
vuole che
lo ricatti, affinché restituisca il posto a tuo
padre!” pensò Nathaniel.
Eric,
voltandosi
verso Sam, notò che quel messaggio l’aveva colpito
particolarmente.
“Che
ti prende?”
gli domandò
“Io
conosco
Quentin Weller!”
Nathaniel
sgranò
gli occhi: “Cosa? Come?”
Mentre
lo
raccontava, nemmeno lui se ne capacitava di tale coincidenza:
“Una volta,
Anthony mi ha chiesto di scoprire se un certo Quentin Weller fosse gay,
ma non
sapevo come fare a scoprirlo. Una sera, poi, l’ho trovato per
caso in un sito
per gay e aveva la web-cam accesa, così gli ho scritto e
poi…Beh, da cosa nasce
cosa e siamo usciti insieme! – esclamò,
chiedendosi che nesso ci fosse –
L’unica a sapere di questa cosa è Chloe,
gliel’ho raccontato ad inizio
semestre!”
Nathaniel
cercò di
analizzare la cosa: “Un secondo, avete notato che il segreto
è scritto in prima
persona? Solo che questa prima persona è chiaramente
Quentin, non Anthony.
Questo vuol dire che Quentin ha parlato con Anthony e lui appuntava
ciò che
diceva…”
Eric
cercò di
seguire il discorso: “Pensi che Anthony abbia chiesto a Sam
di indagare sulla
sessualità di Quentin per poterlo ricattare,
in cambio di questa informazione?”
“Ma
certo! –
esclamò Sam
con ovvietà – Quentin non
era dichiarato e mi raccontò che non sapeva come fare coming
out, che aveva
paura. Ciò che non mi spiego è come faceva
Anthony a sapere che Quentin
lavorasse nell’azienda del Signor Lincoln come stagista. Io
non gliel’ho
detto!”
“In
ogni caso,
l’ha scoperto! – esclamò Eric, senza
ragionarci più di tanto - E ha costretto
Quentin a farsi dire tutto quello che sapeva sul Signor
Lincoln… - in
quell’istante, fu colto da un espressione di sorpresa
– Credo che volesse
aiutarmi, perché lui era l’unico a cui avevo
raccontato del licenziamento di
mio padre.”
“Quindi
questo
Rosewood-riservato sarebbe una sorta di…banca dati dei
segreti?” si chiese Sam.
Con
tutti quei
dubbi, Nathaniel sentì di dover mettere i suoi amici al
corrente di
qualcos’altro: “Ragazzi, c’è
una cosa che non vi ho detto. Ieri sera, mentre
Cameron mi accompagnava al locale, mi ha detto di aver dato dei soldi
ad
Anthony per un progetto!”
“Progetto?
– Eric
non capì – Perché Cameron avrebbe
dovuto dargli dei soldi? Non mi risulta
fossero amici fino a quel punto!”
“In
pratica, Anthony
sapeva che Cameron è gay. Ovviamente non gli ha chiesto un
soldo, ma gli ha
parlato di questo progetto che aveva e dei soldi che gli servivano.
Cameron
ebbe quasi la sensazione che serviva dargli quei soldi per mantenere il
silenzio e così glieli diede.”
Sam,
allora, si
intromise: “Un secondo, ma…pensate che questo
progetto sia collegato a
Rosewood-riservato? Insomma, quello di Quentin è il segreto
numero trentanove,
quindi vuol dire che ce ne sono altri!”
“Probabilmente
c’è
un nesso e l’unico che può scoprire quale,
è Rider!” pensò Eric.
Improvvisamente,
Nathaniel iniziò a perdersi con lo sguardo tra la folla:
“Un momento, ho perso
Morgan…Dov’è finito?”
Dopo
qualche
secondo, Sam sembrò averlo individuato: “Eccolo,
è vicino a Colton e… - aguzzò
la vista, stranito – Lisa Nelson è venuta al ballo
con il fratello di Violet?”
“Rider
direbbe che
Violet l’ha restaurata a dovere da quelle ridicole treccine
per ricreare la
bella e la bestia!” commentò Eric, mentre tutti e
tre guardavano verso quella
direzione.
“Forse
sono solo
amici! – pensò Nathaniel – Ormai sono
tutti amici gli ex bersagli di Anthony!”
A
Sam, allora,
sorse un dubbio: “Chissà se ci sono anche loro su
Rosewood-riservato. Ricordate
quando Anthony prendeva in giro Colton perché aveva una
cotta per Brianna, ma
lei non l’avrebbe mai guardato per via della sua pelle
bianca? Beh, Violet se
ne stava in mensa a guardare in silenzio, mentre ora è una
sorta di paladina
della giustizia che non risparmia nessuno…”
“Mi
sembra
evidente che Violet ha uno scheletro nell’armadio, che ora
non ha più paura che
spunti fuori!” aggiunse Nathaniel, trovando sensato il
ragionamento di Sam.
Insieme
continuarono a guardarli, tenendo la situazione sotto controllo.
*
Nel
frattempo, Rider,
si trovava nel seminterrato, davanti alla panic room. Spostò
rapidamente la
pila di scatole, rivelando la tastiera. Compose la password, digitando
“MISS
MARPLE”.
Dopo
qualche
secondo, la password venne confermata e poté tirare un di
sollievo. La porta si
aprì e prese rapidamente il borsone, entrando.
Percorse
il
piccolo corridoio e i sensori di movimento aprirono anche
l’altra porta: era
finalmente dentro la panic room.
A
quel punto, si
guardò attorno, meditando, Una frase di Sam, tratta dalla
volta precedente
nella panic room, gli tornò alla mente:
“Un
armadio vuoto? Chi cavolo porta un armadio qua
dentro per non metterci nulla?”
Rider
si precipitò
vicino a quell’armadio, aprendo le porte: era ancora vuoto.
Improvvisamente,
fece presa su una delle porte e mise l’altra mano dietro
l’armadio, tirandolo
verso di sé.
Ora
non c’era più
nulla a nasconderla, era riuscito a trovare la porta nascosta
dall’armadio.
Sorrise.
“Bingo!”
Sfortunatamente,
c’era un’altra password da inserire per poterla
aprire; la tastiera era proprio
al centro della porta.
Rider
si avvicinò,
sfiorando la superficie con il palmo della mano, bussando su di essa.
“E’
una porta
d’acciaio molto sottile… - sorrise ancora
– Lo sapevo!”
Scoperto
questo,
si precipitò al borsone, tirando fuori una fiamma ossidrica
portatile e una
maschera per proteggersi il viso. Quando tornò davanti alla
porta, pronto a
tagliarla, si soffermò a guardare la tastiera, provando poi
a digitare una
password che pensava potesse aprire anche quella porta.
Subito,
gli diede
errore: aveva riprovato con Miss Marple.
Senza
perdere
altro tempo, girò la manopola della bombola e poi accese la
fiamma. Iniziò a
tagliare. Ci sarebbero voluti sicuramente diversi minuti per
quell’operazione.
*
[Canzone
corrente: YOMBE – Vulkaan]
I
ragazzi erano
ancora in giro che tenevano d’occhio la situazione. Un nuovo
messaggio, però,
li costrinse a riunirsi.
“Cos’è
un ballo senza
un degno finale? Se lo dite a qualcuno, il tempo si
dimezzerà: trovate un altro
modo per salvarli.”
-A
In
allegato, la
foto di una bomba con un timer di trenta minuti.
Questo,
naturalmente, non lasciò indifferente nessuno di loro.
Soprattutto Sam, il più
spaventato di tutti.
“E’
uno scherzo,
vero? Ditemi che sta scherzando!”
Nathaniel
prese il
telefono di Sam dalle sue mani, notando qualcosa di strano:
“Ehi, la foto della
bomba che ha mandato a me non è uguale alla tua.”
Eric
mostrò la la
foto della bomba che aveva ricevuto anche lui: “Nemmeno la
mia è uguale alla
vostre!”
Sam
sgranò
letteralmente gli occhi: “Ci sono tre bombe?”
“Shhh!
– lo zittì
Nathaniel per paura che qualcuno li sentisse - …Anche
quattro, se Rider ha
ricevuto lo stesso messaggio!”
“Ok,
mi viene da
pensare che A sapesse che Rider
sarebbe entrato di nuovo nella panic room! - esclamò Eric
– Forse teme che
troviamo qualcosa di compromettente su di lui e vuole farla
finita!”
Spaventato,
Sam
non sopportò una parola di più: “Ok,
stavolta chiamo mio padre, la polizia,
chiunque! Fino ad ora non l’abbiamo fatto per ovvi motivi, ma
adesso c’è in
gioco molto di più: le nostre vite e quelle di tutti
quanti!”
Si
apprestò,
allora, ad andare a fare la telefonata. Nathaniel lo bloccò
per un braccio.
“NO!
– gli urlò –
E se fosse una messa in scena e non ci fosse alcuna bomba? La polizia
scoverebbe Rider nella panic room e troverebbe tutti i nostri video.
Magari è
proprio una trappola ideata da quel folle e vuole che ci
caschiamo!”
“Ok,
ma non
possiamo godere del beneficio del dubbio, potrebbe essere
vero!” ribatté Sam.
“Nat,
ha ragione,
non possiamo rischiare la vita di tutte queste persone!”
“Allora
trovate un
modo per scovare quelle bombe, senza coinvolgere la polizia!”
suggerì, teso
quanto loro.
Sam
ci rifletté,
trovando quella soluzione: “Julie! –
sussultò - Facciamoci aiutare da lei!”
“Già!”
sussultò
anche Eric, d’accordo.
Il
minuto
seguente, l’avevano già trascinata fuori dalla
palestra, lontana dalla musica e
dalle persone.
“Ragazzi,
Sebastian non starà al telefono per molto. Vuole vincermi il
peluche dell’orso
sulla tavola da surf e non posso mancare!” disse ignara, non
notando i loro
volti pallidi.
Nathaniel
fu il
più diretto: “Ci sono
tre
bombe nella
scuola, forse quattro!”
Quella
tacque per
qualche secondo, per poi scoppiare a ridere: “Certo, e io
sono Michelle Obama.
Sul serio, ragazzi, cosa c’è ancora? Sbaglio o vi
ho già dato quello che
volevate?”
Nessuno
di loro
proferì parola, le loro facce erano sempre pià
pallide e per nulla scherzose, e
quella iniziò ad assumere un’espressione
più seria.
“Ok,
questa cosa
non è affatto divertente!”
Sam
prese parola: “Ti
sembra che stiamo scherzando? Da quando conosco A
non so nemmeno cosa vuol dire scherzare!”
Julie,
allora,
sbigottì: “Un secondo, A,
la vostra
psicopatica A, ha messo qui a
scuola
quattro bombe?”
Intervenne
Eric:
“Per questo ti abbiamo chiamata, c’è un
timer di trenta minuti che
probabilmente è già partito. Devi aiutarci a
trovarle prima che…”
L’altra
lo fermò
subito: “Un momento, un momento: TROVARLE? Non sono mica
uscita dal programma Dynamo: magie
impossibili! -
trovò assurdo – Dobbiamo chiamare la polizia,
far uscire tutti di qui: ORA!”
“E’
quello che ho
detto anch’io!” si aggregò Sam, subito
fulminato da Nathaniel.
“NO,
non
possiamo!” urlò.
“SCUSAMI?!
– urlò
Julie a sua volta – Perché diavolo non dovremmo
chiamare la polizia? – spostò
lo sguardo fra tutti e tre – Che cosa possiede A
su di voi da terrorizzarvi a tal punto da non voler
coinvolgere
la polizia nemmeno in una situazione del genere?”
“Non
possiamo
dirtelo, Rider ci ucciderebbe!” replicò Nathaniel
con fermezza.
Julie
li fissò
tutti ancora una volta, scuotendo la testa: “Va bene, avete
vinto…Niente
polizia, ma dobbiamo far uscire tutti quanti. Immediatamente!”
“Cosa
facciamo? A dimezzerà
il tempo se lo diciamo a
qualcuno!” chiese Eric, nervoso.
“Aspetta,
l’avete
detto a me! – esclamò Julie - Questo vuol dire che
abbiamo ancora meno tempo!”
Sam
si mise le
mani nei capelli: “Oh mio Dio, che cosa facciamo? Come
facciamo a far uscire
tutti senza dire della bomba?”
Nathaniel
sollevò
il capo, notando gli erogatori sul soffitto: “E se
accendessimo un fuoco?”
Anche
gli altri
sollevarono il capo e Julie appoggiò la sua idea:
“Ce ne sono molti in
palestra, potrebbe funzionare. Andate nell’aula di chimica e
accendete un fuoco
nel cestino. Per fare più in fretta, salite su un banco e
avvicinate il più possibile
il cestino al sistema termosensibile in cui è racchiuso:
attiverà tutti gli
erogatori contemporaneamente.”
Quelli
annuirono,
iniziando a correre.
*
Nel
frattempo, Rider, aveva ritagliato tutta la porta con la fiamma
ossidrica. Dopo
essersi alzato la maschera di protezione e spento la fiamma, diede un
forte
calcio alla porta; quella precipitò al suolo,
dall’altro lato, rivelando la
stanza segreta. Per qualche secondo, restò lì
impalato a scrutare da fuori,
riuscendo ad intravedere una sorta di frigorifero capovolto in
orizzontale o
così gli parve. Sembrava non ci fosse molto lì
dentro, dal punto in cui si
trovava: doveva entrare per vedere meglio.
Subito
dopo, si voltò e tirò un grosso respiro e
constatando che il sistema di
aerazione funzionava ancora.
“Bene,
riesco a respirare. Forse non mi servirà la bombola
lì dentro!”
E
tornò al borsone, rimettendoci dentro la fiamma ossidrica e
la maschera.
Recuperò una penna USB, poi, prima di risollevarsi
velocemente e correre dentro
l’altra stanza; non si accorse, però, del suo
telefono che stava vibrando
dentro al borsone: due chiamate perse e un messaggio.
Da
Sam:
“Ci
sono delle bombe sparse per la
scuola, lascia perdere la panic room. Con Julie abbiamo trovato un modo
di far
uscire tutti quanti dall’edificio. Non tornare indietro, usa
direttamente la
botola. Rispondi se hai ricevuto il messaggio!”
*
Sam
stava facendo
il palo davanti all’aula di chimica, il telefono in mano.
Saltellava per il
nervosismo. Dentro, Eric era in piedi sopra il banco che teneva il
cestino in
alto, fumante; Nathaniel gli reggeva le gambe, in modo che non cadesse.
“Ragazzi,
fate in
fretta. Non c’è più tempo!”
intimò loro, Sam. La porta era aperta e poteva
vederli.
Sudato,
Eric replicò
istericamente: “Termosensibile un corno, non funziona questo
coso!”
“Alza
di più il
cestino, ti tengo, non preoccuparti!” lo rassicurò
Nathaniel.
“Ma
non posso
alzarmi più di così!”
ribatté quello.
“Alzati
sulle
punte, Eric!” gli suggerì Sam, da fuori.
Sospirando
per lo
stress della situazione, seguì il consiglio e si
alzò sulle punte. Il fumo
ormai colpiva completamente il congegno e finalmente tuonò
in un sottile
allarme. L’attimo seguente gli erogatori dell’aula
si azionarono.
“Ce
l’abbiamo
fatta!” sorrise Nathaniel, mentre l’altro scendeva
dal banco.
Sam,
che non
riuscì a gioire di quel successo, osservava il telefono
preoccupato.
“Ragazzi,
Rider
non mi ha ancora risposto. Forse dovremmo…”
Nathaniel,
però,
lo prese per un polso: “Dovremmo uscire, adesso. Ok?
– cercò di fargli entrare
in testa la cosa – Rider userà la botola, non
appena vedrà quel messaggio. E
poi l’ha detto lui stesso che le panic room resistono anche
ad un esplosione,
no?”
Eric,
intanto,
aveva rimesso il cestino a posto e con lo sguardo aveva individuato un
baker
con dentro del liquido trasparente che sembrava acqua: lo verso nel
cestino per
spegnere la carta bruciata, poi si avvicinò ai suoi amici.
“Nathaniel
ha
ragione, probabilmente stiamo per saltare in aria da un momento
all’altro.
Rider è al sicuro!”
Convinto,
ma non
al cento per cento, annuì e quelli iniziarono a correre. Gli
erogatori si
azionarono anche nei corridoi, bagnandoli.
*
[Canzone
corrente: Monsters – Ruelle]
In
palestra, il ballo
degli ex alunni continuava indisturbato. Julie raggiunse Sebastian al
bar,
molto agitata, ma senza darlo a vedere.
“Ehi,
eccoti.
Dov’eri finita? Ero al telefono e poi quando mi sono girato
non c’eri più!” le
sorrise, ingenuamente.
“Ehm,
sì, niente,
ero alla toilette! – esclamò, parlando a scatti
nervosi – Comunque, ero davanti
allo specchio e mi sono accorta di aver lasciato il mio lucidalabbra in
macchina. Possiamo andare a prenderlo?”
Quello
sollevò le
sopracciglia: “Eh? Vuoi andare fino al parcheggio per un
lucidalabbra?”
“Odora
di fragola,
sai? A te piace la fragola, no?” rise istericamente, cercando
di convincerlo.
“Sì,
ma…” titubò,
ma la sua espressione seguente annunciò la sua evidente resa.
Proprio
in
quell’istante, però, anche in palestra si
azionarono gli erogatori e i
conseguenti allarmi.
Tra
i partecipanti
prese il sopravvento il panico e la confusione, l’acqua che
stava bagnando
tutti:
“Che
sta succedendo?” – “Vedete un
incendio?” – “Io non
vedo nulla, dov’è?” –
“Le uscite di emergenza, presto!” –
“Seguitemi da questa
parte!”
Julie
si rivolse a
Sebastian, fingendo una faccia mortificata: “Sembra che
dovremmo andarci per
forza nel parcheggio!”
“Guarda
che stavo
per dirti di sì!” le sorrise, malgrado la
situazione.
Mentre
tutti
correvano, passando di fianco a loro, ancora fermi a guardarsi, lei
sorrise a
lui in maniera dolce e conquistata: “Ah,
sì?”
“Già,
proprio
così! – esclamò, tendendole la mano
– E ora dammi la mano e usciamo da qui!”
E
quella eseguì, mentre
fradici, uscivano assieme agli altri.
*
Contemporaneamente,
nella mensa, una persona incappucciata, stava battendo una chiave
inglese
contro i tubi del gas. Dopo tanta insistenza, riuscì a
forarne uno, facendolo
fuoriuscire in grosse quantità, per poi scappare a gambe
levate.
*
Eric,
intanto, era
andato a cercare Alexis nei bagni, ricordandosi che era lì
assieme a Tasha;
infatti le trovò proprio là dentro.
“Ehi,
Alexis,
dobbiamo uscire di qui!” esordì, mentre quelle
erano davanti al lavandino e quella
stava aiutando Tasha a sciacquarsi la faccia.
“Che
succede? – lo
scrutò dalla testa ai piedi - Perché sei tutto
bagnato?”
“Mmmh,
tutto
bagnato! - commentò Tasha, barcollando accanto alla ragazza
e ridacchiando come
una stupida – Anche Nathaniel, lo è?”
fantasticò.
“Smettila,
Tasha!
– la riprese quella, per poi rivolgesi nuovamente ad Eric
– Allora?”
“C’è
un incendio,
dobbiamo uscire!” rivelò.
D’un
tratto la
porta del bagno si chiuse e si udì un giro di chiave. Eric
corse subito vicino
ad essa, abbassando il manico più volte, invano.
“Ehi!!!
– sbatté
la mano contro la porta – Aprite!”
Alexis
si avvicinò alle sue spalle, spaventata: “Eric, ma
che sta succedendo? C’è un
incendio e qualcuno pensa di chiuderci qui dentro?”
Tasha,
che ancora non si stava rendendo conto di nulla, disse: “I
bagni del liceo
hanno una chiave? Da quando?”
Eric
non le diede retta, così come Alexis, puntando delle piccole
finestrelle appena
sotto il soffitto. Alexis seguì il suo sguardo.
“Quelle
si abbassano completamente, no? Altrimenti non ci passiamo.”
“Nel
bagno dei maschi le ho viste completamente abbassate, una volta. Sono
praticamente uguali!”
“Allora,
ok! Abbassiamole!” annuì quella.
Lui
si avvicinò alla parete, unendo le mani, incastrando le dita
fra loro: “Vieni,
ti faccio da scala. Le abbassi e poi ci passi. Poi ti mando
Tasha!”
Quella
arrivò alle loro spalle, disorientata: “Dove mi
mandi, tu?”
Alexis
mise il piede sulle mani di Eric e si sollevò fino alla
finestrella. Iniziò
lentamente ad abbassarla.
“Fortuna
che non sono bassa, eh?”
“Già!”
esclamò l’altro, reggendola a fatica.
*
Nel
frattempo, Nathaniel e Sam giunsero all’ingresso della
palestra. Gli erogatori
si erano appena spenti.
“Sono
usciti tutti, credo.” constatò Sam, davanti ad uno
scenario di distruzione per via
del caos della folla che è fuggita.
Nathaniel
contemplava altro, nel corridoio in cui si trovavano:
“Dobbiamo uscire anche
noi, c’è un’uscita di emergenza
là giù!” gliela indicò.
L’altro
annuì, iniziando a seguirlo. Improvvisamente, un messaggio
lo fece fermare.
“Nat,
aspetta. E’ A!”
gli fece sapere,
dopo aver letto.
Quello
tornò indietro, seccato: “Che cosa vuole,
adesso?”
Sam
gli mostrò il messaggio.
“Siete
sicuri che vi salverete tutti e quattro? Magari uno di
voi potrebbe rimanere…bloccato!”
-A
Alzati
gli occhi dallo schermo del telefono, i due si guardarono e Nathaniel
capì
immediatamente quello che Sam stava pensando.
“NO,
Sam! Ok? NO!” gli disse, categorico.
“E’
chiaro che si riferisce a Rider, non possiamo lasciarlo lì
dentro e uscire!”
“Non
capisci che è una trappola? A non
può rinchiudere Rider lì dentro,
c’è una botola! E quella botola si apre
manualmente!”
“E
se avesse bloccato quella botola in qualche modo e Rider non riuscisse
ad
aprirla?” continuò Sam, preoccupato.
“Si
aprirà, ora usciamo!” lo prese per i polsi,
tirandolo.
“NO!
– si liberò, indietreggiando – Non me ne
vado senza Rider. Anche se in questo
momento ce l’ho a morte con lui, non lo lascio lì
dentro da solo!” e iniziò a
correre via.
Nathaniel
lo afferrò nuovamente per un braccio.
“Sam,
smettila, non sei l’eroe di un tuo telefilm! Morirai per
davvero, ok? Niente
pietre magiche che ti riportano in vita, niente morte scampata per un
soffio
come accade a tutti i protagonisti di una storia… -
penetrò nei suoi occhi con
uno sguardo fulminante e malinconico – Cesserai di esistere
per sempre e io non
posso lasciarti andare.”
“Perché
dovrei esistere in un mondo in cui non posso neanche vivere la mia
vita? Tanto
vale rischiare!”
Nathaniel
perse la testa, e lo scosse violentemente, per le spalle:
“Smettila, cazzo! Non
parlare come se fosse un film, non è un film!”
Quello
restò impassibile alla sua aggressività,
sussurrandogli altre parole: “Cessa di
esistere con me o vattene via!”
I
due si guardarono ancora una volta per diversi secondi, le pupille di
Nathaniel
che si muovevano veloci e il cuore stretto in una morsa. Lo prese e lo
baciò,
disperato. Staccò le sue labbra, poi, tenendolo ancora
stretto per gli abiti,
gli occhi chiusi, naso a naso, fronte a fronte.
“L’ha
detto anche Rider, non aspettavi
altro…
– pianse, un’espressione sofferente - Mi vuoi? Sono
tuo, Sam. Sono tuo, ma, ti
prego, esci con me adesso!”
Sam
lo staccò da sé, gli occhi gonfi di lacrime e
rabbia. Gli tirò uno schiaffo,
trovandolo ripugnante.
“Non
sono tuo. Non giocare con me, non farlo mai più. Non usare
questi stratagemmi
per farmi fare quello che vuoi, solo perché sai che sono
innamorato di te.”
Quello
aveva la mano sulla guancia, dolorante, il volto girato
dall’altra parte per la
vergogna del suo gesto. Sam indietreggiò, guardandolo male e
corse via, verso
la parte opposta alla via d’uscita.
Nathaniel
finalmente si voltò a guardarlo e una lacrima gli scese
lungo il viso. Restò lì
in piedi, senza seguirlo.
*
Usciti
tramite le finestrelle del bagno, Eric e Alexis aiutarono Tasha a
risollevarsi
dai cespugli e tenendola ognuno per un braccio, iniziarono ad
allontanarsi
dall’edificio.
“Dove
stiamo andando? – rise, stordita e stanca – Da
Nathaniel, vero?”
“Dio,
ma come fa ad essere la cugina di Rider? –
commentò Alexis, mentre barcollavano
loro stessi per via di lei che faticava a camminare – Sono
completamente
diversi!”
“Beh,
ho un cugino brutto che vive in una fattoria. Questo discorso vale
più per i
fratelli, no?” replicò Eric, prendendosi quasi una
testata da Tasha, che a
tratti si addormentava.
“Anche
sua sorella è come Tasha, se non peggio!”
“Senti,
raggiungiamo il parcheggio, e mettiamola in macchina!”
suggerì.
*
Dopo
aver corso a lungo, Sam si fermò, piegandosi in due,
tossendo. Subito dopo annusò
l’aria, poi ebbe la sensazione di avere qualcuno alle spalle
e si voltò: c’era
Nathaniel.
“Ti
chiedo scusa, ok? – cominciò, mortificato per come
si era comportato – Sto
letteralmente rischiando la mia vita in questo momento,
perciò facciamo in
fretta a salvare Rider!”
L’altro
lo ascoltò, ma si distrasse nuovamente ad annusare
l’aria: “…Senti anche tu
questo odore? Diventa sempre più forte!” la sua
vista iniziò a sfocarsi, tant’è
che li sgranava, scuoteva la testa.
Anche
Nathaniel iniziò a rendersi conto che l’aria aveva
qualcosa di diverso: “…Ma
questo è gas!”
“Oh
mio Dio, forse lo stiamo respirando da prima… - si
allarmò Sam, avvicinandosi
verso di lui, stordito e barcollante – Le bombe…il
gas…Ecco cosa intendeva A con
Supernova!” e svenne addosso a lui.
I
due crollarono sul pavimento, completamente privi di sensi.
*
Ignaro
di cosa stesse succedendo al piano superiore, Rider stava esaminando la
stanza
segreta della panic room. Le prime cose che lo lasciarono inquieto,
furono
alcune macchie di sangue sul pavimento e una telecamera sopra un
treppiedi
puntata contro la parete. Quando si avvicinò per vedere se
ci fosse registrato
qualcosa, si accorse che mancava la scheda di memoria.
Si
guardò ancora attorno, notando il congelatore sulla sua
destra: acceso e
funzionante. Terrorizzato da quello che poteva essere il contenuto, si
avvicinò
con cautela.
Deglutendo
malamente, la mano sulla fessura d’apertura, aveva il cuore
che batteva
all’impazzata. Quando finalmente trovò il
coraggio, aprì la porta del congelatore
e ci trovò dentro un sacco nero per cadaveri. Il suo volto
impallidì alla sola
vista e la cerniera era aperta: non c’era nulla dentro.
Rider
non sapeva se essere sollevato o preoccupato: se dentro ci fosse stato
un
cadavere, perché toglierlo?
“…E
se sapesse che sarei entrato qui?” pensò, tra
sé e sé.
Richiuse
la porta del congelatore, attirato poi dalla bacheca con il vetro
oscurato,
fissato sulla parete. Si avvicinò, incuriosito. Mise le mani
sul vetro, avvicinando
la faccia per vedere cosa ci fosse dentro; sfortunatamente,
però, non si vedeva
nulla.
Fu
in quel momento, che si accorse di un tasto, al lato, che
spostò immediatamente
su on: una lucetta si accese all’interno della bacheca e
Rider poté vedere cosa
c’era all’interno.
Il
contenuto lo lasciò letteralmente sconvolto, oltre che
confuso: A ci aveva attaccato
dentro delle foto
della sua famiglia. Alcuni erano scatti singoli di lui, sua madre, suo
padre e
Lindsey. Altri, dell’intera famiglia durante alcuni brunch o
domeniche al club.
Furono
solo due foto a colpirlo più di altre: una era quella di suo
padre, sbarrata
con una croce rossa. L’altra mostrava suo padre, ma
più giovane. Era in
compagnia di una donna con un impermeabile rosso, ma quella era di
spalle e non
ne potè vedere bene il volto. Erano davanti ad un ristorante
chiamato:“L’ombrello
matto”.
Sempre
più confuso, era curioso di saperne di più e
voleva quella foto a tutti i
costi. Si guardò attorno e c’era
un’estintore attaccato alla parete. Lo prese e
con quello ruppe la bacheca, staccando quella foto.
Girò
la foto, scorgendone la data assai sfuocata ma comprensibile.
“Agosto
1998? - lesse, stranito, prima di tornare a fissare la foto –
Chi diavolo è
questa donna?”
Affamato
di risposte, si voltò verso l’unica cosa rimasta
da guardare: il computer di A.
Non
ci mise molto a trovare i loro video, le cartelle avevano nomi ben
precisi.
Prima di cancellare tutto, mise la USB per spostare altri file come Rosewood-riservato .
Quando
spostò i video dell’omicidio di Albert e anche
quelli girati fino a casa di
Anthony, dove appiccarono l’incendio, apparve una schermata.
“Questi
elementi verranno inoltrati alla polizia di Rosewood se cancellati.
Sicuro di
voler continuare?”
SI
- NO
“Cosa?
– sussultò – No, non può
essere!” si mise le mani nei capelli, per poi provare
a spostare i file sulla USB.
Ancora
un’altra schermata, apparve.
“Questi
elementi verranno inoltrati alla polizia di Rosewood se copiati su
altro
dispositivo. Sicuro di voler continuare?”
SI
– NO
“Mi
prendi in giro??? – urlò – Ha messo un
virus a tutti i file! – tirò un colpo
sul tavolo con la mano – MERDA!”
Per
diversi secondi, non fece che respirare rumorosamente per la rabbia del
momento.
Quando si riprese, più calmo, uscì dalla stanza,
recuperando il telefono dal
borsone per dare notizie di sé ai compagni.
Trovò
immediatamente il messaggio di Sam.
Da
Sam:
“Ci
sono delle bombe sparse per la
scuola, lascia perdere la panic room. Con Julie abbiamo trovato un modo
di far
uscire tutti quanti dall’edificio. Non tornare indietro, usa
direttamente la
botola. Rispondi se hai ricevuto il messaggio!”
Sgranò
gli occhi: “…Cazzo!” e si
sollevò in piedi, non sapendo cosa fare.
Quando
lo comprese, corse nuovamente dentro la stanza e si
precipitò nuovamente
davanti al computer.
“Se
Maometto non va alla montagna, allora la montagna andrà da
Maometto, brutto
figlio di puttana!” esclamò, iniziando a staccare
i fili del computer fisso per
portarlo via con sé.
*
All’esterno,
diversi metri lontani dalla scuola, c’erano tutti i
partecipanti al ballo.
Brakner era lì che stava chiamando i vigili del fuoco per un
sopralluogo. Eric,
Tasha e Alexis li avevano appena raggiunti tutti.
Lindsey,
non appena vide sua cugina, corse verso di lei, felice di vederla.
“Oh
mio Dio, Tasha, mi sono spaventata a morte. Dov’eri
finita?”
Quella,
però, era svenuta e in braccio ad Eric. Avvinghiata al suo
collo, sorrideva
come se stesse facendo un bel sogno.
“Ti
risponderà dopo una flebo di sobrietà,
forse!” intervenne Alexis, abbastanza
seccata.
“Qualcuno
di voi a visto mio fratello? – domandò loro,
fissando soprattutto Eric – Sono
in questo parcheggio da dieci minuti e non l’ho visto per
niente.”
Eric,
però, non sapeva cosa rispondere:
“Ehm…forse…”
Ma
non poté completare, perché un evento inaspettato
colse tutti di sorpresa: la
scuola esplose quasi in un fumo atomico.
L’espansione
dei gas prodotta da essa generò un’onda
d’urto tale da far cadere tutti a
terra. Alcuni frammenti dell’edificio precipitarono nelle
vicinanze, riuscendo
a colpire qualcuno.
Appena
dopo il boato, seguirono le urla e l’incredulità.
Le chiamate alla polizia e le
ambulanze, le mani davanti alla bocca per lo shock di quello scenario,
la corsa
a risollevare chi si era ferito.
Eric,
risollevandosi e lasciando Tasha a terra, si accertò delle
condizioni di
Alexis: “Ehi, stai bene?”
Quella,
aiutata a rialzarsi, stringeva gli occhi per il dolore: “Mi
sono sbucciata il
gomito! – esclamò, per poi voltarsi a guardare
l’edificio in fiamme – Ma che
cavolo è successo?
Ed
Eric, che lo sapeva benissimo, non poté che restare in
silenzio.
Improvvisamente, poco lontana dalla folla, una ragazza urlò
a squarciagola,
attirando l’attenzione di tutti quanti.
“Oh
mio Dio, qui c’è un corpo! Qui
c’è un corpo!”
L’identità
di quel corpo, avrebbe lasciato di sicuro tutti sconvolti…
*
Dall’altra
parte della scuola, sempre a diversi metri di distanza, Nathaniel era
disteso sull’asfalto.
Improvvisamente, emise un colpo di tosse, respirando di nuovo.
Quando
riaprì lentamente gli occhi, si trovò davanti lo
scenario della scuola in
fiamme e polveri sui vestiti. Alla sua destra, poi, notò
Wesam praticare il
massaggio cardiaco a Sam e quello lo sconvolse ancora di più.
“Oh mio
Dio…” borbottò, pietrificato.
Wesam,
ora, stava praticando il bocca a bocca, buttando aria nei suoi polmoni
e poi
riprese con il massaggio cardiaco.
“Forza,
forza! Avanti, Sam!” urlò, stremato e sudato.
Finalmente
quello tossì, il cuore riprese a battere. Nathaniel, a bocca
aperta e occhi
sgranati per tutti quei secondi che precedettero il rinsavimento
dell’amico,
tirò un sospiro di sollievo e si scambiò un
sorriso con Wesam.
“Grazie
a Dio, eh? – si rivolse a Nathaniel – Ma che ci
facevate ancora lì dentro?”
“Ci
hai tirati fuori tu?” rispose con un’altra domanda,
curioso.
“Non
riuscivo a trovare Sam tra la folla, così sono rientrato a
cercarlo. Quando vi
ho visti svenuti, non sapevo come tirarvi fuori e la puzza di gas stava
per
mettere fuori gioco anche me. Per fortuna c’era un vostro
amico lì con me e mi
ha aiutato e, sempre per fortuna, eravamo vicini ad una delle uscite di
emergenza.”
“Un
amico? Quale amico? Rider?”
Wesam
si guardò attorno, a quella domanda: “Non saprei,
era qui fino a qualche minuto
fa. Dev’essersi allontanato per chiedere
aiuto…”
Nathaniel
restò a fissarlo, sperando che quel qualcuno fosse Rider e
che si fosse
salvato. Sam si stava riprendendo lentamente.
SCENA
FINALE
120
secondi prima dell’esplosione…
Rider
stava calando il borsone con dentro l’unità di
sistema del computer, tramite
una corda, lungo la botola che partiva dalla panic room. Quando la
borsa toccò
il pavimento, lasciò cadere la corda, e si
preparò a scendere anche lui.
Dopo
essere sceso di qualche piolo lungo la scala, chiuse la porta della
botola.
Arrivato a metà della discesa, la terra e le pareti
tremarono violentemente,
causa dell’esplosione appena avvenuta. Rider cadde dalla
scala, precipitando a
terra, accanto al borsone.
Dolorante,
stringeva gli occhi, la schiena rigida per il colpo. Riuscì
a girarsi su un
fianco, cercando di risollevarsi, mentre emetteva dei piccoli lamenti.
All’improvviso,
sentì qualcosa rotolare a terra vicino a lui. Quando
aprì gli occhi, vide una lattina
dalla quale uscì del gas fumogeno che lo costrinse a
tossire. Più lontano, una
figura incappucciata che si stava avvicinando a piccoli passi verso di
lui,
mentre lentamente perdeva i sensi…
CONTINUA
NEL DECIMO CAPITOLO
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Capitolo 12 *** 1x11-Il mistero degli Stuart ***
CAPITOLO
UNDICI
“Welcome
to the Radley SanitArium”
Poco dopo
l’esplosione,
tutti coloro che si trovavano a debita distanza erano ancora sconvolti:
c’era
chi fissava lo scenario a bocca spalancata e chi aiutava quelli rimasti
feriti
nel cadere o raggiunti dai frammenti dell’edificio.
Eric,
risollevandosi e lasciando Tasha a terra, si accertò delle
condizioni di
Alexis: “Ehi, stai bene?”
Quella,
aiutata a rialzarsi, stringeva gli occhi per il dolore: “Mi
sono sbucciata un
gomito… –
rispose, per poi voltarsi a
guardare l’edificio in fiamme – Ma che cavolo
è successo?
E
lui, che lo sapeva benissimo, non potè che restare in
silenzio.
Improvvisamente, poco lontana dalla folla, una ragazza urlò
a squarciagola,
attirando l’attenzione di tutti quanti.
“Oh
mio Dio, qui c’è un corpo! Qui
c’è un corpo!”
Quelle
urla turbarono subito Alexis: “Un corpo? Ma che cosa stanno
farneticando?”
“Tu
resta qui, ok? – le toccò la spalla,
rassicurandola – Vado a vedere che cosa
succede.”
Lei
annuì, restando accanto a Tasha, ancora sdraiata a terra e
incosciente.
Eric
si fece subito strada tra la folla che si era raccolta intorno alla
ragazza che
aveva urlato. Spuntato in prima fila, vide anche lui il corpo: era
completamente carbonizzato, impossibile da riconoscere, messo
lì, in mezzo alla
strada.
In
molti si stavano ponendo la stessa domanda: se l’esplosione
era avvenuta a
diversi metri da quella strada, com’era possibile che un
corpo fosse arrivato
fin lì?
La
risposta era talmente ovvia, ma solo Eric ci sarebbe potuto arrivare
prima
degli altri in quel momento: era stato posizionato lì, prima
che tutti
lasciassero l’edificio.
Dopo
un lungo minuto in cui tutti rimasero immobili a fissare quel corpo,
uno di
loro fece un passo avanti, avvicinandosi: fu Colton Rhimes a farlo.
Eric
lo fissò, come chiunque, ma lui lo fece con molta attenzione.
Il
ragazzo si piegò sulle ginocchia, accanto al corpo,
perché aveva notato
qualcosa al suo collo. Quando la sollevò, tutti videro
cos’era: una piastrina,
di quelle militari.
Colton
la osservò a lungo e poi fece sentire la sua voce:
“E’ Albert! – esclamò,
alzando gradualmente il tono – E’ Albert Pascali,
c’è scritto così!”
Lo
stupore generale, tra chi si metteva la mano davanti alla bocca e chi
si
scambiava uno sguardo con la persona di fianco, fu interrotto dalle
sirene
delle ambulanze e della polizia in arrivo. Eric, sconvolto quanto gli
altri,
iniziò a fare caso alle persone che si trovavano in prima
fila come lui, sparsi
tra i presenti: Morgan, Lisa, Violet, Chloe, Brianna, Julie e Brakner.
Intanto,
dietro alla folla, Wesam stava correndo verso l’ambulanza con
Sam in braccio e
Nathaniel a seguito.
“Ha
bisogno di ossigeno! – fece sapere al paramedico che stava
arrivando verso di
lui – E anche quest’altro ragazzo!”
indicò Nathaniel, mentre passava Sam al
paramedico.
“Ehm,
no, io sto bene!” fece sapere quello, rifiutando qualunque
intervento su di
lui.
Wesam,
allora, seguì il paramedico fino all’ambulanza e
così fece anche Nathaniel.
Tuttavia,
quest’ultimo venne fermato per un braccio.
“Ehi,
stai bene? – Eric lo fece voltare, mostrando quanto fosse
preoccupato – Non vi
ho visti e ho pensato che…”
Con
gli occhi ancora sgranati per lo shock e il corpo che tremava,
Nathaniel riuscì
a trovare le parole per rispondere: “Siamo vivi per miracolo!
Wesam sta
portando Sam vicino all’ambulanza con il
paramedico.”
Eric
lo scavalcò con lo sguardo, cercando di scorgere
l’amico vicino all’ambulanza:
“Perché lo stanno portando verso le ambulanze?
E’ ferito?”
“Gli
si è fermato il cuore, Wesam l’ha rianimato.
– spiegò, traumatizzato e con gli
occhi lucidi – E’ successo tutto così in
fretta, eravamo tornati indietro per
avvertire Rider e poi ci siamo accorti del gas, ma…era
troppo tardi, siamo
svenuti!”
Mentre
lo ascoltava, Eric aveva la bocca spalancata: “Ma Rider
dov’è?”
L’altro
scosse la testa: “I-io non lo so, Wesam ha detto che un
nostro amico l’ha
aiutato a portarci fuori. Forse era lui!” spiegò,
non molto sicuro.
Eric,
allora, si guardò attorno: “Non l’ho
visto da nessuna parte, sua sorella lo
cerca come una disperata!”
“Eric,
non lo so. L’unica cosa che so è che A ha
fatto esplodere la nostra scuola!” quasi urlò per
quanto fosse assurdo tale
gesto.
“Non
solo ha fatto esplodere la nostra scuola, ma ha anche fatto ricomparire
Albert.”
lo mise al corrente.
“D-di
che stai parlando? – reagì confuso –
Albert? Dove?”
Indicò
verso la folla, ancora lì intorno, dove c’era
già la polizia: “Laggiù! L’ha
lasciato in mezzo alla strada, prima che uscissimo
dall’edificio.”
“Ma
come fai a dire che è Albert? – abbassò
la voce - Noi l’abbiamo bruciato,
dovrebbe essere un pezzo di carbone!”
“E
infatti è così, solo che…ha lasciato
una piastrina di metallo con sopra incisi
il suo nome e cognome al collo del suo cadavere.”
spiegò.
“Perché
adesso? - Nathaniel non riusciva a trovare una spiegazione -
Perché rubare il
corpo di Albert all’obitorio, conservarlo e farlo ricomparire
stasera?”
Con
un sottile tono di terrore nella voce, Eric esternò
ciò che pensava: “Forse si
è stancato di giocare con noi e pensa che sia arrivato il
momento che la
polizia risolva questo casino.”
“Beh,
se risolvono questo casino non possono che arrivare a noi
quattro.”
“Appunto!”
Nathaniel,
seriamente spaventato, prese Eric per le spalle: “Dobbiamo
andarcene: tutti e
quattro!”
“Non
possiamo, siamo sulla lista dei partecipanti al ballo. La polizia
vorrà parlare
con tutti quanti e se qualcuno mancherà
all’appello sembrerà sospetto, capisci?
– si guardò attorno, ansioso – In
più non sappiamo dove sia Rider…”
In
quel momento, sul campo visivo di Nathaniel, era appena entrato
Brakner, poco
lontano. Nel vederlo, tutta la paura scomparve e rimase soltanto
rabbia; una
rabbia che voleva sfogare su di lui.
“Ora
basta, ha davvero superato il limite!” e cercò di
raggiungerlo.
Eric
seguì il suo sguardo, notando chi stava puntando, e lo
fermò immediatamente per
il braccio: “NO, Nat! Così peggiori solo le cose e
attirerai l’attenzione.”
“Dobbiamo
smascherarlo, ok? – gli urlò con tono contenuto
– Non possiamo continuare a
giocare alla casa delle bambole. La polizia deve arrestarlo: deve
sapere!”
“Sapere
CHE COSA? – lo fermò da un altro tentativo di
correre verso di lui – Può
trascinarci con lui all’inferno, o non se ne starebbe qui
tutto tranquillo!”
Nathaniel
si mise le mani nei capelli, impotente, mentre l’altro
continuava.
“Anche
se non sembra così tranquillo, sembra scosso quanto
noi…” pensò, lasciando
intendere che avesse qualche dubbio a proposito: questo
bastò ad attirare la
piena attenzione di Nathaniel.
“Che
vuoi dire?”
“Dico
che siamo stati addosso a Brakner, Morgan e Lindsey per tutto il tempo
e non si
sono mai allontanati dall’evento.”
“Le
bombe le avranno messe prima della serata, no? Possono attivarle da
remoto,
come con il sistema di aerazione nella panic room.”
“Sono
rimasti lì dentro fino all’ultimo secondo e
probabilmente ci sarebbero morti se
non avessimo fatto scattare il sistema anticendio. Quale malato di
mente si
lascerebbe esplodere?”
“A!
– urlò l’altro - Ecco chi!”
“E
che mi dici di Lindsey e Morgan? Se sono complici, perché se
ne stavano così
tranquilli?”
Nathaniel
si massaggiò le tempie, cercando di non capire di proposito
perché non riusciva
ad accettare il punto a cui voleva arrivare Eric: “Smettila,
Brakner è A! Non
possiamo esserci sbagliati.”
“Se
Brakner avesse architettato tutto questo, Lindsey l’avrebbe
saputo di certo. E
lei non avrebbe mai rischiato la sua stessa vita, quella di suo
fratello e sua
cugina!”
“Allora
Brakner ha fatto tutto di nascosto a loro, non c’è
altra spiegazione!” esclamò,
categorico, non accettando quella versione.
Eric
si arrese, smettendo di parlare. I due continuarono a guardarsi
intorno,
spaesati.
*
Più
tardi, tra le varie persone che giravano per il perimetro con una
coperta sulle
spalle, tra i nastri gialli e i vigili del fuoco che tentavano ancora
di
spegnere le fiamme, Sam era seduto sul bordo dell’ambulanza,
finalmente
cosciente, che si teneva sulla faccia la mascherina per
l’ossigeno. Eric e
Nathaniel erano davanti a lui.
Stando
meglio, Sam se la tolse ad un certo punto. Era a dir poco scosso.
Nathaniel
si sincerò rapidamente delle sue condizioni:
“Allora? Come va?”
Quello
lo fissò, come si guarda un film dell’orrore:
“Come dovrei stare dopo tutto
questo? Questa volta A si
è spinto
oltre più che mai.”
Gli
altri due mantennero uno sguardo basso, demoralizzati.
“…E
non sappiamo nemmeno perché ha fatto esplodere la
scuola.” pensò Eric.
“Dovremmo
aggiungere la voce Terrorista al profilo personale di
questo pazzo! -
esclamò Sam con collera, per poi passare ad uno stato di
paranoia – Per non
parlare del corpo di Albert, lasciato così.”
Nathaniel
si guardò attorno con sguardo circospetto, notando i
poliziotti che facevano
domande a tutti: “E’ chiaro che ci sta buttando
nella fossa dei leoni, ma non
completamente. Se ci avesse voluto incastrare subito, i nostri video
sarebbero
già su tutti i server della polizia e noi non staremmo qui a
respirare ossigeno
come delle vittime innocenti.”
“noi
SIAMO vittime innocenti! - sottolineò Sam – Il mio
cuore si è fermato per non
so quanto tempo ed è tutta colpa di Anthony se siamo finiti
in questo casino!”
“Dobbiamo
essere furbi stasera. E sperare di non lasciare questo parcheggio in
manette.”
suggerì Eric.
Sam,
a quel punto, si indirizzò verso un nuovo discorso:
“A proposito di furbizia:
dove diavolo è Rider? – spostò lo
sguardo fra i due – Se Wesam ha detto che un
nostro amico l’ha aiutato a portare me e Nathaniel fuori
dalla scuola, parlava
senza dubbio di lui, no?”
“Wesam
ha anche aggiunto che poi questo nostro
amico è andato a chiedere
aiuto, ma…
- si insinuò in Nathaniel qualche dubbio – Dove di
preciso? In Canada?”
Nella
testa di Sam, allora, iniziarono a sorgere brutti pensieri:
“Ragazzi, e
se…Rider non fosse mai uscito dalla panic room?”
Eric
scosse subito la testa, come se lo pensasse ma volesse autoconvincersi
del
contrario: “No, non può essere morto. Rider non
è così stupido da non
controllare i messaggi.”
“Magari
si è distratto, chissà cosa c’era in
quella parte segreta della panic room…”
replicò Nathaniel, realista.
Improvvisamente,
le loro supposizioni sfumarono quando un messaggio arrivò
sul telefono di Sam.
Da
Rider:
“Sto
arrivando, dove siete?”
“Oh
mio Dio, è vivo!” esclamò Sam,
mostrando il telefono agli altri due.
Tutti
e tre sorrisero, sollevati. Sam gli rispose immediatamente.
A
Rider
“Vicino
alle ambulanze…”
Ricevette
un altro suo messaggio in replica
Da
Rider:
“Vi
vedo!”
“Ha
scritto che ci vede!” mostrò ancora una volta il
telefono ai suoi amici. Tutti
e tre, allora, si voltarono contemporaneamente a cercarlo con lo
sguardo.
Quello,
però, stava già arrivando verso di loro: in carne
ed ossa.
“Una
supernova, eh? – esordì, dopo essersi voltato a
guardare la scuola – Là sotto
l’ho percepita come la fine del mondo!”
Nemmeno
fece un altro passo che Sam gli saltò addosso,
abbracciandolo.
“Sono
così contento che tu sia vivo… - lo strinse forte
ad occhi chiusi – Grazie di
averci portati in salvo. - si staccò, fissandolo negli occhi
– Perché eri tu,
vero?”
“Sì,
ero io… - spiegò, leggermente intontito e
sorpreso da quell’abbraccio – Dopo
aver ricevuto il messaggio di A, in
cui
diceva che uno di noi sarebbe rimasto bloccato nella scuola a causa
sua, sono
risalito per cercavi e vi ho subito trovati. Wesam è
arrivato subito dopo e mi
ha aiutato a portarvi fuori.”
“Anche
noi abbiamo ricevuto lo stesso messaggio. – prese parola
Nathaniel – Sam ha
insistito affinchè scendessimo a prenderti.”
palesò che lui non avrebbe agito alla stessa
maniera di Sam.
“Ah…
- abbassò lo sguardo, annuendo e fingendo un sorriso
– Beh, viva la sincerità!”
“Scusa,
ma…potevamo morire e tu potevi essere già
uscito.” continuò Nathaniel,
sottolineando che non c’era nulla di personale.
Eric
si intromise, a quel punto: “Ok, l’importante
è che siamo tutti vivi. Solo che…
- il suo tono si fece cupo – Non so a quanto serva essere
vivi in questo
momento.”
“Ho
scoperto di Albert, mentre venivo qui. Siamo davanti ad un altro gioco
di A, perciò non
facciamoci prendere dal
panico.” cercò di tranquillizzarli.
“Ti
prego, dimmi che sei così sereno perché hai
recuperato i video e quindi non c’è
alcuna prova contro di noi.” Sam sperò in una
risposta positiva.
Tuttavia,
Rider assunse un’espressione che intendeva tutto il
contrario: “…Purtroppo,
sono stato troppo ingenuo. C’era un virus su tutti i file,
compresi i nostri
video. Quando ho tentato di copiarli, è comparsa una
schermata che diceva che
sarebbero stati mandati alla polizia se ci avessi provato. Stessa cosa
se li
eliminavo.”
“Quindi?”
domandò Nathaniel, impaziente di sapere.
“Quindi
ho rubato l’unità di sistema e l’ho
calata giù per la botola. Quando sono
risalito dalle fogne, ho nascosto il borsone ad un isolato da qui e
sono
rientrato a scuola per cercarvi in seguito a quel messaggio.
– fissò Sam e
Nathaniel con aria mortificata - Una volta che vi ho portati in salvo
sono
tornato a riprendere il borsone, ma non c’era
più.”
Tutti
assunsero un atteggiamento incredulo, demoralizzato. Sbuffarono.
Eric,
però, contò sul fatto che non tornava da loro a
mani vuote: “Ma almeno sei
riuscito a scoprire qualcosa?”
Scosse
la testa, imbronciato: “Mi dispiace, niente. Non ne ho avuto
il tempo, per questo
ho rubato l’unità di sistema.”
Sam
si mise le mani nei capelli: “Non ci
credo…” e tornò a sedere
sull’albulanza,
attaccandosi nuovamente la mascherina al viso per respirare un
po’ di ossigeno.
“Noi
ti dobbiamo aggiornare su Rosewood-riservato. Forse abbiamo capito
cos’è, ma
speravamo che tu avessi scoperto molto di più.”
aggiunse Eric.
“Mi
dispiace ragazzi, ma forse questo non è il luogo adatto per
parlarne.
Probabilmente ci lasceranno andare tra un’oretta.”
spiegò loro.
Intanto,
non molto lontano dai quattro ragazzi, un uomo con indosso un completo
nero era
accanto ad una delle auto della polizia. Li fissava molto attentamente,
mentre
quelli sembravano discutere anziché essere scioccati
dall’accaduto. La cosa lo
incuriosì a tal punto da doversi avvicinare: era un
detective.
“Scusate
se vi interrompo… - esordì, arrivando alle loro
spalle – Sono il detective
Michael Costa e volevo farvi alcune domande, come le sto facendo a
tutti.”
Nathaniel
si mise a braccia conserte, fingendo un atteggiamento simile a quello
delle
altre persone intorno. Gli altri fecero lo stesso, anche se Sam divenne
immediatamente pallido.
“Siamo
sconvolti, io sono uno di quelli che è svenuto per il
gas.”
“Capisco…
- annuì – E che mi dite del vostro
alibi?”
Quelli
rimasero in silenzio, guardandosi tra di loro, confusi.
Deglutendo
male, Sam cercò di capire: “Che intende,
scusi?”
Michael
rispose disinvolto, mentre scriveva sul suo tacquino: “Dove
eravate la notte
della scomparsa di Albert: questo intendevo!”
“Ma…
- continuò Eric, stringendo gli occhi, guardandosi con gli
altri – che c’entra
con quello che è appena successo?”
L’uomo
distolse il suo sguardo dal tacquino, sorridendo: “Beh,
ancora non ci sono
informazioni sull’esplosione. Nel frattempo, mi occupo
dell’altro mistero:
l’omicidio di Albert Pascali!”
Il
silenzio prese il sopravvento e Michael si sentì in dovere
di aggiungere altro.
“Ascoltate,
non vi nascondo che i vostri nomi non siano noti alla polizia. Quando
Albert è
scomparso ci sono state delle indagini approfodite. Ovviamente,
è spuntanto
fuori quel video che avete girato con Anthony Dimitri. Inoltre, stasera
molte
persone mi hanno riferito che tra voi e Albert non c’era un
bellissimo
rapporto: in definitiva, ci troviamo davanti ad un caso di bullismo
scolastico.”
Nathaniel,
infuriandosi, non si lasciò etichettare: “Beh, le
persone che le hanno riferito
questo sanno perfettamente che il bullo era Anthony e non noi. In ogni
caso,
non capisco dove vuole arrivare.”
“Fino
ad un mese e mezzo fa, Albert era un ragazzo scomparso. Ora
è un cadavere,
perciò…un gruppo di bulli è un ottimo
punto di partenza.”
Eric
fissò Rider, sperando che dicesse qualcosa, ma quello era
alquanto distratto,
impedito.
“Ehm…
- Eric decise di prendere parola, evidenziando
l’assurdità di quelle parole –
Se fossimo noi gli assassini, perché avremmo dovuto lasciare
il corpo di Albert
in mezzo ad una strada?”
“Proprio
perché voi possiamo usare questa frase, Eric
Longo.” lo squadrò, intimorendolo.
Sam
sentì di dover intevenire: “Eravamo al ballo, come
potevamo fare tutto questo?”
“Sempre
quelle molte persone, dicono che vi
siete assentati dal ballo per molto tempo ad un certo punto della
serata.”
continuò il detective.
Nathaniel,
irritato, replicò: “Beh, vorrei tanto sapere chi
sono queste persone. Se lei
avesse visto il video, saprebbe che molta gente non ci sopporta e che
direbbe
qualsiasi cosa a nostro sfavore.”
“L’ho
visto il video, Nathaniel Blake. Faccio attenzione ad ogni
dettaglio.”
Stufo
di quel tono cinico e pesante, Sam gli diede ciò che voleva:
“Vuole un alibi?
Bene, io ero a casa con la mia amica Chloe Fitzpatrick a guardare il
finale di
stagione di How to get away with murder.”
Michael
lo appuntò, mentre continuava a fissarlo; non riusciva a
capire se stesse
mentendo o dicendo la verità: fu talmente convincente che lo
lasciò confuso.
Sam
percepì la sua confusione, ovviamente, mantendendo un
espressione che non
lasciava trapelare nulla. Del resto, aveva fatto molta pratica nel
raccontare
bugie…
FLASHBACK
Anthony
e Sam stavano
pranzando in mensa, da soli, l’uno di fronte
all’altro. Quest’ultimo sembrò
assai a disagio e l’amico, poco prima di avvicinare la
forchetta alla bocca, lo
notò.
“Che
c’è? Ho qualcosa
fra i denti?”
“Ehm,
no! – esclamò, in
imbarazzo – Continua pure a mangiare.”
Anthony
allora continuò
a fare quello che stava facendo, notando subito dopo che Sam lo fissava
e poi
distoglieva lo sguardo non appena alzava la testa.
“Ok,
si può sapere che
cos’hai? – poggiò la forchetta, seccato
– Non è che ti sei innamorato anche di
me, adesso? Non ho tempo per essere bisessuale!”
“Ouh,
NO! – negò
assolutamente, restiò a rivelare ciò che lo
tormentava – E che…Quando sono con
Nathaniel ed Eric, loro parlano solo di ragazze quando ci cambiamo in
palestra
per l’ora di ginnastica. Mi lanciano certe occhiate, come se
si aspettassero
che io faccia qualche commento o che annuisca a frasi come
“Piper ha delle belle
tette, non trovate?” o “Mmmm, bel sedere
quello!” e
io sono lì che ho paura che scoprano che
sono gay.”
L’altro
sorrise,
maliziosamente: “Hai paura che scoprano che tu sia gay o che
Nathaniel scopra
che sei gay e che inizi a notare la tua cotta per lui?”
Sam
punzecchiò i suoi
piselli verdi dentro al piatto, rispondendo con la voce piccola:
“…Beh, forse
la seconda. – improvvisamente si infuriò
– Nemmeno Rider parla mai di ragazze,
eppure eccomi qui che mi faccio paranoie assurde anche se non sono il
solo che
non lo fa!”
“Purtroppo
la parte
sessuale del cervello di Rider è occupata dalla storia, la
geografia e
qualsiasi cosa esista sottoforma di un libro. Quando si distrae da
tutto questo
diventa peggio di tutti noi. Forse è anche più
etero di me, Nathaniel ed Eric
messi assieme.” rise, continuando a mangiare.
“Come
si diventa
convincenti? – gli domandò, fissandolo in maniera
acuta – Come si fa a
costruire una maschera impenetrabile?”
Quello
si fermò dal
mangiare e provò a spiegarglielo: “Costruire una
maschera non è facile come
sembra, ma molti di noi ci riescono molto bene. Bastano due semplici
ingredienti, d’altronde: una bugia e
l’abilità di raccontarla come se fosse
vera.”
“Non
sono così abile…”
pensò Sam.
“L’abilità
si acquista
con la pratica. – sottolineò – Basta
convincere sé stessi, Sam. E una volta che
hai convinto te stesso che quella bugia è vera,
diventerà vera per tutti.”
Accenando
un sorriso,
Sam fu sfacciato: “Tu sembri avere molte
maschere…”
“Non
andare oltre, Sam.
– replicò, serio e misterioso – Avere
molte maschere richiede più di una bugia
e tantissime abilità.”
“Insegnami
ad averne
una allora!” insistette.
“Beh,
ripeti a te
stesso una bugia e poi dilla agli altri come se non lo fosse.”
Quello
ci provò,
pensando: “Ehm…vediamo… -
trovò cosa dire finalmente – Ho avuto
un’apputamento
con una ragazza di nome Jane, l’altro giorno. E’
stato fantastico!” raccontò,
con strane mimiche facciali che non convinsero per niente
l’amico.
“No,
Sam. – scosse la
testa, leggermente agghiacciato dal suo scarso impegno - Non ci siamo!
E’
evidente che ti stai sforzando… - decise di dargli un
suggerimento a quel punto
– Forse non hai capito cosa vuol dire autoconvincersi. Per
ingannare gli altri,
devi prima ingannare te stesso: prova a pensare all’ultimo
appuntamento che hai
avuto con un ragazzo. Cerca di ricordare come ti sei sentito, come
l’hai
guardato e come ti ha baciato. Ora, metti tutto insieme e trasforma il
suo nome
in Jane.”
L’altro,
in estasi per
i ricordi che stavano riaffiorando nella sua mente, eseguì:
“Non facevo che
guardarla negli occhi, mentre parlava. Sotto quella maglietta, il suo
corpo era
ben delineato e quasi mi facevo beccare a mordermi le labbra per la
voglia di
sapere cosa c’era sotto. Poi, a fine serata, ci siamo baciati
a lungo e… -
fissò Anthony, continuando con la stessa espressione
– Niente, quella Jane era
davvero di una bellezza mozzafiato e ci sapeva fare: eccome se ci
sapeva fare!”
Anthony
gli fece un’applauso,
piacevoltemente sorpreso: “Complimenti, Sam. Hai creato la
tua prima maschera
con successo. Perfino io che so la verità ci stavo quasi
credendo.”
Ovviamente,
Sam sorrise
e si sentì appagato. Quasi come un alunno che viene
gratificato dal proprio
insegnante.
Mentire
con successo era ormai un’abilità che Sam aveva
affinato
con il tempo, grazie ad Anthony. E per quanto non risultasse
così appagante
come un tempo, gli era tornata utile.
Michael
si rivolse agli altri tre, subito dopo: “E voi?”
Sia
Nathaniel che Eric guardarono Rider, ma quello si schiarì la
gola, la fronte
sudata: era a disagio, bloccato.
Nathaniel
prese subito parola per non far insospettire il detective:
“Quella sera, io,
Rider ed Eric siamo andati in un locale.”
“Nome
del locale, prego?” chiese quello con la penna sulla carta.
Intervenì
Eric: “Eravamo al Rumors
club!”
Finalmente,
il detective mise via il tacquino e la penna. Il suo sguardo si
spostò su
Rider.
“Sei
molto silenzioso, Rider Stuart. Come mai?”
“Ehm…
- tentennò - la scuola è esplosa e io per poco
non saltavo in aria con lei:
sono abbastanza scioccato!”
“Comprensibile…
- accolse quella risposta - Direi che può bastare
così, siete liberi di andare.
- sorrise a tutti e quattro – Buon rientro a casa!”
I
ragazzi sentirono scomparire quel macigno dai loro stomaci non appena
si voltò.
Michael, però, ebbe un’ultima cosa da dire.
Principalmente a Sam.
“Anch’io
ho visto il finale di How to get away with murder, quella sera. Peccato
che
nella vita reale non esistano avvocati come Annalise keating ad
aiutarti a
farla franca con un omicidio…” sorrise, una lunga
suspense, per poi andarsene
sul serio.
Una
volta lontano, i ragazzi poterono finalmente parlare tra loro e
riprendere
fiato o quasi.
“Sento
le ginocchia che mi stanno per cedere…”
esternò Sam, bianco come un cencio.
Eric,
invece, se la prese subito con Rider: “Ma si può
sapere che cosa ti è preso?”
“Già!”
si aggregò Nathaniel.
Quello
cercò di giustificarsi: “Mi è preso il
panico, ok? E’ un indagine di polizia,
non mi è mai capitato prima d’ora.”
Nathaniel
non tollerò quel comportamento: “Nemmeno a me
è mai capitato prima d’ora, ma ho
comunque chiuso la mia vescica contro la forza di gravità
per non farmela sotto
davanti a quel detective e insospettirlo!”
“Anche
Rider è infallibile, come potete vedere!” si
difese Rider, sentendosi attaccato
ingiustamente.
“Smettila
di parlare in terza persona di te stesso, Rider… – Sam si rivolse a
lui, poi agli altri – E voi
smettetela di accusarlo, anch’io facevo fatica a rispondere.
Quello a cui
dobbiamo pensare adesso è che quel detective conosce i
nostri nomi a memoria: non
è un buon segno in gergo poliziesco!”
“A
proposito, che cavolo significa che noi eravamo al Rumors
club? – domandò Nathaniel ad Eric
– Lo sai che indagheranno
e che scopriranno che non eravamo lì, vero?”
Eric
cercò subito di spiegare: “Sta calmo, conosco
tutti i locali di Rosewood. I
proprietari e lo staff di quel locale sono molto distratti.
Basterà farci fare
uno scontrino falso da Julie, hanno visto spesso la mia faccia in quel
posto.”
Nathaniel,
poi, si girò verso Sam: “E indagheranno anche per
il tuo alibi, lo sai?”
“Anche
Chloe era fuori quella notte, visto che è uscita dopo di me.
Confermerà
sicuramente quella versione se non vuole finire nei guai anche
lei.”
Improvvisamente,
Sam vide arrivare Wesam. Tutti si voltarono a seguire il suo sguardo,
che si
era incantato su di lui.
“Ehm,
non andate via… - si alzò dal bordo
dell’ambulanza su cui era seduto – Torno
subito.”
Nathaniel,
mentre Sam era già a qualche passo da Wesam, fece sentire la
sua voce: “Ehi, non
metterci troppo. Dobbiamo tornare a casa!” e quello si
voltò giusto un attimo,
non facendo caso al suo tono leggermente infastidito.
Rider,
intanto, stava guardandando il polso di Nathaniel, attirando la sua
attenzione:
“Dov’è finito il tuo
braccialetto?”
Quello,
distratto a guardare i due che avevano già iniziato a
parlare, finalmente si
voltò: “Eh? Cosa? – poi
abbassò lo sguardo, toccandosi il polso nudo – No,
non
può essere…”
“Deve
avertelo tolto mentre eri svenuto. Ci ha messi fuori gioco tutti e
quattro,
stasera.” pensò Eric, per nulla sorpreso.
Alle
loro spalle, Wesam si sincerava delle condizioni di Sam con molta
apprensione.
“Sicuro
di stare bene? Sai, non ho mai fatto un massaggio cardiaco prima
d’ora.”
L’altro
sorrise, ancora debole: “Beh, dicono che se hai guardato
tutte le stagioni di
Grey’s anatomy e del Dottor House, potresti anche operarti da
solo.”
“Il
bello è che non ho mai visto una serie medical in tutta la
mia vita. – sorrise
a sua volta per poi sfumare in un espressione di terrore nel ricordare
cosa
aveva dovuto affrontare – Volevo solo salvarti ed
è come se la mia mente si
fosse attivata ad un livello talmente avanzato da rendermi uno
spettatore
esterno. Non sapevo cosa fare, ma allo stesso tempo lo
sapevo.”
Ad
un certo punto, Sam sfiorò le proprie labbra con le dita:
“Mi hai fatto la
respirazione bocca a bocca, vero?”
“Ho
fatto molto di più di questo. – sorrise, ancora
incredulo – Ti ho fatto
ripartire il cuore…”
Sam
lo fissò, gli occhi lucidi per essere quasi morto.
Intenerito anche dall’uomo, che
aveva fatto l’impossibile per salvarlo, lo
abbracciò forte. Quello ne rimase
sopreso, gli occhi sgranati.
“Grazie,
Wesam…” gli sussurrò ad occhi chiusi,
con le braccia intorno al suo collo.
L’uomo
si abbandonò a quell’abbraccio, sorridendo,
scambiandosi uno sguardo con
Nathaniel, che li stava osservando dall’ambulanza.
Quando
Sam riaprì gli occhi, rimase ancora abbracciato a Wesam.
Quel momento intenso,
però, fu interrotto da una scena che Sam osservò
attentamente, non appena la
notò: Chloe che si stava avvicinando ad una macchina appena
giunta sul posto.
Il finestrino si abbassò e riuscì ad intravedere
che alla guida di quel veicolo
c’era Clarke Dimitri: il fratello di Anthony.
“Ma
che…???” farfugliò tra sé e
sé, mentre si staccava da Wesam.
“Tuo
padre è qui, a proposito.”
gli fece sapere quello.
“E
dove?” chiese, abbastanza distratto da
Chloe che parlava con Clarke.
“Credo
stesse parlando con quel detective. Se non sbaglio, un certo Michael
Costa!”
Sam,
a quelle parole, sbiancò e la sua attenzione venne catturata
completamente:
“Cosa? Ne sei sicuro? Hai sentito cosa si dicevano?”
L’altro,
sentendosi sopraffatto, cercò di rilassarlo: “Ehi,
non hai mica fatto esplodere
tu la scuola. – rise – Tuo padre è un
poliziotto, è normale che si parlino.”
“Già,
hai ragione. – finse un sorriso di circostanza, nascondendo
l’ansia che lo
divorava – Forse è proprio per quello che stanno
parlando.”
Poi
si voltò di nuovo verso la macchina di Clarke, ma quella non
c’era più. E
nemmeno Chloe.
Tutto
ciò lo lasciò alquanto confuso.
TWO
DAYS LATER…
Rider
era dentro allo studio di suo padre quella mattina, camminando accanto
alla
libreria, sfiorando la scrivania con le dita. La esaminava
attentamente, come
se fosse la prima volta che ci entrava dentro.
Ad
un certo punto prese in mano la foto di famiglia, poggiata accanto al
computer,
e restò lì impalato a fissarla con un espressione
seria, assai acuta.
Lindsey,
che stava passando proprio davanti alla porta, si fermò di
colpo.
“Che
stai facendo qui dentro? - gli domandò, incuriosita
– Lo sai che papà non vuole
che entriamo nel suo studio quando non
c’è.”
L’altro
mise subito giù la foto, balbettando: “Ehm,
cercavo qualcosa da leggere.”
“La
nostra scuola è appena esplosa e tu vuoi leggere?
– rise, prendendolo in giro –
Rilassarti non ti piace proprio eh?”
“Ma
leggere E’ rilassante! – sottolineò
– E poi a me di solito piace tenermi
impegnato con un buon libro, non è
così?”
Quella
lo fissò, stranita: “E’ una domanda
retorica, questa?”
Cercò
di sorvolare: “Lascia stare!”
Sopraggiunse
un silenzio imbarazzante.
“Oookey…
- era pronta ad andarsene, ma si bloccò nuovamente quando
notò l’aspetto di suo
fratello – Sbaglio o sei vestito abbastanza casual oggi? Non
ti avevo mai visto
con una camicia bianca e un paio di jeans strappati.”
Rider
si guardò da capo a piedi: “Erano in fondo
all’armadio e ho voluto mettermeli.
Tanto non stiamo andando più a scuola. Nel tempo libero mi
vesto sempre così,
no?”
Lindsey
restò impalata a fissarlo, confusa: “E’
un’altra domanda retorica? Perché se lo
è, sappi che la risposta non è per niente ovvia.
L’altro
si avvicinò allo scaffale, sfilando un libro a caso:
“Ok, sorella, io me ne
vado a leggere… - diede un’occhiata al titolo,
nominandolo ad alta voce – Il
bambino aldi là del cancello! Sembra
una lettura interessante…”
“Lo
è, visto che è il primo libro che Papà
ha pubblicato nella sua vita e che tu
hai già letto un milione di volte.”
“Beh,
rileggere un successo non fa mai male. Ti ricorda che
c’è chi al mondo ha
raggiunto qualcosa, mentre altri ancora no. –
gettò un’altra occhiata al libro,
molto velata, prima di puntare nuovamente Lindsey – Dico bene,
sorella?”
Quella lo fissò
ancora più stranita,
leggermente infastidita: “Ok, da quando mi chiami sorella? E
cos’è questo tono
saccente?”
“Che c’è, non posso chiamarti
sorella?”
“Ok
che mi sono preoccupata molto quando non riuscivo a trovarti quella
sera, ma
questo non vuol dire che inizieremo a chiamarci sorella,
sorellina o fratellino!
- lo
fissò attentamente, mentre
quello le sorrideva divertito – Sai, sei strano!”
“In
che senso?” finse di non capire, lo sguardo di chi sembra
prenderti in giro.
“Non
lo so, ma sei più strano del solito. Sicuro di non essere
bipolare?”
Quello
scosse la testa: “Tranquilla, la parola bipolare non mi
appartiene. – le
sorrise ancora – Ritenta, magari sarai più
fortunata.” e lasciò lo studio.
Lindsey
restò alquanto spaesata da quella bizzarra conversazione,
mentre lo guardava
allontanarsi.
*
Sam
era appena rientrato a casa. Appoggiando il suo cappotto
all’appendiabiti
all’ingresso, con l’altra mano reggeva il telefono
mentre parlava con Eric.
“Com’è
andata la visita dal medico?” domandò Eric, nel
suo appartamento, seduto
davanti al pc in cucina.
“Direi
che possiamo archiviare con successo questa storia del piccolo redivivo
di nome
Sam . Pensa che, secondo il medico, ho dei polmoni d’acciaio;
peccato, però,
che non mi siano serviti nel momento in cui dovevo uscire da un
edificio che
stava per esplodere.” replicò seccato, mentre si
sdraiava sul divano.
“Tu
non stavi uscendo, Sam. Sei durato lì dentro anche oltre il
limite umano!”
esclamò, mentre controllava le sue email.
Sbuffò,
con una mano sulla fronte: “Che senso ha tornare in vita
quando l’inferno non
si trova nell’aldi là? Wesam avrebbe dovuto
lasciarmi morire!”
“Non
dire sciocchezze, la tua vita è preziosa.”
“Preziosa?
E’ un macigno che diventa sempre più pensante.
– reagì in modo isterico -
Seriamente, sento il parque sotto ai miei piedi che scricchiola ogni
volta che
cammino.”
“Credo
sia normale che il parque scricchioli, no?”
commentò, irritandolo.
“Sento
scricchiolare anche l’asfalto su cui cammino per strada,
ok?” ribattè.
“D’accordo,
sei nervoso, ho capito! Io comunque ho già ricevuto
l’email che mi comunica in
quale scuola finirò.”
Sam
si sollevò con la schiena, sgranando gli occhi:
“Cosa??? Ci hanno già collocati
nelle altre scuole? Spero tanto che non ci abbiano
divisi…” ne ebbe il terrore
al solo pensiero.
“Controlla
la tua posta, io sono finito alla Briarhood.
E’ a quindici minuti di autobus, perciò
mi è andata bene se consideri che
non ho la macchina.” spiegò, dopo essersi
informato sulla distanza.
L’altro
controllò sul suo telefono, restando assai deluso:
“Oh mio Dio, io sono alla Brahms!”
Eric
ci restò parecchio male: “A quanto pare noi due
non frequenteremo più la stessa
scuola…”
“A
quanto pare… - ebbe la stessa reazione, per poi continuare a
scorrere la mail -
Non ci credo, hai guardato gli elenchi? Nathaniel e Rider sono insieme:
alla Northdale!”
Anche
Eric stava leggendo: “E con loro ci sono Violet, Colton e
Lindsey…”
“Sembra
che non abbiano diviso i fratelli. – constatò Sam,
dando un’occhiata all’elenco
della sua scuola – Con me c’è Brianna
Santoni, mentre gli altri nomi che vedo
non mi dicono nulla.”
“Invece
con me ci sono Morgan, Lisa Nelson e… - notò un
altro nome – Ouh, c’è anche la
tua amica Chloe alla Briarhood.”
“Ah,
Chloe…” reagì in maniera strana al suo
nome e l’amico lo percepì.
“Cioè?
Perché rispondi con questo tono imbalsamato?”
Sam,
allora, decise di fargli una confidenza: “Ehm,
c’è una cosa che non vi ho detto
quella sera: ho visto Clarke arrivare sul posto, mentre parlavo con
Wesam. Poi
ho visto Chloe avvicinarsi alla sua auto e parlare con lui
e…”
“E…???”
si fermò dal digitare sul portatile, impaziente.
“Mi
sono distratto un secondo e la macchina non c’era
più. Credo se ne sia andata
con lui.”
Confuso,
Eric cercò di capire meglio: “Un secondo,
ma…che legame c’è tra Clarke e Chloe?
Sapevi che si conoscessero?”
“So
a malapena come si tempera una matita con tutte le stranezze che vedo
in questa
città. – si mise una mano tra i capelli,
sospirando rumorosamente – Dici che
dobbiamo indagare?”
“Lo
sai che dopo l’esplosione ho messo in dubbio che Brakner
possa essere A, vero?”
“Se
non è lui, allora chi è? Sono stanco di tirare ad
indovinare!”
“Dobbiamo
tenere d’occhio un po’ tutti a questo giro.
Dovresti tenere d’occhio anche
Chloe.”
“Anche
Clarke, a questo punto. Deduco sia tornato in vista del processo di
Jasper o
magari non se n’è mai andato.”
“A
proposito di Jasper, come siete rimasti con il Francese? E che ne pensa
Nathaniel di tutta questa storia di Chloe e Clarke?”
L’altro
titubò leggermente non appena Eric nominò
Nathaniel: “Ehm, in verità, io e
Nathaniel non ci siamo ancora sentiti per parlare di questo.
Cioè, mi ha
chiamato per sapere che cosa avesse scoperto la polizia
sull’esplosione ma
niente di più.”
“Hai
chiamato prima me che Nathaniel? – ne restò
sorpreso – Siamo finiti in un mondo
parallelo, per caso? E non venirmi a dire che sto esagerando,
perché sappiamo
entrambi che in questo gruppo ci sono due team ben distinti!”
Si
grattò il capo prima di rispondere: “E’
che…sono successe delle cose tra me e
Nat, mentre eravamo dentro la scuola. Cose che mi hanno un
pò distaccato da
lui.”
“Vuoi
parlarne? – provò a scherzarci su per
sdrammatizzare – Sai, ancora non ci ho
capito un bel niente su quello che c’è tra voi
due. State solo recitando o c’è
qualcosa di vero?”
“Da
parte mia c’è sempre stato qualcosa di vero. Dal
primo momento. – poi riflettè
per quanto riguarda Nathaniel – Da parte sua
c’è solo molta confusione.”
“E
di Wesam? Che mi dici?”
Quello
sussultò immediatamente: “Wesam? Cosa
c’entra Wesam?”
“Non
ne ho idea, Sam. So solo che Nathaniel, quella sera, vi ha guardati
come se ci
fosse qualcosa da supporre.”
“Wesam
è solo il mio psicologo e Nathaniel, evidentemente, temeva
che mi lasciassi
sfuggire qualcosa con lui.” restò sulla difensiva.
“Ho
fissato la mia immagine allo specchio per molto tempo, Sam.
Sarà che, ora che
non lo faccio più, riesco a notare le cose con
più attenzione e…quella che ho
visto in Nathaniel era gelosia!”
Sam
rimase in silenzio, molto a disagio, decidendo di cambiare argomento:
“…Ehm,
che hai deciso di fare poi con il segreto numero 39 mandato da A? Lo userai?”
L’altro
si rese conto che era meglio non insistere e lasciò che si
cambiasse argomento:
“Ho altra scelta? Se non lo faccio, probabilmente A farà esplodere la mia nuova
casa a Riverton.”
“E
se il Signor Lincoln si ribellasse a questo ricatto?”
“E
se mio padre non volesse più quel posto, anche se riuscissi
a farglielo
riavere?” replicò, divorato
dall’angoscia.
“Beh,
prima di agire, prova a vedere cosa ne penserebbe tuo padre.
Così, per
scherzo.”
Sbuffò,
stressato: “Vorrei tanto che fosse A
a
fare il lavoro sporco.”
“Ascolta,
io devo andare. Se ti serve qualcosa, chiamami. E ricorda che non
dobbiamo
vederci, ok? Lasciamo che le acque si calmino.”
“Ma
certo, l’avevamo già concordato quella sera.
– prima di chiudere la chiamata,
però, trovò curiosa la situazione –
Buffo che abbia preso tu questa decisione,
non trovi?”
“Che
vorresti dire?”
“Dico
che di solito è Rider ad andare fuori di testa e a darci
istruzioni su cosa
fare o non fare… - riflettè a lungo su questo
– E’ molto calmo, non credi?”
“Forse
A si è spinto talmente
oltre da
averlo spaventato stavolta. Ormai non siamo più davanti a
qualcuno che ci
minaccia solo con un SMS.”
“Non
so, sembrava un’altra persona…”
pensò ancora.
“Tutti
siamo diventati un’altra persona in qualche modo. Qualcosa ci
cambia
drasticamente. E quel cambiamento deriva sempre da un evento
specifico…Forse
quello che è successo durante la sera del ballo,
è l’evento che ha cambiato
Rider.”
Eric
si lasciò sfuggire una piccola risata: “E questa
dove l’hai sentita?”
“Ogni
tanto Wesam fa dei discorsi esistenziali talmente profondi che mi
restano in
testa. “ raccontò, lasciandosi scappare anche lui
una risata.
*
Nathaniel,
intanto, dopo essersi procurato un autorizzazione per le visite in
carcere, era
tornato da Jasper per parlare con lui.
Nel
momento in cui stava per varcare l’ingresso della sala
visite, notò
immediatamente che Jasper aveva già una visita: un uomo,
seduto di spalle
davanti a lui.
Rimase
lì impalato, cercando di capire chi fosse. Improvvisamente,
poi, quell’uomo si
alzò e riuscì a scorgerne il volto: era Carter
Havery.
Quello,
adesso, stava arrivando verso di lui, dopo aver concluso il colloquio.
Nathaniel raggiunse un angolo della sala, voltandosi verso la parete,
aspettando che passasse e non lo notasse.
Dopo
aver lasciato passare qualche secondo, si girò e quello se
n’era andato. Con il
sudore sulla fronte, raggiunse il tavolo di Jasper, continuando a
guardarsi
indietro.
“Finalmente!”
sgranò gli occhi l’uomo, vedendolo arrivare.
Nathaniel
si sedette, pronto ad una raffica di domande.
“Che
cosa ci faceva quel poliziotto qui?”
“Intendi
il padre di Sam?”
Quello
deglutì malamente: “Sì, intendo proprio
lui: che ci faceva qui?”
“Mi
è sembrato abbastanza instabile. Sa che siete stati qui la
scorsa volta!”
“Cosa?
– sussultò, spaventandosi – Non capisco,
perché è venuto qui? L’ha fatto per
conto di un
detective, per caso?”
“No
no, niente di tutto questo. – scosse la testa, nervoso
– Anzi, ha fatto
allusioni su una relazione tra me e suo figlio. Mi ha chiesto se
l’avessi
coinvolto in tutto questo.”
“Perché
mai sarebbe arrivato ad una conclusione del genere?”
domandò, pendendo dalle
sue labbra.
“Non
lo so, so solo che la mia posizione si aggrava sempre di
più. Non solo ho
ucciso il mio amante, adesso ho anche una relazione con un minore e il
mio
processo si terrà Giovedì prossimo. –
fu categorico nella sua conclusione – Mi
dispiace, ma non me ne starò più zitto. Non
resterò in galera per sempre per un
reato che non ho commesso, perciò io dirò la
verità… - lo fulminò con lo
sguardo – A costo di chiamarvi tutti alla sbarra!”
“Ok,
aspetta… - tirò fuori una fotografia, guardandosi
prima attorno, sperando di
dissuaderlo – Ho il tuo alibi, guarda tu stesso.”
Jasper
prese in mano la foto: mostrava Edward, l’uomo francese che
l’aveva visto
quella notte.
Sgranò
gli occhi, incredulo: “Come diavolo l’hai
trovato?”
“E’
lui?”
Annuì:
“Sì, è lui. Non potrei mai dimenticare
il volto dell’unica persona che può dire
di avermi visto nella notte di quel maledetto omicidio.”
“Otterò
una testimonianza, è a Rosewood e siamo in trattative con
lui. Se terrai la
bocca chiusa su tutto quello che ti abbiamo detto, faremo in modo che
venga a
testimoniare per te, ok?”
Assai
titubante, restò in silenzio a lungo prima di rispondere:
“Finchè non lo vedrò
in tribunale, terrò la bocca chiusa. Altrimenti, mi
dispiace, ma…devo salvare
me stesso!”
“D’accordo,
è comprensibile, ma non mandare tutto al diavolo. Ti abbiamo
promesso che ti
tireremo fuori da questo casino e lo faremo. –
spiegò con tranquillità - Che
altro puoi dirmi sulla tua situazione?”
“Niente,
sono sempre il sospettato numero uno. Il mio avvocato
d’ufficio ha richiesto
una nuova riesaminazione delle prove trovate a casa Dimitri, ma
è tutto inutile
secondo me.”
“Come
mai ha chiesto di far riesaminare le prove?”
“Pare
abbia scovato un trascorso che ha la polizia con un vecchio caso in cui
non
sono stati abbastanza professionali.”
“Caspita,
per essere un’avvocato d’ufficio sa il fatto
suo.”
“Si,
ma non servirà a nulla!”
“Gli
hai per caso detto di noi? Confidato qualcosa?”
“No, ma non manterrò il segreto a lungo.”
Nathaniel
si alzò: “Ti tireremo fuori di qui, abbiamo tutto
sottocontrollo.”
“Lo
spero per voi!” concluse, mentre Nathaniel si allontanava.
*
Di
turno al Brew, Eric scese al piano di sotto. Dopo aver finito di
svuotare i
manici della macchina per il caffè, vide entrare suo padre.
Quello si avvicinò
al bancone, sfoggiando un ampio sorriso.
“Sai,
mi fa ancora effetto vederti… - fissò il suo
grembiule da lavoro – Bhe, in
questo modo. Ti sei assunto una responsabilità e questo mi
colpisce molto.”
“E’
un modo carino per dirmi che in passato ero viziato e non sapevo cosa
volesse
dire cercarsi un lavoro?”
“Sì,
ma senza offesa.”
“Nessuna
offesa, Papà: è la verità!”
esclamò, lanciando un occhiata al suo capo, che in
quel momento stava parlando con un cliente.
Daniel
seguì il suo sguardo, riprendendo un discorso già
fatto.
“Hai
detto al tuo capo che stai per trasferirti a Riverton con la tua
famiglia?”
“Non
ancora… – si chiuse a riccio, mentre lucidava un
bicchiere – Forse domani!”
“Forse?
– pensò di aver sentito male – Eric, non
posso restare a Rosewood per sempre,
devo tornare al mio lavoro. Ho semplicemente proluganto questo
soggiorno per
via di quello che è successo alla tua scuola.”
“Non
posso andarmene senza sapere che cosa è successo realmente,
ok? – si alterò, ma
senza alzare il tono del volume - Le indagini sono ancora in
corso.”
Quello
non riuscì a seguirlo, trovando ridicola quella risposta:
“Che cosa te ne
importa di quello che è successo? Sei vivo e a maggior
ragione dovresti voler
fuggire da questa brutta vicenda.”
“Devo
sapere cosa è successo, ho detto.”
“Sapere
che cosa? E’ sicuramente stato
un’incidente!”
Molto
provato dalla conversazione, Eric si prese un attimo prima di
riprendere
parola.
“E’
vero, voglio fuggire da qui dopo quello che è accaduto, ma
almeno….aspettiamo
che la polizia rilasci i dettagli dell’accaduto.
Ok?”
Suo
padre si arrese a quel punto, più calmo: “Come
vuoi, ma…non appena si saprà
qualcosa, ce ne andremo con il primo aereo!” concluse,
dirigendosi verso le
scale.
Eric
lo fermò.
“Hai
più sentito il Signor Lincoln da quando sei
tornato?” gli domandò a bruciapelo,
mentre quello si voltava lentamente.
“Il
Signor Lincoln? – trovò strana quella domanda
– Perché avrei dovuto sentirlo?”
“Ehm,
niente, è che ho sempre questa assurda idea in testa che ti
chiami per
ridarti il tuo
vecchio posto di lavoro…”
L’altro
fu chiaro e cristallino su quella faccenda: “Se mai dovesse
accadere, spero che
sia uscita un’applicazione in grado di inoltrare uno sputo in
faccia.
Quell’uomo mi ha letteralmente rovinato la vita, quando
poteva semplicemente
licenziarmi e basta: sono dovuto arrivare fino a Riverton per
rimettermi di
nuovo in piedi.”
Eric
si rese conto che l’aiuto ricevuto da A
non
sarebbe servito a nulla, così lasciò andare suo
padre molto amaramente: “Scusa,
non avrei dovuto dire una cosa del genere.”
Suo
padre annuì per poi salire al piano di sopra.
*
Sceso
in cantina per sviluppare le foto del ballo, Sam spostò il
lenzuolo per entrare
nella piccola camera oscura che aveva allestito lì sotto.
Sotto
quella luce rossa, stava manipolando la carta all’interno
delle vaschette con
delle pinze. Le prime immagini stavano comparendo e Sam le
pescò immediatamente,
attaccandole lungo il filo, che andava da parete a parete. Una,
però, la tenne
in mano: ritraeva Wesam che sorrideva, mentre parlava con la persona
con cui
era venuto al ballo.
Il
suo sorriso gli trasmise talmente tanta serenità che sorrise
a sua volta.
Improvvisamente, poi, il telefono sul tavolo iniziò a
vibrare e Sam lo recuperò,
leggendo il messaggio che aveva appena ricevuto.
“Sei
riuscito a scattarmi almeno una foto?”
-A
Sam
indietreggiò, spaventato. Quando si voltò per
uscire dalla camera oscura, vide
un’ombra dall’altra parte del lenzuolo e
andò subito nel panico. Recuperò
immediatamente un oggetto lì per terra, un ombrello. Con il
manico puntato in
avanti era pronto a difendersi, mentre l’ombra avanzava.
Il
lenzuolo venne sollevato e l’ombra si rivelò
essere semplicemente suo padre.
Sam abbassò l’ombrello, cacciando fuori tutta
l’aria dalla bocca per il
sollievo.
“Oh
Dio, sei solo tu…” farneticò con una
mano sul petto, cercando di riprendersi.
“Chi
pensavi che fossi?” replicò, molto cupo e sudato
in fronte, come se fisicamente
non stesse bene.
“Non
lo so…un ladro, qualcuno! - si avvicinò,
più calmo – Dopo l’esplosione non
faccio che avere paura continuamente.”
“Sicuro
che sia solo questo?” continuò con un tono
pungente.
Sam
alzò lo sguardo, perplesso: “Ehm,
sì…”
L’altro
annuì, dandogli un suggerimento: “Forse dovresti
andare da Wesam e parlare con
lui di queste cose. Di qualsiasi cosa: lo sai che di lui ti puoi
fidare.”
“Beh,
sì, ma… - iniziò a trovare strano il
comportamento di suo padre – cosa c’entra
la fiducia, adesso?”
“Niente,
assolutamente niente. Dico solo che magari, non avendo mai sperimentato
uno
psicoterapeuta, non sai che puoi dirgli tutto in maniera totalmente
libera e
che c’è il segreto professionale.”
“So
perfettamente come funziona, Papà. –
replicò abbastanza infastidito – Quello
che non capisco è perché ti interessa
tanto.”
“Sei
mio figlio, voglio solo il tuo bene: per questo mi
interessa.” rispose in
maniera fluida e pronta.
Sam,
allora, fu più diretto: “Visto che parliamo di
fiducia, perché non mi hai detto
di aver parlato con Chloe?”
“Te
l’ha detto lei?”
“Papà,
ti ho fatto una domanda!” pretese una risposta senza troppi
giri.
“Volevo
solo capire perché tu e Chloe non siete più
amici.”
L’altro
strabuzzò gli occhi, ancora più confuso:
“Sei andato da lei solo per scoprire
questo? A quanto mi risulta avete parlato anche dei miei attuali gusti
sessuali.”
Carter
allora esplose: “Non riesco più a capirti, ok?
– gli urlò, lasciandolo basito –
La tua omosessualità è davvero un problema
così grande per te? Tale da
distruggere un’amicizia e arrivare a tagliarti una
vena?”
“Stai
mettendo in dubbio i miei problemi?” sussultò,
fingendo che fossero davvero
quelli.
“Sì,
li sto mettendo in dubbio! E penso che questi problemi stiano
mascherando altri
problemi.” fu diretto.
A
quel punto, Sam alzò la sua borsa dal pavimento, non
potendone più.
“Devo
andare!” e lo scavalcò, non guardandolo nemmeno
negli occhi.
Carter
lo seguì oltre il lenzuolo: “Stranamente scappi
sempre quando si parla di
questo argomento. Perché, Sam?”
Quello
si fermò sulle scale, oppresso: “Non sto scappando
da niente, Papà. Sto andando
alla seduta, come volevi tu.”
“Sam,
ascolta… - fu più calmò, mostrandosi
preoccupato – Qualunque cosa tu abbia,
Wesam è lì per farti stare meglio e per
permetterti di sfogarti e risolvere
insieme le cose.”
“Non
è quello che sto già facendo?”
ripetè come se fosse la milionesima volta.
“Allora
perché sembra che tu stia solo peggiorando?”
“Nemmeno
tu ti sei ripreso facilmente dalla morte della mamma, o sbaglio?
– replicò
ancora – Ognuno ha i proprio tempi per uscire da
qualcosa.”
“Quella
era una cosa completamente diversa!” sottolineò
con lo sguardo.
“Ok,
Papà. Il miei problemi sono una sciocchezza per te, ho
capito.” sorrise
amaramente, deluso. Fece un altro passo, riprendendo a salire.
Carter
lo fermò nuovamente.
“Non
vuoi sapere almeno cosa è successo alla tua scuola, prima
che lo dicano i
notiziari?”
Sam
si fermò di colpo, deglutendo malamente prima di voltarsi.
“Che
hanno scoperto?” domandò senza mostrare troppo
interesse.
“C’è
stata una fuga di gas, qualcuno ha completamente sfondato uno dei tubi.
Quando
il gas si è propagato in tutto l’edificio,
è bastata una scintilla per
provocare l’esplosione.”
“Ehm…
- girovagò con lo sguardo, confuso per non averlo sentito
menzionare di alcuna
bomba – tutto qui?”
“Purtroppo
non è facile risalire all’autore di quello che
è accaduto, ma la polizia sta
comunque indagando. Faranno alcune domande anche alla vostra ex
consulente
scolastica per capire se ci fosse qualcuno dalla personalità
abbastanza
sospetta.”
L’altro
annuì: “D’accordo, va bene.
Cioè, non va bene per niente: è difficile dormire
sapendo che là fuori c’è qualcuno che
ha quasi fatto fuori un intero istituto.”
“Le
misure di sicurezza verranno aumentate nelle scuole dove andrete,
quindi non
c’è pericolo che questo studente o professore o
chicchesia possa ritentare.”
I
due si guardarono negli occhi, lasciando calare il silenzio. Ormai non
sapevano
più che altro dirsi.
Sam
decise di spezzare quel silenzio allora: “Vado da Wesam, a
stasera!” e salì,
lasciando Carter in cantina e pieno di tormenti.
*
Nathaniel
era in centro, che camminava lungo il marciapiede discretamente
affollato. Era
al telefono e continuava a lasciare messaggi alla segreteria di Edward.
“Ehi,
sono io…di nuovo! Dovevamo vederci ieri sera per
quell’impegno che hai preso
con me, ma non mi hai più ricontattato e non rispondi
né ai messaggi né alle
chiamate. Appena ascolti questo messaggio, richiamami,
perché stasera sarei
libero.” e rimise giù il telefono, domandandosi
ancora che fine avesse fatto.
Mentre
stava continuando a camminare, vide Julie uscire da un edificio con in
mano uno
scatolone, diretta alla sua auto.
Si
avvicinò, salutandola: “Ehi!”
“Ehi,
ciao…” si voltò, accennando un sorriso
appena lo riconobbe.
“Te
ne stai andando?”
“Beh,
si. – rispose, poggiando lo scatolone sul sedile posteriore
della sua auto –
Ormai non c’è più nulla che mi
trattenga qui.”
“Tornerai
al tuo vecchio appartamento? Quello che dividevi con Denna?”
Julie
titubò, palesando nuovi progetti in vista: “A dir
la verità, vado a vivere con
Palmer. E’ stato trasferito alla
Northdale e
mi ha chiesto di
seguirlo.” arrossì, infine, fantasticando sul
futuro di questa convivenza.
“Ouh!
– esclamò sorpreso – Sono davvero molto
felice per te, sembri felice.”
“Lo
sono, infatti. – sorrise – E un pò
è grazie a voi se sono approdata a Rosewood
e l’ho conosciuto. E’ un uomo davvero
fantastico.”
Improvvisamente,
si rattristò: “Già, e ricordi anche
come mai ti abbiamo fatta venire qui…”
Quella
lo fissò a lungo, scorgendo la sua malinconia:
“Nathaniel, non pensare che per
me sia facile andarmene, sapendo che lì fuori
c’è un mostro che vi sta rendendo
la vita impossibile. Insomma, ha fatto esplodere una scuola!
– rise per
l’assurdo – Il vostro primo istinto sarebbbe dovuto
essere quello di chiamare
la polizia e raccontare ogni cosa, ma non l’avete fatto. E io
non posso nemmeno
aiutarvi se non vi lasciate aiutare, se non vi confidate del tutto con
me e non
mi dite perché avete così tanta paura di A.”
“Mi
dispiace, ma è complicato.”
“Mi
avete chiesto di farvi uno scontrino falso senza un perchè.
Ovviamente, però,
non sono così stupida da non capire che in quella data che
mi avete chiesto di
inserire, voi non eravate in quel locale ma altrove. E non sono nemmeno
così
stupida da non capire che quello era un alibi! –
sottolineò – La domanda,
perciò, è: dove eravate quel giorno? E
perché avete bisogno di un alibi proprio
dopo la notte in cui è comparso il corpo di Albert
Pascali?”
Nathaniel
non sapeva che rispondere, tenendo lo sguardo basso:
“Io…Io non posso risponderti.”
“L’avete
ucciso voi?” fu diretta.
Quello
alzò lo sguardo, in una sonora risposta: “NO! Noi
abbiamo mai ucciso nessuno,
Julie. Te lo posso giurare. – spiegò, mentre lei
lo ascoltava con attenzione -
Il problema è che stiamo per essere incastrati,
forse.”
“Se
A vi sta incastrando, allora non
posso rimanere incastrata anch’io. Non quando non ho la
più pallida idea di
cosa stia succedendo.”
L’altro
sospirò, trovando giuste le sue parole: “Ascolta,
provo a parlare con gli
altri. Cercherò di convincere Rider a rivelarti
tutto.”
“Io
sono qui fino a domani mattina, Nathaniel. Se non vi presenterete
stasera, non
disturbatevi a cercarmi nuovamente.”
“E
se ci presenteremo?”
“Se
lo farete, resterò con voi fino alla fine. La mia sestra è una tipa che fugge,
ma io no.”
“La
tua sestra?” non
capì.
“Denna
mi chiama così. – sorrise in modo genuino,
ripensando a lei - Significa sorella
in Russo: è un modo carino per rimpiazzare la parola
sorellastra, secondo lei.”
“Beh,
farò del mio meglio. Alla fine è solo Rider che
dobbiamo convincere.”
“Lo
spero per voi. Conosco Rider da poco, ma so per certo che è
un osso duro e che
è fermo sulle sue decisioni.”
“Le
cose sono diverse, stavolta. Credo che mollerà.”
Quella
sospirò, notando la sua apprensione: “Beh, io
tornò a caricare le cose in
macchina. Devo fare ancora due viaggi.”
“D’accordo,
io vado…” accennò un sorriso,
riprendendo a camminare lungo quella strada.
*
La
seduta era iniziata da qualche minuto. Sam e Wesam erano seduti sulle
rispettive poltrone, uno di fronte all’altro. Le lancette
dell’orologio erano
l’unico suono che riempiva la stanza.
“Allora…
- l’uomo cominciò, mentre l’altro
manteneva uno sguardo basso e distratto – ti
va di parlare di ciò che è accaduto?”
“Ovvero?”
alzò la testa, fingendo di non saperlo per evitare
l’argomento.
“Lo
sai, Sam.”
“Per
quanto ancora dovrò parlare del mio miracoloso ritorno alla
vita? L’ho già
fatto con mio padre, con i miei amici, con chiunque me
l’avesse chiesto!”
replicò, stufo.
“Non
devi necessariamente parlare di questo, se non vuoi
parlarne.” restò risoluto e
professionale.
Sam
esternò delle perplessità, in merito alla sua
posizione: “Quello che ti dico
qui dentro non lo riferisci a mio padre, vero?” fu diretto
L’altro
restò abbastanza sorpreso: “Perché mi
fai questa domanda?”
“Perché
non rispondi?”
“No,
Sam. Quello che mi dici qui dentro rimane tra me e te. –
cercò di convincerlo –
Perciò se vuoi parlarmi di quanto accaduto, puoi farlo. E io
ti ascolterò, ok?”
Sam
si passò una mano tra i capelli, molto provato. Finalmente
dava un cenno di
resa, girovagando con lo sguardo per trovare le parole: “Non
saprei che cosa
dire. – gesticolò, nervoso - O forse lo so, ma ho
paura a dirlo ad alta voce.”
Vedendolo
così vulnerabile e con gli occhi lucidi, Wesam si
spostò con la poltrona verso
di lui. La mossa lasciò Sam talmente disorientato che non si
accorse che l’uomo
gli aveva appena preso le mani. Abbassò lo sguardo solo
quando gliele strinse,
prima di risollevarlo e trovarsi i suoi occhi fissi su di lui.
“C-che
stai facendo? – gli tremava la voce per l’imbarazzo
- I-io non capisco…”
“Queste
quattro mura non esistono, ok? Io non sono il tuo psicologo in questo
momento,
ma sono solo Wesam. Sono la persona che ti ha salvato la vita e che da
allora
sente di avere un legame con te; un legame che non mi fa dormire la
notte se
penso ad ogni volta in cui c’è qualcosa che non mi
dici. Se penso ad ogni volta
che hai paura di qualcosa e io non posso aiutarti.”
La
faccia di Sam era completamente imbalsamata dal disagio che stava
provando,
sorpreso da ciò che stava accadendo. Con le lacrime agli
occhi che cercava di
trattenere a tutti i costi, deglutì amaramente.
“Ho
fatto dei brutti pensieri da quando è successa quella cosa a
scuola. – si passò
le dita sotto agli occhi per asciugare le lacrime – Dovrei
essere contento di
essermi salvato e di non essere morto, ma non lo sono. - lo
fissò dritto negli
occhi, sofferente - Io volevo morire.”
“Perché,
Sam? Perché?” volle comprendere tale desiderio, in
pena per quelle parole appena
ascoltate.
Ad
un certo punto, Sam sorrise in maniera malinconica, mentre guardava
verso la
finesta: “Hai mai letto “La
donna con
l’impermeabile rosso “ di Richard
Stuart?”
“No.
Di cosa parla?” restò a fissarlo attentamente,
come si osserva un cucciolo indifeso.
“Parla
di una donna che fugge via da un mostro. – si
incupì nel raccontare la trama -
Solo che…sa che quel mostro la troverà ovunque
vada. “Che razza di vita
è, vivere costantemente nella paura?”,
pensò lei:
non è vita quella, in effetti... Allora volle farla finita e
smettere di avere
paura, solo che…”
“Cosa?”
“L’uomo
di cui si era innamorata e che cercava di aiutarla a nascondersi dal
mostro era
talmente furbo da averle insinuato un dubbio: le disse che la morte
come la
conosceva, non esisteva. Le raccontò che si trattava di una
burla per far credere
a tutti che rappresenti la fine, ma non è la fine. Secondo
quest’uomo, quando
la nostra vita finisce, ce ne aspetta un'altra. E poi molte altre
ancora. La
morte è solamente un amnesia che ci permette di vivere come
se fosse la prima
volta.”
“Cos’altro
dice questo libro?” domandò, catturato dal modo in
cui riusciva ad analizzarlo.
“Che
la morte è solamente un diversivo per sopportare il peso
dell’eternità.
L’essere umano vorrebbe vivere per sempre, ma sa cosa vuol
dire vivere per
sempre? E’ qualcosa che potrebbe farti impazzire se ci
pensi.”
“Quindi
come mai la donna non si è suicidata?”
“A
lei non pesava l’eternità in sé,
bensì vivere nella paura anche nelle sue vite
successive. – lo guardò negli occhi nuovamente
– Ed è la mia stessa paura. Mi
fa pensare: “E se fossi destinato a
vivere nella paura in tutte le mie future esistenze?” Magari se supero
l’ostacolo in questa
vita non sarò costretto a rivivere tutto questo anche dopo,
ed è quello che pensò
anche lei. Volle restare per sconfiggere la sua paura.”
“Allora
dimmi qual è l’ostacolo e magari posso aiutarti,
Sam. Posso aiutarti a riavere
una vita serena e a rendere sereno anche il resto della tua
eternità.” gli
strinse bene le mani, cercando di invogliarlo a fidarsi di lui.
Purtroppo,
però, Sam aveva una guerra in corso dentro di sé:
il cuore voleva urlare, ma la
mente cercava di farlo tacere a tutti i costi.
“Vorrei
davvero potertelo dire, ma… - una lacrima gli scese lungo la
guancia – Io non posso.
Non lo so.”
Wesam,
a quel punto, approfittando della sua confusione si avvicinò
con il viso,
mentre l’altro restava fermo a guardarlo, consapevole di cosa
stesse per fare.
Le
loro labbra si incontrarono e fu Wesam a baciarlo con maggiore
intensità, mentre
Sam se ne stava immobile e con gli occhi chiusi. Improvvisamente, Sam
si lasciò
completamente andare, nonostante un attimo prima avesse come la
sensazione di
avere un macigno sullo stomaco. Lo prese per il viso, con entrambe le
mani, i
loro respiri assai rumorosi.
Ad
un certo punto, però, Wesam si staccò, tenendo il
viso di Sam tra le sue mani e
le punte dei loro nasi che si toccavano.
“Ti
ho ascoltato parlare al telefono con qualcuno l’altro giorno.
Un certo Jasper.”
Al
pronunciare di quel nome, Sam fece subito un balzo indietro, come se
tutta
quella magia fosse svanita di colpo per fare di nuovo largo alla
realtà.
“Hai
origliato la mia telefonata?”
Wesam
cercò di recuperarlo, vedendolo già sulla
difensiva: “Non ho ascoltato molto,
ma ho sentito abbastanza da riuscire a fare una ricerca
personale.”
“Una
ricerca personale? Cioè?”
“So
che questo Jasper è in galera per aver ucciso due persone.
Uno di questi era un
tuo amico.”
“E
quindi? Dove vuoi arrivare?”
“Voglio
arrivare a guadagnarmi la tua fiducia, a farti capire che di me ti puoi
fidare
e che puoi dirmi tutto. Ti prometto che non ti denuncerò,
Sam. Non potrei anche
se volessi, sono uno psicologo privato e non del servizio
pubblico.”
“Non
denunciarmi per cosa, anche se fosse? – sussultò,
alzandosi in piedi – Wesam,
non so cosa ti sia messo in testa, ma…”
Quello
si alzò in piedi a sua volta, interrompendolo:
“Perché parlare con l’assassino
del tuo amico? Un po’ strano, non credi?”
“Io
me ne vado!” esclamò, basito, marciando verso la
porta.
Wesam
cercò comunque di dissuaderlo: “So che non hai
ucciso nessuno, Sam. Non ne
saresti capace.”
Tale
affermazione lo convinse a fermarsi, restando di spalle:
“Allora perché
sembrava che intendessi questo?”
“Perché
devi ammettere che sei coinvolto in qualcosa, anche se non
direttamente. E
qualsiasi cosa sia, ti sta tormentando.”
Stavolta,
Sam decise di essere sincero: “E’ vero: sono
coinvolto in qualcosa. Non ho ucciso
nessuno, ma è comunque complicato.”
“E
la polizia, allora? Tuo padre? Nessuno può
aiutarti?”
“No,
nessuno.” rispose con la voce rotta, trattenendo le lacrime.
“Ti
prego Sam, voglio aiutarti. Per me non sei solo un paziente che viene
qui tre
volte a settimana, ma qualcuno a cui mi sto affezionando molto
nonostante non
debba affezionarmici.”
“Posso
andarmene per favore? – le lacrime scendevano copiose, mentre
era ancora di
spalle – Voglio solo andarmene.”
Wesam
rimase in silenzio per qualche secondo, il volto triste
perché lo sentiva
singhiozzare.
“D’accordo…”
“Grazie!”
esclamò, uscendo il più velocemente possibile.
Scese
giù di qualche piano, poi, prima di fermarsi e scoppiare in
lacrime silenziose.
Non era più in grado di reggere tutte le bugie che assieme
ai suoi amici aveva
costruito e questo lo stava distruggendo.
*
Seduto
all’esterno di una caffetteria di fronte alla piazza, Eric
era seduto al tavolo
ad aspettare qualcuno. Quel qualcuno finalmente si presentò
ed era Sam.
Non
appena arrivò, appoggiò la borsa alla spalla
della sedia e si sedette.
“Scusa
il ritardo e scusa se ti ho chiesto di vederci, ma avevo bisogno di
parlare con
qualcuno.”
“Non
abbiamo già parlato stamattina? –
replicò sarcasticamente – Che fine ha fatto
la regola del Tutti a casa propria per
non far insospettire la polizia?”
“Beh,
magari è più sospettoso non vedersi affatto che
vedersi. Forse l’ho vista dalla
prospettiva sbagliata, stiamo andando nel pallone.”
sospirò, chiudendo gli
occhi e massaggiandosi la fronte.
“Ehi,
va tutto bene? – si preoccupò, tornando serio
– Il tuo tono di voce è sceso fin
sotto il tavolo.”
“Nathaniel
mi ha baciato la sera dell’esplosione. E oggi mi ha baciato
anche il mio
psicologo. – rivelò a bruciapelo, mentre
un’auto civetta della polizia stava
passando davanti alla caffetteria in quel momento - E io sto per avere
una
crisi isterica se vedo un altro poliziotto girare per
Rosewood!”
Intanto,
Eric, era ancora fermo alle rivelazioni precedenti e aveva a dir poco
gli occhi
sgranati.
“…Ah,
ok, e sei andato anche ad un brunch con la famiglia Obama
nell’ultima
settimana?”
Sam
si sentiva già abbastanza incasinato per sopportare quel
commento ironico misto
a incredulità: “Eric, per favore!”
“Per
questo non vuoi incontrare Nathaniel? Perché si è
finalmente dichiarato a te?”
“Non
si è dichiarato, mi ha semplicemente usato!”
“Usato?
Cioè?”
“Quando mi sono messo in testa di voler andare ad avvisare
Rider della bomba,
lui voleva che uscissimo immediatamente. Ad un tratto, però,
mi ha baciato,
pensando che quel gesto mi avrebbe fatto cambiare idea. Che sarebbe
servito a
seguirlo come un barboncino.”
“E
poi?”
“E
poi li ho tirato uno schiaffo e me ne sono andato!”
Quello
fece una faccia sorpresa: “Uao, è che mi dici del
tuo psicologo?”
Sam
deglutì faticosamente, non sapendo da dove iniziare:
“Beh, lui ha capito che
nascondo qualcosa…”
L’altro
si sistemò meglio sulla sedia, confuso: “Capito?
Capito che cosa?”
“Quando
Jasper mi chiamò dal carcere ero da Wesam. Sono uscito dal
suo studio per
rispondere e lui ha origliato tutto.”
“Quindi
Wesam ha sentito che parlavi con Jasper e…”
“Ha
indagato, esatto! – confermò ciò che
stava pensando – Non riuscendo a darsi una
spiegazione su come mai ero al telefono con un assassino, crede che io
sia invischiato
in questa storia.”
“Oh
mio Dio, pensa che siamo complici di quell’omicidio?
– sussultò nervosamente –
Allora la polizia lo sa, Wesam ha parlato con loro quella sera.
”
“No
no, voi non c’entrate nulla. – lo
tranquillizzò – Sospetta solo di me, ma non
pensa che io abbia ucciso qualcuno. Credo che tenga davvero molto a me
e che mi
voglia realmente aiutare.”
“E
se lavorasse per la polizia? Nathaniel ha ragione: è sempre
ovunque.”
“Mi
ci ha mandato mio padre da Wesam: perché avrebbe dovuto
gettarmi nella fossa
dei leoni?”
L’altro
cercò di calmarsi, guardandosi attorno, leggermente
paranoico: “Non lo so, vedo
complotti ovunque da quando A ha
alzato la posta in gioco. – sorseggiò il suo
bicchiere d’acqua – Non devi più
parlare con Wesam, smetti di andarci!”
“Scherzi?
Ogni volta che manca un’ora alla mia seduta settimanale, mio
padre spunta alle
mie spalle come Slenderman!”
“Allora
smetti sprizzare colpevolezza da tutti i pori quando vai da Wesam.
E’ uno
psicologo ed è come un detective: capisce ogni
cosa!”
Afferrò
il consiglio, cambiando argomento: “A proposito, mio padre mi
ha spifferato
qualcosa sull’indagine all’esplosione.”
“Oh
no, significa che presto lo daranno al notiziario e io dovrò
andarmene da
Rosewood.” sbiancò, riprensando
all’ultimatum lanciato da suo padre e anche a
quello di A.
“Smettila,
Eric. A non può
sdoppiarsi in due e
perseguitare te e noi, muovendosi fra due stati, seduto a sorseggiare
un
cosmopolitan in prima classe.”
“E
che ne sai? – quasi gli urlò –
Può torturare una settimana voi e una settimana
me, o un mese voi e un mese me. Insomma: la vita è lunga,
no?”
“Oppure
ti calmi e mi ascolti mentre ti dico che l’esplosione
è stata causata da una
banale fuga di gas. Nessuna bomba!”
Eric
restò a bocca aperta, dimenticandosi dei suoi problemi:
“COSA? Significa che A ci
ha presi in giro?”
“Non
ci ha presi in giro, la scuola è esplosa comunque. Dico solo
che dovremmo
iniziare a domandarci perché A ha
sentito il bisogno di agire così.”
“Beh,
mi sembra evidente: A ha capito
che
il suo covo era ormai compromesso e per non scoprire di più
ha deciso di far
esplodere tutto.”
“Dici?
– non ne era convinto – Perché far
esplodere un edificio allora, quando poteva
semplicemente svuotare la panic room?”
“Non
saprei, non sono dentro la sua mente malata.”
ribattè, mentre finiva il caffè.
Improvvisamente,
Sam notò qualcuno in lontananza, stringendo il braccio di
Eric.
“Oh
mio Dio...”
“Che
succede? – gli chiese, seguendo poi il suo sguardo
– Chi stai guardando?”
“Vedi
il ragazzo che sta scendendo le gradinate della piazza? Quello con il
cappotto
grigio e la tracolla marrone, molto elegante.”
“Ah,
ok, l’ho individuato. Quindi?”
“E’
Quentin!”
“Ehm,
il Quentin che conosce lo sporco segreto dell’ex capo di mio
padre? Il segreto
numero 39 di Rosewood-riservato?”
“Il
Quentin che ha avuto a che fare con Anthony, se vogliamo dirla
meglio!”
sottolineò con uno sguardo e le soppracciglia sollevate.
Sam
si alzò dalla sedia, continuando a fissare Quentin. Eric si
alzò a sua volta,
prima che l’amico facesse qualche altra mossa.
“Ehi,
aspetta un secondo, Quentin probabilmente non sa nulla di
Rosewood-riservato e
nemmeno ciò che Anthony ci faceva.”
“Beh,
non possiamo saperlo. Cameron ha detto a Nathaniel di aver dato dei
soldi ad
Anthony per un progetto: magari ogni persona che ha avuto a che fare
con
Anthony possiede un piccolo pezzo del puzzle.”
“E
come approcciamo? Devo fingere di essere gay?” fece una
faccia preoccupata.
“NO!
– sussultò, storpiando il viso in una smorfia
– Sono semplicemente passato da
una vita ordinaria ad una da cronaca nera, non ho mica cambiato faccia.
Si
ricorderà sicuramente di me, voglio solo salutarlo e
poi… - gli fece
un’occhiolino prima di partire all’azione
– Beh, da cosa nasce cosa!”
Eric
roteò gli occhi, sbuffando, poi si mosse assieme a lui.
Improvvisamente, però,
dovette fermarsi: qualcuno lo stava chiamando al telefono.
Sam,
che non si accorse di avere più Eric alle spalle,
continuò a camminare,
raggiungendo Quentin, appena salito sul marciapiedi.
“Ehi,
Quentin! – lo chiamò alle spalle, facendolo
voltare – Ehi, ciao…” si
avvicinò
con il fiatone.
Quello
lo squadrò dalla testa ai piedi, assai serio, senza
proferire parola, come se
aspettasse che aggiungesse altro per poterlo fare.
“Ti
ricordi di me? – gli sorrise, imbarazzato – Sono
Sam, siamo usciti insieme una
volta.”
“Mi
ricordo benissimo!” esclamò con enfasi,
nonché con acidità.
Sam
iniziava a percepire qualcosa di strano nell’espressione del
suo volto: “Ah,
ok, e come stai? – rise nervosamente – Io frequento
ancora il liceo,
sfortunatamente per me. Non vedo l’ora di potermi
diplomare!”
“Spero
tu riesca ad ottenere buoni voti in tutte le materia, ma sicuramente
quelli
come te riusciranno ad ottenere tutto dalla vita. –
replicò con un finto
sorriso , per poi assumere un volto avvelenato e pieno di sdegno -
Insomma: chi
inganna le persone va’ forte nel mondo, non credi?
E’ solo la gente onesta a
soccombere, ma per fortuna alcuni di noi riescono a riprendersi da
quelli come
te e il tuo amico.”
A
quel punto, Sam si arrese: “Ok, so già
perché provi tutto questo odio nei miei
confronti. Voglio solo chiederti scusa e dirti che io non sono
così.”
“Non
sei così? E allora cosa sei?”
La
domanda lo mise talmente a disagio da non riuscire nemmeno a trovare le
parole:
“I-io…”
“Te
lo dico io! – prese in pugno la discussione con
aggressività – Mi hai venduto
al tuo amico, quando io mi ero aperto con te come non avevo fatto con
nessuno
in vita mia. Ti ho raccontato ogni cosa di me, come hai potuto farmi
questo?
Magari non sei neanche gay e hai finto per fargli un favore.”
“No
no, lo sono davvero. – fu dispiaciuto, il volto sofferente e
pestato da quelle
dure parole – E ti chiedo scusa per averti tradito.
All’epoca non conoscevo
Anthony, non pensavo che… - riflettè, non
conoscendo i reali motivi – Beh, non
so se ti ha ricattato o fatto qualcos’altro in
verità.”
Quentin
restò impassibile: “Quindi vuoi farmi credere che
non c’eri anche tu dietro ai
messaggini di A?”
“Messaggini
di A? – assunse una
smorfia confusa
– Di che cosa stai parlando?”
“E’
così che mi avete contattato prima di lasciarmi in pace, o
hai forse perso la
memoria?”
Sam
si mise una mano sul petto: “Quentin, giuro che non so nulla
a proposito di
tutto questo. Se magari mi spiegassi meglio…”
Dovette
fermarsi bruscamente, però, perché davanti alla
tipografia in cui si trovavano,
ne uscì un ragazzo, insospettito dai toni alti.
“Quentin,
che sta succedendo? – sembrava conoscerlo, avvicinandosi
accanto a lui – La tua
voce si sentiva fin dentro…”
“E’
A!” gli spiegò
Quentin.
Bastò
quella lettera a far diventare aggressivo anche l’altro
ragazzo appena giunto.
“Sta
lontano dal mio ragazzo, ok?” gli puntò il dito
contro, quasi come se fosse
pronto a mettergli le mani addosso.
Sam
indietreggiò leggermente, cercando di giustificarsi:
“C’è un malinteso, io non
so nulla di questi messaggi. Era solo Anthony, mi ha usato!”
“Hai
una vaga idea di quanto tempo Quentin abbia vissuto nella paura per
colpa
vostra? Di essere tenuto in pugno e dover fare qualcosa in cambio da un
momento
all’altro? – gliene disse quattro, mentre Quentin
lo tratteneva per quanto
fosse irrequieto sull’argomento – Oggi Quentin vive
una vita serena con me. Ci
amiamo e non ha più paura di gente come voi. Anzi, di gente
come te, visto che
il tuo amico non c’è più.”
“So
com’è vivere nella paura, credimi. –
aveva quasi le lacrime agli occhi – E vi
chiedo scusa dal profondo del mio cuore.”
“Devi
andartene, hai capito? – alzò la voce, aizzando
nuovamente il dito contro di
lui – Non ti permetterò di rovinargli ancora la
vita.”
Quello
indietreggiò spaventato, non sapendo cosa aggiungere per
calmare i loro animi.
Eric,
intanto, lontano e voltato dall’altra parte, era al telefono
con Alexis.
“Che
vuol dire che sei andata a casa mia per parlare con mio
padre?” assunse
un’espressione confusa.
“Mi
hai scritto tu di andare da lui, hai per caso sbattuto la
testa?”
Quello
finse di sapere di cosa stesse parlando: “Ah, ok, e cosa ti
ha detto mio
padre?”
“Beh,
inizialmente non sapeva cosa rispondere. Io gli ho spiegato che i tuoi
amici
sono importanti per te e che vuoi finire la scuola con persone che
già conosci e
non dover ricominciare tutto da capo al quarto anno,
perciò…ce l’ho fatta!”
Purtroppo,
però, Eric faceva ancora fatica a capire: “Quindi
rimango a Rosewood?”
“Sì,
mi trasferisco domani nel tuo appartamento. Sono la tua specie di
tutrice
maggiorenne ora, come volevi tu.”
Quello
sgranò gli occhi, fingendo entusiasmo per mascherare la sua
più totale
incredulità: “Accidenti, evviva!”
“Ora
che ti ho fatto questo favore, devi farmene uno anche tu.”
“Ovvero?”
“Passo
stasera al Brew e ti racconto meglio, ok?”
“Ehm,
va bene!” esclamò, ancora disorientato.
Chiusa
la chiamata, giunse un messaggio che si aspettava di ricevere.
“Pensavo
che ce l’avresti fatta con quel mio piccolo aiutino, ma
evidentemente non ti ho ancora allenato bene a spingerti fino al
limite. Per il
momento, ringraziami: vivrai qui a Rosewood ancora per molto tempo, si
spera.”
-A
“Bastardo…”
sussurrò.
Subito
dopo, sentì delle urla alle sue spalle.
“Fermo,
Greg, non ne vale la pena!”
Erano
le urla di Quentin e quelle bastarono a far voltare Eric, che vide Sam
spintonato a terra dal ragazzo che portava quel nome.
Immediatamente
corse da loro.
“Ehi
ehi, ma che succede? – esordì, mettendosi davanti
a Sam, ancora seduto a terra –
Datti una calmata, amico!”
“E
tu saresti il suo ragazzo? – lo fissò da capo a
piedi con arroganza – Farete
meglio a starci lontani o sistemo anche te.”
Eric
restò lì, muso a muso, a fissarlo per nulla
intimidito, finchè non se ne
andarono. Quando Greg smise di fulminarlo con lo sguardo, anche da
lontano,
Eric si girò a dare una mano a Sam.
“Stai
bene?”
Finalmente
si risollevò, ma assai avvilito: “No, ma me lo
sono meritato. Anthony deve
averlo tormentato per molto tempo per arrivare ad una reazione come
questa. Ed
è tutta colpa mia.” si sentì in colpa,
lo sguardo perso nel vuoto.
“Ehi,
siamo stati tutti ingenui con Anthony, ok?– cercò
di recuperarlo con lo sguardo
– Abbiamo fatto del male a molte persone, ma non siamo
malvagi. Siamo vittime
come loro, se non peggio. ”
“Puoi
dire lo stesso, se ti dicessi che A esiste
da prima che tormentasse noi?”
Inquietato,
Eric cercò di capire: “Che vuoi dire?”
“Quentin
ha parlato di A. E l’ha
fatto quasi
con la stessa faccia di quando ne parliamo noi.”
“Ma
non ha senso, A esiste dal momento
esatto in cui abbiamo investito Albert. Cosa c’entra
Quentin?”
“Infatti
la prima A era Anthony,
è iniziato
tutto con lui. Quentin ha detto che riceveva dei messaggi da A; probabilmente da quando ho passato
quelle informazioni ad Anthony su di lui. Era convinto che dietro a
tutto ciò
ci fossimo entrambi.”
“Tu
non eri di certo, ma come faceva a sapere che fosse Anthony?”
“E’
questo il punto! – pensò, focalizzandosi su quello
– Dopo i messaggi deve
averlo incontrato e poi è successo qualcosa.”
Eric
iniziò a collegare i pezzi della storia: “La
nostra A ci perseguita anche per un
secondo crimine, di cui pensa che uno
di noi sia il complice.”
“Fantastico,
se A stava origliando, ora
penserà
che sono io. In ogni caso, dobbiamo parlare di nuovo con Quentin per
sapere se
ha davvero incontrato Anthony.”
“Possibilmente
senza la presenza del suo muscoloso ragazzo.”
sottolineò, facendogli capire che
per un attimo ha avuto paura di lui.
Sam
ora buttò lo sguardo in basso, pensieroso:
“E’ tutto molto strano…”
“Cosa
è strano?”
“E’
una cosa che non vi ho detto, non ne ero sicuro; tutt’ora non
ne sono sicuro.
Quando sono entrato nella panic room, la prima volta, c’erano
tante foto nostre
appese alla parete. Mentre le guardavo, in alto ce n’era una
in cui mi è quasi
sembrato di vedere Anthony.”
“E
allora? Forse A l’ha
messa lì come
simbolo di odio.”
“Non
era una foto fatta prima della morte di Anthony. Credo fosse lui
all’interno
della panic room.”
L’altro
sbigottì: “Cosa??? Mi stai dicendo che Anthony
forse è vivo e tu non hai preso
la foto che poteva confermare i tuoi sospetti?”
Sam
si stava torturando le dita: “Ad un certo punto ho visto la
foto di me e
Nathaniel al penitenziario e mi sono distratto, poi Rider mi ha
chiamato e l’ho
completamente rimosso.”
Eric
iniziò a fare avanti e indietro, nervoso: “Ok, se
Anthony fosse vivo, perché
dovrebbe essere A?”
“Non
l’ho mai detto.”
“Ma
lo pensi!”
Quello
esitò per qualche istante, per poi capire che anche lui
aveva qualche dubbio:
“Beh, se Anthony fosse vivo e fosse A,
direi che sta giocando come ha sempre fatto, in una versione
decisamente molto
malata di se stesso, cercando di scaricarci addosso
l’omicidio di Albert.”
“Ok,
stesso pensiero. Niente di buono. - iniziò a grattarsi il
capo, nervosamente –
Che facciamo? Dobbiamo avvertire anche gli altri di questa
scoperta?”
“Che
non sospettiamo più di Brakner, ma di Anthony?
– rise per un secondo – E’
assurdo anche solo dirlo a voce alta.”
“Lo
so, ma a questo punto mi sembra surreale che qualcuno che non sia
Anthony possa
aver iniziato questo gioco malato contro di noi. Se è vivo,
dev’essere lui a
farci questo. Probabilmente non vedo l’ora di incastrarci per
fuggire da
Rosewood con la sua nuova identità.”
“Parliamone
con gli altri, poi decideremo cosa fare per non restare incastrarti con
la
polizia.” suggerì, mentre si incamminavano verso
l’auto.
“Io
devo passare un attimo da Alexis, magari ci vediamo dopo.”
“Anch’io
ho un impegno, devo portare delle torte alla casa di riposo dove
lavorava mia
madre. Lo faccio due volte a settimana,
perciò…”
“D’accordo,
ci messaggiamo!” esclamò, mentre aprivano le
portiere.
*
Più
tardi, Nathaniel si presentò alla porta di casa di Rider.
Dopo aver suonato, fu
Lindsey ad aprire la porta.
“Ah,
sei tu… - mostrò un espressione delusa -
Cerchi Rider, vero?”
“Ehm,
sì…Chi altri, se no?”
Quello
si accomodò, mentre lei gli rispondeva.
“Beh,
magari Tasha!”
“Tua
cugina, intendi?”
“Non
fa che parlare di te. – arrivarono davanti alle scale - E
pensare che è quasi
morta e nemmeno se lo ricorda.”
“A
dir la verità ho già chiarito la mia situazione
con Tasha. Dille di trovare
qualcun altro da cui essere ossessionata.” le sorrise, pronto
a salire.
“Oh,
andiamo… – non se la bevette – Tu non
sei gay, Nathaniel. Per qualche strano
motivo fingi di esserlo, ma non lo sei… - lo
fissò, non comprendendo tutto ciò
- Mio fratello e voi tre siete davvero un gruppo di tipi
strani.”
Nathaniel
si voltò, utilizzando un tono abbastanza pungente:
“Beh, non siamo i soli ad
avere delle stranezze. Non credi?”
Quella,
intimidita dal suo sguardo che conosceva tutti i suoi segreti, decise
di
allontanarsi abbastanza infastidita: “Come ti pare!”
Lui
continuò a salire, ma dovette fermarsi nuovamente quando
sentì qualcosa vibrare
contro una superficie. Lentamente si voltò e vide che
c’era un telefono
poggiato su uno dei mobili, vicino all’ingresso.
Scese
rapidamente, controllando se Lindsey fosse nei paraggi, e lo prese tra
le mani.
Più
tardi, piombò nella stanza di Rider molto distratto, pronto
a raccontargli cosa
aveva visto nel telefono.
“Sapevi
che quella stupida app creata dal cugino di Violet è
già… - si voltò finalmente
a guardare Rider, dopo aver chiuso la porta, restando di stucco
– virale…”
Ciò
che lo lasciò senza parole era Rider in boxer che faceva le
flessioni a terra.
La stanza era abbastanza in disordine: un piatto sul letto con dentro
gli
avanzi di un panino, un libro accanto e indumenti sparsi qua e
là.
“Oh,
ciao Nathaniel!” gli sorrise, risollevandosi tutto sudato.
“Ma
che sta succedendo qui dentro?” strinse gli occhi, confuso.
L’altro
finse di non capire, mentre sorseggiava acqua da una bottiglietta:
“Di che stai
parlando?”
“Di
te che fai le flessioni e della tua stanza che potrebbe benissimo
finire in un
episodio di Sepolti in casa!”
“Ho
provato qualche vestito e non ho rimesso a posto, tutto qui.”
“E
le briciole di pane sul tuo letto? Tu detersti le briciole, una volta
mi hai
fatto mangiare un biscotto con la testa fuori dalla
finestra.” continuò,
cercando di sottolineare che c’era qualcosa di insolito.
“Beh,
ho deciso di fare uno strappo alla regola stavolta.” disse
con nonchalance.
Nathaniel
strinse gli occhi ancora di più, lasciando perdere:
“Ok, dev’essere una sorta
di crisi di mezza età anticipata dal trauma che ci ha
lasciato la sera del
ballo, perciò passiamo alla scoperta che ho appena fatto:
tua sorella chatta
con quella app che ha creato il cugino di Violet.”
Rider
si stava annusando le ascelle, distratto: “E
quindi?”
“Beh,
ha scritto a qualcuno che sarebbe uscita in dieci minuti. –
scrollò le spalle,
sospettoso - Da quando tua sorella usa una stupida app scolastica per
darsi
appuntamento con le persone?”
“Hai
visto con chi stava conversando?” si rivestì nel
mentre.
“Il
suo avatar era seduto ad una delle panchine del cortile e la persona
con cui
stava parlando non c’era già più:
dev’essersi scollegata.”
“E
non si può risalire a questa persona?”
“No,
mostra solo l’ultimo messaggio mandato.”
“Ma
tutto ciò non mi sembra sospetto, non starai
esagerando?”
“E
se tra dieci minuti si vedesse con Brakner?”
“Dici?”
si mostrò poco collaborativo.
“Dentro
Second Rosewood
puoi essere chiunque: è il luogo
perfetto
per avvicinarsi ad una studentessa senza che nessuno capisca che sei il
suo
Professore!”
“Quindi
per te A è ancora
Brakner, che muove
le fila di questo gioco nell’ombra, all’interno di
una app?”
“Finchè
non ho maggiori sospetti verso qualcun altro, direi di sì.
Tu?”
“Ehm,
stessa cosa!” esclamò rapidamente, quasi
indifferente, sedendosi sul letto.
Nathaniel,
spostando il libro che c’era sul letto e
che Rider fissò con particolare timore nello sguardo, quando
lo prese in mano,
si sedette accanto a lui.
“Ascolta,
sono venuto a parlarti a proposito di Julie. Sta per lasciare Rosewood
e andare
a vivere con Palmer, ma…se le diamo un valido motivo per
restare, allora
resterà.”
“E
quale sarebbe questo valido motivo?”
“Raccontarle
tutto!”
Rider
si alzò, avvicinandosi alla scrivania, dando le spalle:
“No, non se parla. Non
possiamo.”
“Ah,
beh, vedo che sei tornato te stesso adesso!”
replicò seccato.
Il
volto di Rider, in quel momento, accenno quasi un sorriso, come se
cercasse di
essere convincente: “Non ne voglio più discutere.
Quando dico no, è no!”
“E’
l’unica persona che fino ad ora ci ha aiutati e che sa quasi
tutto. E poi Julie
e sua sorella hanno un passato che potrebbe farle finire dietro le
sbarre, chi
può capirci meglio di lei?”
“Quindi
se le diciamo la verità, lei resterà e poi che
altro?”
“Può
fare molte cose con le sue capacità. E in un momento come
questo in cui la
polizia potrebbe prenderci di mira, può aiutarci a farla
franca con filmati
della sicurezza, intercettazioni telefoniche o altri problemi come
questi. Ci
ha già aiutati con lo scontrino falso e ha reso possibile il
nostro alibi.” gli
diede più motivazioni possibili.
“D’accordo,
va bene!” esclamò di colpo, senza riflettere,
lasciandolo sorpreso.
“Aspetta,
sul serio?”
Si
voltò: “Sì, va bene. Andiamo da Julie e
confessiamo tutto.”
Nathaniel
ne era ancora incredulo: “Ma un attimo
fa…”
“Hai
ragione, ci serve una mano. Quel detective mi è sembrato
abbastanza determinato
a scoprire la verità e ci riuscirà se non abbiamo
qualcuno come Julie dalla
nostra parte.”
L’altro
tirò un sospiro di sollievo, sorridendo:
“Finalmente ti è tornato il buonsenso.”
“Meglio
tardi che mai!” esclamò con un sorrisino
sarcastico.
Ad
un certo punto, poi, Nathaniel si girò a guardare il libro
che aveva scansato.
Curioso, lesse il titolo.
“La donna con l’impermeabile
rosso… - si
voltò verso Rider, che
impallidì -
Sembra interessante!”
Quello
si avvicinò di scatto e glielo tolse dalle mani, nervoso:
“Beh, non è poi così
interessante!”
“E’
solo un libro, Rider, rilassati!” sorrise alla sua strana
reazione.
“Scusa,
è che l’ho preso dalla libreria di mio padre. Se
trova anche una sola pagina piegata
gli si rizzano i peli come un gatto.”
“Ma
se fino a poco fa era buttato qui assieme ai tuoi calzini sporchi e gli
avanzi
del tuo panino.” continuò, ironico e anche
perplesso.
“I
calzini e le briciole non hanno le dita, ok? Vado a rimetterlo al suo
posto!”
Nathaniel
allora si alzò, pronto a togliere il disturbo.
“Senti,
ci vediamo stasera per andare da Julie. Io passo a casa del francese,
non mi
risponde al telefono da stamattina.”
Quello
annui, cercando di velocizzare i saluti: “Certo certo, il
francese. Allora io
seguirò Lindsey per ingannare il tempo.”
“Ok…
- restò a fissarlo per qualche secondo, stranito dal suo
comportamento insolito
– Beh, io vado!” indicò la porta,
dirigendosi verso di essa.
“A
dopo!” gli sorrise quello.
Quando
la porta si chiuse, Rider smise di sorridere. Il suo volto assunse una
smorfia
seccata, quasi disgustata. Il telefono iniziò a squillare.
“Che
vuoi?” rispose, sapendo già di chi si trattava: fu
ancora più scocciato.
[…]
“Grazie
per il libro, ma non posso imparare tutto a memoria nel giro di poche
ore.”
[…]
“Pff,
figurati, non hanno idea di chi tu sia. Pensano che A
sia Brakner e invece sono totalmente fuori strada, dico
bene?”
[…]
“Sto
facendo del mio meglio, non è facile fingere di essere
qualcun altro.”
[…]
“D’accordo,
mi tengo pronto per stasera. Tu, però, devi promettermi che
avrò il tempo
necessario per ottenere ciò che voglio e che Rider
dovrà rimanere lì fino a
quel momento.”
[…]
Il
ragazzo sorrise: “Bene, allora torno a studiare.” e
chiuse la chiamata.
Subito
dopo, si diresse verso il letto e prese in mano quel libro. Quando lo
aprì,
dentro c’erano degli appunti scritti a mano e non il romanzo
di Richard Stuart:
si trattava di informazioni riguardanti il gruppo dei quattro ragazzi,
delle
persone a cui erano collegati e di tutto ciò che era
successo dalla morte di
Albert.
Sulla
pagina su cui mise gli occhi, c’era un appunto riguardante
Nathaniel.
-
Recentemente
ha fatto delle analisi e
ha scoperto che gli ho fatto assumere delle pillole per il cambio di
sesso. Suo
cugino Tyler lavora in ospedale, sua zia Courtney l’ha
accompagnato.
*
In
centro, Lindsey era appena entrata in un
locale. Ferma all’ingresso, scrutò i vari tavoli
per individuare la persona con
cui aveva appuntamento.
Quando
finalmente la trovò, la raggiunse al
tavolo e si tolse gli occhiali da sole: era Chloe la persona che la
stava
aspettando.
“Ti
aspetto già da un quarto d’ora, che fine hai
fatto?”
L’altra
appese la borsa alla spalla della sedia
e si sedette, seccata: “Scusa, ho avuto un
contrattempo.”
“Colpa
del ragazzo più grande con cui ti
frequenti? – fu invadente - E’ sempre lo stesso di
quella notte?”
“Non
sono affari tuoi, siamo qui per parlare di
altro.” le lanciò un’occhiata che non
cercava troppa confidenza.
“Tranquilla,
non ho detto niente alla polizia.
Come avrei potuto dire di averti vista
dentro quella macchina con Albert se ho raccontato di essere rimasta a
casa a
guardare telefilm?”
“Io
non so nemmeno se ho fatto bene a mentire. –
si mostrò preoccupata – E se lo scoprissero? Cosa
penserebbero?”
Chloe
fu sarcastica: “Che magari Albert l’avete
ucciso tu e il tuo ragazzo?”
“Non
scherzare, sai perfettamente che mi sono
incontrata con lui per ricattare Anthony e fargli sapere che avevamo
quel
video.”
“Ma
se Albert è morto, allora chi ha caricato
quel video online?” pensò a quel punto, dubbiosa.
“E
se fossero stati i ragazzi?” ipotizzò, mentre
il viso le si impallidiva.
“Perché
avrebbero dovuto farlo?”
“Non
so tu, ma sono settimane che mio fratello è
strano, per non dire stranissimo.”
Chloe
ci riflettè su: “Beh, anche Sam è
diventato strano. Non siamo più legati come prima da
quando…”
“Albert
è scomparso?” suggerì l’altra.
Le
due si guardarono, atterrite. Chloe trovò il
coraggio di dare voce a ciò che entrambe stavano pensando.
“Pensi
che l’abbiano ucciso loro?”
“Aspetta,
tu sai se fossero in giro quella
notte? Quando sono tornata a casa, Rider non c’era.”
“Io
sono uscita per seguire Sam, ma l’ho perso
di vista.”
“Quindi
erano tutti fuori… - pensò Lindsey,
insospettita – Dev’essere successo qualcosa tra
Albert, i ragazzi e Anthony.
Forse hanno scoperto che aveva il video.”
“Lo
penso anch’io, ma… -
si preoccupò - A questo punto ci siamo
dentro anche noi, abbiamo mentito alla polizia sui nostri alibi.
Esattamente
come hanno fatto Sam e Rider.”
“Sì,
ma non credo che la polizia sospetti
qualcosa.”
A
quel punto, Chloe pensò di confidarle una
cosa: “Ascolta, non voglio spaventarti, ma una volta ero in
macchina con Sam e
ha ricevuto un messaggio da qualcuno che si firmava A.
Gli chiedeva di guardare il notiziario.”
Lindsey
sgranò gli occhi: “Oh mio Dio… -
ricordò
un dettaglio – La sera prima del ballo qualcuno ha lasciato
fuori da casa mia
una busta con dentro un vestitino da neonato. Si congratulava per la
mia
gravidanza ed era firmato da A.”
“Aspetta
un secondo… - sbigottì – Sei
incinta?”
“NO!
– ci tenè a sottolinearlo – Era solo una
frecciatina contro la mia relazione, questa A
conosce il mio segreto.”
“Ma
si può sapere chi è questo ragazzo più
grande? Perché ci tieni così tanto a
nasconderlo?”
Quella
abbassò lo sguardo, tirando un grosso
sospiro poco prima di rispondere: “E’ il professor
Brakner la persona con cui
mi frequento…”
“OH
– MIO –DIO! – sgranò gli
occhi, scioccata –
Stai con un insegnante???” quasi urlò.
“Vuoi
chiudere quella bocca? –
la zittì, guardandosi attorno – Non farmi
già pentire di avertelo detto!”
Quella
si ricompose: “Ok, ammetto che è molto
affascinante, ma… -
lo trovò comunque
pericoloso – Lindsey, è troppo grande!”
“Lo
amo, ok? – mise in chiaro, sicura di ciò che
provava - Ed è per questo che lo sto proteggendo. Hai idea
dei guai che
passerebbe se la polizia scoprisse che quella notte era in macchina con
due
minorenni? Anche se non ha ucciso Albert, verrebbe comunque
arrestato.”
Chloe
fu comprensiva: “D’accordo, non ti giudico.
Avrei fatto la stessa cosa, probabilmente… - decise poi di
tornare al discorso
precedente – Senti, quel pomeriggio ho visto il notiziario
che A ha chiesto a Sam di vedere.
Parlava
dell’omicidio di Anthony e dell’arresto del suo
assassino: Jasper Laughlin!”
“Perché
A
voleva che guardasse quel notiziario?”
“E
se A fosse
qualcuno che ha assistito a ciò che è
successo?”
“Credi
che voglia incastrare mio fratello e i
suoi amici?”
“Forse
erano tutti insieme quella notte: loro, Anthony,
Albert e questo Jasper.”
“Ma
non gli hanno uccisi loro Anthony e Albert,
giusto? – non ci voleva credere - E’ stato questo
Jasper, no?”
“Non
ne ho idea, ma il corpo di Albert non l’hanno
lasciato loro su quella strada...”
Lindsey
sgranò nuovamente gli occhi: “E’ stato A!”
Le
due si guardarono: molto confuse e molto
spaventate.
“Hai
idea di chi possa essere? – le chiese Chloe
– Vivi con Rider, l’avrai pur sentito parlare di
questo almeno una volta.”
Quella
scosse la testa: “Mi dispiace, non ho
idea di chi sia. So solo che mio fratello si comporta in maniera strana
e ora tutto
ha un senso.”
“Dobbiamo
andare a fondo di questa storia. Anche
noi due eravamo fuori quella notte e rischiamo di essere incastrate
anche noi,
ora che la polizia sta indagando sul serio. Abbiamo già
mentito, sembreremo
colpevoli quanto i veri responsabili.”
L’altra
annuì, nervosa: “ Va bene, cercherò di
scoprire qualcosa.”
Entrambe
abbassarono lo sguardo, precipitando
ognuna nei propri pensieri.
*
Dopo
aver lasciato la casa di Rider, però, Nathaniel non
andò direttamente dal
francese. Bensì, da Sam.
Quando
parcheggiò, lo vide che stava salendo le gradinate del
portico. Scese immediatamente
dalla macchina e lo raggiunse.
“Ehi,
Sam!” lo chiamò, facendolo voltare.
L’altro
si guardò attorno, confuso, le chiavi di casa fra le mani:
“Che ci fai qui? E’
successo qualcosa?”
“Tuo
padre è in casa?”
“No,
è in centrale a quest’ora.” rispose,
turbato dalla sua presenza.
“Bene,
entriamo in casa. Fa presto!” gli intimò, mentre
quello apriva, fissandolo di
tanto in tanto, ansioso.
Una
volta dentro, con la porta chiusa, Nathaniel spiegò il
motivo della sua visita.
“Stamattina
ho fatto visita a Jasper e c’era anche tuo padre.”
Sam
granò gli occhi: “Oh Dio, che ci faceva
lì?”
“Sa
che siamo andati a fargli visita la volta scorsa, ma la cosa peggiore
è che
pensa che tu sia complice di Jasper nell’omicidio di Anthony
e suo padre.”
“M-ma…
- abbassò lo sguardo, scioccato – Come
è arrivato a questa conclusione?”
“Non
lo so, dimmelo tu.”
Quello
allora si voltò di spalle, appoggiandosi alla porta. Fu in
quel momento che
capì: “Wesam…”
“Wesam?”
ripetè Nathaniel, pensando di aver sentito male.
“Alla
seduta di oggi, Wesam mi ha raccontato di avermi sentito al telefono
con
Jasper. – si voltò a spiegare - Sospetta che sia
complice dell’omicidio, ma non
in maniera diretta.”
L’altro
rimase basito, passandosi velocemente una mano sui capelli:
“Ok, questo vuol
dire che Wesam l’ha detto a tuo padre e
che…”
Sam
chiuse gli occhi, mettendosi le mani in testa, setendosi stupido:
“Eric pensa
che lavori per mio padre e a questo punto lo penso anch’io.
– gli riaprì, gonfi
di lacrime – Ogni seduta era per scoprire qualcosa su di me,
su ciò che
nascondevo: era tutta una bugia.” tuttavia, quelle di Sam,
erano lacrime amare
non solo per essere stato ingannato, ma anche per essere stato baciato
da
qualcuno che lo stava solamente usando: di nuovo.
“Sam,
non lo sapevi. – cercò di non appesantire il suo
senso di colpa, in pena per
lui – Tuo padre è un poliziotto, non è
come i nostri genitori. Io, Eric e Rider
siamo riusciti ad ingannarli per bene in queste settimane, ma tuo padre
ha
capito che c’era qualcosa che non andava in te.
“E
adesso che faccio? – domandò con la voce rotta -
Ora si spiega come mai è così
nervoso e pallido. – scoppiò in un pianto
sofferente - Pensa che io sia un assassino,
Nat.”
L’altro
subito lo abbracciò.
“Devi
continuare ad andare da Wesam o sembrerai ancora più
sospetto. Devi guadagnare
tempo, finchè non tiriamo Jasper fuori di prigione e
capiranno entrambi che non
c’entri nulla.”
“D’accordo.
– annuì, pulendosi le lacrime – Allora
va’ da quel francese e risolviamo questa
storia. Se il detective Costa dovesse vedere mio padre così
preoccupato,
capirebbe che c’è qualcosa sotto e saremo ancora
di più nel mirino della
polizia.”
“Hai
già detto a qualcuno di Wesam?”
“Solo
Eric, ci siamo visti per un caffè. Abbiamo anche incontrato
Quentin, ma ti
aggiorno più tardi al telefono. Ora trova quel francese,
l’udienza di Jasper è
alle porte.”
Nathaniel
aprì la porta: “Ok, ma credo sia meglio tenere
Eric e Rider allo scuro su tuo
padre. Non vorrei che si allarmassero troppo, dobbiamo sembrare il
più calmi
possibili.”
I
due si scambiarono un ultimo sguardo, che mise entrambi a disagio. Il
bacio
scattato tra i due durante la sera del ballo era ancora una ferita
aperta per
Sam.
“Ehm,
ancora una cosa. Ho incontrato Julie, sta per lasciare Rosewood, ma ci
ha dato
un ultimatum per la farla rimanere: dirle tutta la verità.
Sono passato da
Rider e ha ceduto, perciò…appena torno dal
francese, passiamo da lei e
progetteremo insieme un piano per sconfiggere A
una volta per tutte.”
“…E’
la cosa che desidero più al mondo.”
pensò, a braccia conserte, esausto nello
sguardo.
“Anch’io!”
esclamò, per poi uscire.
*
Eric
si affrettò a raggiungere Alexis, che lo stava aspettando
davanti al Brew. Infreddolita,
si strofinava le braccia sopra alla felpa.
“Ehi,
ho fatto più in fretta che potevo. Aspetti qui da
molto?” le accarezzò la
spalla, vedendola tremare.
“Qualche
minuto, ma ho preferito stare qui fuori che dentro al Brew.”
Quello
buttò un occhio dentro locale:
“C’è Todd?”
“Non
c’era quando sono venuta a parlare con tuo padre, poi quando
sono scesa l’ho
visto al bancone e sono sgattaiolata via prima che mi vedesse. Non
voglio più
averci nulla a che fare con quello stronzo.”
spiegò, ancora con l’amaro in
bocca.
Eric
tirò un sospirò di sollievo, scoprendo che non si
erano incrociati: “Dai, tanto
hai trovato un nuovo lavoro a quella tavola calda.” la
consolò.
“Sì,
ma da domani il mio posto di lavoro non sarà più
così vicino: mi trasferisco
qui!”
“Non
è un problema, Rider può darti un passaggio visto
che la tavola calda è sulla
stessa strada che farà per andare a scuola.”
“Ok,
ma devi aiutarmi con il trasloco. Domani puoi passare con me al campus
a
prendere le mie cose e portarle qui?”
Le
sorrise, ben disposto: “Ma certo, prendo in prestito
l’auto di uno dei ragazzi
e carichiamo tutta la tua roba.”
Quella,
però, non ricambiò il suo sorriso, turbata da
qualcos’altro: “Ehm, ascolta,
trascoloco a parte, non ti ho chiamato per questo. Il favore
riguarda…beh…devi
accompagnarmi alla polizia!”
“Eh?
– fece una smorfia confusa – Per quale
motivo?”
“Credo
di aver scoperto chi mi ha investita.”
Eric
la prese per le spalle, eccessivamente curioso dal momento che sapeva
che alla
guida c’era A:
“E chi è stato?
Quando l’hai scoperto?”
“L’ho
scoperto la sera del ballo, dopo l’esplosione. Ho
accompagnato Tasha alla
macchina di Rider ed era talmente barcollante che sono caduta contro
l’auto di
fianco.”
“E
allora?”
“Beh,
quando mi sono appoggiata a quella macchina con la mano, l’ho
accidentalmente
graffiata con un’unghia. La cosa più strana
è che nel punto dove l’ho
graffiata, ho rimosso come una sorta di rivestimento.”
“Tesoro,
non ti seguo.” scosse la testa, strizzando gli occhi.
“Quella
macchina era blu, ma in realtà è rossa. Sotto
è rossa, e la macchina che mi ha
investito era rossa!” spiegò convinta.
L’altro
rimase assai perplesso: “E ti sei basata solo su
questo?”
“Chi
altro farebbe una cosa del genere? E’ una copertura,
l’ho vista con i miei
occhi. – insistette - Era come staccare un adesivo.”
“Sai
a chi appartiene questa auto?”
“Julian
Brakner, uno degli insegnanti del tuo liceo.”
Eric
impallidì al suono di quel nome:” Sì,
lo conosco, ma…”
“Ma
cosa? – lo riprese, notando il suo cambio repentino
– Sapevo che avresti
reagito così, visto che non è la prima volta che
sento questo nome. In ospedale
ti ho sentito nominarlo al telefono e l’ho sentito nominare
anche dai tuoi
amici Sam e Nathaniel quando sono venuti a cercare te e Rider al Brew,
qualche
settimana fa.”
“Ti
sarai confusa, stai prendendo fischi per fiaschi.”
cercò di convincerla del
contrario, sperando di farle cambiare idea.
“Che
razza di storia c’è dietro fra voi e lui?
– non si lasciò abbindolare –
Cos’è
che non mi dici? Perché lo so che è stato lui ad
investirmi, ne sono certa.”
La
bloccò nuovamente per le spalle, continuando la recita:
“Alexis, ascolta,
lascia perdere questa tua assurda convinzione. Perché un
professore di liceo
vorrebbe investirti?”
Quella
si svincolò, testarda: “NO, questo non funziona
con me! Julian Brakner mi ha
investita con la macchina e io lo dirò alla polizia,
perciò decidi che
programmi hai per stasera: sei con me oppure no?”
Eric
si lasciò andare, mostrando un’espressione seria e
d’avvertimento: “Lascia
perdere, Alexis. Fidati di me.”
“Ma
allora ho ragione… - indietreggiò di qualche
passo, incredula – C’è qualcosa,
vero?”
“Fidati
di me, ho detto. Lascia stare.” continuò.
“Dammi
una buona ragione, Eric. Una sola. – quello esitò,
deludendola – Ricordi cosa
ti ho detto sul pianerottolo di casa tua, dopo aver fatto i complimenti
a tua
madre per il suo primo giorno da Valeriè? - aveva gli occhi lucidi -
Ti ho detto che
non sono il genere di persona che ama ufficializzare una relazione
quando non è
sicura di ciò che sta facendo. Beh, in quel momento non ero
sicura di niente,
perché c’è questa parte di te che non
mi permette di esserlo e che non mi
permette di capire perché esiste e cosa nasconde.
– le lacrime iniziarono a
scendere copiose, facendo soffrire anche lui – Tuttavia ho
voluto continuare a
crederci, a credere che quella parte misteriosa di te non fosse
così rilevante.
Ma lo è!”
“Alexis,
io…” cercò di dire qualcosa, ma lei non
glielo permise.
“Eric,
continuerò ad amarti e a stare con te; nonostante i segreti,
non si può
smettere di amare qualcuno da un momento all’altro o
pretendere che sia sincero
con te. Io, però, andrò comunque alla polizia:
con o senza di te…A meno che tu
non dica qualcosa adesso.”
Lui,
però, non disse nulla e il silenzio si dilungò.
Alexis non si sentì affatto
sopresa e se ne andò, sotto il suo sguardo malinconico.
*
Era
ormai calata la sera a Rosewood, Nathaniel stava salendo
all’appartamento del
francese. Quando arrivò davanti alla sua porta,
però, fece una scioccante
scoperta; tant’è che dovette chiamare i suoi amici.
Venti
minuti più tardi, Rider, Sam ed Eric stavano uscendo
dall’ascensore. Mentre
Eric camminava avanti a loro, Sam osservava gli abiti di Rider.
“Un
po’ casual per un emergenza, non credi?”
“Ehm,
ho messo la prima cosa che ho trovato.” replicò
con nonchalance.
“Un
paio di Jeans strappati e un cardigan nero sono la prima cosa che si
trova nel
tuo armadio?” sollevò un sopracciglio, perplesso.
“Siamo
venuti qui per Nat o per farmi un terzo grado sulla moda?”
divenne leggermente
suscettibile.
Eric,
intanto, chiamava il nome dell’amico:
“Nathaniel?”
“Sono
al piano di sopra!” si udì
dall’alto.
“Abbiamo
sbagliato piano!” Eric tornò verso i suoi amici,
prendendo con loro le scale.
Finalmente
giunsero da Nathaniel, abbastanza agitato.
“Ma
quanto ci avete messo? – fissò Rider, poi,
stranito – E tu che cavolo indossi?”
Tutti
si girarono a guardarlo, opprimendolo.
“Che
c’è? Tutto d’un tratto volete aprire un
blog sui i miei outfit?”
Eric
preferì passare oltre, tornando a guardare Nathaniel:
“Sì, ok, ma perché siamo
qui?”
L’altro
si tolse da davanti alla porta, rivelando il foglio che vi era
attaccato sopra.
Sam
si avvicinò e lo staccò, poi lo lesse ad alta
voce: “Se Laughlin di prigione
volete far uscire, giocare a nascondino con il
francese sarà divertente da morire. –A!”
“Me
lo sentivo che andava a finire così. –
pensò Eric - Avete insistito troppo con
questa storia di voler aiutare Laughlin.”
“E’
innocente!” ribadì
Nathaniel.
“E’
una pedina di A, Nat. E se A decide che una delle sue pedine deve
stare in prigione, allora resterà in prigione.”
Sam
scosse la testa, incredulo: “Ha ragione Eric, ora abbiamo
solo creato un altro
casino. Cosa credete che farà al francese?”
“Beh,
dobbiamo giocare per scoprirlo. – intervenì Rider
– Dice così il messaggio,
no?”
“Ma
non sappiamo neanche che cosa dobbiamo fare!” aggiunse
Nathaniel.
Un
messaggio arrivò al telefono di Rider. Quelli lo fissarono
tutti con
impazienza, mentre lo leggeva.
Sam
fu il primo a voler sapere: “Beh?
“Mi
ha dato un indirizzo!” spiegò.
“Bene,
andiamo con la mia macchina. – suggerì Nathaniel,
scavalcando tutti - Cerchiamo
di non attirare troppo l’attenzione.”
Eric,
rimasto indietro, fece un commento sarcastico oltre che seccato:
“Ridefinisci Non attirare troppo
l’attenzione, perché
sono due giorni che mi sembra di portare in testa un insegna al neon
con
scritto sopra Arrestatemi, sono
colpevole.”
*
Dopo
essersi aggiornati su ogni cosa, eccetto sul padre di Sam, che
quest’ultimo e
Nathaniel decisero di non rivelare, i ragazzi erano appena giunti a
Scranton:
una città a pochi minuti da Rosewood.
“Che
Anthony sia vivo direi che è da escludere. A
l’ha ucciso e siamo andati al suo funerale.”
mormorò Nathaniel, mentre guidava.
“Ma
Sam ha detto che su quella parete c’era una foto di Anthony
all’interno della
panic room. Come lo spieghi questo?” intervenne Eric, mentre
Rider si teneva
estraneo alla conversazione, voltato verso il vetro del finestrino,
seduto
accanto a Nathaniel.
“Beh,
forse A l’ha
semplicemente ucciso
nella panic room. Questo spiegherebbe perché Rider e Sam non
hanno trovato
alcuna macchia di sangue quando sono andati in stazione a controllare.
– decise
di non volersi mettere in testa questa idea - Anthony non è
vivo, non ho voglia
di impazzire ulteriormente con questa assurda teoria.”
Dubbiosi,
tutti si voltarono verso Rider in cerca della sua solita opinione
risoluta.
Quel silenzio tombale fece voltare il ragazzo, che in
difficoltà, cambiò
discorso.
“Allora
Quentin ha un fidanzato molto forte che vi ha intimiditi?”
esordì con molta
ironia.
Sam
gli lanciò un’occhiataccia, per nulla divertito.
“Che
c’è? – sussultò - Siete voi
che non avete scoperto nulla.”
Eric
smorzò la tensione a quel punto: “Ehm, secondo voi
perché A ci ha fatto
venire fino a Scranton? Quando da piccolo giocavo a
nascondino, gli altri bambini non andavano a nascondersi
così lontano.”
“E’
di A che stiamo parlando.
– commentò
Rider, nuovamente – Probabilmente i bambini che dovremo
stanare sono i pezzi
del francese nascosti qua e là!”
“Rider,
non sei divertente! – Sam gli lanciò
un’altra occhiataccia – A
ha rapito un uomo innocente e tu fai
battute?”
Eric
si unì a Sam nella predica: “Non sembri
più tu dalla sera del ballo, ma che ti
succede?”
Quello
restò lì a fissarli impassibile, mentre Nathaniel
fermava la macchina.
“Ragazzi,
l’indirizzo è questo…” li
avvertì, osservando il posto.
Rider
ne approfittò per scendere immediatamente, in modo da non
dover più sostenere
lo sguardo ancora insistente di Eric e Sam.
“Ma...
– Nathaniel non aveva ancora spento il motore –
Rider, aspettaci!”
“Mi
mette ansia quando si comporta così!”
esternò Sam, aprendo la portiera per
uscire.
Una
volta fuori dall’auto, i ragazzi si avvicinarono a Rider, in
piedi davanti alle
porte della recinzione davanti a cui si fermarono. Nathaniel fece le
sue prime
congetture, guardandosi attorno.
“Ma
questo è un’autodemolizioni.”
“Non
mi piace per niente…” rabbrividì Sam,
vigile con lo sguardo.
Rider
si voltò con un lucchetto in mano: “Ragazzi,
è già aperto!”
Eric
sfilò il catenaccio: “Direi che siamo nel posto
giusto. A ci ha risparmiato la
scavalcata almeno.”
A
quel punto spinsero le porte verso l’interno per avere libero
accesso. Sam,
rimasto dietro di loro, era succube della paranoia.
“Un
secondo, stiamo entrando davvero in questo posto buio?”
Quelli
si voltarono, mentre il polverone si diradava, e fu Rider a
rispondergli.
“Se
non lo facciamo, ucciderà il francese. – si
girò a guardare gli altri due –
O mi
sbaglio?”
Nathaniel
avanzò verso la macchina, passando accanto
all’amico: “Sam, se ti può far
sentire meglio, ho delle torce in macchina.”
“Non
è un po’ di luce in più che mi
farà stare più tranquillo. Parlo di come
potrebbe concludersi questa serata, ho seriamente paura.”
“Abbiamo
paura anche noi, Sam. – disse Eric, mentre Rider annuiva e
Nathaniel frugava
nel bagagliaio – Ma questa cosa riguarda noi quattro, come
sempre. Finchè non
finisce il gioco.”
“Dio,
perché non siamo come le persone
normali…” pensò Sam, volgendo lo
sguardo
altrove, impaurito.
Nathaniel,
intanto, stava tornando con le torce, che distribuì ad
ognuno di loro.
“Ecco,
ora siamo a posto.”
“Io
voglio la torcia da giardino! – Sam gliela prese dalle mani
prima ancora di
riceverla – Fa più luce!”
Nathaniel
accennò un sorriso, cercando di rasserenarlo:
“Tutto quello che vuoi, Sam.”
Rider
spostò lo sguardo tra i due, catturato dal loro rapporto.
Ora
che erano finalmente equipaggiati, si addentrarono in quel posto:
imponenti
cumuli di macchine distrutte, una sopra l’altra, e varie
parti di esse, ne
facevano da scenario.
Più
avanti, dopo aver fatto qualche passo, e le torce puntate ovunque, si
ritrovarono ad un incrocio. Il vento faceva scricchiolare il metallo
delle
vetture e la luna era in alto e brillante.
“Forse
dovremmo dividerci. – suggerì proprio Rider - A non ci da altri indizi e questo posto
è enorme.”
Nathaniel
fu d’accordo: “Sì, forse è
meglio.” e soffermò il suo sguardo su Sam, come se
stesse per chiedergli di unirsi a lui.
Quello
lo intuì e lo precedette, prendendo Eric per un braccio.
“Ehm,
io ed Eric andiamo a vedere da questa parte. –
indicò alle sue spalle - Voi
fatevi l’altro lato.”
“…ok.
– Nathaniel restò spiazzato, così come
Eric – Ci rivediamo qui fra quaranta
minuti?”
Sam
annuì, freddo. Subito dopo, lui ed Eric si staccarono e
Nathaniel restò a
fissarli per qualche secondo, mentre si allontanavano, prima di essere
scosso
da Rider.
“Forza,
andiamo?”
“Si
si… - annuì deluso e imbronciato –
Andiamo!”
*
Mentre
puntavano le loro torce verso ogni angolo o ovunque ci fosse un rumore
sospetto, Eric cercò di capire cosa stesse succedendo a Sam.
“C’è
ancora tensione fra te e Nathaniel?”
“Abbastanza…”
replicò, mantenendosi vigile.
“Sai,
potrei anche abituarmici ad essere la prima scelta di qualcuno. Con
Rider,
però, che problemi hai?”
“Sono
contento che sia riuscito a salvarsi dall’esplosione, ma
ciò non cancella le
parole che ha usato con me quando abbiamo litigato. In più,
è cambiato
radicalmente.”
Eric
riflettè su quanto detto: “Già, sono
d’accordo. Sembra quasi che abbiano
nascosto Rider da qualche parte e che l’abbiano sostituito
con qualcuno che gli
somiglia molto.”
“O
magari è solo bipolare! - esclamò, per poi notare
che Eric non lo stava più
ascoltando e che controllava il telefono con molta apprensione
– Ehi, ci sei?
Va tutto bene?”
L’altro
tornò ad ascoltarlo, uscendo da quello stato:
“Ehm, sì… - ma non riuscì ad
essere credibile – Cioè, non lo so. Prima di
incontrarvi ho avuto una piccola
discussione con Alexis. Mentirle sta diventando sempre più
complicato per me e
lei è troppo in gamba!” spiegò, senza
accennare di cosa avessero discusso.
“Ti
capisco perfettamente. Per colpa delle bugie e di A
ho perso Chloe e ora anche mio padre. E non parliamo di ciò
che
ho fatto a Quentin, mi sono sentito una persona orribile. Il modo in
cui mi
guardavano, era come chiunque guardava…”
“Anthony?”
completò Eric, certo di aver indovinato.
“Non
c’è giorno in cui io mi senta una persona di cui
andare fiero. Vorrei potermi
sentire una persona migliore, ma c’è questa
assurda forza contraria che rema
contro di me.”
“Questa
forza contraria si chiama A. E
quella prima si chiamava Anthony. Non è una forza, ma una
persona: sono le
persone che non ci permettono di essere fieri di noi stessi, ma questo
non è il
tuo caso. Non è il caso di nessuno di voi tre.” si
sfogò, come se odiasse se
stesso per qualcosa.
“Che
vuoi dire?”
“Tu
e Nathaniel siete sempre stati così, anche quando
c’era Anthony: buoni,
altruisti, con le vostre opinioni...Rider, eccetto questo suo periodo
strano, è
anche lui la stessa persona di prima. Mentre io ero la persona che
Anthony
voleva che fossi.”
“Ma
non eri quella persona fino in fondo, fortunatamente.” gli
mise una mano sulla
spalla, cercando di alleviare il suo senso di colpa.
“La
verità è che sono stato debole, mentre voi no.
– si vergognava di se stesso -
Se potessi tornare indietro mi comporterei diversamente,
ma…immagino che sia
inutile fare il gioco dei se e dei ma quando ormai il passato è
passato,
no?”
“Come
hai detto tu, il passato è passato. –
cercò di dimostrargli quanto valesse in
realtà - Non conta più chi eravamo, ma conta chi
siamo riusciti a diventare
oggi. E, credimi, non sono mai stato così fiero di avere un
amico come te in un
momento così buio della nostra vita. – gli sorrise
– Sei la parte straordinaria
che Anthony ha sempre cercato di oscurare.”
Finalmente
anche Eric se ne convinse, sorridendo a tali parole.
“Grazie,
Sam. Mi serviva sentire questo.”
Improvvisamente,
però, furono interrotti dal suono di un telefono. Puntarono
le torce ovunque,
girandosi ad ogni squillo.
“Ma
da dove viene?” chiese Sam, ancora in alto mare.
Eric,
invece, sembrò aver individuato l’origine del
suono: “Quell’auto, in alto! –
volse verso di essa la luce della torcia – Lo senti? Proviene
dal suo interno.”
“Ehm,
sì, lo sento. – si concentrò
– Ma è troppo in alto, come ci
arriviamo?”
L’altro
aveva già in mente qualcosa, consegnando la sua torcia
all’amico: “Mi arrampico
sopra le auto, ok? Tieni la luce puntata su di me, così
riuscirò a vedere dove
mettere le mani.”
“Dev’essere
il telefono del francese, non può aver portato il suo corpo
fin la sù, no?” si
agitò, paranoico, mentre Eric stava già scalando
i rottami.
Nel
frattempo, dall’altra parte della proprietà,
Nathaniel e Rider vagavano con le
loro torce senza successo. Quest’ultimo, però,
sembrò volersi interessare più
al ragazzo che alla ricerca del francese.
“Ehi,
come va con il tuo problema?”
“Problema?
– ripetè, distraendosi – Quale
problema?”
“Quello
con le pillole, no?”
Ora
ricordò: “Ah, sì, scusa. Con tutto
quello che ci succede l’avevo dimenticato.
Ho fatto delle analisi ieri, le ritiro lunedì. Purtroppo
devo tenermi sempre
sottocontrollo, non so se A sta
continuando ancora a farmele assumere.”
“Dev’essere
dura convivere con quello che ti ha fatto. Dopo la nostra lite non ne
abbiamo
parlato molto.”
Nathaniel
preferiva non parlarne, restio: “Ognuno di noi convive con
qualcosa, Rider. Non
facciamone una questione di stato, ora voglio solo trovare Edward sano
e
salvo.”
Vedendolo
seriamente provato, Rider non trovò il coraggio di
aggiungere altro.
*
All’interno
dell’auto, Eric continuava a sentire il telefono squillare,
ma non capiva dove
fosse. Continuava a frugare ovunque, mentre Sam teneva ancora la luce
puntata
verso di lui.
Improvvisamente,
quest’ultimo udì come un suono meccanico, che lo
costrinse a scrutare altrove e
a distogliere la sua attenzione dall’amico: un braccio
meccanico spuntò al di sopra
della vettura in cui si trovava Eric.
“Oh
mio Dio… - Sam puntò la luce su di esso,
avanzando – Eric, esci dall’auto!”
iniziò ad urlare.
L’altro,
distratto, trovò finalmente il telefono, nascosto sotto ad
uno dei sedili.
Subito rispose.
“Pronto?
– sperò di aver preso la chiamata in tempo
– Edward?”
“Ritenta!” rispose
una voce camuffata.
Eric
intuì immediatamente chi gli stava
parlando: “…Dove l’hai
portato?”
“Avete
venti minuti per
arrivare al prossimo indirizzo. Se il francese muore, la prossima
è Alexis.”
A
quel punto, Eric non ci vide più e fu
minaccioso: “Brakner, se sei tu…”
“Se
non esistessero gli
specchi ti userei come riflesso della mia immagine.” concluse
A, chiudendo la chiamata in maniera criptica.
“Pronto???
– tolse il telefono dall’orecchio, urlando
– Stronzo!”
Il
messaggio arrivò, con scritto l’indirizzo. Eric si
apprestò ad uscire dalla
macchina, ma all’improvviso tutte le porte furono bloccate.
Sam,
intanto, si stava arrampicando pur di farsi sentire: “Eric,
devi uscire! – urlò
anche agli altri – Nathaniel, Rider, aiuto!”
L’altro
cercava di aprire in vano la portiera, battendo la mano contro il
vetro,
scrutando Sam più in basso. Il braccio meccanico
agganciò la macchina e quella
tremò, facendo cadere Eric sui sedili.
A
bocca aperta, fermandosi nella scalata, Sam vide l’auto
sollevarsi in aria;
quel braccio la stava trasportando all’interno di una pressa,
proprio lì
accanto.
Quando
realizzò cosa stesse per accadere, cercò di
scendere.
“EERIC!”
urlò, per poi cadere.
Rider
e Nathaniel che avevano sentito le urla, giunsero sul posto.
Quest’ultimo si
avvicinò a Sam, sdraiato a terra con una gamba ferita e che
sanguinava.
“Sam,
ma che succede?”
“A vuole schiacciare Eric nella pressa,
fermatelo!” indicò la pressa, mentre soffriva per
la sua gamba.
“Come
fermiamo una pressa? – Nathaniel, inginocchiato vicino a Sam,
sgranò gli occhi,
fissando Rider – Ci saranno dei comandi, no?”
“Ci
penso io!” esclamò Rider, correndo verso la gabbia
di comando della pressa.
L’auto con dentro Eric era ormai all’interno del
macchinario e veniva
schiacciata lentamente. Si poteva sentire il metallo accartocciarsi.
Arrivato
davanti ai comandi, Rider sembrò sapere cosa fare:
“Tasto rosso e giallo, poi
giro la chiave…” ed eseguì.
La
pressa fece uno strano rumore, subito dopo, fermandosi di colpo. Rider
alzò lo
sguardo su di essa, sorridendo quando notò che la parte
superiore si stava
riaprendo.
Un
messaggio arrivò al suo telefono.
“Ottimo
lavoro, Nolan.”
-A
Dopo
essersi rimesso il telefono in tasca,
contento di aver soddisfatto A,
scese dal gabbiotto e corse davanti alla pressa.
Poco
lontani da lui, Nathaniel si sincerava
delle condizioni di Eric: “Sta bene? E’
vivo?”
Rider,
che a questo punto non era lui ma
qualcuno di nome Nolan, scosse la testa, provando a chiamarlo:
“Eric, stai
bene?”
Improvvisamente,
quello fece spuntare fuori
la sua testa, uscendo dal finestrino e salendo sul tettuccio.
“Sto
bene, sto bene. – rispose abbastanza
scosso - Ma ci è mancato poco!” riprese fiato, per
poi saltare giù, accanto a
Rider.
“Sicuro
di stare bene?” continuò Nolan,
mentre camminavano verso gli altri due.
“Sì,
ho detto che sto bene. – era teso - Ora
dobbiamo pensare al francese, abbiamo meno di un quarto d’ora
per raggiungere
il prossimo indirizzo, oppure lo ucciderà e
passerà ad Alexis. Me l’ha detto al
telefono, aveva la voce modificata.”
“Un
altro?
- Sam non credette alle sue orecchie, reggendosi su
Nathaniel –
Lasciatemi qui, vi farei solo perdere tempo.”
aveva una fasciatura alla gamba, fatta con un pezzo
strappato dal suo
stesso pantalone.
Nathaniel,
allora, lo prese in braccio,
contrario: “La natura non mi ha donato questo corpo per
abbandonare gli amici
quando sono feriti.”
I
due si guardarono: Sam leggermente a
disagio da distogliere subito il suo sguardo.
Eric
si avvicinò e gli mise una mano sulla
spalla, riconoscente: “Grazie per aver cercato di avvisarmi.
– poi si rivolse a
tutti –
Ora, però, dobbiamo sbrigarci.
Guido io.”
Nathaniel
li passò le chiavi, mentre Nolan
continuava ad assistere ai loro momenti di unità, in
disparte.
*
Il
vero Rider, a questo punto prigioniero altrove, aprì gli
occhi da quello che
sembrava essere stato un lungo sonno: un soffito bianco era tutto
ciò che
vedeva, sopra la sua testa. La vista era poco nitida, la mente
stordita. Il suo
sguardo scese lentamente verso il basso, sul proprio corpo disteso sul
letto.
Cercò di alzare le braccia, ma quelle erano come bloccate:
notò dei centurini
ai polsi.
Schiarì
la voce, quasi non riusciva a parlare in quella stanza così
cupa e le sbarre
alle finestre: sembrava un ospedale, visti il camice che aveva addosso
e i
comodini d’acciao accanto al letto.
Qualcuno
improvvisamente entrò nella stanza: un uomo con la divisa
verde addosso e un
vassoio con sopra dei medicinali. Sembrava un infermiere da come si
presentava.
“Ti
sei svegliato, eh?”
Rider
riuscì a dire qualcosa finalmente, assai debole e confuso:
“Dove sono? Che
cos’è questo posto?”
“Anche
ieri hai detto la stessa cosa, prima di scoppiare in una crisi
isterica.” si
sedette accanto al suo letto, poggiando il vassoio sul comodino.
Cercò
di liberarsi, alzando ripetutamente i polsi: “Un momento, mi
avete drogato di
nuovo?” si ricordò di cosa era successo il giorno
prima.
“Sta
calmo, ti abbiamo dato solo qualcosa per fermare le tue crisi.
– spiegò,
preparando le pillole da farli ingurgitare - Non appena i dottori
vedranno che
stai meglio, decideranno se toglierti quei cinturini.”
“Ector
Sherman…” abbassò lo sguardo, leggendo
il suo nome sul badge identificativo.
“Sì,
mi chiamo così. – gli sorrise, mettendogli la
pillola in bocca – Un consiglio:
cerca di fare il bravo o non ti faranno tornare nella sala ricreativa
con gli
altri.”
Ora
gli fece bere un sorso d’acqua. Rider continuò a
guardarsi attorno, spaventato.
“Voglio
uscire, non mi piace stare qui dentro.”
Ector
si alzò dalla sedia, pronto ad uscire.
“Te
l’ho detto: non andare fuori di testa e potrai tornare nella
sala ricreativa.”
gli sorrise ancora una volta, per poi uscire e chiudere a chiave.
Rider
lasciò passare qualche secondo prima di iniziare a tirare i
polsi fuori dai
cinturini più forte che poteva. Posizionò le dita
in un certo modo, affinchè la
mano potesse rimpicciolirsi e scivolare fuori.
Dopo
aver insistito per più di dieci minuti, riuscì
finalmente a liberarsi. Le sue
mani erano rosse, ferite e livide, il suo respiro affannato. Quando
mise i
piedi a terra e si alzò in piedi, sputò la
pillola. La osservò, poi, notando
che aveva qualcosa di strano: era tempestata di lettere A
in rosso.
Vide
anche che c’era una linea in mezzo alla pillola. Poteva
letteralmente separare
le due estremità, e lo fece, rivelando un minuscolo
bigliettino arrotolato.
“Sapevo
che non l’avresti ingoiata, benvenuto al Radley. Sotto al
materasso ti ho lasciato un piccolo regalo.”
-A
“Radley…”
Rider incantò il vuoto, riflettendo sul nome di quel luogo.
Subito
dopo, scosse la testa e si diresse verso la porta, cercando di aprila:
ovviamente invano.
Cercando
di tenere i nervi saldi, si grattò la fronte e finalmente si
voltò a guardare
il letto. Come ordinato da A, lo
sollevò e con grande sorpresa ci trovò un
portatile.
Immediatamente
lo recuperò e poi se lo mise sulle ginocchia. Lo accese: era
tutto nero.
Un
messaggio, all’improvviso, apparve al centro della schermata.
“Possiamo
comunicare tra noi, ma tu non puoi comunicare con
l’esterno.”
Rider
provò a scrivere qualcosa.
“Sono
in un manicomio, vero? Perché mi hai
portato qui?”
“Avrai
più risposte qui dentro che lì fuori. La cosa ti
interessa?”
“Che
vuoi dire? Basta giochetti, arriva al
punto.”
“Una
partita a scacchi. Una al giorno. Se mi batti, ti darò
qualcosa in cambio.”
“Chi
ti dice che so giocare?”
“Sai
giocare.”
“Chi
è la donna con l’impermeabile rosso che
c’è in quella foto che ho trovato?”
“Non
funziona così.”
“Perché
sono qui dentro?”
“I
ladri vanno puniti, non lo sai?”
“Anche
gli assassini!”
“Touchè!”
“D’accordo,
accetto la sfida.”
“Non
che tu abbia scelta…”
*
Alla
centrale di polizia, il detective Costa si trovava ancora nel suo
ufficio;
deteneva tutti i casi irrisolti di Rosewood dalla notte
dell’esplosione.
Con
i fascicoli sotto i suoi occhi, in particolare quello di Albert, non
riusciva a
capire quale mistero si nascondesse dietro a tutto ciò.
Improvvisamente,
il tenente Jacobson irruppe nella stanza, dopo aver bussato: aveva un
fascicolo
tra le mani.
Michael
alzò lo sguardo: “Buonasera, tenente.”
“Vedo
che sei ancora all’opera… –
notò – Ti porto alcune
novità!”
“L’autopsia
sul corpo del presunto Albert Pascali?”
“Non
più presunto, a quanto pare. – spiegò,
sedendosi davanti alla sua scrivania –
E’ Albert Pascali!”
Gli
passò il fascicolo, finalmente. Costa iniziò a
sfogliarlo immediatamente,
mentre quello continuava.
“Sono
davvero senza parole su quanto è stato scoperto. Questo
è un caso assai
interessante!”
Michael
mostrò già le sue prime smorfie da
perplessità: “La stima della morte risale ad
almeno due mesi fa… - controllò immediatamente la
data della scomparsa
nell’altro fascicolo – E coincide perfettamente con
il periodo della
scomparsa.”
“Il
ragazzo dev’essere morto subito dopo essere sceso da
quell’auto.”
“Non
è possibile che non ci sia un’inquadratura che
mostri la targa o chi ci sia
dentro l’auto!” trovò assurdo.
“Sono
le telecamere di un supermercato, che ti aspettavi? In più,
l’auto in cui era
dentro il ragazzo era assai lontana da quella telecamera e le luci dei
lampioni
erano molto deboli.”
“Ok,
un secondo. – trovò altre stranezze nel referto
medico – Qui dice che il corpo
presenta numerose fratture e aggiunge che la vittima è stata
sicuramente
investita da un’auto, prima di essere bruciata.”
“E
anche di questo presunto incidente, non c’è alcun
filmato da nessuna telecamera
della città.” aggiunse il tenente.
“Tutte
cose avvenute in un punto cieco, dove non ci sono le
telecamere.” trovò
sospetto.
“Cosa
ne pensi, allora?”
Quello
incantò il vuoto, riflettendo: “Anthony e Kevin
Dimitri sono morti quella
stessa notte, no? Quella in cui Albert è
scomparso…”
“E
sono morti bruciati!” precisò.
“A
questo punto c’è un collegamento
evidente.”
Entrambi
si guardarono negli occhi, pensando alla stessa cosa.
Il
tenente, però, fu il primo a proferire parola in merito:
“Hai già verificato
l’alibi dei quattro ragazzi?”
“Sono
stati confermati, ma fondamentalmente non sono abbastanza forti. Di
loro si
ricorda il proprietario del Rumors club,
ma non mi è sembrato molto affidabile. Stessa cosa per Sam
Havery: l’amica può
aver mentito per proteggerlo e anche suo padre ha confermato che era a
casa
quella sera.”
“Conosco
Carter, non mentirebbe mai su una faccenda così delicata. Sa
che peggiorerebbbe
solo le cose.”
“Un
figlio rimane sempre un figlio. Anche se hai la divisa!”
Michael
abbassò nuovamente lo sguardo sulla sua scrivania, piena di
fogli, fascicoli e
foto. Quel caos lo infastidì a tal punto da lamentarsi:
“Così non riesco a
lavorare, accidenti. Ho bisogno di portare tutto a casa e attaccare
questa roba
ad una parete, fare dei collegamenti, avere un quadro ben dettagliato e
compatto.”
“Sono
d’accordo con te, Michael. Porta tutto a casa e lavoraci
sopra. Domani mattina
ne riparleremo.”
L’altro
chiuse immediatamente tutto, ammucchiando i fascicoli uno sopra
l’altro, pronto
ad alzarsi. Il tenente aveva ancora una domanda per lui.
“Esattamente,
di cosa stiamo accusando questi quattro ragazzi?”
“Di
niente, per ora. Ma se ti dovessi rispondere in base a ciò
che penso, ti direi
omicidio!”
“E
a cosa hai pensato?”
“Il
corpo presenta delle fratture, no? Mi fa pensare che il ragazzo sia
stato
investito, come suppone anche il medico legale. E alla guida di questa
macchina
potevano esserci loro.”
Il
tenente rise: “Non ha senso, perché avrebbero
dovuto far ricomparire il corpo
quando Pascali era per tutti scomparso? L’avevano fatta
franca, ormai. Nessuno
è così stupido da tirarsi la zappa sui
piedi.”
Costa
tentennò, ma aveva già una risposta da dargli:
“Forse c’è un testimone che si
cela nell’oscurità e che sta remando contro di
loro per portare a galla la
verità.”
“E
totalmente assurdo! E che collegamento ci sarebbe con
l’omicidio dei Dimitri?”
“Beh,
il fuoco!” replicò, avvicinandosi alla porta.
“Non
ti seguo, il coroner ha trovato sulla scena del crimine solo due
cadaveri e non
tre.”
“Dammi
un po’ di tempo per capirci qualcosa, poi ti
esporrò meglio il mio quadro
generale… - si apprestò ad uscire, ma si
fermò per un’ultima cosa – Ah, mi
serve una copia del registro delle visite a Jasper Laughlin. Si trova
nel
penitenziario di Philadelphia, giusto?”
“Ehm,
sì, si trova lì. Te lo farò
avere.” rispose abbastanza disorientato,
chiedendosi cosa avesse in mente.
“Ok!”
ribattè sollevando le sopracciglia, misterioso, uscendo con
i suoi casi
sottobraccio.
*
Dopo
aver girato per Screanton con
l’indirizzo impostato sul navigatore, il gruppo sembrava
essere quasi giunto a
destinazione. Mentre Eric guidava con Rider accanto, Sam teneva la
gamba ferita
distesa sulle ginocchia di Nathaniel.
Quest’ultimo
lo stava fissando e Sam se ne
accorse nel momento in cui incrociò il suo sguardo,
sentendosi nuovamente a
disagio.
“Smettila,
per favore.” bisbigliò, abbassando
lo sguardo gradualmente.
“Come
sta la tua gamba? - lo ignorò,
rivolgendosi a lui premuroso - Fa ancora male?”
“Fa
male!” sollevò le sopracciglia,
sottilineando qualcosa che non c’entrava solo con la sua
gamba ma anche con il
loro rapporto.
Nathaniel
capì, abbassando lo sguardo. Nolan,
intanto, guardava la strada ma in realtà era più
concentrato ad ascoltarli e a
capire come erano fatti.
“Ci
siamo! – annunciò Eric, parcheggiando –
Questo è l’indirizzo che mi ha dato A…”
controllò l’orologio, subito dopo aver spento il
motore.
Il
gruppo si guardò intorno attraverso il
vetro dei loro finestrini, abbastanza spaesati.
“Ma
questa è una strada di negozi tutti
chiusi, non c’è nessuno.”
pensò Sam.
Nolan,
però, fece notare loro qualcosa:
“C’è
un vicolo laggiù! Di solito non ci sono dei cassonetti nei
vicoli?”
“Aspetta,
intendi dire che troveremo il
francese in un cassonetto? – Nathaniel sobbalzò
lievemente – Rider, nei
cassonetti ci metti un corpo e non una persona viva!”
Eric
preferì non perdersi in chiacchiere e
aprì la portiera: “Sentite, non
c’è più tempo. Troviamo il francese o
Alexis è
la prossima!”
Nolan
lo fermò per il braccio: “Forse
dovremmo entrare in quel vicolo con la macchina, non credi?”
“Ma
è proprio qui davanti, Rider.”
“Sì,
ma se A avesse una pistola e
questa fosse una trappola? Mi sentirei più
al sicuro in macchina.” spiegò.
Nathaniel
si trovò subito d’accordo con lui:
“Sì, ha ragione. E poi Sam non può
sforzarsi troppo.”
A
quel punto, Eric richiuse la portiera e si
lasciò convincere dai suoi compagni. Nel giro di un istante
erano già dentro a
quel vicolo, la macchina che marciava lenta e i loro occhi fissi
ovunque.
“Rider
aveva ragione, c’è un cassonetto alla
fine della strada…” commentò Nathaniel,
mentre Eric fermava l’auto.
“Direi
che possiamo proseguire a piedi!”
suggerì quest’ultimo.
Ma
non potè fare un movimento che tutti i
telefoni vibrarono contemporaneamente. Dopo essersi scambiati uno
sguardo
agghiacciato, finalmente lessero il messaggio.
“Forse
è meglio restare in macchina: si prevedono precipitazioni!
Tranquillo Eric, non farò nulla ad Alexis se sai come
tenerla a bada.”
-A
“Eric,
di che sta parlando?” gli domandò
Nathaniel.
Quello,
allora, pensò di vuotare finalmente
il sacco sulla denuncia che voleva sporgere Alexis: “Ehm,
lei…”
Ma
non potè continuare, perché
improvvisamente qualcosa fece impatto contro il tettuccio
dell’auto,
costringendo tutti ad abbassare la testa per lo spavento.
“Cosa
diavolo è stato?” urlò Sam, cercando di
riprendere fiato, incontrando gli occhi sgranati e confusi dei suoi
compagni.
Eric
scese immediatamente a vedere, seguito
da Nolan e Nathaniel. I tre si trovarono davanti a qualcosa per cui non
si
erano preparati, restando letteralmente scioccati: il corpo del
francese
completamente insaguinato, disteso a braccia aperte sul tettuccio e a
pancia
su.
Sam,
rimasto in auto, riusciva perfettamente
a scrutare i loro volti e a chiedersi cosa stessero guardando con
così tanto
terrore.
“Che
cos’è?” domandò, atterrito.
Eric
fu l’unico a rivolgergli lo sguardo, non
sapendo cosa dire. Sam si girò a guardare il parabrezza,
dove stava colando del
sangue lungo il vetro. A quel punto, non fu poi così
difficile intuire quale
sarebbe stata la risposta e così si mise una mano sulla
bocca.
Nathaniel
riuscì a tornare in sé, alzando
subito la testa e vedendo un cappuccio nero affacciato alla terrazza
dell’edificio.
“E’
ancora lì sopra!” urlò con gli occhi
colmi di rabbia, per poi salire sulla coda dell’auto e
arrampicarsi sulla scala
antincendio.
“Nathaniel,
NO! - cercò di fermarlo Sam,
aggrappandosi alla portiera – Eric fermalo!”
E
quello non perse tempo, mentre Nathaniel si
trovava già in alto.
SCENA
FINALE
Al
Radley, nel cuore della notte, Rider stava
intraprendendo la prima partita a scacchi contro A.
Seduto davanti al computer, nella sua stanza, aveva appena
vinto.
“Non
è stato così difficile batterti. Ora
dovrai darmi qualcosa in cambio, come promesso.”
Gli
scrisse, attendendo la sua risposta.
“A
volte vincere è come perdere.”
“Basta
giochetti, dammi quello che voglio. Ho
vinto, voglio delle risposte.”
A
non
rispose più, ma dopo qualche secondo si
aprì una schermata con quelle che sembravano essere due
opzioni tra cui
scegliere: una era la foto di Anthony e l’altra era la foto
di Rider.
“Te
l’ho detto, non sempre vincere è positivo: vuoi
scoprire
qualcosa sul passato di Anthony o sul tuo passato?”
“Dov’è
il tranello?”
“Il
passato che sceglierai di non scoprire non ti verrà
più
rivelato. Per questo vincere non è sempre positivo. Ora
scegli!”
“E
chi ti dice che sceglierò il mio passato e non quello di
Anthony? ”
“Avanti,
non ti sei
ancora chiesto come mai nessuno ha capito che non sei un paziente del
Radley? Ti
trattano come se fossi lì da sempre, come se la tua faccia
non fosse nuova. C’è
qualcosa sotto e tu lo sai.”
Combattuto
dalla scelta, una delle due
opzioni avrebbe potuto allontanarlo o avvicinarlo alla risoluzione del
mistero.
Tuttavia, A aveva ragione: Rider
sentiva che c’era qualcosa che non quadrava nel suo passato.
Finalmente,
poi, prese una decisione e iniziò
a spostare la freccia verso una delle due foto.
Era
fatta: aveva scelto. La schermata
scomparve e ora Rider voleva delle risposte.
“Ho
scelto! Ora dammi ciò che voglio sapere.”
“Ops,
non te l’ho detto? L
La partita di oggi era
solo per vincere la possibilità di scegliere. Per scoprire
qualcosa su ciò che
hai scelto devi battermi di nuovo anche domani e…non
sarà facile come oggi
sconfinggermi. Sogni d’oro!”
-A
E
dopo questo ultimo messaggio, il computer
si spense di colpo, lasciando Rider con il fiato sospeso e gli occhi
sgranati.
Provò a riaccenderlo, pigiando sul tasto di accensione
più e più volte,
disperato. Quando si rese conto che A
aveva il totale controllo di tutto, diede un colpo al tavolo con un
pugno.
CONTINUA
NEL DODICESIMO CAPITOLO
*
|
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Capitolo 13 *** 1x13-Assassini in libertà ***
CAPITOLO TREDICI
“EscApe
From
Rosewood”
Rientrati
nel loro appartamento, Alexis gettò le chiavi sul tavolo
della cucina. La luce
dei lampioni in strada illuminavano il pavimento e un angolo di parete,
penetrando dalla finestra. Lei era a dir poco indignata, continuando a
rimettersi i capelli dietro alle orecchie.
“E’
assurdo che la polizia l’abbia lasciato andare via
così. So cosa ho visto la
sera del ballo, era la sua auto!”
Eric
aveva appena chiuso la porta, non sapeva come reagire: “Forse
ti sei sbagliata
sull’auto. – si avvicinò alle sue
spalle, grattandosi il capo - Avevi
leggermente bevuto, no?”
Quella
si girò di scatto, incompresa: “Direi che mi stai
confondendo con Tasha, perché
era lei quella ubriaca. – lo fulminò con lo
sguardo, furibonda – Io ero
perfettamente lucida e ho visto il numero di targa: quella macchina
apparteneva
a Julian Brakner, non ci sono dubbi!”
Eric
abbassò lo sguardo, non sapendo cosa dirle, combattuto dalla
verità che non
poteva rivelarle. A quel punto, le sembrò palese cosa stesse
accadendo.
“Perché
mi sento stupida in questo momento? – agitò le
braccia, allibita – Perché mi
sembra di essere in piedi su un palcoscenico con tutti che mi ridono in
faccia?”
“Alexis,
troveranno chi ti ha investita. – cercò di fare un
passo avanti, ma lei ne fece
uno indietro – So che sei ancora legata a questa vicenda e
che non riesci a
darti pace, ma…”
Senza
farlo continuare, Alexis lo interruppe con tono aggressivo:
“Certo che sono
ancora legata a quella vicenda, Eric. Ho quasi rischiato di rimanere su
una
sedia a rotelle e ho perso il mio posto al Brew, che per me era vitale
visto
che non navigo nell’oro.”
“Ok,
ma adesso hai trovato un nuovo lavoro e vivi con me. Ho di nuovo la
macchina,
posso portarti dove vuoi e quando vuoi. Possiamo superarla questa
cosa.” le
spiegò, cercando di calmarla.
“E
vuoi comprarmi anche un gelato già che ci sei?”
replicò cinica.
“Come?”
“L’hai
avvertito tu, vero?” divenne seria, con tono accusatorio.
Quello
scosse la testa, confuso: “Alexis, vuoi spiegarmi cosa
diavolo stai facendo
ora? Avvertito chi?”
“Hai
contattato Brakner? Gli hai detto di fare una magia alla sua auto per
scamparla?”
“Alexis,
stai diventando paranoica.”
“Non
sono paranoiaca, ok? – urlò – Il giorno
prima mi vieti di andare alla polizia e
quello dopo ti offri di accompagnarmi e sarei io la pazza? Voglio
sapere che
cosa diavolo sta succedendo tra te e quell’uomo!”
“Niente!”
ribattè più forte.
“Niente,
dici? Perché vietandomi di andare alla polizia ieri,
probabilmente gli hai dato
tutto il tempo di fare qualcosa alla sua macchina e farmi passare per
una folle
visionaria con la polizia.”
“Alexis,
ci ho semplicemente ripensato dopo una notte di sonno. Tra me e
quell’uomo non
c’è assolutamente nulla. Ti sei solo
sbagliata.” ribadì, nonostante non
risultasse molto credibile ai suoi occhi.
Quella
allora accennò un sorriso cinico:
“D’accordo, va bene. Sai che ti dico? Vado a
farmi una doccia e non ne riparliamo più. - si
avvicinò davanti a lui, mettendo
la bocca vicino al suo orecchio. – Solo… non dirmi
che mi sono sbagliata. Io
non mi sbaglio mai.” e se ne andò silenziosamente,
lasciandolo a fissare il
vetro della finestra, imbalsamato, l’atmosfera frigida.
*
Sam,
intanto, era davanti alla porta di un appartamento: il 3B. Aveva appena
bussato
e teneva la testa rivolta verso il basso e gli occhi chiusi.
“Cosa
sto facendo, cosa sto facendo, cosa sto facendo…”
si ripeteva continuamente,
sottovoce.
Improvvisamente
la porta si aprì, Sam alzò la testa: era Wesam.
L’uomo
fu sorpreso di vederlo davanti alla porta di casa sua;
tant’è che sgranò
leggermente gli occhi. Indossava solo i pantaloni del pigiama, il petto
nudo.
I
due si guardarono a lungo e Sam lo fece in maniera intensa, lasciando
trasparire dell’odio nei suoi confronti attraverso lo
sguardo. L’attimo dopo gli
tirò uno schiaffo.
Wesam
si mise una mano sulla guancia, restando con il volto girato, mentre
Sam aveva
la bocca e gli occhi spalancati per il gesto che aveva compiuto senza
essersene
reso conto, preso dall’impulsività.
Finalmente
Wesam si voltò a guardarlo, ma non sembrava per nulla
sorpreso di quel gesto.
Sam aveva gli occhi lucidi ora.
“Come
hai potuto farmi questo? Pensavi che non l’avrei mai
scoperto?”
Wesam
deglutì, prima di parlare: “Non sono io che ti ho
fatto questo. E’ stato tuo
padre.”
“So
perfettamente che è stato mio padre a chiederti di scoprire
cosa stessi
nascondendo. – non riuscì più a
guardarlo negli occhi, la voce rotta – Ma
pensavo di essere molto di più che un tuo paziente, o almeno
così mi hai fatto
credere.” spiegò, andosene via di getto, non
riuscendo più a stare dinanzi a
lui.
Wesam
lo rincorse per il corridoio, fermandolo per un braccio.
“Sam,
per favore!”
Quello
si voltò: “Per favore, cosa? – si
asciugò le lacrime con una mano, furente –
Hai usato la scusa di avermi salvato la vita per poter creare un legame
con me.
Hai fatto in modo che ti vedessi sotto un’altra luce, che
provassi qualcosa.
Volevi che cedessi a te e ci sei riuscito! Mi hai baciato! –
una lacrima gli
scese lungo il viso – E hai fatto tutto questo per rendermi
vulnerabile. Era
tutta una bugia.”
Sofferente
in volto, Wesam cercò di aggiustare le cose: “Sam,
mi dispiace tantissimo. – lo
fissò negli occhi - Non immaginavo che dopo aver accettato
la proposta di tuo
padre, mi sarei affezionato a te in questo modo.”
Sam
indietreggiò, scuotendo la testa dopo essersi incantato per
le sue parole: “No,
smettila. Smettila di fare quello che stai cercando di fare. Non mi
inganni più
ora che ho scoperto la verità.”
Wesam
allora gli prese le braccia, trattenendolo: “Posso aver
mentito sullo scopo di
quelle sedute, ma non su quello che ti ho detto la scorsa volta.
– spiegò, un
volto sincero – Prima di addormentarmi penso solo a te, come
se la mia mente
volesse tormentarmi. E tutto questo è sbagliato,
perché non dovrei pensare a te
ma ti penso. – ora era a disagio e gli tremava la voce
– Domani mattina
telefonerò a tuo padre e gli dirò che non voglio
più continuare.”
Disorientato
da quelle parole, anche a Sam tremò la voce: “Non
hai idea di quello che stai
dicendo, secondo me. E’ il senso di colpa che ti sta facendo
dire questo.”
Quello
gli prese il viso, poi lo lasciò, poi lo riprese nuovamente:
“Io credo di
essermi innamorato di te. – gli sussurrò, la
fronte sudata – Anzi, SONO
innamorato di te. Poi realizzo che hai solo diciasette anni e che non
posso
essere innamorato di te, ma sono innamorato di te. – si
staccò da lui,
rendendosi conto che era una follia e che Sam lo fissava scioccato
– Scusa,
scusami tanto. Non so cosa mi stia succedendo.”
Sam
non sapeva come reagire, imbalsamato: “Wesam, se questa
è tutta una recita…”
“Quando
ti ho baciato non è stata una recita. E non lo sono nemmeno
queste parole. Io
provo davvero qualcosa per te, io sento di…”
Ma
non ebbe nemmeno il tempo di finire che, con un passo rapido, Sam si
avvicinò a
lui e lo baciò. Impulsivo, strinse le sue braccia attorno al
suo collo, mentre
Wesam lo stringeva più basso e lo teneva sollevato da terra.
L’uomo
indietreggiò fino a dentro il suo appartamento, mentre
ancora si stavano
baciando. La porta poi si chiuse.
Più
tardi, i due erano a letto. Sam aveva la mano sopra il suo petto e la
testa
poggiata alla sua spalla. Entrambi avevano gli occhi aperti, che
fissavano un
punto qualsiasi della stanza.
Wesam
aveva il braccio intorno al suo collo e iniziò ad
accarezzargli i capelli da
dietro l’orecchio.
“Era
la tua prima…??” sussurrò.
“Forse…
- rispose in maniera distaccata – Si…”
ammise, mettendo giù la corazza.
“Ah…
- Wesam restò leggermente interdetto, imbalsamato in quella
posizione – Beh,
sei molto maturo per la tua età.”
“Stai
cercando di minimizzare il fatto che sei andato a letto con un
minorenne?”
sollevò la testa, guardandolo negli occhi con fermezza.
“Potrei
dire che è stato uno sbaglio, ma non lo dirò. Non
sono pentito di quello che è
appena successo, ma…”
L’altro
abbassò la testa, deluso nel tono:
“…Non deve più riaccadere. Ho
capito.”
Wesam
allora gli prese il mento e gli sollevò nuovamente la testa
per fissarlo dritto
negli occhi: “Non è giusto, Sam. E tu lo
sai.”
“Io
ti odio. Eppure ti desidero così follemente da dimenticare
che ti odio: QUESTO
non è giusto. I sentimenti non sono giusti. Il tuo odore, il
tuo modo di guardarmi,
le tue parole che sembrano sincere non sono giuste.”
“Se
solo avessi qualche anno in più…”
sospirò.
Sam
si sollevò di getto, sbuffando irritato: “Ecco la
parola chiave!” si mise a
recuperare i suoi vestiti dal bordo del letto.
Wesam
si chinò in avanti e lo tirò a sé,
prendendolo dalle spalle: “Non è la parola
chiave, è la realtà!”
“Quindi
mi porti a letto e poi ciao, tanti saluti? Però fino a poco
fa non ti
preoccupavi della realtà mentre mi baciavi e facevi
l’amore con me.” si
svincolò dalla sua presa, mettendosi addosso la maglietta e
alzandosi.
Con
il lenzuolo che lo copriva fino a sotto l’ombelico, Wesam si
difese: “Ok, io
provo qualcosa per te. Ma tu provi davvero qualcosa per me? O
è semplicemente
il fascino del giovane psicologo che fa impazzire i
ragazzini?”
In
piedi che dava le spalle, Sam deglutì a braccia conserte.
Rimase in silenzio a
fissare verso il basso, colto di sorpresa da quella domanda che lo mise
alle
strette.
“Lo
vedi? – ne ebbe conferma - Sono solo un giovane e
affascinante psicologo per
te. Ti sembra di provare qualcosa, ma in realtà è
solo l’infatuazione del
momento.”
A
quel punto, Sam si voltò e fu sincero: “La
verità è che piace molto un ragazzo,
ma ultimamente il sentimento che provavo per lui si è
spezzato. Le sedute con te
sono sempre state intense, ma non ho mai pensato a te in quel modo
finchè non
mi hai baciato. Poi non ho nemmeno avuto il tempo di metabolizzare la
cosa che
già mi avevi fatto del male; però, se ci penso,
non mi avrebbe fatto così male
se dentro di me non provassi già qualcosa per te da
tempo.”
Ora
fu Wesam a deglutire con fatica, nello scoprire che forse i suoi
sentimenti
erano ricambiati: “Beh, non si può stare con un
piede in due scarpe.”
“Però
hai chiarito che la tua scarpa non è disponibile. Se lo
fosse, cercherei di
capire meglio cosa provo realmente. – spiegò
– Forse sei una delle poche
persone che mi ha capito davvero e che sa come attirare la mia
attenzione.”
I
due si guardarono negli occhi a lungo. Wesam, però,
continuò a guardare in
faccia alla realtà.
“Non
posso rendere disponibile la mia scarpa, Sam. –
abbassò lo sguardo, mortificato
– Sono troppo grande per te, non possiamo metterci a giocare
agli appuntamenti
segreti. Non dovrei permettere che questa cosa continui. Non dovevo
nemmeno
permettere che iniziasse.”
Sam
si avvicinò di più al letto, cercando di non
mollare quello spiraglio di
possibilità: “Wesam, ho poco più di un
anno di liceo ancora: non è molto, se ci
pensi. Perché negarci qualcosa che forse vogliamo
entrambi?”
“Continui
a dire forse, quando le mie idee sono assolutamente chiare: ti voglio,
ma non
posso. Mentre tu non sai cosa vuoi e agisci impulsivamente in base ai
tuoi
stati d’animo.”
“Sarò
anche confuso, ma in questo momento tu sei riuscito a darmi quello che
lui non
mi ha potuto dare.”
“E
cosa ti avrei dato?”
“Sicurezza!
– rivelò, lasciandolo perplesso - Ogni volta che
sono con te, specialmente
stasera, sento di essere al sicuro con te. Mi sento protetto, ed
è una bella
sensazione.”
“Sicurezza
per cosa? Perché hai bisogno di essere protetto? –
cercò di capire - Dimmi in
cosa sei coinvolto, dimmi cosa ti tormenta e ti aiuterò.
Puoi parlare con me,
Sam.”
L’altro,
combattuto, si girò nuovamente dall’altra parte,
spaventato a morte: “Credimi,
voglio dirtelo. – si comprì il viso con le mani
per poi farle scivolare fino ai
capelli - E’ solo che è tutto così
assurdo…”
Wesam
scese dal letto, arrivando alle sue spalle. Sam si girò e
alzò lo sguardo.
“E’
una storia lunga da raccontare, non mi basterebbe una notte.”
Quello
gli prese le mani: “Hai tutto il mio tempo, Sam.”
Improvvisamente
il telefono di Sam iniziò a vibrare sul comodino. Con gli
occhi lucidi lo
ignorò, ma sapeva di dover andare.
“Qualcuno
sta cercando di incastrare me e i miei amici. Ha cercato di ucciderci
molte
volte, è un folle.”
Turbato
da quello parole, Wesam lo prese per le spalle: “Chi? Di chi
stai parlando?”
“Non
lo so, non ne siamo così sicuri. – le lacrime
scesero copiose, tremava – Ora
devo andare!”
Si
diresse verso il comodino a recuperare il suo telefono, mentre Wesam
era
seriamente preoccupato e non riusciva a lasciarlo andare via
così.
“Devi
andare??? Sam, mi hai appena detto che qualcuno ha cercato di
ucciderti.”
Quello
aveva preso tutto e si era appena rimesso i jeans, pronto a scappare
via: “Ti
prometto che domani ti racconto tutto, ma ora devo proprio
andare.”
Si
alzò in punta di piedi e gli diede un bacio sulla guancia,
per poi andare via.
Wesam rimase lì impalato, pensieroso.
*
Seduti
ad un tavolo-panchina nel parco, Nathaniel aveva messo al corrente gli
altri
due amici su quanto raccontato da Quentin.
Ogni
parola che uscì dalla sua bocca, li aveva scioccati a tal
punto da non sapere
cosa dire.
Eric
riuscì trovare le parole, dopo un pò:
“Solo a me vengono i brividi al solo
pensiero che quel posto esista davvero?”
“A me
vengono i brividi a
pensare ad Anthony che sequestra delle persone per giorni. –
pensò Nathaniel - Cosa
ci guadagna ad intrappolare qualcuno per rubargli un segreto?”
“Il
potere! – esclamò Nolan, facendoli voltare verso
di lui – Con tutti i segreti
che Anthony collezionava, aveva potere sull’intera
città.”
Eric
si rese conto che era così: “Rider ha ragione.
Anthony ha scoperto da Quentin
che il capo di mio padre tradiva sua moglie. E sarebbe bastato solo
questo per
minacciarlo e far riavere il posto a mio padre. Immaginate quante altre
cose
poteva fare con tutti gli altri segreti: aveva in pugno
chiunque.”
“Quindi
Quentin non ha la minima idea di dove si trovi questo bosco?”
chiese Nolan,
curioso.
“Ve
l’ho detto, tutti quelli che Anthony portava al bosco sono
stati drogati e non
conoscono il tragitto.”
“Ma
siamo sicuri che ci siano state più persone? –
domandò Eric, dubbioso – Sono
davvero tutti così disperati da non raccontare di questo
bosco a qualcuno o
alla polizia?”
“Anthony
li avrà terrorizzati a morte, o qualcuno avrebbe parlato
altrimenti. In ogni
caso, non venivano più perseguitati una volta che
confessavano un qualsiasi
segreto che conoscevano su qualcuno.”
“Beh,
ma allora… - Eric ebbe nuovamente un dubbio – che
succedeva a chi non aveva un
segreto da barattare con la libertà?”
I
tre si guardarono a quel punto, assai turbati dai pensieri che
aleggiavano
nelle loro menti dopo quella domanda.
“Magari
Anthony le teneva nel bosco per qualche giorno…”
pensò Nathaniel.
“E’
spaventoso!” esclamò Nolan, scuotendo la testa e
fingendosi rivoltato.
Eric
scosse la testa a sua volta, preso dall’incertezza:
“Ma allora chi è A?
Anthony o Brakner?”
“Brakner
potrebbe aver sostituito la macchina prima che la polizia potesse
scortarlo in
centrale, quindi A è
senza dubbio
lui.” rispose Nathaniel.
“Ma
il messaggio che Eric ha ricevuto vuole insinuare un dubbio.”
aggiunse Nolan.
“Già,
ha ragione. – lo appoggiò Eric – A ha
bisogno di comunicare con noi, ma allo stesso tempo vuole che la sua
identità
non ci sia chiara. Se avessimo mandato Brakner in prigione e Anthony
fosse A, non avrebbe più
potuto interagire
con noi perché a quel punto sapremmo di certo chi
è in realtà. Scambiando la
finta auto blu con una vera auto blu, mantiene ancora in gioco Brakner
e ci fa credere
che sia lui A.”
Nathaniel
non volle accettare quella ipotesi: “Ragazzi, mi dispiace, ma
dopo quanto
scoperto da Quentin, non riesco più a trovare un nesso tra
Anthony e gli scopi
di A. Smettetela di correre dietro
a
questa assurda teoria, A è
la vittima
non il carnefice. Sono le vittime che cercano vendetta ed Anthony non
è la
vittima di niente in questa storia.”
A
quel punto, in lontananza, si videro i fari di un’auto che
stava parcheggiando.
Poco dopo arrivò Sam a piedi, dentro la sua pesante felpa
nera e un cappello in
testa.
“Ti
ho chiamato, lo sai?” gli disse Nathaniel, mentre era ancora
a qualche passo da
loro.
Sam,
infreddolito, stringeva le sue braccia: “Sì, avevo
la vibrazione…” rispose
distaccato, quasi apatico nei loro confronti e della situazione.
“La
vibrazione? – ripetè esterreffatto –
Sam, lo sai che stasera dobbiamo
seppellire un cadavere, vero?”
“Evviva!
– esultò forzatamente, sollevando le sopracciglia
– Ora sì che mi sento come un
personaggio di How to get away with murder.”
Nathaniel
restò per qualche secondo a fissarlo, come se percepisse
qualcosa di diverso in
lui. Tuttavia, non cercò di indagare.
“Senti,
Sam, dillo anche tu a loro che Anthony non può essere A.”
Quello
si voltò immediatamente verso gli altri due, stufo:
“Ancora? Nat non vi ha
detto quello che Quentin ci ha raccontato? Non può essere
lui, non avrebbe
senso.”
“E
tu hai letto i messaggi che ti ho mandato?”
replicò Eric.
“Sì,
li ho letti mentre venivo qui. Me lo sentivo che Brakner non sarebbe
stato
arrestato. Siamo stati dei pazzi a pensare che ce l’avremmo
fatta così
facilmente.”
“Quindi
Brakner è A? –
ribadì Nolan,
cercando conferma negli occhi di ognuno di loro – Sospettiamo
di nuovo lui?”
“O
è lui o è qualcun altro che è finito
anch’essi in quel bosco… - pensò
Nathaniel
– In ogni caso, il messaggio ricevuto da Eric dice che presto
A si rivelerà a
noi.”
“Il
segreto rivelato da Quentin era il numero trentanove
nell’archivio di Rosewood
riservato, no? – ricordò Sam – Questo
significa che prima di lui, altre trentotto
persone hanno rivelato ad Anthony un segreto su qualcuno e che
probabilmente…sono tutti finiti in quel bosco.”
Nathaniel
deglutì a fatica, turbato: “Questo vuol dire che
se A non è Brakner,
potrebbe essere uno tra quei trentotto. E non
sappiano nemmeno se Rosewood riservato si fermi a trentanove
segreti.”
Nolan,
allora, sentì di dover fare un appunto: “Un
secondo, se A è tra una
di questi trentanove persone, allora anche Quentin è un
sospettato.”
“No,
non credo proprio. – intervenì immediatamente Sam,
convinto del contrario – Ha
un ragazzo adesso ed è libero di essere se stesso. Si
è lasciato questa storia
alle spalle, non è un folle in cerca di vendetta.”
“Beh,
se iniziamo a scartare così i nostri sospettati, siamo
proprio a cavallo!”
esclamò Eric seccato, voltandosi dall’altra parte.
Sam
lo fissò subito storto per quel commento, mentre Nathaniel
era giunto
all’esasperazione.
“Ragazzi,
è inutile continuare a cercare di cavare un ragno dal buco.
Non abbiamo accesso
alla cartella Rosewood riservato e non sappiamo quali nomi possa
contenere.
Piuttosto, credo di sapere a cosa si riferisca
A con il fatto che presto si rivelerà a noi.
Domani Jasper verrà
processato e per noi è finita.”
Tutti
si ricordarono dell’udienza all’improvviso, che tra
una cosa è l’altra, avevano
dimenticato. I loro sguardi si abbassarono e la luce nei loro occhi si
spense
in un attimo.
“Che
cosa ci accadrà quando Jasper dirà
tutto?” domandò Eric, terrorizzato.
“Beh,
ci interrogheranno come prima cosa. – spiegò Sam
– Poi crolleremo e a quel
punto non lo so.”
Nathaniel
alzò lo sguardo per primo, arreso: “Io mi sento
sollevato, forse…”
“Che
vuoi dire?” non capì Nolan.
“Sì,
sono stanco di lottare contro qualcosa che sembra non avere una fine.
Sono
stanco di dover fare tutto quello che dice A,
perchè possiede uno stupido filmato su di noi e che usa per
ricattarci. Sono
stanco di avere paura continuamente e non voglio mai più
vedere un cadavere. –
fissò i suoi amici, uno ad uno - Se il gioco finisce adesso,
sarà meglio per
noi. Potrebbe anche finire peggio se tutto questo va avanti.”
Sam,
che lo aveva ascoltato assorto nelle sue parole, si sentiva in pena:
“Ha
ragione, non ce la faccio più nemmeno io. Che ci arrestino o
facciano quello
che vogliono, l’importante è che tutto questo
finisca.”
Nolan
si limitò solo a sospirare, abbassando la testa. Eric,
però, non riusciva ad
accettare quella fine.
“E
se fuggissimo? – propose, destabilizzando tutti –
Io non voglio andare in
prigione, non me lo merito. E le nostre famiglie preferibbero saperci
liberi da
qualche parte che dietro le sbarre. Io non voglio arrendermi
così.”
“Ma
le nostre famiglie non sapranno mai la verità.”
replicò Sam con gli occhi
lucidi.
“Prima
di domani, dovremmo registrare qualcosa. Ognuno di noi. Un filmato dove
spieghiamo alle nostre famiglie tutto quello che ci è
successo e perché siamo
andati via. – spiegò Eric, cercando di convincerli
con uno sguardo - Capiranno!
Rischiamo fino a quindici anni di galera nella migliore delle ipotesi,
ok? E io
non voglio che mio padre, mia madre e la mia ragazza parlino con me
attraverso
un fottuto vetro.”
“Mio
padre non lo sopporterebbe. – una lacrima solcò il
viso di Sam – Non era questo
il progetto che aveva per me.”
“Quindi
A vince? –
sottolineò Nathaniel, che
non accettava la cosa – Pensavamo di poterlo battere al suo
stesso gioco,
invece ci ha rovinato la vita per sempre.”
Tra
lo sconforto generale, Nolan prese parola con molta foga:
“Non è A che
ha rovinato le vostre vite. –
usò un tono di rimprovero - E’ stato Anthony a
rovinarvela e siete ancora qui a
dare la colpa a qualcuno che si fa giustizia privata.”
Tutti
lo fissarono, sentendosi quasi attaccati.
Eric
prese parola per primo, abbastanza perplesso: “Le
vostre? Guarda che ci sei in mezzo anche tu.”
“E’
lo stesso, ok? – tentennò Nolan, cercando di
recuperare – Quello che voglio
dire è che dovremmo smetterla di attribuire la colpa alle
persone sbagliate. Se
un padre abbandona un figlio, la colpa non è del vicino di
casa: è del padre! –
quelli restarono a fissarlo, incupiti e confusi – Mentre noi
stiamo dando la
colpa al vicino di casa, senza ammettere che non siamo santi e che noi
abbiamo
acconsentito che tutto questo accadesse. Eravate amici di Anthony e
quella sera
eravate con lui ad aiutarlo. Non dimenticatelo.”
“Rider,
smettila di parlare con noi come se non facessi parte del gruppo.
– replicò
Nathaniel - E’ vero che ci siamo scavati la fossa da soli, ma
non meritiamo
quello che stiamo passando. A è
un
assassino e un terrorista…E con la giustizia privata
è andato decisamente oltre
e non merita una buona parola da parte nostra. Ma soprattutto da parte
tua, che
l’hai sempre odiato.”
“Già,
fra noi sei quello che lo odia di più...” si
accodò Sam.
Nonostante
fosse in difficoltà per aver smesso di essere Rider per
qualche secondo, Nolan
non si lasciò scoprire e tornò a recitare con
sicurezza: “Non diciamo
sciocchezze, odiamo tutti A allo
stesso modo. Dico solo che non ci siamo finiti per caso nel bersaglio
di questo
folle.”
Improvvisamente,
il telefono di Nolan vibrò sul tavolo di legno. Solo il suo.
Dopo essersi
guardato con gli altri, lo recuperò e lesse il messaggio che
aveva appena
ricevuto.
“Chi
è?” gli domandò Eric.
Quello
alzò lo sguardo e finalmente rispose: “E’
A…Dice che è ora di scavare nella
foresta!”
“La
foresta che circonda Rosewood o un’altra foresta?”
fu il turno di Sam.
“No,
di Rosewood.”
Nathaniel
restò perplesso: “Tutto qui? Da che direzione
dobbiamo entrare?”
“Ha
lasciato delle coordinate, le inserisco nel telefono.”
I
quattro si guardarono ancora una volta, turbati per ciò che
stava per avvenire.
Subito dopo si diressero alla macchina.”
*
Lasciata la
macchina
all’ingresso della foresta, i quattro camminarono a lungo,
guidati da Nolan che
controllava il telefono. La luna filtrava attraverso le foglie degli
alberi e
il bubolare dei gufi rimbombava ovunque, rendendo quella notte cupa e
fredda.
“Credo
che siamo vicini…”
fece sapere quest’ultimo, con lo sguardo incollato sul
telefono.
Gli altri tre
notarono
qualcosa non molto lontano da loro e alzarono il passo.
“Metti
via il telefono, non
serve più.” Nathaniel gli toccò la
spalla, mentre lo superavano.
Davanti a loro,
quattro
pale incastrate nel terreno. In fila.
Giunti fino ad
esse, ognuno
prese la sua. Confusi, si guardarono intorno.
“Non
capisco, che dovremmo
fare? – si domandò Sam - Cercare il
corpo?”
“Forse
è qui vicino, no?”
pensò Eric.
Intanto
Nathaniel aveva
girato la sua pala e trovato un biglietto: “Ragazzi, un
messaggio di A!”
I tre si
strinsero attorno
a lui.
“Che
dice?” chiese Nolan.
Quello lo lesse:
“Seguite l’origine del
segnale il più in
fretta possibile. Non avrete molto tempo per seppellirlo, a meno
che…” d’un
tratto si fermò, ritraendo il collo in
una smorfia confusa.
Gli occhi
rimasero puntati
su di lui, i tre erano impazienti di sapere cos’altro dicesse
il biglietto.
“Nat?
A meno che, cosa?” lo
chiamò Sam.
Finalmente
continuò,
alzando lo sguardo: “A meno che gli abitanti di Rosewood non
siano sordi e
ciechi.”
“Eh?
– strinse gli occhi
Eric – Che diavolo vuol dire?”
“Sto
iniziando seriamente
ad entrare nel panico!” esclamò Sam, guardandosi
attorno, stringendo la pala
nervosamente.
“Ha
scritto qualcosa sul
segnale?” si intromise Nolan, chiedendo a Nathaniel.
“Rider,
ho letto quello che
c’è scritto. – si alterò,
isterico - Non dice nulla!”
Improvvisamente
furono
investiti da un boato: un fuoco d’artificio esplose nel cielo.
I quattro
trasalirono,
sgranando gli occhi. Persino Nolan.
“Ma
è pazzo?” urlò Sam,
incredulo.
“E’
solo uno, vero? Forse
non l’ha sentito nessuno.” deglutì con
fatica Eric, in preda all’ansia.
Dal suolo si
alzarono altri
fuochi, uno dietro l’altro, rumorosi.
Nathaniel
iniziò a correre,
incitando gli altri a fare lo stesso: “Sbrighiamoci, siamo
alle spalle della
città, la polizia verrà a controllare!”
Quelli lo
seguirono a
ruota, spaventati a morte.
*
Dei sassolini
colpivano il vetro di una finestra in maniera
incessante, davanti a casa Stuart. Era quella della camera di Lindsey,
che
dormiva profondamente.
Ad un certo
punto, però, quella aprì gli occhi,
accorgendosi dei colpi contro il vetro. Immediatamente
sollevò le coperte e
corse davanti alla finestra. Non le ci volle molto a capire chi era
l’autore di
tale disturbo, dal momento che era in piedi sul marciapiedi e in bella
vista:
si trattava di Brakner, che le faceva cenno di scendere.
Qualche secondo
più tardi, Lindsey uscì da casa sua, in
allerta, indossando un lungo giacchetto di lana che stingeva al petto
per il
freddo.
“Che
ci fai qui a quest’ora?” gli domandò,
guardando
continuamente la sua abitazione e il vicinato per paura che qualcuno si
svegliasse.
“Te
l’ho detto che dovevo parlarti, ma avevo dei compiti
da correggere e mia sorella è venuta a cena da me con suo
marito.”
Quella, con gli
occhi sgranati e la bocca leggermente
aperta, ribadì: “Ok, lo so che dovevi parlarmi, ma
è mezzanotte passata! Non
puoi aspettare fino a domani? – bisbigliò - Quando
mio padre non c’è, mia madre
diventa come immune ai sonniferi e ad ogni minimo rumore si
sveglia.”
“Sono
stato scortato fino in centrale oggi e c’era anche
uno degli amici di tuo fratello!”
Confusa, Lindsey
avanzò verso di lui: “In centrale? Cosa
è successo?”
“La
sua ragazza è convinta che io l’abbia investita
con
la macchina, voleva denunciarmi.”
“Ma
chi, Alexis? Quella con i ciuffi blu?”
“Proprio
lei!”
“Ma su
che basi, scusa?”
“Farneticava
sul fatto che la mia macchina fosse rossa e
non blu. E che io l’avessi ricoperta di blu perché
l’auto che l’aveva investita
era rossa.” raccontò, nervoso.
Dubbiosa, quella
non si fece scrupoli a chiedere
conferma del contrario: “E tu non l’hai ricoperta
di blu, giusto?”
Quello
restò fisso a guardarla, come frenato, confuso,
le pupille che si muovevano veloci: “…E’
una cosa strana, perché un giorno mi
sono fermato ad osservare la mia auto e mi è sembrato come
se non fosse la mia
e poi invece era la mia, ma…”
Non seguendolo
nelle sue parole, lo bloccò subito:
“Julian, di che cavolo stai parlando?”
“Non
ho fatto nulla alla mia auto, ok? E non ho
investito quella ragazza. Sto solo dicendo che prima di ricevere
quest’accusa,
avevo come la sensazione di non essere dentro la mia auto anche se era
identica
alla mia. Ovviamente la mia era solo una sensazione, ma dopo questa
vicenda
penso che la mia auto sia stata scambiata e poi riscambiata
nuovamente.”
“E’
assurdo quello che stai dicendo, chi farebbe mai una
cosa simile?”
“Ehm,
qualcuno che mi vorrebbe dietro alle sbarre?
Magari questo era un avvertimento!”
“Un
avvertimento per cosa?”
“Per
noi! – urlò a bassa voce – Per noi due,
che stiamo
insieme.”
Quella rise,
incredula: “Ma è ridicolo, cosa c’entra?
–
girovagò con lo sguardo - E abbassa la voce, per
favore.”
“Sappiamo
entrambi che tuo fratello mi odia e che sa di
noi due. Vedere Eric in centrale mi ha fatto capire che
c’è senz’altro lui
dietro a tutto questo. Vogliono mettermi paura, proprio come faceva
Anthony con
quello sguardo che aveva ogni volta che lo incrociavamo a
scuola.”
“Sei
solo paranoico, mio fratello non è come Anthony.”
“E
invece loro sono così, sono come lui o non sarebbero
mai diventati suoi amici. Non hanno prove che noi due stiamo insieme,
quindi
cercano di farmela pagare in altri modi. Magari pensano che sia un
maniaco e
che ti costringa a venire con me contro la tua
volontà.”
“Julian,
non essere ridicolo. Credi che quella ragazza
si sia messa sotto ad una macchina da sola per dare il via al piano
diabolico
di mio fratello per farti andare in prigione e salvarmi dal professore
pedofilo? – rise nuovamente – E’ ridicolo
anche solo pensarlo. E poi le prove
potevano benissimo procurarsele, basta seguirmi quando vengo a casa
tua.”
L’altro
però fu serio e categorico: “Ascolta, tuo
fratello non macchierebbe mai la tua immagine. Se ci denunciasse,
diventeresti
la puttanella di Rosewood che se la fa con i professori, ok?
Perciò è me che
vuole togliere di mezzo, solo me! – ribadì, sempre
più agitato – Ho già
rischiato di finire in un grande casino quando abbiamo incontrato
Albert quella
sera e poi è misteriosamente scomparso per riapparire come
cadavere. Potevamo
essere i sospettati numero uno anche dell’omicidio di
Anthony, ma un’altra persona
è stata arrestata e noi sappiamo che in realtà
è innocente perché abbiamo visto
quel Jasper, poco prima che andassimo da Albert, entrare in quel locale
gay. Ci
siamo praticamente passati accanto con l’auto e lo ricordiamo
perfettamente.”
“Mi
sento in colpa anch’io per quello, ma dovevamo
proteggerci.”
“Beh, io non posso continuare a rischiare. Con Albert stavamo
per usare quei
video per placare Anthony e la storia non può ripetersi di
nuovo. Non posso combattere
anche con i suoi amici per salvare ancora una volta la nostra
relazione. E’
finita, Lindsey!” concluse, facendo il giro della macchina
per entravi.
Quella
cercò di corrergli dietro, gli occhi gonfi di
lacrime: “Davvero mi stai lasciando? –
cercò di trattenere il pianto, continuando
a guardare verso la sua abitazione – Avevi detto di
amarmi!”
Con la portiera
aperta, Julian rimase impalato e
irremovibile: “Mi dispiace, ma non c’è
futuro per noi adesso. Sono successe
troppe cose.”
Incredula, aveva
il viso pieno di lacrime: “Tu per primo
avevi detto che c’era futuro per noi due e che nulla ci
avrebbe impedito di
stare insieme. E ora ti tiri indietro per un equivoco?”
“Non
è un equivoco! – si voltò –
E’ un avvertimento, una
minaccia. E se c’è dietro tuo fratello con i suoi
amici malati, beh ci è
riuscito a spaventarmi. – entrò in macchina
– E ora me ne vado, addio!” e
chiuse la portiera, mettendo in moto.
“No,
aspetta! – Lindsey cercò di aprire la portiera, ma
la macchina si mosse e non ci riuscì – Julian,
aspetta!” urlò, per poi rendersi
conto che aveva alzato la voce.
Dopo essersi
guardata intorno, in lacrime, un boato la
fece sussultare: dei fuochi d’artificio, dall’alto
di Rosewood, nel bosco.
Inclinando la
testa, strinse gli occhi, stranita da ciò:
“Ma che…???”
E velocemente
indietreggiò, pulendosi le lacrime con le
maniche, rientrando di corsa in casa.
*
Giunti nel punto
da dove partivano i fuochi, quelli
avevano smesso di esplodere in cielo da qualche minuto. Era
completamente buio,
tant’è che i ragazzi usarono la luce dei telefoni
per guardarsi intorno.
Improvvisamente,
si accesero dei fari dall’alto: erano
posizionati sopra tre alberi e illuminavano con molta
intensità il suolo. I
ragazzi alzarono un braccio davanti agli occhi, quasi accecati.
“Ma
perché si comporta così?”
urlò Sam, mentre gli altri
erano sconcertati quanto lui.
Nathaniel
abbassò lo sguardo prima degli altri, notando
che intorno a loro c’erano quattro borsoni.
“Ragazzi,
lasciate perdere i fari…”
Finalmente anche
gli altri notarono i borsoni e i
pensieri che passavano per la loro testa li lasciò
agghiacciati.
“Non
l’avra mica…” Eric sussurrò
ciò che stava pensando con
un filo di voce che tremava ad ogni parola.
Sam si
portò una mano sulla bocca: “Oh mio
Dio…”
Un altro
biglietto era poggiato su uno dei borsoni e Nolan
si chinò a prenderlo e leggerlo: “Prendete
un borsone e seppellitelo l’uno distante
dall’altro. Fate in fretta o i fuochi
d’artificio non saranno l’unico spettacolo di
questa notte.”
Nathaniel prese
subito uno dei borsoni e corse via,
senza nemmeno parlare con gli altri. Eric fu il secondo, molto rapidi.
“Sbrighiamoci,
non oso immaginare cos’altro userà per
attirare l’attenzione.”
Nolan e Sam si
guardarono, rimasti soli, e presero i
borsoni, iniziando a correre ognuno in una direzione diversa. I fari si
spensero non appena si allontanarono: restò solo il buio.
Tra il panico,
le lacrime e la disperazione, ognuno di
loro scavò la propria buca senza nemmeno sapere dove fossero
gli altri.
*
Intanto, Rider
affrontava una nuova notte al Radley.
Seduto davanti al computer portatile fornito da
A, era a braccia conserte che aspettava una nuova mossa al
gioco
di scacchi. Le sue condizioni fisiche non erano delle migliori: volto
pallido,
dimagrito, lividi in vari punti del corpo per via delle lotte con gli
infermieri.
Era debole e provato.
Improvvisamente
sgranò gli occhi quando fu il suo turno.
Sapeva come fare a batterlo, così sfoderò la sua
mossa e l’esito di essa pose
fine alla partita: scacco matto. Vinse.
Nonostante fosse
esausto, riuscì ad accennare un sorriso
compiaciuto, chinandosi in avanti mentre lo schermo diventava nero.
Dopo qualche
secondo, comparve il primo messaggio di A.
“Complimenti
per la vittoria, non ero molto concentrato. Sono parecchio occupato a
giocare
con i tuoi amici in questo momento.”
“Che
significa? Che stai facendo ai miei amici?”
“Se
mai lascerai il Radley, lo scoprirai da loro. Non posso fornirti
informazioni
sul mondo esterno. Ora risquoti il tuo premio, chiedimi qualcosa che
vuoi
sapere sul tuo passato.”
“Chi
è la donna con l’impermeabile rosso che ho visto
con
mio padre nella foto. L’ho trovata nella panic
room.”
“Il
suo nome è Joanna Smith, nata nel 1973.”
“Dovrebbe
dirmi qualcosa? Ho vinto, voglio una risposta
più soddisfacente!”
“E’
la
madre di Albert.”
Rider
sgranò gli occhi,
incantando lo schermo per qualche secondo.
“Che
ci fa la madre di Albert con mio padre?”
“Erano
amanti, si sono conosciuti nel 1998. La foto che hai trovato nel mio
covo,
invece, risale al 2004: l’ultima volta che si sono
visti.”
“Lei
dov’è adesso?”
A ci
mise qualche secondo prima di rispondere.
“lo
scoprirai domani. Ti basta vincere nuovamente la partita.”
“No,
devi dirmi di più. Che cosa significa tutto questo?
Perché quella foto era nel tuo covo?”
Quello
non rispose più
e Rider chiuse il portatile con forza, tirando un pugno sul tavolo,
furibondo.
“Maledetto!”
borbottò,
riprendendo fiato.
*
Fuori dalla casa
al lago di
Rider, Nathaniel ed Eric aspettavano con impazienza l’arrivo
di qualcuno,
contemplando l’oscurità.
“Perché
Sam ci mette così tanto
a mettere qualche vestito in un borsone?” pensò
Nathaniel, guardando
preoccupato l’orologio.
Eric
cercò di restare
calmo: “Vedrai che starà arrivando, non entriamo
nel panico.”
“Troppo
tardi, direi.
– gli
lanciò uno sguardo cupo - Dopo i
fuochi d’artificio e la sepoltura dei… pezzi,
dubito di non essere ancora
entrato nel panico.”
In piedi ad
incantare
l’acqua del lago, Eric era già nostalgico e
soffrente: “…Ho fissato Alexis che
dormiva per cinque minuti; in quei cinque minuti avrei potuto prendere
più
indumenti, ma avevo cinque minuti per fare solo una cosa. E ho preferito guardarla. – i suoi occhi si
gonfiarono di lacrime – Non
posso crederci che non la rivedrò mai
più.”
Nathaniel gli
mise una mano
sulla spalla: “In qualche modo hai detto addio alla persona
che più amavi. Io
ho pensato solo a riempire il borsone ed effettivamente dovevo spendere
quel
tempo in un altro modo.”
“Vorrei
che tutto questo
non fosse mai accaduto. Abbiamo appena seppellito una persona fatta a
pezzi e
ancora non mi sembra vero. Scavavo, scavavo…scavavo il
più in fretta possibile ed
era come se non avessi più il controllo del mio corpo.
– si voltò a guardare
Nathaniel, provato – Come siamo arrivati a questo
punto?”
“Non
lo so…” scosse la
testa, la voce rotta.
Improvvisamente
furono
illuminati dai fari dell’auto di Sam, che
parcheggiò e poi scese.
“Ci hai fatti
spaventare con questo ritardo. – si voltò a dirgli
Nathaniel – Per un attimo ho
pensato che avessi cambiato idea.”
Pallido e apatico, Sam si avvicinò con il suo borsone:
“Rimanere qui da solo
con A? No, grazie. Ne ho
già
abbastanza.”
“Rider è
dentro
che registra il suo videomessaggio alla famiglia.
– gli fece sapere Eric, quando si
fermò
davanti a loro – Io e Nathaniel abbiamo già fatto,
manchi solo tu.”
“Non so se
avrò il
coraggio di raccontare a mio padre tutto quello che è
successo. – gli
lacrimarono gli occhi – La maggior parte delle cose sono
torture e minacce
contro di noi, ma ci sono piccole cose e decisioni che abbiamo preso,
che…beh,
mi viene solo da vomitare a doverle raccontare a lui. A mostrargli la
persona
che non pensava io fossi. – una lacrima gli scese lungo il
viso – Un
assissino!”
Eric gli mise una
mano sulla spalla, cercando di alleviare la sua sofferenza:
“Non siamo
assassini, ok? Siamo solo vittime di un gioco crudele. Quella notte era
Anthony
alla guida, non noi. E il francese l’ha ucciso A
e non noi.”
“Mi dispiace
correggerti, ma il francese è entrato nelle nostre vite per
colpa mia. –
intervenì Nathaniel - Perciò l’ho
ucciso io.”
“E Albert
l’abbiamo
portato noi fino a casa di Anthony, eravamo consapevoli di
ciò che stavamo
facendo.” continuò Sam, in lacrime.
“Albert era
già
morto, ragazzi. –
sottolineò Eric - E
noi eravamo terrorizzati.”
“Ok, ormai è
inutile piangere sul latte versato. – Sam si
asciugò le lacrime – Come facciamo
con i soldi? Dovremmo pur mantenerci nei prossimi mesi, no?”
“Possiamo usare il
bancomat, domattina. – suggerì Nathaniel - Uscendo
ho preso qualche contante.”
“Quando Jasper
racconterà tutto in tribunale e la polizia non ci
troverà in città, useranno
qualsiasi mezzo per localizzare i nostri spostamenti. E tutti i
bancomat hanno
le telecamere.” spiegò Eric.
“E se facessimo
tappa da Julie? – propose Sam - Non solo ci
aiuterà a procurarci quei soldi, ma
anche dei documenti falsi.”
Intanto, mentre
loro discutevano, Nolan era dentro a parlare al telefono e continuava a
tenere
d’occhio la porta d’ingresso socchiusa.
“Sono fuori,
stanno parlando. – spiegò nervoso, facendo avanti
e indietro – Vogliono fuggire
da Rosewood!”
“Non
devi andare contro le loro decisioni o capiranno
che non sei Rider.” gli suggerì A,
sempre con una voce camuffata.
“Ti prego, devi
fare qualcosa. Mio padre tornerà qui per il mio compleanno e
devo esserci. Devo
parlare con lui.”
“Vai
da loro o si insospettiranno.”
“Ti sto
implorando, ok? Aiutami a non lasciare Rosewood,
altrimenti…” lo sfidò,
pentendosi quasi subito di aver fatto suonare quelle parole come una
minaccia.
“Altrimenti,
cosa? Tu non conosci la mia vera identità.”
“Ti chiedo
scusa…
- deglutì – Senti, aiutami. Se fuggiamo, non
potrai più trovarci e loro non mi
faranno usare il telefono, ci rintraccerebbe la polizia. E’
davvero questo che
vuoi?”
“Vai
da loro, ho detto. So quello che devo fare.” chiuse
la chiamata in tronco.
Gli altri
entrarono e lui mise subito via il telefono, comportandosi normalmente.
“Tutto bene? –
gli
chiese Eric – E’ stato difficile?”
Nolan stringeva
tra le sue mani un cd: “Come per tutti, credo. Il mio
videomessaggio è qui
dentro. – si rivolse a Sam – Manca solo il tuo, la
telecamera è al piano
superiore.”
Sam guardò tutti,
prima di avviarsi verso le scale: “Bene, allora vado. Prima
faccio questa cosa
e prima mi sentirò meglio. – sogghignò,
rendendosi conto che aveva scelto la
parola sbagliata – Meglio è un eufemismo. Forse,
meno peggio è l’espressione
più adatta.” e andò.
Nathaniel avanzò
di qualche passo verso Nolan, subito dopo: “Come abbiamo
intenzione di far
arrivare questi cd alle nostre famiglie?”
“Le lasciamo nella
cassetta delle lettere, no?”
“E quando? –
domandò Eric – Forse dovremmo partire
adesso.”
“Esattamente, quando
verrà portato in tribunale Jasper?”
ribattè Nolan.
“Sam ha detto che
lo porteranno lì tra le due e le tre del
pomeriggio.” ricordò Nathaniel.
“Forse dovremmo
partire domattina, fingere di andare a scuola e poi sparire.
– spiegò Nolan,
dopo aver riflettuto - Se fuggiamo adesso, i nostri genitori andrebbero
subito
dalla polizia.”
“Già, ha
ragione.
– Eric fu d’accordo – Anche se avremo
meno vantaggio. Dite che riusciremo a
lasciare questo stato per le due del pomeriggio?”
Nathaniel scosse
la testa, dubbioso e preoccupato: “Non ne ho idea, non ho mai
lasciato la
Pennsylvania in auto.”
I tre si
guardarono, tra paure e incertezze. Nessuno aveva idea di cosa li
attendesse.
*
Più tardi, Sam era
ancora chiuso in una delle stanze al piano di sopra. Il treppiedi con
sopra la
telecamera puntava lui che era seduto su una sedia, in lacrime.
Quelle lacrime
furono udite da Nathaniel, nel corridoio, che si avvicinò
alla porta socchiusa
per ascoltare. Sam stava ancora registrando, ma non più per
suo padre.
“…Avrei
voluto parlartene stasera, ma non pensavo che
sarei dovuto andare via all’improvviso. Non so se sarei
riuscito a spiegarti
tutto questo, ma voglio che tu capisca perché ero strano e
perché non riuscivo
a rispondere alle tue domande. Sicuramente sarebbe stato più
facile dirlo a te
che a mio padre, ma non volevo coinvolgerti.”
Con l’orecchio
attaccato alla porta, Nathaniel strinse gli occhi e cercò di
capire a chi si
stesse rivolgendo.
“Mi
avrebbe fatto stare bene, poterlo dire a qualcuno.
Dirlo ad un adulto e poter respirare un secondo, sentirmi protetto.
Perché
stasera mi hai fatto sentire protetto tra le tue braccia. Una
sensazione che
ormai non provavo da tempo, Wesam.”
Nathaniel sgranò
gli occhi al pronunciare di quel nome, immaginando a cosa potesse
essere
accaduto tra lui e Sam. La sua espressione lasciò trasparire
incredulità e
gelosia e decise di non ascoltare più nulla, allontanandosi.
*
Il giorno dopo, a
casa di Nathaniel, sua madre camminava avanti e indietro per la cucina.
Si
mangiava l’unghia del pollice, ansiosa.
“Claire, che
succede? – entrò Courtney affannata, poggiando la
borsa – E’ esploso il tuo
salone?”
“Ma no, che
dici!”
esclamò in una smorfia esagerata.
“Scusa, è che
dopo
l’esplosione della scuola di Nathaniel immagino che tutto
possa esplodere. –
iniziò a parlare in maniera logorroica - L’altro
giorno guardavo la tv e
improvvisamente ha iniziato a fare un rumore strano, hai presente
quando
strisci la carta di credito dentro quella scatoletta nera che ti detrae
i soldi
che hai guadagnato duramente ma che per un paio di Gucci capisci che
è stato un
sacrificio necessario? Beh, immagina che quella carta di credito sia
ruvida,
molto ruvida, come il granito, e se la farai striciare dentro quel
coso, il
rumore che ho sentito sarà esattamente quello! –
alzò il dito, per marcare il
concetto – Sembrava che stesse per esplodere, lo
giuro.”
Claire,
frastornata, la fermò: “Courtney, taci un secondo!
Il mio salone non è esploso,
ok?”
Quella controllò
l’orologio: “Allora che ci fai ancora a casa? Sono
le dieci passate.”
Il suo viso si
incupì: “Ho un problema!”
“Sarà meglio
per
te che non sia la menopausa, ok? Io e Pete stavamo scegliendo una SPA
in cui
passare il weekend e ho cose più importanti da fare che
venire qui a combattere
con te una battaglia che non puoi vincere. Sei vecchia,
accettalo!”
“Grazie per avermi
dato della vecchia, ma non è la menopausa!”
esclamò irritata, avvicinandosi ad
un cassetto.
“Sempre detto che
alla tua età vorrei arrivare così… -
rise istericamente, cercando di riparare.
- Darei
l’anima, giuro!”
Claire si mise
davanti a lei con un foglio in mano: “Chiudi quella bocca
straparlante e guarda
questa cosa…”
Lo girò, mostrando
le foto di Nathaniel con Sam e il messaggio minaccioso. Courtney
sgranò gli
occhi, prendendo il foglio dalle sue mani per guardare meglio.
“Ma questo è
l’amico secco di Nathaniel…”
“E’ questo che
ti
colpisce maggiormente?”
“Eh? –
fissò sua
sorella, che le fece cenno di guardare l’altro ragazzo
– Aspetta, ma questo è
Nathaniel. – constatò rilassata, per poi
sussultare incredula – OH MIO DIO, si
baciano! E vanno anche su quelle biciclette a due posti come i
vecchietti delle
sitcom…”
“Courtney, leggi
il messaggio!” esclamò sua sorella, esasperata.
Quella, moderando
la sua reazione, lesse tutto d’un fiato:
“…quindi se non dai a questa persona
tutti quei soldi, metterà in giro le foto di Nathaniel e il
secco?”
“Già! E ora
che
cosa devo fare?”
“Sul serio mi stai
facendo questa domanda? – le lanciò un
occhiataccia – Le tue clienti avranno
sicuramente un nipote gay, una sorella gay…persino un nonno
gay! Siamo nel
ventunesimo secolo, queste cosa non è più un
problema, Claire. Il mondo si è
evoluto. Credimi, nessuno giudicherà Nathaniel e nemmeno la
tua famiglia.”
“Tu lo sapevi?”
“No, ma lo
sospettavo. Comunque devi stare tranquilla, questo tizio anonimo
è un
vigliacco. Quando vedrà che te ne sei altamente fregata,
capirà che ha a che
fare con una mamma più tosta di quanto pensasse e
lascerà perdere. Una badass,
per la precisione!”
Claire si voltò,
camminando verso la finestra sopra il lavandino, ancora turbata:
“E se alla
fine lo facesse ugualmente? Potrei procurarmeli quei soldi.”
“NO! – si
avvicinò
alle sue spalle – Non si cede ad un bullo, Claire. Quando
vedrà che hai abboccato
così facilmente, ti chiederà altri
soldi.”
Nonostante questo
avvertimento, restò girata a fissare l’albero in
giardino, pensierosa: “Devo
farlo…”
Courtney la voltò:
“Perché non mi ascolti? Sembra che tu abbia
davvero paura. Ti facevo più dura
di corazza!”
“Non ho paura per
me o per Nathaniel. Ho paura per George.”
“Cos’è,
tuo marito
è omofobo per caso? – rise, per poi smettere
quando vide che la donna non
batteva ciglio in merito – Aspetta un secondo, George
è omofobo?”
“No no, non lo
è…
- abbassò lo sguardo, timorosa di rivelarle qualcosa
– Cioè, c’è questo
episodio che mi raccontò dopo che ci siamo sposati. Una cosa
che lo tormentava
molto.”
“Di che si
tratta?”
“Quando George
andava al liceo, c’era questo suo compagno di scuola che si
chiamava Geremia.
Di indole, George era un ragazzo molto buono nonostante fosse tra i
più
popolari della scuola e giocasse a football. Quando Geremia fece
amicizia con
lui, andava spesso a casa sua e giocavano insieme. –
spiegò – George, però, non
si accorse che per Geremia era diventato molto di più che un
amico.”
“Questo Geremia
era gay?”
“Provava dei sentimenti per lui, si. Poi un giorno,
all’angolo del cinema,
Geremia lo baciò e poco prima che George potesse scansarlo,
i suoi amici della
squadra li videro e li derisero. Geremia scappò, mentre
George restò lì a
spiegare, imbarazzato, che era stato Geremia a baciarlo
all’improvviso. Ben
presto, i rapporti tra George e Geremia si congelarono e gli amici di
George
non li credettero, continuando a prenderlo in giro. A quel punto,
George
raggiunse il limite di sopportazione e per dimostrare ai suoi amici che
lui non
era come Geremia, fece una brutta cosa.”
Courtney
rabbrividì, turbata da quel racconto così triste
e che sembrava aver avuto un
epilogo poco felice: “Non riesco ad immaginare cosa
può aver fatto George.
Spero non quello che penso, altrimenti non capisco perché tu
non me l’abbia mai
accennato.”
“E’ una cosa
che
mi ha chiesto di non dirti, perché se ne vergogna.
– le tremò la voce - Dopo
quella vicenda, George scrisse sulle vetrine della libreria del padre
di
Geremia la frase figlio omosessuale. Lo
scrisse con la vernice, in grande: affinchè potessero
vederlo tutti. – chiuse
gli occhi, inorridita – Negli anni settanta puoi ben
immaginare quanta vergogna
potesse provare una famiglia nel trovare una scritta del genere con la
gente
che parla. L’unico a pagare il prezzo di essere
ciò che era fu Geremia, che
scomparve e non tornò mai più a casa per non
dover guardare sua madre e suo
padre negli occhi.” una lacrima le scese dal viso, in
conclusione.
“Mio Dio, povero
Geremia…” pensò Courtney con una mano
davanti alla bocca e l’espressione
mortificata.
“Per
questo George
negli anni ha avuto problemi di alcolismo. Questa storia l’ha
seguito per quasi
tutta la vita in quanto si sente responsabile della sua scomparsa e del
dolore
che ha recato a quella famiglia.”
“E
il gioco
d’azzardo?”
“Geremia
voleva
girare il mondo e diceva sempre che se avesse vinto un sacco di soldi
l’avrebbe
fatto… Ogni cosa è correlata a Geremia e,
nonostante George ne sia uscito
grazie alla riabilitazione e a delle sedute di psicoanalisi,
l’anniversario
della sua scomparsa non gli da tregua e io sono ancora
preoccupata.”
Courtney
le prese
le mani, cercando di starle vicina: “Che vuoi dire, che
George è di nuovo
ricaduto in…”
“Non
lo so, fa
tardi tutte le sere. Una volta ho chiamato Jamie, il nuovo assistente
manager
di cui ti parlai, e mi disse che avevano chiuso il ristorante da un
pezzo.
Altre volte mi faceva notare che George aveva dei problemi con gli
incassi e
che non si trovava con i conti.”
“Temi
che abbia
ripreso a bere e a giocare?”
Quella
aveva gli
occhi lucidi ed era abbastanza sofferente: “Non ne ho idea,
ma se questo tizio
anonimo tappezzasse davvero tutta la città con foto di
Nathaniel e quel
ragazzo, aprirebbe del tutto quella ferita che George non ha mai
ricucito.
Inoltre vedrebbe Geremia in Nathaniel e la cosa lo devasterebbe
perché non si è
ancora perdonato per ciò che gli ha fatto. –
scoppiò a piangere – Temo che
possa cadere in un buco nero senza ritorno e non voglio perdere mio
marito.”
In
quel momento di
sconforto, Claire venne subito abbracciata dalla sorella, che
cercò di
consolarla: “Ti aiuto io per i soldi, ok? E se ne
chiederà ancora, avvertiremo
la polizia.”
Tra
le lacrime,
quella annuì: “D’accordo,
grazie…”
*
Alla
casa al lago,
i quattro si trovavano ancora all’interno
dell’abitazione. Sam dormiva ancora e
quanto si girò verso il comodino, aprì finalmente
gli occhi.
Quando
la vista fu
più nitida, notò che sul bicchiere di vetro, con
dentro un po’ d’acqua, era
attaccato un post-it giallo.
“Ti
ricordi l’ultima
volta che hai bevuto la mia acqua?”
-A
Sam
sussultò
all’istante non appena realizzò il messaggio,
toccandosi le labbra spaventato;
l’ultima volta era stato drogato nello stesso modo e A aveva incollato le sue labbra con la
colla a fissaggio rapido.
Sollevato
dal
fatto che ciò non era avvenuto nuovamente, Sam
sollevò le coperte e si fiondò
immediatamente al piano di sotto, dove sentiva delle voci. Dopo qualche
scalino, però, gli sembrò di scendere
nell’oscurita.
“Ma
che succede? -
si guardò attorno, le finestre completamente sigillate -
Perché qui sotto è
buio?” domandò, sperando di essere raggiunto dai
suoi amici e avere una
spiegazione.
Di
ritorno dalle
altre stanze, Sam potè individuarli grazie a fili di luce
che riuscivano a
penetrare in casa da alcune fessure. Fu Eric a rispondergli per primo.
“A ha bloccato porte e finestre con assi
di legno e chiodi!” esclamò incredulo e sconvolto.
“Anche
la porta
d’ingresso?”
Nathaniel
si
avvicinò lentamente alla porta, guardandosi con i suoi amici
e poi la aprì:
anche quella era chiusa dalle assi di legno, ma sopra c’era
una scritta in
rosso.
“Volevate
lasciare
Rosewood senza il mio permesso? Pensavo che mi conosceste
ormai…”
-A
Nolan,
che era dietro di loro, sorrise con un angolo
della bocca e quando quelli si voltarono scioccati, riprese la recita.
“Quindi
ci ha drogati?” chiese, fingendosi sconvolto
quanto loro.
“Si,
in camera mi ha lasciato un messaggio dove mi ha
ricordato l’ultima volta che l’ha fatto. Quando mi
ha incollato le labbra.”
Eric
sgranò leggermente gli occhi: “Ha messo qualcosa
nell’acqua che c’era in frigo?”
Sam
annuì, mentre Nathaniel si preoccupava di altro:
“Oh
mio Dio, che ore sono?”
Controllando
sul suo orologio da polso, Eric spalancò la
bocca: “Ma è l’una passata, abbiamo
dormito per più di dieci ore!”
“L’una
passata? – ripetè Nathaniel – Ma
l’udienza di
Jasper è fra meno di un ora! – spostò
lo sguardo fra i tre – E’ finita,
ragazzi. Ora dovremo spiegare ogni cosa che uscirà dalla sua
bocca e verrà
fuori anche l’omicidio di Edward se A
darà
il suo contributo per il gran finale. Già immagino A impacchettare l’album di
fotografie con noi che scaviamo nel
bosco per seppellire i pezzi di Edward!”
Eric
si mise le mani nei capelli, sospirando, mentre
Nolan cercava di forzare qualcosa che tanto non era più
fattibile.
“Possiamo
ancora scappare, saremo già abbastanza lontani
in un ora.”
“Dobbiamo
lasciare i filmati con le nostre confessioni ai
nostri genitori e poi ritrovarci per lasciare Rosewood con una sola
macchina: non
c’è tempo di fare entrambe le cose e io non me ne
vado senza che mio padre
sappia la verità.” spiegò Sam,
categorico sulla sua posizione.
Data
la realtà dei fatti, lo sconforto cadde sul gruppo.
Eric si allontanò verso una parete, incapace di mandare
giù quel boccone.
“Non
ci sto credendo, mi riufiuto.”
“Dobbiamo
uscire di qui… - suggerì Nathaniel, fissando un
appendiabiti di legno – Aiutatemi con questo, usiamolo per
sfondare le assi.”
I
tre lo aiutarono e misero l’appendiabiti in
orizzontale. Insieme colpirono più volte le assi con esso,
finchè esse non si
spezzarono. A quel punto, per Nathaniel fu facile rimuoverle
completamente con
i calci e le mani. Pochi minuti dopo erano fuori.
*
Intanto
a Philadelphia, gli agenti stavano scortando
Jasper Laughlin fuori dal penitenziario. Come ogni detenuto, Jasper
aveva
catene a mani e piedi.
Il
furgone che ormai lo ospitava, percorreva l’autostrada
diretta per Rosewood. Qualche kilometro dopo, però, si
fermò bruscamente.
Jasper, spaventato, non capì cosa stesse succedendo e
iniziò a battere contro
il divisorio, urlando.
“Ehi?
Che sta succedendo?”
Delle
urla lo fecero agitare ancora di più, erano quelle
del conducente.
“La
prego, mi risponda! Che succede?”
Ma
non ricevette nessuna risposta, solo un improvviso
silenzio. Un altro rumore proveniente dal retro del furgone, poi, lo
fece
voltare: le porte si aprirono di colpo.
“E
tu chi sei?” sgranò gli occhi, indietreggiando nel
vedere qualcuno davanti a lui.
*
Sfidando
la sorte, i quattro ragazzi si parcheggiarono
poco lontani dal tribunale. Tenevano d’occhio la situazione:
il momento
dell’udienza era arrivato.
“Non
riesco a credere che stia per succedere davvero…”
disse Eric, seduto avanti con Nathaniel.
Tutti
fissavano il trubunale in maniera imbalsamata,
mentre Nolan aveva in mano i cd delle videoconfessioni e qualcosa non
quadrava.
“Perché
ci sono cinque cd? – trovò strano - Non abbiamo
fatto una confessione ciascuno?”
Sam
lanciò un piccolo colpo di tosse, recuperandoli dalle
sue mani: “Due sono miei! Una è per mio padre e
l’altro per…Chloe!” esclamò
sudando, lo sguardo basso.
Nathaniel
lo guardò attraverso lo specchietto retrovisore
e sapeva che stava mentendo.
“E
le hai detto tutto quanto? Non siete nemmeno più
amici.”
“La
nostra amicizia si è spezzata a causa di A,
ok? – replicò isterico - Quindi mi
sembrava giusto dirle qualcosa, ma tanto ora non serve
più.”
“Almeno
A ci
ha lasciato le nostre videoconfessioni. – pensò
Eric - Pensavo le avesse
rubate.”
“Tanto
ha già abbastanza materiale per incastrarci.”
aggiunse Nathaniel.
“Materiale
che non ha mai utilizzato. – sottolineò Sam
–
Ci siamo incastrati da soli, raccontando a Jasper molte cose. E ora
dirà
tutto.”
“Ehm…
in verità siete tu e Nathaniel che avete incastrato
l’intero gruppo. – precisò Nolan,
ricevendo un’occhiataccia – Beh, è colpa
vostra. Però non fa niente, vi ho già perdonati
per quello.”
Sam
e Nathaniel continuarono a fissare Nolan, mentre Eric
notava un certo fermento di fronte al tribunale: c’era la
polizia e anche la
stampa.
“Ragazzi,
sta succedendo qualcosa.”
Quelli
si voltarono tutti a guardare.
“Mi
sembra un po’ presto per la stampa. – Sam
guardò
l’orario sul telefono – Jasper non è
ancora arrivato e… - tornò a guardare
verso il tribunale, stranito dalla situazione – La polizia
sta cercando di
sfuggire alla stampa o sbaglio?”
“Che
diavolo sta succedendo? – stranì Nathaniel - Se ne
vanno?”
Improvvisamente,
vibrarono tutti i loro telefoni. La loro
confusione stava per essere chiarita.
Aperto
il messaggio, comparve immediatamente una foto:
mostrava Jasper dentro il bagagliaio di una macchina con il nastro
adesivo alla
bocca.
Sam
sgranò gli occhi: “Oh mio
Dio…”
Subito
dopo, sopraggiunse il messaggio.
“Jasper
ora è mio.
L’avete fatto accadere voi.”
-A
Nathaniel
era a dir poco incredulo: “Ma come ha fatto a
sottrarlo alla polizia?”
“Secondo
voi lo ucciderà come ha fatto con Edward?”
impallidì Eric.
“Non
posso affrontare un nuovo cadavere.” pensò Sam,
sconvolto.
“Ragazzi,
dobbiamo andarcene da qui. - suggerì Nolan - Ormai
non dobbiamo più scappare, A ci
ha
dato più tempo.”
Eric
si voltò verso di lui: “Tempo per cosa?”
“Ehm,
non lo so. Però ci ha salvati, Jasper avrebbe
confessato tutto.”
“Ci
ha salvati da una gabbia più piccola, ma siamo ancora
in trappola. – aggiunse Sam – Dobbiamo fare
qualcosa, come mettiamo fine a
tutto questo?”
*
Rider,
chiuso nella sua stanza, stava ascoltando le
conversazioni che avvenivano in casa sua attraverso le bambole.
Riusciva ad
udire solo qualcuno che piangeva: sua sorella.
Improvvisamente,
poi, sentì una porta aprirsi e una
seconda voce.
“Ehi,
ma che ti è
successo? Stai da schifo.”
In
quel momento Rider strizzò gli occhi, non capendo chi
fosse. Solo dopo qualche secondo ci arrivò.
“Aspetta,
ma questa è voce di Chloe!” esclamò,
attaccando
la bambola all’orecchio per sentire meglio.
“Julian
mi ha lasciata,
non sapevo chi chiamare.” singhiozzava Lindsey.
“Ti
ha lasciata?
Perché?”
Rider
restò perplesso: “L’ha detto a
Chloe?”
“L’hai
letto il
messaggio che ti ho mandato, no?” continuò Lindsey.
“Si,
che ieri Brakner è
stato chiamato dalla polizia per via di quella ragazza.”
“Pensa
che sia tutta
opera di mio fratello e i suoi amici, ma non è
così.”
“Che
vuoi dire?” chiese
Chloe.
Rider
ascoltava con una smorfia confusa in volto.
“Mi
ha detto che
siccome Rider non vuole rovinarmi, ha deciso di trovare un altro modo
per farlo
allontanare da me. La ragazza di Eric insinuava che l’avesse
investita lui e
che avesse rivestito la macchina di un altro colore per non farsi
scoprire.
Solo che la polizia ha controllato e non c’era nulla di
strano. Julian pensa
che sia un avvertimento e ha avuto paura. – pianse
– Tu lo sai che quella notte
eravamo con Albert, perciò Julian ha costantemente paura
della polizia.”
“Lo
so, lo so perfettamente,
ma…la fidanzata di Eric è per caso impazzita?
Perché prestarsi ad una presa in
giro del genere?”
Lindsey
passò ad un
tono serio, quasi inquisitorio: “Conosco mio fratello:
malgrado non accettasse
la mia relazione, non l’avrebbe mai minacciata. Non
l’ha fatto quando era in
vita Anthony, figurati ora. E’ quella Alexis che ha lanciato
il sasso!”
“Che
vorresti dire?”
“A come Alexis,
non ti
dice nulla? Ricevo questa busta da A con
dentro un vestito da neonato e Rider è presente. Rider crede
che io sia incinta
e quindi cerca di dividerci: questo voleva inculcarmi A!
Voleva farmi credere che Rider avesse convinto Eric e la sua
ragazza a mettere su questa recita, ma in realtà
è lei!”
Rider
sgranò gli occhi, non capiva più nulla:
“Ma che sta
succedendo? Come sanno di A?”
“Che
sappiamo di
Alexis?” domandò Chloe, dopo averci riflettuto.
“Non
lo so, non l’ho
mai vista prima che si mettesse con Eric. Una cosa è certa:
è molto più grande
di noi e potrebbe essere pericolosa.”
“Credi
sia una parente
di Albert? Nemmeno io l’ho mai vista.”
“Credo?
– ripetè con
tono enfatico – Sai benissimo chi sono, Chloe. A malapena
sapevo che esistesse,
figurati sapere qualcosa di lui. Io e Albert abbiamo parlato per la
prima volta
nel giorno in cui ha trovato quel video fatto dai ragazzi in quella
classe.”
Improvvisamente,
Rider sentì qualcuno avvicinarsi alla
porta della sua stanza e mise subito via le bambole, tornando a letto.
L’infermiera
entrò, facendogli cenno di alzarsi: “Vieni
Nolan, è ora di andare nella sala ricreativa.”
Quello
scese dal letto, incamminandosi silenzioso verso
di lei. Avrebbe voluto ascoltare un altro po’ la
conversazione tra Chloe e sua
sorella e capirci qualcosa di più.
*
I
ragazzi erano appena entrati a casa di Sam. Nervosi,
non sapevano cosa fare e temevano il peggio.
“E
se ci facesse fare delle cose per tenere in vita
Jasper? – farneticò Eric, mentre entravano in
cucina – Che ne so, magari: svaligiate
una banca o uccido Jasper, rapite una bambina o uccido Jasper,
camminate su una
fune o uccido Jasper!”
“Eric,
basta! – urlò Nathaniel –
Così non sei d’aiuto,
dobbiamo pensare!”
“Pensare
a cosa, Nat? Jasper come ostaggio di A è
la secchiata d’acqua che stavamo aspettando
per aprire finalmente gli occhi e renderci conto che siamo talmente
incasinati
che non c’è più una via
d’uscita, ok? Non possiamo neanche scappare da
Rosewood!”
“Eric
ha ragione, è finita! – si aggregò Sam,
inquieto,
dopo aver bevuto un sorso d’acqua – Non ci resta
che aspettare che il nostro
destino faccia il suo corso. Non combatterò più
contro A, non serve a
nulla.”
“Mi
dispiace, ragazzi. – Nolan mostrò il suo rammarico
-
Non volevo che andasse a finire così per noi.”
Nathanielo
lo fissò incredulo: “Almeno da te mi aspettavo
qualcosa di più, Rider. Non sei uno che cede così
facilmente.”
“Beh,
anch’io sono così. – si intromise Eric,
sentendosi
sminuire – Forse Rider si è semplicemente stancato
come tutti noi.”
“Io
non mi arrendo, ok? – replicò Nathaniel,
determinato
– Forse per voi è finita, ma io ho piani ben
più grandi dopo ieri sera.”
“Quali
piani, Nat? – si esasperò Sam – Ma se
non sappiamo
nemmeno chi sia A a questo punto.
Siamo troppo confusi e stiamo annegando, perché non te ne
rendi conto?
Cos’altro deve accadere perché tu te ne renda
conto?”
Improvvisamente
squillarono dei telefoni. Solo quelli di
Sam e Nathaniel, però.
I
quattro si guardarono, poi sia Sam che Nathaniel
risposero.
“…Ehm,
si ok…si, sto arrivando!” esclamò Sam,
pallido,
mentre spostava lo sguardo fra gli altri.
Fu
il turno di Nathaniel, pallido anche lui: “Tra cinque
minuti sono lì, sta calma.”
Quando
misero giù, Eric era impaziente di sapere cosa
stesse succedendo.
“Chi
era? Perché avete quelle facce?”
“Era
mio padre… - rispose Sam, deglutendo malamente –
Mi
voglio in centrale, devono farmi delle domande.”
“Stessa
cosa, era mia madre.”
“E
ora che cosa vuole la polizia? – si chiese Eric,
preoccupato – Perché ha chiamato solo voi
due?”
Sam
prese le chiavi dal tavolo e si avviò fuori dalla
cucina, senza aspettarli: “Non riesco a pensare adesso, spero
solo che sia A che conclude il
gioco.”
Gli
altri si guardarono ansiosi prima di seguirlo.
*
Seduto
davanti al pianoforte, Rider suonava e allo stesso
tempo si guardava attorno. Quando uno degli altri pazienti
iniziò a piangere in
maniera molto infantile, questo fu attirato dalle sue parole.
“E’
l’uomo nero! L’uomo
nero verrà a prendere anche me!”
Rider
si voltò, mentre l’infermiera cercava di calmare
il
giovane paziente, che stringeva tra le mani un disegno che aveva fatto.
Incuriosito,
si avvicinò. L’infermiera stava portando via
il ragazzo, ma il disegno era rimasto sul tavolo.
Quando
lo prese tra le mani, non credette ai suoi occhi:
il disegno raffigurava un uomo incapucciato davanti ad una delle
finestre del
Radley. Accanto all’uomo, c’era un ragazzino con il
camice bianco, un paziente.
“Nolan…”
pensò.
Entrambi
erano rivolti verso quella ampia finestra,
chiusa dalle sbarre. Il pavimento era illuminato e anche le pareti e le
due
figure, come se dall’esterno si fosse appena scatenato un
tuono.
“Ha
usato una finestra per farlo uscire. – alzò la
testa
dal foglio, guardando tutte le finestre che lo circondavano –
Una delle
finestre è manomessa.”
Improvvisamente,
sgamò Ector a fissarlo, non molto
lontano da lui. L’uomo abbassò lo sguardo, mentre
sistemava dei libri.
Rider
si avvicinò a lui senza esitare, in cerca di
risposte: “Ehi! – lo chiamò –
Ector, giusto? Sei l’infermiere che mi ha portato
le pillole l’altra volta.”
Quello
continuò a sistemare i libri nella libreria, come
se volesse evitare il suo sguardo: “Ehm, direi di si. Porto
sempre le medicine
ai pazienti.”
“Sapevi
il mio nome, mi hai chiamato Nolan quel giorno. –
gli fece notare con sguardo opprimente - Perché fai finta di
non conoscermi?”
Ector
iniziò ad innervosirsi: “Non faccio finta, siete
tutti pazienti per me.”
“E
invece fai finta… - insistette, notando le sue
reazioni sospette – Tu lo sai chi sono, vero? Sai che non
sono Nolan.”
A
quel punto, Ector si voltò verso di lui dopo essere
rimasto con gli occhi leggermente sbarrati, come se fosse stato colto
in
flagrante: “Ascolta, so perfettamente chi sei. Il tuo nome
è Nolan Stuart, ma
ti credi Rider, tuo fratello gemello. Soffri di personalità
multipla e di
schizofrenia e sei in questo istituto da undici anni.”
Rider
accennò un sorriso con un lato della bocca:
“Allora
lo sai come mi chiamo, perché fingere? – lo
fissò a lungo, mentre lui sudava
freddo e a malapena riusciva a reggere il suo sguardo – O
forse sai
perfettamente chi hai di fronte e che non sono proprio Nolan, quindi
fingi di
sapere chi non sono.”
Quello
si scansò, cercando di evadere: “Devo
andare!”
“Hai
messo tu il computer sotto al mio letto? Quanto ti
ha dato l’uomo con il cappuccio per farlo?” gli
domandò a bruciapelo, facendolo
fermare, mentre era di spalle.
Quando
si voltò, lo guardò per qualche secondo,
intimorito: “Io non ho idea di cosa stai
parlando…Nolan!” concluse,
andandosene.
Rider,
a braccia conserte, restò a fissarlo finchè non
lasciò la sala. Sapeva di averlo in pugno e che prima o poi
l’avrebbe fatto
crollare.
Improvvisamente,
qualcuno bussò alla sua spalla.
Spaventato, si voltò: era Norman.
“Ehi,
mi hai fatto prendere un colpo!” riprese fiato.
“Scusa,
mi hanno appena fatto uscire. – spiegò, un
sorriso ebete sul suo volto - Ti cercavo!”
“Ah,
mi cercavi? - deglutì, pietrificandosi – Beh,
anch’io ti cercavo. Poi non hai più finito di
raccontarmi perché sei internato
qui. Mi hai detto che eri ossessionato da questo gruppo di amici e che
volevi
fare amicizia con loro e poi…l’infermiera
è venuta a chiamarti.”
Quello
abbassò lo sguardo, assumendo un atteggiamento
inetto: “Ehm, niente, ho fatto dei giochi con loro.”
Rider
lo fissò, intimorito nel parlare:
“E…che tipo
di…giochi?”
Le
mani di Norman si strinsero in un pugno e cominciava a
tremare. Rider pensò che era meglio non continuare, fingendo
un sorriso.
“Ehm,
sai cosa ti dico? Non fa niente, non sono affari
miei. Piuttosto, perché mi cercavi?”
Norman
cambiò radicalmente, tornando di colpo sereno e
sorridente: “Sono riuscito a recuperare una cosa. –
sorrise in maniera più
accentuata, guardandosi attorno – Una cosa che ci
aiuterà a fuggire da questo
brutto posto.”
“Cosa?
– Rider sgranò gli occhi – Di che
parli?”
L’altro
abbassò lo sguardo sulla una delle sue maniche,
facendo scivolare fuori un lungo chiodo: “Parlo di questo!
– iniziò a ridere
sottovoce, come se avesse in mano qualcosa di utile – Era
incastrato nel muro e
giorno dopo giorno sono riuscito finalmente a tirarlo fuori.
– glielo passò -
Toccalo!”
La
delusione negli occhi di Rider fu talmente struggente
che dovette sopprimerla e far finta di assecondarlo: “Ah,
beh, un chiodo! –
finse un sorriso, mentre glielo ridava dopo averlo maneggiato
– E’ a dir poco
geniale, ce la faremo.”
“Io
e Nolan progettavamo di fuggire insieme, anche se… -
il suo entusiasmo si spense per un attimo, ricordando che
l’amico era scappato
ugualmente e senza di lui – Ma ora ho trovato un nuovo amico
e fuggiremo
insieme. – tornò a sorridere, rimettendo il chiodo
dentro la manica – Stanotte
lasceremo il Radley!”
Nonostante
sapesse che ciò non sarebbe mai accaduto,
Rider annuì ugualmente, cercando di non contrariare un matto.
*
Sam
e Nathaniel giunsero in centrale, dopo essere stati
chiamati. Ad aspettarli c’erano rispettivamente suo padre e
sua madre. Claire,
non appena vide i due arrivare insieme, deglutì malamente e
lanciò loro delle
occhiate sfuggenti; si sentì a disagio dopo aver visto le
loro foto insieme,
mandate da un misterioso mittente.
“Papà,
che succede?” domandò subito Sam, ormai accanto a
lui davanti ad una porta.
“Vogliono
farvi delle domande. Jasper Laughlin non è mai
arrivato in tribunale, perciò…”
Nathaniel
restò perplesso, muovendo lo sguardo tra il
padre di Sam e sua madre: “E che cosa c’entriamo
noi con questo?”
Il
ragazzo, però, non ricevette risposta perché la
porta
davanti a cui sostavano si aprì: il Detective Michael Costa
li invitò ad
entrare, nel suo ufficio.
“Bene,
eccovi qui. Entrate!”
Il
minuto seguente, i quattro erano seduti davanti al suo
tavolo. La madre di Nathaniel era a dir poco inspazientita.
“Si
può sapere cosa c’entra quell’assassino
con i nostri
figli?”
“Senza
offesa, signora, ma anche se i genitori devono
essere presenti ad un interrogatorio fatto a minori, non vuol dire che
debba
farle lei le domande. Qui l’unico che può parlare
sono io.”
“E
allora parli! – intervenì Nathaniel, abbastanza
infastidito – Cosa ci facciamo qui?”
Michael
spostò lo sguardo su di lui, abbastanza sicuro di
sé: “Ho richiesto il registro delle visite al
penitenziario di Philadelphia
qualche giorno fa. – Nathaniel e Sam divennero immediatamente
pallidi, così
come Carter Havery – I vostri nomi risultano tra le visite
fatte a Jasper
Laughlin. Lo stesso uomo che oggi è scomparso
misteriosamente, mentre veniva
scortato per la sua udienza. – fissò ognuno di
loro in maniera incisiva,
pesante – Ora, io mi chiedo, perché mai due
studenti liceali sono dovuti
arrivare fino a Philadelphia per incontrare un assassino?”
Carter
cercò di intromettersi: “Michael,
ascolta…”
Quello
però non lo fece continuare, alzando il dito:
“Shhh, no! – e indicò i ragazzi
– Devono rispondere loro, Carter. La regola che
ho imposto alla signora Blake vale anche per te. Non sei più
un poliziotto e
mio collega in questo momento.”
Nonostante
avesse il cuore in fibrillazione, Sam trovò il
coraggio di mantenere il sangue freddo: “Di cosa ci sta
accusando,
esattamente?”
“Avete
aiutato voi Jasper Laughlin a fuggire?”
“NO!”
esclamarono insieme, in una smorfia a dir poco
scioccata da quell’accusa.
“Allora
spiegatemi il motivo della visita a quell’uomo.”
continuò, impertinente.
“Lo
conoscevo, ok? – rispose Sam, mentre suo padre si
voltava a guardarlo – Lo conoscevo da prima che il mio amico
e suo padre
morissero.”
Anche
Nathaniel lo stava fissando, certo che stesse
raccontando una storia abbastanza convicente e credibile. Michael Costa
osservava i loro atteggiamenti, mentre quello spiegava.
“Lo
conobbi in un locale, il Ginseng. – abbassò
leggermente lo sguardo, imbarazzato per la presenza del padre
– E’ un locale
gay. E io sono gay, perciò...”
Claire
si sentì a disagio, guardava da altre parti,
stringendo la borsa che teneva sulle ginocchia, immaginando che anche
suo
figlio potesse esserci stato.
“Che
genere di rapporto aveva con Jasper?” gli chiese
Michael, gli occhi stretti nel scrutarlo.
“Lo
incontrai che era la bancone del bar, stava bevendo
molto. Piangeva anche. – fece una pausa, mostrandosi affranto
– Non volevo
andarmene e lasciarlo in quello stato, e il ragazzo con cui dovevo
vedermi mi
ha scaricato, così sono rimasto e gli ho chiesto cosa
avesse. E’ stato in quel
momento che mi ha raccontato di quest’uomo che frequentava,
Kevin. Mi è bastato
davvero poco per capire che si trattasse del padre di Anthony,
c’erano troppe
coincidenze…A quel punto ero curioso e sono rimasto ad
ascoltarlo: mi spiegò
che Kevin l’aveva cacciato dalla sua vita perché
per colpa sua aveva contratto
l’HIV. Mi spiegò anche che aveva dei problemi
economici e che il suo negozio
era andato distrutto in un incendio e che probabilmente era stato Kevin
per
vendicarsi.”
Michael
restò a fissarlo a lungo, prima di far scivolare
tra le sue mani un fascicolo: la deposizione di Angela Dimitri su
Jasper
Laughlin. Dopo averlo rivisto, notò che alcune cose dette
dal ragazzo
combaciavano con la realtà dei fatti.
“Bene,
quindi l’hai conosciuto e poi cosa è successo?
Avete avuto rapporti sessuali?”
Carter
si alzò dalla sedia, rosso in volto: “Ma come si
permette?”
Sam
gli prese il braccio, cercando di calmarlo: “Papà,
va
tutto bene. Posso rispondere.”
Quello,
allora, si risedette, nonostante continuava a
guardare male il detective.
“No,
non ho avuto rapporti sessuali con lui. L’ho solo
riaccompagnato a casa e poi ci siamo risentiti. Eccetto questa storia
triste, è
una brava persona e siamo diventati amici. – concluse
– Per questo gli ho fatto
visita. Non credo che abbia ucciso lui Anthony e suo padre.”
“E
chi pensa sia stato?”
“Se
lo sapessi, non avrei esitato nel venire qui a
dirvelo.”
Ora,
Michael spostò lo sguardo su Nathaniel: “E tu che
ci
facevi con lui?
“Sam
è il mio migliore amico, l’ho accompagnato
ovviamente!” esclamò, mentre la madre si
irrigidiva.
“Ti
sei presentato anche una seconda volta da Jasper. Da
solo. Come mai?”
A
quel punto, anche Nathaniel inventò una bugia:
“Jasper
aveva chiesto a Sam di non andarlo più a trovare, visto che
la polizia
controlla le visite. Ora non fingiamo che tutta questa storia non ci
riguardi
da vicino. Jasper temeva che la polizia avrebbe male interpretato il
rapporto tra
lui e Sam e che la polizia l’avrebbe accusato di
complicità. Sam però voleva
tornare da lui, voleva essere presente al processo e io sono andato a
chiedergli
il permesso per conto di suo.”
Michael
sollevò le sopracciglia, non molto convinto:
“Mmmh…storie interessanti!”
“Storie
vere!” precisò Sam, infastidito.
Claire,
troppo a disagio, si alzò dalla sedia e non ne
potè più: “Ora possiamo andare?
E’ evidente che i nostri figli non hanno nulla
a che fare con la scomparsa di quest’uomo!”
“Tutto
però fa pensare che siano coinvolti nell’omicidio
di Anthony e Kevin Dimitri.” continuò il
detective, implacabile.
“Le
abbiamo dato già dato i nostri alibi la sera
dell’eplosione
a scuola. Ero a casa mia con la mia migliore amica Chloe!”
ribadì Sam,
alterato.
“Beh,
gli alibi possono essere perfetti quanto un
delitto.”
“Ma
che cosa sta insinuando?” intervenne nuovamene
Claire.
Michael
la ignorò, diretto con i ragazzi: “Avete ucciso
voi Albert Pascali?”
“NO!”
urlò Sam, alterato.
“L’avete
ucciso insieme ad Anthony Dimitri?” ribattè,
veloce.
Sam
non volle più ascoltarlo, voltandosi verso Carter:
“Papà!”
Quello
si alzò, affermando la sua parola: “Adesso basta,
l’interrogatorio finisce qui! Mio figlio non è un
assassino, non ha prove per
dirlo!”
Claire
lo seguì a ruota, indignata: “E nemmeno mio
figlio! – poi si voltò proprio verso di lui
– Andiamo Nathaniel!”
I
due ragazzi si alzarono, seguendo i loro genitori.
Anche Michael si alzò, facendosi sentire mentre uscivano:
“La verità verrà a
galla prima o poi!”
Dopo
essersi voltati a guardarlo agghiacciati e provati,
chiusero la porta alle loro spalle.
All’uscita
dalla centrale, Sam aveva il passo rapido
mentre scendeva i gradini. Carter gli era alle calcagna. Era buio.
“Sam,
ti devo parlare. Aspetta!”
“Non
ho nulla da dire, voglio solo andarmene!” non si
voltò, furioso.
Nathaniel
cercò di raggiungere anch’essi Sam, lasciando
indietro sua madre: “Sam, se vuoi ti accompagno!”
Ma
quello non si voltò, ormai distante. Nathaniel
restò
fermo sul marciapiedi accanto a Carter, in quel momento sconsolato nel
non
riuscire più a gestire il figlio.
“Mi
dispiace signor Havery… - si imbarazzò,
indietreggiando – Io ora
vado…arrivederci!”
Quello
annuì, accennando un saluto forzato, troppo
pensieroso. Nathaniel si avvicinò alla sua auto, dove
c’era già sua madre.
“Mamma,
andiamo.”
I
due si guardarono e quella, poi, salì silenziosa.
*
Nel
parcheggio sotterraneo del Rosewood mall, il centro
commerciale della città, Alexis aveva fatto qualche acquisto
per la casa ma non
riusciva a far partire la macchina. Quando scese, sbuffando, prese
immediatamente il telefono.
“Eric,
per favore, vieni a prendermi, la macchina… –
improvvisamente partì la segreteria, seccandola ancora di
più – Ehm, Eric se
senti questo messaggio richiamami subito. La mia macchina non parte,
vieni a
prendermi, mi trovi all’ingresso del Rosewood
mall.”
Stava
per aggiungere qualcos’altro, ma dovette abbassare
il telefono quando notò una pozza di benzina accanto alla
ruota.
“Ma
che diavolo…???” si rese conto che il problema era
la
benzina esaurita e che fu una misteriosa perdita ad averla fatta
esaurire.
Riprese
nuovamente il telefono, facendo avanti e
indietro, per poi accorgersi che l’altro lato della sua auto
era stata rigata
con delle chiavi. Rigata per comporre un messaggio.
“Fa
strano essere
minacciati da qualcuno, vero Alexis?”
-A
La
ragazza sgranò leggermente gli occhi, turbata.
Intanto,
nello stesso parcheggio sotterraneo, c’era
qualcuno che la osservava da dentro un auto. Due ragazze: Lindsey e sua
cugina
Tasha.
Quest’ultima
aveva lo specchietto del trucco aperto e si
stava passando il rossetto sulle labbra, indiffente.
“Che
sta facendo la poverina?”
Con
uno sguardo d’odio fisso su Alexis, Lindsey le
rispose dopo qualche secondo: “Ha appena letto il
messaggio…”
“Una
cretina qualunque cerca di denunciare il tuo uomo e
tu le scrivi uno stupido messaggio con le chiavi? –
buttò gli occhi in alto -
Dio, non ti ho insegnato niente?”
“E
cosa dovrei fare, investirla?”
“Beh,
non sarebbe male come idea. Indossa delle scarpe da
ginnastica che non vedo dai tempi di 90210!”
Lindsey
tornò a guardare Alexis: “Le minacce la
spaventeranno, vedrai. E poi chi dice che io mi debba fermare ad un
banale
messaggio.”
L’altra
chiuse lo specchietto del trucco, ridendo: “Uuuh,
abbiamo una vendetta ben più grossa in cantiere. Rendimi
partecipe, come non
hai fatto con questa storia dei messaggi di A!
Dovevi dirmelo che qualcuno ti minacciava.”
“Avevo
ricevuto solo quel messaggio insieme al vestitino,
non pensavo si sarebbe spinta così oltre.”
“Però
c’è da dire che non si è messa sotto
quella
macchina da sola, qualcuno l’ha investita davvero.”
“Ma
non è stato Julian, ok? – fece poi la vaga, visto
che
non le raccontò proprio tutta la verità - Non
capisco perché si sia fissata con
lui.”
“E’
chiaro: forse il tuo professore è andato a letto
anche con lei e ora la sgualdrina è gelosa! –
esclamò, ricevendo subito
un’occhiataccia – Ehm, ma con questo non voglio
dire che sei una sgualdrina
anche tu.”
Mortificata,
si zittì e prese il telefono, cambiando
discorso: “Uff, non c’è traccia di
Nathaniel su Tinder…”
Dopo
che Alexis se n’era andata, Lindsey mise in moto:
“Beh, prova su Grindr, forse lo trovi
lì!”
Ora
fu Tasha a lanciarle un’occhiataccia, mentre
l’altra
le sorrise ampiamente per aver pareggiato i conti.
*
Sam
era sul viale del ritorno in lacrime, ancora provato
da quell’interrogatorio che lasciava sperare ben poco ad un
lieto fine.
Stringendosi le braccia per il freddo, camminava con lo sguardo perso
nel vuoto
lungo il marciapiedi. La luce dei lampioni vibrava e le strade erano
vuote.
Esausto,
si fermò e chiuse gli occhi. Voleva solo evadere
da quella situazione, sparire per sempre. Ma al tempo stesso,
però, si sentiva
così impotente e non più padrone della sua vita.
All’improvviso,
sentì il rumore di un motore in lontananza.
Quando si voltò, vide che era una moto e sopra sembrava
esserci un uomo con
indosso un jeans, una giacca di pelle nera e il casco. Sam
continuò a
camminare, visto che quello era fermo al semaforo.
Qualche
istante dopo, il semaforo divenne verde e la moto
iniziò ad avanzare lentamente anziché veloce. Di
tutto questo, Sam se ne
accorse e ogni tanto si voltava a gettare un occhiata. A quel punto
alzò il
passo, sembrava seguirlo. Anche la moto aumentò la
velocità.
Ora
Sam era nel panico, intuì che c’era qualcosa che
non
andava e così iniziò a correre più
veloce del vento. La moto accellerò, nel
tentativo di raggiungerlo: nel giro di pochi secondi lo
superò. Sam si fermò,
quando la moto sgommò ruotando verso la sua direzione.
Con
il fiatone e gli occhi sgranati, Sam restò impalato a
fissarlo e quello faceva la stessa cosa. Improvvisamente,
alzò le braccia,
togliendosi il casco: era Wesam.
Sam
si mise una mano sul petto, cacciando fuori l’aria ad
occhi chiusi: “Oh Dio, sei tu! – si
infuriò, riaprendoli – Ma come ti viene in
mente di farmi uno scherzo simile?”
“Scusa,
è che mi sembrava di averti riconosciuto e volevo
solo raggiungerti…” scese dalla moto,
avvicinandola al marciapiedi.
“Da
quando guidi una moto e indossi giacche di pelle?”
“Ho
una passione per le motociclette fin dall’adolescenza
e…quando fa buio, mi piace uscire a fare un giro. Mi fa
rilassare. – lo vide
perplesso - Non va bene?”
“No,
è che… - fu più calmo –
sembri diverso dal solito
Wesam. Sai, quello con giacca e cravatta, scarpe lucide e una gamba
accavallata
sull’altra mentre ti psicanalizza.”
“Quello
è il Wesam professionale, Sam. – rise –
Fuori da
quello studio sono una persona del tutto diversa, ma non puoi saperlo
visto che
non ci siamo mai visti al di fuori di quel contesto.”
Ora
Sam si sentì stupido, abbassando lo sguardo:
“Già,
hai ragione… - accennò un sorriso malinconico
– Peccato che io sia sempre la
stessa persona sia dentro che fuori dal tuo studio. ”
“Ehi,
tutto bene? – con il pollice asciugò la parte
inferiore della sua palpebra, umida per il pianto – Che ci
fai in giro a
quest’ora?”
Sam
arrossì, facendo fatica a reggere il suo sguardo:
“Sono appena stato in centrale e…” i
suoi occhi si gonfiarono di lacrime e per
questo voltò la testa dall’altra parte.
“Sam?
– gli prese il lato sinistro del viso, facendolo
voltare – Che è successo?” si
preoccupò.
Quello
scoppiò a piangere, gettandosi tra le sue braccia.
Wesam sgranò gli occhi, spiazzato.
“Ti
prego, portami via da Rosewood.” lo strinse forte,
sofferente.
Il
viso di Wesam si rilassò, divenne serio e lo strinse a
sua volta: “Sam, ieri dovevi raccontarmi tutti, ricordi? Su
chi ti minaccia.”
“Ti
racconterò tutto, ma non qui. – si
staccò da lui,
guardandolo negli occhi – Portami via. Ti prego.”
Quello
restò a fissarlo, poi annuì: “Va
bene…”
Più
tardi, Sam era sopra la sua moto, le braccia
aggrappate al suo petto. Con il vento contro e mille pensieri per la
testa, si
voltò a guardare indietro, mentre lasciavano Rosewood.
*
Intanto
Nathaniel era in camera sua, davanti al suo
computer.
Le
videoconfessioni erano rimaste nella sua auto, dopo
che avevano lasciato la casa sul lago, perciò non
esitò a guardare quella di
Sam.
Immobile
davanti allo schermo, ascoltò tutto quello che
aveva detto a Wesam: ogni parola.
Tuttavia,
c’era un pezzo del filmato che riguardò
più e
più volte. Una frase che non lo lasciò
indifferente:
“Stasera
mi hai fatto sentire protetto tra le tue braccia. Una sensazione che
ormai non
provavo da tempo, Wesam…Io credo di…essermi
innamorato di te e mi dispiace non
potertelo dire guardandoti negli occhi. Addio.”
Dopo
averla riascoltata ancora una volta, gli occhi
lucidi, il respiro rumoroso e il viso disturbato, Nathaniel tolse il cd
e lo
buttò per terra con irruenza.
Gli
sembrò di impazzire, si mise le mani capelli e
tirò
un grosso respiro per calmarsi. Non capiva cosa stesse provando, se la
sua
fosse gelosia.
Il
suo sguardo si poggiò su gli altri cd poggiati sulla
scrivania. Più calmo ne inserì un altro, ormai
insonne.
All’avvio,
però, c’era qualcosa che non quadrava. La
telecamera riprendeva una sedia vuota per diversi minuti.
Nathaniel
strinse gli occhi, perplesso, avvicinando
l’orecchio al computer perché sentiva qualcuno
parlare sottovoce.
A
quel punto, tolse il cd per capire a chi dei suoi amici
appartenesse ed era quello di Rider: non aveva registrato nulla per la
sua
famiglia.
*
Al
Radley, Rider era steso sul suo letto, su di un
fianco, che fissava il portatile sul tavolo: aspettava che A si facesse vivo per una nuova partita
e nuove informazioni come
tutte le sere.
Stanco
di aspettare, chiuse gli occhi per un secondo; la
stanchezza si stava facendo sentire, non dormiva bene da giorni.
Improvvisamente, sentì dei rumori fuori dalla sua stanza,
nel corridoio, e
riaprì gli occhi.
Sentì
una porta aprirsi, poi il silenzio. Subito dopo un
tonfo, che lo fece sussultare, e poi di nuovo il silenzio.
Un
rumore di passi arrivò al suo orecchio, diveniva
sempre più percettibile e si fermò davanti alla
sua porta. Una chiave entrò
nella serratura e Rider sgranò gli occhi, sollevandosi dal
letto.
Quando
la porta si aprì, si trovò davanti Norman con il
fiatone.
“Te
l’avevo che saremmo fuggiti stanotte!”
Rider
si alzò dal letto, indietreggiando spaventato.
Norman aveva le pupille dilatate, tremava e aveva la mano sporca di
sangue,
come la sua manica.
“C-che
sta succedendo? – balbettò, deglutendo malamente
–
Che hai fatto?”
“Non
abbiamo molto tempo, andiamo!” e si avvicinò,
tirandolo per il braccio.
“No
no, aspetta!” esclamò, cercando di liberarsi dalla
sua
stretta, ma l’aveva già trascinato fuori dalla sua
stanza.
“Non
urlare o ci sentiranno!” bisbigliò, cercando di
capire in che direzione andare. Poi iniziò a camminare lungo
il corridoio.
Rider
lo seguì, spaventato: “Di chi è quel
sangue?”
“Dovevo
farlo, ok? – disse sorpassando la sua stanza
aperta – Nolan se n’è andato senza di me
e io devo trovarlo per dirgli che mi
ha tradito e abbandonato in questo posto di merda!”
In
quel momento, anche Rider passò davanti alla stanza di
Norman. Distesa per terra, c’era una delle infermiere in una
pozza di sangue:
aveva un chiodo conficcato nel collo.
Sconvolto,
spalanco la bocca e gli occhi: “Oh mio Dio,
hai ucciso una persona…”
E
quello si voltò, seccato e minaccioso: “E se tu
non mi
aiuterai ad uscire da qui, ucciderò anche te, ok?”
“Come
posso aiutarti se non so nemmeno io da che parte
andare?”
Quello
sorrise malamente, come un vero psicopatico: “Sei
molto più intelligente di quanto non vuoi far credere,
Rider. E per questo, sai
di non avere altra scelta che seguirmi. Su quel chiodo ci sono anche le
tue
impronte…” e rise, dopo averglielo fatto notare.
Rider
comprese che per uscirne avrebbe dovuto riprendere
possesso della sua identità e che se non l’avesse
fatto, le cose sarebbero
degenerate ancora di più.
“D’accordo,
verrò con te!” si avvicinò lentamente a
lui,
riflettendo su come fare.
“Bravo
pazzerello!” esclamò con un sorriso compiaciuto,
affidandosi.
Insieme
salirono al piano superiore e Rider si mise a
fissare il corridoio dove si trovavano nei minimi dettagli, parlando
tra sé e
sé.
“Nel
disegno c’erano delle crepe nel pavimento… - e
abbassò lo sguardo, dove effettivamente c’erano
– E un poster mal ridotto sulla
parete… - c’era anche quello – Il
corridoio è questo!”
“Di
cosa parli?” gli chiese Norman, non seguendolo.
Rider
in quel momento puntò lo sguardo verso la finestra
alla fine del corridoio: “E’ da quella finestra che
Nolan è scappato. – la
indicò – Qualcuno l’ha visto fuggire da
qui e ha fatto un disegno.”
Dopo
si avvicinò ad essa, con Norman a seguito, e notò
che il chiavistello era rotto e che quella si apriva.
Norman
sorrise, assaporando già la libertà.
L’altro
si voltò verso di lui, preoccupato per se stesso:
“Che ne sarà di te una volta uscito da qui? Ognuno
andrà per la propria strada,
giusto?”
“Prima
pensiamo ad uscire… - lo fissò con uno sguardo
penetrante e cupo – Poi si vedrà!”
Nonostante
quel tono non lo rassicurasse per nulla, Rider
cambiò discorso: “C’è da fare
un piccolo salto, poi dovremo aggrapparci
all’albero.”
“Ok,
vai prima tu!” gli suggerì, non fidandosi.
Rider
restò rigido per qualche secondo, poi si voltò,
con
il timore di poter cadere. Purtroppo, però, non poteva
tirarsi indietro e si
affacciò fuori, pronto a saltare. Norman non gli tolse gli
occhi di dosso,
aspettando il suo turno.
CONTINUA
NEL QUATTORDICESIMO CAPITOLO
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Capitolo 14 *** 1x12-La mossa del diavolo ***
CAPITOLO DODICI
“FrançAis Crime”
Sam stava
fissando il parabrezza,
il sangue che lo colava lungo il vetro. Non reagiva, era come assente.
Sentiva
a malapena le voci dei suoi amici, che erano fuori a discutere; le
percepiva
come se fosse rinchiuso all’interno di una palla di vetro e
loro si trovassero
fuori.
“Prendilo
per le gambe!”
“Aspetta,
c’è troppo sangue.”
“Fate
piano. Nathaniel, piano!”
Non riusciva a
distinguere
chi parlasse: solo voci, e il rumore del corpo di Edward Blanc che
scivolava lungo
il tettuccio.
Due quarti
d’ora più tardi,
i quattro erano sulla strada del ritorno. Eric, sempre alla guida,
cercava di
trovare una soluzione al primo problema che dovevano risolvere.
“Gli
asciugamani che
abbiamo usato sono tutti sporchi e ci sono ancora delle macchie di
sangue ormai
asciutte. Non possiamo rientrare a Rosewood con la macchina in questo
stato, ci
sono delle pattuglie notturne.”
“Eric,
lo so! – esclamò
Nathaniel, nervoso quanto lui – Ma cosa vuoi che faccia, che
mi metta ad
invocare la pioggia?”
“L’auto
è tua, fossi in te
mi preoccuperei un pò di più!”
replicò quello con i nervi tesi.
Nolan a quel
punto si
intromise, dopo essere stato in silenzio: “Un fiume!
– esclamò con enfasi,
mentre quelli si voltavano verso di lui, intimidendolo a tal punto da
balbettare – Ehm, m-mi ci portava mio padre a pescare quando
ero piccolo. Si
trova tra Rosewood e Screnton, verso est.”
Eric
restò a fissarlo per
qualche secondo, poi controllò sul navigatore.
“E’
vero, c’è un fiume ad
est. – si girò verso Sam e Nathaniel –
Non ne avevo idea.”
“Possiamo
pulire gli
asciugamani nel fiume e riutilizzarli per pulire meglio
l’auto.” suggerì
Nathaniel.
Eric
annuì, esattamente
come Nolan. Subito dopo, poi, fece inversione e imboccò la
strada per arrivare
a quel fiume.
*
Julie, seduta
nella sua
cucina, continuava a guardare l’ora sul suo orologio da
polso. Sospirò, perché
stava aspettando i ragazzi come da accordo.
Improvvisamente
bussarono
alla porta e lei corse immediatamente ad aprire. Delusa,
scoprì che non si
trattava di loro: era Palmer, un cartone di pizza in mano.
“Ehi,
sei già tornato?”
Quello fu
sopreso dalla sua
reazione poco entusiasta: “Cos’è quella
faccia? Hai altri scatoloni che devo
portare al nuovo appartamento? – sbuffò, pensando
che fosse così – Accidenti,
Julie, pensavo di aver fatto l’ultimo viaggio per questa
sera.”
“Ouh,
NO NO! – smentì
subito i suoi pensieri, facendolo entrare – E’ che
ho appena visto un thriller
da brivido in televisione e ho ancora la faccia da thriller.”
Più
rilassato, l’uomo poggiò
il cartone sul tavolo: “Meno male, odio mangiare la pizza
fredda!”
Quella finse un
sorriso,
ancora in piedi, che scriveva un messaggio mentre lui non guardava.
A
Nathaniel:
“Non
venite più, Sebastian è appena
tornato. Avete perso la vostra occassione.”
Poi si sedette,
prendendo
la sua fetta, mentre lui le sorrideva.
*
Con la macchina
parcheggiata a qualche passo dal fiume, i ragazzi stavano strizzando
gli
asciugamani che grondavano sangue. Mentre Nathaniel ne immergeva un
altro,
riprese a parlare.
“Qual
è la prossima mossa?
– domandò, senza nemmeno guardare i suoi compagni
– Rider, qual è la prossima
mossa?” ripetè a voce più alta.
Fermandosi dallo
strizzare
l’asciugamano che aveva, Nolan venne preso alla sprovvista:
“Dici a me?”
Quello si
voltò: “Sei tu la
mente, no? Immagino avrai un piano per uscirne.”
Nolan,
però, non seppe cosa
rispondere e fu Eric ad intervenire, prima che quel silenzio diventasse
sospettoso.
“Forse
io so come uscirne!”
esclamò, attirando l’attenzione di Nathaniel.
“Cioè?”
“Nello
stesso modo in cui
faceva Anthony…” ricordò, pronto a
spiegare.
FLASHBACK
Anthony
ed
Eric erano appena entrati in un locale notturno, abbastanza movimentato
dalla
quantità di gente che c’era, la musica e le luci.
Infastidito da tutto questo,
Eric cercò di alzare la voce per farsi sentire
dall’amico, che, davanti a lui,
si faceva strada tra le persone.
“Che
posto è
questo?”
“Siamo
al Rumors club...Non è
un locale nuovo per
me, ci vengo spesso. – gli diede una rapida occhiata
– E credo proprio che ci
verrai spesso anche tu… Immagino vorrai sapere come funziona
tutto questo. Beh,
nulla di che: un drink, un ciao, uno sguardo accattivante e hai
già quindici
amici in più su facebook.”
“E’
necessario?”
L’altro
si
fece scappare una piccola risata: “Certo che è
necessario, Eric: più gente
conosci, più sei potente. Più gente ti vede,
più forte è il tuo alibi.”
A
quel punto
Anthony si fermò, indicando un tavolo all’amico:
“Sediamoci con quei quattro
ragazzi, vado a prendere da bere.”
Eric,
ancora
confuso dalle sue parole così criptiche, lo fermò
per un braccio, prima che
potesse spostarsi.
“Ehi,
un
secondo, perché ci sediamo con quei quattro ragazzi? Credo
siano gay, che
c’entriamo noi con loro?”
Anthony
sospirò, facendo intendere che nascondesse qualcosa:
“Senti, questa serata è
una copertura.”
“Copertura
per cosa? – non capì – C’entra
con quelle assurdità che dicevi sul tuo alibi?”
“Più
o
meno…In verità, ho una ragazza!”
rivelò.
“Hai
una
ragazza? E chi sarebbe?”
“L’ho
appena
conosciuta e mi controlla in continuazione. Io odio essere controllato,
perciò
ho bisogno che creda che sia qui con degli amici.”
“Non
capisco,
perché dovremmo unirci a degli estranei?”
“Purtroppo
non ho un gruppo di amici maschi, quindi devo arrangiarmi in qualche
modo. –
cercò di convincerlo – Dai, giusto qualche selfie
e poi sei libero.”
“Libero?
Perché, dove vai dopo?”
“La
mia ragazza
deve credere che io sia qui, perché ho un impegno da
un’altra parte. – gli
diede una pacca sulla spalla – Tranquillo, prima di andarmene
ti sistemerò con
qualche ragazza che conosco.”
Poco
dopo,
nonostante le perplessità di Eric, i due erano davanti al
tavolo dei quattro
ragazzi, che difficilmente non li notarono.
“Ehi,
ragazzi, c’è posto per altri due?”
esordì Anthony con un sorriso ammaliante
Quelli
gradirono
e avevano occhi solo per loro.
“Ma
certo che
c’è posto per due etero curiosi… -
rispose uno dei quattro, un ragazzo di
colore – Sarebbe un bel colpo per noi se diventaste
più curiosi che etero. –
decise di presentarsi poi – A proposito, io sono
Dashan.”
Anthony
sorrise, colpito dalla sua arguzia: “Beh, siamo dei ragazzi
abbastanza aperti.”
Eric
sembrò
essere a disagio e Dashan lo notò.
“Il
tuo amico
non mi sembra così aperto. – mise la bocca a
papera, deridendolo - Forse è in
cerca di labbra più grandi?” scoppiò
inevitabilmente a ridere assieme ai suoi
amici.
Se
Eric non
sembrò gradire quella presa in giro, Anthony si
mostrò improvvisamente pungente
nei confronti dei quattro ragazzi.
“Forse
altre
labbra saprebbero accontentarsi in silenzio e ringraziare che un bel
ragazzo
come Eric ci abbia provato, non credi Dashan?”
Quello
deglutì amaramente, mentre gli altri smisero di ridere.
Dashan non era così
sicuro della sua bellezza di fronte a due come loro.
Soddisfatto
di averlo zittito, Anthony continuò più pacato:
“Forse dovremmo goderci la
serata, ora che abbiamo messo le cose in chiaro. Io ed Eric siamo
uguali, la
pensiamo allo stesso modo sulle cose. – si voltò a
sorridergli - Siamo così
uguali che se non esistessero gli specchi, lo userei come riflesso
della mia
immagine.”
Nonostante
fosse imbarazzato, Eric sorrise a sua volta per nasconderlo. Finalmente
si
sedettero e le risate iniziarono a riempire il tavolo, gli animi
più docili.
Mentre Anthony parlava con quei ragazzi, Eric lo fissava, chiedendosi
cosa si
nascondesse dietro a quel sorriso che riusciva ad ingannare tutti.
Tornato alla
realtà, quello
iniziò a spiegare: “Dobbiamo essere in un altro
posto. O meglio, far credere di
essere stati in un altro posto.”
Nathaniel si
avvicinò a
lui: “Non ti seguo, Eric.”
“Sono
stato il primo di noi
quattro a diventare amico di Anthony. Lui mi portava nei locali, ma non
per fare
festa. Lo faceva per crearsi un alibi: si faceva vedere dalle altre
persone, si
scattava foto.”
“Quindi
stai dicendo che
dobbiamo ubriacarci da qualche parte?” intervenì
Nolan, fantasticando sulla
cosa.
Eric lo
fissò, per poi
prendere il telefono e controllare una cosa: “…Sto
usando quella app della
scuola, l’ho usata anche oggi pomeriggio. Davanti alla
bacheca della scuola
c’erano molti altri avatar.”
Nathaniel si
mise al suo
fianco, cercando di vedere: “Forse guadavano gli orari delle
lezioni nelle
nuove scuole, no? Non tutti avranno ricevuto
l’email.”
“Non
solo quelli, molti
studenti hanno messo altri annunci: ripetizioni di Francese,
riunioni… - spiegò
Eric, mentre Nolan si spostava accanto a lui – Quello che ci
interessa è una
festa e ricordo di aver visto alcuni parlarne, mentre passeggiavo in
questo
posto virtuale.”
Con il suo
avatar, Eric si
fermò davanti alla bacheca fuori nel cortile.
“Clicca
dietro quegli
annunci, c’è un foglio nascosto.” gli
suggerì Nathaniel.
Messo in
evidenza, Eric lo
commentò: “C’è un party,
stasera.”
“Da
una certa Silvia Pratt…”
lesse Nolan.
Gli altri due si
girarono a
guardarlo, straniti.
“Una
certa Silvia? –
borbottò Nathaniel – E’ praticamente il
Cameron al femminile delle feste, solo
che Silvia va al college adesso. Hai sempre avuto una cotta per lei, la
trovavi
bella e intelligente allo stesso tempo.”
“Beh,
sì, per un’istante
l’ho scordato.” rise Nolan, a disagio.
La sua risata,
poi, fu
interrotta dall’arrivo improvviso di Sam, che era rimasto in
macchina.
In piedi, a
qualche passo
da loro, fece sentire la sua voce: “Che sta
succedendo?”
Quelli alzarono
lo sguardo
su di lui, mentre continuava.
“Dov’è
Anthony? – si guardò
attorno, sorridendo ingenuamente – Perché ero in
macchina da solo?”
Nathaniel,
leggermente a
bocca aperta e lo sguardo fisso su di lui, non capiva di cosa stesse
parliando:
“Anthony non c’è, Sam. Perché
lo stai nominando?”
Ora
alzò il telefono che
stringeva in una mano, ignorando il volto atterrito dei suoi compagni:
“Sentite, c’era questo telefono in macchina che
continuava a vibrare. Qualcuno
di voi ha ricevuto un messaggio da una certa Julie Orlando. –
spiegò – La
conoscete?”
“Oh
mio Dio, ha un
blackout…” pensò Nolan con un filo di
voce.
“Un
black-cosa?” si girò a
chiedergli Eric.
Nathaniel fece
un passo
avanti, parlando come se Sam non fosse davanti a loro: “Credo
che Rider abbia
ragione, dev’essere dovuto al trauma di ciò che
è successo. Mentre venivamo qui
era praticamente in coma.”
Sam
iniziò a guardarli uno
ad uno, serio: “Di che trauma parlate? Non riesco a seguirvi,
mi state
spaventando. – notò gli asciugamani leggermente
rossastri tra le loro mani,
assumendo una parlantina nervosa – Che sta succedendo qui,
dov’è Antony?”
Finalmente
Nathaniel lo
afferrò per le spalle, cercando di calmarlo: “Non
sta succedendo niente, torna
in macchina. Ci siamo semplicemente ubriacati troppo ed Anthony
è qui intorno a
vomitare dietro a qualche albero.”
Nolan si stava
avvicinando
alle loro spalle, mentre Sam sembrava poco convinto dalla situazione.
“Quello
sugli asciugamani è
sangue?”
“Si,
ma è il TUO sangue! –
gli fece notare – Guarda la tua gamba, ti sei fatto
male.”
Sam
abbassò lo sguardo,
sgranando gli occhi: “Oh mio Dio, ma come me lo sono
fatto?”
Non ebbe nemmeno
il tempo
di rialzare la testa che Nolan si fece più avanti e gli
tirò un pugno talmente
forte da stenderlo a terra.
Incredulo,
Nathaniel gli
urlò contro: “Ma cosa cavolo ti è
preso?” nonché furioso.
“Ha un
blackout, non lo
vedi? E’ così che ci si comporta in questi
casi.” rispose, riprendendo fiato.
“Tirando
un pugno?” lo
riprese ancora, allibito.
“L’ho
letto da qualche
parte, è così che si fa quando qualcuno perde il
senno!” replicò a voce alta,
quasi con rabbia e risentimento nel tono.
In quel momento,
Nolan stava
come rivivendo qualcosa all’interno della sua testa. Una
voce. La SUA voce.
FLASHBACK
Un
gruppo di
dottori ed infermieri stava tirando Nolan verso l’interno del
corridoio, come
se avesse tentato la fuga. Urlava, si dimenava.
“Sono
Rider
Stuart, non sono Nolan. Mio padre ci ha scambiati, ve lo giuro!
Chiamatelo,
fatelo venire qui, vedrete che è la
verità!”
Ma
quelli non
lo ascoltarono, sapendo che stava mentendo per l’ennesima
volta pur di lasciare
quel posto in qualche modo. Subito dopo, li iniettarono qualcosa che
gli fece
perdere i sensi.
Quando
ritornò in sé,
mentre Nathaniel era ancora lì che scrutava
l’oscurità che c’era nei suoi
occhi, deglutì e cercò di ricomporsi.
“Sarà
più calmo quando si
riprenderà… - disse guardando Sam disteso a terra
- e sarà
di nuovo lui, spero.”
Nathaniel
continuò a
fissare Nolan, come se avesse percepito qualcosa di strano in quello
scatto di
furia durato un secondo.
Eric si
avvicinò.
“Ragazzi,
non per mettervi
fretta ma abbiamo ancora venti minuti di strada da fare e se dobbiamo
procurarci quell’alibi, allora dobbiamo arrivare a quel party
il più in fretta
possibile.”
Nolan si
trovò d’accordo:
“Ok, io porto Sam in macchina. Poi finiamo di pulirla dal
sangue.”
Prima che
potesse fare un
passo verso Sam, Eric pose un altro dilemma: “E’
con il corpo del francese nel
bagagliaio che facciamo? Non possiamo andare ad un party con un
cadavere!”
Nathaniel si
grattò il
capo, teso: “Beh, possiamo… possiamo, che ne so,
lasciare la macchina nel mio
garage e andare al party con la macchina di Rider.”
“Vuoi
lasciare il corpo nel
tuo garage?” Eric pensò di non aver capito bene.
“Non
abbiamo tempo di fare
una buca, gettarlo lì dentro ed arrivare in tempo alla
festa. O seppelliamo il
cadavere o ci procuriamo un alibi.”
Nolan
annuì: “D’accordo,
faremo così.” poi si chinò a prendere
Sam.
La cosa
lasciò Nathaniel
interdetto, voleva essere lui a portare Sam in macchina. Mentre fissava
Rider
che lo portava via in braccio, Eric lo prese per la spalla.
“Forza,
avviciniamoci al
fiume. Dobbiamo togliere il sangue dagli asciugamani.”
“…Si
si, ok.” e diede un
ultimo sguardo ai due, prima di seguire Eric.
*
Sulla strada del
ritorno
era Nathaniel a guidare. Eric sedeva accanto a lui, mentre Nolan era
dietro con
Sam, ancora incosciente.
Improvvisamente,
Eric si
soffermò con lo sguardo sulla spia del serbatoio:
“…Merda!”
“Cosa?”
si voltò a
chiedergli Nathaniel, che fino all’attimo prima era
concentrato a guidare oltre
ad essere teso per tutta la situazione.
“La
benzina è quasi finita,
siamo in riserva!”
Ora lo
notò anche lui: “Ok,
niente panico, c’è una stazione di servizio qui
vicino.”
“Dovremmo
avvertire Julie?”
pensò Eric, ricordandosi del messaggio ricevuto quando erano
al fiume.
“Credo
sia meglio non fare
chiamate. – suggerì Nolan – Nel caso ci
vada male, controllerebbero i tabulati
telefocini.”
“Si,
hai ragione.” ci
ripensò subito Eric, mentre Nathaniel guardava Nolan
attraverso lo specchio
retrovisore come se non lo volesse perdere d’occhio.
Quando
calò nuovamente il
silenzio in macchina, un telefono iniziò a squillare.
“Che
cos’è?” chiese
Nathaniel.
“E’
di Sam… – rispose
Nolan, recuperandolo – E’ suo padre!”
Eric si
impanicò nel giro
di poco: “E adesso che facciamo? Ha appena detto che non
dobbiamo fare
telefonate, tanto meno rispondere. E Sam è privo di
sensi!”
“Niente
panico, ok? –
Nathaniel prese la situazione in mano – Basta rispondere con
un messaggio, non
per forza a voce. Rider, scrivigli che si trova ad una festa con
noi.”
“Lo
sto già facendo…”
rispose Nolan, digitando il messaggio destinato a Carter Havery.
*
Fermi alle pompe
della
benzina, Nathaniel ed Eric scesero dalla macchina.
“Vado
a lavarmi le mani, ci
metto un secondo.” fece sapere quest’ultimo.
Nathaniel si
guardò le sue:
“In effetti anche io, credo di avere ancora del sangue sotto
alle unghie.”
“Io
vado, fai benzina.”
L’altro
annuì, mentre Eric
correva via.
Qualche minuto
dopo,
Nathaniel diede uno sguardo verso i bagni, chiedendosi che fine avesse
fatto
Eric.
Nolan si
affacciò dal
finestrino, dando voce a quella domanda:
“Dov’è Eric? Sono quasi le
undici.”
Nathaniel
sospirò, in piedi
davanti all’auto: “Ora vado a chiamarlo!”
e si mossè per raggiungerlo.
Improvvisamente,
a metà
strada, il suo telefono vibrò in tasca. Recuperato, lesse il
contenuto del
messaggio appena ricevuto.
“Se
in galera vuoi
andare, un altro passo devi fare. Guarda alla tua sinistra, cosa
c’è
parcheggiato davanti al supermercato?”
-A
Nathaniel
osservò quelle
sette macchine parcheggiate lì di fronte e nel momento in
cui si accorse che
una di queste era un’autovettura della polizia,
trasalì e indietreggiò nello
stesso istante.
Mentre correva
alla sua
macchina, mandava un messaggio di avvertimento ad Eric.
Nolan, che lo
vide entrare
in auto tutto agitato, gli domandò cosa avesse:
“Ehi, sembra che tu abbia appena
visto un fantasma.”
“Peggio,
c’è la polizia!”
“Cosa???
– sussultò,
guardando fuori – Dove?”
Nathaniel accese
il motore
dell’auto, facendo retromarcia.
“Ma ce
ne andiamo senza
Eric?”
“No,
sposto la macchina
nella penombra. Qui è troppo illuminato, probabilmente il
poliziotto è dentro
il supermercato.
*
Nel
corridoio di un piano d’albergo, intanto, Chloe
era ferma davanti alla porta della stanza numero 126 che bussava.
Mentre
strigeva la sua borsa, finalmente la porta si aprì: ad
accoglierla fu Clarke,
con indosso dei boxer neri e una cannottiera bianca aderente.
“Stavi
dormendo?”
“Guardavo
Californication,
a dir la verità.” rispose serio.
Lei
improvvisamente accennò
un sorriso, poi le sorrise anche lui e si fece da parte, facendola
accomodare.
Chloe
appoggiò la borsa sul
letto, iniziando a parlare: “Ho visto Lindsay oggi. Ho delle
novità.”
Quello si
appoggiò alla
parete a braccia conserte: “Parla, ti ascolto.”
Sedendosi,
spiegò: “Dice di
aver ricevuto una sorta di minaccia da A,
ma a questo punto non so se crederle. Sembrava abbastanza
spaventata.”
“Che
tipo di minaccia?”
“Un
vestito da neonato e un
augurio per la sua gravidanza.”
“Se ti
ha rivelato questo,
allora ti avrà rivelato anche del professore.”
“Si,
me l’ha confessato. E
io ovviamente ho finto di essere sorpresa e di non saperlo.”
sospirò,
angosciata.
“Ehi,
stai bene?” si
sincerò delle sue condizioni.
“No,
non sto affatto bene,
Clarke. – si mostrò tesa - Questa A
arriverà
a me prima o poi e non sappiamo chi è, nemmeno Lindsey lo
sa.”
“Sì,
ma almeno non è Albert
come pensavamo. Questa A non credo
che sappia di te…”
Quella
abbassò lo sguardo,
a disagio, come in preda ad un senso di colpa:
“…Sa quello che faceva Anthony,
ma non sa che c’ero anch’io. Sta perseguitando le
persone sbagliate perché sa
che loro quattro erano suoi amici ed è convinto che fosse
uno di loro a stare
con lui. – si disperò - Mi chiedo come li stia
ricattando, se sono arrivati a
mentire alla polizia e a lasciare che Laughlin vada in
prigione.”
Clarke fece una
smorfia, abbassando
lo sguardo: “Lo sai ciò che penso su questa
storia…”
Chloe si
alzò in piedi,
contrariata: “Che Sam, Rider, Eric e Nathaniel hanno ucciso
tuo fratello e tuo
padre?”
“Mio
padre sarà stato
un’incidente di percorso, ma il mio pensiero non cambia. Come
potrebbe del
resto? Hai detto che tempo fa A ha
mandato un messaggio a Sam per chiedergli di guardare il notiziario
dove
arrestavano Laughlin. E’ quasi come volerlo far sentire in
colpa per aver
commesso qualcosa di brutto, mostrandogli chi pagava al suo
posto!”
“Questa
è una tua
interpretazione, Clarke. Non sappiamo cosa sia successo realmente
quella
notte.”
“Te
lo dico io com’è andata realmente: mio
fratello ha ucciso Albert per quei video e ha coinvolto Sam e gli
altri. Presi
dal panico, uccidono mio fratello e nascondono il corpo di Albert per
far
credere a tutti che sia stato lui e che abbia lasciato Rosewood per
questo, ma…A, che forse
ha assistito a tutto, li
precede e incastra Laughlin per terrorizzarli. – la
fissò dritto negli occhi –
Pensi ancora di non sapere cos’è accaduto quella
notte?”
Sospirando, in
quel momento
molto fragile, Chloe non sapeva cosa pensare: “Non lo
so…conosco Sam, non
farebbe del male neanche ad una mosca.”
Lui le prese le
mani,
accarezzandone i dorsi con i pollici, affettuoso: “Per quanto
questa storia mi
riguardi da vicino, perché sono morte delle persone che mi
erano vicine, io
resterò in silenzio all’udienza di dopodomani.
Resterò in silenzio nonostante
io sappia che Laughlin è innocente. E non dirò
nemmeno alla polizia tutto
quello che so. – cercò di prendere il suo sguardo,
sollevandole il mento – E
sto facendo tutto questo solo perché sto cercando di
proteggerti.”
“Non
è giusto che un uomo
innocente vada in prigione perché stai cercando di
proteggermi da A. – i
suoi occhi divennero lucidi, la
voce rotta - Forse dovresti dire la verità, o almeno
lasciarmi parlare con Sam
per chiedergli cosa cavolo è successo davvero. Magari non
hanno fatto niente,
magari è stata questa A ad
uccidere
ed incastrare tutti in cerca di vendetta per quello che io ed Anthony
abbiamo
fatto a quelle persone. Perché A è
senza dubbio una di quelle persone, me lo sento.”
Clarke la prese
per le
spalle: “Proprio per questo non devi parlare con Sam, rischi
di esporti. Se hai
ragione e questa A è
una di quelle
persone che avete attirato alla casa nel bosco, non può
sapere chi tu sia.
Erano tutti bendati, ok? Erano bendati e non hanno mai sentito la tua
voce.”
Quella
però era paranoica:
“Anche se erano bendati, uno di loro deve aver scoperto che
si trattava di
Anthony. Altrimenti perché si firmerebbe A
come faceva Anthony per attirarli alla casa nel
bosco?”
“Senti,
Chloe, devi
calmarti. Abbiamo spostato tutto quello che c’era
all’interno di quella casa,
non c’è più nulla che riconduca a te.
E’ come se non fosse mai successo nulla,
ok? Ti proteggerò fino alla fine e tu devi promettermi che
ti diplomerai e che
lascerai Rosewood. Anthony ha rovinato la vita a molte persone e non
deve
rovinare anche la tua.”
Quando smise
finalmente di
piangere, Chloe si staccò da lui, dandogli le spalle,
pensierosa: “Sono passati
più di due mesi dalla morte di Anthony. – si
voltò nuovamente verso di lui -
Che cosa sarà successo tra A e
i
ragazzi per tutto questo tempo, oltre i messaggi di cui siamo a
conoscenza?”
“Non
ti deve importare,
Chloe. Dovevano restarsene a casa loro quella sera, ma, soprattutto,
non
avrebbero mai dovuto diventare amici di Anthony. Hai cercato di
scoprire chi
fosse A tramite Lindsey, ma non ci
sei riuscita. Continua la tua vita, lascia perdere questa storia prima
di
impantarti con le tue stesse gambe.”
Chloe,
però, aveva di nuovo
gli occhi lucidi: “Hai sentito il notiziario
sull’esplosione a scuola? Dicono
che sia stata solo una fuga di gas, ma….non riesco a credere
che sia stato solo
un’incidente: i ragazzi che spariscono
all’improvviso, il sistema antincendio
che si attiva poco prima dell’esplosione e poi il corpo di
Albert. Questa A potrebbe essere
più pericolosa di
quanto in realtà pensiamo.”
“Smetti
di pensarci, Chloe.
Se ci pensi, la paura prenderà il sopravvento e le persone
fanno cose che non
dovrebbero fare quando sono in preda alla paura.”
Finalmente
sembrò
ragionare, nonostante il suo colorito pallido, e annuì,
seguendo i suoi
consigli.
*
Eric, chiuso in
uno dei
bagni, aveva davanti il messaggio di Nathaniel.
“C’è
una macchina della polizia fuori,
stai attento quando esci. Sposto la macchina il più vicino
possibile ai bagni,
fa presto.”
Sembrava,
però, non essere
tranquillo già da prima di quel messaggio, perché
in realtà si stava
nascondendo. Con la porta leggermente aperta, fissava attraverso la
fessura un
uomo che si stava lavando le mani davanti ai lavandini.
Quell’uomo era un
poliziotto, e quando Eric alzò lo sguardo sullo specchio,
vide riflesso il suo
volto: era il Detective Michael Costa.
L’altro
pensava di essere
solo, mentre prendeva la carta dal distributore per asciugarsi le mani.
Eric
chiuse gli occhi, pallido, sperando di non essere beccato. Dopo qualche
secondo, sentì il rumore della porta del bagno aprirsi e
chiudersi: Michael era
uscito.
Tirato un
sospiro di
solievo, lasciò al poliziotto il tempo di allontanarsi
abbastanza, poi, con
cautela, uscì anche lui.
Guardando
continuamente
verso il supermercato, collocato a qualche metro dai bagni, Eric
sgattaiolò
fino alla macchina dei suoi amici. Entrò e chiuse la
portiera il più in fretta
possibile.
“Che
cavolo ci fa il
detective Costa qui?” esordì con il fiatone,
scivolando lungo il sedile come
gli altri, per paura di essere visti.
“Non
vive a Rosewood, starà
tornando a casa sua e ha fatto sosta qui.”
bisbigliò Nathaniel, tenendosi al di
sotto del finestrino.
“Voi
lo vedete?” domandò
Nolan.
“Prima
di abbassarci l’ho
visto entrare nel supermercato.” replicò Nathaniel.
“La
sua macchina c’è
ancora, l’ho vista mentre camminavo dal bagno a
qui.”
“Rider,
cerca di sbirciare.
– gli chiese Nathaniel – Qui sono abbastanza
stretto, mi vedrebbe se provassi a
sollevarmi.”
“Ok,
ora guardo…” eseguì,
sollevando la testa e concentrando la vista.
“Allora?
– Eric fu
impaziente di sapere – E’ ancora qui?”
Nolan
sgranò gli occhi,
vedendo qualcosa: “E’ appena uscito dal
supermercato. Ha in mano una…busta di
patatine e una birra.”
“Ah,
ai poliziotti è
permesso bere alla guida?” commentò Nathaniel,
cinicamente sarcastico.
“Se ne
va!” continuò Nolan.
Gli altri due
restarono in
silenzio a contemplare vari punti nell’aria, in attesa di
avere il via libera.
“Ok,
potete risollevarvi.
E’ andato via!”
Tutti quanti
tirarono un
grosso sospiro di solievo, finchè non furono attirati da
alcuni piccoli lamenti
di Sam.
Muoveva la testa
e
strizzava gli occhi.
“Si
sta svegliando…”
presunse Eric, guardandosi con gli altri.
I tre non
sapevano cosa
aspettarsi dal suo risveglio, sperando che fosse tornato tutto alla
normalità.
*
Alexis, nella
sua stanza
del campus, era pronta ad andare a letto. La sua compagna di stanza
dormiva
rumorosamente, tanto da farle roteare gli occhi.
Subito dopo, la
sua
attenzione si focalizzò sul suo telefono, poggiato sul
comodino. Era ancora
tormenta dalla discussione che aveva avuto con Eric fuori dal Brew.
D’impeto,
lo prese e si sedette sul suo letto: compose il numero di Eric.
Sfortunatamente,
c’era la
segreteria ma questo non la fermò dal lasciarli ugualmente
un messaggio.
“Ehi,
sono io. Sicuramente
sei già a letto, quindi inutile ricordarti che domani
mattina devi passare qui
per aiutarmi con il trasloco. – sorrise con un angolo della
bocca – Sono solo
tre scatoloni e una borsa, nulla di impegnativo. –
guardò la sua compagna di
stanza, iniziando a bisbigliare con un tono di voce ancora
più basso – Ehm, a
proposito di quello che ci siamo detti…non sono ancora
andata alla polizia, ma
vorrei che domani ne riparlassimo…ok?”
Improvvisamente,
la ragazza
in stanza con lei si girò, lamentandosi.
“Puoi
smettere di parlare
con chiunque tu stia parlando? Grazie!”
Alexis rimise il
telefono
giù, buttando gli occhi in alto: “Tranquilla, da
domani avrai tutto il silenzio
che vuoi!”
“Evviva!”
esclamò quella,
mettendo la testa sotto al cuscino.
L’altra
tirò un sospiro
angosciato, poi si mise finalmente a letto.
*
Tornati a
Rosewood,
stavolta i ragazzi erano nell’auto di Rider, parcheggiati
davanti a casa di
Nathaniel.
Mentre quello
sistemava
l’auto con dentro il cadavere nel suo garage, Sam era sveglio
e ancora non si
capacitava di cosa fosse accaduto. I suoi amici, però, non
gli raccontarono la
verità sul suo blackout.
“…quindi
sono svenuto? –
era confuso, mentre Eric gli era accanto sui sedili posteriori
– Non ricordo
nemmeno il preciso momento in cui è successo.”
“E’
normale! – gli disse
Nolan, guardandosi con Eric attraverso lo specchietto retrovisore
– E’ come
quando ti svegli la mattina e non sai di preciso a che ora ti sei
addormentato
la sera prima.”
Dalla
confusione, Sam passò
poi ad uno stato paranoico: “Siete sicuri che il detective
Costa non ci abbia
visti? Insomma, quanto era lontano da noi? Molto? Poco? Dove
eravamo?”
“Rilassati,
Sam. Non ci ha
visti.” intervenì Eric.
Questo
però non lo tranquillizzò:
“Ho freddo, la gamba mi fa male e… - non riusciva
a concepire ciò che stava
accadendo – Stiamo davvero lasciando un cadavere a casa di
Nathaniel?”
“Non a
casa sua, ma nel suo
garage. – precisò Nolan, guadagnandosi
un’occhiataccia da quest’ultimo – Ha
chiamato tuo padre, forse dovresti richiamarlo per rafforzare il tuo
alibi.
Quando saremo lì sentirà la musica e le
persone…”
“Rider
ha ragione, avremo
un alibi molto solido con una chiamata a tuo padre.”
In
quell’esatto istante
arrivò Nathaniel, mettendosi in macchina e chiudendo la
portiera, affannato.
“Fatto,
ho chiuso tutto. –
poi si girò ad allungare un paio di jeans a Sam –
Metti questi, attirerai l’attenzione
con i pantaloni strappati e insanguinati.”
“Dovrei
andare in ospedale,
non ad una festa. – borbottò Sam, recuperando il
jeans dalle sue mani – Mi
amputeranno la gamba!”
“Meglio
senza una gamba che in galera!”
replicò Nolan, ricevendo un’occhiataccia da
Nathaniel.
“Rider
non scherzare,
quella ferita si infetterà sul serio – poi si
girò verso Sam – Resteremo giusto
un attimo, poi ti porterò da mio cugino e ci
penserà lui.”
Sam
annuì, mentre Eric
prendeva la parola.
“E
cosa dirai a Tyler? Che
si è ferito con l’apribottiglie?”
“Mi
inventerò qualcosa, è
pur sempre una festa di ubriaconi. Gli incidenti capitano!”
concluse Nathaniel.
Nolan accese il
motore
dell’auto e finalmente partirono.
*
Al Radley, il
vero Rider
non riusciva a dormire dopo la conversazione avuta con A
tramite il portatile. Non aveva ottenuto delle risposte e non
sapeva quanto sarebbe durata la sua permanenza in quel posto. Ma,
soprattutto,
non sapeva per quanto avrebbe potuto resistere ancora.
Ad un certo
punto si alzò
dal letto, dopo aver contemplato a lungo il soffitto. Inziò
a fare avanti e
indietro per la stanza, poi si sedette davanti al tavolo, poggiando la
mano
sulla sua superficie, spostando la polvere.
Annoiato, decise
di aprire
il cassetto che c’era sotto. Sembrava vuoto, ma quando lo
aprì completamente,
trovò qualcosa alla fine di esso: delle bambole.
Ne erano
quattro, sembravano
formare una famiglia: una bambina, un bambino, una donna e un uomo.
Prese il bambino
e la
scrutò attentamente, trovando un tasto. Lo premette e la
bambola emise un suono
radiofonico, poi il silenzio. Rider lo mise all’orecchio e
gli sembrò quasi di
sentire una voce.
“Tasha
sto andando a letto, mi sembra di averti detto
che non ci sarei venuta a quella festa.”
Rider riconobbe
la voce:
“Ma questa è Lindsey…”
“Che
ne so se Nathaniel Blake verrà a quella festa.
Credo di no, è una festa per matricole del college.
– si sentì il rumore del
frigorigero che veniva aperto - Comunque ti consiglio di lasciarlo
perdere,
dovresti stargli alla larga…”
A quel punto,
Rider accese
le altre bambole. Sentiva ancora la voce di Lindsey, ma in maniera
più
amplificata.
“Non
ubriacarti, ok? Sappiamo entrambe come finiscono le
tue serate…”
La voce
iniziò ad
allontanarsi, finchè non rimase solo il silenzio.
“La
cimice è in cucina… -
pensò Rider, riflettendo – Le bambole con i
microfoni sono le stesse di quel
libro…”
E fu in
quell’istante che
ebbe il flash di una coversazione con suo padre.
“Ricordi
quando hai scritto quel libro,
quello in cui c’era quest’uomo che andava a trovare
suo figlio in un
manicomio?”
“Ehm…
- titubò Richard, ricordando – sì,
ti riferisci a Il bambino aldi là del cancello? ”
“Sì,
quello!”
“E
allora?” lo osservò a lungo, aspettando
una risposta.
“Parlavi
di questo bambino con problemi
mentali, e di come i suoi genitori furono costretti a rinchiuderlo in
manicomio,
perché era troppo pericoloso per i suoi fratelli, ancora
troppo piccoli come
lui. Suo padre, però, non volle abbandonarlo,
così li portò in regalo delle
bambole: rappresentavano la sua famiglia. Solo che…non erano
delle semplici
bambole; dentro ognuna di esse c’erano dei microfoni e il
bambino li ascoltava
parlare, come se fossero lì con lui. Come se potesse
interagire con loro.”
E
ne ebbe un altro, poi, di una coversazione molto più recente.
“…Se
Lindsay un giorno ti dicesse di essere
incinta, cosa le diresti considerata la sua età?”
Spiazzato
dalla domanda, provò a
rispondere con un’iniziale vena sarcastica:
“Sperando che tua sorella non sia
davvero incinta, le direi che…Dovrebbe tenerlo! E’
fatta, non si torna più
indietro. Hai creato qualcosa che è destinato ad essere e
non puoi sopprimere
l’esistenza di qualcuno come nulla fosse. Le direi anche di
non darlo in
affidamento, perché un figlio non si abbandona mai, a meno
che…”
Rider
restò a guardare incantato suo
padre, catturato dalle sue parole, ma quando si bloccò, gli
venne spontaneo
capire cosa avesse: “A meno che?”
Cercò
di riprendersi, leggermente provato:
“Ehm, niente, è solo un tema molto forte. Molti
anni fa mi è capitato di
assistere ad un abbandono, in un altra famiglia: un bambino!”
Quello
tentò di ricordare invano: “Non
ricordo di questa vicenda, di che famiglia parli?”
“Non
puoi ricordare…avevi solo quattro
anni. Era il figlio di un nostro vicino!"
Curioso,
Rider volle saperne di più:
"E che fine ha fatto questo bambino?"
Richard
sembrò restio a volerne parlare:
"Ehm, aveva molti problemi e così i suoi genitori hanno
dovuto allontanarlo."
"Mi
sembra una storia assai
familiare, sai?" pensò, strabuzzando gli occhi.
"Ha
ispirato uno dei miei libri."
Rider
si ricordò, schioccando le dita:
"Ah, sì, Il bambino aldi là del
cancello?”
Suo
padre annuì forzatamente, quasi a
disagio, mentre l'altro continuava.
"Deve
averti colpito molto questo
bambino per ispirarti un libro."
"Ogni
tanto lo lasciavano da noi e
giocava con te e Lindsay." accennò un sorriso.
Rider
sembrò finalmente
mettere i pezzi tutti insieme, ricordando qualcosa che non pensava
nemmeno di
sapere: “Nolan…il bambino del libro si chiama
Nolan e potrebbe essere… - restò
un attimo in silenzio, poi trovò il coraggio di dirlo ad
alta voce – Ho un
fratello gemello…”
*
Arrivati
sul luogo della festa, Eric e Nolan assistettero per primi alla
vivacità delle matricole sotto l’effetto
dell’alcool: chi beveva la birra a
testa in giù, chi si tuffava in piscina scatenato, chi
rimorchiava e altri che
ridevano a crepa pelle.
Eric
sembrò assai disgustato da tutto ciò, mentre
Nolan guardava quelle
scene con gli occhi di un bimbo curioso, illuminati.
Dietro
di loro, stavano arrivando Nathaniel e Sam. Quest’ultimo
zoppicava leggermente.
“Ce
la fai?” gli domandò Nathaniel, tenendo una mano
dietro la schiena
di Sam, pronto ad aiutarlo.
Quello
sembrava assai infastidito ed irritato: “Sto bene, facciamo
questi dannati selfie e andiamocene.”
“Sam,
se sei ancora arrabbiato con me per quello che è successo al
ballo, io…”
L’altro
lo fermò subito, meno scontroso: “Nat,
è la situazione. Non sei
tu.”
“D’accordo…
- abbassò lo sguardo, per poi volgerlo da un’altra
parte e
scoprire la presenza di Tasha – Oh, no…”
Sam
seguì il suo sguardo, notando Tasha che salutava verso la
loro
direzione. Che salutava Nathaniel. Stava uscendo dalla piscina, tutta
bagnata e
sexy.
“Ugh,
ancora lei?” commentò Sam con tono disgustato.
Quando
si voltò verso Nathaniel, notò che si era
incantato a guardarla e
che non l’aveva ascoltato. La cosa sembrò dargli
fastidio.
“Forse
è meglio entrare, non credi?” toccò la
sua spalla e quello
finalmente rinsavì.
“Ehm,
sì, certo! – poi si rivolse anche agli altri
– Ragazzi, entriamo?”
Quelli
annuirono. Nolan più distratto, visto che continuava a
fissare
una coppia che si baciava a bordo piscina.
All’interno
dell’abitazione, la musica era più forte. I
quattro furono
immediatamente fermati da un ragazzo più grande.
“I
vostri documenti?”
Nathaniel,
avanti a tutti, si girò a guardarsi con i suoi amici, non
sapendo
cosa fare.
“Ehm…”
Improvvisamente
arrivò Cameron, che diede una pacca sulla spalla a quel
ragazzo, il suo solito sorriso compiaciuto.
“Sono
con me, hanno tutti 21 anni… - poi fissò
Nathaniel, accentuando
quel sorrisino, ora beffardo – Tranne lui: ne ha
23!”
Il
ragazzo allora se ne andò, fidandosi.
“Ma
che sorpresa vedervi tutti qui… – sorrise ancora,
sollevando le
sopracciglia – Non vi vedevo ad una festa tutti insieme dai
tempi di Anthony.”
Fu
Nathaniel a rispondergli per primo, accennando un finto sorriso:
“Infatti è passato così tanto tempo che
adesso ho 23 anni!”
Quello
reagì in maniera teatrale: “Oh avanti, non fare il
permaloso. Semplicemente,
avevi una faccia troppo cadaverica per dimostrare 21 anni. –
fissò gli altri –
Anche se, ce l’avete un pò tutti ora che ci faccio
caso.”
Eric,
più gentile, gli domandò: “Cameron, sai
per caso dov’è il bagno?”
“Certo.
Sali le scale, seconda porta a sinistra. – gli
indicò, per poi
rivolgersi a Sam, mentre quello si assentava – Sam, ti va di
bere qualcosa con
me?”
“Preferirei
ingoiare le lame di una centrifuga all’infinito. No,
grazie.” gli rispose per le rime, un tono arrogante.
Cameron
percepì delle ostilità nei suoi confronti:
“Accidenti, gli Haverblake
non sono proprio miei fan
questa sera.”
“Non
lo siamo mai stati, a dire il vero.” replicò Sam,
secco.
Nolan
fece una smorfia confusa: “Haverblake?”
“Sì,
non riuscivo a formare una ship decente per via dei loro nomi
incompatibili.
Haverblake suona meglio!”
“Una
ship…???” ripetè con un filo di voce,
come se non capisse cosa
volesse dire.
Nathaniel
improvvisamente restò sorpreso dal nuovo atteggiamento di
Cameron: “Inviti Sam a bere qualcosa con te: strano! Pensavo
volessi tenere
nascosta la tua vera natura.”
“Sono
tutti ubriachi qui. – sottolineò, ironico -
Probabilmente ci
scambierebbero per due lampade da soggiorno che tengono in mano dei
bicchieri
di plastica.”
“Beh,
questa lampada da soggiorno non va da nessuna parte con te.”
replicò Sam con un cinico sorrisino.
Cameron
si arrese, annoiato: “Come vi pare, vado a godermi la festa.
Felice di avervi fatto entrare!” e se ne andò.
“Ragazzi,
io vado a fare un giro. – disse Nolan - Il piano è
farci
vedere da tutti, giusto?”
Nathaniel
annuì, ma lo fermò poco prima che si
allontanasse: “Ehi,
lasciami le chiavi della macchina. Devo portare Sam da mio cugino,
ricordi? Poi
torno a prendervi.”
Nolan
non se lo fece chiedere due volte e gli lanciò le chiavi:
“Tieni!”
Quello
le prese al volo, per poi rimanere solo con Sam. I due si
scambiarono uno sguardo distaccato, nonché imbarazzato.
*
Più
tardi, Nolan sembrò essersi interessato ad una ragazza.
Stava
camminando con in mano una ciotola di patatine: si trattava di Violet.
Improvvisamente,
quella si scontrò con un ragazzo e la ciotola cadde a
terra. Seccata, si chinò a raccogliere le patatine e Nolan
si precipitò subito
ad aiutarla.
“Aspetta,
ti do una mano.”
Quella
lo guardò in faccia, riconoscendolo:
“Rider?”
“C-ci
conosciamo? – fu preso alla sprovvista, per poi mascherare
quel
momento di confusione con una risatina – Ma certo che ci
conosciamo, scherzavo.
Non ero serio.”
Violet si mise i capelli dietro alle orecchie, continuando a
raccogliere le
patatine, guardandolo in modo strano: “…certo che
non sei serio, è ovvio.”
“Come
mai sei ad una festa per matricole? Cioè, ci vai spesso alle
feste
per matricole?”
Raccolte
le ultime patatine molto velocemente, Violet si sollevò in
piedi: “Perché mi stai parlando?”
“Perché
non dovrei?”
“Ehm,
fammi pensare: con Anthony prendevi in giro mio fratello, una
volta mi hai aggredita in biblioteca, ci odiamo…”
spiegò sarcastica.
“Violet!”
la puntò con il dito, esclamando il suo nome con euforia.
Come
se l’avesse tirato ad indovinare.
Quella
lo trovò sempre più strano, mentre lui si rendeva
conto di essere
stato eccessivo: “…Hai bevuto, forse?” e
lo scavalcò, cercando di allontanarsi.
Nolan,
però, la fermò per un braccio: “Violet,
mi dipiace. – si mostrò
sincero - Per tutto quanto.”
Sorpresa,
sgranò leggermente gli occhi. Per la prima volta lo vide
gentile nei suoi confronti e la cosa la destabilizzò a tal
punto da reagire
alla stessa maniera.
“Ok…grazie…”
e se ne andò, ancora confusa, mentre Nolan sorrideva con un
angolo della bocca guardandola andare via.
Intanto
Nathaniel e Sam erano seduti sui gradini delle scale, in
disparte.
“Ti
fa ancora male la gamba?”
“Brucia,
più che altro.”
Nathaniel
si alzò: “Prendo qualcosa da bere e ce ne andiamo.
Torno
subito.”
Sam
annuì e quello passò alla stanza accanto, dove su
un tavolo c’erano
delle birre, altri alcolici e qualche bottiglia d’acqua.
Alle
sue spalle arrivò Tasha, che gli bussò sulla
spalla.
“Toc
toc!”
Quello
si girò, notando che si era rivestita: “Ehi, ciao.
Come va?”
“Bene,
ora che ci sei tu.” sorrise lei.
“Che
sorpresa esserci incontrati qui. – fece conversazione - Non
capita
tutti i giorni di andare ad una festa per universitari.”
“Parla
per te, io ci vado sempre.”
“Sbaglio
o tu non ci vai più al college?”
“No,
io l’ho finito l’anno scorso. Solo che non sono
attratta dai
ragazzi della mia età, immagino l’avrai
capito.” spiegò, lanciandoli un certo
sguardo, molto lussurioso.
“Ma
io vado al liceo, Tasha.” le ribadì, sapendo
dell’interesse che
aveva per lui.
“Non
mi interessa dove vai. – sorrise audace – Mi
interessi tu.”
Nathaniel
le sorrise a sua volta, educato: “Sono ancora gay, mi
dispiace.”
“Eppure
non mi hai tolto gli occhi di dosso mentre uscivo dalla
piscina.”
“Non
significa niente.” negò ancora, dando un occhio a
Sam nell’altra
stanza.
Tasha
seguì il suo sguardo, non meravigliandosi di ciò
che stava
guardando: “Non capisco perché hai tutte queste
attenzioni per quel ragazzo.
Per caso hai ucciso qualcuno e lui mantiene il tuo segreto?”
“Purtroppo
è più semplice di quanto pensi: gli do tutte
queste
attenzioni perché lo amo! – rivelò in
modo secco, per poi recuperare il
telefono – Ora, se non ti dispiace, vorrei un selfie come
ricordo.”
Tasha,
benchè fosse seccata e digrignasse i denti, finse un
sorriso: “Ma
certo!”
Sam,
in quell’istante, li vide insieme e il suo viso lasciava
trasparire
un leggero sentimento di gelosia.
*
Dopo
quasi un’ora, il gruppo si riunì
all’ingresso della casa. Per
Nathaniel era arrivato il momento di andare.
“Ragazzi,
io e Sam andiamo. Abbiamo scattando abbastanza foto?”
“Io
ne ho fatte abbastanza, direi.” rispose Eric, sollevando le
sopracciglia.
Nolan,
però, aveva la testa fra le nuvole: “Sapevate che
Violet è qui?”
“Violet
è qui? – ripetè Sam, per poi sibilare
dal dolore – Ahi, la
gamba!”
Nathaniel
preferì accellerare le cose, avvicinandosi a Sam per
sostenerlo: “Ok, poi ne riparliamo di Violet, adesso devo
subito portare Sam a
casa di Tyler. Voi che fate?”
“Restiamo
un altro pò, non è abbastanza. –
pensò Nolan, guardandosi con
Eric – Sei d’accordo?”
“Si,
siamo venuti insieme. Se restiamo almeno io e Rider penseranno che
ci siete anche voi.”
“Va
bene. – annuì Nathaniel – Appena
finiamo, passo a prendervi.”
Poco
prima che aprisse la porta, però, Eric aggiunse
qualcos’altro:
“Ragazzi, un secondo. – quelli si voltarono verso
di lui – E’ possibile
sentirci domani mattina? Devo dirvi una cosa molto importante e visto
che non
frequentiamo più la stessa scuola…”
“Ok,
ci sentiamo tutti per telefono. – Sam soffriva ad ogni parola
– Ora
voglio solo tornare a casa il più in fretta
possibile.”
“Si
si, andate.” gli disse Eric, senza trattenerli ulteriormente.
I
due lasciarono la festa.
*
Durante
il viaggio in auto, Sam non faceva che domandarsi su come
dovevano comportarsi con Tyler, una volta arrivati da lui.
“Potrebbe
benissimo chiedersi perché non siamo andati in ospedale,
no?”
Molto
più calmo, Nathaniel era concentrato a guidare:
“Gli diremo che
eravamo più vicini a casa sua che
all’ospedale.”
“E
per quanto riguarda la mia gamba? Che cosa li diremo, che mi sono
tagliato con un coltello da macellaio?
“Non
è un taglio così profondo!”
“Si
che lo è, d’accordo? – si
agitò – Già immagino la sua faccia
perplessa mentre gli raccontiamo questa balla… che a
proposito, quale sarebbe?
“Sei
inciampato su una bottiglia di birra rotta…”
pensò, poco convinto
persino lui stesso.
“Bene,
siamo a cavallo allora! – si voltà verso il
finestrino, ancora
isterico - Sono cose che capitano tutti i giorni, del resto.”
“E’
mio cugino, non ci farà il terzo grado. Rilassati.”
“Rilassarmi?
– sussultò - Non so nemmeno cosa vuol dire
rilassarsi da
quando abbiamo a che fare con A.
Oggi mi sono sentito da schifo quando ho incontrato Quentin e il suo
ragazzo.
Sono stato umiliato e spinto a terra come se non valessi nulla. Eric
è quasi
morto dentro una pressa e siamo di nuovo complici di un altro omicidio.
–
pianto e riso si intercambiavano in quel momento – Domani
saremo divisi e
anziché concentrarmi sulle lezioni o a fare nuove amicizie,
sarò perennemente
concentrato a non farmi incastrare da A.”
Nathaniel
fermò la macchina: erano arrivati. Con un espressione seria,
comprendeva perfettamente Sam.
“Mi
dispiace che dobbiamo affrontare tutto questo, hai ragione. Alla
nostra età dovremmo avere altri problemi e non questi. E
credimi, sto soffrendo
molto anche io, anche se sto cercando di essere
forte…perché ho coinvolto io
Edward nelle nostre vite e ora è morto.”
Una
lacrima solcò il viso di Sam, un volto arreso:
“Come faremo con
Jasper? L’udienza è praticamente domani se
contiamo che è appena passata la
mezzanotte. Quando si accorgerà che non
c’è nessun francese a testimoniare per
lui, dirà tutto quanto. Poi la polizia ci farà
delle domande e ogni cosa verrà
a galla.”
Nathaniel,
silenzioso, abbassò lo sguardo, convinto che forse
c’era una
speranza: “A non lo
permetterà, me
lo sento.”
“A non è così in
gamba, Nat.
Non ha il potere di fermare il tempo o di far esplodere
l’aula di un
tribunale.”
“Sta
ancora giocando con noi, il gioco non è finito.”
“E
invece siamo proprio alla fine. E’ evidente che si
è stancato di noi
e sta per darci il colpo di grazia.”
L’altro,
improvvisamente, assunse un espressione risoluta:
“…Non se li
diamo ciò che vuole!”
“Cioè?”
Nathaniel
si voltò a spiegargli: “Per tutte queste settimane
ci siamo
affannati a proclamare la nostra innocenza sul secondo crimine commesso
da
Anthony, quando…ci basta scoprire chi è davvero
coinvolto.”
“Nat,
non abbiamo ancora smascherato A,
figuriamoci questo complice misterioso.”
“Questo
crimine è legato a Rosewood-riservato. Questo file sembra
essere
una raccolta di segreti, ma non sappiamo qual è il reale
scopo di tutto questo.
L’unico aggancio che abbiamo è Quentin: se
parliamo con lui, capiremo cosa
faceva Anthony con Rosewood-riservato e chi collaborava con lui. E a
quel
punto, daremo ad A ciò
che vuole,
barattandolo con la nostra libertà.”
La
libertà era la cosa che Sam più voleva al mondo e
si convinse che
bisognava agire così: “Forse hai ragione, possiamo
barattare questa persona con
la nostra libertà. Del resto, direi che abbiamo pagato
abbastanza per ciò che è
successo ad Albert, no? Non possiamo pagare anche per questa persona,
chiunque
essa sia. Ha fatto qualcosa di grave con Anthony ed è giusto
che paghi e che
venga torturata da A, noi non
c’entriamo.”
I
due si guardarono, la disperazione nei loro volti e nel loro modo di
pensare era evidente ad entrambi. Quasi si vergnarono di ciò
che avevano appena
detto, ma non riuscirono ad ammetterlo.
Nathaniel
trovò finalmente il coraggio di parlare, distogliendo lo
sguardo.
“Forse
è meglio andare, poi ne riparliamo.”
“Sì,
facciamo presto. Ho detto a mio padre che sarei tornato entro
l’una.”
I
due uscirono dall’auto, a quel punto, e Nathaniel
aiutò Sam a
raggiungere il portico, attraversando il giardino.
Quest’ultimo
notò che c’erano delle telecamere di sorveglianza.
“Tyler
ha un sistema di sorveglianza? Ne eri a conoscenza?”
Nathaniel
seguì lo sguardo di Sam, individuandole: “Una
volta dei ladri
hanno svaligiato una casa in questo quartiere. Le ha messe da quel
momento.”
Rapidamente
arrivarono alla porta e Nathaniel bussò, mentre Sam si
sorreggeva ancora a lui con la gamba ferita e leggermente sollevata da
terra.
Dopo
qualche minuto d’attesa, le luci si accesero e finalmente
Tyler
aprì la porta.
Perplesso
nel vedere i due, non capì cosa stesse accadendo:
“Nathaniel?
– strizzò gli occhi, in pigiama - Ma che ci fai
qui?”
Nathaniel,
allora, si abbassò accanto alla gamba di Sam e
sollevò il
jeans, rivelando la ferita: “Eravamo ad una festa e ed
è scivolato su qualcosa
di tagliente. Casa tua era più vicina, abbiamo fermato la
fuoriuscita di
sangue, ma la ferita potrebbe infettarsi se…”
“Si
si, sono un medico, so cosa succede… - lo interruppe,
facendo cenno
di entrare – Fallo sdraiare sul tavolo in cucina, vado a
prendere le mie cose.”
“Grazie!”
esclamò Sam, riconoscente, mentre con Nathaniel si
accomodavano.
*
Ancora
alla festa, Nolan stava passeggiando accanto alla piscina, in
mezzo agli altri che si divertivano, guardando Violet parlare con un
ragazzo,
dall’altra parte di essa, e ridere alle sue battute.
Improvvisamente ricevette
una telefonata. Da un anonimo.
“Pronto?
– rispose, ma nessuno parlava – …Sei
tu?”
“Sì,
sono io.” rispose una voce camuffata.
“Sto
per tornare a casa, sono stato bravo. Lo sono stato, giusto?”
“Continua
a studiare gli appunti che ti ho dato, fai fatica a ricordare
i nomi delle persone che Rider conosce.”
Nolan
si guardò attorno, come se sospettasse che A
fosse nei dintorni.
“Non
è facile rubare la vita di qualcun altro, sto facendo del
mio
meglio. Non si sono accorti di nulla.”
“Non
ancora, Nolan. Dovresti impegnarti di più per continuare ad
essere
libero. Rispetto a Richard Stuart, io ti ho dato la
possibilità di uscire dal
Radley per molto più di un giorno all’anno. Non
deludermi.”
Gli
occhi di Nolan divennero lucidi, sofferenti:
“Studierò gli appunti,
sarò bravo. Solo… -un’improvvisa
espressione di odio si impossessò del suo
volto – non nominare più il nome di mio
padre.”
Alle
sue spalle, la voce di Eric lo fece voltare:
“Rider?”
Nolan
abbassò subito il telefono, colto di sorpresa:
“Eric!”
“Con
chi stavi parlando? – abbassò lo sguardo sul
telefono - Ti ho visto
al telefono.”
Quello
chiuse subito la chiamata, rimettendo il telefono in tasca,
inventando una scusa: “Ehm, era mia sorella. Si chiedeva come
mai non fossi
ancora rientrato a casa.”
Eric
rimase perplesso: “Da quando a tua sorella importa dove
diavolo
sei?”
“Non
lo so, è strana!” rise nervosamente.
“Non
quanto tua cugina Tasha: l’ho incontrata tre volte da quando
se n’è
andato Nathaniel. Mi ha chiesto dove fosse e io le ho risposto che se
n’è
andato. Poi me l’ha richiesto di nuovo anche le due volte
successive.”
“Beh,
succede quando si
è ubriachi. E’ la magia dell’alcool,
no?”
L’altro
si imbronciò, mettendosi a braccia conserte: “Non
pensavo di
essere un volto così facile da dimenticare. Nemmeno con
l’alcool.”
Nolan
sorrise con un lato della bocca: “Mmh, sembra quasi una frase
degna di Anthony.”
“Infatti
credo sia sua, non ho avuto molto tempo di crearmi un
repertorio di frasi epiche tutte mie da quando l’ho
conosciuto. – si guardò
attorno, turbato – Ovunque lui sia, torna sempre a
tormentarmi.”
“Non
starai pensando ancora a quell’assurda teoria di Anthony che
è
vivo, vero? – ci vide lungo – E’ in una
bara, non cammina tra di noi. A è
il professor Brakner, fine della
storia.”
“Non
ne sono più così sicuro…”
fece intendere che sapeva qualcosa, che presto
avrebbe rivelato a tutti loro il mattino seguente
*
Sdraiato
sul tavolo ad occhi chiusi, Sam stringeva la mano di Nathaniel
per il dolore. Tyler stava suturando la ferita, ormai disinfettata.
In
pochi minuti concluse l’intervento: “Ecco fatto, ho
finito. –
sorrise a Sam, mentre quello era ancora
sdraiato – Ora puoi scendere dal tavolo della mia cucina,
grazie.”
“Ouh,
certo!” si sollevò con la schiena, aiutato da
Nathaniel.
“Torna
qui dopodomani, così ti tolgo i punti. Vado a prenderti un
antibiotico, dovrai assumerlo due volte al giorno per due giorni, dopo
i
pasti.” iniziò ad allontanarsi
nell’altra stanza.
Nathaniel
gli fu riconoscente: “Tyler, grazie davvero.”
Quando
quello uscì definitivamente dalla stanza, Sam era ancora
seduto
sul tavolo, con i piedi sospesi in aria, al di sopra del pavimento. Era
pronto
a scendere, ma una porta che c’era lì in cucina
attirò la sua attenzione: aveva
un lucchetto.
“Che
cosa c’è lì dentro?”
indicò, mentre l’altro era davanti alla
finestra.
“La
cantina, perché?” rispose distrattamente.
“C’è
un lucchetto. – trovò strano - Come mai?”
Facendoci
caso, Nathaniel si avvicinò perplesso alla porta:
“E’ da molto
che non vengo a casa di Tyler, ma ricordo che prima non c’era
questo
lucchetto.”
“Hai
idea del perché abbia messo un lucchetto alla
cantina?”
Nathaniel
si voltò verso di lui, sollevando le spalle: “Non
lo so, per i
ladri?”
“E
cosa ci sarebbe qui sotto da rubare, un domino di lingotti
d’oro? –
trovò ancora più bizzarra la cosa –
Dovresti chiederglielo!”
All’improvviso,
Tyler rientrò in cucina con in mano la scatola
dell’antibiotico e i due si zittirono di colpo.
“Scusate
se ci ho messo tanto, ma… - il loro cambio di atteggiamento
non
fu così repentino da non essere notato – Tutto
bene? Perché avete smesso di
parlare non appena sono entrato?”
Sam
pensò di prendere in mano la situazione, fingendo
un’espressione
allegra: “Parlavamo di ragazze, cose nostre!”
Tuttavia,
non lo fece nel migliore dei modi e Nathaniel lo fissò
incredulo.
Tyler
fece una smorfia, perplesso: “Cose nostre? Sono un uomo
anch’io,
perché non dovrei partecipare alla conversazione? E poi tu
non sei gay?”
Sam
sussultò: “Come lo sai?”
Ora
Nathaniel spostò lo sguardo sul cugino, mentre quello
rispondeva.
“Da
quando sei qui, non fai che guardare in basso. E non intendo i
piedi!”
Quello
spalancò la bocca, oltraggiato: “Ma non
è vero!”
Nathaniel
decise di fermare la discussione, fingendo un sorriso e
avvicinandosi a suo cugino: “Bene, direi che è ora
di andare! – prese
l’antibiotico dalle sue mani, per poi rivolgersi a Sam con un
cenno isterico –
Forza, scendi da quel tavolo!”
L’altro
eseguì, fissando il cugino in malomodo mentre gli passava
accanto.
Usciti
da casa sua, i due stavano attraversando il giardino diretti alla
macchina. Sam sembrava assai indispettito.
“Ok,
è ufficiale, credo che non andrò mai
d’accordo con la tua famiglia.
Prima c’è tua zia che mi da assurdi nomignoli
legati al mio fisico e ora tuo
cugino pensa che gli guardi il pacco!”
“Che
c’è di assurdo nel nomignolo Amico
secco di Nathaniel?” si soffermò su
quello.
“Ma
gli hai detto tu che sono gay?”
“Non
parlo a mio cugino dei miei amici. E poi non mi sembri questo
grande arcano sessuale indecifrabile.” alluse alla sua
evidente natura
omosessuale.
Sam
gli lanciò immediatamente un’occhiataccia, mentre
aprivano le
portiere dell’auto.
“Non
ho mica sbattuto le palpebre alla velocità di un
colibrì o mostrato
le mie unghie favolose. Sono abbastanza etero a primo impatto.
“Sam,
smettila di attaccarti a queste stupidaggini. –
roteò gli occhi,
seccato – Ti ha scoperto, magari è solo
un’intuizione da medico.” concluse,
entrando in macchina.
Sospirando,
Sam scosse la testa e lasciò stare, entrando in macchina.
*
Il
mattino seguente, Eric mantenne la parola data e coinvolse i suoi
amici in una telefonata di gruppo.
“Ragazzi,
ci siete tutti?” domandò, mentre era ancora steso
sul suo
divano letto in soggiorno.
“Io
ci sono! – esclamò Sam in maniera poco vivace,
mentre si allacciava
le scarpe – Scusate se ho la voce un pò sottotono,
ma non ho chiuso occhio.”
“E
chi chiuderebbe occhio dopo una serata come quella di ieri?”
si
aggiunse Nathaniel, mentre sorseggiava il suo caffè in
cucina: aveva appena spento
la tv.
Infine,
anche Nolan fece sentire la sua voce, chiuso in bagno:
“Eccomi,
ci sono anch’io…”
Eric
non perse tempo, dato che tutti loro dovevano andare a scuola e
spiegò loro il motivo della telefonata:
“Ascoltate, ieri non volevo rendere la
situazione ancora più tesa di quanto fosse già,
ma devo riaprire nuovamente il
discorso sull’identità di A.”
“Di
nuovo? – borbottò Nathaniel, esausto –
Poteva trattarsi di Anthony
quando su di noi pesava ancora un solo omicidio, quello di Albert:
incastrarci
per quello e lasciare Rosewood per sempre senza pagarne le conseguenze.
Ma ora,
perché aggiungerne un altro? Perché allungare il
brodo sulla storia di un
secondo crimine di cui Anthony stesso faceva parte? Dovrebbe
già sapere chi è
il suo complice, quindi di cosa stiamo parlando esattamente?”
Nolan
prese parola: “Beh, Jasper doveva restare in prigione. La
morte
del francese è una conseguenza a quello che volevamo fare:
tirarlo fuori!”
“Rider,
anche tu? – si indignò Nathaniel, incredulo
– Ragazzi, è una
cosa assurda!”
“Sono
confuso anch’io su questa storia, Nat. – si
espresse anche Sam –
Anthony tormentava Quentin esattamente come A
fa con noi: con dei messaggini firmati con
l’iniziale del suo
nome. Magari faceva molto di più che mandare messaggi, non
lo sappiamo. So solo
che nei suoi occhi ho visto lo stesso sguardo che abbiamo noi
ora.”
“Queste
non sono prove sufficienti, potrebbe essere un emulatore che
conosceva il modo di agire di Anthony, magari era proprio una delle sue
vittime. E come già abbiamo intuito, le vittime di Anthony
erano persone con un
segreto, e Brakner ha un segreto: una relazione con una sua
studentessa.
Anthony lo tormentava sicuramente.”
Eric
gli andò contro ancora una volta: “A
è un bullo, ok? Esattamente come lo era Anthony.
Agisce, parla e
si comporta come lui, perché in realtà
è Anthony che si nasconde sotto al
cappuccio nero! A non è
altro che il
suo alter ego…e l’alter ego di una persona, per
definizione, non è altro che l’estensione
di un essere limitato: perchè la figura di A,
così onnipotente e onnipresente, può spingersi
dove Anthony non può.”
“Un
po’ come Clarke kent e Batman. – pensò
Sam – Clarke è costretto a
limitarsi per mantenere nascosta la sua identità ai
cittadini di Gotham city,
perciò diventa Batman ed ecco che quel limite non
c’è più.”
“Dannazione,
ma vi sentite? – Nathaniel li riprese nuovamente, in
disaccordo – Qui non siamo in un fumetto della DC comics, ok?
E poi, cosa vuol
dire che A parla come
Anthony?”
Eric,
allora, sputò il rospo: “Quando sono rimasto
intrappolato in
quell’auto, ieri sera, A mi
ha
chiamato al telefono; ovviamente con una voce camuffata. Quello che mi
ha
detto, però, non fa che farmi credere che dietro A ci sia lui.”
“E
cosa ti ha detto?” gli domandò Nolan.
“Se non esistessero gli specchi ti
userei come riflesso della mia immagine. Questa è
una frase che mi ha detto
Anthony molto tempo fa e che Brakner non potrebbe mai
conoscere.”
Tutti
rimasero in silenzio, persino Nathaniel, dopo questa rivelazione.
Fu
Sam a trovare il coraggio di dire qualcosa, sconvolto: “Ma
allora è
lui… Solo che... – aveva un dubbio - Chi diavolo
c’è nella bara al posto suo?”
Nathaniel
sospirò e tutti lo sentirono. Eric intervenne proprio per
lui.
“Nathaniel,
ascolta, so che questa bomba che ho appena sganciato ti ha
letteralmente diviso in due rispetto alle tue convinzioni. E per
questo, ho un
modo per dimostrare che Brakner non è A
e
convincerti che dietro a tutto questo c’è solo
Anthony.”
“Ovvero?”
gli chiese.
“C’è
una cosa che non vi ho detto: la sera del ballo, Alexis stava
riportando Tasha alla macchina di Rider ed è inciampata
sull’auto di fianco.
Cadendoci sopra, le ha procurato un graffio e ha scoperto che sotto
c’era un
altro colore.”
“Non
credo di seguirti…” si fece sentire Nolan, con un
finto tono
perplesso.
“L’auto
era blu, ma in realtà sotto era rossa. E la macchina che ha
investito Alexis era rossa.”
“Quindi
quest’auto di cui parli è stata
rivestita… – pensò Nathaniel
–
Ma a chi appartiene, esattamente?”
“Appartiene
a Brakner.” rispose quello.
Il
silenzio aleggiò nuovamente, rendendo sempre più
forte la teoria di
Eric.
“Alexis
voleva sporgere denuncia proprio ieri e io ho cercato di
fermarla quando ero ancora convinto che A
fosse Brakner. Ora come ora, mi viene da pensare che questa
non è altro che
una classica mossa alla A: farci
credere quello che lui vuole farci credere.”
Sam
si ritrovò nel suo ragionamento: “In effetti
è strano che la
macchina di Brakner fosse parcheggiata proprio accanto a quella di
Rider. Ed è
strano che sotto sia rossa, esattamente come lo era il colore
dell’auto che ha
investito Alexis.”
“Amesso
che questa sia una mossa di Anthony per
farci credere che Brakner è A e
sviare i sospetti da sé, quale sarebbe la prova del nove che
eliminerebbe Brakner dalla nostra lista A?”
Nathaniel era ancora abbastanza confuso sulle finalità
dell’amico.
“Lo
denunciamo! – spiegò Eric – Anthony ha
posizionato questa trappola
per convincerci che Brakner è A,
ma
allo stesso tempo sa che siamo troppo impauriti per denunciarlo sul
serio e di
conseguenza la situazione rimane in stallo.
Nolan
fece un nuovo intervento: “Si, ma se Brakner non è
A…sbaglio o stiamo
mandando in prigione
un uomo innocente?”
“E’
l’unico modo, Rider. Se A
continuerà a tormentarci mentre Brakner è dietro
le sbarre, avremo la prova che
ho ragione.”
“In
caso contrario, avremo messo A
in prigione.” considerò Sam.
“E
non vi sembra così troppo facile mettere A
in prigione?” sottolineò Eric.
Ancora
una volta, il silenziò si impadronì del gruppo.
Eric diede
l’ennesimo motivazione, soprattutto per convincere del tutto
Nathaniel.
“Per
tutto questo tempo, A ci
ha tenuti in pugno con i video. Non li ha mai mandati alla polizia per
un
motivo: perché c’è anche lui in quei
video ed è vivo e vegeto.”
“Ok,
A è Anthony, ma vi
ricordo che non era lui a girare il video ma un’altra
persona. E lo stava
facendo dall’interno di un auto non molto lontana da
noi.” replicò Nathaniel.
“Già,
è vero. – pensò Sam, nuovamente in
dubbio - Questo come lo
dobbiamo interpretare?”
Eric,
però, ebbe una spiegazione anche a quello: “Io
credo che chi ci ha
filmati quella notte, abbia tentato di incastrare Anthony. Evidemente,
però,
gli è andata male: ricordate il filmato alla stazione dei
treni? Noi pensavamo
che A si stesse avvicinando ad
Anthony per ucciderlo, ma… e se avessimo interpretato male
quella scena? Questo
ignoto deve averlo raggiunto per fargli sapere che aveva quei video e
che
l’avrebbe denunciato alla polizia.”
Fu
Sam a fermarlo, adesso: “Ma abbiamo sentito Anthony
urlare.”
“Potrebbe
aver finto, per poi uccidere l’ignoto. Il filmato non mostra
che Anthony viene colpito, ma si blocca improvvisamente.”
Nathaniel
sembrò finalmente cedere: “Anthony
dev’essere andato fuori di
testa quando ha visto questa persona con una telecamera in mano e che
lo
riprendeva. Stava lasciando Rosewood e tutti avrebbero dovuto credere
che fosse
morto nell’incendio.”
“Quindi
Anthony ha sostituito Albert con l’ignoto
all’obitorio, non
appena ne ha avuto occasione. Ed è l’ignoto ad
essere nella bara.” concluse
Sam, scioccato quanto gli altri.
La
telefonata si concluse.
*
Dopo
essersi preparato, Nathaniel scese nuovamente in cucina. Stavolta
c’era sua madre, appoggiata con i gomiti sul tavolo che
teneva una busta delle
lettere in mano, molto pensierosa.
“Mamma.”
Quella
rimise immediatamente il foglio dentro la busta, riponendola in
un cassetto. Subito dopo finse un sorriso, cercando di mascherare il
suo
precedente stato d’animo.
“Primo
giorno di scuola nella nuova scuola?”
“Sì,
ma… - capì che c’era qualcosa che non
andava – che cosa stavi
guardando prima? Ti ho vista turbata.”
“Niente,
Nathaniel. – sorrise con un angolo della bocca, avvicinandosi
–
E’ solo un estratto conto della mia carta. Non è
mai una gioia vedere quante
spese hai fatto senza rendertene conto.”
“Sicura?”
“Certo,
sono sicura. – ostentò un’espressione
rassicurante, per poi
cambiare argomento – Piuttosto, visto che ho molto da fare
con il mio salone e
tuo padre è sempre al ristorante, perché non dai
una pulita al garage? O
perlomeno, spruzzaci dentro un prodotto per ambienti.
C’è uno strano cattivo
odore che proviene da lì.”
Nathaniel
cercò di non impallidire, annuendo: “Ehm, certo,
lo farò
Domenica! – si schiarì la gola, a disagio
– Beh, io adesso vado.”
E
quella lo salutò con un sorriso, continuando a mantenerlo
finchè non
uscì dalla cucina. Dopo, divenne seria e tornò
davanti al cassetto in cui aveva
riposto dentro la lettera. La riprese in mano e ne uscì il
contenuto: sul
foglio c’erano immagini di Nathaniel che bacia Sam e altre in
cui lo tiene per
mano davanti alla scuola. Insieme c’era anche un messaggio.
“Le
sue clienti avranno
di che sparlare tra una messa in piega e l’altra, se si
venisse a sapere. Ha
due giorni per trovare diecimila dollari e impedire che tappezzi la
città con
queste foto.”
-Anonimo
La donna era
alquanto sofferente
nel guardare quelle foto, nonché spaventata dalla quella
minaccia.
*
Nolan, intanto,
era ancora
a casa di Rider. Si stava gustando un bicchiere di succo di more in
cucina.
Improvvisamente arrivò Lindsey, pronta per uscire.
“Buongiorno
sorellina!” la
salutò, mentre quella recuperava le chiavi della sua auto.
“Rider,
sei inquietante. –
lo guardò storto, mentre si avvicinava alla porta sul retro
- Smetti di usare
quella parola.”
“Sai
quando torna Papà?”
Quella si
fermò, stranita
dalla sua domanda: “E’ in viaggio, lo sai
benissimo. Fa continue ricerche per
il suo nuovo libro, quando può trovare quello che gli serve
su internet.”
“E’
molto meglio ricavare
informazioni sul campo che da internet. Rende tutto più
autentico.” replicò
marcando un sorriso risoluto, sorgeggiando il suo succo.
Lindsey
abbandonò la sua
espressione scontrosa e tornò indietro, mostrandosi
preoccupata.
“Rider,
ascolta, non posso
continuare a fare finta di niente. Sei strano e mi chiedo se questo non
c’entri
con il ritrovamento di Albert.”
“Di
cosa parli?” non capì,
notando il cambio di espressione della ragazza.
“Ho
mentito alla polizia su
dove fossi quella notte. Ho dato per scontato che fossi a casa,
così ho detto a
loro che era così, ma so che non c’eri.”
“Come
fai a sapere che non
c’ero?”
Lindsey fu vaga,
proteggendo Chloe: “Non importa come l’ho scoperto.
Voglio sapere se sei
coinvolto in questo casino. Per caso hai fatto qualcosa con Anthony
quella
notte? So che hai mentito alla polizia.”
“Pensi
che l’abbiamo ucciso
noi?”
“Non
lo so, è così?”
“Certo
che no. – scosse la
testa con ovvietà – Abbiamo mentito
perché…Insomma, direi che saremmo stati i
primi ad essere sospettati, non credi? Quel giorno stesso ci avevano
visto
tutti litigare con Albert in mensa.”
“In
realtà era solo Anthony
a ligare con lui, quel giorno. Voi facevate le ombre.”
“E’
uguale, ok? Abbiamo
avuto paura e abbiamo mentito. Se avessimo detto alla polizia che
eravamo in
giro, non ci avrebbero mai creduti innocenti.”
A quel punto,
Lindsey si
arrestò: “Quindi eravate solo in giro per conto
vostro?”
“Esatto,
ma senza Anthony.
Solo noi quattro.”
“Stai
comunque attento. Sei
una delle persone più vicine a questo omicidio,
perciò non fare altre cazzate
con la polizia che indaga.”
Nolan
restò sorpreso dalla
preoccupazione di sua sorella che quasi faticava a crederci:
“Ok. Grazie.”
“Non
ringraziarmi. Ogni
tanto devo fare la sorella maggiore, il compito più
stancante del pianeta.”
Quello sorrise,
cercando di
essere spiritoso: “Non tanto maggiore visto che tra poco
è il mio compleanno e
che per circa sei mesi avremo di nuovo la stessa
età.”
“Sono
comunque più grande, Rider.
– finse un’occhiataccia – Magari non mi
ritieni abbastanza matura per la
relazione che ho intrapreso e di cui ti sei sempre vergognato, ma ho
messo
piede a questo mondo prima di te e dovrà pur contare
qualcosa, no?”
“E’
bello avere una sorella
che si preoccupa. – sorrise sinceramente, perdendosi poi tra
i suoi pensieri –
Spero che Papà torni in tempo per il mio compleanno. Ho
voglia di rivederlo.”
“Peccato
che per il tuo
compleanno, lui non ci sia mai stato. Ha sempre avuto
qualcos’altro da fare in
quel giorno.”
“Forse
stavolta sarà diverso.”
si mostrò fiducioso, lasciando Lindsey molto perplessa sui
suoi atteggiamenti
insoliti.
Quella, poi,
notò che si
era fatto tardi: “Beh, io devo andare. Devo riscalare la
piramide sociale nella
nuova scuola. Dicono che alla Northdale ci sia una ragazza che
è praticamente
identica a Bella Thorne, quindi mi preparo ad affilare le
unghie.” e se ne
andò, lasciandolo di nuovo solo.
Perso di
nuovamente nei
suoi pensieri, Nolan iniziò ad incantare il vuoto, come se
si fosse ricordato
di qualcosa. Improvvisamente si voltò verso il tavolo dove
la famiglia Stuart
solitamente pranzava.
Lentamente si
avvicinò e
poi si sedette. Restò comodo per qualche secondo, poi
abbassò la testa sotto al
tavolo, come se si aspettasse di trovare qualcosa. E infatti fu
così: un
piccolo aggeggio circolare era attaccato alla superficie.
Nolan lo
staccò immediatamente
da lì sotto e tornò su con la testa, appoggiando
i gomiti sul tavolo. Dopo,
avvicinò l’aggeggio alla bocca e iniziò
a parlare.
“Ciao,
Rider. Mi stai
ascoltando?”
E infatti,
dall’altra parte
del microfono, lui era in ascolto. Non appena sentì la sua
voce provenire da
una delle bambole che aveva lasciato accesa, Rider si
sollevò dal letto e la
prese tra le mani per ascoltare meglio.
“Non
so se mi stai ascoltando,
ma sicuramente non potrai rispondermi…Tuttavia, se mi stai
ascoltando, ti
starai chiedendo senza dubbio cosa stia accadendo. Beh, quello che ti
sta
accadendo è semplicemente la mia vita. La vita di Nolan
Stuart, internato al Radley
alla tenera età di sei anni. – spiegò,
il viso livido di rabbia e rancore – Una
vita di sogni rinchiusi dentro a quattro mura, immaginando a come
potesse
essere la mia vita se non fossi stato rinchiuso lì dentro.
– un sorriso
malvagio prese possesso del suo volto – E sai una cosa? Ora,
finalmente, so
come sarebbbe stata la mia vita: esattamente così!”
Rider, che stava
ancora
ascoltando, aveva il viso che si contorceva dalla rabbia e il respiro
rumoroso.
“Sto
diventando così bravo
ad essere te, Rider. Nessuno si è accorto della differenza e
immagino che
neanche i dottori l’abbiano notata – rise
– Del resto, per loro sei solo un
ragazzo che crede di essere nel posto sbagliato come tutti i matti sono
soliti
urlare mentre vengono sedati. – tornò serio
– Ora, però, mi devi perdonare fratellino.
E’ il mio primo giorno di scuola e gli Stuart sono sempre
puntuali. – si alzò
dalla sedia – Presto incontrerò nostro padre,
Rider. E magari anche te, se A me
lo permetterà…”
Nolan concluse
ciò che
aveva da dire e riattaccò il microfono sotto al tavolo,
andandosene.
Rider
gettò la bambola
contro il muro, urlando furioso: “Goditi la mia vita,
perché ti assicuro che
verrò a riprendermela! – si mise le mani nei
capelli, disperato – Non resterò
qui ancora per molto. Riuscirò a fuggire, mi hai sentito?
RIUSCIRO’ A FUGGIRE,
NOLAN!”
Improvvisamente
entrarono
gli infermieri, che sentirono le urla.
“Si
è liberato dal letto!”
esordì l’infermiera, mentre gli altri lo
prendevano per sedarlo.
“LACIATEMII,
LASCIATEMI! –
si agitò sempre più forte, mentre l’ago
penetrava nel suo braccio – NOLAN, TE
NE PENTIRAI! E ANCHE TU, A! LA
PAGHERETE ENTRAMBI PER AVERMI RINCHIUSO QUI DENTROO!”
Gli infermieri
si
guardarono tra loro, chiedendosi di cosa stesse parlando.
Nel giro di
pochi secondi,
Rider divenne più docile e perse i sensi.
*
Eric stava
portando giù le
valige assieme a sua madre. Usciti dal Brew, attesero sul marciapiedi.
“Mamma,
hai chiamato il
taxy? – si voltò verso di lei, guardando
l’orario sul suo orologio – E poi
dov’è Papà? Avete il volo alle 8:30 e
il gate chiude tra mezz’ora.”
Quella, con un
cenno degli
occhi, gli disse di guardare di nuovo sulla strada.
All’improvviso vide
arrivare un’auto che si parcheggiò proprio davanti
a loro e dalla quale uscì
suo padre.
Eric
sgranò gli occhi,
avvicinandosi a toccarla: “Ma questa è la mia
auto... – alzò lo sguardo sul
padre – Ma come cavolo hai fatto?”
Suo padre gli
lanciò le
chiavi, sorridendogli: “Ricordi cosa ti ho detto quando
abbiamo venduto la tua
auto?”
“Che
me l’avresti
ricomprata…” sorrise, ancora incredulo. Si
girò verso la madre, poi, che
sorrideva per lui.
“Ti va
di accompagnarci
all’aeroporto? E’ di strada per il college di
Alexis.” suggerì lei.
“A
dire il vero mi ha
chiamato poco fa e mi ha detto che era meglio portare tutto qui dopo
pranzo. E
poi non c’è più tempo, rischio di
perdere la prima ora di lezione.”
Suo padre,
prendendo le
valige per metterle in macchina, si affrettò per lui:
“Allora non perdiamo
tempo.”
*
Quando
arrivarono in
aereporto, più tardi, Eric aiutò i genitori a far
uscire le valige dal
bagagliaio ed era pronto a salutarli.
“Bene,
è arrivato il
momento.” sorrise loro.
“Già!
– si commosse sua
madre, sistemandogli i capelli e osservando il suo viso –
Sappi, signorino, che
ti chiamerò cinque volte al giorno e che sarà
meglio che tu mi risponda tutte e
cinque le volte.”
“Mamma,
dai. - vide che la
sua commozione stava degenerando – Non vi sto lasciando per
sempre.”
“Beh,
ci mancherebbe. E’
solo che…pensavo che saremmo stati con te fino alla fine del
liceo, invece
dobbiamo dirti addio con un anno di anticipo.”
“Tesoro,
non è un addio.
Non esagerare.” la richiamò suo marito.
“Oh,
sta zitto Daniel! Lo
sanno tutti che dopo il liceo, il lavoro di genitore diviene meno
importante.”
abbracciò il figlio, mentre quello si scambiava uno sguardo
divertito con il
padre per la melodrammaticità di Jennifer.
Eric si
staccò,
tranquillizzandola: “Mamma, ma voi sarete sempre importanti
per me. Ok? Questo
non è un addio.”
Quella lo
fissò ancora,
arrestando le lacrime: “Ricorda di usare il preservativo,
tesoro. Non saremo
importanti per te in quel senso.”
“Mamma!”
esclamò
imbarazzato, girandosi a ridere con suo padre.
Ora Jennifer si
fece da
parte, mentre si faceva avanti Daniel.
“Eric…
- gli mise una mano
sulla spalla – Per qualsiasi cosa, non esitare a chiamarci.
So che te la
caverai. Da quando sono qui, ti ho visto cambiato in positivo: hai
messo la
testa sulle spalle e sei già diventato l’uomo che
pensavo saresti diventato più
avanti.”
“Beh,
sono sempre stato
precoce nelle cose.” fu ironico, cercando di nascondere il
magone.
Daniel divenne
serio,
lasciando un’ultima raccomandazione: “Ora sei solo,
Eric. Forse adesso non te
ne rendi conto, eccitato da questo improvviso cambiamento, ma la tua
vita sta
iniziando proprio in questo momento. Cerca di farla andare verso la
giusta
direzione e non permettere a nessun demone di deviare il tuo
cammino.”
L’espressione
di Eric si
impietrì del tutto, dopo quelle parole. Era come se suo
padre, incosciamente,
avesse intuito che suo figlio stava già lottando contro il
suo demone.
“Daniel,
il gate sta per
chiudere.” lo avvisò Jennifer, mentre quello si
avvicinava a lei.
“Buona
fortuna, figliolo. –
gli diede un’ultima occhiata - Ti chiamiamo appena
arriviamo.”
“Ti
voglio bene, tesoro.
Fai il bravo.” gli disse la madre, mentre iniziavano ad
allontanarsi.
Eric li
salutò con la mano,
consapevole che era rimasto da solo con il suo demone e che doveva
batterlo
prima che il suo futuro prendesse una piega diversa.
*
Sam era appena
uscito dalla
sua classe, il suo primo giorno era quasi concluso. Era esausto e
barcollava.
Non riusciva a tenere gli occhi aperti e quando giunse in cortile, dove
gruppi
di studenti chiacchieravano o pranzavano per conto loro, si
appoggiò ad una
colonna.
Quando
sembrò stare meglio,
riaprì gli occhi e notò un volto conosciuto
dall’altro lato del cortile: si
trattava di Cameron.
“Questo
dev’essere un
fottuto scherzo. Non può essere.”
sospirò incredulo, seccato di vederlo nella
sua stessa scuola.
Continuò
ad osservarlo,
mentre chiacchierava in un punto abbastanza appartato con un altro
ragazzo.
Improvvisamente, vide uno scambio fra i due: Cameron aveva pagato quel
ragazzo
in cambio di qualcosa.
Incuriosito, Sam
si
ricompose e provò ad avvicinarsi. Cameron era rimasto da
solo.
“Ma
guarda chi si vede!”
esordì, distaccato.
Cameron fu
sorpreso di
vederlo: “Mio Dio, quante probabilità
c’erano che finissimo nella stessa
scuola?”
“Per
me zero, ma il mio
karma la pensa diversamente.” replicò cinico.
“Sei
isterico perché qui
non c’è il tuo fidanzatino? Anche se ancora non ho
capito se state insieme o
che altro.”
“Non
sono affari tuoi,
piuttosto… - mise le braccia conserte, un tono
improvvisamente imbarazzato – Ho
visto che davi dei soldi ad un ragazzo. Che hai preso da lui?”
Quello sorrise
compiaciuto:
“Potrei dirti che non sono affari tuoi, ma… -
dalla tasca tirò fuori delle
pillole – Non sono così stronzo da dirti una frase
del genere!”
“Sono
anfetamine quelle?”
gli domandò, guardandosi attorno per paura che qualcuno li
vedesse.
“Rilassati,
nessuno farà
caso a noi. –
le rimise in tasca,
notando che sembrava bramarle – Che c’è,
ne vuoi una per caso?”
“E’
la prima volta che fai
questa cosa?”
L’altro
scoppiò in una
piccola risata: “La prima? Ma se lo faccio dal secondo liceo.
– notò poi la sua
espressione stupita – Come pensi che faccia ad andare alle
feste e a mantenere
una buona media dei voti? Sarrebbe come vivere una doppia vita e
nessuno è in
grado di vivere due vite senza un piccolo aiutino. E queste magiche
pillole
fanno si che le due vite diventino una sola e che tu riesca finalmente
a
gestire tutto.”
A quel punto,
Sam non
sapeva cosa dire e quasi evitava il suo sguardo. Era come se volesse
chiedergli
qualcosa, ma non trovava il coraggio. Cameron ovviamente
intuì cosa stesse
accadendo.
“Rilassati,
ti risparmio il
dramma di pronunciare le fatidiche parole. – prese dalla
tasca tre pillole e
gliele porse – Non sembri in forma, ma vedrai che lo
sarai.”
Sam le prese
subito dalle
sue mani. Tremava come se stesse commentendo un crimine e dopo essersi
guardato
attorno una seconda volta, tornò a parlare con lui.
“Quanto
ti devo?”
“Niente,
ti ho fatto un
regalo. Se poi queste tre non ti bastano, posso parlare con il mio
spacciatore.”
“No,
non voglio fare questo
tipo di cose. Non voglio essere etichettato, ok? Mi servono solo per
questa settimana.
– si giustificò, esausto - Ho tre test uno dietro
e ho appena scoperto che la
mia media è pari a quella del ragazzo che si scaccola seduto
al banco in ultima
fila.”
“Non
sarai etichettato, te
lo prometto. Le prenderò io per te, se lo vuoi.”
Sam
deglutì, sempre più a
disagio: “…lo voglio.” si decise,
sapendo che ne aveva bisogno.
L’altro
annuì, per poi fare
di nuovo lo spiritoso: “Sono contento che tu abbia detto di
si, ma non ho
l’anello.”
Quello
si girò e se ne
andò, per nulla divertito dalla battuta.
“Un
grazie sarebbe anche
grandito, eh!” cercò di farsi sentire, ma quello
non si voltò.
*
Intanto,
alla Northdale,
Nathaniel e Rider erano nel parcheggio e si stavano dirigendo verso
l’auto.
“Mia
madre stamattina si è
lamentata dell’odore che c’era in garage.
Com’è possibile che un cadavere inizi
a puzzare così dopo una notte? Eppure ho riempito il
bagagliaio di arbre
magique!”
Nolan,
però, stava pensando
ad altro: “Quindi lo faremo stanotte?”
“Seppellire
il cadavere,
intendi? Certo, ne abbiamo parlato ieri sera mentre tornavamo a casa.
Non posso
mica tenerlo nella mia macchina.”
“Mi
chiedo quando scoppierà
la bomba.”
“Cioè?”
“Quando
si accorgeranno
della scomparsa del francese e le indagini inizieranno.”
“Ah…
- Nathaniel cominciò
ad avere paura – Beh, forse passeranno un paio di giorni. Non
viveva con
nessuno.”
“Sì,
ma hai detto che era un
importante artista a New york. Chi ci dice che domani non ci
sarà una mostra
dei suoi quadri?”
Quella
frase spaventò
ancora di più Nathaniel, mentre erano arrivati davanti al
bagagliaio della sua
auto: “Preferisco non pensarci, abbiamo un alibi di ferro:
eravamo alla festa,
abbiamo scattato molte foto, nessuna telecamera ci ha ripresi da
Scranton fino
a Rosewood.”
“E
il messaggio che ti ha
inviato A alla stazione di
servizio?
Sapeva che eravamo lì, può averci fotografati o
filmati.”
A
quel punto Nathaniel deglutì,
si stava sentendo male: “Ti prego, smetti di
parlare.”
“Scusa…
– si mostrò
dispiaciuto – E’ solo che questo non è
il nostro primo rodeo, sappiamo come
gioca A. Inutile far finta che non
abbia qualcosa con cui incastrarci anche stavolta.”
“Beh,
stavolta voglio
credere che ne usciremo puliti da questo omicidio.”
cercò di autoconvincersi,
nonostante gli tremasse la voce.
Nolan
sospirò, girandosi
poi verso il bagagliaio: “…Posso sentire la
puzza?”
“Dici
sul serio?” la trovò
una richiesta assurda.
“Sono
curioso, non ho mai
sentito la puzza di un cadavere!” insistette.
Ancora
allibito da tale
richiesta, Nathaniel si guardò attorno e poi accontentare
l’amico, aprendo il
bagagliaio. Una volta che ci guardarono dentro, però, non
c’era niente.
Nathaniel
restò paralizzato
con lo sguardo: “Non può essere, mi
rifiuto…”
“I
cadaveri non evaporano,
vero?”
L’altro
si girò verso di
lui, isterico: “Rider hai una laurea in tutte le materie del
mondo e lo sai
perfettamente che i cadaveri non evaporano. E’ stato A!”
Dopo
si allontanò con le
mani nei capelli, disperato, mentre Nolan fingeva di essere sconvolto
quanto
lui.
“Aspetta,
ma… - Nolan
richiamò l’amico, recuperando qualcosa dal
bagagliaio – Qui c’è un
bigliettino.”
Nathaniel
tornò subito
vicino a lui, scoprendone il contenuto.
“Mio
il cadavere, mie le
regole: preparate le pale, non prendete impegni. Stanotte si scava,
stronzetti!”
-A
*
Uscito
da scuola, Sam era
fermo all’ingresso che aspettava qualcuno. Quando vide
un’auto arrivare, quello
mise subito la pillola in bocca; l’aveva fissata a lungo
prima di prenderla. La
mandò giù bevendo un sorso d’acqua
dalla bottiglietta che prese dallo zaino e
poi si avvicinò al marciapiedi: era Nathaniel.
Quando
Sam entrò in
macchina, Nathaniel non capì il motivo della chiamata.
“Che
fine ha fatto la tua
auto?”
“Ehm,
è rimasta a secco.
Con tutto quello che è successo, ho dimenticato di fare
benzina.” spiegò in
maniera forzata, come se stesse mentendo.
Nathaniel
notò che era
parecchio nervoso e che ticchettava il dito sulla gamba, guardando
avanti senza
guardare lui: “Sam, va tutto bene?”
Finalmente
quello si voltò:
“Ehm, sì, sono solo molto teso per tutta questa
storia dell’omicidio e con il
cambio di scuola ho scoperto di dovermi fare in quattro per non essere
bocciato
in almeno tre materie. Forse quattro.”
“Chiedi
aiuto a Rider, no?
Riuscirebbe a mantenere una buona media dei voti anche nel bel mezzo di
un’
apocalisse.”
A
quel punto, Sam scattò:
“Non ho bisogno di aiuto, ok? Non ho difficoltà di
apprendimento, non è quello
il mio problema! La mia media dei voti non era perfetta, ma era
comunque nella
media. La causa del mio pessimo rendimento è A.
– il suo volto era sofferente ora – Difficile
studiare quando
qualcuno ti minaccia 24 ore al giorno e la maggior parte del tempo sei
fuori a
trascinare cadaveri o rimanere intrappolato chissà
dove.”
“Senti,
ti vedo molto
stressato e magari eviterei di darti maggiori preoccupazioni,
ma… - tirò fuori
dalla tasca il biglietto ricevuto da A e
glielo consegnò – Devi trovare un modo per
riprendere il controllo perché se
uno di sbaglia, finiamo in galera.”
Dopo
aver letto il
biglietto, Sam lo gettò via afflito e disgustato, scuotendo
la testa: “…Non
posso credere che Anthony ci stia facendo questo.”
“Non
sappiamo ancora se è lui.
La teoria di Eric sembra molto convincente, ma finchè non
c’è una prova
schiacciante, ho bisogno impegnare tutte le mie forze per salvarmi la
pelle.”
Sam
si voltò a guardarlo:
“Vuoi ancora patteggiare con A?”
“Se
Brakner è A, non si
farà mettere in galera così
facilmente. Una piccola parte di me crede ancora che ci sia lui dietro
a tutto
questo, perciò voglio barattare la nostra libertà
in cambio del misterioso
complice di Anthony. E l’unico modo per scoprire la sua
identità è parlare con
Quentin.”
“Non
lo so, non credo
voglia parlare con noi. -
sospirò,
pensieroso – Lavora nell’azienda dove lavorava il
padre di Eric.”
“Sai
dov’è?”
“Si,
una volta io e Anthony
accompagnammo Eric lì. Restammo in macchina ad aspettarlo e
lui entrò
nell’edificio per scoprire da suo padre come mai gli avessero
bloccato la carta
di credito.”
“Doveva
essere il periodo
in cui suo padre fu licenziato.”
“Credo
di sì, perché quando
tornò da noi aveva il volto pallido e gli occhi sgranati.
– si sentì
improvvisamente in colpa – Dovevo capirlo che Eric se la
stava passando male,
era la carta di credito aziendale che Anthony gli aveva suggerito di
rubare a
suo padre perché di qualche piccola spesa non se ne
sarebbero mai accorti. Non
poteva essere bloccata, a meno che non si venisse licenziati.”
Nathaniel
gli mise una mano
sulla spalla: “Non è colpa tua, non potevi
immaginarlo.”
“Ma
Anthony, sì. Dev’essere
stato quello il momento in cui ha scoperto che la vita di Eric si era
ribaltata.”
“Si,
ma adesso sono le vite
di tutti noi ad essere ribaltate. Mentre Eric porta la sua ragazza in
centrale,
noi occupiamoci del nostro salvaggente.”
Sam
allora annuì, smettendo
di piangersi addosso.
“D’accordo,
andiamo.”
*
Trasportato
con una
carrozzina, Rider stava riprendendo i sensi. Uno degli infermieri lo
portò
nella sala ricreativa, dove c’erano molti altri pazienti:
c’era chi faceva un
puzzle, chi si faceva leggere un libro da un parente in visita e chi
suonava al
piano.
Mentre
si guardava attorno,
stordito, venne lasciato accanto ad una poltrona vicino al camino. Era
talmente
debole che non riusciva a muoversi, ma tra le varie persone che
c’erano nella
stanza, non tolse gli occhi di dosso da Ector Sherman: il primo
infermiere che
vide dal primo momento che aprì gli occhi al Radley e che
gli sembrava
sospetto.
Improvvisamente,
una voce,
distolse il suo sguardo da lui.
“Ci
sono andanti giù
pensante con te, eh?”
Quando
Rider seguì la voce,
spostò lo sguardo sul divanetto che c’era davanti
a lui: vi era seduto un
ragazzo, un altro paziente del Radley.
“Non
parlarmi, grazie.”
rispose in maniera apatica.
“Hai
idea di quanto mi sia
annoiato, mentre eri rinchiuso nella tua stanza? Sei il mio unico amico
qui
dentro.”
Rider
sgranò leggermente
gli occhi, interessandosi a lui: “Sai come mi
chiamo?”
Quello
restò esterrefatto:
“Caspita, ti hanno davvero conciato male se non ricordi
nemmeno il tuo nome.”
“Rispondi,
dannazione!”
esclamò, cercando di non alzare troppo la voce.
“Nolan
Stuart! – esclamò
seccato - Contento ora?”
L’altro
abbassò lo sguardo,
scioccato da quella conferma ai suoi pensieri: “Non
può essere, non sta
accadendo davvero…”
“Accadendo
cosa?”
Risollevando
lo sguardo,
ignorò la sua domanda: “Come ti chiami?”
“Norman,
idiota!”
“Ti
prego, dimmi che non
credi di essere Norman Bates o rischio di impazzire sul
serio.” trovò assurdo,
mettendosi le mani in testa per la disperazione.
“Sono
Norman Anholt,
idiota. – fece l’ennesima smorfia, stranito dal suo
comportamento - Ora
rivoglio il mio amico, dobbiamo parlare!”
“Non
sono il tuo amico, ok?
Non sono Nolan! – gli rivelò, esasperato
– Mi hanno scambiato con lui.”
“Ma
di che stai parlando?”
“Se
Nolan è il tuo migliore
amico, saprai anche che ha un fratello gemello.”
Quello
roteò gli occhi,
seccato: “Ecco che ricominci con questa storia che sei Rider.
E’ inutile, hai
già usato questa carta per lasciare questo posto e nessuno
ti ha creduto.”
“No,
stavolta è la verità.
Sono Rider, non sono Nolan.” gli bisbigliò.
Norman
lo fissò per diversi
secondi con il volto serio.
“No,
dai, smettila! Sembri
quasi convincente.” non si lasciò abbindolare.
“C’è
un modo in cui posso
dimostrartelo?”
L’altro
ci riflettè e
finalmente seppe cosa chiedergli: “Ti sei operato di
appendicite da piccolo. Se
sei davvero Rider, dovresti non avere la cicatrice.” sorrise
compiaciuto,
convinto che non l’avrebbe messo nel sacco.
Rider
sollevò la maglietta
e abbassò leggermente il pantalone, dimostrando di non avere
alcuna cicatrice.
Norman spalancò la bocca e gli occhi, avanzando con la
schiena.
“Ma
non è possibile, come
l’hai coperta?”
“Non
l’ho coperta, non ho
nessuna cicatrice!” ribadì, sbuffando.
Norman
si estraniò dalla
conversazione, fissando la parete, come se fosse rimasto male di
qualcosa.
Notando
quell’improvviso
cambio di atteggiamento, Rider cercò di scoprire cosa
avesse: “Norman, che
succede?”
Quello
si voltò nuovamente
verso di lui, scuotendo la testa: “Ehm, niente, nulla!
Piuttosto, perché sei
ancora qui? Puoi dire della cicatrice.”
“Beh…
- si guardò attorno –
Magari fra qualche giorno. Purtroppo come apro bocca, mi infilano una
serie di
aghi nel braccio.”
“Si,
ma non hai la
cicatrice.” continuò Norman.
“Non
posso andarmene, ok? –
rivelò, secco - Devo scoprire delle cose!”
“Tipo
cosa?”
“Delle
cose su Nolan e sul
mio passato. Prima di finire qui, non sapevo nemmeno che
esistesse.”
L’altro
abbassò lo sguardo,
riflettendo per qualche secondo e poi lo risollevò:
“Io so alcune cose…”
“Quanto
dura la nostra
permanenza nella sala ricreativa?”
“Non
molto per quelli come
te e me… – con lo sguardò gli
indicò un ragazzo che abbracciava un orsacchiotto
e ci parlava – Sanno che siamo in grado di ragionare e
quindi…scappare!”
“Allora
farai meglio a
cominciare.” gli intimò, pronto ad ascoltare.
*
Parcheggiati
davanti
all’azienda in cui Quentin lavorava, Sam e Nathaniel
fissavano l’ingresso in
attesa che uscisse per la pausa pranzo. Dopo diversi minuti, finalmente
lo
videro uscire e immediatamente scesero dall’auto.
Mentre
quello scendeva le
gradinate, riconobbe subito Sam, che si stava muovendo verso di lui
assieme a
Nathaniel.
“Ancora
voi? – prese il
telefono – Adesso chiamo la polizia.”
Sam
mise subito le mani
avanti, cercando di calmarlo: “Quentin, ti prego, voglio solo
parlare!”
“Parlare
di cosa? Io non
voglio avere nulla a che fare con te!” esclamò,
mentre aveva il telefono all’orecchio.
“So
che pensi che ti abbia
fatto del male, ma non è così! –
intervenì Nathaniel – C’è
stato un equivoco,
concedici dieci minuti per spiegarti.”
“E
tu chi saresti? Un altro
amico di Anthony?”
“Quentin,
per favore. Solo
dieci minuti, è importante. – lo
implorò Sam, mostrandosi sinceramente a
disagio – A sta
tormentando anche
me. Proprio come faceva con te, probabilmente.”
A
quel punto, Quentin
abbassò il telefono: “Ma di che stai
parlando?”
“Andiamo
da qualche parte,
lascia che ti spieghi.”
Terrorizzato,
non accettò:
“No, da solo non vado da nessuna parte con voi.”
“Andremo
in un luogo
pubblico, ok? – gli suggerì Nathaniel per
convincerlo – Ti offriamo il pranzo.”
Quello
restò a fissarli a
lungo, prima di accettare.
Più
tardi, giunti con le
proprie macchine, sedevano ad un tavolo dell’Apple rose
grill: Quentin da una
parte e Sam e Nathaniel dall’altra.
“Cosa
intendevi con A sta
tormentando anche me? –
chiese
Quentin a Sam, mentre portava un pezzo di bistecca alla bocca
– Ti stai ancora
prendendo gioco di me?”
Sam,
che non aveva ancora
toccato il suo piatto, esattamente come Nathaniel, gli
spiegò: “A quei tempi,
Anthony mi chiese di scoprire se tu fossi gay. Sono uscito con te, ho
scoperto
quello che dovevo scoprire su di te e molto ingenuamente l’ho
riferito a lui.
Ovviamente non avrei mai immaginato che la cosa sarebbe degenerata in
questo
modo. Non lo conoscevo bene come ora. Non ho idea di cosa ti abbia
fatto, ma
sembra essere qualcosa di grave o non mi avresti attaccato in quel
modo.”
“Puoi
dirlo forte! –
esclamò in maniera molto provata – Non riesco
nemmeno a trovare le parole per
descrivere quello che il vostro amico mi ha fatto.”
“E
cosa ti ha fatto,
esattamente?” gli chiese Nathaniel.
Quentin
mise giù la
forchetta, spostando lo sguardo fra i due: “Chi mi dice che
già non lo
sappiate? Chi mi dice che non siete qui per assicurarvi che non apra
bocca su
questa cosa con la polizia?”
“Quentin,
noi non abbiamo
nulla a che fare con questa storia, te lo posso assicurare. –
ripetè Sam ancora
una volta – Tu mi hai detto che ricevevi messaggi da Anthony,
che si firmava
come A. Inoltre hai insinuato che
io
potessi essere suo complice, quindi pensi che a tormentarti non fosse
solo lui.
Beh, anch’io sto ricevendo dei messaggi da A
adesso. E visto che Anthony è morto, non posso che pensare
che si tratti del
suo complice.” mentì sull’ultima frase,
sperando di fargli fare un nome.
“Quindi
sei finito anche tu
nel bosco?”
Sam
e Nathaniel si
guardarono, confusi.
“Nel
bosco? Che significa?”
domandò Nathaniel.
Quello
abbassò lo sguardo,
rendendosi conto che non sapevano davvero nulla: “Se ve lo
raccontassi, non ci
credereste.”
“Provaci,
per favore. –
continuò Sam – Siamo spaventati. A
non
tormenta solo me, ma anche i miei amici.”
“Immagino
abbiate qualcosa
da nascondere per proteggervi, visto che non siete andati alla
polizia.”
Quelli
titubarono e
Nathaniel lo confermò.
“Sì,
esatto. Non possiamo
andare alla polizia, ma possiamo scoprire chi ci sta facendo questo.
Abbiamo
solo bisogno che tu ci racconti cosa è successo.”
Quentin
si schiarì la voce,
mettendosi comodo. Finalmente iniziò a parlare.
“Un
giorno ho ricevuto il
mio primo messaggio. Conosco il tuo
segreto –A. Poi ho iniziato a riceverne altri e la
cosa mi lasciava sempre
più perplesso. Vuoi tenere stretto
il tuo
segreto? Ti basta conoscerne un altro per essere libero
–A.”
I
due ragazzi si guardarono
nuovamente, sempre più coinvolti da quel racconto.
“Che
vuol dire l’ultimo
messaggio?” gli chiese Sam.
“Ora
arriva la parte più
interessante: pensavo fosse solo uno scherzo e non ho dato importanza a
quei
messaggini, ma dopo qualche giorno ho ricevuto più di un
semplice messaggio. Mi
ha chiesto di raggiungere un indirizzo o avrebbe distrutto la mia vita;
sapeva
che in qualche modo ero una persona emotiva e che aveva paura del
giudizio
altrui e che avrei fatto qualsiasi cosa. – spiegò
– Così raggiunsi
quell’indirizzo, ma non c’era nessuno. Solo
un’auto vuota. Subito dopo ho
ricevuto un messaggio che mi chiedeva di entrarci e io l’ho
fatto.”
A
quel punto della storia,
Quentin sentiva come una presa alla gola. Faceva fatica ad andare
avanti.
Nathaniel
cercò di farlo
continuare: “E che cosa è successo in
quell’auto?”
L’altro
alzò lo sguardò e
finalmente trovò il coraggio di continuare: “Mi
sono risvegliato nel bosco, non
ero più in quell’auto.”
“Aspetta,
devi aver saltato
qualche passaggio. – lo fermò Sam, perplesso
– Come sei arrivato dalla macchina
al bosco? Chi è arrivato dopo?”
“Non
è arrivato nessuno.
Solo semplicemente svenuto, dopo essere stato inondato da un gas che
partiva da
sotto i sedili. – rivelò, mentre Sam si portava
una mano alla bocca – Quando mi
sono risvegliato, stava tramontando il sole e io ero nel bel mezzo di
questo
bosco. Man mano che camminavo e gridavo in cerca di aiuto, notavo delle
cose
strane: sopra gli alberi c’erano delle telecamere, dei
ripetitori, dei
riflettori…Sembrava di essere sul set di un film. A quel
punto mi sono
seriamente spaventato e ho iniziato a correre, finchè ho
scoperto di non poter
fuggire da quel posto.”
I ragazzi erano spaventati
da ciò che stavano
ascoltando, nonché scioccati.
“Cosa
ti impediva di
lasciare quel bosco?” chiese Nathaniel.
“Un
recinto elettrificato.
Dei fili che segnavano un perimetro circoscritto e che arrivavano molto
in alto.
Non avevo modo di scavalcarli.”
“E
dopo cosa è successo? –
chiese Sam – Come sei riuscito a scappare?”
“Una
voce ha iniziato a
parlarmi attraverso i ripetitori. Mi chiedeva di raggiungere un
altarino non
molto lontano da me: questa voce era camuffata. Quando sono arrivato
all’altarino,
ho trovato un foglio e una penna. La voce ribadiva che se avessi
scritto il
segreto di un’altra persona su quel foglio, sarei stato
libero di andare. In
caso contrario, ne avrei pagato le conseguenze.”
Sam
era sempre più
agghiacciato: “E tu che cosa hai fatto?”
“Conoscevo
solo un segreto
e riguardava l’uomo a capo dell’azienda presso il
quale ero stagista, il signor
Lincoln. Tradiva sua moglie con la sua segretaria, ma non volevo finire
nei
guai e quindi non ho scritto niente su quel foglio. –
raccontò, iniziando a
tremare – Sono rimasto per due giorni in quel posto, prima di
cedere. Mi
terrorizzava di notte con dei suoni e avevo sempre la sensazione che
qualcuno
si aggirasse nei dintorni. E’ stato orribile.”
“Ma
come facevi a sapere
che fosse Anthony? – non capiva Sam – Ieri sembrava
che ne fossi convinto.”
“Eri
l’unico a cui avevo
detto che ero gay e poi, durante la seconda sera, per qualche secondo
ho
sentito la voce originale attraverso il ripetitore.
Dev’esserci stato qualche
problema tecnico.”
Nathaniel
intervenì in
merito: “Ok, ma anche se fosse non conoscevi Anthony. Come
l’hai scoperto?”
Quentin
fissò Sam, mentre
rispondeva: “Dopo quell’esperienza ho rivisto Sam e
abbiamo mangiato in quel
fast food, ricordi? – quello annuì – Tu
sei andato in bagno e hai ricevuto una
chiamata da questo tuo amico Anthony. Pensavo fosse una cosa importante
e così
ho risposto: la voce che ho sentito era identica a quella che ho
sentito nel
bosco.”
Sam
si sentì tremendamente
in colpa: “Quentin, se avessi saputo cosa avresti passato,
non avrei mai
aiutato Anthony. Non gli avrei mai rivelato le tue cose
private.”
“Direi
che il karma ti sta
presentando il conto…” pensò, quasi
dispiaciuto, pulendosi la bocca con il
tovagliolo.
“Non
ne hai idea, Quentin.
– Sam annuì a quella verità con
sofferenza - Non sarò stato in quel bosco come
te, ma credimi se ti dico che A sta
rovinando la mia vita.”
Nathaniel
aveva qualche
altra domanda: “Scusami ancora Quentin, ma non ci hai detto
dove si trova
questo bosco in cui sei stato portato.”
“Non
l’ho detto, infatti.
Non l’ho detto, perché non ho idea di dove si
trovi. Sono stato riportato
indietro allo stesso modo in cui sono stato portato: privo di sensi.
Potrebbe
trovarsi a dieci minuti da qui, come potrebbe essere a sei o sette ore
da qui.
Potrebbe trovarsi ad est, ovest, nord o sud, non ne ho davvero idea. So
solo
che dopo avermi riportato a Rosewood, mi ha minacciato di non dire
niente a
nessuno o mi avrebbe riportato lì per sempre.”
“E
c’erano altre persone in
questo bosco? – continuò Nathaniel -
C’è qualcosa che puoi dirci, un indizio?”
“Nessuno,
solo io. Questo
non esclude, però, che ci non ci sia stato qualcun altro. –
spostò la sedia indietro, pronto ad alzarsi
– Scusate, ora devo tornare a lavoro. Purtroppo non so dirvi
altro, non so chi
possa essere questo complice di Anthony.”
“Grazie
per averci dedicato
il tuo tempo. – Sam gli sorrise con un angolo della bocca
– Mi dispiace per
tutto.”
Quentin
si alzò: “Ti sei
scusato abbastanza. Per me è arrivato il momento di chiudere
questo brutto capitolo
della mia vita e andare avanti. Anzi, sono già andato avanti
e va tutto a
gonfie vele adesso. Spero che anche il vostro incubo finisca presto, vi
auguro
buona fortuna.” e se ne andò, lasciandoli con una
sensazione di vuoto nello
stomaco.
“E’
chiaro che in questo
bosco ci siano state altre persone. – pensò
Nathaniel, mentre erano ancora
seduti a quel tavolo – Rosewood riservato è una
raccolta di segreti, quindi
chiunque ne faccia parte dev’essere stato in quel posto e ha
barattato la propria
libertà con un segreto come ha fatto Quentin.”
Sam
era pensieroso:
“Secondo te anche Albert è stato in quel
posto?”
“Potrebbe
essere, non ne ho
idea.”
“Magari
la persona che ci
ha filmati quella notte è qualcuno che è stato
lì.”
“Albert
era con quella
persona poco prima di essere investito da noi. Forse entrambi sono
stati nel
bosco ed entrambi hanno confessato il segreto di qualcuno per uscirne.
Fatto
sta che non sappiamo che tipo di permanenza hanno avuto. Quentin veniva
torturato con dei suoni durante la notte, ma gli altri?”
“Non
so cosa pensare, mi
sento male ad immaginare questa seconda vita di Anthony. Non mi
meraviglierei
per niente se A fosse una delle
persone che ha portato in quel bosco.”
Nathaniel
capì che Sam era
nuovamente in dubbio: “Ora non sei più
così sicuro della teoria di Eric, vero?”
“A si è vendicato abbastanza
con noi per ciò che è successo ad
Albert. Ora cerca vendetta per gli eventi legati al bosco e noi
dobbiamo
scoprire chi aiutava Anthony e consegnarglielo in cambio della nostra
libertà.
– era disgustato – Sono stanco di essere associato
ad Anthony, non avrei mai
potuto partecipare a questo abominio. Nessuno di noi.”
“Scopriremo
chi è, ma
adesso dobbiamo fermare Eric. – prese il telefono –
Spero non sia già in
centrale con Alexis, deve sapere cosa abbiamo scoperto.”
*
Seduti
nella sala d’attesa
della centrale, Eric stava stringendo la mano ad Alexis.
Quella
si girò a guardarlo,
sorridendogli con un angolo della bocca: “Grazie per avermi
accompagnata. Da
sola non riuscivo a farcela.”
“L’importante
è che ora
cattureranno la persona che ti ha investita. – le sorrise
anche lui, cercando
di rasserenarla – Presto ci diranno qualcosa,
vedrai.”
“Ci
stanno mettendo troppo.
Quando potrà mai durare un arresto? – era nervosa
– E se fosse scappato?”
Eric
non ebbe nemmeno il
tempo di risponderle che il detective Costa si avvicinò a
loro. Subito lanciò
un’occhiata schiva ad Eric, prima di rivolgersi a lei.
“Alexis,
puoi seguirmi nel
parcheggio?”
Eric
lo trovò strano:
“Seguirla nel parcheggio? Perché?”
“Ha
fatto una denuncia
molto importante e il diretto interessato è stato scortato
qui assieme alla sua
vettura. – spiegò – Seguitemi.”
I
due si alzarono, Alexis
guardò Eric spaventata e quello le tenne la mano,
rassicurandola con il suo
sguardo. Poi seguirono il detective Costa.
Giunti
nel parcheggio,
c’erano Brakner e due poliziotti fermi davanti
all’auto in questione. L’uomo
era abbastanza seccato e puntò subito Alexis.
“Credi
davvero che sia
stato io ad investirti? Come ti è venuto in mente?”
Costa
lo richiamò: “Qui
parlo io, ok?”
“Avete
controllato la
macchina? – domandò Alexis ai poliziotti,
agguerrita – Questo non è il suo
colore originale, basta graffiarla per far venire via il
rivestimento.”
Brakner
sgranò gli occhi:
“Ma di che diavolo sta parlando questa pazza? E’
follia!”
Intervenne
Eric: “Ehi, bada
a come parli di lei!”
“Zitti
tutti e due, ok? –
disse Michael a loro, per poi rivolgersi ad Alexis – Ascolta,
abbiamo
controllato la macchina e quello che ci hai detto non ci risulta. Non
c’è
nessun rivestimento.”
Alexis
sbigottì,
guardandosi con Eric: “No, non è possibile. So che
cosa ho visto quella sera. –
si avvicinò all’auto – L’ho
graffiata proprio qui e... -notò con grande
sorpresa che in quel punto era come nuova – Ma non
è possibile, deve aver fatto
qualcosa!”
“Si,
certo, avrei coprato
una nuova macchina con il mio stipendio da attore di
Hollywoodiano?” sorrise ai
poliziotti, sarcastico.
Alexis
pensò che si stesse
prendendo gioco di lei, così provo a graffiarla con le
chiavi.
“Ehi
ehi, ma che cavolo
fai?” si avvicinò bruscamente per fermarla, ma lo
fecero i poliziotti.
“Vi
dico che questa
macchina è rossa, non è blu. –
ribadì Alexis - So quello che ho visto, il
numero di targa è identico a quello della macchina che ho
visto al ballo degli
ex studenti!”
Eric
tirò via Alexis,
vedendola alterata.
“Purtroppo
non ci sono
prove sufficienti per denunciare il signor Brakner. Potevamo arrestarlo
se la
sera del suo incidente avesse dato alla polizia il numero di targa del
suo
assalitore. Non solo non abbiamo il numero di targa, ma questa macchina
non è
nemmeno rossa come quella che l’ha investita.”
Quella
non sapeva che dire,
livida di rabbia, mentre Eric prendeva le sue difese:
“E’ così che ci aiuta la
polizia di Rosewood?”
“Beh,
non arrestiamo gente
a caso. Ci vuole un indagine accurata, come quella che stiamo facendo
con voi.”
replicò il detective.
“Con
noi? – Eric non capì -
Noi chi?”
Michael
continuò a fissare
Eric in maniera pungente, come se volesse intimidirlo e metterlo a
disagio: “L’omicidio
di Albert Pascali ha molti sospettati, signor Longo. Potrebbe
meravigliarsi di
quanta gente abbia puntato il dito su di lei e i suoi amici, ma non per
questo
la posso mettere in galera. Per quello servono delle prove
concrete.”
Brakner, in tutto questo, si
mostrò assai
seccato: “Sentite, posso andare o devo ancora restare
qui?”
“Può
andare!” esclamò
Costa, staccando quello sguardo intimidatorio da Eric.
Stanca
di stare lì, Alexis
prese la mano di Eric: “Andiamocene, non voglio restare qui
un minuto di più.
Ho commesso uno sbaglio a cercare di tutelare me stessa, a quanto
pare.”
Mentre
Brakner se ne andava
e i poliziotti tornavano dentro la centrale, Costa rimase a fissare i
due
ragazzi che si allontanavano. Sempre con quell’occhio
sospettoso.
*
Nel
frattempo, al Radley,
Rider e Norman si
erano distaccati per
non attirare troppo l’attenzione. Quando tornarono a sedere,
ripresero il
discorso.
“Stanno
per riportarci
nelle nostre stanze. Allora, cosa sai su Nolan?”
“Non
molto, solo che è
stato internato qui a sei anni perché ha cercato di affogato
il figlio dei
vicini che ne aveva quattro. E che suo padre ogni anno prende un
permesso
speciale per farlo uscire di qui in occasione del suo
compleanno.”
Sconvolto
dalla vicenda
dell’affogamento, Rider si focalizzò
sull’ultima cosa: “Aspetta, mio padre fa
uscire Nolan tutti gli anni per un giorno?”
“Si.”
“Per
questo mio padre non
c’era mai a tutti i miei compleanni. Perché doveva
stare con Nolan.” riflettè
su questo, trovando finalmente una spiegazione a quelle mancanze.
Norman
gli ricordò un’altra
cosa: “Il compleanno di Nolan
è…”
Ma
Rider non lo fece
completare, perché già lo sapevo: “Il
23 Novembre! Anch’io compio gli anni in
quella data. - e si fermò pensare – Quindi fra tre
giorni mio padre verrà qui.”
“Beh,
fino ad oggi non ha
mai saltato un suo compleanno. Quindi sì.”
Ora
pensò fra sé e sé: “Ho
tre giorni per scoprire qualcosa sulla donna in rosso della foto.
– poi si
voltò verso Norman – Tu sai qualcosa della donna
in rosso? Nolan ti ha mai parlato
di una donna con mio padre in una foto?”
Quello
scosse la testa:
“No, mi dispiace. Anche se Nolan e io siamo amici, lui non si
apre molto.”
Rider
restò a fissarlo,
preoccupandosi di lui: “Come mai tu sei qui?”
“Sono
stato internato qui
tre anni fa. – spiegò, improvvisamente apatico e
cupo – Volevo a tutti i costi
degli amici, ma nessuno mi voleva. C’era un gruppo in
particolare di cui volevo
fare parte al liceo e ne ero così ossessionato
che…”
Ma
non potè finire di
raccontare la storia, perché arrivò una delle
infermiere.
“Norman
è ora di tornare
nella tua stanza.” lo avvertì.
Quello
si alzò, tornando
improvvisamente allegro: “Ciao Nolan, ci vediamo domani mio
unico amico.” e
dopo seguì la donna.
Rider
restò agghiacciato da
quel racconto, che di sicuro non avrà avuto un bel finale.
Seduto ancora lì,
presto sarebbe tornato in camera anche lui.
*
Ormai
era buio a Rosewood
quando Eric scese dalla macchina per comprare qualcosa al take away.
Stava
aspettando la sua ordinazione, quando improvvisamente ricevette un
messaggio.
“Nel
dubbio rimarrai,
finchè il mio vero volto non vedrai. E quel giorno
è più vicino di quanto
pensiate.”
-A
SCENA
FINALE
A
era
tornato
all’autodemolizioni dove aveva attirato i quattro ragazzi.
Aveva appena
aggangiato una macchina e la stava protando dentro la pressa, seduto ai
comandi
del braccio meccanico. La macchina era completamente rossa, ma aveva
alcuni
punti in cui era ancora blu: si trattava della macchina in cui Alexis
si era
imbattuta la sera del ballo e ora A la
stava distruggendo, dopo averne rimosso il rivestimento.
CONTINUA
NEL TREDICESIMO CAPITOLO
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Capitolo 15 *** 1x14-La quiete prima della tempesta (Parte I) ***
CAPITOLO
QUATTORDICI
“This
Game Keeps ChAnging (Part
I)”
Era
una
soleggiata mattina domenicale, quella a Rosewood. Una donna, nella sua
cucina,
stava preparando una torta. La finestra era aperta e una fresca brezza
fece
ondeggiare la tenda, mentre ella sbatteva le uova.
Quando
la
torta fu ormai in forno, quella stessa brezza fece arrivare il suo
odore in
tutte le stanze della casa.
Dopo
aver
pulito la superficie sulla quale aveva pasticciato, la donna si sedette
e
iniziò a leggere, nell’attesa
che la torta
fosse pronta.
Imrovvisamente,
un ragazzo entrò in cucina: era Sam.
Sorpreso
nel
trovare lì quella donna, si pietrificò non appena
varcata la soglia.
“Mamma?!”
esclamò, sgranando gli occhi.
“Ciao,
Sam… -
alzò lo sguardo, accogliendolo con un ampio sorriso
– Ma guarda quanto sei
cresciuto.”
In
quell’istante, Sam avrebbe voluto correre da lei, piangere,
ma nulla di questo
li era possibile. Non ci riusciva. Così si guardò
attorno, osservando la
stanza, notando come una sorta di atmosfera velata, surreale.
“Mamma,
dove
siamo? Non può essere un sogno, sembra così
vero…”
“Puoi
far
finta che non lo sia e venire a sederti qui davanti a me? –
continuava a
sorridere, tenendo ancora quel libro fra le mani -
Nulla dura per sempre, Sam. Non perdere
tempo.”
Quello
annuì,
sedendosi sullo sgabello, davanti a lei.
“E’
così
bello vederti…Sembra quasi che tu non te ne sia mai andata
via.” restò lì a
contemplarla.
“Sto
facendo
una torta, ti va di aspettare con me?”
“Ho
paura di
non avere tutto questo tempo.”
“Non
pensare
al tempo, Sam. – si rattristò, osservando della
sofferenza in suo figlio – Devi
farti forza e affrontare tutto ciò che sta per accadere.
Credimi, non è ancora
finita e non sarà facile.”
I
suoi occhi
divennero lucidi: “Dimmi solo se tutto questo avrà
una fine.”
“La
avrà, di
questo puoi esserne certo. Ma una per una parte di te non
sarà mai finita ed è
questo che mi addolora. Lui resterà per sempre nei tuoi
ricordi, così
indelebile. –
iniziò a piangere,
mettendosi una mano davanti alla bocca – Vorrei tanto che
tutto quello che ho
visto sul tuo futuro, non si avverasse. Ma non si può
fermare il destino, tanto
meno cambiarlo.”
Anche
Sam
versò le sue lacrime, in pena per il suo futuro:
“Mamma ho così tanta paura,
vorrei che tu facessi il giro di questa tavola e venissi qui ad
abbracciarmi.”
“Non
posso,
ma vorrei tanto…”
Sam
si
asciugò le lacrime, mentre sua madre tornò a
leggere quel libro.
“Mamma,
che
stai leggendo?”
“Giovani, carine e bugiarde… -
rispose,
dopo essersi ripresa da quel momento di sconforto – Parla di
quattro ragazze
tormentate da qualcuno di cui non conoscono
l’identità.”
“E’
una
storia che già conosco, questa. La sto vivendo.”
“Ne
hanno
passate così tante, ma non sono così vicine come
lo siete voi. Manca davvero
poco.”
“Tu
lo sai
chi è A? Sai chi è che ci sta facendo
questo?”
“Certo
che lo
so… - abbassò lo sguardo, impotente – E
avrei tanto voluto che lo capiste, ogni
volta che era davanti a voi.”
“Come
possiamo capire?”
“Non
è così
difficile cercare delle risposte, Sam. Moltre volte le si possono
trovare
proprio dove il mistero ha avuto origine.”
“La
morte di
Albert? E’ lui che A vuole vendicare, tutto è
partito da quel momento.”
“E’
tutto
collegato, Sam. Presto saprete ogni cosa. – si
alzò dalla sedia, poggiando il
libro – Ora devo sfornare la torta, tesoro. Devo
andare.”
Sam
voleva
quasi fermarla, ma non riusciva a muoversi, come se non avesse il
controllo sul
suo corpo: “No, Mamma, aspetta… Non voglio
lasciarti di nuovo…”
In
quel momento, si svegliò di colpo da quello che aveva capito
essere davvero
un sogno.
Quando si
sollevò dal
letto, silenziosamente, Wesam era in canottiera bianca davanti alla
finestra
della stanza in cui si trovavano. Era a braccia conserte e pensieroso,
mentre
il sole stava sorgendo.
“Buongiorno…”
si rivelò,
facendolo voltare.
“Ehi,
ti ho svegliato?”
“No,
mi sono svegliato da
solo. – un sorriso malinconico, lo sguardo basso e assente -
Stavo sognando…”
Wesam si
avvicinò,
sedendosi sul bordo del letto, attento al suo viso.
“E che
cosa stavi
sognando?”
“Ho
sognato qualcuno che
non fa più parte della mia vita, qualcuno a cui tenevo
molto…ed è stato strano.
– pensò, assorto nei suoi pensieri – Nei
sogni incontri molti fantasmi, ma in
quel momento non sai che sono fantasmi. E sono lì che ti
parlano, e tu parli a
loro…ed è come se non fossero mai andati via.
– sollevò lo sguardo, gli occhi
lucidi – Era mia madre, ed era belissima.”
Quello sorrise,
poggiando
la mano sulla sua caviglia: “Non poteva essere
altrimenti.”
“Ricordo
poco del sogno che
ho appena fatto, ma era come se mia madre mi stesse avvertendo sul
futuro. Che
tutto sarebbe diventato più difficile, che dovevo rallentare
e tenermi stretti
fino all’ultimo i momenti felici… - una lacrima
solcò il suo viso – La vita
diventa più complicata quando cresci, ma non immaginavo fino
a questo punto.”
Wesam si fece
immadiatamente più avanti, prendedogli le mani, triste nel
vederlo sofferente:
“Ascolta, questa non è la solita e difficile vita.
Questo è un limbro crudele
nel quale tu e i tuoi amici siete bloccati, ok? Ed è
arrivato il momento di
trovare una soluzione per uscirne.”
“Come,
Wesam? – urlò - Come?
Ti ho raccontato tutto per filo e per segno e sai benissimo che non
c’è nulla
che si possa fare per uscirne.”
“Non
pensare che me ne
starò con le mani in mano, riuscirò a trovare un
modo. – ora aveva gli occhi
lucidi anche lui – Quando ieri sera hai iniziato a
raccontarmi di A, pensavo
quasi che fosse uno scherzo. E quando ho realizzato che non lo era, mi
è letteralmente
mancato il fiato: come possono quattro ragazzi di soli diciassette anni
aver
sopportato tutto questo?”
“Credimi,
non lo so nemmeno
io. – era in lacrime - Tutto questo va avanti da almeno tre
mesi e non
riusciamo a farlo smettere.”
“E
questa Julie di cui mi
hai raccontato, non ha fatto nulla per aiutarvi?”
“Lei
non sa che abbiamo
ucciso Albert, non sa tutto quello che sai tu. Voleva aiutarci, ma non
glielo
abbiamo permesso. Pretendeva che le raccontassimo tutta la
verità o non
l’avrebbe fatto.”
“E?”
“E
adesso si è trasferita,
non la sentiamo dalla sera in cui A ci ha attirati a Screnton per
buttarci
addosso il cadavere di Edward. Dovevamo incontrarci con lei, ci aveva
dato un
ultimatum.”
“Capisco…”
replicò
pensieroso, come se li frullassero mille cose per la testa.
“Ehi,
a che stai pensando?
– temeva una sua qualche sciocchezza – Ti prego, se
inizi a fare così mi
spaventi. Gli altri mi ammazzeranno per avertelo detto e ora me ne sto
pentendo
perché non volevo coinvolgerti.”
“Sto
pensando a come
aiutarti, è ovvio!”
“Wesam,
per favore, non
farmi pentire di averti confidato questa cosa.”
Quello allora si
alzò
bruscamente, sgranando gli occhi: “Confidato? Sam, questo non
è un segreto che
devo mantenere e tornare alla mia vita normale. Non quando so che
qualcuno
cerca di incastrarti, torturarti o, peggio ancora,
ucciderti… - lo fissò dritto
negli occhi con apprensione - Devo fare qualcosa!”
“Cosa,
Wesam? – alzò
anch’egli la voce - Cosa vuoi fare esattamente?”
“Per
adesso non lo so, sono
in difficoltà dal momento che non posso chiedere aiuto alla
polizia.”
“Wesam,
ascolta… - disse
più calmo - se ti ho raccontato di A, è
perché prima o poi ci saresti arrivato
da solo. Mentirti è stato difficile, sei molto attento,
ma…è meglio se ne resti
fuori. Il mio è stato anche uno sfogo, ero al
limite.”
“Ed
era anche ora, Sam. –
lo rimproverò – Il fatto è che forse
non vi rendete conto del punto a cui siete
arrivati. Per voi è diventata quasi la normalità
vivere così.”
Sam retraette la
testa,
basito: “Cosa pensi, che abbiamo una sorta di sindrome di
Stoccolma? Mettiti
nei nostri panni, siamo spaventati dalle conseguenze.”
“Avete
i messaggi nei
vostri telefoni, potete mostrarli alla polizia.”
“E i
video che A ha su di
noi? Non mostrano Anthony che investe Albert, ma mostrano noi intorno
al suo
corpo dopo l’incidente. Poi mostrano sempre noi cinque che lo
trasciniamo, poi
gli diamo fuoco - illustrò la realtà dei fatti,
lasciandolo inebetito – Tu ci
andresti alla polizia con quello che A possiede su di noi? O dopo tutto
lo
schifo che abbiamo accumulato?”
“Beh,
siete anche delle
vittime…”
“Quando
si tratta di
giustizia, la situazione potrebbe ribaltarsi peggio di quanto non
credi.”
“E io
che faccio adesso? –
sollevò le spalle, impotente – Voglio aiutarti sul
serio.”
“L’unico
modo in cui puoi
aiutarmi è stando lontano da me. –
replicò sofferente nel dirlo - Non voglio
che A ti prenda di mira, non voglio che la prossima settimana sia tu
che debba
seppelire nel bosco.”
I due restarono
a
guardarsi. Wesam sospirò combattuto, ma non poteva opporsi.
“Vuoi
che ti riporti a
Rosewood?”
“Fuggire
per un paio d’ore
non serve a nulla, perciò…”
“Allora
vado a farmi una
doccia, poi partiamo.”
Sam,
però, lo fermò prima
che potesse avviarsi: “Ehi, aspetta, qui non
c’è nessuno che possa riconoscerci.
Giusto?”
“Siamo
al Lost wood resort,
Sam: vieni qui per non essere trovato. – sorrise con un
angolo della bocca –
Siamo al sicuro, tranquillo. Nessuno verrà mai a sapere che
abbiamo passato la
notte insieme.”
Anche Sam
accennò un sorriso,
più tranquillo: “Devo farmi una doccia
anch’io, non credo di aver voglia di
passare a casa finchè mio padre non esce. Voglio prendere lo
zaino al volo e
andare subito a scuola.”
“Allora
faccio prima io,
poi tu.”
“Non
c’è bisogno di perdere
tutto questo tempo, possiamo farla insieme. – disse,
imbarazzandolo – Arrivo
tra un secondo, tanto le tubature di questo posto ci metteranno
sicuramente un
po’ a far scendere l’acqua calda.”
“Ehm,
ok…” non riuscì ad
aggiungere altro per quanto fosse imbarazzato dalla sua audacia e il
suo
sguardo.
Quando Wesam si
chiuse in
bagno, Sam controllò il telefono e aveva un messaggio in
segreteria: era di
Nathaniel.
“Sam,
dobbiamo parlare. Prima della scuola mi vedo con
Eric, saremo al Coffee star tra un quarto d’ora. Ti prego,
vieni.”
Quello tolse il
telefono
dall’orecchio, indeciso sul raggiungerlo.
*
Più
tardi, quando avevano
lasciato la stanza, Sam stava aspettando Wesam vicino alla moto mentre
quello
faceva il check out.
Improvvisamente,
la porta
dalla camera numero due uscì un ragazzo al quanto trasandato
e dal passo
nervoso. Portava il cappuccio della ferpa sulla testa.
Sam
restò a fissarlo,
mentre quello prendeva qualcosa al distributore automatico. Ad un certo
punto,
il ragazzo tirò un pugno contro il vetro.
“Cazzo,
avanti! – esclamò, scuotendolo – Scendi,
forza!”
Leggermente
turbato, Sam
spostò lo sguardo su Wesam che lo stava raggiungendo.
“Ho
fatto, possiamo andare.
– gli fece sapere, per poi seguire il suo sguardo –
Che stai guardando?”
“Niente,
a quel ragazzo non
scendeva qualcosa dalla macchinetta. – smise di fissarlo,
mentre quello tornava
nella sua stanza - Andiamo, dai.” e salì dietro
Wesam, mentre quello aveva già
messo in moto.
I due lasciarono
il Lost
wood resort in fretta.
Intanto, nella
stanza due di
quel motel, quel ragazzo tolse il cappuccio: si trattava di Norman.
“Il
mio primo giorno sulla
terra dopo tanto tempo e un distributore automatico voleva
già fottermi.”
Seduto sul letto
c’era
Rider, che lo fissava in malomodo.
“Non
sarà l’unico a
fotterti se non fuggi via da Rosewood e mi lasci andare.”
“Mi
stupisce che tu non sia
scappato mentre ero via.”
“Beh,
hai detto che se
provavo a scappare avresti iniziato a lasciare una scia di cadaveri.
Non ho
altra scelta.”
L’altro
non lo comprendeva,
facendo una smorfia confusa: “Ma che ti importa delle
persone?”
“Mi
importa perché non sono
matto come te.”
Norman rise:
“E’ colpa
delle persone se sei finito in un manicomio. Tutte le cose brutte che
ci
accadono sono sempre colpa di qualcuno.”
“Ma
non di tutti.
Quell’infermiera non meritava di morire.”
“Devo
ricordarti come ti
hanno trattato? Le cinture, le iniezioni. Insomma, siamo pazzi non
animali.”
“Vuoi
vendicarti del tuo
amichetto Nolan che è fuggito via senza di te? –
fu sfrontato - Bene, fallo, ma
lasciami andare senza altre minacce!”
“Quindi
mi stai dicendo che
non vuoi vendicarti di Nolan? Eppure è per colpa sua se sei
finito al Radley.”
“Mi
vendicherò tornando a
casa mia e facendolo sbattere di nuovo lì dentro,
perciò lasciami andare!”
Norman
iniziò a camminare
avanti e indietro, non molto permissivo: “Purtroppo mi sono
imbattuto nella
radio del custode e…la polizia mi sta già
cercando. Tu sei la mia garanzia per
restare qui fuori finchè non incontro Nolan,
capisci?”
Un espressione
di
perplessità invase il volto di Rider: “Volevi dire
che CI STA cercando, no?”
“A
quanto pare di me c’è
una foto, mentre di te hanno fornito solo una misera descrizione
fisica.
Evidemente tuo padre ha fatto qualche magia perché non vuole
che si sappia che
ha un figlio segreto rinchiuso in un manicomio. –
simulò un espressione
disgustata - Forse teme che possa intaccare la sua carriera da
scrittore.”
Rider
abbassò lo sguardo,
parlando sottovoce tra sé e sé: “O
forse non vuole che io e Lindsey conosciamo
la verità. Mio padre dev’essere tornato in
città per il compleanno di Nolan…”
“Hai
detto qualcosa?” si
voltò verso di lui.
Quello
alzò lo sguardo,
fingendo di non aver detto nulla: “E’ solo il mio
stomaco che prontola.”
“Tieni!
– gli lanciò una
merendina presa al distributore – Mangia in fretta, abbiamo
delle cose da
fare.”
“Tipo?”
“Tipo
vendere quello che
c’è dentro la macchina che abbiamo rubato e
raccimolare qualche soldo.”
“Soldi
per fare cosa?”
“Per
comprare un arma! –
esclamò, accennando un sorriso malato – E ora
mangia, forza!”
Ma Rider non
aveva fame, il
suo volto impallidì di colpo.
*
Al coffee star,
una
caffetteria fuori Rosewood, Nathaniel ed Eric si stavano allontanando
dal
bancone con i loro caffè per sedersi ad uno dei tavoli.
“Che
significa che adesso A
sta perseguitando Alexis?”
“Non
ne ho idea, so solo
che c’è un messaggio minaccioso per lei inciso su
un lato della mia auto. Ho
dovuto prendere la macchina di Todd per andarla a prendere. –
sbuffo,
preoccupato – Inizio a pensare che tu e Sam abbiate ragione,
dev’essere davvero
Brakner che ci sta facendo questo. Alexis ha cercato di denunciarlo ed
ecco le
conseguenze.”
Anche Nathaniel
aveva
l'umore a terra: "E intanto il Detective Costa ci sta con il fiato sul
collo. Credo non si sia bevuto nessuna delle nostre bugie."
"Ma come fa ad
essere
certo che abbiamo ucciso Albert? E' pure un sensitivo, ora?"
"Sensitivo o no,
sta
mettendo insieme i pezzi. Non oso immaginare quando verrà
fuori che Edward è
scomparso, ormai sono passati due giorni da quando A l’ha
ucciso."
Eric si
toccò la fronte con
una mano, in preda ad un emicrania: "Non ricordarmelo o mi
verrà in mente
anche la notte in cui l'abbiamo seppellito. E' stato assurdo."
Dopo qualche
secondo di
silenzio, Nathaniel riprese parola su qualcosa che gli era appena
venuta in
mente.
"Ehi, hai
sentito di
quel ragazzo scappato dal Radley che ha ucciso una delle infermiere? Ne
parlavano al notiziario quando sono uscito di casa, ora gli assassini
in
libertà sono due."
"Peccato che
Jasper
non sia né un assassino né libero. E comunque, io
non l'ho proprio accesa la
tv, ma credo di averlo sentito alla radio mentre accompagnavo Alexis
alla
Hollis. - guardò l'orologio - Alle quattro devo passare a
riprenderla per
portarla alla tavola calda."
"Sei il suo
autista
adesso?"
"Non ho altra
scelta,
è colpa mia se ha perso il suo lavoro al Brew. E il Brew era
molto più vicino
alla Hollis rispetto al posto dove lavora ora."
"Non hai paura
che
Alexis incroci Todd mentre sale al vostro appartamento e scopra che
Todd in
realtà non la voleva licenziare dal suo posto al Brew?"
"Continuamente!
-
esclamò stressato - Ma non posso dirle che A mi ha
praticamente costretto a
prendere il suo posto e a mentire. Inoltre è convinta che
tra noi e Brakner ci
sia qualcosa di strano e devo combattere anche su quel fronte."
"Beh, devi fare
qualcosa per tenerla a bada o A se la prenderà con lei per
davvero."
Ora Eric era
pensieroso:
"Non so che fare, la sera del ballo volevo lasciarla, ma non ce l'ho
fatta. Rompere con lei sarebbe stata l'unica soluzione per allontanarla
da
questa storia e proteggerla, ma ora vive con me e miei genitori mi
hanno
praticamente affidato a lei."
“Non
so davvero come
aiutarti, Eric. – imbronciò, triste per
l’amico – Mi dispiace.”
Intanto,
dall’altro lato
della strada, Sam aveva appena parcheggiato. I suoi capelli erano
ancora umidi,
mentre venivano colpiti dal forte vento che si era appena alzato. Con
il
telefono all’orecchio, stava attraversando.
“Ehi,
Cameron, sono io…Sono
Sam…”
“Il
mio numero nella tua rubrica, che onore!”
Quello
schiarì la voce,
imbarazzato: “Senti, non è che potresti procurarmi
altre…”
“Anfetamine?”
“Sì,
proprio quelle. Le mie
sono già finite e ho davvero tanto studio da
recuperare.”
“Ok,
dove te le porto?”
Sam
restò spiazzato, fermo
davanti al coffee star, non aspettandosi tanta immediatezza:
“Ah, le hai già?”
“Sono
Cameron Ashcroft, non rimango mai a corto di
qualcosa.” rispose con ovvietà.
Sam
alzò lo sguardo,
notando gli amici che lo fissavano dall’interno della
caffetteria: “Senti, ci
vediamo dopo a scuola, ok? Ciao!” e chiuse di colpo la
chiamata, entrando.
Quando si
avvicinò al
tavolo e si sedette, finse di non avere gli sguardi addosso:
“Come mai questa
piccola riunione?”
Perplesso,
Nathaniel gli
rinfrescò la memoria: “Siamo stati in centrale
ieri, ricordi?”
“Ok,
ma non servono due
persone per raccontare che siamo tutti nella merda.”
Non contento
della
risposta, anche Nathaniel assunse lo stesso atteggiamento cinico e
scocciato di
Sam: “Con chi eri al telefono?”
“Con
mio padre!” quasi
urlò, seccato, mentre Eric spostava lo sguardo fra loro due.
“Ti
sei fatto una doccia,
ma indossi gli stessi vestiti di ieri… – lo
fissò, con attenzione ai dettagli –
Dove sei stato?”
Quello si
alzò, irritato:
“Cos’è, un interrogatorio questo? E
dov’è Rider?”
“Non
risponde, dev’essere
già a scuola. – sollevò le spalle Eric,
dubbioso – Forse non vuole che li
facciamo gli auguri di compleanno!”
“Oggi
è il suo compleanno?
– si voltò a chiedergli Nathaniel – Non
lo sapevo.”
“Beh,
anch’io dovrei essere
a scuola. E se Rider ci evita è perché nemmeno io
vorrei gli auguri di
compleanno mentre le porte del carcere non vedono l’ora di
risucchiarci dentro!
– Sam fece dietrofront - Ciao!”
Eric gli
urlò qualcosa
però: “A se la sta prendendo anche con Alexis,
Sam!”
“E
allora? – si girò un
secondo – Lasciala, non sono affari miei!” e
uscì dalla caffetteria.
Spiazzato, Eric
si girò
verso Nathaniel: “Ma che cos’ha?”
“Non
lo so, è strano come
Rider.” buttò il viso verso un'altra direzione,
sbuffando.
“…Come
Rider? – fece una
smorfia confusa - Che intendi?”
Nathaniel si
voltò,
accorgendosi di essersi lasciato scappare quel commento:
“Ehm, niente. Stiamo
andando tutti nel pallone, ecco tutto.”
“Sicuro?”
Quello
ovviamente annui, nascondendo
che aveva invaso la loro privacy e intimità racchiusa in
quelle
videoconfessioni. E che in quella di Rider non aveva trovato alcuna
registrazione.
“Certo,
nulla di che. – si
alzò – Sarà meglio avviarsi, alla prima
ora ho storia!”
Eric si
alzò a sua volta e
insieme lasciarono il Coffee star.
*
Nel frattempo
Nolan, a scuola, era al telefono mentre
camminava per il corridoio ormai semivuoto. Era a dir poco agitato.
“Come
è potuto accadere? Ora come faccio, tutti sapranno
che Rider ha un gemello!”
“Tuo
padre è stato
contattato dal Radley, ha fatto in modo che la storia non uscisse sui
notiziari. Solo Norman è ricercato.” rispose una
voce camuffata, quella di A.
“Rider
farà di tutto per riportarmi dentro quel posto
ora che è libero. E’ furbo!”
“Non
ho più potere
su questa cosa, mi dispiace.”
Nolan a quel
punto si infuriorò: “Non hai potere? Tu hai
potere su tutto e l’ho visto con i miei occhi! Stai mentendo,
mi stai mollando
perchè ormai non ti servo più!”
Cade la linea.
“Pronto?
– tolse il telefono dall’orecchio, accorgendosi
che aveva chiuso – Va all’inferno!”
E
alzò il passo, nervoso, arrestando la sua corsa contro
qualcuno che stava uscendo da una delle aule in tutta fretta e con una
scatola
in mano: si trattava di Violet.
La scatola si
rovesciò, facendo cadere sul pavimento
tanti fischietti.
“Accidenti!”
esclamò lei, seccata.
L’altro
si scusò immediatamente, chinandosi a
raccogliere: “Mi dispiace, sono mortificato.”
Anche lei si
chinò a raccogliere e i due si guardarono
negli occhi. Nolan si accorse finalmente di chi aveva davanti e si
bloccò.
“Ouh,
sei tu. Sei Violet.”
“Certo
che sono io…” rispose lei, più calma ma
comunque
restia nei suoi confronti.
Nolan si
sollevò in piedi, fissando ciò che aveva
raccolto: “Fischietti?”
Quella glielo
tolse di mano, sentendosi stupida: “Ehm,
si, volevo distribuirli dal momento che Rosewood e le zone circostanti
non sono
più al sicuro. Con due assassini in libertà,
qualcuno portrebbe trovarsi in
pericolo e con questi fischietti…beh… - si
sentì ancora più stupida quando si
accorse che lui la stava fissando senza dire nulla – Ok,
forse mi trovi
ridicola e…”
“No
no… - disse quello con tono sincero – Invece
è un
idea meravigliosa. Se qualcuno dovesse trovarsi in pericolo, tutti
sapranno che
al suono di un fischietto dovranno accorrere. – le sorrise
– Se vuoi ti aiuto.”
Violet
restò spiazzata dal suo comportamento, ma poi
sorrise a sua volta: “Grazie, è molto gentile da
parte tua. – era a dir poco
confusa – Sai, sei diverso. E’ strano parlarci in
questo modo dopo tutto quello
che è successo alla vecchia scuola.”
“Beh,
le cose cambiano. Le persone cambiano. E a quanto
pare, anche gli edifici.” rise, facendo ridere anche lei.
“In
effetti, si sta molto bene in questa scuola. E’ come
se tutti gli spettri del passato siano morti in
quell’esplosione.”
I due si
guardarono fino ad arrossire, finchè Nolan non
spezzò il silenzio.
“Allora,
ti va se ti aiuto o no?”
E quella,
riprendendosi dall’emozione che la investì,
annuì: “Ehm, sì,
certo…” e sorrise, ricambiata.
*
Alla Brahms,
dopo la terza ora, Sam era seduto in
cortile su una panca di marmo. Aveva fatto salire un piede su, la panca
era
abbastanza spaziosa, e sollevò leggermente una gamba del suo
jeans per
controllare le condizioni della sua ferita suturata precedentemente dal
cugino
di Nathaniel. Subito dopo si girò a guardare il cielo,
osservando i nuvoloni in
arrivo. Nel cortile non c’era nessuno.
Improvvisamente,
una voce.
“Dicono
che stia arrivando una tempesta. Rosewood non ha
un attimo di pace.”
Sam si
voltò ed era Cameron. Subito si abbassò la gamba
del jeans e rimise il piede giù.
“Ah
si? Magari è solo una semplice pioggia.”
“No,
non credo. – ora era più interessato alla ferita
che aveva visto – Tutto bene con la gamba? Come ti sei fatto
quella cosa?”
“Sono
caduto dalla bici, nulla di che. – poi cambiò
subito discorso – Allora, le hai portate?”
L’altro,
però, era preoccupato: “Senti, non sono state
le anfetamine a…”
“No,
tranquillo, me la sono fatta molto prima di venirti
a chiedere quelle pillole. – disse con un sorriso nervoso
– Allora, le hai o
no?”
Cameron le
tirò fuori dalla tasca, dentro un flacone, e
gliele passò. La sua spavalderia sembrava svanita dopo aver
visto quella
ferita.
“Cerca
di non abusarne troppo e non mischiarle
all’alcol, ok?”
“Guarda
che io non bevo e poi non abuso di nulla, erano
solo tre pillole.” reagì aggressivamente.
“Ehi,
sei nuovo in questa cosa, volevo solo darti un
consiglio. Non capisco perché ogni volta tu mi debba
trattare male.”
L’altro
prese la borsa per recuperare il portafoglio:
“Beh, quanto ti devo?”
“Niente,
non darmi niente. Quelle me le doveva una
persona… - spiegò, per poi ammutolirsi per
qualche secondo – Beh, ci si vede!
Ciao!” lo salutò con un sorriso malinconico e si
voltò.
Sam se ne
accorse di quello strano sorriso e capì di
aver esagerato.
“Ehi,
Cameron... – quello si voltò – Ehm,
scusa se ho
alzato un po’ i toni e sono stato stronzo.”
“Ah,
beh, questa non me l’aspettavo. Sei sempre stato
stronzo con me, quando in realtà sono io lo stronzo per il
resto del mondo.” rise
stupidamente, con le mani in tasca.
“La
verità è che sono sempre di cattivo umore. A
quanto
pare, questo non è il miglior periodo della mia
vita.”
Cameron
tornò indietro di qualche passo: “Direi che non
lo è nemmeno per Nathaniel. Mi trattate allo stesso modo voi
due.”
“Gran
parte del nostro cattivo umore è dovuto ad
Anthony. Nonostante sia morto, ha lasciato una scia dietro di
sé; come fanno le
tempeste. Per colpa sua, molte persone ci odiano. La polizia ci fa
ancora
domande su Albert basandosi su racconti che hanno estrapolato qua e
là.”
Quello
abassò lo sguardo: “La sera
dell’esplosione, mi
hanno chiesto alcune cose su di voi. Ho parlato di quella volta che vi
siete
scontrati con Albert in mensa durante l’inizio
l’anno… - si sentì mortificato -
Mi dispiace, forse avrei dovuto stare zitto.”
“No,
non fa niente. Tanto l’avranno raccontato in tanti
di quell’episodio. Sarai stato soltanto
l’ennesimo.”
“E
invece no, mi dispiace tanto. Non conta averlo detto,
ma come lo si è detto; e io l’ho detto con toni
molto decisi e quasi scontrosi
nei vostri confronti.”
Sam
restò a fissarlo, gli occhi leggermente spalancati:
“Ah… - rimase spiazzato - Non pensavo ci odiassi
anche tu. Non mi sembra che ti
abbiamo fatto qualcosa.”
“Ero
semplicemente brillo e voi non mi avete mai parlato
con toni amichevoli nelle varie volte che ci siamo visti.”
A quel punto,
Sam fu diretto nel fargli una domanda
mirata: “Ed Anthony? Lo odiavi?”
“Non
proprio, non mi ha mai dato noia. – restò
perplesso
– Come mai questa domanda?”
“Ascolta,
Nathaniel mi ha raccontato quello che gli hai
detto quando siete andati in quel locale, il ginseng. –
strisciò più avanti,
lungo quella panca – Mi ha detto che hai dato dei soldi ad
Anthony per un suo
progetto personale.”
“E’
per questo che non lo odiavo. Offrendo lui quei
soldi, non sarei mai arrivato ad odiarlo. Ed è stato
così. – spiegò – Ma se non
glieli avessi offerti, probabilmente avrei fatto la stessa fine di
tutti gli
altri.”
Pensando che si
riferisse al bosco, sgranò nuovamente
gli occhi: “Gli altri chi?”
“…Quelli
a scuola, Sam.”
“Ah,
quelli… - Sam si girò per un secondo a guardare
altrove, cacciando fuori l’aria dai polmoni per
l’ansia – Ascolta, non hai idea
di cosa ci avesse poi fatto con quei soldi?”
“No,
ma una volta mi sono trovato a chiacchierare con
Anthony su qualcosa… - ripensò – Credo
che li stesse già sfruttando.”
Flashback
di Cameron
Ubriaco
e con una
festa in corso a casa sua, Cameron salì al piano superiore
barcollante. Subito
si diresse in camera sua, aprendo di colpo la porta.
La
stanza però non
era vuota, c’era qualcuno alla sua scrivania davanti al
computer: si trattava
di Anthony, che, non appena entrò Cameron, chiuse la pagina
su cui stava
navigando.
“Oh,
ciao Anthony! –
esclamò, buttandosi nel letto con una parlata stanca
– Non pensavo ci fossi
anche tu a questa festa.”
Quello
si girò con la
sedia, rilassando il viso per non essere stato scoperto su
ciò che stava
guardando: “Sono arrivato un po’ tardi, forse non
ci siamo incrociati con tutto
l’alcool che gira.”
“E
come mai sei qui
sopra? – rise, fissandolo –
C’è una ragazza nascosta nell’armadio?
Se vuoi me
ne vado e vi lascio soli, non volevo interrompere qualcosa.”
“Non
sono il tipo che
nasconde una ragazza nell’armadio. Se qui ci fosse stato
qualcuno, saremmo
esattamente dove sei sdraiato tu. E avrei continuato lo
stesso.”
Cameron
lo fissò
imbambolato per qualche secondo: “E’ un vero
peccato che ti piacciano quelle
troiette. Sei anche il mio tipo.”
“Sei
solo all’inizio,
Cameron: avrai molti tipi prima di trovare il tuo tipo. E credimi, ti
pentiresti amaramente di esserti invaghito di uno come me.”
“Perché?”
“Ho
dei sogni,
Cameron. E chi ha dei sogni, non resta per molto nello stesso posto e
non si
dedica ad altre persone. – sorrise, fantasticando - Sono come
il vento, nessuno
riuscirà mai a mettermi in una bottiglia. Potrei sparire, ma
mai per sempre.”
“Hai
dei sogni? –
scosse la testa, intontito - Quali sogni?”
Anthony
lo fissò
indeciso, non era un tipo che amava confidarsi. Stava per alzarsi e
andarsene,
visto che Cameron non era lucidissimo e teneva a malapena gli occhi
aperti, ma
decise di restare.
“Mi
piacerebbe
diventare un regista, un giorno. Dopo il liceo voglio andare a New york
e
frequentare un accademia.”
“Accidenti,
è
fantastico! – esagerò nell’essere
euforico - E’ che genere vorresti produrre?”
“…Horror!
Mi
piacerebbe produrre dei film horror. – spiegò,
fantasticando con lo sguardo
perso nel vuoto – Trovo affascinante il sangue, le urla, la
paura… è tutto così
spontaneo quando è vero.”
Cameron
si ritrovò
ancora più stordito, cercando di seguirlo: “Scusa,
ma cosa intendi per vero?
Quel sangue, quelle urla…è tutto finto!”
Anthony
sorrise,
trovandolo buffo: “Sei davvero sveglio per essere
ubriaco.”
“Io
voglio solo
dormire… - si girò dall’altro lato,
continuando a parlare in maniera moscia – E
poi che ci hai fatto con i miei soldi? Non ne vorrai mica degli
altri…”
E
quello,
osservandolo mentre ormai aveva preso sonno, si alzò,
girandosi nuovamente
verso il computer di Cameron.
“E
questa vostra conversazione risale a circa due anni
fa?” domandò Sam, dopo aver ascoltato il racconto.
“Si,
esatto. E’ davvero assurdo che io mi ricordi ogni
singola parola, devo avere una sorta di memoria autobiografica immune
all’alcool.”
Curioso di
scoprire anche il più insignificante dei
dettagli, Sam continuò con le domande.
“Ascolta,
non ti è mai venuto in mente di controllare la
cronologia? Sai per scoprire su che sito stesse navigando Anthony
quella sera.”
Quello scosse la
testa: “Non è stata proprio una delle
prime cose che mi è venuta in mente di fare da appena
sveglio. Dovevo risistemare
casa prima del ritorno dei miei…E poi la mia cronologia si
cancellava in modo
sistematico. Sai, quando sei gay, è una delle prime regole
che impari:
cancellare la cronologia.”
“Già,
non me ne parlare…” accennò un sorriso,
assorto
ancora nel mistero.
“Però…
- ripensò simpaticamente – Anthony aveva ragione
su una cosa: sul fatto che poteva sparire, ma mai per sempre.
– ora fissò Sam,
sorridendo – E’ morto da più di due mesi
e noi siamo qui che ne parliamo
ancora.”
Sam si
sforzò a farne uno anch’essi:
“Probabilmente non
sarà nemmeno l’ultima volta.”
“Mi
dispiace che per lui sia andata a finire così. –
pensò con malinconia - Ti fa perdere la voglia di sognare. E
i suoi sogni
sembravano forti…così forti, che ci credevo
persino io. Mi dava speranza, ma
ora…”
Sam vide davvero
i suoi vuoti, in quel momento, e volle
in qualche modo dargli speranza: “Per realizzare un sogno non
serve che tu ci
debba credere con tutte le tue forze, Cameron. L’importante
è che esista, e che
tu sia fortunato.”
L’altro
annuì, seguendo il suo consiglio:
“D’accordo,
continuerò a far esistere i miei sogni… - sentiva
freddo, stringendo i colletti
della sua giacca – Brr, credo proprio che
rientrerò.”
“Ok,
alla prossima…” accennò un sorriso per
salutarlo.
Cameron
ricambiò e si voltò, pronto ad andarsene.
Qualcosa però lo fermò, facendolo voltare
nuovamente.
“Sam,
puoi farmi un favore?”
Quello
risollevò nuovamente il capo: “Certo,
dimmi…”
“Non
ti servono quelle stupide pillole, sono pericolose.
– si mostrò preoccupato – Non voglio
rovinare un ragazzo come te. Non
chiedermele più.”
Sam
restò spiazzato, quasi senza parole:
“…D’accordo,
Cameron. Non te le chiederò più.”
“Non
solo a me, Sam. Non chiederle a nessuno.” fu
categorico.
“…Va
bene. Grazie.”
Finalmente
Cameron potè andare via, mostrando l’ennesimo
sorriso, sollevato. Sam lo guardò sparire
all’interno dell’edificio con gli
occhi lucidi e il volto sofferente.
“Sono
già rovinato…” e dal flacone
tirò fuori una
pillola, ingurgitandola.
*
In
camera sua,
Lindsey stava controllando il termometro: segnava oltre trentasette
gradi.
“No,
non posso ammalarmi. – sbuffò, rossa in volto e
trasandata – Devo tormentare quella stronza di
Alexis.”
Improvvisamente,
mentre era concentrata sui suoi
problemi, Lindsey sentì un brusio nervoso al piano di sotto.
Si
affaciò nel corridoio, allora, avanzando a piccoli
passi verso le scale. Quando sentì la voce di suo padre, un
sorriso di gioia le
comparve immediatamente sul viso, facendole accellerare il passo.
Qualcosa non
andava, però, visto che anche sua madre era a casa ed
entrambi parlavano con
toni nervosi e preoccupati. La ragazza si fermò
all’inizio dello scorrimano,
ascoltando.
“Chiama
Lindsey,
dille di tornare a casa con Rider immediatamente.” disse
quello.
“Sono
sotto choc,
Richard! – l’altra aveva un tono arreso e incredulo
- Sei proprio sicuro che
non sia coinvolto? Sappiamo entrambi di cosa è stato capace
tuo figlio!”
“E’
quel Norman, ok?
L’ha rapito!”
“Zitto,
taci, non
voglio ascoltare un solo altro nome!”
Lindsey a quel
punto decise di scendere, silenziosa. Li
colse di sorpresa.
“Perché
io e Rider dovremmo ritornare immediatamente a
casa?”
Entrambi i
genitori voltarono la testa, facendo fatica a
deglutire, mentre lei li guardava impietrita.
Richard fece un
passo avanti, cercando di trovare le
parole: “E tu che ci fai a casa?”
“Ho la
febbre…”
“Tesoro,
forse è meglio che scendi e ti siedi un
attimo.”
Quella scese
ancora un gradino, il volto atterrito:
“Papà, mi stai spaventando. –
osservò il volto della madre -
Mamma, che cos’hai?”
“Tesoro,
fa come ha detto tuo padre.”
E continuarono a
guardarla dal salottino, mentre lei
guardava loro.
*
Chiuso nella
macchina che avevano rubato, Rider
aspettava il ritorno di Norman dal banco dei pegni davanti a cui
avevano
parcheggiato. Ticchettava il dito sul ginocchio, nervosamente,
guardando attraverso
il vetro le persone che camminavano sul marciapiedi e attraversavano la
strada
con il vento contro e le loro sciarpe che quasi volavano via.
“Fa
che venga arrestato, fa che venga arrestato…”
pregava Rider con un filo di voce, quasi certo che sarebbe successo.
Tuttavia, non se
la sentiva di scendere dall’auto e
chiedere aiuto. Nella sua testa, rimbombava ancora l’ultimo
avvertimento che
Norman gli aveva dato:
“Se
provi a scendere
dalla macchina o a chiedere aiuto, io ucciderò qualcuno. E
tu non vuoi che
accada, vero? Perché sarebbe tutta colpa tua e avresti una
morte sulla tua coscienza.”
Rider non se la
sentì di disobbedire, sperando di
uscirne in un altro modo. E mentre era distratto da mille pensieri, fu
ricatapultato alla realtà quando la portiera della macchina
si aprì e Norman
rientrò.
Sorpreso di
vederlo, Rider notò che aveva un sacchetto
in mano: “Ehm…sei riuscito a vendere le cose che
c’erano nel borsone che
abbiamo trovato nel bagagliaio?”
L’altro
si tolse il cappello dalla testa, che aveva
usato per mantenere un basso profilo: “No, non sono arrivato
al banco. Temevo
che mi avrebbero chiesto un documento e non volevo rischiare.”
“E
allora il borsone dov’è?”
“Diciamo
che sono stato fortunato e ho trovato qualcuno
che era interessato a cosa avessi lì dentro. –
tirò fuori una pistola dal
sacchetto – A quanto pare, lui aveva qualcosa che serviva a
me e io avevo
qualcosa che serviva lui. – rise compiaciuto –
Affare fatto!”
Rider
sgranò gli occhi, agghiacciato: “Norman, ti prego,
tu forse non ti rendi conto che non andrà a finire bene per
te.”
“Non
sono affari tuoi…” disse indifferente, mettendo la
pistola sotto il sedile.
“Stavolta
finirai in galera, non al Radley!”
Quello lo
fissò, mentre teneva la mano sulla chiave,
pronto a mettere in moto: “In galera? Almeno lì
non ti imbottiscono di farmaci
fino a farti vedere le stelle.”
“Norman,
perché? – cercò di insistere
– Puoi fuggire,
essere liberi.”
“Mi
troveranno comunque, tanto vale divertirmi, non
credi? – nel suo sguardo c’era solo odio e resa
– La libertà non serve a nulla
quando sai di non poter avere qualcuno che ti amerà
mai.”
“Norman,
nemmeno la mia vita è perfetta. Soprattutto
ora, guarda dove sono a causa delle bugie di mio padre. Per non parlare
di
altri guai che ho per conto mio.”
L’altro
rise, sentendosi preso in giro: “E tu avresti
dei problemi? Quali, esattamente? – il suo tono divenne
rabbioso - Sei ricco,
hai degli amici e a quanto pare sei il figlio preferito di
paparino.”
“Credimi,
c’è un’altra faccia della medaglia di
cui tu
non hai idea.”
Stufo, Norman lo
prese violentemente per il collo: “Io
so cosa vedo, Rider. – quello ansimava, spaventato
– Sei uguale a tutti quelli
che mi hanno emarginato per tutta la vita. – lo
mollò, lasciandolo finalmente
respirare – Con la sola differenza che non ho voglia di
ucciderti, ma se
continui così…”
Seduto al limite
del sedile, Rider cercava di riprendere
fiato, terrorizzato: “La polizia ti sta cercando, non
passeremo inosservati
stando fermi qui.”
Più
calmo, Norman teneva stretto il volante con entrambe
le mani, pensieroso: “La cosa non mi spaventa, anche se hai
ragione… - ebbe
un’idea, voltandosi verso di lui – Sbaglio o avete
una casa sul lago? Nolan ha
detto che vostro padre lo portava a pescare al lago quando uscivano per
il suo
compleanno.”
Toccandosi il
collo, Rider sapeva di non poter mentire,
pronto ad indicargli la strada.
*
Seduta sul
divano con lo sguardo fisso sui propri
genitori, in piedi davanti a lei, Lindsey stava metabolizzando
ciò che le era
appena stato detto. Non riusciva a trovare le parole.
“Era
questo che non sono mai riuscita a spiegarmi… –
pensò, tornando indietro con la mente - Sapevo che mancava
qualcosa nella
nostra famiglia, ma non riuscivo ad arrivarci perché avevo
solo sette anni
quando tutto questo è accaduto. – alzò
lo sguardo sui due, incredula – Mi avete
fatto il lavaggio del cervello affinchè non ricordassi, mi
avete confusa a tal
punto di credere che fosse tutto un sogno…”
Richard
cercò di dire qualcosa, mortificato:
“Tesoro…”
Ma quella non lo
fece finire, alzandosi in piedi con ira:
“Come avete potuto nasconderci una cosa del genere? Io e
Rider stiamo per
andare al college, siamo adulti ormai… - scuoteva la testa,
confusa – Perchè
non dirci che abbiamo un fratello?”
“Lindsey,
ascolta, devo riportare tuo fratello a casa. –
suonava quasi come una scusa per evitare quella domanda, visto il suo
viso
pallido – Ho degli accordi con la polizia e con il Radley,
perciò…”
Alle sue spalle,
Ellen era stata zitta fino a quel
momento, ma, con le ultime parole sbarazzine del marito, esplose:
“Rider non è
tuo fratello!”
Richard si
voltò a fulminare la moglie, non aspettandosi
quella pugnalata alle spalle.
“Basta
menzogne…” aggiunse fissando il marito con
fermezza, mentre Lindsey era pietrificata.
Subito, Richard,
cercò di spiegarle: “Rider e Nolan sono
miei e di un’altra donna, tesoro…”
Ora Lindsey
spostò lo sguardo sgranato sul padre:
“Io…io…” e
all’improvviso le sue pupille salirono, le palpebre si
chiusero:
svenne sul colpo.
I suoi genitori
accorsero subito e sua madre urlò: “Oh
mio Dio, Lindsey!”
Richard
cercò di svegliarla invano, toccando poi la sua
fronte: “Ma scotta da morire…”
Ellen si
sollevò dal pavimento, rapida: “Prendo le chiavi
della macchina, la porto immediatamente in
ospedale…”
L’altro
non era dello stesso avviso, prendendo la figlia
in braccio: “No, la porto io. Quando si sveglia, voglio che
sappia il resto.
Glielo devo.”
Ferma
lì in piedi, Ellen aveva gli occhi lucidi: “Se le
accade qualcosa, giuro che questa non te la perdono Richard. Sapevi che
questo
segreto sarebbe venuto a galla prima o poi.”
Quello
abbassò lo sguardo, vergognandosi di se stesso:
“Ellen, per favore, non adesso. Mentre porto Lindsey in
ospedale, corri a
prendere Rider. La polizia rilascerà anche la foto di Nolan
entro la fine della
giornata e voglio che Rider lo scopra prima da me.”
“Perché
lui non è ricercato?”
“Dati
i precedenti di Norman, il Radley ha fatto
presente che Nolan potrebbe essere stato rapito. Prima di venire qui
sono stato
in centrale e ho chiesto che fosse divulgato sul notiziario solo una
descrizione di Nolan e non di più, affinchè sia
tutelato fino a dettagli
maggiori sull’omicidio dell’infermiera. Ho
raccontato tutta la sua storia, ovviamente.”
“Hai
fatto bene, qualcuno poteva scambiare Rider per
Nolan e chissà come sarebbe andata a finire.”
pensò al peggio.
“Per
questo devi sbrigarti. La polizia potrebbe non
trovarli e utilizzare la foto per facilitare il loro
avvistamento.”
Quella
annuì, muovendosi: “D’accordo,
vado.”
E si mosse anche
lui, mentre Lindsey era ancora
incosciente.
*
Dopo aver
parcheggiato l’auto rubata la notte prima,
Rider e Norman giunsero alla casa sul lago. Arrivati
all’ingresso, contrastati
dal vento incessante, ripresero fiato.
Rider
pensò di dover tirare fuori la chiave di riserva,
ma quando alzò lo sguardo ad osservare la porta e le
finestre, non capì cosa
fosse successo.
“Ma tu
guarda, la porta è già aperta… -
Norman tirò
fuori la pistola, spostando con il piede i pezzi di legno che
c’erano sullo
zerbino – Bizzarra la tua casetta, Nolan non me
l’ha descritta così,
ma…qualcuno dev’essere entrato qui
dentro…”
Norman
entrò cauto a controllare, a quel punto. Rider,
invece, rimasto fuori, notò che le finestre erano
completamente sigillate con
assi di legno e chiodi, e non capiva perché.
“Ma
che diavolo è successo qui? – si
domandò, per poi
notare un pezzo di asse, accanto ai suoi piedi, con una scritta, e
recuperarlo
– Volevate lasciare Rosewood senza
il mio
permesso? - lesse, recuperando anche gli altri pezzi per
completare la
frase – Pensavo che ormai mi
conosceste…A!”
Rider era sempre
più confuso, mentre rimetteva quel
pezzo di legno a terra. Norman tornò subito dopo.
“Dentro
non c’è nessuno, ho appena controllato. Forza,
entra!” gli ordinò.
“Norman,
cosa ci facciamo qui?”
“Per
ora ci nascondiamo, in città non è
sicuro.”
“E
poi?”
Quello, per
niente accomodante, gli puntò contro la
pistola: “E poi lo decido io, entra!”
Rider mise le
mani avanti: “Ok ok, sta calmo. Sto
entrando.” ed entrò, cercando di non contraddirlo.
*
Poco dopo
mezzogiorno, Chloe era seduta ad uno dei
tavoli dell’Applegrill rose. La persona che stava aspettando
per pranzare
insieme, era arrivata: Clarke.
“Ehi,
scusa il ritardo…” la salutò, poggiando
la giacca
alle spalline della sedia.
“Sei
di fretta?”
“Ho un
volo nel pomeriggio, devo tornare a Chicago o
perderò il mio lavoro. Ho già chiesto troppi
permessi per stare qui a
Rosewood.”
Quella
sospirò triste, abbassando lo sguardo mentre
spostava i capelli dal viso: “Lo so
perfettamente…”
Clarke
notò il suo disagio, allungando una mano lungo il
tavolo e mettendola sopra la sua: “Chloe, non pensare che ti
stia abbandonando.
Tornerò la settimana prossima.”
“Scusa,
non volevo fare la preziosa. E che mi spaventa
stare qui da sola, sapendo che c’è qualcuno che mi
cerca per…non lo so…punirmi
o denunciarmi o…”
“Basta
una sola parola e io non me ne vado, ok? – si
sentì condizionato - Non se ti senti così
impaurita…”
“No
no, assolutamente no. – fu categorica - Devi tornare
al tuo lavoro, io me la caverò. – decise di
cambiare argomento, sentendosi
soffocare – Allora, tua madre cosa ne pensa di tutta questa
storia?”
“E’
sotto choc, teme che Jasper possa raggiungerla e
farle del male per averlo fatto arrestare.”
Chloe
tornò ad incupirsi: “Ehm…a proposito
della fuga di
Jasper…Noi sappiamo che è innocente,
perciò o è fuggito perché crede che la
verità non verrà mai a galla o è stata
questa A a catturarlo.”
L’altro
era perplesso: “Senti, Chloe, questa A può aver
lasciato
messaggi minacciosi, ucciso, incastrato, quello che vuoi,
ma…dubito che questa
persona sia riuscita a sottrarre un detenuto allo stato. Non stiamo
parlando di
un super criminale, non siamo in un film.”
“E’
che non riesco a spiegarmi tutto questo, sto
impazzendo!” si mise le mani sulla fronte, esausta.
“Lo
so, ma stanne fuori. Non hai parlato con Sam, vero?”
“No
no, non l’ho fatto. – poi gli lanciò una
lunga
occhiata, pronta a confessare qualcos’altro –
Ma…ho parlato di nuovo con
Lindsey.”
“Chloe!”
la sgridò.
“Mi ha
chiamata lei, che dovevo fare?”
“E che
voleva?”
“Brakner
l’ha lasciata, Clarke. Era pezzi.”
“E ne
sei sorpresa? Queste cose non durano.”
“Mi ha
detto che la ragazza di Eric ha cercato di
denunciare Brakner perché pensava che lui fosse la persona
che l’ha investita
qualche settimana fa.”
“Ed
è stato arrestato?”
“No!
Non è stato lui, Lindsey ne è sicura. Anzi, si
è
messa in testa che questa ragazza, Alexis, sia A.”
“Forse
questa Alexis si è sbagliata, può
capitare.”
“Beh,
Brakner pensa che sia tutta una messa in scena ideata
da Rider, Sam e gli altri per mettere fine alla loro immorale storia
d’amore. –
lo fissò negli occhi, come se volesse farlo ragionare sulla
cosa – Pensaci: è
questo che vuole A! Se Lindsey l’avesse pensata come Brakner,
A sarebbe
riuscita a mettere due persone contro il loro gruppo.”
“Quindi
mi stai dicendo che questa Alexis l’ha
denunciato di proposito per mettere il gruppo in
difficoltà?”
“Io
credo che A stia danneggiando i rapporti dei ragazzi
con le altre persone. Prima il video di insulti divulgato in rete, poi
la
rottura tra me e Sam e ora questo.”
“Credi
che tu e Sam vi siate allontanati per colpa di A?”
Piena di dubbi,
annuì forzatamente: “Potrebbbe essere
così, ma adesso la cosa più importante
è capire chi sia questa Alexis. – fece
mente locale – Sono sicura di non averla mai vista nel bosco
e che Anthony non
l’abbia mai presa di mira, quindi potrebbe essere una parente
o un’amica di chi
ci è stato.”
“Vuoi
che indaghi su di lei? – le domandò, mentre lei
fissava la superficie del tavolo molto pensierosa – So che
potrebbe farti
sentire meglio.”
“Mi
farebbe sentire meglio visto che questa A sta
sicuramente cercando me, che sono la complice di tuo fratello in quel
bosco. E
non sapere chi è, mi rende nervosa. – lo
guardò negli occhi, stringendo la sua
mano - Devo saperlo, ma non voglio coinvolgerti.”
“Ma io
sono già coinvolto, Chloe. Questa Alexis potrebbe
aver ucciso mio fratello e mio padre o aver visto chi è
stato. Anch’io devo
sapere, ho mille dubbi su cosa sia accaduto realmente quella
notte.”
Quella lo
fissò a lungo, prima di annuire decisa:
“D’accordo, indaga su di lei. Mentre sei a Chicago
la terrò d’occhio e terrò
d’occhio anche i ragazzi.”
“Stai
attenta, ok? Stiamo solo indagando, non serve un
faccia a faccia. – le suggerì - Devi restare fuori
dal suo campo d’azione se
lei è davvero A.”
Chloe non
aggiunse altro, fiduciosa.
*
Alla Northdale,
Eric aveva raggiunto Nathaniel. I due
erano seduti ad uno dei tavoli della mensa con Sam in vivavoce. Accanto
al telefono,
un piccolo tortino simile ad un muffin.
“Sam,
non ti sentiamo bene. Spostati, ovunque tu ti
trovi.” gli suggerì Eric.
“Sto
guidando, ho il vivavoce attivo. Dev’essere questo
dannato tempo.”
“Qui
hanno dato un allerta meteo, gli studenti sono invitati
a non abbandonare la struttura. – aggiunse Nathaniel - Siamo
bloccati.”
“Beh,
c’è un po’ di vento, ma…siete
sicuri che dicono
così?”
Eric,
però, non voleva perdersi in chiacchiere: “Ok,
Sam, ora arriva al punto. E, comunque, dove diavolo stai
andando?”
“Sto
andando da Tyler, il cugino di Nat. Devo togliere i
punti dalla gamba che ho quasi perso mentre tu venivi schiacciato
dentro una
pressa per auto, ricordi?”
“E’
un esprienza che sto cercando di dimenticare, Sam.”
pensò Eric, seccato.
“Ma
stai andando in ospedale?”
“Non
so, è di turno?”
Improvvisamente
si sentì un forte tonfo e un urlo di
Sam, poco prima che Nathaniel riuscisse a rispondere.
“Sam?
– si guardò con Eric, spaventato – Sam,
ci sei?
Che è successo?”
“Ehi,
eccomi. – rispose con il fiatone – Dio, un bidone
dell’immondizia è rotolato per la strada e stavo
quasi per andare a sbattere
contro un albero.”
Tirando un
sospiro di sollievo, Nathaniel chiese dove si
trovava con precisione: “Ma sei lontano
dall’ospedale?”
“A dir
la verità, si. Sono dalle parti di casa sua,
però. Magari lo trovo, no?”
“Non
credo. – controllò l’orologio
– Non rientra a casa
prima delle tre, solitamente. – sentì altri forti
rumori, preoccupandosi –
Senti, non so com’è la situazione fuori visto che
noi siamo al chiuso, ma immagino
che stia diventando un po’ pericoloso stare per strada. Se
sei vicino alla casa
di Tyler, corri immediatamente lì.”
“E se
non c’è, cosa faccio? Qui c’è
un vento fortissimo
e sta anche piovendo… Le cose qui volano!”
Nathaniel si
guardò con Eric, in ansia: “Ascolta, Tyler
lascia sempre una chiave di riserva sotto al vasetto che
c’è sul bordo della
finestra. Entra e aspettalo.”
“Potrei
spaventarlo, sai?”
“Tranquillo,
lo avverto io che sei a casa sua. – roteò
gli occhi – Ora non fare storie e mettiti al
sicuro.”
Dopo qualche
minuto, i due erano rimasti in linea finchè
Sam non raggiunse l’abitazione.
“Ehi,
eccomi, sono dentro!” esclamò, facendosi
finalmente sentire.
“Pensavamo
fossi morto, Sam.” replicò Eric, sarcastico.
“No,
ma... – era tutto bagnato, mentre guardava le
macchie che aveva lasciato sul pavimento – forse lo
sarò. Devo asciugarmi…e
anche il pavimento.”
“Che
ha il pavimento?” domandò Nathaniel.
“Qualche
impronta di fango…” disse mortificato.
“Sam!
– lo rimproverò Nathaniel – Lo conosci
lo zerbino?”
“Ora
pulisco, ok? Non ti agitare!”
“Scusate,
ma possiamo tornare al motivo della tua
chiamata? – si intromise Eric – Dicevi di aver
scoperto qualcosa…”
“Ah,
sì… - ricordò quello, mentre frugava
nel
ripostiglio della cucina in cerca di uno straccio –
Stamattina ho parlato con
Cameron, sapete che mi segue sempre perché ha una cotta per
me.”
“Veramente
ce l’ha anche per me!” aggiunse Nathaniel,
ricevendo un’occhiataccia da Eric per l’ennesima
interruzione.
“Si,
ok, ha una cotta per qualsiasi cosa che non abbia
due tette. Il punto è che credo di aver scoperto che fine
abbiano fatto i soldi
che Cameron ha dato ad Anthony.”
“Ah,
il famoso progetto segreto di Anthony. – ricordò
Nathaniel – Quindi, quale sarebbe?”
“Il
bosco, ragazzi. – spiegò – La recinzione
elettrificata,
gli altoparlanti e chissà cos’altro.”
“Ok,
Cameron ha dato dei soldi ad Anthony, ma…non ha
mica ipotecato la casa. – pensò Eric, guardandosi
perplesso con l’amico – Non
saranno stati molti soldi.”
“Cameron
mi ha detto che Anthony gli ha raccontato di
avere questo sogno: fare il registra di film horror.”
Eric si
girò a guardare Nathaniel per poi scoppiare a
ridere.
“C-che
succede? - domandò Sam, sentendo la sua risata –
Pronto?”
“Scusa,
scusate… - cercò di fermarsi –
E’ che…davvero,
non ho parole. Quando pensi di conoscere Anthony, capisci di non averlo
conosciuto per niente.”
“Già,
ma forse tutto quadra. – riflettè Nathaniel
– Quei
soldi può averli usati per comprarsi delle attrezzature:
tipo delle telecamere
per riprendere le sue vittime, solo che… non mi spiego tutto
il resto, non può
averli dato così tanti soldi.”
“Quella
conversazione risale a due anni fa. – spiegò
ancora Sam – E se Anthony non avesse preso soldi solo da
Cameron?”
Questo
lasciò a Nathaniel di che riflettere: “E se le
persone che non avevano un segreto da barattare con la
libertà, avessero pagato
per ottenerla?”
Eric
sbuffò: “Se solo sapessimo
dov’è questo dannato
bosco… Potremmo capire chi fosse il complice di Anthony e
consegnarlo ad A.”
“Più
facile a dirsi che a farsi, ma non abbiamo altro
modo per liberarci di A.”
Sam,
però, era pessimista: “Inizio a credere che A non
ci lascerà mai in pace, ma vale la pena tentare. Dobbiamo
trovare quel bosco.”
Improvvisamente,
Eric alzò lo sguardo e vide Nolan
entrare in mensa.
“Ehi,
ecco Rider! – si girò verso l’amico
– Nat, tira
fuori la candelina, svelto!”
Dall’altro
lato del telefono, Sam pensò di aver sentito
male: “Una candelina?”
“E’
il compleanno di Rider, Sam!”
“Già,
li abbiamo preso un tortino.” aggiunse Nathaniel.
“Ouh,
capisco… - si sentì mortificato – Non
ci ho
proprio pensato, fate gli auguri a Rider anche da parte mia.”
“Beh,
certo, è difficile ricordarsi le cose quando hai
altri pensieri per la testa!” esclamò Nathaniel in
maniera pungente, lanciando
una vera e propria frecciatina.
Sam non poteva
immaginare che Nathaniel avesse visto la
sua videoconfessione a Wesam, ma rimase comunque perplesso da quello
strano
commento.
“…Pensieri
che abbiamo tutti e quattro, se intendi A.”
“Certo,
intendevo proprio A.” replicò Nathaniel con
finta accondiscendenza.
Sam non sapeva
cosa aggiungere, restando ancora più
perplesso da quello strano tono. Eric decise di porre fine alla
conversazione.
“Sam,
ci sentiamo dopo. Ciao. – chiuse, tornando a
fissare Nolan – Ehi, guarda, è in compagnia di
Violet.”
“Non
l’avevo vista…” si chinò in
avanti per vedere
meglio, stranito dalla cosa.
“Certo
che non l’hai vista, eri impegnato a dire cose
senza senso a Sam. – Nolan finalmente incrociò i
loro sguardi ed Eric alzò la
mano facendogli cenno di raggiungerli – Nat, forza, metti
quella candelina sul
tortino.”
“Ecco,
ecco!” la tirò fuori, roteando gli occhi seccato.
Intanto,
dall’altra parte della mensa, Nolan stava
salutando Violet davanti al distributore automatico.
“Ora
devo andare, ci sono i miei amici laggiù.”
Quella si
voltò a guardarli un secondo: “Ma Eric non
frequentava un’altra scuola?”
“Ehm,
sì, forse è venuto a trovarci.”
“Capisco…
- annuì, sorridendo – Beh, grazie per avermi
aiutato a distribuire i fischietti.”
“Oh,
figurati. Abbiamo fatto qualcosa di utile.” sorrise
a sua volta, imbarazzato.
A quel punto,
era imbarazzata anche lei: “Senti…ti va se
prendiamo un caffè insieme, domani?”
Rimasto
spiazzato, tacque per diversi secondi. La sua
reazione indecifrabile, le lasciò intendere un possibile
rifiuto.
“Ehm,
scusa, fa finta che non abbia detto nulla. – era a
disagio - Forse hai da fare, anzi…mi sono appena ricordata
che…”
“Va
bene, accetto!” esclamò lui di getto.
Quella si
bloccò, quasi incredula: “Davvero? Pensavo
che…”
“Che
volessi rifiutare?”
“Beh,
sì… - rise per smorzare la tensione che aveva
accumulato – E’ che non mi aspetto che tu voglia
prendere un caffè con me dato
che sono stata molto crudele con voi.”
“Scherzi?
– divenne serio – Il nostro gruppo è
stato
crudele con te. Ma soprattutto con tuo fratello.”
Violet
abbassò lo sguardo, ricordando quei tempi: “Beh,
era Anthony a tirare le fila quando passava per i corridoi e prendeva
di mira
chiunque ritenesse uno sfigato. Non dovevo prendermela anche con
voi.”
“Avremo
modo di recuperare, immagino. – le sorrise – Ora
scusami, ma devo proprio andare.”
“D’accordo,
a domani!” lo salutò, continuando a fissarlo
con dolcezza mentre raggiungeva i suoi compagni.
Arrivato al
tavolo, Nolan si sedette e si ritrovò con
gli sguardi letteralmente puntati addosso.
“Beh?
– si chiese cosa stesse accadendo, poi notò il
tortino con la candela – Cos’è
quello?”
“Scusa,
ma che ci facevi con Violet? – domandò Eric,
mentre quello era ancora stranito dal tortino –
Cos’è, ora vai a letto con il
nemico?”
“A
letto? – sfigurò il viso in una smorfia schiva -
Ma
che dite?”
“E’
un modo di dire, Rider. Ci mancherebbe!” esclamò
Nathaniel, pensando che sarebbe stato il colmo.
“Cos’erano
quei sorrisini e i vostri piedi che non
toccavano terra? – fece delle smorfie disgustate - Giuro che
vomito se mi dici
qualcosa di strano.”
“Abbiamo
legato un po’, ok? Domani prenderemo un
caffè!”
Eric era
allibito: “Nat, prendimi un secchio.”
“No,
prendimelo tu! – replicò l’altro,
incredulo –
Rider, come puoi aver legato un po’
con la persona che
ci ha praticamente messo
tutta la scuola contro?”
Nolan
cambiò subito atteggiamento, difendendola a spada
tratta: “Ehm, piccola lezione di storia, prima della morte di
Anthony la
situazione era completamente capovolta.”
“Ma tu
odi Violet! La odi più di me, Sam e Nat messi
insieme. – precisò Eric – A meno che non
siamo finiti in una sorta di mondo
parallelo con un altro Rider, non può piacerti quella
ragazza.”
Nolan si
irrigidì improvvisamente, scoppiando in una
risatina nervosa: “Un altro Rider? No no, sono sempre io.
– tornò serio,
schiarendosi la voce – Ehm, forse, mi sono fatto abbindolare
un po’…A ci sta
rendendo parecchio vulnerabili, avete ragione.”
I due tirarono
un sospiro di sollievo, ora che l’amico
stava finalmente ragionando.
“Bene,
ora ti riconosco. E per questo… - trascinò il
tortino sotto il suo naso – Buon compleanno!”
Entrambi li
sorrisero, poi Eric accese la candelina con
un accendino. Nolan era completamente spiazzato, spostando lo sguardo
fra loro
e il tortino.
“Ti fa
gli auguri anche Sam, a proposito. – aggiunse
Eric - E’ bloccato a casa di Tyler, deve togliere i
punti.”
“Ah…
- non sapeva che dire, accennando un sorriso – Beh,
grazie. Non me l’aspettavo.”
Era imbarazzato.
“Non
devi ringraziarci, Rider. – trovò sciocco,
Nathaniel
- Siamo i tuoi migliori amici.”
“Già,
Nat ha ragione. Tutto quello che ci sta accadendo
è orribile, ma almeno non siamo soli in tutto questo. A non
riuscirà ad
impedirci di festeggiare anche una cosa così banale come un
compleanno. E anche
se in questo caso è solo un tortino con sopra una misera
candela, è sempre un
qualcosa di importante e lui non può portarcela
via.”
A quel punto,
Nolan aveva gli occhi lucidi. Era
visibilmente commosso.
“Sono
molto fortunato ad avere degli amici come voi. –
diede poi voce ai suoi reali pensieri, malinconico, quasi parlando tra
sé e sé
- Gli unici che io
abbia mai avuto, a
dire il vero...”
“Sai,
prima parlavamo con Sam di Anthony. Forse i soldi
che li ha dato Cameron li ha usati per il bosco e forse non ha preso
dei soldi
solo da lui. – spiegò Nathaniel – Se
troviamo quel bosco, scopriremo chi era il
complice di Anthony e saremo finalmente liberi da A.”
Nolan
fissò a lungo i due ragazzi, quasi sentendosi in
colpa per quello che stavano passando. Poi soffiò la candela.
“Allora
troveremo quel bosco!” disse dopo averla spenta.
*
In ospedale,
Richard era accanto al letto di sua figlia.
Lindsey dormiva, sembrava stabile. Finalmente aprì gli
occhi, poco dopo.
“Dove
sono?” chiese con un filo di voce, stordita.
Richard si
buttò in avanti, da che era rilassato sulla
sedia, prendendole la mano: “Tesoro, sei in ospedale. Avevi
la febbre alta e
sei svenuta.”
Quella lo
fissò a lungo, tornando lucida, riprendendo indietro
la sua mano: “Tu sei un bugiardo. Hai detto tante
bugie.”
“Lindsey,
ti spiegherò tutto, ma non avercela con me. Ti
prego.”
“Cosa
c’è da spiegare? Hai tradito la mamma e lei ti ha
retto anche il gioco perché evidentemente è stata
troppo debole per lasciarti;
come tutte le donne, del resto.”
Richard aveva lo
sguardo basso, mortificato: “Tesoro, è
una storia molto complicata…”
“E
allora raccontamela, vedremo se è come dici tu. –
era
in lacrime – Forza, racconta!”
Malgrado fosse
molto dura per Richard, decise che era
ora di dire tutta la verità: “Beh, tutto ebbe
inizio circa diciassette anni fa,
quando incontrai questa donna, Joanna Smith …”
*
A casa di Tyler,
Sam era ancora da solo, in attesa che
l’uomo tornasse a casa. Il vento continuava a far sbattere i
rami degli alberi
contro l’abitazione e si sentiva il rumore del legno
scricchiolare da tutte le
parti.
Annoiato, decise
di ingannare il tempo facendo un giro
della casa. Nel salotto potè ammirare alcune delle foto di
famiglia: su un
tavolino rotondo, accanto al sofà, era poggiata una foto di
Tyler appena
laureato con accanto un sorridente Nathaniel.
Quell’immagine
spensierata dell’amico, di un tempo, lo
intenerì al punto di farlo sorridere inconsapevolmente. E
mentre sorpassava
quel tavolino per raggiungere l’altra stanza,
sfiorò la cornice con le dita.
Improvvisamente,
ci fu uno sbalzo di corrente. Sam se ne
accorse, osservando le lampade da parete che lampeggiavano instabili.
Dopo qualche
secondo, sembrò tornare tutto alla
normalità e Sam decise di raggiungere la cucina. Lungo il
corridoio per
arrivarci, però, si voltò verso la parete che
c’era di fronte alla porta
d’ingresso e notò che il display touchscreen del
sistema d’allarme aveva
qualche problema.
A quel punto si
avvicinò, iniziando a pigiare sullo
schermo nel tentativo di farlo tornare a funzionare correttamente. E
fortunatamente,
non ci volle molto tempo, perché si ripristinò da
solo.
Sospirando,
indietreggiò, pronto a dirigersi nell’altra
stanza. Ma, per qualche strano motivo, avanzò nuovamente,
tornando davanti a
quello schermo: un pallino verde segnalava che il sistema era attivo,
mentre
sotto c’erano diverse opzioni. Sam decise di pigiare il tasto
dell’archivio,
dove erano conservate le registrazioni di tutte le telecamere poste
fuori
dall’abitazione.
C’erano
diverse date, una dietro l’altra. Sam pensò che
era sciocco stare lì davanti e così decise di
rimettere il menù principale.
Poi,
però, ci fu come una sorta di ripensamento; le
parole di sua madre rimbombarono nella sua testa come un suggerimento,
in
seguito a quel sogno che aveva fatto diverse ore prima.
“Non
è così
difficile cercare delle risposte, Sam. Moltre volte le si possono
trovare
proprio dove il mistero ha avuto origine.”
“Il
giorno dopo il Labor day… - sussurrò Sam,
riflettendo – Il giorno in cui Albert ed Anthony sono
morti…”
E
cercò quella data sul display, il 08/09/2015:
l’inizio
dell’incubo.
Una volta
trovata, aprì il filmato che mostrava 24 ore
di video. Sam decise di mandarlo avanti veloce per visionarlo con
più rapidità:
le uniche cose che vedeva erano Tyler che usciva la mattina di casa, il
postino
che lasciava le lettere e di nuovo Tyler che rientrava.
La stessa
sequenza si ripetè anche per gli altri due giorni
seguenti e, a quel punto, Sam decise di visione ancora un giorno, prima
di
lasciar perdere: la data del 11/09/2015. Come fece per gli altri
filmati, mandò
veloce il video e aspettò di vedere qualcosa per cui valesse
la pena fermare.
Qualche minuto
dopo, quando ormai stava per lasciar
stare, qualcosa di insolito accaddè alle ore 23:34 di quel
giorno e Sam bloccò
immediatamente. Ciò che vide, lo lasciò
completamente a bocca ed occhi
spalancati: qualcuno stava attraversando il giardino di Tyler per
arrivare alla
porta e quel qualcuno era…
“Anthony?!
– sussultò incredulo – Ma non
è possibile…”
pensò scioccato, mentre lasciava che il video continuasse.
Anthony
bussò alla porta diverse volte, prima che le
luci in casa si accendessero. Tyler aprì la porta,
mostrandosi sorpreso e
sconvolto. I due parlarono per qualche secondo e Tyler fece accomodare
Anthony.
Il filmato si
fermò e Sam rimase lì in piedi con lo
sguardo fisso sullo schermo: stava cercando di metabolizzare che
Anthony era
ancora vivo e questo poneva nuovi interrogativi.
Quando si
diresse in cucina, poi, ritrovò nuovamente il
lucchetto alla porta della cantina, che insieme a Nathaniel aveva
notato la
volta precedente. Sentiva che dietro quella porta c’era
qualcosa che poteva
rispondere a quegli interrogativi ed era determinato ad aprirla.
*
Eric era appena
entrato nel suo appartamento, poggiando
la busta della spesa per chiudere l’ombrello zuppo
d’acqua che aveva nell’altra
mano. Dopo averlo messo nel portaombrelli ed essersi dato uno scrollata
per il
freddo, alzò lo sguardo e notò che Alexis era
distesa sul divano che dormiva: sembrava
davvero esausta, così Eric chiuse piano la porta per non
svegliarla.
Ripresa la
busta, cercò di dirigersi verso la cucina con
palsi felpati, ma Alexis si svegliò.
“Ehi,
scusa se non sono potuto venire a prenderti alla
tavola calda… - Eric si giustificò subito,
mortificato – C’era un allerta meteo
e non lasciavano uscire nessuno dall’istituto.”
Quella si mise
seduta, massaggiandosi la testa ad occhi
chiusi, la voce stanca: “Lascia stare, mi ha accopagnata
Janett…”
Eric
accennò un sorriso, cercando di fare conversazione:
“Janett? Vedo che hai fatto amicizia al lavoro, mi fa
piacere… - la vide indifferente,
facendo sparire quel sorriso – Ehm, ho preso qualcosa al
market, ti va un
omelette?”
Finamente Alexis
si voltò a guardarlo, frigida: “Eric,
fa quello che vuoi. Non dirmelo. Fallo e basta.”
L’altro
si preoccupò a quel punto: “Alexis,
c’è qualcosa
che non va?”
“Qualcosa
che non va, dici? – rise, trovando la sua
domanda un eufemismo – Fammi pensare: frequento le lezioni la
mattina con la
voglia di crollare a terra per il sonno e dopo pranzo devo subito
correre a
lavoro per non perdere anche quel posto. Poi devo tornare a casa, che
si trova
praticamente dall’altra parte della città, e se mi
va bene trovo un passaggio
da una Janett, che sicuramente verrà licenziata
perché non distringue il pepe
dal peroncino. – Eric abbassò lo sguardo
– Ah, dimenticavo, il mio aggressore
non è stato arrestato dalla polizia e mi minaccia con un
messaggio sulla
portiera della macchina. – rise ancora, stufa – Sto
davvero benissimo, Eric!”
La
fissò, sofferente per lei: “Alexis, cosa vuoi che
faccia?”
“Dirmi
la verità, Eric. – urlò, alzandosi
– Ce la fai a
dirla?”
“Io…Io
non…” le parole non uscivano.
Quella scosse la
testa, un sorriso basito: “Sai, non mi
ritengo un genio. A volte, però, sono in grado di collegare
molte cose,
dettagli insignificati, per poi giungere ad una soluzione senza aver
scelto la
via più complicata. Vorrei tanto ignorare tutto quello che
gli altri ignorano o
non notano nemmeno, ma…non ci riesco! –
esclamò, gli occhi lucidi – Quando ero
in ospedale, ti ho sentito parlare al telefono con Rider e nominavi
questa
lettera, la A. E anche i tuoi amici la nominano, così come
il nome di Brakner,
associato a frasi che lasciano spazio a parecchie interpretazioni. Poi
l’altro
giorno qualcuno mi riga la macchina ed ecco che rispunta di nuovo fuori
quella
lettera.”
“Alexis,
ascolta…”
“No,
sono stanca di ascoltare. – lo fermò subito,
agguerrita – Per molte volte hai cercato di uccidere i miei
pensieri, le mie
supposizioni, ma adesso basta. Quell’uomo non solo ha cercato
di uccidermi, ma
adesso mi minaccia pure. – le lacrime scesero copiose, pronta
a prendere una
decisione – Ho promesso ai tuoi genitori che mi sarei presa
cura di te, ma non
posso vivere in un luogo dove non mi sento al sicuro.
Eric aveva gli
occhi sbarrati, gonfi di lacrime: “Che
stai cercando di dirmi?”
“Che
ti lascio una notte per pensare a cosa dirmi
domani, e sia chiaro: domani è la verità che
voglio. Altrimenti chiamerò i tuoi
genitori per dire loro che me ne vado, e diventerai un loro problema,
non più
mio. – lo fissò determinata, asciugandosi le
lacrime – Eric, sono la tua
ragazza, non un manichino senza bocca, occhi e orecchie. Se pensavi di
tornare ogni
giorno con una busta della spesa e sorridermi come nulla fosse,
sperando che ti
chieda cosa cucini di buono o che ti racconti la mia giorna, ti sei
sbagliato
di grosso. Non sono quel tipo di ragazza. – si
allontanò - Regolati, a domani.”
ed entrò in camera, chiudendo la porta.
Il rumore del
vento, fuori, era l’unica cosa che Eric
riusciva ad udire in quel momento. Gli occhi fissavano il vuoto, mentre
se ne
stava in piedi, distrutto dentro. Le lacrime scendevano copiose, ma
nessuna espressione
nel viso. Era come un automa, privo di qualsiasi emozione. Un essere
vuoto,
finito: e fu in quel momento che capì che il gioco si era
spinto fin troppo
oltre.
*
Nathaniel aveva
appena parcheggiato di fronte a casa
sua, era calata la sera su Rosewood. Mentre stava attraversando la
strada,
però, ricevette una strana foto per messaggio: era la copia
di un mandato di
percusizione approvato dal tribunale di Rosewood.
Ovviamente non
poteva mancare un messaggio scritto,
subito dopo.
“Ehi,
Nat, non ti senti fortunato ad
avermi come informatore? Grazie a me, quella della polizia, non
sarà una visita
a sorpresa. Siete sicuri che nessuno di voi quattro abbia qualcosa di
compromettente nella propria camera? Tick, tack…”
-A
Nathaniel
sbiancò, tornando in fretta alla macchina, terrorizzato
da cosa potesse esserci nascosto in una delle loro camere. Ma,
soprattutto, se
era qualcosa di nascosto da loro o da A.
Mentre stava
mettendo in moto, ricevette una chiamata da
Sam.
“Ehi,
pronto, non posso parlare adesso.”
“Ho
bisogno di te. Subito!” esclamò l’altro,
serio.
Nathaniel si
bloccò dal girare la chiave, passando il
telefono all’altro orecchio con apprensione: “Tutto
bene? Che hai?”
“Non
posso dirti nulla per telefono, vieni a casa di
Tyler. Ho scoperto qualcosa di importante.”
“Anch’io
ho appena scoperto qualcosa.”
“Vieni
qui, corri!”
“Arrivo.”
rispose, chiudendo la chiamata e mettendo in
moto.
*
Rider era stato
rinchiuso in una delle stanze della sua
casa sul lago, a chiave, da Norman. Era legato ad una sedia con un
pezzo di
nastro che gli chiudeva la bocca.
Stava osservando
la finestra, respirando rumorosamente,
gli occhi sgranati: tutti sintomi di una condizione di terrore.
Qualcuno era
appena entrato dalla finestra. E quel
qualcuno indossava un cappuccio nero: era A.
L’uomo
si spostò davanti a Rider, mentre quello lo
seguiva con lo sguardo, spaventato. Rimasto in piedi a fissarlo per
qualche
secondo, alzò il braccio, portando la mano davanti alla
bocca.
“Shhhh…”
fece con il dito indice.
Ma Rider non
poteva parlare, solo agitarsi.
Improvvisamente,
A tirò fuori un pennarello dalla tasca.
Poi si avvicinò lentamente a Rider, mentre il suo battito
cardiaco accellerava
e gli occhi sgranavano ancora di più
Quello si
inginocchiò, alzandogli la maglietta,
scrivendo qualcosa sul suo addome. Quando finì, abbasso la
maglietta e tornò
nuovamente in piedi davanti a lui. Rider non capiva cosa stesse
succedendo, ma
era più calmo ora che si era allontanato da lui. Si limitava
a fissarlo.
A
tirò fuori il suo telefono, scattandogli una
fotografia. Infine salutò e se ne andò, uscendo
da dove era entrato come nulla
fosse.
Rider
restò pietrificato, gli occhi ancora spalancati,
ed era lì che si chiedeva cosa ci fosse scritto sulla sua
pelle.
*
Sam stava
mostrando a Nathaniel, dopo che lo aveva
raggiunto tempestivamente, il filmato delle telecamere di sorveglianza
installate fuori in giardino. In piedi davanti al display, Sam
aspettava da
lui, a braccia conserte, una reazione a ciò che stavano
guardando. Ovviamente
Nathaniel era agghiacciato.
“Non
è possibile…”
“E’
quello che mi sono detto anch’io. La cosa strana è
che Tyler sapeva che Anthony era vivo e non l’ha detto alla
polizia.”
Il filmato si
era appena fermato, lasciando mille dubbi
in Nathaniel.
“Un
secondo, ma allora se Anthony è vivo e il corpo di
Albert è in obitorio…chi è sepolto
nella bara di Anthony?”
“Bella
domanda…ricordi quando non eravamo sicuri che ci
fosse Anthony nella bara, dopo il funerale?”
“Certo,
poi sono entrato di nascosto all’obitorio e
tramite i referti del medico legale ho scoperto che era Anthony.
– puntò il
bracciò verso lo schermo, seccato
– Solo
che Anthony è qui nel video e non dentro una bara,
perciò sono leggermente
confuso.”
Sam mise le mani
in avanti, prendendo parola dopo un bel
respiro profondo, mentre Nathaniel aveva le mani nei capelli per lo
stress e
faceva avanti e indietro: “Ok, cerchiamo di
ragionare…E’ possibile che ci fosse
una terza persona alla stazione di Rosewood, mentre Anthony aspettava
il
treno?”
Nathaniel
sgranò immediatamente gli occhi: “Oh mio
Dio…
- fissò Sam - A ha fatto uno scambio all’obitorio,
ma non è avvenuto come
ipotizzavamo. Ha preso Albert e al posto suo ci ha messo qualcuno che a
questo
punto non è Anthony. Solo che…nel video che A ci
mostrò, registrato alla
stazione, lui si dirige verso Anthony e la telecamera si abbassa, poi
sentiamo
Anthony urlare…”
“Forse
non l’ha mai colpito per davvero…”
pensò Sam.
“Forse
ha colpito chi è arrivato in suo soccorso, è
possibile, no?”
“Possibile
o no, che fine ha fatto questa persona?
Nessuno ne ha denunciato la scomparsa?”
“Non
ne ho idea, ma se questa persona era alla stazione
dei treni assieme ad Anthony, come faceva ad essere carbonizzato il suo
corpo all’obitorio?”
“L’avrà
carbonizzato A, che domande.”
“Già,
ma…stessa corporatura di Anthony, stessa altezza?
Mi sembra surreale che A abbia trovato un corpo perfetto da scambiare
su un
piatto d’argento.”
I dubbi di
Nathaniel fecero riflettere anche Sam: “E’
senza dubbio quello di un ragazzo il corpo, ma quale ragazzo poteva
trovarsi
alla stazione dei treni a quell’ora?”
Tornato
nuovamente davanti allo schermo, Nathaniel cercò
di scoprire altro: “Sai quando Anthony ha lasciato la casa?
Verso che ora è
uscito?”
“Non
è uscito, in realtà. – si
avvicinò a lui, cliccando
su una data, mentre Nathaniel lo sbirciava con la coda
dell’occhio per la
troppa vicinanza – Secondo le registrazioni, è
rimasto a casa di tuo cugino per
sei giorni e non è più tornato. Ho
controllato”
I due stavano
guardando Anthony che usciva
dall’abitazione alle ore 00:34 del giorno 16/09/2016.
“Ha un
borsone, Tyler deve avergli dato qualcosa.” notò.
“Magari
vestiti, soldi e un biglietto del pullman. –
suppose Sam - Di certo non viaggi con un aereo se sei senza documenti e
sei
anche morto.”
Nathaniel si
fermò a pensare su suo cugino: “Tyler deve
averlo fatto perché Anthony sapeva del mio problema al cuore
e dei farmaci che
mi prescriveva. Lo teneva ancora in pugno e Tyler aveva paura di lui,
nonostante
io gli abbia assicurato che non l’avrebbe mai detto a
nessuno.”
“Sì,
ma a questo punto la cantina con il lucchetto è
molto sospetta. Ti ho chiamato perché non so come aprirla
senza buttare giù la
porta.”
L’altro
sospirò, girandosi nuovamente verso lo schermo.
Iniziò a selezionare qualcosa.
“E ora
che stai facendo?”
“Elimino
me e te che entriamo oggi a casa sua. – e lo
fece con successo – Ora possiamo buttare giù la
porta senza che scopra che
siamo stati noi.” e si diresse in cucina con Sam a seguito.
“Aspetta,
è se cadi di sotto quando la porta cede? E se
ti senti male per lo sforzò?” piombò
alle sue spalle, tirandolo per un braccio
con molta apprensione, mentre quello era davanti alla porta.
“Sam,
non voglio perdere tempo. – gli disse serio, dopo
averlo fissato a lungo, sorpreso dalla sua preoccupazione - A mi ha fatto sapere che
c’è un mandato di
percuisizione per tutti e quattro e che uno di noi ha qualcosa di
compromettente nella propria camera.”
“Un
mandato? – sbiancò, sgranando gli occhi
– Ma allora
il Detective Costa non se l’è bevuta
ieri.”
“No,
per niente. Dev’essere straconvinto che siamo stati
noi ad uccidere Albert e magari anche Anthony e suo padre.”
Nathaniel
iniziò ad aprire gli sportelli bassi della
cucina, in cerca di qualcosa. Sam era ancora pallido, mentre pensava a
diverse
cose.
“Ma se
Anthony è ancora vivo, perché A continua a
perseguitare noi?”
“Forse
gli è sfuggito. – disse la sua, mentre era ancora
chinato a cercare – Mi gioco tutto che A ha tenuto Anthony da
qualche parte e
poi è riuscito a scappare. Spiegherebbe perché
è venuto a casa di Tyler tre
giorni dopo la sua falsa morte.”
“Forse
gli è sfuggito o forse l’ha ucciso veramente,
alla fine. Dubito che A non l’abbia ritrovato”
Finalmente
Nathaniel si risollevò, dopo aver trovato un
piede di porco.
“Stai
indietro!” ordinò a Sam, che eseguì
immediatamente.
Nathaniel diede
quattro colpi ben assestati al
lucchetto, che alla fine si ruppe, cascando a terra con tutta la
giuntura.
“Caspita,
hai fatto subito.” restò alquanto stupito.
“Sam,
è un lucchetto non un capezzolo di Superman. – si
voltò a dirgli, dopo aver aperto la porta – Forza,
scendiamo, non abbiamo tempo
da perdere.”
“Eccomi!”
lo seguì immediatamente.
Quando furono di
sotto, Nathaniel dovette tirare una
cordicella per accendere la luce e illuminare la stanza. Quello che
trovarono
lì sotto, però, andava ben oltre la loro
immaginazione.
C’era
un tavolino medio basso, al centro, con sopra
diversi cartoni di pizza, lattine di birra vuote e deformate, cartacce
e molto
altro anche sul pavimento. Vicino alla parete, invece, c’era
un materasso con
una coperta sgualcita sopra e qualche abito buttato qua e
là: era un vero è
proprio caos.
Mentre aveva
ancora gli occhi sgranati, Nathaniel fu il
primo a trovare le parole: “Sai, sembra quasi di essere come
in quel film con
Brendan Fraiser, Sbucato dal passato, dove
insieme alla famiglia viveva in un bunker
sotterraneo…”
“Beh,
loro avevano la casa in ordine, però.”
precisò
Sam, riuscendo a stento a staccare gli occhi da quello scenario.
A quel punto,
Nathaniel scrollò le spalle: “Ok, diamoci
da fare. – iniziò a frugare tra le varie cose -
Anthony ha vissuto qui sotto
per qualche giorno, mi sembra evidente, ma avrà pur lasciato
qualche indizio,
no?”
Anche Sam si
diede da fare, dall’altro lato della
stanza: “Sull’identità di A,
intendi?”
“Di A,
o del suo complice al bosco.”
Sam si
voltò un secondo, mentre l’altro era di spalle a
spostare degli scatoloni, dubbioso: “Credi che Anthony
conosca l’identità di A?”
“Immagino
di si… - si voltò a rispondergli, tornando a
spostare di nuovo cianfrusaglie – Deve saperlo, se era suo
ostaggio.”
“Ok,
ma quando ho nuotato fino al centro del lago per
recuperare le tue pillole, A era dall’altra parte del molo e
indossava un
cappuccio nero con qualcosa che gli copriva il volto. Nemmeno Rider ed
Eric
l’hanno visto in faccia quando l’hanno rincorso nei
sotterranei della scuola.”
“Quindi
pensi che non si sia svelato nemmeno ad Anthony?
Ne dubito…Se fossi il cattivo, io vorrei che il mio nemico
sapesse che dietro
alla maschera ci sia io.”
Sam riprese a
cercare, sollevando il materasso,
pensieroso: “Dove sei finito, Anthony…”
sussurrò.
I due poi fecero
silenzio, nella disperata ricerca di
un’indizio. Finchè, poi, Nathaniel non decise di
romperlo nuovamente con una
confessione.
“Ho
visto il tuo videomessaggio a Wesam, era rimasto
nella mia macchina e così… - incantò
la parete, senza voltarsi, cercando di
carpire la sua reazione ascoltando il suo respiro –
Scusa…”
Anche Sam rimase
ad incantare la parete verso il quale
era voltato, continuando a spostare cose, tranquillamente:
“Pensavo che solo
mio padre invadesse la mia privacy…”
“Non
sei arrabbiato?”
“Non
ho tempo per arrabbiarmi. E poi, non mi importa che
tu lo sappia…sono stanco di avere segreti.”
L’altro
divenne teso, geloso, che torturava una scatola
di fiammiferi tra le mani: “…E quindi lo
ami?”
Sam
ci mise un po’ a rispondere, sfiodando le cose:
“Forse, sì…Con lui sto bene, mi fa
stare bene. – accennò un sorriso spensierato
- Mi sento protetto, e…ogni volta che sono con lui,
è come se il tempo si
fermasse. E anche la mia vita. Nessun pensiero brutto, solo cose
belle…Non mi
capitava da tempo.”
Quelle
parole ferirono Nathaniel in profondità, come se
una lama l’avesse appena trafitto senza pietà.
Ovviamente, Sam non poteva
vedere quanto Nathaniel stesse soffrendo in volto e come i suoi occhi
fossero lucidi;
dentro di lui, sapeva di provare qualcosa per Sam, ma era troppo tardi
e finse
un volto quieto quando si voltò.
“Se
ti fa stare bene, allora sono contento per te. – Sam
si voltò a guardarlo, ricevendo un sorriso - Almeno uno di
noi merita di finire
tra le braccia di qualcuno, quando tutto sembra crollare.”
Sam
restò ad osservare il suo viso, i suoi occhi, mentre
diceva quelle parole. Era come se percepisse un’immensa
tristezza da parte sua,
che ostentava a mascherare; tuttavia, Sam sapeva che non poteva essere
innamorato di lui dopo averlo schiaffeggiato al ballo degli ex alunni
per
essersi approfittato della sua vulnerabilità e della sua
palese cotta, nel
tentativo di convincerlo a lasciare l’edificio riempito dalla
perdità di gas.
Quindi
sorrise a sua volta, ignorando i suoi pensieri:
“Spero che lo meriteremo tutti e quattro, quando tutto questo
sarà finito.
Abbiamo annullato le nostre vite per così tanto tempo, che
abbiamo quasi
dimenticato cosa vuol dire uscire a divertirsi, guardare un film
salutare le
persone per strada, provare ansia per un test,
innamorarsi…E’ ora di riprendere
le nostre vite indietro.”
Nathaniel
annuì, d’accordo. I due restarono a guardarsi,
finchè non fu proprio Nathaniel a distogliere lo sguardo,
notando qualcosa
sotto il lenzuolo che c’era sul materasso.
“Ehi,
quello cos’è? – indicò,
mentre Sam si girava a
guardare – Non sembra…???”
L’altro
alzò immediatamente il lenzuolo, rivelando una
giacca.
“Ma
questa è di Anthony, ce l’aveva addosso quando
l’abbiamo accompagnato alla stazione di Rosewood.”
Nathaniel
si avvicinò, mettendoci sopra le mani:
“Controlliamo le tasche, magari c’è
qualcosa.”
E
fu in quel momento che trovarono finalmente qualcosa:
un fogliettino ripiegato più volte. I due si guardarono
giusto un attimo, affamati
di risposte, curiosi. Nathaniel lo aprì, rivelandone
immediatamente il
contenuto.
“www.raeFlaeR.jwj”
Sam
fece immediatamente una smorfia confusa: “Ma che
significa?”
“E’
un sito web, ma non capisco…” si voltò
nuovamente a
guardare il foglio, altrettanto confuso.
“Questo
gioco cambia in continuazione. Non abbiamo il
tempo di avere una certezza, che ogni volta spunta fuori qualcosa che
stravolge
tutto.”
L’altro
sospirò, mentre il mistero si infittiva
nuovamente: “Già, e sento che ancora molte altre
cose spunteranno fuori per
nostra sfortuna.”
Improvvisamente,
un rumore al piano superiore: una porta
che si apriva.
“Oh
mio Dio… - sussurrò Sam, alzando il capo verso
l’ingresso della cantina – Dev’essere
Tyler.”
Nathaniel,
rapido, si guardò attorno, addocchiando una
finestrella: “Ehi, presto, usciamo da lì! -
trasportò Sam verso il mobiletto
che c’era sotto la finestrella – Sali,
forza!”
“Sì,
ok…” eseguì, respirando in maniera
ansiosa, per poi
aprire la finestrella e trascinarsi fuori.
Fu
il turno di Nathaniel, che una volta in piedi sul
mobiletto, venne aiutato dalle mani di Sam ad uscire.
“Forza,
vieni! – lo aiutò ad alzarsi, mentre era
inginocchiato fuori dalla finestralla – Torniamo alla
macchina, facciamo
presto.”
“D’accordo…”
lo fissò Nathaniel, annuendo, mentre Sam
aveva ancora le sue mani che stringevano i suoi polsi.
Si
staccarono, poi, non avendo nemmeno il tempo di
imbarazzarsi per quel contatto avvenuto in maniera ingenua, senza che
se ne
accorgessero, preoccupati l’uno per l’altro.
L’attimo seguente fuggirono.
*
Intanto,
preso dal terrore di poter venire scoperto da
un momento all’altro, Nolan guidò fino al Lost
wood resort, prendendo una
stanza.
Mentre
faceva avanti e indietro, pensando ad una
soluzione per non finire di nuovo al Radley, ricevette un messaggio.
“Guarda
chi c’è, il fratello che ha rubato
la tua vita. Non vuoi chiudere i conti?”
-A
In
allegato, la foto di Rider alla casa sul lago.
Nolan
sgranò immediatamente gli occhi, pensando a mille
cose in quel momento. Il suo battito accellerò e preso
dall’adrenalina del
momento, prese immediatamente le chiavi della macchina che aveva
poggiato sul
letto, uscendo.
Presto
avrebbbe avuto il suo faccia a faccia con suo
fratello, dopo ben undici anni dalla loro separazione.
CONTINUA
NEL QUINDICESIMO CAPITOLO
*
Mentre
Alexis era in bagno che si stava facendo una
doccia, Eric era seduto sul divano a fare zapping in televisione mentre
sulle
ginocchia aveva aperto il libro di storia. Ogni tanto si voltava in
direzione
del bagno ad ascoltare il rumore dell’acqua che scendeva
dalla doccia.
Pensieroso, non riusciva proprio a concentrarsi sullo studio.
Improvvisamente,
sul tavolino di fronte a lui, il suo
telefono iniziò a vibrare. Eric lo recuperò
subito.
“Sembra
che uno dei bugiardi non sia
voluto restare a casa, nonostante la tempesta. Peccato.”
-A
Eric
sgranò gli occhi, sobbalzando dal divano dopo aver
visto anche la foto di Rider legato ad una sedia in allegato.
Immediatamente
si voltò a fissare la porta del bagno:
Alexis era ancora sotto la doccia. A A quel punto doveva uscire,
avvisare i
suoi amici senza perdere tempo, perciò prese un pezzo di
carta e scrisse due
righe.
“Ho
dimenticato le uova, esco a prenderle.”
Lasciò
il foglietto sul tavolino e prese il cappotto in
fretta e furia, uscendo. Per le scale, provò a chiamare
Nathaniel o Sam, ma ad
entrambi c’era la segreteria.
“Nat,
appena ascolti il messaggio, chiama Sam e venite
alla casa sul lago. A ha preso Rider, sto andando lì ma non
idea di cosa fare.
Ti prego, fate presto.”
*
Nel
frattempo, Nathaniel e Sam avevano appena
parcheggiato davanti a casa di Rider, fissando l’abitazione.
Nathaniel scese
dalla macchina, facendo il giro. Sam abbassò il finestrino,
il vento era
fortissimo.
“Non
c’è nemmeno una macchina. –
notò Nathaniel - E’
possibile che non ci sia nessuno in casa?”
Sam
inclinò la testa per vedere meglio, osservando la
casa alle spalle di Nathaniel: “Non vedo luci
accese…”
“Se
Rider non c’è, dovrò arrampicarmi fino
alla sua
finestra.” spiegò, rabbrividendo per freddo.
“Perché
pensi che A abbia messo qualcosa di
compromettente proprio nella camera di Rider e non in una delle
nostre?”
“Un
presentimento.”
“Cioè?”
restò un attimo perplesso.
“Non
lo so, non abbiamo molto tempo per frugare in tutte
le nostre stanze e non possiamo comunicare tra noi per telefono. E poi
non è
detto che A abbia messo qualcosa, magari qualcosa di compromettente
c’è già.
Rider potrebbe aver conservato qualcosa, non so.”
“Ok,
allora io che faccio? Scendo con te?”
“No,
fai il palo. – poi indicò verso i sedili
posteriori
dell’auto – Mi passi lo zainetto che
c’è lì dietro?”
Quello
eseguì, facendo una smorfia confusa: “A che ti
serve?”
“Non
so, potrei trovare degli abiti insanguinati, una scarpa,
una testa. – spiegò, isterico per il freddo
– Mi serve lo zaino, tu resta qui.
E chiamami se arriva qualcuno.”
“Ok,
fa presto…” gli raccomandò, guardandolo
allontanarsi, con apprensione.
Quando
Sam alzò lo sguardo al cielo, si vedevano dei
bagliori tra le nuvole. Spaventato dai tuoni che stavano per arrivare,
rialzò
il finestrino, restando in allerta.
Intanto
Nathaniel era sul retro dell’abitazione, davanti
al ***. Con una presa ben salda, iniziò ad arrampicarsi, ma
un improvviso tuono
lo bloccò a metà strada, facendogli stringere la
presa ancora di più. Dopo aver
riaperto gli occhi ed essersi fatto coraggio, giunse davanti alla
finestra e la
aprì con forza.
Passando
dal piccolo spazio che era riuscito ad ottenere
con fatica, visto che si trattava di una finestra ad apertura
verticale, caddè
sul pavimento. Subito si risollevò, accendendo una lampada.
Si guardò attorno,
cercando di capire dove iniziare a cercare.
Fu
dai cassetti del comodino ai lati del letto che
cominciò, scrutandoli attentamente. Dopo qualche minuto,
sembrò aver trovato
qualcosa al terzo cassetto: una ricevuta.
Quando
vide la data di emissione, capì immediatamente
che si trattava della ricevuta dell’officina dove Rider aveva
portato ad
aggiustare il parabrezza rotto da Albert, quando fu investito.
“Ma
l’ha tenuta? – sgranò gli occhi
– E’ impazzito?”
Subito
la mise nello zaino, continuando a frugare negli
altri cassetti. Trovò nuovamente qualcosa: un tablet.
“Ma
questo è il tablet che abbiamo rubato dal
laboratorio del dipartimento di ingegneria elettronica… -
sopra c’era attaccato
un post it, che lesse – Controllare
posizione sospetta nel bosco dopo il ponte…”
Nathaniel
fece una faccia stranito, molto perplesso: “Ma
questa è la scrittura di Rider, perché non ci ha
detto nulla di questo post-it?
– pensò, per poi fare una supposizione –
E se questo bosco dopo il ponte
fosse…”
Pieno
di dubbi, chiuse i cassetti e si alzò in piedi, ma
nel momento in cui indietreggiò di qualche passo,
inciampò in alcuni libri e
quaderni caduti dal letto. D’istinto, li raccolse per
metterli sul letto, e
senza accorgersene aveva aperto uno dei quaderni, richiudendolo subito.
Dopo
averli poggiati sul letto, era pronto ad uscire, ma stranamente
tornò indietro,
riaprendo quel quaderno, scrutandone la scrittura.
Sbattendo
gli occhi perplesso, Nathaniel recuperò il
post-it dallo zaino e confrontò le scritture.
“Non
è possibile… - notò delle sostanziali
differenze su
alcune lettere, per poi aprire il quaderno alla prima pagina
– Ma qui la
scrittura cambia nuovamente, non capisco…”
Confuso
dal fatto che le prime pagine del quaderno
avessero una scrittura diversa dalle pagine più recenti,
restò lì imbambolato a
cercare di comprendere tale mistero. Finchè,
improvvisamente, non si focalizzò
su uno dei libri che aveva raccolto da terra assieme ai quaderni.
“La donna con
l’impermeabile rosso…” lesse
il titolo, recuperandolo.
Incuriosito
lo aprì, ma quella curiosità si
trasformò
immediatamente in un’agghiacciante sorpresa: le pagine erano
scritte a mano.
“Ma
che diavolo…??? – sussurrò, iniziando a
leggere – Cosa da sapere su
Nathaniel: Recentemente ha
fatto delle analisi e ha scoperto che gli ho fatto assumere delle
pillole per
il cambio di sesso. Suo cugino Tyler lavora in ospedale, sua zia
Courtney l’ha
accompagnato.”
A
quel punto, Nathaniel alzò gli occhi dal libro. Stava
iniziando a capire qualcosa che aveva dell’inspiegabile.
Intanto,
Sam era ancora in macchina che aspettava il
ritorno di Nathaniel. Era così distratto a fissare
l’abitazione per vederlo
spuntare fuori, che per un pelo non si accorse della macchina che stava
arrivando. Sobbalzando sul sedile, premette il clacson per tre volte
consecutive, [Nathaniel lo udì in quel preciso istante,
allarmandosi] per poi
scivolare lungo il sedile per non farsi vedere. La macchina aveva
appena
parcheggiato dall’altro lato della strada: era Richard Stuart.
Quando
scese dalla macchina, però, al Signor Stuart
puntò l’auto, insospettito. Sam, con la coda
dell’occhio, lo vide avvicinarsi e
iniziò a respirare in maniera ansiosa.
A
quel punto non potè più far finta di nascondersi,
mentre quello bussava al suo finestrino.
Sam
lo abbassò, forzando un sorriso: “Ehm,
salve…”
“Posso
chiederti perché ti stavi nascondendo? Ti ho
visto, sai…”
“Mi
erano cadute le chiavi, perciò ho fatto un po’
fatica a recuperarle…” spiegò, mentre
quello lo fissava stranito.
“Scusa,
ma chi sei? Conosco tutti i miei vicini e non…”
“Ehm,
a dir la verità, sono un amico di Rider, Signor
Stuart…”
L’altro
abbandonò subito la sua espressione sospettosa,
sorridendo: “Ouh, sei un amico di Rider. Dovevo
immaginarlo.”
“Lo
stavo aspettando, ho visto le luci spente e quindi
ho pensato che a quest’ora dovrebbe tornare da un momento
all’altro. – buttava
in continuazione uno sguardo alle spalle dell’uomo, sperando
di vedere Nathaniel
– Sa, mi servono degli appunti…”
“Anche
tu alla Northdale?”
“No!
Cioè, sì! – sembrò
contraddirsi - Anch’io sono
stato assegnato alla Northdale.” esclamò teso,
sudando freddo.
“Capisco…
- annuì poco convinto – Beh, cercavo
anch’io
mio figlio. Se dovessi vederlo, digli di tornare a casa.”
“Ma
certo, sicuramente.”
“Ok,
buona serata. Grazie.” concluse, allontandosi.
“Anche
a lei! – urlò, per poi chiedersi dove fosse
l’amico – Dannazione, Nat, dove sei?”
Quando
controllò l’orario sul telefono, si accorse di
avere un messaggio in segreteria e subito lo ascoltò.
“Sam,
ti prego
richiamami o raggiungimi alla casa sul lago. Nemmeno Nathaniel
risponde, dove
siete? A ha preso Rider, sto andando lì ma non idea di cosa
fare. Fate presto!”
“Oh
mio Dio… - sgranò gli occhi, per poi trovare
anche
la foto di Rider in allegato ad un messaggio lasciato sempre da Eric
– Oh
cavolo!”
Quando
si voltò sulla strada, il Signor Stuart non c’era
più. E di Nathaniel non c’era l’ombra.
Combattuto,
prese una decisione, mordendosi le labbra:
“Nat, perdonami…” e accese la macchina,
partendo a tavoletta.
Qualche
secondo più tardi, Richard si sollevò lungo il
sedile; non era mai rientrato in casa. Anch’egli accese
l’auto, seguendo Sam.
Nathaniel,
intanto, era appena sceso dalla finestra
della camera di Rider. Quando tornò sulla strada, Sam e la
macchina erano
spariti e quello si guardò intorno, chiedendosi dove fosse
andato.
*
Alla
casa sul lago, Eric era appena arrivato sul posto,
notando la macchina di Rider parcheggiata di fronte alla sua.
Guardandosi
attorno, in allerta, arrivò alla porta,
pronto ad entrare. Improvvisamente, un urlo nel bosco lo
fermò nel farlo.
“Ma
questa è la voce di…” e senza stare a
pensarci,
corse subito in direzione del grido che aveva sentito.
Nel
frattempo, colui che aveva urlato era Nolan. Aveva
una pistola in mano e la puntava verso ogni direzione, con il fiatone,
fuori di
senno.
“Norman
vieni fuori, lo so che sei qui intorno. – urlò
più forte, sgranando gli occhi ad ogni minimo rumore
– NORMAN!”
Ad
un certo punto, alle sue spalle, giunse Eric. Non
l’aveva nemmeno sentito arrivare.
“Rider,
eccoti!” esclamò con il fiatone.
L’altro
si voltò di scatto, puntando l’arma verso di lui
come un pazzo. Eric alzò le mani, spalancando gli occhi.
“Ehi
ehi, sono io! Abbassa quel coso!”
Nolan
si diede un contegno, abbassandola: “Scusa,
pensavo che fosse qualcun altro. Tu che ci fai qui?”
“Pensavi
che fossi A? – si girò a guardare in tutte le
direzioni – E’ qui intorno?”
La
sua presenza, però, sollevò un dubbio in Nolan:
“Ehm,
per caso A ha mandato anche a te quella foto di me?”
“Sì,
mi sono spaventato tantissimo. Fortuna che sei
riuscito a liberarti e a prendere la sua pistola.”
A
quel punto, Nolan capì di essere stato ingannato da A ora
che la sua situazione era diventata troppo problematica per lui.
“Bastardo…”
disse fra sé e sé.
“Hai
detto qualcosa?”
“Forse
è meglio andare via, c’è troppo vento
qui…”
propose, camminando per tornare indietro.
Eric,
però, lo fermò per il petto: “Un
secondo, aspetta.
Ti ho sentito urlare un nome…Norman, credo. Chi è
Norman?”
In
quel momento, Nolan non seppe come spiegare la cosa,
sudando freddo. All’improvviso, si sentè il rumore
di un ramo spezzarsi, nelle
vicinanze, ed entrambi si voltarono a guardare.
Nolan
ne approfittò per colpire Eric alla testa con
l’impugnatura della pistola. Quello precipitò
subito a terra, perdendo i sensi.
“Scusa,
Eric, ma ho un po’ da fare al momento. –
tornò a
guardarsi intorno, vigile – Norman lo so che sei nascosto
dietro ad uno di
questi alberi. Esci, parliamo un attimo!”
*
Anche
Sam giunse alla casa sul lago, passando accanto
alle macchine dei suoi amici. Stringendo gli occhi per via del vento,
entrò
dentro l’abitazione, chiudendo la porta alle sue spalle.
Riprese fiato,
iniziando a fare caso al silenzio che c’era: sentiva solo il
legno
scricchiolare e qualche finestra che batteva.
Lungo
il corridoio che portava alle scale, Sam camminò
con passi felpati scrutando le stanze aperte. Non c’era anima
viva.
Giunto
davanti agli scalini, iniziò a salire, finchè
all’improvviso qualcuno non aprì la porta
d’ingresso, sbattendola una volta
entrato: era Nolan.
“Oh
mio Dio, Rider!” esclamò Sam, scendendo.
Nolan
si voltò di colpo, con il fiatone, non si
aspettava di vedere Sam: “Ma ci sei anche tu?!”
“Sì,
pensavo fossi in pericolo, Eric mi ha lasciato un
messaggio dicendomi che A ti aveva rapito. – si
avvicinò preoccupato – Stai
bene?”
Nonostante
fosse teso, cercò di non darlo a vedere:
“Ehm, sì, sono riuscito a liberarmi. Hai per caso
visto qualcun altro oltre
me?”
“No,
nessuno. A proposito, Eric dov’è?”
Quello
scosse la testa, mentendo: “Non lo so, non ne ho
idea.”
Improvvisamente,
bussarono alla porta. Sam e Nolan
indietreggiarono, spaventandosi.
“E’
A? – gli sussurrò Sam - Eri fuori con
lui?”
“Ehm,
sì…” mentì nuovamente,
ignaro di chi potesse
essere, se Norman o Eric. Finalmente si udì una voce.
“C’è
qualcuno? Ehi?”
Sam
sgranò gli occhi, correndo alla porta: “Ma questa
è
la voce di Nathaniel!”
Subito
gli aprì la porta, facendolo entrare. Nathaniel
era pronto a dire qualcosa a Sam, non appena vide il suo viso, ma
quando notò
Nolan alle sue spalle, si bloccò e divenne serio.
“Rider,
vedo che stai bene. – si voltò verso Sam - Ho
sentito il messaggio di Eric in segreteria, A è davvero
qui?”
“Non
lo so, Rider dice di sì e io sono spaventato a
morte. – tremava Sam - Hai visto Eric?”
“No,
ma dovrebbe essere arrivato qui prima di noi…”
pensò, lanciando insistenti sguardi su Nolan, che deglutiva
faticosamente.
“Quindi
che facciamo? Ce ne andiamo, chiamiamo la
polizia, cosa facciamo?” domandò nervoso, Sam.
Nathaniel
assunse improvvisamente un tono cinico,
fissando Nolan: “Non possiamo andarcene, dobbiamo prima
salvare Rider.”
Sam
fece subito una smorfia confusa, mentre Nolan si
limitò a fare lo stesso, lasciandosi scappare
un’espressione esilarata:
“Salvarmi? Ma io sono qui, sto bene.”
“Già,
di che stai parlando?” aggiunse Sam.
“Rider,
quanti orologi da taschino possiedi?” gli chiese
secco, Nathaniel, fissandolo morbosamente.
“Scusami?”
replicò quello.
“Ti
sembra il momento, Nat? – lo riprese Sam,
disorientato – Cosa c’entrano gli
orologi?”
“Niente,
dico solo che Rider è una persona che ci tiene
alla puntualità. – lo fissò ancora,
mentre l’altro sudava freddo - E che ha
fatto molti viaggi in inghilterra, dove ha comprato diversi orologi da
taschino…”
“Nathaniel,
io non ti seguo. – Sam era a dir poco basito
- Fuori c’è pazzo psicopatico che vuole ucciderci
e tu pensi ai viaggi a Londra
di Rider?”
“Ne
ho qualcuno, ok? Non mi sembra il momento di metterci
a contarli.” ribattè Nolan, messo alle strette da
quella domanda.
“Ne
hai ventisei di orologi da taschino, chiunque tu
sia. – sorrise cinicamente, sapendo di averlo messo nel sacco
- Rider me l’ha
detto, ma forse tu non lo sai perché A non può
sapere tutto di noi.”
Nolan
a quel punto tirò fuori la pistola che aveva
dietro, infilata nei jeans: “Ok, lo sapevo che prima o poi la
verità sarebbe
venuta fuori.”
Sam
fece un balzò accanto a Nathaniel, sgranando gli
occhi, confuso.
“Ma
che sta succedendo? Rider, che fai?”
“Quello
non è Rider, Sam. – spiegò, fissando
Nolan,
mentre teneva il braccio teso davanti a lui per proteggerlo - Ha finto
di
essere lui, ma non è Rider.”
“Come
hai fatto a scoprirlo? Eppure sono stato bravo a
recitare la parte.”
“Chi
sei, piuttosto?!” gli urlò Sam.
“Si
chiama Nolan e lavora con A. – continuò Nathaniel
–
E’ tutto scritto in un libro che ha in camera sua. Ogni
nostro segreto, ogni
nostra mossa, ogni nostro legame con altre persone…tutto
affinchè potesse avere
gli stessi ricordi di Rider.”
Nolan
continuò a puntare la pistola contro di loro,
cercando di non essere frainteso: “Sentite, non voglio farvi
del male. A mi ha
tagliato fuori dal suo gioco, per questo mi avete scoperto. Ha voluto
che
venissi qui per chiudere i conti con Rider, e invece ha portato qui
anche voi.”
Sam
ancora non capiva: “Chiudere i conti con Rider?”
“Rider
è mio fratello gemello, ma non sapeva che io
esistessi. Dall’età di sette anni sono stato
rinchiuso al Radley, dopo un
incidente.”
“Che
tipo di incidente?” fu il turno di Nathaniel.
“Beh,
tanto per cominciare, io non dovevo essere
internato al Radley. E’ stato un errore. Rider doveva
finirci, ma nessuno mi ha
mai creduto.”
“Di
che cosa stai parlando? – Sam scosse la testa, non
riuscendo a seguirlo – Da quando sei con noi? E
dov’è stato Rider per tutto
questo tempo?”
“A
mi ha aiutato a scappare dal Radley la sera del
ballo. Rider ha preso il mio posto da quel momento, e io il
suo.”
Sam
sentì quasi una sensazione di vuoto e delusione,
abbassando lo sguardo: “Quel giorno, davanti
all’ambulanza, ti ho abbracciato.
Io e Rider avevamo litigato prima del ballo e quando la scuola
è esplosa, ho
pensato che non ce l’avesse fatta. – gli occhi si
fecero lucidi – Pensavo di
aver abbracciato Rider, e invece eri tu. Un perfetto estraneo che
credevo mio
amico.”
Anche
gli occhi di Nolan si gonfiarono di lacrime, quasi
come se fosse mortificato: “Mi dispiace, non volevo prendervi
in giro. Volevo
solo essere libero, godermi finalmente la vita che Rider mi aveva
rubato e
avere una famiglia, degli amici… Forse all’inizio
non mi importava di voi, ma
dopo quello che abbiamo passato insieme…” si
mostrò realmente commosso, la
pistola che tremava fra le sue mani.
“Non
so cosa sia successo nella vostra famiglia in
passato. – replicò Nathaniel - Insomma, avrai le
tue buone ragioni per essere
qui, ma come puoi vedere…la vita di Rider fa schifo quanto
la tua in quel
manicomio, se non peggio.”
“Quello
che voglio ora, è parlare con mio fratello e mio
padre. – una lacrima gli scese lungo il viso, disperato
– Non posso perdere
questa occasione, non so per quanto ancora resterò
libero.”
“Dov’è
Rider?” chiese Sam.
“Credo
che sia al piano di sopra. – con la pistola fece
loro cenno di salire – Liberatelo, non siamo soli qui
intorno…”
“Che
vuoi dire? – domandò Sam – Parli di
A?”
“Credi
davvero che lui sia qui? E’ nella sua tana che si
gode lo spettacolo, ovviamente. – ribattè Nolan,
disprezzandolo esattamente
come loro – Si tratta di Norman, un altro paziente con cui ho
fatto amicizia al
Radley. E’ pericoloso!”
“Aspetta,
il tizio di cui parlavano ai notiziari
stamattina?” chiese conferma Nathaniel, ricordando.
“Esatto,
è qui intorno e mi sta cercando con una
pistola. Dovevamo fuggire insieme dal Radley, poi ho conosciuto A e mi
sono
distaccato da lui. – mostrò un espressione
preoccupata – Vedete, lui è
ossessionato dalle amicizie, vuole fare parte di qualcosa, essere
amato. In me
ha visto un traditore dopo aver scoperto che io ero fuggito,
perciò…”
Sam,
a quel punto, decise di cogliere la palla al balzo:
“Tu non sai chi è A, vero?”
“No,
lui non si fida di nessuno. Sono stato solo una
pedina, ha sfruttato il mio rancore e al mio desiderio di vendetta.
– fece un
nuovo cenno con la pistola – Forza, salite!”
E
quelli camminarono velocemente fino alle scale, mentre
quello li teneva sotto tiro. Improvvisamente, un tuono fortissimo
investì la
zona, creando un boato: la corrente saltò
all’istante.
Approfittando
dell’oscurità, Sam e Nathaniel corsero al
piano di sopra e si chiusero dentro una delle stanze. Quando si
voltarono,
Rider era proprio lì come nella foto, che faceva dei versi
con la bocca.
“Oh
mio Dio, Rider…” si avvicinò a lui,
pronto a
liberarlo dal nastro adesivo e le corde.
Nathaniel,
però, lo fermò: “Aspetta, aiutami a
bloccare
la porta prima. – indicò con lo sguardo un armadio
lì accanto – Ecco, spostiamo
questo armadio, presto!”
E
i due lo spinsero fin davanti alla porta, cercando di
non permettere a Nolan di raggiungerli.
Dopo,
nonostante l’affanno, Nathaniel e Sam liberarono
l’amico.
“Finalmente,
è tutto il giorno che sono bloccato qui. –
si alzò in piedi, alla loro altezza – Ragazzi,
sono così contento di vedervi.”
Sam
restò a fissarlo per qualche secondo, poi lo
abbracciò di getto, emozionato: “Rider non riesco
ancora a crederci che non eri
tu…”
Rider
sgranò gli occhi, per poi abbandonarsi a
quell’abbraccio che desiderava da quando era stato rinchiuso:
“Non so cosa vi
abbia fatto Nolan assieme ad A durante tutto questo tempo, ma mi
dispiace
profondamente. – si staccò da lui, accertandosi
delle loro condizioni – State
bene?”
Fu
Nathaniel a prendere parola: “Nolan non ci ha fatto
nulla, a parte fingersi te, ma A…” e
abbassò lo sguardo, senza riuscire a
finire.
Rider
si voltò a guardare Sam, che tratteneva le lacrime
a stento: “Sam, che è successo?”
“A
ha ucciso Edward e ci ha fatto seppelire il suo corpo
nel bosco. A pezzi… - spiegò piangendo
– Non so nemmeno se riuscirei a trovare
le parole per descrivere quella notte, tu non ne hai idea.”
“Lo
so, anch’io avevo un incubo tutto mio. – gli mise
una mano sulla spalla, commosso - Non potevo nemmeno comunicare con
voi, mi
sono risvegliato in quella stanza e avevo i polsi e le caviglie
bloccate da
cinturini…”
“Ragazzi,
lo so che abbiamo passato l’inferno, ma
dobbiamo andarcene da qui!” suggerì Nathaniel.
Quelli
annuirono, mentre Rider si avvicinava alla
finestra: “Dobbiamo per forza uscire da qui, ho sentito che
eravate al piano di
sotto con mio fratello e che ha una pistola.”
“Credimi,
ho già fatto parecchia esprienza nel calarmi
da una finestra oggi, muoviamoci!” esclamò
Nathaniel, avvicinandosi a lui con
Sam.
Quando
furono tutti e tre davanti alla finestra, videro
qualcuno di sotto. Quello alzò la testa e anche una pistola.
Rider, reattivo,
spinse subito i suoi amici a terra: due spari mandarono in frantumi la
finestra. I tre precipitarono a terra con addosso i vetri.
“Nooolaan???
Sei
tuu-u??” urlò malamente, Norman.
Quelli,
doloranti per la caduta, restarono distesi a
terra, impauriti.
“Non
so se lo sapevate, ma c’è un altro pazzo qui.
–
spiegò Rider in un sussurro – Si chiama
Norman!”
“Sì,
Nolan ce lo stava dicendo...” ribattè Nathaniel.
“E
adesso che facciamo? – si chiese Sam – Nolan
è dentro
e quell’altro è fuori. Siamo bloccati.”
“Eric
dov’è? – Rider si ricordò di
lui – Perché non è
con voi?”
“E’
venuto qui prima di noi, ma non l’abbiamo
visto…”
spiegò Sam, spaventato.
I
tre rimasero in silenzio, fissando il soffitto,
tremando.
“Sarà
andato via?” chiese Sam.
Rider
si sollevò in piedi, parlando piano: “Dobbiamo
andarcene, provate a chiamare Eric.”
Nathaniel
prese il telefono, mentre quello si avvicinava
cauto alla finestra: “Ora provo a chiamarlo.”
“Rider
sta attento…” gli suggerì Sam.
“…Non
vedo nessuno, forse è entrato in casa.”
ribattè
quello, nascosto dietro la tenda a guardare fuori.
*
Il
telefono di Eric vibrava sul terreno, scivolato fuori
dalla sua tasca poco dopo essere stato aggredito. Rimasto incosciente
per
diverso tempo, Eric si stava finalmente risvegliando.
Dopo
aver aperto gli occhi, cercò di risollevarsi in
piedi, la testa dolorante e il sangue che gli usciva dalla ferita che
aveva
sulla fronte. Eric se la toccò, per poi osservare il sangue
sulle dita.
Immediatamente cercò il suo telefono, ritrovandolo a terra,
con una chiamata
persa da parte di Nathaniel.
Per
circa qualche secondo, cercò di riordinare le idee e
capire cosa fosse successo; Rider l’aveva aggredito e non
capiva il perché di
tale comportamento.
Provando
a richiamare Nathaniel, poi, qualcuno lo prese
alle spalle, chiudendogli la bocca con la mano e facendogli cadere il
telefono
dalle mani: era Richard.
“Shhh,
non fare un fiato…” gli sussurrò.
Eric
aveva gli occhi sgranati dal terrore, non riuscendo
a capire chi avesse alle spalle. Richard lo voltò verso di
sé, togliendoli la
mano dalla bocca.
“Ma
lei è il padre di Rider.”
“E
tu devi essere un suo amico, giusto?”
“Sì,
ma che ci fa lei qui?”
“Potrei
farti la stessa domanda, ho seguito fin qui uno
dei tuoi amici.”
Eric
si trovò subito in difficoltà, non poteva
rivelare
la verità:
“Ehm…Noi…”
“Vi
ha attirato qualcuno qui? – azzardò –
Sapete di
Nolan?”
“Nolan?
– Eric non capì – Chi è
Nolan?”
“Chi
ti ha colpito alla testa?” notò la sua ferita.
“Ehm…In
verità…”
“E’
stato Rider, vero? O almeno, credi…Giusto?”
L’altro
ritraette il collo, confuso: “Come fa a
saperlo?”
“Il
ragazzo che ti ha colpito non è Rider… -
rivelò,
guardandosi attorno – E’ suo fratello Nolan e
dobbiamo trovarlo prima che trovi
Rider!”
“Rider
ha un fratello? – sgranò gli occhi, incredulo
–
Ma come…???”
Richard
lo prese per le spalle: “Ascolta, qui intorno
c’è
un ragazzo pericoloso fuggito dal Radley di nome Norman. Ha una pistola
ed è
con mio figlio.”
“Parla
del tizio di cui parlavano stamattina al
notiziario?”
“Sì…Anche
Nolan è un paziente del Radley, ecco perché
non sapete della sua esistenza. Nemmeno Rider lo sa.”
“Crede
che Nolan voglia fare del male a Rider?”
“Non
lo so, ma dobbiamo trovare Rider. Se ti ha colpito,
significa che lo sta cercando.”
“Io
credo che stia cercando Norman, invece. Prima che mi
colpisse alla testa, gridava il nome di Norman. Lo stava
cercando.”
“Ascolta,
chiama la polizia. Io cerco mio figlio, hai
idea di dove possa essere?”
“E’
dentro casa, ma non mi chieda come lo so.”
L’altro
titubò, non facendo domande come richiesto:
“Ehm, d’accordo…Nasconditi, figliolo.
Non farti trovare, ok?” e iniziò ad
allontanarsi.
“Va
bene, Signor Stuart. – annuì - Stia
attento!” e come
da richiesto, prese il telefono per chiamare la polizia.
Ormai
Eric aveva compreso il pericolo e che A li aveva
attirati in una trappola.
*
Intanto,
alla casa, Rider si stava calando dalla
finestra, osservato dai suoi amici, che tenevano lo sguardo vigile,
sperando
che Norman non si facesse vivo.
“Rider
fai attenzione…” gli raccomandò Sam,
mentre
quello era attaccato al ***.
Improvvisamente
Norman comparì nuovamente, con la
pistola puntata su Rider.
“Rider
stai attento! – gli urlò Nathaniel, vedendolo -
””!”””222
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Capitolo 16 *** 1x15-Il lungo sonno (Parte II) ***
CAPITOLO QUINDICI
“We’re
A Family Now (Part
II)”
Mentre Alexis
era in bagno a farsi una doccia, Eric era
seduto sul divano a fare zapping in televisione, mentre sulle ginocchia
aveva
aperto il libro di storia. Ogni tanto si voltava in direzione del bagno
ad
ascoltare il rumore dell’acqua che scendeva dalla doccia; era
troppo pensieroso
per riuscire a concentrarsi sullo studio.
Improvvisamente,
sul tavolino di fronte a lui, il suo
telefono iniziò a vibrare. Eric lo recuperò
subito.
“Sembra
che uno dei bugiardi non sia voluto restare a casa, nonostante la
tempesta.
Peccato.”
-A
Eric
sgranò gli occhi, sobbalzando dal divano dopo aver
visto anche la foto di Rider legato ad una sedia in allegato.
Immediatamente
si voltò a fissare la porta del bagno:
Alexis era ancora sotto la doccia. A quel punto doveva uscire, avvisare
i suoi
amici senza perdere tempo, perciò prese un pezzo di carta e
scrisse due righe.
“Ho
dimenticato le
uova, esco a prenderle.”
Lasciò
il foglietto sul tavolino e prese il cappotto in
fretta e furia, uscendo. Per le scale, provò a chiamare
Nathaniel o Sam, ma ad
entrambi c’era la segreteria.
“Nat,
appena ascolti il messaggio, chiama Sam e venite
alla casa sul lago. A ha preso
Rider, sto andando lì ma non idea di cosa fare. Ti prego,
fate presto.”
*
Nel frattempo,
Nathaniel e Sam avevano appena
parcheggiato davanti a casa di Rider, fissando l’abitazione.
Nathaniel scese
dalla macchina, facendo il giro. Sam abbassò il finestrino:
il vento era
fortissimo.
“Non
c’è nemmeno una macchina. –
notò Nathaniel - E’
possibile che non ci sia nessuno in casa?”
Sam
inclinò la testa per vedere meglio, visto che il
corpo di Nathaniel copriva la sua visuale: “Non vedo luci
accese…”
“Se
Rider non c’è, dovrò arrampicarmi fino
alla sua
finestra.” spiegò, rabbrividendo per il freddo.
“Perché
pensi che A
abbia messo qualcosa di compromettente proprio nella camera
di Rider e non
in una delle nostre?”
“Un
presentimento.”
“Cioè?”
restò un attimo perplesso da quella risposta
poco esaustiva.
“Non
lo so, non abbiamo molto tempo per frugare in tutte
le nostre stanze e non possiamo comunicare tra noi per telefono
perché la
polizia scoprirebbe che sappiamo del mandato. E poi non è
detto che A abbia messo qualcosa,
magari qualcosa
di compromettente c’è già. Rider
potrebbe aver conservato qualcosa, non so.”
“Ok,
allora io che faccio? Scendo con te?”
“No,
fai il palo. – poi indicò verso i sedili
posteriori
dell’auto – Mi passi lo zainetto che
c’è lì dietro?”
Quello
eseguì, facendo una smorfia confusa: “A che ti
serve?”
“Non
so, potrei trovare degli abiti insanguinati, una
scarpa, una testa. – spiegò, isterico per il vento
che lo stava investendo – Mi
serve lo zaino, tu resta qui. E chiamami se arriva qualcuno.”
“Ok,
ora accendo il telefono, fa presto…” gli
raccomandò, guardandolo allontanarsi, con apprensione.
Quando Sam
alzò lo sguardo al cielo, si vedevano dei
bagliori tra le nuvole. Spaventato dai tuoni che stavano per arrivare,
rialzò
il finestrino, restando in allerta.
Intanto
Nathaniel era sul retro dell’abitazione, davanti
ad un traliccio in legno. Con una presa ben salda, iniziò ad
arrampicarsi, ma
un improvviso tuono lo bloccò a metà strada,
facendogli stringere la presa
ancora di più. Dopo aver riaperto gli occhi ed essersi fatto
coraggio, giunse
davanti alla ringhiera della finestra.
Passando dal
piccolo spazio che era riuscito ad ottenere
con fatica, visto che si trattava di una finestra ad apertura
verticale, caddè
sul pavimento. Subito si risollevò e accese una lampada. Poi
si guardò attorno,
cercando di capire dove iniziare a cercare.
Fu dai cassetti
dei comodini ai lati del letto che
cominciò, scrutandoli attentamente. Dopo qualche minuto,
sembrò aver trovato
qualcosa nel terzo cassetto: una ricevuta. Quando vide la data di
emissione,
capì immediatamente che si trattava della ricevuta
dell’officina dove Rider
aveva portato ad aggiustare il parabrezza rotto da Albert, quando fu
investito.
“Ma
l’ha tenuta? – sgranò gli occhi
– E’ impazzito?”
Subito la mise
nello zaino, continuando a frugare negli
altri cassetti. Trovò nuovamente qualcos’altro: un
tablet, che riconobbe.
“Ma
questo è il tablet che abbiamo rubato dal
laboratorio del dipartimento di ingegneria elettronica… -
sopra c’era attaccato
un post it, che lesse – Controllare
posizione sospetta nel bosco dopo il ponte…”
Nathaniel fece
una faccia stranita, molto perplesso: “Ma
questa è la scrittura di Rider, perché non ci ha
detto nulla di questa
posizione sospetta? – pensò, per poi fare una
supposizione – E se questo bosco
dopo il ponte fosse…”
Pieno di dubbi,
chiuse i cassetti e si alzò in piedi, ma
nel momento in cui indietreggiò di qualche passo,
inciampò in alcuni libri e
quaderni caduti dal letto. D’istinto, li raccolse per
metterli sul letto, e
senza accorgersene aveva aperto uno dei quaderni, richiudendolo subito.
Dopo
averli poggiati sul letto, era pronto ad uscire, ma stranamente
tornò indietro,
riaprendo quello stesso quaderno, scrutandone la scrittura.
Sbattendo gli
occhi perplesso, Nathaniel recuperò il
post-it dallo zaino e confrontò le scritture.
“Non
è possibile… - notò delle sostanziali
differenze su
alcune lettere, per poi aprire il quaderno alla prima pagina
– Ma qui la
scrittura cambia nuovamente, non capisco…”
Confuso dal
fatto che le prime pagine del quaderno
avessero una scrittura diversa dalle pagine più recenti,
restò lì imbambolato a
cercare di comprendere tale mistero. Finchè,
improvvisamente, non si focalizzò
su uno dei libri che aveva raccolto da terra assieme ai quaderni.
“La donna con
l’impermeabile rosso…” lesse
il titolo, recuperandolo.
Incuriosito lo
aprì, ma quella curiosità si trasformò
immediatamente in un’agghiacciante sorpresa: le pagine erano
scritte a mano.
“Ma
che diavolo…??? – sussurrò, iniziando a
leggere – Cose da sapere su
Nathaniel Blake:
Recentemente ha fatto delle analisi e ha scoperto che gli ho fatto
assumere
delle pillole per il cambio di sesso. Suo cugino Tyler lavora in
ospedale, sua
zia Courtney l’ha accompagnato. – poi
lesse ancora – Cose da sapere su
Sam Havery: La madre di Sam è morta, suo padre è
un
poliziotto e lavora al distretto di polizia di Rosewood. Attualmente fa
delle
sedute di psicoterapia con il Dottor Wesam Grimes. E’
innamorato di Nathaniel.”
A quel punto,
Nathaniel alzò gli occhi dal libro: stava
iniziando a capire qualcosa che aveva dell’inspiegabile.
Intanto, Sam era
ancora in macchina che aspettava il
ritorno di Nathaniel. Era così distratto a fissare
l’abitazione per vederlo
spuntare fuori, che per un pelo non si accorse della macchina che stava
arrivando da dietro. Sobbalzando sul sedile, premette il clacson per
tre volte
consecutive, per poi scivolare lungo il sedile per non farsi vedere. [Nathaniel sentì il suono del clacson in
quel preciso istante, allarmandosi] La macchina aveva appena
parcheggiato
dall’altro lato della strada: era Richard Stuart.
Quando scese
dalla macchina, però, il Signor Stuart
puntò la sua auto, insospettito. Sam, con la coda
dell’occhio, lo vide
avvicinarsi e iniziò a respirare in maniera ansiosa.
A quel punto non
potè più far finta di nascondersi,
mentre quello bussava al suo finestrino.
Sam lo
abbassò, forzando un sorriso: “Ehm,
salve…”
“Posso
chiederti perché ti stavi nascondendo? Ti ho
visto, sai?”
“Mi
erano cadute le chiavi, perciò ho fatto un po’
fatica a recuperarle…” spiegò, mentre
quello lo fissava stranito.
“Scusa,
ma chi sei? Conosco tutti i miei vicini e non…”
“Ehm,
a dir la verità, sono un amico di Rider, Signor
Stuart…”
L’altro
abbandonò subito la sua espressione sospettosa,
sorridendo: “Oh, sei un amico di Rider. Dovevo
immaginarlo.”
“Lo
stavo aspettando, ho visto le luci spente e quindi
ho pensato che a quest’ora dovrebbe tornare da un momento
all’altro. – buttava
in continuazione uno sguardo alle spalle dell’uomo, sperando
di vedere
Nathaniel – Sa, mi servono degli
appunti…”
“Anche
tu alla Northdale?”
“No!
Cioè, sì! – si contraddì,
preso dall’agitazione -
Anch’io sono stato assegnato alla Northdale.”
concluse teso, sudando freddo.
“Capisco…
- annuì poco convinto – Beh, cercavo
anch’io
mio figlio. Se dovessi vederlo, digli di tornare a casa.”
“Ma
certo, sicuramente.”
“Ok,
buona serata. Grazie.” finì, allontandosi.
“Anche
a lei! – urlò, per poi chiedersi dove fosse
l’amico – Dannazione, Nat, dove sei?”
Quando
controllò l’orario sul telefono, si accorse di
avere un messaggio in segreteria e subito lo ascoltò.
“Sam,
ti prego
richiamami o raggiungimi alla casa sul lago. Nemmeno Nathaniel
risponde, dove
siete? A ha preso Rider, sto
andando
lì ma non idea di cosa fare. Fate presto!”
“Oh
mio Dio… - sgranò gli occhi, per poi trovare
anche
la foto di Rider in allegato ad un messaggio lasciato sempre da Eric
– Oh
cavolo!”
Quando si
voltò sulla strada, il Signor Stuart non c’era
più. E di Nathaniel non c’era l’ombra.
Combattuto,
prese una decisione, mordendosi le labbra:
“Nat, perdonami…” e accese la macchina,
partendo a tavoletta.
Qualche secondo
più tardi, Richard si sollevò lungo il
sedile: non era mai rientrato in casa. Anch’egli accese
l’auto, seguendo Sam.
Nathaniel,
intanto, si era appena calato dalla finestra
della stanza di Rider, toccando finalmente terra. Quando
tornò sulla strada,
Sam e la macchina erano spariti.
*
Alla casa sul
lago, Eric era appena arrivato sul posto,
notando la macchina di Rider parcheggiata di fronte alla sua.
Guardandosi
attorno, in allerta, arrivò alla porta,
pronto ad entrare. Improvvisamente, un urlo nel bosco lo
fermò dal farlo.
“Ma
questa è la voce di…” e senza stare a
pensarci,
corse subito in direzione del grido che aveva sentito.
Nel frattempo,
colui che aveva urlato era Nolan: aveva
una pistola in mano e la puntava verso ogni direzione, con il fiatone,
fuori di
senno.
“Norman
vieni fuori, lo so che sei qui intorno. Ti ho
visto! – urlò più forte, sgranando gli
occhi ad ogni minimo rumore – NORMAN!”
Ad un certo
punto, alle sue spalle, giunse Eric. Non
l’aveva nemmeno sentito arrivare.
“Rider,
eccoti!” esclamò con il fiatone.
L’altro
si voltò di scatto, puntando l’arma verso di lui
come un pazzo. Eric alzò le mani, spalancando gli occhi.
“Ehi
ehi, sono io! Abbassa quel coso!”
Nolan si diede
un contegno, abbassandola subito: “Scusa,
pensavo che fosse qualcun altro. Tu che ci fai qui?”
“Pensavi
che fossi A?
– si girò a guardare in tutte le direzioni
– E’ qui intorno?”
La sua presenza,
però, sollevò un dubbio in Nolan: “Ehm,
per caso A ha mandato anche a te
quella foto di me?”
“Sì,
mi sono spaventato tantissimo. Fortuna che sei
riuscito a liberarti e a prendere la sua pistola.”
A quel punto,
Nolan capì di essere stato ingannato da A,
ora che la sua situazione era diventata troppo problematica
per lui.
“Bastardo…”
disse fra sé e sé.
“Hai
detto qualcosa?”
“Forse
è meglio andare via, c’è troppo vento
qui, è
pericoloso!” propose, camminando per tornare indietro.
Eric,
però, lo fermò per il petto: “Un
secondo, aspetta.
Ti ho sentito urlare un nome…Norman, credo. Chi è
Norman?”
In quel momento,
Nolan non seppe come spiegare la cosa,
sudando freddo. All’improvviso, si sentì il rumore
di un ramo spezzarsi, nelle
vicinanze, ed entrambi si voltarono a guardare.
Nolan ne
approfittò per colpire Eric alla testa con
l’impugnatura della pistola, ora che era voltato
dall’altra parte. Quello
precipitò subito a terra, perdendo i sensi.
“Scusa,
Eric, ma ho un po’ da fare al momento. –
tornò a
guardarsi intorno, vigile – Norman lo so che sei nascosto
dietro ad uno di
questi alberi. Esci, parliamo un attimo!”
*
Anche Sam giunse
alla casa sul lago, poco dopo, passando
accanto alle macchine dei suoi amici. Stringendo gli occhi per via del
vento,
entrò dentro l’abitazione, chiudendo la porta alle
sue spalle con fatica.
Quando riprese
fiato, iniziò a fare caso al silenzio che
c’era: sentiva solo il legno scricchiolare e qualche finestra
che batteva. Lungo
il corridoio che portava alle scale, Sam camminò con passi
felpati, scrutando
le stanze aperte: non c’era anima viva.
Giunto davanti
agli scalini, iniziò a salire, finchè
all’improvviso
qualcuno non aprì la porta d’ingresso, sbattendola
una volta entrato: era
Nolan.
“Oh
mio Dio, Rider!” esclamò Sam non appena lo
riconobbe,
scendendo subito.
Nolan si
voltò di colpo, con il fiatone, non si
aspettava di vedere Sam: “Ma ci sei anche tu?!”
“Sì,
pensavo fossi in pericolo, Eric mi ha lasciato un
messaggio dicendomi che A ti aveva
rapito. – si avvicinò preoccupato – Stai
bene?”
Nonostante fosse
teso, cercò di non darlo a vedere:
“Ehm, sì, sono riuscito a liberarmi. Hai per caso
visto qualcun altro oltre
me?”
“No,
nessuno… – si accorse che era solo - A proposito,
Eric dov’è?”
Quello scosse la
testa, mentendo: “Non lo so, non ne ho
idea.”
Improvvisamente,
bussarono alla porta. Sam e Nolan
indietreggiarono, spaventandosi.
“E’ A? – gli
sussurrò Sam, il cuore in fibrillazione - Eri fuori con
lui?”
“Ehm,
sì…” mentì nuovamente,
ignaro di chi potesse
essere: se Norman o Eric. Finalmente si udì una voce.
“C’è
qualcuno? Ehi?”
Sam
sgranò gli occhi, correndo alla porta: “Ma questa
è
la voce di Nathaniel!”
Immediatamente
gli aprì la porta, facendolo entrare.
Nathaniel era pronto a dire qualcosa a Sam, non appena vide il suo
viso, ma
quando notò Nolan alle sue spalle, si bloccò e
divenne serio.
“Rider,
vedo che stai bene… - gli disse, per poi voltarsi
verso Sam - Ho sentito il messaggio di Eric in segreteria, A è davvero qui?”
“Non
lo so, Rider dice di sì e io sono spaventato a
morte. – tremava Sam - Hai visto Eric?”
“No,
ma dovrebbe essere arrivato qui prima di noi, c’è
la sua macchina…” pensò, lanciando
insistenti sguardi fulminei su Nolan, che
deglutiva faticosamente.
“Quindi
che facciamo? Ce ne andiamo, chiamiamo la
polizia, cosa facciamo??” domandò nervoso, Sam.
Nathaniel
assunse improvvisamente un tono cupo, fissando
Nolan: “Non possiamo andarcene, dobbiamo prima salvare
Rider.”
Sam fece subito
una smorfia confusa. Nolan, invece, si
limitò a fare lo stesso, lasciandosi scappare pure
un’espressione esilarata:
“Salvarmi? Ma io sono qui, sto bene.”
“Già,
di che stai parlando?” aggiunse Sam.
“Rider,
quanti orologi da taschino possiedi?” gli chiese
Nathaniel in maniera secca, fissandolo morbosamente.
“Scusami?”
replicò quello.
“Ti
sembra il momento, Nat? – lo riprese Sam,
disorientato – Cosa c’entrano gli
orologi?”
“Niente,
dico solo che Rider è una persona che ci tiene
alla puntualità. – lo fissò ancora,
mentre l’altro sudava freddo - E che ha
fatto molti viaggi in Inghilterra, dove ha comprato diversi orologi da
taschino…”
“Nathaniel,
io non ti seguo. – Sam era a dir poco basito
- Fuori c’è pazzo psicopatico che vuole ucciderci
e tu pensi ai viaggi in
Inghilterra di Rider?”
“Ne ho
qualcuno, ok? - ribattè Nolan, messo alle strette
da quella domanda - Non mi sembra il momento di metterci a
contarli.”
“Ne
hai ventisei di orologi da taschino, chiunque tu
sia. – sorrise cinicamente, sapendo di averlo messo nel sacco
- Rider me l’ha
detto una volta, ma forse tu non lo sai perché A non può sapere tutto di noi
quattro.”
Nolan a quel
punto tirò fuori la pistola che aveva
dietro, infilata nei jeans: “Ok, lo sapevo che prima o poi la
verità sarebbe
venuta fuori.”
Sam fece un
balzò accanto a Nathaniel, sgranando gli
occhi, confuso.
“Ma
che sta succedendo qui? Rider, che fai?”
“Quello
non è Rider, Sam. – spiegò, fissando
Nolan,
mentre teneva il braccio teso davanti a Sam per proteggerlo - Ha finto
di
essere lui, ma non è Rider.”
“Come
hai fatto a scoprirlo? – Nolan ne era curioso - Eppure
sono stato bravo a recitare la parte.”
“Chi
sei, piuttosto?!” gli urlò Sam.
“Si
chiama Nolan e lavora con A.
– continuò Nathaniel – E’
tutto scritto in un libro che ha in
camera sua…Anzi, in camera di Rider! Ogni nostro segreto,
ogni nostra mossa,
ogni nostro legame con altre persone…tutto
affinchè potesse avere gli stessi
ricordi di Rider.”
Nolan
continuò a puntare la pistola contro di loro,
cercando di non essere frainteso: “Sentite, non voglio farvi
del male. A mi ha tagliato fuori
dal suo gioco,
per questo mi avete scoperto. Ha voluto che venissi qui per chiudere i
conti
con Rider, e invece ha portato qui anche voi.”
Sam ancora non
capiva: “Chiudere i conti con Rider?”
“Rider
è mio fratello gemello, ma non sapeva che io
esistessi. Dall’età di sette anni sono stato
rinchiuso al Radley… dopo un
incidente, per l’esattezza.”
“Che
tipo di incidente?” fu il turno di Nathaniel.
“Beh,
tanto per cominciare, io non dovevo essere
internato al Radley. E’ stato un errore. Rider doveva
finirci, ma nessuno mi ha
mai creduto.”
“Di
che cosa stai parlando? – Sam scosse la testa, non
riuscendo a seguirlo – Da quanto sei con noi? E
dov’è stato Rider per tutto
questo tempo?”
“A mi ha
aiutato a scappare dal Radley la sera del ballo. Rider ha preso il mio
posto da
quel momento, e io il suo.”
Sam
sentì quasi una sensazione di vuoto e amarezza,
abbassando lo sguardo: “Quel giorno, davanti
all’ambulanza, ti ho abbracciato.
Io e Rider avevamo litigato prima del ballo e quando la scuola
è esplosa, ho
pensato che non ce l’avesse fatta. – gli occhi si
fecero lucidi – Pensavo di
aver abbracciato Rider, e invece eri tu: un perfetto estraneo che
credevo fosse
il mio migliore amico.”
Anche gli occhi
di Nolan si gonfiarono di lacrime, quasi
come se si sentisse in colpa: “Mi dispiace, non volevo
prendervi in giro.
Volevo solo essere libero, godermi finalmente la vita che Rider mi
aveva rubato
e avere una famiglia, degli amici… Forse
all’inizio non mi importava di voi, ma
dopo quello che abbiamo passato insieme, dopo quella sorpresa a scuola
del
tortino di compleanno…” si mostrò
realmente commosso, la pistola che tremava
fra le sue mani.
“Non
so cosa sia successo nella vostra famiglia in
passato. – replicò Nathaniel - Insomma, avrai le
tue buone ragioni per essere
qui, ma come puoi vedere…la vita di Rider fa schifo quanto
la tua in quel
manicomio, se non peggio.”
“Quello
che voglio ora, è parlare con mio fratello e mio
padre. – una lacrima gli scese lungo il viso, disperato
– Non posso perdere
questa occasione, non so per quanto ancora resterò
libero.”
“Dov’è
Rider?” chiese Sam.
“Credo
che sia al piano di sopra. – con la pistola fece
loro cenno di salire – Liberatelo, non siamo soli qui
intorno…”
“Che
vuoi dire? – domandò Sam – Parli di A?”
“Credi
davvero che lui sia qui? E’ nella sua tana che si
gode lo spettacolo, ovviamente. – ribattè Nolan,
disprezzandolo esattamente
come loro – Si tratta di Norman, un altro paziente con cui ho
fatto amicizia al
Radley. E’ pericoloso!”
“Aspetta,
il tizio di cui parlavano ai notiziari
stamattina?” chiese conferma Nathaniel, ricordando.
“Esatto,
è qui intorno e mi sta cercando con una
pistola. Dovevamo fuggire insieme dal Radley, poi ho conosciuto A e mi sono distaccato da lui.
– mostrò
un espressione preoccupata – Vedete, lui è
ossessionato dalle amicizie, vuole
fare parte di qualcosa, essere amato. In me ha visto un traditore dopo
aver
scoperto che io ero fuggito, perciò…”
Sam, a quel
punto, decise di cogliere la palla al balzo:
“Tu non sai chi è A,
vero?”
“No,
lui non si fida di nessuno. Sono stato solo una
pedina, ha sfruttato il mio rancore e al mio desiderio di vendetta.
– fece un
nuovo cenno con la pistola – Forza, salite!”
E quelli
camminarono velocemente fino alle scale, mentre
quello li teneva sotto tiro. Improvvisamente, un tuono fortissimo
investì la
zona, creando un boato: la corrente saltò
all’istante.
Approfittando
dell’oscurità, Sam e Nathaniel corsero al
piano di sopra e si chiusero dentro una delle stanze. Quando si
voltarono,
Rider era proprio lì come nella foto, che faceva dei versi
con la bocca.
“Oh
mio Dio, Rider…” si avvicinò a lui,
pronto a
liberarlo dal nastro adesivo e le corde.
Nathaniel,
però, lo fermò: “Aspetta, aiutami a
bloccare
la porta prima. – indicò con lo sguardo un armadio
lì accanto – Ecco, spostiamo
questo, presto!”
E i due lo
spinsero fin davanti alla porta, cercando di
non permettere a Nolan di raggiungerli.
Dopo, nonostante
l’affanno, Nathaniel e Sam liberarono
l’amico.
“Finalmente,
è tutto il giorno che sono bloccato qui. –
si alzò in piedi, alla loro altezza – Ragazzi,
sono così contento di vedervi.”
Sam
restò a fissarlo per qualche secondo, poi lo
abbracciò di getto, emozionato: “Rider non riesco
ancora a crederci che non eri
tu…”
Rider
sgranò gli occhi, per poi abbandonarsi a
quell’abbraccio che desiderava da quando era stato rinchiuso:
“Non so cosa vi
abbia fatto Nolan assieme ad A durante
tutto questo tempo, ma mi dispiace profondamente. – si
staccò da lui,
accertandosi delle loro condizioni – State bene?”
Fu Nathaniel a
prendere parola: “Nolan non ci ha fatto
nulla, a parte fingersi te, ma A…”
e
abbassò lo sguardo, senza riuscire a finire.
Rider si
voltò a guardare Sam, che tratteneva le lacrime
a stento: “Sam, che è successo?”
“A ha ucciso
Edward e ci ha fatto seppelire il suo corpo nel bosco. A pezzi. -
spiegò
piangendo – Non so nemmeno se riuscirei a trovare le parole
per descrivere
quella notte, tu non ne hai idea.”
“Lo
so, anch’io avevo un incubo tutto mio. – gli mise
una mano sulla spalla, commosso - Non potevo comunicare con voi, mi
sono
risvegliato in quella stanza chiusa e avevo i polsi e le caviglie
bloccate da
cinturini…”
Sam si mise una
mano davanti alla bocca, sconvolto.
Nathaniel non riusciva nemmeno a guardarlo negli occhi, immaginando la
sua
sofferenza, ma non c’era tempo per piangersi addosso.
“Ragazzi,
lo so che abbiamo passato l’inferno, e mi
dispiace molto, ma dobbiamo andarcene da qui!”
suggerì Nathaniel.
Quelli
annuirono, mentre Rider si avvicinava alla
finestra: “Dobbiamo per forza uscire da qui, ho sentito che
eravate al piano di
sotto con mio fratello e che ha una pistola.”
“Credimi,
ho già fatto parecchia esprienza nel calarmi
da una finestra oggi, muoviamoci!” esclamò
Nathaniel, avvicinandosi alle sue
spalle con Sam.
Quando furono
tutti e tre davanti alla finestra, videro
qualcuno di sotto. Prima che potessero capire chi fosse, quello
alzò la testa e
anche una pistola. Rider, reattivo, spinse subito i suoi amici a terra:
due
spari mandarono in frantumi la finestra. I tre precipitarono a terra
con
addosso una sfilza di vetri.
“Nooolaan???
Sei
tuu-u??” urlò Norman con tono inquietante.
Quelli,
doloranti per la caduta, restarono distesi a
terra, impauriti.
“Non
so se lo sapevate, ma c’è un altro pazzo qui.
–
spiegò Rider in un sussurro – Si chiama
Norman.”
“Sì,
Nolan ce lo stava dicendo...” ribattè Nathaniel.
“E
adesso che facciamo? – chiese Sam – Nolan
è dentro e
quell’altro è fuori: siamo in trappola!”
“Eric
dov’è? – Rider si ricordò di
lui – Perché non è
con voi?”
“E’
venuto qui prima di noi, ma non l’abbiamo
visto…”
spiegò Sam, spaventato.
I tre rimasero
in silenzio, fissando il soffitto,
tremando.
“Sarà
andato via?” pensò Sam.
Rider si
sollevò in piedi, continuando a parlare piano:
“Dobbiamo andarcene, provate a chiamare Eric.”
Nathaniel prese
il telefono, mentre quello si avvicinava
cauto alla finestra: “Ora provo a chiamarlo.”
“Rider
sta attento.” gli suggerì Sam.
“…Non
vedo nessuno, forse è entrato in casa.”
ribattè
quello, nascosto dietro la tenda a guardare fuori.
*
Il telefono di
Eric, intanto, vibrava sul terreno,
scivolato fuori dalla sua tasca poco dopo essere stato aggredito.
Rimasto
incosciente per diverso tempo, Eric si stava finalmente risvegliando.
Dopo aver aperto
gli occhi, cercò di risollevarsi in
piedi, la testa dolorante e il sangue che fuoriusciva dalla ferita che
aveva
sulla fronte. Eric se la toccò, per poi osservare il sangue
sulle dita.
Immediatamente cercò il suo telefono, ritrovandolo a terra,
con una chiamata
persa da parte di Nathaniel.
Per circa
qualche secondo, cercò di riordinare le idee
per capire cosa fosse successo; Rider l’aveva aggredito e non
capiva il perché
di tale comportamento.
Provando a
richiamare Nathaniel, poi, qualcuno lo
sorprese alle spalle, chiudendogli la bocca con la mano e facendogli
cadere il
telefono dalle mani: era Richard.
“Shhh,
non fare un fiato…” gli sussurrò.
Eric aveva gli
occhi sgranati dal terrore, non riuscendo
a capire chi avesse alle spalle. Richard lo voltò verso di
sé, togliendo finalmente
la mano dalla sua bocca.
“Ma
lei è il padre di Rider!”
“E tu
devi essere un suo amico, giusto?”
“Sì,
ma che ci fa lei qui?”
“Potrei
farti la stessa domanda, ho seguito fin qui uno
dei tuoi amici.”
Eric si
trovò subito in difficoltà, non poteva rivelare
la verità:
“Ehm…Noi…”
“Vi ha
attirato qualcuno qui? – azzardò –
Sapete di
Nolan?”
“Nolan?
– Eric non capì – Chi è
Nolan?”
“Chi
ti ha colpito alla testa?” notò la sua ferita.
“Ehm…In
verità…”
“E’
stato Rider, vero? O almeno, credi che sia stato
lui…Giusto?”
L’altro
portò indietro il collo, confuso: “Come fa a
saperlo?”
“Il
ragazzo che ti ha colpito non è Rider… -
rivelò,
guardandosi attorno – E’ suo fratello Nolan e
dobbiamo trovarlo prima che trovi
Rider.”
“Rider
ha un fratello? – sgranò gli occhi, incredulo
–
Ma come…???”
Richard lo prese
per le spalle: “Ascolta, qui intorno
c’è un ragazzo pericoloso di nome Norman fuggito
dal Radley. Ha una pistola ed
è con mio figlio.”
“Parla
del tizio al notiziario?”
“Sì…Anche
Nolan è un paziente del Radley, ecco perché
non sapete della sua esistenza. Nemmeno Rider lo sa.”
“Crede
che Nolan voglia fare del male a Rider?”
“Non
lo so, ma dobbiamo trovare Rider. Se ti ha colpito,
significa che lo sta cercando.”
“Io
credo che stia cercando Norman, invece. Prima che mi
colpisse alla testa, gridava il nome di Norman. Lo stava
cercando.”
“Ascolta,
chiama la polizia. Io cerco mio figlio. Hai
idea di dove possa essere?”
“E’
dentro casa, ma non mi chieda come lo so.”
L’altro
titubò, non facendo domande come richiesto:
“Ehm, d’accordo…Adesso nasconditi,
figliolo. Non farti trovare, ok?” e iniziò
ad allontanarsi.
“Va
bene, Signor Stuart. – annuì - Stia
attento!” e come
da ordine, prese il telefono per chiamare la polizia.
Ormai Eric aveva
compreso il pericolo: A li aveva
attirati in una trappola.
*
Intanto, alla
casa, Rider si stava calando dalla
finestra, osservato dai suoi amici, che tenevano lo sguardo vigile,
sperando
che Norman non si facesse vivo.
“Rider
fai attenzione…” gli raccomandò Sam,
mentre
quello era attaccato al traliccio. Improvvisamente Norman
comparì nuovamente,
con la pistola puntata su Rider.
“Rider
sta attento! – gli urlò Nathaniel, vedendolo
– Dietro
di te!”
Sfortunatamente,
Rider non fece in tempo a voltarsi che
Norman sparò alla sua gamba. Il ragazzo precipitò
al suolo.
“No,
Rider!” urlò Sam, mentre l’aggressore
puntava la
pistola verso di loro.
Nathaniel,
sgranando gli occhi, tirò subito via Sam. I
colpi di pistola presero vari punti della parete esterna, deviati dal
vento.
Sam era sotto
Nathaniel, che respirava in modo affanoso,
gli occhi spalancati; era imbarazzato, mentre l’altro era
più attento a fissare
l’armadio che bloccava la porta.
Finalmente
Nathaniel abbassò lo sguardo per parlare con
lui: “Sam, non possiamo uscire dalla finestra.”
“Mi
sembra ovvio, ma non possiamo nemmeno lasciare Rider
con quel pazzo.”
I due restarono
bloccati in quella posizione, Nathaniel
ancora sopra Sam, che si fissavano negli occhi, i loro respiri meno
rumorosi ma
ancora in sottofondo.
“Ho
paura ad uscire…” sussurrò Sam, gli
occhi lucidi.
“Vado
prima io, non ti accadrà nulla.” lo
rassicurò,
protettivo nei suoi confronti.
Sam
annuì terrorizzato. Subito si alzarono.
Mentre Nathaniel
spostava l’armadio che bloccava la
porta, cercando di fare il più piano possibile, Sam si
avvicinò all’angolo
della finestra.
“Non
vedo Rider, l’ha portato via…”
notò con la coda
dell’occhio, fuori.
Non appena
Nathaniel si accorse dov’era l’amico, subito
lo richiamò con apprensione: “Sam, vieni
via!”
L’altro
lo raggiunse, in ansia: “Ha preso Nathaniel,
dici che l’ha portato dentro casa?”
“Non
lo so, stai dietro di me. - gli suggerì, pronto ad
aprire la porta – Se dovesse mettersi male, scappa di nuovo
qui dentro e usa
tutta la forza che hai per bloccare nuovamente la porta.”
Deglutì
con fatica, in preda al panico: “Scordatelo, ma
va bene.”
“Sam,
ti prego, non fare il testardo. Io me la posso
cavare.”
“No,
smettila. Avrò anche paura, ma non fuggo davanti al
pericolo. E non abbandono un amico.”
“Ma io
ti sto chiedendo di abbandonarmi, non ti devi preoccupare
per me.”
L’altro
lo fissò per qualche secondo, intuendo la
motivazione di tanta premura: “Senti, se stai cercando di
farti perdonare per
quello che è successo la sera del
ballo…”
Nathaniel lo
fermò immediatamente: “No, non è
assolutamente
per questo che lo sto facendo. – ribadì, incredulo
dal fatto che lo pensasse – Sam,
quella sera ero disperato; la scuola stava per esplodere e non sapevo
cosa fare
per convincerti ad uscire. Ti ho baciato, ma non vuol dire che quel
bacio non
l’abbia sentito anch’io.”
Sam
titubò: “Non capisco…”
“Cosa
c’è da capire? Ti ho appena detto che provo
qualcosa per te, che quella sera non ho usato la tua cotta per farti
fare
qualcosa che volevo tu facessi. Ti ho baciato per disperazione, ma
anche perché
lo volevo.”
“Ti
prego, non mentirmi anche questa volta…” i suoi
occhi divennero lucidi.
“Non
ti sto mentendo. – ribattè sincero - Non ti ho mai
mentito su ciò che provo. Magari prima non riuscivo a
dirtelo perché faticavo a
credere io stesso che mi piacesse un ragazzo. Insomma, prima di tutto
questo
non mi è mai sfiorata l’idea che un ragazzo
potesse piacermi, mentre ora…”
Spiazzato, Sam
non sapeva come prendere la cosa:
“Nathaniel, io…”
“Non
dire niente. – abbassò lo sguardo – Lo
so che ami
Wesam, non ti costringerò a fare una scelta tra me e lui.
Non posso diventare
gay all’improvviso e pretendere che la persona che aveva una
cotta per me si
buttasse di colpo tra le mie braccia. Non lo farei mai. Ma data la
situazione,
sentivo che dovevo dirtelo…Dirti che quella sera era tutto
vero, e che volevo
che vivessi perché ti amo.”
Sam aveva a dir
poco gli occhi gonfi di lacrime e
deglutiva a fatica, fingendo che la cosa non l’avesse
sconbussolato: “…Grazie
per avermelo detto.”
L’altro
annuì, sapendo in cuor suo di non avere più
speranze: “Adesso andiamo, resta dietro di me.”
E quando
Nathaniel si voltò, aprendo la porta, Sam potè
finalmente far trasparire le sue reali emozioni: quelle parole non
l’avevano
lasciato indifferente e avevano appena rimesso tutto in discussione.
I due iniziarono
a percorrere il corridoio buio e
silenzioso, subito dopo.
“Non
si vede nulla, accidenti!” esclamò Nathaniel.
“Aspetta,
prendo il telefono…” disse Sam, recuperandolo.
Finalmente fece
luce, accendendo la torcia.
Sam
puntò la luce verso una direzione: “Ecco fatto,
ecco
le scale!”
“Bene,
muoviamo. Dobbiamo chiamare la polizia.” suggerì
Nathaniel.
Improvvisamente,
però, Sam venne preso alle spalle, un
mano sulla sua bocca: era Norman.
Il telefono
caddè a terra, il ragazzo indietreggiò con
Sam tra le sue mani.
“Sam!”
urlò Nathaniel, voltandosi.
I fulmini che si
scatenavano nel cielo, illuminavano il
corridoio attraverso la finestra. Nathaniel finalmente
riuscì a vedere
qualcosa.
“Ho
trovato due amici di Nolan e Rider, che onore!”
esclamò Norman, tenendo la pistola puntata contro un fianco
di Sam, che urlava
dentro il palmo della sua mano.
Nathaniel mise
le mani in avanti, cercando di farlo
ragionare: “Lascialo andare, noi non c’entriamo
niente.”
“Conosci
il detto L’amico
del mio nemico è mio nemico? ”
Nathaniel in
quel momento, prima che potesse rispondere,
notò Nolan camminare lentamente alle loro spalle. Quello gli
fece segno di non
rivelare la sua presenza.
“Ehm…
- Nathaniel tornò a fissare i due, fingendo di non
aver visto nulla – Non credo che quel detto dica
così, sai?
In un attimo,
tutto si svolse nel giro di pochi secondi:
Norman si accorse di avere qualcuno alle spalle, notando
l’agitazione di
Nathaniel. Poco prima che potesse voltarsi, Nolan si buttò
contro di lui,
mentre Sam riuscì a liberarsi dalla presa e a finire tra le
braccia di
Nathaniel.
“Stai
bene?” domandò quest’ultimo a Sam,
mentre gli
altri due cercavano di strangolarsi a vicenda.
“Sì,
sto bene. – si voltò a guardare quelli - Nolan mi
ha salvato.”
Nathaniel lo
prese per il polso: “Sam, dobbiamo
andarcene!”
L’altro
era in pena per Nolan, non riuscendo a muoversi:
“Ma…”
Improvvisamente,
Norman spinse Nolan a terra e poi si
voltò velocemente con la pistola verso Nathaniel e Sam, in
piedi davanti alle
scale.
“Vediamo
quanto soffre Nolan se uccido uno di voi!”
esclamò, puntando Sam.
Nathaniel si
buttò immediatamente davanti a lui, dando
le spalle. Norman sparò il colpo, che quello prese nella
schiena.
Sam aveva gli
occhi sgranati, così come quelli di
Nathaniel che aveva appena incassato il proiettile. Perdendo i sensi,
caddè
contro Sam, che non riuscì a reggere il suo peso: i due
rotolarono
inevitabilmente fra le scale, giungendo al piano di sotto.
“NOOOO!”
urlò Nolan, risollevandosi con ira e colpendo
Norman in testa con la sua pistola.
Quando quello
perse i sensi, precipitando al suolo,
Nolan scese di corsa le scale, avvicinandosi ai corpi dei suoi amici,
ai piedi
della scalinata. Spostò Nathaniel, arenato sopra al corpo di
Sam: sulla schiena
del ragazzo una chiazza di sangue, dove lo aveva colpito il proiettile;
sangue
che si stava espandendo a vista d’occhio.
Subito
poggiò la pistola a terra, premendo sulla giugulare
di Nathaniel, per sentire il battito: c’era, ma debole.
Controllò anche Sam, e
anche il suo battito era presente; il sangue di Nathaniel gli era
colato
addosso.
Iniziò
a cercare un telefono, frugando nelle loro
tasche, quando improvvisamente sentì un grido soffocato
provenire dal salone.
Voltò il capo, la stanza era proprio alla sua destra: Rider
era lì, legato ad
una sedia, un nastro alla bocca, che lo fissava mentre era accanto ai
suoi
amici.
Nolan si
fermò dal frugare, risollevandosi lentamente,
fissando il fratello come paralizzato; del resto, era la prima volta
che si
incontravano. Rider continuava a spostare lo sguardo tra Nolan e i suoi
amici,
credendoli morti.
Nolan
spezzò il silenzio, inaspettatamente: “Sono
vivi…
- scosse la testa, traumatizzato da ciò che era appena
accaduto - Non sono
stato io, lo giuro...”
Entrambi avevano
gli occhi lucidi. Rider emise un altro
grido, lanciando uno sguardo insistente in direzione dei compagni, come
se
volesse dire al fratello di muoversi, fare qualcosa, chiedere aiuto.
“Si
si, ora chiamo un’ambulanza, non
preoccuparti…”
Ma non ebbe il
tempo di chinarsi a prenderlo dalla tasca
di uno dei due ragazzi, che la porta d’ingresso si
spalancò, lasciando entrare
un vento gelido e qualcuno che Nolan non si aspettava di vedere:
Richard, suo
padre.
I due si
guardarono per diversi secondi, l’uomo sgranò
gli occhi alla vista della scena che si ritrovò davanti.
Nolan, invece, sentiva
il peso di un grande senso di colpa e a malapena riusciva a reggere
quel lungo
sguardo.
Richard
finalmente disse qualcosa: “Nolan, vero?”
L’uomo
fece un passo verso di lui, continuando a buttare
un’occhiata inorridita sui due ragazzi con i vestiti
insanguinati, stesi sul
tappeto.
Quando Nolan si
accorse di quello sguardo, si allontanò
subito da Nathaniel e Sam, affermando la sua innocenza.
“Papà,
non sono stato io. – pianse - Lo giuro, non sono
stato io.”
“Ok,
ma ora devo prendere il telefono e chiamare un
ambulanza. – infilando una mano nella tasca lo
recuperò lentamente, mentre
tendeva un braccio in avanti come a volerlo tenere a bada –
Sta calmo,
figliolo. E’ tutto a posto…”
sudò, mantenendo lo sguardo fisso su di lui.
Mentre chiamava
il 911, con il telefono all’orecchio,
fece un altro passo in avanti e Rider si rivelò a lui,
urlando quanto più
poteva e battendo i piedi sul pavimento.
Richard
voltò il capo, abbassando il telefono:
“Rider!”
esclamò, correndo subito a slegarlo.
Nella foga del
momento, Nolan restò lì in piedi ad
osservare la scena, in disparte: Rider era fu liberato e
abbracciò
immeiatamente suo padre, mentre quello si sincerava delle sue
condizioni con
molta apprensione.
“Stai
bene, figliolo? Eh? – prendeva il suo volto tra le
mani, poi lo abbracciava, più e più volte
– Stai bene?”
L’altro,
che per l’adrenalina in circolo non sentì
dolore nell’alzarsi in piedi, accusò il colpo nel
giro di un attimo, stringendo
subito occhi e denti con sofferenza: “La mia gamba!
– esclamò con affanno,
toccandosela – Mi ha sparato!”
Richard
abbassò lo sguardo, una chiazza di sangue in
corrispondenza della coscia. Immediatamente si voltò verso
Nolan, credendolo
responsabile.
“No,
non mi ha sparato lui. – intervenne Rider con
tempestività – E’ stato Norman, quello
del Radley.”
Nolan
avanzò, mettendo le mani in avanti, mortificato:
“Sentite, mi dispiace. Mi dispiace per tutto. –
soffermò il suo sguardo
soprattutto su Rider, che lo osservava immobile e diffidente
– Non volevo che
successe tutto questo.”
Richard si mise
leggermente davanti a Rider, prendendo
parola con molto distacco nel tono: “Nolan,
dov’è Norman?”
“E’
di sopra, l’ho colpito… - i suoi occhi si
gonfiarono
di lacrime, una gli scese lungo il viso – Papà,
perché mi guardi così? Perché
mi guardi in modo diverso?”
“Hai
ucciso quell’infermiera assieme a Norman o ha fatto
tutto lui? Perché se c’entri qualcosa, la polizia
lo scoprirà. Sarai perso,
Nolan. Non potrò più fare nulla per te.”
Rider
deglutì, prima di prendere parola e sorvolare
questa chiacchierata: “Papà, non
c’è tempo per questo. I miei amici hanno
bisogno di un ambulanza!”
“Ha
ragione, ne hanno bisogno, Papà…”
aggiunse Nolan;
non riusciva quasi a parlare mentre annegava fra le lacrime.
Improvvisamente,
si sentì scricchiolare il legno, Norman
era sulle scale, con la pistola puntata su di loro. Richard
tirò Nolan per un
braccio, avvicinandolo subito a sè.
“Ma
guardatevi, ora siete una famiglia?” disse cinico,
passando sopra Nathaniel e Sam.
I tre lo
fissarono, intimoriti.
“Senti,
puoi scappare se vuoi. – Richard cercò di
proteggere i due figli, avanzando a mani tese – Sei ancora in
tempo per salvare
te stesso, perché hai sparato a due persone e scordarti che
tornerai in quel
manicomio come nulla fosse stavolta.”
“Non
mi interessa, Signor Stuart. La mia vita non ha
senso, non l’ha mai avuta. – puntò lo
sguardo su Nolan – Mi hanno tutti voltato
le spalle, nessuno mi ha mai amato davvero.”
Rider continuava
ad osservare i suoi amici, il sangue
che si espandeva: “Nessuno ti ha mai amato perché
sei malato, sei folle! –
esplose, rabbioso – E ora lasciaci andare, i miei amici
stanno morendo!”
“Non
ci lascerà andare, ha torturato un gruppo di amici
da cui era ossessionato. – raccontò Nolan,
conoscendolo bene - Gli
ha attirati in una casa abbandonata e ha
fatto loro delle cose orribili. Per questo è finito al
Radley!”
“Sì,
li ho torturati… ma a chi interessa questa storia?
– rise, una tono malato – Sto per creare una storia
molto più interessante, qui
dentro!”
Richard
cercò di supplicarlo: “Norman, ti
prego…”
Norman
tornò serio, il volto maligno: “Chiudi la bocca,
paparino, o ti uccido come ho fatto con l’infermiera.
– spostò la mira su di
lui – Ora facciamo un giochino che si chiama
verità!”
“Di
che parli?” domandò l’uomo, tentennando.
“Oh,
avanti, sappiamo entrambi che Rider era allo scuro
di un fratello gemello. Non credi di dover dare lui una
spiegazione?”
Rider, che era
alle spalle del padre, volse lo sguardo
su di lui, intimorito da ciò che avrebbe detto.
Sul momento,
Richard abbassò lo sguardo, sotto
pressione; voleva parlare ma esitava quasi subito.
Norman
pensò di dargli un incentivo, a quel punto,
agitando la pistola.
“Parla!”
urlò, facendoli sobbalzare.
“Ok
ok, sta calmo! – l’uomo alzò le mani,
pronto a fare
ciò che gli era stato chiesto di fare –
Ehm…Rider, figliolo…mi dispiace per
tutte queste bugie. Avrei dovuto raccontare a te e tua sorella di
Nolan. E
avrei dovuto permettere a Nolan di avere una famiglia che lo andasse a
trovare
e che sapesse di lui.”
Entrambi i
ragazzi avevano gli occhi lucidi; non tutte
le risposte erano state date, ma era già dura
così.
“…Lindsey
sa ogni cosa, oggi gliel’ho detto. – fece una
pausa, causata della poca salivazione – Mi dispiace dirvelo
così, ma mia moglie
non è la vostra vera madre.”
Rider
sbarrò gli occhi, non riusciva a concepire le
parole appena uscite dalla bocca di suo padre: era un incubo ad occhi
aperti.
“Cosa?
– sussultò Nolan, anch’essi ignaro
– Non solo ero
un segreto vivente, ma avevi segreti anche con me… - era
devastato – Ecco
perché lei non è venuta mai a trovarmi, non era
la mia vera madre…per lei non
ero nessuno, sono stato con voi solo per sette anni della mia
vita.”
“Ti
voleva bene, credimi. Ma per lei è stata dura accettare
che tu e Rider non foste suoi figli. E che tu
avessi…” non riuscì a completare,
perché riguardava qualcosa del passato di Nolan; un qualcosa
di grave,
irreparabile.
“Forza,
Richard, finisci le frasi… - Norman era
divertito – Stavi per ricordarci del perché Nolan
era stato internato? – ora
puntò la pistola proprio verso Nolan – Avanti,
digli quello che hai detto a me.
Digli perché sei scappato dal Radley e di come volevi
vendicarti
dell’ingiustizia che ti è stata fatta. –
si girò verso Rider – Perché, mio
caro, eri tu a dover finire al Radley, non lui.”
Rider era
confuso, così come Richard: “Di che parla?
–
si voltò a fissare il fratello, che piangeva –
Nolan, di che sta parlando?”
L’altro
finalmente riuscì a cacciare fuori la voce,
incredulo: “Davvero non ricordi niente, Rider? E’
una storia che ho cercato di
raccontare più e più volte, ma nessuno mi ha mai
creduto… L’ho detto molte
volte a nostro padre, ma chi crede a qualcuno che passa tutte le
giornate
chiuso in una stanza senza via d’uscita e che direbbe
qualsiasi cosa per essere
di nuovo libero…”
FLASHBACK,
ESTATE 2004
Una
bambina e un bambino stavano giocando
con la palla in giardino: erano Lindsey e Nolan, davanti alla loro
abitazione.
Era
una giornata d’estate molto assolata e
i due si stavano divertendo da morire, tra risate e lanci buffi.
Improvvisamente,
furono gli irrigatori del giardino a mettere fine ai loro giochi;
l’acqua
schizzava sulla loro pelle, facendoli ridere e scappare qua e
là.
“Deve
averli accesi papà, forse lo stiamo
disturbando mentre scrive.” pensò Lindsey, mentre
riprendeva fiato.
Anche
Nolan si era allontanato, mettendosi
in un punto asciutto: “Ci stavamo divertendo, non
vale… - mise il broncio,
subito illuminato da un’idea – Ehi, aspetta,
giochiamo a nascondino?”
“In
due?”
“No,
con Rider e Lukas. –
suggerì, cercandoli con lo sguardo – Dove
sono?”
Lindsey
si voltò verso l’abitazione di
fronte alla loro, supponendo: “Prima ho visto Rider andare
verso la casa di
Lukas, mentre giocavamo con la palla. – rise - Sta ancora
cercando quello
stupido camion dei pompieri che gli ha nascosto.”
“Non
l’ha ancora trovato?”
“No,
Lukas deve averlo seppellito nel suo
giardino.”
Nolan
lasciò cadere il pallone, un volto
determinato: “Vado ad aiutare Rider. Se continua ad essere
triste, non potremo
mai giocare tutti a nascondino. Lukas deve ridargli il suo camion dei
pompieri.” ed iniziò ad incamminarsi.
“Io
vado da mamma, ha fatto la limonata! –
esclamò quella, saltellando per tutto il giardino - Fai
presto, non fatemi
aspettare troppo.”
Quando
Nolan arrivò a casa dei suoi
vicini, la porta era già aperta; ovviamente
entrò, facendola cigolare: la casa
era silenziosa.
“C’è
nessuno? Signora Davis? – chiamò,
facendo piccoli passi – Lukas? Rider?”
continuò, camminando fino alle scale.
Fu
in quel momento che il silenzio non era
più così silenzioso; si sentiva come il rumure di
un ruscello, quando l’acqua
scorre sui dislivelli o incontra delle pietre su cui si infrange.
Iniziò
così a salire, gradino dopo
gradino, finchè non si accorse che stava cascando
dell’acqua lungo i gradini
che stava salendo: acqua che arrivava dal piano di sopra.
Nolan,
a quel punto, alzò il capo e gridò:
“Rider? Lukas?” e poi corse in fretta, schiacciando
l’acqua.
Essa
proveniva dal bagno, come potè
dedurre, e quando vi entrò, Rider era fermo davanti alla
vasca da bagno,
immobile. Tutto il pavimento era allagato.
Lentamente,
nonostante lo sbigottimento
iniziale, Nolan si avvicinò alle sue spalle:
“Rider, che cos’è successo
qui?”
Quello
rimase girato, non dando alcuna
risposta.
“Rider?
– ritentò, per poi mettergli una mano
sulla spalla – Che hai?”
E
fu allora che mise gli occhi sulla
vasca, notando che nel fondo c’era Lukas con gli occhi chiusi.
Nolan
sgranò gli occhi: “Perché non esce?
Che cosa gli hai fatto?” si voltò a chiedergli.
Rider
aveva un’espressione cupa, assente,
fissava l’acqua come incantato: “Non voleva dirmi
dove ha nascosto il mio
camion… Così io gli ho tolto la sua
aria.”
Agghiacciato,
Nolan lo scosse: “Dagliela!
Ridagli la sua aria!”
Quello
gridò, spingendolo a terra: “No,
finchè non mi da il mio camion!” e poi corse via,
lasciandolo solo.
Nolan
si risollevò con i vestiti bagnati e
fissò l’amico Lukas per qualche secondo, mentre
l’acqua scendeva ancora dai
bordi della vasca e scorreva incessante.
Con
coraggio, mise le mani nella vasca,
cercando di farlo uscire. Improvvisamente, la Signora Davis si
affacciò,
urlando.
“Ma
che succede qui? – avanzò, vedendo il
figlio sommerso – Oh mio Dio, Lukaaas!”
gridò, spingendo via Nolan.
Immediatamente
tirò fuori il bambino dalla
vasca, sdraiandolo a terra. La donna iniziò a fargli il
massaggio cardiaco,
mentre Nolan era lì che tremava ed era spaventato.
Per
diversi secondi, la Signora Davis
continuò a premere sul petto, fissando Nolan con rabbia:
“Perché l’hai fatto? –
urlò a squarciagola, piangendo –
Perché, Nolan? Perché hai fatto questo al mio
bambino?”
L’altro
era come paralizzato, mentre la
donna non smetteva di tentare a rianimare il piccolo Lukas.
“E’
questa la verità, mi dispiace. – Nolan si
voltò
verso Rider – Non so come tu possa averlo dimenticato, ma
è successo questo: sei
stato tu ad affogare Lukas Davis, non io. E ho lasciato il Radley per
questo,
perché non meritavo di restare ancora
lì!”
Rider girava con
lo sguardo, respirava nervosamente;
stava avendo un attacco di panico: “Ma cosa…ma
cosa…Chi è questo Lukas? Chi è?
Io non so… - si mise le mani in testa, gli mancava il fiato
– Papà, che sta
succedendo? Non capisco…”
“Papà,
che cosa gli hai fatto? – gli domandò Nolan,
notando la reale confusione del fratello - Perché non si
ricorda di Lukas?
Perché non sapeva che io esistessi?”
Richard aveva
gli occhi chiusi, mortificato per tutto.
Non riusciva nemmeno a voltarsi a guardarli negli occhi.
“Rider,
avevamo dei vicini. – provò a spiegargli -
Questi nostri vicini avevano un figlio, Lukas. Nolan l’ha
affogato perché non
voleva ridarti un gioco che ti aveva nascosto… - finalmente
si rese conto
dell’errore, una lacrima gli scese lungo il viso - Ma ora, a
quanto pare, non
andò così…Eri stato tu!”
Nolan,
sconvolto, si voltò verso il fratello con la
faccia deformata dall’incredulità:
“E’ questo che hai detto a Papà
quell’estate?
Che l’avevo affogato io perché non ti voleva
ridare il gioco? – lo fissò a
lungo, agghiacciato – E tu questo non lo ricordi?”
Rider era
devastato: “Io non ricordo assolutamente
nulla, te lo giuro. – era disorientato, si
inginocchiò a terra in lacrime – E’
come se ci fosse qualcosa, però, ma non riesco ad arrivarci.
Mi fa male la
testa.”
Divertito,
Norman riprese parola: “Interessante, che
cosa gli hai fatto paparino?”
“Con
Rider e sua sorella ho dovuto andarci giù pesante;
Rider mi disse di aver visto suo fratello affogare il loro amico ed era
traumatizzato, come se non sapesse di essere stato lui. –
spiegò - Lindsey,
invece, era presente il giorno in cui abbiamo portato via Nolan e ha
pianto e urlato
fino ad addormentarsi: entrambi avevano preso parte ad un evento
così tragico,
che offuscare i loro ricordi, confonderli affinchè
pensassero che Nolan non
fosse mai esistito, è stato più facile di quanto
credessi. Mio fratello è
intervenuto, in quel frangente.”
“Zio
Gordon? – disse Rider, riflettendo – Un momento,
lui è uno psicologo…”
“Esatto,
Rider… - confermò Richard – Lui
è uno psicolgo,
e anche molto bravo. Ha fatto tutto ciò che gli ho chiesto
di fare.”
Nolan fissava la
schiena del padre, incapace di credere
a quella storia: “Mi hai detto ogni volta che la mamma e i
miei fratelli mi
salutavano, ma non era vero. Mi hai dato quelle bambole
affinchè sentissi le
vostre voci e vi sentissi parlare delle vostre vite come se io fossi
lì, ma non
avete mai parlato di me. Nemmeno una volta. –
abbassò lo sguardo, le lacrime
asciutte – Solo una volta scappato dal Radley, ho capito
quante bugie mi hai
raccontato, Papà.”
“Io
non ci sto credendo, non è la
verità…” farneticava
Rider, disperato.
“Invece
è questa la verità, fratellino. – gli
urlò Nolan
– Hai affogato tu Lukas, non io. E a quanto pare, non hai
nemmeno ammesso di
essere stato tu, prima di perdere la memoria o qualunque diavoleria ti
abbiano
fatto… - lo fissò con odio per averlo tradito
– Sei tu quello malato, non io. E
questo l’ho sempre saputo.”
Norman
ridacchiò: “Già, Rider. Sei malato come
me.” rise
ancora.
Rider
fissò il ragazzo impietrito, pensando davvero di
essere come lui: “No, non è vero. Non
può essere.”
“E
invece è così, piccolo psicopatico mascherato da
studente modello di buona famiglia. – ribadì
Norman – Magari sapevi la verità
fin dall’inizio e il tuo lato psicopatico sta fingendo una
recita.”
“IO
NON SONO PSICOPATICO COME TEEE! – Rider si alzò in
piedi urlando, la gamba che sanguinava – STA ZITTO! CHIUDI
QUELLA BOCCA!”
“Rider,
sta calmo.” gli suggerì il padre, leggermente
turbato dalla sua furia.
“Calmo,
mi dici? – provò a riprendere fiato –
Dimmi la
verità, quel bambino è morto? – pianse,
iniziando a credere alla storia – Ti
prego, dimmi che non è morto.”
“Non
è morto, sua madre riuscì a rianimarlo,
ma…”
“Ma,
cosa? – ripetè Rider, impaziente –
Dov’è quel
bambino?”
“Il
suo cuore è rimasto fermo per molto, in
definitiva…
ha riportato dei defìcit cognitivi, la sua non è
stata una vita normale da
allora.”
A quella
notizia, Rider si mise le mani nei capelli: “Oh
mio Dio, non è possibile. Non sta accadendo
davvero.”
Finalmente,
anche Richard ebbe un crollo significativo,
scoppiando in lacrime: “Mi dispiace, ragazzi. Io non volevo
che accadesse tutto
questo, mi dispiace. Possiamo essere ancora una famiglia, io vi
proteggerò…”
“Una
famiglia? – ripetè Nolan, allibito – Con
tutti i
segreti che abbiamo? Con tutto ciò che
c’è ancora da chiarire? Perché ce
n’è di
roba da chiarire; come sul fatto che ci hai mentito sulla nostra vera
madre.
Lei chi è?”
Norman
tornò a puntare la pistola su Richard: “Dai,
dacci un altro colpo di scena!”
Rider a pezzi,
vacillava in piedi, lo sguardo perso nel
vuoto, che aspettava l’ennesimo colpo di grazia.
Nel mentre,
Nathaniel aprì gli occhi, debole e
disorientato. Sentiva le voci in maniera distorta, come se fosse
rinchiuso
all’interno di una bolla. Stava perdendo sangue, ma da dove
si trovava,
riusciva a vedere gli altri nella stanza accanto. Vedeva Norman, che
puntava la
pistola contro Richard e Rider.
Subito si
accorse della pistola che c’era vicino alla
mano di Sam, ancora privo di sensi. Con la mano tremante,
provò a recuperarla.
Intanto,
Richard, provava a rispondere: “La vostra madre
biologica è…”
Ma uno sparo lo
interruppe come un fulmine a ciel
sereno. La fronte di Norman sanguinò di colpo lungo il viso,
un proiettile gli
aveva appena attraversato il cranio; con gli occhi sbarrati,
precipitò sul
pavimento privo di vita: era finita.
I tre si
voltarono a guardare Nathaniel, che svenì dopo
aver sparato.
Rider corse
subito in suo soccorso: “Nathaniel! Sam! –
raccolse il telefono – Chiamo il 911, speriamo che non sia
troppo tardi.”
Anche gli altri
due si avvicinarono. Nolan fissò il
corpo di Norman con disagio, passandoci sopra.
“Prima
che la polizia arrivi qui…” iniziò
Richard.
“Papà
non mi interessa, voglio solo salvare i miei amici
adesso.” mise il telefono all’orecchio, il
centralino stava rispondendo.
Nolan, dietro il
padre, era preoccupato per il suo
destino: “Papà, mi riporteranno dentro. Non voglio
tornare lì dentro, sono
innocente! Te l’ho appena detto.”
Richard lo prese
per le spalle: “Figliolo, perdonami dal
profondo del mio cuore per l’errore che ho commesso. Ti
prometto che ti farò
uscire dal Radley, parlerò alla commissione ora che so la
verità. Stavolta non
ti abbandonerò, ma adesso ho le mani legate.”
Quello pianse:
“Non mi stai mentendo, vero?”
“Te lo
giuro, Nolan. Tornerai a casa con me.”
E il ragazzo
annuì, mentre Rider aveva chiuso la
chiamata un istante prima, ascoltando ciò che si erano
detti; il suo sguardo,
ovviamente, era lo sguardo di chi non sapeva più chi fosse,
dopo quel racconto.
E dentro di sé sapeva che se il padre avesse fatto presente
alla commissione
del Radley che Nolan non aveva alcuna colpa di quel passato
così oscuro, di certo
avrebbe preso il suo posto.
In attesa dei
soccorsi, Rider era profondamento
terrorizzato dal futuro che si prospettava all’orizzonte.
*
Più
tardi, quando il vento stava iniziando a dare segni
di resa, la polizia e le ambulanze erano ferme davanti
all’abitazione. Il
coroner entrava e usciva, mentre i paramedici caricavano i feriti,
stesi sulle
barelle.
Chiuse le porte,
Sam riprese conoscenza. Gli occhi si
aprivano ad intermittenza, il cervello cercava di elaborare qualcosa,
finchè
non si svegliò del tutto, di scatto.
“Dove
sono? – urlò, solevandosi – Che
cos’è questo
posto?”
Il paramedico
accanto a lui, cercò di tranquillizzarlo.
“Sei
dentro un’ambulanza, presto saremo in ospedale. Per
favore, sdraiati.”
Tremante, Sam
aveva le pupille dilatate, molto
disorientato. Da lì ad accorgersi della sua maglietta sporca
del sangue di
Nathaniel, fu un attimo: subito perse la testa.
“Di
chi è questo sangue? – si toccò il
petto, nessuna
ferita che gli provocasse dolore – Dove sono i miei
amici?”
“Per
favore, sdraiati.” gli intimò ancora una volta il
paramedico.
Sam ebbe un
attacco di panico, dimendandosi come un
forsennato.
“Voglio
scendere, voglio vedere i miei amici!”
E a quel punto,
l’uomo, date le circostanze, dovette
sedarlo immediatamente. In pochi secondi, Sam si accasciò
nuovamente, dopo aver
urlato anche durante l’iniezione.
*
In ospedale,
più tardi, si prospettava una lunga notte
per tutti quanti, comprese le famiglie. Nathaniel e Rider erano in sala
operatoria, mentre Sam, dopo qualche controllo, fu portato in una
stanza
privata.
Quest’ultimo,
dormì per qualche ora, prima di
svegliarsi. Non appena aprì gli occhi, suo padre stava
tornando dal corridoio
del reparto in cui si trovavano.
Carter gli
sfrecciò accanto, non appena lo vide
cosciente: “Sam, stai bene?”
L’altro
si sollevò con qualche sforzo di troppo,
restando seduto: “Acqua…”
“Sì,
subito figliolo! – riempì un bicchiere –
Tieni,
bevi!”
Quello bevette,
disorientato, per poi poggiare il
bicchiere sul comodino di fianco.
“Dove
sono?”
“Sei
in ospedale, non ricordi? Mi hanno detto che in
ambulanza ti sei svegliato. E anche quando sei arrivato qui.
Sam
sgranò leggermente gli occhi; stava prendendo
coscienza della realtà, finalmente:
“Sì, ora ricordo… - soprattutto
ciò che era
successo alla casa sul lago, voltandosi dall’altra parte
– Ricordo tutto…”
“Il
tuo amico Rider è uscito dalla sala operatoria,
circa un’ora fa. L’intervento è andato
bene, gli hanno rimosso il proiettile
dalla gamba. Tu, invece, hai riportato un leggero trauma cranico,
resterai qui
per qualche giorno.”
Sam fu contento
di sapere che Rider stava bene, ma si
voltò con apprensione per sapere cosa ne era stato
dell’altro amico: “E
Nathaniel?”
“Lui
è ancora in sala operatoria, la sua situazione è
un
po’ diversa.”
“Ma
starà bene? Che dicono i dottori?”
Carter
titubò, non sapendo cosa rispondere: “Io proprio
non lo so, Sam. Sono qui per te, non sono la sua famiglia.”
In ansia, Sam si
voltò nuovamente dall’altra parte,
ignorando il padre.
“E
adesso cosa c’è, Sam? – Carter si
accorse del suo
palese distacco – Com’è possibile che
non sapessi dove diavolo fossi? Come sei
finito in quella casa?”
“Non
ne voglio parlare adesso, ti prego lasciami stare.”
disse sofferente.
L’altro
era amareggiato: “Sembra che io prenda parte
solo ad un quarto della tua vita, Sam. Non capisco che cosa ti stia
succedendo
o come tu resti invischiato in queste faccende.”
“Non
mi succede nulla. – replicò freddo, senza nemmeno
voltarsi a guardarlo – Voglio restare solo, ho la testa che
mi gira.”
In quel momento,
davanti alla sua stanza, si affacciò
Eric.
“Ehi…”
disse quello, rivelando la sua presenza.
Sam fu felice di
vederlo, sorridendo: “Ehi, ciao…”
Carter si
alzò dalla sedia, sentendosi di troppo oltre
che poco gradito dal figlio: “Vado a prendere qualcosa al
distributore. Di
nuovo.”
Eric
entrò salutando Carter con un cenno, mentre l’uomo
si faceva strada verso la porta. Sam fece di tutto per ignorarlo anche
mentre
andava via.
“Stai
bene? – domandò Eric, sendendosi – Mi
hanno detto
che riposavi.”
“Mi
sento come Madeline ed Helen in La morte ti
fa bella, quanto cadono per le gradinate e i loro corpi
si spaccano in mille pezzi… - si toccò la testa,
dolorante – Il che, è quello
che è accaduto a me.”
“Io
sono stato fortunato rispetto a voi. – indicò la
sua
fronte – Solo quattro punti dove Nolan mi ha colpito nel
bosco.”
Sam era ancora
sotto choc: “Ma ci credi a tutto quello
che è successo?”
“Che
Rider avesse un gemello malvagio? No, non ci credo
ancora.”
“Non
solo questo. – era spaventato - Anche di quel
Norman che ha tentato di ucciderci.”
“Beh,
ora è morto. Non ci farà più del
male.”
“Ma A può
ancora farlo. – lo fissò negli occhi,
traumatizzato – Arriverà il giorno in cui
si stancherà di stare dietro le quinte e proverà
ad ucciderci anche lui.”
“Sam, lo so che sei profondamente segnato da questa vicenda;
Dio solo sa come ne
usciranno Nathaniel e Rider, ma devi restare lucido e non cadere nella
paranoia.”
Quello aveva gli
occhi lucidi, stremato: “Non ce la
faccio più, te lo giuro. Non so nemmeno cosa raccontare a
mio padre, lo sto
solamente facendo soffrire.”
“Lo so
che è dura, ma il piano rimane quello che abbiamo
concordato: troviamo il complice di Anthony in quel bosco, lo
consegnamo ad A e recuperiamo
finalmente le nostre
vite. E sono quasi sicuro che, dopo stanotte, A
penserà che la nostra punizione sarà
stata sufficiente e ci
lascerà davvero in pace stavolta. – era
determinato – Dobbiamo solo fare un
ultimo sforzo, ci siamo quasi.”
“Quasi,
dici? Non abbiamo idea di chi sia questo
complice. Nemmeno Quentin lo sapeva quando ci ha parlato di quel posto
da
incubo.”
“Lo
scopriremo, ora che Rider è con noi. Siamo di nuovo
in quattro.”
Sam
sospirò, cercando di essere fiducioso. Ora, però,
il
suo principale pensiero era rivolto a Nathaniel.
“C’era
così tanto sangue sulla mia maglietta. – stava
rivivendo
il suo risveglio in ambulanza - Non avevo mai visto così
tanto sangue in tutta
la mia vita.”
“Norman
ha tenuto impegnati Rider, Nolan e Richard per
parecchio tempo. Il mio telefono non prendeva e non sono riuscito a
chiamare il
911 in fretta. Nathaniel ha perso molto sangue.”
“E se
non dovesse farcela?” Sam era spaventato all’idea
di perderlo.
“Ce la
farà, ok? – cercò di dargli speranza
– Lui è
forte, come noi.”
Sam
annuì, in lacrime, ripetendosi che sarebbe andato
tutto bene.
*
Era appena
passata l’alba ormai. Rider era nella sua
stanza con il camice ospedaliero addosso.
Osservava il
sole davanti alla finestra, seduto sulla
sedia a rotelle per non sforzare la gamba appena operata. Stava
ripensando a
tutto ciò che era successo la notte prima e alle parole che
erano state dette a
proposito del suo passato; ciò che li era rimasto impresso
fra tutte le cose,
però, fu l’ultima conversazione avuta con Nolan,
poco prima dell’arrivo della
polizia.
FLASHBACK
Norman
era steso sul pavimento a pancia
sotto, il sangue che si espandeva a macchia d’olio sotto la
sua fronte.
In
lontananza, si sentiva il suono delle
sirene.
“La
polizia sta arrivando. – annunciò
Richard – Vado incontro a loro, ok? Voi restate
qui!”
Nolan
lo fermò subito, preoccupato per le
sue sorti: “Papà!”
Richard
lo rassicurò, vedendo la paura nei
suoi occhi: “Ci penso io, tu resta con tuo fratello.
Andrà tutto bene.” e uscì,
dopo averlo guardato ancora una volta negli occhi.
A
quel punto, i due fratelli restarono
soli. Rider era accanto ai suoi amici e non perse
quell’occasione per alzarsi
in piedi e avvicinarsi a Nolan con molta diffidenza e rabbia.
“Non
cercare di fregarmi, ok? – sudava, la
gamba gli procurava un dolore lancinante - La faccenda dello scambio
non è mai
esistita. Né nostro padre, né la polizia, devono
sapere che A ci ha
scambiati.”
“Che
c’è, hai paura che ti incolpino per
la morte dell’infermiera se dico che c’eri tu con
Norman al Radley?” disse
cinico, notando la sua ostilità.
“Non
ti incolperanno per la morte
dell’infermiera, lei era nella stanza di Norman. Anche se sul
chiodo ci sono le
mie impronte, sanno già che è stato lui e non
controlleranno mai. E poi, dopo
quello che è successo qui e tutta la follia di Norman, sei
praticamente
innocente.”
“Carino
da parte tua venirmi a rassicurare
su un episodio di cui non ho fatto parte, ma tranquillo, se qualcosa
dovesse
andare storto in centrale, non dirò che c’eri tu
al Radley al posto mio. –
sorrise compiaciuto – Mentre tu eri inginocchio accanto ai
tuoi amici,
distratto, ho dato a Papà una cosa che mi salverà
dalla galera, se verrò accusato
di qualcosa per l’omicidio dell’infermiera.
“Cosa,
esattamente?”
“Una
penna stilografica che mi ha dato A per
registrare le vostre
conversazioni. In pratica l’ho attivata mentre Norman stava
parlando e ho
catturato il momento in cui ha ammesso di aver ucciso
l’infermiera. Furbo da
parte mia, eh? – gli fece un occhiolino – Come
vedi, ci ho salvati entrambi.”
Rider
sgranò gli occhi, allarmato: “Ma
dentro ci saranno state anche le nostre conversazioni su A
e tante altre cose, la polizia potrebbe ascoltarle.”
“Rilassati,
la penna era vuota fino al
momento in cui non ho registrato Norman. – lo
tranquillizzò, mentre l’altro era
ancora poco sereno – Piuttosto, ti sei alzato solo per dirmi
questo?”
“No,
mi sono alzato anche per dirti che
non mi fido per niente di te; del resto, collaboravi con A.
Potresti aver recitato molto bene e detto cose su di me che non
sono vere.”
“Credi
ancora che stia mentendo? –
sussultò basito - Rassegnati Rider, non ho fatto io del male
a quel bambino.
Sei stato tu.”
“Comodo,
Nolan. – sorrise, non cascandoci
- Ho visto come guardavi nostro padre mentre gli parlavi, e so cosa
stai
cercando di fare. Devo ricordarti di come mi parlavi attraverso quelle
bambole?
Di come volevi vendicarti di me, mentre ora sei tutto un santarellino e
ti dispiace
per quello che è successo ai miei amici come se te ne
fregasse davvero?”
“Non
osare, Rider! – esclamò furibondo,
contenendo i toni – Per quello che vale, mi sono affezionato
a loro. E mi
dispiace davvero.”
“Lo
so che vuoi togliermi di mezzo.” lo fulminò
con lo sguardo.
“Beh,
se prima lo volevo, ora non serve
più che io lo voglia. E’ ora che tu ti prenda la
responsabilità di ciò che hai
fatto e Papà farà in modo che tu ricorda ogni
cosa… - fece l’ennesimo sorriso
cinico – Non resterò ancora per molto al Radley,
sarò presto libero di
andare…come è giusto che sia!”
“Potresti
aver mentito, Papà non è
stupido.”
“E
invece stavolta ci ha creduto, Rider.
Credimi, mentre sarò al Radley, non ti lascerà in
pace finchè non troverà il
modo di farti parlare o farti ricordare ciò che sembra che
tu abbia rimosso. –
ridacchiò – Nostro padre ottiene sempre quello che
vuole e fa grandi magie.
Presto porterà una prova alla commissione del Radley, e
poi…Beh, non so cosa ti
accadrà, a dire il vero.”
Rider
scosse la testa, odiandolo con tutte
le sue forze: “Sai, farò anch’io del mio
meglio per scoprire se hai mentito su
questa storia. E lo verrai a sapere quando ti renderai conto che
marcirai al
Radley per il resto della tua vita.”
L’altro
sorrise, sicuro che sarebbe andata
diversamente: “Ti sbagli, Rider. E quando sarai TU a
rendertenete conto, mi
chiederai scusa durante tutte le visite settimanali che
verrò a farti al
Radley; perché io ti farò molte visite
fratellino. In fondo, siamo una famiglia
adesso.” e rise, come tocco finale a quella frase, mentre
Rider digrignava i
denti per la rabbia.
“Tock
tock!”
Una voce alle
sue spalle fece tornare Rider alla realtà,
che si girò subito, muovendo le ruote della sedia con le
mani: era Lindsey.
“Ehiii…
- le sorrise, vedendola con il camice addosso –
Mamma mi aveva detto che anche tu eri qui.”
Quella
avanzò, con le pantofole, accennando un sorriso:
“Già, sono svenuta per la febbre alta.
Però oggi sto meglio, probabilmente mi
dimetteranno a breve.”
“Immagino
che avrai saputo quello che è successo alla
casa al lago.” divenne serio.
“Più
o meno… - si sedette sul letto, cercando di essere
ironica come suo solito – So che un pazzo scappato da un
manicomio ti ha
sparato e che… - abbassò lo sguardo, tornando
seria – Beh, so che abbiamo un altro
fratello! Forse è per questo che sono svenuta.”
“Papà
mi ha detto che ti ha raccontato tutto, è vero?”
“Sì,
è vero. Dopo avermi portata qui, ieri pomeriggio,
è
rimasto finchè non mi sono svegliata…E poi mi ha
detto tutto. – spiegò – Mi ha
detto che tu e Nolan siete nati da un’altra madre, e che
Nolan è finito al
Radley perché ha affogato un nostro vicino di casa di tanti
anni fa.”
Rider pensava
che durante la sua operazione, sua sorella
fosse stata messa al corrente della reale verità:
“Tutto qui? Solo questo? Papà
non è venuto da te, mentre ero sotto i ferri?”
“Non
lo vedo da ieri, è stata la Mamma a dirmi tutto. Mi
ha detto che ora Papà si sta occupando di Nolan, e sembra
che lo faranno
tornare al Radley visto che è stato quel Norman a portarlo
fuori dalla
struttura contro la sua volontà.”
“Senti,
per caso non ti ha detto chi è la mia vera
madre? – voleva scoprirlo – Glielo hai
chiesto?”
“No,
non me l’ha detto. Insomma, ero troppo disorientata
per chiederglielo.”
“Capisco…”
annuì, cadendo nel silenzio più totale.
L’altra,
che si ammutolì a sua volta, cercò di fare
conversazione: “Accidenti, abbiamo un
fratello…” sorrise, trovandolo assurdo.
“Già…
- pensò – Ora ti sembrerà strano che io
e te non
siamo fratelli, ma fratellastri.”
Quella cadde
dalle nubi: “Eh? – scosse subito la testa
–
No no, ma che dici?! Certo, è dura da metabolizzare se metto
insieme tutto
quello che ho scoperto ieri, ma…per me non cambia molto.
– disse imbarazzata,
la voce piccola - Sei sempre mio fratello, nonostante non siamo mai
andati
d’accordo.”
Rider sorrise
con un lato della bocca, sopreso:
“Grazie…”
I due caddero
nuovamente in un lungo silenzio, finchè
Lindsey non manifestò le sue perplessità.
“Come
abbiamo fatto a dimenticarci di Nolan? – era
assorta nella concezione di quel mistero –
Com’è possibile?”
“Credo
sia impossibile dimenticare una persona, ma
mentre Papà era minacciato da Norman, ha detto che sia io
che tu avevamo subito
un grosso trauma ed è questa la chiave di tutto.”
“Anche
a me ha detto la stessa cosa, senza entrare nei
dettagli. Mi ha detto che io e Nolan eravamo molto legati da piccoli;
più
legati fra noi che con te. Quando lo portarono al Radley, pare che io
l’abbia
presa talmente male che per giorni non ho nemmeno mangiato o
dormito.”
“Papà
ha parlato dello zio Gordon, ha detto che è stato lui
a sistemarci.”
Quella
andò a ritroso con la memoria: “Lo zio Gordon
è
un psicologo, ora che ci penso… Lo incontravamo spesso, ti
ricordi? Andavamo
sempre a casa sua.”
Rider fece lo
stesso, calandosi negli stessi ricordi:
“Hai ragione, ora che ci penso. E ci parlava di tante
cose…”
“Come
a volerci confondere! – pensò Lindsey –
E ci è
riuscito, perché io non mi ricordo nulla di Lukas Davis o
degli eventi di quel
giorno. Però devo ammettere che ora che sappiamo la
verità, ho come delle
sensazioni; sarà la memoria che riaffiora
lentamente?”
“Ricordo
un bambino che giocava con noi quando eravamo
piccoli, ma non si chiamava Lukas. – si sforzò di
ricordare - Si chiamava
Oliver e poi con i suoi genitori si è trasferito in
Florida.”
Lindsey
annuì, trovandosi in linea con lui:
“Già,
anch’io mi ricordo di un Oliver che abitava nella nostra
strada. – lo trovò
strano – Dici che Oliver in realtà era Lukas? E
che lo zio Gordon ci abbia
voluto ingannare con un falso ricordo?”
Improvvisamente,
Rider abbassò lo sguardo: “La psiche
umana è un mondo misterioso. Ci sono così tante
cose che non ci sono chiare e
altre che dobbiamo verificare. – tra queste, la
verità confessata da Nolan che
cercava di non confidare alla sorella – Ora voglio solo
vestirmi e andare a
vedere come stanno i miei amici.” volle sorvolare
l’argomento.
“Ti
dimettono?”
“Il
dottore passa per una visita di controllo, poi credo
che potrò tornare a casa.”
“Una
casa di segreti! – precisò Lindsey, terrorizzata
dal loro rientro imminente – Spero che Papà non
conservi altre sorprese.”
“Lo
spero anch’io! – esclamò, per poi farle
una domanda
– Brakner ti ha chiamata per sapere come stai?”
Quella fu presa
alla sprovvista, facendo la vaga: “Ehm…a
dir la verità, ci siamo lasciati. Diciamo che ho realizzato
che non era amore e
che non sarebbe durata per sempre.” mentì.
“Davvero?”
“Sì,
davvero.” annuì quella, sfuggente con lo sguardo.
“Beh,
hai fatto la scelta migliore. Vedrai che troverai
quello giusto.” le sorrise, sapendo perfettamente che sua
sorella stava
mentendo.
*
Nella stanza di
Nathaniel, ancora in coma, Eric e Sam
erano seduti ognuno ad un fianco del letto. Quest’ultimo gli
teneva la mano.
Davanti alla
porta, arrivò Rider muovendosi sulla sedia
a rotelle. Appena Eric girò il collo e lo vide, si
alzò subito ad aiutarlo e lo
portò davanti al letto del loro amico.
“Che
nottata…” scosse la testa Rider, mentre regnava il
silenzio e l’angoscia.
Quelli si
voltarono a guardarlo, esausti.
“Che
MESI, piuttosto. – precisò Sam, devastato
– E’
tutto un grande casino, non riesco nemmeno a capire se la notte di ieri
è
collegata ad A o siamo
semplicemente
delle calamite che attirano a sé ogni squilibrato di questa
città.”
“Tu
come stai?” gli domandò Rider.
“Come
sto? – lo trovò un assurdo eufemismo - Sono
fortunato a non essermi spezzato l’osso del collo, cadendo da
quella
scalinata.”
“E i
dottori cosa dicono di lui? – Rider fissò
Nathaniel
– Resterà così per quanto?”
“L’hanno
operato, Rider. – Sam aveva gli occhi lucidi –
Le prossime 48 ore saranno critiche…” strinse
ancora di più la mano a
Nathaniel, fissandolo, in pena per lui.
Rider
deglutì amaramente, in colpa: “E’
ridotto così a
causa mia…”
“Rider,
non incominciare… - intervenì Eric –
Norman e
Nolan non erano previsti. Devo ammetterlo, stavolta A
ha superato sé stesso... – era
sbigottito – Scambiarti con il tuo
fratello gemello e infiltrarlo in mezzo a noi va oltre ogni
immaginazione. Si
sarà sicuramente messo comodo a mangiare delle patatine,
ieri, pensando alla
sua nuova grande opera.”
“Come
diavolo ha fatto Norman a procurarsi una pistola mentre
era ricercato ovunque?” esclamò Sam, furibondo.
“Quando
abbiamo rubato l’auto che usavamo per spostarci,
abbiamo trovato delle cose che lui ha pensato di vendere. –
spiegò Rider -
Convinto che l’avrebbero arrestato, ha invece trovato
qualcuno interessato a ciò
che aveva e in cambio ha ricevuto l’arma.”
Eric lo
trovò ovvio: “Fammi indovinare…questo
qualcuno
era A?”
“Come
fa A ad
essere sempre un passo avanti a tutti?” non si
spiegò Sam.
Rider era
pensieroso, finchè non prese nuovamente
parola: “Piuttosto, come fanno Chloe e mia sorella a sapere
di A?”
I due si
voltarono a guardarlo, perplessi.
“Eh???”
borbottò Sam, guardandosi con Eric.
“Sì,
lo sanno! – esclamò Rider, notando che cadevano
dalle nuvole - Nella mia cucina c’è una sorta di
microfono e io sentivo tutto
attraverso una bambola di pezza, quando ero al Radley. Pare che Brakner
abbia
lasciato mia sorella, e Lindsey pensa che la loro rottura sia colpa di A. Quel giorno ne parlava con Chloe,
credo siano diventate amiche.”
Sam
restò a bocca aperta, confuso:
“Cos’è, tutti hanno
una A, adesso?
Tanto vale prendere spunto per un reality show!”
“E non
è finita qui… - Rider si voltò verso
Eric –
Pensano che la loro A sia
Alexis!”
Eric
tirò indietro il collo, sussultando: “Che?
– sgranò
gli occhi - La mia Alexis?”
“Non
guardarmi così, avete vissuto voi nel mondo esterno,
io non so nulla. – Rider se ne lavò le mani -
Sembra di essere in un’altra
Rosewood.”
Sam
titubò, riflettendo: “E’ possibile che
la nostra A sia la loro A?”
“Ma
che dici? – lo linciò Eric – Alexis non
è A, questa è
follia!”
“Non
intendevo questo, so perfettamente che non è lei A. – riformulò -
Dico solo che forse A potrebbe
aver giocato anche con
loro…E che Lindsey e Chloe fanno schifo nel fare le
teorie.”
“In
qualche modo hanno scoperto di A.
Forse da voi.” pensò Rider.
“Può
essere, ma questo vuol dire che sanno che siamo
perseguitati. – replicò Sam - O che, peggio
ancora, abbiamo seppellito un corpo
nel cuore della notte.”
Intanto, Eric,
rifletteva sul perché le ragazze
puntavano su Alexis: “Un momento, Alexis voleva denunciare
Brakner perché
pensava l’avesse investita. Ora si spiega perché
Lindsey sospetta Alexis.”
“Che
motivazione sarebbe? Una denuncia non rompe una
relazione.” ribattè Sam.
“Magari
A ci
ha messo un po’ del suo. – suppose Eric –
Non riesco a pensare ad altre strade
con tutta la carne che c’è sul fuoco.”
sbuffò.
“I
genitori di Nat?” chiese Rider.
“Parlano
con i dottori da che sono arrivati qui… -
rispose Sam, preoccupato – Credo che Tyler sia nei
guai.”
Rider
afferrò immediatamente, dopo aver titubato per un
istante: “Già, l’avevo dimenticato,
Tyler prescriveva quelle medicine a Nat per
permettergli di continuare a stare nella squadra di nuoto e non fare
controlli
approfonditi che potevano compromettere la sua carriera
scolastica.”
“A
quest’ora, i dottori avranno capito che
c’è qualcosa
che non va con il cuore di Nathaniel. – suppose Eric -
Indagheranno,
probabilmente…Tyler è davvero fregato!”
A quel punto,
Sam si alzò in piedi, misterioso: “Non
solo Tyler è fregato, ma nasconde anche dei
segreti…” e andò a chiudere la
porta, mentre lo sguardo confuso degli amici lo seguiva.
Quando
tornò a sedere, sputò fuori il rospo:
“Prima di
arrivare alla casa sul lago, ho sbirciato dei filmati della
sorveglianza a casa
di Tyler, e… Ho dovuto chiamare Nathaniel!”
“Che
avete trovato, esattamente?” domandò Eric, curioso.
Sam si prese un
secondo, prima di sganciare la bomba:
“Ragazzi, Anthony è vivo! Non so cosa cavolo sia
successo in quella dannata
notte, ma è vivo ed è andato a casa di
Tyler.”
Quelli
sgranarono gli occhi, restando rigidi come lastre
di marmo. Si guardarono fra loro, come se avessero ricevuto una
secchiata
d’acqua gelida addosso.
Rider era senza
fiato: “Un secondo, è questa da dove
esce fuori?”
“Tre
giorni dopo che la città lo credeva morto, si è
rifugiato a casa di Tyler per un paio di giorni. –
continuò Sam – Nella cantina
abbiamo trovato cartoni di pizza, un materasso e altra robaccia tutta
sotto
sopra, come se qualcuno avesse vissuto lì sotto: e quel
qualcuno era Anthony.”
Eric si
alzò, facendo avanti e indietro, ridendo per
l’assurdo: “No, questa le batte tutte. –
poi alzò la voce, furibondo – Quindi
ha lasciato Rosewood dopo essere stato da Tyler? E perché
Tyler non l’ha
denunciato alle autorità?”
“Perché
Anthony conosceva anche i suoi segreti,
Nathaniel l’ha sempre detto che Tyler era
terrorizzato.”
“Quindi
mentre noi siamo qui a giocare ad Hunger games,
lui è su qualche spiaggia tropicale a prendere il sole con
baffi finti e
parrucca??? – Eric voleva impazzire – No, mi
rifiuto.”
Nel mentre,
Rider era caduto in una serie di ragionamenti
a ritroso: “Ma questo significa che nella bara… -
si voltò a guardare entrambi,
disorientato – Un secondo, chi diavolo
c’è nella bara?”
“Io e
Nat ipotizzavamo che ci potesse essere una terza
persona alla stazione di Rosewood, colpita da A
a morte.”
“Una
persona che è risultata carbonizzata all’autopsia,
quando in realtà era alla stazione e non ha avuto nulla a
che fare con
l’incendio? – aggiunse Eric, confuso –
Insomma, sono stupido io o qualcosa non
quadra?”
Sam rispose
anche a quella domanda: “Io e Nat
ipotizzavamo anche che A possa aver
carbonizzato quel corpo altrove, prima di scambiarlo con quello di
Albert all’obitorio
e farlo passare per Anthony.”
“E le
impronte dentali, la statura di questa persona,
come potevano combaciare con Anthony? – non capì
Rider - Il medico legale si è
drogato, forse?”
“Capirai,
probabilmente A avrà
fatto in modo che risultasse così. – suppose Sam
con
certezza - Ormai non mi stupisco più delle magie che riesce
a fare.”
“Sentite,
questa storia mi sembra assurda quanto quella
che A è Alexis nella
versione
parallela del nostro incubo, dove le protagoniste sono Lindsey e Chloe.
– si
alterò Eric, fortemente scettico – Sam, sei sicuro
di quello che tu e Nat avete
visto? Anthony non può essere davvero vivo.”
“E
invece era lui! – Sam confermò nuovamente
– Nella
cantina c’era la sua giacca, quella che aveva quando
l’abbiamo lasciato alla
stazione. E c’era anche un biglietto!”
“Un
biglietto? – sussultò Rider – Che
biglietto?”
Sam si
portò le mani sulle gambe, accorgendosi che non
aveva addosso i suoi vestiti ma il camice ospedaliero:
“Accidenti, ce l’avevo
nella tasca del mio jeans.”
“E non
ricordi cosa c’era scritto? – gli chiese Eric
–
Devi aver preso una forte botta in testa per non ricordarlo.”
“Non
è qualcosa di facile da ricordare! – gli
lanciò
un’occhiataccia, facendo mente locale – Era un sito
internet… - si sforzò di
ricordare, mentre quelli attendevano con ansia – Allora,
c’era scritto www.raeflaer.jwj,
ma…la F era maiuscola e anche l’ultima
R.”
“Www.raeFlaeR.jwj?
- Eric restò perplesso - Che diavolo è?” si
chiese, prendendo il telefono per fare ricerche.
Rider ci
riflettè, sapendo di cosa si trattava: “Ma
questo è Deep web…”
“Prego?
– tentennò Sam – Traduci anche per
noi.”
“E’
una parte nascosta del web dove vengono svolte innumerevoli
attività; cose illegali, molte volte.”
“E da
cosa l’hai capito?” chiese Sam.
“Dal
dominio jwj, che non è un normale dominio di un
normale sito internet.”
Sam era
esterrefatto dal suo solito modo di spiegare le
cose e sapere sempre tutto: “Fantastico, sei ufficialmente
tornato!”
Intanto, Eric,
aveva provato a cercare il sito internet
e sembrò aver trovato finalmente qualcosa.
“Ehi,
ragazzi… - girò il suo telefono,
affinchè
potessero vedere – Ho trovato il sito, ma
c’è uno schermata nera con al centro
un riquadro che chiede la password e il nome utente per
accedere.”
“Sembra
che Anthony nascondesse altri segreti…” dedusse
Sam, sospirando.
“Sono
stanco dei segreti!” esclamò Eric.
Rider, invece,
stava pensando allo strano nome del sito:
“Le lettere maiuscole sono un punto di partenza,
perciò se leggiamo al
contrario dice…Real Fear!”
“Vera
paura? – rise Eric – Ma che cavolo
significa?”
Sam
abbassò lo sguardo, pensando di saperlo: “Paura
come
quella nel bosco, dove Quentin dice di essere stato.
– fissò entrambi – Dite che
questo sito sia
collegato a quello che Anthony faceva in quel bosco?”
“Farci
addirittura un sito internet? – pensò Eric
– E
per cosa?”
“Beh,
non lo sapremo mai finchè non avremo password e nome
utente.” aggiunse Rider.
“E non
sappiamo nemmeno dove sia il bosco…” concluse
Sam.
I tre si
voltarono a guardare Nathaniel, amareggiati.
Improvvisamente, il telefono di Eric ricevette un messaggio.
Quello
abbassò la testa e la risollevò velocemente,
osservato
dai compagni: “E’ da parte di A!”
Subito,
girò il telefono.
“E’
ora di prenderci una pausa, non credete? Ne abbiamo tutti bisogno,
godetevi
questo lungo sonno…Al prossimo anno, bugiardi!”
-A
“C-che,
cosa??? – Sam
balbettò, spiazzato - Intende
che ci
lascia stare per un anno intero?”
“Pff,
magari! – esclamò
Rider, trovandolo divertente – Tra meno di un mese entriamo
nel nuovo anno,
quindi tornerà a perseguitarci da Gennaio.”
“Gentile
da parte sua
lasciarci Natale e Capodanno…” pensò
sarcastico, Eric, sorpreso da questo
inaspettato messaggio.
“Lasciarci
Natale e
Capodanno per poi tornare sicuramente peggio che mai… -
Rider espose loro la
realtà che c’era dietro a quel messaggio
– Non oso immaginare cosa ci accadrà
quando questo lungo sonno di cui parla il mostro sarà finito. Fossi in voi non
festeggerei così in fretta.”
I
tre sospirarono,
finchè Sam non si rivolse a Rider con molta delicatezza.
“So
che sei ancora
scosso per questa storia del fratello gemello, ma…non hai
notato qualche
particolare, qualche dettaglio su A?
Insomma, quando ti ha scattato la foto per mandarla a tutti noi, era
davanti a
te. O sbaglio?”
Rider
sgranò gli occhi,
portandosi una mano sull’addome: “L’avevo
dimenticato…”
“Dimenticato,
cosa?”
gli domandò Eric, stranito dalla sua reazione.
“A mi ha alzato la maglietta, poco prima
di scattarmi quella foto. –
spiegò ad entrambi – Ha scritto qualcosa con un
pennarello.”
“Beh,
che aspetti,
alzati la maglietta e vediamo!” lo incitò Sam,
curioso.
Spaventato
da cosa
potesse trovare scritto, Rider esistò proprio mentre stava
per farlo.
Eric
lo riprese: “Rider,
forza!”
“E
se ci fosse scritto
qualcosa di compromettente? – pensò, sudando
freddo - E se i dottori l’avessero
visto mentre mi operavano e l’avessero fatto presente alla
polizia?”
“Beh,
se fosse così, di
certo non staresti qui con noi a parlarne. – Sam
cercò di tranquillizzarlo
- Saresti in
centrale a rispondere alle
domande del detective Costa; pagherebbe oro per averci tutti nella sua
stanza
degli interrogatori.”
A
quel punto, Rider
cacciò fuori l’aria negativa e si fece coraggio.
Finalmente sollevò la
maglietta, mentre i suoi amici allungavano il collo in avanti per
leggere.
Le
loro facce
perplesse, intimorirono Rider, che teneva la testa alzata e non voleva
guardare: “Beh? Che cosa c’è
scritto?”
“Ha
disegnato una
chiave con attaccato un cartellino: dentro c’è
scritto il numero 16.” rispose
Sam, una smorfia altamente confusa.
Eric
si rimise comodo
sulla sedia, dopo che l’amico si decise finalmente a
guardare: “L’avranno
scambiato per un tatuaggio, mentre ti operavano.”
“Che
può significare?”
si chiese Rider, pensieroso.
“Forse
è una chiave per
l’inferno. – ironizzò Sam, nel tentativo
di sdrammatizzare – O forse A voleva
solo scarabocchiare per
prendersi gioco di te e vedere se riesci a contenere le tue urine in un
momento
di panico assoluto.”
Questo
Rider non lo
escluse: “Credimi, me la stavo facendo sotto sul
serio.”
“Ragazzi,
che facciamo
adesso? – domandò Eric dopo un lungo sospiro
– Abbiamo un mese intero senza A,
come ci comportiamo?”
“Io
oggi vengo dimesso,
come potete constatare dai miei abiti. Immagino anche Sam,
perciò…Aspettiamo
che Nathaniel torni fra noi e poi decideremo come muoverci.”
suggerì Rider, per
poi abbassare lo sguardo; era ancora condizionato dal racconto di Nolan
e tutte
le questioni del passato di cui decise di non fare parola con i suoi
amici.
Sam,
ovviamente, non
fece caso al volto inquieto dell’amico, così come
Eric, continuando a pensare
ai loro problemi con il nemico: “Beh, sì, sono
d’accordo. E poi… - si scambiò
un’occhiata cupa proprio con Eric, prima di continuare
– Noi abbiamo delle
piste e dobbiamo aggiornarti su tutto ciò che ci
è successo mentre eri al
Radley.”
“C’è
molto di cui
parlare!” sottolineò Eric, spostando lo sguardo su
Rider, in attesa che dicesse
qualcosa.
“Ehm,
certo, avremo
modo di parlare. – tornò quasi subito a dar loro
retta, mettendo da parte i
pensieri – Anch’io devo dirvi delle cose sulla mia
permanenza al Radley, ma
cosa più importante… Nessuno sa dello scambio tra
me e Nolan, mio padre non
l’ha scoperto. Pensa che Nolan sia fuggito con Norman dal
Radley e che mi
abbiano rapito e portato alla casa sul lago.”
“E
Nolan che fine fa in
tutto questo?” volle sapere Sam.
“Beh,
Nolan non c’entra
nulla con l’omicidio dell’infermiera,
perciò sarà sicuramente passato dalla
centrale per qualche domanda e poi di nuovo al Radley. –
Rider fece una faccia
seccata – Mio padre glielo ha promesso che tutto sarebbe
andato bene.”
“Sai,
Nolan dopo tutto…
- Sam riflettè sulle sue sensazioni – Io non credo
che fosse malvagio. Credo
che alla fine sia una vittima di A,
oltre che del suo passato; qualsiasi cosa abbia fatto per finire al
Radley. –
Rider deglutì con fatica in quell’istante, mentre
Sam continuava – Sapete, lui
mi ha salvato la vita…poco prima che Norman
sparasse.” ripensò, grato di quel
gesto.
“Già,
anche se mi ha
colpito in testa, l’ha fatto perché la sua
copertura era prossima a saltare. –
si aggregò Eric, fissando Rider – Per tutto il
tempo in cui ti ha impersonato,
è stato un buon amico. Era esattamente come te.”
“Beh,
era tutta una
recita. – si alterò Rider –
Probabilmente seguiva un copione scritto da A.”
Sam,
allora, abbassò lo
sguardo, smettendo di illudersi: “Forse hai ragione, forse
era tutta una
recita. Nathaniel me l’aveva detto, ieri. – si
voltò a guardarlo, mentre
dormiva ancora – Ha trovato un libro in camera tua, Rider,
dove c’era scritto
ogni cosa su noi quattro: informazioni utili per impersonarti meglio ed
ingannarci per bene, evidentemente.”
Eric
fece una faccia
quasi disgustata e delusa, ripensandoci: “Che
orrore…”
“Gli
unici di cui
possiamo fidarci siamo noi quattro. – Rider cercò
di risollevare i loro animi,
spostando lo sguardo fra loro due – Abbiamo una partita da
vincere, perciò
dimenticatevi di Nolan e Norman. Ormai sono il passato, dobbiamo andare
avanti.”
I
due annuirono,
cercando di seguire il consiglio.
Un
lungo mese attendeva
tutti loro. La fine del gioco era quasi vicina e ognuno di loro lo
percepiva.
SCENA
FINALE
A aveva
appena scassinato una porta, infiltrandosi all’interno
di un appartamento: era una specie di loft molto spazioso che aveva
tutto in
un’unica stanza, dove i vari ambienti erano stati organizzati
con uno stile
molto classico.
Subito
raggiunse il
letto, dove sulla parete di fronte erano poggiate un mucchio di tele da
disegno.
Improvvisamente,
squillò un telefono nella sua tasca. A
lo
recuperò, leggendo il messaggio appena ricevuto.
Da
Tina:
“Edward
che fine hai
fatto? Sono a New york per qualche giorno, sei ancora a Rosewood a
dipingere
ragazzi nudi che per te sono arte? Guarda che divento invidiosa,
rispondi.
Baci.”
A
con i guanti
neri alle mani, digitò un messaggio di
risposta.
“Ciao,
Tina. In
verità ho conosciuto un ragazzo davvero molto carino, ho
anche lasciato un po’
il lavoro da parte. Credo che mi prenderò una vacanza di
qualche settimana per
stare con lui, mi dispiace non poterti raggiungere. Baci a
te.”
E si rimise il
telefono in tasca, che chiaramente
apparteneva ad Edward, il francese che aveva ucciso.
Iniziò
a frugare tra le tele da disegno, dove erano
raffigurati diversi ragazzi. A le
controllò scrupolosamente, come se stesse sfogliando un
libro.
Finalmente,
sembrò aver trovato ciò che stava cercando e
sfilò via dal mucchio un dipinto dove era raffigurato un
ragazzo che conosceva
benissimo: Nathaniel; precedentemente dipinto dall’uomo
quando era ancora in
vita.
Subito dopo,
prese un pennarello nero e dietro alla tela
scrisse il numero 16. Poi lasciò l’appartamento,
portando il dipinto via con
sé.
CONTINUA NEL SEDICESIMO CAPITOLO
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Capitolo 17 *** 1x16-L'ultimo dipinto di Edward Blanc ***
CAPITOLO
SEDICI
“The
Awakening”
One
month later…
Sam stava
percorrendo il
corridoio dell’ospedale, quella sera; lo faceva da diverse
settimane ormai,
ogni giorno. Salutava le infermiere accenando un sorriso gentile,
sostenendo la
sua borsa della scuola piena di libri su una spalla. Infine, entrava
sempre
nella solita stanza: quella di Nathaniel.
Un bacio sulla
sua fronte e
subito sedette sulla sedia, tirando fuori un quadernino. Davanti a lui,
l’enorme finestra che mostrava un meraviglioso cielo
stellato; un cielo che lo
ispirava tutte le volte per ciò che doveva scrivere.
E scriveva tanto, tutto con un sorriso
genuino e un volto
sereno; cercava di essere forte, come Nathaniel avrebbe voluto che
fosse.
“Caro
Nathaniel, oggi è passato quasi un mese dal giorno
in cui i dottori ci hanno comunicato che eri in entrato in uno stato di
coma.
Eravamo convinti che ti saresti svegliato quel giorno, ma non
è successo: il
mondo mi è letteralmente caduto addosso, così
come alla tua famiglia.
Tuttavia,
io credo nei miracoli e sono convinto che uno
di questi giorni ti sveglierai e tornerai fra noi. Ne sono sicuro. Sei
sempre
stato forte.
Oggi,
però, non è passato solo un mese da quando ti sei
assentato dalle nostre vite: oggi è anche passato un mese
dal giorno in cui A ha smesso di
tormentarci. Per il
momento.
E
dico “per il momento” perché la tregua
che ci ha dato,
presto giungerà ad una fine. Potrebbe succede da un momento
all’altro. Anche
adesso. Ho paura.”
Quel sorriso che
aveva, a
quell’ultima frase, scomparve. La penna smise di scrivere e i
pensieri accumularono
la sua mente.
Decise di
scrivere ancora
una cosa, però.
“Forse
saranno giorni infernali quelli che ci attendono,
ma almeno siamo tornati a vivere come una volta. Anche se per poco,
abbiamo
avuto giorni sereni e so che ti farà piacere leggerlo:
perché tu vuoi solo il
bene per le persone che ami; lo so meglio di chiunque altro.”
Improvvisamente,
il
telefono di Sam vibrò sul comodino accanto al letto. Lo
fissò per qualche
secondo prima di prenderlo.
Era una
chiamata: arrivava
da Rider.
“Pronto?”
“Ehi,
sei da Nat?”
“Si,
sono appena arrivato.”
“Ricordati
di passare da
casa mia per cambiarti, dobbiamo farlo stasera.”
“Non
sarà un po’ azzardato
scoprire cosa si nasconde nel deposito numero 16? A
potrebbe risvegliarsi non appena giriamo la chiave.”
“Vorrei
ricordarti che non
abbiamo nessuna chiave, dovremo scassinarlo quel deposito.”
“Ma
siamo sicuri che la
chiave che A ti ha disegnato sul
corpo sia la chiave di un deposito? Sai, vorrei una certezza prima di
finire in
manette.”
“E’
da un mese che cerco di
risolvere l’enigma: si tratta di un deposito, ne sono sicuro.
Se pensi ai
depositi, sono tutti numerati. E poi il cartellino attaccato alla
chiave che A ha disegnato sulla
mia pancia ha la
forma di un baloon. Qui in città c’è un
unico Self storage che affitta
depositi e il logo è a forma di baloon!”
“Ok,
mi hai convinto.
Chissà perché ci hai messo così tanto
a capire che si trattava di un deposito; di
solito risolvi gli enigmi in meno tempo.”
“Beh,
ero impegnato a vivere.
Sai com’è, non capita tutti i giorni di essere
liberi da uno stalker
ossessionato da te che ti concede un time out della durata di trenta
giorni.”
“Devi
per forza ricordarmi
che siamo quasi alla fine del time out con la parola time
out?”
“Almeno
ho recuperato il
brutto voto che presi con Palmer.”
Sam
riflettè su
quest’ultima cosa: “Ecco, questo è uno
dei vantaggi della pausa di A: aver
recuperato con la scuola.”
Rider
sospirò: “…mi
dispiace solo per Nathaniel.”
“Anche
a me… - ribattè,
fissando Nathaniel con inquietudine e un magone nella voce – Vorrei che si
svegliasse, non ne posso più
di vederlo su questo letto.”
“Si
sveglierà, vedrai.”
cercò di dargli fiducia.
Una lacrima
scese lungo il
viso di Sam, che schiarì la voce:
“Ehm…senti, raccolgo le mie cose e ti
raggiungo. – non riusciva più a stare al telefono
- Ora chiudo.”
“Va
bene, ti aspetto.”
Entrambi misero
giù la
chiamata. Sam ebbe un leggero crollo emotivo, ma si riprese subito,
asciugandosi le lacrime.
Dopo aver
rimesso il
quadernino nella borsa e messo il suo telefono in tasca, diede
nuovamente un
bacio sulla fronte a Nathaniel e lo accarezzò di sfuggita
sulla guancia. Poi
corse verso la porta.
Uscendo,
però, andò a sbattere
contro la signora Blake.
Sam
reagì mortificato: “Oh
mio Dio, mi scusi.”
La donna si
sincerò delle
sue condizioni: “Ti sei fatto male?”
“No
no, sto bene. – le
sorrise – Non dovevo correre, ma devo passare da un
amico.”
Quella fu
comprensiva: “Non
ti preoccupare, sei giovane e hai degli impegni; come è
giusto che sia per un adolescente.
Ti sono grata del fatto che vieni ogni volta a trovare Nathaniel.
– lo fissò
con insistenza, molto premurosa - Sei un amico speciale, Sam.”
Lo sguardo della
donna mise
Sam in soggezione, tant’è che dovette abbassare il
suo perché si sentì a disagio:
“Beh, è uno dei miei migliori amici. –
sorrise con molto imbarazzo – E’ il
minimo: soprattutto dopo quello che abbiamo passato in quella
casa.”
“Immagino…
- annuì quella,
un sorriso malinconico ed esausto – Prima muore quel vostro
amico, Anthony, poi
la vostra scuola esplode, venite interrogati dalla polizia, un pazzo
fuggito da
un manicomio cerca di uccidervi… e ora veniamo a sapere di
questa malattia
cardiaca di Nathaniel: un segreto che si è portato avanti
fino ad oggi senza
mai dirci una parola.”
“L’importante
è che
Nathaniel sia stato operato e che quel suo problema sia stato risolto.
– cercò
di consolarla - Ora dobbiamo solo aspettare che si svegli.”
Claire si
voltò verso il
letto del figlio, il volto triste ma ancora speranzoso:
“Già, che si svegli…”
“Vedrà
che si sveglierà. – Sam
le mise una mano sul polso, infondendole coraggio – Io ci
credo davvero.”
L’altra
si commosse, sorridendo:
“Grazie, Sam. – le sue parole la rincuorarono,
così mise la sua mano sopra la
sua – Grazie davvero, sei un caro ragazzo. Nathaniel
è fortunato ad averti
insieme a lui.”
Sam
restò a guardarla per
qualche secondo, un espressione neutra; per un attimo fu come se
sospettasse
che lei sapesse di lui e Nathaniel, dei loro baci. Ma come poteva
saperlo,
pensò. E così, nel giro di pochi istanti,
abbandonò quel pensiero e la salutò
caldamente.
“Siamo
noi quelli
fortunati, signora Blake. Ora, però, devo andare. Passi una
buona serata.”
concluse, per poi uscire.
Rimasta sola,
Claire si
avvicinò al letto del figlio. Mentre lo guardava, continuava
ad avere dei
flashback su quelle foto di lui e Sam che aveva ricevuto dal mittente
anonimo.
Foto di baci. Foto di una relazione tra due ragazzi, messi a nudo della
loro
intimità. Foto che potevano essere rese pubbliche.
E su questo
temeva di poter
essere minacciata ancora, nonostante fosse passato un mese.
*
Intanto, al
Brew, erano
cambiate parecchie cose durante il mese di Dicembre: il bar aveva
cambiato
gestione e non aveva più Todd a capo. Al suo posto
arrivò Antonio Montejo, un
giovane venezuelano molto attraente, che nel giro di due settimane
trasformò il
Brew in una caffetteria e una libreria al tempo stesso, conquistando
una vasta
clientela.
Alexis, stanca
del suo lavoro
alla tavola calda e, appoggiata da Eric, approfittò del
cambio di gestione per
riprendere il suo vecchio posto. E ci riuscì.
Nel corso di
quella serata,
Eric era dietro al bancone ad asciugare i bicchieri appena lavati,
mentre
osservava Alexis parlare con Antonio in modo un po’ troppo
amichevole; ormai
era dal suo arrivo che i due legarono, e di questo ne era geloso.
Mentre lei
sorrideva a ciò
che Antonio le stava dicendo, Eric non toglieva gli occhi da loro.
Nemmeno
quando fece cadere a terra un bicchiere, mandandolo in frantumi, loro
si
girarono. Amareggiato di questo, si chinò a raccogliere i
pezzi di vetro,
ripensando al giorno in cui tornò dall’ospedale e
a ciò che si erano detti lui
e Alexis.
FLASHBACK
– Quattro settimane prima…
Eric
aveva
appena raccontato tutto ad Alexis, che, seduta sul divano, aveva le
mani in
fronte e la testa buttata in basso: era sconvolta.
“Senti,
adesso devo tornare in ospedale dai miei amici…”
concluse, non vedendo l’ora di
evadere da quella stanza e uscire.
Quella
finalmente alzò il capo, buttandosi indietro i capelli:
“Sono senza parole,
Eric. – cominciò, irritata e fuori di
sé – Esci per prendere le uova e magicamente
ti ritrovi alla casa sul lago di Rider assieme a due tizi scappati da
un
manicomio, armati?”
“Ho
ricevuto
una chiamata, ok? Non sono finito magicamente lì.”
si giustificò, davanti alla
porta.
Alexis
si
alzò in piedi, iniziando a fare avanti e indietro davanti al
divano. Più
cercava di capire e più le veniva da ridere.
“Sai,
io
cercavo davvero l’amore quando mi sono messa con te. Solo
che… non immaginavo
che nel pacchetto fosse compresa anche la follia: perché
tutto questo è davvero
una grande follia, Eric. – lo fissò dritto negli
occhi, fulminandolo - Te ne
rendi conto? Cioè, tu riesci a comprendere che io non riesco
più a starti
dietro, giusto? – quello abbassò lo sguardo, non
sapendo cosa rispondere – Se
avessi delle amiche, non saprei nemmeno cosa raccontare di te. Sei la
persona
più misteriosa e assurda che io abbia mai conosciuto
e… - lo fissò ancora,
ridendo – Guardati! Non riesci nemmeno a spiaccicare una
parola, non ti difendi
nemmeno. Non hai una spiegazione razionale!”
Finalmente
Eric trovò il coraggio di alzare lo sguardo e dire qualcosa:
“…Chiamerai i miei
genitori?”
Quella
si
lasciò scappare l’ennesima risata, incredula:
“Wow, questo è il colmo! Io sono
qui che ti chiedo di essere sincero con me e tu pensi ai tuoi genitori?
A volte
mi sento davvero una babysitter e non la tua fidanzata.”
“Alexis,
ti
prego! – Eric non resse più – I miei
amici sono in sala operatoria e non ho
tempo per stare qui ad ascoltarti, ok? Potevo restare lì in
ospedale e invece
sono venuto qui a farti sapere come stavo visto che nessuno ti avrebbe
contattata per dirtelo.”
“Ci
mancherebbe altro, Eric! – Alexis alzò la voce
– Sono la tua fidanzata, devo
essere messa al corrente di ciò che ti accade. Ma, a quanto
pare, essere venuto
fin qui a dirmi che stai bene sembra quasi una seccatura per
te.”
“Non
è una
seccatura, smettila di pensare che tu sia poco importante per
me.”
“Scusami,
se
sembra tutto il contrario. – ribattè basita
– Vuoi per caso farmi passare per
una pazza?”
“Ti
prego,
possiamo chiuderla qui? – sospirò, esausto
– Devo andare sul serio.”
Quella
sgranò
gli occhi, scuotendo la testa, arresa: “D’accordo,
vai. Esci, vai. – una
lacrima le scese lungo il viso – E se vuoi proprio saperlo,
non so se chiamerò
i tuoi genitori; e detta così, sembra che io sia davvero la
tua babysitter. –
il suo volto era ormai sofferente – All’inizio ero
così terrorizzata nel
lasciarmi andare ad una relazione con un ragazzo più piccolo
di me. Poi con il passare
del tempo mi sono innamorata e tu hai completamente cancellato quella
differenza d’età che tanto mi spaventava. Ora,
invece, mi ritrovo davanti alla
realtà: sei un adolescente…e a dire il vero, non
te ne faccio nemmeno una colpa
perché questa è la tua età. Io cercavo
un uomo, e in te lo vedevo… ma ora non
ci riesco più, e mi chiedo se valga la pena
continuare.”
Eric
deglutì
con fatica, combattuto dal fermarla nel suo discorso o lasciare che
mettesse un
punto alla loro storia.
Lei,
poi,
dopo una serie di espressioni che sfociavano nella totale indecisione
sul cosa
fare, decise di lasciar perdere tutto.
“Senti,
sai
cosa ti dico? – si asciugò le lacrime - Me ne vado
a letto. Fai un po’ come ti
pare, io sono stanca e domani mi aspetta una giornata piuttosto
impegnativa.” e
se ne andò, lasciandolo lì impalato.
Eric
non si
mosse finchè la porta della stanza da letto non si chiuse.
Tirò un sospiro di
sollievo nel sentir la porta sbattere, anche se subito dopo i suoi
occhi
divennero lucidi.
Alexis
si avvicinò al
bancone, mentre Eric si stava risollevando in piedi dopo aver raccolto
i vetri.
“Ehi,
che è successo?”
domandò quella, mentre si slacciava il grembiule.
“Niente,
mi sono distratto
e ho fatto cadere un bicchiere. – rispose seccato, ma lei non
lo notò – Te ne
stai già andando?”
“Sì,
fra poco mi vedo con
mia madre a cena. – poggiò il grembiule sul
bancone - Grazie che mi copri il
turno.”
“Figurati,
Antonio ti
avrebbe lasciata andare anche se non ci fossi stato io.” si
lasciò sfuggire una
frecciatina, il tono apatico e distaccato.
L’altra
restò interdetta
per qualche secondo, lasciando correre: “Ehm, ok, allora io
vado. – si lanciò
verso di lui, dandogli un bacio sulle labbra al volo – A
stasera!” esclamò,
scappando di fretta.
Dopo
che quella era uscita,
Eric si voltò a guardare Antonio, che attraverso le vetrate
osservava Alexis
entrare in macchina con molto interesse.
*
Rider
uscì dalla sua
camera, scendendo per le scale con fretta, tutto vestito di nero e con
gli
stivaletti.
Passando
per il salotto,
recuperò il cappello poggiato sul tavolino accanto al
divano. Lo indossò, poi
controllò l’orario sull’orologio.
Improvvisamente, si fermò un secondo a
contemplare la stanza, in preda ad un ricordo non molto lontano.
FLASHBACK
– Due settimane prima…
Rider
si era
appisolato sul divano con i libri aperti sul tavolino; ne aveva uno
aperto
anche sopra di sé, quello di matematica.
D’un
tratto,
venne scosso da qualcuno: suo padre.
“Rider?
– lo scosse
ancora – Rider svegliati!”
“Uhmm,
che
succede?” era ancora addormentato, gli occhi chiusi.
“Rider,
è
tardi. Vai nella tua stanza.”
Quello
finalmente aprì gli occhi, guardandosi attorno:
“Accidenti, mi sono
addormentato. Che ore sono?”
“Quasi
mezzanotte.”
“E
tu da dove
arrivi? – notò che aveva addosso il cappotto
– Sei uscito a portare fuori il
cane?”
“Ehm…
-
tentennò – Ero al Radley, sono stato da Nolan. Ha
la febbre.”
Rider
si
irrigidì immediatamente nel sentire quel nome, evitando lo
sguardo del padre:
“Ah, ok, e ora sta bene?”
“Starà
bene,
la febbre guarisce. – spiegò, ma il suo tono
preannunciò altro – Il punto è che
non sta bene di testa, vuole tornare a casa.”
“E
che cosa
vuoi da me? Ho altre cose a cui pensare: come la scuola! – si
irritò - E poi
Nolan ha ricevuto dei permessi speciali per uscire nei fine settimana e
venire
a casa nostra, grazie alle tue pressioni: non è
abbastanza?”
“Nolan
non vuole
permessi speciali, Rider: vuole stare con la sua famiglia!”
esclamò, severo.
“Quindi
adesso è così che andranno le cose? –
si alzò, stufo - Mi guarderai male ogni
volta che si parla di Nolan?”
“Ti
guardo
male perché ti stai rifiutando di aiutare tuo fratello. Sei
la chiave per il
suo rilascio!”
“No,
io sono
solo una merce di scambio! Lui vuole che prenda il suo posto in quel
manicomio
orribile e si è inventato quelle bugie per fare in modo che
questo accada.”
“Non
sono
bugie, non puoi saperlo! Devi andare da uno psicoterapeuta, Rider.
E’ l’unico
modo, dannazione!”
“E
che cosa
accadrà se tutto quello che ha detto è vero? Eh?
– lo mise di fronte alle
conseguenze – Scatteranno dei meccanismi che graveranno su di
me in maniera
negativa, ma a te importa solo di Nolan!”
“Pensi
che
non sappia a cosa andrai incontro se tutto ciò fosse vero?
Certo che lo so! –
lo prese per le spalle, fissandolo negli occhi – Ma non
cambierà nulla, perché
lo affronteremo insieme.”
“E
come? – si
svincolò dalla presa del padre, preoccupato per se stesso -
Con te e Nolan che
venite a trovarmi al Radley con una scatola di ciambelle
glassate?”
“Rider,
tu
vedi solo il lato peggiore della cosa. – cercò di
prenderlo con calma - Una
volta che con lo psicoterapeuta ripercorrerai quei ricordi e scoprirai
se hai
davvero fatto del male a quel bambino, porterò tutta la
documentazione delle
tue sedute alla commissione del Radley per richiedere il rilascio di
Nolan. Ciò
non significa, però, che verrai internato al posto suo. Non
funziona così.”
“E
cosa mi accadrà,
allora?” disse meno irrascibile, dopo averlo ascoltato.
“Interverrà
un giudice, ti sottoporranno a dei test. Insomma, terranno conto di
tutta la
tua vita e di come sei stato fino ad oggi.”
“Non
voglio
che tutto questo stravolga la mia vita. – esternò
sofferente – Mi sono
costruito una carriera scolastica impeccabile, ho vinto competizioni,
ho
viaggiato: tutte cose che non avrebbe mai fatto il ragazzo che ha
dipinto
Nolan. – lacrimò – Non sono un
assassino.”
“Ma
tu non lo
sei, Rider. Quel bambino non è morto, ok? –
Richard cercò di rincuorarlo – E’
stato un episodio spiacevole, tutto qui. Anche se dovesse essere vero,
questo
non fa di te un assassino.”
Rider
era combattuto:
“Non so se riuscirei a sopportare la
verità…”
“Lo
so, ma non
puoi abbandonare tuo fratello: soprattutto se è innocente.
Ormai non fa che
chiedermi se ci stiamo muovendo e ogni volta che viene qui a casa e tu
non ci
sei ad accoglierlo, pensa che non stiamo facendo nulla.”
L’altro
si
voltò, avvicinandosi alla finestra, riflettendo:
“Io… - non sapeva che fare –
Io… - si girò, aveva finalmente una risposta
– Va bene, andrò da uno
psicoterapeuta…”
Richard
sorrise, felice di quella decisione: “Grazie, Rider. So
quanto ti è costato
prendere questa decisione.”
Rider,
però,
aveva delle condizioni: “Sì, ma a patto che sia lo
zio Gordon. Non andrò da
nessun’altro, non voglio aprirmi con un estraneo.”
“Ma
mio
fratello non vive qui… – gli ricordò
– Il suo studio è in Italia ed è anche
impegnato con la sua classe universitaria.”
“Lo
so, ma
queste sono le mie condizioni. Non può venirci a trovare?
Quanto ci vuole per
fare questo viaggio nella mia testa?”
A
quel punto,
Richard si rese conto che suo figlio aveva sottovalutato la faccenda:
“Rider,
questa non è una cosa semplice. Ci vogliono delle sedute,
forse tante sedute.”
“Non
mi
interessa, è stato lui a seppellire i miei ricordi e a fare
questo abracadabra.
Voglio che sia lo zio Gordon il mio psicoterapeuta.”
Richard,
allora, comprese suo figlio era irremovibile: “Va bene, lo
chiamerò…”
“Bene,
ora
vado a dormire. – raccolse i suoi libri – La mia
vita deve continuare nel
frattempo, e domani ho un test.”
L’altro
annuì, accennando un sorriso: “Certo,
assolutamente. Buona notte!”
“Buona
notte!” ricambiò Rider
Il
suono del campanello
portò Rider al presente, che osservò nuovamente
l’orologio da polso:
“Dev’essere
Sam.” pensò.
Constatato
questo, si
apprestò ad andare ad aprire la porta.
*
Dopo
aver parcheggiato la macchina
in un punto nascosto, Sam e Rider entrarono furtivamente dentro al Rosewood self storage.
“Rider,
vedo delle
telecamere…” notò Sam, mentre
camminavano all’interno dello stabilimento con le
torce accese.
“Lo
so, per questo stiamo
per disattivarle.”
“Disattivarle?”
“Rilassati,
sarò io a
farlo.” ribettè con molta calma, tenendo lo
sguardo vigile.
Sam
lo squadrò dalla testa
ai piedi, facendo una smorfia per il loro trasvestimento: “Ho
un déjà vu…”
“Noi
due nel sotterraneo
della scuola che raggiungiamo l’ingresso della panic room,
vestiti da diabolik?
Sì, anch’io mi ricordo.”
“Ora
questo travestimento è
più che sensato, ma a quei tempi non tanto.”
Rider,
che era distratto,
ignorò cosa stava dicendo e lo tirò per un
braccio: “Ecco la centralina,
muoviamoci.”
Quando
furono davanti ad
essa, Rider aprì la centralina con dentro i fili, pronto a
disattivare le
telecamere.
“Rider,
te l’ho già detto
che questa potrebbe essere una pessima idea? Se non disattivi le
telecamere come
si deve, la polizia ci sbatterà in galera sul
serio.”
“In
galera per aver
disattivato le telecamere? Mi sembra eccessivo! –
esclamò, tirando fuori dallo
zaino delle tronchesi – Ehi, Sam, fammi luce!”
Infreddolito
e seccato,
eseguì: “Un mese senza A
ed ecco che
siamo di nuovo nel baratro. – si guardò attorno,
sbuffando – Odio la mia vita.”
“Più
che altro, siamo SUL
BORDO del baratro. – precisò, tagliando un cavo -
Aspettiamo di caderci quando A si
farà vivo.” e si rialzò, chiudendo
lo sportello della centralina.
“Hai
già fatto? Sei
sicuro?” gli domandò paranoico.
“Ti
sembrerà una cosa gay,
ma la scorsa settimana ho chattato con un tizio che se ne intende e mi
ha
spiegato come farlo.”
“E
come facciamo a sapere
che è fatta?”
Rider
riprese a camminare,
con Sam a seguito.
“Beh,
se vedi che nelle
telecamere c’è ancora una lucetta che lampeggia,
ti consiglio di abbassarti il
cappello fino al mento. Altrimenti fammi un applauso e considerami il
ragazzo
più intelligente che tu conosca.”
“Ma
tu SEI il ragazzo più
intelligente che io conosca. – rispose in primis, per poi
mostrarsi preoccupato
– E comunque non mi va di tentare la sorte, odio tentare la
sorte.”
Più
avanti, Rider fissò le
telecamere con attenzione: “Puoi anche rilassarti, niente
luci che lampeggiano.
– sorrise compiaciuto – Peccato non poter mettere
tutto questo nella lettera d’ammissione
al college.”
“Certo,
già immagino
l’inizio: Caro college, so scavare
una
buca nel cuore della notte e impallidire a messaggi minacciosi! ”
esclamò
con sarcasmo.
L’altro
rise: “Ma per
favore, abbiamo un curriculum molto più ampio di
questo!”
D’un
tratto, i due si
fermarono davanti alla serranda di uno dei depositi.
“E’
questo?” domandò Sam.
Rider
sfilò il suo zaino
dalle spalle: “Sì, numero
16…”
“C’è
un lucchetto,
ovviamente. – lo osservò frugare nello zaino,
seccato – Stai facendo uscire una
chiave? No, perché non riesco proprio ad immaginare come tu
possa aprirlo.”
Rider
tirò fuori una
smerigliatrice, attaccando la batteria: “Veramente sto per
tagliare il
lucchetto!”
“Mi
stai prendendo in giro?
– Sam sgranò gli occhi, guardandosi attorno
– Come diavolo lo rimettiamo a
posto?”
“Ehm…
Non lo rimettiamo a
posto. – spiegò calmo, pronto a tagliare
– Sam, nessuno saprà mai che siamo
stati noi. Guardiamo cosa c’è dentro e poi
fuggiamo: semplice!”
“Dimenticavo
quanto tutto
sia semplice per te, Rider. – zompettava sul posto per il
freddo e il panico –
E’ da pazzi quello che stiamo facendo!”
Rider,
intanto, si era
appena messo gli occhialini per proteggere gli occhi: “Non
usare la parola
pazzi, sono un ex paziente del Radley e sono ancora molto sensibile.
– gli fece
un cenno con la mano, poi – Allontanati, ci sarà
qualche scintilla.”
L’altro
eseguì, sbuffando
per via della situazione.
Dopo
qualche minuto, il
lucchetto era stato tagliato e Rider lo rimosse. Sam si
avvicinò, mentre quello
alzava la serranda fino al limite: il box deposito era finalmente
aperto.
I
due fecero un passo avanti,
silenziosi, puntando le torce: dentro c’era qualche
mobiletto, delle scatole e
numerose tele da disegno ammucchiate su una parete.
“Sam,
indossa i guanti
prima di toccare qualcosa.” gli suggerì Rider,
osservando qua e là.
L’altro
seguì il consiglio,
tirandoli fuori dalla tasca. Improvvisamente calpestò
qualcosa.
“Ma
che cavolo??? – si
salvò dal fare una brutta caduta, puntando la torcia a terra
– Qualcosa mi ha
quasi fatto inciampare.”
Rider
si abbassò a
recuperare quel qualcosa: era un lucchetto simile a quello appena
tagliato, più
un biglietto.
“Vedo
che A ci tiene a non farci finire
nei
guai!” esclamò, risollevandosi in piedi.
Sam
si avvicinò a lui: “Che
dice il biglietto?”
“Guardare ma non rubare, bugiardi. –A! –
lesse Rider – C’è molta polvere sopra
il biglietto, deve averlo scritto il mese scorso.”
“Perché
mai dovremmo rubare
qualcosa da qui? – pensò Sam, guardando la
robaccia attorno a sè – Dovrei
portarmi via un treppiedi, forse? A
pensa che sia alla ricerca di un nuovo hobby?”
“Non
ti agitare, lascialo
perdere. – gli suggerì – Piuttosto,
diamo un’occhiata!”
“…Va
bene. ” annuì l’altro,
più calmo.
I
due iniziarono a frugare
fra quella roba, cercando qualcosa che potesse sembrare importante. Ma,
più
tardi, Sam sembrò aver trovato qualcosa di molto
più che importante: era vicino
alle tele da disegno.
“Ehi,
Rider, vieni a
vedere… - lo chiamò – Su una di queste
tele, c’è disegnato sopra il numero 16!”
Quello
si avvicinò,
puntando la torcia su di essa: “Forse
A vuole
dirci che è questa la cosa che non dobbiamo rubare. Presto,
vediamo che cos’è!”
Subito
sfilarono via quella
tela dalle altre, capovolgendola: era raffigurato un ragazzo nudo,
all’interno
di un appartamento.”
“Oh
mio Dio… - Sam sgranò
gli occhi – Ma questo è Nat!”
Rider
restò perplesso: “Che
ci fa Nat in un dipinto? – lo osservò
attentamente, lasciandosi sfuggire un
commento sarcastisco – Però, è
più dotato di quanto pensassi.”
“Questi
sono i dipinti di
Edward Blanc, il francese che abbiamo seppellito! – si
agitò, guardandosi
attorno sconvolto – Oh mio Dio, questo deposito è
suo! Nathaniel accettò di
essere ritratto da lui per poi cercare di ottenere una testimonianza
che
scagionasse Jasper.”
Il
panico si fece presto
strada nel volto di Rider, che sbiancò:
“Perché inizio a pensare che questa sia
una trappola?”
“Perché
forse lo è? – si girò
a dirgli con tono isterico – Dobbiamo uscire immediatamente
da qui!”
“Sì,
ma il dipinto dobbiamo
lasciarlo!” esclamò Rider, notando che Sam lo
teneva ancora stretto.
“Rider,
abbiamo
letteralmente tranciato i cavi della sorveglianza. La polizia
verrà attirata
qui e scopriranno che, coincidenza delle coincidenze, è
successo proprio dove
Edward ha affittato un deposito!”
“E
quindi? Vorresti rubare
un dipinto che A ci ha scritto di
non rubare?”
“Se
la polizia scopre di
questo deposito, non ci metterà molto a riconoscere
Nathaniel nel dipinto e a
collegarci all’omicidio. – continuò Sam
– Probabilmente questo è l’ultimo
ritratto che Edward ha dipinto prima di morire.”
“Sam,
secondo me, A voleva solo che
sapessimo che ha
spostato la tela da casa di Edward a questo deposito. –
cercò di convincerlo a lasciare
il dipinto - Ci ha lasciato un lucchetto identico a quello che abbiamo
appena
tagliato, non penso voglia incastrarci.”
“Abbiamo
commesso un enorme
sbaglio a venire qui, ci siamo esposti ancora una volta per colpa di A. – si sentì male
per questo – Non
posso crederci che ci siamo cascati ancora.”
Rider
sfilò il dipinto
dalle mani di Sam: “Questo lo lasciamo qui, ok? Non
facciamolo arrabbiare.” e
lo posò accanto a tutti gli altri.
Dopo
aver richiuso il
deposito con il lucchetto nuovo, i due erano nuovamente per strada che
camminavano per tornare alla macchina.
Sam
era molto pensieroso:
“E’ passato un mese, eppure nessuno ha denunciato
la scomparsa di Edward. – si
voltò a guardare Rider, incredulo –
Com’è possibile?”
“Lui
espone le sue opere a
New york, giusto?”
“Per
questo mi chiedo come
mai nessuno si sia accorto di nulla. Ok, forse ha una vita piuttosto
intraprendente e magari non coinvolge la famiglia, ma suppongo che con
questa
galleria che espone i suoi quadri, avrà un contratto.
Avrà anche degli amici,
penso. – riflettè, divorato dalla paranoia - Dopo
un mese, qualcuno si starà
chiedendo dove sia finito, no?”
Quando
furono davanti alle
portiere della macchina, Rider si fermò con tono misterioso:
“Magari non è
proprio sparito come pensiamo…”
Sam
gli lanciò subito
un’occhiataccia: “Rider, tu non c’eri, ma
mi sembra di averti già spiegato che
abbiamo seppellito i suoi pezzi nel bosco. – trovò
assurdo il suo commento – E’
morto, fidati!”
“No,
lo so che è morto. –
si spiegò meglio – Quello che sto dicendo
è che forse Edward vive ancora grazie
ad A.”
“Cioè?”
“Quando A ha ucciso Edward, avrà
preso i suoi effetti personali: carte di
credito, telefono.”
Sam
titubò, pensandoci: “Oh
mio Dio, credi che si stia spacciando per Edward?”
“E’
l’unica spiegazione
razionale che mi venga in mente.” ribattè, mentre
entravano in macchina.
“Seriamente,
se la polizia
dovesse mai arrivare a questo deposito… - Sam ormai pensava
al peggio –
Nathaniel dovrà rispondere ad una marea di
domande.”
“Forse
volevi dire NOI! –
precisò Rider – Dubito che possano interrogare un
ragazzo in coma.”
A
quel punto, Sam si
disperò: “Lo sapevo che non l’avremmo
fatta franca, stavolta. A si sta
preparando per il suo ritorno
e ci ha voluto dare qualche anticipazione.”
“Ne
verremo fuori, ok? A non ci ha
ancora sconfitti.”
I
due si guardarono a
lungo, cercando di essere fiduciosi.
*
Più
tardi, il Brew si era
svuotato. Antonio era in fondo al locale che appuntava delle cose su un
taquino, mentre Eric non smetteva di fissarlo.
Ad
un certo punto, l’uomo
tirò fuori il telefono ed iniziò a rispondere a
dei messaggi. Dopo, si avvicinò
al bancone.
“Eric,
qui chiudi tu? Io ho
un impegno urgente adesso.”
Quello
sforzò un sorriso:
“Ma certo, vai pure.”
“Grazie,
a domani!” esclamò
uscendo.
L’accenno
di sorriso di
Eric, si incupì non appena l’uomo
lasciò il Brew. Immediatamente controllò il
telefono, sperando di trovare messaggi o chiamate perse di Alexis: ma
come
immaginava, non c’era nulla.
Tornò
a guardare fuori,
dove Antonio stava entrando nella sua auto. Sentiva che c’era
qualcosa di
losco, che la sua ragazza lo tradisse con lui.
Improvvisamente,
ricevette
una chiamata: era Rider.
“Pronto?”
rispose,
distratto da Antonio che metteva in moto l’auto.
“Ehi,
volevo passare al
Brew per aggiornarti ma sono davvero esausto.”
L’altro
non parlava, lo
sguardo fisso sulla strada. Antonio era appena andato via.
“Pronto?
Eric?”
“Sì
sì, eccomi. Che c’è?”
“Dicevo,
io e Sam siamo
stati al deposito.”
“E?”
“E…abbiamo
scoperto che era
di Edward!”
“Il
deposito numero 16 è di
Edward? Ma allora era una trappola.” pensò,
preoccupandosi.
“Dentro
c’era un dipinto
che ritraeva Nat nudo; di quando si prestò ad Edward come
modello per riuscire
ad estorcere una testimonianza.”
“Un
secondo, quindi voi
avete violato il deposito di un uomo assassinato? Ti prego, dimmi che
non avete
lasciato tracce.”
“Solo
i cavi della
sorveglianza tranciati. Il lucchetto l’ho tagliato, ma A è stato così
magnanimo da lasciarcene uno uguale; sapeva che ci
saremmo entrati prima o poi.
“Quindi
siamo salvi? Cioè,
se la polizia dovesse indagare, non è detto che facciano
caso al deposito, no?
Ci sono tanti altri depositi.”
“Io
dico che possiamo stare
calmi, nessuno sa ancora che Edward è morto. Se il Self
storage dovesse
chiamare la polizia per indagare, non faranno nemmeno caso ai
proprietari dei
depositi. E poi non abbiamo rubato nulla ieri sera.”
Eric
finalmente si
tranquillizzò: “Già, hai
ragione…”
“Tu,
piuttosto, mi sembri
tra le nuvole. – notò Rider dal tono - Tutto
bene?”
“Io?
Ehm, sì, sto bene!
Devo solo chiudere il Brew…”
“Lo
fai un po’ spesso
ultimamente. – rise nel tentativo di sdrammatizzare
– Rimpiangi il vecchio
Todd?”
“Forse!”
esclamò, forzando
una risata.
Rider,
poi, tornò serio:
“Devo dire che mi mancherà questa nuova
normalità…”
“Già,
da circa un mese mi
sembra di essere stato catapultato in una nuova linea temporale dove A non esiste. Poi con i cambiamenti che
ha subito il Brew, Nat in coma…sembra tutto così
surreale.”
“Peccato
che presto
torneremo alla vecchia linea temporale, dove A
farà il suo trionfale ritorno.”
Eric
era ancora pieno di
dubbi: “Mi chiedo perché volesse mostrarci quel
dipinto nel deposito.”
“Per
iniziare a tessere la
sua tela di terrore? – gli sembrò così
ovvio - Il dipinto collega Nat ad
Edward; anzi, collega tutti noi ad Edward. Se dovesse spuntare fuori
nelle
indagini, il detective Costa non ci metterebbe un secondo ad archiviare
il
caso: sospetta di noi da sempre. Su tutto quanto.”
“Quindi
che facciamo?
Aspettiamo il ritorno di A,
fingendo
di avere delle vite normali?”
“Ti
consiglio di goderti
questi ultimi giorni felice con Alexis e di recuperare tutte le materie
in cui
sei rimasto indietro per colpa di A.”
“Ho
già recuperato tutto, a
dire il vero. E’ incredibile come studiare sia
così facile quando non c’è
qualcuno che ti perseguita notte e giorno.”
“Allora
cerca di essere il
più felice possibile con Alexis, perché, credimi,
quella felicità A te la
porterà via.”
Eric,
allora, abbassò lo
sguardo, pensando a quella felicità che in realtà
già non c’era più con Alexis.
La cosa lo rattristò molto, ma cercò di non farlo
capire a Rider.
“Ehm,
ok, magari domani
porterò Alexis fuori a cena.”
“Fallo,
è la cosa migliore
da fare in questo momento.” gli suggerì.
*
Intanto,
Sam, dopo la gita
al deposito, passò dall’appartamento di Wesam con
in mano un cartone di pizza
fumante.
Dopo
aver bussato due
volte, finalmente venne aperto: l’uomo indossava
l’accappatoio e aveva i
capelli bagnati.
I
due si sorrisero, poi
Wesam avanzò sul pianerottolo, stringendolo in un
travolgente bacio in cui le
bocche sorridevano ancora.
Sam
faticava quasi a
reggere la pizza, che rischiava di essere schiacciata dai loro corpi.
“Non
hai paura che qualche
tuo vicino esca e ci veda?” si staccò, continuando
a sorridere.
“Ma
se sono tutti vecchi e
con l’artrite su questo piano!” esclamò
Wesam, recuperando la pizza dalle sue
mani.
“Già,
dimenticavo che qui
sei tu quello giovane!” sollevò le sopracciglia,
ironico, mentre quello lo
tirava dentro per un braccio.
Wesam
poggiò subito la
pizza sul tavolo del salottino.
“Sei
stato da Nathaniel?
Per questo hai fatto tardi?”
Sam,
che stava prendendo i
piatti, dissimulò la verità: “Ehm,
sì, come tutte le sere…”
“E’
bello cenare due volte
in una sera, sai? Prima da solo e ora con te.”
cercò di essere sarcastico,
nonostante provasse un po’ di gelosia.
Sam
poggiò i piatti sul
tavolo, per poi cadere sulle ginocchia di Wesam, che era seduto sul
divano.
“Prometto
che domani non
farò così tardi. – rise,
perché Wesam lo baciava continuamente sul collo e
sentiva il solletico – Dai, basta, lo sai che sono
sensibile!” cercò di
liberarsi.
Dopo
diversi minuti, il
cartone della pizza era ormai vuoto e i due era sdraiati sul divano.
Wesam era
dietro Sam, che lo stringeva a sé per i fianchi.
Quest’ultimo
controllò l’orologio:
“Tra poco devo tornare a casa, mio padre rientrerà
dalla centrale a momenti.”
L’altro
gli accarezzò i
capelli con molta dolcezza, distratto a fissarli con
intensità: “No, di già?”
“Vorrei
restare anch’io, ma
dopo Norman vuole sempre che rientri a casa per le nove. Che sia al
sicuro.”
“Ma
tu sei al sicuro…” lo
strinse ancora una volta, affettuoso.
“Sì,
ma questo mio padre
non lo sa!” sorrise dispettosamente.
“Beh,
mi dispiace non
potergli dire che suo figlio è in buone mani. –
Wesam utilizzò un tono buffo -
Nelle mani del suo ragazzo di dieci anni più
grande!”
Sam
scoppiò a ridere: “Ti arresterebbe
all’istante!”
“Peccato
che non sia io che
deve arrestare… - alluse ad A.
– Non
sono io la minaccia.”
All’improvviso,
il sorriso
di Sam scomparve di colpo dalle sue labbra, la stanza cadde nel gelo
più
assoluto. Il ragazzo decise di alzarsi, prendendo la giacca.
“Forse
è meglio che io
vada…”
Wesam
si rese conto di aver
parlato a sproposito, alzandosi: “C’è
qualcosa che non va, Sam? – notò la sua
agitazione - C’è qualcosa che vuoi
dirmi?”
Quello
si fermò a
rispondere, molto sbarazzino: “No, niente.”
“A è tornato?” fu
diretto.
“Non
è tornato, ok? –
spiegò, leggermente isterico – E’ solo
che non mi va di parlare di lui mentre
sono qui che ho un momento felice con te.”
“Sam,
ne abbiamo parlato
dopo quello che ti è successo alla casa sul lago, ricordi?
Tu puoi dirmi ogni
cosa. – cercò di farsi partecipe della sua vita -
Lo so che con il tempo hai
imparato a mentire e a tenere a distanza le persone che ami, ma con me
puoi
essere te stesso. So praticamente tutto.”
“A non è tornato, sto dicendo
la verità.” ribadì.
“Allora
cosa c’è che non
va? Lo vedo come non stai bene.”
“E’
solo tensione, ok? A sta per
tornare e sento il peso del
suo ritorno che grava sulle mie spalle, ora più che
mai.”
“Hai
paura per me?”
Quello
aveva gli occhi
lucidi: “Ho paura per tutti quanti, Wesam! Nathaniel
è finito in coma a causa
dei giochi di A, non
perché è stato investito
dopo aver attraversato una strada.”
“Te
l’ho già detto, non
devi avere paura per me. Mi sembra di avertelo già promesso
che non interverrò
in questa storia; anche se sono dell’idea che potrei fare
qualcosa, se solo tu
me lo permettessi.”
“Puoi
anche averlo
promesso, ma chi ama mente! – si mise a braccia conserte,
sospirando - Non sono
sicuro che tu abbia davvero compreso di dover stare al posto
tuo.”
Wesam
si avvicinò a lui,
prendendolo per le spalle con molta dolcezza: “Ho compreso
qual è il mio posto,
va bene? – si fissarono negli occhi – Avete un
piano, me l’hai spiegato un
centinaio di volte. Fate quello che dovete fare, ma… su una
cosa non posso
mentirti, Sam. Se la tua vita dovesse essere in serio pericolo,
scordati che
farò il fidanzato da salotto.”
“Ti
prego, restane fuori il
più possibile.” lo supplicò con lo
sguardo, sofferente.
Quello
annuì con un sorriso
rassicurante, poi gli prese il volto e lo baciò teneramente.
*
Eric
era a letto da un
pezzo quando Alexis rientrò. In punta di piedi, la ragazza
chiuse la porta
della stanza e si mise sotto alle lenzuola.
Dopo
aver trovato la
posizione più comoda, Alexis chiuse finalmente gli occhi.
Qualche secondo più
tardi, però, Eric si sollevò e girò
verso di sé l’orologio che c’era sul
comodino per vedere l’orario.
“Dove
sei stata? Sono le
tre e un quarto!”
Quella
aprì gli occhi,
fingendo della stanchezza nella voce: “Eric, che spavento.
Avevo preso sonno.”
“Vuoi
rispondere alla mia
domanda?” non gli importò, cinico.
“E
che domanda sarebbe? –
sussultò perplessa – Sono stata a cena da mia
madre, hai perso la memoria?”
L’altro
assunse un tono
inquisitorio: “E le cene durano sei ore? Hai lasciato il Brew
che erano le
nove.”
“Eric,
lo sai che mia madre
non vive a Rosewood. Sono almeno due ore tra andata e ritorno,
ok?”
“Poteva
venire lei, avremmo
cenato tutti insieme.”
Alexis
restò basita,
sollevandosi con la schiena: “Ehm… Eric non
capisco dove vuoi andare a parare,
cos’è questo interrogatorio?”
“Sei
strana, ecco dove
voglio andare a parare. – fu diretto – Sei strana
da settimane!”
“Oh,
beh, guarda da che
pulpito arrivano queste parole. – si irritò,
allibita – Tu sei strano da quando
ti ho conosciuto, come la mettiamo?”
“E
se adesso chiamassi tua
madre per sapere se sei stata davvero da lei?”
Quella
spalancò occhi e
bocca, sconvolta: “E’ una specie di scherzo? Dove
diavolo sarei andata se non
da lei?”
“Non
saprei, Antonio è
uscito dopo di te.” alluse ad un tradimento.
Alexis,
sconcertata,
scivolò con un piede giù dal letto:
“Antonio?? Mi stai prendendo in giro?”
“No,
perché dovrei dal
momento che siete sempre così intimi?”
“Ok,
adesso basta! – si
alzò dal letto, prendendo il suo cuscino – Vado a
dormire sul divano, questo è
troppo!”
“Che
fai, non rispondi alla
mia domanda? – quella sbattè la porta, uscendo
– Eh? – urlò per farsi sentire
–
Perchè non mi rispondi? Mi hai tradito o no?”
Furioso,
rimase a fissare
la porta a lungo. Poi, quando si calmò, si stese nuovamente
e provò a dormire.
*
Non
solo per Eric
l’insonnia era un problema: anche Rider continuava a
rigirarsi nel letto,
tormentato dalle domande che ancora non avevano risposta.
Ad
un certo punto, dovette
alzarsi ad accendere la lampada sul comodino. La sua stanza fu
immediatamente illuminata
dal rosso tenue che essa emanava; ma tale luce, riuscì ad
illuminare solo la
parte intorno al letto, mentre tutto il resto era oscuro.
Oscurità
che altro non era
che sinonimo delle ombre che c’erano ancora nella pagine del
suo passato.
FLASHBACK
– Tre settimane prima…
Rider,
Eric e
Sam erano appena entrati nella sua camera, quella mattina.
“Ok,
Nathaniel,
alla casa sul lago, ha detto che il libro dove sono scritte tutte le
informazioni su di noi, che usava Nolan, è in questa stanza!
– spiegò Sam,
mentre si guardavano attorno – Dobbiamo solo
trovarlo.”
“Non
ha detto
qualcosa di più specifico? – intervenne Eric,
sottilineando la difficoltà
dell’impresa – La stanza di Rider è
piena di libri!”
“Ehm,
no… -
rispose Sam, impalato – E’ difficile approfondire
qualcosa quando davanti a te
c’è il fratello gemello del tuo amico con in mano
una pistola.”
Rider,
intanto, stava già frugando tra gli scaffali e sopra le
mensole: “Immagino che
dovremo aprirli tutti… - fece loro cenno di darsi una mossa
– Forza,
aiutatemi!”
Quelli
eseguirono, ognuno in un punto della stanza.
“Ragazzi,
a
proposito del mandato di perquisizione di cui Nat è stato
messo al corrente da A…
sbaglio o non c’è stata alcuna
perquisizione da nessuno di noi quattro?”
pensò Eric.
Rider
ci
riflettè: “Forse A l’ha
preso in
giro, in effetti la polizia non è venuta a casa di nessuno
di noi.”
“Allora
Nolan
diceva il vero, A voleva tagliarlo
fuori. – dedusse Sam – Se Nat non avesse ricevuto
quel messaggio, non sarebbe
mai entrato nella stanza di Rider e di conseguenza non avrebbe mai
scoperto del
libro… A l’ha
smascherato!”
Rider
si
fermò dal cercare, rendendosi conto che non aveva
più senso farlo: “Se A voleva
tagliarlo fuori e questo era
tutto un suo piano, allora il libro se lo sarà
ripreso.”
“Un
secondo,
però… - Sam chiamò
l’attenzione su di sé – Questo
fantomatico libro contiene
solo informazioni su di noi, cose che già sappiamo.
Perché lo stiamo cercando?”
Lo
sguardo di
Sam si posò su Eric, che reagì in modo
sbarazzino: “Non guardare me, è Rider
che voleva trovare quel libro a tutti i costi!”
Sam,
allora,
si rivolse all’altro: “Rider, perché ti
importa così tanto di trovare quel
libro?”
“Perché
forse
può dirmi qualcosa in più sul mio passato!
– sputò fuori il rospo, andandosi a
sedere sul letto – Dopo aver scoperto che mia madre non
è la mia vera madre, ho
bisogno di risposte.”
“Non
hai
chiesto a tuo padre? - gli domandò Eric –
E’ lui che dovrebbe darti delle
risposte e non un libro scritto a mano da A.”
“Certo
che
l’ho fatto! E’ stata una delle prime cose che gli
ho chiesto dopo gli eventi
della casa al lago… - spiegò Rider, tormentato -
Mi ha detto che non ha più
contatti con lei da anni e che quando l’ha conosciuta portava
un nome falso che
non voleva la pena riferirmi.”
Sam
fece un
commento a caldo: “Mette incinta una donna e non sa nemmeno
il suo vero nome?”
Il
commento
attirò subito un occhiataccia di Rider, che svanì
quasi subito: “Beh, non sono
sicuro che mio padre mi stia dicendo la verità. Quando sono
entrato nella panic
room, l’ultima volta, ho trovato una foto del 1998 che
raffigurava mio padre
con una donna. Indossava un impermeabile rosso.”
“E
sei sicuro
che fosse la tua vera madre?” gli chiese Eric.
Preso
dal
nervosismo, andò davanti alla finestra:
“…Beh, non ne sono sicuro.”
“Ok,
ma cosa
gliene importa ad A di tenere una
foto di tuo padre assieme ad una donna, nella panic room? –
pensò Sam, confuso
- Siamo noi la sua ossessione principale, non loro.”
A
quel punto,
Rider si voltò: “Sentite, forse è
meglio lasciar perdere. – suggerì con tono
isterico, cercando di nascondere un suo disagio interiore - Stacchiamo
un po’
il cervello e godiamoci questo mese senza A,
basta fare teorie e cercare indizi.”
Gli
altri due
rimasero assai straniti, guardandosi fra loro.
“Ehm,
ok… - rispose
Eric – Per me va bene, abbiamo tutti bisogno di una
pausa.”
“Già,
decisamente!” pensò anche Sam.
A
distanza di un mese,
Rider non aveva mai rivelato ai suoi amici cosa si erano detti lui ed A al Radley. Non aveva parlato dello
scambio di messaggi tra loro e che aveva fatto delle domande sulla
donna della
foto; domande a cui aveva ricevuto risposta, in parte.
Ma
quelle risposte,
nascondevano una verità molto forte: una verità
che forse avrebbe dovuto
svelare ai suoi amici, perché ormai c’erano troppe
coincidenze dentro la sua
testa.
Spenta
la lampada da notte,
Rider tornò a dormire. O almeno, ci provò.
*
Il
giorno dopo, in tarda
mattinata, Chloe era fuori dall’aeroporto, accanto alla sua
macchina, che
aspettava qualcuno con ansia.
Quando
le porte si aprirono,
vide Clarke arrivare verso di lei con in mano la sua borsa da viaggio e
un
ampio sorriso.
Anche
quella avanzò verso
di lui con lo stesso entusiasmo: “Finalmente sei
arrivato!”
“Ho
avuto un contrattempo,
ho dovuto prendere il secondo volo.” spiegò,
abbracciandola forte.
Dopo
averla tenuta stretta
per diversi secondi, si staccò: “Allora, come
stai? Bene?”
“Sul
serio, Clarke? – gli
lanciò un occhiataccia – Per caso a capodanno hai
bevuto troppo?”
Quello
le sorrise,
conoscendo perfettamente i suoi drammi: “Ah, già,
tua madre è in città e c’è
anche la tua odiosa sorellastra!”
“Vedo
che ti è tornata la
memoria, nonostante mi sia lamentata con te al telefono per ore.
– prese la sua
borsa, mettendola nel portabagagli – Ho lasciato il South
dakota e sono venuta
a vivere qui con i miei zii pur di liberarmi di lei; peccato che lei
sia
compresa nel pacchetto vacanze quando mia madre torna a
Rosewood.”
“Dai,
tanto restano solo
per qualche altro giorno.”
“Lo
so, ma è così odiosa. –
si sfogò, gesticolando in maniera isterica - Mi odia da
morire, te l’ho già
detto? – quello annuì forzatamente, esausto per il
viaggio - Ma certo che te
l’ho già detto, e scusa se ti assilo in
continuazione. – sospirò, sentendosi subito
in colpa – A volte mi manca l’amicizia con Sam:
durante il terzo anno abbiamo
creato un fantoccio da sacrificare in un esperimento di chimica e li
abbiamo
dato il nome di quella stronza. Le abbiamo sciolto la faccia mischiando
varie
cose.”
“So
perfettamente che ti
manca Sam, ma devi stare lontana da lui. – le
suggerì ancora una volta, mentre
entravano in macchina - Soprattutto dopo quello che è
successo il mese scorso.”
“Nathaniel
è in coma, avrei
potuto almeno chiamare. – poggiò la fronte sul
volante, giù di morale – Mi
sento una brutta persona.”
“Stai
solo sfuggendo ad un
pazzo… o una pazza, non lo sappiamo di preciso. –
le prese la mano -Non devi
sentirti in colpa, va bene?”
“A
proposito, che hai
scoperto su Alexis?”
“Su
Alexis? Beh, non ha
nulla che non vada a dire il vero. E’ una ragazza
normalissima, solo che…”
Quella
si irrigidì,
impaziente: “Solo che, cosa?”
“E’
ricca!”
“Ricca?”
sgranò gli occhi.
“Beh,
non lei. Suo padre è
ricco!”
Chloe
rimase perplessa:
“Non fai turni extra al Brew se sei ricca.”
“I
suoi genitori sono
divorziati. Forse Alexis è rimasta con sua madre…
e anche se fosse, è
maggiorenne per dipendere dai soldi del padre.”
“Quindi
hai scoperto solo
questo? Ti ho mandato un’email con l’elenco delle
persone che Anthony ha
portato nel bosco. Nessuno di quelli è un suo parente?
– chiese, molto
stressata nel tono- Che ne so: un fratello, una sorella, un cugino alla
lontana, un amico…”
“No,
mi dispiace. Nessun
legame con nessuno di loro.”
“Quindi
Alexis non cerca
vendetta per quello che ha fatto Anthony. –
realizzò, preoccupata - Non è A.
Non ha alcun motivo per esserlo.”
“Tu
hai avuto più fortuna?
Hai spiato i ragazzi nell’ultimo mese?”
“Non
sarei così esaltata
nel farti domande su Alexis, se avessi scoperto qualcosa. –
sospirò – A dire il
vero, le loro vite mi sono sembrate così tranquille. Sono
tornati a scuola solo
dopo qualche giorno, in seguito all’aggressione. Hanno
passato le feste con le
loro famiglie: tutto normale.”
“Che
intendi? Pensi che A abbia smesso
di tormentarli?”
“Non
sappiamo nemmeno in
che modo li ha tormentati, Clarke.
–
ribattè – Ciò che vedevo in loro era
solo un costante nervosismo o strane
ferite e lividi; cose che non ho visto ultimamente.”
“Quindi
stai dicendo che
dopo l’aggressione, non sono più
nervosi?”
“Così
pare…”
Clarke
trovò sospetta la
cosa: “Io non ero qui, perciò non so bene cosa
dissero i notiziari a proposito
dell’aggressione che hanno subito i ragazzi. Di preciso, cosa
è successo?”
“Niente,
un pazzo è fuggito
da un manicomio assieme al suo amichetto, altrettanto pazzo, e insieme
si sono
rifugiati in una delle case che affacciano sul lago;
d’inverno quelle case sono
tutte vuote, perciò era un luogo perfetto per
nascondersi.”
“E
loro si sono trovati lì
per caso, quella notte? Intendo i ragazzi.”
“Sam
e gli altri vanno
spesso alla casa sul lago di Rider.”
“E
chi erano questi
aggressori?”
“Due
pazienti del Radley
sanitarium: uno si chiamava Norman qualcosa e
l’altro… - si sforzò di ricordare
– Beh, a dire il vero, dell’altro paziente non
hanno divulgato il nome, forse
per la privacy; pare che questo sia stato rapito da Norman e portato
fuori dalla
struttura con la forza, quindi non c’entrava nulla.
”
Clarke
incantò il vuoto,
perplesso: “Non ti sembra tutto così strano? Con
tutte le case che c’erano, quei
due hanno scelto proprio quella degli Stuart per rifugiarsi?”
“Che
vorresti dire, scusa?”
Chloe non riuscì a seguirlo.
“Troppe
coincidenze, Chloe…
- pensò fermamente - E se A si
nascondesse dietro il paziente di cui non è stata divulgata
l’identità?”
Quella
rise: “A sarebbe un
malato mentale che uccide,
incastra le persone e manda messaggi minacciosi da dentro un manicomio?
- lo
trovò assurdo - Certo!”
“Ascolta,
mia madre un
tempo faceva parte del consiglio di amministrazione del Radley e so che
c’erano
diversi problemi con i badge identificativi: pazienti che entravano e
uscivano.”
“Cosa?
– quella sussultò,
inquietata – E hanno risolto?”
“Non
ne ho idea, questo
accadeva qualche anno fa. Dico solo che i ragazzi potrebbero aver avuto
un
faccia a faccia con A, quella
notte.”
Chloe
trovò su cui
riflettere: “Un secondo, magari questo paziente, di cui non
hanno divulgato il
nome, potrebbe avere qualche legame con una delle persone che sono
state nel
bosco. E magari, sempre una di quelle persone, può essere
andata a trovarlo e
averli raccontato ciò che gli è
accaduto.”
“…solo
un pazzo potrebbe
essere A!” aggiunse
Clarke,
inculcando il dubbio anche in lei.
“Io
non posso andare al
Radley, mi esporrei troppo. –
Chloe si
spaventò, prendendogli il braccio – Devi andarci
tu e scoprire l’identità di
questo paziente, poi saremo in grado di fare dei collegamenti.
C’è sicuramente
un collegamento.”
“Sei
sicura?”
“Non
è solo per me, è anche
per te che devi fare questa cosa. A potrebbe
aver ucciso davvero tuo padre ed Anthony.”
Clarke
si voltò a guardare
davanti a sé, sulla strada, riflettendoci bene dopo un lungo
sospiro.
*
Alla
Brahms, Sam era nella
stanza della racccolta del sangue. Dopo aver compilato un questionario,
si
sdraiò su uno dei lettini liberi.
In
attesa che qualcuno
iniziasse a fargli il prelievo, tirò fuori il telefono dalla
tasca e aspettò.
Nel
lettino accanto, una
ragazza lo chiamò: “Sam?”
Quello
si girò,
riconoscendola subito: “Ehi, Brianna, ciao! –
abbassò il telefono – Anche tu
doni il sangue, eh?”
“No,
a dir la verità sto
donando le piastrine. – spiegò, mentre aveva la
cannula attaccata al braccio –
Sono qui da circa mezz’ora!”
“Ah,
no, io donerò solo il
sangue. Una cosa veloce.”
Improvvisamente
cadde il
silenzio, i due continuarono ad annuire, finchè Brianna non
rise imbarazzata:
“Accidenti, siamo nella stessa scuola, ma non ci siamo
incrociati spesso.”
“Sarà
perché questo
istituto è molto più grande del nostro vecchio
liceo esploso.”
“Peccato
che abbiamo perso
molti compagni di classe, qui conosco davvero poche persone della
Rosewood high
school. – sollevò il telefono per mostraglielo
– Però mi tengo ancora in contatto
con i vecchi studenti tramite quella
applicazione del cugino di Violet.”
“Ah,
alla fine c’è qualcuno
che la usa? – fu sorpreso – A dire il vero, non
avevo molti amici lì; eccetto
Nathaniel, Rider ed Eric.”
“A
proposito, mi dispiace
molto per Nathaniel. – si mostrò in pena - Ho
saputo tramite i notiziari e
sull’appplicazione: ne parlavano tutti.”
“Già,
sto cercando di
dimenticare quella storia. – distolse lo sguardo, a disagio
– E’ stata una
notte particolare...”
Brianna
si sentì
mortificata: “Scusa, non volevo far riaffiorare quella
vicenda.”
“No,
tranquilla, non
preoccuparti. – le sorrise – Ormai è
passato un mese, sto meglio. Stiamo tutti
meglio.”
Il
silenzio cadde
nuovamente tra i due, finchè Brianna non lo
spezzò nuovamente: “Ascolta,
l’ultima volta che ci siamo visti, ti ho assunto come
fotografo per il ballo
degli ex studenti. – quello si voltò ad ascoltarla
– Facesti delle foto
grandiose a tutti gli invitati, perciò mi chiedevo se non
volessi far parte di
qualche club che c’è qui.”
“Tipo?”
“Tipo
quello di fotografia,
che domande. – rise quella – Sai, si avvicina il
diploma e presto andremo al
college. Se vuoi permetterti la retta dei posti in cui vorrai andare,
dovrai ottenere
delle borse di studio. E partecipando a dei club otterresti molti
meriti.”
Sam
distolse nuovamente lo
sguardo, pensieroso: “Sì, certo, i
college…”
“Che
c’è, non hai ancora
idea di dove andare? Io la settimana prossima faccio visita alla Ballard.”
“Sì,
anch’io devo visitare
qualche college in cui ho fatto domanda.” finse di avere
tutto sotto controllo.
“E
qualcuno ti ha
accettato?”
“Ehm,
certo, mi hanno già
accettato tre college!” mentì, accennando un finto
sorriso gioiso.
“Ma
è fantastico, non vedo
l’ora che il liceo finisca per provare l’eccitante
avventura del college. –
l’infermiera finalmente si avvicinò a toglierle la
cannula – Ora vado a fare
una scorta di biscotti al cioccolato. – si sollevò
dal lettino, pronta a
scendere – Quando finisci, vai vicino al tavolo che
c’è laggiù! – glielo
indicò
– Ne troverai a bizzeffe, li ha fatti la cuoca della mensa,
sono buonissimi!”
“Grazie,
seguirò il tuo
consiglio!” la salutò, mentre
l’infermiera si occupava finalmente di lui.
*
Durante
la pausa pranzo,
Rider fece un salto al Radley senza dirlo a nessuno; erano passate
diverse
settimane da quando fuggì da quel posto, e tornarci non era
per nulla facile.
Mentre
l’infermiera lo
accompagnava alla stanza di Nolan, quei corridoi rievocarono molti
ricordi
orribili in Rider: quasi gli mancava il fiato.
“Hai
venti minuti!” gli
notificò quella, quando giunsero alla porta.
Rider
annuì, entrando.
Quando
la porta si chiuse
alle sue spalle, Nolan era seduto davanti a quella che sembrava essere
una
scrivania: stava leggendo un libro.
Sorpreso
di vederlo,
assunse un tono cinico e poggiò il libro molto lentamente:
“Quando mi hanno
detto che avevo una visita, mai avrei immaginato che fossi
tu.”
Rider
osservò la stanza,
molto diversa rispetto a come la ricordava. Le pareti erano dipinte, il
letto
appariva confortevole, c’erano tanti libri e una televisione.
“Sbaglio
o questa non è la
stessa stanza che abbiamo avuto?”
“No,
non sbagli. – accennò
un sorriso compiaciuto – Papà ci tiene a tenermi
buono finchè non ti decidi a
battere la testa da qualche parte e ricordarti il tuo piccolo momento
criminale. – rise, divertito – Come vedi, il Radley
chiude un occhio sui miei
confort grazie ad una serie di assegni.”
Innervosito
dal dover stare
lì ad ascoltarlo, Rider lo esternò senza
nasconderlo: “Senti, ho saltato l’ora
di Geografia per essere qui. Non mi interessa se hai finalmente dei
passatempi.”
“Rilassati,
Rider. – si
girò con la sedia - La Svizzera continuerà a
confinare con la Francia, non
essere drammatico.”
L’altro
aveva una vena
gonfia in fronte: “Smettila di prenderti gioco di
me!”
“Continuerò
a farlo, dal
momento che mi tieni ancora bloccato qui.”
“Non
mi fido di te, ok?”
“Non
ti fidi o hai paura
che io abbia ragione?”
I
due si fissarono per
diversi secondi, Nolan si sentì forte.
“Ascolta,
ho deciso di fare
queste sedute registrate. – Rider fu più
ragionevole – Ma non farò nulla di
tutto questo senza ottenere qualcosa in cambio da te.”
Quello
sorrise, per nulla
sorpreso dalla richiesta: “Sai, immaginavo
l’avresti detto; del resto, dopo
quella notte alla casa sul lago, hai preferito andare da qualche altra
parte
ogni volta che sono venuto a casa vostra. Non c’eri nemmeno
durante le feste
natalizie.”
“Scusa
tanto se non volevo
vedere qualcuno che mi ha accusato di aver affogato un bambino che ora
per
colpa mia ha dei problemi!”
“L’hai
detto ai nostri
amici?”
“Non
osare! – lo fulminò
immediatamente – Quelli sono I MIEI amici, non i
tuoi.”
“Papà
mi ha permesso di
andare a trovare Nathaniel, ogni volta che mi riportava al Radley.
– spiegò,
mostrando il suo lato più fragile - Potrà
sembrarti assurdo, ma sono stato bene
con loro. Mi sono sentito finalmente una persona vera.”
“Ma
se hai aiutato A a rendere la loro
vita un’inferno!
Pensi che non mi abbiano raccontato di come avete seppellito il
francese nel
bosco?”
“Credimi,
non avevo idea di
cosa fosse capace fino a quella notte. – si mostrò
terrorizzato, come se stesse
rivivendo di nuovo quel giorno – A ha
fatto cose che mi hanno lasciato senza parole, oltre a
spaventarmi.”
“Peccato
che tu non eri la
vittima, ma l’aiutante.”
Nolan
si sentì davvero
colpevole, stanco che lo facesse sentire così:
“Senti, che cosa vuoi? Chiedimi
quello che devi chiedermi e vattene!”
Gli
animi finalmente si
calmarono e Rider non si fece attendere nel vuotare il sacco.
“So
che non conosci l’identità
di A, ma sicuramente sai altre
cose.”
“Tipo?”
“Quando
sono uscito dalla
panic room e A mi ha drogato per
portarmi al Radley, eri lì?”
“Sì,
c’ero. E allora?”
“Avevo
recuperato l’unità
di sistema del suo computer: dentro c’erano molte cose che
potevano rispondere
a molte domande. Sai dove l’ha portata?”
“Nel
suo nuovo covo, forse?
– disse sarcastico - Rider, non ne ho idea, ci siamo divisi:
io sono andato
dagli altri per prendere il tuo posto e lui ti ha portato al
Radley.”
Rider
iniziò a fare avanti
e indietro, sospirando: “Ok, ma non c’è
proprio nulla che hai scoperto?”
“Scoprire
cosa? – ribadì –
La sua identità non la conoscevo, te l’ho
detto.”
“E
Joanna Smith? – si
fermò, fissandolo – Ti dice niente?”
Quello
incantò il vuoto,
riflettendoci: “…No, non mi dice nulla.”
“Ok,
ma come hai fatto a
conoscere A?”
“Una
sera ho trovato un
computer nella mia stanza e lui mi ha scritto.”
“Anche
a me è successa la
stessa cosa. Il computer l’ha messo Ector,
quell’infermiere, vero?”
“In
qualche modo deve
averlo convinto a farlo, ma non ti aspettare che lui sappia chi sia A.”
“…Ok,
ma cosa ti ha scritto
di preciso?”
“Abbiamo
parlato per
giorni, prima che mi liberasse. Mi ha raccontato di quello che vi stava
facendo
e di cosa avete fatto voi ad Albert. Poi mi ha raccontato di quella
cosa del
bosco, che cercava il complice di Anthony perché non viene
menzionato in nessun
file che aveva rubato dal suo computer.”
“Però
possiede
Rosewood-riservato. Sai chi altro c’era in quel bosco?
– era disperato – Voglio
i nomi, è importante!”
“Non
so niente, mi
dispiace. L’unica cosa che so, è che accadevano
delle cose brutte in questo
bosco. A possiede dei video, dove
Anthony faceva dei giochi… Poi c’era
quest’altra persona che restava in
silenzio dietro alla telecamera. – Spiegò Nolan,
mentre Rider rabbrividiva – A dice
che quando finirà con voi, si
occuperà anche di quella persona.”
“Lui
pensa che sia uno di
noi, o almeno lo pensava.”
“Io
credo che se ne sia
convinto, ormai. Però continua ancora a perseguitarvi,
nonostante adesso il suo
obbiettivo principale sia trovare il complice e scoprire dove si trova
questo
bosco.”
“Beh,
il nostro piano è
proprio questo: scoprire chi sia. – abbassò lo
sguardo, provando vergogna – Poi
consegneremo questa persona ad A.”
Nolan
lo fissò, senza risparmiare
il suo sdegno: “Accidenti, siete proprio delle brave
persone.”
“Lo
siamo, Nolan! – si
difese a gran voce, sudato in fronte – Per quanto mi
riguarda, chi c’era dietro
a quella telecamera mentre Anthony faceva i suoi cosidetti giochi, non
è una
persona migliore di noi.”
“Come
puoi esserne certo? –
trovò ingiusti quei pregiudizi - Sai, sono stato nel mondo
reale abbastanza a
lungo da rendermi conto di che tipo fosse il vostro amichetto Anthony.
Poteva
avere in pugno chiunque grazie a Rosewood-riservato, perciò
chi ti dice che non
aveva in pugno anche la persona che girava i suoi filmati?
Eh?”
Il
dubbio si insinuò in
Rider, tant’è che fece fatica a deglutire:
“Beh… - non si lasciò sopraffare
–
Non mi interessa, va bene? Siamo stanchi, Nolan. Tu non ci sei stato
fin
dall’inizio, non hai idea di quello che A
ci ha fatto passare. Anzi, immagina quello che ha fatto ai
miei amici nel
lasso di tempo in cui sei stato con loro e moltiplicalo per
cento.”
“Moltiplica
per cento
quello che ho passato io, Rider. – si voltò
dall’altra parte, abbassando le
maniche del pigiama con sofferenza – I mostri non esistono
solo sotto forma di A. Esistono
tanti e tanti tipi di
mostri…”
Rider,
puntando lo sguardo
sui suoi polsi, notò i lividi che cercava di nascondere:
“Senti, non metto in
dubbio che tu abbia passato l’inferno qui. – gli
mostrò i suoi di polsi –
Anch’io ho gli stessi lividi che hai tu, ho provato anche
questo.”
“Sì,
ma tu sei rimasto qui
per poco. Non hai idea di cosa significhi essere imbottiti di pillole,
essere
legati e stare così per giorni e giorni. –
cercò di trattenere le lacrime –
Sono più di dieci anni che sono rinchiuso qui, e forse sono
anche fortunato…
Perché ci sono altri pazienti che hanno passato di peggio,
rispetto a me.
Questo posto è un incubo, ma nessuno lo sa lì
fuori.”
Profondamento
turbato dalle
parole del fratello, che quasi provava pena per lui, Rider si
andò a sedere sul
letto, dando le spalle. Era spaventato.
“Sai,
da quando hai
raccontato quella storia, ho sempre pensato che tu avessi mentito solo
per
poter uscire di qui. Ma se penso al fatto che ho completamente
dimenticato di
avere un fratello, non faccio che chiedermi se non posso aver
dimenticato allo
stesso modo di aver affogato quel bambino. – Nolan
restò in silenzio ad
ascoltarlo, mentre continuava – Se fosse vero, è
giusto che io contribuisca a
liberarti. Ma al tempo stesso, ho paura di finire qui per
sempre.”
Nolan,
che aveva
abbandonato quel tono cinico, si schiarì la voce e
provò a dargli qualche
parola di conforto: “Rider, non funziona così. Ti
faranno dei test, che
sicuramente passerai. Non sei uno psicopatico, non
c’è traccia di follia in
te.”
“E
allora perché avrei
fatto quello che ho fatto?” domandò, tormentato.
“Non
lo so, eri solo un
bambino. Quell’episodio dev’essere un caso
isolato.”
Rider
si alzò e cercò di
asciugarsi gli occhi umidi: “Forse…” e
si avvicinò a piccoli passi verso la
porta.
“Te
ne stai andando?” notò
l’altro.
“Ehm,
i venti minuti
saranno scaduti. – girò la maniglia, aprendo
leggermente la porta - Direi che
non c’è altro da dire.”
“Però
non mi hai detto chi
è questa Joanna…” lo fermò
nuovamente, curioso.
Rider
allora si incupì,
richiudendo la porta. Fece qualche passo verso di lui e
abbassò il tono della
sua voce.
“Quando
ero chiuso qui, A mi faceva fare
ogni sera delle
partite a scacchi; ogni volta che vincevo, potevo chiedergli qualcosa
sul
passato. Così ne ho approfittato per chiedergli di una foto
che ho trovato
nella panic room, dove c’era nostro padre con una donna nel
1998.”
Nolan
si alzò in piedi,
incredulo: “Un secondo, la nostra VERA madre?”
“Ehm…
In realtà, lui ha
detto che si chiamava Joanna Smith e che era la madre di
Albert.”
Il
volto di Nolan era a dir
poco deformato dallo sconcerto: “Ma io non
capisco… Nostro padre aveva
un’amante: nostra madre. – fissò Rider,
dopo una lunga riflessione – Può essere
che la madre di Albert sia anche nostra madre?”
“L’hai
davvero detto ad
alta voce? – Rider già lo sospettava, ma ora si
sentiva quasi mancare – Cioè,
quella foto risale all’anno in cui siamo stati concepiti,
perciò…”
“Ma
Albert era già nato,
giusto?”
“Ha
un anno più di noi, ma
è all’ultimo anno di liceo come me. Credo abbia
perso un anno scolastico quando
era piccolo.”
“E
non hai chiesto nulla a
Papà?”
“Ci
ho provato, ma mi ha
liquidato dicendomi che nostra madre gli diede un nome falso e che non
l’avrei
mai trovata.”
Il
silenzio, a quel punto,
calò su entrambi. Nolan si mise le mani nei capelli.
“Oh
mio Dio, Albert era il
nostro fratellastro. – poi alzò lo sguardo su
Rider, inorridito - Avete ucciso
nostro fratello.”
“Lo
sai benissimo che era
Anthony alla guida. E poi non è detto che Joanna sia davvero
nostra madre, o
che lo sia di Albert.”
“Ma
A te l’ha confermato che
Joanna è la madre di Albert. E A non
dice bugie.”
“Senti,
possiamo tenercela
per noi questa cosa di Joanna finchè non ne siamo sicuri?
Non farne parola con
Papà, e io non ne farò parola con i miei
amici.”
“Altri
segreti, eh?” pensò
Nolan.
“Già,
che novità!” ribattè
Rider, pensieroso.
*
Più
tardi, Sam fece un salto
al Brew. Eric era già di turno.
“Stamattina
ho donato il
sangue e mi sento ancora come uno zombie. – spiegò
con la voce sotto tono,
poggiato con la fronte sul bancone - Ho bisogno di uno dei tuoi
fantastici
muffin al cioccolato.”
Eric
sorrise, costretto a
deluderlo: “Non li faccio io, ci arrivano surgelati e poi li
mettiamo nel
forno.”
Quello
sollevò lentamente
la faccia, il broncio marcato: “Certo che sai come far
svanire la magia, tu.”
“Fingi
che non ti abbia mai
detto la verità sui nostri muffin al cioccolato. –
gli suggerì, passandogli il
muffin – Vedrai che la magia tornerà dopo il primo
morso.”
“Già,
avevi ragione… -
disse dopo averlo addentato, in estasi – Ascolta, nella borsa
ho il mio
portatile. La password del wifi è sempre la
stessa?”
“Sì,
perché? Cosa devi
fare?”
“Ho
bisogno di occupare una
poltroncina per tipo un’oretta. Devo fare domanda in alcuni
college o il
prossimo inverno resterò qui a Rosewood a raccogliere
immondizia.”
“Già,
i college…” l’ansia
si insinuò in Eric.
“Conosco
quella faccia… -
notò la sua reazione - Se non fosse per la chiacchierata che
ho avuto
stamattina con Brianna, non mi sarei mai reso conto di quanto siamo in
ritardo.
Di solito queste cose si fanno diciotto mesi prima, mentre noi andiamo
in giro
a seppellire persone e a scassinare depositi come se avessimo tutto il
tempo
del mondo.”
“In
verità, qualche
settimana fa ho fatto domanda in qualche college. Avevo intenzione di
visitare
la Talmadge nel prossimo fine settimana, ma mi hanno ammesso con
riserva.”
“Visitare
dei college?
Sempre che A ce lo
permetta!”
Improvvisamente,
Eric prese
Sam per le spalle e lo girò verso la zona libri del Brew,
dove Antonio parlava
con alcuni clienti.
“Ehi,
secondo te quello è
carino?”
Nonostante
la reazione brusca
nei suoi confronti, Sam rimase perplesso dalla domanda: “Che
c’è, vuoi fare una
gita sulla mia sponda?”
“Magari
quando Alexis mi avrà
lasciato per quello…” spiegò depresso.
“Cosa?
– sgranò gli occhi,
fissandolo – Che succede con Alexis?”
“Ricordi
quando siamo
andati da Rider a cercare quello stupido libro che A
ha dato a Nolan?”
“Sì,
dopo ci hai raccontato
che Alexis voleva la verità su noi e Brakner o avrebbe
chiamato i tuoi
genitori.”
“Beh,
da quando è arrivato
Antonio è cambiata radicalmente. –
raccontò - Non abbiamo nemmeno più parlato
di Brakner.”
“Un
secondo, mi stai
dicendo che pensi che Alexis ti stia tradendo con quel fusto latino di
un metro
e ottanta?”
“Parlano
in continuazione
durante la giornata. Poi ieri Alexis aveva una cena con sua madre e lui
è
uscito un quarto d’ora dopo di lei. –
raccontò con enfasi – E sai a che ora è
rientrata lei? Alle tre del mattino!”
“La
madre di Alexis vive a
Ravenswood, no? I tempi di andata e ritorno sono quelli.”
“Si,
ma è partita poco
prima delle nove. –
non mollò le sue
convinzioni - Togliendo le ore di viaggio, la cena sarebbe durata
quattro ore?
Non penso proprio, sua madre non l’avrebbe mai fatta mettere
al volante ad un
orario simile.”
“Ok,
ma ne hai parlato con
lei?”
“Sì,
ed è andata a dormire
sul divano. Secondo me, la sua reazione è stata alquanto
esagerata: come se
fosse colpevole.”
Sam
si prese qualche
secondo, trovando la situazione abbastanza scottante:
“Guarda, non so che
dirti. So solo che il tempo stringe e che se non faccio domanda in
nessun
college, rischio di dividere questa città con A
per sempre.”
“Certo
certo, vai. – Eric
non vollè trattenerlo – Beato te che non hai una
relazione.”
L’altro
prese il mano il
suo muffin e sollevò le sopracciglia con nervosismo:
“Già, beato me…” poi si
allontanò, rilassando il volto; ormai nascondeva ai suoi
amici l’ennesimo segreto:
la sua relazione con Wesam. E, peggio ancora, il fatto che gli aveva
rivelato
ogni cosa su loro quattro.
*
Quello
stesso pomeriggio,
Clarke fece un salto al Radley come concordato insieme a Chloe.
Percorse quei lugubri
corridoi senza meta, mentre rimbombava da una parete
all’altra il suono delle
stanze, di tutto il manicomio, che si aprivano e chiudevano. Si
sentivano persino
le voci delle infermiere, oltre i lamenti dei pazienti.
Improvvisamente,
sembrò
aver trovato anima viva presso la sala ricreativa, popolata da alcuni
pazienti
che ancora non erano rientrati nelle loro stanze e che avevano la
supervisione
di qualcuno.
Fermo
davanti all’ingresso
di quella sala, osservò con attentenzione i vari volti
presenti. In una
panoramica, spostò lo sguardo da sinistra a destra,
finchè non si impuntò su un
ragazzo che giocava a scacchi da solo: un volto che conosceva.
“Ma
che cavolo…??? – trovò
assurdo – Rider Stuart?”
Sconcertato,
scattò una
foto molto velocemente con il suo cellulare e poi iniziò ad
indietreggiare fino
a sbattere contro qualcuno che gli era appena arrivato alle spalle: una
delle
infermiere.
“Mi
scusi, lei chi è?”
Colto
di sorpresa, non
sapeva che inventarsi: “Ehm, mi chiedevo se era possibile
fare una visita ad un
paziente.”
“Mi
dispiace, ma non sono
ammesse visite dopo le sette.”
“Capisco…
- annuì – Allora
tolgo il disturbo, mi scusi!” le sorrise, svignandosela in
fretta e furia.
Naturalmente,
Clarke non
era lì per fare visite; ma dal momento che sua madre, un
tempo, faceva parte del
consiglio di amministrazione del Radley, sapeva benissimo quali erano
gli orari
di visite e che sarebbe stato respinto senza dover dare spiegazioni.
Quando
tornò in macchina,
riprese fiato dopo quella frenetica corsa. Poi, prese il telefono,
pronto ad informare
Chloe di quella strana scoperta.
*
Quando
Rider rientrò a
casa, verso sera, notò che all’ingresso erano
state lasciate una valigia e una
borsa da viaggio. Subito si rese conto che avevano ospiti e, dopo aver
udito un
brusio, si precipitò in salotto.
Con
grande sorpresa, scoprì
che era arrivato suo zio.
“Zio
Gordon!” esclamò
calorosamente.
Quello
si voltò, seduto sul
sofà, mentre un istante prima chiecchierava con Richard, in
piedi davanti al
caminetto.
Per
accoglierlo, l’uomo si
alzò immediatamente: “Accidenti, Rider.
– gli sorrise - Sei cresciuto molto
dall’ultima volta che sono venuto a trovarvi.”
“Beh,
è stato tre anni fa. –
sorrise anche lui, imbarazzato - Ero al primo anno delle superiori,
mentre ora
manca poco al diploma.”
A
quel punto, Richard si
intromise: “Rider, stavo spiegando a tuo zio quello che
è successo.”
“Già,
Richard mi ha detto
tutto. Mi dispiace per come hai dovuto scoprire di tuo fratello,
ma… - assunse
un tono più cupo – Ora dobbiamo occuparci delle
cose sepolte nel profondo della
tua mente e che dobbiamo riportare a galla.”
“Ne
sei davvero capace?”
“Dovrò
solo fare il
procedimento inverso, Rider.” replicò suo zio.
Rider
si mostrò diffidente,
facendo un passo indietro: “E chi mi dice che non vi siate
messi d’accordo per
immettermi nella testa falsi ricordi? Papà vuole tirare
fuori Norman dal Radley
a tutti i costi.”
“Rider,
le sedute saranno
registrate e valutate. – intervenne Richard – Non
c’è modo di ingannarti, dirai
solo quello che ricordi davvero.”
“E
poi sei stato tu a chiamarmi.
– aggiunse Gordon – Eravamo molto uniti prima che
io partissi per l’Italia,
ricordi?”
“Proprio
per questo ti ho
chiamato. Mi fido di te.”
“Bene
allora! – Gordon
spostò lo sguardo fra Rider e Richard –
Resterò qui per una settimana, di più
non posso.”
“E
quando iniziamo? –
chiese Rider, un po’ teso - Tipo ora?”
“Rider,
immagino che tuo
zio sia stanco per il viaggio…”
“Già,
lo sono. – confermò
il diretto interessato – Domani è meglio, non
c’è fretta.”
“Fantastico!
Bene! – annuì
Rider, forzando il suo entusiasmo – Allora io me ne vado di
sopra, buona
serata!” concluse, salendo di corsa al piano di sopra.
Quando
rimasero soli,
Richard esternò le sue preoccupazioni.
“Speriamo
che funzioni.
Devo tirare fuori mio figlio da quel posto, se è davvero
innocente.”
“Lo
è sicuramente,
Richard.” pensò l’altro, con una strana
convinzione.
Richard
restò spiazzato da
quel tono così sicuro: “Come fai a
dirlo?”
“Più
grande è il trauma di
un evento, più è facile rimuoverlo. Quando Rider
venne a casa mia, le prime
volte, era come se avesse già rimosso da solo tutto
ciò che accadde quel
giorno. Era fra le nuvole, anziché preoccuparsi, come
Lindsey, del fatto che
Nolan non c’era più.”
Scuotendo
la testa, Richard
non accettava quell’errore: “Come è
potuto accadere? Nolan ha cercato di
dirmelo un sacco di volte, ma io non gli ho mai creduto.”
“Ormai
è successo, Richard.
– gli diede una pacca sulla spalla - L’importante
è che ora stai facendo
qualcosa per sistemare le cose.”
Intanto,
Rider, era
nascosto fra le scale e aveva origliato tutto.
*
Nonostante
l’estenuante
giornata, Sam trovò la forza di passare in ospedale a
trovare Nathaniel come
tutte le sere.
Quando
arrivò davanti
all’ingresso della sua stanza, però, qualcuno che
gli aveva appena fatto visita
stava uscendo: si trattava di Tasha.
I
due sbatterono quasi
l’uno contro l’altro, ma si fermarono in tempo. Sam
restò alquanto sorpreso nel
vederla.
“Tasha?
Che ci fai qui?”
“Ah,
sei tu… - disse quasi
con tono dispregiativo, una smorfia sul viso – Beh, dal
momento che mi trovavo
in città, ho voluto fare un salto a trovare Nathaniel. Sono
una sua amica
anch’io, fidanzatino geloso!” esclamò
quella, lanciandogli una frecciatina.
“E-
ehm, non sono geloso. –
titubò, non aspettandosi quel commento pungente –
Lo so che sei una sua amica,
è solo che non mi aspettavo di trovarti qui: in un
noiosissimo ospedale.”
“Sai,
non sono una
festaiola a tempo pieno come tutti credono. – si
sentì offesa – Rider sa
scegliere bene le sue amicizie solo a metà, a quanto
pare.”
Sam
non ebbe nemmeno il tempo
di replicare, che quella andò via sui suoi rumorosi tacchi
alti.
“Ma
io… - restò sulla
porta, inebetito, fissandola mentre si allontanava – Non ho
detto nulla di
offensivo!” pensò, per poi lasciarla perdere ed
entrare finalmente nella stanza.
Quando
si sedette accanto a
Nathaniel, poggiando la borsa a terra, iniziò subito a
parlargli.
“Non
so se te ne sei
accorto, ma la tua stalker innamorata è appena stata qui.
– raccontò con molto
cinismo, ancora infastidito da lei – Avevo dimenticato che
Tasha pensa che noi
due stiamo insieme. E che mi odia, perché non può
averti. – fissò Nathaniel,
scuotendo leggermente la testa – Chissà che ti ha
detto quella pazza… magari ti
ha anche baciato sulle labbra mentre non passava nessuno. –
rabbrividì,
disgustato – Inquietante!”
Dopo
essersi liberato di
quell’orribile immagine, tirò fuori il quadernino,
che ormai rappresentava un
diario per appuntare ogni avvenimento, pronto a scrivere una nuova
pagina.
Stranamente,
poi, si bloccò
e non lo aprì. Stavolta preferì poggiarlo sul
comodino, prendendo la mano di
Nathaniel; sentiva di dover tirare fuori qualcosa, sfogarsi.
“Sai,
ho sempre parlato
poco ogni volta che sono venuto qui, in questa stanza. Ogni volta
prendevo quel
quadernino e scrivevo, scrivevo tanto. E lo facevo in silenzio.
– accennò un
sorriso – Poi, mentre scrivevo, cercavo di essere
spensierato, sorridevo,
magari ridevo anche… - il suo voltò si
incupì di colpo – Ma era tutto finto,
non era vero; lo facevo soltanto per trasmetterti positività
e farti stare
bene, sperando che tutto ciò ti avrebbe fatto svegliare da
questo tuo sonno che
sembra non finire mai. – i suoi occhi divennero lucidi
– Tutti continuano a
dire che ti sveglierai, persino io. Tutti che siamo qui, che ostentiamo
il
nostro ottimismo a tutti i costi…”
Sam
abbassò la testa, le
lacrime che scendevano copiose; tentava di essere forte, le speranze lo
stavano
abbandonando.
“Oggi
ho fatto domanda in
tre college diversi. – risollevò il capo,
cambiando discorso – Non mi ero reso
conto fino a stamattina che dovevo preoccuparmi molto prima di queste
cose,
come fanno tutti gli altri. Insomma, è il nostro futuro
quello in ballo: dovrebbe
essere il nostro pensiero principale pensare al futuro, a cosa faremo,
a cosa
vogliamo diventare… - Sam incantò il vuoto,
precipitando in un baratro di
tristezza - E, invece, siamo come bloccati in una rete insidiosa che
non ci
permette di fuggire, che non ci lascia pensare ad altro se non a come
liberarci
da essa. – gli strinse forte la mano, sospirando ad occhi
chiusi – Ma ancora
una volta, voglio essere ottimista: voglio vedere il cosidetto
bicchiere mezzo
pieno e pensare che se Anthony non ci avesse chiamati quella sera, non
saremmo
mai stati così uniti. Anzi, voglio pensare che se non fosse
per Anthony, non ci
saremmo mai conosciuti. – provò un improvviso
dolore al petto, che lo costrinse
a piangere – E mi sento così male a pensare che
per un soffio avrei potuto non
averti nella mia vita. Così come Eric e Rider, non avrei mai
conosciuto nemmeno
loro. – rise fra le lacrime, ad un certo punto – Ed
è una follia, perché se
esistesse una realtà in cui voi non ci siete, io riprenderei
tutto questo
disastro che sono le nostre vite, pur di non perdervi. Accetterei
persino A, pur di non perdervi.
– si asciugò le
lacrime, parlando a cuore aperto – Questo che stiamo vivendo
è un vero incubo,
ma stranamente lo sto accettando. Fin’ora mi sono sempre
chiesto se esistesse
una forza talmente grande da riuscire a poter vivere dentro un incubo.
–
sorrise, quando si rese conto di quanto era ovvia la risposta
– Quella forza
sono Rider, Eric, la loro amicizia. Ma soprattutto, siamo noi due!
E’ l’amore
che mi sta dando la forza di tollerare tutto questo e non me ne sono
mai reso
conto. Io credo di essermi innamorato davvero di te. E non è
come prima, non è
una semplice cotta: stavolta è vero! –
fermò l’euforia che c’era nelle sue
parole, rallentando, sorprendendosi - Io ho trovato quello che pensavo
fosse
impossibile trovare. Io…io ti amo, Nathaniel. Ti amo
davvero.”
E
quell’amore lo sentì
anche lui, che d’un tratto strinse la sua mano, facendo
sollevare Sam in piedi.
“Oh
mio Dio… - gli riprese
la mano – Oh mio Dio, tu l’hai mossa. Hai mosso la
mano, fallo di nuovo! – e
gliela strinse nuovamente, aprendo lentamente gli occhi – Oh
mio Dio,
infermiera, qualcuno, venite presto! – urlò, per
poi sussurrargli delle cose –
Nathaniel, mi senti? Sono qui, non lasciarmi di nuovo.”
Quello
cercò di far uscire
la voce, ma a malapena riusciva a farlo.
“Acq…acq…
- tossì, togliendosi
i tubi dal naso – Acqua…”
“No
no, stai fermo. Vuoi
l’acqua? – rise felice, mentre quello annuiva
– Certo, tutto quello che vuoi.”
si apprestò a lasciare la stanza, per andare a prenderla.
“Sam…”
lo chiamò con un
filo di voce, debole e disorientato.
Quello
si voltò,
sorridendogli: “Torno subito, non aver paura.”
Finalmente
arrivò l’equiepe
alle spalle di Sam, mentre i due continuavano a guardarsi. Era un
miracolo.
*
Clarke
parcheggiò davanti a
casa di Chloe, uscendo dall’auto in fretta. In
quell’esatto istante, lei stava
uscendo da casa sua, stringendo al petto la giacca di lana.
I
due si fermarono l’uno di
fronte all’altro sul marciapiedi.
“Allora,
cos’hai scoperto
al Radley?”
Quello
era a dir poco
sconvolto, cercando di trovare le parole: “Ho visto
Rider!”
L’altra
tirò il collo
indietro, disorientata: “Rider? Come visitatore,
intendi?”
“No,
come paziente!”
spiegò, sicuro di ciò che aveva visto.
Chloe
reagì ancora più confusa:
“Come paziente? Ma che dici, l’ho visto
l’altro giorno alla biblioteca pubblica
di Rosewood.”
A
quel punto, Clarke tirò
fuori il telefono e le mostrò la foto che aveva scattato:
“Sapevo che non mi
avresti creduto, perciò ho scattato una foto!”
Chloe
prese il telefono
dalle sue mani, avvicinando bene la sua faccia allo schermo:
“Ma che
diavolo…??? – sollevò lo sguardo,
fissando Clarke con sconcerto – Non capisco,
non può essere. Cioè, può essere se
Rider avesse…”
Clarke
completò subito la
sua frase: “Un fratello gemello pazzo?”
“Ma
non può essere A,
è chiuso in un manicomio!”
“Te
l’ho detto, ci sono
stati dei problemi in passato al Radley. Non ci vuole niente a mettere
un
telefono in mano ad un pazzo.”
“Questa A potrebbe aver ucciso tuo padre e tuo
fratello, lo capisci?
Doveva trovarsi fisicamente qui fuori per farlo.”
“Allora
quella notte
dev’essere fuggito. – la prese per le spalle
– E’ l’unica pista che abbiamo per
capire cosa è davvero successo quella notte, dobbiamo
indagare. Dobbiamo
mettere insieme i pezzi!”
Chloe
si mostrò dubbiosa,
guardando altrove: “Non lo so, non sono molto
convinta.”
“L’hai
detto tu stessa che
da quando è morto quel Norman e il paziente misterioso
è stato riportato al
Radley, i ragazzi sembrano più sereni. Quel ragazzo, il
gemello di Rider, deve
pur c’entrare qualcosa. Può essere
A,
ma dobbiamo capire perché lo è diventato e come
ha fatto a scoprire del bosco
se si firma A come faceva
Anthony.”
“E
come facciamo? Gli
Stuart hanno avuto un figlio segreto per tutto questo tempo, non
conosciamo la
sua vita o il perché sia stato internato.”
“C’è
solo un modo per
scoprire tutta la verità, ho un idea.” concluse
Clarke, determinato.
*
Nathaniel
era seduto sul
letto, era sveglio. Sam non l’aveva lasciato solo nemmeno per
un istante,
mentre i suoi genitori parlavano con i dottori dopo averlo
riabbracciato.
“Non
riesco ancora a
crederci… - Sam non faceva che fissarlo, felice –
Non ho mai perso le speranze,
ma tu continuavi a non dare segni di ripresa e a volte ingannavo me
stesso.”
L’altro,
taciturno e
spaesato, distoglieva lo sguardo per più volte:
“Per quanto tempo ho dormito?”
“Trentadue
giorni.”
“Ah...
– restò spiazzato
per qualche secondo - E i miei genitori dove sono?”
“Sono
entrati poco fa, non
ricordi? Ora stanno parlando con i dottori, che prima ti hanno
visitato. – lo
vide confuso – Beh, dai, ti sei appena svegliato da un lungo
coma, forse non
eri completamente lucido.”
Nathaniel
si toccò la
fronte, un dolore improvviso: “Non credo di esserlo nemmeno
adesso, mi sembra
di essere uscito da una discoteca.”
“Quindi…
Non ricordi nulla
di quello che ti ho detto prima? – volè
controllare, curioso - Poco prima che
ti svegliassi. Non hai sentito niente?”
Quello
lo fissò, perplesso:
“Di che parli, Sam?”
“Niente,
lascia perdere. –
gli sorrise, sollevato – Piuttosto, ti serve
qualcosa?”
L’altro,
però, era
concentrato a riflettere su cosa era accaduto e voleva scoprirlo:
“Che cosa è
successo?”
Quella
domanda, riportò Sam
a fare uno spiacevole tuffo nel passato: “…Norman
ti ha sparato, ricordi? – gli
spiegò, mentre quello annuiva - O meglio, ha sparato contro
di me, ma tu ti sei
messo in mezzo.”
“Te
l’avevo detto quella
notte che ti avrei protetto.” gli sussurrò.
Sam
sorrise: “Allora ti
ricordi…”
“Sì,
ma solo fino a quel
momento. Dopo quello, il nulla.”
“Quando
Norman ti ha
sparato, sei crollato addosso a me e io non sono riuscito a reggerti.
Siamo
caduti per le scale.”
Nathaniel
si preoccupò
subito per lui: “E tu stai bene? Non sono leggero.”
“Solo
un piccolo trauma
cranico, sto bene ora. – lo tranquillizzò -
E’ passato un mese, ormai.”
“Per
te, forse. - si voltò,
amareggiato - Per me sembra appena accaduto.”
Improvvisamente,
arrivarono
anche Eric e Rider.
Nathaniel
si girò verso la
porta, spaventandosi non appena vide Rider.
“Wow,
mi riconosce? – Rider
avanzò lentamente, spaventato da quella reazione –
Nat, tutto a posto?”
Sam
mise una mano sul
braccio di Nathaniel, che stava avendo come un attacco di panico:
“Sta calmo,
non è Nolan.”
Eric,
che era in piedi
davanti al letto, era felice di rivedere il suo amico: “Non
ci posso credere,
ce l’hai fatta.”
“Già,
nemmeno io lo credevo
possibile.” si voltò a dirgli Sam, sorridendo
assieme a lui.
Nathaniel
era più calmo, ma
continuò a fissare Rider in maniera diffidente. Tuttavia,
gli rivolse la
parola.
“Stai
bene?”
“Io?
– sussultò Rider, per
poi sorridere – Io sto bene. Era per te che eravamo
preoccupati.”
“Nolan
e Norman? – spostò
lo sguardo fra loro tre – Dove sono, adesso?”
“Nolan
è tornato al Radley,
mentre Norman… Beh, è morto!”
spiegò Sam.
“E
come è morto?”
“Gli
hai sparato tu, Nat. –
gli rispose Rider – Hai preso conoscenza per qualche secondo
e sei riuscito a
fermarlo prima che potesse fare del male a me o mio padre.”
“Sono
stato io? – non riuscì
a crederci, turbato – Ho ucciso una
persona…”
“Era
instabile, ok? –
intervenne Eric – Nessuno ti incolpa, è stata
lettima difesa. Norman era armato
e voleva uccidervi.”
Ad
un certo punto,
Nathaniel si portò una mano al petto, provando una strana
sensazione. Sam lo
fermò, non appena cercò di sollevare il collo del
camice per guardarsi il
petto.
“NO!
Lascia perdere, non
guardare.” lo avvertì.
“Che
mi è successo? –
Nathaniel si spaventò, sentendo che c’era qualcosa
di strano - Che mi hanno
fatto?”
Rider
pensò che era meglio
raccontargli la verità: “Subito dopo averti
operato per toglierti il proiettile
dalla spalla, hanno scoperto del tuo problema al cuore. E quando
l’hanno
scoperto…Beh…”
Nathaniel
comprese, senza
che dovesse continuare. I suoi occhi si riempirono inevitabilmente di
lacrime.
“No…
No, non è vero…”
“Nathaniel,
mi dispiace
così tanto. – Sam soffrì con lui
– Ti hanno dovuto operare di nuovo.”
“Come
farò con il nuoto, adesso?
– si disperò - Come farò per la borsa
di studio?”
“C’è
tempo, Nat. – lo
rassicurò Eric - Ci sono altri modi per ottenere una borsa
di studio per il
college.”
“Ma
io ho sempre eccelso
nello sport, non ho altri punti forti! Non sono come Rider!”
“Ascolta,
sapevi che prima
o poi sarebbe finita in questo modo. – Rider cercò
di ridimensionare la
situazione – Non c’era modo di farla franca con
falsi certificati firmati da
tuo cugino per poter restare nella squadra di nuoto.”
“Oh
mio Dio… - Nathaniel
sgranò gli occhi, ricordandosi del cugino –
Dov’è Tyler?
“Ehm…
- Sam decise di
prendere parola, cauto – Tutta la storia è venuta
fuori, purtroppo. Dopo essere
stato radiato dall’albo e aver discusso con i tuoi genitori,
ha lasciato
Rosewood. Per lui non c’era più nulla
qui.”
Nathaniel
si mise le mani
nei capelli, sentendosi in colpa: “Mio Dio, che ho
fatto?”
“Ascolta,
Nat, lo so che ti
senti male per Tyler, ma in questo momento c’è ben
altro di cui devi
preoccuparti.” gli disse Rider.
“Rider,
sta zitto! – lo
bloccò subito Sam, infuriandosi – Non è
il momento!”
“Non
è il momento? – ripetè
quello, trovandolo sciocco – E quando sarebbe il momento?
Quando ci arriverà il
messaggino di buon anno?”
“Nathaniel
è sveglio da
appena un’ora, possiamo non iniziare a parlare di A per favore?”
ribattè Sam.
“Non
preoccuparti, Sam. –
lo tranquillizzò Nathaniel – Di certo non pensavo
di svegliarmi in un mondo
senza A. E sicuramente, visto il
tuo
tono, immagino che non sia stato un mese facile. Almeno io dormivo,
mentre voi
chissà cosa avrete subito.”
“Ehm,
in verità… - Eric si
scambiò uno sguardo con gli altri, prima di parlare
– A ha
smesso di perseguitarci dal giorno in cui sei finito in coma.”
“Già,
abbiamo passato un
mese a dir poco strano. – aggiunse Rider – E con
strano, intendo tranquillo…
Tuttavia, è stato bello finchè è
durato.”
“Che
cosa intendete dire? –
non capì Nathaniel - A c’è
o non
c’è?”
“Ci
ha concesso una pausa,
tipo un mese.” replicò Sam.
Nathaniel
sospirò,
amareggiato: “Ah, beh, allora per me non cambia nulla.
E’ come se non fosse mai
andato via.”
Sam
gli mise una mano sul
braccio: “Nat, mi dispiace che tu non abbia avuto la
possibilità di avere un
mese di respiro come tutti noi. Ma credimi, abbiamo pensato ad A tutto il tempo. E a quello che ci
farà.”
“A
quello che ci farà?”
ripetè Nathaniel, chiedendosi cosa significasse.
“Nel
suo ultimo messaggio, A ha
lasciato intendere che tornerà più
malvagio che mai.” spiegò Eric senza mezzi termini.
“Ok,
posso sapere cosa mi
sono perso fino ad ora?”
Sam
prese il suo quadernino
dalla borsa e glielo diede: “Qui ho scritto tutto, non manca
niente.”
Quello
iniziò a leggerlo,
mentre Rider continuava.
“In
più dobbiamo parlarti
del deposito!”
“Del
deposito? – quello
alzò lo sguardo dalle pagine del quadernino, per poi
tornarci sopra con
perplessità – E poi che significa che
A ti
ha fatto un disegno sulla pancia?”
“Sì,
beh, stavamo arrivando
proprio a quello. – riprese Sam – Il deposito
è collegato al disegno che A
ha lasciato sulla pancia di Rider,
dopo avergli scattato quella foto che ha mandato a me ed Eric per farci
credere
che l’avesse rapito.”
“Un
secondo, quale
deposito? – Nathaniel era sempre più confuso
– Ti ha disegnato un deposito
sulla pancia?”
“No,
mi ha disegnato la
chiave di un deposito, ma non ci ha detto che era la chiave di un
deposito. –
Rider si spiegò meglio – L’abbiamo
scoperto dopo. Da soli.”
A
Nathaniel scoppiava la
testa: “Ok, ma cosa c’è in questo
deposito?”
Sam
fissò Rider, mentre
iniziava a raccontarlo: “Beh, l’altra notte, io e
Rider ci siamo stati e…”
Improvvisamente,
non ebbe
il tempo di finire che tutti i loro telefoni vibrarono: compreso quello
di
Nathaniel, chiuso nel cassetto del comodino.
Il
ragazzo subito lo
recuperò, ognuno aveva lo sguardo fissò sul
proprio schermo.
“Anche
voi avere ricevuto
un’email?” chiese Eric, perplesso.
“Sì,
la sto aprendo.”
confermò Rider, facendolo.
Tutti
e tre aprirono la
loro mail, facendo una bizzarra scoperta: una ruota virtuale con sopra
le loro
facce.
Sam
lesse subito una
scritta posta in alto, come fosse il titolo del gioco: “Consegnatemi il complice del bosco oppure ogni giro
di ruota sarà
sempre più letale. - A!”
“Accidenti,
era proprio
vero che tornava più malvagio.” pensò
Eric, scambiandosi uno sguardo
terrorizzato con gli altri.
Ad
un certo punto, i
quattro sobbalzarono: la ruota cominciò a girare di colpo.
L’indicatore,
dopo qualche
secondo, si fermò sull’immagine di Nathaniel.
“E’
uno scherzo, vero?”
reagì basito quest’ultimo.
“Io
credo di sapere perché
ha puntato te. – prese parola Rider – Il deposito
che io e Sam abbiamo
visitato, apparteneva ad Edward Blanc. C’era il tuo dipinto
lì dentro.”
“Fantastico!
– esclamò
Nathaniel, il volto pallido e una risata isterica – Sono
appena uscito dal coma
e A vuole già
incastrarmi.”
“Nat,
credo volesse solo
mostrarci il dipinto e non darlo alla polizia.” intervenne
Sam.
“E
cosa cambia? – reagì con
toni alti, paranoico – La polizia prima o poi
aprirà quel deposito e troverà me
con il pene all’aria!”
“Ascolta,
Edward è ancora
vivo per tutti gli altri. – gli fece sapere Eric - Nessuno sa
che è morto.”
Nathaniel
balbettò
incredulo: “M-ma è passato un
mese…”
“A ha il telefono e le carte di credito di
Edward, ecco perché
nessuno pensa che sia morto.” spiegò Rider.
“Sì,
ma qualunque cosa stia
facendo questo pazzo, non durerà a lungo. –
Nathaniel sbroccò - In un caso di
omicidio, la polizia non si ferma a frugare solo nel cassetto dei
calzini.
Arriveranno anche a quel deposito, lo capite?”
“Ok,
quindi che facciamo? –
Sam cercò di rendersi utile, comprendendolo - Come possiamo
aiutarti?”
“Voglio
uscire
immediatamente da questo posto e recuperare il mio dipinto da quel
deposito!
SUBITO!”
“Nat,
non puoi! – lo
avvertì Rider – A ci
ha vietato di
portare via quel dipinto, altrimenti, credimi, l’avremmo
già buttato dentro il
cratere di un vulcano pur di farlo sparire.”
“Non
mi interessa, lo andrò
a prendere. – fu irremovibile - Che mi faccia quello che
vuole, io non andrò in
galera per un crimine che non ho commesso!”
“Abbiamo
tagliato i fili
delle telecamere, ok? – continuò Sam –
Se giri da quelle parti, attirerai
ancora di più l’attenzione si di te.”
Fu
la volta di Eric, poi:
“Hanno ragione, lascia perdere il dipinto. Quello che
dobbiamo fare è
consegnare il complice!”
“Dimentichi
che non abbia
idea di dove sia il bosco e che non sappiamo chi ci è stato
oltre Quentin. -
gli ricordò Sam, per poi rivolgersi a Nathaniel –
Abbiamo persino indagato su
quel foglietto trovato nella cantina di Tyler. E’ un sito, ma
non possiamo
entrarci perché ci vuole una password.”
Intanto
Nathaniel era
sovrappensiero: “…Un secondo, io ho preso il
tablet.”
“Il
tablet? – Rider non
riuscì a seguirlo – Quale tablet?”
“L’ho
trovato in camera
tua, quando sono entrato di nascosto. – spiegò
Nathaniel – Segnava una
posizione in un bosco.”
“Oh
mio Dio… - ricordò
Rider – L’avevo completamente dimenticato, era la
sera prima del ballo quando
ho scoperto di quel puntino rosso sul tablet. Ero così
impegnato a prepararmi per
entrare nella panic room che l’ho messo dentro un cassetto
con sopra un post-it
per ricordarmene.”
Eric
completò la cronologia
degli eventi: “Poi sei finito al Radley e il tablet
è rimasto in quel cassetto.”
“Quindi
il tablet ce l’hai
tu? – chiese Sam a Nathaniel - Lo zaino
dov’è?”
“Lo
zaino l’ho lasciato a
casa mia, poi ho preso la macchina e sono venuto alla casa sul
lago.”
Eric,
a quel punto,
espresse ciò che aveva appena dedotto: “Ok, ma
quindi stiamo dicendo che quel
puntino rosso sul tablet potrebbe portarci in questo fantomatico
bosco?”
“Ragazzi,
se è davvero quel
bosco, significa che qualcuno che conosciamo ci è stato.
– constatò Rider - Ricordate
quando abbiamo messo il chip ad alcune persone per capire chi fosse A?”
Eric
ricordò: “Sì,
l’abbiamo messo su Violet, Lisa Nelson, Morgan e Clarke.
– però la cosa lo
lasciò perplesso – Questo, però, vuol
dire che uno di loro è stato nel bosco,
ma nel periodo in cui abbiamo messo i chip su di loro.”
“Ok,
questa persona non è
di sicuro un aiutante di A,
altrimenti A saprebbe
dov’è il
bosco. – dedusse Sam – Quindi se questa persona
è tornata lì qualche settimana
fa, significa che…”
“L’ha
fatto per sbarazzarsi
di quello che poteva collegarlo a quel posto…”
continuò Nathaniel, riflettendo.
“E
che quindi era il
complice di Anthony!” concluse Rider.
“Lisa
e Morgan erano
continuamente presi di mira da Anthony, mentre Violet lo odiava
perché umiliava
suo fratello: come potevano essere suoi complici? –
ragionò Eric - L’unico che
rimane è suo fratello Clarke!”
“Non
c’è dubbio, ragazzi: è
Clarke il complice! – esclamò Sam, ormai sicuro
– E non mi meraviglierei per
niente se sapesse che suo fratello è ancora vivo.
Probabilmente è stato proprio
Anthony a chiedergli tramite un telefono prepagato di eliminare le
prove da
quel posto.”
Eric
sospirò, ora che
avevano un nome: “Quindi che facciamo? Rapiamo Clarke e
incontriamo A in un vicolo buio?
Come funziona?”
Sam
aveva lo sguardo
smarrito: “Io non ne ho idea, sinceramente… - poi
fissò Nathaniel e Rider,
affidandosi a loro – Voi che dite?”
“Io
dico che non voglio
andare in galera, perciò dobbiamo far sapere ad A che abbiamo un nome.”
ribadì Nathaniel, determinato.
“Ragazzi,
magari A ci sta sorvegliando in
questo momento,
ma non so se ci sta ascoltando. – pensò Rider -
Forse dovrei rivolgermi ad
Ector, l’infermiere del Radley. E’ stato lui a
mettere il computer nella mia
stanza per farmi comunicare con A.”
Nathaniel
sbigottì:
“L’infermiere?”
“Era
solo una marionetta,
l’avrà sicuramente pagato per farlo.”
Spiegò quello.
Sam
tornò a guardare lo
schermo del suo telefono con apprensione, l’immagine ferma su
Nathaniel:
“Dobbiamo farla finita, o la ruota continuerà a
girare. L’ultima volta che A ci
ha presi di mira a turno, mi sono
risvegliato con le labbra incollate. Non voglio immaginare
cos’altro possa
farmi di peggio.”
“Allora
è deciso,
consegneremo Clarke ad A!”
concluse
Eric per tutti.
Il
resto del gruppo annuì,
senza alcun dubbio. La tensione era più alta che mai, presa
quella decisione.
SCENA
FINALE
A
era al computer che
montava un video: Sam, Eric, Nathaniel e Nolan che seppellivano i pezzi
di
Edward in quattro fosse diverse, nel bosco di Rosewood.
Grazie
ad una manipolazione
grafica, riuscì ad eliminare i quattro ragazzi dal filmato.
L’unica cosa che si
riusciva a vedere erano delle pale che scavavano da sole e dei sacchi
neri, con
dentro un pezzo del corpo di Edward, sospesi a qualche centrimetro da
terra e
poi gettati nella buca.
Recuperato
il cd dal
portatile, A ci scrisse sopra “Sono morto”
con un pennarello nero. Poi, dopo, lo mise
dentro una busta gialla
assieme al telefono di Edward.
La
busta era indirizzata
alla polizia di New york, la città di Edward Blanc.
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Capitolo 18 *** 1x17-Il lato oscuro di Rosewood (Parte I) ***
CAPITOLO
DICIASSETTE
“Working
for A (Part I)”
Davanti
al The Hart & Huntsman, Clarke
stava prendendo un caffè con una giovane ragazza mora,
quella mattina; una sua
coetanea. In lontananza, all’angolo della strada, i due era
spiati da Chloe.
“Devo
dirlo, sono stupita che tu mi abbia contattato. – disse lei,
ignara del motivo
del loro incontro – Non ci sentiamo dai tempi del
college.”
“Già,
è passato molto tempo. – annuì,
sorridendo ai vecchi tempi – Allora, Natalie
Drew, come stai?”
“Molto
bene, devo dire. – sollevò la mano, mostando
l’anello che indossava all’anulare
con eccitazione – Sto per sposarmi! Il prossimo
Giugno.”
“Caspita,
congratulazioni!” esclamò felice, proprio come lo
era lei.
“Già,
non ci credo nemmeno io. Ho sempre avuto delle relazioni disastrose, tu
lo
sapevi meglio di chiunque altro. Ma devo dire che… - lo
fissò con un sorriso
genuino – mi hai sempre tirato su di morale in quei momenti
di sconforto. Hai
anche predetto che avrei trovato l’uomo della mia vita prima
o poi: ed è
successo!”
“Sono
contento per te, Natalie. Davvero, te lo meriti.”
“E
tu che mi dici, Clarke Dimitri?”
“Nulla
che tu già non sappia, no? – il suo sorriso si
spense leggermente nel dirlo – Del
resto, lavori per il Rosewood Observer.”
“Scusa,
ti ho fatto una domanda stupida. Ho scritto io l’articolo
sull’incendio a casa
tua. – abbassò lo sguardo, mortificata - Mi
dispiace.”
“Tranquilla,
sono andato avanti.”
“Peccato
che Jasper Laughlin sia fuggito e che nessuno riesca a trovarlo. Fa
paura
pensare che questo assassino sia ancora a piede libero dopo
più di un mese.”
“Già…”
accentuò le sopracciglia, scarno di parole
sull’argomento.
“Allora,
come mai hai voluto prendere un caffè con me,
oggi?”
“Conosci
Richard Stuart?”
“Lo
scrittore? – rise – Certo,
perché?”
“Perché
sto per darti la tua notizia da prima pagina. –
allungò il suo telefono lungo
il tavolo – Cosa vedi?”
“Ma
questo è suo figlio… Il mese scorso è
stato aggredito assieme ai suoi amici da
un paziente fuggito dal Radley. – osservò la foto
con attenzione – E questo sembra
proprio il Radley…”
“E’
il Radley, infatti.”
“Perché
il figlio di Richard è al Radley?”
“Suo
figlio non è al Radley; o meglio, non quello che tutti
conoscono.”
Natalie
restò confusa: “Aspetta, di che stai parlando? Non
ti seguo.”
“Richard
ha due figli, Natalie. Due Gemelli!”
“Quindi
questo nella foto è uno dei gemelli?”
“Esatto.
– annuì – Richard l’ha tenuto
nascosto, è uno scoop questo!”
Quella
si irrigidì, cambiando posizione sulla sedia:
“Esattamente, cosa mi stai
chiedendo?”
“Di
scrivere un articolo, scoprire la verità su quel
ragazzo!”
“Cosa?
– sussultò – Non posso farlo,
è una questione privata. I cittadini di Rosewood
mi odierebbero, il Signor Stuart è amato da tutti.”
“Ricordi
il secondo paziente fuggito assieme a Norman? La sua
identità non è stata resa
nota dalla polizia.”
“E
allora?”
“E
se ti dicessi che il secondo paziente fuggito era uno dei figli di
Richard?”
“Clarke,
non riesco a capire.”
“Potrebbe
esserci qualcosa di grosso dietro. Il tuo articolo diventerebbe di
dominio dei media,
non resterebbe bloccato qui a Rosewood come una banale storiella
dimenticata
dal giorno dopo. Richard è uno scrittore abbastanza noto, ne
parleranno tutti.”
“Perché
lo stai facendo? – non capì, nonostante
sembrò essere attratta dalla cosa – Che
cosa ci guadagni?”
“Ho
i miei motivi, voglio solo che tu scopra la storia di quel ragazzo. Sei
l’unica
che può farlo.”
Natalie
lo fissò a lungo, cercando di scorgere il mistero che si
celava nel suo
sguardo. Alla fine, si alzò e prese la sua borsa.
“E’
stato bello rivederti, grazie per la chiacchierata!”
esclamò con un sorriso di
circostanza, per poi andarsene in maniera titubante.
Pochi
minuti dopo, Clarke venne raggiunto da Chloe.
“Allora?
Com’è andata?”
“Le
ho messo la pulce nell’orecchio, vediamo cosa
succede.”
“Speriamo
bene, sono stanca di non sapere chi mi sta cercando.“ disse
fiduciosa.
“Vedrai
che scoprirà qualcosa, poi potremo tirare le somme e capire
se quel ragazzo è
davvero A!”
*
Tornato
da scuola, nel pieno dell’orario di pranzo, Eric corse
immediatamente al Brew
per iniziare il suo turno di lavoro.
Non
appena entrò, un uomo e una donna in completo nero si
stavano allontanando dal
bancone con i loro ordini. Fu Alexis ad averli serviti.
“Eric
finalmente! - esclamò quella, mentre lui faceva il giro per
entrare dietro al bancone
– Ho una lezione fra venticinque minuti, stavo per
chiamarti.”
“Scusa,
c’era un po’ di traffico. – si
giustificò, mentre indossava il grembiule e
fissava i due clienti appena serviti con curiosità
– Comunque chi erano
quelli?”
“Quelli
chi? – domandò distratta, mentre era intenta a
togliersi il grembiule – Non
essere enigmatico.”
L’altro
glieli indicò con lo sguardo, sedevano in fondo al locale, e
lei finalmente
capì.
“Ah,
quelli! Sono agenti dell’FBI, vengono da New york!”
“D-da
New york, hai detto? – balbettò, sbiancando
– P-perché? Che ci fanno qui?”
Quella
trovò strana la sua reazione: “Ehm, devono
svolgere un indagine, che ne so! –
esclamò con disinvoltura, notando la sua agitazione
– Perché tanto interesse?”
“Io?
Interesse? – cercò di darsi un contegno,
nascondendo con un sorriso la sua
preoccupazione – No, è solo che è
strano che due agenti di New york siano
venuti fino a Rosewood. Dev’essere successo qualcosa di
grosso.”
“Dici?
– non le interessò un granchè
– Sarà, ma io devo andare, adesso. – era
di
fretta - A stasera!” e gli passò accanto, uscendo
dal bancone.
Eric
le fece un cenno con la testa come saluto, poi spostò lo
sguardo sui due
agenti, seduti a bere il loro caffè e a leggere dei fogli.
*
Con i libri in
mano, Rider
aveva appena lasciato la sua classe, diretto verso il suo armadietto.
Durante
il tragitto incrociò Violet, ma distrattamente le
passò accanto senza notarla,
mentre quella, in procinto di parlargli non appena lo vide, rimase
lì impalata
in una smorfia alquanto basita; pensò che si sarebbe fermato
e le avrebbe rivolto
la parola.
Ovviamente, non
digerì la
cosa e si voltò a chiamarlo.
“Rider?”
Mentre quello
metteva i
suoi libri nell’armadietto, si voltò a piccole
dosi, notando che Violet si
stava rivolgendo a lui.
“Ehm…sì?”
domandò distaccato,
mentre continuava a sistemare l’interno del suo armadietto.
Quella si
avvicinò,
confusa: “E’ successo qualcosa per caso? Mi sei
passato davanti come se fossi
la donna invisibile.”
Rider chiuse lo
sportello,
abbastanza perplesso: “Come, scusa? Di cosa stai
parlando?”
“Dovevamo
vederci per quel
caffè, poi ho saputo tramite la televisione cosa
è successo a te e i tuoi
amici. Sono venuta perfino a casa tua per sapere come stavi, prima
delle
vacanze di Natale, ma non ti trovavo mai a casa. Poi sono dovuta
partire,
perciò ti ho lasciato diversi messaggi; a cui non hai
nemmeno risposto, tra
l’altro.”
“Un
caffè, dici? – trovò
strano, per poi realizzare che forse lei e Nolan si erano conosciuti
– Ooh, ma
certo! – finse di ricordare, inventando una spiegazione
– Scusa, sono davvero
mortificato, ma devi sapere che dopo quello che mi è
accaduto… Beh, ora
partecipo a delle sedute di psicoanalisi; sai, per superare il trauma
di quella
notte. Mi hanno puntato contro una pistola,
perciò…”
Quella si
sentì stupida,
comprendendolo: “Ma no, scusami tu. Dovevo immaginare che era
per questo che mi
stavi evitando. – gli sorrise – Il fatto
è che ho apprezzato davvero molto il
nostro avvicinamento alquanto inaspettato, visto che in passato non
correva
buon sangue fra noi.”
“Già,
molto inaspettato!”
sottolineò con molta ironia.
“Ascolta,
quel caffè è
ancora valido? Anzi, meglio ancora, potremmo tipo saltarlo e passare
direttamente ad una cena o un cinema?”
“Ehm,
magari ti scrivo io,
ok? – cercò di defilarsi, fingendosi di fretta -
Mi dai il tuo numero?”
“Ce
l’hai già!” rise
quella.
“Ma
certo, è vero! – si
diede un colpo sulla fronte – Che stupido che sono a
volte!” esclamò,
allontanandosi.
“Allora
aspetto un tuo
messaggio, eh?!”
“Assolutamente!
Ciao!”
scappò, mentre quella, appoggiata agli armadietti, lo
fissò correre via con un
sorrisetto spensierato.
*
A casa Blake,
Nathaniel tornò
finalmente a casa, dopo essere stato dimesso. Pete, il fidanzato di sua
Zia
Courtney, poggiò la valigia del ragazzo
all’ingresso, mentre entravano.
“Casa
dolce casa, eh?” gli
sorrise la donna.
“Decisamente,
Zia
Courtney. – si sentì
sollevato, ricambiando quel sorriso
- Per un attimo ho temuto che mi avrebbero dimesso dopo una settimana o
più.”
“E
invece ti hanno liberato
nel giro di tre giorni. – gli fece un occhiolino - Il medico
deve aver
apprezzato la mia voluta scollatura, mentre gli facevo pressioni sul
farti
tornare a casa.”
Pete, dietro
Nathaniel,
fece un colpo di tosse, lanciandole un’occhiataccia. Quella
ricambiò con la
stessa espressione, se non peggio.
“Oh,
Pete, risparmiami la
tua faccia seccata! Per poco tu e quella troietta di infermiera non vi
scambiavate
Instagram. – lo rimproverò, per poi rivolgersi a
Nathaniel – Dovevi vederla,
girava sempre sul nostro piano e, ogni volta, fissava Pete come
un’invasata. –
fulminò l’uomo, nuovamente – E veniva
ricambiata la gatta morta!”
“Non
la stavo ricambiando,
è che la guardavo per sbaglio!” cercò
di giustificarsi quello.
“Per
sbaglio? – tuonò
quella, facendo una smorfia incredula – Allora stanotte
dormirai PER SBAGLIO
sul divano, Pete!”
“Agli
ordini!” roteò gli
occhi con arrendevolezza, troppo debole per contrastare il suo
carattere forte.
Dalla cucina,
improvvisamente, arrivò Claire con il mestolo in mano.
“Finalmente
siete arrivati,
mi era sembrato di sentire le vostre voci…” li
accolse con un ampio sorriso.
“Ciao,
Mamma!” la salutò
Nathaniel, mentre quella lo abbracciava.
“Ho
fatto tante cose buone,
spero che siate tutti affamati!”
Nathaniel
sentì dolore alla
spalla, mentre quella era ancora abbracciata a lui:
“Ahh!”
“Oh
mio Dio, scusami… -
Claire si staccò da lui – Tutto bene,
tesoro?”
“Sì,
Mamma, non
preoccuparti. – si sforzò di sorriderle, mentre il
dolore si attenuava –
Piuttosto, ho una fame da lupi, cosa ci hai preparato?”
“Tante
cose buone, non sono
nemmeno andata a lavorare oggi.” si mossè verso la
cucina tutta briosa, facendo
loro strada.
“E
Papà?” le domandò,
fermandola.
Claire si
girò nuovamente
verso di loro, lanciandosi un’occhiata cupa con Courtney.
Subito, accennò
rapidamente un sorriso, come se cercasse di nascondere qualcosa.
“Papà
è al ristorante,
purtroppo non ci raggiungerà. Jamie si è preso
due giorni liberi, ha
praticamente mandato avanti il ristorante da solo mentre eri in coma.
Tuo padre
era quasi sempre in ospedale con te; temeva potessero ucciderti come in
quei
casi di malasanità.”
Nathaniel
reagì in maniera
ostile: “Jamie lavora ancora per noi?”
“Certo
tesoro, perché me lo
domandi?”
“Niente,
è che sono
cambiate tante cose in un mese. Pensavo anche questa, ma a quanto pare
ci ho
sperato troppo!” esclamò, lasciando tutti
abbastanza perpessi.
“Speravi
che Jamie non
lavorasse più per tuo padre? – intervenne
Courtney, mentre erano ancora nel
corridoio d’ingresso – Hai idea di quante
studentesse del college vengano a mangiare
nel vostro ristorante perché c’è quel
fusto di Jamie a girare fra i tavoli?”
“Beh,
non mi fido di lui. –
ribattè Nathaniel - L’ultima volta che
l’ho incontrato al ristorante, prima del
ballo degli ex alunni, era un po’ strano.”
“Strano
in che senso?”
domandò Pete.
“Non
ne ho idea, lasciamo
perdere!” pensò Nathaniel, esausto.
“D’accordo,
il pranzo si
raffredda. – avvertì Claire, facendo cenno a tutti
di spostarsi nell’altra
stanza – Forza, andiamo!”
Quelli
eseguirono, mentre
Courtney e Pete continuavano il loro battibecco durante il tragitto.
“Sai,
potrei guardare per
sbaglio Jamie! Sono ancora giovane e attraente per lui.”
“Certo,
prima però trova un
rimedio per la tua prima ruga sulla fronte!”
replicò l’altro, vendicativo.
Courtney
spalancò la bocca,
offesa, tirandogli uno schiaffo sulla spalla.
“Ritiralo
subito! – esclamò
isterica - Ritiralo, ritiralo, ritarlo, Pete!”
Nathaniel, che
camminava
dietro di loro, rise divertito.
*
Appena uscito
dal palazzo
che ospita lo studio di Wesam, Sam si imbattè in Cameron.
“Havery,
ci incontriamo
sempre!” esclamò quello, con il suo solito sorriso
accattivante e il tono
scherzoso.
Sam
sforzò subito un
sorriso, sorpreso di averlo incontrato: “Ehi,
ciao!”
“Come
stai? Ho saputo che
Nathaniel è stato dimesso.”
“Caspita,
non sapevo che
Gossip girl fosse in città.”
“Sono
rimasti tutti
sconvolti da quello che vi è accaduto quella notte.
– rabbrividì, cercando di
mettersi nei loro panni – Un pazzo pricopatico che vi prende
in ostaggio e
cerca di uccidervi…Davvero terrificante, io me la sarei
fatta sotto!”
Sam
affondò le mani nelle
tasche della sua giacca, abbassando lo sguardo, a disagio:
“Già, terrificante è
la parola giusta…”
Cameron
restò a fissarlo,
notando quanto fosse traumatizzato. Non sapendo cosa aggiungere,
puntò lo
sguardo sull’edificio dal qualche Sam era appena uscito.
“Sbaglio
o qui c’è lo
studio di quello psicologo?” domandò, supponendolo.
L’altro
cercò, invano, di
non sembrare misterioso: “Ehm, sì, ero giusto
passato per disdire la seduta di
oggi.”
“Sei
venuto fin qui per
disdire una seduta? – non se la bevve - Che fine hanno fatto
i telefoni e le
email?
“Ero
nelle vicinanze, a
dire il vero.” cercò di arrampicarsi sugli
specchi, sempre più nervoso.
“Avanti,
Sam. – provò a
farlo confessare – In quel locale gay dove siamo stati, mi
ricordo con chi
stavi ballando. Ed era lo stesso uomo che poi ti ha rivolto la parola
al ballo
degli ex alunni.”
Nonostante
l’evidenza, Sam non
mollò così facilmente: “Che stai
insinuando, scusa?”
“Guarda
che l’ho capito che
tu e lo psicologo avete una relazione. E poi, anch’io
l’ho avuta con uno più
grande di me: riconosco i sintomi.”
“Tipo?”
“Tipo,
andare dove lavora!”
“Te
l’ho detto, ero nelle
vicinanze.”
Cameron
continuò, come se
non lo stesse ascoltando: “Quindi, o tradisci Nathaniel o la
vostra relazione è
finta.”
“Finta?
– sorrise, fingendo
di trovarlo ridicolo – E perché mai avremmo dovuto
fingere?”
“Beh,
dopo il video che
avete girato con Anthony, diciamo che vi odiavano un po’
tutti, perciò… Usare
la carta dei ragazzi gay che entrano a scuola per mano, facendo coming
out
davanti a tutti, fa breccia nei cuori. Resetta tutto. Fa notizia! E,
come
d’incanto, quello che c’era prima, viene
dimenticato.”
Sam non ne
potè più,
arrendendosi: “Ok, basta, hai vinto! Ho una relazione segreta
con il mio
psicologo, contento?”
“Quindi
Nathaniel è gay
oppure no?”
“No,
non è gay. L’abbiamo
fatto per i motivi che hai appena detto tu.” mentì.
“Peccato,
perché credevo
che fosse gay anche prima di questa messa in
scena…” pensò, abbozzando una faccia
delusa.
“Aspetta,
perché lo
credevi? – restò incuriosito da
quell’affermazione – Sai qualcosa che non
so?”
Cameron si
voltò verso la
caffetteria che c’era alle sue spalle, per poi fare una
proposta: “Se te lo
dico, prendi un caffè con me?”
L’altro
lo trovò come l’ennesimo
tentativo di provarci con lui, incredulo e seccato: “Cameron,
ancora?”
“No
no, tranquillo, non ci
sto provando con te. – mise in chiaro immediatamente
– Certo, sei davvero un
tipo strano visto che nessuno mi resiste, ma non ci sto provando. Lo
giuro.
Voglio solo essere tuo amico, è così difficile da
credere?”
“Perché,
Cameron?”
“Perché
non ho così tanti
amici come sembra. Le persone mi girano intorno solo perché
sono bello,
popolare e le mie feste sono leggendarie. – lo
trovò triste da dire – Ma alla
fine della fiera, nessuno mi gira intorno perché vuole
sapere come sto o
cercare di conoscermi davvero.”
Sam lo
fissò a lungo,
intenerito e compassionevole. Alla fine dovette arrendersi, ma da un
lato era
anche curioso di scoprire se Nathaniel fosse sempre stato gay o ha
davvero
capito di recente di esserlo.
“D’accordo,
prendiamo un
tavolo.”
“Alleluja,
Havery! –
esclamò, facendolo sorridere - Io che supplico qualcuno di
prendere un caffè
con me è una novità.”
“Beh,
c’è sempre una prima
volta!” aggiunse Sam, ironico, mentre si avviavano.
*
Rider, intanto,
era al
centro commerciale di Rosewood, nel reparto d’abbigliamento
maschile, con il
telefono all’orecchio.
Mentre attendeva
che
qualcuno rispondesse alla sua chiamata, sbirciò qualche
vestito qua e là, teso.
Finalmente ricevette risposta: da parte di Eric.
“Ehi,
ciao, stavo per
chiamarti…”
“Sam e
Nathaniel non mi
rispondono, evidentemente hanno di meglio da fare. –
partì a raffica, isterico
– Ora, almeno tu, puoi spiegarmi come mai mi ritrovo al Rosewood
mall a
cercare un outfit adatto ad
un apppuntamento con Violet??”
Eric
reagì sorpreso, oltre
che confuso: “Cosa? Violet??”
“Ah,
bene, dal tuo tono
deduco che non ne sai niente. – prese un respiro profondo
– Ok, Nolan deve aver
stretto con Violet, mentre mi impersonava. Devo per forza continuare la
messa
in scena, poi dovrò inventarmi qualcosa per scaricarla. Non
ho tempo per
questo.”
“A
proposito di tempo,
prima al Brew c’erano degli agenti dell’FBI di New
york.”
Rider si
fermò bruscamente dal
camminare: “Come? Da New york? – si
agitò - Che altro sai?”
“E che
diavolo ne so? So
solo che New york
= Edward Blanc!”
“E
come avrebbero scoperto
che è scomparso? Pensavo che A stesse
tenendo tutto sotto controllo.”
“Non
ne ho idea. – era teso
anche Eric – Io credo che A non
abbia capito per niente che abbiamo scoperto chi è il
complice e che vogliamo
consegnarglielo.”
“Ho
provato a cercare Ector
al Radley per farmi dare il computer e contattare A,
ma sembra sparito.”
“E se A stesse cercando di incastrarci? Sono
passati tre giorni da
quando ci ha chiesto di consegnarli il complice, magari si è
stufato di
aspettare.”
“Infatti
speravo di poter
comunicare con A, chiedergli tipo
una proroga; Clake non vive a Rosewood, come facciamo a catturarlo se
non è qui?”
“Ascolta,
io stacco tra
dieci minuti. Ci vediamo da Nathaniel?”
“Sì,
assolutamente. – uscì
a passo veloce dal reparto di abbigliamento maschile - Dobbiamo pensare
a come
venire a capo di questa faccenda, al diavolo il mio appuntamento con
Violet!”
“Va
bene, a dopo!” chiuse
Eric.
*
Nel frattempo,
Sam e
Cameron erano seduti ad uno dei tavoli esterni alla caffetteria, con
molta
gente intorno e il sole che batteva.
Sam
vollè riprendere la
conversazione da dove si erano interrotti: “Allora, mi dici
cosa sai su
Nathaniel?”
Cameron
girò il suo
cucchiaino dentro la tazza, raccontando: “Una sera ero su una
di quelle nostre
chat e c’era questo ragazzo in webcam con addosso una felpa
aperta e tutti i
suoi addominali in bella mostra. – ammiccò, mentre
Sam restò abbastanza apatico
– La faccia non si vedeva, ma la felpa era quella della
squadra di nuoto:
quella degli Shark!”
Sam
restò leggermente
perplesso: “Un secondo, tutto qui?”
“Ehm,
sì!”
“Ok,
ma come fai a dire che
era Nathaniel? E quanto tempo fa è successo?”
“Lo
scorso Marzo… - ricordò
– E comunque sono certo che fosse Nathaniel, riconoscerei il
suo corpo
ovunque.”
“Ma
non vuol dire niente,
tutti i componenti della sua squadra hanno una tartaruga da urlo. E
Nathaniel
non è così stupido da tenersi addosso la felpa
degli Shark.”
“Beh,
io te l’ho detto. –
gli sorrise scherzosamente - Magari mi sbaglio, ma almeno abbiamo fatto
due
chiacchiere.”
Sam gli
lanciò
un’occhiataccia: “Non riesco davvero a capirti, lo
sai?”
“Avanti,
Havery, smettila
di fare il noioso. Noi gay dovremmo essere amici, raccontarci le
cose…”
“Sentiamo,
e cosa dovrei
raccontarti esattamente?”
“Dici
di stare con lo
psicologo, ma ti interessi a Nathaniel non appena ti accenno un mio
sospetto
sulla sua presunta omosessualità. – lo
fissò, intuitivo - Non sarà che hai una
cotta per lui?”
“Ehm,
ce l’avevo, ora non
più. – rispose, poco credibile – Amo
Wesam, sto con lui e mi fa sentire bene.”
“Io
non credo proprio!”
esclamò, fissandolo in maniera acuta.
A quel punto,
Sam volse lo
sguardo da altre parti, desideroso di volersi lasciar andare e
sfogarsi: e lo
fece.
“Ok,
ascolta… - si fece più
avanti con la sedia – La notte in cui siamo stati aggrediti,
Nathaniel ha
finalmente rivelato i suoi sentimenti per me. Prima di quella notte non
ero
sicuro che fosse gay, per questo mi sono interessato a ciò
che mi stavi
dicendo: volevo solo avere la certezza di alcune cose.”
L’altro
rimase a bocca
aperta: “Un secondo, Nathaniel ti ha detto di provare
qualcosa per te prima del
coma? – era elettrizzato - E ora? Come siete
rimasti?”
“Ora
sto con Wesam.
Nathaniel sapeva che lo amavo, l’ha scoperto,
ma…”
“Ma
non sa che durante il
coma ti sei messo con lui, giusto?” completò
Cameron.
“Esatto,
non lo sa. Però ha
chiarito che non si sarebbe intromesso tra me e lui; proprio
perché ha
realizzato i suoi sentimenti un po’ troppo tardi.”
concluse Sam, leggermente
amareggiato.
“Interessante…
- notò con
attenzione quanto la cosa lo rattristasse – E Sam cosa pensa
in tutto questo?”
“Ehm,
cosa dovrei pensare?
– trovò strana la domanda, sentendosi a disagio
– Che vuoi dire?”
“Te la
faccio semplice,
Havery: sei innamorato di Wesam o di Nathaniel?”
“Sto
con Wesam: secondo
te?” sforzò un sorriso, come se nemmeno lui ne
fosse convinto.
“Strano,
però: non hai la
faccia di qualcuno che è davvero innamorato!”
esclamò con strafottenza.
“Sono
affari miei, ok? – si
seccò – Se ti ho detto che amo Wesam, allora
è vero!”
“Calmati,
non ti scaldare.
Dico solo quello che percepisco, Sam.”
Più
rilassato, Sam gli
diede ragione: “Scusa, non volevo comportarmi da stronzo.
E’ che prima che
Nathaniel si svegliasse dal coma, li ho detto certe cose…
Cose che penso
tutt’ora.”
“Non
puoi stare con il
piede in due scarpe, Sam; quella è più una cosa
mia. E non puoi nemmeno
lasciare uno spiraglio di luce a Nathaniel, se stai con Wesam. E,
viceversa,
non puoi tradire la fiducia che Wesam ha in te, avvicinandoti
nuovamente a
Nathaniel. - si
meravigliò delle sue
stesse sagge parole – Accidenti, mi sento come il Signor
Giles in Buffy; solitamente
non sono io a dare consigli.”
L’altro
sospirò, rendendosi
conto che aveva ragione: che c’era una guerra nel suo cuore e
che doveva fare
una scelta.
Quando
spostò lo sguardo
sulla strada, però, i suoi pensieri scomparvero con una
nuvola di fumo portata
via dal vento: Chloe e Clarke stavano passeggiando sul marciapiedi
parallelo a
quello loro, in lontananza.
“Clarke
è in città!”
esclamò Sam, alzandosi di colpo dalla sedia.
Cameron si
girò a seguire
il suo sguardo, ammirando la coppietta con un sorrisetto cinico:
“Ma guarda,
Chloe friendzoned si è sistemata con il fratello attraente
di Anthony. Se fosse
vivo, riderebbe fino all’ultima stagione di Grey’s
anatomy; se mai avrà una
fine quel telefilm.”
“Stanno
insieme? – gli
domandò, turbato dalla scena – Che ne
sai?”
“Non
è la prima volta che
vedo Chloe con Clarke. Gli ho visti insieme anche al ballo degli ex
alunni, lei
è andata via con lui dopo l’esplosione.”
“Sì,
l’ho vista anch’io. –
ricordò Sam – Ma non vuol dire che stiano insieme,
no?”
Cameron rise per
qualche
istante: “Ma dove vivi, Havery? E’ evidente che ha
una relazione segreta o
quasi: ho visto Chloe entrare anche nell’albergo dove
alloggiava lui, una
volta. E lo so per certo, visto che mio padre ne è il
proprietario.”
“Davvero?
– sgranò gli
occhi - E’ andata nel suo stesso albergo?”
“Già,
te l’ho appena detto!
– ribadì, trovando strana la sua reazione
– Come mai la cosa sembra turbarti?
Hai per caso una cotta anche per Clarke?” scherzò
nuovamente.
“No,
è solo che è il
fratello di Anthony. Non lo conosco molto bene, e a Chloe tengo ancora
nonostante non siamo più amici come prima.”
“A
proposito, come mai tu e
Chloe non siete più amici?” si impicciò.
Sam prese la sua
borsa da
terra e tirò fuori una banconota dal suo portafoglio,
buttandola sul tavolo:
“Ora devo andare, mi ha fatto piacere parlare con te!
Ciao!” esclamò, fuggendo
via.
Non
lasciò nemmeno il tempo
a Cameron di salutarlo, che restò a parlare da solo:
“Oook, ciao ciao. Che tipo
strano quell’Havery!” pensò, pronto a
pagare anche la sua parte del conto.
*
Dopo aver
poggiato i suoi
libri sul tavolo, Lindsey aprì il frigorifero per prendersi
un succo fresco.
Trasandata e con i capelli legati, si avvicinò al tavolo per
versarlo nel
bicchiere. In quell’istante, dalla porta sul retro,
entrò Tasha; era sudata,
indossava i leggins ,
un top che si
intravedeva dalla cerniera aperta della felpa e le scarpe sportive.
“Tesoro,
perché non sei
venuta a correre con me? – si tolse le cuffie dalle orecchie,
riprendendo fiato
– Fuori c’è davvero una bella
giornata!”
“Ehm,
a dire il vero ho molto
da studiare in questi giorni. – si toccò la
fronte, il viso pallido – Magari
un’altra volta.”
Prima che
potesse
dileguarsi, Tasha la fermò per un braccio, notando un
comportamento insolito:
“Lindsey, tutto bene?”
Quella la
fissò dritto
negli occhi, deglutendo con fatica: “Sì, sto bene.
– finse un sorriso – Sono
solo un po’ stanca, tutto qui.”
“Tesoro,
è di nuovo quella
Alexis? – si preoccupò per lei - Ti sta
minacciando ancora? Sapevo che rigarle
la macchina non era abbastanza.”
“No
no, non c’entra nulla.
Dopo avermi fatta lasciare con Julian, non ho più ricevuto
altre minacce.”
“Allora
cosa c’è?”
Lindsey, sotto
pressione,
iniziò a piangere: “E’ che sono successe
tante cose in quest’ultimo mese…”
“Ti
riferisci a quel pazzo
che ha cercato di uccidere Rider e i suoi amici? Guarda che
è morto, non può
più fare del male a nessuno.”
“Tasha,
ho giurato a mio
padre di non dirlo, ma non ce la faccio più a tenermi tutto
dentro. – tremò,
mentre le lacrime scendevano copiose – Uno dei due pazienti
fuggiti dal Radley è
il gemello di Rider.”
“Cosa?
– reagì confusa - Di
che stai parlando?”
Poco dopo, le
due erano
sedute sugli sgabelli del tavolo, l’una di fronte
all’altra: Lindsey le aveva
raccontato tutto.
“Quindi
Rider e questo
ragazzo non sono nati da Zia Ellen?”
“No,
ma da un’altra donna
che non ho idea di dove viva o chi sia.”
Tasha
incantò il vuoto,
scioccata: “Rider non può aver affogato quel
bambino, lo conosco da anni. – lo
trovò ridicolo - Lui è sano di mente, questo
Nolan potrebbe aver raccontato una
balla.”
“Per
questo mio Zio Gordon
è tornato qui dall’Italia. Faranno delle sedute
registrate, in modo da capire
se è davvero stato Rider ad affogare quel bambino.”
“E
dopo che succede? Rider
finirà al Radley al posto di
quell’altro?”
“Non
lo so… - le scese una
lacrima, sofferente – So solo che mi sembra di essere in
un’altra casa e che
non riesco più a guardare Rider con gli stessi occhi di
prima dopo quello che
Papà mi ha detto sul passato.”
“Tesoro,
Rider non è un
aspirante assassino.” la abbracciò, mentre quella
piangeva fra le sue braccia.
“Tasha,
per quanto ancora
ti fermerai qui a Rosewood?”
“Ancora
qualche giorno, ero
venuta solo per passare a trovare Nathaniel Blake. – le
sorrise - E i miei
cugini preferiti.”
Lindsey si
staccò
lentamente, asciugandosi le lacrime: “Ancora in fissa per
quel ragazzo? Tasha,
per favore, lascia perdere.”
Quella le prese
le mani:
“Non devi badare a me. Ora che so queste cose, ti
starò accanto. Non dev’essere
stato un bel clima per te.”
“Già,
peccato che non ci
sia solo questo a preoccuparmi. – le lacrime ripresero
– Tasha, io credo di
essere incinta.”
A quella
confessione, Tasha
sgranò gli occhi: “Ne sei sicura?”
“Ho
fatto il test due volte
l’altro giorno ed è risultato positivo.
– singhiozzò – E’ di
Julian!”
“Oh,
tesoro… - la fissò con
empatia, realizzando in che situazione si trovasse – Non ti
preoccupare, ci
sono io adesso.” e la abbracciò forte.
*
Nel frattempo,
nella camera
di Nathaniel, era in corso una riunione del gruppo sugli ultimi
sviluppi.
Ognuno di loro era teso; Rider era poggiato di schiena alla finestra,
Eric in
piedi davanti al letto di Nathaniel, mentre ques’ultimo era
seduto nel suo
letto con le coperte fino alla pancia.
“Quindi
è finita? – chiese
proprio quello, nel panico - Stiamo per andare in prigione?”
Rider
cercò di non darsi
per spacciati: “Non ancora, non sappiamo cosa ci facciano qui
quei due agenti.”
“Rider,
per quale altro
motivo due agenti dell’FBI dovrebbero essere qui? Per fare un
tour del Brew e
qualche selfie vicino all’albero più longevo della
città? – intervenne Eric –
Sono qui per Edward, siamo nella merda!”
In
quell’esatto istante,
Sam fece irruzione nella stanza.
“Clarke
è in città!”
esclamò, senza nemmeno riprendere fiato, chiudendo la porta.
Quelli lo
fissarono,
sgranando gli occhi.
“Bene,
questa è una buona
notizia… - pensò Rider, riflettendo –
Abbiamo quello che vuole A, forse
facciamo ancora in tempo a
salvarci prima che sia troppo tardi.”
Sam non
riuscì a seguirlo,
facendo un smorfia confusa: “Troppo tardi per
cosa?”
“Due
agenti dell’FBI sono
entrati al Brew prima… – lo aggiornò
Eric, mentre l’altro diveniva pallido in
volto – Tranquillo, per ora sappiamo che hanno preso solo una
tazza di caffè e
una ciambella.”
“Solo?
– Sam pensò a quanto
avesse minimizzato la cosa, spaventato – Ditemi che non
vengono da New york, vi
prego.”
Le loro facce
risposero da
sé. Lo sguardo di Sam precipitò verso il basso,
gli mancò il fiato.
“Oh
mio Dio, non ci credo…”
scivolò con la schiena lungo la porta, sedendosi a terra con
le ginocchia fino
al mento.
Anche Nathaniel
andò nel
panico, subito dopo di lui: “Devo entrare in quel
deposito!”
“Cazzo,
Nat, vuoi prendermi
in giro? – sussultò Eric –
L’FBI è a Rosewood e tu pensi a farti beccare
proprio nell’ultimo posto in cui dovresti essere?”
“Non
sei tu il coglione dipinto
su quella tela, ok? – alzò la voce, fulminandolo
con lo sguardo – C’è la mia
faccia lì sopra, quel pittore era un fottuto pittore vero e
sapeva dipingere
bene; mi riconosceranno in un secondo, andrò in galera prima
di voi!” esclamò,
sentendo male al petto.
Tutti si
preoccuparono per
Nathaniel, che si appoggiò alla spalliera del letto,
chiudendo gli occhi e
premendo una mano sul petto.
Rider
avanzò verso il letto
dell’amico: “Ok, facciamo tutti un bel respiro
pronfondo. – si rivolse a tutti,
poi subito a Nathaniel – Eric ha ragione, devi lasciar
perdere il deposito.
Bisogna prima capire cosa sta succedendo al distretto di
polizia.”
A quella frase,
tutti si
voltarono a guardare Sam. Quello, però, non la prese bene.
“Un
secondo, scordatevelo!
Come dovrei esordire: “Ciao,
Papà, per
caso è iniziata l’indagine sull’uomo che
ho seppellito nel bosco con i miei
amichetti, il mese scorso?” … No,
è assolutamente fuori discussione! Non
ora che le tensioni con padre si sono affievolite durante il mese senza
A.”
“Ok,
possiamo tornare al
punto in cui Clarke è in città? – Eric
attirò l’attenzione su di sé
– A ha il potere di
incastrarci o di
salvarci, inutile fingere che non abbia i superpoteri,
perciò… ci basta
consegnarli Clarke e non dovremo affannarci così tanto nel
cercare di non
finire in prigione.”
“Va
bene, mettiamo che
riusciamo a consegnarli Clarke… - prese parola Nathaniel
– Cosa mi dite di
Jasper? E’ ancora nelle mani di A,
non credo l’abbia ucciso.”
“Vuoi
fare uno scambio con A? Jasper per
Clarke?” intuì Eric dalle
sue parole.
“E’
innocente, non merita
di stare rinchiuso nel sotterraneo di chissà quale
posto!” disse loro,
Nathaniel.
“Nat, A non ci darà mai Jasper.
– Rider lo riportò con i piedi per terra
- Per la polizia, in questo momento, è un assassino
ricercato: ed è proprio
questo che ci mantiene tutti al secondo posto nel caso
dell’omicidio Dimitri.”
“A
meno che…” intervenne
Sam, dopo aver riflettuto mentre discutevano.
“A
meno che, cosa?” ripetè
Eric, in attesa di ascoltare ciò che aveva pensato.
“Se
mandassimo alla polizia
il filmato delle telecamere di sorveglianza trovato a casa di Tyler,
dimostreremmo che Anthony è ancora vivo e che Jasper
è innocente: verrebbe
scagionato dalle accuse a suo carico.”
“Se la
polizia trovasse
Anthony e A ci consegnasse Jasper,
potrebbero entrambi incastrarci. – replicò Rider -
Anthony ci farebbe colare a
picco insieme a lui, mentre Jasper, a questo punto, farebbe qualsiasi
cosa per
uscirne dopo quello che ha passato.”
Nathaniel
trovò tutto così
assurdo e ingiusto: “Quindi consegnamo Clarke ad A, torniamo alle nostre vite e fingiamo
che Jasper non esista?”
“Sì,
Nathaniel, è esattamente
questo che dobbiamo fare! – continuò Rider, rigido
e deciso – Ragazzi, A lo
sa che è stato Anthony ad
investire Albert; era presente sulla scena dell’incidente e
ha visto tutto. E
ora che sa anche che è Clarke il complice di Anthony e non
uno di noi, penserà
che in tutti questi mesi abbiamo pagato abbastanza, ok? Una volta che
avrà
quello che vuole, ci penserà lui a far quadrare tutto quanto
e a non mettere la
polizia sulle nostre tacce e sulle sue. Finirà
tutto!”
Dopo quelle
parole, ognuno
di loro abbassò lo sguardo, pieno di vergogna e senso di
colpa.
“Lo so
come vi sentite in
questo momento. – aggiunse ancora Rider, un pizzico di
sofferenza nella voce –
Anche a me dispiace per Jasper, ma una parte di me vuole credere che
quando
tutto questo sarà finito, A troverà
una soluzione anche per lui… - sospirò, cercando
di convincerli - Sapete, ci
sono molte persone nel mondo che cambiano aspetto, identità,
non lasciando più
traccia di sé. Qui non si tratta più di cosa
è giusto o sbagliato, ma della
nostra libertà contro quella di Jasper. E io, francamente,
non mi sento
colpevole di nulla per dover rinunciare alla mia. Tanto meno mi
interessa cosa farà
A con Clarke.”
Mentre Nathaniel
e Sam
avevano il volto girato verso altre direzioni, cercando di trattenere
le
lacrime e la rabbia, Eric decise di scegliere.
“Rider
ha ragione, abbiamo
tutta la vita davanti. E quello scambio che faremo con
A rappresenta la chiave per aprire la porta che ci separa da
tutto
ciò che meritiamo di avere e di conquistare. Non
è colpa nostra se siamo finiti
in questo casino, siamo solo accorsi ad un messaggio di Anthony senza
sapere
perché ci avesse chiamati.”
Sam e Nathaniel
si
voltarono finalmente verso di loro, poi si guardarono l’uno
con l’altro, come
se stessero pensando di arrendersi e accettare.
Rider
pensò di dare loro un
ultimo incentivo: “Siamo tutti a pezzi, non devo di certo
dirvelo io. Ma se non
prendiamo questa decisione, la giusta decisione, la rimpiangeremo per
sempre.
Non ne usciremo mai. E io voglio così disperatamente
uscirne.”
Anche Nathaniel
fece la sua
scelta, a suo malgrado: “Abbiamo un piano su come catturare
Clarke?”
“Ehm,
sì, in questi giorni
ho fatto delle ricerche. – spiegò Rider - Ho
accennato qualcosa ad Eric, in
pratica dobbiamo procurarci un oppioide chiamato M99, che non
è altro che un
composto chimico che possiede un effetto analgesico molto
più potente della
morfina. Dovremo somministrarlo per endovena.”
In
quell’angolino della
stanza, Sam si lasciò scappare una risata isterica,
mettendosi le mani sul
volto per quel discorso così assurdo: “Oh mio
Dio…”
“Sam,
cosa ti prende?” gli
domandò Eric.
“Per
endovena? – Sam si
tolse le mani dal volto, rispondendo con toco aggressivo –
Almeno sappiamo come
si fanno queste cose?”
“Sam,
tranquillo, sarò io a
farlo.” gli disse Rider.
“Ah,
beh, scusami allora! –
lo prese in giro, alzando le mani – Non sapevo ti fossi
appena preso una bella
laurea in medicina.”
“Non
abbiamo altra scelta,
ok? – ribattè Rider, infastidito - Inutile che ti
metti a fare tutte queste
scene, è così che prenderemo Clarke.”
“Così,
come? – era curioso
di sapere Nathaniel – Qual è il piano? Di certo
non si presterà alla cosa di
sua spontanea volontà, dobbiamo attirarlo da qualche
parte.”
“Ragazzi,
non è come
decorare un uovo alle elementari. – si intromise Eric
– Dobbiamo organizzarci.”
Sam
trovò opportuno
metterli al corrente di qualcos’altro, più calmo:
“Quando ho visto Clarke,
prima, era con Chloe.”
In seguito a
questa
confessione, Rider reagì confuso: “Con
Chloe?”
Intervenne
subito anche
Eric: “Aspetta, non avevi detto che Chloe aveva lasciato il
ballo con Clarke,
quella sera?”
“Già,
pensavo solo per un
passaggio, ma a quanto pare c’è molto di
più.”
“Pensate
che lei sappia?”
si chiese Nathaniel.
“Pff,
nel sangue di Clarke
scorre il sangue dei Dimitri: bugiardi patologici che pensano solo a
sé stessi.
– pensò Rider, certo – Sicuramente Chloe
non ha la più pallida idea di con chi
ha a che fare.”
“Appunto
per questo,
cerchiamo di tenerla fuori. – richiese Sam come
priorità – Non voglio che
qualcosa vada storto e che pur di riavere indietro la nostra
libertà
sacrificassimo anche lei.”
“Hai
la mia parola, Sam. –
gli garantì Rider – Nel piano che organizzeremo,
faremo in modo che Chloe sia
altrove mentre ci occupiamo di Clarke.”
“Allora
siamo d’accordo?”
domandò Eric, spostando lo sguardo fra loro tre.
Rider
annuì, poi seguì
anche Nathaniel e, infine, Sam: ormai era tutto deciso.
“Solo,
facciamo presto. –
desiderò Nathaniel, turbato – La ruota di A
è ancora puntata sulla mia faccia e me la sto
facendo davvero sotto.”
Naturalmente,
Rider fu
comprensivo nei suoi confronti: “Ci mettiamo
all’opera, tranquillo.”
“Io,
comunque, in questi
giorni ho abbozzato uno schema su quello che sa la polizia fino ad ora.
– Sam
si sollevò da terra, aprendo il suo zaino e tirando fuori un
quadernino – Ci
sono due casi aperti e uno chiuso: Dimitri, Albert e
l’aggressione che abbiamo
subito al lago; in pratica siamo collegati a tutti e tre questi casi,
senza
contare che eravamo presenti anche all’esplosione della
scuola, perciò mi
chiedo come mai la polizia non ci abbia ancora arrestati.”
Rider aveva
già una sua
idea, a tal proposito: “Semplice: perché per loro
risulta tutto un grande
casino e A ha confuso ancora di
più
le carte in tavola, rendendo questi casi irrisolvibili. Per non parlare
dei
nostri alibi, che per ora reggono, tutto sommato.”
“Sì,
ma se sopraggiungesse
anche un quarto caso, possiamo prendere i nostri alibi e pulirci il
culo. –
Eric alluse al possibile ritrovamento di Edward Blanc –
Scusate il francesismo,
ma saremmo seriamente fregati.”
*
Più
tardi, alla centrale di
polizia, Carter Havery osservò gli agenti dell’FBI
appena entrati nell’ufficio
del tenente Jacobson; pensò si trattasse di qualcosa di
grosso.
Tuttavia,
l’uomo sembrò
essere assai furibondo per qualche faccenda riguardante il lavoro e
preferì
andarsene.
Dentro
quell’ufficio,
intanto, i due agenti si stavano presentando con una stretta di mano al
tenente
e al detective Costa.
“Agente
Murphy, salve. –
disse l’uomo, per poi indicare la collega – E lei
è l’agente Sanchez: FBI di
New york.”
“Cosa
vi porta qui a
Rosewood?” domandò il tenente Jacobson, notando
che l’agente Sanchez stringeva
una busta gialla tra le mani.
“La
polizia di New york ha
ricevuto un filmato qualche giorno fa, il mittente è
anonimo.” prese parola la
donna, pronta a mostrare il contenuto della busta.
“Un
cd?” si incuriosì il
detective Costa.
“C’è
anche una scritta
sopra!” fece notare loro l’agente Murphy.
“Sono morto… – lesse
Jacobson – Un messaggio ben preciso!”
trovò.
“Ovviamente
è stato mandato
da Rosewood, per questo siamo qui.” continuò
Sanchez, mentre inseriva il cd nel
lettore apposito.
Le immagini
iniziarono a
comparire sullo schermo del televisore. Jacobson e Costa osservarono
con
attenzione ogni fotogramma, mentre l’agente Murphy analizzava
il filmato.
“Quattro
inquadrature
diverse riprese in un bosco. Nessun audio. Nessun volto.”
Costa
avanzò leggermente in
avanti, inquietato: “Sembra che qualcuno stia scavando una
buca…”
“Il
video è stato
manipolato, non mostra chi regge le pale che stanno
scavando.” spiegò Sanchez.
“Deduco
che in quei borsoni
ci siano parti di un corpo. – intervenne Jacobson –
Potrebbero essere stati
sepolti ovunque.”
“Abbiamo
ragione di credere
che siano stati sepolti qui a Rosewood… - Murphy
fermò il filmato, tirando
fuori un telefono chiuso dentro un sacchetto – Assieme al cd
è arrivato anche
questo cellulare.”
“A chi
appartiene?” domandò
Costa.
“Edward
Blanc, un pittore
Newyorkese. Risiede a New york dal 2009, ma ha un appartamento anche
qui a
Rosewood.”
“Risulta
scomparso da più
di un mese, secondo le indagini che abbiamo svolto. –
continuò Sanchez –
Abbiamo interrogato i suoi vari contatti in rubrica: quasi tutti
l’hanno
sentito solo e unicamente per messaggi. Temiamo che la persona che
possedesse
il suo telefono, si sia spacciato per lui.”
“E
credete che la persona
che conservasse il suo telefono, sia l’assassino?”
pensò Jacobson.
“O
è l’assissino o sa chi è
l’assassino. – Sanchez riportò i loro
sospetti – Questa persona vuole farci
sapere che un uomo è stato ucciso, ma non ci mostra chi
è stato. – si mostrò
dubbiosa - Vuole giocare con noi, perchè è
l’assassino? Sa chi è stato, ma è
qualcuno a cui tiene?”
“E’
tutto molto confuso, a
dire il vero: come le telecamere, ad esempio.
– aggiunse Murphy -Sembra siano state
posizionate sulla scena del
crimine, prima ancora del crimine.”
Mentre gli
agenti parlavano
a Jacobson, Costa si focalizzò sull’immagine
bloccata sul televisione: ne
contemplava i dettagli.
“…In
ognuna di queste
inquadrature, la pala è diversa.” notò.
Sanchez si
voltò verso di
lui, impressionata: “Lei è un ottimo osservatore,
detective. Infatti nelle
inquadrature che abbiamo esaminato, ci sono quattro pale diverse: come
se sulla
scena ci fosse più di una persona; per questo motivo
crediamo che il mittente
di questo materiale possa non essere l’assassino.”
“Se
non è l’assassino,
sembra proprio che abbia teso una trappola ai veri assassini.
– ipotizzò Costa,
anche se faceva fatica a capire certe dinamiche – Solo che
non ha senso
aspettare tutto questo tempo per coinvolgere la polizia.”
“Siamo
qui proprio per
risolvere questo mistero, infatti. Il caso è affidato al
vostro distretto,
visto che siamo nella vostra giurisdizione. Noi supervisioneremo le
indagini e
propongo di partire dall’appartamento della
vittima.” spiegò Murphy.
Il tenente
Jacobson era
pronto: “Bene, riunisco subito una squadra per setacciare
tutta la zona intorno
a Rosewood.”
Poi, assieme
agli agenti,
uscì dall’ufficio. Il detective Costa, concentrato
nel fissare ancora lo
schermo, rimase: non face che riflettere sul fatto che sulla scena del
crimine
ci fosse più di una persona; e a proposito di questo,
sembrò avere già qualche
sospetto.
*
Nel pomeriggio,
Wesam fece
un piccolo viaggio per far visita ad una persona.
In piedi,
davanti alla
porta di un appartamento, aspettò di essere aperto dopo aver
bussato; quando
quella persona finalmente aprì, Wesam fu felice di non aver
fatto un viaggio a
vuoto: si trattava di Julie Orlando.
“Ehm,
salve… - cominciò,
imbarazzato – Suppongo che lei si ricordi di me,
no?”
L’altra,
alquanto sorpresa,
annuì: “Ma certo, l’ho vista al ballo
degli ex alunni al liceo di Rosewood. –
trovò strana la sua visita – Solo
che…”
“Sì
sì, lo so che si starà
chiedendo che cosa ci faccio qui. – cercò di dare
una spiegazione, mettendo le
mani in avanti – Il punto è che io sono lo
psicologo di Sam Havery… E so!”
Quella rise, non
afferrando: “Ok, di che cosa sta parlando? Sa,
cosa?”
Wesam
accentuò il suo
sguardo: “So quella cosa che sai anche tu… - lo
accentuò ancora di più - Quella
cosa!”
“Oh
mio Dio… - ora capì,
grattandosi il capo – Ehm, senti, non restiamo qui a
parlarne. Forza, entra!”
Seduti a tavola,
qualche minuto
dopo, Julie gli allungò lungo il tavolo una tazza di
caffè che aveva appena
preparato.
“Quindi
ti sei trasferita a
Courtland, dopo l’esplosione della Rosewood high school?
– contemplò ogni
dettaglio dell’appartamento, sorseggiando il suo
caffè caldo – Carina la casa…”
“Beh,
sì, ho dovuto
trasferirmi qui perché il mio fidanzato insegna alla
Northdale, adesso. – spiegò,
più interessata al motivo della sua visita in
realtà – Allora… Sai anche tu di A?”
“Sì,
Sam si è aperto con
me. Era inevitabile.”
“Wow,
un po’ mi sento
sollevata a non essere più l’unica a mantenere il
loro segreto.”
“Beh,
io invece non mi
sento sollevato per niente. – mostrò quanto fosse
preoccupato – Sam mi ha
chiesto di non intervenire, anche se mi riesce difficile ogni giorno
che passa.
Dice che lui e i suoi amici hanno tutto sotto controllo,
ma…”
Julie si
sentì come
attaccata: “Ascolta, se sei venuto qui per giudicarmi, ti
fermo subito: io ho
offerto loro il mio aiuto, ma in cambio volevo tutta la
verità. Mi hanno
raccontato di A, ma c’era
molto di
più. - si sfogò – La sera che ho
lasciato Rosewood, dovevano passare da me e
raccontarmi tutto il resto, ma non l’hanno fatto.”
“Se
non sono venuti da te è
perché A li ha
distratti con uno dei
suoi macabri giochi. – il suo volto cambiò,
angosciato – Non hai idea di cosa
hanno passato da quando te ne sei andata.”
“Tipo?”
“Tipo
che A ha ucciso una persona e ha
costretto
i ragazzi a seppellirla nel bosco. Il corpo era suddiviso in quattro
borsoni.”
Quella si
portò una mano
alla bocca, sconvolta: “Oh mio Dio…”
“Già,
Oh mio Dio! – sottilineò,
portandola a rendersi conto della gravità
della situazione – Se sono venuto qui da te è
perché sei l’unica persona che sa
quello che so io, e che tiene a quei ragazzi e che può fare
qualcosa per
aiutarli.”
“Aiutarli,
come? Non
possono rivolgersi alla polizia, sai perfettamente che A
ha qualcosa contro di loro,
perciò…”
“Sì,
i video di quella
sera, lo so!” si lasciò sfuggire.
“Un
secondo, ma… - percepì
qualcosa di strano – Esattamente, cosa sai?”
Wesam rimase in
silenzio,
colto alla sprovvista. La donna si alzò dalla sedia,
incredula.
“Oh
mio Dio, ma tu sai
proprio tutto. Anche quello che io non so! –
esclamò, allontanandosi dalla
tavola, basita – Caspita, ho chiesto loro mille volte di
dirmi cosa
nascondessero e che di me potevano fidarsi… Poi arriviti tu
e boom, ti raccontano
tutto? Davvero, non ho parole!”
“Sto
con Sam! – rivelò a
bruciapelo – Ho una relazione con Sam; per questo si
è aperto con me,
raccontandomi ogni cosa. I suoi amici non sanno che io so.”
L’altra
si voltò,
sconcertata: “Tu… stai con… Sam?
– trovò assurdo - Ma quanti anni hai?”
“La
cosa non è rilevante in
questo momento: è successo! – cercò di
nascondere il suo imbarazzo - Il punto è
che hanno bisogno d’aiuto e io non riesco a starmene con le
mani in mano.”
“E
cosa vorresti fare? Lo
sai che è stato A a far
esplodere la
scuola, vero?” gli fece notare quanto fosse pericoloso
intromettersi.
“Lo so
perfettamente, ma ci
sarà pur qualcosa che possiamo fare. – insistette,
determinato - Insomma, A è
ossessionato da loro quattro. Li tiene d’occhio in
ogni momento, ma… Non
può avere occhi ovunque, no?”
Julie si
lasciò
incuriosire: “Vai avanti... ”
“Potremmo
agire in maniera
parallela, scoprire delle cose per conto nostro. A
è troppo impegnato a star dietro loro per accorgersi di noi
due.”
“Parli
di una specie di
Anti A-team?”
“Ascolta…
- sospirò,
preoccupato – Credo che Sam mi stia nascondendo altre cose.
Nuove cose. E
secondo me, teme di dirmele perché potrei seriamente
intervenire.”
“Quindi
quale sarebbe il
piano?”
“Tu
sai di
Rosewood-riservato?”
Quella
cercò di ricordare:
“Ehm, sì, vagamente… E’ un
file che i ragazzi speravano di trovare nella panic
room. Secondo loro, quei file potevano contenere il motivo per cui A li ha presi di mira in maniera
così
feroce.”
“Beh,
Rosewood-riservato è
una raccolta di segreti creata dal loro amico Anthony. – le
rivelò – Il ragazzo
portava delle persone in un bosco e faceva con loro dei giochi. Era un
luogo
isolato, Sam ha detto che era recitanto e che non si poteva fuggire.
Chi ci è
finito, doveva confessare il segreto di qualcuno che conosceva in
cambio della
libertà.”
“Credi
che… - si portò una
mano alla bocca, sconvolta – Credi che Anthony torturasse
quelle persone?”
“Non
ne ho idea, Sam mi ha
detto di aver parlato con qualcuno che ci è stato. In ogni
caso, A sa di questa cosa e pare
ci sia anche
un complice.”
“Di
Anthony?”
“Sì.”
“Credeva
fosse uno dei
ragazzi, visto che erano suoi amici. Da allora, Sam e gli altri hanno
cercato
di dimostrare il contrario e il loro piano attuale è
scoprire chi è questo
complice e farlo sapere ad A.
Credono che dopo questo, li lascerà in pace.”
“Quindi
A non li sta perseguitando
perché pensa
che abbiano ucciso qualcuno, vero? Tipo Albert.”
“Come
sai di Albert?”
domandò, sapendo già tutta la verità
sul suo omicidio.
“Beh,
ho vissuto abbastanza
a Rosewood da informarmi sulle notizie più recenti.
– spiegò – I ragazzi mi
hanno chiesto di creare loro un alibi per la notte del suo omicidio, un
falso
scontrino, quindi ho pensato che potessero essere coinvolti nel suo
omicidio.”
“Julie,
io so tutto, ma non
c’è bisogno che ti debba raccontare la
verità. In ogni caso, ho promesso a Sam
di non fare parola di nulla con nessuno, su quello che mi ha detto.
– cercò di
incoraggiarla – Perciò, devi fidarti di me. Ti
assicuro che loro sono
innocenti, nonostante abbiano fatto degli errori: errori che farebbe
qualsiasi
persona alla loro età.”
A quel punto,
Julie
sospirò, restando in silenzio per qualche secondo:
“… D’accordo, ti credo. La
domanda è: mentre i ragazzi cercano di scoprire chi
è questo complice, noi che
facciamo?”
“A possiede dei video su quella notte;
sono dei video che potrebbero
incastrarli ed è con questo che lui o lei li ha tenuti in
pugno fino ad ora.”
“Pensavo
che i ragazzi
avessero le idee chiare sull’identità di A.”
“Beh,
non credo siano
convinti fino in fondo sulla sua identità. Sono
più concentrati a come
liberarsi del loro persecutore, adesso. Quindi, per me, può
essere chinque:
anche una donna.”
“E
vuoi che noi scopriamo questo?”
“Non
proprio. Voglio solo
recuperare il materiale che A possiede
sui ragazzi. – illustrò il piano - Senza prove,
non ha più potere su di loro:
diventerebbe in automatico una persona che perseguita degli adoloscenti
senza
validi motivi.”
“E
l’uomo che hanno
seppellito? A può
tenerli in pugno
anche con quello, ci sono troppe cose a cui pensare!”
“Se
troviamo il covo di A, troveremo
anche delle prove che lo
incriminano. Insomma, prima di consegnarlo ai ragazzi, l’ha
ucciso con
qualcosa: un’arma con sopra le sue impronte, intendo; non
può non aver lasciato
una minima traccia di sé.”
L’altra,
eccitata dall’impresa,
cercò di fare il punto della situazione: “Quindi
se troviamo il suo covo,
possiamo eliminare tutto quello che possiede contro i ragazzi e
incastrare lui…
o lei… o qualsiasi cosa esso sia, giusto?”
“Il
piano è questo! -
ribadì – Noi non siamo previsti, A
non se lo aspetta. Possiamo agire indisturbati, mentre lui è
concentrato su Sam
e gli altri.”
Dopo essersi
convinta che
potevano farcela, Julie vollè togliersi ogni dubbio:
“C’è altro che devi dirmi
su loro quattro?”
“Questo
è tutto quello che
devi sapere. Per il resto, devi fidarti di me; come ti ho detto, hanno
fatto
degli sbagli, ma non meritano la galera.”
Julie, allora,
annuì, fidandosi
del tutto: “Ok ok… Allora, per prima cosa, ho
bisogno che quando incontrerai
Sam, tu metta un dispositivo che ti darò sul suo cellulare;
mi servirà per
importare tutti i dati sul mio computer: in questo modo, conosceremo i
loro
spostamenti, vedremo i messaggi di A e
quant’altro. In ogni posto in cui si troveranno, quel mostro
sarà sicuramente
nelle vicinanze.”
“Perfetto!”
*
La sera
calò su Rosewood. Carter
Havery rientrò a casa sua di malumore, raggiungendo la
cucina a passo nervoso. Sam,
che era in salotto a fare i compiti, lo vide passare, e quel suo
atteggiamento
non passò inosservato; tant’è che si
alzò per andare a vedere cosa fosse
successo, lasciando i suoi libri aperti.
“Papà,
è tutto a posto?” lo
sorprese alle spalle, mentre quello aveva appena aperto il
frigiorifero; tirò
fuori una lattina di birra.
“Oh,
sei a casa! – esclamò
quasi sorpreso, pungente – Questa è una
novità!”
“Ehm,
stavo studiando… -
notò che aveva qualcosa di strano –
Papà, va tutto bene? Mi sembri di cattivo
umore.”
L’altro
prese un respiro,
esaurito: “Niente, è solo che a
lavoro…”
“Sì…?”
lo incitò a
continuare, curioso.
“Mi
hanno negato quella
promozione che aspettavo da mesi, ormai.”
“Cavolo,
Papà, mi dipiace…
- nonostante ciò, si sentì leggermente sollevato
dal fatto che non fosse nulla
di grave – E come mai?”
“Non
lo so, forse non ho
fatto abbastanza. Forse pensano che ancora non me lo meriti, anche
se… - si
infuriò nuovamente – Ho dato tutto me stesso in
questo lavoro, da quando sono
tornato in servizio dopo la morte di tua madre.”
“Vedrai
che ci
ripenseranno.” cercò di consolarlo, mentre
l’altro sorseggiava la sua birra, più
calmo.
Improvvisamente,
il
telefono dell’uomo suonò: ricevette un messaggio
importante.
“Accidenti,
devo tornare in
centrale…”
Sam
sfoggiò un sorriso
ebete: “Che c’è, ci hanno ripensato
sulla tua promozione?”
“No,
è solo che sono
arrivati due agenti dell’FBI da New york e pare che il nostro
distretto abbia
agganciato un grosso caso. Serve una squadra.”
“U-una
squadra? – balbettò
Sam, d’un tratto preso dal nervosismo – Una squadra
per cosa?”
Carter si
avvicinò a lui,
mettendogli una mano sulla spalla: “Sam, credo sia meglio che
tu torni a
studiare. Non posso trattennermi, mi dispiace. –
accennò un sorriso di
circostanza – Mi raccomando, chiudi bene la porta e non fare
tardi a letto.”
“Ehm,
ok. Ok.” dovette
eseguire, abbastanza teso.
Carter
uscì, e come da
richiesto, Sam chiuse bene la porta. In quell’istante,
poggiando la schiena su
di essa, pensò a cosa stesse accadendo e a cosa fosse
trapelato dall’arrivo dei
due agenti. Iniziò, così, ad andare in paranoia.
*
Appena scesi
dall’auto di
Rider, lui ed Eric erano nel quartiere del cugino di Nathaniel, diretti
verso
la sua abitazione.
Mentre
attraversavano la
strada, Eric era intento a rispondere ad un messaggio.
“Forse
dovresti spegnerlo.
– gli suggerì Rider, guardandosi attorno
– Potresti meravigliarti delle
vecchiette che vivono da sole: sentono persino il respiro delle
piante.”
“Un
secondo, finisco di
rispondere ad Antonio. Domani c’è la serata
karaoke e vuole che io mi esibisca;
Alexis deve avergli parlato delle mie doti canore, a quanto
pare.” ribattè
infastidito, ogni volta che parlava di quell’uomo.
“Lo
sai che domani dobbiamo
catturare Clarke, vero? – si preoccupò per la
riuscita del piano – Insomma,
Clarke non resterà a Rosewood per sempre; ha una vita fuori
da qui, rispetto a
noi povere anime.”
“Tranquillo,
non mancherò.
– mise via il telefono – Non sono di turno domani,
farò solo qualche canzone e
poi potrò andarmene.”
Improvvisamente,
iniziò a
squillare il telefono di Rider, che recuperò in fretta e
furia.
“Fortuna
che ero io a dover
spegnere il telefono!” esclamò Eric, seccato.
“E’
Violet! – rifiutò la
chiamata – Dovevamo uscire stasera, ma mi sembra di averle
detto chiaramente
che la chiamavo io per aggiormenti.”
“E’
buffo come un tempo non
ti sopportasse, mentre ora è interessata a te solo
perchè ha avuto a che fare
con una nuova versione di… te!”
“Con nuova versione di me, intendi
Nolan?”
“Conosci
altre versioni di
te, per caso?” replicò con enfasi, mentre erano
nel portico di Tyler.
“Allora…
- si concentrò
Rider – La chiave è sotto il vasetto che
c’è sul bordo della finestra.”
Eric si
avvicinò a quel
vasetto, recuperandola: “Eccola qui!”
Quando furono
dentro, Rider
provò ad accendere la luce; ma non c’era corrente.
“Ovviamente!
- esclamò sbuffando
– Usiamo la luce dei telefoni.” suggerì.
I due, con la
scarsa
illuminazione dei loro schermi, si addentrarono, diretti in cantina.
“Sei
sicuro che qui
troveremo quello che ci serve?” domandò Eric,
mentre il parquet, sotto i loro
piedi, cigolava ad ogni passo.
“Sam
ha detto che quando
venne qui con Nathaniel, gli sembrò di aver visto in cantina
una scatola di
M99, il farmaco che ci serve per addormentare Clarke.”
“Perché
Clarke teneva l’M99
in casa? – pensò, abbastanza perplesso - A cosa
gli serviva?”
“Magari
non serviva a lui…”
insinuò.
“Un
secondo, pensi che
servisse ad Anthony?” colse la sua allusione, mentre
scendevano per le scale.
Rider, davanti a
lui, ne
era più che certo: “Deve averlo chiesto a Tyler
per paura che A lo catturasse di
nuovo.”
“Per
addormentare A? Dubito che sia
così stupido da farsi
mettere fuori gioco.”
“Beh,
se nascondi la
siringa sotto la manica, non è così
impossibile.”
Giunti di sotto,
puntarono
la luce ovunque.
“Tyler
si è deciso a
ripulire questo posto. – notò Eric – Sam
e Nat ce l’avevano descritto come un
after-party.”
“L’avevo
già intuito dal
lucchetto assente, quando siano entrati. Se fuggi da Rosewood a gambe
levate,
non lasci la spazzatura in giro per casa; e con spazzatura non intendo
la
spazzatura vera, ma i tuoi sporchi segreti.”
Iniziarono a
cercare,
girovagando per la stanza.
“Come
mai non è venuto Sam
al posto mio? L’ha vista lui la scatola con dentro
l’M99, noi non sappiamo
nemmeno dove guardare.”
“Gliel’ho
chiesto, ma ha
preferito restare a casa a studiare. Dice che deve recuperare biologia
prima
che la ruota di A si sposti sulla
sua faccia.”
“Comprensibile…
- sospirò,
continuando a cercare – Allora, hai già pensato a
come faremo con Clarke? Di
certo non possiamo infilzarlo con una siringa al collo nella hole del
suo
albergo.”
“Prima
di tutto dobbiamo
pensare a Chloe: lei è la ragione per cui Clarke
è qui a Rosewood, perciò
staranno sempre insieme.”
“Quindi
infilziamo anche
Chloe?”
“No,
Chloe dovrà trovarsi a
casa di Sam mentre noi facciamo i Dexter Morgan della
situazione.”
“E Sam
conosce questa parte
del piano? Lo sai che non si parlano da tempo.”
“No,
non la conosce. Però
se vuole tornare ad alzare la sua media dei voti senza fare pause di
occultamento cadaveri, deve sottostare alla cosa. La
priorità è liberarci di A!”
Eric
illuminò un ripiano
che catturò la sua attenzione, nel mentre: “Ehi,
qui ci sono delle scatolette.
Presto, vieni a vedere!”
Rider si
avvicinò, tirando
giù da quel ripiano scatole e flaconi. Sembrò
aver trovato ciò che cercava.
“Ecco
l’M99!” esclamò,
iniziando ad aprire la scatola.
“Spero
che Anthony non
l’abbia preso tutto!” incrociò le dita,
Eric.
“Una
fiala! – esultò Rider,
tirandola fuori – E ci è andata bene se conti che
in questa scatola ce ne
dovrebbero essere tre.”
I due si
guardarono, dopo
quel momento di euforia; fecero largo ansie e paure.
“Cazzo,
Rider, lo stiamo
per fare davvero? Stiamo per drogare un uomo e consegnarlo ad un
assassino?”
“Non
dirlo, non voglio che
la cosa mi entri in testa e mi crei timori. Voglio solo fare questa
cosa e
tornare alla mia normale e noiosissima vita di un tempo.”
Eric
deglutì a fatica, ma
era pronto: “Sì,
anch’io…”
Entrambi
convinti di ciò
che dovevano fare, misero l’M99 in tasca senza persarci due
volte e
sgattaiolarono via.
*
Con suo padre
bloccato
tutta la notte in centrale, Sam pensò di andare da Wesam.
Nel bel mezzo delle
scale, ricevette una chiamata da parte di Nathaniel.
“Ehi,
ciao, che succede?”
rispose con l’affanno.
“Sto
per andare al
deposito!”
Sam si
fermò di colpo,
sgranando gli occhi: “Cosa? – tuonò
– Nathaniel, non puoi andarci, è il momento
peggiore per fare una cazzata simile!”
“Non
ce la faccio, non
riesco a non pensare alla polizia che entra in quel deposito e che
trova il mio
ritratto lì dentro.”
“Bene,
allora pensa alla
polizia che trova lì dentro sia te che il ritratto:
è molto peggio, fidati!”
“Perché
stai ansimando? –
sentì attraverso il telefono – Che stai
facendo?”
“Ehm,
niente, sono solo
uscito a buttare la spazzatura.” mentì.
“Senti,
non riesco a
dormire! – impanicò – Continuo a
guardare sul mio telefono quella stupida ruota
che punta sulla mia faccia e… Ti giuro, non riesco davvero a
respirare. Ho già
perso abbastanza per finire anche in galera per un omicidio che non ho
commesso!”
“Nathaniel,
per favore, fai
come ti dico! – cercò di convincerlo - Devi
riposarti, ok? Sei appena uscito
dall’ospedale.”
“Te
l’ho detto, non riesco
a dormire! – ribadì ancora una volta – E
poi da quando Eric ha detto di aver
visto quei due agenti al Brew, sto letteralmente uscendo fuori di
testa.”
“Beh,
tu provaci a dormire!
Questa cosa non riguarda solo te, d’accordo? Se uno di noi
sprofonda,
sprofondiamo tutti insieme. Non importa se ci sei tu sopra quel
dipinto: è come
se ci fossimo dipinti anche noi.”
Nathaniel si
placò,
finalmente: “…Va bene, d’accordo.
E’ solo che… beh, lo sai perché ho
reagito
così.”
“Certo
che lo so, Nat. –
non lo biasimò – Siamo tutti minacciati dalla
stessa persona. E credimi,
anch’io sto impazzendo, ma dobbiamo restare lucidi
finchè questa storia non
sarà finita.”
“Per
fortuna non sono solo
in questa storia. – disse con tono più docile,
riferendosi soprattutto a Sam -
Se non avessi qualcuno da chiamare e che sa esattamente cosa sto
passando,
probabilmente avrei fatto qualche sciocchezza.”
“Già,
anch’io sono contento
di non essere solo. – si sentì a disagio per
quelle parole così premurose -
Ora, però, promettimi che non dovrò venire fino a
casa tua per incatenarti al
letto.”
“Te lo
prometto… – sospirò
– Ora mi rimetto a dormire.”
“Ok. A
domani.”
“A
domani, Sam.”
Quando mise il
telefono
giù, Sam raggiunse l’appartamento di Wesam,
entrando con la chiave sotto lo
serbino.
Wesam era sul
divano che
guardava la televisione in maniera spaparanzata, la mano immersa in un
pacco di
patatine; l’uomo si voltò a guardarlo, sorpreso di
vederlo.
“Che
ci fai qui? – si mise
più composto, guardando l’orologio – Tuo
padre non è a casa a quest’ora?”
“No,
l’hanno chiamato in
centrale. – si mostrò spaventato – Temo
che stia accadendo!”
Wesam corse
subito al suo
fianco, preoccupato: “Sam, di cosa parli?”
Sam
iniziò a tremare,
piangendo in maniera isterica: “Ho appena mentito a Nathaniel
al telefono, non
so cosa fare, dovrei dirglielo, dovrei dirlo ai miei
amici…”
L’altro
lo prese per le
spalle con forza, confuso: “Sam, di cosa stai
parlando?”
“Ci
sono due agenti
dell’FBI a Rosewood e mio padre è stato chiamato
per qualcosa di grosso. Sono
qui per Edward, non c’è ombra di dubbio!”
“Adesso
calmati!”
“No,
non posso calmarmi! –
si agitò usando toni alti - Sta per scoppiare una bomba, ok?
E’ finita!”
“Senti,
sediamoci un
secondo e cerchiamo di trovare una soluzione, prepararci
all’eventualità che…”
“Andrò
in galera? – non lo
lasciò finire, suscettibile – E’ questo
che stavi per dire?”
“No,
non stavo per dire
quello. – si sentì messo in difficoltà
- Dico solo che dobbiamo discutere su
come devi comportarti per stare il più lontano possibile da
queste indagini.
Ok, avete seppellito voi il cadavere, ma la polizia questo ancora non
lo sa.”
“Wesam,
ti ricordo che c’è anche
A! Probabilmente starà
già
concentrando tutte le sue forze per portarli a noi quattro e godersi il
nostro
arresto da un albergo a Tahiti.”
Wesam
tentò ancora di
calmarlo: “Ti stai fasciando la testa ancora prima di
essertela rotta, Sam.”
“Senti,
vado un attimo in
bagno a sciacquarmi la faccia. – tolse il cappotto e lo
poggiò – Magari quando
torno, sarò meno teso e potremo parlare senza che io senta
questo groppo in
gola che mi segue da tutto il giorno… Non ti dispiace se
resto da te per un
paio di ore? Poi torno a casa mia, giuro.”
“Sam,
tranquillo, puoi
restare qui quanto vuoi.” gli fece sapere, premuroso.
Quando Sam si
allontanò,
dopo aver accenato un sorriso molto rigido, Wesam aspettò di
sentire l’acqua
scorrere prima di avvicinarsi di soppiatto al cappotto del ragazzo,
recuperando
il suo telefono; dalla sua tasca tirò fuori un piccolo
dispositivo, che attaccò
sul telefono in un punto ben nascosto per trasmettere dati al computer
di
Julie.
*
Nonostante
avesse promesso
a Sam che non si sarebbe mosso di casa, Nathaniel tirò fuori
da sotto al letto
un borsone; dentro c’erano delle cose che aveva preso dal
garage e che li
sarebbero servite per scassinare il deposito di Edward.
Vestito e con il
borsone
stretto in una mano, iniziò a scendere le scale con molta
cautela; era
all’incirca mezzanotte.
Improvvisamente,
però,
dovette fermarsi: gli sembrò di sentire qualcuno piangere.
A quel punto,
lasciò il
borsone e scese più giù, avviandosi verso la
cucina; chi stava piangendo era
sua madre, seduta davanti al tavolo e al buio.
Nathaniel accese
la luce e
si rivelò a lei, assai stranito:
“Mamma… – quella si voltò
– Ma che succede?”
“Oh,
Nathaniel… - si alzò,
continuando a piangere – Tesoro, devo dirti una
cosa.”
“Così
mi spaventi…”
“Riguarda
tuo padre. –
singhiozzò – Credo che abbia ripreso a
bere.”
“Ne
sei sicura?” si
avvicinò a lei.
“Ormai
sono mesi che non
torna a casa la sera. Chiuso il ristorante, resta lì ad
ubriacarsi e Dio solo
sa se esce con la macchina nel cuore della notte.”
“Sei
mai andata? Al
ristorante, dico.”
“Sì,
una volta. – spiegò –
Era qualche giorno dopo Natale, tu eri ancora in coma. Quando sono
arrivata lì,
era quasi l’una di notte e c’era Jamie. Mi ha detto
che tuo padre era uscito e
che gli aveva detto di chiudere al posto suo. Ovviamente non li ho
chiesto se
fosse ubriaco quando gli ho parlato, non ho avuto il coraggio,
però…”
“Però,
cosa?”
“Jamie
era strano, era come
se si vergognasse. Forse non voleva dirmi che tuo padre era
ubriaco.”
“Ok,
adesso vado al
ristorante. – si mossè, pronto ad uscire -
Papà non può esserci ricaduto di
nuovo, non dopo tutti quei mesi passati in quella clinica!”
“Un
secondo, ma… - lo
squadrò dalla testa ai piedi – Tu sei
già vestito, come mai?”
Quello si
fermò, schivo:
“Ehm…volevo solo uscire a fare due
passi.”
“Chiamo
Courtney, così ci
andate insieme. – si avvicinò al telefono - Io non
me la sento di vedere tuo
padre in quelle condizoni, non un’altra volta.”
Nathaniel
annuì, prendendo
le chiavi della macchina: “Dille di raggiungermi.”
“Ce la
fai? Sei appena
uscito dall’ospedale.”
“Sì,
posso guidare.
Tranquilla.” e uscì, dopo averla rassicurata.
*
Abbracciati sul
divano,
mentre in televisione davano un film in bianco e nero degli anni
’50, Sam si
addormentò con la testa poggiata sul petto di Wesam.
L’altro,
rimasto sveglio,
scivolò via, stendendo Sam con delicatezza. Dopo essersi
assicurato che
dormisse davvero, prese il telefono e chiamò qualcuno.
“Pronto?”
rispose una voce
femminile, quella di Julie.
“Allora?
Ha funzionato?”
“Sì,
ha funzionato. Tutti i
file presenti nel telefono di Sam, ora sono sul mio computer.”
“Hai
trovato qualcosa di
cui non siamo a conoscenza?”
“Ehm…
ci sono molti
messaggi minacciosi; da gelare il sangue, se devo essere sincera. A
parte
quelli, c’è una cosa che devi vedere. Puoi passare
da me, domattina?”
“Certo!
Assolutamente!”
“Lui
non si è accorto di
nulla?”
“Era
in bagno quando ho
messo il chip nel suo telefono.”
“E
avete…???” fece
un’improvvisa allusione, decisamente fuori luogo.
Wesam
sussultò, leggermente
imbarazzato: “Non credo che siano affari tuoi, e comunque:
NO!”
“Scusa
scusa scusa, e che…
Scusa, devo ancora abituarmi al fatto che sono a conoscenza di una
relazione
alquanto proibita, dal momento che lui è un tuo paziente
minorenne!”
“Minorenne?
Compie diciotto
anni fra soli due mesi!”
“Ah,
beh, allora tutto a
posto!” rise in maniera molto ironica, anche se mortificata.
Messo a disagio,
Wesam
preferì chiudere: “…Julie, ci sentiamo
domani, ok?”
“Sì
sì, certo. E scusa.
Scusami se… - capì di essere diventata troppo
logorroica – Beh, ciao!” e
chiuse.
Facendo un lungo
sospiro,
Wesam lasciò il telefono e si voltò a fissare
Sam; un sorriso gli comparve
spontaneamente, mentre quello dormiva beatamente.
Improvvisamente,
Sam si
mossè, borbottando qualcosa.
“Nathaniel…
Ti amo,
Nathaniel…Svegliati, ti prego…”
La delusione
negli occhi di
Wesam, si fece immediatamente largo. Abbassando lo sguardo,
però, non si sentì per
nulla sorpreso nel sentire quelle parole; aveva sempre saputo, fin
dall’inizio,
che nel cuore di Sam c’era più di una persona. O,
forse, solo una.
*
Nella sua
stanza, intanto,
Rider stava facendo la sua prima seduta. Sdraito ad occhi chiusi sul
suo letto,
ascoltava le parole di suo zio, seduto su una sedia accanto a lui.
“Cosa
vedi?” iniziò,
avviando la registrazione.
“Sono
in giardino, fa
caldo. – rispose Rider con gli occhi chiusi, in trance
– Vedo Lindsey che gioca
con la palla, non sono molto lontano da lei… Sono
arrabbiato.”
“Sei
arrabbiato perché non
sta giocando con te? C’è qualcuno con
lei?”
“No,
non sono arrabbiato
con lei. Non trovo il mio gioco, lo sto cercando da ore.”
“Che
cos’è?”
“Un
camion dei pompieri; me
l’ha regalato papà, ci sono affezionato.”
“E chi
pensi te l’abbia
preso?”
“Non
lo so… - strinse gli occhi,
si sforzò di ricordare – Però so dove
andare.”
“Aspetta,
non muoverti.
Resta dove sei. – gli ordinò – Sei
proprio sicuro che Lindsey non stia giocando
a palla con qualcuno?”
Si
concentrò, allora: “…
Sta ridendo, continua a giocare con la palla…
però c’è come un…”
“Un…?”
“C’è
come un’ombra che
gioca con lei.”
“Ha
delle sembianze umane
quest’ombra?”
“Non
voglio più restare
qui, devo andare da un’altra parte!” si
agitò.
“D’accordo,
dove vuoi andare?
Dimmi dove stai guardando adesso.”
“Sto
guardando la casa dei
vicini. – Rider era sempre più rigido e ansioso -
Devo andare lì, sento che
devo andare lì.”
“Sei
sicuro di non voler
andare prima da tua sorella?”
“Non
ci voglio andare, ho
detto!”
“Girati
un secondo,
concentrati bene su quell’ombra che è con lei.
Solo per un secondo.”
Rider
cominciò ad ansimare,
sempre più nervoso: “Ok, li sto guardando. Li sto
guardando.”
“Osserva
bene l’ombra. Chi
è?”
“Non
lo so chi è, non ha
volto!”
“Sì,
che lo sai!” alzò la
voce.
“Non
lo so!” urlò
disperato.
“Guarda
bene!”
“E’
Nolan! – esclamò a
squarciagola – Nolan è l’ombra che gioca
con Lindsey! E’ Nolan!”
“Bene,
ora svegliati!” gli
ordinò con un tono più basso.
Rider
aprì gli occhi di
colpo; tutte quelle emozioni che aveva provato, svanirono.
“Non
avevo mai provato
nulla di simile, è stato strano. – si
sollevò, riprendendo fiato – Era come se
fossi davvero lì, in quel giorno, in quell’esatto
istante.”
“Ti
sei ricordato di Nolan,
l’hai finalmente visto. – scrisse qualcosa sul suo
taccuino - Raggiungeremo
tutti gli obbiettivi della seduta a piccoli passi. Domani
continueremo.”
spiegò, fermando la registrazione.
Rider
annuì, abbassando lo
sguardo; quel primo passo fu già abbastanza intenso,
perciò non riusciva
nemmeno ad immaginare come sarebbero stati quelli successivi: i
più importanti.
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DICIOTTESIMO CAPITOLO
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Capitolo 19 *** 1x18-99 problemi ***
CAPITOLO
DICIOTTO
“The
Wrath of A
(Part II)”
Nathaniel
arrivò davanti
alle porte del suo ristorante, frettoloso; aveva appena scoperto da sua
madre
che suo padre aveva ripreso a bere e che per settimane rientrava tardi
a casa.
Quando le
trovò chiuse, provò
subito a forzarle con violenza, finchè Courtney non
arrivò alla sue spalle a
fermarlo.
“Nat,
basta, così ti farai
male!” lo tirò per un braccio.
“Le
luci sono accese,
dobbiamo entrare!” si agitò.
“Proviamo
ad entrare dal
retro.” suggerì Courtney.
Dopo averlo
fatto, i due
trovarono facile accesso e passarono dalle cucine; arrivati in sala,
poi, si
trovarono davanti Jamie, il loro assistente manager, che, alla svelta,
chiuse
la cassa del ristorante, mentre Kevin era incosciente su uno dei tavoli.
Nathaniel
fulminò
immediatamente Jamie, aggressivo: “Che sta succedendo qui
dentro?”
“Accidenti,
Kevin!” esclamò
Courtney, correndo verso suo cognato con apprensione; accanto alla sua
testa
aveva un bicchiere e una bottiglia di Vodka vuoti.
Jamie, nervoso,
indietreggiò
verso le porte d’ingresso, nascondendo i contanti, che aveva
appena rubato
dalla cassa, dietro la schiena.
“Stavi
rubando, eh? –
Nathaniel avanzò lentamente, serio nel tono - Ti abbiamo
visto, sai? Eri vicino
alla cassa e ora stai nascondendo dietro la schiena i soldi che hai
appena
rubato.”
“Ascolta,
ok, è vero! –
alzò entrambe le mani, stringendo i contanti in una mano
– Facciamo, però, che
io li lascio, me ne vado per sempre e voi non mi denunciate.”
“Non
è la prima volta che
lo fai, vero?” continuò Nathaniel, furioso, che di
tanto in tanto dava
un’occhiata a suo padre e a come era ridotto.
“Tuo
padre non mi ha pagato
questo mese, stavo solo prendendo ciò che mi
spetta.” si giustificò, poco
credibile.
“Il
ristorante va bene,
stai mentendo. – intervenne Courtney –
Perché Kevin non avrebbe dovuto
pagarti?”
“Dovevo
immaginarlo che
c’era qualcosa di strano. - Nathaniel continuò ad
avanzare, mentre l’altro
indietreggiava – Quel giorno, quando sono venuto qui al
ristorante, stavi
parlando al telefono con qualcuno. Ed eri parecchio nervoso.”
FLASHBACK
Dopo aver
chiesto al cuoco dove fosse Jamie, Nathaniel si
diresse sul retro a cercarlo; quando lo trovò, lo vide in
lontananza, impegnato
in una conversazione abbastanza animata.
“Ti
ho detto di darmi
altre due settimane, va bene? Ancora non li ho tutti, dammi solo altre
due
settimane, ok?”
Quando si
accorse della presenza del ragazzo alle sue spalle, si
ricompose, chiudendo in fretta la chiamata.
“Ti
richiamo, ok? – si
grattò il capo, nervoso – Ci sentiamo!”
Rimesso il
telefono in tasca, corse verso Nathaniel, che l’aveva
fissato serio per tutto il tempo; si vestì di un sorriso
imbarazzato, arrivando
accanto a lui con il fiatone.
“Ehi,
tutto bene? Che ci fai qui?”
“Controllo!”
esclamò, cinico.
“Ti
ha mandato tuo padre?”
“A
quanto pare, sì… - mentì, guardandolo
storto - Sai, mio padre
ci tiene a questa attività,
perciò…”
“Beh,
come puoi vedere va tutto bene… - sorrise ancora,
ignorando l’ostilità che percepiva – E
per quanto riguarda quello che hai appena
sentito, beh…Mia sorella! – sollevò le
sopracciglia, marcando il classico
rapporto conflittuale tra fratelli – Colleziona monete
antiche e le ho detto
che da queste parti ci sono molti mercatini delle pulci. Da quando le
ho
mandato le prime due monete, si è fissata con il fatto che
ce ne siano tipo
altre nove per completare la collezione e ora mi ritrovo a girare anche
per i
negozi di antiquariato.”
Nathaniel
annuì, sempre in maniera cinica e disinteressata:
“Interessante… - il silenzio che si
creò lo costrinse a congedarsi – Beh, direi
che la mia supervisione è finita!”
Quello
rimase impalato, annuendo con quel costante sorrisino da
ebete che aveva mantenuto per tutta la conversazione, come se
nascondesse del
nervosismo.
Nathaniel
si voltò per andarsene, quando il suo sguardo si
posò
sulla spazzatura di fianco, che strabordava di qualche bottiglia di
Vodka.
Immediatamente
si voltò di nuovo verso Jamie: “E tutte quelle
bottiglie?”
Jamie
rispose prontamente: “Ehm, ci sono ricette che richiedono
un goccio di Vodka!”
“Un
goccio? – si lasciò sfuggire una piccola risata
nel dirlo –
Sono quattro bottiglie, è una ricetta per alcolizzati, per
caso?”
“Devono
essersi accumulate in cucina con il tempo. Da quando
lavoro qui ho trovato parecchie cose che andavano buttate.”
“Mh
– verseggiò, poco convinto –
ok!” si girò verso la
spazzatura per la medesima volta, poco prima di andarsene per davvero,
turbato
dalla visione di quelle bottiglie; tant’è che gli
tornò a galla un vecchio
ricordo: il periodo di alcolismo di suo padre.
“Non
eri al telefono con
tua sorella, vero? – intuì Nathaniel,
intimidendolo – Forse nemmeno ce l’hai
una sorella. – Jamie deglutì con fatica, sudando
– E quelle bottiglie di Vodka
non servivano per una ricetta, ma per far ubriacare mio padre, mentre
tu ci
rubavi ogni giorno una parte degli incassi.”
“Te
l’ho detto, me ne vado.
– ripetè ancora, vicino alla porta - Non mi
rivedrete mai più.”
“Questo
è poco ma sicuro,
brutto ladro!” esclamò Courtney.
Improvvisamente,
l’uomo si
girò velocemente per fuggire, ma Nathaniel non glielo
permise, correndo contro
di lui.
Courtney
gridò, non appena
lo vide prendere la rincorsa: “Nathaniel, NO!”
Buttandosi su
Jamie con
violenza, i due sbatterono contro le porte, sfondandole.
Finiti
all’esterno del
ristorante, entrambi erano a terra con addosso numerosi frammenti di
vetro;
Jamie si risollevò in fretta, inciampando diverse volte
prima di riuscire a
scappare; Courtney si affacciò fuori, aiutando Nathaniel.
“Oh
mio Dio, stai bene?”
“Non
la farà franca!” si
alzò dolorante, scivolando via dalla presa di sua zia.
“No,
Nathaniel, torna qui!”
gli urlò, mentre quello correva via incallito.
Jamie, intanto,
non arrivò
molto lontano visto che Nathaniel riuscì a raggiungerlo.
“Fermati,
bastardo!” gli
gridò.
A quel punto,
Jamie si
voltò a controllare quanto gli fosse vicino, poco prima di
attraversare la
strada, e quando riportò lo sguardo davanti a sé,
una macchina frenò
bruscamente contro di lui, prendendolo in pieno.
Nathaniel,
sconvolto dalla
scena, si fermò poco prima di scendere dal marciapiedi.
Mentre il conducente
della vettura stava scendendo, Courtney raggiunse il nipote, trovandosi
anch’ella davanti a quella scena.
“Oh
mio Dio…” restò
agghiacciata, portandosi una mano alla bocca.
Scosso,
Nathaniel le spiegò
cos’era appena successo: “Si è girato un
attimo a guardarmi e la macchina è
sbucata fuori dal nulla.”
“Non
è colpa tua.” gli mise
una mano sulla spalla.
“Ehi
voi, aiutatemi! –
gridò loro il conducente dell’auto, chinato di
fianco a Jamie – Non respira,
non sento il battito, chiamate il 911!”
“E’
morto?” sgranò
gli occhi Nathaniel, incredulo, domandando alla zia con un filo di voce.
Courtney recuperò
immediatamente il telefono, incredula quanto lui: “No, non
può essere morto. Mi
rifiuto di crederci.”
“E invece lo
è,
quel signore l’ha appena detto. – Nathaniel
fissò sua zia, rigido per lo choc –
L’ho ucciso io…” pensò,
abbassando lo sguardo.
Quella lo fissò a
lungo, finchè il 911 non rispose, chiendendo quale fosse
l’emergenza.
*
Il giorno dopo,
Nathaniel
era cucina con la sua famiglia: sua zia, sua madre e Pete.
Seduto su uno
sgabello con
la borsa del ghiaccio sulla fronte e numerosi graffi sulla faccia, era
preoccupato.
“La
polizia mi chiamerà per
altre domande?”
“No,
poco fa ero al
telefono con loro. – spiegò Claire, sua madre
– Pare che Jamie avesse molti
debiti e a quanto pare ha preso di mira le persone giuste per saldarli.
– era
furiosa, ma cercò di contenersi – Kevin deve
avergli raccontanto che un tempo
era un alcolista e quel verme l’ha usato a suo
favore.”
Courtney si
avvicinò a lei,
mettendole un braccio intorno alla spalle, consolandola:
“Tranquilla, ora quel
verme salderà i suoi debiti all’inferno.”
“Sono
solo… - Claire tentò
di trattenere le lacrime, distrutta – E’ solo
che… Kevin ha faticato così tanto
per uscirne, mentre ora si ritrova da capo al punto di
partenza.”
“E’
incredibile che la cosa
sia andata avanti per tutto questo tempo. – pensò
Pete, sconcertato - Eppure
Jamie sembrava così un bravo ragazzo quando andavamo a
pranzare al ristorante.”
“Io lo
sapevo che era un
tipo strano. – aggiunse Nathaniel, sprezzante – Non
mi è mai piaciuto.”
Improvvisamente,
Kevin
entrò in cucina, trasandato dopo un discreto sonno. Tutti si
ammutolirono nel
vederlo, mentre quello teneva uno sguardo basso e pieno di vergogna.
“Vedo
che siete tutti qui.
Anche Pete.”
“Ehm,
se vuoi me ne vado,
non c’è problema. – si mossè
Pete, sentendosi di troppo – Capisco perfettamente
che questa è una discussione di famiglia.”
“Oh,
no no! – lo fermò
subito – Puoi restare, Pete. Ci mancherebbe.”
L’uomo
allora restò,
tornando dov’era.
“Allora…
- continuò Kevin –
Penso che ormai sappiate tutti che ho di nuovo quel problema.”
“Kevin,
ascolta…”
intervenne sua moglie, subito bloccata.
“No,
Claire, lasciami
finire. – ci tenne a farlo – Ho di nuovo quel
problema, ma stavolta posso
gestirlo da solo. Jamie mi faceva ubriacare e io il giorno dopo non
ricordavo
nulla; pensavo addirittura di essere uscito durante la notte a spendere
i soldi
chissà dove; a lavoro gli facevo molte domande su dove
potessi essere andato e
le sue risposte non facevano altro che confondermi: mi ha imbrogliato
per
bene!”
Preoccupato,
Nathaniel
volle dire la sua: “Papà, sei sicuro di poter
risolvere i tuoi problemi da
solo? L’ultima volta dicesti così e alla fine ti
abbiamo dovuto portare in
quella clinica.”
“Lo
so, non sono molto
credibile al momento. – cercò di essere rispettato
– Ma vi chiedo di
appoggiarmi, posso farcela. Ora che Jamie è fuori dalla mia
vita, non c’è più
niente che possa tentarmi.”
“Va
bene, tesoro. – annuì
Claire – Ti appoggio, hai tutto il mio sostegno.”
“Ovviamente
hai anche il
mio appoggio, Kevin.” si aggregò Courtney.
Kevin
accennò un sorriso,
per poi spostare lo sguardo su Nathaniel.
“Ho
anche il tuo appoggio,
figliolo?”
“Ma
certo, Papà!” esclamò
con scontatezza, nonostante non ne fosse del tutto convinto; la paura
che non
potesse farcela, aleggiava nella sua mente a macchia d’olio.
*
Intanto, alla
Brahms, Sam
stava raggiungendo la fila di studenti all’ingresso della
scuola; dopo
l’esplosione della Rosewood high school erano state alzate le
misure di
sicurezza in tutte le altre scuole nella zona, e, ogni giorno, gli
studenti
dovevano attraversare un metal detector.
Quando fu in
fila, in
attesa del suo turno, un ragazzo che era davanti a lui, con un brutto
raffreddore, si girò a chiedergli qualcosa.
“Ehi,
non è che per caso
hai un fazzoletto?”
“Certo!”
esclamò Sam,
facendo scivolare lo zaino lungo il braccio, aprendo la cerniera.
Improvvisamente,
mentre
frugava per cercare il pacchetto, toccò qualcosa di duro e
freddo. Stranito,
diede un’occhiata dentro, facendo un’inquietante
scoperta.
A quel punto,
richiuse lo
zaino con nervosismo e gli occhi ancora sgranati, uscendo
immediatamente dalla
fila.
“Scusa,
il fazzoletto?” gli
domandò quel ragazzo, vedendolo andare via.
“Ehm,
scusami, non ce l’ho!
Chiedi a qualcun altro!” gridò fuggendo.
Quando giunse
nel
parcheggio, accanto alla sua auto, Sam si guardò attorno e
nei paraggi non
c’era nessuno. Respirando affannosamente, tirò
fuori l’oggetto che l’aveva tanto
turbato: una chiave inglese; attaccata ad essa c’era una foto
che raffigurava A mettere quella
stessa chiave inglese
in una mano di Sam, mentre dormiva profondamente nel suo letto.
Sconvolto, prese
il
telefono per avvertire i suoi amici, ma sullo schermo si
aprì nuovamente quella
ruota virtuale con le facce dei quattro ragazzo: stavolta
l’indicatore si fermò
su quella di Sam. E come se non bastasse, sopraggiunse anche un
messaggio.
“Posso
rendervi colpevoli
di qualunque crimine io voglia. Consegnatemi il complice o vengo a
riprendermi
quella chiave inglese per mandarla alla polizia.”
-A
Sam
restò a dir poco
spaventato, oltre che intimidito.
*
Wesam
bussò alla porta di
Julie in quel primo mattino; in mano stringeva due bicchieri di
caffè.
“Disturbo?
– esordì non
appena venne aperto – Sono venuto troppo presto?”
“No,
figurati. Sebastian è
uscito prima ancora che mi svegliassi: siamo soli!”
esclamò, mentre si
avviavano verso la postazione computer, in cucina.
“Bene,
cos’hai scoperto dal
telefono di Sam?” domandò, poggiando i
caffè.
Quella
girò il monitor del
computer verso di lui: “Innanzitutto, questi
messaggi!”
“Che
gesto romantico,
non trovi? Forse Nathaniel ti ricompenserà con un
bacio…”
-A
“La
morte è un sogno, stronzetti. E io lo renderò
così oscuro da
trasformarlo in un incubo senza fine. Chi sarà il prossimo a
giocare con me?
Sembra che Nathaniel sia riuscito a sopravvivere al suo turno, voi
farete
altrettanto?”
-A
“Confessare
un segreto che già tutti sospettano non è un vero
segreto, Sam. Rivela a Nathaniel ciò che provi per lui o ti
perseguiterò per
tutto il giorno.”
-A
“Hai
voluto tenere la bocca chiusa? Ora ce l’hai chiusa per
davvero.”
-A
“Prova
a parlare con Chloe e ti faccio esplodere il braccio.”
-A
“Cos’è
un ballo senza un degno finale? Se lo dite a qualcuno, il
tempo si dimezzerà: trovate un altro modo per
salvarli.”
-A
“Mio
il cadavere, mie
le regole: preparate le pale, non prendete impegni. Stanotte si scava,
stronzetti!”
-A
“Jasper
ora è mio.
L’avete fatto accadere voi.”
-A
Pur sapendo ogni
cosa su A, leggere quei messaggi
destabilizzò
Wesam e i suoi occhi divennero lucidi.
“Questi
sono solo alcuni
dei messaggi minacciosi mandati da questa persona. –
spiegò Julie -
Tecnicamente, qui A ammette di
aver
rapito Jasper, fatto esplodere la scuola e aver ucciso
quell’uomo.”
“Sfortunatamente
non
possiamo usarli per andare alla polizia, i ragazzi
l’avrebbero già fatto se
avessero potuto.
“C’è
anche un'altra
cosa. –
cambiò la schermata, rivelando
uno dei giochi di A –
Questo l’hanno
ricevuto di recente, l’ho trovato tra le email di
Sam.”
“Una
ruota virtuale?”
constatò.
“Che
in questo momento è
ferma sulla faccia di Sam. Sopra c’è un comando:
quello di consegnare a lui il
complice di Anthony.”
“Nulla
che già non
sappiamo, solo che… –
mise le braccia
conserte, angosciato – Quella ruota mi preoccupa. Puoi
localizzare la posizione
attuale di Sam?”
“Certo.
- smanettò
subito sul computer – Ehm, è a
Rosewood in questo momento.”
“Rosewood?
– prese
immediatamente il telefono, mettendolo all’orecchio
– Dovrebbe essere a
scuola.” trovò strano.
“Che
stai facendo?”
“Lo
chiamo, ecco cosa
faccio. – finalmente Sam rispose, dopo vari squilli
– Ehi, tutto bene?”
“Sì,
perché? – rispose nervosamente, fingendosi
tranquillo – Lo sai che sono a scuola, non dovresti
chiamarmi.”
“Ah,
sei scuola? - si
guardò con Julie, sapendo che stava mentendo –
Beh, se ti va possiamo vederci a
pranzo. Che dici?”
“Ehm…
- borbottò distrattamente, poco concentrato sulla
telefonata – Senti, ascolta, devo tornare in classe. Ti
richiamo stasera, ok?
Ciao!” chiuse di colpo, senza aspettare una risposta.
“Ok,
sta succedendo
qualcosa! – esclamò Wesam, seriamente preoccupato
- A sta facendo uno dei suoi
giochetti, io devo andare!” si avviò
verso la porta, agguerrito.
Julie lo
rincorse subito, cercando
di fermarlo: “No, Wesam, non puoi! –
cercò di farlo ragionare, vedendolo fuori
di sé – Che fine ha fatto l’anti A-Team???
Possiamo aiutare Sam e gli altri solo restando
nell’ombra.”
“Questa
persona è folle,
dobbiamo toglierla di mezzo!” esclamò furioso.
“E lo
faremo, ma non così.
Non espondendoci!”
Finalmente Wesam
ritrovò la
calma, restando comunque in ansia: “Va bene, rimettiamoci a
lavoro. Dobbiamo
tenere sotto controllo il suo telefono 24 ore su 24, non ci deve
sfuggire
nulla.”
Quella
annuì, poi tornarono
finalmente alla postazione.
*
Nel pomeriggio,
Rider
parcheggiò l’auto nei pressi della biblioteca
pubblica; era al telefono con
Nathaniel, nel pieno di una conversazione delicata.
“L’assistente
manager del
tuo ristorante vi rubava gli incassi e ieri è morto?
– rimase sconvolto da ciò
che Nathaniel gli raccontò, mentre chiudeva la macchina
– Caspita, stai bene?”
“Ho
tutta la faccia e le
braccia piene di graffi, ma sto bene… Per una volta sono
contento che le mie
disgrazie non siano tutte dettate da A.”
“E’
assurdo, non basta
essere già perseguitati da un pazzo omicida? Ora ci si
mettono anche le persone
comuni?”
“Jamie
non era una persona
comune, era un ladro bastardo che ha rigettato mio padre nel tunnel
dell’alcolismo.”
“Sicuro
che A non c’entri nulla
con tutta questa
storia? – domandò, mentre camminava lungo il
marciapiedi – Insomma, come ha
fatto Jamie a scoprire il passato di tuo padre?”
“Rilassati,
gliel’ha
confidato mio padre. E da quel momento è partito il suo
piano diabolico per
sanare i suoi debiti.”
“Quindi
era questo il
motivo?”
“Così
ci ha detto la
polizia.”
“Sei
stato in centrale,
ieri?”
“Sì,
abbiamo spiegato la
dinamica dell’accadduto. A proposito, il detective Costa mi
ha visto, ma
sembrava distratto da altro.”
Rider
sospirò, nervoso:
“Dio, sarà la centesima volta che vede le nostre
facce lì dentro.”
“Tu
dove sei, piuttosto?”
si accorse dei rumori della città.
“Sto
andando in biblioteca:
devo studiare il giusto dosaggio dell’M99 se non voglio
rischiare di uccidere
Clarke e consegnare ad A un
cadavere
con cui non può giocare.”
“Io vi
servo per stasera?”
“No,
resta pure a casa a
riposarti. Ce ne occupiamo io, Eric e Sam.”
“Quindi
avete un piano?”
“Per
rapire Clarke? Beh,
dopo mi vedrò con gli altri e ti metteremo in vivavoce per i
dettagli.”
“Speriamo
che fili tutto
liscio.” sospirò Nathaniel.
“Lo
spero anch’io. Se tutto
va bene, saremo finalmente liberi da A.”
“Allora
vivrò di speranza
finchè non mi direte che è tutto
finito.”
“Sai, chi di speranza vive, disperato muore:
perciò è meglio non sperare
troppo. – preferì non essere eccessivamente
fiducioso – Ehi, sono davanti alla
biblioteca. Ci sentiamo dopo!”
“Ok,
dopo!”
chiuse Nathaniel.
Subito
dopo,
Rider mise il telefono in tasca e iniziò a salire le
gradinate;
improvvisamente, su quella strada, passò un camion dei
pompieri con la sua
assordante sirena. Rider si voltò a guardarlo, mentre
passava; un forte mal di
testa l’ho fece tentennare: quel suono rievocò
qualcosa nella sua mente.
FLASHBACK
Un
piccolo
Rider cercò di riprendersi il suo camion dei pompieri dalle
mani di un bambino;
continuava a suonare, mentre quello cercava di nasconderlo dietro alla
sua
schiena, impedendogli di prenderlo.
Rider
provò a
scagliarsi contro di lui, ma era troppo basso e minuto:
“Lukas, ridammi il mio
camion. Ridammelo!”
“Tu
hai rotto
la mia bicicletta e ora mi prendo il tuo gioco!”
esclamò l’altro, ridendo e
prendendosi gioco di lui.
“Non
te l’ho
rotta io la bici, non è vero!”
“E
invece
l’hai fatto, e ora nasconderò il tuo stupido
camion dei pompieri in un posto
dove non potrai mai trovarlo!” scappò via.
“Noooo,
ridammelo! Ridammelo!” urlò, rincorrendolo,
finchè non caddè per terra
sbucciandosi un ginocchio.
Con
gli occhi
lucidi, Rider restò lì sull’asfalto,
osservando Lukas sparire nel giardino dietro
la sua abitazione.
Riprendendosi
dal quel ricordo appena riaffiorato, Rider trasalì,
rendendosi conto che Lukas
era reale; che era davvero esistito nella sua vita e che, forse, Nolan
non era
del tutto un bugiardo. Tutto ciò lo spaventò, ma
preferì accantonare la cosa,
concentrandosi su Clarke: entrò finalmente in biblioteca.
*
Al Radley,
Lindsey,
accompagnata da sua cugina Tasha, decise di andare a trovare Nolan.
All’ingresso, mentre firmavano il registro,
l’infermiera di turno le ammonì.
“Scusate,
ma Nolan Stuart
può ricevere visite solo dai suoi parenti stretti.”
“Sono
sua sorella!” esclamò
Lindsey, con la penna ancora in mano.
L’infermiera
spostò lo
sguardo su Tasha, che si sentì oppressa.
“Che
c’è? Io sono la
cugina!”
“Solo
parenti stretti, mi
dispiace!” fu categorica.
Tasha rimase
sbigottita,
guardandosi con Lindsey: “Sta scherzando, vero?”
“Ascolta,
faccio subito. –
Lindsey la prese da parte, con toni pacati - Puoi aspettarmi?”
“E’
il colmo, ma almeno lo
sanno chi sono?” si lamentò, lanciando occhiatacce
all’infermiera.
“Tasha,
non sei Naomi
Campbell. Cerca di non litigare con quell’infermiera o
cacceranno entrambe.”
“D’accordo!”
esclamò a
denti stretti, mettendosi a braccia conserte.
Finalmente
Lindsey potè
raggiungere la stanza di Nolan, percorrendo un lungo corridoio,
osservando
quelle mura con angoscia.
Dopo che le
avevano aperto
la porta della stanza, entrò; Nolan fu molto sorpreso di
vederla, non sapendo
cosa dire. La porta si chiuse alle sue spalle, erano soli. Lindsey si
torturò
le dita, scarna di parole.
Finalmente, poi,
Nolan
ruppe il silenzio, dopo aver chiuso il libro che stava leggendo:
“Ciao!”
“Ciao!”
accennò un sorriso,
sedendosi sul letto con molta timidezza.
“Sono
un po’ sorpreso di
vederti qui, non mi aspettavo una tua visita.”
“Sentivo
di doverlo fare.”
disse premurosa.
“Durante
i permessi che ho
avuto nell’ultimo mese, ti ho vista parecchio
distaccata.”
“Lo
so, e ti chiedo scusa
per questo. E’ solo che… scoprire la
verità è stato come beccarsi un fulmine
nel bel mezzo di una spiaggia. – raccontò con
dispiacere - Se è per questo,
anche con Rider sono stata distaccata ultimamente. Soprattutto dopo
aver
scoperto cosa ha fatto al nostro vicino di tanti anni fa.”
“Ti
prego, non escluderlo
solo per questo. Era piccolo quando è successo, e io mi sono
semplicemente
trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato.”
“Sul
serio?? – rimase
sorpresa, pensandolo fuorioso con Rider – E’ colpa
sua se sei finito qui per
più di dieci anni.”
“Sì,
questo è vero. –
replicò risoluto – Ma il vero colpevole
è nostro padre; non mi ha mai creduto
fino a quella notte al lago, nonostante glielo avessi detto per anni.
Rider,
almeno, sta cercando di sistemare le cose: proverà a farmi
uscire di qui.”
“Sì,
lo so. Mio zio Gordon…
- si corresse subito – Ehm, volevo dire, nostro zio
è venuto fin dall’Italia
per fare quelle sedute con Rider. Spero che il giudice ti faccia uscire
di qui
dopo aver esaminato tutto.”
“Lo
spero anch’io. – le
sorrise, apprezzando le sue parole – Grazie.”
Quella sorrise a
sua volta,
molto tenera: “Sai, sono venuta qui per un motivo: un tempo
eravamo molto uniti
io e te, da piccoli, finchè non ti hanno portato via.
– si commosse - Vorrei
poter recuperare quel rapporto che avevamo, perché mi sento
davvero in colpa
per averti dimenticato. – le tremò anche la voce,
ormai fra le lacrime - Ho
avuto tutte queste settimane per riflettere sul mio rapporto
conflittuale con
Rider in tutti questi anni e credo di aver sempre saputo, dentro di me,
che per
colpa sua mi era stato portato via un importante pezzo della mia vita:
e quel
pezzo eri tu.”
Sorpreso da tali
parole,
Nolan reagì sgranando gli occhi, commuovendosi:
“Mi-mi dispiace che sia andata
così.”
“Anche
a me…” non riuscì
più a parlare, abbassando lo sguardo; cercò di
trattenere il pianto, un dolore
interiore che forse voleva esternare.
“Lindsey,
va tutto bene?”
si preoccupò nel vederla così, pensando, appunto,
che ci fosse dell’altro.
“Sono
incinta!” rivelò,
rispondendo subito; sembrò quasi che avesse atteso quella
fatidica domanda per
trovare il coraggio.
Nolan non seppe
cosa dire,
impalato; non si aspettava una risposta di questo tipo:
“Nostro padre lo sa?”
“No.
L’ho detto solo a
Tasha, una nostra cugina. Tu sei il secondo.”
“Ah…
- restò spiazzato – E
come mai?”
“Perché
il bambino è di un
uomo più grande con cui stavo e che mi ha lasciato.
– le lacrime scesero
copiose – Sto per finire il liceo, presto andrò al
college e non so che cosa
fare: non so se tenerlo oppure no, sono disperata… Abortire
sarebbe come
perdere un’altra parte di me e sono stanca di
perdere.”
“Allora
non farlo. Per una
volta, prova a vincere: fai in modo che nessun’altra vita
venga spezzata. – le
suggerì con un accenno di sorriso – E se mai
uscirò da qui, sarò felice di
sostenerti e… di diventare zio!”
esclamò, ridendo per la gioia di quel
pensiero.
Quella rise a
sua volta,
asciugandosi le lacrime: “D’accordo, zio!”
E risero ancora,
iniziando
a legare e a provare ad essere uniti come un tempo.
*
Sam, a casa sua,
andò ad
aprire la porta, dopo che qualcuno aveva suonato: erano Eric e Rider;
quest’ultimo aveva un borsone nero che pendeva dalla spalla.
“Oh
Dio…” borbottò Sam,
angosciato, immaginando cosa potesse contenere.
“Sì,
beh, il fatidico
giorno è arrivato Sam: fattene una ragione!”
replicò Rider alla sua reazione.
“Cosa
c’è lì dentro?”
domandò.
“Siringa,
farmaco, nastro
adesivo per legarlo e altre cosette per eliminare le nostre
imponte.” intervenì
Eric.
Sam
deglutì faticosamente,
pallido e sudato: “Ok, entrate, devo farvi vedere una
cosa.”
Il suo aspetto
non passò
inosservato ai suoi amici, che lo seguirono dentro casa con apprensione.
“Ehi,
stai bene?” fu Rider
a domandarglielo.
Quando giunsero
in cucina,
Sam indicò il tavolo con nervosismo; sopra c’era
una chiave inglese avvolta
dentro un panno bianco.
“No,
non sto bene per niente.”
Eric non
capì, gurdandosi
con Rider: “Ehm, che cos’è?”
“E’
una chiave inglese,
ragazzi! – sottolineò Sam, agitato - QUELLA chiave
inglese!”
Mentre Eric
brancolava
ancora nel buio, Rider afferrò finalmente le sue parole:
“Oh mio Dio, è la
chiave inglese con cui A ha
distrutto i tubi del gas nella nostra scuola. –
sgranò gli occhi, lasciando
cadere la borsa per avvicinarsi a vedere – Te l’ha
mandata lui?”
Sam
tirò fuori la foto che
aveva ricevuto insieme all’arnese: “Ragazzi, ieri
notte, A mi ha messo questa chiave
inglese tra le mani. Mentre dormivo! Se
non gli consegnamo Clarke, incastrerà ognuno di noi su
qualcosa di cui è stato
responsabile lui! – spiegò in una sola emissione
di fiato, spaventato a morte –
Ho passato le ultime ore a immergere quel coso nella candeggina e
strofinarlo
con uno spazzolino da denti, ma non servirà a nulla
cancellare le mie impronte
finchè A può
entrare in casa mia
mentre dormo!”
“Ha
ragione… - constatò
Eric con sconcerto – Prima Nathaniel con il dipinto che
potrebbe incastrarlo
per l’omicidio di Edward, ora Sam con la chiave inglese.
– fissò Rider – Sembra
che se non faremo come dice A, si
laverà le mani di tutti i suoi crimini, scaricandoli su di
noi.”
“Ok,
potete dirmi qual è il
piano? – domandò Sam, nel panico –
E’ chiaro che Clarke va’ catturato stasera,
non possiamo allungare i tempi.”
“Sì,
ok, allora, il piano è
questo: sappiamo che Chloe e Clarke hanno una relazione o quello che
è, no? –
illustrò Rider – Se inviti Chloe a casa tua, puoi
rubarle il telefono senza che
se ne accorga e mandare un messaggio a Clarke dove gli chiedi di
incontrarvi in
un posto: a quel punto lui dovrà raggiungerla per
forza.”
Sam mantenne gli
occhi
sbarrati ad ogni parola: “Stai scherzando, vero?”
“Ammetto
che il piano di
Rider è folle, ma non sappiamo come attirare
Clarke.” aggiunse Eric.
“Ok,
la invito qui, e poi?
Che le dico? Ciao, prestami il telefono
per ordinare la pizza?”
lo trovò
folle, Sam.
“Non
siete più amici da
parecchio tempo, approfittane per riparare il vostro rapporto.
– gli suggerì
Rider – Guardate un telefilm come ai vecchi tempi e
falla… bere tanto! Ma così
tanto che dovrà andare in bagno per forza!”
Senza parole,
Sam si voltò
dall’altra parte a riflettere: “Tutto questo
è assurdo, non vedo l’ora che
questa storia di A finisca!”
“Se
seguiamo il piano,
finirà per davvero questa storia.” lo
incoraggiò ancora una volta, Rider.
Improvvisamente
squillò il
telefono di Sam, che, fissato subito dai ragazzi, si prestò
a rispondere.
“E’
Nat! – disse loro, per
poi ascoltare ciò che l’amico aveva da dirgli
– … Ehm, sì, ok, ora ti metto in
vivavoce. – eseguì – Parla pure, ti
ascoltiamo.”
“Accendete
la televisione! Subito!” tuonò Nathaniel.
I tre si
guardarono l’un
l’altro, lo sguardo impanicato; Sam prese immediatamente il
tecomando e accese
la televisione che c’era lì in cucina, attaccata
alla parete: davano il
notiziario del tardo pomeriggio.
“…Secondo
la polizia, la vittima del presunto omicidio è
Edward Blanc, un noto pittore Newyorkese di trentaquattro anni. Dopo
diverse
ore di ricerche, la polizia sembra non aver ancora trovato il corpo
dell’uomo,
che, secondo una soffiata anonima ricevuta quasi una settimana fa,
sarebbe
sepolto nei boschi di Rosewood; questa mattina, infatti, una squadra ha
trovato
quello che potrebbe essere il luogo in cui l’uomo
è stato sepolto. Pare, però,
che l’assassino sembra aver giocato d’anticipo,
riesumando le sue parti del
corpo e lasciando delle buche vuote. Nulla esclude, ovviamente, che
l’omicidio
possa essere collegato a Jasper Laughlin, di cui non si hanno
più notizie da
più di un mese.”
Sam spense la
televisione,
camminando avanti e indietro, provando una sensazione di paura mai
provata
prima: “Non posso più farcela, non ce la
faccio!”
“Pensate
che sia stato A a fare quella
soffiata anonima?” si
chiese Eric, rimasto di sasso.
“E
chi, sennò? – si voltò a
rispondergli Sam, urlando – Ci vuole incastrare per tutte
queste cose,
sconteremo gli anni di galera fino alla nostra prossima vita!”
Nonostante fosse
spaventato
come il resto dei suoi amici, Rider cercò di restare lucido:
“Ragazzi,
calmiamoci un secondo, la polizia non ha trovato il corpo. A ha recuperato i borsoni:
perché farlo se ci vuole incastrare sul
serio? Sa perfettamente che sulle maniglie ci sono le nostre
impronte.”
“E se
avesse messo i
borsoni nel deposito di Edward? – intervenne Nathaniel,
ancora in vivavoce
-Probabilmente è la seconda tappa della polizia!”
“Nat,
per favore, puoi
smetterla con questo deposito? – si esasperò Rider
- Ne sei ossessionato!”
“Nathaniel
ha ragione, li
ha messi in quel deposito. – si intromise Sam – Se
non prendiamo Clarke,
indirizzerà la polizia in quel deposito e troveranno sia il
dipinto che i
borsoni!”
“E’
malato! – pensò Eric,
sconvolto – A meriterebbe
un posto
al Radley.”
Improvvisamente,
il
telefono di quest’ultimo gli squillò in tasca;
Eric deglutì malamente, pensando
di essere stato ascoltato dal loro persecutore.
“Ok,
forse non dovevo
dirlo…” recuperò il cellulare, fissato
dai suoi compagni con una vena di
terrore nello sguardo.
Il telefono
continuò a
squillare tra sue mani, Rider divenne impaziente.
“Allora?
Chi è?”
“E’
solo Alexis, penso mi
stia chiamando per la serata karaoke. – tirò un
sospiro di sollievo – Devo
andare!”
Mentre Rider
provò a
respirare di nuovo, per lo spavento appena preso, Sam si
sentì sempre più male,
poggiando la testa sulla porta del frigorifero.
“Mi
raccomando, non fare
tardi, dopo. – gli disse Rider, prima che se ne andasse
– Siamo noi due in
prima linea.”
“Tranquillo,
ci sarò. –
spostò lo sguardo su Sam, che dava le spalle –
Ehm, ciao Sam…”
Quello non
rispose,
restando nella medesima posizione, chiuso in se stesso. Eric
andò via.
Rider, invece,
si avvicinò
al telefono di Sam, poggiato sul tavolo: “Ehi, Nat, ci
sei?”
Nathaniel prese
subito
parola: “Ci sono ci sono. È solo che…
ora come faccio a starmene seduto nella
mia camera ad aspettare vostre notizie?”
“Trova
il modo, Nat. –
ribattè Rider, grattandosi il capo – Io ho altro a
cui pensare in questo
momento.”
“Tipo
Chloe che si chiederà
dove sarà finito Clarke, domani? – si
voltò Sam, stufo della noncuranza
dell’amico – Solo a me sembra che stiamo
aggiungendo problemi sopra altri
problemi?”
“No,
Sam, stiamo cercando
di eliminarli tutti in un colpo solo, a dire il vero. –
alzò i toni anche Rider
- Ma tanto a te cosa importa, non sei tu quello che deve fare il lavoro
sporco.”
“Basta,
devo uscire di qui.
– si esasperò - Non ti sopporto in questo momento,
non sopporto più nessuno di
voi!” esclamò basito, avviandosi verso
l’uscita della cucina.
Ad un certo
punto, però, si
dovette fermare: “Ma che dico, questa è casa mia!
– si voltò nuovamente verso
Rider, in modo arrogante – Se non ti dispiace, puoi andare!
Devo prepararmi a
rivedere una vecchia amica, mentre voi rapite il suo ragazzo.”
“Tranquillo,
Sam, me ne
stavo giusto per andare. – replicò Rider,
prendendo il suo borsone – Nat, devo
chiudere. – gli disse, tenendo il telefono davanti alla bocca
- Ci sentiamo a
cose fatte.”
“Ok,
ma non litigate. Non è
il momento per farlo, dobbiamo restare uniti.”
suggerì loro, Nathaniel.
Rider e Sam si
scambiarono
un ultimo sguardo fulmineo, dopo aver chiuso la chiamata con
l’amico. Subito
dopo, Rider se ne andò e Sam restò da solo con il
suo malumore.
*
Nel salotto di
casa sua,
Chloe era seduta sul divano a messaggiare con il telefono, poco
interessata al
programma che stavano dando in televisione; la sua sorellastra sedeva
proprio
sulla poltrona lì accanto e la osservava con piccole
occhiate cuoriose.
Chloe:
Sono
preoccupata, hai sentito il notiziario?
Clarke:
Sì,
allora?
Chloe:
Allora?
Come sarebbe, allora? Natalie starà già lavorando
ad un articolo che parla di
questa storia, anziché lavorare a quella che le abbiamo
fornito noi. Non
scopriremo mai se il gemello di Rider è
A, se non sappiamo nulla su di lui.
Clarke:
Aspettiamo
qualche giorno, ok? Conosco Natalie, non si lascerà scappare
questa occasione.
Choe
si accorse di avere addosso lo
sguardo della sua sorellastra, infastidendosi.
Chloe:
Va
bene, aspettiamo. Io, intanto, sono qui con Stacy che mi guarda. La
odio.
Clarke:
Ancora?
Ma non doveva andarsene ieri?
Chloe:
Ma
che ne so, fa come le pare!
“Parli
con il tuo
fidanzato?” le domandò Stacy, smorfiosa.
Chloe
alzò gli occhi dallo
schermo del telefono, voltandosi lentamente verso di lei:
…Scusami?”
“Ti
prego, non fare la
finta tonta. Ieri ti ho vista fuori con quel ragazzo, ero alla
finestra.”
“Non
era il mio ragazzo,
quello.” ribattè.
“Non
sono cieca, sorellina.
– sorrise per indispettirla – Un po’
grandicello, non credi?”
A quel punto,
Chloe decise
di sferrare l’offensiva: “Senti da che pulpito:
almeno io non sono mai
rientrata sbronza, dentro un auto con quattro ragazzi.”
Livida di
rabbia, Stacy si
ammutolì, mentre Chloe godeva di quel momento con un
sorrisino cinico.
Improvvisamente,
arrivò la
madre con indosso il grembiule da cucina.
“Ragazze,
cosa volete che
vi prepari?” domandò con lo stesso spirito di una
casalinga felice e
servizievole.
Stacy
continuò a fulminare
Chloe, per poi alzarsi con irruenza dalla poltrona e lasciare la stanza.
“Grazie,
ma non ho più
fame!” esclamò arrabbiata, passandole accanto.
Sbigottita, la
donna si
voltò verso Chloe: “Ma che cosa è
appena successo?”
“Niente,
mamma. – sbatte
gli occhi, saccente - Tua figlia dovrebbe imparare a farsi gli affari
suoi,
tutto qui.”
“Chloe!
– la rimproverò,
angustiata – Cercate di andare d’accordo almeno
nelle rarissime volte in cui
siete insieme, sono stanca dei vostri litigi.”
“Mamma,
non so se ti è
chiaro, ma io non voglio avere nulla a che fare con la mia sorellastra
e gli
altri tuoi figli! – spiegò per
l’ennesima volta – Per questo sono venuta a
Rosewood a vivere dai miei zii, non sono di certo impazzita tutto
d’un tratto;
avevo le mie motivazioni per farlo e lo sai benissimo.”
Quella
sospirò, scuotendo
la testa, amareggiata. Nel momento in cui se ne andò anche
lei, Chloe ricevette
un messaggio.
Da
Sam:
Ehi,
ciao. So che in questo momento è
strano che io ti scriva, dopo tutto questo tempo, ma ti andrebbe di
fare un
salto a casa mia? Vorrei parlarti.
Chloe
sobbalzò dal divano,
sorpresa di aver ricevuto un messaggio proprio da Sam, così
inaspettato. In
quell’istante, iniziò a riflettere sui motivi che
l’avessero spinto a scriverle
e per questo si preoccupò: poteva solo immaginare a qualcosa
che potesse
avergli fatto A.
*
Al Brew, la
serata karaoke
stava procedendo al meglio; il locale era pieno di persone, i camerieri
circolavano con cocktail e stuzzichini, mentre i vari clienti salivano
sul
palchetto a scatenarsi con il loro cavallo di battaglia.
Intanto, Eric,
assisteva
alla serata, poggiato davanti al bancone con Alexis, aspettando il suo
turno.
“Quella
ragazza è davvero
stonata!” la commentò Alexis, fissandola sul palco.
Eric era
parecchio assente
in quel momento, non faceva altro che controllare l’orologio.
“Non
credi anche tu, Eric?
– si voltò a domandargli, notando il suo distacco
– Eric??”
“Ehm,
sì, canta davvero
malissimo.” rispose distrattamente.
“Va
tutto bene?”
“Sì,
è solo che devo
vedermi con i miei amici fra poco,
perciò…”
“Mmh,
capisco.” tornò a guardare
verso il palco, seccata.
Antonio
salì sul palco alla
fine dell’esibizione, prendendo il microfono; Eric
osservò Alexis cambiare
immediatamente espressione nel momento in cui lo vide; lo guardava come
si
guarda qualcuno da cui si è attratti segretamente.
“Ottimo,
ragazzi, vi voglio
scatenati e talentuosi. – il pubblicò
urlò, entusiasta – Ma adesso, è
arrivato
il momento di accogliere qui sul palco un ragazzo che ormai tutti
conoscete. –
puntò il suo sguardo verso il bancone – Sto
parlando di te, Eric, vieni!”
Tutti si
voltarono verso di
lui, acclamandolo, gridando il suo nome.
Imbarazzato,
Eric si fece
strada fra la folla fino al palco; quando salì, Antonio gli
mise il braccio
intorno alle spalle, stringendolo a sé come un fratello
maggiore.
“Eccolo
qui, Eric adesso ci
canterà Run boy run di Woodkids. – si
girò a chiedergli conferma – Vero, Eric?”
Quello
accennò un sorriso,
annuendo forzatamente; dentro di sé non si fidava del suo
finto buonismo.
A quel punto,
Antonio scese
dal palco, lasciandogli il microfono; la musica partì ed
Eric iniziò a cantare.
“Run boy run! This world is not
made for you. Run boy run! They’re trying to catch you. Run
boy run! Running is
a victory. Run boy run! Beauty lays behind the
hills…”
Quando
posò nuovamente gli
occhi sul gobbo, Eric iniziò a notare qualcosa di strano nel
testo.
Tomorrow
is another day
And
you wAon’t
have to hide away
YoAu’ll
be a man, boy! But for noAw
it’s time to run, it’s time to run!
Run
boy run! This ridAe is
a journey to.
Nonostante ci
fossero delle
A all’interno di alcune
parole, Eric
continuò a cantare, cercando di non far notare a nessuno la
sua inquietudine;
Alexis, però, si accorse che qualcosa non andava, visto il
suo improvviso calo
di voce.
L’esibizione,
dopo qualche
minuto, finì e tutti applaudirono animatamente, mentre Eric
scendeva dal palco
con la testa fra nuvole.
Tornato accanto
ad Alexis,
si riempì un bicchiere d’acqua; quella
notò subito che gli tremava la mano.
“Eric,
va tutto bene?”
“Sì,
perché?”
“Ehm…
non so, sei salito sul
palco con una faccia e ne sei sceso con un’altra. Dimmi
tu.”
“Niente,
è solo che il
testo della canzone scorreva troppo veloce.” si
giustificò, poco convincente.
“Pensavo
fosse una canzone
che conoscessi, non penso ti servisse il gobbo.” insistette,
sospettosa.
Eric
controllò di nuovo
l’orologio, oppresso dalle sue domande: “Senti,
devo andare!” esclamò,
recuperando la sua giacca da dietro il bancone, stufo.
Perplessa e
confusa, Alexis
non ebbe nemmeno il tempo di aggiungere altro che Eric uscì
dal locale in
fretta e furia.
*
Più
tardi, Sam sentì
suonare il campanello. Teso, sapeva già chi poteva essere,
perciò raggiunse la
porta con esitazione e quando la aprì, trovò
Chloe con in mano una bottiglia di
vino e un accenno di sorriso alquanto imbarazzato.
“Sei
venuta!” esclamò con
sorpresa, rigido come il legno.
“Beh,
sì, mi hai scritto
tu, perciò…” ciondolò
davanti alla porta, Chloe.
“Sì
sì, entra!” si spostò
per farla passare.
Quella gli mise
la
bottiglia di vino fra le mani, mentre entrava: “Questa
è per tuo padre; mi
ricordo ancora il suo vino preferito.”
“Oh,
grazie. Lo apprezzerà
molto.” disse, chiudendo la porta.
In salotto,
Chloe poggiò il
suo cappotto sulla poltrona, che Sam iniziò a tenere
d’occhio; in una delle
tasche c’era il telefono che doveva rubare per mandare il
messaggio di incontro
a Clarke.
“Sam,
va tutto bene?” gli
domandò, dopo essersi seduta e aver notato un clima molto
pesante.
“Ehm…
Il fatto è che, non
pensavo saresti venuta. – spiegò, non riuscendo a
reggere i suoi sguardi – Ho
riflettuto su molte cose, tra cui la nostra amicizia; credo di essermi
comportato in modo strano, quindi…”
“…
quindi, vuoi che
torniamo amici?” completò per lui.
“Lo
so, forse ti sto
chiedendo troppo, ma… vorrei iniziare almeno da stasera, a
piccoli passi. Non è
giusto che una bellissima amicizia come è stata la nostra,
venga buttata via
così, senza nemmeno riprovarci.”
Chloe
trovò il suo
comportamento sempre più strano, iniziando a preoccuparsi
che ci fosse dietro
qualcos’altro: “Ehm, è vero, la nostra
è stata una bella amicizia finchè non ti
sei unito molto agli altri, dopo la morte di Anthony. Infatti mi chiedo
se non
sia successo qualcosa con loro…”
“Se
stai insinuando che io
e loro abbiamo litigato, ti rispondo subito di no. – rise,
sudando freddo – Non
ti sto riciclando, Chloe: sei qui perché mi sono reso conto
di non essere stato
un buon amico con te, tutto qui.”
“Su
questo non c’è dubbio!”
sottolineò con le sopracciglia sollevate.
“Quindi
sei disposta a
ricominciare da zero?”
“Sì,
ma a patto che voglio
la più totale sincerita da parte tua. Sei stato strano per
tutto questo tempo e
non ho mai capito perché, non ti sei mai
confidato.”
Sam
iniziò ad agitarsi,
torturandosi le mani: “Io… beh, io… ero
strano perché…”
Quella rimase a
fissarlo,
aspettandosi di sentire ciò che voleva sentire: la
verità su A.
“Sam,
qualcuno ti ha fatto
qualcosa?” lo incentivò
“Eh?
– sussultò quello,
colto di sorpresa – No! – scosse la testa
energicamente, cercando di negarlo –
No no, niente di tutto questo!” mentì, pur sapendo
che Chloe sapeva in qualche
modo dell’esistenza di A.
“E
allora che cos’è? –
domandò, delusa – Non posso tornare tua amica se
non mi dici perché hai smesso
di essere mio amico.”
“Ascolta,
vado a prendere
qualcosa da mangiare. Per messaggi mi hai detto che avresti saltato la
cena,
venendo qui da me, perciò…”
cercò di sorvolare quanto più possibile.
“Ehm,
d’accordo… - sospirò,
alzandosi – Vado un secondo in bagno, torno subito.”
“Ok
ok…” annuì, pronto a
cogliere quell’occasione.
Chloe
lasciò la stanza, così
come Sam finse di farlo, tornando subito indietro; iniziò a
tenere d’occhio il
corridoio, mentre sfilava di nascosto il telefono dal cappotto.
*
Riuniti nella
stanza di
Nathaniel, erano quasi le undici di sera; Eric cercò di
spiegare ciò che era accaduto
al Brew.
“A ha manomesso il karaoke? –
Nathaniel rimase basito, spostando lo
sguardo su Rider – Non è umano: prima entra a casa
di Sam, poi disseppellisce
pezzi di cadavere nel bosco e oggi riesce a manomettere un karaoke,
indisturbato?”
“Sì,
beh, abbiamo capito
che A deve aver studiato alla
scuola
per metaumani, non c’è da
meravigliarsi!” esclamò Rider, tenendo le braccia
incrociate.
Eric lo
fissò, non
afferrando l’espressione da lui usata; Rider si accorse
subito del suo sguardo
confuso e opprimente.
“The
flash! – lo illuminò,
pensando di essere finalmente compreso - I metaumani, Barry
Allen… –
spostò lo sguardo fra i due, vedendoli
ancora più disorientati – Niente? Non conoscete
The flash?”
“Rider,
ma di che stai
parlando?” domandò Nathaniel, stufo.
“Se
Sam fosse qui, mi
avrebbe compreso sicuramente, oltre a vergognarsi di voi. –
replicò deluso - E’
uno degli show di punta della CW!”
Nathaniel scosse
la testa,
cambiando discorso: “Eric, cosa è successo al
Brew?” si rivolse a lui.
“Stavo
cantando una
canzone, quando sul gobbo, dove appare il testo, ho visto delle A dentro le parole.”
“Hai
fatto una foto?”
chiese Rider.
“Ovviamente,
no. C’erano
almeno una quarantina di persone, non potevo mettermi a fotografare il
gobbo di
un karaoke.”
“Quindi
come decriptiamo il
messaggio musicale di A? –
si
preoccupò Rider – Dev’essere qualcosa di
importante, magari è legato alla
consegna di Clarke.”
“Non
sappiamo nemmeno se A abbia la
minima idea di cosa stiamo
facendo.” pensò Nathaniel.
“Lo
sa, invece.” ribattè
Rider.
Eric, intanto,
tirò fuori
dalla tasca un foglietto: “Qui ho scritto la parte del testo
con dentro le A. – lo
passò a Rider, facendo un
appunto – La professoressa di biologia dice che ho una
memoria fotografica.”
“Ora
lo vedremo…” disse
Rider, controllando il testo.
Tomorrow
is another day
And
you wAon’t
have to hide away
YoAu’ll
be a man, boy! But for noAw
it’s time to run, it’s time to run!
Run
boy run! This ridAe is
a journey to.
“Visto?
– Eric notò un volto
perplesso in Rider – Non si capisce niente, mette la sua
firma in mezzo alle
parole e non hanno più senso.”
“Credo
che dare un senso
alle parole non sia lo scopo del messaggio. – Rider
sembrò aver decifrato il
testo – Piuttosto, A mette
in luce
l’errore per soffermarci sulle lettere che sono accanto alla
sua firma.”
Nathaniel si
alzò dal
letto, avvicinandosi a lui: “Quindi il messaggio sta nelle
parole che sono
accanto alla A? –
provò a mettere in
pratica la teoria – WOOUOWDE???”
“Mi
prendi in giro? – si
avvicinò anche Eric – Il messaggio sarebbe il
verso di un animale?”
Con il foglio
ancora in
mano, Rider si voltò verso di lui con disappunto:
“Nessun animale fa questo
tipo di verso, Eric.”
“Ok,
ci provo io! – esclamò
Eric – Forse è… OWUOWAWOED???”
Entrambi gli
amici li lanciarono
un’occhiataccia.
“Sei
serio? – commentò
Rider, allibito - Hai solo invertito le lettere che ha appena detto
Nathaniel.
– sospirò, incredulo – Siete entrambi
pessimi come osservatori, lo sapete?
Mentre voi sparavate parole incomprensibili come fanno i bambini di tre
anni,
io ho capito che bisogna prendere tutte le lettere che ci sono prima
della A, quindi la parola
è: Wood!”
Nathaniel si
guardò con
Eric, entrambi a bocca aperta: “Oh mio Dio, il
bosco!”
“Non
voglio azzardare, ma
credo che A voglia che portiamo
Clarke lì, dopo averlo catturato.”
ipotizzò Rider.
“Come
fa A a sapere dove si trova il
bosco?” si
chiese Eric.
Rider rispose
prontamente:
“Lo sa, perché noi lo sappiamo.”
“Ma il
tablet con le
coordinate del bosco ce l’hai tu, no? –
pensò Nathaniel – A meno che…”
“E’
entrato a casa di Sam,
perciò può benissimo essere entrato anche in casa
mia e aver preso le
coordinate. – trovò ovvio, Rider – Mi
vengono i brividi a pensare che cammina
dentro le nostre stanze, mentre dormiamo.”
A Nathaniel
venne la pelle
d’oca: “Già, ora che l’hai
detto, credo che non dormirò mai più.”
“Credo
che per stanotte
sarà più impegnato a riscuotere Clarke che venire
a guardarti dormire.”
aggiunse Eric.
Un messaggio
sopraggiunse
proprio sul telefono di quest’ultimo; i suoi amici lo
fissarono, mentre lo
leggeva.
“Ragazzi,
è Sam! – fece
sapere - Ha mandato il messaggio a Clarke dal telefono di
Chloe.”
Nathaniel era
curioso di
sapere maggiori dettagli: “Di preciso, dove dovete rapire
Clarke?”
“Abbiamo
pensato di fare
questa cosa vicino al Rosewood community park, dove
c’è la fermata dell’autobus
e quella strada poco illuminata e senza telecamere.”
spiegò Rider.
“E
come avete intenzione di
catturarlo, Clarke?”
“Ehm…
- Eric si guardò con
Rider, restando ermetico – Preferiamo non dirti questa parte,
ci prenderesti
per matti! O prenderesti Rider per matto, visto che l’idea
è sua.”
“Già,
tu pensa solo che
abbiamo tutto sotto controllo!” esclamò Rider.
Nathaniel
cercò di dedurre
qualcosa dall’abbigliamento dell’amico:
“C’entra con il fatto che Rider è
vestito da A? Se solleva il
cappuccio in testa, è identico a lui.”
“Più
o meno! – esclamò
Rider con tono frettoloso, controllando l’orologio
– Ora dobbiamo andare,
Clarke non ci metterà molto a raggiungere il posto;
sicuramente si starà già
chiedendo cosa ci faccia Chloe da quelle parti, da sola.”
Insieme ad Eric
si avviò
verso la porta, finalmente. Nathaniel disse loro un ultima cosa,
però.
“State
attenti, quando
porterete Clarke nel bosco per consegnarlo ad A.
Se ha rubato le coordinate, l’avrà fatto diversi
giorni fa,
perciò dev’esserci già stato e aver
preparato qualche trappola.”
“Tranquillo,
faremo
attenzione. – lo rassicurò Eric – Anche
se non c’è da preoccuparsi, penso che A voglia solo avere Clarke, in questo
momento, non noi.”
I due lasciarono
la stanza,
a quel punto. Nathaniel si rimise a letto, in ansia per i suoi amici.
*
Julie, nel
frattempo, era
davanti al suo computer, impegnata a tenere d’occhio Sam.
Improvvisamente
squillò il telefono: era Palmer.
“Pronto,
amore?” rispose.
“Ehi,
tesoro, vuoi che ti
porti qualcosa dal cinese, quando rientro? – le
domandò, coperto dalle voci di
altre persone – O hai già mangiato?”
“E
quando rientrerai,
esattamente? – ribattè, leggermente seccata nel
tono – E che cos’è questo
casino?”
“Sono
in un bar con alcuni
colleghi, Jerome ci ha portati fuori a prendere una birra per
festeggiare il
suo compleanno.”
“Chi,
quello che l’altra
volta mi ha scambiato per tua sorella?” ricordò
con fastidio.
“Oh,
avanti, non sembro
così vecchio, nonostante la carta dica il contrario. Ci
può stare che abbia
fatto quel commento.”
“Tesoro,
non ho nemmeno
trent’anni, mentre tu hai superato i quaranta: per me quella
era un’offesa!”
sottolineò a gran voce.
“Allora,
ti porto qualcosa,
più tardi?”
Quella
sospirò, tralasciando
anche lei quel discorso: “No, ho già mangiato. Fai
il bravo!”
“Sicura?”
“Sì,
divertiti! Torna dai
tuoi anziani amichetti!” lo convinse ancora una volta, il suo
solito tono
sarcastico.
Quando la
chiamata si
chiuse, Julie rimise il telefono sul tavolo; dopo si legò i
capelli, tornando a
fissare il computer, parlando tra sé e sé in
maniera permalosa.
“Col
cazzo che ho già
mangiato, ora chiamo il fattorino della pizza! –
smanettò sul computer con una
mano, mentre con l’altra digitava il numero sul telefono
– Di certo non
aspetterò che Jerome spenga le sue duecento candeline per
mettere del cibo
nello stomaco!”
Qualcosa, poi,
attirò la
sua attenzione sul computer, facendole dimenticare quel piccolo momento
di
irritabilità nei confronti del fidanzato; chiamò
subito Wesam, poi.
“Ehi,
Wesam, mettiti i
pantaloni!”
“Che
succede?”
“Sam
ha appena scritto ai
suoi amici, saranno al Rosewood community park.”
“A far
che?”
“E io
che ne so, il tuo
baby fidanzato non è molto dettagliato nei
messaggi.”
“Ok,
non è molto lontano,
ci vado a piedi!”
“Fai
attenzione, A non deve vederti:
sei tu che devi
vedere lui; poi seguilo.”
“Chi
ti dice che A sarà sul
posto?”
“Non
lo so, tu stai solo
attento!”
“D’accordo,
a dopo! Tienimi
aggiornato.”
“Puoi
scommetterci!”
ribattè, restando in linea.
*
Seduti sul
divano, agli
antipodi, Sam e Chloe stavano guardando un episodio di Dexter con due
buste di
patatine fra le mani e una bibita gassata sul tavolino; entrambi erano
molto
silenziosi, più impegnati a mantenere quel silenzio che a
guardare la
televisione.
“Ne
abbiamo guardate di
serie, insieme; deteniamo un vero e proprio record, ma non capisco
perché non
abbiamo mai visto Dexter: è uno dei serial crime
più conosciuti in tutto il
mondo!” parlò Sam, cercando di smorzare la
tensione.
“Già,
forse non ci
piacciono i serial killer!” si voltò quella, uno
sguardo glaciale.
Sam si
intimidì, a disagio
per quella occhiata ricevuta; continuò a fingere di essere
interessato alla
trama della serie, pur di evitarla.
“Ehm…
adoro questa terza
stagione: Dexter ha finalmente trovato qualcuno che lo capisca e che lo
accetti; per tutto questo tempo è rimasto solo, a combattere
una battaglia che
non ha chiesto di combattere, ma che gli è stata importa da
suo padre.”
“Beh,
è lui che ha scelto
di restare solo. Perché mantenere questo segreto? Avrebbe
potuto raccontarlo
alla sorella, a qualcuno di cui si fida; alla fine salva delle vite
innocenti,
che importa come si libera dei problemi che affliggono questo
mondo?”
Sam
sfociò in un
espressione perplessa: “E’ un mostro, Chloe.
Nessuno convive con i mostri.”
L’altra
abbassò lo sguardo,
lasciando cadere la sua maschera: “…Tu lo fai ogni
giorno, qual è la
differenza?”
A
quell’affermazione, Sam
bloccò l’episodio con il telecomando, restando
immobile per diversi secondi;
Chloe decise di gettare finalmente quel sasso, sperando che lui lo
raccogliesse: era arrivata l’ora di farla finita con i
segreti.
“A
cosa ti riferisci?”
deglutì a fatica, aspettando una risposta.
“Alla
cosa che hai tentato
di nascondermi fino ad avermi allontanata.”
A quel punto,
Sam lasciò
cadere anche la sua maschera; non sarebbe riuscito a portare avanti
un’altra
serie di bugie, così si rilassò e decise di
confessare.
“Cosa
sai?”
“So
che il mostro di cui
stiamo parlando è A.”
Sam ne ebbe
finalmente la
conferma, ora che era uscita quella lettera dalla sua bocca:
“Come l’hai
scoperto?”
“Credo
di saperlo dal
giorno in cui mi hai accompagnata alla Hollis; ti è arrivato
un messaggio da A e ti chiedeva di
guardare il
notiziario.”
“Ah,
quello… - Sam si voltò
dall’altra parte, ripensando con gli occhi lucidi a quante ne
aveva passate da
quel momento – Sembra passato un secolo…”
Chloe
capì che la
situazione era più tragica di quanto immaginasse:
“…Cosa vi ha fatto?”
L’altro
sorrise in maniera
malinconica, guardandola negli occhi come un condannato a morte:
“Non saprei
nemmeno da dove cominciare. – una lacrima gli scese lungo il
viso, mostrando la
sua sofferenza – Non potevamo dirlo a nessuno, non potevo
dirlo a te o a mio
padre o alla polizia.”
Coinvolta
emotivamente,
Chloe gli mise una mano sulla spalla, cercando di essere di conforto:
“Mi stai
spaventando, non sembra averti minacciato solo con dei
messaggi…”
“Come
sai che ci minaccia?
– Sam si pulì le lacrime, cercando di estirpare
alcuni suoi dubbi – Insomma,
hai pensato che qualcuno mi minacciasse solo da quel semplice messaggio
che hai
visto sul mio telefono? E poi perché lo sa anche la sorella
di Rider?”
“Come
sai che Lindsey lo
sa?” domandò sbigottita.
“L’ha
scoperto Rider quando
era rinchiuso al Radley; in pratica nella sua cucina c’era
una cimice nascosta
e lui vi ha ascoltate attraverso una bambola di pezza.”
“Un
secondo, Rider era al
Radley?”
“A l’ha scambiato con suo
fratello gemello. A proposito: Rider ha un
fratello pazzoide di cui lui e sua sorella non sapevano
nulla.”
“Ok,
io lo so che Rider ha
un fratello; cioè, l’ho scoperto qualche giorno fa
e Clarke pensa che sia A, ma io non
ne sono così tanto
convinta e… ” parlò a raffica,
disorientata da tutte quelle informazioni.
Sam
sgranò gli occhi, bloccandola:
“Lo sa anche Clarke?”
“E’
una lunga storia, ma
Lindsey non ne sa quanto me e lui. Ha solo ricevuto un messaggio
intimidatorio
da A, che insinuava una sua
gravidanza.”
“E
pensa di averlo ricevuto
da Alexis, lo so! – Chloe sbigottì nuovamente e
lui le spiegò subito – Ehm,
sempre Rider che vi ha ascoltate dal Radley.”
“Ok,
Clarke pensa che sia
stato il fratello di Rider ad uccidere Anthony e suo padre, ma non
sappiamo
nulla di quel ragazzo, quindi ha voluto indagare.”
“No,
siete fuori strada, Nolan
non c’entra nulla con tutto questo, te lo posso confermare; e
poi è rinchiuso
al Radley, come vi è venuto in mente?”
“Appunto,
gliel’ho detto
anch’io, ma insisteva col dire che anni fa c’erano
dei problemi di sicurezza al
Radley e che poteva essere riuscito a fuggire indisturbato e compiere
gli
omicidi.”
“Mi
dispiace per Clarke, ma
suo padre è stato ucciso da Anthony; quella sera ci
chiamò per aiutarlo a
lasciare Rosewood, finchè non abbiamo investito Albert
durante il tragitto.”
Chloe si
portò una mano
sulla bocca, sconvolta: “Oh mio Dio… E Anthony
come ci è finito nell’incendio?”
Sam si
ammutolì in seguito
a quella domanda, ma decise di non mentire più:
“Ehm… dopo che abbiamo
investito Albert, l’abbiamo portato a casa di Anthony e messo
accanto a suo
padre. – ricordò con vergogna - Poi abbiamo
appiccato l’incendio: il piano di
Anthony era quello di far credere a tutti che fosse morto.”
“Chi
era alla guida?”
chiese ancora, sempre più sconcertata.
“Era
Anthony; quella notte
uscì fuori di testa, sembrava un matto. L’ultima
volta che l’abbiamo visto è
stato quando l’abbiamo accompagnato alla stazione. Poi A ci ha mandato un video dove sembrava
che l’avesse ucciso, invece
l’aveva solo rapito.”
“Aspetta,
se Albert è stato
ritrovato più di un mese fa, chi hanno seppellito
all’inizio?”
“Chloe
è complicato, nella
bara di Anthony c’è sempre stato qualcuno che non
conosciamo. Noi pensavamo ci
fosse Albert prima del funerale di Anthony, poi A
ci ha fatto credere che l’avesse scambiato con
Anthony, invece ci
ha solo presi in giro.”
“Ma
Anthony è morto,
giusto?”
Sam face sempre
più fatica
a rispondere: “Ehm, a dir la verità…
non lo sappiamo con certezza; però
sappiamo che Anthony è riuscito a fuggire da A
e che è rimasto nascosto a Rosewood per almeno una
settimana, mentre
tutti lo credevamo morto.”
Chloe non sapeva
come
reagire, incredula: “Come sapere tutte queste cose?”
“Le
abbiamo scoperte per
caso, Chloe; ci sono tante cose che non sai e che ci metterei una vita
a
raccontarti.”
“E’
assurdo, perché non
dite nulla alla polizia? A avrà
ucciso qualcuno per riempire la bara di Anthony, perciò non
capisco!”
“Tu
non capisci, A possiede dei
filmati su noi: quella
notte era con Albert, prima che lo investissimo.”
“Albert
era con Lindsey e
Brakner, li ho visti. Non c’era
nessun’altro.”
“Beh,
dev’essere salito
sulla macchina di A dopo essere
sceso da quella di Brakner. Per quanto tempo sei rimasta
lì?”
“Non
molto, sono andata via
subito.”
“E non
hai fatto caso alle
macchine parcheggiate lì vicino?”
“No,
per niente.”
Entrambi
sospirarono,
mentre Chloe metabolizzava ogni cosa. Sam cercò di metterla
in guardia.
“Ascolta,
A ci odia con tutte le sue forze
perché
abbiamo ucciso Albert. Ma ci odia anche per un’altra cosa...
solo che, di
questa cosa, noi ne siamo responsabili.”
Chloe si
voltò verso di
lui, gli occhi leggermente sgranati: sapeva di cosa stesse parlando.
“Ehm…
- temè nel dire la
verità – Quindi A è
una persona
legata ad Albert?”
“Noi
sospettavamo di
Brakner, ma a questo punto non sappiamo chi sia.”
Il suo cuore
battè sempre
più forte, Chloe faticava quasi a respirare: “Sam,
io devo dirti una cosa… - lo
fissò negli occhi con timore – So per che
cos’altro A vi sta
perseguitando…”
Sam
sussultò, perlesso:
“No, non puoi saperlo. Non te l’ho ancora
detto.”
“E
invece lo so.” ribattè
con gli occhi lucidi.
“Oh
mio Dio, Clarke te l’ha
detto? Ti ha detto del bosco?” intuì.
“Lo
sapete, allora…”
abbassò lo sguardo, sentendosi ancora più in
colpa.
“Certo
che lo sappiamo, A ci sta
perseguitando per questo
motivo e ce l’ha detto forte e chiaro; in tutti questi mesi
abbiamo cercato di
fargli capire che eravamo innocenti, finchè non abbiamo
scoperto che era Clarke
il complice di Anthony in quel bosco. – la giudicò
– Se sai di Clarke, come hai
potuto continuare a frequentarlo dopo quello che hai saputo su di
lui?”
Quella scosse la
testa:
“Non è Clarke il complice di Anthony, lui non
c’entra nulla… - non riuscì a
trattenere le lacrime, la voce soffocata – Sono io la
complice di Anthony!”
rivelò.
Sconvolto, Sam
si alzò dal
sofà in un solo scatto, sgranando gli occhi e restando a
bocca aperta; quasi
vollè svenire: “No, non può
essere… Ti prego, non tu…”
“Invece
è così!”
riconfermò, devastata.
L'atmosfera si
congelò
all'istante.
*
Clarke, intanto,
arrivò nei
pressi del Rosewood community park, scendendo dalla sua macchina; non
c’era
anima viva lì intorno.
Aspettò
diversi minuti,
controllando continuamente il telefono. Improvvisamente, vide qualcuno
camminare dall’altra parte della strada; portava un cappuccio
nero in testa,
non si scorgeva il volto. Clarke restò a fissarlo, mentre
quello era fermo
davanti alla fermata dell’autobus con la testa bassa.
Una macchina
arrivò proprio
in quell’istate, ad una certa velocità,
abbagliando la stradina;
l’incapucciato, sotto gli occhi di Clarke, iniziò
ad attraversare la strada.
Immaginando il
peggio,
Clarke avanzò di un passo e urlò al ragazzo:
“EHI! – ma quello non si fermò,
mentre la macchina andava spedita – EHI, STAI
ATTENTO!”
Ma
l’incappucciato continuò
a camminare, colpito da quell’auto, che sfrecciò
via senza fermarsi: il ragazzo
rimase steso sull’asfalto.
Clarke,
sconvolto,
attraversò la strada di corsa, raggiungendolo.
“Ehi,
mi senti? – si
inginocchiò a sincerarsi delle sue condizione, pigiando due
dita sulla
giugulare – Tranquillo, ora chiamo
un’ambulanza!” e prese il telefono,
iniziando a digitare il numero.
In quel momento
di
distrazione, l’incappucciato si sollevò di scatto
e infilò l’ago di una siringa
nel collo di Clarke: si trattava di Rider.
Quello
sgranò gli occhi,
riuscendo a dire qualcosa poco prima di perdere i sensi: “Ma
che…???”
Rider
frugò nelle sue
tasche, recuperando le chiavi della macchina; Eric tornò
indietro a piedi, dopo
aver investito l’amico qualche attimo prima.
“Potevi
andarci piano, per
poco non mi investivi sul serio!” gli lanciò le
chiavi, guardando entrambi i
lati delle strade per assicurarsi che non stesse arrivando nessuno.
“Scusa
tanto se non ho mai
investito qualcuno per finta!” esclamò Eric con la
voce tremolante, aiutando
Rider a portare Clarke fino al bagagliaio della macchina.
“L’importante
è che sia
andata bene, è stato facile!” ribattè
Rider con l’affanno, dopo che l'avevano
caricato.
“Lo
dobbiamo legare?”
domandò, mentre lo osservavano a sportello aperto.
“Non
abbiamo tempo,
potrebbe arrivare qualcuno. Lo faremo nel bosco, tanto
dormirà per un bel po’
di ore; non c’è pericolo che si svegli
all’improvviso. – suggerì, chiudendo il
bagagliaio – Avvisa Sam e Nat!”
Eric prese
subito il
telefono, mentre aprivano i rispettivi sportelli per entrare in
macchina e
partire.
Non molto
lontano da loro,
Wesam vide tutta la scena, con il telefono all’orecchio.
“Tu
non immagini cosa ho
appena visto…” riferì a Julie,
sconvolto.
*
Nel frattempo,
Sam era
ancora in piedi davanti a Chloe, facendo avanti e indietro con
nervosismo.
“No,
ti prego, dimmi che
stai scherzando. Ti prego, Chloe.”
“Anthony
mi ha fregata, non
avrei mai acconsentito a stare dietro a quella telecamera a riprendere
ciò che
stava facendo a quelle persone.”
“Dimmi
che Albert non è
stato in quel bosco…” volle saperlo, terrorizzato
dalla risposta.
Chloe
anticipò quella
risposta con un’espressione ormai pallida:
“L-lui… - balbettò, spaventata
– Sì,
lui c’è stato.”
Sam si mise le
mani nei
capelli: “Oh mio Dio… - subito la prese per le
spalle, facendola alzare in piedi
– Chloe, non possiamo più restare qui. Devo
portarti via. ORA!”
“C-che
vuoi dire?”
“A ti ucciderà, ok?
– tremò la voce anche a lui, terrorizzato
– Devi
sparire, ti aiuterò.”
“Ma
non posso sparire, sei
impazzito?”
“Ha
ucciso una persona,
Chloe! – la scosse, sperando di aprirle gli occhi –
L’ha fatta a pezzi e ci ha
chiesto di seppellirla nel bosco, d’accordo? Lui ha capito
che il complice di
Anthony non è nessuno di noi e ci sta torturando da
settimane affinchè glielo
consegnassimo.”
L’altra
continuò ad inorridirsi,
la mano nuovamente davanti alla bocca: “Oh mio Dio, non dirmi
che l’omicidio
annunciato oggi al notiziario è…???”
“Sì,
parlavano dell’uomo
che abbiamo seppellito. Tu non hai idea di quanto siamo fottuti; ti ho
tenuta
distante anche per questo, la mia vita è una totale follia!
“Sam,
voglio spiegarti!” si
sentì in dovere di farlo, visto che non sapeva cosa pensasse
l’amico di lei;
non voleva essere considerata uguale ad Anthony.
“Non
adesso, vado a
prendere le chiavi della macchina. A potrebbe
aver messo dei microfoni in casa mia, dobbiamo andarcene!”
“Ma
dove andiamo?” lo
rincorse, mentre quello cercava le chiavi in cucina, facendo cadere
delle cose.
“Lontani
da quel mostro,
fidati di me!”
Arresa e
spaventata, Chloe
annuì ripetutamente. Trovate le chiavi, poi, lasciarono
l’abitazione in fretta
e furia.
*
Alla guida della
sua auto,
Wesam stava seguendo Eric e Rider lungo l’autostrada fuori
Rosewood; a debita
distanza per non farsi beccare, era ancora al telefono con Julie.
“Pensano
che il fratello di
Anthony sia suo complice, Sam non mi ha mai accennato niente di lui. E
nemmeno
di questo piano folle.”
“Forse
non te l’ha detto,
proprio perché è folle. Sono così
disperati da rapire una persona e drogarla?”
“Devo
stargli addosso,
prima che facciano una sciocchezza.”
“Tipo
farlo a pezzi?”
“N-non
credo, Julie… - lo
trovò troppo azzardato ed inquietante - Sam e gli altri
volevano scoprire chi
fosse il complice ed indicarlo ad A,
ma non avevo idea che avessero intenzione di rapirlo.”
“Dove
credi che stiano
andando?”
“Non
lo so, ma non mi
piace…” continuò a tenere
d’occhio la loro auto.
“Oh
oh! – tuonò Julie, dopo
essere rimasta in silenzio per diversi secondi – Non ti
piacerà nemmeno
questo!”
“Cosa?
Che succede?”
“Sam
sta lasciando la
città, sto ancora monitorando il suo telefono.”
“Sta
arrivando dietro di
me? Forse sta raggiungendo i suoi amici…”
“Veramente
sta andando
dalla parte opposta alla vostra, ha imboccato l’autostrada
est!”
“Cosa?”
sussultò, frenando
bruscamente; fece immediatamente inversione.
“Cos’era
quel rumore?”
“Si
sta muovendo
velocemente?” domandò, accellerando
progressivamente per raggiungerlo.
“A
giudicare da come si
muove il puntino sul monitor, direi che ha una gran fretta.”
Wesam era in
pensiero: “Sta
succedendo qualcosa…”
*
Contemporaneamente,
sull’autostrada est, Sam stava quasi superando i limiti di
velocità pur di
allontanarsi da A e proteggere la
sua amica.
Chloe stringeva
la cintura
che le passava in mezzo al seno, rigida per la paura: “Sam,
stai andando troppo
veloce.”
“Lo
so, ma dobbiamo
allontanarci il più possibile!”
“Ma
dove andiamo?”
“Ovunque,
tranne che qui… -
lanciò un’occhiata al suo telefono, sul cruscotto,
che prese – Buttalo! –
ordinò a Chloe – Butta anche il tuo telefono, lui
può fare delle cose, può
rintracciarci.”
“Sei
serio?”
“Chloe,
ti ho detto di
buttarli! – urlò – So di cosa
è capace, tu non hai idea.”
Ansimando, Chloe
abbassò il
finestrino e gettò fuori i loro telefoni.
“Sto
iniziando ad avere
paura, Sam… - fece fatica a deglutire – A
vuole uccidermi, ma io non ho fatto niente.”
“Perché?
– le domandò –
Perché ti sei unita ad Anthony?”
“Te
l’ho detto, mi ha
fregata. Solo che… era troppo tardi, quando me ne sono
accorta.”
FLASHBACK
“Ci
siamo conosciuti per la prima volta,
tre anni fa. Era quasi settembre, l’estate era agli
sgoccioli; quella volta ero
venuta qui con mia madre per passare qualche settimana di vacanza dai
miei zii.
C’era anche Stacy, la mia sorellastra. Non la sopportavo
più, così sono stata
fuori casa per quasi tutto il pomeriggio; sono andata al Brew, ed
è stato lì
che l’ho conosciuto.
Lui
era al computer, seduto ad uno dei
tavoli; io ero seduta al tavolo di fianco: ci lanciammo una serie di
sguardi,
fin da subito, finchè non venne a sedersi davanti a
me.”
“Sei
nuova,
non ti ho mai vista qui.” esordì con un sorriso
cordiale.
Chloe
rimase
assai sbigottita: “Non pensavo che mi avresti rivolto la
parola, sono
sorpresa.”
“Pensavi
che
fossi uno di quei ragazzi che ti lancia quattro occhiate e poi non
trova il
coraggio di venirti a parlare?
“A
dir la
verità, no. Sei un bellissimo ragazzo, pensavo solo che
avessi standard più
alti.” rise per sdrammatizzare, dimostrando di avere una
scarsa autostima di sé
stessa.
“Stai
per
caso dicendo che non sei al mio stesso livello?”
“No,
lo dice
la legge universale per il quale un ragazzo perfetto nota solo le
ragazze
perfette.”
Anthony
si
fece più avanti, risoluto: “Lascia che ti sveli un
segreto… - sussurrò, a pochi
centimetri dal suo viso – Qui a Rosewood, le cose funzionano
diversamente: a
volte, il ragazzo perfetto può notare la ragazza che si
sente imperfetta… ma
che è perfetta per lui.”
Chloe
arrossì, sudò, quasi le mancava il fiato:
“Ehm… immagino che Rosewood sia un
bel posto dove vivere, se le cose funzionano in modo diverso da come
funzionano
nel mondo reale.”
“Ha
i suoi
difetti, ma non si lascia dimenticare così
facilmente.”
“Vorrei
poterci vivere…”
“Quindi
non
sei di queste parti?”
“South
Dakota! Sono qui in vacanza dai miei zii con mia madre e… -
assunse un
espressione ripugnata – la mia sorellastra!”
“Non
andate
d’accordo, eh?”
“Diciamo
che
se la casa andasse a fuoco e io fossi priva di sensi, mi lascerebbe
lì senza
nemmeno chiamare aiuto; sarebbe capace persino di scattarsi un selfie
davanti
alla casa in fiamme: non so se rendo l’idea!”
“L’ha
avuta
con il suo nuovo marito?”
“Ehm,
no, lei
è solo figlia del nuovo marito e del suo precedente
matrimonio. Oltre lei, ci
sono Kevin e Sophia; nemmeno loro sono miei grandi fan…
– si ammutolì,
improvvisamente triste – Ovviamente non ci ho potuto fare
nulla; dopo che mio
padre ci ha lasciate, ho dovuto seguire mia madre in questa follia che
lei
chiama amore.”
Anthony
annuì: “Capisco…”
“Fortuna
che
Stacy andrà al college l’anno prossimo: meno uno
che mi odia!”
“Ma
gli altri
due restano, no? Ti toccherà subire loro, ancora.
– pensò, per poi interessarsi
a ciò che stava facendo – Cosa
c’è sul computer? Ho notato che eri molto
indaffarata.”
Quella,
entusiasta del suo interessamento, girò il computer verso di
lui: “Niente, sto
montando alcuni video che ho girato. Mi piace filmare.”
svelò, orgogliosa del
suo passatempo.
Anthony
avviò
uno dei suoi filmati, che mostrava 365 albe in sei minuti. Chloe
spiegò subito
di cosa si trattasse.
“Ogni
giorno,
per un anno, ho filmato il sole che sorgeva; poi ho montato tutto
insieme ed è
venuto fuori che… nessuna alba è mai uguale
all’altra. – ne parlò con un
sorriso genuino – Tutte così diverse e tutte
così uniche.”
“Qui
ci sono
molti video, vorrei vederli tutti; sembri una ragazza in
gamba!” esclamò,
sorridendole.
“Se
lo dici
tu!” sorrise a sua volta, piacevolmente colpita dai suoi
complimenti.
Improvvisamente,
Anthony si mostrò riflessivo: “Hai mai pensato di
dire a tua madre che quella
vita che si è scelta, non è la vita che vuoi
tu?”
“Sempre,
a
dire il vero. La verità è che non ho un altro
posto dove andare, sono
minorenne.”
“Potresti
vivere dai tuoi zii!” le suggerì.
“La
mia vita
è nel South dakota, mia madre non farà mai questo
passo.”
“Lei
sa
perfettamente che tu e tuoi fratellastri non vi piacete, no?
– quella annuì, ascoltandolo
– Beh, forse ha bisogno di una spinta in più per
capire che c’è davvero un
problema che va risolto.”
“E’
stato in quel momento
che Anthony mi ha fatto un favore. – raccontò
– Grazie a lui, mia madre ha
deciso di farmi vivere qui a Rosewood… - si
mostrò affranta - Non avrei mai
immaginato che un giorno me ne sarei pentita.”
“Che
favore ti ha fatto?”
domandò Sam, mentre guidava.
“Ha
conosciuto Stacy, in
qualche modo, poi l’ha invitata ad una mega festa di qualche
suo amico;
ovviamente lei non rifiutò, non vedeva l’ora di
riempire i social e far morire
d’invidia chiunque la seguisse su Instagram o Facebook.
– spiegò – Quel giorno
ero con lei, quindi invitò anche me, fingendo di non
conoscermi; Stacy non potè
aprire bocca, malgrado non mi volesse tra i piedi, ma quel giorno fece
buon
viso a cattivo gioco pur di partecipare a quella festa. – poi
fece una
considerazione – Non avevo ancora capito quanto Anthony fosse
scaltro e
macchinatore, finchè non chiese a dei suoi amici di far
ubriacare Stacy fino al
limite.”
“Poi
che è successo?”
“Senza
che io sapessi nulla
dei suoi piani, sono uscita da quella casa e ho scoperto che Stacy se
n’era
andata via con quei ragazzi senza di me; aveva promesso a mia madre che
non mi
avrebbe mai persa di vista, dato che lei è più
grande di me… A quel punto mi
sono avvicinata alla strada, cercando di contattare mia madre, e
all’improvviso
una macchina ha frenato accanto a me; dalla vettura è sceso
un tizio con il
passamontagna che mi ha afferrata e addormentata con il
cloroformio… - lo
rivisse come se stesse accadendo in quel momento, un espressione
terrorizzata –
Quando mi sono risvegliata, sdraiata sui sedili posteriori di
quell’auto, il
mio rapitore era seduto sul sedile accanto al guidatore, con il
passamontagna
fra le mani: era Anthony. Mi aveva fissata per tutto il
tempo.”
FLASHBACK
Chloe
si
risvegliò lentamente, stordita. Solo quando vide il volto di
Anthony, tornò
lucida, sollevandosi con uno scatto; lui la osservò con un
sorriso cinico,
quasi divertito, ma, soprattutto, era calmo.
“Dove
siamo?
– reagì con nervosismo e distacco – Sei
stato tu a rapirmi?”
“Non
si vede,
Chloe?” sottolineò con un sollevamento delle
sopracciglia, invitandola a
guardare con attenzione la situazione.
“Sei
impazzito? Mi hai drogata!” urlò.
“Direi
che
addormentata è la parola più adatta per questo
contesto, Chloe: vieni drogata
quando ti stuprano, non quando ti rapiscono per finta.”
Chloe
si
guardò subito la parte inferiore del corpo, abbassandosi
meglio la gonna; non
sapeva a cosa credere.
Anthony
roteò
subito gli occhi, seccato da quel comportamento diffidente:
“Oh Dio, pensi
davvero che ti abbia stuprata? Dovresti capirlo da sola se è
successo qualcosa,
oppure no…” insinuò che fosse vergine.
Quella
abbassò lo sguardo, a disagio; sembrò credergli,
più calma: “Perché l’hai
fatto?”
“Beh,
a tua
madre serviva una spinta, no? Eccola, è questa! Tua madre
farà in modo che tu e
Stacy non viviate più sotto lo stesso tetto, se te la giochi
bene. Ora torniamo
a Rosewood, ti porto alla centrale e racconteremo di come ti ho
seguita, dopo
aver visto che ti rapivano, e di come sei saltata giù
dall’auto del tuo
rapitore e io ti ho salvata. – spiegò come si
spiega un gioco da nulla –
Ovviamente dirai che non hai visto il volto di chi ti ha rapita e bla
bla bla,
la cosa verrà archiviata come tutte le altre cose che la
polizia di Rosewood
non è capace di risolvere.”
Chloe,
totalmente senza parole, si limitò a spalancare la bocca,
sconvolta: “Ma fai
sul serio?”
“Ti
consiglio
di uscire dalla macchina e rotolarti un po’
nell’erba: scompigliati un pochino,
altrimenti non sembrerà credibile la tua caduta
dall’auto. – le sorrise,
fancendole ancora un appunto – Ah, prego! E benvenuta a
Rosewood!” continuò a
sorriderle, indifferente a quella follia che aveva macchinato, mentre
l’altra
aveva un espressione letteralmente scioccata.
“Non
immaginavo fosse
malato fino a quel punto…” pensò Sam,
profondamente turbato e incredulo.
“Nemmeno
io, ma quello era
niente a confronto di quello che ha fatto in quel bosco.”
“So di
Rosewood-riservato, A ci ha
accennato qualcosa. Siamo
riusciti a parlare anche con un ragazzo di nome Quentin, è
stato nel bosco dove
Anthony l’ha portato e ci ha raccontato tutto.”
“Ha
detto qualcosa su di
me? – entrò nel panico - Sa che ero
lì?”
“Se lo
sapesse, non sarei
così tanto sorpreso che tu fossi la complice, non credi? Me
l’avrebbe detto di
una biondina con i capelli corti che regge una telecamera.”
“Te
l’ho detto, io e Clarke
pensiamo che A sia qualcuno che
Anthony ha portato in quel bosco, o magari un amico o un parente di chi
ci è
stato e che è in cerca vendetta. – condivise le
sue ipotesi – Il giorno in cui
ho letto quel messaggio sul tuo telefono e ho visto la firma di A, ho pensato che foste minacciati
perché l’unico che si firmava così era
Anthony; scriveva dei messaggi a quelle
persone, firmandosi con la sua iniziale, poi le attirava in una
macchina, le
drogava e le portava nel bosco.”
“Sì,
Quentin me l’ha
raccontato.”
“Il
punto è che non
sospettavo di Anthony perché era morto, ma adesso mi viene
da pensare che…
possa essere lui A, visto che
è
vivo.” pensò, nonostante fosse confusa.
“No,
non è lui. Quando io e
miei amici abbiamo scoperto che era vivo, abbiamo ipotizzato che
potesse essere
A, ma molte cose non coincidevano:
sarà malato, ma non ai livelli di A,
credimi.”
“Ma
allora chi è?”
“Non
lo so, ma per il
momento dobbiamo allontanarci da questa città.”
Sam
osservò il suo
telefono, poggiato sul cruscotto; i suoi amici erano alle prese con il
rapimento di Clarke e ancora non avevano dato loro notizie. Nonostante,
però,
avesse scoperto che in realtà è Chloe la
complice, Sam decise di non avvertirli
dell’errore, sperando di guadagnare più tempo
possibile per salvare la sua
amica.
Improvvisamente,
alle loro
spalle, comparì un auto misteriosa, che iniziò a
giocare con gli abbaglianti.
Chloe si
voltò, era
impossibile non notare ciò che quell’auto stava
facendo: “Ma che diavolo...???”
Quella
accellerò,
allarmando anche Sam: “Non può essere…
- osservò attraverso lo specchietto
retrovisore – Credo sia A!”
“Ma
come ha fatto a
scoprire che stavamo lasciando la città??” non si
spiegò Chloe.
“A sa sempre tutto, è sempre
un passo avanti a noi. – iniziò ad
accellerare anche lui – Dobbiamo seminarlo.”
L’altra
continuò ad
osservare l’auto, terrorizzata, mentre A
era intento a fare qualcosa.
“Sam,
ha appena abbassato
il finestrino, sta facendo uscire qualcosa!” lo
avvertì.
“Sto
andando il più veloce
possibile, ma anche lui è veloce.”
I due non
poterono
aggiungere un'altra parola, una
serie di proiettili iniziò a colpire la loro auto.
“Chloe,
sta giù!” le urlò
Sam, abbassando lui stesso la testa.
“Oh
mio Dio, ma ci sta
sparando!”
Sam
cercò di mantenere la
calma, spostando lo sguardo fra ciò che aveva davanti e lo
specchietto
retrovisore: “C’è un’uscita
alla fine di questa strada, prendo quella e provo a
seminarlo. Tu resta giù!”
“D’accordo!”
esclamò
quella, comprendosi la testa con le mani e tenendo gli occhi chiusi per
la
paura.
Sfortunatamente
per loro,
la seconda serie di colpi andò a segno su una delle ruote;
Sam frenò
bruscamente, finendo per ribaltarsi più volte
sull’asfalto, distruggendo
l’auto.
*
Intanto, Eric e
Rider erano
giunti nel bosco, trasportando Clarke sopra un piccolo carretto.
Osservando la
posizione esatta dell’ex covo di Anthony sul tablet, Rider
non dovette fare un
passo in più: di fronte a loro si poteva benissimo scorgere
la recinzione di
cui parlò Quentin.
“Siamo
arrivati, dobbiamo
entrare lì dentro…” disse ad Eric,
cercando con gli occhi un ingresso.
“Facciamo
in fretta, non
vorrei che si svegliasse.” si preoccupò
l’atro, affannato dal peso che stava
trascinando.
Rider
iniziò a camminare
per conto suo, seguendo la recinzione per tutto il suo perimetro. Eric
lo
seguì, tirando il carretto, pieno di perplessità.
“Credi
che A sia già
arrivato?”
“Francamente,
non ne ho
idea. Questo posto è sconfinato.”
“Io ho
freddo… -
rabbrividì, osservando un gufo svolazzare al chiaro di luna
– Dovremmo essere a
casa nostra a scrivere una brillante lettera per il college, non
qui.”
Rider si
trovò perfettamente
d'accordo, cedendo ad un attimo di tristezza: “A proposito,
come va?”
“Sono
stato rifiutato dalla
maggior parte dei college a cui ho fatto domanda, tranne alla
Dartmouth; quelli
mi hanno ammesso con riserva, solo che non verrò mai amesso
totalmente se la
mia media dei voti continua a crollare vertiginosamente.”
spiegò amareggiato.
Triste per lui,
Rider cercò
di dargli una parola di conforto: “Dai, ancora uno sforzo e
saremo liberi di
studiare, di dormire, di fare tutto quello che vogliamo. Solo un ultimo
sforzo.”
Eric
contemplò loro stessi
in quella situazione così assurda, perdendo quel poco di
fiducia che aveva:
"Come andremo avanti dopo tutto questo? Nonostante sapremo che
è finita,
una parte di noi continuerà a credere che tutto possa
ricominciare di nuovo. -
scosse la testa, impaurito - Non voglio vivere per sempre
così, aspettando che
accada qualcosa da un momento all'altro."
L'altro
sospirò; dentro di
sé, condivideva perfettamente quei timori: "Non abbiamo
alcuni tipo di
scelta, Eric. O accettiamo che questa sarà la nostra vita o
tanto vale prendere
una stanza al Radley... - cercò di dargli coraggio -
Dobbiamo conviverci,
Eric... sperando che la storia non si ripeta da capo."
Eric
annuì, estirpando le
sue preoccupazioni una volta per tutte. Quando si voltò a
guardare verso la
recinzione, gli sembrò di notare un ingresso; subito
sollevò la torcia,
mostrando a Rider ciò che stava guardando.
"Quella mi
sembra
un'entrata!"
Rider
puntò la sua torcia
nella medesima direzione, trovandosi d'accordo: "Lo sembra anche a
me."
I due iniziarono
a tirare
insieme il carretto per fare più in fretta. Quando
raggiunsero l'entrata, si
trovarono davanti ad un catenaccio arrugginito.
"Il lucchetto
è
aperto..." notò Rider, toccandolo con mano.
"A
l'avrà lasciato aperto per noi. - pensò
Eric, nuovamente
irrequieto - E se Nat avesse ragione? E se fosse una trappola?"
"Non dobbiamo
per
forza inoltrarci in questo posto. Lasciamo Clarke e filiamo via."
"Magari uno di
noi
dovrebbe rimanere qui di guardia..." suggerì Eric,
diffidente.
"Sì,
forse hai
ragione. - Rider si sentì diffidente allo stesso modo - Allora vado io, mentre tu
resti qui a fare il
palo."
L'altro
annuì, mentre Rider
prendeva le redini del carretto, varcando con cautela la porta che
l'avrebbe
condotto all'interno di quel posto lugubre e misterioso.
~
Lungo
l'autostrada ad est
di Rosewood, l'auto di Sam era capovolta sull'asfalto, mentre il fumo
si
sollevava dalla vettura e i frammenti di vetro continuavano a staccarsi
dai
finestrini ormai distrutti.
A testa in
giù, con le
cinture di sicurezza che li teneva ancorati ai sedili, entrambi i
ragazzi erano
privi di sensi e il sangue colava dalle loro fronti.
Sam fu il primo
a riaprire
gli occhi, guardandosi attorno, realizzando dove si trovasse in quel
momento;
il panico lo assalì quando noto l'auto di A
ferma a pochi passi da loro. L'uomo non tardò a
scendere dalla vettura,
avvicinandosi a piccoli passi; il respiro di Sam si fece sempre
più rumoroso,
terrorizzato.
A
si
fermò, ad un
certo punto; Sam riusciva a vedere solo le sue gambe, da dove si
trovava.
Sempre più nel panico, provò a liberarsi,
finché una luce non li investì
entrambi, da lontano: stava arrivando un auto.
A, forse per
paura,
tornò in fretta alla sua auto, partendo a tavoletta. Qualche
secondo più tardi,
l'altra auto parcheggiò esattamente dove era parcheggiato A; il conducente scese e fece sentire la
sua voce: era Wesam.
"Sam??"
urlò,
correndo in suo aiuto.
Riconoscendo la
sua voce,
Sam scoppiò in un pianto liberatorio, continuando a
liberarsi dalla cintura che
lo bloccava: "Wesam, tira fuori Chloe, sento odore di benzina!
Aiutaci!" gli gridò.
Wesam si
abbassò a terra,
dov'era il finestrino di Sam; nel contempo notò la benzina
che fuoriusciva
veloce: "Adesso ti tiro fuori, stai calmo!"
"No, prima
Chloe,
VAI!" si oppose.
Wesam,
però, non gli diede
ascolto: "Chiudi la bocca, sto cercando di fare in fretta!" e si
concentrò a liberarlo, entrando dalle portiere posteriori.
Nel giro di un
minuto,
Wesam riuscì a sganciare Sam, che sgattaiolò
immediatamente fuori dalla
macchina, accasciandosi a qualche metro di distanza, tossendo
ripetutamente.
L'altro,
intanto, aveva
difficoltà a liberare Chloe, mentre il tempo stringeva.
In pensiero, Sam
cercò di
scorgere qualcosa, ma il fumo iniziò ad essere
così ingombrante da
compromettere la visuale.
"Wesam, dovete
uscire!
Dove sei? - urlò, in ansia - Dove se-"
Ma non
poté completare la
frase, che l'auto esplose in maniera clamorosa.
Sam fu
letteralmente
folgorato da un'ondata di calore, oltre che da una pioggia di vetri e
pezzi di
metallo. Quando si risollevò, aveva gli occhi letteralmente
sbarrati dallo
choc, convinto che Wesam e Chloe fossero morti; non riuscì
quasi a respirare.
Scena finale
Due ore
più tardi, A stava
camminando nel bosco, di fianco
alla recinzione. Raggiunse l'ingresso del covo di Anthony, dove non
c'era
nessuno; la porta, però, era aperta e il catenaccio era
scivolato a terra; A lo raccolse,
lo infilò nuovamente
attraverso i due fori che c'erano e chiuse il lucchetto.
CONTINUA NEL
DICIANNOVESIMO CAPITOLO
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