Based on Pretty Little Liars: BLACK HOOD I

di SamuelRoth93
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Scheda personaggi ***
Capitolo 2: *** 1x01-I mostri nascono a Rosewood (Parte I) ***
Capitolo 3: *** 1x02-I mostri muoiono a Rosewood (Parte II) ***
Capitolo 4: *** 1x03-Chi c'è nella bara? ***
Capitolo 5: *** 1x05-Obbligo o verità ***
Capitolo 6: *** 1x04-Un brivido lungo la schiena ***
Capitolo 7: *** 1x06-Topi in trappola ***
Capitolo 8: *** 1x07-Le regole del gioco ***
Capitolo 9: *** 1x08-Una serie di sfortunati eventi ***
Capitolo 10: *** 1x09-Punto di rottura (Parte I) ***
Capitolo 11: *** 1x10-La sera del ballo (Parte II) ***
Capitolo 12: *** 1x11-Il mistero degli Stuart ***
Capitolo 13: *** 1x13-Assassini in libertà ***
Capitolo 14: *** 1x12-La mossa del diavolo ***
Capitolo 15: *** 1x14-La quiete prima della tempesta (Parte I) ***
Capitolo 16: *** 1x15-Il lungo sonno (Parte II) ***
Capitolo 17: *** 1x16-L'ultimo dipinto di Edward Blanc ***
Capitolo 18: *** 1x17-Il lato oscuro di Rosewood (Parte I) ***
Capitolo 19: *** 1x18-99 problemi ***



Capitolo 1
*** Scheda personaggi ***


ANTHONY DIMITRI

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ALBERT PASCALI

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RIDER STUART

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NATHANIEL “NAT” BLAKE

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ERIC LONGO

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SAM DAVIS HAVERY

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CHLOE FIZPATRICK

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LINDSAY ELISABETH STUART

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TYLER BLAKE

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COURTNEY JACOBSON

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VIOLET RHIMES

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LISA NELSON/TRECCIOLINE

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MORGAN PATTERSON/RINOCERONTE MARINO

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COLTON RHIMES/ALBUME

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PROF. SEBASTIAN PALMER/INSEGNANTE DI LETTERATURA

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PROF. JULIAN BRAKNER/INSEGNANTE DI MATEMATICA

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ALEXANDRA “ALEXIS” YOUNG

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CLARKE DIMITRI/FRATELLO DI ANTHONY

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JASPER LAUGHLIN

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KEVIN DIMITRI/PADRE DI ANTHONY

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AMANDA DIMITRI/MADRE DI ANTHONY

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CARTER HAVERY/PADRE DI SAM

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RICHARD STUART/PADRE DI RIDER

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ELLEN STUART/MADRE DI RIDER

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JENNIFER LONGO/MADRE DI ERIC

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CLAIRE BLAKE/MADRE DI NATHANIEL

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GEORGE BLAKE/PADRE DI NATHANIEL

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DENNA MARX/PROFESSORESSA DIPARTIMENTO INGEGNERIA ELETTRONICA

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BRIANNA SANTONI/STUDENTESSA ROSEWOOD HIGH SCHOOL

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JAMIE PAXTON/ASSISTENTE MANAGER RISTORANTE DEI BLAKE

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PETE DOWLING

CAMERON ASHCROFT/STUDENTE ROSEWOOD HIGH SCHOOL

JULIE ORLANDO/SORELLASTRA DI DENNA MARX

WESAM GRIMES/PSICOLOGO



NORA YOUNG/MADRE DI ALEXIS

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PRESTAVOLTO DEI PERSONAGGI

 

 

Todd Regan/Titolare del Brew: Craig Horner.

Daniel Longo/Padre di Eric: Scott Patterson.

Tasha Danvers/Cugina di Rider: Taylor Swift.

Quentin Weller: Rami Malek.

Edward Blanc: Simon Baker.

Detective Michael Costa: Rick Cosnett.

Dashan Raymond: Keiynan Lonsdale.

Norman Anholt: Lorenzo James Henrie.

Ector Sherman: Giacomo Gianniotti.


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Capitolo 2
*** 1x01-I mostri nascono a Rosewood (Parte I) ***


CAPITOLO UNO

“Pilot (Part I)”

 

 

Cosa c’è in loro da renderci tanto diversi? Perché sono seduto qui in mensa, da solo, a guardarli prendere il vassoio del pranzo, quando potrebbero essere loro, qui, al posto mio, a parlare di me? Certo, loro sono affascinanti, intelligenti, atletici, dal sorriso ingannevole e dalle parole persuasive; Insomma, piacciono a tutti i tipi così: Insieme, formano il gruppo perfetto. Nessuno osa mettersi contro di loro. Sono rispettati senza dover fare praticamente nulla e senza pretenderlo. Cosa ho sbagliato? Esclusi alcuni miei difetti fisici e pessime scelte di moda, non ho sbagliato niente; Eppure sono qui: emarginato e preso continuamente in giro.

Anthony Dimitri, invece, nonostante giri per la scuola con quell’aria arrogante e prepotente, è comunque amato e, questo, perchè ha la perfezione dalla sua parte: l’altezza, i suoi capelli neri, così dark, e quel fisico snello ma piazzato allo stesso tempo. Perfetto. Quello che non sa, però, è che la perfezione può essere smascherata e quando vedi le persone per come sono davvero sotto quel velo di apparenza costruita ad arte, ecco che diventano esattamente come te. Non c’è più differenza, diventiamo esattamente uguali e, magari…potrei risultare anche migliore!

 

Il gruppo di ragazzi più popolari della scuola di Rosewood era appena entrato in mensa e, con il vassoio del pranzo tra le mani, si stavano dirigendo ad uno dei tavoli.

Non erano i tipi da tavolo fisso, si sedevano ovunque volessero. Anthony, però, il leader della sua cricca, decise che il tavolo al quale sedersi quel Martedì per pranzare, doveva essere quello occupato da Albert Pascali.

Insieme, si avvicinarono, tenendosi dietro ad Anthony. Dietro alla sua ombra.

 

“Stai occupando il tavolo in cui vogliamo sederci per pranzare. Ti dispiace…lasciarlo!” infierì Anthony, arrogante e con il solito sorriso beffardo, di chi amava deridere il prossimo, cercando subito lo sguardo complice dei suoi compagni per farlo sentire ancora più a disagio.

“Ci sono molti altri tavoli liberi!” replicò Albert, inaspettatamente. Quel sottile tono di ribellione, sembrò rimbombare in tutta la sala, attirando l’attenzione di tutti.

Anthony, accorgendosi di avere tutta la scuola a guardarlo, fece il giro del tavolo, posizionandosi accanto al ragazzo, minaccioso: “Te lo dico per l’ultima volta, - squadrò i suoi abiti da cima a fondo – Maglione della Nonna …TOGLITI-DAL-NOSTRO-POSTO!”

L’altro sorrise, quasi a provocarlo: “Ho detto NO! E mi chiamo Albert, non Maglione della Nonna, ok? Posso anche non aver mai reagito alle tue prepotenze, gli anni scorsi, ma quest’anno non mi lascerò trattare come una pezza da piedi da uno come te!”

Anthony si guardò attorno, notando qualcuno che annuiva e storceva il naso, come a dare ragione al suo avversario. Quella, allora, fu la molla che gli fece perdere la pazienza. L’intera mensa sobbalzò, nel momento in cui prese Albert per la camicia e lo sollevò dalla sedia: “E come sarei io, eh? – poi gli sussurrò qualcosa ad un centimetro dal suo naso – Qui nessuno è dalla tua parte, nessuno si alzerà per difenderti, capito? Le persone che vedi sedute qui intorno, hanno avuto la fortuna di non essere dei totali sfigati come te…E quando non sei uno degli sfigati della scuola, ti piace guardare lo spettacolo!”

Uno dei quattro amici di Anthony, Sam Havery, nell’indifferenza circostante, fece sentire la sua voce, intimando all’amico di fermarsi: “Dai, lascialo perdere. E’ solo un tavolo!”

Naturalmente, non venne ascoltato.

Uno dei professori, appena entrato in sala mensa, non potè non notare la scena. Corse immediatamente a separare i due o, perlomeno, salvare il povero disagiato.

“Dico, siamo impazziti? Fare questo tipo di scenate QUI, nella mensa della scuola, con tutti che vi guardano? – mentre parlava, spostava lo sguardo verso entrambi i ragazzi, poi, solo verso il vero bullo della situazione – sarò costretto a convocare i suoi genitori, Dimitri!”

Quello, immediatamente, impallidì, cercando di non darlo troppo a vedere: “Non credo ci sia bisogno di chiamare nessuno. Non ne vale la pena. E, ora, se non le dispiace, io e i miei amici vorremmo pranzare. – si mossè - Ci spostiamo ad un altro tavolo!

Il professor Palmer, però, non lo lasciò andare via senza un’ultima raccomandazione: “Non voglio più assistere a scene ti questo tipo, intesi? – quello si andò a sedere, seguito dai suoi compagni, senza nemmeno voltarsi - Vedete di non mancare alla mia lezione, alla quinta ora!” e se ne andò, subito dopo essersi accertato che anche Albert si era calmato, risedendosi.

E poi, come in ogni liceo Americano che si rispetti, tornarono tutti a farsi gli affari propri, chiacchierando e mangiando, come se nulla fosse successo; come se il bullismo scolastico fosse di routine.

Nonostante fossero seduti lontano, però, Anthony ed Albert si scambiarono un ultimo sguardo fulmineo.

“Non pensavo che Albert Pascali si sarebbe mai ribellato!” commentò Rider Stuart, ora che erano finalmente seduti a pranzare. Un tipo intellettuale, di piccola statura, gli occhiali neri sulla punta del naso, il capello riccio e castano. Un libro sempre con sé, aperto su una mano, mentre con l’altra usava la forchetta per imboccarsi.

“Beh, ha avuto quello che si meritava: essere umiliato!” esclamò Anthony, ancora livido di rabbia in viso.

“Avete visto il maglione che indossa oggi? Cos’è, hanno aperto un mercatino con i vestiti smessi di Rory Gilmore dal set della prima stagione?” prese parola anche Eric Longo, il tipico ragazzo egocentrico che pensa solo al suo aspetto. Nel parlare, non perse occassione per aggiustarsi i suoi ciuffi biondi sulla prima superficie riflettente che incontrava con lo sguardo. Come quella del vassoio, in questo caso. Il filo di barba in viso lo rendeva ancora più attraente. Si sentiva, attraente.

Sam, invece, meno cinico rispetto ai compagni, snello e fragile, moro e di media altezza, sembrò trovare assurdi i loro discorsi: “Voleva solo pranzare in pace a quel tavolo, non c’era bisogno di umiliarlo!”

L’ultimo di loro, Nathaniel Blake, un tipo da felpe e tutte sportive, moro anche lui e fisico atletico, condivise: “Sono d’accordo, se ne stava per conto suo. Potevi evitare, Anthony!”

Quello, irritato, lanciò un’occhiataccia a tutti e due: “Non ho chiesto la vostra opinione! – guardò male anche gli altri due, che gongolavano per non essere stati sgridati – E nemmeno della vostra. Dovete solamente ascoltarmi!”

Poco dopo, lontano, una ragazza bionda e con i capelli corti, si affacciò alla mensa, facendo cenno con le mani ad uno di quelli seduti al tavolo di Anthony. Quest’ultimo, fu l’unico a notarla.

“Ma guardate, c’è Chloe Friendzoned! Corri, Sammy, corri!” commentò ironicamente, strappando un sorriso ai presenti.

Sam mise in bocca l’ultimo boccone, velocemente. Sempre di corsa, si alzò con il suo zaino, facendo cenno alla ragazza che stava arrivando, poi si girò verso Anthony, seccato dal suo comportamento: “Devi dare un soprannome proprio a tutti?”

“I soprannomi servono a darti una personalità. Senza, le persone sono noiose e anonime!” rispose quello, cinico. Sam se ne andò, non replicando, raggiungendo l’amica.

Non appena uscito dalla mensa, Anthony parlò di lui con gli altri: “Credete che Sammy sia gay?”

Perplesso, Eric, distolse lo sguardo dal touchscreen del suo telefono spento, dentro il quale si stava specchiando: “Non lo so, non ci ho mai fatto caso. Di solito non guardo come si comportano gli altri!”

“Due anni fa ebbe una relazione con quella certa Miranda…” ricordò Rider, sollevandosi gli occhiali scivolati lungo il naso, ancora una volta.

“…Ed è uscito con quella Jane, ricordate? Ha parlato per ore di quell’appuntamento con me e Nathaniel. Vero?” raccontò Eric per poi chiamare l’amico in causa.

“Sì, ma a noi cosa importa alla fine? Perché ne stiamo parlando? E alle sue spalle per di più? Se lo è o non lo è, non deve darci di certo una spiegazione, non siamo degli inquisitori!”

Anthony giocò con la forchetta nel piatto, non pensandola allo stesso modo: “Dico solo che siamo amici. Se è gay, perché non ce lo dice? Mi fa pensare che non si fidi molto di noi. La cosa non vi offende?”

Rider espresse il suo pensiero, non distogliendo mai lo sguardo dal suo libro: “No, non particolarmente. Alla fine si tratta di un segreto: chi non ne ha?”

A quel punto, Anthony osservò Rider, malizioso: “Qualcuno ha appena sottointeso di avere un segreto?”

L’altro gli fece un smorfia: “Non essere ridicolo, dietro alle lenti dei miei occhiali troverai solo due occhi e un cervello che deve studiare tutto il pomeriggio per i test di domani!” e tornò a leggere il suo libro.

Quello, però, lo stuzzicò ancora: “Devo leggere tra le righe?”, ma l’altro si limitò solo ad alzare lo sguardo per un secondo, per poi riabbassarlo subito.

Scocciato da quei discorsi, Nathaniel si alzò: “Io vado, ci vediamo alla quinta ora!”

Anthony, però, intuì che c’era qualcosa che non andava, dall’aria seccata che aveva: “Che c’è, Nat? Ti stiamo annoiando con questi discorsi su Sammy…o Rider, che sembrano avere dei segreti?”

“Non ho segreti, smettila!” replicò l’altro, sbuffando.

“No, voglio solo andare in classe e recuperare dei compiti che non ho ancora svolto. Più tardi ho gli allenamenti di nuoto e non ho il potere di fare matematica sott’acqua!”

Poco convinto, ma senza darlo a vedere, Anthony lo congedò con un sottile cinismo: “D’accordo, come vuoi. Solo…cerca di essere più presente con i tuoi amici, Nat! Non vorrai di certo trasformarti in un asociale come gli altri sfigati che girano a scuola, spero.”

Con un sorriso altrettanto cinico, l’altro replicò: “Tranquillo, sei già più presente tu con noi. Nessuno di noi quattro correrà il rischio di trasformarsi in uno sfigato asociale!” e si voltò, andosene via.

Non contento della risposta, Anthony rimase a guardarlo storto, mentre si allontanavano.

 

*

Nei corridoi, nel frattempo, Sam e la sua amica Chloe stavano cambiando i libri all’armadietto.

 

“Ha fatto dei commenti su di me come al solito, vero?” chiese lei, fissandolo, mentre prendeva i libri.

Distratto, quello chiese: “Chi?”

Sussultò: “Anthony, dico!”

Sam, però, fece il vago: “Ah, lui? No, in realtà parlava di una ragazza che era in mensa!”

Ma Chloe non ci cascò: “Si, certo! Non sono cieca, guardava verso di me e vi sussurrava cose. Almeno mi hai difesa? E’ per colpa sua che sono diventata Chloe Friendzoned!

Esasperato, si arrese: “E va bene, parlava di te! Lui parla di chiunque entri nel suo campo visivo!”

Ora, camminavano per il corridoio.

 “Continuate a stare sempre con lui, come se fosse una calamita che funziona davvero!”

Quelle parole demoralizzarono Sam, in quanto assolutamente vere: “Beh, la calamita funziona ed è anche bella potente. Non ci posso fare niente!”

“E tutto perché non vuoi confessare di quella tua stupida cotta! Se io mi chiamo Chloe Frienzoned, non vuol dire che anche tu avrai la mia stessa sfortuna di essere rifiutato  da tre persone in un semestre!”

“Tu sei stata respinta da tre persone, ma credimi…essere respinto da lui è una batosta che vale quanto i tuoi tre messi insieme! Inoltre, confessare il mio amore per lui, sarebbe come fare coming out con tutta la scuola!”

“Ma lui non è come gli altri ragazzi, Sam. Tra tutto il tuo gruppo di amici, lui è l’unico che non butterei giù dal Daily planet assieme a Loise Lane!”

Sam accennò un sorriso al sarcasmo dell’amica, poi tornò serio: “Non parlo di lui, Chloe. Lui non direbbe mai a nessuno che sono gay, non mi umilierebbe mai. Parlo di Anthony! Lui usa questo mio segreto per tenermi attaccato al suo gruppo perfetto, che si è raccolto attorno. Dal giorno in cui l’ha scoperto, ha potere su di me. E quando Anthony non ha potere su di te, si scatena!”

“Sono sicura che tiene in pugno anche Rider, Nathaniel ed Eric con un segreto. Mi rifiuto di credere che stiano con lui volontariamente!”

“Beh, io so che conosce solo il mio di segreto e non voglio metterlo contro di me. Forse gli altri sono veramente suoi amici, forse non hanno segreti.”

L’altra gli lanciò una lunga occhiata: “Tutti hanno dei segreti, Sam. Persino il mio gatto ha un segreto, ma non lo scoprirò mai perché quando sto con lui se ne sta fermo come una statua e non se ne va da nessuna parte. Si muove soltanto quando non è solo e la mia vita è troppo breve per scoprire cosa nasconde un gatto. – fece una pausa – Comunque, tornando ad Anthony, sappiamo che conosce il tuo segreto e che non perde occasione per minacciarti con toni sottili di rivelarlo in giro, se non rimani suo amico e annuisci ad ogni sua parola. – era indignata - Le amicizie non dovrebbero essere forzate!”

In quell’istante, Sam ricordò il giorno in cui Anthony aveva scoperto il suo segreto: “Beh, all’inizio non è iniziata come amicizia forzata. Voleva soltanto un favore!”

FLASHBACK

Sam si trovava nello spogliatoio della squadra di nuoto, non c’era nessuno, deserto. Soltanto una sottile nube di vapore, proveniente dalle docce, perché qualcuno, infatti, se ne stava facendo una.

Il ragazzo, a passi silenziosi, si avvicinò all’ingresso delle docce, sentendo il rumore dell’acqua che scorreva, sempre più forte. Lì, completamente nudo, Nathaniel Blake, che dopo l’allenamento si stava concedendo una doccia, prima di tornare a casa.

Sam lo trovava bellissimo, i suoi occhi lo ammirarono e restò nascosto ad osservarlo. Il più a lungo possibile.

Improvvisamente, alle sue spalle, arrivò qualcuno: “Ehi, ti sei perso?”

Era Anthony Dimitri.

Sam si spaventò, voltandosi senza fare rumore e rivelare la loro presenza a Nathaniel: “Ehm, stavo cercando il mio armadietto, ho lasciato una cosa!”

L’altro, perplesso, smontò la sua frase: “Il tuo armadietto? Sbaglio o questo è lo spogliatoio della squadra di nuoto? Non mi sembra che tu abbia il fisico di un nuotatore. Inoltre, conosco tutta la squadra e non mi sembra che tu ne faccia parte, o sbaglio? – si rispose da solo, gongolando davanti al suo silenzio – No, non sbaglio!”

Smascherato, Sam non sapeva che dire e Anthony, scansandolo, vide ciò che stava osservando e sorrise: “Nathaniel Blake…Bello, vero? Un fisico perfetto e tutte quelle gocce d’acqua che scivolano sul suo corpo…”

Il povero ragazzo, imbarazzo, deglutì e allo stesso tempo si sentiva quasi un libro aperto: “Io-io non lo so, non stavo guardando. Cioè, sono entrato qui per caso. Io…”

L’altro lo squadrò: “Incredibile come le bugie sembrino ancora più tali, quando si è in imbarazzo e la voce trema, balbetta…Non devi vergognartene!”

“Di cosa?” sussultò.

“Del fatto che stavi ammirando un bel ragazzo sotto la doccia!”

Sam cercò di smentire ancora una volta: “Non lo stavo guardando!”

L’altro gli lanciò una lunga occhiata, aveva capito tutto ormai: “Oh, andiamo, non fare così! Se ti piacciono i ragazzi, per me non è un problema, non devi nasconderlo. Anzi, non lo dirò a nessuno. Però…”

 

“Però, cosa?” l’amica volle sapere come andava a finire il racconto.

“Mi chiese di scoprire se anche un altro ragazzo era gay. Mi indicò chi, ma non era della nostra scuola. Dopo, Anthony sparì completamente, lasciandomi con quel compito. Ovviamente, non sapevo da dove iniziare, poi ho avuto la fortuna di beccarlo su una chat gay, che uso di solito, era in live-cam. Ci ho parlato per qualche notte, poi ci sono anche uscito. Nemmeno di lui sapeva nessuno. Una settimana dopo, poi, Anthony mi ha incontrato per i corridoi della scuola e ha voluto sapere cosa avevo scoperto.”

Curiosa, l’altra chiese: “E…?”

“Gli ho riferito tutto! Che siamo usciti solo una volta e che sembrava un tipo abbastanza chiuso. Sobbalzava ogni volta che passava una macchina, credo di essere stato il suo primo appuntamento!”

Perplessa, Chloe gli chiese ancora: “Perché non me l’hai mai detto? Di questa cosa del favore?”

“Non mi sembrava qualcosa di rilevante!”

Erano arrivati davanti alla classe, ormai.

“Beh, sai che puoi dirmi tutto, sono la tua migliore amica! E come tale, ti consiglio di rivelare a Nathaniel che sei innamorato di lui, così puoi allontanarti da quella cattiva influenza che emana Anthony Dimitri da tutti i pori!”

Sam, però, non era abbastanza forte: “Non è così facile, non è la tua vita che sarà rivoltata come un calzino solo perché tutti sapranno che non sei la persona che credevano!”

“Meglio rivoltare la tua vita come un calzino, che essere il calzino usato di Anthony Dimitri!”

E sulla scia di quel discorso, giunto al termine, i due entrarono per la lezione.

 

*

La campanella suonò nuovamente, si trattava dell’ultima ora. In un aula vuota, Nathaniel se ne stava seduto da solo davanti ad un banco a studiare.

Improvvisamente, qualcuno entrò. Nathaniel si voltò e vide erano Anthony e Rider.

“Ah, siete voi!” esclamò, per poi tornare a fare ciò che stava facendo.

“Allora era vero che dovevi fare i compiti!” notò Anthony.

L’altro, distaccato, ribadì: “Ve l’avevo detto, ho gli allenamenti di nuoto questo pomeriggio. Domani c’è il test di biologia e praticamente conosco solo il titolo del libro!”

“Potevi chiedermi aiuto, io sono preparato!” si intromise Rider, sedendosi e poggiando la sua tracolla sul banco, esausto.

Nathaniel rimase sorpreso davanti a quell’offerta d’aiuto: “Non sono uno che ama studiare in gruppo, ma grazie lo stesso…”

“Dai, insisto. Siamo amici, no?” continuò Rider.

Anthony lo sollecitò: “Sì, siamo amici, ha ragione! Fatti aiutare. A volte penso che l’unico filo conduttore di questo gruppo sia io e che senza di me, siate dei completi estranei.

Rider e Nathaniel si guardarono, di fronte a quel commento.

Alla fine, quest’ultimo, cedette: “D’accordo, Rider. Che ne dici di stasera alle otto, quando sarò di ritorno dagli allenamenti? Sempre che per te non sia un problema!”

L’altro si dimostrò disponibile: “Assolutamente si, abitiamo a tre isolati di distanza. Non mi costa nulla e poi aiutarti mi servirà come ripetizione per il test di domani!”

Anthony, ne uscì contrario: “Alle otto di stasera? Perché non adesso?”

“E’ la quinta ora, c’è la lezione del Professor Palmer, ricordi? ” lo incalzò Rider.

“Già, ricordi cosa ha detto in mensa? Che ci vuole tutti in classe alla sua lezione!” aggiunse Nathaniel.

Anthony prese in mano il telefono, scrivendo dei messaggi e ignorando quello che stavano dicendo.

“E io dico che possiamo saltarla quella lezione!”

Rider, curioso, domandò: “A chi stai scrivendo?”

“Ho scritto a Sam ed Eric di raggiungerci!”

Nathaniel scosse la testa, basito: “Ma non hai sentito quello che abbiamo appena detto?”

Quello sbuffò, roteando gli occhi: “Rilassati, non ci cascano le teste se ci perdiamo un’ora dei suoi racconti su Giovanna D’arco e la sua guerra dei trent’anni. – parlò tra sé e sé, poi – Dio, quanto odio i nuovi insegnati che credono di poter fare la differenza!”

Qualche secondo dopo, Rider trovò opportuno correggerlo su quanto detto su Giovanna D’arco, pignolo: “Veramente, sono dei cent’anni! E’ la guerra dei cent’anni!”

Anthony gli lanciò un’occhiataccia, irritato: “Sono comunque tanti, ok? Non mi meraviglio che sia morta decapitata!”

Rider, imbarazzato, lo corresse ancora una volta: “Ehm, veramente l’hanno bruciata sul rogo! Forse ti confondi con Maria Stuarda di Scozia…”

Anthony gli lanciò l’ennesima occhiataccia, costringendolo ad abbassare lo sguardo, placata, poi, dall’arrivo degli altri due compagni.

“Ehi, che succede?” esordì Sam, entrando.

“Perché siete qui? Pensavo foste già in classe!” aggiunse Eric.

Il loro leader, tranquillamente seduto a messaggiare, li aggiornò subito: “Salteremo quella lezione, oggi. Rider deve aiutare Nat a studiare per il test di biologia di domani!”

Sam si scambiò un rapido sguardo con gli altri, confuso: “Ma il Professor Palmer ha detto che…”

Anthony, però, non lo lasciò completare, alzando la voce: “Sò cos’ha detto il Professor Palmer, ma noi non ci andremo lo stesso. – fissò tutti, uno alla volta, minaccioso - Intesi?”

Dopo quello sguardo, nessuno più si oppose, stranamente. Anzi, Rider si sedette accanto a Nathaniel per aiutarlo e gli altri presero una sedia e si sedettero, restando in silenzio. La parola di Anthony, dettava legge all’interno del suo gruppo.

Calmati i dissensi, Anthony girò per la classe, avvicinandosi all’armadietto che c’era accanto alla lavagna. Lo aprì e dopo averlo scrutato a fondo, scoperchiò una scatola polverosa. Da essa, ne tirò fuori una vecchia telecamera, altrettanto polverosa, sulla quale ci soffiò sopra.

“Ehi, guardate che cosa ho trovato!”  la mostrò agli altri.

Eric accennò un finto sorriso d’interesse: “Sembra vecchia, chissà da quanti anni è chiusa lì dentro!”

“Ma la sai usare, almeno?” commentò Sam, osservandolo pigiare i tasti.

Suscettibile, Anthony esclamò: “Sò usare una stupida telecamera, ok?”

“Direi che non c’è dubbio, l’hai appena accesa. La lucetta rossa sta lampeggiando!” fece notare Rider.

Entusiasta, Anthony la visionò meglio: “Bene, non è rotta. Però sembra non esserci nulla dentro…”

“Sto cercando di studiare!” si lamentò Nathaniel, sospirando.

L’altro lo ignorò completamente, eccitato all’idea di volerla usare: “Ci registriamo sopra qualcosa? – incontrò lo sguardo di ognuno di loro, in cerca di approvazione – Eh?”

“Del tipo?” Eric ful il primo a prendere parola.

Nathaniel si lamentò nuovamente: “Cosa non avete capito della frase: sto cercando di studiare ?” 

Fu ignorato ancora, mentre Anthony rispondeva ad Eric: “Parliamo degli sfigati della scuola, di cosa pensiamo di loro! Forza, sarà divertente!”

Tutti si guardarono, non molto presi dall’idea.

Sam disse anche la sua, trovando stupida l’idea: “Perché dovremmo farlo?”

“E perché non dovremmo? Insultiamo quelli come loro, in faccia, ogni giorno. Farlo alle loro spalle cambia qualcosa? – ancora una volta si rispose da solo – NO, perciò se dico che dobbiamo farlo, allora LO FACCIAMO!” rispose Anthony, assumendo nuovamente lo sguardo minaccioso su tutti.

Nessuno sembrò voler discutere nemmeno questa volta, intimoriti.

“D’accordo, da chi dovremmo iniziare? In fondo, non ho altro da fare!” fu sarcastico, Nathaniel. Era chiaramente seccato di non poter completare il suo studio in santa pace.

Divertito, Anthony puntò la telecamera proprio verso di lui: “Ok, adesso sta registrando, parliamo di Morgan Rinoceronte marino!

“Ehm, cosa potrei dire su di lui? – l’amico gli fece cenno di improvvisare – E’ il pezzo grosso della squadra e con pezzo grosso non mi riferisco al fatto che sia un astronascente del nuoto, ma grosso inteso come grasso!”

Anthony rise, gli sembrò una battuta divertente, anche se Nathaniel stava solo parlando a vanvera per compiacerlo.

Tuttavia, continuò: “Suo padre ha costretto il coach a farlo entrare in squadra, ma non sa che suo figlio fatica ad arrivare a metà vasca. Morgan usa la palestra quattro volte a settimana, arrivando a scuola un’ora prima degli altri studenti per allenarsi e perdere peso e… - Anthony suggerì con il labbiale, di esagerare – Una volta l’ho visto scivolare per terra, dopo che era risalito dalle scalette della piscina. Sarebbe stato esilarante se qualcuno l’avesse visto! E se qualcuno sapesse che sta cercando di dimagrire, riderebbe, dal momento che lo si vede ingozzarsi a pranzo e nei corridoi, continuamente!”

Anthony rise di gusto, spostando, poi, la telecamera su Eric. Era il suo turno.

“E di Treccioline ? Che mi dici?” gli chiese.

“Lisa Nelson? Beh, mi corre dietro da anni e mi da leggermente fastidio quando mi fissa nei corridoi. Sembra Lindsay Lohan appena uscita di galera con quello sguardo da psicotica!”

“Leggermente fastidio?” lo spronò Anthony.

“Ok, MOLTO fastidio! Come pensa di conquistarmi se viene a scuola conciata come Pippi calzelunghe? Non l’ho mai vista un giorno senza quelle dannate trecce ai capelli! E’ patetica, ma non lo vuole capire. Io cerco sempre di essere gentile con lei, ma…Cavolo, tuo padre è molto ricco, pagati una seduta di bellezza e un appuntamento dal parrucchiere. – ormai ci stava prendendo gusto - L’ultima volta che mi ha visto, si stava quasi soffocando con una mentina per passare accanto a me e salutarmi. Si stava letteralmente preparando al mio arrivo! Insomma, chissà per quanto tempo è rimasta appoggiata a quell’armadietto, aspettando che io arrivassi. La cosa più buffa è che nessuno si è accorto che stava soffocando!”

Anthony era sempre più divertito, non voleva fermarsi: “Forte, questa mi è piaciuta! – rise di gusto – Sotto a chi tocca: avanti Sam!”

E continuarono a registrare, ignari che dietro alla porta, Albert Pascali si era fermato ad ascoltare tutto quello che dicevano.

 

*

Usciti dall’aula in cui si trovavano, Anthony si era diviso dal resto del gruppo assieme a Rider, pronti a tornare a casa.

 

“Mi accompagni a prendere una bottiglietta d’acqua dal distributore, prima di andare?” chiese Anthony, all’amico.

L’altro annuì, facendo un commento: “Beh, ci credo che hai sete, con tutte le cattiverie che hai detto davanti a quella telecamera! Hai parlato male anche dei non-sfigati, ti rendi conto?”

Quello gli lanciò una lunga occhiata: “Non solo gli sfigati mi danno fastidio in questa scuola, Rider!”

Poi, mentre camminavano, Anthony osservò nuovamente l’amico, sempre distratto dallo stesso libro che leggeva a mensa: “La vuoi smettere di leggere in continuazione? E’ snervante!”

“Leggere mi distrae e un buon libro è sempre la miglior compagnia!” rispose con tono sottile, senza staccare gli occhi dalle pagine.

L’altro, riflettè su una sua potenziale insinuazione: “Stai dicendo che un libro è migliore di me?”

“No! Quello che sto dicendo è che ho mal di testa e che un libro non parla!”

Anthony si arrese, trovandolo stupido: “Fa un po’ come ti pare!” e a Rider, la cosa non sfiorò minimamente.

Improvvisamente, dall’aula che stavano sorpassando, ne uscì una ragazza. Era al quanto trasandata, mentre cercava, invano, di ricomporsi.

“Ciao, ragazzi!” esclamò, colta di sorpresa, trovandoseli davanti agli occhi.

“Ciao, Lindsay!” la salutò Anthony, il suo solito sorrisino cinico.

La ragazza scavalcò i due, andando via in tutta fretta, senza dire altro. Superata quell’aula, Anthony cominciò a parlare.

“Tua sorella non ha perso il vizio, eh!” esclamò, sarcastico.

Rider non aveva dubbi sul fatto che avrebbe fatto un commento, il volto pallido: “La vuoi smettere? Vuoi anche aumentare il volume della voce, per caso?”

“Dico solo che tua sorella è un amante del pericolo…” continuò, il tono provocatorio.

Quando si girarono, videro uno dei professori, uscire dalla stessa aula in cui si trovava Lindsay. Trasandato anche lui. Non ne erano affatto sorpresi.

“…E dei buoni voti!” aggiunse, ridendo.

“Girati o penserà che l’hai visto!” lo richiamò Rider, agitato.

“Che mi importa di quel pervertito del Professor Brakner? Al massimo è lui che dovrebbe avere paura di me. Anzi…di chiunque lo veda con la cerniera lampo aperta!” aggiunse, un sorrisino alla fine di quella frase.

Rider, stavolta, si infuriò: “La vuoi smettere? Non sei divertente!”

Anche l’altro si irritò: “Nemmeno tu sei divertente, sai? Trovo più divertente persino il tuo insopportabile libro; il che la dice lunga su di te!”

L’altro si ammutolì, più calmo nel rivolgersi nuovamente a lui: “Va bene, ma, ora, ti prego, basta parlare di quello che abbiamo appena visto. Sono affari di mia sorella!”

“Affari disgustosi, direi! Se fosse mia sorella, avrei già denunciato quell’ultratrentenne pervertito che si crede Zack Efron  in 17 again!

A quel punto, dopo un colpo di tosse, Rider cercò di cambiare discorso “…E Comunque, dove l’hai messa? La telecamera, dico.”

“In quella stupida scatola polverosa! Come vuoi che me ne faccia?”

Rider era confuso, adesso: “Ma ci hai fatto registrare quelle cose a che scopo, scusa?”

“Così, per gioco. Dovevamo passare il tempo, no? E’ una cosa iniziata e finita lì!”

“Ma se la trova qualcuno?” domandò, spaventato all’idea.

“Chi vuoi che la cerchi in una scatola vecchia milioni di anni?!” lo trovò improbabile, Anthony.

Quello annuì, d’accordo: “Già, hai ragione!”

Improvvisamente, la notifica di un messaggio riempì l’aria. Era il telefono di Anthony, che, con una mossa, lo tirò fuori dallo zaino, normalmente. Quando portò il messaggio ai suoi occhi, rimase perplesso per qualche secondo. Fermandosi in mezzo al corridoio, addirittura.

 

“Sarai smascherato, attendi di esserlo.”

-A

 

Rider, che stava continuando a camminare, distratto dal suo libro, finalmente si accorse di non avere più Anthony di fianco. Si voltò, trovandolo dietro di sé, così fece una faccia stranita.

“Ehi! Perché ti sei fermato?” e lo raggiunse, notando quanto fosse preso dallo schermo del suo telefono. Tant’è che allungò il collo per leggere il messaggio che aveva ricevuto.

“Chi è A? Si tratta di un nuovo linguaggio sms?”

Anthony, mettendo via il telefono, rispose distrattamente, pensieroso: “Dev’essere qualche idiota che vuole farmi uno scherzo!”

“Bello scherzo, dice di volerti smascherare!” infierì Rider, ironico.

“Io non ho nulla da nascondere!” alzò la voce.

Rider sussultò, aggredito: “Ok, scusami tanto!”

Quando furono quasi vicini all’uscita della scuola, attraverso il vetro, Anthony vide un uomo all’esterno che stava pe entrare. Lo riconobbe e impallidì immediatamente, bloccandosi nuovamente.

“Quel figlio di puttana…L’ha chiamato!” e corse immediatamente via, lasciando Rider da solo e perplesso.

Raggiunse quell’uomo, mettendosi davanti a lui, parlando con lui in maniera animata, guardandosi continuamente intorno, come se non volesse essere visto assieme a quell’uomo.

Rider stava osservando la scena, raggiunto alle spalle da Nathaniel.

“Ehi, che ci fai ancora a scuola?”

Ma non rispose, costringendo l’amico a seguire il suo sguardo: “Guarda, c’è il padre di Anthony!”

“Cavoli, il Professor Palmer è davvero uno stronzo!” esclamò, osservando la scena a braccia conserte assieme a Rider.

Ora, Anthony, stava addirittura spintonando il padre, cercando di mandarlo via.

Rider fece un’osservazione: “Non ti sembra ubriaco?”

“Chi? Anthony?”

Ricevette una rapida occhiataccia: “NO, suo padre!”

Nathaniel, allora, osservò meglio: “In effetti, vacilla un pò…”

“Caspita, non avevo mai visto Anthony così disperato. Immagina se qualcosa passasse di qui, sarebbe umiliante per lui!” pensò Rider, quasi come se desiderasse che accadesse.

L’uomo, dopo un’ultima spinta, finalmente se ne andò. Anthony rimase davanti all’ingresso da solo, cercando di riprendersi, poi si voltò verso i suoi amici, che a stento riuscivano a reggere il suo sguardo, provando disagio per aver assistito. Quello, alla fine, se ne andò, senza tornare da loro.

Nathaniel non commentò oltre, dirigendosi verso una direzione: “Beh, io devo scappare agli allenamenti. Ci vediamo stasera per studiare!”

L’altro, ancora fermo, assorto da quella scena, lo salutò distrattamente: “Ok, ciao!” poi si mosse anche lui, dimenticando.

 

*

Dopo aver lasciato la scuola, ormai lontano, Eric si stava incamminando da solo verso casa. Una macchina si fermò, riconoscendolo. Era Sam.

“Eric? Che fai a piedi, dov’è la tua auto?”

L’altro, colto di sopresa, rispose quasi in maniera tesa: “Oh, Sam, sei tu! Ehm, l’ho dovuta lasciare nel parcheggio della scuola, sono rimasto a secco. Ieri ho dimenticato di fare benzina!”

“Nel parcheggio? Dici sempre di parcheggiarla fuori dalla scuola, perché hai paura che te la righino con un mazzo di chiavi!” trovò strano, Sam.

Eric rise nervosamente, sudando: “Sì, volevo dire fuori, non nel parcheggio, hai ragione!”

L’amico, sorvolando sul suo strano atteggiamento, che non aveva nemmeno notato più di tanto, gli suggerì: “Dai, sali, ti do un passaggio!”

“No, non è necessario, sono quasi arrivato!”

“Insisto, dai!” gli fece cenno di salire.

Quello, alla fine, si arrese, salendo. Dopo cinque minuti di strada, però, Sam era in attesa di un’indicazione. Ad Eric, sudavano le mani, strizzandole continuamente, mentre teneva la faccia rivolta verso il finestrino.

“Ok, quanto manca? Dove devo girare?” chiese Sam, a quel punto.

“Vai a destra, tre isolati più avanti… - si corresse, impreciso e nervoso - Anzi, scusa, cinque isolati!”

L’altro sorrise, mentre svoltava: “Sicuro di sapere dove abiti? Sembra quasi che tiri ad indovinare; un po’ come me a cinque anni. Pensa che mio padre, quando ero piccolo, mi metteva sempre addosso una diquelle stupide collane con sopra incisi il numero di casa e l’indirizzo. Così, in caso mi fossi perso, sarei riuscito a ritrovare la strada di casa con l’aiuto di qualcuno!”

“Hai un padre davvero premuroso…” accennò un sorriso, Eric.

“Da quando è morta la mamma, gli sono rimasto solo io e…Beh, sai, non vuole rischiare di perdere anche me!”

Eric si mortificò: “Mi dispiace. Insomma, sapevo di tua madre, ma…non ne abbiamo mai parlato!”

“Già, a volte sembriamo un gruppo di estranei…Come agli alcolisti anonimi, dove nessuno conosce gli altri, ma tutti conoscono il tizio che li riunisce. E per noi, quel tizio, è Anthony…”

“Mi chiedo cosa accadrebbe se Anthony sparisse nel nulla!” fantasticò, Eric.

E Sam, riflettendoci un attimo, esclamò: “Forse smeteremmo di pensare all’alcol e le sedute agli alcolisti anonimi non ci servirebbero. Anthony è come una dannatissima bottiglia di Brandy e il mio tasso alcolemico è alle stelle, ormai. – fece una pausa, poco prima di tornare alla realtà – Ma Anthony, purtroppo, non sparirà mai dalle nostre vite, perciò…Smettiamola di sognare!”

Distratto dal discorso, quasi utopico, Eric tornò a guardare la strada, mentre Sam ancora guidava: “Oh, sono arrivato! Ferma pure qui!”

Quello fermò l’auto, lasciò scendere l’amico, che, prima di andare, si affacciò dal finestrino per salutarlo.

“Grazie di avermi accompagnato e… - sentì di dover aggiungere altro – Mi dispiace di aver detto quello che ho detto davanti alla telecamera, a scuola. E anche di quel commento al maglione di Albert!”

Sam, apprezzò: “Non dispiacerti, abbiamo detto tutti cose orribili davanti a quella telecamera. Cose orribili dettate da Anthony…Per quello che vale, lo so. – gli sorrise, con le mani sul volante – sò che non sei la persona che vediamo tutti i giorni, quella che sei costretto a mostrare per compiacerlo.”

L’altro non aggiunse nulla, un mezzo sorriso sulle labbra, lo sguardo basso.

Sam aguzzò la vista alle sue spalle: “Vivi in un bel quartiere!”.

“Non è niente di che!”

“Beh, allora ci vediamo domani. Come sempre!” e l’altro annuì, salutandolo.

Pochi secondi dopo, era già lontano e quando l’auto di Sam scomparve del tutto dal suo campo visivo, Eric non entrò in una delle case di quel quartiere, ma se ne andò, camminando a ritroso lungo il marciapiedi, un aria triste in volto.

 

*

Nel tardo pomeriggio, Anthony era appena rientrato a casa, salendo immediatamente in camera sua, ignorando suo padre davanti alla televisione, ubriaco, e le cinque bottiglie di birra vuote sul tavolino e una di Vodka.

Chiuse energicamente la porta alle sue spalle, isolandosi e poggiando il suo zaino sul letto. Stanco, si diresse alla sua scrivania per sedersi al PC. Man mano che si avvicinava, però, non fece a meno di notare una finestra bianca aperta con del testo sopra. Finalmente era seduto e il messaggio era davanti ai suoi occhi, più chiaro che mai.

 

“Non immaginavo di trovare quello che ho trovato. I tuoi segreti sono tutti miei, ora.”

-A

 

Anthony aveva gli occhi sgranati sullo schermo, bianco come un cencio, non riusciva a chiudere la bocca per lo shock. La rabbia sopraggiunse, a quel punto, costringendolo a battere un pugno sulla scrivania, in maniera energica. Rimase lì, impalato, davanti al PC, furente nello sguardo, il fiato che usciva dalla bocca in maniera incontrollata e il petto che si gonfiava e sgonfiava. Improvvisamente, bloccò ogni sua reazione, voltandosi e scattando verso la porta, che aprì. Scese rapidamente le scale, raggiungendo il soggiorno, dov’era suo padre.

Si fermò davanti a lui, mettendosi davanti alla televisione, che stava guardando.

“Chi hai fatto entrare in casa? EH? CHI?” esclamò, furibondo.

L’altro, lo sguardo vuoto, spostava la testa per tornare a vedere il programma tv che stava guardando: “E levati!”

“Può aspettare la nuova stagione di American next topmodel, brutto frocio alcolizzato! DIMMI CHI E’ ENTRATO IN CASA NOSTRA! ORA!” sussultò, urlando.

Suo padre, guardandolo finalmente negli occhi, si alzò in piedi, non molto contento di ciò che gli era stato detto: “Come, scusa?”

Anthony deglutì, indietreggiando, ripetendo la domanda: “Hai fatto entrare qualcuno in casa, oggi? Sai, non sei molto lucido, magari nemmeno ti sei accorto che qualcuno è entrato in casa!”

“Ma di che cazzo stai parlando?”

“Di che cazzo sto parlando? Parlo di TE che mi hai rovinato la VITA! – fu brusco, nel parlare, pieno di rancore – L’hai rovinata a tutti noi, razza di bastardo! Prima tradisci la Mamma con un uomo – non mi meraviglio per niente che se ne sia andata da tutto questo schifo – e Clarke, beh, Clarke era disgustato a tal punto da tutta questa storia che se n’è dovuto andare anche lui. – lo fissò con disgusto, ora - E io…Io sono dovuto rimanere qui, incastrato con te, perché frequento ancora il liceo e non posso andarmene!”

“Esci da questa casa! Vattene pure da tua madre o tuo fratello!” esclamò suo padre, il tono pacato ma pieno di delusione.

“Odio anche loro, per avermi abbandonato qui con te! E hai avuto anche il coraggio di presentarti alla MIA scuola, ubriaco fradicio perché ancora non riesci a credere di esserti beccato l’AIDS dal tuo schifoso amante!”

“ESCI FUORIIIII!” urlò quello, al limite.

“SPERO CHE TU MUOIAAA!” urlò anche Anthony, mentre suo padre si dirigeva al telefono.

“Adesso chiamo uno dei tuoi amici, così te ne vai a stare da uno di loro!”

Ed Anthony, respirando nervosamente, fissò la bottiglia di Vodka che c’era sul tavolino a lungo, poi la prese e senza pensare, senza ragionare, lo colpì in testa, facendolo accasciare. Tutto molto rapidamente.

Dopo qualche secondo, in cui finalmente stava realizzando cosa aveva fatto, lasciò cadere la bottiglia sul tappetto, ormai insanguinata. L’uomo non si muoveva, rivolto a pancia sotto, mentre la cornetta del telefono ciondolava sopra la sua testa, anch’essa insanguinata; c’era talmente tanto sangue, che ormai si era formata una chiazza enorme sul pavimento.

Anthony, bianco in volto, si chinò, toccando la con due dita la giugulare, in cerca di un battito. La mano gli tremava e tremò ancora di più quando si rese conto che suo padre era morto. Per davvero.

Sconvolto, si risollevò in piedi, indietreggiando lentamente per poi scappare al piano di sopra.

Tornato in camera sua, prese il suo telefono, scrivendo subito un messaggio.

 

*

 

Come promesso, Rider si presentò alla porta di casa del suo amico Nathaniel. Erano le otto in punto.

Lui, tutto bagnato, con addosso l’accappatoio, si affacciò alla porta, al quanto sorpreso: “Sei già qui? Caspita, ci credi che sono le otto e nove secondi? LETTERALMENTE, ho controllato prima di aprire!”

“Hai detto alle otto, no?” si accomodò, Rider.

“Si si, ma non pensavo alle otto – OTTO! Pensavo alle otto e dieci minuti o alle otto e ventiquattro minuti! Non ho fatto la doccia a scuola per arrivare in fretta a casa!”

Rider poggiò lo zaino sul tavolo, una volta arrivato in cucina: “Ho una collezione di orologi da taschino e la maggior parte di essi gli ho presi in diversi viaggi in Inghilterra. Questo può farti capire quanto io tenga alla puntualità!”

Nathaniel, basito, gli domandò: “Ok, sei serio?”

“Sì, ne ho ventisei in camera mia!” esclamò, tirando fuori i libri.

L’altro, allora, si arrese: “Okay, vado a vestirmi e torno!”

“Per me puoi restare anche così, anzi perderemmo più tempo se ti vai a cambiare! – gli fece un cenno con la mano - Tranquillo, non sono invidioso dei tuoi addominali. Non sembra, ma ce li ho anche io!”

L’amico si risedette, parecchio a disagio: “Buono a sapersi…Cominciamo?”

Rider, completamente tranquillo, replicò senza mai fissarlo una volta, mentre apriva il libro: “Finiremo prima che i tuoi capelli corti si asciughino. E prima che i tuoi genitori tornino e pensino a cose strane!”

Nathaniel finse un sorriso: “Buono a sapersi, due volte!”      

Subito dopo, il silenzio. Rider continuava a girare le pagine del libro di biologia molto velocemente. Era quello il suo che rimbombava nella stanza, assieme alle lancette dell’orologio.

“Forse è meglio se mi cambio, mi sento strano!” si alzò Nathaniel, spezzando il silenzio.

Rider fu d’accordo, sollevato: “Già, pensavo di farcela, invece…Hai tutta la mia invidia, ho sbirciato! – e si fermò a riflettere su ciò che aveva appena detto – Okay, è strano, corri!” e quello corse via per mettersi addosso qualcosa.

Rimasto solo, in cucina, Rider trovò finalmente il capitolo dalla quale dovevano partire per il ripasso. In quell’esatto istante, però, arrivò un fax. Quello, d’istinto, si avvicinò e lo lesse.

Subito dopo, arrivò Nathaniel, che si era cambiato al volo, e Rider si voltò verso di lui al quanto curioso:

“Una ricetta medica, intessante! – lesse il nome del farmaco - L6KD9? Qualcuno di voi soffre di cuore?”

E l’altro si avvicinò a lui, strappandogli  il foglio dalle mani: “C’è qualcosa che non sai?”

“Non lo sapevo, prima di avere una zia alla quale hanno diagnosticato uno scompenso cardiaco!”

Nathaniel, rigido, aggiunse, sperando concludere: “Beh, mio padre soffre di questi problemi!”

Ma Rider continuò, curioso: “E il vostro Dottore è Tyler Blake? Un parente, per caso?”

“Cugino! – si sedette, mettendo il fax in tasca - Ora possiamo rimetterci a studiare?”

Assai perplesso, tornò a sedere, finalmente: “Ooook!” e iniziarono a studiare per davvero, stavolta.

Peccato che dovettero interrompersi nuovamente, però, in seguito all’arrivo di un messaggio.

 

Messaggio da: Anthony

“SOS”

 

Nathaniel, assai stranito, girò lo schermo del suo telefono verso Rider, che aveva ricevuto lo stesso messaggio.

“SOS?” lo lesse in maniera letterale.

Rider fece una smorfia: “Si pronuncia Esseoesse! E’ una richiesta d’aiuto!”

Nathaniel si rese conto della sua gaffe: “Oh, quell’SOS! – poi riflettè sul significato del messaggio – Perché Anthony dovrebbe chiederci aiuto?”

“Andiamo a scoprirlo!” esclamò, prendendo le chiavi della macchina.

 

*

 

Sam era appena rientrato a casa con in mano le buste della spesa, accompagnato da Chloe. Suo padre, Carson Havery, stava giusto scedendo, dal piano di sopra, in quell’esatto istante, dopo aver sentito la porta d’ingresso chiudersi.

“Ma guarda chi fa l’uomo di casa, quando non guardo!” esclamò il Signor Havery, aiutando i due a portare le buste in cucina.

“Papà non recitare davanti a Chloe, lo sa che i soldi me gli hai dati tu assieme alla lista della spesa!” esclamò, svuotando le buste, mentre si scambiava un sorriso con Chloe.

“E io che pensavo di impressionarla, affinchè si metta con te!” esclamò, teatrale, suo padre.

“Signor Carson, io e suo figlio siamo solo amici! E glielo dico ogni giorno da quando ho messo piede in questa casa, la prima volta, tre anni fa!”

Sospirò, fingendosi deluso: “Beh, io ci ho provato. Sai, siete due bravi ragazzi ed è davvero un peccato!”

Chloe e Sam si guardarono, scoppiando un po’ a ridere.

Confuso, l’uomo guardò entrambi: “Che c’è? Che ho detto?”

“Niente, Papà. Niente!” e continuò a ridere con Chloe, anche dopo che suo padre era passato nell’altra stanza.

“Se solo sapesse…” aggiunse Chloe.

“Che metterò fine la sua dinastia? Già!” ironizzò, Sam.

“Beh, se anche i tuoi cugini sono come te, allora addio generazione Havery!”

“Ho solo tre cugini, speriamo bene!” esclamò, ancora un sorriso, sistemando la spesa con lei nella dispensa.

“Tuo padre non è in servizio, stasera?” domandò Chloe, sedendosi a bere un succo.

Anche Sam se ne versò un po’ nel bicchiere: “E il suo giorno libero…E anche se fosse, qui a Rosewood non succede mai nulla di interessa. Il crimine più alto sarà al massimo il furto di una collana di caramelle!

“Uao, Rosewood è davvero noiosa! Ci vorrebbe proprio un super criminale a smuoverla un pò!”

“Solo scartoffie per la polizia di Rosewood. Taaante scartoffie!” esclamò, prima di sorseggiare dal bicchiere.

Sul tavolo, il telefono di Sam vibrò. Era appena arrivato un messaggio. Fu Chloe a leggerlo e a Sam non diede fastidio, dal momento che lui non aveva segreti per lei.

“Chi è? Ho già un appuntamento gaio grazie a quella app che ho installato l’altro giorno?” era impaziente, Sam.

L’altra, perplessa, girò lo schermo verso l’amico: “Non è una notifica di GagagaYO, che tra l’altro è una app scadente quanto il suo nome. Si tratta di Anthony! – fece una smorfia, confusa - Che diavolo di messaggi vi scambiate? SOS?”

“Sono quasi sicuro che si legga Esseoesse! E comunque non mi scambio nessun messaggio con Anthony, è la prima volta!”

“Quindi? Avrebbe bisogno di aiuto?”

“Può essere! – prese le chiavi della macchina – Vado e torno!”

Quella roteò gli occhi, seccata: “D’accordo, ma fa presto o guarderò il mid-season finale di How to get away with murder senza di te!”

Poco prima di lasciare la stanza, Sam le sorrise simpaticamente: “So che non lo farai, hai bisogno di scorticare vivo il mio braccio quando ci sono le parti sconvolgenti!”

“Dannazione, esci e torna presto” urlò, mettendo il broncio.

 

*

 

Due auto si fermarono contemporaneamente davanti all’abitazione di Anthony. Spenti i motori, da una ne uscirono Rider e Nathaniel e dall’altra Sam ed Eric. Tutti e quattro si guardarono, perplessi.

 

“Ci siente anche voi, eh!” esclamò Rider.

“Anthony ha mandato l’esseoesse anche a voi?” domandò Eric, ora che erano più vicini.

Rider rise, prendendo in giro Nathaniel: “Ecco qualcuno che ha capito il messaggio! Nat ha letto SOS!”

E mentre quello si prendeva un’occhiataccia dal diretto interessato, anche Sam si lasciò sfuggire una risata: “Anche Chloe ha letto SOS!”

“Un lapsus, ok? Possiamo smetterla, grazie?” si irritò Nathaniel.

“Eric, come mai non sei venuto con la tua auto?” chiese Rider a lui.

Sam rispose per lui: “La sua auto è rimasta a scuola. Ha dimenticato di fare benzina, ieri, perciò è rimasto a secco. Sono passato a prenderlo al Brew!”

Rider si mostrò nuovamente perplesso, mentre Nathaniel stava camminando da solo verso la casa di Anthony: “Che ci facevi al Brew?”

E mentre quello era in procinto di rispondere, la voce di Nathaniel, li fece sobbalzare: “Beh? Ci muoviamo? Rider, guarda che dobbiamo tornare a studiare, ricordi? Meno domande e cammina!”

“Agli ordini, Mister Muscolo!” esclamò Rider, avanzando, mentre Sam si affiancava a lui, curioso.

“Perché Mister Muscolo?”

“Perché ho visto i suoi muscoli!”

“Perché hai visto i suoi muscoli?”

“Perché mi stai chiedendo perché ho visto i suoi muscoli?”

“RAGAZZI!” gridò Nathaniel, ormai vicino alla porta, assieme ad Eric, che aspettavano soltanto loro.

Sam e Rider si avvicinarono, guardandosi ancora l’un l’altro, straniti, per il ping pong di domande appena avuto.

“E’ socchiusa, la porta!” fece notare Eric.

“Entriamo, no?” suggerì Sam, non dando peso alla cosa.

 

Ignarari di cosa avrebbero trovato una volta dentro, non restarono davanti alla porta un secondo in più…

 

 

CONTINUA NEL SECONDO CAPITOLO

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 3
*** 1x02-I mostri muoiono a Rosewood (Parte II) ***


CAPITOLO DUE

“Pilot (Part II)”

 

Finalmente erano dentro l’abitazione, le luci erano accese. Si sentiva solo il rumore della televisione, poco lontana.

“Anthony?” gridò Rider, il suo nome, mentre avanzavano verso e scale, uno dietro l’altro.

Nessuna risporta.

“Anthony??” gridò Nathaniel, stavolta, avvicinandosi al soggiorno.

La prima cosa che vide, fu la televisione accesa e una bottiglia per terra. Poi si addentrò ancora di più e il suo sguardo, inevitabilmente, si posò sul corpo disteso a terra, dentro una pozza di sangue.

“Oh mio Dio!” esclamò, indietreggiando, scioccato dalla scoperta.

Eric sopraggiunse alle sue spalle, portandosi una mano alla bocca: “Oh, cavoli!”

Fu la volta di Sam, in un grido incontrollato: “OH MIO DIOO!”

Rider, invece, era salito al piano di sopra e stava tornando giù, gridando il nome dell’amico, ancora ignaro del corpo ritrovato dai suoi compagni: “Aaaanthoonyyyy??”

Raggiunse i ragazzi a quel punto: “Ragazzi, di sopra non… - si bloccò, trovandosi anche lui davanti al corpo. Più disorientato che spaventato – C-che cos’è quello?” indicò, fissando i suoi amici. Scolvolti.

“M-mi prendi in giro? E’ il padre di Anthony! Morto sul pavimento!” esclamò Nathaniel, allibito dalla stupida domanda.

Rider iniziò  a prendere coscienza della cosa, spaventandosi: “Ok. Bene. Cioè, no, non va bene per niente. Lui dov’è?”

“Ciao, ragazzi!” spuntò proprio Anthony, alle loro spalle, facendoli sobbalzare.

Sam, con una mano sul petto, deglutì prima di rivolgergli la parola: “C-ciao, ragazzi? Dici sul serio? Anthony, qui in soggiorno c’è tuo padre che galleggia in una pozzanghera di sangue!”

“L’hai ucciso tu?” gli chiese Eric, diretto.

Anthony, apparentemente tranquillo, aveva il volto pallido, gli abiti in disordine, i capelli bagnati e si sfregava le dita come un disturbato: “Io-io…Lui mi ha aggredito, era ubriaco, mi sono dovuto difendere!”

Nathaniel prese il telefono, iniziando a digitare dei numeri: “Ok, è legittima difesa allora!”

Ma Anthony lo fermò bruscamente: “Ehi, NO! Non chiamare nessuno!”

“Cosa? DEVE farlo!” esclamò Sam, trovando assurdo il comportamento di Anthony.

Quello, quasi piagnucolò: “Ragazzi è una cosa grossa questa, non potrei sopportarla. Inoltre, potrei andare in galera se qualcosa non torna, insomma, avete visto anche voi quei film in cui la gente innocente va in galera, no?”

Intrevenne Eric, ora: “Sì, ma quelli sono solo film! E poi, cosa pensi di fare, tagliare tuo padre a pezzettini e metterlo nel congelatore in stile Dexter Morgan?”

Quello si limitò a rimanere in silenzio, fissandolo.

Rider era a dir poco sconcertato: “Oh mio Dio, ci stai davvero pensando?”

Anthony, allora, si decise a parlare: “No, ma…Sentite, ho messo la casa in disordine e ho preso tutti i contanti dalla cassaforte, lasciando aperto lo sportello. Sembrerà che siano entrati i ladri e…”

Nathaniel lo fermò, sbalordito, reagendo male: “E cosa? Vuoi che ti colpiamo in testa e ti trasciniamo vicino a tuo padre per creare una falsa scena del crimine?”

“NO, niente di tutto questo! L’unica cosa che dovete fare è accompagnarmi alla stazione di Rosewood, ok?”

“Ancora non capisco cos’hai in mente!” esclamò Sam, disorientato.

Rider intuì: “Io, forse, sì. – fissò Anthony, psicanalizzandolo – Vuoi sparire, fingendo di essere stato rapito, non è così? Ti serve un passaggio da noi, perché se prendi la tua auto potrebbe risultare strano…”

Dopo qualche secondo, Anthony annuì: “Sì, hai indovinato. – guardò ognuno di loro, fragile – Ragazzi, non posso rimanere qui. Aiutatemi!”

I quattro amici si guardarono fra loro, dando rapide occhiate anche al cadavere. Ci rifletterono e finalmente arrivarono ad una decisione.

*

 

Erano tutti nella macchina di Rider, diretti verso la stazione di Rosewood. Prima, però, erano passati a casa di Sam per lasciare la sua auto, dato che era di strada.

Improvvisamente, Rider fermò l’auto, preso dalla paranoia: “E se avessimo contaminato la scena del crimine? Potrebbero trovare un nostro capello, in media perdiamo molti capelli al giorno e le ruote…Potremmo aver lasciato dei segni di preneumatico quando abbiamo parcheggiato!”

E mentre gli altri sembravano presi dalla paranoia quanto lui, lo sguardo perso, Anthony roteò gli occhi, aprendo la portiera e scendendo dall’auto. Aprì la portiera di Rider, a quel punto: “Scendi!”

“Cosa?” quello lo fissò, stranito.

“Mettiti al mio posto, tu non sei in grado di guidare e io non ho tempo da perdere!”

I due fecero il cambio di posto, poi ripartirono.

“Restate calmi, abbiamo passato dieci minuti a scegliere il percorso più sicuro, che non include negozi con le telecamere di sorveglianza o altre zone videosorvegliate. Nessuno saprà che mi avete visto questa notte o che eravamo in giro per la città!”

E tutti annuirono, ripetendosi che sarebbe andato tutto bene, mentre Anthony andava sempre più veloce.

La velocità con cui andava, però, preoccupò Rider, che si stava reggendo: “Forse dovresti rallentare, non siamo così lontani dalla stazione!”

Anthony lo guardò attraverso lo specchietto retrovisore: “Rider, sta calmo, prima arriviamo, prima…”

Ma non potè completare ciò che stava dicendo, perché in mezzo alla strada spuntò fuori qualcuno, che investì letteralmente. Il corpo colpì il parabrezza per poi rotolare sul tettuccio e cadere dall’altro lato. Anthony, sotto le urla dei compagni, frenò l’auto.

Inizialmente, ci fu silenzio, mentre i cinque, a bocca aperta e occhi sgranati, fissavano la strada davanti a sé. Non riuscivano nemmeno a muoversi, consapevoli che alle spalle della loro auto c’era un corpo disteso sull’asfalto.

Dopo aver deglutito, Anthony trovò il coraggio di scendere a vedere.

In un breve stacco di tempo, anche gli altri scesero, benchè sconvolti, raccogliendosi intorno al corpo.

Anthony si chinò, girando il corpo, dato che era rivolto a pancia sotto.

Con sua grande sorpresa, conosceva quella persona: “Albert?”

Gli altri, che avevano lo sguardo basso per il disagio, lo sollevarono, al suono di quel nome.

Sam avanzò, incredulo, per vedere meglio: “Albert… - si rese conto di aver alzato troppo la voce, guardandosi poi intorno, ritentando con voce più bassa – Albert Pascali?”

“Ma che ci faceva in giro a quest’ora?” domandò Rider, scambiandosi un’occhiata con i suoi amici.

“Sì, ma è morto?” volle sapere Eric, terrorizzato dalla risposta che poteva ricevere.

“Sì… - controllò – è morto!” esclamò Anthony, facendo precipitare a terra il morale di tutti.

“Tutto questo non sta accadendo davvero!” pensò Nathaniel, sconvolto, camminando avanti e indietro, accanto all’auto, le mani tra i capelli.

“Io-io non ci sto credendo, che facciamo adesso?” sussultò Sam, cercando una risposta negli occhi degli amici, spaesanti quanto lui.

Anthony, intanto, aveva iniziato a frugare negli abiti del ragazzo, attirando su di sé strane occhiate.

Eric fu l’unico a trovare le parole per chiedergli cosa stesse facendo: “Ma che fai adesso?”

Ma quello non rispose, trovando ciò che stava cercando: il telefono di Albert.

Dopo averlo maneggiato per qualche istante, esclamò energicamente: “Sì! Lo sapevo che eri tu A!”

A? Ma di che stai parlando?” Nathaniel faticava a seguirlo, mentre Rider no, ricordandosi del messaggio a scuola, restando comunque zitto in merito.

“Ho un’idea!” Anthony si voltò verso di loro, serio, ignorando le perplessità di Nathaniel.

“Ho paura ogni volta che hai un’idea, Anthony. Una paura tremenda!” esclamò Sam.

“Torniamo a casa mia, mettiamo il corpo di Albert accanto a quello di mio padre e appicchiamo un’incendio. Il fuoco distruggerà il DNA e la polizia darà per scontato che si tratti di me e mio padre. Niente omicidio, niente galera!”

“Avevi detto che era leggittima difesa!” esclamò Eric, agghiacciato quanto gli altri per il modo di ragione di Anthony.

“Lo è stata, infatti! – ribadì Anthony, cercando di convincere poi i suoi amici ad aiutarlo – Ragazzi, vi prego, aiutatemi con Albert, poi mi lascerete in stazione e ognuno di voi potrà tornare a casa a fare sogni tranquilli!”

“Sogni tranquilli? Ho il parabrezza rotto e sto tremando. Sarebbe più opportuno parlare di incubi: questa è la notte più assurda della mia vita!” pensò Rider, trovando assurda ogni parola che usciva dalla sua bocca.

“Ok, mettiamo che tutto fili come dici tu, ma come la mettiamo con Albert? Qualcuno si accorgerà che è scomparso!” sollevò la questione, Nathaniel.

Rider seguì la scia del suo discorso, nervoso e paranoico: “E troveranno il suo sangue sulla mia auto e a quel punto io andrò in galera, mentre tu sarai a Las vegas o chissà dove con addosso una ghirlanda di fiori!”

“Metti l’auto nel tuo garage, lavala con il tubo e il sangue verrà via. I tuoi torneranno Mercoledì, no? Più tardi ti darò il numero dell’autofficina di un mio amico, và da lui e tutto tornerà come nuovo. Per quanto riguarda Albert, non c’è niente che ci collega a lui e il suo telefono me lo porterò via con me. – cercò di convincerli ancora una volta – Forza ragazzi, si può fare! Non posso fermare la mia fuga per Albert. Ormai è morto e voi non volete guai, vero?”

Quelle ultime parole, parvero quasi una minaccia, come se Anthony avrebbe trascinato giù anche loro. I quattro si guardarono e senza avere scelta, aiutarono il loro leader, subito dopo, a mettere Albert nel bagagliaio.

                                                     *    

Tornati nel soggiorno di casa di Anthony, esausti, avevano appena messo il corpo di Albert accanto a quello del Signor Dimitri. Rider aveva in mano una tanica di benzina, che Anthony gli prese dalle mani.

“Fortuna che Rider è un tipo previdente e ha sempre della benzina di riserva!” esclamò quello, sorridendo.

Rider, però, non sorrideva per niente: “Possiamo fare in fretta, per favore? Non ce la faccio più!”

“Voglio andarmene anche io, sto perdendo la testa!” esclamò Eric.

“Già, facciamola finita, Anthony! Muoviti!” aggiunse Nathaniel.

Anthony smise di sorridere, sentendo che i suoi compagni non lo sopportavano più. Ma poco gli importava e allora iniziò a versare la benzina sui corpi, senza ritegno né morale. In maniera fredda, come gli assassini.

Una volta versata la benzina, rimasero tutti e cinque impalati e increduli.

Sam scosse la testa, lo sguardo perso e spento: “E pensare che adesso dovrei essere con Chloe, nella mia camera, a vedere How to get away with murder!”

Nel silenzio generale, Rider scoppiò in una risata isterica: “Annalise Keating ci offrirebbe la sua consulenza per quanto siamo messi male!”

Anthony lo riprese: “Non essere sciocco, ne usciremo come se non fosse accaduto nulla!” e dopo aver acceso il fiammifero, lo gettò sui corpi, che presero fuoco.

“Forza, andiamo!” esclamò loro, che uno alla volta, lo seguirono fuori dall’abitazione.

*

Parcheggiati davanti alla stazione, Anthony era davanti al finestrino, accanto all’auto, con i ragazzi che lo guardavano da dentro.

Con il borsone sulla spalla, salutò i suoi amici: “Beh, è arrivato il momento, a quanto pare…Voi-voi tornate ognuno a casa propria e fate finta di niente. Ma, soprattutto, non fate parola con nessuno di quello che è successo stanotte. – fissò Sam, in particolare – Sam, dico a te. Non dire nulla a Chloe, so quanto siete amiconi voi due!”

Quello nemmeno lo guardò, pieno di odio: “Mi vergognerei a raccontare di questa notte a me stesso, davanti allo specchio, figuriamoci ad un'altra persona!”

Anthony, allora, annuì, rendendosi conto che il tempo era scaduto: “Adesso devo andare, statemi bene... – tutti avevano lo sguardo che puntava da altre parti, freddi – Beh, Buona vita!” e capì che non sopportavano più la sua presenza, così si voltò e camminò verso l’ingresso della stazione.

Finalmente, poi, trovarono il coraggio di voltarsi e guardarlo allontanarsi.

“Ed ecco a voi l’ultimo grande discorso di Anthony Dimitri. Dove non si è pentito di assolutamente nulla!” commentò Nathaniel.

“Dovrei essere felice che sia finalmente uscito dalle nostre vite, eppure…” pensò Sam, inquieto.

“Fai passare qualche giorno e vedrai che lo sarai. Lo saremo tutti, quando questa storia sarà archiviata!” aggiunse Rider, fiducioso per il meglio.

“Adesso, vorrei solo andare a casa!” esclamò Eric, esausto.

“Bon Voyage, Anthony!” augurò Rider, accendendo il motore e portando finalmente tutti a casa.

 

TRE GIORNI DOPO

 

Nella bianca chiesa di Rosewood, si erano appena svolti i funerali di Anthony Dimitri. Gli abitanti che avevano preso parte alla funzione, la stavano lasciando, scendendo per le gradinate. Tra questi, quattro ragazzi: i migliori amici di Anthony.

Fermi davanti alla chiesa, mentre tutti andavano via, cercavano di mantenere le apparenze.

“Chloe è andata a prendere la macchina, vado via con lei!” esclamò Sam.

“Accidenti, c’è più gente di quanto pensassi!” esclamò, subito dopo, Nathaniel.

“Direi che è finita, no? Tutto è andato come previsto da Anthony!” si sentì più sollevato, Eric.

“Rider, cos’hai fatto per la tua auto?” gli domandò Nathaniel, parlando a bassa voce, mentre la folla si dileguava lentamente.

“Come nuova, l’amico di Anthony è stato bravo. Mi ha anche fatto uno sconto per il lutto!”

Qualche secondo di silenzio e una brezza, investì il gruppo, che stava appena realizzando un qualcosa che non provavano da molto.

Sam fu il primo ad esternare quella sensazione, accennando man mano un sorriso: “Per quanto sia stata orribile quella notte e quello che è successo al povero Albert, noi non abbiamo colpa di nulla. Non abbiamo ucciso nessuno. E, per la prima volta, dopo tanto tempo, mi sento finalmente…”

“Libero?” completò Nathaniel per lui.

“Sì! – rise Sam – Che bella sensazione, vero?”  e gli altri non poterono che essere d’accordo.

“Assaporate la vita senza Anthony Dimitri!” respirò la pura aria, Rider, mentre continuavano a ridere, incuranti della gente che li fissava basiti.

Improvvisamente, però, quel sorriso dovette spegnersi, nel momento in cui i loro telefoni iniziarono a suonare nello stesso momento, notificando un messaggio.

Trovando strana la cosa, si lanciarono una rapida occhiata, prima di aprire quello che era un allegato al messaggio: un video.

Mostrava Anthony che aspettava il treno, da solo, quella notte. Chi stava filmando, si stava avvicinando alle sue spalle, ma non fu così silenzioso da non rivelare la sua presenza.

“Oh, guarda chi c’è! – finse di guardare l’orologio, Anthony, restando tranquillo – Sto aspettando una cugina, arriva dall’Oklahoma. Non sto partendo come sembra!”

Eric commentò il video che stavano guardando: “Perché sta mentendo?”

“Non puoi far credere di essere morto nell’incendio di casa tua, se qualcuno ti vede lasciare la città!” spiegò Rider.

“Mi ha appena mandato un messaggio, ha detto che prenderà il treno di domani. – rise – A saperlo prima, mi sarei risparmiato tutto questa strada fino a qui. – iniziò ad allontanarsi – Ora credo proprio che tornerò a casa, ci si vede!” concluse Anthony.

Quella persona, però, sembrò seguirlo ed Anthony se ne accorse.

“Ok, si può sapere che stai cercando di fare? – notò qualcosa di nascosto – Ehi, ma-ma mi stai filmando?”

La videocamera si abbassò, facendo bruschi movimenti. Qualcosa accadde subito dopo

“Aspetta! No no NOO!” urlò Anthony.

“Ehi, ma che sta succedendo?” domandò Sam, mentre spostava lo sguardo tra lo schermo del telefono e i suoi amici, sconvolto. Si sentirono strani rumori, come di una persona che sta soffocando.

Improvvisamente, il video si bloccò e comparve una scritta.

“Tutti credono di essere andati al funerale di Anthony...Ma se questo fosse davvero il funerale di Anthony? Siamo in gioco, stronzetti!”

-A

I quattro si scambiarono uno sguardo agghiacciato, realizzando che la libertà era molto più lontana di quanto credessero.

 

CONTINUA NEL SECONDO CAPITOLO

 

 

 

 

 

                                                     

 

 

 

 

 

 

 



 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 4
*** 1x03-Chi c'è nella bara? ***


CAPITOLO TRE

After the Crimes, After We’ve Lied”

 

PREVIOUSLY ON BLACK HOOD:

Albert affronta Anthony in mensa; tra i due c’è astio.

Anthony costringe i suoi amici a girare un video sugli sfigati della scuola, saltando le lezioni, mentre Albert è nascosto dietro la porta.

Subito dopo, riceve un messaggio da parte di qualcuno che si firma A e che minaccia di smascherarlo su qualcosa.

Ognuno dei quattro ragazzi nasconde un segreto: La sorella di Rider si apparta con uno dei professori, di nascosto; Eric viene accompagnato a casa sua da Sam, in un bel quartiere, ma non entra in nessuna di quelle case, tornando indietro, subito dopo averlo visto svoltare; Nathaniel riceve il fax di una ricetta medica e davanti a Rider la spaccia per suo padre; Sam, infine, è segretamente gay e ha una cotta per Nathaniel. Anthony sembra conoscere tutti i loro segreti e tiene in pugno l’intero gruppo, secondo Chloe, la migliore amica di Sam.

Il padre di Anthony si presenta a scuola, contattato dal preside, a cui, probabilmente, è stato notificato l’atto di bullismo in mensa. E’ ubriaco ed Anthony cerca di mandarlo via, osservato da Rider e Nathaniel.

Tornato a casa, Anthony scopre che qualcuno ha violato il suo computer e quel qualcuno è la stessa persona che gli ha inviato la minaccia a scuola: A.

Furibondo, ha una violenta lite con il padre e finisce per colpirlo alla testa con una bottiglia di vetro, uccidendolo.

Preso dal panico, manda un SOS ai suoi quattro amici, che lo raggiungono a casa sua e scoprono del cadavere. Anthony, apparentemente tranquillo e inquietante, spaccia la cosa per legittima difesa e costringe i compagni ad inscenare la sua scomparsa, facendola passare per un rapimento a seguito di un furto in casa.

Diretti alla stazione di Rosewood, Albert spunta, improvvisamente, davanti alla strada ed Anthony, alla guida, lo investe. Scesi tutti dall’auto, scoprono che è morto ed Anthony trova il suo cellulare, confermando la sua teoria: Albert era la A che l’ha minacciato.

Mentre il gruppo cerca di metabolizzare ciò che sta accadendo, sconvolti, Anthony cambia i suoi piani di fuga e propone di portare il corpo di Albert a casa sua e metterlo accanto a quello del padre, per poi bruciare entrambi. La scena del crimine sarebbe risultata più credibile e la polizia avrebbe dato per scontato che si tratti di lui.

Aggiustata la scena del crimine, i ragazzi accompagnano nuovamente Anthony alla stazione e quello dice loro addio, pronto a sparire per sempre.

Tre giorni dopo, tutto va secondi i piani di Anthony: la polizia ha identificato Albert come lui. I suoi amici prendono parte al funerale e all’uscita dalla chiesa, ricevono un video da A, dove Anthony viene assassinato…

~

AND NOW...

In piedi, fuori dalla chiesa di Rosewood, i quattro ragazzi tenevano ancora fra le mani i loro telefoni, cercando di capire cosa stesse accadendo.

 

“Chi diavolo è questa A? E’ già la seconda volta che ne sento parlare!” si innervosì Nathaniel, turbato, cercando una risposta negli occhi dei suoi compagni.

Rider si affrettò a far presente loro, un avvenimento di cui non erano a conoscienza: “A ha scritto un messaggio ad Anthony il giorno in cui abbiamo girato quel filmato a scuola, non appena abbiamo lasciato l’aula. Ero con lui. Diceva che lo avrebbe smascherato!”

Sam fissò ognuno di loro, confuso: “Smascherare cosa, esattamente?” e Rider sollevò le spalle, non lo sapeva.

Eric, però, aveva altre perplessità: “Un secondo, Anthony ha frugato negli abiti di Albert, quella notte, e ha tirato fuori il suo cellulare, scoprendo che era stato proprio lui a mandargli il messaggio, perciò…”

“Perciò, cosa?” ribattè Nathaniel, odiando quella suspence.

Fu Rider, però, a mettere in chiaro le cose: “Quello che sta cercando di dire Eric è che A è Albert, ma lui è morto e a noi è appena arrivato un messaggio di A.”

Sam stava a dir poco impazzendo, ora, ma cercava di mantenere un contegno, di fronte alle persone che stavano lasciando la chiesa: “Ok, a meno che Albert non sia magicamente resuscitato come un personaggio di The vampire diaries per mandarci questo video e il conseguente messaggio, cosa diavolo significa tutto questo?”

 “Mi sembra chiaro, si tratta di due A! Una era Albert e quest’altra…Beh, forse, è un suo amico!” pensò Nathaniel, in piedi accanto a lui, trovandolo ovvio.

“Chiunque sia, non ha ricavato questo pseudonimo dal nulla. Avrà iniziato questo scherzo con Albert!” suppose, Sam.

Nathaniel sussultò: “Uno scherzo? – lo trovò un pessimo eufemismo - Ragazzi, Anthony è stato assassinato!”

Sam, allora, fece un cattivo pensiero, per niente tranquillo: “Forse era psicopatico! E lo è anche questo suo amico segreto…insomma, è risaputo che quelli come Albert sono come tacchini del ringraziamento che si riempiono di cattiverie e umiliazioni nel corso della vita per poi uscire dal forno sottoforma di serial killer e sociopatici!”

“Oppure il vero psicopatico, qui, è Anthony! – Rider attirò la loro attenzione, trovando ridicole le loro supposizioni – Ma dai, che razza di amicizie pensate che Albert frequentasse? E stiamo parlando dell’inetto-Albert, quello che a scuola sedeva in mensa con altre sedie!”

Nathaniel non capì: “Cioè? Spiegati!”

“Avete visto come si è comportato Anthony, quella notte, no? Prima diceva di aver ucciso il padre, poi che era stata legittima difesa, confondendosi. Mette in disordine la casa per fingere l’irruzione di qualche ladruncolo, poi investe un ragazzo e, anziché andare nel panico per il suo secondo omicidio della giornata, cosa fa? Pianifica un’altra scena del crimine? Decisamente psicopatico! – aveva ormai coinvolto i suoi amici, in quel ragionamento – Per non parlare del video che ci è appena arrivato…Avanti, avete davvero creduto a quei finti versi di soffocamento o qualunque cosa fosse? E’ tutta una montatura, è palese! Albert non ha nessun amico serial killer – anzi, correggo – non ha amici in generale! E’ stato assurdo anche solo persarlo. – rise - Parliamo di qualcuno che, abilmente, è riuscito a scambia due corpi, svalcando ogni tipo di sistema: una cosa totalmente impossibile!”

“Questo vorrebbe dire che qualcuno ha aiutato Anthony: nel video c’è una seconda persona, anche se non si vede. Non è un po’ assurdo?” pensò Nathaniel.

“Beh, Anthony è una persona assai influente, ha sempre saputo come manipolare le persone per aiutarlo. E poi, chi di noi lo conosceva veramente? – fissò i suoi compagni – Io non l’ho mai frequentato fuori dall’ambiente scolastico, eccetto qualche volta. Chissà che gente frequentava o che razza di vita aveva! Ha sicuramente contattato qualcuno dopo che ce ne siamo andati e quel qualcuno l’ha aiutato a girare il suo video da premio Oscar, prima di lasciare Rosewood e i suoi problemi per sempre!”

Cominciarono a scendere le gradinate della chiesa, mentre Sam continuava a parlare con toni bassi e ancora perlessi: “Io non capisco, allora…Perché Anthony avrebbe dovuto montare una recita del genere? Mandarci questo video falso.”

Rider marcò la risposta, a braccia conserte e sguardo acceso: “Perché non si fida di noi! E ora vuole farci credere che è morto, così da tenere la bocca chiusa per sempre!”

“Questa è follia! Pensava che saremmo stati vittima di una lobotomia, dopo aver visto qualcuno ucciderlo in video? Anche un bambino di otto anni denuncerebbe una cosa simile al volo!” commentò Nathaniel, andando contro l’opinione di Rider.

Eric, convinto dalla teoria di Rider, invece, cercò di convincere Nathaniel e anche Sam: “Rispondi, allora: Andresti mai alla polizia a raccontare che qualcuno ha ucciso il tuo amico, senza raccontare anche che con lui hai investito un ragazzo, l’hai caricato nel bagagliaio e trascinato accanto al cadavere di suo padre per poi accendere un fuocherello?”

Il silenzio di Nathaniel, rispondeva da sé; ciò non tolse che aveva ancora molti dubbi.

Vicini alla macchina di Rider, fu proprio quest’ultimo a prendere nuovamente parola: “Ascoltate, Anthony ha avuto quello voleva e ci ha lasciato il suo ultimo, epico e bizzarro regalo d’addio. Sono passati tre giorni, ormai, e non siamo nei guai. E’ finita! Andiamo avanti con le nostre vite, io ne ho già abbastanza!”

Quello, poi, aprì la portiera, pronto ad andarsene. Ormai la folla di persone davanti alla chiesa si era totalmente dileguata.

Sam lo fermò, però, ancora troppo insicuro: “E se non avessi ragione? E se quello nella bara fosse davvero Anthony e questa A ha scambiato i corpi per spaventarci? Siamo in gioco, stronzetti : non mi sembra una frase che miri ad una conclusione!”

L’altro sembrava assai indisposto ad ascoltare altro; aveva già la sua teoria, ormai: “Non scoperchierò una bara per capire se un pezzo di carbone è Anthony o Albert. E di A non me ne frega niente, perché è Anthony, ragazzi! Lui ci ha mandato il video e il messaggio, non l’immaginario amico fuori di testa di Albert che vuole fare giustizia!”

Lentamente, il gruppo sembrò convincersi del tutto, dopo essersi scambiato una rapida occhiata.

 “Spero che tu ed Eric abbiate ragione. Perché se il video e il messaggio non ci sono stati mandati da Anthony, allora avremmo un bel problema!” concluse Nathaniel, mentre si allontanavano, prendendo ognuno la propria auto.

In quell’esatto istante, Chloe passò a prendere Sam, dopo aver recuperato la sua auto. Quando se ne andarono tutti, anche un’altra macchina, dai vetri oscurati, che fino a poco prima era rimasta parcheggiata, partì.

 

*

Erano le quattro di pomeriggio, mentre Rider sedeva davanti al tavolo della cucina, su uno sgabello. Di fronte a sé, il suo PC, intento a scorrere la bacheca dei vari messaggi postati dagli studenti della scuola di Rosewood. Molti di essi riguardavano Albert Pascali e la sua scomparsa, dichiarata qualche giorno prima. C’erano addirittura foto con le dediche. Ogni messaggio che leggeva, si rifletteva sui suoi occhi, lucidi, assieme alla luce dello schermo.

Sappiamo perché te ne sei andato… - si soffermò su uno di essi, leggendolo a voce – Lo stronzo è morto, torna a casa!

Possiamo essere amici…

Non sarai più solo!

Quello che lesse subito dopo, però, lo costrinse a raddrizzarsi con la schiena e a sgranare un po’ gli occhi: “Morite, stronzetti!”

Scese in basso con lo sguardo per leggere chi l’aveva postato.

“…Anonimo.

A quel punto deglutì, cercando di rilassarsi. Pensò che chiunque avrebbe potuto scriverlo, data la situazione.

Improvvisamente, squillò il telefono, facendolo sobbalzare: era Sam.

“Ehi, Sam!” rispose.

“Stai leggendo anche tu i commenti?” chiese con la voce rotta, come di chi aveva pianto.

“Certo… - pensava che fossero il colmo – E trovo incredibile quanto la gente sia ipocrita e falsa. Insomma, queste sono le stesse persone che fino ad una settimana fa gli passava davanti, ignorandolo come si fa con un mendicante che chiede l’elemosina e adesso tutti vogliono essere suoi amici, gli scrivono dediche…”

“Ci sono commenti anche su Anthony…e anche qualcuno su di noi.”

“Beh, la morte non ripulisce la tua immagine di colpo! E nemmeno la nostra: I seguaci del diavolo!”

Sam fece una pausa, prima di riprendere parola: “Ho pianto per quasi venti minuti, dopo essere tornato a casa…Ci siamo ripetuti nella mente che potevamo essere liberi e felici, dopo l’addio di Anthony, ma…Non mi sento per niente libero né felice. Penso ad Albert e a come l’abbiamo messo nel bagagliaio, buttandolo lì dentro come si butta una busta della spazzatura. Mi rivedo nella mente e mi chiedo a cosa diavolo stessi pensando in quel momento, quando ho fatto quelle cose con Anthony.”

Rider deglutì a fatica, sentendosi strozzare, rosso in viso, ripercorrendo quella notte. Condivise perfettamente le sensazioni dell’amico: “Lo stesso vale per me. E’ come se quella notte, qualcosa si fosse impossessato di me per eseguire ogni richiesta di Anthony. Senza ragionare, senza pensare a quel povero ragazzo… - una nota di pentimento nella voce - Potevamo ribellarci, chiamare qualcuno e, invece, no. Volevo solo tornare a casa…”

“Mi sento in colpa come se l’avessi ucciso io e non riesco a respirare ogni volta che incrocio mio padre per casa con la sua divisa e il suo distintivo e tutti i valori che ha racchiuso lì dentro.”  aggiunse Sam.

“Beh, dobbiamo trovare il modo di superare la cosa. Non possiamo fare altro, Sam. Domani torneremo a scuola e Dio solo sa cosa dovremmo affrontare, ma passerà. Non saremo per sempre gli amici del mostro.”

Sentì un rumore provenire dal piano di sopra, qualcuno stava scendendo le scale.

“Ascolta, Sam, ora devo chiudere. Spegni il computer e riposati un pò. Ci sentiamo!”

“Ok!” concluse anche Sam, chiudendo.

Alle spalle di Rider, arrivò sua madre, Ellen Stuart, una donna elegante, all’apparenza, con indosso un cappotto nero e la ventiquattrore stretta alla mano destra. Stava per uscire.

“Ehi, com’è stato il funerale? – gli diede una bacio sulla testa – Stai bene?”

Tirò un sospiro, fingendo un sorriso: “Sto bene, Mamma. Starò bene!”

“Tesoro, non cercare di essere forte. Hai perso un amico, è più che comprensibile che tu soffra.” si soffermò, lei, a controllare le sue condizioni.

Improvvisamente, anche Lindsay entrò in cucina, dirigendosi verso il frigo.

Lo aprì, prendendo un piattino con sopra una fetta di torta, ignorando completamente i presenti.

Ellen, voltandosi, la ammonì: “Ehi, che stai cercando di fare?”

L’altra girovagò con lo sguardo, stranita per quella domanda: “Ehm, sto per mangiare questa fetta di torta, madre?”

“Quella è per tuo fratello, oggi ha seppellito un suo caro amico, sii gentile per una volta!”

“Ah, è così? – si infuriò, lei - Però quando è morta la mia amica di penna in Australia non ho trovato l’ultima fetta di torta in frigo con sopra il mio nome!”

Ellen, allora, le si avvicinò e le prese di mano il piattino: “Sei la maggiore, cerca di comportarti come tale! Abbi un minimo di rispetto.”

E quella rimase a braccia conserte, poggiata al frigo, tenendo il musone, la testa rivolta da un’altra parte, mentre la madre poggiava il piatto vicino al portatile di Rider.

Gli prese il mento, poi, premurosa: “Tesoro, mangia un pò, ok? E prenditi una pausa dallo studio, hai già fin troppeA’ sul tuo curriculum scolastico!”

Poi si voltò verso la figlia, tornando seria in viso.

“TU! Porta Toby allo studio, verso le sei, intesi?

L’altra reagì male, incredula: “Cosa? Perché io?” ricevendo immediatamente un’occhiataccia, che la costrinse a sbuffare.

“A proposito, come sta Toby?” chiese Rider, preoccupato.

“Credo si sia slogato la zampa, lo visiterò meglio. – fece un commento - Sapevamo quant’era vivace, quando l’abbiamo preso in casa nostra. – si voltò verso Lindsay, poi – Non mancare!” e uscì dalla porta sul retro della cucina, facendo un ultimo sorriso al figlio.

Rider tornò a fissare la sorella, che lo stava già fissando prima che lui incontrasse i suoi occhi. Scuoteva la testa, un sorriso cinico.

“Puoi anche smetterla con la recita della tristezza, fratellino. TUTTI possiamo finirla con questa recita, ora che Anthony è morto. Mi fissava come se fossi una sgualdrina, ogni volta che mi salutava per i corridoi, e io dovevo fare sempre la carina, affinchè non dicesse in giro ciò che sapeva di me. Dovresti essere contento anche tu, ora che non dovrai più essere suo amico per mantenere il mio segreto. Era un pessimo soggetto e nessuno piangerà sulla sua tomba!”

Rider rimase in silenzio, anche se dentro di sé voleva dirgliene quattro su ciò che pensava di lei e il suo professore. Lindsay, poi, si avvicinò a lui.

“E questa… - prese il piattino con sopra la fetta di torta, una smorfia perfida sul viso – la prendo io, per festeggiare!” e lasciò la stanza, seguita dallo sguardo irritato del fratello, furioso con sé stesso per non averla messa al suo posto.

 

*

 

Seduto su uno dei divanetti del Brew, anche Eric stava leggendo i commenti sulla pagina della scuola. Ad un certo punto, non ne potè più di leggere e chiuse il portatile,  sospirando e mettendosi più comodo sul divanetto, nel tentativo di scaricare la tensione. Osservava le persone che entravano e uscivano per un caffè o una ciambella, annoiato, finchè ad un certo punto non notò la barista, mai vista prima. Intuendo fosse nuova, si alzò e decise di avvicinarsi al bancone, ma non prima di essersi voltato verso le porte vetrate del locale, nelle quali si riflettè. Il suo primo istinto fu quello di aggiustarsi i capelli e la mano si portò quasi da sola fino alla testa. Eric, però, la fermò di colpo, poco prima di arrivare a toccarseli, fissandosi a lungo. Tornò, poi, ad avviarsi verso il bancone e comprese che non aveva bisogno di sistemarsi. Che non doveva essere come Anthony gli aveva insegnato ad essere.

“Salve, cosa le posso dare?” domandò la ragazza, dietro al bancone, notando Eric lì davanti. Aveva la carnagione chiara, dei lunghi capelli neri, raccolti a coda di cavallo, ma con due ciuffetti che cadevano ai lati del viso. Si intravedevano anche delle ciocche azzurre, che si abbinavano perfettamente con i suoi occhi.

Cadendo dalle nuvole, quello abbassò gli occhi sulla vetrinetta: “Ehm, vediamo, queste due focaccine sulla destra. Da portar via!

Quella eseguì, gentile, facendo, però, fatica a prenderle, dal momento che le cadevano in continuazione. Ad un certo punto, se ne imbarazzò, diventando rossa.

Eric non potè che lasciarsi sfuggire una risata: “Puoi prenderle con le mani, se vuoi. Sempre che tu non le abbia messe nel posto meno igienico della terra!”

L’altra, sempre più imbarazzata, rise a sua volta per sdrammatizzare la sua figuraccia: “Scusa, che imbranata, non le so usare queste grosse pinze… - riflettè, guardandole meglio - Sempre che si chiamino così! E comunque, no, le mie mani non sono mai state nel posto meno igienico della terra!”

Eric annuì, sfumando la risata in un accenno di sorriso: “Buono a sapersi e…Francamente non ho idea di come si chiamino quelle grosse pinze con cui si prende il cibo. Magari si chiamano proprio così, alla fine. Insomma, se le avessi inventate io le avrei chiamate pinze o grosse pinze!”

“Sì, anche io. Grosse pinze è proprio da me; praticamente io VIVO di cose banali! Sono la banalità fatta a persona. Sono quella che chiamerebbe il proprio figlio con il nome di un pazzo serial killer letto sulla prima pagina del giornale, senza sapere che è il nome di un pazzo serial killer!”  scherzò lei, mentre stava già incartando le focaccine.

“Beh, pare che i nomi dei serial killer siano parecchio carini. – quello azzardò una domanda - Non sei incinta, vero?”

Quella sgranò gli occhi: “Io? NO! No no, assolutamente no! Come minimo tra dieci anni e mezzo!”

Eric sollevò le sopracciglia, lasciandosi scappare un’altra risata: “Non so cosa c’entri il mezzo, ma aspettare dieci anni è più che giusto. Nemmeno io voglio essere padre così presto, sono ancora un moccioso!”

L’altra, consegnandogli le focaccine, scoppiò a ridere: “Ok, moccioso! – sfumò in un accenno di sorriso, restando impalata - Ma come siamo passati dalle pinze giganti al progettare la data di nascità dei nostri futuri figli?”

Ne era stupido anche lui, ma seppe trovare una risposta adeguata: “Benvenuta nel mondo delle conversazioni tra estranei, che, pur di chiecchierare, parlebbero di qualsiasi argomento.”

Ad un certo punto, però, la ragazza dovette sottrarsi dalla piacevole conversazione. Questo, perché fissata dal suo capo, a distanza: “Beh, credo che rimarremo due estranei, - si allacciò meglio il grambiule per poi passare uno straccio sul bancone - perché devo tornare a lavoro o il mio capo intensificherà ancora di più le sue occhiatacce!”

Eric si voltò a guardarlo: “Rilassati, ora non ti sta guardando più. – si voltò nuovamente verso di lei – Sei nuova, vero? Non ti avevo mai vista qui al Brew!”

Nonostante non fosse più osservata, continuò a muoversi: “Cosa mi ha tradita? Il fatto che non sappia usare delle grosse pinze o che mi preoccupo delle occhiatacce del  capo?”

“Le occhiatacce del capo: senza dubbio! Quando sei nuovo, ti preoccupi sempre che il capo non ti veda commettere errori, poi, con il passare del tempo, te ne freghi sempre meno.”

L’altra dovette congedarlo: “Ed è per questo che devo salutarti, lavoro qui da circa venti minuti! – spostando  lo sguardo tra lui e ciò che stava facendo - Riprendiamo la conversazione tra centoventi giorni, quando inizierò a fregarmene sempre meno.”

L’altro rise, stringendo tra le mani la busta di carta con dentro le focaccine: “Centoventi giorni, eh? – disse allontanandosi, verso la tromba delle scale interna al locale– Spero di sopravvivere senza conoscere il tuo nome!”

Perplessa nel non vederlo uscire dalla porta d’ingresso, si fermò dal pulire, domandandogli: “Abiti qui?”

Quello si voltò, sorridendo: “Già, al piano di sopra. Credo proprio che ci vedremo spesso!”

“Sono Alexis, comunque!”

“Ok, Alexis-grosse pinze!” esclamò, ormai sulle scale.

 Quella, sorrise da sola, come una stupida, per poi tornare al suo dovere.

 

Eric, arrivato alla porta del suo appartamento, girò la chiave, entrando. L’ingresso era completamente inondato da scatoloni, come di chi aveva appena traslocato, pochi mobili.

“Mamma, sono tornato! Ho portato le focaccine!” esclamò, cercando di capire dove fosse, girovagando con lo sguardo.

Quando fece silenzio, riuscì a sentire la sua voce, provenire dalla stanza accanto, dove c’era la cucina.

Senza rivelare la sua presenza, rimase nascosto, al lato della porta, ascoltandola parlare al telefono. Al quanto stanca nella voce, faceva avanti e indietro, dentro la sua tuta grigia.

“Quindi è andato bene il colloquio? […] Bene bene, noi siamo nel nuovo appartamento da qualche giorno e stiamo andando avanti con i soldi della vendita ricavata dall’auto di tuo figlio. Ho anche venduto qualche mio gioiello, perciò… – sospirò – ce la stiamo cavando, più o meno. – si grattò la fronte, portando poi i suoi capelli dietro le orecchie – Forse dovrei iniziare a cercarmi un lavoro, i soldi non sono molti. […] D’accordo, ci sentiamo stasera!”

Terminata la conversazione, Jennifer Blake, poggiò il telefono, sedendosi un’attimo, massaggiandosi le tempie, esausta. Eric, allora, si rivelò.

“Ehi!”

L’altra si voltò, colta di sorpresa, fingendo un sorriso davanti a suo figlio: “Ehi, sei tornato!”

“Era Papà?”  domandò, avvicinandosi.

“Sì, era lui. Ha trovato un lavoro!”

Eric si sedette, tirando un sospiro di sollievo: “Grazie a Dio!”

La madre fu d’accordo: “Già, dopo quello che è successo, è un miracolo!”

“Certo, è dovuto andare parecchio lontano, però!” commentò, triste.

“Ci rimetteremo di nuovo in sesto, ok? Tuo padre ha commesso un grosso errore, ma lo supereremo.– si rattristò per lui, accarezzandogli la guancia – Dev’essere dura per te, in più hai dovuto seppellire un tuo compagno di scuola, oggi… – prese il portafoglio, gli occhi lucidi, tirando fuori qualche contante – Tieni questi, forza, vorrai sicuramente comprarti qualcosa. So quanto ci tieni ad apparire sempre bello e con dei vestiti nuovi!”

“No, Mamma, no! – li rifiutò, spingendoli via – Ho ancora parecchi vestiti che non ho mai usato e poi…non mi interessa neanche più!”

“Mi dispiace tanto, Eric. I ragazzi della tua età dovrebbero stressarsi per lo studio e non per lo stato che ti confisca la casa. – pianse, cercando, però, di trattenersi – Ora vado a farmi una doccia, ok? – gli accarezzò la spalla – Ok.”

Ed Eric la seguì con lo sguardo, dispiaciuto per lei, per la situazione, gli occhi lucidi. Subito dopo, notò il giornale aperto sul tavolo: una foto di Albert, annunciato come scomparso alla cittadina di Rosewood. Fissò a lungo il suo viso, il sorriso forzato che aveva in quella foto, i suoi abiti, il suo aspetto, la sua evidente solitudine. Quell’immagine portò a galla diversi pensieri in lui.

 

FLASHBACK

 

Anthony era intento a frugare nel suo armadio, mentre Eric sedeva sul suo letto a contemplare ogni parete e soprammobile; era la prima volta entrava nella sua camera da quando lo conosceva.

“Mi dispiace per quello che è successo alla tua famiglia, vedrai che vi riprenderete. Anche la mia famiglia ha avuto i suoi alti e bassi, accade a tutti. Poi si ritorna sempre all’apice, alla fine. Più in alto di prima, magari.” parlò con la testa ancora dentro l’armadio.

L’altro rise, sdrammatizzando: “La mia famiglia ha subito un enorme danno, Anthony. Il Signor Lincoln ha fatto in modo che mio padre non lavorasse più per nessuna azienda di questo stato; è un uomo molto influente e pieno di conoscenze e non ha tollerato ciò è accaduto. – sospirò, sconsolato - L’apice è ben oltre le nuvole, credimi.”

L’altro fece un commento a caldo, mentre si risollevava con in mano tanta roba: “I ricchi e potenti sono proprio degli stronzi! – cambiò, poi, discorso, passandoli i vestiti - Ecco, questi non gli ho mai usati, perciò nessuno noterà mai che indossi i miei vestiti!”

Senza parole, Eric esclamò, quasi a disagio: “Ma sono nuovi, hanno ancora l’etichetta! Sembra che tu li abbia appena comprati.”

“Sciocchezze, li ho comprati qualche tempo fa e lasciati nell’armadio. Ho anche parecchie scarpe, sai?”

Eric era fortemente in imbarazzo: “Accidenti, non so che dire. Io-io non posso accettare, mi stai aiutando fin troppo e non siamo nemmeno così tanto amici. – aveva delle perplessità, a quel punto – Perché lo stai facendo?”

Anthony sorrise: “Semplice, Eric: se fossi al tuo posto, vorrei tanto che qualcuno mi aiutasse e mantenesse le apparenze per me. Nessuno dovrebbe precipitare senza un paracadute di salvataggio.”

“Già. Non è bello schiantarsi al suolo, quando ti sei vantato di saper volare…” pensò, ripensando a tutte le volte che aveva ostentato la sua immagine.

Quello, poi, scappò verso la porta: “Torno subito, vado a prenderti qualche paio di scarpe!”

Quando tornò, mise tutto in delle buste, poggiandole sul letto.

“Bene, ora puoi tornare nel mondo reale con la tua immagine intatta. Nessuno si accorgerà che nella tua vita è cambiato qualcosa. – gli sorrise – Sai, nessuno è poi così irrecuperabile. Anche se ti trovi nel pozzo più profondo, ci sarà sempre una corda abbastanza lunga a riportarti su. – fece uno stacco, prima di aggiungere una battutina ironica – Certo, tranne per Albert Pascali, sia chiaro. Per lui non esistono corde abbastanza lunghe a recuperarlo.”

Eric si lasciò scappare una risata, non trovando poi così maligna quella battuta; poi tornò serio, ma, soprattutto, riconoscente: “Grazie, Anthony. Grazie davvero! – trovò, infine, il coraggio di rivelare un suo pregiudizio - Sai, non ti facevo così gentile.”

“Le apparenze ingannano. E con i miei abiti addosso, ingannerai chiunque ti guardi!” concluse, per poi aiutarlo a far scendere tutto e caricarlo in auto.

 

E fu in quell’istante che Eric si voltò a guardare le scatole in cui erano chiusi i suoi vestiti; anzi, quelli di Anthony. Si rese conto di non aver ingannato la gente, ma sé stesso, credendo di poterlo fare e sentirsi bene.

 

*

 

Nathaniel, quel pomeriggio, intanto, fece un salto in ospedale da suo cugino, Tyler Blake, nel suo studio; egli era molto giovane per essere un medico e molto simile a Nathaniel, esteticamente.

“Bene, direi che è tutto apposto. Cerca solo di non sforzarti troppo; ad esempio, evita qualche allenamento, inventa una scusa. Insomma, sei eccezionale nel nuoto, non ne hai bisogno!” esclamò, andando a sedere alla sua scrivania, mentre Nathaniel, seduto sul lettino, si stava rimettendo la maglietta.

“Sì che ne ho bisogno! – si andò a sedere davanti a lui – Non ho voti molto alti e il nuoto è la mia unica possibilità per ottenere una borsa di studio e accedere ad un buon college, dopo il diploma!”

Tyler comprese perfettamente, ma con riserva: “Lo so, me lo ripeti ogni volta, ma cerca di andarci piano. Ne va della tua salute e della mia carriera, non dimenticarlo. Potrei essere radiato dall’albo per averti autorizzato ad entrare nella squadra di nuoto con un certificato che attestava tutto il contrario. Hai uno scompenso cardiaco, tenuto sotto controllo da un farmaco. E hai ancora due anni, prima di diplomarti. Fa attenzione!”

E Nathaniel, senza aggiungere altro, si alzò e prese il suo borsone sportivo, poggiato sull’altra sedia.

Prendendo sul serio, finalmente, le preoccupazioni del cugino, lo accontentò: “D’accordo…Per oggi salterò l’allenamento!”

Felice di sentirlo, accennò un sorriso: “Bene. Grazie!”

L’altro, voltandosi, si avvicinò alla porta, in procinto di uscire dalla stanza. Improvvisamente, si fermò, poco prima di aprire la maniglia e si girò nuovamente verso il cugino, costringendolo a distogliere il suo sguardo dalle cartelle che stava esaminando, con una domanda: “L’obitorio si trova al piano terra, vero?”

Tyler sollevò lo sguardo, rispondendo distrattamente: “Ehm, sì, assieme alla lavanderia, le cucine, patologia e radiologia, perché?”

“Frequento un corso alla Hollis, ultimamente: scrittura creativa! – mentì – Sai, per i crediti extra, perciò…Volevo capire bene dov’è collocato esattamente l’obitorio, per il racconto che sto scrivendo!” tornò leggermente indietro, mentre ne parlava.

Perplesso, Tyler si tolse gli occhiali da vista che portava: “Frequenti un corso di scrittura creativa? E da quando? Praticamente vivi dentro la piscina!”

“Ehm, a volte non mi sgridi a vuoto. Ho seguito il tuo consiglio e il Venerdì, anziché allenarmi, mi siedo e do sfogo alla mia immaginazione. Sì, certo, è un giorno a settimana, ma è pur sempre un giorno in cui il mio cuore non si forza molto.”

Finalmente convinto, la testa che annuiva, era curioso di saperne qualcosa in più: “Bello! Hai fatto bene. E di che parla questo racconto, se posso chiedere?”

Nathaniel era nuovamente alla sua scrivania, dietro la sedia, con le mani poggiate sullo schienale di essa, che spiegava: “Ehm, parla di un uomo che spia le infermiere attraverso le telecamere della sorveglianza – inventò sul momento – E’ un maniaco e quindi le spia e poi le uccide…Una volta finito il turno, ovviamente!”

“Mh, interessante… - finse che fosse così, agitando gli occhiali, la stecca stretta fra le dita, roteando il polso – Certo, diretto, forse un pò troppo, ma… - non riusciva a trovare le parole per non offendere la sua poca originalità – Interessante!”

“Scusa se te lo chiedo, ma… – azzardò, Nathaniel – non è che potresti farmi dare un’occhiata alla stanza della videosorveglianza? Sai, un racconto dev’essere parecchio descrittivo, affinchè il lettore sia quasi in grado di vedere quello che vedono i personaggi, perciò…Ho bisogno di vedere com’è fatta una stanza della videosorveglianza. Sai, per coglierne i dettagli!”

Dopo un breve attimo di titubanza, Tyler decise di aiutarlo: “D’accordo: perché no! – si alzò – Vado a prendere le chiavi, ma cerca di fare in fretta!”

Sospirò grato, l’altro, con ripetute pacche sulla spalla: “Sei il migliore!” e insieme lasciarono lo studio.

Recuperate le chiavi, Tyler era di fronte alla porta che portava ad accedere alla stanza della videosorveglianza, Nathaniel alle sue spalle che volgeva lo sguardo verso entrambi i lati del corridoio. Il mazzo pieno di chiavi, faceva rumore e Tyler non riusciva ad aprire.

“Oh, ma certo! – ebbe un lapsus – C’è una nuova chiave nel mazzo, quella vecchia non può aprire, hanno cambiato la serratura. – prese la chiave giusta, stavolta – Me l’avranno detto almeno dieci volte!”

Nathaniel, trovando strano ciò che gli era stato appena detto, chiese, curioso: “Come mai hanno deciso di cambiare la serratura a questo antro polveroso?”

Finalmente, la porta si era aperta. Tyler rispose poco prima di entrare: “Nicholas, il sorvegliante, non becca mai la chiave giusta e finisce per incastrarci dentro almeno venti chiavi. L’infermiera pensa che sia stato lui a romperla, la serratura. La chiave giusta non girava più, per quanto danneggiata!”

Senza aggiungere altro, nonostante fosse rimasto parecchio perplesso da quella storia, Nathaniel lo seguì, ma quasi andò a sbattere contro di lui, pochi passi dopo. Tyler si era fermato di colpo, in seguito ad un suono proveniente dalla tasca del suo camice.

“Il mio cercapersone, accidenti! – lo rimise in tasca – Senti, dai un’occhiata veloce e richiudi la porta senza danneggiare la serratura. Lascia le chiavi nel mio studio, ok?”

E l’altro annuì, contento che quel cercapersone abbia squillato, assicurandogli che avrebbe eseguito: “Si si, vai pure, ci penso io!” e quello se ne andò, chiudendo la porta alle sue spalle e lasciando solo il cugino, che si voltò sul sistema di sorveglianza in funzione, il display che mostrava i diversi corridoi dell’ospedale.

 

*

 

Rider, seduto nella sua stanza, davanti alla scrivania stracolma di libri aperti e il lume accesso, stava cercando di distrarsi con lo studio, mentre la sera calava sulla città. Al telefono con sua madre, si stava assicurando delle condizioni del suo cane, prima di tornare a dedicarvisi.

“Quindi è soltato una slogatura, si rimetterà? […] Bene, è una fortuna avere una madre come veterinario, sai quanto io tenga a Toby. Il fatto di non averlo qui, in camera, sdraiato sul letto che mi fissa studiare, mi destabilizza! E’ come una sorta di musa ispiratrice dello studio.”

Un suono acustico, notificò un’altra chiamata in arrivo. Rider tolse il telefono dall’orecchio, guardando lo schermo, per poi riportarselo all’orecchio nuovamente.

“Mamma, ho un amico sull’altra linea, ci vediamo più tardi a cena!” e premette sul display per congedarla e prendere l’altra chiamata.

“Pronto?” rispose.

“Ehi, ho bisogno di aiuto, - era Nathaniel – sono all’obitorio!”

Irrigidendosi, Rider, si distanziò dalla scrivania, confuso: “Da paziente deceduto o in visita?”

L’altro, fermo in mezzo alla stanza, le barelle con i lenzuoli sopra, attorno a lui, cercò di mantenere la calma: “Non sono un fantasma, Rider! – esclamò, una nota isterica nella voce – Mi ha fatto entrare mio cugino, ho detto per finta che frequento un corso di scrittura creativa e che devo descrivere com’è fatto un obitorio nel mio racconto da quattro soldi!”

“Prima che ti faccia i miei complimenti per la menzogna perfetta, cosa ci fai all’obitorio?”

Nathaniel titubò, mentre cominciava a muoversi all’interno della fredda stanza: “Ehm, volevo…volevo…”

Rider, però, intuì: “Scoprire se nella bara c’è davvero Anthony?”

A quel punto, quello dovette sputare fuori il rospo: “Sì! – fece una pausa, prima di riprendere – Ascolta, Rider, per quanto tu sia stato convincente, fuori dalla chiesa, io vorrei esserne sicuro. Anche Sam aveva delle buone motivazioni!”

Sospirando, Rider si arrese; in fondo al cuore, nemmeno lui era del tutto sicuro: “Ok, scopriamo la verità! – iniziò a dargli indicazioni, avvicinandosi alla finestra e poggiandosi di schiena – Allora, per scoprire chi c’è nella bara, dobbiamo controllare i referti del medico legale. Dovrebbe esserci una pila di cassetti d’acciao, lì nella stanza. ”

L’amico li notò con lo sguardo: “Sì, eccoli! – si diresse verso di essi, continuando a parlare - A proposito, avevo una penna USB nel borsone, con dentro qualche film che ho dovuto cancellare per guadagnare spazio. Ho fatto una copia dei filmati delle telecamere di sorveglianza che vanno dal giorno dopo l’incendio a casa di Anthony fino alla giornata di ieri. In pratica, il lasso di tempo in cui A avrebbe potuto scambiare i corpi.”

“Oh mio Dio!” esclamò Rider, fermando Nathaniel, che aveva già aperto qualche cassetto.

“Che c’è?”

“Sei intelligente!” pensò.

Nathaniel prese quel commento come un’offesa, più che un complimento: “Pensavi fossi stupido, per caso?”

L’altro si rese conto di aver parlato a sproposito: “Ehm, no, che dici! E solo che, gli atleti sono più per l’azione che per i colpi di genio. Insomma, non hanno tempo di ragionare, no? – si accorse di aver detto un’altra stupidaggine – Ok, dimentica tutto, forse sei un ibrido!”

“RIDER!” urlò Nathaniel, esasperato, cercando di mettergli un freno.

“Ok ok, la smetto! – tornò finalmente serio – Allora, ogni cassetto, dovrebbe essere classificato per anno.”

“2015…2015 – stava controllando le etichette, una ad una – 2015! Trovato! – aprì quel cassetto, in attesa di altre istruzioni - Adesso?”

“Tutti i referti sono in ordine alfabetico: iniziale del cognome, poi del nome!”

“Dimitri, Anthony…Dimitri, Anthony… - scorreva le dita fra le cartelle – Ok, - lo trovò – Dimitri, Anthony!” e la aprì, trovando dentro diverse pagine.

“Leggimi cosa c’è scritto!” richiese, Rider, in attesa.

Nathaniel, parve in difficoltà, già alla prima pagina: “Ehm, allora, fontanella occipitale… - si morse le labbra, passando alla seconda pagina, più complicata della precendente.”

Intuendo dalla voce dell’amico che per lui era difficile comprendere il contenuto delle pagine, suggerì: “Ok, Nat, lascia perdere, vai alla pagina riassuntiva del referto, si trova verso la fine!”

L’altro eseguì, trovandola proprio tra le ultime pagine, come detto da Rider: “Ma chi sei? – si sbalordì di come sapeva muoversi fra quelle cose – The mentalist?

“Spero di no! Patrick Jane lavorava in un circo itinerante, prima di trovare la sua strada.”

Tralasciando quel commento, Nathaniel illustrò la pagina riassuntiva: “Allora, qui dice che: L’impatto sul lato posteriore del cranio della vittima, indica che non era rivolto verso l’aggressore. Il cranio era deformato verso l’interno per l’impatto. Il corpo contundente era curvo e smussato. – smise di leggere, incredulo – Non parla di ossa rotte, solo un colpo alla testa!”

Anche nel tono di Rider, vigeva la stessa preoccupazione: “No, non è possibile. Albert non ha ricevuto un colpo alla testa, è stato letteralmente investito. Sicuro che quel referto non parli di ossa rotte o altro?”

“E’ la pagina riassuntiva, dice solo questo. – Nathaniel fu costretto a sottolineare la realtà dei fatti – Rider, il corpo nella bara è quello di Anthony, non di Albert. Nel filmato che abbiamo ricevuto, si vedeva chiaramente che l’aggressore puntava alla sua testa, anche se non abbiamo visto quello che è successo dopo. – dopo una breve pausa, ribadì nuovamente il concetto – Rider, il referto non combacia con Albert, ma con Anthony!”

Rider urlò, non riuscendo a capacitarsi: “Ma-ma com’è possibile? Come diavolo può aver fatto questa persona, A, a rubare il cadavere di Albert dall’obitorio e scambiarlo con quello di Anthony, indisturbato? E’ surreale!”

Nathaniel, sconvolto quando l’amico, richiuse la cartella: “Ascolta, io qui devo rimettere tutto apposto, prima che qualcuno se ne accorga…”

Nonostante il nervosismo, Rider non risparmiò il suo sarcasmo melodrammatico: “Ma figurati, se A ha scambiato due corpi senza essere beccato, puoi anche farci un pigiama party con quei referti!”

“Io devo comunque andare, ho un impegno. – richiuse il cassetto, dirigendosi, poi, verso la porta – Ascolta, se vuoi, posso passare a casa tua dopo, oppure vieni tu a casa mia e guardiamo assieme i filmati della videosorveglianza, ok?”

L’altro ci mise un pò a rispondere, pensieroso: “Ok, vieni pure a casa mia!”

“Ok, a dopo!” concluse Nathaniel, lasciando la stanza e chiudendo la chiamata.

Rider, poggiando il suo telefono sul bordo della finestra, si torturava le mani, non riuscendo ancora a credere di avere a che fare con una A, che sembra non essere Anthony.

Improvvisamente, si voltò verso la sua scrivania, posando gli occhi sulle chiavi della sua auto.

 

*

A casa Havery, nel frattempo, il campanello suonava incessantemente. Sam, scendendo per le scale, non molto in forma per i pensieri legati all’assurda notte vissuta con i suoi compagni, andò ad aprire, trovandosi davanti Chloe con in mano delle bustine da centro commerciale nelle mani e il PC sottobraccio.

Quello, impalato a fissarla, attese di sentire qualcosa da lei, dato che era sorpreso di vederla.

“Prima di tutto, hanno rinnovato Game of Thrones, perciò: super maratona della prima stagione, per festeggiare! – entrò, mentre l’altro chiudeva la porta, seguendola nell’altra stanza – SECONDA COSA: Mi devi tagliare i capelli!” concluse, appoggiando tutto sul tavolino del salotto, per poi voltarsi verso l’amico.

“COSA? Sei ubriaca, per caso?” reagì, stranito, Sam.

“Non sono ubriaca! – esclamò con un’occhiataccia cinica e leggermente offesa – Voglio solo cambiare look, tutto qui.”

Sam si prese un momento, prima di dire qualcosa: “Ok, ecco che le tue personalità multiple riemergono puntualmente. Ad esempio, oggi sei venuta con me al funerale di Anthony, quando una volta mi hai detto che se, un giorno, fosse morto, non saresti mai andata al suo funerale nemmeno se ci fosse stato Ian Somerhalder in prima fila! Poi, adesso, mi chiedi di tagliarti i capelli e fare una maratona di Game of Thrones per festeggiare il suo rinnovo, quando il rinnovo di Game of Thrones è scontato quanto quello di The Walking dead, che tra l’altro non finirà mai!”

Chloe, abbassando lo sguardo, mostrò per la prima volta la sua fragilità, raccontando le sue ragioni: “E’ solo che…La morte di Anthony ha scombussolato un pò tutti e ha riportato a galla tutti i momento in cui ha tormentato me e gli altri sfigatelli della scuola!”

Sam fu più comprensivo e risoluto: “Ma non ti ha mai tormentata, Chloe. Ti ha dato solo un soprannome!”

L’altra, non la considerò una cosa da poco: “Un soprannome che mi ha segnata profondamente e che mi ha reso meno desiderabile agli occhi dei ragazzi, Sam. – una lacrima le scese lungo il viso - Sai cosa vuol dire per una ragazza, stare seduta davanti alla sua serie tv preferita e invidiare una qualsiasi Meredith Grey, amata così immensamente dal suo Derek Shepherd, e sapere che nessuno ti amerà mai come viene amata lei, o guardata come viene guardata lei? Sam, non posso vivere l’amore attraverso un telefilm per sempre. E se oggi sono venuta al funerale di Anthony, non è stato di certo per compassione. Anzi, ridevo dentro di me ed ero sollevata…Sollevata perché non c’era più e perché non avrebbe mai più umiliato nessuno o distrutto i suoi sogni. – si asciugò le lacrime – Cambiare il taglio di capelli è solo un modo per ricominciare da zero. Una sorta di…Nuova era!”

Commosso, Sam corse ad abbracciarla, non immaginando minimamente cosa avesse provato negli ultimi anni: “Chloe, scusami. Non avevo capito quanto la cosa ti avesse fatto soffrire!”

In quell’istante, il Signor Carson Havery stava rientrando dalla porta, notando i due, chiudendo la porta un po’ troppo forte, senza farlo apposta, maldestro.

I due si voltarono.

“Spero di non aver interrotto qualcosa!” esclamò, sperando fosse così.

“Non dire sciocchezze, Papà!” disse Sam, in maniera scocciata, staccandosi da Chloe, che si stava asciugando le lacrime con le maniche del maglione. Carson la notò, preoccupandosi con premura.

“Ehi, tutto bene?”

L’altra finse un sorriso, continuando a strofinarsi gli occhi, giustificandosi: “Ehm, sì, è solo che sto ripensando al povero Anthony – mentì e Sam non la smentì, annuendo – e ad Albert, il ragazzo scomparso. E’ davvero molto triste quello che è accaduto loro.”

L’uomo fu della stessa idea: “Già, che triste storia! – tirò un sospiro, turbato - Peccato che non sia finita qui…”

Sam si lanciò un’occhiata con Chloe, inquietato da quanto aggiunto da suo padre, prima di porre una domanda: “Che vuoi dire?”

“La morte di Anthony e suo padre è stata classificata come omicidio, ma questo lo sapevate già. Quello che non sapete è che la polizia ha osservato attentamente la scena del crimine e la cassaforte spalancata e il disordine in casa, ci ha fatto subito pensare ad un furto finito male e quindi abbiamo dovuto indagare più a fondo.”

“Quindi è stato un ladro ad uccidere Anthony e suo padre?” chiese Chloe, a braccia conserte, il volto irrigidito.

“Esatto. Probabilmente, quando si sono accorti della sua presenza in casa, quello ha reagito con violenza…” ma Carson sembrava molto ritirato nelle parole, come se volesse omettere qualcosa.

Quel suo atteggiamento, confuse Sam, naturalmente, in cerca di una certezza che lo rassicurasse: “Sì, ma è finita, no? – reagì nervosamente - Il caso è stato archiaviato, giusto? Non troverete mai questo ladro!”

I due lo fissarono, quasi spiazzati da quella reazione.

“Ehm, no, figliolo – cercò di spiegare, Carson – Non si può archiviare un caso di omicidio senza aver trovato prima l’assassino e poi…non puoi essere certo che non troveremo mai l’assassino. – rise – Ne sembri quasi sicuro!”

Sam si rese conto di aver esagerato troppo nella sua reazione e cercò di rettificare: “No, cioè, non ho detto di essere certo che non troverete mai l’assassino. Dico solo che un ladro è abbastanza furbo da sparire nel nulla.”

“In questo caso, noi sappiamo perfettamente chi è stato. – Chloe sgranò gli occhi, ma non quanto Sam, incredulo - Quest’oggi, la Signora Dimitri e il figlio maggiore Clarke, sono rientrati a Rosewood per i funerali del figlio e noi li abbiamo interrogati su chi pensino possa aver fatto una cosa del genere. Insomma, il ladro sapeva bene dove trovare quei soldi, la cassaforte era ben nascosta!”

“Sì, li abbiamo visti, eravamo due file più dietro io e Sam!” esclamò Chloe, mentre Carson annuiva, dirigendosi verso le scale.

“Beh, vi auguro una buona serata, domani ho molto lavoro da svolgere. Quello che c’è da sapere, lo scoprirete dal notiziario di domani. Non serve che vi racconti tutti  i dettagli!” e appoggiò la gaccia sull’appendiabiti, poco prima di mettere piede sul primo gradino.

Sam, rimasto accanto a Chloe, più calma rispetto a lui, aveva gli occhi che non smettevano di muoversi per l’ansia che cresceva dentro di sè e d’impulso, fermò il padre, affamato di risposte.

“Aspetta, perché non puoi raccontarci il resto? Sai perfettamente che i notiziari non riportano mai tutto quello che c’è dietro e Anthony era mio amico! Ho il diritto di sapere!”

L’altro si voltò, serio: “Non avete l’età giusta per ascoltare una storia simile e la Signora Dimitri ha chiesto privacy in merito alle dichiarazioni fatte. – fece uno stacco, prima di tornare a parlare – Sam, sarai anche mio figlio, ma ho etica nel mio lavoro e lo sai. Adesso andate a guardarvi quelche film o qualunque cosa abbiate in programma di fare. Vado a letto!” e si congedò, irremovibile.

Sam rimase fermo, imbambolato, davanti alle scale, con Chloe alle spalle.

“A quanto pare, anche la famiglia Dimitri ha dei segreti! – esclamò quella, per poi voler tornare nella stanza dov’erano – Allora, vieni a tagliarmi i capelli o no? Tuo padre ha ragione, dobbiamo distrarci da questa assurda storia!”

E Sam, restando voltato, cercò di non mostrarle quanto fosse bianco in volto, rispondendo: “Ehm, sì, arrivo subito. Devo-devo solo andare un attimo in cucina a bere!”

Quando Chloe seguì il suo suggerimento, passando nell’altra stanza, senza di lui, Sam tirò fuori il telefono dalla tasca, scrivendo un messaggio, le mani che tremavano.

 

Messaggio a: Nathaniel, Rider, Eric.

“La polizia ha trovato un assassino. Sto impazzendo.”

 

Il secondo dopo, ricevette un messaggio di risposta da uno di loro.

 

Messaggio da: Rider.

“Cosa? Ma quale assassino? Sono da te tra un quarto d’ora!”

*

 

Il messaggio era arrivato anche ad Eric, solo che non lo sentì per via della vibrazione impostata, il display accesso dentro il cestino della sua bici, mentre la fermava nei pressi di un boschetto dietro al cimitero. Con lo zaino in spalla, stracolmo, a giudicare dalla cerniera non perfettamente chiusa, fissò il terreno, come in cerca di un punto preciso e lo trovò, posizionandosi lì e tirando fuori dallo zaino una piccola paletta, con la quale iniziò a scavare una buca.

Una volta raggiunta la profondita giusta e la larghezza giusta, ci svuotò dentro il contenuto dello zaino: si trattava di vestiti.

Completata l’azione, gettando lo zaino a terra, ormai vuoto, per poi fissare quei vestiti per qualche secondo, Eric tirò fuori un accendino dalla tasca, che accese, tenendolo stretto fra le dita.

“Non mi devi più alcun favore, Anthony; i tuoi, non sono mai stati favori, del resto. Volevi solo rendermi di tua proprieta, ma adesso è finita!  Non ho più bisogno dei tuoi abiti, ormai. Non ne ho mai avuto. E mi dispiace tanto di averlo capito soltanto adesso.”

E gettò l’accendino nella buca, che fece prendere fuoco agli abiti, mentre contemplava le fiamme della sua rivincita, per quanto minima, ma necessaria per lui stesso.

Improvvisamente, la sua attenzione fu distolta da un rumore tra le frasche, poi da quello di un ramoscello calpestato.

“Chi c’è?” domandò, aguzzando la vista nell’oscurità.

Non fece un’altra domanda, che si affrettò a richiudere la buca, buttando la terra sul fuoco, mantenendo lo sguardo fisso nel punto dal quale pensava di aver sentito provenire il rumore. Richiusa la buca, rimontò sulla bici, velocemente, con il fiatone, dimenticando lo zaino. Corse più veloce del vento.

 

*

 

Intanto, a casa Havery, con davanti il PC e una puntata di Game of Thones in esecuzione, Sam aveva finito di tagliare i capelli a Chloe, ad altezza spalle, nonostante avesse la testa da tutt’altra parte. Le tinse anche alcune ciocche di capelli per dare un effetto biondo luminescente al suo nero naturale, a giudicare dalla scatola del colorante. Subito dopo, le arrotolò nella carta stagnola.

“Non vedo l’ora di asciugarli e vedere come sto. Soprattutto le meches bionde , non le ho mai fatte!” era eccitata Chloe, tenendo gli occhi fissi sullo schermo del portatile, mentre Sam continuava a fissare il telefono ogni due secondi.

Finalmente, la chiamata che stava aspettando: quella di Rider.

Prese il telefono, allora, impostato sulla vibrazione, nascondendolo dietro alle sue spalle.

“Ehm, Chloe, vado a buttare la spazzatura!” la avvertì, indietreggiando.

Quella, impegnata nella visione dell’episodio, un piattino di patatine fra le mani, esclamò distrattamente: “Ok ok!”

Sam, allora, passò nel corridoio d’ingresso, rispondendo alla chiamata: “Ehi, allora?”

“Sono qui fuori, esci!”

E quello, aprendo la porta il più piano possibile, uscì, raggiungendo Rider, parcheggiato lì davanti, con il motore ancora acceso. Sam fece il giro, aprendo la portiera ed entrando in macchina.

“Grazie a Dio, uno di voi, si è degnato di rispondermi. E’ da mezz’ora che sto…”

Ma non potè completare, perché Rider partì a tavoletta, costringendolo non solo a reggersi, ma a fissarlo di stucco.

“Rider, che cavolo stai facendo?” gli domandò, mentre l’altro era impegnato nella guida, molto serio.

“Devo togliermi il dubbio, una volta per tutte!”

“Il dubbio di cosa? Hai letto il messaggio che ti ho mandato?”

“Anthony, Albert. Albert, Anthony: ecco quale dubbio! Perciò, adesso, noi andremo alla stazione di Rosewood e scopriremo la verità, osservando da più vicino la scena del crimine!”

E Sam, dopo aver deglutito, cercò di restare calmo: “Ok, lo sai che ho lasciato Chloe da sola con della carta stagnola in testa e un episodio di Game of Thrones?”

“Bene, per un’ora resterà impegnata!” esclamò, mentre l’altro rimase a fissarlo, scuotendo la testa, seccato.

All’entrata della stazione, i due stavano scendendo le scale. Durante il tragitto in macchina, si erano aggiornati su tutto.

Sam, allora, a dir poco isterico e terrorizzato per le notizie apprese, quasi inciampava: “Quindi tu e Nathaniel siete sicuri che il corpo nella bara è di Anthony? Lo sai che mi stai spaventando, vero? E che questa storia ci sta sfuggendo di mano, dal momento che la polizia arresterà un tizio che non c’entra assolutamente niente!”

Rider era ancora confuso, in merito a quella parte: “Ancora non capisco in base a cosa la polizia pensi che questa persona sia l’assassino!”

“Beh, la polizia non sa quello che sappiano noi. Non sa che Anthony ha ucciso sia Albert che suo padre e che ha usato Albert per farlo passare per lui. E io-io non riuscirei nemmeno a dormire, sapendo che il tizio che cattureranno, finirà in prigione da innocente!”

Rider si sentì in dovere di fargli una predica: “Forse sarebbe meglio che iniziassi a renderti utile, Sam. Hai un padre poliziotto, fingi di andarlo a trovare in centrale e buttati su qualche scrivania ad indagare. Cerca di scoprire chi è questo sospettato e quali dichiarazioni ha fatto la Signora Dimitri. – era indignato – DIO, solo Nathaniel ha avuto un briciolo di fegato in questo gruppo? E’ entrato dentro la stanza di un’obitorio, Sam. – sottolineò con enfasi - Con dei morti!”

L’altro cercò di giustificarsi: “HO PROVATO ad indagare! Mio padre non ha voluto dirmi niente, ero lì, in piedi con Chloe, e diceva che non era una storia adatta a noi e che la Signora Dimitri ha richiesto discrezione!”

“Te l’ho detto, devi intrufolarti in centrale!” suggerì nuovamente, Rider.

“E cosa dovrei dirgli se mi becca lì? – si innervosì, Sam – Ciao, Papà, d’un tratto mi sento Veronica Mars?”

Ma non ricevette risposta, solo un’occhiata, per poi voltarsi di fronte a sé: erano giunti all’interno della stazione, davanti ai binari. La stazione era al coperto, all’interno di un tunnel. Ma, soprattutto, non c’era anima viva.

“Dimenticavo quant’è inquietante la stazione di Rosewood a quest’ora…” rabbrividì, strofinandosi le braccia. Subito dopo, si accorse di non avere più di fianco Rider, voltandosi a cercarlo.

Quello, poco lontano, aveva la testa rivolta verso l’alto, osservando le telecamere, vicino alle luci, intermittenti, che illuminavano il pavimento della fermata, sul quale camminavano. Altre, invece, erano poste vicino alle colonne portanti.

“Che stai facendo?” gli domandò Sam, ora.

“Studio la direzione delle telecamere per trovare un punto cieco!” esclamò distrattamente.

L’altro lo fissò, stranito: “Un punto cosa?”

Finalmente, Rider si voltò verso di lui: “Un punto non coperto dalle telecamere… – allungò lo sguardo dietro Sam, indicandoglielo – Ecco, lì, ad esempio!”

E Sam si voltò a vederlo, mentre Rider si avvicinava a quel punto, continuando a parlare: “Anthony, mentre aspettava il treno, doveva essere per forza in piedi qui!” esclamò, inginocchiandosi ad osservare il pavimento da più vicino.

“Suppongo di sì o le telecamere avrebbero ripreso l’aggressione. – Sam si guardò attorno, sentendosi poco al sicuro, poi posò nuovamente il suo sguardo sull’amico – Ma che stai facendo?”

Quello stava toccando il pavimento, scuotendo la testa, perplesso: “Il pavimento è poroso e il referto medico riporta un cranio ripetutamente colpito. Solo che… - osservò attentamente quel pavimento - Dov’è il sangue? Anche se l’aggressore avesse provato a pulirlo, una traccia sarebbe comunque rimasta, nei piccoli fori…”

Una volta risollevato, Sam fece lui, un osservazione: “Hai appena parlato di aggressione…Inizi a credere anche tu che Anthony sia stato ucciso?”

“Ci sono delle prove, Sam. E il referto è una prova schiacciante, ma non capisco come la scena non sia stata contaminata. Insomma, questo posto non è mica a gravità zero, il sangue dovrà pur essere schizzato da qualche parte, no?”

Ad un purto morto, i due si guardarono attorno, sospirando per quel buco nell’acqua. Improvvisamente, si udì un suono molto basso.

Rider lo avvertì e alzò subito un dito davanti a Sam, in segno di non fare alcun fiato: “Shhhh!”

“Non ho detto una parola!” esclamò l’altro, a voce bassa, mentre l’altro attizzava le orecchie.

“Sembra lo squillo di un telefono e… - si voltò verso i tunnel – Proviene dal percorso del binario A…”

“Ok e quindi?” gli domandò Sam, vedendolo avvicinarsi al bordo, vicino alla linea gialla.

“E’ nel tunnel! Nel tunnel del binario A c’è un telefono!” esclamò, nuovamente, per poi scendere sopra il binario.

Sam spalancò la bocca, basito: “Ti prego, dimmi che non stai per entrare in quel tunnel spaventosamente buio!”

L’altro si dimostrò indifferente: “Sì, è quello che sto per fare!” e si voltò, iniziando a camminare lungo il binario, seguendo il suono, mentre Sam lo seguiva da sopra, cercando di fermarlo.

“E se passa un treno?”

Rider rispose senza nemmeno voltarsi, fisso su quella direzione: “Vedi qualcuno aspettare il treno? – un breve stacco e rispose per lui – No! Perciò continuo a camminare!”

Il suono, però, si interruppe. Rider si fermò e anche Sam.

“E’ cessato!” esclamò, quest’ultimo.

Rider, fissando a lungo il tunnel, chiese, poi, a Sam: “Chiama Anthony!”

“Cosa?” sussultò, l’altro.

“Prendi il telefono e fai uno squillo al numero di Anthony!” gli urlò.

Sam, sempre più atterrito, lo prese ed eseguì, tenendo il telefono sul palmo della mano per qualche secondo, fissando Rider.

Il suono, all’interno del tunnel, ricominciò. I due si voltarono per poi tornare a guardarsi, agghiacciati; Sam lo era molto di più, però.

“Rider, giuro su Dio che me ne sto andando!” esclamò, spaventato.

Ma quello riprese a camminare, incurante.

“RIDER!” gli urlò, Sam, rincorrendolo, sempre da sopra.

“Non me ne vado senza averlo preso!” fu chiaro.

L’altro mantenne un tono medio basso, nervoso, mentre cercava di fermarlo: “Ti rendi conto di cosa stai facendo? Stai per entrare dentro un tunnel buio per recuperare uno stupido telefono! – gli urlò contro, ancora – RIDER!”

Quello si bloccò, lansciandogli un’occhiataccia: “L’angoscia del non sapere è più forte della paura!” e ricominciò a camminare, addentrandosi nel tunnel, accendendo la torcia del suo telefono.

Per Sam, invece, la strada era finita e non poteva più seguirlo, se non scendendo anche lui.

“Rider? – provò a chiamarlo ancora, chinandosi in fuori, sul bordo – RIDER!” ma non rivette risposta.

Dopo aver tirato un sospiro furibondo ed essersi guardato intorno, roteò gli occhi, arrendendosi. A quel punto, scese sul binario anche lui, raggiungendolo di corsa.

Accendendo anche la torcia del suo telefono, arrivò alle spalle di Rider.

“Ehi, aspettami!”

Finalmente camminavano a pari passo, la luce puntata davanti a loro. Rider si voltò verso di lui, accennando un sorriso: “Hai acquistato un po’ di fegato, vedo.”

“E’ una follia, ma non potevo lasciarti entrare da solo!”

Tornati a guardare avanti, Sam digitò nuovamente il numero. Lo squillo riprese, erano vicini; tant’è che Rider, potè finalmente notare il telefono, illuminandolo con la torcia.

“Eccolo!” esclamò, avvicinandosi con Sam, velocemente. Si chinò a prendendolo.

Fu, poi, l’amico a prendere parola per primo: “E’ suo e sembra pulito e… - puntò la luce lì intorno – Niente cadaveri macabri o topi!”

Iniziarono ad osservare il telefono, quando, di colpo, vibrò, facendoli sobbalzare: era un messaggio.

Prima di aprirlo, i due si scambiarono una rapida occhiata, tesi.

“E’ un’immagine!” esclamò Rider, per poi aprirla.

Sam parve confuso, nel vederla: “Una tabella con degli orari?” cercando spiegazioni negli occhi dell’amico.

Binario A, ore 23.45,  - lesse – trasporto merci!” esclamò, sollevando lo sguardo dallo schermo, fissando Sam, che stava controllando l’orologio.

“Sono le 23.48!” riferì, mentre Rider guardava avanti, puntando la luce.

Anche i loro telefoni, ricevettero un messaggio.

“Ciuff, ciuff!”

-A

 

I due non ebbero nemmeno il tempo di reagire, che furono investiti da una luce abbagliante, il treno del trasporto merci spuntò a pochi passi da loro, facendo sgranare i loro occhi per la sorpresa.

“CORRIII!” gridò Rider, tirando Sam per la giacca, mentre tornavano indietro, correndo a più non posso. Il fracasso del treno copriva le loro voci, che si sentivano a malapena.

“Non ce la facciamo, non ce la facciamo!” urlò Sam, l’uscita era troppo lontana, il treno sempre più vicino, così decise di prendere l’iniziativa del loro salvataggio. Con entrambe le braccia, spinse Rider al lato del binario, spiaccicandolo contro la parete, poi fu il suo turno, quello di buttarsi dal lato opposto al suo.

Il treno passò, coprendo le loro urla per lo spavento. Per pochi millimetri, davvero ad un palmo dal loro naso, se la cavarono.

Tornato il silenzio, i due si fissarono, senza fiato, gli occhi fuori dalle orbite per l’adrenalina, inginocchiati  a terra. Non dissero una parola, in merito a quanto appena passato.

 

*

 

Un’ora dopo, a casa di Rider, i ragazzi furono raggiunti da Nathaniel ed Eric. Assieme a Sam, erano davanti al portatile di Rider, sulla scrivania, mentre lui stava rannicchiato sul letto con una tazza di thè fumante fra le mani e lo sguardo assente, fisso sulla parete.

“Ma sta bene?” bisbigliò Eric, riferendosi proprio a Rider.

“E’ traumatizzato e anche io. Per poco un treno merci non ci trasformava in tappetti umani! – fece una pausa, ancora cercava di metabolizzare quanto accaduto – Se quel tunnel fosse stato più stretto…Beh, non voglio neanche pensarci, non saremmo qui a parlarne, probabilmente.” esclamò Sam, fissandolo assieme ad Eric, mentre Nathaniel era impegnato a visionare i filmati, seduto, con loro, in piedi, ai lati.

“Quindi è tutto vero? A esiste e non è Anthony?” era ancora incredulo Eric, quando dodici ore prima, erano arrivati ad una conclusione ben diversa

A esiste e HA UCCISO, Anthony! – sottolineò, Sam -  A ha scambiato i corpi all’obitorio e, sempre A, ci ha fatto quasi ammazzare stasera!”

“E in tutto questo, la polizia sta per catturare qualcuno che in realtà non ha ucciso nessuno? – Eric non riusciva davvero a crederci – Dov’è il manicomio? – sussultò – Seriamente, qui sembra di stare ai confini della realtà!”

Nathaniel, finalmente, fece sentire la sua voce, attirando l’attenzione dei compagni: “Ascoltate, ho già visto il filmato di Martedì, Mercoledì e ora sto guardando quello di Giovedì. Aiutatemi, è l’ultima registrazione e ancora non si è visto niente. – quelli si avvicinarono meglio - Non scollate gli occhi!”

Dopo qualche minuto di calma piatta, nel filmato, i tre cercarono di non demordere.

“Lasciate perdere Mercoledì e Giovedì. Soffermatevi su Martedì! – Rider spuntò alle loro spalle, facendoli lievemente sobbalzare – In un caso del genere, la polizia avrà fatto pressioni al medico legale. Se A ha scambiato i corpi, l’ha fatto Martedì, subito, senza perdere tempo, o l’autopsia sarebbe stata fatta ad Albert e non ad Anthony.”

Nathaniel, rapido, tornò  sulle registrazioni di Martedì, mentre Eric si sincerava delle condizioni di Rider.

“Stai bene?”

“No, per niente. – aveva un’espressione avvilita, gli occhi lucidi – Cercavo di avere ragione e invece avevo torto e…ho quasi ucciso me e Sam per questo.  – si impuntò sulle registrazioni, determinato – Troviamo quel figlio di puttana!”

“E dopo? Che facciamo?” chiese Sam.

“Parleremo con tuo padre e lui sapra come aiutarci. Ci basta solo un volto, una prova e tutto si collegherà perfettamente alla nostra storia!”

Nathaniel si voltò, mentre il filmato continuava, intervenendo: “Se raccontiamo tutto, finiremo in galera. Siamo complici!”

“Siamo teenager! – esclamò con enfasi - Raccontiamo bugie ogni giorno ai nostri genitori e alle persone che ci circondano. E’ il nostro pane quotidiano, siamo abili in questo. Quando saremo sotto interrogatorio, ci basterà aggiustare la verità in modo che ci danneggi il meno possibile. – si voltò verso l’amico - E tuo padre, Sam, ci aiuterà ad aggiustarla, perché è un poliziotto, che sa come muoversi in queste cose, e perché è tuo padre e non vorrà perderti.”

E quello abbassò lo sguardo, pensando alla vergogna che avrebbe provato nel raccontare a suo padre a cosa aveva preso parte.

Qualche minuto più tardi, concentrati a scorgere qualcosa, nulla si decideva a comparire.

“Io mi rifiuto!” sbuffò Nathaniel.

“Torna indietro!” esclamò Rider, invece, come se avesse notato qualcosa. Naturalmente, mentre quello eseguiva, Sam ed Eric spostarono lo sguardo tra lui e lo schermo, con il fiato sospeso.

“L’infermiera!” esclamò, concentrando l’attenzione dei presenti su di lei, che era appena passata davanti alla porta dell’obitorio.

“Che ha che non va, l’infermiera? E’ solo passata davanti alla porta!” pensò Sam, non trovando nulla di insolito.

Rider si affrettò a dare una risposta: “E’ passata cinque volte davanti alla porta, ad intervalli regolari di otto minuti. Da destra a sinistra, senza mai tornare indietro.”

Anche Sam ed Eric lo trovarono strano, ora che Rider glielo aveva appena fatto notare.

“Ehm, ci sono due ascensori nel piano. Uno nell’ala est e uno nell’ala ovest. Avrà fatto il giro!” aggiunse Nathaniel, giustificando la scena.

Rider, allora, si chinò in avanti, fermando il video, nel momento esatto in cui l’infermiera passa davanti alla porta.

“Guardate! Ogni volta che passa, ha sempre il telefono nella mano destra. Stessa espressione, stessa camminata, poi guarda un attimo a terra e risolleva lo sguardo. – andò avanti di otto minuti – Di nuovo: telefono nella mano destra, stessa espressione, guarda giù e continua a camminare. Ogni otto minuti, per cinque volte, è tutto uguale!”

I ragazzi se ne convinsero, a quel punto. Anche Nathaniel.

Eric commentò a bruciapelo, impressionato: “Ha montato lo stesso pezzo per cinque volte. – riflettè, poi - Saranno almeno 40 minuti!”

“E 40 minuti sono più che sufficienti per scambiare due corpi, alle 3.25 del mattino!” aggiunse Nathaniel.

Sam era incredulo: “Quindi non abbiamo nessun volto? La polizia non troverà mai questa persona!”

“Non importa! – esclamò, Rider, per poi rivolgersi all’altro amico – Nathaniel, prendi il portatile, lo portiamo al padre di Sam e glielo mostriamo.”

“Prima, però, dobbiamo raccontargli tutto.” non dimenticò, Eric.

“Ovvio!” esclamò Sam, mentre si scambiavano tutti uno sguardo di coesione. Nathaniel chiuse il portatile e si alzò, avviandosi assieme agli altri, uscendo dalla stanza, silenziosamente.

 

*

 

Parcheggiati davanti all’abitazione di Sam, tutti si tolsero la cintura di sicurezza, pronti a scendere.

Rider volle accertarsi di una cosa, prima di entrare, rivolgendosi proprio a Sam: “Chloe è ancora a casa tua?”

“No, è tornata a casa sua, dopo avermi mandato un messaggio con venti faccine arrabbiate per averla lasciata da sola.”

Aprirono le portiere, pronti a scendere, ma l’arrivo di un nuovo messaggio, dovette fermarli. I quattro ragazzi si lanciarono nuovamente l’ennesima occhiata fra loro, prima di aprirlo.

“E’ di A!” anticipò, Eric.

“Pensate di avere la verità in tasca e di poterla manipolare? Fate una sosta qui, prima della prossima tappa.”

-A

 

Subito dopo, comparve un immagine: un computer, poggiato sul banco centrale di un’aula.

 

“Ma è la nostra classe, quella!” la riconobbe, Nathaniel.

“Ho imparato la lezione, grazie. Ho chiuso con i posti bui!” si riufiuto Rider, mettendo le mani in avanti.

“Ma non lo capite? A ci ha sentiti e ci sta dicendo che se faremo un altro passo, avrà anche lui qualcosa da dire! Ragazzi, ho fin troppi guai per averne altri!” gridò, esageratamente.

Tutti lo fissarono, non riuscivano a seguirlo e quello si rese conto di aver parlato a sproposito, riferendosi ai suoi problemi personali, che non loro non potevano conoscere, abbassando lo sguardo, calmandosi, sperando di non ricevere domande in merito.

“Quali altri guai avresti, scusa, a parte quelli con noi?” chiese, Sam, non risparmiando quella domanda.

Rider, intanto, stava riflettendo su altro, dimenticandosi di ciò che aveva detto Eric, ancora fissato dagli altri due, in attesa di una risposta: “Ragazzi!”

Quelli si voltarono verso di lui, anche Eric, che risollevò lo sguardo.

“Se A – abbassò la voce a quasi un bisbiglio - ha sentito quello che abbiamo detto, significa che…”

“Oh mio Dio, - reagì Sam, sempre a toni bassi, gli occhi sbarrati – era in casa tua?”

Rider scosse la testa: “No, il sistema d’allarme era attivo, non può conoscere la password per disattivarlo.”

Subito dopo, si apprestò a tirare fuori qualcosa dalla giacca: il telefono di Anthony.

Fissando ognuno dei suoi compagni, Rider indicò il telefono con il dito, arrivando a comunicare con il labiale: “E’ qui! – poi si mise il dito davanti alla bocca – shhh – si diresse, infine, verso la macchina, tornando a parlare normalmente, con un tono da recita – Bene, ragazzi, andiamo a scuola e vediamo di cosa si tratta!”

Gli altri rimasero come imbambolati, per qualche secondo, prima di rientrare in macchina. Non dissero una parola per tutto il tragitto, scoperto che A li ascoltava in qualche modo, attraverso il telefono di Anthony.

 

*

 

Giunti a scuola, i ragazzi scesero dall’auto, avvicinandosi alle gradinate, mentre si guardavano attorno.

“Forse possiamo entrare dalla palestra, c’è una porta, ma dovremo snellirci, di notte è incatenata e si apre di poco!”

Mentre ragionavano sul come entrare, Eric salì le gradinate, con lo sguardo fisso sulla porta d’entrata. Con un dito, osservato dagli amici, fece pressione sulla gigantesca porta, che si mosse leggermente verso l’interno, scricchiolando.

“E’ aperta. – si voltò – Ragazzi, è aperta!”

Quelli si scambiarono una rapida occhiata.

“Era ovvio! – esclamò, Rider, ironicamente – A ci tiene molto a mostrarci il suo stupido portatile!”

“L’hai lasciato in macchina, vero?” gli domandò Nathaniel.

“Il telefono di Anthony? Certo!” rispose l’altro.

Sam guardò l’orologio, notificando ai suoi amici: “Mio padre si sveglierà fra due ore e se non mi trova in casa, darà di matto. Sbrighiamoci!”

E salirono.

Percorsero, subito dopo, i corridoio dell’istituto, con accese le torce del telefono. Rider ed Eric camminavano più avanti, mentre Nathaniel e Sam erano più dietro. Tutti e quattro mantenevano lo sguardo vigile, mentre raggiungevano l’aula.

Sam, d’un tratto, ebbe un attimo ti panico, fermandosi. Solo Nathaniel se ne accorse, fermandosi anche lui.

“Ehi, che ti prende?”

“Ho paura!” esclamò, preoccupato, guardandolo negli occhi.

L’altro accenno un sorriso, quasi rassicurante: “Sam, non ci sono binari ferroviari nei corridoi della nostra scuola. Andrà tutto bene. Qui dentro siamo quattro contro uno, non può farci niente!”

Sam finse un sorriso, ancora impaurito: “Sai, prima Rider è completamente crollato a casa sua, quando in quel tunnel era stato COSI’ coraggioso, mentre io non volevo entrarci, perché ne ero talmente terrorizzato. Eppure, sarei dovuto crollare io per primo, perché ero io quello che aveva paura.”

“Che stai cercando di dirmi?”

“Se dici di essere coraggioso, non è detto che tu lo sia. Ora, sei così sicuro di te, ma non sai cosa sia la paura vera, finchè non la vivi!”

“Alcune persone vivono la paura ogni giorno, Sam. Che sia di morire o, addirittura, di vivere. Fidati, sono sicuro di essere coraggioso e – sorrise – sapere che lo sei stato anche tu, in quel tunnel, salvando la vita a Rider, mi rende ancora più coraggioso. – poi lo prese per un braccio, costringendolo a camminare di nuovo – E ora andiamo. Sono Mister Muscolo, ricordi? Non c’è niente da temere con me!”

E finalmente, un piccolo sorriso, spuntò sul volto di Sam, che sentiva Nathaniel stringergli il braccio, toccarlo. Fu in quell’istante che la paura, finalmente, sembrò abbandonarlo temporaneamente. Non si era mai sentito così al sicuro, mentre lo osservava con occhiate rapide, arrossendo. Lui non se ne accorse, naturalmente.

Arrivati alla soglia della porta, si fermarono ognuno dietro l’altro, per poi entrare, lanciandosi delle occhiate, nel vedere un portatile accesso, poggiato sul banco centrale dell’aula.

Si avvicinarono, lentamente.

“Quello è il banco di Albert!” lo riconobbe, Nathaniel.

“Già!” esclamò Sam.

E ormai ci erano davanti: il desktop era completamente privo di cartelle, o quasi.

“Aspettate un secondo… - Eric osservò meglio il portatile – Questo è di Anthony!”

“Potrebbe essere, - Rider fece mente locale - quella notte ho seguito Anthony in camera sua e lo stava mettendo nel borsone. A possiede tutta la roba che si è portato dietro per lasciare Rosewood!”

Nathaniel fu il primo a mettere le mani sul portatile, muovendo la freccia verso un’unica cartella, posta al centro del desktop: “Ha cancellato tutto, sembra. Ha lasciato solo questa cartella, rinominata come La mia verità!”

Prima di aprirla, si guardarono tra loro. Entrati nella cartella, c’era un filmato, che Nathaniel avviò.

I primi minuti, mostravano l’incidente con Albert e loro cinque che lo caricavano in auto, subito dopo, quella notte.

Nathaniel: “Ok, mettiamo che tutto fili come dici tu, ma come la mettiamo con Albert? Qualcuno si accorgerà che è scomparso!”

Rider: “E troveranno il suo sangue sulla mia auto e a quel punto io andrò in galera, mentre tu sarai a Las vegas o chissà dove con addosso una ghirlanda di fiori!”

Anthony: “Metti l’auto nel tuo garage, lavala con il tubo e il sangue verrà via. I tuoi torneranno Mercoledì, no? Più tardi ti darò il numero dell’autofficina di un mio amico, và da lui e tutto tornerà come nuovo. Per quanto riguarda Albert, non c’è niente che ci collega a lui e il suo telefono me lo porterò via con me”

A bocca aperta, non riuscendo nemmeno ad aggiungere una parola, i ragazzi proseguirono con il video, che mostrava loro, a casa Dimitri, ripresi da dietro una finestra, mentre Anthony versava la benzina sui corpi.

Anthony: “Fortuna che Rider è un tipo previdente e ha sempre della benzina di riserva!”

Rider: “Possiamo fare in fretta, per favore? Non ce la faccio più!”

Nathaniel: “Già, facciamola finita, Anthony! Muoviti!”

Terminato il filmato, fu Eric a trovare le parole per primo, mentre avevano tutti lo sguardo fisso sullo schermo, sconvolto: “A ci ha seguiti dal momento in cui abbiamo investito Albert.”

“Siamo nella merda, ragazzi. Questa è chiaramente una minaccia!” la trovò palese, Nathaniel.

“Nemmeno mio padre può aiutarci, non con una prova così schiacciante. – Sam andò nel panico, come suo solito – Ci daranno l’ergastolo come minimo!”

“Non esagerare, ha fatto tutto Anthony!” cercò di minimizzare Eric, nonostante fosse spaventato: tutti lo erano.

“Sì, ma siamo ugualmente complici di un doppio omicidio, - aggiunse Rider - la polizia la vedrà in questo modo! Se non ci danno l’ergastolo, usciremo di galera nel 2080, se siamo fortunati!”

E fu in quell’istante che andarono tutti quanti nel panico; chi faticava a respirare bene, chi si metteva le mani nei capelli e chi rimaneva immobile a fissare vari punti del pavimento o delle pareti, con gli occhi sgranati, il volto pallido.

La comparsa di un messaggio, sullo schermo del portatile, costrinse i quattro ragazzi a voltarsi nuovamente verso di esso.

 

“Visto, stronzetti? La verità non può essere manipolata, ma…può sempre rimanere nascosta!”

-A

Anche questo nuovo messaggio, portò l’ennesima ventata di confusione.

“Che-che vuol dire questo? – indicò, Sam, lo schermo del pc con il braccio, tremante – Che non ha intenzione di mostrare questo filmato alla polizia?

Intervenne Eric, di seguito: “Ora che ci penso, sono passati quasi quattro giorni e A ha questo filmato da quattro giorni. Avrebbe potuto mandarlo dall’inizio. Perché non l’avrà fatto secondo voi?”

“Se non vuole denunciarci, che intende fare? Che c’è di peggio della galera?” pensò Nathaniel, guardandosi confuso con gli altri.

“Ha scambiato i corpi, no? Questo vuol dire che ha un progetto, non vuole denunciarci. Credo che A voglia… - fissò ognuno di loro, Rider, agghiacciandoli - qualcosa di più!”

 

SCENA FINALE

A si era appena seduto davanti alla sua scrivania, di legno, molto mondana. indossava una felpa nera, il cappuccio sulla testa, i guanti di pelle nera; in mano, una tazza fumante di caffè, semplicemente bianca, che appoggiò sulla superficie. Sopra vi erano poggiate diverse cose, tra cui un portatile, lo zaino di Eric sporco di terra, quello che aveva dimenticato nel boschetto, e alcuni volantini con il volto di Albert sopra. La parete dietro alla scrivania, invece, era di metallo, con dei tubi che si intravedevano più alto, che gocciolavano. Attaccata ad essa, altre foto di Albert, in momenti diversi della sua vita, raggruppate tutte nel lato destro. Nel lato sinistro, le foto di Nathaniel, Sam, Rider ed Eric, fuori dalla chiesa di Rosewood, altre di Eric che si disfava degli abiti di Anthony, altre di Sam e Rider alla stazione e, naturalmente, le foto di quella notte: quella l’omicidio.

Improvvisamente, su quella scrivania, A poggiò una telecamera, che altro non era che quella utilizzata da Anthony per girare il video assieme ai suoi amici, dove aveva parlato male di parecchi studenti della scuola. Attaccato un cavo, passò il video sul PC, che era aperto sulla pagina della scuola.

Dopo aver digitato qualche tasto, A aveva caricato quel video e, ora, chiunque poteva visualizzarlo…

 

CONTINUA NEL QUARTO CAPITOLO

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 5
*** 1x05-Obbligo o verità ***


CAPITOLO CINQUE

“Shut Your Mouth, LiAr!”

 

PREVIOUSLY ON BLACK HOOD (Capitoli 1-2-3-4):

Albert affronta Anthony in mensa; tra i due c’è astio.

Anthony costringe i suoi amici a girare un video sugli sfigati della scuola, saltando le lezioni, mentre Albert è nascosto dietro la porta.

Subito dopo, riceve un messaggio da parte di qualcuno che si firma A e che minaccia di smascherarlo su qualcosa.

Ognuno dei quattro ragazzi nasconde un segreto: La sorella di Rider si apparta con uno dei professori, di nascosto; Eric viene accompagnato a casa sua da Sam, in un bel quartiere, ma non entra in nessuna di quelle case, tornando indietro, subito dopo averlo visto svoltare; Nathaniel riceve il fax di una ricetta medica e davanti a Rider la spaccia per suo padre; Sam, infine, è segretamente gay e ha una cotta per Nathaniel. Anthony sembra conoscere tutti i loro segreti e tiene in pugno l’intero gruppo, secondo Chloe, la migliore amica di Sam.

Il padre di Anthony si presenta a scuola, contattato dal preside, a cui, probabilmente, è stato notificato l’atto di bullismo in mensa. E’ ubriaco ed Anthony cerca di mandarlo via, osservato da Rider e Nathaniel.

Tornato a casa, Anthony scopre che qualcuno ha violato il suo computer e quel qualcuno è la stessa persona che gli ha inviato la minaccia a scuola: A.

Furibondo, ha una violenta lite con il padre e finisce per colpirlo alla testa con una bottiglia di vetro, uccidendolo.

Preso dal panico, manda un SOS ai suoi quattro amici, che lo raggiungono a casa sua e scoprono del cadavere. Anthony, apparentemente tranquillo e inquietante, spaccia la cosa per legittima difesa e costringe i compagni ad inscenare la sua scomparsa, facendola passare per un rapimento a seguito di un furto in casa.

Diretti alla stazione di Rosewood, Albert spunta, improvvisamente, davanti alla strada ed Anthony, alla guida, lo investe. Scesi tutti dall’auto, scoprono che è morto ed Anthony trova il suo cellulare, confermando la sua teoria: Albert era la A che l’ha minacciato.

Mentre il gruppo cerca di metabolizzare ciò che sta accadendo, sconvolti, Anthony cambia i suoi piani di fuga e propone di portare il corpo di Albert a casa sua e metterlo accanto a quello del padre, per poi bruciare entrambi. La scena del crimine sarebbe risultata più credibile e la polizia avrebbe dato per scontato che si tratti di lui.

Aggiustata la scena del crimine, i ragazzi accompagnano nuovamente Anthony alla stazione e quello dice loro addio, pronto a sparire per sempre.

Tre giorni dopo, tutto va secondi i piani di Anthony: la polizia ha identificato Albert come lui. I suoi amici prendono parte al funerale e all’uscita dalla chiesa, ricevono un video da A, dove Anthony viene assassinato.

~

Dopo i funerali di Anthony, fuori dalla chiesa, A manda un nuovo messaggio ai quattro ragazzi, insinuando che il corpo nella bara appartenga davvero ad Anthony: un video, mostrava qualcuno che lo uccideva.

Rider convince i suoi amici che A, stavolta, è Anthony, sostenendo che abbia contattato un amico per girare una sceneggiata e far si che loro tenessero la bocca chiusa sulla notte degli omicidi. Nathaniel e Sam, sembrano gli unici a pensare che si tratti, invece, di un amico di Albert, in cerca di vendetta.

Tornati a casa, Sam e Rider cominciano a fare i conti con i sensi di colpa, in seguito ai commenti trovati sulla bacheca della pagina della Rosewood high shool; molti erano a favore di Albert, dichiarato scomparso da qualche giorno, altri di odio nei confronti di Anthony e il suo gruppo.

Eric, intanto, conosce la nuova barista del Brew, Alexis, e deve fare i conti con la crisi che sta attraversando la sua famiglia, economicamente; lui e sua madre, vivono nell’appartamento sopra al locale, tenendosi costantemente in contatto con suo padre, fuori città, in cerca di nuovo lavoro, dopo essere stato licenziato dalla società in cui lavorava.

Nathaniel, alle prese con una nuova visita medica di routine da suo cugino, morso ancora dal dubbio sollevato dal video ricevuto da A, trova un escamotage per farsi portare nella stanza della videosorveglianza dell’ospedale. Tyler viene chiamato dal suo cercapersone e Nathaniel rimase solo, passando sulla sua pennetta, indisturbato, i filmati della sorveglianza. Subito dopo, irrompe nell’obitorio, dove con Rider, in contatto telefonico, scopre che il referto del medico legale non coincide con le ferite riportate da Albert nell’incidente: quindi il corpo nella bara è di Anthony e A ha scambiato i corpi.

Sam, nel frattempo, scopre da suo padre che la polizia ha un sospettato sicuro, segnalato da una deposizione fatta dalla signora Dimitri e l’altro suo figlio, Clarke, in centrale.

Rider, non convinto dalla storia dello scambio, passa a prendere Sam e vanno alla stazione di Rosewood, in cerca di un indizio in più. I due, però, vengono attirati in una trappola, all’interno dei tunnel, ritrovando il telefono di Anthony e un messaggio di A. Un treno, subito dopo, quasi li investe.

Riuniti a casa di Rider, ancora sotto shock, il gruppo esamina i filmati della sorveglianza, notando la presenza di un loop, la ripetizione di uno stesso pezzo, nel corso del filmato. I ragazzi si convincono di avere una prova in mano, a quel punto, assieme al video dell’omicidio di Anthony, ricevuto da A, e decidono di volerne parlare con il padre di Sam e porre fine a questa storia, pur sapendo che si sarebbero esposti a determinate conseguenze.

Fuori dall’abitazione di Sam, però, i quattro ricevono l’ennesimo messaggio di A e questo li costringe a passare dalla loro scuola, prima di fare un’altra mossa: aveva qualcosa contro di loro.

Giunti a scuola, Sam, Nathaniel, Rider ed Eric, trovarono il computer di Anthony, una sola cartella al centro, con dentro un filmato: mostrava loro, complici dell’omicidio del Signor Dimitri e di Albert. Ora, non avevano altra scelta che tacere. E, stranamente, A, mise in chiaro loro che non aveva intenzione di denunciarli.

~

Costretti a tacere da A, perché in possesso del video che li mostra complici di Anthony nella notte degli omicidi, i ragazzi tornano a scuola il giorno dopo, punzecchiati dai continui messaggini del loro stalker.

Ignari del nuovo colpo basso che ha messo in tumulto l’intera scuola di Rosewood, i quattro discutono su come liberarsi di A senza finire nei guai con la polizia, progettando di rubare i video che li vede protagonisti del reato dal possibile covo del nemico, una volta scoperta la sua identità.

Messi all’angolo da tutti gli studenti, prima dell’inizio delle lezioni, vengono a sapere del video di insulti che gira su internet. Un’accesa discussione si apre fra i ragazzi e alcuni degli studenti citati nel video. Violet, una di loro, sorella del ragazzo albino insultato da Anthony, si fa avanti e ne prendere le difese. Nathaniel si prende un pugno da Morgan Patterson, suo compagno nella squadra nuoto.

A quel punto, usciti dalla discussione, i ragazzi corrono nell’aula dove è stato girato il video e scoprono che la videocamera è sparita. In seguito, vengono sospesi per due settimane dal preside Ackett.

Tornati ognuno alle proprie case, fanno i conti i loro genitori, informati dalla scuola dell’accaduto. Tutti tranne Sam, che straccia il fax.

Eric incontra Lisa Nelson al Brew e cerca di scusarsi, ma arriva Violet ad attaccarlo, per poi lasciare il posto a braccetto con Lisa.

Riuniti a casa di Sam per un messaggio ricevuto da A, i ragazzi scoprono che la polizia sospetta di un certo Jasper Lauglin e che è impegnata nelle sue ricerche, in seguito alle dichiarazioni fatte in centrale dalla Signora Dimitri.

I ragazzi aggiornano la lista dei sospettati: Violet, Colton, Lisa e, come new entry, anche la Signora Dimitri e Clarke Dimitri, troppo sospetti per via delle dichiarazioni fatte verso un uomo che loro sanno essere innocente.

Rider propone di passare la serata alla casa sul lago e ne parla con suo padre, che gli fa una ramanzina sulla sospensione. Verso la fine, gli da comunque il permesso di andare alla casa sul lago. Subito dopo, ritrova nello studio del padre, un libro scritto da lui con dentro una pagina aggiunta da A.

Sam, intanto, assieme a Chloe, fa un salto in centrale, intrufolandosi in uno degli uffici e fotografando le dichiarazioni fatte dalla Signora Dimitri alla polizia su Jasper Lauglin, ma tra le varie scartoffie, trova anche un caso aperto sulla scomparsa di Albert.

Alla casa sul lago, i ragazzi discutono sul materiale raccolto da Sam. Si scopre che Jasper e Kevin Dimitri erano amanti e che quest’ultimo aveva contratto l’HIV da Jasper. Sempre secondo le dichiarazioni, si scopre che Kevin, per vendicarsi, ha incendiato il negozio di Jasper. In base a questo, Jasper sarebbe entrato a casa Dimitri per rubare i soldi e pagarsi le medicinali che non poteva più permettersi e che, di conseguenza, avrebbe ucciso Kevin e suo figlio.

Sul caso di scomparsa di Albert, invece, ci sono delle foto sul suo ultimo avvistamento, proprio nei pressi del Wall mart, un supermercato vicino a dove l’hanno investito. I quattro arrivano alla conclusione che Albert era con A e che il loro nemico era a bordo di un’auto di colore blu e che da quella abbia filmato tutta la scena dell’incidente.

Affacciandosi sul discorso della pagina trovata nel libro del padre di Rider, infine, i ragazzi deducono che Anthony è colpevole di un’altro crimine e che questo sia spiegato in una misteriosa cartella chiamata “Rosewood-riservato” che A ha rubato dal suo pc. Inoltre, A, pensa che uno dei quattro sia suo complice anche in quel crimine.

Sempre nella stessa serata, Eric propone di rivelare i loro segreti, quelli che Anthony custodiva e che costringeva tutti loro ad esserli amico.

Subito dopo, Sam scappa fuori, preso dal panico di dover rivelare che è gay e che ha una cotta per Nathaniel. Quando quest’ultimo lo segue fuori e scopre solo della sua omosessualità. Improvvisamente, i due notano qualcosa che si muove nel lago e pensando che sia una persona in difficoltà, Nathaniel si tuffa per andare a controllare. Giunto al centro del lago, il ragazzo scopre che si tratta di una bambola gonfiabile e quando torna indietro, risente della bracciata, rischiando di morire, per via del lago ghiacciato.

Quando i ragazzi non trovano le medicine dell’amico, Rider deduce che si trovano nella bambola gonfiabile e Sam si tuffa a recuperarle. A è dall’altra parte del lago e lo saluta dal molo.

Nathaniel riceve le sue medicine e si salva, ma gli altri tre amici arrivano alla conclusione che A ha tentato di uccidere uno di loro per estorcere una confessione sul nuovo crimine di cui pensa che uno di loro sia colpevole assieme ad Anthony.

 

~

AND NOW…

 

 

In quel primo mattino, intorno alle ore 07:00, Sam stava rientrando a casa sua, dopo la movimentata notte al lago. Ancora sconvolto da ciò che è accaduto, si prestò a salire nella sua camera, silenziosamente.

Giunto davanti alla porta della sua stanza, si guardò alle spalle, lungo il corridoio, attraversato dai raggi del sole che filtravano dalle finestre. Era tutto calmo e pensò che suo padre, probabilmente, dormiva ancora, così girò il pomello della porta ed entrò nella sua stanza, cercando di richiuderla senza far rumore; sfortunatamente, però, essa cigolò.

“Sam?”

Sentì chiamare il suo nome, dal piano di sotto: era suo padre.

Il ragazzo strinse i denti e strizzò gli occhi, beccato. Poi stranì, realizzando che si trovava al piano di sotto e non in camera sua, a letto, malato.

Riaprì la porta, allora, affacciandosi: “Papà? Sei di sotto?”

“Sì, sono in cucina. Sei già svegliò?” rispose quello, facendosi sentire.

“Ehm, sì, - rimase impalato davanti alla sua stanza - mi sono appena svegliato…”

“Ok, scendi, sto preparando la colazione.”

Sam sembrò volersi avviare, richiudendo la porta, ma il suo telefono sul comodino, quello che aveva lasciato lì il giorno prima, stava improvvisamente vibrando e la cosa lo costrinse a tornare indietro: “Scendo tra un minuto, Papà!”

E si avvicinò, timoroso, a quel comodino, prendendo il suo telefono tra le mani: si trattava di una registrazione audio, mandata da A.

Istintivamente, Sam la aprì, per riprodurla.

“Sam? –  Papà? Sei di sotto?    Sì, sono in cucina. Sei già sveglio?    Ehm, sì, mi sono appena svegliato… – Ok, scendi, sto preparando la colazione.    Scendo tra un minuto, Papà!”

Sam sbigottì di fronte a ciò che aveva appena sentito; cioè sé stesso, mentre parlava con suo padre, in uno scambio di battute avvenuto poco prima.

Rimasto impalato, non potè che deglutire, sentendo crescere il panico dentro di lui, mentre fissava un punto qualsiasi della parte.

L’attimo dopo, cercò di reagire, facendo una telefonata.

“Pronto?” rispose Eric, dall’altra parte; si trovava ancora alla casa sul lago di Rider, dentro una delle stanze degli ospiti, appena svegliatosi.

A mi ha mandato una registrazione di me che parlo con mio padre!” esordì, nervosamente.

Eric, sdraiato, si alzò con la schiena per saperne di più, con maggiore attenzione: “Uao, ma non dorme mai? Che registrazione è?”

“L’ha fatta adesso! - spiegò – Sono rientrato da due minuti e mio padre pensa che mi sia appena svegliato, così mi ha chiamato dalla cucina per scendere a fare colazione. A ha registrato quello che ci siamo detti, ma non capisco a cosa miri.”

L’altro ci riflettè, avendone una mezza idea: “Pensi che A… Insomma, questo è materiale da spionaggio, perciò…”

“Dici che… - si guardò attorno, nella sua stanza, per poi bisbigliare – ha messo dei microfoni in casa mia?”

“Cos’altro può essere? – ne fu certo, Eric - Di certo non si azzarderebbe a nascondersi nella casa di un poliziotto, armato, per registrare due frasette con il telefono.”

Sam andò nel panico, allora: “Sai che significa questo? Che io sono il prossimo, dopo Nathaniel. E’ un chiaro messaggio rivolto a me, allora. Perseguiterà me, adesso!”

“Non iniziare ad andare fuori di testa, ok? Siamo tutti bersagli, Sam.”

“No, non è vero. Non in questo turno, Eric. – ribattè, convinto – C’eri anche tu ieri sera e A parlava proprio di questo nel messaggio che abbiamo ricevuto sul telefono di Nathaniel. Mi ha anche salutato da quel molo, mi ha praticamente marchiato!”

Se ne convinse anche Eric, a quel punto: “Ok, forse non dovresti restare da solo. C’è tuo padre in casa, no?”

“Sì, ma credo che stia meglio e che rientrerà a lavoro. Non gli è mai piaciuto restare a letto per più di un giorno…Il suo sistema immunitario è come asservito alla giustizia.”

“Non gli dirai nulla a proposito della nostra sospensione?”

“No, farò finta di prepararmi per andare a scuola, tanto il fax mandato da Ackett l’ho stracciato e buttato ieri. Non è proprio il momento. – cambiò argomento, poi - E tua madre? Cos’ha detto?”

“Niente, ha già fin troppi problemi per prendersela con me. Credo mi compatisca!” 

“Dio, mancano ancora tredici giorni. – sospirò, Sam, in ansia – Tredici giorni insieme ad A!”

“Solo tredici? Pensi che quando torneremo a scuola, svanirà come per magia?”

“Magari… – pensò, prima di preoccuparsi per altro – Piuttosto, come sta Nathaniel, si è già alzato?”

“Io e Rider abbiamo fatto a turni per controllarlo e sta decisamente meglio, ha un buon colorito rispetto a quando l’abbiamo tirato fuori dall’acqua. Direi che il pericolo è scampato.”

“Ce la siamo vista davvero brutta, poteva morire.”

“Ma non è successo, grazie a te.”

Sam tacque per qualche secondo, poi finalmente disse di nuovo qualcosa: “Devo andare adesso…”

“Ok, sta attento… - volle consolarlo - Ne verremo a capo, vedrai.”

E Sam chiuse, senza aggiungere nulla.

 

*

 

Eric scese al piano di sotto, trovando già svegli Rider e Nathaniel, nel salottino. Il primo era seduto sul tavolino, che passava una tazza di caffè all’altro, sul divano, dove aveva dormito.

“Buongiorno!”

Rider si voltò, mentre Nathaniel sorseggiava, esausto e trasandato.

“Pensavo che dopo essere arrivati alla conclusione che A era qui, in questa casa, prima che arrivassimo per la serata, ti avrebbe fermato dal voler dormire da solo, al piano di sopra.”

“Ho chiuso a chiave la porta e poi… - continuò Eric  - Volevo sentire di nuovo cosa si prova a dormire in un letto vero e non su un divano che si apre come una scatoletta di sardine.”

“Davvero non hai un letto, in quell’appartamento?” rimase perplesso, Rider.

“C’è una camera con un letto, - ribattè, senza alcun imbarazzo - ma ci lascio dormire mia madre.”

Nathaniel appoggiò la tazza di caffè, vuota, tornando comodo, attirando nuovamente gli sguardi su di sé.

“Ehi, come stai?” si preoccupò, Eric.

“Meglio… Più caldo, direi. - ripensò alla vicenda, leggermente turbato, ma forte – Non ho mai sentito così freddo in vita mia. Potevate anche infilzarmi con mille aghi, ma non avrei sentito niente per quanto il mio corpo fosse gelato.”

Rider intervenne, un accenno di sorriso per sdrammatizzare: “Ti abbiamo quasi perso, ieri sera. Francamente… - abbassò lo sguardo, serio – Noi non sapevamo come comportarci ed eravamo pietrificati dal terrore: queste cose non capitano tutti i giorni. – tornò a fissarlo – Ma Sam è stato pronto. Non ha esitato un solo secondo nel tuffarsi e nuotare fino alla bambola, dove A ha nascosto le tue medicine.”

Nathaniel ascoltò, colpito e sorpreso, e pensò di dover ringraziare l’amico al più presto.

“Dov’è lui? Dov’è Sam?”

“E’ tornato a casa sua.” ribattè Eric.

“Ah… - rimase impalato con lo sguardo, prima di aggiungere altro, preoccupandosi– E sta bene?”

Eric assunse un espressione che non lasciò trasparire nulla di buono: “Ehm, sì, fisicamente sta bene, ma psicologicamente…”

“Di che parli? – non capì, Rider – Psicologicamente, cosa?”

“Mi sono appena sentito con lui al telefono e pensa che A stia giocando il nuovo turno con lui…”

“Turno?” sussultò Nathaniel, confuso.

Rider si alzò, prendendo il telefono di Nathaniel, dal ripiano su cui l’aveva appoggiato prima di andare a letto. Si avvicinò a lui, dopo, mostrandogli l’ultimo messaggio ricevuto. Quello lo lesse, mentre Eric spiegava.

“Sembra che A abbia un nuovo obbiettivo. Anthony ha commesso qualcosa, l’abbiamo capito dalla misteriosa pagina trovata nel libro del padre di Rider. A pensa che uno di noi sia coinvolto, così ha deciso di volerci prendere singolarmente, in modo da scoprire chi.”

“La cosa positiva è che puoi rilassarti. – aggiunse Rider con una sottile ironia - Con te ha finito, per ora.”

L’altro, però, si allarmò: “Si, ma Sam non può. A ha cercato di uccidermi pur di farmi confessare qualcosa che non ho fatto, perché io non sono complice di Anthony. Eccetto per la notte degli omicidi, io non ho mai fatto nulla con Anthony.”

“Io neanche.” aggiunse Rider.

“Neppure io.” si aggregò Eric, con la stessa sicurezza degli altri, a tal proposito.

“Sono sicuro che nemmeno Sam c’entra qualcosa, l’ha ribadito anche ieri. - pensò Rider – Perciò, a questo punto, è un’altra persona, ma A è talmente fissato con noi da non capirlo. – sbuffò – Vorrei tanto sapere cos’ha visto nel computer di Anthony di così terribile…”

Nathaniel, intanto, manteneva basso lo sguardo, non molto convinto sull’innocenza di Sam, dopo aver scoperto da lui che aveva una cotta per Anthony, la sera prima, e che quindi avrebbe potuto fare qualsiasi cosa per compiacerlo: persino commettere un crimine. Nonostante ciò che sapeva, però, preferì tacere.

“In ogni caso, - continuò Eric a braccia conserte – Sam sta andando fuori di testa, A gli ha mandato una registrazione vocale di lui e suo padre che conversano. Esattamente due minuti dopo che la conversazione è avvenuta.”

“Non poteva essere in casa sua, c’è anche suo padre. – Rider si lasciò scappare una risata per l’assurdo, prima di tornare serio – Questo vuol dire che…”

“Microfoni! – esclamò Eric, anticipandolo – Ci eravamo già arrivati anche noi…A quanto pare, disfarci del telefono di Anthony non è servito a niente, A ci ascolta in altri modi.”

Nathaniel intervenne, abbastanza spiazzato: “Anche nelle nostre case, allora? E’ entrato in tutte le nostre case?”

Rider si voltò a rispondergli: “Anche in questa, probabilmente…Ci sta monitorando!”

“Forse crede che ascoltandoci con attenzione, - andò avanti, Eric - uno di noi si lascerà scappare qualcosa di troppo.” 

“Sentite, - Nathaniel si alzò, ne aveva già abbastanza – io me ne torno a casa. Tanto non c’è nulla da lasciarsi sfuggire, l’unica colpa che abbiamo è quella di aver risposto a quel dannato SOS di Anthony ed essere accorsi a casa sua, quella notte.” e lasciò la stanza, mentre lo sguardo degli altri due non dava torto a quanto appena detto.

Usciti dalla casa, Rider chiuse la porta a chiave, per poi raggiungere Eric, che stava camminando verso l’auto. Nathaniel passò proprio di fianco a loro, con la sua, sgommando via.

Arrivati vicino all’auto di Rider, Eric torturava un piccolo bigliettino tra le mani, quello lasciato da A nel flacone delle medicine di Nathaniel, rendendo partecipe l’amico dei suoi pensieri.

“Quindi Sam ha una cotta per Nathaniel?”

“Come dargli torto… - replicò, mentre apriva la portiera – E’ bello, ha un fisico da far paura ed è alto… Cosa darei per la sua altezza!”

Eric fece il giro, aprendo l’altra portiera, storcendo le sopracciglia: “Ora sembra che la cotta per lui ce l’abbia tu!”

“Naah, non è il mio tipo. – ribattè, sedendosi sul sedile, ironico - Il mio tipo è tipo come me, versione ragazza, ovviamente. Nel 2011, però, ho provato ad essere gay, - delusione d’amore, odiavo tutte le donne del pianeta - poi ho letto delle cose strane su Yahoo answer e ho lasciato perdere.”

Eric titubò, confuso: “Cos’è Yahoo answer?”

L’altro lo fissò a lungo, per niente stupito: “Immagino che tu non abbia mai avuto dei problemi da dover risolvere per arrivare a chiedere aiuto a degli estranei con una serie di domande.”

“E’ da un po’ che convivo con i problemi… - replicò, sospirando - Chiedere aiuto non serve a niente. Hanno tutti una soluzione diversa al tuo problema e, nella maggior parte dei casi, non fa al caso tuo. Quella giusta la puoi trovare solo tu.”

“Uao… - accennò un sorriso – Non ti facevo così profondo. – rise – Potrei seriamente innamorarmi di te, adesso.”

Anche Eric rise per poi sfumare: “Beh, la mia profondità ha perso spessore da quando ho conosciuto Anthony. Sto recuperando ciò che mi ha tolto.”

“Quindi… - Rider inserì la chiave, pronto a far partire l’auto – Se devo rimanere in linea con il tuo discorso, vuol dire che dovremo lasciare che Sam risolva i suoi problemi da solo?”

“Sì, Rider. E’ così che funziona. Suoi sono i sentimenti che prova, sua è la scelta di condividerli con la persona che ama…Dobbiamo starne fuori.”

E l’amico afferrò, pronto a girare la chiave. Qualcosa, però, lo fermò dal far accendere il motore: il suono di una vibrazione, che lo costrinse a girovagare con lo sguardo, le orecchie aguzzate.

“Lo senti anche tu?”

Eric annuì: “Sì…”

I due si guardarono, per poi girarsi contemporaneamente, dietro, alle loro spalle. Poggiato sul sedile posteriore centrale, c’era un telefono; il display ancora acceso per via della ricezione del messaggio: era quello di Rider.

Quello lo prese in mano, leggendo il messaggio assieme ad Eric.

 

“Ho recuperato il tuo telefono dal tuo armadietto. Mai abbandonare l’unico mezzo di comunicazione con cui ti posso tormentare.”

-A

 

Rider mise via il telefono, ormai quei messaggi non erano più una novità, ma nel suo volto era comunque dipinta l’angoscia.

“Anche ad A c’è una soluzione che solo io posso trovare?”

“No, questa è l’unica eccezione. Serve l’aiuto di tutti e quattro per questo.” concluse Eric, mentre Rider metteva in moto.

 

*

 

Dopo la colazione, Sam era risalito in camera sua e la paranoia, che l’aveva accompagnato tra un cucchiaiata di cereali e l’altra, lo seguì. Nel giro di pochi minuti, la sua stanza era sottosopra: abiti lanciati ovunque, lenzuola sfatte, cuscini sul pavimento, cassetti aperti, calzini che ciondolavano dalle lampade da notte sui comodini laterali; sembrava cercasse, disperatamente, qualcosa.

La sua burrascosità, però, fu interrotta dall’arrivo di suo padre, che bussò prima di entrare.

“Posso?” si affacciò, in divisa da lavoro.

Sam si sollevò da terra, mettendosi a braccia conserte, cercando di nascondere il suo nervosismo: “Beh, sei già dentro…”

L’altro rimase impietrito, facendo un tour con lo sguardo: “Ma che diavolo?? E’ per caso scoppiata una guerra tra vichinghi qui dentro?”

“Ehm… - cercò di dare una spiegazione, Sam – stavo solo cercando una penna, ecco.”

La ragione del trambusto, però, non convinse del tutto suo padre: “Quindi… - indicò sopra la sua testa – i tuoi calzini si trovano appesi al lampadario per una penna?”

Sam portò nuovamente la testa giù, dopo aver guardato il calzino: “In verità, ha un valore affettivo. Me l’ha regalata Chloe!”

“Beh, - parve credergli –  se ha un valore affettivo, allora distruggi pure questa stanza per trovare quella penna! – rise, sarcastico – No?

Sam, però, iniziò a puntare lo sguardo in ogni punto della stanza, non sorridendo come suo padre sperava, a quella battuta.

Quello se ne accorse e si preoccupò: “Figliolo, va tutto bene?”

Molto distratto, finalmente gli diede retta: “Eh? Cioè, sì, sto bene! E’ solo che mi sono alzato davvero presto per cercare quella penna…”

“Già, devi essere andato a letto molto tardi per avere delle occhiaie simili…ed essersi alzato così presto non contribuisce... – Ora, però, dovette congedarsi, dopo aver guardato l’orologio – Oh, accidenti, si è fatto tardi. – indietreggiò per uscire – Farai meglio a sbrigarti anche tu o arriverai in ritardo a scuola.”

“Sì, adesso vado. – lo tranquillizzò - La cercherò quando torno!”

Poco prima di uscire, dopo aver dato le spalle, suo padre si fermò alla soglia della porta, voltandosi nuovamente.

“Dimenticavo…Ti voglio bene, figliolo. Passa una buona giornata!”

Sam accennò un sorriso, finalmente, ma molto malinconico, gli occhi lucidi: “Anch’io. Passa una buona giornata anche tu.” e quello uscì, dedicando a suo figlio un altro sorriso, ignaro di ciò che stava passando.

Rimasto solo, non lo fu a lungo. Il suo telefono, in tasca, cominciò a squillare.

Dopo aver titubato per qualche secondo, prima di prenderlo, rimase spiazzato dal numero che comparve sul display.

Rispose, finalmente.

“Ehi, Nat.”

“Ehi, ciao…”

“Va tutto bene? – si preoccupò, Sam - Come stai?”

“Come sto? – rise – VIVO, grazie a te. I ragazzi mi hanno detto quello che hai fatto ieri. Devo aver perso i sensi, ad un certo punto.”

“Sì, li hai persi. Decisamente…” non sapeva più che altro dire.

“Grazie, Sam. Grazie per avermi salvato la vita, ignorando quanto l’acqua del lago fosse gelata. Sei una persona straordinaria, davvero.”

A Sam brillarono gli occhi, cercando di non far tremare la voce: “Ehm, grazie, Nat… - si grattò la testa, imbarazzato – Forse è meglio che vada, adesso…”

“No, aspetta!”

“Che c’è?”

“Eric ci ha detto che A ti ha preso di mira. E’ vero?”

“Ancora non lo so, - sospirò, turbato -  ma ha reso il mio inizio giornata al quanto soffocante. Ho praticamente messo la camera sottosopra in cerca dei microfoni che può aver piazzato per registrarmi.”

“Tuo padre è già uscito? Se vuoi vengo da te, usciamo, facciamo qualcosa insieme. L’importante è che non rimani da solo. Non voglio che A se la prenda con te.”

Sam lo trovò premuroso da parte sua, tant’è che accenno un sorriso, ma rifiutò: “Ma no, non ce n’è bisogno…E poi avrai sicuramente qualcosa da fare.”

“Fare cosa, Sam? – si lasciò scappare un’altra risata – Dovrei essere a scuola a quest’ora, non ho altri impegni in questa fascia oraria. L’unica cosa che ho fatto da che ho lasciato la casa al lago di Rider è stata contare quanto tempo ci mette il semaforo a cambiare da rosso a verde.”

“Uao, questo sarebbe il momento migliore per diventare un telefilo… - disse, scendendo le scale – Credimi, riempie completamente la tua vita quando non hai nulla da fare. Potresti iniziare con…”

L’altro, però, lo bloccò, allungando la conversazione, più leggera e meno tesa: “Ah, quindi quelli come te e Chloe sono telefili? Non sapevo esistesse un termine specifico.”

“Sì, ma attento, non tutti quelli che guardano serie tv sono telefili. Se guardi tipo due o tre episodi ogni tanto, non sei un telefilo. Due o tre stagioni a settimana: QUELLI, ti rendono un telefilo.”

Nathaniel rise ancora, poco prima di rispondere: “Beh, non so che razza di vita facciate voi telefili, ma non mi dispiacerebbe guardare quei due o tre episodi ogni tanto. Ti va se faccio un salto a casa tua?”

Sam, ormai, arrivato al piano di sotto, si fermò davanti alla rampa di scale, un sorriso stampato sulle labbra: “Sì, dai. – si arrese – Perché no!”

“Ok, tempo un’oretta e sono da te!”

“D’accordo, inizieremo con un Teen drama…Tanto per essere in tema con le nostre vite!” ironizzò, Sam.

“Dubito fortemente che esistano altri quattro adolescenti, come noi, perseguitati da A, in uno di questi Teen drama!”

Sam rise nuovamente: “No, non credo proprio. Gli unici problemi degli altri adolescenti sono i brufoli, l’amore e i bulli…”

Dopo qualche attimo di silenzio, Nathaniel tornò a parlare, più serio: “Torneremo ad avere quei problemi, ok?”

L’altro, nuovamente in preda all’angoscia e ad un pizzico di tristezza, non ne era tanto certo: “Non lo so, Nat. E’ insistente…”

“Ci vediamo fra un’ora, ok? Mio padre mi ha mandato un messaggio, devo solo sbrigare una cosa in banca, passo al ristorante e sono da te. Cerca di essere fiducioso. – fu premuroso nei toni - Va bene, Sam?”

“Va bene, - sospirò un’ultima volta - preparo la tv!” e chiuse.

Rimasto con il telefono in mano, il pensiero di quella telefonata, lo fece sorridere, quasi arrossire, per diversi secondi. Era la prima volta che sentiva Nathaniel così vicino ed era una bella sensazione. Bella, finchè non vibrò il telefono. Un nuovo messaggio lo catapultò nuovamente nel mondo di A.

 

“Confessare un segreto che già tutti sospettano non è un vero segreto, Sam. Rivela a Nathaniel ciò che provi per lui o ti perseguiterò per tutto il giorno.”

-A

 

Sam deglutì, terrorizzato. Non aveva mai avuto il coraggio di confessare i suoi sentimenti a Nathaniel e non era intenzionato a farlo. Tuttavia, era messo alle strette da A, ma pensò che cedere subito alle minacce di un tiranno non era discutibile; così, avvicinandosi al quadrante del sistema d’allarme della casa, Sam digitò il codice per attivarlo. Subito dopo, sapendo di essere al sicuro, mandò un messaggio, raccontando una menzogna.

 

A Nathaniel:

“Mio padre ha scoperto della sospensione, Ackett l’ha chiamato. Possiamo rimandare? Deve parlarmi.”



*

 

Al Brew, intanto, Rider stava prendendo qualcosa al bancone, guardando continuamente verso la rampa di scale che portava al piano di sopra.

“Prendi qualcosa?” gli domandò Alexis, vedendolo lì impalato.

“Ehm, - si girò verso di lei - sì, un cappuccino…Con sopra uno schizzo al caramello, grazie.”

Quella, mentre lo faceva, lo fissò a lungo: “Rider, vero?”

L’altro, posando di nuovo lo sguardo su di lei, rimase perplesso: “Sì…Come mi conosci?”

“Sei in un video che ho visto sulla pagina della Rosewood High school. Ora, però, siete anche su Youtube.”

Ah, sì? – sollevò le sopracciglia, fingendo di essere stupito – Siamo sbarcati anche lì?”

Sorrise, lei, mentre poggiava il bicchierone di carta sul bancone, fumante: “Già…I malvagi ragazzi di Rosewood!  Se la cosa può farti sentire meglio, io non vi giudico. E’ il fardello di avere un leader, anche io al liceo avevo una stronza per amica che mi comandava a bacchetta.”

Rider sollevò gli occhiali dalla punta del naso, tirando un sospiro di sollievo: “Oh, grazie, sei la prima a non giudicarci. Ti va di accettare la mia amicizia su facebook? Ultimamente perdo amici a gruppi di trenta.”

Rise, l’altra: “Oh, beh, non ne valgo trenta, ma sempre meglio della sola amicizia della Mamma!”

“Neanche quella!” confidò, ironico.

“Sono Alexis comunque, e…Sei venuto qui con Eric?” domandò, una volta sfumata la risata.

“Piacere, Alexis, conosci anche lui? – roteò gli occhi, tirandosi piccoli pugni sulla testa – Dimenticavo, il video, ovvio che lo conosci!”

“No no, lui lo conosco sul serio. Abita al piano di sopra e abbiamo fatto amicizia. Ero dietro a controllare il forno, infatti non ti ho nemmeno visto entrare qui.”

“Sì, è andato di sopra. Abbiamo passato la notte alla mia casa sul lago con gli altri nostri amici malvagi – ironizzò – ed è andato a lasciare le sue cose.”

“Niente scuola?”

“No, siamo stati sospesi. Sperimentiamo l’ebrezza del dolce far niente.”

Quella, allora, si sentì di dare loro un suggerimento: “Perché non andate al Bourbon's Page? Oggi fanno un mercatino lungo la strada di quella libreria.”

Rider si colpi la fronte con la mano, smemorato: “Oh, cavoli, è vero! Me n’ero completamente dimenticato! Sì, in pratica, fanno quel mercatino ogni sei o sette mesi…Ti dirò, ci ho trovato molti libri interessanti!”

“Anche a me piace leggere. Non ai tuoi livelli, ma ogni tanto lo faccio. Peccato, però, che sono incastrata qui!”

L’altro, però, si soffermò su un punto: “Ai miei livelli? – sorrise – Perché, che livelli avrei?

“Ehm, vediamo… – si fermò a scrutarlo – Occhiali sulla punta del naso, - quello se li alzò subito – colletti della camicia che spuntano fuori dal maglione, - si allungò in avanti, guardando in basso - scarpe lucide…E poi nel video avevi un libro in mano, tipico di chi ama leggere nei momenti di break. Ecco quel è il tuo livello e non è decisamente il mio!”

“Ottima psicoanalisi, cercherò un libro per te! Magari uno di Sigmund Freud!”

“Oh, sì, - divenne euforica - ricordo una sua citazione, la adoro: “Nessun mortale può mantenere un segreto: se le labbra restano mute, parlano le dita.” … Stupenda, non trovi?”

Ne era sempre stato affascinato: “Sublime.”

In quell’istante, arrivò Eric, sorpreso nel vederli chiacchierare.

“Ehi!” lo notò subito, Alexis, con un ampio sorriso.

“Ciao...” contraccambiò il saluto, distaccato, pensieroso.

“Non mi avevi raccontato di questa tua simpatica amica di nome Alexis dai ciuffi blu. Ora abbiamo una missione: troverle un libro al mercatino dei libri usati!”

“Fantastico!” esultò, forzatamente.

Quella se ne accorse, ma non chiese: “Ehm… - aveva lo sguardo rivolto verso il salottino, interno al Brew – Ora dovrei tornare a lavoro, la pausa chiacchiere mi sta scalando la paga a giudicare dalle occhiatacce del mio capo. – Rider stava per voltarsi a guardarlo, lei lo fermò – No, non guardarlo!”

Rider si irrigidì, fermato in tempo: “Ok, non lo guardo.”

L’amico accennò un sorriso, invece, spintonando l’altro: “Beh, noi andiamo. Ci vediamo!”

“Ok, ciao!” salutò, lei, subito investita da una cliente.

 

*

 

Usciti dal Brew, Rider smanettava il suo cellulare, silenzioso, mentre camminavano. Eric si interessò a ciò che stava facendo solo dopo qualche secondo.

“Che stai facendo?”

Quello rispose solo dopo un pò, troppo concentrato: “Ho appena trovato Alexis su facebook. Il suo vero nome è Alexandra, ci avrei giurato. – gli passò il telefono – C’è il suo numero. Mandale un messaggio.”

“Un messaggio? – prese il suo telefono, confuso – Per dirle cose?”

“Che le chiedi di uscire!”

Eric lo trovò sempre più assurdo: “E perché mai dovrei chiederle di uscire?”

“Perché lei ti piace. E perché tu le piaci.”

“E hai capito tutto questo in dieci minuti di conversazione?”

Platone diceva che si può scoprire di più su una persona in un’ora di gioco che in un anno di conversazione: BALLE! L’ho capito subito che le piacevi, ha chiesto di te ancora prima che sorseggiassi il mio cappuccino!”

L’altro si arrese, non negando l’evidenza: “Hai ragione, un pò mi piace, ma…Ho troppi problemi per pensare ad un appuntamento. Quando sono salito in casa, ho trovato mia madre sommersa di carte da pagare e i soldi mancano. Forse dovrei cercarmi un lavoro, anziché pensare all’amore, che non paga le bollette!”

“Senti, se vuoi, posso… – si rese disponibile, compatendolo – Che ne so, farti un piccolo prestito.”

“NO! – rifiutò, energicamente – Cioè, ti ringrazio, ma no. Abbiamo due settimane di sospensione, mi troverò un lavoro e aiuterò mia madre, finchè mio padre non si rimetterà in sesto. Ha appena iniziato a lavorare, perciò dobbiamo cavarcela come possiamo finchè non passa questo dannato mese.”

“Mi dispiace, Eric…” era mortificato, Rider.

“Non dispiacerti… - guardò avanti, verso i mercatini, ormai vicini – Piuttosto, troviamo un libro per Alexis. Un regalo al primo appuntamento è sempre un buon inizio, - accennò un sorriso, dimenticando i suoi problemi - no?”

“Direi di sì, se vuoi conquistare me!”

Eric gli diede una pacca sulla spalla, ridendosela con lui, ritrovando il buon umore, mentre raggiungevano il mercatino.

 

*

 

Nathaniel era appena entrato nel ristorante di suo padre, dirigendosi frettolosamente nelle cucine. Lo trovò proprio lì, che controllava l’operato dei suoi dipendenti.

“Ehi, Papà!”

“Oh, eccoti, finalmente!” si voltò, serio, aspettandolo da diverso tempo ormai.

Quello tirò fuori dalla sua tracolla il portafoglio: “Non ci crederai mai, ma una signora era davanti a me al bancomat e ci ha messo tre ore per ritirare solo 60 dollari.”

“Evidentemente era anziana. – pensò, mentre prendeva i contanti dalle mani del figlio, diretti fuori dalle cucine – E tu sei in ritardo!”

“Aveva almeno quarant’anni e non sono in ritardo per colpa mia! – replicò, giustificandosi, per poi capire di questo urgente bisogno di soldi, perplesso – E poi, come mai mi hai mandato al bancomat?”

“Ci sono molti clienti oggi, tra cui un pranzo di lavoro tra pezzi grossi prenotato questa mattina. La cassa è quasi vuota, devo pur dare il resto, no?”

Si fermarono proprio alla cassa, ora, e Nathaniel rimase ancora più peplesso: “Vuota? Non è mai stata vuota, sei attento a queste cose. Dove sono i soldi degli incassi di ieri?”

L’altro, esasperato, mentre metteva i soldi in cassa, pareva anche esausto: “Lo sai che porto sempre gli incassi a casa, devo averli dimenticati.”

Nathaniel se ne meravigliò: “Tu non dimentichi mai i soldi a casa. E poi, perché mandarmi a prenderli al bancomat e non a casa allora?”

“Perché la banca è qui vicina – sbottò - e quando ti ho mandato il messaggio, eri lì vicino, ok? Basta con tutte queste domande, ho avuto una svista, non capiterà più.”

“Forse dovresti riposarti, non hai un attimo di respiro per colpa di questo posto.”

“Sto bene, ok? – aveva la fronte sudata – Ho scelto io di aprire questa attività e la porterò avanti. Ci sono doveri a cui non è possibile sottrarsi.”

Mentre Nathaniel fissava il padre, in silenzio, preoccupato, che contava i soldi, a loro si avvicinò Jamie, l’assistente manager da poco assunto.

“Oh, tu devi essere Nathaniel, vero?” gli allungò la mano.

L’altro gliela strinse: “Sì, e tu devi essere Jamie.”

Quello annuì, voltandosi poi verso l’uomo: “Ehi, George, hai risolto per i soldi?”

“Sì sì, tutto apposto, Nat è passato in banca.”

“Bene, qui siamo pieni di lavoro. – si rivolse a Nat, ora, con lo sguardo puntato su dei clienti appena entrati – Ti dispiacerebbe prendere l’ordinazione al tavolo nove? Sono appena arrivati dei clienti.”

“I-io? – balbettò, colto di sorpresa – Non ho mai lavorato qui dentro, non so come si fa.”

“Basta prendere carta e penna, come quando prendi degli appunti a scuola. – accennò un sorrisino – Oggi non hai scuola, vedo: un buon motivo in più per stare qui a dare una mano a tuo padre.” e gli fece un’occhiolino, tornando nelle cucine.

Suo padre, che aveva appena finito i suoi conti, era riuscito a sentire qualcosa: “Ha ragione. Renditi utile.”

Scocciato, Nathaniel fece una battuta sarcastica, riferita a Jamie: “Già, e lui che ci sta a fare!.”

“Hai detto qualcosa?” continuò George, fingendo di non aver sentito.

“No no… - replicò, lasciando la sua tracolla, seccato – Vado!”

Quando si voltò per dirigersi al tavolo numero nove, però, riconobbe le persone che vi si erano appena sedute, fermandosi a metà strada: erano Clarke Dimitri e sua madre.

Immediatamente, tirò fuori il telefono e mandò un messaggio.

A Sam:

“Mio padre mi ha bloccato al ristorante. Qui si fa interessante, ci sono la madre e il fratello di Anthony. Ci vediamo dopo.”

 

E rimise il telefono in tasca, prendendo coraggio, un grosso respiro, avanzando.

“Salve, cosa vi porto?” domandò, fermandosi al tavolo.

Lei aveva ancora addosso gli occhiali da sole, lenti a specchio, impegnata a guardare il suo telefono, seria e disinteressata. Fu il figlio ad interagire per entrambi.

“Due bistecche accompagnate da un po’ di insalata. Una bottiglia di vino qualsiasi, grazie.”

Nathaniel appuntò, tenendo lo sguardo basso. Quello lo fissò meglio.

“Altro?” domandò ancora, Nathaniel, accorgendosi del suo sguardo acuto.

“Non eri un amico di mio fratello, tu? – si ricordò – Sì sì, ti ho visto parecchie volte con lui, quando vivevo ancora a Rosewood, e anche al funerale.”

Nathaniel finse di non averlo riconosciuto: “Oh, sì, scusa, è che non ti avevo riconosciuto, ci siamo visti poche volte. All’epoca ero appena diventato amico di Anthony, perciò…”

“Sì, hai ragione. – accennò un sorriso - E’ più facile riconoscere le solite facce che ci sono a Rosewood, che quelle andate via da tempo.”

L’altro buttò, nervoso, una rapida occhiata sulla Signora Dimitri, sempre distaccata. Improvvisamente, pensò di dover cogliere l’occasione di azzardare qualche domanda.

“Vi fermate ancora per molto, qui?”

“Siamo qui solo perché è la polizia ad averci chiesto di restare. Tutto finirà quando cattureranno Jasper Laughlin.”

“Siete sicuri che sia stato lui?” ribattè, bloccando la donna da ciò che stava facendo. Quella si tolse gli occhiali, guardandolo fisso negli occhi, il volto pallido e poco amichevole.

“Sì, - quasi lo urlò - siamo sicuri!”

Nathaniel titubò, a disagio: “Ehm, scusate, non volevo metterlo in dubbio. Vado a-a dare la vostra ordinazione. Buon pranzo e ancora condoglianze…” e se andò, allontanandosi velocemente da quel tavolo.

Stranamente, Clarke lo raggiunse, prendendolo per un braccio.

“Ehi! - lo fece voltare – Scusa mia madre, lei è molto suscettibile in questi giorni, da quando siamo tornati a Rosewood per questa storia. Non voleva reagire in quel modo.”

“Ma no, assolutamente no, è comprensibile. Tutti siamo sconvolti per ciò che è accaduto.”

“Però, tu, non sembri sconvolto.”

Quell’affermazione destabilizzò Nathaniel, che si irrigidì: “Come?”

Clarke rise: “Scusa, non volevo essere così diretto. – mantenne un sorriso leggermente pronunciato – Il fatto è che conoscevo mio fratello e ho visto quel video che vi ha fatto girare. Insomma, non era proprio uno stinco di santo e immagino che tu e i tuoi amici ce l’abbiate con lui.”

L’altro divenne serio: “Non puoi avercela con qualcuno che è morto, ma, sicuramente, ce l’avevo con lui quando era vivo.”

“Nemmeno io ero un grande fan di mio fratello. Non ti nascondo che avevamo problemi in famiglia, ma chi non ne ha. Tuttavia, ho lasciato casa, senza voltarmi indietro, dopo che se n’era andata mia madre. Anthony aveva quindici anni e io l’ho abbandonato. Un fratello non abbandona mai un altro fratello quando i genitori si separano, ma non ho provato alcun rimorso nell’abbandonarlo. Mio fratello era un ragazzo problematico fin da allora e non potevo rinunciare ai miei sogni per una causa persa.”

“Sono parole forti, queste. – lo ascoltò con attenzione, sospettando che sapesse qualcosa che lui e i suoi amici non sapessero – Forse non conoscevo bene Anthony come lo conoscevi tu.”

“Già, non lo conoscevi come lo conoscevo io. E’ più facile conoscere a fondo una persona quando si ha un legame di sangue.” marcò quelle parole, Clarke.

Nathaniel voleva tanto chiedergli di più, impalato. Amanda Dimitri, però, richiamò suo figlio.

“Ehm, ora devo tornare da mia madre. Spero che per te, e i tuoi amici, gli ultimi due anni di liceo siano sereni.”

“E io spero che Jasper Laughlin sia davvero l’assassino di Anthony e suo padre, così questa storia sarà archiviata una volta per tutte. Sai, a volte non sempre la giustizia fa centro.”

Clarke si fermò, notando delle perplessità nel ragazzo: “E’ lui, fidati. Ci sono dei trascorsi tra la nostra famiglia e il signor Laughlin; trascorsi di cui preferisco non parlare. Non ci sono dubbi. – gli sorrise, un ultima volta – Ora devo andare. Ti auguro il meglio, - un’occhiolino - nuotatore!” e se ne andò.

Nathaniel rimase lì impalato, fissandolo, mentre tornava al tavolo, accanto alla madre. Sapeva che nascondeva qualcosa, ma la conversazione lo lasciò confuso a tal punto da non capire se sia realmente così; Il volto di Clarke aveva un che di ingannevole.

 

*

 

Nel frattempo, Eric e Rider passeggiavano lungo il mercatino dei libri usati; moltre persone erano accorse, nel tentativo di acquistare un buon libro a basso costo. C’era chi passeggiava come loro e chi si fermava davanti ad uno dei tanti stand a leggere qualche paragrafo del libro tenuto in mano.

Anche Rider faceva la stessa cosa, mentre Eric camminava, più indietro, strisciando la punta delle dita lungo il mucchio di libri.

“Potremmo prenderle un romanzo True crime!”  suggerì, mentre Rider era assorto nella lettura.

“E’ una battuta? – distolse lo sguardo per un attimo – Scrivile di noi quattro e Anthony, fai prima. Abbiamo una trama decisamente più interessante dei True crime che ci sono qui.”

L’altro si avvicinò: “Che stai leggendo?”

“Un giallo. Di una certa Marlene King…sembra interessante! – si mostrò dubbioso, distogliendo nuovamente lo sguardo dalla lettura – Però non so se acquistarlo. La pagina prima, sembra che debba succedere qualcosa di grosso, un colpo di scena che probabilmente ti lascerà senza fiato, poi arrivi alla pagina seguente e sembra una presa per i fondelli.”

“Oh, - si entusiasmò – credo che sia il libro giusto per Alexis. Sembra non aspettarsi molto dalla vita!”

Rider strinse gelosamente il libro a sé: “Ma lo voglio io!”

“Hai detto che fa schifo!”

“Non lo so, - si mostrò confuso - è come una droga.”

Eric, allora, frugò in mezzo agli altri libri: “Allora ne cerco uno uguale!”

“Eric, - lo fermò - è un mercatino di libri usati, ogni libro è unico qui!”

“Beh, allora ordinalo online. – glielo tolse dalle mani – Questo lo avrà Alexis!”

Rider si arrese, ma finse ugualmente un broncio: “Va bene, tienilo. Tanto non mi piaceva.”

“Sì, invece.” ribadì, l’altro.

“Vado a cercare là giù. - indicò verso una direzione - Qualcosa per me!”

“Ok, - lo vide allontanarsi – provo a cercarti qualcosa anch’io.”

Rider, finalmente, sembrò essere attratto da qualcos’altro, allo stand in cui era giunto. Allungò la mano per recuperare il libro, ma non era l’unico ad averci messo gli occhi sopra. Sbattè la mano con quella di un uomo, riconoscendolo.

“Oh, Signor Palmer, è lei!”

L’altro fu sorpreso nel vederlo, ma non tanto, poco dopo: “Signor Stuart…Come procede la sua sospensione?”

“Non bene. – sorrise, sconsolatamente – Domani dovrò riempire un’altra giornata persa.”

“Sono molto dispiaciuto, davvero. Sei un ragazzo così brillante e sei qui a comprarti un libro, anziché dormire o girare con la tua auto a tutto volume, come un nullafacente: cosa che farebbe un qualsiasi altro ragazzo sospeso. Tuttavia, però, bisogna prendersi la responsabilità delle proprie azioni.”

“Me la sono presa, infatti, o non sarei qui. E sono davvero mortificato per il disagio che abbiamo causato ad alcuni dei nostri compagni di scuola. – abbassò lo sguardo, triste - E ad Albert…”

“Spero che non sia successo nulla di grave a quel povero ragazzo. – Palmer si mostrò in pensiero, come chiunque, pensando a quella vicenda - Tutti abbiamo avuto le nostre faide scolastiche, ma nessuno scompare per così a lungo…”

Rider deglutì, prima di mentire ancora una volta, sapendo la verità: “Lo spero anch’io. Spero che non gli sia successo niente e che torni.”

A quel punto, Palmer fissò il suo orologio da polso: “Sì è fatto tardi, ho l’ultima ora da fare. Arrivederci, Rider.” e si avviò, congendandosi con un sorriso, ricambiato.

Dopo qualche passò, però, si fermò, voltandosi nuovamente.

“Rider?”

Quello si girò: “Sì?”

“Appena rientrerai, ci sarà un test a sorpresa sui padri fondatori. Preparati!”

“E’ un test a sorpresa… - ne rimase perplesso - Perché per me non è più una sopresa?”

“Questa sospensione ti ha già penalizzato abbastanza. Ti sei impegnato molto, per cascare proprio adesso. Cerca solo di non commettere più errori, in futuro.” e, stavolta, se ne andò sul serio.

Quelle parole, stamparono un sorriso sul volto di Rider. Qualcuno credeva in lui, finalmente. Rimasto impalato per qualche secondo, si decise a tornare da Eric.

Arrivando alle sue spalle, entrambi si accorsero della presenza di Violet, vicino ad uno stand, più avanti.

“Ma guarda chi ha saltato l’ora di falsologia!” esordì Rider, sottovoce.

Eric si accorse dell’amico, alle spalle, commentando la scena: “Guarda, c’è anche Colton con lei.”

“Probabilmente, - replicò, con occhio sospettoso - fingono di guardare libri per spiarci!”

“Sei ancora convinto che entrambi siano A?” era ancora scettico, Eric.

“Non ne sono sicuro, ma Sam ha ragione: una persona sola non può scambiare due corpi all’obitorio. Lei potrebbe essere la mente e lui il braccio muscoloso.”

Improvvisamente, sia Colton che Violet, puntarono lo sguardo verso di loro. Rider ed Eric, colti di sorpresa, si girarono subito nella direzione opposta, spaventati.

Quest’ultimo ritrovò le parole: “Dici che ci hanno visto?”

L’altro gli lanciò una lunga occhiata di ovvietà: “Certo che ci hanno visto, non hanno le bende agli occhi.”

“Quindi che facciamo? – era in ansia - Dobbiamo passare di fianco a loro per tornare alla macchina.”

“Dio, - sospirò, Rider – un tempo non ci saremmo mai fatti tanti problemi a passare di fianco ad Albume e sua sorella!”

“Perché c’era Anthony con noi!” gli ricordò, Eric.

 

FLASHBACK

 

La cricca di Anthony al completo era appena entrata nella mensa della scuola. Il leader avanzò al banco del cibo, con i suoi quattro seguaci a seguito, come sempre. Presero i vassoi vuoti, uno alla volta e si fermarono davanti al ragazzo che li riempiva: Colton Rhimes.

“Ciao, Albume, cosa ci servi di buono oggi?” domandò Anthony, con il suo solito sorriso cinico e burlone.

“Purè di patate!” rispose quello, serio, fingendo di non aver sentito come l’ha chiamato.

Anthony visionò ciò che c’era, attraverso il vetro, molto irritato.

“Non è vero, Albume. Io vedo una mela, della carne e un succo di frutta, che vorrei. Il purè di patate puoi darlo alla tua sorellina, se vuoi.”

“Ho detto che posso darvi solo il purè!” insistette, a denti stretti.

Improvvisamente, arrivò una ragazza, spedita, molto gentile e carina.

“Ciao Colton, mi hai lasciato qualcosa? Mi sono fermata a fare delle fotocopie e ho fatto tardi.”

Quello, sorridendole, abbandonando completamente l’espressione negativa che aveva fino a pochi attimi prima, le riempì subito il vassoio, con le cose che si rifiutò di dare ad Anthony. Li tremavano le mani, come in preda all’emozione.

Anthony osservò la scena, con i suoi amici, silenzioso, come pronto a deriderlo da un momento all’altro.

“Tieni, Brianna!” le diede il vassoio, fissandola, premuroso.

“Grazie, - Brianna guardò dentro il suo vassoio – mi hai lasciato tutto quello che ti avevo chiesto. Che gentile.”

“Già, - si intromise Anthony – togliendo il cibo a me, che sono arrivato prima.”

Sam strattonò Anthony, voleva solo andare a sedersi: “Dai, andiamo, accontentati del purè per oggi.” ma quello non lo ascoltò nemmeno.

“Ehm… - non sapeva cosa dire, Brianna – Scusa, Anthony, puoi prendere il mio vassoio se vuoi, mi accontenterò del purè. Chi tardi arriva, male alloggia. Hai ragione.” e cercò di passargli il vassoio.

Quello, però, rifiutò: “No, tienitelo. C’è tanto amore in quel vassoio, - fissò Colton, con un sorrisino maligno – Non è vero, Albume?”

“Che-che – non capì, la ragazza, a cosa mirasse - vuoi dire, scusa?” mentre

Colton sembrò innervosirsi, a quel punto, il cuore che batteva forte, lo sguardo basso, gli occhi che si muovevano all’impazzata.

“Brianna, ma ancora non l’hai capito? Albume prova dei sentimenti per te. – rise – Assurdo, vero? Come se una ragazza potesse ricambiare.”

Brianna lanciò una rapida occhiata a Colton, sentendosi a disagio.

“Le ragazze cercano più tipi come lui. – Anthony tirò avanti Eric – Pelle perfetta, bei capelli, bei vestiti… - fissò Colton negli occhi – Non uno come te, Albume.”

Il ragazzo provò rabbia, stringendo i pugni, sotto al bancone, nell’ascoltare quelle parole.

Anthony continuò a punzecchiarlo, perfido: “Non puoi neanche diventare rosso dalla vergogna…”

Brianna, senza ascoltare altro, se ne andò. Colton la vide andare via, amareggiato, sentendo crescere l’ira dentro di sè, che, però, non esplose. Gli bastò scambiarsi uno sguardo con sua sorella Violet, seduta in mensa, qualche tavolo più avanti, che stava osservando la scena, per tornare calmo.

“Vada per il purè, Albume. Ma domani voglio le uova!” rise di gusto, Anthony, dopo quella battuta, cercando lo sguardo complice dei suoi amici, che forzarono la loro risata per compiacerlo.

 

Eric e Rider si fecero coraggio e si voltarono, pronti ad affrontarli per tornare alla loro auto. Stranamente, però, non c’erano più, e i due si guardarono attorno.

“Ma dove…???” si chiese Rider.

Eric, invece, mentre puntava lo sguardo ovunque, finì per abbassarlo, in direzione dei libri, ammucchiati allo stend dove erano fermi. Uno in particolare, attirò la sua attenzione, costringendolo a prenderlo tra le mani.

“Ehi, Rider, ma questo non è il libro di tuo padre?”

L’altro, distratto, gli diede retta: “Come? – lo riconobbe, poi – Cosa? Ma che…?” e lo scrutò meglio, togliendoglielo dalle mani.

“Non è lo stesso che ci hai mostrato ieri, vero?”

“No no è un’altra copia, ma… - si guardò attorno, indignato - Che stronzi a darlo via con sopra delle macchie di caffè e le pagine tutte stropicciate!”

“Ehi, aspetta… - notò qualcosa, alla fine del libro, indicando – C’è scritto qualcosa qui…”

Era una scritta in rosso, infatti.

 

“Che lettura interessante, vero stronzetti?”

-A

 

“Come faceva A a sapere che saremmo venuti qui?” Eric si guardò attorno assieme a Rider, turbato.

“Magari A era proprio qui, un attimo fa!”

“Colton e Violet?” intercettò i suoi pensieri.

“Beh, sono passati da questo stand, prima di arrivare a quell’altro, no? Avranno piazzato loro il libro di mio padre.”

 

*

Sam, intanto, era ancora a casa, nel salotto, seduto sul divano a guardare la tv, abbastanza scocciato del programma che davano.

Lo squillo del telefono, accanto a lui, distolse la sua attenzione dalla televisione. Sul display comparve il numero di suo padre.

Rispose, perplesso.

“Ehi, Papà, perché mi chiami? Sai che sono a scuola, no?”

“Ah, - esordì, furioso nella voce – sei a scuola? Davvero?”

Sam intuì che aveva scoperto tutto, mentre quello continuava.

“Il preside della tua scuola mi ha chiamato e mi ha raccontato tutto. Questa sera faremo una bella chiacchierata sulla tua condotta.”

“Papà, mi dipiace. I-io, davvero…”

Ma Carter non lo lasciò finire, severo: “Ne parliamo stasera, ho detto!...Sono MOLTO, molto deluso.”

Sam aveva le lacrime agli occhi, ormai: “D’accordo…” e quello chiuse.

Quando abbassò il telefono, comparve l’ennesimo messaggio di A.

 

“Sta attento alle bugie che racconti, io posso trasformarle in realtà.”

-A

 

Sam gettò il telefono sull’altra poltrona, digrignando i denti per la rabbia, fra le lacrime.

 

*

Tornati all’auto, parcheggiata davanti al Brew, Rider sembrava avere le idee chiare.

“Quindi la A che ha salutato Sam, dall’altro molo, era Colton?” cercò di convincersene, Eric.

“Già! – esclamò Rider, il telefono attaccato all’orecchio, una chiamata in corso - Deve aver architettato tutto con sua sorella. Probabilmente vedono Anthony in tutti noi e sono sicuro che l’amico psicopatico di Albert è Colton: entrambi bersagliati dallo stesso demone. – tolse il telefono dall’orecchio – Accidenti, perché Sam non risponde?”

“Probabilmente è in modalità serie tv!”

“Chiamo Nathaniel! – si rimise il telefono all’orecchio e quello squillò – Oh, mi sta chiamando lui. Siamo sulla stessa lunghezza d’onda, a quanto pare. – rispose, a quel punto – Ehi, Nat!”

“Ehi, sono bloccato al ristorante, devo parlarvi.”

“Anche noi. – continuò Rider, mentre Eric faceva il giro dell’auto, raggiungendolo, per ascoltare – Sei in vivavoce, c’è anche Eric con me.”

“Clarke e sua madre sono venuti a pranzare al mio ristorante.”

“Clarke, il fratello di Anthony?” sussultò Eric.

“Quando?” aggiunse Rider.

“Verso mezzogiorno, sono usciti da poco. In ogni caso, ho avuto una strana conversazione con il fratello.”

Rider voleva saperne di più, isterico: “Del tipo? Abbiamo consegnato alla giustizia l’assassino sbagliato, portaci una baguette?”

Nathaniel continuò: “Ho avuto come la sensazione che Clarke sapesse quello che sa A su Anthony, ok? Poi la madre ha come sbottato quando ho provato a mettere in dubbio la colpevolezza di Laughlin.”

Eric commentò, in merito: “Evidentemente non ha ancora digerito il tradimento del marito con un uomo, mi sembra ovvio.”

“Quindi pensi che Clarke – fu il turno di Rider - sappia qualcosa sul file Rosewood-riservato?”

“Ha definito Anthony una causa persa e che un fratello non abbandona mai un altro fratello, quando due genitori divorziano, ma lui l’ha fatto. Se n’è andato!”

Eric fissò Rider, inquieto: “Che diavolo di segreto nascondeva Anthony, tanto da far fuggire suo fratello?”

“Non è fuggito, ragazzi! – lo trovò assurdo, Rider – Clarke doveva iniziare il college, all’epoca.”

“Ah, comunque, - prese parola Eric – Rider pensa che Colton e Violet siano A.

Rider pensa? – gli lanciò un’occhiattaccia, quello – Davvero, Eric?”

L’altro roteò gli occhi, correggendosi: “Ok, io e Rider pensiamo che loro siano A. Siamo andati al mercartino dei libri usati, prima, nella strada del Bourbon's Page, e c’erano anche loro. Abbiamo trovato un libro con dentro un messaggio firmato da A.

“Cazzo, ne siete sicuri?”

Rider lo ribadì a gran voce: “Sicurissimi. Il trenino giocattolo può averlo messo solo uno studente nel mio armadietto. Per non parlare del mio telefono, magicamente riapparso nella mia auto, questa mattina. L’avevo lasciato a scuola.”

Anche Nathaniel se ne convinse, allora: “Ok, che facciamo allora? Ne abbiamo già discusso su cosa avremmo fatto, una volta scoperto chi è A.”

“Niente! – esclamò, Eric, seccato – Che non avremmo fatto niente, perché ha… - si stoppò, correggendosi, confuso – cioè, HANNO, il video di quella notte.”

Nathaniel, che parlava dalle cucine del ristorante, si slacciò il grembiule: “Sentite, torno a casa a farmi una doccia. Mi dovevo vedere con Sam, ma ho appena trovato un suo messaggio; Ackett ha chiamato suo padre e gli ha raccontato tutto. Doveva aspettarselo che non si sarebbe fermato ad un fax.”

“Ti vuoi vedere con noi, dopo? Poi passiamo da Sam, così ne parliamo tutti insieme?” gli chiese, Rider.

“Sì, ok, ma…con Clarke che facciamo? Non dovremmo approfittarci del fatto che è ancora qui a Rosewood e provare a chiedergli di Rosewood-riservato, se ne sa qualcosa?”

“E come pensi di esordire senza dirgli di A e di tutto questo casino?” replicò, Rider.

All’improvviso, il telefono di Rider notificò un messaggio. Suonò anche quello di Eric. Entrambi si guardarono e lo aprirono.

 

“Non avrete accesso a Rosewood-riservato, finchè non ve lo permetterò io.”

-A

 

Guardandosi attorno, agghiacciato, come Eric, Rider prese parola: “Nat, sei ancora in linea?”

“Avete ricevuto anche voi il messaggio?”

“Ok, - sussultò Eric, turbato e incredulo – come diavolo fa A a sapere quello che ci siamo appena detti? – si voltò da ogni parte, la gente che passava lungo il marciapiedi – E’ qui intorno a noi, forse?”

Rider sospirò, lasciando perdere: “Inutile scervellarci… - si rivolse a Nathaniel, poi – Nat, ci vediamo dopo, così ne parliamo meglio.”

“Ok, a dopo.”  e chiuse.

Rider ed Eric si lanciarono l’ennesima occhiata, per poi guardarsi di nuovo attorno e salire in auto.

 

*

 

Più tardi, nel pomeriggio, Sam era ancora chiuso in casa sua. Stava scendendo per le scale, quando sentì suonare alla porta; si fermò proprio agli ultimi gradini, domandandosi chi potesse essere, facendo silenzio.

Una voce, da fuori, si fece sentire: era quella di Chloe.

“Sam, lo so che sei in casa! C’è la tua auto parcheggiata qui fuori.”

Quello rimase impalato sulle scale, non emettendo alcun suono.”

“Sam?? – gridò ancora – Ci sei?? Devo dirti alcune cose, apri!”

Ma niente, lui non le rispose. Dopo qualche istante, sentì sbuffare, avvicinandosi alla porta a passi felpati, osservando fuori attraverso lo spioncino: Chloe stava facendo dietro front verso la sua auto, risalendoci sopra.

Sam si allontanò dallo spioncino, triste per averla ignorata. Sconsolato, risalì al piano di sopra, entrando in camera sua; passò accanto alla sua scrivania, sedendosi sul letto, sospirando, la testa bassa, le mani unite. Quando sollevò lo sguardo, davanti a sé, osservò il pc spento, sulla scrivania. Improvvisamente, esso si accese, irrigidendo Sam.

“Ma che diavolo…???”  

Si pronunciò, aguzzando la vista sullo schermo, gettandosi in avanti con la testa: mostrava l’interno di una camera. Sam, però, sembrava non capire a chi appartenesse, così rimase a guardare, in attesa di capirlo.

Finalmente qualcuno entrò, dando le spalle alla webcam. Sam riconobbe quella persona, all’istante, pronunciando il suo nome con un sussurro.

“Nathaniel…”

Quello, ingnaro di essere ripreso, osservò il proprio telefono per qualche secondo, prima di buttarlo sul letto ed iniziare a spogliarsi. Prima la maglietta, poi le scarpe, i pantaloni; il tutto mentre Sam passava dal letto alla sedia della sua scrivania, con gli occhi incollati sullo schermo. Nel momento in cui Nathaniel stava per togliersi anche i boxer, la finestra video si chiuse, lasciando solo il desktop.

Tiratosi indietro sullo schienale della sedia, Sam aveva ancora lo sguardo perso, il respiro rumoroso, il cuore che batteva forte, la fronte sudata. Improvvisamente, si aprì una nuova schermata sul desktop: un messaggio.

 

“Vorresti andare oltre, vero stronzetto?”

-A

 

Il respiro di Sam si fece ancora più tumultuoso, il petto che si gonfiava e sgonfiava velocemente, una sensazione di panico e soffocamento che lo portò all’esasperazione, fino ad alzarsi bruscamente dalla sedia e urlare contro lo schermo del computer.

“Bastaaaaaa, lasciami in pace!”

Buttato tutto quanto fuori, Sam fece grossi respiri, cercando di riprendersi. Un altro messaggio comparve sul desktop.

 

“Sai già cosa devi fare per liberarti di me, oggi.”

-A

 

In una smorfia di rabbia, chiuse il portatile con grande foga.

Fu il suo telefono, poggiato sul letto, a portare un altro messaggio, vibrando per qualche secondo. Sam poteva leggerlo perfettamente dal punto in cui era, senza doversi avvicinare a prenderlo.

 

“Sono ancora qui…”

-A

 

A quel punto, riprese a respirare in maniera spasmodica, mettendosi le mani nei capelli ed iniziando a piangere, disperato.

 

*

 

Rider stava rientrando a casa con in mano il libro di suo padre, quello trovato al mercatino. Chiusa la porta, vide il suo cane venirgli incontro.

“Tobyy!” si piegò sulle ginocchia per accarezzarlo, sorridente.

Dalla stessa stanza da cui era uscito Toby, si affacciò anche Richard, suo padre.

“Sono le quattro – controllò il suo orologio da polso – e sei già a casa?”

Rider si sollevò in piedi, più serio, mentre il cane gli faceva ancora le feste: “Sono stato al mercatino dei libri usati, poi sono andato a pranzo con un amico…Rosewood non ha altro da offrirmi per oggi!”

“Quello… - notò il libro fra le sue mani – è mio?”

“Ehm, - lo guardò un attimo – sì, qualcuno che avrà finito di leggerlo!”

“Deduco che non sono il suo autore preferito, fa parte di una serie di volumi da collezionare, quello.”

L’altro sorrise, sarcastico: “Evidentemente hai concluso male la storyline di qualche suo personaggio preferito.”

“Evidentemente!” marcò con le sopracciglia.

Un breve sospiro di entrambi, Rider riprese parola, morso da qualcosa che gli era appena venuto in mente.

“Ricordi quando hai scritto quel libro, quello in cui c’era quest’uomo che andava a trovare suo figlio in un manicomio?”

“Ehm, - titubò, ricordando – sì, ti riferisci a il bambino aldi là del cancello?

“Sì, quello!”

“E allora?” lo osservò a lungo, aspettando una risposta.

“Parlavi di questo bambino, con problemi mentali, e di come i suoi genitori furono costretti a rinchiuderlo in manicomio, perché era troppo pericoloso per i suoi fratelli, ancora troppo piccoli, come lui. Suo padre, però, non volle abbandonarlo, così li portò in regalo delle bambole: rappresentavano la sua famiglia. Solo che…non erano delle semplici bambole; dentro ognuna di esse c’erano dei microfoni e il bambino li ascoltava parlare, come se fossero lì con lui. Come se potesse interagire con loro.”

Richard, serio, si lasciò poi scappare una piccola risata: “Non capisco cosa stai cercando di dirmi, Rider. Perché ricordarmi della trama di questo libro, che conosco a memoria?”

Quello, allora, smise di essere vago: “Ogni volta che scrivi un libro, ti consulti con qualcuno. Una consulenza, giusto?”

“Sì, ho diversi contatti. Non posso conoscere tutto, a volte devo intervistare delle persone.”

“Per il materiale spionistico a chi ti rivolgi?”

“Per quello mi sono rivolto a… - cercò di ricordare - ad una Professoressa del dipartimento di ingegneria elettronica a Brokehaven. Sì, una donna di nome Denna Marx. Un tipo abbastanza eccentrico, ha i rasta!”

“Una Professoressa con i rasta, interessante!” aggiunse, prendendo in mano il telefono e passando davanti al padre.

“Tutto qui? – quello rimase impalato, perplesso – Perché tutti questi giri e poi, semplicemente, te ne vai?”

“Perché, - si fermò Rider, sulle scale, voltandosi - la mia domanda sembrava avere un fine?”

“Ogni domanda ha un fine, Rider. E la tua era parecchio articolata. Sono uno scrittore, - rise - se non noto io queste cose…”

“Ehm, ti ho fatto queste domande, perché… - arrancò, qualche gradino più giù, cercando di spiegare – ho deciso di scrivere qualcosa anch’io. – sorrise, poco dopo aver mentito – Magari seguirò le tue orme.”

Richard, sbigottito, scoppiò a ridere: “Le mie orme? – sfumò in un’espressione seria, piacevolmente colpita - Non pensavo ti interessassi alla scrittura. La cosa mi rende stranamente fiero e…lusingato!”

L’altro accennò solo un sorriso, avanzando per le scale. Suo padre lo fermò ancora una volta.

“Ehi, però pretendo di leggere qualcosa!”

Rider girovagò con lo sguardo, l’ennesimo finto sorriso: “Ehm, sarai il primo!” e salì di corsa quelle scale.

 

*

 

Giunto al pianto sopra, nel corridoio, il telefono all’orecchio, Rider avviò una conversazione.

“Pronto?” rispose Eric.

“Andate a prendere Sam, andiamo a Brokehaven!”

“Brokehaven? – rispose, mentre si sentiva la voce di Nathaniel, in sottofondo, che urlava il nome di Sam - A fare cosa?”

“Ma è la voce di Nat? Dove siete?”

“Siamo a casa di Sam. Dobbiamo parlare tutti insieme, ricordi?”

“Sì, ma fate presto, parleremo a Brokehaven!”

“Mi spieghi cosa c’è a Brokehaven? Perché dobbiamo andare a Brokehaven?”

“C’è una Professoressa, una certa Denna Marx, insegna al dipartimento di ingegneria elettronica. Magari puoi aiutarci a capire come disattivare questi cosi!”

Eric fece qualche attimo di silenzio, confuso: “Questi cosi, cosa?”

“I microfoni o cimici o quello che sono! A devi averci messo qualcosa addosso, altrimenti non saprebbe quello che ci diciamo ogni volta, no?”

“A parte il fatto che, probabilmente, A sta ascoltando quello che dici…Cosa pensi di dire a questa Professoressa? Ciao, ho diciasette anni e qualcuno mi ha messo una cimice addosso per scoprire quante zollette di zucchero metto nel caffè?

“Non farla tanto lunga, ci inventeremo qualcosa. L’importante è riuscire ad isolarci da A!”

“Un’altra scrittura creativa, - replicò, scocciato - come ha fatto Nathaniel?”

Non ricevette risposta.

“Pronto? Rider? – si tolse il telefono dall’orecchio, fissando lo schermo, ma la chiamata era ancora in corso – Rider, ci sei? Guarda che sei ancora in linea!”

“Ehm, sì, scusa… - finalmente rispose - Testavo una cosa!”

“Cioè? Farmi parlare da solo?”

“Niente, controllavo solo se dopo la mia ultima frase, A avrebbe mandato un messaggio intimidatorio, ma non l’ha fatto. Questo significa che non ci ascolta tutto il tempo e che dobbiamo sbrigarci ad andare a Brokehaven.”

“Va bene, ti passiamo a prendere a casa tua. A fra poco!”

“Ok, fate presto!” chiuse anche Rider.

Intanto, Nat stava bussando ancora alla porta dell’amico.

“Saaam?? Sam, sei in casa? Siamo noi!”

“Niente? – si avvicinò Eric – Perché non apre? Non hai detto che sarebbe rimasto a casa?”

L’altro, spostandosi alla finestra di fianco alla porta, cercò di guardare all’interno, attraverso il vetro: “Infatti… - continuò a guardare dentro - Forse è andato in centrale dal padre per parlare della sospensione, ma la sua auto è qui.”

Eric riprese in mano il telefono, scrivendo un messaggio: “Continua a bussare, magari dorme. Io, intanto, scrivo ad Alexis.”

“Chi è Alexis? – domandò, mentre ritentava alla porta, bussando più forte – Saaam?”

“Una ragazza che lavora al Brew, credo di piacerle. O, almeno, così ha detto Rider!”

Arreso, Nathaniel si voltò a parlare meglio con lui: “Quindi le stai chiedendo un appuntamento?”

“Più o meno. – ribattè, imbarazzato, la voce piccola - Le ho anche comprato un regalo. Un libro.”

L’amico sollevò le sopracciglia: “E’ una Rider femmina, per caso?”

“No! – ci riflettè su - E’ più me, femmina, ma con le ciocche blu.”

“Ehm…a me sembra più una descrizione di Avril Lavigne!”

“Non è bionda, a dire il vero.”

“Senti, - si scocciò di parlare di Alexis – possiamo torna a bussare?”

“Se bussi ancora, la porta si staccherà!”

“E’ blindata, non sono così forte!”

Eric roteò gli occhi, seccato: “Fa pure, la mano è tua!”

Nathaniel, allora, in procinto di bussare, fu fermato da un messaggio, che lesse, dopo aver allungato la mano in tasca per recuperare il telefono.

Da Sam:

“Nat, farò un po’ tardi, se non mi trovi è perché sono alla casa di riposo; ho fatto qualche dolce per gli anziani. Voi andate pure a Brokehaven senza di me, prima che A si accorga di quello che stiamo cercando di fare.”

 

Nathaniel rimase assai perplesso dal messaggio, così si voltò verso Eric: “Sam porta dolci agli anziani?”

“Oh, sì, – ricordò – una volta Anthony lo prese anche in giro per questo. In pratica sua madre lavorava in questa casa di riposo e da quando è morta, ogni settimana prepara dei dolci e li porta lì.”

L’altro ne rimase sorpreso e intenerito: “Non sapevo questa cosa di lui… - si riprese, continuando – Comunque come sa di Brokehaven? Io stesso ne so a malapena, ho ascoltato a tratti la conversazione tra te e Rider.”

“Deve averlo avvisato Rider per messaggio. E’ come una sorta di centro messaggi in questo gruppo!”

“D’accordo, facciamo presto allora!” suggerì.

Insieme si avviarono verso la macchina, abbandonando il portico dell’abitazione.

Contemporaneamente, all’interno della casa, Sam era inginocchiato davanti alla porta, che contemplava il suo telefono, sconvolto. Per tutto il tempo aveva ascoltato i suoi amici chiamarlo, dall’altra parte, ignorandoli. Lo shock, però, era dovuto al messaggio, che non era stato lui ad inviare, ma che aveva visto scriversi da solo, sulla tastiera del display.

Improvvisamente, nella schermata della chat, Sam vide i tasti digitarsi da soli. Nuovamente.

“Visto? Riesco a scrivere anche i messaggi al posto tuo, ma, ahimè, serve la tua voce per rivelare i sentimenti che provi per Nathaniel e io te la farò uscire…”

 

Sam deglutì, gli occhi sgranati per lo sconvolgimento.

*Sta digitando…*

“Ora puoi rilassarti, Sam. Non selezionerò invio, se ancora non ne hai abbastanza di me.”

 

Quello lasciò cadere il telefono sul pavimento, tirando indietro le mani, chiuse in un pugno. Lo sguardo girovagava, impazzito. Il panico stava prendendo il sopravvento. Non sapeva cosa fare. Non ne poteva più.

 

 

*

 

Intanto, Chloe, in centro, si stava dirigendo verso un negozio. Di fretta, la borsa in spalla è una fotocamera appesa al suo collo, era in procinto di aprire la porta. Una voce, però, la fermò nell’entrare.

“Ehi, Chloe!”

L’altra sgranò gli occhi, sorpresa e intontita: “L-lindsay Stuart?”

“Ehm, - rise, quella, per la reazione esagerata – non sono Beyoncè, rilassati!”

“E’ che… - cercò di ricomporsi, imbarazzata – sei Lindsay Stuart, una ragazza del quinto anno, molto carina, e che non mi ha mai rivolto la parola in vita sua!”

“Beh, le cose cambiano. Violet Rhimes sta cambiando le cose. La scuola sta diventando decisamente più unita.”

Chloe le sorrise, ancora in imbarazzo: “Già…Ora si è anche candidata a presidente del comitato studentesco.”

“Probabilmente vincerà!”

“Lo penso anch’io!” fu di poche parole, ancora una volta.

“Devi aggiustare la tua fotocamera? – fissò l’insegna – Cos’ha che non va?”

L’altra annuì: “L’otturatore…- Lindsay non sembrava molto interessata ad ascoltare, come se mirasse ad altro - Ha problemi a mettere a fuoco e non è mia. L’ho presa in prestito, questa fotocamera.”

“A proposito… - ribattè, Lindsay, una lunga occhiata, che celava qualcosa dietro al suo sorriso – Grazie per non aver detto nulla a nessuno. Insomma, so che mi hai vista quella notte.”

“Q-quale notte?” titubò, Chloe.

“Avanti, lo sai. Non fingere. – si avvicinò di qualche passo a lei – Quella in cui mi hai visto assieme ad Albert. Nella macchina blu.”

“Ah, - la voce le tremava – eri tu?”

“Chloe, - la squadrò, seria - ti sto facendo paura, per caso? Insomma, non penserai che Albert sia scomparso a causa mia, vero?”

“No no, certo che no, ma… - deglutì - Sei andata alla polizia? Sanno che sei stata l’ultima persone ad averlo visto?”

“Non ero da sola, quella notte. Sai, - si avvicinò al suo orecchio, sussurrandole – io frequento, diciamo…una persona più grande e… - si allontanò, tornando a parlare con un tono normale – Insomma, non volevo metterla nei guai. La polizia avrebbe trovato molto strana la faccenda. Lo capisci, no?”

Quella annuì, curiosa: “Sì si, certo. E…che ci facevi con Albert a quell’ora? Chi era questa persona più grande con cui eravate?”

“Anthony dava noie anche a me, non solo quelli come Albert o…te! – fece una pausa, prima di continuare – Hai presente il video che è stato divulgato qualche giorno fa su Anthony, mio fratello e i loro amici? Beh, Albert era nascosto dietro la porta dell’aula in cui l’hanno girato e ha ascoltato tutto. Io stavo passando da quel corridoio, per caso, quel giorno, e la cosa mi ha incuriosito a tal punto da domandargli cosa stesse facendo. Lui mi fece segno di avvicinarmi…Quando i ragazzi se ne andarono, entrammo e prendemmo la videocamera.”

“Volevate che la scuola vedesse quel video? – era confusa – Ok che Albert volesse questo, ma tu? Rider è tuo fratello, perché fargli una cosa del genere?”

“Non volevo divulgare il video, infatti. Volevo solo essere lasciata in pace, far sapere ad Anthony che avevamo quel video e che doveva lasciarci in pace…Albert, poi, fece delle copie e disse che si sarebbe preoccupato lui di parlare con Anthony, così ho preferito non espormi troppo e lasciare che facesse tutto lui.”

“Ma, aspetta un secondo, il video è stato divulgato dopo la scomparsa di Albert. Sei stata tu?”

“No! – marcò, con gra voce – Te l’ho detto, non volevo farlo. Dopo la scuola, poi, Albert non si fece più sentire e lo incontrai che girava di notte verso le parti del Wall mart. E’ salito nell’auto del ragazzo con cui ero e gli ho chiesto se avesse parlato con Anthony. Lui mi ha risposto che era tutto risolto, poi scese, di fretta e…Non l’ho più visto né sentito.”

“Ma… - riflettè, cercando di capirci qualcosa, spostandosi i capelli da davanti la faccia – Se non sei stata tu a divulgare il video, allora chi è stato?”

“Non è evidente? – dichiarò con scontatezza – E’ stato Albert!”

In una smorfia perplessa, Chloe replicò: “Sicura che questo tuo ragazzo non abbia ottenuto una copia da Albert, nel corso della giornata? Magari è stato lui!”

“E’ stato tutto il giorno con me! – affermò – L’unico ad avere quel video era Albert ed è stato lui!”

“Quindi pensi che Albert, - si mostrò turbata - sia nascosto qui a Rosewood?”

Lindsay si avvicinò di più a Chloe: “Io penso che Albert abbia ucciso Anthony e suo padre e che per paura di ciò che ha fatto, abbia finto di sparire. Questo, però, non l’ha fermato nel dare il colpo di grazia a coloro che l’hanno sempre sostenuto: mio fratello e i suoi amici… - ora anche lei si mostrò turbata, quasi spaventata – Albert sembrava un tipo instabile. L’ultima volta che l’ho visto non aveva una bella cera.”

“Se pensi che si nasconda qui, allora dillo alla polizia! Potrebbe fare del male a tuo fratello o i ragazzi.”

“E se mi sbagliassi? Albert ha fatto delle copie di quel video. Chi mi garantisce che sia stato davvero lui? Magari è davvero scomparso ed è stato qualcun altro, magari c’è molto di più dietro e io non voglio guai! – concluse, sorpassandola – Ora devo andare…In ogni caso, grazie di non aver detto a nessuno che mi hai visto quella notte.”

E quando si voltò per andarsene, Chloe la fermò.

“Ehi, aspetta… - Lindsay si girò – Ti ha detto qualcos’altro, Albert, quel giorno?”

L’altra non capì: “Cioè?”

“Niente… - scosse la testa – Niente, lascia stare.”

“Ok… - rimase lì impalata per qualche secondo – Allora ciao!” e se ne andò.

Chloe la fissò a lungo, mentre si allontanava. Poi, entrò finalmente dentro il negozio.

 

 

*

 

Arrivati a Brokehaven, i ragazzi stavano attraversando il campus dell’università. Rider, in mezzo a Nathaniel ed Eric, teneva in mano una brochure.

“Il dipartimento di ingegneria elettronica è nella zona ovest del campus!”

“E’ molto lontano da dove siamo?” chiese Eric, mentre controllava il telefono.

“Sì, – si voltò quello, lanciandogli un’occhiataccia – se continui a messaggiare!”

“Non sto messaggiando, controllo se Alexis ha risposto!”

Rider, dandogli tregua, si voltò verso Nathaniel, che, invece, era distratto dalle belle studentesse che giravano per l’università.

“Ehi, calma i tuoi ormoni, siamo qui per altro! – lo incalzò, mentre Nathaniel roteava gli occhi – Credi che non voglia distrarmi anch’io con due tette da college? Sì! Ma, ahimè, non ho una stramaledetta vita normale come tutti gli altri per poterlo fare.”

“Troviamo questa dannata Professoressa!” ne aveva già abbastanza, Nathaniel.

Trovato il dipartimento, percorrevano i corridoi, ora, ritrovandosi ad un bivio.

“Ok, abbiamo chiesto di lei in giro e hanno detto che potrebbe essere al laboratorio o nel suo ufficio! – Nathaniel si mise davanti ai suoi amici – Da questa parte c’è il laboratorio! – indicò verso destra – Mentre se prendiamo l’altro corridoio ci riporta alle scale e l’ufficio di Denna Marx si trova al quarto piano!”

“Ufficio o laboratorio, allora?” chiese Eric, spostando lo sguardo fra i due amici.

“Ragazzi, A  non rimarrà offline per sempre!”

Nathaniel decise per tutti, a quel punto: “Ok, io controllo al laboratorio, voi salite al suo ufficio. Chi la trova per prima, manda un messaggio!” e iniziò ad avviarsi.

“Ok. – annuì Rider – Tieni il telefono a portata di mano!” ed iniziò ad avviarsi nella direzione opposta con Eric.

 

*

 

Rider ed Eric stavano percorrendo il corridoio del quarto piano. Durante il tragitto, Rider si tolse lo zaino che aveva in spalle, aprendo la cerniera. L’altro, curioso, lo scrutò a lungo.

“E’ da quando siamo qui che mi chiedo cosa c’è in quello zaino!”

“Il mio piano A, per passare inosservati! – tirò fuori un piccolo aggeggio nero e rettangolare – Questo!”

“Che cavolo è?”

Rider gli lanciò, inevitabilmente, un’occhiataccia, prima di rispondere: “E’ un dispositivo di registrazione, l’ho preso dallo studio di mio padre. Serve a registrare!”

“Ehm, - si sentì offeso – ci ero arrivato già a dispositivo di registrazione!

“Ok, lascia parlare me e – lo vide nuovamente con il telefono in mano – metti via quel telefono! Dobbiamo sembrare più adulti, secondo il mio piano A!”

“Ma che intenzioni hai?” non capì ancora, Eric, cosa avesse in mente.

Purtroppo, però, non ricevette risposta, perché si scontrarono con una donna, sbucata fuori all’improvviso.

Quella aveva una scatola in mano, che con lo scontro, si rovesciò a terra. I ragazzi, mortificati, la aiutarono a raccogliere tutto.

“Oh, ci scusi tanto… - prese parola Rider, mentre si risollevavano tutti in piedi – Cercavamo la… - ma si bloccò, una volta vista meglio in viso, la descrizione che combaciava alla Professoressa che cercavano – Aspetti, lei è Denna Marx?”

L’altra rispose a denti stretti, quasi sarcastica: “Dipende…Siete l’FBI?”

Rider scoppiò a ridere, mentre Eric lo fissava, inebetito: “Bella questa, ma no, non siamo dell’FBI! Succedono molte cose illegali, qui?”

“Ho fatto parecchi favori ad un paio di miei amiche… - bisbigliò, poi – per i loro mariti infedeli!”

“Interessante, comunque… - allungò la mano, che Denna strinse – Mi chiamo Taylor… - inventò sul momento – Buh! Taylor Buh! E sono un Podcaster.”

Eric girò lentamente il collo, fissandolo incredulo, pensando di aver sentito male.

“Taylor Buh…Non si sente tutti i giorni!” pensò Denna.

“E’ il mio nome d’arte, gli studenti dell’ Illinois mi adorano! – esclamò, per poi tralasciare i convenevoli – Possiamo andare nel suo ufficio?”

“Oh, il mio ufficio… - si voltò a guardarlo un secondo – Beh, non è più il mio ufficio. Mi sono licenziata! – squittì - Mi trasferisco a Miami, oggi ho dato la mia ultima lezione!” rivelò con enfasi, sollevando le sopracciglia, eccitata all’idea.

“Miami?” ribattè Eric, spiazzato.

“Già, Miami! Sono pazza, vero?”

“Lasciare un posto fisso per girare in infradito tutto il giorno? Se sei milionaria, non tanto. Se non lo sei, un pò!” aggiunse Rider.

“Beh, - spiegò – Ultimamente sono venuta in possesso di una piccola fortuna, quindi…Perché no, giusto? – quelli annuirono, guardandosi fra loro – Allora, di cosa avete bisogno?”

“Quindi può dedicarci dieci minuti?” le domandò, Rider.

“Ma certo! Ho l’aereo fra… - controllò l’orologio – tre ore, più o meno!”

“Andiamo di corsa, eh? – continuò l’altro – Comunque grazie, non le porteremo via molto tempo.”

“Di cosa volete che vi parli?”

“Stalking! – esclamò Rider -  Noi pensiamo che mettere le persone al corrente di tutti i dettagli sull’argomento e su come reagire a questo fenomeno, possa essere parecchio utile per chi un giorno dovesse affrontare questa minaccia. – si guardò con Eric, mentre continuava – Insomma, gli stalker di oggi hanno parecchi mezzi per tormentare le loro vittime, no? Mezzi avanzati, per così dire!”

“Ehm… - quella si aggiustò gli occhiali, distratta, grattandosi il capo – Sì, questo è verissimo. Mi-mi sembra un’ottima informazione da divulgare.”

“Bene, possiamo entrare, allora?” suggerì Eric.

“Ma certo, accomodiamoci!” Denna riaprì la porta del suo ufficio, facendoli entrare.

 

*

 

Nathaniel, intanto, si stava affacciando dentro ad un laboratorio. Muovendosi al suo interno, curioso, sembrava non esserci nessuno; solo strumenti elettronici, banchi e vari progetti costruiti dagli studenti della facoltà.

Camminando tra i banchi, fu attirato da uno dei progetti, in fondo all’aula: una sorta di casa in miniatura, come quella delle bambole. Sulla facciata anteriore vi era scritto “MouseHouse”.

Sempre più incuriosito, mise un occhio davanti ad una delle tante finestre della casa, cercando di vedere cosa ci fosse dentro.

Vedeva solo un corridoio e dei piccoli mobiletti. Improvvisamente, poi, spuntò un topo e lui indietreggiò, gettando un piccolo urlo, disgustato.

Alle sue spalle, una voce lo fece sobbalzare ulteriormente.

“Inquietante, vero?”

Era una ragazza. Stava poggiando dei libri su uno dei banchi.

“Oh, beh – si voltò, ricomponendosi – Diciamo che non ho mai visto una cosa simile!”

Quella mantenne un sorriso di circostanza: “L’ha progettata Ella Duval, secondo anno. Io la chiamo la casa del grande fratello dei ratti!”

“O una casa delle bambole per ratti!” aggiunse, l’altro, tornando a guardarla.

“E’ monitorata!”

“Come? – si voltò nuovamente, distratto – Monitorata?”

“Sì, vedi quel tablet là giù! – glielo indicò, poggiato sulla superficie di un banco accanto a lui – Puoi vedere in quali stanze si trovano i topi!”

Nathaniel prese in mano il tablet, il display mostrava la planimetria della casa. Sopra dei puntini rossi che lampeggiavano.

“Aspetta, i topi hanno un cip?”

L’altra rise: “Tranquillo, non è sottocutaneo. Hanno un cinturino avvolto intorno al corpo e il cip è attaccato al cinturino. I puntini rossi che vedi sono i topi che si muovono.”

“Quindi…puoi sapere dove sono in qualunque momento?”

“Esatto, ma io la trovo un’idea stupida, usarla sui topi. E’ più eccitante sulle persone!”

“Questa Ella è al secondo anno e sa già costruire un cip?” domandò, rimettendo apposto il tablet.

“Ma no, figurati. L’ha aiutata la Professoressa Marx!”

“Aspetta, - riconobbe il cognome - Denna Marx?”

“Già, lei… - poi scosse la testa, confusa sulla sua presenza – E comunque, tu chi saresti? Non ti ho mai visto qui.”

“Ehm, sono una futura matricola!”

“Oh, capisco…Io sono Zoe, a proposito, e adesso dovrei andarmene, sono passata qui solo per lasciare questi libri. Se ti serve una visita guidata…”

“No no, ti ringrazio. – le sorrise – Io sono Nat…Nathan!”

“Bene, Nathan. – si avviò verso la porta - E’ stato un piacere! Ciao!” e se ne andò, mentre Nathaniel tornava a guardare la casa dei topi.

 

*

 

L’intervista alla Professoressa Denna Marx, nel frattempo, stava procedendo da qualche minuto, mentre erano seduti alla scrivania del suo ufficio. Rider teneva il registratore sulla sua mano destra, tenendo premuto il pulsante, puntato verso di lei.

“…E quindi, in questo modo, è possibile bloccare ogni tipo di intruso!”

I due annuirono all’ennesima risposta ricevuta. Rider aveva ancora una domanda.

“E se queste persone non sanno di essere nel mirino di uno stalker? Come si interviene? Parlo di…microfoni nascosti, cimici. Insomma, roba da Norman Bates ultimo stadio di follia!”

“Ehm, se non lo sanno, non si può intervenire. Ma se lo sospettano…”

Intervenì Eric, a quel punto: “Esatto, se lo sospettano, come si interviene?”

Quella spostò lo sguardo fra i due, lasciandosi scappare una piccola risatina: “Ehm, si va dalla polizia?”

“Sì, ma… - Rider restò serio - se la vittima non può rivolgersi alla polizia, cosa fa?”

“Deve rilevarla, in qualche modo. Le microspie non emettono alcun rumore o vibrazione, difficile capire dove siano state messe. Servono gli strumenti giusti, le cimici sono piccole; ne esistono di piccolissime, davvero piccolissime. Inanzitutto, parliamo di dispositivi elettronici, facilmente rilevabili da soffisticate apparecchiature che individuano di tutto: telecamere nascoste, dispositivi avanzati, addirittura spenti, non più funzionanti o qualsiasi tipo di trasmissione in RF,IR, onde convogliate, linee telefoniche. – i ragazzi la ascoltavano, frastornati, mentre continuava, logorroica - Tra questi, abbiamo i rilevatori di giunzione non lineari, atti a rilevare qualsiasi tipo di circuito elettronico e…”

Rider, esasperato, scosse la testa, grattandosi la fronte: “Ehm, mi scusi se la fermo, Professoressa, ma…In parole povere, come diavolo si chiama questa apparechiatura?”

L’altra, assai spiazzata dalla reazione del ragazzo, rispose comunque: “Beh, ne esistono di tanti tipi, come…”

Fu la volta di Eric, con foga: “Il più diffuso!”

“Ehm, ok… – li trovava sempre più strani – il metal detector dell’aereoporto, vi va bene? Non che sia proprio atto a rilevare microspie, ma è pur sempre un rilevatore di metalli e…”

“Come si disattiva, una volta trovato?” domandò Rider, ancora, senza darle il tempo di finire le frasi.

“Disattivarlo?”

“Sì, - esclamò Eric, nervosamente – Disattivarlo!”

“Ragazzi, vi perdete in un bicchiere d’acqua. – rise ancora – La parte difficile è trovare la cimice…poi quando si trova, basta distruggerla. In qualsiasi modo. O, semplicemente, buttarla via!”

“Ah!” ribatterono entrambi, sentendosi stupidi.

I due ragazzi si alzarono di colpo, allora. Rider sforzò un sorriso di congedo, mentre metteva via il registratore.

“Ehm, direi che abbiamo finito. Abbiamo tutto quello che ci serve.”

Quella rimase ancora seduta, sbigottita dal loro comportamento.

“Ah, sì? Di già?”

“Già! Buon viaggio a Honolulu!” esclamò Eric, mentre uscivano velocemente.

“Grazie!” aggiunse Rider.

“Vado a Miami, comunque!” urlò quell’altra, quando ormai erano fuori dal suo ufficio.

Si alzò, poi, raggiungendo la porta, affacciandosi fuori, fissando i due ragazzi con sguardo sospetto, mentre si allontanavano.

 

*

 

Era ormai calata la sera su Rosewood, ormai da qualche ora. Sam si era appisolato sul divano: era tutto buio, solo la televisione faceva luce. Dopo essersi stiracchiato, fece uno sbadiglio, comprendosi la bocca, per poi controllare l’ora sul telefono e i messaggi, le labbra secche. Di messaggi, stavolta, però, non ce n’erano.

Assetato, si alzò, dirigendosi in cucina, praticamente ad occhi chiusi, perché continuava a grattarseli. Non accese alcuna luce, giunse davanti al frigorifero senza problemi, aprendo lo sportello. La luce interna lo illuminò, costringendolo a spostare lo sguardo, infastidito, recuperando la bottiglietta d’acqua. Senza chiudere lo sportello, si voltò dall’altra parte, sorseggiando grandi quantità d’acqua. Improvvisamente, però, si fermò, osservando quella parte della cucina ben illuminata dalla luce del frigorifero. Poggiò la bottiglietta, aguzzando la vista, agghiacciato: le sedie erano girate al contrario, poggiate sulla superficie del tavolo, come quando si fanno le pulizie. La cosa, inoltre, gli parve molto strana, dal momento che, prima che si addormentasse, erano poggiate a terra.

Sam uscì velocemente dalla cucina, dirigendosi all’ingresso, davanti al quadrante del sistema d’allarme.

Allarme disattivato, lesse.

Preso dal panico, provò ad uscire da casa sua, ma ecco che un messaggio, precedette quell’azione.

 

“Hai bevuto l’acqua che ti ho lasciato in frigorifero? Fresca, non è vero?”

-A

 

In quell’esatto istante, Sam iniziò a vederci doppio, costretto a reggersi sulla parete. Continuava a scuotere la testa ad occhi chiusi, cercando di liberarsi da quella sensazione, ma la cosa peggiorò. Sempre più debole, iniziò ad accasciarsi, la mano che strisciava sulla carta da parati. Perse i sensi, ormai steso sul pavimento.

Poco dopo, Sam riaprì gli occhi, ma non completamente; si sentiva ancora stordito. Gli sembrava di svegliarsi a scatti, a distanza di minuti. Un attimo prima, aveva la sensazione che qualcuno lo tenesse in braccio, che lo stesse trasportando da qualche parte, sempre all’interno di casa sua, sulle scale. Cercava di scrutare un volto, ma perdeva i sensi ancora prima di metterlo a fuoco. L’attimo dopo, invece, gli parve di essere sdraiato su qualcosa di morbido; il suo letto, pensò. Da lì, vedeva qualcuno muoversi, davanti a lui. Sembrava solo un’ombra, un cappuccio nero. Gli occhi si chiusero ancora, non riuscì a vedere nulla di più.

 

*

 

Rider ed Eric stavano raggiungendo il laboratorio, al terzo piano. Lungo il corridoio, discutevano sulla conversazione avuta con la Professoressa Marx.

“Quindi ora che facciamo, Rider? – domandò, isterico – Eh? So a cosa stai pensando!”

“Ah sì? – replicò, mantenendo lo sguardo fissò davanti a sé, mille cose che gli passavano per la testa – Sai a cosa penso? Bene, a cosa penso?”

“Dimmi che non ci butteremo sotto al metal detector di un aereoporto per farti contento!”

“Caspita, la tua telepatia è disarmante!”

Eric lo fermò per le spalle: “Rider, seriamente! Avremo dovuto raccontare tutto a quella Professoressa e lei ci avrebbe aiutati. Come diavolo rileviamo una cimice, da soli? Tanto vale darci fuoco!”

“NON-POSSIAMO-COINVOLGERE-NESSUNO! Ok? A si vendicherebbe! – si scosse, liberandosi dalla presa – Ecco il laboratorio, cerchiamo Nathaniel e andiamocene. Troveremo questa apparecchiatura su internet!”

I due si affacciarono, le luci erano accese, ma sembrava non esserci nessuno.

“Nat??” lo chiamò Rider, puntando lo sguardo in tutta la stanza.

Una testa spuntò fuori da sotto ad uno dei banchi. Era lui.

“Ehi, eccoti! – esclamò Eric – Che cavolo ci fai nascosto lì sotto?”

“Ehm… - si guardò attorno, per terra – sto, ehm…cercando topi!”

“Cosa? – si allarmò Rider – Ma di che stai parlando? – seguì il suo sguardo, sempre più spaventato – Perché guardi a terra?”

“Ehm, aspettate…” si avvicinò alla lavagna, scrivendo qualcosa, evitando di dirlo a voce.

Quelli lessero, dopo che aveva finito.

“C’è questa casa dei topi e i topi hanno addosso dei cinturini con sopra un cip localizzatore. Ho pensato di staccarli dai topi per usarli con i nostri sospettati e vedere chi ci porta al covo di A per recuperare i nostri video e andare finalmente alla polizia!”

“Geniale!” esclamò, Eric. Un sorrisino si dipinse sulle sue labbra.

L’altro non la pensava allo stesso modo e quando sentì squittire, salì sopra uno dei banchi.

“Ratto!” gridò Rider, in piedi sul banco, indicandolo.

I due lo fissarono, cercando di non sorridere, ma fu inevitabile.

Eric si avvicinò al topo, prendendolo tra le mani.

“Rider, rilassati. E’ un topo, non una palla di fuoco!”

“Ehi, devi metterlo qui! – lo chiamò Nathaniel, indicando la casa – Il cinturino gliel’ho già tolto, ma mi era sfuggito.”

Quello rimise il topo dentro la casa, mentre Rider scendeva dal banco, disgustato.

“Possiamo andarcene, adesso? Fino a prova contraria stiamo commettendo un furto!”

“Aspetta, dimenticavo. – Nathaniel recuperò il tablet – Anche questo ci serve!”

E avanzò verso di loro. Nel preciso momento in cui Nathaniel si spostò dal punto in cui era, Rider notò qualcosa che prima non aveva notato, preso anche dalla paura per il topo.

“Oh mio Dio… - fissò quella cosa – Ditemi che quella è una riproduzione fedele di un metal detector...”

“Dio, è proprio un metal detector!” esclamò Eric, mettendoci gli occhi sopra.

“Che mi sono perso?” domandò Nathaniel, confuso.

Rider, avvicinandosi al metal detector, si affrettò a spiegare: “Abbiamo parlato con la Professoressa Marx. Ci ha suggerito di usare un metal detector, più o meno!”

“Non le avrete detto mica la verità, spero.”

“No, si è finto un podcaster!”

“Cos’è un podcaster?”

Ma Rider lo ignorò, mettendosi davanti all’apparecchiatura, quasi ipnotizzato.

“Togliete anelli, bracciali, orologi…Tutto!”

Quelli eseguirono, guardandosi fra loro.

Dopo che Rider aveva fatto lo stesso, si apprestò a passare sotto l’apparecchiatura, come si fa in aereoporto.

Ci passò, ma non si sentì alcun suono. Guardandosi con i compagni, ci ripassò una seconda volta, ma niente.

Basito, rimase lì impalato.

“Ma che diavolo??”

“Ok, dai. – si avvicinò Nathaniel – Ci provo io!” e dopo aver appoggiato l’orologio, i cinturini dei topi e il telefono, passò sotto la lastra.

Anche con lui, dopo due tentativi, l’apparecchio non emise alcun suono.

Eric, a braccia conserte, pensò: “Dite che A si è accorto di quello che stiamo facendo e ha disattivato le cimici?”

“Se ce li ha messi addosso, - replicò Rider, con disappunto - il metal detector dovrebbe rilevarli ugualmente, anche se sono stati disattivati.”

“Provo io!” si avvicinò Eric.

Mentre ci stava passando sotto, Rider lo avvertì di lasciare il telefono, che aveva in mano.

“Ehi, aspetta!”

Troppo tardi, però, perché Eric ci era passato sotto. E il metal detector aveva suonato. Quello si spostò immediatamente.

“E’ normale, no? – chiese Nathaniel – E’ un telefono con parti in metallo, no?”

“Sì, è normale, ma… - riflettè Rider, attentamente, fissando i due amici – Se non abbiamo le cimici addosso, questo vuol dire che…”

“Oh mio Dio, - ci arrivò Eric, prima che l’amico continuasse - sono nei telefoni!”

“Ma ne siete sicuri?”

Rider ne era certo: “Dove altro possono essere, se non sono addosso a noi? Ogni volta che ci diciamo qualcosa, sono i nostri telefoni ad essere con noi…Avremmo dovuto intuirlo prima, A l’aveva già fatto con il telefono di Anthony.”

Anche Nathaniel se ne convinse, a quel punto: “E adesso che facciamo?”

 La parte difficile è trovare la cimice, poi, quando si trova, basta distruggerla. In qualsiasi modo. - Eric citò la Professoressa Marx – Dobbiamo distruggere i nostri telefoni!”

“Cosa? – lo trovò assurdo, Nathaniel, guardando entrambi – Dite sul serio?”

“Hai presente il piano che vuoi realizzare? – cercò di convincerlo, Rider -  Come pensi di farlo se ci ascolta?”

Quello ci riflettè, trovandosi d’accordo con lui: “Hai ragione… - e suggerì, a quel punto – Tra Brokehaven e Rosewood c’è una stazione di servizio. Li distruggiamo lì.”

In uno sguardo d’intesa, erano tutti d’accordo, pronti a lasciare il dipartimento.

 

*

 

Intanto, Sam, aveva appena aperto gli occhi. Stavolta, perfettamente cosciente, anche se abbastanza intontito. Steso sul suo letto, sbattè le palpebre, per via degli occhi leggermente annebbiati. Scrutò la sua stanza, ricordandosi dell’ombra che aveva visto e che, prima di chiudere gli occhi, si trovava in piedi al piano di sotto. Il suo sguardo, poi, si spostò verso la porta aperta, il corridoio buio e silenzioso. Si sollevò, per alzarsi, poi si bloccò di colpo, provando una strana sensazione sulla bocca. Immediatamente, se la toccò con le mani, sentendo qualcosa di ruvido e rendendosi conto che non riusciva ad aprila; qualcosa glielo impediva, era come serrata.

Preso dal panico, si alzò dal letto e corse in bagno, accendendo la luce. Un messaggio in rosso sullo specchio e la sconvolgente scoperta: A aveva incollato le sue labbra.

 

“Hai voluto tenere la bocca chiusa? Ora ce l’hai chiusa per davvero.”

-A

 

I suoi occhi si riempirono subito di lacrime, gemiti disperati, nel tentativo di staccarsi le labbra; il sangue cominciò a fuoriuscire, mentre agiva con forza.

 

*

 

Giunti a Rosewood, i ragazzi si erano ormai disfatti dei loro telefoni. Discutevano sulla prossima mossa, mentre Nathaniel era alla guida.

“Quindi abbiamo solo sette cip, giusto?” chiese conferma, Eric.

Rider annuì: “Direi che sono sufficienti, sospettiamo solo di Violet e Colton!”

“E se non fossero loro? – pensò, Nathaniel - Forse dovremmo sfruttarli tutti e sette!”

“E su chi altro?” ribattè Eric.

“Su tutti quelli citati nel video!”

“Mezza scuola, allora! – Rider si rilassò sul sedile posteriore, sarcastico – Forse dovremmo tornare indietro ad acciuffare qualche altro topo!”

Nathaniel gli lanciò un’occhiataccia attraverso lo specchietto retrovisore: “Parlo di persone specifiche, come Morgan Patterson, che mi ha tirato un pugno, ricordi?”

“O Lisa Nelson, che se n’è andata via dal Brew assieme a Violet!” aggiunse Eric, seduto accanto a Nathaniel.

“Bene, allora consultiamo anche Sam, avrà sicuramente un nome anche lui! – esclamò seccato – Ma sono sicuro che Violet e Colton sono A. Vedrete se non ho ragione!”

“Dio, - Nat controllò l’ora - si è già fatto buio. Ho promesso a Sam che sarei stato con lui, dopo i messaggi che A gli ha inviato!”

“Ma almeno sa che siamo andati a Brokehaven? – chiese Rider - Avete detto che non c’era a casa sua, no?”

Perplesso, Nathaniel lo fissò nuovamente dallo specchietto: “Sam lo sa che siamo andati a Brokehaven. Lo hai avvisato tu, no?”

“Io? – fece una smorfia, confuso – Non sento Sam dalla notte al lago!”

Quello, allora, fermo la macchina, voltandosi meglio.

“Come sarebbe?”

Eric si aggregò alle sue perplessità: “Sam ci ha mandato un messaggio, sapeva di Brokehaven. Se non gliel’hai detto tu, - fissò i due – allora chi...??”

“Oh mio Dio… - Nathaniel abbassò lo sguardo, comprendendo che Rider non ne sapeva davvero nulla – è stato A a scrivere il messaggio.”

E immediatamente mise in moto la macchina, mentre Rider metabolizzava quanto dedotto dall’amico.

“Stai scherzando, vero? – andò nel panico – E se l’avesse rapito o fatto del male?”

Nathaniel non rispose, Eric si limitò a fissarsi con Rider, pensando al peggio, gli occhi sgranati.

 

*

Circa dieci minuti dopo, i ragazzi erano di fronte all’abitazione di Sam. Erano appena scesi dalla macchina. La porta era aperta.

“Non è un buon segno, - dedusse Eric, intimorito - vero?”

Nathaniel era già dentro, Rider lo seguì a ruota e anche Eric.

“Saaam?” urlò, Nathaniel, affacciandosi in tutte le stanze buie.

Eric e Rider accesero luci e lampade, gridando il suo nome. Insieme salirono al piano di sopra, dove c’era una stanza già accesa: il bagno.

Si precipitarono tutti lì, restando bloccati alla soglia, sgranando gli occhi per la scena a cui assistettero a primo impatto: Sam inginocchiato a terra con la bocca e le mani insanguinata, il pavimento macchiato.

Nathaniel ed Eric lo aiutarono subito a rialzarsi, mentre quello era in lacrime, sotto shock.

“Oh mio Dio… - sussurrò, Rider, ancora impalato, mentre osservava il messaggio sullo specchio – è totalmente fuori di testa…”

“Sam, stai bene?” gli domandò Nat, mentre lo portavano nella sua camera.

Quello scosse la testa, liberandosi dalla stretta dei due.

“No no, non ci torno in camera. – si dimenò, instabile, tremante, lo sguardo basso, per poi urlare – Portatemi via da qui!”

Rider, dietro di lui, lo prese per le spalle: “Sta calmo, ho capito. Ora puliamo tutto quanto, in modo che tuo padre non veda nulla. Ti portiamo a casa mia, ok? – cercò di tranquillizzarlo - Resterai da me!”

Sam, scoppiando in lacrime, lo abbracciò.

“Ok, ok…” singhiozzò ancora, creando un magone nei suoi amici, che lo osservavano pietrificati.

Mentre si sfogava, Rider si lanciò uno sguardo preoccupato con gli altri due. Si erano appena resi conto che la faccenda non era più un gioco di semplici messaggi e minacce. A stava andando oltre.

 

SCENA FINALE

 

 

A era appena entrato nei bagni di una stazione di servizio. Si avvicinò al cestino che c’era in fondo, accanto allo sportello aperto dell’ultimo bagno. Con la mano, sempre i guanti neri indosso, spostò le cartacce sporche, trovando sotto dei telefoni, distrutti, a pezzi. Li prese, ne erano tre. Li mise dentro un sacchetto di carta che teneva con l’altra mano.

Uscito dai bagni, si diresse al bar. Entrò, poggiandosi sul bancone con i gomiti. La tv fissata alla parete, in alto, dava il notiziario notturno.

Si avvicinò il barista, anziano; asciugava un bicchiere di vetro con un panno: “Non ti fa freddo con solo quella felpa addosso?”

A scosse la testa.

“Cosa ti do?”

A gli fece cenno di alzare il volume della televisione.

“Vuoi che alzi il volume? – l’atteggiamento di A lo lasciò perplesso – Non ami parlare molto, eh?”

Ed eseguì, senza aggiungere altro.

Il notiziario parlava di un arresto, appena avvenuto.

“La polizia ha finalmente catturato Jasper Laughlin, ricercato da giorni per l’omicidio di Kevin Dimitri, 44 anni, e Anthony Dimitri, suo figlio, di 17. L’uomo è stato trovato al confine dello stato con molti contanti e un’auto noleggiata…”

 

CONTINUA NEL SESTO CAPITOLO

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 6
*** 1x04-Un brivido lungo la schiena ***


CAPITOLO QUATTRO

“Living in a Dark DreAm”

 

PREVIOUSLY ON BLACK HOOD:

 

Dopo i funerali di Anthony, fuori dalla chiesa, A manda un nuovo messaggio ai quattro ragazzi, insinuando che il corpo nella bara appartenga davvero ad Anthony: un video, mostrava qualcuno che lo uccideva.

Rider convince i suoi amici che A, stavolta, è Anthony, sostenendo che abbia contattato un amico per girare una sceneggiata e far si che loro tenessero la bocca chiusa sulla notte degli omicidi. Nathaniel e Sam, sembrano gli unici a pensare che si tratti, invece, di un amico di Albert, in cerca di vendetta.

Tornati a casa, Sam e Rider cominciano a fare i conti con i sensi di colpa, in seguito ai commenti trovati sulla bacheca della pagina della Rosewood high shool; molti erano a favore di Albert, dichiarato scomparso da qualche giorno, altri di odio nei confronti di Anthony e il suo gruppo.

Eric, intanto, conosce la nuova barista del Brew, Alexis, e deve fare i conti con la crisi che sta attraversando la sua famiglia, economicamente; lui e sua madre, vivono nell’appartamento sopra al locale, tenendosi costantemente in contatto con suo padre, fuori città, in cerca di nuovo lavoro, dopo essere stato licenziato dalla società in cui lavorava.

Nathaniel, alle prese con una nuova visita medica di routine da suo cugino, morso ancora dal dubbio sollevato dal video ricevuto da A, trova un escamotage per farsi portare nella stanza della videosorveglianza dell’ospedale. Tyler viene chiamato dal suo cercapersone e Nathaniel rimase solo, passando sulla sua pennetta, indisturbato, i filmati della sorveglianza. Subito dopo, irrompe nell’obitorio, dove con Rider, in contatto telefonico, scopre che il referto del medico legale non coincide con le ferite riportate da Albert nell’incidente: quindi il corpo nella bara è di Anthony e A ha scambiato i corpi.

Sam, nel frattempo, scopre da suo padre che la polizia ha un sospettato sicuro, segnalato da una deposizione fatta dalla signora Dimitri e l’altro suo figlio, Clarke, in centrale.

Rider, non convinto dalla storia dello scambio, passa a prendere Sam e vanno alla stazione di Rosewood, in cerca di un indizio in più. I due, però, vengono attirati in una trappola, all’interno dei tunnel, ritrovando il telefono di Anthony e un messaggio di A. Un treno, subito dopo, quasi li investe.

Riuniti a casa di Rider, ancora sotto shock, il gruppo esamina i filmati della sorveglianza, notando la presenza di un loop, la ripetizione di uno stesso pezzo, nel corso del filmato. I ragazzi si convincono di avere una prova in mano, a quel punto, assieme al video dell’omicidio di Anthony, ricevuto da A, e decidono di volerne parlare con il padre di Sam e porre fine a questa storia, pur sapendo che si sarebbero esposti a determinate conseguenze.

Fuori dall’abitazione di Sam, però, i quattro ricevono l’ennesimo messaggio di A e questo li costringe a passare dalla loro scuola, prima di fare un’altra mossa: aveva qualcosa contro di loro.

Giunti a scuola, Sam, Nathaniel, Rider ed Eric, trovarono il computer di Anthony, una sola cartella al centro, con dentro un filmato: mostrava loro, complici dell’omicidio del Signor Dimitri e di Albert. Ora, non avevano altra scelta che tacere. E, stranamente, A, mise in chiaro loro che non aveva intenzione di denunciarli.

 

AND NOW…

 

 

“Buongiorno, Bugiardi! Pronti per iniziare con me una nuova giornata?”

-A

 

Fu Sam a visualizzare per primo quel messaggio, all’alba di quella mattina. Pensava ancora di sognare, mentre si strofinava gli occhi, i capelli scompigliati dal sonno. Pensava che A non fosse reale e che doveva svegliarsi; sfortunatamente per lui, però, era più che sveglio e A era più reale che mai.

“Fottiti!” esclamò, buttando il telefono sul comodino, esasperato, sollevando, poi, le lenzuola, per uscire dal letto.

Si diresse verso la finestra, aprendola, facendo entrare in camera quella fredda brezza mattutina, tipica dei mesi autunnali, che lo investì, mentre teneva gli occhi chiusi e si prendeva un attimo per respirare quell’aria pura e distendere i nervi.

Subito dopo, sopra un mobiletto lì vicino, vi era poggiata una fotocamera digitale. La prese, tornò alla finestra e, con addosso il suo pigiama, strisciò fuori, sul tetto, per poi rimettersi in piedi e camminare più in alto, sopra le tegole, fredde. Quando vide, finalmente, il sole che sorgeva, si sedette a gambe incrociate e mise l’obbiettivo davanti all’occhio destro, mentre il sinistro era chiuso; dopo qualche secondo, immortalò quell’alba. Rivedendola sul display, però, non gli sembrò bella come si vede ad occhio nudo, così tornò  a guardarla, poggiando la fotocamera, consapevole che quell’alba sarebbe stata l’unica cosa positiva di quella giornata.

 

*

Eric fu il secondo a visualizzare quel messaggio, riappoggiando il telefono, con indifferenza, sulla pila di scatole che c’era nella sua stanza e che sembravano quasi fungere da mobili, per come erano sistemati vicino alla parete.

Davanti ad uno specchio, si stava provando dei vestiti, ma non i soliti, quelli alla moda che usava indossare; erano semplici felpe e semplici jeans, molto trasandati. Alla fine, da tutto il mucchio che c’era sul letto, optò per dei normali blu jeans, il cui colore era parecchio sbiadito, e una felpa grigia, abbinate a delle scarpe bianche da ginnastica. Lasciata la stanza, dopo un’ultima occhiata, Eric si sentì fiero di sé stesso: apparire non era più una priorità e i vestiti di Anthony, ormai, non facevano più parte del suo guardaroba.

Alcune abitudini, però, erano difficili da dimenticare ed Eric, giunto in bagno, pensò che mettersi addosso un pò di profumo non significasse essere per forza vanitosi, ma, semplicemente, di gradevole odore; così, aprì lo sportellino destro della specchiera, dove gli aveva sistemati, per prenderne uno. Nel momento in cui prese in mano quello scelto, però, sentì un’improvvisa sensazione glaciale lungo la pelle; tant’è che lasciò cadere la bottiglietta di profumo dentro il lavandino. Assunse immediatamente un espressione di sconcerto, quando notò uno strano alone sulla superficie di quella bottiglietta: sembrava ghiaccio. Subito dopo, si accorse che anche le altre bottiglie di profumo avevano lo stesso aspetto e che dietro ad una di esse c’era un bigliettino, che prese, leggendone il contenuto.

“L’unico profumo che puoi avere addosso è quello della paura che avrai presto di me.”

-A

 

Dopo aver deglutito, seriamente turbato da quel messaggio, prese tutte le bottigliette e le gettò nel cestino, mettendo il biglietto minaccioso in tasca, uscendo velocemente dal bagno, raggiungendo la finestra affacciata sulla scala antincendio. Come pensava, era socchiusa e questo significò che A era entrato nel suo appartamento. La cosa non lo lasciò indifferente, infatti. Si guardò attorno con apprensione.

 

*

 

Le lezioni stavano quasi per cominciare alla Rosewood high school e gli studenti giravano per la scuola, in attesa del suono della campanella. Rider, in particolare, con lo zaino sulle spalle, si stava dirigendo verso il suo armadietto, inserendo la combinazione, abbastanza assonnato e con i capelli leggermente in disordine. Aperto lo sportello, qualcosa cadde a terra. Rider guardò giù, scorgendo quello che sembrava essere un treno giocattolo, che si apprestò a raccogliere; non prima di essersi guardato attorno, assicurandosi che nessuno lo stesse guardando. Con in mano il treno, pronto a rimetterlo dentro, contrariato, dovette bloccarsi, notando un biglietto, incastrato dentro.

 

“Sei pronto per un altro giro? Ciuff ciuff!”

-A

 

Roteando gli occhi, davvero stufo, Rider gettò il treno dentro l’armadietto, sbattendo lo sportello, per poi allontanarsi. Alle sue spalle, però, qualcuno lo chiamò, constringendolo a voltarsi.

“Ehi, Rider, aspetta!” esclamò Eric, in compagnia di Nathaniel e Sam, mentre lo raggiungevano a passo veloce.

“Uao, che faccia!” fece un commento, Nathaniel, in merito al suo viso.

Rider alzò il bigliettino ricevuto: “Già, devo ringraziare A per questo aspetto orrendo. Non fa che punzecchiarmi con messaggini e regalini. – era a dir poco isterico - Ho trovato un treno giocattolo nel mio armadietto!”

 Sam prese parola, subito dopo: “E io ho ricevuto il buongiorno!”

“Quello lo abbiamo ricevuto tutti, credo.” replicò Rider, con ovvietà.

Nathaniel intervenne: “Io no! Sono uscito a correre presto e ancora non ho accesso il telefono.”

“Bene, non farlo. – gli suggerì Eric, tirando fuori un bigliettino dalla tasca: quello che aveva ricevuto - I suoi messaggi sono a dir poco inquietanti.”

Sam avvicinò la faccia al biglietto, leggendo ad alta voce: “L’unico profumo che puoi avere addosso è quello della paura che avrai presto di me?  – fissò Eric , preoccupato – Eric, questa è una minaccia seria, sta attento!”

“Lo so, stamattina ho trovato tutti i miei profumi letteralmente congelati!” raccontò, preoccupato a sua volta.

“Cosa? – reagì Nathaniel, mentre camminavano lungo il corridoio – Che significa congelati?”

Fu la volta di Sam, atterrito, gli occhi sbarrati: “Oh mio Dio, - rabbrividì – E’ entrato in casa tua?”

Eric si sentì oppresso: “Significa che li ha messi nel congelatore, come dei surgelati… – rispose a Nathaniel, poi a Sam – E sì, è entrato in casa mia!”

Rider scosse la testa, indignato da questa storia: “Non lo accetto, mi sembra incredibile!”

Sam era a dir poco terrorizzato: “Già, puoi dirlo forte, - fissò tutti, poi – che cosa facciamo? Vogliamo davvero che questa A invada la nostra vita? E non lo dico solo perché ho quasi rischiato di essere rinvenuto dai binari della stazione di Rosewood con delle pinzette per le sopracciglia!”

“Niente, Sam. – commentò Nathaniel, più pacato. – Sai perfettamente che non possiamo fare niente. A ci tiene in pugno e stiamo ancora cercando di capire cosa vuole da noi.”

Rider, però, aveva perfettamente chiaro il quadro della situazione: “E invece no! Quello che vuole A è chiaro come il sole: vuole torturarci e renderci la vita impossibile per quello che abbiamo fatto. Anthony ha già avuto quello che gli spettava e ora tocca a noi!”

“Forse è il caso che iniziassimo a capire chi ci tormenta e mi sembra ovvio che si tratti di qualcuno che odiava Anthony e che teneva ad Albert a tal punto da vendicarlo.” pensò Eric, esternando le sue ipotesi.

“Già, io la penso come Eric. – si aggregò Sam, convinto. – Siamo praticamente tornati alla mia teoria iniziale, quella dell’amico segreto e psicopatico di Albert, che ora vuole vendicarlo.”

Nathaniel, però, trovava assurdi quei discorsi: “Queste teorie sono inutili e anche il voler stanare il tizio che si nasconde dietro a questi messaggi. Ragazzi, avete pensato al fatto che se smascherassimo A, non potremmo comunque farlo arrestare? Possiede dei filmati su di noi e siete dei poveri illusi se pensate che non li condividerà con la polizia per farci affondare assieme a lui. L’unica cosa che otterremmo, sarebbe dividere la cella con A che ci scrive messaggi inquietanti sulle federe dei cuscini, mentre dormiamo.”

Rider si fermò, a quel punto; qualcosa gli venne in mente: “Potremmo sottrarglieli!”

Quelli si fermarono con lui, in mezzo al corridoio.

“I filmati, dici?” chiese Eric.

“Sì! Chi crede ad un pazzo psicopatico stalker, se non ha le prove di quello che dice? – fece una pausa, cercando di spiegarsi meglio – Ogni super cattivo che si rispetti ha un covo segreto, dove conserva i suoi trofei. Troviamo il covo, prendiamo i nostri video, smascheriamo il cattivo e lo consegnamo alla polizia con tutta la serenità del mondo.”

Nathaniel non era molto convinto: “La fai facile, Rider. Chi ti dice che A, di quel filmato, non ne abbia fatto un milione di copie?”

“Già! – esclamò Sam, perfettamente d’accordo – Una volta ho visto un film dove un tizio diceva ad un altro tizio che se avesse provato ad ucciderlo, qualcuno avrebbe spedito una busta alla polizia con dentro delle cose compromettenti.”

Rider fece una faccia stranita, cercando di interpretarlo: “Stai dicendo che se facessimo arrestare A, un suo complice sarebbe pronto a spedire alla polizia il filmato che ci vede complici di Anthony nella notte degli omicidi?”

Sam si stranì a sua volta, titubando: “Ehm, no, questo lo stai dicendo tu!”

Eric si innervosì, stressato di suo: “Già, Rider, questo lo stai dicendo tu, mentre Sam citava solo la trama di un film per fare un esempio. Ci manca solo che A abbia un complice!”

“Ok, quindi come rimaniamo per la faccenda A?” cercò di arrivare al dunque, Nathaniel, prima di giungere in classe.

“Io dico di seguire il piano di Rider, - suggerì Sam, per primo – sperando che A non abbia davvero fatto delle copie di quel video.”

“NO! – esclamò, Rider – Dobbiamo sederci e ragionarci come matti. Qui non stiamo giocando contro una star di Jersey shore, ma con un vero e proprio mostro di intelligenza! – pacò i toni, subito dopo – Prima, però, ho bisogno di concentrarmi sui test di oggi, TUTTI dovremmo concentrarci. Poi, dopo, ci siederemo con calma e capiremo meglio cosa fare.”

E quelli furono d’accordo, mentre svoltavano all’angolo del corridoio.

Improvvisamente, però, dovettero bloccarsi, riprendendo a camminare più lenti: il corridoio era affollato e tutti gli occhi erano puntati su di loro. Inoltre, c’era un silenzio tombale, animato soltanto da alcuni bisbigli.

Trovando strana quella situazione, Nathaniel, sfacciato, si rivolse ai presenti: “Beh, che succede? Che avete da guardare?”

Una ragazza, tra i tanti studenti che c’erano, si avvicinò loro, mostrando il suo telefono. C’era un video, aperto sul display, che non appena partì, venne subito riconosciuto dai quattro ragazzi, che si guardarono tra di loro: si trattava del video di insulti girato con Anthony.

A quel punto, il gruppo non ebbe il coraggio di proferire parola, nemmeno riuscivano ad alzare lo sguardo, il loro volto si dipinse di vergogna e mortificazione: un disagio che non avevano mai provato. Improvvisamente, uno degli studenti, Morgan Patterson, soprannominato Rinoceronte marino da Anthony, si fece avanti e non si fece scrupolo a tirare un pugno a Nathaniel, che l’aveva umiliato nel filmato, sparlando di lui e del suo peso. Il ragazzo caddè a terra, con un bel livido sulla guancia.

“Ehi!” gridò Rider a Morgan, difendendo l’amico.

“Ti si è fuso il cervello, per caso?” aggiunse Sam, alterandosi, mentre Eric aiutava Nathaniel a rialzarsi.

“Che coraggio!” esclamò una ragazza, tra i suoi compagni, sbigottita, facendosi avanti. Si chiamava Violet Rhimes e non sembrava somigliare ad uno degli sfigati che Anthony amava prendere in giro.

Attirata l’attenzione dei ragazzi, Violet continuò, furibonda: “Mio fratello non è venuto a scuola per colpa di quel video che avete girato. Avete idea di cosa significhi essere diverso dagli altri? Colton è albino e, ok, se n’è fatto una ragione dalla nascita, ma ricordarglielo ogni giorno con insulti, risate in sottofondo e, ora, addirittura, con un video…Beh, è diabolico! E Anthony non mancherà proprio a nessuno, se devo dare voce al pensiero di tutti.”

Molti furono d’accordo con lei, facendo sentire la propria voce.

Eric si sentì in colpa, naturalmente, nel sentire quelle parole, mentre reggeva l’amico: “Mi dispiace, ok? Anzi, CI dispiace!”

Anche Rider era dispiaciuto, ma aveva qualcos’altro da aggiungere e non lo fece in maniera cordiale: “Sono dispiaciuto anche io per quel video orrendo che è stato Anthony a costringerci a girare, ma chiedere scusa non è un optional, miei cari studenti di Rosewood. – fissò tutti; anche Lindsay, sua sorella, era presente, più dietro - Anche voi avete alimentato quel potere che permetteva ad Anthony di essere quello che era e di prendere in giro chiunque non fosse alla sua altezza o che fosse goffo!”

Nathaniel, nonostante lo zigomo dolorante e livido, disse anche la sua: “Già, perché le stesse persone prese di mira da Anthony, sono le stesse persone che avete ignorato ed emarginato. – si rivolse poi a Violet – Non mi sembra che tu sia mai andata contro Anthony quando insultava tuo fratello, perciò… – guardò tutti gli studenti, ora – non fate gli ipocriti e riflettete su come questa scuola sia arrivata ad avere dei mostri e delle vittime. Non si sono di certo creati da soli.” e se ne andò, nel silenzio plateale, seguito a ruota dagli altri tre.

Sam passò di fianco a Chloe, c’era anche lei. I due si scambiarono un’occhiata, ma quello non si fermò a parlarle, data la situazione.

 

*

 

Il gruppo, dopo l’accaduto, raggiunse frettolosamente l’aula in cui la settimana prima avevano girato il video con Anthony. Rider fu il primo a spalancare la porta, entrando, seguito da Eric. I due, arrivati prima dei loro compagni, iniziarono a frugare dentro l’armadietto, nervosamente.

“Ti ricordi in quale scatola l’ha rimessa apposto, Anthony?” chiese Rider, mettendo le mani ovunque.

“Forse, in questo ripiano in basso. – si chinò Eric, più giù – Non ricordo bene, volevo solo andarmene.”

“Già, pure io!”

Subito dopo, arrivò Nathaniel, toccandosi ancora lo zigomo dolorante. Poi arrivò Sam, una busta del ghiaccio in mano.

“Ho preso del ghiaccio in mensa… - prese Nathaniel per il braccio, facendolo sedere su una delle sedie che c’erano in aula – Vieni, mettiti qui!” e gli mise il ghiaccio sul livido, mentre con l’altra mano gli teneva il mento.

Nathaniel si imbarazzò, nel momento in cui incontrò il suo sguardo, mantenuto per più di qualche secondo; l’imbarazzo fu tale, che Nathaniel dovette togliergli la busta del ghiaccio dalle mani, trovando strana quella scena.

“Ehm, faccio da solo grazie.”

Sam si scansò, intuendo il suo palese disagio: “Oh, certo, - gli tremava la voce, il cuore in gola - scusa. Stavo solo…”

“Non c’è, accidenti!” Rider tirò un colpo all’armadietto, furioso, attirando lo sguardo degli altri due verso di sé.

Eric, che stava ancora frugando, trovò un biglietto: “Ehi, ragazzi… - lo mostrò – Un altro messaggio!”

Sam si avvicinò, leggendolo: “Il kArma è davvero bastardo, vero stronzetti? A!”

“Se A è il nostro karma, sta facendo un ottimo lavoro!” commentò Nathaniel, seccato.

Rider scosse la testa, dopo aver riflettuto in disparte: “No, questa non è opera di A. Non ha rubato la telecamera che c’era dentro questo armadietto, ma l’ha fatto Albert!”

“Cosa te lo fa credere?” gli domandò Eric.

“Il primo messaggio di A, quello ricevuto da Anthony, parlava di smascheramenti, no? Era chiaramente riferito a questi video. Poi, dopo che Anthony ha investito Albert, abbiamo scoperto che era stato lui a mandare quel messaggio, quindi Albert ci stava tenendo d’occhio, quel giorno, ed è entrato in quest’aula, non appena ce ne siamo andati.”

Sam riflettè a lungo prima di dire qualcosa, cercando di seguirlo: “Questo significa che la nuova A sta continuando quello che Albert non ha potuto fare? Cioè smascherarci con questi video?”

Eric intervenne: “Aspettate, questo vuol dire che Albert e A si sono incontrati durante quella giornata?”

“Magari, poco prima che lo investissimo con la macchina.” aggiunse Nathaniel.

Sam non aveva più dubbi: “Ma certo, ecco perché Albert girava per Rosewood a quell’ora. Si è incontrato con A!”

“Albert arrivava da destra, vero? – chiese Rider, cercando di fare mente locale  - Quando è sputanto in mezzo alla strada, dico.”

“Sì, arrivava da destra!” confermò Eric con certezza.

“Che c’era nell’altra corsia? – domandò, invece, Nathaniel - Quella da dove proveniva Albert.”

“Negozi, supermercati…perché?” si incuriosì, Sam.

Rider ci arrivò, prima che rispondesse: “Telecamere!”

Eric fece un pensiero: “Dite che A era parcheggiato davanti al Wall mart, il supermercato?”

“Per forza! – esclamò, Rider – Il video che A ci ha fatto, l’ha fatto dall’interno della sua auto e data l’inquadratura, sembrava proprio che lo stesse girando dalle parti del Wall mart! Era in direzione.

Sam, a quel punto, intervenne con un cinico sarcasmo: “E quindi? Cosa dovremmo fare, sfondare le vetrate del Wall mart  con un bidone della spazzatura ed entrare a rubare i filmati della sorveglianza?”

Rider lo guardò con disappunto: “Sai, Sam, mi deludi molto. Dico, hai mai visto il film Qui dove batte il cuore?”

Sam non solo l’aveva visto, ma intuì cosa frullava nella sua mente: “Certo che l’ho visto e ti rispondo assolutamente NO, Rider!”

Nathaniel, confuso quanto Eric, spostava lo sguardo tra i due: “Che sta succedendo? Io non ho visto quel film, che ha capito Sam?”

Quest’ultimo si voltò verso di lui, spiegandoglielo: “Parla di una donna incinta che viene abbandonata dal ragazzo e che, senza un soldo, decide di nascondersi all’interno di un supermercato. Ci ha anche partorito lì dentro!”

Eric e Nathaniel fecero una faccia disgustata.

“Quindi quello che sta suggerendo Rider è di metterci un pancione finto e nasconderci nei bagni del Wall mart, finchè non chiude?” commentò Eric.

“Ragazzi, stiamo parlando di un filmato che mostra l’auto di A con tanto di targa! A Sam basterà entrare nel database della polizia, dal computer di suo padre, per risalire a chi appartiene.” cercò di convincerli, Rider, intento a seguire proprio quel piano.

 “Assolutamente no, Rider! - si oppose, Sam – Non lo pensare nemmeno! Che faccio, mi metto alla scrivania di mio padre, scontrando la mia tazza di caffè con quella del collega di fianco?”

“Questo, se non veniamo arrestati prima, per esserci accampati dentro al supermercato!” continuò Eric, ironico.

“Spiritoso, Mister Tutina!” Nathaniel notò il suo insolito look.

Rider, invece, si infuriò: “Ma allora come diavolo facciamo a scoprire chi è questo mostro? Me lo dite?”

“Troveremo un altro modo, ma non questo!” ribadì, Sam.

Nathaniel fu d’accordo: “Già, Rider, troveremo un altro modo. Fare quello che dici tu è oltrepassare il limite consentito. Ragioni come se non esistesse un sistema giudiziario.”

A quel punto, Rider si arrese, ma non si risparmiò: “Bene, ma non vi lamentate quando A se la prenderà con voi. E non intendo un messaggino minaccioso!”

Improvvisamente, l’altoparlante della scuola, fece una comunicazione.

“Sam Havery, Eric Longo, Rider Stuart e Nathaniel Blake sono pregati di recarsi in presidenza...”

I quattro alzarono la testa, in direzione della voce.

“Che altro c’è, adesso?” domandò Eric, guardandosi con gli altri, scocciato.

E quelli iniziarono ad avviarsi verso la porta, cercando di non farsi attendere molto.

“Non lo so, ma spero che i corridoi siano deserti. – sospirò, Sam, nervoso - Non riuscirei ad affrontare nuovamente lo sguardo di tutti!”

E si guardarono tra loro un’ultima volta, prima di lasciare l’aula.

 

*

 

Seduti in presidenza, davanti alla scrivania del preside Ackett, i quattro erano in attesa di ascoltare quale fosse il motivo della loro convocazione. Egli li osservava con volto serio, quasi indispettito.

Quella tensione, costrinse Nathaniel a prendere parola: “Perché siamo qui, Preside Ackett? Che succede?”

Che succede? Davvero, signor Blake? – rispose Ackett, basito – Pensa che io sia una sorta di totem che non vede, non sente e non parla?”

Il ragazzo, allora, abbassò lo sguardo, deglutendo: “No, non l’ho mai pensato!”

“Bene, signor Blake. Anzi, no, non va bene per niente… - fissò tutti, per poi sbattere le mani sulla scrivania, furente, facendoli sobbalzare – Come avete osato saltare una lezione intera per girare un video così abominevole? Eh? Avete idea di cosa avete fatto?”

Non ebbero il coraggio di rispondere, mantenendo lo sguardo con lui a tratti.

“Siete la parte oscura di questa scuola e sarete sospesi per due settimane intere. – quelli sgranarono, mentre continuava – E in più, quando ritornerete, resterete qui anche di pomeriggio per delle attività extra!”

“COSA?” sussultarono.

“Pensavate che i genitori non sarebbero venuti a sapere di quel video a dir poco schifoso? Molti studenti non sono venuti a scuola, perché gli avete umiliati; quando quelli che dovrebbero vergognarsi siete voi!”

“Come faccio con il nuoto, Signor Ackett? La prego!” per Nathaniel era impensabile rinunciare al nuoto.

“Non è nella posizione, signor Blake. Taccia!” replicò Ackett, severo.

Anche Rider si mostrò contrario: “Io-io sono uno studente modello, vado bene in tutte le materie e…insomma…Ha idea di quanto questo influirà sul mio curriculum scolastico?”

Ackett si voltò verso di lui: “Infatti è lei quello che mi stupisce di più, signor Stuart. Dovrebbe essere in grado di distinguere le scelte giuste da quelle stupide…Come, ad esempio, seguire la scia del vostro Anthony Dimitri. Che Dio lo abbia in gloria!”

Fu Sam a scattare, ora: “Oh, ma per favore, ci risparmi le sue frasette di compassione. Non gliene frega niente di Anthony Dimitri, come a tutti, del resto.”

“Giravate per i corridoi con il diavolo, signor Havery… - lo fissò a lungo, disarmandolo - E questo che voleva sentirmi dire?”

Eric si alzò, concludendo con una frecciatina: “Peccato che il diavolo era molto più autoritario del padrone di casa!” che lasciò il segno, mentre, con i suoi amici, si dirigeva  verso la porta.

“Non fatevi vedere all’interno di questo edificio per due settimane. Intesi?” si fece sentire Ackett, ancora.

Fuori dalla presidenza, chiusa la porta alle loro spalle, i quattro si fermarono lì davanti. Alcuni studenti, lungo quel corridoio, li fissavano con la coda dell’occhio, fingendo di non farlo. A Nathaniel non gli andò giù, impuntandosi su uno di loro, che stava bevendo dalla fontanella.

“Se non giri quella testa, giuro che ti faccio bere un pugno!” lo minacciò, alterato, mentre quello scappava via.

Sam gli mise una mano sulla spalla: “Calmati, Nat!”

Quello, gettò via il suo braccio, aggressivo: “La smetti di toccarmi sempre?”

Tutti lo fissarono; Sam più degli altri due, non aspettandosi quella reazione, che lo devastò dentro.

Deglutì, prima di calmarsi un attimo: “Sentite, io me ne vado. – disse loro, Nathaniel - Tanto che ci rimango a fare qui!” e se ne andò per conto proprio.

Gli altri tre rimasero ancora lì, increduli di quanto accaduto.

“Due settimane…” Rider era a dir poco senza parole, mentre ci pensava ancora, lo sguardo perso nel vuoto.

A Sam, intanto, gli si erano gonfiati gli occhi di lacrime, ma cercò di non darlo a vedere: “Ehm, me ne vado anche io. Ci sentiamo, ok?” e percorse il corridoio opposto a quello di Nathaniel, seguito dallo sguardo degli altri due.

“Sbaglio o Sam stava per piangere?” se ne accorse Eric.

L’altro, però, era distratto dai suoi pensieri: “Ehm, non lo so, non ci ho fatto caso, ma sto piangendo anche io! Dovrebbe essere una reazione più che ovvia con tutto quello che ci sta accadendo.”

Eric storse le sopracciglia: “E dove sarebbero le lacrime?”

“Sto piangendo dentro di me, ok? A ci ha fatto sospendere, - presero a camminare – in più sembra che, improvvisamente, tutti si siano risvegliati dal coma in cui si trovavano. Prima Violet e ora il preside Ackett, che non hanno mai detto una parola durante l’età Anthonyana, mentre adesso sembrano avere una testa pensante.”

“Quindi che si fa, adesso? Dobbiamo tornare a casa?”

L’altro gli lanciò una lunga occhiata di ovvietà: “Non abbiamo altra scelta, Eric. Qui non siamo al college, dove anche i barboni possono infiltrarsi ad una lezione senza essere notati.”

“Mi dai un passaggio?” gli chiese, il volto bisognoso.

Rider stranì: “Ma dov’è la tua auto?”

“Ehm, si è rotto un cerchione, ultimamente, e ho dovuto portarla in officina a farla aggiustare.” inventò, convincente.

Rider non aggiunse altro e insieme raggiunsero l’ingresso.

 

*

 

Qualche corridoio più avanti, Sam stava raggiungendo il suo armadietto, prima di lasciare anche lui la scuola. Mentre girava l’angolo, si scontrò con Chloe.

“Oh, eccoti!” esclamò lei, riprendendosi dal colpo.

“Scusa, Chloe, ma me ne sto andando!” e continuò a camminare, gli occhi rossi.

Quella rimase impalata per qualche secondo, prima di corrergli dietro: “Uo, uo, come sarebbe che te ne stai andando? – era a paripasso con lui, ora, ma con difficoltà manteneva il suo stesso ritmo – Il preside Ackett vi ha convocati, cos’è successo?”

“Ci ha sospesi, ok? – manteva lo sguardo fisso davanti a sé, provato – Non ne voglio parlare!”

L’altra, però, fu insistente: “Ok, ma per il video? A proposito, spiegazioni? Perché non me ne hai mai parlato? Pensavo ci dicessimo tutto, noi.”

Sam, allora, si fermò, diretto e coinciso: “CHLOE! – urlò, esasperato - Ho detto che non ne voglio parlare, ok? Voglio solo andarmene da questo schifo di posto!”

E continuò a camminare, lasciandola da sola, ferma nel corridoio, gli occhi sbarrati per il trattamento che non si aspettava.

“Almeno mi accompagni alla Hollis oggi pomeriggio? – quello non si voltò – Sam?” e restò fissa lì a guardarlo scomparire, alla fine di quel corridoio.

“Non ha nemmeno notato come mi sta il nuovo look di capelli…” dissè fra sé e sé, sconsolata.

 

*

 

Nathaniel rientrò a casa, gettando la sua tracolla vicino alla rampa di scale che portava al piano superiore, sbuffando. Ancora nervoso per la storia della sospensione, si diresse in cucina, verso il frigorifero, abbastanza scocciato. Nel tragitto, ignorò le due donne all’interno della stanza: una che era seduta, con della plastica intorno al collo e i capelli bagnati e l’altra, in piedi, con in mano delle forbici, alle sue spalle. Entrambe lo seguirono con lo sguardo: erano, rispettivamente, sua madre e sua zia.

“Ecco il mio teppistello preferito!” esclamò quella seduta, sua zia, ricevendo una sgridata dall’altra, allibita.

“Courtney! – dopo alzò lo sguardo su Nathaniel, che stava bevendo un sorso d’acqua – Nathaniel, ha chiamato la scuola e ha detto che sei stato sospeso. E’ vero o me lo sono immaginato?”

“Non te lo sei immaginato, sorellona. C’ero anch’io! – si rivolse al nipote, poi, roteando il dito attorno alla tempia – E’ pazza!”

“Ti ho sentita!” esclamò l’altra, irritata.

“E’ quello che volevo!” sorrise a Nathaniel, dispettosa ; del resto, era la sorella minore, più giovane, uno spirito libero.

Nathaniel chiuse la porta del frigo, fermandosi a spiegare, oppresso: “Sono stato sospeso, sì! Possiamo evitare la ramanzina? Mi sento già abbastanza in colpa!”

“Bene! – si arrabbiò, sua madre - Gradirei che andassi a sentirti in colpa nella tua camera, adesso. Sono molto delusa e preoccupata. Il preside Ackett mi ha parlato di quel video, in cui insultate altri studenti, e io non riuscivo a crederci. – si corresse – Anzi, no, ci ho creduto, perché, in fondo, sapevo che quell’Anthony era una cattiva influenza e mi terrorizza sapere che frequenti ancora quegli altri tre! Che fine hanno fatto i tuoi amici della squadra di nuoto? – cercò di ricordare qualche nome – Quel Martin, ad esempio: un caro, carissimo ragazzo e anche molto educato.”

“Il tipo biondino, dici? – Courtney girò la testa verso di lei, straparlando - Quello che una volta ho beccato sul portico a farsi una canna?”

“COSA?” sgranò gli occhi, l’altra. Courtney non aggiunse altro, voltandosi di nuovo verso il nipote, che le lanciò un’occhiataccia.

Nathaniel, poi, cercò di sorvolare: “Mamma, loro non sono come Anthony, ok? Era solo lui la cattiva influenza!”

Quella, riprese a tagliare i capelli alla sorella, più calma: “Beh, adesso vai in camera tua… - riflettè ancora sull’accaduto - DUE SETTIMANE! – urlò, indignata – DUE! – impigliò le forbici tra i capelli della sorella, facendole emettere un gridolino - Ma ci rendiamo conto?”

“Puoi rendertene conto senza strapparmi i capelli? – reagì infastidita - Rilassati, Claire, non hanno mica bruciato uno studentello sul rogo. Sono le solite cose da liceali! – indicò il ragazzo, scrutandolo da capo a piedi, giustificandolo - Insomma, hai visto il fisico di Nathaniel, no? Non ha altra scelta che essere un bullo. E’ predisposto il ragazzo!”

“Zia Courtney! Non sono un bullo!” enfatizzò, Nathaniel, in disaccordo con le parole di sua zia.

“Già, non lo è! Chiudi quella bocca!” la riprese ancora, Claire.

Nathaniel, a quel punto, si guardò attorno, mentre quelle si lanciavano sguardi fulminei: “Hai finito di fare la parrucchiera abusiva? – tutte le sue cose in giro -  C’è parecchia confusione, qui.”

La madre tornò a dargli retta: “Finchè non ristruttureranno il mio salone, la cucina sarà il mio nuovo posto di lavoro per clienti che ne hanno bisogno. Immagina cosa accadrebbe se i lavori dovessero durare più di tre settimane. Le mie clienti conoscerebbero nuovi saloni, nuove parrucchiere che vogliono arruffianarsele e io sarei fregata!”

Courtney intervenì: “Ecco perché ho consigliato a tua madre di trasferire il suo salone a casa. Vedi? – ammiccò - Sono ancora una sua cliente!”

“Come vi pare! – esclamò, disinteressato - E papà?”

“E’ ancora al ristorante!” replicò sua madre.

L’altro se ne meravigliò, perplesso: “Pensavo che dopo aver assunto quel Jamie, avrebbe avuto più tempo per riposarsi.”

“Mmm quel Jamie… – fantasticò Courtney, eccitata – Sono passata al ristorante, l’altro giorno, e quasi chiedevo a George di assumermi.”

Claire la punzecchiò, sarcastica: “Ma tu non sai fare né la cameriera, né la cuoca, cara!”

“Come se non sapessi tenere in mano due piatti!” ribattè l’altra, sicura di sé.

“Sì, ma c’è Jamie al ristorante, no? – si preoccupò della faccenda, Nathaniel – L’abbiamo assunto come assistente manager, affinchè Papà non vivesse dentro a quel ristortorante 24 ore su 24!”

“Tesoro, - sua madre si fermò nel tagliare i capelli di sua sorella, nuovamente – Tuo padre sta meglio, dopo l’incidente. Ormai sono passati due mesi, si è quasi ripreso del tutto. Jamie sta facendo il suo lavoro, lui è lì solo per controllarlo, nessuno sforzo.”

Courtney, più attenta, notò che qualcosa non andava nel ragazzo: “Nathaniel, stai bene? Perché sei così preoccupato? Non fai altro che scattare su ogni minima cosa.”

E quello abbassò lo sguardo, cercando di fingere che non abbia nulla di particolare: “Ehm, stress! Immagino sia quello. La morte di Anthony, il video, la sospensione…Solo stress! – si allontanò dal frigorifero – Credo che andrò a riposarmi, adesso.”

E sua madre annuì, seguendolo con lo sguardo, assieme a Courtney.

Quest’ultima, però, era assai sospettosa: “Sento che c’è qualcosa di più!”

L’altra riflettè a lungo: “Droga?”                            

Courtney le lanciò una lunga occhiata, basita: “Da quando in qua la droga provoca stress?”

“E che diavolo ne so, - sbottò, l’altra - non sono mai stata una drogata, tiravo solo ad indovinare!”

La sorella si limitò a scuotere la testa, trovandola stupida, senza replicare, mentre si lasciava finalmente completare il taglio.

 

*

 

Nel pomeriggio, in seguito ad un messaggio ricevuto da Chloe, Sam era parcheggiato davanti casa sua, aspettandola con il motore acceso.

Finalmente uscì, raggiungendolo.

“Sei la mia ancora di salvezza!” esordì, aprendo la portiera.

“Dove devi andare di così urgente?”

“Ho un corso alla Hollis di montaggio video e mio zio non mi ha potuto accompagnare.  E’ andato fuori città per comprare alcuni pezzi di ricambio per la sua stupida auto d’epoca. Fortuna che non sei impegnato!”

L’altro le lanciò un’occhiataccia: “L’hai dato per scontato, perché sono stato sospeso?”

“No! – ribattè lei con tutt’altra spiegazione -  L’ho dato per scontato, perché sei gay. E i gay sono sempre disponibili verso le loro migliori amiche non-gay.”

“Sarebbe un commento omofobo, questo?” non capì Sam, mentre guidava.

“No, per niente. – gli sorrise, scherzosa - Sono la tua Rachel Berry, non potrei mai farti un commento omofobo!”

Quello accennò un sorriso, tornando alla guida: “Sì, ma ne abbiamo già parlato, io non sono il tuo Kurt. Siamo completamente diversi, i suoi outfit sono gayosamente gay, ma… - la fissò, più calmo rispetto all’ultimo incontro avuto con lei - Un commento alla Kurt lo posso fare, cioè che stai benissimo con il nuovo taglio!”

L’altra ne fu gioiosa: “Oh, grazie… - poi rise a crepapelle – e poi, quello su Kurt, era un commento omofobo. Parecchio omofobo!”

“Non è un commento omofobo se fatto da un altro gay!” si giustificò Sam, ironico.

Improvvisamente, il suo telefono vibrò, sopra la plancia dell’auto.

Chloe lo prese subito: “Leggo io!”

Sam cercò di riprenderselo, spostando lo sguardo tra lei e la strada: “Ehi, forza, ridammelo!”

Quella si scansò, lanciandogli un’occhiata perplessa: “Che ti prende? Leggo sempre i tuoi messaggi!” e quello zittì, teso, mentre l’amica leggeva.

Il volto di Chloe, da divertito, divenne serio.

“Ehm… - gli mostrò il messaggio, curiosa di un particolare notato – Chi è A?”

 

“Notiziario locale: ore 17.00; non perdertelo!”

-A

 

Dopo averlo letto, il volto improvvisamente pallido, Sam tolse il telefono dalle sue mani, bruscamente: “Ehm, nessuno, un ragazzo che ho conosciuto su gagagaYO, si chiama Aaron ed è fissato con i notiziari, - inventò, la risata isterica - non se ne perde uno!”

“Ah, sì? – non sembrò molto convinta – Come mai non mi hai parlato di lui?”

“Oh, avanti, non possiamo raccontarci sempre tutto. – sorrise istericamente – Mi sarà sfuggito!”

Quella scosse la testa, offesa: “No, non è vero, a noi non sfugge mai nulla. Abbiamo organizzato il funerale di Dora l’esploratrice, comprando una bambola che le somigliasse, ricordandoci perfettamente quali erano i colori dei suoi vestiti orrendi!”

“Senti, non mi piaceva e non gli rispondo nemmeno più, a quei messaggi. Non mi è sembrata una cosa rilevate, ok?

Chloe, allora, annuì: “Capito…Poi mi mostri una sua foto, magari ti costringo a ripescarlo!”

“Impresa ardua, ha una personalità abbastanza fuori dal comune!” accennò un sorriso, tornando a guardare la strada, silenzioso.

Chloe, lo guardò con la coda dell’occhio, sospettosa. Non convinta fino in fondo.

 

*

Eric stava scendendo dal suo appartamento, in mano dei soldi. Si stava dirigendo al bancone della caffetteria, fermandosi poco prima. Davanti ad esso, in piedi, c’era Lisa Nelson alias Treccioline, che prendeva la sua ordinazione da Alexis.

A quel punto, il ragazzo prese fiato e si fece coraggio, facendosi avanti.

“Lisa!” la chiamò, facendola voltare.

Quella lo squadrò, spiazzata, senza dire una parola.

“Ehm… – pensò che era suo dovere rompere il ghiaccio – E’ stata una fortuna incontrarti qui, ti cercavo!”

“Ah, sì? – divenne nervosa, arrossendo – E come mai?”

Osservato da Alexis, che fingeva di pulire il bancone per ascoltarli, quello si espresse, mortificato: “Volevo chiederti scusa per il video che abbiamo girato con Anthony. Sono davvero, profondamente, dispiaciuto, Lisa. Ti ho umiliata e non volevo farlo…”

La ragazza sembrò non essere arrabbiata, ma soggetta a lui, timida: “Ehm, no, non ti preoccupare. – accennò un sorriso – Sto bene e poi hai ragione: - ridacchiò, stupida – Chi mai troverebbe attraente una ragazza che viene a scuola conciata come Pippi calzelunghe, no? – tornò più seria – Ma questa sono io e non ti darò più fastidio…” e si voltò per andarsene.

Eric la fermò per il braccio: “No, Lisa, aspetta! – la fissò negli occhi, sincero e premuroso – Non sottovalutarti, non ascoltare quello che gli altri dicono di te. Ma soprattutto, – le sorrise – non ascoltare le parole dello stupido ragazzo che ti è di fronte!”

Quella, imbarazzata, tentennò con lo sguardo, mentre un applauso si fece sentire alle sue spalle.

“Ma che discorso strappalacrime, Eric. – si complimentò Violet, cinica, quando si voltarono a guardarla – Vedo che hai una testa pensante, caro il mio Dottor Octopus, ora che le braccia meccaniche che ti manipolavano sono state amputate. – sorrise - Quanto ti senti leggero, ora, senza Anthony addosso?”

Eric mantenne un atteggiamento distaccato: “Che vuoi dire, scusa?”

Ancora più cinica, quella replicò: “Oh, andiamo, immagino la sensazione di smarrimento che starete provando tu e i tuoi amichetti. Ora vi odiano tutti, Anthony non c’è più e l’unica cosa che potete fare per recuperare è chiede scusa: mossa al quanto disperata!”

“Non è una mossa disperata, - si difese, Eric – sto chiedendo scusa, perché è giusto così!”

“Ma certo! E la poverina, ingenua, ti ha anche perdonato. – citata, Lisa abbassò lo sguardo – Ma a scuola non tutti hanno il perdono facile, mio caro. E lo vedrai con i tuoi stessi occhi.”

Intervenne Alexis, a quel punto: “E’ una minaccia, forse?”

Violet si limitò a lanciarle una lunga occhiata, perplessa dal suo intervento: “E tu che vuoi? Non ti conosco nemmeno!”

“Beh, Eric è mio amico e se le ha chiesto scusa, le ha scusa davvero, ok?”

“Immagino tu non abbia visto il video uscito sulla pagina della Rosewood high school. Al prossimo caffè, verificherò se sarai ancora della stessa opinione…”

“L’ho visto, invece! – la spiazzò - Non cambia niente, tutti meritano una seconda possibilità. Le nostre cattive azioni non dipendono sempre da noi, cara!”

Violet, però, non si fece intimidire: “Non sei molto perspicace, torna a sfornare Muffin, che a giudicare dall’odore che si sente nell’aria, stanno bruciando!”

Alexis, annusando l’aria, si accorse che aveva ragione, correndo sul retro, sentendosi patetica.

Un sorriso compiaciuto, si dipinse sul volto di Violet, che tornò a poggiare lo sguardo su Eric: “Il perdono è una lunga e tortuosa strada, Eric. Se vuoi davvero farti perdonare di qualcosa, pensaci prima di intraprenderla. Non sarà facile, - gli fece un’occhiolino - ma domani è un nuovo giorno, no?” e si avvicinò all’ingresso, mantenendo un sorriso che celava molto di più.

Prese Lisa a braccetto, poi, non badando più a lui.

Quello, sorpreso, le fermò: “Ma siete amiche, adesso?”

Violet si voltò ancora una volta: “Sì, adesso si. Non saranno più commessi gli stessi errori che sono stati fatti con Albert. La nostra scuola sarà molto più unita, d’ora in poi. – fece una pausa, enigmatica – E comunque, io e Lisa ci siamo date appuntamento qui, non ci siamo incontrate per caso!” e amiccò, poco prima di andarsene con lei.

Eric non potè aggiungere altro, indispettito, ma, soprattutto, sospettoso.

Alexis, intanto, tornò con la teglia dei muffin, notando che le due ragazze erano sparite.

“Ehi, se ne sono andate?”

L’altro, nonostante pensieroso, le rispose: “Ehm, sì, proprio adesso.”

“E’ davvero una stronza, quella! – esclamò, sistemando i muffin sul vassoio – Si può sapere perché ce l’ha con te? E’ una di quelli che avete insultato nel video? Non sembra una sfigata!”

Eric, nel raccontare, si vergognò: “No, suo fratello. E’ Albino e, quindi, ci abbiamo scherzato sopra!”

Alexis ebbe una curiosità, a quel punto: “Ma…l’Anthony di cui parlava quella ragazza è lo stesso Anthony uscito sui giornali? Quello bruciato vivo insieme al padre?”

“Sì, proprio lui. – annuì, raccontando – Era mio amico e non era proprio un buon soggetto. Ha lasciato me e miei amici in un mare di guai. – uno sguardo sofferente - Hai presente quando passa un tornando e tu ti fermi a raccogliere le macerie, poco dopo? Beh, quelle macerie sembrano non finire mai.”

Quella, fissandolo negli occhi, ebbe un nodo alla gola: “Ehm, sì, ho presente. Tutti abbiamo avuto macerie da raccogliere nella nostra vita, ma sono sicura che tutto si sistemerà. – cercò di consolarlo con un sorriso - Insomma, nulla è per sempre, no?”

“Peccato che tutto questo stia duranto talmente tanto da sembrarlo…”

“E’ solo una cosa tra adolescenti, Eric. – pensò, lei - Il liceo finirà prima o poi!”

Lui accennò un sorriso, fingendo di condividere il suo pensiero: “Già, lo spero tanto! – si distanziò dal bancone – Beh, io devo andare. Mi ha fatto piacere parlare con te, anche se inizio ad avere la sensazione che tu sia molto più grande di me!”

“Cosa? – sgranò gli occhi, fingendosi sconvolta, ridendo – Non esageriamo, vado al college, secondo anno!”

“Hollis, vero?” aggiunse, mentre si allontanava.

“Perspicace!” ribattè, sarcastica.

“Ci si vede, allora!” le fece un cenno con la mano, uscendo.

Lei rimase a fissarlo attraversare la strada, come attratta, fra le nuvole, tornando al suo lavoro, subito dopo.

 

*

 

Sam, tornato dalla Hollis, dopo aver accompagnato Chloe, parcheggiò davanti a casa sua, trovando i suoi amici vicino alla porta. Dopo aver chiuso l’auto, si avvicinò loro.

“Nathaniel?” domandò, non vedendolo.

Fu Eric a rispondere: “Hai mandato a tutti l’SOS?”

Quello annuì, mentre Rider sembrava su di giri.

“Ok, possiamo smettere di parlare di Nathaniel? – si rivolse a Sam – Eric ha incontrato Violet al Brew ed è stata a dir poco inquietante!”

L’amico fece una smorfia con il viso, smentendolo: “Non ho detto che è stata inquietante, Rider. E’ stata solo un pò stronza!”

“Stronza, inquietante, chi se ne importa: Violet è A!” fu irruento, Rider.

“Uo uo, frena, mi sono un pò perso! – esclamò Sam, confuso – Quando siamo arrivati a questa conclusione?

“Mai! – Eric lanciò un’occhiata a Rider -  Non ho mai detto che Violet è A!”

“Sì, ma da quello che mi hai raccontato… - Rider cercò di costruire la teoria – Insomma, ci sono state delle parole chiave, no? Come: Non sarà facile, ma domani è un nuovo giorno!  Questo mi puzza di messaggio mandato da A, questa mattina!”

Sam intervenne, perplesso: “E dovremmo pensare che Violet è A, solo perché ha azzeccato qualche parola usata da A? E poi, secondo me, A è un uomo o un ragazzo…In ogni caso, di sesso maschile!”

Rider tentennò, confuso: “E’ una cosa gay, questa? Hai il radar gay alla A?”

“Ma no! – sussultò - Dico solo che tutte le azioni compiute da A, fino ad ora, non sono cose che riuscirebbe a fare una donna.”

“Beh, anche le donne posso compiere un omicidio!” pensò, Eric.

“Si, ma tutto il resto? – pensò Sam, convinto - Una donna non può aver scambiato due corpi all’obitorio, da sola, per poi trascinare via Albert fino al suo covo segreto!”

Rider, vedendo uno dei vicini di Sam, dall’altro lato della strada, che annafiava le piante, suggerì di fermare la conversazione: “Forse è meglio se entriamo!”

Quelli seguirono il suo sguardo, notando la presenza dell’uomo, dall’altra parte.

Sam si stoppò e aprì la porta.

“Che ore sono?” chiese, mentre raggiungevano la cucina.

Rider controllò il suo orologio da polso: “Quasi le 17.00!”

“Bene, A ha detto che non dobbiamo perderci il notiziario…”

Si sedetterò, mentre Sam tirava fuori qualcosa dal frigo: una torta.

“Ne volete un pezzo?”

Eric annuì: “Sì, perché no. Tanto ci odiano tutti!”

Sam mise il piatto anche a Rider, mentre quello continuava a parlare.

“Ti ho già detto, Sam, che Violet è andata via a braccetto con Treccioline?”

“Lisa Nelson, Rider!” lo richiamò, Eric, trovandolo irrispettoso.

“Sì, lei. – scosse la testa, Rider, disinteressato, continuando – Il punto è che Violet potrebbe essere la mente, Lisa il suo braccio destro e suo fratello, Colton,  il braccio sinistro. Insieme formano l’inquietantissima A che ci sta perseguitando. Il movente ce l’hanno, no?”

Sam rabbrividì: “Se la metti così è decisamente inquietante. – si rivolse ad Eric – Tu riesci a vedere Violet, Lisa e Colton dietro ad A?”

Ci riflettè un pò, prima di rispondere: “Colton inquieta anche me, ma non perché è Albino…Non so, è sempre cupo, sulle sue, poi distribuisce il cibo alla mensa con quella cuffietta bianca in testa e ti fissa fin dentro il cranio… - ingoiò, finalmente, il pezzo di torta che stava masticando – Comunque, buona la torta!”

Sam sorrise: “Grazie…Dopo la fotografia, la cucina è la mia seconda passione!”

“Da piccolo ho partecipato ad alcune gare di canto ed ero anche molto bravo… - fantasticò, fissando il soffitto – Forse dovrei riprendere, ero proprio bravo, sul serio!”

“Una volta hai detto che il tuo sogno nel cassetto era quello di fare il modello!” Sam continuò la chiacchierata, mentre Rider spostava lo sguardo fra i due, allibito.

“Seriamente? – sbottò, battendo le mani sul tavolo – Siamo stalkerati da chissà chi e voi pensate ai vostri sogni nel cassetto? Ragazzi, riprendetevi!”

Quelli abbassarono lo sguardo, cadendo dalle nuvole.

Subito dopo, Eric notò che il notiziario era cominciato, la televisione era accesa.

“Ehi, prendi il telecomando, – disse a Sam – alza il volume!”

E l’altro eseguì, mentre si voltavano per vedere e ascoltare attentamente.

“La polizia di Rosewood è attualmente impegnata nelle ricerche di Jasper Laughlin, nel caso Dimitri. Secondo alcune dichiarazioni fatte dai famigliari delle vittime, in concomitanza con vari dettagli colti sulla scena del crimine, l’uomo è sospettato di omicidio e la sua improvvisa scomparsa da Rosewood ha fortificato le basi della sua colpevolezza. Per chiunque stesse seguendo questo notiziario, state in allerta, c’è un assassino a piede libero. Ripeto, c’è…”

Sam spense la televisione, guardandosi con i due amici, spaesato.

Fu Eric, però, ad aprire la conversazione: “Ok, prima di capire ciò che diavolo sta succedendo in questa dannata città, qualcuno di voi ha idea di chi sia questo Jasper Laughlin e di come sia collegato alla famiglia Dimitri?”

Quelli scossero la testa, entrambi.

“Un fratello di Anthony di cui non sapevamo nulla? O un cugino?” fu il turno di Sam, di iniziare con le ipotesi.

“Un fratello? – gli lanciò una lunga occhiata, Rider – Il suo cognome è Laughlin, non Dimitri. Non hai sentito?

“Esistono le adozione!” ribattè, l’altro.

Eric, però, aggiunse: “Sì, ma avete visto la foto sul notiziario, no? Avrà almeno una trentina di anni o più!”

“Se la Signora Dimitri ha indicato lui alla polizia, nelle dichiarazioni che ha fatto, - continuò, Sam – significa che quest’uomo non è estraneo alla famiglia.”

“Questo è vero… - fu d’accordo, Eric, per poi riflettere sulla cosa – Quindi dobbiamo supporre che la Signora Dimitri abbia incastrato questo Jasper?”

“Forse è minacciata da A anche lei!” pensò, Sam.

“O forse A è lei!” ribattè, Rider, invece, inquietando i due.

Sam, però, vacillò, perplesso: “Perché la Signora Dimitri avrebbe dovuto uccidere suo figlio per poi torturare noi, se è A? Non ha senso!”

“Cosa sappiamo del divorzio dei genitori di Anthony?”  Eric volle soffermarsi su questo punto.

Rider ci pensò: “Ehm, sappiamo quello che Anthony ci ha detto, cioè che sua madre ha tradito suo padre e quindi si sono lasciati. Tutto qui. Passammo, poi, a parlare di una ragazza che aveva un sedere grosso come quello di Nicki Minaj.”

Eric era pronto a trarre conclusioni: “Quindi nella lista A, aggiungiamo anche la Signora Dimitri, oltre a Violet, Lisa e Colton?” 

“E Clarke, il fratello di Anthony! – intervenne, Sam - Lui è andato in centrale con la madre e lei non può aver raccontato quello che ha raccontato, senza che il figlio ne sapesse nulla. Forse sono complici!”

Rider sbottò, angosciato dal non sapere: “Dobbiamo assolutamente scoprire quello che la madre di Anthony ha detto in centrale. Questo Jasper è stato incastrato, altrimenti non sarebbe fuggito!” e fissò Sam, a lungo.

“Che c’è? – si accorse del suo sguardo insistente, poi intuì – NO! Non andrò in centrale a fare la Signora in giallo, scordatelo!”

Eric era d’accordo con Rider, però: “Sei l’unico aggiancio che abbiamo con la polizia, Sam. – cercò di convincerlo – Non sei curioso anche tu di sapere cosa c’è dietro?”

“Già! – continuò Rider – Quello che ha dichiarato la Signora Dimitri, potrebbe portarci avanti su chi sia A e capire meglio come comportarci.”

L’altro sospirò, voltando la testa da un’altra parte, combattuto. Improvvisamente, si udì un colpo di tosse provenire dal piano di sopra.

Eric e Rider sobbalzarono, voltandosi, osservando la rampa di scale, che si vedeva dalla cucina, agghiacciati.

“Avete sentito?” Rider guardò entrambi gli amici, inquieto, alzandosi.

Anche Eric si agitò: “Dite che è A?”

Sam, invece, rimase calmo, anzi, smentì i loro pensieri: “Non è A, ragazzi. E’ mio padre!”

“Non dovrebbe essere in centrale?” Rider osservò l’orologio.

“Non è andato a lavoro oggi, non si sentiva bene. – spiegò - Influenza!”

“Lo sa che sei stato sospeso?” gli domandò Eric.

Sam si avvicinò ad una pila di fogli, accanto al frigorifero, prendendone uno e mostrandolo ai compagni: “Non credo che mio padre abbia risposto al telefono, visto che il preside Ackett ha mandato un fax!”

“Beato te, - lo invidiò Rider, con un espressione angosciata -  io ho paura a tornare a casa!”

Eric sospettò il perché: “Ah, già, oggi torna tuo padre da Siracuse. Aspetto con ansia l’uscita del suo prossimo libro!”

“Dio, - si mise le mani sulla faccia, piagnucolando - mi farà una ramanzina lunga quanto una lettura di 400 pagine!”

Anche Sam si demoralizzò: “E io dovrò fingere di andare a scuola, ogni mattina, finchè non troverò il coraggio di dire a mio padre che sono stato sospeso.”

“Non riesco a stare tranquillo, ragazzi. Riesco solo a pensare a quello che A potrebbe farci ancora. – esternò, Eric -  E’ entrato in casa mia, dalla finestra!”

Tutti e tre si sentivano allo stesso modo, restando in silenzio per qualche secondo. L’istante seguende, Rider ebbe un’idea.

“Ehi, che ne dite se andiamo alla mia casa sul lago? – fissò entrambi, dubbiosi – Insomma, solo per una notte, giusto per staccare un po’ la spina da questa storia. Solo noi quattro.”

Sam fu il primo a dare una risposta, più convinto: “Ok, perché no. – guardò Eric – Tu che ne dici?”

“Ehm, - annuì - va bene…”

“Lo dite voi a Nathaniel? – domandò Rider – Io ho lasciato il mio telefono nell’armadietto della scuola e francamente sono contento di averlo lasciato lì dentro!”

“Io l’ho spento questa mattina, poco dopo il messaggio di A. – spiegò, Sam - Non mi va tanto di accenderlo.”

“Beh, io l’ho lasciato in macchina di Rider ed è acceso…Gli scriverò io.” si offrì, Eric.

“Ma… - Sam, azzardò una domanda – Hai ricevuto qualcos altro da stamattina?”

“No, niente. Forse A si sta facendo un pisolino!” pensò Eric, ironico.

Rider intervenne, più serio: “Oppure sta lavorando alla prossima mossa!” riportando cupi, i volti dei suoi

amici.

 

CONTINUA NELLA SECONDA PARTE (DOMANI)

 

*

 

Rientrato a casa, Rider si annunciò, scrutando dentro le varie stanze della casa, man mano che camminava. Sembrava non esserci nessuno, ma volle ugualmente controllare meglio; anche sul retro, in veranda. Come pensava, c’era suo padre, davanti al pc, a scrivere.

“Papà!”

L’altro si voltò appena, tornando a ciò che stava facendo, preso dal suo lavoro: “Oh, ciao Rider. Sei a casa.”

“Si, ero da un amico…” rimase impalato.

“Ah, capisco…” fu di poche parole, l’altro, impegnato.

Rider, però, continuò, cercando un dialogo più esteso: “Ehm…Com’è andata la promozione del libro a Siracuse? Stai già lavorando al sequel?”

“Bene, bene, c’erano molte persone… - rispose in maniera distaccata, gli occhi fissi sullo schermo del computer – E sì, sto lavorando già lavorando ad un nuovo libro, ma non al sequel di quello appena pubblicato.”

Rider accennò un sorriso, curioso: “Ah, sì? E’ di cosa parla?”

“Parla di come il mondo vada a rovescio, - raccontò, una nota cinica - mentre tutti preferiscono pensare che non sia così. Vengono apprezzati i falsi, i traditori, ma non chi contribuisce a renderlo migliore… - lo fissò, serio - Persino gli assassini la fanno franca, mentre gli innocenti soccombono.”

Rider sorrise a malapena, cercando di deglutire, dopo la sua ultima frase: “Capisco, bella trama… Di solito mi fai trovare una copia del tuo nuovo libro. – scrutò la tavola - Dov’è?”

“Oh, perdonami, devo essermene dimenticato. – fu freddo, nel rispondere -  Dovrebbe essercene una copia nel mio studio, secondo cassetto.”

Rider a quel punto non potè più tacere, davanti ad un tale comportamento: “Papà, perché mi tratti così?”

Quello si voltò, fingendosi perplesso: “Così, come?”

“Come non mi hai mai parlato in vita tua! Cioè così, in maniera distaccata e…delusa, deduco.”

E l’altro, sospirando, si sentì leggermente in colpa e decise di spostare una sedia, togliendosi gli occhiali: “Figliolo, siediti…”

“So cosa vuoi dirmi!” esclamò l’altro, accomodandosi.

“Non tutto, Rider. – contestò, suo padre - Nessuno può sapere tutto. Come io non sapevo che mio figlio potesse realizzare un video tanto orrendo; come quello che ho dovuto guardare sulla pagina della tua scuola. – era indignato, ora - Non sai la delusione che ho provato, nel vedere che mio figlio era il bullo della situazione e che lo faceva con altri quattro studenti, di cui uno morto.

Con lo sguardo basso, Rider cercò di giustificarsi: “E’ stato Anthony a costringermi a farlo. Ha costretto tutti noi… - cercò di trovare le parole - Era-era implacabile e crudele.”

“E che razza di persona è mai questa? E che razza di persona sei TU, per esserli stato amico?”

Devastato dalle parole forti di suo padre, gli lacrimavano gli occhi: “Io-io… - riprese fiato - Hai ragione, quando dici che non si può sapere tutto. Ma voglio che tu sappia che quella persona che hai visto nel filmato, non ero io. Quella persona non ero io. E solo che…in quel momento ho dovuto essere così e mi vergogno di essere stato così. E ti chiedo scusa per avermi visto così.”

L’altro tentò di essere comprensivo: “Sai, Rider? Nelle mie storie, alcuni personaggi sono costretti a fare certe cose, perché qualcuno costringe loro a farle. Ci sono molti modi in cui la gente tiene in pugno altra gente, ma nella realtà è ben diverso. Nelle storie, i personaggi cedono al ricatto e commettono degli errori, perché è l’autore a scrivere che le cose debbano andare così. Nella realtà, però, l’autore del tuo personaggio sei tu e puoi decidere di non errare e di non cedere alle manie di grandezza di nessuno…Ma immagino che io ti abbia fatto questo discorso un po’ troppo tardi.”

Rider aveva ancora gli occhi lucidi: “Hai ragione, avrei dovuto scrivere una storia migliore per il mio personaggio e forse non sarebbe andata a finire così. Mi dispiace tanto di averti deluso…”

“Rider, non permettere mai più a nessuno di toccare la tua pagina bianca. – gli raccomandò - La penna è tua, e non di chiunque te la chieda in prestito.”

Suo figlio, a quel punto, si alzò.

“Grazie per aver parlato con me. Ne avevo bisogno. A proposito, ero venuto qui per dirti che io e i miei amici passeremo la notte alla casa sul lago. Sai, vorremmo distrarci da tutto quello che è successo ultimamente…”

“Certo, - annuì, nulla in contrario - ma…si tratta di amici che rubano le penne altrui?”

L’altro sorrise: “No, papà. Sono brave persone, puoi fidarti. Diciamo che quella penna ci è stata rubata a tutti dalla stessa persona.”

E dopo aver chiarito con suo padre, lo lasciò al suo libro e si diresse in camera per preparare il suo borsone. Nel tragitto, però, si fermò davanti allo studio di suo padre e decise di prendere la copia del suo libro, nel cassetto della scrivania, per poterlo iniziare a leggere alla casa sul lago. Quando la prese in mano, sorrise, non vedendo l’ora, ma c’era qualcosa di strano: un segnalibro rosso proprio al centro della storia.

Rider lo sfilò e sul cartoncino del segnalibro vi trovò la lettera A stampata sopra. Ciò che sconvolse Rider, in seguito, fu la pagina che segnava.

“LA tenevA in mano, come se gli piAcesse filmAre per Rosewood-riservAto. Come può stAre lì in piedi a guArdAre? E’ suo complice nel crimine, Ancora unA voltA; non lo seguirebbe fino fondo, Altrimenti. E’ colpevole quAnto lui, vediAmo se riesco A  indovinAre chi è di loro quAttro. Le nAscondo dietro lA bAmbolA, hA una cernierA sullA schienA e lì dentro sArAnno Al sicuro. Se morirÀ, magAri l’altro si sentirÀ in colpA e confesserÀ o, mAgAri, è proprio lui e io avrò AssAporAto lA vendettA Al primo colpo.”

Rider, confuso da questo strano testo, richiuse immediatamente il libro, pronto a prepararsi a raggiungere i suoi amici alla casa sul lago e mostrare loro cosa aveva trovato.

 

*

 

Sdraiato sul suo letto, Nathaniel stava ascoltando alcune canzoni sul suo ipod, mentre tra le mani aveva il suo telefono. Continuava a scorrere su e giù la sua rubrica, con i vari contatti; si soffermò in particolare su quelli dei suoi compagni del nuoto, per poi tornare a guardare quelli di Rider, Sam ed Eric, indeciso su chi contattare per passare la serata.

Improvvisamente, sull’ipod, partì una canzone che stranì Nathaniel: era di un gruppo Heavy metal, i metallica.

“Ma che…???”

Subito premette il tasto per cambiare brano, ma ecco che anche il seguente apparteneva allo stesso gruppo. Nathaniel premette più volte il tasto, la playlist era completamente dedicata ai Metallica e la cosa lo sconvolse a tal punto che tirò via le cuffie dalle sue orecchie, buttando l’ipod vicino alle sue gambe, fissandolo, che riproduceva ancora.

Fu lo squillo del telefono a catturare il suo sguardo, poi: era Eric.

“Pronto?”

“Ehi, ciao, volevo farti sapere che io e Sam siamo stati a casa di Rider. Ci ha invitato alla sua casa sul lago, stasera, per distrarci un po’, sei dei nostri? Abbiamo delle novità.”

“Ah, sì? – si interessò Nathaniel, distrattamente, fissando ancora l’ipod, inquieto – Che novità?”

“La polizia cerca un certo Jasper Laughlin, pensano sia stato lui a uccidere Anthony e suo padre. E’ stata la Signora Dimitri a fare il suo nome.”

“Dio, - sospirò, trovando tutto così assurdo – c’è da uscire matti con questa storia!”

“Già, ti daremo maggiori dettagli quando ci vediamo. Allora, vieni?”

Nathaniel si grattò la testa, tornando a guardare l’ipod: “Ehm, sì, ci vediamo lì!”

“Bene, a dopo.” chiuse l’altro.

Subito dopo, arrivò un messaggio.

 

“Hai gradito i miei gusti musicali? Pensa un pò, sono gli stessi che aveva Albert…”

-A

 

Nathaniel sgranò gli occhi, correndo alla finestra. Guardò fuori, attentamente, cercando di scrutare qualcosa nel buio, ma non c’era nessuno.

 

*

 

Parcheggiato davanti alla Hollis, Sam stava aspettando Chloe. Quella arrivò dopo alcuni minuti, correndo, in mano la borsa del computer e la giacca.

“Eccomi, scusa, ho dato il mio numero ad una ragazza per aiutarla con il suo lavoro!” esordì, col fiatone, chiudendo la portiera, mettendosi comoda.

“Sono il tuo autista personale, adesso?” ribattè l’altro, per essere accorso nuovamente ad un suo messaggio.

“Solo per oggi, - spiegò, esausta - ho letteralmente licenziato mio zio con il pensiero. Quando l’ho chiamato, diceva di essere bloccato nel traffico!”

“Ok, c’era qualche ragazzo carino al corso?” domandò Sam, mentre guidava, facendo conversazione.

“No, solo un poster di Enrique Iglesias sulla parete, che ho fissato per tutto il tempo, mentre roteavo gli occhi perplessa, sconvolta dal fatto che ero attratta da un pezzo di carta.”

Sam fece un commento ironico: “E io che pensavo che i ragazzi del college fossero sexy!”

“Credimi, - ribadì lei – trovo più attraente tuo padre che uno studente della Hollis… - ricevette smorfia disgustata – A proposito, come sta?”

“Dorme sotto quattro tonnellate di piumone e ha un campanellino sul comodino per attirare la mia attenzione, quando vuole qualcosa.”

Quella scosse la testa in avanti, fingendosi colpita: “Mmmh, interessante, io monto video di maratone fra le lepri in un boschetto e tu fai da Alfred Pennyworth  a tuo padre.”

“Non voglio essere nei miei panni quando scoprirà della mia sospensione.” replicò, angosciato.                                                                                  

Chloe sobbalzò sul sedile: “Ancora non lo sa?”

“Già! – confermò, sollevando le sopracciglia – Dovrò vagabondare per Rosewood, fingendo di essere andato a scuola…”

“Potresti trovarti un lavoro, due settimane sono tante… - ci riflettè sopra – Magari il dogsitter; ho letto su una rivista di attualità che secondo una ricerca, fatta da non so chi, gli uomini al di sopra dei 25 anni che possiedono un cane e vivono da soli, sono gay e anche molto affascinanti... – fece una pausa, riflettendo ancora, amareggiata – La stessa ricerca non vale per gli etero, credo. Il mio vicino di casa ha 27 anni, ha un cane e fa davvero schifo. Sul serio, il vomito chiede di uscire dalla bocca, ogni volta che lo incontro per buttare la spazzatura.”

Sam, però, non la stava ascoltando, troppo impegnato a fissare la centrale di polizia. Ci stavano passando davanti.

“Sam, mi hai sentita? – notò che non le stava dando retta - Se hanno un cane, sono affascinanti e over 25, sono gay!”

Quello parcheggiò, voltandosi finalmente verso di lei.

Perplessa, continuò: “Perché hai fermato la macchina?”

“Ehm, mio padre ha dimenticato un mazzo di chiavi in ufficio, devo andarlo a prendere.”

“Bene, vengo con te. – aprì la portiera - Devo sgranchirmi le gambe e ripulire il mio nome!”

L’altro, però, rimase fermo, restio al suo accompagnamento: “Forse è meglio che vado da solo.”

“Che c’è? Hai paura che ci scambino per Bonnie e Clayde? – fece una battuta ironica, prima di scendere – Dai, facciamo presto, ho un nuovo episodio di Shameless che mi aspetta a casa. Guai far aspettare i Gallagher!”

Sospirando, Sam non potè insistere nel trattenerla in macchina e scese anche lui, avvicinandosi alla centrale con lei.

All’interno del distretto, gli agenti facevano avanti e indietro, impegnati; tant’è che nessuno notò la loro presenza.

“Aspettami qui, - le raccomando, tenendola ferma per le spalle - vado alla scrivania di mio padre!”

“Ehm… - il suo sguardo era perso fra i poliziotti che le passavano di fianco – Si si, vai pure, io ingannerò il tempo…”

Sam si allontanò da lei, incontrando uno dei colleghi di suo padre.

“Ehi, Sam!” lo salutò, quello, una ciambella in mano, che masticava.

“Oh, Ronnie, ciao… - fu colto di sorpresa – Ehm, come stai?”

“Bene e tuo padre?”

“Sempre malato, probabilmente rientrerà Mercoledì!”

Ronnie, a quel punto, trovò strana la sua presenza: “Capito... – diede un altro morso alla ciambella - Comunque che ci fai qui?”

“Papà ha dimenticato un mazzo di chiavi e ha mandato me. Le prendo e me ne vado.”

“Oh, certo, fai pure… - qualcuno fece cenno a Ronnie, lo stava chiamando – Ora vado, saluta Carson da parte mia!” e Sam annuì, dopo aver aspettato che si allontanasse.

Subito dopo, si andò a sedere alla scrivania di suo padre e iniziò ad aprire tutti i suoi cassetti, mantenendo lo sguardo vigile. Improvvisamente, Chloe gli fece cenno da lontano, agitando il suo telefono, muovendo le labbra.

“E’ mio zio, vado a rispondere fuori…”

Nonostante la confusione, Sam riuscì a sentirla e annuì. Quando la ragazza, però, si voltò per uscire, andò a sbattere contro un poliziotto, che si rovesciò il caffè addosso, sui suoi pantaloni, attirando l’attenzione e anche qualche risatina da parte dei colleghi.

Chloe sgranò gli occhi, imbarazzata: “Oh mio Dio, mi scusi. Mi scusi tanto, non l’avevo vista… - prese dei fazzolettini dalla borsa – Ecco, ora la aiuto.”

Sam, intanto, trovò delle chiavi, ma erano dell’ufficio privato, quello dove si lavorava ai casi e dove erano custoditi i fascicoli. Richiuse immediatamente il cassetto, dopo averle prese, e, a passo felpato, si allontanò, indisturbato, approffittando della distrazione dei poliziotti.

Nell’altra corridoio, meno trafficato, raggiunse la porta, girando la chiave, puntando lo sguardo a destra e sinistri, cauto; l’attimo seguente, era dentro la sala, chiudendo la porta alle sue spalle e anche le tendine. La grande tavola che si prostrava davanti ai suoi occhi, aveva molti fascicoli poggiati sopra. Poco prima che potesse avvicinarsi a cercare quelli interessati, un messaggio arrivò al suo telefono.

 

“Come siamo intraprendenti, Sam. Attento, però, a non essere beccato, il tuo diversivo è appena uscito dal distretto.”

-A

 

Sam, agitato, rimise il telefono in tasca, cercando in fretta il fascicolo che gli serviva; purtroppo, però, ne erano tanti. Improvvisamente, si fermò, voltandosi verso la stanzina di fianco alla sala: dentro vi erano degli scaffali con sopra delle scatole etichettate.

Una volta dentro, le squadrò tutte da cima a fondo, finchè sembrò aver trovato ciò che cercava, leggendo ad alta voce: “Caso 47B362: Dimitri! Eccolo!” e subito la trascinò fuori, posandola a terra, scoperchiandola.

Mentre faceva uscire tutto il contenuto, teneva d’occhio la porta, nell’altra stanza, teso. Tra le mani, un fascicolo: “Deposizione, Angela Dimitri…”  lesse, aprendolo velocemente.

Dopo una rapida lettura, bastarono poche frasi a sconvolgerlo, ma il tempo stringeva, così posò il fascicolo a terra, prese il telefono ed iniziò a scattare foto a tutte le pagine. Subito dopo, richiuse tutto dentro, rimettendo la scatola al suo posto. Passò nella sala, pronto ad uscire, ma una cartella, lì sul tavolo, attirò la sua attenzione: “Albert Pascali?” e una volta riconosciuto il nome, aprì quella cartella, trovando delle foto stampate, l’inchiostro sbiadito, prese dalle videocamere di sorveglianza di un supermercato: mostravano Albert, uscire da un’auto. Anche in quel caso, Sam fece delle fotografie e rimise tutto via, lasciando la stanza, richiudendo la porta.

Uscito dal distretto, si guardò attorno, mentre si dirigeva verso la sua auto.

“Ehi, - esordì, entrandovi – hai visto qualcuno quando sei uscita dalla centrale?”

“Qualcuno? – non capì, Chloe – Di che stai parlando?”

“Dico, - farneticò – c’era qualcuno qui fuori? Qualcuno che ti fissava?”

“Ehm, no, non credo… - immediatamente, poi, cambiò discorso, infuriandosi – Come hai potuto lasciarmi da sola? Ho quasi pulito per sbaglio le parti intime di quel poliziotto con un fazzolettino, lo sai?”

L’altro finse un accenno di sorriso, mentre metteva in moto: “Interessante, ti riaccompagno a casa!”

Quella lo fissò, seria: “Sei strano, lo sai?”

Sam si limitò a darle una rapida occhiata, troppo concentrato a guidare: “Voglio solo tornare a casa!”

 

*

 

Nel frattempo, Eric, rientrato a casa da un pezzo, era vicino alla finestra, con un trapano in mano, che fissava una chiusura di metallo.

Sua madre stava rientrando proprio in quel momento, facendo subito caso al rumore.

“Ehi, che sta succedendo, qui?” poggiò la borsa e un sacchetto, avvicinandosi.

Eric si fermò, volgendo la testa verso di lei: “Sicurezza, Mamma!”

“Sicurezza per cosa?” domandò, le braccia conserte, in attesa di una risposta.

“Così è chiusa. – spostò il pezzo, orizzontalmente – Così è aperta: sicurezza!”

L’altra si lasciò scappare una risata, perplessa: “Sì, però, non capisco perché.”

“Questa scala antincendio collega tutti gli appartamenti, - spiegò - meglio essere previdenti.”

“Previdenti? – si lasciò scappare un’altra risata – Tesoro, al piano di sopra non vive Robin hood!”

“Al proprietario non dispiacerà se facciamo qualche lavoretto, questa finestra non si chiudeva nemmeno bene, prima che ci mettessi mano… - si mosse verso l’altra stanza, seguito dalla madre – Hai preso da mangiare giù al Brew?”

“No, take away!”

Eric si voltò verso di lei, mortificato: “Mamma, un mio amico mi ha invitato a casa sua a dormire. Ci saranno anche altri due nostri amici, posso andare?”

“Un piagiama party tutto al maschile? – sgranò gli occhi, meravigliata e sospettosa – Un pò insolito, non credi?”

“Mamma, tranquilla, non sto coprendo una mega festa con tanti alcolici. Saremo solo in quattro, davvero.”

“E questi amici sono gli stessi con cui sei stato sospeso?”

“Sì, Mamma. – sospirò, esausto – Vogliamo solo passare una serata tranquilla, sono stati giorni difficili. Prima la morte di Anthony, poi la sospensione, molte persone ci odiano. E io devo sopportare uno stress maggiore con quello che è accaduto alla nostra famiglia…”

Quella si avvicinò, intenerita, accarezzandogli la guancia: “Va’ pure, tesoro. Ma niente alcol, intesi?”

“L’alcol è l’ultimo dei miei pensieri, – le sorrise – credimi.”

 

*

 

Qualche ora più tardi, Rider era già alla casa sul lago, assieme a Nathaniel. I due stavano camminando lungo il pontile che si affacciava sul lago, di fronte alla casa, illuminato dalla luna. Rider, in particolare, aveva in mano un portatile, quello di Anthony, e anche un telefono, sempre di quest’ultimo. L’altro, aveva in mano una catena e un lucchetto.

“Sicuro che…” cominciò Nathaniel.

“Shhh!” lo zittì, subito, l’altro, indicandogli il telefono.

Arrivati alla punta del molo, Rider prese la catena dalle mani di Nathaniel e la avvolse attorno al portatile; non prima, però, di averci attaccato sopra il telefono con il nastro adesivo. Messo il lucchetto alla catena, ben stretta, gettò tutto nel lago.

I due rimasero a lungo in silenzio.

“Ora, però, possiamo parlare!” esclamò, Rider, notando che l’amico se ne stava ancora zitto.

“Ah, beh, aspettavo una parola di sicurezza. Come nel sadomaso.”

Rider gli lanciò una lunga occhiata, mentre tornavano indietro: “Spiritoso, siamo sempre più nella merda.”

“Ti riferisci alla misteriosa pagina messa da A, nel libro di tuo padre?”

“Non solo questo, Nat. – reagì, l’altro, angosciato - A potrebbe incastrarci come sta facendo con questo Jasper Laughlin e non mi piace per niente la piega che sta prendendo questa situazione.”

A ha già chiarito che non intende denunciarci, Rider. Quello che vuole è vederci camminare a testa in giù sul soffitto, mentre usciamo fuori di testa!”

“Dio, ha davvero messo le mani sul tuo ipod?”

“Già! – esclamò, sospirando - Prima entra a casa di Eric per congelare i suoi profumi e ora in casa mia per farmi amare un nuovo gruppo musicale. Che diavolo facciamo?”

Rider, però, non aveva una risposta a quella domanda e l’arrivo di Sam ed Eric, concluse la loro conversazione.

“Ehi, - esordì Sam, camminando verso di loro con dei fogli in mano – sono stato al distretto!”

Lo sguardo di Rider si fissò su quei fogli, incredulo: “Oh mio Dio, mi hai ascoltato. Sono le dichiarazioni della Signora Dimitri?”

Eric, che già ne aveva parlato con Sam durante il tragitto, rispose al posto suo: “Sì, e c’è anche dell’altro!”

“Sentite, entriamo a parlare dentro. – bisbigliò, poi, Sam – A dev’essere qui in giro, era fuori dalla centrale, me l’ha fatto capire con un messaggio.”

“Ok, entriamo!” esclamò Rider, mentre si avviavano verso la porta.

Sam si trovò di fianco a Nathaniel, dandogli una rapida occhiata: “Ehi, ciao, sei venuto…”

“Ehm, sì…” annuì, distaccato, mentre entravano.

Poco dopo, riuniti nel salone, il camino accesso, Sam, spiegava ad alta voce il contenuto delle dichiarazioni, mentre Rider fissava i fogli.

“Il padre di Anthony era gay e Jasper Laughlin era il suo amante…”

“Quindi Anthony ci ha mentito? E’ stato il padre a tradire sua madre, non viceversa. – pensò, Nathaniel, perplesso – Perché?”

“Beh, dire che tua madre ha tradito tuo padre è una storia migliore di tuo padre ha tradito tua madre con un altro uomo e si è preso l’HIV!”  ribattè Sam, coinciso.

“Il punto è che la polizia pensa che Jasper abbia rubato i soldi dalla cassaforte per pagarsi le medicine e tutto il resto. – spiegò Eric a Nathaniel - Aveva un negozio di fiori e il giorno in cui il padre di Anthony scoprì di essere positivo, lo incendiò e con sé, anche la sua unica fonte di reddito.”

“E i soldi dell’assicurazione?” replicò Nathaniel.

Fu Sam a rispondere, stavolta: “Pare che Jasper avesse un bel pò di debiti…”

“Ok, - Nat fece il punto della situazione - quindi la Signora Dimitri ha fatto presente di questa storia alla polizia, perché pensa che sia Jasper l’assassino?”

“Il movente c’è, - replicò  Eric - ma noi sappiamo perfettamente che ad aver aperto quella cassaforte e a prendere i soldi è stato Anthony, quella notte. Voleva creare la scena di un finto furto in casa, poco prima di cambiare i suoi piani con Albert.”

“Io, Rider ed Eric – continuò Sam – pensiamo che A possano essere sua madre e Clarke, il fratello maggiore di Anthony.”

“Beh, sì, - aggiunse Eric - ci sarebbe anche Violet, però, ma…Direi che loro sono i sospettati numero uno, per ora.”

Nathaniel, a quel punto, si mise le mani nei capelli, incredulo, ridendo per l’assurdo: “Quindi un tizio andrà in galera, perché la scena del crimine gli calza a pennello, mentre noi sappiamo la verità?”

“Lo so, - Sam deglutì, angosciato - ci sto male anche io, ma non possiamo dire una parola, A ci rovinerebbe!”

“Jasper è fuggito, a proposito…” fece presente Eric.

“Fantastico, - commentò Nat - ora sembrerà più colpevole!”

“Beh, ha fatto bene, non c’è scappatoia in questa storia. – intervenì Rider, spostando la sua attenzione dai fogli – Direi che ha una bella sfortuna, è un candidato perfetto, dati i precedenti con la famiglia Dimitri.”

“Che c’è di interessante lì?” gli chiese Nathaniel, a proposito dei fogli che stava leggendo.

“Le indagini sulla scomparsa di Albert. Avvicinatevi!”

E quelli eseguirono, sedendosi vicino a lui, mentre sistemava i fogli sul tavolo: erano foto di Albert.

“Albert ha veramente incontrato qualcuno, quella notte. – indicò con il dito la parte superiore dell’immagine - Guardate l’orario.”

“Alle 23.12? – prese parola, Nathaniel - Sbaglio o stavamo accompagnando Anthony in stazione, a quell’ora?”

“Sì, - confermò Rider – e cinque minuti dopo abbiamo investito Albert. Il video è preso dalle telecamere del Wall mart, avevamo ragione.”

“Ed è stato lì che A ha iniziato a seguirci e ci ha filmati!” esclamò Sam.

“Quindi quell’auto blu nella foto è…” Eric fissò tutti, cercando di finire la frase.

Fu Rider, però, a completarla: “Sì, quella è l’auto di A. Peccato, però, che non si veda la targa; potrebbe possederla chiunque, non è un auto particolare o costosa.”

Nathaniel, a quel punto, si alzò e prese un libro, poggiato sulle mattonelle del camino.

“Veniamo al problema numero due, - mostrò il libro -  io e Rider ne stavamo parlando poco prima che arrivaste.”

Sam aguzzò la vista, osservando la copertina: “Richard Stuart: La rosa dalle spine d’oro… - si voltò verso Rider – Ma è il libro di tuo padre: allora?”

Quello si alzò, prendendolo dalle mani di Nathaniel. Lo aprì e lo mise davanti agli occhi di Eric e Sam, che notarono immediatamente il paragrafo tempestato di lettere A in rosso. Rimasero agghiacciati.

Fu Sam ad azzardare qualcosa, dopo aver letto, confuso: “Complice nel crimine, ancora una volta?  Che diavolo significa? E che cos’è Rosewood-riservato?”

A conosce qualcosa di Anthony, qualcosa di grave, evidentemente, che noi non conosciamo. Pensa, però, che uno di noi sia coinvolto con lui.”

“Ehm, - intervenne Nathaniel - io so quello che sapete voi. Di chiunque parli A, non sono io.”

“Nemmeno io! – esclamò, Sam, a gran voce, paranoico – Se qui c’è qualcuno che conosce Anthony meno di tutti, quello sono io. Ho sempre avuto Chloe per passare il mio tempo, dopo la scuola. Non so di cosa A stia parlando.”

“Ok, non ti agitare!” aggiunse Rider.

“NO, - urlò – mi agito, invece, perché qui parliamo di un crimine in più, Rider. E di A che ci minaccia di morte! – andò nel panico – Vuole ucciderci, adesso? I piani sono cambiati?”

Nathaniel, intanto, stava osservando Eric, pensieroso.

“Eric, che hai?”

Quello alzò lo sguardo: “Non so cosa voglia dire il resto del testo, ma so cos’è Rosewood-riservato!”

 

FLASHBACK

“Torno subito, allora, vado a prenderti qualche paio di scarpe.” Anthony si assentò dalla stanza, procurando altro da indossare per il suo amico.

“Ok!” esclamò Eric, restando lì, da solo.

Camminando avanti e indietro, aspettandolo, si sedette alla sua scrivania, davanti al suo PC. C’erano molte cartelle sul desktop e alcune di queste lo incuriosirono; tant’è che provò a sbirciarci dentro. Subito, puntò la freccia del mouse su una delle cartelle: una dal nome particolare e misterioso. Quando fu sul punto di aprirla, ecco che Anthony ritornò. Vedendolo, venne preso dal panico ed ebbe una strana reazione.

“No, non toccare!” gli tolse via il mouse dalle mani, bruscamente

Eric si alzò dalla sedia, mortificato: “Scusa, non volevo. Mi dispiace.”

L’altro, riprendendo il controllo che aveva perso in quell’attimo, esclamò: “No, scusami tu, non dovevo essere così aggressivo. E’ che non mi piace che la gente guardi le mie cose. Hai presente quando uno scrittore scrive una storia, ma non gli piace e quindi non vuole che nessuno la legga? Beh, io sono un po’ così!”

Eric, ora, era perplesso: “Scrivi storie?”

“Ehm, non esattamente… - fu vago - Scrivo cose che vanno ben oltre le storie inventate. Cose interessanti che condivido solo con me stesso.”

L’altro rimase colpito da quelle parole, non sapeva cosa intendesse esattamente e per questo rimase immobile a guardarlo. Anthony, poi, gli diede tutto quello che gli aveva procurato dall’armadio, non aggiungendo altro.

 

“Quindi Rosewood-riservato  è una cartella con dentro qualcosa di privato, che Anthony custodiva gelosamente?” riassunse Sam.

A deve aver sbirciato in quella cartella, prima di cancellare tutto dal suo computer e farcelo trovare.” Commentò, Nathaniel, subito dopo.

“Mi gioco tutto quello che volete che gli altri scheletri nell’armadio di Anthony erano in quella cartella! – esclamò, Rider – E ora A pensa che uno di noi sia appeso lì dentro.”

“Dio, - Sam si morse le labbra, preoccupato – cos’altro c’è, ancora? Chi diavolo era Anthony, veramente?”

Eric, lo sguardo basso, una vena di rabbia, lo disse a bassa voce: “Un mostro travestito da ragazzo, ecco cos’era!”

“Eric, che ci facevi a casa sua, quel giorno?” pensò di chiedere, Rider.

L’amico sospirò, evitando lo sguardo dei compagni, poi ebbe il coraggio di guardarli negli occhi, finalmente: “Anthony conosceva qualcosa su di me, probabilmente era dentro Rosewood-riservato. – tutti si guardarono, sapendo perfettamente di cosa parlasse, perché anche loro avevano un segreto che Anthony conosceva – E credo che, a questo punto, A lo sappia, quindi tanto vale confessare… - nessuno proferì parola, così potè iniziare – C’è un motivo se invento continuamente scuse per avere un passaggio o per il fatto che sono continuamente al Brew. Vivo lì, adesso. Al piano di sopra, in un piccolo appartamento. – quelli ascoltarono, incantati – Circa un anno fa, mio padre ha preso in mano la società del suo capo per qualche mese, il Signor Lincoln dovette subire un intervento e i tempi di riabilitazione erano quelli erano, così si fidò di mio padre e affidò a lui la società. Sfortunatamente, però, qualcosa andò storto e, mio padre, fu costretto a fare delle manovre finazierie piuttosto illecite per salvare la situazione, ma non ci riuscì. Il danno fatto era talmente evidente che quando tornò il Signor Lincoln, lo cacciò senza battere ciglio e fece in modo che nessuno potesse assumerlo, in tutto lo stato. Abbiamo perso la casa e abbiamo dovuto vedere gioelli, macchine, qualsiasi cosa potesse aiutarci a tirare avanti. Ora mio padre ha trovato lavoro, a Riverton. – gli vennero le lacrime agli occhi - Anthony scoprì tutto e, inizialmente, mi aiutò, prestandomi i suoi vestiti, le sue scarpe…Ben presto, però, mi resi conto di aver fatto un patto con il diavolo e da allora non ho fatto che compiacere Anthony, apoggiandolo in tutto e per tutto, insultando gli altri studenti e trasformandomi in un'altra persona.”

Sam, con una mano sul petto, commosso, si sedette accanto a lui, mettendogli una mano sulla spalla.

“Dovevi dircelo, Eric. Non avevi motivo di nascondere una cosa del genere…”

Anche Rider, poi, si sentì di vuotare il sacco: “Mia sorella ha una relazione intima con il Professor Brakner!”

Nathaniel sgranò gli occhi, come Sam: “COSA?”

“Rimanevo fedele ad Anthony solo per questo, - raccontò ancora, a braccia conserte, lo sguardo basso - lo aiutavo con i compiti, anzi, glieli facevo io, mentre lui se ne andava chissà dove, dopo avermi scaricato il suo zaino…”

Nathaniel sembrò preoccupato, insinuando qualcosa: “Ma il Professor Brakner…???”

“NO! – esclamò, Rider, intuendo – No no, credo che si amino davvero, lui non è un pervertito; non saltiamo a conclusioni.”

“Io, invece… - Nathaniel sentì che era il suo turno, mentre Sam lo fissava, teso, sapendo di dover essere il prossimo – Ho uno scopenso cardiaco che mio cugino Tyler mi aiuta a tenere sotto controllo con un farmaco. E’ grazie a lui che sono entrato nella squadra di nuoto, ha scritto lui il certificato medico; rischia molto, insomma. I miei genitori non lo sanno.”

Rider lo fissò, per niente sorpreso: “Quel giorno, quando sono venuto a casa tua per aiutarti con biologia, sapevo che quella ricetta era tua.”

“E io sapevo che tu l’avevi capito, ma ho preferito fingere che non fosse così… - gli accennò un sorriso – Grazie per non aver detto niente.”
Sam spostò lo sguardo fra i due, letteralmente sconvolto e furibondo: “Grazie per non aver detto niente?  - si alzò in piedi, vaneggiando – Questo-questo è pericoloso, potresti morire, Nathaniel, lo sai questo? Sei impazzito, forse? – si voltò verso Rider, aggressivo – E TU? Perché non gli hai detto qualcosa? Eppure dovresti essere il più sveglio tra noi!”

“Ehm, - cercò di difendersi, Rider - saranno anche fatti suoi? Ho solo rispettato la sua scelta.”

“Scusa, ma il tuo problema quale sarebbe? STO BENE, ok?” ribattè Nathaniel con lo stesso tono.

“Nessuno, Nat. – passò in mezzo a loro – Nessuno!” e uscì dalla stanza.

A Nathaniel non andò giù, però, questa sua reazione: “Eh no, così non vale…” e lo inseguì.

Fuori dall’abitazione, Sam iniziò a camminare velocemente verso il molo, stringendo la sua giacca, nervoso.

Nathaniel spuntò alle sue spalle, rincorrendolo: “Aspetta, Sam! – lo raggiunse, prendendolo per il braccio e voltandolo - EHI!”

“Che vuoi?” rispose in malomodo.

“Non puoi fare così, ok? Lì dentro ci siamo aperti tutti quanti, non puoi tirartene fuori. Capisco che tu sia tanto scioccato per me, ma questo non ti da il diritto di svignartela. – fece una pausa, più calmo, prendendolo per le spalle – Anche io avevo paura a rivelare il mio segreto, sono continuamente sotto pressione, ma facevo male a tenermi tutto dentro. Questa storia di A ci collega tutti, in qualche modo, e mi ha dato la forza di aprirmi con voi. – lo fissò dritto negli occhi – Sam, puoi confidarti con noi. Nessuno ti giudicherà.”

L’altro, girovagando con lo sguardo, gli occhi lucidi, trovò finalmente il coraggio di confessare: “Sono gay, ok?”

Nathaniel mantenne lo sguardo fissò su di lui, per poi dire qualcosa in merito: “Lo so…”

“Lo sai?” sussultò, l’altro.

“Ti ho visto fissare Anthony, una volta. Molto intensamente. E, allora, ho capito… - Sam restò un attimo perplesso, lasciandolo parlare – Adesso, non so se anche lui…”

“No no, non lo era. Sapeva di me e io… - mentì – Sì, avevo una cotta per lui, ma non gliel’ho mai detto.”

“Spero che non te l’abbia fatto pesare in qualche modo, ultimamente non gli eri stato molto fedele e, infatti, a mensa, ha parlato di te con noi, il giorno in cui è morto. Non direttamente, ma lo stava insinuando.”

“Bastardo…” replicò Sam, volgendo lo sguardo da un'altra parte.

Improvvisamente, Nathaniel sembrò aver notato qualcosa, in corrispondenza del lago.

Sentendolo troppo silenzioso, Sam tornò a fissarlo, seguendo, poi, il suo sguardo: “Che c’è? Che stai guardando?”

“C’è qualcosa nel lago. – indicò – Là giù, lo vedi anche tu?”

Sam scrutò una piccola luce che si agitatava: “Ma è una persona? – si allarmò – Oh mio Dio, credo che sia qualcuno che sta annegando, non si vede molto bene.”

L’amico non perse altro tempo, si tolse la maglietta: “Se è qualcuno che sta annegando, dobbiamo salvarlo. C’è una piccola barca in mezzo al lago, chiunque sia, dev’essere caduto…” e percorse il molo, inseguito da Sam.

“Aspetta, - cercò di fermarlo, preoccupato - forse non è una persona. Non ne sono sicuro, non andare!”

“Non è lontano, ci metterò pochi minuti ad arrivare fin lì!” e si gettò in acqua, iniziando la bracciata.

“Nathaniel, NO! – tentò di fermarlo ancora, urlando, invano - L’acqua è troppo fredda!”

Gli altri due compagni, sentendo le grida, uscirono.

“Ma che succede?” esordì Rider, mentre con Eric raggiungevano Sam, lungo il pontile.

“Credo di aver visto una persona, - si affrettò quello a spiegare, con lo sguardo fisso su Nathaniel, la voce tremante, cercando di non perderlo di vista -  al centro del lago. Nathaniel si è tuffato per andare a vedere.”

Rider affinò lo sguardo: “Sembra che ci sia una barca…”

“Che ci fa una barca in mezzo al lago, a quest’ora, in pieno Ottobre?” lo trovò strano, Eric.

“NATHANIEEEL!” gridò Sam a squarcia gola, avvicinandosi alla punta del molo. Quasi cadeva.

“Ehi, - lo avvertì, Rider - stai attento o così cadrai.”

“Chi abita dall’altra parte del lago?” gli chiese Sam, indietreggiando accanto a lui.

“Non so, persone che vengono qui d’estate. Conosco i miei vicini, ma non quelli che abitano dall’altra parte del lago.”

Eric trovò la faccenda sempre più strana, avvicinandosi a loro: “Se le case sono disabitate, allora chi sta annegando?”

E tutti rimasero a fissare il lago, inquieti ed ignari di cosa stesse accadendo.

Nathaniel, nel frattempo, stava ancora nuotando. Bracciata dopo bracciata. Ormai sentiva freddo fino alle ossa. Finalmente, poi, arrivò a quella luce, che altro non era che una torcia. La cosa sconcertante, però, fu che la torcia era nelle mani di una bambola gonfiabile a cui Nathaniel si appoggiò, incredulo ed esausto.

“Ma che diavolo…??”

Non aveva più fiato, eppure riuscì a scorgere un biglietto attaccato al petto della bambola.

“Sapevo che saresti venuto tu. Ce la farai a tornare indietro con quel piccolo problemino che hai appena condiviso con i tuoi amici?”

-A

“Figlio di puttana!” commentò, quasi senza fiato per il freddo e la lunga nuotata.

Subito, il ragazzo, raccolse le poche forze rimaste e iniziò a tornare indietro.

Poco dopo, gli altri lo videro arrivare in lontananza e Sam gridò subito ai suoi compagni: “Sta tornando! Presto, prendetegli qualcosa per asciugarsi!”

Eric corse subito in casa, mentre Rider e Sam si tenevano pronti a soccorerlo. Nathaniel toccò il molo con una mano, stremato, e Sam si gettò letteralmente accanto a lui per sollevarlo,mentre Rider lo tirava da sopra.

Eric arrivò con un paio di asciugamani, che Sam gli strappò dalle mani per asciugare Nathaniel.

“Ma che è successo? - voleva sapere Rider - Allora?”

L’altro stava riprendendo ancora fiato e Sam glielo ricordò severamente: “E’ appena uscito dall’acqua gelata, dagli un secondo!” 

Finalmente, poi, Nathaniel riuscì a parlare, steso a terra, tremante: “Non c’era nessuno. Era una bambola…Una bambola gonfiabile. – allungò il biglietto che stringeva fra le mani – Con questo!”

 

Rider lo lesse ad alta voce, prendendoglielo: “Sapevo che saresti venuto tu. Ce la farai a tornare indietro con quel piccolo problemino che hai appena condiviso con i tuoi amici? A!”

Eric, sconcertato, si domandò: “Oh mio Dio, ci ha sentiti? – si rivolse a Rider – Ma non l’avevi buttato il telefono di Anthony?”

“L’ho fatto! – replicò – Assieme a Nathaniel, poco prima che tu e Sam arrivaste.”

“Ma allora era in casa con noi? – Eric, sbiancando, si voltò verso la casa – Dite che è ancora lì?”

“Non credo…” pensò Rider.

Improvvisamente, le condizioni di Nathaniel peggiorarono.

Sam tolse le mani dal suo corpo, che fino ad un attimo prima stava strofinando, nel tentativo di riscaldarlo: “Oh mio Dio, sta diventando viola.”

“Le mie…le mie... – tossì, Nathaniel, gli occhi socchiusi, una mano sul petto – medicine. Tasca destra.”

Sam ripetè quello che aveva appena detto, standogli accanto: “Le sue medicine! Sono nel borsone, fare presto!”

Ed Eric, senza perdere un solo secondo, corse a prenderle, tornando dopo quasi un minuto con l’intero borsone in mano e con una nota di panico, che avevano tutti, a quel punto.

“Non riesco a trovarle, - frugò ancora, davanti a loro - non sono dove ha detto lui.”

“Trovatele, presto, sta morendo!” gridò Sam, in maniera incontrollata,  mentre Rider si univa ad Eric, mettendo sottosopra quel borsone. Ad un certo punto, però, Rider si fermò.

“Oh no… – sgranò gli occhi – Non sono qui dentro, lo erano!”

“E dove sono, allora?” gli chiese, Eric.

 “Le ha prese A!” rispose, fissandosi con gli altri due.

Sam perse la testa, a quel punto: “Mi state prendendo in giro? – si alzò in piedi – Vado a prendere il mio telefono, chiamo il 911. ORA!”

Rider lo fermò per un braccio.

“Sam, aspetta, credo di sapere dove sono!”

L’altro lo fissò, basito, trovandolo assurdo: “TU, credi? Rider, continuate pure a giocare a Sherlock Holmes con A, io vado a chiamare un’ambulanza e poi la polizia. – tornò a camminare verso l’abitazione, rapido -Questa storia è già durata fin troppo!”

“Sono nella bambola gonfiabile!” aggiunse Rider, insistendo.

Sam si fermò, voltandosi.

“La pagina messa da A nel libro di mio padre, parla di una bambola gonfiabile. Non è una coincidenza. Sam, non possiamo perdere tempo a chiamare un’ambulanza. Guardalo! – indicò Nathaniel, steso sul pavimento di legno del pontile, livido in volto e con il respiro corto – Non ce la farà mai, dobbiamo prendere quelle medicine!”

“Bene, prendiamole allora!” si arrese Sam, fissando Rider.

“Io-io non so nuotare, - rispose quello, titubando - inutile che guardi me.”

Sam guardò Eric per una frazione di secondo, anche lui impalato, così decise subito di prendere l’iniziativa, lasciandoli perdere, una smorfia di delusione, prima di voltarsi e correre lungo il molo.

Mentre si tuffava, Rider gli ricordò, avanzando: “Sono dietro la schiena della bambola, c’è una cerniera!”

Poi si voltò verso Eric, rimasto abbastanza provato e mortificato.

“Perché hai esitato? Hai più possibilità, rispetto a Sam. Possibilità fisiche, intendo.”

L’altro, a disagio, rivelò: “Ho paura dell’acqua, ho avuto un’esperienza quasi traumatica quando ero piccolo e…Mi fa paura. MOLTA paura.”

Rider si avvicinò a Nathaniel, continuando a tenere d’occhio Sam: “Fortuna che c’è lui…”

Sam, intanto, infreddolito e affannato, arrivò alla bambola, cercando una cerniera sotto di essa; le mani tremavano e i denti battevano. Girò la bambola verso la superficie, rivelando la cerniera. Subito, dopo averla aperta, estraette il flacone, sorridendo sollevato, le labbra viola. Improvvisamente, le luci del molo attiguo si accesero in una luce abbagliante. Sam era molto vicino a quel molo, tant’è che dovette mettere una mano davanti alla faccia, accecato.

Quando quella luce si attenuò, Sam riuscì a scorgere qualcuno che camminava lungo quel molo; qualcuno  con indosso un cappuccio nero, i guanti neri, il volto coperto: un’ombra, nella luce. Sam continuò a fissare quella persona, si sentiva solo il rumore del suo respiro, mentre se ne stava aggrappato alla bambola. Dentro di lui, iniziò a crescere la paura. Più osservava quella figura, lì, ferma, a guardarlo, più sentiva che quella figura oscura era A. Ne fu certo, quando quello alzò la mano e lo salutò. A quel punto, Sam si staccò dalla bambola e nuotò il più velocemente possibile, temendo che l’avrebbe raggiunto per fargli del male. Non aveva mai provato così tanta paura in vita sua e l’adrenalina gli permise di fare grandi bracciate.

Mentre Rider stava accanto a Nathaniel, nel tentativo di riscaldarlo e rassicurarlo con qualche parola, Eric si avvicinò all’estremità del molo per aiutare Sam a risalire, dato che stava tornando. Immediatamente, quando si avvicinò, lo prese per il braccio, tirandolo sopra con lui, notando la sua espressione di terrore.

“Sam, stai bene?”

“Si si, sto bene. – Sam si accasciò sulle assi del pontile, senza fiato, alzando solo il braccio, nella mano stringeva il flacone del farmaco – Ora dobbiamo dare le pillole a Nathaniel, portarlo dentro e riscaldarlo”

Eric glielo prese dalle mani, aprendo immediatamente il flacone. Dentro, però, trovò un bigliettino.

 

“Che gesto romantico, non trovi? Forse Nathaniel ti ricompenserà con un bacio…”

-A

Eric, ignorando quel che c’era scritto, si mise il biglietto in tasca, visto soltanto da Rider, con cui si scambiò un’occhiata; Sam non si accorse di nulla, in quanto stremato, con la faccia a terra.

Rider prese la pillola dalle mani di Eric e la mise in bocca a Nathaniel. Dopo, cercò di farlo bere dalla bottiglietta d’acqua che trovò nel borsone, lì di fianco.

Qualche secondo dopo, Nathaniel sembrò respirare meglio.

“Bene, sta funzionando. – Rider tirò un sospiro di sollievo, assieme ad Eric e Sam, che aveva alzato la testa – Ora dobbiamo portarlo dentro e stabilizzare la sua temperatura corporea.”

Prima che potessero muoversi, però, Sam riprese la parola, nonostante avesse ancora il fiato e il corpo che tremava: “Ho visto A! Era dall’altra parte del lago e mi ha salutato…E’ fuori di testa…”

Rider ed Eric, misero gli occhi sull’altro molo, ancora acceso. Quest’ultimo, prese un altro asciugamano e lo mise sopra Sam.

“Andiamo dentro, dai!”

Ma, ancora una volta, furono fermati da qualcosa: un messaggio. Il telefono di Nathaniel vibrò all’interno del suo borsone.

Rider lo prese e mostrò a tutti il contenuto del messaggio, il viso sconcertato.

“La morte è un sogno, stronzetti. E io lo renderò così oscuro da trasformarlo in un incubo senza fine. Chi sarà il prossimo a giocare con me? Sembra che Nathaniel sia riuscito a sopravvivere al suo turno, voi farete altrettanto?”

-A

I tre si guardarono, un brivido lungo la schiena…

 

SCENA FINALE

A era nuovamente nel suo covo, la sua scrivania libera completamente libera, eccetto la tazza di caffè e un contenitore di cercamica con dentro delle penne. Le foto dei quattro ragazzi e Albert, sempre attaccate sulla parete metallica, i tubi che gocciolavano. Una lampadina illuminava la superficie del tavolo; verso il bordo, un auto giocattolo con dentro quattro bambole di pezza, simili a Nathaniel, Rider, Eric e Sam, nei dettagli, come gli abiti cuciti sopra e i diversi tagli di capelli, ricreati con dei fili di spago. Fu la bambola di quest’ultimo, Sam, ad essere presa da A, portata più vicina alla luce. La poggiò, aprendo uno dei cassetti, subito dopo, tirando fuori un tubetto di colla a fissaggio rapido. Fischiettando, riprese la bambola con una mano, mentre con l’altra stringeva il tubetto, facendo fuoriuscire il liquido e adagiandolo lungo la cucitura che simulava la bocca. Infine, ci soffiò sopra, nel tentativo di farlo asciugare. Dopo, portò il suo dito davanti alla sua bocca, emettendo un lieve suono.

“Shhhh…”

 

CONTINUA NEL QUINTO CAPITOLO

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 7
*** 1x06-Topi in trappola ***


CAPITOLO SEI

“House of CArds”

 

PREVIOUSLY ON BLACK HOOD:

A inizia a tormentare Sam, minacciando di non lasciarlo in pace se non confessa il suo amore per Nathaniel; il suo scopo è quello di portarlo al limite e costringerlo a rivelare di essere complice di Anthony in un crimine ancora ignoto ai ragazzi. Un crimine di cui solo A è a conoscenza.

La Signora Dimitri e suo figlio Clarke, intanto, entrano nel ristorante del padre di Nathaniel e quest’ultimo ha una strana conversazione proprio con Clarke, che insinua di sapere molte cose su suo fratello, parlandone negativamente. Nathaniel inizia a pensare che sappia qualcosa sul misterioso file Rosewood-riservato.

Rider ed Eric, nel frattempo, fanno un salto al mercatino dei libri usati per cercare un libro ad Alexis, ma la loro passeggiata di piacere prende una piega diversa quando incontrano Violet e Colton, i loro sospettati; Anthony, quando era vivo, prendeva continuamente Colton in giro per la sua pelle e lo chiamava Albume.

Subito dopo, i due trovano un messaggio di A dentro uno dei libri del mercatino. In seguito ad una telefonata con Nathaniel, i tre parlano del file Rosewood-riservato e del fatto che Clarke potrebbe saperne qualcosa, ma ecco che un ennesimo messaggio di A vieta loro di indagare su quel file finchè non sarà lui stesso a renderlo noto.

Dopo che Sam ed Eric l’avevano ipotizzato, anche Rider si convince che il gruppo sia spiato da microfoni e propone a tutti di andare a trovare una Professoressa di ingegneria informatica a Brokehaven per scoprire come rilevare la presenza di un microfono e disattivarlo.

Chloe, intanto, viene fermata da Lindsay in centro. Subito,quella, ringrazia Chloe per non aver detto a nessuno di averla vista con Albert, nell’ultima notte in cui era a Rosewood. Rivela di aver rubato il video di insulti girato da Anthony, assieme ad Albert, subito dopo che lui e i suoi amici avevano lasciato la classe e di aver pianificato di voler ricattare il ragazzo ed essere lasciati in pace, altrimenti avrebbero mostrato il video a tutti. L’incontro in macchina, di quella notte, spiega Lindsay, sarebbe avvenuto solo per accertarsi che Albert avesse portato a termine ciò che avevano pianificato per essere liberi da Anthony. Infine, rivela di non aver detto alla polizia di essere stata l’ultima persona ad aver visto Albert per non avere problemi e tutelare se stessa e la persona che guidava l’auto. Infine confida di pensare che Albert si nasconda a Rosewood e che abbia ucciso lui Anthony, per averlo visto instabile, quella notte.

I ragazzi arrivano al dipartimenti (Sam messaggia loro che non parteciperà alla piccola gita) e si dividono per cercare la Professoressa. Eric e Rider sono i primi a trovarla e Rider si finge un podcaster con l’intento di divulgare informazioni sullo stalking e come proteggersi da questo fenome. La donna rivela di essersi licenziata e di essere in partenza, ma concede ugualmente ai due un’intervista.

Nathaniel, intanto, si intrufola in un laboratorio del dipartimento, attirato da una casa dei topi monitorata con dei chip attaccati ai piccoli roditori. Viene raggiunto da Rider ed Eric e in quello stesso laboratorio, grazie alla riproduzione di un metal detector, scoprono di avere dei microfoni installati nei loro telefoni. Nathaniel, subito dopo, ha un piano: monitorare i loro sospettati con i chip. Prima di lasciare il dipartimento, rubano quelli dei topi.

Sam, intanto, si accorge di non essere più solo in casa, ma quando tenta di scappare, sviene, dopo aver bevuto un sorso d’acqua. A lo porta in camera sua e lo sistema nel suo letto, mentre l’altro e semi-cosciente.

Quando i ragazzi tornano a Rosewood, trovano Sam in casa sua con la bocca sanguinante: A gliel’ha chiusa con la colla. Rider suggerisce di portarlo a casa sua.

 

AND NOW…

 

~

 

La mattina seguente all’aggressione a Sam, Rider stava preparando il caffè nella sua cucina. Eric entrò dalla porta sul retro, affannato e sudato in fronte.

“Scusa il ritardo… - esordì – Ma sfido chiunque a fare sette isolati in bicicletta con due ore di sonno!”

“Tieni, - gli passò un bicchiere d’acqua – bevi e andiamo da Sam!”

Poco prima di bere, però, ebbe delle perplessità da estirpare: “Sicuro che i tuoi genitori non si siano accorti che dorme nel vostro capanno?”

“Sicuro! – confermò, mentre riempiva un thermos di caffè – La camera dei miei genitori è dalla parte opposta al capanno e anche la camera di Lindsay. Solo la mia si affaccia sul cortile… - lo fissò, facendogli segno di alzarsi dallo sgabello – Forza, sbrigati!”

“Ok, - aggiunse, dopo aver bevuto in fretta, anticipando un’espressione seria – so che adesso dobbiamo pensare a Sam, ma fermiamoci un secondo a pensare a quello che sta per accadere… – si mostrò nervoso – Lo sai che noi due saremo i prossimi, vero? Insomma, finito il turno di Sam, si passa al successivo e i-io – balbettò, preso dall’ansia - non posso permettermi un attacco da parte di A. Ho già fin troppi problemi!”

“E cosa vuoi che ti dica, Eric? – lo fulminò con lo sguardo; quello di chi non aveva una risposta al problema - Di comprarti una museruola così che A non ti possa chiudere la bocca con una striscia di colla a fissaggio rapido? – fece una pausa, mentre l’altro deglutiva – Ho paura anch’io, ma non posso vivere con la paura addosso tutto il tempo. Devo occuparmi di quello che mi si presenta davanti e non di quello che ancora non si è presentato, ok?...E in questo momento, nel mio capanno, c’è Sam, che ha bisogno di me. Di NOI! Perciò andrò da Sam, cercando di fingere che sopra di me non ci sia l’ascia di un boia pronta a tagliarmi la testa.”

Eric scosse la testa, non molto d’accordo su come stava affrontando la situazione: “E’ proprio del boia che dovresti preoccuparti e non di Sam. Se uccidi il boia, starai bene tu, starà bene Sam e staremo bene tutti quanti!”

“Abbiamo un piano, ok? – replicò, oppresso - Non stiamo brancolando nel buio, Eric.”

In quell’esatto istante, in cucina, entrò Ellen, sua madre, con la solita ventiquattrore in mano, pronta ad uscire.

“Un piano per cosa, tesoro?”

Eric si voltò, assiame allo sguardo di Rider, che tacque immediatamente.

“Buongiorno, Signora Stuart!”

Quella rallentò, avvicinandosi al frigorifero, poggiando la ventiquattrore sul tavolo, fissando il ragazzo.

“Ehm, salve a te… - cercò di ricordare il suo nome – Ehm…”

“Eric!” esclamò quello.

“Eric! Esatto! – finse di conoscerlo, mentre si versava del succo – Il club dei sospesi, eh?”

“Già! – Rider finse un sorriso – Comunque parlavamo di un piano di studio, in modo da recuperare i giorni d’assenza. Ci vedremo tutti insieme per studiare. Probabilmente useremo il capanno ogni tanto.”

Eric fissò Rider, stranito, chiedendosi perché avesse citato il capanno, visto che ci nascondeva dentro Sam.

“Bene, mi sembra una buona idea. – sospirò - Ora, però, devo andare… - si avvicinò alla porta, dopo aver messo il bicchiere vuoto nel lavandino – Ah, dimenticavo, - si fermò ancora, rivolgendosi nuovamente al figlio – porta tu a spasso il cane dopo cena. Toby si sta riprendendo velocemente dalla slogatura e ogni volta che Lindsay lo porta fuori diventa praticamente lei il cane. Ieri ha tirato talmente forte il guinzaglio che tua sorella è finita a quattro zampe sul marciapiedi. – sospirò di nuovo, squotendo la testa – Mai mandare una donna a fare il lavoro di un uomo!”

“D’accordo, scriverò “Portare a spasso Toby” su un post-it e lo attaccherò sulla fronte. Buonagiornata, Mamma!”

“Buonagiornata, Signora Stuart!” la salutò anche Eric, mentre quella usciva.

Rider si voltò verso l’amico.

“Adesso andiamo da Sam!” alzando lo zaino dal pavimento, che teneva nascosto vicino ai piedi. Dentro ci mise il thermos di caffè.

“Che c’è nello zaino?” domandò Eric, curioso.

“Mi prendi in giro? – gli lanciò un’occhiataccia – E’ la roba che abbiamo rubato a Rattoville!”

“Ah, già…Oggi è il grande giorno allora!”

Insieme uscirono dalla porta sul retro, diretti verso il capanno.

“Ehi, perché hai detto a tua madre che studieremo nel tuo capanno, dove, tecnicamente, nascondi Sam?”

“Gli ho creato un alibi, in caso lo becchino lì dentro. Sai, mia madre ha finto di ricordarsi di te perché gli Stuart amano ignorare l’elefante in salotto. Ignorare qualcuno che vive, mangia e dorme nel tuo capanno, però, è ben diverso. In quel caso chiamerebbero la polizia per elefanti!”

Ad Eric girava la testa: “Ti prego, basta metafore!”

Finalmente entrarono nel capanno. Sam era seduto sulla poltrona del piccolo salottino allestito lì dentro, la copertina che lo copriva fino al busto, il tecomando in mano, gli occhi fissi sulla televisione.

“Ehi, Sam, ciao!” esordì Eric, la voce piccola.

Quello non si voltò, continuò a fissare la televisione, come assente.

“Ehm, - rise Rider, brevemente – che guardi di bello?”

Sam pronunciò qualcosa, dopo qualche secondo: “Hanno arrestato Jasper Laughlin. – raccontò, serio, senza guardare gli amici negli occhi – Lo hanno trovato al confine con un auto noleggiata e una busta di contanti. Molti contanti.

Eric e Rider si guardarono, spiazzati, sedendosi sui divanetti.

“Ma tutto questo non ha senso. - pensò Rider – L’auto, la fuga, i soldi…E’ come ammettere di essere l’assassino!”

“Ma non lo è! – ribadì Eric – Quindi come mai un uomo innocente si ritrova a dover noleggiare un auto, fuggire e portare con sé dei contanti?”

Fu Sam a rispondere, privo di vitalità, lo sguardo spento e basso, le labbra ancora ferite: “E’ stato incastrato. A l’ha incastrato! E non venitemi a dire che dietro a tutto questo c’è la Signora Dimitri, solo perché ha fatto una dichiarazione contro di lui. E’ solamente una donna piena di rancore e rabbia che ha preso la palla al balzo. – una lacrima gli scese dal volto – Jasper ha avuto la sfortuna di quadrare perfettamente con tutte le coincidenze che ci sono su questo omicidio.”

“Sam, -intervenì Rider -  noi è dalla casa sul lago che non sospettiamo più che A siano la Signora Dimitri e Clarke, bensì Violet e suo fratello. Mi sembra ormai evidente che A abbia dato quei soldi a Jasper, in modo che, una volta trovato dalla polizia, collegassero quei soldi a quelli rubati da casa di Anthony.”

“Dio mio, - Eric scosse la testa, incredulo – come ha fatto A a progettare tutto nei minimi dettagli?”

Sam finalmente si voltò verso di loro, fortemente provato: “Fa paura, vero? Pensare a quanto stia diventando dannatamente reale la follia di questa persona. Quello che dovete capire è che più la cosa andrà avanti e più diventerà violento, credetemi.”

“Okey, Sam, ma… - Rider lo fissò a lungo, profondamento turbato – che stai cercando di dirci?”

“Vi prego, - le lacrime iniziarono a scorrere a fiumi, la sofferenza evidente nello sguardo – andiamo alla polizia e raccontiamo tutto. Raccontiamo che è stato un’incidente, che eravamo spaventati e che Anthony è uscito fuori di testa, quella notte. I-io non posso continuare così, non ho chiuso occhio per tutto il tempo, da ieri sera.”

Rider si avvicinò a lui, disperato, inginocchiandosi, prendendo le sue mani: “Ti prego, Sam, non lo fare. Forse tu non ti rendi conto di quello che ci faranno, perché non ne usciremo puliti da questa storia, te lo garantisco. Il primo reato di cui ci accuseranno è quello di complicità, perché aver investito Albert e non aver detto nulla è omissione di soccorso, ok? Abbiamo poi trascinato il suo corpo a casa di Anthony e gli abbiamo dato fuoco assieme al corpo del padre: omicidio plurimo di primo grado, d’accordo? – scosse la testa, secco – E’ troppo tardi, Sam. Per non parlare del fatto che A troverebbe un modo per incastrarci ancora di più, non contento del fatto che ci siamo rivolti alla polizia.”

Sam si mise le mani davanti al viso, impotente, devastato, urlando: “Allora cosa facciamo? Ce ne stiamo qui a giocare alla ruota della tortura con A? Dovrei smettere di dormire, bere e mangiare per paura di essere drogato nuovamente, forse? Eh?”

Rider tirò fuori una lettera dalla giacca, mettendogliela tra le mani e tornando a sedere.

“Che cos’è?” domandò quello, fissando i compagni.

“E’ il nostro piano. – spiegò Rider – Leggi il foglio e poi brucialo.”

Sam lo lesse, sollevando nuovamente lo sguardo.

“E avete scelto su chi…??”

“Sì, ma… - replicò Rider – Se vuoi aggiungere qualcun altro…”

“Non ne ho la minima idea, francamente. Scegliete voi, mi sembra che abbiate già le idee chiare.”

Il silenzio avvolse la stanza, subito dopo. Nessuno aveva altro da aggiungere. Ognuno fissava punti diversi della stanza, Sam torturava il foglio che aveva appena letto, accartocciandolo.

Dopo averlo fissato a lungo, attirato dal rumore della carta, Eric volle sapere cos’era accaduto esattamente, la notte prima: “Non sei riuscito proprio a vederlo? – conquistò la sua attenzione, un’espressione di marmo da parte di Sam - A, dico.”

“No, Eric…Non ci sono riuscito. Ero drogato e a malapena ricordo ciò che è successo. – si voltò, continuando, straziato dalle immagini che li tornavano alla mente – Ricordo soltato di essere stato tra le sue braccia, mentre mi portava al piano di sopra. Non credo fosse una ragazza. Era un lui e mi ha toccato con il suo corpo; riuscivo a sentirlo.”

“Ragazzi è Colton, - concluse Eric, risoluto - non c’è dubbio. Probabilmente sua sorella era al piano di sotto che si specchiava dentro la lama di un coltello, prima di lasciare quell’inquietantissima scritta in bagno con il rossetto rosso: perché quella scritta è stata fatta con un rossetto, no?”

Rider lo fissò, statico, per poi voltarsi verso Sam.

“A proposito della scritta in bagno…E’ per quella che ieri sera mi hai sussurrato all’orecchio di non chiamare Nathaniel, oggi?”

Quello annuì, a disagio.

“Sam, puoi parlare con noi, ok? – lo rassicurò Eric - La sera che hai recuperato il flacone di medicine, c’era un biglietto di A, dentro. Alludeva ad una cotta che hai per lui, per Nathaniel.”

Sam non poteva più nasconderlo, a quel punto: “Sì, è la verità. Provo qualcosa per lui, ma lui non lo sa. A ha giocato su questo con me e per tutto il giorno non ha fatto che tormentarmi: o raccontavo a Nathaniel ciò che provavo o confessavo la mia complicità nell’altro crimine che non conosciamo… - assunse un espressione sbalordita  e terrorizzata allo stesso tempo – Riusciva a mandare messaggi al posto mio, aveva il pieno controllo del display, della tastiera. – i ragazzi lo ascoltavano, assorti - Controllava anche il mio computer, ha persino acceso la webcam di Nathaniel, mentre era in camera sua, che si stava spogliando per fare la doccia…”

Rider intervenì, in merito all’ultima parte, curioso: “E l’hai…visto…???”

“NO! – Sam esclamò energicamente, imbarazzato – Insomma, ha chiuso prima che potessi…Insomma, non che io volessi… - si stava aggrovigliando - Senti, cambiamo discorso, per favore?”

Rider sollevò le sopracciglia, guardando altrove.

Mentre i due erano ancora imbarazzati per lo scambio di battute, chiaramente riferito al nudo integrale di Nathaniel, Eric riflettè su quanto detto, al quanto stupito.

“Quindi A può accedere alle webcam dei nostri computer, ascoltare le nostre conversazioni e comporre messaggi? Ma che razza di tecnologia è mai questa?”

“E come può permettersela, aggiungerei! – esclamò Rider – Credo che A abbia un bel po’ di soldi, ma… - era confuso, ora – questo toglierebbe di mezzo la teoria dello studente, perché fino a prova contraria siamo minorenni e i minorenni non hanno tutti questi soldi.”

“I soldi che ha preso Anthony dalla cassaforte? – suggerì Sam, pensandoci – A ha ucciso Anthony, no? E i soldi erano nel borsone di Anthony, quindi i soldi se li è tenuti A!”

“Già! – si trovò d’accordo Eric, spostando lo sguardo tra i due – E questo ci riporta nuovamente a sospettare di Violet e Colton senza incongruenze.”

Rider, però, non si convinse così facilmente: “Sì, ma quanti soldi potranno esserci stati in quella cassaforte? Nessuno di noi sa quanti soldi c’erano dentro o quanti ne abbia presi Anthony per fuggire da Rosewood.”

“Conoscendolo, - ribattè Sam - avrà preso tutti quelli che c’erano.”

“In ogni caso, - Rider si alzò in piedi – Violet e Colton hanno fatto un pessimo investimento, perché i telefoni gli abbiamo distrutti. – prese il telefono di Sam da sopra il tavolino, notandolo subito dopo quanto aveva detto – Ora tocca al tuo!”

Sam si alzò di scatto, stappandoglielo dalla mano: “NO, tu non distruggi proprio niente!”

“Sam, - ribattè l’altro, allibito dalla sua reazione - non so se ci sei ancora con la testa, ma ti ricordo che i nostri telefoni sono praticamente telecomandati per telecomandare!”

“Possono anche farsi spuntare due ali e volare, ma non distruggo il mio telefono per giocare il doppio turno con A!”

Eric intervenì, alzandosi in piedi anche lui: “Ma Sam, è così che lui ci ascolta e ci controlla!”

“Bene! – urlò – State lontani da me allora. Dubito che A caverà un ragno dal buco sul nostro piano, ascoltandomi guardare South park in televisione!”

“Ascoltandomi guardare?” si soffermò Rider in una smorfia esagerata.

“Dai, hai capito!”

A quel punto, Eric tirò Rider: “Forza, seguiamo il suggerimento di Sam. Andiamo!”

Quello indietreggiò, pronto ad uscire con l’amico. Sam, improvvisamente teso, li fermò.

“Ehi, aspettate! – guardò Rider – Sicuro che non verrà nessuno qui?”

“Sicuro! Mia madre è allo studio fino a stasera, mio padre è in casa che discute con il suo agente letterario e Lindsay è a scuola; dopo di che, passerà probabilmente l’intera giornata assieme al nostro professore di Matematica. Per quanto riguarda A, questo capanno è peggio di Alcatraz e poi con mio padre a qualche metro da qui, non si azzarderà a farti visita…Più tranquillo?”

Sam si sentì meglio: “D’accordo…Fate del vostro meglio, mi raccomando.”

“Ce la faremo!” ribadì Eric, mentre uscivano. Un sorriso di conforto, prima che la porta si chiudesse.

L’altro si risedette sul divano, fissando il suo telefono, lo schermo spento, poggiato sul tavolino. Sospirò, cercando di non pensare ad A.

 

*

 

In una grande e sontuosa villa, quella mattina, Nathaniel stava nuotando all’interno di un’enorme piscina privata al chiuso, circondata interamente da pareti in vetro, attraverso il quale si poteva ammirare il giardino circostante e Rosewood, dall’alto della collina. Accanto al bordo piscina, una serie di lettini, dove sua zia Courtney era seduta di fianco ad un uomo, vestito tutto di bianco, sportivo, il capello rivolto al contrario, sulla trentina passata. Con in mano il timer, egli si alzò in piedi, fermando il tempo, mentre Nathaniel riemergeva.

“65 vasche in 14 minuti e 23 secondi. Chi diavolo sei, - urlò, sbalordito - amico?”

Courtney, battendo le mani come una ragazzina, prese l’accappatoio e corse ad avvolgere suo nipote, che sorrideva all’uomo, lusingato.

“Potevo fare meglio!”

“Oh, taci! – lo incalzò lei, trovandolo sciocco – Sei stato bravissimo!”

L’uomo si avvicinò, davvero impressionato.

“Davvero, hai talento!”

“Merito di questa favolosa piscina!” ne fece una panoramica con lo sguardo, mentre si strofinava con l’accappatoio addosso.

“Devi sapere che Pete è il coach di una squadra dell’Oklahoma city!” spiegò Courtney, il sorriso spigliato, mentre glielo raccontava.

“Oh mio Dio, - azzardò il ragazzo – gli Oklahoma Dolphine?”

Pete annuì.

“Abbiamo gareggiato contro di loro, due anni fa. Sono davvero bravi, ma non mi ricordo di lei come loro coach.”

“Sono il loro coach da un anno, gli ho davvero messi sotto!”

Courtney rise e anche Pete a sua volta, mentre Nathaniel si limitava a guardarli inebetito, dato che la loro era una risata molto rumorosa e infantile.

“Quindi… - cercò di infilarsi nuovamente nel discorso – Posso venire qui ogni volta che voglio?”

“Ma certo! – gli diede una forte pacca sulla spalla, quasi lo faceva cadere – L’importante è che porti anche la sua simpatica zietta Courtney! – rise ancora, assieme a lei – Le mie porte sono sempre aperte!”

“Bene! – Courtney sfumò la sua risata – Adesso andiamo, ci vediamo Sabato Pete. - gli fece un’occhiolino – Ok?”

Quello ricambiò l’occhiolino. I due si guardarono a lungo, silenziosi, sorridendo e mordendosi le labbra in maniera seducente. Nathaniel spostava lo sguardo tra i due, leggermente disgustato.

“Ehm… - tentò un colpo di tosse per interromperli – Zia Courtney?”

“Sì! – scattò – Eccomi! – gridò – Ciao Pete!” lo salutò con la manina, muovendosi come un robot per l’imbarazzo.

E si voltò, allontanandosi con il nipote.

“A Sabato!” gridò l’altro.

Usciti, giunsero all’auto. Nathaniel si era già cambiato.

Perplesso, aprì la portiera, entrando dentro: “Ma dove diavolo l’hai trovato questo?”

“Intendi Pete?”

“No, intendo Kermit la rana… - fu sarcastico – Sì, Pete!”

L’altra si stava mettendo la cintura: “Beh, su un sito di incontri…”

“Perché? – non capì – Non è nemmeno il tuo tipo. IO sono il tuo tipo!”

Courtney lo fissò, una smorfia disgustata: “Detta così è al quanto inquietante!”

“Beh, è la verità, Zia Courtney.Tu esci con tipi che somigliano a me e non con i tipi come Pete: con la risata da pappone, la pancetta e la collana da rapper!”

“Ok, hai ragione, non è il mio tipo. Il mio tipo è alto, con un bel fisico, moro… - lo indicò, arrendendosi - Beh, uno come te, sì, ma con dieci anni in più ovviamente…Ho semplicemente scoperto che possiede questa gigantesca villa e una piscina privata e…allora ho pensato che magari potevo sfruttare la cosa. Per te.”

“Cioè?”

“Non puoi utilizzare la piscina della scuola per due settimane per via della sospensione e ti lamenti sempre di quanto sia affollata la piscina pubblica. So quanto ci tieni ad allenarti e volevo solo dare una mano al mio nipote preferito. Tutto qui.”

“Oh! – esclamò, colpito – Grazie, ma…non c’è bisogno che ti sacrifichi.”

“Non mi sto sacrificando, Nathaniel. Non sono una prostituta!”

“Lo spero! – sorrise, scherzoso - Mamma non ne sarebbe tanto felice.”

“Sta zitto! – gli diede un colpo sulla spalla, lasciandosi scappare una risata– Tu pensa a cavalcare l’onda, non badare a me. E poi, Pete non è male. Mi fa ridere.”

“Sul serio? Stamattina ha fatto quella battuta sul gatto senza coda della sua vicina d’infanzia e ha riso per dieci minuti perché non aveva una coda. Non mi ha fatto ridere, pensavo che la battuta non fosse completa e invece era quella: il gatto senza coda!”

“Beh, a me ha fatto ridere; proprio perché non fa ridere. – sospirò – Ascolta, Nat…le mie relazioni con i tipi come te non sono andate molto bene. C’era chi faceva battute migliori di Pete, ma che era pessimo in altri campi. I tipi come te, molte volte deludono. Pete non sembra come loro, perciò…perché non dargli una chance?”

Nat si intenerì, sorridendo: “Allora d’accordo. Diamo a Pete e alla sua magnifica piscina una chance!”

E i due risero, per poi partire.

 

 

*

 

Rider aveva appena parcheggiato davanti alla scuola. Eric scese per primo, notando del fermento vicino all’entrata.

“C’è qualcuno che distribuisce spille e volantini, hai visto?”

“E’ la settimana delle elezioni, credo.” commentò Rider, chiudendo la macchina.

“Ok, ma se ci vede Ackett? Moltiplicherà i nostri giorni di sospensione per duecento.”

“Rilassati, - ribattè, mentre si avvicinavano -  Ackett è sempre nel suo ufficio. Probabilmente la sedia della sua scrivania avrà fatto il calco del suo sedere…”

“Allora… - Eric iniziò a riflettere sul da farsi – su chi mettiamo il chip per primo? E come, per di più?”

“Beh, con Lisa Nelson sarà facile. Una volta che le avrai rivolto la parola, puoi praticamente ordinarle di metterselo addosso!”

“Dai, non scherzare. – gli lanciò una lunga occhiata – Sul serio, come facciamo ad avvicinarci a queste persone?”

“Ci inventeremo qualcosa. – erano sulle gradinate – Non sarà poi così difficile!”

La ragazza che distribuiva spille e volantini, intanto, si era avvicinata ad un altro gruppo di studenti, rivolgendosi a loro con gran voce.

“Votate anche voi per Violet Rhimes, candidata a presidente del comitato scolastico… - allungò loro le spille – Un voto per Violet, un voto per l’unità!”

“Cosa?” sobbalzò Rider, scambiandosi una rapida occhiata con Eric, sconvolto. Si avvicinarono immediatamente alla ragazza.

“Violet Rhimes si è candidata a presidente del comitato scolastico? – domandò Eric – E contro chi concorre?”

Quella rise: “Mi stai prendendo in giro? – indicò Rider, diretta - Contro il tuo amico!”

“Eh? – reagì Rider, confuso – Ma di che diavolo stai parlando?”

“UAO, - sbigottì, sgranando gli occhi – siete davvero strani!” e si allontanò, continuando la pubblicità con gli altri studenti.

Eric si voltò verso l’amico, incredulo: “Ti sei candidato?”

“NO! – esclamò energicamente – Dev’essere uno scherzo, oppure… - riflettè, per poi posare nuovamente lo sguardo su quella ragazza e rincorrerla – Ehi, TU! – quella si voltò – Dammi un paio di quelle spille!”

La ragazza stranì, con lo sguardo: “Sei ubriaco, forse?”

“DAMMELE!” urlò.

“Okeey, - lo fissò spiazzata, mentre ne prendeva alcune dalla scatola che aveva in mano – Tieni, ma calmati un pò!”

Rider le prese con foga: “Grazie! – si voltò verso l’amico, continuando la salita dei gradini, a passo rapido – Mi è venuta un’idea!”

“Bene. Per fortuna. Pensavo fossi impazzito!”

Si fermarono nel corridoio davanti l’ingresso, Rider guardò a destra e sinistra, per poi tirare Eric per un braccio, portandolo all’interno di un’aula.

Dopo aver chiuso la porta, Eric lo fissò, intontito. Rider aprì il suo zaino sopra un banco, tirando fuori i chip, il tablet e poggiando anche le spille.

“Rider, - seguì i suoi movimenti - quella ha detto che sei ubriaco e inizio a pensarlo anch’io!”

L’altro ignorò le sue parole, allungando il braccio e aprendo il palmo della sua mano: “Sputa la gomma!”

“Eh?”

“Sputala, ho detto!”

“Rider, mi stai facendo paura!”

“Dovrebbe farti paura il fatto che A mi abbia candidato a questo scempio. Anzi, volevo dire “Violet”, che è A e che sicuramente mi ha inserito tra i candidati per umiliarmi ancora di più e avere una vittoria assicurata, dal momento che tutti ci odiano – lo fissò, isterico – Sputa la gomma, Eric!”

Quello eseguì, togliendosela dalla bocca e mettendola sulla sua mano. Rider si voltò nuovamente davanti al banco, intento a fare qualcosa.

“Ma com’è possibile che Violet sia riuscita a farti candidare? Insomma, non ci vuole il tuo consenso o, perlomeno, la tua presenza?”

“E’ A, Eric. Dopo essere quasi finito sotto ad un treno, non mi chiedo più come faccia a fare certe cose. Le fa è basta!”

“E tu che stai facendo?” domandò, osservandolo.

“Attacco i chip dietro le spille e una la restituirò al mittente con una specie di scenata!”

“Rider, fa attenzione. Se Violet è davvero A, lei e suo fratello sono molto pericolosi.”

Dopo aver attaccato tutti i chip, Rider mise le spille nelle mani dell’amico, dandogli delle istruzioni.

“Trova Lisa Nelson e fai in modo che si tenga la spilla. Poi vai negli spogliatoi della squadra di nuoto e metti la spilla nel borsone di Morgan. La combinazione del suo armadietto è 4354324, me l’ha detta Nathaniel. Io mi occuperò di Violet, poi ce la filiamo.”

“E Colton?”

“Basterà la sorella, tanto vanno sempre in giro insieme come quei vecchietti che vedi al parco sopra i tandem!”

“Ok, ma dove sarà lei adesso?”

Rider prese il tablet, collegandosi a Facebook.

“E’ in biblioteca. – lesse uno stato sulla pagina della scuola, una foto di Violet e un’altra ragazza – Si sta facendo aiutare da Brianna Santoni. Ha messo l’hashtag #WorkInProgressWithBrianna. Probabilmente si riferisce alla preparazione del discorso!”

“E tu ce l’hai un discorso?”

L’altro mise via il tablet, rispondendo con una sonora negazione: “NO!...Se pensa che mi presterò a questa buffonata, sta sognando ad occhi aperti!”

“Ok, sbrighiamoci. – controllò l’orologio – Ci vediamo tra venti minuti!”

E i due lasciarono l’aula, dividendosi.

 

*

 

Sam, ancora all’interno del capanno degli Stuart, era appena uscito dalla doccia, indossando l’accappatoio.

Il telefono squillò, nell’altra stanza. Si apprestò ad andare a rispondere.

“Pronto?” rispose.

“Ehi, Sam, dove sei? – era suo padre - Sono appena rientrato a casa e non ti ho trovato.”

“Ehm, sono da un amico.”


“Pensavi di evitare la ramanzina sulla sospensione?”

“No no…assolutamente no. E che… - mentì – non sei tornato ieri sera e non mi andava di stare da solo…Comunque come mai hai fatto così tardi?”

“Jasper Laughlin, l’assassino del tuo amico, è stato arrestato questa notte. Era al confine dello stato e, dal momento che Laughlin è residente a Rosewood, è sotto la nostra giurisdizione.”

“Sei andato a prenderlo tu?”

“Io e altri cinque agenti. L’abbiamo riportato a Rosewood, gli abbiamo fatto diverse domande e non ha risposto. Ha preteso un avvocato, ma per il momento è stato trasferito al penitenziario Chester’s Mill a Philadelphia. Ci sarà un processo.”

Sam aveva lo sguardo perso nel vuoto, turbato: “Mio Dio…”

“L’importante è che quel mostro non sia più in libertà. Possiamo tirare tutti un sospiro di sollievo.”

“Ehm, sì si, certo. Ascolta, io sarò fuori tutto il giorno, probabilmente resto a dormire dal mio amico anche stasera.”

“Cosa?” borbottò il padre.

“Devo andare!”

“Sam, no! Aspetta!”

Quello chiuse la chiamata, tremando, per aver fatto una cosa del genere. Riprese fiato e si rivestì.

Uscito dal capanno, Sam provò a fare una telefonata, continuando a guardarsi alle spalle, nel cortile, per paura di essere scoperto dal padre di Rider. Arrivato al cancello, si affacciò alla strada, richiudendolo.

Improvvisamente, mentre attendeva una risposta, le macchine parcheggiate lungo il vialetto riempirono l’aria con il loro suono d’allarme. Tutte. Contemporaneamente. Sam sobbalzò, colto di sorpresa, terrorizzato; tant’è che fece cadere il telefono a terra, osservando le auto.

Il minuto seguente, le auto smisero di suonare e Sam, ancora impietrito, si chinò a raccogliere il telefono. Arrivò un messaggio.

 

“Visto, Sam? Non serve un telefono per farmi sentire. Riferisci ai tuoi amici.”

-A

 

E dopo essersi guardato attorno a lungo, iniziò a correre via.

 

 

*

 

Rider irruppè nella biblioteca della scuola, guardandosi attorno, in cerca di Violet. Quando la trovò con lo sguardo, si diresse impacciato verso di lei, seduta ad un tavolo assieme a Brianna Santoni e numerosi fogli davanti.

“Ciao, Violet!” esordì, un sorrisino cinico.

La ragazza, assieme a Brianna, lo fissarono.

“Ehm, - lo fece a lungo, Violet - che cosa vuoi?”

Rider volse lo sguardo su Brianna: “Puoi lasciarci un attimo da soli, per favore?”

Quella si stava già alzando: “Vado a… - si rivolse all’amica – prendere qualcosa al distributore.”

L’altra annuì, per poi guardarla allontanarsi. Finalmente si girò verso di lui, con aria di sufficienza.

“Allora? Che vuoi?”

“Puoi smetterla con la messa in scena, Violet. So chi sei e cosa stai cercando di fare!”

“Non so a cosa tu ti riferisca.”

“Ah no? Quindi io mi sarei candidato di mia spontanea volontà?”

“Senti, - fece una smorfia, perplessa, mentre tornava a fare le sue cose – non ho tempo da perdere e dici cose senza senso!”

Rider si avvicinò con la faccia, mettendo le mani sul tavolo, furioso: “So che sei stata tu a candidarmi a queste elezioni. Non so come hai fatto, ma sei stata tu. Vuoi vincere, ma vuoi farlo in grande stile. Umiliandoci, ad esempio.”

“Umiliandovi? – rise – Vi siete umiliati da soli, io non ho fatto proprio nulla. L’unica cosa che sto facendo è creare un ambiente scolastico più sicuro e che sia in grado di tutelare gli studenti e, soprattutto, i più deboli.”

“Oh, sono commosso. – finse una tenera smorfia – Buffo come Violet Rhimes sia uscita tutta in una volta, ora che Anthony non c’è più. Prima eri solo un fantasma!”

“Pff, non sapevo nemmeno che suono avesse la tua voce, quando Anthony era vivo. Ora, però, sembri averla tirata fuori.”

“Già, Violet. – la fulminò con lo sguardo – E stai pur certa che mi farò sentire forte e chiaro. Sei solo un castello di carte, mia cara. Basterà cercare la carta meno rigida per farti crollare.

“Il castello di carte siete voi, non io. – puntò il dito contro di lui, minacciosa – Avete scelto di essere amici di Anthony e ora avete la vostra reputazione. – si lasciò scappare l’ennesima risata – Non so davvero con che coraggio hai deciso di candidarti, ma quando l’hai fatto, ho deciso di farlo anch’io, perché la scuola non finirà nelle vostre mani di nuovo.”

Rider scosse la testa, basito: “Te lo ripeto per l’ultima volta: io non mi sono candidato!”

“Devi avere qualche rotella fuori posto… - prese il suo telefono dalla borsa, agitandolo davanti a lui – Se non sei stato tu a candidarti, allora chi mi ha mandato questo messaggio vocale, appena dopo la vostra sospensione?”

E fece partire la registrazione.

“Ti sei messa contro le persone sbagliate, Violet, parlandoci in quel modo, davanti a tutti gli studenti. Ho appena fatto  sapere ad Ackett che mi candiderò per le prossime elezioni del comitato studentesco. Hai sporcato la nostra immagine, ma noi recupereremo e tu sarai di nuovo un grido nel vento. Non riuscirai a mettere la scuola contro di noi. Tornerà tutto come prima.”

La voce della registrazione era quella di Rider e lui stesso rimase impietrito nell’ascoltarsi, perché non era lui a parlare.

“Se mi sono candidata è perché non ho paura delle tue minacce. Non ho mai avuto paura di voi quattro. E non lascerò la scuola in mano a voi quattro. Ti consiglio di preparare un buon discorso, perché ho praticamente vinto.”

“Come hai fatto?” le domandò, riprendendosi dallo shock.

“Fatto cosa?”

Ora fu Rider a farsi sfuggire una risata, tanto non avrebbe ammesso nulla: “Niente, Violet. Sono solo venuto a dirti che la vittoria è tua e che non farò alcun discorso. Hai ragione, hai vinto. – prese la spilla che aveva in tasca e la attaccò alla giacca di Violet – Ecco, ora sei perfetta. Spero vivamente di vederti alla Casa bianca, un giorno.”

Quella era sempre più confusa: “Tu non sei normale, lo sai?”

“La normalità è sopravvalutata, Violet. Goditi la vittoria!” e si congedò con un finto sorriso.

Intanto, Eric, era appena uscito dagli spogliatoi della squadra di nuoto, dove aveva messo il chip nel borsone di Morgan Patterson.

Lungo il corridoio, vide in lontananza una ragazza che beveva dalla fontanella. Man mano che si avvicinava, gli sembrò di riconoscerla e la cosa lo scioccò a tal punto da pronunciare il suo nome, quando fu proprio a due passi da lei.

“Lisa?”

Quella si voltò verso di lui. Era proprio lei, era diversa: più bella, con abiti nuovi,e, soprattutto, senza le trecce.

“Oh, ciao. – lo salutò, seria – Strano che tu sia qui, non eri stato sospeso?”

“Ehm, sì. – era ancora disorientato dal suo aspetto – Sono solo tornato perché-perché Rider ha bisogno di una cosa, di un libro che ha lasciato qui. L’ho accompagnato e…Dove sono le tue trecce? – cambiò immediatamente discorso - Insomma, sei-sei… - cercò di trovare le parole – sei… ”

“Diversa?” suggerì lei.

Eric ne era incantato: “In realtà stavo per dire…bellissima!”

L’altra sorrise, mentre poco lontani da loro, due ragazzi, vicino agli armadietti, stavano avendo una discussione.

Lisa si voltò a guardarli per un attimo ed Eric approfittò del suo momento di distrazione per gettare la spilla, con attaccato il chip, dentro la sua borsa, poggiata a terra, accanto alla fontanella.

“Ehm, grazie del complimento – si girò nuovamente, raccogliendo la borsa – Ora, però, devo andare a lezione, sta per suonare la campanella.”

“Oh, certo… - annuì - Allora ciao!”

“Ciao!” ricambiò, voltandosi rapidamente, i capelli che ondeggiavano, lucenti e perfetti.

Alle sue spalle, arrivò Rider, frettoloso.

“Non ci crederai mai!”

“Ehi, hai visto Lisa Nelson? – Eric non gli diede retta, indicandogli la ragazza – E’ praticamente nuova di zecca!”

Rider non ne era meravigliato, mentre la scrutava distrattamente: “Beh, sì, preparati, perché al nostro ritorno a scuola ci saranno parecchi studenti 2.0! Violet non ha praticamente rivali e anche se tentassi di competere, non saprei nemmeno cosa scrivere per il discorso, la gente mi odia.”

“Cos’altro deve succedere ancora? – non se ne capacitò – Il nostro mondo si sta davvero capovolgendo!”

L’amico, però, aveva ancora una sorpresa per lui: “E questo è niente, reggiti forte! – si guardò in giro, parlando sotto voce – Quando ho chiesto a Violet se c’entrasse qualcosa con la mia candidatura, mi ha guardato come se fossi matto e mi ha fatto ascoltare una registrazione in cui la minaccio.”

“La minacci? – sussultò - Perché l’hai minacciata?”


“Non sono stato io, è stata la mia voce!”

Quello scosse la testa, intontito: “Ehm, ok, adesso non ti seguo…”

“Ho fatto sapere a Violet che mi sono candidato e di conseguenza si è candidata anche lei! – sospirò, scocciato - La mia voce deve aver parlato anche con Ackett!”

“Rider, - lo prese per le spalle, sempre più confuso – di che cavolo stai parlando?”

“Violet ha copiato la mia voce al computer e la sta usando per cose malvagie, ok? Ti è più chiaro ora?”

“Era proprio la tua voce? Identica?”

“Sì ed è stato inquietante; come quando parli da solo allo specchio e la tua voce rimbomba in tutta la stanza.”

“Ma come… - era sbigottito – come fa a fare queste cose?”

“Dev’essere un androide, non c’è altra spiegazione!”

“Comunque ho messo il chip nella borsa di Lisa e l’altro nel borsone di Patterson.”

“E io ho messo il chip a Violet!”

“Bene. Ora non ci resta che aspettare che uno di loro ci porti al covo, così potremo recuperare i nostri video e finire questa cosa una volta per tutte.”

Rider si guardò ancora una volta intorno, teso: “Meglio filare via da qui, prima che qualcuno mi riconosca ed inizi a gettarmi pomodori addosso.”

“Si, andiamo.”

 

*

 

Sam era seduto sulle gradinate del portico della casa di Nathaniel, che lo aspettava da quasi un’ora. Improvvisamente, sentì un rumore di portiere che si chiudevano e delle voci, così si alzò, sperando fosse lui, le mani nelle tasche del giaccione.

Erano lui e sua zia, che ridacchiavano e avanzavano con degli acquisti.

“E’ possibile che quella commessa mi abbia detto che quel vestito mi stava male perché se lo voleva accaparrare lei con lo sconto dipendenti?”

“Probabile, perché quando lo ha rimesso a posto, l’ha tipo accarezzato.”

“E’ sempre bello fare shopping con mio nipote. – gli sorrise per poi ripensare a quella commessa con cinismo nello sguado - La prossima volta assisterai al licenziamento di quella brutta Cài cân dùng cho vàng và bąc!”

“EH?” non capì.

“Significa Troia in Vietnamita!”

Quello rise assieme a lei, fermandosi dal camminare e sorridere non appena poggiò lo sguardo sull’amico.

“Sam!”

“Ehi!” ricambiò, mentre Courtney spostava lo sguardo tra i due.

“Oh, un amichetto di Nathaniel un pò secco!”

“Zia Courtney!” la richiamò.

“Scusami, - rise lei, rivolgendosi a Sam, gesticolando con le buste che ciondolavano dai polsi – e che sono abituata ai ragazzi palestrati amici di Nathaniel! Credo di avere una sorta di memoria addominografica o qualcosa del genere.”

Quello le lanciò un’occhiataccia, mentre Sam sorrideva, imbarazzato.

“Oookay, vado dentro a provarmi le cose che ho comprato e che mi renderanno più giovane di due anni. – scappò via, passando di fianco a Sam – Piacere di averti conosciuto!”

“Anche a me!”

Poi Nathaniel si avvicinò a lui.

“Tutto bene? Che ci fai qui?”

“Amici palestrati?” ignorò la domanda.

“Si riferisce ai miei amici della squadra; magicamente scomparsi dopo l’uscita del nostro video scandalo!”

“Beh, - gli sorrise – hai sempre me, Rider ed Eric, no?”

“Già… - ricambiò il sorriso – E comunque le tue labbra sembrano migliorate.”

“Ehm, - se le toccò – insomma, sono ancora ruvide e spaccate. Ci vorranno dei giorni affinchè tornino come prima, se mai torneranno come prima.”

“Comunque non hai risposto alla mia domanda: che ci fai qui?”

“Jasper è stato arrestato ieri sera. Aveva molti contanti con sé e anche un auto noleggiata.”

“Mio Dio…”

“Già, sembra che A l’abbia incastrato per bene e io sono preoccupato per noi quattro. Che accadrà quando si sarà stancato di giocare con noi? Molto probabilmente proverà ad incastrarci come ha fatto con Jasper.”

“Ascolta, Sam, ci stiamo già lavorando. Rider e ed Eric ti hanno messo al corrente del piano, no?”

“Sì, ma siamo sicuri che A non ne sappia nulla? Insomma, pensavate di essere andati a Brokehaven di nascosto e invece A lo sapeva.”

Il dubbio si insinuò in Nathaniel: “Beh, non saprei, ci siamo liberati dei telefoni, perciò…”

“Perciò nulla, Nat. Non puoi saperlo. Potrebbe esserci un microfono persino nella cassetta della posta, stiamo solo facendo arrabbiare A.”

“E cosa dovremmo fare? – alzò la voce - Arrenderci?...Ora più che mai dobbiamo ricorrere a qualunque mezzo per fermare questo mostro. Dopo quello che ti ha fatto, lo avrei ucciso con le mie stesse mani se fosse stato davanti a me. E’ un codardo, chiunque sia.”

Sam deglutì, le sue parole lo emozionarono, anche se cercò di non darlo a vedere: “Ehm, sì, è senz’altro un codardo…”

“Quindi sei venuto qui solo per dirmi di Jasper?”

“In verità, no. Ho parlato con mio padre questa mattina e mi ha detto che è stato trasferito al penitenziario di Chester’s mill, a Philadelphia. Ci sarà un processo, ma resterà rinchiuso lì…Dubito che qualcuno pagherà la sua cauzione, non ha nessuno che possa aiutarlo.”

“Ok, ma… - sentì che c’era qualcos’altro – Perché ti sei informato su dove si trova?”

“Voglio andare a parlare con lui!”

“COSA?” lo trovò assurdo.

“Pensaci: Jasper non ha un soldo ed è stato ritrovato a scappare con una mazzetta di contanti e una macchina. E se A fosse venuto a contatto con lui? Insomma, come poteva, Jasper, da solo, sapere che c’era un mandato d’arresto per lui? E’ stato avvertito e aiutato a fuggire con l’inganno.”

“Quindi credi che Jasper conosca il viso di A?”

“Forse. Vale la pena seguire questa pista, perché francamente credo che con la storia dei chip faremo…”

Nathaniel gli tappò la bocca di getto, ritirando subito le mani, mortificato.

“Oh, scusa, non volevo… - temeva che fossero ascoltati - E’ che stai parlando del nostro piano e…”

“No no, rilassati. Ho nascosto il mio telefono in un posto, prima di venire qui.”

“Ah, ok… - tirò un sospiro di sollievo – Dicevi?”

“Dicevo che non ho molta fiducia in questo piano. Da quando A mi ha toccato…ho come la sensazione di riuscire a percepire quando siamo sulla strada sbagliata.”

“Pensi che Violet e Colton non siano A?”

“Francamente? Non tanto.”

“Senti, va bene. – lo appoggiò – Probabilmente A ci sta precedendo come al solito, ma non può stare dietro a due gruppi. Andiamo a Philadelphia, mentre è impegnato a tenere d’occhio Eric e Rider.”

Nathaniel iniziò a muoversi, diretto verso l’auto. Sam era ancora fermo.

“Ehi, Nathaniel!”

“Che fai? – si voltò – Non vieni?”

“Grazie…. – gli sorrise – Sei l’unico che riesce a capirmi davvero.”

“Muoviti, - rise, scherzandoci sopra – prima che sembri una cosa gay!”

Anche Sam rise. Meno, quando Nathaniel si voltò. Lo amava, ma lui non lo sospettava minimamente.

Entrambi salirono in auto, diretti a Philadelphia.

 

*

 

Eric e Rider, nel frattempo, erano appena entrati al Brew. Alexis li salutò come sempre.

“Ciao, ragazzi!”

“Ehm, - Eric prese le chiavi del suo appartamente dalla tasca e le diede all’amico, fissando Alexis – inizia a dare un’occhiata a quella cosa, io ti raggiungo subito.”

Rider spostò lo sguardo fra i due: “Ook!” e se ne andò.

Alexis percepì qualcosa di strano.

“Devi dirmi qualcosa per caso? – sorrise – Avevo piacere a scambiare due chiacchiere anche con Rider, dato che mi avevate promesso un libro.”

“In verità, sì. – divenne serio – Come mai non hai risposto ai miei messaggi?”

“Mi hai mandato dei messaggi? – se ne sorprese, ammiccando - E che mi hai scritto di bello?”

“Davvero non gli hai ricevuti?”

“Evidentemente hai stalkerato la ragazza sbagliata, perché non ho ricevuto nulla… - riflettè, poi – Aspetta, e poi come avresti trovato il mio numero?”

“L’ho trovato su facebook, a dire il vero.”

L’altra rise: “Fingerò che questa cosa dell’avermi cercata su Facebook sia una cosa normale e non da Psyco. E comunque, quello è il mio vecchio numero. L’ho cambiato.”

“Ah, ok. – rise, sentendosi stupido – Pensavo non volessi rispondermi e ci ero rimasto male.”

“Ah, sì? – si appoggiò al bancone, curiosa – E cosa c’era scritto su questi messaggi?”

“Vuoi uscire con me?” fu diretto.

“Oh! – esclamò, sorpresa, buttandosi indietro – Davvero?”

“Sì, davvero. Perché non dovrebbe essere per davvero?”

“Perché alla gente piace più scherzare che fare sul serio.”

“Beh, io non sono la gente. – sussurrò, poi - Io faccio sul serio!”

Quella sorrise, felice: “Bene! Alla grande! Finisco per le 21.30, ci sarai?”

“Hai intenzione di uscire con me con il grembiule addosso? – rise - Non torni a cambiarti a casa come fanno tutte le ragazze del mondo?”

“Beh, io non sono tutte le ragazze... – ribattè, un lungo sguardo – Cenerentola non era sicura di sè stessa ed è per questo che si è fatta bella per andare al ballo. Quello che non sapeva, però, era che il suo principe l’avrebbe notata anche con degli stracci addosso.”

“Farsi belli non è insicurezza. E’ svegliarsi la mattina e dire: Oggi mi faccio bello perché mi fa stare bene.”

Alexis lo fissò a lungo prima di replicare, secca: “Appunto, è insicurezza quella! Io non ho paura di uscire con un grembiule sotto al cappotto. So che il mio principe mi riconoscerà ugualmente. Che riconoscerà la vera me: Questo mi fa stare bene!”

Eric sorrise ancora, continuamente sorpreso dalla sua personalità: “Beh, il tuo principe ti ha notata!”

“Ah, sì? – giocò, fingendo di cercarlo - E dov’è?”

I due risero, finchè non si presentò qualcuno al bancone. Un ragazzo.

“Scusa, puoi passarmi dei tovaglioli, per favore? Ho rovesciato la tazza accanto al mio portatile!”

Si trattava di Clarke Dimitri. Eric lo fissò, indietreggiando di un passo, sorpreso di vederlo.

“Ehm… - Alexis guardò ovunque – Vado a prenderli dietro, pare che qui non ce ne siano più. Torno subito!” e corse via.

Rider, intanto, era sceso, fermandosi di colpo, appoggiandosi allo scorrimano delle scale, quando notò Clarke vicino ad Eric. Quello, aspettando i suoi tovaglioli, si voltò finalmente verso Eric, scrutandolo per qualche secondo prima di parlare.

“Nathaniel Blake, giusto?”

“Come, scusa?” tentennò, Eric.

“Dico, sei amico di Nathaniel? L’ho conosciuto al ristorante di suo padre e ti ho visto con lui ai funerali di mio fratello, in chiesa. Eri amico di Anthony anche tu?”

“Ehm, - annuì – sì, lo ero.”

Clarke annuì, un sorriso gentile. Eric, in quel momento di stacco, si girò verso le scale, incontrando lo sguardo di Rider. A quel punto, Eric costrinse l’amico a voltarsi verso uno dei tavoli, in fondo a Brew, dove erano poggiate le cose di Clarke. Rider capì cosa dovette fare.

Per distrarlo dall’amico, Eric riprendette il discorso.

“Ti fermi ancora per molto a Rosewood?”

“Ehm, io no, ho un volo tra un’ora, ma mia madre sì. Tornerò in vista del processo a Laughlin, che è stato arrestato ieri.”


“Sì, - annuì, cercando trattenerlo con lo sguardo - ho sentito al notiziario.”

Rider, intanto, si era avvicinato al tavolo e buttando una rapida occhiata verso il bancone, mise uno dei chip dentro la borsa del ragazzo, poggiata sulla sedia. Subito, poi, si allontanò.

Alexis tornò con i tovaglioli, interrompendo la conversazione.

“Ecco, tieni!” glieli passò, gentile.

“Grazie! – esclamò, voltandosi verso Eric – E’ stato un piacere. Ciao.”

“Anche per me!” ribattè, mentre quello tornava a sedere.

“Ma conosci tutti quelli che entrano qui dentro? – lo incalzò Alexis - Prima quella Lisa, ora questo ragazzo.”

“Rosewood è più piccola di quanto pensi! – rise, cercando di non attirare altre domande – Ora è meglio che vada da Rider. – si girò a guardarlo, sulle scale, mentre quella seguiva il suo sguardo – Come vedi, è tornato giù. Non è molto paziente!”

“Ok! – sorrise - Allora a stasera!”

Lui le fece un’occhiolino: “A stasera!” e si allontanò dal bancone.

Raggiunte le scale, salì con Rider al piano di sopra.

“Fortuna che sei sceso!”

“Ho dovuto! – marcò con gran voce – La chiave si è spezzata nella serratura!”

“Cosa? – si indignò – Rider!”

“Che c’è? – si sentì attaccato ingiustamente - E’ una serratura strana! E poi guarda il lato positivo, non sarei mai sceso per mettere il chip anche a Clarke; che dai racconti di Nathaniel sembra sapere qualcosa su Rosewood-riservato.”

L’altro lo guardava ancora male, raggiunto il pianerottolo. Si chinò davanti alla serratura, scocciato.

“Rider, l’hai spezzata davvero!”

Quello, nel frattempo, aveva tirato fuori il tablet, che stava osservando.

“Pensavi che scherzassi? – replicò, disinteressato – Comunque Violet si è spostata di soli due metri…”

Eric lo fulminò con lo sguardo, nuovamente.

“Che c’è? – borbottò Rider – Non è colpa mia se i nostri topi non si muovono di molto!”

Arrabbiato, Eric tornò sui gradini: “Mia madre ha lasciato un doppione delle chiavi, giù al Brew. Vado a prenderle e poi cerco di togliere il pezzo incastrato nella serratura.”

“Ok, io guardo i topi!” esclamò, mentre l’amico scendeva.

 

*

 

Qualche ora dopo, a Philadelphia, Nathaniel e Sam, vennero perquisiti, prima di accedere alla stanza più grande del penitenziario, quella delle visite ai carcerati.

“Pensavano di trovare un tesoro nelle mie mutande? – si lamentò Nathaniel, mentre camminavano - Mi hanno palpato il pacco quattro volte!”

“E’ un carcere di massima sicurezza, Nat. Ti aspettavi una stretta di mano, forse?”

“No, ma… - lasciò perdere – Chi se ne frega, troviamo Jasper!”

“C’è parecchia gente… – cercò di scrutare tra i tavoli sparsi – E’ enorme questo posto, sembra di essere al centro commerciale, ma senza negozi e scale mobili.”

“Oh mio Dio! – esclamò Nathaniel, con lo sguardo fissò in un punto, fermandosi – Credo di averlo visto.”

Sam seguì il suo sguardo.

“Cavoli, è lui. – sbiancò, teso – Oh mio dio, che facciamo? Ho tanta voglia di tornare indietro  adesso.”

Nathaniel prese l’iniziativa e avanzò, sotto gli occhi sorpresi dell’amico, rimasto fermo a titubare.

“Ehi, aspettami!” lo rincorse.

Quando furono più vicini al tavolo, Jasper si accorse della loro presenza. Solo quando si sedettero, quello

comprese che erano lì per lui. E sbigottì per questo.

“E’ una specie di scherzo? E’ lei che vi manda?”

Nathaniel e Sam si guardarono tra loro, confusi, prima di aprire bocca.

“Lei chi?” fu Nathaniel a domandarlo.

“Amanda! Amanda Dimitri! So chi siete voi due…Siete amici di Anthony, vi ho già visti prima d’ora.”

“Non ci manda lei, - spiegò Sam - non la conosciamo nemmeno!”

“E allora che ci fate qui? – urlò, ma nei limiti – Eh? Volete ottenere una prova per incastrarmi?”

“Ma tu sei stato GIA’ incastrato! – ribattè Sam, lasciandolo irrigidito – Non siamo qui per ottenere una prova, credimi.”

“Di-di che cosa state parlando? – balbettò, intontito – Il mio avvocato ha detto che non devo dire una parola. Stanno verificando il mio alibi.”

“Hai un alibi?” constatò Nathaniel, sorpreso.

“Certo che ce l’ho, ma non è abbastanza solido.”

“Jasper, ascoltami attentamente. – Sam lo chiamò alla sua attenzione – Qualcuno ti ha incastrato, ma non è la Signora Dimitri, ok? Adesso devi dirci perché sei scappato e perché avevi con te tutti quei soldi e un’auto noleggiata. Come facevi a sapere del mandato d’arresto su di te?”

Quello deglutì, restio. Non riusciva a fidarsi.

“Jasper, puoi parlare con noi. Sappiamo tutto di Kevin Dimitri e della vostra relazione... – continuò Nathaniel – Inoltre…”

Si guardò con Sam, che continuò la staffetta.

“Sappiamo che sei innocente!”

Jasper sgranò gli occhi, spostando lo sguardo fra i due, fortemente provato in viso per ciò che stava passando.

“Certo che lo sono, io non avrei mai potuto uccidere Kevin e suo figlio.”

“Lo sappiamo! – esclamò Nathaniel – Perché è stato Anthony ad uccidere suo padre.”

Sam si voltò verso Nathaniel, il volto pietrificato; non si aspettava che avrebbe svelato un segreto così importante e pericoloso al tempo stesso. Non si erano organizzati per dire questo.

“I-io non capisco… - scosse la testa, Jasper, più confuso di prima – Anthony è morto! L’hanno trovato accanto a Kevin!”

“Quello non era Anthony,  – continuò Nathaniel – ma un ragazzo che Anthony ha ucciso e che ha fatto spacciare per lui, in modo da poter fuggire e non essere beccato dalla polizia.”

“Anthony è vivo?” sussultò.

Sam prese finalmente parola, meno teso, ora che, ormai, erano entrati nel vivo del discorso: “No, è stato assassinato anche lui.”

“Come fate a sapere tutte queste cose? – si agitò, Jasper - Perché le state dicendo a me e non alla polizia?”

“Perché la persona che ha ucciso Anthony  - rispose Nathaniel  - è la stessa che ti ha incastrato e che sta tormentando noi.”

“Per quale motivo?” domandò Jasper, sempre più sconvolto.

“Per vendetta!” replicò Sam.

“Per cosa?”

“Per il ragazzo che Anthony ha ucciso!” ribattè ancora.

“Si, ma cosa c’entrate voi? Cosa c’entro IO?”

“Eravamo con Anthony quella sera. – spiegò Sam – Questa persona ci accusa di essere suoi complici, anche se non abbiamo fatto nulla. Tuttavia, non vuole denunciarci, ma solo rendere le nostre vite un inferno…Il ragazzo che Anthony ha ucciso, veniva nella nostra stessa scuola e questa persona sembra che tenesse molto a lui. A tal punto da fare tutto questo.”

“Quindi ha mandato me in galera per fermare le indagini della polizia e farsi giustizia privata?”

Il loro silenzio fu un ammissione.

Jasper si rilassò un secondo sulla sedia, tirandosi indietro con la schiena, lo sguardo perso, mentre metabolizzava la cosa.

“Io ancora non capisco perché lo state dicendo a me e non alla polizia…Insomma, se siete innocenti, perché non vi rivolgete a loro? Capiranno la vostra posizione, siete solo degli adolescenti.”

“Perché ci minaccia, Jasper. Tu ancora non ti rendi conto di chi stiamo parlando. Questa persona proverebbe ad incastrare anche noi se solo ci provassimo, ci ha già avvertiti. – aggiunse Nathaniel – E non parlo di veri crimini, ma di cose inventate, che riesce a rendere vere. Per questo sei qui. Per questo devi aiutarci a capire chi sia.”

“Sapete che quello che mi avete appena detto, potrei dirlo al mio avvocato, vero? Per salvarmi, intendo.”

“Non ti salverai, Jasper. – ribattè Sam, secco – Vedi le mie labbra? E’ stato lui a farmi questo, dopo avermi drogato. – gli occhi divennero lucidi – Quando mi sono risvegliato, la mia bocca era completamente serrata da una striscia di colla a fissaggio rapido che ho dovuto staccare fino a sanguinare, inginocchiato sul pavimento del mio bagno…Lui, ormai, ha il totale controllo della mia vita e io devo fare tutto ciò che desidera finchè non trovo i mezzi per fermarlo. Tu sei solo un capro espiatorio, uno dei tanti pezzi del puzzle. Se tu fai parola con qualcuno, di quello che ti abbiamo appena detto, lui farà in modo che non ci siano prove e che nessuno ti creda. Poi si vendicherà di te nel peggiore dei modi; peggio di quello che già ti sta facendo! E quando avrà finito con te, passerà a noi.”

A può fare cose che vanno ben oltre il normale. – raccontò Nathaniel - Non puoi nemmeno immaginare.”

A?” Jasper si portò in avanti con la schiena.

“E’ così che si firma nei messaggi che ci manda.” spiegò Sam.

“Io-io…E’ stato qualcuno di nome A a darmi i soldi.”

“Di persona? – quasi urlò, Nathaniel, guardandosi con Sam, in attesa di una risposta rapida – Dove?”

“No no, non di persona. Li ho trovati nella cassetta della posta, assieme ad una pen drive. Conteneva la deposizione di Amanda, che parlava di me alla polizia e di come fosse sicura che ero stato io. Dentro alla busta c’era anche un biglietto firmato da questa A. Mi suggerito di scappare.”

“Ma non hai detto che avevi un alibi? Perché hai seguito il suo consiglio?”

“Perché, come ho già detto, il mio alibi non è abbastanza forte e le accuse contro di me erano praticamente schiaccianti in modo assurdo...Vivo da solo e non ho molti amici. La notte dell’omicidio, stavo andando in un locale, il Ginseng. Volevo solo distrarmi un pò… – aveva le lacrime agli occhi – Solo che…Amavo davvero Kevin, e per me è stato difficile dovermi staccare da lui. Non mi ha voluto più vedere, dopo aver scoperto che era positivo all’HIV. La paura e il pensiero di poter contagiare un altro uomo e distruggere un'altra vita, mi ha costretto a tornare a casa. Se solo fossi entrato in quel locale, qualcuno avrebbe potuto dire di avermi visto quella notte. – pianse, lo sguardo basso – Se solo fossi entrato…”

“Hai detto stanno verificando il tuo alibi… - ricordò Nathaniel – Se sei tornato a casa, cosa stanno verificando di preciso?”

“Un uomo, dalle parti di quel locale, mi ha chiesto se avevo da accendere, ma io non fumo, quindi gli ho risposto di no. Aveva un cappotto lungo e nero e una sciarpa rossa. Biondo e con gli occhiali. E’ l’unico che mi ha visto quella sera, ma aveva un marcato accento Francese… Dubito che lo troveranno.”

Sam era commosso, provò molta pena per lui: “Mi dispiace…”

“Jasper, ascolta. – lo chiamò Nathaniel – Stiamo cercando di fare il possibile per scoprire chi sia questa persona, ma tu devi prometterci che non farai cazzate. Che non farai parola con nessuno di quello che ti abbiamo detto oggi. Noi siamo la tua unica ancora di salvezza e se mandi tutto al diavolo, resterai qui a vita. A ha bisogno che tu resti qui in prigione per avere campo libero con noi e farà in modo che le cose restino così, perciò non tentare nulla e lascia che ce ne occupiamo noi.”

“Devi resistere, Jasper. – Sam allungò la mano sul tavolo, stringendo quella dell’uomo – Ti faremo uscire da qui, ma devi darci tempo. Noi sappiamo la verità, ok? Sappiamo che sei innocente e questo deve bastarti.”

“D-d’accordo…” annuì, esausto, quasi in procinto di piangere nuovamente.

“Hai qualcos’altro da dirci? – Nathaniel non voleva andarsene a mani vuote - Qualcosa che potrebbe aiutarci? Ogni dettaglio potrebbe essere utile.”

“No, niente. Mi dispiace... – una lacrima solcò il suo viso, la voce rotta – Non riesco credere che un figlio possa uccidere il proprio padre. Io lo amavo davvero…”

“E noi non possiamo credere di essere stati gli amici di un tale mostro…” commentò Nathaniel.

Dopo un breve sguardo tra i tre, Sam e Nathaniel si alzarono.

“Torneremo a trovarti. – aggiunse Sam – E ti aggiorneremo. Resisti!”

Entrambi si voltarono, allontanandosi.

“Ragazzi!” li fermò, Jasper.

“Si?” si girò Sam per primo.

“Siete solo degli adolescenti. Come pretendete di farcela?”

“Ce la faremo!” esclamò Nathaniel, un tono determinato.

Jasper non aggiunse altro, lo sguardo fiducioso. I due se ne andarono, mentre Jasper veniva riportato in cella.

 

*

 

Raggiunto il parcheggio del penitenziario, Sam era arrivato per primo alla macchina, fermandosi davanti alla portiera a testa bassa. Alle sue spalle arrivò Nathaniel.

“Ascolta, Sam, forse è meglio che… - vide il suo volto riflesso sul vetro della macchina: stava piangendo – Ehi, - lo voltò – tutto bene?”

“Jasper ha ragione! – urlò, tra le lacrime – Come pretendiamo di farcela contro A? Mi è bastato vedere quell’uomo, rinchiuso dentro quel posto, distrutto, per rendermi conto del potere che detetiene quel bastardo.”

“Sam, ascolta…” Nathaniel cercò di incoraggiarlo, ma quello non glielo permise.

“NO, Nat! Non abbiamo la minima idea di chi sia, mentre Rider ed Eric perdono tempo a correre dietro a persone che chiaramente non possono essere A.”

“Non puoi saperlo.”

“Sì, che lo so! Pensi davvero che Violet sia capace di fare tutto questo? Jasper ha ricevuto la deposizione di Amanda Dimitri in una pen drive, Nathaniel. Sai cosa significa questo? Che A ha hackerato il sistema della polizia per ottenere quella deposizione e una diciassettene non è in grado di fare questo.”

“Quindi pensi che si tratti di una persona più grande? – cercò di ipotizzare, poi – Con una laurea, magari?”

“E’ una persona più grande, che ha parecchia esperienza in queste cose. Forse più di una, non lo so.”

“E’ che legame avrebbe con Albert?”

“E’ quello che dobbiamo capire, prima che A si stanchi di giocare con noi e ci metta dietro le sbarre.”

I due si guardarono. A lungo.

“Nathaniel, io… - i suoi occhi divennero lucidi, di nuovo – C’è una cosa che non ti ho detto.”

“Per caso c’entra con il fatto che stamattina volevo venire a vedere come stavi e Rider si è inventato mille scuse per tenermi lontano?”

Sam restò a guardarlo a lungo, combattuto dai suoi sentimenti. Improvvisamente, vinto da questi, lo abbracciò, le braccia intorno al suo collo e il cuore in gola per la timidezza di quel gesto. Nathaniel sgranò gli occhi, colto di sopresa, le braccia giù, mentre quello parlava.

A ha giocato con uno dei miei segreti più importanti, un segreto che conosceva anche Anthony. Confessa che sei innamorato di lui o ti perseguiterò tutto il giorno, mi scriveva. – pianse, mentre l’altro lo ascoltava, silenzioso, gli occhi spalancati, in pena – Avevo così tanta paura a dirtelo, che mi sono rinchiuso in casa, sperando che smettesse di tormentarmi. Ma non è stato così.”

Nathaniel, inaspettatamente, alzò le braccia, ricambiando quell’abbraccio, meno rigido.

“Dovevi dirmelo, Sam. I segreti alimentano la crudeltà di A.”

“Non sapevo come avresti reagito e non riesco nemmeno a staccarmi da te perché ho paura di guardarti negli occhi, ora che te l’ho detto.”

“Sapere che provi qualcosa per me, mi ha tolto un forte dubbio che mi logorava.”

Sam si staccò, fissandolo, perplesso.

“Quale dubbio?”

“Alla casa sul lago, mi avevi detto di avere una cotta per Anthony. Da quel momento ho pensato che potessi essere tu il suo complice, in quell’altro crimine di cui parla A. Pensavo che magari avessi fatto qualcosa con lui per compiacerlo, perché ne eri innamorato.”

“Beh, ho mentito. L’unico di cui sono innamorato sei tu.”

Il silenzio si fece di nuovo vivo, mentre si guardavano, le pupille che si muovevano rapide. Nathaniel sorrise, ad un certo punto.

“Ma guarda…Avevi paura a guardarmi negli occhi e ora, inconsapevolmente, lo stai facendo.”

Imbarazzato, Sam lo guardò meno intensamente, buttando lo sguardo giù. Nathaniel gli sollevò la testa, prendendolo dal mento.

“Sam, so che non pretendi che io contraccambi i tuoi sentimenti, ma come qualunque innamorato, speri che io lo faccia e…”

Quello lo fermò subito: “Appunto, Nathaniel, non pretendo che tu… - Nathaniel gli prese il volto dalla guancia destra, accarezzandolo dolcemente, fissando la sua bocca, come se non lo stesse ascoltando, avvicinandosi lentamente, – C-che stai facendo?”

“Shh… - sussurrò - Provo una cosa…”

“Non sei costretto…”  replicò, mentre le loro bocche erano quasi vicine e ognuno poteva sentire il respiro dell’altro, il cuore a mille di Sam.

“Mi hai salvato la vita… Devo provare…” e lo baciò.

Accadde tutto in un ritmo molto lento, ad occhi chiusi. Sembrava quasi che stessero assaggiando qualcosa di nuovo, cercando di assaporarne il gusto. Qualche secondo dopo, Nathaniel si ritirò, mentre Sam apriva gli occhi, incredulo; la persona che amava, l’aveva baciato.

“Allora?” trovò le parole, quest’ultimo, per domandargli cosa avesse provato.

La risposta tardò, da parte di Nathaniel, che ci stava ancora riflettendo: “E’ un bacio… Non è tanto diverso da tutti quelli che ho già dato nella mia vita, però…”

“Però cosa? Che vuol dire?”

“Non lo so, ma mi sento strano. – era a disagio, guardava da altre parti, non reggendo più quelli sguardi - Cioè, non è colpa tua.”

Sam rimase deluso dalla sua reazione, ma cercò di non darlo a vedere: “Ascolta, tranquillo. E’ solo una cotta, me la farò passare. E come ti ho detto, non ho alcune pretese.”

“Mi dispiace, Sam.”

“Non dispiacerti. – finse un sorriso – Hai provato e hai capito che non fa per te.”

“Forse è meglio che ci avviamo…” prese le chiavi dell’auto, un altro sguardo fra i due.

“Sì, andiamo.” finse un altro sorriso, che scomparve, non appena Nathaniel smise di guardarlo per entrare in auto.

 

*

 

Riusciti ad entrare nell’appartamento, Eric e Rider erano seduti in cucina a mangiare cibo d’asporto. L’unica cosa che illuminava la stanza, era la lampada accesa nella sala di fianco e le luci della strada che entravano dalla finesta.

"Non pensavo che andassi così pazzo per il cibo d’asporto. Gli Stuart non mangiano caviale ogni giorno?”

Rider rise, mentre ingurgitava un nuovo boccone: “Scherzi? Questi ravioli al vapore mi fanno impazzire. E poi noi non mangiamo caviale tutti i giorni, figurati. Mia madre torna così tardi dallo studio, che i cibi surgelati si gettano da soli nel microonde.”

Mentre sorrideva della sua battuta, Eric controllò l’orologio: “Tra un’ora e mezza devo vedermi con Alexis…”

“Conti i minuti?” ribattè, girando la forchetta dentro alla scatola.

“Ehm, sì, dal momento che i nostri sospettati non hanno ancora intrapreso percorsi sospetti!”

Rider diede un’occhiata al tablet, trascinandolo davanti ai suoi occhi: “Pff, Violet è ancora in biblioteca! – roteò gli occhi, seccato – Cos’è, sta preparando il discorso da Presidente degli stati uniti?”

“Oppure è morta!” esclamò, sarcastico.

“Spero di no… – si lasciò sfuggire una piccola risata – Se A non è lei, allora non so chi sia!”

“Suo fratello!”

“E se non è nemmeno suo fratello?”

“Allora dovremmo seriamente iniziare a preoccuparci!”

I due si guardarono a lungo, improvvisamente angosciati. Rider preferì cambiare discorso, sperando di azzeccare l’identità di A al primo colpo.

“Tua madre?”

“E’ andata a trovare i miei nonni per un piccolo prestito!” spiegò con tono scialbo.

“Sono i suoi genitori, perché non chiedere aiuto. Mi sembra giusto in un momento di difficoltà.”

“Tra mia madre e i miei nonni non corre buon sangue. Non hanno mai voluto che mia madre sposasse mio padre. Lei, però, se n’è fregata della loro opinione e l’ha sposato ugualmente.”

“Accidenti! – sibilò a denti stretti – Per tua madre non sarà stato bello tornare da loro con la coda tra le gambe.”

“Già, considerando che è una tipa orgogliosa e a cui non piace ammettere la sconfitta.”

“Non è mai una sconfitta rivolgersi alla famiglia. Anche alla più peggiore.”  replicò, pulendosi la bocca con il tovagliolo.

“Sai, Rider… - sorrise, mentre l’amico era distratto – eccetto il fatto che ci ho messo due ore a sfilare il pezzo di chiave rotta dalla serratura, sono contento che siamo amici.”

“Beh, io ho sempre pensato che il nerd e il ragazzo fico, fossero l’accoppiata vincente!”

I due risero assieme, finchè un suono proveniente dal tablet non attirò la loro attenzione. Eric lo prese in mano, mentre Rider faceva il giro del tavolo, fermandosi alle sue spalle per vedere cosa stesse accadendo.

“Qualcuno si è spostato di molto…” dedussè Eric.

“Caspita, si muove velocemente.”

“Di chi è questo chip?”

Rider cliccò sul puntino rosso, che rivelò il nome: “L’abbiamo messo a Morgan Patterson, questo.”

“E ora che facciamo? Magari sta tornando a casa con la bicicletta e noi stiamo interpretando male la cosa.”

“Aspetta, si è fermato!”

Entrambi restarono con lo sguardo fisso sul puntino rosso per qualche minuto.

“Perché non si muove più? - chiese Eric nervosamente - Dici che è arrivato a casa sua?”

“Dubito che abiti al centro della strada!”

“Perché è fermo in mezzo alla strada?”

Rider fissò Eric: “Non ne ho idea, forse ha tolto la spilla dal borsone e l’ha buttata.”

“Non ha senso buttare via la spilla, non può sapere che ci abbiamo messo il chip.” pensò Eric.

“Sempre che non sia A e l’abbia scoperto!” esclamò, dirigendosi verso la sedia a prendere la sua giacca.

“Presto, non dobbiamo lasciarcelo scappare!” ribattè Eric, mentre uscivano dall’appartamento.

 

 

*

Tornati a Rosewood, Nathaniel fermò la sua auto davanti a casa di Rider per lasciare Sam. Tra i due c’era ancora imbarazzo, tant’è che buttavano i loro sguardi in direzioni opposte, fingendo che tra loro non fosse successo nulla.

“Forse non dovremo fare parola con Rider ed Eric di quello che è successo.”

Sam deglutì, mentre quello aggiungeva: “Della chiacchierata con Jasper, intendo.”

“Ouh, quello! – Sam pensava si riferisse al bacio - Cioè, sì, lo credo anch’io, ma…”

“Ma cosa?”

“E se avessimo commesso un errore? – si fece cogliere dal panico – Insomma, se riuscissimo davvero a scoprire chi sia A e a riprenderci i nostri video…come potremmo aiutare Jasper ad uscire di prigione senza rimanere incastrati anche noi? Gli abbiamo fatto una promessa e lui non sa quanto realmente siamo coinvolti. Non sa dei filmati che A ha contro di noi.”

Nathaniel cercò di tranquillizzarlo: “Una volta che avremo i nostri video, potremo pensare a cosa dire per aiutare Jasper. Inventeremo una storia, ok?”

“Continuo a pensare che sia stato un errore, - si disperò, comprendosi la faccia con le mani – perché gli abbiamo raccontato di A? Questa storia ci sfuggirà di mano, me lo sento. Perché l’hai fatto?”

Quello rimase un attimo perplesso, in merito all’accusa: “P-perché l’hai fatto?  L’ho fatto per te! – urlò – Come potevamo ottenere qualcosa da Jasper senza raccontarli che diavolo ci facevamo lì? Ho dovuto raccontargli di A e che è stato incastrato da lui. Solo così ci avrebbe creduto e detto qualcosa!”

“Sì, ma Jasper non ci ha detto nulla di illuminante, non l’ha mai incontrato di persona per prendere i soldi… - fece una pausa, prima di continuare ad esternare le sue paure - Nathaniel, non scopriremo chi è A da un momento all’altro e passeranno dei giorni. Giorni in cui Jasper si chiederà se vale la pena restare zitto o salvarsi con quello che li abbiamo detto.”

Rendendosi conto che Sam aveva ragione, Nathaniel chiuse gli occhi, massaggiandosi le tempie, nervoso: “Ok, ammetto di non aver pensato in quel momento, ma ero così stanco di dipendere da qualcuno che si nasconde dietro ad un messaggio e un cappuccio nero e che quasi ci porta a rischiare la vita. Pensavo che Jasper ci avrebbe dato qualcosa, - tirò un colpo al volante – accidenti!”

“E’ stata anche colpa mia, ok? – gli mise una mano sul braccio per calmarlo – Ho detto molte cose anch’io e non sono riuscito a fermarmi…E’ stato così liberatorio poterne finalmente parlare con qualcuno.”

I due presero un respiro profondo, cercando di calmarsi.

“Senti, possiamo tenere sottocontrollo questa cosa, - suggerì Nathaniel - ma non dobbiamo farne parola con Rider ed Eric, intesi?”

“Quindi abbiamo un segreto?”

“Sì, Sam. Abbiamo un segreto.”

“Siamo sempre rimasti uniti da quando è iniziata questa cosa di A. Mantenere nascosto un segreto a due di noi è come firmare la fine di questo gruppo.”

“E’ un rischio che dobbiamo correre. L’errore l’abbiamo commesso noi, loro non c’entrano nulla.”

Sam annuì, trovandosi d’accordo.  Sospirando ancora una volta, buttò lo sguardo davanti a sé, sulla strada, dov’erano parcheggiate le altre auto. Improvvisamente, sembrò aver notato qualcosa di sospetto, chinandosi in avanti con la schiena per aguzzare meglio la vista.

“Oh mio Dio…”

“Che c’è? – domandò Nathaniel, seguendo il suo sguardo – Che hai visto?”

“Quella non è l’auto di A? – la indicò, dall’altro lato del marciapiede - La stessa che abbiamo visto nelle foto che erano nel fascicolo di Albert e dalla quale è sceso, prima di essere investito da noi?”

“Non si vedeva la targa, - anche lui si fece avanti con la schiena - ma, sì, sembra quella della foto. Non può essere una coincidenza.”

“Scendiamo!” non ci pensò due volte, Sam, aprendo la portiera. Nathaniel lo seguì a ruota.

Spediti, raggiunsero la vettura. Sam ci guardò dentro, mettendo le mani sul vetro e avvicinando la faccia.

“Allora? – lo raggiunse l’altro, alle spalle – Cosa c’è dentro?”

“Una tracolla vintage marrone… - elencò – E una scatola; dentro ci sono molti, molti fogli. Sembrano test di verifica...”

“Test di verifica?”

“Sì, ma… - si distanziò dal vetro – non riesco a vedere bene, è troppo buio e non abbiamo neanche un telefono per fare luce.”

I due si guardarono intorno, sbuffando, finchè lo sguardo di Nathaniel non si focalizzò sul capanno nel cortile di Rider.

“Hai per caso lasciato la luce accesa nel capanno?”

Sam, fissandolo perplesso, si voltò a guardare: “No, vivo praticamente in clandestinità dentro quel capanno.”

“E allora chi c’è dentro?”

“Prova a indovinare! – esclamò con ovvietà – Forse sta cercando il mio telefono, ma l’ho nascosto da un’altra parte!”

“Vieni! – lo tirò per il braccio – Scopriamo chi è, poi lo seguiamo fino al suo covo!”

Sam annuì, mentre entravano nella proprietà degli Stuart, dal piccolo cancello.

A passi lenti, raggiunsero il capanno, nascondendosi sul retro.

“Ehi, c’è una finestrella là su! – indicò Nathaniel – Possiamo vederlo da lì!”

“Ci sono delle casse qui! – notò Sam – Aiutami a spostarle, così possiamo salirci sopra.”

I due cominciarono a spostarle, senza far rumore, mettendole una sopra l’altra, davanti alla parete. Subito dopo, Nathaniel aiutò Sam a salirci, poi anche lui. Davanti alla finestrella, in punta di piedi, riuscirono a guardare l’interno del capanno, in attesa di vedere il volto del loro stalker.

Improvvisamente, qualcuno entrò nella stanza: erano Lindsay e il Professor Brakner, molto intimi.

“Ma quello è l’insegnante di Matematica, - lo riconobbe Nathaniel, bisbigliando - il Professor Brakner!”

“Già! – ribattè isterico, l’altro – Suppongo che Rider avrebbe potuto avvertirmi che questa era la loro location d’amore. E se mi avessero beccato qui dentro? Sarebbe stato al quanto imbarazzante.”

“Oh mio Dio… - Nathaniel stava comprendendo qualcosa – Quelli nell’auto sono test di Matematica e la tracolla è di Brakner! – alzò gli occhi, scambiandosi uno sguardo con Sam – Brakner è A!”

“Ma che ci faceva Albert nell’auto di Brakner, quella notte?”

“Non ne ho idea, ma la cosa è inquietante!”

Quelli, poi, tornarono a guardare, mentre i due si abbracciavano e baciavano. Nel mentre, la ragazza fece una confessione all’uomo.

“Ho parlato con Chloe…Non dirà a nessuno che ci ha visti quella notte.”

“Chloe? – Sam potè udirlo, grazie alla finestrella semi-aperta – Che c’entra Chloe?”

“Shhh, ascoltiamo.”  lo zittì l’altro, cercando di sentire.

“Perfetto, hai fatto bene a seguirla e ad accertarti che tenesse la bocca chiusa. Dobbiamo stare lontani da questo casino.” ribattè Brakner.

“Ma di che stanno parlando? – si agitò Sam – Che sta succedendo?”

Nel contempo, Lindsay e l’uomo iniziarono a spogliarsi, mentre Nathaniel smetteva di guardare.

“Andiamo via, presto!” e invitò l’amico a scendere.

“Che facciamo adesso?” urlò l’altro, una volta rimessi i piedi a terra.

Nathaniel tirò fuori dalla tasca uno dei chip rubati al dipartimento: “Ne ho tenuto uno! Mettiamolo alla macchina di Brakner e seguiamolo con il tablet!”

L’altro annuì, anche se ancora confuso. I due corsero alla macchina, chinandosi accanto alla ruota posteriore, una volta arrivati.

“Ehm… - Sam ebbe un dubbio – Come lo attacchiamo?”

“Aspetta! – gli intimò l’altro, mettendosi una gomma da masticare in bocca – Ancora un secondo…”

Sam allungò la mano, guardando continuamente verso il cancello, per paura che arrivasse qualcuno: “Sputala, fa presto!”

Quello eseguì: “Non ti schifi?”

“Schifarmi? – lo trovò esagerato, mentre sprofondava il chip nella gomma – Ti ho baciato meno di due ore fa!”

“Ah, già!” ricordò, mentre Sam attaccava il chip sotto l’auto, in un punto nascosto.

“Fatto, andiamocene!” esclamò, rialzandosi.

I due corsero verso l’auto di Nathaniel a gran velocità.

 

*

 

Nel frattempo, Rider ed Eric seguivano le indicazioni del tablet, trovandosi a vagare in un vicolo in centro. Ad un certo punto, furono costretti a fermarsi.

“Dice che è qui!” esclamò Rider, guardandosi attorno.

“Beh, qui non c’è niente…Eccetto il gatto che dorme sul cassonetto.” replicò l’altro, perlesso.

“E’ assurdo, il nostro puntino è sopra l’altro puntino!”

Eric gli lanciò una lunga occhiata, confuso. L’altro si affrettò a spiegare.

“Anche noi abbiamo un chip, Eric. Altrimenti non riusciremmo a capire quanto siamo vicini.”

“Tu mi avverti sempre, eh? – si irritò - Poi la faccio io la figura dello stupido!”

L’altro sospirò, dopo un lungo silenzio, cercando di riflettere: “Allora, se il nostro puntino è sopra il puntino che stiamo cercando, dove devo… - entrambi abbassarono lentamente lo sguardo sui loro piedi – guardare?”

C’era un tombino, sotto di loro. Fecero un passo indietro.

Eric si lasciò scappare una risata, per poi tornare serio: “Oh, ti prego, non dirmi che…???”

“Sembra che il rinoceronte marino abbia deciso di farsi una nuotatina nelle fogne…”

“E’ assurdo che sia nelle fogne, forse abbiamo sbagliato di qualche isolato.”

“No, siamo nel posto giusto. E’ sotto di noi!”

“E cosa dovremmo pensare adesso? Che Morgan è A e il suo covo da supercattivo odora di fogna?”

“Rider, distratto dai suoi pensieri, continuò a fissare il tombino: “Ho un piede di porco nel bagagliaio…”

L’amico lo fulminò con lo sguardo, incredulo: “Stai scherzando, vero?”

“La smettete di chiedermi sempre se sto scherzando? – si irritò – E’ una fogna, non un buco nero. Scendiamo solo per due minuti, ok?”

“Ti ricordo che l’ultima volta che hai seguito il tuo istinto, un treno ha quasi spalmato te e Sam sui binari della stazione.”

“Nelle fogne non passano i treni, ok? – beffeggiò, minimizzando la cosa – E poi quella è stata una coincidenza, A non ha il controllo sui treni.”

“Ti faccio presente che tremavi quel giorno!”

“Io scenderò in quella fogna, d’accordo? – insistette, determinato – Ho anche delle torce nel bagagliaio!”

Eric iniziò a seguirlo, mentre tornavano alla macchina: “C’è qualcosa che non hai dentro al tuo dannatissimo bagagliaio?”

Piu tardi, dopo aver aperto il tombino, i due si calarono attraverso la scaletta. Rider toccò terra per primo, puntando la torcia a destra e sinistra. Eric fu il secondo, abbastanza seccato.

“Ripetimi perché ho deciso di seguirti…– fu colto immediatamente da uno sgradevole odore – Dio mio, che cos’è?”

“E’ cacca, credo… - rispose, tirando fuori il tablet dallo zaino – E Morgan sta… - fissò la posizione del puntino, perplesso – correndo?”

“Cosa? – si avvicinò alle sue spalle, mantenendo alta la sua torcia – Ma non era sotto di noi?”

“Beh, si è spostato. E a gran velocità!”

“Ma è matto?” pensò Eric.

“E’ quello che succede quando togli la ruota al criceto…”

Eric lo fissò a lungo: “Non l’ho capita!”

“Andiamo!” suggerì quello, tralasciando.

 

*

 

Scesi dall’auto, Nathaniel e Sam stavano attraversando la strada per raggiungere il Brew.

“Dici che stavolta abbiamo fatto centro?” lo sperava, Sam.

“Hai detto che per te A è una persona più grande, no? Rider, invece, è convinto che sia uno studente perché ha trovato un treno giocattolo nel suo armadietto…Quello che non abbiamo messo in conto è che anche un Professore può avere facile accesso ai nostri armadietti. Molto più di uno studente. Tutto combacia!”

“Perché Brakner dovrebbe farci questo?”

“Devi parlare con Chloe e scoprire cosa ha visto quella notte. Albert è uscito dalla macchina di Brakner prima di essere investito da noi e la domanda è: Perché? In che rapporti era con lui?”

Il discorso angosciò Sam, mentre varcavano l’ingresso del Brew. Non c’era nessuno al suo interno, eccetto Alexis che puliva il bancone. Quella alzò lo sguardo su di loro.

“Ehm, ragazzi, mi dispiace ma stiamo per chiudere.”

“Tu devi essere Alexis, vero?” Nathaniel si avvicinò al bancone.

La ragazza li fissò, stranita: “Ci conosciamo?”

“Siamo amici di Eric!” intervenì Sam.

“Oh, ma certo! – si colpì la fronte – Mi sembravate due volti conosciuti, vi ho visti nel video.”

“Senti, - continuò Nathaniel, serio - sai se è di sopra?”

“In verità è uscito con l’altro vostro amico, Rider. Non sono più rientrati da che gli ho visti uscire ore e ore fa e… - guardò l’orologio – Comunque io avrei un appuntamento con Eric, quindi dovrebbe arrivare a minuti.”

“Capito!” esclamò Sam, nervosamente, scambiandosi una rapida occhiata con Nathaniel.

Alexis non potè non notare quello scambio di sguardi: “E’ successo qualcosa per caso?”

“Ehm, no, dobbiamo solo parlare con lui.”

L’altra sorrise, perplessa: “Sì, ma vi ho detto che ha un appuntamento con me.”

“Ci vorranno solo due minuti!” replicò Sam.

“Due minuti?” ribattè Nathaniel, sottolineando che ci sarebbe voluto molto di più.

“Sentite, - Alexis spostò lo sguardo tra i due, trovando strano il loro atteggiamento – io vado a chiudere la porta sul retro…”

I due le sorrisero giusto un secondo per poi tornare nervosi e impazienti non appena quella se ne andò.

Sam, con l’unghia del pollice tra i denti, mentre Nathaniel batteva il piede sinistro sul pavimento a braccia conserte, perse la calma: “Ok, che ne dici di andare a recuperare il mio telefono? Così li contattiamo!”

“Ma non hanno più i loro telefono!”

“E se A avesse fatto loro del male?” pensò Sam, terrorizzato.

A è nel capanno di Rider, ricordi?”

“45 minuti fa!”

“Hai sentito quella Alexis, no? Ha un appuntamento con Eric. Vedrai che starà arrivando.”

“Chi ha un appuntamento, solitamente arriva con quattro ore d’anticipo. Per me sta succedendo qualcosa. Se non sono qui e nemmeno a casa di Rider, dove diavolo sono?...Andiamo almeno a controllare se A ci ha lasciato un messaggio.”

Combattuto, Nathaniel si arrese: “D’accordo, andiamo a prendere il tuo telefono. Però non dobbiamo lasciarci sfuggire nulla o Brakner capirà che l’abbiamo scoperto.”

“Va bene, facciamo presto!”

E i due corsero fuori dal Brew, ignari che Alexis era nascosta e aveva ascoltato tutto. La ragazza si affacciò, finalmente, uscendo dall’ombra, confusa da quanto ascoltato.

 

*

 

Intanto, sottoterra, Rider ed Eric continuavano a vagare nelle fogne.

“Ma quanto abbiamo camminato?” Eric puntò la sua torcia alle loro spalle.

“Siamo quasi fuori Rosewood! – esclamò l’altro, osservando il tablet – Morgan continua a correre verso questa direzione.”

“Accidenti! – borbottò, guardando l’ora sull’orologio – Alexis mi starà aspettando!”

“Dimenticati di Alexis, siamo nelle profondità dell’inferno.”

“Non mi rivolgerà più la parola.”

Rider, allora, si fermò, voltandosi verso l’amico, diretto: “Vuoi fermare A o andare ad un appuntamento? Pensaci bene, perché quando ci saremo liberati del nostro stalker potrai avere tutti gli appuntamento che vuoi con Alexis. Ma, soprattutto, appuntamento normali, senza alcuna interferenza.”

L’altro roteò gli occhi, sospirando, esasperato: “D’accordo, d’accordo!”

Tornato a guardare di fronte a sé, Rider fu costretto a fermarsi nuovamente.

“Dobbiamo scendere, c’è un'altra scaletta.”

“Sbaglio o stiamo andando sempre più giù?”

Rider si affaciò, un lungo percorso d’acqua sporca e maleodorante, alto un paio di centrimetri. Mettendosi  sulla scala di metallo, era pronto a scendere nell’altro tunnel.

“Attraversiamo questo tunnel, c’è un’altra scala dall’altro lato, la vedi?”

“Sì, - l’altro era ancora in piedi, che aspettava il suo turno – la vedo, ma dovrò dire addio alle mie uniche scarpe buone.”

“Forza, siamo vicini!” lo incoraggiò.

Attraversato il fiume d’acqua, i due risalirono per l’altra scala, entrando in un nuovo percorso.

“Siamo davvero vicini… - Rider riprese il tablet in mano – Il puntino si è fermato.”

Eric, colto dal panico, mise le sue mani nello zaino dell’amico: “Dammi il piede di porco!”

“Cosa? – si sentì tirare all’indietro – Ma che fai?”

“Stiamo per avere un faccia a faccia con Morgan, che a questo punto è parecchio inquietante come persona.”

Rider rabbrividì, fermandosi un secondo: “Ok, ora me lo sto immaginando. Torniamo indietro?”

“NO! – lo spinse in avanti – Non ho sacrificato le mie scarpe buone per tornare indietro. Siamo due contro uno e io ho un piede di porco in mano.”

“Bene! – si autoincontraggiò – Siamo più forti!”

E continuarono a camminare, nonostante la tensione si faceva più alta e il suono del bip si faceva più insistente.

Si sentì un rumore, ad un certo punto.

“Ehi, lo senti anche tu?” domandò Eric.

“Sembrano… - puntò l’orecchio verso l’origine del suono – Campanellini?”

I due si scambiarono uno sguardo perplesso, ma continuarono a camminare.

“Ok, ora dobbiamo girare l’angolo.” indicò, tenendo lo sguardo fisso sullo schermo digitale.

Eric alzò il piede di porco con la mano destra e con l’altra teneva in pugno la torcia. Finalmente svoltarono e il bip del tablet si bloccò in un suono continuo, che stava a significare una distanza nulla.

I due ragazzi puntarono meglio la luce verso quello che era un vicolo cieco e con grande sconcerto si resero conto che non si trattava di Morgan.

“Toby??” urlò Rider, vedendo il suo cane. Quello abbaiò; il rumore dei campanellini proveniva dal suo collare.

“Il tuo cane? – non ci potè credere, l’altro – Che cavolo vuol dire?”

Rider poggiò tutto a terra, chinandosi a terra, accarezzandolo e assicurandosi che stesse bene.

“Ehi, come ci sei arrivato qui? – continuò ad accarezzarlo – Eh?”

L’amico, intanto, puntava la luce alle loro spalle, ancora incredulo.

“La spilla con il chip è attaccata al collare di Toby…A ci ha trollati, oltre ad aver rapito il mio cane!”

“Che significa che ci ha trollato?”

“Ci ha presi per il culo, Eric. Ecco cosa significa! – si sentì un imbecille per esserci cascato nuovamente – A quanto pare A sapeva tutto fin dall’inizio. Distruggere i telefoni non è servito a nulla, non abbiamo ingannato nessuno.”

“Torniamo indietro, - si strofinò le braccia - inizio ad avere freddo.”

Rider, pronto a risollevarsi per seguire il suggerimento dell’amico, dovette restare nella medesima posizione, tentennando, dopo aver notato qualcosa nel collare del suo cane.

“Ehi, - ci mise le mani sopra – qui c’è qualcosa!”

Sfilò un biglietto, mentre Eric ci puntava la luce, avvicinandosi alle sue spalle.

 

“Chi sono i topi adesso?”

-A

 

”Ora capisco perché ci ha fatti venire qui. – si irritò Eric – Aveva bisogno di marcare la metafora!”

“Inizio ad averne abbastanza!” commentò l’altro, risollevandosi.

Improvvisamente, si sentirono altri rumori.

“E adesso che succede?” sussultò Eric, mentre Toby abbaiava.

“Sembra che qualcuno stia colpendo i tubi…”

I due si guardarono, mentre quel rumore smetteva. D’un tratto, poi, avvenne un esplosione, che fece tremare la terra sotto ai piedi dei ragazzi. Inevitabilmente, quelli persero l’equilibrio, cadendo a terra, mentre il cane si agitava sempre più.

“Ma cosa è stato?” urlò Eric, spaventato.

“Non lo so, - si rialzò - ma sento un rumore di acqua che scorre.” e iniziò a correre, preoccupato.

Eric gli corse dietro, stoppandosi alla fine del percorso assieme a lui; quasi cadevano.

Entrambi sgranarono gli occhi alla visione del tunnel dalla quale erano risaliti: completamente inondato, un fiume in piena e il livello dell’acqua che si sollevava sempre di più.

“Ok, come torniamo dall’altro lato? – urlò Eric – Da dove arriva quest’acqua?”

Rider prese subito il tablet, zoommando sulla piantina.

“Siamo nei pressi di una camera stagna, dev’esserci una fabbrica qui vicino. Qualcuno ha fatto esplodere la parete.”

“Con qualcuno intendi A? – urlò, stufo – No perché ne ho piene le tasche di sentirti chiamarlo qualcuno o persona e noi stiamo per morire affogati! – divenne logorroico per lo stress emotivo della situazione – Io non pensavo neanche che una fogna potesse allagarsi!”

“Rider lo prese per le spalle: “Sta calmo, ok? C’era una grata sopra le nostre teste, dove eravamo prima. Torniamo indietro e usiamola come via d’uscita.”

Eric tentennò, con lo sguardo fisso sull’acqua che scorreva potentissima.

“Forza!” gli gridò, tirandolo per la manica.

In una corsa sfrenata, tornarono al punto in cui avevano trovato Toby, puntando le torce in alto.

“Ouh, ok – Rider rimase leggermente deluso – Sembrava molto meno in alto, prima.”

Ricevette un’occhiataccia furiosa: “Sul serio, Rider?”

“Ok, restiamo calmi… - cercò di riflettere – Se faccessimo una scaletta…”

Fu immediatamente interrotto: “Sì, certo: io tu e il tuo cane! – esclamò, isterico – Ma se a quella grata non ci arriva nemmeno una piramide umana di giocatori di basket!”

L’altro si morse le labbra, rendendosi conto di quanto fosse stupido ciò che aveva detto e tornò a guardare la grata. Qualche secondo dopo, Eric spostò lo sguardo a terra, sollevando un piede dall’acqua.”

“Ehm, Rider… - si voltò, notando che anche il loro corridoio si stava allagando, entrando nel panico – L’acqua sta arrivado anche qui!”

Quello si voltò: “Sotto dev’essersi allagato completamente. – sorrise – Bene!”

“Bene? – sobbalzò, scioccato – Ok, se questa è la follia che sta prendendo il sopravvento su di te perché siamo bloccati qui sotto, allora inizio a non sentirmi per niente tranquillo.”

“Non sto perdendo la sanità mentale. Quello che sto dicendo è che man mano che questo corridoio si riempirà d’acqua, arriveremo sempre più vicini alla grata. Galleggiando!”

Eric non sembrò stare meglio, guardando sempre a terra e vedendo l’acqua già alle caviglie: “Ok, ricordi la notte al lago? Quando Sam si è tuffato al posto nostro per recuperare le medicine di Nat e io ti ho detto che ho esitato perché ho avuto una brutta esperienza con l’acqua quando ero piccolo? – Rider annuì – Beh, adesso siamo bloccati qui e l’idea che questa stanza sta per allagarsi, mi sta terrorizzando.”

“Io non so nuotare, ok? – cercò di confortarlo - Ma quella la sù e la nostra unica via d’uscita e non ho paura a raggiungerla.”

“E se la grata non si aprisse?”

“Ho un piano… - prese il tablet – Mando un messaggio ai ragazzi con le nostre coordinate.”

“Qui sotto c’è campo?” lo trovò assurdo.

“Sembra assurdo, ma ci sono due tacche.” ribattè l’altro, mentre scriveva.

“Ok, quindi lo stai mandando a Sam?”

“E’ l’unico di noi che ha ancora il telefono!”

“Se ha messo il silenzioso per guardare How to get away with murder, giuro che lo perseguiterò dall’aldi là!”

“Mandato! – si guardò con Eric – Speriamo bene!”

“Già… - abbassò lo sguardo, pensieroso - Speriamo!”

 

*

 

Ricevuto il messaggio, diverso tempo dopo, Nathaniel e Sam si erano mossi per aiutare i loro amici. Ormai nella periferia di Rosewood, seguivano il GPS.

“Non riesco ancora credere che A abbia intrappolato Rider ed Eric nelle fogne!”

Nathaniel, che stava guidando, indicò con gli occhi lo schermo acceso del telefono sulle gambe dell’amico.

“E’ di nuovo Rider, - lo prese l’altro, riassumendo il contenuto - si sta assicurando per la sesta volta se abbiamo preso tutti i cacciavite che abbiamo trovato. E ha aggiunto che sono con l’acqua alla gola.”

“Ho portato l’intera borsa degli attrezzi che avevo in garage, - ribadì, tenendo d’occhio la strada scoscesa – dobbiamo solo trovarli!”

“Ok, fermati. – gli intimò – Il GPS dice che ci siamo.”

“Scendi!” esclamò l’altro, spegnando il motore.

Presa la borsa dal bagagliaio, Sam iniziò a guardarsi attorno, urlando.

“Rideeeer??? Eric???”

“Eric, - si aggregò anche Nathaniel - fatevi sentire!”

Qualche secondo dopo, i due si fecero sentire. Risultando molto più vicini di quanto pensassero. Sam e Nathaniel seguirono le voci, trovandoli.

“Vi prego, - esordì Rider, mentre quelli lo guardavano dall’alto, attraverso la grata - ditemi che avete preso tutti i cacciavite che esistono nel mondo!”

“Oh mio Dio...” sbiancò Sam, guardandosi con Nathaniel.

Quelli erano a pochi centimetri dalla grata, che galleggiavano assieme al cane con l’acqua al collo. Ma non era per quello che Sam e Nathaniel si guardarono sconvolti.

“Dai, fate presto, - ordinò loro, Eric, in difficoltà - tra qualche centimetro l’acqua avrà riempito completamente questo posto e noi non potremo più respirare. Aprite la grata!”

“Ehm, non so come spiegarvelo, ma… - iniziò Sam, mentre quelli lo fissavano – non ci sono viti che bloccano la grata. E’ semplicemente fissata.”

“Cosa? – urlò Rider, incredulo – Ci state prendendo per il culo?”

“Ok, - si intromise Nathaniel – non perdete la calma. Nel bagagliaio ho una lunga catena con i gangi. Io e la mia famiglia l’abbiamo usata l’estate scorsa, in vacanza, quando l’auto di mio zio si fermò nel viaggio di ritorno. – iniziò a correre via, diretto alla macchina – torno subito!”

Sam, intanto, si inginocchiò al suolo, prendendo la grata per le sbarre, cercando di tirarla via, ma invano.”

“Per favore, fate presto. – urlò Eric, esausto – Lo spazio per respirare sta per finire.”

“Resistete!” ribattè Sam, in pena per loro.

Qualche minuto dopo, Nathaniel tornò con la macchina.

“Sam, attacca il gancio! – scese, lanciandoglielo – Bene, mi raccomando!” e si rimise in auto.

“Sì, d’accordo! – replicò l’altro, attaccando il gancio, mentre dei suoi amici si vedeva ormai solo la punta del naso – Oh mio Dio… - si incantò, per poi voltarsi verso la macchina – Tira, fa presto!”

“Spostati Saaaam!” gridò Nathanuel, dall’auto. Quello eseguì.

Passarono diversi secondi in cui la catena era ormai in tensione.

Distrutto dall’ansia, Sam spostava lo sguardo tra l’auto e la grata, chiedendosi perché ancora non si staccasse.

“Nathaniel accellera di più, non si stacca!”

Quello ingranò ancora di più, finchè finalmente la grata non si staccò, volando per aria.

Sam corse immediatamente davanti al buco lasciato dalla grata, mettendo le mani nell’acqua.

“Ragazzi, avanti! – gridò, non vedendo riemergere nessuno – Ragazziii!”

E all’improvviso riemerse il cane, che Sam afferrò immediatamente. Subito dopo arrivò Nathaniel, che aiutò ad uscire anche Rider ed Eric, riemersi subito dopo Toby.

I due, completamente bagnati e infreddoliti, stavano riprendendo fiato distesi al suolo, esausti. Tutti stavano rimprendendo fiato per quanto accaduto, mentre l’acqua, ormai, fuoriusciva.

Nathaniel fu il primo a ritrovare le parole, mentre Rider riabbracciava il suo cane: “Ma che cavolo è successo?”

I quattro si guardarono, allibiti. Nessuno riuscì ad aggiungere qualcosa.

*

 

Erano alla casa sul lago di Rider, ora. Molto più vicina rispetto alla città. Il camino era accesso e Rider ed Eric avevano una coperta attorno alle spalle, che stringevano a sé, tremando ancora, lo sguardo fisso sul fuoco che ardeva. Riuniti nel caldo salottino, Toby che gironzolava accanto ai loro piedi, il gruppo iniziò a discutere su quanto accaduto durante la loro giornata.

Fu Rider il primo a parlare: “Abbiamo messo il chip a quattro persone, oggi: Lisa, Violet, Morgan e Clarke.”

“Aspetta, - lo interruppe Nathaniel – Clarke? Perché?”

“Non gli abbiamo messo il chip perché pensiamo sia A. - intervenne Eric – Abbiamo pensato che dopo quella strana conversazione che ha avuto con te al ristorante, in cui sembrava che sapesse qualcosa su Rosewood-riservato, ci avrebbe portati a qualcosa. Oggi, al Brew, ha detto che sarebbe ripartito nel giro di un’ora, ma l’ultima volta che abbiamo controllato sul tablet era ancora in albergo.”

“In ogni caso, - riprese Rider – Dopo qualche ora, Morgan è stato l’unico a fare grossi spostamenti. E’ lui che abbiamo seguito nelle fogne, anche se il chip l’abbiamo trovato addosso al mio cane e di lui non c’era l’ombra.”

A sapeva dei chip già dal giorno in cui siamo stati al dipartimento da Denna Marx. – continuò Eric – Ho messo la spilla con il chip nel borsone di Morgan, nel suo armadietto. Se lui è A e sapeva che stavamo mettendo il chip a tutti, deve averlo tolto e messo al cane, mentre noi eravamo concentrati su Violet. Naturalmente, noi non abbiamo visto alcuno spostamento sul tablet, perciò deve aver lasciato il borsone a scuola ed essere andato a prendere Toby a casa di Rider per attirarci nelle fogne.”

Nathaniel, però, aveva nuove informazioni e, quindi, nuove teorie: “Oppure la vera A ha aperto l’armadietto di Morgan e ha preso la sua spilla per farci puntare il dito su di lui e sviare i sospetti da sé.”

“Ragazzi, c’è una cosa che dobbiamo dirvi, a proposito. – Sam si guardò con Nathaniel – Riguarda il Professor Brakner.”

“Il nostro insegnante di Matematica? – Rider si guardò con Eric, confuso – Quello che sta con mia sorella?”

“Sì, ed era proprio con tua sorella, nel capanno dove mi hai sistemato, che si baciavano e intrattenevano una conversazione al quanto strana.”

“Strana come?” domandò Eric, precedendo Rider.

“Lindsay parlava a lui di Chloe. – spiegò Sam - Pare che quella notte, li abbia visti insieme.”

Rider era al quanto intontito e voleva capire meglio: “U-un secondo, quale notte? QUELLA notte? La NOSTRA notte?”

“Rider, - intervenì Nathaniel, secco - Brakner ha la stessa macchina che abbiamo visto nelle foto che Sam ha scattato al fascicolo di Albert, ok? Albert è sceso dall’auto di Brakner, prima di essere investito da noi.”

Sia Rider che Eric rimasero a bocca aperta, sconvolti. Quest’ultimo non riusciva nemmeno a trovare le parole per fare chiarezza nella sua mente.

“Okey, quindi ci state dicendo che Brakner è A?”

“Non lo stiamo dicendo. E’ palese!” esclamò Sam.

“Perché un Professore dovrebbe farci una cosa del genere? – impazzì Eric nel cercare di trovare un senso – Che cosa c’entra Brakner con Albert?”

“Beh, - provò Nathaniel a rifletterci, mentre Rider sembrava completamente assente per lo shock – Brakner ha un segreto, tanto per cominciare… - fissò Rider, mentre lo diceva – Ha una relazione con una studentessa! E Anthony sapeva di questo segreto e di certo non era un suo fan.”

“Ora c’è da capire quanto c’entri Lindsay in tutta questa storia. – aggiunse Sam, serio, guadagnandosi un’occhiataccia da Rider, pronto a scattare – Insomma, sono entrambi A? Ci hanno filmato entrambi, quella notte?”

“Come, scusa? – si alzò in piedi, Rider, lasciandosi cadere la coperta di dosso – E Chloe che fine fa in questa conversazione? Non era a casa tua che ti aspettava per vedere il finale di metà stagione di come cavolo si chiama? Eh? – urlò – Che ci faceva in giro a quell’ora?”

Anche Sam si alzò in piedi e non con toni cordiali: “Ancora non so perché Chloe sia uscita dopo di me, quella sera, ok? Devo ancora parlare con lei…E poi, scusami, ma tua sorella non è in una bella situazione, date le ultime scioccanti scoperte.”

“Chloe odiava Anthony quanto chiunque altro. – continuò Rider con toni alti - Chi ci dice che non sia stata lei a raggiungerlo alla stazione di Rosewood e ad ucciderlo, per poi tormentare noi?”

Sam si lasciò scappare una risata, prima di sfumare in un’espressione seria e furiosa: “E’ assurdo quello che stai dicendo, la mia migliore amica non mi chiuderebbe mai la bocca con una striscia di colla, ok? E’ tua sorella quella sospetta e non Chloe. La mia teoria è fondata: E’ un adulto che ci sta facendo questo, ok? E tua sorella è coinvolta!”

A quel punto, anche Nathaniel si alzò, distanziando i due, l’uno dall’altro: “Ok, calmiamoci un attimo… - spostò lo sguardo su Rider, cercando di farlo ragionare – Rider, ammetterai che la cosa è strana. Noi siamo stati filmati dall’interno di un auto ed è quella di Brakner. Chloe, inoltre, ha visto Lindsay dentro quella macchina, quindi Lindsay era con Brakner…Ascolta, A ci ha mostrato quei video e non può averli rubati a loro, ok?”

“No, non può essere. – Rider scosse la testa, nervoso, la fronte sudata – Questo significherebbe che mia sorella ha ucciso Anthony assieme a Brakner.”

Sam, più calmo, mise una mano sulla sua spalla: “Senti, nel migliore dei casi, tua sorella è manovrata da lui.”

L’amico deglutì, guardandolo negli occhi, più calmo, ma spaventato. Il silenzio investì il gruppo, finchè non fu Eric a romperlo.

“Quindi lo possiamo dire ad alta voce? Stavolta abbiamo indovinato?”

“Sì, io credo di si. – lo confermò Nathaniel - Brakner è A, ma dobbiamo ancora capire molte cose.”

“A proposito, - ricordò Sam - abbiamo messo il chip sotto alla sua auto. Possiamo seguire i suoi spostamenti.”

Rider si avvicinò al camino, sulle mattonelle era poggiato il tablet. Lo accese.

“Bene, almeno ho testato la sua resistenza all’acqua… - perplesso, si rivolse a Nat e Sam – Comunque quando eravamo nelle fogne, non è comparso nessun nuovo puntino… - osservò la schermata – E non c’è nemmeno adesso.”

“Cosa? – sussultò Nathaniel, guardandosi con Sam, stranito – Ma noi l’abbiamo messo.”

Rider si voltò: “L’avete attivato, vero?”

“In che senso?” non capì Sam.

“Il chip ha una protuberanza nella parte inferiore. Andava premuta per attivare il chip.”

Nathaniel sospirò, coprendosi la parte superiore del viso con la mano, massaggiandosi la fronte: “Dio, non ci credo…”

“Merda, non lo sapevamo!” esclamò, invece, Sam.

Rider, smettendo di comunicare con loro, si concentrò nel fare qualcosa: “Un secondo…Questo è un tablet del dipartimento e i chip sono collegati a questo tablet, perciò… - alzò lo sguardò sui suoi compagni – Forse possiamo attivarlo da qui!”

“Bene, ragazzi… – cominciò Eric – Adesso che sappiamo chi è A, qual è la prossima mossa?”

E i quattro si guardarono tra loro, riflettendoci attentamente.

 

SCENA FINALE

 

A stava camminando lungo una strada, illuminata dai lampioni, nel cuore della notte, passando accanto a delle auto parcheggiate, sfiorandole con la punta delle dita, coperte dal solito guanto nero che portava. Si fermò davanti ad una di colore blu, fissandola per qualche secondo. Dopodichè, si chinò, cercando qualcosa, sotto l’auto, accanto alla ruota posteriore. Smise di muovere il braccio, ad un certo punto: trovò ciò che cercava e lo tirò fuori. Si risollevò in piedi, poi,  aprendo il palmo della mano: era un chip inglobato in una gomma da masticare. A lo gettò a terra, schiacciandolo con un piede; più e più volte. L’aveva distrutto.

 

 

CONTINUA NEL SETTIMO CAPITOLO

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



 

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Capitolo 8
*** 1x07-Le regole del gioco ***


CAPITOLO SETTE

“I Care WhAt the Monster Thinks”

 

TEN DAYS LATER…

 

Era la mattina del ritorno a scuola, dopo la lunga sospensione di due settimane. Ne erano accadute di cose in quel lasso di tempo e Sam, scendendo le scale frettolosamente, sapeva che molte cose sarebbero ancora accadute. Con la tracolla che dondolava sul braccio, scivolata dalla spalla, continuava a guardare verso il piano di sopra, cauto, mentre lanciava un’occhiata all’orologio, che segnava le sei e mezzo. Sceso l’ultimo gradito, Sam si diresse in cucina, con la testa ancora girata verso le scale.

Dovette fermarsi bruscamente, quando si voltò davanti, trovando suo padre alla soglia della cucina. La cosa lo colse di sorpresa, l’uomo aveva le maniche della camicia arrotolate e un piatto di pancakes nella mano destra.

“Oh, mi era sembrato di sentirti scendere!” lo accolse con un sorriso beffardo.

L’altro si irrigidì, abbassando quasi sempre la testa e cercando di inumidire le labbra per non mostrare le ferite ancora presenti: “Ehm, pensavo che ti saresti svegliato più tardi oggi!”

“Beh, perché svegliarsi più tardi se questo significa non vedere il proprio figlio per il decimo giorno consecutivo!” si evinse una nota furibonda nel tono.

“Non è vero che non mi vedi per il decimo giorno consecutivo.”

“Per almeno tre o quattro giorni hai continuato a dirmi per telefono che te ne stavi da un amico e quando sei tornato a casa, non hai fatto altro che passare velocemente accanto alle stanze in cui mi trovo io. – spiegò, irritato – Sam, non posso diventare un mostro da evitare solo perché decido di fare una ramanzina a mio figlio per la sua pessima condotta a scuola… - fu più calmo, dopo aver alzato leggermente la voce – Ramanzina che, tra l’altro, ti ho fatto per telefono nell’unica volta che non mi hai chiuso la chiamata in faccia.”

“Papà, non ti sto evitando, ok?” si giustificò quello, mortificato, mantenendo un atteggiamento ritirato.

“Lo spero, Sam. – lo fissò dritto negli occhi - Perché da quando è morto il tuo amico non sembri più tu.”

“Devo andare a scuola, ok?” Sam cercò di evadere da quella conversazione.

“Non è un po’ presto?” lo incalzò, intuendo che era una scusa.

“Papà, non sono arrabbiato con te, ok? – urlò, esasperato – Non ti sto evitando, non sto mentendo.”

Le labbra del ragazzo iniziarono a sanguinare per averle sforzate troppo.

“Cos’hai alle labbra?” notò suo padre, aguzzando la vista. Quasi cercò di sfiorarle con le dita.

Sam indietreggiò, pulendosi il sangue con la mano: “Niente, mi sono morso le labbra!”

“A me sembrano strane, ora che le vedo meglio…” non gli credette, sempre più perplesso.

“Devo andare!” si voltò, spedito verso la porta.

“Fai almeno colazione! – quello non si voltò - Sam!”

“Farò colazione con i miei amici, buonagiornata!” esclamò con freddezza, uscendo.

Suo padre rimase in piedi, immobile, lo sguardo fissò sulla porta che si era appena chiusa. Non riusciva a capire cosa era preso a suo figlio, ma sentiva una profonda inquietudine per come l’aveva percepito.

Sam, fuori, si fermò appena più avanti alla porta, gli occhi chiusi, che cercava di riprendere fiato e trovare la forza di superare quel momento. Quasi gli scese una lacrima per aver mentito l’ennessima volta e per non poter dire la verità a suo padre. Nonostante ciò, riprese a camminare, scendendo le gradinate. Improvvisamente, dovette fermarsi nuovamente: una scatola di media grandezza era poggiata a terra, alla fine dei gradini.

Sam scese lentamente, inginocchiandosi per prendendola in mano, una volta giunto vicino ad essa. C’era un biglietto attaccato sopra.

“Ambasciator non porta pena. Un regalo per i bugiardi!”

-A

 

Dopo aver letto il messaggio, Sam si guardò attorno per tutto il tragitto fino alla macchina.

 

*

 

Riuniti nella camera di Nathaniel, quest’ultimo, Rider ed Eric fissavano la scatola poggiata sul letto a braccia conserte, mentre Sam osservava le foto e la stanza dell’amico con tanta spensieratezza.

“Sam, sei sicuro di non aver visto nessuno? – lo chiamò Rider – Poteva anche uscire tuo padre, penso che A fosse lì e sapesse che saresti uscito tu per primo.”

Quello non rispose, incantato a guardare una foto di Nathaniel in piscina da bambino, sulla scrivania. Rider si voltò, chiamandolo più forte.

“Sam? Mi hai sentito?”

“Eh? – si girò distrattamente – Hai detto qualcosa?”


Hai detto qualcosa? – la trovò una domanda assurda – Sam, c’è una scatola mandata da A qui davanti a noi e mi stai chiedendo se ho detto qualcosa?”

“Scusa… - sorrise quello, mortificato – è che non ero mai stato nella stanza di Nathaniel.”

Eric e Rider lo fissarono abbastanza straniti, più di Nathaniel, che, invece, si sentì in imbarazzo.

“Anche per me è la prima volta, ma non credo che andrò a scriverlo sul mio diario segreto…” commentò Eric, sarcastico.

Nathaniel fece un colpo di tosse, focalizzando nuovamente il gruppo sulla scatola: “Ok, la mia camera emoziona anche me, ma adesso dobbiamo pensare alla scatola. E farlo in fretta! Se arriviamo tardi al nostro rientro dalla sospensione, Ackett aumenterà le nostre ore extracurriculari fino alla luna piena!”

Tutti si voltarono nuovamente verso la scatola, Sam si avvicinò accanto a loro, mentre la fissavano.

“Beh, è un regalo, no? E i regali si aprono…” Rider mise le mani sopra di essa, scoperchiando lentamente la scatola.

Con il fiato sospeso per il contenuto, Rider finalmente aprì la scatola, per poi farsi indietro. I quattro rimasero alquanto perplessi da ciò che stavano osservando: quattro telefoni e quattro bracciali.

“Si può rifiutare un regalo?” domandò Sam, rabbrividendo.

I telefoni si accessero contemporaneamente.

Eric fissò i suoi compagni, prima di tornare a guardare i telefoni: “Sembra che ci sia un nuovo messaggio per tutti noi… - deglutì – E i miei peli delle braccia hanno appena avuto un erezione!”

Rider ne prese uno; ogni telefono aveva davanti un cartellino con i loro nomi per segnalare a chi appartenesse.

“Nel mio ci sono tre messaggi…”

“Io solo due…” aggiunse Nathaniel, seguito anche da Sam ed Eric.

Rider deglutì amaramente, mentre tutti leggevano il primo messaggio. Uguale per ognuno di loro.

 

“Nuovi telefoni, nuove regole.”

-A

 

I quattro si guardarono tra loro, per poi passare al secondo messaggio. Anche questo, uguale per tutti.

 

“Indossate i bracciali con i vostri nomi.”

-A

 

Si guardarono nuovamente, sempre più preoccupati da ciò che aveva in mente il loro nemico. Subito dopo, eseguirono.

“Perché il mio è rosa? – sussultò Nathaniel, irritato – Non lo metto!”

“Nat, hai letto quello che ha scritto A, no? – lo richiamò Rider con tono serio – Se ci dice che dobbiamo mettere i bracciali, noi mettiamo i bracciali!”

“E da quando ti interessa quello che dice il mostro?”

“Mi interessa da quando io, Eric e il mio cane abbiamo quasi respirato acqua di fogna dentro i nostri polmoni.” ribattè Rider, ancora provato da quella vicenda.

Alla fine, Nathaniel si arrese, indossandolo.

“Dai, al massimo lo metti sotto alla manica e non lo vede nessuno.” gli consigliò Eric.

Quando lo indossarono anche gli altri, le due estremità si agganciarono con un sonoro click. Lo trovarono talmente bizzarro che si guardarono l’un l’altro, mentre Sam provava a toglierselo.

“Ehi, ma… - si sforzò nel cercare di sganciarlo – Non si toglie più!”

“Ma dai! – esclamò Rider, una nota scettica nel tono, mentre ci provava anche lui – Certo che si togl…  - si affannò, nel tentativo – Ma che diavolo??”

Anche Nathaniel ed Eric provarono a toglierselo, ma invano.

“Ok, questo sì che è strano!” si espresse Nathaniel, sgranando gli occhi.

“Dobbiamo preoccuparci?” Eric si rivolse a tutti, spaesato.

Nessuno sapeva cosa dire, mentre abbassavano i telefoni. Solo Rider aveva ancora un messaggio da leggere e lo fece, osservato dai suoi compagni.

 

“Torna a casa, c’è un altro pacco per te. Quando avrai finito, raggiungi i tuoi amici all’entrata della scuola.”

-A

 

“Un altro pacco? – Sam si mostrò preoccupato – Non sarà pericoloso?”

“Ho altra scelta?” replicò Rider, seccato.

“Ha scritto che dovrà raggiungerci a scuola, no? – fece notare Eric – Non penso che gli accadrà qualcosa.”

“Dev’essere di nuovo il mio turno, questo. – pensò Rider – Evidentemente è qualcosa inerente alle elezioni.”

“Non sarà stato difficile per A mettere quest’altro pacco a casa tua!” Sam alluse a Lindsay.

Rider si irritò, fissandolo a lungo, per poi lanciare una frecciatina: “Hai parlato con Chloe?”

“E’ ancora nel South Dakota, da sua madre.”

Rider si alterò: “Pensava che la disinfestazione sarebbe durata un mese?”

“Strano, non abbiamo mai avuto problemi di topi a scuola…” pensò Eric a braccia conserte.

“C’è un seminterrato sotto la scuola… - intervenne Nathaniel - Saranno arrivati da lì!”

“Topi o no, - Rider si avvicinò alla finestra, dando le spalle - la scuola ha riaperto due giorni fa e Violet ha fatto il suo discorso. Ha praticamente vinto, non mi sono nemmeno presentato…E questo dimostra quanto me ne frega, gli studenti mi voteranno sicuramente.”

“E adesso Violet è rilevante in questo discorso per quale motivo? – ribattè Sam, perplesso – Insomma, abbiamo ormai capito che non è A, perciò…”

Rider si voltò, teso: “Non sarà A, ma ci odia! Immagina come saranno i nostri ultimi due anni con tutti che pendono dalle sue labbra. Saremo ancora più emarginati e c’è chi ne trarrà piacere a trattarci come Anthony trattava tutti…Io non voglio stressarmi e iniziare ad andare male in tutte le materie. Ho già A a cui pensare e la serenità scolastica è qualcosa che mi serve o giuro che crollerò.”

“Sentite, forse se è meglio se ci avviamo. – suggerì Eric, osservando l’orario - Stiamo perdendo già troppo tempo!”

“Eric ha ragione.” lo appoggiò Nathaniel.

I quattro si guardarono, abbastanza esausti da quella situazione.

 

*

 

Rientrato a casa, Rider stava salendo le scale, diretto verso la sua stanza. Nel corridoio si imbattè in Lindsay, quasi ci sbatteva contro.

“Ehi, ma che problemi hai? Non eri uscito?” si alterò, quella, irritata come di suo solito.

“E tu che ne sai?”

“Ehm, - fu sarcastica – la tua camera era vuota?”

“Sei entrata in camera mia? – alzò la voce – Perché sei entrata in camera mia?”

L’altra lo fissò a lungo, perplessa dal suo comportamento: “Guarda che ci sono passata solo davanti. La porta era aperta. – spiegò, disgustata  – E poi non ti ho nemmeno sentito parlare da solo come al solito, così ho pensato che eri uscito. Tutto qui.

Rider era più calmo, ma comunque sul chi va là: “Io non parlo da solo!”

“E invece lo fai continuamente. Ripeti tutte le materie del giorno, prima di andare a scuola. Quando ti alzi, quando fai colazione, quando ti lavi i denti…Ripeti, ripeti, ripeti! Oggi, invece, quando mi sono svegliata, c’era il più totale silenzio…La casa puzzava di ignoranza senza te, Mamma e Papà.” concluse con una vena sarcastica.

“E’ per questo che ce l’hai sempre con me? Perché ti senti inferiore?”

“Non mi sento inferiore a te, fratellino. Non mi sento inferiore a nessuno. Io diventerò famosa, una modella! Forse anche un’attrice… - sorrise – E arriverà il giorno in cui voi capirete che l’intelligenza sta anche nel saper usare anche il resto del corpo e non solo la testa. La bellezza è un arma che il cervello stesso non può concepire. E un giorno sarò fiera di me stessa, perché avrò raggiunto tutto da sola. Nonostante nessuno abbia mai creduto in me.”

“Oh, ti prego, risparmiami il clichè delle ragazze bionde che sono stupide. Non l’ho mai pensato!”

“Sì, che l’hai pensato. Lo pensate tutti!” urlò, sofferente nel tono.

 

FLASHBACK

 

Rider cercava qualcosa nei cassetti della sua scrivania. Anthony era in piedi davanti alla porta, socchiusa alle sue spalle.

“Come hai fatto a perdere la copia del test di Matematica?” lo rimproverò, mentre l’altro sudava nel cercarlo, risollevando continuamente gli occhiali dalla punta del naso.

“Semplice, io non ho bisogno delle risposte corrette. Io STUDIO per rispondere correttamente!” replicò con un pizzico di ribellione nel tono.

“Beh, ti avevo chiesto quella copia del test almeno una settimana fa!”

Rider si fermò dal cercare, fissandolo: “E io avevo quel test già dal giorno dopo in cui me l’hai chiesto. Eri tu che non c’eri, ti ho mandato un sacco di messaggi.”

“Sono stato impegnato, ok? – si giustificò quello, preso in contropiede – E se non trovi quello stupido foglio, chiedi a tua sorella di procurarsene un altro. Non credo che per lei sarà un problema.” alluse alla relazione della ragazza con il suo Professore.

“No, non credo.” ribattè, incapace di andare contro di lui, abbassando lo sguardo.

Improvvisamente, Anthony assunse un espressione beffarda: “Mi chiedo come a nessuno risulti strano che tua sorella vada male in tutte le materie, tranne che in Matematica. – rise – Se sei intelligente in una materia, dovresti esserlo anche nelle altre.”

“Solo tu riesci a notare queste cose, Anthony.” replicò Rider, assumendo un espressione seria e svogliata.

“E anche tu! - esclamò, lasciandosi scappare una risata cinica – Non sono l’unico in questa stanza a sapere della tua cara sorellina che va a letto con il professore.”

“Senti, possiamo non parlare di lei? Sono affari suoi!” si irritò.

“Di sicuro non miei, non sono suo fratello. – lo guardò con finta compassione – Sai, un po’ mi dispiace per te. Non dev’essere bello avere una sorella che cerca di fare del suo meglio nella vita, rotolandosi sotto ad una coperta…O saltando su una cattedra, in questo caso.”

“A me non dispiace, ok? – si alterò – Siamo completamente diversi e non mi è mai interessato nulla della sua vita. Presto le nostre strade si divideranno e potrà usare i suoi stupidi neuroni come diavolo vuole! – si calmò, poi – Ora possiamo cambiare discorso?”

“Adesso, sì!” rispose, sogghignando, come se il suo scopo fosse quello di farlo arrivare al limite.

Lindsay era dietro la porta socchiusa e aveva ascoltato tutto.

 

“Pensi che non ti abbia mai sentito parlare con Anthony di me? Di quello che pensavate entrambi?” fece presente Lindsay, di tutte le volte che passava dalla sua stanza.

“Ma non pensavo davvero quelle cose. – cercò di giustificarsi - Era dovuto alla rabbia del momento, Anthony era così stronzo.”

“E invece le pensavi…E le pensi tutt’ora!” ribadì.

“Penso solo che tu stia commettendo un errore a stare con uno più grande di te e che fa l’insegnante. Non ti rendi proprio conto?”

“Io lo amo davvero. E lui ama me. Non è una stupida cotta, ok? Alcune volte gli amori proibiti non sono del tutto sbagliati.”

“Questo lo è! – la prese per i polsi, mostrandosi esageratamente preoccupato – Credimi! Tiratene fuori, prima che…”

L’altra, fulminandolo con un occhiata confusa, tirò via i suoi polsi: “Prima che, cosa? Ti droghi per caso?”

“Lindsay, ascoltami!” insistette, fermato nuovamente.

“NO, non ti ascolto! Non rinuncerò a Julian solo perché tu non sai cosa vuol dire amare qualcuno…Perché noi ci amiamo davvero e lui crede in me a differenza di tutti voi. E stai certo che un giorno lasceremo Rosewood insieme!” e si voltò, andandosene via, furente.

“Lindsay, aspetta!” le urlò, cercando di fermala, ma quella era già al piano di sotto. La porta d’ingresso sbattè: era uscita.

Rimasto da solo, Rider sospirò, per poi entrare in camera sua e trovare il pacco lasciato da A, sul suo letto.

Avvicinatosi, abbastanza teso, prese in mano il biglietto che c’era sopra.

 

“Indossa ciò che trovi dentro e raggiungi i tuoi amici a scuola.”

-A

 

Intimorito dal contenuto, scoperchiò la scatola, restando agghiacciato all’istante. Subito dopo, iniziò a togliersi gli occhiali, gli occhi ancora sgranati.

 

*

 

Nel frattempo, gli altri avevano raggiunto la scuola. Sgattaiolati nel pargheggio, Sam, Nathaniel ed Eric stavano puntando una delle auto, mentre chiacchieravano.

“E se ci becca? Diventerebbe alquanto imbarazzante, non credere?” si pronunciò Eric, che camminava avanti ai due.

“Rider non è riuscito ad attivare il chip dal tablet, quindi dobbiamo farlo per forza manualmente!” replicò Sam.

“E poi Brakner è sicuramente dentro, - spiegò Nathaniel – abbiamo campo libero!”

Ora erano proprio accanto all’auto dell’uomo e Sam si inginocchiò accanto alla ruota posteriore, muovendo il braccio sotto la vettura, in cerca del chip.

“Allora? – aprì bocca Eric, dopo qualche minuto – Che succede?”

“Non riesco a trovarlo… - cercò ancora Sam, per poi arrendersi e risollevarsi – Deve averlo tolto, l’ha scoperto!”

Nathaniel ne rimase incredulo: “Incredibile, non abbiamo più i nostri  telefoni da più di una settimana e A ci ascolta ugualmente.”

“Beh, abbiamo parlato del chip alla casa sul lago. – ribbatè Eric – Magari A ha messo dei microfoni anche lì!”

Sam sbuffò: “Sono stanco di non avere più una privacy…Finiremo per imparare a parlare telepaticamente pur di non farci ascoltare da lui!”

“Torniamo all’ingresso, - suggerì Eric, guardandosi attorno – Rider starà per raggiungerci.”

Gli altri due annuirono, prima di avviarsi.

Improvvisamente, mentre camminavano, Eric si fermò, in seguito ad un pensiero che lo lasciò riflettere. Sam si voltò, accorgendosi che si era fermato.

“Ehi, che hai?”

Anche Nathaniel si voltò, aspettando una risposta.

“E se Chloe ci avesse visti? – fissò i due a lungo – Insomma, se ha visto Lindsay, Albert e Brakner, avrà visto sicuramente anche noi, arrivare subito dopo.”

“No, - scosse energicamente la testa, Sam – me l’avrebbe detto sicuramente e, inoltre, non era sconvolta quando mi sono rivisto con lei dopo quella notte. Chloe non sa mascherare la paura, la conosco. Dev’essere andata via immediatamente.”

“Sam, Rider ha ragione, - pensò Nathaniel - devi parlare con Chloe. Non solo capiremo che diavolo ci facesse in giro a quell’ora, dopo che eri uscito tu, ma potrà anche dirci cos’ha visto e sentito.”

“Ragazzi, voglio scoprire queste cose almeno quanto voi, ma Chloe non mi risponde. Quando va fuori Rosewood è come se sparisse nel triangolo delle bermuda.”

Ripresero a camminare.

“Perché la madre di Chloe non vive a Rosewood? – domandò Eric, curioso – Lei vive da sola con i suoi zii, qui, giusto?”

“Perché la madre di Chloe vive nel South Dakota e la sua vita è lì. E’ stata Chloe a decidere di voler venire a Rosewood a vivere con i suoi zii. Dopo che sua madre si è risposata, ha acquisito dei “fratelli” e Chloe non va molto d’accordo con la sua sorellastra. Per lei era insostenibile restare in quella casa e frequentare la scuola con loro.”

“In ogni caso, continua a chiamarla!” aggiunse Nathaniel.

Da dove si trovavano, ora, riuscivano a scrutare l’ingresso della scuola. Davanti alle gradinate, un ragazzo. Di spalle.

I ragazzi si fermarono uno dietro l’altro, come un effetto domino. Abbastanza impressionati.

“Ma quelli sono i vestiti di…” pensò Sam, mentre Eric completava la frase.

“Albert?”

Quel ragazzo si voltò, ed era Rider. Si diresse verso i suoi amici, notandoli, stringendo le cinghie dello zaino in maniera insicura, lo sguardo di tutti addosso.

Giunse davanti a loro, lo sguardo ancora basso, abbastanza a disagio: “Ehi…”

“Rider, ma quelli sono…” Nathaniel lo scrutò da capo a piedi, agghiacciato.

“I vestiti di Albert? Sì! – esclamò con una nota seccata nella voce – Ci mancava solo che mi facesse tingere i capelli come i suoi.”

“I tuoi occhiali? – intervenne Sam, incredulo - Ci vedi senza?”

“Ho delle lenti a contatto… - si guardò attorno, sempre con gli occhi addosso – Dio, perché mi sta facendo questo? – pensò, nervoso – Prima ha fatto in modo che mi odiassero tutti per aver preso parte a quel video, poi mi ha candidato alle elezioni e ora questo!”

“Tutti abbiamo preso parte a quel video… - specificò Sam, ricevendo un’occhiataccia dall’amico – Che c’è? Dal minuto otto al minuto quattordici è il mio primo piano che si vede mentre parlo!”

Eric intervenne, cambiando argomento: “Ehi, siamo stati alla macchina di Brakner. Niente chip, l’ha tolto!”

“Cosa? – Rider reagì con una smorfia esagerata – Ma-ma…Adesso come facciamo ad arrivare al covo di Brakner? Non abbiamo più chip. Quello che avevo addosso nelle fogne, l’ho perso!”

E mentre si guardavano l’un l’altro, spaesati, il suono dei loro telefoni notificò un messaggio. Dopo una rapida occhiata tra loro, ognuno alzò il proprio telefono per leggere.

 

“Bentornati a scuola, bugiardi. L’unione fa la forza, perciò affronterete questo primo giorno da soli. Separatevi fino a nuovo ordine, oppure…”

-A

 

“Oppure cosa? – si alterò Rider – Ci lega all’asta della bandiera?”

“Rider!” lo richiamò Nathaniel, cercando di calmarlo.

“Cosa, Nat? – urlò – Eh? Per te sarà facile restare da solo oggi, tanto non sei tu quello che è vestito da Albert!”

“Adesso calmati, Rider. – si intromise Sam – Non eri tu quello che diceva che dovevamo assecondare il mostro?”

Rider si zittì, abbassando lo sguardo. La campanella stava suonando.

“Ragazzi, credo sia meglio entrare. – suggerì Eric - Non voglio scoprire qual è la conseguenza al mancato ordine di A.”

Rider roteò gli occhi, avviandosi. Seguito dallo stesso Eric e poi da Sam. Nathaniel rimase indietro.

“Ehi, Sam!”

Quello si voltò, mentre gli altri continuarono a camminare.

“Che c’è?”

“Sta lontano da Brakner, se lo incontri… - lo fissò negli occhi, preoccupato per lui – Ok?”

Sam, restando incantato a guardarlo per qualche secondo, colpito dalla sua preoccupazione, finalmente disse qualcosa: “Ehm, ok…Sta attento anche tu!”

“So badare a me stesso. – sorrise – Tu pensa a te, va bene?”

Sam ricambiò il sorriso: “Va bene…” e si voltò, continuando a camminare, accentuando quel sorriso, genuino.

 

*

 

Rider aveva appena richiuso il suo armadietto, diretto in classe. Rallentava, non appena vedeva qualcuno fissarlo. Molti scuotevano la testa, bisbigliando disgustati. Preso un sospiro, accellerò il passo. Il telefono suonò nuovamente: un nuovo messaggio era arrivato.

“Sei pronto per il test a sorpresa sui padri fondatori? Barra tutte le A, magari una risposta riesci ad azzeccarla.”

-A

Rider si fermò un attimo, non credendo a quel messaggio. Aveva studiato molto per quel test, dopo essere stato avvertito dal Professor Palmer, incontrato al mercatino dei libri usati la settimana prima.

Non appena entrò in classe, demoralizzato, fu proprio il suo sguardo che incontrò.

Palmer sgranò gli occhi nel vederlo.

“…Stuart, prenda posto.” si pronunciò, allibito.

Rider si diresse al suo banco, osservato dai compagni e da Sam, Nathaniel ed Eric, seduti l’uno distante dall’altro. Nemmeno le parole di Palmer riuscirono a spostare gli sguardi incessanti della classe.

“Preparate le vostre penne, ragazzi. – Palmer prese una pila di fogli dalla sua borsa – Test a sorpresa sui padri fondatori!”

Un lamento generale si fece sentire, mentre distribuiva i test. Quando Rider ricevette il suo, assieme ad una lunga occhiata di Palmer, quello deglutì malamente.

Le sue mani sudate presero la penna e ad ogni domanda, c’erano quattro opzioni. Sfortunatamente, però, era stato costretto a sceglierne solo una; alla prima domanda, infatti, Rider mise una crocetta sulla A, consapevole che avrebbe scelto la stessa opzione fino alla fine del test.

 

*

 

Più tardi, verso l’ora di pranzo, Eric era appena entrato in mensa. Gli arrivò un messaggio, mentre camminava.

 

“Prendi il posto di Colton Rhimes alla mensa della scuola. I poveri distibuiscono il cibo, non si fanno servire.”

-A

 

 

Quando sollevò il capo, infatti, Colton non era più alla sua solita postazione, ma era seduto assieme a sua sorella e altri studenti ad uno dei tavoli. Eric assunse un broncio serio sul volto, mentre quelli ridacchiavano, lanciando rapide occhiate: Violet per prima. Senza obbiettare, sotto gli occhi dei suoi amici, seduti a tavoli diversi, si diresso al banco del cibo, indossando la cuffietta bianca e il grembiule. Eric si scambiò un rapido sguardo con Sam, Rider e Nathaniel, prima di dar retta a due studentesse con in mano il vassoio.

Improvvisamente, l’altoparlante della scuola, fece un annuncio. Era il preside Ackett a parlare.

“E con una vittoria schiacciante e più che prevedibile, il nuovo presidente del comitato studentesco è Violet Rhimes. Congratulazioni!”

Immediatamente, tutta la mensa si alzò in piedi, applaudendola, mentre lei si mostrava lusingata e sorridente.

Sam, Eric, Rider e Nathaniel si scambiarono nuovamente uno sguardo, più isolati che mai.

 

*

 

Poco prima di iniziare la sessione pomeridiana, Sam si prese una pausa, rinfrescandosi nel bagno dei ragazzi. Davanti al lavandino, provò a richiamare la sua amica.

“Chloe appena ascolti questo messaggio, richiamami. E’ importante! – sospirò – Richiamami, per favore.”

Messo il telefono giù, il ragazzo sbuffò, poggiato al lavandino con entrambe le mani, gli occhi chiusi. Improvvisamente, qualcuno lo prese per i fianchi e lo bacio sul collo. Sam reagì di scatto, scansandosi. Si trattava di uno studente.

“Ma che cavolo ti dice il cervello??” lo fissò, sconcertato.

L’altro rise, arrogante: “Io so che sei gay e tu sai che sono gay…Pensavo fosse chiaro cosa ho nel cervello!”

“Tu sei gay?” se ne meravigliò Sam.

Quello lo fissò, confuso: “Ma che problemi hai?”

“Che problemi hai TU, Cameron! – si alterò – Sta alla larga da me, ok?”

“Prima mi attiri qui e poi mi respingi? – si infuriò – Mi stai filmando, forse? E’ una trappola?”

Sam lo fissò a lungo, confuso: “Ma di cosa stai parlando? Io non ti ho attirato in un bel niente!”

“Mi hai mandato un messaggio! – prese il suo telefono, mostrandoglielo – Questo è il tuo numero, mi pare.”

Da Sam:

“Ti va se ci vediamo in bagno fra dieci minuti?”


“Cosa? – reagì, scioccato, difendendosi immediatamente - Non te l’ho mandato io!”

“Strano, perché sono tre giorni che messaggi con me!”

“Tre giorni???” si chinò in avanti con la testa per lo stupore.

“Senti… - si avvicinò verso di lui – So che sei spaventato ora che le cose si sono fatte serie. Nemmeno io volevo incontrarti, ma è bello sapere che c’è qualcun altro  come te, nella tua stessa scuola… - lo riprese nuovamente per i fianchi – E poi, ti ho sempre trovato carino quando ti vedevo gironzolare per i corridoi assieme ad Anthony e il suo gruppetto…” e tentò di baciarlo, mentre l’altro era disagio.

“No, smettila… - si scansò, ma quello lo riacciuffò – Basta, lasciami, CAMERON! – cercò di spingerlo via, urlando – Lascimi, ho detto!”

A tirarlo via da Sam, prendendolo da dietro, fu Nathaniel, che lo sbattè al muro.

“Stai bene?” chiese a Sam.

Quello annuì, mentre Cameron riprendeva fiato.

“Ma che vuol dire tutto questo? – si rivolse a Sam – Ti stai prendendo gioco di me?”

“Farai meglio ad andartene, - lo avvertì Nathaniel - prima che dica a tutta la scuola che Cameron il donnaiolo è in realtà un finocchio!”

Indignato, guardò i due, per poi andarsene, furioso.

Sam era fortemente provato, mentre si sciaquava la faccia.

“Si può sapere che cavolo è successo?”

“Non lo so, ok? – urlò Sam – Mi è sputato alle spalle all’improvviso e ha tentato di baciarmi. – quasi non riusciva a respirare, aveva un attacco di panico – Dice che ho messaggiato con lui per giorni e che gli ho detto io di venire qui in bagno.”

“Ok, sta calmo… - gli mise una mano sul petto e una sulla schiena, cercando di farlo respirare meglio – Dammi il tuo telefono.”

Sam glielo consegnò e Nathaniel potè esaminarlo.

“Ha ragione, qui ci sono delle conversazioni tra di voi… - alzò lo sguardo su Sam – Conversazioni molto intime.”

L’altro era a dir poco agghiacciato: “C-cioè, adesso si spaccia anche per noi con altre persone? Oggi vengo aggredito da Cameron, domani chissà da chi altro? – si agitò – E’ questa la mia vita, adesso?”

“Ci sta solo provocando, ok? Vuole che uno di noi crolli, affinchè confessi tutto: E’ questo il suo obbiettivo!”

“E’ assurdo, - era in lacrime - nessuno di noi confesserà mai qualcosa che non ha fatto. Tanto vale che ci dica di cosa si tratta, non può torturarci così!”

“Sta allungando il brodo per Albert. Dobbiamo scontare anche quello, ricordi?”

“Voglio solo che tutto questo finisca… - si calmò, ma era comunque distrutto – E invece mi sembra che più andiamo avanti e più le cose si accumulino. Come la nostra visita a Jasper, che abbiamo nascosto a Rider ed Eric. – deglutì, prima di riprendere a parlare – Mi sembra di impazzire a dover ricordare tutto quello che devo dire o non devo dire. Di mentire a mio padre, a Chloe, a Eric e Rider…. – si asciugò le lacrime - Passano i giorni e se penso a come fare per uscirne, non vedo via d’uscita.”

Nathaniel titubò: “I-io non so cosa dirti. Siamo sulla stessa barca, Sam.”

“Beh, la barca sta affondando con noi dentro. – ribattè, demoralizzato - Tappi un buco e ne si aprono altri tre!”

“Lo ammetto, non abbiamo un piano, ma adess… – improvvisamente ricevette una scossa, al livello del polso, urlando – Ma che diavolo??”

“Che cos’era?” Sam lo fissò, abbastanza confuso.

Nathaniel scoprì il braccialetto sotto alla manica.

“Mi ha dato una scossa!” esclamò, incredulo.

Fu il turno di Sam, poi, che sobbalzò per il dolore.

“Ma stiamo scherzando?” urlò, sconvolto.

“Ecco a cosa servono i bracciali…” ci arrivò Nathaniel, scioccato.

Sam provò a toglierselo con forza: “No, mi dispiace, non sarò la sua scimmietta ammaestrata!”

Ricevette una nuova scossa, più forte.

“Sam, smettila! – lo fermò Nathaniel, prendendolo per le spalle – Aumenterà il voltaggio, se continui così!”

“Perché ci sta dando delle scosse?” alzò la voce, non capacitandosi di tutto ciò.

“Forse perché stiamo insieme…Nella stessa stanza, intendo. Ci aveva detto di separarci fino a nuovo ordine.”

“Quindi prendiamo una scossa non appena facciamo qualcosa che ad A non va a genio?”

“Credo che sia questo il senso dei bracciali.”

“Dobbiamo trovare il modo di toglier… - ebbe un’altra scossa, chinandosi a terra – DIAMINEE!”

Nathaniel indietreggiò, alzando gli occhi al soffitto, le mani alzate: “Ok ok, me ne sto andando! Smettila con le scosse!”

Sam, col fiatone, lo guardò uscire dal bagno, basito.

 

*

 

All’uscita della scuola, era ormai buio. Eric e Rider poggiavano il loro fondoschiena sul cofano anteriore dell’auto di quest’ultimo, mentre Sam era davanti ai due ragazzi con la giacca sottobraccio. Sembrava aver riferito loro quanto accaduto durante la giornata. Dopo un attimo di silenzio, Rider si espresse abbastanza sconcertato.

“Quindi i braccialetti servono a darci una scossa, ogni volta che disubbidiamo ad A? – si guardò con Eric, allibito – Al prossimo giro ci regala un collare per cani che ci da fuoco?”

“Rider, seriamente! – lo riprese Sam – Tu non hai idea di quanto faccia male.”

Quello stette in silenzio, mentre Eric aveva altre perplessità.

“Quindi Cameron è davvero gay? – ne era ancora incredulo – Il ragazzo più ricco della scuola, il festaiolo numero uno di Rosewood e con una fama da mai stato single di ragazze…è gay?”

Sam sollevò la mano all’atezza del petto, con il palmo rivolto verso di loro, disgustato: “Oh, ti prego, non dire single di ragazze…Fai sembrare le donne come articoli da mercato!”

“Non mi aspettavo un commento del genere da un ragazzo gay.” intervenne Rider, sarcastico, guadagnandosi una lunga occhiata da parte dell’amico.

“Rider, non tutti i gay odiano le donne! – gesticolò nervoso, cambiando discorso – E poi non è questo il punto! A fa lunghe chattate con i nostri telefoni con gente a caso, perciò controllate sempre i vostri messaggi.”

I due, prendendo sul serio quell’avvertimento, tirarono fuori i loro telefoni, controllando.

“Allora… - Rider fissò il suo telefono a lungo, prima di alzare la testa – Zero messaggi! – annuì, quasi sentendosi patetico per quel numero – Eccetto quelli di A, ovviamente; quelli non mancano mai!”

“Da me è tutto ok, solo messaggi di A e Alexis.”

Sam compatì l’intero gruppo, mettendo il broncio: “Mi rendo sempre più conto di quanto la nostra vita sociale faccia schifo!”

“Già! – fu d’accordo Rider – Anthony era come un paio di occhiali 3D, in grado di farti vedere tutte le cose in un’altra prospettiva.”

“Ora che non ci sono più quegli occhiali… - continuò Eric – vediamo tutto per com’è realmente.”

Dopo qualche attimo di riflessione, mentre ognuno di loro guardava verso una direzione, assorti, Sam fu colto da un piacevole ricordo, che lo fece sorridere: “Ricordate quando Anthony ci portò a quel party? Proprio a casa di Cameron?”

“Casa? – Eric sollevò le sopracciglia, sorridendo per quell’eufemismo – Volevi dire villa gigante con piscina!”

“Fu il mio primo party… - ricordò Rider con piacere – Pensai finalmente di far parte di qualcosa. Pensai…Caspita, sto finalmente vivendo la mia adolescenza a pieno e non immaginando di viverla tra le mura della mia stanza e la penna fra le dita… - sorrise – Anthony non ci ha regalato solo parti buie, ma all’epoca… - tornò serio – non pensavo che ci sarebbero state.”

“Anch’io non lo pensavo, ma è accaduto. – aggiunse Sam, tornando a sorridere – Nemmeno ci parlavamo noi quattro. O almeno, non davvero, come stiamo facendo adesso…Come stiamo facendo dalla sua morte.”

Anche Eric sorrise, continuando sulla scia di quel ricordo: “Camminavamo dietro Anthony come se fossimo i suoi cuccioli. Eravamo troppo impegnati a sbalordirci di essere lì che a parlare tra di noi…”

Gli altri due annuirono, mentre il sorriso sfumava. Eric si voltò verso Rider.

“E la tua giornata? Com’è andata?”

“Ho passato tutta la settimana a studiare per il test a sorpresa, ma non è servito a niente. A mi ha ordinato di barrare tutte le A, e per un secondo…solo per un secordo….ho quasi risposto C, alla domanda numero otto. – rise, sdrammatizzando – Fortuna che non l’ho fatto o A mi avrebbe fulminato.”

Sam si rattristò per lui: “Rider mi dispiace…So quanto ci tieni alla tua media dei voti.”

Ad un certo punto, Eric si voltò verso la scuola: “Dite che Nathaniel l’avrà ricevuto il messaggio di A? Quello in cui ci dice che possiamo finalmente riunirci?”

“Starà facendo ancora qualche vasca e comunque – fissò l’orologio – io devo tornare a casa, mio padre mi aspetta per cena. Con la scusa che ho dormito a casa di amici, nell’ultima settimana, pensa che lo stia evitando.”

“Và pure, aspettiamo noi Nathaniel!” esclamò Rider.

Sam iniziò ad allontanarsi, fermato subito da Eric, apprensivo.

“Ehi, vuoi che ti accompagnamo alla tua auto?”

“No, è proprio là giù! – la indicò, facendo rumore con il mazzo di chiavi fra le dita – A domani!”

Rimasti soli, Rider ed Eric continuarono a conversare.

“Cos’altro ti ha fatto fare A, oltre a sabotare il tuo test?”

“Niente, Eric. – rispose abbastanza giù di morale - Per il resto, ci hanno pensato gli studenti della Rosewood high school.”

“Qualcunoti ha preso a pugni perché eri vestito come Albert?”

“No no… - scosse la testa – Ma sarebbe stato meglio, forse. Evidentemente questa generazione ha capito che uno sguardo è più forte di un pugno…Ogni volta che fissavo negli occhi ognuno di loro, riuscivo a sentire quanto poco mi tollerassero, quanto disgusto provavano nei miei confronti: volevo sparire.”

“E’ quello che ho provato anch’io, in mensa. Ed è stata la stessa cosa che Colton provava tutti i giorni, ogni volta che arrivavamo noi.”

Rider sospirò, amareggiato: “Violet vince, A vince…Persino Anthony che è morto, vince; l’aldi là è sicuramente meglio di quello che sta capitando a noi… - un altro sospiro  – Tutti vincono, tranne noi. I ragazzi della terra di mezzo…”

Eric tornò a fissare la scuola, cercando di non piangersi addosso: “Forse dovremmo andare a chiamarlo. Anche io ho una casa a cui tornare!”

“Andiamo a chiamarlo, è meglio! – si sollevò dal cofano – Probabilmente non l’ha proprio letto il messaggio.”

Mentre i due si avviavano verso l’ingresso, Nathaniel era in palestra che nuotava, facendo grosse bracciate, la testa sott’acqua. Non si era reso conto che qualcuno lo stava spiando, all’entrata della palestra.Qualcuno che indossava un cappuccio nero.

 

*

 

Rientrato a casa, Sam sentì l’odore della cena provenire dalla cucina con grande intensità; ciò gli fece brontolare la pancia, costringendolo a raggiungere rapidamente la stanza.

Non appena vi entrò, la tavola era apparecchiata e nei piatti c’era del pollo con patate. Era ancora fumante, probabilmente appena tirato fuori dal forno, ma di suo padre non c’era l’ombra.

“Papà?” lo chiamò, appoggiando le sue cose sulla sedia.

Tornato nel corridoio, continuò a chiamarlo, finchè non lo trovò nel salotto, seduto, che guardava in basso, i gomiti sulle ginocchia, le mani fra i capelli.

“Ehi, Papà!” lo chiamò ancora, perplesso da come l’aveva trovato: sembrava disperato.

Quello si sollevò lentamente, girandosi verso il figlio. Gli occhi rossi e umidi, di chi aveva pianto. Con espressione seria, prese energicamente il suo telefono, poggiato sul tavolino davanti a sé e si alzò.

“Qualcuno ti ha fatto del male?” domandò con tono deciso.

“Cosa?” non capì Sam, mentre l’altro lo ripeteva, più forte.

“HO DETTO: Qualcuno ti ha fatto del male?”

Sam era turbato: “Papà, adesso mi stai spaventando, che succede?”

“Rispondi, dannazione!” urlò, fuori controllo.

L’altro sussultò, sgranando gli occhi.

“No, Papà! – ribattè, urlando, confuso – Ma che cos’hai?”

Suo padre sollevò il telefono, mostrandogli delle fotografie: ritraevano lui, con le labbra distrutte e sanguinanti; sembravano autoscatti, alcune erano sfuocate, mentre le scorreva.

“Che cosa sono queste?”

“I-io, non lo so. – balbettò sconvolto – Davvero, io…”

“Me le hai mandate tu, Sam. Anzi, data la tua espressione stupita, forse me le hai mandate per sbaglio!”

“Vado nellla mia camera, - scappò via, gli occhi lucidi - scusami!”

Il padre lo inseguì nel corridoio, fermandolo per un braccio, prima che potesse salire le scale.

“No, stavolta non te la caverai così!”

L’altro si liberò, urlando.

“Lasciami!” e corse velocemente sulle scale, diretto di sopra.

“Sam, se è stato qualcuno della tua scuola a farti questo, sappi che andrò dal preside a denunciare la cosa e a scoprire la verità!” gli urlò.

Sam si fermò, voltandosi: “No, non farlo. Ti prego! – fece qualche passo più giù – Non è stato nessuno.”

“Non ti credo… - scosse la testa – E’ per il video di insulti? Le persone che hai insultato, qualcuno di loro ti ha ridotto le labbra come nella foto? Eh?”

“Ti ho risposto di no! – urlò, in lacrime – Perché non capisci?!”

“Se non è stato nessuno: CHI, Sam? CHI?” alzò ancora di più la voce, furioso.

Sam rimase a fissarlo, le labbra serrate, il volto serio e sofferente. Si voltò e si diresse in camera, chiudendo energicamente la porta. Si poggiò di schiena ad essa, scoppiando in un pianto silenzioso. Improvvisamente il suo sguardo si posò sul suo vecchio telefono, sulla scrivania. Si avvicinò e lo prese, trovando le sue foto nei messaggi inviati.

Stringendo i denti per la rabbia che provava nel vedere quelle immagini, gettò il telefono con forza contro la parete, mandandolo in mille pezzi.

Inginocchiatosi a terra, sentì il padre che stava salendo, così gattonò velocemente verso uno dei pezzi del cellulare, raccogliendolo. Era sottile e tagliente e lo fissò intensamente, portandolo vicino al polso. Chiuse gli occhi, procurandosi un taglio, mentre suo padre stava entrando.

Quello lo vide, sgranando gli occhi, buttandosi contro di lui e separandolo da quel frammento appuntito, tirando via il lenzuolo del letto, accanto a loro, e premendolo sul polso, velocemente.

“Ma che ti è saltato in mente?” gli gridò, sconvolto, mentre Sam piangeva tra le tue braccia.

“Sono gay, Papà… - pianse più forte, mentre quello sgranava ancora di più gli occhi – Sono gay!”

Suo padre lo distanziò dal suo petto, guardandolo negli occhi: “E’ questo il motivo per cui lo stai facendo?”

Sam deglutì, evitando il suo sguardo e poi annuì, spiegandosi: “Avevo paura a dirtelo, non sapevo quale sarebbe stata la tua reazione. – singhiozzò, mentre mentiva - E poi, poi a scuola è così difficile, io…”

Suo padre lo prese di getto tra le sue braccia, stringendolo forte, ad occhi chiusi, come sollevato.

“E’ solo questo, Sam? – gli chiese con un filo di voce - Solo questo?”

Poi lo distanziò, prendendolo per la faccia.

“Non devi avere paura, ok? Non devi fare queste cose, mi hai sentito? – gli sorrise, le lacrime scendevano copiose – La puoi affrontare con me questa cosa, io ti voglio bene. Sei sempre Sam, per me. Puoi dirmi tutto!”

Sam cercò di sorridere, mentre le lacrime gli scorrevano sul viso. Nonostante fosse una bugia, era sorpreso dalla reazione di suo padre.

“I-io non pensavo fosse ancora un problema tra voi giovani, non essere accettati.”

“Papà, è un problema che ci sarà sempre.”

“Sì, ma problemi come questi… - gli prese il polso, scuotendolo cautamente – Non devono portare a questo! Sam, devi affrontarli i problemi, ok? Non distruggerti! Devi essere fiero di te stesso e di come sei. Devi cercare di far vedere agli altri che stai bene e che non ti interessa di ciò che pensano. – le parole gli uscivano soffocate, per la commozione che stava provando e le lacrime – E puoi cominciare dal fatto che io ti accetto pienamente e che sto bene, perché le cose peggiori sono altre; come la morte così prematura di tua madre.”

Dopo quell’ultima frase, Sam si buttò nuovamente tra le braccia di suo padre, piagendo altre lacrime. Suo padre gli accarezzò la testa e poi la baciò, mentre erano inginocchiati a terra.

“Non avere più paura, Sam. Non ce n’è motivo. Non più.” lo rassicurò nuovamente, tenendolo abbracciato a sé.

 

*

 

Mentre Nathaniel nuotava indisturbato, l’incappucciato era accanto ad un quadrante con dei pulsanti. Improvvisamente ne premette uno, che azionò la copertura automatica della piscina. Nathaniel era a metà vasca, quando la copertura gli passò sopra la testa, colpendo il suo braccio.

Immediatamente, iniziò a colpire il telo, urlando.

“EHIII??? EHI, C’E’ NESSUNO???”

L’incappucciato indietreggiò, lasciando la palestra. Rider ed Eric, intanto, si stavano dirigendo lì, alzando il passo, nel sentire le urla del ragazzo. Nel giro di pochi istanti, l’incappucciato spuntò in mezzo al corridoio, correndo dalla parte opposta ai ragazzi. Quelli si bloccarono, nel vedere A. Compresero che si trattava di lui dalla felpa nera che aveva indosso. Dietro, però, aveva disegnata una tigre.

“Oh cavoli!” sgranò gli occhi Rider, mentre Eric smetteva di restare impalato, iniziando ad inseguirlo.

Rider lo seguì a ruota, subito dopo, ma dovette fermarsi quando passarono di fianco alla palestra, facendo caso a Nathaniel, bloccato. Entrò, allora, in palestra ad aiutarlo, abbandonando Eric.

“Nathaniel resisti, sono io!”

“Presto, tirami fuori!” gli urlò.

Rider azionò il pulsante che ritirò la copertura. Corse, poi, ad aiutare l’amico ad uscire dall’acqua.

“C’è A!” urlò nuovamente Nathaniel, dopo aver ripreso fiato.

“L’abbiamo visto, Eric lo sta rincorrendo.”

Nathaniel si sollevò in piedi, con l’acqua che gocciolava dal suo corpo, iniziando a camminare, pronto a raggiungere l’amico.

“Dobbiamo bloccarlo!”

 

*

 

Eric aveva inseguito A fino al seminterrato. Stava camminando, vigile, dopo aver perso le sue tracce. I corridoi erano stretti, l’illuminazione scarsa, le pareti arrugginite, i tubi gocciolavano e c’erano tante scatole e cianfrusaglie ovunque

Qualche passo più avanti, venne attirato da una parete, dove c’era una sottile fessura verticale che partiva da terra fino al soffitto. Eric la toccò con le dita, per poi apoggiare l’orecchio alla parete.

“Eric? – gridò Rider, in lontananza – Eric, sei qui?”

“Da questa parte!” si fece sentire quello, mentre continuava a dare un’occhiata.

I due ragazzi lo raggiunsero.

“Bene, sei davvero nel seminterrato. – esordì Nathaniel, con il fiatone – Pensavamo che fosse stato A a mandarci il messaggio, per ingannarci.”

“Potevi almeno metterti qualcosa addosso!” lo squadrò, Eric, con occhio disturbato. Aveva indosso un costume a slip molto aderente e niente più.

Nathaniel si guardò per poi replicare: “Beh, avrei inseguito A anche nudo!”

“Oookey, - intervenne Rider – abbiamo capito che Nat non ha problemi a mostrare i suoi genitali. Ora, però, dov’è A? – si guardò attorno, aspettando una risposta da Eric – Eh? Dov’è?”

“L’ho perso, una volta sceso qui.”

Gli altri due reagirono delusi, mentre l’altro indicava loro la parete.

“…Ma ho trovato questa strana parete, vedete? – mise la sua mano sulla fessura – Esce dell’aria, proveniente dall’altra parte.”

Rider si avvicinò, incuriosito.

“Potrebbe essere una porta scorrevole?” ipotizzò Nathaniel, mentre Rider la ispezionava attentamente.

“E’ una panic room! – dedusse – C’è una stanza qui dietro.”

“Una panic room?” ribattè Nathaniel, confuso.

“Sì, è una specie di stanza blindata. – spiegò Rider - Oggi giorno viene installata anche negli appartamenti in caso di rapimenti, atti criminali, attacchi terroristici. E’ progettata per affrontare qualunque tipo di minaccia esterna. Inoltre, queste panic room, sono dotate di un soffisticatissimo sistema di sorveglianza, in modo che chi è dentro, può vedere quello che accade fuori.”

Eric e Nathaniel si guardarono.

“Un posto perfetto per A, - pensò Nathaniel – non credete?”

“Quando sono sceso, prima, – raccontò Eric – ho sentito un forte rumore. Come quello di una porta che si chiude. Forse era la panic room. Spiegherebbe come A sia sparito.”

“Bene, come la apriamo? – Nathaniel si mostrò impaziente di agire – Se questo è il covo di A, abbiamo fatto un bel colpo stavolta!”

“Rilassati, incredibile Hulk. – lo estirpò Rider – Aprire una panic room è come tentare di aprire un buco nero con una filastrocca: cioè impossibile!”

“Quindi torniamo tranquillamente a casa, fingendo che Brakner non faccia la sua pausa pranzo qui sotto?” lo trovò assurdo Eric, quanto lo trovava assurdo anche Nathaniel.

“Ragazzi, avete idea di come sia strutturata una panic room? E’ fatta di cemento armato rivestito con lamiera balistica antiproiettile. Nemmeno una bomba la apre.”

“Stai scherzando, vero?” commentò Nathaniel, incredulo.

“No, non scherzo. Sarebbe più facile conoscere i codici per aprirla, ma… - si guardò intorno, osservando le pareti – Non vedo alcuna tastiera dove inserirli. Forse l’ha aperta con un telecomando o qualcosa di simile.”

Nathaniel, demoralizzato, si avvicinò alla porta, mettendoci le mani sopra: “E pensare che qui dietro potrebbero esserci i nostri video.”

Rider sembrò riflettere: “Potremmo rivolgerci a…” ma non finì la frase, che il braccialetto gli lanciò una scossa.

La stessa cosa accadde ai braccialetti di Nathaniel ed Eric.

“Oh mio Dio! – urlò Rider, quando cessò – Sarebbe questa la scossa di cui parlava Sam?”

“Credo che non ci voglia qua giù!” spiegò Nathaniel, interpretando la cosa.

“Non l’avevamo capito!” aggiunse Eric, sarcastico.

“Io me ne vado! – iniziò ad allontanarsi Rider – Non voglio sperimentare l’ultima tacca con l’immagine del teschio!”

Gli altri due lo seguirono, d’accordo.

 

Usciti dalla scuola, stavano raggiungendo l’auto a passo rapido. In quello stesso parcheggio, Eric notò qualcosa e si fermò per farlo notare anche agli altri.

“Ehi, guardate, l’auto di Brakner è ancora qui!”

Nathaniel era a dir poco furioso, mentre fissava quell’auto: “Mi chiedo perché usi ancora quello stupido cappuccio nero, ormai sappiamo che è lui il cattivo.”

“E mia sorella intende avere un lieto fine con lui, - commentò Rider, angosciato - lontano da Rosewood.”

I due si girarono a guardare Rider, dispiaciuti per ciò che stava passando.

 

*

 

Più tardi, Rider telefonò a Sam per informarlo di ciò che era accaduto a scuola. Entrambi erano nella propria camera.

“Quindi questa panic room potrebbe essere il covo di A?” chiese conferma, Sam, mentre era seduto alla sua scrivania a contemplare i pezzi del suo vecchio telefono, ammucchiati sopra il libro di algebra.

“Puoi anche smettere di chiamarlo A, sappiamo benissimo chi è… - ribattè, tirando fuori un paio di pantaloni da un cassetto – E comunque parlami di ciò che è successo con tuo padre, sembri abbastanza turbato.”

“Puoi dirlo forte, A… - si confuse, per poi correggersi – Cioè, Brakner, gli ha mandato delle foto mie, di quando le mie labbra erano messe male. Mio padre ha pensato subito che qualcuno a scuola mi avesse fatto del male per via del video con Anthony.”

“Perché ti sei scattato delle foto?” domandò, allibito, mentre appoggiava delle camicie sul letto, accanto al pantalone.

“Credi davvero che volessi scattarmi un selfie post-trauma? – trovò assurda la sua accusa – A controllava i nostri telefoni, perciò deduco che abbia attivato la fotocamera interna mentre controllavo i messaggi.”

“E come l’hai spiegato a tuo padre?”

“Ho praticamente fatto una scenata, sono corso in camera e ho spaccato il telefono contro il muro. – assunse improvvisamente una parlantina rapida per il resto - Poi mi sono tagliato un polso e gli ho detto che sono gay!”

Rider si fermò da ciò che stava facendo: “COSA?”

“Già, ho dovuto farlo. Negli ultimi giorni sono stato così strano che ho dovuto dare una ragione alle mie stranezze.”

“Usando la tua omosessualità?”

“Oh, ti prego, odio quella parola…”

“Ehm…Gayosità?”

“Senti, ci ha creduto, ok? Pensa che il mio disagio fosse quello…Ho risparmiato a mio padre un’inutile caccia alle streghe! – preferì cambiare discorso, a quel punto – Piuttosto, che abbiamo in mente? Sappiamo chi è A, perciò come andiamo avanti col gioco? Non ho intenzione di farmi molestare anche domani!”

Rider si sedette sul letto, grattandosi il capo, privo di idee: “Forse dovremmo…ehm…Non lo so, siamo ad un punto morto. Purtroppo, finchè Brakner ha quei video su di noi, possiamo fare ben poco per contrattaccare.”

“Io avrei un’idea, ma non so se A ci sta ascoltando…”

“Oh cavoli… - Rider trovò qualcosa nella tasca dei suoi pantaloni – Vieni sul fisso!”

Sam, intanto, stava torturando, con il dito, il mucchietto che rimaneva del suo telefono, notando qualcosa di particolare: “Ehi, credo di aver trovato il dispositivo  che A ha messo nei nostri telefoni… - non sentì alcuna risposta da parte dell’amico – Rider??”

Sam si accorse che non era più in linea, così lasciò la sua camera, scendendo al piano di sotto. Il telefono di casa squillava. Finalmente rispose.

“Pronto? Rider, sei tu?”

“No, una pizzeria...Sì, sono io, perché ci hai messo tanto?!” si infuriò.

“Beh, non mi hai di certo avvisato, prima di riattaccare.” replicò, stringendo tra le mani il piccolo e quadrato aggeggio nero.

“Nella tasca del mio pantalone, quello che avevo nelle fogne, ho trovato uno dei chip che avevamo. Credo che funzioni, però devo prima verificare con il tablet, ma se funziona…Possiamo metterlo addosso a Brakner, così quando si dirigerà alla panic room, noi potremo seguirlo e vedere come ci entra.”

“Io avrei pensato ad un’altra cosa… - Sam sembrò parecchio restio nel voler condividere il suo pensiero - Tipo tu che parli con Lindsay supplicandole di aiutarci a recuperare i nostri video. Insomma, se lei lavora con il nemico, saprà sicuramente tutto. Tanto vale fare questa chiacchierata vis-à-vis!”

“E’ un’idea stupida, non sappiamo nemmeno quanto sia coinvolta mia sorella in tutto questo e se sappia proprio tutto.”

“Chloe l’ha vista nell’auto di Brakner, quella notte. A me sembra abbastanza coinvolta, invece.”

“Non ci aiuterà, ok? O l’avrebbe già fatto!”

“Ma è tua sorella! Quale sorella non aiuterebbe suo fratello da un pazzo psicopatico. Se riavremo i video, potremmo finalmente denunciarlo!”

“Lei è innamorata del pazzo psicopatico, ecco perché non ci aiuta!”

Sam, a quel punto, sbuffò, mentre l’altro sospirava. Si incantò a guardare il dispositivo, durante quell’attimo di silenzio, notando qualcosa di insolito.

“Di solito non c’è un numero di serie su questi così elettronici?”

“Adesso cosa c’entra?”

“Sul dispositivo ci sono delle lettere… - cercò di vedere attentamente, ma erano troppo piccole - Aspetta, ho una lente di ingrandimento. – corse a prenderla da un cassetto, di un mobile nel corridoio  - Ecco, sono cinque lettere: DFPDM!”

“Aspetta, ma non è possibile… - Rider sollevò il chip che aveva in mano – Anche i chip che abbiamo rubato al dipartimento hanno quella sigla.”

I due rimasero alquanto perplessi da tale scoperta, cercando di capirci qualcosa.

 

*

 

Il giorno seguente, Eric era pronto per andare a scuola. Quando si affacciò in cucina per salutare sua madre, la trovò lì in piedi con uno splendido tailleur blu, un tacco nero e lungo e un grosso sorriso.

“Allora? Come sto?”

“Uao, mamma, sei stupenda!” ne rimase a bocca aperta.

“Dici che non è troppo?” si guardò attentamente.

“Beh, tutte le commesse dei negozi d’abbigliamento vestono con classe. Direi che vai decisamente bene!”

Jennifer non stava più nella pelle, mentre gesticolava briosa: “Sono così emozionata per il mio primo giorno!”

Bussarono alla porta. Eric continuò a sorridere alla madre, mentre andava ad aprire. Era Alexis.

“Muffin e caffè! – li agitò, portando avanti il contenitore di plastica che li conteneva – Qualcuno ha fame?”

Eric le sorrise, felice di vederla.

“Arrivi sempre nel momento giusto, cara!” esclamò Jennifer, avvicinandosi.

“Caspita, Signora Longo…Che schianto!” commentò Alexis, squadrandola dalla testa ai piedi.

“Oh, per favore, – gettò la mano in avanti  - esci con mio figlio, chiamami Jennifer…o Jen, come preferisci!”

“D’accordo, Jen… - rise, imbarazzata, girandosi verso Eric - Jen è carino, non trovi?”

“Già!” ribattè Eric, divertito.

“Alexis, sappi che sarò la tua personal shopper, se mai verrai a trovarmi da Valerìe. Con il corpo che ti ritrovi, immagino già degli abiti favolosi per te!”

Alexis si mostrò subito restia, non molto allettata all’idea dalla smorfia che aveva assunto il suo viso: “Ouh, no, non credo proprio. Sono più una tipa del ghetto, odio vestirmi bene.”

Jennifer si mise una mano sul petto, tramortita da quelle parole: “Sai, anche le ragazze del ghetto hanno il loro lato principesco. Basta osare per tirarlo fuori.”

“Non sono una principessa, Jen. Nemmeno un pò, credimi.”

“Ti sottovaluti troppo, cara. Lascia che ti mostri quella parte di te che non conosci.” Insistette  Jennifer.

Alexis era ancora indecisa. Fu Eric a darle un incentivo in più.

“Dai, lasciati aiutare da mia madre. Se io sono passato alle tute da ginnastica, tu puoi passare ai capi d’alta moda senza problemi. E poi domani sera abbiamo un appuntamento, ricordi?”

“Il quarto appuntamento, per la precisione!” aggiunse Jennifer.

“Li sta contando, per caso?” sorrise Alexis, sempre più imbarazzata.

Quella ammiccò, facendole un’occhiolino: “Ti porto qualcosa da Valerìe, allora? E la proviamo domani pomeriggio? – la fissò a lungo – Dai, sarà divertente!”

Alexis guardò Eric, prima di rispondere: “D’accordo!”

“Evviva!” esultò la donna.

“Beh, credo che sia ora di andare! – sorrise ancora Eric, dirigendosi alla porta con Alexis – Buon primo giorno, Mamma!”

“Grazie, tesoro… - poi si rivolse ad Alexis – E a te ti aspetto domani, eh!”

“Certo!” esclamò Alexis, tirata da Eric.

Non appena la porta si chiuse, i due si ritrovarono sul pianerottolo, dove Eric portò la ragazza contro il muro, baciandola appassionatamente, mentre sorridevano ad occhi chiusi ogni volta che separavano le loro bocche.

“Tua madre sa anche a che numero di baci siamo arrivati?”

Eric rise, mentre la teneva bloccata per i fianchi: “Difficile, ho perso il conto persino io…”

L’altra rise, per poi diventare seria, mentre quello si distanziava: “Sono davvero contenta di come stanno andando le cose tra noi. Insomma, fino a dieci giorni fa non avrei mai detto che le cose si sarebbero evolute così velocemente, ma è successo…E sicuramente, tu vorrai passare ad un altro livello di questo rapporto. Dico bene?”

Nonostante fosse confuso, rispose sinceramente: “Beh, sì…Continuiamo ad uscire, a baciarci e ad essere in sintonia, ma ancora non abbiamo parlato di rendere ufficiale la cosa.”

“Eric, in genere non sono una che ama ufficializzare le cose. Ma quando lo faccio, devo essere sicura di quello che sto facendo.”

“Cioè? – non capì, tentennando confuso – Non sei sicura di voler stare con me?”

“Non sono sicura di riuscire a vederti completamente. E’ come se dentro la tua testa ci fossero due grandi blocchi: uno rappresenta ciò che conosco di te, le cose basilari, che hai condiviso con me. Poi c’è quest’altro blocco, molto più grande, dove risiedono le cose più importanti, che non vuoi raccontarmi.”

“Pensi che ti stia nascondendo qualcosa?”

“Non lo so…Lo stai facendo?”

Eric titubò, prima di rispondere con gran sicurezza: “Tutto quello che sai è quello c’è… - la baciò di nuovo, freddamente – E ora devo andare a scuola!” concluse, iniziando a scendere le scale.

Alexis lo seguì solo dopo qualche secondo, non molto convinta dalle sue parole.

 

*

 

Anche Sam stava per uscire di casa, quando sentì il padre parlare al telefono, passando accanto alla cucina.

“Lasci che gliene parli, poi decideremo quando prendere questi appuntamenti. Grazie per la sua disponibilità!”

Sam entrò in cucina di soppiatto, mentre quello poggiava il telefono.

“Con chi parlavi, Papà?”

Quello si voltò, colto di sopresa: “Ehi, ciao… - gli sorrise nervosamente - Tutto bene?”

“Papà devi smetterla di chiedermi se va bene, ogni dieci minuti.”

“Lo so, è che dopo ieri…Beh, mi hai fatto preoccupare molto.”

Sam sorrise: “Tranquillo, ora sto molto meglio. Mi ha fatto bene dirti finalmente tutto.”

“Beh, sì, questo si… - spostò lo sguardo altrove, nervoso – Ehm, però, Sam… - ora lo fissò dritto negli occhi, serio - questo non basta a farmi stare tranquillo.”

“Che vuoi dire?”

“Ho parlato con uno psicologo, poco fa…”

Sam si lasciò sfuggire una risata, prima di tornare serio e leggermente infastidito: “U-uno psicologo? Papà, non sono matto!”

“No, non sei matto ma hai dei problemi. Problemi di autolesionismo!”

“Cosa? – rise nuovamente – E’ assurdo anche solo pronunciare quella parola.”

“Non stai prendendo sul serio la cosa, Sam. Se ogni volta che sei depresso per qualcosa, ti fai del male, hai bisogno di essere aiutato. Insomma, ieri non hai battuto ciglio nel tagliarti il polso.”

“Ma ti ho detto che sto bene e che non accadrà più!” urlò.

“E ti dovrei credere sulla parola? – ribattè con un tono più alto - Per poi pentirmene quando ti succederà qualcosa?”

“Non andrò da uno psicologo.” si rifiutò categoricamente.

“Sam, non ti sto mica chiedendo di essere internato. Si tratta solo di qualche seduta a settimana con qualcuno che può aiutarti dove io non riesco. Che può farti stare meglio e vivere meglio, ok? – lo fissò con il cuore in mano – Ti prego, fallo per me.”

Sam era combattuto, ma alla fine si arrese alle preoccupazioni del padre, abbassando lo sguardo: “Va bene, farò qualche seduta… - tornò a fissarlo - E’ una donna?”

“E’ un uomo…Si chiama Wesam Grimes!”

“Ouh… - si imbarazzò Sam - Ok!”

Suo padre intuì il motivo del suo imbarazzo, o, almeno, lo immaginò, subito dopo: “Oh Dio, aspetta, non è mica un problema per te se è un…”

L’altro lo fermò subito: “No no, non è un problema! – iniziò a sudare, molto imbarazzato - Cioè, non mi interessa se è un uomo o una donna.”

“Capisco…” annuì, leggermente a disagio, guardando da altre parti.

Anche Sam lo era: “Forse è meglio che vada!”

“Bene, - sorrise l’altro - allora ti mando gli appuntamenti per email!”

Sam sollevò il pollice, mentre usciva: “Ottimo!”

 

*

 

Più tardi, a scuola, il Professor Palmer stava distribuendo i test corretti. Rider era nuovamente vestito come Albert, anche quella mattina, con una camicia di diverso colore ma pur sempre nello stile di Albert. Aveva appena ricevuto il suo compito, accompagnato da un’occhiataccia poco positiva del suo insegnante.

“Non è possibile… - Rider lo visionò, incredulo – Le ho sbagliate tutte!”

Sam, Eric e Nathaniel lo udirono da dove erano seduti.

Rider si alzò con il foglio, dirigendosi alla cattedra.

“E’ uno scherzo? Non è possibile che in un test, la risposta giusta sia divisa in tre opzioni quando ce ne sono quattro. Su quindici domande, vuole farmi credere che nemmeno una è la A?”

Palmer lo fissò abbastanza basito, come tutto il resto della classe: “Anche io mi chiedo se tutto questo sia uno scherzo, Signor Stuart. Prima si veste in… - lo squadrò da capo a piedi, indignato – questa maniera, poco rispettosa nei confronti di un ragazzo che è scomparso e che non è più tornato a casa perché si sentiva ogni giorno ridicolizzato dal vostro gruppo, poi sbaglia tutte le risposte del test barrando la stessa opzione a tutte le domande e ha il coraggio di venire qui a chiedermi spiegazioni?”

“Non ho tutta questa faccia tosta! – deglutì, Rider, difendendosi – Almeno cinque domande del test avevano come risposta giusta la A, ma nel mio test sono state spostate. – si avvicinò ad una ragazza al primo banco e prese il suo foglio – Non me lo sto inventando, ora le faccio vedere… - cominciò a cercare la domanda con lo sguardo - Allora, domanda numero sette…numero sette… - la stava guardando – Ricordo che la numero sette era A.”

Tutti lo stavano fissando, abbastanza scioccati. Sam, Eric e Nathaniel si guardarono tra loro, impietriti.

Rider, fermo a guardare il foglio, si stava rendendo conto che non aveva ragione.

“No, non è possibile… - si voltò, prendendo il foglio di un altro studente – Io lo ricordo perfettamente, la numero sette era la A!”

“Signor Stuart…” lo richiamò il Professore, abbastanza seccato.

Rider prese ancora un altro foglio, dal banco di un altro compagno: “Le dico che la numero sette era…”

Palmer battè la mano sulla cattedra, alzandosi, urlando, ne aveva abbastanza: “SIGNOR STUART, ESCA DALLA CLASSE! ORA!”

Quello si bloccò, fissandolo, gli occhi sgranati per lo spavento. Tutti si irrigidirono.

“Vada fuori! – gli intimò ancora una volta - Se non accetta il suo voto, si senta in dovere di contestarlo al preside, ma dubito che lo farà dal momento che il suo test è una presa in giro.”

Senza aggiungere nulla, Rider si incamminò verso la porta, ma non prima di aver guardato i suoi amici, allibito. Poi uscì.

 

 

*

 

Più tardi, in mensa, la tensione era alle stelle per i quattro ragazzi. Sam era seduto da solo, che cercava ancora di contattare Chloe, mentre si lanciava continui sguardi con Nathaniel, seduto più avanti. Rider, invece, non riusciva ancora a capacitarsi di cosa fosse andato storto con il test e si stava dirigendo con il vassoio al banco del cibo, dove c’era Eric.

Prima di lui, arrivarono Violet e il suo gruppo; tra questi vi erano anche suo fratello e Lisa.

“Allora Eric, come ti trovi dietro al banco?” esordì lei, un sorriso cinico. Gli altri ridacchiavano alle sue spalle.

“Come dovrei trovarmi? – restò calmo, quasi indifferente, per non darle soddisfazioni – Sono dietro ad un banco e distribuisco il cibo. – sorrise loro, sforzatamente – cosa vi servo?”

“Quello che ho preso ieri e due uova sode!” esclamò Colton, con tono arrogante. Sembrava un’altra persona, più sicura di sé.

Eric sorrise, beffardo, mentre riempiva i vassoi: “Serve altro?”

“Sai, Eric… – Violet non volle congedarsi senza avere qualche soddisfazione – Come nuovo presidente del comitato studentesco, mi è stato detto che morivi dalla voglia di distribuire il cibo alla mensa. Per questo ti trovi qui.”

“Quindi? – scosse la testa Eric, indifferente, per poi chiarire la sua posizione – Se pensi che farò una scenata, qui, dentro la mensa, per gonfiare il tuo ego e quello del tuo esercito della salvezza…Beh, dovrai fare di meglio!”

“Esatto!” si avvicinò Rider, che aveva ascoltato tutto.

Violer si voltò verso di lui, così come gli altri, con sorriso cinico: “Ma guardate chi c’è, Mr. A!”

“Come, scusa?”

“E’ questo il tuo soprannome, - spiegò Violet, divertita - dopo che hai delirato all’ora di letteratura.”

“Chissà chi è la fonte, pazza stronza!” ribattè Rider, sprezzante. Ne aveva abbastanza

Colton intervenì, spintonandolo. Rider lo fece a sua volta, mentre gli altri gridavano loro di fermarsi. Eric fece il giro del bancone. Nathaniel lasciò il suo tavolo, raggiungendo l’amico e dividendolo da Colton assieme ad Eric.

I due gruppi si guardavano con sguardi fulminei, mentre i ragazzi riprendevano fiato e si ricomponevano.

“Perché non vai a giocare alla dittatrice da un’altra parte?” suggerì Nathaniel a Violet, in maniera poco amichevole.

“Qui nessuno sta dettando niente. Il tuo amico mi ha dato della pazza, quando il pazzo è lui che si veste da Albert e si mette a delirare in classe su risposte giuste e sbagliate.”

“Avete avuto quello che volete. – aggiunse Eric - La scuola, la vostra rivincita e anche il cibo. Perché non ve ne andate, adesso?”

“Ce ne andiamo! – esclamò quella – Ma perché siamo noi a volerlo. Non comandate più voi, qui…” si congedò, dando le spalle, sorridendo soddisfatta, assieme al suo gruppo, mentre si dirigevano ai tavoli.

“Stai bene?” domandò Eric a Rider.

“No! – si svincolò dai due ragazzi, nervoso – Oggi va tutto storto!”

“Ehi! – li raggiunse Sam – Tutto a posto?”

Improvvisamente ricevettero tutti la scossa, agitandosi.

“STRONZO!” urlò Rider, quando la scossa terminò. Attirò qualche sguardo, naturalmente.

“Torniamo ai nostri tavoli, non possiamo ancora stare insieme: è la regola. ” ricordò loro, Nathaniel.

Annuirono tutti, dividendosi nuovamente. Eric tornò dietro al banco e gli altri ai tavoli. Rider lasciò la mensa, invece, lanciandosi ancora sguardi fulminei con Violet.

 

*

 

Finite le attività extracurriculari, verso il pomeriggio, i quattro si riunirono intorno ad uno dei tavoli che c’erano nel cortile interno alla scuola. Da soli. Dopo il messaggio di A, poterono finalmente ricongiungersi.

“Ragazzi, voi mi credete, vero? A ha spostato le risposte per farmi prendere zero, ne avevo prese almeno cinque su quindici. Avrei potuto recuperare, ma ora...ora come cavolo faccio? Sempre che A non decida di aiutarmi anche nella prossima verifica! ” spiegò, sofferente.

“Certo che ti crediamo, Rider. – intervenì Nathaniel - Stiamo combattendo tutti con la stessa persona, sappiamo di cosa sia capace.

Rider continuò: “La cosa che non capisco è come Palmer non abbia battuto ciglio su quello che gli stavo dicendo. Insomma, i test gli ha fatti lui, perciò sapeva sotto quale lettera erano le risposte giuste e che la risposta esatta alla domanda numero sette non poteva passare dalla A alla C, come per magia. Ed è impossibile che su quindici domande, nemmeno una di quelle giuste sia sotto la A!”

Anche Eric prese parola: “Smettila di scervellarti inutilmente. A avrà scassinato l’armadietto di Palmer e avrà fatto la magia. E Palmer non ti ha creduto per il semplice fatto che hai barrato tutte le A senza ragionare alle domande, come se non avessi studiato, nonostante ti avesse avvertito di questo test. La delusione nei suoi occhi per i risultati che hai ottenuto, l’ha completamente accecato e si è giustamente sentito preso in giro.”

“Almeno a voi è andata bene… - sospirò Rider, scivolando sullo schienale della sedia - Del resto vi ho avvisati io di questo test a sorpresa!”

“Ti rifarai, ok? – cercò di consolarlo, Sam, mentre tirava fuori i chip dalla borsa e li metteva sul tavolo – Piuttosto, dobbiamo aggiornare anche Eric e Nat della nostra telefonata di ieri.”

Nathaniel rimase perplesso, confuso quanto Eric: “Aggiornarci su cosa?”

“Ieri ho spaccato il mio telefono, non chiedetemi perché. Comunque, ho trovato il chip che Brakner ha messo nei nostri vecchi telefoni, mentre Rider ha trovato uno dei chip che avete rubato al dipartimento.”

“E quale sarebbe l’aggiornamento? Una collezione di chip?” non capiva ancora Eric.

Sam tirò fuori una lente di ingrandimento.

“Osservate le sigle sui chip… - continuò, mentre Eric e Nathaniel guardavano i chip da vicino – DFPDM è la stessa sigla che viene riportata su entrambi i chip.”

Eric si guardò perplesso con Nathaniel, prima di dire qualcosa: “Ma questo vuol dire che…”

Rider prese parola per confermare i loro pensieri: “Sì, i chip che Brakner ha messo nei nostri telefoni provengono dal dipartimento di ingegneria elettronica a Brokehaven.”

“Che strana coincidenza che noi siamo stati lì, parecchio tempo dopo A.” pensò Nathaniel.

“Nessuna coincidenza. – chiarì Rider - Prima di andare a Brokehaven, ho chiesto a mio padre chi intervistasse per i suoi libri, per la parte tecnologica. A è stato nello studio di mio padre per lasciarmi quel libro che parlava del crimine commeso da Anthony e dove si trovavano le medicine di Nathaniel, ricordate? Beh, avrà guardato la sua agenda e così ha trovato il contatto di Denna Marx. Semplice!”

“Un momento… - Nathaniel fermò tutti, ricordando una cosa – Quando sono stato nel laboratorio del dipartimento, ho conosciuto una certa Zoe, che mi ha detto che il progetto dei chip sui topi era un’idea di una studentessa chiamata Ella Duval ma che l’aveva aiutata Denna Marx.”

“Ok, quindi Ella Duval sarebbe il braccio destro di A? – dedusse Sam, trovando tutto pazzesco e bizzarro – Chi cazzo è questa, adesso?”

“Non credo! – precisò Nathaniel – Zoe mi ha fatto intendere che Denna ci aveva messo più di una mano sopra quel progetto. Perciò è Denna il braccio destro!”

Rider ed Eric erano a dir poco senza parole. Sam continuava a trovare tutto assurdo.

“Denna Marx? Che cosa cavolo c’entra con noi questa donna?”

“Niente, Sam. – continuò Rider - Brakner l’avrà pagata!”

Anche Eric si espresse: “E profumatamente, direi: stava partendo per Miami!”

Rider fissò tutti, serio: “Avete lasciato i telefoni negli armadietti?”

Quelli annuirono.

“Bene, non voglio che Brakner ci ascolti…Dobbiamo trovare Denna Marx e minacciarla. Che ci aiuti almeno a levarci questi dannati bracciali, prima che i miei neuroni comincino ad abbandonarmi uno ad uno a forza di scosse elettriche!”

“E come la minacciamo, scusa?” replicò Nathaniel.

“Ehm, - ribattè Rider con ovvietà - torture su minori?”

“Scusate se sono ripetitivo, - si intromise nuovamente Eric – ma Denna è partita per Miami, ricordate? L’unico modo per parlarle è iniziare a fare una scorta di infradito e collane di fiori per raggiungerla al resort a cinque stelle in cui sicuramente starà alloggiando!”

Rider rimase in silenzio, mentre gli altri lo fissavano. Rider fissava loro a sua volta, come se dietro al suo silenzio si celasse il suo solito pensiero estremo. Sam lo intercettò.

“Rider, vai al diavolo! Io dopo la vicenda del treno ho deciso di non seguirti più da nessuna parte.”

“A chi lo dici!” aggiunse Eric con enfasi, riferendosi, invece, alla vicenda delle fogne.

Quello lanciò una lunga occhiataccia ai due, offeso: “Grazie mille, eh! E comunque non sono così folle da spingermi fino a Miami…Anzi, forse non è come sembra!”

Nathaniel perso il filo del discorso: “Cioè, che vuoi dire?”

“Dico che, secondo me, Denna Marx è ancora tra noi. Dev’essere tutta una farsa, non credo che sia partita…Altrimenti non si spiegherebbero i braccialetti che abbiamo appena avuto. Se c’è una cosa certa è che Brakner ha solo una laurea in matematica e sguardi seducenti!”

“Quindi torniamo al dipartimento?” dedusse Eric, mentre si alzavano.

“Sì, mi fingerò nuovamente podcaster e ci faremo avere l’indirizzzo del suo domiciglio!”

I quattro raggiunsero i loro armadietti, recuperando i telefoni. Sam ricevette un messaggio, puntato immediatamente dallo sguardo degli altri.

“E’ solo mio padre!” spezzò la suspence.

“Dovremmo avere una suoneria personalizzata solo per A. Odio questi momenti in cui le nostre mandibole precipitano a terra ad ogni sms che riceviamo!” pensò Nathaniel, riprendendo fiato.

“Sì, - continuò Sam, mentre avevano ripreso a camminare – comunque…non posso fare i compiti con voi domani!”

Quelli si fermarono nuovamente. Intuirono che si trattava di una frase in codice, che mascherava la gita al dipartimento.

Rider fu il primo a prendere parola: “Perché?”

“Ho uno psicologo, grazie ad A! – rispose, sarcastico e irritato – Lo incontro domani, Mercoledì e Venerdì!”

Nathaniel era confuso a quel punto, come Eric: “Un secondo, che mi sono perso? Perché tuo padre ti manda dallo psicologo?”

Fu Rider ad aggiornarlo: “Perché Brakner gli ha mandando foto di Sam di quando aveva le labbra malconce. Ha dovuto inventare qualcosa prima che corresse qui a scuola a cercare il suo bullo.”

“Tipo cosa?” cercò di capire Nathaniel, fissando Sam.

Fu sempre Rider a rispondere, incurante: “Tipo fare coming out, tagliandosi un polso!”

“COSA?” gridarono in coro Eric e Nathaniel, sgranando gli occhi.

Sam lanciò un’occhiataccia a Rider per averlo detto in quel modo.

“Risparmiati quella faccia, Sam. Ho avuto una giornata di merda!”

Quello attenuò la sua smorfia, voltandosi a spiegare agli altri due.

“Sentite, dovevo dare un senso a quelle foto. Fingere di avere una specie di disagio interiore! - roteò gli occhi, seccato - Peccato che ora mio padre pensi che l’autolesionismo sia il mio nuovo hobby!”

“Sam, è stato pericoloso fare quello che hai fatto. – lo sgridò Eric, mentre Nathaniel si mostrava seriamente allibito e preoccupato – Poteva andarti peggio!”

Sam alzò la manica, indifferente, mostrando il polso fasciato: “E’ solo un taglietto, rilassatevi!”

Nathaniel si infuriò: “Un taglietto?? Sam, ti rendi conto di che potere ha A su di te?”

“Ha potere su tutti noi, Nat!” ribettè l’altro.

“No, non è vero. Di certo non giustifico i miei disagi camminando su un cornicione!”

Sam, stufo, si sistemò la tracolla, superando i compagni.

“Io me ne vado, ci vediamo domani!”

Mentre Nathaniel lo fissava altamente infastidito, voltare loro le spalle, Rider lo fermò.

“Sam, chiamami domani mattina. Sul fisso!”

Quello roteò gli occhi ancora una volta, prima di voltarsi nuovamente e andare: “Ok!”

 

*

 

Come concordato, Sam e Rider si sentirono per telefono la mattina seguente.

“Sam, devi venire con noi a Brokehaven oggi. Non puoi non venire.”

“Lo sai che non posso. Tra le ore extra a scuola e lo psicologo, non ho il potere di sdoppiarmi in due.”

“Davvero? – si pronunciò con finto scetticismo – Mi stai dicendo che per te lo psicologo è più importante di quello che dobbiamo fare? Avanti, non me la bevo!”

“Che vorresti dire, scusa?” Sam percepì un velo di insinuazione.

“Intendo dire che, forse, Nat ha ragione. Che A ha molto potere su di te!”

“Noi facciamo continui buchi nell’acqua, ok? Non pagherò le conseguenze anche questa volta!”


“Sam, noi ci andremo ugualmente a Brokehaven. E se riusciamo a togliere i bracciali, Brakner se la prenderà solo con te, perciò decidi tu.”

Sam sospirò, fissando la parete. Improvvisamente sentì un suono provenire dall’esterno.

“Rider… - cercò di guardare fuori, attraverso le finestre, abbastanza distratto da quel suono insistente – Ne riparliamo a scuola, ok? Ora devo andare!”

Quando mise giù la cornetta, ancora si sentiva la voce di Rider che parlava, nell’intento di trattenerlo e finire il discorso.

Sam era già alla porta, subito dopo, uscito a vedere di cosa si trattasse. Con gran sorpresa, trovò Nathaniel, che camminava con accanto un tandem, suonando il campanellino.

Confuso, Sam sorrise, avvicinandosi.

“E questa bicicletta?”

Nathaniel, altrettanto divertito, prese un biglietto dal cestello e glielo fece leggere. Il sorriso scomparse immediatamente dal viso di Sam, non appena lo lesse.

 

“Dopo il vostro primo bacio, sarete sicuramente felici di fare un giro romantico prima di andare a scuola.”

-A

 

Sam alzò la testa, sentendosi in colpa, una mano sul petto: “Nat, mi dispiace. Sono così mortificato.”

L’espressione dell’altro era totalmente serena: “E’ tutto ok, Sam. D’accordo?”

“Ma ci vedranno tutti! – si disperò – E’ tutta colpa mia, ora A pensa che siamo una coppia.”

“Senti, sono stato io a baciarti. E’ tutto a posto, ti ho detto.”

Sam lo fissò a lungo, in una smorfia angosciata: “E io che pensavo che A sarebbe stato impegnato con Eric e Rider, mentre noi andavamo in carcere da Jasper. Questo vuol dire che sa che abbiamo parlato con lui.”

“Forse ci ha seguiti Lindsay. Brakner non poteva preparare la trappola ad Eric e Rider ed essere a Philadelphia con noi, contemporaneamente.”

“Pff, e poi Rider dice che sua sorella non è coinvolta più di tanto. Secondo me ci è dentro fino al collo!”

Nathaniel suonò il campanello della bicicletta, accennando poi un sorriso, per sdrammatizzare.

“Dai, sali! – ci montò sopra, aspettando l’amico -  Non avevo mai provato una bicicletta a due posti…”

Sam era ancora restio nel voler fare questo giro: “Nat, ma le persone…”

Quello lo zittì immediatamente.

“Smetti-di-parlare. Ok? Non mi importa di quello che dice la gente. Mi importa di quello che dico io…E quello che dico io mi fa stare bene, perciò sali su questo dannato tandem!”

Sam lo fissò a lungo, colpito dalle sue parole, arrendendosi: “Beh, A ci ha detto di fare un giro, ma non ha specificato dove. Propongo di andare al parco, così eviteremo di dare qualcosa di cui sparlare ai cittadini di Rosewood.”

“Te l’ho detto, non ho problemi. Ma se desideri questo, che parco sia!”

Sam montò sul tandem.

“Ok, ci sono!”

Nathaniel si voltò, assicurandosi che potessero partire.

“Pronto? Possiamo andare?”

“Sì!” accennò un sorriso, l’altro.

I due iniziarono a pedalare, allontanandosi lungo il viale.

 

*

 

Più tardi, a scuola, Eric e Rider erano seduti sulle panche che c’erano davanti alla scuola, in attesa del suono della campanella. Mentre quest’ultimo controllava il telefono, l’altro osservava alcuni annunci sul giornale.

“Violet ha dato una festa per la sua vittoria: 67 foto… - Rider le vide una ad una, facendo delle smorfie con il viso – Ah, no, - accentuò la smorfia, seccato – sono 72!...  – notò dell’altro, poi -  Ehi, ha appena pubblicato uno stato: Il ballo degli ex alunni si avvicina, suggerimenti per la band da chiamare? – sollevò lo sguardo dal telefono, indignato – Pazzesco, ha già ricevuto 108 like!”

“Rider, la smetti di controllare il profilo di Violet? Sto cercando di concentrarmi!”

Quello buttò un occhio sul suo giornale, perplesso: “Concentrarti su cosa? Sugli annunci dei cani scomparsi?”

“No! – girò la pagina, Eric, nervoso – Sto cercando gli annunci di lavoro, voglio aiutare mia madre.”

“Sono alla fine, comunque…” indicò con gli occhi.

“Grazie… - ribattè, giù di morale, andando alla fine del giornale – In più, Alexis sembra avere dei ripensamenti su di me.”

“Pensavo che andasse a gonfievele tra di voi.”

“Beh, pensa che io nascondi qualcosa…Il che è vero: A!”

“Non azzardarti a raccontarle assolutamente nulla. So che è dura, ma devi lasciarla fuori da questa storia.”

“Non è facile… - si mise le mani sulla faccia, oppresso – Non ce la faccio più, diventa sempre più pesante la nostra situazione.”

“E lo dici a me? Ieri sono stato letteralmente cacciato fuori dall’aula!”

Eric, intanto, aveva posato lo sguardo su una ragazza che stava salendo le gradinate della scuola: Chloe. La indicò con gli occhi a Rider, che era di spalle e non poteva vederla. Quando si voltò, la vide anche lui.

“Era ora! – Rider prese subito il telefono – Avverto Sam… - ma si bloccò, sgranando gli occhi a qualcosa che aveva appena visto – OH-OH!”

“OH-OH, cosa?” volle sapere Eric, incuriosito.

Rider gli mostrò il telefono: una foto di Sam e Nathaniel, al parco, su un tandem.

“L’ha appena postata Cameron Ashcroft. – spiegò, leggendo lo stato – Quanti like per #Nathaniam, la nuova ship della scuola?

“Cameron sa essere assai vendicativo. E’ dura essere rifiutati; soprattutto per uno come lui.” pensò Eric.

“E A sa essere assai creativo! Non so se riuscirò a sorprendermi di qualcos’altro, dopo il tandem!”

“Povero Nat, - ribattè Eric - almeno Sam è gay per davvero, ma lui no.”

“E’ umiliante per entrambi, credimi.”

Improvvisamente, videro Sam e Nathaniel arrivare a piedi, ignari della foto che stava circolando.

Eric e Rider si alzarono per andare verso di loro e metterli al corrente di tutto, ma un messaggio li costrinse a fermarsi.

 

“Non avvicinatevi a loro. E già un privilegio avervi concesso di restare a coppie.”

-A

I due sollevarono lo sguardo, scuotendo la testa. Sam e Nathaniel compresero perfettamente che non potevano avvicinarsi a loro. Anche questi ricevettero un messaggio.

 

“Entrate a scuola per mano.”

-A

 

I due sgranarono gli occhi, fissando il vuoto. Poi si guardarono. Nathaniel non era più così sereno come prima, stavolta era in pubblico.

“Nathaniel, non sei costretto a…”

“Lo sono, invece…Non abbiamo altra scelta.”

Entrambi deglutirono, nel panico, mentre gli amici, da lontano, gli osservavano, cercando di capire cosa stesse succedendo. Mentre Sam era completamente immobile, fu Nathaniel a prendere l’iniziativa e a prendergli la mano. Sam sentì il cuore che gli batteva forte, mentre, tesi, si incamminavano. Eric e Rider si scambiarono una lunga occhiata, in pena per loro.

Una volta dentro, ogni studente aveva gli occhi puntati su di loro. Espressioni di stupore spaziavano i corridoi, tra bisbigli e risate silenziose. I due continuarono a camminare senza guardare nessuno, finchè la cosa sembrò sempre meno percettibile e gli studenti tornavano a fare ciò che stavano facendo prima del loro arrivo. Inoltre, la campanella contribuì ad interrompere quel momento imbarazzante.

Improvvisamente, Sam vide Chloe in lontananza, lasciando la mano a Nathaniel in maniera brusca. Quello si sentì ancora strano, quasi come se si era abituato a tenergliela.

“E’ tornata! – gli disse, prima di camminarle in contro – Chloe?” la chiamò, mentre quella stava parlando con altre due ragazze.

Il suono della campanella copriva la sua voce, ma era a metà strada e la stava raggiungendo. Nathaniel lo guardò allontanarsi e anche Eric e Rider, più dietro. Tutti non vedevano l’ora che parlasse con lei.

“Chloe?” la chiamò ancora, ma quella non lo sentì, iniziando ad allontanarsi con le due ragazze verso le classi.

Sam, a quel punto, alzò il passo, ma fu fermato da un nuovo messaggio che non lo lasciò indifferente.

 

“Prova a parlare con Chloe e ti faccio esplodere il braccio.”

-A

 

Barcollò, agghiacciato, mentre la ragazza era ormai scomparsa dalla sua visuale. Un brivido corse lungo la sua schiena, fino alle braccia. Era il messaggio più minaccioso che avesse mai ricevuto. I ragazzi non capivano cosa stesse facendo lì impalato, in mezzo al corridoio.

Finalmente Sam si voltò, aveva gli occhi rossi e lucidi ed era alquanto scosso. Fissò i suoi compagni per qualche secondo, prima di scappare in bagno. Nathaniel si voltò alle sue spalle, guardandosi con Eric e Rider, poi lo seguì.

Quando lo raggiunse, Sam era a dir poco sotto shock e cercava di sfilarsi il bracciale con forza, disperato.

“Sam, mi dici che cosa è successo? – si fermò accanto a lui – Perché non hai raggiunto Chloe?”

A ha detto che se provo a parlarle, mi fa esplodere il braccio. – spiegò, piagnucolando, per poi mettersi una mano sul petto – Non riesco a respirare, - si voltò verso di lui – Oddio, può farlo davvero? Può farmi esplodere il braccio?”

“Non essere ridicolo, Sam.” cercò di tranquillizzarlo, anche se era spaventato anche lui.

Improvvisamente, qualcuno entrò in bagno. Si trattava di Cameron. I due si voltarono a guardarlo e Sam si rimise giù la manica, cercando di ricomporsi.

“Sam… - esordì nervoso, accorgendosi anche della presenza di Nathaniel – Ragazzi, non sono stato io a postare la foto, ok?”

Nathaniel non capì di cosa stesse parlando: “Quale foto?”

Cameron vide confuso anche Sam: “Ouh, non l’avete ancora vista allora… - mortificato, prese il suo telefono, mostrandola a loro – Qualcuno deve aver prese il mio telefono, perché vi giuro che…”

Nathaniel lo prese immediatamente dal petto, inchiodandolo al muro. Sam intervenne.

“Lascialo, lascialo! – tirò Nathaniel per un braccio – Dice la verità, lo sai che è la verità!”

Quello lo lasciò, mentre l’altro ragazzo parve incredulo.

“Mi credete, allora…” lo trovò abbastanza strano.

“Vattene!” gli urlò Nathaniel, facendolo sobbalzare.

Il ragazzo indietreggiò, quasi inciampando.

“Sì, ma non dite a nessuno che sono gay. – supplicò - Per favore!”

Fu Sam a pronunciarsi, serio: “Credimi, non ce ne frega niente. Quelli sono affari tuoi!”

Cameron, nonostante fosse stranito dal loro comportamento, uscì, senza aggiungere altro.

Il silenzio calò improvvisamente sulla stanza e Nathaniel si appoggiò al muro con le braccia. Sam, alle sue spalle, non sapeva se rivolgergli la parola; temeva una sua brutta reazione, dato lo stress accumulato.

“Nat, stai bene?”

Dopo un po’, quello si voltò, più calmo: “Non proprio, ma…Insomma, va bene così…”

“Mi dispiace che tu sia finito in mezzo a questa storia. Per me non è un problema, a questo punto, ma…Non voglio che tu ci soffra.”

“Senti, non mi interessa…Che mi credano gay o quello che vogliono. Prima o poi smetteranno di fare caso a noi.” concluse, tendendogli la mano.

Sam, con un sorriso poco marcato, la bocca serrata, prese la sua mano e i due uscirono, spavaldi.

 

 

*

 

 

Dopo la scuola, i ragazzi giunsero a Brokehaven come programmato. La segreteria del dipartimento era ancora aperta, ma la donna di colore che era di turno, era assai difficile da convincere in quanto ad informazioni confidenziali. Rider era avanti ai suoi amici che parlava con lei.

“Che significa che non può darci l’indirizzo di Denna Marx?”

“C’è la privacy su queste cose!” chiarì quella.

“La privacy? – titubò, incredulo – Dove siamo, alla NASA?”

“La professoressa non lavora più qui e noi non siamo tenuti a dare alcun recapito. Ora, se non vi dispiace, ho dei fogli da spillare!” e si congedò, lasciando i quattro con un palmo di naso.

Rider si voltò verso i suoi amici, abbastanza furioso.

“E’ incredibile, ora come la troviamo?”

Nessuno di loro aveva alcuna idea, ciondolando con loro sguardo. Improvvisamente, una voce fece voltare i ragazzi.

“Nathan?” era una ragazza, fermatasi accanto a loro.

“Zoe!” la riconobbe Nathaniel, avvicinandosi a lei, mentre gli altri tre si scambiarono una rapida occhiata, confusi.

Quella, stringendo il libri al petto, fu felice di vederlo: “E’ un po’ presto per le iscrizioni, non pensavo di rivederti così presto.”

“In verità, - si fece avanti Rider – stavamo cercando la Professoressa Marx!”

“Pff, chi non la cerca! – esclamò quella – Da quando se n’è andata, i suoi studenti si sentono tutti abbastanza spaesati.”

“Sai per caso dove abita?” ne approfittò Nathaniel, con discrezione.

“Certo, mia madre è stata il suo agente immobiliare quando si è trasferita qui. Ha visto almeno tredici case prima di decidersi!”

“Oh, ma è fantastico! – si entusiasmò Rider – Potresti scriverci il suo indirizzo?”

“Dubito che la troverete, si è trasferita a Miami.”

Stavolta fu Sam ad intromettersi: “Non ha qualche parente, qui?”

“In verità, sì. So che ha una sorella…”

“Puoi scriverci il suo indirizzo?” insistette Rider.

“Ehm… - lo fissò quella, iniziando a stranirsi – Ok, dammi carta e penna…”

“Hai una penna?” ribattè Rider.

“Si!” la tirò fuori dalla borsa.

“Bene, scrivimelo sul braccio!”

“Ouh… - lo fissò, sempre più perplessa – D’accordo…”

Nathaniel lanciò un’occhiataccia a Rider per i suoi atteggiamenti bizzarri, mentre quella scriveva l’indirizzo.

“Ecco fatto!” indietreggiò la ragazza, rimettendo la penna nella borsa. I quattro la sorpassarono.

“Grazie, Zoe. – si pronunciò Nathaniel - Sei stata molto gentile!”

“Per caso… - li fermò quella, con un espressione dubbiosa – Avete nulla a che fare con il furto dei chip, al laboratorio? – fissò Nathaniel – Insomma, ti ho incontrato lì, quel giorno.”

“No! – scosse la testa Nathaniel, come tutti gli altri – Direi proprio di no.”

Poco convinta, Zoe continuò con un’altra domanda: “Ok…E posso sapere perché cercate la Professoressa Marx, almeno?”

“Speravo di poterla intervistare di nuovo, sono un podcaster. – replicò Rider – I miei follower sono impazziti per lei. Magari mi concederà altro del suo tempo, via skype!”

“Credo che inizierò a seguirti anch’io. – annuì Zoe – Sai, mi interessano molto gli argomenti della Professoressa Marx. Come ti chiami? Così ti aggiungo su Twitter.”

“Ehm… - Rider stava iniziando a rispondere, mentre gli amici lo fissavano abbastanza tesi – Taylor Buh! – rise – Ora dobbiamo proprio andare!” concluse, voltandosi velocemente e andandosene. Gli altri lo seguirono a ruota, dopo aver sorriso alla ragazza.

Quella continuò a guardarli, trovandoli strani.

 

*

 

Intanto, a Rosewood, Alexis era salita con Jennifer al suo appartamento per provare qualche abito per l’appuntamento con Eric.

In quel momento, la donna era in salotto che attendeva la ragazza. Finalmente entrò nella stanza, con indosso l’outfit che le aveve scelto. Si trattava di un top rosso e lungo che si allargava alla vita, un pantalone nero di seta, un cardigan nero e un tacco rosso e alto. I suoi capelli erano raccolti, solo due ciuffi ai lati del viso e un rossetto rosso sulle labbra.

“Sei… - Jennifer non aveva parole, mentre l’altra girava su se stessa, sorridente – Sei bellissima!”

“Dici che sto davvero bene?”

“Sei un incanto, tesoro. Mio figlio è davvero fortunato.”

Alexis si guardò ancora una volta. Jennifer pensò che mancava qualcosa.

“Aggiungerei solo un accessorio… - si tolse dal polso una serie di bracciali incastrati fra loro, color argento – Me lo regalò mio marito al nostro primo appuntamento e da allora non ci siamo più lasciati.”

Si diresse verso di lei per darglielo, ma Alexis indietreggiò, subito contraria.

“No no, non è necessario Jen!”

“Non essere sciocca, sta meglio a te, questa sera.” glielo infilò al polso.

“Ma… - Alexis era a disagio - E se lo perdo?”

“Non lo perderai…” le sorrise, premurosa.

E quella se lo ammirò, facendo poi una giravolta e scoppiando in una risata incontrollata con la donna.

 

*

 

Nel frattempo, a Brokehaven, i quattro stavano salendo le scale di un edificio. Eric e Sam erano avanti a Nathaniel e Rider.

“E’ l’interno 7B, giusto?” chiese Sam, esausto.

Rider confermò: “Così c’è scritto sul mio braccio!”

“Non potevamo prendere l’ascensore? – anche Nathaniel era esausto – Questa scale non finiscono mai!”

“Meglio di no… - sottolineò Rider – Per esperienza personale, ho deciso di non inficcarmi più in luoghi senza via d’uscita!”

Nathaniel gli lanciò un’occhiataccia.

“Che c’è? – sussultò Rider – A potrebbe bloccarci anche negli ascensori!”

“Non contesto! – intervenne Sam, mentre volgeva la testa in alto, verso la nuova rampa di scale da salire – A questo punto non mi stupisco più di niente.”

Rider si voltò nuovamente verso Nathaniel, fissandolo.

“Sai, hai qualcosa di diverso…” ma non capiva cosa.

“Io?” titubò quello, confuso.

“La tua faccia…Sembra diversa! – abbassò lo sguardo sul resto del corpo – Anche il tuo fisico.”

“Eh? – stranì, toccandosi il petto e la faccia – Sono sempre io, di che diavolo parli?”

“Lascia perdere, forse sto delirando per queste scale!” concluse, raggiungendo Sam e Rider: erano arrivati.

Prima di alzare il passo, rimasto indietro, Nathaniel si toccò nuovamente i suoi pettorali e la sua faccia, pensando ancora alla strana osservazione di Rider.

“I telefoni sono tutti in macchina, giusto? – bisbigliò Rider, mentre quelli annuivano, davanti alla porta dell’interno 7B – Ricordare tutti il piano, non avrà altra scelta che toglierceli se ha un briciolo di umanità.”

I quattro sospirarono, voltandosi davanti alla porta. Fu Eric a bussare.

Dopo qualche secondo, aprì una donna, ma non era Denna Marx.

“Sì? – domandò quella, fissandoli.

Abbassò, poi, lo sguardo, intravedendo un bracciale sotto alla manica di uno di loro.

Ella sgranò gli occhi, quasi immediatamente, esplodendo in una reazione esagerata: “Oh cazzo! – urlò, richiudendo la porta – Cazzo, cazzo, cazzo!”

I ragazzi si buttarono subito contro la porta, impedendone la chiusura.

“SPINGETEEE!” gridò Rider agli amici, mentre l’altra cedeva.

Dopo un estenuante lotta, i ragazzi erano dentro l’appartamento.

“Sto per chiamare la polizia!” minacciò quella, indietreggiando, nervosa.

“Strana la tua reazione, - Rider le sorrise cinicamente, mentre Eric chiudeva la porta – Noi non ti conosciamo nemmeno, ma tu sembri conoscere noi.”

Anche Sam e Nathaniel la guardarono con volto serio e cinico, per poi muoversi verso le altre stanze.

“Ehi! – spostò lo sguardo su di loro – EHI, dove credete di andare?”

“Dov’è Denna Marx? – le domandò Rider, mettendosi davanti a lei – Tu devi essere sua sorella, no?”

“Non c’è nessun’altro, qui!” esclamò Sam, di ritorno con Nathaniel.

Ora, tutti la fissavano. Uno sguardo pesante che la mise alle strette.

“Ehm… - aveva lo sguardo basso e stava sudando – Non siamo proprio sorelle; stessa madre, padre diverso.”

“Quindi siete sorellastre!” dedusse Sam.

Quella annuì, riuscendo finalmente ad alzare lo sguardo.

“Mi chiamo Julie Orlando…”

“Bene, Julie Orlando… - cominciò Rider – Dov’è Denna?”

“E’ andata via. E’ partita!”

“Certo, e io sono James Bond!” non ci credette, Nathaniel.

“E’ la verità!” urlò Julie.

Eric, a quel punto, si fece più avanti, alzando la manica e mostrando il bracciale al polso: “Tua sorella non può essere partita. Altrimenti non avremmo questi dannati cosi al polso!”

Julie fissò a lungo quel bracciale, sempre più nervosa: “Non gli ha fatti lei quei bracciali…ma io!”

I quattro ragazzi si guardarono, confusi, per poi tornare a guardarla, in attesa di saperne di più.

“Sono laureata anch’io in ingegneria elettronica. Denna ha solo costruito i vostri chip!”

“Quindi ci conosci?” Rider strinse gli occhi, sbigottito.

“No, non vi ho mai visti prima d’ora. Ho solo riconosciuto il bracciale.”

“Cosa sai su di noi e sulla persona che ti ha chiesto questi bracciali?” chiese Nathaniel.

“I-io… - deglutì, a disagio – Francamente pensavo che foste più grandi, non degli adolescenti.”

Sam non capì, guardandosi con gli altri: “Cioè? Che significa?”

“Io e Denna commissioniamo delle cose a delle persone, ogni tanto. Queste persone ci chiamano e ci chiedono delle cose. La maggior parte, sono criminali. Altri sono amici di Denna.”

Quelli ascoltarono assorti, increduli, mentre continuava.

“Molti anni fa, Denna si è messa in un giro pericolo. Non l’hanno mai beccata, così ne è uscita ed è entrata ad insegnare al dipartimento di ingegneria elettronica, qui a Brokehaven…Solo che, ogni tanto, qualcuno la chiama ancora. E, ora, chiamano anche me.”

“La persona che vi ha contattato per i chip e i bracciali – prese parola Nathaniel – L’hai mai incontrata di persona?”

“Hai mai visto una ragazza, per caso?” aggiunse Rider, sperando di no.

“No, non ho mai incontrato nessuno e nemmeno Denna. – scosse la testa, convincente – Ci ho parlato circa una settimana fa, ma aveva la voce camuffata.”

Fu il turno di Rider: “E per la consegna?”

“Avete mai visto New york taxy?”

Sam conosceva quel film: “Gli hai messi in un bidone dei rifiuti?”

“Mi aveva detto di lasciarli lì, i soldi per la commissione erano già sul mio conto.”

“Che cosa sai di tutta questa storia, - le chiese Eric - di preciso?”

“So quello che mi ha raccontato Denna, che non è molto. Francamente, era molto entusiasta di essere stata contattata da questa persona…”

 

Flashback – una settimana e mezza prima

 

Denna era appena rientrata a casa, raggiante, con una scatola in mano, piena dei suoi oggetti personali. Julie le andò in contro con una tazza di caffè in mano.

“Fai sul serio?”

“Già, mi sono licenziata! – esclamò quella, gettando la scatola sul tavolo – Pensavi che scherzassi?”

“Dico che questa faccenda è strana, Denna. Il tuo misterioso cliente ha chiamato di nuovo, mentre non c’eri, e aveva una voce a dir poco inquietante, camuffata come nei film!”

“E allora? – si sedette, curiosa – Che voleva?”

“Ha chiesto quattro bracciali in grado di fornire una posione.”

“No, se lo può scordare! – si alzò, dirigendosi verso il frigo e tirando fuori una birra – Tra un’ora ho il volo, finisci tu questo lavoro, dal momento che hai deciso di non venire con me! - fantasticò su quella che sarebbe stata la sua destinazione – Dio, non vedo l’ora di passare le mie giornate a bere cocktail sulla spiaggia, nuda! – sua sorella la fissò malamente, costringendola a rettificare – Ok, non nuda, ma…”

“Denna, non mi ha chiesto solo questo. – continuò, preoccuapata -  Vuole anche che questi bracciali generino una scossa elettrica.”

“Perverso! - pensò Denna, disinteressata, sollevandosi il seno – Dici che le mie tette sono troppe piccole per Miami? Forse dovrei rifarmele!”

“Denna, dico sul serio! – la richiamò alla ragione - Nessuno ci aveva mai chiesto cose del genere, fino ad oggi.”

“Senti, questa persona mi ha pagata bene! Moolto bene! – poggiò la sua birra, ormai vuota – Sono libera, ho finito, ho chiuso! Passerò il resto della mia vita a far fruttare ciò che ho guadagnato duramente e a non fare assolutamente niente. Solo sole, sesso, shopping, party, amici…Sesso!”

“Sei disgustosa!”

“Beh, la vita è una sola, Sestra! Disgustosa o no, è vita vera!…Che non vivrei, stando qui a fare la cervellona, fino alla pensione.”

L’atra esternò ancora le sue angosce: “Ma non pensi alle persone che riceveranno questa scossa? E se sono animali?”

Denna rise: “Non sono animali, tesoro. L’uomo crea armi solo contro l’uomo. E in ogni caso, non mi interessa. Ho 33 anni, ho studiato per più della metà della mia vita e fatto cose che non pensavo di riuscire a fare. Certo, ho fatto cose di cui non vado fiera, ma…nessuno di noi andrà in paradiso, perché il paradiso non esiste!...Ho vissuto tra la paura dell’essere scoperta in ogni mio lavoretto e a svegliarmi ogni mattina per istruire giovani menti su giovani menti. Non posso fare tutto questo per sempre, non posso. Ho finalmente una chance di ricominciare altrove e di godermi la mia meritata ricompensa. Una vita che tutti sognano di poter vivere, ma che non tutti hanno la possibilità di vivere.”

Julie comprese che quella di sua sorella era una scelta definitiva: “Bene, divertiti allora!”

Quella si avvicinò a lei e le prese le mani, premurosa: “Fai questa ultima commissione e raggiungimi. La nostra sarà una vita meravigliosa, non te ne pentirai.”

“Ci penserò… - l’idea la allettava, ma aveva ancora qualche dubbio – Prometto che ci penserò!”

“Evviva! – esultò, alzando le braccia – Ora, se non ti dispiace, vado preparare la mia valigia di soli bikini!”

Julie sorrise, nel vederla passare nell’altra stanza, ma subito fu assalita dai suoi pensieri sul misterioso cliente.

 

“Ci ho pensato, ragazzi…Ci ho davvero pensato, ma…non ci sono riuscita. Sentivo che c’era qualcosa di sbagliato.” spiegò Julie, dopo aver raccontato della sua ultima conversazione con sua sorella.

“Puoi toglierci questi bracciali, per favore? – chiese Sam, mostrandosi fragile per la prima volta ai suoi occhi – Ha minacciato di farmi esplodere il braccio!”

Julie ne rimase scioccata, gli occhi le lacrimavano per essere stata la causa della loro sofferenza: “C-certo!”

“Grazie! – esclamò Rider, sorpreso – Eravamo venuti qui con un piano: quello di fingere di ricevere una scossa talmente forte da costringere tua sorella a toglierceli. Perciò, grazie per averci risparmiato la recita.”

“Pensavate che mia sorella fosse qui? – lo trovò strano - A proposito, come la conoscete?”

“E’ una lunga storia, ma è davvero bizzarro come le vite delle persone si intreccino in questo modo quando sono coinvolte tutte nella stessa faccenda.” rispose Eric.

Intanto la stavano seguendo nel suo piccolo studio. La donna prese uno strano oggetto da un cassetto con dei pulsanti sopra.

“Per togliere i bracciali, serve una particolare frequenza. Un suono!” spiegò, mentre smanettava il dispositivo che teneva in mano. Aveva anche messo gli occhiali.

“Quanta creatività per uno strumento di tortura!” pensò Rider, ironico.

“Ok, ci sono. – fissò i ragazzi, poi – E’ meglio se vi coprite le orecchie, il suono è molto acuto.”

Quelli eseguirono, mentre Julie era pronta a premere il tasto. Improvvisamente, i quattro furono colti da una potente scossa elettrica, che li costrinse a piegarsi in due, spaventando la donna.

“Julie, fa prestoo! – urlò Rider – Sa che siamo qui!”

“Ti pregoo!” urlò anche Sam, straziato dal dolore.

“Oh cazzo, - Julie cercò di mantenere il sangue freddo, nonostante avesse gli occhi sgranati per il terrore - resistete!”

Finalmente avviò il dispositivo. Un suono acutissimo riempì la stanza, aumentando la sofferenza dei ragazzi anche al livello uditivo. Dopo qualche secondo, i bracciali si aprirono, cascando sul pavimento. Era finita.

I quattro erano ancora piegati in due, che cercavano di riprendere fiato, toccandosi il polso.

“Mio Dio, - Eric fu il primo a ritrovare le parole - era come se mi stesse staccando il braccio…”

Julie, realmente scioccata, era senza parole: “M-ma che vuole questa persona da voi? Perché vi sta facendo questo?”

Ognuno di loro la fissò, senza dire nulla, abbastanza provati.

“Hai detto che i bracciali servono a localizzare la posizione di chi lo indossa, giusto? – si riprese Rider – Non ci hai messo qualche microfono per ascoltare, vero?”

Quella scosse la testa: “No…”

“Senti, noi non possiamo rispondere alle tue domande. Ci sono cose che preferiamo tenere per noi e abbiamo i nostri motivi.” chiarì Rider, guardandosi con Eric, accanto a lui, che continuò il discorso.

Sam e Rider si guardarono; loro non erano riusciti a mantenere il segreto con Jasper e le parole di Rider li intimidirono.

“L’unica cosa che possiamo dirti è che abbiamo a che fare con una persona crudele e squilibrata. Un vero psicopatico. Non possiamo nemmeno chiedere aiuto alla polizia.”

“E non potete chiedere aiuto alla polizia, perché…???” cercò di capire la donna, leggermente confusa.

Nathaniel si fece avanti: “Questa persona, A, possiede qualcosa che può usare contro di noi.”

“Ed è una cosa grave?”

Fu il turno di Sam: “Ascolta, Julie, siamo tutti bravi ragazzi qui dentro. Purtroppo, però, siamo finiti in un brutto casino. Un casino enorme.”

“Fossi in te, - le suggerì Eric – seguirei il consiglio di tua sorella e scapperei a Miami. A se la prenderà con te per averci aiutati a togliere i bracciali.”

La donna si voltò dall’altra parte, verso la finestra, dopo averli fissati a lungo, abbastanza turbata. Molti pensieri le passarono per la mente.

“Questa cosa che A ha contro di voi, non potete proprio recuperarla?”

“Julie, non hai sentito quello che ha detto Eric? – replicò Sam – Vattene, finchè sei in tempo. Rovinerà anche la tua vita.”

Quella si girò: “No, se potete finalmente denunciarlo! Rispondete alla cazzo di domanda: c’è modo di recuperare quello che ha contro di voi o no?”

I ragazzi si guardarono e fu Rider a parlare per tutti.

“Forse, non ne siamo sicuri. Sospettiamo che ciò che ha contro di noi, lo nasconda all’interno di una panic room. Solo che…non sappiamo come entrarci!”

Julie annuì, riflettendo: “Capisco…E sapete dov’è questa panic room?”

“Sotto la nostra scuola!” rispose Nathaniel.

Inevitabilmente, la donna si lasciò scappare una lunga risata incontrollata: “Tutto questo è così folle!”

Continuò a ridere, mentre quelli la fissavano con la bocca serrata. Si diresse al frigo, prendendosi una birra e accendendosi una sigaretta, dando le spalle.

“…E mia sorella è a Miami che fa immersioni con degli squali di merda. – rise ancora, quasi invidiosa - Dio, che fortunata stronza!”

Eric, a quel punto, decise di interrompere le sue riflessioni personali: “Quindi…ci aiuterai?”

Julie si voltò di scatto: “Certo che vi aiuterò, idioti! Rispetto a mia sorella, godo di un senso di colpa grande quanto il Four season! Ho creato io i vostri strumenti di tortura e Dio solo sa cosa vi ha fatto passare questa persona.”

Sam, nel sentire quelle parole, ricordò ogni singola cosa che gli era stata fatta, gli occhi lucidi: “Credimi, non ne hai la minima idea…”

Quella fissò i volti di tutti e quattro, rendendosi conto di quanto fosse seria la gravità della situazione; pur non sapendo tutti i dettagli della storia.

 

SCENA FINALE

Eric era appena sceso al Brew, dopo una lunga doccia. Elegante, era pronto ad uscire con Alexis, che lo stava aspettando per chiudere il locale e andare.

Era davanti al bancone, quando lui scese l’ultimo gradino. Rimase letteralmente a bocca aperta, impalato.

“Sei la cosa più bella che abbia mai visto…”

La ragazza sorrise, facendosi ammirare: “E tu sei in ritardo!”

Quello si avvicinò a lei: “Ero fuori città, io e i miei amici abbiamo accompagnato un nostro amico dell’ultimo anno a visitare un college. La cosa si è tirata per le lunghe, sai come sono le confraternite!”

“Un po’ presto per iniziare a visitare college, non credi?” pensò, perplessa.

“Ne ha molti da visitare, quest’anno. Meglio iniziare da ora, è un tipo abbastanza scrupoloso! – si avvicinò a darle un bacio sulla bocca, per tagliare il discorso. Poi le sorrise, fissandola negli occhi – Ma ciao!”

“Ciao a te!” ricambiò il sorriso, dimenticandosi tutto.

“Sei pronta? Vogliamo andare?” le porse il braccio e lei ci infilò la mano.

“Non aspetto altro…”

I due uscirono dal locale e Alexis lo chiuse a chiave. Attraversarono la strada, dirigendosi alla macchina.

“Mamma ha fatto un ottimo lavoro, sembri una di quelle attrici sul Red carpet!”

L’altra, mentre il ragazzo apriva la portiera, si ricordò che aveva dimenticato qualcosa, guardandosi il polso.

“Oh no! – sbiancò, voltandosi verso di lui - Ho dimenticato dentro il braccialetto di tua madre, quello che tuo padre le regalò al loro primo appuntamento. – si agitò, mortificata – L’ho tolto solo un attimo perché stavo lavando dei piattini e non volevo rovinarlo.”

Eric le sorrise: “Traquilla, non è successo nulla. Lo vado a prendere io.”

Quella gli diede le chiavi: “L’ho appoggiato nel secondo ripiano in basso, sotto la macchinetta del caffè!”

Il ragazzo attraverso la strada, mentre Alexis aspettava vicino alla macchina. Qualcuno li stava osservando dall’interno di un auto, non molto lontano.

Arrivato alla porta, Eric ebbe qualche difficoltà ad aprirla e la ragazza se ne accorse dopo qualche secondo.

“Eric, va tutto bene?”

“Sì, - gridò quello, voltandosi un secondo – La serratura è un po’ bastarda!”

“Devi tirare la porta verso di te e spingere la chiave più in dentro fino al terzo giro. – suggerì – Anche io ho avuto lo stesso problema i primi tempi, ma a quanto pare una serratura nuova è chiedere troppo per il mio boss!”

“Che palle!” iniziò a perdere la pazienza, tirando la porta ripetutamente.

Alexis intuì che non ce l’avrebbe fatta: “Lascia perdere, sto arrivando! – rise – Ora vedrai la Supergirl che c’è in me!”

Eric si voltò, arreso, aspettandola arrivare. Le sorrise, vergognandosi. Improvvisamente, mentre ella stava attraversando, spensierata, fu abbagliata dai fari di un’auto, che stava puntando verso di lei a tutta velocità.

Il ragazzo distolse lo sguardo, accorgendosi dell’auto prima di lei. Il sorriso si spense, la paura prese il sopravvento.

“Alexis, attenta!” gridò, avvertendola.

Quella si voltò, senza nemmeno avere il tempo di reagire: l’auto la prese in pieno.

La ragazza rotolò sopra il tettucciò della vettura, prima di finire sopra l’asfalto.

Eric sgranò gli occhi, correndo verso di lei, urlando. L’auto si dileguò in un batter d’occhio.

Piena di sangue e lividi, Alexis non dava segni di vita al richiamo disperato di Eric, che chiamò immediatamente un’ambulanza.

Qualcuno finalmente rispose: “911, qual è l’emergenza?”

“Aiuto, qualcuno ha investito la mia ragazza. Vi prego, fate presto.”

“Respira?” domandò la donna al telefono.

“Ehm, sì… - controllò la giugulare con le dita – Credo di sì, ma è molto debole. – pianse – Vi prego, mandate subito qualcuno.”

“Stanno arrivando, si calmi.”

Tra le lacrime, il ragazzo attese l’intervento dei paramedici, inginocchiato accanto a lei, con la voce della donna al telefono che continuò a parlargli.

 

CONTINUA NELL’OTTAVO CAPITOLO

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 9
*** 1x08-Una serie di sfortunati eventi ***


CAPITOLO OTTO

“WhAt’s Inside the Panic Room?”

 

TWO DAYS LATER…

 

Era il secondo giorno di fila che Eric non tornava a casa per stare accanto ad Alexis. Le teneva la mano, stretta nella sua, mentre la ragazza era in coma, la testa fasciata per via del trauma alla testa.

Dopo averla guardata a lungo con sguardo triste e stanco, il ragazzo spostò gli occhi sul suo telefono; lo stava stringendo nell’altra mano, il braccio disteso lungo la coscia.

Aveva ricevuto un messaggio alle prime luci dell’alba, che lo tormentò per ore e ore dalla prima lettura.

 

“Carpe diem, Eric: Ora c’è un posto di lavoro libero al Brew!”

-A

 

Provò rabbia nel rileggere nuovamente quel messaggio; tant’è che la forza con cui stava stringendo il telefono avrebbe potuto anche farlo a pezzi.

Improvvisamente ricevette una chiatamata. Eric si alzò, uscendo fuori in corridoio: era Rider.

“Ehi, sto andando a scuola. Si è svegliata?”

“Ehm… - si massaggiò le tempie – Forse oggi, non lo so. quando l’hanno indotta al coma farmacologico hanno detto che ci sarebbero voluti anche tre giorni affinchè si risvegliasse da sola.”

“Mio Dio… - era ancora sconcertato – Che razza di mostro investe una ragazza e poi scappa senza voltarsi indietro?”

Eric sapeva benissimo chi era, furente in volto: “…A!”

L’altro non credette alle sue orecchie: “Aspetta: COSA???”

“Fino a ieri pensavo fosse un pirata della strada, ma stamattina il mostro si è fatto vivo e mi ha scritto un messaggio assai lampante.”

“Perché A avrebbe dovuto investire Alexis? Ok che tormenta noi, ma che c’entra una persona innocente?”

“Quel mostro sapeva che cercavo lavoro per aiutare mia madre e così ha deciso di far fuori Alexis per farmi prendere il suo posto al Brew.”

Rider era a dir poco scioccato: “E adesso che farai?”

“Prenderò quel posto, non ho altra scelta. – spiegò, provato e sofferente - Dopo di che lascerò Alexis, prima che festeggi il nostro primo mesiversario al suo funerale.”

“…Eric, so che adesso non vuoi lasciare Alexis da sola, ma devi passare da noi a scuola o almeno a casa mia. Julie ha modificato i braccialetti di A e tu lo devi assolutamente indossare.”

“Modificati come?”

“Non saremo più monitorati da A. Ogni volta che entreremo in una stanza o in un qualsiasi posto, se ci sarà una telecamera o un microfono nascosto o qualunque tecnologia da spionaggio, verrà automaticamente individuata e disattivata.”

“Bene, finalmente una buona notizia… – sospirò – E’ una fortuna che Julie abbia deciso di aiutarci con il rischio che sta correndo.”

“Già, ma deduco che ancora non abbia capito con chi abbiamo a che fare. Spero che non si sganci da noi non appena l’avrà compreso.”


“Lo sai che Brakner farà di tutto per toglierla di mezzo, vero? Ci sta aiutando e questo non gli farà piacere.”

“Senti, devo andare. – fu evasivo – Vorrei stare qui a darti maggiori dettagli su quello che stiamo combinando, ma ho sempre paura che A ci ascolti e stavolta non possiamo fallire di nuovo. Morirei se fallissimo di nuovo, non ce la faccio più.”

“Già, - fu d’accordo, stanco del nemico - non possiamo fallire!”

“Salutami tanto Alexis, quando si risveglia, ok?”

“Certo, ciao!” sussurrò con un filo di voce.

Chiusa la chiamata, Eric tornò nella stanza. Con gran stupore, il ragazzo si fermò bruscamente, non appena superata la soglia: Alexis aveva gli occhi aperti.

“Oh mio Dio… - sorrise, emozionato – Sei già sveglia!” corse, scivolando sulla sedia, allungando il collo per baciarla.

Quella ricambiò il suo bacio, un accenno di sorriso, stordita. Il ragazzo si staccò da lei per darle subito spazio.

“Sei in ospedale, Alexis. Te lo ricordi, vero?”

“Sì, - tossì – ricordo… - quello le prese immediatamente un bicchiere d’acqua, che bevve a piccoli sorsi - Quindi è finita questa cosa del coma?”

Eric ritirò il bicchiere: “E’ finita, sì. Ora chiamo il Dottore, – si alzò, dirigendosi verso la porta – così ti da un’occhiata!” e si affacciò nel corridoio, cercando un infermiera con lo sguardo.

“Ehi, aspetta, vieni qui…” lo chiamò quella, che ogni tanto chiudeva gli occhi per via del dolore alla testa.

“Eccomi, sono qui! – si precipitò nuovamente da lei – Che c’è?”

“Ti ho sentito parlare al telefono, poco fa. Ero sveglia, ma non molto a dire il vero…Però ho sentito!”

Eric girovagò con lo sguardo: “Sentito cosa? Informavo solo Rider delle tue condizioni...”

“E come mai non mi guardi negli occhi, mentre me lo dici?” domandò, secca.

“Sono solo un po’ stressato, non dormo da due giorni, sono sempre stato qui!” si giustificò, mentre lo sguardo poco convinto della ragazza si intensificava.

“Che cos’hai detto alla polizia? Che fine ha fatto il mio aggressore?”

“Ho raccontato ciò che è accaduto. – spiegò, abbastanza teso, la fronte che sudava freddo – Cioè che, chi ti ha investita, è scappato e io non sono riuscito a prendere il numero di targa.”

Alexis, improvvisamente, iniziò a fissarlo a lungo: “…Che cos’è A?”

L’altro indietreggiò lievemente con il capo, fingendo di essere confuso: “Ehm…una lettera dell’alfabeto?” si lasciò scappare anche una finta piccola risata.

La ragazza, però, lo fissava seria.

“Tu e i tuoi amici la nominate spesso, questa lettera!”

“Che vuoi dire?”

“La settimana scorsa, ti stavo aspettando per il nostro primo appuntamento. Quella sera, due dei tuoi amici sono entrati al Brew con un atteggiamento alquanto nervoso e ti cercavano. Ovviamente ho spiegato che non c’eri e che te n’eri andato con Rider, ma che saresti tornato perché dovevi uscire con me. Hanno deciso, così, di aspettarti e io sono tornata a fare le mie cose e sono andata un attimo nel retro. Quando sono tornata, gli ho sentiti parlare di qualcuno o qualcosa che nominavano in continuazione: Questa A!...Perciò, Eric, chi o cosa è A?”

Quello deglutì, cercando di non dare a vedere il suo nervosismo: “Ti assicuro che non so di cosa parli, Alexis.”

“Sei arrivato tardi quella sera; molto tardi. Avevi un odore strano addosso e le docce non durano un’ora!” continuò, imperterrita.

“Alexis, basta! – alzò lievemente la voce – Ti prego!”

“Temevano per la vostra vita, Eric! – andò avanti, insistente – Chi diavolo fa questi discorsi se non si tratta di una cosa seria?”

“Riposati, Alexis. – la ignorò – Vado a chiamare il dottore!”

Quella lo fissò, arrabbiata. Eric uscì dalla stanza, lasciandola così.

 

 

*

 

Nathaniel, ancora a casa sua, affrontava una sorta di dubbio davanti allo specchio. Continuava a tenere lo sguardo fisso sul suo corpo, mentre era in boxer e si guardava da tutte le angolazioni. Si toccò i pettorali, che sembravano meno tonici del solito. Si toccò il viso, poi la barba, quasi inesistente; giusto un accenno. Sospirò, turbato da qualcosa che nemmeno lui riusciva a capire, pronto a rivestirti.

Improvvisamente, dopo aver bussato una volta sola, sua zia Courtney si fiondò nella stanza. Immediatamente, la donna si mise le mani davanti alla faccia e chiuse gli occhi, imbarazzata.

“Oh, cavoli, non ho visto niente! Lo giuro! – parlò poi tra sé e sé – Sarebbe alquanto inquietante fissare gli addominali del proprio nipote, desiderando che non sia tuo nipote, perversa di una Courtney!”

Nathaniel sorrise, divertito, mentre prendeva una maglietta: “Zia Courtney, rilassati. Non sarebbe la prima volta che mi vedi in boxer!”

Quella riaprì gli occhi, fulminandolo con il dito: “Oh, ma questo è incredibile! – sussultò con tono polemico - Non lo accetto, Nat. Non lo accetto! – si calmò, finalmente – E comunque vestiti, che aspetti? Pete sta arrivando!”

“Pensavo che mi avresti accompagnato con la tua auto, visto che la mia è a secco!”

“La mia è dal meccanico, perciò sbrigati!”

L’altro assunse subito un volto serio e preoccupato, facendo possedere nuovamente dalle sue ansie.

“Ehm…Zia Courtney… - la fissò, sudando – Non è che potresti…”

La donna era in attesa di una risposta, Nathaniel era assai frenato e si stava torturando le dita: “Potresti, cosa?”

“…Fissarmi attentamente? – completò, imbarazzato – Sai, come fai di solito con tutto il resto del genere maschile!”

Courtney spalancò leggermente la bocca, incantando il vuoto, confusa: “T-tu, COSA? Vuoi che ti guardi? – finalemente lo guardò, imbarazzata – Tua madre ha sempre pensato che io e te avessimo un rapporto strano per via delle nostre età così vicine e ti confesso che ora…lo sto pensando anch’io!”

“Non in quel senso!” esclamò, in una smorfia esagerata, quasi disgustata.

“Oh, grazie a Dio! – si mise una mano sul petto, buttando aria fuori dalla bocca, sollevata – Pensavo fossi impazzito o sessualmente attratto da me!”

“Zia Courtney! - la fissò a lungo, inebetito – Ti prego, smetti di parlare!”

“Ok ok, scusa! – si rese conto di aver esagerato – Spara, dimmi tutto!”

“Noti qualcosa di diverso in me? – con lo sguardo, costrinse sua zia a focalizzarsi sul suo corpo – Perché io sento di non essere più lo stesso, che qualcosa stia cambiando, ma non capisco cosa.”

L’altra, improvvisamente seria e preoccupata da quelle angoscianti parole, si avvicinò. Fece scivolare la sua mano lungo il suo petto, attenta. Poi diede il suo responso.

“Sei più…grosso, in effetti!”

“Le mie abitudini sono sempre le stesse, tengo il mio corpo costantemente allenato. Eppure, sembra che io stia…ingrassando e non in senso muscolare, ma grasso vero! Non lo so, i miei pettorali mi fanno anche male…”

“Male, come se…avessi delle tette?” azzardò la donna.

“Non stavo per dire quello, - replicò distrurbato - ma…non li sento più tonici come prima o forse è una mia impressione.” spiegò.

“Sei ancora un ragazzino, Nathaniel. Il tuo corpo è in costante cambiamento e alla tua età, credimi, io avevo ancora una seconda di reggiseno prima di esplodere in una terza e mezza verso i diciotto anni! – era comunque perplessa - Ametto, però, che da più vicino, non sembri lo stesso di qualche settimana fa… - lo fissò ancora, prendendolo per il mento – Non so, la tua faccia ha qualcosa di diverso…”

Nathaniel iniziò a fare avanti e indietro per la stanza, preoccupato: “Me l’ha detta anche un mio amico questa cosa, ma che mi sta succedendo?”

“Forse dovresti fare delle analisi! – suggerì – Facciamo un salto da Tyler, in ospedale? Così ci togliamo ogni dubbio? Eh? – cercò di convincerlo, mentre la fissava dubbioso – E’ tuo cugino, vedrai che saremo fuori nel giro di un’oretta o due.”

L’altro si annusò: “Forse dovrei farmi un’altra doccia, prima. Sto sudando tantissimo, ho delle vampate assurde da quando mi sono svegliato…”

“Hai davvero qualcosa che non va, tesoro. – ora si preoccupò davvero, sgranando gli occhi – Siamo a inizio Novembre, non fa così caldo.”

Ora era nel panico anche lui: “Senti, cerchiamo di non allarmare Mamma, ok?”

“Certo, ma lascia stare la doccia, corriamo in ospedale!”

“Va bene, andiamo! – si convinse che doveva andare a fondo alla cosa, mentre si vestiva – Però possiamo passare un’attimo dal mio amico Rider?”

“Certo!” annuì, per nulla contraria, mentre usciva dalla stanza. Lui la seguì subito dopo.

 

*

 

Più tardi, in seguito ad un messaggio d’avviso, Rider uscì fuori dalla sua abitazione, camminando in contro a Nathaniel, che stava uscendo dalla macchina di Pete. Confuso dalla situazione, Rider si fermò davanti all’amico, cercando di capire cosa stesse succedendo.

“Va tutto bene? Pensavo ci saremmo visti a scuola.”

L’altro, il cui volto non era per nulla sereno, fu rapido e poco esplicito: “Hai portato il braccialetto di Eric come ti ho scritto nel messaggio?”

“Sì, certo… - glielo allungò immediatamente, fissandolo, spaventanto dal suo palese nervosismo – Ma che succede?”

“Non ne sono sicuro, sto andando a fare delle analisi…Comunque, già che sarò in ospedale ho pensato che potevo dare il braccialetto ad Eric, visto che, giustamente, non vuole allontanarsi da Alexis.”

Rider era totalmente spaesato e ancora più preoccupato, ma non poteva farsi dire di più, dal momento che l’altro stava già indietreggiando: “Ok, d’accordo…”

“Ci sentiamo dopo la scuola!” lo salutò, correndo alla macchina.

L’altro restò lì, impalato, mentre la macchina ripartiva, divorato dal non sapere. Tuttavia, intuì che non era nulla di buono.

 

*

 

Anche Sam era appena uscito da casa sua. Suo padre lo rincorse fuori, poco prima che quello salisse in macchina.

“Sam, un secondo!” urlò, scendendo le gradinate del portico.

Quello continuò a camminare sperdito verso la macchina, ma alla fine, davanti alla portiera, dovette voltarsi, malgrado volesse evitarlo. Sapeva di cosa l’avrebbe rimproverato.

“Si?” rispose, facendo finta di nulla.

Suo padre lo raggiunse, con un po’ di fiatone: “Devo mandarti un altro messaggio o lo sai che oggi hai appuntamento con Wesam?”

“Si si, lo so! – esclamò scocciato, raccontanto l’ennesima bugia – Ti ho già detto che quel giorno dovevo stare con Chloe, era appena tornata dal South Dakota!”

L’altro lo fulminò immediatamente con uno sguardo acuto, come non convinto: “Come mai non la vedo più a casa nostra, ultimamente? Non avrete mica litigato, spero.”

“Pensi che me lo stia inventando? – sussultò, facilmente irritabile – Non ho saltato la seduta dallo psicologo apposta, ok? Ero davvero con Chloe! – spiegò, sentendosi oppresso – E se lei non viene più qui è perché è stata via per più di una settimana e in più siamo in pieno semestre, dobbiamo studiare!”

“Bhe, tu non sembri molto presente a casa per studiare!” puntualizzò.

Sam non ne potè più: “Me ne vado, sto facendo tardi…” aprì la portiera, dando le spalle.

L’uomo si rese conto di aver sbagliato, cercando di riparare subito, mentre la portiera si richiudeva: “Sam, scusa, non volevo…”

“Lascia stare! – lo interruppe, ormai dentro l’auto, le mani sul volante – Andrò all’appuntamento, promesso!”

“Bene, sono contento.  – annuì, cercando di essere meno severo – E’ per il tuo bene!”

“Lo so!” finalmente lo guardò un attimo, meno arrabbiato. Subito dopo, partì, abbassando il finestrino.

Mentre si allontanava, fissò suo padre, ancora in mezzo alla strada, attraverso lo specchietto retrovisore. Strinse le mani al volante, arrabbiato con sé stesso e con A per i problemi che stavano deteriorando il loro rapporto.

 

 

*

 

In ospedale, Nathaniel e sua zia, al quarto piano, stavano andando in contro ad Eric.

La donna, con la borsa che pendeva dal polso, lo squadrò, sorpassandolo, voltandosi verso il nipote, che si era appena fermato davanti all’amico.

“Carino questo…Meglio del secco!” commentò, continuando a camminare da sola.

Eric, dopo aver finito di fissarla, perplesso, si girò verso Nathaniel: “Chi sarebbe il secco?”

“Sam!”

“Ah, interessante…E che ci fai qui?”

“Analisi!” spiegò, turbandolo.

“Ehi, tutto bene?”

Nathaniel sospirò, abbracciandolo. I due si diedero delle pacche.

“Diciamo… - si staccò, poi – Mi dispiace per quello che è successo ad Alexis, come sta?”

“Si è svegliata, ma dobbiamo aspettare che il Dottore finisca il giro delle visite… - ora, però, era più preso dalla presenza dell’amico in ospedale – Comunque, analisi di cosa?”

“Il mio corpo sta subendo degli strani cambiamenti e devo capire cosa mi sta succedendo…” raccontò con una nota ansiosa nella voce, mentre l’altro lo ascoltava assai impressionato.

“Va bene, ma fammi sapere. Sembra una cosa seria!”

“Spero di no! – sospirò ancora, per poi ricordarsi del braccialetto – Ah, a proposito, ecco il tuo braccialetto. Rider ti ha spiegato a cosa serve, vero?”

“Si si, me l’ha detto. – annuì, mentre lo indossava – E’ bello poter parlare liberamente.”

“Già, a chi lo dici! – fu d’accordo – E comunque la polizia ha trovato il pirata della strada?”

Eric si guardò intorno, spiegando a bassa voce, tirando fuori il telefono: “Il pirata della strada è A!”

“Oh, cavoli! – esclamò, fissando il messaggio dalle mani di Eric, sconvolto – Non riesco a crederci, adesso colpisce anche le persone a cui teniamo?”

“La cosa sta diventando davvero insostenibile. – esternò, mettendo le braccia conserte - In più, Alexis comincia a fare domande!”

“Domande su cosa?”

“Su A!”

“Aspetta, - pensò di aver capito male - Alexis sa di A?”

“Stiamo così attenti a non farci sentire da A, che a volte ci dimentichiamo che anche le persone che ci circondano hanno le orecchie.”

“Ma come…???” non se ne capacitò.

“Ha sentito te e Sam, il giorno in cui siete venuti a cercarmi al Brew. Sai, quando io e Rider cercavamo di non affogare in un condotto fognario.”

Nathaniel si mise una mano sulla faccia, per poi passarsela velocemente tra i capelli, mortificato: “Credimi, non ne avevo idea. Eravamo così presi nel capire dove foste finiti, che non ce ne siamo accorti. E poi lei era andata nel retro, non immaginavamo che ci stesse ascoltando.”

“Rilassati, tanto ha sentito anche me parlarne con Rider al telefono. Non è colpa vostra, dovevamo aspettarcelo che prima o poi avremmo affrontato questo momento: Quello in cui qualcuno iniziasse a notare quanto siamo strani e agitati tutto il tempo.”

“Riesci a gestirla, finchè Julie non ci aiuta ad entrare nella panic room?”

“Ha una personalità abbastanza forte, ma ci provo… - poi si focalizzò su quanto detto – Quindi qual è il piano?”

“Ne so quanto te, credimi. Sono Rider, Sam e Julie che ci stanno pensando. Proveranno ad entrare nella panic room nelle ore di lezione di Brakner; così ho capito.”

Improvvisamente, Courtney si affacciò nuovamente nel corridoio, tornata a chiamare il nipote.

“Nathaniel, forza, Vieni!”

I due si voltarono, mentre quella gli faceva ancora cenno di muoversi.

“Devo andare, ci vediamo dopo!” esclamò, non facendola aspettare.

“Ok, a dopo!” si congedò anche Eric, tornando nella stanza di Alexis.

*

 

Più tardi, a scuola, Sam e Rider camminavano ai lati di Julie, con discrezione, per i corridoi della scuola.

“Ancora non riesco a credere che sei diventata la nostra consulente scolastica!” esclamò Sam, mentre la donna si sistemava continuamente il tailleur, nervosa per il suo primo giorno.

“Già, non ci credo neanche io!” ribattè quella, sarcastica. Gli occhi degli studenti puntati addosso.

“E io ancora non ci credo che ad Ackett sia bastata una gonna corta per assumerti!” pensò Rider, disgustato.

Julie lo fulminò con una lunga occhiataccia: “Ehi, io ho una laurea importante, non sono solo due belle gambe!”

“Peccato che ad Ackett importava di più delle tue gambe che della tua laurea. – puntualizzò Rider - Cerca di evitarlo: E’ scapolo e non gli intessano quelle della sua età!”

Quella sollevò le sopracciglia nauseata: “Interessante!”

I tre si fermarono davanti ad un’aula, ad un certo punto. Sam aprì la porta ed entrarono, chiudendosi dentro. Era vuota.

“Allora, ragazzi, veniamo al dunque… - Julie si fermò davanti a loro - A ha una lezione alla quinta ora, giusto?”

Quelli annuirono.

“Beh, scordatevelo che scenderò in quel seminterrato da sola. Uno di voi dovrebbe venire con me!”

“Pensavo fosse chiaro che muoio dalla voglia di entrare in quella panic room… - replicò Rider con ovvietà – Solo che dovrei trovare una scusa per lasciare la lezione di letteratura!”

Julie lo fissò perplessa: “Ehm…Professore, posso andare in bagno? Non mi sembra così difficile!”

Sam intervenne: “Non è così semplice! Per colpa di A, Rider non è più molto ben visto dal Professor Palmer.”

“Inoltre si suppone che dovrei tornare in classe entro due minuti, non ho la vescica di un orso!” aggiunse Rider.

“Allora ci viene Sam!”

Quello, però, non era alletato all’idea: “Non muoio proprio dalla voglia di venirci…”

Julie, a quel punto, si infuriò: “Ok, ragazzi, siete stati voi a chiedermi aiuto. In più, non volete dirmi cos’ha A di compromettente contro di voi e perché un professore di liceo dovrebbe tormentare quattro adolescenti!”

“Beh, il perché non lo sappiamo nemmeno noi. – commentò Rider – Anche per questo dobbiamo entrare nella panic room, sperando di trovare qualche indizio!”

“Dovete impegnarvi di più, sto rischiando molto!”

Sam, allora, ebbe un lampo di genio: “Usa il tuo potere di consulente scolastica!”

Rider si girò verso di lui, assumendo una smorfia confusa: “E quale sarebbe? Dare consigli ai disagiati?”

“No! – gli lanciò un’occhiataccia – Può semplicemente entrare in classe e chiedere a Palmer di prenderti in prestito un secondo. Ora sei un ragazzo problematico, non lo troverà strano.”

Stavolta fu Rider a guardarlo storto. Julie, però, la trovò una buona idea.

“Ok, faremo così, come dice Sam.”

Quello sorrise, dirigendosi alla porta: “Ora, se non vi dispiace, vado a cercare la mia amica Chloe!”

“Era ora!” esclamò Rider, cinico, guadagnandosi un’altra occhiataccia.

“Scusa tanto se A ha minacciato di farmi esplodere il braccio se le avessi detto anche solo ciao!”

“Siamo liberi dai braccialetti da due giorni, Sam!”

“Ma Julie ha finito di modificarli solo ieri, perciò ho preferito aspettare!” ribattè Sam.

La donna spostò lo sguardo tra i due, confusa: “Che ha di importante parlare con questa Chloe?”

“Affari nostri! – esclamò Rider, marcando un finto sorrisino e sollevando le sopracciglia – Tu pensa a scontare il tuo senso di colpa nei nostri confronti, facendoci entrare nella panic room!”

Quella roteò gli occhi, mettendosi a braccia conserte. A quel punto, Sam li lasciò.

“Io allora vado, a dopo!” e uscì.

 

*

 

Nel frattempo, in ospedale, il Dottore stava visitando Alexis, mentre Eric era in disparte, di spalle contro la finestra, nervoso per l’esito.

“E se faccio così, senti qualcosa?” domandò alla ragazza, mentre le toccava le dita dei piedi.

“No, niente.” rispose.

Eric si fece avanti: “Ma che significa, questo? Pensavo non avesse riportato gravi danni…”

“Mi scusi, Dottore… - Alexis lo chiamò alla sua attenzione, prima che potesse rispondere al ragazzo – Prima non sentivo nemmeno le dita dei piedi della gamba destra, ma ora le sento, perciò… è una cosa temporanea, giusto?”

“Lasciamo che passi questa giornata per poterlo dire con certezza. Lei ha subito un forte trauma, perciò la ripresa è graduale.” spiegò il dottore, apparentemente ottimista.

Il ragazzo, però, non fu dello stesso avviso: “E se non si riprende? Finirà su una sedia a rotelle?”

L’uomo lo fissò a lungo, quasi infastidito dal suo tono: “…Ho detto che ha subito un forte trauma, non saltiamo a conclusioni affrettate. Se Alexis non avrà ripreso la sensibilità agli arti inferiori entro domani mattina, faremo ulteriori controlli. Lei, invece, dovrebbe essere più d’aiuto, evitando di angosciare la sua ragazza.”

Eric si ammutolì, incrociando lo sguardo di Alexis, che si era improvvisamente abbassato, rendendosi conto di aver esagerato.

Il dottore tornò a rivolgersi a lei, sfoggiando un sorriso rassicurante: “Tornerò domani mattina, ok? Vedrai che andrà tutto bene.”

Quella annuì, ricambiando il sorriso, meno ampio. Quando il dottore uscì, Eric ruppe il silenzio che si era creato.

“Mi dispiace di aver detto quello che ho detto.”

“Beh, - quella aveva gli occhi lucidi, mentre sorrideva tristemente – questa potrebbe essere la realtà, se domani non riuscirò a muovere entrambe le gambe.”

Eric si avvicinò immediatamente a lei, prendendo le sue mani: “Ti starò accanto, ok? Non vado da nessuna parte, finchè non ti vedrò mettere un piede a terra.”

“Eric… - gli prese il viso con la mano, tenera – Va’ a casa, fatti una doccia e torna a scuola. Puoi venire a trovarmi alla fine della giornata, ma non serve che tu resta inchiodato a questo letto con me.”

Immediatamente, al ragazzo venne un forte magone, che a stento riusciva a trattenere. Tuttavia, accetto il consiglio della ragazza.

“Giuro che stasera sarò di nuovo qui…”

Lei sorrise: “Lo so…”

Il ragazzo la baciò a lungo, prima di staccarsi da lei e lasciare la stanza con un enorme senso di colpa.

 

*

 

Come da concordato, alla quinta ora, Julie si presentò nella classe dei ragazzi, bussando prima di entrare. Quelli sguardi puntati su di lei e l’iniziale silenzio che riempiva la stanza, la lasciarono un attimo impalata.

“Ehm, salve… - si rivolse a tutti, con un accenno di sorriso, per poi rivolgersi a Palmer – Non è che potrei rubare un secondo Rider Stuart?”

L’uomo la squadrò: “Lei è la consulente, vero?”

“Sì, proprio io! - esclamò, leggermente imbarazzata, facendo segno a Rider di sbrigarsi – Forza, Stuart!”

Quello si alzò, titubante, per non aver ancora ricevuto il permesso.

“Non abbiamo avuto modo di conoscerci, non l’ho mai vista durante la pausa caffè…” continuò Palmer, particolarmente affascinato dalla giovane.

“Beh, negli ultimi due giorni ho preferito decorare il mio ufficio. Magari più tardi!” esclamò lei, ridacchiando, evitando il suo sguardo, che sentiva troppo addosso e che la imbarazzava.

“Allora la aspetto!” sorrise lui, mentre Rider era giunto di fianco alla donna.

“Bene… - rimase ancora impalata, accorgendosi delle occhiate di Rider quando incrociò il suo sguardo – allora noi andiamo, buon proseguimento!” salutò la classe e, infine, il professore, fiodandosi subito fuori, Rider a seguito.

Dopo qualche passo, nel corridoio, il ragazzo la riprese.

“Che cos’era quel teatrino a cui ho appena assistito? Magari più tardi? Seriamente?”

L’altra era abbastanza tra le nuvole, trovandolo esagerato, mentre camminavano: “Perché no? E’ carino!”

“Ehm...hai tipo la metà dei suoi anni?”

“Pff, ma per favore! – minimizzò – L’ex moglie di Donald Trump va a letto con dei trentenni e io non posso prendere un caffè con il Jeffrey Morgan dei poveri?”

“Sam sarebbe fiero di te, hai appena citato il suo attore preferito! – commentò, amaramente – E comunque fai come ti pare, non sono affari miei ora che ci penso.”

“Certo che faccio come mi pare! Pensi di dettare legge con me, ragazzino?”

“Non sono così ragazzino, non più ormai!” sottolineò con foga.

“Sì che lo sei, Rider. Lo siete tutti voi… - ribattè, seria e comprensiva - Qualunque cosa abbiate passato, restate sempre dei ragazzini.”

Quello si limitò a fissarla, abbassando più volte lo sguardo, mentre proseguivano.

 

*

 

Più tardi, poco dopo mezzogiorno, Tyler aveva i risultati degli esami di Nathaniel. Il ragazzo, assieme a Courtney, erano seduti davanti alla sua scrivania, in attesa di sapere. Suo cugino sembrò abbastanza serio e preoccupato.

“Allora, Tyler? Non tenerci sulle spine, cos’è uscito?” domandò Courtney, ansiosa.

Tyler deglutì, lo sguardo basso, sulla scrivania, molto serio.

“Beh?” si inspazientì anche Nathaniel. Finalmente quello alzò lo sguardo, incredulo su ciò che stava per dire.

“Nat, stai per caso cercando di cambiare…sesso?”

“COSA?” urlò il diretto interessato, chinandosi in avanti.

Courtney sgranò gli occhi, per poi lasciarsi scappare una risata: “Tyler, ma di che stai blaterando?”

“Zia, sto blaterando ciò che ho scoperto, ciò che è uscito dagli esami!”

“Ok, prima di tutto mi chiami Courtney, perché la tua età è molto più vicina alla mia, rispetto a Nat. – si infuriò quella – E secondo, come diavolo puoi dire una cosa del genere?”

“Già! – replicò Nathaniel, che riuscì finalmente a trovare le parole – Sicuro che non hai confuso i miei esami con quelli di qualcun altro?”

“Quand’è stata l’ultima volta che ti sei fatto la barba, Nat?” chiese quello, diretto.

“Ehm… - titubò, riflettendoci – l’ultima volta che sei venuto a casa mia, credo.”

“E’ stato almeno più di un mese fa, Nat…Non ti sei mai chiesto come mai la tua barba non cresca da settimane?”

Nathaniel, a quel punto, si toccò la faccia, seriamente turbato: “Ma…”

Tyler continuò, spiegando nel dettaglio: “ Gli esami riportano un calo drastico del testosterone, l’ormone follicolo stimolante in aumento e alterazioni a livello epatico… - fu coinciso, ad un certo punto – Nat, tu stai seguendo una vera e propria terapia ormonale a base di estrogeni per un vero e proprio cambio di sesso da uomo a donna!”

Nathaniel rimase pietrificato a fissare il vuoto, mentre Courtney sbatteva gli occhi senza parole, per poi alzarsi e raggiungere un angolo della stanza e riprendere fiato.

“Insomma, stai davvero cercando di cambiare sesso, Nat? – domandò quella, la voce che tremava – Cioè, sono una zia con una mentalità molto aperta e non ti giudicherei mai, ma è davvero quello che vuoi?”

“NO! – si alzò bruscamente dalla sedia, urlando, sconvolto quanto lei – Non voglio cambiare sesso, ma come ti viene in mente?”

L’altra si voltò, con una mano sul petto: “E allora come spieghi quello che ha appena detto Tyler, eh? Stamattina ti facevano male anche le tette! – si voltò verso Tyler, agitata – E’ un sintomo, quello, no?”

“SMETTILA, non ho le tette! – gridò Nathaniel, furioso, rivolgendosi poi ad entrambi – Io non ho mai desiderato cambiare sesso, né sto seguendo una terapia, ok? Ci dev’essere un errore!”

Tyler pensò che era meglio calmare gli animi e parlarne con più traquillità: “Ok, sedetevi un attimo… - suggerì, mentre quelli eseguivano, dopo una lunga occhiata tra loro – I sintomi più comuni, in genere, all’inizio di questo processo, sono: eccessiva sudorazione, vampate, stanchezza, sbalzi d’umore, dolori a livello locale, nella zona pettorale. Potrebbero esserci anche effetti collaterali come un improvviso aumento di peso, se i dosaggi della terapia non sono giusti. – fissò Nathaniel, notando il suo sguardo che incantava alla parete – Ti ritrovi in questi sintomi?”

Courteney rispose per lui, che era leggermente sotto shock: “Stamattina ha detto di essersi alzato con delle forti vampate ed è leggermente aumentato di peso, ho visto io.”

Nathaniel si mise le mani nei capelli, isolandosi nei suoi pensieri. Gli altri due smisero di parlare, fissandolo.

“Nat, se pensi di non aver assunto nulla, ma ne dubito…Come ti trovi in questa situazione?” continuò suo cugino.

Dopo qualche attimo, il ragazzo sembrò riprendersi, tornando a guardare suo cugino, serio: “E’ stato un errore mio…”

Sua zia non capì: “In che senso? Spiegati!”

“Volevo essere più informa per le gare, aumentare la massa muscolare. Così mi sono autoprescritto delle pillole, su internet…”

“E’ plausibile… - annuì Tyler, guardando Courtney, come per rassicurarla – Molte pillole sono fatte di estrogeni e chi va in palestra tende ad assumerle, ma è pericolosissimo!”

Quasi sollevata, Courtney si girò verso Nathaniel, per tranquillizzarsi del tutto: “Quindi non vuoi diventare un transessuale? Sicuro?”

“NO, ho detto!” confermò, seccato.

Quella si mise una mano sul petto, buttando fuori l’aria dalla bocca ad occhi chiusi: “Oh, grazie a Dio!”

Nathaniel roteò gli occhi, irritato da quella reazione esagerata, poi si rivolse a suo cugino, angosciato: “Se fermo tutto subito, tornerò normale, giusto? Insomma, si può sempre tornare indietro, no?”

“Beh, sì, sei ancora in tempo per tornare indietro. Fortuna che sei venuto subito!”

“Quindi mi basta smettere di prendere queste pillole e tutto questo processo si fermerà?”

“Assolutamente sì, butta quelle pillole!” gli suggerì.

Il ragazzo, però, aveva ancora qualche curiosità: “Ehm…se non fossi venuto qui, che sarebbe successo?”

“Credimi, saresti venuto prima o poi. Difficile non accorgersi di certe cose. L’importante è non aver superato i sei mesi. Dopo almeno sei o sette mesi di terapia, il processo diventa quasi irreversibile.”

“Ah…” mormorò, altamente turbato, incantando il vuoto ancora una volta. Improvvisamente, il telefono di Courtney squillo.

“E’ Pete dal parcheggio… - si alzò, dirigendosi alla porta – Vado a sentire cosa vuole, torno subito!”

Tyler le sorrise, mentre usciva. La sua espressione, però, cambiò radicalmente quando si chiuse la porta. Era a dir poco furioso.

“Ma sei impazzito??? – si chinò in avanti, gli occhi fuori dalle orbite – Come ti è venuto in mente di autoprescriverti delle pillole su internet???”

L’altro era mortificato: “E’ stato un errore, perdonami…”

“Un errore??? – urlò – Se ti fosse successo qualcosa, avrebbero scoperto del tuo problema al cuore, ti rendi conto? Nat, sanno tutti che sono il tuo medico!”

“Non accadrà più, te lo prometto.” non sapeva che altro dire, restando con lo sguardo basso.

Finalmente Tyler si calmò, poggiando di nuovo la schiena: “Va bene…tu, butta solo quelle pillole!”

“Adesso vado, - si alzò - grazie per avermi fatto avere subito le analisi…”

“Figurati, ma non farmi più questi scherzi!”

Nathaniel annuì, amereggiato, lasciando lo studio. Naturalmente aveva mentito, perché non si era assolutamente prescritto alcuna pillola su internet: l’artefice di ciò che gli stava capitando, sfortunatamente per lui, era qualcun altro.

 

*

 

Julie e Rider, nel frattempo, erano scesi nel seminterrato da qualche minuto. Avevano delle torce in mano, data la scarsa luminosità.

Rider faceva strada, mentre continuava a fissare la valigetta che la donna stringeva con l’altra mano.

“Cosa c’è lì dentro?”

“La mia attrezzatura, ovviamente… Pensavi che avrei aperto la panic room, urlando Apriti sesamo?”

L’altro si sentì stupido: “Giusto!”

Tuttavia, era la tensione a renderlo così nervoso e Julie la percepì, mentre continuavano a camminare.

“Tutto bene?”

Quello continuò a guardare avanti, senza voltarsi: “Ehm, sì…”

“Questa è la classica risposta da maniaco del controllo…” ribattè, cercando di farlo cedere.

“Cioè?” si voltò giusto un attimo.

“Non sono io il nemico, Rider. Io vi sto aiutando!”

“E quindi?” rispose, impassibile.

“Quindi puoi parlare con me. Insomma, anche io e Denna abbiamo fatto delle cose illegali…”

Rider si fermò bruscamente, puntandola con lo sguardo: “Cosa ti fa credere che abbiamo fatto qualcosa di illegale? Non siamo come voi!”

Sorrise cinicamente: “Però qualcosa avete fatto…E non ne vai fiero!”

“Sì, qualcosa è successo! – alzò lievemente la voce, infastidito dall’argomento – Ma è qualcosa che riguarda me, Sam, Nat ed Eric, ok? Smettila, per favore!”

Julie non aggiunse nulla, continuando a fissarlo. Quello riprese a camminare, ma lei spezzò nuovamente il silenzio.

“…Ed Anthony!”

Rider si voltò nuovamente, mentre quella continuava.

“Questa cosa riguarda anche il vostro amico morto, giusto?”

“Come sai di lui?”

“Ho visto quel video di insulti… - spiegò - In più, non mi avete ancora parlato di lui.”

Rider riprese a camminare, cercando di evitare il discorso: “Non c’è nulla da dire, era un pessimo amico. Fine!”

L’altra capì che era meglio non insistere: “D’accordo Rider, forse non ti senti ancora pronto a fidarti di me. Ti conosco da due giorni, quasi tre, e francamente ho capito che non ti fidi di nessuno, eccetto dei tuoi amici, ed è comprensibile dato quello che state passando…Sappi, però, che io mi sono fidata di voi e che vi ho detto tutto di me. E con tutto, non intendo cose come Ho rubato un frullatore, ma cose che possono far finire me e mia sorella dietro le sbarre.”

Il ragazzo deglutì, quasi stava per cedere e aprirsi, ma non lo fece: erano arrivati alla panic room e Rider illuminò la porta con la sua torcia, focalizzandosi su quella.

“Benvenuta nella tana di A!”

“Così sarebbe questa la panic room… – si avvicinò, toccando la superficie della porta, gelata – Sembra molto vecchia… - la scrutò attentamente – Ad occhio e croce, direi che è stata costruita prima del 2000, non credi?” si voltò verso Rider in cerca di conferma.

“Direi di sì… - riflettè – Quando questo posto è diventata una scuola, forse.”

“Prima non lo era?”

“Al secondo anno abbiamo fatto un saggio sugli edifici storici di Rosewood. Io l’ho fatto su questa scuola, che prima era un manicomio!” spiegò.

“Ah, interessante. – mormorò quella, rabbrividendo – E quando è diventata una scuola, esattamente?”


“Nel 1937!”

“E ora dove sono finiti i pazzi?”

“C’è il Radley, adesso. Fino al 36’ c’è stato il Wailord Sanitarium, ma fu chiuso quando si scoprì che i medici cercavano di curare l’insanità mentale con assurdi metodi di tortura.”

Julie rabbrividì ancora, tant’è che la luce della torcia tremava per via della sua mano: “Oookey, quindi la panic room dev’essere stata inserita nel nuovo progetto.”

“Sì, può essere…” aggiunse, mentre quella cercava un modo per aprire la porta, puntando la luce qua e là.

“Come puoi vedere, accanto alla porta non c’è alcuna tastiera o quadrante. Non c’è modo di entrare, a meno che questo non sia il covo di A e ci siamo sbagliati. Alla fine non l’abbiamo visto entrare qui con i nostri occhi.”

“Sì, ma avete detto che Eric ha sentito un forte rumore. – si avvicinò ad una pila di scatole attaccate alla parete, di fianco alla porta - Come quello di una porta che si chiude!”

“Questo seminterrato è enorme, potrebbero esserci tanti altri posti in cui Brakner può essersi nascosto.” ribattè, tenendendo la luce puntata sulla donna, che stava guardando dietro alle scatole, in difficoltà.

“Ehi, - si voltò verso di lui – mi aiuti a spostarle, sono pensanti. Voglio vedere cosa c’è dietro!”

Rider si avvicinò subito, poggiando la sua torcia su un’altra pila di cartoni. Insieme riuscirono a spostarle di qualche centimetro e Julie, nonostante avesse già il fiatone, riprese immediatamente la torcia e la puntò sulla parte di parete che le scatole comprivano.

Sorrise, per ciò che vide: “Bingo: una tastiera touchscreen!”

L’altro sgranò gli occhi: “Un po’ troppo in basso e lontana dalla porta, direi.”

Con un altro cenno della donna, spostarono ulteriormente la pila di scatole, per avere la piena mobilità in quel punto, senza quell’ingombro. Tuttavia, il pavimento ormai scoperto, riservò altre sorprese.

“Oh, cazzo! – Julie saltò indietro, spaventata, dopo aver guardato a terra – Un topo!”

Rider lo puntò con la torcia, indietreggiato anche lui in seguito all’urlo: “E’ morto… - mormorò disgustato – La settimana scorsa hanno disinfestato la scuola.”

“Beh, io non mi avvicino a quel coso, spostalo!” gli ordinò nervosamente, tenendosi a distanza.

Quello sgranò gli occhi: “CHE?? NO!” si rifiutò categoricamente, terrorizzato quanto lei.”

“Oh, ma che galante!” esclamò, prendendo in giro la sua mascolinità.

Improvvisamente, un rumore proveniente alle loro spalle. I due, spaventati, si voltarono immediatamente con le luci puntate verso la sorgente di quel suono.

Restarono rigiti per quasi venti secondi, gli occhi spalancati. Qualcuno girò l’angolo, restando accecato dalle luci: era Sam.

“Potete mettere giù le torce? Sto per perdere la vista!” ordinò, coprendosi a malapena gli occhi con le mani.

Quei due eseguirono, buttando fuori l’aria per lo spavento preso.

“Dio, pensavamo fosse Brakner con un coltello in mano!” esternò Rider, i cattivi pensieri che aveva fatto.

“No, ma potrebbe accadere. – si avvicinò – Ha lasciato la sua classe, l’ho visto.”

Julie trovò strana la sua presenza nel seminterrato, però: “Come sei uscito dalla lezione?”

“Ehm…Professore, posso andare in bagno? L’avevi suggerito tu!”

E mentre quella si autoelogiava con un espressione di compiacimento per quelli che pensava fossero ottimi suggerimenti, Rider era più preoccupato per la notizia appena recepita.

“E’ dove è andato di preciso?”

“In segreteria, ha ricevuto una chiamata!”

“Ok, dobbiamo sbrigarci! – pensò Julie, puntando la torcia verso la porta, restando impalata – Prima, però, Sam…potresti fare una cosa?”

Quello fece immediatamente una smorfia confusa: “Cioè?”

Fu Rider a continuare: “Dovresti togliere un topo! – lo illuminò, affinchè lo vedesse – Quello!”

Sam sollevò le spalle, trovandola una cosa da niente: “Tutto qui? Pff!” e si avvicinò, prendendolo per la coda e poggiandolo più lontano.

Gli altri due erano a dir poco nauseati.

“Ricordami di non stringerti più la mano, Sam.” Rider tratteneva a stento il vomito, mentre Julie si inginocchiava vicino alla tastiera, aprendo la sua valigetta.

“Tranquillo, Rider. Tanto non ci siamo mai stretti la mano!” esclamò, sereno.

Dopo una rapida occhiata tra loro, i due ragazzi restarono impalati a guardare Julie che faceva il suo lavoro.

“Cosa stai facendo di preciso?” domandò Sam, mentre quella rimuoveva la parte frontale della tastiera, rivelando i circuiti e le componenti del dispositivo.

“Collegherò questo apparecchio – lo mostrò, una volta tirato fuori dalla sua valigetta - e attraverso un programma ideato da Denna, ricaverò il codice d’accesso. Cifra per cifra!” spiegò, mentre tagliava i fili e collegava i due dispositivi.

“Fico! – Rider sollevò le sopracciglia, fingendosi entusiasta, quando in realtà voleva immediatamente entrare nella stanza – Comunque… – si rivolse a Sam, nell’attesa – strano che non sei preoccupato per Nat.”

“Ha accompagnato sua zia in ospedale, no? Che sarà mai!” esclamò, ignaro.

L’altro strinse i denti, rendendosi conto che l’amico aveva capito male: “Ehm, Sam, forse…Cioè, non è che ha accompagnato sua zia, ma è sua zia che ha accompagnato lui.”

“Rider! – sussultò, urlandogli contro – Perché non me l’hai detto stamattina?”

“Guarda che te l’ho detto!” si giustificò, sollevando le spalle.

Sam sbigottì qualche secondo, prima di lamentarsi istericamente: “Masticavi un cornetto, mentre me lo dicevi…Ne hai mangiati tre!

“Stavo morendo di fame, è risaputo che le vittime di A hanno bisogno di un apporto calorico in più rispetto a tutti gli altri!”

Julie, intanto, roteava gli occhi mentre il suo apparecchio aveva già decifrato parte della password.

“Ragazzi, ci siamo quasi!”

Quelli, però, continuarono a discutere, ignorandola.

“Ma sta bene? Cos’ha?” domandò Sam, altamente preoccupato.

“Niente, non mi ha detto niente. Solo che doveva fare delle analisi!”

L’altro sgranò gli occhi, pensando al peggio: “Oh mio Dio…”

Rider cercò subito di rassicurarlo: “Dai, vedrai che non è niente!”

“Non lo so… - iniziò a mordersi l’unghia del pollice, in ansia, mentre fissava il vuoto – Non riesco a stare molto tranquillo, ultimamente.”

Improvvisamente, l’apparecchio di Julie emise un suono continuo. Quella, poi, alzò in piedi, mettendosi davanti alla porta, iniziando a dare istruzioni.

“Appena la porta si apre, dobbiamo entrare tutti nello stesso momento. Scusate la volgarità, ma, in definitiva, dovete starmi attaccati al culo!.”

Sam fece una smorfia perplessa, oltre che basita: “Ehm, che succede se non entriamo tutti nello stesso momento?”

Quella si voltò, secca: “Vieni schiacciato dalla porta, ecco che succede! All’arpertura della panic room, ci saranno dei sensori di movimento che rileveranno il nostro passaggio. Dal momento in cui entro per prima, ci saranno almeno 860 millisecondi di stacco che non dovete superare, perchè corrispondono  davvero ad un battito cardiaco umano a riposo.”

“Cosa ti fa credere che sia così?” chiese Rider.

“La panic room sarà stata anche progettata più di un secolo fa, ma la tecnologia è nuova. Questa stanza blindata, ospita solo una persona, adesso.”

Sam e Rider annuirono, mettendosi dietro di lei. Julie osservò l’apparecchio, la password fu confermata.

“Dietro di me! – urlò – Non perdete tempo, dovete essere veloci!”

La porta si aprì, emettendo un suono meccanico. Julie ci saltò immediatamente dentro, seguita subito dai ragazzi che quasi saltarono con lei nello stesso istante per paura di soccombere.

Finalmente erano tutti dall’altra parte, la porta si chiuse rapidamente, come aveva detto Julie.

“Fiuu! – sospirò Rider – Giuro che me la sono fatta sotto!”

Sam fu d’accordo, la fronte sudata: “A chi lo dici!”

Julie, intanto, scrutò il piccolo spazio in cui si trovavano. Era un piccolo corridoio di 10 mq, stretto, illuminato da una luce forte, le pareti fatte di metallo arrugginito. C’era un’altra porta, molto più nuova rispetto alla prima, alla fine di quel corridoio.

“Deduco che non siamo ancora entrati nella panic room. – pensò la donna, buttando gli occhi in basso, ai lati della nuova porta – Ci sono altri due sensori di passaggio, ma la porta è diversa. Molto più ermetica. Il vostro professore deve aver fatto delle modifiche qua giù!”

Sam, dietro di lei come Rider, era a dir poco a bocca aperta: “E’ inquietante…Vi prego, facciamo presto.”

Julie non se lo fece ripetere due volte, mentre Rider deglutiva, pensando a cosa potesse esserci dietro a quella porta.

Il sensore rilevò immediatamente la gamba di Julie, non appena quella si fece avanti. Immediatamente si attivò l’apertura della porta che emise un suono simile all’aria pressurizzata.

Finalmente si trovarono davanti alla vera panic room, una luce meno forte e leggermente instabile. La prima cosa che poterono scrutare dall’ingresso, fu una tipica botola di metallo da terra, al centro della stanza, installata nel pavimento. La fissarono per qualche secondo, prima di fare un passo avanti.

Nell’istante in cui varcarono la porta, la porta si richiuse e i tre si voltarono, spaventati dal rumore che fece. Subito, poi, ripresero fiato e si concentrarono su ciò che li circondava, tra cui: fotografie appese alle pareti; una scrivania con sopra un computer acceso e una lampada spenta accanto; delle scatole sotto alla scrivania; un tavolo con sopra tre monitor accesi; un sistema di videosorveglianza vecchio e polveroso, appeso al muro e spento; un vecchio armadio marrone; una vecchia e piccola televisione impolverata sopra un mobiletto e un videoregistratore attaccato.

Dopo che Julie avanzò, diretta al computer, Sam avanzò verso le foto appese ai muri, dall’altro lato della stanza, che in fin dei conti non era assai grande. Rider seguì Julie, naturalmente. I tre erano abbastanza impressionati, non avevano parole.

A ci ha seguiti ovunque andassimo. Dal primo momento…” mormorò Sam, scioccato, mentre si osservava nelle foto.

Julie, intanto, si sedette al computer, Rider alle spalle: “Non c’è alcuna password, possiamo guardare tutte le cartelle che ci sono.”

“Sì, ma dobbiamo fare presto. La quinta ora sta per finire e Sam ha detto che Brakner è andato in segreteria, non sappiamo se sia ritornato in classe.” spiegò Rider, poco tranquillo.

“Merda! – Julie si colpì la fronte – Ho lasciato la valigetta fuori, avevo portato una pen drive…”

“Fa niente, iniziamo a guardare!” suggerì Rider.

Sam, intanto, stava continuando a visionare tutte le foto, sempre in disparte, finchè non vide quella del suo bacio con Nathaniel, davanti alla prigione di Philadelphia. Immediatamente sgranò gli occhi, staccandola dal muro e mettendola nelle mutande. Teso, si voltò verso gli altri due, tirando un sospiro di sollievo nello scoprire che non l’avevano visto; assieme a Nathaniel, mantenevano ancora segreta la loro visita a Jasper.

Facendo finta di niente, si avvicinò finalmente ai due, evitando la botola, sopra la quale era quasi inciampato.

“Perché solo io sembro incuriosito da questa vecchia botola?” 

Rider gli rispose subito, mantenendo gli occhi incollati sullo schermo: “Perché le cose più importanti sono nei computer. E’ la prima cosa da guardare, quando si ha poco tempo.”

“Per me va bene, non ho tanta voglia di scoprire cosa c’è dentro quel buco o quello che è… - pensò, intimidito, per poi voltarsi a guardare i tre monitor sull’altro tavolo – Dio, ha occhi su tutta la scuola…Saranno almeno…”

L’amico lo precedette: “Trentadue telecamere, le ho già contate!”

“Trentadue volte inquietante!” sollevò le sopracciglia, quello, guardandosi nuovamente attorno.

“Sam, ti dispiace fare qualche foto della stanza? – si voltò Rider a chiederglielo – Così vedono anche Nat ed Eric…”

“Certo! – esclamò, tirando fuori il telefono dalla tasca – Li avviso anche che siamo entrati…”

 

*

 

Nathaniel stava salendo le scale del portico di casa sua, dopo essere sceso dalla macchina di Pete. Era al telefono con Eric.

“Hai ricevuto il messaggio di Sam? Dice che sono entrati nella panic room.” esclamò, mentre prendeva le chiavi.

“Sì, l’ho ricevuto…E comunque sono al Brew, devo parlare con Todd!”

“Chi è Todd?”

“Il proprietario del Brew…”  mormorò con voce amareggiata e stanca.

“Pensavo sapesse dell’incidente di Alexis, no?” ribattè, entrando in casa.

“Lo sa, ma non è per quello che voglio parlare con lui…Stamattina, in ospedale, ho dimenticato di dirti che ho ricevuto un messaggio da parte di A. Ha investito Alexis per farmi prendere il suo posto al Brew, sapeva che cercavo lavoro.”

“Ma è da malati… – pensò, gettando le chiavi sul tavolo della cucina e appogiandosi sopra con una mano per concentrarsi sulla converazione – E stai pensando di farlo davvero? Chiedere il posto di Alexis?”

“Che altro dovrei fare, Nat? – si agitò – Se non lo faccio, A potrebbe presentarsi nella stanza di Alexis con un cuscino puntato sulla sua faccia!”

Sospirò, rendendosi conto che era alle strette: “Scusa, mi dispiace…E’ davvero un gran casino!”

“Puoi dirlo forte…E in più sento che il peggio deve ancora arrivare, ma cosa può esserci di peggio? Cos’altro può fare una sola persona?”

Nathaniel rimase qualche secondo in silenzio, pensando a quello che stava accadendo a lui: “…Non so se ho mai avuto realmente paura, da quando è iniziata questa storia di A…Ora, però, credo di averla davvero…”

Eric comprese perfettamente, immaginando si riferisse in generale: “Io ho iniziato ad avere paura la settimana scorsa, quando sono rimasto bloccato in quella fogna. Davvero, ho pensato di non farcela… - preferì sorvolare quel ricordo, poi – Comunque hai fatto gli esami? Stai bene?”

“Preferisco parlarvene di persona…” rispose con un tono assai serio.

Eric si preoccupò: “Ok, però così mi stai spaventando…”

“Ne parliamo quando ci vediamo di persona, ora devo andare. Scusami.”

Poco convinto, l’altro non insistette: “Va bene, a dopo!”

Dopo aver terminato la conversazione, Nathaniel chiuse gli occhi, appoggiandosi con entrambe le mani sul tavolo, chinando la testa in basso, riprendendo un attimo fiato.

Si diresse, poi, verso il frigo, prendendo una bottiglietta d’acqua. La portò alla bocca, pronto a berne un sorso, ma si bloccò improvvisamente, portandola indietro; ripensò a quando Sam era stato drogato con l’acqua che aveva bevuto dal suo frigorifero, così la rimise al suo posto, richiudendo il frigo, indietreggiando spaventato.

Improvvisamente, sentì qualcuno entrare in cucina alle sue spalle e si voltò di scatto: era suo padre.

“E tu che ci fai qui? – aveva gli occhi leggermente chiusi, trasandato nell’aspetto – Pensavo fossi a scuola…”

“E io pensavo che tu fossi al ristorante…”

“Sono dovuto tornare. – si grattò il capo, una smorfia sofferente, mentre si avvicinava ad un mobiletto – Ho un gran mal di testa, non riuscivo a tenere gli occhi aperti!”

“E chi c’è al ristorante, adesso?”

“Jamie!” rispose, recuperando delle aspirine.

Nathaniel inclinò la testa, come un gufo, perplesso: “Ma lo conosci da meno di un mese, non puoi lasciarli in mano l’attività di famiglia!”

Quello si stava riempiendo un bicchiere d’acqua per mandare giù l’aspirina, massaggiandosi le tempie: “E’ un bravo assistente manager, Nathaniel. L’attività di famiglia non cesserà di esistere per un giorno che mi assento.”

“Vuoi che vada a controllare?” non si convinse tanto.

“No, se la caverà! E comunque… - continuò, dopo aver mandato giù l’aspirina – non hai risposto alla mia domanda. Perché non sei a scuola?”

“Ehm… io ho… - inventò, poi – accompagnato la zia Courtney in ospedale! Doveva fare delle analisi, ma non ha niente. Era preoccupata per qualcosa, ma falso allarme.”

“Mmmh, interessante… – disse, però, disinteressato, sollevando le sopracciglia – Con Courtney è sempre un falso allarme; come quella volta che mi fece girare tre volte davanti ad un negozio di porcellane perché pensava di aver visto Colin Firth!”

Nathaniel si lasciò sfuggire una piccola risata, poco vivace: “Che diavolo ci verebbe a fare Colin Firth a Rosewood!”

“Già, è quello che le ho detto anch’io! – fissò, poi, l’orologio della cucina – Ora devo uscire, tua madre mi ha chiesto di comprare alcune cose per l’inaugurazione del salone.”

“Ah, già, è domani! Sembra ieri che faceva la parrucchiera abusiva in casa, in attesa che i lavori finissero.”

“Vado allora… Poi vedrò di passare a controllare Jamie, al ristorante. L’aspirina fa già effetto!” si congedò.

“Ok, dì a Mamma di stare tranquilla, sarà un successone!”

“Ok!” esclamò quello, già fuori dalla cucina.

 

*

 

Nella panic room, intanto, i ragazzi stavano ancora esaminando le cartelle sul desktop. Rider sembrava alquanto seccato, alle spalle di Julie.

“Passa avanti, queste sono solo foto, foto e altre foto di noi. Stiamo solo perdendo tempo!” e quella passò immediatamente ad ispezionare un’altra cartella.

Sam, intanto, si era avvicinato alla piccola televisione, pulendo lo schermo polveroso con la mano. Più in basso c’era il tasto di accensione e lo premette. Immediatamente lo schermo si illuminò, mostrando delle immagini in bianco e nero. Il volume era inesistente. Quello subito si chinò in ginocchio, aprendo gli sportelli del mobiletto: c’erano undici videocassette.

“Non è buffo che un professore di matematica abbia una passione per i gialli di Agatha Christie? – condivise le sue perplessità, facendo voltare gli altri due – Qui c’è tutta la prima stagione di Miss Marple andata in onda dal 1984 al 1992 su BBC one!”

“…A me piace l’odore della benzina!” commentò Julie.

Quelli assunsero una smorfia confusa, fissandola.

“Che c’è? Ognuno ha le sue stranezze!” si giustificò quella, animatamente.

Rider scosse la testa, tralasciando: “Sam, spegni quel coso e vieni qui!”

Julie era tornata ad esaminare delle cartelle e finalmente sembrò aver trovato qualcosa, mentre Sam si avvicinava nuovamente a loro.

“Qui ci sono degli audio…” portò la freccia del mouse sopra una delle tracce.

Rider fece un rapido cenno a Sam: “Riprendi tutto con il telefono, mi raccomando!”

Quello eseguì immediatamente, mentre il primo audio era in riproduzione.

Rider: Ehi, Sam! – Sam: Stai leggendo anche tu i commenti? – Rider: Certo… E trovo incredibile quanto la gente sia ipocrita e falsa. Insomma, queste sono le stesse persone che fino ad una settimana fa li passavano davanti, ignorandolo come si fa con un mendicante che chiede l’elemosina, e adesso tutti vogliono essere suoi amici, gli scrivono dediche…”

“Ma questa è una nostra vecchia conversazione telefonica. - ricordò Sam – L’abbiamo fatta dopo…”

“Il funerale di Anthony!” ricordò all’istante anche Rider.

Julie continuò ad ascoltare con attenzione, senza aprire bocca.

Sam: Ci sono commenti anche su Anthony…e anche qualcuno su di noi. – Rider: Beh, la morte non ripulisce la tua immagine di colpo! E nemmeno la nostra: I seguaci del diavolo! – Sam: Ho pianto per quasi venti minuti, dopo essere tornato a casa…Ci siamo ripetuti nella mente che potevamo essere liberi e felici, dopo l’addio di Anthony, ma…Non mi sento per niente libero né felice. Penso ad Albert e a come l’abbiamo messo nel…”

Rider sgranò gli occhi, esattamente come Sam, ricordando per filo e per segno quella conversazione e quale parola sarebbe seguita. In un lampo, prese bruscamente le redini del mouse, selezionando l’audio successivo in maniera nervosa.

“Passiamo avanti, inutile ascoltare conversazioni che abbiamo già vissuto!”

Alquanto insospettita dal suo comportamento, Julie rimase rigida a fissarlo perplessa: “Ok, se lo dici tu…”

Lindsay: A proposito… Grazie per non aver detto nulla a nessuno. Insomma, so che mi hai vista quella notte.”

Rider sobbalzò: “Ma questa è la voce di mia sorella!”

Chloe: Q-quale notte?”

Sam si chinò in avanti, riconoscendo la seconda voce: “E questa è di Chloe…”

Lindsay: Avanti, lo sai. Non fingere. Quella in cui mi hai visto assieme ad Albert. Nella macchina blu. -Chloe: Ah, eri tu? – Lindsay: Chloe, ti sto facendo paura, per caso? Insomma, non penserai che Albert sia scomparso a causa mia, vero? -  Chloe:  No no, certo che no, ma… Sei andata alla polizia? Sanno che sei stata l’ultima persone ad averlo visto? - Lindsay: Non ero da sola, quella notte. Sai, io frequento, diciamo…una persona più grande e… Insomma, non volevo metterla nei guai. La polizia avrebbe trovato molto strana la faccenda. Lo capisci, no? – Chloe: Sì si, certo. E…che ci facevi con Albert a quell’ora? Chi era questa persona più grande con cui eravate?”

Julie sembrò sempre più perplessa, mentre gli altri due ascoltavano, assorti.

“Chi è questo Albert che nominano sempre?”

“Shhh!” borbottarono entrambi.

“Okeey, va bene!” esclamò quella, irritata.

Lindsay: Anthony dava noie anche a me, non solo quelli come Albert o…te! Hai presente il video che è stato divulgato qualche giorno fa su Anthony, mio fratello e i loro amici? Beh, Albert era nascosto dietro la porta dell’aula in cui l’hanno girato e ha ascoltato tutto. Io stavo passando da quel corridoio, per caso, quel giorno, e la cosa mi ha incuriosito a tal punto da domandargli cosa stesse facendo. Lui mi fece segno di avvicinarmi…Quando i ragazzi se ne andarono, entrammo e prendemmo la videocamera.”

Rider e Sam si guardarono, continuando ad ascoltare.

Chloe: Volevate che la scuola vedesse quel video? Ok che Albert volesse questo, ma tu? Rider è tuo fratello, perché fargli una cosa del genere?”

“Già, ottima domanda! Cento punti per Chloe!” commentò Rider.

Julie intervenne: “E zero punti per me: non ci sto capendo un tubo!”

Quelli la ignorarono nuovamente, interessati alla risposta.

Lindsay: Non volevo divulgare il video, infatti. Volevo solo essere lasciata in pace, far sapere ad Anthony che avevamo quel video e che doveva lasciarci in pace…Albert, poi, fece delle copie e disse che si sarebbe preoccupato lui di parlare con Anthony, così ho preferito non espormi troppo e lasciare che facesse tutto lui. – Chloe: Ma, aspetta un secondo, il video è stato divulgato dopo la scomparsa di Albert. Sei stata tu? – Lindsay:No! Te l’ho detto, non volevo farlo. Dopo la scuola, poi, Albert non si fece più sentire e lo incontrai che girava di notte verso le parti del Wall mart. E’ salito nell’auto del ragazzo con cui ero e gli ho chiesto se avesse parlato con Anthony. Lui mi ha risposto che era tutto risolto, poi scese, di fretta e…Non l’ho più visto né sentito. Chloe: Ma… Se non sei stata tu a divulgare il video, allora chi è stato? – Lindsay: Non è evidente? E’ stato Albert!”

“Ehh???” Sam si guardò perplesso con Rider.

Julie spostò lo sguardo fra i due: “Che c’è? Che succede? Che avete capito?”

“Julie, potresti lasciarci ascoltare? – la richiamò Rider – E’ una questione nostra, grazie!”

Quella roteò gli occhi, dopo essere stata ammonita per l’ennesima volta.

Chloe: Sicura che questo tuo ragazzo non abbia ottenuto una copia da Albert, nel corso della giornata? Magari è stato lui! – Lindsay: E’ stato tutto il giorno con me! L’unico ad avere quel video era Albert ed è stato lui! – Chloe: Quindi pensi che Albert sia nascosto qui a Rosewood? – Lindsay: Io penso che Albert abbia ucciso Anthony e suo padre e che per paura di ciò che ha fatto, abbia finto di sparire. Questo, però, non l’ha fermato nel dare il colpo di grazia a coloro che l’hanno sempre sostenuto: mio fratello e i suoi amici… Albert sembrava un tipo instabile. L’ultima volta che l’ho visto non aveva una bella cera.”

“Perché sta dicendo queste cose a Chloe?” non capì Sam, rivolgendosi all’amico.

Rider scosse la testa, interessato ad ascoltare il resto.

Chloe: Se pensi che si nasconda qui, allora dillo alla polizia! Potrebbe fare del male a tuo fratello o i ragazzi. – Lindsay: E se mi sbagliassi? Albert ha fatto delle copie di quel video. Chi mi garantisce che sia stato davvero lui? Magari è davvero scomparso ed è stato qualcun altro, magari c’è molto di più dietro e io non voglio guai! Ora devo andare…In ogni caso, grazie di non aver detto a nessuno che mi hai visto quella notte.”

La registrazione terminò, lasciando abbastanza perplessi i ragazzi; Julie in primo luogo.

“Volete spiegarmi perché siete così tanto presi da questa registrazione, quando chi vi sta tormentando è un professore di matematica?”

“Ci sono altre persone coinvolte!” si lasciò sfuggire Sam, subito rimproverato.

“Shhh, sta zitto! Lei non è tenuta a sapere queste cose… - tutelò la sorella, di cui non aveva rivelato la sua complicità con Brakner a Julie - E TU, - si rivolse a lei, ora, aggressivo – smettila di farci domande! Eri tenuta solo a farci entrare nella panic room per restituirci il favore, nient’altro!”

“Tua sorella parla di omicidi…E’ questo che A ha contro di voi? Siete coinvolti?” continuò Julie, testarda, sfidando la pazienza del ragazzo.

Sam cercò di spiegarle: “E’ stato un incidente, Anthony…”

“BASTA! – urlò Rider, fermandolo – Vuoi chiudere quella bocca?”

“E’ coinvolta, ormai!” ribattè con lo stesso tono.

“Già, sono coinvolta!” si aggregò Julie.

Rider continuò sulla difensiva, testardo: “Beh, dopo essere usciti da qui, non lo sarai più!”

Quella lo trovò ridicolo: “Ormai lavoro qui, non posso licenziarmi dopo il terzo giorno!”

Sam troncò immediatamente la conversazione, dopo aver guardato l’orologio: “Ehm, ragazzi, mancano dieci minuti alla fine della quinta ora.”

L’amico sbuffò, sedendosi al posto di Julie al computer: “Accidenti, non siamo nemmeno riusciti a trovare i nostri video, ci sono troppe cartelle… - continuò ad aprirne altre – Moltre contengono cose inutili e…” improvvisamente si bloccò.

“E, cosa??? – si pronunciò Sam, alle sue spalle, notando l’improvvisa interruzione – Rider??”

Quello non rispose, digitando qualcosa sulla tastiera.

“Lo sapevo! – si distanziò con la sedia dalla scrivania – Non c’è!”

Julie intervenne, curiosa: “Che succede?”

Rider si voltò a spiegare, spostando lo sguado tra i due; più verso Sam: “Tutto questo è un bluff, A sapeva che saremmo entrati qui!”

“E’ impossibile che potesse prevederlo. Julie ha modificato i nostri bracciali, non può più ascoltarci in nessun modo!”

“Dimentichi che A è in questo edificio con noi e che le porte sono molto sottili. Dovevamo fare più attenzione, mentre ne parlavamo.”

“Sì, ma come hai capito il bluff?” domandò Julie.

“Manca una cartella che dovrebbe esserci, chiamata Rosewood-riservato. Contiene delle cose che forse possono farci capire perché A ce l’ha con noi. In più, questo computer è stato riempito con molte cose. E’ una chiara messa in scena!” spiegò Rider.

Sam, facendo qualche improvviso colpo di tosse, si avvicinò al computer: “Ora che lo vedo meglio, non sembra uno dei computer che ci sono nell’aula di informatica?”

Quello si voltò a guardarlo nuovamente, facendo qualche colpo di tosse anche lui: “In effetti, si…Deve aver messo il suo vero computer da un’altra parte.

“Quindi… - Julie si mise la mano a pugno davanti la bocca, tossendo, prima di continuare - Siamo scesi qui al vuoto?”

Rider tossì ancora, prima di continuare: “A quanto pare…”

Sam, improvvisamente perplesso, spostò lo sguardo fra i due: “Perché stiamo tossendo tutti?”

Quelli si guardarono, facendo caso alla cosa.

Rider tossì ancora, per poi allarmarsi: “Ok, che sta succedendo?”

Julie, con lo sguardo fisso nel vuoto, riflettè, per poi voltare la testa verso la parete che aveva alle spalle, guardando in alto, verso una piccola grata: “Il condotto di aerazione… - fece notare – Quando siamo entrati, il filo annodato alle sbarre della grata ondeggiava…”

Sam, con un tono poco tranquillo, descrisse ciò che vedeva: “Ehm, ok, ma ora non ondeggia più e questo vuol dire che…”

Rider si affrettò a completare, una nota nervosa nel tono: “Non c’è più cambio d’aria, stiamo respirando anidride carbonica!”

Sam andò subito nel panico, mentre Julie iniziava ad agire.

“Ok, - tossì ancora, come gli altri - dobbiamo uscire immediatamente di qui, prima che non ci sia più ossigeno da respirare!” esclamò, dirigendosi alla porta, premendo più volte il pulsante verde d’uscita.

Nonostante l’avesse premuto più volte, la porta non si apriva.

“Beh?” domandò Sam, fissandola in maniera insistente, teso come una corda di violino.

L’altra si voltò, il panico nello sguardo: “Ehm, non si apre!”

“COSA?” urlarono entrambi, increduli.

“Deve aver interrotto il flusso di corrente da remoto!” spiegò quella, mentre lo schermo del computer diventava nero.

Quelli si voltarono a guardare e subito comparve una scritta.

 

“Quanti ficcanaso servono per finire l’ossigeno in una piccola stanza?”

-A

 

 

Rider, esplodendo in svariati colpi di tosse, si fece prendere dal panico più totale: “No, non morirò qui dentro!”

Corse immediatamente verso la porta, prendendola a calci. Sam, con il volto rigido per il terrore, si guardò attorno, mentre Julie teneva una mano davanti alla bocca e l’altra sul petto, tossendo.

“Che facciamo, adesso? – urlò Sam, gli occhi lucidi – E pensare che io ero in classe…”

Julie si fissò immediatamente a guardare la botola, pensando di poterla usare come via di fuga, avvicinandosi: “Ehi, aiutatemi qui!”

Rider accorse subito alla sua chiamata, stringendo il manubrio arrugginito con le mani e cercando di farlo sbloccare. Sam titubò, gli occhi sbarrati, lo sgomento che ormai l’aveva impossessato.

“E se non ci fosse una via d’uscita sotto quella botola? E se ci fosse solo un buco che ospita un cadavere?”  pensò a quello di Albert, che deteneva ancora A.

Julie alzò la testa, atterrita: “Un cadavere? – tossì - Quale cadavere?”

Rider fulminò l’amico, ancora una volta, per aver parlato troppo: “Niente, sta vaneggiando, continuiamo a girare. Sam, aiutaci!”

Serrando la bocca, quello esegui, inginocchiandosi assieme a loro, tra la fatica e la tosse sempre più insistente. Il manubrio iniziò a sbloccarsi, ma lentamente. Le mani di Sam scivolavano.

“Accidenti, ho le mani sudate!”

“Anch’io! – esclamò Rider, che subito ebbe un lampo un’idea, guardando l’armadio - Prova a vedere se c’è qualcosa lì dentro che possa aiutarci a migliorare la presa!”

Sam si alzò, traballando. Raggiunse l’armadio quasi senza fiato, per poi aprire le porte e restare esterrefatto.

“Un armadio vuoto? – si voltò verso gli altri due – Chi cavolo porta un armadio qua dentro per non metterci nulla?”

Improvvisamente, dopo una tosse esagerata, Julie svenì di colpo.

Entrambi i ragazzi sgranarono gli occhi.

“Oh no!” esclamò Sam, fissando subito Rider.

“Sam, sbrigati, torna qui prima che sveniamo anche noi!” gli urlò.

Quello corse immediatamente vicino a lui, tirando il manubrio con tutte le loro forze. Ad un certo punto, Rider si fermò, lo sguardo perso nel vuoto.

“Non… Non riesco a respirare…”

“Rider?” lo fissò Sam, spaventato.

Le pupille del ragazzo salirono verso l’alto e svenì anche lui.

“RIDER! – gridò Sam, sfociando in un espressione di panico assoluto, avvicinandosi a lui – No, Rider, ti prego, svegliati! – tossì, scuotendolo - SVEGLIATI!”

Quando comprese che sarebbe stato il prossimo, Sam si guardò attorno con il fiato corto, non sapendo cosa fare. Farfugliando cose.

“Ok, Sam, sta calmo... – chiuse gli occhi – sta calmo, sta calmo…”

Subito, poi, si tolse il maglione, mettendolo sul manubrio, stringendo le mani sopra di esso. Ora la presa era più salda e le mani non scivolavano più. Sam girò quel cerchio di metallo con tutte le sue forze, i denti stretti e il viso livido per lo sforzo. Man mano che girava il manubrio, quello si sbloccava sempre più, ruotando veloce. Era ormai al limite, stava per svenire anche lui, ma ce l’aveva fatta: sollevò immediatamente il portellone. L’aria stava finalmente entrando nella stanza. Sam si lasciò cadere all’indietro, esausto.

Julie e Rider ripresero a respirare, sollevandosi bruscamente, come fossero appena riemersi dall’acqua.

“Oh mio Dio, sono vivo!” esclamò Rider, prendendo grossi respiri, la mano sul petto.

“Avete aperto voi la botola? – domandò Julie, mentre si riprendeva anche lei – Io non ricordo…”

“Sono stato io! – Sam alzò la mano, mentre era ancora sdraiato a riprendere le forze – L’ho aperta io, ma c’è mancato poco.”

Rider, curioso, guardò subito dentro la botola, descrivendo ciò che vedeva: “C’è una scala che porta fino a giù e dall’odore…deduco porti alle fogne! – roteò gli occhi, seccato – Di nuovo!”

Julie non capì cosa intendesse: “Come sarebbe, di nuovo?”

“Benvenuta nel mondo delle trappole di A! – prese parola Sam, alzandosi – Questa non è la prima volta che tenta di ucciderci… - assunse un’espressione angosciata - A volte mi chiedo se sia solo un gioco in cui alla fine ci permette di salvarci o vuole realmente farci fuori e noi siamo tremendamente fortunati.”

Julie spostò lo sguardo fra i due: “Beh, non posso dire la mia se non conosco i fatti. Ma ha tutta l’aria di essere una vendetta, questa!”

“Lo è, infatti!” sottolineò Rider, con tono marcato.

La donna comprese il loro disagio e pensò che era meglio lasciare quel posto, entrando nella botola per prima: “Usciamo da qui e torniamo a scuola, prima che chiamino la polizia per accusarmi di rapimento di minori!” e iniziò a scendere, seguita dai due ragazzi.

Poco dopo, erano di sotto, nelle fogne. Sam aveva appena messo piede a terra, lasciando la scala. I tre si guardarono a destra e sinistra, l’acqua che scorreva al centro del tunnel.

“Rider, come ci muoviamo per tornare sopra?” gli domandò Sam a bruciapelo.

Quello gli lanciò un’occhiataccia, costringendo l’altro a giustificarsi subito.

“Che c’è? Tu conosci questi tunnel meglio di noi!”

Julie fece subito una supposizione, in merito a quel commento: “A ti ha intrappolato nelle fogne, ho capito bene?”

Rider si voltò a risponderle: “Ha attirato me ed Eric in un vicolo cieco e ha fatto esplodere la parete di una camera stagna. Saremmo morti affogati se Sam e Nat non ci avessero trovati, quando è successo.”

Quella scosse la testa, incredula e dispiaciuta: “…Beh, sarà meglio trovare il tombino più vicino e risalire.” prese, poi, a camminare, seguita dai due.

Sam, rimasto leggermente indietro per sua intenzione, si tolse la fotografia che aveva preso nella panic room dalle mutande e la gettò nel fiumiciattolo, alzando poi il passo.

 

*

Eric, intanto, era al Brew, in piedi davanti al bancone, che guardava Todd in fondo al locale, parlare con una cliente seduta ad un tavolo. Oscillava da destra a sinistra, traballante, cercando di fargli un cenno ogni volta che pensava l’avesse notato. Sfortunatamente, però, quello sorrideva, preso dalla conversazione, così Eric si arrese, guardando in basso, sbuffando, pronto a salire nel suo appartamento. Improvvisamente, quando risollevò lo sguardo, Todd stava arrivando verso di lui e colse l’occasione al volo.

“Ehi, Todd!”

“Ouh, ciao Eric!” si fece cogliere distratto, mentre pensava ancora alla conversazione appena avuta.

“Immagino tu abbia saputo di Alexis…” cominciò, leggermente nervoso.

“Ovviamente! Mi ha anche chiamato dall’ospedale, che triste storia…” cercò di mostrarsi dispiaciuto, mentre smanettava il suo telefono con un sorrisino lussurioso, voltandosi per un secondo a guardare la cliente con cui stava parlando poco prima; anche lei contraccambio quel sorriso.

Eric non si accorse di tutto ciò, impegnato a trovare le parole per chiedere il posto di Alexis, sudando: “Senti, Todd, mi chiedevo se…”

L’altro, troppo distratto, voleva tagliare corto: “Tranquillo, il posto di Alexis è al sicuro, non assumerò altre persone. E poi Pam ha accettato di fare anche i suoi turni: che ragazza!” agitò i pugni, con molto entusiasmo.

Eric si voltò a guardare Pam assieme a lui, mentre quella guardava loro, pulendo il bancone assai seccata.

Todd tornò serio, rendendosi conto dell’odio che stava palesemente ricevendo: “Beh, forse le ho dato un ultimatum, ma…Più soldi per Pam, no? Dovrebbe essere contenta, non capita tutti i giorni di poter fare turni extra perché la tua collega viene investita da un pirata della strada, dico bene?”

Eric annui, sforzando un sorriso alla sua superficialità, azzardando ciò che aveva da chiedere: “Senti, forse potrei occupare io il posto di Alexis!”

Quello rimase serio per qualche secondo prima di scoppiare a ridere. Smise di farlo, non appena si accorse che il ragazzo non stava per niente ridendo: “Ah, ma sei serio?”

“La mia ragazza è in un letto d’ospedale, potrei mai fare dell’ironia?”

“Ok, ma rientrerà al lavoro tra qualche giorno, no?”

“Ma se non cammina!” rivelò.

“Non cammina?? – rimase sorpreso – Ma al telefono ha detto che stava bene!”

“Beh, forse è una cosa temporanea… - si mostrò improvvisamente triste - E poi quei soldi li guadagnerei per lei, finchè non si rimette. Le serve questo lavoro. Fino all’ultimo centesimo!”

“Ascolta, Eric. – gli prese la spalla, il tono pacato – Assumo solo ragazze carine, qui al Brew: le ragazze carine attirano molti clienti. Capito?”

“Un po’ sessista, non trovi? – pensò, guardandolo male – Sono un bel ragazzo anch’io, non credi che potrei attirare tante ragazze? E poi a giudicare da come guardavi quella cliente, non preferiresti vedere tante ragazze anziché tanti ragazzi?”

Quello strinse gli occhi, mettendo le labbra a papera, notando i troppi clienti maschi in giro per il locale: “Non l’avevo vista sotto questo punto di vista… - disse, fissando poi il ragazzo – Sei assunto!”

“Cosa? Davvero?” sobbalzò, sorpreso.

“Sì, certo, quale turno vuoi?” voleva sbrigare in fretta quella formalità, ignorando la contentezza del ragazzo.

“Mi va bene quello dalle 18.00 alle 21.30!”

“Affare fatto, allora. – si congedò, allontanandosi – Vado a dare la notizia alla nostra Pam, inizi domani!”

Eric sorrise da solo per qualche attimo, felice di aver ottenuto il posto. Poi si rattristò immediatamente, pensando a come l’avrebbe spiegato alla sua ragazza.

 

*

Intanto, contrariamente a quanto detto dal padre, Nathaniel andò a controllare l’operato di Jamie al ristorante. Quando entrò, vide che c’erano molti clienti e che pranzavano tranquillamente. I camerieri stavano facevano il loro lavoro, prendendo gli ordini e tutto sembrò essere nella norma. Subito dopo, entrò nelle cucine, parlando con uno dei cuochi.

“Ehi, Ramon, va tutto bene qui?”

Quello si voltò, mentre agitava una padella sul fuoco alto: “Todo bien, Nathaniel. Su padre está aquí?”

“Ehm, no no… - si guardò attorno, vedendo che era tutto a posto - Ci sono solo io, sono venuto a controllare come stavano andando le cose…. – ovviamente notò tutti i dipendenti, tranne uno – Jamie dov’è?”

“Sul retro, ha ricevuto una chiamata!”

“Ok, Ramon, grazie. Buon lavoro!” si congedò, ricevendo un sorriso da parte dell’uomo, che tornò a concentrarsi su ciò che stava facendo.

Nathaniel, poi, si diresse fuori, a cercare Jamie. Lo vide in lontananza, impegnato in una conversazione abbastanza animata.

“Ti ho detto di darmi altre due settimane, va bene? Ancora non li ho tutti, dammi solo altre due settimane, ok?”

Quando si accorse della presenza del ragazzo alle sue spalle, si ricompose, chiudendo in fretta la chiamata.

“Ti richiamo, ok? – si grattò il capo, nervoso – Ci sentiamo!”

Rimesso il telefono in tasca, corse verso Nathaniel, che l’aveva fissato serio per tutto il tempo. Si vestì di un sorriso imbarazzato, arrivando accanto a lui con il fiatone.

“Ehi, tutto bene? Che ci fai qui?”

“Controllo!” esclamò, cinico.

“Ti ha mandato tuo padre?”

“A quanto pare, si… - mentì, guardandolo storto - Sai, mio padre ci tiene a questa attività, perciò…”

“Beh, come puoi vedere va tutto bene… - sorrise ancora, ignorando l’ostilità che percepiva – E per quanto riguarda quello che hai appena sentito, beh…Mia sorella! – sollevò le sopracciglia, marcando il classico rapporto conflittuale tra fratelli – Colleziona monete antiche e le ho detto che da queste parti ci sono molti mercatini delle pulci. Da quando le ho mandato le prime due monete, si è fissata con il fatto che ce ne sono tipo altre nove per completare la collezione e ora mi ritrovo a girare anche per i negozi di antiquariato!”

Nathaniel annuì, sempre in maniera cinica e disinteressata: “Interessante… - il silenzio che si creò lo costrinse a congedarsi – Beh, direi che la mia supervisione è finita!”

Quello rimase impalato, annuendo con quel costante sorrisino da ebete che aveva mantenuto per tutta la conversazione, come se nascondesse del nervosismo.

Nathaniel si voltò per andarsene, quando il suo sguardo si posò sulla spazzatura di fianco, che strabordava di qualche bottiglia di Vodka.

Immediatamente si rivoltò verso Jamie: “E tutte quelle bottiglie?”

Jamie rispose prontamente: “Ehm, ci sono ricette che richiedono un goccio di Vodka!”

“Un goccio? – si lasciò sfuggire una piccola risata nel dirlo – Sono quattro bottiglie, è una ricetta per alcolizzati per caso?”

“Devono essersi accumulate in cucina con il tempo. Da quando lavoro qui ho trovato parecchie cose che andavano buttate.”

“Mmmmh, – verseggiò, poco convinto – ok!” si girò nuovamente verso la spazzatura, poco prima di andarsene per davvero, turbato dalla visione di quelle bottiglie; tant’è che gli tornò a galla un vecchio ricordo.

 

Flashback

 

Nathaniel e Anthony erano davanti al bagagliaio dell’auto, parcheggiata davanti alla casa di quest’ultimo. Dentro c’erano delle casse di alcolici vari e birre. I due le stavano spostando a terra.

“Non hai preso un pò troppa roba?” pensò Nathaniel, fermandosi, mentre l’altro continuava, gasato.

“Hai idea di quante persone ho invitato al party di stasera? Probabilmente questi alcolici non bastano; ai giocatori della squadra di football servirà molto più che qualche bottiglia di vodka per portarsi a letto le ragazze dell’ultimo anno!”

Nathaniel sembrò molto a disagio: “Non so se riesco a venire, Anthony…”

Quello si bloccò immediatamente, non molto contento della notizia: “Come? Perché?”

L’altro rimase in silenzio ed Anthony comprese subito.

“Ah, dimenticavo, è vero…E’ per quella cosa di tuo padre che mi hai raccontato?”

Nathaniel abbassò lo sguardo: “Ehm…Anthony, per me è ancora un problema vedere gente che si ubriaca, perdendo completamente la ragione. Quando mio padre beveva, non si rendeva conto di nulla e perdeva altissime somme di denaro alle slot machine per poi dimenticarlo il giorno dopo, perciò…Mi dispiace, ma quando gira troppo alcol ad una festa preferirei non trovarmi davanti a persone che possano ricordarmi com’era ridotto!”

“No, Nat! – la prese male – Tu devi esserci, questo è il primo party che do a casa mia e io vi voglio tutti con me. E poi tuo padre è stato in quel centro, hai detto. La cosa è finita, no?”

“Sì, adesso si, ma…” titubò.

“Ma: un bel niente, Nat! Saremo le star della serata!” gli sorrise.

“Beh, forse… - alla fine si arrese, sforzando un sorriso – D’accordo, ci vengo!”

Anthony riprese a tirar fuori altre casse, contento: “…Forse stasera si unisce al nostro gruppetto un altro ragazzo!”

“Chi?” domandò, aiutandolo.

“Sam Havery… - rivelò, mentre, ora, portavano le casse verso casa - Cerca di non farti docce troppo lunghe negli spogliatoi, qualche giorno fa l’ho beccato a guardarti.”

“A-a guardarmi? – balbettò, sorpreso – In che senso?”

“Nel senso che è gay e tu eri nudo, ma teniamocelo per noi questo suo piccolo segreto. Credo che il suo coming out sia ancora molto lontano. Probabilmente non ci sarà più Obama alla casa bianca per quel tempo…”

“Non starai esagerando? Adesso i ragazzi gay vengono allo scoperto più facilmente!”

“No, per niente. I ragazzi come Sam, sono troppo deboli. Non ha fegato per dire a tutti chi è in realtà…Io, però, lo cambierò. Conoscermi, sarà l’esperienza che stravolgerà per sempre la sua vita e dopo sarà abbastanza forte da essere chiunque lui voglia!”

Nathaniel continuò a camminare, ancora colpito da quella rivelazione, riflettendo, leggermente impressionato dall’immagine che aveva in testa di un ragazzo che lo spia segretamente.

“Non credo che potrei mai contraccambiare, perciò cerca di non mettere strane idee in testa a quel Sam. – rise al pensiero - Io non bacerò mai un altro ragazzo!”

“Se mai lo farai, mi sentirai mentre mi rivolto nella tomba!” concluse, mentre entravano in casa.

 

 

*

 

Dopo la pausa pranzo, Sam stava uscendo dalla mensa, ancora scosso per quanto accaduto nella panic room. Più avanti, nel corridoio, intravide Chloe e subito le corse dietro. Quando la raggiunse, la prese per un braccio, facendola voltare.

“Ehi, Chloe!”

Quella, non molto entusiasta di vederlo, stringeva dei libri al petto: “Ehi…”

Sam buttò leggermente indietro la testa, incredulo, nel sentire quel suo tono scialbo: “…Non ci vediamo da un bel pò, pensavo mi saresti saltata addosso.”

“Perché avrei dovuto?” rispose seria, leggermente arrabbiata.

“Ehm, perché siamo migliori amici?”

“Ed eravamo migliori amici quando mi hai lasciato fuori casa tua a suonare il campanello finchè non mi si è consumato il pollice?”

Sam fu messo all’angolo: “I-io…Chloe, io…”

“Mi spieghi perché non mi hai aperto? – si sentì offesa - Eri in casa, ho visto la tua macchina. Quando sono tornata il giorno dopo per dirti che partivo da mia madre, tuo padre mi ha detto che sei andato a dormire da un amico e non ti sei nemmeno fatto sentire.”

“Le ultime due settimane sono state un pò difficili per me…” rivelò, abbassando lo sguardo.

Quella si fece coinvolgere, notando che c’era qualcosa che non andava. Improvvisamente, il suo sguardo cadde sul suo braccio, la manica leggermente alzata, che mostrava un grosso cerotto bianco.

“Ehi, che ti sei fatto?” gli prese il braccio, sollevandolo.

Sam lo ritirò subito: “Ehm, niente, mi sono solo…tagliato!”

“Tagliato? – non capì – Tagliato come?”

“Me lo sono fatto da solo, ok?” spiegò, non riuscendo a guardarla negli occhi.

“COSA? – quasi urlò, sobbalzando – Perché avresti fatto una cosa del genere?”

“Perché la scuola è pensante, ok? Da quando siamo tornati, non fanno che trattarci male. E questo si ripercuote sul mio stato d’animo…e sul rapporto che ho con mio padre!”

L’altra era a dir poco scioccata: “Oh Dio, non pensavo che stessi così male… - lo fissò negli occhi, dimenticando quanto fosse furiosa con lui - V-vuoi che ci vediamo più tardi?”

“Ehm, ho il pomeridiano fino alle cinque e poi mi vedo con uno psicoterapeuta. E, subito dopo, mi vedo con Rider, Nat ed Eric…

“Ah… - si irrigidì, sentendosi messa al secondo posto – Beh, il mio numero ce l’hai, ora devo andare ad una riunione per discutere dei preparativi per l’Homecoming!”

Sam si focalizzò su quello, cercando di cambiare discorso: “Bello! E con chi ci andrai al ballo degli ex studenti?”

“Con Cameron! - esclamò, mostrandosi eccitata, per poi notare il cambio di espressione dell’amico – Già, lo so, non ci credo nemmeno io!”

“Chloe, perché proprio con lui?” si mostrò contrario, anziché sopreso e felice.

Lei continuò a sorridere, ignorando la sua reazione esagerata: “Ci siamo visti ad alcune riunioni e… Beh, io gliel’ho chiesto e lui ha accettato!”

Sam, allora, fu diretto: “Io credo che Cameron non sia la persona giusta per te, devi andarci con qualcun altro!”

“Come? – non credette alle sue orecchie, il sorriso scomparve – Io ti sto dicendo che Cameron, il ragazzo più fico della scuola, ha accettato di venire al ballo con me e tu mi chiedi di cercarmi un’altra persona?”

“Ti sto solo evitando l’ennesima delusione, Chloe. – insistette – Quella in cui ti fissi per un ragazzo e poi finisci a piangere sulla mia spalla perché non è andata come avevi immaginato nella tua testa.”

“Non è più come prima, Sam. – ribattè, cinica - Qualcosa è cambiato in questa scuola, tutti sono cambiati. Anch’io sono cambiata... – lo squadrò da capo a piedi, delusa – Ma vedo che tu e i tuoi amici siete rimasti abbastanza indietro rispetto a tutti noi. L’era di Anthony è finita ormai!”

“E’ gay, Chloe!” esclamò a bruciapelo.

Quella lo fissò a lungo, prima di lasciarsi scappare una risata isterica: “Questo è il colmo, Sam. – disse indietreggiando – Inizio a pensare che tu abbia davvero bisogno di questo psicologo!” e se ne andò indignata.

Sam rimase al centro del corridoio, da solo, soffrendo per quelle parole e di non essere stato creduto. Improvvisamente, alle sue spalle, sentì una voce che lo chiamava.

“Sam!”

Si voltò: Era Nathaniel; che quando si avvicinò a lui e lo vide con gli occhi lucidi, lo abbracciò immediatamente. Forte.

Sam ne rimase talmente sorpreso che sgranò gli occhi e le braccia rimasero tese.

“Ho incontrato Rider in cortile, mi ha detto tutto. Era sotto shock e immagino anche tu!”

“Ehm, sto bene… – Sam si staccò, le lacrime che gli scendavano lungo il viso – Credimi, quello che è successo nella panic room è l’ultima cosa a cui sto pensando, oltre al fatto che è stato un enorme buco nell’acqua… - poi si decise a spiegare per cosa era realmente angosciato - Ho appena perso la mia migliore amica, credo.”

“Di che stai parlando?”

“Io-io non credo di farcela più, Nat. – si sfogò, piangendo - Ogni giorno che passa, mi sento sempre più fuori posto in questa scuola e con le persone con cui un tempo avevo un rapporto stupendo. Poi c’è A che non fa altro che tentare di ucciderci nelle stazioni ferroviarie, nelle fogne, dentro stanze del panico, ovunque!”

“Se ci volesse davvero morti, non saremmo qui a parlarne.”

“E se si stesse stancando di noi? – andò nel panico al solo pensiero, gli occhi lucidi per il trauma - Credimi, Nat, sono rimasto conoscente sul filo del rasoio!”

“C’era quella botola, giusto? – lo prese per le spalle, cercando di tranquillizzarlo - E Rider ha detto che Brakner poteva controllare quel condotto d’aerazione da remoto; l’avrebbe senz’altro riacceso ad un certo punto.”

Sam ormai era poco fiducioso, troppo provato, mentre si asciugava le lacrime: “Vorrei tanto crederci…”

L’altro assunse un volto serio e preoccupante: “Ti basterebbe sapere cosa ha fatto a me per capire quanto in realtà ci voglia vivi e vegeti!”

Quel tono non lasciò indifferente Sam: “Perché? Che è successo? – poi ricordò, angosciato dai pensieri che gli stavano passando per la mente – A proposito, Rider mi ha detto che sei stato in ospedale. Riguarda quello?”

Nathaniel si guardò intorno prima di parlare e quando si accertò che non c’era proprio nessuno, tornò a fissarlo, cercando di trovare le parole: “Se esistesse una classifica dei peggiori colpi bassi di A, sarei nettamente in testa!”

“Che ti ha fatto? – domandò, impaziente di sapere - Qualcosa al cuore?”

“Ehm… - abbassò lo sguardo, torturandosi le dita  – Lui ha… Lui mi ha… - bisbigliò, la voce che tremava - fatto assumere degli ormoni per il cambio di sesso!”

Sam tenne la bocca aperta per qualche secondo, confuso, prima di dire qualcosa: “O-ormoni? – si fece scappare una piccola risata per l’assurdo, lasciandosi pervadere da una furia cieca – Ma da dove prende spunto per queste cose? E’ davvero questo il prezzo da pagare?”

“Non lo so, ma se per i prossimi cinque mesi non smetterò di assumere questa terapia, sarò costretto a diventare un fenomeno da baraccone!” esclamò nervosamente.

“Di che stai parlando?”

“Tyler ha detto che c’è un limite di sei mesi, oltre il quale il processo non sarà più reversibile.”

“Allora smetti di prendere la pillola. Sono pillole, giusto? Le avrà messe al posto di quelle che prendi per il cuore, no?” pensò.

“Non credo, conosco le mie pillole e non sono affatto uguali a quelle. Le ho viste su google!”

Sam non sapeva cosa dirgli per aiutarlo: “E allora…Beh, allora…”

“Allora niente, Sam. – affrontò la realtà – Dovrò stare attento a quello che mangio e bevo, iniziando ad evitare il frigorifero di casa, tanto per cominciare. Non so in che modo riesce a farmele ingerire.”

“Sì, forse è una buona idea, alla fine A non può sapere che l’hai scoperto. Inoltre era qui a scuola, mentre tu eri in ospedale, quindi…”

“Dovrò mangiare direttamente al supermercato, non ho altra scelta…” ribattè ancora, stanco e amareggiato.

Sam provò compassione per lui: “Mi dispiace così tanto, Nat…Come ti sei dovuto giustificare con tuo cugino?”

Sospirò: “Grazie a dio sono uno sportivo, esistono delle pillole a base di estrogeni che si prendono per aumentare la massa muscolare. Mi sono giustificato così e sia lui che mia zia ci hanno creduto.”

“A Rider l’hai detto?”

“No, c’era anche Julie e me ne sono un pò vergognato.”

“No, ti prego, anche tu? – si mostrò seccato – C’è già Rider che non fa altro che escluderla, nonostante sia l’unica che ci abbia aiutato fin’ora!”

“Non la volevo escludere, è solo che preferisco non parlare delle mie future tette ad un’estranea!”

“Non è più un’estranea se sa di A!”

“Ma non sa tutto quello che c’è da sapere e ha ragione Rider quando dice che dobbiamo tenere il becco chiuso; cosa che noi non abbiamo fatto con Jasper.”

“Ascolta, dico solo che dobbiamo tenerci strette le uniche carte buone che abbbiamo, ok? Se non era per Julie, adesso useremmo i gesti per comunicare.”

Nathaniel si rese conto che aveva ragione, non ribattendo.

I due presero a camminare, cambiando argomento.

“Pensavo non saresti venuto a scuola, oggi.”

“Scherzi? Abbiamo 188 ore di attività pomeridiane da portare a zero. Non mancherò un fottuto giorno! Per Gennaio voglio essere già libero; così potrò concentrarmi per le gare invernali.”

“Di Eric sai qualcosa?”

“Era già andato via quando ho lasciato lo studio di Tyler. Ha lasciato un messaggio a Rider, è andato a riposarsi a casa sua.”

Sam lo trovò comprensibile: “Beh, dopo due giorni passati a non dormire…”

“Comunque non so se Rider te l’ha detto, ma Alexis è stata investita da Brakner.”

L’altro si fermò bruscamente, sgranando gli occhi, tenendolo per un braccio: “COSA?”

“Ah, allora non lo sapevi per niente…”

“Beh, Rider o mi dice le cose in ritardo o si dimentica di dirmele!” esclamò con un tono irritato nei suoi confronti.

Nathaniel continuò, mentre prendevano a camminare nuovamente, diretti agli armadietti: “Ha ricevuto un messaggio di Brakner proprio questa mattina, dove, con una minaccia velata, lo invitava a prendere il posto di Alexis al Brew.”

“Tutto questo è assurdo… - riflettè a lungo, mentre Nathaniel prendeva alcuni libri dal suo armadietto – E ora che ci penso… - si appoggiò a quello di fianco, isterico - ho così tanto di quel materiale per la seduta con lo psicologo, che potrei guadagnarmi un posto sulla parete come paziente del mese o dell’anno o per sempre; figurati se c’è qualcuno messo peggio di me!”

L’altro richiuse lo sportello: “A che ora ci vai?”

“Fra due ore! – sbuffò, lasciando cadere la sua testa all’indietro – E in più, non potrò nemmeno finire su quella stupida parete perché di tutto il materiale che ho, non ne posso fare parola. In pratica dovrò inventarmi dei nuovi problemi esistenziali poco interessanti!”

“Essere gay non è poco interessante!”

Sam gli lanciò una lunga occhiata angosciata: “…Proprio ora che non ho nessun problema a manifestare la mia sessualità. Ho fatto coming out sia con la scuola che con mio padre. Mi sono sentito bene, devo ammetterlo.”

“Persino io ho fatto coming out!”

“Il tuo non è un vero coming out!” puntualizzò.

Ripresero a camminare, mentre Nathaniel accennava finalmente un sorriso.

“Devo dire che non è stato male fare coming out per finta. Mi sono sentito bene anch’io!”

Sam non replicò, fissandolo stranito per quella affermazione così assurda.

 

*

 

Più tardi, l’appuntamento con lo psicologo era arrivato e Sam non poteva non presentarsi questa volta. Era al telefono con Rider, mentre saliva le scale.

“Sei già uscito da scuola?”

“No, mancano ancora dieci minuti alla fine del supplizio e ho deciso che li trascorrerò con te, chiuso nel bagno dei maschi!”

“Non ho dieci minuti, Rider. Lo studio è al quinto piano, io sono già al secondo e godo di una buona salute: saranno si e no due minuti scarsi!”

“Allora parlami invece di perdere tempo!” urlò, isterico.

“Calmati, Mr. Nygma!” fece una smorfia, mentre continuava a salire lentamente.

“Beh, mi ci sento! In classe ho dovuto alternare una faccina sorridente ad una completamente disinteressata, ogni volta che la professoressa mi guardava e poi si girava!”

“Ascolta, ora smetto di perdere tempo perché sono quasi arrivato per davvero. Quando ci riuniremo più tardi, Nat dovrà dirvi una cosa, ma ho paura della vostra reazione e non voglio che si demoralizzi più di quanto non lo è già, perciò te lo dico…A li sta somministrando degli ormoni per il cambio di sesso.”

“COOOSA???” non credette alle sue orecchie.

“Ecco, era di questo che parlavo. Non ripetere questa tua reazione quando ve lo dirà Nat più tardi.”

“Ehi, aspetta aspetta! – ora era curioso – Allora non me l’ero immaginato, vedevo davvero qualcosa di diverso in lui ed era questo!”

“Forse hai l’occhio assoluto o roba simile. Sta di fatto che ora mi sorge un dubbio!”

“Quale?” rispose rapidamente, interessato a saperne di più.

“E’ possibile che…Cioè, io non sono un medico, ma…questi ormoni che praticamente sta assumendo da almeno un mese, potrebbero averli tipo confuso…la sessualità?”

“Ehm… - si prese un attimo, riflettendo sulla natura della domanda – Per caso mi stai chiedendo se Nat potrebbe essere diventato gay grazie a questa terapia? Mi sembra un discordo un pò malato, non lo starai mica sperando?”

“NO! – lo negò, disgustato – Ovvio che non lo sto sperando! Essere malati è più una caratteristica di A! - espose poi le sue perplessità – Dico solo che Nathaniel non è più lo stesso di prima.”

“Che ha di diverso, oltre al fatto che dovrà prenotare un pap-test annuale?”

Sam ignorò la sua battutina, continuando: “Quando Morgan Patterson gli tirò un pugno e io cercai di alleviare il suo dolore premendo un impacco di ghiaccio sulla sua faccia, quasi mi bruciò vivo con lo sguardo per averci provato. Ora mi prende la mano in pubblico di sua iniziativa, dice frasi strane…”

“E queste sarebbero le tue prove? Nathaniel è stato costretto da A a darti la mano in pubblico, non l’ha fatto di sua spontanea volontà!”

L’altro tacque, ma sentiva di avere ragione, così spuntò il rospo su qualcosa di più significativo: “Mi ha baciato e non era sotto ordine di A!”

“COOOSA??? – urlò incredulo – Quando? Dove?”

“Ehm… - se ne pentì quasi subito – E’ stato, ehm…Quando tu ed Eric eravate nelle fogne, ecco quando è stato!”

“Ok, ma dove?”

L’altro deglutì, non potendo rivelare che è successo davanti al penitenziario di Philadelphia: “C-che importa dove? – rispose isterico – Conta che lui mi ha baciato perché ero vulnerabile dopo che A mi aveva incollato la bocca e in più voleva darmelo per ripagarmi del fatto che gli avevo salvato la vita al lago.”

“Ok, so che quelle pillole sono fatte di estrogeni. Potrebbe essere solo infatuazione, non è gay!”

Sam, ormai, era arrivato al quinto piano: “Senti, sono davanti alla porta dello psicologo. Poi ne riparliamo!”

“No, ehi, aspetta! Non puoi sganciarmi la bomba e poi lasciarmi così, Sam. Voglio i dettagli!”

“Ora non posso, ho un’ora di strizzacervelli. Ciao!” e chiuse, lasciando Rider con un palmo di naso.

Dopo aver preso un grosso respiro, poi, si decise finalmente a suonare il campanello. La porta si aprì, emettendo il suono di una scossa ed entrò.

La sala d’attesa era vuota e Sam girò su se stesso al centro della stanza, per poi puntare un’altra porta, che si aprì all’improvviso. Ne uscì un anziano signore, alla quale Sam sorrise per educazione. La porta rimase aperta e così decise di affacciarsi.

“Posso?”

Un giovane ragazzo gli venne in contro, già pronto ad accoglierlo: “Certo, tu devi essere Sam Havery!” e chiuse la porta, mentre l’altro avanzava verso la poltrona con lo sguardo fisso su di lui.

“Ehm, sì, sono io!” esclamò abbastanza imbambolato, mentre l’uomo tornava verso di lui, tendendogli la sua mano.

“Molto piacere, Sam. Io mi chiamo Wesam Grimes!”

Sam strinse la sua mano, molto a lungo. Si era completamente perso nei suoi occhi verdi, trovandolo assai attraente e giovane.

Quello gli sorrise: “Ok, adesso, però, me la devi restituire…”

“Cosa?” gli domandò, abbastanza distratto.

“La mano, intendo.”

Sam spostò lo sguardo sulle loro mani ancora strette e la riprese immediatamente, mortificato: “Ouh, certo, scusi!”

Wesam rise, avvicinandosi alla sua postazione: “Oh, ti prego, puoi anche non usare un linguaggio formale. Non sono così vecchio, come puoi vedere. – si sedette, così come fece Sam – Fingi che sia un tuo amico più grande o un fratello maggiore!”

Ovviamente, Sam, era leggermente in imbarazzo: “Ehm, sta praticamente per entrare nella mia testa, quindi mi viene un pò difficile…”

Wesam accavallò le gambe, girando una piccola clessidra di vetro che segnava il tempo, poggiata sopra un piccolo e rotondo tavolino di legno che aveva accanto. Poi, sempre da lì sopra, prese una sorta di agenda, iniziando a scrivere.

Sam deglutì, sentendosi subito a disagio nell’aver seguito tutte le sue mosse: “Non ho detto ancora niente. – cercò di sbirciare – C-che sta scrivendo?”

L’altro sollevò lo sguardo, accennando un calmo sorriso: “Niente, ho scritto solo il tuo nome.”

“Ah… - si sentì stupido, mettendosi più comodo sulla poltrona, ma sempre teso – Ok, ho capito!”

L’uomo intuì immediatamente di doverlo tranquillizzare: “Ascolta, Sam, devi stare più rilassato, ok? – la sua voce divenne quasi un sussurro, tenue e rassicurante - Sei qui solo per parlare con me. Non c’è nulla di cui devi avere paura o timore. In questo momento ti trovi in una stanza completamente isolata da ciò che c’è fuori e sei davanti ad un persona neutra, incapace di giudicarti o guardarti in un certo modo se racconti i tuoi segreti più profondi…Sono qui solo per ascoltarti e aiutarti. Tutto qui.”

Sam fu talmente rapito da quelle parole, che si rilassò per davvero e gli occhi iniziarono a lacrimare, mentre lo fissava.

“Ora perché sembra che tu stia per piangere, Sam?”

“La sua voce è talmente convincente, che… - sorrise in maniera malincolica, per poi guardarlo finalmente negli occhi – sento davvero di aver lasciato la paura fuori da quella porta.”

Wesam lo fissò attentamente, rivolgendosi ancora a lui con quel tono pacato: “E cosa c’è fuori da quella porta? Di cosa è fatta questa paura? Descrivimela!”

“…Come tutti sanno, film horror sono fatti per provare un brivido di paura. – cercò di dare una sua interpretazione, distogliendo lo sguardo nuovamente – Poi ad un certo punto il film finisce, spegni la televisione e la paura svanisce. Ma questo con me è diverso…Non ho mai smesso di avere paura; come se il film andasse avanti all’infinito, senza che io riesca a smettere di guardarlo.”

“Quindi la tua è una paura diversa? Qualcosa che difficilmente gli altri possono trovarsi ad affrontare? Qualcosa di nuovo?”

Sam alzò lo sguardo, come se venisse capito in qualche modo: “Io credo di sì…”

“Beh, allora… - depennò qualcosa dall’agenda, facendo rumore con la penna – posso scartare l’omosessualità! – lo fissò negli occhi, poi, mentre l’altro sgranava leggermente gli occhi – L’omosessualità non è una cosa nuova, Sam. Non è una cosa che gli altri non possono trovarsi ad affrontare. Non sei l’unico ragazzo gay al mondo, perciò di quale paura si tratta la tua?”

Quello deglutì, tornando a disagio e con un tono nervosamente pretenzioso: “Scusi, ma che ne sa lei della mia sessualità?”

“Beh, non sono così bravo. Ovviamente è stato tuo padre a parlarmene. Dicendomi che era questo il problema che gli hai rifilato e che ti ha costretto a farti quel taglio la giù!” indicò con lo sguardo, il suo polso scoperto.

Sam si abbassò immediatamente la manica, muovendosi sulla poltrona come se fosse pizzicato dagli insetti. Nonostante sembrasse così trasparente, però, cercò comunque di nascondere l’evidenza.

“Avevo un amico, si chiamava Anthony. Giudicava chiunque li passasse accanto e aveva un nomignolo per ognuno. Nonostate fosse mio amico, era perfido fino al midollo e la paura di essere chi sono in realtà è nata grazie a lui. Ed è rimasta anche dopo la sua morte…La gente che prendeva di mira, non vede l’ora di ricambiare con la stessa moneta aspettando il mio primo segno di cedimento. Questo è il liceo, signor Grimes: E’ la paura di essere giudicati. La stessa che portavo a casa, continuando la recita con mio padre.”

Wesam annuì, sorridendo: “…Balle! E lo sappiamo entrambi, Sam. Non è questa la tua paura, o non avrei trovato una foto di te che ti tieni per mano con un altro ragazzo, condivisa sulla pagina della tua scuola, gestita da studenti.”

“Ma come si permette di violare la mia privacy? – assunse un’espressione furiosa – Sarebbe questo il suo aiuto?”

“Prima di tutto, io non ho violato nulla: E’ una pagina aperta a chiunque. Secondo, i pazienti tendono a raccontare bugie e io ho il mio metodo per non farmi imbrogliare da loro. Una volta che so chi è il mio paziente, faccio molte ricerche e dopo verifico se il titolo del libro corrisponde al contenuto. – lo fissò con aria di sfida – E in questo caso, il contenuto non corrisponde minimamente al titolo, non credi?”

“Mi sta giudicando come un bugiardo, quando lei ha detto che qui dentro non giudica nessuno? Nemmeno lei mi sembra sincero!”

“E io ti ho chiesto di non avere paura né timore. Di descrivermi la tua paura. Non l’hai fatto e quindi le regole di questa stanza sono crollate.” ribattè, restando irritabilmente composto.

Sam prese la sua tracolla dal pavimento, che aveva buttato davanti alla gamba della poltrona, e si alzò, esasperato, arrogante: “Allora me ne vado, prima che qualche maceria mi cada in testa. E non si disturbi a chiamare mio padre, gli dirò che sto bene, che una seduta mi è bastata e lui mi crederà.”

“Suppongo di sì, suo padre la asseconda molto essendo l’unico genitore presente.” aggiunse cinico.

Sam non ne potè più, quasi ringhiò, ma non aggiunse nulla, placando la sua rabbia e dirigendosi verso la porta. Wesam pensò di fermarlo.

“Un’ultima cosa, Sam. Prima che tu te ne vada.”

Quello si voltò, proprio mentre stava girando il pomello della porta.

“Sono gay anch’io!”

L’altro restò un attimo perplesso: “O-ok, c-che cosa c’entra questo adesso?”

Con molta indifferenza, scosse la testa: “Niente! – rise – Solo un motivo che ti costringerà a tornare qui, perchè, forse, ti piaccio un pò a giudicare dalla tua reazione iniziale.”

“Ho diciassette anni, ok? – gli rispose per i toni – Potrei farti arrestare, razza di pervertito!”

“Ok, ci vediamo alla prossima seduta… - controllò l’agenda con noncuranza, quasi beffardo – che è Martedì, sempre alla stessa ora. E non dimenticare un bel piatto di verità!”

Sam rimase di stucco di fronte alla sua faccia tosta e se ne andò sbattendo la porta. Wesam sogghignò, rimasto da solo, convinto che sarebbe tornato di sicuro.

 

*

 

Era calata la sera a Rosewood ed erano ormai diverse ore che Eric dormiva sul divano, esausto dai due giorni passati in ospedale. La stanza in cui si trovava era illuminata dalle luci che provenivano da fuori. Il suo braccio pendeva a terra, così come la gamba, mentre russava lievemente. Improvvisamente, si svegliò, iniziando a sollevarsi lentamente, sfociando in un enorme sbadiglio. Dopo di che controllò il telefono e si scrollò per svegliarsi meglio. Quando buttò gli occhi sulla porta d’ingresso, notò che era socchiusa e si irrigidì, guardandosi attorno.

“Mamma? Sei tornata?” chiese.

Nessuno rispose, così si avvicinò a piccoli passi verso la porta, vigile. Subito la aprì e guardò fuori, nessuno sul pianerottolo e nemmeno per le scale. Stranito, richiuse, restando impalato per qualche secondo davanti alla porta.

 

*

 

Intanto, Rider, a casa sua, era davanti al computer a studiare. Con la matita in bocca e tanti libri aperti sulla scrivania, in un batter d’occhio smise di pensare alle questioni politiche Francesi del cinquecento e iniziò a spulciare dentro qualche sua vecchia cartella. Precisamente, di un saggio che aveva fatto durante il secondo anno: Quello sugli edifici storici di Rosewood; di cui aveva parlato a Julie poco prima di entrare nella panic room.

Lesse rapidamente parte del testo, prima di arrivare alle immagini. Si trattava di una cianografia della scuola e di tutti i suoi piani. Compreso il seminterrato.

Quando si focalizzò proprio su quest’ultima, notò qualcosa che non lo lasciò per nulla indifferente.

“Oh mio Dio!” esclamò, prima di alzarsi ed iniziare a stampare le cianografie. Subito dopo, mentre i fogli uscivano dalla stampante, prese il telefono per contattare i suoi amici.

 

*

 

Sam era tornato a scuola, nel frattempo, facendo un salto in palestra, dove c’era Nathaniel che terminava la giornata con qualche vasca.

“Sapevo che eri ancora qui!” esordì, avanzando.

Nathaniel si fermò, notandolo: “E dove altro potrei essere? Ora più che mai devo tenere sottocontrollo il mio fisico!”

“E io devo trovare una macchina del tempo!” esclamò seccato, sedendosi a gambe incrociate sul bordo della piscina, gettando la tracolla accanto a sé.

“Per lo psicologo?” domandò, nuotando verso di lui.

“Vorrei non essermi tagliato il polso… - scosse la testa, pentito - Ora sono costretto ad andare da uno psicologo e questo psicologo è un vero stronzo!”

Nathaniel iniziò a fare delle bracciate al contrario, prendendola con filosofia: “E’ solo qualche seduta a settimana di sessanta minuti con un vecchietto, ce la puoi fare!”

“Ehm, non è proprio un vecchietto!” precisò, dopo una una lunga suspence.

“E’ una lei?”

“E’ un lui molto giovane e attrante, non avrà avuto nemmeno trent’anni.” spiegò.

L’altro si fermò di colpo in mezzo all’acqua, un espressione stupita e molto seria: “Giovane?”

“Mi ha fatto arrabbiare, è così cinico e sicuro di sè. – raccontò, gesticolando in maniera isterica - Sa che mento ogni volta che apro bocca e sa parlare così bene che ti viene voglia di urlare… - si calmò dopo un grosso sospiro - Poco prima di uscire, ho detto che non sarei mai più tornato e lui mi ha detto di essere gay e che per questo sarei ritornato.”

Nathaniel sembrò quasi turbato, mentre agitava le braccia in acqua più lentamente: “E tu ci tornerai?”

“Non ho altra scelta, Nat!” rispose, non badando alle sue reazioni.

“Aspetta, davvero ci torni? – ebbe da ridire – E’ praticamente un invito sessuale quello che ti ha fatto, è da malati!”

“E’ solo un gioco psicologico, ok? – minimizzò, più calmo – E poi quando è iniziata la seduta, devo ammettere di essermi sentito bene. Credo che sappia quello che fa.”

Nathaniel reagì sempre più acido: “Caspita, sei entrato qui che praticamente eri disgustato e ora hai cambiato idea?”

Ora, però, Sam, fece caso allo strano comportamento dell’amico, rispondendogli per le rime: “Mi stai parlando con questo tono per via degli ormoni? E’ una sorta di effetto collaterale?”

Nathaniel rimase a fissarlo, senza riuscire a replicare. Sam subito si pentì di ciò che aveva detto: “Ehm, Nat, scusa, non volevo dire quello che ho detto.”

L’altro scose la testa, fingendo di stare bene: “Senti fai come ti pare, Sam. Solo: non lamentarti con me del tuo sexy psicologo stronzo!” e riprese a nuotare.

Sam mise subito il broncio, rendendosi conto di aver esagerato, guardandolo nuotare in silenzio.

Improvvisamente, qualcuno entrò in palestra e attirò subito lo sguardo di Sam. Poi quello di Nathaniel, quando riemerse a bordo piscina. Si trattava di Morgan Patterson, che, con il borsone in mano, si stava dirigendo negli spogliatoi.

Mentre passava, non fu per niente intimorito da loro, reggendo lo stesso sguardo fulmineo che avevano. Il suo, però, sembrava pieno d’odio.

Quando entrò negli spogliatoi, i due ragazzi stavano ancora guardando verso quella direzione. Nathaniel si avvicinò lungo il bordo in cui si trovava Sam con un atteggiamento diverso. Più pacato.

“Puoi andare a prendere le mie cose? Credo che questa cosa degli sbalzi d’umore non sia del tutto una balla e se entrò lì dentro va a finire che gli metto le mani addosso. Ancora non ho digerito il pugno che mi ha dato il giorno in cui siamo stati sospesi.”

L’altro rabbrividì, ripensando al suo passaggio: “Hai visto come ci ha guardati? Sembra che nemmeno lui abbia ancora digerito noi e quello stupido video; come tutti del resto… - accentuò meglio il concetto, mentre si rialzava – Il Nord non dimentica!”

“…Eh??”

Sam roteò gli occhi, indignato dalla sua ignoranza sui telefilm: “Game of thrones, Nat!”

“Si si, ok… – starnazzò con le braccia, scocciato - Ora gioca a riprendere i miei vestiti dallo spogliatoio, combinazione 4493!”

“Vado, vado!” mormorò in maniera scialba, avviandosi.

Nathaniel, intato, uscì dalla piscina, scrollandosi di dosso l’acqua, per poi attendere.

Nello spogliatoio, giunto davanti all’armadietto, Sam inserì la combinazione e aprì lo sportello. Rapidamente, tirò fuori lo zaino che c’era dentro e richiuse.

Si udiva il rumore dell’acqua che colpiva il pavimento, provenire dalle docce. Sam sapeva che si trattava di Morgan, che aveva lasciato il suo borsone alla fine della panca che c’era lì, proprio accanto a lui.

Buttando un occhio verso il corridoio che portava alle docce, si avvicinò al borsone, spinto dalla curiosità. In un batter d’occhio, la lampo era aperta e Sam potè vedere cosa c’era dentro.

Ad una prima occhiata, fu una felpa nera a spiccare; il disegno di una tigre sopra. Con gli occhi sgranati, continuò di tanto in tanto a dare delle occhiate, mentre tirava fuori l’indumento con il cappuccio. D’istinto fotografò la felpa con il cellulare, pronto a rimetterla a posto subito dopo. Nel farlo, però, fece un’altra strana scoperta, che lo lasciò letteralmente scioccato: una piccola busta trasparente con dentro molte pillole; fotografò anche quelle.

Tremando, rimise tutto a posto, poi scappò dallo spogliatoio a gambe levate.

Con passò rapido, andò in contro a Nathaniel, che si era inspazientito.

“Ehi, Sam, da quanto tempo! – fu sarcastico - Come stai?”

L’altro, parecchio sconvolto e bianco come un cencio, ignorò completamente le sue battute: “Ehi, ti ricordi che disegno aveva la felpa di A, quando Eric l’ha inseguito nel seminterrato? – bisbigliò, guardandosi continuamente indietro – Allora?”

Quello lo fissò stranito, mentre tirava fuori i vestiti dallo zaino, che aveva appena preso dalle sue mani: “Una tigre, credo. Perché, cosa c’entra?”

Lo tirò per un braccio, più nervoso, dopo la sua risposta: “Dobbiamo parlare con gli altri. ORA!”

Letteralmente trascinato, quasi li cadevano le cose dalle mani, Nathaniel non ebbe nemmeno il tempo di aggiungere altro.

 

*

 

Arrivato in ospedale, Eric guardando il video girato nella panic room, ricevuto da Rider, mentre percorreva il corridoio. Impressionato, rimase talmente colpito da un inquadratura che quasi andò a sbattere contro un infermiera, che lo distraette dallo schermo del telefono.

Senza nemmeno accorgersene, era già davanti alla stanza di Alexis e a quel punto fu lei ad attirare la sua attenzione: era in piedi, appoggiata ad una donna, che camminava.

La ragazza si voltò, accorgendosi subito di lui.

“Eric!” lo accolse con un grosso sorriso, non più arrabbiata come l’aveva lasciata diverse ore prima.

Quello entrò, spaesato sia dal suo stato che dalla misteriosa donna con lei.

“Ehi… - la fissò da capo a piedi, incredulo – Ma sei in piedi e riesci a camminare!”

“A quanto pare era una cosa temporanea, me lo sentivo. Questo pomeriggio già muovevo tutte le dita di entrambi i piedi!”

Eric sorrise, ma non con tutta sincerità; si sentì ancora più in colpa per aver preso il suo posto al Brew e non aveva la minima idea di come si sarebbe giustificato: “Ma è fantastico!”

La abbracciò, poi. E quando si staccarono, il silenzio fu tombale.

Alexis, spostando lo sguardo tra i due, capì che doveva presentarli.

“Oh, dimenticavo, questa è mia madre!”

“Ah, tua madre…” le sorrise imbarazzato.

Quella lo salutò con sufficienza, un sorrisino che sembrava alquanto forzato: “Piacere, Nora!”

Eric badò a quello strano atteggiamento di Nora, che Alexis non notò, per quasi una frazione di secondo. Un messaggio lo portò a spostare lo sguardo sullo schermo del telefono.

 

Da Rider:

“Sono all’ingresso dell’ospedale, scendi!”

 

“Ehm, devo andare un attimo di sotto. Torno subito!” avvertì la sua ragazza.

“Certo, vai pure, tanto qui c’è mia madre!”

“Ok…” disse guardando le due, per poi voltarsi e uscire dalla stanza.

Quando fu nel corridoio, Nora gli andò dietro.

“Eric, aspetta!”

L’altro, sorpreso, si fermò: “Si? Che succede?”

“Perché hai preso il posto di Alexandra al Brew?” domandò, seria e poco amichevole.

“Ehm… - quello fu colto alla sprovvista, entrando nel panico – I-io… Come l’ha saputo? Alexis lo sa?”

“No, non lo sa. Per quanto riguarda me, sono andata ad assicurarmi che il suo capo non la cacciasse e ho parlato con un certa Pam, l’altra ragazza che fa i turni con mia figlia e mi ha spiegato tutto.”

“Nora, io l’ho fatto perché stamattina Alexis non camminava per niente. Ho preso il suo posto solo per non farglielo perdere e tenerlo per quando si sarebbe rimessa.”

L’altra era ancora restia alle sue parole: “Beh, un lavoro ti farebbe comodo data la situazione della tua situazione famigliare. In più è un lavoro sotto casa, non male!”

Eric strinse gli occhi, serio: “Sta per caso insinuando che io mi sia approfittato dell’incidente che ha avuto Alexis per prendere il suo posto? Questa è follia!”

“Lei sembra amarti davvero. E quando Alexandra ama qualcuno, si apre completamente. Raccontando anche le parti buie della sua vita.”

“E infatti mi ha raccontato molte cose, durante i nostri vari appuntamenti, sulla vostra famiglia!”

“Bene. Allora se sai tutto, sai anche che quel lavoro le serve!”

“Ed per questo che il mio stipendio andrà a lei. Non ho mai avuto intenzione di rubarle il lavoro, Nora.” ribattè, sentendosi offeso dalla donna.

Quella si stupì, cercando di non darlo a vedere troppo: “Ah…Beh, il tuo è un bel gesto. Spero che rimanga tale fino in fondo. – decise di congedarsi, a quel punto – Ora torno da lei…”

“Bene!” esclamò quello, ancora provato dalle accuse ingiuste. Poi se ne andò anche lui.

 

*

 

Nel parcheggio dell’ospedale, davanti alla macchina di Rider, Eric era ancora frustrato da tutta la faccenda di Alexis.

A mi sta creando problemi con Alexis e ora anche con sua madre!”

Rider si guardava attorno, impaziente, dei fogli arrotolati con un elastico tra le mani: “Beh, tecnicamente Alexis ancora non sa che hai preso il suo al posto al Brew. Tuttavia, potrai giustificarti dicendole che non pensavi che si sarebbe ripresa così in fretta e che hai deciso di occupare il suo posto per non farglielo perdere. In più i soldi che guadagnerai, andranno a lei, hai detto.”

“Sì, le dirò così. Non ho altra scelta! – sbuffò – Però tra la scuola e il lavoro al Brew, non potrò cercarmi un lavoro mio e di conseguenza non potrò aiutare mia madre.”

L’altro gli mise una mano sulla spalla: “Dai, tanto tuo padre torna alla fine di questa settimana, no?”

“Si, per fortuna…” si consolò.

“Ma quanto ci mettono Sam e Nathaniel ad arrivare?” si inspazientì.

“Scusa, ma non puoi dire già a me quello hai scoperto?”

“No, dobbiamo esserci tutti!” insistè.

Eric, mettendo un piccolo broncio, cambiò discorso, tirando fuori il telefono: “…Comunque ho visto e sentito tutto il materiale che mi hai inviato e… - gli mostrò l’inquadratura che l’aveva colpito di più, indicandogli qualcosa con il dito – Vedi questo qui sotto? Sotto la scrivania? E’ il mio zaino! L’ultima volta che lo usai, uscì di notte per andare a bruciare gli abiti che Anthony mi aveva prestato. Sentì di non essere solo, quella notte, così rimontai subito in bici e abbandonai lì quello zaino.”

“E allora?” non capì cosa c’era di importante per soffermarsi a parlarne.

“Allora, niente! E’ solo che…Cosa diavolo se ne fa A del mio zaino? Perché rubarmelo?”

“Forse lo tiene come trofeo, Eric. Hai visto la panic room, no? Ci sono tante nostre foto. Brakner è una persona malata, non dimenticartelo!”

“Già, su questo non c’è dubbio. – rabbrividì - E quella panic room è così inquietante!”

“Non dirlo a me che ci sono entrato e ci sono quasi morto… - notò, poi, i loro amici in lontananza – Eccoli che arrivano… Ah, a proposito, A ha fatto assumere a Nat una terapia ormonale a sua insaputa. Sam ci ha detto di non esagerare con la nostra reazione!”

“COSA??? Ormoni?” non credette alle sue orecchie.

Finalmente quelli giunsero davanti a loro, mentre Eric fissava ancora Rider, completamente sotto shock.

“Ehi, Eric, che hai?” gli domandò Nat, subito.

Quello si voltò, cercando di rilassare il viso: “Ehm, niente, è solo che Rider mi ha raccontato quello che è successo nella panic room e…”

“Sì, tutto questo è terrificante…E non avete idea di cosa sta succedendo a me!”

Eric deglutì, fingendo di non sapere nulla: “Ah, a proposito, come sono andate le analisi?”

“E’ uscito che sto assumendo estrogeni, ragazzi. – raccontò, ancora incredulo – A mi sta facendo prendere queste pillole per il cambio di sesso da almeno un mese e non mi sono accorto di nulla!”

“M-ma, non è grave se te ne sei accorto dopo un mese, vero?” gli domandò Eric.

“No, sono ancora in tempo per fermare tutto, ma se A continua a somministrarmi queste pillole…dopo sei mesi, per me non sarà più possibile tornare come prima. Per ora il cambiamento non è evidente, ma tra un po’ potrebbe esserlo.”

Rider ed Eric si mostrarono basiti, mentre Sam era particolarmente nervoso.

“Ehi, tutto bene?” gli domandò Rider, spostando lo sguardo di tutti su di lui.

“E’ così da quando siamo usciti da scuola, ma non ha voluto dirmi niente durante il tragitto!”

Sam non riusciva a trovare le parole: “Ragazzi, io non so come dirvelo, ma forse ci siamo sbagliati di nuovo sull’identità di A!”

“Spiegati…” ribattè Eric, sgranando leggermente gli occhi.

Quello mostrò il suo telefono: “Queste le ho scattate nello spogliatoio, c’era il borsone di Morgan!”

“Ma quelle sono pillole!” notò Nathaniel.

Dopodichè, fu Rider a commentare, inquietato: “E’ quella è la stessa tigre disegnata sulla felpa di A, quando ci è sputanto davanti la scorsa volta!”

“Perché non me l’hai detto subito?” Nat rimproverò Sam.

“Perché l’avresti ucciso, Nat! E’ evidente che quelle sono le pillole che stai assumendo!”

Rider, intanto, non riusciva a metabolizzare la cosa: “No, mi rifiuto. Non può essere Morgan. Non può aver allestito quella panic room e averci fatto passare tutto quello che abbiamo passato!”

“Un momento! – Eric era confuso – Perché non stiamo prendendo in considerazione il fatto che Morgan possa essere il complice di A?”

“Te lo spiego io! – esclamò Sam – Nell’audio che abbiamo ascoltato nella panic  room, Lindsay confida a Chloe che, secondo lei, Albert  ha finto la sua scomparsa e che potrebbe essere l’assassino di Anthony e suo padre: Perché dire una cosa del genere a Chloe? Che senso ha? A non è nato per sporcare il nome di Albert, ma per sporcare il nostro. In più, perché A dovrebbe spiare la loro conversazione, quando si suppone che Lindsay sia il suo braccio destro?”

“Questo non solo scagionerebbe mia sorella, ma anche Brakner. Erano insieme quella sera, perciò Brakner non avrebbe potuto fare nulla senza che lei lo vedesse o partecipasse alla cosa.” pensò, iniziando a credere alle motivazioni di Sam.

Nathaniel disse la sua: “Si, ma non è un po’ strano che Lindsay pensi questo? Di quell’omicidio è già stato accusato Jasper. Dubito che non abbia visto un telegiornale, nell’ultimo mese!”

“Forse mia sorella sa qualcosa che noi non sappiamo…”

“O forse… - Sam prese il telefono, utilizzando maps – Lindsay e Brakner hanno incrociato Jasper quella notte. – mostrò loro il telefono – Lui era al Ginseng, un locale gay che è proprio vicino alla zona in cui eravamo, quando abbiamo investito Albert.”

Eric stranì assieme a Rider, mentre Nathaniel sbiancò: “E tu come fai a sapere che Jasper era in quel locale?”

Sam non badò alle sue parole, uscite senza pensare: “Ehm…Me l’ha detto mio padre, ovviamente.”

“Nel dettaglio?” anche Rider lo trovò strano.

“Beh, - Nathaniel intervenne per aiutare Sam - non eri tu che gli dicevi di sfruttare il suo padre poliziotto?”

“Già, l’ho tartassato molto!” aggiunse Sam, calmando finalmente gli altri due, che si guardarono apparentemente più convinti.

Eric, a quel punto, fece il punto della situazione: “Ok, la faccenda non sembra molto chiara, potrebbero esserci molte teorie dietro. Perciò, o Morgan gioca da solo o va ad aggiungersi alla squadra Brakner-Lindsay!”

“Se mia sorella e Brakner hanno davvero visto Jasper, non l’avranno detto per paura di esporsi troppo. La polizia avrebbe arrestato lui come minimo per la loro relazione!”

“E se fosse una messa in scena per metterci il dubbio? – pensò Nathaniel – A sapeva che sareste entrati nella panic room, perciò quello che avete trovato nel suo computer è ciò che voleva che voi guardaste. Magari la registrazione di quella conversazione è stata fatta apposta come precauzione, in modo che, ascoltandola, avremmo annullato i nostri sospetti su lei e lui.”

Rider decise di tagliare corto allora: “Se scopriamo che mia sorella e Brakner magari non c’entrano nulla, questo significherebbe che Morgan era nella macchina dietro di loro. Le telecamere di sorveglianza erano fuori posizione, ma dalle foto che abbiamo del fascicolo si vede chiaramente che c’era un'altra auto. L’unico modo che abbiamo per scoprire chi è davvero A tra loro tre o se lo sono tutti e tre è scoprire cosa c’è nella vera panic room!”

Tutti si guardarono, confusi. Sam fu il primo a prendere parola.

“Che intendi dire con la vera panic room?”

Rider si avvicinò al cofano della sua auto, srotolando i due fogli che aveva e posizionandoli lì sopra.

I ragazzi si raccolsero intorno a lui.

“Ho recuperato un mio vecchio saggio sugli edifici storici di Rosewood. Questa è la cianografia del seminterrato del Wailord Sanitarium nel 36’. – indicò un punto del foglio, dove quelli guardarono con attenzione – Vedete qui? Non c’è nulla! – spostò il dito sull’altro foglio, poi  – Invece qui, un anno dopo, c’è questo quadratino. L’unica cosa che può essere stata aggiunta in quel punto è la panic room!”

Nathaniel, però, non capì dove voleva arrivare: “Ok, ma… Quale sarebbe la scoperta?”

Prima che Rider potesse spiegarlo, Sam intuì immediatamente quale fosse: “E’ più grande!”

“Esatto! – confermò Rider – Quella in cui siamo entrati noi è almeno 1/3 della stanza.”

“Quindi che significa? – chiese Eric, confuso - Dov’è il resto della stanza?”

Rider tirò fuori un pennarello rosso dalla tasca del suo cappotto, dividendo il quadrato in due: “E’ semplicemente dall’altra parte del muro. La panic room è divisa in due da una parete!”

“Ok, ma non c’erano altre porte nella panic room. – puntualizzò Sam - In che modo accederebbe all’altra metà della panic room?”

“O c’è una botola anche lì e quindi ci passa risalendo dalle fogne o c’è un altro passaggio che non abbiamo visto!” spiegò Rider.

Improvvisamente, lo sguardo di Nathaniel cadde sul polso di Eric. Dopo averlo fissato a lungo, si accorse che qualcosa mancava: “Dov’è il tuo bracciale?”

Eric ci fece caso, sgranando gli occhi: “Ma che…???”

Rider si rivolse a lui abbastanza disorientato: “Come hai fatto a toglierlo?”

“Non l’ho tolto io!” esclamò con foga.

Sam fece una smorfia confusa: “Come sarebbe che non l’hai tolto tu?”

Eric allora riflettè, concretizzando un dubbio che ebbe: “Credo che A sia entrato in casa mia mentre dormivo…”

“E ce lo dici solo ora?” sobbalzò Nathaniel, sbigottito.

“Ho trovato la porta aperta, ma non ci ho pensato più di tanto. – cercò di giustificarsi, attaccato – Scusate se non ci sto con la testa dopo l’incidente di Alexis!”

Tutti si calmarono un attimo, poi.

“Ok, ma come ha fatto A a toglierlo? – domandò Sam, guardando tutti -  Julie ha cambiato la frequenza del suono di sblocco, no?”

Rider imbronciò, intuendolo: “Accidenti, deve aver recuperato la valigetta di Julie nel seminterrato. Dentro c’era l’apparecchio che sblocca i nostri bracciali.”

“Non ha ascoltato quello che ci siamo appena detti, vero? – chiese Sam, nel panico – Insomma, anche se avesse messo un microfono su Eric, i nostri bracciali sono in grado di disattivarlo. Giusto?”

Rider annuì, dopo qualche secondo di staticità nella sua espressione.

“Penso di sì!”

Improvvisamente, un messaggio arrivò a tutti e quattro.

Quelli si guardarono tra loro, prima di aprirlo.

 

“Vi sono mancato?”

-A


Eric andò subito nel pallone: “Che significa? Che ci ha ascoltati? Che non siamo più protetti?”

Rider scosse la testa, guardandosi attorno: “No, dev’essere qui intorno. Vuole farci credere che può ascoltarci, ma sappiamo benissimo che non può!”

Anche gli altri si guardarono intorno, mentre Sam arrancava verso le portiere.

“Sentite, andiamocene da qui!”

Dopo un’altra occhiata intorno, i tre lo raggiunsero, salendo in macchina.

 

SCENA FINALE

 

A era all’interno della panic room, il bracciale di Eric che girava intorno al suo dito, come se ci stesse giocherellando. Lo poggiò accanto al computer, subito dopo, poi si avvicinò all’armadio, che iniziò a spostare dalla parete con forza.

Dietro, c’era una porta d’acciao con una tastiera nera sopra; si trattava di un passaggio segreto. Quando digitò la password, essa si aprì e lui entrò in quella che era l’altra metà della panic room.

All’interno, c’era un’altra scrivania con sopra un altro computer, una telecamera sopra un treppiedi al centro della stanza, mentre in un altro angolo c’era un lungo congelatore di forma rettangolare in funzione. Infine, in quella stanza del tutto vuota, c’era una bacheca di vetro appesa alla parete; il vetro, però, era oscurato e al lato di questa bacheca c’era un tasto on/off per poterla illuminare.

A si sedette al computer, avviando un video: mostrava una persona con la testa coperta da un sacco per patate, seduta a gambe aperte sul pavimento, la schiena poggiata contro la parete di quella stessa stanza, le mani legate.

Si sentiva il suo respiro soffocato, mentre muoveva la testa dentro quel sacco, probabilmente disorientata. A avvicinò la mano, liberando chi c’era sotto: si trattava di Anthony, che lo guardò dritto in faccia, spaventato a morte.

“Ti prego, non farmi del male! – pianse disperato, una ferita sanguinante sulla testa - Farò tutto quello che vuoi, per favore!”

Subito dopo, volse lo sguardo alla destra di A. Sembrava guardare più verso terra che in alto, e sconvolto in maniera esagerata, tornò a fissare il suo rapitore: “C-chi è quello?”

A si limitò solo a fare un suono con la bocca: “Shhhh…”

Preso dal panico, il petto che si gonfiava e sgonfiava, Anthony lo fissava terrorizzato, perdendo la ragione: “AIUTOOO! – urlò a squarciagola, sbattendo più volte la testa contro la parete per fare rumore – AIUTATEMI, VI PREGOOO!”

A si avvicinò, pronto a rimettergli il sacco in testa, mentre lui urlava ancora. Il video si interruppe.

 

CONTINUA NEL NONO CAPITOLO…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 10
*** 1x09-Punto di rottura (Parte I) ***


CAPITOLO NOVE

“SupernovA

 

ONE WEEK LATER…

 

Pioveva a dirotto quella notte. Nathaniel continuava a girarsi e rigirarsi nel suo letto, finchè non aprì gli occhi, iniziando a fissare la sua finestra, le gocce di pioggia che scendevano oblique sul vetro. Improvvisamente, sentì dei rumori provenire fuori dalla sua stanza e si sollevò di scatto, il volto atterrito.

Dopo qualche secondo di suspence e uno scricchiolio di passi nel silenzio dell’abitazione, la porta si aprì e una persona incapucciata vi entrò, chiudendola e restando girata di spalle per qualche secondo. Nathaniel sobbalzò fuori dal letto in canottiera e boxer, indietreggiando in un angolo, spaventato.

Quella persona, finalmente si voltò, poggiandosi di schiena alla porta e togliendosi il cappuccio con una mano.

Si trattava di Sam: completamente bagnato, terrorizzato e con il fiatone.

“Sam??” si avvicinò Nathaniel, sorpreso di vederlo in camera sua.

A mi ha aggredito in casa mia, ero da solo. Mio padre non c’era, ha il turno di notte, e così sono scappato! – spiegò in lacrime, sotto shock – Mi ha inseguito fino a qui, era dietro di me e poi non lo era più. Non sapevo dove andare e così ho corso fino a casa tua!”

L’altro lo prese per le spalle, turbato da ciò che gli stava raccontando: “Ok, calmati, sei al sicuro qui… - ad un certo punto, però, stranì in volto – Piuttosto, come hai fatto ad entrare?”

Sam ignorò la sua domanda, fissando vari punti della stanza in maniera disturbata, tremando: “P-posso dormire qui? – lo fissò negli occhi, supplicandolo – Ti prego!”

“M-ma certo! – continuò a guardarlo, sconcertato dal suo stato – Certo che puoi restare!”

A quel punto, Sam lo abbracciò, mettendogli le braccia intorno al collo, stringendolo forte a sé.

Nathaniel sgranò gli occhi, le braccia rimasero a peso morto, prima di lasciarsi andare e contraccambiare quell’abbraccio. Il cuore gli batteva forte, mentre Sam si staccava lentamente da lui. Poi un lungo sguardo si accese fra i due e Nathaniel iniziò ad accarezzargli il viso, facendo scivolare le dita lungo i suoi capelli bagnati e poi sulla sua guancia. Sam gli prese la faccia e, lentamente, gli stampò un bacio. L’altro si staccò subito, guardandolo negli occhi per qualche secondo, poi fu il suo turno prenderlo per il viso e continuare a baciarlo, in un esplosione di passione.

Iniziarono, così, a levarsi la maglietta l’un l’altro e Sam lo spinse letteramente sul letto, salendo sopra di lui a cavalcioni. Nathaniel, troppo eccitato, lo prese per i fianchi, gettandolo alla sua destra, mettendosi lui sopra Sam. I due continuarono ad abbracciarsi, avvinghiati, sudati, i muscoli della schiena di Nathaniel contratti.

La pioggia si fece sempre più forte e un fulmine creò un boato talmente forte che…Nathaniel si svegliò di colpo: perché era tutto un sogno, creato dalla sua mente.

Senza fiato, la fronte sudata come il suo collo arrossato e il petto che si contraeva, Nathaniel si mise le mani nei capelli, trovando assurdo ciò che aveva appena sognato. Quando fu più stabile, si voltò a guardare verso la finestra ed era una bella notte di luna piena, con tante stelle luminose in cielo.

Sospirò, poi, fissando il telefono, che prese dal comodino. Digitò un numero e poi lo mise all’orecchio. Dopo due suoni, qualcuno rispose.

“Pronto?”

Era Sam. Ma non ricevette risposta.

“Pronto, chi è?” disse ancora.

Nathaniel restò immobile, contemplando il soffitto della sua stanza, mentre lo ascoltava.

“…Sei tu, vero? – Nathaniel si sollevò con la schiena, pensando di essere stato scoperto – Sei A, dico bene?...Pff, ovvio che sei tu, chi altro mi chiamerebbe con l’anonimo a quest’ora!”

A quel punto, Nathaniel si sentì in colpa e decise di rivelarsi, ma Sam continuò a parlare, un’improvviso magone nel tono.

“Non credi sia abbastanza, quello che ci hai fatto? Sai perfettamente che non siamo stati noi a fare del male ad Albert. Sai perfettamente che non eravamo noi alla guida di quell’auto, ma Anthony…Non ci dai motivazioni, non ci dici mai nulla; nemmeno su Rosewood-riservato o altri crimini che pensi di aver scoperto e di cui ci ritieni coinvolti. Ci torturi e basta!”

Una lacrima scese lungo il viso di Nathaniel, che preferì non ascoltare oltre, chiudendo la chiamata, restando solo con i suoi pensieri per tutta la notte, fissando nuovamente il soffitto

 

*

 

Il giorno dopo, la scuola era in fermento per l’imminente ballo degli ex alunni. Sam e Rider erano nell’atrio insieme ad altri studenti a preparare le scenografie: cartelloni, drappi, decorazioni varie, costruzioni di cartone da dipingere.

I due, infatti, si stavano dedicando a dei finti lampioni da giardino, che avrebbero illuminato vari punti dell’evento, passandoci sopra delle mani di vernice. Tra una mano e l’altra, Sam raccontò della telefonata anonima che aveva ricevuto, abbastanza turbato.

“Non ha detto una sola parola, sentivo solamente il suo respiro.”

Rider inzuppò il pennello nel barattolo, poco convinto: “Sei sicuro che fosse lui?”

“Chi diavolo chiamerebbe dopo mezzanotte con un numero sconosciuto? Dracula?”

“Beh, in effetti… - fece una smorfia, arrendendosi all’evidenza – Comunque hai deciso con chi andrai al ballo, domani?”

“Ehm, credo proprio con nessuno. – sottolineò ironicamente – Sai com’è, tra lo psicologo e le panic room sotterranee, non ho avuto molto  tempo di pensare ad un accompagnatore.”

“La scuola si aspetta che tu e Nathaniel vi presentiate insieme. Sai com’è, siete la prima coppia gay dichiarata di questa scuola!”

“A proposito di gay dichiarati…Cameron ha chiesto a Chloe di andare insieme al ballo e lei ha accettato!” esclamò seccato.

“Ouh, bel problema… – reagì sorpreso  - Anthony ci aveva visto lungo con Chloe friendzoned!”

Sam gli lanciò una breve occhiataccia, prima di continuare: “Questa sarà una batosta gigantesca per lei!”

“Non vedo dove sia il problema, Sam. Cameron non è dichiarato!”

“Noi gay siamo imprevedibili, Rider. Un giorno diciamo che non faremo mai coming out fino alla morte e quello dopo lo gridiamo al mondo intero con poster a caratteri cubitali attaccati per tutta la città! – spiegò, nervoso – Anche se Anthony non c’è più, non vuol dire che per lei non sarà nuovamente imbarazzante.”

“Ma a lei lo hai detto che lui è gay?”

“Sì, ma non mi ha creduto!”

“Pff, - si lasciò sfuggire una risata – da quando le ragazze non credono più ai loro migliori amici gay? Siete come divinità scese in terra per loro.”

“Beh, a me non da ascolto. Ormai questa divinità è un comune mortale da quando l’ho ignorata per tremare di paura nella mia stessa casa!” esclamò frustrato, continuando a dipingere.

“Se non ti crede, mostrale una prova. Uno come Cameron frequenterà di sicuro uno di quei localini…”

“Dubito che Cameron frequenti locali gay a Rosewood, non è così stupido!”

“Allora trova un modo! – si esasperò, agitando il pennello – Sicuramente riuscirai ad inventarti qualcosa prima del ballo.”

“E’ domani, Rider! E comunque… - si spostò su un altro discorso – Quando finirà questa storia dell’esilio?”

“Intendi Eric?” finse di nulla, evitando il suo sguardo e concentrandosi sul finto lampione.

“Rider, smettila con questo atteggiamento! – si avvicinò di più a lui per non dargli tregua – Da quando abbiamo scoperto che la panic room non è una piccola stanzina, hai allontanato Eric da noi e non hai nemmeno chiesto a Julie di costruire un altro braccialetto per lui.”

Rider, finalmente, si voltò: “Prima di tutto, è stato Eric ad aver deciso di allontanarsi per il bene del gruppo. E, secondo, non coinvolgeremo più Julie nelle nostre cose. Fa troppe domande e non ci costruirà mai un altro braccialetto senza avere delle risposte su ciò che ha visto e sentito. – gli lanciò una lunga occhiataccia – E su ciò che ti sei lasciato scappare con lei nella panic room!”

“Ok, ma…ci siamo anche abbandonati a noi stessi. Dopo quello che abbiamo scoperto con le cianografie del seminterrato, non abbiamo più fatto nulla né pensato a cosa fare.”

“Sam, non è facile! – alzò leggermente la voce, per poi guardarsi intorno e bisbigliare – Per accedere all’altro lato della panic room, dobbiamo entrare di nuovo lì, ok? Dove l’ossigeno ha smesso di arrivarci alla testa, ricordi?”

“E allora che facciamo? Tutto quello che ci serve si trova in quella stanza. Le motivazioni di Brakner, chi è coinvolto, Rosewood-riservato!”

Esasperato, Rider fece una confessione: “Ho un piano, ok?”

L’altro restò sbigottito per qualche secondo prima di parlare: “…E quando pensavi di dircelo? Che piano?”

“Ho scoperto che… - si avvicinò, chinando in avanti la testa, bisbigliando – Brakner è stato assegnato al tiro a segno per il ballo di domani sera. Lindsay naturalmente ci sarà per concorrere al titolo di reginetta, mentre, per quanto riguarda Morgan, l’ho visto stamattina acquistare due biglietti per l’evento.”

“Strano che tutti e tre saranno al ballo. - la cosa lo lasciò parecchio scettico. - Se A era con noi nel parcheggio dell’ospedale, avrà sicuramente visto che guardavamo le cianografie. Dovrebbero lasciare qualcuno di guardia, no?”

“Brakner lo sa che non ci azzarderemmo mai a tornare lì dentro. – fantasticò – Credo non abbia nemmeno cambiato la password, sa che non abbiamo più i mezzi per scoprirla.”

Sam scosse la testa, non riuscendo più a seguirlo: “Ehi, aspetta, di che parli? Tu non sai la password, sul display sono comparsi solo degli asterischi!”

“Dieci asterischi, per la precisione… - si lasciò sfuggire un sorrisino furbo – Che password ti fa venire in mente?”

Quello ci riflettè, arrivandoci con grande stupore: “…Miss Marple?”

“Esatto! Non so perché, ma sembra essere fissato con quella serie televisiva, visto che ha tutta la prima stagione in videocassetta nel suo covo.”

“Ok, ma come la metti con quel comando da remoto che può bloccare il sistema di aerazione?”

“Ho rimediato una bombola d’ossigeno. Sai, quelle che usano i subaquei!”

Sam restò a fissarlo per qualche secondo: “Tu sei fottutamente pazzo!”

“Arrivati a questo punto, non mi interessa quello che scoprirò su Anthony in Rosewood-riservato. Prenderò i nostri video e poi decideremo come sbarazzarci di A!”

“Quindi sei intenzionato ad andarci da solo?” si preoccupò seriamente.

Rider lo prese per le spalle, cercando di rasserenarlo: “Sam, dovrà sembrare una serata tranquilla per A. Vederci tutti e quattro insieme al ballo, gli farà abbassare la guardia. E quando inizieranno tutti a ballare, sgattaiolerò via con un diversivo.”

“Hai intenzione di dirlo anche agli altri, vero?”

“No, Sam. Sarà più credibile non vederci tutti tesi, perciò, tu che lo sai, cerca di non essere troppo teso e fai finta di nulla! – si ricordò un’ultima cosa, poi – Ah, assicurati che Eric e Nathaniel vengano al ballo, non si sa mai che cambino idea all’ultimo secondo.”

Nonostante tutti quegli avvertimenti, Sam non riusciva proprio a nascondere la sua preoccupazio: “Ascolta, forse...”

Ma non potè completare ciò che stava per dirgli, interrotto dall’arrivo di Brianna Santoni.

“Sam?”

Quelli si voltarono.

“Scusate se vi disturbo, ma… - spostò lo sguardo tra i due, mortificata per la sua intrusione – ci serve qualcuno che faccia le foto al ballo e so che tu, Sam, sei bravo con le foto. Me l’ha detto Chloe!”

“Sì, si, è vero!” annuì, inizialmente distaccato.

“Bene, allora sei dei nostri? So che magari preferiresti venire al ballo in altre vesti, ma qualcuno dovrà pur fotografare il re e la reginetta, no?” sorrise, mentre Rider si manteneva ostile nelle espressioni.

Sam, invece, sembrò improvvisamente coinvolto e quasi sospreso: “D-dei vostri?” Ehm, ma certo! Tanto non sapevo con chi venirci al ballo!” rise, attirando lo sguardo incredulo di Rider.

“Perfetto, passa dalla redazione appena hai tempo, così discutiamo degli altri dettagli!” escalmò, congendandosi.

Mentre Rider trovava assurda quella proposta, Sam continuò a sorridere.

“Cos’è, adesso i seguaci di Violet ci prendono in considerazione? – si voltò verso Sam, contestando subito ciò che vide – Ehm, perché stai sorridendo?”

“Perché è bello sapere di non essere così odiato!”

“Beato te, io non posso dire lo stesso. Sanno tutti quanto sono preciso e organizzato, eppure nessuno mi ha chiesto di far parte dello staff che si occupa del ballo!” esclamò, amareggiato.

Sam gli mise una mano sulla spalla, cercando di consolarlo: “C’è Violet per quello: non servono due precisini per organizzare un ballo!”

Rider lo fissò con il broncio, non replicando. Improvvisamente, dopo qualche secondo, gli altoparlanti della scuola emisero un suono assordante, che costrinse tutti a coprirsi le orecchie.

Poco dopo, cessò, lasciando tutti abbastanza storditi.

“Ma che cavolo…???” disse Sam, rimettendo giù le braccia.

Rider sgranò immediatamente gli occhi sul polso di Sam e poi sul suo: “I bracciali!”

Immediatamente, i due spostarono lo sguardo a terra: erano lì.

“Ma si sono sganciati?”

“Era la stessa frequenza che ha usato Julie per toglierci i bracciali la prima volta…” ricordò Rider.

“Beh, rimettiamoli!” sussultò Sam.

Poco prima di chianarsi a recuperarli, però, ricevettero un messaggio. I due si guardarono, costretti a leggerlo.

 

“Indossateli di nuovo e qualcuno non arriverà al ballo di domani…”

-A

 

Sam titubò di fronte a quel messaggio, confuso: “…Chi non arriverà al ballo di domani? Noi?”

“Credo che si riferisca a persone a cui teniamo!” esclamò l’altro.

Entrambi avevano il volto atterrito, fissando i loro braccialetti, ancora a terra.

 

*

 

Intanto, in palestra, il coach prestava attenzione al tempo dei ragazzi. Nathaniel nuotava lungo la sua corsia, di fianco a Morgan che lo equivaleva e, più indietro, altri due ragazzi. Tra una bracciata e l’altra, Nathaniel si accorgeva sempre di più del suo rivale, quasi in testa.

Incredibilmente, fu Morgan ad arrivare per primo e a completare la vasca. Nathaniel sembrò essersi sforzato tanto, come non aveva mai fatto, dato che era sempre stato il migliore. Non appena sentì gli applausi del coach e degli altri compagni di squadra, si fermò prima del dovuto, ormai sconfitto, togliendosi gli occhialini.

“Ottimo lavoro, Patterson. Hai fatto dei progressi notevoli!” si avvicinò a lui il coach, mentre saliva la scaletta.

Poi si voltò verso Nathaniel, che, palesemente provato dall’aver perso per la prima volta, restò in acqua a fissarli.

“Blake, che succede? Non hai mai fatto un tempo simile…” si mostrò stupito e alquanto deluso.

Nathaniel, fulminando Morgan con lo sguardo, circordato dagli altri, che lo festeggiavano con sorrisi e pacche sulle spalle, si voltò verso il coach, marcando un sorrisino arrogante.

“Evidentemente ho messo su qualche kilo, mentre… - fissò Morgan, mantenendo quel sorrisino beffardo, atto a lanciarli una frecciatina - qualcun altro si è affannato a dimagrire e ci sta riuscendo, a quanto pare.”

Morgan assunse immediatamente un’espressione poco amichevole, mentre Nathaniel saliva la scaletta, uscendo dalla piscina. Tutti lo fissarono, alle spalle di Morgan.

“Ti ho battuto, Blake! Fattene una ragione!” reagì il ragazzo, con fermezza e sicurezza.

Nathaniel continuò a sorridere, sempre più arrogante, avvicinandosi a lui, muso a muso.

“…So quello che stai facendo, Morgan. Ma non arriverò mai a pesare quanto pesi tu… - sembrava quasi Anthony nel modo di parlare - Dovessi smettere di mangiare per sempre!”

Quello, a rabbia accumulata, lo spintonò di colpo, infuriandosi e facendo sussultare tutti. Nathaniel, barcollante, ritrovò l’equilibrio e ricambiò con una spinta altrettanto forte. Il coach non potè fare altro che intervenire, mentre gli altri già cercavano di dividerli.

“Fermi! Basta, BASTA!” si mise tra loro, aprendo le braccia, distanziandoli. I due si stavano ancora fulminando con lo sguardo, trattenuti dai loro compagni.

Nathaniel si liberò dalla presa di alcuni di loro, con rabbia. Il coach non credeva ai suoi occhi.

“Ma si può sapere che ti succede? Blake, sembra quasi che tu non dorma da giorni, hai un aspetto orribile!”

Ed era così, infatti. Nathaniel aveva il volto caratterizzato da un bianco cadaverico e un contorno viola intorno agli occhi, vispi e dilatati.

“Sto da DIO! – esclamò al coach, guardando di nuovo Morgan, mentre andava via, chiaramente instabile – Hai capito, Morgan?” e se ne andò, sotto lo sguardo basito di tutti i presenti.

 

*

 

Più tardi, dopo la scuola, Sam ebbe il suo consueto appuntamento con lo psicologo. Mentre il ticchettiò riempiva l’aria, Wesam era lì che fissava Sam, pronto ad ascoltarlo.

Il nervosismo del ragazzo, però, prese immediatamente il sopravvento, mentre fissava delle mensole, sulla parete, alla sua sinistra.

“Vedo che c’è un oggettino nuovo!” indicò.

Wesam non si girò nemmeno a guardare, mantenendo il suo sguardo fisso su di lui: “Vedo che adottiamo vecchie abitudini!”

“Cioè?”

“Nascondere la verità, camuffandola con queste assurde trovate, in modo da far scorrere il tempo più velocemente…- sorrise, poi – Ma sai una cosa? Ho rimandato l’appuntamento che viene dopo, perciò quando la sabbia sarà scesa tutta, girerò nuovamente la clessidra.”

Sam sbiancò, per nulla contento: “Cosa? Quaranta minuti in più?”

“Ma guarda che strana reazione! – lo incalzò - Allora hai finalmente capito che non si può temporeggiare per sempre. Che anche la verità ha una data di scadenza.”

“Non sto temporeggiando!” si oppose, nonostante la sua voce tremasse.

“Inizia a dirmi la verità, Sam. Il vero motivo del tuo disagio. Inizia anche dalla più piccola preoccupazione, ma inizia da qualcosa che non sia una bugia.”

Sam inumidì le labbra, abbassando lo sguardo, rilassandosi: “Ultimanente… - iniziò a raccontare – Sono preoccupato per la mia migliore amica. – finalmente lo guardò negli occhi – Ci siamo un po’ distaccati e ad un certo punto ne abbiamo parlato. Quando ha scoperto che mi ero tagliato…si è subito preoccupata per me.”

“Poi? Cosa è successo?” lo ascoltò con interesse, l’agenda sulle ginocchia.

“Mi ha raccontato che sarebbe venuta al ballo con un ragazzo. Un ragazzo che io so, essere gay… - gesticolò, nervosamente – Io l’ho avvertita, ma non mi ha creduto. Lei ha avuto molte delusioni in amore e non vorrei si innamorasse di lui, che la sta usando solo perché ha paura che gli altri sappiano chi è realmente. Non vorrei che ci rimanesse male come tutte le alre volte!”

“Hai intenzione di agire in qualche in qualche modo?” gli chiese, cogliendolo di sopresa.

“Ehm, non saprei, cosa le fa credere che farò qualcosa?”

“Perché si vede dal tuo sguardo che hai molto a cuore questa tua amica. Non vuoi che soffra di nuovo e farai sicuramente il possibile affinchè non avvenga.”

“Beh, sì, ma…non sono cosa fare. Ora come ora, non crederebbe ad una sola parola. Ci vuole una prova!”

“Sai, Sam? Non ci vuole molto ad incastrare un ragazzo gay. Ci ripetiamo continuamente che abbiamo tutto sottocontrollo, che nessuno riuscirà mai a scoprire il nostro segreto. La voglia di essere ciò che siamo, però, prende il sopravvento ad un certo punto e prendiamo certe strade che pensiamo che altri non percorrerebbero mai. Molte volte, però, non ci rendiamo conto che stiamo sbagliando qualcosa, che stiamo abbassando la guardia, ed ecco che veniamo incastrati da noi stessi.”

Sam, naturalmente, notò che Wesam si era immedesimato molto in quelle parole: “Ti sei incastrato anche tu, per caso?”

Quello si lasciò scappare una risata, per sdrammatizzare: “Abbastanza, direi. Mia sorella mi ha beccato a letto con il suo fidanzato…Mancavano tre mesi alle loro nozze! – rivelò, fissando la finestra, un’improvviso velo di tristezza sul volto – Nessuno della mia famiglia mi rivolge più la parola da ben tre anni. – sorrise, tornando a guardarlo, gli occhi leggermente lucidi – Pensa che si sono sposati ugualmente e lui ha definito quello che è successo con me, uno spiacevole episodio. E il bello è che è stato creduto, quando io so perfettamente che lui lo voleva quanto me, quel pomeriggio.”

Sam si commosse, nell’ascoltarlo: “Mi dispiace così tanto. E’ brutto avere tutti contro e sentirsi solo. Non avere nessuno…”

L’altro lo fulminò, serio: “Tu qualcuno ce l’hai, Sam. Non pensare di capirmi, perchè non sei solo. Non hai idea di cosa sia la solitudine, te lo garantisco. – sottolineò con fermezza – Tuo padre ti ama più della sua stessa vita, ma per qualche strano motivo, tu lo stai allontanando.”

“Io so che significa sentirsi soli, credimi!” ribattè, a voce alta.

“Allora dimmi cos’è! – alzò la voce anche lui – Sei qui per questo, Sam. Per metterti a nudo, per sfogarti, per essere aiutato!”

Quelle parole lo fecero lacrimare, mentre tentava di evitare lo sguardo di Wesam.

“Lasciati aiutare, Sam…” disse più calmo.

E si guardarono a lungo, il volto di Sam chiaramente combattuto; tant’è che stava quasi per cedere e cedette.

“Quello che mi sta succedendo, io non posso raccontarlo. – Wesam si chinò in avanti, ascoltandolo attentamente – Circa un mese e mezzo fa, io e i miei…”

Fu interrotto, improvvisamente, dallo squillo del suo telefono. Il numero che comparve, non gli sembrava familiare.

“Ehm, ti dispiace se rispondo?” si alzò di colpo.

“Certo, fa pure!”

Sam uscì dalla stanza, lasciando distrattamente la porta socchiusa. Finalmente rispose.

“Pronto? Chi parla?”

Sta ricevendo una telefonata dal penitenziario di Philadelphia dal detenuto Jasper Lughlin. Premere uno, per accettare la chiamata.”

Sam stranì nel sentire che si trattava di lui, stringendo gli occhi, nervoso. Poi, premette uno e aspettò di sentire la sua voce.

“Sam? Ci sei?”

“Ehi, Jasper…” rispose con un filino di voce, dopo aver deglutito malamente.

Ehi, Jasper???  - reagì in malomodo - Dopo che ci siamo visti l’ultima volta, non siete più venuti. Il processo si avvicina e non ho un alibi!”

“C-come hai avuto il mio numero?”

“Questa è una bella domanda. Qualcuno ha infilato il tuo numero nella tasca della mia divisa, ma non ha senso!”

“Ehm… - girovagò con lo sguardo, a disagio – Noi ci stiamo lavorando, ok?”


“Sam, voi mi avete chiesto di aspettare e io l’ho fatto, ma qui c’è in gioco la mia vita. Se le cose non si metteranno bene o non troverete una soluzione per tirarmi fuori di qui…dirò tutto quello che mi avete detto alla polizia e sarete chiamati a testimoniare.”

“Oh mio Dio… - pronunciò sottovoce, chiudendo gli occhi – Ok, ascolta, il processo è tra una settimana, giusto? Dacci ancora qualche giorno, ti prego!”

“Cosa cambia? Non riuscirete mai a farmi uscire di galera!”

“Sappiamo chi è A!” esclamò a bruciapelo, come per zittirlo.

“…Lo sapete? Chi è?” ne rimase sorpreso.

“Solo qualche giorno, Jasper. Solo qualche altro giorno, ti prego!” lo supplicò.

“…Due giorni, non di più!” e la telefonata cadde di colpo.

Sam rimise giù il telefono, chiudendo gli occhi, i muscoli deboli per la tensione. La porta alle sue spalle si aprì e si affacciò Wesam, con un braccio dietro la schiena.

“Allora? Resti qui fuori o torni dentro?”

L’altro sospirò, mortificato: “Senti, devo andare. Tanto mancano dieci minuti alla fine della seduta. Perdonami!”

Wesam portò la mano avanti, che stringeva la tracolla del ragazzo.

“Immaginavo che non saresti rientrato, perciò ti ho portato la borsa!”

Quello la prese, accennando un piccolo sorriso: “Non dirlo a mio padre o mi perseguiterà per giorni. Ci tiene che io faccia queste sedute!”

“Quello che succede qui dentro, rimane qui dentro, no? – gli fece un’occhiolino per rassicurarlo – Ora, se non ti dispiace, ho dieci minuti da dedicare ad una poltrona vuota, prima che arrivi il prossimo appuntamento che non ho mai annullato!”

Sam rise a quella battuta, anche se in maniera lieve. Poi se ne andò, mentre l’altro restava lì a guardarlo andar via. Quando tornò nella stanza, divenne serio, scrivendo un nuovo appunto sulla sua agenda.

“- Jasper???

-A???

- Processo???”

 

*

 

Verso metà pomeriggio, Eric era al Brew, che stava portando un vassoio di tazzine sporche al bancone, pronte per essere lavate. Altamente nervoso, controllò il telefono, prima di farlo: erano messaggi di Alexis.

Quando sollevò il capo, puntando la strada, vide che stava arrivando. Uscì immediatamente da dietro al bancone, buttando una rapida occhiata su Todd, impegnato in una conversazione, fiodandosi poi fuori dal Brew.

“Alexis!” esordì con il fiatone.

Quella, però, non era di buon umore: “Dov’è Todd???”

“Senti, lascia perdere, ok? – si interpose tra lei e la porta – Ti aiuterò a trovare un nuovo lavoro!”

“Eric, sono appena tornata a Rosewood, vorrei decidere io cosa fare della mia vita, d’accordo? Todd deve assolutamente ridarmi il lavoro, non è di certo colpa mia se un pazzo mi ha investita con l’auto!”

Alexis cercò di passare, ma Eric le bloccava ancora il passaggio.

“Alexis, ne abbiamo già parlato per telefono: ti passerò il mio stipendio finchè non troverai un nuovo lavoro, ok?”

Immediatamente, lei, sgranò gli occhi, basita: “Ancora con questa storia? Perché dovresti lavorare al posto mio, quando sono perfettamente in grado di farlo da sola?”

“Perché Todd, ormai, ha assunto me! – urlò, cercando di fermarla dall’entrare – Inizialmente pensavo di farti un favore, mantenendo il tuo posto, per paura che assumesse un’altra persona, ma quando gli ho detto che stavi tornando…Beh, ha detto che non ti avrebbe più ripresa!”

“Ehm… - era a bocca aperta, scioccata, le lacrimavano gli occhi – Quindi funziona così? Ti capita una cosa brutta e vieni tagliata fuori in questo modo?”

Eric le prese la mano, dispiaciuto: “E’ solo un lavoro in caffetteria, Alexis. Sai quanti giovani ragazzi come noi vengono assunti e licenziati nel giro di un anno?”

Una lacrima le scese dal viso, mentre guardava da un’altra parte, sentendosi impotente: “Per telefono sembrava che fosse tutto a posto. Todd ha detto che potevo tornare…”

“Ha cambiato idea, dopo che ha saputo che saresti andata a stare da tua madre per la convalescenza.”

“Ma sono stata via pochi giorni?” insistette avvilita.

“Più di una settimana, Alexis. – precisò – Sai com’è fatto Todd: è uno stronzo!”

Arresa, mise le braccia conserte, guardando l’interno del Brew, attraverso il vetro.

Eric la prese e la abbracciò: “Ti aiuterò a cercare un altro lavoro, d’accordo? – si staccò, tirando fuori dei soldi dalla tasca –  Ah, dimenticavo  questo è quello che mi ha dato per tutta la settimana che ho fatto!”

Alexis si mise i capelli dietro le orecchie, imbarazzata: “N-non… Io non posso accettarli, ne hai bisogno anche tu!” indietreggiò, agitando le mani in senso di rifiuto.

“Ho preso questo posto per te, ok? Mio padre torna domani, ce la caveremo. Tu hai le spese del college e tua madre fa tre lavori diversi per aiutarti. – glieli mise nelle mani con la forza – Servono più a te che a me!”

Quella lo fissò, mortificata e con gli occhi lucidi e alla fine li accettò. Poi lo baciò.

“Dobbiamo parlare di quanto tu sia il ragazzo migliore di questo universo!” disse accennando un sorriso, dopo il bacio.

Lui rise: “Nah, sei tu la migliore!”

L’ennesimo sorriso e un lungo sguardo intenso, terminarono quell’incontro. Eric rientrò al Brew, mentre Todd arrivava proprio verso di lui, buttando un occhio verso la strada, attraverso le vetrate.

“Quella era Alexis?”

“Sì, era lei!” esclamò, strofinandosi le mani per il freddo.

“Come mai non è entrata? Pensavo volesse indietro il suo lavoro!”

“Ehm, in realtà, ha trovato un altro lavoro più vicino alla Hollis. Sembra proprio che resterò io qui!”

Mettendo le labbra a papera, metabolizzando la cosa, borbottò qualcosa dandogli una pacca sulla spalla: “Uhm, d’accordo, come vuole lei… - si allontanò - C’è un tavolo da pulire, comunque!”

“Sì, l’ho visto!” esclamò, dirigendosi verso di esso.

Poco prima di pulirlo con lo straccio che aveva sulla spalla destra, però, tirò fuori il suo telefono dalla tasca del grembiule, leggendo un particolare messaggio ricevuto qualche ora prima.

 

“Tieniti stretto il lavoro o la prossima volta la investo con un camper.”

-A

 

Eric deglutì malamente, per poi sospirare. Era riuscito ad allontanare Alexis con una bugia, ma il peso che portava sulle spalle era ormai troppo enorme. La sua fronte sudava freddo e la sua espressione era del tutto spenta, mentre rimetteva il telefono in tasca ed iniziava a pulire.

 

*

Vero sera, Rider, a casa sua, si affacciò un ultima volta fuori dalla sua stanza con aria furtiva. Voleva essere sicuro che nessuno fosse nei paraggi, così chiuse la porta e si diresse verso il suo letto. Si abbassò a gattoni, alzando la coperta che toccava il pavimento: rivelò una lunga bombola d’ossigeno, nascosta lì sotto.

Subito la tirò fuori, trascinandola lungo il pavimento, fino all’armadio; era talmente pesante che si sforzò esageratamente. Si asciugò il sudore, poi aprì gli sportelli, fece spazio e la posizionò lì dentro, coprendola con degli abiti.

Di nuovo in piedi, sbatte le mani fra loro sporche di polvere e riprese fiato. Improvvisamente, però, poco prima di chiudere le porte dell’armadio, intravide sotto ad altri abiti, il tablet dell’istituto di ingegneria elettronica che aveva rubato tempo prima. Si chinò a prenderlo allora, sollevandolo davanti al suo viso: i chip che avevano messo a tutti, sembravano tutti inattivi; tutti tranne uno.

“Ma che cavolo…???” aguzzò meglio la vista, su quel puntino rosso che lampeggiava sullo schermo.

Intanto, suonavano alla porta di casa. Con insistenza.

Rider si diresse immediatamente verso il comodino, dove ci trovò un blocchetto di post-it sopra, attaccandone uno allo schermo del tablet.

Dal corridoio, si sentì la voce seccata di Lindsay che si prestava ad andare di sotto ad aprire: “Ma nessuno sente che stanno suonando, in questa dannata casa?”

Rider, intanto, stava scrivendo su quel post-it.

“Controllare posizione sospetta nel bosco dopo il ponte.”

 

Quando finì di scrivere quell’appunto, mise il tablet dentro un cassetto e lo richiuse. Poi uscì fuori dalla sua stanza, andando dietro Lindsay.

Una volta di sotto, la ragazza era in piedi davanti alla porta, con qualcosa in mano. Davanti a lei non c’era nessuno.

“Chi è?” domandò Rider, scendendo l’ultimo gradino.

Quella si voltò un attimo, l’aria sconvolta. Poi uscì fuori, camminando per qualche passo e guardandosi attorno. Rider, incuriosito, si avvicinò per chiederle cosa stesse accandendo.

“Lindsay, ma che succede?”

Subito, lei, tornò indietro: una busta per gli acquisti tra le mani, molto colorata. Nervosa, tirò fuori ciò che c’era dentro e si prestò a spiegare. Si trattava di un abito celeste da neonato, accompagnato da un bigliettino.

“Ho aperto la porta e c’era questo! – Rider prese in mano il vestitino, mentre lei sollevava il biglietto – E’ un maschio, congratulazioni! –A!”

Rider la fissò attentamente, cercando di capire se stesse bluffando, ma sembrava davvero spaventata.

“Qualcuno deve aver scoperto della mia relazione con lui, sono rovinata!”

L’altro, convintosi che era seria, fu colto immediatamente da un cattivo pensiero; che altro non era che l’oggetto del messaggio: “Sei incinta, per caso?”

“NOO!” esclamò in maniera sonora.

“E allora che vuol dire?”

“E’ una frecciatina, Rider!” prese tutto dalle sue mani con foga e lo rimise nella busta, rientrando, prima che il fratello potesse rivolgerle un’altra domanda.

Quello rimase lì impalato, guardandosi attorno, il verso dei grilli nei cespugli e il sibilare delle luci nei lampioni. Finalmente rientrò anche lui.

 

*

 

Parcheggiato davanti a casa sua, Sam aveva il telefono all’orecchio e la testa poggiata al volante, l’aria abbastanza stressata; stava chiamando qualcuno.

Quando finalmente ricevette risposta, alzò immediatamente la testa.

“Pronto, Nat?” chiamò il suo nome, aspettando di sentire la sua voce.

“…Sì?” replicò l’altro, in un tono privo di vivacità.

“Ehm, scusa se ti disturbo, ma sei l’unico con cui posso parlare di questa cosa!”

“…Cioè?” sembrava distratto.

Sam se ne accorse: “Ma dove sei?”

“Sono in un market, prendo qualcosa per il ristorante; tipo qualche bottiglia di vino bianco!” ribattè, masticando delle patatine che prendeva poco alla volta dal pacco, poggiato dentro al carrello, mentre guardava verso gli scaffali.

“Cos’è questo rumore? Stai per caso mangiando qualcosa?”

“Sì, delle patatine e magari qualcos’altro da cucinare lì, prima di tornare a casa!”

“Un secondo, stai mangiando dentro ad un market?”

“Ho fame, non mangio nulla da stamattina!”

“Potevi pranzare alla mensa della scuola, no?”

“Sì, magari una fetta di torta al cioccolato, panna e pillole per il di cambio sesso!” esclamò, sarcastico.

“Nat, è assurda questa tua paranoia. A non può interferire con il cibo che ti verrà servito in mensa, non è David Copperfield!”

“Sta di fatto che quelle pillole si prendono dopo i pasti, ok? E per un mese e mezzo le ho prese senza che me ne accorgessi!” ribadì, isterico.

Sam sospirò, evitando di controbattere, cambiando discorso: “Comunque ti ho chiamato perché…mentre ero da Wesam, dal carcere mi ha chiamato Jasper: sta perdendo la testa!”

“Wesam, il tuo psicologo? – puntualizzò, una vena arrogante - Ora lo chiami per nome?”

“E’ rilevante? Dico, hai sentito cosa ti ho appena detto?”

“Sì sì, ho sentito! – esclamò seccato, per poi parlare tra sé e sé – Non sono mica sordo!”

Sam, perplesso dal suo atteggiamento, preferì sorvolare: “…Ok, ha minacciato di raccontare tutto quanto. Ci ha dato due giorni di tempo per tirarlo fuori di prigione, prima che inizi il processo!”

A quel punto, Nathaniel sembrò prendere sul serio la cosa e nella sua espressione si dipinse in un velo di preoccupazione: “…E-e cos’hai gli hai risposto?”

“Che gli dovevo rispondere, secondo te? Scusa, ma la vita non è come il monopoli, la carta “Esci di prigione al prossimo turno” non ce l’abbiamo?”

“Come pretende che in due giorni possiamo trovare un modo per tirarlo fuori di lì?”

“Beh, gli abbiamo fatto delle promesse l’ultima volta… - sbuffò, sotto stress – Abbiamo commesso un grosso errore a rivelarli tutto. Rider ci ammazza se lo scopre!”

“Rider è l’ultimo dei nostri problemi. Se Jasper parla, inizieranno ad indagare su di noi, tutto il caso verrà riesaminato!”

Ora, la voce di Sam tremava: “O-ok, ma a Jasper non abbiamo detto che eravamo con Anthony. Pensa che l’abbiamo solo visto o seguito, ha capito così, no?”

“Quello che Jasper pensa, non è quello che la polizia penserà. Loro faranno sicuramente due più due!”

Sam si portò una mano alla fronte, disperato: “Oh Dio, abbiamo combinato un casino!”

“Domani mi inventerò qualcosa, magari faccio un salto da lui in prigione e cerco di fargli cambiare idea, darci più tempo!”

“Buona fortuna, allora! Al telefono non sembrava così collaborativo.” la diede per una missione inutile.

“Ora vado, mi sto avvicinando alla cassa. Teniamoci aggiornati o come ti pare!” aggiunse, chiudendo bruscamente.

“Ma..??”

Sam non ebbe il tempo di replicare, restando a guardare basito il suo telefono per la fugacia dell’amico. Sospirando, buttò il telefono sul sedile di fianco, sdraiandosi sul suo, sollevando la testa in alto e abbandonandosi ai suoi pensieri, prima di rientrare a casa.

L’attimo seguente, il silenzio fu rotto da una notifica. Sam buttò giù la testa e lo prese dopo qualche secondo, esausto di averci sempre a che fare: si trattava di alcune email, che lesse ad alta voce.

Jim Gordon vuole uscire con te, rispondi al suo invito…  - con un dito, trascinò il messaggio nel cestino, abbastanza annoiato – No, grazie! – un’altra email, poi – Disponibile il box con le prime tre stagioni di The 100, entra nel sito per acquistare… - ci pensò su, poi trascinò anche quella email nel cestino – Non ho il tempo di vivere, figuriamoci una maratona di tre stagioni! – e, ancora, un’altra email – Brianna Santoni ti ha aggiunto al gruppo “Homecoming staff”…”

Sam, finalmente, si fece sfuggire un piccolo sorriso; sentiva tutto l’odio che per settimane aveva percepito nei suoi confronti, da parte degli altri studenti, svanire lentamente. Subito dopo, fu catturato da un’email che conteneva degli annunci. Ciò che risaltò ai suoi occhi, fu immediatamente quello del “Ginseng”, un locale gay che pare avrebbe ospitato una band abbastanza conosciuta.

A quel puno, fissò la sua abitazione, indeciso se scendere oppure no, stuzzicato da quell’annuncio. Poi tornò a guardare il telefono, pensando che aveva bisogno di quella distrazione, di quella serata; di un posto dove sarebbe stato solo Sam, un ragazzo qualsiasi di cui nessuno sa nulla. Fu per questi pensieri che non ci pensò due volte a buttare il telefono sui sedili posteriori, girando la chiave e partendo a tavoletta.

 

*

 

Nathaniel aveva appena chiuso il ristorante di suo padre, dopo aver mangiato da solo ciò che aveva comprato al market. Mentre camminava lungo il marciapiedi, indossava la stessa felpa grigia e gli stessi jeans che aveva indossato per tutto il giorno.

Dalla tasca tirò fuori il suo ipod, si mise le cuffie nelle orecchie e la musica lo accompagnò nella lunga corsa che iniziò. Corse ancora, ancora e ancora. Per due, tre isolati interi, senza fermarsi. Ormai aveva lo sguardo fisso sulla strada che aveva davanti, quasi in trance, mentre ripensava a tutti i problemi della sua vita. Quando attraversò la strada, non vide nemmeno l'auto che gli stava arrivando addosso;  se ne accorse solo quando la luce lo abbagliò e quando l'auto frenò ad un passo da lui.

"Ma chi cavolo ti ha dato la patente? - sbraitò Nathaniel contro il conducente, che non riusciva a vedere per via degli abbaglianti - Stronzo!"

Improvvisamente, la portiera si aprì e Nathaniel non fece un passo, aspettando di vedere chi era.

"Nathaniel?" non credette ai suoi occhi, Cameron, ormai fuori dalla vettura.

Indossava una camicia bianca, molto elegante.

L'altro si lasciò sfuggire una risata di incredulità: "Ma tu guarda...di tutta Rosewood, quasi mi facevo investire da un idiota!"

Confuso, lo squadrò dalla testa ai piedi: "Che ci fai in giro a quest'ora? Non sembri molto informa...Sai, stamattina passavo dalla palestra e ho assistito a quello che è successo con Morgan..."

"Mi tieni d'occhio, per caso?" lo fulminò, infastidito, facendo un piccolo passo verso la sua direzione.

"Ho detto che ci sono passato per caso davanti alla palestra. Solo perché so che sei gay, non vuol dire che tu sia l'unico al mondo."

Quello abbassò lo sguardo, rendendosi conto di aver esagerato. L'altro lo fissò in silenzio, per poi rivolgersi nuovamente a lui.

"Senti, vuoi un passaggio? So che abiti vicino a casa di Rider Stuart..."

"E tu che ne sai di dove abita Rider?"

"La smetti di trattarmi come un serial killer? Suo padre è uno scrittore abbastanza conosciuto qui in città e mia madre è una sua lettrice, una volta l'ho accompagnata a farsi autografare il libro."

Con un espressione leggermente meno sospettosa, sembrò ancora restio nell'accettare l'invito. Tuttavia, si avvicinò all'altra portiera.

"Non vuol dire che diventeremo amici, se accetto un tuo passaggio."

"È solo un passaggio, sta tranquillo."

Poco dopo, erano già per strada. Cameron era concentrato sulla guida, silenzioso. Nathaniel lo squadrava di nascosto, perplesso.

"Hai un appuntamento? Non avevi paura che qualcuno ti beccasse?"

Quello gli rispose senza togliere gli occhi dalla strada: "La notte proteggere i segreti, non lo sapevi? Nessuno sa dove sei, nessuno sa chi sei."

"Io so perfettamente chi sei!" puntualizzò, cercando di smontare la sua filosofia.

"Non vale tra persone che fino a poco tempo fa nascondevano lo stesso segreto... - finalmente lo fissò - Non ho paura che tu sappia chi sono!"

Nathaniel lo fissò in maniera profonda, come se volesse estirpare un dubbio appena nato: "...Perché Anthony non ti ha mai preso di mira? Se solo avesse saputo..."

"Lo sapeva!" rivelò, diretto.

"M-ma... - sgranò gli occhi, sorpreso - Insomma, era Anthony! Se lo sapeva, perché non ti ha mai umiliato?"

"Perché io sono come voi quattro: in qualche modo, li servivamo a qualcosa!"

"E tu a cosa gli sei servito, esattamente?"

"Diciamo che ho comprato il suo silenzio."

"Gli hai dato dei soldi affinché ti lasciasse stare?"

"Mi ha fatto capire che ne aveva bisogno per un suo progetto personale, ma non so di cosa si trattasse. Quindi gli ho offerto dei soldi, solo che...qualcosa mi dice che me li avrebbe chiesti lui, prima che glieli offrissi io."

"E noi a cosa li servivamo, esattamente? Perché eravamo così tanto speciali?"

Cameron lo fissò per un secondo: "Quello lo sapete solo voi, ma una cosa è certa: Anthony era solo amico di se stesso!" e continuò a guidare, mentre Nathaniel portava lo sguardo sulla strada, riflettendo su quanto appena detto.

 

*

 

Intanto, Rider, sdraiato a letto con un solo lume accesso, che illuminava la stanza, era al telefono con Eric.

"Che vuol dire che tua sorella ha ricevuto un regalo da A? È una sorta di messinscena, forse?"

"Non ne ho idea! - era confuso - Sembrava letteralmente spaventata, non stava recitando!"

"...Quindi un vestito da neonato?"

"Sì, un vestito da neonato! - ripetè isterico - Ho pensato subito che fosse incinta, ma ha detto di non esserlo. E ha aggiunto che qualcuno potrebbe aver scoperto della sua relazione con Brakner e che quel regalo era una frecciatina!"

"Ti prego, non dirmi che ci stai cascando? - assunse un tono incredulo e seccato - Questo è Brakner che cerca di confonderci le idee. Forse da quando siamo entrati nella panic room, sente di aver perso colpi e vuole depistarci."

"Non so... - si grattò il capo, combattuto - Diventa sempre più complicato. Questa mattina, A ha rimosso i bracciali a me e Sam trasmettendo quel suono con l’altoparlate della scuola."

"Bene, se prima non ne ero convinto, ora ne sono certo. A vuole tenerci d'occhio e sapere cosa combiniamo, sta perdendo il controllo."

"Dobbiamo stare con Nathaniel, lui è l'unico che ha ancora il bracciale. Se perde anche il suo, siamo di nuovo esposti e non avremo più modo di parlare in segreto."

"Possiamo rivolgerci di nuovo a..."

Rider lo intercettò subito: "No, Julie ci ha aiutati una volta e il nostro rapporto con lei è concluso. Vuole delle risposte e noi non possiamo dargliele: fine della storia!"

"Questa storia deve finire, Rider. - era a dir poco furioso - Oggi Alexis è venuta a riprendersi il suo lavoro. Un lavoro che Todd le avrebbe restituito, ma io dovuto raccontare delle bugie e quindi non l'ha ripreso!"

"Dovuto?"

"A ha minacciato che se non mi fossi tenuto il lavoro, avrebbe investito Alexis con un camper! - esclamò, isterico - Sai, quelle case a quattro ruote che si usano per andare in campeggio!"

Rider si massaggiò le tempie, in preda ad un forte mal di testa: "Sì, so cos'è un camper!"

"Bene! Solo che io non posso reggere questa situazione per molto. Mi sono allontanato dal gruppo perché ho perso il mio bracciale e ora scopro che anche voi li avete persi, perciò...dimmi che in tutto questo, avete pensato ad un piano in tutto il tempo che non ci siamo visti e sentiti!"

"Ehm...No, Eric. Non abbiamo pensato a niente."

"...fantastico!" esclamò, deluso e arrabbiato.

"...Buonanotte, Eric!" lo salutò, chiudendo subito dopo. Mortificato per avergli mentito, perché un piano ce l'aveva ma non poteva rischiare che qualcun altro lo ascoltasse

 

*

 

Sam, nel frattempo, era appena entrato al Ginseng, ritrovandosi nel bel mezzo della folla. Luci da discoteca, partivano dal soppalco e colpivano i clienti del locale, mentre i The kills  stavano suonando Doing it to death. Cercò subito di farsi strada tra i ragazzi, puntando al bancone. La luce era fortissima, quasi da far girare la testa. Finalmente, dopo essere andato a sbattere contro un petto bello largo, di un tizio altissimo ed essersi scusato, arrivò al bancone. Accasciandosi sopra di esso, come un naufrago sulla terraferma, ordinò subito qualcosa da bere.

"Un'aranciata...con ghiaccio!"

Il barman sollevò le sopracciglia, eseguendo, nonostante gli fosse quasi scappato da ridere.

Tuttavia, non tutti mantennero lo stesso contegno. Un uomo, alla fine del bancone, stava ridendo. Rumorosamente. Sam si voltò a guardarlo e non credette ai suoi occhi: era Wesam.

"Che hai da ridere?" fu poco amichevole, assai seccato.

L'altro cercava di porre fine alla sua risata, il bicchiere che tremava nella sua mano: "È solo che... - sfumò in un sorriso ancora divertito - non sei un tipo da posti del genere, tutto qui!"

"Uao, la seduta continua!" roteò gli occhi, voltandosi ad accogliere il suo drink analcolico.

Wesam si avvicinò di soppiatto, versando parte del suo drink in quello di Sam.

Naturalmente, l'altro reagì in malomodo: "Ma sei impazzito?"

"Fuori da quelle quattro mura, non sono più uno psicologo!"

"Fuori da quelle quattro mura, ho ancora diciassette anni! Per questo ho ordinato un'aranciata, idiota!" puntualizzò con un isterico sarcasmo, prendendo il suo drink e allontanandosi verso quelli che ballavano. Wesam restò lì fermo, di schiena al bancone, con i gomiti appoggiati, che lo fissava senza perderlo di vista.

Fuori dal locale, intanto, si era appena parcheggiata un auto: quella di Cameron.

Il ragazzo diede un colpo al petto di Nathaniel, che sembrava essersi addormentato.

"Ehi, Nathaniel!"

Quello si svegliò di scatto, spaventandosi: "Dove sono?"

"Ehm...non mi ricordavo esattamente in che via abitavi, perciò... - titubò con la testa in maniera scherzosa - Ho continuato a guidare!"

Nathaniel lo fissò a bocca aperta, per poi voltarsi a guardare fuori dal suo finestrino: ragazzi palesemente gay all'ingresso del locale e una musica fortissima che proveniva dall'interno.

"Mi hai portato in un locale gay???" si voltò immediatamente a sgridarlo, inebetito.

"Che male c'è? Sei gay anche tu, no? - non ne fece un caso, parlando con parsimonia - Divertiti con me, altrimenti aspettami qui; solo che ci vorrà molto tempo e avremo un passeggero in più al mio ritorno, spero."

"Non starò qui ad aspettarti e non entrerò con te! Tornerò a casa a piedi!" uscì dalla vettura, aprendo la portiera.

Anche Cameron fece lo stesso, cercando di fermarlo: "Ah, ho capito. È perché stai con Sam?"

Quello si fermò: "Io e Sam non stiamo insieme! - titubò, cercando di dare una spiegazione - È una cosa così! "

"Interessante! - trovò, portando in avanti il labbro inferiore e assumendo un espressione dubbiosa, che voleva essere una burla - Da inserire come status su facebook!"

Nathaniel lo trovò un insulso, pronto ad abbandonarlo. Quando si fiondò nella direzione opposta, però, andò a sbattere contro un ragazzo.

"Ehi, sta attento!" esclamò scontroso.

L'estraneo, più pacato, era mortificato: "Oh, scusami!" e dopo una rapida occhiata che lo convinse che era tutto a posto, tornò a camminare verso l'ingresso del locale, mentre Nathaniel lo stava ancora guardando. Anzi, osservando.

"Sbaglio o quello aveva un certo accento francese?" domandò a Cameron, che si stava avvicinando a lui.

"Vagamente, perché? - si fece scappare una risata - Ti piacciono i Francesi?"

L'altro, però, lo ignorò, alzando gli occhi sull'insegna del locale: "Il Giseng..."

"Sì, si chiama così!" confermò Cameron, non badando allo strano comportamento di Nathaniel, assai preso dall'uomo e dal posto in cui si era imbattuto.

Per lui sembrarono quasi delle coincidenze, che nella sua mente trovavano senso in un piccolo ricordo del passato. Per la precisione, alcune parole di Jasper, quando lui e Sam li fecero visita in prigione.

 

"La notte dell'omicidio stavo andando in un locale, il Ginseng...Un uomo, dalle parti di quel locale, mi ha chiesto se avevo da accendere, ma io non fumo, quindi gli ho risposto di no. Aveva un cappotto lungo e nero e una sciarpa rossa. Biondo e con gli occhiali. È l'unico che mi ha visto quella notte, ma aveva un marcato accento Francese."

 

Quando Nathaniel tornò in sè, ripeté le parole che gli erano rimaste più imprese, quasi sussurrandole: "Biondo e con gli occhiali... Marcato accento Francese...Ginseng..."

Camerono lo fissò assai stranito, quasi agghiacciato: "...Stai bene? Non sembri molto normale..."

L'altro lo afferò per la camicia, non badando alle sue osservazioni: "Portami dentro quel locale. Istruiscimi, dimmi cosa si deve fare una volta dentro!"

Con lo stesso sguardo di prima, gli rispose ancora più confuso: "Ehm...non ci sono istruzioni, devono solo piacerti i ragazzi!" marcò quell'esclamazione, trovando assurda la sua richiesta.

"Mh, bene!" borbottò, avanzando verso l'ingresso. Cameron, basito, rimase per qualche secondo impalato prima di seguirlo.

Una volta dentro, Nathaniel non fece altro  che puntare l'uomo Francese, senza mai perderlo di vista; quello, ormai, era già in pista che ballava con un uomo.

"Ti va se ci avviciniamo al bancone a prendere da bere? Vorrei rinfrescarmi, prima di abbordare!" suggerì Cameron.

Con la stessa violenza usata fuori, Nathaniel lo tirò nuovamente per la camicia con entrambe le mani: "Vieni, balliamo!"

"Okeeey, okey!" esclamò l'altro, trascinato in pista e in balia di lui.

A quel punto, Nathaniel, ballò davanti a Cameron, come se fosse il suo ragazzo, ma tenendo lo sguardo fisso sul Francese, la fronte sudata.

Naturalmente, Cameron seguì il suo sguardo e intuì.

"Ti piace il Francese, eh?"

"Sta zitto e balla!" gli intimò l'altro, costringendo Cameron a sbuffare e roteare gli occhi.

 

Dall'altra parte del locale, Sam si bloccò, nel bel mezzo della pista, quando vide Cameron. Con gli occhi sgranati per la sorpresa, accennò un sorriso compiaciuto nel vedere che era in compagnia di un ragazzo.

Immediatamente, allora, tornò al bancone, davanti a Wesam, prendendolo di punto in bianco per un braccio.

"TU! Vieni a ballare con me!"

Confuso, trascinò i suoi passi fino alla pista: "Non avevi diciassette anni?"

"No, ne ho ventisette adesso. Zitto e balla!" esclamò, facendo qualche mossa strana davanti a lui, che palesava il fatto che non era molto impegnato a ballare, ma a guardare qualcuno.

Wesam lo intuì e seguì il suo sguardo, mentre Sam, ormai, non poteva far altro che dire la verità: "Vedi quel ragazzo con la camicia bianca, che balla con quel ragazzo con la felpa grigia? Quello è Cameron!"

"Il ragazzo che ha chiesto alla tua amica di andare al ballo?"

"Sì, proprio lui. Se adesso ci avviciniamo un pò e tu ti tieni davanti a me, magari posso scattare una foto."

"Che infantilità!" trovò Wesam.

Sam smise subito di guardare Cameron e gli lanciò un'occhiataccia: "Non è infantilità, questa! È essere un buon amico!"

I due si guardano per qualche secondo negli occhi, ognuno con le proprie convinzioni. Alla fine, Wesam si arrese, indietreggiando: "Vieni, addentriamoci!"

Sam accennò quasi un mezzo sorriso, per essere stato ascoltato,ma cercò di non darlo a vedere, muovendosi con lui. Una volta più vicini, Sam tirò fuori il cellulare.

"Direi che siamo abbastanza vicini, resta davanti a me."

"Non mi sposto, non preoccuparti." disse con tono premuroso. Sam incrociò nuovamente il suo sguardo con il suo, per poi schiarirsi la voce per l'imbarazzo e puntare la fotocamera.

Pronto per fare la foto a Cameron e il suo accompagnatore, Sam osservava tutto dallo schermo. Prima di scattare, però, l'accompagnatore si voltò leggermente, rivelandosi essere Nathaniel.

A quel punto, sconvolto, Sam abbassò il telefono e guardò meglio: era proprio Cameron con Nathaniel. Fu così che Sam si diresse battagliero verso i due, lasciando Wesam da solo e confuso.

"Nathaniel?" esordì, allucinato.

Quelli si voltarono, entrambi sorpresi di vederlo.

"Ehi, Sam, ci sei anche tu!" esclamò Cameron, giocoso.

"Chiudi quella bocca!" lo aggredirono entrambi, Sam più isterico che mai.

"Che ci fai qui con Cameron?"

"Ehm...cerco di... - provò a rispondere, limitato dalla presenza di Cameron - Risolvere i nostri problemi!"

"Rimorchiando Cameron?" sussultò, allibito.

"Tu che ci fai qui, piuttosto?" ribattè Nathaniel.

Cameron stinse i denti, aspettandosi il peggio, convinto che i due si stessero tradendo a vicenda.

"Io...io... - anche Sam si ammutoli di colpo - Sono con un amico!"

"C-che amico? – strinse gli occhi, confuso, poi notò un ragazzo, poco lontano da loro, che guardava verso la loro direzione - Chi è quello?"

Sam era più imbarazzato che mai, ora: "Ehm...Wesam!"

Nathaniel, irrigidendosi, strinse gli occhi, fissandolo a lungo: "Wesam, il tuo psicologo?"

"È un caso che l'abbia incontrato qui!" si giustificò.

Cameron, lasciandosi scappare una piccola risata, si intromise: "È stato un caso anche ballare insieme?"

Sam lo fulminò immediatamente: "Stanne fuori, grazie."

A quel punto, Nathaniel ne ebbe abbastanza e lo prese per un braccio: "Senti, vieni con me!" e senza dargli il tempo di reagire, lo trascinò fuori dal locale, mentre Cameron e Wesam, abbandonati, si scambiarono un'occhiata sconsolata. Cameron, poi, non trovandolo così male, gli sorrise gli fece anche un’occhiolino.

 

All'ingresso, Sam si liberò dalla stretta dell'amico: "Senti, non ti sembra esagerata come reazione, portarmi fuori?"

Nathaniel, però, arrivò subito al punto: "Dentro c'è il Francese!"

"Il Francese? - sbigottì - Di che parli?"

"Quello del racconto di Jasper, il Francese che gli chiese se aveva da accendere!"

"...Non mi stai prendendo in giro, vero?" sgranò gli occhi, mettendosi una mano sul petto.

"È dentro, ci ho sbattuto addosso poco prima di entrare. La descrizione combacia: accento Francese, capelli biondi, occhiali!"

Sam andò nel panico: "Ok, che facciamo? Insomma, forse non si ricorda di Jasper!"

"Prima di tutto, dobbiamo scattare una foto chiara al Francese. Poi la porteremo in prigione e la faremo vedere a Jasper."

"Ho capito, vuoi guadagnare tempo!"

"Esatto. Diremo a Jasper che lo stiamo convincendo a testimoniare, ma, secondo me, gli basterà sapere che l'abbiamo trovato per tranquillizzarsi e tenere la bocca chiusa."

"E con il Francese come ci muoviamo?"

Nathaniel titubò, ma aveva un piano: "Sicuramente non vorrà immischiarsi in questa storia, perciò...uno di noi deve rimorchiarlo!"

"Cosa?" sussultò Sam, sbarrando gli occhi.

"È l'unico modo, Sam. Magari possiamo estorceli la testimonianza, registrando le sue parole. Traendolo in inganno!"

"E come pensi di estorcergli questa confessione? Con un C'era una volta, ti ricordi l'uomo pluriomicida a cui hai chiesto l'accendino?"

"Ti inventerai qualcosa, ok?"

L'altro tentennò, pensando di aver capito male: "I-io? Perché io?"

"Perché io non sono gay, Sam!" puntualizzò.

"Anche gli attori non sono gay, ma recitano ugualmente la parte!" replicò, acido.

"Senti, io non saprei neanche da dove iniziare!" gesticolò con le mani, abbastanza a disagio.

"Beh, dovrai inventarti qualcosa, perché sei l'unico che può farcela. - lo fissò negli occhi, cercando di convincerlo - Sei bello, alto, atletico...chi direbbe di no ad un ragazzo perfetto come te?"

"Ouh...grazie..." fece fatica a deglutire, arrossì.

"Se ci vai tu, abbiamo più possibilità. E poi...vi siete già scontrati prima e hai una scusa in più per avvicinarti a lui."

Finalmente, anche Nathaniel si convinse e annuì: "D'accordo, ci vado io!"

Sam accennò un sorriso, prima di rientrare: "Bene!"

 

E una volta rientrati, Sam si fondò su Cameron, trascinandolo in pista per un braccio: "Vieni, balla con me!"

Sorridendo divertito, si lasciò prendere: "Ok, mi sta anche bene, ma Nathaniel?"

"Ha da fare!"

"Con il Francesino, immagino! - sorrise ancora di più - Certo che avete una relazione bella aperta voi due!"

Sam sforzò un sorriso, mentre lo tirava fino al centro del vero movimento: "Non sai quanto!" e nel mentre, incrociò per un attimo lo sguardo di Wesam, che lo fissava serio da un punto del locale. Fu molto profondo quello sguado.

 

Nathaniel, intanto, aveva raggiunto il Francese al bancone. Era sudato per via del ballo e stava sorseggiando un drink ghiacciato.

Impacciato, Nathaniel si mise accanto a lui, sfoggiando il suo miglior sorriso.

"Ti sei ripreso dal colpo?"

Distrattamente, quello si voltò: "Oh, ciao! Sei quello che mi è venuto addosso prima, non è vero?"

"Che memoria!" lo adulò.

Il Francese gli sorrise, scrutandolo con interesse, ora che lo guardava meglio: "Non è successo molto tempo fa!"

Nathaniel si voltò verso il resto del locale, in una panoramica: "Trovato qualcuno di interessante?"

Quello lo fissò con un sorriso lussurioso, palesando la risposta"...forse!"

"Io sono Nathaniel, comunque!" rise.

"Edward!" e si strinsero al mano, guardandosi negli occhi a lungo.

 

Dopo diversi minuti in cui li aveva osservati, Sam li vide lasciare il locale insieme. Nathaniel ebbe giusto un secondo per fargli un occhiolino, che Sam ricambiò.

In tutto questo, Wesam, che ora ballava con un altro, non aveva mai smesso di tenere d'occhio Sam e notò perfettamente l'occhiolino che si era scambiato con Nathaniel, poco prima, trovando tutto molto strano.

 

*

 

La mattina seguente, Eric si stava svegliando. Strinse gli occhi esageratamente, come in preda ad un dolore fastidioso, poi aprì gli occhi e si sollevò. Per diversi secondi, rimase imbambolato a fissare la parete, ancora stordito. Improvvisamente, ebbe una strana sensazione di fastidio, che lo costrinse a portarsi la mano sulla guancia, nel punto in cui la percepì. Nel momento stesso, inclinò la testa in direzione del comodino, portando i piedi fuori dal divano letto. Nel guardare meglio la superficie del comodino, che la prima volta aveva guardato distrattamente, fece una raccapricciante scoperta: una siringa e una bottiglia di sonnifero a gocce, poggiava lì sopra.

Il telefono, che era proprio accanto, vibrò, ed Eric lo prese immediatamente, il volto pallido e l'ansia che cresceva, pronta ad esplodere in una reazione di panico al messaggio che stava per aprire.

 

"Pensi di essere furbo? Passa solo un altro centesimo alla tua ragazza e la prossima volta mi prendo anche il 24!"

 

- A

 

In allegato, sotto al messaggio, la foto di un dente appena estratto, dentro un piccolo contenitore: il suo.

 

Con gli occhi sgranati e la bocca secca, Eric si portò nuovamente la mano alla guancia e incantò il vuoto. Osservando nuovamente la bottiglietta di sonnifero, sgranò ancora di più gli occhi, ricordandosi di sua madre.

Immediatamente, corse nell'altra stanza, diretto verso la sua camera. Dovette, però, fermasi in cucina, quando si accorse che lei era proprio lì in piedi con una tazza di caffè, che guardava una soap opera in televisione.

Sudato e affannato, la chiamò: "Mamma!"

Quella si voltò tranquilla, non badando al suo chiaro disagio in volto, sorridendogli: "Ti sei svegliato presto, tesoro!"

"S-stai bene?" chiese, restando impalato e deglutendo malamente.

Quella titubò per qualche istante: "...Ehm, sì! Perché non dovrei?  - rise - Ho dormito così bene stanotte, non succedeva da tempo. - poi fantasticò, come una ragazzina, gli occhi al soffitto, le guance rosse - Sarà che sto così bene, perché oggi torna tuo padre! Mi è mancato davvero tanto..."

"Anche a me... - sussurrò in maniera malinconica, poi decise di congedarsi - Io vado a lavarmi i denti..."

"Ok, tesoro. Ti preparo la colazione!" gli sorrise ancora, mentre quello lasciava la cucina.

 

Quando fu in bagno, davanti allo specchio, provò una sensazione di timore mai provata prima. Sospirò, per poi aprire lentamente la bocca e tirare la guancia indietro.

Grazie all'illuminazione dello specchio, poté vedere che effettivamente gli mancava un dente, così richiuse immediatamente la bocca, respirando in maniera asmatica per ciò che gli era stato fatto. Ma soprattutto, che gli poteva essere fatto nuovamente. Fino all'ultimo dente.

 

*

 

Nathaniel era nella camera da letto di Edward, sempre in quella mattina. Era vestito, mentre l’altro, nudo, dormiva profondamente, con il lenzuolo bianco che copriva solo le sue parti intime e lasciava ben visibile tutto il resto del corpo. Lo fissò a lungo, in piedi davanti al suo letto, un’espressione seria che non lasciava trasparire i suoi pensieri o cosa fosse accaduto la notte prima. Aveva semplicemente un biglietto in mano, che poggiò sul comodino, con scritto sopra: “Grazie per la notte trascorsa insieme. Richiamami per quel pranzo!”.

Dopo, tirò fuori il telefono e gli scattò una foto. Poi un altra, prendendolo bene in volto. Subito dopo, lasciò l’appartamento. Silenziosamente.

 

*

 

Più tardi, a scuola, Eric e Rider scesero dall’auto di quest’ultimo ed erano diretti all’ingresso. Sam, arrivato prima per conto suo, li vide e si diresse verso di loro.

“Ehi, lo sapevate che Violet farà un’annuncio importante al ballo di stasera? Si è sparsa la voce!” esordì.

“Si sa di cosa si tratta?” domandò Rider, mentre Eric si torturava le mani, la mente completamente altrove.

“No, a quanto pare è una sorpresa!”

Rider roteò gli occhi, ridicolizzandola: “Pff, farà uscire un gruppo di colombe da un cappello?”

“Ehm…non ci escono i conigli dal cappello?” Sam strizzò gli occhi, perplesso.

“E’ magia, Sam. Dal cappello può uscire qualsiasi cosa!”

Subito dopo, Sam fu il primo a fare caso allo strano atteggiamento di Eric, molto silenzioso.

“Ehi, tutto bene? Sei pallido!”

Anche Rider ci fece caso, da molto prima di scendere dall’auto: “Già, che cos’hai? Volevo chiedertelo quando ti sono venuto a prendere, ma mia madre mi ha tenuto al telefono per tutto il tragitto e quindi non ho potuto chiedertelo.”

A mi ha staccato un dente e non ho capito completamente il suo messaggio!” rivelò, agghiacciando i suoi amici.

Sam sgranò gli occhi per primo, scambiandosi un’occhiata anche con Rider: “Come? Un dente?”

“Fammi vedere questo messaggio!” richiese Rider e quell’altro gli passò il telefono, lasciando che lo decifrasse.

“Perché avrebbe dovuto staccarti un dente? Adesso, A ha anche una laurea in odontoiatria?” trovò assurdo, Sam.

A mi ha costretto a prendere il posto di Alexis al Brew, ma quando ieri è tornata a Rosewood per riprenderselo, le ho detto che Todd non voleva più riassumerla, ma non è vero.”

A ti ha sicuramente minacciato, ma mi sembra che tu abbia seguito i suoi ordini alla lettera. Perché staccarti un dente?”

“Perché avrei dato il mio stipendio ad Alexis tutte le volte in cui Todd mi avrebbe pagato. Mi sembrava il minimo, visto che le ho soffiato il posto e che a lei serviva!”

Sam sospirò, dispiaciuto per lui, non aggiungendo altro, mentre Rider aveva appena finito di decifrare il messaggio.

“Immagino tu non abbia capito che significhi il 24!”

“Già, cosa significa che la prossima volta mi prenderà il 24?”

Rider si apprestò a spiegarglielo: “In odontoiatria, la bocca è suddivisa in arcate; quattro, per l’esattezza: superiore destra o sinistra, inferiore destra o sinistra.  Ogni dente ha una numerazione ben precisa. Il primo numero, corrisponde all’arcata e si conta in senso orario, mentre il secondo numero corrisponde ad un dente, a partire dall’incisivo centrale che è il numero uno e si conta all’indietro.

“Quindi… - Sam provò ad arrivarci da solo – Arcata superiore destra…”

Ed Eric, inquietato, completò: “…Premolare… - poi si alterò, nervoso – Vuole staccarmi un premolare, vuole staccarmi tutti i denti quel folle!”

Rider cercò di tranquillizzarlo: “Eric, non ti staccherà tutti i denti se fai come ti dice!”

“E con Alexis che faccio?” ribattè, isterico.

“Ehm… - Sam azzardò un consiglio – Secondo me, questo non è un momento buono per avere una relazione. Almeno finchè c’è A!”

Eric allora lo fulminò, attenuando poi lo sguardo, rendendosi conto che aveva ragione: “Non posso crederci… - scosse la testa, impotente e amareggiato -  Ha anche drogato mia madre con dei sonniferi…E ha scassinato la porta o magari ha una copia delle chiavi!”

“Probabilmente ha la copia delle chiavi di casa di tutti noi!” non se ne meravigliò, Rider.

Sam, a quel punto, gli fece una richiesta: possiamo vedere?”

E lui, dopo qualche secondo di titubanza, aprì la bocca, mentre gli altri due si avvicinavano per guardarci dentro.

Rider fu il primo a commentare: “Si vede la sutura gengivale…”

“Come ci è riuscito?” commentò Sam, impressionato.

“Guarda che non è così difficile?” replicò, mentre Eric teneva ancora la bocca aperta.

“Ah, davvero? – aggiunse Sam, sarcastico e preoccupato - Io so a malapena quali sono i primi due elementi della tavola periodica e dovrei saper suturare una ferita?”

Eric richiuse la bocca, dicendo anche la sua.

“Sarei dovuto andare a far estrarre quel dente settimane fa. Dovrei ringraziare A per avermi fatto risparmiato 45 dollari, ora?”

Ripresero a camminare, subito dopo, e i sospiri di Eric riempirono l’aria.

“Devo lasciare Alexis…Non ho altra scelta!” disse sconsolato.

I suoi amici lo fissarono, tristi per lui. Sam appoggiò una mano sulla sua spalla.

“E’ la cosa migliore, prima che A vi danneggi ancora di più!”

Improvvisamente, poi, ricevettero tutti un messaggio. Tutti e tre si guardarono poco sopresi, un’espressione seria. Sapevano già di chi si trattava.

 

“Jasper Laughlin sta per cantare e non è affatto una cosa positiva per nessuno di noi cinque. Indovinate chi non ha mantenuto la bocca chiusa…”

Allegato: una foto di Nathaniel e Sam davanti al penitenziario di Philadephia.

-A

 

In quell’istante, Sam sbiancò, alzando lo sguardo dal telefono per ultimo. Rider ed Eric erano già puntati su di lui, abbastanza confusi.

“Che diavolo significa questo?” domandò Rider, abbastanza cupo nel tono, girando il telefono verso di lui.

Fu la volta di Eric: “Tu e Nathaniel siete andati a far visita a Jasper?”

Sam deglutì malamente, la gola improvvisamente strozzata per la pressione che stava subendo in quella circostanza.

“I-io…Cioè, noi…” provò a sputare fuori qualche parola, con difficoltà.

“Noi, CHE COSA?” urlò Rider, a dir poco furioso, non lasciandogli la possibilità di esprimersi con calma.

Sam era pronto a spiegare, ma le loro facce erano chiaramente contrariate e i loro umori pronti ad esplodere. Nathaniel era proprio a qualche passo da loro, in quel momento, e tutti e tre si voltarono a guardarlo…

 

(CONTINUA  NELLA SECONDA PARTE)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



 

 

 

 

 

 





 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 11
*** 1x10-La sera del ballo (Parte II) ***


“SupernovA (Part II)”

 

Quando Nathaniel giunse davanti a loro, ingnaro di ciò che stesse accadendo, iniziò a parlare a ruota libera, non facendo caso alle loro facce scure e al chiaro disagio di Sam.

“Potete finalmente parlare in pace! – sollevò il braccio, mostrando il bracciale – Che mi sono perso?”

Fu Rider a prendere parola e non lo fece con toni amichevoli: “Ti sei perso che tu e il tuo amichetto Sam siete usciti fuori di testa!”

Tentennando con la testa, Sam replicò agghiacciato: “Amichetto? Ma come parli?”

Nathaniel accennò un sorriso confuso, fissando Sam ed Eric: “Che sta succedendo? E’ un nuovo gioco, questo?”

Allora Sam allungò il telefono sotto il suo sguardo e Nathaniel non potè che rimanere pietrificato, mentre anche Eric diceva la sua.

“Come avete potuto farci questo? Stiamo colando a picco se non ve ne siete accorti!”

“Volevamo scoprire chi fosse A, all’epoca. Ancora non sapevamo fosse Brakner e le cose ci sono sfuggite di mano!” provò a giustificarsi Nathaniel, meno teso rispetto a Sam.

Sfuggite di mano??? – urlò Rider, a dir poco allibito - Diciamo anche che avete perso completamente il cervello! Come vi è venuto in mente di dire ad un carcerato che… - titubò, dubbioso - Non so neanche cosa gli avete detto!”

Con un filino di voce, fu Sam a rendere noti i fatti: “…Tutto! Gli abbiamo detto dell’omicidio, di Albert, di A…Ci dispiace!”

A bocca aperta, Eric e Rider si guardarono esterrefatti.

“Io non ci sto credendo…” aggiunse quest’ultimo, dopo il silenzio che era calato.

“Sentite, sto per rimediare a questa cosa, ok? Jasper ha incontrato un Francese quella notte e noi l’abbiamo incontrato ieri in un locale. Grazie alla sua testimonianza, forniremo un alibi solido a Jasper e lui uscirà di prigione!” continuò Nathaniel.

Fu la volta di Sam, mentre quelli nemmeno riuscivano a guardarli: “E terrà la bocca chiusa su tutto!”

Rider, a quel punto, si lasciò sfuggire una risata: “Ma fate sul serio? – per poi reagire con toni aggressivi – Avete forse dimenticato chi ha fatto finire Jasper in prigione? Eh? Questa cosa non piacerà ad A e non permetterò che voi due roviniate i miei piani per salvarci il culo!”

Eric si voltò verso Rider, confuso: “Quale piano?”

Ma Sam prese parola prima di lui: “Vuole entrare di nuovo nella panic room. Stasera, mentre Brakner, Lindsay e Morgan saranno distratti dall’evento!”

“E quando pensavi di dircelo?” domandò Nathaniel, mentre Rider guardava male Sam.

“Voi pensate solo ad esserci, d’accordo? Io al contrario di voi, so mantenere un segreto!” ribatté in maniera distaccata, come se ora fossero estranei per lui.

“Oh, Rider, ne sono sicuro! – Nathaniel fu stufo del suo tono – Oltre a mantenere i segreti, hai anche un ottimo istinto e dei piani geniali!”

“Che vorresti dire, scusa?”

“Dico solo che ogni volta che tu hai un piano, noi finiamo per essere investiti sotto un treno, affogare nelle fogne o soffocare in una camera blindata!”

“Almeno io cerco di fare qualcosa di buono rispetto a voi, invece che andarmene in giro a fare la coppietta gay ed un threesome con un Francese!”

“Rider, ti ricordo che è stato A a renderci una coppietta gay, come dici tu!” puntualizzò Sam, offeso.

“Ma per favore, come se la cosa ti dispiacesse. Tu ADORI questa mossa di A, sbavi per Nat da sempre e non ti sembra neanche vero che tutto questo stia accadendo!”

Sam, a quel punto, gli tirò uno schiaffo, stanco delle sue parole forti, che lo ferirono profondamente.

“Non rivolgermi mai più la parola, Rider!” lo fissò dritto negli occhi, voltandosi e andandosene via con gli occhi gonfi di lacrime.

Rider non poté che restare immobile, accusando il colpo.

“Sei proprio uno stronzo. – aggiunse Nathaniel, furioso – Ecco la persona che sei in realtà!”

Eric si sentì in dovere di difenderlo: “E voi, Nat? Cosa siete, invece? Ormai non siamo più un gruppo, io non mi sento più parte di un gruppo…Da tempo, ormai! Tu e Sam pensate solo a voi stessi o non avreste mai fatto tutto questo da soli senza dirci nulla! – lo fissò negli, cercando di fargli capire la gravità delle loro azioni – Nat, avete messo nelle mani di un estraneo tutti i nostri segreti, tutta la nostra vita: LA NOSTRA LIBERTÀ; che ogni giorno cerchiamo disperatamente di non perdere per colpa di questo mostro!”

“E’ stato un errore, quello, ve lo giuro! – disse con il cuore in mano - Pensavamo di poter risolvere le cose per conto nostro e non darvi anche questa preoccupazione, ma A non ci dà un secondo di tregua e voi lo sapete quanto me che questo gioco sta diventando pensante e senza fine! – aveva gli occhi lucidi, ormai – Guardate cosa sta facendo a me: non dormo come una persona decente da almeno una settimana e ho paura anche a bere un semplice bicchiere d’acqua per paura che ci abbia messo dentro qualcosa!”

Con freddezza, fu Rider a concludere la conversazione: “A sta facendo qualcosa a tutti noi, non solo a te. Pensi che io riesca a dormire? Che A non possa mettere qualcosa nel bicchiere anche a me? – fece un breve stacco, notando che non aveva nulla da dire in contrario – Non fare la vittima, Nat, perché lo siamo tutti. Ora, l’unica cosa che puoi fare, è presentarti al ballo di stasera e fingere di non sapere che uno di noi entrerà nella panic room per mettere fine a questa storia!”

Insieme ad Eric, poi, scavalcarono Nathaniel, diretti verso l’entrata della scuola. Quest’ultimo, però, ebbe un’ultima cosa da dire a Rider e lo fece con uno sguardo assai serio.

“Buona fortuna, allora!”

Quello si voltò giusto un attimo, cogliendo l’ironia: ovvero che non ce l’avrebbe fatta a battere A.

 

*

 

Nell’aula della redazione scolastica, poco più tardi, Sam stava chiacchierando con Brianna, mentre tutti gli altri erano divisi in gruppi ad occuparsi di qualcosa.

“Quindi ce l’hai già una macchina con cui scattare le foto?”

“Si si, ne ho molte a casa. Un tempo facevo molte fotografie, ho vinto anche un premio una volta.” Spiegò lui.

Brianna annuì, non molto convinta: “Oh, ma certo, forse mi ricordo. Doveva essere il secondo o terzo anno…”

“Secondo!” confermò.

“Beh, allora mi fido della tua professionalità. In pratica dovrai scattare qualche foto qua e là, ma le più importanti sono quelle del Re e della Reginetta del ballo!”

“Naturalmente!” rise, seguito da lei.

“Fai più foto possibili e…mi dispiace che tu non possa goderti la serata come avresti voluto..” disse mortificata.

Quello agitò la mano, rasserenandola: “No, tranquilla, tanto non ci sarei venuto con nessuno…”

“Ah, no? – ne fu sopresa – Pensavo saresti venuto con Nathaniel, E’ per caso successo qualcosa?”

“Ehm…Diciamo che lui non si sente ancora pronto per questo passo. – rise, poi – In fondo, non è il ballo di fine anno questo. Possiamo anche saltarlo, no?”

Quella annuì, comprensiva: “Naturalmente!”

Sam, poi, colse l’occasione per dirle un’altra cosa: “Ascolta, Brianna, volevo dirti che ti ringrazio per avermi preso in considerazione per le foto. Dopo quello che è successo tra i miei amici e la scuola, non me l’aspettavo!”

“Il passato è passato, Sam. – gli sorrise – E poi sono certa che non eri davvero tu a parlare in quel video, ma Anthony che influenzava le tue parole…Ogni cattiveria partiva solo ed unicamente da lui. E vi costringeva ad essere come lui.”

“Credimi, non ero io.” aggiunse, quasi in dovere.

Brianna gli sorrise ancora una volta: “Tranquillo, è tutto a posto. Almeno con me. Tu pensa solo a fare delle belle foto e divertirti!” e se ne andò, congedandosi con un occhiolino.

Sam si sentì improvvisamente meglio, nonostante fosse ancora triste per la lite con Rider ed Eric. Alle sue spalle, in quell’istante, arrivò Nathaniel, che lo prese per un braccio, voltandolo.

“Ehi, hai un minuto?”

Tornando allo stesso stato d’animo di prima, lo salutò con tono spento: “Ehi, com’è finita poi con Rider ed Eric?”


“Ci odiano ancora, ma almeno avremo salvato un innocente dalla galera. Alla fine sta pagando per qualcosa che abbiamo in qualche modo commesso noi, no?”

“Nat, non farla sembrare improvvisamente un’opera di bene per non darla vinta a Rider. Non te n’è mai fregato nulla di Jasper, forse solo a me tra tutti voi….La verità è che abbiamo commesso un errore, fine della storia!”

“Non mi interessa? – quasi urlò, allibito - Sono andato a casa di un estraneo, ieri notte!”

“Per salvare noi, non Jasper!”

“L’ho fatto sia per noi che per lui!” ribadì.

“Ok, l’hai fatto per tutti quanti, ma… Com’è andata?”

“Lo vedo dopo a pranzo, non potevo passare al dunque dopo cinque minuti. Dobbiamo andarci piano!”

Sam, a quel punto, fu curioso di sapere i dettagli nottata: “Per caso avete…fatto…???”

“Sesso? – completò, lasciandolo sulle spine per qualche secondo – Ehm…a dire il vero, pensavo saremmo andati a letto appena arrivati a casa sua e invece…mi ha preparato una cioccolata calda, continuando a guardarmi dalla testa ai piedi…”

L’altro non riusciva a capire: “Insomma, avete fatto sesso o no?”

“No, ma…mi sono dovuto togliere i vestiti!”

“Ehm… - strabuzzò gli occhi, sempre più confuso – Che cosa sarebbe allora, sesso con gli occhi?”

“No, niente sesso! – precisò, seccato – Ha voluto solo che io gli facessi da modello!”

“Modello per cosa?”

“Per un quadro!”

“Dipinge?” ne restò meravigliato.

“Ha molti quadri nel soggiorno di casa sua, tutti ritratti di corpi maschili nudi. Tra due settimane ha una mostra e dice che si è sentito ispirato da me, così mi ha chiesto di posare per lui in varie circostanze!”

Sam si lasciò scappare una piccola risata: “C-che tipo di circostanze?”

“Non so, nel suo appartamento che mangio una mela, nel parco che leggo un libro tutto nudo sotto ad una quercia…cose così, sono quadri particolari!”

“E ti ha chiesto lui di vedervi a pranzo?” domandò, abbastanza a bocca aperta.

“Vuole pagarmi, ma in qualche modo cercherò di trovare un modo per dargli ciò che vuole e avere in cambio ciò che vogliamo noi!”

Non molto contento di questa vicenda, assai bizzarra da metabolizzare, Sam continuò con le sue perplessità: “Ok, ma sa quanti anni hai, almeno?”

“Gli ho detto che ne ho ventidue e ci ha creduto. Non sembro un diciassettenne, alla fine!”

L’altro sospirò, stanco e demoralizzato: “A questo punto, fai quello che devi. Voglio solo una fottuta vacanza dopo tutta questa maledetta storia di A!”

Nathaniel, vedendolo in pena, gli mise una mano sulla spalla e con l’altra gli sollevò il mento con tenerezza: “Ehi, non badare a quello che ha detto Rider. E’ stressato come tutti noi e magari ha esagerato…”

“Non so… - si mise a braccia conserte, ancora avvilito – Mi sento ancora molto ferito, non me l'aspettavo da Rider che mi parlasse in quel modo. Per un attimo ho rivisto Anthony in lui.”

“Già, anch’io, ma… - lo afferrò per le spalle, attirando il suo sguardo sul suo viso – Anche se in questo momento siamo divisi da questo litigio, rimaniamo comunque un gruppo con lo stesso obbiettivo: sconfiggere A! Ok? Vedrai che ci perdoneranno!”

“E saremmo noi a dover essere perdonati? Dopo quelle parole?”

“Un po’ ce le siamo meritate, abbiamo messo a rischio anche la loro vita! E’ normale che abbiano reagito così, anche noi due avremmo reagito così se la situazione fosse stata inversa.”

Sam se ne convinse: “Forse hai ragione, nemmeno io l’avrei presa tanto bene, ma al momento non voglio vederli.”

“D’accordo, ti capisco, ma dobbiamo essere tutti presenti stasera. Glielo dobbiamo!”

L’altro annuì: “Si si, sarò comunque qui, mi occupo delle foto!”

Nathaniel rimase leggermente di sasso: “…Ah, non avevo capito che…”

“Non te l’avevo detto?”

“Ehm…forse o forse no. Con tutto quello che succede è difficile ricordarsi le cose come queste!” sembrò deluso e Sam lo percepì.

“Nat, per caso volevi…???”

“Chiederti di venire al ballo? Perché no! – sorrise – Ormai l’abbiamo superato lo scoglio più duro con la scuola. Non siamo più una novità!”

“Mi dispiace…” Sam s'imbronciò.

“Verrò da solo, non preoccuparti. – gli sorrise ancora - Anzi, ci verrò con mia zia Courtney!”

“D’accordo, va bene. Allora ci vediamo stasera, sperando che Rider ce la faccia!”

“Speriamo!” esclamò, provando ad essere positivo. I due si guardarono un’ultima volta, un accenno di sorriso e poi si divisero lungo quel corridoio.

 

*

 

Più tardi, nel pomeriggio, Rider era in soggiorno, con un taccuino poggiato sul tavolino, che riportava un elenco di numeri. Egli li stava provando uno alla volta, barrandoli subito dopo aver messo giù il telefono. Sembra assai seccato.

“Ehm, pronto, Brenda? Sono Rider Stuart e mi chiedevo se avessi già un accompagnatore per il ballo… Ah, ci vai con lui?...Ok ok, capisco, non ti preoccupare! – rise – Buona serata, grazie lo stesso!” e mise giù, amareggiato, barrando anche il suo numero, sbuffando davanti al taccuino, che non aveva altri numeri utili.

Improvvisamente, alle sue spalle, arrivò suo padre. I suoi passi sul parquet lo rivelarono immediatamente.

“Come mai nessuno ha ritirato la posta stamattina?” esordì con in mano svariate lettere prese dalla cassetta della posta.

“Mamma non ritira mai la posta, lo sai che è sempre di fretta, mentre Lindsay a malapena sa che esiste una cassetta delle lettere per ogni abitazione…”

“E tu che scusa hai?” domandò, sollevandosi gli occhiali dalla punta del naso.

“Cerco una ragazza che mi accompagni all’Homecoming, ma… - sollevò il taccuino con i numeri barrati – Non ho avuto molta fortuna!”

Robert sospirò, scuotendo la testa, in pena per il figlio: “Ahh, noi Stuart…Intelligenti, ma mai vincenti!”

“Non dirmi che anche tu avevi difficoltà al liceo! – rise, mentre il padre faceva già delle smorfie a confermarlo – Ho visto le tue foto da adolescente, Papà, non eri niente male!”

“Beh, gli uomini della nostra famiglia hanno sempre portato gli occhiali. All’epoca non era molto fico portarli, rendeva i miopi, come me, tanti giovani Clarke Kent assai goffi e poco ambiti dalle ragazze…”

Rider rise ancora: “Guarda che ancora oggi, portare gli occhiali, è ancora da goffi Clarke Kent o non sarei qui a pensare di flirtare con una lampada da soggiorno per la disperazione!”

“Molti modelli di Abercrombie portano gli occhiali, lo sai?” tentò ancora di sollevare la sua autostima in modo teatrale.

“Papà, io non sono un modello di Abercrombie. – sorrise rassegnato - A stento ho mezzo addominale e non sono nemmeno altissimo!”

“Allora cambia, Rider! Nulla è impossibile, basta solo spostare alcuni frammenti del nostro essere per avere una nuova combinazione!”

Rider ci rifletté su, per nulla incline al discorso ed un sorriso spensierato: “A me piace la combinazione che sono, stranamente…”

“E io sono fiero di sentirlo. – gli sorrise - Noi genitori non vogliamo che cambiate, in realtà, ma vi sosteniamo comunque…”

Improvvisamente, dopo quelle ultime parole, il sorriso di Rider sfumò, colto un pensiero che voleva esternare.

“…Se Lindsay un giorno ti dicesse di essere incinta, cosa le diresti, considerata la sua età?”

Spiazzato dalla domanda, provò a rispondere con un’iniziale vena sarcastica: “Sperando che tua sorella non sia davvero incinta, lei direi che…Dovrebbe tenerlo! E’ fatta, non si torna più indietro. Hai creato qualcosa che è destinato ad essere e non puoi sopprimere l’esistenza di qualcuno come nulla fosse. Le direi anche di non darlo in affidamento, perché un figlio non si abbandona mai, a meno che…”

Rider restò a guardare incantato suo padre, catturato dalle sue parole, ma quando si bloccò, gli venne spontaneo capire cosa avesse: “A meno che?”

Cercò di riprendersi, leggermente provato: “Ehm, niente, è solo un tema molto forte. Molti anni fa mi è capitato di assistere ad un abbandono, in un altra famiglia: un bambino!”

Quello tentò di ricordare invano: “Non ricordo di questa vicenda, di che famiglia parli?”

“Non puoi ricordare…avevi solo quattro anni!  Era il figlio di un nostro vicino!"

Curioso, Rider volle saperne di più: "E che fine ha fatto questo bambino?"

Robert sembrò restio a volerne parlare: "Ehm, aveva molti problemi e così i suoi genitori hanno dovuto allontanarlo!"

"Mi sembra una storia assai familiare, sai?" pensò, strabuzzando gli occhi.

"Ha ispirato uno dei miei libri!"

Rider si ricordò, schioccando le dita: "Ah, sì, Il bambino al di là del cancello?”

Suo padre annuì forzatamente, quasi a disagio, mentre l'altro continuava.

"Deve averti colpito molto questo bambino per ispirarti un libro."

"Ogni tanto lo lasciavano da noi e giocava con te e Lindsay." accennò un sorriso.

Non più così interessato, Rider alzò dal divano: "Beh, forse è meglio che vada ora. Ho un evento a cui partecipare da solo!"

L'altro, però, sembrò avere una buona notizia per lui: "Ah, dimenticavo, sta arrivando Tasha!"

"Ehm.. Tasha, mia cugina?" domandò confuso.

"Sì, l'ha chiamata Lindsey. Pare che all'Homecoming ci sarà un vecchio ragazzo che frequentava al liceo."

Rider non poté che sorridere di felicità: "Sono a posto, allora. Tasha mi adora, verrà al ballo con me senza pensarci due volte!"

Suo padre annuì con ovvietà: "Per questo te lo sto dicendo!"

"Grazie per avermelo detto dopo undici chiamate umilianti! - esclamò sarcasticamente, dirigendosi verso il corridoio, esterno al soggiorno - Vado a prepararmi, ciao!"

"Buona serata, figliolo..." gli fece un cenno, tornando a guardare le lettere che aveva in mano. Un espressione malinconica, legata al racconto di poco prima, regnava ancora sul suo volto.

 

*

 

Nathaniel si presentò all'appuntamento con Edward, che lo stava aspettando da almeno mezz'ora, seduto ad uno dei tavolini esterni al ristorante, leggendo il giornale. Poggiando lo zaino alle spalle della sedia, si sedette rapidamente con il fiatone.

"Ciao, eccomi, scusa il ritardo!"

Edward si accorse di lui solo quando sentì la sua voce e subito mise via il giornale, guardando l'orologio.

"Pensavo non venissi più, ero già nel pallone per la paura di aver perso il mio modello migliore!"

Nathaniel rise, sgranando gli occhi: "Addirittura il migliore?"

Quello sorrise: "Evidentemente la mia fama non mi precede, del resto Rosewood è una città così disconnessa. Comunque sia, sono un pittore abbastanza rinomato e so quando un soggetto è migliore di un altro."

"Rinomato?" ripeté la parola che l'aveva più colpito.

"Sì, ho fatto molte mostre a New York!"

"Ouh, quindi sei abbastanza conosciuto!" esclamò abbastanza sorpreso, pensieroso.

"Volevo parlarti del prossimo posto da usare come scenario. Appena fuori da Rosewood ho visitato un bellissimo parco, molto illuminato di notte. All'interno c'è questa sontuosa fontana molto larga..."

Quello lo fermò subito: "Un parco, hai detto? Dovrei posare nudo in un parco pubblico?" sussultò con poco entusiasmo.

"Non ci sarà nessuno quando ci andremo noi. Dovrai soltanto sdraiarti lungo il bordo circolare della fontana e naturalmente...ti pagherò molto per questa seccatura!"

Nathaniel, a quel punto, sospirò, mettendolo al corrente di una cosa: "Ehm, ascolta, prima che sia troppo tardi, volevo dirti che in realtà...ho diciassette anni!"

L'altro rimase assai impassibile: "E allora?"

"Ma... - la sua reazione lo spiazzò - non sei sorpreso?"

"Ieri sera, quando sei andato in bagno, il tuo portafoglio è caduto dalla tasca dei pantaloni. Immaginavo avessi mentito sulla tua età, chiunque lo farebbe per soldi, così per curiosità ho dato un'occhiata ai tuoi dati anagrafici!"

Anche se Nathaniel aveva mentito sulla sua età per altri motivi, lo fece passare per quello: "In effetti...Scusa!" sorrise mortificato.

"Non stiamo facendo nulla di male, non siamo stati a letto o altro. E, come ti ho detto, non ci sarà nessuno in quel parco a tarda notte. Faremo velocemente."

"Bene! - annuì, mostrandosi tranquillo - Quando ci andiamo?"

"Che ne dici di stasera?" propose a bruciapelo.

"Purtroppo non posso, ho l'Homecoming!" mostrò i denti stretti, mortificato.

"Domani?"

Nathaniel sorrise: "Domani è perfetto!"

L'altro ricambiò, sollevando il menù: "Ok, ordiniamo? Da quando sono qui ho bevuto solo mezzo bicchiere di vino ed ho bisogno di carboidrati!"

"Certo!" esclamò prendendo anche il suo menù.

 

*

 

Sam stava salendo allo studio di Wesam, mentre controllava le chiamate perse, sperando che non ce ne fosse una di Jasper dal carcere. Quando fu davanti alla porta, mise la mano a pugno, pronto a bussare; ad un certo punto, però, non bussò, prendendosi un attimo e ripensando alla lite con Rider: la vicenda lo rattristava ancora molto. Scacciati tutti i pensieri, finalmente pronto, la porta si aprì ancora prima che il suo pugno toccasse la porta.

Sam si ritrasse, sorpreso. Wesam si affacciò.

“Oh, eccoti! - controllò l’orologio – Ti aspetto già da cinque minuti. Dai entra!”

L’altro deglutì, abbassando lo sguardo, un tono mortificato: “Ehm… - si grattò il capo – Ascolta, oggi non posso davvero entrare, sono venuto a dirtelo di persona perché non conosco il tuo numero. Se l’avessi chiesto a mio padre, mi avrebbe sicuramente fatto mille domande, perciò…”

“Bastava cercarlo nell’elenco telefonico, ma… - era confuso, quasi preoccupato dal suo aspetto assai titubante e malinconico  – Che succede?”

“Niente, è solo che sono nello staff dell’Homecoming e devo correre a casa a preparare l’attrezzatura: mi occuperò delle foto!” spiegò, sbattendo le palpebre come fosse un tick, un tono altalenante e nervoso.

Wesam restò alquanto interdetto, ma non poté che assecondarlo: “D’accordo, Sam. Va bene!”

Sam accennò un sorriso di ringraziamento, indietreggiando e pronto ad andarsene: “Non mi dire niente, ma puoi non dire a mio padre che ho saltato anche questa seduta? Vorrei evitare un’altra discussione con lui.”

“Finirò per essere pagato per un lavoro che non sto facendo!” esclamò sarcastico.

“E’ l’ultima volta, te lo prometto!” concluse, mettendo il piede sul primo gradino.

Wesam lo fermò al volo, ricordandosi una cosa: “Ah, Sam, aspetta!”

Quello tornò sul pianerottolo: “Sì?”

“Ho una cosa per te! – tirò fuori il telefono dalla tasca – Immagino ti farà piacere!”

Lui si avvicinò, curioso, mentre quello gli mostrava qualcosa: una foto di lui e Cameron che si baciano fuori dal locale.

Sam inclinò la testa, strabuzzando gli occhi: “C-che sarebbe questo? Che significa?”

“Una prova da mostrare alla tua amica!”

“Chi ha scattato la foto?”

“Un tipo a cui l’ho chiesto!”


Sam se ne restò sbigottito: “E hai baciato Cameron solo per farmi un favore?”

“Tecnicamente ha mentito sulla sua età, quindi niente crimine per l’inconsapevole adulto! – sorrise – Devo dire che non è stato difficile, quel Cameron passa da un fiore all’altro con molta facilità!”

“Beh, sì…” non sapeva cosa dire.

Wesam, non riuscendo a capire se Sam era contento o arrabbiato, cercò di giustificarsi: “Ascolta, so quanto ci tenevi a questa prova da mostrare alla tua amica, perciò spero che tu non mi giudichi male…”

“Ouh, no! – esclamò, tranquillizzandolo – L’ho apprezzato molto, invece. Per Cameron è sicuramente routine andare con chiunque e di qualunque età, probabilmente…”

“Ti mando la foto?”

Sam, allora, prese la penna di Wesam dalla tasca della sua camicia e poi prese la sua mano, scrivendo il suo numero sul palmo della sua mano.

Wesam lo fissò, quasi incantandosi, mentre l’altro alzava lo sguardo ogni due cifre che scriveva, incrociando il suo.

Quando finì, ce ne fu ultimo, che lo imbarazzò a tal punto che dovette arretrare nuovamente.

“Io devo proprio andare adesso. Puoi mandarmi la foto su quel numero, ok?”

Quello, accennando un sorriso, fermo davanti alla porta, annuì: “O lo faccio o mi sono fatto sporcare la mano di inchiostro per nulla!”

Sam si fermò nuovamente, mostrandosi improvvisamente mortificato: “Ah, Wesam, a proposito di ieri…Perdonami se ti ho lasciato in quel modo!”

Quello apprezzò, pur restando neutro nell’espressione: “…Niente scuse, puoi fare quello che vuoi in un locale pieno di ragazzi. E poi non ho quindici anni, Sam. Di certo la mia vita non ruota di fronte a queste sciocchezze. Ho comunque passato una bella serata.”

Sam annuì, sentendosi stupido: “Ah, ok allora! – gli fece un cenno con la mano – Ciao!”

L’altro gli sorrise soltanto, continuando a fissarlo finché non scomparve in fondo alle scale. Immediatamente, la sua espressione cambiò di colpo, diventando seria.

Richiuse la porta, tornando nel suo studio, aggiornando la sua agenda.

“Puoi uscire, se n’è andato!” esclamò, mentre scriveva.

La porta del bagno, alle sue spalle, si aprì: a rivelarsi, fu il padre di Sam.

“Come mai non ha fatto la seduta?” domandò Carter, mentre l’altro si voltava, alquanto distaccato, quasi infastidito dalla sua presenza.

“Tuo figlio è nello staff dell’Homecoming, non l’hai sentito?”

“No, non l’ho sentito! Dovevi farlo entrare!”

“Ah! – esclamò con enfasi – Quindi non solo mi mandi nei locali a rimorchiare dei minorenni. Adesso li devo anche molestare?”

“Sei coperto per tutto quello che stai facendo e lo sai!”

“Non mi piace lavorare per la polizia in questo modo. Hai attirato tuo figlio in quel locale con una falsa email, ti rendi conto?” replicò.

Carter si avvicinò quasi ad un palmo dal suo naso: “Tu non lavori per la polizia, ma lavori per me!”

“E fino a quanto dovremmo spingerci, se posso chiedere.” restò lì davanti a lui, non temendolo.

L’altro fece un passo indietro, più calmo: “Conosco mio figlio da tutta la sua vita e so che c’è qualcosa che non quadra, qualcosa che lo sta spaventando a morte al punto che non sembra più la stessa persona di prima.”

Wesam deglutì, sospirando. Poi prese la sua agenda e la diede in mano a Carter.

“Nella seduta di ieri, Sam è uscito fuori per parlare con qualcuno. Quelle che vedi scritte sono alcune parole chiave della conversazione.”

L’uomo era letteralmente inquietato da ciò che stava leggendo, mentre l’altro volle sapere a cosa stesse pensando.

“Chi è Jasper? Lo conosci?”

“Ehm… - si grattò il capo, fingendo di non saperlo – Non ne ho idea, forse dovresti scoprire di più!” concluse, sudando freddo, puntando lo sguardo in vari punti della stanza, molto pensieroso.

Poco convinto dal tono di quello e il suo comportamento, tralasciò: “E A? Hai idea di cosa possa significare?”

“Non lo so, forse è l’iniziale di un nome o è legato a qualche numero…” rispose distrattamente.

“Sai, ho avuto come la sensazione che Sam stesse parlando di A come se si trattasse di una persona. In genere, però, non parli di quella usando la sua iniziale. A meno che…”

Carter lo fulminò con lo sguardo, il tono aggressivo: “A meno che, COSA?”

L’altro sgranò gli occhi, non aspettandosi questa reazione: “…Niente, interpretavo solo la cosa. Se parli di qualcuno utilizzando la sua iniziale, significa che non vuoi che si sappia chi sia o che non vuoi che qualcuno ascolti quel nome.”

L’uomo, sempre più nervoso, decise di andarsene: “Ascolta, qualunque cosa ti dica Sam, tu devi dirmela subito! E non fare mai parola di quello che ti dice con nessuno, eccetto me. Intesi?”

“A chi dovrei dirlo? Verrei radiato dall’albo, c’è la privacy sulle sedute che tengo con i miei pazienti!”

Carter non rispose, limitandosi ad una lunga occhiata che lo tradì, perché Wesam riusciva a capire ogni comportamento umano; soprattutto i pensieri. Immediatamente l’altro uscì dallo studio, senza nemmeno salutare o aggiungere altro.

Wesam si sedette alla scrivania, digitando su Google le parole: “Jasper + processo”.

Ciò che uscì, furono articoli legati all’omicidio di Anthony Dimitri e suo padre e all’arresto di Jasper Laughlin, sotto accusa di omicidio.

A quel punto, l’uomo si tirò indietro con la schiena, fissando la parete. In qualche modo, intuì che Carter intendeva di non far parola con nessuno, riferendosi alla polizia.

 


*

 

Più tardi, al Brew, Eric controllava l’orologio in continuazione. Da dietro al bancone, continuava a guardare la strada, attraverso i vetri delle porta d’ingresso, come se stesse aspettando qualcuno. Improvvisamente, quella porta si aprì ed entrò Julie; solo che non era sola, ma in compagnia del Professor Palmer.

Quelli si diressero verso il bancone, lui li accolse con un largo sorriso.

“Salve, signorina Orlando! – poi fissò l’uomo – Professor Palmer!”

“Ciao, Eric!” esclamò lei, ricambiando il sorriso. Palmer gli fece un cenno.

“Volete prendere un tavolo?”

“Sì, ehm… - ella si voltò verso l’uomo – Sebastian, tu va pure a sederti. Ordino io! – gli sorrise – Ormai so cosa ti piace!”

L’altro le sorrise, assai invaghito. Eric spostò lo sguardo fra i due, notando la loro intesa.

“D’accordo, sorprendimi su quanto mi conosci!” e si allontanò, cercando un tavolo.

Quando furono soli, Julie si avvicinò ancora di più al bancone ed Eric cambiò tono, bisbigliando.

“Devi aiutarci, Julie!”

“Che c’è, Rider ha deciso che sono di nuovo dentro?”

“No, ma mentre tu continui ad avere appuntamenti caldi con il nostro professore, noi ci siamo divisi!”

Inizialmente seccata dalla battutina, volle saperne di più: “Avete litigato?”

“Sam ha diciamo violato una regola che Rider imponeva con te e ha detto troppo ad una persona. Quasi tutti noi abbiamo perso il bracciale e temiamo che A ci ascolti di nuovo.”

“Quindi?” rispose indifferente, cercando di capire dove volesse andare a parare.

“Quindi aiutaci, non hai qualcosa che faccia al caso nostro?”

“Ti ricordo che A ha rubato metà delle mie cose in quel sotterraneo!”

“Oh, andiamo, abbiamo visto il tuo appartamento: hai molta più roba di quella!” insistette, non bevendosela.

Quella si arrese, sbuffando: “D’accordo, al ballo di stasera vi porterò qualcosa!”

“Con chi ci vieni?”

“Con Sebastian, con chi se no?”

“Fai sul serio con lui?”

L’altra rispose con gli occhi a cuoricino: “E’ un uomo così pieno di interessi, galante e soprattutto molto affascinante. Perché non venire con lui?”

“Ascolta, ti parlo per esperienza personale: non inoltrarti troppo in una relazione con A nei paraggi!”

A perseguita voi, non me.”

A perseguita qualsiasi cosa si muova intorno a noi, Julie!”

“Beh, fin’ora mi ha solo derubata. Evidentemente mi teme!”

“Fossi in te, non lo direi ad alta voce!”

Julie, per nulla intimorita, si aggiustò la borsa sulla spalla, indietreggiando: “Noi siamo al tavolo, Pam sa già cosa prendiamo di solito! – gli fece un occhiolino – A stasera!”

Eric annuì, l’espressione poco positiva. Ad un certo punto, il suo sguardo volse nuovamente verso la porta: fuori si era appena fermato un taxi, un uomo assai familiare ne uscì.

Improvvisamente lo riconobbe, sgranando gli occhi: era suo padre. Con il grembiule addosso, Eric corse fuori dal Brew, attraversando la strada come un cieco, troppo felice per fermarsi. Mentre stava prendendo la sua valigia dal bagagliaio assieme al tassista, Eric si fece sentire alle sue spalle.

“Papà!” urlò di gioia, facendolo voltare.

“Eric! – gli sorrise – ma che…”

Ma non gli diede il tempo di finire, che gli saltò addosso, abbracciandolo forte. Intanto il taxi stava ripartendo.

L’altro rise, quasi soffocato, la valigia accanto alle gambe.

“Accidenti, Eric, non sono stato in Iraq!”

Finalmente si staccò, mantenendo un sorriso gioioso: “Lo so, ma è così bello riavere un padre!”

“Strano abbraccio, dev’essere stato un mese infernale per voi. – suppose, stranito -  Anche se tua madre, al telefono, sembrava molto serena ultimamente.”

“Beh, ora è più felice da quando lavora da Valeriè!”

Mentre ne parlava, quel sorriso scomparve, come quando cerchi di mantenere la schiena dritta, ma poco dopo sei già incurvato, senza accorgertene. Suo padre fece caso a quel cambio di espressione.

“Se ora state bene, allora cosa c’è?”

“Niente, è solo che ora studio e…” fece in modo che seguisse il suo sguardo, sugli abiti che indossava.

“Mmmh…o hai trovato un lavoro o mi sono perso una nuova moda!”

Eric rise: “Lavoro al Brew, un grembiule non farà mai tendenza se non lo indossa Nicki Minaj o Justin Bieber!”

A quel punto, l’uomo prese la valigia dal manico, alzandola da terra: “Non so, c’è qualcosa di diverso in te!”

Quello scosse la testa, confuso: “Sono sempre io!”

“Quell’abbraccio che mi hai dato… - ci rifletté su, rimasto colpito - E’ come se avessi urlato in una spiaggia deserta, sperando che qualcuno ti sentisse. Che io, ti sentissi.”

Lui rise ancora una volta, esternando quanta più serenità possibile: “Mi sei solo mancato, Papà.”

L’uomo, alla fine, se ne convinse: “Beh, d’accordo…Anche voi siete mancati a me. E ho molte novità!”

Eric rimase a fissarlo, curioso, mentre attraversavano finalmente la strada.

Saliti all’appartamento, Jennifer era ormai attaccata al collo del marito da diversi minuti, quasi in lacrime per la gioia. Eric restò a braccia conserte, vicino alla porta, a guardarli, di nuovo posseduto da un sorriso.

“Daniel, sono così felice. Non hai idea di quanto sia stata dura accettare tutti questi cambiamenti…” sussurrò quella, mentre lui la staccava dolcemente.

“Ora sono qui, non dovete più preoccuparvi di nulla! – spostò lo sguardo tra i due – Sedetevi, ho alcune cose da dirvi!”

E quelli, guardandosi, eseguirono, mettendosi comodi sul divano. Lui, davanti a loro, iniziò a parlare.

“Il lavoro a Riverton, inizialmente, non si prospettava qualcosa di migliore rispetto al posto che avevo qui. Per voi, però, ho accettato. Quello che non vi ho detto, è che le mie capacità hanno parecchio impressionato gente che lavora ai piani alti e…”

Con gli occhi sgranati, Jennifer era lì che voleva sapere e non sopportava quella suspense: “E…???”

“Ho ricevuto una grossa promozione, un’offerta che proprio non mi aspettavo. In definitiva, sono nel consiglio di amministrazione di questa nuova azienda emergente.” concluse con il sorriso di un vittorioso.

Jennifer si portò una mano alla bocca, guardando Eric, pronta ad esplodere.

“Esattamente…quanto ci siamo rimessi in sesto?” chiese la donna, ancora incredula.

“La nostra vita tornerà quella di un tempo. Anche migliore!”

Quella gli saltò addosso, in festa: “Oh mio Diooo!”

Eric stava ancora metabolizzando: “Ok, ma…con quello che è successo con la società del Signor. Lincoln? Non sanno niente?”

“Sanno tutto, sono stato onesto. Hanno detto che chiunque, in quelle condizioni, avrebbe tentato quelle manovre.”

“Fantastico, ma io dovrei tornare giù al Brew!” esclamò, avvicinandosi alla porta.

Suo padre, però, lo fermò: “Aspetta, ti perdi la parte migliore!”

“C’è una parte migliore di questa?” domandò sua moglie, ancora in fibrillazione.

“Verrete a vivere tutti a Riverton con me!”

A quella notizia, Eric restò letteralmente a bocca aperta, mentre la madre sembrò apprezzare anche questa.

“I-io non so davvero cosa dire, mi sembra un sogno!”

Eric, ovviamente, contestò il suo entusiasmo: “Ma, Mamma, hai il tuo lavoro da Valerìe, che adori!”

Quella fece un gesto con la mano che stava a simboleggiare una cosa da poco, con disgusto: “Che fingevo, di adorare! Rachel è tipo Miranda de Il diavolo veste Prada e io ingoio la mia voglia di mandarla a quel paese dal primo giorno!”

Di stucco, Eric sembrò quasi contrario a questo brusco cambiamento: “Ma io ho il lavoro al Brew, la scuola, i miei amici…”

“Potrai lavorare in un Brew di Riverton, andare in una nuova scuola e avere nuovi amici!” suggerì Daniel con facilità, mentre Jennifer era al suo fianco, al settimo cielo.

L’altro rispose in maniera irritata: “Non esiste un Brew a Riverton e nemmeno i miei amici!”

Suo padre percepì immediatamente il suo palese disappunto e reagì con fermezza: “Voi siete la mia famiglia, Eric. E la mia famiglia va dove ci sono io! Quando avrai una famiglia anche tu, capirai questo concetto!”

Mettendo il muso, Eric aprì la porta, pronto ad uscire: “Siamo proprio tornati alle origini, eh! Peccato che questa vita non mi piace più e che iniziavo ad adorare questa!” e uscì, sbattendola, sotto lo sguardo sbigottito dei genitori.

Quando fu tra le scale, intento a tornare al suo posto di lavoro, ricevette un messaggio.

 

“Prova a lasciare Rosewood e l’incubo si sposterà a Riverton.”

-A

 

Eric si fermò bruscamente, guardandosi alle spalle e appoggiandosi alla balaustra per guardare in alto, sugli altri piani. Agghiacciato e non vedendo nessuno, non capì come la sua conversazione con i suoi genitori fu ascoltata.

 

*

 

Molto più tardi, quasi alla fine del pomeriggio, Rider, nella sua stanza, teneva stretto tra le mani il telefono di Eric, mentre l’amico era davanti alla finestra più teso che mai.

“Quindi te ne vai così? – Rider cercò di metabolizzare la cosa, per poi sottolineare un cavillo – Lo sai che non puoi farlo, A deve ancora capire chi di noi è coinvolto nel misterioso crimine commesso da Anthony. Per non parlare dell’obbligatoria legge del contrappasso che dobbiamo scontare per aver investito Albert con la macchina!”

L’altro si voltò bruscamente e nervoso, conoscendo perfettamente la situazione: “E che cosa vuoi che faccia? Che dica a mio padre di non trasferirci a Riverton perché un pazzo vuole fare una collana con i miei denti se provo a lasciare la città?”

“Beh, A non ha aggiunto questo nel messaggio!”

“Non importa, Rider. Se la punizione non è un dente staccato, sarà sicuramente un dito, i capelli rasati a zero o qualche altra cosa da malati!”

“Quindi sei sicuro che A non fosse nascosto nelle scale?”

“Non ho visto nessuno, forse siamo tornati ai vecchi tempi, prima di conoscere Julie. Magari quando è entrato ieri in casa mia la scorsa notte, ha lasciato qualche microfono nascosto!” esclamò assai provato.

“Sono stanco di questi microfoni nascosti, sai?” pensò Rider, seccato.

“E lo dici a me?” marcò con le sopracciglia sollevate.

Improvvisamente, il telefono vibrò tra le mani di Rider, che distrattamente guardò il contenuto del messaggio appena ricevuto.

“Alexis ti ha mandato una foto… - gli passò il telefono – E’ a casa tua ed è davvero sexy!”

“E’ con mia madre che prova l’abito per stasera!”

Lesse poi il messaggio:

“Grigio tu, grigio io: ora abbiamo gli abiti coordinati. Ti aspetto per stasera. Baci, A.”

Rider notò subito l’angoscia che aveva negli occhi: “Che farai con lei?”

“La lascio dopo il ballo, non ho altra scelta…” rispose con il magone, mentre guardava la foto di Alexis felice e raggiante con il suo vestito indosso.

Quel silenzio che seguì, fu poi interrotto da strani rumori provenienti dall’altro lato della parete.

Eric sollevò lo sguardo dal telefono, domandando cosa fosse: “Che succede? Cos’è questo rumore?”

“E’ solo la mia cuginetta Tasha che lancia scarpe contro il muro. A proposito, lei sarà la mia accompagnatrice: sorpresa!” rimase sul letto a gambe incrociate, con un espressione che forzava l’entusiasmo.

“E perché lancia scarpe contro il muro?”

“Perché quelle che ha scelto un’ora fa in boutique non le piacciono più. E, a quanto pare, non ama nemmeno i gusti di Lindsey!” spiegò scialbo, introducendo alcune caratteristiche di sua cugina.

“Sembra molto esigente!” pensò Eric.

“Non solo è esigente, ma stasera mi userà anche per far ingelosire un ragazzo che frequentava al liceo e che sarà al ballo!” marcò l’assurdo, sollevando le sopracciglia.

“Suppongo che questo ragazzo non sappia che siete cugini!”

“Supponi bene, anche se Tasha tende a sopravvalutarmi troppo. Non rappresento questa grande minaccia! – ironizzò, alzandosi, diretto verso la porta – Dai, vieni, te la presento!”

L’altro, però, lo fermò per un braccio, cambiando del tutto argomento: “Ehi, aspetta! – catturò la sua attenzione – E’  una cosa seria quella con Nathaniel e Sam? Insomma, io non sono più così arrabbiato con loro. A ci mette sotto pressione ogni giorno…Dovevamo aspettarcelo che alcuni di noi avrebbero ceduto prima o poi, no?”

Rider divenne subito serio, non appena nominati gli altri due: “Sì, Eric, è una cosa seria! Talmente seria che non riesco a concepire che abbiano ceduto in maniera così stupida.”

“Quindi non vuoi più parlare con loro?”

“L’unica cosa che ci lega, ora, è solo A. Se mai parlerò nuovamente con loro, sarà solo per parlare di quel mostro!” e dopo una una lunga occhiata seria con l’amico, aprì la porta ed entrambi lasciarono la stanza.

1

*

 

Parcheggiato in un viale, Carter Havery teneva d’occhio un’abitazione con molta preoccupazione in volto, mentre stringeva in mano una lattina di birra che stava consumando poco a poco; continuava ad essere tormentato da ciò che suo figlio nascondeva e che poteva compromettere la sua intera vita.

Improvvisamente, una macchina entrò nel viale e parcheggiò proprio davanti a quella abitazione: si trattava di Chloe.

La ragazza scese dall’auto, aprendo la portiera posteriore e tirando fuori il suo abito, rinchiuso nella plastica. Carter mandò giù l’ultimo sorso di birra e buttò la lattina sul sedile accanto, scendendo dall’auto.

A passo rapido, raggiunse la ragazza, che ormai si stava avviando verso il portico di casa sua, senza essersi accorta della sua presenza.

Carter, quasi alle spalle, la chiamò.

“Ehi, Chloe!”

Quella si voltò, abbastanza sorpresa: “Signor Havery… Che ci fa qui?”

“Stai per andare al ballo, vero?” chiese, sforzando un sorriso, come se volesse fare un po’ di conversazione prima di arrivare al punto.

“Ehm...direi!” rise per l’ovvietà, ancora confusa dalla sua visita.

“Ci vai con Sam?”

L’altra titubò, raccontando una bugia: “In verità ci va con un’altra ragazza, molto carina!”

Carte alzò la mano, fermandola: “No, tranquilla, non c’è bisogno di mentire. So già che Sam è gay!”

Stupita, sgranò gli occhi: “Lo sa? Allora perché mi ha chiesto se ci andavo con lui?”

“Come amici, intendevo… - poi fece caso alla sua reazione – Strano che Sam non ti abbia detto che me l’ha detto. E’ per questo che va dallo psicoterapeuta, portava dentro questo peso.”

“Ehm, in verità me l’ha detto, ma con tutti gli impegni che ho avuto, devo averlo scordato per un secondo…” mentì ancora, mentre dentro di sé si sentiva seccata per essere stata esclusa da Sam ancora una volta.

Quello non se la bevette: “Sicura? Va tutto bene fra voi? E’ da molto che non ti vedo a casa nostra a fare qualche maratona di uno dei vostri telefilm preferiti!”

L’altra si grattò il capo, trovando l’ennesima scusa: “Ho i corsi alla Hollis, sono davvero estenuanti! – spiegò, angustiata, facendo caso, subito dopo, all’orario – Ora, comunque, devo proprio andare!”

Carter, però, era affamato di risposte e non la lasciò andare via, fermandola per un braccio.

“Chloe, perché ti sei allontanata da mio figlio?”

Quel gesto risultò quasi aggressivo, più che disperato. Lei non potè che sbigottire di fronte a tutto ciò: “Di che sta parlando, gliel’ho già detto!”

Il nervosismo e la paranoia dell’uomo furono sempre più evidenti: “Eravate sempre uniti e ora non sai nemmeno che Sam mi ha rivelato di essere gay….Ti sei allontanata per qualcosa che ti ha detto? Ti sei spaventata per qualcosa che hai scoperto su di lui?”

“Io non so nulla di tutto questo, Signor Havery. So solo che Sam è strano e che non sembra più la stessa persona di prima. – poi lo fissò dritto negli occhi, confusa dalle sue parole – Perché dovrei aver paura di lui?”

Nemmeno Carter aveva una risposta a quella domanda; o forse conosceva la risposta, ma non era in grado di dirla alta voce: “I-io non saprei…Ho notato che è strano, come dici tu!”

“Se ha dei problemi, sono sicura che lo psicoterapeuta potrà aiutarlo. Ora, però, devo proprio andare!” si liberò dalla presa dell’uomo, voltandogli le spalle ed entrando in casa.

Quello rimase lì impalato, divorato da un unico pensiero, riguardo quella telefonata tra Sam e Jasper Lauglin scoperta da Wesam: complici nell’omicidio dei Dimitri?

 

*

 

La sera del ballo era ormai giunta, Sam era davanti all’ingresso della scuola, con la sua Canon al collo, che scattava foto alle coppie che arrivavano poco a poco. Si potevano sentire la musica e le risate, provenire dall’interno; ciò fece sbuffare Sam, che non vedeva l’ora di poter entrare anche lui.

Improvvisamente arrivò qualcun altro, un gruppo di quattro persone. Quando Sam si voltò a vedere chi fosse, non fu molto entusiasta di apprendere che si trattavano di Rider ed Eric, accompagnati da Alexis e Tasha. Anche loro ebbero una reazione, nel vederlo; Eric era a disagio, mentre Rider impassibile e serio.

Tasha, ovviamente, si fece subito protagonista della scena, fiondandosi verso l’ingresso senza aspettare: “Io vado dentro a cercare voi sapere chi, perciò fatela voi la foto! Addio!”

Alexis, sapendo che Sam era loro amico, pensò di lasciarli tra loro, alzandosi il vestito lungo: “Io la raggiungo, ho visto una fiaschetta nella sua borsa, perciò vado a salvarla!”

“Grazie! – esclamò Rider – E ricordale che stasera sono io il suo accompagnatore e non sé stessa ubriaca!”

Eric, però, non la lasciò andare senza farle l’ennesimo complimento: “Ehi, sei bellissima!”

Quella sorrise: “Anche tu…” poi si voltò e riprese a camminare, facendo un cenno a Sam, quando gli passò accanto.

Quest’ultimo fece finta di guardare altrove, mentre Eric si avvicinava, Rider alle sue spalle: “Ehi, Nat è arrivato?”

“Ci conosciamo?” replicò Sam.

Rider non stette in silenzio, infastidito da quel tono: “Ti stiamo parlando solo per A, ok?”

“Sta per arrivare, Rider. Rilassa il tuo cervello!” continuò Sam, guadagnandosi uno sguardo fulminante.

Proprio in quell’istante, arrivò anche Nathaniel, in compagnia di sua zia Courtney attaccata al braccio di Pete.

“Uh, c’è l’amico secco di Nathaniel che fa le foto! – esclamò quella, euforica, tirando l’uomo – Vieni Pete, facciamoci una foto come se fossimo sul red carpet!”

Eric e Rider si fecero subito da parte, mentre Sam si dedicava a fare la foto ai due, super sorridenti.

Scattata, Courtney si voltò verso il nipote.

“Nat, noi entriamo, ti aspettiamo dentro!”

“Ok!” rispose quello, avvicinandosi a Sam.

Quando rimasero soli, una certa distanza si interponeva tra i due gruppi. Gli sguardi si incrociavano a tratti.

“Era ora che ti facessi vivo!” Rider spezzò il silenzio, arrogante.

“Guarda che sono in orario!” replicò Nathaniel, calmo, mentre Sam lo scrutava dalla testa ai piedi, trovandolo molto elegante.

“Beh, quando sei l’unico a portare il bracciale anti-A, hai una certa responsabilità, non credi?” continuò quell’altro.

Sam si infastidì: “Non starai esagerando, adesso? Sei arrivato due minuti fa!”

Quello, roteando gli occhi seccato, si avvicinò di più a loro, così come Eric, bisbigliando: “Non fissatemi quando saremo dentro. Tenete d’occhio mia sorella, Brakner e Morgan. Per il resto, ci penso io, non seguitemi per nessun motivo!”

“Sam mi ha detto della bombola d’ossigeno, non è troppo pensante da portare?” domandò Nathaniel a Rider.

“Non è così enorme, ce la posso fare. Appena inizierà il ballo, approfitterò della confusione per sgattaiolare via, poi tornerò qui nel parcheggio a prendere il borsone!”

“C’è anche un borsone? Che altro c’è dentro?” fu il turno di Eric.

“Tanti piani B! Si presume ci sia una seconda porta da aprire e se c’è un codice, dovrò ricorrere ad altre opzioni!”

Sam, allora, sbigottì nel riflettere su quali possano essere queste opzioni: “Non avrai mica una bomba in quel borsone, vero?”

Quello, però, fu vago: “Posso solo dirvi che la mia carta di credito ha risentito di queste piccole spese!” concluse, allontanandosi da loro, pronto ad entrare.

Il suono di un messaggio appena ricevuto, riempì l’aria: era arrivato sul telefono di Sam.

Rider tornò indietro, mettendosi accanto ai suoi amici intorno al telefono.

“Supernova…”

-A

 

Eric fu il primo ad esprimere il suo disappunto: “Supernova? Che significa?”

Anche gli altri erano assai confusi. Rider preferì non dare retta a quel messaggio, staccandosi dal gruppo.

“Sono stanco dei suoi messaggi senza senso. Sta solo delirando perché noi siamo qui a parlare e non può sentire quello che ci diciamo!” esclamò di spalle, mentre percorreva l’entrata.

Anche Eric decise di andare: “Beh, io vado da Alexis… Buona fortuna a tutti noi per stasera, allora…” e se ne andò, dopo che quelli avevano fatto un cenno con la testa.

Mentre lo guardavano entrare, Sam espresse un suo pensiero: “Eric dovrebbe aspettare a lasciare Alexis. Magari le cose vanno secondo i piani e vinciamo noi!”

Nathaniel lo fissò, serio: “O magari non vanno secondo i piani e vince A!”

Quella prospettiva mise angoscia a Sam, che preferì non pensarci più.

“Vedo che non sei venuto con altre persone…”

“La scuola sa che sto con te, perciò non voglio tradirti!” esclamò accennando un sorrisino.

“E tua zia? Magari si aspettava che ci venissi con una bella ragazza. Non temi che possa scoprire di noi, qui?”

Molto tranquillo, spiegò: “Le ho detto che ero ancora provato dalla storia delle pillole e che avevo bisogno di una pausa dall’universo femminile di cui stavo per far parte. Per quanto riguarda il fatto che possa scoprire di noi, a lei non importa se mi piacciono i ragazzi o le ragazze. Cioè, all’inizio è sempre un colpo, ma… - cercava di trovare le parole, con molta spensieratezza - lei mi accetterebbe comunque, qualsiasi forma io abbia.”

Intenerito dal suo modo di parlare della zia, puntualizzò ugualmente la realtà: “Ma a te non piacciono i ragazzi, Nat. Perché permettere che creda a qualcosa che non sei?”

Quello ci rifletté, sorridendo ancora per quelle domande così pressanti: “Sai, è quasi come una recita, questa…Entro sempre più dentro questa parte, che mi sembra quasi vera. – rise, mentre quello lo ascoltava fin troppo attentamente – Buffo, vero?” concluse, avanzando.

“Entri di già?” gli domandò l’altro, ancora confuso da quel discorso.

“Dobbiamo!” esclamò senza voltarsi.

Sam lo raggiunse, poi, ma non prima di fermarsi ancora a pensare all’ambiguità di quel discorso, che non lasciava intendere nulla; o almeno, non totalmente.

 

*

 

[Canzone corrente: Dua lipa – Be the one]

Sam era davanti al piccolo bar allestito in un angolo della palestra, ormai irriconoscibile per via delle scenografie, l’aggiunta di un palco, i drappeggi, i lustrini, la postazione Dj e le luci; gli studenti, ex studenti e altri invitati, muovevano qualche passo in pista con i loro bicchieri in mano e una risata che accompagnava i vari gruppetti che si erano formati.

Finalmente il drink arrivò, ma prima che lui potesse sorseggiarlo per fare una pausa dalle foto, qualcuno gli bussò alla spalla.

Sam si voltò, sorpreso: era Chloe.

“Ehi, ti stavo cercando…”

Quella, però, sembrava assai furibonda.

“Ah, mi stavi cercando? E per cosa?”

“Perché volevo mostrarti questo! – tirò fuori il telefono, mostrando la foto di Cameron che bacia Wesam – Non volevo ferirti quando ti ho detto quella cosa su Cameron. Cercavo di proteggerti!”

“Sam, dannazione, lo sapevo! – urlò indignata, isterica – Non avevo bisogno di sentirmelo dire da te, ok?”

“Ma allora… - era confuso, mentre spaziava con lo sguardo – Perché sei venuta al ballo con lui?”

“Perché ero stanca di essere Chloe friendzoned e tu lo sai meglio di chiunque altro. Scegliere di venire con lui, il ragazzo più popolare della scuola, è come cancellare un pezzo della mia storia dalla mente di tutti. Ora che Anthony non c’è più, non c’è più niente che mi ricolleghi a quella ragazza etichettata come patetica sfigata che viene rifiutata da tutti i belli a cui va dietro.”

“Tu non sei patetica!”

“E invece lo sono ancora, Sam. Mi ci sento, quando il tuo migliore amico non ti dice di aver fatto coming out con suo padre. – ne parlò con gli occhi lucidi, il magone evidente – Perché mi hai tenuta allo scuro di una cosa così importante? Sarei dovuta essere la prima a saperlo e invece sono sicura che i primi a saperlo sono stati i tuoi nuovi e strettissimi amici. Ormai non sono più l’unica, come un tempo…”

Sam, anziché essere triste per lei, si soffermò stupidamente su un altro dettaglio: “Come l’hai scoperto?”

Quella accennò un sorriso malinconico, per niente stupita dalla sua insensibilità: “Persino tuo padre non sa più chi sei. E, comunque, lo scoperto da lui!” rivelò, per poi andarsene.

“Chloe, aspetta!” cercò di inseguirla, ma ormai era scomparsa tra la folla, che aveva già riempito la pista nel mentre.

Lui, però, non si arrese finché non andò a sbattere contro il petto di un uomo. Con sua grande sorpresa, era Wesam.

“E tu che ci fai qui? – domandò, staccandosi rapidamente - Sei ovunque!”

“Ho solo accompagnato una mia amica, fa la professoressa qui!”

Mentre guardava la folla, Sam lasciò perdere Chloe, rilassandosi un attimino, ma restando comunque triste per quella spiacevole discussione.

“…Comunque, che professoressa?”

“Miranda Crox!”

“Ouh, certo, la conosco…Però insegna nelle classi dell’ultimo anno!”

Wesam, allora, mise una mano al lato della bocca, si avvicinò e bisbigliò: “Non dirlo in giro, ma è una paziente!”

“Davvero?” pensò, meravigliato.

“Vive con tre gatti che ha chiamato Do, Re e Mi ed è ossessionata dalle sue storie d’amore passate!”

“Beh, è un’insegnante di musica, c’era da aspettarselo! – rise – E poi, Taylor Swift ne ha fatto una carriera di successo sulle sue storie d’amore, perciò chissà!”

L’altro scoppiò in una risata spontanea, dimenticandosi di tutti i dubbi che aveva su Sam dalla visita di suo padre: “Ti va se ci avviciniamo al bar a bere qualcosa? Male che vada sono il tuo psicoterapeuta che ti sta dicendo che la seduta del martedì è spostata a venerdì!”

Sam lo fissò a lungo, un sorriso furbetto: “Ammiro la tua sfacciataggine…a volte penso che lavori per mio padre, visto che non hai per niente paura di finire in galera!”

Wesam reagì con una risata isterica: “E’ solo un drink, non ti terrò mica la mano!”

E alla fine si avviarono; ormai Sam stava iniziando ad abituarsi alla sua presenza e forse la trovava anche piacevole.

 

*

 

[Canzone corrente: Awolnation - Woman Woman]

 

Eric e Alexis si stavano avvicinando alla pista, pronti a ballare la nuova canzone della serata. Julie, facendosi strada tra i ragazzi, si avvicinò a loro, prendendo Eric per il polso.

“Ehi, vieni un attimo con me!” lo prese alla sprovvista, tirandolo.

Alexis, strabuzzando gli occhi, lo trattenne, rivolgendosi alla donna: “Scusami?!”

Eric cercò subito di chiarire la situazione: “Ehm, Alexis, lei è la nostra consulente scolastica. – Julie le sorrise forzatamente, voleva fare in fretta - Doveva darmi una cosa, perciò…”

“Già, ci vorranno due minuti!” aggiunse quella.

Alexis, però, sembrò ancora infastidita e restia a mollare il suo ragazzo: “Ma c’è il ballo delle donne, ognuna deve portare il proprio accompagnatore in pista e ballare intorno a lui!”

“Beh, sono una donna anch’io. Vorrà dire che ci perderemo i primi minuti!” continuò Alexis, tirando Eric verso la sua parte.

Il ragazzo si liberò finalmente dalla stretta della sua ragazza, mettendole una mano sulla spalla, dolce: “Faccio in un secondo, d’accordo?”

Quella annuì in maniera sforzata, non nascondendo il suo broncio, mettendosi a braccia conserte.

Eric e Julie si allontanarono, osservati ancora da lei con occhio sospettoso.

Usciti dalla pista, raggiunsero Nathaniel, in piedi in un angolo a fissare qualcuno con insistenza, mentre faceva girare il ghiaccio nel suo drink con lente rotazioni del polso.

Julie, incurante della sua distrazione, cominciò a parlare, mettendo le mani dentro la sua borsa: “Ho quello che volevate, ora vi spiego come si usa.”

“No, Nathaniel non sa niente ancora e nemmeno gli altri. – le disse, per poi girarsi verso l’amico, ancora distratto – Nathaniel!”

Quello finalmente diede retta ai due, ritrovandosi subito confuso: “Che c’è? Perché siete qui?”

“Che stavi guardando? - Eric decise di seguire il suo sguardo, accorgendosi di Sam dall’altro lato della pista – Ah, guardavi lui e… - non riconobbe la persona di cui era in compagnia – Chi è quell’uomo?”

“Il suo psicoterapeuta!” esclamò, fulminando l’uomo con lo sguardo, mentre mandava giù l’ultimo sorso del drink.

“E che ci fa qui il suo psicoterapeuta?” trovò strano.

“Bella domanda!” replicò, assai seccato. Eric notò un sentimento di gelosia nella sua voce e nella sua espressione.

Intanto, Julie, aveva tirato fuori uno strano arnese.

“E’ molto semplice da usare, c’è un tasto on/off e dovete semplicemente passare la parte con la piastra di metallo su una superficie o su voi stessi, in modo da scoprire se avete cimici addosso o altro con cui A potrebbe spiarvi!”

Quella, poi, lo mise in mano ad Eric, che lo scrutò attentamente.

“Sembra quasi che tu abbia spaccato a metà una piastra per capelli e ci abbia dato solo un pezzo!”

“Infatti quella è una piastra per capelli del 2007 spaccata a metà! – confermò – Ovviamente l’ho modificata per un altro tipo di scopo che chiaramente non è lisciare i capelli!”

“Interessante!” annuì Eric, impressionato, mentre Nathaniel non batteva ciglio.

“Bene, allora io torno da Sebastian. Non rompetela, ci ho lavorato tre ore!” li avvertì, lasciandoli soli.

Mentre le ragazze della scuola continuavano a ballare divertite intorno ai loro accompagnatori, i due continuarono a parlare.

“Meglio che dai quel coso a Rider, lui ha un borsone. – suggerì Nathaniel – Non possiamo mica tenerla in mano tutta la sera. Penserebbero che siamo dei terroristi o chissà cosa!”

“No, è meglio che Rider non sappia che ho chiesto un favore a Julie o perderebbe la calma. Deve essere concentrato per entrare nella panic room.” Sottolineò, nascondendo la piastra alle sue spalle.

“Quindi hai chiesto quel favore a Julie per poter fare riunioni segrete con Rider senza di noi?”

Per quanto Nathaniel ne fosse convinto,  Eric smentì: “L’ho fatto perché potresti perdere il bracciale anche tu, ok? E poi non dovresti parlare come se io e Rider fossimo i cattivi della situazione, quando siete stati voi a tradirci!”

L’altro sospirò, roteando gli occhi: “Ma non vi abbiamo traditi! E’ stato un errore, solo questo!”

Eric tornò a guardare la folla, più calmo: “Beh, poco importa, perché mio padre è tornato e presto dovrò…”

Ma non poté completare, perché giunse davanti a loro Tasha, leggermente brilla.

“Mi serve un ragazzo con cui ballare e Rider non fa che stare dietro a Lindsey e fissare persone a caso. – spiegò, annoiata, per poi riacquistare subito il sorriso - Voi siete suoi amici, no? Chi viene con me?”

Eric, basito, intervenne: “Ehm, Tasha, sono Eric! Siamo venuti qui insieme!”

Quella lo fissò meglio: “Ah, già... – borbottò delusa – Quindi tu non sei nemmeno disponibile perché stai con Ariel!”

“Alexis, volevi dire!” la corresse, mentre quella aveva già gli occhi su Nathaniel.

“Tu sei da solo dall’inizio, se non ricordo male. – lo squadrò dalla testa ai piedi – E sei anche carino!”

“Ehm…grazie?” le sorrise, trovandola una tipa strana.

“Ok, andiamo a ballare!” lo prese di getto per un braccio, trascinandolo via da Eric.

Quando furono in pista, lei iniziò a ballare intorno a lui come stavano facendo le altre. Nel contempo gli diceva delle cose, in maniera molto lussuriosa.

“Sai, sono venuta qui perché c’era un ragazzo che un tempo frequentavo. Ovviamente ha scelto un’altra all’epoca, ma io non sono stata così facile da dimenticare.”

“E allora?” cercò di capire.

“Allora, volevo fargli vedere cosa si è perso.”

“Volevo?” notò che usava l’imperfetto.

“Già, volevo! – gli sorrise, uno sguardo intenso – Ora mi interessi tu!” e lo prese per la camicia, stampandogli un bacio in bocca. Quello allargò le braccia, subordinato all’impeto del suo gesto.

Sam, che stava ridendo a qualcosa che gli stava dicendo Wesam, li vide e si distrasse per un secondo da quella conversazione.

Quando si staccarono, Nathaniel mise subito in chiaro le cose.

“Mi dispiace darti una brutta notizia, ma sono gay!”

“Tu non sei gay! – esclamò, accompagnando la frase con una risata – E se lo sei, allora saprò che il mio destino è morire a ventotto anni come Amy Winehouse!”

“Non scoprirai tutto questo in una notte. Un dubbio ha bisogno di molto più tempo per essere estirpato!” replicò, divertito dalla sfrontatezza della ragazza.

“Allora vorrà dire che mi vedrai più spesso!” sorrise lei, sicura di sé stessa. L’altro rise, trovandola particolare.

 

*

 

Ad un certo punto della serata, la musica venne abbassata e Violet Rhimes salì sul palco con un microfono, chiedendo attenzione. Assieme a lei, anche un ragazzo.

“Buonasera a tutti, spero che la serata sia di vostro gradimento fino ad ora. Ne approfitto anche per salutare gli ex studenti tornati qui per l’Homecoming… - sorrise loro, sparsi qua e là – Come tutti sanno dai volantini che ho distribuito, ho una sorpresa per l’intero istituto.”

Fece cenno al ragazzo che era alle sue spalle, di farsi avanti.

“Lui è Brett Rhimes, mio cugino. E’ un informatico, lavora a New York in una società di videogames, e su mia richiesta, diverso tempo fa, ha sviluppato un applicazione chiamata Second Rosewood…”

Brett aveva un telefono in mano e alle loro spalle, si accese lo schermo led gigante attaccato alla parete: mostrava la loro stessa scuola in 3D. Violet si apprestò a spiegare, mentre suo cugino continuava ad usare il telefono; ciò che faceva, lo si poteva vedere sullo schermo gigante.

Second Rosewood  ricrea perfettamente la nostra scuola in un mondo del tutto virtuale, al quale possiamo accedere tramite degli avatar. – si voltò verso il led – Come potete vedere, Brett sta creando il primo avatar, ma potete farlo anche voi, scaricando l’applicazione dal sito della scuola. Lo scopo di Second Rosewood  è quello di rivoluzionare il modo di socializzare all’interno delle scuole. Molti di noi tendono ad estraniarsi dai vari gruppi o a non avere il coraggio di farsi avanti, Second Rosewood  permette a queste persone di socializzare con più facilità, in modo da annullare completamente il timore di poterlo fare nella vira reale. Inoltre, tramite questa applicazione, si potrà essere a scuola tutto il tempo, anche se non lo si è fisicamente. Se magari avete dimenticato di appuntare dei compiti o non avete capito la lezione, potrete entrare in Second Rosewood e cercare il professore o la professoressa per chiedere, oppure formare dei gruppi di studio; serve anche a questo.”

Gli studenti, però, sembrarono ancora molto scettici.

Brett prese parola, subito dopo: “Il bello di questa applicazione è che potete parlare. Il riconoscimento vocale, avanzatissimo, replicherà ciò che avete detto in scrittura: in questo modo, i messaggi saranno istantanei e non dovrete perdere tempo a scrivere. In più, non dovrete preoccuparvi di aggiungere punti interrogativi o esclamativi, basterà dare il giusto tono alla frase. Mentre per gli emoticon, basterà assumere un’espressione felice, triste, tutte quelle che conoscete e la fotocamera interna dei vostri telefoni catturerà tutto e lo trasformerà, appunto, in emoticon. Insomma, poi ci saranno delle opzioni per attivare queste funzionalità.”

Ora, erano tutti impressionati. Nathaniel e Sam, intanto, stavano raggiungendo Eric, ascoltando con attenzione. Rider restò dall’altro lato della sala.

Violet si apprestò a concludere.

“Spero che, se la cosa funzioni qui, Second Rosewood  possa diventare anche di dominio in altre scuole. E, infine, volevo aggiungere che… ho pensato a questa iniziativa per Albert Pascali, che, per chi non lo conosce, è uno studente che frequentava questa scuola, scomparso circa un mese e mezzo fa e mai più tornato. – si commosse – Non aveva amici, non aveva nessuno qui a scuola; tutto perché era difficile socializzare e…qualcuno, in particolare, non glielo permetteva. – fu determinata e decise nelle sue ultime parole  – Questo non deve più accadere. La nostra scuola deve diventare migliore e rendere tutti partecipi. Nessuno verrà più tagliato fuori!”

In quel momento, la palestra si riempì di applausi e consensi, mentre Sam, Rider, Nathaniel ed Eric provavano un immenso disagio e i loro sguardi erano quasi sempre bassi.

“E’ possibile accedere all’applicazione tramite il codice della carta studenti, registrarsi è semplice! – aggiunse ancora – Ora, buon proseguimento di serata, e che la musica esploda!” concluse, sorridendo a tutti.

E la musica, effettivamente, esplose a tutto volume, costringendo tutti a ballare all’impazzata.

Eric fu il primo a commentare quel discorso: “Direi che non è male come iniziativa!”

“Sarebbe dovuto essere così dall’inizio. Ora è troppo tardi!” pensò Sam, ancora avvilito per ciò che avevano fatto ad Albert; il discorso riaprì vecchie ferite.

“Anthony non avrebbe permesso tutto ciò. Avrebbe fatto il bullo sia nella realtà che in Second Rosewood!” urlò, per la musica troppo forte.

“A proposito di vita reale… - cominciò Eric con tono serio – Prima all’ingresso non vi ho detto una cosa...”

“Ovvero?” domandò Sam, curioso quanto Nathaniel.

“Oggi è tornato mio padre da Riverton e a quanto pare ha ricevuto una buona offerta di lavoro… - spiegò, molto cauto – In definitiva, vuole che ci trasferiamo lì con lui. Per sempre!”

Gli altri due sgranarono gli occhi.

“M-ma… - balbettò Sam – Cioè, te ne vai così?”

Quello si lasciò sfuggire un sorriso, scuotendo la testa: “Pensate davvero che A mi lasci abbandonare la città come nulla fosse?”

A, lo sa?” percepì Nathaniel dal suo tono.

Quello alzò il telefono, con il messaggio: “A quanto pare, sì!”

Sam si mise a braccia conserte, fissando con rabbia Brakner, dall’altra parte della palestra, che sorrideva al tiro a segno mentre dava un peluche ad una ragazza che aveva vinto.

“Siamo come delle scimmie chiuse in gabbia. Ed è lui ad avere la chiave!”

“Non per molto… - replicò Nathaniel, facendo cenno ai due di guardare al centro della pista – Rider si sta muovendo, approfitta della confusione.”

Eric si voltò, allora: “Bene, dividiamoci. Teniamo d’occhio quei tre, mentre Rider è nella panic room!”

Nathaniel annuì: “Ok, mando io i messaggi a Rider. Sono l’unico ad avere ancora il bracciale, quindi i miei sono protetti da hackeraggio!”

Mentre quello si allontanava, Sam si apprestava a fare lo stesso, ma non prima di chiedere una cosa a Nathaniel: “Sbaglio o hai baciato Tasha?”

“E lei che ha baciato me, molto ubriaca! – precisò – E tu, sbaglio o parlavi con il tuo psicoterapeuta al bar?”

“E’ lui che ha parlato con me e mi ha invitato al bar!”

“Ti segue ovunque, non lo noti? Se non fossi tremendamente convinto che Brakner è A, penserei che lo sia lui!”

Sam volle tagliare corto: “Forse è meglio tenere d’occhio gli obbiettivi, non possiamo distrarci proprio ora!”

“Non potrei essere più d’accordo!” esclamò, dopo quella lunga serie di frecciatine.

I due si allontanarono l’uno dall’altro.

 

*

 

Nel parcheggio, Rider stava recuperando il borsone dalla sua macchina. Un messaggio di Nathaniel lo aggiornò sulla situazione:

“Hai campo libero, fai presto. –NAT (nel caso avessi cancellato il mio numero)”

 

Restò a fissare lo schermo a lungo, come se in quel momento provasse finalmente dispiacere per quella lite che gli aveva divisi. Subito dopo tornò in sé e roteò gli occhi, chiudendo il bagagliaio e tornando verso la scuola con il borsone stretto alla mano sinistra.

 

*

[Canzone corrente: I ain’t your mama – Jennifer Lopez]

Eric, nei pressi del tiro a segno, stava tenendo d’occhio Brakner. Alexis lo raggiunse alle spalle.

“Ehi, eccoti! – quello si voltò, lei abbastanza seccata – Ti ho cercato, ma dov’eri?”

“Ehm, scusa, ero andato a parlare un attimo con i miei amici! – spiegò, mentre cercava di non distogliere lo sguardo da Brakner – Tu da dove vieni?”

“Tasha sta dando i numeri, ero venuta a dirti che la accompagno in bagno a vomitare, nel caso in cui ti saresti chiesto dove fossi finita!”

Molto distratto, sembra quasi che la stesse cacciando: “Mmh, ok ok! Io resto qui, vai!”

Basita per qualche istante, non si soffermò più di tanto: “Ehm, ok!” e se ne andò.

In quell’esatto istante, Eric ricevette un messaggio che lo lasciò senza fiato.

“Oh mio Dio!” esclamò, per poi fissare Brakner. Poi Lindsey e subito dopo Morgan. Sembravano tutti e tre distratti a fare qualcosa e non riusciva a capire che l’avesse mandato di loro.

A quel punto, pensò che i suoi amici dovessero vedere immediatamente ciò che aveva ricevuto.

Non appena Nathaniel se lo vide arrivare davanti, non poté fare a meno di chiedersi che cosa stesse accadendo: “Ehi, non dovresti tenere d’occhio Brakner?”

“Dov’è Sam? – lo fulminò con uno sguardo serio – Dovete vedere una cosa!”

Quello arrivò proprio in quel momento, insospettito dalla loro riunione: “Ehi, tutto bene? Non dovevamo osservare Lindsey, Morgan e Brakner?”

Eric non perse tempo e tirò fuori il telefono, preparandoli a ciò che stava per mostrare loro: “Non ci crederete mai, ma A mi ha mandato un estratto della cartella Rosewood-riservato!”

Entrambi sgranarono gli occhi, Nathaniel gli intimò di girare il telefono: “Che aspetti, facci vedere!”

E lui eseguì, mentre loro si raccoglievano attorno a lui.

 

“Non hai trovato una soluzione per restare a Rosewood? Anthony ha qualche suggerimento per te!”

-A

 

(Segreto N°39)

 

Il signor Lincoln tradisce sua moglie con la sua migliore amica, nonché segretaria del suo ufficio. Probabilmente la relazione va avanti da anni, ma ho iniziato lo stage da circa tre mesi, qui in azienda, e li ho visti insieme parecchie volte. Intimi. Una volta, nel parcheggio sotterraneo. Gli ho anche filmati con il telefono.

Sua moglie è venuta qui una volta, è sembra non sospettare nulla. Credo che impazzirebbe nello scoprirlo; mi ha dato l’impressione di essere una donna abbastanza dura.

 

Scoperto da: Quentin Weller

 

Eric, Nathaniel e Sam erano alquanto confusi e molte cose stavano passando per la loro testa. Un secondo messaggio attirò nuovamente la loro attenzione.

 

“Se non hai idee migliori, puoi usare questo. Ricorda: non ti lascerò andare da nessuna parte!”

-A

 

“Ragazzi, il Signor Lincoln è l’ex capo di mio padre. L’ha praticamente licenziato in tronco e screditato con tante altre aziende. – scosse la testa, incredulo – A vuole che usi in qualche modo questa informazione per restare qui, ma non capisco come?”

“Forse vuole che lo ricatti, affinché restituisca il posto a tuo padre!” pensò Nathaniel.

Eric, voltandosi verso Sam, notò che quel messaggio l’aveva colpito particolarmente.

“Che ti prende?” gli domandò

“Io conosco Quentin Weller!”

Nathaniel sgranò gli occhi: “Cosa? Come?”

Mentre lo raccontava, nemmeno lui se ne capacitava di tale coincidenza: “Una volta, Anthony mi ha chiesto di scoprire se un certo Quentin Weller fosse gay, ma non sapevo come fare a scoprirlo. Una sera, poi, l’ho trovato per caso in un sito per gay e aveva la web-cam accesa, così gli ho scritto e poi…Beh, da cosa nasce cosa e siamo usciti insieme! – esclamò, chiedendosi che nesso ci fosse – L’unica a sapere di questa cosa è Chloe, gliel’ho raccontato ad inizio semestre!”

Nathaniel cercò di analizzare la cosa: “Un secondo, avete notato che il segreto è scritto in prima persona? Solo che questa prima persona è chiaramente Quentin, non Anthony. Questo vuol dire che Quentin ha parlato con Anthony e lui appuntava ciò che diceva…”

Eric cercò di seguire il discorso: “Pensi che Anthony abbia chiesto a Sam di indagare sulla sessualità di Quentin per poterlo ricattare,  in cambio di questa informazione?”

“Ma certo! – esclamò  Sam con ovvietà – Quentin non era dichiarato e mi raccontò che non sapeva come fare coming out, che aveva paura. Ciò che non mi spiego è come faceva Anthony a sapere che Quentin lavorasse nell’azienda del Signor Lincoln come stagista. Io non gliel’ho detto!”

“In ogni caso, l’ha scoperto! – esclamò Eric, senza ragionarci più di tanto - E ha costretto Quentin a farsi dire tutto quello che sapeva sul Signor Lincoln… - in quell’istante, fu colto da un espressione di sorpresa – Credo che volesse aiutarmi, perché lui era l’unico a cui avevo raccontato del licenziamento di mio padre.”

“Quindi questo Rosewood-riservato sarebbe una sorta di…banca dati dei segreti?” si chiese Sam.

Con tutti quei dubbi, Nathaniel sentì di dover mettere i suoi amici al corrente di qualcos’altro: “Ragazzi, c’è una cosa che non vi ho detto. Ieri sera, mentre Cameron mi accompagnava al locale, mi ha detto di aver dato dei soldi ad Anthony per un progetto!”

“Progetto? – Eric non capì – Perché Cameron avrebbe dovuto dargli dei soldi? Non mi risulta fossero amici fino a quel punto!”

“In pratica, Anthony sapeva che Cameron è gay. Ovviamente non gli ha chiesto un soldo, ma gli ha parlato di questo progetto che aveva e dei soldi che gli servivano. Cameron ebbe quasi la sensazione che serviva dargli quei soldi per mantenere il silenzio e così glieli diede.”

Sam, allora, si intromise: “Un secondo, ma…pensate che questo progetto sia collegato a Rosewood-riservato? Insomma, quello di Quentin è il segreto numero trentanove, quindi vuol dire che ce ne sono altri!”

“Probabilmente c’è un nesso e l’unico che può scoprire quale, è Rider!” pensò Eric.

Improvvisamente, Nathaniel iniziò a perdersi con lo sguardo tra la folla: “Un momento, ho perso Morgan…Dov’è finito?”

Dopo qualche secondo, Sam sembrò averlo individuato: “Eccolo, è vicino a Colton e… - aguzzò la vista, stranito – Lisa Nelson è venuta al ballo con il fratello di Violet?”

“Rider direbbe che Violet l’ha restaurata a dovere da quelle ridicole treccine per ricreare la bella e la bestia!” commentò Eric, mentre tutti e tre guardavano verso quella direzione.

“Forse sono solo amici! – pensò Nathaniel – Ormai sono tutti amici gli ex bersagli di Anthony!”

A Sam, allora, sorse un dubbio: “Chissà se ci sono anche loro su Rosewood-riservato. Ricordate quando Anthony prendeva in giro Colton perché aveva una cotta per Brianna, ma lei non l’avrebbe mai guardato per via della sua pelle bianca? Beh, Violet se ne stava in mensa a guardare in silenzio, mentre ora è una sorta di paladina della giustizia che non risparmia nessuno…”

“Mi sembra evidente che Violet ha uno scheletro nell’armadio, che ora non ha più paura che spunti fuori!” aggiunse Nathaniel, trovando sensato il ragionamento di Sam.

Insieme continuarono a guardarli, tenendo la situazione sotto controllo.

 

*

Nel frattempo, Rider, si trovava nel seminterrato, davanti alla panic room. Spostò rapidamente la pila di scatole, rivelando la tastiera. Compose la password, digitando “MISS MARPLE”.

Dopo qualche secondo, la password venne confermata e poté tirare un di sollievo. La porta si aprì e prese rapidamente il borsone, entrando.

Percorse il piccolo corridoio e i sensori di movimento aprirono anche l’altra porta: era finalmente dentro la panic room.

A quel punto, si guardò attorno, meditando, Una frase di Sam, tratta dalla volta precedente nella panic room, gli tornò alla mente:

“Un armadio vuoto? Chi cavolo porta un armadio qua dentro per non metterci nulla?”

Rider si precipitò vicino a quell’armadio, aprendo le porte: era ancora vuoto. Improvvisamente, fece presa su una delle porte e mise l’altra mano dietro l’armadio, tirandolo verso di sé.

Ora non c’era più nulla a nasconderla, era riuscito a trovare la porta nascosta dall’armadio. Sorrise.

“Bingo!”

Sfortunatamente, c’era un’altra password da inserire per poterla aprire; la tastiera era proprio al centro della porta.

Rider si avvicinò, sfiorando la superficie con il palmo della mano, bussando su di essa.

“E’ una porta d’acciaio molto sottile… - sorrise ancora – Lo sapevo!”

Scoperto questo, si precipitò al borsone, tirando fuori una fiamma ossidrica portatile e una maschera per proteggersi il viso. Quando tornò davanti alla porta, pronto a tagliarla, si soffermò a guardare la tastiera, provando poi a digitare una password che pensava potesse aprire anche quella porta.

Subito, gli diede errore: aveva riprovato con Miss Marple.

Senza perdere altro tempo, girò la manopola della bombola e poi accese la fiamma. Iniziò a tagliare. Ci sarebbero voluti sicuramente diversi minuti per quell’operazione.

 

 

*

[Canzone corrente: YOMBE – Vulkaan]

I ragazzi erano ancora in giro che tenevano d’occhio la situazione. Un nuovo messaggio, però, li costrinse a riunirsi.

“Cos’è un ballo senza un degno finale? Se lo dite a qualcuno, il tempo si dimezzerà: trovate un altro modo per salvarli.”

-A

 

In allegato, la foto di una bomba con un timer di trenta minuti.

Questo, naturalmente, non lasciò indifferente nessuno di loro. Soprattutto Sam, il più spaventato di tutti.

“E’ uno scherzo, vero? Ditemi che sta scherzando!”

Nathaniel prese il telefono di Sam dalle sue mani, notando qualcosa di strano: “Ehi, la foto della bomba che ha mandato a me non è uguale alla tua.”

Eric mostrò la la foto della bomba che aveva ricevuto anche lui: “Nemmeno la mia è uguale alla vostre!”

Sam sgranò letteralmente gli occhi: “Ci sono tre bombe?”

“Shhh! – lo zittì Nathaniel per paura che qualcuno li sentisse - …Anche quattro, se Rider ha ricevuto lo stesso messaggio!”

“Ok, mi viene da pensare che A sapesse che Rider sarebbe entrato di nuovo nella panic room! - esclamò Eric – Forse teme che troviamo qualcosa di compromettente su di lui e vuole farla finita!”

Spaventato, Sam non sopportò una parola di più: “Ok, stavolta chiamo mio padre, la polizia, chiunque! Fino ad ora non l’abbiamo fatto per ovvi motivi, ma adesso c’è in gioco molto di più: le nostre vite e quelle di tutti quanti!”

Si apprestò, allora, ad andare a fare la telefonata. Nathaniel lo bloccò per un braccio.

“NO! – gli urlò – E se fosse una messa in scena e non ci fosse alcuna bomba? La polizia scoverebbe Rider nella panic room e troverebbe tutti i nostri video. Magari è proprio una trappola ideata da quel folle e vuole che ci caschiamo!”

“Ok, ma non possiamo godere del beneficio del dubbio, potrebbe essere vero!” ribatté Sam.

“Nat, ha ragione, non possiamo rischiare la vita di tutte queste persone!”

“Allora trovate un modo per scovare quelle bombe, senza coinvolgere la polizia!” suggerì, teso quanto loro.

Sam ci rifletté, trovando quella soluzione: “Julie! – sussultò - Facciamoci aiutare da lei!”

“Già!” sussultò anche Eric, d’accordo.

Il minuto seguente, l’avevano già trascinata fuori dalla palestra, lontana dalla musica e dalle persone.

“Ragazzi, Sebastian non starà al telefono per molto. Vuole vincermi il peluche dell’orso sulla tavola da surf e non posso mancare!” disse ignara, non notando i loro volti pallidi.

Nathaniel fu il più diretto: “Ci sono

tre bombe nella scuola, forse quattro!”

Quella tacque per qualche secondo, per poi scoppiare a ridere: “Certo, e io sono Michelle Obama. Sul serio, ragazzi, cosa c’è ancora? Sbaglio o vi ho già dato quello che volevate?”

Nessuno di loro proferì parola, le loro facce erano sempre pià pallide e per nulla scherzose, e quella iniziò ad assumere un’espressione più seria.

“Ok, questa cosa non è affatto divertente!”

Sam prese parola: “Ti sembra che stiamo scherzando? Da quando conosco A non so nemmeno cosa vuol dire scherzare!”

Julie, allora, sbigottì: “Un secondo, A, la vostra psicopatica A, ha messo qui a scuola quattro bombe?”

Intervenne Eric: “Per questo ti abbiamo chiamata, c’è un timer di trenta minuti che probabilmente è già partito. Devi aiutarci a trovarle prima che…”

L’altra lo fermò subito: “Un momento, un momento: TROVARLE? Non sono mica uscita dal programma Dynamo: magie impossibili!  - trovò assurdo – Dobbiamo chiamare la polizia, far uscire tutti di qui: ORA!”

“E’ quello che ho detto anch’io!” si aggregò Sam, subito fulminato da Nathaniel.

“NO, non possiamo!” urlò.

“SCUSAMI?! – urlò Julie a sua volta – Perché diavolo non dovremmo chiamare la polizia? – spostò lo sguardo fra tutti e tre – Che cosa possiede A su di voi da terrorizzarvi a tal punto da non voler coinvolgere la polizia nemmeno in una situazione del genere?”

“Non possiamo dirtelo, Rider ci ucciderebbe!” replicò Nathaniel con fermezza.

Julie li fissò tutti ancora una volta, scuotendo la testa: “Va bene, avete vinto…Niente polizia, ma dobbiamo far uscire tutti quanti. Immediatamente!”

“Cosa facciamo? A dimezzerà il tempo se lo diciamo a qualcuno!” chiese Eric, nervoso.

“Aspetta, l’avete detto a me! – esclamò Julie - Questo vuol dire che abbiamo ancora meno tempo!”

Sam si mise le mani nei capelli: “Oh mio Dio, che cosa facciamo? Come facciamo a far uscire tutti senza dire della bomba?”

Nathaniel sollevò il capo, notando gli erogatori sul soffitto: “E se accendessimo un fuoco?”

Anche gli altri sollevarono il capo e Julie appoggiò la sua idea: “Ce ne sono molti in palestra, potrebbe funzionare. Andate nell’aula di chimica e accendete un fuoco nel cestino. Per fare più in fretta, salite su un banco e avvicinate il più possibile il cestino al sistema termosensibile in cui è racchiuso: attiverà tutti gli erogatori contemporaneamente.”

Quelli annuirono, iniziando a correre.

 

*

 

Nel frattempo, Rider, aveva ritagliato tutta la porta con la fiamma ossidrica. Dopo essersi alzato la maschera di protezione e spento la fiamma, diede un forte calcio alla porta; quella precipitò al suolo, dall’altro lato, rivelando la stanza segreta. Per qualche secondo, restò lì impalato a scrutare da fuori, riuscendo ad intravedere una sorta di frigorifero capovolto in orizzontale o così gli parve. Sembrava non ci fosse molto lì dentro, dal punto in cui si trovava: doveva entrare per vedere meglio.

Subito dopo, si voltò e tirò un grosso respiro e constatando che il sistema di aerazione funzionava ancora.

“Bene, riesco a respirare. Forse non mi servirà la bombola lì dentro!”

E tornò al borsone, rimettendoci dentro la fiamma ossidrica e la maschera. Recuperò una penna USB, poi, prima di risollevarsi velocemente e correre dentro l’altra stanza; non si accorse, però, del suo telefono che stava vibrando dentro al borsone: due chiamate perse e un messaggio.

Da Sam:

“Ci sono delle bombe sparse per la scuola, lascia perdere la panic room. Con Julie abbiamo trovato un modo di far uscire tutti quanti dall’edificio. Non tornare indietro, usa direttamente la botola. Rispondi se hai ricevuto il messaggio!”

*

Sam stava facendo il palo davanti all’aula di chimica, il telefono in mano. Saltellava per il nervosismo. Dentro, Eric era in piedi sopra il banco che teneva il cestino in alto, fumante; Nathaniel gli reggeva le gambe, in modo che non cadesse.

“Ragazzi, fate in fretta. Non c’è più tempo!” intimò loro, Sam. La porta era aperta e poteva vederli.

Sudato, Eric replicò istericamente: “Termosensibile un corno, non funziona questo coso!”

“Alza di più il cestino, ti tengo, non preoccuparti!” lo rassicurò Nathaniel.

“Ma non posso alzarmi più di così!” ribatté quello.

“Alzati sulle punte, Eric!” gli suggerì Sam, da fuori.

Sospirando per lo stress della situazione, seguì il consiglio e si alzò sulle punte. Il fumo ormai colpiva completamente il congegno e finalmente tuonò in un sottile allarme. L’attimo seguente gli erogatori dell’aula si azionarono.

“Ce l’abbiamo fatta!” sorrise Nathaniel, mentre l’altro scendeva dal banco.

Sam, che non riuscì a gioire di quel successo, osservava il telefono preoccupato.

“Ragazzi, Rider non mi ha ancora risposto. Forse dovremmo…”

Nathaniel, però, lo prese per un polso: “Dovremmo uscire, adesso. Ok? – cercò di fargli entrare in testa la cosa – Rider userà la botola, non appena vedrà quel messaggio. E poi l’ha detto lui stesso che le panic room resistono anche ad un esplosione, no?”

Eric, intanto, aveva rimesso il cestino a posto e con lo sguardo aveva individuato un baker con dentro del liquido trasparente che sembrava acqua: lo verso nel cestino per spegnere la carta bruciata, poi si avvicinò ai suoi amici.

“Nathaniel ha ragione, probabilmente stiamo per saltare in aria da un momento all’altro. Rider è al sicuro!”

Convinto, ma non al cento per cento, annuì e quelli iniziarono a correre. Gli erogatori si azionarono anche nei corridoi, bagnandoli.

 

*

[Canzone corrente: Monsters – Ruelle]

In palestra, il ballo degli ex alunni continuava indisturbato. Julie raggiunse Sebastian al bar, molto agitata, ma senza darlo a vedere.

“Ehi, eccoti. Dov’eri finita? Ero al telefono e poi quando mi sono girato non c’eri più!” le sorrise, ingenuamente.

“Ehm, sì, niente, ero alla toilette! – esclamò, parlando a scatti nervosi – Comunque, ero davanti allo specchio e mi sono accorta di aver lasciato il mio lucidalabbra in macchina. Possiamo andare a prenderlo?”

Quello sollevò le sopracciglia: “Eh? Vuoi andare fino al parcheggio per un lucidalabbra?”

“Odora di fragola, sai? A te piace la fragola, no?” rise istericamente, cercando di convincerlo.

“Sì, ma…” titubò, ma la sua espressione seguente annunciò la sua evidente resa.

Proprio in quell’istante, però, anche in palestra si azionarono gli erogatori e i conseguenti allarmi.

Tra i partecipanti prese il sopravvento il panico e la confusione, l’acqua che stava bagnando tutti:

“Che sta succedendo?” – “Vedete un incendio?” – “Io non vedo nulla, dov’è?” – “Le uscite di emergenza, presto!” – “Seguitemi da questa parte!”

Julie si rivolse a Sebastian, fingendo una faccia mortificata: “Sembra che dovremmo andarci per forza nel parcheggio!”

“Guarda che stavo per dirti di sì!” le sorrise, malgrado la situazione.

Mentre tutti correvano, passando di fianco a loro, ancora fermi a guardarsi, lei sorrise a lui in maniera dolce e conquistata: “Ah, sì?”

“Già, proprio così! – esclamò, tendendole la mano – E ora dammi la mano e usciamo da qui!”

E quella eseguì, mentre fradici, uscivano assieme agli altri.

 

*

 

Contemporaneamente, nella mensa, una persona incappucciata, stava battendo una chiave inglese contro i tubi del gas. Dopo tanta insistenza, riuscì a forarne uno, facendolo fuoriuscire in grosse quantità, per poi scappare a gambe levate.

 

*

Eric, intanto, era andato a cercare Alexis nei bagni, ricordandosi che era lì assieme a Tasha; infatti le trovò proprio là dentro.

“Ehi, Alexis, dobbiamo uscire di qui!” esordì, mentre quelle erano davanti al lavandino e quella stava aiutando Tasha a sciacquarsi la faccia.

“Che succede? – lo scrutò dalla testa ai piedi - Perché sei tutto bagnato?”

“Mmmh, tutto bagnato! - commentò Tasha, barcollando accanto alla ragazza e ridacchiando come una stupida – Anche Nathaniel, lo è?” fantasticò.

“Smettila, Tasha! – la riprese quella, per poi rivolgesi nuovamente ad Eric – Allora?”

“C’è un incendio, dobbiamo uscire!” rivelò.

D’un tratto la porta del bagno si chiuse e si udì un giro di chiave. Eric corse subito vicino ad essa, abbassando il manico più volte, invano.

“Ehi!!! – sbatté la mano contro la porta – Aprite!”

Alexis si avvicinò alle sue spalle, spaventata: “Eric, ma che sta succedendo? C’è un incendio e qualcuno pensa di chiuderci qui dentro?”

Tasha, che ancora non si stava rendendo conto di nulla, disse: “I bagni del liceo hanno una chiave? Da quando?”

Eric non le diede retta, così come Alexis, puntando delle piccole finestrelle appena sotto il soffitto. Alexis seguì il suo sguardo.

“Quelle si abbassano completamente, no? Altrimenti non ci passiamo.”

“Nel bagno dei maschi le ho viste completamente abbassate, una volta. Sono praticamente uguali!”

“Allora, ok! Abbassiamole!” annuì quella.

Lui si avvicinò alla parete, unendo le mani, incastrando le dita fra loro: “Vieni, ti faccio da scala. Le abbassi e poi ci passi. Poi ti mando Tasha!”

Quella arrivò alle loro spalle, disorientata: “Dove mi mandi, tu?”

Alexis mise il piede sulle mani di Eric e si sollevò fino alla finestrella. Iniziò lentamente ad abbassarla.

“Fortuna che non sono bassa, eh?”

“Già!” esclamò l’altro, reggendola a fatica.

 

*

 

Nel frattempo, Nathaniel e Sam giunsero all’ingresso della palestra. Gli erogatori si erano appena spenti.

“Sono usciti tutti, credo.” constatò Sam, davanti ad uno scenario di distruzione per via del caos della folla che è fuggita.

Nathaniel contemplava altro, nel corridoio in cui si trovavano: “Dobbiamo uscire anche noi, c’è un’uscita di emergenza là giù!” gliela indicò.

L’altro annuì, iniziando a seguirlo. Improvvisamente, un messaggio lo fece fermare.

“Nat, aspetta. E’ A!” gli fece sapere, dopo aver letto.

Quello tornò indietro, seccato: “Che cosa vuole, adesso?”

Sam gli mostrò il messaggio.

“Siete sicuri che vi salverete tutti e quattro? Magari uno di voi potrebbe rimanere…bloccato!”

-A

Alzati gli occhi dallo schermo del telefono, i due si guardarono e Nathaniel capì immediatamente quello che Sam stava pensando.

“NO, Sam! Ok? NO!” gli disse, categorico.

“E’ chiaro che si riferisce a Rider, non possiamo lasciarlo lì dentro e uscire!”

“Non capisci che è una trappola? A non può rinchiudere Rider lì dentro, c’è una botola! E quella botola si apre manualmente!”

“E se avesse bloccato quella botola in qualche modo e Rider non riuscisse ad aprirla?” continuò Sam, preoccupato.

“Si aprirà, ora usciamo!” lo prese per i polsi, tirandolo.

“NO! – si liberò, indietreggiando – Non me ne vado senza Rider. Anche se in questo momento ce l’ho a morte con lui, non lo lascio lì dentro da solo!” e iniziò a correre via.

Nathaniel lo afferrò nuovamente per un braccio.

“Sam, smettila, non sei l’eroe di un tuo telefilm! Morirai per davvero, ok? Niente pietre magiche che ti riportano in vita, niente morte scampata per un soffio come accade a tutti i protagonisti di una storia… - penetrò nei suoi occhi con uno sguardo fulminante e malinconico – Cesserai di esistere per sempre e io non posso lasciarti andare.”

“Perché dovrei esistere in un mondo in cui non posso neanche vivere la mia vita? Tanto vale rischiare!”

Nathaniel perse la testa, e lo scosse violentemente, per le spalle: “Smettila, cazzo! Non parlare come se fosse un film, non è un film!”

Quello restò impassibile alla sua aggressività, sussurrandogli altre parole: “Cessa di esistere con me o vattene via!”

I due si guardarono ancora una volta per diversi secondi, le pupille di Nathaniel che si muovevano veloci e il cuore stretto in una morsa. Lo prese e lo baciò, disperato. Staccò le sue labbra, poi, tenendolo ancora stretto per gli abiti, gli occhi chiusi, naso a naso, fronte a fronte.

“L’ha detto anche Rider, non  aspettavi altro… – pianse, un’espressione sofferente - Mi vuoi? Sono tuo, Sam. Sono tuo, ma, ti prego, esci con me adesso!”

Sam lo staccò da sé, gli occhi gonfi di lacrime e rabbia. Gli tirò uno schiaffo, trovandolo ripugnante.

“Non sono tuo. Non giocare con me, non farlo mai più. Non usare questi stratagemmi per farmi fare quello che vuoi, solo perché sai che sono innamorato di te.”

Quello aveva la mano sulla guancia, dolorante, il volto girato dall’altra parte per la vergogna del suo gesto. Sam indietreggiò, guardandolo male e corse via, verso la parte opposta alla via d’uscita.

Nathaniel finalmente si voltò a guardarlo e una lacrima gli scese lungo il viso. Restò lì in piedi, senza seguirlo.

 

 

*

 

Usciti tramite le finestrelle del bagno, Eric e Alexis aiutarono Tasha a risollevarsi dai cespugli e tenendola ognuno per un braccio, iniziarono ad allontanarsi dall’edificio.

“Dove stiamo andando? – rise, stordita e stanca – Da Nathaniel, vero?”

“Dio, ma come fa ad essere la cugina di Rider? – commentò Alexis, mentre barcollavano loro stessi per via di lei che faticava a camminare – Sono completamente diversi!”

“Beh, ho un cugino brutto che vive in una fattoria. Questo discorso vale più per i fratelli, no?” replicò Eric, prendendosi quasi una testata da Tasha, che a tratti si addormentava.

“Anche sua sorella è come Tasha, se non peggio!”

“Senti, raggiungiamo il parcheggio, e mettiamola in macchina!” suggerì.

 

*

 

Dopo aver corso a lungo, Sam si fermò, piegandosi in due, tossendo. Subito dopo annusò l’aria, poi ebbe la sensazione di avere qualcuno alle spalle e si voltò: c’era Nathaniel.

“Ti chiedo scusa, ok? – cominciò, mortificato per come si era comportato – Sto letteralmente rischiando la mia vita in questo momento, perciò facciamo in fretta a salvare Rider!”

L’altro lo ascoltò, ma si distrasse nuovamente ad annusare l’aria: “…Senti anche tu questo odore? Diventa sempre più forte!” la sua vista iniziò a sfocarsi, tant’è che li sgranava, scuoteva la testa.

Anche Nathaniel iniziò a rendersi conto che l’aria aveva qualcosa di diverso: “…Ma questo è gas!”

“Oh mio Dio, forse lo stiamo respirando da prima… - si allarmò Sam, avvicinandosi verso di lui, stordito e barcollante – Le bombe…il gas…Ecco cosa intendeva A con Supernova!” e svenne addosso a lui.

I due crollarono sul pavimento, completamente privi di sensi.

 

*

 

Ignaro di cosa stesse succedendo al piano superiore, Rider stava esaminando la stanza segreta della panic room. Le prime cose che lo lasciarono inquieto, furono alcune macchie di sangue sul pavimento e una telecamera sopra un treppiedi puntata contro la parete. Quando si avvicinò per vedere se ci fosse registrato qualcosa, si accorse che mancava la scheda di memoria.

Si guardò ancora attorno, notando il congelatore sulla sua destra: acceso e funzionante. Terrorizzato da quello che poteva essere il contenuto, si avvicinò con cautela.

Deglutendo malamente, la mano sulla fessura d’apertura, aveva il cuore che batteva all’impazzata. Quando finalmente trovò il coraggio, aprì la porta del congelatore e ci trovò dentro un sacco nero per cadaveri. Il suo volto impallidì alla sola vista e la cerniera era aperta: non c’era nulla dentro.

Rider non sapeva se essere sollevato o preoccupato: se dentro ci fosse stato un cadavere, perché toglierlo?

“…E se sapesse che sarei entrato qui?” pensò, tra sé e sé.

Richiuse la porta del congelatore, attirato poi dalla bacheca con il vetro oscurato, fissato sulla parete. Si avvicinò, incuriosito. Mise le mani sul vetro, avvicinando la faccia per vedere cosa ci fosse dentro; sfortunatamente, però, non si vedeva nulla.

Fu in quel momento, che si accorse di un tasto, al lato, che spostò immediatamente su on: una lucetta si accese all’interno della bacheca e Rider poté vedere cosa c’era all’interno.

Il contenuto lo lasciò letteralmente sconvolto, oltre che confuso: A ci aveva attaccato dentro delle foto della sua famiglia. Alcuni erano scatti singoli di lui, sua madre, suo padre e Lindsey. Altri, dell’intera famiglia durante alcuni brunch o domeniche al club.

Furono solo due foto a colpirlo più di altre: una era quella di suo padre, sbarrata con una croce rossa. L’altra mostrava suo padre, ma più giovane. Era in compagnia di una donna con un impermeabile rosso, ma quella era di spalle e non ne potè vedere bene il volto. Erano davanti ad un ristorante chiamato:“L’ombrello matto”.

Sempre più confuso, era curioso di saperne di più e voleva quella foto a tutti i costi. Si guardò attorno e c’era un’estintore attaccato alla parete. Lo prese e con quello ruppe la bacheca, staccando quella foto.

Girò la foto, scorgendone la data assai sfuocata ma comprensibile.

“Agosto 1998? - lesse, stranito, prima di tornare a fissare la foto – Chi diavolo è questa donna?”

Affamato di risposte, si voltò verso l’unica cosa rimasta da guardare: il computer di A.

Non ci mise molto a trovare i loro video, le cartelle avevano nomi ben precisi. Prima di cancellare tutto, mise la USB per spostare altri file come Rosewood-riservato .

Quando spostò i video dell’omicidio di Albert e anche quelli girati fino a casa di Anthony, dove appiccarono l’incendio, apparve una schermata.

 

“Questi elementi verranno inoltrati alla polizia di Rosewood se cancellati. Sicuro di voler continuare?”

SI - NO

 

“Cosa? – sussultò – No, non può essere!” si mise le mani nei capelli, per poi provare a spostare i file sulla USB.

Ancora un’altra schermata, apparve.

 

“Questi elementi verranno inoltrati alla polizia di Rosewood se copiati su altro dispositivo. Sicuro di voler continuare?”

SI – NO

 

“Mi prendi in giro??? – urlò – Ha messo un virus a tutti i file! – tirò un colpo sul tavolo con la mano – MERDA!”

Per diversi secondi, non fece che respirare rumorosamente per la rabbia del momento. Quando si riprese, più calmo, uscì dalla stanza, recuperando il telefono dal borsone per dare notizie di sé ai compagni.

Trovò immediatamente il messaggio di Sam.

Da Sam:

“Ci sono delle bombe sparse per la scuola, lascia perdere la panic room. Con Julie abbiamo trovato un modo di far uscire tutti quanti dall’edificio. Non tornare indietro, usa direttamente la botola. Rispondi se hai ricevuto il messaggio!”

 

Sgranò gli occhi: “…Cazzo!” e si sollevò in piedi, non sapendo cosa fare.

Quando lo comprese, corse nuovamente dentro la stanza e si precipitò nuovamente davanti al computer.

“Se Maometto non va alla montagna, allora la montagna andrà da Maometto, brutto figlio di puttana!” esclamò, iniziando a staccare i fili del computer fisso per portarlo via con sé.

 

 

*

 

All’esterno, diversi metri lontani dalla scuola, c’erano tutti i partecipanti al ballo. Brakner era lì che stava chiamando i vigili del fuoco per un sopralluogo. Eric, Tasha e Alexis li avevano appena raggiunti tutti.

Lindsey, non appena vide sua cugina, corse verso di lei, felice di vederla.

“Oh mio Dio, Tasha, mi sono spaventata a morte. Dov’eri finita?”

Quella, però, era svenuta e in braccio ad Eric. Avvinghiata al suo collo, sorrideva come se stesse facendo un bel sogno.

“Ti risponderà dopo una flebo di sobrietà, forse!” intervenne Alexis, abbastanza seccata.

“Qualcuno di voi a visto mio fratello? – domandò loro, fissando soprattutto Eric – Sono in questo parcheggio da dieci minuti e non l’ho visto per niente.”

Eric, però, non sapeva cosa rispondere: “Ehm…forse…”

Ma non poté completare, perché un evento inaspettato colse tutti di sorpresa: la scuola esplose quasi in un fumo atomico.

L’espansione dei gas prodotta da essa generò un’onda d’urto tale da far cadere tutti a terra. Alcuni frammenti dell’edificio precipitarono nelle vicinanze, riuscendo a colpire qualcuno.

Appena dopo il boato, seguirono le urla e l’incredulità. Le chiamate alla polizia e le ambulanze, le mani davanti alla bocca per lo shock di quello scenario, la corsa a risollevare chi si era ferito.

Eric, risollevandosi e lasciando Tasha a terra, si accertò delle condizioni di Alexis: “Ehi, stai bene?”

Quella, aiutata a rialzarsi, stringeva gli occhi per il dolore: “Mi sono sbucciata il gomito! – esclamò, per poi voltarsi a guardare l’edificio in fiamme – Ma che cavolo è successo?

Ed Eric, che lo sapeva benissimo, non poté che restare in silenzio. Improvvisamente, poco lontana dalla folla, una ragazza urlò a squarciagola, attirando l’attenzione di tutti quanti.

“Oh mio Dio, qui c’è un corpo! Qui c’è un corpo!”

L’identità di quel corpo, avrebbe lasciato di sicuro tutti sconvolti…

 

*

 

Dall’altra parte della scuola, sempre a diversi metri di distanza, Nathaniel era disteso sull’asfalto. Improvvisamente, emise un colpo di tosse, respirando di nuovo.

Quando riaprì lentamente gli occhi, si trovò davanti lo scenario della scuola in fiamme e polveri sui vestiti. Alla sua destra, poi, notò Wesam praticare il massaggio cardiaco a Sam e quello lo sconvolse ancora di più.

 “Oh mio Dio…” borbottò, pietrificato.

Wesam, ora, stava praticando il bocca a bocca, buttando aria nei suoi polmoni e poi riprese con il massaggio cardiaco.

“Forza, forza! Avanti, Sam!” urlò, stremato e sudato.

Finalmente quello tossì, il cuore riprese a battere. Nathaniel, a bocca aperta e occhi sgranati per tutti quei secondi che precedettero il rinsavimento dell’amico, tirò un sospiro di sollievo e si scambiò un sorriso con Wesam.

“Grazie a Dio, eh? – si rivolse a Nathaniel – Ma che ci facevate ancora lì dentro?”

“Ci hai tirati fuori tu?” rispose con un’altra domanda, curioso.

“Non riuscivo a trovare Sam tra la folla, così sono rientrato a cercarlo. Quando vi ho visti svenuti, non sapevo come tirarvi fuori e la puzza di gas stava per mettere fuori gioco anche me. Per fortuna c’era un vostro amico lì con me e mi ha aiutato e, sempre per fortuna, eravamo vicini ad una delle uscite di emergenza.”

“Un amico? Quale amico? Rider?”

Wesam si guardò attorno, a quella domanda: “Non saprei, era qui fino a qualche minuto fa. Dev’essersi allontanato per chiedere aiuto…”

Nathaniel restò a fissarlo, sperando che quel qualcuno fosse Rider e che si fosse salvato. Sam si stava riprendendo lentamente.

 

SCENA FINALE

 

120 secondi prima dell’esplosione…

 

Rider stava calando il borsone con dentro l’unità di sistema del computer, tramite una corda, lungo la botola che partiva dalla panic room. Quando la borsa toccò il pavimento, lasciò cadere la corda, e si preparò a scendere anche lui.

Dopo essere sceso di qualche piolo lungo la scala, chiuse la porta della botola. Arrivato a metà della discesa, la terra e le pareti tremarono violentemente, causa dell’esplosione appena avvenuta. Rider cadde dalla scala, precipitando a terra, accanto al borsone.

Dolorante, stringeva gli occhi, la schiena rigida per il colpo. Riuscì a girarsi su un fianco, cercando di risollevarsi, mentre emetteva dei piccoli lamenti.

All’improvviso, sentì qualcosa rotolare a terra vicino a lui. Quando aprì gli occhi, vide una lattina dalla quale uscì del gas fumogeno che lo costrinse a tossire. Più lontano, una figura incappucciata che si stava avvicinando a piccoli passi verso di lui, mentre lentamente perdeva i sensi…

 

 

CONTINUA NEL DECIMO CAPITOLO

 

 

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Capitolo 12
*** 1x11-Il mistero degli Stuart ***


CAPITOLO UNDICI

“Welcome to the Radley SanitArium”

 

Poco dopo l’esplosione, tutti coloro che si trovavano a debita distanza erano ancora sconvolti: c’era chi fissava lo scenario a bocca spalancata e chi aiutava quelli rimasti feriti nel cadere o raggiunti dai frammenti dell’edificio.

Eric, risollevandosi e lasciando Tasha a terra, si accertò delle condizioni di Alexis: “Ehi, stai bene?”

Quella, aiutata a rialzarsi, stringeva gli occhi per il dolore: “Mi sono sbucciata un gomito…  – rispose, per poi voltarsi a guardare l’edificio in fiamme – Ma che cavolo è successo?

E lui, che lo sapeva benissimo, non potè che restare in silenzio. Improvvisamente, poco lontana dalla folla, una ragazza urlò a squarciagola, attirando l’attenzione di tutti quanti.

“Oh mio Dio, qui c’è un corpo! Qui c’è un corpo!”

Quelle urla turbarono subito Alexis: “Un corpo? Ma che cosa stanno farneticando?”

“Tu resta qui, ok? – le toccò la spalla, rassicurandola – Vado a vedere che cosa succede.”

Lei annuì, restando accanto a Tasha, ancora sdraiata a terra e incosciente.

Eric si fece subito strada tra la folla che si era raccolta intorno alla ragazza che aveva urlato. Spuntato in prima fila, vide anche lui il corpo: era completamente carbonizzato, impossibile da riconoscere, messo lì, in mezzo alla strada.

In molti si stavano ponendo la stessa domanda: se l’esplosione era avvenuta a diversi metri da quella strada, com’era possibile che un corpo fosse arrivato fin lì?

La risposta era talmente ovvia, ma solo Eric ci sarebbe potuto arrivare prima degli altri in quel momento: era stato posizionato lì, prima che tutti lasciassero l’edificio.

Dopo un lungo minuto in cui tutti rimasero immobili a fissare quel corpo, uno di loro fece un passo avanti, avvicinandosi: fu Colton Rhimes a farlo.

Eric lo fissò, come chiunque, ma lui lo fece con molta attenzione.

Il ragazzo si piegò sulle ginocchia, accanto al corpo, perché aveva notato qualcosa al suo collo. Quando la sollevò, tutti videro cos’era: una piastrina, di quelle militari.

Colton la osservò a lungo e poi fece sentire la sua voce: “E’ Albert! – esclamò, alzando gradualmente il tono – E’ Albert Pascali, c’è scritto così!”

Lo stupore generale, tra chi si metteva la mano davanti alla bocca e chi si scambiava uno sguardo con la persona di fianco, fu interrotto dalle sirene delle ambulanze e della polizia in arrivo. Eric, sconvolto quanto gli altri, iniziò a fare caso alle persone che si trovavano in prima fila come lui, sparsi tra i presenti: Morgan, Lisa, Violet, Chloe, Brianna, Julie e Brakner.

Intanto, dietro alla folla, Wesam stava correndo verso l’ambulanza con Sam in braccio e Nathaniel a seguito.

“Ha bisogno di ossigeno! – fece sapere al paramedico che stava arrivando verso di lui – E anche quest’altro ragazzo!” indicò Nathaniel, mentre passava Sam al paramedico.

“Ehm, no, io sto bene!” fece sapere quello, rifiutando qualunque intervento su di lui.

Wesam, allora, seguì il paramedico fino all’ambulanza e così fece anche Nathaniel.

Tuttavia, quest’ultimo venne fermato per un braccio.

“Ehi, stai bene? – Eric lo fece voltare, mostrando quanto fosse preoccupato – Non vi ho visti e ho pensato che…”

Con gli occhi ancora sgranati per lo shock e il corpo che tremava, Nathaniel riuscì a trovare le parole per rispondere: “Siamo vivi per miracolo! Wesam sta portando Sam vicino all’ambulanza con il paramedico.”

Eric lo scavalcò con lo sguardo, cercando di scorgere l’amico vicino all’ambulanza: “Perché lo stanno portando verso le ambulanze? E’ ferito?”

“Gli si è fermato il cuore, Wesam l’ha rianimato. – spiegò, traumatizzato e con gli occhi lucidi – E’ successo tutto così in fretta, eravamo tornati indietro per avvertire Rider e poi ci siamo accorti del gas, ma…era troppo tardi, siamo svenuti!”

Mentre lo ascoltava, Eric aveva la bocca spalancata: “Ma Rider dov’è?”

L’altro scosse la testa: “I-io non lo so, Wesam ha detto che un nostro amico l’ha aiutato a portarci fuori. Forse era lui!” spiegò, non molto sicuro.

Eric, allora, si guardò attorno: “Non l’ho visto da nessuna parte, sua sorella lo cerca come una disperata!”

“Eric, non lo so. L’unica cosa che so è che A ha fatto esplodere la nostra scuola!” quasi urlò per quanto fosse assurdo tale gesto.

“Non solo ha fatto esplodere la nostra scuola, ma ha anche fatto ricomparire Albert.” lo mise al corrente.

“D-di che stai parlando? – reagì confuso – Albert? Dove?”

Indicò verso la folla, ancora lì intorno, dove c’era già la polizia: “Laggiù! L’ha lasciato in mezzo alla strada, prima che uscissimo dall’edificio.”

“Ma come fai a dire che è Albert? – abbassò la voce - Noi l’abbiamo bruciato, dovrebbe essere un pezzo di carbone!”

“E infatti è così, solo che…ha lasciato una piastrina di metallo con sopra incisi il suo nome e cognome al collo del suo cadavere.” spiegò.

“Perché adesso? - Nathaniel non riusciva a trovare una spiegazione - Perché rubare il corpo di Albert all’obitorio, conservarlo e farlo ricomparire stasera?”

Con un sottile tono di terrore nella voce, Eric esternò ciò che pensava: “Forse si è stancato di giocare con noi e pensa che sia arrivato il momento che la polizia risolva questo casino.”

“Beh, se risolvono questo casino non possono che arrivare a noi quattro.”

“Appunto!”

Nathaniel, seriamente spaventato, prese Eric per le spalle: “Dobbiamo andarcene: tutti e quattro!”

“Non possiamo, siamo sulla lista dei partecipanti al ballo. La polizia vorrà parlare con tutti quanti e se qualcuno mancherà all’appello sembrerà sospetto, capisci? – si guardò attorno, ansioso – In più non sappiamo dove sia Rider…”

In quel momento, sul campo visivo di Nathaniel, era appena entrato Brakner, poco lontano. Nel vederlo, tutta la paura scomparve e rimase soltanto rabbia; una rabbia che voleva sfogare su di lui.

“Ora basta, ha davvero superato il limite!” e cercò di raggiungerlo.

Eric seguì il suo sguardo, notando chi stava puntando, e lo fermò immediatamente per il braccio: “NO, Nat! Così peggiori solo le cose e attirerai l’attenzione.”

“Dobbiamo smascherarlo, ok? – gli urlò con tono contenuto – Non possiamo continuare a giocare alla casa delle bambole. La polizia deve arrestarlo: deve sapere!”

“Sapere CHE COSA? – lo fermò da un altro tentativo di correre verso di lui – Può trascinarci con lui all’inferno, o non se ne starebbe qui tutto tranquillo!”

Nathaniel si mise le mani nei capelli, impotente, mentre l’altro continuava.

“Anche se non sembra così tranquillo, sembra scosso quanto noi…” pensò, lasciando intendere che avesse qualche dubbio a proposito: questo bastò ad attirare la piena attenzione di Nathaniel.

“Che vuoi dire?”

“Dico che siamo stati addosso a Brakner, Morgan e Lindsey per tutto il tempo e non si sono mai allontanati dall’evento.”

“Le bombe le avranno messe prima della serata, no? Possono attivarle da remoto, come con il sistema di aerazione nella panic room.”

“Sono rimasti lì dentro fino all’ultimo secondo e probabilmente ci sarebbero morti se non avessimo fatto scattare il sistema anticendio. Quale malato di mente si lascerebbe esplodere?”

A! – urlò l’altro - Ecco chi!”

“E che mi dici di Lindsey e Morgan? Se sono complici, perché se ne stavano così tranquilli?”

Nathaniel si massaggiò le tempie, cercando di non capire di proposito perché non riusciva ad accettare il punto a cui voleva arrivare Eric: “Smettila, Brakner è A! Non possiamo esserci sbagliati.”

“Se Brakner avesse architettato tutto questo, Lindsey l’avrebbe saputo di certo. E lei non avrebbe mai rischiato la sua stessa vita, quella di suo fratello e sua cugina!”

“Allora Brakner ha fatto tutto di nascosto a loro, non c’è altra spiegazione!” esclamò, categorico, non accettando quella versione.

Eric si arrese, smettendo di parlare. I due continuarono a guardarsi intorno, spaesati.

 

*

 

Più tardi, tra le varie persone che giravano per il perimetro con una coperta sulle spalle, tra i nastri gialli e i vigili del fuoco che tentavano ancora di spegnere le fiamme, Sam era seduto sul bordo dell’ambulanza, finalmente cosciente, che si teneva sulla faccia la mascherina per l’ossigeno. Eric e Nathaniel erano davanti a lui.

Stando meglio, Sam se la tolse ad un certo punto. Era a dir poco scosso.

Nathaniel si sincerò rapidamente delle sue condizioni: “Allora? Come va?”

Quello lo fissò, come si guarda un film dell’orrore: “Come dovrei stare dopo tutto questo? Questa volta A si è spinto oltre più che mai.”

Gli altri due mantennero uno sguardo basso, demoralizzati.

“…E non sappiamo nemmeno perché ha fatto esplodere la scuola.” pensò Eric.

“Dovremmo aggiungere la voce Terrorista  al profilo personale di questo pazzo! - esclamò Sam con collera, per poi passare ad uno stato di paranoia – Per non parlare del corpo di Albert, lasciato così.”

Nathaniel si guardò attorno con sguardo circospetto, notando i poliziotti che facevano domande a tutti: “E’ chiaro che ci sta buttando nella fossa dei leoni, ma non completamente. Se ci avesse voluto incastrare subito, i nostri video sarebbero già su tutti i server della polizia e noi non staremmo qui a respirare ossigeno come delle vittime innocenti.”

“noi SIAMO vittime innocenti! - sottolineò Sam – Il mio cuore si è fermato per non so quanto tempo ed è tutta colpa di Anthony se siamo finiti in questo casino!”

“Dobbiamo essere furbi stasera. E sperare di non lasciare questo parcheggio in manette.” suggerì Eric.

Sam, a quel punto, si indirizzò verso un nuovo discorso: “A proposito di furbizia: dove diavolo è Rider? – spostò lo sguardo fra i due – Se Wesam ha detto che un nostro amico l’ha aiutato a portare me e Nathaniel fuori dalla scuola, parlava senza dubbio di lui, no?”

“Wesam ha anche aggiunto che poi questo nostro amico è andato a chiedere aiuto, ma… - si insinuò in Nathaniel qualche dubbio – Dove di preciso? In Canada?”

Nella testa di Sam, allora, iniziarono a sorgere brutti pensieri: “Ragazzi, e se…Rider non fosse mai uscito dalla panic room?”

Eric scosse subito la testa, come se lo pensasse ma volesse autoconvincersi del contrario: “No, non può essere morto. Rider non è così stupido da non controllare i messaggi.”

“Magari si è distratto, chissà cosa c’era in quella parte segreta della panic room…” replicò Nathaniel, realista.

Improvvisamente, le loro supposizioni sfumarono quando un messaggio arrivò sul telefono di Sam.

Da Rider:

“Sto arrivando, dove siete?”

“Oh mio Dio, è vivo!” esclamò Sam, mostrando il telefono agli altri due.

Tutti e tre sorrisero, sollevati. Sam gli rispose immediatamente.

A Rider

“Vicino alle ambulanze…”

Ricevette un altro suo messaggio in replica

Da Rider:

“Vi vedo!”

 

“Ha scritto che ci vede!” mostrò ancora una volta il telefono ai suoi amici. Tutti e tre, allora, si voltarono contemporaneamente a cercarlo con lo sguardo.

Quello, però, stava già arrivando verso di loro: in carne ed ossa.

“Una supernova, eh? – esordì, dopo essersi voltato a guardare la scuola – Là sotto l’ho percepita come la fine del mondo!”

Nemmeno fece un altro passo che Sam gli saltò addosso, abbracciandolo.

“Sono così contento che tu sia vivo… - lo strinse forte ad occhi chiusi – Grazie di averci portati in salvo. - si staccò, fissandolo negli occhi – Perché eri tu, vero?”

“Sì, ero io… - spiegò, leggermente intontito e sorpreso da quell’abbraccio – Dopo aver ricevuto il messaggio di A, in cui diceva che uno di noi sarebbe rimasto bloccato nella scuola a causa sua, sono risalito per cercavi e vi ho subito trovati. Wesam è arrivato subito dopo e mi ha aiutato a portarvi fuori.”

“Anche noi abbiamo ricevuto lo stesso messaggio. – prese parola Nathaniel – Sam ha insistito affinchè scendessimo a prenderti.”  palesò che lui non avrebbe agito alla stessa maniera di Sam.

“Ah… - abbassò lo sguardo, annuendo e fingendo un sorriso – Beh, viva la sincerità!”

“Scusa, ma…potevamo morire e tu potevi essere già uscito.” continuò Nathaniel, sottolineando che non c’era nulla di personale.

Eric si intromise, a quel punto: “Ok, l’importante è che siamo tutti vivi. Solo che… - il suo tono si fece cupo – Non so a quanto serva essere vivi in questo momento.”

“Ho scoperto di Albert, mentre venivo qui. Siamo davanti ad un altro gioco di A, perciò non facciamoci prendere dal panico.” cercò di tranquillizzarli.

“Ti prego, dimmi che sei così sereno perché hai recuperato i video e quindi non c’è alcuna prova contro di noi.” Sam sperò in una risposta positiva.

Tuttavia, Rider assunse un’espressione che intendeva tutto il contrario: “…Purtroppo, sono stato troppo ingenuo. C’era un virus su tutti i file, compresi i nostri video. Quando ho tentato di copiarli, è comparsa una schermata che diceva che sarebbero stati mandati alla polizia se ci avessi provato. Stessa cosa se li eliminavo.”

“Quindi?” domandò Nathaniel, impaziente di sapere.

“Quindi ho rubato l’unità di sistema e l’ho calata giù per la botola. Quando sono risalito dalle fogne, ho nascosto il borsone ad un isolato da qui e sono rientrato a scuola per cercarvi in seguito a quel messaggio. – fissò Sam e Nathaniel con aria mortificata - Una volta che vi ho portati in salvo sono tornato a riprendere il borsone, ma non c’era più.”

Tutti assunsero un atteggiamento incredulo, demoralizzato. Sbuffarono.

Eric, però, contò sul fatto che non tornava da loro a mani vuote: “Ma almeno sei riuscito a scoprire qualcosa?”

Scosse la testa, imbronciato: “Mi dispiace, niente. Non ne ho avuto il tempo, per questo ho rubato l’unità di sistema.”

Sam si mise le mani nei capelli: “Non ci credo…” e tornò a sedere sull’albulanza, attaccandosi nuovamente la mascherina al viso per respirare un po’ di ossigeno.

“Noi ti dobbiamo aggiornare su Rosewood-riservato. Forse abbiamo capito cos’è, ma speravamo che tu avessi scoperto molto di più.” aggiunse Eric.

“Mi dispiace ragazzi, ma forse questo non è il luogo adatto per parlarne. Probabilmente ci lasceranno andare tra un’oretta.” spiegò loro.

Intanto, non molto lontano dai quattro ragazzi, un uomo con indosso un completo nero era accanto ad una delle auto della polizia. Li fissava molto attentamente, mentre quelli sembravano discutere anziché essere scioccati dall’accaduto. La cosa lo incuriosì a tal punto da doversi avvicinare: era un detective.

“Scusate se vi interrompo… - esordì, arrivando alle loro spalle – Sono il detective Michael Costa e volevo farvi alcune domande, come le sto facendo a tutti.”

Nathaniel si mise a braccia conserte, fingendo un atteggiamento simile a quello delle altre persone intorno. Gli altri fecero lo stesso, anche se Sam divenne immediatamente pallido.

“Siamo sconvolti, io sono uno di quelli che è svenuto per il gas.”

“Capisco… - annuì – E che mi dite del vostro alibi?”

Quelli rimasero in silenzio, guardandosi tra di loro, confusi.

Deglutendo male, Sam cercò di capire: “Che intende, scusi?”

Michael rispose disinvolto, mentre scriveva sul suo tacquino: “Dove eravate la notte della scomparsa di Albert: questo intendevo!”

“Ma… - continuò Eric, stringendo gli occhi, guardandosi con gli altri – che c’entra con quello che è appena successo?”

L’uomo distolse il suo sguardo dal tacquino, sorridendo: “Beh, ancora non ci sono informazioni sull’esplosione. Nel frattempo, mi occupo dell’altro mistero: l’omicidio di Albert Pascali!”

Il silenzio prese il sopravvento e Michael si sentì in dovere di aggiungere altro.

“Ascoltate, non vi nascondo che i vostri nomi non siano noti alla polizia. Quando Albert è scomparso ci sono state delle indagini approfodite. Ovviamente, è spuntanto fuori quel video che avete girato con Anthony Dimitri. Inoltre, stasera molte persone mi hanno riferito che tra voi e Albert non c’era un bellissimo rapporto: in definitiva, ci troviamo davanti ad un caso di bullismo scolastico.”

Nathaniel, infuriandosi, non si lasciò etichettare: “Beh, le persone che le hanno riferito questo sanno perfettamente che il bullo era Anthony e non noi. In ogni caso, non capisco dove vuole arrivare.”

“Fino ad un mese e mezzo fa, Albert era un ragazzo scomparso. Ora è un cadavere, perciò…un gruppo di bulli è un ottimo punto di partenza.”

Eric fissò Rider, sperando che dicesse qualcosa, ma quello era alquanto distratto, impedito.

“Ehm… - Eric decise di prendere parola, evidenziando l’assurdità di quelle parole – Se fossimo noi gli assassini, perché avremmo dovuto lasciare il corpo di Albert in mezzo ad una strada?”

“Proprio perché voi possiamo usare questa frase, Eric Longo.” lo squadrò, intimorendolo.

Sam sentì di dover intevenire: “Eravamo al ballo, come potevamo fare tutto questo?”

“Sempre quelle molte persone, dicono che vi siete assentati dal ballo per molto tempo ad un certo punto della serata.” continuò il detective.

Nathaniel, irritato, replicò: “Beh, vorrei tanto sapere chi sono queste persone. Se lei avesse visto il video, saprebbe che molta gente non ci sopporta e che direbbe qualsiasi cosa a nostro sfavore.”

“L’ho visto il video, Nathaniel Blake. Faccio attenzione ad ogni dettaglio.”

Stufo di quel tono cinico e pesante, Sam gli diede ciò che voleva: “Vuole un alibi? Bene, io ero a casa con la mia amica Chloe Fitzpatrick a guardare il finale di stagione di How to get away with murder.”

Michael lo appuntò, mentre continuava a fissarlo; non riusciva a capire se stesse mentendo o dicendo la verità: fu talmente convincente che lo lasciò confuso.

Sam percepì la sua confusione, ovviamente, mantendendo un espressione che non lasciava trapelare nulla. Del resto, aveva fatto molta pratica nel raccontare bugie…

 

FLASHBACK

 

Anthony e Sam stavano pranzando in mensa, da soli, l’uno di fronte all’altro. Quest’ultimo sembrò assai a disagio e l’amico, poco prima di avvicinare la forchetta alla bocca, lo notò.

“Che c’è? Ho qualcosa fra i denti?”

“Ehm, no! – esclamò, in imbarazzo – Continua pure a mangiare.”

Anthony allora continuò a fare quello che stava facendo, notando subito dopo che Sam lo fissava e poi distoglieva lo sguardo non appena alzava la testa.

“Ok, si può sapere che cos’hai? – poggiò la forchetta, seccato – Non è che ti sei innamorato anche di me, adesso? Non ho tempo per essere bisessuale!”

“Ouh, NO! – negò assolutamente, restiò a rivelare ciò che lo tormentava – E che…Quando sono con Nathaniel ed Eric, loro parlano solo di ragazze quando ci cambiamo in palestra per l’ora di ginnastica. Mi lanciano certe occhiate, come se si aspettassero che io faccia qualche commento o che annuisca a frasi come “Piper ha delle belle tette, non trovate?” o “Mmmm, bel sedere quello!”  e io sono lì che ho paura che scoprano che sono gay.”

L’altro sorrise, maliziosamente: “Hai paura che scoprano che tu sia gay o che Nathaniel scopra che sei gay e che inizi a notare la tua cotta per lui?”

Sam punzecchiò i suoi piselli verdi dentro al piatto, rispondendo con la voce piccola: “…Beh, forse la seconda. – improvvisamente si infuriò – Nemmeno Rider parla mai di ragazze, eppure eccomi qui che mi faccio paranoie assurde anche se non sono il solo che non lo fa!”

“Purtroppo la parte sessuale del cervello di Rider è occupata dalla storia, la geografia e qualsiasi cosa esista sottoforma di un libro. Quando si distrae da tutto questo diventa peggio di tutti noi. Forse è anche più etero di me, Nathaniel ed Eric messi assieme.” rise, continuando a mangiare.

“Come si diventa convincenti? – gli domandò, fissandolo in maniera acuta – Come si fa a costruire una maschera impenetrabile?”

Quello si fermò dal mangiare e provò a spiegarglielo: “Costruire una maschera non è facile come sembra, ma molti di noi ci riescono molto bene. Bastano due semplici ingredienti, d’altronde: una bugia e l’abilità di raccontarla come se fosse vera.”

“Non sono così abile…” pensò Sam.

“L’abilità si acquista con la pratica. – sottolineò – Basta convincere sé stessi, Sam. E una volta che hai convinto te stesso che quella bugia è vera, diventerà vera per tutti.”

Accenando un sorriso, Sam fu sfacciato: “Tu sembri avere molte maschere…”

“Non andare oltre, Sam. – replicò, serio e misterioso – Avere molte maschere richiede più di una bugia e tantissime abilità.”

“Insegnami ad averne una allora!” insistette.

“Beh, ripeti a te stesso una bugia e poi dilla agli altri come se non lo fosse.”

Quello ci provò, pensando: “Ehm…vediamo… - trovò cosa dire finalmente – Ho avuto un’apputamento con una ragazza di nome Jane, l’altro giorno. E’ stato fantastico!” raccontò, con strane mimiche facciali che non convinsero per niente l’amico.

“No, Sam. – scosse la testa, leggermente agghiacciato dal suo scarso impegno - Non ci siamo! E’ evidente che ti stai sforzando… - decise di dargli un suggerimento a quel punto – Forse non hai capito cosa vuol dire autoconvincersi. Per ingannare gli altri, devi prima ingannare te stesso: prova a pensare all’ultimo appuntamento che hai avuto con un ragazzo. Cerca di ricordare come ti sei sentito, come l’hai guardato e come ti ha baciato. Ora, metti tutto insieme e trasforma il suo nome in Jane.”

L’altro, in estasi per i ricordi che stavano riaffiorando nella sua mente, eseguì: “Non facevo che guardarla negli occhi, mentre parlava. Sotto quella maglietta, il suo corpo era ben delineato e quasi mi facevo beccare a mordermi le labbra per la voglia di sapere cosa c’era sotto. Poi, a fine serata, ci siamo baciati a lungo e… - fissò Anthony, continuando con la stessa espressione – Niente, quella Jane era davvero di una bellezza mozzafiato e ci sapeva fare: eccome se ci sapeva fare!”

Anthony gli fece un’applauso, piacevoltemente sorpreso: “Complimenti, Sam. Hai creato la tua prima maschera con successo. Perfino io che so la verità ci stavo quasi credendo.”

Ovviamente, Sam sorrise e si sentì appagato. Quasi come un alunno che viene gratificato dal proprio insegnante.

 

Mentire con successo era ormai un’abilità che Sam aveva affinato con il tempo, grazie ad Anthony. E per quanto non risultasse così appagante come un tempo, gli era tornata utile.

Michael si rivolse agli altri tre, subito dopo: “E voi?”

Sia Nathaniel che Eric guardarono Rider, ma quello si schiarì la gola, la fronte sudata: era a disagio, bloccato.

Nathaniel prese subito parola per non far insospettire il detective: “Quella sera, io, Rider ed Eric siamo andati in un locale.”

“Nome del locale, prego?” chiese quello con la penna sulla carta.

Intervenì Eric: “Eravamo al Rumors club!”

Finalmente, il detective mise via il tacquino e la penna. Il suo sguardo si spostò su Rider.

“Sei molto silenzioso, Rider Stuart. Come mai?”

“Ehm… - tentennò - la scuola è esplosa e io per poco non saltavo in aria con lei: sono abbastanza scioccato!”

“Comprensibile… - accolse quella risposta - Direi che può bastare così, siete liberi di andare. - sorrise a tutti e quattro – Buon rientro a casa!”

I ragazzi sentirono scomparire quel macigno dai loro stomaci non appena si voltò. Michael, però, ebbe un’ultima cosa da dire. Principalmente a Sam.

“Anch’io ho visto il finale di How to get away with murder, quella sera. Peccato che nella vita reale non esistano avvocati come Annalise keating ad aiutarti a farla franca con un omicidio…” sorrise, una lunga suspense, per poi andarsene sul serio.

Una volta lontano, i ragazzi poterono finalmente parlare tra loro e riprendere fiato o quasi.

“Sento le ginocchia che mi stanno per cedere…” esternò Sam, bianco come un cencio.

Eric, invece, se la prese subito con Rider: “Ma si può sapere che cosa ti è preso?”

“Già!” si aggregò Nathaniel.

Quello cercò di giustificarsi: “Mi è preso il panico, ok? E’ un indagine di polizia, non mi è mai capitato prima d’ora.”

Nathaniel non tollerò quel comportamento: “Nemmeno a me è mai capitato prima d’ora, ma ho comunque chiuso la mia vescica contro la forza di gravità per non farmela sotto davanti a quel detective e insospettirlo!”

“Anche Rider è infallibile, come potete vedere!” si difese Rider, sentendosi attaccato ingiustamente.

“Smettila di parlare in terza persona di te stesso, Rider…  – Sam si rivolse a lui, poi agli altri – E voi smettetela di accusarlo, anch’io facevo fatica a rispondere. Quello a cui dobbiamo pensare adesso è che quel detective conosce i nostri nomi a memoria: non è un buon segno in gergo poliziesco!”

“A proposito, che cavolo significa che noi eravamo al Rumors club? – domandò Nathaniel ad Eric – Lo sai che indagheranno e che scopriranno che non eravamo lì, vero?”

Eric cercò subito di spiegare: “Sta calmo, conosco tutti i locali di Rosewood. I proprietari e lo staff di quel locale sono molto distratti. Basterà farci fare uno scontrino falso da Julie, hanno visto spesso la mia faccia in quel posto.”

Nathaniel, poi, si girò verso Sam: “E indagheranno anche per il tuo alibi, lo sai?”

“Anche Chloe era fuori quella notte, visto che è uscita dopo di me. Confermerà sicuramente quella versione se non vuole finire nei guai anche lei.”

Improvvisamente, Sam vide arrivare Wesam. Tutti si voltarono a seguire il suo sguardo, che si era incantato su di lui.

“Ehm, non andate via… - si alzò dal bordo dell’ambulanza su cui era seduto – Torno subito.”

Nathaniel, mentre Sam era già a qualche passo da Wesam, fece sentire la sua voce: “Ehi, non metterci troppo. Dobbiamo tornare a casa!” e quello si voltò giusto un attimo, non facendo caso al suo tono leggermente infastidito.

Rider, intanto, stava guardandando il polso di Nathaniel, attirando la sua attenzione: “Dov’è finito il tuo braccialetto?”

Quello, distratto a guardare i due che avevano già iniziato a parlare, finalmente si voltò: “Eh? Cosa? – poi abbassò lo sguardo, toccandosi il polso nudo – No, non può essere…”

“Deve avertelo tolto mentre eri svenuto. Ci ha messi fuori gioco tutti e quattro, stasera.” pensò Eric, per nulla sorpreso.

Alle loro spalle, Wesam si sincerava delle condizioni di Sam con molta apprensione.

“Sicuro di stare bene? Sai, non ho mai fatto un massaggio cardiaco prima d’ora.”

L’altro sorrise, ancora debole: “Beh, dicono che se hai guardato tutte le stagioni di Grey’s anatomy e del Dottor House, potresti anche operarti da solo.”

“Il bello è che non ho mai visto una serie medical in tutta la mia vita. – sorrise a sua volta per poi sfumare in un espressione di terrore nel ricordare cosa aveva dovuto affrontare – Volevo solo salvarti ed è come se la mia mente si fosse attivata ad un livello talmente avanzato da rendermi uno spettatore esterno. Non sapevo cosa fare, ma allo stesso tempo lo sapevo.”

Ad un certo punto, Sam sfiorò le proprie labbra con le dita: “Mi hai fatto la respirazione bocca a bocca, vero?”

“Ho fatto molto di più di questo. – sorrise, ancora incredulo – Ti ho fatto ripartire il cuore…”

Sam lo fissò, gli occhi lucidi per essere quasi morto. Intenerito anche dall’uomo, che aveva fatto l’impossibile per salvarlo, lo abbracciò forte. Quello ne rimase sopreso, gli occhi sgranati.

“Grazie, Wesam…” gli sussurrò ad occhi chiusi, con le braccia intorno al suo collo.

L’uomo si abbandonò a quell’abbraccio, sorridendo, scambiandosi uno sguardo con Nathaniel, che li stava osservando dall’ambulanza.

Quando Sam riaprì gli occhi, rimase ancora abbracciato a Wesam. Quel momento intenso, però, fu interrotto da una scena che Sam osservò attentamente, non appena la notò: Chloe che si stava avvicinando ad una macchina appena giunta sul posto. Il finestrino si abbassò e riuscì ad intravedere che alla guida di quel veicolo c’era Clarke Dimitri: il fratello di Anthony.

“Ma che…???” farfugliò tra sé e sé, mentre si staccava da Wesam.

“Tuo padre è qui, a proposito.”  gli fece sapere quello.

“E dove?” chiese, abbastanza distratto da Chloe che parlava con Clarke.

“Credo stesse parlando con quel detective. Se non sbaglio, un certo Michael Costa!”

Sam, a quelle parole, sbiancò e la sua attenzione venne catturata completamente: “Cosa? Ne sei sicuro? Hai sentito cosa si dicevano?”

L’altro, sentendosi sopraffatto, cercò di rilassarlo: “Ehi, non hai mica fatto esplodere tu la scuola. – rise – Tuo padre è un poliziotto, è normale che si parlino.”

“Già, hai ragione. – finse un sorriso di circostanza, nascondendo l’ansia che lo divorava – Forse è proprio per quello che stanno parlando.”

Poi si voltò di nuovo verso la macchina di Clarke, ma quella non c’era più. E nemmeno Chloe.

Tutto ciò lo lasciò alquanto confuso.

 

TWO DAYS LATER…

 

Rider era dentro allo studio di suo padre quella mattina, camminando accanto alla libreria, sfiorando la scrivania con le dita. La esaminava attentamente, come se fosse la prima volta che ci entrava dentro.

Ad un certo punto prese in mano la foto di famiglia, poggiata accanto al computer, e restò lì impalato a fissarla con un espressione seria, assai acuta.

Lindsey, che stava passando proprio davanti alla porta, si fermò di colpo.

“Che stai facendo qui dentro? - gli domandò, incuriosita – Lo sai che papà non vuole che entriamo nel suo studio quando non c’è.”

L’altro mise subito giù la foto, balbettando: “Ehm, cercavo qualcosa da leggere.”

“La nostra scuola è appena esplosa e tu vuoi leggere? – rise, prendendolo in giro – Rilassarti non ti piace proprio eh?”

“Ma leggere E’ rilassante! – sottolineò – E poi a me di solito piace tenermi impegnato con un buon libro, non è così?”

Quella lo fissò, stranita: “E’ una domanda retorica, questa?”

Cercò di sorvolare: “Lascia stare!”

Sopraggiunse un silenzio imbarazzante.

“Oookey… - era pronta ad andarsene, ma si bloccò nuovamente quando notò l’aspetto di suo fratello – Sbaglio o sei vestito abbastanza casual oggi? Non ti avevo mai visto con una camicia bianca e un paio di jeans strappati.”

Rider si guardò da capo a piedi: “Erano in fondo all’armadio e ho voluto mettermeli. Tanto non stiamo andando più a scuola. Nel tempo libero mi vesto sempre così, no?”

Lindsey restò impalata a fissarlo, confusa: “E’ un’altra domanda retorica? Perché se lo è, sappi che la risposta non è per niente ovvia.

L’altro si avvicinò allo scaffale, sfilando un libro a caso: “Ok, sorella, io me ne vado a leggere… - diede un’occhiata al titolo, nominandolo ad alta voce – Il bambino aldi là del cancello! Sembra una lettura interessante…”

“Lo è, visto che è il primo libro che Papà ha pubblicato nella sua vita e che tu hai già letto un milione di volte.”

“Beh, rileggere un successo non fa mai male. Ti ricorda che c’è chi al mondo ha raggiunto qualcosa, mentre altri ancora no. – gettò un’altra occhiata al libro, molto velata, prima di puntare nuovamente Lindsey –  Dico bene, sorella?”

 Quella lo fissò ancora più stranita, leggermente infastidita: “Ok, da quando mi chiami sorella? E cos’è questo tono saccente?”


“Che c’è, non posso chiamarti sorella?”

“Ok che mi sono preoccupata molto quando non riuscivo a trovarti quella sera, ma questo non vuol dire che inizieremo a chiamarci sorella, sorellina o fratellino!  - lo fissò attentamente, mentre quello le sorrideva divertito – Sai, sei strano!”

“In che senso?” finse di non capire, lo sguardo di chi sembra prenderti in giro.

“Non lo so, ma sei più strano del solito. Sicuro di non essere bipolare?”

Quello scosse la testa: “Tranquilla, la parola bipolare non mi appartiene. – le sorrise ancora – Ritenta, magari sarai più fortunata.” e lasciò lo studio.

Lindsey restò alquanto spaesata da quella bizzarra conversazione, mentre lo guardava allontanarsi.

 

*

 

Sam era appena rientrato a casa. Appoggiando il suo cappotto all’appendiabiti all’ingresso, con l’altra mano reggeva il telefono mentre parlava con Eric.

“Com’è andata la visita dal medico?” domandò Eric, nel suo appartamento, seduto davanti al pc in cucina.

“Direi che possiamo archiviare con successo questa storia del piccolo redivivo di nome Sam . Pensa che, secondo il medico, ho dei polmoni d’acciaio; peccato, però, che non mi siano serviti nel momento in cui dovevo uscire da un edificio che stava per esplodere.” replicò seccato, mentre si sdraiava sul divano.

“Tu non stavi uscendo, Sam. Sei durato lì dentro anche oltre il limite umano!” esclamò, mentre controllava le sue email.

Sbuffò, con una mano sulla fronte: “Che senso ha tornare in vita quando l’inferno non si trova nell’aldi là? Wesam avrebbe dovuto lasciarmi morire!”

“Non dire sciocchezze, la tua vita è preziosa.”

“Preziosa? E’ un macigno che diventa sempre più pensante. – reagì in modo isterico - Seriamente, sento il parque sotto ai miei piedi che scricchiola ogni volta che cammino.”

“Credo sia normale che il parque scricchioli, no?” commentò, irritandolo.

“Sento scricchiolare anche l’asfalto su cui cammino per strada, ok?” ribattè.

“D’accordo, sei nervoso, ho capito! Io comunque ho già ricevuto l’email che mi comunica in quale scuola finirò.”

Sam si sollevò con la schiena, sgranando gli occhi: “Cosa??? Ci hanno già collocati nelle altre scuole? Spero tanto che non ci abbiano divisi…” ne ebbe il terrore al solo pensiero.

“Controlla la tua posta, io sono finito alla Briarhood. E’ a quindici minuti di autobus, perciò mi è andata bene se consideri che non ho la macchina.” spiegò, dopo essersi informato sulla distanza.

L’altro controllò sul suo telefono, restando assai deluso: “Oh mio Dio, io sono alla Brahms!”

Eric ci restò parecchio male: “A quanto pare noi due non frequenteremo più la stessa scuola…”

“A quanto pare… - ebbe la stessa reazione, per poi continuare a scorrere la mail - Non ci credo, hai guardato gli elenchi? Nathaniel e Rider sono insieme: alla Northdale!”

Anche Eric stava leggendo: “E con loro ci sono Violet, Colton e Lindsey…”

“Sembra che non abbiano diviso i fratelli. – constatò Sam, dando un’occhiata all’elenco della sua scuola – Con me c’è Brianna Santoni, mentre gli altri nomi che vedo non mi dicono nulla.”

“Invece con me ci sono Morgan, Lisa Nelson e… - notò un altro nome – Ouh, c’è anche la tua amica Chloe alla Briarhood.”

“Ah, Chloe…” reagì in maniera strana al suo nome e l’amico lo percepì.

“Cioè? Perché rispondi con questo tono imbalsamato?”

Sam, allora, decise di fargli una confidenza: “Ehm, c’è una cosa che non vi ho detto quella sera: ho visto Clarke arrivare sul posto, mentre parlavo con Wesam. Poi ho visto Chloe avvicinarsi alla sua auto e parlare con lui e…”

“E…???” si fermò dal digitare sul portatile, impaziente.

“Mi sono distratto un secondo e la macchina non c’era più. Credo se ne sia andata con lui.”

Confuso, Eric cercò di capire meglio: “Un secondo, ma…che legame c’è tra Clarke e Chloe? Sapevi che si conoscessero?”

“So a malapena come si tempera una matita con tutte le stranezze che vedo in questa città. – si mise una mano tra i capelli, sospirando rumorosamente – Dici che dobbiamo indagare?”

“Lo sai che dopo l’esplosione ho messo in dubbio che Brakner possa essere A, vero?”

“Se non è lui, allora chi è? Sono stanco di tirare ad indovinare!”

“Dobbiamo tenere d’occhio un po’ tutti a questo giro. Dovresti tenere d’occhio anche Chloe.”

“Anche Clarke, a questo punto. Deduco sia tornato in vista del processo di Jasper o magari non se n’è mai andato.”

“A proposito di Jasper, come siete rimasti con il Francese? E che ne pensa Nathaniel di tutta questa storia di Chloe e Clarke?”

L’altro titubò leggermente non appena Eric nominò Nathaniel: “Ehm, in verità, io e Nathaniel non ci siamo ancora sentiti per parlare di questo. Cioè, mi ha chiamato per sapere che cosa avesse scoperto la polizia sull’esplosione ma niente di più.”

“Hai chiamato prima me che Nathaniel? – ne restò sorpreso – Siamo finiti in un mondo parallelo, per caso? E non venirmi a dire che sto esagerando, perché sappiamo entrambi che in questo gruppo ci sono due team ben distinti!”

Si grattò il capo prima di rispondere: “E’ che…sono successe delle cose tra me e Nat, mentre eravamo dentro la scuola. Cose che mi hanno un pò distaccato da lui.”

“Vuoi parlarne? – provò a scherzarci su per sdrammatizzare – Sai, ancora non ci ho capito un bel niente su quello che c’è tra voi due. State solo recitando o c’è qualcosa di vero?”

“Da parte mia c’è sempre stato qualcosa di vero. Dal primo momento. – poi riflettè per quanto riguarda Nathaniel – Da parte sua c’è solo molta confusione.”

“E di Wesam? Che mi dici?”

Quello sussultò immediatamente: “Wesam? Cosa c’entra Wesam?”

“Non ne ho idea, Sam. So solo che Nathaniel, quella sera, vi ha guardati come se ci fosse qualcosa da supporre.”

“Wesam è solo il mio psicologo e Nathaniel, evidentemente, temeva che mi lasciassi sfuggire qualcosa con lui.” restò sulla difensiva.

“Ho fissato la mia immagine allo specchio per molto tempo, Sam. Sarà che, ora che non lo faccio più, riesco a notare le cose con più attenzione e…quella che ho visto in Nathaniel era gelosia!”

Sam rimase in silenzio, molto a disagio, decidendo di cambiare argomento: “…Ehm, che hai deciso di fare poi con il segreto numero 39 mandato da A? Lo userai?”

L’altro si rese conto che era meglio non insistere e lasciò che si cambiasse argomento: “Ho altra scelta? Se non lo faccio, probabilmente A farà esplodere la mia nuova casa a Riverton.”

“E se il Signor Lincoln si ribellasse a questo ricatto?”

“E se mio padre non volesse più quel posto, anche se riuscissi a farglielo riavere?” replicò, divorato dall’angoscia.

“Beh, prima di agire, prova a vedere cosa ne penserebbe tuo padre. Così, per scherzo.”

Sbuffò, stressato: “Vorrei tanto che fosse A a fare il lavoro sporco.”

“Ascolta, io devo andare. Se ti serve qualcosa, chiamami. E ricorda che non dobbiamo vederci, ok? Lasciamo che le acque si calmino.”

“Ma certo, l’avevamo già concordato quella sera. – prima di chiudere la chiamata, però, trovò curiosa la situazione – Buffo che abbia preso tu questa decisione, non trovi?”

“Che vorresti dire?”

“Dico che di solito è Rider ad andare fuori di testa e a darci istruzioni su cosa fare o non fare… - riflettè a lungo su questo – E’ molto calmo, non credi?”

“Forse A si è spinto talmente oltre da averlo spaventato stavolta. Ormai non siamo più davanti a qualcuno che ci minaccia solo con un SMS.”

“Non so, sembrava un’altra persona…” pensò ancora.

“Tutti siamo diventati un’altra persona in qualche modo. Qualcosa ci cambia drasticamente. E quel cambiamento deriva sempre da un evento specifico…Forse quello che è successo durante la sera del ballo, è l’evento che ha cambiato Rider.”

Eric si lasciò sfuggire una piccola risata: “E questa dove l’hai sentita?”

“Ogni tanto Wesam fa dei discorsi esistenziali talmente profondi che mi restano in testa. “ raccontò, lasciandosi scappare anche lui una risata.

 

*

 

Nathaniel, intanto, dopo essersi procurato un autorizzazione per le visite in carcere, era tornato da Jasper per parlare con lui.

Nel momento in cui stava per varcare l’ingresso della sala visite, notò immediatamente che Jasper aveva già una visita: un uomo, seduto di spalle davanti a lui.

Rimase lì impalato, cercando di capire chi fosse. Improvvisamente, poi, quell’uomo si alzò e riuscì a scorgerne il volto: era Carter Havery.

Quello, adesso, stava arrivando verso di lui, dopo aver concluso il colloquio. Nathaniel raggiunse un angolo della sala, voltandosi verso la parete, aspettando che passasse e non lo notasse.

Dopo aver lasciato passare qualche secondo, si girò e quello se n’era andato. Con il sudore sulla fronte, raggiunse il tavolo di Jasper, continuando a guardarsi indietro.

“Finalmente!” sgranò gli occhi l’uomo, vedendolo arrivare.

Nathaniel si sedette, pronto ad una raffica di domande.

“Che cosa ci faceva quel poliziotto qui?”

“Intendi il padre di Sam?”

Quello deglutì malamente: “Sì, intendo proprio lui: che ci faceva qui?”

“Mi è sembrato abbastanza instabile. Sa che siete stati qui la scorsa volta!”

“Cosa? – sussultò, spaventandosi – Non capisco, perché è venuto qui? L’ha fatto per conto  di un detective, per caso?”

“No no, niente di tutto questo. – scosse la testa, nervoso – Anzi, ha fatto allusioni su una relazione tra me e suo figlio. Mi ha chiesto se l’avessi coinvolto in tutto questo.”

“Perché mai sarebbe arrivato ad una conclusione del genere?” domandò, pendendo dalle sue labbra.

“Non lo so, so solo che la mia posizione si aggrava sempre di più. Non solo ho ucciso il mio amante, adesso ho anche una relazione con un minore e il mio processo si terrà Giovedì prossimo. – fu categorico nella sua conclusione – Mi dispiace, ma non me ne starò più zitto. Non resterò in galera per sempre per un reato che non ho commesso, perciò io dirò la verità… - lo fulminò con lo sguardo – A costo di chiamarvi tutti alla sbarra!”

“Ok, aspetta… - tirò fuori una fotografia, guardandosi prima attorno, sperando di dissuaderlo – Ho il tuo alibi, guarda tu stesso.”

Jasper prese in mano la foto: mostrava Edward, l’uomo francese che l’aveva visto quella notte.

Sgranò gli occhi, incredulo: “Come diavolo l’hai trovato?”

“E’ lui?”

Annuì: “Sì, è lui. Non potrei mai dimenticare il volto dell’unica persona che può dire di avermi visto nella notte di quel maledetto omicidio.”

“Otterò una testimonianza, è a Rosewood e siamo in trattative con lui. Se terrai la bocca chiusa su tutto quello che ti abbiamo detto, faremo in modo che venga a testimoniare per te, ok?”

Assai titubante, restò in silenzio a lungo prima di rispondere: “Finchè non lo vedrò in tribunale, terrò la bocca chiusa. Altrimenti, mi dispiace, ma…devo salvare me stesso!”

“D’accordo, è comprensibile, ma non mandare tutto al diavolo. Ti abbiamo promesso che ti tireremo fuori da questo casino e lo faremo. – spiegò con tranquillità - Che altro puoi dirmi sulla tua situazione?”

“Niente, sono sempre il sospettato numero uno. Il mio avvocato d’ufficio ha richiesto una nuova riesaminazione delle prove trovate a casa Dimitri, ma è tutto inutile secondo me.”

“Come mai ha chiesto di far riesaminare le prove?”

“Pare abbia scovato un trascorso che ha la polizia con un vecchio caso in cui non sono stati abbastanza professionali.”

“Caspita, per essere un’avvocato d’ufficio sa il fatto suo.”

“Si, ma non servirà a nulla!”

“Gli hai per caso detto di noi? Confidato qualcosa?”


“No, ma non manterrò il segreto a lungo.”

Nathaniel si alzò: “Ti tireremo fuori di qui, abbiamo tutto sottocontrollo.”

“Lo spero per voi!” concluse, mentre Nathaniel si allontanava.

 

*

 

Di turno al Brew, Eric scese al piano di sotto. Dopo aver finito di svuotare i manici della macchina per il caffè, vide entrare suo padre. Quello si avvicinò al bancone, sfoggiando un ampio sorriso.

“Sai, mi fa ancora effetto vederti… - fissò il suo grembiule da lavoro – Bhe, in questo modo. Ti sei assunto una responsabilità e questo mi colpisce molto.”

“E’ un modo carino per dirmi che in passato ero viziato e non sapevo cosa volesse dire cercarsi un lavoro?”

“Sì, ma senza offesa.”

“Nessuna offesa, Papà: è la verità!” esclamò, lanciando un occhiata al suo capo, che in quel momento stava parlando con un cliente.

Daniel seguì il suo sguardo, riprendendo un discorso già fatto.

“Hai detto al tuo capo che stai per trasferirti a Riverton con la tua famiglia?”

“Non ancora… – si chiuse a riccio, mentre lucidava un bicchiere – Forse domani!”

“Forse? – pensò di aver sentito male – Eric, non posso restare a Rosewood per sempre, devo tornare al mio lavoro. Ho semplicemente proluganto questo soggiorno per via di quello che è successo alla tua scuola.”

“Non posso andarmene senza sapere che cosa è successo realmente, ok? – si alterò, ma senza alzare il tono del volume - Le indagini sono ancora in corso.”

Quello non riuscì a seguirlo, trovando ridicola quella risposta: “Che cosa te ne importa di quello che è successo? Sei vivo e a maggior ragione dovresti voler fuggire da questa brutta vicenda.”

“Devo sapere cosa è successo, ho detto.”

“Sapere che cosa? E’ sicuramente stato un’incidente!”

Molto provato dalla conversazione, Eric si prese un attimo prima di riprendere parola.

“E’ vero, voglio fuggire da qui dopo quello che è accaduto, ma almeno….aspettiamo che la polizia rilasci i dettagli dell’accaduto. Ok?”

Suo padre si arrese a quel punto, più calmo: “Come vuoi, ma…non appena si saprà qualcosa, ce ne andremo con il primo aereo!” concluse, dirigendosi verso le scale.

Eric lo fermò.

“Hai più sentito il Signor Lincoln da quando sei tornato?” gli domandò a bruciapelo, mentre quello si voltava lentamente.

“Il Signor Lincoln? – trovò strana quella domanda – Perché avrei dovuto sentirlo?”

“Ehm, niente, è che ho sempre questa assurda idea in testa che ti chiami per ridarti  il tuo vecchio posto di lavoro…”

L’altro fu chiaro e cristallino su quella faccenda: “Se mai dovesse accadere, spero che sia uscita un’applicazione in grado di inoltrare uno sputo in faccia. Quell’uomo mi ha letteralmente rovinato la vita, quando poteva semplicemente licenziarmi e basta: sono dovuto arrivare fino a Riverton per rimettermi di nuovo in piedi.”

Eric si rese conto che l’aiuto ricevuto da A non sarebbe servito a nulla, così lasciò andare suo padre molto amaramente: “Scusa, non avrei dovuto dire una cosa del genere.”

Suo padre annuì per poi salire al piano di sopra.

 

*

 

Sceso in cantina per sviluppare le foto del ballo, Sam spostò il lenzuolo per entrare nella piccola camera oscura che aveva allestito lì sotto.

Sotto quella luce rossa, stava manipolando la carta all’interno delle vaschette con delle pinze. Le prime immagini stavano comparendo e Sam le pescò immediatamente, attaccandole lungo il filo, che andava da parete a parete. Una, però, la tenne in mano: ritraeva Wesam che sorrideva, mentre parlava con la persona con cui era venuto al ballo.

Il suo sorriso gli trasmise talmente tanta serenità che sorrise a sua volta. Improvvisamente, poi, il telefono sul tavolo iniziò a vibrare e Sam lo recuperò, leggendo il messaggio che aveva appena ricevuto.

 

“Sei riuscito a scattarmi almeno una foto?”

-A

 

Sam indietreggiò, spaventato. Quando si voltò per uscire dalla camera oscura, vide un’ombra dall’altra parte del lenzuolo e andò subito nel panico. Recuperò immediatamente un oggetto lì per terra, un ombrello. Con il manico puntato in avanti era pronto a difendersi, mentre l’ombra avanzava.

Il lenzuolo venne sollevato e l’ombra si rivelò essere semplicemente suo padre. Sam abbassò l’ombrello, cacciando fuori tutta l’aria dalla bocca per il sollievo.

“Oh Dio, sei solo tu…” farneticò con una mano sul petto, cercando di riprendersi.

“Chi pensavi che fossi?” replicò, molto cupo e sudato in fronte, come se fisicamente non stesse bene.

“Non lo so…un ladro, qualcuno! - si avvicinò, più calmo – Dopo l’esplosione non faccio che avere paura continuamente.”

“Sicuro che sia solo questo?” continuò con un tono pungente.

Sam alzò lo sguardo, perplesso: “Ehm, sì…”

L’altro annuì, dandogli un suggerimento: “Forse dovresti andare da Wesam e parlare con lui di queste cose. Di qualsiasi cosa: lo sai che di lui ti puoi fidare.”

“Beh, sì, ma… - iniziò a trovare strano il comportamento di suo padre – cosa c’entra la fiducia, adesso?”

“Niente, assolutamente niente. Dico solo che magari, non avendo mai sperimentato uno psicoterapeuta, non sai che puoi dirgli tutto in maniera totalmente libera e che c’è il segreto professionale.”

“So perfettamente come funziona, Papà. – replicò abbastanza infastidito – Quello che non capisco è perché ti interessa tanto.”

“Sei mio figlio, voglio solo il tuo bene: per questo mi interessa.” rispose in maniera fluida e pronta.

Sam, allora, fu più diretto: “Visto che parliamo di fiducia, perché non mi hai detto di aver parlato con Chloe?”

“Te l’ha detto lei?”

“Papà, ti ho fatto una domanda!” pretese una risposta senza troppi giri.

“Volevo solo capire perché tu e Chloe non siete più amici.”

L’altro strabuzzò gli occhi, ancora più confuso: “Sei andato da lei solo per scoprire questo? A quanto mi risulta avete parlato anche dei miei attuali gusti sessuali.”

Carter allora esplose: “Non riesco più a capirti, ok? – gli urlò, lasciandolo basito – La tua omosessualità è davvero un problema così grande per te? Tale da distruggere un’amicizia e arrivare a tagliarti una vena?”

“Stai mettendo in dubbio i miei problemi?” sussultò, fingendo che fossero davvero quelli.

“Sì, li sto mettendo in dubbio! E penso che questi problemi stiano mascherando altri problemi.” fu diretto.

A quel punto, Sam alzò la sua borsa dal pavimento, non potendone più.

“Devo andare!” e lo scavalcò, non guardandolo nemmeno negli occhi.

Carter lo seguì oltre il lenzuolo: “Stranamente scappi sempre quando si parla di questo argomento. Perché, Sam?”

Quello si fermò sulle scale, oppresso: “Non sto scappando da niente, Papà. Sto andando alla seduta, come volevi tu.”

“Sam, ascolta… - fu più calmò, mostrandosi preoccupato – Qualunque cosa tu abbia, Wesam è lì per farti stare meglio e per permetterti di sfogarti e risolvere insieme le cose.”

“Non è quello che sto già facendo?” ripetè come se fosse la milionesima volta.

“Allora perché sembra che tu stia solo peggiorando?”

“Nemmeno tu ti sei ripreso facilmente dalla morte della mamma, o sbaglio? – replicò ancora – Ognuno ha i proprio tempi per uscire da qualcosa.”

“Quella era una cosa completamente diversa!” sottolineò con lo sguardo.

“Ok, Papà. Il miei problemi sono una sciocchezza per te, ho capito.” sorrise amaramente, deluso. Fece un altro passo, riprendendo a salire.

Carter lo fermò nuovamente.

“Non vuoi sapere almeno cosa è successo alla tua scuola, prima che lo dicano i notiziari?”

Sam si fermò di colpo, deglutendo malamente prima di voltarsi.

“Che hanno scoperto?” domandò senza mostrare troppo interesse.

“C’è stata una fuga di gas, qualcuno ha completamente sfondato uno dei tubi. Quando il gas si è propagato in tutto l’edificio, è bastata una scintilla per provocare l’esplosione.”

“Ehm… - girovagò con lo sguardo, confuso per non averlo sentito menzionare di alcuna bomba – tutto qui?”

“Purtroppo non è facile risalire all’autore di quello che è accaduto, ma la polizia sta comunque indagando. Faranno alcune domande anche alla vostra ex consulente scolastica per capire se ci fosse qualcuno dalla personalità abbastanza sospetta.”

L’altro annuì: “D’accordo, va bene. Cioè, non va bene per niente: è difficile dormire sapendo che là fuori c’è qualcuno che ha quasi fatto fuori un intero istituto.”

“Le misure di sicurezza verranno aumentate nelle scuole dove andrete, quindi non c’è pericolo che questo studente o professore o chicchesia possa ritentare.”

I due si guardarono negli occhi, lasciando calare il silenzio. Ormai non sapevano più che altro dirsi.

Sam decise di spezzare quel silenzio allora: “Vado da Wesam, a stasera!” e salì, lasciando Carter in cantina e pieno di tormenti.

 

*

 

Nathaniel era in centro, che camminava lungo il marciapiede discretamente affollato. Era al telefono e continuava a lasciare messaggi alla segreteria di Edward.

“Ehi, sono io…di nuovo! Dovevamo vederci ieri sera per quell’impegno che hai preso con me, ma non mi hai più ricontattato e non rispondi né ai messaggi né alle chiamate. Appena ascolti questo messaggio, richiamami, perché stasera sarei libero.” e rimise giù il telefono, domandandosi ancora che fine avesse fatto.

Mentre stava continuando a camminare, vide Julie uscire da un edificio con in mano uno scatolone, diretta alla sua auto.

Si avvicinò, salutandola: “Ehi!”

“Ehi, ciao…” si voltò, accennando un sorriso appena lo riconobbe.

“Te ne stai andando?”

“Beh, si. – rispose, poggiando lo scatolone sul sedile posteriore della sua auto – Ormai non c’è più nulla che mi trattenga qui.”

“Tornerai al tuo vecchio appartamento? Quello che dividevi con Denna?”

Julie titubò, palesando nuovi progetti in vista: “A dir la verità, vado a vivere con Palmer. E’ stato trasferito alla Northdale  e mi ha chiesto di seguirlo.” arrossì, infine, fantasticando sul futuro di questa convivenza.

“Ouh! – esclamò sorpreso – Sono davvero molto felice per te, sembri felice.”

“Lo sono, infatti. – sorrise – E un pò è grazie a voi se sono approdata a Rosewood e l’ho conosciuto. E’ un uomo davvero fantastico.”

Improvvisamente, si rattristò: “Già, e ricordi anche come mai ti abbiamo fatta venire qui…”

Quella lo fissò a lungo, scorgendo la sua malinconia: “Nathaniel, non pensare che per me sia facile andarmene, sapendo che lì fuori c’è un mostro che vi sta rendendo la vita impossibile. Insomma, ha fatto esplodere una scuola! – rise per l’assurdo – Il vostro primo istinto sarebbbe dovuto essere quello di chiamare la polizia e raccontare ogni cosa, ma non l’avete fatto. E io non posso nemmeno aiutarvi se non vi lasciate aiutare, se non vi confidate del tutto con me e non mi dite perché avete così tanta paura di A.”

“Mi dispiace, ma è complicato.”

“Mi avete chiesto di farvi uno scontrino falso senza un perchè. Ovviamente, però, non sono così stupida da non capire che in quella data che mi avete chiesto di inserire, voi non eravate in quel locale ma altrove. E non sono nemmeno così stupida da non capire che quello era un alibi! – sottolineò – La domanda, perciò, è: dove eravate quel giorno? E perché avete bisogno di un alibi proprio dopo la notte in cui è comparso il corpo di Albert Pascali?”

Nathaniel non sapeva che rispondere, tenendo lo sguardo basso: “Io…Io non posso risponderti.”

“L’avete ucciso voi?” fu diretta.

Quello alzò lo sguardo, in una sonora risposta: “NO! Noi abbiamo mai ucciso nessuno, Julie. Te lo posso giurare. – spiegò, mentre lei lo ascoltava con attenzione - Il problema è che stiamo per essere incastrati, forse.”

“Se A vi sta incastrando, allora non posso rimanere incastrata anch’io. Non quando non ho la più pallida idea di cosa stia succedendo.”

L’altro sospirò, trovando giuste le sue parole: “Ascolta, provo a parlare con gli altri. Cercherò di convincere Rider a rivelarti tutto.”

“Io sono qui fino a domani mattina, Nathaniel. Se non vi presenterete stasera, non disturbatevi a cercarmi nuovamente.”

“E se ci presenteremo?”

“Se lo farete, resterò con voi fino alla fine. La mia sestra è una tipa che fugge, ma io no.”

“La tua sestra?” non capì.

“Denna mi chiama così. – sorrise in modo genuino, ripensando a lei - Significa sorella in Russo: è un modo carino per rimpiazzare la parola sorellastra, secondo lei.”

“Beh, farò del mio meglio. Alla fine è solo Rider che dobbiamo convincere.”

“Lo spero per voi. Conosco Rider da poco, ma so per certo che è un osso duro e che è fermo sulle sue decisioni.”

“Le cose sono diverse, stavolta. Credo che mollerà.”

Quella sospirò, notando la sua apprensione: “Beh, io tornò a caricare le cose in macchina. Devo fare ancora due viaggi.”

“D’accordo, io vado…” accennò un sorriso, riprendendo a camminare lungo quella strada.

 

*

 

 

 

La seduta era iniziata da qualche minuto. Sam e Wesam erano seduti sulle rispettive poltrone, uno di fronte all’altro. Le lancette dell’orologio erano l’unico suono che riempiva la stanza.

“Allora… - l’uomo cominciò, mentre l’altro manteneva uno sguardo basso e distratto – ti va di parlare di ciò che è accaduto?”

“Ovvero?” alzò la testa, fingendo di non saperlo per evitare l’argomento.

“Lo sai, Sam.”

“Per quanto ancora dovrò parlare del mio miracoloso ritorno alla vita? L’ho già fatto con mio padre, con i miei amici, con chiunque me l’avesse chiesto!” replicò, stufo.

“Non devi necessariamente parlare di questo, se non vuoi parlarne.” restò risoluto e professionale.

Sam esternò delle perplessità, in merito alla sua posizione: “Quello che ti dico qui dentro non lo riferisci a mio padre, vero?” fu diretto

L’altro restò abbastanza sorpreso: “Perché mi fai questa domanda?”

“Perché non rispondi?”

“No, Sam. Quello che mi dici qui dentro rimane tra me e te. – cercò di convincerlo – Perciò se vuoi parlarmi di quanto accaduto, puoi farlo. E io ti ascolterò, ok?”

Sam si passò una mano tra i capelli, molto provato. Finalmente dava un cenno di resa, girovagando con lo sguardo per trovare le parole: “Non saprei che cosa dire. – gesticolò, nervoso - O forse lo so, ma ho paura a dirlo ad alta voce.”

Vedendolo così vulnerabile e con gli occhi lucidi, Wesam si spostò con la poltrona verso di lui. La mossa lasciò Sam talmente disorientato che non si accorse che l’uomo gli aveva appena preso le mani. Abbassò lo sguardo solo quando gliele strinse, prima di risollevarlo e trovarsi i suoi occhi fissi su di lui.

“C-che stai facendo? – gli tremava la voce per l’imbarazzo - I-io non capisco…”

“Queste quattro mura non esistono, ok? Io non sono il tuo psicologo in questo momento, ma sono solo Wesam. Sono la persona che ti ha salvato la vita e che da allora sente di avere un legame con te; un legame che non mi fa dormire la notte se penso ad ogni volta in cui c’è qualcosa che non mi dici. Se penso ad ogni volta che hai paura di qualcosa e io non posso aiutarti.”

La faccia di Sam era completamente imbalsamata dal disagio che stava provando, sorpreso da ciò che stava accadendo. Con le lacrime agli occhi che cercava di trattenere a tutti i costi, deglutì amaramente.

“Ho fatto dei brutti pensieri da quando è successa quella cosa a scuola. – si passò le dita sotto agli occhi per asciugare le lacrime – Dovrei essere contento di essermi salvato e di non essere morto, ma non lo sono. - lo fissò dritto negli occhi, sofferente - Io volevo morire.”

“Perché, Sam? Perché?” volle comprendere tale desiderio, in pena per quelle parole appena ascoltate.

Ad un certo punto, Sam sorrise in maniera malinconica, mentre guardava verso la finesta: “Hai mai letto “La donna con l’impermeabile rosso “ di Richard Stuart?”

“No. Di cosa parla?” restò a fissarlo attentamente, come si osserva un cucciolo indifeso.

“Parla di una donna che fugge via da un mostro. – si incupì nel raccontare la trama - Solo che…sa che quel mostro la troverà ovunque vada. “Che razza di vita è, vivere costantemente nella paura?”, pensò lei: non è vita quella, in effetti... Allora volle farla finita e smettere di avere paura, solo che…”

“Cosa?”

“L’uomo di cui si era innamorata e che cercava di aiutarla a nascondersi dal mostro era talmente furbo da averle insinuato un dubbio: le disse che la morte come la conosceva, non esisteva. Le raccontò che si trattava di una burla per far credere a tutti che rappresenti la fine, ma non è la fine. Secondo quest’uomo, quando la nostra vita finisce, ce ne aspetta un'altra. E poi molte altre ancora. La morte è solamente un amnesia che ci permette di vivere come se fosse la prima volta.”

“Cos’altro dice questo libro?” domandò, catturato dal modo in cui riusciva ad analizzarlo.

“Che la morte è solamente un diversivo per sopportare il peso dell’eternità. L’essere umano vorrebbe vivere per sempre, ma sa cosa vuol dire vivere per sempre? E’ qualcosa che potrebbe farti impazzire se ci pensi.”

“Quindi come mai la donna non si è suicidata?”

“A lei non pesava l’eternità in sé, bensì vivere nella paura anche nelle sue vite successive. – lo guardò negli occhi nuovamente – Ed è la mia stessa paura. Mi fa pensare: “E se fossi destinato a vivere nella paura in tutte le mie future esistenze?”  Magari se supero l’ostacolo in questa vita non sarò costretto a rivivere tutto questo anche dopo, ed è quello che pensò anche lei. Volle restare per sconfiggere la sua paura.”

“Allora dimmi qual è l’ostacolo e magari posso aiutarti, Sam. Posso aiutarti a riavere una vita serena e a rendere sereno anche il resto della tua eternità.” gli strinse bene le mani, cercando di invogliarlo a fidarsi di lui.

Purtroppo, però, Sam aveva una guerra in corso dentro di sé: il cuore voleva urlare, ma la mente cercava di farlo tacere a tutti i costi.

“Vorrei davvero potertelo dire, ma… - una lacrima gli scese lungo la guancia – Io non posso. Non lo so.”

Wesam, a quel punto, approfittando della sua confusione si avvicinò con il viso, mentre l’altro restava fermo a guardarlo, consapevole di cosa stesse per fare.

Le loro labbra si incontrarono e fu Wesam a baciarlo con maggiore intensità, mentre Sam se ne stava immobile e con gli occhi chiusi. Improvvisamente, Sam si lasciò completamente andare, nonostante un attimo prima avesse come la sensazione di avere un macigno sullo stomaco. Lo prese per il viso, con entrambe le mani, i loro respiri assai rumorosi.

Ad un certo punto, però, Wesam si staccò, tenendo il viso di Sam tra le sue mani e le punte dei loro nasi che si toccavano.

“Ti ho ascoltato parlare al telefono con qualcuno l’altro giorno. Un certo Jasper.”

Al pronunciare di quel nome, Sam fece subito un balzo indietro, come se tutta quella magia fosse svanita di colpo per fare di nuovo largo alla realtà.

“Hai origliato la mia telefonata?”

Wesam cercò di recuperarlo, vedendolo già sulla difensiva: “Non ho ascoltato molto, ma ho sentito abbastanza da riuscire a fare una ricerca personale.”

“Una ricerca personale? Cioè?”

“So che questo Jasper è in galera per aver ucciso due persone. Uno di questi era un tuo amico.”

“E quindi? Dove vuoi arrivare?”

“Voglio arrivare a guadagnarmi la tua fiducia, a farti capire che di me ti puoi fidare e che puoi dirmi tutto. Ti prometto che non ti denuncerò, Sam. Non potrei anche se volessi, sono uno psicologo privato e non del servizio pubblico.”

“Non denunciarmi per cosa, anche se fosse? – sussultò, alzandosi in piedi – Wesam, non so cosa ti sia messo in testa, ma…”

Quello si alzò in piedi a sua volta, interrompendolo: “Perché parlare con l’assassino del tuo amico? Un po’ strano, non credi?”

“Io me ne vado!” esclamò, basito, marciando verso la porta.

Wesam cercò comunque di dissuaderlo: “So che non hai ucciso nessuno, Sam. Non ne saresti capace.”

Tale affermazione lo convinse a fermarsi, restando di spalle: “Allora perché sembrava che intendessi questo?”

“Perché devi ammettere che sei coinvolto in qualcosa, anche se non direttamente. E qualsiasi cosa sia, ti sta tormentando.”

Stavolta, Sam decise di essere sincero: “E’ vero: sono coinvolto in qualcosa. Non ho ucciso nessuno, ma è comunque complicato.”

“E la polizia, allora? Tuo padre? Nessuno può aiutarti?”

“No, nessuno.” rispose con la voce rotta, trattenendo le lacrime.

“Ti prego Sam, voglio aiutarti. Per me non sei solo un paziente che viene qui tre volte a settimana, ma qualcuno a cui mi sto affezionando molto nonostante non debba affezionarmici.”

“Posso andarmene per favore? – le lacrime scendevano copiose, mentre era ancora di spalle – Voglio solo andarmene.”

Wesam rimase in silenzio per qualche secondo, il volto triste perché lo sentiva singhiozzare.

“D’accordo…”

“Grazie!” esclamò, uscendo il più velocemente possibile.

Scese giù di qualche piano, poi, prima di fermarsi e scoppiare in lacrime silenziose. Non era più in grado di reggere tutte le bugie che assieme ai suoi amici aveva costruito e questo lo stava distruggendo.

 

*

 

Seduto all’esterno di una caffetteria di fronte alla piazza, Eric era seduto al tavolo ad aspettare qualcuno. Quel qualcuno finalmente si presentò ed era Sam.

Non appena arrivò, appoggiò la borsa alla spalla della sedia e si sedette.

“Scusa il ritardo e scusa se ti ho chiesto di vederci, ma avevo bisogno di parlare con qualcuno.”

“Non abbiamo già parlato stamattina? – replicò sarcasticamente – Che fine ha fatto la regola del Tutti a casa propria per non far insospettire la polizia?”

“Beh, magari è più sospettoso non vedersi affatto che vedersi. Forse l’ho vista dalla prospettiva sbagliata, stiamo andando nel pallone.” sospirò, chiudendo gli occhi e massaggiandosi la fronte.

“Ehi, va tutto bene? – si preoccupò, tornando serio – Il tuo tono di voce è sceso fin sotto il tavolo.”

“Nathaniel mi ha baciato la sera dell’esplosione. E oggi mi ha baciato anche il mio psicologo. – rivelò a bruciapelo, mentre un’auto civetta della polizia stava passando davanti alla caffetteria in quel momento - E io sto per avere una crisi isterica se vedo un altro poliziotto girare per Rosewood!”

Intanto, Eric, era ancora fermo alle rivelazioni precedenti e aveva a dir poco gli occhi sgranati.

“…Ah, ok, e sei andato anche ad un brunch con la famiglia Obama nell’ultima settimana?”

Sam si sentiva già abbastanza incasinato per sopportare quel commento ironico misto a incredulità: “Eric, per favore!”

“Per questo non vuoi incontrare Nathaniel? Perché si è finalmente dichiarato a te?”

“Non si è dichiarato, mi ha semplicemente usato!”

“Usato? Cioè?”


“Quando mi sono messo in testa di voler andare ad avvisare Rider della bomba, lui voleva che uscissimo immediatamente. Ad un tratto, però, mi ha baciato, pensando che quel gesto mi avrebbe fatto cambiare idea. Che sarebbe servito a seguirlo come un barboncino.”

“E poi?”

“E poi li ho tirato uno schiaffo e me ne sono andato!”

Quello fece una faccia sorpresa: “Uao, è che mi dici del tuo psicologo?”

Sam deglutì faticosamente, non sapendo da dove iniziare: “Beh, lui ha capito che nascondo qualcosa…”

L’altro si sistemò meglio sulla sedia, confuso: “Capito? Capito che cosa?”

“Quando Jasper mi chiamò dal carcere ero da Wesam. Sono uscito dal suo studio per rispondere e lui ha origliato tutto.”

“Quindi Wesam ha sentito che parlavi con Jasper e…”

“Ha indagato, esatto! – confermò ciò che stava pensando – Non riuscendo a darsi una spiegazione su come mai ero al telefono con un assassino, crede che io sia invischiato in questa storia.”

“Oh mio Dio, pensa che siamo complici di quell’omicidio? – sussultò nervosamente – Allora la polizia lo sa, Wesam ha parlato con loro quella sera. ”

“No no, voi non c’entrate nulla. – lo tranquillizzò – Sospetta solo di me, ma non pensa che io abbia ucciso qualcuno. Credo che tenga davvero molto a me e che mi voglia realmente aiutare.”

“E se lavorasse per la polizia? Nathaniel ha ragione: è sempre ovunque.”

“Mi ci ha mandato mio padre da Wesam: perché avrebbe dovuto gettarmi nella fossa dei leoni?”

L’altro cercò di calmarsi, guardandosi attorno, leggermente paranoico: “Non lo so, vedo complotti ovunque da quando A ha alzato la posta in gioco. – sorseggiò il suo bicchiere d’acqua – Non devi più parlare con Wesam, smetti di andarci!”

“Scherzi? Ogni volta che manca un’ora alla mia seduta settimanale, mio padre spunta alle mie spalle come Slenderman!”

“Allora smetti sprizzare colpevolezza da tutti i pori quando vai da Wesam. E’ uno psicologo ed è come un detective: capisce ogni cosa!”

Afferrò il consiglio, cambiando argomento: “A proposito, mio padre mi ha spifferato qualcosa sull’indagine all’esplosione.”

“Oh no, significa che presto lo daranno al notiziario e io dovrò andarmene da Rosewood.” sbiancò, riprensando all’ultimatum lanciato da suo padre e anche a quello di A.

“Smettila, Eric. A non può sdoppiarsi in due e perseguitare te e noi, muovendosi fra due stati, seduto a sorseggiare un cosmopolitan in prima classe.”

“E che ne sai? – quasi gli urlò – Può torturare una settimana voi e una settimana me, o un mese voi e un mese me. Insomma: la vita è lunga, no?”

“Oppure ti calmi e mi ascolti mentre ti dico che l’esplosione è stata causata da una banale fuga di gas. Nessuna bomba!”

Eric restò a bocca aperta, dimenticandosi dei suoi problemi: “COSA? Significa che A ci ha presi in giro?”

“Non ci ha presi in giro, la scuola è esplosa comunque. Dico solo che dovremmo iniziare a domandarci perché A ha sentito il bisogno di agire così.”

“Beh, mi sembra evidente: A ha capito che il suo covo era ormai compromesso e per non scoprire di più ha deciso di far esplodere tutto.”

“Dici? – non ne era convinto – Perché far esplodere un edificio allora, quando poteva semplicemente svuotare la panic room?”

“Non saprei, non sono dentro la sua mente malata.” ribattè, mentre finiva il caffè.

Improvvisamente, Sam notò qualcuno in lontananza, stringendo il braccio di Eric.

“Oh mio Dio...”

“Che succede? – gli chiese, seguendo poi il suo sguardo – Chi stai guardando?”

“Vedi il ragazzo che sta scendendo le gradinate della piazza? Quello con il cappotto grigio e la tracolla marrone, molto elegante.”

“Ah, ok, l’ho individuato. Quindi?”

“E’ Quentin!”

“Ehm, il Quentin che conosce lo sporco segreto dell’ex capo di mio padre? Il segreto numero 39 di Rosewood-riservato?”

“Il Quentin che ha avuto a che fare con Anthony, se vogliamo dirla meglio!” sottolineò con uno sguardo e le soppracciglia sollevate.

Sam si alzò dalla sedia, continuando a fissare Quentin. Eric si alzò a sua volta, prima che l’amico facesse qualche altra mossa.

“Ehi, aspetta un secondo, Quentin probabilmente non sa nulla di Rosewood-riservato e nemmeno ciò che Anthony ci faceva.”

“Beh, non possiamo saperlo. Cameron ha detto a Nathaniel di aver dato dei soldi ad Anthony per un progetto: magari ogni persona che ha avuto a che fare con Anthony possiede un piccolo pezzo del puzzle.”

“E come approcciamo? Devo fingere di essere gay?” fece una faccia preoccupata.

“NO! – sussultò, storpiando il viso in una smorfia – Sono semplicemente passato da una vita ordinaria ad una da cronaca nera, non ho mica cambiato faccia. Si ricorderà sicuramente di me, voglio solo salutarlo e poi… - gli fece un’occhiolino prima di partire all’azione – Beh, da cosa nasce cosa!”

Eric roteò gli occhi, sbuffando, poi si mosse assieme a lui. Improvvisamente, però, dovette fermarsi: qualcuno lo stava chiamando al telefono.

Sam, che non si accorse di avere più Eric alle spalle, continuò a camminare, raggiungendo Quentin, appena salito sul marciapiedi.

“Ehi, Quentin! – lo chiamò alle spalle, facendolo voltare – Ehi, ciao…” si avvicinò con il fiatone.

Quello lo squadrò dalla testa ai piedi, assai serio, senza proferire parola, come se aspettasse che aggiungesse altro per poterlo fare.

“Ti ricordi di me? – gli sorrise, imbarazzato – Sono Sam, siamo usciti insieme una volta.”

“Mi ricordo benissimo!” esclamò con enfasi, nonché con acidità.

Sam iniziava a percepire qualcosa di strano nell’espressione del suo volto: “Ah, ok, e come stai? – rise nervosamente – Io frequento ancora il liceo, sfortunatamente per me. Non vedo l’ora di potermi diplomare!”

“Spero tu riesca ad ottenere buoni voti in tutte le materia, ma sicuramente quelli come te riusciranno ad ottenere tutto dalla vita. – replicò con un finto sorriso , per poi assumere un volto avvelenato e pieno di sdegno - Insomma: chi inganna le persone va’ forte nel mondo, non credi? E’ solo la gente onesta a soccombere, ma per fortuna alcuni di noi riescono a riprendersi da quelli come te e il tuo amico.”

A quel punto, Sam si arrese: “Ok, so già perché provi tutto questo odio nei miei confronti. Voglio solo chiederti scusa e dirti che io non sono così.”

“Non sei così? E allora cosa sei?”

La domanda lo mise talmente a disagio da non riuscire nemmeno a trovare le parole: “I-io…”

“Te lo dico io! – prese in pugno la discussione con aggressività – Mi hai venduto al tuo amico, quando io mi ero aperto con te come non avevo fatto con nessuno in vita mia. Ti ho raccontato ogni cosa di me, come hai potuto farmi questo? Magari non sei neanche gay e hai finto per fargli un favore.”

“No no, lo sono davvero. – fu dispiaciuto, il volto sofferente e pestato da quelle dure parole – E ti chiedo scusa per averti tradito. All’epoca non conoscevo Anthony, non pensavo che… - riflettè, non conoscendo i reali motivi – Beh, non so se ti ha ricattato o fatto qualcos’altro in verità.”

Quentin restò impassibile: “Quindi vuoi farmi credere che non c’eri anche tu dietro ai messaggini di A?”

“Messaggini di A? – assunse una smorfia confusa – Di che cosa stai parlando?”

“E’ così che mi avete contattato prima di lasciarmi in pace, o hai forse perso la memoria?”

Sam si mise una mano sul petto: “Quentin, giuro che non so nulla a proposito di tutto questo. Se magari mi spiegassi meglio…”

Dovette fermarsi bruscamente, però, perché davanti alla tipografia in cui si trovavano, ne uscì un ragazzo, insospettito dai toni alti.

“Quentin, che sta succedendo? – sembrava conoscerlo, avvicinandosi accanto a lui – La tua voce si sentiva fin dentro…”

“E’ A!” gli spiegò Quentin.

Bastò quella lettera a far diventare aggressivo anche l’altro ragazzo appena giunto.

“Sta lontano dal mio ragazzo, ok?” gli puntò il dito contro, quasi come se fosse pronto a mettergli le mani addosso.

Sam indietreggiò leggermente, cercando di giustificarsi: “C’è un malinteso, io non so nulla di questi messaggi. Era solo Anthony, mi ha usato!”

“Hai una vaga idea di quanto tempo Quentin abbia vissuto nella paura per colpa vostra? Di essere tenuto in pugno e dover fare qualcosa in cambio da un momento all’altro? – gliene disse quattro, mentre Quentin lo tratteneva per quanto fosse irrequieto sull’argomento – Oggi Quentin vive una vita serena con me. Ci amiamo e non ha più paura di gente come voi. Anzi, di gente come te, visto che il tuo amico non c’è più.”

“So com’è vivere nella paura, credimi. – aveva quasi le lacrime agli occhi – E vi chiedo scusa dal profondo del mio cuore.”

“Devi andartene, hai capito? – alzò la voce, aizzando nuovamente il dito contro di lui – Non ti permetterò di rovinargli ancora la vita.”

Quello indietreggiò spaventato, non sapendo cosa aggiungere per calmare i loro animi.

Eric, intanto, lontano e voltato dall’altra parte, era al telefono con Alexis.

“Che vuol dire che sei andata a casa mia per parlare con mio padre?” assunse un’espressione confusa.

“Mi hai scritto tu di andare da lui, hai per caso sbattuto la testa?”

Quello finse di sapere di cosa stesse parlando: “Ah, ok, e cosa ti ha detto mio padre?”

“Beh, inizialmente non sapeva cosa rispondere. Io gli ho spiegato che i tuoi amici sono importanti per te e che vuoi finire la scuola con persone che già conosci e non dover ricominciare tutto da capo al quarto anno, perciò…ce l’ho fatta!”

Purtroppo, però, Eric faceva ancora fatica a capire: “Quindi rimango a Rosewood?”

“Sì, mi trasferisco domani nel tuo appartamento. Sono la tua specie di tutrice maggiorenne ora, come volevi tu.”

Quello sgranò gli occhi, fingendo entusiasmo per mascherare la sua più totale incredulità: “Accidenti, evviva!”

“Ora che ti ho fatto questo favore, devi farmene uno anche tu.”

“Ovvero?”

“Passo stasera al Brew e ti racconto meglio, ok?”

“Ehm, va bene!” esclamò, ancora disorientato.

Chiusa la chiamata, giunse un messaggio che si aspettava di ricevere.

“Pensavo che ce l’avresti fatta con quel mio piccolo aiutino, ma evidentemente non ti ho ancora allenato bene a spingerti fino al limite. Per il momento, ringraziami: vivrai qui a Rosewood ancora per molto tempo, si spera.”

-A

 

“Bastardo…” sussurrò.

Subito dopo, sentì delle urla alle sue spalle.

“Fermo, Greg, non ne vale la pena!”

Erano le urla di Quentin e quelle bastarono a far voltare Eric, che vide Sam spintonato a terra dal ragazzo che portava quel nome.

Immediatamente corse da loro.

“Ehi ehi, ma che succede? – esordì, mettendosi davanti a Sam, ancora seduto a terra – Datti una calmata, amico!”

“E tu saresti il suo ragazzo? – lo fissò da capo a piedi con arroganza – Farete meglio a starci lontani o sistemo anche te.”

Eric restò lì, muso a muso, a fissarlo per nulla intimidito, finchè non se ne andarono. Quando Greg smise di fulminarlo con lo sguardo, anche da lontano, Eric si girò a dare una mano a Sam.

“Stai bene?”

Finalmente si risollevò, ma assai avvilito: “No, ma me lo sono meritato. Anthony deve averlo tormentato per molto tempo per arrivare ad una reazione come questa. Ed è tutta colpa mia.” si sentì in colpa, lo sguardo perso nel vuoto.

“Ehi, siamo stati tutti ingenui con Anthony, ok?– cercò di recuperarlo con lo sguardo – Abbiamo fatto del male a molte persone, ma non siamo malvagi. Siamo vittime come loro, se non peggio. ”

“Puoi dire lo stesso, se ti dicessi che A esiste da prima che tormentasse noi?”

Inquietato, Eric cercò di capire: “Che vuoi dire?”

“Quentin ha parlato di A. E l’ha fatto quasi con la stessa faccia di quando ne parliamo noi.”

“Ma non ha senso, A esiste dal momento esatto in cui abbiamo investito Albert. Cosa c’entra Quentin?”

“Infatti la prima A era Anthony, è iniziato tutto con lui. Quentin ha detto che riceveva dei messaggi da A; probabilmente da quando ho passato quelle informazioni ad Anthony su di lui. Era convinto che dietro a tutto ciò ci fossimo entrambi.”

“Tu non eri di certo, ma come faceva a sapere che fosse Anthony?”

“E’ questo il punto! – pensò, focalizzandosi su quello – Dopo i messaggi deve averlo incontrato e poi è successo qualcosa.”

Eric iniziò a collegare i pezzi della storia: “La nostra A ci perseguita anche per un secondo crimine, di cui pensa che uno di noi sia il complice.”

“Fantastico, se A stava origliando, ora penserà che sono io. In ogni caso, dobbiamo parlare di nuovo con Quentin per sapere se ha davvero incontrato Anthony.”

“Possibilmente senza la presenza del suo muscoloso ragazzo.” sottolineò, facendogli capire che per un attimo ha avuto paura di lui.

Sam ora buttò lo sguardo in basso, pensieroso: “E’ tutto molto strano…”

“Cosa è strano?”

“E’ una cosa che non vi ho detto, non ne ero sicuro; tutt’ora non ne sono sicuro. Quando sono entrato nella panic room, la prima volta, c’erano tante foto nostre appese alla parete. Mentre le guardavo, in alto ce n’era una in cui mi è quasi sembrato di vedere Anthony.”

“E allora? Forse A l’ha messa lì come simbolo di odio.”

“Non era una foto fatta prima della morte di Anthony. Credo fosse lui all’interno della panic room.”

L’altro sbigottì: “Cosa??? Mi stai dicendo che Anthony forse è vivo e tu non hai preso la foto che poteva confermare i tuoi sospetti?”

Sam si stava torturando le dita: “Ad un certo punto ho visto la foto di me e Nathaniel al penitenziario e mi sono distratto, poi Rider mi ha chiamato e l’ho completamente rimosso.”

Eric iniziò a fare avanti e indietro, nervoso: “Ok, se Anthony fosse vivo, perché dovrebbe essere A?”

“Non l’ho mai detto.”

“Ma lo pensi!”

Quello esitò per qualche istante, per poi capire che anche lui aveva qualche dubbio: “Beh, se Anthony fosse vivo e fosse A, direi che sta giocando come ha sempre fatto, in una versione decisamente molto malata di se stesso, cercando di scaricarci addosso l’omicidio di Albert.”

“Ok, stesso pensiero. Niente di buono. - iniziò a grattarsi il capo, nervosamente – Che facciamo? Dobbiamo avvertire anche gli altri di questa scoperta?”

“Che non sospettiamo più di Brakner, ma di Anthony?  – rise per un secondo – E’ assurdo anche solo dirlo a voce alta.”

“Lo so, ma a questo punto mi sembra surreale che qualcuno che non sia Anthony possa aver iniziato questo gioco malato contro di noi. Se è vivo, dev’essere lui a farci questo. Probabilmente non vedo l’ora di incastrarci per fuggire da Rosewood con la sua nuova identità.”

“Parliamone con gli altri, poi decideremo cosa fare per non restare incastrarti con la polizia.” suggerì, mentre si incamminavano verso l’auto.

“Io devo passare un attimo da Alexis, magari ci vediamo dopo.”

“Anch’io ho un impegno, devo portare delle torte alla casa di riposo dove lavorava mia madre. Lo faccio due volte a settimana, perciò…”

“D’accordo, ci messaggiamo!” esclamò, mentre aprivano le portiere.

 

*

 

Più tardi, Nathaniel si presentò alla porta di casa di Rider. Dopo aver suonato, fu Lindsey ad aprire la porta.

“Ah, sei tu… - mostrò un espressione delusa -  Cerchi Rider, vero?”

“Ehm, sì…Chi altri, se no?”

Quello si accomodò, mentre lei gli rispondeva.

“Beh, magari Tasha!”

“Tua cugina, intendi?”

“Non fa che parlare di te. – arrivarono davanti alle scale - E pensare che è quasi morta e nemmeno se lo ricorda.”

“A dir la verità ho già chiarito la mia situazione con Tasha. Dille di trovare qualcun altro da cui essere ossessionata.” le sorrise, pronto a salire.

“Oh, andiamo… – non se la bevette – Tu non sei gay, Nathaniel. Per qualche strano motivo fingi di esserlo, ma non lo sei… - lo fissò, non comprendendo tutto ciò - Mio fratello e voi tre siete davvero un gruppo di tipi strani.”

Nathaniel si voltò, utilizzando un tono abbastanza pungente: “Beh, non siamo i soli ad avere delle stranezze. Non credi?”

Quella, intimidita dal suo sguardo che conosceva tutti i suoi segreti, decise di allontanarsi abbastanza infastidita: “Come ti pare!”

Lui continuò a salire, ma dovette fermarsi nuovamente quando sentì qualcosa vibrare contro una superficie. Lentamente si voltò e vide che c’era un telefono poggiato su uno dei mobili, vicino all’ingresso.

Scese rapidamente, controllando se Lindsey fosse nei paraggi, e lo prese tra le mani.

Più tardi, piombò nella stanza di Rider molto distratto, pronto a raccontargli cosa aveva visto nel telefono.

“Sapevi che quella stupida app creata dal cugino di Violet è già… - si voltò finalmente a guardare Rider, dopo aver chiuso la porta, restando di stucco – virale…”

Ciò che lo lasciò senza parole era Rider in boxer che faceva le flessioni a terra. La stanza era abbastanza in disordine: un piatto sul letto con dentro gli avanzi di un panino, un libro accanto e indumenti sparsi qua e là.

“Oh, ciao Nathaniel!” gli sorrise, risollevandosi tutto sudato.

“Ma che sta succedendo qui dentro?” strinse gli occhi, confuso.

L’altro finse di non capire, mentre sorseggiava acqua da una bottiglietta: “Di che stai parlando?”

“Di te che fai le flessioni e della tua stanza che potrebbe benissimo finire in un episodio di Sepolti in casa!”

“Ho provato qualche vestito e non ho rimesso a posto, tutto qui.”

“E le briciole di pane sul tuo letto? Tu detersti le briciole, una volta mi hai fatto mangiare un biscotto con la testa fuori dalla finestra.” continuò, cercando di sottolineare che c’era qualcosa di insolito.

“Beh, ho deciso di fare uno strappo alla regola stavolta.” disse con nonchalance.

Nathaniel strinse gli occhi ancora di più, lasciando perdere: “Ok, dev’essere una sorta di crisi di mezza età anticipata dal trauma che ci ha lasciato la sera del ballo, perciò passiamo alla scoperta che ho appena fatto: tua sorella chatta con quella app che ha creato il cugino di Violet.”

Rider si stava annusando le ascelle, distratto: “E quindi?”

“Beh, ha scritto a qualcuno che sarebbe uscita in dieci minuti. – scrollò le spalle, sospettoso - Da quando tua sorella usa una stupida app scolastica per darsi appuntamento con le persone?”

“Hai visto con chi stava conversando?” si rivestì nel mentre.

“Il suo avatar era seduto ad una delle panchine del cortile e la persona con cui stava parlando non c’era già più: dev’essersi scollegata.”

“E non si può risalire a questa persona?”

“No, mostra solo l’ultimo messaggio mandato.”

“Ma tutto ciò non mi sembra sospetto, non starai esagerando?”

“E se tra dieci minuti si vedesse con Brakner?”

“Dici?” si mostrò poco collaborativo.

“Dentro Second Rosewood  puoi essere chiunque: è il luogo perfetto per avvicinarsi ad una studentessa senza che nessuno capisca che sei il suo Professore!”

“Quindi per te A è ancora Brakner, che muove le fila di questo gioco nell’ombra, all’interno di una app?”

“Finchè non ho maggiori sospetti verso qualcun altro, direi di sì. Tu?”

“Ehm, stessa cosa!” esclamò rapidamente, quasi indifferente, sedendosi sul letto.

Nathaniel, spostando il libro che c’era sul letto  e che Rider fissò con particolare timore nello sguardo, quando lo prese in mano, si sedette accanto a lui.

“Ascolta, sono venuto a parlarti a proposito di Julie. Sta per lasciare Rosewood e andare a vivere con Palmer, ma…se le diamo un valido motivo per restare, allora resterà.”

“E quale sarebbe questo valido motivo?”

“Raccontarle tutto!”

Rider si alzò, avvicinandosi alla scrivania, dando le spalle: “No, non se parla. Non possiamo.”

“Ah, beh, vedo che sei tornato te stesso adesso!” replicò seccato.

Il volto di Rider, in quel momento, accenno quasi un sorriso, come se cercasse di essere convincente: “Non ne voglio più discutere. Quando dico no, è no!”

“E’ l’unica persona che fino ad ora ci ha aiutati e che sa quasi tutto. E poi Julie e sua sorella hanno un passato che potrebbe farle finire dietro le sbarre, chi può capirci meglio di lei?”

“Quindi se le diciamo la verità, lei resterà e poi che altro?”

“Può fare molte cose con le sue capacità. E in un momento come questo in cui la polizia potrebbe prenderci di mira, può aiutarci a farla franca con filmati della sicurezza, intercettazioni telefoniche o altri problemi come questi. Ci ha già aiutati con lo scontrino falso e ha reso possibile il nostro alibi.” gli diede più motivazioni possibili.

“D’accordo, va bene!” esclamò di colpo, senza riflettere, lasciandolo sorpreso.

“Aspetta, sul serio?”

Si voltò: “Sì, va bene. Andiamo da Julie e confessiamo tutto.”

Nathaniel ne era ancora incredulo: “Ma un attimo fa…”

“Hai ragione, ci serve una mano. Quel detective mi è sembrato abbastanza determinato a scoprire la verità e ci riuscirà se non abbiamo qualcuno come Julie dalla nostra parte.”

L’altro tirò un sospiro di sollievo, sorridendo: “Finalmente ti è tornato il buonsenso.”

“Meglio tardi che mai!” esclamò con un sorrisino sarcastico.

Ad un certo punto, poi, Nathaniel si girò a guardare il libro che aveva scansato. Curioso, lesse il titolo.

La donna con l’impermeabile rosso… - si voltò verso Rider, che impallidì - Sembra interessante!”

Quello si avvicinò di scatto e glielo tolse dalle mani, nervoso: “Beh, non è poi così interessante!”

“E’ solo un libro, Rider, rilassati!” sorrise alla sua strana reazione.

“Scusa, è che l’ho preso dalla libreria di mio padre. Se trova anche una sola pagina piegata gli si rizzano i peli come un gatto.”

“Ma se fino a poco fa era buttato qui assieme ai tuoi calzini sporchi e gli avanzi del tuo panino.” continuò, ironico e anche perplesso.

“I calzini e le briciole non hanno le dita, ok? Vado a rimetterlo al suo posto!”

Nathaniel allora si alzò, pronto a togliere il disturbo.

“Senti, ci vediamo stasera per andare da Julie. Io passo a casa del francese, non mi risponde al telefono da stamattina.”

Quello annui, cercando di velocizzare i saluti: “Certo certo, il francese. Allora io seguirò Lindsey per ingannare il tempo.”

“Ok… - restò a fissarlo per qualche secondo, stranito dal suo comportamento insolito – Beh, io vado!” indicò la porta, dirigendosi verso di essa.

“A dopo!” gli sorrise quello.

Quando la porta si chiuse, Rider smise di sorridere. Il suo volto assunse una smorfia seccata, quasi disgustata. Il telefono iniziò a squillare.

“Che vuoi?” rispose, sapendo già di chi si trattava: fu ancora più scocciato.

[…]

“Grazie per il libro, ma non posso imparare tutto a memoria nel giro di poche ore.”

[…]

“Pff, figurati, non hanno idea di chi tu sia. Pensano che A sia Brakner e invece sono totalmente fuori strada, dico bene?”

[…]

“Sto facendo del mio meglio, non è facile fingere di essere qualcun altro.”

[…]

“D’accordo, mi tengo pronto per stasera. Tu, però, devi promettermi che avrò il tempo necessario per ottenere ciò che voglio e che Rider dovrà rimanere lì fino a quel momento.”

[…]

Il ragazzo sorrise: “Bene, allora torno a studiare.” e chiuse la chiamata.

Subito dopo, si diresse verso il letto e prese in mano quel libro. Quando lo aprì, dentro c’erano degli appunti scritti a mano e non il romanzo di Richard Stuart: si trattava di informazioni riguardanti il gruppo dei quattro ragazzi, delle persone a cui erano collegati e di tutto ciò che era successo dalla morte di Albert.

Sulla pagina su cui mise gli occhi, c’era un appunto riguardante Nathaniel.

 

-      Recentemente ha fatto delle analisi e ha scoperto che gli ho fatto assumere delle pillole per il cambio di sesso. Suo cugino Tyler lavora in ospedale, sua zia Courtney l’ha accompagnato.

 

*

 

In centro, Lindsey era appena entrata in un locale. Ferma all’ingresso, scrutò i vari tavoli per individuare la persona con cui aveva appuntamento.

Quando finalmente la trovò, la raggiunse al tavolo e si tolse gli occhiali da sole: era Chloe la persona che la stava aspettando.

“Ti aspetto già da un quarto d’ora, che fine hai fatto?”

L’altra appese la borsa alla spalla della sedia e si sedette, seccata: “Scusa, ho avuto un contrattempo.”

“Colpa del ragazzo più grande con cui ti frequenti? – fu invadente - E’ sempre lo stesso di quella notte?”

“Non sono affari tuoi, siamo qui per parlare di altro.” le lanciò un’occhiata che non cercava troppa confidenza.

“Tranquilla, non ho detto niente alla polizia. Come avrei potuto dire di averti  vista dentro quella macchina con Albert se ho raccontato di essere rimasta a casa a guardare telefilm?”

“Io non so nemmeno se ho fatto bene a mentire. – si mostrò preoccupata – E se lo scoprissero? Cosa penserebbero?”

Chloe fu sarcastica: “Che magari Albert l’avete ucciso tu e il tuo ragazzo?”

“Non scherzare, sai perfettamente che mi sono incontrata con lui per ricattare Anthony e fargli sapere che avevamo quel video.”

“Ma se Albert è morto, allora chi ha caricato quel video online?” pensò a quel punto, dubbiosa.

“E se fossero stati i ragazzi?” ipotizzò, mentre il viso le si impallidiva.

“Perché avrebbero dovuto farlo?”

“Non so tu, ma sono settimane che mio fratello è strano, per non dire stranissimo.”

Chloe ci riflettè su: “Beh, anche Sam è diventato strano. Non siamo più legati come prima da quando…”

“Albert è scomparso?” suggerì l’altra.

Le due si guardarono, atterrite. Chloe trovò il coraggio di dare voce a ciò che entrambe stavano pensando.

“Pensi che l’abbiano ucciso loro?”

“Aspetta, tu sai se fossero in giro quella notte? Quando sono tornata a casa, Rider non c’era.”

“Io sono uscita per seguire Sam, ma l’ho perso di vista.”

“Quindi erano tutti fuori… - pensò Lindsey, insospettita – Dev’essere successo qualcosa tra Albert, i ragazzi e Anthony. Forse hanno scoperto che aveva il video.”

“Lo penso anch’io, ma…  - si preoccupò - A questo punto ci siamo dentro anche noi, abbiamo mentito alla polizia sui nostri alibi. Esattamente come hanno fatto Sam e Rider.”

“Sì, ma non credo che la polizia sospetti qualcosa.”

A quel punto, Chloe pensò di confidarle una cosa: “Ascolta, non voglio spaventarti, ma una volta ero in macchina con Sam e ha ricevuto un messaggio da qualcuno che si firmava A. Gli chiedeva di guardare il notiziario.”

Lindsey sgranò gli occhi: “Oh mio Dio… - ricordò un dettaglio – La sera prima del ballo qualcuno ha lasciato fuori da casa mia una busta con dentro un vestitino da neonato. Si congratulava per la mia gravidanza ed era firmato da A.”

“Aspetta un secondo… - sbigottì – Sei incinta?”

“NO! – ci tenè a sottolinearlo – Era solo una frecciatina contro la mia relazione, questa A conosce il mio segreto.”

“Ma si può sapere chi è questo ragazzo più grande? Perché ci tieni così tanto a nasconderlo?”

Quella abbassò lo sguardo, tirando un grosso sospiro poco prima di rispondere: “E’ il professor Brakner la persona con cui mi frequento…”

“OH – MIO –DIO! – sgranò gli occhi, scioccata – Stai con un insegnante???” quasi urlò.

“Vuoi chiudere quella bocca?  – la zittì, guardandosi attorno – Non farmi già pentire di avertelo detto!”

Quella si ricompose: “Ok, ammetto che è molto affascinante, ma…  - lo trovò comunque pericoloso – Lindsey, è troppo grande!”

“Lo amo, ok? – mise in chiaro, sicura di ciò che provava - Ed è per questo che lo sto proteggendo. Hai idea dei guai che passerebbe se la polizia scoprisse che quella notte era in macchina con due minorenni? Anche se non ha ucciso Albert, verrebbe comunque arrestato.”

Chloe fu comprensiva: “D’accordo, non ti giudico. Avrei fatto la stessa cosa, probabilmente… - decise poi di tornare al discorso precedente – Senti, quel pomeriggio ho visto il notiziario che A ha chiesto a Sam di vedere. Parlava dell’omicidio di Anthony e dell’arresto del suo assassino: Jasper Laughlin!”

“Perché A voleva che guardasse quel notiziario?”

“E se A fosse qualcuno che ha assistito a ciò che è successo?”

“Credi che voglia incastrare mio fratello e i suoi amici?”

“Forse erano tutti insieme quella notte: loro, Anthony, Albert e questo Jasper.”

“Ma non gli hanno uccisi loro Anthony e Albert, giusto? – non ci voleva credere - E’ stato questo Jasper, no?”

“Non ne ho idea, ma il corpo di Albert non l’hanno lasciato loro su quella strada...”

Lindsey sgranò nuovamente gli occhi: “E’ stato A!”

Le due si guardarono: molto confuse e molto spaventate.

“Hai idea di chi possa essere? – le chiese Chloe – Vivi con Rider, l’avrai pur sentito parlare di questo almeno una volta.”

Quella scosse la testa: “Mi dispiace, non ho idea di chi sia. So solo che mio fratello si comporta in maniera strana e ora tutto ha un senso.”

“Dobbiamo andare a fondo di questa storia. Anche noi due eravamo fuori quella notte e rischiamo di essere incastrate anche noi, ora che la polizia sta indagando sul serio. Abbiamo già mentito, sembreremo colpevoli quanto i veri responsabili.”

L’altra annuì, nervosa: “ Va bene, cercherò di scoprire qualcosa.”

Entrambe abbassarono lo sguardo, precipitando ognuna nei propri pensieri.

 

*

 

Dopo aver lasciato la casa di Rider, però, Nathaniel non andò direttamente dal francese. Bensì, da Sam.

Quando parcheggiò, lo vide che stava salendo le gradinate del portico. Scese immediatamente dalla macchina e lo raggiunse.

“Ehi, Sam!” lo chiamò, facendolo voltare.

L’altro si guardò attorno, confuso, le chiavi di casa fra le mani: “Che ci fai qui? E’ successo qualcosa?”

“Tuo padre è in casa?”

“No, è in centrale a quest’ora.” rispose, turbato dalla sua presenza.

“Bene, entriamo in casa. Fa presto!” gli intimò, mentre quello apriva, fissandolo di tanto in tanto, ansioso.

Una volta dentro, con la porta chiusa, Nathaniel spiegò il motivo della sua visita.

“Stamattina ho fatto visita a Jasper e c’era anche tuo padre.”

Sam granò gli occhi: “Oh Dio, che ci faceva lì?”

“Sa che siamo andati a fargli visita la volta scorsa, ma la cosa peggiore è che pensa che tu sia complice di Jasper nell’omicidio di Anthony e suo padre.”

“M-ma… - abbassò lo sguardo, scioccato – Come è arrivato a questa conclusione?”

“Non lo so, dimmelo tu.”

Quello allora si voltò di spalle, appoggiandosi alla porta. Fu in quel momento che capì: “Wesam…”

“Wesam?” ripetè Nathaniel, pensando di aver sentito male.

“Alla seduta di oggi, Wesam mi ha raccontato di avermi sentito al telefono con Jasper. – si voltò a spiegare - Sospetta che sia complice dell’omicidio, ma non in maniera diretta.”

L’altro rimase basito, passandosi velocemente una mano sui capelli: “Ok, questo vuol dire che Wesam l’ha detto a tuo padre e che…”

Sam chiuse gli occhi, mettendosi le mani in testa, setendosi stupido: “Eric pensa che lavori per mio padre e a questo punto lo penso anch’io. – gli riaprì, gonfi di lacrime – Ogni seduta era per scoprire qualcosa su di me, su ciò che nascondevo: era tutta una bugia.” tuttavia, quelle di Sam, erano lacrime amare non solo per essere stato ingannato, ma anche per essere stato baciato da qualcuno che lo stava solamente usando: di nuovo.

“Sam, non lo sapevi. – cercò di non appesantire il suo senso di colpa, in pena per lui – Tuo padre è un poliziotto, non è come i nostri genitori. Io, Eric e Rider siamo riusciti ad ingannarli per bene in queste settimane, ma tuo padre ha capito che c’era qualcosa che non andava in te.

“E adesso che faccio? – domandò con la voce rotta - Ora si spiega come mai è così nervoso e pallido. – scoppiò in un pianto sofferente - Pensa che io sia un assassino, Nat.”

L’altro subito lo abbracciò.

“Devi continuare ad andare da Wesam o sembrerai ancora più sospetto. Devi guadagnare tempo, finchè non tiriamo Jasper fuori di prigione e capiranno entrambi che non c’entri nulla.”

“D’accordo. – annuì, pulendosi le lacrime – Allora va’ da quel francese e risolviamo questa storia. Se il detective Costa dovesse vedere mio padre così preoccupato, capirebbe che c’è qualcosa sotto e saremo ancora di più nel mirino della polizia.”

“Hai già detto a qualcuno di Wesam?”

“Solo Eric, ci siamo visti per un caffè. Abbiamo anche incontrato Quentin, ma ti aggiorno più tardi al telefono. Ora trova quel francese, l’udienza di Jasper è alle porte.”

Nathaniel aprì la porta: “Ok, ma credo sia meglio tenere Eric e Rider allo scuro su tuo padre. Non vorrei che si allarmassero troppo, dobbiamo sembrare il più calmi possibili.”

I due si scambiarono un ultimo sguardo, che mise entrambi a disagio. Il bacio scattato tra i due durante la sera del ballo era ancora una ferita aperta per Sam.

“Ehm, ancora una cosa. Ho incontrato Julie, sta per lasciare Rosewood, ma ci ha dato un ultimatum per la farla rimanere: dirle tutta la verità. Sono passato da Rider e ha ceduto, perciò…appena torno dal francese, passiamo da lei e progetteremo insieme un piano per sconfiggere A una volta per tutte.”

“…E’ la cosa che desidero più al mondo.” pensò, a braccia conserte, esausto nello sguardo.

“Anch’io!” esclamò, per poi uscire.

 

*

 

Eric si affrettò a raggiungere Alexis, che lo stava aspettando davanti al Brew. Infreddolita, si strofinava le braccia sopra alla felpa.

“Ehi, ho fatto più in fretta che potevo. Aspetti qui da molto?” le accarezzò la spalla, vedendola tremare.

“Qualche minuto, ma ho preferito stare qui fuori che dentro al Brew.”

Quello buttò un occhio dentro locale: “C’è Todd?”

“Non c’era quando sono venuta a parlare con tuo padre, poi quando sono scesa l’ho visto al bancone e sono sgattaiolata via prima che mi vedesse. Non voglio più averci nulla a che fare con quello stronzo.” spiegò, ancora con l’amaro in bocca.

Eric tirò un sospirò di sollievo, scoprendo che non si erano incrociati: “Dai, tanto hai trovato un nuovo lavoro a quella tavola calda.” la consolò.

“Sì, ma da domani il mio posto di lavoro non sarà più così vicino: mi trasferisco qui!”

“Non è un problema, Rider può darti un passaggio visto che la tavola calda è sulla stessa strada che farà per andare a scuola.”

“Ok, ma devi aiutarmi con il trasloco. Domani puoi passare con me al campus a prendere le mie cose e portarle qui?”

Le sorrise, ben disposto: “Ma certo, prendo in prestito l’auto di uno dei ragazzi e carichiamo tutta la tua roba.”

Quella, però, non ricambiò il suo sorriso, turbata da qualcos’altro: “Ehm, ascolta, trascoloco a parte, non ti ho chiamato per questo. Il favore riguarda…beh…devi accompagnarmi alla polizia!”

“Eh? – fece una smorfia confusa – Per quale motivo?”

“Credo di aver scoperto chi mi ha investita.”

Eric la prese per le spalle, eccessivamente curioso dal momento che sapeva che alla guida c’era A: “E chi è stato? Quando l’hai scoperto?”

“L’ho scoperto la sera del ballo, dopo l’esplosione. Ho accompagnato Tasha alla macchina di Rider ed era talmente barcollante che sono caduta contro l’auto di fianco.”

“E allora?”

“Beh, quando mi sono appoggiata a quella macchina con la mano, l’ho accidentalmente graffiata con un’unghia. La cosa più strana è che nel punto dove l’ho graffiata, ho rimosso come una sorta di rivestimento.”

“Tesoro, non ti seguo.” scosse la testa, strizzando gli occhi.

“Quella macchina era blu, ma in realtà è rossa. Sotto è rossa, e la macchina che mi ha investito era rossa!” spiegò convinta.

L’altro rimase assai perplesso: “E ti sei basata solo su questo?”

“Chi altro farebbe una cosa del genere? E’ una copertura, l’ho vista con i miei occhi. – insistette - Era come staccare un adesivo.”

“Sai a chi appartiene questa auto?”

“Julian Brakner, uno degli insegnanti del tuo liceo.”

Eric impallidì al suono di quel nome:” Sì, lo conosco, ma…”

“Ma cosa? – lo riprese, notando il suo cambio repentino – Sapevo che avresti reagito così, visto che non è la prima volta che sento questo nome. In ospedale ti ho sentito nominarlo al telefono e l’ho sentito nominare anche dai tuoi amici Sam e Nathaniel quando sono venuti a cercare te e Rider al Brew, qualche settimana fa.”

“Ti sarai confusa, stai prendendo fischi per fiaschi.” cercò di convincerla del contrario, sperando di farle cambiare idea.

“Che razza di storia c’è dietro fra voi e lui? – non si lasciò abbindolare – Cos’è che non mi dici? Perché lo so che è stato lui ad investirmi, ne sono certa.”

La bloccò nuovamente per le spalle, continuando la recita: “Alexis, ascolta, lascia perdere questa tua assurda convinzione. Perché un professore di liceo vorrebbe investirti?”

Quella si svincolò, testarda: “NO, questo non funziona con me! Julian Brakner mi ha investita con la macchina e io lo dirò alla polizia, perciò decidi che programmi hai per stasera: sei con me oppure no?”

Eric si lasciò andare, mostrando un’espressione seria e d’avvertimento: “Lascia perdere, Alexis. Fidati di me.”

“Ma allora ho ragione… - indietreggiò di qualche passo, incredula – C’è qualcosa, vero?”

“Fidati di me, ho detto. Lascia stare.” continuò.

“Dammi una buona ragione, Eric. Una sola. – quello esitò, deludendola – Ricordi cosa ti ho detto sul pianerottolo di casa tua, dopo aver fatto i complimenti a tua madre per il suo primo giorno da Valeriè?  - aveva gli occhi lucidi - Ti ho detto che non sono il genere di persona che ama ufficializzare una relazione quando non è sicura di ciò che sta facendo. Beh, in quel momento non ero sicura di niente, perché c’è questa parte di te che non mi permette di esserlo e che non mi permette di capire perché esiste e cosa nasconde. – le lacrime iniziarono a scendere copiose, facendo soffrire anche lui – Tuttavia ho voluto continuare a crederci, a credere che quella parte misteriosa di te non fosse così rilevante. Ma lo è!”

“Alexis, io…” cercò di dire qualcosa, ma lei non glielo permise.

“Eric, continuerò ad amarti e a stare con te; nonostante i segreti, non si può smettere di amare qualcuno da un momento all’altro o pretendere che sia sincero con te. Io, però, andrò comunque alla polizia: con o senza di te…A meno che tu non dica qualcosa adesso.”

Lui, però, non disse nulla e il silenzio si dilungò. Alexis non si sentì affatto sopresa e se ne andò, sotto il suo sguardo malinconico.

 

*

 

Era ormai calata la sera a Rosewood, Nathaniel stava salendo all’appartamento del francese. Quando arrivò davanti alla sua porta, però, fece una scioccante scoperta; tant’è che dovette chiamare i suoi amici.

Venti minuti più tardi, Rider, Sam ed Eric stavano uscendo dall’ascensore. Mentre Eric camminava avanti a loro, Sam osservava gli abiti di Rider.

“Un po’ casual per un emergenza, non credi?”

“Ehm, ho messo la prima cosa che ho trovato.” replicò con nonchalance.

“Un paio di Jeans strappati e un cardigan nero sono la prima cosa che si trova nel tuo armadio?” sollevò un sopracciglio, perplesso.

“Siamo venuti qui per Nat o per farmi un terzo grado sulla moda?” divenne leggermente suscettibile.

Eric, intanto, chiamava il nome dell’amico: “Nathaniel?”

“Sono al piano di sopra!”  si udì dall’alto.

“Abbiamo sbagliato piano!” Eric tornò verso i suoi amici, prendendo con loro le scale.

Finalmente giunsero da Nathaniel, abbastanza agitato.

“Ma quanto ci avete messo? – fissò Rider, poi, stranito – E tu che cavolo indossi?”

Tutti si girarono a guardarlo, opprimendolo.

“Che c’è? Tutto d’un tratto volete aprire un blog sui i miei outfit?”

Eric preferì passare oltre, tornando a guardare Nathaniel: “Sì, ok, ma perché siamo qui?”

L’altro si tolse da davanti alla porta, rivelando il foglio che vi era attaccato sopra.

Sam si avvicinò e lo staccò, poi lo lesse ad alta voce: “Se Laughlin di prigione volete far uscire, giocare a nascondino con il francese sarà divertente da morire. –A!”

“Me lo sentivo che andava a finire così. – pensò Eric - Avete insistito troppo con questa storia di voler aiutare Laughlin.”

“E’ innocente!” ribadì  Nathaniel.

“E’ una pedina di A, Nat. E se A decide che una delle sue pedine deve stare in prigione, allora resterà in prigione.”

Sam scosse la testa, incredulo: “Ha ragione Eric, ora abbiamo solo creato un altro casino. Cosa credete che farà al francese?”

“Beh, dobbiamo giocare per scoprirlo. – intervenì Rider – Dice così il messaggio, no?”

“Ma non sappiamo neanche che cosa dobbiamo fare!” aggiunse Nathaniel.

Un messaggio arrivò al telefono di Rider. Quelli lo fissarono tutti con impazienza, mentre lo leggeva.

Sam fu il primo a voler sapere: “Beh?

“Mi ha dato un indirizzo!” spiegò.

“Bene, andiamo con la mia macchina. – suggerì Nathaniel, scavalcando tutti - Cerchiamo di non attirare troppo l’attenzione.”

Eric, rimasto indietro, fece un commento sarcastico oltre che seccato: “Ridefinisci Non attirare troppo l’attenzione, perché sono due giorni che mi sembra di portare in testa un insegna al neon con scritto sopra Arrestatemi, sono colpevole.”

 

*

 

Dopo essersi aggiornati su ogni cosa, eccetto sul padre di Sam, che quest’ultimo e Nathaniel decisero di non rivelare, i ragazzi erano appena giunti a Scranton: una città a pochi minuti da Rosewood.

“Che Anthony sia vivo direi che è da escludere. A l’ha ucciso e siamo andati al suo funerale.” mormorò Nathaniel, mentre guidava.

“Ma Sam ha detto che su quella parete c’era una foto di Anthony all’interno della panic room. Come lo spieghi questo?” intervenne Eric, mentre Rider si teneva estraneo alla conversazione, voltato verso il vetro del finestrino, seduto accanto a Nathaniel.

“Beh, forse A l’ha semplicemente ucciso nella panic room. Questo spiegherebbe perché Rider e Sam non hanno trovato alcuna macchia di sangue quando sono andati in stazione a controllare. – decise di non volersi mettere in testa questa idea - Anthony non è vivo, non ho voglia di impazzire ulteriormente con questa assurda teoria.”

Dubbiosi, tutti si voltarono verso Rider in cerca della sua solita opinione risoluta. Quel silenzio tombale fece voltare il ragazzo, che in difficoltà, cambiò discorso.

“Allora Quentin ha un fidanzato molto forte che vi ha intimiditi?” esordì con molta ironia.

Sam gli lanciò un’occhiataccia, per nulla divertito.

“Che c’è? – sussultò - Siete voi che non avete scoperto nulla.”

Eric smorzò la tensione a quel punto: “Ehm, secondo voi perché A ci ha fatto venire fino a Scranton? Quando da piccolo giocavo a nascondino, gli altri bambini non andavano a nascondersi così lontano.”

“E’ di A che stiamo parlando. – commentò Rider, nuovamente – Probabilmente i bambini che dovremo stanare sono i pezzi del francese nascosti qua e là!”

“Rider, non sei divertente! – Sam gli lanciò un’altra occhiataccia – A ha rapito un uomo innocente e tu fai battute?”

Eric si unì a Sam nella predica: “Non sembri più tu dalla sera del ballo, ma che ti succede?”

Quello restò lì a fissarli impassibile, mentre Nathaniel fermava la macchina.

“Ragazzi, l’indirizzo è questo…” li avvertì, osservando il posto.

Rider ne approfittò per scendere immediatamente, in modo da non dover più sostenere lo sguardo ancora insistente di Eric e Sam.

“Ma... – Nathaniel non aveva ancora spento il motore – Rider, aspettaci!”

“Mi mette ansia quando si comporta così!” esternò Sam, aprendo la portiera per uscire.

Una volta fuori dall’auto, i ragazzi si avvicinarono a Rider, in piedi davanti alle porte della recinzione davanti a cui si fermarono. Nathaniel fece le sue prime congetture, guardandosi attorno.

“Ma questo è un’autodemolizioni.”

“Non mi piace per niente…” rabbrividì Sam, vigile con lo sguardo.

Rider si voltò con un lucchetto in mano: “Ragazzi, è già aperto!”

Eric sfilò il catenaccio: “Direi che siamo nel posto giusto. A ci ha risparmiato la scavalcata almeno.”

A quel punto spinsero le porte verso l’interno per avere libero accesso. Sam, rimasto dietro di loro, era succube della paranoia.

“Un secondo, stiamo entrando davvero in questo posto buio?”

Quelli si voltarono, mentre il polverone si diradava, e fu Rider a rispondergli.

“Se non lo facciamo, ucciderà il francese. – si girò a guardare gli altri due – O  mi sbaglio?”

Nathaniel avanzò verso la macchina, passando accanto all’amico: “Sam, se ti può far sentire meglio, ho delle torce in macchina.”

“Non è un po’ di luce in più che mi farà stare più tranquillo. Parlo di come potrebbe concludersi questa serata, ho seriamente paura.”

“Abbiamo paura anche noi, Sam. – disse Eric, mentre Rider annuiva e Nathaniel frugava nel bagagliaio – Ma questa cosa riguarda noi quattro, come sempre. Finchè non finisce il gioco.”

“Dio, perché non siamo come le persone normali…” pensò Sam, volgendo lo sguardo altrove, impaurito.

Nathaniel, intanto, stava tornando con le torce, che distribuì ad ognuno di loro.

“Ecco, ora siamo a posto.”

“Io voglio la torcia da giardino! – Sam gliela prese dalle mani prima ancora di riceverla – Fa più luce!”

Nathaniel accennò un sorriso, cercando di rasserenarlo: “Tutto quello che vuoi, Sam.”

Rider spostò lo sguardo tra i due, catturato dal loro rapporto.

Ora che erano finalmente equipaggiati, si addentrarono in quel posto: imponenti cumuli di macchine distrutte, una sopra l’altra, e varie parti di esse, ne facevano da scenario.

Più avanti, dopo aver fatto qualche passo, e le torce puntate ovunque, si ritrovarono ad un incrocio. Il vento faceva scricchiolare il metallo delle vetture e la luna era in alto e brillante.

“Forse dovremmo dividerci. – suggerì proprio Rider - A non ci da altri indizi e questo posto è enorme.”

Nathaniel fu d’accordo: “Sì, forse è meglio.” e soffermò il suo sguardo su Sam, come se stesse per chiedergli di unirsi a lui.

Quello lo intuì e lo precedette, prendendo Eric per un braccio.

“Ehm, io ed Eric andiamo a vedere da questa parte. – indicò alle sue spalle - Voi fatevi l’altro lato.”

“…ok. – Nathaniel restò spiazzato, così come Eric – Ci rivediamo qui fra quaranta minuti?”

Sam annuì, freddo. Subito dopo, lui ed Eric si staccarono e Nathaniel restò a fissarli per qualche secondo, mentre si allontanavano, prima di essere scosso da Rider.

“Forza, andiamo?”

“Si si… - annuì deluso e imbronciato – Andiamo!”

 

*

 

Mentre puntavano le loro torce verso ogni angolo o ovunque ci fosse un rumore sospetto, Eric cercò di capire cosa stesse succedendo a Sam.

“C’è ancora tensione fra te e Nathaniel?”

“Abbastanza…” replicò, mantenendosi vigile.

“Sai, potrei anche abituarmici ad essere la prima scelta di qualcuno. Con Rider, però, che problemi hai?”

“Sono contento che sia riuscito a salvarsi dall’esplosione, ma ciò non cancella le parole che ha usato con me quando abbiamo litigato. In più, è cambiato radicalmente.”

Eric riflettè su quanto detto: “Già, sono d’accordo. Sembra quasi che abbiano nascosto Rider da qualche parte e che l’abbiano sostituito con qualcuno che gli somiglia molto.”

“O magari è solo bipolare! - esclamò, per poi notare che Eric non lo stava più ascoltando e che controllava il telefono con molta apprensione – Ehi, ci sei? Va tutto bene?”

L’altro tornò ad ascoltarlo, uscendo da quello stato: “Ehm, sì… - ma non riuscì ad essere credibile – Cioè, non lo so. Prima di incontrarvi ho avuto una piccola discussione con Alexis. Mentirle sta diventando sempre più complicato per me e lei è troppo in gamba!” spiegò, senza accennare di cosa avessero discusso.

“Ti capisco perfettamente. Per colpa delle bugie e di A ho perso Chloe e ora anche mio padre. E non parliamo di ciò che ho fatto a Quentin, mi sono sentito una persona orribile. Il modo in cui mi guardavano, era come chiunque guardava…”

“Anthony?” completò Eric, certo di aver indovinato.

“Non c’è giorno in cui io mi senta una persona di cui andare fiero. Vorrei potermi sentire una persona migliore, ma c’è questa assurda forza contraria che rema contro di me.”

“Questa forza contraria si chiama A. E quella prima si chiamava Anthony. Non è una forza, ma una persona: sono le persone che non ci permettono di essere fieri di noi stessi, ma questo non è il tuo caso. Non è il caso di nessuno di voi tre.” si sfogò, come se odiasse se stesso per qualcosa.

“Che vuoi dire?”

“Tu e Nathaniel siete sempre stati così, anche quando c’era Anthony: buoni, altruisti, con le vostre opinioni...Rider, eccetto questo suo periodo strano, è anche lui la stessa persona di prima. Mentre io ero la persona che Anthony voleva che fossi.”

“Ma non eri quella persona fino in fondo, fortunatamente.” gli mise una mano sulla spalla, cercando di alleviare il suo senso di colpa.

“La verità è che sono stato debole, mentre voi no. – si vergognava di se stesso - Se potessi tornare indietro mi comporterei diversamente, ma…immagino che sia inutile fare il gioco dei se e dei ma quando ormai il passato è passato, no?”

“Come hai detto tu, il passato è passato. – cercò di dimostrargli quanto valesse in realtà - Non conta più chi eravamo, ma conta chi siamo riusciti a diventare oggi. E, credimi, non sono mai stato così fiero di avere un amico come te in un momento così buio della nostra vita. – gli sorrise – Sei la parte straordinaria che Anthony ha sempre cercato di oscurare.”

Finalmente anche Eric se ne convinse, sorridendo a tali parole.

“Grazie, Sam. Mi serviva sentire questo.”

Improvvisamente, però, furono interrotti dal suono di un telefono. Puntarono le torce ovunque, girandosi ad ogni squillo.

“Ma da dove viene?” chiese Sam, ancora in alto mare.

Eric, invece, sembrò aver individuato l’origine del suono: “Quell’auto, in alto! – volse verso di essa la luce della torcia – Lo senti? Proviene dal suo interno.”

“Ehm, sì, lo sento. – si concentrò – Ma è troppo in alto, come ci arriviamo?”

L’altro aveva già in mente qualcosa, consegnando la sua torcia all’amico: “Mi arrampico sopra le auto, ok? Tieni la luce puntata su di me, così riuscirò a vedere dove mettere le mani.”

“Dev’essere il telefono del francese, non può aver portato il suo corpo fin la sù, no?” si agitò, paranoico, mentre Eric stava già scalando i rottami.

Nel frattempo, dall’altra parte della proprietà, Nathaniel e Rider vagavano con le loro torce senza successo. Quest’ultimo, però, sembrò volersi interessare più al ragazzo che alla ricerca del francese.

“Ehi, come va con il tuo problema?”

“Problema? – ripetè, distraendosi – Quale problema?”

“Quello con le pillole, no?”

Ora ricordò: “Ah, sì, scusa. Con tutto quello che ci succede l’avevo dimenticato. Ho fatto delle analisi ieri, le ritiro lunedì. Purtroppo devo tenermi sempre sottocontrollo, non so se A sta continuando ancora a farmele assumere.”

“Dev’essere dura convivere con quello che ti ha fatto. Dopo la nostra lite non ne abbiamo parlato molto.”

Nathaniel preferiva non parlarne, restio: “Ognuno di noi convive con qualcosa, Rider. Non facciamone una questione di stato, ora voglio solo trovare Edward sano e salvo.”

Vedendolo seriamente provato, Rider non trovò il coraggio di aggiungere altro.

 

*

 

All’interno dell’auto, Eric continuava a sentire il telefono squillare, ma non capiva dove fosse. Continuava a frugare ovunque, mentre Sam teneva ancora la luce puntata verso di lui.

Improvvisamente, quest’ultimo udì come un suono meccanico, che lo costrinse a scrutare altrove e a distogliere la sua attenzione dall’amico: un braccio meccanico spuntò al di sopra della vettura in cui si trovava Eric.

“Oh mio Dio… - Sam puntò la luce su di esso, avanzando – Eric, esci dall’auto!” iniziò ad urlare.

L’altro, distratto, trovò finalmente il telefono, nascosto sotto ad uno dei sedili. Subito rispose.

“Pronto? – sperò di aver preso la chiamata in tempo – Edward?”

“Ritenta!”  rispose una voce camuffata.

Eric intuì immediatamente chi gli stava parlando: “…Dove l’hai portato?”

“Avete venti minuti per arrivare al prossimo indirizzo. Se il francese muore, la prossima è Alexis.”

A quel punto, Eric non ci vide più e fu minaccioso: “Brakner, se sei tu…”

“Se non esistessero gli specchi ti userei come riflesso della mia immagine.” concluse A, chiudendo la chiamata in maniera criptica.

“Pronto??? – tolse il telefono dall’orecchio, urlando – Stronzo!”

Il messaggio arrivò, con scritto l’indirizzo. Eric si apprestò ad uscire dalla macchina, ma all’improvviso tutte le porte furono bloccate.

Sam, intanto, si stava arrampicando pur di farsi sentire: “Eric, devi uscire! – urlò anche agli altri – Nathaniel, Rider, aiuto!”

L’altro cercava di aprire in vano la portiera, battendo la mano contro il vetro, scrutando Sam più in basso. Il braccio meccanico agganciò la macchina e quella tremò, facendo cadere Eric sui sedili.

A bocca aperta, fermandosi nella scalata, Sam vide l’auto sollevarsi in aria; quel braccio la stava trasportando all’interno di una pressa, proprio lì accanto.

Quando realizzò cosa stesse per accadere, cercò di scendere.

“EERIC!” urlò, per poi cadere.

Rider e Nathaniel che avevano sentito le urla, giunsero sul posto. Quest’ultimo si avvicinò a Sam, sdraiato a terra con una gamba ferita e che sanguinava.

“Sam, ma che succede?”

A vuole schiacciare Eric nella pressa, fermatelo!” indicò la pressa, mentre soffriva per la sua gamba.

“Come fermiamo una pressa? – Nathaniel, inginocchiato vicino a Sam, sgranò gli occhi, fissando Rider – Ci saranno dei comandi, no?”

“Ci penso io!” esclamò Rider, correndo verso la gabbia di comando della pressa. L’auto con dentro Eric era ormai all’interno del macchinario e veniva schiacciata lentamente. Si poteva sentire il metallo accartocciarsi.

Arrivato davanti ai comandi, Rider sembrò sapere cosa fare: “Tasto rosso e giallo, poi giro la chiave…” ed eseguì.

La pressa fece uno strano rumore, subito dopo, fermandosi di colpo. Rider alzò lo sguardo su di essa, sorridendo quando notò che la parte superiore si stava riaprendo.

Un messaggio arrivò al suo telefono.

 

“Ottimo lavoro, Nolan.”

-A

 

Dopo essersi rimesso il telefono in tasca, contento di aver soddisfatto A, scese dal gabbiotto e corse davanti alla pressa.

Poco lontani da lui, Nathaniel si sincerava delle condizioni di Eric: “Sta bene? E’ vivo?”

Rider, che a questo punto non era lui ma qualcuno di nome Nolan, scosse la testa, provando a chiamarlo: “Eric, stai bene?”

Improvvisamente, quello fece spuntare fuori la sua testa, uscendo dal finestrino e salendo sul tettuccio.

“Sto bene, sto bene. – rispose abbastanza scosso - Ma ci è mancato poco!” riprese fiato, per poi saltare giù, accanto a Rider.

“Sicuro di stare bene?” continuò Nolan, mentre camminavano verso gli altri due.

“Sì, ho detto che sto bene. – era teso - Ora dobbiamo pensare al francese, abbiamo meno di un quarto d’ora per raggiungere il prossimo indirizzo, oppure lo ucciderà e passerà ad Alexis. Me l’ha detto al telefono, aveva la voce modificata.”

“Un altro?  - Sam non credette alle sue orecchie, reggendosi su Nathaniel – Lasciatemi qui, vi farei solo perdere tempo.”  aveva una fasciatura alla gamba, fatta con un pezzo strappato dal suo stesso pantalone.

Nathaniel, allora, lo prese in braccio, contrario: “La natura non mi ha donato questo corpo per abbandonare gli amici quando sono feriti.”

I due si guardarono: Sam leggermente a disagio da distogliere subito il suo sguardo.

Eric si avvicinò e gli mise una mano sulla spalla, riconoscente: “Grazie per aver cercato di avvisarmi. – poi si rivolse a tutti  – Ora, però, dobbiamo sbrigarci. Guido io.”

Nathaniel li passò le chiavi, mentre Nolan continuava ad assistere ai loro momenti di unità, in disparte.

 

*

 

Il vero Rider, a questo punto prigioniero altrove, aprì gli occhi da quello che sembrava essere stato un lungo sonno: un soffito bianco era tutto ciò che vedeva, sopra la sua testa. La vista era poco nitida, la mente stordita. Il suo sguardo scese lentamente verso il basso, sul proprio corpo disteso sul letto. Cercò di alzare le braccia, ma quelle erano come bloccate: notò dei centurini ai polsi.

Schiarì la voce, quasi non riusciva a parlare in quella stanza così cupa e le sbarre alle finestre: sembrava un ospedale, visti il camice che aveva addosso e i comodini d’acciao accanto al letto.

Qualcuno improvvisamente entrò nella stanza: un uomo con la divisa verde addosso e un vassoio con sopra dei medicinali. Sembrava un infermiere da come si presentava.

“Ti sei svegliato, eh?”

Rider riuscì a dire qualcosa finalmente, assai debole e confuso: “Dove sono? Che cos’è questo posto?”

“Anche ieri hai detto la stessa cosa, prima di scoppiare in una crisi isterica.” si sedette accanto al suo letto, poggiando il vassoio sul comodino.

Cercò di liberarsi, alzando ripetutamente i polsi: “Un momento, mi avete drogato di nuovo?” si ricordò di cosa era successo il giorno prima.

“Sta calmo, ti abbiamo dato solo qualcosa per fermare le tue crisi. – spiegò, preparando le pillole da farli ingurgitare - Non appena i dottori vedranno che stai meglio, decideranno se toglierti quei cinturini.”

“Ector Sherman…” abbassò lo sguardo, leggendo il suo nome sul badge identificativo.

“Sì, mi chiamo così. – gli sorrise, mettendogli la pillola in bocca – Un consiglio: cerca di fare il bravo o non ti faranno tornare nella sala ricreativa con gli altri.”

Ora gli fece bere un sorso d’acqua. Rider continuò a guardarsi attorno, spaventato.

“Voglio uscire, non mi piace stare qui dentro.”

Ector si alzò dalla sedia, pronto ad uscire.

“Te l’ho detto: non andare fuori di testa e potrai tornare nella sala ricreativa.” gli sorrise ancora una volta, per poi uscire e chiudere a chiave.

Rider lasciò passare qualche secondo prima di iniziare a tirare i polsi fuori dai cinturini più forte che poteva. Posizionò le dita in un certo modo, affinchè la mano potesse rimpicciolirsi e scivolare fuori.

Dopo aver insistito per più di dieci minuti, riuscì finalmente a liberarsi. Le sue mani erano rosse, ferite e livide, il suo respiro affannato. Quando mise i piedi a terra e si alzò in piedi, sputò la pillola. La osservò, poi, notando che aveva qualcosa di strano: era tempestata di lettere A in rosso.

Vide anche che c’era una linea in mezzo alla pillola. Poteva letteralmente separare le due estremità, e lo fece, rivelando un minuscolo bigliettino arrotolato.

“Sapevo che non l’avresti ingoiata, benvenuto al Radley. Sotto al materasso ti ho lasciato un piccolo regalo.”

-A

“Radley…” Rider incantò il vuoto, riflettendo sul nome di quel luogo.

Subito dopo, scosse la testa e si diresse verso la porta, cercando di aprila: ovviamente invano.

Cercando di tenere i nervi saldi, si grattò la fronte e finalmente si voltò a guardare il letto. Come ordinato da A, lo sollevò e con grande sorpresa ci trovò un portatile.

Immediatamente lo recuperò e poi se lo mise sulle ginocchia. Lo accese: era tutto nero.

Un messaggio, all’improvviso, apparve al centro della schermata.

“Possiamo comunicare tra noi, ma tu non puoi comunicare con l’esterno.”

Rider provò a scrivere qualcosa.

“Sono in un manicomio, vero? Perché mi hai portato qui?”

“Avrai più risposte qui dentro che lì fuori. La cosa ti interessa?”

“Che vuoi dire? Basta giochetti, arriva al punto.”

“Una partita a scacchi. Una al giorno. Se mi batti, ti darò qualcosa in cambio.”

“Chi ti dice che so giocare?”

“Sai giocare.

“Chi è la donna con l’impermeabile rosso che c’è in quella foto che ho trovato?”

“Non funziona così.”

“Perché sono qui dentro?”

“I ladri vanno puniti, non lo sai?”

“Anche gli assassini!”

“Touchè!”

“D’accordo, accetto la sfida.”

“Non che tu abbia scelta…”

 

*

 

Alla centrale di polizia, il detective Costa si trovava ancora nel suo ufficio; deteneva tutti i casi irrisolti di Rosewood dalla notte dell’esplosione.

Con i fascicoli sotto i suoi occhi, in particolare quello di Albert, non riusciva a capire quale mistero si nascondesse dietro a tutto ciò.

Improvvisamente, il tenente Jacobson irruppe nella stanza, dopo aver bussato: aveva un fascicolo tra le mani.

Michael alzò lo sguardo: “Buonasera, tenente.”

“Vedo che sei ancora all’opera… – notò – Ti porto alcune novità!”

“L’autopsia sul corpo del presunto Albert Pascali?”

“Non più presunto, a quanto pare. – spiegò, sedendosi davanti alla sua scrivania – E’ Albert Pascali!”

Gli passò il fascicolo, finalmente. Costa iniziò a sfogliarlo immediatamente, mentre quello continuava.

“Sono davvero senza parole su quanto è stato scoperto. Questo è un caso assai interessante!”

Michael mostrò già le sue prime smorfie da perplessità: “La stima della morte risale ad almeno due mesi fa… - controllò immediatamente la data della scomparsa nell’altro fascicolo – E coincide perfettamente con il periodo della scomparsa.”

“Il ragazzo dev’essere morto subito dopo essere sceso da quell’auto.”

“Non è possibile che non ci sia un’inquadratura che mostri la targa o chi ci sia dentro l’auto!” trovò assurdo.

“Sono le telecamere di un supermercato, che ti aspettavi? In più, l’auto in cui era dentro il ragazzo era assai lontana da quella telecamera e le luci dei lampioni erano molto deboli.”

“Ok, un secondo. – trovò altre stranezze nel referto medico – Qui dice che il corpo presenta numerose fratture e aggiunge che la vittima è stata sicuramente investita da un’auto, prima di essere bruciata.”

“E anche di questo presunto incidente, non c’è alcun filmato da nessuna telecamera della città.” aggiunse il tenente.

“Tutte cose avvenute in un punto cieco, dove non ci sono le telecamere.” trovò sospetto.

“Cosa ne pensi, allora?”

Quello incantò il vuoto, riflettendo: “Anthony e Kevin Dimitri sono morti quella stessa notte, no? Quella in cui Albert è scomparso…”

“E sono morti bruciati!” precisò.

“A questo punto c’è un collegamento evidente.”

Entrambi si guardarono negli occhi, pensando alla stessa cosa.

Il tenente, però, fu il primo a proferire parola in merito: “Hai già verificato l’alibi dei quattro ragazzi?”

“Sono stati confermati, ma fondamentalmente non sono abbastanza forti. Di loro si ricorda il proprietario del Rumors club, ma non mi è sembrato molto affidabile. Stessa cosa per Sam Havery: l’amica può aver mentito per proteggerlo e anche suo padre ha confermato che era a casa quella sera.”

“Conosco Carter, non mentirebbe mai su una faccenda così delicata. Sa che peggiorerebbbe solo le cose.”

“Un figlio rimane sempre un figlio. Anche se hai la divisa!”

Michael abbassò nuovamente lo sguardo sulla sua scrivania, piena di fogli, fascicoli e foto. Quel caos lo infastidì a tal punto da lamentarsi: “Così non riesco a lavorare, accidenti. Ho bisogno di portare tutto a casa e attaccare questa roba ad una parete, fare dei collegamenti, avere un quadro ben dettagliato e compatto.”

“Sono d’accordo con te, Michael. Porta tutto a casa e lavoraci sopra. Domani mattina ne riparleremo.”

L’altro chiuse immediatamente tutto, ammucchiando i fascicoli uno sopra l’altro, pronto ad alzarsi. Il tenente aveva ancora una domanda per lui.

“Esattamente, di cosa stiamo accusando questi quattro ragazzi?”

“Di niente, per ora. Ma se ti dovessi rispondere in base a ciò che penso, ti direi omicidio!”

“E a cosa hai pensato?”

“Il corpo presenta delle fratture, no? Mi fa pensare che il ragazzo sia stato investito, come suppone anche il medico legale. E alla guida di questa macchina potevano esserci loro.”

Il tenente rise: “Non ha senso, perché avrebbero dovuto far ricomparire il corpo quando Pascali era per tutti scomparso? L’avevano fatta franca, ormai. Nessuno è così stupido da tirarsi la zappa sui piedi.”

Costa tentennò, ma aveva già una risposta da dargli: “Forse c’è un testimone che si cela nell’oscurità e che sta remando contro di loro per portare a galla la verità.”

“E totalmente assurdo! E che collegamento ci sarebbe con l’omicidio dei Dimitri?”

“Beh, il fuoco!” replicò, avvicinandosi alla porta.

“Non ti seguo, il coroner ha trovato sulla scena del crimine solo due cadaveri e non tre.”

“Dammi un po’ di tempo per capirci qualcosa, poi ti esporrò meglio il mio quadro generale… - si apprestò ad uscire, ma si fermò per un’ultima cosa – Ah, mi serve una copia del registro delle visite a Jasper Laughlin. Si trova nel penitenziario di Philadelphia, giusto?”

“Ehm, sì, si trova lì. Te lo farò avere.” rispose abbastanza disorientato, chiedendosi cosa avesse in mente.

“Ok!” ribattè sollevando le sopracciglia, misterioso, uscendo con i suoi casi sottobraccio.

 

*

 

Dopo aver girato per Screanton con l’indirizzo impostato sul navigatore, il gruppo sembrava essere quasi giunto a destinazione. Mentre Eric guidava con Rider accanto, Sam teneva la gamba ferita distesa sulle ginocchia di Nathaniel.

Quest’ultimo lo stava fissando e Sam se ne accorse nel momento in cui incrociò il suo sguardo, sentendosi nuovamente a disagio.

“Smettila, per favore.” bisbigliò, abbassando lo sguardo gradualmente.

“Come sta la tua gamba? - lo ignorò, rivolgendosi a lui premuroso - Fa ancora male?”

“Fa male!” sollevò le sopracciglia, sottilineando qualcosa che non c’entrava solo con la sua gamba ma anche con il loro rapporto.

Nathaniel capì, abbassando lo sguardo. Nolan, intanto, guardava la strada ma in realtà era più concentrato ad ascoltarli e a capire come erano fatti.

“Ci siamo! – annunciò Eric, parcheggiando – Questo è l’indirizzo che mi ha dato A…” controllò l’orologio, subito dopo aver spento il motore.

Il gruppo si guardò intorno attraverso il vetro dei loro finestrini, abbastanza spaesati.

“Ma questa è una strada di negozi tutti chiusi, non c’è nessuno.” pensò Sam.

Nolan, però, fece notare loro qualcosa: “C’è un vicolo laggiù! Di solito non ci sono dei cassonetti nei vicoli?”

“Aspetta, intendi dire che troveremo il francese in un cassonetto? – Nathaniel sobbalzò lievemente – Rider, nei cassonetti ci metti un corpo e non una persona viva!”

Eric preferì non perdersi in chiacchiere e aprì la portiera: “Sentite, non c’è più tempo. Troviamo il francese o Alexis è la prossima!”

Nolan lo fermò per il braccio: “Forse dovremmo entrare in quel vicolo con la macchina, non credi?”

“Ma è proprio qui davanti, Rider.”

“Sì, ma se A avesse una pistola e questa fosse una trappola? Mi sentirei più al sicuro in macchina.” spiegò.

Nathaniel si trovò subito d’accordo con lui: “Sì, ha ragione. E poi Sam non può sforzarsi troppo.”

A quel punto, Eric richiuse la portiera e si lasciò convincere dai suoi compagni. Nel giro di un istante erano già dentro a quel vicolo, la macchina che marciava lenta e i loro occhi fissi ovunque.

“Rider aveva ragione, c’è un cassonetto alla fine della strada…” commentò Nathaniel, mentre Eric fermava l’auto.

“Direi che possiamo proseguire a piedi!” suggerì quest’ultimo.

Ma non potè fare un movimento che tutti i telefoni vibrarono contemporaneamente. Dopo essersi scambiati uno sguardo agghiacciato, finalmente lessero il messaggio.

 

“Forse è meglio restare in macchina: si prevedono precipitazioni! Tranquillo Eric, non farò nulla ad Alexis se sai come tenerla a bada.”

-A

 

“Eric, di che sta parlando?” gli domandò Nathaniel.

Quello, allora, pensò di vuotare finalmente il sacco sulla denuncia che voleva sporgere Alexis: “Ehm, lei…”

Ma non potè continuare, perché improvvisamente qualcosa fece impatto contro il tettuccio dell’auto, costringendo tutti ad abbassare la testa per lo spavento.

“Cosa diavolo è stato?” urlò Sam, cercando di riprendere fiato, incontrando gli occhi sgranati e confusi dei suoi compagni.

Eric scese immediatamente a vedere, seguito da Nolan e Nathaniel. I tre si trovarono davanti a qualcosa per cui non si erano preparati, restando letteralmente scioccati: il corpo del francese completamente insaguinato, disteso a braccia aperte sul tettuccio e a pancia su.

Sam, rimasto in auto, riusciva perfettamente a scrutare i loro volti e a chiedersi cosa stessero guardando con così tanto terrore.

“Che cos’è?” domandò, atterrito.

Eric fu l’unico a rivolgergli lo sguardo, non sapendo cosa dire. Sam si girò a guardare il parabrezza, dove stava colando del sangue lungo il vetro. A quel punto, non fu poi così difficile intuire quale sarebbe stata la risposta e così si mise una mano sulla bocca.

Nathaniel riuscì a tornare in sé, alzando subito la testa e vedendo un cappuccio nero affacciato alla terrazza dell’edificio.

“E’ ancora lì sopra!” urlò con gli occhi colmi di rabbia, per poi salire sulla coda dell’auto e arrampicarsi sulla scala antincendio.

“Nathaniel, NO! - cercò di fermarlo Sam, aggrappandosi alla portiera – Eric fermalo!”

E quello non perse tempo, mentre Nathaniel si trovava già in alto.

 

SCENA FINALE

 

Al Radley, nel cuore della notte, Rider stava intraprendendo la prima partita a scacchi contro A. Seduto davanti al computer, nella sua stanza, aveva appena vinto.

“Non è stato così difficile batterti. Ora dovrai darmi qualcosa in cambio, come promesso.”

Gli scrisse, attendendo la sua risposta.

“A volte vincere è come perdere.”

“Basta giochetti, dammi quello che voglio. Ho vinto, voglio delle risposte.”

 

A non rispose più, ma dopo qualche secondo si aprì una schermata con quelle che sembravano essere due opzioni tra cui scegliere: una era la foto di Anthony e l’altra era la foto di Rider.

“Te l’ho detto, non sempre vincere è positivo: vuoi scoprire qualcosa sul passato di Anthony o sul tuo passato?”

“Dov’è il tranello?”

“Il passato che sceglierai di non scoprire non ti verrà più rivelato. Per questo vincere non è sempre positivo. Ora scegli!”

“E chi ti dice che sceglierò il mio passato e non quello di Anthony? ”

Avanti, non ti sei ancora chiesto come mai nessuno ha capito che non sei un paziente del Radley? Ti trattano come se fossi lì da sempre, come se la tua faccia non fosse nuova. C’è qualcosa sotto e tu lo sai.”

 

Combattuto dalla scelta, una delle due opzioni avrebbe potuto allontanarlo o avvicinarlo alla risoluzione del mistero. Tuttavia, A aveva ragione: Rider sentiva che c’era qualcosa che non quadrava nel suo passato.

Finalmente, poi, prese una decisione e iniziò a spostare la freccia verso una delle due foto.

Era fatta: aveva scelto. La schermata scomparve e ora Rider voleva delle risposte.

“Ho scelto! Ora dammi ciò che voglio sapere.”

“Ops, non te l’ho detto? L La partita di oggi era solo per vincere la possibilità di scegliere. Per scoprire qualcosa su ciò che hai scelto devi battermi di nuovo anche domani e…non sarà facile come oggi sconfinggermi. Sogni d’oro!”

-A

E dopo questo ultimo messaggio, il computer si spense di colpo, lasciando Rider con il fiato sospeso e gli occhi sgranati. Provò a riaccenderlo, pigiando sul tasto di accensione più e più volte, disperato. Quando si rese conto che A aveva il totale controllo di tutto, diede un colpo al tavolo con un pugno.

 

CONTINUA NEL DODICESIMO CAPITOLO

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 13
*** 1x13-Assassini in libertà ***


CAPITOLO TREDICI

“EscApe From Rosewood”

 

 

Rientrati nel loro appartamento, Alexis gettò le chiavi sul tavolo della cucina. La luce dei lampioni in strada illuminavano il pavimento e un angolo di parete, penetrando dalla finestra. Lei era a dir poco indignata, continuando a rimettersi i capelli dietro alle orecchie.

“E’ assurdo che la polizia l’abbia lasciato andare via così. So cosa ho visto la sera del ballo, era la sua auto!”

Eric aveva appena chiuso la porta, non sapeva come reagire: “Forse ti sei sbagliata sull’auto. – si avvicinò alle sue spalle, grattandosi il capo -  Avevi leggermente bevuto, no?”

Quella si girò di scatto, incompresa: “Direi che mi stai confondendo con Tasha, perché era lei quella ubriaca. – lo fulminò con lo sguardo, furibonda – Io ero perfettamente lucida e ho visto il numero di targa: quella macchina apparteneva a Julian Brakner, non ci sono dubbi!”

Eric abbassò lo sguardo, non sapendo cosa dirle, combattuto dalla verità che non poteva rivelarle. A quel punto, le sembrò palese cosa stesse accadendo.

“Perché mi sento stupida in questo momento? – agitò le braccia, allibita – Perché mi sembra di essere in piedi su un palcoscenico con tutti che mi ridono in faccia?”

“Alexis, troveranno chi ti ha investita. – cercò di fare un passo avanti, ma lei ne fece uno indietro – So che sei ancora legata a questa vicenda e che non riesci a darti pace, ma…”

Senza farlo continuare, Alexis lo interruppe con tono aggressivo: “Certo che sono ancora legata a quella vicenda, Eric. Ho quasi rischiato di rimanere su una sedia a rotelle e ho perso il mio posto al Brew, che per me era vitale visto che non navigo nell’oro.”

“Ok, ma adesso hai trovato un nuovo lavoro e vivi con me. Ho di nuovo la macchina, posso portarti dove vuoi e quando vuoi. Possiamo superarla questa cosa.” le spiegò, cercando di calmarla.

“E vuoi comprarmi anche un gelato già che ci sei?” replicò cinica.

“Come?”

“L’hai avvertito tu, vero?” divenne seria, con tono accusatorio.

Quello scosse la testa, confuso: “Alexis, vuoi spiegarmi cosa diavolo stai facendo ora? Avvertito chi?”

“Hai contattato Brakner? Gli hai detto di fare una magia alla sua auto per scamparla?”

“Alexis, stai diventando paranoica.”

“Non sono paranoiaca, ok? – urlò – Il giorno prima mi vieti di andare alla polizia e quello dopo ti offri di accompagnarmi e sarei io la pazza? Voglio sapere che cosa diavolo sta succedendo tra te e quell’uomo!”

“Niente!” ribattè più forte.

“Niente, dici? Perché vietandomi di andare alla polizia ieri, probabilmente gli hai dato tutto il tempo di fare qualcosa alla sua macchina e farmi passare per una folle visionaria con la polizia.”

“Alexis, ci ho semplicemente ripensato dopo una notte di sonno. Tra me e quell’uomo non c’è assolutamente nulla. Ti sei solo sbagliata.” ribadì, nonostante non risultasse molto credibile ai suoi occhi.

Quella allora accennò un sorriso cinico: “D’accordo, va bene. Sai che ti dico? Vado a farmi una doccia e non ne riparliamo più. - si avvicinò davanti a lui, mettendo la bocca vicino al suo orecchio. – Solo… non dirmi che mi sono sbagliata. Io non mi sbaglio mai.” e se ne andò silenziosamente, lasciandolo a fissare il vetro della finestra, imbalsamato, l’atmosfera frigida.

 

*

 

Sam, intanto, era davanti alla porta di un appartamento: il 3B. Aveva appena bussato e teneva la testa rivolta verso il basso e gli occhi chiusi.

“Cosa sto facendo, cosa sto facendo, cosa sto facendo…” si ripeteva continuamente, sottovoce.

Improvvisamente la porta si aprì, Sam alzò la testa: era Wesam.

L’uomo fu sorpreso di vederlo davanti alla porta di casa sua; tant’è che sgranò leggermente gli occhi. Indossava solo i pantaloni del pigiama, il petto nudo.

I due si guardarono a lungo e Sam lo fece in maniera intensa, lasciando trasparire dell’odio nei suoi confronti attraverso lo sguardo. L’attimo dopo gli tirò uno schiaffo.

Wesam si mise una mano sulla guancia, restando con il volto girato, mentre Sam aveva la bocca e gli occhi spalancati per il gesto che aveva compiuto senza essersene reso conto, preso dall’impulsività.

Finalmente Wesam si voltò a guardarlo, ma non sembrava per nulla sorpreso di quel gesto. Sam aveva gli occhi lucidi ora.

“Come hai potuto farmi questo? Pensavi che non l’avrei mai scoperto?”

Wesam deglutì, prima di parlare: “Non sono io che ti ho fatto questo. E’ stato tuo padre.”

“So perfettamente che è stato mio padre a chiederti di scoprire cosa stessi nascondendo. – non riuscì più a guardarlo negli occhi, la voce rotta – Ma pensavo di essere molto di più che un tuo paziente, o almeno così mi hai fatto credere.” spiegò, andosene via di getto, non riuscendo più a stare dinanzi a lui.

Wesam lo rincorse per il corridoio, fermandolo per un braccio.

“Sam, per favore!”

Quello si voltò: “Per favore, cosa? – si asciugò le lacrime con una mano, furente – Hai usato la scusa di avermi salvato la vita per poter creare un legame con me. Hai fatto in modo che ti vedessi sotto un’altra luce, che provassi qualcosa. Volevi che cedessi a te e ci sei riuscito! Mi hai baciato! – una lacrima gli scese lungo il viso – E hai fatto tutto questo per rendermi vulnerabile. Era tutta una bugia.”

Sofferente in volto, Wesam cercò di aggiustare le cose: “Sam, mi dispiace tantissimo. – lo fissò negli occhi - Non immaginavo che dopo aver accettato la proposta di tuo padre, mi sarei affezionato a te in questo modo.”

Sam indietreggiò, scuotendo la testa dopo essersi incantato per le sue parole: “No, smettila. Smettila di fare quello che stai cercando di fare. Non mi inganni più ora che ho scoperto la verità.”

Wesam allora gli prese le braccia, trattenendolo: “Posso aver mentito sullo scopo di quelle sedute, ma non su quello che ti ho detto la scorsa volta. – spiegò, un volto sincero – Prima di addormentarmi penso solo a te, come se la mia mente volesse tormentarmi. E tutto questo è sbagliato, perché non dovrei pensare a te ma ti penso. – ora era a disagio e gli tremava la voce – Domani mattina telefonerò a tuo padre e gli dirò che non voglio più continuare.”

Disorientato da quelle parole, anche a Sam tremò la voce: “Non hai idea di quello che stai dicendo, secondo me. E’ il senso di colpa che ti sta facendo dire questo.”

Quello gli prese il viso, poi lo lasciò, poi lo riprese nuovamente: “Io credo di essermi innamorato di te. – gli sussurrò, la fronte sudata – Anzi, SONO innamorato di te. Poi realizzo che hai solo diciasette anni e che non posso essere innamorato di te, ma sono innamorato di te. – si staccò da lui, rendendosi conto che era una follia e che Sam lo fissava scioccato – Scusa, scusami tanto. Non so cosa mi stia succedendo.”

Sam non sapeva come reagire, imbalsamato: “Wesam, se questa è tutta una recita…”

“Quando ti ho baciato non è stata una recita. E non lo sono nemmeno queste parole. Io provo davvero qualcosa per te, io sento di…”

Ma non ebbe nemmeno il tempo di finire che, con un passo rapido, Sam si avvicinò a lui e lo baciò. Impulsivo, strinse le sue braccia attorno al suo collo, mentre Wesam lo stringeva più basso e lo teneva sollevato da terra.

L’uomo indietreggiò fino a dentro il suo appartamento, mentre ancora si stavano baciando. La porta poi si chiuse.

Più tardi, i due erano a letto. Sam aveva la mano sopra il suo petto e la testa poggiata alla sua spalla. Entrambi avevano gli occhi aperti, che fissavano un punto qualsiasi della stanza.

Wesam aveva il braccio intorno al suo collo e iniziò ad accarezzargli i capelli da dietro l’orecchio.

“Era la tua prima…??” sussurrò.

“Forse… - rispose in maniera distaccata – Si…” ammise, mettendo giù la corazza.

“Ah… - Wesam restò leggermente interdetto, imbalsamato in quella posizione – Beh, sei molto maturo per la tua età.”

“Stai cercando di minimizzare il fatto che sei andato a letto con un minorenne?” sollevò la testa, guardandolo negli occhi con fermezza.

“Potrei dire che è stato uno sbaglio, ma non lo dirò. Non sono pentito di quello che è appena successo, ma…”

L’altro abbassò la testa, deluso nel tono: “…Non deve più riaccadere. Ho capito.”

Wesam allora gli prese il mento e gli sollevò nuovamente la testa per fissarlo dritto negli occhi: “Non è giusto, Sam. E tu lo sai.”

“Io ti odio. Eppure ti desidero così follemente da dimenticare che ti odio: QUESTO non è giusto. I sentimenti non sono giusti. Il tuo odore, il tuo modo di guardarmi, le tue parole che sembrano sincere non sono giuste.”

“Se solo avessi qualche anno in più…” sospirò.

Sam si sollevò di getto, sbuffando irritato: “Ecco la parola chiave!” si mise a recuperare i suoi vestiti dal bordo del letto.

Wesam si chinò in avanti e lo tirò a sé, prendendolo dalle spalle: “Non è la parola chiave, è la realtà!”

“Quindi mi porti a letto e poi ciao, tanti saluti? Però fino a poco fa non ti preoccupavi della realtà mentre mi baciavi e facevi l’amore con me.” si svincolò dalla sua presa, mettendosi addosso la maglietta e alzandosi.

Con il lenzuolo che lo copriva fino a sotto l’ombelico, Wesam si difese: “Ok, io provo qualcosa per te. Ma tu provi davvero qualcosa per me? O è semplicemente il fascino del giovane psicologo che fa impazzire i ragazzini?”

In piedi che dava le spalle, Sam deglutì a braccia conserte. Rimase in silenzio a fissare verso il basso, colto di sorpresa da quella domanda che lo mise alle strette.

“Lo vedi? – ne ebbe conferma - Sono solo un giovane e affascinante psicologo per te. Ti sembra di provare qualcosa, ma in realtà è solo l’infatuazione del momento.”

A quel punto, Sam si voltò e fu sincero: “La verità è che piace molto un ragazzo, ma ultimamente il sentimento che provavo per lui si è spezzato. Le sedute con te sono sempre state intense, ma non ho mai pensato a te in quel modo finchè non mi hai baciato. Poi non ho nemmeno avuto il tempo di metabolizzare la cosa che già mi avevi fatto del male; però, se ci penso, non mi avrebbe fatto così male se dentro di me non provassi già qualcosa per te da tempo.”

Ora fu Wesam a deglutire con fatica, nello scoprire che forse i suoi sentimenti erano ricambiati: “Beh, non si può stare con un piede in due scarpe.”

“Però hai chiarito che la tua scarpa non è disponibile. Se lo fosse, cercherei di capire meglio cosa provo realmente. – spiegò – Forse sei una delle poche persone che mi ha capito davvero e che sa come attirare la mia attenzione.”

I due si guardarono negli occhi a lungo. Wesam, però, continuò a guardare in faccia alla realtà.

“Non posso rendere disponibile la mia scarpa, Sam. – abbassò lo sguardo, mortificato – Sono troppo grande per te, non possiamo metterci a giocare agli appuntamenti segreti. Non dovrei permettere che questa cosa continui. Non dovevo nemmeno permettere che iniziasse.”

Sam si avvicinò di più al letto, cercando di non mollare quello spiraglio di possibilità: “Wesam, ho poco più di un anno di liceo ancora: non è molto, se ci pensi. Perché negarci qualcosa che forse vogliamo entrambi?”

“Continui a dire forse, quando le mie idee sono assolutamente chiare: ti voglio, ma non posso. Mentre tu non sai cosa vuoi e agisci impulsivamente in base ai tuoi stati d’animo.”

“Sarò anche confuso, ma in questo momento tu sei riuscito a darmi quello che lui non mi ha potuto dare.”

“E cosa ti avrei dato?”

“Sicurezza! – rivelò, lasciandolo perplesso - Ogni volta che sono con te, specialmente stasera, sento di essere al sicuro con te. Mi sento protetto, ed è una bella sensazione.”

“Sicurezza per cosa? Perché hai bisogno di essere protetto? – cercò di capire - Dimmi in cosa sei coinvolto, dimmi cosa ti tormenta e ti aiuterò. Puoi parlare con me, Sam.”

L’altro, combattuto, si girò nuovamente dall’altra parte, spaventato a morte: “Credimi, voglio dirtelo. – si comprì il viso con le mani per poi farle scivolare fino ai capelli - E’ solo che è tutto così assurdo…”

Wesam scese dal letto, arrivando alle sue spalle. Sam si girò e alzò lo sguardo.

“E’ una storia lunga da raccontare, non mi basterebbe una notte.”

Quello gli prese le mani: “Hai tutto il mio tempo, Sam.”

Improvvisamente il telefono di Sam iniziò a vibrare sul comodino. Con gli occhi lucidi lo ignorò, ma sapeva di dover andare.

“Qualcuno sta cercando di incastrare me e i miei amici. Ha cercato di ucciderci molte volte, è un folle.”

Turbato da quello parole, Wesam lo prese per le spalle: “Chi? Di chi stai parlando?”

“Non lo so, non ne siamo così sicuri. – le lacrime scesero copiose, tremava – Ora devo andare!”

Si diresse verso il comodino a recuperare il suo telefono, mentre Wesam era seriamente preoccupato e non riusciva a lasciarlo andare via così.

“Devi andare??? Sam, mi hai appena detto che qualcuno ha cercato di ucciderti.”

Quello aveva preso tutto e si era appena rimesso i jeans, pronto a scappare via: “Ti prometto che domani ti racconto tutto, ma ora devo proprio andare.”

Si alzò in punta di piedi e gli diede un bacio sulla guancia, per poi andare via. Wesam rimase lì impalato, pensieroso.

 

*

 

Seduti ad un tavolo-panchina nel parco, Nathaniel aveva messo al corrente gli altri due amici su quanto raccontato da Quentin.

Ogni parola che uscì dalla sua bocca, li aveva scioccati a tal punto da non sapere cosa dire.

Eric riuscì trovare le parole, dopo un pò: “Solo a me vengono i brividi al solo pensiero che quel posto esista davvero?”

“A me vengono i brividi a pensare ad Anthony che sequestra delle persone per giorni. – pensò Nathaniel - Cosa ci guadagna ad intrappolare qualcuno per rubargli un segreto?”

“Il potere! – esclamò Nolan, facendoli voltare verso di lui – Con tutti i segreti che Anthony collezionava, aveva potere sull’intera città.”

Eric si rese conto che era così: “Rider ha ragione. Anthony ha scoperto da Quentin che il capo di mio padre tradiva sua moglie. E sarebbe bastato solo questo per minacciarlo e far riavere il posto a mio padre. Immaginate quante altre cose poteva fare con tutti gli altri segreti: aveva in pugno chiunque.”

“Quindi Quentin non ha la minima idea di dove si trovi questo bosco?” chiese Nolan, curioso.

“Ve l’ho detto, tutti quelli che Anthony portava al bosco sono stati drogati e non conoscono il tragitto.”

“Ma siamo sicuri che ci siano state più persone? – domandò Eric, dubbioso – Sono davvero tutti così disperati da non raccontare di questo bosco a qualcuno o alla polizia?”

“Anthony li avrà terrorizzati a morte, o qualcuno avrebbe parlato altrimenti. In ogni caso, non venivano più perseguitati una volta che confessavano un qualsiasi segreto che conoscevano su qualcuno.”

“Beh, ma allora… - Eric ebbe nuovamente un dubbio – che succedeva a chi non aveva un segreto da barattare con la libertà?”

I tre si guardarono a quel punto, assai turbati dai pensieri che aleggiavano nelle loro menti dopo quella domanda.

“Magari Anthony le teneva nel bosco per qualche giorno…” pensò Nathaniel.

“E’ spaventoso!” esclamò Nolan, scuotendo la testa e fingendosi rivoltato.

Eric scosse la testa a sua volta, preso dall’incertezza: “Ma allora chi è A? Anthony o Brakner?”

“Brakner potrebbe aver sostituito la macchina prima che la polizia potesse scortarlo in centrale, quindi A è senza dubbio lui.” rispose Nathaniel.

“Ma il messaggio che Eric ha ricevuto vuole insinuare un dubbio.” aggiunse Nolan.

“Già, ha ragione. – lo appoggiò Eric – A ha bisogno di comunicare con noi, ma allo stesso tempo vuole che la sua identità non ci sia chiara. Se avessimo mandato Brakner in prigione e Anthony fosse A, non avrebbe più potuto interagire con noi perché a quel punto sapremmo di certo chi è in realtà. Scambiando la finta auto blu con una vera auto blu, mantiene ancora in gioco Brakner e ci fa credere che sia lui A.”

Nathaniel non volle accettare quella ipotesi: “Ragazzi, mi dispiace, ma dopo quanto scoperto da Quentin, non riesco più a trovare un nesso tra Anthony e gli scopi di A. Smettetela di correre dietro a questa assurda teoria, A è la vittima non il carnefice. Sono le vittime che cercano vendetta ed Anthony non è la vittima di niente in questa storia.”

A quel punto, in lontananza, si videro i fari di un’auto che stava parcheggiando. Poco dopo arrivò Sam a piedi, dentro la sua pesante felpa nera e un cappello in testa.

“Ti ho chiamato, lo sai?” gli disse Nathaniel, mentre era ancora a qualche passo da loro.

Sam, infreddolito, stringeva le sue braccia: “Sì, avevo la vibrazione…” rispose distaccato, quasi apatico nei loro confronti e della situazione.

“La vibrazione? – ripetè esterreffatto – Sam, lo sai che stasera dobbiamo seppellire un cadavere, vero?”

“Evviva! – esultò forzatamente, sollevando le sopracciglia – Ora sì che mi sento come un personaggio di How to get away with murder.”

Nathaniel restò per qualche secondo a fissarlo, come se percepisse qualcosa di diverso in lui. Tuttavia, non cercò di indagare.

“Senti, Sam, dillo anche tu a loro che Anthony non può essere A.”

Quello si voltò immediatamente verso gli altri due, stufo: “Ancora? Nat non vi ha detto quello che Quentin ci ha raccontato? Non può essere lui, non avrebbe senso.”

“E tu hai letto i messaggi che ti ho mandato?” replicò Eric.

“Sì, li ho letti mentre venivo qui. Me lo sentivo che Brakner non sarebbe stato arrestato. Siamo stati dei pazzi a pensare che ce l’avremmo fatta così facilmente.”

“Quindi Brakner è A? – ribadì Nolan, cercando conferma negli occhi di ognuno di loro – Sospettiamo di nuovo lui?”

“O è lui o è qualcun altro che è finito anch’essi in quel bosco… - pensò Nathaniel – In ogni caso, il messaggio ricevuto da Eric dice che presto A si rivelerà a noi.”

“Il segreto rivelato da Quentin era il numero trentanove nell’archivio di Rosewood riservato, no? – ricordò Sam – Questo significa che prima di lui, altre trentotto persone hanno rivelato ad Anthony un segreto su qualcuno e che probabilmente…sono tutti finiti in quel bosco.”

Nathaniel deglutì a fatica, turbato: “Questo vuol dire che se A non è Brakner, potrebbe essere uno tra quei trentotto. E non sappiano nemmeno se Rosewood riservato si fermi a trentanove segreti.”

Nolan, allora, sentì di dover fare un appunto: “Un secondo, se A è tra una di questi trentanove persone, allora anche Quentin è un sospettato.”

“No, non credo proprio. – intervenì immediatamente Sam, convinto del contrario – Ha un ragazzo adesso ed è libero di essere se stesso. Si è lasciato questa storia alle spalle, non è un folle in cerca di vendetta.”

“Beh, se iniziamo a scartare così i nostri sospettati, siamo proprio a cavallo!” esclamò Eric seccato, voltandosi dall’altra parte.

Sam lo fissò subito storto per quel commento, mentre Nathaniel era giunto all’esasperazione.

“Ragazzi, è inutile continuare a cercare di cavare un ragno dal buco. Non abbiamo accesso alla cartella Rosewood riservato e non sappiamo quali nomi possa contenere. Piuttosto, credo di sapere a cosa si riferisca A con il fatto che presto si rivelerà a noi. Domani Jasper verrà processato e per noi è finita.”

Tutti si ricordarono dell’udienza all’improvviso, che tra una cosa è l’altra, avevano dimenticato. I loro sguardi si abbassarono e la luce nei loro occhi si spense in un attimo.

“Che cosa ci accadrà quando Jasper dirà tutto?” domandò Eric, terrorizzato.

“Beh, ci interrogheranno come prima cosa. – spiegò Sam – Poi crolleremo e a quel punto non lo so.”

Nathaniel alzò lo sguardo per primo, arreso: “Io mi sento sollevato, forse…”

“Che vuoi dire?” non capì Nolan.

“Sì, sono stanco di lottare contro qualcosa che sembra non avere una fine. Sono stanco di dover fare tutto quello che dice A, perchè possiede uno stupido filmato su di noi e che usa per ricattarci. Sono stanco di avere paura continuamente e non voglio mai più vedere un cadavere. – fissò i suoi amici, uno ad uno - Se il gioco finisce adesso, sarà meglio per noi. Potrebbe anche finire peggio se tutto questo va avanti.”

Sam, che lo aveva ascoltato assorto nelle sue parole, si sentiva in pena: “Ha ragione, non ce la faccio più nemmeno io. Che ci arrestino o facciano quello che vogliono, l’importante è che tutto questo finisca.”

Nolan si limitò solo a sospirare, abbassando la testa. Eric, però, non riusciva ad accettare quella fine.

“E se fuggissimo? – propose, destabilizzando tutti – Io non voglio andare in prigione, non me lo merito. E le nostre famiglie preferibbero saperci liberi da qualche parte che dietro le sbarre. Io non voglio arrendermi così.”

“Ma le nostre famiglie non sapranno mai la verità.” replicò Sam con gli occhi lucidi.

“Prima di domani, dovremmo registrare qualcosa. Ognuno di noi. Un filmato dove spieghiamo alle nostre famiglie tutto quello che ci è successo e perché siamo andati via. – spiegò Eric, cercando di convincerli con uno sguardo - Capiranno! Rischiamo fino a quindici anni di galera nella migliore delle ipotesi, ok? E io non voglio che mio padre, mia madre e la mia ragazza parlino con me attraverso un fottuto vetro.”

“Mio padre non lo sopporterebbe. – una lacrima solcò il viso di Sam – Non era questo il progetto che aveva per me.”

“Quindi A vince? – sottolineò Nathaniel, che non accettava la cosa – Pensavamo di poterlo battere al suo stesso gioco, invece ci ha rovinato la vita per sempre.”

Tra lo sconforto generale, Nolan prese parola con molta foga: “Non è A che ha rovinato le vostre vite. – usò un tono di rimprovero - E’ stato Anthony a rovinarvela e siete ancora qui a dare la colpa a qualcuno che si fa giustizia privata.”

Tutti lo fissarono, sentendosi quasi attaccati.

Eric prese parola per primo, abbastanza perplesso: “Le vostre? Guarda che ci sei in mezzo anche tu.”

“E’ lo stesso, ok? – tentennò Nolan, cercando di recuperare – Quello che voglio dire è che dovremmo smetterla di attribuire la colpa alle persone sbagliate. Se un padre abbandona un figlio, la colpa non è del vicino di casa: è del padre! – quelli restarono a fissarlo, incupiti e confusi – Mentre noi stiamo dando la colpa al vicino di casa, senza ammettere che non siamo santi e che noi abbiamo acconsentito che tutto questo accadesse. Eravate amici di Anthony e quella sera eravate con lui ad aiutarlo. Non dimenticatelo.”

“Rider, smettila di parlare con noi come se non facessi parte del gruppo. – replicò Nathaniel - E’ vero che ci siamo scavati la fossa da soli, ma non meritiamo quello che stiamo passando. A è un assassino e un terrorista…E con la giustizia privata è andato decisamente oltre e non merita una buona parola da parte nostra. Ma soprattutto da parte tua, che l’hai sempre odiato.”

“Già, fra noi sei quello che lo odia di più...” si accodò Sam.

Nonostante fosse in difficoltà per aver smesso di essere Rider per qualche secondo, Nolan non si lasciò scoprire e tornò a recitare con sicurezza: “Non diciamo sciocchezze, odiamo tutti A allo stesso modo. Dico solo che non ci siamo finiti per caso nel bersaglio di questo folle.”

Improvvisamente, il telefono di Nolan vibrò sul tavolo di legno. Solo il suo. Dopo essersi guardato con gli altri, lo recuperò e lesse il messaggio che aveva appena ricevuto.

“Chi è?” gli domandò Eric.

Quello alzò lo sguardo e finalmente rispose: “E’ A…Dice che è ora di scavare nella foresta!”

“La foresta che circonda Rosewood o un’altra foresta?” fu il turno di Sam.

“No, di Rosewood.”

Nathaniel restò perplesso: “Tutto qui? Da che direzione dobbiamo entrare?”

“Ha lasciato delle coordinate, le inserisco nel telefono.”

I quattro si guardarono ancora una volta, turbati per ciò che stava per avvenire. Subito dopo si diressero alla macchina.”

 

 

*

 

Lasciata la macchina all’ingresso della foresta, i quattro camminarono a lungo, guidati da Nolan che controllava il telefono. La luna filtrava attraverso le foglie degli alberi e il bubolare dei gufi rimbombava ovunque, rendendo quella notte cupa e fredda.

“Credo che siamo vicini…” fece sapere quest’ultimo, con lo sguardo incollato sul telefono.

Gli altri tre notarono qualcosa non molto lontano da loro e alzarono il passo.

“Metti via il telefono, non serve più.” Nathaniel gli toccò la spalla, mentre lo superavano.

Davanti a loro, quattro pale incastrate nel terreno. In fila.

Giunti fino ad esse, ognuno prese la sua. Confusi, si guardarono intorno.

“Non capisco, che dovremmo fare? – si domandò Sam - Cercare il corpo?”

“Forse è qui vicino, no?” pensò Eric.

Intanto Nathaniel aveva girato la sua pala e trovato un biglietto: “Ragazzi, un messaggio di A!”

I tre si strinsero attorno a lui.

“Che dice?” chiese Nolan.

Quello lo lesse: “Seguite l’origine del segnale il più in fretta possibile. Non avrete molto tempo per seppellirlo, a meno che…”  d’un tratto si fermò, ritraendo il collo in una smorfia confusa.

Gli occhi rimasero puntati su di lui, i tre erano impazienti di sapere cos’altro dicesse il biglietto.

“Nat? A meno che, cosa?” lo chiamò Sam.

Finalmente continuò, alzando lo sguardo: “A meno che gli abitanti di Rosewood non siano sordi e ciechi.”

“Eh? – strinse gli occhi Eric – Che diavolo vuol dire?”

“Sto iniziando seriamente ad entrare nel panico!” esclamò Sam, guardandosi attorno, stringendo la pala nervosamente.

“Ha scritto qualcosa sul segnale?” si intromise Nolan, chiedendo a Nathaniel.

“Rider, ho letto quello che c’è scritto. – si alterò, isterico - Non dice nulla!”

Improvvisamente furono investiti da un boato: un fuoco d’artificio esplose nel cielo.

I quattro trasalirono, sgranando gli occhi. Persino Nolan.

“Ma è pazzo?” urlò Sam, incredulo.

“E’ solo uno, vero? Forse non l’ha sentito nessuno.” deglutì con fatica Eric, in preda all’ansia.

Dal suolo si alzarono altri fuochi, uno dietro l’altro, rumorosi.

Nathaniel iniziò a correre, incitando gli altri a fare lo stesso: “Sbrighiamoci, siamo alle spalle della città, la polizia verrà a controllare!”

Quelli lo seguirono a ruota, spaventati a morte.

 

                                                     *            

 

Dei sassolini colpivano il vetro di una finestra in maniera incessante, davanti a casa Stuart. Era quella della camera di Lindsey, che dormiva profondamente.

Ad un certo punto, però, quella aprì gli occhi, accorgendosi dei colpi contro il vetro. Immediatamente sollevò le coperte e corse davanti alla finestra. Non le ci volle molto a capire chi era l’autore di tale disturbo, dal momento che era in piedi sul marciapiedi e in bella vista: si trattava di Brakner, che le faceva cenno di scendere.

Qualche secondo più tardi, Lindsey uscì da casa sua, in allerta, indossando un lungo giacchetto di lana che stingeva al petto per il freddo.

“Che ci fai qui a quest’ora?” gli domandò, guardando continuamente la sua abitazione e il vicinato per paura che qualcuno si svegliasse.

“Te l’ho detto che dovevo parlarti, ma avevo dei compiti da correggere e mia sorella è venuta a cena da me con suo marito.”

Quella, con gli occhi sgranati e la bocca leggermente aperta, ribadì: “Ok, lo so che dovevi parlarmi, ma è mezzanotte passata! Non puoi aspettare fino a domani? – bisbigliò - Quando mio padre non c’è, mia madre diventa come immune ai sonniferi e ad ogni minimo rumore si sveglia.”

“Sono stato scortato fino in centrale oggi e c’era anche uno degli amici di tuo fratello!”

Confusa, Lindsey avanzò verso di lui: “In centrale? Cosa è successo?”

“La sua ragazza è convinta che io l’abbia investita con la macchina, voleva denunciarmi.”

“Ma chi, Alexis? Quella con i ciuffi blu?”

“Proprio lei!”

“Ma su che basi, scusa?”

“Farneticava sul fatto che la mia macchina fosse rossa e non blu. E che io l’avessi ricoperta di blu perché l’auto che l’aveva investita era rossa.” raccontò, nervoso.

Dubbiosa, quella non si fece scrupoli a chiedere conferma del contrario: “E tu non l’hai ricoperta di blu, giusto?”

Quello restò fisso a guardarla, come frenato, confuso, le pupille che si muovevano veloci: “…E’ una cosa strana, perché un giorno mi sono fermato ad osservare la mia auto e mi è sembrato come se non fosse la mia e poi invece era la mia, ma…”

Non seguendolo nelle sue parole, lo bloccò subito: “Julian, di che cavolo stai parlando?”

“Non ho fatto nulla alla mia auto, ok? E non ho investito quella ragazza. Sto solo dicendo che prima di ricevere quest’accusa, avevo come la sensazione di non essere dentro la mia auto anche se era identica alla mia. Ovviamente la mia era solo una sensazione, ma dopo questa vicenda penso che la mia auto sia stata scambiata e poi riscambiata nuovamente.”

“E’ assurdo quello che stai dicendo, chi farebbe mai una cosa simile?”

“Ehm, qualcuno che mi vorrebbe dietro alle sbarre? Magari questo era un avvertimento!”

“Un avvertimento per cosa?”

“Per noi! – urlò a bassa voce – Per noi due, che stiamo insieme.”

Quella rise, incredula: “Ma è ridicolo, cosa c’entra? – girovagò con lo sguardo - E abbassa la voce, per favore.”

“Sappiamo entrambi che tuo fratello mi odia e che sa di noi due. Vedere Eric in centrale mi ha fatto capire che c’è senz’altro lui dietro a tutto questo. Vogliono mettermi paura, proprio come faceva Anthony con quello sguardo che aveva ogni volta che lo incrociavamo a scuola.”

“Sei solo paranoico, mio fratello non è come Anthony.”

“E invece loro sono così, sono come lui o non sarebbero mai diventati suoi amici. Non hanno prove che noi due stiamo insieme, quindi cercano di farmela pagare in altri modi. Magari pensano che sia un maniaco e che ti costringa a venire con me contro la tua volontà.”

“Julian, non essere ridicolo. Credi che quella ragazza si sia messa sotto ad una macchina da sola per dare il via al piano diabolico di mio fratello per farti andare in prigione e salvarmi dal professore pedofilo? – rise nuovamente – E’ ridicolo anche solo pensarlo. E poi le prove potevano benissimo procurarsele, basta seguirmi quando vengo a casa tua.”

L’altro però fu serio e categorico: “Ascolta, tuo fratello non macchierebbe mai la tua immagine. Se ci denunciasse, diventeresti la puttanella di Rosewood che se la fa con i professori, ok? Perciò è me che vuole togliere di mezzo, solo me! – ribadì, sempre più agitato – Ho già rischiato di finire in un grande casino quando abbiamo incontrato Albert quella sera e poi è misteriosamente scomparso per riapparire come cadavere. Potevamo essere i sospettati numero uno anche dell’omicidio di Anthony, ma un’altra persona è stata arrestata e noi sappiamo che in realtà è innocente perché abbiamo visto quel Jasper, poco prima che andassimo da Albert, entrare in quel locale gay. Ci siamo praticamente passati accanto con l’auto e lo ricordiamo perfettamente.”

“Mi sento in colpa anch’io per quello, ma dovevamo proteggerci.”


“Beh, io non posso continuare a rischiare. Con Albert stavamo per usare quei video per placare Anthony e la storia non può ripetersi di nuovo. Non posso combattere anche con i suoi amici per salvare ancora una volta la nostra relazione. E’ finita, Lindsey!” concluse, facendo il giro della macchina per entravi.

Quella cercò di corrergli dietro, gli occhi gonfi di lacrime: “Davvero mi stai lasciando? – cercò di trattenere il pianto, continuando a guardare verso la sua abitazione – Avevi detto di amarmi!”

Con la portiera aperta, Julian rimase impalato e irremovibile: “Mi dispiace, ma non c’è futuro per noi adesso. Sono successe troppe cose.”

Incredula, aveva il viso pieno di lacrime: “Tu per primo avevi detto che c’era futuro per noi due e che nulla ci avrebbe impedito di stare insieme. E ora ti tiri indietro per un equivoco?”

“Non è un equivoco! – si voltò – E’ un avvertimento, una minaccia. E se c’è dietro tuo fratello con i suoi amici malati, beh ci è riuscito a spaventarmi. – entrò in macchina – E ora me ne vado, addio!” e chiuse la portiera, mettendo in moto.

“No, aspetta! – Lindsey cercò di aprire la portiera, ma la macchina si mosse e non ci riuscì – Julian, aspetta!” urlò, per poi rendersi conto che aveva alzato la voce.

Dopo essersi guardata intorno, in lacrime, un boato la fece sussultare: dei fuochi d’artificio, dall’alto di Rosewood, nel bosco.

Inclinando la testa, strinse gli occhi, stranita da ciò: “Ma che…???”

E velocemente indietreggiò, pulendosi le lacrime con le maniche, rientrando di corsa in casa.

 

*

 

Giunti nel punto da dove partivano i fuochi, quelli avevano smesso di esplodere in cielo da qualche minuto. Era completamente buio, tant’è che i ragazzi usarono la luce dei telefoni per guardarsi intorno.

Improvvisamente, si accesero dei fari dall’alto: erano posizionati sopra tre alberi e illuminavano con molta intensità il suolo. I ragazzi alzarono un braccio davanti agli occhi, quasi accecati.

“Ma perché si comporta così?” urlò Sam, mentre gli altri erano sconcertati quanto lui.

Nathaniel abbassò lo sguardo prima degli altri, notando che intorno a loro c’erano quattro borsoni.

“Ragazzi, lasciate perdere i fari…”

Finalmente anche gli altri notarono i borsoni e i pensieri che passavano per la loro testa li lasciò agghiacciati.

“Non l’avra mica…” Eric sussurrò ciò che stava pensando con un filo di voce che tremava ad ogni parola.

Sam si portò una mano sulla bocca: “Oh mio Dio…”

Un altro biglietto era poggiato su uno dei borsoni e Nolan si chinò a prenderlo e leggerlo: “Prendete un borsone e seppellitelo l’uno distante dall’altro. Fate in fretta o i fuochi d’artificio non saranno l’unico spettacolo di questa notte.”

Nathaniel prese subito uno dei borsoni e corse via, senza nemmeno parlare con gli altri. Eric fu il secondo, molto rapidi.

“Sbrighiamoci, non oso immaginare cos’altro userà per attirare l’attenzione.”

Nolan e Sam si guardarono, rimasti soli, e presero i borsoni, iniziando a correre ognuno in una direzione diversa. I fari si spensero non appena si allontanarono: restò solo il buio.

Tra il panico, le lacrime e la disperazione, ognuno di loro scavò la propria buca senza nemmeno sapere dove fossero gli altri.

*

 

Intanto, Rider affrontava una nuova notte al Radley. Seduto davanti al computer portatile fornito da A, era a braccia conserte che aspettava una nuova mossa al gioco di scacchi. Le sue condizioni fisiche non erano delle migliori: volto pallido, dimagrito, lividi in vari punti del corpo per via delle lotte con gli infermieri. Era debole e provato.

Improvvisamente sgranò gli occhi quando fu il suo turno. Sapeva come fare a batterlo, così sfoderò la sua mossa e l’esito di essa pose fine alla partita: scacco matto. Vinse.

Nonostante fosse esausto, riuscì ad accennare un sorriso compiaciuto, chinandosi in avanti mentre lo schermo diventava nero.

Dopo qualche secondo, comparve il primo messaggio di A.

“Complimenti per la vittoria, non ero molto concentrato. Sono parecchio occupato a giocare con i tuoi amici in questo momento.”

“Che significa? Che stai facendo ai miei amici?”

“Se mai lascerai il Radley, lo scoprirai da loro. Non posso fornirti informazioni sul mondo esterno. Ora risquoti il tuo premio, chiedimi qualcosa che vuoi sapere sul tuo passato.”

“Chi è la donna con l’impermeabile rosso che ho visto con mio padre nella foto. L’ho trovata nella panic room.”

“Il suo nome è Joanna Smith, nata nel 1973.”

“Dovrebbe dirmi qualcosa? Ho vinto, voglio una risposta più soddisfacente!”

“E’ la madre di Albert.”

Rider sgranò gli occhi, incantando lo schermo per qualche secondo.

“Che ci fa la madre di Albert con mio padre?”

“Erano amanti, si sono conosciuti nel 1998. La foto che hai trovato nel mio covo, invece, risale al 2004: l’ultima volta che si sono visti.”

“Lei dov’è adesso?”

A ci mise qualche secondo prima di rispondere.

“lo scoprirai domani. Ti basta vincere nuovamente la partita.”

“No, devi dirmi di più. Che cosa significa tutto questo? Perché quella foto era nel tuo covo?”

 

Quello non rispose più e Rider chiuse il portatile con forza, tirando un pugno sul tavolo, furibondo.

“Maledetto!” borbottò, riprendendo fiato.

 

*

 

Fuori dalla casa al lago di Rider, Nathaniel ed Eric aspettavano con impazienza l’arrivo di qualcuno, contemplando l’oscurità.

“Perché Sam ci mette così tanto a mettere qualche vestito in un borsone?” pensò Nathaniel, guardando preoccupato l’orologio.

Eric cercò di restare calmo: “Vedrai che starà arrivando, non entriamo nel panico.”

“Troppo tardi, direi. –  gli lanciò uno sguardo cupo - Dopo i fuochi d’artificio e la sepoltura dei… pezzi, dubito di non essere ancora entrato nel panico.”

In piedi ad incantare l’acqua del lago, Eric era già nostalgico e soffrente: “…Ho fissato Alexis che dormiva per cinque minuti; in quei cinque minuti avrei potuto prendere più indumenti, ma avevo cinque minuti per fare solo una cosa.  E ho preferito guardarla.  – i suoi occhi si gonfiarono di lacrime – Non posso crederci che non la rivedrò mai più.”

Nathaniel gli mise una mano sulla spalla: “In qualche modo hai detto addio alla persona che più amavi. Io ho pensato solo a riempire il borsone ed effettivamente dovevo spendere quel tempo in un altro modo.”

“Vorrei che tutto questo non fosse mai accaduto. Abbiamo appena seppellito una persona fatta a pezzi e ancora non mi sembra vero. Scavavo, scavavo…scavavo il più in fretta possibile ed era come se non avessi più il controllo del mio corpo. – si voltò a guardare Nathaniel, provato – Come siamo arrivati a questo punto?”

“Non lo so…” scosse la testa, la voce rotta.

Improvvisamente furono illuminati dai fari dell’auto di Sam, che parcheggiò e poi scese.

“Ci hai fatti spaventare con questo ritardo. – si voltò a dirgli Nathaniel – Per un attimo ho pensato che avessi cambiato idea.”


Pallido e apatico, Sam si avvicinò con il suo borsone: “Rimanere qui da solo con A? No, grazie. Ne ho già abbastanza.”

“Rider è dentro che registra il suo videomessaggio alla famiglia.  – gli fece sapere Eric, quando si fermò davanti a loro – Io e Nathaniel abbiamo già fatto, manchi solo tu.”

“Non so se avrò il coraggio di raccontare a mio padre tutto quello che è successo. – gli lacrimarono gli occhi – La maggior parte delle cose sono torture e minacce contro di noi, ma ci sono piccole cose e decisioni che abbiamo preso, che…beh, mi viene solo da vomitare a doverle raccontare a lui. A mostrargli la persona che non pensava io fossi. – una lacrima gli scese lungo il viso – Un assissino!”

Eric gli mise una mano sulla spalla, cercando di alleviare la sua sofferenza: “Non siamo assassini, ok? Siamo solo vittime di un gioco crudele. Quella notte era Anthony alla guida, non noi. E il francese l’ha ucciso A e non noi.”

“Mi dispiace correggerti, ma il francese è entrato nelle nostre vite per colpa mia. – intervenì Nathaniel - Perciò l’ho ucciso io.”

“E Albert l’abbiamo portato noi fino a casa di Anthony, eravamo consapevoli di ciò che stavamo facendo.” continuò Sam, in lacrime.

“Albert era già morto, ragazzi.  – sottolineò Eric -  E noi eravamo terrorizzati.”

“Ok, ormai è inutile piangere sul latte versato. – Sam si asciugò le lacrime – Come facciamo con i soldi? Dovremmo pur mantenerci nei prossimi mesi, no?”

“Possiamo usare il bancomat, domattina. – suggerì Nathaniel - Uscendo ho preso qualche contante.”

“Quando Jasper racconterà tutto in tribunale e la polizia non ci troverà in città, useranno qualsiasi mezzo per localizzare i nostri spostamenti. E tutti i bancomat hanno le telecamere.” spiegò Eric.

“E se facessimo tappa da Julie? – propose Sam - Non solo ci aiuterà a procurarci quei soldi, ma anche dei documenti falsi.”

Intanto, mentre loro discutevano, Nolan era dentro a parlare al telefono e continuava a tenere d’occhio la porta d’ingresso socchiusa.

“Sono fuori, stanno parlando. – spiegò nervoso, facendo avanti e indietro – Vogliono fuggire da Rosewood!”

“Non devi andare contro le loro decisioni o capiranno che non sei Rider.” gli suggerì A, sempre con una voce camuffata.

“Ti prego, devi fare qualcosa. Mio padre tornerà qui per il mio compleanno e devo esserci. Devo parlare con lui.”

“Vai da loro o si insospettiranno.”

“Ti sto implorando, ok? Aiutami a non lasciare Rosewood, altrimenti…” lo sfidò, pentendosi quasi subito di aver fatto suonare quelle parole come una minaccia.

“Altrimenti, cosa? Tu non conosci la mia vera identità.”

“Ti chiedo scusa… - deglutì – Senti, aiutami. Se fuggiamo, non potrai più trovarci e loro non mi faranno usare il telefono, ci rintraccerebbe la polizia. E’ davvero questo che vuoi?”

“Vai da loro, ho detto. So quello che devo fare.” chiuse la chiamata in tronco.

Gli altri entrarono e lui mise subito via il telefono, comportandosi normalmente.

 

“Tutto bene? – gli chiese Eric – E’ stato difficile?”

Nolan stringeva tra le sue mani un cd: “Come per tutti, credo. Il mio videomessaggio è qui dentro. – si rivolse a Sam – Manca solo il tuo, la telecamera è al piano superiore.”

Sam guardò tutti, prima di avviarsi verso le scale: “Bene, allora vado. Prima faccio questa cosa e prima mi sentirò meglio. – sogghignò, rendendosi conto che aveva scelto la parola sbagliata – Meglio è un eufemismo. Forse, meno peggio è l’espressione più adatta.” e andò.

Nathaniel avanzò di qualche passo verso Nolan, subito dopo: “Come abbiamo intenzione di far arrivare questi cd alle nostre famiglie?”

“Le lasciamo nella cassetta delle lettere, no?”

“E quando? – domandò Eric – Forse dovremmo partire adesso.”

“Esattamente, quando verrà portato in tribunale Jasper?” ribattè Nolan.

“Sam ha detto che lo porteranno lì tra le due e le tre del pomeriggio.” ricordò Nathaniel.

“Forse dovremmo partire domattina, fingere di andare a scuola e poi sparire. – spiegò Nolan, dopo aver riflettuto - Se fuggiamo adesso, i nostri genitori andrebbero subito dalla polizia.”

“Già, ha ragione. – Eric fu d’accordo – Anche se avremo meno vantaggio. Dite che riusciremo a lasciare questo stato per le due del pomeriggio?”

Nathaniel scosse la testa, dubbioso e preoccupato: “Non ne ho idea, non ho mai lasciato la Pennsylvania in auto.”

I tre si guardarono, tra paure e incertezze. Nessuno aveva idea di cosa li attendesse.

 

*

 

Più tardi, Sam era ancora chiuso in una delle stanze al piano di sopra. Il treppiedi con sopra la telecamera puntava lui che era seduto su una sedia, in lacrime.

Quelle lacrime furono udite da Nathaniel, nel corridoio, che si avvicinò alla porta socchiusa per ascoltare. Sam stava ancora registrando, ma non più per suo padre.

“…Avrei voluto parlartene stasera, ma non pensavo che sarei dovuto andare via all’improvviso. Non so se sarei riuscito a spiegarti tutto questo, ma voglio che tu capisca perché ero strano e perché non riuscivo a rispondere alle tue domande. Sicuramente sarebbe stato più facile dirlo a te che a mio padre, ma non volevo coinvolgerti.”

Con l’orecchio attaccato alla porta, Nathaniel strinse gli occhi e cercò di capire a chi si stesse rivolgendo.

“Mi avrebbe fatto stare bene, poterlo dire a qualcuno. Dirlo ad un adulto e poter respirare un secondo, sentirmi protetto. Perché stasera mi hai fatto sentire protetto tra le tue braccia. Una sensazione che ormai non provavo da tempo, Wesam.”

Nathaniel sgranò gli occhi al pronunciare di quel nome, immaginando a cosa potesse essere accaduto tra lui e Sam. La sua espressione lasciò trasparire incredulità e gelosia e decise di non ascoltare più nulla, allontanandosi.

 

*

 

Il giorno dopo, a casa di Nathaniel, sua madre camminava avanti e indietro per la cucina. Si mangiava l’unghia del pollice, ansiosa.

“Claire, che succede? – entrò Courtney affannata, poggiando la borsa – E’ esploso il tuo salone?”

“Ma no, che dici!” esclamò in una smorfia esagerata.

“Scusa, è che dopo l’esplosione della scuola di Nathaniel immagino che tutto possa esplodere. – iniziò a parlare in maniera logorroica - L’altro giorno guardavo la tv e improvvisamente ha iniziato a fare un rumore strano, hai presente quando strisci la carta di credito dentro quella scatoletta nera che ti detrae i soldi che hai guadagnato duramente ma che per un paio di Gucci capisci che è stato un sacrificio necessario? Beh, immagina che quella carta di credito sia ruvida, molto ruvida, come il granito, e se la farai striciare dentro quel coso, il rumore che ho sentito sarà esattamente quello! – alzò il dito, per marcare il concetto – Sembrava che stesse per esplodere, lo giuro.”

Claire, frastornata, la fermò: “Courtney, taci un secondo! Il mio salone non è esploso, ok?”

Quella controllò l’orologio: “Allora che ci fai ancora a casa? Sono le dieci passate.”

Il suo viso si incupì: “Ho un problema!”

“Sarà meglio per te che non sia la menopausa, ok? Io e Pete stavamo scegliendo una SPA in cui passare il weekend e ho cose più importanti da fare che venire qui a combattere con te una battaglia che non puoi vincere. Sei vecchia, accettalo!”

“Grazie per avermi dato della vecchia, ma non è la menopausa!” esclamò irritata, avvicinandosi ad un cassetto.

“Sempre detto che alla tua età vorrei arrivare così… - rise istericamente, cercando di riparare. -  Darei l’anima, giuro!”

Claire si mise davanti a lei con un foglio in mano: “Chiudi quella bocca straparlante e guarda questa cosa…”

Lo girò, mostrando le foto di Nathaniel con Sam e il messaggio minaccioso. Courtney sgranò gli occhi, prendendo il foglio dalle sue mani per guardare meglio.

“Ma questo è l’amico secco di Nathaniel…”

“E’ questo che ti colpisce maggiormente?”

“Eh? – fissò sua sorella, che le fece cenno di guardare l’altro ragazzo – Aspetta, ma questo è Nathaniel. – constatò rilassata, per poi sussultare incredula – OH MIO DIO, si baciano! E vanno anche su quelle biciclette a due posti come i vecchietti delle sitcom…”

“Courtney, leggi il messaggio!” esclamò sua sorella, esasperata.

Quella, moderando la sua reazione, lesse tutto d’un fiato: “…quindi se non dai a questa persona tutti quei soldi, metterà in giro le foto di Nathaniel e il secco?”

“Già! E ora che cosa devo fare?”

“Sul serio mi stai facendo questa domanda? – le lanciò un occhiataccia – Le tue clienti avranno sicuramente un nipote gay, una sorella gay…persino un nonno gay! Siamo nel ventunesimo secolo, queste cosa non è più un problema, Claire. Il mondo si è evoluto. Credimi, nessuno giudicherà Nathaniel e nemmeno la tua famiglia.”

“Tu lo sapevi?”

“No, ma lo sospettavo. Comunque devi stare tranquilla, questo tizio anonimo è un vigliacco. Quando vedrà che te ne sei altamente fregata, capirà che ha a che fare con una mamma più tosta di quanto pensasse e lascerà perdere. Una badass, per la precisione!”

Claire si voltò, camminando verso la finestra sopra il lavandino, ancora turbata: “E se alla fine lo facesse ugualmente? Potrei procurarmeli quei soldi.”

“NO! – si avvicinò alle sue spalle – Non si cede ad un bullo, Claire. Quando vedrà che hai abboccato così facilmente, ti chiederà altri soldi.”

Nonostante questo avvertimento, restò girata a fissare l’albero in giardino, pensierosa: “Devo farlo…”

Courtney la voltò: “Perché non mi ascolti? Sembra che tu abbia davvero paura. Ti facevo più dura di corazza!”

“Non ho paura per me o per Nathaniel. Ho paura per George.”

“Cos’è, tuo marito è omofobo per caso? – rise, per poi smettere quando vide che la donna non batteva ciglio in merito – Aspetta un secondo, George è omofobo?”

“No no, non lo è… - abbassò lo sguardo, timorosa di rivelarle qualcosa – Cioè, c’è questo episodio che mi raccontò dopo che ci siamo sposati. Una cosa che lo tormentava molto.”

“Di che si tratta?”

“Quando George andava al liceo, c’era questo suo compagno di scuola che si chiamava Geremia. Di indole, George era un ragazzo molto buono nonostante fosse tra i più popolari della scuola e giocasse a football. Quando Geremia fece amicizia con lui, andava spesso a casa sua e giocavano insieme. – spiegò – George, però, non si accorse che per Geremia era diventato molto di più che un amico.”

“Questo Geremia era gay?”


“Provava dei sentimenti per lui, si. Poi un giorno, all’angolo del cinema, Geremia lo baciò e poco prima che George potesse scansarlo, i suoi amici della squadra li videro e li derisero. Geremia scappò, mentre George restò lì a spiegare, imbarazzato, che era stato Geremia a baciarlo all’improvviso. Ben presto, i rapporti tra George e Geremia si congelarono e gli amici di George non li credettero, continuando a prenderlo in giro. A quel punto, George raggiunse il limite di sopportazione e per dimostrare ai suoi amici che lui non era come Geremia, fece una brutta cosa.”

Courtney rabbrividì, turbata da quel racconto così triste e che sembrava aver avuto un epilogo poco felice: “Non riesco ad immaginare cosa può aver fatto George. Spero non quello che penso, altrimenti non capisco perché tu non me l’abbia mai accennato.”

“E’ una cosa che mi ha chiesto di non dirti, perché se ne vergogna. – le tremò la voce - Dopo quella vicenda, George scrisse sulle vetrine della libreria del padre di Geremia la frase figlio omosessuale. Lo scrisse con la vernice, in grande: affinchè potessero vederlo tutti. – chiuse gli occhi, inorridita – Negli anni settanta puoi ben immaginare quanta vergogna potesse provare una famiglia nel trovare una scritta del genere con la gente che parla. L’unico a pagare il prezzo di essere ciò che era fu Geremia, che scomparve e non tornò mai più a casa per non dover guardare sua madre e suo padre negli occhi.” una lacrima le scese dal viso, in conclusione.

“Mio Dio, povero Geremia…” pensò Courtney con una mano davanti alla bocca e l’espressione mortificata.

“Per questo George negli anni ha avuto problemi di alcolismo. Questa storia l’ha seguito per quasi tutta la vita in quanto si sente responsabile della sua scomparsa e del dolore che ha recato a quella famiglia.”

“E il gioco d’azzardo?”

“Geremia voleva girare il mondo e diceva sempre che se avesse vinto un sacco di soldi l’avrebbe fatto… Ogni cosa è correlata a Geremia e, nonostante George ne sia uscito grazie alla riabilitazione e a delle sedute di psicoanalisi, l’anniversario della sua scomparsa non gli da tregua e io sono ancora preoccupata.”

Courtney le prese le mani, cercando di starle vicina: “Che vuoi dire, che George è di nuovo ricaduto in…”

“Non lo so, fa tardi tutte le sere. Una volta ho chiamato Jamie, il nuovo assistente manager di cui ti parlai, e mi disse che avevano chiuso il ristorante da un pezzo. Altre volte mi faceva notare che George aveva dei problemi con gli incassi e che non si trovava con i conti.”

“Temi che abbia ripreso a bere e a giocare?”

Quella aveva gli occhi lucidi ed era abbastanza sofferente: “Non ne ho idea, ma se questo tizio anonimo tappezzasse davvero tutta la città con foto di Nathaniel e quel ragazzo, aprirebbe del tutto quella ferita che George non ha mai ricucito. Inoltre vedrebbe Geremia in Nathaniel e la cosa lo devasterebbe perché non si è ancora perdonato per ciò che gli ha fatto. – scoppiò a piangere – Temo che possa cadere in un buco nero senza ritorno e non voglio perdere mio marito.”

In quel momento di sconforto, Claire venne subito abbracciata dalla sorella, che cercò di consolarla: “Ti aiuto io per i soldi, ok? E se ne chiederà ancora, avvertiremo la polizia.”

Tra le lacrime, quella annuì: “D’accordo, grazie…”

 

*

 

Alla casa al lago, i quattro si trovavano ancora all’interno dell’abitazione. Sam dormiva ancora e quanto si girò verso il comodino, aprì finalmente gli occhi.

Quando la vista fu più nitida, notò che sul bicchiere di vetro, con dentro un po’ d’acqua, era attaccato un post-it giallo.

 

“Ti ricordi l’ultima volta che hai bevuto la mia acqua?”

-A

 

Sam sussultò all’istante non appena realizzò il messaggio, toccandosi le labbra spaventato; l’ultima volta era stato drogato nello stesso modo e A aveva incollato le sue labbra con la colla a fissaggio rapido.

Sollevato dal fatto che ciò non era avvenuto nuovamente, Sam sollevò le coperte e si fiondò immediatamente al piano di sotto, dove sentiva delle voci. Dopo qualche scalino, però, gli sembrò di scendere nell’oscurita.

“Ma che succede? - si guardò attorno, le finestre completamente sigillate - Perché qui sotto è buio?” domandò, sperando di essere raggiunto dai suoi amici e avere una spiegazione.

Di ritorno dalle altre stanze, Sam potè individuarli grazie a fili di luce che riuscivano a penetrare in casa da alcune fessure. Fu Eric a rispondergli per primo.

A ha bloccato porte e finestre con assi di legno e chiodi!” esclamò incredulo e sconvolto.

“Anche la porta d’ingresso?” 

Nathaniel si avvicinò lentamente alla porta, guardandosi con i suoi amici e poi la aprì: anche quella era chiusa dalle assi di legno, ma sopra c’era una scritta in rosso.

 

“Volevate lasciare Rosewood senza il mio permesso? Pensavo che mi conosceste ormai…”

-A

 

Nolan, che era dietro di loro, sorrise con un angolo della bocca e quando quelli si voltarono scioccati, riprese la recita.

“Quindi ci ha drogati?” chiese, fingendosi sconvolto quanto loro.

“Si, in camera mi ha lasciato un messaggio dove mi ha ricordato l’ultima volta che l’ha fatto. Quando mi ha incollato le labbra.”

Eric sgranò leggermente gli occhi: “Ha messo qualcosa nell’acqua che c’era in frigo?”

Sam annuì, mentre Nathaniel si preoccupava di altro: “Oh mio Dio, che ore sono?”

Controllando sul suo orologio da polso, Eric spalancò la bocca: “Ma è l’una passata, abbiamo dormito per più di dieci ore!”

“L’una passata? – ripetè Nathaniel – Ma l’udienza di Jasper è fra meno di un ora! – spostò lo sguardo fra i tre – E’ finita, ragazzi. Ora dovremo spiegare ogni cosa che uscirà dalla sua bocca e verrà fuori anche l’omicidio di Edward se A darà il suo contributo per il gran finale. Già immagino A impacchettare l’album di fotografie con noi che scaviamo nel bosco per seppellire i pezzi di Edward!”

Eric si mise le mani nei capelli, sospirando, mentre Nolan cercava di forzare qualcosa che tanto non era più fattibile.

“Possiamo ancora scappare, saremo già abbastanza lontani in un ora.”

“Dobbiamo lasciare i filmati con le nostre confessioni ai nostri genitori e poi ritrovarci per lasciare Rosewood con una sola macchina: non c’è tempo di fare entrambe le cose e io non me ne vado senza che mio padre sappia la verità.” spiegò Sam, categorico sulla sua posizione.

Data la realtà dei fatti, lo sconforto cadde sul gruppo. Eric si allontanò verso una parete, incapace di mandare giù quel boccone.

“Non ci sto credendo, mi riufiuto.”

“Dobbiamo uscire di qui… - suggerì Nathaniel, fissando un appendiabiti di legno – Aiutatemi con questo, usiamolo per sfondare le assi.”

I tre lo aiutarono e misero l’appendiabiti in orizzontale. Insieme colpirono più volte le assi con esso, finchè esse non si spezzarono. A quel punto, per Nathaniel fu facile rimuoverle completamente con i calci e le mani. Pochi minuti dopo erano fuori.

 

 

*

 

Intanto a Philadelphia, gli agenti stavano scortando Jasper Laughlin fuori dal penitenziario. Come ogni detenuto, Jasper aveva catene a mani e piedi.

Il furgone che ormai lo ospitava, percorreva l’autostrada diretta per Rosewood. Qualche kilometro dopo, però, si fermò bruscamente. Jasper, spaventato, non capì cosa stesse succedendo e iniziò a battere contro il divisorio, urlando.

“Ehi? Che sta succedendo?”

Delle urla lo fecero agitare ancora di più, erano quelle del conducente.

“La prego, mi risponda! Che succede?”

Ma non ricevette nessuna risposta, solo un improvviso silenzio. Un altro rumore proveniente dal retro del furgone, poi, lo fece voltare: le porte si aprirono di colpo.

“E tu chi sei?” sgranò gli occhi, indietreggiando nel vedere qualcuno davanti a lui.

 

 

*

 

Sfidando la sorte, i quattro ragazzi si parcheggiarono poco lontani dal tribunale. Tenevano d’occhio la situazione: il momento dell’udienza era arrivato.

“Non riesco a credere che stia per succedere davvero…” disse Eric, seduto avanti con Nathaniel.

Tutti fissavano il trubunale in maniera imbalsamata, mentre Nolan aveva in mano i cd delle videoconfessioni e qualcosa non quadrava.

“Perché ci sono cinque cd? – trovò strano - Non abbiamo fatto una confessione ciascuno?”

Sam lanciò un piccolo colpo di tosse, recuperandoli dalle sue mani: “Due sono miei! Una è per mio padre e l’altro per…Chloe!” esclamò sudando, lo sguardo basso.

Nathaniel lo guardò attraverso lo specchietto retrovisore e sapeva che stava mentendo.

“E le hai detto tutto quanto? Non siete nemmeno più amici.”

“La nostra amicizia si è spezzata a causa di A, ok? – replicò isterico - Quindi mi sembrava giusto dirle qualcosa, ma tanto ora non serve più.”

“Almeno A ci ha lasciato le nostre videoconfessioni. – pensò Eric - Pensavo le avesse rubate.”

“Tanto ha già abbastanza materiale per incastrarci.” aggiunse Nathaniel.

“Materiale che non ha mai utilizzato. – sottolineò Sam – Ci siamo incastrati da soli, raccontando a Jasper molte cose. E ora dirà tutto.”

“Ehm… in verità siete tu e Nathaniel che avete incastrato l’intero gruppo. – precisò Nolan, ricevendo un’occhiataccia – Beh, è colpa vostra. Però non fa niente, vi ho già perdonati per quello.”

Sam e Nathaniel continuarono a fissare Nolan, mentre Eric notava un certo fermento di fronte al tribunale: c’era la polizia e anche la stampa.

“Ragazzi, sta succedendo qualcosa.”

Quelli si voltarono tutti a guardare.

“Mi sembra un po’ presto per la stampa. – Sam guardò l’orario sul telefono – Jasper non è ancora arrivato e… - tornò a guardare verso il tribunale, stranito dalla situazione – La polizia sta cercando di sfuggire alla stampa o sbaglio?”

“Che diavolo sta succedendo? – stranì Nathaniel - Se ne vanno?”

Improvvisamente, vibrarono tutti i loro telefoni. La loro confusione stava per essere chiarita.

Aperto il messaggio, comparve immediatamente una foto: mostrava Jasper dentro il bagagliaio di una macchina con il nastro adesivo alla bocca.

Sam sgranò gli occhi: “Oh mio Dio…”

Subito dopo, sopraggiunse il messaggio.

 

“Jasper ora è mio. L’avete fatto accadere voi.”

-A

 

Nathaniel era a dir poco incredulo: “Ma come ha fatto a sottrarlo alla polizia?”

“Secondo voi lo ucciderà come ha fatto con Edward?” impallidì Eric.

“Non posso affrontare un nuovo cadavere.” pensò Sam, sconvolto.

“Ragazzi, dobbiamo andarcene da qui. - suggerì Nolan - Ormai non dobbiamo più scappare, A ci ha dato più tempo.”

Eric si voltò verso di lui: “Tempo per cosa?”

“Ehm, non lo so. Però ci ha salvati, Jasper avrebbe confessato tutto.”

“Ci ha salvati da una gabbia più piccola, ma siamo ancora in trappola. – aggiunse Sam – Dobbiamo fare qualcosa, come mettiamo fine a tutto questo?”

 

 

*

 

Rider, chiuso nella sua stanza, stava ascoltando le conversazioni che avvenivano in casa sua attraverso le bambole. Riusciva ad udire solo qualcuno che piangeva: sua sorella.

Improvvisamente, poi, sentì una porta aprirsi e una seconda voce.

“Ehi, ma che ti è successo? Stai da schifo.”

In quel momento Rider strizzò gli occhi, non capendo chi fosse. Solo dopo qualche secondo ci arrivò.

“Aspetta, ma questa è voce di Chloe!” esclamò, attaccando la bambola all’orecchio per sentire meglio.

“Julian mi ha lasciata, non sapevo chi chiamare.” singhiozzava Lindsey.

“Ti ha lasciata? Perché?”

Rider restò perplesso: “L’ha detto a Chloe?”

“L’hai letto il messaggio che ti ho mandato, no?” continuò Lindsey.

“Si, che ieri Brakner è stato chiamato dalla polizia per via di quella ragazza.”

“Pensa che sia tutta opera di mio fratello e i suoi amici, ma non è così.”

“Che vuoi dire?” chiese Chloe.

Rider ascoltava con una smorfia confusa in volto.

“Mi ha detto che siccome Rider non vuole rovinarmi, ha deciso di trovare un altro modo per farlo allontanare da me. La ragazza di Eric insinuava che l’avesse investita lui e che avesse rivestito la macchina di un altro colore per non farsi scoprire. Solo che la polizia ha controllato e non c’era nulla di strano. Julian pensa che sia un avvertimento e ha avuto paura. – pianse – Tu lo sai che quella notte eravamo con Albert, perciò Julian ha costantemente paura della polizia.”

“Lo so, lo so perfettamente, ma…la fidanzata di Eric è per caso impazzita? Perché prestarsi ad una presa in giro del genere?”

Lindsey passò ad un tono serio, quasi inquisitorio: “Conosco mio fratello: malgrado non accettasse la mia relazione, non l’avrebbe mai minacciata. Non l’ha fatto quando era in vita Anthony, figurati ora. E’ quella Alexis che ha lanciato il sasso!”

“Che vorresti dire?”

A come Alexis, non ti dice nulla? Ricevo questa busta da A con dentro un vestito da neonato e Rider è presente. Rider crede che io sia incinta e quindi cerca di dividerci: questo voleva inculcarmi A! Voleva farmi credere che Rider avesse convinto Eric e la sua ragazza a mettere su questa recita, ma in realtà è lei!”

Rider sgranò gli occhi, non capiva più nulla: “Ma che sta succedendo? Come sanno di A?”

“Che sappiamo di Alexis?” domandò Chloe, dopo averci riflettuto.

“Non lo so, non l’ho mai vista prima che si mettesse con Eric. Una cosa è certa: è molto più grande di noi e potrebbe essere pericolosa.”

“Credi sia una parente di Albert? Nemmeno io l’ho mai vista.”

“Credo? – ripetè con tono enfatico – Sai benissimo chi sono, Chloe. A malapena sapevo che esistesse, figurati sapere qualcosa di lui. Io e Albert abbiamo parlato per la prima volta nel giorno in cui ha trovato quel video fatto dai ragazzi in quella classe.”

Improvvisamente, Rider sentì qualcuno avvicinarsi alla porta della sua stanza e mise subito via le bambole, tornando a letto.

L’infermiera entrò, facendogli cenno di alzarsi: “Vieni Nolan, è ora di andare nella sala ricreativa.”

Quello scese dal letto, incamminandosi silenzioso verso di lei. Avrebbe voluto ascoltare un altro po’ la conversazione tra Chloe e sua sorella e capirci qualcosa di più.

 

*

 

I ragazzi erano appena entrati a casa di Sam. Nervosi, non sapevano cosa fare e temevano il peggio.

“E se ci facesse fare delle cose per tenere in vita Jasper? – farneticò Eric, mentre entravano in cucina – Che ne so, magari: svaligiate una banca o uccido Jasper, rapite una bambina o uccido Jasper, camminate su una fune o uccido Jasper!”

“Eric, basta! – urlò Nathaniel – Così non sei d’aiuto, dobbiamo pensare!”

“Pensare a cosa, Nat? Jasper come ostaggio di A è la secchiata d’acqua che stavamo aspettando per aprire finalmente gli occhi e renderci conto che siamo talmente incasinati che non c’è più una via d’uscita, ok? Non possiamo neanche scappare da Rosewood!”

“Eric ha ragione, è finita! – si aggregò Sam, inquieto, dopo aver bevuto un sorso d’acqua – Non ci resta che aspettare che il nostro destino faccia il suo corso. Non combatterò più contro A, non serve a nulla.”

“Mi dispiace, ragazzi. – Nolan mostrò il suo rammarico - Non volevo che andasse a finire così per noi.”

Nathanielo lo fissò incredulo: “Almeno da te mi aspettavo qualcosa di più, Rider. Non sei uno che cede così facilmente.”

“Beh, anch’io sono così. – si intromise Eric, sentendosi sminuire – Forse Rider si è semplicemente stancato come tutti noi.”

“Io non mi arrendo, ok? – replicò Nathaniel, determinato – Forse per voi è finita, ma io ho piani ben più grandi dopo ieri sera.”

“Quali piani, Nat? – si esasperò Sam – Ma se non sappiamo nemmeno chi sia A a questo punto. Siamo troppo confusi e stiamo annegando, perché non te ne rendi conto? Cos’altro deve accadere perché tu te ne renda conto?”

Improvvisamente squillarono dei telefoni. Solo quelli di Sam e Nathaniel, però.

I quattro si guardarono, poi sia Sam che Nathaniel risposero.

“…Ehm, si ok…si, sto arrivando!” esclamò Sam, pallido, mentre spostava lo sguardo fra gli altri.

Fu il turno di Nathaniel, pallido anche lui: “Tra cinque minuti sono lì, sta calma.”

Quando misero giù, Eric era impaziente di sapere cosa stesse succedendo.

“Chi era? Perché avete quelle facce?”

“Era mio padre… - rispose Sam, deglutendo malamente – Mi voglio in centrale, devono farmi delle domande.”

“Stessa cosa, era mia madre.”

“E ora che cosa vuole la polizia? – si chiese Eric, preoccupato – Perché ha chiamato solo voi due?”

Sam prese le chiavi dal tavolo e si avviò fuori dalla cucina, senza aspettarli: “Non riesco a pensare adesso, spero solo che sia A che conclude il gioco.”

Gli altri si guardarono ansiosi prima di seguirlo.

 

 

*

 

Seduto davanti al pianoforte, Rider suonava e allo stesso tempo si guardava attorno. Quando uno degli altri pazienti iniziò a piangere in maniera molto infantile, questo fu attirato dalle sue parole.

“E’ l’uomo nero! L’uomo nero verrà a prendere anche me!”

Rider si voltò, mentre l’infermiera cercava di calmare il giovane paziente, che stringeva tra le mani un disegno che aveva fatto.

Incuriosito, si avvicinò. L’infermiera stava portando via il ragazzo, ma il disegno era rimasto sul tavolo.

Quando lo prese tra le mani, non credette ai suoi occhi: il disegno raffigurava un uomo incapucciato davanti ad una delle finestre del Radley. Accanto all’uomo, c’era un ragazzino con il camice bianco, un paziente.

“Nolan…” pensò.

Entrambi erano rivolti verso quella ampia finestra, chiusa dalle sbarre. Il pavimento era illuminato e anche le pareti e le due figure, come se dall’esterno si fosse appena scatenato un tuono.

“Ha usato una finestra per farlo uscire. – alzò la testa dal foglio, guardando tutte le finestre che lo circondavano – Una delle finestre è manomessa.”

Improvvisamente, sgamò Ector a fissarlo, non molto lontano da lui. L’uomo abbassò lo sguardo, mentre sistemava dei libri.

Rider si avvicinò a lui senza esitare, in cerca di risposte: “Ehi! – lo chiamò – Ector, giusto? Sei l’infermiere che mi ha portato le pillole l’altra volta.”

Quello continuò a sistemare i libri nella libreria, come se volesse evitare il suo sguardo: “Ehm, direi di si. Porto sempre le medicine ai pazienti.”

“Sapevi il mio nome, mi hai chiamato Nolan quel giorno. – gli fece notare con sguardo opprimente - Perché fai finta di non conoscermi?”

Ector iniziò ad innervosirsi: “Non faccio finta, siete tutti pazienti per me.”

“E invece fai finta… - insistette, notando le sue reazioni sospette – Tu lo sai chi sono, vero? Sai che non sono Nolan.”

A quel punto, Ector si voltò verso di lui dopo essere rimasto con gli occhi leggermente sbarrati, come se fosse stato colto in flagrante: “Ascolta, so perfettamente chi sei. Il tuo nome è Nolan Stuart, ma ti credi Rider, tuo fratello gemello. Soffri di personalità multipla e di schizofrenia e sei in questo istituto da undici anni.”

Rider accennò un sorriso con un lato della bocca: “Allora lo sai come mi chiamo, perché fingere? – lo fissò a lungo, mentre lui sudava freddo e a malapena riusciva a reggere il suo sguardo – O forse sai perfettamente chi hai di fronte e che non sono proprio Nolan, quindi fingi di sapere chi non sono.”

Quello si scansò, cercando di evadere: “Devo andare!”

“Hai messo tu il computer sotto al mio letto? Quanto ti ha dato l’uomo con il cappuccio per farlo?” gli domandò a bruciapelo, facendolo fermare, mentre era di spalle.

Quando si voltò, lo guardò per qualche secondo, intimorito: “Io non ho idea di cosa stai parlando…Nolan!” concluse, andandosene.

Rider, a braccia conserte, restò a fissarlo finchè non lasciò la sala. Sapeva di averlo in pugno e che prima o poi l’avrebbe fatto crollare.

Improvvisamente, qualcuno bussò alla sua spalla. Spaventato, si voltò: era Norman.

“Ehi, mi hai fatto prendere un colpo!” riprese fiato.

“Scusa, mi hanno appena fatto uscire. – spiegò, un sorriso ebete sul suo volto - Ti cercavo!”

“Ah, mi cercavi? - deglutì, pietrificandosi – Beh, anch’io ti cercavo. Poi non hai più finito di raccontarmi perché sei internato qui. Mi hai detto che eri ossessionato da questo gruppo di amici e che volevi fare amicizia con loro e poi…l’infermiera è venuta a chiamarti.”

Quello abbassò lo sguardo, assumendo un atteggiamento inetto: “Ehm, niente, ho fatto dei giochi con loro.”

Rider lo fissò, intimorito nel parlare: “E…che tipo di…giochi?”

Le mani di Norman si strinsero in un pugno e cominciava a tremare. Rider pensò che era meglio non continuare, fingendo un sorriso.

“Ehm, sai cosa ti dico? Non fa niente, non sono affari miei. Piuttosto, perché mi cercavi?”

Norman cambiò radicalmente, tornando di colpo sereno e sorridente: “Sono riuscito a recuperare una cosa. – sorrise in maniera più accentuata, guardandosi attorno – Una cosa che ci aiuterà a fuggire da questo brutto posto.”

“Cosa? – Rider sgranò gli occhi – Di che parli?”

L’altro abbassò lo sguardo sulla una delle sue maniche, facendo scivolare fuori un lungo chiodo: “Parlo di questo! – iniziò a ridere sottovoce, come se avesse in mano qualcosa di utile – Era incastrato nel muro e giorno dopo giorno sono riuscito finalmente a tirarlo fuori. – glielo passò - Toccalo!”

La delusione negli occhi di Rider fu talmente struggente che dovette sopprimerla e far finta di assecondarlo: “Ah, beh, un chiodo! – finse un sorriso, mentre glielo ridava dopo averlo maneggiato – E’ a dir poco geniale, ce la faremo.”

“Io e Nolan progettavamo di fuggire insieme, anche se… - il suo entusiasmo si spense per un attimo, ricordando che l’amico era scappato ugualmente e senza di lui – Ma ora ho trovato un nuovo amico e fuggiremo insieme. – tornò a sorridere, rimettendo il chiodo dentro la manica – Stanotte lasceremo il Radley!”

Nonostante sapesse che ciò non sarebbe mai accaduto, Rider annuì ugualmente, cercando di non contrariare un matto.

 

 

*

 

Sam e Nathaniel giunsero in centrale, dopo essere stati chiamati. Ad aspettarli c’erano rispettivamente suo padre e sua madre. Claire, non appena vide i due arrivare insieme, deglutì malamente e lanciò loro delle occhiate sfuggenti; si sentì a disagio dopo aver visto le loro foto insieme, mandate da un misterioso mittente.

“Papà, che succede?” domandò subito Sam, ormai accanto a lui davanti ad una porta.

“Vogliono farvi delle domande. Jasper Laughlin non è mai arrivato in tribunale, perciò…”

Nathaniel restò perplesso, muovendo lo sguardo tra il padre di Sam e sua madre: “E che cosa c’entriamo noi con questo?”

Il ragazzo, però, non ricevette risposta perché la porta davanti a cui sostavano si aprì: il Detective Michael Costa li invitò ad entrare, nel suo ufficio.

“Bene, eccovi qui. Entrate!”

Il minuto seguente, i quattro erano seduti davanti al suo tavolo. La madre di Nathaniel era a dir poco inspazientita.

“Si può sapere cosa c’entra quell’assassino con i nostri figli?”

“Senza offesa, signora, ma anche se i genitori devono essere presenti ad un interrogatorio fatto a minori, non vuol dire che debba farle lei le domande. Qui l’unico che può parlare sono io.”

“E allora parli! – intervenì Nathaniel, abbastanza infastidito – Cosa ci facciamo qui?”

Michael spostò lo sguardo su di lui, abbastanza sicuro di sé: “Ho richiesto il registro delle visite al penitenziario di Philadelphia qualche giorno fa. – Nathaniel e Sam divennero immediatamente pallidi, così come Carter Havery – I vostri nomi risultano tra le visite fatte a Jasper Laughlin. Lo stesso uomo che oggi è scomparso misteriosamente, mentre veniva scortato per la sua udienza. – fissò ognuno di loro in maniera incisiva, pesante – Ora, io mi chiedo, perché mai due studenti liceali sono dovuti arrivare fino a Philadelphia per incontrare un assassino?”

Carter cercò di intromettersi: “Michael, ascolta…”

Quello però non lo fece continuare, alzando il dito: “Shhh, no! – e indicò i ragazzi – Devono rispondere loro, Carter. La regola che ho imposto alla signora Blake vale anche per te. Non sei più un poliziotto e mio collega in questo momento.”

Nonostante avesse il cuore in fibrillazione, Sam trovò il coraggio di mantenere il sangue freddo: “Di cosa ci sta accusando, esattamente?”

“Avete aiutato voi Jasper Laughlin a fuggire?”

“NO!” esclamarono insieme, in una smorfia a dir poco scioccata da quell’accusa.

“Allora spiegatemi il motivo della visita a quell’uomo.” continuò, impertinente.

“Lo conoscevo, ok? – rispose Sam, mentre suo padre si voltava a guardarlo – Lo conoscevo da prima che il mio amico e suo padre morissero.”

Anche Nathaniel lo stava fissando, certo che stesse raccontando una storia abbastanza convicente e credibile. Michael Costa osservava i loro atteggiamenti, mentre quello spiegava.

“Lo conobbi in un locale, il Ginseng. – abbassò leggermente lo sguardo, imbarazzato per la presenza del padre – E’ un locale gay. E io sono gay, perciò...”

Claire si sentì a disagio, guardava da altre parti, stringendo la borsa che teneva sulle ginocchia, immaginando che anche suo figlio potesse esserci stato.

“Che genere di rapporto aveva con Jasper?” gli chiese Michael, gli occhi stretti nel scrutarlo.

“Lo incontrai che era la bancone del bar, stava bevendo molto. Piangeva anche. – fece una pausa, mostrandosi affranto – Non volevo andarmene e lasciarlo in quello stato, e il ragazzo con cui dovevo vedermi mi ha scaricato, così sono rimasto e gli ho chiesto cosa avesse. E’ stato in quel momento che mi ha raccontato di quest’uomo che frequentava, Kevin. Mi è bastato davvero poco per capire che si trattasse del padre di Anthony, c’erano troppe coincidenze…A quel punto ero curioso e sono rimasto ad ascoltarlo: mi spiegò che Kevin l’aveva cacciato dalla sua vita perché per colpa sua aveva contratto l’HIV. Mi spiegò anche che aveva dei problemi economici e che il suo negozio era andato distrutto in un incendio e che probabilmente era stato Kevin per vendicarsi.”

Michael restò a fissarlo a lungo, prima di far scivolare tra le sue mani un fascicolo: la deposizione di Angela Dimitri su Jasper Laughlin. Dopo averlo rivisto, notò che alcune cose dette dal ragazzo combaciavano con la realtà dei fatti.

“Bene, quindi l’hai conosciuto e poi cosa è successo? Avete avuto rapporti sessuali?”

Carter si alzò dalla sedia, rosso in volto: “Ma come si permette?”

Sam gli prese il braccio, cercando di calmarlo: “Papà, va tutto bene. Posso rispondere.”

Quello, allora, si risedette, nonostante continuava a guardare male il detective.

“No, non ho avuto rapporti sessuali con lui. L’ho solo riaccompagnato a casa e poi ci siamo risentiti. Eccetto questa storia triste, è una brava persona e siamo diventati amici. – concluse – Per questo gli ho fatto visita. Non credo che abbia ucciso lui Anthony e suo padre.”

“E chi pensa sia stato?”

“Se lo sapessi, non avrei esitato nel venire qui a dirvelo.”

Ora, Michael spostò lo sguardo su Nathaniel: “E tu che ci facevi con lui?

“Sam è il mio migliore amico, l’ho accompagnato ovviamente!” esclamò, mentre la madre si irrigidiva.

“Ti sei presentato anche una seconda volta da Jasper. Da solo. Come mai?”

A quel punto, anche Nathaniel inventò una bugia: “Jasper aveva chiesto a Sam di non andarlo più a trovare, visto che la polizia controlla le visite. Ora non fingiamo che tutta questa storia non ci riguardi da vicino. Jasper temeva che la polizia avrebbe male interpretato il rapporto tra lui e Sam e che la polizia l’avrebbe accusato di complicità. Sam però voleva tornare da lui, voleva essere presente al processo e io sono andato a chiedergli il permesso per conto di suo.”

Michael sollevò le sopracciglia, non molto convinto: “Mmmh…storie interessanti!”

“Storie vere!” precisò Sam, infastidito.

Claire, troppo a disagio, si alzò dalla sedia e non ne potè più: “Ora possiamo andare? E’ evidente che i nostri figli non hanno nulla a che fare con la scomparsa di quest’uomo!”

“Tutto però fa pensare che siano coinvolti nell’omicidio di Anthony e Kevin Dimitri.” continuò il detective, implacabile.

“Le abbiamo dato già dato i nostri alibi la sera dell’eplosione a scuola. Ero a casa mia con la mia migliore amica Chloe!” ribadì Sam, alterato.

“Beh, gli alibi possono essere perfetti quanto un delitto.”

“Ma che cosa sta insinuando?” intervenne nuovamene Claire.

Michael la ignorò, diretto con i ragazzi: “Avete ucciso voi Albert Pascali?”

“NO!” urlò Sam, alterato.

“L’avete ucciso insieme ad Anthony Dimitri?” ribattè, veloce.

Sam non volle più ascoltarlo, voltandosi verso Carter: “Papà!”

Quello si alzò, affermando la sua parola: “Adesso basta, l’interrogatorio finisce qui! Mio figlio non è un assassino, non ha prove per dirlo!”

Claire lo seguì a ruota, indignata: “E nemmeno mio figlio! – poi si voltò proprio verso di lui – Andiamo Nathaniel!”

I due ragazzi si alzarono, seguendo i loro genitori. Anche Michael si alzò, facendosi sentire mentre uscivano: “La verità verrà a galla prima o poi!”

Dopo essersi voltati a guardarlo agghiacciati e provati, chiusero la porta alle loro spalle.

All’uscita dalla centrale, Sam aveva il passo rapido mentre scendeva i gradini. Carter gli era alle calcagna. Era buio.

“Sam, ti devo parlare. Aspetta!”

“Non ho nulla da dire, voglio solo andarmene!” non si voltò, furioso.

Nathaniel cercò di raggiungere anch’essi Sam, lasciando indietro sua madre: “Sam, se vuoi ti accompagno!”

Ma quello non si voltò, ormai distante. Nathaniel restò fermo sul marciapiedi accanto a Carter, in quel momento sconsolato nel non riuscire più a gestire il figlio.

“Mi dispiace signor Havery… - si imbarazzò, indietreggiando – Io ora vado…arrivederci!”

Quello annuì, accennando un saluto forzato, troppo pensieroso. Nathaniel si avvicinò alla sua auto, dove c’era già sua madre.

“Mamma, andiamo.”

I due si guardarono e quella, poi, salì silenziosa.

 

 

*

 

Nel parcheggio sotterraneo del Rosewood mall, il centro commerciale della città, Alexis aveva fatto qualche acquisto per la casa ma non riusciva a far partire la macchina. Quando scese, sbuffando, prese immediatamente il telefono.

“Eric, per favore, vieni a prendermi, la macchina… – improvvisamente partì la segreteria, seccandola ancora di più – Ehm, Eric se senti questo messaggio richiamami subito. La mia macchina non parte, vieni a prendermi, mi trovi all’ingresso del Rosewood mall.”

Stava per aggiungere qualcos’altro, ma dovette abbassare il telefono quando notò una pozza di benzina accanto alla ruota.

“Ma che diavolo…???” si rese conto che il problema era la benzina esaurita e che fu una misteriosa perdita ad averla fatta esaurire.

Riprese nuovamente il telefono, facendo avanti e indietro, per poi accorgersi che l’altro lato della sua auto era stata rigata con delle chiavi. Rigata per comporre un messaggio.

“Fa strano essere minacciati da qualcuno, vero Alexis?”

-A

 

La ragazza sgranò leggermente gli occhi, turbata.

Intanto, nello stesso parcheggio sotterraneo, c’era qualcuno che la osservava da dentro un auto. Due ragazze: Lindsey e sua cugina Tasha.

Quest’ultima aveva lo specchietto del trucco aperto e si stava passando il rossetto sulle labbra, indiffente.

“Che sta facendo la poverina?”

Con uno sguardo d’odio fisso su Alexis, Lindsey le rispose dopo qualche secondo: “Ha appena letto il messaggio…”

“Una cretina qualunque cerca di denunciare il tuo uomo e tu le scrivi uno stupido messaggio con le chiavi? – buttò gli occhi in alto - Dio, non ti ho insegnato niente?”

“E cosa dovrei fare, investirla?”

“Beh, non sarebbe male come idea. Indossa delle scarpe da ginnastica che non vedo dai tempi di 90210!”

Lindsey tornò a guardare Alexis: “Le minacce la spaventeranno, vedrai. E poi chi dice che io mi debba fermare ad un banale messaggio.”

L’altra chiuse lo specchietto del trucco, ridendo: “Uuuh, abbiamo una vendetta ben più grossa in cantiere. Rendimi partecipe, come non hai fatto con questa storia dei messaggi di A! Dovevi dirmelo che qualcuno ti minacciava.”

“Avevo ricevuto solo quel messaggio insieme al vestitino, non pensavo si sarebbe spinta così oltre.”

“Però c’è da dire che non si è messa sotto quella macchina da sola, qualcuno l’ha investita davvero.”

“Ma non è stato Julian, ok? – fece poi la vaga, visto che non le raccontò proprio tutta la verità - Non capisco perché si sia fissata con lui.”

“E’ chiaro: forse il tuo professore è andato a letto anche con lei e ora la sgualdrina è gelosa! – esclamò, ricevendo subito un’occhiataccia – Ehm, ma con questo non voglio dire che sei una sgualdrina anche tu.”

Mortificata, si zittì e prese il telefono, cambiando discorso: “Uff, non c’è traccia di Nathaniel su Tinder…”

Dopo che Alexis se n’era andata, Lindsey mise in moto: “Beh, prova su Grindr, forse lo trovi lì!”

Ora fu Tasha a lanciarle un’occhiataccia, mentre l’altra le sorrise ampiamente per aver pareggiato i conti.

 

*

 

 

Sam era sul viale del ritorno in lacrime, ancora provato da quell’interrogatorio che lasciava sperare ben poco ad un lieto fine. Stringendosi le braccia per il freddo, camminava con lo sguardo perso nel vuoto lungo il marciapiedi. La luce dei lampioni vibrava e le strade erano vuote.

Esausto, si fermò e chiuse gli occhi. Voleva solo evadere da quella situazione, sparire per sempre. Ma al tempo stesso, però, si sentiva così impotente e non più padrone della sua vita.

All’improvviso, sentì il rumore di un motore in lontananza. Quando si voltò, vide che era una moto e sopra sembrava esserci un uomo con indosso un jeans, una giacca di pelle nera e il casco. Sam continuò a camminare, visto che quello era fermo al semaforo.

Qualche istante dopo, il semaforo divenne verde e la moto iniziò ad avanzare lentamente anziché veloce. Di tutto questo, Sam se ne accorse e ogni tanto si voltava a gettare un occhiata. A quel punto alzò il passo, sembrava seguirlo. Anche la moto aumentò la velocità.

Ora Sam era nel panico, intuì che c’era qualcosa che non andava e così iniziò a correre più veloce del vento. La moto accellerò, nel tentativo di raggiungerlo: nel giro di pochi secondi lo superò. Sam si fermò, quando la moto sgommò ruotando verso la sua direzione.

Con il fiatone e gli occhi sgranati, Sam restò impalato a fissarlo e quello faceva la stessa cosa. Improvvisamente, alzò le braccia, togliendosi il casco: era Wesam.

Sam si mise una mano sul petto, cacciando fuori l’aria ad occhi chiusi: “Oh Dio, sei tu! – si infuriò, riaprendoli – Ma come ti viene in mente di farmi uno scherzo simile?”

“Scusa, è che mi sembrava di averti riconosciuto e volevo solo raggiungerti…” scese dalla moto, avvicinandola al marciapiedi.

“Da quando guidi una moto e indossi giacche di pelle?”

“Ho una passione per le motociclette fin dall’adolescenza e…quando fa buio, mi piace uscire a fare un giro. Mi fa rilassare. – lo vide perplesso - Non va bene?”

“No, è che… - fu più calmo – sembri diverso dal solito Wesam. Sai, quello con giacca e cravatta, scarpe lucide e una gamba accavallata sull’altra mentre ti psicanalizza.”

“Quello è il Wesam professionale, Sam. – rise – Fuori da quello studio sono una persona del tutto diversa, ma non puoi saperlo visto che non ci siamo mai visti al di fuori di quel contesto.”

Ora Sam si sentì stupido, abbassando lo sguardo: “Già, hai ragione… - accennò un sorriso malinconico – Peccato che io sia sempre la stessa persona sia dentro che fuori dal tuo studio. ”

“Ehi, tutto bene? – con il pollice asciugò la parte inferiore della sua palpebra, umida per il pianto – Che ci fai in giro a quest’ora?”

Sam arrossì, facendo fatica a reggere il suo sguardo: “Sono appena stato in centrale e…” i suoi occhi si gonfiarono di lacrime e per questo voltò la testa dall’altra parte.

“Sam? – gli prese il lato sinistro del viso, facendolo voltare – Che è successo?” si preoccupò.

Quello scoppiò a piangere, gettandosi tra le sue braccia. Wesam sgranò gli occhi, spiazzato.

“Ti prego, portami via da Rosewood.” lo strinse forte, sofferente.

Il viso di Wesam si rilassò, divenne serio e lo strinse a sua volta: “Sam, ieri dovevi raccontarmi tutti, ricordi? Su chi ti minaccia.”

“Ti racconterò tutto, ma non qui. – si staccò da lui, guardandolo negli occhi – Portami via. Ti prego.”

Quello restò a fissarlo, poi annuì: “Va bene…”

Più tardi, Sam era sopra la sua moto, le braccia aggrappate al suo petto. Con il vento contro e mille pensieri per la testa, si voltò a guardare indietro, mentre lasciavano Rosewood.

 

*

 

Intanto Nathaniel era in camera sua, davanti al suo computer.

Le videoconfessioni erano rimaste nella sua auto, dopo che avevano lasciato la casa sul lago, perciò non esitò a guardare quella di Sam.

Immobile davanti allo schermo, ascoltò tutto quello che aveva detto a Wesam: ogni parola.

Tuttavia, c’era un pezzo del filmato che riguardò più e più volte. Una frase che non lo lasciò indifferente:

Stasera mi hai fatto sentire protetto tra le tue braccia. Una sensazione che ormai non provavo da tempo, Wesam…Io credo di…essermi innamorato di te e mi dispiace non potertelo dire guardandoti negli occhi. Addio.”

Dopo averla riascoltata ancora una volta, gli occhi lucidi, il respiro rumoroso e il viso disturbato, Nathaniel tolse il cd e lo buttò per terra con irruenza.

Gli sembrò di impazzire, si mise le mani capelli e tirò un grosso respiro per calmarsi. Non capiva cosa stesse provando, se la sua fosse gelosia.

Il suo sguardo si poggiò su gli altri cd poggiati sulla scrivania. Più calmo ne inserì un altro, ormai insonne.

All’avvio, però, c’era qualcosa che non quadrava. La telecamera riprendeva una sedia vuota per diversi minuti.

Nathaniel strinse gli occhi, perplesso, avvicinando l’orecchio al computer perché sentiva qualcuno parlare sottovoce.

A quel punto, tolse il cd per capire a chi dei suoi amici appartenesse ed era quello di Rider: non aveva registrato nulla per la sua famiglia.

 

 

*

 

Al Radley, Rider era steso sul suo letto, su di un fianco, che fissava il portatile sul tavolo: aspettava che A si facesse vivo per una nuova partita e nuove informazioni come tutte le sere.

Stanco di aspettare, chiuse gli occhi per un secondo; la stanchezza si stava facendo sentire, non dormiva bene da giorni. Improvvisamente, sentì dei rumori fuori dalla sua stanza, nel corridoio, e riaprì gli occhi.

Sentì una porta aprirsi, poi il silenzio. Subito dopo un tonfo, che lo fece sussultare, e poi di nuovo il silenzio.

Un rumore di passi arrivò al suo orecchio, diveniva sempre più percettibile e si fermò davanti alla sua porta. Una chiave entrò nella serratura e Rider sgranò gli occhi, sollevandosi dal letto.

Quando la porta si aprì, si trovò davanti Norman con il fiatone.

“Te l’avevo che saremmo fuggiti stanotte!”

Rider si alzò dal letto, indietreggiando spaventato. Norman aveva le pupille dilatate, tremava e aveva la mano sporca di sangue, come la sua manica.

“C-che sta succedendo? – balbettò, deglutendo malamente – Che hai fatto?”

“Non abbiamo molto tempo, andiamo!” e si avvicinò, tirandolo per il braccio.

“No no, aspetta!” esclamò, cercando di liberarsi dalla sua stretta, ma l’aveva già trascinato fuori dalla sua stanza.

“Non urlare o ci sentiranno!” bisbigliò, cercando di capire in che direzione andare. Poi iniziò a camminare lungo il corridoio.

Rider lo seguì, spaventato: “Di chi è quel sangue?”

“Dovevo farlo, ok? – disse sorpassando la sua stanza aperta – Nolan se n’è andato senza di me e io devo trovarlo per dirgli che mi ha tradito e abbandonato in questo posto di merda!”

In quel momento, anche Rider passò davanti alla stanza di Norman. Distesa per terra, c’era una delle infermiere in una pozza di sangue: aveva un chiodo conficcato nel collo.

Sconvolto, spalanco la bocca e gli occhi: “Oh mio Dio, hai ucciso una persona…”

E quello si voltò, seccato e minaccioso: “E se tu non mi aiuterai ad uscire da qui, ucciderò anche te, ok?”

“Come posso aiutarti se non so nemmeno io da che parte andare?”

Quello sorrise malamente, come un vero psicopatico: “Sei molto più intelligente di quanto non vuoi far credere, Rider. E per questo, sai di non avere altra scelta che seguirmi. Su quel chiodo ci sono anche le tue impronte…” e rise, dopo averglielo fatto notare.

Rider comprese che per uscirne avrebbe dovuto riprendere possesso della sua identità e che se non l’avesse fatto, le cose sarebbero degenerate ancora di più.

“D’accordo, verrò con te!” si avvicinò lentamente a lui, riflettendo su come fare.

“Bravo pazzerello!” esclamò con un sorriso compiaciuto, affidandosi.

Insieme salirono al piano superiore e Rider si mise a fissare il corridoio dove si trovavano nei minimi dettagli, parlando tra sé e sé.

“Nel disegno c’erano delle crepe nel pavimento… - e abbassò lo sguardo, dove effettivamente c’erano – E un poster mal ridotto sulla parete… - c’era anche quello – Il corridoio è questo!”

“Di cosa parli?” gli chiese Norman, non seguendolo.

Rider in quel momento puntò lo sguardo verso la finestra alla fine del corridoio: “E’ da quella finestra che Nolan è scappato. – la indicò – Qualcuno l’ha visto fuggire da qui e ha fatto un disegno.”

Dopo si avvicinò ad essa, con Norman a seguito, e notò che il chiavistello era rotto e che quella si apriva.

Norman sorrise, assaporando già la libertà.

L’altro si voltò verso di lui, preoccupato per se stesso: “Che ne sarà di te una volta uscito da qui? Ognuno andrà per la propria strada, giusto?”

“Prima pensiamo ad uscire… - lo fissò con uno sguardo penetrante e cupo – Poi si vedrà!”

Nonostante quel tono non lo rassicurasse per nulla, Rider cambiò discorso: “C’è da fare un piccolo salto, poi dovremo aggrapparci all’albero.”

“Ok, vai prima tu!” gli suggerì, non fidandosi.

Rider restò rigido per qualche secondo, poi si voltò, con il timore di poter cadere. Purtroppo, però, non poteva tirarsi indietro e si affacciò fuori, pronto a saltare. Norman non gli tolse gli occhi di dosso, aspettando il suo turno.

 

 

CONTINUA NEL QUATTORDICESIMO CAPITOLO

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



 

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Capitolo 14
*** 1x12-La mossa del diavolo ***


CAPITOLO DODICI

“FrançAis Crime”

 

Sam stava fissando il parabrezza, il sangue che lo colava lungo il vetro. Non reagiva, era come assente. Sentiva a malapena le voci dei suoi amici, che erano fuori a discutere; le percepiva come se fosse rinchiuso all’interno di una palla di vetro e loro si trovassero fuori.

“Prendilo per le gambe!”

“Aspetta, c’è troppo sangue.”

“Fate piano. Nathaniel, piano!”

Non riusciva a distinguere chi parlasse: solo voci, e il rumore del corpo di Edward Blanc che scivolava lungo il tettuccio.

Due quarti d’ora più tardi, i quattro erano sulla strada del ritorno. Eric, sempre alla guida, cercava di trovare una soluzione al primo problema che dovevano risolvere.

“Gli asciugamani che abbiamo usato sono tutti sporchi e ci sono ancora delle macchie di sangue ormai asciutte. Non possiamo rientrare a Rosewood con la macchina in questo stato, ci sono delle pattuglie notturne.”

“Eric, lo so! – esclamò Nathaniel, nervoso quanto lui – Ma cosa vuoi che faccia, che mi metta ad invocare la pioggia?”

“L’auto è tua, fossi in te mi preoccuperei un pò di più!” replicò quello con i nervi tesi.

Nolan a quel punto si intromise, dopo essere stato in silenzio: “Un fiume! – esclamò con enfasi, mentre quelli si voltavano verso di lui, intimidendolo a tal punto da balbettare – Ehm, m-mi ci portava mio padre a pescare quando ero piccolo. Si trova tra Rosewood e Screnton, verso est.”

Eric restò a fissarlo per qualche secondo, poi controllò sul navigatore.

“E’ vero, c’è un fiume ad est. – si girò verso Sam e Nathaniel – Non ne avevo idea.”

“Possiamo pulire gli asciugamani nel fiume e riutilizzarli per pulire meglio l’auto.” suggerì Nathaniel.

Eric annuì, esattamente come Nolan. Subito dopo, poi, fece inversione e imboccò la strada per arrivare a quel fiume.

 

 

*

 

Julie, seduta nella sua cucina, continuava a guardare l’ora sul suo orologio da polso. Sospirò, perché stava aspettando i ragazzi come da accordo.

Improvvisamente bussarono alla porta e lei corse immediatamente ad aprire. Delusa, scoprì che non si trattava di loro: era Palmer, un cartone di pizza in mano.

“Ehi, sei già tornato?”

Quello fu sopreso dalla sua reazione poco entusiasta: “Cos’è quella faccia? Hai altri scatoloni che devo portare al nuovo appartamento? – sbuffò, pensando che fosse così – Accidenti, Julie, pensavo di aver fatto l’ultimo viaggio per questa sera.”

“Ouh, NO NO! – smentì subito i suoi pensieri, facendolo entrare – E’ che ho appena visto un thriller da brivido in televisione e ho ancora la faccia da thriller.”

Più rilassato, l’uomo poggiò il cartone sul tavolo: “Meno male, odio mangiare la pizza fredda!”

Quella finse un sorriso, ancora in piedi, che scriveva un messaggio mentre lui non guardava.

A Nathaniel:

“Non venite più, Sebastian è appena tornato. Avete perso la vostra occassione.”

 

Poi si sedette, prendendo la sua fetta, mentre lui le sorrideva.

 

*

 

Con la macchina parcheggiata a qualche passo dal fiume, i ragazzi stavano strizzando gli asciugamani che grondavano sangue. Mentre Nathaniel ne immergeva un altro, riprese a parlare.

“Qual è la prossima mossa? – domandò, senza nemmeno guardare i suoi compagni – Rider, qual è la prossima mossa?” ripetè a voce più alta.

Fermandosi dallo strizzare l’asciugamano che aveva, Nolan venne preso alla sprovvista: “Dici a me?”

Quello si voltò: “Sei tu la mente, no? Immagino avrai un piano per uscirne.”

Nolan, però, non seppe cosa rispondere e fu Eric ad intervenire, prima che quel silenzio diventasse sospettoso.

“Forse io so come uscirne!” esclamò, attirando l’attenzione di Nathaniel.

“Cioè?”

“Nello stesso modo in cui faceva Anthony…” ricordò, pronto a spiegare.

 

FLASHBACK

 

Anthony ed Eric erano appena entrati in un locale notturno, abbastanza movimentato dalla quantità di gente che c’era, la musica e le luci. Infastidito da tutto questo, Eric cercò di alzare la voce per farsi sentire dall’amico, che, davanti a lui, si faceva strada tra le persone.

“Che posto è questo?”

“Siamo al Rumors club...Non è un locale nuovo per me, ci vengo spesso. – gli diede una rapida occhiata – E credo proprio che ci verrai spesso anche tu… Immagino vorrai sapere come funziona tutto questo. Beh, nulla di che: un drink, un ciao, uno sguardo accattivante e hai già quindici amici in più su facebook.”

“E’ necessario?”

L’altro si fece scappare una piccola risata: “Certo che è necessario, Eric: più gente conosci, più sei potente. Più gente ti vede, più forte è il tuo alibi.”

A quel punto Anthony si fermò, indicando un tavolo all’amico: “Sediamoci con quei quattro ragazzi, vado a prendere da bere.”

Eric, ancora confuso dalle sue parole così criptiche, lo fermò per un braccio, prima che potesse spostarsi.

“Ehi, un secondo, perché ci sediamo con quei quattro ragazzi? Credo siano gay, che c’entriamo noi con loro?”

Anthony sospirò, facendo intendere che nascondesse qualcosa: “Senti, questa serata è una copertura.”

“Copertura per cosa? – non capì – C’entra con quelle assurdità che dicevi sul tuo alibi?”

“Più o meno…In verità, ho una ragazza!” rivelò.

“Hai una ragazza? E chi sarebbe?”

“L’ho appena conosciuta e mi controlla in continuazione. Io odio essere controllato, perciò ho bisogno che creda che sia qui con degli amici.”

“Non capisco, perché dovremmo unirci a degli estranei?”

“Purtroppo non ho un gruppo di amici maschi, quindi devo arrangiarmi in qualche modo. – cercò di convincerlo – Dai, giusto qualche selfie e poi sei libero.”

“Libero? Perché, dove vai dopo?”

“La mia ragazza deve credere che io sia qui, perché ho un impegno da un’altra parte. – gli diede una pacca sulla spalla – Tranquillo, prima di andarmene ti sistemerò con qualche ragazza che conosco.”

Poco dopo, nonostante le perplessità di Eric, i due erano davanti al tavolo dei quattro ragazzi, che difficilmente non li notarono.

“Ehi, ragazzi, c’è posto per altri due?” esordì Anthony con un sorriso ammaliante

Quelli gradirono e avevano occhi solo per loro.

“Ma certo che c’è posto per due etero curiosi… - rispose uno dei quattro, un ragazzo di colore – Sarebbe un bel colpo per noi se diventaste più curiosi che etero. – decise di presentarsi poi – A proposito, io sono Dashan.”

Anthony sorrise, colpito dalla sua arguzia: “Beh, siamo dei ragazzi abbastanza aperti.”

Eric sembrò essere a disagio e Dashan lo notò.

“Il tuo amico non mi sembra così aperto. – mise la bocca a papera, deridendolo - Forse è in cerca di labbra più grandi?” scoppiò inevitabilmente a ridere assieme ai suoi amici.

Se Eric non sembrò gradire quella presa in giro, Anthony si mostrò improvvisamente pungente nei confronti dei quattro ragazzi.

“Forse altre labbra saprebbero accontentarsi in silenzio e ringraziare che un bel ragazzo come Eric ci abbia provato, non credi Dashan?”

Quello deglutì amaramente, mentre gli altri smisero di ridere. Dashan non era così sicuro della sua bellezza di fronte a due come loro.

Soddisfatto di averlo zittito, Anthony continuò più pacato: “Forse dovremmo goderci la serata, ora che abbiamo messo le cose in chiaro. Io ed Eric siamo uguali, la pensiamo allo stesso modo sulle cose. – si voltò a sorridergli - Siamo così uguali che se non esistessero gli specchi, lo userei come riflesso della mia immagine.”

Nonostante fosse imbarazzato, Eric sorrise a sua volta per nasconderlo. Finalmente si sedettero e le risate iniziarono a riempire il tavolo, gli animi più docili. Mentre Anthony parlava con quei ragazzi, Eric lo fissava, chiedendosi cosa si nascondesse dietro a quel sorriso che riusciva ad ingannare tutti.

 

Tornato alla realtà, quello iniziò a spiegare: “Dobbiamo essere in un altro posto. O meglio, far credere di essere stati in un altro posto.”

Nathaniel si avvicinò a lui: “Non ti seguo, Eric.”

“Sono stato il primo di noi quattro a diventare amico di Anthony. Lui mi portava nei locali, ma non per fare festa. Lo faceva per crearsi un alibi: si faceva vedere dalle altre persone, si scattava foto.”

“Quindi stai dicendo che dobbiamo ubriacarci da qualche parte?” intervenì Nolan, fantasticando sulla cosa.

Eric lo fissò, per poi prendere il telefono e controllare una cosa: “…Sto usando quella app della scuola, l’ho usata anche oggi pomeriggio. Davanti alla bacheca della scuola c’erano molti altri  avatar.”

Nathaniel si mise al suo fianco, cercando di vedere: “Forse guadavano gli orari delle lezioni nelle nuove scuole, no? Non tutti avranno ricevuto l’email.”

“Non solo quelli, molti studenti hanno messo altri annunci: ripetizioni di Francese, riunioni… - spiegò Eric, mentre Nolan si spostava accanto a lui – Quello che ci interessa è una festa e ricordo di aver visto alcuni parlarne, mentre passeggiavo in questo posto virtuale.”

Con il suo avatar, Eric si fermò davanti alla bacheca fuori nel cortile.

“Clicca dietro quegli annunci, c’è un foglio nascosto.” gli suggerì Nathaniel.

Messo in evidenza, Eric lo commentò: “C’è un party, stasera.”

“Da una certa Silvia Pratt…” lesse Nolan.

Gli altri due si girarono a guardarlo, straniti.

“Una certa Silvia? – borbottò Nathaniel – E’ praticamente il Cameron al femminile delle feste, solo che Silvia va al college adesso. Hai sempre avuto una cotta per lei, la trovavi bella e intelligente allo stesso tempo.”

“Beh, sì, per un’istante l’ho scordato.” rise Nolan, a disagio.

La sua risata, poi, fu interrotta dall’arrivo improvviso di Sam, che era rimasto in macchina.

In piedi, a qualche passo da loro, fece sentire la sua voce: “Che sta succedendo?”

Quelli alzarono lo sguardo su di lui, mentre continuava.

“Dov’è Anthony? – si guardò attorno, sorridendo ingenuamente – Perché ero in macchina da solo?”

Nathaniel, leggermente a bocca aperta e lo sguardo fisso su di lui, non capiva di cosa stesse parliando: “Anthony non c’è, Sam. Perché lo stai nominando?”

Ora alzò il telefono che stringeva in una mano, ignorando il volto atterrito dei suoi compagni: “Sentite, c’era questo telefono in macchina che continuava a vibrare. Qualcuno di voi ha ricevuto un messaggio da una certa Julie Orlando. – spiegò – La conoscete?”

“Oh mio Dio, ha un blackout…” pensò Nolan con un filo di voce.

“Un black-cosa?” si girò a chiedergli Eric.

Nathaniel fece un passo avanti, parlando come se Sam non fosse davanti a loro: “Credo che Rider abbia ragione, dev’essere dovuto al trauma di ciò che è successo. Mentre venivamo qui era praticamente in coma.”

Sam iniziò a guardarli uno ad uno, serio: “Di che trauma parlate? Non riesco a seguirvi, mi state spaventando. – notò gli asciugamani leggermente rossastri tra le loro mani, assumendo una parlantina nervosa – Che sta succedendo qui, dov’è Antony?”

Finalmente Nathaniel lo afferrò per le spalle, cercando di calmarlo: “Non sta succedendo niente, torna in macchina. Ci siamo semplicemente ubriacati troppo ed Anthony è qui intorno a vomitare dietro a qualche albero.”

Nolan si stava avvicinando alle loro spalle, mentre Sam sembrava poco convinto dalla situazione.

“Quello sugli asciugamani è sangue?”

“Si, ma è il TUO sangue! – gli fece notare – Guarda la tua gamba, ti sei fatto male.”

Sam abbassò lo sguardo, sgranando gli occhi: “Oh mio Dio, ma come me lo sono fatto?”

Non ebbe nemmeno il tempo di rialzare la testa che Nolan si fece più avanti e gli tirò un pugno talmente forte da stenderlo a terra.

Incredulo, Nathaniel gli urlò contro: “Ma cosa cavolo ti è preso?” nonché furioso.

“Ha un blackout, non lo vedi? E’ così che ci si comporta in questi casi.” rispose, riprendendo fiato.

“Tirando un pugno?” lo riprese ancora, allibito.

“L’ho letto da qualche parte, è così che si fa quando qualcuno perde il senno!” replicò a voce alta, quasi con rabbia e risentimento nel tono.

In quel momento, Nolan stava come rivivendo qualcosa all’interno della sua testa. Una voce. La SUA voce.

 

FLASHBACK

 

Un gruppo di dottori ed infermieri stava tirando Nolan verso l’interno del corridoio, come se avesse tentato la fuga. Urlava, si dimenava.

“Sono Rider Stuart, non sono Nolan. Mio padre ci ha scambiati, ve lo giuro! Chiamatelo, fatelo venire qui, vedrete che è la verità!”

Ma quelli non lo ascoltarono, sapendo che stava mentendo per l’ennesima volta pur di lasciare quel posto in qualche modo. Subito dopo, li iniettarono qualcosa che gli fece perdere i sensi.

 

Quando ritornò in sé, mentre Nathaniel era ancora lì che scrutava l’oscurità che c’era nei suoi occhi, deglutì e cercò di ricomporsi.

“Sarà più calmo quando si riprenderà… - disse guardando Sam disteso a terra -  e sarà di nuovo lui, spero.”

Nathaniel continuò a fissare Nolan, come se avesse percepito qualcosa di strano in quello scatto di furia durato un secondo.

Eric si avvicinò.

“Ragazzi, non per mettervi fretta ma abbiamo ancora venti minuti di strada da fare e se dobbiamo procurarci quell’alibi, allora dobbiamo arrivare a quel party il più in fretta possibile.”

Nolan si trovò d’accordo: “Ok, io porto Sam in macchina. Poi finiamo di pulirla dal sangue.”

Prima che potesse fare un passo verso Sam, Eric pose un altro dilemma: “E’ con il corpo del francese nel bagagliaio che facciamo? Non possiamo andare ad un party con un cadavere!”

Nathaniel si grattò il capo, teso: “Beh, possiamo… possiamo, che ne so, lasciare la macchina nel mio garage e andare al party con la macchina di Rider.”

“Vuoi lasciare il corpo nel tuo garage?” Eric pensò di non aver capito bene.

“Non abbiamo tempo di fare una buca, gettarlo lì dentro ed arrivare in tempo alla festa. O seppelliamo il cadavere o ci procuriamo un alibi.”

Nolan annuì: “D’accordo, faremo così.” poi si chinò a prendere Sam.

La cosa lasciò Nathaniel interdetto, voleva essere lui a portare Sam in macchina. Mentre fissava Rider che lo portava via in braccio, Eric lo prese per la spalla.

“Forza, avviciniamoci al fiume. Dobbiamo togliere il sangue dagli asciugamani.”

“…Si si, ok.” e diede un ultimo sguardo ai due, prima di seguire Eric.

 

*

 

Sulla strada del ritorno era Nathaniel a guidare. Eric sedeva accanto a lui, mentre Nolan era dietro con Sam, ancora incosciente.

Improvvisamente, Eric si soffermò con lo sguardo sulla spia del serbatoio: “…Merda!”

“Cosa?” si voltò a chiedergli Nathaniel, che fino all’attimo prima era concentrato a guidare oltre ad essere teso per tutta la situazione.

“La benzina è quasi finita, siamo in riserva!”

Ora lo notò anche lui: “Ok, niente panico, c’è una stazione di servizio qui vicino.”

“Dovremmo avvertire Julie?” pensò Eric, ricordandosi del messaggio ricevuto quando erano al fiume.

“Credo sia meglio non fare chiamate. – suggerì Nolan – Nel caso ci vada male, controllerebbero i tabulati telefocini.”

“Si, hai ragione.” ci ripensò subito Eric, mentre Nathaniel guardava Nolan attraverso lo specchio retrovisore come se non lo volesse perdere d’occhio.

Quando calò nuovamente il silenzio in macchina, un telefono iniziò a squillare.

“Che cos’è?” chiese Nathaniel.

“E’ di Sam… – rispose Nolan, recuperandolo – E’ suo padre!”

Eric si impanicò nel giro di poco: “E adesso che facciamo? Ha appena detto che non dobbiamo fare telefonate, tanto meno rispondere. E Sam è privo di sensi!”

“Niente panico, ok? – Nathaniel prese la situazione in mano – Basta rispondere con un messaggio, non per forza a voce. Rider, scrivigli che si trova ad una festa con noi.”

“Lo sto già facendo…” rispose Nolan, digitando il messaggio destinato a Carter Havery.

*

 

Fermi alle pompe della benzina, Nathaniel ed Eric scesero dalla macchina.

“Vado a lavarmi le mani, ci metto un secondo.” fece sapere quest’ultimo.

Nathaniel si guardò le sue: “In effetti anche io, credo di avere ancora del sangue sotto alle unghie.”

“Io vado, fai benzina.”

L’altro annuì, mentre Eric correva via.

Qualche minuto dopo, Nathaniel diede uno sguardo verso i bagni, chiedendosi che fine avesse fatto Eric.

Nolan si affacciò dal finestrino, dando voce a quella domanda: “Dov’è Eric? Sono quasi le undici.”

Nathaniel sospirò, in piedi davanti all’auto: “Ora vado a chiamarlo!” e si mossè per raggiungerlo.

Improvvisamente, a metà strada, il suo telefono vibrò in tasca. Recuperato, lesse il contenuto del messaggio appena ricevuto.

 

“Se in galera vuoi andare, un altro passo devi fare. Guarda alla tua sinistra, cosa c’è parcheggiato davanti al supermercato?”

-A

 

Nathaniel osservò quelle sette macchine parcheggiate lì di fronte e nel momento in cui si accorse che una di queste era un’autovettura della polizia, trasalì e indietreggiò nello stesso istante.

Mentre correva alla sua macchina, mandava un messaggio di avvertimento ad Eric.

Nolan, che lo vide entrare in auto tutto agitato, gli domandò cosa avesse: “Ehi, sembra che tu abbia appena visto un fantasma.”

“Peggio, c’è la polizia!”

“Cosa??? – sussultò, guardando fuori – Dove?”

Nathaniel accese il motore dell’auto, facendo retromarcia.

“Ma ce ne andiamo senza Eric?”

“No, sposto la macchina nella penombra. Qui è troppo illuminato, probabilmente il poliziotto è dentro il supermercato.

 

*

 

 Nel corridoio di un piano d’albergo, intanto, Chloe era ferma davanti alla porta della stanza numero 126 che bussava. Mentre strigeva la sua borsa, finalmente la porta si aprì: ad accoglierla fu Clarke, con indosso dei boxer neri e una cannottiera bianca aderente.

“Stavi dormendo?”

“Guardavo Californication, a dir la verità.” rispose serio.

Lei improvvisamente accennò un sorriso, poi le sorrise anche lui e si fece da parte, facendola accomodare.

Chloe appoggiò la borsa sul letto, iniziando a parlare: “Ho visto Lindsay oggi. Ho delle novità.”

Quello si appoggiò alla parete a braccia conserte: “Parla, ti ascolto.”

Sedendosi, spiegò: “Dice di aver ricevuto una sorta di minaccia da A, ma a questo punto non so se crederle. Sembrava abbastanza spaventata.”

“Che tipo di minaccia?”

“Un vestito da neonato e un augurio per la sua gravidanza.”

“Se ti ha rivelato questo, allora ti avrà rivelato anche del professore.”

“Si, me l’ha confessato. E io ovviamente ho finto di essere sorpresa e di non saperlo.” sospirò, angosciata.

“Ehi, stai bene?” si sincerò delle sue condizioni.

“No, non sto affatto bene, Clarke. – si mostrò tesa - Questa A arriverà a me prima o poi e non sappiamo chi è, nemmeno Lindsey lo sa.”

“Sì, ma almeno non è Albert come pensavamo. Questa A non credo che sappia di te…”

Quella abbassò lo sguardo, a disagio, come in preda ad un senso di colpa: “…Sa quello che faceva Anthony, ma non sa che c’ero anch’io. Sta perseguitando le persone sbagliate perché sa che loro quattro erano suoi amici ed è convinto che fosse uno di loro a stare con lui. – si disperò - Mi chiedo come li stia ricattando, se sono arrivati a mentire alla polizia e a lasciare che Laughlin vada in prigione.”

Clarke fece una smorfia, abbassando lo sguardo: “Lo sai ciò che penso su questa storia…”

Chloe si alzò in piedi, contrariata: “Che Sam, Rider, Eric e Nathaniel hanno ucciso tuo fratello e tuo padre?”

“Mio padre sarà stato un’incidente di percorso, ma il mio pensiero non cambia. Come potrebbe del resto? Hai detto che tempo fa A ha mandato un messaggio a Sam per chiedergli di guardare il notiziario dove arrestavano Laughlin. E’ quasi come volerlo far sentire in colpa per aver commesso qualcosa di brutto, mostrandogli chi pagava al suo posto!”

“Questa è una tua interpretazione, Clarke. Non sappiamo cosa sia successo realmente quella notte.”

 “Te lo dico io com’è andata realmente: mio fratello ha ucciso Albert per quei video e ha coinvolto Sam e gli altri. Presi dal panico, uccidono mio fratello e nascondono il corpo di Albert per far credere a tutti che sia stato lui e che abbia lasciato Rosewood per questo, ma…A, che forse ha assistito a tutto, li precede e incastra Laughlin per terrorizzarli. – la fissò dritto negli occhi – Pensi ancora di non sapere cos’è accaduto quella notte?”

Sospirando, in quel momento molto fragile, Chloe non sapeva cosa pensare: “Non lo so…conosco Sam, non farebbe del male neanche ad una mosca.”

Lui le prese le mani, accarezzandone i dorsi con i pollici, affettuoso: “Per quanto questa storia mi riguardi da vicino, perché sono morte delle persone che mi erano vicine, io resterò in silenzio all’udienza di dopodomani. Resterò in silenzio nonostante io sappia che Laughlin è innocente. E non dirò nemmeno alla polizia tutto quello che so. – cercò di prendere il suo sguardo, sollevandole il mento – E sto facendo tutto questo solo perché sto cercando di proteggerti.”

“Non è giusto che un uomo innocente vada in prigione perché stai cercando di proteggermi da A. – i suoi occhi divennero lucidi, la voce rotta - Forse dovresti dire la verità, o almeno lasciarmi parlare con Sam per chiedergli cosa cavolo è successo davvero. Magari non hanno fatto niente, magari è stata questa A ad uccidere ed incastrare tutti in cerca di vendetta per quello che io ed Anthony abbiamo fatto a quelle persone. Perché A è senza dubbio una di quelle persone, me lo sento.”

Clarke la prese per le spalle: “Proprio per questo non devi parlare con Sam, rischi di esporti. Se hai ragione e questa A è una di quelle persone che avete attirato alla casa nel bosco, non può sapere chi tu sia. Erano tutti bendati, ok? Erano bendati e non hanno mai sentito la tua voce.”

Quella però era paranoica: “Anche se erano bendati, uno di loro deve aver scoperto che si trattava di Anthony. Altrimenti perché si firmerebbe A come faceva Anthony per attirarli alla casa nel bosco?”

“Senti, Chloe, devi calmarti. Abbiamo spostato tutto quello che c’era all’interno di quella casa, non c’è più nulla che riconduca a te. E’ come se non fosse mai successo nulla, ok? Ti proteggerò fino alla fine e tu devi promettermi che ti diplomerai e che lascerai Rosewood. Anthony ha rovinato la vita a molte persone e non deve rovinare anche la tua.”

Quando smise finalmente di piangere, Chloe si staccò da lui, dandogli le spalle, pensierosa: “Sono passati più di due mesi dalla morte di Anthony. – si voltò nuovamente verso di lui - Che cosa sarà successo tra A e i ragazzi per tutto questo tempo, oltre i messaggi di cui siamo a conoscenza?”

“Non ti deve importare, Chloe. Dovevano restarsene a casa loro quella sera, ma, soprattutto, non avrebbero mai dovuto diventare amici di Anthony. Hai cercato di scoprire chi fosse A tramite Lindsey, ma non ci sei riuscita. Continua la tua vita, lascia perdere questa storia prima di impantarti con le tue stesse gambe.”

Chloe, però, aveva di nuovo gli occhi lucidi: “Hai sentito il notiziario sull’esplosione a scuola? Dicono che sia stata solo una fuga di gas, ma….non riesco a credere che sia stato solo un’incidente: i ragazzi che spariscono all’improvviso, il sistema antincendio che si attiva poco prima dell’esplosione e poi il corpo di Albert. Questa A potrebbe essere più pericolosa di quanto in realtà pensiamo.”

“Smetti di pensarci, Chloe. Se ci pensi, la paura prenderà il sopravvento e le persone fanno cose che non dovrebbero fare quando sono in preda alla paura.”

Finalmente sembrò ragionare, nonostante il suo colorito pallido, e annuì, seguendo i suoi consigli.

 

*

 

Eric, chiuso in uno dei bagni, aveva davanti il messaggio di Nathaniel.

 

“C’è una macchina della polizia fuori, stai attento quando esci. Sposto la macchina il più vicino possibile ai bagni, fa presto.”

 

Sembrava, però, non essere tranquillo già da prima di quel messaggio, perché in realtà si stava nascondendo. Con la porta leggermente aperta, fissava attraverso la fessura un uomo che si stava lavando le mani davanti ai lavandini. Quell’uomo era un poliziotto, e quando Eric alzò lo sguardo sullo specchio, vide riflesso il suo volto: era il Detective Michael Costa.

L’altro pensava di essere solo, mentre prendeva la carta dal distributore per asciugarsi le mani. Eric chiuse gli occhi, pallido, sperando di non essere beccato. Dopo qualche secondo, sentì il rumore della porta del bagno aprirsi e chiudersi: Michael era uscito.

Tirato un sospiro di solievo, lasciò al poliziotto il tempo di allontanarsi abbastanza, poi, con cautela, uscì anche lui.

Guardando continuamente verso il supermercato, collocato a qualche metro dai bagni, Eric sgattaiolò fino alla macchina dei suoi amici. Entrò e chiuse la portiera il più in fretta possibile.

“Che cavolo ci fa il detective Costa qui?” esordì con il fiatone, scivolando lungo il sedile come gli altri, per paura di essere visti.

“Non vive a Rosewood, starà tornando a casa sua e ha fatto sosta qui.” bisbigliò Nathaniel, tenendosi al di sotto del finestrino.

“Voi lo vedete?” domandò Nolan.

“Prima di abbassarci l’ho visto entrare nel supermercato.” replicò Nathaniel.

“La sua macchina c’è ancora, l’ho vista mentre camminavo dal bagno a qui.”

“Rider, cerca di sbirciare. – gli chiese Nathaniel – Qui sono abbastanza stretto, mi vedrebbe se provassi a sollevarmi.”

“Ok, ora guardo…” eseguì, sollevando la testa e concentrando la vista.

“Allora? – Eric fu impaziente di sapere – E’ ancora qui?”

Nolan sgranò gli occhi, vedendo qualcosa: “E’ appena uscito dal supermercato. Ha in mano una…busta di patatine e una birra.”

“Ah, ai poliziotti è permesso bere alla guida?” commentò Nathaniel, cinicamente sarcastico.

“Se ne va!” continuò Nolan.

Gli altri due restarono in silenzio a contemplare vari punti nell’aria, in attesa di avere il via libera.

“Ok, potete risollevarvi. E’ andato via!”

Tutti quanti tirarono un grosso sospiro di solievo, finchè non furono attirati da alcuni piccoli lamenti di Sam.

Muoveva la testa e strizzava gli occhi.

“Si sta svegliando…” presunse Eric, guardandosi con gli altri.

I tre non sapevano cosa aspettarsi dal suo risveglio, sperando che fosse tornato tutto alla normalità.

 

*

Alexis, nella sua stanza del campus, era pronta ad andare a letto. La sua compagna di stanza dormiva rumorosamente, tanto da farle roteare gli occhi.

Subito dopo, la sua attenzione si focalizzò sul suo telefono, poggiato sul comodino. Era ancora tormenta dalla discussione che aveva avuto con Eric fuori dal Brew. D’impeto, lo prese e si sedette sul suo letto: compose il numero di Eric.

Sfortunatamente, c’era la segreteria ma questo non la fermò dal lasciarli ugualmente un messaggio.

“Ehi, sono io. Sicuramente sei già a letto, quindi inutile ricordarti che domani mattina devi passare qui per aiutarmi con il trasloco. – sorrise con un angolo della bocca – Sono solo tre scatoloni e una borsa, nulla di impegnativo. – guardò la sua compagna di stanza, iniziando a bisbigliare con un tono di voce ancora più basso – Ehm, a proposito di quello che ci siamo detti…non sono ancora andata alla polizia, ma vorrei che domani ne riparlassimo…ok?”

Improvvisamente, la ragazza in stanza con lei si girò, lamentandosi.

“Puoi smettere di parlare con chiunque tu stia parlando? Grazie!”

Alexis rimise il telefono giù, buttando gli occhi in alto: “Tranquilla, da domani avrai tutto il silenzio che vuoi!”

“Evviva!” esclamò quella, mettendo la testa sotto al cuscino.

L’altra tirò un sospiro angosciato, poi si mise finalmente a letto.

 

*

 

Tornati a Rosewood, stavolta i ragazzi erano nell’auto di Rider, parcheggiati davanti a casa di Nathaniel.

Mentre quello sistemava l’auto con dentro il cadavere nel suo garage, Sam era sveglio e ancora non si capacitava di cosa fosse accaduto. I suoi amici, però, non gli raccontarono la verità sul suo blackout.

“…quindi sono svenuto? – era confuso, mentre Eric gli era accanto sui sedili posteriori – Non ricordo nemmeno il preciso momento in cui è successo.”

“E’ normale! – gli disse Nolan, guardandosi con Eric attraverso lo specchietto retrovisore – E’ come quando ti svegli la mattina e non sai di preciso a che ora ti sei addormentato la sera prima.”

Dalla confusione, Sam passò poi ad uno stato paranoico: “Siete sicuri che il detective Costa non ci abbia visti? Insomma, quanto era lontano da noi? Molto? Poco? Dove eravamo?”

“Rilassati, Sam. Non ci ha visti.” intervenì Eric.

Questo però non lo tranquillizzò: “Ho freddo, la gamba mi fa male e… - non riusciva a concepire ciò che stava accadendo – Stiamo davvero lasciando un cadavere a casa di Nathaniel?”

“Non a casa sua, ma nel suo garage. – precisò Nolan, guadagnandosi un’occhiataccia da quest’ultimo – Ha chiamato tuo padre, forse dovresti richiamarlo per rafforzare il tuo alibi. Quando saremo lì sentirà la musica e le persone…”

“Rider ha ragione, avremo un alibi molto solido con una chiamata a tuo padre.”

In quell’esatto istante arrivò Nathaniel, mettendosi in macchina e chiudendo la portiera, affannato.

“Fatto, ho chiuso tutto. – poi si girò ad allungare un paio di jeans a Sam – Metti questi, attirerai l’attenzione con i pantaloni strappati e insanguinati.”

“Dovrei andare in ospedale, non ad una festa. – borbottò Sam, recuperando il jeans dalle sue mani – Mi amputeranno la gamba!”

 “Meglio senza una gamba che in galera!” replicò Nolan, ricevendo un’occhiataccia da Nathaniel.

“Rider non scherzare, quella ferita si infetterà sul serio – poi si girò verso Sam – Resteremo giusto un attimo, poi ti porterò da mio cugino e ci penserà lui.”

Sam annuì, mentre Eric prendeva la parola.

“E cosa dirai a Tyler? Che si è ferito con l’apribottiglie?”

“Mi inventerò qualcosa, è pur sempre una festa di ubriaconi. Gli incidenti capitano!” concluse Nathaniel.

Nolan accese il motore dell’auto e finalmente partirono.

 

*

 

Al Radley, il vero Rider non riusciva a dormire dopo la conversazione avuta con A tramite il portatile. Non aveva ottenuto delle risposte e non sapeva quanto sarebbe durata la sua permanenza in quel posto. Ma, soprattutto, non sapeva per quanto avrebbe potuto resistere ancora.

Ad un certo punto si alzò dal letto, dopo aver contemplato a lungo il soffitto. Inziò a fare avanti e indietro per la stanza, poi si sedette davanti al tavolo, poggiando la mano sulla sua superficie, spostando la polvere.

Annoiato, decise di aprire il cassetto che c’era sotto. Sembrava vuoto, ma quando lo aprì completamente, trovò qualcosa alla fine di esso: delle bambole.

Ne erano quattro, sembravano formare una famiglia: una bambina, un bambino, una donna e un uomo.

Prese il bambino e la scrutò attentamente, trovando un tasto. Lo premette e la bambola emise un suono radiofonico, poi il silenzio. Rider lo mise all’orecchio e gli sembrò quasi di sentire una voce.

“Tasha sto andando a letto, mi sembra di averti detto che non ci sarei venuta a quella festa.”

Rider riconobbe la voce: “Ma questa è Lindsey…”

“Che ne so se Nathaniel Blake verrà a quella festa. Credo di no, è una festa per matricole del college. – si sentì il rumore del frigorigero che veniva aperto - Comunque ti consiglio di lasciarlo perdere, dovresti stargli alla larga…”

A quel punto, Rider accese le altre bambole. Sentiva ancora la voce di Lindsey, ma in maniera più amplificata.

“Non ubriacarti, ok? Sappiamo entrambe come finiscono le tue serate…”

La voce iniziò ad allontanarsi, finchè non rimase solo il silenzio.

“La cimice è in cucina… - pensò Rider, riflettendo – Le bambole con i microfoni sono le stesse di quel libro…”

E fu in quell’istante che ebbe il flash di una coversazione con suo padre.

 

“Ricordi quando hai scritto quel libro, quello in cui c’era quest’uomo che andava a trovare suo figlio in un manicomio?”

“Ehm… - titubò Richard, ricordando – sì, ti riferisci a Il bambino aldi là del cancello? ”

“Sì, quello!”

“E allora?” lo osservò a lungo, aspettando una risposta.

“Parlavi di questo bambino con problemi mentali, e di come i suoi genitori furono costretti a rinchiuderlo in manicomio, perché era troppo pericoloso per i suoi fratelli, ancora troppo piccoli come lui. Suo padre, però, non volle abbandonarlo, così li portò in regalo delle bambole: rappresentavano la sua famiglia. Solo che…non erano delle semplici bambole; dentro ognuna di esse c’erano dei microfoni e il bambino li ascoltava parlare, come se fossero lì con lui. Come se potesse interagire con loro.”

E ne ebbe un altro, poi, di una coversazione molto più recente.

“…Se Lindsay un giorno ti dicesse di essere incinta, cosa le diresti considerata la sua età?”

Spiazzato dalla domanda, provò a rispondere con un’iniziale vena sarcastica: “Sperando che tua sorella non sia davvero incinta, le direi che…Dovrebbe tenerlo! E’ fatta, non si torna più indietro. Hai creato qualcosa che è destinato ad essere e non puoi sopprimere l’esistenza di qualcuno come nulla fosse. Le direi anche di non darlo in affidamento, perché un figlio non si abbandona mai, a meno che…”

Rider restò a guardare incantato suo padre, catturato dalle sue parole, ma quando si bloccò, gli venne spontaneo capire cosa avesse: “A meno che?”

Cercò di riprendersi, leggermente provato: “Ehm, niente, è solo un tema molto forte. Molti anni fa mi è capitato di assistere ad un abbandono, in un altra famiglia: un bambino!”

Quello tentò di ricordare invano: “Non ricordo di questa vicenda, di che famiglia parli?”

“Non puoi ricordare…avevi solo quattro anni. Era il figlio di un nostro vicino!"

Curioso, Rider volle saperne di più: "E che fine ha fatto questo bambino?"

Richard sembrò restio a volerne parlare: "Ehm, aveva molti problemi e così i suoi genitori hanno dovuto allontanarlo."

"Mi sembra una storia assai familiare, sai?" pensò, strabuzzando gli occhi.

"Ha ispirato uno dei miei libri."

Rider si ricordò, schioccando le dita: "Ah, sì, Il bambino aldi là del cancello?”

Suo padre annuì forzatamente, quasi a disagio, mentre l'altro continuava.

"Deve averti colpito molto questo bambino per ispirarti un libro."

"Ogni tanto lo lasciavano da noi e giocava con te e Lindsay." accennò un sorriso.

Rider sembrò finalmente mettere i pezzi tutti insieme, ricordando qualcosa che non pensava nemmeno di sapere: “Nolan…il bambino del libro si chiama Nolan e potrebbe essere… - restò un attimo in silenzio, poi trovò il coraggio di dirlo ad alta voce – Ho un fratello gemello…”

 

*

 

Arrivati sul luogo della festa, Eric e Nolan assistettero per primi alla vivacità delle matricole sotto l’effetto dell’alcool: chi beveva la birra a testa in giù, chi si tuffava in piscina scatenato, chi rimorchiava e altri che ridevano a crepa pelle.

Eric sembrò assai disgustato da tutto ciò, mentre Nolan guardava quelle scene con gli occhi di un bimbo curioso, illuminati.

Dietro di loro, stavano arrivando Nathaniel e Sam. Quest’ultimo zoppicava leggermente.

“Ce la fai?” gli domandò Nathaniel, tenendo una mano dietro la schiena di Sam, pronto ad aiutarlo.

Quello sembrava assai infastidito ed irritato: “Sto bene, facciamo questi dannati selfie e andiamocene.”

“Sam, se sei ancora arrabbiato con me per quello che è successo al ballo, io…”

L’altro lo fermò subito, meno scontroso: “Nat, è la situazione. Non sei tu.”

“D’accordo… - abbassò lo sguardo, per poi volgerlo da un’altra parte e scoprire la presenza di Tasha – Oh, no…”

Sam seguì il suo sguardo, notando Tasha che salutava verso la loro direzione. Che salutava Nathaniel. Stava uscendo dalla piscina, tutta bagnata e sexy.

“Ugh, ancora lei?” commentò Sam con tono disgustato.

Quando si voltò verso Nathaniel, notò che si era incantato a guardarla e che non l’aveva ascoltato. La cosa sembrò dargli fastidio.

“Forse è meglio entrare, non credi?” toccò la sua spalla e quello finalmente rinsavì.

“Ehm, sì, certo! – poi si rivolse anche agli altri – Ragazzi, entriamo?”

Quelli annuirono. Nolan più distratto, visto che continuava a fissare una coppia che si baciava a bordo piscina.

All’interno dell’abitazione, la musica era più forte. I quattro furono immediatamente fermati da un ragazzo più grande.

“I vostri documenti?”

Nathaniel, avanti a tutti, si girò a guardarsi con i suoi amici, non sapendo cosa fare.

“Ehm…”

Improvvisamente arrivò Cameron, che diede una pacca sulla spalla a quel ragazzo, il suo solito sorriso compiaciuto.

“Sono con me, hanno tutti 21 anni… - poi fissò Nathaniel, accentuando quel sorrisino, ora beffardo – Tranne lui: ne ha 23!”

Il ragazzo allora se ne andò, fidandosi.

“Ma che sorpresa vedervi tutti qui… – sorrise ancora, sollevando le sopracciglia – Non vi vedevo ad una festa tutti insieme dai tempi di Anthony.”

Fu Nathaniel a rispondergli per primo, accennando un finto sorriso: “Infatti è passato così tanto tempo che adesso ho 23 anni!”

Quello reagì in maniera teatrale: “Oh avanti, non fare il permaloso. Semplicemente, avevi una faccia troppo cadaverica per dimostrare 21 anni. – fissò gli altri – Anche se, ce l’avete un pò tutti ora che ci faccio caso.”

Eric, più gentile, gli domandò: “Cameron, sai per caso dov’è il bagno?”

“Certo. Sali le scale, seconda porta a sinistra. – gli indicò, per poi rivolgersi a Sam, mentre quello si assentava – Sam, ti va di bere qualcosa con me?”

“Preferirei ingoiare le lame di una centrifuga all’infinito. No, grazie.” gli rispose per le rime, un tono arrogante.

Cameron percepì delle ostilità nei suoi confronti: “Accidenti, gli Haverblake non sono proprio miei fan questa sera.”

“Non lo siamo mai stati, a dire il vero.” replicò Sam, secco.

Nolan fece una smorfia confusa: “Haverblake?”

“Sì, non riuscivo a formare una ship decente per via dei loro nomi incompatibili. Haverblake suona meglio!”

“Una ship…???” ripetè con un filo di voce, come se non capisse cosa volesse dire.

Nathaniel improvvisamente restò sorpreso dal nuovo atteggiamento di Cameron: “Inviti Sam a bere qualcosa con te: strano! Pensavo volessi tenere nascosta la tua vera natura.”

“Sono tutti ubriachi qui. – sottolineò, ironico - Probabilmente ci scambierebbero per due lampade da soggiorno che tengono in mano dei bicchieri di plastica.”

“Beh, questa lampada da soggiorno non va da nessuna parte con te.” replicò Sam con un cinico sorrisino.

Cameron si arrese, annoiato: “Come vi pare, vado a godermi la festa. Felice di avervi fatto entrare!” e se ne andò.

“Ragazzi, io vado a fare un giro. – disse Nolan - Il piano è farci vedere da tutti, giusto?”

Nathaniel annuì, ma lo fermò poco prima che si allontanasse: “Ehi, lasciami le chiavi della macchina. Devo portare Sam da mio cugino, ricordi? Poi torno a prendervi.”

Nolan non se lo fece chiedere due volte e gli lanciò le chiavi: “Tieni!”

Quello le prese al volo, per poi rimanere solo con Sam. I due si scambiarono uno sguardo distaccato, nonché imbarazzato.

*

 

Più tardi, Nolan sembrò essersi interessato ad una ragazza. Stava camminando con in mano una ciotola di patatine: si trattava di Violet.

Improvvisamente, quella si scontrò con un ragazzo e la ciotola cadde a terra. Seccata, si chinò a raccogliere le patatine e Nolan si precipitò subito ad aiutarla.

“Aspetta, ti do una mano.”

Quella lo guardò in faccia, riconoscendolo: “Rider?”

“C-ci conosciamo? – fu preso alla sprovvista, per poi mascherare quel momento di confusione con una risatina – Ma certo che ci conosciamo, scherzavo. Non ero serio.”


Violet si mise i capelli dietro alle orecchie, continuando a raccogliere le patatine, guardandolo in modo strano: “…certo che non sei serio, è ovvio.”

“Come mai sei ad una festa per matricole? Cioè, ci vai spesso alle feste per matricole?”

Raccolte le ultime patatine molto velocemente, Violet si sollevò in piedi: “Perché mi stai parlando?”

“Perché non dovrei?”

“Ehm, fammi pensare: con Anthony prendevi in giro mio fratello, una volta mi hai aggredita in biblioteca, ci odiamo…” spiegò sarcastica.

“Violet!” la puntò con il dito, esclamando il suo nome con euforia. Come se l’avesse tirato ad indovinare.

Quella lo trovò sempre più strano, mentre lui si rendeva conto di essere stato eccessivo: “…Hai bevuto, forse?” e lo scavalcò, cercando di allontanarsi.

Nolan, però, la fermò per un braccio: “Violet, mi dipiace. – si mostrò sincero - Per tutto quanto.”

Sorpresa, sgranò leggermente gli occhi. Per la prima volta lo vide gentile nei suoi confronti e la cosa la destabilizzò a tal punto da reagire alla stessa maniera.

“Ok…grazie…” e se ne andò, ancora confusa, mentre Nolan sorrideva con un angolo della bocca guardandola andare via.

Intanto Nathaniel e Sam erano seduti sui gradini delle scale, in disparte.

“Ti fa ancora male la gamba?”

“Brucia, più che altro.”

Nathaniel si alzò: “Prendo qualcosa da bere e ce ne andiamo. Torno subito.”

Sam annuì e quello passò alla stanza accanto, dove su un tavolo c’erano delle birre, altri alcolici e qualche bottiglia d’acqua.

Alle sue spalle arrivò Tasha, che gli bussò sulla spalla.

“Toc toc!”

Quello si girò, notando che si era rivestita: “Ehi, ciao. Come va?”

“Bene, ora che ci sei tu.” sorrise lei.

“Che sorpresa esserci incontrati qui. – fece conversazione - Non capita tutti i giorni di andare ad una festa per universitari.”

“Parla per te, io ci vado sempre.”

“Sbaglio o tu non ci vai più al college?”

“No, io l’ho finito l’anno scorso. Solo che non sono attratta dai ragazzi della mia età, immagino l’avrai capito.” spiegò, lanciandoli un certo sguardo, molto lussurioso.

“Ma io vado al liceo, Tasha.” le ribadì, sapendo dell’interesse che aveva per lui.

“Non mi interessa dove vai. – sorrise audace – Mi interessi tu.”

Nathaniel le sorrise a sua volta, educato: “Sono ancora gay, mi dispiace.”

“Eppure non mi hai tolto gli occhi di dosso mentre uscivo dalla piscina.”

“Non significa niente.” negò ancora, dando un occhio a Sam nell’altra stanza.

Tasha seguì il suo sguardo, non meravigliandosi di ciò che stava guardando: “Non capisco perché hai tutte queste attenzioni per quel ragazzo. Per caso hai ucciso qualcuno e lui mantiene il tuo segreto?”

“Purtroppo è più semplice di quanto pensi: gli do tutte queste attenzioni perché lo amo! – rivelò in modo secco, per poi recuperare il telefono – Ora, se non ti dispiace, vorrei un selfie come ricordo.”

Tasha, benchè fosse seccata e digrignasse i denti, finse un sorriso: “Ma certo!”

Sam, in quell’istante, li vide insieme e il suo viso lasciava trasparire un leggero sentimento di gelosia.

 

*

 

Dopo quasi un’ora, il gruppo si riunì all’ingresso della casa. Per Nathaniel era arrivato il momento di andare.

“Ragazzi, io e Sam andiamo. Abbiamo scattando abbastanza foto?”

“Io ne ho fatte abbastanza, direi.” rispose Eric, sollevando le sopracciglia.

Nolan, però, aveva la testa fra le nuvole: “Sapevate che Violet è qui?”

“Violet è qui? – ripetè Sam, per poi sibilare dal dolore – Ahi, la gamba!”

Nathaniel preferì accellerare le cose, avvicinandosi a Sam per sostenerlo: “Ok, poi ne riparliamo di Violet, adesso devo subito portare Sam a casa di Tyler. Voi che fate?”

“Restiamo un altro pò, non è abbastanza. – pensò Nolan, guardandosi con Eric – Sei d’accordo?”

“Si, siamo venuti insieme. Se restiamo almeno io e Rider penseranno che ci siete anche voi.”

“Va bene. – annuì Nathaniel – Appena finiamo, passo a prendervi.”

Poco prima che aprisse la porta, però, Eric aggiunse qualcos’altro: “Ragazzi, un secondo. – quelli si voltarono verso di lui – E’ possibile sentirci domani mattina? Devo dirvi una cosa molto importante e visto che non frequentiamo più la stessa scuola…”

“Ok, ci sentiamo tutti per telefono. – Sam soffriva ad ogni parola – Ora voglio solo tornare a casa il più in fretta possibile.”

“Si si, andate.” gli disse Eric, senza trattenerli ulteriormente.

I due lasciarono la festa.

 

*

 

Durante il viaggio in auto, Sam non faceva che domandarsi su come dovevano comportarsi con Tyler, una volta arrivati da lui.

“Potrebbe benissimo chiedersi perché non siamo andati in ospedale, no?”

Molto più calmo, Nathaniel era concentrato a guidare: “Gli diremo che eravamo più vicini a casa sua che all’ospedale.”

“E per quanto riguarda la mia gamba? Che cosa li diremo, che mi sono tagliato con un coltello da macellaio?

“Non è un taglio così profondo!”

“Si che lo è, d’accordo? – si agitò – Già immagino la sua faccia perplessa mentre gli raccontiamo questa balla… che a proposito, quale sarebbe?

“Sei inciampato su una bottiglia di birra rotta…” pensò, poco convinto persino lui stesso.

“Bene, siamo a cavallo allora! – si voltà verso il finestrino, ancora isterico - Sono cose che capitano tutti i giorni, del resto.”

“E’ mio cugino, non ci farà il terzo grado. Rilassati.”

“Rilassarmi? – sussultò - Non so nemmeno cosa vuol dire rilassarsi da quando abbiamo a che fare con A. Oggi mi sono sentito da schifo quando ho incontrato Quentin e il suo ragazzo. Sono stato umiliato e spinto a terra come se non valessi nulla. Eric è quasi morto dentro una pressa e siamo di nuovo complici di un altro omicidio. – pianto e riso si intercambiavano in quel momento – Domani saremo divisi e anziché concentrarmi sulle lezioni o a fare nuove amicizie, sarò perennemente concentrato a non farmi incastrare da A.”

Nathaniel fermò la macchina: erano arrivati. Con un espressione seria, comprendeva perfettamente Sam.

“Mi dispiace che dobbiamo affrontare tutto questo, hai ragione. Alla nostra età dovremmo avere altri problemi e non questi. E credimi, sto soffrendo molto anche io, anche se sto cercando di essere forte…perché ho coinvolto io Edward nelle nostre vite e ora è morto.”

Una lacrima solcò il viso di Sam, un volto arreso: “Come faremo con Jasper? L’udienza è praticamente domani se contiamo che è appena passata la mezzanotte. Quando si accorgerà che non c’è nessun francese a testimoniare per lui, dirà tutto quanto. Poi la polizia ci farà delle domande e ogni cosa verrà a galla.”

Nathaniel, silenzioso, abbassò lo sguardo, convinto che forse c’era una speranza: “A non lo permetterà, me lo sento.”

A non è così in gamba, Nat. Non ha il potere di fermare il tempo o di far esplodere l’aula di un tribunale.”

“Sta ancora giocando con noi, il gioco non è finito.”

“E invece siamo proprio alla fine. E’ evidente che si è stancato di noi e sta per darci il colpo di grazia.”

L’altro, improvvisamente, assunse un espressione risoluta: “…Non se li diamo ciò che vuole!”

“Cioè?”

Nathaniel si voltò a spiegargli: “Per tutte queste settimane ci siamo affannati a proclamare la nostra innocenza sul secondo crimine commesso da Anthony, quando…ci basta scoprire chi è davvero coinvolto.”

“Nat, non abbiamo ancora smascherato A, figuriamoci questo complice misterioso.”

“Questo crimine è legato a Rosewood-riservato. Questo file sembra essere una raccolta di segreti, ma non sappiamo qual è il reale scopo di tutto questo. L’unico aggancio che abbiamo è Quentin: se parliamo con lui, capiremo cosa faceva Anthony con Rosewood-riservato e chi collaborava con lui. E a quel punto, daremo ad A ciò che vuole, barattandolo con la nostra libertà.”

La libertà era la cosa che Sam più voleva al mondo e si convinse che bisognava agire così: “Forse hai ragione, possiamo barattare questa persona con la nostra libertà. Del resto, direi che abbiamo pagato abbastanza per ciò che è successo ad Albert, no? Non possiamo pagare anche per questa persona, chiunque essa sia. Ha fatto qualcosa di grave con Anthony ed è giusto che paghi e che venga torturata da A, noi non c’entriamo.”

I due si guardarono, la disperazione nei loro volti e nel loro modo di pensare era evidente ad entrambi. Quasi si vergnarono di ciò che avevano appena detto, ma non riuscirono ad ammetterlo.

Nathaniel trovò finalmente il coraggio di parlare, distogliendo lo sguardo.

“Forse è meglio andare, poi ne riparliamo.”

“Sì, facciamo presto. Ho detto a mio padre che sarei tornato entro l’una.”

I due uscirono dall’auto, a quel punto, e Nathaniel aiutò Sam a raggiungere il portico, attraversando il giardino.

Quest’ultimo notò che c’erano delle telecamere di sorveglianza.

“Tyler ha un sistema di sorveglianza? Ne eri a conoscenza?”

Nathaniel seguì lo sguardo di Sam, individuandole: “Una volta dei ladri hanno svaligiato una casa in questo quartiere. Le ha messe da quel momento.”

Rapidamente arrivarono alla porta e Nathaniel bussò, mentre Sam si sorreggeva ancora a lui con la gamba ferita e leggermente sollevata da terra.

Dopo qualche minuto d’attesa, le luci si accesero e finalmente Tyler aprì la porta.

Perplesso nel vedere i due, non capì cosa stesse accadendo: “Nathaniel? – strizzò gli occhi, in pigiama - Ma che ci fai qui?”

Nathaniel, allora, si abbassò accanto alla gamba di Sam e sollevò il jeans, rivelando la ferita: “Eravamo ad una festa e ed è scivolato su qualcosa di tagliente. Casa tua era più vicina, abbiamo fermato la fuoriuscita di sangue, ma la ferita potrebbe infettarsi se…”

“Si si, sono un medico, so cosa succede… - lo interruppe, facendo cenno di entrare – Fallo sdraiare sul tavolo in cucina, vado a prendere le mie cose.”

“Grazie!” esclamò Sam, riconoscente, mentre con Nathaniel si accomodavano.

 

 

*

 

Ancora alla festa, Nolan stava passeggiando accanto alla piscina, in mezzo agli altri che si divertivano, guardando Violet parlare con un ragazzo, dall’altra parte di essa, e ridere alle sue battute. Improvvisamente ricevette una telefonata. Da un anonimo.

“Pronto? – rispose, ma nessuno parlava – …Sei tu?”

“Sì, sono io.” rispose una voce camuffata.

“Sto per tornare a casa, sono stato bravo. Lo sono stato, giusto?”

“Continua a studiare gli appunti che ti ho dato, fai fatica a ricordare i nomi delle persone che Rider conosce.”

Nolan si guardò attorno, come se sospettasse che A fosse nei dintorni.

“Non è facile rubare la vita di qualcun altro, sto facendo del mio meglio. Non si sono accorti di nulla.”

“Non ancora, Nolan. Dovresti impegnarti di più per continuare ad essere libero. Rispetto a Richard Stuart, io ti ho dato la possibilità di uscire dal Radley per molto più di un giorno all’anno. Non deludermi.”

Gli occhi di Nolan divennero lucidi, sofferenti: “Studierò gli appunti, sarò bravo. Solo… -un’improvvisa espressione di odio si impossessò del suo volto – non nominare più il nome di mio padre.”

Alle sue spalle, la voce di Eric lo fece voltare: “Rider?”

Nolan abbassò subito il telefono, colto di sorpresa: “Eric!”

“Con chi stavi parlando? – abbassò lo sguardo sul telefono - Ti ho visto al telefono.”

Quello chiuse subito la chiamata, rimettendo il telefono in tasca, inventando una scusa: “Ehm, era mia sorella. Si chiedeva come mai non fossi ancora rientrato a casa.”

Eric rimase perplesso: “Da quando a tua sorella importa dove diavolo sei?”

“Non lo so, è strana!” rise nervosamente.

“Non quanto tua cugina Tasha: l’ho incontrata tre volte da quando se n’è andato Nathaniel. Mi ha chiesto dove fosse e io le ho risposto che se n’è andato. Poi me l’ha richiesto di nuovo anche le due volte successive.”

“Beh, succede quando si è ubriachi. E’ la magia dell’alcool, no?”

L’altro si imbronciò, mettendosi a braccia conserte: “Non pensavo di essere un volto così facile da dimenticare. Nemmeno con l’alcool.”

Nolan sorrise con un lato della bocca: “Mmh, sembra quasi una frase degna di Anthony.”

“Infatti credo sia sua, non ho avuto molto tempo di crearmi un repertorio di frasi epiche tutte mie da quando l’ho conosciuto. – si guardò attorno, turbato – Ovunque lui sia, torna sempre a tormentarmi.”

“Non starai pensando ancora a quell’assurda teoria di Anthony che è vivo, vero? – ci vide lungo – E’ in una bara, non cammina tra di noi. A è il professor Brakner, fine della storia.”

“Non ne sono più così sicuro…” fece intendere che sapeva qualcosa, che presto avrebbe rivelato a tutti loro il mattino seguente

 

*

 

Sdraiato sul tavolo ad occhi chiusi, Sam stringeva la mano di Nathaniel per il dolore. Tyler stava suturando la ferita, ormai disinfettata.

In pochi minuti concluse l’intervento: “Ecco fatto, ho finito.  – sorrise a Sam, mentre quello era ancora sdraiato – Ora puoi scendere dal tavolo della mia cucina, grazie.”

“Ouh, certo!” si sollevò con la schiena, aiutato da Nathaniel.

“Torna qui dopodomani, così ti tolgo i punti. Vado a prenderti un antibiotico, dovrai assumerlo due volte al giorno per due giorni, dopo i pasti.” iniziò ad allontanarsi nell’altra stanza.

Nathaniel gli fu riconoscente: “Tyler, grazie davvero.”

Quando quello uscì definitivamente dalla stanza, Sam era ancora seduto sul tavolo, con i piedi sospesi in aria, al di sopra del pavimento. Era pronto a scendere, ma una porta che c’era lì in cucina attirò la sua attenzione: aveva un lucchetto.

“Che cosa c’è lì dentro?” indicò, mentre l’altro era davanti alla finestra.

“La cantina, perché?” rispose distrattamente.

“C’è un lucchetto. – trovò strano - Come mai?”

Facendoci caso, Nathaniel si avvicinò perplesso alla porta: “E’ da molto che non vengo a casa di Tyler, ma ricordo che prima non c’era questo lucchetto.”

“Hai idea del perché abbia messo un lucchetto alla cantina?”

Nathaniel si voltò verso di lui, sollevando le spalle: “Non lo so, per i ladri?”

“E cosa ci sarebbe qui sotto da rubare, un domino di lingotti d’oro? – trovò ancora più bizzarra la cosa – Dovresti chiederglielo!”

All’improvviso, Tyler rientrò in cucina con in mano la scatola dell’antibiotico e i due si zittirono di colpo.

“Scusate se ci ho messo tanto, ma… - il loro cambio di atteggiamento non fu così repentino da non essere notato – Tutto bene? Perché avete smesso di parlare non appena sono entrato?”

Sam pensò di prendere in mano la situazione, fingendo un’espressione allegra: “Parlavamo di ragazze, cose nostre!”

Tuttavia, non lo fece nel migliore dei modi e Nathaniel lo fissò incredulo.

Tyler fece una smorfia, perplesso: “Cose nostre? Sono un uomo anch’io, perché non dovrei partecipare alla conversazione? E poi tu non sei gay?”

Sam sussultò: “Come lo sai?”

Ora Nathaniel spostò lo sguardo sul cugino, mentre quello rispondeva.

“Da quando sei qui, non fai che guardare in basso. E non intendo i piedi!”

Quello spalancò la bocca, oltraggiato: “Ma non è vero!”

Nathaniel decise di fermare la discussione, fingendo un sorriso e avvicinandosi a suo cugino: “Bene, direi che è ora di andare! – prese l’antibiotico dalle sue mani, per poi rivolgersi a Sam con un cenno isterico – Forza, scendi da quel tavolo!”

L’altro eseguì, fissando il cugino in malomodo mentre gli passava accanto.

Usciti da casa sua, i due stavano attraversando il giardino diretti alla macchina. Sam sembrava assai indispettito.

“Ok, è ufficiale, credo che non andrò mai d’accordo con la tua famiglia. Prima c’è tua zia che mi da assurdi nomignoli legati al mio fisico e ora tuo cugino pensa che gli guardi il pacco!”

“Che c’è di assurdo nel nomignolo Amico secco di Nathaniel?” si soffermò su quello.

“Ma gli hai detto tu che sono gay?”

“Non parlo a mio cugino dei miei amici. E poi non mi sembri questo grande arcano sessuale indecifrabile.” alluse alla sua evidente natura omosessuale.

Sam gli lanciò immediatamente un’occhiataccia, mentre aprivano le portiere dell’auto.

“Non ho mica sbattuto le palpebre alla velocità di un colibrì o mostrato le mie unghie favolose. Sono abbastanza etero a primo impatto.

“Sam, smettila di attaccarti a queste stupidaggini. – roteò gli occhi, seccato – Ti ha scoperto, magari è solo un’intuizione da medico.” concluse, entrando in macchina.

Sospirando, Sam scosse la testa e lasciò stare, entrando in macchina.

 

*

 

Il mattino seguente, Eric mantenne la parola data e coinvolse i suoi amici in una telefonata di gruppo.

“Ragazzi, ci siete tutti?” domandò, mentre era ancora steso sul suo divano letto in soggiorno.

“Io ci sono! – esclamò Sam in maniera poco vivace, mentre si allacciava le scarpe – Scusate se ho la voce un pò sottotono, ma non ho chiuso occhio.”

“E chi chiuderebbe occhio dopo una serata come quella di ieri?” si aggiunse Nathaniel, mentre sorseggiava il suo caffè in cucina: aveva appena spento la tv.

Infine, anche Nolan fece sentire la sua voce, chiuso in bagno: “Eccomi, ci sono anch’io…”

Eric non perse tempo, dato che tutti loro dovevano andare a scuola e spiegò loro il motivo della telefonata: “Ascoltate, ieri non volevo rendere la situazione ancora più tesa di quanto fosse già, ma devo riaprire nuovamente il discorso sull’identità di A.”

“Di nuovo? – borbottò Nathaniel, esausto – Poteva trattarsi di Anthony quando su di noi pesava ancora un solo omicidio, quello di Albert: incastrarci per quello e lasciare Rosewood per sempre senza pagarne le conseguenze. Ma ora, perché aggiungerne un altro? Perché allungare il brodo sulla storia di un secondo crimine di cui Anthony stesso faceva parte? Dovrebbe già sapere chi è il suo complice, quindi di cosa stiamo parlando esattamente?”

Nolan prese parola: “Beh, Jasper doveva restare in prigione. La morte del francese è una conseguenza a quello che volevamo fare: tirarlo fuori!”

“Rider, anche tu? – si indignò Nathaniel, incredulo – Ragazzi, è una cosa assurda!”

“Sono confuso anch’io su questa storia, Nat. – si espresse anche Sam – Anthony tormentava Quentin esattamente come A fa con noi: con dei messaggini firmati con l’iniziale del suo nome. Magari faceva molto di più che mandare messaggi, non lo sappiamo. So solo che nei suoi occhi ho visto lo stesso sguardo che abbiamo noi ora.”

“Queste non sono prove sufficienti, potrebbe essere un emulatore che conosceva il modo di agire di Anthony, magari era proprio una delle sue vittime. E come già abbiamo intuito, le vittime di Anthony erano persone con un segreto, e Brakner ha un segreto: una relazione con una sua studentessa. Anthony lo tormentava sicuramente.”

Eric gli andò contro ancora una volta: “A è un bullo, ok? Esattamente come lo era Anthony. Agisce, parla e si comporta come lui, perché in realtà è Anthony che si nasconde sotto al cappuccio nero! A non è altro che il suo alter ego…e l’alter ego di una persona, per definizione, non è altro che l’estensione di un essere limitato: perchè la figura di A, così onnipotente e onnipresente, può spingersi dove Anthony non può.”

“Un po’ come Clarke kent e Batman. – pensò Sam – Clarke è costretto a limitarsi per mantenere nascosta la sua identità ai cittadini di Gotham city, perciò diventa Batman ed ecco che quel limite non c’è più.”

“Dannazione, ma vi sentite? – Nathaniel li riprese nuovamente, in disaccordo – Qui non siamo in un fumetto della DC comics, ok? E poi, cosa vuol dire che A parla come Anthony?”

Eric, allora, sputò il rospo: “Quando sono rimasto intrappolato in quell’auto, ieri sera, A mi ha chiamato al telefono; ovviamente con una voce camuffata. Quello che mi ha detto, però, non fa che farmi credere che dietro A ci sia lui.”

“E cosa ti ha detto?” gli domandò Nolan.

Se non esistessero gli specchi ti userei come riflesso della mia immagine. Questa è una frase che mi ha detto Anthony molto tempo fa e che Brakner non potrebbe mai conoscere.”

Tutti rimasero in silenzio, persino Nathaniel, dopo questa rivelazione.

Fu Sam a trovare il coraggio di dire qualcosa, sconvolto: “Ma allora è lui… Solo che... – aveva un dubbio - Chi diavolo c’è nella bara al posto suo?”

Nathaniel sospirò e tutti lo sentirono. Eric intervenne proprio per lui.

“Nathaniel, ascolta, so che questa bomba che ho appena sganciato ti ha letteralmente diviso in due rispetto alle tue convinzioni. E per questo, ho un modo per dimostrare che Brakner non è A e convincerti che dietro a tutto questo c’è solo Anthony.”

“Ovvero?” gli chiese.

“C’è una cosa che non vi ho detto: la sera del ballo, Alexis stava riportando Tasha alla macchina di Rider ed è inciampata sull’auto di fianco. Cadendoci sopra, le ha procurato un graffio e ha scoperto che sotto c’era un altro colore.”

“Non credo di seguirti…” si fece sentire Nolan, con un finto tono perplesso.

“L’auto era blu, ma in realtà sotto era rossa. E la macchina che ha investito Alexis era rossa.”

“Quindi quest’auto di cui parli è stata rivestita… – pensò Nathaniel – Ma a chi appartiene, esattamente?”

“Appartiene a Brakner.” rispose quello.

Il silenzio aleggiò nuovamente, rendendo sempre più forte la teoria di Eric.

“Alexis voleva sporgere denuncia proprio ieri e io ho cercato di fermarla quando ero ancora convinto che A fosse Brakner. Ora come ora, mi viene da pensare che questa non è altro che una classica mossa alla A: farci credere quello che lui vuole farci credere.”

Sam si ritrovò nel suo ragionamento: “In effetti è strano che la macchina di Brakner fosse parcheggiata proprio accanto a quella di Rider. Ed è strano che sotto sia rossa, esattamente come lo era il colore dell’auto che ha investito Alexis.”

“Amesso che questa sia una mossa di Anthony per farci credere che Brakner è A e sviare i sospetti da sé, quale sarebbe la prova del nove che eliminerebbe Brakner dalla nostra lista A?” Nathaniel era ancora abbastanza confuso sulle finalità dell’amico.

“Lo denunciamo! – spiegò Eric – Anthony ha posizionato questa trappola per convincerci che Brakner è A, ma allo stesso tempo sa che siamo troppo impauriti per denunciarlo sul serio e di conseguenza la situazione rimane in stallo.

Nolan fece un nuovo intervento: “Si, ma se Brakner non è A…sbaglio o stiamo mandando in prigione un uomo innocente?”

“E’ l’unico modo, Rider. Se A continuerà a tormentarci mentre Brakner è dietro le sbarre, avremo la prova che ho ragione.”

“In caso contrario, avremo messo A in prigione.” considerò Sam.

“E non vi sembra così troppo facile mettere A in prigione?” sottolineò Eric.

Ancora una volta, il silenziò si impadronì del gruppo. Eric diede l’ennesimo motivazione, soprattutto per convincere del tutto Nathaniel.

“Per tutto questo tempo, A ci ha tenuti in pugno con i video. Non li ha mai mandati alla polizia per un motivo: perché c’è anche lui in quei video ed è vivo e vegeto.”

“Ok, A è Anthony, ma vi ricordo che non era lui a girare il video ma un’altra persona. E lo stava facendo dall’interno di un auto non molto lontana da noi.” replicò Nathaniel.

“Già, è vero. – pensò Sam, nuovamente in dubbio - Questo come lo dobbiamo interpretare?”

Eric, però, ebbe una spiegazione anche a quello: “Io credo che chi ci ha filmati quella notte, abbia tentato di incastrare Anthony. Evidemente, però, gli è andata male: ricordate il filmato alla stazione dei treni? Noi pensavamo che A si stesse avvicinando ad Anthony per ucciderlo, ma… e se avessimo interpretato male quella scena? Questo ignoto deve averlo raggiunto per fargli sapere che aveva quei video e che l’avrebbe denunciato alla polizia.”

Fu Sam a fermarlo, adesso: “Ma abbiamo sentito Anthony urlare.”

“Potrebbe aver finto, per poi uccidere l’ignoto. Il filmato non mostra che Anthony viene colpito, ma si blocca improvvisamente.”

Nathaniel sembrò finalmente cedere: “Anthony dev’essere andato fuori di testa quando ha visto questa persona con una telecamera in mano e che lo riprendeva. Stava lasciando Rosewood e tutti avrebbero dovuto credere che fosse morto nell’incendio.”

“Quindi Anthony ha sostituito Albert con l’ignoto all’obitorio, non appena ne ha avuto occasione. Ed è l’ignoto ad essere nella bara.” concluse Sam, scioccato quanto gli altri.

La telefonata si concluse.

 

*

 

Dopo essersi preparato, Nathaniel scese nuovamente in cucina. Stavolta c’era sua madre, appoggiata con i gomiti sul tavolo che teneva una busta delle lettere in mano, molto pensierosa.

“Mamma.”

Quella rimise immediatamente il foglio dentro la busta, riponendola in un cassetto. Subito dopo finse un sorriso, cercando di mascherare il suo precedente stato d’animo.

“Primo giorno di scuola nella nuova scuola?”

“Sì, ma… - capì che c’era qualcosa che non andava – che cosa stavi guardando prima? Ti ho vista turbata.”

“Niente, Nathaniel. – sorrise con un angolo della bocca, avvicinandosi – E’ solo un estratto conto della mia carta. Non è mai una gioia vedere quante spese hai fatto senza rendertene conto.”

“Sicura?”

“Certo, sono sicura. – ostentò un’espressione rassicurante, per poi cambiare argomento – Piuttosto, visto che ho molto da fare con il mio salone e tuo padre è sempre al ristorante, perché non dai una pulita al garage? O perlomeno, spruzzaci dentro un prodotto per ambienti. C’è uno strano cattivo odore che proviene da lì.”

Nathaniel cercò di non impallidire, annuendo: “Ehm, certo, lo farò Domenica! – si schiarì la gola, a disagio – Beh, io adesso vado.”

E quella lo salutò con un sorriso, continuando a mantenerlo finchè non uscì dalla cucina. Dopo, divenne seria e tornò davanti al cassetto in cui aveva riposto dentro la lettera. La riprese in mano e ne uscì il contenuto: sul foglio c’erano immagini di Nathaniel che bacia Sam e altre in cui lo tiene per mano davanti alla scuola. Insieme c’era anche un messaggio.

 

“Le sue clienti avranno di che sparlare tra una messa in piega e l’altra, se si venisse a sapere. Ha due giorni per trovare diecimila dollari e impedire che tappezzi la città con queste foto.”

-Anonimo

 

La donna era alquanto sofferente nel guardare quelle foto, nonché spaventata dalla quella minaccia.

 

*

 

Nolan, intanto, era ancora a casa di Rider. Si stava gustando un bicchiere di succo di more in cucina. Improvvisamente arrivò Lindsey, pronta per uscire.

“Buongiorno sorellina!” la salutò, mentre quella recuperava le chiavi della sua auto.

“Rider, sei inquietante. – lo guardò storto, mentre si avvicinava alla porta sul retro - Smetti di usare quella parola.”

“Sai quando torna Papà?”

Quella si fermò, stranita dalla sua domanda: “E’ in viaggio, lo sai benissimo. Fa continue ricerche per il suo nuovo libro, quando può trovare quello che gli serve su internet.”

“E’ molto meglio ricavare informazioni sul campo che da internet. Rende tutto più autentico.” replicò marcando un sorriso risoluto, sorgeggiando il suo succo.

Lindsey abbandonò la sua espressione scontrosa e tornò indietro, mostrandosi preoccupata.

“Rider, ascolta, non posso continuare a fare finta di niente. Sei strano e mi chiedo se questo non c’entri con il ritrovamento di Albert.”

“Di cosa parli?” non capì, notando il cambio di espressione della ragazza.

“Ho mentito alla polizia su dove fossi quella notte. Ho dato per scontato che fossi a casa, così ho detto a loro che era così, ma so che non c’eri.”

“Come fai a sapere che non c’ero?”

Lindsey fu vaga, proteggendo Chloe: “Non importa come l’ho scoperto. Voglio sapere se sei coinvolto in questo casino. Per caso hai fatto qualcosa con Anthony quella notte? So che hai mentito alla polizia.”

“Pensi che l’abbiamo ucciso noi?”

“Non lo so, è così?”

“Certo che no. – scosse la testa con ovvietà – Abbiamo mentito perché…Insomma, direi che saremmo stati i primi ad essere sospettati, non credi? Quel giorno stesso ci avevano visto tutti litigare con Albert in mensa.”

“In realtà era solo Anthony a ligare con lui, quel giorno. Voi facevate le ombre.”

“E’ uguale, ok? Abbiamo avuto paura e abbiamo mentito. Se avessimo detto alla polizia che eravamo in giro, non ci avrebbero mai creduti innocenti.”

A quel punto, Lindsey si arrestò: “Quindi eravate solo in giro per conto vostro?”

“Esatto, ma senza Anthony. Solo noi quattro.”

“Stai comunque attento. Sei una delle persone più vicine a questo omicidio, perciò non fare altre cazzate con la polizia che indaga.”

Nolan restò sorpreso dalla preoccupazione di sua sorella che quasi faticava a crederci: “Ok. Grazie.”

“Non ringraziarmi. Ogni tanto devo fare la sorella maggiore, il compito più stancante del pianeta.”

Quello sorrise, cercando di essere spiritoso: “Non tanto maggiore visto che tra poco è il mio compleanno e che per circa sei mesi avremo di nuovo la stessa età.”

“Sono comunque più grande, Rider. – finse un’occhiataccia – Magari non mi ritieni abbastanza matura per la relazione che ho intrapreso e di cui ti sei sempre vergognato, ma ho messo piede a questo mondo prima di te e dovrà pur contare qualcosa, no?”

“E’ bello avere una sorella che si preoccupa. – sorrise sinceramente, perdendosi poi tra i suoi pensieri – Spero che Papà torni in tempo per il mio compleanno. Ho voglia di rivederlo.”

“Peccato che per il tuo compleanno, lui non ci sia mai stato. Ha sempre avuto qualcos’altro da fare in quel giorno.”

“Forse stavolta sarà diverso.” si mostrò fiducioso, lasciando Lindsey molto perplessa sui suoi atteggiamenti insoliti.

Quella, poi, notò che si era fatto tardi: “Beh, io devo andare. Devo riscalare la piramide sociale nella nuova scuola. Dicono che alla Northdale ci sia una ragazza che è praticamente identica a Bella Thorne, quindi mi preparo ad affilare le unghie.” e se ne andò, lasciandolo di nuovo solo.

Perso di nuovamente nei suoi pensieri, Nolan iniziò ad incantare il vuoto, come se si fosse ricordato di qualcosa. Improvvisamente si voltò verso il tavolo dove la famiglia Stuart solitamente pranzava.

Lentamente si avvicinò e poi si sedette. Restò comodo per qualche secondo, poi abbassò la testa sotto al tavolo, come se si aspettasse di trovare qualcosa. E infatti fu così: un piccolo aggeggio circolare era attaccato alla superficie.

Nolan lo staccò immediatamente da lì sotto e tornò su con la testa, appoggiando i gomiti sul tavolo. Dopo, avvicinò l’aggeggio alla bocca e iniziò a parlare.

“Ciao, Rider. Mi stai ascoltando?”

E infatti, dall’altra parte del microfono, lui era in ascolto. Non appena sentì la sua voce provenire da una delle bambole che aveva lasciato accesa, Rider si sollevò dal letto e la prese tra le mani per ascoltare meglio.

“Non so se mi stai ascoltando, ma sicuramente non potrai rispondermi…Tuttavia, se mi stai ascoltando, ti starai chiedendo senza dubbio cosa stia accadendo. Beh, quello che ti sta accadendo è semplicemente la mia vita. La vita di Nolan Stuart, internato al Radley alla tenera età di sei anni. – spiegò, il viso livido di rabbia e rancore – Una vita di sogni rinchiusi dentro a quattro mura, immaginando a come potesse essere la mia vita se non fossi stato rinchiuso lì dentro. – un sorriso malvagio prese possesso del suo volto – E sai una cosa? Ora, finalmente, so come sarebbbe stata la mia vita: esattamente così!”

Rider, che stava ancora ascoltando, aveva il viso che si contorceva dalla rabbia e il respiro rumoroso.

“Sto diventando così bravo ad essere te, Rider. Nessuno si è accorto della differenza e immagino che neanche i dottori l’abbiano notata – rise – Del resto, per loro sei solo un ragazzo che crede di essere nel posto sbagliato come tutti i matti sono soliti urlare mentre vengono sedati. – tornò serio – Ora, però, mi devi perdonare fratellino. E’ il mio primo giorno di scuola e gli Stuart sono sempre puntuali. – si alzò dalla sedia – Presto incontrerò nostro padre, Rider. E magari anche te, se A me lo permetterà…”

Nolan concluse ciò che aveva da dire e riattaccò il microfono sotto al tavolo, andandosene.

Rider gettò la bambola contro il muro, urlando furioso: “Goditi la mia vita, perché ti assicuro che verrò a riprendermela! – si mise le mani nei capelli, disperato – Non resterò qui ancora per molto. Riuscirò a fuggire, mi hai sentito? RIUSCIRO’ A FUGGIRE, NOLAN!”

Improvvisamente entrarono gli infermieri, che sentirono le urla.

“Si è liberato dal letto!” esordì l’infermiera, mentre gli altri lo prendevano per sedarlo.

“LACIATEMII, LASCIATEMI! – si agitò sempre più forte, mentre l’ago penetrava nel suo braccio – NOLAN, TE NE PENTIRAI! E ANCHE TU, A! LA PAGHERETE ENTRAMBI PER AVERMI RINCHIUSO QUI DENTROO!”

Gli infermieri si guardarono tra loro, chiedendosi di cosa stesse parlando.

Nel giro di pochi secondi, Rider divenne più docile e perse i sensi.

 

*

 

Eric stava portando giù le valige assieme a sua madre. Usciti dal Brew, attesero sul marciapiedi.

“Mamma, hai chiamato il taxy? – si voltò verso di lei, guardando l’orario sul suo orologio – E poi dov’è Papà? Avete il volo alle 8:30 e il gate chiude tra mezz’ora.”

Quella, con un cenno degli occhi, gli disse di guardare di nuovo sulla strada. All’improvviso vide arrivare un’auto che si parcheggiò proprio davanti a loro e dalla quale uscì suo padre.

Eric sgranò gli occhi, avvicinandosi a toccarla: “Ma questa è la mia auto... – alzò lo sguardo sul padre – Ma come cavolo hai fatto?”

Suo padre gli lanciò le chiavi, sorridendogli: “Ricordi cosa ti ho detto quando abbiamo venduto la tua auto?”

“Che me l’avresti ricomprata…” sorrise, ancora incredulo. Si girò verso la madre, poi, che sorrideva per lui.

“Ti va di accompagnarci all’aeroporto? E’ di strada per il college di Alexis.” suggerì lei.

“A dire il vero mi ha chiamato poco fa e mi ha detto che era meglio portare tutto qui dopo pranzo. E poi non c’è più tempo, rischio di perdere la prima ora di lezione.”

Suo padre, prendendo le valige per metterle in macchina, si affrettò per lui: “Allora non perdiamo tempo.”

 

*

 

Quando arrivarono in aereporto, più tardi, Eric aiutò i genitori a far uscire le valige dal bagagliaio ed era pronto a salutarli.

“Bene, è arrivato il momento.” sorrise loro.

“Già! – si commosse sua madre, sistemandogli i capelli e osservando il suo viso – Sappi, signorino, che ti chiamerò cinque volte al giorno e che sarà meglio che tu mi risponda tutte e cinque le volte.”

“Mamma, dai. - vide che la sua commozione stava degenerando – Non vi sto lasciando per sempre.”

“Beh, ci mancherebbe. E’ solo che…pensavo che saremmo stati con te fino alla fine del liceo, invece dobbiamo dirti addio con un anno di anticipo.”

“Tesoro, non è un addio. Non esagerare.” la richiamò suo marito.

“Oh, sta zitto Daniel! Lo sanno tutti che dopo il liceo, il lavoro di genitore diviene meno importante.” abbracciò il figlio, mentre quello si scambiava uno sguardo divertito con il padre per la melodrammaticità di Jennifer.

Eric si staccò, tranquillizzandola: “Mamma, ma voi sarete sempre importanti per me. Ok? Questo non è un addio.”

Quella lo fissò ancora, arrestando le lacrime: “Ricorda di usare il preservativo, tesoro. Non saremo importanti per te in quel senso.”

“Mamma!” esclamò imbarazzato, girandosi a ridere con suo padre.

Ora Jennifer si fece da parte, mentre si faceva avanti Daniel.

“Eric… - gli mise una mano sulla spalla – Per qualsiasi cosa, non esitare a chiamarci. So che te la caverai. Da quando sono qui, ti ho visto cambiato in positivo: hai messo la testa sulle spalle e sei già diventato l’uomo che pensavo saresti diventato più avanti.”

“Beh, sono sempre stato precoce nelle cose.” fu ironico, cercando di nascondere il magone.

Daniel divenne serio, lasciando un’ultima raccomandazione: “Ora sei solo, Eric. Forse adesso non te ne rendi conto, eccitato da questo improvviso cambiamento, ma la tua vita sta iniziando proprio in questo momento. Cerca di farla andare verso la giusta direzione e non permettere a nessun demone di deviare il tuo cammino.”

L’espressione di Eric si impietrì del tutto, dopo quelle parole. Era come se suo padre, incosciamente, avesse intuito che suo figlio stava già lottando contro il suo demone.

“Daniel, il gate sta per chiudere.” lo avvisò Jennifer, mentre quello si avvicinava a lei.

“Buona fortuna, figliolo. – gli diede un’ultima occhiata - Ti chiamiamo appena arriviamo.”

“Ti voglio bene, tesoro. Fai il bravo.” gli disse la madre, mentre iniziavano ad allontanarsi.

Eric li salutò con la mano, consapevole che era rimasto da solo con il suo demone e che doveva batterlo prima che il suo futuro prendesse una piega diversa.

 

*

 

Sam era appena uscito dalla sua classe, il suo primo giorno era quasi concluso. Era esausto e barcollava. Non riusciva a tenere gli occhi aperti e quando giunse in cortile, dove gruppi di studenti chiacchieravano o pranzavano per conto loro, si appoggiò ad una colonna.

Quando sembrò stare meglio, riaprì gli occhi e notò un volto conosciuto dall’altro lato del cortile: si trattava di Cameron.

“Questo dev’essere un fottuto scherzo. Non può essere.” sospirò incredulo, seccato di vederlo nella sua stessa scuola.

Continuò ad osservarlo, mentre chiacchierava in un punto abbastanza appartato con un altro ragazzo. Improvvisamente, vide uno scambio fra i due: Cameron aveva pagato quel ragazzo in cambio di qualcosa.

Incuriosito, Sam si ricompose e provò ad avvicinarsi. Cameron era rimasto da solo.

“Ma guarda chi si vede!” esordì, distaccato.

Cameron fu sorpreso di vederlo: “Mio Dio, quante probabilità c’erano che finissimo nella stessa scuola?”

“Per me zero, ma il mio karma la pensa diversamente.” replicò cinico.

“Sei isterico perché qui non c’è il tuo fidanzatino? Anche se ancora non ho capito se state insieme o che altro.”

“Non sono affari tuoi, piuttosto… - mise le braccia conserte, un tono improvvisamente imbarazzato – Ho visto che davi dei soldi ad un ragazzo. Che hai preso da lui?”

Quello sorrise compiaciuto: “Potrei dirti che non sono affari tuoi, ma… - dalla tasca tirò fuori delle pillole – Non sono così stronzo da dirti una frase del genere!”

“Sono anfetamine quelle?” gli domandò, guardandosi attorno per paura che qualcuno li vedesse.

“Rilassati, nessuno farà caso a noi.  – le rimise in tasca, notando che sembrava bramarle – Che c’è, ne vuoi una per caso?”

“E’ la prima volta che fai questa cosa?”

L’altro scoppiò in una piccola risata: “La prima? Ma se lo faccio dal secondo liceo. – notò poi la sua espressione stupita – Come pensi che faccia ad andare alle feste e a mantenere una buona media dei voti? Sarrebbe come vivere una doppia vita e nessuno è in grado di vivere due vite senza un piccolo aiutino. E queste magiche pillole fanno si che le due vite diventino una sola e che tu riesca finalmente a gestire tutto.”

A quel punto, Sam non sapeva cosa dire e quasi evitava il suo sguardo. Era come se volesse chiedergli qualcosa, ma non trovava il coraggio. Cameron ovviamente intuì cosa stesse accadendo.

“Rilassati, ti risparmio il dramma di pronunciare le fatidiche parole. – prese dalla tasca tre pillole e gliele porse – Non sembri in forma, ma vedrai che lo sarai.”

Sam le prese subito dalle sue mani. Tremava come se stesse commentendo un crimine e dopo essersi guardato attorno una seconda volta, tornò a parlare con lui.

“Quanto ti devo?”

“Niente, ti ho fatto un regalo. Se poi queste tre non ti bastano, posso parlare con il mio spacciatore.”

“No, non voglio fare questo tipo di cose. Non voglio essere etichettato, ok? Mi servono solo per questa settimana. – si giustificò, esausto - Ho tre test uno dietro e ho appena scoperto che la mia media è pari a quella del ragazzo che si scaccola seduto al banco in ultima fila.”

“Non sarai etichettato, te lo prometto. Le prenderò io per te, se lo vuoi.”

Sam deglutì, sempre più a disagio: “…lo voglio.” si decise, sapendo che ne aveva bisogno.

L’altro annuì, per poi fare di nuovo lo spiritoso: “Sono contento che tu abbia detto di si, ma non ho l’anello.”

Quello si girò e se ne andò, per nulla divertito dalla battuta.

“Un grazie sarebbe anche grandito, eh!” cercò di farsi sentire, ma quello non si voltò.

 

*

 

Intanto, alla Northdale, Nathaniel e Rider erano nel parcheggio e si stavano dirigendo verso l’auto.

“Mia madre stamattina si è lamentata dell’odore che c’era in garage. Com’è possibile che un cadavere inizi a puzzare così dopo una notte? Eppure ho riempito il bagagliaio di arbre magique!”

Nolan, però, stava pensando ad altro: “Quindi lo faremo stanotte?”

“Seppellire il cadavere, intendi? Certo, ne abbiamo parlato ieri sera mentre tornavamo a casa. Non posso mica tenerlo nella mia macchina.”

“Mi chiedo quando scoppierà la bomba.”

“Cioè?”

“Quando si accorgeranno della scomparsa del francese e le indagini inizieranno.”

“Ah… - Nathaniel cominciò ad avere paura – Beh, forse passeranno un paio di giorni. Non viveva con nessuno.”

“Sì, ma hai detto che era un importante artista a New york. Chi ci dice che domani non ci sarà una mostra dei suoi quadri?”

Quella frase spaventò ancora di più Nathaniel, mentre erano arrivati davanti al bagagliaio della sua auto: “Preferisco non pensarci, abbiamo un alibi di ferro: eravamo alla festa, abbiamo scattato molte foto, nessuna telecamera ci ha ripresi da Scranton fino a Rosewood.”

“E il messaggio che ti ha inviato A alla stazione di servizio? Sapeva che eravamo lì, può averci fotografati o filmati.”

A quel punto Nathaniel deglutì, si stava sentendo male: “Ti prego, smetti di parlare.”

“Scusa… – si mostrò dispiaciuto – E’ solo che questo non è il nostro primo rodeo, sappiamo come gioca A. Inutile far finta che non abbia qualcosa con cui incastrarci anche stavolta.”

“Beh, stavolta voglio credere che ne usciremo puliti da questo omicidio.” cercò di autoconvincersi, nonostante gli tremasse la voce.

Nolan sospirò, girandosi poi verso il bagagliaio: “…Posso sentire la puzza?”

“Dici sul serio?” la trovò una richiesta assurda.

“Sono curioso, non ho mai sentito la puzza di un cadavere!” insistette.

Ancora allibito da tale richiesta, Nathaniel si guardò attorno e poi accontentare l’amico, aprendo il bagagliaio. Una volta che ci guardarono dentro, però, non c’era niente.

Nathaniel restò paralizzato con lo sguardo: “Non può essere, mi rifiuto…”

“I cadaveri non evaporano, vero?”

L’altro si girò verso di lui, isterico: “Rider hai una laurea in tutte le materie del mondo e lo sai perfettamente che i cadaveri non evaporano. E’ stato A!”

Dopo si allontanò con le mani nei capelli, disperato, mentre Nolan fingeva di essere sconvolto quanto lui.

“Aspetta, ma… - Nolan richiamò l’amico, recuperando qualcosa dal bagagliaio – Qui c’è un bigliettino.”

Nathaniel tornò subito vicino a lui, scoprendone il contenuto.

 

“Mio il cadavere, mie le regole: preparate le pale, non prendete impegni. Stanotte si scava, stronzetti!”

-A

 

*

 

 

Uscito da scuola, Sam era fermo all’ingresso che aspettava qualcuno. Quando vide un’auto arrivare, quello mise subito la pillola in bocca; l’aveva fissata a lungo prima di prenderla. La mandò giù bevendo un sorso d’acqua dalla bottiglietta che prese dallo zaino e poi si avvicinò al marciapiedi: era Nathaniel.

Quando Sam entrò in macchina, Nathaniel non capì il motivo della chiamata.

“Che fine ha fatto la tua auto?”

“Ehm, è rimasta a secco. Con tutto quello che è successo, ho dimenticato di fare benzina.” spiegò in maniera forzata, come se stesse mentendo.

Nathaniel notò che era parecchio nervoso e che ticchettava il dito sulla gamba, guardando avanti senza guardare lui: “Sam, va tutto bene?”

Finalmente quello si voltò: “Ehm, sì, sono solo molto teso per tutta questa storia dell’omicidio e con il cambio di scuola ho scoperto di dovermi fare in quattro per non essere bocciato in almeno tre materie. Forse quattro.”

“Chiedi aiuto a Rider, no? Riuscirebbe a mantenere una buona media dei voti anche nel bel mezzo di un’ apocalisse.”

A quel punto, Sam scattò: “Non ho bisogno di aiuto, ok? Non ho difficoltà di apprendimento, non è quello il mio problema! La mia media dei voti non era perfetta, ma era comunque nella media. La causa del mio pessimo rendimento è A. – il suo volto era sofferente ora – Difficile studiare quando qualcuno ti minaccia 24 ore al giorno e la maggior parte del tempo sei fuori a trascinare cadaveri o rimanere intrappolato chissà dove.”

“Senti, ti vedo molto stressato e magari eviterei di darti maggiori preoccupazioni, ma… - tirò fuori dalla tasca il biglietto ricevuto da A e glielo consegnò – Devi trovare un modo per riprendere il controllo perché se uno di sbaglia, finiamo in galera.”

Dopo aver letto il biglietto, Sam lo gettò via afflito e disgustato, scuotendo la testa: “…Non posso credere che Anthony ci stia facendo questo.”

“Non sappiamo ancora se è lui. La teoria di Eric sembra molto convincente, ma finchè non c’è una prova schiacciante, ho bisogno impegnare tutte le mie forze per salvarmi la pelle.”

Sam si voltò a guardarlo: “Vuoi ancora patteggiare con A?”

“Se Brakner è A, non si farà mettere in galera così facilmente. Una piccola parte di me crede ancora che ci sia lui dietro a tutto questo, perciò voglio barattare la nostra libertà in cambio del misterioso complice di Anthony. E l’unico modo per scoprire la sua identità è parlare con Quentin.”

“Non lo so, non credo voglia parlare con noi.  - sospirò, pensieroso – Lavora nell’azienda dove lavorava il padre di Eric.”

“Sai dov’è?”

“Si, una volta io e Anthony accompagnammo Eric lì. Restammo in macchina ad aspettarlo e lui entrò nell’edificio per scoprire da suo padre come mai gli avessero bloccato la carta di credito.”

“Doveva essere il periodo in cui suo padre fu licenziato.”

“Credo di sì, perché quando tornò da noi aveva il volto pallido e gli occhi sgranati. – si sentì improvvisamente in colpa – Dovevo capirlo che Eric se la stava passando male, era la carta di credito aziendale che Anthony gli aveva suggerito di rubare a suo padre perché di qualche piccola spesa non se ne sarebbero mai accorti. Non poteva essere bloccata, a meno che non si venisse licenziati.”

Nathaniel gli mise una mano sulla spalla: “Non è colpa tua, non potevi immaginarlo.”

“Ma Anthony, sì. Dev’essere stato quello il momento in cui ha scoperto che la vita di Eric si era ribaltata.”

“Si, ma adesso sono le vite di tutti noi ad essere ribaltate. Mentre Eric porta la sua ragazza in centrale, noi occupiamoci del nostro salvaggente.”

Sam allora annuì, smettendo di piangersi addosso.

“D’accordo, andiamo.”

 

*

 

Trasportato con una carrozzina, Rider stava riprendendo i sensi. Uno degli infermieri lo portò nella sala ricreativa, dove c’erano molti altri pazienti: c’era chi faceva un puzzle, chi si faceva leggere un libro da un parente in visita e chi suonava al piano.

Mentre si guardava attorno, stordito, venne lasciato accanto ad una poltrona vicino al camino. Era talmente debole che non riusciva a muoversi, ma tra le varie persone che c’erano nella stanza, non tolse gli occhi di dosso da Ector Sherman: il primo infermiere che vide dal primo momento che aprì gli occhi al Radley e che gli sembrava sospetto.

Improvvisamente, una voce, distolse il suo sguardo da lui.

“Ci sono andanti giù pensante con te, eh?”

Quando Rider seguì la voce, spostò lo sguardo sul divanetto che c’era davanti a lui: vi era seduto un ragazzo, un altro paziente del Radley.

“Non parlarmi, grazie.” rispose in maniera apatica.

“Hai idea di quanto mi sia annoiato, mentre eri rinchiuso nella tua stanza? Sei il mio unico amico qui dentro.”

Rider sgranò leggermente gli occhi, interessandosi a lui: “Sai come mi chiamo?”

Quello restò esterrefatto: “Caspita, ti hanno davvero conciato male se non ricordi nemmeno il tuo nome.”

“Rispondi, dannazione!” esclamò, cercando di non alzare troppo la voce.

“Nolan Stuart! – esclamò seccato - Contento ora?”

L’altro abbassò lo sguardo, scioccato da quella conferma ai suoi pensieri: “Non può essere, non sta accadendo davvero…”

“Accadendo cosa?”

Risollevando lo sguardo, ignorò la sua domanda: “Come ti chiami?”

“Norman, idiota!”

“Ti prego, dimmi che non credi di essere Norman Bates o rischio di impazzire sul serio.” trovò assurdo, mettendosi le mani in testa per la disperazione.

“Sono Norman Anholt, idiota. – fece l’ennesima smorfia, stranito dal suo comportamento - Ora rivoglio il mio amico, dobbiamo parlare!”

“Non sono il tuo amico, ok? Non sono Nolan! – gli rivelò, esasperato – Mi hanno scambiato con lui.”

“Ma di che stai parlando?”

“Se Nolan è il tuo migliore amico, saprai anche che ha un fratello gemello.”

Quello roteò gli occhi, seccato: “Ecco che ricominci con questa storia che sei Rider. E’ inutile, hai già usato questa carta per lasciare questo posto e nessuno ti ha creduto.”

“No, stavolta è la verità. Sono Rider, non sono Nolan.” gli bisbigliò.

Norman lo fissò per diversi secondi con il volto serio.

“No, dai, smettila! Sembri quasi convincente.” non si lasciò abbindolare.

“C’è un modo in cui posso dimostrartelo?”

L’altro ci riflettè e finalmente seppe cosa chiedergli: “Ti sei operato di appendicite da piccolo. Se sei davvero Rider, dovresti non avere la cicatrice.” sorrise compiaciuto, convinto che non l’avrebbe messo nel sacco.

Rider sollevò la maglietta e abbassò leggermente il pantalone, dimostrando di non avere alcuna cicatrice. Norman spalancò la bocca e gli occhi, avanzando con la schiena.

“Ma non è possibile, come l’hai coperta?”

“Non l’ho coperta, non ho nessuna cicatrice!” ribadì, sbuffando.

Norman si estraniò dalla conversazione, fissando la parete, come se fosse rimasto male di qualcosa.

Notando quell’improvviso cambio di atteggiamento, Rider cercò di scoprire cosa avesse: “Norman, che succede?”

Quello si voltò nuovamente verso di lui, scuotendo la testa: “Ehm, niente, nulla! Piuttosto, perché sei ancora qui? Puoi dire della cicatrice.”

“Beh… - si guardò attorno – Magari fra qualche giorno. Purtroppo come apro bocca, mi infilano una serie di aghi nel braccio.”

“Si, ma non hai la cicatrice.” continuò Norman.

“Non posso andarmene, ok? – rivelò, secco - Devo scoprire delle cose!”

“Tipo cosa?”

“Delle cose su Nolan e sul mio passato. Prima di finire qui, non sapevo nemmeno che esistesse.”

L’altro abbassò lo sguardo, riflettendo per qualche secondo e poi lo risollevò: “Io so alcune cose…”

“Quanto dura la nostra permanenza nella sala ricreativa?”

“Non molto per quelli come te e me… – con lo sguardò gli indicò un ragazzo che abbracciava un orsacchiotto e ci parlava – Sanno che siamo in grado di ragionare e quindi…scappare!”

“Allora farai meglio a cominciare.” gli intimò, pronto ad ascoltare.

 

 

*

 

Parcheggiati davanti all’azienda in cui Quentin lavorava, Sam e Nathaniel fissavano l’ingresso in attesa che uscisse per la pausa pranzo. Dopo diversi minuti, finalmente lo videro uscire e immediatamente scesero dall’auto.

Mentre quello scendeva le gradinate, riconobbe subito Sam, che si stava muovendo verso di lui assieme a Nathaniel.

“Ancora voi? – prese il telefono – Adesso chiamo la polizia.”

Sam mise subito le mani avanti, cercando di calmarlo: “Quentin, ti prego, voglio solo parlare!”

“Parlare di cosa? Io non voglio avere nulla a che fare con te!” esclamò, mentre aveva il telefono all’orecchio.

“So che pensi che ti abbia fatto del male, ma non è così! – intervenì Nathaniel – C’è stato un equivoco, concedici dieci minuti per spiegarti.”

“E tu chi saresti? Un altro amico di Anthony?”

“Quentin, per favore. Solo dieci minuti, è importante. – lo implorò Sam, mostrandosi sinceramente a disagio – A sta tormentando anche me. Proprio come faceva con te, probabilmente.”

A quel punto, Quentin abbassò il telefono: “Ma di che stai parlando?”

“Andiamo da qualche parte, lascia che ti spieghi.”

Terrorizzato, non accettò: “No, da solo non vado da nessuna parte con voi.”

“Andremo in un luogo pubblico, ok? – gli suggerì Nathaniel per convincerlo – Ti offriamo il pranzo.”

Quello restò a fissarli a lungo, prima di accettare.

Più tardi, giunti con le proprie macchine, sedevano ad un tavolo dell’Apple rose grill: Quentin da una parte e Sam e Nathaniel dall’altra.

“Cosa intendevi con A sta tormentando anche me?  – chiese Quentin a Sam, mentre portava un pezzo di bistecca alla bocca – Ti stai ancora prendendo gioco di me?”

Sam, che non aveva ancora toccato il suo piatto, esattamente come Nathaniel, gli spiegò: “A quei tempi, Anthony mi chiese di scoprire se tu fossi gay. Sono uscito con te, ho scoperto quello che dovevo scoprire su di te e molto ingenuamente l’ho riferito a lui. Ovviamente non avrei mai immaginato che la cosa sarebbe degenerata in questo modo. Non lo conoscevo bene come ora. Non ho idea di cosa ti abbia fatto, ma sembra essere qualcosa di grave o non mi avresti attaccato in quel modo.”

“Puoi dirlo forte! – esclamò in maniera molto provata – Non riesco nemmeno a trovare le parole per descrivere quello che il vostro amico mi ha fatto.”

“E cosa ti ha fatto, esattamente?” gli chiese Nathaniel.

Quentin mise giù la forchetta, spostando lo sguardo fra i due: “Chi mi dice che già non lo sappiate? Chi mi dice che non siete qui per assicurarvi che non apra bocca su questa cosa con la polizia?”

“Quentin, noi non abbiamo nulla a che fare con questa storia, te lo posso assicurare. – ripetè Sam ancora una volta – Tu mi hai detto che ricevevi messaggi da Anthony, che si firmava come A. Inoltre hai insinuato che io potessi essere suo complice, quindi pensi che a tormentarti non fosse solo lui. Beh, anch’io sto ricevendo dei messaggi da A adesso. E visto che Anthony è morto, non posso che pensare che si tratti del suo complice.” mentì sull’ultima frase, sperando di fargli fare un nome.

“Quindi sei finito anche tu nel bosco?”

Sam e Nathaniel si guardarono, confusi.

“Nel bosco? Che significa?” domandò Nathaniel.

Quello abbassò lo sguardo, rendendosi conto che non sapevano davvero nulla: “Se ve lo raccontassi, non ci credereste.”

“Provaci, per favore. – continuò Sam – Siamo spaventati. A non tormenta solo me, ma anche i miei amici.”

“Immagino abbiate qualcosa da nascondere per proteggervi, visto che non siete andati alla polizia.”

Quelli titubarono e Nathaniel lo confermò.

“Sì, esatto. Non possiamo andare alla polizia, ma possiamo scoprire chi ci sta facendo questo. Abbiamo solo bisogno che tu ci racconti cosa è successo.”

Quentin si schiarì la voce, mettendosi comodo. Finalmente iniziò a parlare.

“Un giorno ho ricevuto il mio primo messaggio. Conosco il tuo segreto –A. Poi ho iniziato a riceverne altri e la cosa mi lasciava sempre più perplesso. Vuoi tenere stretto il tuo segreto? Ti basta conoscerne un altro per essere libero –A.”

I due ragazzi si guardarono nuovamente, sempre più coinvolti da quel racconto.

“Che vuol dire l’ultimo messaggio?” gli chiese Sam.

“Ora arriva la parte più interessante: pensavo fosse solo uno scherzo e non ho dato importanza a quei messaggini, ma dopo qualche giorno ho ricevuto più di un semplice messaggio. Mi ha chiesto di raggiungere un indirizzo o avrebbe distrutto la mia vita; sapeva che in qualche modo ero una persona emotiva e che aveva paura del giudizio altrui e che avrei fatto qualsiasi cosa. – spiegò – Così raggiunsi quell’indirizzo, ma non c’era nessuno. Solo un’auto vuota. Subito dopo ho ricevuto un messaggio che mi chiedeva di entrarci e io l’ho fatto.”

A quel punto della storia, Quentin sentiva come una presa alla gola. Faceva fatica ad andare avanti.

Nathaniel cercò di farlo continuare: “E che cosa è successo in quell’auto?”

L’altro alzò lo sguardò e finalmente trovò il coraggio di continuare: “Mi sono risvegliato nel bosco, non ero più in quell’auto.”

“Aspetta, devi aver saltato qualche passaggio. – lo fermò Sam, perplesso – Come sei arrivato dalla macchina al bosco? Chi è arrivato dopo?”

“Non è arrivato nessuno. Solo semplicemente svenuto, dopo essere stato inondato da un gas che partiva da sotto i sedili. – rivelò, mentre Sam si portava una mano alla bocca – Quando mi sono risvegliato, stava tramontando il sole e io ero nel bel mezzo di questo bosco. Man mano che camminavo e gridavo in cerca di aiuto, notavo delle cose strane: sopra gli alberi c’erano delle telecamere, dei ripetitori, dei riflettori…Sembrava di essere sul set di un film. A quel punto mi sono seriamente spaventato e ho iniziato a correre, finchè ho scoperto di non poter fuggire da quel posto.”

 I ragazzi erano spaventati da ciò che stavano ascoltando, nonché scioccati.

“Cosa ti impediva di lasciare quel bosco?” chiese Nathaniel.

“Un recinto elettrificato. Dei fili che segnavano un perimetro circoscritto e che arrivavano molto in alto. Non avevo modo di scavalcarli.”

“E dopo cosa è successo? – chiese Sam – Come sei riuscito a scappare?”

“Una voce ha iniziato a parlarmi attraverso i ripetitori. Mi chiedeva di raggiungere un altarino non molto lontano da me: questa voce era camuffata. Quando sono arrivato all’altarino, ho trovato un foglio e una penna. La voce ribadiva che se avessi scritto il segreto di un’altra persona su quel foglio, sarei stato libero di andare. In caso contrario, ne avrei pagato le conseguenze.”

Sam era sempre più agghiacciato: “E tu che cosa hai fatto?”

“Conoscevo solo un segreto e riguardava l’uomo a capo dell’azienda presso il quale ero stagista, il signor Lincoln. Tradiva sua moglie con la sua segretaria, ma non volevo finire nei guai e quindi non ho scritto niente su quel foglio. – raccontò, iniziando a tremare – Sono rimasto per due giorni in quel posto, prima di cedere. Mi terrorizzava di notte con dei suoni e avevo sempre la sensazione che qualcuno si aggirasse nei dintorni. E’ stato orribile.”

“Ma come facevi a sapere che fosse Anthony? – non capiva Sam – Ieri sembrava che ne fossi convinto.”

“Eri l’unico a cui avevo detto che ero gay e poi, durante la seconda sera, per qualche secondo ho sentito la voce originale attraverso il ripetitore. Dev’esserci stato qualche problema tecnico.”

Nathaniel intervenì in merito: “Ok, ma anche se fosse non conoscevi Anthony. Come l’hai scoperto?”

Quentin fissò Sam, mentre rispondeva: “Dopo quell’esperienza ho rivisto Sam e abbiamo mangiato in quel fast food, ricordi? – quello annuì – Tu sei andato in bagno e hai ricevuto una chiamata da questo tuo amico Anthony. Pensavo fosse una cosa importante e così ho risposto: la voce che ho sentito era identica a quella che ho sentito nel bosco.”

Sam si sentì tremendamente in colpa: “Quentin, se avessi saputo cosa avresti passato, non avrei mai aiutato Anthony. Non gli avrei mai rivelato le tue cose private.”

“Direi che il karma ti sta presentando il conto…” pensò, quasi dispiaciuto, pulendosi la bocca con il tovagliolo.

“Non ne hai idea, Quentin. – Sam annuì a quella verità con sofferenza - Non sarò stato in quel bosco come te, ma credimi se ti dico che A sta rovinando la mia vita.”

Nathaniel aveva qualche altra domanda: “Scusami ancora Quentin, ma non ci hai detto dove si trova questo bosco in cui sei stato portato.”

“Non l’ho detto, infatti. Non l’ho detto, perché non ho idea di dove si trovi. Sono stato riportato indietro allo stesso modo in cui sono stato portato: privo di sensi. Potrebbe trovarsi a dieci minuti da qui, come potrebbe essere a sei o sette ore da qui. Potrebbe trovarsi ad est, ovest, nord o sud, non ne ho davvero idea. So solo che dopo avermi riportato a Rosewood, mi ha minacciato di non dire niente a nessuno o mi avrebbe riportato lì per sempre.”

“E c’erano altre persone in questo bosco? – continuò Nathaniel - C’è qualcosa che puoi dirci, un indizio?”

“Nessuno, solo io. Questo non esclude, però, che ci non ci sia stato qualcun altro.  – spostò la sedia indietro, pronto ad alzarsi – Scusate, ora devo tornare a lavoro. Purtroppo non so dirvi altro, non so chi possa essere questo complice di Anthony.”

“Grazie per averci dedicato il tuo tempo. – Sam gli sorrise con un angolo della bocca – Mi dispiace per tutto.”

Quentin si alzò: “Ti sei scusato abbastanza. Per me è arrivato il momento di chiudere questo brutto capitolo della mia vita e andare avanti. Anzi, sono già andato avanti e va tutto a gonfie vele adesso. Spero che anche il vostro incubo finisca presto, vi auguro buona fortuna.” e se ne andò, lasciandoli con una sensazione di vuoto nello stomaco.

“E’ chiaro che in questo bosco ci siano state altre persone. – pensò Nathaniel, mentre erano ancora seduti a quel tavolo – Rosewood riservato è una raccolta di segreti, quindi chiunque ne faccia parte dev’essere stato in quel posto e ha barattato la propria libertà con un segreto come ha fatto Quentin.”

Sam era pensieroso: “Secondo te anche Albert è stato in quel posto?”

“Potrebbe essere, non ne ho idea.”

“Magari la persona che ci ha filmati quella notte è qualcuno che è stato lì.”

“Albert era con quella persona poco prima di essere investito da noi. Forse entrambi sono stati nel bosco ed entrambi hanno confessato il segreto di qualcuno per uscirne. Fatto sta che non sappiamo che tipo di permanenza hanno avuto. Quentin veniva torturato con dei suoni durante la notte, ma gli altri?”

“Non so cosa pensare, mi sento male ad immaginare questa seconda vita di Anthony. Non mi meraviglierei per niente se A fosse una delle persone che ha portato in quel bosco.”

Nathaniel capì che Sam era nuovamente in dubbio: “Ora non sei più così sicuro della teoria di Eric, vero?”

A si è vendicato abbastanza con noi per ciò che è successo ad Albert. Ora cerca vendetta per gli eventi legati al bosco e noi dobbiamo scoprire chi aiutava Anthony e consegnarglielo in cambio della nostra libertà. – era disgustato – Sono stanco di essere associato ad Anthony, non avrei mai potuto partecipare a questo abominio. Nessuno di noi.”

“Scopriremo chi è, ma adesso dobbiamo fermare Eric. – prese il telefono – Spero non sia già in centrale con Alexis, deve sapere cosa abbiamo scoperto.”

 

 

*

 

Seduti nella sala d’attesa della centrale, Eric stava stringendo la mano ad Alexis.

Quella si girò a guardarlo, sorridendogli con un angolo della bocca: “Grazie per avermi accompagnata. Da sola non riuscivo a farcela.”

“L’importante è che ora cattureranno la persona che ti ha investita. – le sorrise anche lui, cercando di rasserenarla – Presto ci diranno qualcosa, vedrai.”

“Ci stanno mettendo troppo. Quando potrà mai durare un arresto? – era nervosa – E se fosse scappato?”

Eric non ebbe nemmeno il tempo di risponderle che il detective Costa si avvicinò a loro. Subito lanciò un’occhiata schiva ad Eric, prima di rivolgersi a lei.

“Alexis, puoi seguirmi nel parcheggio?”

Eric lo trovò strano: “Seguirla nel parcheggio? Perché?”

“Ha fatto una denuncia molto importante e il diretto interessato è stato scortato qui assieme alla sua vettura. – spiegò – Seguitemi.”

I due si alzarono, Alexis guardò Eric spaventata e quello le tenne la mano, rassicurandola con il suo sguardo. Poi seguirono il detective Costa.

Giunti nel parcheggio, c’erano Brakner e due poliziotti fermi davanti all’auto in questione. L’uomo era abbastanza seccato e puntò subito Alexis.

“Credi davvero che sia stato io ad investirti? Come ti è venuto in mente?”

Costa lo richiamò: “Qui parlo io, ok?”

“Avete controllato la macchina? – domandò Alexis ai poliziotti, agguerrita – Questo non è il suo colore originale, basta graffiarla per far venire via il rivestimento.”

Brakner sgranò gli occhi: “Ma di che diavolo sta parlando questa pazza? E’ follia!”

Intervenne Eric: “Ehi, bada a come parli di lei!”

“Zitti tutti e due, ok? – disse Michael a loro, per poi rivolgersi ad Alexis – Ascolta, abbiamo controllato la macchina e quello che ci hai detto non ci risulta. Non c’è nessun rivestimento.”

Alexis sbigottì, guardandosi con Eric: “No, non è possibile. So che cosa ho visto quella sera. – si avvicinò all’auto – L’ho graffiata proprio qui e... -notò con grande sorpresa che in quel punto era come nuova – Ma non è possibile, deve aver fatto qualcosa!”

“Si, certo, avrei coprato una nuova macchina con il mio stipendio da attore di Hollywoodiano?” sorrise ai poliziotti, sarcastico.

Alexis pensò che si stesse prendendo gioco di lei, così provo a graffiarla con le chiavi.

“Ehi ehi, ma che cavolo fai?” si avvicinò bruscamente per fermarla, ma lo fecero i poliziotti.

“Vi dico che questa macchina è rossa, non è blu. – ribadì Alexis - So quello che ho visto, il numero di targa è identico a quello della macchina che ho visto al ballo degli ex studenti!”

Eric tirò via Alexis, vedendola alterata.

“Purtroppo non ci sono prove sufficienti per denunciare il signor Brakner. Potevamo arrestarlo se la sera del suo incidente avesse dato alla polizia il numero di targa del suo assalitore. Non solo non abbiamo il numero di targa, ma questa macchina non è nemmeno rossa come quella che l’ha investita.”

Quella non sapeva che dire, livida di rabbia, mentre Eric prendeva le sue difese: “E’ così che ci aiuta la polizia di Rosewood?”

“Beh, non arrestiamo gente a caso. Ci vuole un indagine accurata, come quella che stiamo facendo con voi.” replicò il detective.

“Con noi? – Eric non capì - Noi chi?”

Michael continuò a fissare Eric in maniera pungente, come se volesse intimidirlo e metterlo a disagio: “L’omicidio di Albert Pascali ha molti sospettati, signor Longo. Potrebbe meravigliarsi di quanta gente abbia puntato il dito su di lei e i suoi amici, ma non per questo la posso mettere in galera. Per quello servono delle prove concrete.”

 Brakner, in tutto questo, si mostrò assai seccato: “Sentite, posso andare o devo ancora restare qui?”

“Può andare!” esclamò Costa, staccando quello sguardo intimidatorio da Eric.

Stanca di stare lì, Alexis prese la mano di Eric: “Andiamocene, non voglio restare qui un minuto di più. Ho commesso uno sbaglio a cercare di tutelare me stessa, a quanto pare.”

Mentre Brakner se ne andava e i poliziotti tornavano dentro la centrale, Costa rimase a fissare i due ragazzi che si allontanavano. Sempre con quell’occhio sospettoso.

 

 

*

 

Nel frattempo, al Radley, Rider e Norman  si erano distaccati per non attirare troppo l’attenzione. Quando tornarono a sedere, ripresero il discorso.

“Stanno per riportarci nelle nostre stanze. Allora, cosa sai su Nolan?”

“Non molto, solo che è stato internato qui a sei anni perché ha cercato di affogato il figlio dei vicini che ne aveva quattro. E che suo padre ogni anno prende un permesso speciale per farlo uscire di qui in occasione del suo compleanno.”

Sconvolto dalla vicenda dell’affogamento, Rider si focalizzò sull’ultima cosa: “Aspetta, mio padre fa uscire Nolan tutti gli anni per un giorno?”

“Si.”

“Per questo mio padre non c’era mai a tutti i miei compleanni. Perché doveva stare con Nolan.” riflettè su questo, trovando finalmente una spiegazione a quelle mancanze.

Norman gli ricordò un’altra cosa: “Il compleanno di Nolan è…”

Ma Rider non lo fece completare, perché già lo sapevo: “Il 23 Novembre! Anch’io compio gli anni in quella data. - e si fermò pensare – Quindi fra tre giorni mio padre verrà qui.”

“Beh, fino ad oggi non ha mai saltato un suo compleanno. Quindi sì.”

Ora pensò fra sé e sé: “Ho tre giorni per scoprire qualcosa sulla donna in rosso della foto. – poi si voltò verso Norman – Tu sai qualcosa della donna in rosso? Nolan ti ha mai parlato di una donna con mio padre in una foto?”

Quello scosse la testa: “No, mi dispiace. Anche se Nolan e io siamo amici, lui non si apre molto.”

Rider restò a fissarlo, preoccupandosi di lui: “Come mai tu sei qui?”

“Sono stato internato qui tre anni fa. – spiegò, improvvisamente apatico e cupo – Volevo a tutti i costi degli amici, ma nessuno mi voleva. C’era un gruppo in particolare di cui volevo fare parte al liceo e ne ero così ossessionato che…”

Ma non potè finire di raccontare la storia, perché arrivò una delle infermiere.

“Norman è ora di tornare nella tua stanza.” lo avvertì.

Quello si alzò, tornando improvvisamente allegro: “Ciao Nolan, ci vediamo domani mio unico amico.” e dopo seguì la donna.

Rider restò agghiacciato da quel racconto, che di sicuro non avrà avuto un bel finale. Seduto ancora lì, presto sarebbe tornato in camera anche lui.

 

 

*

 

Ormai era buio a Rosewood quando Eric scese dalla macchina per comprare qualcosa al take away. Stava aspettando la sua ordinazione, quando improvvisamente ricevette un messaggio.

“Nel dubbio rimarrai, finchè il mio vero volto non vedrai. E quel giorno è più vicino di quanto pensiate.”

-A

 

 

SCENA FINALE

 

A era tornato all’autodemolizioni dove aveva attirato i quattro ragazzi. Aveva appena aggangiato una macchina e la stava protando dentro la pressa, seduto ai comandi del braccio meccanico. La macchina era completamente rossa, ma aveva alcuni punti in cui era ancora blu: si trattava della macchina in cui Alexis si era imbattuta la sera del ballo e ora A la stava distruggendo, dopo averne rimosso il rivestimento.

 

CONTINUA NEL TREDICESIMO CAPITOLO

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 15
*** 1x14-La quiete prima della tempesta (Parte I) ***


CAPITOLO QUATTORDICI

“This Game Keeps ChAnging (Part I)”

 

Era una soleggiata mattina domenicale, quella a Rosewood. Una donna, nella sua cucina, stava preparando una torta. La finestra era aperta e una fresca brezza fece ondeggiare la tenda, mentre ella sbatteva le uova.

Quando la torta fu ormai in forno, quella stessa brezza fece arrivare il suo odore in tutte le stanze della casa.

Dopo aver pulito la superficie sulla quale aveva pasticciato, la donna si sedette e iniziò a leggere,  nell’attesa che la torta fosse pronta.

Imrovvisamente, un ragazzo entrò in cucina: era Sam.

Sorpreso nel trovare lì quella donna, si pietrificò non appena varcata la soglia.

“Mamma?!” esclamò, sgranando gli occhi.

“Ciao, Sam… - alzò lo sguardo, accogliendolo con un ampio sorriso – Ma guarda quanto sei cresciuto.”

In quell’istante, Sam avrebbe voluto correre da lei, piangere, ma nulla di questo li era possibile. Non ci riusciva. Così si guardò attorno, osservando la stanza, notando come una sorta di atmosfera velata, surreale.

“Mamma, dove siamo? Non può essere un sogno, sembra così vero…”

“Puoi far finta che non lo sia e venire a sederti qui davanti a me? – continuava a sorridere, tenendo ancora quel libro fra le mani -  Nulla dura per sempre, Sam. Non perdere tempo.”

Quello annuì, sedendosi sullo sgabello, davanti a lei.

“E’ così bello vederti…Sembra quasi che tu non te ne sia mai andata via.” restò lì a contemplarla.

“Sto facendo una torta, ti va di aspettare con me?”

“Ho paura di non avere tutto questo tempo.”

“Non pensare al tempo, Sam. – si rattristò, osservando della sofferenza in suo figlio – Devi farti forza e affrontare tutto ciò che sta per accadere. Credimi, non è ancora finita e non sarà facile.”

I suoi occhi divennero lucidi: “Dimmi solo se tutto questo avrà una fine.”

“La avrà, di questo puoi esserne certo. Ma una per una parte di te non sarà mai finita ed è questo che mi addolora. Lui resterà per sempre nei tuoi ricordi, così indelebile.  – iniziò a piangere, mettendosi una mano davanti alla bocca – Vorrei tanto che tutto quello che ho visto sul tuo futuro, non si avverasse. Ma non si può fermare il destino, tanto meno cambiarlo.”

Anche Sam versò le sue lacrime, in pena per il suo futuro: “Mamma ho così tanta paura, vorrei che tu facessi il giro di questa tavola e venissi qui ad abbracciarmi.”

“Non posso, ma vorrei tanto…”

Sam si asciugò le lacrime, mentre sua madre tornò a leggere quel libro.

“Mamma, che stai leggendo?”

Giovani, carine e bugiarde… - rispose, dopo essersi ripresa da quel momento di sconforto – Parla di quattro ragazze tormentate da qualcuno di cui non conoscono l’identità.”

“E’ una storia che già conosco, questa. La sto vivendo.”

“Ne hanno passate così tante, ma non sono così vicine come lo siete voi. Manca davvero poco.”

“Tu lo sai chi è A? Sai chi è che ci sta facendo questo?”

“Certo che lo so… - abbassò lo sguardo, impotente – E avrei tanto voluto che lo capiste, ogni volta che era davanti a voi.”

“Come possiamo capire?”

“Non è così difficile cercare delle risposte, Sam. Moltre volte le si possono trovare proprio dove il mistero ha avuto origine.”

“La morte di Albert? E’ lui che A vuole vendicare, tutto è partito da quel momento.”

“E’ tutto collegato, Sam. Presto saprete ogni cosa. – si alzò dalla sedia, poggiando il libro – Ora devo sfornare la torta, tesoro. Devo andare.”

Sam voleva quasi fermarla, ma non riusciva a muoversi, come se non avesse il controllo sul suo corpo: “No, Mamma, aspetta… Non voglio lasciarti di nuovo…”

In quel momento, si svegliò di colpo da quello che aveva capito essere davvero un sogno.

Quando si sollevò dal letto, silenziosamente, Wesam era in canottiera bianca davanti alla finestra della stanza in cui si trovavano. Era a braccia conserte e pensieroso, mentre il sole stava sorgendo.

“Buongiorno…” si rivelò, facendolo voltare.

“Ehi, ti ho svegliato?”

“No, mi sono svegliato da solo. – un sorriso malinconico, lo sguardo basso e assente - Stavo sognando…”

Wesam si avvicinò, sedendosi sul bordo del letto, attento al suo viso.

“E che cosa stavi sognando?”

“Ho sognato qualcuno che non fa più parte della mia vita, qualcuno a cui tenevo molto…ed è stato strano. – pensò, assorto nei suoi pensieri – Nei sogni incontri molti fantasmi, ma in quel momento non sai che sono fantasmi. E sono lì che ti parlano, e tu parli a loro…ed è come se non fossero mai andati via. – sollevò lo sguardo, gli occhi lucidi – Era mia madre, ed era belissima.”

Quello sorrise, poggiando la mano sulla sua caviglia: “Non poteva essere altrimenti.”

“Ricordo poco del sogno che ho appena fatto, ma era come se mia madre mi stesse avvertendo sul futuro. Che tutto sarebbe diventato più difficile, che dovevo rallentare e tenermi stretti fino all’ultimo i momenti felici… - una lacrima solcò il suo viso – La vita diventa più complicata quando cresci, ma non immaginavo fino a questo punto.”

Wesam si fece immadiatamente più avanti, prendedogli le mani, triste nel vederlo sofferente: “Ascolta, questa non è la solita e difficile vita. Questo è un limbro crudele nel quale tu e i tuoi amici siete bloccati, ok? Ed è arrivato il momento di trovare una soluzione per uscirne.”

“Come, Wesam? – urlò - Come? Ti ho raccontato tutto per filo e per segno e sai benissimo che non c’è nulla che si possa fare per uscirne.”

“Non pensare che me ne starò con le mani in mano, riuscirò a trovare un modo. – ora aveva gli occhi lucidi anche lui – Quando ieri sera hai iniziato a raccontarmi di A, pensavo quasi che fosse uno scherzo. E quando ho realizzato che non lo era, mi è letteralmente mancato il fiato: come possono quattro ragazzi di soli diciassette anni aver sopportato tutto questo?”

“Credimi, non lo so nemmeno io. – era in lacrime - Tutto questo va avanti da almeno tre mesi e non riusciamo a farlo smettere.”

“E questa Julie di cui mi hai raccontato, non ha fatto nulla per aiutarvi?”

“Lei non sa che abbiamo ucciso Albert, non sa tutto quello che sai tu. Voleva aiutarci, ma non glielo abbiamo permesso. Pretendeva che le raccontassimo tutta la verità o non l’avrebbe fatto.”

“E?”

“E adesso si è trasferita, non la sentiamo dalla sera in cui A ci ha attirati a Screnton per buttarci addosso il cadavere di Edward. Dovevamo incontrarci con lei, ci aveva dato un ultimatum.”

“Capisco…” replicò pensieroso, come se li frullassero mille cose per la testa.

“Ehi, a che stai pensando? – temeva una sua qualche sciocchezza – Ti prego, se inizi a fare così mi spaventi. Gli altri mi ammazzeranno per avertelo detto e ora me ne sto pentendo perché non volevo coinvolgerti.”

“Sto pensando a come aiutarti, è ovvio!”

“Wesam, per favore, non farmi pentire di averti confidato questa cosa.”

Quello allora si alzò bruscamente, sgranando gli occhi: “Confidato? Sam, questo non è un segreto che devo mantenere e tornare alla mia vita normale. Non quando so che qualcuno cerca di incastrarti, torturarti o, peggio ancora, ucciderti… - lo fissò dritto negli occhi con apprensione - Devo fare qualcosa!”

“Cosa, Wesam? – alzò anch’egli la voce - Cosa vuoi fare esattamente?”

“Per adesso non lo so, sono in difficoltà dal momento che non posso chiedere aiuto alla polizia.”

“Wesam, ascolta… - disse più calmo - se ti ho raccontato di A, è perché prima o poi ci saresti arrivato da solo. Mentirti è stato difficile, sei molto attento, ma…è meglio se ne resti fuori. Il mio è stato anche uno sfogo, ero al limite.”

“Ed era anche ora, Sam. – lo rimproverò – Il fatto è che forse non vi rendete conto del punto a cui siete arrivati. Per voi è diventata quasi la normalità vivere così.”

Sam retraette la testa, basito: “Cosa pensi, che abbiamo una sorta di sindrome di Stoccolma? Mettiti nei nostri panni, siamo spaventati dalle conseguenze.”

“Avete i messaggi nei vostri telefoni, potete mostrarli alla polizia.”

“E i video che A ha su di noi? Non mostrano Anthony che investe Albert, ma mostrano noi intorno al suo corpo dopo l’incidente. Poi mostrano sempre noi cinque che lo trasciniamo, poi gli diamo fuoco - illustrò la realtà dei fatti, lasciandolo inebetito – Tu ci andresti alla polizia con quello che A possiede su di noi? O dopo tutto lo schifo che abbiamo accumulato?”

“Beh, siete anche delle vittime…”

“Quando si tratta di giustizia, la situazione potrebbe ribaltarsi peggio di quanto non credi.”

“E io che faccio adesso? – sollevò le spalle, impotente – Voglio aiutarti sul serio.”

“L’unico modo in cui puoi aiutarmi è stando lontano da me. – replicò sofferente nel dirlo - Non voglio che A ti prenda di mira, non voglio che la prossima settimana sia tu che debba seppelire nel bosco.”

I due restarono a guardarsi. Wesam sospirò combattuto, ma non poteva opporsi.

“Vuoi che ti riporti a Rosewood?”

“Fuggire per un paio d’ore non serve a nulla, perciò…”

“Allora vado a farmi una doccia, poi partiamo.”

Sam, però, lo fermò prima che potesse avviarsi: “Ehi, aspetta, qui non c’è nessuno che possa riconoscerci. Giusto?”

“Siamo al Lost wood resort, Sam: vieni qui per non essere trovato. – sorrise con un angolo della bocca – Siamo al sicuro, tranquillo. Nessuno verrà mai a sapere che abbiamo passato la notte insieme.”

Anche Sam accennò un sorriso, più tranquillo: “Devo farmi una doccia anch’io, non credo di aver voglia di passare a casa finchè mio padre non esce. Voglio prendere lo zaino al volo e andare subito a scuola.”

“Allora faccio prima io, poi tu.”

“Non c’è bisogno di perdere tutto questo tempo, possiamo farla insieme. – disse, imbarazzandolo – Arrivo tra un secondo, tanto le tubature di questo posto ci metteranno sicuramente  un po’ a far scendere l’acqua calda.”

“Ehm, ok…” non riuscì ad aggiungere altro per quanto fosse imbarazzato dalla sua audacia e il suo sguardo.

Quando Wesam si chiuse in bagno, Sam controllò il telefono e aveva un messaggio in segreteria: era di Nathaniel.

“Sam, dobbiamo parlare. Prima della scuola mi vedo con Eric, saremo al Coffee star tra un quarto d’ora. Ti prego, vieni.”

Quello tolse il telefono dall’orecchio, indeciso sul raggiungerlo.

 

*

 

Più tardi, quando avevano lasciato la stanza, Sam stava aspettando Wesam vicino alla moto mentre quello faceva il check out.

Improvvisamente, la porta dalla camera numero due uscì un ragazzo al quanto trasandato e dal passo nervoso. Portava il cappuccio della ferpa sulla testa.

Sam restò a fissarlo, mentre quello prendeva qualcosa al distributore automatico. Ad un certo punto, il ragazzo tirò un pugno contro il vetro.

“Cazzo, avanti! – esclamò, scuotendolo – Scendi, forza!”

Leggermente turbato, Sam spostò lo sguardo su Wesam che lo stava raggiungendo.

“Ho fatto, possiamo andare. – gli fece sapere, per poi seguire il suo sguardo – Che stai guardando?”

“Niente, a quel ragazzo non scendeva qualcosa dalla macchinetta. – smise di fissarlo, mentre quello tornava nella sua stanza - Andiamo, dai.” e salì dietro Wesam, mentre quello aveva già messo in moto.

I due lasciarono il Lost wood resort in fretta.

Intanto, nella stanza due di quel motel, quel ragazzo tolse il cappuccio: si trattava di Norman.

“Il mio primo giorno sulla terra dopo tanto tempo e un distributore automatico voleva già fottermi.”

Seduto sul letto c’era Rider, che lo fissava in malomodo.

“Non sarà l’unico a fotterti se non fuggi via da Rosewood e mi lasci andare.”

“Mi stupisce che tu non sia scappato mentre ero via.”

“Beh, hai detto che se provavo a scappare avresti iniziato a lasciare una scia di cadaveri. Non ho altra scelta.”

L’altro non lo comprendeva, facendo una smorfia confusa: “Ma che ti importa delle persone?”

“Mi importa perché non sono matto come te.”

Norman rise: “E’ colpa delle persone se sei finito in un manicomio. Tutte le cose brutte che ci accadono sono sempre colpa di qualcuno.”

“Ma non di tutti. Quell’infermiera non meritava di morire.”

“Devo ricordarti come ti hanno trattato? Le cinture, le iniezioni. Insomma, siamo pazzi non animali.”

“Vuoi vendicarti del tuo amichetto Nolan che è fuggito via senza di te? – fu sfrontato - Bene, fallo, ma lasciami andare senza altre minacce!”

“Quindi mi stai dicendo che non vuoi vendicarti di Nolan? Eppure è per colpa sua se sei finito al Radley.”

“Mi vendicherò tornando a casa mia e facendolo sbattere di nuovo lì dentro, perciò lasciami andare!”

Norman iniziò a camminare avanti e indietro, non molto permissivo: “Purtroppo mi sono imbattuto nella radio del custode e…la polizia mi sta già cercando. Tu sei la mia garanzia per restare qui fuori finchè non incontro Nolan, capisci?”

Un espressione di perplessità invase il volto di Rider: “Volevi dire che CI STA cercando, no?”

“A quanto pare di me c’è una foto, mentre di te hanno fornito solo una misera descrizione fisica. Evidemente tuo padre ha fatto qualche magia perché non vuole che si sappia che ha un figlio segreto rinchiuso in un manicomio. – simulò un espressione disgustata - Forse teme che possa intaccare la sua carriera da scrittore.”

Rider abbassò lo sguardo, parlando sottovoce tra sé e sé: “O forse non vuole che io e Lindsey conosciamo la verità. Mio padre dev’essere tornato in città per il compleanno di Nolan…”

“Hai detto qualcosa?” si voltò verso di lui.

Quello alzò lo sguardo, fingendo di non aver detto nulla: “E’ solo il mio stomaco che prontola.”

“Tieni! – gli lanciò una merendina presa al distributore – Mangia in fretta, abbiamo delle cose da fare.”

“Tipo?”

“Tipo vendere quello che c’è dentro la macchina che abbiamo rubato e raccimolare qualche soldo.”

“Soldi per fare cosa?”

“Per comprare un arma! – esclamò, accennando un sorriso malato – E ora mangia, forza!”

Ma Rider non aveva fame, il suo volto impallidì di colpo.

 

*

 

Al coffee star, una caffetteria fuori Rosewood, Nathaniel ed Eric si stavano allontanando dal bancone con i loro caffè per sedersi ad uno dei tavoli.

“Che significa che adesso A sta perseguitando Alexis?”

“Non ne ho idea, so solo che c’è un messaggio minaccioso per lei inciso su un lato della mia auto. Ho dovuto prendere la macchina di Todd per andarla a prendere. – sbuffo, preoccupato – Inizio a pensare che tu e Sam abbiate ragione, dev’essere davvero Brakner che ci sta facendo questo. Alexis ha cercato di denunciarlo ed ecco le conseguenze.”

Anche Nathaniel aveva l'umore a terra: "E intanto il Detective Costa ci sta con il fiato sul collo. Credo non si sia bevuto nessuna delle nostre bugie."

"Ma come fa ad essere certo che abbiamo ucciso Albert? E' pure un sensitivo, ora?"

"Sensitivo o no, sta mettendo insieme i pezzi. Non oso immaginare quando verrà fuori che Edward è scomparso, ormai sono passati due giorni da quando A l’ha ucciso."

Eric si toccò la fronte con una mano, in preda ad un emicrania: "Non ricordarmelo o mi verrà in mente anche la notte in cui l'abbiamo seppellito. E' stato assurdo."

Dopo qualche secondo di silenzio, Nathaniel riprese parola su qualcosa che gli era appena venuta in mente.

"Ehi, hai sentito di quel ragazzo scappato dal Radley che ha ucciso una delle infermiere? Ne parlavano al notiziario quando sono uscito di casa, ora gli assassini in libertà sono due."

"Peccato che Jasper non sia né un assassino né libero. E comunque, io non l'ho proprio accesa la tv, ma credo di averlo sentito alla radio mentre accompagnavo Alexis alla Hollis. - guardò l'orologio - Alle quattro devo passare a riprenderla per portarla alla tavola calda."

"Sei il suo autista adesso?"

"Non ho altra scelta, è colpa mia se ha perso il suo lavoro al Brew. E il Brew era molto più vicino alla Hollis rispetto al posto dove lavora ora."

"Non hai paura che Alexis incroci Todd mentre sale al vostro appartamento e scopra che Todd in realtà non la voleva licenziare dal suo posto al Brew?"

"Continuamente! - esclamò stressato - Ma non posso dirle che A mi ha praticamente costretto a prendere il suo posto e a mentire. Inoltre è convinta che tra noi e Brakner ci sia qualcosa di strano e devo combattere anche su quel fronte."

"Beh, devi fare qualcosa per tenerla a bada o A se la prenderà con lei per davvero."

Ora Eric era pensieroso: "Non so che fare, la sera del ballo volevo lasciarla, ma non ce l'ho fatta. Rompere con lei sarebbe stata l'unica soluzione per allontanarla da questa storia e proteggerla, ma ora vive con me e miei genitori mi hanno praticamente affidato a lei."

“Non so davvero come aiutarti, Eric. – imbronciò, triste per l’amico – Mi dispiace.”

Intanto, dall’altro lato della strada, Sam aveva appena parcheggiato. I suoi capelli erano ancora umidi, mentre venivano colpiti dal forte vento che si era appena alzato. Con il telefono all’orecchio, stava attraversando.

“Ehi, Cameron, sono io…Sono Sam…”

“Il mio numero nella tua rubrica, che onore!”

Quello schiarì la voce, imbarazzato: “Senti, non è che potresti procurarmi altre…”

“Anfetamine?”

“Sì, proprio quelle. Le mie sono già finite e ho davvero tanto studio da recuperare.”

“Ok, dove te le porto?”

Sam restò spiazzato, fermo davanti al coffee star, non aspettandosi tanta immediatezza: “Ah, le hai già?”

“Sono Cameron Ashcroft, non rimango mai a corto di qualcosa.” rispose con ovvietà.

Sam alzò lo sguardo, notando gli amici che lo fissavano dall’interno della caffetteria: “Senti, ci vediamo dopo a scuola, ok? Ciao!” e chiuse di colpo la chiamata, entrando.

Quando si avvicinò al tavolo e si sedette, finse di non avere gli sguardi addosso: “Come mai questa piccola riunione?”

Perplesso, Nathaniel gli rinfrescò la memoria: “Siamo stati in centrale ieri, ricordi?”

“Ok, ma non servono due persone per raccontare che siamo tutti nella merda.”

Non contento della risposta, anche Nathaniel assunse lo stesso atteggiamento cinico e scocciato di Sam: “Con chi eri al telefono?”

“Con mio padre!” quasi urlò, seccato, mentre Eric spostava lo sguardo fra loro due.

“Ti sei fatto una doccia, ma indossi gli stessi vestiti di ieri… – lo fissò, con attenzione ai dettagli – Dove sei stato?”

Quello si alzò, irritato: “Cos’è, un interrogatorio questo? E dov’è Rider?”

“Non risponde, dev’essere già a scuola. – sollevò le spalle Eric, dubbioso – Forse non vuole che li facciamo gli auguri di compleanno!”

“Oggi è il suo compleanno? – si voltò a chiedergli Nathaniel – Non lo sapevo.”

“Beh, anch’io dovrei essere a scuola. E se Rider ci evita è perché nemmeno io vorrei gli auguri di compleanno mentre le porte del carcere non vedono l’ora di risucchiarci dentro! – Sam fece dietrofront - Ciao!”

Eric gli urlò qualcosa però: “A se la sta prendendo anche con Alexis, Sam!”

“E allora? – si girò un secondo – Lasciala, non sono affari miei!” e uscì dalla caffetteria.

Spiazzato, Eric si girò verso Nathaniel: “Ma che cos’ha?”

“Non lo so, è strano come Rider.” buttò il viso verso un'altra direzione, sbuffando.

“…Come Rider? – fece una smorfia confusa - Che intendi?”

Nathaniel si voltò, accorgendosi di essersi lasciato scappare quel commento: “Ehm, niente. Stiamo andando tutti nel pallone, ecco tutto.”

“Sicuro?”

Quello ovviamente annui, nascondendo che aveva invaso la loro privacy e intimità racchiusa in quelle videoconfessioni. E che in quella di Rider non aveva trovato alcuna registrazione.

“Certo, nulla di che. – si alzò – Sarà meglio avviarsi, alla prima ora ho storia!”

Eric si alzò a sua volta e insieme lasciarono il Coffee star.

 

                                             *              

 

Nel frattempo Nolan, a scuola, era al telefono mentre camminava per il corridoio ormai semivuoto. Era a dir poco agitato.

“Come è potuto accadere? Ora come faccio, tutti sapranno che Rider ha un gemello!”

“Tuo padre è stato contattato dal Radley, ha fatto in modo che la storia non uscisse sui notiziari. Solo Norman è ricercato.” rispose una voce camuffata, quella di A.

“Rider farà di tutto per riportarmi dentro quel posto ora che è libero. E’ furbo!”

“Non ho più potere su questa cosa, mi dispiace.”

Nolan a quel punto si infuriorò: “Non hai potere? Tu hai potere su tutto e l’ho visto con i miei occhi! Stai mentendo, mi stai mollando perchè ormai non ti servo più!”

Cade la linea.

“Pronto? – tolse il telefono dall’orecchio, accorgendosi che aveva chiuso – Va all’inferno!”

E alzò il passo, nervoso, arrestando la sua corsa contro qualcuno che stava uscendo da una delle aule in tutta fretta e con una scatola in mano: si trattava di Violet.

La scatola si rovesciò, facendo cadere sul pavimento tanti fischietti.

“Accidenti!” esclamò lei, seccata.

L’altro si scusò immediatamente, chinandosi a raccogliere: “Mi dispiace, sono mortificato.”

Anche lei si chinò a raccogliere e i due si guardarono negli occhi. Nolan si accorse finalmente di chi aveva davanti e si bloccò.

“Ouh, sei tu. Sei Violet.”

“Certo che sono io…” rispose lei, più calma ma comunque restia nei suoi confronti.

Nolan si sollevò in piedi, fissando ciò che aveva raccolto: “Fischietti?”

Quella glielo tolse di mano, sentendosi stupida: “Ehm, si, volevo distribuirli dal momento che Rosewood e le zone circostanti non sono più al sicuro. Con due assassini in libertà, qualcuno portrebbe trovarsi in pericolo e con questi fischietti…beh… - si sentì ancora più stupida quando si accorse che lui la stava fissando senza dire nulla – Ok, forse mi trovi ridicola e…”

“No no… - disse quello con tono sincero – Invece è un idea meravigliosa. Se qualcuno dovesse trovarsi in pericolo, tutti sapranno che al suono di un fischietto dovranno accorrere. – le sorrise – Se vuoi ti aiuto.”

Violet restò spiazzata dal suo comportamento, ma poi sorrise a sua volta: “Grazie, è molto gentile da parte tua. – era a dir poco confusa – Sai, sei diverso. E’ strano parlarci in questo modo dopo tutto quello che è successo alla vecchia scuola.”

“Beh, le cose cambiano. Le persone cambiano. E a quanto pare, anche gli edifici.” rise, facendo ridere anche lei.

“In effetti, si sta molto bene in questa scuola. E’ come se tutti gli spettri del passato siano morti in quell’esplosione.”

I due si guardarono fino ad arrossire, finchè Nolan non spezzò il silenzio.

“Allora, ti va se ti aiuto o no?”

E quella, riprendendosi dall’emozione che la investì, annuì: “Ehm, sì, certo…” e sorrise, ricambiata.

 

*

 

Alla Brahms, dopo la terza ora, Sam era seduto in cortile su una panca di marmo. Aveva fatto salire un piede su, la panca era abbastanza spaziosa, e sollevò leggermente una gamba del suo jeans per controllare le condizioni della sua ferita suturata precedentemente dal cugino di Nathaniel. Subito dopo si girò a guardare il cielo, osservando i nuvoloni in arrivo. Nel cortile non c’era nessuno.

Improvvisamente, una voce.

“Dicono che stia arrivando una tempesta. Rosewood non ha un attimo di pace.”

Sam si voltò ed era Cameron. Subito si abbassò la gamba del jeans e rimise il piede giù.

“Ah si? Magari è solo una semplice pioggia.”

“No, non credo. – ora era più interessato alla ferita che aveva visto – Tutto bene con la gamba? Come ti sei fatto quella cosa?”

“Sono caduto dalla bici, nulla di che. – poi cambiò subito discorso – Allora, le hai portate?”

L’altro, però, era preoccupato: “Senti, non sono state le anfetamine a…”

“No, tranquillo, me la sono fatta molto prima di venirti a chiedere quelle pillole. – disse con un sorriso nervoso – Allora, le hai o no?”

Cameron le tirò fuori dalla tasca, dentro un flacone, e gliele passò. La sua spavalderia sembrava svanita dopo aver visto quella ferita.

“Cerca di non abusarne troppo e non mischiarle all’alcol, ok?”

“Guarda che io non bevo e poi non abuso di nulla, erano solo tre pillole.” reagì aggressivamente.

“Ehi, sei nuovo in questa cosa, volevo solo darti un consiglio. Non capisco perché ogni volta tu mi debba trattare male.”

L’altro prese la borsa per recuperare il portafoglio: “Beh, quanto ti devo?”

“Niente, non darmi niente. Quelle me le doveva una persona… - spiegò, per poi ammutolirsi per qualche secondo – Beh, ci si vede! Ciao!” lo salutò con un sorriso malinconico e si voltò.

Sam se ne accorse di quello strano sorriso e capì di aver esagerato.

“Ehi, Cameron... – quello si voltò – Ehm, scusa se ho alzato un po’ i toni e sono stato stronzo.”

“Ah, beh, questa non me l’aspettavo. Sei sempre stato stronzo con me, quando in realtà sono io lo stronzo per il resto del mondo.”  rise stupidamente, con le mani in tasca.

“La verità è che sono sempre di cattivo umore. A quanto pare, questo non è il miglior periodo della mia vita.”

Cameron tornò indietro di qualche passo: “Direi che non lo è nemmeno per Nathaniel. Mi trattate allo stesso modo voi due.”

“Gran parte del nostro cattivo umore è dovuto ad Anthony. Nonostante sia morto, ha lasciato una scia dietro di sé; come fanno le tempeste. Per colpa sua, molte persone ci odiano. La polizia ci fa ancora domande su Albert basandosi su racconti che hanno estrapolato qua e là.”

Quello abassò lo sguardo: “La sera dell’esplosione, mi hanno chiesto alcune cose su di voi. Ho parlato di quella volta che vi siete scontrati con Albert in mensa durante l’inizio l’anno… - si sentì mortificato - Mi dispiace, forse avrei dovuto stare zitto.”

“No, non fa niente. Tanto l’avranno raccontato in tanti di quell’episodio. Sarai stato soltanto l’ennesimo.”

“E invece no, mi dispiace tanto. Non conta averlo detto, ma come lo si è detto; e io l’ho detto con toni molto decisi e quasi scontrosi nei vostri confronti.”

Sam restò a fissarlo, gli occhi leggermente spalancati: “Ah… - rimase spiazzato - Non pensavo ci odiassi anche tu. Non mi sembra che ti abbiamo fatto qualcosa.”

“Ero semplicemente brillo e voi non mi avete mai parlato con toni amichevoli nelle varie volte che ci siamo visti.”

A quel punto, Sam fu diretto nel fargli una domanda mirata: “Ed Anthony? Lo odiavi?”

“Non proprio, non mi ha mai dato noia. – restò perplesso – Come mai questa domanda?”

“Ascolta, Nathaniel mi ha raccontato quello che gli hai detto quando siete andati in quel locale, il ginseng. – strisciò più avanti, lungo quella panca – Mi ha detto che hai dato dei soldi ad Anthony per un suo progetto personale.”

“E’ per questo che non lo odiavo. Offrendo lui quei soldi, non sarei mai arrivato ad odiarlo. Ed è stato così. – spiegò – Ma se non glieli avessi offerti, probabilmente avrei fatto la stessa fine di tutti gli altri.”

Pensando che si riferisse al bosco, sgranò nuovamente gli occhi: “Gli altri chi?”

“…Quelli a scuola, Sam.”

“Ah, quelli… - Sam si girò per un secondo a guardare altrove, cacciando fuori l’aria dai polmoni per l’ansia – Ascolta, non hai idea di cosa ci avesse poi fatto con quei soldi?”

“No, ma una volta mi sono trovato a chiacchierare con Anthony su qualcosa… - ripensò – Credo che li stesse già sfruttando.”

 

Flashback di Cameron

 

Ubriaco e con una festa in corso a casa sua, Cameron salì al piano superiore barcollante. Subito si diresse in camera sua, aprendo di colpo la porta.

La stanza però non era vuota, c’era qualcuno alla sua scrivania davanti al computer: si trattava di Anthony, che, non appena entrò Cameron, chiuse la pagina su cui stava navigando.

“Oh, ciao Anthony! – esclamò, buttandosi nel letto con una parlata stanca – Non pensavo ci fossi anche tu a questa festa.”

Quello si girò con la sedia, rilassando il viso per non essere stato scoperto su ciò che stava guardando: “Sono arrivato un po’ tardi, forse non ci siamo incrociati con tutto l’alcool che gira.”

“E come mai sei qui sopra? – rise, fissandolo – C’è una ragazza nascosta nell’armadio? Se vuoi me ne vado e vi lascio soli, non volevo interrompere qualcosa.”

“Non sono il tipo che nasconde una ragazza nell’armadio. Se qui ci fosse stato qualcuno, saremmo esattamente dove sei sdraiato tu. E avrei continuato lo stesso.”

Cameron lo fissò imbambolato per qualche secondo: “E’ un vero peccato che ti piacciano quelle troiette. Sei anche il mio tipo.”

“Sei solo all’inizio, Cameron: avrai molti tipi prima di trovare il tuo tipo. E credimi, ti pentiresti amaramente di esserti invaghito di uno come me.”

“Perché?”

“Ho dei sogni, Cameron. E chi ha dei sogni, non resta per molto nello stesso posto e non si dedica ad altre persone. – sorrise, fantasticando - Sono come il vento, nessuno riuscirà mai a mettermi in una bottiglia. Potrei sparire, ma mai per sempre.”

“Hai dei sogni? – scosse la testa, intontito - Quali sogni?”

Anthony lo fissò indeciso, non era un tipo che amava confidarsi. Stava per alzarsi e andarsene, visto che Cameron non era lucidissimo e teneva a malapena gli occhi aperti, ma decise di restare.

“Mi piacerebbe diventare un regista, un giorno. Dopo il liceo voglio andare a New york e frequentare un accademia.”

“Accidenti, è fantastico! – esagerò nell’essere euforico - E’ che genere vorresti produrre?”

“…Horror! Mi piacerebbe produrre dei film horror. – spiegò, fantasticando con lo sguardo perso nel vuoto – Trovo affascinante il sangue, le urla, la paura… è tutto così spontaneo quando è vero.”

Cameron si ritrovò ancora più stordito, cercando di seguirlo: “Scusa, ma cosa intendi per vero? Quel sangue, quelle urla…è tutto finto!”

Anthony sorrise, trovandolo buffo: “Sei davvero sveglio per essere ubriaco.”

“Io voglio solo dormire… - si girò dall’altro lato, continuando a parlare in maniera moscia – E poi che ci hai fatto con i miei soldi? Non ne vorrai mica degli altri…”

E quello, osservandolo mentre ormai aveva preso sonno, si alzò, girandosi nuovamente verso il computer di Cameron.

 

“E questa vostra conversazione risale a circa due anni fa?” domandò Sam, dopo aver ascoltato il racconto.

“Si, esatto. E’ davvero assurdo che io mi ricordi ogni singola parola, devo avere una sorta di memoria autobiografica immune all’alcool.”

Curioso di scoprire anche il più insignificante dei dettagli, Sam continuò con le domande.

“Ascolta, non ti è mai venuto in mente di controllare la cronologia? Sai per scoprire su che sito stesse navigando Anthony quella sera.”

Quello scosse la testa: “Non è stata proprio una delle prime cose che mi è venuta in mente di fare da appena sveglio. Dovevo risistemare casa prima del ritorno dei miei…E poi la mia cronologia si cancellava in modo sistematico. Sai, quando sei gay, è una delle prime regole che impari: cancellare la cronologia.”

“Già, non me ne parlare…” accennò un sorriso, assorto ancora nel mistero.

“Però… - ripensò simpaticamente – Anthony aveva ragione su una cosa: sul fatto che poteva sparire, ma mai per sempre. – ora fissò Sam, sorridendo – E’ morto da più di due mesi e noi siamo qui che ne parliamo ancora.”

Sam si sforzò a farne uno anch’essi: “Probabilmente non sarà nemmeno l’ultima volta.”

“Mi dispiace che per lui sia andata a finire così. – pensò con malinconia - Ti fa perdere la voglia di sognare. E i suoi sogni sembravano forti…così forti, che ci credevo persino io. Mi dava speranza, ma ora…”

Sam vide davvero i suoi vuoti, in quel momento, e volle in qualche modo dargli speranza: “Per realizzare un sogno non serve che tu ci debba credere con tutte le tue forze, Cameron. L’importante è che esista, e che tu sia fortunato.”

L’altro annuì, seguendo il suo consiglio: “D’accordo, continuerò a far esistere i miei sogni… - sentiva freddo, stringendo i colletti della sua giacca – Brr, credo proprio che rientrerò.”

“Ok, alla prossima…” accennò un sorriso per salutarlo.

Cameron ricambiò e si voltò, pronto ad andarsene. Qualcosa però lo fermò, facendolo voltare nuovamente.

“Sam, puoi farmi un favore?”

Quello risollevò nuovamente il capo: “Certo, dimmi…”

“Non ti servono quelle stupide pillole, sono pericolose. – si mostrò preoccupato – Non voglio rovinare un ragazzo come te. Non chiedermele più.”

Sam restò spiazzato, quasi senza parole: “…D’accordo, Cameron. Non te le chiederò più.”

“Non solo a me, Sam. Non chiederle a nessuno.” fu categorico.

“…Va bene. Grazie.”

Finalmente Cameron potè andare via, mostrando l’ennesimo sorriso, sollevato. Sam lo guardò sparire all’interno dell’edificio con gli occhi lucidi e il volto sofferente.

“Sono già rovinato…” e dal flacone tirò fuori una pillola, ingurgitandola.

 

 

*

 

 In camera sua, Lindsey stava controllando il termometro: segnava oltre trentasette gradi.

“No, non posso ammalarmi. – sbuffò, rossa in volto e trasandata – Devo tormentare quella stronza di Alexis.”

Improvvisamente, mentre era concentrata sui suoi problemi, Lindsey sentì un brusio nervoso al piano di sotto.

Si affaciò nel corridoio, allora, avanzando a piccoli passi verso le scale. Quando sentì la voce di suo padre, un sorriso di gioia le comparve immediatamente sul viso, facendole accellerare il passo. Qualcosa non andava, però, visto che anche sua madre era a casa ed entrambi parlavano con toni nervosi e preoccupati. La ragazza si fermò all’inizio dello scorrimano, ascoltando.

“Chiama Lindsey, dille di tornare a casa con Rider immediatamente.” disse quello.

“Sono sotto choc, Richard! – l’altra aveva un tono arreso e incredulo - Sei proprio sicuro che non sia coinvolto? Sappiamo entrambi di cosa è stato capace tuo figlio!”

“E’ quel Norman, ok? L’ha rapito!”

“Zitto, taci, non voglio ascoltare un solo altro nome!”

Lindsey a quel punto decise di scendere, silenziosa. Li colse di sorpresa.

“Perché io e Rider dovremmo ritornare immediatamente a casa?”

Entrambi i genitori voltarono la testa, facendo fatica a deglutire, mentre lei li guardava impietrita.

Richard fece un passo avanti, cercando di trovare le parole: “E tu che ci fai a casa?”

“Ho la febbre…”

“Tesoro, forse è meglio che scendi e ti siedi un attimo.”

Quella scese ancora un gradino, il volto atterrito: “Papà, mi stai spaventando. – osservò il volto della madre -  Mamma, che cos’hai?”

“Tesoro, fa come ha detto tuo padre.”

E continuarono a guardarla dal salottino, mentre lei guardava loro.

 

 

*

 

Chiuso nella macchina che avevano rubato, Rider aspettava il ritorno di Norman dal banco dei pegni davanti a cui avevano parcheggiato. Ticchettava il dito sul ginocchio, nervosamente, guardando attraverso il vetro le persone che camminavano sul marciapiedi e attraversavano la strada con il vento contro e le loro sciarpe che quasi volavano via.

“Fa che venga arrestato, fa che venga arrestato…” pregava Rider con un filo di voce, quasi certo che sarebbe successo.

Tuttavia, non se la sentiva di scendere dall’auto e chiedere aiuto. Nella sua testa, rimbombava ancora l’ultimo avvertimento che Norman gli aveva dato:

“Se provi a scendere dalla macchina o a chiedere aiuto, io ucciderò qualcuno. E tu non vuoi che accada, vero? Perché sarebbe tutta colpa tua e avresti una morte sulla tua coscienza.”

Rider non se la sentì di disobbedire, sperando di uscirne in un altro modo. E mentre era distratto da mille pensieri, fu ricatapultato alla realtà quando la portiera della macchina si aprì e Norman rientrò.

Sorpreso di vederlo, Rider notò che aveva un sacchetto in mano: “Ehm…sei riuscito a vendere le cose che c’erano nel borsone che abbiamo trovato nel bagagliaio?”

L’altro si tolse il cappello dalla testa, che aveva usato per mantenere un basso profilo: “No, non sono arrivato al banco. Temevo che mi avrebbero chiesto un documento e non volevo rischiare.”

“E allora il borsone dov’è?”

“Diciamo che sono stato fortunato e ho trovato qualcuno che era interessato a cosa avessi lì dentro. – tirò fuori una pistola dal sacchetto – A quanto pare, lui aveva qualcosa che serviva a me e io avevo qualcosa che serviva lui. – rise compiaciuto – Affare fatto!”

Rider sgranò gli occhi, agghiacciato: “Norman, ti prego, tu forse non ti rendi conto che non andrà a finire bene per te.”

“Non sono affari tuoi…” disse indifferente, mettendo la pistola sotto il sedile.

“Stavolta finirai in galera, non al Radley!”

Quello lo fissò, mentre teneva la mano sulla chiave, pronto a mettere in moto: “In galera? Almeno lì non ti imbottiscono di farmaci fino a farti vedere le stelle.”

“Norman, perché? – cercò di insistere – Puoi fuggire, essere liberi.”

“Mi troveranno comunque, tanto vale divertirmi, non credi? – nel suo sguardo c’era solo odio e resa – La libertà non serve a nulla quando sai di non poter avere qualcuno che ti amerà mai.”

“Norman, nemmeno la mia vita è perfetta. Soprattutto ora, guarda dove sono a causa delle bugie di mio padre. Per non parlare di altri guai che ho per conto mio.”

L’altro rise, sentendosi preso in giro: “E tu avresti dei problemi? Quali, esattamente? – il suo tono divenne rabbioso - Sei ricco, hai degli amici e a quanto pare sei il figlio preferito di paparino.”

“Credimi, c’è un’altra faccia della medaglia di cui tu non hai idea.”

Stufo, Norman lo prese violentemente per il collo: “Io so cosa vedo, Rider. – quello ansimava, spaventato – Sei uguale a tutti quelli che mi hanno emarginato per tutta la vita. – lo mollò, lasciandolo finalmente respirare – Con la sola differenza che non ho voglia di ucciderti, ma se continui così…”

Seduto al limite del sedile, Rider cercava di riprendere fiato, terrorizzato: “La polizia ti sta cercando, non passeremo inosservati stando fermi qui.”

Più calmo, Norman teneva stretto il volante con entrambe le mani, pensieroso: “La cosa non mi spaventa, anche se hai ragione… - ebbe un’idea, voltandosi verso di lui – Sbaglio o avete una casa sul lago? Nolan ha detto che vostro padre lo portava a pescare al lago quando uscivano per il suo compleanno.”

Toccandosi il collo, Rider sapeva di non poter mentire, pronto ad indicargli la strada.

 

*

 

Seduta sul divano con lo sguardo fisso sui propri genitori, in piedi davanti a lei, Lindsey stava metabolizzando ciò che le era appena stato detto. Non riusciva a trovare le parole.

“Era questo che non sono mai riuscita a spiegarmi… – pensò, tornando indietro con la mente - Sapevo che mancava qualcosa nella nostra famiglia, ma non riuscivo ad arrivarci perché avevo solo sette anni quando tutto questo è accaduto. – alzò lo sguardo sui due, incredula – Mi avete fatto il lavaggio del cervello affinchè non ricordassi, mi avete confusa a tal punto di credere che fosse tutto un sogno…”

Richard cercò di dire qualcosa, mortificato: “Tesoro…”

Ma quella non lo fece finire, alzandosi in piedi con ira: “Come avete potuto nasconderci una cosa del genere? Io e Rider stiamo per andare al college, siamo adulti ormai… - scuoteva la testa, confusa – Perchè non dirci che abbiamo un fratello?”

“Lindsey, ascolta, devo riportare tuo fratello a casa. – suonava quasi come una scusa per evitare quella domanda, visto il suo viso pallido – Ho degli accordi con la polizia e con il Radley, perciò…”

Alle sue spalle, Ellen era stata zitta fino a quel momento, ma, con le ultime parole sbarazzine del marito, esplose: “Rider non è tuo fratello!”

Richard si voltò a fulminare la moglie, non aspettandosi quella pugnalata alle spalle.

“Basta menzogne…” aggiunse fissando il marito con fermezza, mentre Lindsey era pietrificata.

Subito, Richard, cercò di spiegarle: “Rider e Nolan sono miei e di un’altra donna, tesoro…”

Ora Lindsey spostò lo sguardo sgranato sul padre: “Io…io…” e all’improvviso le sue pupille salirono, le palpebre si chiusero: svenne sul colpo.

I suoi genitori accorsero subito e sua madre urlò: “Oh mio Dio, Lindsey!”

Richard cercò di svegliarla invano, toccando poi la sua fronte: “Ma scotta da morire…”

Ellen si sollevò dal pavimento, rapida: “Prendo le chiavi della macchina, la porto immediatamente in ospedale…”

L’altro non era dello stesso avviso, prendendo la figlia in braccio: “No, la porto io. Quando si sveglia, voglio che sappia il resto. Glielo devo.”

Ferma lì in piedi, Ellen aveva gli occhi lucidi: “Se le accade qualcosa, giuro che questa non te la perdono Richard. Sapevi che questo segreto sarebbe venuto a galla prima o poi.”

Quello abbassò lo sguardo, vergognandosi di se stesso: “Ellen, per favore, non adesso. Mentre porto Lindsey in ospedale, corri a prendere Rider. La polizia rilascerà anche la foto di Nolan entro la fine della giornata e voglio che Rider lo scopra prima da me.”

“Perché lui non è ricercato?”

“Dati i precedenti di Norman, il Radley ha fatto presente che Nolan potrebbe essere stato rapito. Prima di venire qui sono stato in centrale e ho chiesto che fosse divulgato sul notiziario solo una descrizione di Nolan e non di più, affinchè sia tutelato fino a dettagli maggiori sull’omicidio dell’infermiera. Ho raccontato tutta la sua storia, ovviamente.”

“Hai fatto bene, qualcuno poteva scambiare Rider per Nolan e chissà come sarebbe andata a finire.” pensò al peggio.

“Per questo devi sbrigarti. La polizia potrebbe non trovarli e utilizzare la foto per facilitare il loro avvistamento.”

Quella annuì, muovendosi: “D’accordo, vado.”

E si mosse anche lui, mentre Lindsey era ancora incosciente.

 

 

*

 

Dopo aver parcheggiato l’auto rubata la notte prima, Rider e Norman giunsero alla casa sul lago. Arrivati all’ingresso, contrastati dal vento incessante, ripresero fiato.

Rider pensò di dover tirare fuori la chiave di riserva, ma quando alzò lo sguardo ad osservare la porta e le finestre, non capì cosa fosse successo.

“Ma tu guarda, la porta è già aperta… - Norman tirò fuori la pistola, spostando con il piede i pezzi di legno che c’erano sullo zerbino – Bizzarra la tua casetta, Nolan non me l’ha descritta così, ma…qualcuno dev’essere entrato qui dentro…”

Norman entrò cauto a controllare, a quel punto. Rider, invece, rimasto fuori, notò che le finestre erano completamente sigillate con assi di legno e chiodi, e non capiva perché.

“Ma che diavolo è successo qui? – si domandò, per poi notare un pezzo di asse, accanto ai suoi piedi, con una scritta, e recuperarlo – Volevate lasciare Rosewood senza il mio permesso? - lesse, recuperando anche gli altri pezzi per completare la frase – Pensavo che ormai mi conosceste…A!”

Rider era sempre più confuso, mentre rimetteva quel pezzo di legno a terra. Norman tornò subito dopo.

“Dentro non c’è nessuno, ho appena controllato. Forza, entra!” gli ordinò.

“Norman, cosa ci facciamo qui?”

“Per ora ci nascondiamo, in città non è sicuro.”

“E poi?”

Quello, per niente accomodante, gli puntò contro la pistola: “E poi lo decido io, entra!”

Rider mise le mani avanti: “Ok ok, sta calmo. Sto entrando.” ed entrò, cercando di non contraddirlo.

 

*

 

Poco dopo mezzogiorno, Chloe era seduta ad uno dei tavoli dell’Applegrill rose. La persona che stava aspettando per pranzare insieme, era arrivata: Clarke.

“Ehi, scusa il ritardo…” la salutò, poggiando la giacca alle spalline della sedia.

“Sei di fretta?”

“Ho un volo nel pomeriggio, devo tornare a Chicago o perderò il mio lavoro. Ho già chiesto troppi permessi per stare qui a Rosewood.”

Quella sospirò triste, abbassando lo sguardo mentre spostava i capelli dal viso: “Lo so perfettamente…”

Clarke notò il suo disagio, allungando una mano lungo il tavolo e mettendola sopra la sua: “Chloe, non pensare che ti stia abbandonando. Tornerò la settimana prossima.”

“Scusa, non volevo fare la preziosa. E che mi spaventa stare qui da sola, sapendo che c’è qualcuno che mi cerca per…non lo so…punirmi o denunciarmi o…”

“Basta una sola parola e io non me ne vado, ok? – si sentì condizionato - Non se ti senti così impaurita…”

“No no, assolutamente no. – fu categorica - Devi tornare al tuo lavoro, io me la caverò. – decise di cambiare argomento, sentendosi soffocare – Allora, tua madre cosa ne pensa di tutta questa storia?”

“E’ sotto choc, teme che Jasper possa raggiungerla e farle del male per averlo fatto arrestare.”

Chloe tornò ad incupirsi: “Ehm…a proposito della fuga di Jasper…Noi sappiamo che è innocente, perciò o è fuggito perché crede che la verità non verrà mai a galla o è stata questa A a catturarlo.”

L’altro era perplesso: “Senti, Chloe, questa A può aver lasciato messaggi minacciosi, ucciso, incastrato, quello che vuoi, ma…dubito che questa persona sia riuscita a sottrarre un detenuto allo stato. Non stiamo parlando di un super criminale, non siamo in un film.”

“E’ che non riesco a spiegarmi tutto questo, sto impazzendo!” si mise le mani sulla fronte, esausta.

“Lo so, ma stanne fuori. Non hai parlato con Sam, vero?”

“No no, non l’ho fatto. – poi gli lanciò una lunga occhiata, pronta a confessare qualcos’altro – Ma…ho parlato di nuovo con Lindsey.”

“Chloe!” la sgridò.

“Mi ha chiamata lei, che dovevo fare?”

“E che voleva?”

“Brakner l’ha lasciata, Clarke. Era pezzi.”

“E ne sei sorpresa? Queste cose non durano.”

“Mi ha detto che la ragazza di Eric ha cercato di denunciare Brakner perché pensava che lui fosse la persona che l’ha investita qualche settimana fa.”

“Ed è stato arrestato?”

“No! Non è stato lui, Lindsey ne è sicura. Anzi, si è messa in testa che questa ragazza, Alexis, sia A.”

“Forse questa Alexis si è sbagliata, può capitare.”

“Beh, Brakner pensa che sia tutta una messa in scena ideata da Rider, Sam e gli altri per mettere fine alla loro immorale storia d’amore. – lo fissò negli occhi, come se volesse farlo ragionare sulla cosa – Pensaci: è questo che vuole A! Se Lindsey l’avesse pensata come Brakner, A sarebbe riuscita a mettere due persone contro il loro gruppo.”

“Quindi mi stai dicendo che questa Alexis l’ha denunciato di proposito per mettere il gruppo in difficoltà?”

“Io credo che A stia danneggiando i rapporti dei ragazzi con le altre persone. Prima il video di insulti divulgato in rete, poi la rottura tra me e Sam e ora questo.”

“Credi che tu e Sam vi siate allontanati per colpa di A?”

Piena di dubbi, annuì forzatamente: “Potrebbbe essere così, ma adesso la cosa più importante è capire chi sia questa Alexis. – fece mente locale – Sono sicura di non averla mai vista nel bosco e che Anthony non l’abbia mai presa di mira, quindi potrebbe essere una parente o un’amica di chi ci è stato.”

“Vuoi che indaghi su di lei? – le domandò, mentre lei fissava la superficie del tavolo molto pensierosa – So che potrebbe farti sentire meglio.”

“Mi farebbe sentire meglio visto che questa A sta sicuramente cercando me, che sono la complice di tuo fratello in quel bosco. E non sapere chi è, mi rende nervosa. – lo guardò negli occhi, stringendo la sua mano - Devo saperlo, ma non voglio coinvolgerti.”

“Ma io sono già coinvolto, Chloe. Questa Alexis potrebbe aver ucciso mio fratello e mio padre o aver visto chi è stato. Anch’io devo sapere, ho mille dubbi su cosa sia accaduto realmente quella notte.”

Quella lo fissò a lungo, prima di annuire decisa: “D’accordo, indaga su di lei. Mentre sei a Chicago la terrò d’occhio e terrò d’occhio anche i ragazzi.”

“Stai attenta, ok? Stiamo solo indagando, non serve un faccia a faccia. – le suggerì - Devi restare fuori dal suo campo d’azione se lei è davvero A.”

Chloe non aggiunse altro, fiduciosa.

 

*

 

Alla Northdale, Eric aveva raggiunto Nathaniel. I due erano seduti ad uno dei tavoli della mensa con Sam in vivavoce. Accanto al telefono, un piccolo tortino simile ad un muffin.

“Sam, non ti sentiamo bene. Spostati, ovunque tu ti trovi.” gli suggerì Eric.

“Sto guidando, ho il vivavoce attivo. Dev’essere questo dannato tempo.”

“Qui hanno dato un allerta meteo, gli studenti sono invitati a non abbandonare la struttura. – aggiunse Nathaniel - Siamo bloccati.”

“Beh, c’è un po’ di vento, ma…siete sicuri che dicono così?”

Eric, però, non voleva perdersi in chiacchiere: “Ok, Sam, ora arriva al punto. E, comunque, dove diavolo stai andando?”

“Sto andando da Tyler, il cugino di Nat. Devo togliere i punti dalla gamba che ho quasi perso mentre tu venivi schiacciato dentro una pressa per auto, ricordi?”

“E’ un esprienza che sto cercando di dimenticare, Sam.” pensò Eric, seccato.

“Ma stai andando in ospedale?”

“Non so, è di turno?”

Improvvisamente si sentì un forte tonfo e un urlo di Sam, poco prima che Nathaniel riuscisse a rispondere.

“Sam? – si guardò con Eric, spaventato – Sam, ci sei? Che è successo?”

“Ehi, eccomi. – rispose con il fiatone – Dio, un bidone dell’immondizia è rotolato per la strada e stavo quasi per andare a sbattere contro un albero.”

Tirando un sospiro di sollievo, Nathaniel chiese dove si trovava con precisione: “Ma sei lontano dall’ospedale?”

“A dir la verità, si. Sono dalle parti di casa sua, però. Magari lo trovo, no?”

“Non credo. – controllò l’orologio – Non rientra a casa prima delle tre, solitamente. – sentì altri forti rumori, preoccupandosi – Senti, non so com’è la situazione fuori visto che noi siamo al chiuso, ma immagino che stia diventando un po’ pericoloso stare per strada. Se sei vicino alla casa di Tyler, corri immediatamente lì.”

“E se non c’è, cosa faccio? Qui c’è un vento fortissimo e sta anche piovendo… Le cose qui volano!”

Nathaniel si guardò con Eric, in ansia: “Ascolta, Tyler lascia sempre una chiave di riserva sotto al vasetto che c’è sul bordo della finestra. Entra e aspettalo.”

“Potrei spaventarlo, sai?”

“Tranquillo, lo avverto io che sei a casa sua. – roteò gli occhi – Ora non fare storie e mettiti al sicuro.”

Dopo qualche minuto, i due erano rimasti in linea finchè Sam non raggiunse l’abitazione.

“Ehi, eccomi, sono dentro!” esclamò, facendosi finalmente sentire.

“Pensavamo fossi morto, Sam.” replicò Eric, sarcastico.

“No, ma... – era tutto bagnato, mentre guardava le macchie che aveva lasciato sul pavimento – forse lo sarò. Devo asciugarmi…e anche il pavimento.”

“Che ha il pavimento?” domandò Nathaniel.

“Qualche impronta di fango…” disse mortificato.

“Sam! – lo rimproverò Nathaniel – Lo conosci lo zerbino?”

“Ora pulisco, ok? Non ti agitare!”

“Scusate, ma possiamo tornare al motivo della tua chiamata? – si intromise Eric – Dicevi di aver scoperto qualcosa…”

“Ah, sì… - ricordò quello, mentre frugava nel ripostiglio della cucina in cerca di uno straccio – Stamattina ho parlato con Cameron, sapete che mi segue sempre perché ha una cotta per me.”

“Veramente ce l’ha anche per me!” aggiunse Nathaniel, ricevendo un’occhiataccia da Eric per l’ennesima interruzione.

“Si, ok, ha una cotta per qualsiasi cosa che non abbia due tette. Il punto è che credo di aver scoperto che fine abbiano fatto i soldi che Cameron ha dato ad Anthony.”

“Ah, il famoso progetto segreto di Anthony. – ricordò Nathaniel – Quindi, quale sarebbe?”

“Il bosco, ragazzi. – spiegò – La recinzione elettrificata, gli altoparlanti e chissà cos’altro.”

“Ok, Cameron ha dato dei soldi ad Anthony, ma…non ha mica ipotecato la casa. – pensò Eric, guardandosi perplesso con l’amico – Non saranno stati molti soldi.”

“Cameron mi ha detto che Anthony gli ha raccontato di avere questo sogno: fare il registra di film horror.”

Eric si girò a guardare Nathaniel per poi scoppiare a ridere.

“C-che succede? - domandò Sam, sentendo la sua risata – Pronto?”

“Scusa, scusate… - cercò di fermarsi – E’ che…davvero, non ho parole. Quando pensi di conoscere Anthony, capisci di non averlo conosciuto per niente.”

“Già, ma forse tutto quadra. – riflettè Nathaniel – Quei soldi può averli usati per comprarsi delle attrezzature: tipo delle telecamere per riprendere le sue vittime, solo che… non mi spiego tutto il resto, non può averli dato così tanti soldi.”

“Quella conversazione risale a due anni fa. – spiegò ancora Sam – E se Anthony non avesse preso soldi solo da Cameron?”

Questo lasciò a Nathaniel di che riflettere: “E se le persone che non avevano un segreto da barattare con la libertà, avessero pagato per ottenerla?”

Eric sbuffò: “Se solo sapessimo dov’è questo dannato bosco… Potremmo capire chi fosse il complice di Anthony e consegnarlo ad A.”

“Più facile a dirsi che a farsi, ma non abbiamo altro modo per liberarci di A.”

Sam, però, era pessimista: “Inizio a credere che A non ci lascerà mai in pace, ma vale la pena tentare. Dobbiamo trovare quel bosco.”

Improvvisamente, Eric alzò lo sguardo e vide Nolan entrare in mensa.

“Ehi, ecco Rider! – si girò verso l’amico – Nat, tira fuori la candelina, svelto!”

Dall’altro lato del telefono, Sam pensò di aver sentito male: “Una candelina?”

“E’ il compleanno di Rider, Sam!”

“Già, li abbiamo preso un tortino.” aggiunse Nathaniel.

“Ouh, capisco… - si sentì mortificato – Non ci ho proprio pensato, fate gli auguri a Rider anche da parte mia.”

“Beh, certo, è difficile ricordarsi le cose quando hai altri pensieri per la testa!” esclamò Nathaniel in maniera pungente, lanciando una vera e propria frecciatina.

Sam non poteva immaginare che Nathaniel avesse visto la sua videoconfessione a Wesam, ma rimase comunque perplesso da quello strano commento.

“…Pensieri che abbiamo tutti e quattro, se intendi A.”

“Certo, intendevo proprio A.” replicò Nathaniel con finta accondiscendenza.

Sam non sapeva cosa aggiungere, restando ancora più perplesso da quello strano tono. Eric decise di porre fine alla conversazione.

“Sam, ci sentiamo dopo. Ciao. – chiuse, tornando a fissare Nolan – Ehi, guarda, è in compagnia di Violet.”

“Non l’avevo vista…” si chinò in avanti per vedere meglio, stranito dalla cosa.

“Certo che non l’hai vista, eri impegnato a dire cose senza senso a Sam. – Nolan finalmente incrociò i loro sguardi ed Eric alzò la mano facendogli cenno di raggiungerli – Nat, forza, metti quella candelina sul tortino.”

“Ecco, ecco!” la tirò fuori, roteando gli occhi seccato.

Intanto, dall’altra parte della mensa, Nolan stava salutando Violet davanti al distributore automatico.

“Ora devo andare, ci sono i miei amici laggiù.”

Quella si voltò a guardarli un secondo: “Ma Eric non frequentava un’altra scuola?”

“Ehm, sì, forse è venuto a trovarci.”

“Capisco… - annuì, sorridendo – Beh, grazie per avermi aiutato a distribuire i fischietti.”

“Oh, figurati. Abbiamo fatto qualcosa di utile.” sorrise a sua volta, imbarazzato.

A quel punto, era imbarazzata anche lei: “Senti…ti va se prendiamo un caffè insieme, domani?”

Rimasto spiazzato, tacque per diversi secondi. La sua reazione indecifrabile, le lasciò intendere un possibile rifiuto.

“Ehm, scusa, fa finta che non abbia detto nulla. – era a disagio - Forse hai da fare, anzi…mi sono appena ricordata che…”

“Va bene, accetto!” esclamò lui di getto.

Quella si bloccò, quasi incredula: “Davvero? Pensavo che…”

“Che volessi rifiutare?”

“Beh, sì… - rise per smorzare la tensione che aveva accumulato – E’ che non mi aspetto che tu voglia prendere un caffè con me dato che sono stata molto crudele con voi.”

“Scherzi? – divenne serio – Il nostro gruppo è stato crudele con te. Ma soprattutto con tuo fratello.”

Violet abbassò lo sguardo, ricordando quei tempi: “Beh, era Anthony a tirare le fila quando passava per i corridoi e prendeva di mira chiunque ritenesse uno sfigato. Non dovevo prendermela anche con voi.”

“Avremo modo di recuperare, immagino. – le sorrise – Ora scusami, ma devo proprio andare.”

“D’accordo, a domani!” lo salutò, continuando a fissarlo con dolcezza mentre raggiungeva i suoi compagni.

Arrivato al tavolo, Nolan si sedette e si ritrovò con gli sguardi letteralmente puntati addosso.

“Beh? – si chiese cosa stesse accadendo, poi notò il tortino con la candela – Cos’è quello?”

“Scusa, ma che ci facevi con Violet? – domandò Eric, mentre quello era ancora stranito dal tortino – Cos’è, ora vai a letto con il nemico?”

“A letto? – sfigurò il viso in una smorfia schiva - Ma che dite?”

“E’ un modo di dire, Rider. Ci mancherebbe!” esclamò Nathaniel, pensando che sarebbe stato il colmo.

“Cos’erano quei sorrisini e i vostri piedi che non toccavano terra? – fece delle smorfie disgustate - Giuro che vomito se mi dici qualcosa di strano.”

“Abbiamo legato un po’, ok? Domani prenderemo un caffè!”

Eric era allibito: “Nat, prendimi un secchio.”

“No, prendimelo tu! – replicò l’altro, incredulo – Rider, come puoi aver legato un po’  con la persona che ci ha praticamente messo tutta la scuola contro?”

Nolan cambiò subito atteggiamento, difendendola a spada tratta: “Ehm, piccola lezione di storia, prima della morte di Anthony la situazione era completamente capovolta.”

“Ma tu odi Violet! La odi più di me, Sam e Nat messi insieme. – precisò Eric – A meno che non siamo finiti in una sorta di mondo parallelo con un altro Rider, non può piacerti quella ragazza.”

Nolan si irrigidì improvvisamente, scoppiando in una risatina nervosa: “Un altro Rider? No no, sono sempre io. – tornò serio, schiarendosi la voce – Ehm, forse, mi sono fatto abbindolare un po’…A ci sta rendendo parecchio vulnerabili, avete ragione.”

I due tirarono un sospiro di sollievo, ora che l’amico stava finalmente ragionando.

“Bene, ora ti riconosco. E per questo… - trascinò il tortino sotto il suo naso – Buon compleanno!”

Entrambi li sorrisero, poi Eric accese la candelina con un accendino. Nolan era completamente spiazzato, spostando lo sguardo fra loro e il tortino.

“Ti fa gli auguri anche Sam, a proposito. – aggiunse Eric - E’ bloccato a casa di Tyler, deve togliere i punti.”

“Ah… - non sapeva che dire, accennando un sorriso – Beh, grazie. Non me l’aspettavo.”

Era imbarazzato.

“Non devi ringraziarci, Rider. – trovò sciocco, Nathaniel - Siamo i tuoi migliori amici.”

“Già, Nat ha ragione. Tutto quello che ci sta accadendo è orribile, ma almeno non siamo soli in tutto questo. A non riuscirà ad impedirci di festeggiare anche una cosa così banale come un compleanno. E anche se in questo caso è solo un tortino con sopra una misera candela, è sempre un qualcosa di importante e lui non può portarcela via.”

A quel punto, Nolan aveva gli occhi lucidi. Era visibilmente commosso.

“Sono molto fortunato ad avere degli amici come voi. – diede poi voce ai suoi reali pensieri, malinconico, quasi parlando tra sé e sé -  Gli unici che io abbia mai avuto, a dire il vero...”

“Sai, prima parlavamo con Sam di Anthony. Forse i soldi che li ha dato Cameron li ha usati per il bosco e forse non ha preso dei soldi solo da lui. – spiegò Nathaniel – Se troviamo quel bosco, scopriremo chi era il complice di Anthony e saremo finalmente liberi da A.”

Nolan fissò a lungo i due ragazzi, quasi sentendosi in colpa per quello che stavano passando. Poi soffiò la candela.

“Allora troveremo quel bosco!” disse dopo averla spenta.

 

*

 

In ospedale, Richard era accanto al letto di sua figlia. Lindsey dormiva, sembrava stabile. Finalmente aprì gli occhi, poco dopo.

“Dove sono?” chiese con un filo di voce, stordita.

Richard si buttò in avanti, da che era rilassato sulla sedia, prendendole la mano: “Tesoro, sei in ospedale. Avevi la febbre alta e sei svenuta.”

Quella lo fissò a lungo, tornando lucida, riprendendo indietro la sua mano: “Tu sei un bugiardo. Hai detto tante bugie.”

“Lindsey, ti spiegherò tutto, ma non avercela con me. Ti prego.”

“Cosa c’è da spiegare? Hai tradito la mamma e lei ti ha retto anche il gioco perché evidentemente è stata troppo debole per lasciarti; come tutte le donne, del resto.”

Richard aveva lo sguardo basso, mortificato: “Tesoro, è una storia molto complicata…”

“E allora raccontamela, vedremo se è come dici tu. – era in lacrime – Forza, racconta!”

Malgrado fosse molto dura per Richard, decise che era ora di dire tutta la verità: “Beh, tutto ebbe inizio circa diciassette anni fa, quando incontrai questa donna, Joanna Smith …”

 

 

*

 

A casa di Tyler, Sam era ancora da solo, in attesa che l’uomo tornasse a casa. Il vento continuava a far sbattere i rami degli alberi contro l’abitazione e si sentiva il rumore del legno scricchiolare da tutte le parti.

Annoiato, decise di ingannare il tempo facendo un giro della casa. Nel salotto potè ammirare alcune delle foto di famiglia: su un tavolino rotondo, accanto al sofà, era poggiata una foto di Tyler appena laureato con accanto un sorridente Nathaniel.

Quell’immagine spensierata dell’amico, di un tempo, lo intenerì al punto di farlo sorridere inconsapevolmente. E mentre sorpassava quel tavolino per raggiungere l’altra stanza, sfiorò la cornice con le dita.

Improvvisamente, ci fu uno sbalzo di corrente. Sam se ne accorse, osservando le lampade da parete che lampeggiavano instabili.

Dopo qualche secondo, sembrò tornare tutto alla normalità e Sam decise di raggiungere la cucina. Lungo il corridoio per arrivarci, però, si voltò verso la parete che c’era di fronte alla porta d’ingresso e notò che il display touchscreen del sistema d’allarme aveva qualche problema.

A quel punto si avvicinò, iniziando a pigiare sullo schermo nel tentativo di farlo tornare a funzionare correttamente. E fortunatamente, non ci volle molto tempo, perché si ripristinò da solo.

Sospirando, indietreggiò, pronto a dirigersi nell’altra stanza. Ma, per qualche strano motivo, avanzò nuovamente, tornando davanti a quello schermo: un pallino verde segnalava che il sistema era attivo, mentre sotto c’erano diverse opzioni. Sam decise di pigiare il tasto dell’archivio, dove erano conservate le registrazioni di tutte le telecamere poste fuori dall’abitazione.

C’erano diverse date, una dietro l’altra. Sam pensò che era sciocco stare lì davanti e così decise di rimettere il menù principale.

Poi, però, ci fu come una sorta di ripensamento; le parole di sua madre rimbombarono nella sua testa come un suggerimento, in seguito a quel sogno che aveva fatto diverse ore prima.

“Non è così difficile cercare delle risposte, Sam. Moltre volte le si possono trovare proprio dove il mistero ha avuto origine.”

“Il giorno dopo il Labor day… - sussurrò Sam, riflettendo – Il giorno in cui Albert ed Anthony sono morti…”

E cercò quella data sul display, il 08/09/2015: l’inizio dell’incubo.

Una volta trovata, aprì il filmato che mostrava 24 ore di video. Sam decise di mandarlo avanti veloce per visionarlo con più rapidità: le uniche cose che vedeva erano Tyler che usciva la mattina di casa, il postino che lasciava le lettere e di nuovo Tyler che rientrava.

La stessa sequenza si ripetè anche per gli altri due giorni seguenti e, a quel punto, Sam decise di visione ancora un giorno, prima di lasciar perdere: la data del 11/09/2015. Come fece per gli altri filmati, mandò veloce il video e aspettò di vedere qualcosa per cui valesse la pena fermare.

Qualche minuto dopo, quando ormai stava per lasciar stare, qualcosa di insolito accaddè alle ore 23:34 di quel giorno e Sam bloccò immediatamente. Ciò che vide, lo lasciò completamente a bocca ed occhi spalancati: qualcuno stava attraversando il giardino di Tyler per arrivare alla porta e quel qualcuno era…

“Anthony?! – sussultò incredulo – Ma non è possibile…” pensò scioccato, mentre lasciava che il video continuasse.

Anthony bussò alla porta diverse volte, prima che le luci in casa si accendessero. Tyler aprì la porta, mostrandosi sorpreso e sconvolto. I due parlarono per qualche secondo e Tyler fece accomodare Anthony.

Il filmato si fermò e Sam rimase lì in piedi con lo sguardo fisso sullo schermo: stava cercando di metabolizzare che Anthony era ancora vivo e questo poneva nuovi interrogativi.

Quando si diresse in cucina, poi, ritrovò nuovamente il lucchetto alla porta della cantina, che insieme a Nathaniel aveva notato la volta precedente. Sentiva che dietro quella porta c’era qualcosa che poteva rispondere a quegli interrogativi ed era determinato ad aprirla.

 

 

*

 

Eric era appena entrato nel suo appartamento, poggiando la busta della spesa per chiudere l’ombrello zuppo d’acqua che aveva nell’altra mano. Dopo averlo messo nel portaombrelli ed essersi dato uno scrollata per il freddo, alzò lo sguardo e notò che Alexis era distesa sul divano che dormiva: sembrava davvero esausta, così Eric chiuse piano la porta per non svegliarla.

Ripresa la busta, cercò di dirigersi verso la cucina con palsi felpati, ma Alexis si svegliò.

“Ehi, scusa se non sono potuto venire a prenderti alla tavola calda… - Eric si giustificò subito, mortificato – C’era un allerta meteo e non lasciavano uscire nessuno dall’istituto.”

Quella si mise seduta, massaggiandosi la testa ad occhi chiusi, la voce stanca: “Lascia stare, mi ha accopagnata Janett…”

Eric accennò un sorriso, cercando di fare conversazione: “Janett? Vedo che hai fatto amicizia al lavoro, mi fa piacere… - la vide indifferente, facendo sparire quel sorriso – Ehm, ho preso qualcosa al market, ti va un omelette?”

Finamente Alexis si voltò a guardarlo, frigida: “Eric, fa quello che vuoi. Non dirmelo. Fallo e basta.”

L’altro si preoccupò a quel punto: “Alexis, c’è qualcosa che non va?”

“Qualcosa che non va, dici? – rise, trovando la sua domanda un eufemismo – Fammi pensare: frequento le lezioni la mattina con la voglia di crollare a terra per il sonno e dopo pranzo devo subito correre a lavoro per non perdere anche quel posto. Poi devo tornare a casa, che si trova praticamente dall’altra parte della città, e se mi va bene trovo un passaggio da una Janett, che sicuramente verrà licenziata perché non distringue il pepe dal peroncino. – Eric abbassò lo sguardo – Ah, dimenticavo, il mio aggressore non è stato arrestato dalla polizia e mi minaccia con un messaggio sulla portiera della macchina. – rise ancora, stufa – Sto davvero benissimo, Eric!”

La fissò, sofferente per lei: “Alexis, cosa vuoi che faccia?”

“Dirmi la verità, Eric. – urlò, alzandosi – Ce la fai a dirla?”

“Io…Io non…” le parole non uscivano.

Quella scosse la testa, un sorriso basito: “Sai, non mi ritengo un genio. A volte, però, sono in grado di collegare molte cose, dettagli insignificati, per poi giungere ad una soluzione senza aver scelto la via più complicata. Vorrei tanto ignorare tutto quello che gli altri ignorano o non notano nemmeno, ma…non ci riesco! – esclamò, gli occhi lucidi – Quando ero in ospedale, ti ho sentito parlare al telefono con Rider e nominavi questa lettera, la A. E anche i tuoi amici la nominano, così come il nome di Brakner, associato a frasi che lasciano spazio a parecchie interpretazioni. Poi l’altro giorno qualcuno mi riga la macchina ed ecco che rispunta di nuovo fuori quella lettera.”

“Alexis, ascolta…”

“No, sono stanca di ascoltare. – lo fermò subito, agguerrita – Per molte volte hai cercato di uccidere i miei pensieri, le mie supposizioni, ma adesso basta. Quell’uomo non solo ha cercato di uccidermi, ma adesso mi minaccia pure. – le lacrime scesero copiose, pronta a prendere una decisione – Ho promesso ai tuoi genitori che mi sarei presa cura di te, ma non posso vivere in un luogo dove non mi sento al sicuro.

Eric aveva gli occhi sbarrati, gonfi di lacrime: “Che stai cercando di dirmi?”

“Che ti lascio una notte per pensare a cosa dirmi domani, e sia chiaro: domani è la verità che voglio. Altrimenti chiamerò i tuoi genitori per dire loro che me ne vado, e diventerai un loro problema, non più mio. – lo fissò determinata, asciugandosi le lacrime – Eric, sono la tua ragazza, non un manichino senza bocca, occhi e orecchie. Se pensavi di tornare ogni giorno con una busta della spesa e sorridermi come nulla fosse, sperando che ti chieda cosa cucini di buono o che ti racconti la mia giorna, ti sei sbagliato di grosso. Non sono quel tipo di ragazza. – si allontanò - Regolati, a domani.” ed entrò in camera, chiudendo la porta.

Il rumore del vento, fuori, era l’unica cosa che Eric riusciva ad udire in quel momento. Gli occhi fissavano il vuoto, mentre se ne stava in piedi, distrutto dentro. Le lacrime scendevano copiose, ma nessuna espressione nel viso. Era come un automa, privo di qualsiasi emozione. Un essere vuoto, finito: e fu in quel momento che capì che il gioco si era spinto fin troppo oltre.

 

*

 

Nathaniel aveva appena parcheggiato di fronte a casa sua, era calata la sera su Rosewood. Mentre stava attraversando la strada, però, ricevette una strana foto per messaggio: era la copia di un mandato di percusizione approvato dal tribunale di Rosewood.

Ovviamente non poteva mancare un messaggio scritto, subito dopo.

 

“Ehi, Nat, non ti senti fortunato ad avermi come informatore? Grazie a me, quella della polizia, non sarà una visita a sorpresa. Siete sicuri che nessuno di voi quattro abbia qualcosa di compromettente nella propria camera? Tick, tack…”

-A

 

Nathaniel sbiancò, tornando in fretta alla macchina, terrorizzato da cosa potesse esserci nascosto in una delle loro camere. Ma, soprattutto, se era qualcosa di nascosto da loro o da A.

Mentre stava mettendo in moto, ricevette una chiamata da Sam.

“Ehi, pronto, non posso parlare adesso.”

“Ho bisogno di te. Subito!” esclamò l’altro, serio.

Nathaniel si bloccò dal girare la chiave, passando il telefono all’altro orecchio con apprensione: “Tutto bene? Che hai?”

“Non posso dirti nulla per telefono, vieni a casa di Tyler. Ho scoperto qualcosa di importante.”

“Anch’io ho appena scoperto qualcosa.”

“Vieni qui, corri!”

“Arrivo.” rispose, chiudendo la chiamata e mettendo in moto.

 

 

*

 

Rider era stato rinchiuso in una delle stanze della sua casa sul lago, a chiave, da Norman. Era legato ad una sedia con un pezzo di nastro che gli chiudeva la bocca.

Stava osservando la finestra, respirando rumorosamente, gli occhi sgranati: tutti sintomi di una condizione di terrore.

Qualcuno era appena entrato dalla finestra. E quel qualcuno indossava un cappuccio nero: era A.

L’uomo si spostò davanti a Rider, mentre quello lo seguiva con lo sguardo, spaventato. Rimasto in piedi a fissarlo per qualche secondo, alzò il braccio, portando la mano davanti alla bocca.

“Shhhh…” fece con il dito indice.

Ma Rider non poteva parlare, solo agitarsi.

Improvvisamente, A tirò fuori un pennarello dalla tasca. Poi si avvicinò lentamente a Rider, mentre il suo battito cardiaco accellerava e gli occhi sgranavano ancora di più

Quello si inginocchiò, alzandogli la maglietta, scrivendo qualcosa sul suo addome. Quando finì, abbasso la maglietta e tornò nuovamente in piedi davanti a lui. Rider non capiva cosa stesse succedendo, ma era più calmo ora che si era allontanato da lui. Si limitava a fissarlo.

A tirò fuori il suo telefono, scattandogli una fotografia. Infine salutò e se ne andò, uscendo da dove era entrato come nulla fosse.

Rider restò pietrificato, gli occhi ancora spalancati, ed era lì che si chiedeva cosa ci fosse scritto sulla sua pelle.

 

*

 

Sam stava mostrando a Nathaniel, dopo che lo aveva raggiunto tempestivamente, il filmato delle telecamere di sorveglianza installate fuori in giardino. In piedi davanti al display, Sam aspettava da lui, a braccia conserte, una reazione a ciò che stavano guardando. Ovviamente Nathaniel era agghiacciato.

“Non è possibile…”

“E’ quello che mi sono detto anch’io. La cosa strana è che Tyler sapeva che Anthony era vivo e non l’ha detto alla polizia.”

Il filmato si era appena fermato, lasciando mille dubbi in Nathaniel.

“Un secondo, ma allora se Anthony è vivo e il corpo di Albert è in obitorio…chi è sepolto nella bara di Anthony?”

“Bella domanda…ricordi quando non eravamo sicuri che ci fosse Anthony nella bara, dopo il funerale?”

“Certo, poi sono entrato di nascosto all’obitorio e tramite i referti del medico legale ho scoperto che era Anthony. – puntò il bracciò verso lo schermo, seccato  – Solo che Anthony è qui nel video e non dentro una bara, perciò sono leggermente confuso.”

Sam mise le mani in avanti, prendendo parola dopo un bel respiro profondo, mentre Nathaniel aveva le mani nei capelli per lo stress e faceva avanti e indietro: “Ok, cerchiamo di ragionare…E’ possibile che ci fosse una terza persona alla stazione di Rosewood, mentre Anthony aspettava il treno?”

Nathaniel sgranò immediatamente gli occhi: “Oh mio Dio… - fissò Sam - A ha fatto uno scambio all’obitorio, ma non è avvenuto come ipotizzavamo. Ha preso Albert e al posto suo ci ha messo qualcuno che a questo punto non è Anthony. Solo che…nel video che A ci mostrò, registrato alla stazione, lui si dirige verso Anthony e la telecamera si abbassa, poi sentiamo Anthony urlare…”

“Forse non l’ha mai colpito per davvero…” pensò Sam.

“Forse ha colpito chi è arrivato in suo soccorso, è possibile, no?”

“Possibile o no, che fine ha fatto questa persona? Nessuno ne ha denunciato la scomparsa?”

“Non ne ho idea, ma se questa persona era alla stazione dei treni assieme ad Anthony, come faceva ad essere carbonizzato il suo corpo all’obitorio?”

“L’avrà carbonizzato A, che domande.”

“Già, ma…stessa corporatura di Anthony, stessa altezza? Mi sembra surreale che A abbia trovato un corpo perfetto da scambiare su un piatto d’argento.”

I dubbi di Nathaniel fecero riflettere anche Sam: “E’ senza dubbio quello di un ragazzo il corpo, ma quale ragazzo poteva trovarsi alla stazione dei treni a quell’ora?”

Tornato nuovamente davanti allo schermo, Nathaniel cercò di scoprire altro: “Sai quando Anthony ha lasciato la casa? Verso che ora è uscito?”

“Non è uscito, in realtà. – si avvicinò a lui, cliccando su una data, mentre Nathaniel lo sbirciava con la coda dell’occhio per la troppa vicinanza – Secondo le registrazioni, è rimasto a casa di tuo cugino per sei giorni e non è più tornato. Ho controllato”

I due stavano guardando Anthony che usciva dall’abitazione alle ore 00:34 del giorno 16/09/2016.

“Ha un borsone, Tyler deve avergli dato qualcosa.” notò.

“Magari vestiti, soldi e un biglietto del pullman. – suppose Sam - Di certo non viaggi con un aereo se sei senza documenti e sei anche morto.”

Nathaniel si fermò a pensare su suo cugino: “Tyler deve averlo fatto perché Anthony sapeva del mio problema al cuore e dei farmaci che mi prescriveva. Lo teneva ancora in pugno e Tyler aveva paura di lui, nonostante io gli abbia assicurato che non l’avrebbe mai detto a nessuno.”

“Sì, ma a questo punto la cantina con il lucchetto è molto sospetta. Ti ho chiamato perché non so come aprirla senza buttare giù la porta.”

L’altro sospirò, girandosi nuovamente verso lo schermo. Iniziò a selezionare qualcosa.

“E ora che stai facendo?”

“Elimino me e te che entriamo oggi a casa sua. – e lo fece con successo – Ora possiamo buttare giù la porta senza che scopra che siamo stati noi.” e si diresse in cucina con Sam a seguito.

“Aspetta, è se cadi di sotto quando la porta cede? E se ti senti male per lo sforzò?” piombò alle sue spalle, tirandolo per un braccio con molta apprensione, mentre quello era davanti alla porta.

“Sam, non voglio perdere tempo. – gli disse serio, dopo averlo fissato a lungo, sorpreso dalla sua preoccupazione  - A mi ha fatto sapere che c’è un mandato di percuisizione per tutti e quattro e che uno di noi ha qualcosa di compromettente nella propria camera.”

“Un mandato? – sbiancò, sgranando gli occhi – Ma allora il Detective Costa non se l’è bevuta ieri.”

“No, per niente. Dev’essere straconvinto che siamo stati noi ad uccidere Albert e magari anche Anthony e suo padre.”

Nathaniel iniziò ad aprire gli sportelli bassi della cucina, in cerca di qualcosa. Sam era ancora pallido, mentre pensava a diverse cose.

“Ma se Anthony è ancora vivo, perché A continua a perseguitare noi?”

“Forse gli è sfuggito. – disse la sua, mentre era ancora chinato a cercare – Mi gioco tutto che A ha tenuto Anthony da qualche parte e poi è riuscito a scappare. Spiegherebbe perché è venuto a casa di Tyler tre giorni dopo la sua falsa morte.”

“Forse gli è sfuggito o forse l’ha ucciso veramente, alla fine. Dubito che A non l’abbia ritrovato”

Finalmente Nathaniel si risollevò, dopo aver trovato un piede di porco.

“Stai indietro!” ordinò a Sam, che eseguì immediatamente.

Nathaniel diede quattro colpi ben assestati al lucchetto, che alla fine si ruppe, cascando a terra con tutta la giuntura.

“Caspita, hai fatto subito.” restò alquanto stupito.

“Sam, è un lucchetto non un capezzolo di Superman. – si voltò a dirgli, dopo aver aperto la porta – Forza, scendiamo, non abbiamo tempo da perdere.”

“Eccomi!” lo seguì immediatamente.

Quando furono di sotto, Nathaniel dovette tirare una cordicella per accendere la luce e illuminare la stanza. Quello che trovarono lì sotto, però, andava ben oltre la loro immaginazione.

C’era un tavolino medio basso, al centro, con sopra diversi cartoni di pizza, lattine di birra vuote e deformate, cartacce e molto altro anche sul pavimento. Vicino alla parete, invece, c’era un materasso con una coperta sgualcita sopra e qualche abito buttato qua e là: era un vero è proprio caos.

Mentre aveva ancora gli occhi sgranati, Nathaniel fu il primo a trovare le parole: “Sai, sembra quasi di essere come in quel film con Brendan Fraiser, Sbucato dal passato, dove insieme alla famiglia viveva in un bunker sotterraneo…”

“Beh, loro avevano la casa in ordine, però.” precisò Sam, riuscendo a stento a staccare gli occhi da quello scenario.

A quel punto, Nathaniel scrollò le spalle: “Ok, diamoci da fare. – iniziò a frugare tra le varie cose - Anthony ha vissuto qui sotto per qualche giorno, mi sembra evidente, ma avrà pur lasciato qualche indizio, no?”

Anche Sam si diede da fare, dall’altro lato della stanza: “Sull’identità di A, intendi?”

“Di A, o del suo complice al bosco.”

Sam si voltò un secondo, mentre l’altro era di spalle a spostare degli scatoloni, dubbioso: “Credi che Anthony conosca l’identità di A?”

“Immagino di si… - si voltò a rispondergli, tornando a spostare di nuovo cianfrusaglie – Deve saperlo, se era suo ostaggio.”

“Ok, ma quando ho nuotato fino al centro del lago per recuperare le tue pillole, A era dall’altra parte del molo e indossava un cappuccio nero con qualcosa che gli copriva il volto. Nemmeno Rider ed Eric l’hanno visto in faccia quando l’hanno rincorso nei sotterranei della scuola.”

“Quindi pensi che non si sia svelato nemmeno ad Anthony? Ne dubito…Se fossi il cattivo, io vorrei che il mio nemico sapesse che dietro alla maschera ci sia io.”

Sam riprese a cercare, sollevando il materasso, pensieroso: “Dove sei finito, Anthony…” sussurrò.

I due poi fecero silenzio, nella disperata ricerca di un’indizio. Finchè, poi, Nathaniel non decise di romperlo nuovamente con una confessione.

“Ho visto il tuo videomessaggio a Wesam, era rimasto nella mia macchina e così… - incantò la parete, senza voltarsi, cercando di carpire la sua reazione ascoltando il suo respiro – Scusa…”

Anche Sam rimase ad incantare la parete verso il quale era voltato, continuando a spostare cose, tranquillamente: “Pensavo che solo mio padre invadesse la mia privacy…”

“Non sei arrabbiato?”

“Non ho tempo per arrabbiarmi. E poi, non mi importa che tu lo sappia…sono stanco di avere segreti.”

L’altro divenne teso, geloso, che torturava una scatola di fiammiferi tra le mani: “…E quindi lo ami?”

Sam ci mise un po’ a rispondere, sfiodando le cose: “Forse, sì…Con lui sto bene, mi fa stare bene. – accennò un sorriso spensierato - Mi sento protetto, e…ogni volta che sono con lui, è come se il tempo si fermasse. E anche la mia vita. Nessun pensiero brutto, solo cose belle…Non mi capitava da tempo.”

Quelle parole ferirono Nathaniel in profondità, come se una lama l’avesse appena trafitto senza pietà. Ovviamente, Sam non poteva vedere quanto Nathaniel stesse soffrendo in volto e come i suoi occhi fossero lucidi; dentro di lui, sapeva di provare qualcosa per Sam, ma era troppo tardi e finse un volto quieto quando si voltò.

“Se ti fa stare bene, allora sono contento per te. – Sam si voltò a guardarlo, ricevendo un sorriso - Almeno uno di noi merita di finire tra le braccia di qualcuno, quando tutto sembra crollare.”

Sam restò ad osservare il suo viso, i suoi occhi, mentre diceva quelle parole. Era come se percepisse un’immensa tristezza da parte sua, che ostentava a mascherare; tuttavia, Sam sapeva che non poteva essere innamorato di lui dopo averlo schiaffeggiato al ballo degli ex alunni per essersi approfittato della sua vulnerabilità e della sua palese cotta, nel tentativo di convincerlo a lasciare l’edificio riempito dalla perdità di gas.

Quindi sorrise a sua volta, ignorando i suoi pensieri: “Spero che lo meriteremo tutti e quattro, quando tutto questo sarà finito. Abbiamo annullato le nostre vite per così tanto tempo, che abbiamo quasi dimenticato cosa vuol dire uscire a divertirsi, guardare un film salutare le persone per strada, provare ansia per un test, innamorarsi…E’ ora di riprendere le nostre vite indietro.”

Nathaniel annuì, d’accordo. I due restarono a guardarsi, finchè non fu proprio Nathaniel a distogliere lo sguardo, notando qualcosa sotto il lenzuolo che c’era sul materasso.

“Ehi, quello cos’è? – indicò, mentre Sam si girava a guardare – Non sembra…???”

L’altro alzò immediatamente il lenzuolo, rivelando una giacca.

“Ma questa è di Anthony, ce l’aveva addosso quando l’abbiamo accompagnato alla stazione di Rosewood.”

Nathaniel si avvicinò, mettendoci sopra le mani: “Controlliamo le tasche, magari c’è qualcosa.”

E fu in quel momento che trovarono finalmente qualcosa: un fogliettino ripiegato più volte. I due si guardarono giusto un attimo, affamati di risposte, curiosi. Nathaniel lo aprì, rivelandone immediatamente il contenuto.

 

“www.raeFlaeR.jwj”

 

Sam fece immediatamente una smorfia confusa: “Ma che significa?”

“E’ un sito web, ma non capisco…” si voltò nuovamente a guardare il foglio, altrettanto confuso.

“Questo gioco cambia in continuazione. Non abbiamo il tempo di avere una certezza, che ogni volta spunta fuori qualcosa che stravolge tutto.”

L’altro sospirò, mentre il mistero si infittiva nuovamente: “Già, e sento che ancora molte altre cose spunteranno fuori per nostra sfortuna.”

Improvvisamente, un rumore al piano superiore: una porta che si apriva.

“Oh mio Dio… - sussurrò Sam, alzando il capo verso l’ingresso della cantina – Dev’essere Tyler.”

Nathaniel, rapido, si guardò attorno, addocchiando una finestrella: “Ehi, presto, usciamo da lì! - trasportò Sam verso il mobiletto che c’era sotto la finestrella – Sali, forza!”

“Sì, ok…” eseguì, respirando in maniera ansiosa, per poi aprire la finestrella e trascinarsi fuori.

Fu il turno di Nathaniel, che una volta in piedi sul mobiletto, venne aiutato dalle mani di Sam ad uscire.

“Forza, vieni! – lo aiutò ad alzarsi, mentre era inginocchiato fuori dalla finestralla – Torniamo alla macchina, facciamo presto.”

“D’accordo…” lo fissò Nathaniel, annuendo, mentre Sam aveva ancora le sue mani che stringevano i suoi polsi.

Si staccarono, poi, non avendo nemmeno il tempo di imbarazzarsi per quel contatto avvenuto in maniera ingenua, senza che se ne accorgessero, preoccupati l’uno per l’altro. L’attimo seguente fuggirono.

 

 

*

 

 

Intanto, preso dal terrore di poter venire scoperto da un momento all’altro, Nolan guidò fino al Lost wood resort, prendendo una stanza.

Mentre faceva avanti e indietro, pensando ad una soluzione per non finire di nuovo al Radley, ricevette un messaggio.

 

“Guarda chi c’è, il fratello che ha rubato la tua vita. Non vuoi chiudere i conti?”

-A

 

In allegato, la foto di Rider alla casa sul lago.

 

Nolan sgranò immediatamente gli occhi, pensando a mille cose in quel momento. Il suo battito accellerò e preso dall’adrenalina del momento, prese immediatamente le chiavi della macchina che aveva poggiato sul letto, uscendo.

Presto avrebbbe avuto il suo faccia a faccia con suo fratello, dopo ben undici anni dalla loro separazione.

 

CONTINUA NEL QUINDICESIMO CAPITOLO

 

*

 

Mentre Alexis era in bagno che si stava facendo una doccia, Eric era seduto sul divano a fare zapping in televisione mentre sulle ginocchia aveva aperto il libro di storia. Ogni tanto si voltava in direzione del bagno ad ascoltare il rumore dell’acqua che scendeva dalla doccia. Pensieroso, non riusciva proprio a concentrarsi sullo studio.

Improvvisamente, sul tavolino di fronte a lui, il suo telefono iniziò a vibrare. Eric lo recuperò subito.

 

“Sembra che uno dei bugiardi non sia voluto restare a casa, nonostante la tempesta. Peccato.”

-A

 

Eric sgranò gli occhi, sobbalzando dal divano dopo aver visto anche la foto di Rider legato ad una sedia in allegato.

Immediatamente si voltò a fissare la porta del bagno: Alexis era ancora sotto la doccia. A A quel punto doveva uscire, avvisare i suoi amici senza perdere tempo, perciò prese un pezzo di carta e scrisse due righe.

 

“Ho dimenticato le uova, esco a prenderle.”

 

 

Lasciò il foglietto sul tavolino e prese il cappotto in fretta e furia, uscendo. Per le scale, provò a chiamare Nathaniel o Sam, ma ad entrambi c’era la segreteria.

“Nat, appena ascolti il messaggio, chiama Sam e venite alla casa sul lago. A ha preso Rider, sto andando lì ma non idea di cosa fare. Ti prego, fate presto.”

 

*

 

Nel frattempo, Nathaniel e Sam avevano appena parcheggiato davanti a casa di Rider, fissando l’abitazione. Nathaniel scese dalla macchina, facendo il giro. Sam abbassò il finestrino, il vento era fortissimo.

“Non c’è nemmeno una macchina. – notò Nathaniel - E’ possibile che non ci sia nessuno in casa?”

Sam inclinò la testa per vedere meglio, osservando la casa alle spalle di Nathaniel: “Non vedo luci accese…”

“Se Rider non c’è, dovrò arrampicarmi fino alla sua finestra.” spiegò, rabbrividendo per freddo.

“Perché pensi che A abbia messo qualcosa di compromettente proprio nella camera di Rider e non in una delle nostre?”

“Un presentimento.”

“Cioè?” restò un attimo perplesso.

“Non lo so, non abbiamo molto tempo per frugare in tutte le nostre stanze e non possiamo comunicare tra noi per telefono. E poi non è detto che A abbia messo qualcosa, magari qualcosa di compromettente c’è già. Rider potrebbe aver conservato qualcosa, non so.”

“Ok, allora io che faccio? Scendo con te?”

“No, fai il palo. – poi indicò verso i sedili posteriori dell’auto – Mi passi lo zainetto che c’è lì dietro?”

Quello eseguì, facendo una smorfia confusa: “A che ti serve?”

“Non so, potrei trovare degli abiti insanguinati, una scarpa, una testa. – spiegò, isterico per il freddo – Mi serve lo zaino, tu resta qui. E chiamami se arriva qualcuno.”

“Ok, fa presto…” gli raccomandò, guardandolo allontanarsi, con apprensione.

Quando Sam alzò lo sguardo al cielo, si vedevano dei bagliori tra le nuvole. Spaventato dai tuoni che stavano per arrivare, rialzò il finestrino, restando in allerta.

Intanto Nathaniel era sul retro dell’abitazione, davanti al ***. Con una presa ben salda, iniziò ad arrampicarsi, ma un improvviso tuono lo bloccò a metà strada, facendogli stringere la presa ancora di più. Dopo aver riaperto gli occhi ed essersi fatto coraggio, giunse davanti alla finestra e la aprì con forza.

Passando dal piccolo spazio che era riuscito ad ottenere con fatica, visto che si trattava di una finestra ad apertura verticale, caddè sul pavimento. Subito si risollevò, accendendo una lampada. Si guardò attorno, cercando di capire dove iniziare a cercare.

Fu dai cassetti del comodino ai lati del letto che cominciò, scrutandoli attentamente. Dopo qualche minuto, sembrò aver trovato qualcosa al terzo cassetto: una ricevuta.

 

Quando vide la data di emissione, capì immediatamente che si trattava della ricevuta dell’officina dove Rider aveva portato ad aggiustare il parabrezza rotto da Albert, quando fu investito.

“Ma l’ha tenuta? – sgranò gli occhi – E’ impazzito?”

Subito la mise nello zaino, continuando a frugare negli altri cassetti. Trovò nuovamente qualcosa: un tablet.

“Ma questo è il tablet che abbiamo rubato dal laboratorio del dipartimento di ingegneria elettronica… - sopra c’era attaccato un post it, che lesse – Controllare posizione sospetta nel bosco dopo il ponte…”

Nathaniel fece una faccia stranito, molto perplesso: “Ma questa è la scrittura di Rider, perché non ci ha detto nulla di questo post-it? – pensò, per poi fare una supposizione – E se questo bosco dopo il ponte fosse…”

Pieno di dubbi, chiuse i cassetti e si alzò in piedi, ma nel momento in cui indietreggiò di qualche passo, inciampò in alcuni libri e quaderni caduti dal letto. D’istinto, li raccolse per metterli sul letto, e senza accorgersene aveva aperto uno dei quaderni, richiudendolo subito. Dopo averli poggiati sul letto, era pronto ad uscire, ma stranamente tornò indietro, riaprendo quel quaderno, scrutandone la scrittura.

Sbattendo gli occhi perplesso, Nathaniel recuperò il post-it dallo zaino e confrontò le scritture.

“Non è possibile… - notò delle sostanziali differenze su alcune lettere, per poi aprire il quaderno alla prima pagina – Ma qui la scrittura cambia nuovamente, non capisco…”

Confuso dal fatto che le prime pagine del quaderno avessero una scrittura diversa dalle pagine più recenti, restò lì imbambolato a cercare di comprendere tale mistero. Finchè, improvvisamente, non si focalizzò su uno dei libri che aveva raccolto da terra assieme ai quaderni.

La donna con l’impermeabile rosso…” lesse il titolo, recuperandolo.

Incuriosito lo aprì, ma quella curiosità si trasformò immediatamente in un’agghiacciante sorpresa: le pagine erano scritte a mano.

“Ma che diavolo…??? – sussurrò, iniziando a leggere – Cosa da sapere su Nathaniel: Recentemente ha fatto delle analisi e ha scoperto che gli ho fatto assumere delle pillole per il cambio di sesso. Suo cugino Tyler lavora in ospedale, sua zia Courtney l’ha accompagnato.”

A quel punto, Nathaniel alzò gli occhi dal libro. Stava iniziando a capire qualcosa che aveva dell’inspiegabile.

Intanto, Sam era ancora in macchina che aspettava il ritorno di Nathaniel. Era così distratto a fissare l’abitazione per vederlo spuntare fuori, che per un pelo non si accorse della macchina che stava arrivando. Sobbalzando sul sedile, premette il clacson per tre volte consecutive, [Nathaniel lo udì in quel preciso istante, allarmandosi] per poi scivolare lungo il sedile per non farsi vedere. La macchina aveva appena parcheggiato dall’altro lato della strada: era Richard Stuart.

Quando scese dalla macchina, però, al Signor Stuart puntò l’auto, insospettito. Sam, con la coda dell’occhio, lo vide avvicinarsi e iniziò a respirare in maniera ansiosa.

A quel punto non potè più far finta di nascondersi, mentre quello bussava al suo finestrino.

Sam lo abbassò, forzando un sorriso: “Ehm, salve…”

“Posso chiederti perché ti stavi nascondendo? Ti ho visto, sai…”

“Mi erano cadute le chiavi, perciò ho fatto un po’ fatica a recuperarle…” spiegò, mentre quello lo fissava stranito.

“Scusa, ma chi sei? Conosco tutti i miei vicini e non…”

“Ehm, a dir la verità, sono un amico di Rider, Signor Stuart…”

L’altro abbandonò subito la sua espressione sospettosa, sorridendo: “Ouh, sei un amico di Rider. Dovevo immaginarlo.”

“Lo stavo aspettando, ho visto le luci spente e quindi ho pensato che a quest’ora dovrebbe tornare da un momento all’altro. – buttava in continuazione uno sguardo alle spalle dell’uomo, sperando di vedere Nathaniel – Sa, mi servono degli appunti…”

“Anche tu alla Northdale?”

“No! Cioè, sì! – sembrò contraddirsi - Anch’io sono stato assegnato alla Northdale.” esclamò teso, sudando freddo.

“Capisco… - annuì poco convinto – Beh, cercavo anch’io mio figlio. Se dovessi vederlo, digli di tornare a casa.”

“Ma certo, sicuramente.”

“Ok, buona serata. Grazie.” concluse, allontandosi.

“Anche a lei! – urlò, per poi chiedersi dove fosse l’amico – Dannazione, Nat, dove sei?”

Quando controllò l’orario sul telefono, si accorse di avere un messaggio in segreteria e subito lo ascoltò.

“Sam, ti prego richiamami o raggiungimi alla casa sul lago. Nemmeno Nathaniel risponde, dove siete? A ha preso Rider, sto andando lì ma non idea di cosa fare. Fate presto!”

“Oh mio Dio… - sgranò gli occhi, per poi trovare anche la foto di Rider in allegato ad un messaggio lasciato sempre da Eric – Oh cavolo!”

Quando si voltò sulla strada, il Signor Stuart non c’era più. E di Nathaniel non c’era l’ombra.

Combattuto, prese una decisione, mordendosi le labbra: “Nat, perdonami…” e accese la macchina, partendo a tavoletta.

Qualche secondo più tardi, Richard si sollevò lungo il sedile; non era mai rientrato in casa. Anch’egli accese l’auto, seguendo Sam.

Nathaniel, intanto, era appena sceso dalla finestra della camera di Rider. Quando tornò sulla strada, Sam e la macchina erano spariti e quello si guardò intorno, chiedendosi dove fosse andato.

 

*

 

Alla casa sul lago, Eric era appena arrivato sul posto, notando la macchina di Rider parcheggiata di fronte alla sua.

Guardandosi attorno, in allerta, arrivò alla porta, pronto ad entrare. Improvvisamente, un urlo nel bosco lo fermò nel farlo.

“Ma questa è la voce di…” e senza stare a pensarci, corse subito in direzione del grido che aveva sentito.

Nel frattempo, colui che aveva urlato era Nolan. Aveva una pistola in mano e la puntava verso ogni direzione, con il fiatone, fuori di senno.

“Norman vieni fuori, lo so che sei qui intorno. – urlò più forte, sgranando gli occhi ad ogni minimo rumore – NORMAN!”

Ad un certo punto, alle sue spalle, giunse Eric. Non l’aveva nemmeno sentito arrivare.

“Rider, eccoti!” esclamò con il fiatone.

L’altro si voltò di scatto, puntando l’arma verso di lui come un pazzo. Eric alzò le mani, spalancando gli occhi.

“Ehi ehi, sono io! Abbassa quel coso!”

Nolan si diede un contegno, abbassandola: “Scusa, pensavo che fosse qualcun altro. Tu che ci fai qui?”

“Pensavi che fossi A? – si girò a guardare in tutte le direzioni – E’ qui intorno?”

La sua presenza, però, sollevò un dubbio in Nolan: “Ehm, per caso A ha mandato anche a te quella foto di me?”

“Sì, mi sono spaventato tantissimo. Fortuna che sei riuscito a liberarti e a prendere la sua pistola.”

A quel punto, Nolan capì di essere stato ingannato da A ora che la sua situazione era diventata troppo problematica per lui.

“Bastardo…” disse fra sé e sé.

“Hai detto qualcosa?”

“Forse è meglio andare via, c’è troppo vento qui…” propose, camminando per tornare indietro.

Eric, però, lo fermò per il petto: “Un secondo, aspetta. Ti ho sentito urlare un nome…Norman, credo. Chi è Norman?”

In quel momento, Nolan non seppe come spiegare la cosa, sudando freddo. All’improvviso, si sentè il rumore di un ramo spezzarsi, nelle vicinanze, ed entrambi si voltarono a guardare.

Nolan ne approfittò per colpire Eric alla testa con l’impugnatura della pistola. Quello precipitò subito a terra, perdendo i sensi.

“Scusa, Eric, ma ho un po’ da fare al momento. – tornò a guardarsi intorno, vigile – Norman lo so che sei nascosto dietro ad uno di questi alberi. Esci, parliamo un attimo!”

 

 

*

 

Anche Sam giunse alla casa sul lago, passando accanto alle macchine dei suoi amici. Stringendo gli occhi per via del vento, entrò dentro l’abitazione, chiudendo la porta alle sue spalle. Riprese fiato, iniziando a fare caso al silenzio che c’era: sentiva solo il legno scricchiolare e qualche finestra che batteva.

Lungo il corridoio che portava alle scale, Sam camminò con passi felpati scrutando le stanze aperte. Non c’era anima viva.

Giunto davanti agli scalini, iniziò a salire, finchè all’improvviso qualcuno non aprì la porta d’ingresso, sbattendola una volta entrato: era Nolan.

“Oh mio Dio, Rider!” esclamò Sam, scendendo.

Nolan si voltò di colpo, con il fiatone, non si aspettava di vedere Sam: “Ma ci sei anche tu?!”

“Sì, pensavo fossi in pericolo, Eric mi ha lasciato un messaggio dicendomi che A ti aveva rapito. – si avvicinò preoccupato – Stai bene?”

Nonostante fosse teso, cercò di non darlo a vedere: “Ehm, sì, sono riuscito a liberarmi. Hai per caso visto qualcun altro oltre me?”

“No, nessuno. A proposito, Eric dov’è?”

Quello scosse la testa, mentendo: “Non lo so, non ne ho idea.”

Improvvisamente, bussarono alla porta. Sam e Nolan indietreggiarono, spaventandosi.

“E’ A? – gli sussurrò Sam - Eri fuori con lui?”

“Ehm, sì…” mentì nuovamente, ignaro di chi potesse essere, se Norman o Eric. Finalmente si udì una voce.

“C’è qualcuno? Ehi?”

Sam sgranò gli occhi, correndo alla porta: “Ma questa è la voce di Nathaniel!”

Subito gli aprì la porta, facendolo entrare. Nathaniel era pronto a dire qualcosa a Sam, non appena vide il suo viso, ma quando notò Nolan alle sue spalle, si bloccò e divenne serio.

“Rider, vedo che stai bene. – si voltò verso Sam - Ho sentito il messaggio di Eric in segreteria, A è davvero qui?”

“Non lo so, Rider dice di sì e io sono spaventato a morte. – tremava Sam - Hai visto Eric?”

“No, ma dovrebbe essere arrivato qui prima di noi…” pensò, lanciando insistenti sguardi su Nolan, che deglutiva faticosamente.

“Quindi che facciamo? Ce ne andiamo, chiamiamo la polizia, cosa facciamo?” domandò nervoso, Sam.

Nathaniel assunse improvvisamente un tono cinico, fissando Nolan: “Non possiamo andarcene, dobbiamo prima salvare Rider.”

Sam fece subito una smorfia confusa, mentre Nolan si limitò a fare lo stesso, lasciandosi scappare un’espressione esilarata: “Salvarmi? Ma io sono qui, sto bene.”

“Già, di che stai parlando?” aggiunse Sam.

“Rider, quanti orologi da taschino possiedi?” gli chiese secco, Nathaniel, fissandolo morbosamente.

“Scusami?” replicò quello.

“Ti sembra il momento, Nat? – lo riprese Sam, disorientato – Cosa c’entrano gli orologi?”

“Niente, dico solo che Rider è una persona che ci tiene alla puntualità. – lo fissò ancora, mentre l’altro sudava freddo - E che ha fatto molti viaggi in inghilterra, dove ha comprato diversi orologi da taschino…”

“Nathaniel, io non ti seguo. – Sam era a dir poco basito - Fuori c’è pazzo psicopatico che vuole ucciderci e tu pensi ai viaggi a Londra di Rider?”

“Ne ho qualcuno, ok? Non mi sembra il momento di metterci a contarli.” ribattè Nolan, messo alle strette da quella domanda.

“Ne hai ventisei di orologi da taschino, chiunque tu sia. – sorrise cinicamente, sapendo di averlo messo nel sacco - Rider me l’ha detto, ma forse tu non lo sai perché A non può sapere tutto di noi.”

Nolan a quel punto tirò fuori la pistola che aveva dietro, infilata nei jeans: “Ok, lo sapevo che prima o poi la verità sarebbe venuta fuori.”

Sam fece un balzò accanto a Nathaniel, sgranando gli occhi, confuso.

“Ma che sta succedendo? Rider, che fai?”

“Quello non è Rider, Sam. – spiegò, fissando Nolan, mentre teneva il braccio teso davanti a lui per proteggerlo - Ha finto di essere lui, ma non è Rider.”

“Come hai fatto a scoprirlo? Eppure sono stato bravo a recitare la parte.”

“Chi sei, piuttosto?!” gli urlò Sam.

“Si chiama Nolan e lavora con A. – continuò Nathaniel – E’ tutto scritto in un libro che ha in camera sua. Ogni nostro segreto, ogni nostra mossa, ogni nostro legame con altre persone…tutto affinchè potesse avere gli stessi ricordi di Rider.”

Nolan continuò a puntare la pistola contro di loro, cercando di non essere frainteso: “Sentite, non voglio farvi del male. A mi ha tagliato fuori dal suo gioco, per questo mi avete scoperto. Ha voluto che venissi qui per chiudere i conti con Rider, e invece ha portato qui anche voi.”

Sam ancora non capiva: “Chiudere i conti con Rider?”

“Rider è mio fratello gemello, ma non sapeva che io esistessi. Dall’età di sette anni sono stato rinchiuso al Radley, dopo un incidente.”

“Che tipo di incidente?” fu il turno di Nathaniel.

“Beh, tanto per cominciare, io non dovevo essere internato al Radley. E’ stato un errore. Rider doveva finirci, ma nessuno mi ha mai creduto.”

“Di che cosa stai parlando? – Sam scosse la testa, non riuscendo a seguirlo – Da quando sei con noi? E dov’è stato Rider per tutto questo tempo?”

“A mi ha aiutato a scappare dal Radley la sera del ballo. Rider ha preso il mio posto da quel momento, e io il suo.”

Sam sentì quasi una sensazione di vuoto e delusione, abbassando lo sguardo: “Quel giorno, davanti all’ambulanza, ti ho abbracciato. Io e Rider avevamo litigato prima del ballo e quando la scuola è esplosa, ho pensato che non ce l’avesse fatta. – gli occhi si fecero lucidi – Pensavo di aver abbracciato Rider, e invece eri tu. Un perfetto estraneo che credevo mio amico.”

Anche gli occhi di Nolan si gonfiarono di lacrime, quasi come se fosse mortificato: “Mi dispiace, non volevo prendervi in giro. Volevo solo essere libero, godermi finalmente la vita che Rider mi aveva rubato e avere una famiglia, degli amici… Forse all’inizio non mi importava di voi, ma dopo quello che abbiamo passato insieme…” si mostrò realmente commosso, la pistola che tremava fra le sue mani.

“Non so cosa sia successo nella vostra famiglia in passato. – replicò Nathaniel - Insomma, avrai le tue buone ragioni per essere qui, ma come puoi vedere…la vita di Rider fa schifo quanto la tua in quel manicomio, se non peggio.”

“Quello che voglio ora, è parlare con mio fratello e mio padre. – una lacrima gli scese lungo il viso, disperato – Non posso perdere questa occasione, non so per quanto ancora resterò libero.”

“Dov’è Rider?” chiese Sam.

“Credo che sia al piano di sopra. – con la pistola fece loro cenno di salire – Liberatelo, non siamo soli qui intorno…”

“Che vuoi dire? – domandò Sam – Parli di A?”

“Credi davvero che lui sia qui? E’ nella sua tana che si gode lo spettacolo, ovviamente. – ribattè Nolan, disprezzandolo esattamente come loro – Si tratta di Norman, un altro paziente con cui ho fatto amicizia al Radley. E’ pericoloso!”

“Aspetta, il tizio di cui parlavano ai notiziari stamattina?” chiese conferma Nathaniel, ricordando.

“Esatto, è qui intorno e mi sta cercando con una pistola. Dovevamo fuggire insieme dal Radley, poi ho conosciuto A e mi sono distaccato da lui. – mostrò un espressione preoccupata – Vedete, lui è ossessionato dalle amicizie, vuole fare parte di qualcosa, essere amato. In me ha visto un traditore dopo aver scoperto che io ero fuggito, perciò…”

Sam, a quel punto, decise di cogliere la palla al balzo: “Tu non sai chi è A, vero?”

“No, lui non si fida di nessuno. Sono stato solo una pedina, ha sfruttato il mio rancore e al mio desiderio di vendetta. – fece un nuovo cenno con la pistola – Forza, salite!”

E quelli camminarono velocemente fino alle scale, mentre quello li teneva sotto tiro. Improvvisamente, un tuono fortissimo investì la zona, creando un boato: la corrente saltò all’istante.

Approfittando dell’oscurità, Sam e Nathaniel corsero al piano di sopra e si chiusero dentro una delle stanze. Quando si voltarono, Rider era proprio lì come nella foto, che faceva dei versi con la bocca.

“Oh mio Dio, Rider…” si avvicinò a lui, pronto a liberarlo dal nastro adesivo e le corde.

Nathaniel, però, lo fermò: “Aspetta, aiutami a bloccare la porta prima. – indicò con lo sguardo un armadio lì accanto – Ecco, spostiamo questo armadio, presto!”

E i due lo spinsero fin davanti alla porta, cercando di non permettere a Nolan di raggiungerli.

Dopo, nonostante l’affanno, Nathaniel e Sam liberarono l’amico.

“Finalmente, è tutto il giorno che sono bloccato qui. – si alzò in piedi, alla loro altezza – Ragazzi, sono così contento di vedervi.”

Sam restò a fissarlo per qualche secondo, poi lo abbracciò di getto, emozionato: “Rider non riesco ancora a crederci che non eri tu…”

Rider sgranò gli occhi, per poi abbandonarsi a quell’abbraccio che desiderava da quando era stato rinchiuso: “Non so cosa vi abbia fatto Nolan assieme ad A durante tutto questo tempo, ma mi dispiace profondamente. – si staccò da lui, accertandosi delle loro condizioni – State bene?”

Fu Nathaniel a prendere parola: “Nolan non ci ha fatto nulla, a parte fingersi te, ma A…” e abbassò lo sguardo, senza riuscire a finire.

Rider si voltò a guardare Sam, che tratteneva le lacrime a stento: “Sam, che è successo?”

“A ha ucciso Edward e ci ha fatto seppelire il suo corpo nel bosco. A pezzi… - spiegò piangendo – Non so nemmeno se riuscirei a trovare le parole per descrivere quella notte, tu non ne hai idea.”

“Lo so, anch’io avevo un incubo tutto mio. – gli mise una mano sulla spalla, commosso - Non potevo nemmeno comunicare con voi, mi sono risvegliato in quella stanza e avevo i polsi e le caviglie bloccate da cinturini…”

“Ragazzi, lo so che abbiamo passato l’inferno, ma dobbiamo andarcene da qui!” suggerì Nathaniel.

Quelli annuirono, mentre Rider si avvicinava alla finestra: “Dobbiamo per forza uscire da qui, ho sentito che eravate al piano di sotto con mio fratello e che ha una pistola.”

“Credimi, ho già fatto parecchia esprienza nel calarmi da una finestra oggi, muoviamoci!” esclamò Nathaniel, avvicinandosi a lui con Sam.

Quando furono tutti e tre davanti alla finestra, videro qualcuno di sotto. Quello alzò la testa e anche una pistola. Rider, reattivo, spinse subito i suoi amici a terra: due spari mandarono in frantumi la finestra. I tre precipitarono a terra con addosso i vetri.

“Nooolaan??? Sei tuu-u??” urlò malamente, Norman.

Quelli, doloranti per la caduta, restarono distesi a terra, impauriti.

“Non so se lo sapevate, ma c’è un altro pazzo qui. – spiegò Rider in un sussurro – Si chiama Norman!”

“Sì, Nolan ce lo stava dicendo...” ribattè Nathaniel.

“E adesso che facciamo? – si chiese Sam – Nolan è dentro e quell’altro è fuori. Siamo bloccati.”

“Eric dov’è? – Rider si ricordò di lui – Perché non è con voi?”

“E’ venuto qui prima di noi, ma non l’abbiamo visto…” spiegò Sam, spaventato.

I tre rimasero in silenzio, fissando il soffitto, tremando.

“Sarà andato via?” chiese Sam.

Rider si sollevò in piedi, parlando piano: “Dobbiamo andarcene, provate a chiamare Eric.”

Nathaniel prese il telefono, mentre quello si avvicinava cauto alla finestra: “Ora provo a chiamarlo.”

“Rider sta attento…” gli suggerì Sam.

“…Non vedo nessuno, forse è entrato in casa.” ribattè quello, nascosto dietro la tenda a guardare fuori.

 

 

*

 

Il telefono di Eric vibrava sul terreno, scivolato fuori dalla sua tasca poco dopo essere stato aggredito. Rimasto incosciente per diverso tempo, Eric si stava finalmente risvegliando.

Dopo aver aperto gli occhi, cercò di risollevarsi in piedi, la testa dolorante e il sangue che gli usciva dalla ferita che aveva sulla fronte. Eric se la toccò, per poi osservare il sangue sulle dita. Immediatamente cercò il suo telefono, ritrovandolo a terra, con una chiamata persa da parte di Nathaniel.

Per circa qualche secondo, cercò di riordinare le idee e capire cosa fosse successo; Rider l’aveva aggredito e non capiva il perché di tale comportamento.

Provando a richiamare Nathaniel, poi, qualcuno lo prese alle spalle, chiudendogli la bocca con la mano e facendogli cadere il telefono dalle mani: era Richard.

“Shhh, non fare un fiato…” gli sussurrò.

Eric aveva gli occhi sgranati dal terrore, non riuscendo a capire chi avesse alle spalle. Richard lo voltò verso di sé, togliendoli la mano dalla bocca.

“Ma lei è il padre di Rider.”

“E tu devi essere un suo amico, giusto?”

“Sì, ma che ci fa lei qui?”

“Potrei farti la stessa domanda, ho seguito fin qui uno dei tuoi amici.”

Eric si trovò subito in difficoltà, non poteva rivelare la verità: “Ehm…Noi…”

“Vi ha attirato qualcuno qui? – azzardò – Sapete di Nolan?”

“Nolan? – Eric non capì – Chi è Nolan?”

“Chi ti ha colpito alla testa?” notò la sua ferita.

“Ehm…In verità…”

“E’ stato Rider, vero? O almeno, credi…Giusto?”

L’altro ritraette il collo, confuso: “Come fa a saperlo?”

“Il ragazzo che ti ha colpito non è Rider… - rivelò, guardandosi attorno – E’ suo fratello Nolan e dobbiamo trovarlo prima che trovi Rider!”

“Rider ha un fratello? – sgranò gli occhi, incredulo – Ma come…???”

Richard lo prese per le spalle: “Ascolta, qui intorno c’è un ragazzo pericoloso fuggito dal Radley di nome Norman. Ha una pistola ed è con mio figlio.”

“Parla del tizio di cui parlavano stamattina al notiziario?”

“Sì…Anche Nolan è un paziente del Radley, ecco perché non sapete della sua esistenza. Nemmeno Rider lo sa.”

“Crede che Nolan voglia fare del male a Rider?”

“Non lo so, ma dobbiamo trovare Rider. Se ti ha colpito, significa che lo sta cercando.”

“Io credo che stia cercando Norman, invece. Prima che mi colpisse alla testa, gridava il nome di Norman. Lo stava cercando.”

“Ascolta, chiama la polizia. Io cerco mio figlio, hai idea di dove possa essere?”

“E’ dentro casa, ma non mi chieda come lo so.”

L’altro titubò, non facendo domande come richiesto: “Ehm, d’accordo…Nasconditi, figliolo. Non farti trovare, ok?” e iniziò ad allontanarsi.

“Va bene, Signor Stuart. – annuì - Stia attento!” e come da richiesto, prese il telefono per chiamare la polizia.

Ormai Eric aveva compreso il pericolo e che A li aveva attirati in una trappola.

 

*

 

Intanto, alla casa, Rider si stava calando dalla finestra, osservato dai suoi amici, che tenevano lo sguardo vigile, sperando che Norman non si facesse vivo.

“Rider fai attenzione…” gli raccomandò Sam, mentre quello era attaccato al ***.

Improvvisamente Norman comparì nuovamente, con la pistola puntata su Rider.

“Rider stai attento! – gli urlò Nathaniel, vedendolo -

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 16
*** 1x15-Il lungo sonno (Parte II) ***


CAPITOLO QUINDICI

“We’re A Family Now (Part II)”

 

Mentre Alexis era in bagno a farsi una doccia, Eric era seduto sul divano a fare zapping in televisione, mentre sulle ginocchia aveva aperto il libro di storia. Ogni tanto si voltava in direzione del bagno ad ascoltare il rumore dell’acqua che scendeva dalla doccia; era troppo pensieroso per riuscire a concentrarsi sullo studio.

Improvvisamente, sul tavolino di fronte a lui, il suo telefono iniziò a vibrare. Eric lo recuperò subito.

 

“Sembra che uno dei bugiardi non sia voluto restare a casa, nonostante la tempesta. Peccato.”

-A

 

Eric sgranò gli occhi, sobbalzando dal divano dopo aver visto anche la foto di Rider legato ad una sedia in allegato.

Immediatamente si voltò a fissare la porta del bagno: Alexis era ancora sotto la doccia. A quel punto doveva uscire, avvisare i suoi amici senza perdere tempo, perciò prese un pezzo di carta e scrisse due righe.

 

“Ho dimenticato le uova, esco a prenderle.”

 

Lasciò il foglietto sul tavolino e prese il cappotto in fretta e furia, uscendo. Per le scale, provò a chiamare Nathaniel o Sam, ma ad entrambi c’era la segreteria.

“Nat, appena ascolti il messaggio, chiama Sam e venite alla casa sul lago. A ha preso Rider, sto andando lì ma non idea di cosa fare. Ti prego, fate presto.”

 

*

 

Nel frattempo, Nathaniel e Sam avevano appena parcheggiato davanti a casa di Rider, fissando l’abitazione. Nathaniel scese dalla macchina, facendo il giro. Sam abbassò il finestrino: il vento era fortissimo.

“Non c’è nemmeno una macchina. – notò Nathaniel - E’ possibile che non ci sia nessuno in casa?”

Sam inclinò la testa per vedere meglio, visto che il corpo di Nathaniel copriva la sua visuale: “Non vedo luci accese…”

“Se Rider non c’è, dovrò arrampicarmi fino alla sua finestra.” spiegò, rabbrividendo per il freddo.

“Perché pensi che A abbia messo qualcosa di compromettente proprio nella camera di Rider e non in una delle nostre?”

“Un presentimento.”

“Cioè?” restò un attimo perplesso da quella risposta poco esaustiva.

“Non lo so, non abbiamo molto tempo per frugare in tutte le nostre stanze e non possiamo comunicare tra noi per telefono perché la polizia scoprirebbe che sappiamo del mandato. E poi non è detto che A abbia messo qualcosa, magari qualcosa di compromettente c’è già. Rider potrebbe aver conservato qualcosa, non so.”

“Ok, allora io che faccio? Scendo con te?”

“No, fai il palo. – poi indicò verso i sedili posteriori dell’auto – Mi passi lo zainetto che c’è lì dietro?”

Quello eseguì, facendo una smorfia confusa: “A che ti serve?”

“Non so, potrei trovare degli abiti insanguinati, una scarpa, una testa. – spiegò, isterico per il vento che lo stava investendo – Mi serve lo zaino, tu resta qui. E chiamami se arriva qualcuno.”

“Ok, ora accendo il telefono, fa presto…” gli raccomandò, guardandolo allontanarsi, con apprensione.

Quando Sam alzò lo sguardo al cielo, si vedevano dei bagliori tra le nuvole. Spaventato dai tuoni che stavano per arrivare, rialzò il finestrino, restando in allerta.

Intanto Nathaniel era sul retro dell’abitazione, davanti ad un traliccio in legno. Con una presa ben salda, iniziò ad arrampicarsi, ma un improvviso tuono lo bloccò a metà strada, facendogli stringere la presa ancora di più. Dopo aver riaperto gli occhi ed essersi fatto coraggio, giunse davanti alla ringhiera della finestra.

Passando dal piccolo spazio che era riuscito ad ottenere con fatica, visto che si trattava di una finestra ad apertura verticale, caddè sul pavimento. Subito si risollevò e accese una lampada. Poi si guardò attorno, cercando di capire dove iniziare a cercare.

Fu dai cassetti dei comodini ai lati del letto che cominciò, scrutandoli attentamente. Dopo qualche minuto, sembrò aver trovato qualcosa nel terzo cassetto: una ricevuta. Quando vide la data di emissione, capì immediatamente che si trattava della ricevuta dell’officina dove Rider aveva portato ad aggiustare il parabrezza rotto da Albert, quando fu investito.

“Ma l’ha tenuta? – sgranò gli occhi – E’ impazzito?”

Subito la mise nello zaino, continuando a frugare negli altri cassetti. Trovò nuovamente qualcos’altro: un tablet, che riconobbe.

“Ma questo è il tablet che abbiamo rubato dal laboratorio del dipartimento di ingegneria elettronica… - sopra c’era attaccato un post it, che lesse – Controllare posizione sospetta nel bosco dopo il ponte…”

Nathaniel fece una faccia stranita, molto perplesso: “Ma questa è la scrittura di Rider, perché non ci ha detto nulla di questa posizione sospetta? – pensò, per poi fare una supposizione – E se questo bosco dopo il ponte fosse…”

Pieno di dubbi, chiuse i cassetti e si alzò in piedi, ma nel momento in cui indietreggiò di qualche passo, inciampò in alcuni libri e quaderni caduti dal letto. D’istinto, li raccolse per metterli sul letto, e senza accorgersene aveva aperto uno dei quaderni, richiudendolo subito. Dopo averli poggiati sul letto, era pronto ad uscire, ma stranamente tornò indietro, riaprendo quello stesso quaderno, scrutandone la scrittura.

Sbattendo gli occhi perplesso, Nathaniel recuperò il post-it dallo zaino e confrontò le scritture.

“Non è possibile… - notò delle sostanziali differenze su alcune lettere, per poi aprire il quaderno alla prima pagina – Ma qui la scrittura cambia nuovamente, non capisco…”

Confuso dal fatto che le prime pagine del quaderno avessero una scrittura diversa dalle pagine più recenti, restò lì imbambolato a cercare di comprendere tale mistero. Finchè, improvvisamente, non si focalizzò su uno dei libri che aveva raccolto da terra assieme ai quaderni.

La donna con l’impermeabile rosso…” lesse il titolo, recuperandolo.

Incuriosito lo aprì, ma quella curiosità si trasformò immediatamente in un’agghiacciante sorpresa: le pagine erano scritte a mano.

“Ma che diavolo…??? – sussurrò, iniziando a leggere – Cose da sapere su Nathaniel Blake: Recentemente ha fatto delle analisi e ha scoperto che gli ho fatto assumere delle pillole per il cambio di sesso. Suo cugino Tyler lavora in ospedale, sua zia Courtney l’ha accompagnato. – poi lesse ancora – Cose da sapere su Sam Havery: La madre di Sam è morta, suo padre è un poliziotto e lavora al distretto di polizia di Rosewood. Attualmente fa delle sedute di psicoterapia con il Dottor Wesam Grimes. E’ innamorato di Nathaniel.”

A quel punto, Nathaniel alzò gli occhi dal libro: stava iniziando a capire qualcosa che aveva dell’inspiegabile.

Intanto, Sam era ancora in macchina che aspettava il ritorno di Nathaniel. Era così distratto a fissare l’abitazione per vederlo spuntare fuori, che per un pelo non si accorse della macchina che stava arrivando da dietro. Sobbalzando sul sedile, premette il clacson per tre volte consecutive, per poi scivolare lungo il sedile per non farsi vedere. [Nathaniel sentì il suono del clacson in quel preciso istante, allarmandosi] La macchina aveva appena parcheggiato dall’altro lato della strada: era Richard Stuart.

Quando scese dalla macchina, però, il Signor Stuart puntò la sua auto, insospettito. Sam, con la coda dell’occhio, lo vide avvicinarsi e iniziò a respirare in maniera ansiosa.

A quel punto non potè più far finta di nascondersi, mentre quello bussava al suo finestrino.

Sam lo abbassò, forzando un sorriso: “Ehm, salve…”

“Posso chiederti perché ti stavi nascondendo? Ti ho visto, sai?”

“Mi erano cadute le chiavi, perciò ho fatto un po’ fatica a recuperarle…” spiegò, mentre quello lo fissava stranito.

“Scusa, ma chi sei? Conosco tutti i miei vicini e non…”

“Ehm, a dir la verità, sono un amico di Rider, Signor Stuart…”

L’altro abbandonò subito la sua espressione sospettosa, sorridendo: “Oh, sei un amico di Rider. Dovevo immaginarlo.”

“Lo stavo aspettando, ho visto le luci spente e quindi ho pensato che a quest’ora dovrebbe tornare da un momento all’altro. – buttava in continuazione uno sguardo alle spalle dell’uomo, sperando di vedere Nathaniel – Sa, mi servono degli appunti…”

“Anche tu alla Northdale?”

“No! Cioè, sì! – si contraddì, preso dall’agitazione - Anch’io sono stato assegnato alla Northdale.” concluse teso, sudando freddo.

“Capisco… - annuì poco convinto – Beh, cercavo anch’io mio figlio. Se dovessi vederlo, digli di tornare a casa.”

“Ma certo, sicuramente.”

“Ok, buona serata. Grazie.” finì, allontandosi.

“Anche a lei! – urlò, per poi chiedersi dove fosse l’amico – Dannazione, Nat, dove sei?”

Quando controllò l’orario sul telefono, si accorse di avere un messaggio in segreteria e subito lo ascoltò.

“Sam, ti prego richiamami o raggiungimi alla casa sul lago. Nemmeno Nathaniel risponde, dove siete? A ha preso Rider, sto andando lì ma non idea di cosa fare. Fate presto!”

“Oh mio Dio… - sgranò gli occhi, per poi trovare anche la foto di Rider in allegato ad un messaggio lasciato sempre da Eric – Oh cavolo!”

Quando si voltò sulla strada, il Signor Stuart non c’era più. E di Nathaniel non c’era l’ombra.

Combattuto, prese una decisione, mordendosi le labbra: “Nat, perdonami…” e accese la macchina, partendo a tavoletta.

Qualche secondo più tardi, Richard si sollevò lungo il sedile: non era mai rientrato in casa. Anch’egli accese l’auto, seguendo Sam.

Nathaniel, intanto, si era appena calato dalla finestra della stanza di Rider, toccando finalmente terra. Quando tornò sulla strada, Sam e la macchina erano spariti.

 

*

 

Alla casa sul lago, Eric era appena arrivato sul posto, notando la macchina di Rider parcheggiata di fronte alla sua.

Guardandosi attorno, in allerta, arrivò alla porta, pronto ad entrare. Improvvisamente, un urlo nel bosco lo fermò dal farlo.

“Ma questa è la voce di…” e senza stare a pensarci, corse subito in direzione del grido che aveva sentito.

Nel frattempo, colui che aveva urlato era Nolan: aveva una pistola in mano e la puntava verso ogni direzione, con il fiatone, fuori di senno.

“Norman vieni fuori, lo so che sei qui intorno. Ti ho visto! – urlò più forte, sgranando gli occhi ad ogni minimo rumore – NORMAN!”

Ad un certo punto, alle sue spalle, giunse Eric. Non l’aveva nemmeno sentito arrivare.

“Rider, eccoti!” esclamò con il fiatone.

L’altro si voltò di scatto, puntando l’arma verso di lui come un pazzo. Eric alzò le mani, spalancando gli occhi.

“Ehi ehi, sono io! Abbassa quel coso!”

Nolan si diede un contegno, abbassandola subito: “Scusa, pensavo che fosse qualcun altro. Tu che ci fai qui?”

“Pensavi che fossi A? – si girò a guardare in tutte le direzioni – E’ qui intorno?”

La sua presenza, però, sollevò un dubbio in Nolan: “Ehm, per caso A ha mandato anche a te quella foto di me?”

“Sì, mi sono spaventato tantissimo. Fortuna che sei riuscito a liberarti e a prendere la sua pistola.”

A quel punto, Nolan capì di essere stato ingannato da A, ora che la sua situazione era diventata troppo problematica per lui.

“Bastardo…” disse fra sé e sé.

“Hai detto qualcosa?”

“Forse è meglio andare via, c’è troppo vento qui, è pericoloso!” propose, camminando per tornare indietro.

Eric, però, lo fermò per il petto: “Un secondo, aspetta. Ti ho sentito urlare un nome…Norman, credo. Chi è Norman?”

In quel momento, Nolan non seppe come spiegare la cosa, sudando freddo. All’improvviso, si sentì il rumore di un ramo spezzarsi, nelle vicinanze, ed entrambi si voltarono a guardare.

Nolan ne approfittò per colpire Eric alla testa con l’impugnatura della pistola, ora che era voltato dall’altra parte. Quello precipitò subito a terra, perdendo i sensi.

“Scusa, Eric, ma ho un po’ da fare al momento. – tornò a guardarsi intorno, vigile – Norman lo so che sei nascosto dietro ad uno di questi alberi. Esci, parliamo un attimo!”

 

 

*

 

Anche Sam giunse alla casa sul lago, poco dopo, passando accanto alle macchine dei suoi amici. Stringendo gli occhi per via del vento, entrò dentro l’abitazione, chiudendo la porta alle sue spalle con fatica.

Quando riprese fiato, iniziò a fare caso al silenzio che c’era: sentiva solo il legno scricchiolare e qualche finestra che batteva. Lungo il corridoio che portava alle scale, Sam camminò con passi felpati, scrutando le stanze aperte: non c’era anima viva.

Giunto davanti agli scalini, iniziò a salire, finchè all’improvviso qualcuno non aprì la porta d’ingresso, sbattendola una volta entrato: era Nolan.

“Oh mio Dio, Rider!” esclamò Sam non appena lo riconobbe, scendendo subito.

Nolan si voltò di colpo, con il fiatone, non si aspettava di vedere Sam: “Ma ci sei anche tu?!”

“Sì, pensavo fossi in pericolo, Eric mi ha lasciato un messaggio dicendomi che A ti aveva rapito. – si avvicinò preoccupato – Stai bene?”

Nonostante fosse teso, cercò di non darlo a vedere: “Ehm, sì, sono riuscito a liberarmi. Hai per caso visto qualcun altro oltre me?”

“No, nessuno… – si accorse che era solo - A proposito, Eric dov’è?”

Quello scosse la testa, mentendo: “Non lo so, non ne ho idea.”

Improvvisamente, bussarono alla porta. Sam e Nolan indietreggiarono, spaventandosi.

“E’ A? – gli sussurrò Sam, il cuore in fibrillazione - Eri fuori con lui?”

“Ehm, sì…” mentì nuovamente, ignaro di chi potesse essere: se Norman o Eric. Finalmente si udì una voce.

“C’è qualcuno? Ehi?”

Sam sgranò gli occhi, correndo alla porta: “Ma questa è la voce di Nathaniel!”

Immediatamente gli aprì la porta, facendolo entrare. Nathaniel era pronto a dire qualcosa a Sam, non appena vide il suo viso, ma quando notò Nolan alle sue spalle, si bloccò e divenne serio.

“Rider, vedo che stai bene… - gli disse, per poi voltarsi verso Sam - Ho sentito il messaggio di Eric in segreteria, A è davvero qui?”

“Non lo so, Rider dice di sì e io sono spaventato a morte. – tremava Sam - Hai visto Eric?”

“No, ma dovrebbe essere arrivato qui prima di noi, c’è la sua macchina…” pensò, lanciando insistenti sguardi fulminei su Nolan, che deglutiva faticosamente.

“Quindi che facciamo? Ce ne andiamo, chiamiamo la polizia, cosa facciamo??” domandò nervoso, Sam.

Nathaniel assunse improvvisamente un tono cupo, fissando Nolan: “Non possiamo andarcene, dobbiamo prima salvare Rider.”

Sam fece subito una smorfia confusa. Nolan, invece, si limitò a fare lo stesso, lasciandosi scappare pure un’espressione esilarata: “Salvarmi? Ma io sono qui, sto bene.”

“Già, di che stai parlando?” aggiunse Sam.

“Rider, quanti orologi da taschino possiedi?” gli chiese Nathaniel in maniera secca, fissandolo morbosamente.

“Scusami?” replicò quello.

“Ti sembra il momento, Nat? – lo riprese Sam, disorientato – Cosa c’entrano gli orologi?”

“Niente, dico solo che Rider è una persona che ci tiene alla puntualità. – lo fissò ancora, mentre l’altro sudava freddo - E che ha fatto molti viaggi in Inghilterra, dove ha comprato diversi orologi da taschino…”

“Nathaniel, io non ti seguo. – Sam era a dir poco basito - Fuori c’è pazzo psicopatico che vuole ucciderci e tu pensi ai viaggi in Inghilterra di Rider?”

“Ne ho qualcuno, ok? - ribattè Nolan, messo alle strette da quella domanda - Non mi sembra il momento di metterci a contarli.”

“Ne hai ventisei di orologi da taschino, chiunque tu sia. – sorrise cinicamente, sapendo di averlo messo nel sacco - Rider me l’ha detto una volta, ma forse tu non lo sai perché A non può sapere tutto di noi quattro.”

Nolan a quel punto tirò fuori la pistola che aveva dietro, infilata nei jeans: “Ok, lo sapevo che prima o poi la verità sarebbe venuta fuori.”

Sam fece un balzò accanto a Nathaniel, sgranando gli occhi, confuso.

“Ma che sta succedendo qui? Rider, che fai?”

“Quello non è Rider, Sam. – spiegò, fissando Nolan, mentre teneva il braccio teso davanti a Sam per proteggerlo - Ha finto di essere lui, ma non è Rider.”

“Come hai fatto a scoprirlo? – Nolan ne era curioso - Eppure sono stato bravo a recitare la parte.”

“Chi sei, piuttosto?!” gli urlò Sam.

“Si chiama Nolan e lavora con A. – continuò Nathaniel – E’ tutto scritto in un libro che ha in camera sua…Anzi, in camera di Rider! Ogni nostro segreto, ogni nostra mossa, ogni nostro legame con altre persone…tutto affinchè potesse avere gli stessi ricordi di Rider.”

Nolan continuò a puntare la pistola contro di loro, cercando di non essere frainteso: “Sentite, non voglio farvi del male. A mi ha tagliato fuori dal suo gioco, per questo mi avete scoperto. Ha voluto che venissi qui per chiudere i conti con Rider, e invece ha portato qui anche voi.”

Sam ancora non capiva: “Chiudere i conti con Rider?”

“Rider è mio fratello gemello, ma non sapeva che io esistessi. Dall’età di sette anni sono stato rinchiuso al Radley… dopo un incidente, per l’esattezza.”

“Che tipo di incidente?” fu il turno di Nathaniel.

“Beh, tanto per cominciare, io non dovevo essere internato al Radley. E’ stato un errore. Rider doveva finirci, ma nessuno mi ha mai creduto.”

“Di che cosa stai parlando? – Sam scosse la testa, non riuscendo a seguirlo – Da quanto sei con noi? E dov’è stato Rider per tutto questo tempo?”

A mi ha aiutato a scappare dal Radley la sera del ballo. Rider ha preso il mio posto da quel momento, e io il suo.”

Sam sentì quasi una sensazione di vuoto e amarezza, abbassando lo sguardo: “Quel giorno, davanti all’ambulanza, ti ho abbracciato. Io e Rider avevamo litigato prima del ballo e quando la scuola è esplosa, ho pensato che non ce l’avesse fatta. – gli occhi si fecero lucidi – Pensavo di aver abbracciato Rider, e invece eri tu: un perfetto estraneo che credevo fosse il mio migliore amico.”

Anche gli occhi di Nolan si gonfiarono di lacrime, quasi come se si sentisse in colpa: “Mi dispiace, non volevo prendervi in giro. Volevo solo essere libero, godermi finalmente la vita che Rider mi aveva rubato e avere una famiglia, degli amici… Forse all’inizio non mi importava di voi, ma dopo quello che abbiamo passato insieme, dopo quella sorpresa a scuola del tortino di compleanno…” si mostrò realmente commosso, la pistola che tremava fra le sue mani.

“Non so cosa sia successo nella vostra famiglia in passato. – replicò Nathaniel - Insomma, avrai le tue buone ragioni per essere qui, ma come puoi vedere…la vita di Rider fa schifo quanto la tua in quel manicomio, se non peggio.”

“Quello che voglio ora, è parlare con mio fratello e mio padre. – una lacrima gli scese lungo il viso, disperato – Non posso perdere questa occasione, non so per quanto ancora resterò libero.”

“Dov’è Rider?” chiese Sam.

“Credo che sia al piano di sopra. – con la pistola fece loro cenno di salire – Liberatelo, non siamo soli qui intorno…”

“Che vuoi dire? – domandò Sam – Parli di A?”

“Credi davvero che lui sia qui? E’ nella sua tana che si gode lo spettacolo, ovviamente. – ribattè Nolan, disprezzandolo esattamente come loro – Si tratta di Norman, un altro paziente con cui ho fatto amicizia al Radley. E’ pericoloso!”

“Aspetta, il tizio di cui parlavano ai notiziari stamattina?” chiese conferma Nathaniel, ricordando.

“Esatto, è qui intorno e mi sta cercando con una pistola. Dovevamo fuggire insieme dal Radley, poi ho conosciuto A e mi sono distaccato da lui. – mostrò un espressione preoccupata – Vedete, lui è ossessionato dalle amicizie, vuole fare parte di qualcosa, essere amato. In me ha visto un traditore dopo aver scoperto che io ero fuggito, perciò…”

Sam, a quel punto, decise di cogliere la palla al balzo: “Tu non sai chi è A, vero?”

“No, lui non si fida di nessuno. Sono stato solo una pedina, ha sfruttato il mio rancore e al mio desiderio di vendetta. – fece un nuovo cenno con la pistola – Forza, salite!”

E quelli camminarono velocemente fino alle scale, mentre quello li teneva sotto tiro. Improvvisamente, un tuono fortissimo investì la zona, creando un boato: la corrente saltò all’istante.

Approfittando dell’oscurità, Sam e Nathaniel corsero al piano di sopra e si chiusero dentro una delle stanze. Quando si voltarono, Rider era proprio lì come nella foto, che faceva dei versi con la bocca.

“Oh mio Dio, Rider…” si avvicinò a lui, pronto a liberarlo dal nastro adesivo e le corde.

Nathaniel, però, lo fermò: “Aspetta, aiutami a bloccare la porta prima. – indicò con lo sguardo un armadio lì accanto – Ecco, spostiamo questo, presto!”

E i due lo spinsero fin davanti alla porta, cercando di non permettere a Nolan di raggiungerli.

Dopo, nonostante l’affanno, Nathaniel e Sam liberarono l’amico.

“Finalmente, è tutto il giorno che sono bloccato qui. – si alzò in piedi, alla loro altezza – Ragazzi, sono così contento di vedervi.”

Sam restò a fissarlo per qualche secondo, poi lo abbracciò di getto, emozionato: “Rider non riesco ancora a crederci che non eri tu…”

Rider sgranò gli occhi, per poi abbandonarsi a quell’abbraccio che desiderava da quando era stato rinchiuso: “Non so cosa vi abbia fatto Nolan assieme ad A durante tutto questo tempo, ma mi dispiace profondamente. – si staccò da lui, accertandosi delle loro condizioni – State bene?”

Fu Nathaniel a prendere parola: “Nolan non ci ha fatto nulla, a parte fingersi te, ma A…” e abbassò lo sguardo, senza riuscire a finire.

Rider si voltò a guardare Sam, che tratteneva le lacrime a stento: “Sam, che è successo?”

A ha ucciso Edward e ci ha fatto seppelire il suo corpo nel bosco. A pezzi. - spiegò piangendo – Non so nemmeno se riuscirei a trovare le parole per descrivere quella notte, tu non ne hai idea.”

“Lo so, anch’io avevo un incubo tutto mio. – gli mise una mano sulla spalla, commosso - Non potevo comunicare con voi, mi sono risvegliato in quella stanza chiusa e avevo i polsi e le caviglie bloccate da cinturini…”

Sam si mise una mano davanti alla bocca, sconvolto. Nathaniel non riusciva nemmeno a guardarlo negli occhi, immaginando la sua sofferenza, ma non c’era tempo per piangersi addosso.

“Ragazzi, lo so che abbiamo passato l’inferno, e mi dispiace molto, ma dobbiamo andarcene da qui!” suggerì Nathaniel.

Quelli annuirono, mentre Rider si avvicinava alla finestra: “Dobbiamo per forza uscire da qui, ho sentito che eravate al piano di sotto con mio fratello e che ha una pistola.”

“Credimi, ho già fatto parecchia esprienza nel calarmi da una finestra oggi, muoviamoci!” esclamò Nathaniel, avvicinandosi alle sue spalle con Sam.

Quando furono tutti e tre davanti alla finestra, videro qualcuno di sotto. Prima che potessero capire chi fosse, quello alzò la testa e anche una pistola. Rider, reattivo, spinse subito i suoi amici a terra: due spari mandarono in frantumi la finestra. I tre precipitarono a terra con addosso una sfilza di vetri.

“Nooolaan??? Sei tuu-u??” urlò Norman con tono inquietante.

Quelli, doloranti per la caduta, restarono distesi a terra, impauriti.

“Non so se lo sapevate, ma c’è un altro pazzo qui. – spiegò Rider in un sussurro – Si chiama Norman.”

“Sì, Nolan ce lo stava dicendo...” ribattè Nathaniel.

“E adesso che facciamo? – chiese Sam – Nolan è dentro e quell’altro è fuori: siamo in trappola!”

“Eric dov’è? – Rider si ricordò di lui – Perché non è con voi?”

“E’ venuto qui prima di noi, ma non l’abbiamo visto…” spiegò Sam, spaventato.

I tre rimasero in silenzio, fissando il soffitto, tremando.

“Sarà andato via?” pensò Sam.

Rider si sollevò in piedi, continuando a parlare piano: “Dobbiamo andarcene, provate a chiamare Eric.”

Nathaniel prese il telefono, mentre quello si avvicinava cauto alla finestra: “Ora provo a chiamarlo.”

“Rider sta attento.” gli suggerì Sam.

“…Non vedo nessuno, forse è entrato in casa.” ribattè quello, nascosto dietro la tenda a guardare fuori.

 

 

*

 

Il telefono di Eric, intanto, vibrava sul terreno, scivolato fuori dalla sua tasca poco dopo essere stato aggredito. Rimasto incosciente per diverso tempo, Eric si stava finalmente risvegliando.

Dopo aver aperto gli occhi, cercò di risollevarsi in piedi, la testa dolorante e il sangue che fuoriusciva dalla ferita che aveva sulla fronte. Eric se la toccò, per poi osservare il sangue sulle dita. Immediatamente cercò il suo telefono, ritrovandolo a terra, con una chiamata persa da parte di Nathaniel.

Per circa qualche secondo, cercò di riordinare le idee per capire cosa fosse successo; Rider l’aveva aggredito e non capiva il perché di tale comportamento.

Provando a richiamare Nathaniel, poi, qualcuno lo sorprese alle spalle, chiudendogli la bocca con la mano e facendogli cadere il telefono dalle mani: era Richard.

“Shhh, non fare un fiato…” gli sussurrò.

Eric aveva gli occhi sgranati dal terrore, non riuscendo a capire chi avesse alle spalle. Richard lo voltò verso di sé, togliendo finalmente la mano dalla sua bocca.

“Ma lei è il padre di Rider!”

“E tu devi essere un suo amico, giusto?”

“Sì, ma che ci fa lei qui?”

“Potrei farti la stessa domanda, ho seguito fin qui uno dei tuoi amici.”

Eric si trovò subito in difficoltà, non poteva rivelare la verità: “Ehm…Noi…”

“Vi ha attirato qualcuno qui? – azzardò – Sapete di Nolan?”

“Nolan? – Eric non capì – Chi è Nolan?”

“Chi ti ha colpito alla testa?” notò la sua ferita.

“Ehm…In verità…”

“E’ stato Rider, vero? O almeno, credi che sia stato lui…Giusto?”

L’altro portò indietro il collo, confuso: “Come fa a saperlo?”

“Il ragazzo che ti ha colpito non è Rider… - rivelò, guardandosi attorno – E’ suo fratello Nolan e dobbiamo trovarlo prima che trovi Rider.”

“Rider ha un fratello? – sgranò gli occhi, incredulo – Ma come…???”

Richard lo prese per le spalle: “Ascolta, qui intorno c’è un ragazzo pericoloso di nome Norman fuggito dal Radley. Ha una pistola ed è con mio figlio.”

“Parla del tizio al notiziario?”

“Sì…Anche Nolan è un paziente del Radley, ecco perché non sapete della sua esistenza. Nemmeno Rider lo sa.”

“Crede che Nolan voglia fare del male a Rider?”

“Non lo so, ma dobbiamo trovare Rider. Se ti ha colpito, significa che lo sta cercando.”

“Io credo che stia cercando Norman, invece. Prima che mi colpisse alla testa, gridava il nome di Norman. Lo stava cercando.”

“Ascolta, chiama la polizia. Io cerco mio figlio. Hai idea di dove possa essere?”

“E’ dentro casa, ma non mi chieda come lo so.”

L’altro titubò, non facendo domande come richiesto: “Ehm, d’accordo…Adesso nasconditi, figliolo. Non farti trovare, ok?” e iniziò ad allontanarsi.

“Va bene, Signor Stuart. – annuì - Stia attento!” e come da ordine, prese il telefono per chiamare la polizia.

Ormai Eric aveva compreso il pericolo: A li aveva attirati in una trappola.

 

*

 

Intanto, alla casa, Rider si stava calando dalla finestra, osservato dai suoi amici, che tenevano lo sguardo vigile, sperando che Norman non si facesse vivo.

“Rider fai attenzione…” gli raccomandò Sam, mentre quello era attaccato al traliccio. Improvvisamente Norman comparì nuovamente, con la pistola puntata su Rider.

“Rider sta attento! – gli urlò Nathaniel, vedendolo – Dietro di te!”

Sfortunatamente, Rider non fece in tempo a voltarsi che Norman sparò alla sua gamba. Il ragazzo precipitò al suolo.

“No, Rider!” urlò Sam, mentre l’aggressore puntava la pistola verso di loro.

Nathaniel, sgranando gli occhi, tirò subito via Sam. I colpi di pistola presero vari punti della parete esterna, deviati dal vento.

Sam era sotto Nathaniel, che respirava in modo affanoso, gli occhi spalancati; era imbarazzato, mentre l’altro era più attento a fissare l’armadio che bloccava la porta.

Finalmente Nathaniel abbassò lo sguardo per parlare con lui: “Sam, non possiamo uscire dalla finestra.”

“Mi sembra ovvio, ma non possiamo nemmeno lasciare Rider con quel pazzo.”

I due restarono bloccati in quella posizione, Nathaniel ancora sopra Sam, che si fissavano negli occhi, i loro respiri meno rumorosi ma ancora in sottofondo.

“Ho paura ad uscire…” sussurrò Sam, gli occhi lucidi.

“Vado prima io, non ti accadrà nulla.” lo rassicurò, protettivo nei suoi confronti.

Sam annuì terrorizzato. Subito si alzarono.

Mentre Nathaniel spostava l’armadio che bloccava la porta, cercando di fare il più piano possibile, Sam si avvicinò all’angolo della finestra.

“Non vedo Rider, l’ha portato via…” notò con la coda dell’occhio, fuori.

Non appena Nathaniel si accorse dov’era l’amico, subito lo richiamò con apprensione: “Sam, vieni via!”

L’altro lo raggiunse, in ansia: “Ha preso Nathaniel, dici che l’ha portato dentro casa?”

“Non lo so, stai dietro di me. - gli suggerì, pronto ad aprire la porta – Se dovesse mettersi male, scappa di nuovo qui dentro e usa tutta la forza che hai per bloccare nuovamente la porta.”

Deglutì con fatica, in preda al panico: “Scordatelo, ma va bene.”

“Sam, ti prego, non fare il testardo. Io me la posso cavare.”

“No, smettila. Avrò anche paura, ma non fuggo davanti al pericolo. E non abbandono un amico.”

“Ma io ti sto chiedendo di abbandonarmi, non ti devi preoccupare per me.”

L’altro lo fissò per qualche secondo, intuendo la motivazione di tanta premura: “Senti, se stai cercando di farti perdonare per quello che è successo la sera del ballo…”

Nathaniel lo fermò immediatamente: “No, non è assolutamente per questo che lo sto facendo. – ribadì, incredulo dal fatto che lo pensasse – Sam, quella sera ero disperato; la scuola stava per esplodere e non sapevo cosa fare per convincerti ad uscire. Ti ho baciato, ma non vuol dire che quel bacio non l’abbia sentito anch’io.”

Sam titubò: “Non capisco…”

“Cosa c’è da capire? Ti ho appena detto che provo qualcosa per te, che quella sera non ho usato la tua cotta per farti fare qualcosa che volevo tu facessi. Ti ho baciato per disperazione, ma anche perché lo volevo.”

“Ti prego, non mentirmi anche questa volta…” i suoi occhi divennero lucidi.

“Non ti sto mentendo. – ribattè sincero - Non ti ho mai mentito su ciò che provo. Magari prima non riuscivo a dirtelo perché faticavo a credere io stesso che mi piacesse un ragazzo. Insomma, prima di tutto questo non mi è mai sfiorata l’idea che un ragazzo potesse piacermi, mentre ora…”

Spiazzato, Sam non sapeva come prendere la cosa: “Nathaniel, io…”

“Non dire niente. – abbassò lo sguardo – Lo so che ami Wesam, non ti costringerò a fare una scelta tra me e lui. Non posso diventare gay all’improvviso e pretendere che la persona che aveva una cotta per me si buttasse di colpo tra le mie braccia. Non lo farei mai. Ma data la situazione, sentivo che dovevo dirtelo…Dirti che quella sera era tutto vero, e che volevo che vivessi perché ti amo.”

Sam aveva a dir poco gli occhi gonfi di lacrime e deglutiva a fatica, fingendo che la cosa non l’avesse sconbussolato: “…Grazie per avermelo detto.”

L’altro annuì, sapendo in cuor suo di non avere più speranze: “Adesso andiamo, resta dietro di me.”

E quando Nathaniel si voltò, aprendo la porta, Sam potè finalmente far trasparire le sue reali emozioni: quelle parole non l’avevano lasciato indifferente e avevano appena rimesso tutto in discussione.

I due iniziarono a percorrere il corridoio buio e silenzioso, subito dopo.

“Non si vede nulla, accidenti!” esclamò Nathaniel.

“Aspetta, prendo il telefono…” disse Sam, recuperandolo.

Finalmente fece luce, accendendo la torcia.

Sam puntò la luce verso una direzione: “Ecco fatto, ecco le scale!”

“Bene, muoviamo. Dobbiamo chiamare la polizia.” suggerì Nathaniel.

Improvvisamente, però, Sam venne preso alle spalle, un mano sulla sua bocca: era Norman.

Il telefono caddè a terra, il ragazzo indietreggiò con Sam tra le sue mani.

“Sam!” urlò Nathaniel, voltandosi.

I fulmini che si scatenavano nel cielo, illuminavano il corridoio attraverso la finestra. Nathaniel finalmente riuscì a vedere qualcosa.

“Ho trovato due amici di Nolan e Rider, che onore!” esclamò Norman, tenendo la pistola puntata contro un fianco di Sam, che urlava dentro il palmo della sua mano.

Nathaniel mise le mani in avanti, cercando di farlo ragionare: “Lascialo andare, noi non c’entriamo niente.”

“Conosci il detto L’amico del mio nemico è mio nemico?

Nathaniel in quel momento, prima che potesse rispondere, notò Nolan camminare lentamente alle loro spalle. Quello gli fece segno di non rivelare la sua presenza.

“Ehm… - Nathaniel tornò a fissare i due, fingendo di non aver visto nulla – Non credo che quel detto dica così, sai?

In un attimo, tutto si svolse nel giro di pochi secondi: Norman si accorse di avere qualcuno alle spalle, notando l’agitazione di Nathaniel. Poco prima che potesse voltarsi, Nolan si buttò contro di lui, mentre Sam riuscì a liberarsi dalla presa e a finire tra le braccia di Nathaniel.

“Stai bene?” domandò quest’ultimo a Sam, mentre gli altri due cercavano di strangolarsi a vicenda.

“Sì, sto bene. – si voltò a guardare quelli - Nolan mi ha salvato.”

Nathaniel lo prese per il polso: “Sam, dobbiamo andarcene!”

L’altro era in pena per Nolan, non riuscendo a muoversi: “Ma…”

Improvvisamente, Norman spinse Nolan a terra e poi si voltò velocemente con la pistola verso Nathaniel e Sam, in piedi davanti alle scale.

“Vediamo quanto soffre Nolan se uccido uno di voi!” esclamò, puntando Sam.

Nathaniel si buttò immediatamente davanti a lui, dando le spalle. Norman sparò il colpo, che quello prese nella schiena.

Sam aveva gli occhi sgranati, così come quelli di Nathaniel che aveva appena incassato il proiettile. Perdendo i sensi, caddè contro Sam, che non riuscì a reggere il suo peso: i due rotolarono inevitabilmente fra le scale, giungendo al piano di sotto.

“NOOOO!” urlò Nolan, risollevandosi con ira e colpendo Norman in testa con la sua pistola.

 

Quando quello perse i sensi, precipitando al suolo, Nolan scese di corsa le scale, avvicinandosi ai corpi dei suoi amici, ai piedi della scalinata. Spostò Nathaniel, arenato sopra al corpo di Sam: sulla schiena del ragazzo una chiazza di sangue, dove lo aveva colpito il proiettile; sangue che si stava espandendo a vista d’occhio.

Subito poggiò la pistola a terra, premendo sulla giugulare di Nathaniel, per sentire il battito: c’era, ma debole. Controllò anche Sam, e anche il suo battito era presente; il sangue di Nathaniel gli era colato addosso.

Iniziò a cercare un telefono, frugando nelle loro tasche, quando improvvisamente sentì un grido soffocato provenire dal salone. Voltò il capo, la stanza era proprio alla sua destra: Rider era lì, legato ad una sedia, un nastro alla bocca, che lo fissava mentre era accanto ai suoi amici.

Nolan si fermò dal frugare, risollevandosi lentamente, fissando il fratello come paralizzato; del resto, era la prima volta che si incontravano. Rider continuava a spostare lo sguardo tra Nolan e i suoi amici, credendoli morti.

Nolan spezzò il silenzio, inaspettatamente: “Sono vivi… - scosse la testa, traumatizzato da ciò che era appena accaduto - Non sono stato io, lo giuro...”

Entrambi avevano gli occhi lucidi. Rider emise un altro grido, lanciando uno sguardo insistente in direzione dei compagni, come se volesse dire al fratello di muoversi, fare qualcosa, chiedere aiuto.

“Si si, ora chiamo un’ambulanza, non preoccuparti…”

Ma non ebbe il tempo di chinarsi a prenderlo dalla tasca di uno dei due ragazzi, che la porta d’ingresso si spalancò, lasciando entrare un vento gelido e qualcuno che Nolan non si aspettava di vedere: Richard, suo padre.

I due si guardarono per diversi secondi, l’uomo sgranò gli occhi alla vista della scena che si ritrovò davanti. Nolan, invece, sentiva il peso di un grande senso di colpa e a malapena riusciva a reggere quel lungo sguardo.

Richard finalmente disse qualcosa: “Nolan, vero?”

L’uomo fece un passo verso di lui, continuando a buttare un’occhiata inorridita sui due ragazzi con i vestiti insanguinati, stesi sul tappeto.

Quando Nolan si accorse di quello sguardo, si allontanò subito da Nathaniel e Sam, affermando la sua innocenza.

“Papà, non sono stato io. – pianse - Lo giuro, non sono stato io.”

“Ok, ma ora devo prendere il telefono e chiamare un ambulanza. – infilando una mano nella tasca lo recuperò lentamente, mentre tendeva un braccio in avanti come a volerlo tenere a bada – Sta calmo, figliolo. E’ tutto a posto…” sudò, mantenendo lo sguardo fisso su di lui.

Mentre chiamava il 911, con il telefono all’orecchio, fece un altro passo in avanti e Rider si rivelò a lui, urlando quanto più poteva e battendo i piedi sul pavimento.

Richard voltò il capo, abbassando il telefono: “Rider!” esclamò, correndo subito a slegarlo.

Nella foga del momento, Nolan restò lì in piedi ad osservare la scena, in disparte: Rider era fu liberato e abbracciò immeiatamente suo padre, mentre quello si sincerava delle sue condizioni con molta apprensione.

“Stai bene, figliolo? Eh? – prendeva il suo volto tra le mani, poi lo abbracciava, più e più volte – Stai bene?”

L’altro, che per l’adrenalina in circolo non sentì dolore nell’alzarsi in piedi, accusò il colpo nel giro di un attimo, stringendo subito occhi e denti con sofferenza: “La mia gamba! – esclamò con affanno, toccandosela – Mi ha sparato!”

Richard abbassò lo sguardo, una chiazza di sangue in corrispondenza della coscia. Immediatamente si voltò verso Nolan, credendolo responsabile.

“No, non mi ha sparato lui. – intervenne Rider con tempestività – E’ stato Norman, quello del Radley.”

Nolan avanzò, mettendo le mani in avanti, mortificato: “Sentite, mi dispiace. Mi dispiace per tutto. – soffermò il suo sguardo soprattutto su Rider, che lo osservava immobile e diffidente – Non volevo che successe tutto questo.”

Richard si mise leggermente davanti a Rider, prendendo parola con molto distacco nel tono: “Nolan, dov’è Norman?”

“E’ di sopra, l’ho colpito… - i suoi occhi si gonfiarono di lacrime, una gli scese lungo il viso – Papà, perché mi guardi così? Perché mi guardi in modo diverso?”

“Hai ucciso quell’infermiera assieme a Norman o ha fatto tutto lui? Perché se c’entri qualcosa, la polizia lo scoprirà. Sarai perso, Nolan. Non potrò più fare nulla per te.”

Rider deglutì, prima di prendere parola e sorvolare questa chiacchierata: “Papà, non c’è tempo per questo. I miei amici hanno bisogno di un ambulanza!”

“Ha ragione, ne hanno bisogno, Papà…” aggiunse Nolan; non riusciva quasi a parlare mentre annegava fra le lacrime.

Improvvisamente, si sentì scricchiolare il legno, Norman era sulle scale, con la pistola puntata su di loro. Richard tirò Nolan per un braccio, avvicinandolo subito a sè.

“Ma guardatevi, ora siete una famiglia?” disse cinico, passando sopra Nathaniel e Sam.

I tre lo fissarono, intimoriti.

“Senti, puoi scappare se vuoi. – Richard cercò di proteggere i due figli, avanzando a mani tese – Sei ancora in tempo per salvare te stesso, perché hai sparato a due persone e scordarti che tornerai in quel manicomio come nulla fosse stavolta.”

“Non mi interessa, Signor Stuart. La mia vita non ha senso, non l’ha mai avuta. – puntò lo sguardo su Nolan – Mi hanno tutti voltato le spalle, nessuno mi ha mai amato davvero.”

Rider continuava ad osservare i suoi amici, il sangue che si espandeva: “Nessuno ti ha mai amato perché sei malato, sei folle! – esplose, rabbioso – E ora lasciaci andare, i miei amici stanno morendo!”

“Non ci lascerà andare, ha torturato un gruppo di amici da cui era ossessionato. – raccontò Nolan, conoscendolo bene -  Gli ha attirati in una casa abbandonata e ha fatto loro delle cose orribili. Per questo è finito al Radley!”

“Sì, li ho torturati… ma a chi interessa questa storia? – rise, una tono malato – Sto per creare una storia molto più interessante, qui dentro!”

Richard cercò di supplicarlo: “Norman, ti prego…”

Norman tornò serio, il volto maligno: “Chiudi la bocca, paparino, o ti uccido come ho fatto con l’infermiera. – spostò la mira su di lui – Ora facciamo un giochino che si chiama verità!”

“Di che parli?” domandò l’uomo, tentennando.

“Oh, avanti, sappiamo entrambi che Rider era allo scuro di un fratello gemello. Non credi di dover dare lui una spiegazione?”

Rider, che era alle spalle del padre, volse lo sguardo su di lui, intimorito da ciò che avrebbe detto.

Sul momento, Richard abbassò lo sguardo, sotto pressione; voleva parlare ma esitava quasi subito.

Norman pensò di dargli un incentivo, a quel punto, agitando la pistola.

“Parla!” urlò, facendoli sobbalzare.

“Ok ok, sta calmo! – l’uomo alzò le mani, pronto a fare ciò che gli era stato chiesto di fare – Ehm…Rider, figliolo…mi dispiace per tutte queste bugie. Avrei dovuto raccontare a te e tua sorella di Nolan. E avrei dovuto permettere a Nolan di avere una famiglia che lo andasse a trovare e che sapesse di lui.”

Entrambi i ragazzi avevano gli occhi lucidi; non tutte le risposte erano state date, ma era già dura così.

“…Lindsey sa ogni cosa, oggi gliel’ho detto. – fece una pausa, causata della poca salivazione – Mi dispiace dirvelo così, ma mia moglie non è la vostra vera madre.”

Rider sbarrò gli occhi, non riusciva a concepire le parole appena uscite dalla bocca di suo padre: era un incubo ad occhi aperti.

“Cosa? – sussultò Nolan, anch’essi ignaro – Non solo ero un segreto vivente, ma avevi segreti anche con me… - era devastato – Ecco perché lei non è venuta mai a trovarmi, non era la mia vera madre…per lei non ero nessuno, sono stato con voi solo per sette anni della mia vita.”

“Ti voleva bene, credimi. Ma per lei è stata dura accettare che tu e Rider non foste suoi figli. E che tu avessi…” non riuscì a completare, perché riguardava qualcosa del passato di Nolan; un qualcosa di grave, irreparabile.

“Forza, Richard, finisci le frasi… - Norman era divertito – Stavi per ricordarci del perché Nolan era stato internato? – ora puntò la pistola proprio verso Nolan – Avanti, digli quello che hai detto a me. Digli perché sei scappato dal Radley e di come volevi vendicarti dell’ingiustizia che ti è stata fatta. – si girò verso Rider – Perché, mio caro, eri tu a dover finire al Radley, non lui.”

Rider era confuso, così come Richard: “Di che parla? – si voltò a fissare il fratello, che piangeva – Nolan, di che sta parlando?”

L’altro finalmente riuscì a cacciare fuori la voce, incredulo: “Davvero non ricordi niente, Rider? E’ una storia che ho cercato di raccontare più e più volte, ma nessuno mi ha mai creduto… L’ho detto molte volte a nostro padre, ma chi crede a qualcuno che passa tutte le giornate chiuso in una stanza senza via d’uscita e che direbbe qualsiasi cosa per essere di nuovo libero…”

 

FLASHBACK, ESTATE 2004

 

Una bambina e un bambino stavano giocando con la palla in giardino: erano Lindsey e Nolan, davanti alla loro abitazione.

Era una giornata d’estate molto assolata e i due si stavano divertendo da morire, tra risate e lanci buffi. Improvvisamente, furono gli irrigatori del giardino a mettere fine ai loro giochi; l’acqua schizzava sulla loro pelle, facendoli ridere e scappare qua e là.

“Deve averli accesi papà, forse lo stiamo disturbando mentre scrive.” pensò Lindsey, mentre riprendeva fiato.

Anche Nolan si era allontanato, mettendosi in un punto asciutto: “Ci stavamo divertendo, non vale… - mise il broncio, subito illuminato da un’idea – Ehi, aspetta, giochiamo a nascondino?”

“In due?”

“No, con Rider e Lukas.  – suggerì, cercandoli con lo sguardo – Dove sono?”

Lindsey si voltò verso l’abitazione di fronte alla loro, supponendo: “Prima ho visto Rider andare verso la casa di Lukas, mentre giocavamo con la palla. – rise - Sta ancora cercando quello stupido camion dei pompieri che gli ha nascosto.”

“Non l’ha ancora trovato?”

“No, Lukas deve averlo seppellito nel suo giardino.”

Nolan lasciò cadere il pallone, un volto determinato: “Vado ad aiutare Rider. Se continua ad essere triste, non potremo mai giocare tutti a nascondino. Lukas deve ridargli il suo camion dei pompieri.” ed iniziò ad incamminarsi.

“Io vado da mamma, ha fatto la limonata! – esclamò quella, saltellando per tutto il giardino - Fai presto, non fatemi aspettare troppo.”

Quando Nolan arrivò a casa dei suoi vicini, la porta era già aperta; ovviamente entrò, facendola cigolare: la casa era silenziosa.

“C’è nessuno? Signora Davis? – chiamò, facendo piccoli passi – Lukas? Rider?” continuò, camminando fino alle scale.

Fu in quel momento che il silenzio non era più così silenzioso; si sentiva come il rumure di un ruscello, quando l’acqua scorre sui dislivelli o incontra delle pietre su cui si infrange.

Iniziò così a salire, gradino dopo gradino, finchè non si accorse che stava cascando dell’acqua lungo i gradini che stava salendo: acqua che arrivava dal piano di sopra.

Nolan, a quel punto, alzò il capo e gridò: “Rider? Lukas?” e poi corse in fretta, schiacciando l’acqua.

Essa proveniva dal bagno, come potè dedurre, e quando vi entrò, Rider era fermo davanti alla vasca da bagno, immobile. Tutto il pavimento era allagato.

Lentamente, nonostante lo sbigottimento iniziale, Nolan si avvicinò alle sue spalle: “Rider, che cos’è successo qui?”

Quello rimase girato, non dando alcuna risposta.

“Rider? – ritentò, per poi mettergli una mano sulla spalla – Che hai?”

E fu allora che mise gli occhi sulla vasca, notando che nel fondo c’era Lukas con gli occhi chiusi.

Nolan sgranò gli occhi: “Perché non esce? Che cosa gli hai fatto?” si voltò a chiedergli.

Rider aveva un’espressione cupa, assente, fissava l’acqua come incantato: “Non voleva dirmi dove ha nascosto il mio camion… Così io gli ho tolto la sua aria.”

Agghiacciato, Nolan lo scosse: “Dagliela! Ridagli la sua aria!”

Quello gridò, spingendolo a terra: “No, finchè non mi da il mio camion!” e poi corse via, lasciandolo solo.

Nolan si risollevò con i vestiti bagnati e fissò l’amico Lukas per qualche secondo, mentre l’acqua scendeva ancora dai bordi della vasca e scorreva incessante.

Con coraggio, mise le mani nella vasca, cercando di farlo uscire. Improvvisamente, la Signora Davis si affacciò, urlando.

“Ma che succede qui? – avanzò, vedendo il figlio sommerso – Oh mio Dio, Lukaaas!” gridò, spingendo via Nolan.

Immediatamente tirò fuori il bambino dalla vasca, sdraiandolo a terra. La donna iniziò a fargli il massaggio cardiaco, mentre Nolan era lì che tremava ed era spaventato.

Per diversi secondi, la Signora Davis continuò a premere sul petto, fissando Nolan con rabbia: “Perché l’hai fatto? – urlò a squarciagola, piangendo – Perché, Nolan? Perché hai fatto questo al mio bambino?”

L’altro era come paralizzato, mentre la donna non smetteva di tentare a rianimare il piccolo Lukas.

 

“E’ questa la verità, mi dispiace. – Nolan si voltò verso Rider – Non so come tu possa averlo dimenticato, ma è successo questo: sei stato tu ad affogare Lukas Davis, non io. E ho lasciato il Radley per questo, perché non meritavo di restare ancora lì!”

Rider girava con lo sguardo, respirava nervosamente; stava avendo un attacco di panico: “Ma cosa…ma cosa…Chi è questo Lukas? Chi è? Io non so… - si mise le mani in testa, gli mancava il fiato – Papà, che sta succedendo? Non capisco…”

“Papà, che cosa gli hai fatto? – gli domandò Nolan, notando la reale confusione del fratello - Perché non si ricorda di Lukas? Perché non sapeva che io esistessi?”

Richard aveva gli occhi chiusi, mortificato per tutto. Non riusciva nemmeno a voltarsi a guardarli negli occhi.

“Rider, avevamo dei vicini. – provò a spiegargli - Questi nostri vicini avevano un figlio, Lukas. Nolan l’ha affogato perché non voleva ridarti un gioco che ti aveva nascosto… - finalmente si rese conto dell’errore, una lacrima gli scese lungo il viso - Ma ora, a quanto pare, non andò così…Eri stato tu!”

Nolan, sconvolto, si voltò verso il fratello con la faccia deformata dall’incredulità: “E’ questo che hai detto a Papà quell’estate? Che l’avevo affogato io perché non ti voleva ridare il gioco? – lo fissò a lungo, agghiacciato – E tu questo non lo ricordi?”

Rider era devastato: “Io non ricordo assolutamente nulla, te lo giuro. – era disorientato, si inginocchiò a terra in lacrime – E’ come se ci fosse qualcosa, però, ma non riesco ad arrivarci. Mi fa male la testa.”

Divertito, Norman riprese parola: “Interessante, che cosa gli hai fatto paparino?”

“Con Rider e sua sorella ho dovuto andarci giù pesante; Rider mi disse di aver visto suo fratello affogare il loro amico ed era traumatizzato, come se non sapesse di essere stato lui. – spiegò - Lindsey, invece, era presente il giorno in cui abbiamo portato via Nolan e ha pianto e urlato fino ad addormentarsi: entrambi avevano preso parte ad un evento così tragico, che offuscare i loro ricordi, confonderli affinchè pensassero che Nolan non fosse mai esistito, è stato più facile di quanto credessi. Mio fratello è intervenuto, in quel frangente.”

“Zio Gordon? – disse Rider, riflettendo – Un momento, lui è uno psicologo…”

“Esatto, Rider… - confermò Richard – Lui è uno psicolgo, e anche molto bravo. Ha fatto tutto ciò che gli ho chiesto di fare.”

Nolan fissava la schiena del padre, incapace di credere a quella storia: “Mi hai detto ogni volta che la mamma e i miei fratelli mi salutavano, ma non era vero. Mi hai dato quelle bambole affinchè sentissi le vostre voci e vi sentissi parlare delle vostre vite come se io fossi lì, ma non avete mai parlato di me. Nemmeno una volta. – abbassò lo sguardo, le lacrime asciutte – Solo una volta scappato dal Radley, ho capito quante bugie mi hai raccontato, Papà.”

“Io non ci sto credendo, non è la verità…” farneticava Rider, disperato.

“Invece è questa la verità, fratellino. – gli urlò Nolan – Hai affogato tu Lukas, non io. E a quanto pare, non hai nemmeno ammesso di essere stato tu, prima di perdere la memoria o qualunque diavoleria ti abbiano fatto… - lo fissò con odio per averlo tradito – Sei tu quello malato, non io. E questo l’ho sempre saputo.”

Norman ridacchiò: “Già, Rider. Sei malato come me.” rise ancora.

Rider fissò il ragazzo impietrito, pensando davvero di essere come lui: “No, non è vero. Non può essere.”

“E invece è così, piccolo psicopatico mascherato da studente modello di buona famiglia. – ribadì Norman – Magari sapevi la verità fin dall’inizio e il tuo lato psicopatico sta fingendo una recita.”

“IO NON SONO PSICOPATICO COME TEEE! – Rider si alzò in piedi urlando, la gamba che sanguinava – STA ZITTO! CHIUDI QUELLA BOCCA!”

“Rider, sta calmo.” gli suggerì il padre, leggermente turbato dalla sua furia.

“Calmo, mi dici? – provò a riprendere fiato – Dimmi la verità, quel bambino è morto? – pianse, iniziando a credere alla storia – Ti prego, dimmi che non è morto.”

“Non è morto, sua madre riuscì a rianimarlo, ma…”

“Ma, cosa? – ripetè Rider, impaziente – Dov’è quel bambino?”

“Il suo cuore è rimasto fermo per molto, in definitiva… ha riportato dei defìcit cognitivi, la sua non è stata una vita normale da allora.”

A quella notizia, Rider si mise le mani nei capelli: “Oh mio Dio, non è possibile. Non sta accadendo davvero.”

Finalmente, anche Richard ebbe un crollo significativo, scoppiando in lacrime: “Mi dispiace, ragazzi. Io non volevo che accadesse tutto questo, mi dispiace. Possiamo essere ancora una famiglia, io vi proteggerò…”

“Una famiglia? – ripetè Nolan, allibito – Con tutti i segreti che abbiamo? Con tutto ciò che c’è ancora da chiarire? Perché ce n’è di roba da chiarire; come sul fatto che ci hai mentito sulla nostra vera madre. Lei chi è?”

Norman tornò a puntare la pistola su Richard: “Dai, dacci un altro colpo di scena!”

Rider a pezzi, vacillava in piedi, lo sguardo perso nel vuoto, che aspettava l’ennesimo colpo di grazia.

Nel mentre, Nathaniel aprì gli occhi, debole e disorientato. Sentiva le voci in maniera distorta, come se fosse rinchiuso all’interno di una bolla. Stava perdendo sangue, ma da dove si trovava, riusciva a vedere gli altri nella stanza accanto. Vedeva Norman, che puntava la pistola contro Richard e Rider.

Subito si accorse della pistola che c’era vicino alla mano di Sam, ancora privo di sensi. Con la mano tremante, provò a recuperarla.

Intanto, Richard, provava a rispondere: “La vostra madre biologica è…”

Ma uno sparo lo interruppe come un fulmine a ciel sereno. La fronte di Norman sanguinò di colpo lungo il viso, un proiettile gli aveva appena attraversato il cranio; con gli occhi sbarrati, precipitò sul pavimento privo di vita: era finita.

I tre si voltarono a guardare Nathaniel, che svenì dopo aver sparato.

Rider corse subito in suo soccorso: “Nathaniel! Sam! – raccolse il telefono – Chiamo il 911, speriamo che non sia troppo tardi.”

Anche gli altri due si avvicinarono. Nolan fissò il corpo di Norman con disagio, passandoci sopra.

“Prima che la polizia arrivi qui…” iniziò Richard.

“Papà non mi interessa, voglio solo salvare i miei amici adesso.” mise il telefono all’orecchio, il centralino stava rispondendo.

Nolan, dietro il padre, era preoccupato per il suo destino: “Papà, mi riporteranno dentro. Non voglio tornare lì dentro, sono innocente! Te l’ho appena detto.”

Richard lo prese per le spalle: “Figliolo, perdonami dal profondo del mio cuore per l’errore che ho commesso. Ti prometto che ti farò uscire dal Radley, parlerò alla commissione ora che so la verità. Stavolta non ti abbandonerò, ma adesso ho le mani legate.”

Quello pianse: “Non mi stai mentendo, vero?”

“Te lo giuro, Nolan. Tornerai a casa con me.”

E il ragazzo annuì, mentre Rider aveva chiuso la chiamata un istante prima, ascoltando ciò che si erano detti; il suo sguardo, ovviamente, era lo sguardo di chi non sapeva più chi fosse, dopo quel racconto. E dentro di sé sapeva che se il padre avesse fatto presente alla commissione del Radley che Nolan non aveva alcuna colpa di quel passato così oscuro, di certo avrebbe preso il suo posto.

In attesa dei soccorsi, Rider era profondamento terrorizzato dal futuro che si prospettava all’orizzonte.

 

*

 

Più tardi, quando il vento stava iniziando a dare segni di resa, la polizia e le ambulanze erano ferme davanti all’abitazione. Il coroner entrava e usciva, mentre i paramedici caricavano i feriti, stesi sulle barelle.

Chiuse le porte, Sam riprese conoscenza. Gli occhi si aprivano ad intermittenza, il cervello cercava di elaborare qualcosa, finchè non si svegliò del tutto, di scatto.

“Dove sono? – urlò, solevandosi – Che cos’è questo posto?”

Il paramedico accanto a lui, cercò di tranquillizzarlo.

“Sei dentro un’ambulanza, presto saremo in ospedale. Per favore, sdraiati.”

Tremante, Sam aveva le pupille dilatate, molto disorientato. Da lì ad accorgersi della sua maglietta sporca del sangue di Nathaniel, fu un attimo: subito perse la testa.

“Di chi è questo sangue? – si toccò il petto, nessuna ferita che gli provocasse dolore – Dove sono i miei amici?”

“Per favore, sdraiati.” gli intimò ancora una volta il paramedico.

Sam ebbe un attacco di panico, dimendandosi come un forsennato.

“Voglio scendere, voglio vedere i miei amici!”

E a quel punto, l’uomo, date le circostanze, dovette sedarlo immediatamente. In pochi secondi, Sam si accasciò nuovamente, dopo aver urlato anche durante l’iniezione.

 

*

 

In ospedale, più tardi, si prospettava una lunga notte per tutti quanti, comprese le famiglie. Nathaniel e Rider erano in sala operatoria, mentre Sam, dopo qualche controllo, fu portato in una stanza privata.

Quest’ultimo, dormì per qualche ora, prima di svegliarsi. Non appena aprì gli occhi, suo padre stava tornando dal corridoio del reparto in cui si trovavano.

Carter gli sfrecciò accanto, non appena lo vide cosciente: “Sam, stai bene?”

L’altro si sollevò con qualche sforzo di troppo, restando seduto: “Acqua…”

“Sì, subito figliolo! – riempì un bicchiere – Tieni, bevi!”

Quello bevette, disorientato, per poi poggiare il bicchiere sul comodino di fianco.

“Dove sono?”

“Sei in ospedale, non ricordi? Mi hanno detto che in ambulanza ti sei svegliato. E anche quando sei arrivato qui.

Sam sgranò leggermente gli occhi; stava prendendo coscienza della realtà, finalmente: “Sì, ora ricordo… - soprattutto ciò che era successo alla casa sul lago, voltandosi dall’altra parte – Ricordo tutto…”

“Il tuo amico Rider è uscito dalla sala operatoria, circa un’ora fa. L’intervento è andato bene, gli hanno rimosso il proiettile dalla gamba. Tu, invece, hai riportato un leggero trauma cranico, resterai qui per qualche giorno.”

Sam fu contento di sapere che Rider stava bene, ma si voltò con apprensione per sapere cosa ne era stato dell’altro amico: “E Nathaniel?”

“Lui è ancora in sala operatoria, la sua situazione è un po’ diversa.”

“Ma starà bene? Che dicono i dottori?”

Carter titubò, non sapendo cosa rispondere: “Io proprio non lo so, Sam. Sono qui per te, non sono la sua famiglia.”

In ansia, Sam si voltò nuovamente dall’altra parte, ignorando il padre.

“E adesso cosa c’è, Sam? – Carter si accorse del suo palese distacco – Com’è possibile che non sapessi dove diavolo fossi? Come sei finito in quella casa?”

“Non ne voglio parlare adesso, ti prego lasciami stare.” disse sofferente.

L’altro era amareggiato: “Sembra che io prenda parte solo ad un quarto della tua vita, Sam. Non capisco che cosa ti stia succedendo o come tu resti invischiato in queste faccende.”

“Non mi succede nulla. – replicò freddo, senza nemmeno voltarsi a guardarlo – Voglio restare solo, ho la testa che mi gira.”

In quel momento, davanti alla sua stanza, si affacciò Eric.

“Ehi…” disse quello, rivelando la sua presenza.

Sam fu felice di vederlo, sorridendo: “Ehi, ciao…”

Carter si alzò dalla sedia, sentendosi di troppo oltre che poco gradito dal figlio: “Vado a prendere qualcosa al distributore. Di nuovo.”

Eric entrò salutando Carter con un cenno, mentre l’uomo si faceva strada verso la porta. Sam fece di tutto per ignorarlo anche mentre andava via.

“Stai bene? – domandò Eric, sendendosi – Mi hanno detto che riposavi.”

“Mi sento come Madeline ed Helen in La morte ti fa bella, quanto cadono per le gradinate e i loro corpi si spaccano in mille pezzi… - si toccò la testa, dolorante – Il che, è quello che è accaduto a me.”

“Io sono stato fortunato rispetto a voi. – indicò la sua fronte – Solo quattro punti dove Nolan mi ha colpito nel bosco.”

Sam era ancora sotto choc: “Ma ci credi a tutto quello che è successo?”

“Che Rider avesse un gemello malvagio? No, non ci credo ancora.”

“Non solo questo. – era spaventato - Anche di quel Norman che ha tentato di ucciderci.”

“Beh, ora è morto. Non ci farà più del male.”

“Ma A può ancora farlo. – lo fissò negli occhi, traumatizzato – Arriverà il giorno in cui si stancherà di stare dietro le quinte e proverà ad ucciderci anche lui.”


“Sam, lo so che sei profondamente segnato da questa vicenda; Dio solo sa come ne usciranno Nathaniel e Rider, ma devi restare lucido e non cadere nella paranoia.”

Quello aveva gli occhi lucidi, stremato: “Non ce la faccio più, te lo giuro. Non so nemmeno cosa raccontare a mio padre, lo sto solamente facendo soffrire.”

“Lo so che è dura, ma il piano rimane quello che abbiamo concordato: troviamo il complice di Anthony in quel bosco, lo consegnamo ad A e recuperiamo finalmente le nostre vite. E sono quasi sicuro che, dopo stanotte, A penserà che la nostra punizione sarà stata sufficiente e ci lascerà davvero in pace stavolta. – era determinato – Dobbiamo solo fare un ultimo sforzo, ci siamo quasi.”

“Quasi, dici? Non abbiamo idea di chi sia questo complice. Nemmeno Quentin lo sapeva quando ci ha parlato di quel posto da incubo.”

“Lo scopriremo, ora che Rider è con noi. Siamo di nuovo in quattro.”

Sam sospirò, cercando di essere fiducioso. Ora, però, il suo principale pensiero era rivolto a Nathaniel.

“C’era così tanto sangue sulla mia maglietta. – stava rivivendo il suo risveglio in ambulanza - Non avevo mai visto così tanto sangue in tutta la mia vita.”

“Norman ha tenuto impegnati Rider, Nolan e Richard per parecchio tempo. Il mio telefono non prendeva e non sono riuscito a chiamare il 911 in fretta. Nathaniel ha perso molto sangue.”

“E se non dovesse farcela?” Sam era spaventato all’idea di perderlo.

“Ce la farà, ok? – cercò di dargli speranza – Lui è forte, come noi.”

Sam annuì, in lacrime, ripetendosi che sarebbe andato tutto bene.

 

*

 

Era appena passata l’alba ormai. Rider era nella sua stanza con il camice ospedaliero addosso.

Osservava il sole davanti alla finestra, seduto sulla sedia a rotelle per non sforzare la gamba appena operata. Stava ripensando a tutto ciò che era successo la notte prima e alle parole che erano state dette a proposito del suo passato; ciò che li era rimasto impresso fra tutte le cose, però, fu l’ultima conversazione avuta con Nolan, poco prima dell’arrivo della polizia.

 

FLASHBACK

 

Norman era steso sul pavimento a pancia sotto, il sangue che si espandeva a macchia d’olio sotto la sua fronte.

In lontananza, si sentiva il suono delle sirene.

“La polizia sta arrivando. – annunciò Richard – Vado incontro a loro, ok? Voi restate qui!”

Nolan lo fermò subito, preoccupato per le sue sorti: “Papà!”

Richard lo rassicurò, vedendo la paura nei suoi occhi: “Ci penso io, tu resta con tuo fratello. Andrà tutto bene.” e uscì, dopo averlo guardato ancora una volta negli occhi.

A quel punto, i due fratelli restarono soli. Rider era accanto ai suoi amici e non perse quell’occasione per alzarsi in piedi e avvicinarsi a Nolan con molta diffidenza e rabbia.

“Non cercare di fregarmi, ok? – sudava, la gamba gli procurava un dolore lancinante - La faccenda dello scambio non è mai esistita. Né nostro padre, né la polizia, devono sapere che A ci ha scambiati.”

“Che c’è, hai paura che ti incolpino per la morte dell’infermiera se dico che c’eri tu con Norman al Radley?” disse cinico, notando la sua ostilità.

“Non ti incolperanno per la morte dell’infermiera, lei era nella stanza di Norman. Anche se sul chiodo ci sono le mie impronte, sanno già che è stato lui e non controlleranno mai. E poi, dopo quello che è successo qui e tutta la follia di Norman, sei praticamente innocente.”

“Carino da parte tua venirmi a rassicurare su un episodio di cui non ho fatto parte, ma tranquillo, se qualcosa dovesse andare storto in centrale, non dirò che c’eri tu al Radley al posto mio. – sorrise compiaciuto – Mentre tu eri inginocchio accanto ai tuoi amici, distratto, ho dato a Papà una cosa che mi salverà dalla galera, se verrò accusato di qualcosa per l’omicidio dell’infermiera.

“Cosa, esattamente?”

“Una penna stilografica che mi ha dato A per registrare le vostre conversazioni. In pratica l’ho attivata mentre Norman stava parlando e ho catturato il momento in cui ha ammesso di aver ucciso l’infermiera. Furbo da parte mia, eh? – gli fece un occhiolino – Come vedi, ci ho salvati entrambi.”

Rider sgranò gli occhi, allarmato: “Ma dentro ci saranno state anche le nostre conversazioni su A e tante altre cose, la polizia potrebbe ascoltarle.”

“Rilassati, la penna era vuota fino al momento in cui non ho registrato Norman. – lo tranquillizzò, mentre l’altro era ancora poco sereno – Piuttosto, ti sei alzato solo per dirmi questo?”

“No, mi sono alzato anche per dirti che non mi fido per niente di te; del resto, collaboravi con A. Potresti aver recitato molto bene e detto cose su di me che non sono vere.”

“Credi ancora che stia mentendo? – sussultò basito - Rassegnati Rider, non ho fatto io del male a quel bambino. Sei stato tu.”

“Comodo, Nolan. – sorrise, non cascandoci - Ho visto come guardavi nostro padre mentre gli parlavi, e so cosa stai cercando di fare. Devo ricordarti di come mi parlavi attraverso quelle bambole? Di come volevi vendicarti di me, mentre ora sei tutto un santarellino e ti dispiace per quello che è successo ai miei amici come se te ne fregasse davvero?”

“Non osare, Rider! – esclamò furibondo, contenendo i toni – Per quello che vale, mi sono affezionato a loro. E mi dispiace davvero.”

“Lo so che vuoi togliermi di mezzo.” lo fulminò con lo sguardo.

“Beh, se prima lo volevo, ora non serve più che io lo voglia. E’ ora che tu ti prenda la responsabilità di ciò che hai fatto e Papà farà in modo che tu ricorda ogni cosa… - fece l’ennesimo sorriso cinico – Non resterò ancora per molto al Radley, sarò presto libero di andare…come è giusto che sia!”

“Potresti aver mentito, Papà non è stupido.”

“E invece stavolta ci ha creduto, Rider. Credimi, mentre sarò al Radley, non ti lascerà in pace finchè non troverà il modo di farti parlare o farti ricordare ciò che sembra che tu abbia rimosso. – ridacchiò – Nostro padre ottiene sempre quello che vuole e fa grandi magie. Presto porterà una prova alla commissione del Radley, e poi…Beh, non so cosa ti accadrà, a dire il vero.”

Rider scosse la testa, odiandolo con tutte le sue forze: “Sai, farò anch’io del mio meglio per scoprire se hai mentito su questa storia. E lo verrai a sapere quando ti renderai conto che marcirai al Radley per il resto della tua vita.”

L’altro sorrise, sicuro che sarebbe andata diversamente: “Ti sbagli, Rider. E quando sarai TU a rendertenete conto, mi chiederai scusa durante tutte le visite settimanali che verrò a farti al Radley; perché io ti farò molte visite fratellino. In fondo, siamo una famiglia adesso.” e rise, come tocco finale a quella frase, mentre Rider digrignava i denti per la rabbia.

“Tock tock!”

Una voce alle sue spalle fece tornare Rider alla realtà, che si girò subito, muovendo le ruote della sedia con le mani: era Lindsey.

“Ehiii… - le sorrise, vedendola con il camice addosso – Mamma mi aveva detto che anche tu eri qui.”

Quella avanzò, con le pantofole, accennando un sorriso: “Già, sono svenuta per la febbre alta. Però oggi sto meglio, probabilmente mi dimetteranno a breve.”

“Immagino che avrai saputo quello che è successo alla casa al lago.” divenne serio.

“Più o meno… - si sedette sul letto, cercando di essere ironica come suo solito – So che un pazzo scappato da un manicomio ti ha sparato e che… - abbassò lo sguardo, tornando seria – Beh, so che abbiamo un altro fratello! Forse è per questo che sono svenuta.”

“Papà mi ha detto che ti ha raccontato tutto, è vero?”

“Sì, è vero. Dopo avermi portata qui, ieri pomeriggio, è rimasto finchè non mi sono svegliata…E poi mi ha detto tutto. – spiegò – Mi ha detto che tu e Nolan siete nati da un’altra madre, e che Nolan è finito al Radley perché ha affogato un nostro vicino di casa di tanti anni fa.”

Rider pensava che durante la sua operazione, sua sorella fosse stata messa al corrente della reale verità: “Tutto qui? Solo questo? Papà non è venuto da te, mentre ero sotto i ferri?”

“Non lo vedo da ieri, è stata la Mamma a dirmi tutto. Mi ha detto che ora Papà si sta occupando di Nolan, e sembra che lo faranno tornare al Radley visto che è stato quel Norman a portarlo fuori dalla struttura contro la sua volontà.”

“Senti, per caso non ti ha detto chi è la mia vera madre? – voleva scoprirlo – Glielo hai chiesto?”

“No, non me l’ha detto. Insomma, ero troppo disorientata per chiederglielo.”

“Capisco…” annuì, cadendo nel silenzio più totale.

L’altra, che si ammutolì a sua volta, cercò di fare conversazione: “Accidenti, abbiamo un fratello…” sorrise, trovandolo assurdo.

“Già… - pensò – Ora ti sembrerà strano che io e te non siamo fratelli, ma fratellastri.”

Quella cadde dalle nubi: “Eh? – scosse subito la testa – No no, ma che dici?! Certo, è dura da metabolizzare se metto insieme tutto quello che ho scoperto ieri, ma…per me non cambia molto. – disse imbarazzata, la voce piccola - Sei sempre mio fratello, nonostante non siamo mai andati d’accordo.”

Rider sorrise con un lato della bocca, sopreso: “Grazie…”

I due caddero nuovamente in un lungo silenzio, finchè Lindsey non manifestò le sue perplessità.

“Come abbiamo fatto a dimenticarci di Nolan? – era assorta nella concezione di quel mistero – Com’è possibile?”

“Credo sia impossibile dimenticare una persona, ma mentre Papà era minacciato da Norman, ha detto che sia io che tu avevamo subito un grosso trauma ed è questa la chiave di tutto.”

“Anche a me ha detto la stessa cosa, senza entrare nei dettagli. Mi ha detto che io e Nolan eravamo molto legati da piccoli; più legati fra noi che con te. Quando lo portarono al Radley, pare che io l’abbia presa talmente male che per giorni non ho nemmeno mangiato o dormito.”

“Papà ha parlato dello zio Gordon, ha detto che è stato lui a sistemarci.”

Quella andò a ritroso con la memoria: “Lo zio Gordon è un psicologo, ora che ci penso… Lo incontravamo spesso, ti ricordi? Andavamo sempre a casa sua.”

Rider fece lo stesso, calandosi negli stessi ricordi: “Hai ragione, ora che ci penso. E ci parlava di tante cose…”

“Come a volerci confondere! – pensò Lindsey – E ci è riuscito, perché io non mi ricordo nulla di Lukas Davis o degli eventi di quel giorno. Però devo ammettere che ora che sappiamo la verità, ho come delle sensazioni; sarà la memoria che riaffiora lentamente?”

“Ricordo un bambino che giocava con noi quando eravamo piccoli, ma non si chiamava Lukas. – si sforzò di ricordare - Si chiamava Oliver e poi con i suoi genitori si è trasferito in Florida.”

Lindsey annuì, trovandosi in linea con lui: “Già, anch’io mi ricordo di un Oliver che abitava nella nostra strada. – lo trovò strano – Dici che Oliver in realtà era Lukas? E che lo zio Gordon ci abbia voluto ingannare con un falso ricordo?”

Improvvisamente, Rider abbassò lo sguardo: “La psiche umana è un mondo misterioso. Ci sono così tante cose che non ci sono chiare e altre che dobbiamo verificare. – tra queste, la verità confessata da Nolan che cercava di non confidare alla sorella – Ora voglio solo vestirmi e andare a vedere come stanno i miei amici.” volle sorvolare l’argomento.

“Ti dimettono?”

“Il dottore passa per una visita di controllo, poi credo che potrò tornare a casa.”

“Una casa di segreti! – precisò Lindsey, terrorizzata dal loro rientro imminente – Spero che Papà non conservi altre sorprese.”

“Lo spero anch’io! – esclamò, per poi farle una domanda – Brakner ti ha chiamata per sapere come stai?”

Quella fu presa alla sprovvista, facendo la vaga: “Ehm…a dir la verità, ci siamo lasciati. Diciamo che ho realizzato che non era amore e che non sarebbe durata per sempre.” mentì.

“Davvero?”

“Sì, davvero.” annuì quella, sfuggente con lo sguardo.

“Beh, hai fatto la scelta migliore. Vedrai che troverai quello giusto.” le sorrise, sapendo perfettamente che sua sorella stava mentendo.

 

*

 

Nella stanza di Nathaniel, ancora in coma, Eric e Sam erano seduti ognuno ad un fianco del letto. Quest’ultimo gli teneva la mano.

Davanti alla porta, arrivò Rider muovendosi sulla sedia a rotelle. Appena Eric girò il collo e lo vide, si alzò subito ad aiutarlo e lo portò davanti al letto del loro amico.

“Che nottata…” scosse la testa Rider, mentre regnava il silenzio e l’angoscia.

Quelli si voltarono a guardarlo, esausti.

“Che MESI, piuttosto. – precisò Sam, devastato – E’ tutto un grande casino, non riesco nemmeno a capire se la notte di ieri è collegata ad A o siamo semplicemente delle calamite che attirano a sé ogni squilibrato di questa città.”

“Tu come stai?” gli domandò Rider.

“Come sto? – lo trovò un assurdo eufemismo - Sono fortunato a non essermi spezzato l’osso del collo, cadendo da quella scalinata.”

“E i dottori cosa dicono di lui? – Rider fissò Nathaniel – Resterà così per quanto?”

“L’hanno operato, Rider. – Sam aveva gli occhi lucidi – Le prossime 48 ore saranno critiche…” strinse ancora di più la mano a Nathaniel, fissandolo, in pena per lui.

Rider deglutì amaramente, in colpa: “E’ ridotto così a causa mia…”

“Rider, non incominciare… - intervenì Eric – Norman e Nolan non erano previsti. Devo ammetterlo, stavolta A ha superato sé stesso... – era sbigottito – Scambiarti con il tuo fratello gemello e infiltrarlo in mezzo a noi va oltre ogni immaginazione. Si sarà sicuramente messo comodo a mangiare delle patatine, ieri, pensando alla sua nuova grande opera.”

“Come diavolo ha fatto Norman a procurarsi una pistola mentre era ricercato ovunque?” esclamò Sam, furibondo.

“Quando abbiamo rubato l’auto che usavamo per spostarci, abbiamo trovato delle cose che lui ha pensato di vendere. – spiegò Rider - Convinto che l’avrebbero arrestato, ha invece trovato qualcuno interessato a ciò che aveva e in cambio ha ricevuto l’arma.”

Eric lo trovò ovvio: “Fammi indovinare…questo qualcuno era A?”

“Come fa A ad essere sempre un passo avanti a tutti?” non si spiegò Sam.

Rider era pensieroso, finchè non prese nuovamente parola: “Piuttosto, come fanno Chloe e mia sorella a sapere di A?”

I due si voltarono a guardarlo, perplessi.

“Eh???” borbottò Sam, guardandosi con Eric.

“Sì, lo sanno! – esclamò Rider, notando che cadevano dalle nuvole - Nella mia cucina c’è una sorta di microfono e io sentivo tutto attraverso una bambola di pezza, quando ero al Radley. Pare che Brakner abbia lasciato mia sorella, e Lindsey pensa che la loro rottura sia colpa di A. Quel giorno ne parlava con Chloe, credo siano diventate amiche.”

Sam restò a bocca aperta, confuso: “Cos’è, tutti hanno una A, adesso? Tanto vale prendere spunto per un reality show!”

“E non è finita qui… - Rider si voltò verso Eric – Pensano che la loro A sia Alexis!”

Eric tirò indietro il collo, sussultando: “Che? – sgranò gli occhi - La mia Alexis?”

“Non guardarmi così, avete vissuto voi nel mondo esterno, io non so nulla. – Rider se ne lavò le mani - Sembra di essere in un’altra Rosewood.”

Sam titubò, riflettendo: “E’ possibile che la nostra A sia la loro A?”

“Ma che dici? – lo linciò Eric – Alexis non è A, questa è follia!”

“Non intendevo questo, so perfettamente che non è lei A. – riformulò - Dico solo che forse A potrebbe aver giocato anche con loro…E che Lindsey e Chloe fanno schifo nel fare le teorie.”

“In qualche modo hanno scoperto di A. Forse da voi.” pensò Rider.

“Può essere, ma questo vuol dire che sanno che siamo perseguitati. – replicò Sam - O che, peggio ancora, abbiamo seppellito un corpo nel cuore della notte.”

Intanto, Eric, rifletteva sul perché le ragazze puntavano su Alexis: “Un momento, Alexis voleva denunciare Brakner perché pensava l’avesse investita. Ora si spiega perché Lindsey sospetta Alexis.”

“Che motivazione sarebbe? Una denuncia non rompe una relazione.” ribattè Sam.

“Magari A ci ha messo un po’ del suo. – suppose Eric – Non riesco a pensare ad altre strade con tutta la carne che c’è sul fuoco.” sbuffò.

“I genitori di Nat?” chiese Rider.

“Parlano con i dottori da che sono arrivati qui… - rispose Sam, preoccupato – Credo che Tyler sia nei guai.”

Rider afferrò immediatamente, dopo aver titubato per un istante: “Già, l’avevo dimenticato, Tyler prescriveva quelle medicine a Nat per permettergli di continuare a stare nella squadra di nuoto e non fare controlli approfonditi che potevano compromettere la sua carriera scolastica.”

“A quest’ora, i dottori avranno capito che c’è qualcosa che non va con il cuore di Nathaniel. – suppose Eric - Indagheranno, probabilmente…Tyler è davvero fregato!”

A quel punto, Sam si alzò in piedi, misterioso: “Non solo Tyler è fregato, ma nasconde anche dei segreti…” e andò a chiudere la porta, mentre lo sguardo confuso degli amici lo seguiva.

Quando tornò a sedere, sputò fuori il rospo: “Prima di arrivare alla casa sul lago, ho sbirciato dei filmati della sorveglianza a casa di Tyler, e… Ho dovuto chiamare Nathaniel!”

“Che avete trovato, esattamente?” domandò Eric, curioso.

Sam si prese un secondo, prima di sganciare la bomba: “Ragazzi, Anthony è vivo! Non so cosa cavolo sia successo in quella dannata notte, ma è vivo ed è andato a casa di Tyler.”

Quelli sgranarono gli occhi, restando rigidi come lastre di marmo. Si guardarono fra loro, come se avessero ricevuto una secchiata d’acqua gelida addosso.

Rider era senza fiato: “Un secondo, è questa da dove esce fuori?”

“Tre giorni dopo che la città lo credeva morto, si è rifugiato a casa di Tyler per un paio di giorni. – continuò Sam – Nella cantina abbiamo trovato cartoni di pizza, un materasso e altra robaccia tutta sotto sopra, come se qualcuno avesse vissuto lì sotto: e quel qualcuno era Anthony.”

Eric si alzò, facendo avanti e indietro, ridendo per l’assurdo: “No, questa le batte tutte. – poi alzò la voce, furibondo – Quindi ha lasciato Rosewood dopo essere stato da Tyler? E perché Tyler non l’ha denunciato alle autorità?”

“Perché Anthony conosceva anche i suoi segreti, Nathaniel l’ha sempre detto che Tyler era terrorizzato.”

“Quindi mentre noi siamo qui a giocare ad Hunger games, lui è su qualche spiaggia tropicale a prendere il sole con baffi finti e parrucca??? – Eric voleva impazzire – No, mi rifiuto.”

Nel mentre, Rider era caduto in una serie di ragionamenti a ritroso: “Ma questo significa che nella bara… - si voltò a guardare entrambi, disorientato – Un secondo, chi diavolo c’è nella bara?”

“Io e Nat ipotizzavamo che ci potesse essere una terza persona alla stazione di Rosewood, colpita da A a morte.”

“Una persona che è risultata carbonizzata all’autopsia, quando in realtà era alla stazione e non ha avuto nulla a che fare con l’incendio? – aggiunse Eric, confuso – Insomma, sono stupido io o qualcosa non quadra?”

Sam rispose anche a quella domanda: “Io e Nat ipotizzavamo anche che A possa aver carbonizzato quel corpo altrove, prima di scambiarlo con quello di Albert all’obitorio e farlo passare per Anthony.”

“E le impronte dentali, la statura di questa persona, come potevano combaciare con Anthony? – non capì Rider - Il medico legale si è drogato, forse?”

“Capirai, probabilmente A avrà fatto in modo che risultasse così. – suppose Sam con certezza - Ormai non mi stupisco più delle magie che riesce a fare.”

“Sentite, questa storia mi sembra assurda quanto quella che A è Alexis nella versione parallela del nostro incubo, dove le protagoniste sono Lindsey e Chloe. – si alterò Eric, fortemente scettico – Sam, sei sicuro di quello che tu e Nat avete visto? Anthony non può essere davvero vivo.”

“E invece era lui! – Sam confermò nuovamente – Nella cantina c’era la sua giacca, quella che aveva quando l’abbiamo lasciato alla stazione. E c’era anche un biglietto!”

“Un biglietto? – sussultò Rider – Che biglietto?”

Sam si portò le mani sulle gambe, accorgendosi che non aveva addosso i suoi vestiti ma il camice ospedaliero: “Accidenti, ce l’avevo nella tasca del mio jeans.”

“E non ricordi cosa c’era scritto? – gli chiese Eric – Devi aver preso una forte botta in testa per non ricordarlo.”

“Non è qualcosa di facile da ricordare! – gli lanciò un’occhiataccia, facendo mente locale – Era un sito internet… - si sforzò di ricordare, mentre quelli attendevano con ansia – Allora, c’era scritto www.raeflaer.jwj, ma…la F era maiuscola e anche l’ultima R.”

Www.raeFlaeR.jwj? - Eric restò perplesso - Che diavolo è?” si chiese, prendendo il telefono per fare ricerche.

Rider ci riflettè, sapendo di cosa si trattava: “Ma questo è Deep web…

“Prego? – tentennò Sam – Traduci anche per noi.”

“E’ una parte nascosta del web dove vengono svolte innumerevoli attività; cose illegali, molte volte.”

“E da cosa l’hai capito?” chiese Sam.

“Dal dominio jwj, che non è un normale dominio di un normale sito internet.”

Sam era esterrefatto dal suo solito modo di spiegare le cose e sapere sempre tutto: “Fantastico, sei ufficialmente tornato!”

Intanto, Eric, aveva provato a cercare il sito internet e sembrò aver trovato finalmente qualcosa.

“Ehi, ragazzi… - girò il suo telefono, affinchè potessero vedere – Ho trovato il sito, ma c’è uno schermata nera con al centro un riquadro che chiede la password e il nome utente per accedere.”

“Sembra che Anthony nascondesse altri segreti…” dedusse Sam, sospirando.

“Sono stanco dei segreti!” esclamò Eric.

Rider, invece, stava pensando allo strano nome del sito: “Le lettere maiuscole sono un punto di partenza, perciò se leggiamo al contrario dice…Real Fear!”

“Vera paura? – rise Eric – Ma che cavolo significa?”

Sam abbassò lo sguardo, pensando di saperlo: “Paura come quella nel bosco, dove Quentin dice di essere stato.  – fissò entrambi – Dite che questo sito sia collegato a quello che Anthony faceva in quel bosco?”

“Farci addirittura un sito internet? – pensò Eric – E per cosa?”

“Beh, non lo sapremo mai finchè non avremo password e nome utente.” aggiunse Rider.

“E non sappiamo nemmeno dove sia il bosco…” concluse Sam.

I tre si voltarono a guardare Nathaniel, amareggiati. Improvvisamente, il telefono di Eric ricevette un messaggio.

Quello abbassò la testa e la risollevò velocemente, osservato dai compagni: “E’ da parte di A!”

Subito, girò il telefono.

“E’ ora di prenderci una pausa, non credete? Ne abbiamo tutti bisogno, godetevi questo lungo sonno…Al prossimo anno, bugiardi!”

-A

“C-che, cosa??? – Sam balbettò, spiazzato -  Intende che ci lascia stare per un anno intero?”

“Pff, magari! – esclamò Rider, trovandolo divertente – Tra meno di un mese entriamo nel nuovo anno, quindi tornerà a perseguitarci da Gennaio.”

“Gentile da parte sua lasciarci Natale e Capodanno…” pensò sarcastico, Eric, sorpreso da questo inaspettato messaggio.

“Lasciarci Natale e Capodanno per poi tornare sicuramente peggio che mai… - Rider espose loro la realtà che c’era dietro a quel messaggio – Non oso immaginare cosa ci accadrà quando questo lungo sonno di cui parla il mostro sarà finito. Fossi in voi non festeggerei così in fretta.”

I tre sospirarono, finchè Sam non si rivolse a Rider con molta delicatezza.

“So che sei ancora scosso per questa storia del fratello gemello, ma…non hai notato qualche particolare, qualche dettaglio su A? Insomma, quando ti ha scattato la foto per mandarla a tutti noi, era davanti a te. O sbaglio?”

Rider sgranò gli occhi, portandosi una mano sull’addome: “L’avevo dimenticato…”

“Dimenticato, cosa?” gli domandò Eric, stranito dalla sua reazione.

A mi ha alzato la maglietta, poco prima di scattarmi quella foto. – spiegò ad entrambi – Ha scritto qualcosa con un pennarello.”

“Beh, che aspetti, alzati la maglietta e vediamo!” lo incitò Sam, curioso.

Spaventato da cosa potesse trovare scritto, Rider esistò proprio mentre stava per farlo.

Eric lo riprese: “Rider, forza!”

“E se ci fosse scritto qualcosa di compromettente? – pensò, sudando freddo - E se i dottori l’avessero visto mentre mi operavano e l’avessero fatto presente alla polizia?”

“Beh, se fosse così, di certo non staresti qui con noi a parlarne. – Sam cercò di tranquillizzarlo -  Saresti in centrale a rispondere alle domande del detective Costa; pagherebbe oro per averci tutti nella sua stanza degli interrogatori.”

A quel punto, Rider cacciò fuori l’aria negativa e si fece coraggio. Finalmente sollevò la maglietta, mentre i suoi amici allungavano il collo in avanti per leggere.

Le loro facce perplesse, intimorirono Rider, che teneva la testa alzata e non voleva guardare: “Beh? Che cosa c’è scritto?”

“Ha disegnato una chiave con attaccato un cartellino: dentro c’è scritto il numero 16.” rispose Sam, una smorfia altamente confusa.

Eric si rimise comodo sulla sedia, dopo che l’amico si decise finalmente a guardare: “L’avranno scambiato per un tatuaggio, mentre ti operavano.”

“Che può significare?” si chiese Rider, pensieroso.

“Forse è una chiave per l’inferno. – ironizzò Sam, nel tentativo di sdrammatizzare – O forse A voleva solo scarabocchiare per prendersi gioco di te e vedere se riesci a contenere le tue urine in un momento di panico assoluto.”

Questo Rider non lo escluse: “Credimi, me la stavo facendo sotto sul serio.”

“Ragazzi, che facciamo adesso? – domandò Eric dopo un lungo sospiro – Abbiamo un mese intero senza A, come ci comportiamo?”

“Io oggi vengo dimesso, come potete constatare dai miei abiti. Immagino anche Sam, perciò…Aspettiamo che Nathaniel torni fra noi e poi decideremo come muoverci.” suggerì Rider, per poi abbassare lo sguardo; era ancora condizionato dal racconto di Nolan e tutte le questioni del passato di cui decise di non fare parola con i suoi amici.

Sam, ovviamente, non fece caso al volto inquieto dell’amico, così come Eric, continuando a pensare ai loro problemi con il nemico: “Beh, sì, sono d’accordo. E poi… - si scambiò un’occhiata cupa proprio con Eric, prima di continuare – Noi abbiamo delle piste e dobbiamo aggiornarti su tutto ciò che ci è successo mentre eri al Radley.”

“C’è molto di cui parlare!” sottolineò Eric, spostando lo sguardo su Rider, in attesa che dicesse qualcosa.

“Ehm, certo, avremo modo di parlare. – tornò quasi subito a dar loro retta, mettendo da parte i pensieri – Anch’io devo dirvi delle cose sulla mia permanenza al Radley, ma cosa più importante… Nessuno sa dello scambio tra me e Nolan, mio padre non l’ha scoperto. Pensa che Nolan sia fuggito con Norman dal Radley e che mi abbiano rapito e portato alla casa sul lago.”

“E Nolan che fine fa in tutto questo?” volle sapere Sam.

“Beh, Nolan non c’entra nulla con l’omicidio dell’infermiera, perciò sarà sicuramente passato dalla centrale per qualche domanda e poi di nuovo al Radley. – Rider fece una faccia seccata – Mio padre glielo ha promesso che tutto sarebbe andato bene.”

“Sai, Nolan dopo tutto… - Sam riflettè sulle sue sensazioni – Io non credo che fosse malvagio. Credo che alla fine sia una vittima di A, oltre che del suo passato; qualsiasi cosa abbia fatto per finire al Radley. – Rider deglutì con fatica in quell’istante, mentre Sam continuava – Sapete, lui mi ha salvato la vita…poco prima che Norman sparasse.” ripensò, grato di quel gesto.

“Già, anche se mi ha colpito in testa, l’ha fatto perché la sua copertura era prossima a saltare. – si aggregò Eric, fissando Rider – Per tutto il tempo in cui ti ha impersonato, è stato un buon amico. Era esattamente come te.”

“Beh, era tutta una recita. – si alterò Rider – Probabilmente seguiva un copione scritto da A.”

Sam, allora, abbassò lo sguardo, smettendo di illudersi: “Forse hai ragione, forse era tutta una recita. Nathaniel me l’aveva detto, ieri. – si voltò a guardarlo, mentre dormiva ancora – Ha trovato un libro in camera tua, Rider, dove c’era scritto ogni cosa su noi quattro: informazioni utili per impersonarti meglio ed ingannarci per bene, evidentemente.”

Eric fece una faccia quasi disgustata e delusa, ripensandoci: “Che orrore…”

“Gli unici di cui possiamo fidarci siamo noi quattro. – Rider cercò di risollevare i loro animi, spostando lo sguardo fra loro due – Abbiamo una partita da vincere, perciò dimenticatevi di Nolan e Norman. Ormai sono il passato, dobbiamo andare avanti.”

I due annuirono, cercando di seguire il consiglio.

Un lungo mese attendeva tutti loro. La fine del gioco era quasi vicina e ognuno di loro lo percepiva.

 

SCENA FINALE

 

A aveva appena scassinato una porta, infiltrandosi all’interno di un appartamento: era una specie di loft molto spazioso che aveva tutto in un’unica stanza, dove i vari ambienti erano stati organizzati con uno stile molto classico.

Subito raggiunse il letto, dove sulla parete di fronte erano poggiate un mucchio di tele da disegno.

Improvvisamente, squillò un telefono nella sua tasca. A lo recuperò, leggendo il messaggio appena ricevuto.

Da Tina:

“Edward che fine hai fatto? Sono a New york per qualche giorno, sei ancora a Rosewood a dipingere ragazzi nudi che per te sono arte? Guarda che divento invidiosa, rispondi. Baci.”

A con i guanti neri alle mani, digitò un messaggio di risposta.

“Ciao, Tina. In verità ho conosciuto un ragazzo davvero molto carino, ho anche lasciato un po’ il lavoro da parte. Credo che mi prenderò una vacanza di qualche settimana per stare con lui, mi dispiace non poterti raggiungere. Baci a te.”

 

E si rimise il telefono in tasca, che chiaramente apparteneva ad Edward, il francese che aveva ucciso.

Iniziò a frugare tra le tele da disegno, dove erano raffigurati diversi ragazzi. A le controllò scrupolosamente, come se stesse sfogliando un libro.

Finalmente, sembrò aver trovato ciò che stava cercando e sfilò via dal mucchio un dipinto dove era raffigurato un ragazzo che conosceva benissimo: Nathaniel; precedentemente dipinto dall’uomo quando era ancora in vita.

Subito dopo, prese un pennarello nero e dietro alla tela scrisse il numero 16. Poi lasciò l’appartamento, portando il dipinto via con sé.

 

CONTINUA NEL SEDICESIMO CAPITOLO

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 17
*** 1x16-L'ultimo dipinto di Edward Blanc ***


CAPITOLO SEDICI

“The Awakening

 

One month later…

 

Sam stava percorrendo il corridoio dell’ospedale, quella sera; lo faceva da diverse settimane ormai, ogni giorno. Salutava le infermiere accenando un sorriso gentile, sostenendo la sua borsa della scuola piena di libri su una spalla. Infine, entrava sempre nella solita stanza: quella di Nathaniel.

Un bacio sulla sua fronte e subito sedette sulla sedia, tirando fuori un quadernino. Davanti a lui, l’enorme finestra che mostrava un meraviglioso cielo stellato; un cielo che lo ispirava tutte le volte per ciò che doveva scrivere.

E scriveva  tanto, tutto con un sorriso genuino e un volto sereno; cercava di essere forte, come Nathaniel avrebbe voluto che fosse.

“Caro Nathaniel, oggi è passato quasi un mese dal giorno in cui i dottori ci hanno comunicato che eri in entrato in uno stato di coma. Eravamo convinti che ti saresti svegliato quel giorno, ma non è successo: il mondo mi è letteralmente caduto addosso, così come alla tua famiglia.

Tuttavia, io credo nei miracoli e sono convinto che uno di questi giorni ti sveglierai e tornerai fra noi. Ne sono sicuro. Sei sempre stato forte.

Oggi, però, non è passato solo un mese da quando ti sei assentato dalle nostre vite: oggi è anche passato un mese dal giorno in cui A ha smesso di tormentarci. Per il momento.

E dico “per il momento” perché la tregua che ci ha dato, presto giungerà ad una fine. Potrebbe succede da un momento all’altro. Anche adesso. Ho paura.”

Quel sorriso che aveva, a quell’ultima frase, scomparve. La penna smise di scrivere e i pensieri accumularono la sua mente.

Decise di scrivere ancora una cosa, però.

“Forse saranno giorni infernali quelli che ci attendono, ma almeno siamo tornati a vivere come una volta. Anche se per poco, abbiamo avuto giorni sereni e so che ti farà piacere leggerlo: perché tu vuoi solo il bene per le persone che ami; lo so meglio di chiunque altro.”

Improvvisamente, il telefono di Sam vibrò sul comodino accanto al letto. Lo fissò per qualche secondo prima di prenderlo.

Era una chiamata: arrivava da Rider.

“Pronto?”

“Ehi, sei da Nat?”

“Si, sono appena arrivato.”

“Ricordati di passare da casa mia per cambiarti, dobbiamo farlo stasera.”

“Non sarà un po’ azzardato scoprire cosa si nasconde nel deposito numero 16? A potrebbe risvegliarsi non appena giriamo la chiave.”

“Vorrei ricordarti che non abbiamo nessuna chiave, dovremo scassinarlo quel deposito.”

“Ma siamo sicuri che la chiave che A ti ha disegnato sul corpo sia la chiave di un deposito? Sai, vorrei una certezza prima di finire in manette.”

“E’ da un mese che cerco di risolvere l’enigma: si tratta di un deposito, ne sono sicuro. Se pensi ai depositi, sono tutti numerati. E poi il cartellino attaccato alla chiave che A ha disegnato sulla mia pancia ha la forma di un baloon. Qui in città c’è un unico Self storage che affitta depositi e il logo è a forma di baloon!”

“Ok, mi hai convinto. Chissà perché ci hai messo così tanto a capire che si trattava di un deposito; di solito risolvi gli enigmi in meno tempo.”

“Beh, ero impegnato a vivere. Sai com’è, non capita tutti i giorni di essere liberi da uno stalker ossessionato da te che ti concede un time out della durata di trenta giorni.”

“Devi per forza ricordarmi che siamo quasi alla fine del time out con la parola time out?”

“Almeno ho recuperato il brutto voto che presi con Palmer.”

Sam riflettè su quest’ultima cosa: “Ecco, questo è uno dei vantaggi della pausa di A: aver recuperato con la scuola.”

Rider sospirò: “…mi dispiace solo per Nathaniel.”

“Anche a me… - ribattè, fissando Nathaniel con inquietudine e un magone nella voce  – Vorrei che si svegliasse, non ne posso più di vederlo su questo letto.”

“Si sveglierà, vedrai.” cercò di dargli fiducia.

Una lacrima scese lungo il viso di Sam, che schiarì la voce: “Ehm…senti, raccolgo le mie cose e ti raggiungo. – non riusciva più a stare al telefono - Ora chiudo.”

“Va bene, ti aspetto.”

Entrambi misero giù la chiamata. Sam ebbe un leggero crollo emotivo, ma si riprese subito, asciugandosi le lacrime.

Dopo aver rimesso il quadernino nella borsa e messo il suo telefono in tasca, diede nuovamente un bacio sulla fronte a Nathaniel e lo accarezzò di sfuggita sulla guancia. Poi corse verso la porta.

Uscendo, però, andò a sbattere contro la signora Blake.

Sam reagì mortificato: “Oh mio Dio, mi scusi.”

La donna si sincerò delle sue condizioni: “Ti sei fatto male?”

“No no, sto bene. – le sorrise – Non dovevo correre, ma devo passare da un amico.”

Quella fu comprensiva: “Non ti preoccupare, sei giovane e hai degli impegni; come è giusto che sia per un adolescente. Ti sono grata del fatto che vieni ogni volta a trovare Nathaniel. – lo fissò con insistenza, molto premurosa - Sei un amico speciale, Sam.”

Lo sguardo della donna mise Sam in soggezione, tant’è che dovette abbassare il suo perché si sentì a disagio: “Beh, è uno dei miei migliori amici. – sorrise con molto imbarazzo – E’ il minimo: soprattutto dopo quello che abbiamo passato in quella casa.”

“Immagino… - annuì quella, un sorriso malinconico ed esausto – Prima muore quel vostro amico, Anthony, poi la vostra scuola esplode, venite interrogati dalla polizia, un pazzo fuggito da un manicomio cerca di uccidervi… e ora veniamo a sapere di questa malattia cardiaca di Nathaniel: un segreto che si è portato avanti fino ad oggi senza mai dirci una parola.”

“L’importante è che Nathaniel sia stato operato e che quel suo problema sia stato risolto. – cercò di consolarla - Ora dobbiamo solo aspettare che si svegli.”

Claire si voltò verso il letto del figlio, il volto triste ma ancora speranzoso: “Già, che si svegli…”

“Vedrà che si sveglierà. – Sam le mise una mano sul polso, infondendole coraggio – Io ci credo davvero.”

L’altra si commosse, sorridendo: “Grazie, Sam. – le sue parole la rincuorarono, così mise la sua mano sopra la sua – Grazie davvero, sei un caro ragazzo. Nathaniel è fortunato ad averti insieme a lui.”

Sam restò a guardarla per qualche secondo, un espressione neutra; per un attimo fu come se sospettasse che lei sapesse di lui e Nathaniel, dei loro baci. Ma come poteva saperlo, pensò. E così, nel giro di pochi istanti, abbandonò quel pensiero e la salutò caldamente.

“Siamo noi quelli fortunati, signora Blake. Ora, però, devo andare. Passi una buona serata.” concluse, per poi uscire.

Rimasta sola, Claire si avvicinò al letto del figlio. Mentre lo guardava, continuava ad avere dei flashback su quelle foto di lui e Sam che aveva ricevuto dal mittente anonimo. Foto di baci. Foto di una relazione tra due ragazzi, messi a nudo della loro intimità. Foto che potevano essere rese pubbliche.

E su questo temeva di poter essere minacciata ancora, nonostante fosse passato un mese.

 

*

 

Intanto, al Brew, erano cambiate parecchie cose durante il mese di Dicembre: il bar aveva cambiato gestione e non aveva più Todd a capo. Al suo posto arrivò Antonio Montejo, un giovane venezuelano molto attraente, che nel giro di due settimane trasformò il Brew in una caffetteria e una libreria al tempo stesso, conquistando una vasta clientela.

Alexis, stanca del suo lavoro alla tavola calda e, appoggiata da Eric, approfittò del cambio di gestione per riprendere il suo vecchio posto. E ci riuscì.

Nel corso di quella serata, Eric era dietro al bancone ad asciugare i bicchieri appena lavati, mentre osservava Alexis parlare con Antonio in modo un po’ troppo amichevole; ormai era dal suo arrivo che i due legarono, e di questo ne era geloso.

Mentre lei sorrideva a ciò che Antonio le stava dicendo, Eric non toglieva gli occhi da loro. Nemmeno quando fece cadere a terra un bicchiere, mandandolo in frantumi, loro si girarono. Amareggiato di questo, si chinò a raccogliere i pezzi di vetro, ripensando al giorno in cui tornò dall’ospedale e a ciò che si erano detti lui e Alexis.

 

FLASHBACK – Quattro settimane prima…

 

Eric aveva appena raccontato tutto ad Alexis, che, seduta sul divano, aveva le mani in fronte e la testa buttata in basso: era sconvolta.

“Senti, adesso devo tornare in ospedale dai miei amici…” concluse, non vedendo l’ora di evadere da quella stanza e uscire.

Quella finalmente alzò il capo, buttandosi indietro i capelli: “Sono senza parole, Eric. – cominciò, irritata e fuori di sé – Esci per prendere le uova e magicamente ti ritrovi alla casa sul lago di Rider assieme a due tizi scappati da un manicomio, armati?”

“Ho ricevuto una chiamata, ok? Non sono finito magicamente lì.” si giustificò, davanti alla porta.

Alexis si alzò in piedi, iniziando a fare avanti e indietro davanti al divano. Più cercava di capire e più le veniva da ridere.

“Sai, io cercavo davvero l’amore quando mi sono messa con te. Solo che… non immaginavo che nel pacchetto fosse compresa anche la follia: perché tutto questo è davvero una grande follia, Eric. – lo fissò dritto negli occhi, fulminandolo - Te ne rendi conto? Cioè, tu riesci a comprendere che io non riesco più a starti dietro, giusto? – quello abbassò lo sguardo, non sapendo cosa rispondere – Se avessi delle amiche, non saprei nemmeno cosa raccontare di te. Sei la persona più misteriosa e assurda che io abbia mai conosciuto e… - lo fissò ancora, ridendo – Guardati! Non riesci nemmeno a spiaccicare una parola, non ti difendi nemmeno. Non hai una spiegazione razionale!”

Finalmente Eric trovò il coraggio di alzare lo sguardo e dire qualcosa: “…Chiamerai i miei genitori?”

Quella si lasciò scappare l’ennesima risata, incredula: “Wow, questo è il colmo! Io sono qui che ti chiedo di essere sincero con me e tu pensi ai tuoi genitori? A volte mi sento davvero una babysitter e non la tua fidanzata.”

“Alexis, ti prego! – Eric non resse più – I miei amici sono in sala operatoria e non ho tempo per stare qui ad ascoltarti, ok? Potevo restare lì in ospedale e invece sono venuto qui a farti sapere come stavo visto che nessuno ti avrebbe contattata per dirtelo.”

“Ci mancherebbe altro, Eric! – Alexis alzò la voce – Sono la tua fidanzata, devo essere messa al corrente di ciò che ti accade. Ma, a quanto pare, essere venuto fin qui a dirmi che stai bene sembra quasi una seccatura per te.”

“Non è una seccatura, smettila di pensare che tu sia poco importante per me.”

“Scusami, se sembra tutto il contrario. – ribattè basita – Vuoi per caso farmi passare per una pazza?”

“Ti prego, possiamo chiuderla qui? – sospirò, esausto – Devo andare sul serio.”

Quella sgranò gli occhi, scuotendo la testa, arresa: “D’accordo, vai. Esci, vai. – una lacrima le scese lungo il viso – E se vuoi proprio saperlo, non so se chiamerò i tuoi genitori; e detta così, sembra che io sia davvero la tua babysitter. – il suo volto era ormai sofferente – All’inizio ero così terrorizzata nel lasciarmi andare ad una relazione con un ragazzo più piccolo di me. Poi con il passare del tempo mi sono innamorata e tu hai completamente cancellato quella differenza d’età che tanto mi spaventava. Ora, invece, mi ritrovo davanti alla realtà: sei un adolescente…e a dire il vero, non te ne faccio nemmeno una colpa perché questa è la tua età. Io cercavo un uomo, e in te lo vedevo… ma ora non ci riesco più, e mi chiedo se valga la pena continuare.”

Eric deglutì con fatica, combattuto dal fermarla nel suo discorso o lasciare che mettesse un punto alla loro storia.

Lei, poi, dopo una serie di espressioni che sfociavano nella totale indecisione sul cosa fare, decise di lasciar perdere tutto.

“Senti, sai cosa ti dico? – si asciugò le lacrime - Me ne vado a letto. Fai un po’ come ti pare, io sono stanca e domani mi aspetta una giornata piuttosto impegnativa.” e se ne andò, lasciandolo lì impalato.

Eric non si mosse finchè la porta della stanza da letto non si chiuse. Tirò un sospiro di sollievo nel sentir la porta sbattere, anche se subito dopo i suoi occhi divennero lucidi.

Alexis si avvicinò al bancone, mentre Eric si stava risollevando in piedi dopo aver raccolto i vetri.

“Ehi, che è successo?” domandò quella, mentre si slacciava il grembiule.

“Niente, mi sono distratto e ho fatto cadere un bicchiere. – rispose seccato, ma lei non lo notò – Te ne stai già andando?”

“Sì, fra poco mi vedo con mia madre a cena. – poggiò il grembiule sul bancone - Grazie che mi copri il turno.”

“Figurati, Antonio ti avrebbe lasciata andare anche se non ci fossi stato io.” si lasciò sfuggire una frecciatina, il tono apatico e distaccato.

L’altra restò interdetta per qualche secondo, lasciando correre: “Ehm, ok, allora io vado. – si lanciò verso di lui, dandogli un bacio sulle labbra al volo – A stasera!” esclamò, scappando di fretta.

Dopo che quella era uscita, Eric si voltò a guardare Antonio, che attraverso le vetrate osservava Alexis entrare in macchina con molto interesse.

*

 

 

Rider uscì dalla sua camera, scendendo per le scale con fretta, tutto vestito di nero e con gli stivaletti.

Passando per il salotto, recuperò il cappello poggiato sul tavolino accanto al divano. Lo indossò, poi controllò l’orario sull’orologio. Improvvisamente, si fermò un secondo a contemplare la stanza, in preda ad un ricordo non molto lontano.

 

FLASHBACK – Due settimane prima…

 

Rider si era appisolato sul divano con i libri aperti sul tavolino; ne aveva uno aperto anche sopra di sé, quello di matematica.

D’un tratto, venne scosso da qualcuno: suo padre.

“Rider? – lo scosse ancora – Rider svegliati!”

“Uhmm, che succede?” era ancora addormentato, gli occhi chiusi.

“Rider, è tardi. Vai nella tua stanza.”

Quello finalmente aprì gli occhi, guardandosi attorno: “Accidenti, mi sono addormentato. Che ore sono?”

“Quasi mezzanotte.”

“E tu da dove arrivi? – notò che aveva addosso il cappotto – Sei uscito a portare fuori il cane?”

“Ehm… - tentennò – Ero al Radley, sono stato da Nolan. Ha la febbre.”

Rider si irrigidì immediatamente nel sentire quel nome, evitando lo sguardo del padre: “Ah, ok, e ora sta bene?”

“Starà bene, la febbre guarisce. – spiegò, ma il suo tono preannunciò altro – Il punto è che non sta bene di testa, vuole tornare a casa.”

“E che cosa vuoi da me? Ho altre cose a cui pensare: come la scuola! – si irritò - E poi Nolan ha ricevuto dei permessi speciali per uscire nei fine settimana e venire a casa nostra, grazie alle tue pressioni: non è abbastanza?”

“Nolan non vuole permessi speciali, Rider: vuole stare con la sua famiglia!” esclamò, severo.

“Quindi adesso è così che andranno le cose? – si alzò, stufo - Mi guarderai male ogni volta che si parla di Nolan?”

“Ti guardo male perché ti stai rifiutando di aiutare tuo fratello. Sei la chiave per il suo rilascio!”

“No, io sono solo una merce di scambio! Lui vuole che prenda il suo posto in quel manicomio orribile e si è inventato quelle bugie per fare in modo che questo accada.”

“Non sono bugie, non puoi saperlo! Devi andare da uno psicoterapeuta, Rider. E’ l’unico modo, dannazione!”

“E che cosa accadrà se tutto quello che ha detto è vero? Eh? – lo mise di fronte alle conseguenze – Scatteranno dei meccanismi che graveranno su di me in maniera negativa, ma a te importa solo di Nolan!”

“Pensi che non sappia a cosa andrai incontro se tutto ciò fosse vero? Certo che lo so! – lo prese per le spalle, fissandolo negli occhi – Ma non cambierà nulla, perché lo affronteremo insieme.”

“E come? – si svincolò dalla presa del padre, preoccupato per se stesso - Con te e Nolan che venite a trovarmi al Radley con una scatola di ciambelle glassate?”

“Rider, tu vedi solo il lato peggiore della cosa. – cercò di prenderlo con calma - Una volta che con lo psicoterapeuta ripercorrerai quei ricordi e scoprirai se hai davvero fatto del male a quel bambino, porterò tutta la documentazione delle tue sedute alla commissione del Radley per richiedere il rilascio di Nolan. Ciò non significa, però, che verrai internato al posto suo. Non funziona così.”

“E cosa mi accadrà, allora?” disse meno irrascibile, dopo averlo ascoltato.

“Interverrà un giudice, ti sottoporranno a dei test. Insomma, terranno conto di tutta la tua vita e di come sei stato fino ad oggi.”

“Non voglio che tutto questo stravolga la mia vita. – esternò sofferente – Mi sono costruito una carriera scolastica impeccabile, ho vinto competizioni, ho viaggiato: tutte cose che non avrebbe mai fatto il ragazzo che ha dipinto Nolan. – lacrimò – Non sono un assassino.”

“Ma tu non lo sei, Rider. Quel bambino non è morto, ok? – Richard cercò di rincuorarlo – E’ stato un episodio spiacevole, tutto qui. Anche se dovesse essere vero, questo non fa di te un assassino.”

Rider era combattuto: “Non so se riuscirei a sopportare la verità…”

“Lo so, ma non puoi abbandonare tuo fratello: soprattutto se è innocente. Ormai non fa che chiedermi se ci stiamo muovendo e ogni volta che viene qui a casa e tu non ci sei ad accoglierlo, pensa che non stiamo facendo nulla.”

L’altro si voltò, avvicinandosi alla finestra, riflettendo: “Io… - non sapeva che fare – Io… - si girò, aveva finalmente una risposta – Va bene, andrò da uno psicoterapeuta…”

Richard sorrise, felice di quella decisione: “Grazie, Rider. So quanto ti è costato prendere questa decisione.”

Rider, però, aveva delle condizioni: “Sì, ma a patto che sia lo zio Gordon. Non andrò da nessun’altro, non voglio aprirmi con un estraneo.”

“Ma mio fratello non vive qui… – gli ricordò – Il suo studio è in Italia ed è anche impegnato con la sua classe universitaria.”

“Lo so, ma queste sono le mie condizioni. Non può venirci a trovare? Quanto ci vuole per fare questo viaggio nella mia testa?”

A quel punto, Richard si rese conto che suo figlio aveva sottovalutato la faccenda: “Rider, questa non è una cosa semplice. Ci vogliono delle sedute, forse tante sedute.”

“Non mi interessa, è stato lui a seppellire i miei ricordi e a fare questo abracadabra. Voglio che sia lo zio Gordon il mio psicoterapeuta.”

Richard, allora, comprese suo figlio era irremovibile: “Va bene, lo chiamerò…”

“Bene, ora vado a dormire. – raccolse i suoi libri – La mia vita deve continuare nel frattempo, e domani ho un test.”

L’altro annuì, accennando un sorriso: “Certo, assolutamente. Buona notte!”

“Buona notte!” ricambiò Rider

 

Il suono del campanello portò Rider al presente, che osservò nuovamente l’orologio da polso:

“Dev’essere Sam.” pensò.

Constatato questo, si apprestò ad andare ad aprire la porta.

 

*

 

Dopo aver parcheggiato la macchina in un punto nascosto, Sam e Rider entrarono furtivamente dentro al Rosewood self storage.

“Rider, vedo delle telecamere…” notò Sam, mentre camminavano all’interno dello stabilimento con le torce accese.

“Lo so, per questo stiamo per disattivarle.”

“Disattivarle?”

“Rilassati, sarò io a farlo.” ribettè con molta calma, tenendo lo sguardo vigile.

Sam lo squadrò dalla testa ai piedi, facendo una smorfia per il loro trasvestimento: “Ho un déjà vu…”

“Noi due nel sotterraneo della scuola che raggiungiamo l’ingresso della panic room, vestiti da diabolik? Sì, anch’io mi ricordo.”

“Ora questo travestimento è più che sensato, ma a quei tempi non tanto.”

Rider, che era distratto, ignorò cosa stava dicendo e lo tirò per un braccio: “Ecco la centralina, muoviamoci.”

Quando furono davanti ad essa, Rider aprì la centralina con dentro i fili, pronto a disattivare le telecamere.

“Rider, te l’ho già detto che questa potrebbe essere una pessima idea? Se non disattivi le telecamere come si deve, la polizia ci sbatterà in galera sul serio.”

“In galera per aver disattivato le telecamere? Mi sembra eccessivo! – esclamò, tirando fuori dallo zaino delle tronchesi – Ehi, Sam, fammi luce!”

Infreddolito e seccato, eseguì: “Un mese senza A ed ecco che siamo di nuovo nel baratro. – si guardò attorno, sbuffando – Odio la mia vita.”

“Più che altro, siamo SUL BORDO del baratro. – precisò, tagliando un cavo - Aspettiamo di caderci quando A si farà vivo.” e si rialzò, chiudendo lo sportello della centralina.

“Hai già fatto? Sei sicuro?” gli domandò paranoico.

“Ti sembrerà una cosa gay, ma la scorsa settimana ho chattato con un tizio che se ne intende e mi ha spiegato come farlo.”

“E come facciamo a sapere che è fatta?”

Rider riprese a camminare, con Sam a seguito.

“Beh, se vedi che nelle telecamere c’è ancora una lucetta che lampeggia, ti consiglio di abbassarti il cappello fino al mento. Altrimenti fammi un applauso e considerami il ragazzo più intelligente che tu conosca.”

“Ma tu SEI il ragazzo più intelligente che io conosca. – rispose in primis, per poi mostrarsi preoccupato – E comunque non mi va di tentare la sorte, odio tentare la sorte.”

Più avanti, Rider fissò le telecamere con attenzione: “Puoi anche rilassarti, niente luci che lampeggiano. – sorrise compiaciuto – Peccato non poter mettere tutto questo nella lettera d’ammissione al college.”

“Certo, già immagino l’inizio: Caro college, so scavare una buca nel cuore della notte e impallidire a messaggi minacciosi! ” esclamò con sarcasmo.

L’altro rise: “Ma per favore, abbiamo un curriculum molto più ampio di questo!”

D’un tratto, i due si fermarono davanti alla serranda di uno dei depositi.

“E’ questo?” domandò Sam.

Rider sfilò il suo zaino dalle spalle: “Sì, numero 16…”

“C’è un lucchetto, ovviamente. – lo osservò frugare nello zaino, seccato – Stai facendo uscire una chiave? No, perché non riesco proprio ad immaginare come tu possa aprirlo.”

Rider tirò fuori una smerigliatrice, attaccando la batteria: “Veramente sto per tagliare il lucchetto!”

“Mi stai prendendo in giro? – Sam sgranò gli occhi, guardandosi attorno – Come diavolo lo rimettiamo a posto?”

“Ehm… Non lo rimettiamo a posto. – spiegò calmo, pronto a tagliare – Sam, nessuno saprà mai che siamo stati noi. Guardiamo cosa c’è dentro e poi fuggiamo: semplice!”

“Dimenticavo quanto tutto sia semplice per te, Rider. – zompettava sul posto per il freddo e il panico – E’ da pazzi quello che stiamo facendo!”

Rider, intanto, si era appena messo gli occhialini per proteggere gli occhi: “Non usare la parola pazzi, sono un ex paziente del Radley e sono ancora molto sensibile. – gli fece un cenno con la mano, poi – Allontanati, ci sarà qualche scintilla.”

L’altro eseguì, sbuffando per via della situazione.

Dopo qualche minuto, il lucchetto era stato tagliato e Rider lo rimosse. Sam si avvicinò, mentre quello alzava la serranda fino al limite: il box deposito era finalmente aperto.

I due fecero un passo avanti, silenziosi, puntando le torce: dentro c’era qualche mobiletto, delle scatole e numerose tele da disegno ammucchiate su una parete.

“Sam, indossa i guanti prima di toccare qualcosa.” gli suggerì Rider, osservando qua e là.

L’altro seguì il consiglio, tirandoli fuori dalla tasca. Improvvisamente calpestò qualcosa.

“Ma che cavolo??? – si salvò dal fare una brutta caduta, puntando la torcia a terra – Qualcosa mi ha quasi fatto inciampare.”

Rider si abbassò a recuperare quel qualcosa: era un lucchetto simile a quello appena tagliato, più un biglietto.

“Vedo che A ci tiene a non farci finire nei guai!” esclamò, risollevandosi in piedi.

Sam si avvicinò a lui: “Che dice il biglietto?”

Guardare ma non rubare, bugiardi. –A!  – lesse Rider – C’è molta polvere sopra il biglietto, deve averlo scritto il mese scorso.”

“Perché mai dovremmo rubare qualcosa da qui? – pensò Sam, guardando la robaccia attorno a sè – Dovrei portarmi via un treppiedi, forse? A pensa che sia alla ricerca di un nuovo hobby?”

“Non ti agitare, lascialo perdere. – gli suggerì – Piuttosto, diamo un’occhiata!”

“…Va bene. ” annuì l’altro, più calmo.

I due iniziarono a frugare fra quella roba, cercando qualcosa che potesse sembrare importante. Ma, più tardi, Sam sembrò aver trovato qualcosa di molto più che importante: era vicino alle tele da disegno.

“Ehi, Rider, vieni a vedere… - lo chiamò – Su una di queste tele, c’è disegnato sopra il numero 16!”

Quello si avvicinò, puntando la torcia su di essa: “Forse A vuole dirci che è questa la cosa che non dobbiamo rubare. Presto, vediamo che cos’è!”

Subito sfilarono via quella tela dalle altre, capovolgendola: era raffigurato un ragazzo nudo, all’interno di un appartamento.”

“Oh mio Dio… - Sam sgranò gli occhi – Ma questo è Nat!”

Rider restò perplesso: “Che ci fa Nat in un dipinto? – lo osservò attentamente, lasciandosi sfuggire un commento sarcastisco – Però, è più dotato di quanto pensassi.”

“Questi sono i dipinti di Edward Blanc, il francese che abbiamo seppellito! – si agitò, guardandosi attorno sconvolto – Oh mio Dio, questo deposito è suo! Nathaniel accettò di essere ritratto da lui per poi cercare di ottenere una testimonianza che scagionasse Jasper.”

Il panico si fece presto strada nel volto di Rider, che sbiancò: “Perché inizio a pensare che questa sia una trappola?”

“Perché forse lo è? – si girò a dirgli con tono isterico – Dobbiamo uscire immediatamente da qui!”

“Sì, ma il dipinto dobbiamo lasciarlo!” esclamò Rider, notando che Sam lo teneva ancora stretto.

“Rider, abbiamo letteralmente tranciato i cavi della sorveglianza. La polizia verrà attirata qui e scopriranno che, coincidenza delle coincidenze, è successo proprio dove Edward ha affittato un deposito!”

“E quindi? Vorresti rubare un dipinto che A ci ha scritto di non rubare?”

“Se la polizia scopre di questo deposito, non ci metterà molto a riconoscere Nathaniel nel dipinto e a collegarci all’omicidio. – continuò Sam – Probabilmente questo è l’ultimo ritratto che Edward ha dipinto prima di morire.”

“Sam, secondo me, A voleva solo che sapessimo che ha spostato la tela da casa di Edward a questo deposito. – cercò di convincerlo a lasciare il dipinto - Ci ha lasciato un lucchetto identico a quello che abbiamo appena tagliato, non penso voglia incastrarci.”

“Abbiamo commesso un enorme sbaglio a venire qui, ci siamo esposti ancora una volta per colpa di A. – si sentì male per questo – Non posso crederci che ci siamo cascati ancora.”

Rider sfilò il dipinto dalle mani di Sam: “Questo lo lasciamo qui, ok? Non facciamolo arrabbiare.” e lo posò accanto a tutti gli altri.

Dopo aver richiuso il deposito con il lucchetto nuovo, i due erano nuovamente per strada che camminavano per tornare alla macchina.

Sam era molto pensieroso: “E’ passato un mese, eppure nessuno ha denunciato la scomparsa di Edward. – si voltò a guardare Rider, incredulo – Com’è possibile?”

“Lui espone le sue opere a New york, giusto?”

“Per questo mi chiedo come mai nessuno si sia accorto di nulla. Ok, forse ha una vita piuttosto intraprendente e magari non coinvolge la famiglia, ma suppongo che con questa galleria che espone i suoi quadri, avrà un contratto. Avrà anche degli amici, penso. – riflettè, divorato dalla paranoia - Dopo un mese, qualcuno si starà chiedendo dove sia finito, no?”

Quando furono davanti alle portiere della macchina, Rider si fermò con tono misterioso: “Magari non è proprio sparito come pensiamo…”

Sam gli lanciò subito un’occhiataccia: “Rider, tu non c’eri, ma mi sembra di averti già spiegato che abbiamo seppellito i suoi pezzi nel bosco. – trovò assurdo il suo commento – E’ morto, fidati!”

“No, lo so che è morto. – si spiegò meglio – Quello che sto dicendo è che forse Edward vive ancora grazie ad A.”

“Cioè?”

“Quando A ha ucciso Edward, avrà preso i suoi effetti personali: carte di credito, telefono.”

Sam titubò, pensandoci: “Oh mio Dio, credi che si stia spacciando per Edward?”

“E’ l’unica spiegazione razionale che mi venga in mente.” ribattè, mentre entravano in macchina.

“Seriamente, se la polizia dovesse mai arrivare a questo deposito… - Sam ormai pensava al peggio – Nathaniel dovrà rispondere ad una marea di domande.”

“Forse volevi dire NOI! – precisò Rider – Dubito che possano interrogare un ragazzo in coma.”

A quel punto, Sam si disperò: “Lo sapevo che non l’avremmo fatta franca, stavolta. A si sta preparando per il suo ritorno e ci ha voluto dare qualche anticipazione.”

“Ne verremo fuori, ok? A non ci ha ancora sconfitti.”

I due si guardarono a lungo, cercando di essere fiduciosi.

 

*

 

Più tardi, il Brew si era svuotato. Antonio era in fondo al locale che appuntava delle cose su un taquino, mentre Eric non smetteva di fissarlo.

Ad un certo punto, l’uomo tirò fuori il telefono ed iniziò a rispondere a dei messaggi. Dopo, si avvicinò al bancone.

“Eric, qui chiudi tu? Io ho un impegno urgente adesso.”

Quello sforzò un sorriso: “Ma certo, vai pure.”

“Grazie, a domani!” esclamò uscendo.

L’accenno di sorriso di Eric, si incupì non appena l’uomo lasciò il Brew. Immediatamente controllò il telefono, sperando di trovare messaggi o chiamate perse di Alexis: ma come immaginava, non c’era nulla.

Tornò a guardare fuori, dove Antonio stava entrando nella sua auto. Sentiva che c’era qualcosa di losco, che la sua ragazza lo tradisse con lui.

Improvvisamente, ricevette una chiamata: era Rider.

“Pronto?” rispose, distratto da Antonio che metteva in moto l’auto.

“Ehi, volevo passare al Brew per aggiornarti ma sono davvero esausto.”

L’altro non parlava, lo sguardo fisso sulla strada. Antonio era appena andato via.

“Pronto? Eric?”

“Sì sì, eccomi. Che c’è?”

“Dicevo, io e Sam siamo stati al deposito.”

“E?”

“E…abbiamo scoperto che era di Edward!”

“Il deposito numero 16 è di Edward? Ma allora era una trappola.” pensò, preoccupandosi.

“Dentro c’era un dipinto che ritraeva Nat nudo; di quando si prestò ad Edward come modello per riuscire ad estorcere una testimonianza.”

“Un secondo, quindi voi avete violato il deposito di un uomo assassinato? Ti prego, dimmi che non avete lasciato tracce.”

“Solo i cavi della sorveglianza tranciati. Il lucchetto l’ho tagliato, ma A è stato così magnanimo da lasciarcene uno uguale; sapeva che ci saremmo entrati prima o poi.

“Quindi siamo salvi? Cioè, se la polizia dovesse indagare, non è detto che facciano caso al deposito, no? Ci sono tanti altri depositi.”

“Io dico che possiamo stare calmi, nessuno sa ancora che Edward è morto. Se il Self storage dovesse chiamare la polizia per indagare, non faranno nemmeno caso ai proprietari dei depositi. E poi non abbiamo rubato nulla ieri sera.”

Eric finalmente si tranquillizzò: “Già, hai ragione…”

“Tu, piuttosto, mi sembri tra le nuvole. – notò Rider dal tono - Tutto bene?”

“Io? Ehm, sì, sto bene! Devo solo chiudere il Brew…”

“Lo fai un po’ spesso ultimamente. – rise nel tentativo di sdrammatizzare – Rimpiangi il vecchio Todd?”

“Forse!” esclamò, forzando una risata.

Rider, poi, tornò serio: “Devo dire che mi mancherà questa nuova normalità…”

“Già, da circa un mese mi sembra di essere stato catapultato in una nuova linea temporale dove A non esiste. Poi con i cambiamenti che ha subito il Brew, Nat in coma…sembra tutto così surreale.”

“Peccato che presto torneremo alla vecchia linea temporale, dove A farà il suo trionfale ritorno.”

Eric era ancora pieno di dubbi: “Mi chiedo perché volesse mostrarci quel dipinto nel deposito.”

“Per iniziare a tessere la sua tela di terrore? – gli sembrò così ovvio - Il dipinto collega Nat ad Edward; anzi, collega tutti noi ad Edward. Se dovesse spuntare fuori nelle indagini, il detective Costa non ci metterebbe un secondo ad archiviare il caso: sospetta di noi da sempre. Su tutto quanto.”

“Quindi che facciamo? Aspettiamo il ritorno di A, fingendo di avere delle vite normali?”

“Ti consiglio di goderti questi ultimi giorni felice con Alexis e di recuperare tutte le materie in cui sei rimasto indietro per colpa di A.”

“Ho già recuperato tutto, a dire il vero. E’ incredibile come studiare sia così facile quando non c’è qualcuno che ti perseguita notte e giorno.”

“Allora cerca di essere il più felice possibile con Alexis, perché, credimi, quella felicità A te la porterà via.”

Eric, allora, abbassò lo sguardo, pensando a quella felicità che in realtà già non c’era più con Alexis. La cosa lo rattristò molto, ma cercò di non farlo capire a Rider.

“Ehm, ok, magari domani porterò Alexis fuori a cena.”

“Fallo, è la cosa migliore da fare in questo momento.” gli suggerì.

 

*

 

Intanto, Sam, dopo la gita al deposito, passò dall’appartamento di Wesam con in mano un cartone di pizza fumante.

Dopo aver bussato due volte, finalmente venne aperto: l’uomo indossava l’accappatoio e aveva i capelli bagnati.

I due si sorrisero, poi Wesam avanzò sul pianerottolo, stringendolo in un travolgente bacio in cui le bocche sorridevano ancora.

Sam faticava quasi a reggere la pizza, che rischiava di essere schiacciata dai loro corpi.

“Non hai paura che qualche tuo vicino esca e ci veda?” si staccò, continuando a sorridere.

“Ma se sono tutti vecchi e con l’artrite su questo piano!” esclamò Wesam, recuperando la pizza dalle sue mani.

“Già, dimenticavo che qui sei tu quello giovane!” sollevò le sopracciglia, ironico, mentre quello lo tirava dentro per un braccio.

Wesam poggiò subito la pizza sul tavolo del salottino.

“Sei stato da Nathaniel? Per questo hai fatto tardi?”

Sam, che stava prendendo i piatti, dissimulò la verità: “Ehm, sì, come tutte le sere…”

“E’ bello cenare due volte in una sera, sai? Prima da solo e ora con te.” cercò di essere sarcastico, nonostante provasse un po’ di gelosia.

Sam poggiò i piatti sul tavolo, per poi cadere sulle ginocchia di Wesam, che era seduto sul divano.

“Prometto che domani non farò così tardi. – rise, perché Wesam lo baciava continuamente sul collo e sentiva il solletico – Dai, basta, lo sai che sono sensibile!” cercò di liberarsi.

Dopo diversi minuti, il cartone della pizza era ormai vuoto e i due era sdraiati sul divano. Wesam era dietro Sam, che lo stringeva a sé per i fianchi.

Quest’ultimo controllò l’orologio: “Tra poco devo tornare a casa, mio padre rientrerà dalla centrale a momenti.”

L’altro gli accarezzò i capelli con molta dolcezza, distratto a fissarli con intensità: “No, di già?”

“Vorrei restare anch’io, ma dopo Norman vuole sempre che rientri a casa per le nove. Che sia al sicuro.”

“Ma tu sei al sicuro…” lo strinse ancora una volta, affettuoso.

“Sì, ma questo mio padre non lo sa!” sorrise dispettosamente.

“Beh, mi dispiace non potergli dire che suo figlio è in buone mani. – Wesam utilizzò un tono buffo - Nelle mani del suo ragazzo di dieci anni più grande!”

Sam scoppiò a ridere: “Ti arresterebbe all’istante!”

“Peccato che non sia io che deve arrestare… - alluse ad A. – Non sono io la minaccia.”

All’improvviso, il sorriso di Sam scomparve di colpo dalle sue labbra, la stanza cadde nel gelo più assoluto. Il ragazzo decise di alzarsi, prendendo la giacca.

“Forse è meglio che io vada…”

Wesam si rese conto di aver parlato a sproposito, alzandosi: “C’è qualcosa che non va, Sam? – notò la sua agitazione - C’è qualcosa che vuoi dirmi?”

Quello si fermò a rispondere, molto sbarazzino: “No, niente.”

A è tornato?” fu diretto.

“Non è tornato, ok? – spiegò, leggermente isterico – E’ solo che non mi va di parlare di lui mentre sono qui che ho un momento felice con te.”

“Sam, ne abbiamo parlato dopo quello che ti è successo alla casa sul lago, ricordi? Tu puoi dirmi ogni cosa. – cercò di farsi partecipe della sua vita - Lo so che con il tempo hai imparato a mentire e a tenere a distanza le persone che ami, ma con me puoi essere te stesso. So praticamente tutto.”

A non è tornato, sto dicendo la verità.” ribadì.

“Allora cosa c’è che non va? Lo vedo come non stai bene.”

“E’ solo tensione, ok? A sta per tornare e sento il peso del suo ritorno che grava sulle mie spalle, ora più che mai.”

“Hai paura per me?”

Quello aveva gli occhi lucidi: “Ho paura per tutti quanti, Wesam! Nathaniel è finito in coma a causa dei giochi di A, non perché è stato investito dopo aver attraversato una strada.”

“Te l’ho già detto, non devi avere paura per me. Mi sembra di avertelo già promesso che non interverrò in questa storia; anche se sono dell’idea che potrei fare qualcosa, se solo tu me lo permettessi.”

“Puoi anche averlo promesso, ma chi ama mente! – si mise a braccia conserte, sospirando - Non sono sicuro che tu abbia davvero compreso di dover stare al posto tuo.”

Wesam si avvicinò a lui, prendendolo per le spalle con molta dolcezza: “Ho compreso qual è il mio posto, va bene? – si fissarono negli occhi – Avete un piano, me l’hai spiegato un centinaio di volte. Fate quello che dovete fare, ma… su una cosa non posso mentirti, Sam. Se la tua vita dovesse essere in serio pericolo, scordati che farò il fidanzato da salotto.”

“Ti prego, restane fuori il più possibile.” lo supplicò con lo sguardo, sofferente.

Quello annuì con un sorriso rassicurante, poi gli prese il volto e lo baciò teneramente.

 

*

 

Eric era a letto da un pezzo quando Alexis rientrò. In punta di piedi, la ragazza chiuse la porta della stanza e si mise sotto alle lenzuola.

Dopo aver trovato la posizione più comoda, Alexis chiuse finalmente gli occhi. Qualche secondo più tardi, però, Eric si sollevò e girò verso di sé l’orologio che c’era sul comodino per vedere l’orario.

“Dove sei stata? Sono le tre e un quarto!”

Quella aprì gli occhi, fingendo della stanchezza nella voce: “Eric, che spavento. Avevo preso sonno.”

“Vuoi rispondere alla mia domanda?” non gli importò, cinico.

“E che domanda sarebbe? – sussultò perplessa – Sono stata a cena da mia madre, hai perso la memoria?”

L’altro assunse un tono inquisitorio: “E le cene durano sei ore? Hai lasciato il Brew che erano le nove.”

“Eric, lo sai che mia madre non vive a Rosewood. Sono almeno due ore tra andata e ritorno, ok?”

“Poteva venire lei, avremmo cenato tutti insieme.”

Alexis restò basita, sollevandosi con la schiena: “Ehm… Eric non capisco dove vuoi andare a parare, cos’è questo interrogatorio?”

“Sei strana, ecco dove voglio andare a parare. – fu diretto – Sei strana da settimane!”

“Oh, beh, guarda da che pulpito arrivano queste parole. – si irritò, allibita – Tu sei strano da quando ti ho conosciuto, come la mettiamo?”

“E se adesso chiamassi tua madre per sapere se sei stata davvero da lei?”

Quella spalancò occhi e bocca, sconvolta: “E’ una specie di scherzo? Dove diavolo sarei andata se non da lei?”

“Non saprei, Antonio è uscito dopo di te.” alluse ad un tradimento.

Alexis, sconcertata, scivolò con un piede giù dal letto: “Antonio?? Mi stai prendendo in giro?”

“No, perché dovrei dal momento che siete sempre così intimi?”

“Ok, adesso basta! – si alzò dal letto, prendendo il suo cuscino – Vado a dormire sul divano, questo è troppo!”

“Che fai, non rispondi alla mia domanda? – quella sbattè la porta, uscendo – Eh? – urlò per farsi sentire – Perchè non mi rispondi? Mi hai tradito o no?”

Furioso, rimase a fissare la porta a lungo. Poi, quando si calmò, si stese nuovamente e provò a dormire.

 

*

 

Non solo per Eric l’insonnia era un problema: anche Rider continuava a rigirarsi nel letto, tormentato dalle domande che ancora non avevano risposta.

Ad un certo punto, dovette alzarsi ad accendere la lampada sul comodino. La sua stanza fu immediatamente illuminata dal rosso tenue che essa emanava; ma tale luce, riuscì ad illuminare solo la parte intorno al letto, mentre tutto il resto era oscuro.

Oscurità che altro non era che sinonimo delle ombre che c’erano ancora nella pagine del suo passato.

 

FLASHBACK – Tre settimane prima…

 

Rider, Eric e Sam erano appena entrati nella sua camera, quella mattina.

“Ok, Nathaniel, alla casa sul lago, ha detto che il libro dove sono scritte tutte le informazioni su di noi, che usava Nolan, è in questa stanza! – spiegò Sam, mentre si guardavano attorno – Dobbiamo solo trovarlo.”

“Non ha detto qualcosa di più specifico? – intervenne Eric, sottilineando la difficoltà dell’impresa – La stanza di Rider è piena di libri!”

“Ehm, no… - rispose Sam, impalato – E’ difficile approfondire qualcosa quando davanti a te c’è il fratello gemello del tuo amico con in mano una pistola.”

Rider, intanto, stava già frugando tra gli scaffali e sopra le mensole: “Immagino che dovremo aprirli tutti… - fece loro cenno di darsi una mossa – Forza, aiutatemi!”

Quelli eseguirono, ognuno in un punto della stanza.

“Ragazzi, a proposito del mandato di perquisizione di cui Nat è stato messo al corrente da A… sbaglio o non c’è stata alcuna perquisizione da nessuno di noi quattro?”  pensò Eric.

Rider ci riflettè: “Forse A l’ha preso in giro, in effetti la polizia non è venuta a casa di nessuno di noi.”

“Allora Nolan diceva il vero, A voleva tagliarlo fuori. – dedusse Sam – Se Nat non avesse ricevuto quel messaggio, non sarebbe mai entrato nella stanza di Rider e di conseguenza non avrebbe mai scoperto del libro… A l’ha smascherato!”

Rider si fermò dal cercare, rendendosi conto che non aveva più senso farlo: “Se A voleva tagliarlo fuori e questo era tutto un suo piano, allora il libro se lo sarà ripreso.”

“Un secondo, però… - Sam chiamò l’attenzione su di sé – Questo fantomatico libro contiene solo informazioni su di noi, cose che già sappiamo. Perché lo stiamo cercando?”

Lo sguardo di Sam si posò su Eric, che reagì in modo sbarazzino: “Non guardare me, è Rider che voleva trovare quel libro a tutti i costi!”

Sam, allora, si rivolse all’altro: “Rider, perché ti importa così tanto di trovare quel libro?”

“Perché forse può dirmi qualcosa in più sul mio passato! – sputò fuori il rospo, andandosi a sedere sul letto – Dopo aver scoperto che mia madre non è la mia vera madre, ho bisogno di risposte.”

“Non hai chiesto a tuo padre? - gli domandò Eric – E’ lui che dovrebbe darti delle risposte e non un libro scritto a mano da A.”

“Certo che l’ho fatto! E’ stata una delle prime cose che gli ho chiesto dopo gli eventi della casa al lago… - spiegò Rider, tormentato - Mi ha detto che non ha più contatti con lei da anni e che quando l’ha conosciuta portava un nome falso che non voleva la pena riferirmi.”

Sam fece un commento a caldo: “Mette incinta una donna e non sa nemmeno il suo vero nome?”

Il commento attirò subito un occhiataccia di Rider, che svanì quasi subito: “Beh, non sono sicuro che mio padre mi stia dicendo la verità. Quando sono entrato nella panic room, l’ultima volta, ho trovato una foto del 1998 che raffigurava mio padre con una donna. Indossava un impermeabile rosso.”

“E sei sicuro che fosse la tua vera madre?” gli chiese Eric.

Preso dal nervosismo, andò davanti alla finestra: “…Beh, non ne sono sicuro.”

“Ok, ma cosa gliene importa ad A di tenere una foto di tuo padre assieme ad una donna, nella panic room? – pensò Sam, confuso - Siamo noi la sua ossessione principale, non loro.”

A quel punto, Rider si voltò: “Sentite, forse è meglio lasciar perdere. – suggerì con tono isterico, cercando di nascondere un suo disagio interiore - Stacchiamo un po’ il cervello e godiamoci questo mese senza A, basta fare teorie e cercare indizi.”

Gli altri due rimasero assai straniti, guardandosi fra loro.

“Ehm, ok… - rispose Eric – Per me va bene, abbiamo tutti bisogno di una pausa.”

“Già, decisamente!” pensò anche Sam.

A distanza di un mese, Rider non aveva mai rivelato ai suoi amici cosa si erano detti lui ed A al Radley. Non aveva parlato dello scambio di messaggi tra loro e che aveva fatto delle domande sulla donna della foto; domande a cui aveva ricevuto risposta, in parte.

Ma quelle risposte, nascondevano una verità molto forte: una verità che forse avrebbe dovuto svelare ai suoi amici, perché ormai c’erano troppe coincidenze dentro la sua testa.

Spenta la lampada da notte, Rider tornò a dormire. O almeno, ci provò.

 

*

 

Il giorno dopo, in tarda mattinata, Chloe era fuori dall’aeroporto, accanto alla sua macchina, che aspettava qualcuno con ansia.

Quando le porte si aprirono, vide Clarke arrivare verso di lei con in mano la sua borsa da viaggio e un ampio sorriso.

Anche quella avanzò verso di lui con lo stesso entusiasmo: “Finalmente sei arrivato!”

“Ho avuto un contrattempo, ho dovuto prendere il secondo volo.” spiegò, abbracciandola forte.

Dopo averla tenuta stretta per diversi secondi, si staccò: “Allora, come stai? Bene?”

“Sul serio, Clarke? – gli lanciò un occhiataccia – Per caso a capodanno hai bevuto troppo?”

Quello le sorrise, conoscendo perfettamente i suoi drammi: “Ah, già, tua madre è in città e c’è anche la tua odiosa sorellastra!”

“Vedo che ti è tornata la memoria, nonostante mi sia lamentata con te al telefono per ore. – prese la sua borsa, mettendola nel portabagagli – Ho lasciato il South dakota e sono venuta a vivere qui con i miei zii pur di liberarmi di lei; peccato che lei sia compresa nel pacchetto vacanze quando mia madre torna a Rosewood.”

“Dai, tanto restano solo per qualche altro giorno.”

“Lo so, ma è così odiosa. – si sfogò, gesticolando in maniera isterica - Mi odia da morire, te l’ho già detto? – quello annuì forzatamente, esausto per il viaggio - Ma certo che te l’ho già detto, e scusa se ti assilo in continuazione. – sospirò, sentendosi subito in colpa – A volte mi manca l’amicizia con Sam: durante il terzo anno abbiamo creato un fantoccio da sacrificare in un esperimento di chimica e li abbiamo dato il nome di quella stronza. Le abbiamo sciolto la faccia mischiando varie cose.”

“So perfettamente che ti manca Sam, ma devi stare lontana da lui. – le suggerì ancora una volta, mentre entravano in macchina - Soprattutto dopo quello che è successo il mese scorso.”

“Nathaniel è in coma, avrei potuto almeno chiamare. – poggiò la fronte sul volante, giù di morale – Mi sento una brutta persona.”

“Stai solo sfuggendo ad un pazzo… o una pazza, non lo sappiamo di preciso. – le prese la mano -Non devi sentirti in colpa, va bene?”

“A proposito, che hai scoperto su Alexis?”

“Su Alexis? Beh, non ha nulla che non vada a dire il vero. E’ una ragazza normalissima, solo che…”

Quella si irrigidì, impaziente: “Solo che, cosa?”

“E’ ricca!”

“Ricca?” sgranò gli occhi.

“Beh, non lei. Suo padre è ricco!”

Chloe rimase perplessa: “Non fai turni extra al Brew se sei ricca.”

“I suoi genitori sono divorziati. Forse Alexis è rimasta con sua madre… e anche se fosse, è maggiorenne per dipendere dai soldi del padre.”

“Quindi hai scoperto solo questo? Ti ho mandato un’email con l’elenco delle persone che Anthony ha portato nel bosco. Nessuno di quelli è un suo parente? – chiese, molto stressata nel tono- Che ne so: un fratello, una sorella, un cugino alla lontana, un amico…”

“No, mi dispiace. Nessun legame con nessuno di loro.”

“Quindi Alexis non cerca vendetta per quello che ha fatto Anthony. – realizzò, preoccupata - Non è A. Non ha alcun motivo per esserlo.”

“Tu hai avuto più fortuna? Hai spiato i ragazzi nell’ultimo mese?”

“Non sarei così esaltata nel farti domande su Alexis, se avessi scoperto qualcosa. – sospirò – A dire il vero, le loro vite mi sono sembrate così tranquille. Sono tornati a scuola solo dopo qualche giorno, in seguito all’aggressione. Hanno passato le feste con le loro famiglie: tutto normale.”

“Che intendi? Pensi che A abbia smesso di tormentarli?”

“Non sappiamo nemmeno in che modo li ha tormentati, Clarke.  – ribattè – Ciò che vedevo in loro era solo un costante nervosismo o strane ferite e lividi; cose che non ho visto ultimamente.”

“Quindi stai dicendo che dopo l’aggressione, non sono più nervosi?”

“Così pare…”

Clarke trovò sospetta la cosa: “Io non ero qui, perciò non so bene cosa dissero i notiziari a proposito dell’aggressione che hanno subito i ragazzi. Di preciso, cosa è successo?”

“Niente, un pazzo è fuggito da un manicomio assieme al suo amichetto, altrettanto pazzo, e insieme si sono rifugiati in una delle case che affacciano sul lago; d’inverno quelle case sono tutte vuote, perciò era un luogo perfetto per nascondersi.”

“E loro si sono trovati lì per caso, quella notte? Intendo i ragazzi.”

“Sam e gli altri vanno spesso alla casa sul lago di Rider.”

“E chi erano questi aggressori?”

“Due pazienti del Radley sanitarium: uno si chiamava Norman qualcosa e l’altro… - si sforzò di ricordare – Beh, a dire il vero, dell’altro paziente non hanno divulgato il nome, forse per la privacy; pare che questo sia stato rapito da Norman e portato fuori dalla struttura con la forza, quindi non c’entrava nulla. ”

Clarke incantò il vuoto, perplesso: “Non ti sembra tutto così strano? Con tutte le case che c’erano, quei due hanno scelto proprio quella degli Stuart per rifugiarsi?”

“Che vorresti dire, scusa?” Chloe non riuscì a seguirlo.

“Troppe coincidenze, Chloe… - pensò fermamente - E se A si nascondesse dietro il paziente di cui non è stata divulgata l’identità?”

Quella rise: “A sarebbe un malato mentale che uccide, incastra le persone e manda messaggi minacciosi da dentro un manicomio? - lo trovò assurdo - Certo!”

“Ascolta, mia madre un tempo faceva parte del consiglio di amministrazione del Radley e so che c’erano diversi problemi con i badge identificativi: pazienti che entravano e uscivano.”

“Cosa? – quella sussultò, inquietata – E hanno risolto?”

“Non ne ho idea, questo accadeva qualche anno fa. Dico solo che i ragazzi potrebbero aver avuto un faccia a faccia con A, quella notte.”

Chloe trovò su cui riflettere: “Un secondo, magari questo paziente, di cui non hanno divulgato il nome, potrebbe avere qualche legame con una delle persone che sono state nel bosco. E magari, sempre una di quelle persone, può essere andata a trovarlo e averli raccontato ciò che gli è accaduto.”

“…solo un pazzo potrebbe essere A!” aggiunse Clarke, inculcando il dubbio anche in lei.

“Io non posso andare al Radley, mi esporrei troppo.  – Chloe si spaventò, prendendogli il braccio – Devi andarci tu e scoprire l’identità di questo paziente, poi saremo in grado di fare dei collegamenti. C’è sicuramente un collegamento.”

“Sei sicura?”

“Non è solo per me, è anche per te che devi fare questa cosa. A potrebbe aver ucciso davvero tuo padre ed Anthony.”

Clarke si voltò a guardare davanti a sé, sulla strada, riflettendoci bene dopo un lungo sospiro.

 

*

 

Alla Brahms, Sam era nella stanza della racccolta del sangue. Dopo aver compilato un questionario, si sdraiò su uno dei lettini liberi.

In attesa che qualcuno iniziasse a fargli il prelievo, tirò fuori il telefono dalla tasca e aspettò.

Nel lettino accanto, una ragazza lo chiamò: “Sam?”

Quello si girò, riconoscendola subito: “Ehi, Brianna, ciao! – abbassò il telefono – Anche tu doni il sangue, eh?”

“No, a dir la verità sto donando le piastrine. – spiegò, mentre aveva la cannula attaccata al braccio – Sono qui da circa mezz’ora!”

“Ah, no, io donerò solo il sangue. Una cosa veloce.”

Improvvisamente cadde il silenzio, i due continuarono ad annuire, finchè Brianna non rise imbarazzata: “Accidenti, siamo nella stessa scuola, ma non ci siamo incrociati spesso.”

“Sarà perché questo istituto è molto più grande del nostro vecchio liceo esploso.”

“Peccato che abbiamo perso molti compagni di classe, qui conosco davvero poche persone della Rosewood high school. – sollevò il telefono per mostraglielo  – Però mi tengo ancora in contatto con i vecchi studenti tramite quella applicazione del cugino di Violet.”

“Ah, alla fine c’è qualcuno che la usa? – fu sorpreso – A dire il vero, non avevo molti amici lì; eccetto Nathaniel, Rider ed Eric.”

“A proposito, mi dispiace molto per Nathaniel. – si mostrò in pena - Ho saputo tramite i notiziari e sull’appplicazione: ne parlavano tutti.”

“Già, sto cercando di dimenticare quella storia. – distolse lo sguardo, a disagio – E’ stata una notte particolare...”

Brianna si sentì mortificata: “Scusa, non volevo far riaffiorare quella vicenda.”

“No, tranquilla, non preoccuparti. – le sorrise – Ormai è passato un mese, sto meglio. Stiamo tutti meglio.”

Il silenzio cadde nuovamente tra i due, finchè Brianna non lo spezzò nuovamente: “Ascolta, l’ultima volta che ci siamo visti, ti ho assunto come fotografo per il ballo degli ex studenti. – quello si voltò ad ascoltarla – Facesti delle foto grandiose a tutti gli invitati, perciò mi chiedevo se non volessi far parte di qualche club che c’è qui.”

“Tipo?”

“Tipo quello di fotografia, che domande. – rise quella – Sai, si avvicina il diploma e presto andremo al college. Se vuoi permetterti la retta dei posti in cui vorrai andare, dovrai ottenere delle borse di studio. E partecipando a dei club otterresti molti meriti.”

Sam distolse nuovamente lo sguardo, pensieroso: “Sì, certo, i college…”

“Che c’è, non hai ancora idea di dove andare? Io la settimana prossima faccio visita alla Ballard.”

“Sì, anch’io devo visitare qualche college in cui ho fatto domanda.” finse di avere tutto sotto controllo.

“E qualcuno ti ha accettato?”

“Ehm, certo, mi hanno già accettato tre college!” mentì, accennando un finto sorriso gioiso.

“Ma è fantastico, non vedo l’ora che il liceo finisca per provare l’eccitante avventura del college. – l’infermiera finalmente si avvicinò a toglierle la cannula – Ora vado a fare una scorta di biscotti al cioccolato. – si sollevò dal lettino, pronta a scendere – Quando finisci, vai vicino al tavolo che c’è laggiù! – glielo indicò – Ne troverai a bizzeffe, li ha fatti la cuoca della mensa, sono buonissimi!”

“Grazie, seguirò il tuo consiglio!” la salutò, mentre l’infermiera si occupava finalmente di lui.

 

*

 

Durante la pausa pranzo, Rider fece un salto al Radley senza dirlo a nessuno; erano passate diverse settimane da quando fuggì da quel posto, e tornarci non era per nulla facile.

Mentre l’infermiera lo accompagnava alla stanza di Nolan, quei corridoi rievocarono molti ricordi orribili in Rider: quasi gli mancava il fiato.

“Hai venti minuti!” gli notificò quella, quando giunsero alla porta.

Rider annuì, entrando.

Quando la porta si chiuse alle sue spalle, Nolan era seduto davanti a quella che sembrava essere una scrivania: stava leggendo un libro.

Sorpreso di vederlo, assunse un tono cinico e poggiò il libro molto lentamente: “Quando mi hanno detto che avevo una visita, mai avrei immaginato che fossi tu.”

Rider osservò la stanza, molto diversa rispetto a come la ricordava. Le pareti erano dipinte, il letto appariva confortevole, c’erano tanti libri e una televisione.

“Sbaglio o questa non è la stessa stanza che abbiamo avuto?”

“No, non sbagli. – accennò un sorriso compiaciuto – Papà ci tiene a tenermi buono finchè non ti decidi a battere la testa da qualche parte e ricordarti il tuo piccolo momento criminale. – rise, divertito – Come vedi, il Radley chiude un occhio sui miei confort grazie ad una serie di assegni.”

Innervosito dal dover stare lì ad ascoltarlo, Rider lo esternò senza nasconderlo: “Senti, ho saltato l’ora di Geografia per essere qui. Non mi interessa se hai finalmente dei passatempi.”

“Rilassati, Rider. – si girò con la sedia - La Svizzera continuerà a confinare con la Francia, non essere drammatico.”

L’altro aveva una vena gonfia in fronte: “Smettila di prenderti gioco di me!”

“Continuerò a farlo, dal momento che mi tieni ancora bloccato qui.”

“Non mi fido di te, ok?”

“Non ti fidi o hai paura che io abbia ragione?”

I due si fissarono per diversi secondi, Nolan si sentì forte.

“Ascolta, ho deciso di fare queste sedute registrate. – Rider fu più ragionevole – Ma non farò nulla di tutto questo senza ottenere qualcosa in cambio da te.”

Quello sorrise, per nulla sorpreso dalla richiesta: “Sai, immaginavo l’avresti detto; del resto, dopo quella notte alla casa sul lago, hai preferito andare da qualche altra parte ogni volta che sono venuto a casa vostra. Non c’eri nemmeno durante le feste natalizie.”

“Scusa tanto se non volevo vedere qualcuno che mi ha accusato di aver affogato un bambino che ora per colpa mia ha dei problemi!”

“L’hai detto ai nostri amici?”

“Non osare! – lo fulminò immediatamente – Quelli sono I MIEI amici, non i tuoi.”

“Papà mi ha permesso di andare a trovare Nathaniel, ogni volta che mi riportava al Radley. – spiegò, mostrando il suo lato più fragile - Potrà sembrarti assurdo, ma sono stato bene con loro. Mi sono sentito finalmente una persona vera.”

“Ma se hai aiutato A a rendere la loro vita un’inferno! Pensi che non mi abbiano raccontato di come avete seppellito il francese nel bosco?”

“Credimi, non avevo idea di cosa fosse capace fino a quella notte. – si mostrò terrorizzato, come se stesse rivivendo di nuovo quel giorno – A ha fatto cose che mi hanno lasciato senza parole, oltre a spaventarmi.”

“Peccato che tu non eri la vittima, ma l’aiutante.”

Nolan si sentì davvero colpevole, stanco che lo facesse sentire così: “Senti, che cosa vuoi? Chiedimi quello che devi chiedermi e vattene!”

Gli animi finalmente si calmarono e Rider non si fece attendere nel vuotare il sacco.

“So che non conosci l’identità di A, ma sicuramente sai altre cose.”

“Tipo?”

“Quando sono uscito dalla panic room e A mi ha drogato per portarmi al Radley, eri lì?”

“Sì, c’ero. E allora?”

“Avevo recuperato l’unità di sistema del suo computer: dentro c’erano molte cose che potevano rispondere a molte domande. Sai dove l’ha portata?”

“Nel suo nuovo covo, forse? – disse sarcastico - Rider, non ne ho idea, ci siamo divisi: io sono andato dagli altri per prendere il tuo posto e lui ti ha portato al Radley.”

Rider iniziò a fare avanti e indietro, sospirando: “Ok, ma non c’è proprio nulla che hai scoperto?”

“Scoprire cosa? – ribadì – La sua identità non la conoscevo, te l’ho detto.”

“E Joanna Smith? – si fermò, fissandolo – Ti dice niente?”

Quello incantò il vuoto, riflettendoci: “…No, non mi dice nulla.”

“Ok, ma come hai fatto a conoscere A?”

“Una sera ho trovato un computer nella mia stanza e lui mi ha scritto.”

“Anche a me è successa la stessa cosa. Il computer l’ha messo Ector, quell’infermiere, vero?”

“In qualche modo deve averlo convinto a farlo, ma non ti aspettare che lui sappia chi sia A.”

“…Ok, ma cosa ti ha scritto di preciso?”

“Abbiamo parlato per giorni, prima che mi liberasse. Mi ha raccontato di quello che vi stava facendo e di cosa avete fatto voi ad Albert. Poi mi ha raccontato di quella cosa del bosco, che cercava il complice di Anthony perché non viene menzionato in nessun file che aveva rubato dal suo computer.”

“Però possiede Rosewood-riservato. Sai chi altro c’era in quel bosco? – era disperato – Voglio i nomi, è importante!”

“Non so niente, mi dispiace. L’unica cosa che so, è che accadevano delle cose brutte in questo bosco. A possiede dei video, dove Anthony faceva dei giochi… Poi c’era quest’altra persona che restava in silenzio dietro alla telecamera. – Spiegò Nolan, mentre Rider rabbrividiva – A dice che quando finirà con voi, si occuperà anche di quella persona.”

“Lui pensa che sia uno di noi, o almeno lo pensava.”

“Io credo che se ne sia convinto, ormai. Però continua ancora a perseguitarvi, nonostante adesso il suo obbiettivo principale sia trovare il complice e scoprire dove si trova questo bosco.”

“Beh, il nostro piano è proprio questo: scoprire chi sia. – abbassò lo sguardo, provando vergogna – Poi consegneremo questa persona ad A.”

Nolan lo fissò, senza risparmiare il suo sdegno: “Accidenti, siete proprio delle brave persone.”

“Lo siamo, Nolan! – si difese a gran voce, sudato in fronte – Per quanto mi riguarda, chi c’era dietro a quella telecamera mentre Anthony faceva i suoi cosidetti giochi, non è una persona migliore di noi.”

“Come puoi esserne certo? – trovò ingiusti quei pregiudizi - Sai, sono stato nel mondo reale abbastanza a lungo da rendermi conto di che tipo fosse il vostro amichetto Anthony. Poteva avere in pugno chiunque grazie a Rosewood-riservato, perciò chi ti dice che non aveva in pugno anche la persona che girava i suoi filmati? Eh?”

Il dubbio si insinuò in Rider, tant’è che fece fatica a deglutire: “Beh… - non si lasciò sopraffare – Non mi interessa, va bene? Siamo stanchi, Nolan. Tu non ci sei stato fin dall’inizio, non hai idea di quello che A ci ha fatto passare. Anzi, immagina quello che ha fatto ai miei amici nel lasso di tempo in cui sei stato con loro e moltiplicalo per cento.”

“Moltiplica per cento quello che ho passato io, Rider. – si voltò dall’altra parte, abbassando le maniche del pigiama con sofferenza – I mostri non esistono solo sotto forma di A. Esistono tanti e tanti tipi di mostri…”

Rider, puntando lo sguardo sui suoi polsi, notò i lividi che cercava di nascondere: “Senti, non metto in dubbio che tu abbia passato l’inferno qui. – gli mostrò i suoi di polsi – Anch’io ho gli stessi lividi che hai tu, ho provato anche questo.”

“Sì, ma tu sei rimasto qui per poco. Non hai idea di cosa significhi essere imbottiti di pillole, essere legati e stare così per giorni e giorni. – cercò di trattenere le lacrime – Sono più di dieci anni che sono rinchiuso qui, e forse sono anche fortunato… Perché ci sono altri pazienti che hanno passato di peggio, rispetto a me. Questo posto è un incubo, ma nessuno lo sa lì fuori.”

Profondamento turbato dalle parole del fratello, che quasi provava pena per lui, Rider si andò a sedere sul letto, dando le spalle. Era spaventato.

“Sai, da quando hai raccontato quella storia, ho sempre pensato che tu avessi mentito solo per poter uscire di qui. Ma se penso al fatto che ho completamente dimenticato di avere un fratello, non faccio che chiedermi se non posso aver dimenticato allo stesso modo di aver affogato quel bambino. – Nolan restò in silenzio ad ascoltarlo, mentre continuava – Se fosse vero, è giusto che io contribuisca a liberarti. Ma al tempo stesso, ho paura di finire qui per sempre.”

Nolan, che aveva abbandonato quel tono cinico, si schiarì la voce e provò a dargli qualche parola di conforto: “Rider, non funziona così. Ti faranno dei test, che sicuramente passerai. Non sei uno psicopatico, non c’è traccia di follia in te.”

“E allora perché avrei fatto quello che ho fatto?” domandò, tormentato.

“Non lo so, eri solo un bambino. Quell’episodio dev’essere un caso isolato.”

Rider si alzò e cercò di asciugarsi gli occhi umidi: “Forse…” e si avvicinò a piccoli passi verso la porta.

“Te ne stai andando?” notò l’altro.

“Ehm, i venti minuti saranno scaduti. – girò la maniglia, aprendo leggermente la porta - Direi che non c’è altro da dire.”

“Però non mi hai detto chi è questa Joanna…” lo fermò nuovamente, curioso.

Rider allora si incupì, richiudendo la porta. Fece qualche passo verso di lui e abbassò il tono della sua voce.

“Quando ero chiuso qui, A mi faceva fare ogni sera delle partite a scacchi; ogni volta che vincevo, potevo chiedergli qualcosa sul passato. Così ne ho approfittato per chiedergli di una foto che ho trovato nella panic room, dove c’era nostro padre con una donna nel 1998.”

Nolan si alzò in piedi, incredulo: “Un secondo, la nostra VERA madre?”

“Ehm… In realtà, lui ha detto che si chiamava Joanna Smith e che era la madre di Albert.”

Il volto di Nolan era a dir poco deformato dallo sconcerto: “Ma io non capisco… Nostro padre aveva un’amante: nostra madre. – fissò Rider, dopo una lunga riflessione – Può essere che la madre di Albert sia anche nostra madre?”

“L’hai davvero detto ad alta voce? – Rider già lo sospettava, ma ora si sentiva quasi mancare – Cioè, quella foto risale all’anno in cui siamo stati concepiti, perciò…”

“Ma Albert era già nato, giusto?”

“Ha un anno più di noi, ma è all’ultimo anno di liceo come me. Credo abbia perso un anno scolastico quando era piccolo.”

“E non hai chiesto nulla a Papà?”

“Ci ho provato, ma mi ha liquidato dicendomi che nostra madre gli diede un nome falso e che non l’avrei mai trovata.”

Il silenzio, a quel punto, calò su entrambi. Nolan si mise le mani nei capelli.

“Oh mio Dio, Albert era il nostro fratellastro. – poi alzò lo sguardo su Rider, inorridito - Avete ucciso nostro fratello.”

“Lo sai benissimo che era Anthony alla guida. E poi non è detto che Joanna sia davvero nostra madre, o che lo sia di Albert.”

“Ma A te l’ha confermato che Joanna è la madre di Albert. E A non dice bugie.”

“Senti, possiamo tenercela per noi questa cosa di Joanna finchè non ne siamo sicuri? Non farne parola con Papà, e io non ne farò parola con i miei amici.”

“Altri segreti, eh?” pensò Nolan.

“Già, che novità!” ribattè Rider, pensieroso.

 

*

 

Più tardi, Sam fece un salto al Brew. Eric era già di turno.

“Stamattina ho donato il sangue e mi sento ancora come uno zombie. – spiegò con la voce sotto tono, poggiato con la fronte sul bancone - Ho bisogno di uno dei tuoi fantastici muffin al cioccolato.”

Eric sorrise, costretto a deluderlo: “Non li faccio io, ci arrivano surgelati e poi li mettiamo nel forno.”

Quello sollevò lentamente la faccia, il broncio marcato: “Certo che sai come far svanire la magia, tu.”

“Fingi che non ti abbia mai detto la verità sui nostri muffin al cioccolato. – gli suggerì, passandogli il muffin – Vedrai che la magia tornerà dopo il primo morso.”

“Già, avevi ragione… - disse dopo averlo addentato, in estasi – Ascolta, nella borsa ho il mio portatile. La password del wifi è sempre la stessa?”

“Sì, perché? Cosa devi fare?”

“Ho bisogno di occupare una poltroncina per tipo un’oretta. Devo fare domanda in alcuni college o il prossimo inverno resterò qui a Rosewood a raccogliere immondizia.”

“Già, i college…” l’ansia si insinuò in Eric.

“Conosco quella faccia… - notò la sua reazione - Se non fosse per la chiacchierata che ho avuto stamattina con Brianna, non mi sarei mai reso conto di quanto siamo in ritardo. Di solito queste cose si fanno diciotto mesi prima, mentre noi andiamo in giro a seppellire persone e a scassinare depositi come se avessimo tutto il tempo del mondo.”

“In verità, qualche settimana fa ho fatto domanda in qualche college. Avevo intenzione di visitare la Talmadge nel prossimo fine settimana, ma mi hanno ammesso con riserva.”

“Visitare dei college? Sempre che A ce lo permetta!”

Improvvisamente, Eric prese Sam per le spalle e lo girò verso la zona libri del Brew, dove Antonio parlava con alcuni clienti.

“Ehi, secondo te quello è carino?”

Nonostante la reazione brusca nei suoi confronti, Sam rimase perplesso dalla domanda: “Che c’è, vuoi fare una gita sulla mia sponda?”

“Magari quando Alexis mi avrà lasciato per quello…” spiegò depresso.

“Cosa? – sgranò gli occhi, fissandolo – Che succede con Alexis?”

“Ricordi quando siamo andati da Rider a cercare quello stupido libro che A ha dato a Nolan?”

“Sì, dopo ci hai raccontato che Alexis voleva la verità su noi e Brakner o avrebbe chiamato i tuoi genitori.”

“Beh, da quando è arrivato Antonio è cambiata radicalmente. – raccontò - Non abbiamo nemmeno più parlato di Brakner.”

“Un secondo, mi stai dicendo che pensi che Alexis ti stia tradendo con quel fusto latino di un metro e ottanta?”

“Parlano in continuazione durante la giornata. Poi ieri Alexis aveva una cena con sua madre e lui è uscito un quarto d’ora dopo di lei. – raccontò con enfasi – E sai a che ora è rientrata lei? Alle tre del mattino!”

“La madre di Alexis vive a Ravenswood, no? I tempi di andata e ritorno sono quelli.”

“Si, ma è partita poco prima delle nove.  – non mollò le sue convinzioni - Togliendo le ore di viaggio, la cena sarebbe durata quattro ore? Non penso proprio, sua madre non l’avrebbe mai fatta mettere al volante ad un orario simile.”

“Ok, ma ne hai parlato con lei?”

“Sì, ed è andata a dormire sul divano. Secondo me, la sua reazione è stata alquanto esagerata: come se fosse colpevole.”

Sam si prese qualche secondo, trovando la situazione abbastanza scottante: “Guarda, non so che dirti. So solo che il tempo stringe e che se non faccio domanda in nessun college, rischio di dividere questa città con A per sempre.”

“Certo certo, vai. – Eric non vollè trattenerlo – Beato te che non hai una relazione.”

L’altro prese il mano il suo muffin e sollevò le sopracciglia con nervosismo: “Già, beato me…” poi si allontanò, rilassando il volto; ormai nascondeva ai suoi amici l’ennesimo segreto: la sua relazione con Wesam. E, peggio ancora, il fatto che gli aveva rivelato ogni cosa su loro quattro.

 

*

 

Quello stesso pomeriggio, Clarke fece un salto al Radley come concordato insieme a Chloe. Percorse quei lugubri corridoi senza meta, mentre rimbombava da una parete all’altra il suono delle stanze, di tutto il manicomio, che si aprivano e chiudevano. Si sentivano persino le voci delle infermiere, oltre i lamenti dei pazienti.

Improvvisamente, sembrò aver trovato anima viva presso la sala ricreativa, popolata da alcuni pazienti che ancora non erano rientrati nelle loro stanze e che avevano la supervisione di qualcuno.

Fermo davanti all’ingresso di quella sala, osservò con attentenzione i vari volti presenti. In una panoramica, spostò lo sguardo da sinistra a destra, finchè non si impuntò su un ragazzo che giocava a scacchi da solo: un volto che conosceva.

“Ma che cavolo…??? – trovò assurdo – Rider Stuart?”

Sconcertato, scattò una foto molto velocemente con il suo cellulare e poi iniziò ad indietreggiare fino a sbattere contro qualcuno che gli era appena arrivato alle spalle: una delle infermiere.

“Mi scusi, lei chi è?”

Colto di sorpresa, non sapeva che inventarsi: “Ehm, mi chiedevo se era possibile fare una visita ad un paziente.”

“Mi dispiace, ma non sono ammesse visite dopo le sette.”

“Capisco… - annuì – Allora tolgo il disturbo, mi scusi!” le sorrise, svignandosela in fretta e furia.

Naturalmente, Clarke non era lì per fare visite; ma dal momento che sua madre, un tempo, faceva parte del consiglio di amministrazione del Radley, sapeva benissimo quali erano gli orari di visite e che sarebbe stato respinto senza dover dare spiegazioni.

Quando tornò in macchina, riprese fiato dopo quella frenetica corsa. Poi, prese il telefono, pronto ad informare Chloe di quella strana scoperta.

 

*

 

Quando Rider rientrò a casa, verso sera, notò che all’ingresso erano state lasciate una valigia e una borsa da viaggio. Subito si rese conto che avevano ospiti e, dopo aver udito un brusio, si precipitò in salotto.

Con grande sorpresa, scoprì che era arrivato suo zio.

“Zio Gordon!” esclamò calorosamente.

Quello si voltò, seduto sul sofà, mentre un istante prima chiecchierava con Richard, in piedi davanti al caminetto.

Per accoglierlo, l’uomo si alzò immediatamente: “Accidenti, Rider. – gli sorrise - Sei cresciuto molto dall’ultima volta che sono venuto a trovarvi.”

“Beh, è stato tre anni fa. – sorrise anche lui, imbarazzato - Ero al primo anno delle superiori, mentre ora manca poco al diploma.”

A quel punto, Richard si intromise: “Rider, stavo spiegando a tuo zio quello che è successo.”

“Già, Richard mi ha detto tutto. Mi dispiace per come hai dovuto scoprire di tuo fratello, ma… - assunse un tono più cupo – Ora dobbiamo occuparci delle cose sepolte nel profondo della tua mente e che dobbiamo riportare a galla.”

“Ne sei davvero capace?”

“Dovrò solo fare il procedimento inverso, Rider.” replicò suo zio.

Rider si mostrò diffidente, facendo un passo indietro: “E chi mi dice che non vi siate messi d’accordo per immettermi nella testa falsi ricordi? Papà vuole tirare fuori Norman dal Radley a tutti i costi.”

“Rider, le sedute saranno registrate e valutate. – intervenne Richard – Non c’è modo di ingannarti, dirai solo quello che ricordi davvero.”

“E poi sei stato tu a chiamarmi. – aggiunse Gordon – Eravamo molto uniti prima che io partissi per l’Italia, ricordi?”

“Proprio per questo ti ho chiamato. Mi fido di te.”

“Bene allora! – Gordon spostò lo sguardo fra Rider e Richard – Resterò qui per una settimana, di più non posso.”

“E quando iniziamo? – chiese Rider, un po’ teso - Tipo ora?”

“Rider, immagino che tuo zio sia stanco per il viaggio…”

“Già, lo sono. – confermò il diretto interessato – Domani è meglio, non c’è fretta.”

“Fantastico! Bene! – annuì Rider, forzando il suo entusiasmo – Allora io me ne vado di sopra, buona serata!” concluse, salendo di corsa al piano di sopra.

Quando rimasero soli, Richard esternò le sue preoccupazioni.

“Speriamo che funzioni. Devo tirare fuori mio figlio da quel posto, se è davvero innocente.”

“Lo è sicuramente, Richard.” pensò l’altro, con una strana convinzione.

Richard restò spiazzato da quel tono così sicuro: “Come fai a dirlo?”

“Più grande è il trauma di un evento, più è facile rimuoverlo. Quando Rider venne a casa mia, le prime volte, era come se avesse già rimosso da solo tutto ciò che accadde quel giorno. Era fra le nuvole, anziché preoccuparsi, come Lindsey, del fatto che Nolan non c’era più.”

Scuotendo la testa, Richard non accettava quell’errore: “Come è potuto accadere? Nolan ha cercato di dirmelo un sacco di volte, ma io non gli ho mai creduto.”

“Ormai è successo, Richard. – gli diede una pacca sulla spalla - L’importante è che ora stai facendo qualcosa per sistemare le cose.”

Intanto, Rider, era nascosto fra le scale e aveva origliato tutto.

 

*

 

Nonostante l’estenuante giornata, Sam trovò la forza di passare in ospedale a trovare Nathaniel come tutte le sere.

Quando arrivò davanti all’ingresso della sua stanza, però, qualcuno che gli aveva appena fatto visita stava uscendo: si trattava di Tasha.

I due sbatterono quasi l’uno contro l’altro, ma si fermarono in tempo. Sam restò alquanto sorpreso nel vederla.

“Tasha? Che ci fai qui?”

“Ah, sei tu… - disse quasi con tono dispregiativo, una smorfia sul viso – Beh, dal momento che mi trovavo in città, ho voluto fare un salto a trovare Nathaniel. Sono una sua amica anch’io, fidanzatino geloso!” esclamò quella, lanciandogli una frecciatina.

“E- ehm, non sono geloso. – titubò, non aspettandosi quel commento pungente – Lo so che sei una sua amica, è solo che non mi aspettavo di trovarti qui: in un noiosissimo ospedale.”

“Sai, non sono una festaiola a tempo pieno come tutti credono. – si sentì offesa – Rider sa scegliere bene le sue amicizie solo a metà, a quanto pare.”

Sam non ebbe nemmeno il tempo di replicare, che quella andò via sui suoi rumorosi tacchi alti.

“Ma io… - restò sulla porta, inebetito, fissandola mentre si allontanava – Non ho detto nulla di offensivo!” pensò, per poi lasciarla perdere ed entrare finalmente nella stanza.

Quando si sedette accanto a Nathaniel, poggiando la borsa a terra, iniziò subito a parlargli.

“Non so se te ne sei accorto, ma la tua stalker innamorata è appena stata qui. – raccontò con molto cinismo, ancora infastidito da lei – Avevo dimenticato che Tasha pensa che noi due stiamo insieme. E che mi odia, perché non può averti. – fissò Nathaniel, scuotendo leggermente la testa – Chissà che ti ha detto quella pazza… magari ti ha anche baciato sulle labbra mentre non passava nessuno. – rabbrividì, disgustato – Inquietante!”

Dopo essersi liberato di quell’orribile immagine, tirò fuori il quadernino, che ormai rappresentava un diario per appuntare ogni avvenimento, pronto a scrivere una nuova pagina.

Stranamente, poi, si bloccò e non lo aprì. Stavolta preferì poggiarlo sul comodino, prendendo la mano di Nathaniel; sentiva di dover tirare fuori qualcosa, sfogarsi.

“Sai, ho sempre parlato poco ogni volta che sono venuto qui, in questa stanza. Ogni volta prendevo quel quadernino e scrivevo, scrivevo tanto. E lo facevo in silenzio. – accennò un sorriso – Poi, mentre scrivevo, cercavo di essere spensierato, sorridevo, magari ridevo anche… - il suo voltò si incupì di colpo – Ma era tutto finto, non era vero; lo facevo soltanto per trasmetterti positività e farti stare bene, sperando che tutto ciò ti avrebbe fatto svegliare da questo tuo sonno che sembra non finire mai. – i suoi occhi divennero lucidi – Tutti continuano a dire che ti sveglierai, persino io. Tutti che siamo qui, che ostentiamo il nostro ottimismo a tutti i costi…”

Sam abbassò la testa, le lacrime che scendevano copiose; tentava di essere forte, le speranze lo stavano abbandonando.

“Oggi ho fatto domanda in tre college diversi. – risollevò il capo, cambiando discorso – Non mi ero reso conto fino a stamattina che dovevo preoccuparmi molto prima di queste cose, come fanno tutti gli altri. Insomma, è il nostro futuro quello in ballo: dovrebbe essere il nostro pensiero principale pensare al futuro, a cosa faremo, a cosa vogliamo diventare… - Sam incantò il vuoto, precipitando in un baratro di tristezza - E, invece, siamo come bloccati in una rete insidiosa che non ci permette di fuggire, che non ci lascia pensare ad altro se non a come liberarci da essa. – gli strinse forte la mano, sospirando ad occhi chiusi – Ma ancora una volta, voglio essere ottimista: voglio vedere il cosidetto bicchiere mezzo pieno e pensare che se Anthony non ci avesse chiamati quella sera, non saremmo mai stati così uniti. Anzi, voglio pensare che se non fosse per Anthony, non ci saremmo mai conosciuti. – provò un improvviso dolore al petto, che lo costrinse a piangere – E mi sento così male a pensare che per un soffio avrei potuto non averti nella mia vita. Così come Eric e Rider, non avrei mai conosciuto nemmeno loro. – rise fra le lacrime, ad un certo punto – Ed è una follia, perché se esistesse una realtà in cui voi non ci siete, io riprenderei tutto questo disastro che sono le nostre vite, pur di non perdervi. Accetterei persino A, pur di non perdervi. – si asciugò le lacrime, parlando a cuore aperto – Questo che stiamo vivendo è un vero incubo, ma stranamente lo sto accettando. Fin’ora mi sono sempre chiesto se esistesse una forza talmente grande da riuscire a poter vivere dentro un incubo. – sorrise, quando si rese conto di quanto era ovvia la risposta – Quella forza sono Rider, Eric, la loro amicizia. Ma soprattutto, siamo noi due! E’ l’amore che mi sta dando la forza di tollerare tutto questo e non me ne sono mai reso conto. Io credo di essermi innamorato davvero di te. E non è come prima, non è una semplice cotta: stavolta è vero! – fermò l’euforia che c’era nelle sue parole, rallentando, sorprendendosi - Io ho trovato quello che pensavo fosse impossibile trovare. Io…io ti amo, Nathaniel. Ti amo davvero.”

E quell’amore lo sentì anche lui, che d’un tratto strinse la sua mano, facendo sollevare Sam in piedi.

“Oh mio Dio… - gli riprese la mano – Oh mio Dio, tu l’hai mossa. Hai mosso la mano, fallo di nuovo! – e gliela strinse nuovamente, aprendo lentamente gli occhi – Oh mio Dio, infermiera, qualcuno, venite presto! – urlò, per poi sussurrargli delle cose – Nathaniel, mi senti? Sono qui, non lasciarmi di nuovo.”

Quello cercò di far uscire la voce, ma a malapena riusciva a farlo.

“Acq…acq… - tossì, togliendosi i tubi dal naso – Acqua…”

“No no, stai fermo. Vuoi l’acqua? – rise felice, mentre quello annuiva – Certo, tutto quello che vuoi.” si apprestò a lasciare la stanza, per andare a prenderla.

“Sam…” lo chiamò con un filo di voce, debole e disorientato.

Quello si voltò, sorridendogli: “Torno subito, non aver paura.”

Finalmente arrivò l’equiepe alle spalle di Sam, mentre i due continuavano a guardarsi. Era un miracolo.

 

*

 

Clarke parcheggiò davanti a casa di Chloe, uscendo dall’auto in fretta. In quell’esatto istante, lei stava uscendo da casa sua, stringendo al petto la giacca di lana.

I due si fermarono l’uno di fronte all’altro sul marciapiedi.

“Allora, cos’hai scoperto al Radley?”

Quello era a dir poco sconvolto, cercando di trovare le parole: “Ho visto Rider!”

L’altra tirò il collo indietro, disorientata: “Rider? Come visitatore, intendi?”

“No, come paziente!” spiegò, sicuro di ciò che aveva visto.

Chloe reagì ancora più confusa: “Come paziente? Ma che dici, l’ho visto l’altro giorno alla biblioteca pubblica di Rosewood.”

A quel punto, Clarke tirò fuori il telefono e le mostrò la foto che aveva scattato: “Sapevo che non mi avresti creduto, perciò ho scattato una foto!”

Chloe prese il telefono dalle sue mani, avvicinando bene la sua faccia allo schermo: “Ma che diavolo…??? – sollevò lo sguardo, fissando Clarke con sconcerto – Non capisco, non può essere. Cioè, può essere se Rider avesse…”

Clarke completò subito la sua frase: “Un fratello gemello pazzo?”

“Ma non può essere A, è chiuso in un manicomio!”

“Te l’ho detto, ci sono stati dei problemi in passato al Radley. Non ci vuole niente a mettere un telefono in mano ad un pazzo.”

“Questa A potrebbe aver ucciso tuo padre e tuo fratello, lo capisci? Doveva trovarsi fisicamente qui fuori per farlo.”

“Allora quella notte dev’essere fuggito. – la prese per le spalle – E’ l’unica pista che abbiamo per capire cosa è davvero successo quella notte, dobbiamo indagare. Dobbiamo mettere insieme i pezzi!”

Chloe si mostrò dubbiosa, guardando altrove: “Non lo so, non sono molto convinta.”

“L’hai detto tu stessa che da quando è morto quel Norman e il paziente misterioso è stato riportato al Radley, i ragazzi sembrano più sereni. Quel ragazzo, il gemello di Rider, deve pur c’entrare qualcosa. Può essere A, ma dobbiamo capire perché lo è diventato e come ha fatto a scoprire del bosco se si firma A come faceva Anthony.”

“E come facciamo? Gli Stuart hanno avuto un figlio segreto per tutto questo tempo, non conosciamo la sua vita o il perché sia stato internato.”

“C’è solo un modo per scoprire tutta la verità, ho un idea.” concluse Clarke, determinato.

 

*

 

Nathaniel era seduto sul letto, era sveglio. Sam non l’aveva lasciato solo nemmeno per un istante, mentre i suoi genitori parlavano con i dottori dopo averlo riabbracciato.

“Non riesco ancora a crederci… - Sam non faceva che fissarlo, felice – Non ho mai perso le speranze, ma tu continuavi a non dare segni di ripresa e a volte ingannavo me stesso.”

L’altro, taciturno e spaesato, distoglieva lo sguardo per più volte: “Per quanto tempo ho dormito?”

“Trentadue giorni.”

“Ah... – restò spiazzato per qualche secondo - E i miei genitori dove sono?”

“Sono entrati poco fa, non ricordi? Ora stanno parlando con i dottori, che prima ti hanno visitato. – lo vide confuso – Beh, dai, ti sei appena svegliato da un lungo coma, forse non eri completamente lucido.”

Nathaniel si toccò la fronte, un dolore improvviso: “Non credo di esserlo nemmeno adesso, mi sembra di essere uscito da una discoteca.”

“Quindi… Non ricordi nulla di quello che ti ho detto prima? – volè controllare, curioso - Poco prima che ti svegliassi. Non hai sentito niente?”

Quello lo fissò, perplesso: “Di che parli, Sam?”

“Niente, lascia perdere. – gli sorrise, sollevato – Piuttosto, ti serve qualcosa?”

L’altro, però, era concentrato a riflettere su cosa era accaduto e voleva scoprirlo: “Che cosa è successo?”

Quella domanda, riportò Sam a fare uno spiacevole tuffo nel passato: “…Norman ti ha sparato, ricordi? – gli spiegò, mentre quello annuiva - O meglio, ha sparato contro di me, ma tu ti sei messo in mezzo.”

“Te l’avevo detto quella notte che ti avrei protetto.” gli sussurrò.

Sam sorrise: “Allora ti ricordi…”

“Sì, ma solo fino a quel momento. Dopo quello, il nulla.”

“Quando Norman ti ha sparato, sei crollato addosso a me e io non sono riuscito a reggerti. Siamo caduti per le scale.”

Nathaniel si preoccupò subito per lui: “E tu stai bene? Non sono leggero.”

“Solo un piccolo trauma cranico, sto bene ora. – lo tranquillizzò - E’ passato un mese, ormai.”

“Per te, forse. - si voltò, amareggiato - Per me sembra appena accaduto.”

Improvvisamente, arrivarono anche Eric e Rider.

Nathaniel si girò verso la porta, spaventandosi non appena vide Rider.

“Wow, mi riconosce? – Rider avanzò lentamente, spaventato da quella reazione – Nat, tutto a posto?”

Sam mise una mano sul braccio di Nathaniel, che stava avendo come un attacco di panico: “Sta calmo, non è Nolan.”

Eric, che era in piedi davanti al letto, era felice di rivedere il suo amico: “Non ci posso credere, ce l’hai fatta.”

“Già, nemmeno io lo credevo possibile.” si voltò a dirgli Sam, sorridendo assieme a lui.

Nathaniel era più calmo, ma continuò a fissare Rider in maniera diffidente. Tuttavia, gli rivolse la parola.

“Stai bene?”

“Io? – sussultò Rider, per poi sorridere – Io sto bene. Era per te che eravamo preoccupati.”

“Nolan e Norman? – spostò lo sguardo fra loro tre – Dove sono, adesso?”

“Nolan è tornato al Radley, mentre Norman… Beh, è morto!” spiegò Sam.

“E come è morto?”

“Gli hai sparato tu, Nat. – gli rispose Rider – Hai preso conoscenza per qualche secondo e sei riuscito a fermarlo prima che potesse fare del male a me o mio padre.”

“Sono stato io? – non riuscì a crederci, turbato – Ho ucciso una persona…”

“Era instabile, ok? – intervenne Eric – Nessuno ti incolpa, è stata lettima difesa. Norman era armato e voleva uccidervi.”

Ad un certo punto, Nathaniel si portò una mano al petto, provando una strana sensazione. Sam lo fermò, non appena cercò di sollevare il collo del camice per guardarsi il petto.

“NO! Lascia perdere, non guardare.” lo avvertì.

“Che mi è successo? – Nathaniel si spaventò, sentendo che c’era qualcosa di strano - Che mi hanno fatto?”

Rider pensò che era meglio raccontargli la verità: “Subito dopo averti operato per toglierti il proiettile dalla spalla, hanno scoperto del tuo problema al cuore. E quando l’hanno scoperto…Beh…”

Nathaniel comprese, senza che dovesse continuare. I suoi occhi si riempirono inevitabilmente di lacrime.

 “No… No, non è vero…”

“Nathaniel, mi dispiace così tanto. – Sam soffrì con lui – Ti hanno dovuto operare di nuovo.”

“Come farò con il nuoto, adesso? – si disperò - Come farò per la borsa di studio?”

“C’è tempo, Nat. – lo rassicurò Eric - Ci sono altri modi per ottenere una borsa di studio per il college.”

“Ma io ho sempre eccelso nello sport, non ho altri punti forti! Non sono come Rider!”

“Ascolta, sapevi che prima o poi sarebbe finita in questo modo. – Rider cercò di ridimensionare la situazione – Non c’era modo di farla franca con falsi certificati firmati da tuo cugino per poter restare nella squadra di nuoto.”

“Oh mio Dio… - Nathaniel sgranò gli occhi, ricordandosi del cugino – Dov’è Tyler?

“Ehm… - Sam decise di prendere parola, cauto – Tutta la storia è venuta fuori, purtroppo. Dopo essere stato radiato dall’albo e aver discusso con i tuoi genitori, ha lasciato Rosewood. Per lui non c’era più nulla qui.”

Nathaniel si mise le mani nei capelli, sentendosi in colpa: “Mio Dio, che ho fatto?”

“Ascolta, Nat, lo so che ti senti male per Tyler, ma in questo momento c’è ben altro di cui devi preoccuparti.” gli disse Rider.

“Rider, sta zitto! – lo bloccò subito Sam, infuriandosi – Non è il momento!”

“Non è il momento? – ripetè quello, trovandolo sciocco – E quando sarebbe il momento? Quando ci arriverà il messaggino di buon anno?”

“Nathaniel è sveglio da appena un’ora, possiamo non iniziare a parlare di A per favore?” ribattè Sam.

“Non preoccuparti, Sam. – lo tranquillizzò Nathaniel – Di certo non pensavo di svegliarmi in un mondo senza A. E sicuramente, visto il tuo tono, immagino che non sia stato un mese facile. Almeno io dormivo, mentre voi chissà cosa avrete subito.”

“Ehm, in verità… - Eric si scambiò uno sguardo con gli altri, prima di parlare –  A ha smesso di perseguitarci dal giorno in cui sei finito in coma.”

“Già, abbiamo passato un mese a dir poco strano. – aggiunse Rider – E con strano, intendo tranquillo… Tuttavia, è stato bello finchè è durato.”

“Che cosa intendete dire? – non capì Nathaniel - A c’è o non c’è?”

“Ci ha concesso una pausa, tipo un mese.” replicò Sam.

Nathaniel sospirò, amareggiato: “Ah, beh, allora per me non cambia nulla. E’ come se non fosse mai andato via.”

Sam gli mise una mano sul braccio: “Nat, mi dispiace che tu non abbia avuto la possibilità di avere un mese di respiro come tutti noi. Ma credimi, abbiamo pensato ad A tutto il tempo. E a quello che ci farà.”

“A quello che ci farà?” ripetè Nathaniel, chiedendosi cosa significasse.

“Nel suo ultimo messaggio, A ha lasciato intendere che tornerà più malvagio che mai.” spiegò Eric senza mezzi termini.

“Ok, posso sapere cosa mi sono perso fino ad ora?”

Sam prese il suo quadernino dalla borsa e glielo diede: “Qui ho scritto tutto, non manca niente.”

Quello iniziò a leggerlo, mentre Rider continuava.

“In più dobbiamo parlarti del deposito!”

“Del deposito? – quello alzò lo sguardo dalle pagine del quadernino, per poi tornarci sopra con perplessità – E poi che significa che A ti ha fatto un disegno sulla pancia?”

“Sì, beh, stavamo arrivando proprio a quello. – riprese Sam – Il deposito è collegato al disegno che A ha lasciato sulla pancia di Rider, dopo avergli scattato quella foto che ha mandato a me ed Eric per farci credere che l’avesse rapito.”

“Un secondo, quale deposito? – Nathaniel era sempre più confuso – Ti ha disegnato un deposito sulla pancia?”

“No, mi ha disegnato la chiave di un deposito, ma non ci ha detto che era la chiave di un deposito. – Rider si spiegò meglio – L’abbiamo scoperto dopo. Da soli.”

A Nathaniel scoppiava la testa: “Ok, ma cosa c’è in questo deposito?”

Sam fissò Rider, mentre iniziava a raccontarlo: “Beh, l’altra notte, io e Rider ci siamo stati e…”

Improvvisamente, non ebbe il tempo di finire che tutti i loro telefoni vibrarono: compreso quello di Nathaniel, chiuso nel cassetto del comodino.

Il ragazzo subito lo recuperò, ognuno aveva lo sguardo fissò sul proprio schermo.

“Anche voi avere ricevuto un’email?” chiese Eric, perplesso.

“Sì, la sto aprendo.” confermò Rider, facendolo.

Tutti e tre aprirono la loro mail, facendo una bizzarra scoperta: una ruota virtuale con sopra le loro facce.

Sam lesse subito una scritta posta in alto, come fosse il titolo del gioco: “Consegnatemi il complice del bosco oppure ogni giro di ruota sarà sempre più letale. - A!”

“Accidenti, era proprio vero che tornava più malvagio.” pensò Eric, scambiandosi uno sguardo terrorizzato con gli altri.

Ad un certo punto, i quattro sobbalzarono: la ruota cominciò a girare di colpo.

L’indicatore, dopo qualche secondo, si fermò sull’immagine di Nathaniel.

“E’ uno scherzo, vero?” reagì basito quest’ultimo.

“Io credo di sapere perché ha puntato te. – prese parola Rider – Il deposito che io e Sam abbiamo visitato, apparteneva ad Edward Blanc. C’era il tuo dipinto lì dentro.”

“Fantastico! – esclamò Nathaniel, il volto pallido e una risata isterica – Sono appena uscito dal coma e A vuole già incastrarmi.”

“Nat, credo volesse solo mostrarci il dipinto e non darlo alla polizia.” intervenne Sam.

“E cosa cambia? – reagì con toni alti, paranoico – La polizia prima o poi aprirà quel deposito e troverà me con il pene all’aria!”

“Ascolta, Edward è ancora vivo per tutti gli altri. – gli fece sapere Eric - Nessuno sa che è morto.”

Nathaniel balbettò incredulo: “M-ma è passato un mese…”

A ha il telefono e le carte di credito di Edward, ecco perché nessuno pensa che sia morto.” spiegò Rider.

“Sì, ma qualunque cosa stia facendo questo pazzo, non durerà a lungo. – Nathaniel sbroccò - In un caso di omicidio, la polizia non si ferma a frugare solo nel cassetto dei calzini. Arriveranno anche a quel deposito, lo capite?”

“Ok, quindi che facciamo? – Sam cercò di rendersi utile, comprendendolo - Come possiamo aiutarti?”

“Voglio uscire immediatamente da questo posto e recuperare il mio dipinto da quel deposito! SUBITO!”

“Nat, non puoi! – lo avvertì Rider – A ci ha vietato di portare via quel dipinto, altrimenti, credimi, l’avremmo già buttato dentro il cratere di un vulcano pur di farlo sparire.”

“Non mi interessa, lo andrò a prendere. – fu irremovibile - Che mi faccia quello che vuole, io non andrò in galera per un crimine che non ho commesso!”

“Abbiamo tagliato i fili delle telecamere, ok? – continuò Sam – Se giri da quelle parti, attirerai ancora di più l’attenzione si di te.”

Fu la volta di Eric, poi: “Hanno ragione, lascia perdere il dipinto. Quello che dobbiamo fare è consegnare il complice!”

“Dimentichi che non abbia idea di dove sia il bosco e che non sappiamo chi ci è stato oltre Quentin. - gli ricordò Sam, per poi rivolgersi a Nathaniel – Abbiamo persino indagato su quel foglietto trovato nella cantina di Tyler. E’ un sito, ma non possiamo entrarci perché ci vuole una password.”

Intanto Nathaniel era sovrappensiero: “…Un secondo, io ho preso il tablet.”

“Il tablet? – Rider non riuscì a seguirlo – Quale tablet?”

“L’ho trovato in camera tua, quando sono entrato di nascosto. – spiegò Nathaniel – Segnava una posizione in un bosco.”

“Oh mio Dio… - ricordò Rider – L’avevo completamente dimenticato, era la sera prima del ballo quando ho scoperto di quel puntino rosso sul tablet. Ero così impegnato a prepararmi per entrare nella panic room che l’ho messo dentro un cassetto con sopra un post-it per ricordarmene.”

Eric completò la cronologia degli eventi: “Poi sei finito al Radley e il tablet è rimasto in quel cassetto.”

“Quindi il tablet ce l’hai tu? – chiese Sam a Nathaniel - Lo zaino dov’è?”

“Lo zaino l’ho lasciato a casa mia, poi ho preso la macchina e sono venuto alla casa sul lago.”

Eric, a quel punto, espresse ciò che aveva appena dedotto: “Ok, ma quindi stiamo dicendo che quel puntino rosso sul tablet potrebbe portarci in questo fantomatico bosco?”

“Ragazzi, se è davvero quel bosco, significa che qualcuno che conosciamo ci è stato. – constatò Rider - Ricordate quando abbiamo messo il chip ad alcune persone per capire chi fosse A?”

Eric ricordò: “Sì, l’abbiamo messo su Violet, Lisa Nelson, Morgan e Clarke. – però la cosa lo lasciò perplesso – Questo, però, vuol dire che uno di loro è stato nel bosco, ma nel periodo in cui abbiamo messo i chip su di loro.”

“Ok, questa persona non è di sicuro un aiutante di A, altrimenti A saprebbe dov’è il bosco. – dedusse Sam – Quindi se questa persona è tornata lì qualche settimana fa, significa che…”

“L’ha fatto per sbarazzarsi di quello che poteva collegarlo a quel posto…” continuò Nathaniel, riflettendo.

“E che quindi era il complice di Anthony!” concluse Rider.

“Lisa e Morgan erano continuamente presi di mira da Anthony, mentre Violet lo odiava perché umiliava suo fratello: come potevano essere suoi complici? – ragionò Eric - L’unico che rimane è suo fratello Clarke!”

“Non c’è dubbio, ragazzi: è Clarke il complice! – esclamò Sam, ormai sicuro – E non mi meraviglierei per niente se sapesse che suo fratello è ancora vivo. Probabilmente è stato proprio Anthony a chiedergli tramite un telefono prepagato di eliminare le prove da quel posto.”

Eric sospirò, ora che avevano un nome: “Quindi che facciamo? Rapiamo Clarke e incontriamo A in un vicolo buio? Come funziona?”

Sam aveva lo sguardo smarrito: “Io non ne ho idea, sinceramente… - poi fissò Nathaniel e Rider, affidandosi a loro – Voi che dite?”

“Io dico che non voglio andare in galera, perciò dobbiamo far sapere ad A che abbiamo un nome.” ribadì Nathaniel, determinato.

“Ragazzi, magari A ci sta sorvegliando in questo momento, ma non so se ci sta ascoltando. – pensò Rider - Forse dovrei rivolgermi ad Ector, l’infermiere del Radley. E’ stato lui a mettere il computer nella mia stanza per farmi comunicare con A.”

Nathaniel sbigottì: “L’infermiere?”

“Era solo una marionetta, l’avrà sicuramente pagato per farlo.” Spiegò quello.

Sam tornò a guardare lo schermo del suo telefono con apprensione, l’immagine ferma su Nathaniel: “Dobbiamo farla finita, o la ruota continuerà a girare. L’ultima volta che A ci ha presi di mira a turno, mi sono risvegliato con le labbra incollate. Non voglio immaginare cos’altro possa farmi di peggio.”

“Allora è deciso, consegneremo Clarke ad A!” concluse Eric per tutti.

Il resto del gruppo annuì, senza alcun dubbio. La tensione era più alta che mai, presa quella decisione.

 

SCENA FINALE

 

A era al computer che montava un video: Sam, Eric, Nathaniel e Nolan che seppellivano i pezzi di Edward in quattro fosse diverse, nel bosco di Rosewood.

Grazie ad una manipolazione grafica, riuscì ad eliminare i quattro ragazzi dal filmato. L’unica cosa che si riusciva a vedere erano delle pale che scavavano da sole e dei sacchi neri, con dentro un pezzo del corpo di Edward, sospesi a qualche centrimetro da terra e poi gettati nella buca.

Recuperato il cd dal portatile, A ci scrisse sopra “Sono morto”  con un pennarello nero. Poi, dopo, lo mise dentro una busta gialla assieme al telefono di Edward.

La busta era indirizzata alla polizia di New york, la città di Edward Blanc.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 18
*** 1x17-Il lato oscuro di Rosewood (Parte I) ***


CAPITOLO DICIASSETTE

“Working for A (Part I)”

 

 

Davanti al The Hart & Huntsman, Clarke stava prendendo un caffè con una giovane ragazza mora, quella mattina; una sua coetanea. In lontananza, all’angolo della strada, i due era spiati da Chloe.

“Devo dirlo, sono stupita che tu mi abbia contattato. – disse lei, ignara del motivo del loro incontro – Non ci sentiamo dai tempi del college.”

“Già, è passato molto tempo. – annuì, sorridendo ai vecchi tempi – Allora, Natalie Drew, come stai?”

“Molto bene, devo dire. – sollevò la mano, mostando l’anello che indossava all’anulare con eccitazione – Sto per sposarmi! Il prossimo Giugno.”

“Caspita, congratulazioni!” esclamò felice, proprio come lo era lei.

“Già, non ci credo nemmeno io. Ho sempre avuto delle relazioni disastrose, tu lo sapevi meglio di chiunque altro. Ma devo dire che… - lo fissò con un sorriso genuino – mi hai sempre tirato su di morale in quei momenti di sconforto. Hai anche predetto che avrei trovato l’uomo della mia vita prima o poi: ed è successo!”

“Sono contento per te, Natalie. Davvero, te lo meriti.”

“E tu che mi dici, Clarke Dimitri?”

“Nulla che tu già non sappia, no? – il suo sorriso si spense leggermente nel dirlo – Del resto, lavori per il Rosewood Observer.”

“Scusa, ti ho fatto una domanda stupida. Ho scritto io l’articolo sull’incendio a casa tua. – abbassò lo sguardo, mortificata - Mi dispiace.”

“Tranquilla, sono andato avanti.”

“Peccato che Jasper Laughlin sia fuggito e che nessuno riesca a trovarlo. Fa paura pensare che questo assassino sia ancora a piede libero dopo più di un mese.”

“Già…” accentuò le sopracciglia, scarno di parole sull’argomento.

“Allora, come mai hai voluto prendere un caffè con me, oggi?”

“Conosci Richard Stuart?”

“Lo scrittore? – rise – Certo, perché?”

“Perché sto per darti la tua notizia da prima pagina. – allungò il suo telefono lungo il tavolo – Cosa vedi?”

“Ma questo è suo figlio… Il mese scorso è stato aggredito assieme ai suoi amici da un paziente fuggito dal Radley. – osservò la foto con attenzione – E questo sembra proprio il Radley…”

“E’ il Radley, infatti.”

“Perché il figlio di Richard è al Radley?”

“Suo figlio non è al Radley; o meglio, non quello che tutti conoscono.”

Natalie restò confusa: “Aspetta, di che stai parlando? Non ti seguo.”

“Richard ha due figli, Natalie. Due Gemelli!”

“Quindi questo nella foto è uno dei gemelli?”

“Esatto. – annuì – Richard l’ha tenuto nascosto, è uno scoop questo!”

Quella si irrigidì, cambiando posizione sulla sedia: “Esattamente, cosa mi stai chiedendo?”

“Di scrivere un articolo, scoprire la verità su quel ragazzo!”

“Cosa? – sussultò – Non posso farlo, è una questione privata. I cittadini di Rosewood mi odierebbero, il Signor Stuart è amato da tutti.”

“Ricordi il secondo paziente fuggito assieme a Norman? La sua identità non è stata resa nota dalla polizia.”

“E allora?”

“E se ti dicessi che il secondo paziente fuggito era uno dei figli di Richard?”

“Clarke, non riesco a capire.”

“Potrebbe esserci qualcosa di grosso dietro. Il tuo articolo diventerebbe di dominio dei media, non resterebbe bloccato qui a Rosewood come una banale storiella dimenticata dal giorno dopo. Richard è uno scrittore abbastanza noto, ne parleranno tutti.”

“Perché lo stai facendo? – non capì, nonostante sembrò essere attratta dalla cosa – Che cosa ci guadagni?”

“Ho i miei motivi, voglio solo che tu scopra la storia di quel ragazzo. Sei l’unica che può farlo.”

Natalie lo fissò a lungo, cercando di scorgere il mistero che si celava nel suo sguardo. Alla fine, si alzò e prese la sua borsa.

“E’ stato bello rivederti, grazie per la chiacchierata!” esclamò con un sorriso di circostanza, per poi andarsene in maniera titubante.

Pochi minuti dopo, Clarke venne raggiunto da Chloe.

“Allora? Com’è andata?”

“Le ho messo la pulce nell’orecchio, vediamo cosa succede.”

“Speriamo bene, sono stanca di non sapere chi mi sta cercando.“ disse fiduciosa.

“Vedrai che scoprirà qualcosa, poi potremo tirare le somme e capire se quel ragazzo è davvero A!”

 

 

*

 

Tornato da scuola, nel pieno dell’orario di pranzo, Eric corse immediatamente al Brew per iniziare il suo turno di lavoro.

Non appena entrò, un uomo e una donna in completo nero si stavano allontanando dal bancone con i loro ordini. Fu Alexis ad averli serviti.

“Eric finalmente! - esclamò quella, mentre lui faceva il giro per entrare dietro al bancone – Ho una lezione fra venticinque minuti, stavo per chiamarti.”

“Scusa, c’era un po’ di traffico. – si giustificò, mentre indossava il grembiule e fissava i due clienti appena serviti con curiosità – Comunque chi erano quelli?”

“Quelli chi? – domandò distratta, mentre era intenta a togliersi il grembiule – Non essere enigmatico.”

L’altro glieli indicò con lo sguardo, sedevano in fondo al locale, e lei finalmente capì.

“Ah, quelli! Sono agenti dell’FBI, vengono da New york!”

“D-da New york, hai detto? – balbettò, sbiancando – P-perché? Che ci fanno qui?”

Quella trovò strana la sua reazione: “Ehm, devono svolgere un indagine, che ne so! – esclamò con disinvoltura, notando la sua agitazione – Perché tanto interesse?”

“Io? Interesse? – cercò di darsi un contegno, nascondendo con un sorriso la sua preoccupazione – No, è solo che è strano che due agenti di New york siano venuti fino a Rosewood. Dev’essere successo qualcosa di grosso.”

“Dici? – non le interessò un granchè – Sarà, ma io devo andare, adesso. – era di fretta - A stasera!” e gli passò accanto, uscendo dal bancone.

Eric le fece un cenno con la testa come saluto, poi spostò lo sguardo sui due agenti, seduti a bere il loro caffè e a leggere dei fogli.

 

*

 

Con i libri in mano, Rider aveva appena lasciato la sua classe, diretto verso il suo armadietto. Durante il tragitto incrociò Violet, ma distrattamente le passò accanto senza notarla, mentre quella, in procinto di parlargli non appena lo vide, rimase lì impalata in una smorfia alquanto basita; pensò che si sarebbe fermato e le avrebbe rivolto la parola.

Ovviamente, non digerì la cosa e si voltò a chiamarlo.

“Rider?”

Mentre quello metteva i suoi libri nell’armadietto, si voltò a piccole dosi, notando che Violet si stava rivolgendo a lui.

“Ehm…sì?” domandò distaccato, mentre continuava a sistemare l’interno del suo armadietto.

Quella si avvicinò, confusa: “E’ successo qualcosa per caso? Mi sei passato davanti come se fossi la donna invisibile.”

Rider chiuse lo sportello, abbastanza perplesso: “Come, scusa? Di cosa stai parlando?”

“Dovevamo vederci per quel caffè, poi ho saputo tramite la televisione cosa è successo a te e i tuoi amici. Sono venuta perfino a casa tua per sapere come stavi, prima delle vacanze di Natale, ma non ti trovavo mai a casa. Poi sono dovuta partire, perciò ti ho lasciato diversi messaggi; a cui non hai nemmeno risposto, tra l’altro.”

“Un caffè, dici? – trovò strano, per poi realizzare che forse lei e Nolan si erano conosciuti – Ooh, ma certo! – finse di ricordare, inventando una spiegazione – Scusa, sono davvero mortificato, ma devi sapere che dopo quello che mi è accaduto… Beh, ora partecipo a delle sedute di psicoanalisi; sai, per superare il trauma di quella notte. Mi hanno puntato contro una pistola, perciò…”

Quella si sentì stupida, comprendendolo: “Ma no, scusami tu. Dovevo immaginare che era per questo che mi stavi evitando. – gli sorrise – Il fatto è che ho apprezzato davvero molto il nostro avvicinamento alquanto inaspettato, visto che in passato non correva buon sangue fra noi.”

“Già, molto inaspettato!” sottolineò con molta ironia.

“Ascolta, quel caffè è ancora valido? Anzi, meglio ancora, potremmo tipo saltarlo e passare direttamente ad una cena o un cinema?”

“Ehm, magari ti scrivo io, ok? – cercò di defilarsi, fingendosi di fretta - Mi dai il tuo numero?”

“Ce l’hai già!” rise quella.

“Ma certo, è vero! – si diede un colpo sulla fronte – Che stupido che sono a volte!” esclamò, allontanandosi.

“Allora aspetto un tuo messaggio, eh?!”

“Assolutamente! Ciao!” scappò, mentre quella, appoggiata agli armadietti, lo fissò correre via con un sorrisetto spensierato.

 

*

 

A casa Blake, Nathaniel tornò finalmente a casa, dopo essere stato dimesso. Pete, il fidanzato di sua Zia Courtney, poggiò la valigia del ragazzo all’ingresso, mentre entravano.

“Casa dolce casa, eh?” gli sorrise la donna.

“Decisamente, Zia Courtney.    si sentì sollevato, ricambiando quel sorriso - Per un attimo ho temuto che mi avrebbero dimesso dopo una settimana o più.”

“E invece ti hanno liberato nel giro di tre giorni. – gli fece un occhiolino - Il medico deve aver apprezzato la mia voluta scollatura, mentre gli facevo pressioni sul farti tornare a casa.”

Pete, dietro Nathaniel, fece un colpo di tosse, lanciandole un’occhiataccia. Quella ricambiò con la stessa espressione, se non peggio.

“Oh, Pete, risparmiami la tua faccia seccata! Per poco tu e quella troietta di infermiera non vi scambiavate Instagram. – lo rimproverò, per poi rivolgersi a Nathaniel – Dovevi vederla, girava sempre sul nostro piano e, ogni volta, fissava Pete come un’invasata. – fulminò l’uomo, nuovamente – E veniva ricambiata la gatta morta!”

“Non la stavo ricambiando, è che la guardavo per sbaglio!” cercò di giustificarsi quello.

“Per sbaglio? – tuonò quella, facendo una smorfia incredula – Allora stanotte dormirai PER SBAGLIO sul divano, Pete!”

“Agli ordini!” roteò gli occhi con arrendevolezza, troppo debole per contrastare il suo carattere forte.

Dalla cucina, improvvisamente, arrivò Claire con il mestolo in mano.

“Finalmente siete arrivati, mi era sembrato di sentire le vostre voci…” li accolse con un ampio sorriso.

“Ciao, Mamma!” la salutò Nathaniel, mentre quella lo abbracciava.

“Ho fatto tante cose buone, spero che siate tutti affamati!”

Nathaniel sentì dolore alla spalla, mentre quella era ancora abbracciata a lui: “Ahh!”

“Oh mio Dio, scusami… - Claire si staccò da lui – Tutto bene, tesoro?”

“Sì, Mamma, non preoccuparti. – si sforzò di sorriderle, mentre il dolore si attenuava – Piuttosto, ho una fame da lupi, cosa ci hai preparato?”

“Tante cose buone, non sono nemmeno andata a lavorare oggi.” si mossè verso la cucina tutta briosa, facendo loro strada.

“E Papà?” le domandò, fermandola.

Claire si girò nuovamente verso di loro, lanciandosi un’occhiata cupa con Courtney. Subito, accennò rapidamente un sorriso, come se cercasse di nascondere qualcosa.

“Papà è al ristorante, purtroppo non ci raggiungerà. Jamie si è preso due giorni liberi, ha praticamente mandato avanti il ristorante da solo mentre eri in coma. Tuo padre era quasi sempre in ospedale con te; temeva potessero ucciderti come in quei casi di malasanità.”

Nathaniel reagì in maniera ostile: “Jamie lavora ancora per noi?”

“Certo tesoro, perché me lo domandi?”

“Niente, è che sono cambiate tante cose in un mese. Pensavo anche questa, ma a quanto pare ci ho sperato troppo!” esclamò, lasciando tutti abbastanza perpessi.

“Speravi che Jamie non lavorasse più per tuo padre? – intervenne Courtney, mentre erano ancora nel corridoio d’ingresso – Hai idea di quante studentesse del college vengano a mangiare nel vostro ristorante perché c’è quel fusto di Jamie a girare fra i tavoli?”

“Beh, non mi fido di lui. – ribattè Nathaniel - L’ultima volta che l’ho incontrato al ristorante, prima del ballo degli ex alunni, era un po’ strano.”

“Strano in che senso?” domandò Pete.

“Non ne ho idea, lasciamo perdere!” pensò Nathaniel, esausto.

“D’accordo, il pranzo si raffredda. – avvertì Claire, facendo cenno a tutti di spostarsi nell’altra stanza – Forza, andiamo!”

Quelli eseguirono, mentre Courtney e Pete continuavano il loro battibecco durante il tragitto.

“Sai, potrei guardare per sbaglio Jamie! Sono ancora giovane e attraente per lui.”

“Certo, prima però trova un rimedio per la tua prima ruga sulla fronte!” replicò l’altro, vendicativo.

Courtney spalancò la bocca, offesa, tirandogli uno schiaffo sulla spalla.

“Ritiralo subito! – esclamò isterica - Ritiralo, ritiralo, ritarlo, Pete!”

Nathaniel, che camminava dietro di loro, rise divertito.

 

 

*

 

Appena uscito dal palazzo che ospita lo studio di Wesam, Sam si imbattè in Cameron.

“Havery, ci incontriamo sempre!” esclamò quello, con il suo solito sorriso accattivante e il tono scherzoso.

Sam sforzò subito un sorriso, sorpreso di averlo incontrato: “Ehi, ciao!”

“Come stai? Ho saputo che Nathaniel è stato dimesso.”

“Caspita, non sapevo che Gossip girl fosse in città.”

“Sono rimasti tutti sconvolti da quello che vi è accaduto quella notte. – rabbrividì, cercando di mettersi nei loro panni – Un pazzo pricopatico che vi prende in ostaggio e cerca di uccidervi…Davvero terrificante, io me la sarei fatta sotto!”

Sam affondò le mani nelle tasche della sua giacca, abbassando lo sguardo, a disagio: “Già, terrificante è la parola giusta…”

Cameron restò a fissarlo, notando quanto fosse traumatizzato. Non sapendo cosa aggiungere, puntò lo sguardo sull’edificio dal qualche Sam era appena uscito.

“Sbaglio o qui c’è lo studio di quello psicologo?” domandò, supponendolo.

L’altro cercò, invano, di non sembrare misterioso: “Ehm, sì, ero giusto passato per disdire la seduta di oggi.”

“Sei venuto fin qui per disdire una seduta? – non se la bevve - Che fine hanno fatto i telefoni e le email?

“Ero nelle vicinanze, a dire il vero.” cercò di arrampicarsi sugli specchi, sempre più nervoso.

“Avanti, Sam. – provò a farlo confessare – In quel locale gay dove siamo stati, mi ricordo con chi stavi ballando. Ed era lo stesso uomo che poi ti ha rivolto la parola al ballo degli ex alunni.”

Nonostante l’evidenza, Sam non mollò così facilmente: “Che stai insinuando, scusa?”

“Guarda che l’ho capito che tu e lo psicologo avete una relazione. E poi, anch’io l’ho avuta con uno più grande di me: riconosco i sintomi.”

“Tipo?”

“Tipo, andare dove lavora!”

“Te l’ho detto, ero nelle vicinanze.”

Cameron continuò, come se non lo stesse ascoltando: “Quindi, o tradisci Nathaniel o la vostra relazione è finta.”

“Finta? – sorrise, fingendo di trovarlo ridicolo – E perché mai avremmo dovuto fingere?”

“Beh, dopo il video che avete girato con Anthony, diciamo che vi odiavano un po’ tutti, perciò… Usare la carta dei ragazzi gay che entrano a scuola per mano, facendo coming out davanti a tutti, fa breccia nei cuori. Resetta tutto. Fa notizia! E, come d’incanto, quello che c’era prima, viene dimenticato.”

Sam non ne potè più, arrendendosi: “Ok, basta, hai vinto! Ho una relazione segreta con il mio psicologo, contento?”

“Quindi Nathaniel è gay oppure no?”

“No, non è gay. L’abbiamo fatto per i motivi che hai appena detto tu.” mentì.

“Peccato, perché credevo che fosse gay anche prima di questa messa in scena…” pensò, abbozzando una faccia delusa.

“Aspetta, perché lo credevi? – restò incuriosito da quell’affermazione – Sai qualcosa che non so?”

Cameron si voltò verso la caffetteria che c’era alle sue spalle, per poi fare una proposta: “Se te lo dico, prendi un caffè con me?”

L’altro lo trovò come l’ennesimo tentativo di provarci con lui, incredulo e seccato: “Cameron, ancora?”

“No no, tranquillo, non ci sto provando con te. – mise in chiaro immediatamente – Certo, sei davvero un tipo strano visto che nessuno mi resiste, ma non ci sto provando. Lo giuro. Voglio solo essere tuo amico, è così difficile da credere?”

“Perché, Cameron?”

“Perché non ho così tanti amici come sembra. Le persone mi girano intorno solo perché sono bello, popolare e le mie feste sono leggendarie. – lo trovò triste da dire – Ma alla fine della fiera, nessuno mi gira intorno perché vuole sapere come sto o cercare di conoscermi davvero.”

Sam lo fissò a lungo, intenerito e compassionevole. Alla fine dovette arrendersi, ma da un lato era anche curioso di scoprire se Nathaniel fosse sempre stato gay o ha davvero capito di recente di esserlo.

“D’accordo, prendiamo un tavolo.”

“Alleluja, Havery! – esclamò, facendolo sorridere - Io che supplico qualcuno di prendere un caffè con me è una novità.”

“Beh, c’è sempre una prima volta!” aggiunse Sam, ironico, mentre si avviavano.

 

 

*

 

Rider, intanto, era al centro commerciale di Rosewood, nel reparto d’abbigliamento maschile, con il telefono all’orecchio.

Mentre attendeva che qualcuno rispondesse alla sua chiamata, sbirciò qualche vestito qua e là, teso. Finalmente ricevette risposta: da parte di Eric.

“Ehi, ciao, stavo per chiamarti…”

“Sam e Nathaniel non mi rispondono, evidentemente hanno di meglio da fare. – partì a raffica, isterico – Ora, almeno tu, puoi spiegarmi come mai mi ritrovo al  Rosewood mall  a cercare un outfit adatto ad un apppuntamento con Violet??”

Eric reagì sorpreso, oltre che confuso: “Cosa? Violet??”

“Ah, bene, dal tuo tono deduco che non ne sai niente. – prese un respiro profondo – Ok, Nolan deve aver stretto con Violet, mentre mi impersonava. Devo per forza continuare la messa in scena, poi dovrò inventarmi qualcosa per scaricarla. Non ho tempo per questo.”

“A proposito di tempo, prima al Brew c’erano degli agenti dell’FBI di New york.”

Rider si fermò bruscamente dal camminare: “Come? Da New york? – si agitò - Che altro sai?”

“E che diavolo ne so? So solo che New york = Edward Blanc!”

“E come avrebbero scoperto che è scomparso? Pensavo che A stesse tenendo tutto sotto controllo.”

“Non ne ho idea. – era teso anche Eric – Io credo che A non abbia capito per niente che abbiamo scoperto chi è il complice e che vogliamo consegnarglielo.”

“Ho provato a cercare Ector al Radley per farmi dare il computer e contattare A, ma sembra sparito.”

“E se A stesse cercando di incastrarci? Sono passati tre giorni da quando ci ha chiesto di consegnarli il complice, magari si è stufato di aspettare.”

“Infatti speravo di poter comunicare con A, chiedergli tipo una proroga; Clake non vive a Rosewood, come facciamo a catturarlo se non è qui?”

“Ascolta, io stacco tra dieci minuti. Ci vediamo da Nathaniel?”

“Sì, assolutamente. – uscì a passo veloce dal reparto di abbigliamento maschile - Dobbiamo pensare a come venire a capo di questa faccenda, al diavolo il mio appuntamento con Violet!”

“Va bene, a dopo!” chiuse Eric.

 

*

 

Nel frattempo, Sam e Cameron erano seduti ad uno dei tavoli esterni alla caffetteria, con molta gente intorno e il sole che batteva.

Sam vollè riprendere la conversazione da dove si erano interrotti: “Allora, mi dici cosa sai su Nathaniel?”

Cameron girò il suo cucchiaino dentro la tazza, raccontando: “Una sera ero su una di quelle nostre chat e c’era questo ragazzo in webcam con addosso una felpa aperta e tutti i suoi addominali in bella mostra. – ammiccò, mentre Sam restò abbastanza apatico – La faccia non si vedeva, ma la felpa era quella della squadra di nuoto: quella degli Shark!”

Sam restò leggermente perplesso: “Un secondo, tutto qui?”

“Ehm, sì!”

“Ok, ma come fai a dire che era Nathaniel? E quanto tempo fa è successo?”

“Lo scorso Marzo… - ricordò – E comunque sono certo che fosse Nathaniel, riconoscerei il suo corpo ovunque.”

“Ma non vuol dire niente, tutti i componenti della sua squadra hanno una tartaruga da urlo. E Nathaniel non è così stupido da tenersi addosso la felpa degli Shark.”

“Beh, io te l’ho detto. – gli sorrise scherzosamente - Magari mi sbaglio, ma almeno abbiamo fatto due chiacchiere.”

Sam gli lanciò un’occhiataccia: “Non riesco davvero a capirti, lo sai?”

“Avanti, Havery, smettila di fare il noioso. Noi gay dovremmo essere amici, raccontarci le cose…”

“Sentiamo, e cosa dovrei raccontarti esattamente?”

“Dici di stare con lo psicologo, ma ti interessi a Nathaniel non appena ti accenno un mio sospetto sulla sua presunta omosessualità. – lo fissò, intuitivo - Non sarà che hai una cotta per lui?”

“Ehm, ce l’avevo, ora non più. – rispose, poco credibile – Amo Wesam, sto con lui e mi fa sentire bene.”

“Io non credo proprio!” esclamò, fissandolo in maniera acuta.

A quel punto, Sam volse lo sguardo da altre parti, desideroso di volersi lasciar andare e sfogarsi: e lo fece.

“Ok, ascolta… - si fece più avanti con la sedia – La notte in cui siamo stati aggrediti, Nathaniel ha finalmente rivelato i suoi sentimenti per me. Prima di quella notte non ero sicuro che fosse gay, per questo mi sono interessato a ciò che mi stavi dicendo: volevo solo avere la certezza di alcune cose.”

L’altro rimase a bocca aperta: “Un secondo, Nathaniel ti ha detto di provare qualcosa per te prima del coma? – era elettrizzato - E ora? Come siete rimasti?”

“Ora sto con Wesam. Nathaniel sapeva che lo amavo, l’ha scoperto, ma…”

“Ma non sa che durante il coma ti sei messo con lui, giusto?” completò Cameron.

“Esatto, non lo sa. Però ha chiarito che non si sarebbe intromesso tra me e lui; proprio perché ha realizzato i suoi sentimenti un po’ troppo tardi.” concluse Sam, leggermente amareggiato.

“Interessante… - notò con attenzione quanto la cosa lo rattristasse – E Sam cosa pensa in tutto questo?”

“Ehm, cosa dovrei pensare? – trovò strana la domanda, sentendosi a disagio – Che vuoi dire?”

“Te la faccio semplice, Havery: sei innamorato di Wesam o di Nathaniel?”

“Sto con Wesam: secondo te?” sforzò un sorriso, come se nemmeno lui ne fosse convinto.

“Strano, però: non hai la faccia di qualcuno che è davvero innamorato!” esclamò con strafottenza.

“Sono affari miei, ok? – si seccò – Se ti ho detto che amo Wesam, allora è vero!”

“Calmati, non ti scaldare. Dico solo quello che percepisco, Sam.”

Più rilassato, Sam gli diede ragione: “Scusa, non volevo comportarmi da stronzo. E’ che prima che Nathaniel si svegliasse dal coma, li ho detto certe cose… Cose che penso tutt’ora.”

“Non puoi stare con il piede in due scarpe, Sam; quella è più una cosa mia. E non puoi nemmeno lasciare uno spiraglio di luce a Nathaniel, se stai con Wesam. E, viceversa, non puoi tradire la fiducia che Wesam ha in te, avvicinandoti nuovamente a Nathaniel. -  si meravigliò delle sue stesse sagge parole – Accidenti, mi sento come il Signor Giles in Buffy; solitamente non sono io a dare consigli.”

L’altro sospirò, rendendosi conto che aveva ragione: che c’era una guerra nel suo cuore e che doveva fare una scelta.

Quando spostò lo sguardo sulla strada, però, i suoi pensieri scomparvero con una nuvola di fumo portata via dal vento: Chloe e Clarke stavano passeggiando sul marciapiedi parallelo a quello loro, in lontananza.

“Clarke è in città!” esclamò Sam, alzandosi di colpo dalla sedia.

Cameron si girò a seguire il suo sguardo, ammirando la coppietta con un sorrisetto cinico: “Ma guarda, Chloe friendzoned si è sistemata con il fratello attraente di Anthony. Se fosse vivo, riderebbe fino all’ultima stagione di Grey’s anatomy; se mai avrà una fine quel telefilm.”

“Stanno insieme? – gli domandò, turbato dalla scena – Che ne sai?”

“Non è la prima volta che vedo Chloe con Clarke. Gli ho visti insieme anche al ballo degli ex alunni, lei è andata via con lui dopo l’esplosione.”

“Sì, l’ho vista anch’io. – ricordò Sam – Ma non vuol dire che stiano insieme, no?”

Cameron rise per qualche istante: “Ma dove vivi, Havery? E’ evidente che ha una relazione segreta o quasi: ho visto Chloe entrare anche nell’albergo dove alloggiava lui, una volta. E lo so per certo, visto che mio padre ne è il proprietario.”

“Davvero? – sgranò gli occhi - E’ andata nel suo stesso albergo?”

“Già, te l’ho appena detto! – ribadì, trovando strana la sua reazione – Come mai la cosa sembra turbarti? Hai per caso una cotta anche per Clarke?” scherzò nuovamente.

“No, è solo che è il fratello di Anthony. Non lo conosco molto bene, e a Chloe tengo ancora nonostante non siamo più amici come prima.”

“A proposito, come mai tu e Chloe non siete più amici?” si impicciò.

Sam prese la sua borsa da terra e tirò fuori una banconota dal suo portafoglio, buttandola sul tavolo: “Ora devo andare, mi ha fatto piacere parlare con te! Ciao!” esclamò, fuggendo via.

Non lasciò nemmeno il tempo a Cameron di salutarlo, che restò a parlare da solo: “Oook, ciao ciao. Che tipo strano quell’Havery!” pensò, pronto a pagare anche la sua parte del conto.

 

*

 

Dopo aver poggiato i suoi libri sul tavolo, Lindsey aprì il frigorifero per prendersi un succo fresco. Trasandata e con i capelli legati, si avvicinò al tavolo per versarlo nel bicchiere. In quell’istante, dalla porta sul retro, entrò Tasha; era sudata, indossava i leggins , un top che si intravedeva dalla cerniera aperta della felpa e le scarpe sportive.

“Tesoro, perché non sei venuta a correre con me? – si tolse le cuffie dalle orecchie, riprendendo fiato – Fuori c’è davvero una bella giornata!”

“Ehm, a dire il vero ho molto da studiare in questi giorni. – si toccò la fronte, il viso pallido – Magari un’altra volta.”

Prima che potesse dileguarsi, Tasha la fermò per un braccio, notando un comportamento insolito: “Lindsey, tutto bene?”

Quella la fissò dritto negli occhi, deglutendo con fatica: “Sì, sto bene. – finse un sorriso – Sono solo un po’ stanca, tutto qui.”

“Tesoro, è di nuovo quella Alexis? – si preoccupò per lei - Ti sta minacciando ancora? Sapevo che rigarle la macchina non era abbastanza.”

“No no, non c’entra nulla. Dopo avermi fatta lasciare con Julian, non ho più ricevuto altre minacce.”

“Allora cosa c’è?”

Lindsey, sotto pressione, iniziò a piangere: “E’ che sono successe tante cose in quest’ultimo mese…”

“Ti riferisci a quel pazzo che ha cercato di uccidere Rider e i suoi amici? Guarda che è morto, non può più fare del male a nessuno.”

“Tasha, ho giurato a mio padre di non dirlo, ma non ce la faccio più a tenermi tutto dentro. – tremò, mentre le lacrime scendevano copiose – Uno dei due pazienti fuggiti dal Radley è il gemello di Rider.”

“Cosa? – reagì confusa - Di che stai parlando?”

Poco dopo, le due erano sedute sugli sgabelli del tavolo, l’una di fronte all’altra: Lindsey le aveva raccontato tutto.

“Quindi Rider e questo ragazzo non sono nati da Zia Ellen?”

“No, ma da un’altra donna che non ho idea di dove viva o chi sia.”

Tasha incantò il vuoto, scioccata: “Rider non può aver affogato quel bambino, lo conosco da anni. – lo trovò ridicolo - Lui è sano di mente, questo Nolan potrebbe aver raccontato una balla.”

“Per questo mio Zio Gordon è tornato qui dall’Italia. Faranno delle sedute registrate, in modo da capire se è davvero stato Rider ad affogare quel bambino.”

“E dopo che succede? Rider finirà al Radley al posto di quell’altro?”

“Non lo so… - le scese una lacrima, sofferente – So solo che mi sembra di essere in un’altra casa e che non riesco più a guardare Rider con gli stessi occhi di prima dopo quello che Papà mi ha detto sul passato.”

“Tesoro, Rider non è un aspirante assassino.” la abbracciò, mentre quella piangeva fra le sue braccia.

“Tasha, per quanto ancora ti fermerai qui a Rosewood?”

“Ancora qualche giorno, ero venuta solo per passare a trovare Nathaniel Blake. – le sorrise - E i miei cugini preferiti.”

Lindsey si staccò lentamente, asciugandosi le lacrime: “Ancora in fissa per quel ragazzo? Tasha, per favore, lascia perdere.”

Quella le prese le mani: “Non devi badare a me. Ora che so queste cose, ti starò accanto. Non dev’essere stato un bel clima per te.”

“Già, peccato che non ci sia solo questo a preoccuparmi. – le lacrime ripresero – Tasha, io credo di essere incinta.”

A quella confessione, Tasha sgranò gli occhi: “Ne sei sicura?”

“Ho fatto il test due volte l’altro giorno ed è risultato positivo. – singhiozzò – E’ di Julian!”

“Oh, tesoro… - la fissò con empatia, realizzando in che situazione si trovasse – Non ti preoccupare, ci sono io adesso.” e la abbracciò forte.

 

*

 

Nel frattempo, nella camera di Nathaniel, era in corso una riunione del gruppo sugli ultimi sviluppi. Ognuno di loro era teso; Rider era poggiato di schiena alla finestra, Eric in piedi davanti al letto di Nathaniel, mentre ques’ultimo era seduto nel suo letto con le coperte fino alla pancia.

“Quindi è finita? – chiese proprio quello, nel panico - Stiamo per andare in prigione?”

Rider cercò di non darsi per spacciati: “Non ancora, non sappiamo cosa ci facciano qui quei due agenti.”

“Rider, per quale altro motivo due agenti dell’FBI dovrebbero essere qui? Per fare un tour del Brew e qualche selfie vicino all’albero più longevo della città? – intervenne Eric – Sono qui per Edward, siamo nella merda!”

In quell’esatto istante, Sam fece irruzione nella stanza.

“Clarke è in città!” esclamò, senza nemmeno riprendere fiato, chiudendo la porta.

Quelli lo fissarono, sgranando gli occhi.

“Bene, questa è una buona notizia… - pensò Rider, riflettendo – Abbiamo quello che vuole A, forse facciamo ancora in tempo a salvarci prima che sia troppo tardi.”

Sam non riuscì a seguirlo, facendo un smorfia confusa: “Troppo tardi per cosa?”

“Due agenti dell’FBI sono entrati al Brew prima… – lo aggiornò Eric, mentre l’altro diveniva pallido in volto – Tranquillo, per ora sappiamo che hanno preso solo una tazza di caffè e una ciambella.”

“Solo? – Sam pensò a quanto avesse minimizzato la cosa, spaventato – Ditemi che non vengono da New york, vi prego.”

Le loro facce risposero da sé. Lo sguardo di Sam precipitò verso il basso, gli mancò il fiato.

“Oh mio Dio, non ci credo…” scivolò con la schiena lungo la porta, sedendosi a terra con le ginocchia fino al mento.

Anche Nathaniel andò nel panico, subito dopo di lui: “Devo entrare in quel deposito!”

“Cazzo, Nat, vuoi prendermi in giro? – sussultò Eric – L’FBI è a Rosewood e tu pensi a farti beccare proprio nell’ultimo posto in cui dovresti essere?”

“Non sei tu il coglione dipinto su quella tela, ok? – alzò la voce, fulminandolo con lo sguardo – C’è la mia faccia lì sopra, quel pittore era un fottuto pittore vero e sapeva dipingere bene; mi riconosceranno in un secondo, andrò in galera prima di voi!” esclamò, sentendo male al petto.

Tutti si preoccuparono per Nathaniel, che si appoggiò alla spalliera del letto, chiudendo gli occhi e premendo una mano sul petto.

Rider avanzò verso il letto dell’amico: “Ok, facciamo tutti un bel respiro pronfondo. – si rivolse a tutti, poi subito a Nathaniel – Eric ha ragione, devi lasciar perdere il deposito. Bisogna prima capire cosa sta succedendo al distretto di polizia.”

A quella frase, tutti si voltarono a guardare Sam. Quello, però, non la prese bene.

“Un secondo, scordatevelo! Come dovrei esordire: “Ciao, Papà, per caso è iniziata l’indagine sull’uomo che ho seppellito nel bosco con i miei amichetti, il mese scorso?” … No, è assolutamente fuori discussione! Non ora che le tensioni con padre si sono affievolite durante il mese senza A.

“Ok, possiamo tornare al punto in cui Clarke è in città? – Eric attirò l’attenzione su di sé – A ha il potere di incastrarci o di salvarci, inutile fingere che non abbia i superpoteri, perciò… ci basta consegnarli Clarke e non dovremo affannarci così tanto nel cercare di non finire in prigione.”

“Va bene, mettiamo che riusciamo a consegnarli Clarke… - prese parola Nathaniel – Cosa mi dite di Jasper? E’ ancora nelle mani di A, non credo l’abbia ucciso.”

“Vuoi fare uno scambio con A? Jasper per Clarke?” intuì Eric dalle sue parole.

“E’ innocente, non merita di stare rinchiuso nel sotterraneo di chissà quale posto!” disse loro, Nathaniel.

“Nat, A non ci darà mai Jasper. – Rider lo riportò con i piedi per terra - Per la polizia, in questo momento, è un assassino ricercato: ed è proprio questo che ci mantiene tutti al secondo posto nel caso dell’omicidio Dimitri.”

“A meno che…” intervenne Sam, dopo aver riflettuto mentre discutevano.

“A meno che, cosa?” ripetè Eric, in attesa di ascoltare ciò che aveva pensato.

“Se mandassimo alla polizia il filmato delle telecamere di sorveglianza trovato a casa di Tyler, dimostreremmo che Anthony è ancora vivo e che Jasper è innocente: verrebbe scagionato dalle accuse a suo carico.”

“Se la polizia trovasse Anthony e A ci consegnasse Jasper, potrebbero entrambi incastrarci. – replicò Rider - Anthony ci farebbe colare a picco insieme a lui, mentre Jasper, a questo punto, farebbe qualsiasi cosa per uscirne dopo quello che ha passato.”

Nathaniel trovò tutto così assurdo e ingiusto: “Quindi consegnamo Clarke ad A, torniamo alle nostre vite e fingiamo che Jasper non esista?”

“Sì, Nathaniel, è esattamente questo che dobbiamo fare! – continuò Rider, rigido e deciso – Ragazzi, A lo sa che è stato Anthony ad investire Albert; era presente sulla scena dell’incidente e ha visto tutto. E ora che sa anche che è Clarke il complice di Anthony e non uno di noi, penserà che in tutti questi mesi abbiamo pagato abbastanza, ok? Una volta che avrà quello che vuole, ci penserà lui a far quadrare tutto quanto e a non mettere la polizia sulle nostre tacce e sulle sue. Finirà tutto!”

Dopo quelle parole, ognuno di loro abbassò lo sguardo, pieno di vergogna e senso di colpa.

“Lo so come vi sentite in questo momento. – aggiunse ancora Rider, un pizzico di sofferenza nella voce – Anche a me dispiace per Jasper, ma una parte di me vuole credere che quando tutto questo sarà finito, A troverà una soluzione anche per lui… - sospirò, cercando di convincerli - Sapete, ci sono molte persone nel mondo che cambiano aspetto, identità, non lasciando più traccia di sé. Qui non si tratta più di cosa è giusto o sbagliato, ma della nostra libertà contro quella di Jasper. E io, francamente, non mi sento colpevole di nulla per dover rinunciare alla mia. Tanto meno mi interessa cosa farà A con Clarke.”

Mentre Nathaniel e Sam avevano il volto girato verso altre direzioni, cercando di trattenere le lacrime e la rabbia, Eric decise di scegliere.

“Rider ha ragione, abbiamo tutta la vita davanti. E quello scambio che faremo con A rappresenta la chiave per aprire la porta che ci separa da tutto ciò che meritiamo di avere e di conquistare. Non è colpa nostra se siamo finiti in questo casino, siamo solo accorsi ad un messaggio di Anthony senza sapere perché ci avesse chiamati.”

Sam e Nathaniel si voltarono finalmente verso di loro, poi si guardarono l’uno con l’altro, come se stessero pensando di arrendersi e accettare.

Rider pensò di dare loro un ultimo incentivo: “Siamo tutti a pezzi, non devo di certo dirvelo io. Ma se non prendiamo questa decisione, la giusta decisione, la rimpiangeremo per sempre. Non ne usciremo mai. E io voglio così disperatamente uscirne.”

Anche Nathaniel fece la sua scelta, a suo malgrado: “Abbiamo un piano su come catturare Clarke?”

“Ehm, sì, in questi giorni ho fatto delle ricerche. – spiegò Rider - Ho accennato qualcosa ad Eric, in pratica dobbiamo procurarci un oppioide chiamato M99, che non è altro che un composto chimico che possiede un effetto analgesico molto più potente della morfina. Dovremo somministrarlo per endovena.”

In quell’angolino della stanza, Sam si lasciò scappare una risata isterica, mettendosi le mani sul volto per quel discorso così assurdo: “Oh mio Dio…”

“Sam, cosa ti prende?” gli domandò Eric.

“Per endovena? – Sam si tolse le mani dal volto, rispondendo con toco aggressivo – Almeno sappiamo come si fanno queste cose?”

“Sam, tranquillo, sarò io a farlo.” gli disse Rider.

“Ah, beh, scusami allora! – lo prese in giro, alzando le mani – Non sapevo ti fossi appena preso una bella laurea in medicina.”

“Non abbiamo altra scelta, ok? – ribattè Rider, infastidito - Inutile che ti metti a fare tutte queste scene, è così che prenderemo Clarke.”

“Così, come? – era curioso di sapere Nathaniel – Qual è il piano? Di certo non si presterà alla cosa di sua spontanea volontà, dobbiamo attirarlo da qualche parte.”

“Ragazzi, non è come decorare un uovo alle elementari. – si intromise Eric – Dobbiamo organizzarci.”

Sam trovò opportuno metterli al corrente di qualcos’altro, più calmo: “Quando ho visto Clarke, prima, era con Chloe.”

In seguito a questa confessione, Rider reagì confuso: “Con Chloe?”

Intervenne subito anche Eric: “Aspetta, non avevi detto che Chloe aveva lasciato il ballo con Clarke, quella sera?”

“Già, pensavo solo per un passaggio, ma a quanto pare c’è molto di più.”

“Pensate che lei sappia?” si chiese Nathaniel.

“Pff, nel sangue di Clarke scorre il sangue dei Dimitri: bugiardi patologici che pensano solo a sé stessi. – pensò Rider, certo – Sicuramente Chloe non ha la più pallida idea di con chi ha a che fare.”

“Appunto per questo, cerchiamo di tenerla fuori. – richiese Sam come priorità – Non voglio che qualcosa vada storto e che pur di riavere indietro la nostra libertà sacrificassimo anche lei.”

“Hai la mia parola, Sam. – gli garantì Rider – Nel piano che organizzeremo, faremo in modo che Chloe sia altrove mentre ci occupiamo di Clarke.”

“Allora siamo d’accordo?” domandò Eric, spostando lo sguardo fra loro tre.

Rider annuì, poi seguì anche Nathaniel e, infine, Sam: ormai era tutto deciso.

“Solo, facciamo presto. – desiderò Nathaniel, turbato – La ruota di A è ancora puntata sulla mia faccia e me la sto facendo davvero sotto.”

Naturalmente, Rider fu comprensivo nei suoi confronti: “Ci mettiamo all’opera, tranquillo.”

“Io, comunque, in questi giorni ho abbozzato uno schema su quello che sa la polizia fino ad ora. – Sam si sollevò da terra, aprendo il suo zaino e tirando fuori un quadernino – Ci sono due casi aperti e uno chiuso: Dimitri, Albert e l’aggressione che abbiamo subito al lago; in pratica siamo collegati a tutti e tre questi casi, senza contare che eravamo presenti anche all’esplosione della scuola, perciò mi chiedo come mai la polizia non ci abbia ancora arrestati.”

Rider aveva già una sua idea, a tal proposito: “Semplice: perché per loro risulta tutto un grande casino e A ha confuso ancora di più le carte in tavola, rendendo questi casi irrisolvibili. Per non parlare dei nostri alibi, che per ora reggono, tutto sommato.”

“Sì, ma se sopraggiungesse anche un quarto caso, possiamo prendere i nostri alibi e pulirci il culo. – Eric alluse al possibile ritrovamento di Edward Blanc – Scusate il francesismo, ma saremmo seriamente fregati.”

 

 

*

 

Più tardi, alla centrale di polizia, Carter Havery osservò gli agenti dell’FBI appena entrati nell’ufficio del tenente Jacobson; pensò si trattasse di qualcosa di grosso.

Tuttavia, l’uomo sembrò essere assai furibondo per qualche faccenda riguardante il lavoro e preferì andarsene.

Dentro quell’ufficio, intanto, i due agenti si stavano presentando con una stretta di mano al tenente e al detective Costa.

“Agente Murphy, salve. – disse l’uomo, per poi indicare la collega – E lei è l’agente Sanchez: FBI di New york.”

“Cosa vi porta qui a Rosewood?” domandò il tenente Jacobson, notando che l’agente Sanchez stringeva una busta gialla tra le mani.

“La polizia di New york ha ricevuto un filmato qualche giorno fa, il mittente è anonimo.” prese parola la donna, pronta a mostrare il contenuto della busta.

“Un cd?” si incuriosì il detective Costa.

“C’è anche una scritta sopra!” fece notare loro l’agente Murphy.

Sono morto… – lesse Jacobson – Un messaggio ben preciso!” trovò.

“Ovviamente è stato mandato da Rosewood, per questo siamo qui.” continuò Sanchez, mentre inseriva il cd nel lettore apposito.

Le immagini iniziarono a comparire sullo schermo del televisore. Jacobson e Costa osservarono con attenzione ogni fotogramma, mentre l’agente Murphy analizzava il filmato.

“Quattro inquadrature diverse riprese in un bosco. Nessun audio. Nessun volto.”

Costa avanzò leggermente in avanti, inquietato: “Sembra che qualcuno stia scavando una buca…”

“Il video è stato manipolato, non mostra chi regge le pale che stanno scavando.” spiegò Sanchez.

“Deduco che in quei borsoni ci siano parti di un corpo. – intervenne Jacobson – Potrebbero essere stati sepolti ovunque.”

“Abbiamo ragione di credere che siano stati sepolti qui a Rosewood… - Murphy fermò il filmato, tirando fuori un telefono chiuso dentro un sacchetto – Assieme al cd è arrivato anche questo cellulare.”

“A chi appartiene?” domandò Costa.

“Edward Blanc, un pittore Newyorkese. Risiede a New york dal 2009, ma ha un appartamento anche qui a Rosewood.”

“Risulta scomparso da più di un mese, secondo le indagini che abbiamo svolto. – continuò Sanchez – Abbiamo interrogato i suoi vari contatti in rubrica: quasi tutti l’hanno sentito solo e unicamente per messaggi. Temiamo che la persona che possedesse il suo telefono, si sia spacciato per lui.”

“E credete che la persona che conservasse il suo telefono, sia l’assassino?” pensò Jacobson.

“O è l’assissino o sa chi è l’assassino. – Sanchez riportò i loro sospetti – Questa persona vuole farci sapere che un uomo è stato ucciso, ma non ci mostra chi è stato. – si mostrò dubbiosa - Vuole giocare con noi, perchè è l’assassino? Sa chi è stato, ma è qualcuno a cui tiene?”

“E’ tutto molto confuso, a dire il vero: come le telecamere, ad esempio.  – aggiunse Murphy -Sembra siano state posizionate sulla scena del crimine, prima ancora del crimine.”

Mentre gli agenti parlavano a Jacobson, Costa si focalizzò sull’immagine bloccata sul televisione: ne contemplava i dettagli.

“…In ognuna di queste inquadrature, la pala è diversa.” notò.

Sanchez si voltò verso di lui, impressionata: “Lei è un ottimo osservatore, detective. Infatti nelle inquadrature che abbiamo esaminato, ci sono quattro pale diverse: come se sulla scena ci fosse più di una persona; per questo motivo crediamo che il mittente di questo materiale possa non essere l’assassino.”

“Se non è l’assassino, sembra proprio che abbia teso una trappola ai veri assassini. – ipotizzò Costa, anche se faceva fatica a capire certe dinamiche – Solo che non ha senso aspettare tutto questo tempo per coinvolgere la polizia.”

“Siamo qui proprio per risolvere questo mistero, infatti. Il caso è affidato al vostro distretto, visto che siamo nella vostra giurisdizione. Noi supervisioneremo le indagini e propongo di partire dall’appartamento della vittima.” spiegò Murphy.

Il tenente Jacobson era pronto: “Bene, riunisco subito una squadra per setacciare tutta la zona intorno a Rosewood.”

Poi, assieme agli agenti, uscì dall’ufficio. Il detective Costa, concentrato nel fissare ancora lo schermo, rimase: non face che riflettere sul fatto che sulla scena del crimine ci fosse più di una persona; e a proposito di questo, sembrò avere già qualche sospetto.

 

*

 

Nel pomeriggio, Wesam fece un piccolo viaggio per far visita ad una persona.

In piedi, davanti alla porta di un appartamento, aspettò di essere aperto dopo aver bussato; quando quella persona finalmente aprì, Wesam fu felice di non aver fatto un viaggio a vuoto: si trattava di Julie Orlando.

“Ehm, salve… - cominciò, imbarazzato – Suppongo che lei si ricordi di me, no?”

L’altra, alquanto sorpresa, annuì: “Ma certo, l’ho vista al ballo degli ex alunni al liceo di Rosewood. – trovò strana la sua visita – Solo che…”

“Sì sì, lo so che si starà chiedendo che cosa ci faccio qui. – cercò di dare una spiegazione, mettendo le mani in avanti – Il punto è che io sono lo psicologo di Sam Havery… E so!”

Quella rise, non afferrando: “Ok, di che cosa sta parlando? Sa, cosa?”

Wesam accentuò il suo sguardo: “So quella cosa che sai anche tu… - lo accentuò ancora di più - Quella cosa!”

“Oh mio Dio… - ora capì, grattandosi il capo – Ehm, senti, non restiamo qui a parlarne. Forza, entra!”

Seduti a tavola, qualche minuto dopo, Julie gli allungò lungo il tavolo una tazza di caffè che aveva appena preparato.

“Quindi ti sei trasferita a Courtland, dopo l’esplosione della Rosewood high school? – contemplò ogni dettaglio dell’appartamento, sorseggiando il suo caffè caldo – Carina la casa…”

“Beh, sì, ho dovuto trasferirmi qui perché il mio fidanzato insegna alla Northdale, adesso. – spiegò, più interessata al motivo della sua visita in realtà – Allora… Sai anche tu di A?”

“Sì, Sam si è aperto con me. Era inevitabile.”

“Wow, un po’ mi sento sollevata a non essere più l’unica a mantenere il loro segreto.”

“Beh, io invece non mi sento sollevato per niente. – mostrò quanto fosse preoccupato – Sam mi ha chiesto di non intervenire, anche se mi riesce difficile ogni giorno che passa. Dice che lui e i suoi amici hanno tutto sotto controllo, ma…”

Julie si sentì come attaccata: “Ascolta, se sei venuto qui per giudicarmi, ti fermo subito: io ho offerto loro il mio aiuto, ma in cambio volevo tutta la verità. Mi hanno raccontato di A, ma c’era molto di più. - si sfogò – La sera che ho lasciato Rosewood, dovevano passare da me e raccontarmi tutto il resto, ma non l’hanno fatto.”

“Se non sono venuti da te è perché A li ha distratti con uno dei suoi macabri giochi. – il suo volto cambiò, angosciato – Non hai idea di cosa hanno passato da quando te ne sei andata.”

“Tipo?”

“Tipo che A ha ucciso una persona e ha costretto i ragazzi a seppellirla nel bosco. Il corpo era suddiviso in quattro borsoni.”

Quella si portò una mano alla bocca, sconvolta: “Oh mio Dio…”

“Già, Oh mio Dio! – sottilineò, portandola a rendersi conto della gravità della situazione – Se sono venuto qui da te è perché sei l’unica persona che sa quello che so io, e che tiene a quei ragazzi e che può fare qualcosa per aiutarli.”

“Aiutarli, come? Non possono rivolgersi alla polizia, sai perfettamente che A ha qualcosa contro di loro, perciò…”

“Sì, i video di quella sera, lo so!” si lasciò sfuggire.

“Un secondo, ma… - percepì qualcosa di strano – Esattamente, cosa sai?”

Wesam rimase in silenzio, colto alla sprovvista. La donna si alzò dalla sedia, incredula.

“Oh mio Dio, ma tu sai proprio tutto. Anche quello che io non so! – esclamò, allontanandosi dalla tavola, basita – Caspita, ho chiesto loro mille volte di dirmi cosa nascondessero e che di me potevano fidarsi… Poi arriviti tu e boom, ti raccontano tutto? Davvero, non ho parole!”

“Sto con Sam! – rivelò a bruciapelo – Ho una relazione con Sam; per questo si è aperto con me, raccontandomi ogni cosa. I suoi amici non sanno che io so.”

L’altra si voltò, sconcertata: “Tu… stai con… Sam? – trovò assurdo - Ma quanti anni hai?”

“La cosa non è rilevante in questo momento: è successo! – cercò di nascondere il suo imbarazzo - Il punto è che hanno bisogno d’aiuto e io non riesco a starmene con le mani in mano.”

“E cosa vorresti fare? Lo sai che è stato A a far esplodere la scuola, vero?” gli fece notare quanto fosse pericoloso intromettersi.

“Lo so perfettamente, ma ci sarà pur qualcosa che possiamo fare. – insistette, determinato - Insomma, A è ossessionato da loro quattro. Li tiene d’occhio in ogni momento, ma… Non può avere occhi ovunque, no?”

Julie si lasciò incuriosire: “Vai avanti... ”

“Potremmo agire in maniera parallela, scoprire delle cose per conto nostro. A è troppo impegnato a star dietro loro per accorgersi di noi due.”

“Parli di una specie di Anti A-team?”

“Ascolta… - sospirò, preoccupato – Credo che Sam mi stia nascondendo altre cose. Nuove cose. E secondo me, teme di dirmele perché potrei seriamente intervenire.”

“Quindi quale sarebbe il piano?”

“Tu sai di Rosewood-riservato?”

Quella cercò di ricordare: “Ehm, sì, vagamente… E’ un file che i ragazzi speravano di trovare nella panic room. Secondo loro, quei file potevano contenere il motivo per cui A li ha presi di mira in maniera così feroce.”

“Beh, Rosewood-riservato è una raccolta di segreti creata dal loro amico Anthony. – le rivelò – Il ragazzo portava delle persone in un bosco e faceva con loro dei giochi. Era un luogo isolato, Sam ha detto che era recitanto e che non si poteva fuggire. Chi ci è finito, doveva confessare il segreto di qualcuno che conosceva in cambio della libertà.”

“Credi che… - si portò una mano alla bocca, sconvolta – Credi che Anthony torturasse quelle persone?”

“Non ne ho idea, Sam mi ha detto di aver parlato con qualcuno che ci è stato. In ogni caso, A sa di questa cosa e pare ci sia anche un complice.”

“Di Anthony?”

“Sì.”

“Credeva fosse uno dei ragazzi, visto che erano suoi amici. Da allora, Sam e gli altri hanno cercato di dimostrare il contrario e il loro piano attuale è scoprire chi è questo complice e farlo sapere ad A. Credono che dopo questo, li lascerà in pace.”

“Quindi A non li sta perseguitando perché pensa che abbiano ucciso qualcuno, vero? Tipo Albert.”

“Come sai di Albert?” domandò, sapendo già tutta la verità sul suo omicidio.

“Beh, ho vissuto abbastanza a Rosewood da informarmi sulle notizie più recenti. – spiegò – I ragazzi mi hanno chiesto di creare loro un alibi per la notte del suo omicidio, un falso scontrino, quindi ho pensato che potessero essere coinvolti nel suo omicidio.”

“Julie, io so tutto, ma non c’è bisogno che ti debba raccontare la verità. In ogni caso, ho promesso a Sam di non fare parola di nulla con nessuno, su quello che mi ha detto. – cercò di incoraggiarla – Perciò, devi fidarti di me. Ti assicuro che loro sono innocenti, nonostante abbiano fatto degli errori: errori che farebbe qualsiasi persona alla loro età.”

A quel punto, Julie sospirò, restando in silenzio per qualche secondo: “… D’accordo, ti credo. La domanda è: mentre i ragazzi cercano di scoprire chi è questo complice, noi che facciamo?”

A possiede dei video su quella notte; sono dei video che potrebbero incastrarli ed è con questo che lui o lei li ha tenuti in pugno fino ad ora.”

“Pensavo che i ragazzi avessero le idee chiare sull’identità di A.”

“Beh, non credo siano convinti fino in fondo sulla sua identità. Sono più concentrati a come liberarsi del loro persecutore, adesso. Quindi, per me, può essere chinque: anche una donna.”

“E vuoi che noi scopriamo questo?”

“Non proprio. Voglio solo recuperare il materiale che A possiede sui ragazzi. – illustrò il piano - Senza prove, non ha più potere su di loro: diventerebbe in automatico una persona che perseguita degli adoloscenti senza validi motivi.”

“E l’uomo che hanno seppellito? A può tenerli in pugno anche con quello, ci sono troppe cose a cui pensare!”

“Se troviamo il covo di A, troveremo anche delle prove che lo incriminano. Insomma, prima di consegnarlo ai ragazzi, l’ha ucciso con qualcosa: un’arma con sopra le sue impronte, intendo; non può non aver lasciato una minima traccia di sé.”

L’altra, eccitata dall’impresa, cercò di fare il punto della situazione: “Quindi se troviamo il suo covo, possiamo eliminare tutto quello che possiede contro i ragazzi e incastrare lui… o lei… o qualsiasi cosa esso sia, giusto?”

“Il piano è questo! - ribadì – Noi non siamo previsti, A non se lo aspetta. Possiamo agire indisturbati, mentre lui è concentrato su Sam e gli altri.”

Dopo essersi convinta che potevano farcela, Julie vollè togliersi ogni dubbio: “C’è altro che devi dirmi su loro quattro?”

“Questo è tutto quello che devi sapere. Per il resto, devi fidarti di me; come ti ho detto, hanno fatto degli sbagli, ma non meritano la galera.”

Julie, allora, annuì, fidandosi del tutto: “Ok ok… Allora, per prima cosa, ho bisogno che quando incontrerai Sam, tu metta un dispositivo che ti darò sul suo cellulare; mi servirà per importare tutti i dati sul mio computer: in questo modo, conosceremo i loro spostamenti, vedremo i messaggi di A e quant’altro. In ogni posto in cui si troveranno, quel mostro sarà sicuramente nelle vicinanze.”

“Perfetto!”

 

*

 

La sera calò su Rosewood. Carter Havery rientrò a casa sua di malumore, raggiungendo la cucina a passo nervoso. Sam, che era in salotto a fare i compiti, lo vide passare, e quel suo atteggiamento non passò inosservato; tant’è che si alzò per andare a vedere cosa fosse successo, lasciando i suoi libri aperti.

“Papà, è tutto a posto?” lo sorprese alle spalle, mentre quello aveva appena aperto il frigiorifero; tirò fuori una lattina di birra.

“Oh, sei a casa! – esclamò quasi sorpreso, pungente – Questa è una novità!”

“Ehm, stavo studiando… - notò che aveva qualcosa di strano – Papà, va tutto bene? Mi sembri di cattivo umore.”

L’altro prese un respiro, esaurito: “Niente, è solo che a lavoro…”

“Sì…?” lo incitò a continuare, curioso.

“Mi hanno negato quella promozione che aspettavo da mesi, ormai.”

“Cavolo, Papà, mi dipiace… - nonostante ciò, si sentì leggermente sollevato dal fatto che non fosse nulla di grave – E come mai?”

“Non lo so, forse non ho fatto abbastanza. Forse pensano che ancora non me lo meriti, anche se… - si infuriò nuovamente – Ho dato tutto me stesso in questo lavoro, da quando sono tornato in servizio dopo la morte di tua madre.”

“Vedrai che ci ripenseranno.” cercò di consolarlo, mentre l’altro sorseggiava la sua birra, più calmo.

Improvvisamente, il telefono dell’uomo suonò: ricevette un messaggio importante.

“Accidenti, devo tornare in centrale…”

Sam sfoggiò un sorriso ebete: “Che c’è, ci hanno ripensato sulla tua promozione?”

“No, è solo che sono arrivati due agenti dell’FBI da New york e pare che il nostro distretto abbia agganciato un grosso caso. Serve una squadra.”

“U-una squadra? – balbettò Sam, d’un tratto preso dal nervosismo – Una squadra per cosa?”

Carter si avvicinò a lui, mettendogli una mano sulla spalla: “Sam, credo sia meglio che tu torni a studiare. Non posso trattennermi, mi dispiace. – accennò un sorriso di circostanza – Mi raccomando, chiudi bene la porta e non fare tardi a letto.”

“Ehm, ok. Ok.” dovette eseguire, abbastanza teso.

Carter uscì, e come da richiesto, Sam chiuse bene la porta. In quell’istante, poggiando la schiena su di essa, pensò a cosa stesse accadendo e a cosa fosse trapelato dall’arrivo dei due agenti. Iniziò, così, ad andare in paranoia.

 

*

 

Appena scesi dall’auto di Rider, lui ed Eric erano nel quartiere del cugino di Nathaniel, diretti verso la sua abitazione.

Mentre attraversavano la strada, Eric era intento a rispondere ad un messaggio.

“Forse dovresti spegnerlo. – gli suggerì Rider, guardandosi attorno – Potresti meravigliarti delle vecchiette che vivono da sole: sentono persino il respiro delle piante.”

“Un secondo, finisco di rispondere ad Antonio. Domani c’è la serata karaoke e vuole che io mi esibisca; Alexis deve avergli parlato delle mie doti canore, a quanto pare.” ribattè infastidito, ogni volta che parlava di quell’uomo.

“Lo sai che domani dobbiamo catturare Clarke, vero? – si preoccupò per la riuscita del piano – Insomma, Clarke non resterà a Rosewood per sempre; ha una vita fuori da qui, rispetto a noi povere anime.”

“Tranquillo, non mancherò. – mise via il telefono – Non sono di turno domani, farò solo qualche canzone e poi potrò andarmene.”

Improvvisamente, iniziò a squillare il telefono di Rider, che recuperò in fretta e furia.

“Fortuna che ero io a dover spegnere il telefono!” esclamò Eric, seccato.

“E’ Violet! – rifiutò la chiamata – Dovevamo uscire stasera, ma mi sembra di averle detto chiaramente che la chiamavo io per aggiormenti.”

“E’ buffo come un tempo non ti sopportasse, mentre ora è interessata a te solo perchè ha avuto a che fare con una nuova versione di… te!”

“Con nuova versione di me, intendi Nolan?”

“Conosci altre versioni di te, per caso?” replicò con enfasi, mentre erano nel portico di Tyler.

“Allora… - si concentrò Rider – La chiave è sotto il vasetto che c’è sul bordo della finestra.”

Eric si avvicinò a quel vasetto, recuperandola: “Eccola qui!”

Quando furono dentro, Rider provò ad accendere la luce; ma non c’era corrente.

“Ovviamente! - esclamò sbuffando – Usiamo la luce dei telefoni.” suggerì.

I due, con la scarsa illuminazione dei loro schermi, si addentrarono, diretti in cantina.

“Sei sicuro che qui troveremo quello che ci serve?” domandò Eric, mentre il parquet, sotto i loro piedi, cigolava ad ogni passo.

“Sam ha detto che quando venne qui con Nathaniel, gli sembrò di aver visto in cantina una scatola di M99, il farmaco che ci serve per addormentare Clarke.”

“Perché Clarke teneva l’M99 in casa? – pensò, abbastanza perplesso - A cosa gli serviva?”

“Magari non serviva a lui…” insinuò.

“Un secondo, pensi che servisse ad Anthony?” colse la sua allusione, mentre scendevano per le scale.

Rider, davanti a lui, ne era più che certo: “Deve averlo chiesto a Tyler per paura che A lo catturasse di nuovo.”

“Per addormentare A? Dubito che sia così stupido da farsi mettere fuori gioco.”

“Beh, se nascondi la siringa sotto la manica, non è così impossibile.”

Giunti di sotto, puntarono la luce ovunque.

“Tyler si è deciso a ripulire questo posto. – notò Eric – Sam e Nat ce l’avevano descritto come un after-party.”

“L’avevo già intuito dal lucchetto assente, quando siano entrati. Se fuggi da Rosewood a gambe levate, non lasci la spazzatura in giro per casa; e con spazzatura non intendo la spazzatura vera, ma i tuoi sporchi segreti.”

Iniziarono a cercare, girovagando per la stanza.

“Come mai non è venuto Sam al posto mio? L’ha vista lui la scatola con dentro l’M99, noi non sappiamo nemmeno dove guardare.”

“Gliel’ho chiesto, ma ha preferito restare a casa a studiare. Dice che deve recuperare biologia prima che la ruota di A si sposti sulla sua faccia.”

“Comprensibile… - sospirò, continuando a cercare – Allora, hai già pensato a come faremo con Clarke? Di certo non possiamo infilzarlo con una siringa al collo nella hole del suo albergo.”

“Prima di tutto dobbiamo pensare a Chloe: lei è la ragione per cui Clarke è qui a Rosewood, perciò staranno sempre insieme.”

“Quindi infilziamo anche Chloe?”

“No, Chloe dovrà trovarsi a casa di Sam mentre noi facciamo i Dexter Morgan della situazione.”

“E Sam conosce questa parte del piano? Lo sai che non si parlano da tempo.”

“No, non la conosce. Però se vuole tornare ad alzare la sua media dei voti senza fare pause di occultamento cadaveri, deve sottostare alla cosa. La priorità è liberarci di A!”

Eric illuminò un ripiano che catturò la sua attenzione, nel mentre: “Ehi, qui ci sono delle scatolette. Presto, vieni a vedere!”

Rider si avvicinò, tirando giù da quel ripiano scatole e flaconi. Sembrò aver trovato ciò che cercava.

“Ecco l’M99!” esclamò, iniziando ad aprire la scatola.

“Spero che Anthony non l’abbia preso tutto!” incrociò le dita, Eric.

“Una fiala! – esultò Rider, tirandola fuori – E ci è andata bene se conti che in questa scatola ce ne dovrebbero essere tre.”

I due si guardarono, dopo quel momento di euforia; fecero largo ansie e paure.

“Cazzo, Rider, lo stiamo per fare davvero? Stiamo per drogare un uomo e consegnarlo ad un assassino?”

“Non dirlo, non voglio che la cosa mi entri in testa e mi crei timori. Voglio solo fare questa cosa e tornare alla mia normale e noiosissima vita di un tempo.”

Eric deglutì a fatica, ma era pronto: “Sì, anch’io…”

Entrambi convinti di ciò che dovevano fare, misero l’M99 in tasca senza persarci due volte e sgattaiolarono via.

 

*

 

Con suo padre bloccato tutta la notte in centrale, Sam pensò di andare da Wesam. Nel bel mezzo delle scale, ricevette una chiamata da parte di Nathaniel.

“Ehi, ciao, che succede?” rispose con l’affanno.

“Sto per andare al deposito!”

Sam si fermò di colpo, sgranando gli occhi: “Cosa? – tuonò – Nathaniel, non puoi andarci, è il momento peggiore per fare una cazzata simile!”

“Non ce la faccio, non riesco a non pensare alla polizia che entra in quel deposito e che trova il mio ritratto lì dentro.”

“Bene, allora pensa alla polizia che trova lì dentro sia te che il ritratto: è molto peggio, fidati!”

“Perché stai ansimando? – sentì attraverso il telefono – Che stai facendo?”

“Ehm, niente, sono solo uscito a buttare la spazzatura.” mentì.

“Senti, non riesco a dormire! – impanicò – Continuo a guardare sul mio telefono quella stupida ruota che punta sulla mia faccia e… Ti giuro, non riesco davvero a respirare. Ho già perso abbastanza per finire anche in galera per un omicidio che non ho commesso!”

“Nathaniel, per favore, fai come ti dico! – cercò di convincerlo - Devi riposarti, ok? Sei appena uscito dall’ospedale.”

“Te l’ho detto, non riesco a dormire! – ribadì ancora una volta – E poi da quando Eric ha detto di aver visto quei due agenti al Brew, sto letteralmente uscendo fuori di testa.”

“Beh, tu provaci a dormire! Questa cosa non riguarda solo te, d’accordo? Se uno di noi sprofonda, sprofondiamo tutti insieme. Non importa se ci sei tu sopra quel dipinto: è come se ci fossimo dipinti anche noi.”

Nathaniel si placò, finalmente: “…Va bene, d’accordo. E’ solo che… beh, lo sai perché ho reagito così.”

“Certo che lo so, Nat. – non lo biasimò – Siamo tutti minacciati dalla stessa persona. E credimi, anch’io sto impazzendo, ma dobbiamo restare lucidi finchè questa storia non sarà finita.”

“Per fortuna non sono solo in questa storia. – disse con tono più docile, riferendosi soprattutto a Sam - Se non avessi qualcuno da chiamare e che sa esattamente cosa sto passando, probabilmente avrei fatto qualche sciocchezza.”

“Già, anch’io sono contento di non essere solo. – si sentì a disagio per quelle parole così premurose - Ora, però, promettimi che non dovrò venire fino a casa tua per incatenarti al letto.”

“Te lo prometto… – sospirò – Ora mi rimetto a dormire.”

“Ok. A domani.”

“A domani, Sam.”

Quando mise il telefono giù, Sam raggiunse l’appartamento di Wesam, entrando con la chiave sotto lo serbino.

Wesam era sul divano che guardava la televisione in maniera spaparanzata, la mano immersa in un pacco di patatine; l’uomo si voltò a guardarlo, sorpreso di vederlo.

“Che ci fai qui? – si mise più composto, guardando l’orologio – Tuo padre non è a casa a quest’ora?”

“No, l’hanno chiamato in centrale. – si mostrò spaventato – Temo che stia accadendo!”

Wesam corse subito al suo fianco, preoccupato: “Sam, di cosa parli?”

Sam iniziò a tremare, piangendo in maniera isterica: “Ho appena mentito a Nathaniel al telefono, non so cosa fare, dovrei dirglielo, dovrei dirlo ai miei amici…”

L’altro lo prese per le spalle con forza, confuso: “Sam, di cosa stai parlando?”

“Ci sono due agenti dell’FBI a Rosewood e mio padre è stato chiamato per qualcosa di grosso. Sono qui per Edward, non c’è ombra di dubbio!”

“Adesso calmati!”

“No, non posso calmarmi! – si agitò usando toni alti - Sta per scoppiare una bomba, ok? E’ finita!”

“Senti, sediamoci un secondo e cerchiamo di trovare una soluzione, prepararci all’eventualità che…”

“Andrò in galera? – non lo lasciò finire, suscettibile – E’ questo che stavi per dire?”

“No, non stavo per dire quello. – si sentì messo in difficoltà - Dico solo che dobbiamo discutere su come devi comportarti per stare il più lontano possibile da queste indagini. Ok, avete seppellito voi il cadavere, ma la polizia questo ancora non lo sa.”

“Wesam, ti ricordo che c’è anche A! Probabilmente starà già concentrando tutte le sue forze per portarli a noi quattro e godersi il nostro arresto da un albergo a Tahiti.”

Wesam tentò ancora di calmarlo: “Ti stai fasciando la testa ancora prima di essertela rotta, Sam.”

“Senti, vado un attimo in bagno a sciacquarmi la faccia. – tolse il cappotto e lo poggiò – Magari quando torno, sarò meno teso e potremo parlare senza che io senta questo groppo in gola che mi segue da tutto il giorno… Non ti dispiace se resto da te per un paio di ore? Poi torno a casa mia, giuro.”

“Sam, tranquillo, puoi restare qui quanto vuoi.” gli fece sapere, premuroso.

Quando Sam si allontanò, dopo aver accenato un sorriso molto rigido, Wesam aspettò di sentire l’acqua scorrere prima di avvicinarsi di soppiatto al cappotto del ragazzo, recuperando il suo telefono; dalla sua tasca tirò fuori un piccolo dispositivo, che attaccò sul telefono in un punto ben nascosto per trasmettere dati al computer di Julie.

 

*

 

Nonostante avesse promesso a Sam che non si sarebbe mosso di casa, Nathaniel tirò fuori da sotto al letto un borsone; dentro c’erano delle cose che aveva preso dal garage e che li sarebbero servite per scassinare il deposito di Edward.

Vestito e con il borsone stretto in una mano, iniziò a scendere le scale con molta cautela; era all’incirca mezzanotte.

Improvvisamente, però, dovette fermarsi: gli sembrò di sentire qualcuno piangere.

A quel punto, lasciò il borsone e scese più giù, avviandosi verso la cucina; chi stava piangendo era sua madre, seduta davanti al tavolo e al buio.

Nathaniel accese la luce e si rivelò a lei, assai stranito: “Mamma… – quella si voltò – Ma che succede?”

“Oh, Nathaniel… - si alzò, continuando a piangere – Tesoro, devo dirti una cosa.”

“Così mi spaventi…”

“Riguarda tuo padre. – singhiozzò – Credo che abbia ripreso a bere.”

“Ne sei sicura?” si avvicinò a lei.

“Ormai sono mesi che non torna a casa la sera. Chiuso il ristorante, resta lì ad ubriacarsi e Dio solo sa se esce con la macchina nel cuore della notte.”

“Sei mai andata? Al ristorante, dico.”

“Sì, una volta. – spiegò – Era qualche giorno dopo Natale, tu eri ancora in coma. Quando sono arrivata lì, era quasi l’una di notte e c’era Jamie. Mi ha detto che tuo padre era uscito e che gli aveva detto di chiudere al posto suo. Ovviamente non li ho chiesto se fosse ubriaco quando gli ho parlato, non ho avuto il coraggio, però…”

“Però, cosa?”

“Jamie era strano, era come se si vergognasse. Forse non voleva dirmi che tuo padre era ubriaco.”

“Ok, adesso vado al ristorante. – si mossè, pronto ad uscire - Papà non può esserci ricaduto di nuovo, non dopo tutti quei mesi passati in quella clinica!”

“Un secondo, ma… - lo squadrò dalla testa ai piedi – Tu sei già vestito, come mai?”

Quello si fermò, schivo: “Ehm…volevo solo uscire a fare due passi.”

“Chiamo Courtney, così ci andate insieme. – si avvicinò al telefono - Io non me la sento di vedere tuo padre in quelle condizoni, non un’altra volta.”

Nathaniel annuì, prendendo le chiavi della macchina: “Dille di raggiungermi.”

“Ce la fai? Sei appena uscito dall’ospedale.”

“Sì, posso guidare. Tranquilla.” e uscì, dopo averla rassicurata.

 

*

 

Abbracciati sul divano, mentre in televisione davano un film in bianco e nero degli anni ’50, Sam si addormentò con la testa poggiata sul petto di Wesam.

L’altro, rimasto sveglio, scivolò via, stendendo Sam con delicatezza. Dopo essersi assicurato che dormisse davvero, prese il telefono e chiamò qualcuno.

“Pronto?” rispose una voce femminile, quella di Julie.

“Allora? Ha funzionato?”

“Sì, ha funzionato. Tutti i file presenti nel telefono di Sam, ora sono sul mio computer.”

“Hai trovato qualcosa di cui non siamo a conoscenza?”

“Ehm… ci sono molti messaggi minacciosi; da gelare il sangue, se devo essere sincera. A parte quelli, c’è una cosa che devi vedere. Puoi passare da me, domattina?”

“Certo! Assolutamente!”

“Lui non si è accorto di nulla?”

“Era in bagno quando ho messo il chip nel suo telefono.”

“E avete…???” fece un’improvvisa allusione, decisamente fuori luogo.

Wesam sussultò, leggermente imbarazzato: “Non credo che siano affari tuoi, e comunque: NO!”

“Scusa scusa scusa, e che… Scusa, devo ancora abituarmi al fatto che sono a conoscenza di una relazione alquanto proibita, dal momento che lui è un tuo paziente minorenne!”

“Minorenne? Compie diciotto anni fra soli due mesi!”

“Ah, beh, allora tutto a posto!” rise in maniera molto ironica, anche se mortificata.

Messo a disagio, Wesam preferì chiudere: “…Julie, ci sentiamo domani, ok?”

“Sì sì, certo. E scusa. Scusami se… - capì di essere diventata troppo logorroica – Beh, ciao!” e chiuse.

Facendo un lungo sospiro, Wesam lasciò il telefono e si voltò a fissare Sam; un sorriso gli comparve spontaneamente, mentre quello dormiva beatamente.

Improvvisamente, Sam si mossè, borbottando qualcosa.

“Nathaniel… Ti amo, Nathaniel…Svegliati, ti prego…”

La delusione negli occhi di Wesam, si fece immediatamente largo. Abbassando lo sguardo, però, non si sentì per nulla sorpreso nel sentire quelle parole; aveva sempre saputo, fin dall’inizio, che nel cuore di Sam c’era più di una persona. O, forse, solo una.

 

*

 

Nella sua stanza, intanto, Rider stava facendo la sua prima seduta. Sdraito ad occhi chiusi sul suo letto, ascoltava le parole di suo zio, seduto su una sedia accanto a lui.

“Cosa vedi?” iniziò, avviando la registrazione.

“Sono in giardino, fa caldo. – rispose Rider con gli occhi chiusi, in trance – Vedo Lindsey che gioca con la palla, non sono molto lontano da lei… Sono arrabbiato.”

“Sei arrabbiato perché non sta giocando con te? C’è qualcuno con lei?”

“No, non sono arrabbiato con lei. Non trovo il mio gioco, lo sto cercando da ore.”

“Che cos’è?”

“Un camion dei pompieri; me l’ha regalato papà, ci sono affezionato.”

“E chi pensi te l’abbia preso?”

“Non lo so… - strinse gli occhi, si sforzò di ricordare – Però so dove andare.”

“Aspetta, non muoverti. Resta dove sei. – gli ordinò – Sei proprio sicuro che Lindsey non stia giocando a palla con qualcuno?”

Si concentrò, allora: “… Sta ridendo, continua a giocare con la palla… però c’è come un…”

“Un…?”

“C’è come un’ombra che gioca con lei.”

“Ha delle sembianze umane quest’ombra?”

“Non voglio più restare qui, devo andare da un’altra parte!” si agitò.

“D’accordo, dove vuoi andare? Dimmi dove stai guardando adesso.”

“Sto guardando la casa dei vicini. – Rider era sempre più rigido e ansioso - Devo andare lì, sento che devo andare lì.”

“Sei sicuro di non voler andare prima da tua sorella?”

“Non ci voglio andare, ho detto!”

“Girati un secondo, concentrati bene su quell’ombra che è con lei. Solo per un secondo.”

Rider cominciò ad ansimare, sempre più nervoso: “Ok, li sto guardando. Li sto guardando.”

“Osserva bene l’ombra. Chi è?”

“Non lo so chi è, non ha volto!”

“Sì, che lo sai!” alzò la voce.

“Non lo so!” urlò disperato.

“Guarda bene!”

“E’ Nolan! – esclamò a squarciagola – Nolan è l’ombra che gioca con Lindsey! E’ Nolan!”

“Bene, ora svegliati!” gli ordinò con un tono più basso.

Rider aprì gli occhi di colpo; tutte quelle emozioni che aveva provato, svanirono.

“Non avevo mai provato nulla di simile, è stato strano. – si sollevò, riprendendo fiato – Era come se fossi davvero lì, in quel giorno, in quell’esatto istante.”

“Ti sei ricordato di Nolan, l’hai finalmente visto. – scrisse qualcosa sul suo taccuino - Raggiungeremo tutti gli obbiettivi della seduta a piccoli passi. Domani continueremo.” spiegò, fermando la registrazione.

Rider annuì, abbassando lo sguardo; quel primo passo fu già abbastanza intenso, perciò non riusciva nemmeno ad immaginare come sarebbero stati quelli successivi: i più importanti.

 

CONTINUA NEL DICIOTTESIMO CAPITOLO

 

 

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Capitolo 19
*** 1x18-99 problemi ***


CAPITOLO DICIOTTO

“The Wrath of A (Part II)”

 

 

Nathaniel arrivò davanti alle porte del suo ristorante, frettoloso; aveva appena scoperto da sua madre che suo padre aveva ripreso a bere e che per settimane rientrava tardi a casa.

Quando le trovò chiuse, provò subito a forzarle con violenza, finchè Courtney non arrivò alla sue spalle a fermarlo.

“Nat, basta, così ti farai male!” lo tirò per un braccio.

“Le luci sono accese, dobbiamo entrare!” si agitò.

“Proviamo ad entrare dal retro.” suggerì Courtney.

Dopo averlo fatto, i due trovarono facile accesso e passarono dalle cucine; arrivati in sala, poi, si trovarono davanti Jamie, il loro assistente manager, che, alla svelta, chiuse la cassa del ristorante, mentre Kevin era incosciente su uno dei tavoli.

Nathaniel fulminò immediatamente Jamie, aggressivo: “Che sta succedendo qui dentro?”

“Accidenti, Kevin!” esclamò Courtney, correndo verso suo cognato con apprensione; accanto alla sua testa aveva un bicchiere e una bottiglia di Vodka vuoti.

Jamie, nervoso, indietreggiò verso le porte d’ingresso, nascondendo i contanti, che aveva appena rubato dalla cassa, dietro la schiena.

“Stavi rubando, eh? – Nathaniel avanzò lentamente, serio nel tono - Ti abbiamo visto, sai? Eri vicino alla cassa e ora stai nascondendo dietro la schiena i soldi che hai appena rubato.”

“Ascolta, ok, è vero! – alzò entrambe le mani, stringendo i contanti in una mano – Facciamo, però, che io li lascio, me ne vado per sempre e voi non mi denunciate.”

“Non è la prima volta che lo fai, vero?” continuò Nathaniel, furioso, che di tanto in tanto dava un’occhiata a suo padre e a come era ridotto.

“Tuo padre non mi ha pagato questo mese, stavo solo prendendo ciò che mi spetta.” si giustificò, poco credibile.

“Il ristorante va bene, stai mentendo. – intervenne Courtney – Perché Kevin non avrebbe dovuto pagarti?”

“Dovevo immaginarlo che c’era qualcosa di strano. - Nathaniel continuò ad avanzare, mentre l’altro indietreggiava – Quel giorno, quando sono venuto qui al ristorante, stavi parlando al telefono con qualcuno. Ed eri parecchio nervoso.”

 

FLASHBACK

 

Dopo aver chiesto al cuoco dove fosse Jamie, Nathaniel si diresse sul retro a cercarlo; quando lo trovò, lo vide in lontananza, impegnato in una conversazione abbastanza animata.

“Ti ho detto di darmi altre due settimane, va bene? Ancora non li ho tutti, dammi solo altre due settimane, ok?”

Quando si accorse della presenza del ragazzo alle sue spalle, si ricompose, chiudendo in fretta la chiamata.

“Ti richiamo, ok? – si grattò il capo, nervoso – Ci sentiamo!”

Rimesso il telefono in tasca, corse verso Nathaniel, che l’aveva fissato serio per tutto il tempo; si vestì di un sorriso imbarazzato, arrivando accanto a lui con il fiatone.

“Ehi, tutto bene? Che ci fai qui?”

“Controllo!” esclamò, cinico.

“Ti ha mandato tuo padre?”

“A quanto pare, sì… - mentì, guardandolo storto - Sai, mio padre ci tiene a questa attività, perciò…”

“Beh, come puoi vedere va tutto bene… - sorrise ancora, ignorando l’ostilità che percepiva – E per quanto riguarda quello che hai appena sentito, beh…Mia sorella! – sollevò le sopracciglia, marcando il classico rapporto conflittuale tra fratelli – Colleziona monete antiche e le ho detto che da queste parti ci sono molti mercatini delle pulci. Da quando le ho mandato le prime due monete, si è fissata con il fatto che ce ne siano tipo altre nove per completare la collezione e ora mi ritrovo a girare anche per i negozi di antiquariato.”

Nathaniel annuì, sempre in maniera cinica e disinteressata: “Interessante… - il silenzio che si creò lo costrinse a congedarsi – Beh, direi che la mia supervisione è finita!”

Quello rimase impalato, annuendo con quel costante sorrisino da ebete che aveva mantenuto per tutta la conversazione, come se nascondesse del nervosismo.

Nathaniel si voltò per andarsene, quando il suo sguardo si posò sulla spazzatura di fianco, che strabordava di qualche bottiglia di Vodka.

Immediatamente si voltò di nuovo verso Jamie: “E tutte quelle bottiglie?”

Jamie rispose prontamente: “Ehm, ci sono ricette che richiedono un goccio di Vodka!”

“Un goccio? – si lasciò sfuggire una piccola risata nel dirlo – Sono quattro bottiglie, è una ricetta per alcolizzati, per caso?”

“Devono essersi accumulate in cucina con il tempo. Da quando lavoro qui ho trovato parecchie cose che andavano buttate.”

“Mh – verseggiò, poco convinto – ok!” si girò verso la spazzatura per la medesima volta, poco prima di andarsene per davvero, turbato dalla visione di quelle bottiglie; tant’è che gli tornò a galla un vecchio ricordo: il periodo di alcolismo di suo padre.

 

“Non eri al telefono con tua sorella, vero? – intuì Nathaniel, intimidendolo – Forse nemmeno ce l’hai una sorella. – Jamie deglutì con fatica, sudando – E quelle bottiglie di Vodka non servivano per una ricetta, ma per far ubriacare mio padre, mentre tu ci rubavi ogni giorno una parte degli incassi.”

“Te l’ho detto, me ne vado. – ripetè ancora, vicino alla porta - Non mi rivedrete mai più.”

“Questo è poco ma sicuro, brutto ladro!” esclamò Courtney.

Improvvisamente, l’uomo si girò velocemente per fuggire, ma Nathaniel non glielo permise, correndo contro di lui.

Courtney gridò, non appena lo vide prendere la rincorsa: “Nathaniel, NO!”

Buttandosi su Jamie con violenza, i due sbatterono contro le porte, sfondandole.

Finiti all’esterno del ristorante, entrambi erano a terra con addosso numerosi frammenti di vetro; Jamie si risollevò in fretta, inciampando diverse volte prima di riuscire a scappare; Courtney si affacciò fuori, aiutando Nathaniel.

“Oh mio Dio, stai bene?”

“Non la farà franca!” si alzò dolorante, scivolando via dalla presa di sua zia.

“No, Nathaniel, torna qui!” gli urlò, mentre quello correva via incallito.

Jamie, intanto, non arrivò molto lontano visto che Nathaniel riuscì a raggiungerlo.

“Fermati, bastardo!” gli gridò.

A quel punto, Jamie si voltò a controllare quanto gli fosse vicino, poco prima di attraversare la strada, e quando riportò lo sguardo davanti a sé, una macchina frenò bruscamente contro di lui, prendendolo in pieno.

Nathaniel, sconvolto dalla scena, si fermò poco prima di scendere dal marciapiedi. Mentre il conducente della vettura stava scendendo, Courtney raggiunse il nipote, trovandosi anch’ella davanti a quella scena.

“Oh mio Dio…” restò agghiacciata, portandosi una mano alla bocca.

Scosso, Nathaniel le spiegò cos’era appena successo: “Si è girato un attimo a guardarmi e la macchina è sbucata fuori dal nulla.”

“Non è colpa tua.” gli mise una mano sulla spalla.

“Ehi voi, aiutatemi! – gridò loro il conducente dell’auto, chinato di fianco a Jamie – Non respira, non sento il battito, chiamate il 911!”

“E’ morto?” sgranò gli occhi Nathaniel, incredulo, domandando alla zia con un filo di voce.

Courtney recuperò immediatamente il telefono, incredula quanto lui: “No, non può essere morto. Mi rifiuto di crederci.”

“E invece lo è, quel signore l’ha appena detto. – Nathaniel fissò sua zia, rigido per lo choc – L’ho ucciso io…” pensò, abbassando lo sguardo.

Quella lo fissò a lungo, finchè il 911 non rispose, chiendendo quale fosse l’emergenza.

 

 

*

 

Il giorno dopo, Nathaniel era cucina con la sua famiglia: sua zia, sua madre e Pete.

Seduto su uno sgabello con la borsa del ghiaccio sulla fronte e numerosi graffi sulla faccia, era preoccupato.

“La polizia mi chiamerà per altre domande?”

“No, poco fa ero al telefono con loro. – spiegò Claire, sua madre – Pare che Jamie avesse molti debiti e a quanto pare ha preso di mira le persone giuste per saldarli. – era furiosa, ma cercò di contenersi – Kevin deve avergli raccontanto che un tempo era un alcolista e quel verme l’ha usato a suo favore.”

Courtney si avvicinò a lei, mettendole un braccio intorno alla spalle, consolandola: “Tranquilla, ora quel verme salderà i suoi debiti all’inferno.”

“Sono solo… - Claire tentò di trattenere le lacrime, distrutta – E’ solo che… Kevin ha faticato così tanto per uscirne, mentre ora si ritrova da capo al punto di partenza.”

“E’ incredibile che la cosa sia andata avanti per tutto questo tempo. – pensò Pete, sconcertato - Eppure Jamie sembrava così un bravo ragazzo quando andavamo a pranzare al ristorante.”

“Io lo sapevo che era un tipo strano. – aggiunse Nathaniel, sprezzante – Non mi è mai piaciuto.”

Improvvisamente, Kevin entrò in cucina, trasandato dopo un discreto sonno. Tutti si ammutolirono nel vederlo, mentre quello teneva uno sguardo basso e pieno di vergogna.

“Vedo che siete tutti qui. Anche Pete.”

“Ehm, se vuoi me ne vado, non c’è problema. – si mossè Pete, sentendosi di troppo – Capisco perfettamente che questa è una discussione di famiglia.”

“Oh, no no! – lo fermò subito – Puoi restare, Pete. Ci mancherebbe.”

L’uomo allora restò, tornando dov’era.

“Allora… - continuò Kevin – Penso che ormai sappiate tutti che ho di nuovo quel problema.”

“Kevin, ascolta…” intervenne sua moglie, subito bloccata.

“No, Claire, lasciami finire. – ci tenne a farlo – Ho di nuovo quel problema, ma stavolta posso gestirlo da solo. Jamie mi faceva ubriacare e io il giorno dopo non ricordavo nulla; pensavo addirittura di essere uscito durante la notte a spendere i soldi chissà dove; a lavoro gli facevo molte domande su dove potessi essere andato e le sue risposte non facevano altro che confondermi: mi ha imbrogliato per bene!”

Preoccupato, Nathaniel volle dire la sua: “Papà, sei sicuro di poter risolvere i tuoi problemi da solo? L’ultima volta dicesti così e alla fine ti abbiamo dovuto portare in quella clinica.”

“Lo so, non sono molto credibile al momento. – cercò di essere rispettato – Ma vi chiedo di appoggiarmi, posso farcela. Ora che Jamie è fuori dalla mia vita, non c’è più niente che possa tentarmi.”

“Va bene, tesoro. – annuì Claire – Ti appoggio, hai tutto il mio sostegno.”

“Ovviamente hai anche il mio appoggio, Kevin.” si aggregò Courtney.

Kevin accennò un sorriso, per poi spostare lo sguardo su Nathaniel.

“Ho anche il tuo appoggio, figliolo?”

“Ma certo, Papà!” esclamò con scontatezza, nonostante non ne fosse del tutto convinto; la paura che non potesse farcela, aleggiava nella sua mente a macchia d’olio.

 

 

*

 

Intanto, alla Brahms, Sam stava raggiungendo la fila di studenti all’ingresso della scuola; dopo l’esplosione della Rosewood high school erano state alzate le misure di sicurezza in tutte le altre scuole nella zona, e, ogni giorno, gli studenti dovevano attraversare un metal detector.

Quando fu in fila, in attesa del suo turno, un ragazzo che era davanti a lui, con un brutto raffreddore, si girò a chiedergli qualcosa.

“Ehi, non è che per caso hai un fazzoletto?”

“Certo!” esclamò Sam, facendo scivolare lo zaino lungo il braccio, aprendo la cerniera.

Improvvisamente, mentre frugava per cercare il pacchetto, toccò qualcosa di duro e freddo. Stranito, diede un’occhiata dentro, facendo un’inquietante scoperta.

A quel punto, richiuse lo zaino con nervosismo e gli occhi ancora sgranati, uscendo immediatamente dalla fila.

“Scusa, il fazzoletto?” gli domandò quel ragazzo, vedendolo andare via.

“Ehm, scusami, non ce l’ho! Chiedi a qualcun altro!” gridò fuggendo.

Quando giunse nel parcheggio, accanto alla sua auto, Sam si guardò attorno e nei paraggi non c’era nessuno. Respirando affannosamente, tirò fuori l’oggetto che l’aveva tanto turbato: una chiave inglese; attaccata ad essa c’era una foto che raffigurava A mettere quella stessa chiave inglese in una mano di Sam, mentre dormiva profondamente nel suo letto.

Sconvolto, prese il telefono per avvertire i suoi amici, ma sullo schermo si aprì nuovamente quella ruota virtuale con le facce dei quattro ragazzo: stavolta l’indicatore si fermò su quella di Sam. E come se non bastasse, sopraggiunse anche un messaggio.

“Posso rendervi colpevoli di qualunque crimine io voglia. Consegnatemi il complice o vengo a riprendermi quella chiave inglese per mandarla alla polizia.”

-A

Sam restò a dir poco spaventato, oltre che intimidito.

 

*

 

Wesam bussò alla porta di Julie in quel primo mattino; in mano stringeva due bicchieri di caffè.

“Disturbo? – esordì non appena venne aperto – Sono venuto troppo presto?”

“No, figurati. Sebastian è uscito prima ancora che mi svegliassi: siamo soli!” esclamò, mentre si avviavano verso la postazione computer, in cucina.

“Bene, cos’hai scoperto dal telefono di Sam?” domandò, poggiando i caffè.

Quella girò il monitor del computer verso di lui: “Innanzitutto, questi messaggi!”

 

“Che gesto romantico, non trovi? Forse Nathaniel ti ricompenserà con un bacio…”

-A

“La morte è un sogno, stronzetti. E io lo renderò così oscuro da trasformarlo in un incubo senza fine. Chi sarà il prossimo a giocare con me? Sembra che Nathaniel sia riuscito a sopravvivere al suo turno, voi farete altrettanto?”

-A

“Confessare un segreto che già tutti sospettano non è un vero segreto, Sam. Rivela a Nathaniel ciò che provi per lui o ti perseguiterò per tutto il giorno.”

-A

“Hai voluto tenere la bocca chiusa? Ora ce l’hai chiusa per davvero.”

-A

“Prova a parlare con Chloe e ti faccio esplodere il braccio.”

-A

“Cos’è un ballo senza un degno finale? Se lo dite a qualcuno, il tempo si dimezzerà: trovate un altro modo per salvarli.”

-A

“Mio il cadavere, mie le regole: preparate le pale, non prendete impegni. Stanotte si scava, stronzetti!”

-A

“Jasper ora è mio. L’avete fatto accadere voi.”

-A

 

Pur sapendo ogni cosa su A, leggere quei messaggi destabilizzò Wesam e i suoi occhi divennero lucidi.

“Questi sono solo alcuni dei messaggi minacciosi mandati da questa persona. – spiegò Julie - Tecnicamente, qui A ammette di aver rapito Jasper, fatto esplodere la scuola e aver ucciso quell’uomo.”

“Sfortunatamente non possiamo usarli per andare alla polizia, i ragazzi l’avrebbero già fatto se avessero potuto.

“C’è anche un'altra cosa.  – cambiò la schermata, rivelando uno dei giochi di A – Questo l’hanno ricevuto di recente, l’ho trovato tra le email di Sam.”

“Una ruota virtuale?” constatò.

“Che in questo momento è ferma sulla faccia di Sam. Sopra c’è un comando: quello di consegnare a lui il complice di Anthony.”

“Nulla che già non sappiamo, solo che…  – mise le braccia conserte, angosciato – Quella ruota mi preoccupa. Puoi localizzare la posizione attuale di Sam?”

“Certo. -  smanettò subito sul computer – Ehm, è a Rosewood in questo momento.”

“Rosewood? – prese immediatamente il telefono, mettendolo all’orecchio – Dovrebbe essere a scuola.” trovò strano.

“Che stai facendo?”

“Lo chiamo, ecco cosa faccio. – finalmente Sam rispose, dopo vari squilli – Ehi, tutto bene?”

“Sì, perché? – rispose nervosamente, fingendosi tranquillo – Lo sai che sono a scuola, non dovresti chiamarmi.”

“Ah, sei scuola? - si guardò con Julie, sapendo che stava mentendo – Beh, se ti va possiamo vederci a pranzo. Che dici?”

“Ehm… - borbottò distrattamente, poco concentrato sulla telefonata – Senti, ascolta, devo tornare in classe. Ti richiamo stasera, ok? Ciao!” chiuse di colpo, senza aspettare una risposta.

“Ok, sta succedendo qualcosa! – esclamò Wesam, seriamente preoccupato - A sta facendo uno dei suoi giochetti, io devo andare!” si avviò verso la porta, agguerrito.

Julie lo rincorse subito, cercando di fermarlo: “No, Wesam, non puoi! – cercò di farlo ragionare, vedendolo fuori di sé – Che fine ha fatto l’anti A-Team??? Possiamo aiutare Sam e gli altri solo restando nell’ombra.”

“Questa persona è folle, dobbiamo toglierla di mezzo!” esclamò furioso.

“E lo faremo, ma non così. Non espondendoci!”

Finalmente Wesam ritrovò la calma, restando comunque in ansia: “Va bene, rimettiamoci a lavoro. Dobbiamo tenere sotto controllo il suo telefono 24 ore su 24, non ci deve sfuggire nulla.”

Quella annuì, poi tornarono finalmente alla postazione.

 

*

 

Nel pomeriggio, Rider parcheggiò l’auto nei pressi della biblioteca pubblica; era al telefono con Nathaniel, nel pieno di una conversazione delicata.

“L’assistente manager del tuo ristorante vi rubava gli incassi e ieri è morto? – rimase sconvolto da ciò che Nathaniel gli raccontò, mentre chiudeva la macchina – Caspita, stai bene?”

“Ho tutta la faccia e le braccia piene di graffi, ma sto bene… Per una volta sono contento che le mie disgrazie non siano tutte dettate da A.”

“E’ assurdo, non basta essere già perseguitati da un pazzo omicida? Ora ci si mettono anche le persone comuni?”

“Jamie non era una persona comune, era un ladro bastardo che ha rigettato mio padre nel tunnel dell’alcolismo.”

“Sicuro che A non c’entri nulla con tutta questa storia? – domandò, mentre camminava lungo il marciapiedi – Insomma, come ha fatto Jamie a scoprire il passato di tuo padre?”

“Rilassati, gliel’ha confidato mio padre. E da quel momento è partito il suo piano diabolico per sanare i suoi debiti.”

“Quindi era questo il motivo?”

“Così ci ha detto la polizia.”

“Sei stato in centrale, ieri?”

“Sì, abbiamo spiegato la dinamica dell’accadduto. A proposito, il detective Costa mi ha visto, ma sembrava distratto da altro.”

Rider sospirò, nervoso: “Dio, sarà la centesima volta che vede le nostre facce lì dentro.”

“Tu dove sei, piuttosto?” si accorse dei rumori della città.

“Sto andando in biblioteca: devo studiare il giusto dosaggio dell’M99 se non voglio rischiare di uccidere Clarke e consegnare ad A un cadavere con cui non può giocare.”

“Io vi servo per stasera?”

“No, resta pure a casa a riposarti. Ce ne occupiamo io, Eric e Sam.”

“Quindi avete un piano?”

“Per rapire Clarke? Beh, dopo mi vedrò con gli altri e ti metteremo in vivavoce per i dettagli.”

“Speriamo che fili tutto liscio.” sospirò Nathaniel.

“Lo spero anch’io. Se tutto va bene, saremo finalmente liberi da A.”

“Allora vivrò di speranza finchè non mi direte che è tutto finito.”


“Sai, chi di speranza vive, disperato muore: perciò è meglio non sperare troppo. – preferì non essere eccessivamente fiducioso – Ehi, sono davanti alla biblioteca. Ci sentiamo dopo!”

“Ok, dopo!” chiuse Nathaniel.

Subito dopo, Rider mise il telefono in tasca e iniziò a salire le gradinate; improvvisamente, su quella strada, passò un camion dei pompieri con la sua assordante sirena. Rider si voltò a guardarlo, mentre passava; un forte mal di testa l’ho fece tentennare: quel suono rievocò qualcosa nella sua mente.

 

FLASHBACK

 

Un piccolo Rider cercò di riprendersi il suo camion dei pompieri dalle mani di un bambino; continuava a suonare, mentre quello cercava di nasconderlo dietro alla sua schiena, impedendogli di prenderlo.

Rider provò a scagliarsi contro di lui, ma era troppo basso e minuto: “Lukas, ridammi il mio camion. Ridammelo!”

“Tu hai rotto la mia bicicletta e ora mi prendo il tuo gioco!” esclamò l’altro, ridendo e prendendosi gioco di lui.

“Non te l’ho rotta io la bici, non è vero!”

“E invece l’hai fatto, e ora nasconderò il tuo stupido camion dei pompieri in un posto dove non potrai mai trovarlo!” scappò via.

“Noooo, ridammelo! Ridammelo!” urlò, rincorrendolo, finchè non caddè per terra sbucciandosi un ginocchio.

Con gli occhi lucidi, Rider restò lì sull’asfalto, osservando Lukas sparire nel giardino dietro la sua abitazione.

Riprendendosi dal quel ricordo appena riaffiorato, Rider trasalì, rendendosi conto che Lukas era reale; che era davvero esistito nella sua vita e che, forse, Nolan non era del tutto un bugiardo. Tutto ciò lo spaventò, ma preferì accantonare la cosa, concentrandosi su Clarke: entrò finalmente in biblioteca.

 

*

 

Al Radley, Lindsey, accompagnata da sua cugina Tasha, decise di andare a trovare Nolan. All’ingresso, mentre firmavano il registro, l’infermiera di turno le ammonì.

“Scusate, ma Nolan Stuart può ricevere visite solo dai suoi parenti stretti.”

“Sono sua sorella!” esclamò Lindsey, con la penna ancora in mano.

L’infermiera spostò lo sguardo su Tasha, che si sentì oppressa.

“Che c’è? Io sono la cugina!”

“Solo parenti stretti, mi dispiace!” fu categorica.

Tasha rimase sbigottita, guardandosi con Lindsey: “Sta scherzando, vero?”

“Ascolta, faccio subito. – Lindsey la prese da parte, con toni pacati - Puoi aspettarmi?”

“E’ il colmo, ma almeno lo sanno chi sono?” si lamentò, lanciando occhiatacce all’infermiera.

“Tasha, non sei Naomi Campbell. Cerca di non litigare con quell’infermiera o cacceranno entrambe.”

“D’accordo!” esclamò a denti stretti, mettendosi a braccia conserte.

Finalmente Lindsey potè raggiungere la stanza di Nolan, percorrendo un lungo corridoio, osservando quelle mura con angoscia.

Dopo che le avevano aperto la porta della stanza, entrò; Nolan fu molto sorpreso di vederla, non sapendo cosa dire. La porta si chiuse alle sue spalle, erano soli. Lindsey si torturò le dita, scarna di parole.

Finalmente, poi, Nolan ruppe il silenzio, dopo aver chiuso il libro che stava leggendo: “Ciao!”

“Ciao!” accennò un sorriso, sedendosi sul letto con molta timidezza.

“Sono un po’ sorpreso di vederti qui, non mi aspettavo una tua visita.”

“Sentivo di doverlo fare.” disse premurosa.

“Durante i permessi che ho avuto nell’ultimo mese, ti ho vista parecchio distaccata.”

“Lo so, e ti chiedo scusa per questo. E’ solo che… scoprire la verità è stato come beccarsi un fulmine nel bel mezzo di una spiaggia. – raccontò con dispiacere - Se è per questo, anche con Rider sono stata distaccata ultimamente. Soprattutto dopo aver scoperto cosa ha fatto al nostro vicino di tanti anni fa.”

“Ti prego, non escluderlo solo per questo. Era piccolo quando è successo, e io mi sono semplicemente trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato.”

“Sul serio?? – rimase sorpresa, pensandolo fuorioso con Rider – E’ colpa sua se sei finito qui per più di dieci anni.”

“Sì, questo è vero. – replicò risoluto – Ma il vero colpevole è nostro padre; non mi ha mai creduto fino a quella notte al lago, nonostante glielo avessi detto per anni. Rider, almeno, sta cercando di sistemare le cose: proverà a farmi uscire di qui.”

“Sì, lo so. Mio zio Gordon… - si corresse subito – Ehm, volevo dire, nostro zio è venuto fin dall’Italia per fare quelle sedute con Rider. Spero che il giudice ti faccia uscire di qui dopo aver esaminato tutto.”

“Lo spero anch’io. – le sorrise, apprezzando le sue parole – Grazie.”

Quella sorrise a sua volta, molto tenera: “Sai, sono venuta qui per un motivo: un tempo eravamo molto uniti io e te, da piccoli, finchè non ti hanno portato via. – si commosse - Vorrei poter recuperare quel rapporto che avevamo, perché mi sento davvero in colpa per averti dimenticato. – le tremò anche la voce, ormai fra le lacrime - Ho avuto tutte queste settimane per riflettere sul mio rapporto conflittuale con Rider in tutti questi anni e credo di aver sempre saputo, dentro di me, che per colpa sua mi era stato portato via un importante pezzo della mia vita: e quel pezzo eri tu.”

Sorpreso da tali parole, Nolan reagì sgranando gli occhi, commuovendosi: “Mi-mi dispiace che sia andata così.”

“Anche a me…” non riuscì più a parlare, abbassando lo sguardo; cercò di trattenere il pianto, un dolore interiore che forse voleva esternare.

“Lindsey, va tutto bene?” si preoccupò nel vederla così, pensando, appunto, che ci fosse dell’altro.

“Sono incinta!” rivelò, rispondendo subito; sembrò quasi che avesse atteso quella fatidica domanda per trovare il coraggio.

Nolan non seppe cosa dire, impalato; non si aspettava una risposta di questo tipo: “Nostro padre lo sa?”

“No. L’ho detto solo a Tasha, una nostra cugina. Tu sei il secondo.”

“Ah… - restò spiazzato – E come mai?”

“Perché il bambino è di un uomo più grande con cui stavo e che mi ha lasciato. – le lacrime scesero copiose – Sto per finire il liceo, presto andrò al college e non so che cosa fare: non so se tenerlo oppure no, sono disperata… Abortire sarebbe come perdere un’altra parte di me e sono stanca di perdere.”

“Allora non farlo. Per una volta, prova a vincere: fai in modo che nessun’altra vita venga spezzata. – le suggerì con un accenno di sorriso – E se mai uscirò da qui, sarò felice di sostenerti e… di diventare zio!” esclamò, ridendo per la gioia di quel pensiero.

Quella rise a sua volta, asciugandosi le lacrime: “D’accordo, zio!”

E risero ancora, iniziando a legare e a provare ad essere uniti come un tempo.

 

 

*

 

Sam, a casa sua, andò ad aprire la porta, dopo che qualcuno aveva suonato: erano Eric e Rider; quest’ultimo aveva un borsone nero che pendeva dalla spalla.

“Oh Dio…” borbottò Sam, angosciato, immaginando cosa potesse contenere.

“Sì, beh, il fatidico giorno è arrivato Sam: fattene una ragione!” replicò Rider alla sua reazione.

“Cosa c’è lì dentro?” domandò.

“Siringa, farmaco, nastro adesivo per legarlo e altre cosette per eliminare le nostre imponte.” intervenì Eric.

Sam deglutì faticosamente, pallido e sudato: “Ok, entrate, devo farvi vedere una cosa.”

Il suo aspetto non passò inosservato ai suoi amici, che lo seguirono dentro casa con apprensione.

“Ehi, stai bene?” fu Rider a domandarglielo.

Quando giunsero in cucina, Sam indicò il tavolo con nervosismo; sopra c’era una chiave inglese avvolta dentro un panno bianco.

 “No, non sto bene per niente.”

Eric non capì, gurdandosi con Rider: “Ehm, che cos’è?”

“E’ una chiave inglese, ragazzi! – sottolineò Sam, agitato - QUELLA chiave inglese!”

Mentre Eric brancolava ancora nel buio, Rider afferrò finalmente le sue parole: “Oh mio Dio, è la chiave inglese con cui A ha distrutto i tubi del gas nella nostra scuola. – sgranò gli occhi, lasciando cadere la borsa per avvicinarsi a vedere – Te l’ha mandata lui?”

Sam tirò fuori la foto che aveva ricevuto insieme all’arnese: “Ragazzi, ieri notte, A mi ha messo questa chiave inglese tra le mani. Mentre dormivo! Se non gli consegnamo Clarke, incastrerà ognuno di noi su qualcosa di cui è stato responsabile lui! – spiegò in una sola emissione di fiato, spaventato a morte – Ho passato le ultime ore a immergere quel coso nella candeggina e strofinarlo con uno spazzolino da denti, ma non servirà a nulla cancellare le mie impronte finchè A può entrare in casa mia mentre dormo!”

“Ha ragione… - constatò Eric con sconcerto – Prima Nathaniel con il dipinto che potrebbe incastrarlo per l’omicidio di Edward, ora Sam con la chiave inglese. – fissò Rider – Sembra che se non faremo come dice A, si laverà le mani di tutti i suoi crimini, scaricandoli su di noi.”

“Ok, potete dirmi qual è il piano? – domandò Sam, nel panico – E’ chiaro che Clarke va’ catturato stasera, non possiamo allungare i tempi.”

“Sì, ok, allora, il piano è questo: sappiamo che Chloe e Clarke hanno una relazione o quello che è, no? – illustrò Rider – Se inviti Chloe a casa tua, puoi rubarle il telefono senza che se ne accorga e mandare un messaggio a Clarke dove gli chiedi di incontrarvi in un posto: a quel punto lui dovrà raggiungerla per forza.”

Sam mantenne gli occhi sbarrati ad ogni parola: “Stai scherzando, vero?”

“Ammetto che il piano di Rider è folle, ma non sappiamo come attirare Clarke.” aggiunse Eric.

“Ok, la invito qui, e poi? Che le dico? Ciao, prestami il telefono per ordinare la pizza?”  lo trovò folle, Sam.

“Non siete più amici da parecchio tempo, approfittane per riparare il vostro rapporto. – gli suggerì Rider – Guardate un telefilm come ai vecchi tempi e falla… bere tanto! Ma così tanto che dovrà andare in bagno per forza!”

Senza parole, Sam si voltò dall’altra parte a riflettere: “Tutto questo è assurdo, non vedo l’ora che questa storia di A finisca!”

“Se seguiamo il piano, finirà per davvero questa storia.” lo incoraggiò ancora una volta, Rider.

Improvvisamente squillò il telefono di Sam, che, fissato subito dai ragazzi, si prestò a rispondere.

“E’ Nat! – disse loro, per poi ascoltare ciò che l’amico aveva da dirgli – … Ehm, sì, ok, ora ti metto in vivavoce. – eseguì – Parla pure, ti ascoltiamo.”

“Accendete la televisione! Subito!” tuonò Nathaniel.

I tre si guardarono l’un l’altro, lo sguardo impanicato; Sam prese immediatamente il tecomando e accese la televisione che c’era lì in cucina, attaccata alla parete: davano il notiziario del tardo pomeriggio.

“…Secondo la polizia, la vittima del presunto omicidio è Edward Blanc, un noto pittore Newyorkese di trentaquattro anni. Dopo diverse ore di ricerche, la polizia sembra non aver ancora trovato il corpo dell’uomo, che, secondo una soffiata anonima ricevuta quasi una settimana fa, sarebbe sepolto nei boschi di Rosewood; questa mattina, infatti, una squadra ha trovato quello che potrebbe essere il luogo in cui l’uomo è stato sepolto. Pare, però, che l’assassino sembra aver giocato d’anticipo, riesumando le sue parti del corpo e lasciando delle buche vuote. Nulla esclude, ovviamente, che l’omicidio possa essere collegato a Jasper Laughlin, di cui non si hanno più notizie da più di un mese.”

Sam spense la televisione, camminando avanti e indietro, provando una sensazione di paura mai provata prima: “Non posso più farcela, non ce la faccio!”

“Pensate che sia stato A a fare quella soffiata anonima?” si chiese Eric, rimasto di sasso.

“E chi, sennò? – si voltò a rispondergli Sam, urlando – Ci vuole incastrare per tutte queste cose, sconteremo gli anni di galera fino alla nostra prossima vita!”

Nonostante fosse spaventato come il resto dei suoi amici, Rider cercò di restare lucido: “Ragazzi, calmiamoci un secondo, la polizia non ha trovato il corpo. A ha recuperato i borsoni: perché farlo se ci vuole incastrare sul serio? Sa perfettamente che sulle maniglie ci sono le nostre impronte.”

“E se avesse messo i borsoni nel deposito di Edward? – intervenne Nathaniel, ancora in vivavoce -Probabilmente è la seconda tappa della polizia!”

“Nat, per favore, puoi smetterla con questo deposito? – si esasperò Rider - Ne sei ossessionato!”

“Nathaniel ha ragione, li ha messi in quel deposito. – si intromise Sam – Se non prendiamo Clarke, indirizzerà la polizia in quel deposito e troveranno sia il dipinto che i borsoni!”

“E’ malato! – pensò Eric, sconvolto – A meriterebbe un posto al Radley.”

Improvvisamente, il telefono di quest’ultimo gli squillò in tasca; Eric deglutì malamente, pensando di essere stato ascoltato dal loro persecutore.

“Ok, forse non dovevo dirlo…” recuperò il cellulare, fissato dai suoi compagni con una vena di terrore nello sguardo.

Il telefono continuò a squillare tra sue mani, Rider divenne impaziente.

“Allora? Chi è?”

“E’ solo Alexis, penso mi stia chiamando per la serata karaoke. – tirò un sospiro di sollievo – Devo andare!”

Mentre Rider provò a respirare di nuovo, per lo spavento appena preso, Sam si sentì sempre più male, poggiando la testa sulla porta del frigorifero.

“Mi raccomando, non fare tardi, dopo. – gli disse Rider, prima che se ne andasse – Siamo noi due in prima linea.”

“Tranquillo, ci sarò. – spostò lo sguardo su Sam, che dava le spalle – Ehm, ciao Sam…”

Quello non rispose, restando nella medesima posizione, chiuso in se stesso. Eric andò via.

Rider, invece, si avvicinò al telefono di Sam, poggiato sul tavolo: “Ehi, Nat, ci sei?”

Nathaniel prese subito parola: “Ci sono ci sono. È solo che… ora come faccio a starmene seduto nella mia camera ad aspettare vostre notizie?”

“Trova il modo, Nat. – ribattè Rider, grattandosi il capo – Io ho altro a cui pensare in questo momento.”

“Tipo Chloe che si chiederà dove sarà finito Clarke, domani? – si voltò Sam, stufo della noncuranza dell’amico – Solo a me sembra che stiamo aggiungendo problemi sopra altri problemi?”

“No, Sam, stiamo cercando di eliminarli tutti in un colpo solo, a dire il vero. – alzò i toni anche Rider - Ma tanto a te cosa importa, non sei tu quello che deve fare il lavoro sporco.”

“Basta, devo uscire di qui. – si esasperò - Non ti sopporto in questo momento, non sopporto più nessuno di voi!” esclamò basito, avviandosi verso l’uscita della cucina.

Ad un certo punto, però, si dovette fermare: “Ma che dico, questa è casa mia! – si voltò nuovamente verso Rider, in modo arrogante – Se non ti dispiace, puoi andare! Devo prepararmi a rivedere una vecchia amica, mentre voi rapite il suo ragazzo.”

“Tranquillo, Sam, me ne stavo giusto per andare. – replicò Rider, prendendo il suo borsone – Nat, devo chiudere. – gli disse, tenendo il telefono davanti alla bocca - Ci sentiamo a cose fatte.”

“Ok, ma non litigate. Non è il momento per farlo, dobbiamo restare uniti.” suggerì loro, Nathaniel.

Rider e Sam si scambiarono un ultimo sguardo fulmineo, dopo aver chiuso la chiamata con l’amico. Subito dopo, Rider se ne andò e Sam restò da solo con il suo malumore.

 

*

 

Nel salotto di casa sua, Chloe era seduta sul divano a messaggiare con il telefono, poco interessata al programma che stavano dando in televisione; la sua sorellastra sedeva proprio sulla poltrona lì accanto e la osservava con piccole occhiate cuoriose.

Chloe: Sono preoccupata, hai sentito il notiziario?

Clarke: Sì, allora?

Chloe: Allora? Come sarebbe, allora? Natalie starà già lavorando ad un articolo che parla di questa storia, anziché lavorare a quella che le abbiamo fornito noi. Non scopriremo mai se il gemello di Rider è A, se non sappiamo nulla su di lui.

Clarke: Aspettiamo qualche giorno, ok? Conosco Natalie, non si lascerà scappare questa occasione.

Choe si accorse di avere addosso lo sguardo della sua sorellastra, infastidendosi.

Chloe: Va bene, aspettiamo. Io, intanto, sono qui con Stacy che mi guarda. La odio.

Clarke: Ancora? Ma non doveva andarsene ieri?

Chloe: Ma che ne so, fa come le pare!

 

“Parli con il tuo fidanzato?” le domandò Stacy, smorfiosa.

Chloe alzò gli occhi dallo schermo del telefono, voltandosi lentamente verso di lei: …Scusami?”

“Ti prego, non fare la finta tonta. Ieri ti ho vista fuori con quel ragazzo, ero alla finestra.”

“Non era il mio ragazzo, quello.” ribattè.

“Non sono cieca, sorellina. – sorrise per indispettirla – Un po’ grandicello, non credi?”

A quel punto, Chloe decise di sferrare l’offensiva: “Senti da che pulpito: almeno io non sono mai rientrata sbronza, dentro un auto con quattro ragazzi.”

Livida di rabbia, Stacy si ammutolì, mentre Chloe godeva di quel momento con un sorrisino cinico.

Improvvisamente, arrivò la madre con indosso il grembiule da cucina.

“Ragazze, cosa volete che vi prepari?” domandò con lo stesso spirito di una casalinga felice e servizievole.

Stacy continuò a fulminare Chloe, per poi alzarsi con irruenza dalla poltrona e lasciare la stanza.

“Grazie, ma non ho più fame!” esclamò arrabbiata, passandole accanto.

Sbigottita, la donna si voltò verso Chloe: “Ma che cosa è appena successo?”

“Niente, mamma. – sbatte gli occhi, saccente - Tua figlia dovrebbe imparare a farsi gli affari suoi, tutto qui.”

“Chloe! – la rimproverò, angustiata – Cercate di andare d’accordo almeno nelle rarissime volte in cui siete insieme, sono stanca dei vostri litigi.”

“Mamma, non so se ti è chiaro, ma io non voglio avere nulla a che fare con la mia sorellastra e gli altri tuoi figli! – spiegò per l’ennesima volta – Per questo sono venuta a Rosewood a vivere dai miei zii, non sono di certo impazzita tutto d’un tratto; avevo le mie motivazioni per farlo e lo sai benissimo.”

Quella sospirò, scuotendo la testa, amareggiata. Nel momento in cui se ne andò anche lei, Chloe ricevette un messaggio.

Da Sam:

Ehi, ciao. So che in questo momento è strano che io ti scriva, dopo tutto questo tempo, ma ti andrebbe di fare un salto a casa mia? Vorrei parlarti.

 

Chloe sobbalzò dal divano, sorpresa di aver ricevuto un messaggio proprio da Sam, così inaspettato. In quell’istante, iniziò a riflettere sui motivi che l’avessero spinto a scriverle e per questo si preoccupò: poteva solo immaginare a qualcosa che potesse avergli fatto A.

 

 

*

 

Al Brew, la serata karaoke stava procedendo al meglio; il locale era pieno di persone, i camerieri circolavano con cocktail e stuzzichini, mentre i vari clienti salivano sul palchetto a scatenarsi con il loro cavallo di battaglia.

Intanto, Eric, assisteva alla serata, poggiato davanti al bancone con Alexis, aspettando il suo turno.

“Quella ragazza è davvero stonata!” la commentò Alexis, fissandola sul palco.

Eric era parecchio assente in quel momento, non faceva altro che controllare l’orologio.

“Non credi anche tu, Eric? – si voltò a domandargli, notando il suo distacco – Eric??”

“Ehm, sì, canta davvero malissimo.” rispose distrattamente.

“Va tutto bene?”

“Sì, è solo che devo vedermi con i miei amici fra poco, perciò…”

“Mmh, capisco.” tornò a guardare verso il palco, seccata.

Antonio salì sul palco alla fine dell’esibizione, prendendo il microfono; Eric osservò Alexis cambiare immediatamente espressione nel momento in cui lo vide; lo guardava come si guarda qualcuno da cui si è attratti segretamente.

“Ottimo, ragazzi, vi voglio scatenati e talentuosi. – il pubblicò urlò, entusiasta – Ma adesso, è arrivato il momento di accogliere qui sul palco un ragazzo che ormai tutti conoscete. – puntò il suo sguardo verso il bancone – Sto parlando di te, Eric, vieni!”

Tutti si voltarono verso di lui, acclamandolo, gridando il suo nome.

Imbarazzato, Eric si fece strada fra la folla fino al palco; quando salì, Antonio gli mise il braccio intorno alle spalle, stringendolo a sé come un fratello maggiore.

“Eccolo qui, Eric adesso ci canterà Run boy run di Woodkids. – si girò a chiedergli conferma – Vero, Eric?”

Quello accennò un sorriso, annuendo forzatamente; dentro di sé non si fidava del suo finto buonismo.

A quel punto, Antonio scese dal palco, lasciandogli il microfono; la musica partì ed Eric iniziò a cantare.

“Run boy run! This world is not made for you. Run boy run! They’re trying to catch you. Run boy run! Running is a victory. Run boy run! Beauty lays behind the hills…”

Quando posò nuovamente gli occhi sul gobbo, Eric iniziò a notare qualcosa di strano nel testo.

 

Tomorrow is another day

And you wAon’t have to hide away

YoAu’ll be a man, boy! But for noAw it’s time to run, it’s time to run!

Run boy run! This ridAe is a journey to.

 

Nonostante ci fossero delle A all’interno di alcune parole, Eric continuò a cantare, cercando di non far notare a nessuno la sua inquietudine; Alexis, però, si accorse che qualcosa non andava, visto il suo improvviso calo di voce.

L’esibizione, dopo qualche minuto, finì e tutti applaudirono animatamente, mentre Eric scendeva dal palco con la testa fra nuvole.

Tornato accanto ad Alexis, si riempì un bicchiere d’acqua; quella notò subito che gli tremava la mano.

“Eric, va tutto bene?”

“Sì, perché?”

“Ehm… non so, sei salito sul palco con una faccia e ne sei sceso con un’altra. Dimmi tu.”

“Niente, è solo che il testo della canzone scorreva troppo veloce.” si giustificò, poco convincente.

“Pensavo fosse una canzone che conoscessi, non penso ti servisse il gobbo.” insistette, sospettosa.

Eric controllò di nuovo l’orologio, oppresso dalle sue domande: “Senti, devo andare!” esclamò, recuperando la sua giacca da dietro il bancone, stufo.

Perplessa e confusa, Alexis non ebbe nemmeno il tempo di aggiungere altro che Eric uscì dal locale in fretta e furia.

 

*

 

 

Più tardi, Sam sentì suonare il campanello. Teso, sapeva già chi poteva essere, perciò raggiunse la porta con esitazione e quando la aprì, trovò Chloe con in mano una bottiglia di vino e un accenno di sorriso alquanto imbarazzato.

“Sei venuta!” esclamò con sorpresa, rigido come il legno.

“Beh, sì, mi hai scritto tu, perciò…” ciondolò davanti alla porta, Chloe.

“Sì sì, entra!” si spostò per farla passare.

Quella gli mise la bottiglia di vino fra le mani, mentre entrava: “Questa è per tuo padre; mi ricordo ancora il suo vino preferito.”

“Oh, grazie. Lo apprezzerà molto.” disse, chiudendo la porta.

In salotto, Chloe poggiò il suo cappotto sulla poltrona, che Sam iniziò a tenere d’occhio; in una delle tasche c’era il telefono che doveva rubare per mandare il messaggio di incontro a Clarke.

“Sam, va tutto bene?” gli domandò, dopo essersi seduta e aver notato un clima molto pesante.

“Ehm… Il fatto è che, non pensavo saresti venuta. – spiegò, non riuscendo a reggere i suoi sguardi – Ho riflettuto su molte cose, tra cui la nostra amicizia; credo di essermi comportato in modo strano, quindi…”

“… quindi, vuoi che torniamo amici?” completò per lui.

“Lo so, forse ti sto chiedendo troppo, ma… vorrei iniziare almeno da stasera, a piccoli passi. Non è giusto che una bellissima amicizia come è stata la nostra, venga buttata via così, senza nemmeno riprovarci.”

Chloe trovò il suo comportamento sempre più strano, iniziando a preoccuparsi che ci fosse dietro qualcos’altro: “Ehm, è vero, la nostra è stata una bella amicizia finchè non ti sei unito molto agli altri, dopo la morte di Anthony. Infatti mi chiedo se non sia successo qualcosa con loro…”

“Se stai insinuando che io e loro abbiamo litigato, ti rispondo subito di no. – rise, sudando freddo – Non ti sto riciclando, Chloe: sei qui perché mi sono reso conto di non essere stato un buon amico con te, tutto qui.”

“Su questo non c’è dubbio!” sottolineò con le sopracciglia sollevate.

“Quindi sei disposta a ricominciare da zero?”

“Sì, ma a patto che voglio la più totale sincerita da parte tua. Sei stato strano per tutto questo tempo e non ho mai capito perché, non ti sei mai confidato.”

Sam iniziò ad agitarsi, torturandosi le mani: “Io… beh, io… ero strano perché…”

Quella rimase a fissarlo, aspettandosi di sentire ciò che voleva sentire: la verità su A.

“Sam, qualcuno ti ha fatto qualcosa?” lo incentivò

“Eh? – sussultò quello, colto di sorpresa – No! – scosse la testa energicamente, cercando di negarlo – No no, niente di tutto questo!” mentì, pur sapendo che Chloe sapeva in qualche modo dell’esistenza di A.

“E allora che cos’è? – domandò, delusa – Non posso tornare tua amica se non mi dici perché hai smesso di essere mio amico.”

“Ascolta, vado a prendere qualcosa da mangiare. Per messaggi mi hai detto che avresti saltato la cena, venendo qui da me, perciò…” cercò di sorvolare quanto più possibile.

“Ehm, d’accordo… - sospirò, alzandosi – Vado un secondo in bagno, torno subito.”

“Ok ok…” annuì, pronto a cogliere quell’occasione.

Chloe lasciò la stanza, così come Sam finse di farlo, tornando subito indietro; iniziò a tenere d’occhio il corridoio, mentre sfilava di nascosto il telefono dal cappotto.

 

*

 

Riuniti nella stanza di Nathaniel, erano quasi le undici di sera; Eric cercò di spiegare ciò che era accaduto al Brew.

A ha manomesso il karaoke? – Nathaniel rimase basito, spostando lo sguardo su Rider – Non è umano: prima entra a casa di Sam, poi disseppellisce pezzi di cadavere nel bosco e oggi riesce a manomettere un karaoke, indisturbato?”

“Sì, beh, abbiamo capito che A deve aver studiato alla scuola per metaumani, non c’è da meravigliarsi!” esclamò Rider, tenendo le braccia incrociate.

Eric lo fissò, non afferrando l’espressione da lui usata; Rider si accorse subito del suo sguardo confuso e opprimente.

“The flash! – lo illuminò, pensando di essere finalmente compreso - I metaumani, Barry Allen…  – spostò lo sguardo fra i due, vedendoli ancora più disorientati – Niente? Non conoscete The flash?”

“Rider, ma di che stai parlando?” domandò Nathaniel, stufo.

“Se Sam fosse qui, mi avrebbe compreso sicuramente, oltre a vergognarsi di voi. – replicò deluso - E’ uno degli show di punta della CW!”

Nathaniel scosse la testa, cambiando discorso: “Eric, cosa è successo al Brew?” si rivolse a lui.

“Stavo cantando una canzone, quando sul gobbo, dove appare il testo, ho visto delle A dentro le parole.”

“Hai fatto una foto?” chiese Rider.

“Ovviamente, no. C’erano almeno una quarantina di persone, non potevo mettermi a fotografare il gobbo di un karaoke.”

“Quindi come decriptiamo il messaggio musicale di A? – si preoccupò Rider – Dev’essere qualcosa di importante, magari è legato alla consegna di Clarke.”

“Non sappiamo nemmeno se A abbia la minima idea di cosa stiamo facendo.” pensò Nathaniel.

“Lo sa, invece.” ribattè Rider.

Eric, intanto, tirò fuori dalla tasca un foglietto: “Qui ho scritto la parte del testo con dentro le A. – lo passò a Rider, facendo un appunto – La professoressa di biologia dice che ho una memoria fotografica.”

“Ora lo vedremo…” disse Rider, controllando il testo.

 

Tomorrow is another day

And you wAon’t have to hide away

YoAu’ll be a man, boy! But for noAw it’s time to run, it’s time to run!

Run boy run! This ridAe is a journey to.

 

 “Visto? – Eric notò un volto perplesso in Rider – Non si capisce niente, mette la sua firma in mezzo alle parole e non hanno più senso.”

“Credo che dare un senso alle parole non sia lo scopo del messaggio. – Rider sembrò aver decifrato il testo – Piuttosto, A mette in luce l’errore per soffermarci sulle lettere che sono accanto alla sua firma.”

Nathaniel si alzò dal letto, avvicinandosi a lui: “Quindi il messaggio sta nelle parole che sono accanto alla A? – provò a mettere in pratica la teoria – WOOUOWDE???”

“Mi prendi in giro? – si avvicinò anche Eric – Il messaggio sarebbe il verso di un animale?”

Con il foglio ancora in mano, Rider si voltò verso di lui con disappunto: “Nessun animale fa questo tipo di verso, Eric.”

“Ok, ci provo io! – esclamò Eric – Forse è… OWUOWAWOED???”

Entrambi gli amici li lanciarono un’occhiataccia.

“Sei serio? – commentò Rider, allibito - Hai solo invertito le lettere che ha appena detto Nathaniel. – sospirò, incredulo – Siete entrambi pessimi come osservatori, lo sapete? Mentre voi sparavate parole incomprensibili come fanno i bambini di tre anni, io ho capito che bisogna prendere tutte le lettere che ci sono prima della A, quindi la parola è: Wood!”

Nathaniel si guardò con Eric, entrambi a bocca aperta: “Oh mio Dio, il bosco!”

“Non voglio azzardare, ma credo che A voglia che portiamo Clarke lì, dopo averlo catturato.” ipotizzò Rider.

“Come fa A a sapere dove si trova il bosco?” si chiese Eric.

Rider rispose prontamente: “Lo sa, perché noi lo sappiamo.”

“Ma il tablet con le coordinate del bosco ce l’hai tu, no? – pensò Nathaniel – A meno che…”

“E’ entrato a casa di Sam, perciò può benissimo essere entrato anche in casa mia e aver preso le coordinate. – trovò ovvio, Rider – Mi vengono i brividi a pensare che cammina dentro le nostre stanze, mentre dormiamo.”

A Nathaniel venne la pelle d’oca: “Già, ora che l’hai detto, credo che non dormirò mai più.”

“Credo che per stanotte sarà più impegnato a riscuotere Clarke che venire a guardarti dormire.” aggiunse Eric.

Un messaggio sopraggiunse proprio sul telefono di quest’ultimo; i suoi amici lo fissarono, mentre lo leggeva.

“Ragazzi, è Sam! – fece sapere - Ha mandato il messaggio a Clarke dal telefono di Chloe.”

Nathaniel era curioso di sapere maggiori dettagli: “Di preciso, dove dovete rapire Clarke?”

“Abbiamo pensato di fare questa cosa vicino al Rosewood community park, dove c’è la fermata dell’autobus e quella strada poco illuminata e senza telecamere.” spiegò Rider.

“E come avete intenzione di catturarlo, Clarke?”

“Ehm… - Eric si guardò con Rider, restando ermetico – Preferiamo non dirti questa parte, ci prenderesti per matti! O prenderesti Rider per matto, visto che l’idea è sua.”

“Già, tu pensa solo che abbiamo tutto sotto controllo!” esclamò Rider.

Nathaniel cercò di dedurre qualcosa dall’abbigliamento dell’amico: “C’entra con il fatto che Rider è vestito da A? Se solleva il cappuccio in testa, è identico a lui.”

“Più o meno! – esclamò Rider con tono frettoloso, controllando l’orologio – Ora dobbiamo andare, Clarke non ci metterà molto a raggiungere il posto; sicuramente si starà già chiedendo cosa ci faccia Chloe da quelle parti, da sola.”

Insieme ad Eric si avviò verso la porta, finalmente. Nathaniel disse loro un ultima cosa, però.

“State attenti, quando porterete Clarke nel bosco per consegnarlo ad A. Se ha rubato le coordinate, l’avrà fatto diversi giorni fa, perciò dev’esserci già stato e aver preparato qualche trappola.”

“Tranquillo, faremo attenzione. – lo rassicurò Eric – Anche se non c’è da preoccuparsi, penso che A voglia solo avere Clarke, in questo momento, non noi.”

I due lasciarono la stanza, a quel punto. Nathaniel si rimise a letto, in ansia per i suoi amici.

 

*

 

Julie, nel frattempo, era davanti al suo computer, impegnata a tenere d’occhio Sam. Improvvisamente squillò il telefono: era Palmer.

“Pronto, amore?” rispose.

“Ehi, tesoro, vuoi che ti porti qualcosa dal cinese, quando rientro? – le domandò, coperto dalle voci di altre persone – O hai già mangiato?”

“E quando rientrerai, esattamente? – ribattè, leggermente seccata nel tono – E che cos’è questo casino?”

“Sono in un bar con alcuni colleghi, Jerome ci ha portati fuori a prendere una birra per festeggiare il suo compleanno.”

“Chi, quello che l’altra volta mi ha scambiato per tua sorella?” ricordò con fastidio.

“Oh, avanti, non sembro così vecchio, nonostante la carta dica il contrario. Ci può stare che abbia fatto quel commento.”

“Tesoro, non ho nemmeno trent’anni, mentre tu hai superato i quaranta: per me quella era un’offesa!” sottolineò a gran voce.

“Allora, ti porto qualcosa, più tardi?”

Quella sospirò, tralasciando anche lei quel discorso: “No, ho già mangiato. Fai il bravo!”

“Sicura?”

“Sì, divertiti! Torna dai tuoi anziani amichetti!” lo convinse ancora una volta, il suo solito tono sarcastico.

Quando la chiamata si chiuse, Julie rimise il telefono sul tavolo; dopo si legò i capelli, tornando a fissare il computer, parlando tra sé e sé in maniera permalosa.

“Col cazzo che ho già mangiato, ora chiamo il fattorino della pizza! – smanettò sul computer con una mano, mentre con l’altra digitava il numero sul telefono – Di certo non aspetterò che Jerome spenga le sue duecento candeline per mettere del cibo nello stomaco!”

Qualcosa, poi, attirò la sua attenzione sul computer, facendole dimenticare quel piccolo momento di irritabilità nei confronti del fidanzato; chiamò subito Wesam, poi.

“Ehi, Wesam, mettiti i pantaloni!”

“Che succede?”

“Sam ha appena scritto ai suoi amici, saranno al Rosewood community park.”

“A far che?”

“E io che ne so, il tuo baby fidanzato non è molto dettagliato nei messaggi.”

“Ok, non è molto lontano, ci vado a piedi!”

“Fai attenzione, A non deve vederti: sei tu che devi vedere lui; poi seguilo.”

“Chi ti dice che A sarà sul posto?”

“Non lo so, tu stai solo attento!”

“D’accordo, a dopo! Tienimi aggiornato.”

“Puoi scommetterci!” ribattè, restando in linea.

 

*

 

Seduti sul divano, agli antipodi, Sam e Chloe stavano guardando un episodio di Dexter con due buste di patatine fra le mani e una bibita gassata sul tavolino; entrambi erano molto silenziosi, più impegnati a mantenere quel silenzio che a guardare la televisione.

“Ne abbiamo guardate di serie, insieme; deteniamo un vero e proprio record, ma non capisco perché non abbiamo mai visto Dexter: è uno dei serial crime più conosciuti in tutto il mondo!” parlò Sam, cercando di smorzare la tensione.

“Già, forse non ci piacciono i serial killer!” si voltò quella, uno sguardo glaciale.

Sam si intimidì, a disagio per quella occhiata ricevuta; continuò a fingere di essere interessato alla trama della serie, pur di evitarla.

“Ehm… adoro questa terza stagione: Dexter ha finalmente trovato qualcuno che lo capisca e che lo accetti; per tutto questo tempo è rimasto solo, a combattere una battaglia che non ha chiesto di combattere, ma che gli è stata importa da suo padre.”

“Beh, è lui che ha scelto di restare solo. Perché mantenere questo segreto? Avrebbe potuto raccontarlo alla sorella, a qualcuno di cui si fida; alla fine salva delle vite innocenti, che importa come si libera dei problemi che affliggono questo mondo?”

Sam sfociò in un espressione perplessa: “E’ un mostro, Chloe. Nessuno convive con i mostri.”

L’altra abbassò lo sguardo, lasciando cadere la sua maschera: “…Tu lo fai ogni giorno, qual è la differenza?”

A quell’affermazione, Sam bloccò l’episodio con il telecomando, restando immobile per diversi secondi; Chloe decise di gettare finalmente quel sasso, sperando che lui lo raccogliesse: era arrivata l’ora di farla finita con i segreti.

“A cosa ti riferisci?” deglutì a fatica, aspettando una risposta.

“Alla cosa che hai tentato di nascondermi fino ad avermi allontanata.”

A quel punto, Sam lasciò cadere anche la sua maschera; non sarebbe riuscito a portare avanti un’altra serie di bugie, così si rilassò e decise di confessare.

“Cosa sai?”

“So che il mostro di cui stiamo parlando è A.”

Sam ne ebbe finalmente la conferma, ora che era uscita quella lettera dalla sua bocca: “Come l’hai scoperto?”

“Credo di saperlo dal giorno in cui mi hai accompagnata alla Hollis; ti è arrivato un messaggio da A e ti chiedeva di guardare il notiziario.”

“Ah, quello… - Sam si voltò dall’altra parte, ripensando con gli occhi lucidi a quante ne aveva passate da quel momento – Sembra passato un secolo…”

Chloe capì che la situazione era più tragica di quanto immaginasse: “…Cosa vi ha fatto?”

L’altro sorrise in maniera malinconica, guardandola negli occhi come un condannato a morte: “Non saprei nemmeno da dove cominciare. – una lacrima gli scese lungo il viso, mostrando la sua sofferenza – Non potevamo dirlo a nessuno, non potevo dirlo a te o a mio padre o alla polizia.”

Coinvolta emotivamente, Chloe gli mise una mano sulla spalla, cercando di essere di conforto: “Mi stai spaventando, non sembra averti minacciato solo con dei messaggi…”

“Come sai che ci minaccia? – Sam si pulì le lacrime, cercando di estirpare alcuni suoi dubbi – Insomma, hai pensato che qualcuno mi minacciasse solo da quel semplice messaggio che hai visto sul mio telefono? E poi perché lo sa anche la sorella di Rider?”

“Come sai che Lindsey lo sa?” domandò sbigottita.

“L’ha scoperto Rider quando era rinchiuso al Radley; in pratica nella sua cucina c’era una cimice nascosta e lui vi ha ascoltate attraverso una bambola di pezza.”

“Un secondo, Rider era al Radley?”

A l’ha scambiato con suo fratello gemello. A proposito: Rider ha un fratello pazzoide di cui lui e sua sorella non sapevano nulla.”

“Ok, io lo so che Rider ha un fratello; cioè, l’ho scoperto qualche giorno fa e Clarke pensa che sia A, ma io non ne sono così tanto convinta e… ” parlò a raffica, disorientata da tutte quelle informazioni.

Sam sgranò gli occhi, bloccandola: “Lo sa anche Clarke?”

“E’ una lunga storia, ma Lindsey non ne sa quanto me e lui. Ha solo ricevuto un messaggio intimidatorio da A, che insinuava una sua gravidanza.”

“E pensa di averlo ricevuto da Alexis, lo so! – Chloe sbigottì nuovamente e lui le spiegò subito – Ehm, sempre Rider che vi ha ascoltate dal Radley.”

“Ok, Clarke pensa che sia stato il fratello di Rider ad uccidere Anthony e suo padre, ma non sappiamo nulla di quel ragazzo, quindi ha voluto indagare.”

“No, siete fuori strada, Nolan non c’entra nulla con tutto questo, te lo posso confermare; e poi è rinchiuso al Radley, come vi è venuto in mente?”

“Appunto, gliel’ho detto anch’io, ma insisteva col dire che anni fa c’erano dei problemi di sicurezza al Radley e che poteva essere riuscito a fuggire indisturbato e compiere gli omicidi.”

“Mi dispiace per Clarke, ma suo padre è stato ucciso da Anthony; quella sera ci chiamò per aiutarlo a lasciare Rosewood, finchè non abbiamo investito Albert durante il tragitto.”

Chloe si portò una mano sulla bocca, sconvolta: “Oh mio Dio… E Anthony come ci è finito nell’incendio?”

Sam si ammutolì in seguito a quella domanda, ma decise di non mentire più: “Ehm… dopo che abbiamo investito Albert, l’abbiamo portato a casa di Anthony e messo accanto a suo padre. – ricordò con vergogna - Poi abbiamo appiccato l’incendio: il piano di Anthony era quello di far credere a tutti che fosse morto.”

“Chi era alla guida?” chiese ancora, sempre più sconcertata.

“Era Anthony; quella notte uscì fuori di testa, sembrava un matto. L’ultima volta che l’abbiamo visto è stato quando l’abbiamo accompagnato alla stazione. Poi A ci ha mandato un video dove sembrava che l’avesse ucciso, invece l’aveva solo rapito.”

“Aspetta, se Albert è stato ritrovato più di un mese fa, chi hanno seppellito all’inizio?”

“Chloe è complicato, nella bara di Anthony c’è sempre stato qualcuno che non conosciamo. Noi pensavamo ci fosse Albert prima del funerale di Anthony, poi A ci ha fatto credere che l’avesse scambiato con Anthony, invece ci ha solo presi in giro.”

“Ma Anthony è morto, giusto?”

Sam face sempre più fatica a rispondere: “Ehm, a dir la verità… non lo sappiamo con certezza; però sappiamo che Anthony è riuscito a fuggire da A e che è rimasto nascosto a Rosewood per almeno una settimana, mentre tutti lo credevamo morto.”

Chloe non sapeva come reagire, incredula: “Come sapere tutte queste cose?”

“Le abbiamo scoperte per caso, Chloe; ci sono tante cose che non sai e che ci metterei una vita a raccontarti.”

“E’ assurdo, perché non dite nulla alla polizia? A avrà ucciso qualcuno per riempire la bara di Anthony, perciò non capisco!”

“Tu non capisci, A possiede dei filmati su noi: quella notte era con Albert, prima che lo investissimo.”

“Albert era con Lindsey e Brakner, li ho visti. Non c’era nessun’altro.”

“Beh, dev’essere salito sulla macchina di A dopo essere sceso da quella di Brakner. Per quanto tempo sei rimasta lì?”

“Non molto, sono andata via subito.”

“E non hai fatto caso alle macchine parcheggiate lì vicino?”

“No, per niente.”

Entrambi sospirarono, mentre Chloe metabolizzava ogni cosa. Sam cercò di metterla in guardia.

“Ascolta, A ci odia con tutte le sue forze perché abbiamo ucciso Albert. Ma ci odia anche per un’altra cosa... solo che, di questa cosa, noi ne siamo responsabili.”

Chloe si voltò verso di lui, gli occhi leggermente sgranati: sapeva di cosa stesse parlando.

“Ehm… - temè nel dire la verità – Quindi A è una persona legata ad Albert?”

“Noi sospettavamo di Brakner, ma a questo punto non sappiamo chi sia.”

Il suo cuore battè sempre più forte, Chloe faticava quasi a respirare: “Sam, io devo dirti una cosa… - lo fissò negli occhi con timore – So per che cos’altro A vi sta perseguitando…”

Sam sussultò, perlesso: “No, non puoi saperlo. Non te l’ho ancora detto.”

“E invece lo so.” ribattè con gli occhi lucidi.

“Oh mio Dio, Clarke te l’ha detto? Ti ha detto del bosco?” intuì.

“Lo sapete, allora…” abbassò lo sguardo, sentendosi ancora più in colpa.

“Certo che lo sappiamo, A ci sta perseguitando per questo motivo e ce l’ha detto forte e chiaro; in tutti questi mesi abbiamo cercato di fargli capire che eravamo innocenti, finchè non abbiamo scoperto che era Clarke il complice di Anthony in quel bosco. – la giudicò – Se sai di Clarke, come hai potuto continuare a frequentarlo dopo quello che hai saputo su di lui?”

Quella scosse la testa: “Non è Clarke il complice di Anthony, lui non c’entra nulla… - non riuscì a trattenere le lacrime, la voce soffocata – Sono io la complice di Anthony!” rivelò.

Sconvolto, Sam si alzò dal sofà in un solo scatto, sgranando gli occhi e restando a bocca aperta; quasi vollè svenire: “No, non può essere… Ti prego, non tu…”

“Invece è così!” riconfermò, devastata.

L'atmosfera si congelò all'istante.

 

*

 

Clarke, intanto, arrivò nei pressi del Rosewood community park, scendendo dalla sua macchina; non c’era anima viva lì intorno.

Aspettò diversi minuti, controllando continuamente il telefono. Improvvisamente, vide qualcuno camminare dall’altra parte della strada; portava un cappuccio nero in testa, non si scorgeva il volto. Clarke restò a fissarlo, mentre quello era fermo davanti alla fermata dell’autobus con la testa bassa.

Una macchina arrivò proprio in quell’istate, ad una certa velocità, abbagliando la stradina; l’incapucciato, sotto gli occhi di Clarke, iniziò ad attraversare la strada.

Immaginando il peggio, Clarke avanzò di un passo e urlò al ragazzo: “EHI! – ma quello non si fermò, mentre la macchina andava spedita – EHI, STAI ATTENTO!”

Ma l’incappucciato continuò a camminare, colpito da quell’auto, che sfrecciò via senza fermarsi: il ragazzo rimase steso sull’asfalto.

Clarke, sconvolto, attraversò la strada di corsa, raggiungendolo.

“Ehi, mi senti? – si inginocchiò a sincerarsi delle sue condizione, pigiando due dita sulla giugulare – Tranquillo, ora chiamo un’ambulanza!” e prese il telefono, iniziando a digitare il numero.

In quel momento di distrazione, l’incappucciato si sollevò di scatto e infilò l’ago di una siringa nel collo di Clarke: si trattava di Rider.

Quello sgranò gli occhi, riuscendo a dire qualcosa poco prima di perdere i sensi: “Ma che…???”

Rider frugò nelle sue tasche, recuperando le chiavi della macchina; Eric tornò indietro a piedi, dopo aver investito l’amico qualche attimo prima.

“Potevi andarci piano, per poco non mi investivi sul serio!” gli lanciò le chiavi, guardando entrambi i lati delle strade per assicurarsi che non stesse arrivando nessuno.

“Scusa tanto se non ho mai investito qualcuno per finta!” esclamò Eric con la voce tremolante, aiutando Rider a portare Clarke fino al bagagliaio della macchina.

“L’importante è che sia andata bene, è stato facile!” ribattè Rider con l’affanno, dopo che l'avevano caricato.

“Lo dobbiamo legare?” domandò, mentre lo osservavano a sportello aperto.

“Non abbiamo tempo, potrebbe arrivare qualcuno. Lo faremo nel bosco, tanto dormirà per un bel po’ di ore; non c’è pericolo che si svegli all’improvviso. – suggerì, chiudendo il bagagliaio – Avvisa Sam e Nat!”

Eric prese subito il telefono, mentre aprivano i rispettivi sportelli per entrare in macchina e partire.

Non molto lontano da loro, Wesam vide tutta la scena, con il telefono all’orecchio.

“Tu non immagini cosa ho appena visto…” riferì a Julie, sconvolto.

 

*

 

Nel frattempo, Sam era ancora in piedi davanti a Chloe, facendo avanti e indietro con nervosismo.

“No, ti prego, dimmi che stai scherzando. Ti prego, Chloe.”

“Anthony mi ha fregata, non avrei mai acconsentito a stare dietro a quella telecamera a riprendere ciò che stava facendo a quelle persone.”

“Dimmi che Albert non è stato in quel bosco…” volle saperlo, terrorizzato dalla risposta.

Chloe anticipò quella risposta con un’espressione ormai pallida: “L-lui… - balbettò, spaventata – Sì, lui c’è stato.”

Sam si mise le mani nei capelli: “Oh mio Dio… - subito la prese per le spalle, facendola alzare in piedi – Chloe, non possiamo più restare qui. Devo portarti via. ORA!”

“C-che vuoi dire?”

A ti ucciderà, ok? – tremò la voce anche a lui, terrorizzato – Devi sparire, ti aiuterò.”

“Ma non posso sparire, sei impazzito?”

“Ha ucciso una persona, Chloe! – la scosse, sperando di aprirle gli occhi – L’ha fatta a pezzi e ci ha chiesto di seppellirla nel bosco, d’accordo? Lui ha capito che il complice di Anthony non è nessuno di noi e ci sta torturando da settimane affinchè glielo consegnassimo.”

L’altra continuò ad inorridirsi, la mano nuovamente davanti alla bocca: “Oh mio Dio, non dirmi che l’omicidio annunciato oggi al notiziario è…???”

“Sì, parlavano dell’uomo che abbiamo seppellito. Tu non hai idea di quanto siamo fottuti; ti ho tenuta distante anche per questo, la mia vita è una totale follia!

“Sam, voglio spiegarti!” si sentì in dovere di farlo, visto che non sapeva cosa pensasse l’amico di lei; non voleva essere considerata uguale ad Anthony.

“Non adesso, vado a prendere le chiavi della macchina. A potrebbe aver messo dei microfoni in casa mia, dobbiamo andarcene!”

“Ma dove andiamo?” lo rincorse, mentre quello cercava le chiavi in cucina, facendo cadere delle cose.

“Lontani da quel mostro, fidati di me!”

Arresa e spaventata, Chloe annuì ripetutamente. Trovate le chiavi, poi, lasciarono l’abitazione in fretta e furia.

 

*

 

Alla guida della sua auto, Wesam stava seguendo Eric e Rider lungo l’autostrada fuori Rosewood; a debita distanza per non farsi beccare, era ancora al telefono con Julie.

“Pensano che il fratello di Anthony sia suo complice, Sam non mi ha mai accennato niente di lui. E nemmeno di questo piano folle.”

“Forse non te l’ha detto, proprio perché è folle. Sono così disperati da rapire una persona e drogarla?”

“Devo stargli addosso, prima che facciano una sciocchezza.”

“Tipo farlo a pezzi?”

“N-non credo, Julie… - lo trovò troppo azzardato ed inquietante - Sam e gli altri volevano scoprire chi fosse il complice ed indicarlo ad A, ma non avevo idea che avessero intenzione di rapirlo.”

“Dove credi che stiano andando?”

“Non lo so, ma non mi piace…” continuò a tenere d’occhio la loro auto.

“Oh oh! – tuonò Julie, dopo essere rimasta in silenzio per diversi secondi – Non ti piacerà nemmeno questo!”

“Cosa? Che succede?”

“Sam sta lasciando la città, sto ancora monitorando il suo telefono.”

“Sta arrivando dietro di me? Forse sta raggiungendo i suoi amici…”

“Veramente sta andando dalla parte opposta alla vostra, ha imboccato l’autostrada est!”

“Cosa?” sussultò, frenando bruscamente; fece immediatamente inversione.

“Cos’era quel rumore?”

“Si sta muovendo velocemente?” domandò, accellerando progressivamente per raggiungerlo.

“A giudicare da come si muove il puntino sul monitor, direi che ha una gran fretta.”

Wesam era in pensiero: “Sta succedendo qualcosa…”

 

*

 

Contemporaneamente, sull’autostrada est, Sam stava quasi superando i limiti di velocità pur di allontanarsi da A e proteggere la sua amica.

Chloe stringeva la cintura che le passava in mezzo al seno, rigida per la paura: “Sam, stai andando troppo veloce.”

“Lo so, ma dobbiamo allontanarci il più possibile!”

“Ma dove andiamo?”

“Ovunque, tranne che qui… - lanciò un’occhiata al suo telefono, sul cruscotto, che prese – Buttalo! – ordinò a Chloe – Butta anche il tuo telefono, lui può fare delle cose, può rintracciarci.”

“Sei serio?”

“Chloe, ti ho detto di buttarli! – urlò – So di cosa è capace, tu non hai idea.”

Ansimando, Chloe abbassò il finestrino e gettò fuori i loro telefoni.

“Sto iniziando ad avere paura, Sam… - fece fatica a deglutire – A vuole uccidermi, ma io non ho fatto niente.”

“Perché? – le domandò – Perché ti sei unita ad Anthony?”

“Te l’ho detto, mi ha fregata. Solo che… era troppo tardi, quando me ne sono accorta.”

 

FLASHBACK

 

“Ci siamo conosciuti per la prima volta, tre anni fa. Era quasi settembre, l’estate era agli sgoccioli; quella volta ero venuta qui con mia madre per passare qualche settimana di vacanza dai miei zii. C’era anche Stacy, la mia sorellastra. Non la sopportavo più, così sono stata fuori casa per quasi tutto il pomeriggio; sono andata al Brew, ed è stato lì che l’ho conosciuto.

Lui era al computer, seduto ad uno dei tavoli; io ero seduta al tavolo di fianco: ci lanciammo una serie di sguardi, fin da subito, finchè non venne a sedersi davanti a me.”

“Sei nuova, non ti ho mai vista qui.” esordì con un sorriso cordiale.

Chloe rimase assai sbigottita: “Non pensavo che mi avresti rivolto la parola, sono sorpresa.”

“Pensavi che fossi uno di quei ragazzi che ti lancia quattro occhiate e poi non trova il coraggio di venirti a parlare?

“A dir la verità, no. Sei un bellissimo ragazzo, pensavo solo che avessi standard più alti.” rise per sdrammatizzare, dimostrando di avere una scarsa autostima di sé stessa.

“Stai per caso dicendo che non sei al mio stesso livello?”

“No, lo dice la legge universale per il quale un ragazzo perfetto nota solo le ragazze perfette.”

Anthony si fece più avanti, risoluto: “Lascia che ti sveli un segreto… - sussurrò, a pochi centimetri dal suo viso – Qui a Rosewood, le cose funzionano diversamente: a volte, il ragazzo perfetto può notare la ragazza che si sente imperfetta… ma che è perfetta per lui.”

Chloe arrossì, sudò, quasi le mancava il fiato: “Ehm… immagino che Rosewood sia un bel posto dove vivere, se le cose funzionano in modo diverso da come funzionano nel mondo reale.”

“Ha i suoi difetti, ma non si lascia dimenticare così facilmente.”

“Vorrei poterci vivere…”

“Quindi non sei di queste parti?”

“South Dakota! Sono qui in vacanza dai miei zii con mia madre e… - assunse un espressione ripugnata – la mia sorellastra!”

“Non andate d’accordo, eh?”

“Diciamo che se la casa andasse a fuoco e io fossi priva di sensi, mi lascerebbe lì senza nemmeno chiamare aiuto; sarebbe capace persino di scattarsi un selfie davanti alla casa in fiamme: non so se rendo l’idea!”

“L’ha avuta con il suo nuovo marito?”

“Ehm, no, lei è solo figlia del nuovo marito e del suo precedente matrimonio. Oltre lei, ci sono Kevin e Sophia; nemmeno loro sono miei grandi fan… – si ammutolì, improvvisamente triste – Ovviamente non ci ho potuto fare nulla; dopo che mio padre ci ha lasciate, ho dovuto seguire mia madre in questa follia che lei chiama amore.”

Anthony annuì: “Capisco…”

“Fortuna che Stacy andrà al college l’anno prossimo: meno uno che mi odia!”

“Ma gli altri due restano, no? Ti toccherà subire loro, ancora. – pensò, per poi interessarsi a ciò che stava facendo – Cosa c’è sul computer? Ho notato che eri molto indaffarata.”

Quella, entusiasta del suo interessamento, girò il computer verso di lui: “Niente, sto montando alcuni video che ho girato. Mi piace filmare.” svelò, orgogliosa del suo passatempo.

Anthony avviò uno dei suoi filmati, che mostrava 365 albe in sei minuti. Chloe spiegò subito di cosa si trattasse.

“Ogni giorno, per un anno, ho filmato il sole che sorgeva; poi ho montato tutto insieme ed è venuto fuori che… nessuna alba è mai uguale all’altra. – ne parlò con un sorriso genuino – Tutte così diverse e tutte così uniche.”

“Qui ci sono molti video, vorrei vederli tutti; sembri una ragazza in gamba!” esclamò, sorridendole.

“Se lo dici tu!” sorrise a sua volta, piacevolmente colpita dai suoi complimenti.

Improvvisamente, Anthony si mostrò riflessivo: “Hai mai pensato di dire a tua madre che quella vita che si è scelta, non è la vita che vuoi tu?”

“Sempre, a dire il vero. La verità è che non ho un altro posto dove andare, sono minorenne.”

“Potresti vivere dai tuoi zii!” le suggerì.

“La mia vita è nel South dakota, mia madre non farà mai questo passo.”

“Lei sa perfettamente che tu e tuoi fratellastri non vi piacete, no? – quella annuì, ascoltandolo – Beh, forse ha bisogno di una spinta in più per capire che c’è davvero un problema che va risolto.”

 

“E’ stato in quel momento che Anthony mi ha fatto un favore. – raccontò – Grazie a lui, mia madre ha deciso di farmi vivere qui a Rosewood… - si mostrò affranta - Non avrei mai immaginato che un giorno me ne sarei pentita.”

“Che favore ti ha fatto?” domandò Sam, mentre guidava.

“Ha conosciuto Stacy, in qualche modo, poi l’ha invitata ad una mega festa di qualche suo amico; ovviamente lei non rifiutò, non vedeva l’ora di riempire i social e far morire d’invidia chiunque la seguisse su Instagram o Facebook. – spiegò – Quel giorno ero con lei, quindi invitò anche me, fingendo di non conoscermi; Stacy non potè aprire bocca, malgrado non mi volesse tra i piedi, ma quel giorno fece buon viso a cattivo gioco pur di partecipare a quella festa. – poi fece una considerazione – Non avevo ancora capito quanto Anthony fosse scaltro e macchinatore, finchè non chiese a dei suoi amici di far ubriacare Stacy fino al limite.”

“Poi che è successo?”

“Senza che io sapessi nulla dei suoi piani, sono uscita da quella casa e ho scoperto che Stacy se n’era andata via con quei ragazzi senza di me; aveva promesso a mia madre che non mi avrebbe mai persa di vista, dato che lei è più grande di me… A quel punto mi sono avvicinata alla strada, cercando di contattare mia madre, e all’improvviso una macchina ha frenato accanto a me; dalla vettura è sceso un tizio con il passamontagna che mi ha afferrata e addormentata con il cloroformio… - lo rivisse come se stesse accadendo in quel momento, un espressione terrorizzata – Quando mi sono risvegliata, sdraiata sui sedili posteriori di quell’auto, il mio rapitore era seduto sul sedile accanto al guidatore, con il passamontagna fra le mani: era Anthony. Mi aveva fissata per tutto il tempo.”

 

FLASHBACK

 

Chloe si risvegliò lentamente, stordita. Solo quando vide il volto di Anthony, tornò lucida, sollevandosi con uno scatto; lui la osservò con un sorriso cinico, quasi divertito, ma, soprattutto, era calmo.

“Dove siamo? – reagì con nervosismo e distacco – Sei stato tu a rapirmi?”

“Non si vede, Chloe?” sottolineò con un sollevamento delle sopracciglia, invitandola a guardare con attenzione la situazione.

“Sei impazzito? Mi hai drogata!” urlò.

“Direi che addormentata è la parola più adatta per questo contesto, Chloe: vieni drogata quando ti stuprano, non quando ti rapiscono per finta.”

Chloe si guardò subito la parte inferiore del corpo, abbassandosi meglio la gonna; non sapeva a cosa credere.

Anthony roteò subito gli occhi, seccato da quel comportamento diffidente: “Oh Dio, pensi davvero che ti abbia stuprata? Dovresti capirlo da sola se è successo qualcosa, oppure no…” insinuò che fosse vergine.

Quella abbassò lo sguardo, a disagio; sembrò credergli, più calma: “Perché l’hai fatto?”

“Beh, a tua madre serviva una spinta, no? Eccola, è questa! Tua madre farà in modo che tu e Stacy non viviate più sotto lo stesso tetto, se te la giochi bene. Ora torniamo a Rosewood, ti porto alla centrale e racconteremo di come ti ho seguita, dopo aver visto che ti rapivano, e di come sei saltata giù dall’auto del tuo rapitore e io ti ho salvata. – spiegò come si spiega un gioco da nulla – Ovviamente dirai che non hai visto il volto di chi ti ha rapita e bla bla bla, la cosa verrà archiviata come tutte le altre cose che la polizia di Rosewood non è capace di risolvere.”

Chloe, totalmente senza parole, si limitò a spalancare la bocca, sconvolta: “Ma fai sul serio?”

“Ti consiglio di uscire dalla macchina e rotolarti un po’ nell’erba: scompigliati un pochino, altrimenti non sembrerà credibile la tua caduta dall’auto. – le sorrise, fancendole ancora un appunto – Ah, prego! E benvenuta a Rosewood!” continuò a sorriderle, indifferente a quella follia che aveva macchinato, mentre l’altra aveva un espressione letteralmente scioccata.

 

“Non immaginavo fosse malato fino a quel punto…” pensò Sam, profondamente turbato e incredulo.

“Nemmeno io, ma quello era niente a confronto di quello che ha fatto in quel bosco.”

“So di Rosewood-riservato, A ci ha accennato qualcosa. Siamo riusciti a parlare anche con un ragazzo di nome Quentin, è stato nel bosco dove Anthony l’ha portato e ci ha raccontato tutto.”

“Ha detto qualcosa su di me? – entrò nel panico - Sa che ero lì?”

“Se lo sapesse, non sarei così tanto sorpreso che tu fossi la complice, non credi? Me l’avrebbe detto di una biondina con i capelli corti che regge una telecamera.”

“Te l’ho detto, io e Clarke pensiamo che A sia qualcuno che Anthony ha portato in quel bosco, o magari un amico o un parente di chi ci è stato e che è in cerca vendetta. – condivise le sue ipotesi – Il giorno in cui ho letto quel messaggio sul tuo telefono e ho visto la firma di A, ho pensato che foste minacciati perché l’unico che si firmava così era Anthony; scriveva dei messaggi a quelle persone, firmandosi con la sua iniziale, poi le attirava in una macchina, le drogava e le portava nel bosco.”

“Sì, Quentin me l’ha raccontato.”

“Il punto è che non sospettavo di Anthony perché era morto, ma adesso mi viene da pensare che… possa essere lui A, visto che è vivo.” pensò, nonostante fosse confusa.

“No, non è lui. Quando io e miei amici abbiamo scoperto che era vivo, abbiamo ipotizzato che potesse essere A, ma molte cose non coincidevano: sarà malato, ma non ai livelli di A, credimi.”

“Ma allora chi è?”

“Non lo so, ma per il momento dobbiamo allontanarci da questa città.”

Sam osservò il suo telefono, poggiato sul cruscotto; i suoi amici erano alle prese con il rapimento di Clarke e ancora non avevano dato loro notizie. Nonostante, però, avesse scoperto che in realtà è Chloe la complice, Sam decise di non avvertirli dell’errore, sperando di guadagnare più tempo possibile per salvare la sua amica.

Improvvisamente, alle loro spalle, comparì un auto misteriosa, che iniziò a giocare con gli abbaglianti.

Chloe si voltò, era impossibile non notare ciò che quell’auto stava facendo: “Ma che diavolo...???”

Quella accellerò, allarmando anche Sam: “Non può essere… - osservò attraverso lo specchietto retrovisore – Credo sia A!”

“Ma come ha fatto a scoprire che stavamo lasciando la città??” non si spiegò Chloe.

A sa sempre tutto, è sempre un passo avanti a noi. – iniziò ad accellerare anche lui – Dobbiamo seminarlo.”

L’altra continuò ad osservare l’auto, terrorizzata, mentre A era intento a fare qualcosa.

“Sam, ha appena abbassato il finestrino, sta facendo uscire qualcosa!” lo avvertì.

“Sto andando il più veloce possibile, ma anche lui è veloce.”

I due non poterono aggiungere un'altra parola, una serie di proiettili iniziò a colpire la loro auto.

“Chloe, sta giù!” le urlò Sam, abbassando lui stesso la testa.

“Oh mio Dio, ma ci sta sparando!”

Sam cercò di mantenere la calma, spostando lo sguardo fra ciò che aveva davanti e lo specchietto retrovisore: “C’è un’uscita alla fine di questa strada, prendo quella e provo a seminarlo. Tu resta giù!”

“D’accordo!” esclamò quella, comprendosi la testa con le mani e tenendo gli occhi chiusi per la paura.

Sfortunatamente per loro, la seconda serie di colpi andò a segno su una delle ruote; Sam frenò bruscamente, finendo per ribaltarsi più volte sull’asfalto, distruggendo l’auto.

 

 

*

 

Intanto, Eric e Rider erano giunti nel bosco, trasportando Clarke sopra un piccolo carretto. Osservando la posizione esatta dell’ex covo di Anthony sul tablet, Rider non dovette fare un passo in più: di fronte a loro si poteva benissimo scorgere la recinzione di cui parlò Quentin.

“Siamo arrivati, dobbiamo entrare lì dentro…” disse ad Eric, cercando con gli occhi un ingresso.

“Facciamo in fretta, non vorrei che si svegliasse.” si preoccupò l’atro, affannato dal peso che stava trascinando.

Rider iniziò a camminare per conto suo, seguendo la recinzione per tutto il suo perimetro. Eric lo seguì, tirando il carretto, pieno di perplessità.

“Credi che A sia già arrivato?”

“Francamente, non ne ho idea. Questo posto è sconfinato.”

“Io ho freddo… - rabbrividì, osservando un gufo svolazzare al chiaro di luna – Dovremmo essere a casa nostra a scrivere una brillante lettera per il college, non qui.”

Rider si trovò perfettamente d'accordo, cedendo ad un attimo di tristezza: “A proposito, come va?”

“Sono stato rifiutato dalla maggior parte dei college a cui ho fatto domanda, tranne alla Dartmouth; quelli mi hanno ammesso con riserva, solo che non verrò mai amesso totalmente se la mia media dei voti continua a crollare vertiginosamente.” spiegò amareggiato.

Triste per lui, Rider cercò di dargli una parola di conforto: “Dai, ancora uno sforzo e saremo liberi di studiare, di dormire, di fare tutto quello che vogliamo. Solo un ultimo sforzo.”

Eric contemplò loro stessi in quella situazione così assurda, perdendo quel poco di fiducia che aveva: "Come andremo avanti dopo tutto questo? Nonostante sapremo che è finita, una parte di noi continuerà a credere che tutto possa ricominciare di nuovo. - scosse la testa, impaurito - Non voglio vivere per sempre così, aspettando che accada qualcosa da un momento all'altro."

L'altro sospirò; dentro di sé, condivideva perfettamente quei timori: "Non abbiamo alcuni tipo di scelta, Eric. O accettiamo che questa sarà la nostra vita o tanto vale prendere una stanza al Radley... - cercò di dargli coraggio - Dobbiamo conviverci, Eric... sperando che la storia non si ripeta da capo."

Eric annuì, estirpando le sue preoccupazioni una volta per tutte. Quando si voltò a guardare verso la recinzione, gli sembrò di notare un ingresso; subito sollevò la torcia, mostrando a Rider ciò che stava guardando.

"Quella mi sembra un'entrata!"

Rider puntò la sua torcia nella medesima direzione, trovandosi d'accordo: "Lo sembra anche a me."

I due iniziarono a tirare insieme il carretto per fare più in fretta. Quando raggiunsero l'entrata, si trovarono davanti ad un catenaccio arrugginito.

"Il lucchetto è aperto..." notò Rider, toccandolo con mano.

"A l'avrà lasciato aperto per noi. - pensò Eric, nuovamente irrequieto - E se Nat avesse ragione? E se fosse una trappola?"

"Non dobbiamo per forza inoltrarci in questo posto. Lasciamo Clarke e filiamo via."

"Magari uno di noi dovrebbe rimanere qui di guardia..." suggerì Eric, diffidente.

"Sì, forse hai ragione. - Rider si sentì diffidente allo stesso modo -  Allora vado io, mentre tu resti qui a fare il palo."

L'altro annuì, mentre Rider prendeva le redini del carretto, varcando con cautela la porta che l'avrebbe condotto all'interno di quel posto lugubre e misterioso.

 

~

 

Lungo l'autostrada ad est di Rosewood, l'auto di Sam era capovolta sull'asfalto, mentre il fumo si sollevava dalla vettura e i frammenti di vetro continuavano a staccarsi dai finestrini ormai distrutti.

A testa in giù, con le cinture di sicurezza che li teneva ancorati ai sedili, entrambi i ragazzi erano privi di sensi e il sangue colava dalle loro fronti.

Sam fu il primo a riaprire gli occhi, guardandosi attorno, realizzando dove si trovasse in quel momento; il panico lo assalì quando noto l'auto di A ferma a pochi passi da loro. L'uomo non tardò a scendere dalla vettura, avvicinandosi a piccoli passi; il respiro di Sam si fece sempre più rumoroso, terrorizzato.

A si fermò, ad un certo punto; Sam riusciva a vedere solo le sue gambe, da dove si trovava. Sempre più nel panico, provò a liberarsi, finché una luce non li investì entrambi, da lontano: stava arrivando un auto.

A, forse per paura, tornò in fretta alla sua auto, partendo a tavoletta. Qualche secondo più tardi, l'altra auto parcheggiò esattamente dove era parcheggiato A; il conducente scese e fece sentire la sua voce: era Wesam.

"Sam??" urlò, correndo in suo aiuto.

Riconoscendo la sua voce, Sam scoppiò in un pianto liberatorio, continuando a liberarsi dalla cintura che lo bloccava: "Wesam, tira fuori Chloe, sento odore di benzina! Aiutaci!" gli gridò.

Wesam si abbassò a terra, dov'era il finestrino di Sam; nel contempo notò la benzina che fuoriusciva veloce: "Adesso ti tiro fuori, stai calmo!"

"No, prima Chloe, VAI!" si oppose.

Wesam, però, non gli diede ascolto: "Chiudi la bocca, sto cercando di fare in fretta!" e si concentrò a liberarlo, entrando dalle portiere posteriori.

Nel giro di un minuto, Wesam riuscì a sganciare Sam, che sgattaiolò immediatamente fuori dalla macchina, accasciandosi a qualche metro di distanza, tossendo ripetutamente.

L'altro, intanto, aveva difficoltà a liberare Chloe, mentre il tempo stringeva.

In pensiero, Sam cercò di scorgere qualcosa, ma il fumo iniziò ad essere così ingombrante da compromettere la visuale.

"Wesam, dovete uscire! Dove sei? - urlò, in ansia - Dove se-"

Ma non poté completare la frase, che l'auto esplose in maniera clamorosa.

Sam fu letteralmente folgorato da un'ondata di calore, oltre che da una pioggia di vetri e pezzi di metallo. Quando si risollevò, aveva gli occhi letteralmente sbarrati dallo choc, convinto che Wesam e Chloe fossero morti; non riuscì quasi a respirare.

 

Scena finale

 

Due ore più tardi, A stava camminando nel bosco, di fianco alla recinzione. Raggiunse l'ingresso del covo di Anthony, dove non c'era nessuno; la porta, però, era aperta e il catenaccio era scivolato a terra; A lo raccolse, lo infilò nuovamente attraverso i due fori che c'erano e chiuse il lucchetto.

 

CONTINUA NEL DICIANNOVESIMO CAPITOLO

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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