Le due
sedevano l’una di fronte all’altra. La ragazza guardava con insistenza, per
cercare di capire se i ricordi che aveva di quella donna appartenevano a lei o
alla Cheryl che sparì diciassette anni prima. Sapeva di conoscerla in qualche
modo, e sapeva che c’entrava qualcosa con quello che era successo quella volta.
La donna dal canto suo sorseggiava tranquillamente il caffè dalla tazzina che
aveva davanti. Era molto più buono l’espresso rispetto ai caffè lunghi e serviti
nei cartoni tipici dei bar americani, secondo lei, e quando era possibile
cercava sempre di gustarne uno.
Sollevò lo
sguardo ad incrociare gli occhi castani della ragazza che aveva di fronte.
Sorrise, di un sorriso rassicurante, che trasmetteva una vera
felicità.
“Sei
cresciuta” disse pacatamente, anche con una punta di soddisfazione nel
tono.
Cheryl non
parlava. Si limitava a guardarla negli occhi celesti, e a godere del suo sguardo
di rimando.
“Beh, in
fondo è normale” continuò lei con naturalezza, che mal si addiceva a
quell’incontro così anormale. “In fondo non ti vedo da 12
anni”
“12 anni?”
chiese conferma Cheryl. Questo significava che apparteneva alla sua vita, a
quella che stava vivendo! Ma era tutto ancora così
confuso.
“Si, non
ricordi?! Sono passati dodici anni da quando siete andati via da
Portland!”
La ragazza
abbassò lo sguardo, sforzandosi di ricordare cosa poteva essere successo tanti
anni fa. Ma non ricordava né dove abitava prima, né perché si erano trasferiti.
E a renderla ancora più confusa c’era lei, Alessa, che aveva modificato
irrimediabilmente la sua memoria, aggiungendo ricordi su ricordi, di una vita
non sua.
La donna
notò la sua difficoltà. Ma anche quella volta sorrise tranquillamente. “va
benissimo non ricordare…avevi solo cinque anni allora!” Sollevò lo sguardo,
quasi imbarazzata, o dispiaciuta.
“Anzi, mi
dispiace doverti riportare alla memoria quei brutti
ricordi…”
La ragazza
sbottò leggermente. “Adesso basta: dimmi chi sei!”
“Te l’ho
detto, sono Cybil Bennet!”
“Si, ho
capito come ti chiami!” disse Cheryl con una punta di sarcasmo. “Voglio sapere
come mi conosci, e come fai a conoscere mio padre! E soprattutto perché sei
comparsa proprio adesso!”
Cybil
assunse un’espressione seria, che gelò il sangue della ragazza, placandola. Era
un brutto sguardo di rimprovero, e aveva un ché di…materno…Cheryl reagì
d’istinto, e quando se ne accorse, si domandò il perché di quella sua strana
reazione.
La donna
distolse lo sguardo, prendendo a guardare la tazzina vuota che aveva davanti.
Sembrava malinconica, anche se le sue espressioni non lasciavano trasparire
molto delle sue emozioni. In ogni suo sguardo trasmetteva tranquillità e
sicurezza, e anche ora che il suo volto era serio, con le sopracciglia
leggermente aggrottate, alla vista di Cheryl appariva una donna fidata, e
sentiva che poteva confessarle di tutto. E tutto ciò non le piaceva affatto. Si
sentiva così solo davanti a suo padre…
“Diciassette
anni fa…” cominciò Cybil “…ero presente anch’io!”
Il cuore le
balzò in gola e la confusione aumentava.
“Ti ho
vista nascere, sai?!” continuò recuperando un sorriso, che aveva un ché di
triste.
“Durante
uno dei miei ritorni a Silent Hill trovai una raffigurazione di Alessa. Teneva
in mano una bambina in fasce, e trasmetteva quella potenza e quella sicurezza
che provai nel vederla in quell’inferno, quando Harry sconfisse il demone che
quella donna partorì. Il quadro era stato finito da poco, era stato dipinto con
grande cura, per conto dell’Ordine. Ricordo che c’era una didascalia, con su
scritto “Alessa, madre di Dio, figlia di Dio”…Solo allora capii che cosa avevo
visto laggiù, in quell’inferno.”
Sollevò lo
sguardo per incrociare quello della ragazza.
“Avevo
assistito alla reincarnazione di Alessa, della madre di Dio. Tu sei figlia di
Alessa, ma allo stesso tempo sei lei in persona.”
“Tu eri con
mio padre quando uccise Dio?”
Cybil annuì
leggermente con la testa. “Io gli diedi l’arma che lo protesse, e lui mi salvò
la vita in quell’occasione. Ci proteggemmo a vicenda, ci legammo
indissolubilmente l’uno all’altro, per sopravvivere, per
necessità.”
Cheryl la
guardava allibita. Le venne una forte emicrania, sentiva i ricordi riaffiorare
dolorosamente, i ricordi che non le appartenevano, i ricordi di quella bambina
dagli occhi azzurri. Vedeva le immagini susseguirsi velocemente nella sua testa,
ricordava le fogne sotto il Lake Side Amusement Park, e il carosello. A quel
punto le immagini si mischiavano, la confondevano, e il suo mal di testa
aumentava vertiginosamente, tanto da costringerla a infilare le mani nei
capelli, e abbassare la testa sul tavolo. Cybil la osservava preoccupata, e le
si avvicinò. “Hey, ti senti bene?”
Ma Cheryl
non la sentiva, continuava a cercare di ricordare. La sua confusione era dovuta
alle due immagini, una in cui lottava corpo a corpo con sé stessa, e una in cui
spingeva una sedia a rotelle con una persona sopra.
“Aaaah”
Colpì il
tavolo con la sua testa, aumentando la preoccupazione di Cybil, che ora si era
alzata in piedi e le si era avvicinata. L’afferrò per le spalle con forza, e
cercò di calmarla in qualche modo. Cheryl spalancò gli occhi, e si voltò con
forza a guardare Cybil.
“Ora
ricordo…”
Cybil la
guardò stupita.
“Io…io ho
cercato di…ucciderti…?!...”
La donna a
quelle parole tornò seria. Si rimise a sedere, con calma, senza tradire le sue
emozioni. Ma anche con la freddezza che mostrava, si poteva intravedere la sua
sofferenza.
Cheryl
invece continuava a guardarla, sperando di essersi sbagliata in qualche modo.
Faceva appello a tutta la sua forza di volontà, per cercare di ricordare se le
sue parole erano giuste, o se c’era dell’altro. Fissava gli occhi azzurri della
donna che aveva davanti, che ora erano puntati verso il basso, e non
ricambiavano il suo sguardo. Ancora una volta la sua mente mischiò delle
immagini passate con quelle che ora aveva davanti. Per un istante le sembrò di
vedere due iridi rosse, sanguinolente.
“No…non
volevo ucciderti…”
Le parole
di Cheryl giunsero come un fulmine a ciel sereno. Anche Cybil non riuscì a
trattenere lo stupore.
“In
realtà…separai il demone che avevo dentro…per precauzione…per
renderlo…incompleto, nel caso in cui non fossi riuscita a completare il sigillo
di Metatron in tempo. Tu non eri prevista in quella dimensione, non saresti
dovuta essere lì! Ma fu proprio perché sentii la tua presenza che misi a punto
una scappatoia, un piano alternativo. Versai parte del mio fardello nel tuo
corpo, indebolendo così il mostro che avrei partorito.”
Cybil stava
a sentire più che mai meravigliata. Cheryl continuava, come in trance, come se a
parlare fosse la stessa Alessa di quei giorni, la ragazzina impaurita che
cercava di scongiurare i piani di una folle invasata.
“Quando
avvertii la tua aura, la tua sofferenza, capii che saresti stata abbastanza
forte da reggere una piccola parte di me, e quindi di separare e indebolire il
Dio di mia madre. Questo significava che nel caso in cui costui fosse riuscito
ad essere evocato, avrei avuto ancora la speranza di abbatterlo, in quanto molto
indebolito dalla separazione.
Ma ero
talmente tanto spaventata da quell’eventualità che sbagliai, e ti affidai una
parte troppo grande. Una parte che non potevi sopportare. E quella malvagità si
impossessò della tua mente, lo avvertii immediatamente. Non volevo farti del
male, ma il processo era irreversibile, e comunque avevo ottenuto ciò che
volevo.
Poi ti
portai al luna park, pensando che non ti avrei mai più
vista…aaaah!”
Di nuovo
quel mal di testa. Era talmente arrabbiata per quella sofferenza, che colpì di
nuovo il tavolo con un pugno, attirando l’attenzione di sguardi indiscreti dagli
altri tavoli, compresa quella di Douglas, che se ne stava in disparte al
bancone, per lasciare spazio alle due.
Cybil
sorrise. Poi vista la reazione della ragazza chiamò un cameriere, che a bocca
aperta aveva assistito alla scena.
“Mi porta
il conto per favore?”
Quello
annuì senza dire una parola, e quando si allontanò la bionda tornò a guardare
Cheryl, che era rimasta appoggiata al tavolo, con una mano sulla
testa.
“Adesso mi
è tutto più chiaro. Ti confesso che ancora non capivo cosa mi era successo. Per
quanto ricordavo io, un secondo prima ero nelle fogne e subito dopo mi
risvegliai tra le braccia di tuo padre. Invece così ha tutto molto senso!”.
Portò una mano al petto, abbassando lo sguardo ma continuando a sorridere. “Ma
non darti troppa pena…innanzitutto è stato un ottimo piano, perché Harry riuscì
a battere quel demone proprio per questa tua mossa! E poi non dimenticare una
cosa importantissima”
Avvicinò la
mano al suo viso, e, accarezzandole una guancia, la costrinse a
guardarla.
“Non sei
stata tu a fare quelle
cose!”
Le
tremavano gli occhi. Quel tocco era così caldo, e trasmetteva una serenità e una
fiducia a lei ignote. E quella cosa continuava a non piacerle. Così si scansò
abbassando di nuovo la testa e spostandola in modo da rompere il contatto.
Adesso nel punto in cui la mano era poggiata sentiva quasi
freddo.
Cybil la
guardò seria. Poi prese ad armeggiare con la borsa, cercando all’interno di essa
il portafogli.
“Comunque,
credo che dobbiamo andarcene da qui. Non possiamo attirare troppo l’attenzione.
Che ne dici, posso venire a casa tua? Così continuiamo a
parlare.”
“Di solito
in casi del genere si invitano le persone, e non si chiede di andare a casa
loro.”
“Vero, ma
casa mia non è in questa zona, e credo che arrivare in quella città sia scomodo
per voi due che invece siete di qui…”
Cheryl non
rispose subito. In qualche modo sapeva già la risposta, ma volle domandarglielo
lo stesso.
“Dove
abiti?”
Cybil
sorrise a quella domanda. “Non lo immagini? Nel nostro vecchio appartamento a
Portland!”
Cheryl
annuì quasi impercettibilmente.
Quando il
cameriere le raggiunse, le trovò in silenzio, a guardarsi negli occhi. Era
giovane, e forse fu proprio a causa della sue età, ma aveva un leggero timore di
quelle due donne, senza neanche conoscerle. Si avvicinò con cautela, e appoggiò
lo scontrino al centro del tavolino. Vide la donna prenderlo con calma, leggere
l’importo ed estrarre una banconota dal suo portafogli, nel più assoluto
silenzio. Spostò lo sguardo sulla ragazza, che fissava la sua accompagnatrice
con uno sguardo glaciale, che sembrava voler penetrare l’anima di quella donna.
Pensò che non avrebbe mai voluto ricevere uno sguardo del genere. Lo avrebbe
mandato in paranoia, non sarebbe riuscito a rispondere in alcun modo. A pensarci
bene, in realtà, non credeva sarebbe stato in grado neanche di avere lui stesso
uno sguardo del genere. Era così intenso, così strano…
Quando
tornò a guardare la donna, questa gli porgeva sia lo scontrino sia la banconota,
e la sentì rivolgergli la parola con il suo splendido sorriso. “Tieni il resto”.
Non riuscì a mantenere il suo sguardo, ma ringraziò educatamente, anche se con
un po’ di imbarazzo, e si avviò verso il bancone.
Lì
quell’altro uomo strano continuava a gustare la sua birra. Era entrato con
quelle due ragazze, ma si era messo in disparte congedandosi con poche parole, e
continuava a sorseggiare birra voltandosi ogni tanto come se volesse controllare
la situazione. Non erano stati molto in quel bar, ma avevano attirato la sua
attenzione fin da subito…
“Agente
Cartland”
Douglas si
girò, incontrando gli occhi azzurri di Cybil. Provò una strana sensazione a
sentirsi chiamato a quel modo.
“Le chiedo
scusa, sto accompagnando a casa Cheryl, è un posto più tranquillo per
parlare.”
“Si, lo
credo anch’io…” rispose l’uomo con la sua voce roca, ripensando a ciò che aveva
appena visto.
“Mi
dispiace causarle questi fastidi. Per me non c’è bisogno di lasciarci sole, se
vuole può stare con noi”
Ma Douglas
non sembrava dello stesso avviso. Cybil poco prima gli aveva già raccontato
molto, e sentiva di non dover intromettersi in quel rapporto, sentiva che poteva
essere importante per la ragazza. Così semplicemente sorrise e disse “In realtà
adesso avrei da fare. Devo sistemare delle faccende importanti a lavoro, e sono
già tre giorni che la mia agenzia investigativa è chiusa. Verrò stasera, se
necessario”
Cybil
sorrise. Conosceva quell’uomo da pochi minuti, e già sentiva di potersi fidare
di lui, che era un brav’uomo con una triste storia nel suo passato. La poteva
leggere nei suoi occhi, quando lo coglieva a guardare
Cheryl.
“Come posso
ringraziarla?”
L’uomo
pensò qualche istante, poi con un sorso finì di bere la sua birra. Si voltò
soddisfatto verso la bionda. “Cominciamo col non chiamarmi più Agente Cartland!”
disse sorridendo.
Anche Cybil
sorrise a quelle parole. “D’accordo!”
Si voltò,
per vedere che Cheryl era già fuori davanti la porta a vetri del locale. “Allora
a dopo!”
“Dannazione,
guidi persino più lenta di Douglas!”
Cybil
sorrise anche quella volta. Sembrava non fosse in grado di offendersi in nessun
modo. Cheryl era già da un po’ che non sorrideva, invece. Non riusciva più
neanche a usare quel sorriso triste che la contraddistingueva. L’arrivo di
quella donna l’aveva scombussolata non poco. Perché era lì? E perché proprio
adesso? E perché ancora non riusciva a riorganizzare tutti i suoi ricordi?
Sicuramente quella donna apparteneva ai ricordi di Alessa e di Cheryl, la
piccola bambina con i capelli corti, neri, ma sentiva che questo non era tutto.
Provava sensazioni strane a starle vicino, sensazioni che solo il padre riusciva
a farle provare.
Decise
tuttavia di ricominciare da dove avevano lasciato.
“Come hai
fatto a sopravvivere?”
Cybil non
tolse gli occhi dalla strada.
“Quando mi
risvegliai, trovai tuo padre che mi teneva fra le braccia, e mi chiamava
insistentemente. Mi raccontò di essere stata posseduta da una specie di mostro,
e che avevo rischiato di farmi uccidere da lui, o peggio di ucciderlo…la mia
pistola aveva il caricatore vuoto, e infatti pare che io glielo abbia sparato
tutto contro. Fortunatamente in quello stato ero lenta e poco abile nella mira,
e tutt’attorno i cavalli della giostra erano ottime barriere per Harry. Quando i
proiettili finirono cercò di immobilizzarmi e di farmi riprendere, ma nella
colluttazione si ruppe un flacone che aveva preso all’ospedale e che teneva in
tasca.”
La donna a
quel punto sorrise. “Mi disse che lo aveva preso perché “sapeva di buono”! A
volte mi domando ancora chi mi fece quel regalo. Comunque il liquido all’interno
del flacone mi costrinse a vomitare il mostriciattolo che avevo all’interno del
corpo. Harry lo schiacciò ponendo fine a quell’incubo.
Non ebbi la
forza di seguirlo, quando andò a cercare Alessa, ma di lì a poco l’ambiente
tutt’attorno cambiò, e mi ritrovai catapultata a mia volta in quello strano
mondo contorto, e senza forma. La giostra era sparita, e al suo posto era
comparsa un’immensa stanza vuota. Tuttora non so dire se fosse all’aperto o al
chiuso, se avesse mura e soffitti. So solo che a un certo punto…finiva…senza
traccia, semplicemente facendo vincere il buio nero, e la grata rugginosa e
sanguinolenta che avevamo sotto i piedi spariva alla vista. Al centro, su quel
simbolo strano, c’erano Dahlia e Alessa…e c’era anche l’altra bambina, il corpo
ormai senza anima che era stato rinchiuso tutti quegli anni in quello stanzino
sotterraneo dell’ospedale. Le sentii parlare, gridare, ma non potei fare nulla.
Quando ebbi la forza di alzarmi Dahlia non volle quasi ascoltarmi. Aspettava
Harry…non so perché, avrebbe potuto evocare quella mostruosità in qualsiasi
momento, ma lei aspettava Harry! Io non ero importante per lei. Non avrei
sofferto abbastanza nel vedere le due bambine sparire, non serviva mostrarlo a
me.
Non passò
molto tempo che Harry arrivò, e con lui anche quel dottore, quel Michael. Aveva
un’altra fiala di quella sostanza, la stessa che aveva salvato la mia vita. Ma
qualcosa non funzionò, e invece di aiutare Alessa, ormai completa e potente più
che mai, accelerò il processo del parto, e il demone, il dio di Dahlia, venne
fuori squartandole il
ventre.
Ma adesso
scendiamo; siamo arrivati!”
Cheryl si
voltò a guardare fuori dal finestrino. “Che cosa?!”
Era
talmente assorta in quel racconto che non si era accorta di aver percorso tutta
la strada che separava il bar vicino al cimitero da casa
sua.
“Ehi, un
momento! Tu come fai a sapere dove abito?”
Cybil
sorrise tristemente, stavolta lasciando trasparire tutta la sua
frustrazione.
“L’ho
scoperto qualche anno fa…vi ho cercato a lungo, perché l’idea di non avere
nessuna traccia di voi mi uccideva. Ma avevo promesso a Harry che non sarei
tornata fino a che non mi avesse chiamato lui, fino a quando il pericolo non
fosse cessato…”
Sollevò la
testa, fissando un punto indefinito con malinconia. “Ma credo che non si
arrabbierà sapendo che ora mi sono fatta vedere…”
La ragazza
osservò a fondo quell’espressione. Non sembrava l’espressione di una persona
innamorata. Era qualcosa di più profondo dell’amore. Qualcosa che andava forse
al di là della comprensione umana. E lei riusciva a coglierne l’esistenza, ma
non l’essenza.
Fu
risvegliata dal sorriso di Cybil che riprendendo forza si voltò verso di lei.
“Vogliamo andare adesso?”
Dentro
l’aria aveva ancora l’odore del sangue rappreso. I poliziotti avevano
evidenziato le prove, ogni singola goccia rossastra era cerchiata con un
gessetto, e un’intera zona della casa era circondata da un nastro giallo per
impedire l’accesso. Fortunatamente quei segnali non valevano più, ora che
Douglas aveva preso il caso e aveva impedito l’accesso alla casa a tutti i
poliziotti. Del resto quella scena era talmente raccapricciante che nessuno
sarebbe entrato di sua spontanea volontà.
Cheryl
esitò a entrare. Ogni volta che doveva entrare in quella casa pensava sempre di
voler andare via, di scappare chissà dove. Invece anche quella volta si fece
forza, e senza una vera intonazione fece entrare anche Cybil dicendo: “Scusa il
disordine”
La donna
entrò, e anche per lei il familiare odore di ferro fu una dura prova da
superare. Richiuse la porta alle sue spalle, e si inoltrò seguendo la ragazza
che aveva di fronte, che si dirigeva a passi sicuri verso il tavolo. Passarono
davanti a una poltrona che stava nella zona “inaccessibile”. Cybil la guardò di
sottecchi, vedeva una scia di gocce di sangue finire proprio in quel punto, ma
da dove stava passando riusciva a vedere solo lo schienale. Immaginava cosa
avrebbe potuto trovare sul cuscino, e decise di non
inoltrarsi.
Cheryl si
sedette su una delle sedie, e Cybil fece lo stesso, mettendosi al suo fianco.
Per qualche istante il silenzio regnò sovrano, e la donna guardava tutt’attorno
la casa che non l’aveva mai potuta ospitare.
“Come mai
ti sei tinta i capelli?” chiese all’improvviso.
Cheryl
rispose annoiata da quella domanda. “Le bionde piacciono di
più…”
“Davvero?”
Cybil sembrò sinceramente stupita. Ma forse stava cercando di smorzare la
tensione. “Non ci avevo mai fatto caso. Beh, buon per me,
no?!”
Cheryl non
aveva l’umore adatto. Se ne accorse subito, ma voleva comunque parlare con lei
di tutto, voleva dirle cose che per dodici anni non era riuscita a dirle. Ma
forse era meglio continuare la sua storia…
“Il mostro
che uscì non era completo. Il piano di Alessa, quello che mi hai raccontato
prima, era riuscito. Mancavano delle parti del suo corpo, ed era molto lontano
dall’onnipotenza di un Dio. Ma faceva comunque molta paura. Uccise Dahlia mentre
ancora rideva della sua creazione, e avrebbe ucciso anche noi, se non fosse
stato per il coraggio di Harry. Lui attirò l’attenzione del demone, e con pochi,
precisi colpi riuscì ad abbatterlo. Scomparve nel nulla, inghiottito dalle
tenebre.
Alessa
invece era ancora la, a terra, ferita gravemente. La vidi stracciare le sue
vesti, e usare la stoffa per avvolgerci una bambina. L’unica spiegazione che
riesco a dare è che usò una magia. Un potere speciale, che le permise di
partorire quella bambina in quei pochi minuti. Ma d’altronde tutto era
incredibile laggiù.
Diede la
bambina ad Harry, e gli chiese di proteggerla, di farla crescere circondata
dall’amore, di darle la vita che lei non aveva avuto. Gli chiese di essere suo
padre. Harry era confuso, ma prese ugualmente la bambina…”
“…e poi
Alessa aprì il varco dimensionale per farvi scappare.”
Cheryl
parlò con voce greve. “Com’è brutto ricordare la propria
morte!
Senza
Alessa quel mondo non poteva esistere, e sarebbe scomparso insieme a lei. Per
cui usando le ultime forze aprii quel varco e vi feci scappare via. Tutti tranne
quel maiale, Kaufmann. Lui lo feci prendere dal mio angelo. La feci vendicare,
la mia piccola, dolce Lisa…”
Cybil
osservò la biondina dire quelle parole con tranquillità, tenendo la testa
appoggiata su un gomito. Anche in quel caso sentiva che erano i ricordi di
Alessa a parlare, e non lei.
“Capisco…ecco
perché non trovammo più quell’uomo…”
“Se lo
meritava, quell’essere spregevole.” Cheryl sembrava scaldarsi con le sue parole.
La testa riprese a farle male. “Ammazzò Lisa senza pietà, proprio davanti a me,
come se non fossi stata presente. Bastardo! Doveva
pagare.”
Tirò un
pugno al tavolo. Poi il suo sguardo si fece lontano, assente. Sembrava persa
nella sua testa.
“…e poi…e
poi…”
Cybil capì
cosa stava succedendo. Non voleva soffrisse in quel modo, ma sembrava
inevitabile. Le si avvicinò, cercando di calmarla, ma era tutto
inutile.
“…e
poi…sono…morta…”
Rialzò la
testa con uno scatto. Girava ancora, ma il dolore era passato almeno. Incontrò
subito gli occhi azzurri e il sorriso rassicurante. “Va un po’
meglio?”
Si guardò
attorno, un po’ spaesata; poi tornò a guardare Cybil. “Che è
successo?”
“Sei
svenuta per qualche minuto. Non ti fa bene ricordare quelle
cose!”
In effetti
sentiva al petto un senso di vuoto e il suo corpo era intorpidito e privo di
sensibilità. Non riusciva a muoversi facilmente, dovette provare più volte a
sollevare le braccia o a spostare i piedi. Quella visione era stata talmente
tanto reale, da farle provare l’intensa esperienza della morte senza abbandonare
la vita. Ma il cervello, evidentemente esausto da quella prova, stava cercando
ora di riacquisire le sue capacità lentamente, e se prima aveva recuperato la
coscienza di sé ora cercava di riprendere controllo sul corpo donando alla
ragazza l’istinto della vita ancora una volta. Sentiva dei formicolii lungo
tutto il corpo, ma lentamente riuscì a riprendere il controllo di
sé.
“Ti preparo
qualcosa. Che cos’hai in cucina?”
Cheryl era
ancora abbattuta per quella sensazione.
“Non lo so,
sono tre giorni che non guardo cosa c’è in cucina.”
“Hai
mangiato qualcosa?”
La ragazza
scrollò le spalle. In effetti era molto dimagrita in quei due giorni, e si
sentiva debole e spossata. Aveva dormito meno di quattro ore a notte, e se la
prima notte dormì sul tavolo, la seconda andò peggio, e la passò in una stazione
di polizia. Dormì su una brandina, in una cella. Chiaramente lasciarono la porta
aperta, ma non sarebbe riuscita ad addormentarsi. L’inconscio e l’istinto
vinsero nuovamente sul corpo e sulle sue paure, e verso le 3 di notte svenne
letteralmente, svegliandosi qualche ora dopo intontita e più stanca di quando
aveva perso i sensi.
“Un paio di
biscotti, ieri sera…”
Cybil la
guardò apprensiva.
“Non mi
meraviglia allora che tu sia svenuta. Non credi sia il caso di mangiare? Dovrai
pur nutrirti…”
Cheryl si
fece scura in volto.
“Credo sia
il caso che tu continui la tua storia!”
La sua
determinazione stupì la donna, che per un istante rimase in silenzio. Poi si
alzò, sorridente, dirigendosi verso la cucina, e provocando un sonoro sospiro
della ragazza. Sembrava una gara a chi aveva la testa più
dura.
“Hai
ragione anche tu…” disse dalla cucina, mentre apriva il frigorifero per vedere
cosa c’era dentro. “Per questo continuerò a raccontartela mentre ti preparo da
mangiare. Ma vorrei che ti avvicinassi anche tu, non mi va di urlare tutto il
tempo”
In effetti
per farsi sentire aveva dovuto alzare la voce. Non che stesse urlando per
davvero, anzi, sembrava quasi che fosse divertente, per lei, parlare così, come
quando provi qualcosa di nuovo. Ma non era certo un tono che si addiceva a
quella storia. Così Cheryl si alzò svogliatamente dal tavolo, e si avvicinò alla
donna, che guardava con disappunto delle uova, e un po’ di lattuga e pomodori,
le uniche pietanze rinvenute, oltre a qualche bottiglietta di salsa e latte. Ma
decise di accontentarsi, così prese un tegamino e cominciò la preparazione.
Cheryl si era appoggiata al muro, lontana dai fornelli, e la guardava quasi
annoiata da quella premura. Il cibo lei se lo sapeva cucinare da sola! Non c’era
bisogno di tutte quelle attenzioni. Non capiva proprio il
perché.
Cybil si
voltò, e la vide con lo sguardo imbronciato e le braccia incrociate. Sorrise,
poi accese il fornello.
“Sai, ho
sempre pensato che Harry fosse un padre perfetto, fin da quando lo incontrai in
quel bar con la premura di ritrovare sua figlia a tutti i costi, sfidando la
sorte e l’ignoto, rischiando la vita…non tutti lo avrebbero
fatto!”
Cheryl non
rispose. Si limitò ad assentarsi con il suo sguardo, cercando di ricreare con la
mente la figura rassicurante di quell’uomo. Si, lo sapeva che suo padre era il
migliore, il padre che tutti avrebbero desiderato.
Le uova
cuocevano lentamente, producendo un rumore continuo, quasi rilassante, e
contrastando finalmente l’aria pesante della casa con il loro odore. Si tinsero
di bianco, con quella sfera gialla al centro.
“Non ebbe
tempo di piangere quando tutto fu finito. Sua figlia era sparita nel nulla, e
lui non poté piangerla o fare nient’altro. Non trovammo mai nemmeno il suo
corpo. In compenso eri apparsa tu…”
Il cuore di
Cheryl sussultò.
“…non c’era
spiegazione per quello che era successo, e non poteva essere un sogno o un
incubo. Tu eri reale, e Harry ti teneva stretta al suo
petto.”
La donna
guardò senza voltarsi. Vide Cheryl con gli occhi socchiusi, che spostava gli
occhi da un punto a un altro, senza guardare nulla in
particolare.
“Cheryl…”
La ragazza
sembrò destata da un sogno.
“…non puoi
ricordare. Eri appena nata!”
Cybil si
voltò a mostrarle il suo sorriso rassicurante. Cheryl spostò lo sguardo facendo
una smorfia, ma invece che offenderla, questo gesto procurò un sommesso risolino
divertito. Poi la donna tornò verso il bancone.
“Ci
sorprendemmo nel trovare gente per strada.” continuò, mentre lavava alcune
foglie di lattuga. “Ci guardavano come se fossimo di un altro pianeta, mentre
camminavamo incerti verso nessun luogo in particolare. La mia motocicletta era
completamente in panne, mentre dell’auto di Harry non c’era alcuna traccia.
Credo sia perché io fui sbalzata via dalla moto prima di entrare in quel mondo,
non saprei. Comunque noleggiammo un auto per arrivare a Brahms e raccontare
tutto ai miei superiori.”
“Avete
raccontato quella storia ad altre persone?!”
Cybil
spense il fornello. Inarcò le sue labbra, mostrando un sorriso
amaro.
“Anche tu
lo hai notato subito, vero? Che stupidaggine che facemmo…”
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