L'opera maledetta

di PathosPie
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Non posso credere che la mia vita faccia davvero così schifo: sono sottopagato, i miei colleghi di lavoro sono degli ubriaconi che passano il loro tempo libero a scolarsi di birra e quant'altro, mia moglie non fa altro che stare sempre fuori, ed è anche una donna che non conosco nemmeno a fondo, per come hanno organizzato il nostro matrimonio combinato. C'è solo una cosa che riesce a sollevare e a farmi dimenticare la dannatissima vita che io vivo: si tratta del teatro. Qual nobile passatempo, qual nobile arte se non il teatro. Immergendomi nelle storie che i personaggi desiderano raccontare, riesco ad eliminare queste paturnie legate alla mia maledetta vita

Proprio ora, mentre ripenso per quale motivo frequento incessantemente il teatro, si conclude il quarto atto della Boheme. La maniera di recitare dei protagonisti viene accolta con un calorosissimo applauso da parte del pubblico, incluso il mio: Mimì è riuscita ad interpretare in maniera eccezionale il suo ruolo, coinvolgendomi del tutto. Prima di uscire, faccio rimbombare nel teatro un'altra serie di applausi, a dimostrare la mia estrema felicità nell'aver assaporato quell'opera.

Intento nei miei passi a casa, ascolto il rumore del mio quartiere malandato, la cui atmosfera tenebrosa è esaltata dalla notte di luna nuova. Mi ritrovo davanti la porta di casa quando, improvvisamente, osservo un tomo particolarmente grosso per terra.

Mi avvicino cautamente e scruto con attenzione: si tratta veramente di un tomo. Riporta il titolo "Una storia triste e priva di lieto fine" e , da quello che comprendo, appare come un copione teatrale in tutto e per tutto. Probabilmente a qualcuno sarà caduto per terra; penso di riportarlo al legittimo proprietario domani. Perciò, prendo il libro con me e apro la porta con le mie chiavi.

Mia moglie ancora non c'è, probabilmente non sa ancora che io mi ero recato in teatro e sarei tornato in breve tempo. Decido di riscaldare un pezzo di pizza. Ma ciò che mi attira davvero l'attenzione è questo tomo: sono sempre stato appassionato di teatro, non posso negare la mia curiosità nei confronti di questo tomo. Chissà che c'è dentro...Nel frattempo che la pizza si riscalda, decido di leggere un po' il tomo...e con mia sgradita sorpresa, all'occhio mi risalta un particolare: il testo...è tutto scritto con del sangue umano. Inizio immediatamente a rabbrividire e chiudo il tomo: doveva essere per forza il diario di qualche delinquente maniaco depravato. Decido di non dare conto alla pizza e, appena pronta, la rimetto subito in frigo.

Non riesco ad addormentarmi: dopo aver osservato quella scrittura fatta con sangue, non riesco a distogliere la mente da tale pensiero e rabbrividisco al solo pensarci. Però...forse voleva lasciare in qualche modo il suo marchio peculiare nel mondo del teatro, questo pazzo scatenato. Forse non c'è niente di male, se gli do tosta una sbirciatina. Così, per cercare di conciliare il sonno, provo a leggere quest'opera teatrale.

Il mattino dopo, mi preparo per un'altra estenuante giornata di lavoro: mia moglie ronfa in quel divano rovinato, sarà tornato da un rave party. Cerco di ricordarmi la trama di ciò che ieri sera avevo letto: un uomo, solo e depresso, aveva conosciuto la donna della sua vita, con la quale condivideva le sue caratteristiche; tuttavia, entrambi depressi per l'orribile vita passata, decidono di suicidarsi insieme. Ammetto che, a primo impatto, riconoscevo il protagonista in me ed ero tentato di chiudere il libro, per evitare di richiamare in me note dolenti.

Ripensando a ciò, accade l'inimagginabile: sto per mangiare il mio toast, mentre la mia mano si ferma, come dotata di sua spontanea volontà. E posa il toast. Com'è possibile? Ho bisogno di mangiare, soffro di diabete, non posso non mettere qualcosa sotto i denti. Ma, inutilmente, provo a oppormi al mio corpo: non riesco a portare alla bocca il toast. Provo a portare la bocca al toast, ma, niente, anche la testa si rifiuta di obbedire al mio cervello.

Come diavolo è possibile?

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Desideravo prolungare la mia mano per afferrare la mia colazione, ma, nonostante la mia volontà di ferro, non ce l'avevo fatta.

Perché? Cosa stava accadendo al mio corpo, che non reagiva più ai miei comandi?

"CHE GIORNATACCIA. UN'ALTRA...DA PORTARE A TERMINE" riesco ad udire una leggiadra voce da soprano , proveniente nientedimeno che dalla mia bocca. Prima, il mio corpo è fuori controllo, ora mi metto a fare anche il cantante lirico da quattro soldi. E' ufficiale, non sono più in me. O almeno, è ciò che quel poco che è rimasto della mia sanità afferma. Difatti, potrei essere del tutto impazzito, dopo aver condotto quest'orribile vita. Provo ad urlare, adirato per la situazione.

"MA PERCHÉ TUTTO A ME?" Le mie parole non escono fuori dalla mia mente, perché non sono più nemmeno in grado di generare voce. Incredibile, semplicemente incredibile. Ma allora come mai sono riuscito a intonare quella meravigliosa melodia. Come mai il mio timbro di voce, che non si direbbe proprio di un soprano, è cambiato all'improvviso.

Mentre tutte queste domande balenavano nella mia testa, il tomo mi compare sottobraccio; furioso, nella mia mente ripercorre il ricordo di come ho trovato quel tomo a terra e, com'esso, abbia iniziato questi tragici eventi.

Faccio per aprire il tomo e a mutilare le pagine, ma sfioro a malapena il tomo e ascolto un osso del braccio rompersi come un ramoscello. Voglio urlare il mio dolore, ma non riesco. Il dolore, che non ha via di uscita, si trattiene nel mio corpo, bruciandolo e consumandolo nella sua morsa velenosa.

Mi accascio a terra, stremato e in procinto di lacrimare, sia per il dolore che per la condizione in cui mi sono cacciato.

"ORA DI FAR VEDEEEEEER...AL CAPO MIO...CHE VADO IN FERIE...A NON LUI RIVEDEEER" ricomincio a cantare. La voce è stupenda, ancora più di prima, la vorrei risentire, veramente, ma sapere che essa è anche la causa della mia rovina mi incita a dimenticare tale particolare di questa maledizione, l'unico gradevole. Di colpo, le mie gambe riprendono la loro volontà e mi portano fuori casa, senza nemmeno lasciare il tempo di vestirmi per andare al lavoro, con in braccio il tomo maledetto.

Le gambe si dirigono verso il mio solito posto di lavoro. Almeno i miei occhi e la mia mente sono ancora libere dal sortilegio: guardo lo stupore e la perplessità di tutti coloro che mi passano davanti, osservandomi in pigiama, causa il sortilegio. Riprovo, invano, ad avvicinarmi ad un bar per poter comprare qualcosa, ma le mie gambe sono troppo forti; provo addirittura ad aggrapparmi ad un palo della luce, rischiando di rompere le ossa del bacino. Ancora stremato dal dolore, mollo nuovamente la presa.

Il Palazzo di Cristallo: così lo chiamano nella mia città il grattacielo in cui lavoro io, per la purezza e la finezza del suo vetro. Le porte scorrevoli si aprono al mio arrivo, con la conseguente centralizzazione dell'attenzione di tutti i colleghi verso di me, vestito per andare a dormire.

"ADDIO COLLEGHI. A MAI PIÙ" la mia voce recita, mentre salgo per le scale. Da quello che ho capito, ora mi dovrei recare nell'ufficio del mio superiore, con poche buone intenzioni. Eccola, alla fine, la porta del suo ufficio, adornata da delle colonnette d'oro, con dei teneri angioletti.

Spalanco la porta a calci, beccando il mio capo intento a fumare una sigaretta; costui non ha gradito il mio arrivo improvviso, lanciandomi uno sguardo raggelante.

"Che vuoi da me? Torna al tuo posto"

"PALLONE GONFIATO. SBRUFFONE" Il mio capo mi fissa con occhi allibiti. "IDIOTA. PELAAAAAAANDRON. TORNA ALL'ASIL, ALL'ASIL, ALL'ASIIIIIIL"

"Come ti permetti? Tratti così il tuo superiore?"

"SCEEEEEEEEEEMO" continuo con il canto, scocciando il mio superiore che chiama la sicurezza per sbattermi fuori.

Almeno ho detto quello che volevo dire a quello sbruffone tanto tempo fa. In fondo, sono riconoscente a questa maledizione. Ma solo per avermi dato il coraggio di sputargli tutto quello che penso di lui. Il resto è davvero tremendo

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Ritorno affaticato e sfinito dal terribile evento, destinato a farmi perdere il lavoro. Ho ancora fame e sete, non ho toccato cibo o bevande. Decido di curiosare nel tomo, almeno per capire quale sarà il mio prossimo obiettivo: voltando le pagine, scritte con il sangue rosso rubino, scopro che la mia prossima tappa è all'altro capo del mondo, un villaggio sconosciuto di cui non viene riportato il nome. Per incontrare qualcuno che, secondo la storia, mi sta davvero a cuore. 

Ho già mia "moglie" che mi tradisce col primo uomo che gli capita a tiro, non ho intenzione di certo di farmi sposare da un libro. Oramai conosco come va a finire: vado a preparare la mia borsa di viaggio-sempre per volontà dell'opera-, mettendo pochi vestiti e qualche capo di biancheria intima. M'incammino per il porto della mia città, un posto davvero malfamato, se non il più malfamato della mia città. Sento il cuore battere all'impazzata, ma il mio corpo non tradisce le mie emozioni, sotto l'effetto di quel malefico trance. Avvisto una nave davvero grande e gradevole alla vista, molte di quelle persone si dirigono lì, alcune titubanti, altre in preda alla paura di essere derubate. 

Faccio per dirigermi verso la nave, ma ovviamente, me misero, le mie gambe mi riportano nella strada sbagliata, verso una catapecchia sul punto di affondare. A fare la fila vi erano persone dal viso meschino, con qualche spicciolo sporco e unto di chissà quale liquido.

I tipi non ispiravano fiducia alcuna, facevano paura: uno guardava la fila, spazientito e desideroso da un momento all'altro di sfogare la sua rabbia repressa.

Arrivato alla cassa, un vecchietto sgorbio, e molto sporco, senza fare parola, fa il gesto di chi chiede soldi maleducatamente per conferire il proprio servizio, spesso di scarsa qualità, scrutando solamente il mio abbigliamento e la mia postura. Io prendo i soldi dal mio portafogli e glieli porgo. Mi dirigo verso la barca, sempre se barca si può chiamare.

"Ok, passeggeri, sappiate che se volete stare in questa barca, dovrete fare i bravi e non rompermi le scatole. Se volete sgranocchiare qualcosa, sotto c'è qualcosa da mangiare. Stessa cosa per le cose da bere. Per i letti, dormite in ponte, o, se siete fortunati, trovate qualche stanza. Buon viaggio"

Non sarebbe stato affatto un buon viaggio: c'erano dei tipacci muscolosi che mi scrutavano minacciosamente, osservando i miei vestiti e le mie tasche. Certo, in confronto a loro sono un riccone, ma ciò non mi rassicura affatto.

"Ehi, piccoletto" si avvicina minacciosamente il più grosso di tutti "sgancia la grana e siamo apposto, ok?" la freddezza e la semplicità con cui lo dice mi raggela il cuore. Ed ecco che mi rimetto a cantare.

"PAGLIACCIOOOOO. VIGLIACCOOOOOOO. RUBAMAZZETTEEEEEEEE. TROVATI UN LAVOR, TROVATI UN LAVOR, LAVOR, LAVOOOOOOOOOR" sentitosi preso in giro, il grosso mi riempie di botte fino a farmi sanguinare di molto, aiutato anche da qualche altro tipaccio. La gente che mi osserva e se ne sta in disparte è troppo debole per poter intervenire. Vigliacchi.




Dopo un po', smettono, stanchi di massacrarmi di botte; chissà quanto continuerà questo inferno...

Chissà...

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Dopo 2 settimane, eccomi arrivato nel villaggio segreto indicato dal tomo. La maledizione del libro riesce comunque a tenermi in vita, nonostante i vari orribili riportate durante il viaggio in quel trabiccolo malefico: non sono riuscito a mangiare niente, poiché ogni volta che provavo ad afferrare qualcosa da sgranocchiare o da bere , la mia mano si fermava; durante il viaggio, mi ero accaparrato l'attenzione di tutti quei teppisti, che non avevano aspettato altro se non di derubarmi, provandoci nel tentativo e rompendomi qualche osso, tra cui quello sacro e quello del collo; ma, nonostante, mi picchiavano a morte, assorbivo quei corpi come se fossero di spugna, spaventando i miei aggressori, che, anche se mi attaccavano senza un attimo di tregua, in parte cercavano di starmi lontano, quando per la loro testa non balenava l'idea di privarmi del mio portafogli

Ora che finalmente sono giunto in questo villaggio, mi chiedo dove si trova questa persona che devo incontrare. Nel frattempo, osservo il pacato posto che mi circonda: immerso in un verde smeraldino, pochi palazzi si alzavano, lasciando il posto a delle umili case; il modo in cui vestono provocava un leggero contrasto con l'ambiente che li circonda, il grigiore degli indumenti è in contrapposizione con il verde fitto  del luogo.

Non posso pensare in tempo a questa cosa, che un terribile dolore inizia a devastare il mio corpo. Tutte le fratture che avevo accumulato in quest'avventura si fanno sentire fortemente, più di prima: il dolore acceca il mio pensiero e mi accascio a terra.

...

"Non lasciare...questo mondo. Non lasciarlo" Sono nel buio più totale, non riesco a scorgere più niente, almeno riesco a sentire questa voce femminile. Ma ora riesco a vedere qualcosa: chi aveva detto questa cosa era davvero una donna, che mi stava guardando negli occhi piena di lacrime: indossava un camice bianco, il che significava che ero finito in ospedale, dove cercavano di medicarmi; aveva un'aria triste e combattuta, che mi generava sconforto, ma anche compassione; in quella donna, mi ritrovavo, mi sentivo accolto, perchè condivideva i miei stessi sentimenti.

Credo che poche persone si innamorino in punto di morte, ed io ero una di loro. Sfortunato, ma felice, anche se per una manciata di secondi, ecco come sono, vedendo lei che lacrima amaramente, per avermi trovato nel momento peggiore. Chiudo gli occhi, ormai stanco, al limite delle forze vitali. E mi spengo. 

Riapro gli occhi e mi trovo in un luogo che ispira una serenità immensa nel mio cuore: alzo gli occhi e scorgo un cielo azzurro come il mare, sotto di me una coltre di nuvole. I dolori del corpo sono spariti completamente, così come pure la fame che mi torturava l'anima da settimane. Posso di nuovo muovere a piacimento il mio corpo. Ma, di conseguenza, se non provo più il dolore, significa che sono morto, ho abbandonato il corpo, e adesso è la mia anima di cui ho pieno controllo. Avevo indosso una sorta di tunica bianca, così come tutti le persone che si trovavano in quel posto. Sembrano molto felici: danzano con un'eleganza e spensieratezza incredibile. Tra di esse, spicca un'anima perfetta, la cui luce mi costringe a volgere lo sguardo verso il basso. Anche gli altri angeli s'inchinano nei confronti di quest'anima, che non mostra segni particolari, se non per questa luce.

Faccio per progredire, per dirigermi verso quell'anima luminosa.

"Chi sei?" gli chiedo

"Sono il sovrano del Regno dei Cieli, colui che perdona e ama" e fa per fermarsi, per poi riprendere a parlare "Tu sei...tu. Comprendo molto la tua sofferenza" e viene verso di me "È stato quel tomo, vero?" Io rimango spiazzato: deve essere Iddio onnipotente, colui che tutto sa. Non riesco a rispondere alla sua domanda, surclassato dalla sua autorevolezza, che mi costringe a fare qualche passo indietro, fino a cadere per terra.

"Non devi aver paura" Lui continua "so come fermare la tua maledizione. Ora, ascolta la mia parola"

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


"Ascolta" dice il Signore "tu...dovrai cercare l'autore di questa opera. L'opera che ha provocato tutto questo. Lui...dovrai incontrarlo"

"Aspetta...Cosa?" Rispondo, inutilmente, poiché un grosso bagliore acceca i miei occhi, rendendomi impossibile vedere ancora.

Mi ritrovo a casa mia, nella cucina. Strano, proprio dove avevo manifestato segni di sottomissione al tomo e tutta questa avventura aveva preso inizio. La cucina, tuttavia, aveva un'atmosfera molto più tenebrosa del solito: non vi passava un filo di luce, le finestre erano chiuse e sbarrate, ed era tutto perfettamente in ordine. Ho il cuore che mi batte all'impazzata: il mio istinto mi dice che qualcosa di orribile sta per accadere. Poi, la mia vista si oscura del tutto, per quanto avessi tenuto aperto le palpebre.

"Tu" una voce inquietante si fa sentire. Poi, la paura: un volto umano, con la faccia impaurita e spaventosa, mi comparve davanti.

Mi scappa un urlo orribile. La faccia ricomincia a proferire parole.

"Tu. Ascoltami" È costui colui che devo combattere? Colui che il Signore vuole che affronti? Mi metto in posizione difensiva, pronto al peggio.

"No. Non voglio farti del male. Ti prego, voglio solo ringraziarti" la sua voce si fa più calma. Anch'io riesco ad ascoltare con più chiarezza le sue parole, riuscendo addirittura a porgli una domanda.

"In che senso? Chi...sei tu?"

"Io? Sono...una persona qualunque. O meglio, oramai sono passato a vita migliore. Sono...la causa delle tue sofferenze" Possibile...che? "Sono l'autore di quell'opera, quella che ti ha distrutto il corpo e l'anima durante queste ultime settimane" È lui: il generatore di tale sofferenza, il fautore di quest'opera maledetta. Spinto da rabbia, mi accingo a scagliargli un pugno dritto nella sua faccia, ma, nel contempo, noto che questo spirito sia calmo e pentito di ciò che ha commesso. Così mi calmo anch'io e chiedo spiegazioni. Lui risponde, con qualche nodo alla gola.

"Quell'opera, quel dramma che ho scritto io...è la storia della mia vita. Volevo presentare la mia autobiografia come un'opera teatrale. Speravo di sfogare al  mondo intero la mia sfortuna: orfano, odiato da tutti, malato e povero. Ho persino avuto un interesse amoroso, ma sono stato rifiutato come spazzatura. Vivevo in questa casa, tormentato dalle mie angosce. La mia unica passione forte era la lettura. Leggevo, leggevo e leggevo, fino a quando decisi di imprimere anch'io la mia storia. La scrissi per cinque anni, imprimendoci ogni mia sofferenza" Costui, da quello che ho capito, ha avuto una vita simile alla mia..."Ma...non accettarono la mia autobiografia, poiché troppo complicata e, probabilmente, sarebbe stata poco apprezzata dal pubblico. Così, rimuginai per molto tempo nella rabbia e nel rancore. Così, sfigurato dall'ira, iniziai a riscrivere tutta la mia opera: ogni giorno, tagliavo un pezzo della mia pelle per riscrivere la mia opera con il sangue. Avevo anche lanciato una maledizione, quella di cui, ovviamente, sei stata vittima. Ma, dopo la mia morte, causa anemia dovuto allo sconsiderato uso di sangue, non salii in Paradiso. Un angelo passò per riferirmi che sarei potuto ascendere alla gloria eterna solo se la maledizione si sarebbe sciolta dopo l'avvenimento di essa. Era la mia penitenza. Me ne pentii per molti anni. Poi, tu..." e iniziò a lacrimare "mi hai salvato. Posso solo dirti...grazie. Per ciò che hai fatto" e sparì in una luce che poi ascese verso l'alto.

Sono felice, che, anche se all'inizio sembrava la mia fine, la mia rovina, si sia risolto tutto in meglio. Anche per quel poveretto, in cui mi rispecchio molto. Ma...bussano alla porta. Apro....è...la ragazza dell'ospedale: all'inizio è silenziosa, poi chiede.

"Vuoi...uscire un po'?"

"Volentieri"

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