Sniper: Il Tiratore dei Cieli di Silvio Shine (/viewuser.php?uid=759139)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 0 - Prologo ***
Capitolo 2: *** 1 - Bersaglio Abbattuto ***
Capitolo 3: *** 2 - Il Terrorista Chiacchierone ***
Capitolo 1 *** 0 - Prologo ***
L’IRA
DIVINA
GLI ANGELI CHE
COMBATTONO I DEMONI
UN UNICO SOLDATO
RICHIAMATO DALLA MORTE PER COMBATTERE UNA GUERRA SENZA PRECEDENTI
Aprì
gli occhi alla luce del
sole: rimase abbagliato quasi subito, allora si fece ombra con la mano.
Il
vento gli scompigliò i capelli, tirò i suoi
vestiti, lo rinvigorì leggermente.
Avevano assegnatogli un bersaglio: colui a cui dava la caccia era un
boss
malavitoso russo. Secondo la sua fonte – una che non
sbagliava mai, in nessun
caso -, il crimine di cui si era macchiato era uno dei peggiori:
traffico,
vendita e scambio di esseri umani. Represse una smorfia di disgusto ed
osservò
il luogo nel quale si trovava; la Francia, d’inverno, era
davvero incantevole,
specialmente la capitale di Parigi. Questo, almeno, avrebbe pensato se
non
fosse stato in missione. Aggrottò le sopracciglia; il Sonno
che seguiva il Lancio
lo aveva un po’
stordito, ma non era nulla che gli avrebbe impedito di eliminare il
nemico.
Con
un grugnito, si tirò su a
sedere.
La
neve copriva l’intero
paesaggio, rallegrandolo almeno un po’. Si
stropicciò gli occhi e, nel
frattempo, qualcosa si mosse, alla sua destra; scattò subito
in piedi, la
pistola snudata, pronto ad uccidere chiunque lo avesse scoperto.
Tuttavia, il
suo allarme fu inutile, una volta che si fu reso conto di chi stesse
guardando:
era una bellissima ragazza di ventitré anni. Aveva lunghi
capelli biondi
ondulati, sopracciglia sottili e ben curate, ed occhi, come sapeva,
nonostante
fossero chiusi, di un blu profondo. Egli stesso li paragonava al
più bello
degli oceani. Indossava una divisa militare bianca –
giubbotto antiproiettile,
giacca da incursione, pantaloni dello stesso materiale e stivali di
cuoio nero
-, mentre, alla cintura, portava appeso un binocolo potenziato.
Si
mosse, gemendo. Pochi istanti
dopo, le sue palpebre si sollevarono. Lo vide, subito dopo aver
sbadigliato con
forza. « Siamo arrivati…? »
mugugnò, condensa che già si formava dalla sua
bocca. Il suo viso, che ricordava quello di una bambina, era
dolcissimo, ma non
bisognava farsi ingannare dall’apparenza: se la si provocava,
o la si trovava
di pessimo umore, poteva far rimpiangere a un veterano di guerra il
giorno in
cui era nato.
Lui,
però, non l’ascoltava. Le
aveva volto le spalle ed ora stava esaminando l’ora che stava
allungandosi. «
Dormito bene? » gracchiò in risposta; la
soldatessa annuì, poi si alzò in piedi
e lo raggiunse. « Siamo arrivati? »
ripeté. Il suo compagno rispose di sì.
« Il
bersaglio dovrebbe passare per la strada a cinquecento metri dalla
nostra
posizione… in quella direzione… » -
puntò il dito verso sud-est, dove poteva
essere vista la famosa Tour Eiffél - «
…si sposterà su una Cadillac, modello
“CTS-V
SEDAN”, nera, targata “K825MH” numero
settantotto, da una delle strade a est
del monumento »; colei che lo accompagnava
agguantò il proprio binocolo,
sondando poi tutte le possibili vie dalle quali l’uomo che
stavano cercando
sarebbe dovuto o potuto arrivare con occhio esperto. « Se il
vento è
favorevole, potresti sfruttare la stabilità del fucile per
piazzare un colpo in
mezzo alla torre, oltrepassarla ed abbattere il bersaglio »
propose, sbirciando
attraverso le inferriate della Eiffèl. Si trovavano
sull’attico di un edificio
alto venti piani. « Vero » ammise lui, «
ma su al Santuario
dicono che ci
sarà una
tormenta, tra circa un quarto d’ora: il vento
soffierà a cinquanta chilometri
orari da est e la visuale sarà molto ridotta. »
Ella sibilò
un’imprecazione, non appena notò che il
soldato aveva ragione. Dunque chiese: « chi è lo
sfortunato? »
« Aalin Smirnov »
lo presentò l’altro. « Trentaquattro
anni, corporatura media, nato a San Pietroburgo e – udite,
udite – laureato
alla New York University in Legge »; il suo tono si
aggravò. « E’ l’attuale
boss di un gruppo mafioso russo. La sua fedina penale è
totalmente pulita, ma i
suoi crimini vanno dal rapimento, all’omicidio di primo
grado, al traffico di
umani, attività alla quale si è dedicato
ultimamente. »
« Un trafficante di schiavi?
» lo interruppe. « Sai
quanti ce ne sono, sulla Terra? Perché dobbiamo tirar
giù proprio questo? »; «
è riservato » rispose lui, acido.
Passarono dieci minuti e la tormenta
prevista arrivò in
tutta la sua furia. Entrambi i soldati indossarono i passamontagna
– lei con
qualche difficoltà, a causa dei capelli -, per poi tornare a
sorvegliare le
strade. Lui si inginocchiò, incominciando a recitare una
preghiera al Padre
Eterno, in modo da mandare un messaggio al Santuario:
mio Signore, siamo giunti a destinazione
ed attendiamo il bersaglio della tua ira. Il tempo stimato di arrivo
è di tre
minuti e quarantasette secondi. Richiediamo sgancio
d’equipaggiamento primario W.I.N.G.
[ Warfare,
Intel-gaining, Nemesis-obliterating Gear ] alle
coordinate del Lancio numero
“zero-nove-otto-uno” delle nove-zero-due di
stamattina. Il codice di rilascio è
“HALORING”.
Si
rialzò in piedi. Scrollò le
mani e le spalle, già infreddolite. Non stava ancora
accadendo nulla, dopo la
sua richiesta alla base. La sua compagna non mostrava segni di soffrire
il
freddo: continuava a squadrare il punto d’arrivo attraverso
le lenti del binocolo,
imperturbabile. Certe volte si chiedeva sul serio se quella donna non
fosse
fatta di pietra, nonostante quell’aspetto fragile tipico di
una giovane. Lui,
al contrario, non sopportava temperature così rigide; quello
che sapeva fare
meglio era uccidere da distanze inimmaginabili. Mentre
l’altra aveva una vista
talmente acuta che, un giorno, riuscì a dirgli: « hai esattamente due milioni e settecento peli della
barba che sono
cresciuti di un micrometro di troppo. Ti consiglio di raderti con
più cura! »
Forse
era per queste loro abilità
fuori dal comune, che erano stati scelti per prender parte al Progetto.
Sospirò
e si coprì il volto con una mano, per schermarla dalla neve.
Il
secondo dopo, qualcosa prese a
materializzarsi dinanzi a loro: come se venisse disegnata da un pittore
fuori
dal mondo con una matita dalla mina d’oro, una cassa per
armamenti apparve ai
loro piedi. Era lunga più di un metro e larga almeno
quaranta centimetri. In
altezza vantava altri venti centimetri. Sul fronte, portava uno strano
lucchetto, con un minuscolo ago nel foro dove sarebbe dovuta essere
inserita la
chiave, anch’esso con una forma bizzarra: era ovoidale ed
aveva le dimensioni
di un polpastrello. Il materiale del contenitore era oro, ma placche di
carbonio erano state montate in diversi punti come il coperchio e le
maniglie,
al fine di alleggerirne la già considerevole mole. Il
soldato sogghignò: era
arrivato. Si avvicinò all’equipaggiamento; si
calò su un ginocchio,
concentrando l’attenzione sul lucchetto. Infilò
l’indice nel foro e si inflisse
una microscopica ferita, dunque lasciò cadere tre gocce di
sangue sul metallo,
per poi ritrarsi e attendere. Proprio davanti ai suoi occhi, il
prezioso che
teneva chiuso il contenitore, si sciolse in una pozza di materiale
fuso, che
subito prese a colare sul cemento del tetto.
Una
volta che agire fu sicuro, si
avvicinò nuovamente ed afferrò saldamente il
coperchio; in un deciso strattone,
spalancò. Sorrise: poggiato su un cuscino rosso imbottito,
vi era un DAN .338
ad azione bolt; un fucile di precisione così, a quanto ne
sapeva, era assegnato
esclusivamente ai tiratori scelti
di
alcuni eserciti e agli agenti di polizia. Sulla Terra, però.
Sul Santuario la
situazione era ben diversa: lui era il
tiratore più abile, tra tutti i soldati presenti
lì, di conseguenza aveva
bisogno di un’arma degna di questa fama. Il calcio era
composito e presentava
un grip di stabilizzazione verticale; il corpo era sottile ma robusto,
dove vi
era anche una lunga maniglietta contrassegnante il sistema di eiezione
del
bossolo; la parte inferiore della canna era dentellata ed alleggerita,
in modo
da limitarne l’inerzia e il rinculo; la parte superiore,
invece, era molto
sottile, con un dispersore piatto sulla punta. Il caricatore
trasportava
esattamente otto colpi “LAPUA” .338. Il mirino,
infine, aveva un semplice zoom
da otto livelli, su sua rigorosa richiesta. La colorazione
dell’intera arma era
bianca, in corrispondenza del corpo e del calcio, poi, avvicinandosi
via via
alla canna, sfumava in un bel rosso sangue. Annuì,
soddisfatto: gli piaceva
molto. Guardando da più vicino, si notava incisa la parola
“Goldfeather”,
sulla canna.
«
Quella che vedi è la fase uno del
fucile che hai richiesto »
squillò la sua radio, « è
il
“Goldfeather”…
uno-punto-zero…? »
Il
tiratore rise di gusto. « Ti
ringrazio, Oracle!
E’ perfetto! » imbracciò
l’arma, controllandone subito le munizioni.
Tornò
serio di colpo. Strattonò
la testa, in modo da far scricchiolare il collo; dunque si mise in
ginocchio,
poggiò la canna del fucile al parapetto e si
preparò a far fuoco. Per un po’
regnò il silenzio, con i due soldati che si concentravano e
osservavano, studiavano,
pianificavano nelle loro menti. Passarono due minuti. Fece guizzare il
mirino
tra le strade, stranamente insicuro: aveva un brutto presentimento.
Nessuno si
mosse, salvo per tutte le persone che si ritrovavano indaffarate nelle
vie di
Parigi… finché: « contatto! »
Appena
sentì la compagna
strillare, migliorò la presa sul grilletto e lo
stabilizzatore. « A ore undici!
Stanno correndo! »; aggrottò le sopracciglia. Alle
coordinate indicategli,
individuò subito un’auto che corrispondeva
perfettamente alla descrizione:
andavano velocissimi, come se fossero in fuga da qualcuno.
Aguzzò la vista,
identificando due persone, conducente e bersaglio. Prese fiato un paio
di
volte, poi non respirò più; si
concentrò. Il vento lo preoccupava, mentre la
neve non migliorava di certo la visuale. A lui, però, non
importava. Non faceva
alcuna differenza. Qualcuno sarebbe morto, quel giorno, e sapeva
perfettamente
chi. Attese l’ordine della soldatessa. L’auto, ora,
li fronteggiava, e lui
perse la visuale col bersaglio, nascosto dal conducente.
Questo
lo fece arrabbiare non
poco. Scoccò un’occhiataccia alla ragazza,
digrignando i denti, dunque tornò a
guardare nel mirino.
«
Non puoi sparare. Non possiamo
permetterci altre vittime! » sibilò lei.
Ma
lui non l’ascoltava più: allineò
il bersaglio al punto ottimale, tirò la maniglietta del
fucile per espellere il
primo proiettile… e tirò il grilletto…
Giovani, un saluto a tutti dal vostro Silvio Shine
di fiducia!
Ebbene, ecco il capitolo 0 della mia nuova serie
originale, Sniper: Il
Tiratore dei Cieli!
Come avete visto, alcune parole sono evidenziate;
questo perché ho
voluto mettere in risalto alcuni termini dell’universo di
Sniper che sono
parecchio importanti a livello di trama. Vi assicuro che sono molto
emozionato
di iniziare una nuova serie di punto in bianco, senza ispirazioni prese
da
qualsiasi fonte oppure crossover confusionari!
Spero vi piaccia il contesto che ho desiderato
proporre: soldati
ultraterreni che combattono per riportare la pace, sia contro comuni
mortali
con in mano un potere incredibile, oppure creature divine o demoniache
che
minacciano la vita come è conosciuta.
Chi sono i soldati che hanno ricevuto
l’ordine di eliminare un boss
russo, colpevole di traffico di esseri umani? Qual è la loro
storia? Chi
saranno i prossimi bersagli? Cos’è il misterioso
Progetto sul quale rifletteva
il nostro protagonista?
La trama si farà ancor più
complessa, nel prossimo capitolo: “Bersaglio
abbattuto”!
Ricordate di recensire!
KEEP IT UP!
- Silvio Shine
|
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Capitolo 2 *** 1 - Bersaglio Abbattuto ***
Paul corse
alla finestra del suo appartamento: aveva sentito un violento scoppio,
ne era
sicuro. Se le sue supposizioni erano corrette, colui che stava cercando
era
proprio lì, a Parigi. Proprio per questo aveva giocato carte
false, pur di
farsi trasferire al Distretto di Polizia francese. Il suo sguardo si
perse
oltre il vetro, vagando per i cieli nuvolosi. C’era una
tormenta, fuori,
pessimo tempo per uscire di casa. Sospirò. Stava addosso a
quell’uomo da cinque
anni, fin da quando era diventato un poliziotto.
Si
voltò, passandosi la mano sul
volto. Paul aveva venticinque anni; non era molto alto, ma aveva un
fisico
robusto e muscoloso, che copriva sempre con vestiti caldi come maglioni
e jeans
invernali e cappotti di pelle. La sua pelle era scura come la pece, ma,
fortunatamente, ai suoi colleghi giù in centrale e ai suoi
amici non importava
granché: era un bravo ragazzo e un agente di tutto rispetto.
Detective, si
corresse. Aveva ricevuto la promozione due giorni prima. Doveva ancora
abituarcisi. Sbirciò un’ultima volta fuori, poi
tornò dal suo compagno,
Terence, che, in quel momento, stava giocando alla sua PlayStation,
tirando
qualche imprecazione quando la squadra avversaria riusciva a rifilargli
un
goal.
Terence,
al contrario di Paul,
era di carnagione pallida. O meglio, perfettamente bianca: era un
albino, con
tanto di occhi azzurri e lentiggini da adolescente. Strano, pensava,
eppure era
più vecchio di lui di due anni. Il ragazzo di colore si
sedette sul divano, con
un gemito annoiato. « Prendi un controller e gioca con me!
» lo invitò, subito
prima di alzarsi in piedi, braccia alzate, furibondo. Paul sapeva
perché: sullo
schermo del loro grosso televisore al plasma era apparsa la scritta
“Hai perso la partita”,
subito seguita
dai risultati. Il detective fischiò. « Ti ha
battuto sette a uno? » lo canzonò
e il suo amico lo mandò a cagare. Poi, quando Terence si fu
seduto e calmato,
Paul si alzò a sua volta; si avvicinò alla
console, dove si trovavano tutte le
loro custodie con i giochi, per prenderne una tra le dita. Il suo gioco
preferito. Sniper Elite III… era
sempre causa di discussione tra i due poliziotti, fin da quando il
ragazzo di
colore raccontò all’altro del caso che si ostinava
a seguire, nonostante fosse
stato archiviato parecchio tempo prima. Mostrò la copertina
del titolo a
Terence, che subito alzò occhi e mani al cielo con un gran
sospiro seccato. «
Non mi rompere! » lo rimbeccò lui, « hai
giocato a tutto quello che volevi, fin
da stamattina! Ora voglio ammazzare anch’io un po’
di noia! »; « come ti pare!
» bofonchiò l’albino, la dita
intrecciate dietro la nuca. « Per una volta che
non siamo in servizio, parte la peggior tormenta della storia
dell’Umanità! »
Paul
ridacchiò, mentre cambiava
il disco nel cassettino automatico del congegno. Raggiunse il detective
Fernandez sulla loro volante imbottita e gli requisì il
controller. L’amico lo
guardò, torvo. « E’ per questo che sei
corso alla finestra in quel modo, prima?
» gli fece, lo sguardo accusatorio. « Ancora con
questo Tiratore?
Quand’è che ti stancherai? »
Paul
si grattò il collo. Il caso
del Tiratore dei Cieli è
stato l’unico ad averlo
realmente coinvolto.
Era davvero un mistero: riusciva ad apprendere le coordinate di un
criminale
estremamente pericoloso con precisione impensabile, compariva poco
prima che
una squadra della polizia raggiungesse la posizione del sospetto, e
infine
l’unica cosa che rimaneva era il cadavere di
quest’ultimo, ucciso da un
proiettile dal calibro inimmaginabile. Ovviamente, nessuno è
mai riuscito a
vederlo in faccia. La prima uccisione del Tiratore
era
uno spacciatore, un re della droga, che lavorava nell’area di
Detroit, dove
Paul era di pattuglia. Lo sparo era arrivato dal tetto di un edificio
di
quaranta piani, a una distanza di ottocento metri. Era accorso, per
verificare
il numero di vittime, trovando così lo spacciatore, la testa
sfracellata dal
proiettile. A tentare di individuare l’assassino, con la coda
dell’occhio vide
una specie di raggio di luce toccare uno dei grattacieli, per poi
scomparire di
colpo.
La
schermata del titolo lo
accolse nel gioco. « E poi, perché lo perseguiti?
» gli chiese ancora Terence;
indugiò per un attimo. « So che è un
pezzo grosso, nel giro dei killer a
pagamento. Voglio sbatterli tutti dentro. » tagliò
corto, mentendo ad ogni parola.
Fernandez, fortunatamente, non indagò oltre. Piuttosto lo
esortò ad avviare la
partita, perché si annoiava.
Era
quasi una settimana che non
venivano richiamati in servizio. Avevano passato quelle giornate e
quelle sere
ad andare in giro a divertirsi, visto che non avevano tanto altro da
fare. Paul
mirò bene contro il suo bersaglio, dunque premette il tasto
dorsale, facendo
fuoco: l’azione venne visualizzata al rallentatore, mentre il
proiettile si
schiantava contro la scatola cranica del bersaglio, spargendo sangue e
cervella
dappertutto. Terence sogghignò, assonnato. L’altro
invece, continuava a
rimuginare: quello di prima era uno sparo, poco ma sicuro. Ma il suo
compagno
non l’avrebbe ascoltato, dal momento che aveva passato
così tanto tempo ad assecondarlo
per quanto riguardava il Tiratore
dei Cieli che
si era semplicemente ma dannatamente stancato. Per questo, spesso e
volentieri
litigavano. Nulla che, però, una bella birra e qualche
ragazza non riuscissero
a curare.
Il
cellulare di Paul vibrò nella
tasca dei pantaloni; pigramente, prese in mano l’apparecchio
e rispose: «
detective Johnson! »
«
Paul Johnson, ti voglio al
dipartimento tra cinque minuti o
giuro che mi mangio quell’inutile sacco di merda che tu
chiami culo! » qualcuno
sbraitò nel suo timpano. Sulle prime fece una smorfia
sdegnata; solo dopo si
rese conto che quello con cui stava parlando era il suo capo,
François Venicé.
Si paralizzò per qualche secondo. « S-signore?
» balbettò; dall’altra parte del
filo provenne un grugnito. « Abbiamo due morti. Ti voglio
alla centrale, ora!
»; « sissignore! »
Il
comandante riattaccò. Il
detective rimase con il cellulare in mano, silenzioso, gli occhi
chiusi.
Finalmente, la sua vacanza era terminata. Sbadigliò.
« Dobbiamo andare… » disse
battendo la mano sulla coscia del compagno; « eh? »
fece lui, inebetito dal
sonno. « Venicé ha qualcosa per noi. Dobbiamo
andare in centrale… » e si alzò.
« Ah… » rispose l’altro, gli
occhi già celati dalle palpebre; « MUOVITI!
»
latrò Paul, facendolo cadere dal divano.
***
Sterzò
verso destra, in modo da
imboccare l’entrata del parcheggio. Fermatosi,
tirò il freno a mano, recuperò
le chiavi dal vano motore e si volse ad aprire la portiera.
C’era una cosa che
aveva notato, durante il tragitto dal suo appartamento al Dipartimento
di
Parigi: c’era molta agitazione, per le strade. Sembrava che
fosse avvenuto un
omicidio, nell’area del monumento. Due uomini erano stati
uccisi nella loro
automobile; non erano stati individuati sospetti, prima o dopo fatto
avvenuto.
Inoltre, era stato esploso un unico sparo, che aveva colpito la fronte
del
guidatore, attraversato il sedile e subito dopo la gola del passeggero
che
trovavasi dietro di lui. Un tiro di incredibile precisione. Paul sapeva
già di
chi sospettare e chi accusare, ma nessuno gli avrebbe creduto. Chiuse
la
portiera con un colpo secco; Terence lo imitò, per poi
affrettarsi a
raggiungerlo, che già camminava verso l’ascensore.
«
Johnson! » il puzzo di
sigaretta gli arrivò alle narici non appena ebbe aperto la
porta. Sventolò una
mano, per dissipare il fumo almeno quel poco sufficiente per riuscire a
vedere
qualcosa. Il suo capo era un uomo robusto, ma non per i muscoli: gli
anni
passati al dipartimento dopo la promozione a Capitano non erano stati
clementi.
Era aumentato di almeno tre taglie, i muscoli si erano trasformati in
rotoli di
grasso, e la barba era costantemente insozzata di sudore. A peggiorare
la
situazione c’era l’aria condizionata calda che
inondava l’ufficio, imperlando
di sudore il povero Paul, il quale già detestava dover
entrare lì dentro. Al
cenno dell’altra sola persona nella stanza, si richiuse la
porta alle spalle. «
Hai sentito di quel che è successo alla Tour
Eiffèl? » poggiò le mani grassocce
sulla scrivania, caricandovi tutto il suo peso; la sua arma
d’ordinanza, una
Glock diciannove, si rivelò alla vista dalla fondina
ascellare che indossava.
Non era assicurata. « Ho sentito di un duplice omicidio,
signore » rispose il
sottoposto, cercando di non offrire commenti aperti riguardo lo stato
dell’ufficio,
la puzza o l’arma del Capitano senza sicura azionata.
Annuì con il capo,
un’espressione selvaggia sul volto sudato. « Hanno
fatto fuori Smirnov! »
sbraitò come suo solito; marciò per
l’ufficio. « Il trafficante? » fece Paul,
confuso. Venicé digrignò i denti. «
L’avevamo in pugno, cazzo! Una volante gli
stava addosso, quando bam
» fece uno
strano gesto con le mani che avrebbe dovuto rappresentare un proiettile
che
colpisce un bersaglio, « un fottuto cecchino
lo ammazza assieme al suo autista! »
sbuffò e volse lo sguardo fuori dalla
finestra. Ma Paul si stava visivamente agitando. « Un
cecchino, signore? »
«
So già cosa pensi… » sibilò;
tornò a guardarlo negli occhi, questa volta con
un’aria grave. « Stai pensando
al Tiratore dei Cieli.
Allora, ti ripeto quel
che ti ho sempre detto: è una leggenda metropolitana. Ti sei
fatto trasferire
in questo distretto perché hai trovato una fantomatica
pista, che, secondo te,
ti dovrebbe portare a questo assassino. Ma la cosa che mi ha
più impressionato
è stato che tu hai affermato, assolutamente convinto, che
stiamo parlando di un
Angelo e non di un
essere umano. Ho dovuto dire
all’intera squadra che eri sotto shock dopo aver visto un
cadavere! E’ un
assassino, sì, ma è tutt’altro che al
servizio di Dio. »
Paul
serrò la mascella, pur di
non sbraitare contro quella palla di lardo. Nessuno gli aveva mai
creduto,
riguardo quel guerriero serafico. Se proprio Venicé non lo
voleva aiutare,
poteva farlo per conto suo, in segreto. Doveva trovare il Tiratore dei Cieli, a
qualunque costo. Doveva
assolutamente parlargli.
«
Per quale motivo mi ha chiamato
qui, signore? » parlò a denti stretti. Si
strofinava le mani tremanti. « Il
caso è per te » spiegò il grassone,
« mi devi trovare il proiettile, l’arma del
delitto e magari qualche testimone oculare. » Senza farsi
dire altro, Paul uscì
dall’ufficio del Capitano.
***
La
musica gli penetrò nelle
orecchie. Era piacevole, una volta tanto che tornava sul Santuario. Di solito, Oracle metteva
qualche canzone talmente chiassosa da lasciarlo abbastanza innervosito
da
fargli mancare il centro dei bersagli d’allenamento di due
millimetri. Valore
medio. Accolse la luce che lo inondava. Angelica era già
sveglia e stava
conversando con una ragazzina seduta a una scrivania colma di
marchingegni tecnologici
di ogni tipo: radar, levette, tastiere, schermi di computer, un grosso
microfono da tavolo, diversi palmari, e un lettore CD con tanto di pila
di
album dei suoi artisti preferiti. La giovane aveva sì e no
quattordici anni;
aveva capelli castani lunghi fino alla base del collo, talmente lisci
da
sembrare di metallo; il suo viso era piccolo, rotondo, tipico di
un’adolescente. Era vestita come un tecnico militare e al
collo portava delle
grosse cuffie scarlatte. Oracle, finalmente, notò che era
sveglio ed
esclamò: « buongiorno, ANGEL! »; le
sorrise, in risposta. Angelica, la sua spotter, lo guardò
anche lei, per poi
rivolgergli un piccolo cenno con la mano, con un gran sorriso.
« Jason Goldwing
è uscito dal Sonno,
rilascio dal Bozzolo autorizzato!
» annunciò la ragazzina,
digitando qualcosa sulla sua tastiera. Lentamente, il vetro che
avvolgeva Jason
si divise in innumerevoli spicchi; questi, si aprirono
dall’alto, fino a
lasciarlo libero di respirare aria fresca. Goldwing si
stiracchiò le braccia,
indolenzite dopo il Sonno.
« Angelica Halo,
autorizzata ad uscire da qui
perché mi
sta disturbando più del dovuto! » disse
poi Oracle, volgendosi alla
spotter. Angelica ridacchiò; poi, facendo cenno a Jason che
si sarebbero
rivisti più tardi, corse fuori dalla stanza.
Il
tiratore si avvicinò alla
ragazza. « Il tuo rapporto? » fece lei, senza
neanche onorarlo di guardarlo
negli occhi, impegnata com’era a leggere qualcosa su uno
degli schermi. « Il
bersaglio è stato eliminato con successo » rispose
lui, leccandosi il dito
ancora ferito dal lucchetto di Goldfeather; « sei bravo ad
uccidere, Jason… »
mugugnò Oracle. Il cecchino non sapeva se prenderlo come
complimento, oppure
come accusa. « … ma perché non ti
importa delle altre vittime, quando sei in
missione? Hai ucciso l’autista di quel russo solo
perché non volevi perdere una
traiettoria ottimale. »
«
Traiettoria perfetta, vorresti dire
» Jason incrociò
le braccia. « Quando sparo, non me ne frega niente di chi
altro si fa male: ho
un bersaglio, il mio unico interesse è che muoia. Questi
sono gli ordini. »; «
siamo egoisti, eh? » finalmente, lei lo guardò con
i suoi occhi bianchi. Non
aveva iridi o pupille. Solo i bulbi oculari. Eppure, riusciva a vedere
meglio
di tante altre persone, perfino di Angelica, e non solo a livello
fisico, ma
perfino a livello mentale e spirituale. Una bambina cieca che vedeva
più di
coloro che credevano di vedere. Era esattamente quello il motivo per
cui fu scelta
da Dio in persona per il Progetto, e quindi era una ANGEL di
diritto. Era stata assegnata a svariati compiti: controllo dei Lanci,
del Sonno, autorizzazione al rilascio del Bozzolo –
speciali capsule che permettono di raggiungere la superficie terrestre
-, sgancio
degli equipaggiamenti primari W.I.N.G.
per ogni ANGEL operativo.
Gestiva anche la stazione radio del Santuario: da qui, il nome
“Oracle”. Era il
loro Oracolo durante le missioni. Non mentiva praticamente mai, quando
le si
parlava ed era sempre gentile con tutti; le volevano tutti bene,
nessuno escluso.
« Celia Shine » le
parlò usando il suo vero nome, « non
ti ho chiesto un giudizio diretto sulla mia personalità.
»; « beh, Jason
Goldwing, questo è mio dovere in quanto ho il compito di
supervisionare i
sodati del Santuario
» lo rimbeccò a
tono, un pennino da touch screen stretto tra le dita sottili e piccole.
Jason
lasciò correre l’insulto – anche se non
era un insulto, ma il suo orgoglio gli
suggeriva tutt’altro – e chiese, cambiando
argomento: « porti il nome di una
grande casata di Angeli. Perché non sei laggiù, a
combattere per Dio? »
Oracle
lo studiò per un lungo
istante, prima di rispondere ad una domanda così personale,
gli occhi vuoti che
lo scrutavano nell’anima. « Ho saputo di essere un
Angelo quando ho sentito
delle gesta di mio nonno, il più potente della mia famiglia.
Molti lo dicono,
ma è tutto vero: i serafici hanno il privilegio della vita e
gioventù eterna.
Lo stesso vale per la nostra anima gemella, la persona che scegliamo
con cui
passare i nostri giorni. Certo, possiamo ancora morire a causa delle
ferite o
del veleno. Mio nonno ha fatto proprio questa fine: avvelenato. Davanti
a sua
figlia, mia madre. » sospirò, leggermente
intristita. « Gli Shine, fino a mia
madre, Islanzadi Shine – o Isla, come la chiamavo io -, sono
stati potenti
guerrieri che hanno servito il Signore » - si
indicò con la punta del pennino -
« poi sono nata io: debole, fragile, mingherlina nonostante
abbia diciannove
anni… »; « diciannove? »
sbottò il tiratore, di punto in bianco. Era
assolutamente convinto che fosse molto più giovane! Oracle
lo guardò di sbieco,
già abbastanza imbarazzata d’avergli rivelato la
sua età. « Sì, diciannove! »
sottolineò aspra; « a causa del mio fisico non
sono stata addestrata nelle arti
marziali, o a sparare. La mia passione si è da sempre
rivelata essere la
strategia. Ed è per questo… » si
sistemò meglio sulla sedia, « …che hai
Angelica, come spotter, e non me. »
«
Dai, non è quello che
intendevo… »
«
Ho capito perfettamente cosa
intendevi dire » gli fece notare, corrugando la fronte.
« Ora, va’ a pranzare.
Il Sonno è
durato più a lungo del previsto. Il
tuo ultimo pranzo risale a due giorni fa » e gli
indicò l’uscita con il
pollice. Jason, allora, si congedò.
Quando
fu entrato nella mensa,
agguantò subito il primo vassoio che ebbe individuato. Aveva
fame, sapeva solo
questo. Celia aveva tristemente ragione: era rimasto nel Bozzolo più del
dovuto e il suo organismo aveva
continuato a lavorare. Il tutto era sfociato in una conseguente fame da
lupi.
Si mise in fila e, quando ne ebbe la possibilità, si
riempì almeno quattro
piatti: uno con una generosa forchettata di spaghetti al sugo, un altro
di
costolette impanate, un altro ancora di alette di pollo, e
l’ultimo di pancake
alla panna montata – attirandosi addosso non pochi sguardi
curiosi -. Si fece
largo tra qualche ANGEL ritardatario
a gomitate
e corse a sedersi a un tavolo isolato. La mensa era molto spaziosa e
mai vuota.
Infatti, dopo essersi risvegliati, tutti i soldati del Santuario
finivano per
sedersi a
quei tavoli e fare il pieno di energie. Per questo le cucine erano
costantemente all’opera. Jason addentò avido
un’aletta di pollo, dopo averla
intinta nella panna montata dei pancake – non pensava fosse
molto salutare, ma
aveva un buon sapore e gli andava benissimo così -.
Masticò, beato di tutti
quei sapori che collidevano contro le sue papille gustative. Non si
stancava
mai di dirlo: Drake, il capocuoco, era il migliore. I suoi piatti erano
tutti
squisiti – tranne la zuppa di cipolle – ed ogni
giorno era sempre curioso di
scoprire cos’altro si era inventato. L’unica che
non osava mostrarsi lì era
Oracle: la prima e ultima volta che aveva deciso di mangiare
lì, alcuni ANGEL
l’avevano presa in giro, perché, dal
momento che
discendeva da una famiglia di potenti Angeli, era molto meno di quanto
si
aspettassero, cieca per giunta. La poverina era scoppiata a piangere e Angelica, infuriata, aveva
malmenato due di loro, mentre tutti gli altri li aveva costretti a fare
cinquecento giri di corsa per tutto il Santuario,
altrimenti, li aveva minacciati, avrebbe fatto rapporto a Dio. Si erano
pentiti
all’istante di quello che avevano detto, ma la piccola Celia
non aveva più
osato mostrare il suo musetto, lì. Prese un sorso di cola,
dunque tornò ad
attaccare il cibo.
Qualcuno
occupò il posto di
fronte a lui; non capì chi fosse, poiché aveva il
capo abbassato per prendere
un altro boccone. Quando si tirò su, tuttavia, si
ritrovò a guardare
un’immagine singolare: un uomo lo stava fissando, le guance
gonfie, le labbra
sozze di pomodoro. Aveva capelli corti e castani, risultato di due mesi
di
crescita dopo il taglio militare che doveva fare, secondo il
regolamento. I
suoi occhi erano piccoli, dall’iride nera ed erano sormontati
da due
sopracciglia oblique e sottili. Il naso era leggermente più
grosso della media.
Le labbra erano sottili. Il suo mento era squadrato e la mascella
pronunciata.
La barba gli stava già ricrescendo. Riprese a masticare:
stava guardando il suo
riflesso, riprodotto dallo schermo di uno di quegli apparecchi che
tutti
chiamavano “smartphone”.
Deglutì.
«
Devi smetterla di farmi questi
scherzi, Angelica! » ammonì, portandosi il
bicchiere alla bocca una seconda
volta. La sua spotter ridacchiò e distolse il telefono dal
volto di Jason. « E
smettila di rimanere così appiccicata a
quell’affare! Ti deconcentra. »; «
“cellulare”,
prego! » lo raddrizzò lei.
Il tiratore sbuffò. « Come ti pare. »
«
Sei antiquato » gli fece notare
poi, « la Seconda Guerra Mondiale non è stata
clemente… » La bocca di Goldwing
si schiuse in una smorfia sdegnata. « Non ci posso fare
molto, se ho vissuto in
quel periodo! » si lamentò; « antiquato e
troppo rigido » rise l’altra, «
davvero, dovresti imparare a divertirti!
Prova a scendere sulla Terra, di tanto in tanto! »
Jason
la guardò, dubbioso. «
Posso scendere sulla Terra quando non sono in missione? » si
meravigliò; « a
quale scopo? »
«
Non ad ammazzare criminali! » Angelica
aprì le mani, come se stesse spiegandogli la cosa
più ovvia del mondo. « E cosa
dovrei fare, allora? » sospirò lui, già
stanco della conversazione. « Cosa ti
piace fare? »
«
Uccidere…? »
Lei
lo guardò, le palpebre
socchiuse, in un cipiglio seccato. « Prova ad andare in
qualche discoteca,
oppure al cinema. O a un concerto! Non ti piace la musica? »;
l’altro sollevò
le sopracciglia. « Sì, mi è piaciuto
quel gruppo che mi hai fatto sentire
l’altro giorno… »
«
I “Linkin Park”? »
Jason
schioccò le dita, quando
ebbe sentito il nome. Se c’era una cosa che gli piaceva
davvero, quella era la
musica; ma, come amava le sinfonie meglio assortite, così
detestava il chiasso
e la confusione: gli davano sui nervi. Di conseguenza, un concerto era
fuori
discussione. E quando lo ebbe esplicato ad Angelica, ella
sbuffò di
esasperazione. « Davvero non gradisci altro, oltre
l’uccidere qualche
poveraccio? » trillò. « Sì,
adoro il silenzio e la pace. Quindi, cerca di non
strillare come una scolaretta, per piacere! »
ribattè, ottenendo una bionda dal
viso scarlatto come gran premio. « Certe volte mi chiedo
perché sei stato
ucciso da Hitler. Poi mi sveglio e realizzo che sei un gran stronzo!
Ecco
perché! » incrociò le braccia, mettendo
il muso.
« Mio Fuhrer! »
salutò,
alzando il braccio destro, come sempre gli avevano insegnato. Adolf
Hitler, il
leader dell’esercito Nazista, in quel momento, gli dava le
spalle ed osservava
il tramonto di un altro giorno, le mani intrecciate dietro la schiena.
Quando
il saluto del suo sottoposto gli fu giunto alle orecchie, finalmente si
voltò
facendo sventolare il candido mantello che il suo gigantesco ego tanto
desiderava. Alla sua vista si rivelò il volto di un tedesco
di più di
quarant’anni, con quel disgustoso baffetto
che era abituato a portare. Volto che, appena giratosi, si
illuminò. « Jazon! »
chiamò, contento; « allora, come è
proceduta la mizzione che ti ho affidato? »
« E’ andato tutto liscio
» affermò Jason, « ho abbattuto il
bersaglio
ancor prima che avesse il tempo di salire sul furgone »;
l’uomo annuì,
veramente compiaciuto della notizia. Di colpo, uno dei soldati
dell’SS entrò
nella grande sala, salutò il capo e gli consegnò
un plico, che venne letto
avidamente da quest’ultimo: l’espressione del
Fuhrer passò da raggiante ad
infuriata in una manciata di secondi, mentre i suoi occhi scorrevano
lungo le
parole scritte sulla carta. Lento e tremante, posò la
lettera sulla superficie
della propria scrivania, già rosso in volto per la rabbia.
Poggiò anche i palmi
sul legno; aveva il fiato pesante. Pessimo segno…
Guardò Jason dritto negli occhi e lui si
senti cuore mancare un
battito. Quello che aveva appena letto era un rapporto, e non sembrava
contenere buone nuove. L’istante dopo la sua voce
tuonò in ogni angolo della
stanza, in tedesco. Era un ordine: i due soldati che stavano di guardia
alla
porta accorsero, lo afferrarono in malo modo e lo costrinsero in
ginocchio. Uno
di loro gli prese i capelli tra le dita, per poi tirare
all’indietro,
forzandolo a guardare Hitler in volto. Ancora una volta, si rese conto
di
quanto lo odiasse in realtà: suo padre era un SS, ed era fedele
alla causa dei nazisti. Aveva istituito
campi di concentramento in tutta Europa, aveva ucciso Ebrei oltre ogni
umana
comprensione, ma, soprattutto, lo convinse con la paura ad arruolarsi
nell’esercito tedesco. Un americano
nazista che costringe il suo stesso figlio a
prendere parte al più grande genocidio che
l’umanità avesse mai avuto la
sfortuna di vantare. Jason Goldwing era conosciuto tra le fila di
Hitler come
il letale “Krähen Moralische”,
il
“Corvo Mortale”, in quanto qualunque nemico lo
vedesse, era già morto e i
compagni del caduto che se ne accorgevano, lo prendevano come presagio
che non
avrebbero respirato ancora a lungo.
L’altro si avvicinò al
ragazzo, guardandolo con occhi di fuoco. « Zai
coza ho appena letto? » gli chiese in un sibilo; «
no » rispose semplicemente.
Il Fuhrer inarcò un sopracciglio. « Qvello
è un rapporto inviato dalla zqvadra di
Vrancia. Gvarda cazo, la tua mizzione era il recupero di un furgone di
Ebrei
che stavano organizzando una fuga. Tu, a qvanto pare, hai decizo di
rivoltarti
contro il mio dominio indiscusso e, invece di uccidere il gvidatore
Ebreo, hai
rizervato quezto deztino alla zqvadra che ho inviato per darti
zupporto! »
scatenò un potente manrovescio diretto allo zigomo sinistro
di Jason. Con la
guancia che ancora gli pulsava, tornò a guardare il bastardo
con aria di sfida.
« Ora » l’uomo frugò dietro la
cintura e ne tirò fuori una Mauser Military di
colorazione verde oliva; il metallo della pistola dalla canna sottile
rifletteva la luce dei lampadari con uno strano riverbero. Il dittatore
squadrò
l’arma un paio di volte, prima di proferire nuovamente:
« zei al zervizio della
Germania e dell’ezercito Nazizta da... qvanto? »;
« dieci anni, mio Fuhrer! »
rispose al suo posto il soldato che aveva portato il rapporto. Hitler
sogghignò. « Ja, dieci anni…!
» di colpo si voltò ed uccise colui che aveva
parlato
senza il suo consenso, sparandogli alla testa: un unico spruzzo di
sangue e il
ragazzo si accasciò a terra, morto. « Dopo
cozì tanti anni… » riprese il filo,
« …ozi tornare al mio cozpetto, con qvella vaccia
tozta, a parlarmi e a
mentirmi come ze nulla fozze » lo affiancò.
« E’ qvezto il caztigo che meritano
qvelli come te! »
L’unica cosa che ricordava dopo era lo
sparo…
Una
fitta alla testa lo riscosse.
Sospirò piano e si portò le mani alle tempie: due
cicatrici rotonde gli
invasero il senso del tatto, una per ogni lato. « Scusami. Ti
ho fatto tornare
alla mente quel ricordo? » si preoccupò Angelica;
annuì. « Già »
affermò,
glaciale. Ogni volta che ripensava a quell’episodio, la testa
cominciava a
dolergli, esattamente nel punto in cui il proiettile lo
colpì. « Sei stato
riportato in vita cinque anni fa… »
rammentò la spotter, « le tue abilità
hanno
impressionato perfino Nostro Signore. Ti ha richiamato dalla morte e ha
fatto
di te un Angelo. E’ davvero misericordioso…
»; « e tu sei nata Angelo! »
sottolineò
secco, « anche tu sei stata molto… fortunata!
»
Angelica
sbuffò. « Come sei
noioso! » lo insultò. Goldwing fece per ribattere,
ma la sua radio squillò. « Jason,
il Grande Capo ti vuole vedere! »
comunicò Oracle. Il destinatario spalancò gli
occhi: per quale motivo Dio
avrebbe voluto parlargli? Sospirò, leggermente innervosito.
Poi, alzandosi: «
digli che sto arrivando… »; « subito!
»
Salutò
Angelica.
***
All’esterno,
nessuno si
aspetterebbe come fosse fatto in realtà il Santuario:
sembrava una gigantesca portaerei
della marina, ma almeno cinquanta volte più grande, in modo
da riuscire a
contenere tutti gli ANGEL scelti
e schierati,
con tanto di dormitori, stanze private per combattenti di rango
più alto,
bagni, mensa e tanto altro. Ma forse un dettaglio fondamentale sfuggiva
alla
maggior parte: si trovava nel cielo, talmente in alto da non poter
essere
individuato da nessun radar esistente. Vi era perfino una task force
speciale
super-addestrata. Era composta da pochissimi, ma l’esiguo
numero di componenti
veniva totalmente compensato dalle sconfinate potenza e
abilità dei singoli.
Nessuno conosceva l’identità di questi soldati,
tanto meno il loro aspetto,
tuttavia, se vedevi qualche container o fascicolo che riportava la
sigla R.E.A.P.E.R. significava
solo una cosa: roba grossa e
molto pericolosa. Girava voce che, addirittura, fossero talmente
sensibili alla
luce da indossare speciali tute isolanti di protezione; motivo per cui
non si
facevano mai vedere sulla superficie del Santuario.
Jason
ricambiò il saluto di
alcuni fucilieri e deviò bruscamente dal percorso, diretto
all’Altare,
che l’avrebbe portato a cospetto del Signore.
Entrò, con il permesso delle due guardie che sorvegliavano
il portone. Il luogo
nel quale si trovava era un improvviso cambio di stile architettonico:
mentre
la Corazzata – come chiamavano il Santuario gli ANGEL – era
costruita totalmente per fini militari,
quello somigliava più ad un’enorme cattedrale, con
tanto di campanili e torri.
Avanzò in mezzo alle due file di panche a passo spedito,
desideroso di non far
aspettare Dio più del dovuto. Arrivato dinanzi alla grossa
tavola di pietra, si
inginocchiò, recitando una piccola preghiera. Quando
l’ultima parola ebbe
abbandonato le sue labbra, una morbida luce bianca lo avvolse,
guidandolo in
un’altra dimensione.
«
Jason! »
Lo
accolse una voce calda,
profonda ed affascinante. Il giovane soldato quasi desiderò
non riaprire gli
occhi, pur di sentire nuovamente costui parlare. Sorrise. Era al Suo
cospetto,
infine.
«
Jason, alzati, ti prego. »
Il
tiratore obbedì. Dinanzi a lui
si stagliava, fiero ed eterno, il Signore Nostro Dio. Se per canoni
umani si
poteva intendere, il suo volto dimostrava all’incirca
cinquant’anni; portava i
candidi capelli legati in una elegante coda di cavallo, mentre la barba
era ben
curata, dandogli un’aria di importanza e stile ancor
più grandi di quanto già
non fossero. I suoi occhi, i più saggi che potessero
esistere, erano neri, ma
il contorno delle pupille era curiosamente giallo, come una coppia di
stelle. Il
naso era adunco, ma non in maniera volgare: dava, più che
altro, al tutto un
aspetto più esperto. Il suo fisico poteva far invidia ad un
atleta e, vestito
di uno smoking bianco, nessuno vi poteva competere. La sala, totalmente
bianca,
eccezion fatta per la scrivania e la sedia, che erano rossi.
L’ospite chinò il
capo, in segno di tacito saluto. Dio gli sorrise dolcemente.
« Come ti senti? »
gli chiese, senza staccargli gli occhi di dosso. Jason esitò
per un istante, ma
poi rispose: « sto bene, mio Signore. »
Lui
annuì, compiaciuto. Piano, si
alzò dalla propria scrivania e si avvicinò di
qualche passo, intrecciandosi le
mani dietro la schiena. « Ragazzo mio, sei sicuro di quel che
dici? » domandò;
Goldwing titubò. Non sapeva cosa ribattere, ma neanche cosa
intendesse. « Ho
deciso di intervenire nella pace del mondo – mondo che io ho creato –
poiché non volevo che sprofondasse nel caos
dell’Apocalisse prima di
quando si
sarebbe rivelato fondamentale » continuò, non
vedendolo rispondere; « il
protocollo “THE END” è pronto, nel malaugurato
caso non vedessi altra
soluzione per garantire la salvezza della Terra. Nome interessante,
quello che
gli avete dato, a proposito! » ridacchiò, per
sdrammatizzare. Dunque: « ricordi
ancora cos’è il Progetto,
vero? »; Jason annuì
prontamente. « Il Progetto
è una soluzione che
Voi avete creato dal niente. Consiste in una base operativa di
sorveglianza
assoluta che collega la città di Heaven e il
pianeta, e in un esercito formato da guerrieri serafici, in modo da
garantire
la migliore protezione attraverso il dispiegamento di forze
ultraterrene.
Questo esercito siamo noi, gli ANGEL.
A nostra
disposizione vi sono gli equipaggiamenti primari W.I.N.G.:
armi dalla foggia angelica. Questi sono assegnati solo ad alcuni di
noi, in
quanto solo coloro che ne possiedono uno sanno come richiamarlo tramite
il
codice di sgancio, come aprire la cassa che lo contiene ma,
soprattutto, come
usarlo. L’arma è strettamente legata al suo
possessore e i due non si possono
scindere, in nessun modo e per nessuna ragione. Inoltre, siamo muniti
di una
speciale squadra specializzata in inseguimento, recupero o uccisione di
fuggitivi: questo vale sia per i traditori che per i latitanti
più pericolosi
dell’Inferno. »
«
E sai come si chiama, questa
squadra? »
«
So solo che la loro sigla è “R.E.A.P.E.R.”
»
Dio
sorrise ancora. « Qualcuno ha
fatto i compiti. » rise, usando una delle battute
più classiche degli stessi
umani che Egli ebbe generato. « Sono sorpreso che tu sappia
dei R.E.A.P.E.R. »
confessò, « doveva rimanere sotto
totale segretezza… »; « è
difficile tenerlo segreto, quando su tutto il Santuario ne viene
sbandierato il nome. » La Sua
espressione si fece seria, tutto d’un tratto. «
Oracle! » chiamò e, con un
tenue bip una finestrella
olografica
con l’immagine di Celia Shine apparve proprio dinanzi al
Padre Eterno; « sì,
signore? » fece lei. « Fa insabbiare immediatamente
tutti i container che
riportano la sigla della task force segreta e sparire ogni documento,
fascicolo
o qualsiasi cosa che dia solo l’idea
che
ci sia una squadra speciale sul Santuario.
D’ora
in poi i carichi di cibo e armi destinati al R.E.A.P.E.R.
saranno scortati da due ANGEL
sotto
totale anonimato. Ai soldati verranno poi cancellati i ricordi legati a
questo
incarico e sostituiti con memorie false. Il R.E.A.P.E.R.
non esiste! Sono stato
chiaro?
»
La
ragazza annuì ed interruppe la
chiamata. « Problema risolto » annunciò
poi, ritrovata la calma in poco meno di
un istante. « Dunque » battè le mani;
« ti ho chiamato qui per una ragione,
Jason Goldwing! »
«
Sono tutto orecchi… » disse il
giovane, inchinandosi solenne. « Sono cinque anni che presti
servizio, ragazzo
mio, e non ti sei mai lamentato della stanchezza o della
noia… »; « non mi
importa del divertimento » osò interromperlo,
« la cosa più importante è la
missione. Il divertimento lo trovo nell’uccidere i bersagli
della Vostra ira,
mio Signore. Vi tradirei, se dovessi distrarmi dall’incarico
che avete avuto la
fiducia di affidarmi… »
«
Non mi tradisci se ti rilassi
un po’, Jason! » lo ricambiò Dio,
divertito dalla sua reazione. « Sei uno dei
migliori ANGEL che
abbiano mai combattuto per
me, caro Goldwing. Per questo hai continuato a fare le terribili cose
che
quello sporco… dittatore ti
imponeva
di fare, mentre la mia intenzione era tutt’altra. So che sei
fedele, ma tu ora
devi fidarti di me: và sulla Terra e divertiti per qualche
giorno. Ho notato
che non ci sono stati attacchi dalle Chimere,
ultimamente, tanto meno da criminali o terroristi. Hai tutto il tempo
che
desideri. » Jason spalancò gli occhi, mentre quel
discorso gli scorreva nel
corpo. Aveva l’opportunità di distrarsi dal dovere
per qualche tempo… ma questo
che voleva dire? Lo ignorava: fin da quando aveva compiuto dieci anni,
era
stato costretto ad addestrarsi per diventare un soldato di
prim’ordine; sapeva
cosa significava essere buoni verso il prossimo, ma non era lo stesso
per lo
svago. Non aveva idea di cosa significasse, non più.
Ma
non poteva ignorare il
desiderio di Colui che lo aveva riportato in vita.
Guardò
il suo padrone, grato. «
Sissignore » fu la sua unica parola, prima che si congedasse.
***
«
Te l’avevo detto… » lo
canzonò
Angelica, quando fu tornato alla loro camerata. Erano seduti a un
tavolo, una
bella tazza di caffè in pugno. Jason sbuffò:
anche se era così grato
dell’offerta del Signore, non aveva idea di cosa fare, per
divertirsi. « Hai
già qualche idea? » fece lei, gli occhi che le
scintillavano, ma JJ scosse il
capo. Fu il turno di Angelica per sbuffare. « Hai passato
troppo tempo in
guerra… » affermò tristemente;
« hai mai avuto una ragazza, almeno? »
Goldwing
arrossì. « Come se ne
avessi avuto la possibilità! » sibilò,
nascondendosi dietro la tazza. « E poi,
tu non conti? »
«
Oh, che ammaliatore! » rise la
ragazza. Prese un sorso. « Forse… ma tu non me lo
hai mai chiesto. » Lui la
guardò, a bocca aperta, ma, subito dopo, si
riconcentrò sul liquido scuro che
stava bevendo, fingendo che non gli importava. « Prova a
portarmi fuori! »
propose l’Angelo biondo, « magari mi piacerai
abbastanza da accettare di
diventare la tua… »; « non ho idea di
come si porti avanti una relazione! »
sbottò il tiratore, imbarazzato. « Sono stato in
battaglia da quando ero un
bambino! E prima ancora di avere il piacere di provare il vero amore,
sono
stato ucciso da uno schifoso
dittatore che ha distrutto mezza popolazione europea! »
latrò subito dopo,
sforzandosi di non usare termini troppo volgari. Il fiato gli si fece
pesante:
si sentiva stranamente contento, di quello sfogo. Ma non
durò a lungo, che
subito riprese il suo solito comportamento pacato e non curante.
Angelica,
però, lo guardava con inaspettata dolcezza; «
usciamo insieme… » gli sussurrò.
Dunque, si alzò dalla sedia accarezzandogli la mano con le
dita. Jason digrignò
i denti. Sapeva che se ne sarebbe pentito.
***
«
Lancio eseguito
con successo, uscita dal Sonno confermata
alle
ore “due-tre-cinque-otto” del
“ventuno-cinque-duemiladiciotto” »
comunicò Jason
a Oracle attraverso l’auricolare. Angelica arrivò,
trafelata, dopo aver
nascosto la piastra che permetteva il richiamo del Bozzolo.
« Ricevuto, ANG…
oh, giusto! Non siete in missione, voi due! » rise
Oracle; « vedete di non tornare
prima dell’alba! »
detto questo, spense la radio. Jason rimase imbambolato per un attimo,
inconsapevole del da farsi. La ragazza era vestita come una classica
vent’enne
durante un sabato sera: maglietta, giacca di pelle, jeans e non
riuscì a vedere
le scarpe. Almeno così credeva si vestissero. Lui, invece,
era stato costretto
ad indossare un paio di pantaloni bianchi da smoking, una camicia di
colore
scuro e delle scarpe eleganti, oltre al gel nei capelli. Si sentiva
ridicolo,
ma allo stesso tempo stranamente a proprio agio, conciato
così.
Erano
atterrati in una piccola
area boschiva, vicino ad una discoteca di Parigi. Lui aveva protestato
riguardo
quella scelta, ma Angelica lo aveva rassicurato: « è passato un mese da quando abbiamo
eliminato quel russo: ormai avranno
cessato qualsiasi indagine! E’ stato un bel colpo di fortuna,
il fatto che tu
abbia dovuto compilare tutte quelle scartoffie per farti autorizzare un
Lancio non a fini
di missione! » Infatti, il
povero Goldwing, era stato messo in attesa per tre settimane, prima di
poter
scendere sulla Terra. Ora che finalmente era lì, si sentiva
come pietrificato.
L’Angelo biondo lo prese per mano. « Andiamo,
forza! » lo incitò eccitata, e si
diresse verso l’entrata del club.
«
Nome? » fece il buttafuori.
Aveva un forte accento francese, come ci si poteva aspettare dai nativi
del
paese. Indossava una stretta camicia bianca, pantaloni stirati neri e
un paio
di occhiali a specchio – per un qualche motivo -.
Squadrò Angelica per un lungo
istante, disgustosamente interessato, dunque si volse verso Jason,
questa volta
accigliato. Era muscoloso, al fine di scoraggiare eventuali imbucati.
« Jason Goldwing
e Angelica Halo! » annunciò la sua compagna;
l’altro controllò sulla lista,
facendo scorrere la penna sui nomi che vi aveva scritti. Con un
sospiro,
comunicò: « la signorina può
passare… »; nel mentre, alcuni uomini vestiti come
quello con cui stavano parlando si avvicinarono al collega, richiamati
da
quest’ultimo attraverso l’auricolare. «
…Ma tu non puoi. » sibilò, rivolto al
tiratore, un’espressione feroce sul volto inondato di
autoabbronzante. Il
giovane cecchino inarcò un sopracciglio. « Quindi,
vedi di smammave. Su, levati
dai coglioni! » ma lui non si mosse. Angelica aveva fatto
richiesta per
entrambi, qualche giorno prima. La ragazza lo guardò,
preoccupata. Non
vedendolo reagire, i buttafuori lo circondarono, mettendosi le mani in
grembo, nel
tentativo di spaventarlo. Era cinque in tutto. Sbuffò.
« Controlla meglio… »
gli consigliò, pacato; l’omone finse di guardare
meglio la lista, per poi
scuotere la testa. « Ma avevo detto che saremmo stati in due!
» si intromise la
spotter, ma venne totalmente ignorata dalla comitiva. Poi, quando fece
per
mettersi in mezzo agli uomini, Jason la fermò: «
ferma dove sei. Ho capito cosa
vogliono: vedendo uno come me in compagnia di una donna così
bella, hanno
deciso che io sono di troppo. » Sogghignò.
« Ma non hanno idea con chi hanno a
che fare… »
Senza
preavviso, uno di quelli
alle sue spalle si mosse per afferrarlo; tuttavia, Jason lo
anticipò, scartando
a sinistra. Si voltò, per poi assestare una falciata dritta
allo zigomo del
buttafuori. Si piegò in avanti, evitando un ridicolo gancio;
colpì l’addome
dell’attaccante con una potente gomitata: il nemico
crollò subito in ginocchio,
tossendo violentemente tra diversi schizzi di sangue. Si mosse ancora e
attaccò
il terzo con una pedata proprio al setto nasale, il cui impatto lo
costrinse ad
eseguire un mezzo salto mortale all’indietro. Il maledetto
atterrò sul duro
cemento, facendo affondare ulteriormente il proprio naso nel cranio.
Rotolò a
sinistra, mandando a vuoto il pestone del penultimo rimasto; si
tirò su con uno
scatto delle reni. Lì, mulinò le braccia per
parare un paio di ganci, scagliati
da entrambe sinistra e destra; subito dopo sferrò una
testata sulla fronte
dello sfortunato. Seguì un montante diretto al mento di
quest’ultimo, che,
appena venutone a contatto, finì sollevato da terra di
almeno tre piedi. Jason
eseguì una giravolta oraria, per poi assestare una falciata
con la gamba
sinistra all’addome della vittima, gettandolo
all’indietro di diversi metri. Si
accasciò, perduti i sensi.
Dunque
confrontò colui con cui
aveva parlato. Questo lo attaccò, ma Goldwing
evitò il suo diretto; si abbassò
su un ginocchio, colpendo con un manrovescio lo stomaco
dell’avversario. Non
gli lasciò il tempo di soffrire, che già gli
abbatteva sul collo la mano di
taglio; fatto questo, afferrò il suo polso e fece pressione
sul gomito,
slogando l’avambraccio senza sforzo. Pestò il suo
ginocchio destro, spezzando
anche quest’ultimo. Infine, ne colpì il petto con
l’intero braccio,
proiettandolo a terra. Era ancora cosciente. L’ANGEL raccolse
la lista da terra e la schiaffò in faccia al buttafuori.
«
Controlla meglio… » ripetè con
un sibilo. L’altro gemette in risposta, annuendo piano. Jason
annuì di rimando;
con due bruschi strattoni ed altrettanti schiocchi sinistri,
aggiustò gli arti
che aveva appena rovinato e si diresse verso l’interno della
discoteca, con
Angelica che, a malapena, riusciva a trattenere le risate.
***
Paul
si svegliò, avvolto da un
soffice lenzuolo. Si alzò a sedere, ancora stordito dopo la
scorsa, movimentata
notte: era andato in discoteca, a divertirsi assieme a Terence ed aveva
–
decisamente – alzato il gomito fin sopra i capelli. Era
passato un mese
dall’omicidio di Asimov e del suo autista; si era impegnato,
aveva fatto
domande in giro, aveva cercato prove – del proiettile neanche
l’ombra, proprio
come aveva detto Venicè – e tentato di ricostruire
la faccenda. L’unica
soluzione che gli veniva in mente ogni volta era quella: il Tiratore dei Cieli aveva
colpito ancora. Ed
altrettante volte, un unico ricordo gli faceva ruggire
l’istinto poliziesco:
Entrò nella sala da ballo. Subito la
potente musica gli invase l’udito.
La ragazza che aveva portato lì, quella sera, Margot, si
liberò dalla sua mano
e prese a dimenarsi assieme a tutte le altre persone riunitesi in quel
posto.
Paul le si avvicinò e le gridò
nell’orecchio che l’avrebbe trovato al bar; lei
gli aveva risposto con un okay e
tornò ad agitare il corpo come una forsennata. Arrivato al
bancone del bar,
ordinò un cocktail: aveva bisogno di una bella botta alla
testa e un super
alcolico era quello che faceva per lui. Prima di servirlo,
però, il barista
fece apparire una birra sul vetro illuminato al neon del bancone, la
aprì con
un’unica mossa del cavatappi e la diede ad un altro uomo.
Questo era vestito
come un damerino, ma non si comportava da tale. Sembrava stranamente
modesto.
Era bianco, aveva capelli castani e il viso perfettamente rasato. Era
giovane:
vent’anni o poco più. Una curiosa aria di
familiarità lo avvolgeva, secondo le
percezioni di Paul. Schioccò la lingua, dunque, mezzo
annoiato e mezzo
incuriosito, si fece avanti. « Ti diverti? » fece,
alzando la voce. Quello lo
guardò di sottecchi e per un attimo temette che
l’avrebbe colpito; invece: «
mica tanto… » prese un sorso dalla bottiglia
scura. Paul rise. « Io sono Paul.
Paul Johnson! » gli offrì la mano. Il fighetto gli
scoccò un’altra occhiata
dubbiosa. Si passò la lingua sui denti da sotto le labbra,
poi gliela strinse,
ancora un po’ sull’attenti. « Jason
Goldwing! » rispose e spostò nuovamente
l’attenzione sulla birra che teneva tra le dita. Finalmente,
il drink del
detective arrivò e lui poté pagare il ragazzo al
lavoro. Bevve un poco
dell’intruglio dal sapore acuto e si rivolse ancora a Jason:
« sei venuto con
la ragazza? O ne stai cercando una? » lo
punzecchiò con il gomito. « Sono qui
con un’amica! » guardò la pista da
ballo, come se stesse cercando la stessa
donna che aveva appena nominato; « tu, invece? »
« Io me ne sono trovata una! Vediamo come
va a finire! »
Si godettero la musica e le bevande per qualche
minuto. Poi, mentre il
DJ stava cambiando traccia: « dì un po’!
Non mi sembri uno di quei ragazzini
viziati! Lavori? » chiese Paul, sempre più sciolto
dall’alcol. Jason annuì con
il capo, l’apertura della bottiglia nascosta dalle sue
labbra. « Sono un
soldato! »; sul viso del ragazzo di colore si dipinse
un’espressione stupita. «
Ecco spiegati i muscoli! » rise, « esercito
francese? » l’amico scosse il capo.
« Sono stato nell’esercito tedesco, per un
po’… » sembrò esitare per un
attimo.
« Sono stato congedato, ma presto tornerò di
stanza nell’esercito americano! »;
« io, invece, sono un detective! » si
vantò Paul; gli venne un’illuminazione.
«
Magari potresti aiutarmi, a proposito! » urlò.
« Hai mai sentito parlare del “Tiratore dei
Cieli”? » Jason lo
adocchiò, un sopracciglio sollevato. « No!
» scrollò
le spalle e bevve ancora. « Avrai sentito almeno
dell’omicidio di Aalin
Smirnov, no? » stavolta, l’altro
spalancò gli occhi. Paul rimase di stucco,
dinanzi a quella reazione, ma poco dopo si riscosse dicendosi: sa
qualcosa,
decisamente.
« Allora, ti viene in mente niente?
» fece, sempre più interessato.
Goldwing, invece, sembrò ignorarlo e finì la sua
birra con tutta calma. Posò
una banconota da venti Euro sul bancone; poi, si volse
all’uscita. « Sei un
poliziotto, eh? » chiese, senza neanche guardarlo;
« un detective » annuì. «
Allora accetta un consiglio: quando cerchi un indizio o qualcosa, o
qualcuno, a
cui tieni tanto, guardati bene attorno » lo guardò
per un istante, « la soluzione
al dilemma potrebbe essere molto più vicina di quanto credi!
» e se ne andò,
ignorando il barista che lo richiamava a gran voce per rendergli il
resto.
Solo
allora si rese conto di
quello che intendeva: lui era il Tiratore
dei Cieli!
Era esattamente quello che gli aveva detto! Doveva trovarlo. Trovarlo e parlargli. Balzò fuori dal
letto;
secondo la sveglia erano già le nove del mattino. Margot era
ancora
addormentata. Si vestì in fretta e furia e corse al garage,
dove si infilò in
auto e partì.
***
Jason
si grattò il capo e
continuò a sonnecchiare. Si trovava in cima ad un albero, su
uno dei rami più
grossi, in un boschetto nella periferia di Parigi. Almeno
lì, il silenzio c’era
tutto. Aveva lasciato che Angelica si trovasse una stanza nei
più lussuosi
hotel parigini, ma lui, alle prime luci dell’alba, se
l’era svignata, alla
ricerca di un luogo come quello che aveva trovato. Il canto degli
uccellini gli
accarezzò le orecchie; era decisamente meglio, rispetto alla
musica che metteva
Oracle la maggior parte delle volte che tornava sul Santuario.
Avrebbe voluto richiamare un Lancio,
ma la Shine
aveva bloccato la sua frequenza. Allora, si rilassò per
conto suo. Era sempre
stato così: un amante della pace e della quiete; tranne
quando era in missione
per il Signore, periodi in cui era una furia omicida come pochi, non
faceva
nulla, se non leggere oppure ascoltare la musica – e non
quella di Oracle -. Liberò
il braccio sinistro da sotto la nuca e lo lasciò penzoloni,
per permettere al
sangue di affluire alle dita; sbadigliò forte. Non poteva
neanche fare a meno
di pensare: era stato ucciso da Hitler durante la guerra, era finito
all’Inferno, condannato a soffrire per i terribili crimini
che aveva commesso,
sia per scelta che per obbligo. Poi, la luce. Il Signore aveva inondato
quegli
abissi ardenti con il suo infinito potere; stava cercando proprio lui,
Jason,
nessun altro. Dio era sceso nella prigione di coloro che
l’avevano tradito e
l’aveva setacciata solo per lui. Quando lo ebbe trovato,
pronunciò solo due
frasi: « sto costruendo un esercito per salvare il mondo che
io ho creato. Vuoi
farne parte ed espiare i tuoi peccati? »; aveva accettato
alla prima occasione.
Era disposto a combattere un’altra Guerra Mondiale, pur di
purificarsi e
riposare in pace. Divenne un Angelo, puro ed invincibile, ma la sua
abilità in
battaglia non era stata modificata: era perfetta, secondo tutti coloro
che lo
videro all’opera. Ma perché? Per quale motivo Lui era venuto fin laggiù per
incontrarlo e fargli quella proposta?
Perché proprio lui, Jason Goldwing?
Non
aveva idea di quale fosse la
risposta. Tutto quello che poteva fare era rimuginarvi sopra. E questo difficilmente l’avrebbe
portato alla
verità, e, di certo, non avrebbe fatto perdere tempo al suo
padrone solo per
soddisfare un proprio dubbio. Inarcò un angolo della bocca,
dandosi dello
stupido. Non poteva, caso chiuso.
All’improvviso,
passi affrettati
gli giunsero alle orecchie; alzò gli occhi al cielo: la
pacchia era finita.
Tuttavia, quelli che aveva udito non erano i suoni prodotti da scarponi
da
trekking oppure stivali, bensì da mocassini, scarpe fin
troppo eleganti per
riuscire ad adattarsi al terreno appiccicaticcio. La persona che si
annoiava
tanto da mettersi a camminare per una foresta con un paio di scarpe da
trecento
Dollari o Euro falcò per qualche altro minuto, fino a
fermarsi di colpo.
«
Jason! » chiamò qualcuno. Con
un gran sospiro e un gigantesco sforzo di volontà, volse la
testa ed abbassò lo
sguardo, fino a posarlo su un giovane uomo di colore. Dovette lavorarci
un po’,
ma alla fine si rese conto di chi stesse guardando: Paul Johnson, il
detective
che aveva incontrato la sera prima. Imprecò. Solo in quel
momento si era reso
conto di quel che aveva detto al poliziotto, nonostante la frase
enigmatica – a
sua detta -. «
Cosa vuoi, detective? »
fece, riposizionandosi sul ramo; « sei tu, non è
vero? » balbettò l’altro. « Tu
sei il Tiratore dei Cieli! »; « stammi a
sentire ragazzi… » stava
ribattendo, ma accadde qualcosa. Un gigantesco boato
riecheggiò per l’intera
città; a seguirlo, una forte tempesta di sabbia si
abbattè sulla foresta dove
si trovavano Jason e Paul. Di riflesso, entrambi si coprirono occhi e
bocca.
Tuttavia, la folata non durò più di sei secondi.
Goldwing levò il braccio e
si guardò cautamente attorno:
aveva un brutto presentimento. Anche il detective faceva guizzare lo
sguardo
dappertutto per gli alberi, frenetico. Si aggrappò al ramo e
si lanciò verso
terra, atterrando senza danni.
Urla e altri boati si levarono dal
centro della città.
Era come se un gigante avesse appena
invaso la Francia.
Con un piccolo rumore di statico, la
radio di Jason si
riattivò; dall’altra parte del filo non vi era
Oracle, bensì Dio. « Jason!
» sembrava allarmato. « Mio
Signore? » il ragazzo rispose alla chiamata, ignorando le
domande di Johnson; «
Jason, una Chimera di
fattura umana sta attaccando Parigi! Hai un nuovo bersaglio! Permesso
di
ingaggiare ed uccidere accordato! » il tiratore
spalancò gli occhi. Una Chimera
artificiale poteva significare solo una cosa:
un umano aveva stipulato un Contratto
con un
Demone ed era stato posseduto, in modo da avere potere, conoscenza o
qualsiasi
cosa la bramosia di un uomo potesse desiderare. Digrignò i
denti per la
vergogna di essere appartenuto ad una razza così disgustosa,
per certi versi.
Poggiò
il polpastrello
all’auricolare ed aprì il canale di comunicazione
con il Santuario –
l’avrebbe fatto pregando, ma così era
molto più rapido -: « richiedo
sgancio
immediato di equipaggiamento primario W.I.N.G.
alle
coordinate del tiratore scelto Jason Goldwing. Codice di rilascio:
HALORING! »
«
Ricevuto, ANGEL!
Sgancio eseguito! Buona
fortuna! »
La
cassa di Goldfeather si
materializzò dinanzi a lui, come l’ultima volta.
Si abbassò su un ginocchio e
subito si punse il dito con l’ago del lucchetto. Questo si
sciolse in un
istante, come se avesse intuito l’importanza del momento;
aprì il contenitore
ed agguantò il fucile angelico, senza neanche degnarlo del
suo amorevole
sguardo. Si volse per andarsene ma rimase di stucco non appena i suoi
occhi si
posarono su Paul, ancora scioccato da quello che aveva visto pochi
secondi
prima; « levati dai coglioni… » gli
sibilò, per poi avviarsi a passo spedito.
***
La
gigantesca creatura pestò il
suo enorme piede, rovinando edifici ed uccidendo persone.
Percepì qualcosa di
bagnato sulla pianta, a conferma di quello che aveva fatto. I patetici
mucchietti di carne gridarono dal terrore e tentarono di fuggire;
qualcuno
tentò perfino di attaccarlo, scagliandogli contro dei
ridicoli pezzetti di
piombo con quelle che loro chiamavano “armi
da fuoco”. Tutto quello che riuscirono ad ottenere,
tuttavia, fu l’esatto
contrario: credevano di ucciderlo, ma furono loro quelli ad essere
massacrati,
dilaniati, stritolati. Pece qualche passo in avanti; lì, si
ritrovò dinanzi a
un oggetto singolare: fatto di una miriade di bastoncini di metallo,
una sorta
di lancia spuntava dal terreno. Era piuttosto alta, ma gli arrivava
soltanto al
petto. La evitò, poiché gli era stato insegnato
che le armi degne di questo
nome meritavano rispetto.
Era
alto, molto alto. E forte. La
sua pelle era stata intessuta con particelle di metallo proveniente
direttamente dall’Inferno, per questo resistentissima a
qualsiasi tipo di
trauma. Tutto quello che indossava era una corazza da gambe, che,
però, non gli
arrivava ai piedi. Sferrò un pugno a terra, facendo crollare
alcuni
grattacieli; le urla si levarono nuovamente, ma a lui giungevano come
formiche
che si lamentavano di una fiammella. Sogghignò: il suo
istinto gli dava così
tanto piacere, nel distruggere ed uccidere creature a lui inferiori,
che
sentiva il bisogno assoluto di continuare. E così fece.
Finché
non lo vide.
Un
altro umano stava rapidamente
avvicinandosi dalla periferia della città; riusciva a
vederlo perfettamente:
era giovane e tra le mani portava un’altra di quelle
“armi da fuoco”.
Questa era bianca e rossa. Ne osservò il volto. Non
era spaventato, né arrabbiato per quel massacro. Anzi: aveva
la sua stessa,
identica espressione sanguinaria. Ne fu orgoglioso, per quanto la sua
limitata
mente glielo potesse permettere. Un umano che era agguerrito tanto
quanto lui
era una bestia rara, un mostro perfino più spaventoso di
quanto potesse essere
lui stesso. Inaccettabile. Era inaccettabile che un comune mortale
riuscisse a
sottometterlo, anche se virtualmente. Ringhiò, facendo
vibrare il terreno
stesso. Il nemico si stava avvicinando, balzando di tetto in tetto; era
perfino
così agile.
Jason
guardò con cosa era
costretto a confrontarsi. Quello su cui aveva posato gli occhi era
letteralmente
un gigante, un mostro talmente grande da superare in altezza perfino la
Tour
Eiffèl. Non riusciva a credere che un uomo posseduto potesse
realizzare
qualcosa di simile. Ma aveva degli ordini e non avrebbe disobbedito,
per nulla
al mondo. Evitò delle macerie, saltando su un altro tetto e
continuò a correre
a perdifiato.
Balzò
in alto. Il bersaglio è rinforzato
con una lega
speciale di metallo infernale impiantata tra le cellule della carne.
Sono così
tante e talmente sottili da fornirgli una corazza impenetrabile.
Però…
Sollevò
il fucile, ancora in
aria, ed allineò il centro del mirino con lo sterno della
creatura.
… il suo creatore non ha considerato che
gli Angeli possono vedere
oltre la più spessa delle armature!
La
sua visuale tremolò per un
istante; dunque, tutto quel che vedeva divenne di un bel rosso acceso,
salvo
per le ombre. Come sospettava, anche il petto del gigante era
totalmente
rivestito dal metallo; sbuffò. Non avrebbe fatto differenza.
Semplicemente,
espulse il primo proiettile del caricatore e fece fuoco.
Sparò un unico colpo,
che andò a schiantarsi contro lo sterno nemico. Con grande
sorpresa del
bersaglio, il petto si squarciò e si aprì in
mille pezzi: il colpo era talmente
potente da distruggere totalmente il busto del gigante.
Un’inumana ondata di
sangue sommerse le vie di Parigi, mentre la Chimera
cadeva a terra, come se l’intera azione fosse vista al
rallentatore.
Jason
sogghignò, quando fu
atterrato su un edificio integro per osservare il risultato del suo
lavoro. La
missione era compiuta, con un unico proiettile. Si voltò a
raccogliere quello
che aveva espulso prima di sparare. « Oracle? »
chiamò; « sono qui! » rispose
la ragazzina.
«
Bersaglio abbattuto! Richiedo Lancio
di ritorno al Santuario,
ASAP! »
«
Ricevuto! »
Guardò
un’ultima volta il grosso
cadavere fatto a pezzi. Poi, si diresse al punto di ritrovo.
GLOSSARIO DI SNIPER
Tiratore dei Cieli – Il
soprannome dato a Jason Goldwing da ogni
poliziotto che abbia indagato sugli omicidi da lui commessi. Viene
chiamato
così perché chiunque abbia avuto la fortuna
– o sfortuna – di vederlo,
affermava di aver veduto un raggio di luce nel punto in cui si trovava;
Santuario – La base operativa
ANGEL sulla quale
è stato collocato il leggendario
Progetto. E’ una enorme portaerei – almeno
cinquanta volte più grande di una
normale portaerei – fatta apposta per accogliere tutti i
soldati scelti da Dio.
Offre ogni tipo di abitazione o edificio necessario per
l’addestramento e la
vita e tempo libero dei combattenti;
ANGEL – Soldato serafico
accuratamente selezionato per far parte
del Progetto. Ogni ANGEL è un Angelo, senza eccezioni;
Sonno – E’ la fase
fondamentale per eseguire un Lancio. Consiste
nel separare l’anima del soldato internato nel Bozzolo dal
corpo a cui
appartiene, attraverso uno speciale gas che viene iniettato nella
capsula. Poiché
il viaggio durante il Lancio attraversa grande spazio e numerose
dimensioni,
queste parti fondamentali devono essere preservate, poiché,
in caso contrario,
si corre il rischio di perderne una o entrambe;
Bozzolo – Speciale capsula di
vetro impenetrabile, necessaria per
il Lancio. E’ a forma di un sottilissimo fiore di loto. Nella
parte inferiore
sono presenti quattro valvole che permettono l’iniezione del
gas che induce il
Sonno;
Lancio – Processo utilizzato
per raggiungere la superficie
terrestre dal Santuario. Consiste nel separare l’anima dal
corpo del soldato,
onde evitare la perdita di uno dei due, e il lancio
all’interno di una capsula
speciale chiamata Bozzolo. Lo stesso vale per il ritorno;
W.I.N.G. – Warfare,
Intel-gaining, Nemesis-obliterating Gear. E’
l’equipaggiamento
fondamentale degli ANGEL in missione speciale sul pianeta Terra. Solo
alcuni
soldati vengono legati a un W.I.N.G. e non possono assolutamente
venirne
separati, per quanto ci si possa sforzare. Se un ANGEL perde il proprio
W.I.N.G. viene scomunicato, nessuno escluso. I W.I.N.G. sono uno
diverso dall’altro,
in base alla specializzazione del soldato al quale vengono assegnati;
tipicamente sono armi da fuoco;
R.E.A.P.E.R. – Retrieval,
Earth, All-terrain, Pre-emptive, Elìte
Raiders. E’ la task force segreta di stanza sul Santuario,
specializzata in
missioni furtive, inseguimento e recupero fuggitivi, blitz e uccisioni
di
elementi estremamente pericolosi per i regni sia umano che
ultraterreno. Ogni
soldato facente parte di questa squadra è un guerriero dalla
forza e abilità
che trascendono perfino gli stessi ANGEL. Il segreto è
tenuto perfino dagli
stessi soldati di Dio. Nessuno sa chi o cosa siano, ma si vocifera che
abbiano
a che fare molto spesso con la Morte in persona;
Altare – Un normale
altare
posto nella cattedrale del Santuario. Permette di avere udienza con
Dio, solo
su richiesta di quest’ultimo;
THE END – Letteralmente
“LA FINE”. E’ il protocollo militare di
misura estrema ideato da Dio: se le cose per la Terra e gli umani
dovessero
peggiorare oltre un certo limite, il protocollo THE END
porterà la fine di ogni
cosa;
Progetto – E’ la
soluzione che Dio ha voluto assumere per
proteggere il mondo che ha creato. Consiste in un esercito di Angeli
(gli
ANGEL), e una base operativa che collega la Terra e la città
di Heaven (il
Santuario);
Heaven – E’ la
città di Paradiso, luogo di pace e riposo eterni,
dove le anime dei caduti e assolti possono, finalmente, godersi le
gioie che
meritano;
Chimera – Creatura generata
dal Demonio oppure dai suoi sottoposti.
Possono avere qualsiasi forma o dimensione, ma hanno un unico
obiettivo: l’obliterazione
delle forme di vita terrestri;
Contratto – Patto stipulato
tra umano e Demone. Può essere concluso
in qualsiasi modo, ma quello più conosciuto è la
Vendita dell’Anima oppure il
Giuramento di Sangue.
Giovani, un saluto a tutti dal vostro Silvio Shine
di fiducia!
Innanzitutto, mi scuso umilmente per questo grande
ritardo: questo
capitolo mi ha portato via molto più tempo di quanto
credessi!
Dunque, spero che questo nuovo
“episodio” di Sniper sia stato di vostro
gradimento. Abbiamo scoperto già tante, tante cose sui
nostri protagonisti –
specialmente Jason – ma altrettante rimarranno nascoste fino
a tempo debito; un
nuovo personaggio è stato introdotto nella storia: Paul
Johnson, un detective
di Detroit trasferito a Parigi su sua richiesta per continuare ad
investigare
sul misterioso Tiratore dei Cieli. Ma per quale motivo ne è
così ossessionato?
Ha un conto in sospeso con lui? Lo sapremo in futuro!
Cosa sono le Chimere? Per quale motivo è
stato istituito il Progetto? E’
solo per proteggere gli uomini dalle forze dell’Inferno
oppure si mira a
qualcosa di più importante? Perché Jason
è stato riportato in vita, senza sé e
senza ma? Angelica è davvero chi dice di essere? E il
R.E.A.P.E.R. è davvero
così pericoloso come descritto da Dio stesso?
Sono ottime domande, ma altre si aggiungeranno nel
prossimo capitolo: “Il
Terrorista Chiacchierone”!
Recensite, mi raccomando!
KEEP IT UP!
- Silvio Shine
|
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Capitolo 3 *** 2 - Il Terrorista Chiacchierone ***
Le
labbra di Jason tremolarono, quando il suo respiro
si fece un po’ più pesante. Si sentiva strano: il
suo braccio destro era
dolorante e parecchio, quello sinistro sembrava essere stato tirato fin
sopra
la sua testa e legato per il polso, lasciandolo appeso come un sacco di
patate,
stesso fato per la controparte; ma quello che lo innervosiva di
più era la
mente, che non gli permetteva di ricordare assolutamente nulla degli
avvenimenti legati a diverse ore prima. Era sceso dal Santuario,
questo lo ricordava bene. Il suo compito era di indagare su un
terrorista
Afghano conosciuto come “Il Chiacchierone”, per le
sue pessime battute; il
motivo dell’attenzione dell’ANGEL era uno solo:
la possibilità che il musulmano fosse un Posseduto,
e uno facente parte di tale Religione che stipula un Contratto
con un Demone, solitamente risultava nell’acquisizione di
grandissima
conoscenza oppure di enorme potere. Potere che, tuttavia, veniva
bruscamente
limitato dallo stesso che aveva conceduto il patto, al fine di non
farsi
individuare dall’esercito di Dio oppure, qualche volta, anche
dallo stesso
Demonio. Erano innumerevoli i traditori dell’Inferno che
cercavano di soffiare
il dominio all’attuale loro monarca, formando il proprio
esercito personale
costringendo o meno gli umani a stipulare Contratti.
Difatti, non erano che mera routine le guerre intestine nel Regno Di
Sotto, mai
finite con una sconfitta per l’esercito del Demonio, che
vantava la guida di
Lucifer, il più fidato generale dell’imbattuto;
brutale, spietato, ma anche
incredibilmente scaltro e abile, l’Angelo caduto divorava i
suoi nemici delle
loro carni e della loro anima. Per questo, il timore che i Demoni che
non
avevano mai osato mosse eroiche nutrivano nei loro confronti era
pressoché
infinito, superato esclusivamente dall’unico che lo superava
di rango e potere.
Anche l’ANGEL
aveva il proprio generale, ma
raramente si faceva vedere sul campo di battaglia, o sul Santuario. Quando
l’aveva chiesto a Dio, Lui gli aveva
risposto: « dobbiamo tenere segreta la sua
identità: è estremamente potente,
perciò lo manderò in battaglia solo quando non vi
sarà altra possibilità di
vittoria. Sarà la mia arma segreta. »
Non aveva ottenuto un discorso più
chiaro.
Gemette piano: i suoi sensi, specialmente quello
che permette la percezione
del dolore, si stavano infine risvegliando. Ora l’arto
superiore destro doleva
tanto da sembrare sul punto di staccarsi dalla spalla alla quale
apparteneva,
con particolare enfasi sui tiratissimi nervi e le vene che parevano
contenere
liquido volatile altamente infiammabile. Mosse la testa a caso, denti
stretti,
nel tentativo di placare quella sensazione almeno quel minimo
sufficiente da
dargli la facoltà di pensare liberamente. Questo, tuttavia,
non accadde.
Fu una secchiata di acqua gelida a colpirlo dritto
sul viso e a riportarlo
nel mondo dei vivi; il ghiaccio appena sciolto scivolò
dolorosamente da viso a
collo, fino a raggiungere il petto e l’addome.
Rabbrividì non poco, mentre
l’improvvisa doccia gelata lavava via il resto dello
stordimento che affliggeva
la mente del tiratore; dunque, puntò lo sguardo dritto
dinanzi a sé. La vista
ci mise un po’ per abituarsi alla penombra del luogo in cui
era stato portato.
Nel mentre un violento clangore riecheggiò per la stanza
angusta – probabilmente
il secchio che ha appena usato, si disse Jason -,
accompagnato subito da
frasi pronunciate in maniera talmente rapida che non riuscì
a capire
assolutamente nulla di quel che era stato appena dettogli. Non notando
reazioni,
l’altro uomo ripeté una seconda volta,
più piano di prima; allora Goldwing
capì, ma non il significato del discorso, bensì
in quale lingua stavano
interloquendo con lui: Arabo. Fece una smorfia e strabuzzò
gli occhi.
Finalmente riusciva a vedere qualcosa, dannazione! Ma quasi
desiderò non averlo
fatto: lì, disgustosamente orgoglioso e folle almeno il
doppio, stava in piedi
un membro di “OVERTAKE”, il gruppo terroristico di
base in Afghanistan. Il
terrorista, che stranamente aveva il viso ancora coperto, nonostante
stesse
dinanzi ad un prigioniero, si rigirava un coltello tra le dita, senza
mai
perdere di vista il giovane soldato. Per tutta risposta al discorso
senza
parole, JJ sbadigliò sonoramente, lasciando trasparire una
certa nota di
ironia; l’istante dopo, tuttavia, ringhiò
furibondo a causa di una nuova fitta
di profondo dolore generatasi dal braccio destro. Lo guardò:
era come se
all’intero arto era stata strappata via la pelle. Le fibre
muscolari, i
legamenti, le vene e parte delle ossa erano visibili ad occhio nudo, in
quanto
totalmente scoperti. I violetti tubicini organici pulsavano di globuli
rossi, i
muscoli si contraevano di tanto in tanto a causa dello sforzo
involontario. A
quel punto lo stomaco minacciò di svuotarglisi da un istante
all’altro: quello
era il risultato di una delle abilità più utili
del corpo di un Angelo, la
rigenerazione sub-molecolare. Il processo, la maggior parte delle
volte, era
estremamente breve, richiedendo al massimo una ventina di
minuti per
guarire una ferita grave, una lesione interna, oppure, come in questo
caso, un
arto menomato. Alle sue pupille si presentava, tuttavia, un evento del
tutto
singolare, qualcosa che non ebbe mai l’opportunità
di scorgere in tutta la sua
seconda vita: la negazione di un potere serafico così
radicale, così
fondamentale. Mille e una causa gli si palesarono al pensiero. Potevano
essere
tutte corrette, ma potevano anche essere tutte errate. Se
così era, allora l’ANGEL,
ancora una volta, stava brancolando nel buio.
Grosso svantaggio quando ci si trova da soli in territorio nemico.
Il terrorista parlò ancora nella sua
lingua natìa, convinto che l’altro
riuscisse ad interpretare le sue parole. Invece, Jason rise, nonostante
il
fortissimo dolore alla gola. « Puoi ripetere? »
gracchiò, « devo aggiornare
Google Traduttore, e qui la connessione fa veramente schifo…
»; quello col
passamontagna attaccò un accesso di risa a sua volta e
Goldwing finì per
guardarlo con ancor più disgusto di prima. L’aveva
capito, o lo stava deridendo
proprio perché non si rendeva conto che non riusciva a
capirlo? La risposta
giunse ben più rapida di quanto potesse sperare: in un
movimento repentino,
mosse la mano destra, quella che teneva il coltello, scagliandolo con
traiettoria precisa dritto contro l’intestino del
prigioniero. Il cecchino
ululò un’imprecazione, nel sentire la lama
penetrare nelle sue carni. Tossì un
paio di volte, sputando diversi fiotti di sangue fresco. Il mascherato
si
avvicinò; lì, agguantò
l’impugnatura dell’arma bianca e, di colpo, la
tirò via.
JJ ringhiò il suo dolore. Ma, purtroppo
per lui, non era finita lì: infatti
il terrorista, coadiuvato da altri due, prese ad incidergli la carne
con tagli
più o meno profondi, precisi come quelli di un chirurgo,
fini solo a causargli
la maggior sofferenza possibile. Mentre i tre infierivano sul suo corpo
indifeso, la pozza rossa ai suoi piedi si allargava ad ogni nuovo
squarcio;
dieci interminabili minuti passarono e loro non davano segno alcuno di
intendere terminare quella tortura senza scopo. Fu proprio questa la
domanda
che assillò la mente di Jason, durante la lotta per rimanere
sveglio: per quale
ragione lo stavano ferendo in quel modo? Avevano un fine, oppure era
per il
loro perverso divertimento? Lo ignorava. Ormai non riusciva a pensare a
nulla
se non a resistere il più possibile. Sarebbero venuti a
salvarlo, ne era certo.
L’ANGEL non
lasciava mai indietro nessuno, mai.
Gli Angeli guerrieri erano più rari di quanto si potesse
credere ed ogni
elemento era fondamentale per mantenere la stabilità
dell’esercito. Questo
pensiero lo rallegrò un poco, prima che sprofondasse nelle
tenebre dello
svenimento…
***
« Con oggi, sono venticinque…
» mugugnò tra sé e sé, gli
stivali sporchi di
sabbia che continuavano a macinare i chilometri che lo separavano dal
suo
obiettivo. Esattamente venticinque giorni prima era sceso dal Santuario con la
più recente missione assegnatagli:
scovare il Chiacchierone e scoprire il più possibile sul suo
conto. La sua
uccisione non faceva parte dell’incarico. Storse il naso:
quello a cui dava la
caccia – anche se non letale – era un terrorista ed
era addirittura sospettato
di essere un Posseduto.
Mi piacerebbe
sparargli un bel colpo in testa da due
chilometri di distanza… pensò,
già immaginandosi sdraiato su una duna isolata,
Goldfeather in braccio, a guardare attraverso il mirino il volto di un
arabo a
caso, convinto che fosse l’uomo che stava cercando.
Si scrollò di dosso a malincuore un
pensiero così allettante ed aggiustò il
cappuccio in modo da coprirgli gli occhi. Sospirò, sudato.
Il deserto
dell’Afghanistan non aveva pietà, a prescindere
dall’ora del giorno oppure
della notte: mentre durante la veglia, il sole comandava i propri
spietati
raggi sulla sabbia rovente, nel corso del periodo occupato dal sonno il
freddo era
insopportabile, a tal punto da costringere il soldato ad indossare un
vero e
proprio mantello da viaggio, pur di non finire per squagliarsi o
congelare.
Dopo altre due ore di cammino, si fermò:
qualcosa non andava. Se proprio
doveva usare una frase tipica degli umani, “i suoi sensi di
ragno stavano
pizzicando”. Sondò attentamente l’intero
circondario, senza osare fare un altro
passo in qualsiasi direzione. Un mortale avrebbe di certo rinunciato
presto a
quella sensazione, ma lui sapeva e sentiva quel che stava per accadere.
In
fretta e furia, contattò Oracle per farsi inviare il fucile.
Non attese neanche
di vedersi generare completamente la cassa che già infilava
il dito nel
lucchetto ed imbracciava l’arma. Tirò
all’indietro la maniglietta della sicura:
il colpo era carico. Riposizionò l’otturatore con
uno schiocco secco. I suoi
occhi schizzarono di qua e di là per le sabbie, alla
frenetica ricerca di un
nemico celato alla vista. Era lì, lo sapeva bene. Per un
momento guardò proprio
alla sua destra, dove credeva di aver sentito un rumore, una sorta di
tonfo.
Errore: esattamente dal punto che stava squadrando prima, da sotto
terra balzò
fuori un gigantesco serpente color crema. Aveva le dimensioni di un
aereo
passeggeri e le sue scaglie erano talmente grosse da ricordare
vagamente
un’armatura medievale, forgiata appositamente per una
creatura come quella.
La Chimera spalancò
le ampie fauci e,
sfruttando la forza cinetica impressasi pocanzi, si scagliò
contro la preda;
Jason si gettò di lato. Mentre era ancora in aria, si
avvitò, poggiò il calcio
dell’arma alla spalla, allineò il centro del
mirino con uno dei minuscoli spazi
tra le squame del mostro, dove di congiungevano nell’area
della gola, e fece
fuoco: il proiettile penetrò facilmente nella corazza. Il
conseguente schizzo
di sangue impuro fu il segno del suo successo; il colpo era talmente
ben mirato
che non solo recise la gola del nemico, ma riuscì perfino ad
attraversarne il
corpo, finendo per fuoriuscire dall’altra parte. La serpe si
accasciò di peso, morta,
sollevando un gran polverone. Goldwing atterrò a sua volta,
scivolando di
alcuni piedi, ginocchio e mano libera poggiati a terra. Altre due Chimere come quella che
aveva appena ucciso giunsero a
dar manforte; saltarono in aria, i denti snudati in ringhi minacciosi.
Il
soldato si preparò a continuare la battaglia: non appena i
mostri su furono
avvicinati abbastanza, eseguì alcuni salti mortali
all’indietro. Se Angelica
fosse stata lì con lui, gli avrebbe gridato di muoversi ad
ucciderli. Era
pronto a farlo, ma stava aspettando il momento giusto. Momento che
stava per
arrivare.
Come prima, allineò il mirino con il
bersaglio mentre era ancora in aria,
ma questa volta non per colpire uno degli spazi vuoti lasciati dalle
scaglie.
Non appena vide che la croce al centro del vetro incontrava la pupilla
di una
delle serpi, lasciò che la sua abilità serafica
prendesse il controllo dei suoi
occhi: come era successo contro il gigante a Parigi, la sua prospettiva
si
colorò completamente di rosso e i punti deboli del bersaglio
vennero
evidenziati con un appariscente blu elettrico. Sogghignò,
per poi sparare un
secondo proiettile, non prima di aver espulso il bossolo vuoto che
precedeva
quello pieno. Questo andò a colpire proprio il bulbo oculare
che aveva intenzione
di attaccare; il proiettile attraversò il cervello e il
cranio della Chimera,
fuoriuscì dal mento e, grazie
all’allineamento che Jason era riuscito ad ottenere, uccise
anche l’altro
serpente. Posò i piedi a terra, seguito a ruota da due
rimbombi che segnalarono
la caduta delle creature del Demonio.
Finalmente, il giovane poté espirare:
aveva trattenuto il fiato per tutto
il tempo. Si posò Goldfeather sulla spalla ed
osservò il risultato della
battaglia. Sangue, cervella e giganteschi cadaveri decoravano il prima
deprimente paesaggio; molti sarebbero rabbrividiti a quella vista, ma a
Jason
Goldwing questo tipo di spettacolo non dava altro che piacere. Non
erano poche
le occasioni in cui egli stesso aveva descritto una carneficina da lui
compiuta
come “un’opera d’arte”. Questo,
ovviamente, solo se quelli che ci rimettevano
erano i nemici del Signore, altrimenti gli veniva il voltastomaco. Non
riusciva
a sopportare la vista di innocenti massacrati da uomini o demoni
assetati di
potere o, più comunemente, di sangue. Sbuffò. Era
soddisfatto di quel che aveva
fatto ed ora doveva ripartire, si disse, forzandosi a proseguire verso
il punto
di rendezvous. Non appena si voltò, tuttavia, un dolore
lancinante gli invase
il braccio, mentre una quarta serpe si catapultava su di lui dalla sua
destra.
Quando lo ebbe sorpassato, capì per quale motivo
l’arto gli faceva così male:
il braccio, ancora scosso dagli spasmi, penzolava dalla bocca della Chimera, le dita erano
rimaste ben serrate attorno
l’impugnatura dell’arma da fuoco, irrigidite
dall’improvviso strappo dei nervi.
I fluidi corporei di Jason fuoriuscirono con grandissima potenza e
quantità; si
tenne il moncherino e crollò in ginocchio, già
parecchio indebolito
dall’emorragia. Non passarono che meri secondi, prima che la
sua coscienza
cedesse, scaraventandolo nel buio.
La Chimera invece,
strisciò verso quel corpo
immobile, con l’intento di divorarlo; dopo aver inghiottito
quel pezzetto di
carne dal quale pendeva quell’altro ammasso di metallo e
legno, aprì nuovamente
la mandibola e la avvicinò al suo conquistato banchetto.
Proprio quando stava
per richiudere i denti sul cibo, qualcosa attirò la sua
attenzione: sul braccio
sano dell’umano era cucito un particolare emblema, uno stemma
“militare” come
le era stato detto dal suo padrone: due ali di piume dorate spiccavano
al
centro di un rombo scuro. Proprio in mezzo alla coppia d’oro
si potevano notare
le lettere “A.N.G.E.L.”,
mentre tutt’attorno, in maniera molto ordinata,
era scritto “ Advanced
anti-Nemesis Guard and Elimination
League”, tutto dello stesso colore
delle piume. Ricordò il resto del
discorso del suo padrone: “semmai incontrerete un umano con
questo simbolo
sulla spalla sinistra” disse a lei e alle altre Chimere,
mostrando loro l’immagine che avrebbero dovuto cercare,
“portatemelo, vivo o
morto. Tuttavia, se me lo consegnate vivo, sarò lieto di
ricompensare il
responsabile con duecento dei più succosi dei miei
prigionieri”. La prospettiva
di affondare i suoi denti in ben duecento esseri umani era fin troppo
allettante per la limitata mente del mostro che, senza pensarci due
volte,
prese il soldato in bocca e ce lo lasciò al sicuro, mentre
si apprestava a
strisciare a tutta velocità verso la base.
***
« Sveglia, sveglia! »
Jason si mosse appena, quando quella voce
così sgraziata da far venire la
pelle d’oca al più coriaceo dei guerrieri lo ebbe
raggiunto. Disturbato, il suo
sonno sembrava sul punto di interrompersi, ma contro ogni pronostico,
scivolò
ancor più nel riposo.
« Se non ti svegli ti faccio mangiare
delle buonissime noccioline. Le tue,
intendiamoci! » e rise per qualhe secondo, divertito dalla
sua stessa battuta.
Se c’era qualcun altro assieme a lui, probabilmente non aveva
lo stesso senso
dello humor, poiché non si sentì risa levarsi
oltre la sua. « Non ridete? » si
interruppe quello che riusciva a parlare un inglese appena accettabile;
nessuno
ebbe il tempo effettivo di rispondere, che uno sparo e un tonfo ruppero
il già
sottile silenzio. Subito dopo, l’intera comitiva
attaccò un accesso di ilarità
sensibilmente forzato. Fortunatamente, però, il
“capo” ne apparve soddisfatto,
dal momento che continuò con il discorso: « li
vuoi aprire quegli occhi o no?!
»
Con un enorme sforzo di volontà,
finalmente, Goldwing riuscì ad aprire le
palpebre e guardare in faccia il responsabile di tutto quel baccano.
Vide un
arabo dalla pelle mulatta; portava un ridicolo pizzetto sul viso, in
quel
momento sorridente come solo un ebete può fare. Non aveva
capelli. Era vestito
con equipaggiamento militare di contrabbando, compresi un giubbotto
antiproiettile e un fucile d’assalto a tracolla. Rise
nuovamente; Jason imprecò
mentalmente. Infine lo aveva trovato: quello era il terrorista
Chiacchierone.
« Quando ho ordinato alle mie Chimere di cercare agenti dell’ANGEL…
» disse quello, un fortissimo accento indiano sottolineava
ogni sillaba, « …non
mi aspettavo di certo che la mia pesca sarebbe stata tanto fruttuosa:
Jason
Goldwing, conosciuto tra i mortali come il famigerato Tiratore
dei Cieli è qui, al mio cospetto. Lo stesso
Goldwing che ha ucciso
Smirnov due mesi fa a Parigi e che ha sventato l’attacco del
gigante nella
stessa città, neanche trenta giorni dopo. Lo stesso Golwing
riportato in vita
da Dio… » sghignazzò, «
…per combattere i miei padroni! »
« Allora è tutto vero!
» latrò JJ, « sei un Posseduto,
brutto bastardo! »; l’altro annuì.
« Il mio vero nome è Nahim Hamela » si
presentò, « e, prima di essere quel che hai detto
che sono, sono il capo di
OVERTAKE. Ma non è sempre stato così. Sono
partito dal basso, come tutti
quanti… » aprì le braccia, indicando i
nove uomini che gli si accompagnavano, «
…ero solo una ridicola recluta, uno che non meritava niente
se non di farsi
esplodere per la causa… »; « quale
causa? Diffondere il terrore tra gli umani?
» lo interrogò il prigioniero. Hamela lo
adocchiò con aria grave. « Il terrore
è importante, Tiratore
dei Cieli. Se le persone
non conoscono il terrore, si dimenticano cosa e quanto importante sia
in
realtà. Se il terrore viene dimenticato, la sicurezza nasce
nella mente e non
si è preparati al Giorno del Giudizio o a qualsiasi altra
catastrofe questo
mondo potrà mai conoscere » scosse il capo,
meravigliato da tale ignoranza; «
io non avevo alcuna intenzione di farmi esplodere e basta. No. Volevo
compiere
qualcosa di molto più grande: non volevo solo diffondere il
terrore come si è
sempre fatto, ma renderlo addirittura eterno. I
Cristiani amano così
tanto il concetto dell’Infinito, benissimo, allora che questo
venga applicato
anche alla paura più assoluta. Le mie Chimere non
solo mi hanno aiutato a raggiungere questo rango tra le fila di
OVERTAKE, ma mi
aiuteranno anche a terrorizzare le patetiche vite che popolano questo
pianeta,
nei secoli dei secoli! »
Gettò il capo all’indietro e
scoppiò a ridere, ma non con la sua solita,
ridicola risatina da idiota.
Quando ebbe concluso il suo discorso, si rivolse
ancora a Jason: « finchè
il mio padrone non arriva, direi che possiamo divertirci un
po’, che ne dici? »
e senza neanche aspettare una ribattuta, uscì dalla stanza.
Luci si accesero
sui muri, rivelando alla vista gigantesche casse audio incastrate nelle
pareti.
Volevano torturarlo… a colpi di musica…? Fu il
turno di Jason di ridere.
« Lo sapevi che se i bassi vengono
riprodotti con un volume particolarmente
alto, è possibile causare lesioni agli organi interi?
» domandò il
Chiacchierone attraverso un altoparlante; « questo
sì che sarà divertente! »
L’interno delle casse prese a vibrare
insistentemente…
***
« Ancora niente? » fece
Angelica.
Oracle scosse il capo, guardando un po’
lo schermo del computer, un po’ il
palmare, un po’ il viso della preoccupatissima spotter.
L’Angelo più anziano
imprecò a denti stretti. Jason non si faceva sentire sul Santuario da quasi
ventisei giorni. « Niente richieste
di equipaggiamento W.I.N.G.,
niente rapporto,
niente richiesta di rilascio del Bozzolo,
niente
di niente » la bionda si massaggiò le tempie;
l’altra sospirò. « A dire il vero
ha chiesto di farsi sganciare Goldfeather stamattina, verso le undici,
poi
silenzio » le comunicò controllando la lista di
equipaggiamenti presenti sulla
portaerei, « non ho ancora ricevuto indietro il fucile. Forse
sta ancora
combattendo… vediamo… Afghanistan…
» digitò qualcosa sulla sua tastiera;
Angelica poggiò dolcemente le spalle al muro dietro la
ragazzina, le braccia
incrociate, le dita che non potevano fare a meno di tamburellare sulla
pelle.
Il suo umore peggiorò ulteriormente quando Celia scosse il
capo. « Non vedo
nemici sul radar, tantomeno Jason. Quiete anche dal satellite. Si
è volatilizzato
» fu proprio la quiete a scendere tra le due,
mentre riflettevano a cosa
fosse potuto succedere al miglior cecchino
dell’esercito ultraterreno.
Nessuna delle due disse niente per diversi, strazianti minuti, quasi
speranzose
che, di punto in bianco, uno egli schermi dell’attrezzatura
di Oracle si
illuminasse del rapporto di Goldwing. Ma nel profondo, entrambe
sapevano che
così non sarebbe successo. Dovevano trovarlo e dovevano
farlo loro, altrimenti
si sarebbero ritrovate tra le mani un Angelo morto, il primo della
Storia,
nonché il primo ad essere deceduto due volte.
Inspirò, trattenne il fiato per
qualche secondo ed espirò, in un vano ed improvvisato
tentativo di rilassarsi.
Come aveva previsto, non aveva funzionato affatto.
Come avrebbe potuto fare per trovarlo? La soluzione
più ovvia sarebbe stata
chiedere a Dio, senza alcun dubbio, ma poteva avere udienza con Lui
solo ed
esclusivamente su richiesta di quest’ultimo. Punto
e a capo… imprecò
un’altra volta. « Non ti tormentare » la
consigliò la giovane Shine, « stiamo
parlando di Jason Goldwing, il Tiratore
dei Cieli,
il miglior cecchino che abbia mai messo piede sul Santuario!
Oltre a saper sparare così bene, conosce anche le arti
marziali. Io mi
preoccuperei di più per quei tizi di OVERTAKE! »
la bionda non riuscì a non
sorridere: nonostante fosse così in ansia per il suo
compagno, Oracle riusciva
a trovare spazio nella sua minuscola testa per consolare perfino lei,
Angelica
Halo, la ragazza che aveva aiutato quella bambina così tante
volte perché non
sopportava vederla piangere, che aveva picchiato tanti altri
soldati suoi
pari perché avevano preso in giro quella poverina solo a
causa del suo aspetto.
Non per nulla era una delle uniche due persone alle quali voleva bene
per
davvero; l’altra, naturalmente, era Jason. Ancora ricordava
quando era giunto
sul Santuario per
la prima volta, appena
resuscitato e fatto Angelo. Era incerto e spaventato, non parlava con
nessuno. Spaventato,
forse, era il termine meno adatto, infastidito,
probabilmente era molto
meglio: troncava sul nascere qualsiasi dialogo, talvolta anche in
maniera
piuttosto rude, e se ne stava per le sue, a sparare oppure a leggere.
Lei si
era opposta per molto tempo: lui era risorto e diventato
un
essere serafico. Nessuno, ancora, nessuno aveva il diritto alla
resurrezione
fino al Giorno del Giudizio. Glielo avevano ripetuto fino alla nausea
sin da
quando era bambina ed impresso a fuoco nella sua mente. La cosa era
ulteriormente peggiorata quando le avevano comunicato che sarebbe
diventata la
sua spotter e che avrebbero dovuto affrontare le missioni assieme. Non
le era
simpatico, per niente: silenzioso come il morto che era, scorbutico e
non si
curava mai delle sue ferite. Un gran bastardo, insomma. Alcune volte,
addirittura, aveva sbagliato di proposito a fornirgli le coordinate dei
bersagli, al fine di fargli fare brutta figura con l’esercito
e lo stesso Dio,
ma non aveva mai funzionato: era talmente abile da riuscire a sfruttare
le
indicazioni errate a suo vantaggio e a piazzare i colpi ancor meglio di
quanto
sarebbe riuscito a fare con indicazioni corrette. La cosa che la
convinse che
se la stava prendendo con lui ingiustamente fu il fatto che non si era
mai arrabbiato
con lei, non l’aveva incolpata di nulla e l’aveva
sempre accettata a buon
cuore, nel corso delle missioni. Poteva anche essere egoista, ma non
era
cattivo. Nel corso degli anni era riuscita a scoprire tante cose su di
lui e
mai da bocca di altri. Jason si era aperto con lei e le aveva svelato
praticamente tutto sul suo passato, un sofferente e terribile passato.
Finalmente, poteva dire con assoluta convinzione che si era affezionata
a
qualcuno. E quel qualcuno, ora, era in pericolo. Non sarebbe rimasta a
guardare.
Aprì bocca per dire qualcosa a Celia, ma
venne subito interrotta dalla
chiamata che la ragazzina stava ricevendo. Aprì la finestra
olografica
corrispondente, aprendo così il canale comunicativo con Dio.
L’Onnipotente non
attese a parlare: « Oracle, manda Angelica qui
da… Oh! Sei già lì »
la
guardò ed ella annuì. « Vieni
all’Altare,
ho
bisogno di parlarti » e terminò il
collegamento. La spotter sospirò
paziente. « Vedila come un’opportunità
» la riscosse Oracle, sondandola con i
suoi occhi bianchi, « potresti chiedergli il permesso di
scendere sulla Terra
per cercare Jason. »
Sorrise: aveva ragione.
Entrò nella Cattedrale e si
inginocchiò dinanzi all’Altare. Una volta che ebbe
pronunciato la preghiera, in pochi
secondi si ritrovò dinanzi a Nostro Signore. Si
alzò di scatto, come un
elastico, ma non in maniera irrispettosa.
« Siamo energici, oggi. »
affermò Lui, notando il comportamento
dell’Angelo. « Sono solo un po’ tesa,
Signore » rispose con voce tremante; «
immagino quale sia il motivo… » assunse un tono
più grave del solito, con
grande sorpresa di Angelica, tanto abituata a sentirlo più
vivace di così. « Ho
una domanda da porti: tu oppure Oracle avete novità su
Jason? »
La ANGEL
non rispose. Rimase lì in piedi,
imbarazzata, preoccupata e infuriata, senza proferire parola alcuna.
Tutto
quello che riuscì a fare fu guardare Dio in faccia, in
silenzio; lo osservò
cambiare rapidamente espressione da speranzoso a pensieroso.
« Ma non sarebbe possibile…?
» stava dicendo lei.
« …usare il mio potere per
trovarlo e riportarlo indietro? » concluse il
Creatore. Scosse piano il capo. « Se usassi la mia forza per
un unico soldato,
avrò tradito il mio dovere. Ho inizializzato il Progetto
per aiutare e salvare la
vita del mondo e il mio esercito
non ha mai subìto perdite. Se ne sorbisse una, dopo
quindici anni
dall’avvio, la potenza bellica non ne risentirà.
Se intervengo direttamente nei
fatti dei mortali, sarò costretto a
dare il via al protocollo THE
END e se questo mi sarà in qualche modo
impossibilitato, dovrò ricorrere a questa mia potenza.
»
Per la prima volta da tanti anni Angelica
barcollò sul bordo del pianto.
L’uomo dinanzi a lei aveva a disposizione così
tanto potere da essere
considerato onnipotente, era il Creatore del mondo e di tutte le cose,
e non aveva
intenzione di salvare il suo compagno. Quasi lo
odiò per questo. Ma sapeva,
suo malgrado, che quello che aveva appena udito era vero.
« Allora lasciatemi scendere sulla Terra
a cercarlo! » lo supplicò, « se
Jason sopravvive, avrai ancora a disposizione uno dei migliori cecchini
della
Storia e la nostra potenza non diminuirà affatto! »
« No. C’è un grosso
rischio che Goldwing abbia a che fare con dei Demoni.
Non posso correre rischi. »
La ragazza spalancò gli occhi,
incredula. Abbassò lo sguardo, scossa dai
singhiozzi. Mai aveva provato tanta rabbia, specialmente contro il
Signore. Fu
grazie ad uno sforzo inumano che riuscì a sibilare:
« capisco, Signore… » per
poi congedarsi dalla Cattedrale. Quando fu arrivata davanti alla porta
dell’hangar la follia ebbe il sopravvento sulla sua mente. Di
colpo, sapeva
esattamente cosa fare, nonostante le gravi conseguenze che ne sarebbero
scaturite. Ma a lei non importava. Si asciugò le lacrime
come meglio poteva ed
entrò. « Hai avuto successo? » le chiese
subito Oracle; Angelica finse un gran
sorriso. Nel vederla così, la ragazzina si
rallegrò di molto. Subito prese a
martellare la tastiera con le dita. « Ti sto preparando il Bozzolo »
informò l’amica, « sbrigati a
prepararti. Ti
metto in cima alla lista d’attesa! »
***
Lo gettarono sulla sabbia, dopo averlo trascinato
fuori dalla sala delle
torture. Si accasciò subito; il corpo gli rimandava fitte
dolorosissime, sia
all’interno che all’esterno. « Dai,
tirati su! ‘Sti ragazzini d’oggi, hanno
già
bisogno del viagra! » il Chiacchierone era già
lì. Con parecchia fatica, Jason
riuscì a rimettersi in equilibrio sui propri piedi. Come
previsto, non erano
soli: altri quindici terroristi si erano disposti ad anello attorno a
lui e lo
squadravano da testa a piedi. Sembravano pronti a combattere.
« Jason… ehi, Jason! Guardami!
» Hamela richiamò la sua attenzione, «
guarda che io sono misericordioso, eh! Senti qua: ora ti metteremo alla
prova.
Se riesci ad affrontare e battere tutti i ragazzi che vedi qui, sei
libero!
D’accordo? » sguainò un coltello da
combattimento ed offrì l’impugnatura al
cecchino. Titubante, questi accettò l’arma.
Guardò i nemici che avrebbe dovuto
combattere: si erano tolti di dosso i fucili d’assalto e
stavano saggiando lo
stato delle loro lame. Quindici contro uno. Svantaggio non
indifferente, ma lui
era un Angelo e un combattente nato.
Di colpo lo stomaco gli si compresse e lui si
piegò in avanti per vomitare,
scatenando l’ilarità di tutto il gruppo. Ancora
tossendo, chiese: « posso
averne un altro…? » risero di nuovo. «
Quello non ti va bene? » fece il
Chiacchierone; lui scosse il capo. « Sono abituato ad usare
due coltelli, non
uno solo… » a sentirlo, uno degli altri si fece
portare un’altra lama ed
osservò il prigioniero, un’espressione di scherno
che gli solcava il viso. Il
momento dopo nascose l’oggetto letale dietro la schiena,
mostrando il medio.
Jason sbuffò. Se lo sarebbe dovuto aspettare: fare richieste
non era affatto
possibile. Infuriato, decise che gliel’avrebbe fatta pagare
cara. Espirò
concentrandosi.
« Pronto? » gli chiese il capo.
I sottoposti del Chiacchierone si mossero
leggermente e JJ sapeva perché: avevano tutta
l’intenzione di attaccarlo
molto prima che il capo desse il permesso, da bravi terroristi quali
erano. Era
preparato ad ogni evenienza, anche con gli organi rovinati dalla
tortura alla
quale era stato sottoposto fin troppo poco tempo prima. A dimostrare la
veridicità dei suoi pensieri il fegato gli
rimandò una tremenda botta dolorosa.
La rigenerazione aveva fatto il suo dovere, ma non abbastanza in
fretta: la
pelle del braccio era ricresciuta fino a raggiungere a malapena la base
delle
dita e le sue interiora dolevano ad ogni battito del cuore,
anch’esso in
condizioni non perfette.
Neanche fosse stato predetto da un oracolo, la
previsione di Jason si
realizzò: lo stesso individuo che gli stava consegnando il
secondo coltello lo
caricó a lama snudata. L’Angelo, però,
aveva anticipato le sue mosse: si lanció
su di lui e in un impeto di velocità conficcò
l’arma nel petto del nemico, in
un punto particolarmente sensibile, così da immobilizzarlo e
fermarne
totalmente l’avanzata. Le dita del maledetto cedettero; il
metallo che
stringeva in mano cadde. Jason afferrò
quest’ultimo al volo e squarciò la gola
del malcapitato con due fendenti. Il sangue gli insozzò il
petto e buona parte
del viso. I compagni del caduto accorsero per tentare di ucciderlo.
Goldwing rigirò uno dei coltelli e
subito ne piantò uno nell’orbita destra
del primo che lo ebbe raggiunto, uccidendolo sul colpo;
recuperò l’arma, eseguì
una giravolta per schivare un calcio. Le armi bianche guizzarono per la
seconda
volta sotto la luce del sole ed una di esse fini per sprofondare nel
palato del
nuovo malcapitato, così falciando un’altra vita.
Il terzo cadde con la gola
squarciata, senza neanche rendersi conto cosa fosse effettivamente
accaduto, a
causa della rapidità dell’azione. I dodici
terroristi rimasti si avventarono su
di lui.
Nessuno di loro sopravvisse. In pochi minuti, il Tiratore
dei Cieli aveva fatto piazza pulita dei cosiddetti
combattenti. Un
ultimo maledetto si poneva tra lui e il Chiacchierone. Questo stupido
lo guardò
per qualche istante subito prima di attaccarlo con diversi fendenti;
Jason si
limitò a piegare il busto in un paio di direzioni per
evitare la lama del
nemico. Poi, sfruttando lo slancio di una schivata particolarmente
brusca,
pestò la rotula sinistra dell’avversario: la gamba
si spezzò all’istante. Si
avvitò e colpì il suo zigomo con una potente
falciata, infine, anticipò
l’inerzia del futuro cadavere, scagliando il coltello destro
dritto contro la
sua testa.
Rimase fermo, ansante. Quando si voltò,
però, si ritrovò davanti il
Chiacchierone, fucile puntato. No, non un fucile qualsiasi. Quello che
aveva
visto era Goldfeather. Si arrabbiò e pure tanto: per un
tiratore scelto,
perdere la propria arma e ritrovarsela puntata contro era un disonore
gigantesco, specialmente se quel tiratore era un ANGEL e l’arma era il suo W.I.N.G.. « Con il mio
fucile, eh, stronzo? »
Jason rimase fermo dov’era, senza temere la sua fedele
compagna. L’altro finse
di annusarsi l’ascella, poi fece spallucce. « Non
puzzo così tanto! » aggiustò
la posizione del calcio e tirò verso di sé la
sicura, in modo da verificare che
vi fosse il colpo in canna. Con un ghignetto divertito si rivolse al
combattente: « conosco questo tipo di armi. Un bel fucile di
precisione… »
« Che occhio. Ma dimentichi che quello
è… »
« …un “Warfare,
Intel-gaining, Nemesis-obliterating Gear”, o W.I.N.G. in breve. So
perfettamente cosa sto tenendo in mano e cosa stai pensando:
“porca troia, sono
invulnerabile!” e questo
perché, in teoria, queste bellezze possono
essere utilizzate esclusivamente da coloro ai quali sono legati. »
Goldwing spalancò gli occhi: gli
armamenti serafici erano assolutamente top
secret, alcuni degli stessi ANGEL, se ritenuti troppo inesperti oppure
erano di rango troppo
basso, venivano tenuti all’oscuro della sola esistenza degli
equipaggiamenti
primari. Almeno finchè non riuscivano ad ovviare ad una di
queste lacune. E, di
certo, il fatto che un terrorista – che era perfino un Posseduto – non
solo ne fosse a conoscenza, ma che
anche sapesse quali fossero le loro funzioni nascoste, non prometteva
nulla di
buono. I Demoni si stanno riadattando…
Il Chiacchierone scoppiò in una
fragorosa risata. In lontananza si
sentivano altri uomini accorrere al campo d’esecuzione. Jason
strinse i denti:
poteva anche sapere cosa fosse Goldfeather, ma non era capace di
usarlo, dal
momento che l’arma stessa l’avrebbe respinto. Era
per forza così.
« I miei padroni… »
l’altro riprese il discorso, mentre tentava di
riprendere fiato, « …mi hanno dotato di parecchie
capacità: forza e resistenza
superiori a quelle degli uomini normali, incredibile intelligenza,
grande
conoscenza, controllo totale sulle Chimere,
ma,
soprattutto, il potere di rubare l’identità di
qualcuno. Capisci? » sogghignò,
« nelle mie vene scorre un clone del tuo sangue. Certo, non
dovrei essere
capace di immedesimarmi nei panni di un Angelo, ma vedi…
» ammiccò in direzione
di Jason, « tu sei ancora in parte umano. Di conseguenza, il
tuo bel fucile è convinto
che io sia te! »
Goldwing ci mise poco a fare due più
due: stava per prendersi un proiettile
dalla sua stessa arma. E non dal caricatore, come quando sostituiva le
munizioni guaste, ma bensì direttamente dalla canna. Non
sarebbe stato
piacevole…
« Richiedo sgancio immediato di
equipaggiamento primario W.I.N.G..
Codice di rilascio: “SKYFALLEN”! »
Una figura indistinti schizzò a tutta
velocità dalla sinistra del soldato,
passò in mezzo ai due e si fermò di colpo a
diversi metri di distanza alla sua
destra. Le braccia del terrorista, in corrispondenza del gomito,
vennero via
dal resto del corpo assieme alla sputa fuoco bianca e rossa; il sangue
prese
subito a sgorgare dai moncherini, sotto gli occhi
dell’incredulo Hamela, che
non riuscì neanche ad urlare a causa del dolore. Anzi:
sembrava che non lo
sentisse affatto; tuttavia, lo sgomento di aver perso ben due arti in
un solo
colpo era presente. Anche se era invulnerabile al dolore, non lo era
allo shock
emotivo.
Solo allora Jason si riscosse: in un movimento
repentino, scattò verso
Goldfeather. Afferrò l’arma e balzò
all’indietro, ignorando le proteste delle
sue membra, poi, come aveva fatto nel deserto, lasciò che il
suo potere
serafico gli invadesse gli occhi. Il mondo divenne completamente
scarlatto e il
punto debole del nemico venne evidenziato con un bel blu; a conferma
dei suoi
sospetti, quella che venne messo in bella vista non fu una parte del
corpo del
suo nemico, bensì qualcosa oltre la sua forma fisica: come
fosse stato una
specie di ombra che si stagliava alle sue spalle, un demone invisibile
fece
capolino sul piccolo campo di battaglia. L’ANGEL aveva
un bersaglio.
Mirò subito contro l’oscura
creatura e fece fuoco, senza pensarci davvero.
Il proiettile attraversò la distanza che li separava in un
nanosecondo, solo
per schiantarsi contro quella che sembrava essere la scatola cranica
del mostro.
Quando colpito, quest’ultimo si dimenò e
ruggì per qualche secondo, prima di
scomparire in una fiamma violetta. Nahim Hamela, però, era
ancora vivo,
svuotato ma in qualche modo assente, come se fosse stato in uno stato
comatoso.
Si accasciò su un fianco, gli occhi privi di vita che
fissavano il vuoto.
La persona che era intervenuta prima –
perché di persona si trattava – si
avvicinò al corpo incosciente del Chiacchierone e vi
sputò addosso. « Anche se
sei così intelligente… » disse in tono
aggressivo, « …hai dimenticato di
includermi nell’equazione, stronzo. » e si
voltò verso l’Angelo. Questi
sorrise, quando si fu reso conto di chi era il suo salvatore: Angelica.
Indossava ancora la bianca divisa standard degli ANGEL.
Probabilmente, non aveva trovato il tempo di cambiarsi, dal momento che
sembrava alquanto trafelata. Poi notò cosa teneva nella mano
destra: una lunga
lama scura e sottile si snodava dal suo palmo, in una fiera e letale
spada. Era
lunga sei piedi, in corrispondenza del filo, che era uno solo; la parte
non
affilata presentava
dei denti per l’intera
dimensione dell’arma bianca; non aveva guardia crociata e
l’impugnatura era
piuttosto minuta, in modo da facilitarne l’utilizzo in
battaglia. « “Hokori”
» la presentò la spotter, « significa
“Polvere”, in giapponese.
E’ una
katana ninja realizzata con metallo serafico, per questo può
tagliare qualsiasi
cosa. Ti presento il mio W.I.N.G..
» ripulì la
spada dal nero sangue del Posseduto
con un
fendente a vuoto e la rinfoderò. Proprio il fodero non era
affatto usuale: era
fatto anch’esso di metallo, ma nella parte superiore, quella
che Angelica stava
stringendo in mano in quel momento, vantava una curiosa serie di anelli
dove
infilare le dita, come un tirapugni. Se era vero e quello era un
equipaggiamento
primario, allora quello che aveva appena adocchiato era il sistema di
sblocco
dell’arma, come lo era il lucchetto della cassa di
Goldfeather.
Imbracciando l’arma da fuoco, leggermente
invidioso, Jason espresse un
piccolo dubbio: « non mi sembra completa. »
Angelica annuì. « E’
ancora in fase sperimentale. Ho dovuto costringere
Oracle per farmelo mandare dal Santuario…
»
esitò a continuare, « …e credo che ci
saranno conseguenze, per questo… »
Jason fece per rispondere, ma un potentissimo
ruggito gli fece morire le
parole in gola; entrambi si volsero verso la fonte del verso selvaggio,
lui con
il fucile puntato, lei con la mano poggiata sull’impugnatura
della spada. Il
cielo si era rabbuiato di nere nubi minacciose, mentre la mente di
entrambi i
soldati veniva invasa da una terribile sensazione di freddo. Ed
apparve: alto
come un palazzo di quattro piani, un Demone fece la sua comparsa. Nero
come la
più pura delle peci, muscoloso come il più forte
degli uomini, minaccioso come
solo un demone degno di questo nome poteva vantare di essere, il
residente
dell’Inferno si torreggiava su di loro a braccia conserte e
li osservava, li
squadrava. « Avete ucciso il mio servitore! »
tuonò con voce profonda, « avevo
il sospetto che il colpevole, o i colpevoli, in
questo caso, sarebbero
stati degli ANGEL
» rise, un suono che faceva
accapponare la pelle, « quel patetico esercito è
ancora in piedi, eh? E
io che mi aspettavo che quella portaerei fosse
già caduta in qualche
oceano! Bah! »
« Chi diavolo sei?! » chiesero
all’unisono gli Angeli, pronti ad attaccare
al minimo cenno di offesa. « L’avete appena detto!
» li derise, « io sono
Samael e sono un Diavolo della Morte »; « la Morte
è dalla nostra parte! »
gridò Jason in risposta, « è
impossibile che tu ne sia al servizio! »
« Prima di cambiare bandiera per la
vostra… » spiegò Samael in tono pacato,
« …sullo stendardo di quella troia sventolava
lo stemma degli Inferi!
Siamo stati traditi, specialmente io, che ne ero l’allievo
prediletto! » si
infuriò, « e ora che sto tentando di riprendere il
mio rango ed ero riuscito a
trovare uno dei migliori Posseduti
che abbia
avuto la fortuna di fregare, i servitore di quello
lì vengono e rovinano
tutto! » urlò la sua frustrazione. «
Morite, Angeli Caduti! »
I due sorrisero l’un l’altra:
per tacito accordo, avevano un piano. La
prospettiva di Jason tornò scarlatta e lui prese a correre
in direzione del
Demone, che subito rispose con diversi pugni al terreno. Angelica,
invece,
sguainò la propria lama e spiccò un salto tanto
potente da sembrare una saetta,
diretta contro la fronte del nemico. Aveva capito cosa intendeva fare
Jason e
come aveva intenzione di farlo; lui vedeva cosa colpire, e non si
trovava sulla
superficie del corpo di Samael, ma al suo interno: la pelle era
pressoché insuperabile
dall’esterno, era troppo resistente. Il piano
era
piuttosto semplice: costringerlo a fare “aaah”.
Angelica mulinò Hokori e la
affondò proprio nella in mezzo agli occhi del
mostro: l’impatto spinse all’indietro
l’intera testa. La mascella si schiuse,
nel mentre, sia per il ruggito che cacciò subito dopo che
per la poca
aspettativa di quell’azione. Jason imitò la
compagna e balzò in alto, fin sopra
l’Angelo e il Demone forzati assieme. Puntò il
fucile contro l’apertura della
gola del maledetto; « Routing
Eye! » abbaiò, « Apocalypse! » e
tirò il grilletto: la fiammata,
stavolta rossa come il sangue, fu di dimensioni molto più
minacciose, così come
il proiettile che venne espulso dalla canna di Goldfeather. Il piombo
potenziato entrò nel gargarozzo del nemico e
colpì proprio il suo buio cuore.
Ma non era finita: la tecnica che aveva appena utilizzato Jason donava
all’arma
una potenza straordinaria, tanto da fare in mille pezzi il bersaglio.
Difatti,
come si era aspettato da se stesso, il colpo risultò in
un’esplosione di sangue
scuro; membra, pezzi di carne e ossa frammentate schizzarono
dappertutto, il
tutto innaffiato con ingenti quantità di fluido corporeo
demoniaco. Mentre
stavano atterrando, JJ e la spotter si guardarono con un sorriso
trionfante in
volto.
« Bersaglio abbattuto! »
GLOSSARIO DI SNIPER
Tiratore dei Cieli – Il soprannome
dato a Jason Goldwing da ogni poliziotto che abbia indagato sugli
omicidi da
lui commessi. Viene chiamato così perché chiunque
abbia avuto la fortuna – o
sfortuna – di vederlo, affermava di aver veduto un raggio di
luce nel punto in
cui si trovava;
Santuario – La base
operativa ANGEL sulla quale è stato collocato il
leggendario Progetto. E’
una enorme portaerei – almeno cinquanta volte più
grande di una normale portaerei
– fatta apposta per accogliere tutti i soldati scelti da Dio.
Offre ogni tipo
di abitazione o edificio necessario per l’addestramento e la
vita e tempo
libero dei combattenti;
ANGEL – Soldato
serafico accuratamente selezionato per far parte del Progetto. Ogni
ANGEL è un
Angelo, senza eccezioni;
Sonno – E’ la fase
fondamentale per eseguire un Lancio. Consiste nel separare
l’anima del soldato
internato nel Bozzolo dal corpo a cui appartiene, attraverso uno
speciale gas
che viene iniettato nella capsula. Poiché il viaggio durante
il Lancio
attraversa grande spazio e numerose dimensioni, queste parti
fondamentali
devono essere preservate, poiché, in caso contrario, si
corre il rischio di
perderne una o entrambe;
Bozzolo – Speciale
capsula di vetro impenetrabile, necessaria per il Lancio. E’
a forma di un
sottilissimo fiore di loto. Nella parte inferiore sono presenti quattro
valvole
che permettono l’iniezione del gas che induce il Sonno;
Lancio – Processo
utilizzato per raggiungere la superficie terrestre dal Santuario.
Consiste nel
separare l’anima dal corpo del soldato, onde evitare la
perdita di uno dei due,
e il lancio all’interno di una capsula speciale chiamata
Bozzolo. Lo stesso
vale per il ritorno;
W.I.N.G. – Warfare,
Intel-gaining, Nemesis-obliterating Gear. E’
l’equipaggiamento fondamentale
degli ANGEL in missione speciale sul pianeta Terra. Solo alcuni soldati
vengono
legati a un W.I.N.G. e non possono assolutamente venirne separati, per
quanto
ci si possa sforzare. Se un ANGEL perde il proprio W.I.N.G. viene
scomunicato,
nessuno escluso. I W.I.N.G. sono uno diverso dall’altro, in
base alla
specializzazione del soldato al quale vengono assegnati; tipicamente
sono armi
da fuoco;
R.E.A.P.E.R. – Retrieval,
Earth, All-terrain, Pre-emptive, Elìte Raiders. E’
la task force segreta di
stanza sul Santuario, specializzata in missioni furtive, inseguimento e
recupero fuggitivi, blitz e uccisioni di elementi estremamente
pericolosi per i
regni sia umano che ultraterreno. Ogni soldato facente parte di questa
squadra
è un guerriero dalla forza e abilità che
trascendono perfino gli stessi ANGEL.
Il segreto è tenuto perfino dagli stessi soldati di Dio.
Nessuno sa chi o cosa
siano, ma si vocifera che abbiano a che fare molto spesso con la Morte
in
persona;
Altare – Un normale altare
posto nella cattedrale del Santuario. Permette di avere udienza con
Dio, solo
su richiesta di quest’ultimo;
THE END – Letteralmente
“LA FINE”. E’ il protocollo militare di
misura estrema ideato da Dio: se le
cose per la Terra e gli umani dovessero peggiorare oltre un certo
limite, il
protocollo THE END porterà la fine di ogni cosa;
Progetto – E’ la soluzione
che Dio ha voluto assumere per proteggere il mondo che ha creato.
Consiste in
un esercito di Angeli (gli ANGEL), e una base operativa che collega la
Terra e
la città di Heaven (il Santuario);
Heaven – E’ la città di
Paradiso, luogo di pace e riposo eterni, dove le anime dei caduti e
assolti
possono, finalmente, godersi le gioie che meritano;
Chimera – Creatura
generata dal Demonio oppure dai suoi sottoposti. Possono avere
qualsiasi forma
o dimensione, ma hanno un unico obiettivo: l’obliterazione
delle forme di vita
terrestri;
Contratto – Patto stipulato
tra umano e Demone. Può essere concluso in qualsiasi modo,
ma quello più
conosciuto è la Vendita dell’Anima oppure il
Giuramento di Sangue.
Routing Eye: Apocalypse – E’ una combinazione di due tecniche
serafiche detenute da Jason Goldwing.
La prima, il Routing Eye (lett. “Occhio del
Percorso”) permette di focalizzare
la vista in modo da individuare falle nella difesa fisica del
bersaglio, mentre
la seconda, “Apocalypse” (lett.
“Apocalisse”), incrementa brutalmente la
potenza dei proiettili esplosi. E’ possibile utilizzare
Apocalypse un numero limitato
di volte per attivazione e non può essere utilizzata senza
aver prima iniziato
Routing Eye.
Giovani, un saluto a tutti dal vostro Silvio Shine
di fiducia!
Finalmente, sono riuscito a mettermi dinanzi un
dannatissimo computer per
scrivere Sniper e non per compilare programmi!
Com’è ovvio che debba fare,
domando perdono per quasto mese di assenza, ma la scuola mi sta
veramente
scuoiando l’esistenza. (T_T)
Jason ha il suo primo contatto con un Posseduto e
Angelica, preoccupata per
lui, decide di disobbedire all’ordine di Dio per andare a
salvarlo. In cosa
andrà a scaturire questa gravissima insubordinazione?
I Posseduti sono davvero così potenti?
Ognuno di loro è sorvegliato dai
Demoni ai quali appartengono? Perché ad Angelica
è stato, o meglio sarebbe
dovuto essere assegnato un W.I.N.G.? Jason non aveva il permesso di
ingaggiare
ed uccidere il nemico, come andrà a finire?
Grandi domande come sempre! Vedremo quale
sarà la situazione nel prossimo
capitolo: “Il potere di un assassino”!
Ricordate di recensire!
KEEP IT UP!
- Silvio Shine
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