Stirpe Maledetta - L'Inizio

di Van_Horstmann
(/viewuser.php?uid=897205)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 - In fuga ***
Capitolo 2: *** 2 - Combattimento ***
Capitolo 3: *** 3 - Fuga ***
Capitolo 4: *** 4 - Dalle cripte al cielo ***
Capitolo 5: *** 5 - Delusioni e speranze ***
Capitolo 6: *** 6 - Il prete ***
Capitolo 7: *** 7 - L'elfo ***



Capitolo 1
*** 1 - In fuga ***


Corse lungo il corridoio luminoso, il respiro affannato raspava in gola mentre gocce di sudore colavano lungo le guance, sul collo e fin dentro la veste, era fradicio e per la prima volta dopo molti anni sentì quel brivido che accompagnava la vita di tutti gli uomini.
Incertezza, paura.
Si fermò nella grande sala di fronte alla porta che conduceva alle cripte sotterranee e appoggiò le mani sulle ginocchia, il cuore gli batteva in gola, i muscoli e i polmoni bruciavano per lo sforzo, si pulì la fronte dal sudore con la manica destra e cercò di concentrarsi.
La battaglia continuava un po’ ovunque sui molti piani della piramide del Collegio della Luce, i suoi Apprendisti si battevano bene e gli invasori avevano già pagato un pesante tributo di sangue, ma il destino di quello scontro era segnato e lo sapeva.
Gli innumerevoli fili del destino che aveva sempre ammirato erano stati recisi di netto, pochi, pochissimi, legavano ancora la sua esistenza, la sua vita e la sua opera a quel mondo.
Lo sapeva, lo aveva sempre saputo, che prima o poi sarebbe successo e il Collegio sarebbe caduto, ma non così presto!
Cos’è successo? Com’è stato possibile che non vedessi questo percorso del destino?
Si raddrizzò e ricacciò la tetra disperazione nel profondo del proprio animo, c’era ancora speranza, aveva perduto il Collegio ma la sua opera e la sua vita potevano essere salvate!
Alzò le mani in alto con i palmi rivolti alla porta della cripta, pronunciò alcune arcane parole di potere quando avvertì una presenza dietro di lui, una presenza familiare.
«Distruggi magia!» gridò prima ancora di voltarsi.
Un raggio di luce incandescente si dissolse a un braccio dal suo viso, la corrente magica che l’aveva generato si dissolse nel nulla.
«Vespasian Kant» disse mentre guardava negli occhi l’uomo «attacchi alle spalle il tuo Patriarca e amico?»
Il volto di Kant era rigido, i lineamenti duri e la mascella serrata, fronte e sopracciglia corrucciate, i suoi occhi scuri sembravano volerlo inchiodare alla parete.
«Egrimm Van Horstmann! Tu non sei il mio Patriarca e non sei mio amico! Sei solo un traditore! Uno schiavo degli Dei del Caos!»
Sorrise e fece schioccare le dita, la sua veste bianca divenne un turbinio di tonalità, un mare multicolore in tempesta, la faccia di Kant si contorse in una smorfia di disgusto.
«Non dovresti Kant, la luce bianca non è altro che l’insieme di tutti i colori, la magia della luce ha la stessa fonte di quella del Caos!»
Kant tacque ma le sue labbra si mossero e sollevò il braccio che sosteneva il bastone da mago, il vento bianco soffiò impetuoso attorno a Egrimm.
Scattò di lato mentre la colonna di luce esplodeva nel posto in cui si trovava pochi istanti prima, indicò con l’indice Kant:«Dissolvi mortale!»
Una luce violacea illuminò Kant, ma solo per un istante, Egrimm non si stupì e sferrò il suo secondo attacco:«Fuoco mentale!»
Fiamme magenta sgorgarono dal suo palmo e si scagliarono su Kant, il quale fece roteare il bastone e disperse l’incantesimo, poi puntò l’indice contro Egrimm:«Sguardo di luce!»
«Distruggi magia!» urlò Egrimm, ma questa volta non fu abbastanza rapido, l’incantesimo lo colpì in pieno e lo sbalzò contro il muro, la luce abbagliante lo avvolse e sentì la pelle bruciare mentre la veste multicolore divenne nera.
Cadde a terra in ginocchio ma si rialzò subito, Kant aveva concentrato molto potere in quel singolo incantesimo:«Molto bravo, Kant. Saresti un ottimo servitore di Tzeentch.»
«Sei finito Egrimm! Arrenditi!»
Egrimm sorrise:«Non credo proprio.»
Fece schioccare le dita e sentì la carne viva sul volto e sulle braccia rigenerarsi e smettere di bruciare, mentre la veste annerita tornò a colorarsi.
«È bene che tu assaggi il potere del Grande Manipolatore! Fuoco blu di Tzeentch!»
Fiamme bluastre apparvero attorno a Kant e si avvolsero su di lui, le labbra di Egrimm si contorsero in un ghigno divertito mentre Kant si agitava e contorceva.
Egrimm spalancò gli occhi quando un lampo pose fine alle fiamme.
«Molto bravo, molto bravo Kant. Forse dovresti davvero venire con me.»
«Arrenditi, il Gran Teogonista è qui con l’Inquisizione, i tuoi progetti sono falliti, arrenditi, poni fine a questa follia ora e riabilita almeno in parte il tuo onore.»
Egrimm rise, colpito dall’ingenuità di Kant:«Onore? Comunque vada a finire qui, sarò ricordato come un traditore. Non che me ne importi, nel mare del tempo l’epoca dell’Impero non è che un goccia insignificante!»
«Poni fine a questo scontro, di ai tuoi di arrendersi e non porterai altri innocenti alla morte.»
«Sei divertente, Kant! Innocenti? Parli di Volkmar, degli inquisitori o di te stesso? Perché dovrei arrendermi? Per bruciare sul rogo? No, ho altri piani.»
Kant fece un passo avanti e sorrise per la prima volta:«I tuoi piani sono falliti e io ne sono la causa. Io ho avvertito il Gran Teogonista e l’Inquisizione.»
Egrimm socchiuse gli occhi:«Tu?»
Si diede dello stupido per il suo stesso stupore, Kant era il mago più brillante del Collegio della Luce, dopo di lui, il candidato più probabile a scoprire i suoi piani, eppure non aveva mai creduto che il suo “amico” sospettasse di lui.
E non aveva nemmeno avuto sentore dell’attacco, la lama dell’Inquisizione era caduta sui suoi piani, aveva reciso di netto tutti i fili e i lacci che aveva tessuto in molti anni, il suo progetto non era stato solo danneggiato o sconvolto, era stato distrutto.
Tutte le molteplici possibilità e i vari destini erano stati spazzati via per sempre, solo pochi, pochissimi esili fili tenevano insieme il presente con il suo futuro, che ora tornava a essere una sconfinata piana vuota.
Tutto per niente.
L’odio esplose in lui, strinse il Teschio di Katam, chiamò a sé le correnti magiche, deviò i flussi di magia della Piramide e assorbì più potere di quanto ritenesse possibile, sentì un forte calore allo stomaco e al volto, poi scatenò il suo più potente incantesimo:«Cancello infernale!»
L’enorme flusso di magia crepitò nell’aria verso Kant, Egrimm avvertì uno scudo magico ma la potenza del cancello infernale lo spazzò via, un forte odore di bruciato permeò l’aria mentre l’incantesimo centrò il suo bersaglio.
Un bagliore devastante lo costrinse a chiudere gli occhi, ma il suo senso magico vide Kant scagliare altri due incantesimi difensivi prima di sparire.
La sala si riempì di polvere, il punto in cui pochi istanti prima c’era stato il suo avversario era ridotto a un buco nero nella roccia, Egrimm appoggiò le mani ai fianchi e respirò, mentre gocce di sudore colavano sul volto e sotto la tunica.
«Esilio!»
Cosa?
«Dissolvi magia!»
Correnti di magia esplosero attorno a lui, si concentrò al massimo e lo vide, Kant era sfuggito al cancello infernale e l’aveva sorpreso!
Lo vide anche con gli occhi, emerse dalla polvere, sporco, con la tunica macchiata di sangue, ma ancora in piedi, non era potente come lui, ma per liberarsene avrebbe dovuto impiegare molto tempo. Troppo.
«Arrenditi Egrimm.»
«Sei bravo, ma non puoi battermi, Kant. Non sai quali doni mi ha concesso Tzeentch.»
Una voce profonda gli rispose:«E tu non conosci la forza della fede in Sigmar, traditore!»
Tra la nube di polvere che si depositava lenta sul pavimento apparve lui, Volkmar, il Gran Teogonista, con il suo cranio pelato e i grossi e ridicoli baffi neri, indossava un’armatura a piastre decorata di simboli sigmariti e portava un martello da guerra e un bastone.


(continua...)

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** 2 - Combattimento ***


Aveva pensato più volte negli ultimi anni di uccidere Volkmar per destabilizzare l’Impero e la stessa chiesa sigmarita, ora che ce l’aveva davanti ma percepì che non sarebbe stato facile.
Anzi, non è possibile, non con Kant ancora in grado di combattere.
Degli uomini apparvero nella sala, alle spalle di Volkmar, alcuni in armatura, con martelli, spade, lance e alabarde, altri con vesti scure, pistole e spade corte, altri ancora erano maghi del collegio.
Per un momento provò l’impulso di lasciarsi cadere a terra e farla finita, ma poi la sua mente percorse i rivoli del destino, li vide dividersi e moltiplicarsi, anche da quella situazione di azzeramento offriva molteplici prospettive.
No, non è finita.
Volkmar avanzò verso di lui, deciso e con il martello sollevato:«Egrimm Van Horstmann! Affronta la tua punizione!»
«Fuoco blu di Tzeentch!»
Le energie magiche scattarono furiose ma si dispersero un istante dopo, poi Volkmar gli fu addosso e il martello calò su di lui, scattò alla sua destra, subito dopo gli parve che la sua spalla sinistra esplodesse e si trovò a terra.
Si rialzò subito nonostante il dolore atroce gli attraversasse il corpo a fitte intermittenti, Volkmar era di fronte a lui con il martello che puntava alla sua testa.
«Destriero d’ombra!»
Si ritrovò con le spalle alla porta della cripta e vide Volkmar colpire il vuoto, rise, tra una smorfia di dolore e l’altra, guardò la spalla sinistra a pezzi, deformata, con il braccio che penzolava inerte e molto più in basso di quanto fosse il destro.
Un proiettile colpì la pietra lì vicina, poi rumore di passi, tre uomini si erano gettati in avanti.
Pazzi.
Con un gesto della mano li trasformò in torce ardenti che si contorcevano tra urla disperate, vide un quarto uomo e fece lo stesso, ma stavolta le fiamme si estinsero subito, Kant e Volkmar erano avanzati, fianco a fianco.
«Credo sia ora di pareggiare un po’ i numeri.» disse Egrimm «Venite, discepoli!»
Quindici maghi dalle vesti multicolori si materializzarono nella sala, pochi, gli altri dovevano essere rimasti impegnati nei combattimenti o morti, tuttavia sarebbero bastati, almeno per un po’.
Subito dopo altri maghi apparvero nella sala, tra le fila dei seguaci di Volkmar, li riconobbe, erano tutti del Collegio della Luce, coloro che non aveva coinvolto nei suoi piani, Kant doveva essere riuscito a convincerli che davvero il patriarca era un adoratore di Tzeentch.
In un attimo valutò la forza e la capacità dei singoli maghi nella sala, il potere di Volkmar e la possanza dei guerrieri dell’Inquisizione e comprese subito che sarebbe finita molto male e molto in fretta.
Sorrise tra sé, i suoi piani erano stati distrutti, eppure ora il brivido dell’imprevisto e la necessità di nuovi piani e macchinazioni lo allettavano.
Era come uno scultore che dopo aver tanto dedicato alla sua opera decida di passare a qualcosa di nuovo.
Sollevò la mano destra, una palla di fuoco indaco apparve su di lui, con un ampio gesto del braccio la sfera piombò su un gruppo di tre lancieri, avvertì il tentativo di Kant di fermarlo.
Troppo tardi.
L’esplosione scagliò i tre uomini a terra, poi due di essi cominciarono a urlare e si portarono le mano al volto mentre bocca e occhi cominciarono a espandersi e allargarsi, l’interno dei corpi cominciò a fuoriuscire mentre anche le braccia furono inghiottite, come se qualcuno avesse tirato la pelle per rivoltarla e avvolgerne il proprietario.
Dalla carne viva esposta apparvero occhi e braccia sottili, bocche irte di denti aguzzi, mentre ancora si sentivano le urla delle vittime, infine i corpi si rivoltarono del tutto, cinque braccia e due gambe rosacee erano apparse assieme a bocche enormi.
Gli orrori si scagliarono sui nemici più vicini, che arretrarono, Egrimm percepì l’incertezza e la paura dei maghi, persino di Kant, e attaccò ancora, un cancello infernale avrebbe potuto far fuori quasi tutti i nemici e rimandare di qualche ora la sua sconfitta.
Convogliò i venti della magia, ma vide Volkmar farsi avanti:«Schiavi del Caos, crollate di fronte al potere di Sigmar!»
Un’aura di potere immensa permeò la stanza, gli orrori urlarono e sparirono in un’esplosione di magia mentre tre dei suoi discepoli si gettarono a terra urlanti.
È ora di andare.
Egrimm si voltò e impose le mani sul portale della cripta, che si aprì di colpo, prima di fiondarsi oltre si voltò verso i suoi discepoli:«Tratteneteli più che potete, poi oltrepassate questo varco.»
I suoi discepoli, gli Apprendisti, annuirono all’unisono.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** 3 - Fuga ***


Fece dieci passi e mormorò alcune parole arcane, il portale di pietra vuoto fu riempito da una luce multicolore, quando i suoi discepoli l’avrebbero attraversato sarebbero stati portati al sicuro.
Per quanto possa essere sicura la Desolazione…
Scese le scale, la cripta era enorme, era difficile dire quanto, poiché la sua stessa struttura ingannava la vista, persino quella di un mago.
Sottili colonne di vetro salivano verso l’oscurità del soffitto, alcune emanavano un debole chiarore rossastro, sufficiente a illuminare le gigantesche gabbie di acciaio incantato disposte a cerchi concentrici.
L’enorme collezione di creature e oggetti benedetti dagli Dei Oscuri, racchiusi ai tempi della fondazione del Collegio da Teclis, era lì, un valore inestimabile per un potente stregone.
Negli ultimi anni era riuscito ad aggirare molti degli incantesimi difensivi, ma ci sarebbero voluti decenni per eluderli tutti, provò un forte rammarico, se avesse avuto altro tempo…
Avvertì il varco nel portale collassare e le voci di Volkmar e degli altri irrompere e rimbombare nella cripta, i suoi avevano retto meno di quanto pensasse, o forse aveva sottovalutato la potenza dei suoi nemici.
Accelerò il passo, per fortuna aveva ancora qualche carta da giocare, pronunciò dentro di sé gli incantesimi che sbloccavano i sigilli di una dozzina di gabbie, pochi istanti dopo le grida di rabbia delle creature a lungo imprigionate riempì le cripte.
Buon divertimento, Kant!
Si voltò un attimo per vedere uno Shaggoth sbucare fuori da una gabbia enorme ma che a stento doveva averlo contenuto, era alto come cinque uomini e la sua massa doveva essere pari a quella di un grosso drago.
Anche senz’armi sarà un bel grattacapo per Volkmar.
Si immaginò il Gran Teogonista fatto a pezzi da quell’enorme creatura e sorrise tra sé mentre superava l’ultimo cerchio di gabbie, davanti a sé, alta come dieci uomini, la gabbia di acciaio e luce praticamente indistruttibile creata da Teclis.
Un capolavoro di magia, con non meno di cento incantesimi e contro incantesimi intessuti nella sua struttura, un enigma intricato che aveva sfidato la sua mente per tutti gli anni in cui era stato Patriarca del Collegio.
Se Teclis non avesse lasciato delle istruzioni al Collegio e al suo primo Patriarca, non sarebbe mai riuscito a venirne fuori, ma erano bastate come chiave per interpretare l’intera architettura magica della gabbia.
Si fermò davanti a essa e alzò le mani verso l’alto.
«Esci, Baudros!»
La gabbia cominciò a tremare e la luce che ne permeava la struttura ad affievolirsi, poi ci fu un rumore di metallo spezzato e la gigantesca struttura crollo su se stessa.
Dalle sue rovine emersero due teste su lunghi colli serpentini, poi l’enorme corpo squamoso si scrollò di dosso i resti d’acciaio e le ali raccolte si dispiegarono in tutta la loro grandezza.
«Ci sei riuscito allora, umano. Il Grande Manipolatore non ha sbagliato troppo con te.»
«Come avevo promesso, sei libero, ma dobbiamo andarcene, subito!»
«Certo umano, sono chiuso qua dentro da quasi due secoli, non intendo rimanerci.»
Il ruggito della Shaggoth e di altre creature, unito alle grida degli uomini e alle magie di Kant lo fecero voltare per un attimo, poi tornò a fissare Baudros.
«Aprirò un portale sul soffitto della cripta, ci permetterà di uscire.»
«Sali umano, i tuoi simili stanno arrivando.»
Percepì un potente vortice di magia, poi sentì un urlo di dolore lungo alcuni momenti e che terminò con un tonfo, Kant e Volkmar dovevano aver fatto fuori lo Shaggoth.
Si avvicinò a Baudros che abbassò uno dei due colli per farlo salire sulla schiena, si tenne forte mentre il drago iniziò a battere le ali e a sollevarsi in aria.
Un dardo di luce esplose addosso a Baudros, lo sentì ringhiare dal dolore e dalla rabbia, poi il rumore di spari di pistole e archibugi riempì l’aria, i proiettili fischiarono intorno a loro.
Uno dei colli di Baudros si abbassò e dalla bocca uscì una fiammata enorme che raggiunse il pavimento, qualche uomo riuscì a spostarsi ma almeno in dieci furono colpiti, le urla durarono un istante, poi i loro corpi inceneriti si disintegrarono.
«Datti da fare umano!»
Chiuse gli occhi e aprì il palmo della mano destra, si concentrò sul soffitto delle cripte e richiamò l’energia della piramide, ma essa fluì lenta.
Kant!
Il suo “amico” gli contendeva la sorgente di magia, avrebbe potuto sopraffarlo, forse, ma non c’era tempo e sentiva altri maghi giungere sul posto.
Va bene Kant! Tieniti la tua preziosa magia della Luce! Ora ti farò vedere qual è il potere che Tzeentch mi ha concesso!
Il suo sguardo magico andò oltre la piramide, oltre l’Impero, oltre la Desolazione, fino al grande portale a nord, lo attraversò e lì trovò quel che cercava, l’enorme potere lo raggiunse come un fulmine, lo sentiva pervadere la sua carne tanto da faticare a trattenerlo.
Percepì con chiarezza tutti i maghi, tutti gli incantesimi, la magia della Luce fluire, i venti della magia, maghi, necromanti, stregoni, ovunque a centinaia di leghe di distanza, vide i fili del destino intrecciati e contorti diventare uno schema comprensibile nello spazio e nel tempo e infine vide se stesso e i suoi piccoli piani del passato diventare piccoli e meschini, ben altro lo attendeva in futuro!
Chiuse il palmo della mano e lo riaprì di scattò, vide la magia della piramide ritrarsi e un enorme portale aprirsi.
«Avanti! Attraversalo!»
Baudros sbatté le ali e salì, i proiettili fischiavano attorno, alcuni andarono a segno ma senza causare danni al gigantesco drago, percepì l’enorme sforzo di Kant e degli altri, la magia della piramide fluì in loro e poi si schiantò sul portale.
Troppo tardi, Kant.
Il portale non cedette, Baudros si infilò dentro e un istante dopo erano nel cielo notturno di Altdorf, poche luci sottostanti illuminavano la città addormentata, per fortuna Volkmar e Kant avevano attaccato di notte, con la luce i cannoni posizionati sulle mura e torri di Altdorf sarebbero stati un problema serio anche per Baudros.
«La benedizione del Signore del Mutamento è in te, ora la sento come non mai, ora lo hai abbracciato con tutta la tua anima. Faremo grandi cose insieme.»
«Oh, si, le faremo. Ora verso nord! Devo trovare i miei discepoli.»

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** 4 - Dalle cripte al cielo ***


Fece dieci passi e mormorò alcune parole arcane, il portale di pietra vuoto fu riempito da una luce multicolore, quando i suoi discepoli l’avrebbero attraversato sarebbero stati portati al sicuro.
Per quanto possa essere sicura la Desolazione…
Scese le scale, la cripta era enorme, era difficile dire quanto, poiché la sua stessa struttura ingannava la vista, persino quella di un mago.
Sottili colonne di vetro salivano verso l’oscurità del soffitto, alcune emanavano un debole chiarore rossastro, sufficiente a illuminare le gigantesche gabbie di acciaio incantato disposte a cerchi concentrici.
L’enorme collezione di creature e oggetti benedetti dagli Dei Oscuri, racchiusi ai tempi della fondazione del Collegio da Teclis, era lì, un valore inestimabile per un potente stregone.
Negli ultimi anni era riuscito ad aggirare molti degli incantesimi difensivi, ma ci sarebbero voluti decenni per eluderli tutti, provò un forte rammarico, se avesse avuto altro tempo…
Avvertì il varco nel portale collassare e le voci di Volkmar e degli altri irrompere e rimbombare nella cripta, i suoi avevano retto meno di quanto pensasse, o forse aveva sottovalutato la potenza dei suoi nemici.
Accelerò il passo, per fortuna aveva ancora qualche carta da giocare, pronunciò dentro di sé gli incantesimi che sbloccavano i sigilli di una dozzina di gabbie, pochi istanti dopo le grida di rabbia delle creature a lungo imprigionate riempì le cripte.
Buon divertimento, Kant!
Si voltò un attimo per vedere uno Shaggoth sbucare fuori da una gabbia enorme ma che a stento doveva averlo contenuto, era alto come cinque uomini e la sua massa doveva essere pari a quella di un grosso drago.
Anche senz’armi sarà un bel grattacapo per Volkmar.
Si immaginò il Gran Teogonista fatto a pezzi da quell’enorme creatura e sorrise tra sé mentre superava l’ultimo cerchio di gabbie, davanti a sé, alta come dieci uomini, la gabbia di acciaio e luce praticamente indistruttibile creata da Teclis.
Un capolavoro di magia, con non meno di cento incantesimi e contro incantesimi intessuti nella sua struttura, un enigma intricato che aveva sfidato la sua mente per tutti gli anni in cui era stato Patriarca del Collegio.
Se Teclis non avesse lasciato delle istruzioni al Collegio e al suo primo Patriarca, non sarebbe mai riuscito a venirne fuori, ma erano bastate come chiave per interpretare l’intera architettura magica della gabbia.
Si fermò davanti a essa e alzò le mani verso l’alto.
«Esci, Baudros!»
La gabbia cominciò a tremare e la luce che ne permeava la struttura ad affievolirsi, poi ci fu un rumore di metallo spezzato e la gigantesca struttura crollo su se stessa.
Dalle sue rovine emersero due teste su lunghi colli serpentini, poi l’enorme corpo squamoso si scrollò di dosso i resti d’acciaio e le ali raccolte si dispiegarono in tutta la loro grandezza.
«Ci sei riuscito allora, umano. Il Grande Manipolatore non ha sbagliato troppo con te.»
«Come avevo promesso, sei libero, ma dobbiamo andarcene, subito!»
«Certo umano, sono chiuso qua dentro da quasi due secoli, non intendo rimanerci.»
Il ruggito della Shaggoth e di altre creature, unito alle grida degli uomini e alle magie di Kant lo fecero voltare per un attimo, poi tornò a fissare Baudros.
«Aprirò un portale sul soffitto della cripta, ci permetterà di uscire.»
«Sali umano, i tuoi simili stanno arrivando.»
Percepì un potente vortice di magia, poi sentì un urlo di dolore lungo alcuni momenti e che terminò con un tonfo, Kant e Volkmar dovevano aver fatto fuori lo Shaggoth.
Si avvicinò a Baudros che abbassò uno dei due colli per farlo salire sulla schiena, si tenne forte mentre il drago iniziò a battere le ali e a sollevarsi in aria.
Un dardo di luce esplose addosso a Baudros, lo sentì ringhiare dal dolore e dalla rabbia, poi il rumore di spari di pistole e archibugi riempì l’aria, i proiettili fischiarono intorno a loro.
Uno dei colli di Baudros si abbassò e dalla bocca uscì una fiammata enorme che raggiunse il pavimento, qualche uomo riuscì a spostarsi ma almeno in dieci furono colpiti, le urla durarono un istante, poi i loro corpi inceneriti si disintegrarono.
«Datti da fare umano!»
Chiuse gli occhi e aprì il palmo della mano destra, si concentrò sul soffitto delle cripte e richiamò l’energia della piramide, ma essa fluì lenta.
Kant!
Il suo “amico” gli contendeva la sorgente di magia, avrebbe potuto sopraffarlo, forse, ma non c’era tempo e sentiva altri maghi giungere sul posto.
Va bene Kant! Tieniti la tua preziosa magia della Luce! Ora ti farò vedere qual è il potere che Tzeentch mi ha concesso!
Il suo sguardo magico andò oltre la piramide, oltre l’Impero, oltre la Desolazione, fino al grande portale a nord, lo attraversò e lì trovò quel che cercava, l’enorme potere lo raggiunse come un fulmine, lo sentiva pervadere la sua carne tanto da faticare a trattenerlo.
Percepì con chiarezza tutti i maghi, tutti gli incantesimi, la magia della Luce fluire, i venti della magia, maghi, necromanti, stregoni, ovunque a centinaia di leghe di distanza, vide i fili del destino intrecciati e contorti diventare uno schema comprensibile nello spazio e nel tempo e infine vide se stesso e i suoi piccoli piani del passato diventare piccoli e meschini, ben altro lo attendeva in futuro!
Chiuse il palmo della mano e lo riaprì di scattò, vide la magia della piramide ritrarsi e un enorme portale aprirsi.
«Avanti! Attraversalo!»
Baudros sbatté le ali e salì, i proiettili fischiavano attorno, alcuni andarono a segno ma senza causare danni al gigantesco drago, percepì l’enorme sforzo di Kant e degli altri, la magia della piramide fluì in loro e poi si schiantò sul portale.
Troppo tardi, Kant.
Il portale non cedette, Baudros si infilò dentro e un istante dopo erano nel cielo notturno di Altdorf, poche luci sottostanti illuminavano la città addormentata, per fortuna Volkmar e Kant avevano attaccato di notte, con la luce i cannoni posizionati sulle mura e torri di Altdorf sarebbero stati un problema serio anche per Baudros.
«La benedizione del Signore del Mutamento è in te, ora la sento come non mai, ora lo hai abbracciato con tutta la tua anima. Faremo grandi cose insieme.»
«Oh, si, le faremo. Ora verso nord! Devo trovare i miei discepoli.»

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** 5 - Delusioni e speranze ***


Frank Van Horstmann uscì dalla stanza da letto e si asciugò con il dorso della mano il sudore, erano state ore concitate ed era felice come non mai, un figlio maschio era una benedizione, soprattutto se primogenito.
Proseguì lungo il corridoio illuminato dalle torce, l’aria fredda e umida lo fece rabbrividire, accelerò il passo e raggiunse la stanza del padre, presidiata  da due guardie in armatura pesante munite di alabarde.
«Mio Signore, desidera?» disse uno degli uomini.
«Devo parlare con mio padre.»
«Suo padre sta ispezionando le mura, Signore. Ci ha ordinato di rimanere qui.»
Fece un cenno d’assenso e si avviò verso l’esterno, aprì la porta che dava sulla sezione ovest e fu investito da un vento gelido, per un attimo pensò di tornare in camera e vestirsi di più, ma poi vide suo padre pochi passi più in là, appoggiato a uno dei merli delle mura.
«Padre.» disse.
Wilhelm Van Horstmann si voltò, i capelli biondi lunghi fino alle spalle erano venati da ciocche bianche così come la barba tenuta corta, rughe profonde segnavano la fronte e le guance e lo sguardo corrucciato facevano sembrare più scuri gli occhi azzurri.
«Cosa c’è, Frank?»
Inspirò, suo padre era sempre stato freddo come il ghiaccio e gli eventi dell’ultimo anno non lo avevano certo migliorato.
«È nato il mio primogenito.»
Wilhelm tornò a guardare oltre le mura.
«Bene, almeno è un maschio.»
«Si chiama Stefan. Sarà l’erede della casata dopo te e me.»
«Andiamo dentro, dobbiamo parlare.»
Raggiunsero la sala principale dell’Horstchlösse, un piacevole tepore raggiunse Frank, il camino era acceso e diversi ceppi ardevano, un tavolo di legno massiccio dominava il centro della stanza e grandi arazzi erano appesi alle pareti.
Riconobbe quello molto antico recante lo stemma dei Van Horstmann, il lupo bianco su campo blu e giallo, poi altri rappresentati di molte battaglie combattute nei secoli dai membri della casata.
«Hai tirato fuori gli arazzi più vecchi?»
«Servono per domani, giungerà un emissario del Conte.» disse suo padre «Siediamoci.»
«Per cosa viene l’emissario?»
«Porterà una editto, il Conte ha riconosciuto il riscatto dei nostri diritti su Ardendorf che si  proclamerà città libera e dichiarerà la decadenza del nostro dominio su Norstadt, che passerà ai Van Kelsen.»
«Cosa? Impossibile! I nostri diritti…»
«Li hanno calpestati, cosa ti aspettavi? Abbiamo tutti contro, i Van Kelsen hanno fatto pressione sul Conte, così come i Von Zeerburg, la gilda dei mercanti , i banchieri, la chiesa di Ulric, tutti.»
Frank sbatté il pugno sul tavolo:«Dannati sciacalli! Avvoltoi! Non avrebbero mai osato un tempo! Vigliacchi!»
Wilhelm sospirò:«Solo i Van Derv ci sono rimasti amici, ma non possono esporsi molto a nostra difesa, almeno non hanno avanzato pretese.»
«Ardendorf e Norstadt sono le nostre principali entrate di tasse, ci manderanno in rovina!»
«È quello che sperano. figlio mio. Inoltre ora abbiamo contro anche l’ordine di cui facciamo parte, anzi, di cui tu fai parte, da pochi giorni il Gran Maestro mi ha espulso dall’Ordine del Falco Nero, non sono più un cavaliere.»
«Ma non è possibile, il Gran Maestro non può prendere queste decisioni da solo.»
«La Cerchia Interna ratificherà di sicuro la cosa, succederà lo stesso a tuo zio, a te e a tuo fratello, ci tagliano fuori. Nessuno vuole più stare vicino a un Van Horstmann.»
Frank si portò la mano destra sui capelli, cosa ne sarebbe stato della casata? Su cosa avrebbe comandato dopo suo padre? Come sarebbe stata la vita di Stefan?
«Padre, senza Ardendorf e Norstadt come faremo a pagare gli uomini in armi e difendere i nostri domini?»
«Faremo quel che possiamo, congederò gli uomini un po’ alla volta, terremo circa duecento armati, poi arruoleremo dei contadini per fare delle milizie statiche attorno ai villaggi.»
«Non basterà.» disse Frank.
Wilhelm sbatté il pugno sul tavolo e si avvicinò con la faccia a Frank:«Dovrà bastare! E se qualche pulcioso villaggio sparirà dalla mappa pazienza, concentreremo le nostre forze qua ad Horstburg, a Kellerburg e a Sarhafen, il resto andrà avanti con le milizie.»
Non contestò oltre, da un certo punto di vista suo padre aveva ragione, eppure l’idea che il dominio dei Van Horstmann non sarebbe più stato un luogo dove legge e ordine dominavano lo intristì.
«Chi vuol difendere tutto non difende nulla» disse Wilhelm «non ricordo chi lo disse, ma è una gran verità, terremo duro sui capisaldi, che uomini bestia e briganti facciano del loro peggio sui villaggi, li difenderemo se e quando potremo.»
Avrebbe voluto dire a suo padre che era un loro dovere di nobili difendere la propria terra, ma tacque, in fondo era lui il capo della casata.
«Ho capito, padre, forse dovremo fortificare i villaggi, costruire palizzate e torri di legno, dovrebbe scoraggiare almeno le incursioni minori.»
Wilhelm annuì:«Si, potremo fare qualcosa del genere, ci costa poco e può rendere molto.»
«Bene padre, ne parleremo nei prossimi giorni allora, ora vorrei tornare da mia moglie e mio figlio.»
Appoggiò le mani alla sedia e si alzò.
«Aspetta, c’è un’ultima cosa.»
Tornò a sedersi.
«Spero sia una buona notizia.» scherzò Frank.
«Non è cattiva. Tra qualche giorno arriverà qua un Prete di Sigmar.»
Frank strabuzzò gli occhi:«Un altro dell’inquisizione? Ancora! Li abbiamo avuti tra i piedi per mesi!»
Wilhelm scosse la testa:«No, niente inquisizione, l’ho convocato io.»
«Non capisco, cosa vuoi da un sigmarita?» disse Frank.
«Sarà qui per guidare la famiglia nella nuova fede.»
Frank si alzò di colpo e la sedia cadde a terra con un tonfo che rimbombò tra le pareti:«Sei impazzito? Un sigmarita qui all’Horstschlösse? Noi dovremmo diventare sigmariti?»
«Siediti figlio. Si, diventeremo sigmariti.»
Non si sedette:«La nostra casata venera Ulric da tredici secoli! Dovresti saperlo! Non puoi da un giorno all’altro far finta che tutto ciò non sia mai successo, cancellare il passato e adorare Sigmar come se niente fosse!»
Wilhelm appoggiò le mani sul tavolo e si alzò, fissò Frank negli occhi e serrò le mani a pugno:«Figlio, ti devo ricordare chi comanda ancora questa casata?»
Frank distolse lo sguardo:«No padre, ma…»
«Ma niente. La chiesa di Ulric ci ha abbondato, il gran sacerdote di Salzenmund ha appoggiato tutte le richieste dei nostri nemici, ho inviato una missiva all’Ar-Ulric a Middenheim mesi fa per perorare la nostra causa, ma non ho ricevuto risposta.»
Frank si sedette:«Maledetti, con tutte le donazioni elargite e i templi che manteniamo!»
«Quando ho capito come si stava mettendo, ho inviato una lettera ad Altdorf, ho ribadito la nostra estraneità e la nostra condanna al Traditore, ho detto che mettevo la mia casata nelle mani di Sigmar e ho chiesto che venissimo guidati nella giusta fede.»
Frank annuì, iniziò a comprendere il disegno del padre.
«Il Gran Teogonista potrà tenerci d’occhio, oltre a mettere un piede nel Nordland, in una delle famiglie nobili.» continuò Wilhelm.
«Vuoi sfruttare la rivalità religiosa per ingraziarti i sigmariti e controbilanciare l’appoggio che gli ulricani ci hanno tolto.»
«Esatto, figlio, vedo che capisci.»
«Allora diventeremo sigmariti. Non sarà facile.»
«No, non lo sarà. Tranne che per tuo figlio e chi verrà dopo di lui. Conoscerà solo la fede in Sigmar.»
Poco dopo Frank si congedò e tornò nella sua stanza, sua moglie e suo figlio dormivano, si sedette sul letto e fissò il piccolo Stefan, il suo futuro non sarebbe stato facile, eppure non poté fare a meno di sorridere.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** 6 - Il prete ***


Lothar sapeva che la gente del Nordland era scorbutica, rozza e taciturna, priva di senso dell’umorismo, tolleranza e buon senso.
Almeno così gli avevano detto.
O gli avevano mentito oppure Mark Keltwald non corrispondeva al tipico Nordlander.
Certo, era grosso e alto, capelli biondi con qualche sfumatura rossa e occhi azzurri, ma non la smetteva mai di parlare, scambiava battute con gli altri uomini e con i viandanti lungo la strada e non aveva mai riservato al prete alcuno sguardo sospettoso, al contrario di molti  contadini e soldati che aveva incontrato da quando era giunto nel Nordland.
«E allora Lothar» disse Mark mentre tirava un po’ le redini per far rallentare il cavallo « l’hanno spedita quassù da noi, non è come Altdorf qua, ti mancherà al vita di città. Il Nordland non è per le persone sofisticate.»
Lothar  mollò le redini con la destra e appoggiò la mano sul grande martello da guerra tenuto dietro la schiena:«Sono cresciuto in un villaggio dello Stirland, Mark, la vita nei luoghi selvaggi non mi spaventa.»
Alcuni degli uomini al seguito sghignazzarono, li ignorò, mentre Mark riprese a parlare:«Oh, ci credo. Bell’arma, molto potente, un colpo di quella ti spacca la testa, elmo o non elmo.»
«Non è solo l’acciaio, è il simbolo e il potere che Sigmar conferisce ai suoi devoti a renderlo letale.»
«Voi preti dite sempre le stesse cose» rise Mark, alcuni degli uomini annuirono «io preferisco questa.»
Indicò una spada lunga molto grande, per certi versi simile a  una delle grandi spade usate dalla fanteria d’elite imperiale, a occhio sembrava di buona fattura.
Mark continuò:«Questa è buona per tutto, puoi affondare, schivare, parare, attaccare di lato, dal basso, dall’alto, e puoi colpire duro perché è bella pesante.»
«Arma di buona qualità credo» disse Lothar «ha già avuto il suo battesimo di sangue?»
«Certo, ma nulla di cui vantarsi, uno stramaledetto bandito nella Foresta delle Ombre. Il poveraccio aveva una mazza che era poco più di un ramo. Gli ho aperto la pancia, un bello squarcio, l’ho visto accasciarsi urlante a terra per tenersi le budella che gli uscivano. E tu? Quel martello ha già sparso sangue?»
Lothar lo fissò negli occhi:«Un Ghoul, molti anni fa, in una cripta, quella bestia mi saltò contro e la centrai con un colpo di lato, al fianco sinistro, volò addosso alla parete e rimase immobile, con l’anca fracassata.»
«Un Ghoul? Mai visto, ma ne ho sentito parlare. Da queste parti troverà banditi e uomini bestia, e tutte le mostruosità che le foreste possono contenere.»
«Esploratore di ritorno.» disse un uomo.
Lothar e Mark guardarono lungo la strada, era uno dei cacciatori che erano stati mandati in avanscoperta, quando li raggiunse disse:«Uominibestia davanti a noi, almeno una ventina, Gor e Nogor, niente roba grossa, sono appena fuori dal sentiero. Vengono qui.»
«Devono averci visto da lontano. Possiamo aggirarli?» chiese Mark.
Il cacciatore fece cenno di no:«Non ci sono sentieri e i boschi sono tutto buche e radici, troppo difficile correre per tanto.»
Mark si girò a guardare Lothar:«O torniamo indietro o li affrontiamo. Ma siamo solo quindici.»
«Basteremo.» rispose Lothar «Non ho intenzione di scappare di fronte a pochi di loro.»
«Va bene uomini, formate due linee con le lance, arcieri sulla sinistra, pronti a colpire, io e Lothar ci mettiamo sulla destra per caricare appena saranno abbastanza vicini. Appena partiamo veniteci dietro. Non fate str***te.»
Gli uomini obbedirono, i lancieri con maglia di ferro e scudo si disposero in due file da quattro mentre i tre cacciatori piantarono le frecce al suolo e impugnarono gli archi lunghi.
Qualche minuto dopo li videro muoversi tra gli alberi, Lothar socchiuse gli occhi, le sembianze umanoidi svanirono non appena la luce del sole li raggiunse, corpi pelosi, zampe caprine, teste deformate a imitazione di tori o caproni, alcuni avevano tre braccia, altri due teste, e chissà quante altre orrende mutazioni dovevano portare con sé.
Ne contò dieci di dimensioni più piccole e quindici Gor, uno in particolare doveva essere ancor più alto di Mark, aveva una mazza alta quanto un uomo e indossava una malconcia armatura a piastre, procurata chissà come, la testa di toro era sormontata da due possenti corna e altre uscivano dalle giunture del gomito e del ginocchio.
Due occhi neri sembravano parti dell’abisso da cui era stato generato.
«Appena escono dal bosco tirate!» disse Mark.
Gli Uominibestia urlarono, suono contorti, gutturali, feroci e selvaggi, molti batterono le lance e le rozze spade sugli scudi, altri sui tronchi vicini.
Mark rise:«Vogliono farci paura! Avanti uomini, fatevi sentire!»
I soldati urlarono  a loro volta.
«Avanti, capre!»
«Avete paura? Fatevi sotto!»
«Dai! Dai! Venite avanti!»
«Mi farò una pelliccia con il vostro pelo.»
Gli Uominibestia smisero di gridare, il Gor più grosso sbatté tre volte la sua mazza a terra e gridò tanto forte da coprire persino le voci degli uomini, un istante dopo gli Uominibestia si lanciarono all’attacco.
«Tirare ora!»
Tre frecce trovarono il bersaglio, un Gor rovinò a terra e fu schiacciato dai suoi simili, un altro fu colpito alla spalla ma continuò a correre come se nulla fosse mentre un Nogor incespicò ferito al fianco.
Un’altra salva, questa volta solo una freccia andò a segno, un Nogor gettò lancia e scudo e si portò le mani alla pancia.
Ci fu tempo per una terza salva, prima che Mark urlasse:«Carica!»
Spronarono i cavalli in avanti e si portarono a destra, verso il fianco sinistro della marmaglia di Uominibestia, Lothar strinse il grande martello e puntò un Gor armato con un’ascia da boscaiolo.
Il Gor gli si lanciò contro con l’ascia sollevata sopra la testa, Lothar tirò indietro il braccio destro e poi attaccò con un colpo orizzontale, la testa del martello sfracellò il cranio del nemico che scoppiò e sparse sangue, frammenti d’osso e cervella attorno mentre l’ascia cadeva dalle mani ancora tese in alto.
Sfruttò il movimento e colpì a sinistra un Nogor con lancia, che però si gettò a terra e la scampò, il cavallo lo portò oltre gli Uominibestia, Lothar lo fece girare e tornò all’attacco.
I lancieri si erano gettati nella mischia ed erano giunto alla pugna più compatti, vide un paio di Gor infilzati finire a terra urlanti, Mark si era già ributtato nella mischia e dall’alto del cavallo menava colpi sulle teste degli Uominibestia.
Lothar attaccò alle spalle un Gor che si voltò all’ultimo e schivò l’attacco, ma fu travolto dal cavallo, colpì ancora, la spalla destra di un Nogor andò in pezzi e quello crollò al suolo, cercò un altro nemico e vide il grosso Gor in armatura assalire Mark.
La gigantesca mazza calò ma Mark opposte lo scudo e contrattaccò con un affondo, la punta della lama scivolò sulle piastre d’acciaio e il Gor colpì alla zampa posteriore destra il cavallo.
Lo schiocco di ossa spezzate fece rabbrividire Lothar, il destriero cadde a terra con un nitrito e Mark rotolò al suolo.
Si rialzò subito con la spada lunga tesa in avanti, poi estrasse una pistola e sparò tre colpi, il Gor arretrò di poco, poi ruggì e si lanciò all’attacco.
Lothar spronò il cavallo verso lo scontro, il Gor fintò un attacco dall’alto verso il basso, poi spostò la mazza a sinistra e colpì in orizzontale, Mark balzò indietro e appena passato l’attacco  effettuò un affondo diretto al volto.
Il Gor ruotò col corpo e girò la testa, la lama lo sfiorò, col braccio sinistro colpì il piatto della lama e col destro attaccò di nuovo, la mazza centrò Mark al fianco sinistro e lo gettò a terra.
Si rialzò subito ma appena in tempo, il Gor calò la mazza su di lui, Mark sollevò la spada e intercettò l’attacco, deflesse la mazza alla sua sinistra e attaccò fulmineo dal basso a sinistra verso l’altro a destra, la punta della lama tranciò pelle e carne della testa taurina e aprì un grosso squarcio sanguinolento dalla mandibola fino all’occhio destro.
Il Gor urlò, Mark ruotò i polsi e scese con la spada verso la base destra del collo del nemico, Lothar era a pochi passi e sollevò il martello, certo che ormai sarebbe servito a poco.
Il capo degli Uominibestia sferrò un calcio fulmineo all’addome di Mark che fu sbalzato indietro, l’uomo mantenne la presa sulla spada ma ricadde in ginocchio.
Lothar attaccò e puntò alla testa ma il Gor si abbassò e lo schivò, il cavallo passò oltre, Lothar tirò le redini per farlo girare ma il destriero non obbedì.
«Avanti! Per Sigmar!»
Il cavallo nitrì e s’impennò, Lothar vide il Gor fissare l’animale con un ghigno feroce sul muso bovino sporco di sangue, carne viva e pus, rabbrividì, poi la fede in Sigmar spazzò via paura e incertezza.
Mollò le redini  e tolse i piedi dalle staffe, saltò a terra come poté, si appoggiò con la sinistra mentre a destra teneva il martello, fissò il Gor negli occhi e scattò verso di lui.
Mark attaccò la bestia di nuovo, questa volta fu più veloce e la spada lunga affondò tra due piastre malmesse dell’armatura, estrasse la lama e un fiotto di icore nerastro sgorgò sull’acciaio arrugginito mentre un urlo di dolore ferì le orecchie di Lothar.
Il Gor scatenò una serie di attacchi veloci nonostante le dimensioni della sua arma, Mark arretrò un paio di volte, poi cercò di girargli attorno e tentò un paio di affondi  per porre fine a quella frenesia guerriera.
Lothar fece gli ultimi passi, era alle spalle del nemico, sollevò il martello da guerra e puntò alla nuca, il Gor si voltò, si abbassò, appoggiò il ginocchio destro a terra e gli scattò contro.
La testa taurina gli impattò sullo stomaco con al forza di un gigantesco macigno, sentì le corna farsi largo attraverso la cotta di maglia e il fiato uscirgli dal corpo, un attimo dopo fu a terra ma riuscì ad accompagnare il movimento d’inerzia e spinse via il Gor che gli era addosso.
Si rialzò ma l’avversario fece prima, Mark però attaccò il Gor, Lothar strinse a due mani il martello e si lanciò all’attacco a sua volta.
Ora il capo degli Uominibestia era in difficoltà, cercava di attaccare ma per quanto veloce fosse la mazza che portava lo obbligava a movimenti ampi che lo scoprivano, Lothar ne approfittò subito con un attacco dalla sinistra del nemico.
Mancò il fianco ma beccò il gomito sinistro, uno schiocco annunciò che pure l’articolazione aveva ceduto, l’avambraccio penzolò inerte e il Gor fu costretto a combattere con una mano.
Lothar corse dietro al Gor che a sua volta indietreggiò e mantenne i due uomini davanti a sé, poi si fermò e fissò prima uno e poi l’altro ed emise un basso ringhio ferino, era ricoperto di sangue su metà della testa e su tutta l’armatura, sputò grumi di sangue.
«Ancora uno sforzo» disse Lothar «non può usare la mazza con una sola mano.»
Mark aveva il fiato corto:«Non bene, ma la può usare. Tu a sinistra, io a destra, ora!»
Lothar scattò alla sinistra, il Gor mosse la testa da una parte, poi dall’altra, infine scattò verso di lui con la mazza sollevata.
Lothar attaccò dall’alto a destra verso la testa del Gor che dovette torcere il busto per opporsi con la mazza, ci riuscì ma la forza dell’impatto gli strappò l’arma dalla mano.
Il Gor urlò e gli si gettò ancora addosso.
Troppo vicino, ma questa volta non mi freghi.
Lothar mollò il martello ed estrasse il pugnale, piantò i piedi e gli andò contro, bloccò la mano artigliata del Gor con la sinistra e gli fu addosso con una spallata, lo respinse e affondò il pugnale alla base del collo due volte.
Il Gor si agitò furioso, il terzo affondò di Lothar finì sull’acciaio dell’armatura, poi sentì un dolore lancinante all’avambraccio destro, i denti dell’uomobestia affondarono sugli anelli d’acciaio dell’armatura.
Con il braccio bloccato diede una ginocchiata alta all’addome dove il Gor era stato ferito, quello mollò la presa per urlare e Lothar gli affondò un terzo colpo alla gola, poi lo spinse indietro.
Il Gor si portò la mano destra alla gola, un attimo una lama saettò e la testa rotolò al suolo, seguita subito dopo dal tonfo del corpo, Mark alle spalle del cadavere guardò la spada sporca di sangue scuro:«Questo era maledettamente duro.»
Lothar annuì, sentiva il cuore in gola e i polmoni gli bruciavano, mentre tutta una serie di fitte cominciarono a farsi sentire, ma non era ancora finita.
Si voltò verso la mischia, diversi uominibestia erano a terra, guardò Mark che gli fece un cenno d’intesa.
Con un urlo si lanciarono all’attacco, un Gor si voltò verso di loro, poi lo sguardo corse più in là al cadavere del capo e corse via dal combattimento.
Fu un attimo e gli altri superstiti si diedero alla fuga, alcuni furono infilzati dai lancieri mentre si voltavano, altri riuscirono a distanziarli, due furono raggiunti da frecce e caddero a terra, finiti pochi istanti dopo.
Lothar si fermò:«È fatta.»
«Direi di si.» disse Mark.
I sei Gor superstiti fuggirono nel bosco, ne avevano avute abbastanza.
Tre uomini erano feriti, uno aveva la gamba spezzata, Mark riuscì a rimettere l’osso in posizione e fece costruire una barella, gli altri due furono fasciati e messi sul cavallo di Lothar.
Mark diede il colpo di grazia al suo cavallo, mise dei rami attorno e fece accendere un fuoco.
«Non voglio che i Gor tornino qui per la cena.» disse «In marcia, dobbiamo essere a Horstburg prima del tramonto.»
Camminarono fianco a fianco:«Grazie» disse Mark «questo era davvero grosso, un Bestigor.»
«Ne ho sentito parlare, ma non ne avevo mai affrontato uno prima.» disse Lothar «Non voleva saperne di crepare.»
«Ah, no, bé, più o meno è lo stesso con i nonmorti, no?»
Lothar rise:«Più o meno! Diciamo che puzzano uguale.»

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** 7 - L'elfo ***


Eryon mollò la corda dell’arco, la freccia percorse la distanza con il bersaglio prima di conficcarsi sul legno.
Un uomo corse verso il bersaglio, guardò la freccia e si voltò verso il pubblico:«Centro! Dieci punti!»
«Dieci punti per lo straniero di Laurelorn!» gridò il giudice all’uomo che segnava i punti.
Molti applausi seguirono l’annuncio, un uomo si affiancò ad Eryon e gli riservò uno sguardo truce, ma non disse nulla.
«Al tiro Hans Weiss di Horstburg!»
Dal pubblico vennero grida di incoraggiamento, l’uomo incoccò la freccia, puntò e tese la corda per mollarla subito dopo, colpì il bersaglio, Eryon vide un attimo prima dell’uomo lì vicino dove.
«Nove punti!»
Bel colpo, umano.
«Nove punti per Hans Weiss!»
Weiss sbuffò e si voltò verso Eryon:«A quanto pare hai vinto, elfo.»
«Pare di si. Non male neanche tu.»
«Grazie. Se non era per te il premio sarebbe stato mio.»
«Sarà per la prossima volta.»
Weiss fece un cenno d’assenso e scrollò le spalle, poi se ne andò.
Il giudice alzò le braccia:«Proclamo vincitore del Torneo di Horstburg per la gara di tiro con l’arco Eryon di Laurelorn.»
Il pubblico applaudì tiepido e Eryon raggiunse il palco dove il giudice gli consegnò un borsellino di monete d’oro e un arco lungo tipico del Nordland.
Eryon si inchinò di fronte al giudice, ai nobili locali seduti sulla tribuna e al pubblico, poi il giudice tornò a parlare:«Tra poco comincia la grande mischia! Soldati! Cavalieri! Guardie! Cacciatori! Boscaioli! Chi rimarrà in piedi per ultimo?»
Si defilò dietro il palco prima che qualcuno gli chiedesse di partecipare, aggirò le tribune di legno costruite per l’occasione ed entrò nel grande tendone che faceva da locanda per quei giorni.
Era decisamente meglio della maggior parte delle puzzolenti baracche che gli umani usavano costruire per ritrovarsi, bere, fare a pugni e importunare le cameriere, là almeno non c’era stato tempo per far si che sudore e vomito impregnassero il posto e le correnti d’aria rendevano respirabile l’aria.
Si sedette su uno sgabello al bancone e gettò una moneta all’oste:«Una birra, buonuomo.»
L’uomo borbottò qualcosa, poco dopo gli portò un boccale ricolmo di schiuma, Eryon lo prese e assaggiò, non era male, forse non la migliore ma di buona qualità.
Smise di concentrarsi sulla birra, aveva notato gli sguardi incuriositi di alcuni clienti, ma si era accorto della presenza di qualcuno che lo fissava con intensità.
Erano in tre, alle sue spalle.
«Guarda chi abbiamo qui.»
Si voltò e scese dallo sgabello, tre uomini, il più vicino, quello che aveva parlato, era alto come Eryon ma tre volte più grosso, spalle larghe e braccia possenti, una barba rossa incolta e capelli radi dello stesso colore, il suo alito sapeva da birra e formaggio.
Gli altri due ai suoi fianchi, un po’ arretrati, erano più alti ma meno grossi, anche se pur sempre robusti, capelli castani e barbe incrostate di sporco.
«Tu piccolo elfo b******o, te ne vieni qui in casa nostra a giocare ai nostri tornei! Per rubarci i premi!»
«I tornei sono aperti a tutti» disse Eryon «e la gara di tiro con l’arco è solo una delle tante.»
L’uomo ghignò ai suoi compari, poi avverrò la giacca di Eryon e lo urlò in faccia:«Bla bla bla… quante chiacchiere! Hai paura? Hai paura adesso eh? Non fai più tanto lo sbruffone!»
L’odore di birra arrivò ancor più netto assieme a sputi e pezzi di cibo.
«Se ti ho dato questa impressione ti chiedo scusa, posso offrirti una birra per rimediare?»
L’uomo rise con i suoi compari:«Troppo facile e troppo tardi! Ora ti daremo una lezione e ci prenderemo quel tuo borsellino di monete!»
Eryon vide il braccio destro dell’uomo muoversi indietro con il pugno chiuso, allora giocò d’anticipo, appoggiò la schiena al bancone, tirò su una gamba e scalciò con tutta la forza che aveva.
Colpì alla pancia con la pianta del piede, l’uomo mollò la presa e si piegò in due con un urlo soffocato, Eryon gli afferrò la testa e lo colpì con una ginocchiata, sentì le cartilagini del naso rompersi e il tonfo del corpo a terra.
Gli altri due si guardarono per un attimo, poi quello a sinistra fece uno scatto con le mani protese per afferrarlo, Eryon si abbassò e si mosse a sinistra per tenerlo tra sé e l’altro uomo.
Il primo assalitore, barba rossa, si alzò con la mano premuta sul naso spaccato e grondante di sangue, uno sguardo furioso si puntò su Eryon:«Sporco elfo io ti ammazzo!»
L’uomo afferrò lo sgabello e glielo lanciò contro, Eryon scattò oltre, doveva uscire dal tendone ma uno degli altri gli tagliò la strada, sospirò, quasi rassegnato, l’uomo parve rilassarsi un attimo e Eryon corse contro di lui.
L’uomo arretrò di un passo, Eryon fintò un pugno dritto al volto col destro per poi sgattaiolare a sinistra, era di fianco all’uomo quando sentì il suo piede sbattere su quello dell’altro.
Incespicò, rimase in piedi ma sentì una mano stringere forte il suo braccio sinistro, l’uomo sorrise maligno:«Non vai da nessuna parte.»
Eryon reagì con un colpo d’avambraccio destro al polso della mano che lo tratteneva, la presa cessò, ma ora gli altri due gli erano addosso, non aveva scelta, estrasse il coltello da caccia:«Fermi!»
Si fermarono.
«Siamo in tre contro uno, quel coltello non ti basterà.» disse barba rossa.
«Basterà per almeno uno di voi. Chi sarà?»
Vide i lineamenti di barba rossa contrarsi dalla rabbia, ma gli altri due non sembravano più tanto convinti:«Ora me ne andrò e voi non mi seguirete.»
«Col cavolo elfo! Sei morto! Morto!»
«Non mi sembra che tu sia giudice, Jurgen.»
La voce era calma, sicura, veniva dalle sue spalle, il volto contratto di barba rossa si sciolse in uno sguardo di stupore.
«Mio… mio signore io non…»
Sentì i passi di stivali sul terreno, altri dietro di lui, tre uomini in tutto, non si voltò ma cercò di vederli con la coda dell’occhio.
«Cos’ha fatto di così terribile il nostro vincitore di tiro con l’arco?»
Barba rossa biascicò qualcosa, i suoi due compari erano ammutoliti, Eryon fece due passi indietro e poi si girò per vedere i nuovi arrivati senza perdere di vista i tre aggressori.
L’uomo più avanzato era alto, aveva dei capelli biondo scuro tendenti al castano tenuti corti, occhi castani e barba rasata, indossava una corazza cerimoniale con sotto un farsetto di buona fattura.
Lo riconobbe, era seduto tra i nobili al torneo, era Frank Van Horstmann, il figlio del Barone.
Dietro di lui due uomini ancor più alti e robusti, uno doveva avere circa cinquant’anni, teneva i capelli rossicci più lunghi e scomposti, la barba di qualche giorno, aveva occhi azzurri e una larga cicatrice dal naso fino all’orecchio sinistro, la pelle era segnata da rughe.
L’altro gli assomigliava molto, aveva gli stessi occhi e lineamenti, ma era più giovane e i capelli erano tra il biondo e il rosso.
Entrambi indossavano una maglia di ferro e avevano due spade lunghe alla cintola pronte a essere sfoderate.
«Ecco io…» proseguì barbarossa «l’Elfo ci ha provocato. Mi ha colpito!»
«Ah!» rise l’uomo più anziano «Ti conosco fin da quando eri un lattante Jurgen! Sei il più gran attaccabrighe di Horstburg, se ti ha spaccato il muso te lo sei meritato! Fuori dai piedi!»
Barbarossa deglutì, Eryon vide un lampo di rabbia e odio nei suoi occhi, poi abbassò lo sguardo e se la svignò fuori dal tendone, seguito dai due compari.
L’uomo in corazza cerimoniale si avvicinò:«Nobile Eryon, a Horstburg rispettiamo i visitatori e onoriamo i vincitori del nostro torneo, purtroppo anche qua ci sono delle mele marce.»
Eryon rinfoderò il coltello e si inginocchiò di fronte all’uomo:«Signor Frank Van Horstmann, la ringrazio per essere intervenuto in mio favore.»
«Alzati Eryon, io ringrazio te per aver reso lustro al nostro torneo con la tua partecipazione. Ti stavo cercando.»
Eryon si rialzò:«Per cosa, mio signore?»
«La tua abilità ci ha stupiti tutti e il caso vuole che il nostro mastro degli arcieri si sia ritirato per il meritato riposo della vecchiaia. Io e mio padre vorremmo che tu diventassi il nuovo mastro degli arcieri dell’Horstschlösse.»
«È un grande onore, mio signore. Il mio compito sarebbe addestrare i vostri arcieri?»
«Si, loro e i membri maschi della nostra nobile famiglia. Avrai un pagamento adeguato, un grande alloggio all’interno del castello e il titolo di Mastro Arciere.»
Eryon ci pensò, era almeno una trentina d’anni che non stava presso una famiglia nobile umana, viaggiare per l’Impero di foresta in villaggio, di città in fortezza, era stato bello, ora però aveva voglia di mettere radici da qualche parte, per un po’.
A pelle quel Frank Van Horstmann gli piaceva, sembrava un brav’uomo.
Si inchinò:«Accetto, mio signore. E ti ringrazio per questo grande onore.»
Frank sorrise:«Ne sono felice, Mastro Eryon.»
«Molto bene» disse l’uomo più anziano «ora ci vuole una birra. Oste! La migliore per il nostro signore e per noi!»
L’oste annuì e corse subito a prendere un barile nuovo, l’altro uomo più giovane si avvicinò ad Eryon e gli porse la mano:«Eryon, io sono Mark Keltwald, aiuto mio padre, il Maestro d’Armi del castello.»
Eryon strinse la mano, poi fu il padre di Mark a porgergliela:«Sono Jorn Keltwald, bel combattimento con quei tre, ma se fossi stato io li avrei squartati con il coltello.»
«Speravo che quei tre fossero un po’ più intelligenti.» disse Eryon.
«Avevano troppe birre in corpo per far funzionare quelle testoline.» disse Jorn.
L’oste posò quattro birre, ognuno prese la sua, Jorn sollevò il boccale e gridò:«A Mastro Eryon.»
Sbatterono i boccali e li portarono alla bocca.
La birra era ottima.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3354096