La morte si sconta vivendo

di claws
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 22 ***
Capitolo 2: *** Delle ali sul piombo al lucebuio del faro ***



Capitolo 1
*** 22 ***




La morte si sconta vivendo




22



I want it so bad I’d shoot the sunshine in my veins

(Chasing the direction you went)

 

«Sabo.»

«Ehi, Rufy. Che cosa c’è?»

Rufy non rispose subito: prima guardò il proprio fratellone attentamente, facendo ondeggiare la testa come un gufo, come se gli fosse utile per meglio inquadrare il ragazzo biondo che aveva davanti agli occhi – come se non fosse sicuro di qualcosa. «Per dieci anni? Per dieci anni non ti sei ricordato né di Ace, né di me?»

«Non l’ho fatto apposta. Mi spiace, Rufy.»

«Non sono arrabbiato con te. Però mi sembra assurdo, com’è possibile?»

«Non lo so.»

Rimasero in silenzio, da soli, per diversi minuti. Il viso di Sabo era storto in una smorfia di dolore, di rimorso e di rimpianto – tutto insieme, perché non riusciva a distinguerli, ci sarebbe voluta una grande forza che al momento gli mancava. Rufy lo guardava, osservava il suo fratellone: forse non stava pensando a nulla, visto che non parlava.

«Mi dispiace così tanto!» Esclamò alla fine Rufy, lanciandosi tra le braccia del fratello. «Non hai mai più rivisto Ace!»

Sabo avrebbe voluto piangere, ma le lacrime riuscivano appena a bagnargli gli occhi prima di evaporare come degli incubi del primo mattino. Era il potere del Frutto: lo sentiva agitarsi, rimestarsi nel cuore, desideroso di concretizzarsi nel fuoco per esternare il proprio dolore. Era come se il potere stesso ricordasse la persona che l’aveva maneggiato con sicurezza e talento, sprigionando tutta la sua forza; forse – forse il fuoco aveva riconosciuto Sabo come fratello di Ace?

Eppure non si trattava di un legame di sangue, né quel Frutto aveva una volontà propria – figuriamoci avere dei ricordi!

Il fuoco continuava a borbottare, come un bollitore, come il magma in un vulcano, come l’uomo rinchiuso nella caverna che, improvvisamente, decide che vuole vedere cosa c’è oltre le pareti di roccia di quella grotta scura. Sabo sentì la pressione di una stella nel cuore e poi quella di un buco nero: la sensazione gli mozzò il fiato, gli spezzò i nervi, incrinò tutta la sua sicurezza in se stesso, quella che si era costruito con fatica in dieci anni.

«Sabo?»

Rufy sentiva tutto. Ogni cosa. Come se potesse ascoltare l’anima del mondo. Come avrebbe potuto rimanere indifferente allo scricchiolio dell’anima di Sabo e del crepitare delle fiamme nel suo animo? Era tutt’altro che sordo al dolore di suo fratello maggiore.

«Sabo? Ehi, Sabo?»

Rufy lo aveva chiamato per nome così tante volte che lui sarebbe scoppiato come una bolla dentro una pentola piena d’acqua bollente. Il suo fratellino era la sua salvezza – la sua àncora—no, le àncore affondano, servono a tenere ferma una nave, Sabo non voleva stare fermo, significava follia, significava diventare pazzo, non poteva permetterselo.

Il fuoco aveva cominciato a graffiare le pleure tra i polmoni; Sabo tossì. D’accordo, forse lui non era in grado di sfruttare le potenzialità del Frutto Foco Foco come Ace, ma quelle reazioni? Che diavolo gli stava succedendo?

«Sabo,» disse Rufy. Il suo viso era teso in un’espressione serissima. «Non lasciarti sopraffare dalle brutte emozioni. Ascoltami. Mi senti?»

«Rufy,» balbettò a causa del fiato corto, «questo non è normale.»

«No, non lo è. Guardami.»

Sabo guardò Rufy, che aveva ora un bel sorrisone affettuoso in faccia. Un sorriso di quelli che avrebbero potuto sciogliere intere costellazioni.

«Voglio aiutarti. Sento che qualcosa non va con il Frutto del Diavolo. Cos’è?»

«È come se stesse reagendo contro di me. Come se mi rifiutasse.»

Silenzio che nelle orecchie (e nella mente) di Rufy era interrotto dal crepitio delle fiamme.

«Pensi che Ace ti avrebbe rifiutato, se ti avesse incontrato di nuovo?»

Qualunque cosa dicesse il mondo intero, Rufy era sveglio quando voleva. O meglio: possedeva un’empatia tale per cui ogni cosa gli si svelava, solo che lui decideva cosa tenere per sè (erano cose che neanche pensava, le sentiva soltanto) e cosa raccontare anche agli altri. Di tutti i suoi compagni, forse solo Zoro si era accorto di questa capacità straordinaria.

«Sabo, per favore. Dimmi perché lo stai pensando. So che non lo credi davvero.»

«Perché sono stato distante dieci anni—»

«Fratellone, lo sai meglio di me. Ace ci voleva bene, più di tutto il resto del mondo. Ace ha continuato a cercare motivi per cui la sua vita fosse degna di essere vissuta. Ha trovato noi.»

«Per noi,» ripeté Sabo, respirando profondamente con la bocca. Nell’inspirare le lacrime scivolavano fino al mento – il fuoco si era acquietato e non le bruciava più come prima. Rufy annuì, ridacchiando in una maniera per nulla fuori luogo.

Le fiamme ribollivano ancora, ma sembrava che avessero perso la loro forza distruttrice. Ora borbottavano piano, come quando si prega sottovoce nella speranza di sentirsi pentiti e puniti; il sangue nelle vene circolava e con esso delle piccole lingue di fuoco, che cercavano di rimettere insieme i pezzi di animo e anima che avevano rotto.

Cosa ne sarebbe risultato?

Un corpo restituito alla luce più splendente di prima, perché il fuoco illuminava i contorni di quei frammenti caduti a terra.

«Ace ha vissuto la propria vita come ha voluto. Nessuno gli ha imposto di viverla, l’ha deciso lui, e quando è morto, l’ho visto,» sussurrò Rufy, «aveva gli occhi di chi ha lasciato indietro tutti i propri rimpianti. Nel momento in cui era fra le mie braccia, Ace ha abbandonato tutte le cose brutte che si era tenuto dentro. Tutte le cose che non ha potuto fare, le ha buttate via tutte. L’unica cosa che ha rimpianto morendo è stata la luce del sole. A chi non mancherebbe la luce? È stato felice di vivere. È la cosa importante.» Poi lo sguardo di Rufy si addolcì. «Ti fidi di me, Sabo? Ti fidi, se ti dico che ho visto com’erano i suoi occhi?»

Sabo annuì e si soffiò il naso arrossato. «Certo che mi fido.»

«Bene!» Disse Rufy ad alta voce, senza nascondere una risata. «Come stai, adesso?»

«Male, ma migliorerò.» Rispose Sabo, passandosi una mano sulla fronte. «Come farei senza di te, Rufy?»

«Non lo so, ma andresti avanti lo stesso. Tutti devono andare avanti lo stesso.»

«Non hai paura?»

«Sì che ce l’ho. Ma posso fidarmi dei miei amici.»

Sabo si lasciò affogare in un altro enorme abbraccio del suo fratellino. Si lasciò cullare in vecchi ricordi, sfuocati, miopi, memorie che si sentivano come dei puzzle abbandonati a metà, come una tazza di tè bevuta solo un po’. Bei tempi che erano andati e andati e tornati e andati di nuovo; che rimanevano lì, in un luogo imprecisato tra cuore e anima, a decantare, nella speranza di essere così separati – divisi per essere più comprensibili.

Se si fosse impegnato, forse Sabo sarebbe riuscito a sentire la volontà di Ace muoversi per osmosi dal Fuoco fino al Cuore.






[Sono il custode di quella fiamma che

brucia in eterno e accende gli incubi]






Guarda le stelle, diceva il fuoco, sono mille anime splendenti, e tra quelle anime c’è chi è stato con me così tanto tempo e con così tanta forza da lasciarsi dietro un vuoto enorme nello scomparire.

Sono mille anime brillanti, e tra di loro c’è chi mi ha abbandonato nelle tue mani. Erano mani sporche, le tue; ma mille anime sfavillanti le hanno inondate di luce e le hanno mondate di tutte le insicurezze che le lordavano.

Ora io ti cederò il mio potere, tu mi cederai il tuo corpo, finché morte non ci separi.

Sarò la luce nelle tue vene e con me ricorderai ogni cosa, buona e cattiva, sarò la tua pietra e àncora, ti terrò fermo quando vorrai andartene. La tua mente sarà la mia cassaforte, la tua anima un pegno, il tuo animo la volontà di chi è stato con me prima che tu arrivassi e ti imponessi.

Ti ho sfidato con tutto quello che mi era rimasto di quell’anima bruciante che non mi scalda più; ho sentito nel tuo sangue un’affinità fuori da ogni schema.







Fu il battesimo del fuoco

fratello


 

la voce

che mi ha sentito

uomo giovane

vecchia anima


 

Stretti

nel ciclo















Note Autrice:

Ringrazio 27 dei FOB. Amo tantissimo questa canzone. Forse è la mia preferita di tutta la loro produzione.

Il sottotitolo è una citazione da suddetta canzone: l’allusione all’utilizzo di droghe me la spiego dicendo che quando Sabo impara ad usare il potere del Frutto sente i “dati” del precedente possessore. L'idea dei dati viene da questa fanfiction inglese (vi avviso, è una SmoAce): poi io l'ho stravolta e resa molto triste, come sono ormai abituata a fare (ehm). Dicevo, visto che l'ultimo possessore del frutto è stato Ace, Sabo si trova in un dolore simile (non uguale! Questo l’ho spiegato in tutt’altro contesto) a quello che Ace doveva aver provato, dal momento che credeva che Sabo fosse morto. Non so se sono riuscita a spiegarmi. Chasing the direction you went me lo immagino come un “sento quello che hai provato, Ace, ed è come se il dolore mi portasse più vicino a te”. Se mettiamo vicine la frase di apertura della canzone, cioè If home is where the heart is, then we’re all just fucked e quella del sottotitolo... La parte tra parentesi quadre è una citazione dalla versione italiana della canzone Immortals dei FOB. Vi giuro che Patrick che canta in italiano è una delle cose più belle che abbia sentito da qualche mese a questa parte.

“22” è il titolo di questo primo capitolo. Sabo ha ventidue anni durante la saga di Dressrosa, ed Ace ne avrebbe avuti ventidue nel post timeskip, se fosse stato ancora vivo. Eh.

Il titolo della storia invece riprende un verso di una poesia di Ungaretti, Sono una creatura. Vi consiglio di leggerla: è davvero bellissima, è corta (e quindi non potete dire che non avete tempo di leggerla!) e credo che si adatti bene a Sabo.

F(u)oco e C(u)ore, oppure Fuoco e Cuore – il frutto Mera Mera in italiano è stato tradotto come Foco Foco. Teniamo conto che, nel corso della vita dell’italiano in letteratura, il termine “core” per “cuore” compare anche abbastanza spesso... Ho messo insieme le due cose. In più Sabo si sente ancora a metà, quindi le “u” sbarrate, piuttosto che tra parentesi, mi convincono di più. Non credo che sia chiarissima la questione, ma nel caso aveste dubbi, chiedete, non mordo.

Il ciclo del pezzo finale è il ciclo della vita. Una sorta di reincarnazione. Le anime di Rufy, Ace e Sabo, una volta che si sono trovate in una vita, si troveranno in tutte le vite a seguire. Non intendo certo mettermi a livello di Ungaretti, in quanto a poesia: il mio intento era di sfruttare gli spazi vuoti per caricare di significato le singole parole. Solo questo.

Son convinta che Rufy prima o poi tirerà fuori la capacità di sentire l’anima delle cose e la sfrutterà come si deve. Qui forse gli ho dato un talento che ancora non ha sviluppato, ma non importa. Per i fratelli si fa questo e altro.

Ho finito le note. La seconda parte arriverà ai primi di Aprile: questo perché le voglio pubblicare in due giorni che per me sono molto importanti – e, pur essendo importanti, ho paura di dimenticarli. Di dimenticare la loro voce. Per fortuna che avevano voci molto particolari.

Grazie per aver letto.

claws_Jo





Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Eiichiro Oda; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

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Capitolo 2
*** Delle ali sul piombo al lucebuio del faro ***




La morte si sconta vivendo




Delle ali sul piombo al lucebuio del faro



Wishes bounce me weightless

(I’m a nervous wreck)

 

Sabo si trovava sulla nave dei rivoluzionari diretta a Baltigo – Dressrosa era ormai lontana, ma alla compagnia di amici che lì aveva ritrovato erano rivolti i suoi pensieri. Poi osservò per l’ennesima volta il manifesto di taglia di Ace, pensando però a tutt’altro – o meglio, mentre pensava a qualcosa che in quell’avviso non era visibile.

Il tatuaggio di Ace.




 

 

 

[Basta un poco di zucchero e—]


 

Sono iooooo, Sabo—mi riconosci? Mi senti? Sono il genio che volevi cacciare agitando una mano, come se fossi una mosca – un’inutile, piccola mosca. Ah, ma io sono ben più di un semplice fastidio! Per allontanarmi da te dovresti almeno provare a spaccarmi come una zolletta di zucchero fra le mani. Ma io so che tu userai quello zucchero per mandarmi giù, giù, giù, nella tua gola, saluterò il tuo cuore quando passerò accanto a lui, sai? E mi saluterà, il tuo cuore, perché sarà felice di rivedermi, perché per la notte i tuoi polmoni potranno respirare aria profumata e il tuo cervello potrà riposare tra le note di una musica inconoscibile.

Allora io continuerò a scendere, giù, più giù ancora, e lo zucchero si sarà ormai sciolto e con un calcio io tornerò su, e mi insinuerò nel tuo sangue come una malattia—ma io non sono una malattia, sono un genio, io sono colui che accompagna il tuo fuoco—io sono—la mano sui tuoi capelli, il tarlo nella tua testa, la risata che ti riempie le orecchie, io sono—l’inutile, piccolo genio della Debolezza.

Scendo fino al tuo cuore insieme a una zolletta di zucchero e tu torni indietro al futuro.

 


[I’ll tell my love to take it—take it easy on you

but I’m not making any p-promises to you]




 

 

 

Da quando aveva recuperato i ricordi della propria (vera! Non biologica, vera!) famiglia, Sabo aveva cercato di capire che cosa davvero potesse significare quella S sul braccio di Ace. Appoggiato al parapetto della nave dei rivoluzionari, dopo un sospiro, Sabo aveva bisogno di credere che fosse un omaggio di Ace a un fratello scomparso dalla sua vita, una sorta di memento o di amuleto per scacciare via i pensieri che avrebbero fatto deviare Ace dalla via di se stesso. Era un’idea complicata, quella che Sabo aveva in mente, però non poteva fare altro che volere fortemente che quella fosse stata la realtà.

A detta di Rufy, comunque, Ace aveva vissuto la propria vita completamente (pienamente) fino alla morte. Forse allora quel tatuaggio aveva funzionato sul serio come scacciaspiriti – come scacciapensieri.

Quell’idea lo aveva tormentato fin da quando aveva ripreso consapevolezza della propria vita trascorsa. Era stupido da pensare, ma fermiamoci a contemplarla: una S barrata con una croce era pur sempre la bandiera che Sabo aveva issato sulla propria barchetta dodici anni prima. Certo, il tatuaggio di Ace non era colorato ed era più stilizzato, al confronto, ma chi poteva togliere a Sabo il gusto di credere con fervore che quella S—quella S fosse il suo jolly roger, per sempre impresso sulla pelle del proprio fratello di cuore?

Si sentiva così leggero, quando ci pensava. Era come se il fuoco del Diavolo potesse schioccare fuori dai suoi piedi e potesse proiettarlo in aria per farlo volare come un angelo: senza preoccupazioni e con la calda consapevolezza che non c’era mai stato risentimento – che invece ci fosse stata sofferenza per la perdita di un fratello di cuore; che Sabo ora si trovasse nella situazione in cui Ace era stato per dieci anni; la presa di coscienza sul fatto che, in quella condizione, Sabo ci sarebbe stato per sempre. Però, pensando alla S come al suo jolly roger, Sabo non poteva che sorridere guardando il mare.

Non c’era possibilità di conoscere la verità, ma questo non vuol dire che non esista la volontà di capire, di considerare nuove strade, di immedesimarsi in chi non c’è più per provare un minuto di conforto.

Dal momento che nessuno conosce interamente se stesso, calarsi negli scarponcini di Ace era un’impresa non facile. Davanti alla tomba di suo fratello, Sabo non aveva ragionato e non aveva neanche provato a capire Ace: per riuscirci, avrebbe dovuto prima piangere l’anima.

Dopo aver pianto un’altra volta ancora Sabo si sentì leggero, forse perché aveva espulso una quantità infinita di acqua dal corpo, ma—ma contemporaneamente gli sembrò avere ai piedi un’enorme catena, la palla dei condannati alla corsa eterna, morsi da vermi e punti da api fino alla fine dei tempi.

Ecco, ora dunque aveva versato di nuovo tutte le lacrime rivivendo quel momento nella mente: per quale motivo Ace s’era fatto tatuare quella S sul braccio?

«Pensaci bene, Sabo» disse il ragazzo, come se stesse discutendo con Rufy (ma non stava parlando con lui, bensì con un frammento di specchio – e lo sapeva bene, quelle non erano parole del suo adorato fratellino minore, Rufy non parlava così), «se tuo fratello non ha avuto rimpianti, allora vuol dire che non ha mai provato odio nei tuoi confronti. Giusto? Giusto. Allora, se non ti ha mai odiato, perché quella S

Il cuore batteva forte, sentiva il sangue arrivare al cervello come se avesse nuotato nell’acqua a lungo, allora se così tanto sangue circolava nel suo corpo perché non riusciva a pensare lucidamente—

«Forse perché ha odiato se stesso?»

Poi la figura nello specchietto scosse la testa.

«No, Sabo, ascoltami, Ace ha vissuto per noi: che senso avrebbe avuto odiarti, se poi è stato vivo grazie a te?

«Ma io ero morto, per lui. Ero morto in una maniera così stupida—

«Non era stupida. Era crudele. Se ha mai odiato qualcuno, Sabo, ha odiato chi ha distrutto la tua nave. La tua bandiera.»

Tornava sempre lì, alla S tatuaggio e bandiera, in pensieri dalle orbite ellittiche, che si allineavano come i pistoncini in serrature a cilindro che aprivano una miriade di porte che erano domande che non risolvevano i dubbi di Sabo—

Moltiplicavano le sue incertezze, e lui non aveva funghi da mangiare con cui rimpicciolirsi per entrare in quei luoghi impervi e uscire dal corridoio senza fine dei dubbi irrisolvibili.

«Abbiamo detto, Sabo: se la vita di Ace è stata piena e completa è stato anche grazie a te. Dunque quella S sul braccio, che si vede e non si vede, cancellata ma evidenziata, deve essere per forza un omaggio alla vita che lui credeva non vissuta. Giusto?

«Giusto.»

Sabo ripeteva questa immaginaria conversazione, nella mente o ad alta voce, davanti alla propria disgustosa immagine riflessa (ma resisteva alle vertigini e alla nausea); poi andava a dormire con questa agrodolce convinzione nella testa, perché ne aveva bisogno per riposare, ora che non poteva più chiudere gli occhi, riaprirli e trovare Rufy reale sotto il proprio sguardo.

In questo modo Sabo scoprì presto che, se fosse andato a dormire al mattino e si fosse svegliato al tramonto, non sarebbe riuscito a resistere alla vita ancora per molto.

A volte ragionava stando seduto sul parapetto della nave o sul balcone della propria stanza, in un luogo pieno di vento, dove i suoi pensieri potevano prendere il volo e le sue parole accasciarsi nell’aria prima di scomparire e di abbandonarlo ancora.

«Quante persone devo ringraziare? Sì, prima Dragon; poi Rufy; poi Ac—

«Sei sicuro? Ringraziarli? Il tuo dolore non è altro che la luce di un faro! Se ne va e torna a intermittenza! Ogni volta, prima di addormentarti, devi fare queste improbabili riflessioni sulla morte e sulla vita e sui tatuaggi e sulle bandiere, poi—ogni mattina riprendi da zero, come se non avessi mai parlato con Rufy, come se non avessi pianto con lui e come se non sapessi benissimo che quello che ti ha detto il tuo piccolo fratellino è la verità!

«Ma è la verità?»

Ma certo che no, sciocchino, come si può sapere la verità di una persona?, diceva una voce debole nella sua testa.

«Io come faccio a conoscere la verità? Rufy come fa a conoscerla?»

Era nervoso. Ecco, aveva trovato la parola giusta, non era stress! Era nervosismo, perché Sabo avrebbe voluto conoscere la realtà dei pensieri di Ace e non ci sarebbe mai più riuscito. Anche se, a dirla tutta, perfino i suoi stessi pensieri erano difficili da capire.

«Dicevamo: ringraziare Dragon, Rufy e poi Ace. Perché in quest’ordine?»

Sabo ci pensò su.

«Perché è l’ordine cronologico secondo cui mi hanno salvato, giusto? E poi perché loro sono un padre, un figlio e un—» lo specchio sussultò «un fuoco spiritato. Forse—forse è il Frutto...?»

La sua mano bruciò al punto tale da sciogliere il metallo dello specchio, ridotto a una poltiglia viscosa sulle assi del pavimento.

«Forse è il Frutto!»

Valutò la rivelazione con estrema attenzione, come un maniaco degli insetti osserva le proprie catture nell’ambra o nel vetro, rigirandosi le pietre tra le mani, sorridendo, accorgendosi di un dettaglio mai visto prima e complimentandosi con se stesso.

Forse, il mattino successivo, non avrebbe continuato a dimenticare le epifanie della notte, perché quest’ultima illuminazione—aveva sciolto lo specchio! Sì, vedendo lo specchio fuso si sarebbe ricordato di tutto, non avrebbe mai più dimenticato nulla, nulla, nulla! Tutto nella sua testa, tutto nei suoi pensieri e nel suo corpo, avrebbe ricordato ogni singola, dannatissima cosa!

La voce dello specchio però parlava ancora. Ehi, forse non era dello specchio. Forse era quella nella sua testa. Forse era proprio la voce di Sabo—erano troppo simili perché potesse distinguerle quando non era lucido.

«Sabo, ma tu devi andare avanti, tutti lo fanno. Non hai anche tu degli amici di cui fidarti?»

(Ah, questo sì che sembrava Rufy, fratellino adorato, fratellino di cuore, aveva lo stesso tono, lo stesso timbro, la stessa misteriosa consapevolezza del mondo.)

A una stanza di distanza avrebbe trovato Koala; poco più lontano c’era Hack; sì, c’erano amici su cui poter fare affidamento.

Forse loro avrebbero potuto acchiapparlo per i piedi e riportarlo a terra, perché Sabo si sentiva di nuovo leggero come l’osso cavo di un gabbiano, ma stava sbattendo delle ali ricoperte di piombo. Dunque doveva sciogliere anche il piombo, come lo specchio? Come fare? Quello non era vero piombo, e lui non era davvero sicuro di saper reagire nel modo giusto davanti al metallo e al vetro fusi assieme.

Sabo, quella sera, si addormentò con l’augurio a se stesso di non dover cominciare di nuovo tutto da zero – di non svegliarsi più allampanato e disilluso quanto un faro.







 

 

Abbi fiducia

in chi ti ha amato

 

La speranza è

nei tuoi

tre

piccoli

vasetti di Pandora

 

 

 

 

 

[La tua morte io sconto vivendo]













Note Autrice:

Eccomi qui per questa seconda parte.

La canzone che mi ha accompagnato a palla per ore è West Coast Smoker, sempre dei FOB, sempre una delle mie preferite del gruppo (anche se mai raggiungerà 27, per me). Credo che l’album Folie à Deux sia estremamente sottovalutato.

Tutta questa seconda parte nasce così – dalle domande che non potranno mai avere risposta e dalle ripercussioni che questi dubbi hanno sulla mente e sul cuore di un ragazzo. Certo Sabo non fa uso di droghe intese come sostanze stupefacenti, ma la sua droga è la seguente: convincersi che quella S sia lì per ricordare e onorare un fratello creduto morto; che non sia risentimento o rancore, ma estremo dolore. La verità non verrà mai scoperta (It's hard for me to understand myself, so it has to be hard as hell for you, diceva qualcuno), e ogni giorno affronta questi incubi senza mai riuscire a venirne a capo e senza mai appropriarsi delle conquiste che ha fatto il giorno prima – il che sembra un cammino raggiungibile solo quando fonde lo specchio.

La prima citazione in parentesi [] viene dalla celebre canzone di Mary Poppins nel film – ma è chiaro, qui la citazione è sconvolta, non ha più il senso che aveva originariamente. La seconda viene da una delle prime versioni della canzone Immortals, sempre dei FOB (potete sentirla qui al secondo 0:55 circa, se volete, purtroppo non ho trovato video migliori per questa cosa epica). La terza è una modifica del verso della poesia di Ungaretti che dà il nome alla storia: è Sabo che parla di Ace.

Ci sono un paio di riferimenti ad Alice nel Paese delle Meraviglie, sparse qua e là, e giochi di parole (anche se non sono belli come quelli di Carroll, purtroppo).

Credo di aver reso Sabo piuttosto pazzo. Penso che sia un tentativo di mettere in fila i pensieri, ma che sia un tentativo fallito di una persona, di una qualsiasi persona. Sta cercando di mettere in ordine la propria testa, di trovare risposte assolute che non avrà mai.

Anch’io ho delle domande che rimarranno irrisolte. Un po’ lo capisco.

Non ho scuse per tutta la follia che ho dato a Sabo, ma mi è servito per—rielaborare. Be’, diciamo che adesso avete un valido motivo per dirmi che questa storia fa schifo, perché Sabo—oddio, forse non è stato stravolto, ma di sicuro ho aperto un baratro enorme sotto i suoi piedi. Non ho giustificazioni. Sono stata molto tentata di non pubblicare questo pezzo, perché è confuso e pieno di contraddizioni e non risolve niente, ma poi mi son detta che avevo un dovere nei confronti di chi stava aspettando il seguito e l’ho pubblicato comunque. Come dicevo, adesso avete un motivo per dirmi che questa storia andrebbe eliminata dalla faccia di Internet.

Come mi succede in genere, questa storia non è stata scritta di getto, ma è stato un lavoro che mi è parso infinito (riscrivere, rifare, rimetterci mano, un labor limae che non mi ha portato molto distante dal diventar matta, ma quanto ho litigato con tutte le virgole che vedete?). So che molto probabilmente queste rifiniture sembrano non esistere, ma pace.

Scusate. Sono alla fine.

Credo che mi prenderò una pausa su questi tre monelli. Magari un giorno tornerò a parlare di loro, ma per ora starò in silenzio radio per quanto riguarda i tre fratelli di cuore. È una decisione che ho preso da qualche tempo (un mesetto circa), complice il fatto che vorrei aspettare qualche novità dalla penna di Oda riguardo Sabo e i rivoluzionari.

Grazie per aver letto. Grazie alle persone che hanno commentato, a chi ha aggiunto questa storia alle seguite, alle ricordate e alle preferite – gli interessati sanno di chi sto parlando, no?

Spero—di non avervi offeso. Che questa storia sia riuscita a piacervi, in qualche modo.

claws_Jo





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