Vacanze Romane

di alberodellefarfalle
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Party con sorpresa - parte 1 - ***
Capitolo 2: *** Party con sorpresa - parte 2 - ***
Capitolo 3: *** Incontro - Scontro ***
Capitolo 4: *** Turisti per caso ***
Capitolo 5: *** Note magiche ***
Capitolo 6: *** Conoscersi ***
Capitolo 7: *** Una serata speciale ***
Capitolo 8: *** Risvegli ***
Capitolo 9: *** Epilogo ***
Capitolo 10: *** EXTRA ***



Capitolo 1
*** Party con sorpresa - parte 1 - ***


Vacanze Romane
 

Party con sorpresa - parte 1 -

Il patto era: darsi quattro materie in due mesi. E c’ero riuscita. Mi ero sentita una pazza, sfinita, isterica, ma c’ero riuscita. Adesso finalmente stavo facendo il viaggio che avrei dovuto fare da troppo tempo: ero a Roma. C’ero stata una sola volta nella mia vita, alla laurea di mio cugino. Avevo rimandato per troppo tempo, ma la sessione estiva era stata estenuante e avevo finalmente deciso di accontentare il mio desiderio. Mio cugino mi aveva invitato milioni di volte, ma prima la maturità e l’università poi mi avevano trattenuto. Mi ero fatta prendere troppo, tanto che avevo rinunciato ad avere una vita sociale particolarmente piena. Avevo i miei amici, ci uscivo, non ero mica una suora, ma lo studio prima di tutto. Avevo un sogno e realizzarlo era il mio primario obiettivo. Niente da stupirsi se quello era il primo viaggio che mi concedevo da … dalla gita di quinto anno. Direte: che vita triste! No, non lo era. Io ero e sono felice. Studiavo quello che amavo, sarei diventata quello che volevo, ma soprattutto avevo pochi amici, ma buoni, e una famiglia che mi amava. Vivevo in una terra in grado di offrirti la neve d’inverno e il mare per sei mesi, la primavera calda e i colori e i profumi autunnali. Andava bene così. Ma Roma è Roma e mio cugino, con il suo lavoro, mi offriva come prima serata una festa esclusiva. Ero nervosa. Perché? Perché mio cugino lavora nel mondo del cinema e non sapevo chi mi sarei trovata di fronte. Avevo optato per un vestito nero con gonna plissettata e scollo all’americana, acquistato l’estate prima, a cui avevo abbinato sandali e pochette rossa. Eyesliner nero e rossetto rosso, una goccia di profumo. Semplice, ma elegante. “Wow, cuginetta, dovrò tenerti d’occhio!”spintonai mio cugino “Non fare lo scemo. Allora, mi dici chi ci sarà?” lui fece di no con la testa e io sbuffai. Andammo a piedi, essendo casa di mio cugino in centro. Salimmo all’ultimo piano di un palazzo e ci trovammo di fronte una sala elegantemente addobbata, ma molto semplice. Si apriva su una terrazza, che offriva la vista della città. Meraviglioso! Mi sentivo un poco Cenerentola. “Grazie, è tutto così bello.” Abbracciai mio cugino “Su, ti presento alcuni miei colleghi.” E conobbi Chiara, Simone e Pietro. Poi fu la volta di alcuni produttori e di un paio di registi. Mi sentivo veramente in una favola. A poco a poco la sala si riempì di gente e la musica di sottofondo fu ricoperta da un discreto chiacchiericcio, mentre i camerieri avevano già preparato tutto per il buffet. Avevo perso mio cugino da circa mezz’ora. In fondo per lui quella serata significava lavoro. Era fortunato anche lui: faceva un lavoro che amava e che comprendeva anche serate come quella. Mi affacciai alla terrazza. Roma era bellissima. Quando ero più piccola pensavo che Roma era la mia città e che prima o poi mi sarei trasferita lì. Con il tempo avevo cambiato progetti, ma era pur sempre una città meravigliosa e restava, insieme a Parigi, una delle città in cui sarei voluta andare a vivere almeno per qualche tempo. “Ti annoi?” mi girai verso mio cugino, ricomparso chissà da dove. “Non dirlo nemmeno per scherzo. È un posto bellissimo, in una città bellissima. Grazie per avermi invitato e non ti preoccupare, lo so che stasera questo per te è anche lavoro.” Lui annuì e mi diede un bacio sulla guancia “Ah, Héloïse. Arriverà un ospite speciale. Non andare in brodo di giuggiole.” E si dileguò. Chi doveva arrivare? Avevo visto registi, produttori, compositori. Alcuni registi li conoscevo, qualche produttore lo avevo sentito nominare da mio cugino. Ma nessuna faccia nota, tipo attori o cantanti. Chi sarebbe arrivato di così importante da potermi far andare in “Brodo di giuggiole”? Io non ero tipo da gridolini e svenimenti. Io non avevo nemmeno un attore preferito. Amavo film e cartoni, ma mi interessavo poco alla vita privata degli attori e con la vita che conducevo, non ero nemmeno una cinefila. Mio cugino aveva esagerato, come al solito.
E poi successe: sentii un brusio proveniente dalla sala. L’ospite speciale era arrivato. Curiosa, mi avvicinai alla finestra, ma non riuscii a distinguere nessuno. La sala ritornò alla normalità e io pensai ad un falso allarme. Ritornai così a guardare la città. Era così bella, con le luci, i monumenti che si scorgevano il lontananza. “Bellissima.” Pronunciò qualcuno alle mie spalle. Non potevo che essere d’accordo con l’ospite inglese. Quando mi girai la terrazza era quasi deserta. Decisi di rientrare anch’io per andare a mangiare qualche cosa. “Sei stata fuori tutto questo tempo?” annuii a mio cugino “Sai che amo Roma.” Mi accompagnò al buffet “Ma ci hai messo anni per venirmi a trovare.” Lui me lo rimproverava sempre “Si, lo so. Ma sai l’università …” scosse la testa, proponendomi un finger food, che guardai curiosa. “Lo dici sempre, ma una vacanza una volta tanto …” lo bloccai “Lo so, hai ragione, ma sono qui. Cos’è?” chiesi “Pesce squisito.” Disse un uomo che si unì a noi. “Dovresti provare anche quello rosso.” Annuii, mandando giù “Allora, non ci presenti, Bob?” Bob era il soprannome che avevano dato a lavoro a mio cugino, non so nemmeno bene per quale motivo. Del resto non c’entra nulla con il nome di battesimo: Gianni. “Lei è mia cugina Héloïse, che finalmente mi è venuta a trovare.” Mi ritrovai a stringere la mano di un uomo brizzolato, molto affascinante, in un elegante completo blu. “Piacere, mademoiselle. Sono Philip.” “Piacere mio. E non sono francese.” Sorrisi. In genere me lo chiedevano tutti, per il mio nome. “E io che volevo sfoggiare il mio francese.” Disse qualcuno alle spalle di Philip, che prontamente si spostò per permettermi di vedere un ragazzo in completo nero, con camicia bianca aperta sul collo. Credo che rimasi a bocca aperta, fino a una leggera gomitata di mio cugino e una sua risata. “Bastardo, potevi dirmelo.” Sussurrai tra i denti. “E perdermi la tua faccia?” Sghignazzò. Il ragazzo si avvicinò puntando i suoi occhi verde chiaro su di noi. Strinse la mano a mio cugino “Lui è Gianni, detto Bob.” Disse Philip in inglese. Mio cugino sorrise al nuovo arrivato, mentre io mi godevo la scena, pensando di essere in qualche sogno da cui non mi ero svegliata. Facciamo una pausa: avevo detto di non avere attori preferiti e non ero una da gridolini e svenimenti, ma caspita, Robert Pattinson è Robert Pattinson e anche io avevo avuto la mia fase da “Twilight”, fase che forse non era passata del tutto. Quindi trovarmelo di fronte era sicuramente scioccante. “Piacere di conoscerti, Robert. Philip ci ha praticamente sfiniti per questa serata, sapendo che saresti arrivato.” Philip ridacchiò imbarazzato “Ehi, era il mio asso nella manica.” Disse in italiano e Robert lo guardò interrogativo “Dice che eri la sua sorpresa.” Spiegai io in inglese. Robert si mise di fronte a me, osservandomi con i suoi magnifici occhi verdi. Credo di non aver mai visto nulla di simile in vita mia. Avevo letto commenti di ragazze su internet e qualche ff e non potevo che concordare con tutto. “Piacere, Héloïsenonsonofrancese.” E mi porse la mano, che io strinsi sorridendo “Mais je parle francaise. Je suis très desolé pour mon englais, qui n’est pas bon comme mon française.” Robert si portò la mia mano alle labbra e fece un delicato bacia mano che mi fece sospirare. “Enchantè!” disse. “Posso sfoggiare lo stesso il mio francese, allora.” Ritornò a parlare in inglese e mi guardò per capire se io riuscivo a seguirlo. Annuii. “Scusatemi, non mi sono presentato.” Io e mio cugino ci guardammo e scoppiammo a ridere “Credo che significhi che sanno chi sei.” Aggiunse Philip, anche lui divertito. Robert Pattinson (se non lo dicevo ogni volta, rischiavo di non credere ai miei occhi) si passò una mano tra i capelli, imbarazzato e io ricordai di aver letto una cosa su quel gesto, come se fosse una sua abitudine. Non so cos’era ma era uno spettacolo vedere i suoi capelli castani ondeggiare tra le sue mani. Sorrisi e lui parve rilassarsi. “Sto morendo di fame!” esclamò e io mi scostai per mostrare il tavolo con mille prelibatezze alle mie spalle. Si avvicinò per curiosare, mentre io osservavo le sue spalle larghe. Quante ragazze sarebbero volute essere al mio posto? Milioni. “Allora, piaciuta la sorpresa?” mi voltai verso mio cugino e lo fulminai con lo sguardo “Si, ma avresti dovuto dirmelo. Ho fatto la figura del pesce lesso. Credo che non gli piaccia che anche qui lo trattino come un divo con tanto di fan sbavanti.” Mio cugino si mise a ridere “Ma tu non eri quella che non aveva attori preferiti e non chiedeva l’autografo a nessuno?”mi prese in giro. Era un discorso che avevamo fatto tante volte quando eravamo più piccoli. “Si, ok, ma è normale che sia rimasta sorpresa, non credi?” annuì. Non mi si poteva di certo dare torto. Fu in quel momento che Robert si girò verso di noi e io rimasi per un attimo incantata a guardarlo. Certo che era proprio un bel ragazzo. “Voi non mangiate? Sembra tutto così buono.” Ci avvicinammo e ci servimmo. Con i piatti pieni ci allontanammo dal tavolo e ci trovammo in un angolo insieme a Philip e Robert. Dire che mi sentivo un pesce fuor d’acqua era poco. Io ero una studentessa, timida e riservata, con pochi amici e una vita normale. Loro erano uomini del cinema, in modo diverso, ma quello erano. Mio cugino si muoveva in quel mondo ormai da sei anni, Philip era un produttore e Robert era … beh lui era Robert Pattinson. 

*La storia è totalmente inventata e con questa non voglio recare offesa a nessuno

AUTRICE: Ovviamente sono molto curiosa di sapere cosa ne pensate. Fatemi sapere ... so che è ancora poco per capirci qualcosa. La seconda parte arriverà presto. Baci.
 

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Capitolo 2
*** Party con sorpresa - parte 2 - ***


AUTRICE: Buongiorno ... so che è presto, ma il mio orologio è ancora resettato per la sessione estiva e non è ancora entrato in funzione per le vacanze ... e volevo pubblicare quanto prima la seconda parte del capitolo. Quindi eccomi qui.
BUONA LETTURA!!!
PS Ringrazio chi ha recensito il capitolo precedente ... fatemi sapere che ne pensate di questo. Baci e alla prossima

 

Vacanze Romane
 
Party con sorpresa - parte 2 -
 
Cercai di seguire i loro discorsi, anche se il mio inglese era un poco carente. Robert era in Italia per un accordo per un film, di cui non fu nominato né il titolo né il regista. Credo c’entrasse anche il lavoro di mio cugino, ma brancolavano nel buio, in attesa dell’accordo definitivo. Poco dopo si unirono a noi alcuni colleghi di Gianni, o meglio Bob, come lo chiamavano tutti. “Ti annoi?” sussultai alla voce di Robert “No, tranquillo.” Sorrisi. Non mi annoiavo, ma mi sentivo un poco fuori posto. “Questi uomini di cinema quando cominciano a parlare di lavoro non smettono mai.” mi sorrise gentile “Li capisco. È normale che sia così. Anche io quando sto con i miei colleghi finisco sempre per parlare di università. Poi sai una star internazionale viene qui e forse diventerà il loro uomo per i prossimi mesi.” Si mise a ridere “Dici che è normale che vogliano programmare tutto?” annuii convinta “Ma l’esperto sei tu. È normale?” annuì lui. “Tu cosa fai? Perché è evidente che non ti occupi di cinema.” Lo guardai curiosa “E da cosa si capisce?” sollevai il sopracciglio “Dal fatto che sembri non essere molto felice di ascoltare i loro discorsi.” “Nemmeno tu sembri essere molto felice.” “Touchè!” mi misi a ridere “Ancora francese?” scrollò le spalle “Devo far colpo in qualche modo.” Disse scherzando. Lo guardai. Lui che doveva fare colpo? Sarebbe potuto anche restare fermo per ore, respirando semplicemente e avrebbe steso tutti ai suoi piedi. E non c’entrava niente il suo essere famoso. Era inevitabilmente un ragazzo che attirava l’attenzione, con quel colore di occhi e quello sguardo, quei capelli e quella barbetta incolta che lo rendevano misterioso e quel fisico statuario. Scossi la mano per indicare che aveva detto una sciocchezza. “Robert, scusami. Dovrei presentarti delle persone.” Disse Philip. Mr. Pattinson sbuffò. Probabilmente immaginava una serata diversa. Lo vidi allontanarsi mentre mio cugino mi diceva che anche lui avrebbe dovuto incontrare delle persone. Io decisi di far visita di nuovo al buffet. Me ne stavo sola soletta a godermi la mia scelta al buffet, quando Robert Pattinson fece capolino nel mio campo visivo. Ignorando qualcuno che lo chiamava, si avvicinò a me e mi sorrise. Come caspita faceva ad avere quel sorriso? “Ciao.” Mi disse in italiano “Ciao.” Risposi io nella stessa lingua “È una delle poche cose che so dire.” Proseguì in inglese “Posso dire che l’italiano è una lingua difficile. Troppa grammatica, troppe regole e troppe eccezioni. L’inglese è più semplice, anche se non lo è per me.” mi sorrise gentile “Ma non lo parli male.” sospirai “Anni di sacrifici.” Dissi melodrammatica e lui scoppiò a ridere, prima di rubarmi qualcosa dal piatto. “Scusa …” bofonchiò con la bocca piena. Era bello pure così. “Sembrava squisito.” “E infatti volevo provarlo.” Feci la finta offesa e lui scrollò le spalle. “Mi farò perdonare.” Lo guardai scettica mentre mi faceva segno di seguirlo fuori. Ci fermammo al bordo della terrazza a guardare Roma, la città eterna. “Cos’è, ora mi dici che tutto quello che vedo alla luce del sole è tuo? E io ti chiedo cosa siano i posti all’ombra?” non so da dove mi uscì quella citazione de “Il re leone” ma di sicuro divertì molto Mr Pattinson “Il re leone, il mio film preferito.” Scrollai le spalle “Uomini. Mio fratello me lo faceva vedere quasi tutti i giorni. Ma devo ammettere che è anche il mio film preferito anche se alcune scene mi fanno ancora paura … non guardarmi così! Quando gli gnu scendono di corsa per uccidere Mufasa io tremo di paura, come una bambina chiudo ancora gli occhi!” “Ma è terribilmente bello.” Annuii “Concordo in pieno.” Sorrise “Quindi hai un fratello. Com’è avere un fratello?” sollevai le spalle “Bello, perché siamo cresciuti insieme. Anche se litighiamo ci manchiamo da morire quando non ci vediamo. Invece com’è avere una sorella?” qualche cosina la sapevo pure io “Vorrai dire due sorelle. Bello anche se litighiamo e ci manchiamo quando non ci vediamo.” Disse semplicemente e capii che mi stava dicendo la verità e chi meglio di me poteva capirlo. “Héloïse, ti ho trovata.” Gianni ci raggiunse “Scusami per averti lasciata sola.” “Tranquillo, ricordi? Per te è lavoro.” Gli sorrisi. Lui mi guardò strano, sembrava studiare me e il mio compagno. Rientrammo dentro tutti e tre insieme e ci unimmo a Philip e gli altri. La discussione ricadde nuovamente sul cinema e io mi limitai a seguire i loro discorsi, fin quando Robert non mi affiancò “Da quanto tempo Bob lavora in questo mondo?” mi chiese porgendomi un flute di champagne “Più di sei anni.” Risposi prima di sorseggiare il contenuto del bicchiere “E da quando state insieme?” Quasi mi strozzai alla sua domanda “Io e Gianni? Siamo cugini, è come se fosse mio fratello, quasi lo è. Sono cresciuta con lui come …” Robert si passò la mano nei capelli “Scusami, avevo frainteso. In effetti sembrate più sorella e fratello.” E ridacchiò imbarazzato. Molti ci scambiavano per una coppia e qualche volta noi ci giocavamo su, ma se ci guardavano bene era ovvio che il nostro rapporto era ben diverso. “Lui è il figlio della sorella di mia mamma e ha nove anni più di me. Siamo cresciuti insieme, peccato che lui si sia trasferito qui e ci vediamo così poco. Sono venuta a trovarlo per dieci giorni. Sono anni che mi invita, ma io trovo sempre una scusa. Io sono una studentessa e prima con la scusa del diploma poi con quella dell’università, ho sempre declinato i suoi inviti.” “Non c’è nulla senza sacrifici. Vedi il mio lavoro: molti pensano che sia solo divertimenti e feste e donne, ma non sanno le ore di prove, di studio, di fatica, i viaggi, i fan senza controllo, le rinunce.” Forse aveva solo bisogno di una pausa da tutto quello o meglio avrebbe voluto essere più libero. Avevo sentito di paparazzi a ogni ora del giorno e di fan che non lo lasciavano in pace “Mi chiedo sempre come facciate a reggere tutto lo stress che vi mettono addosso. Io non riuscirei a stare sempre al centro dell’attenzione. So che è il vostro lavoro, ma credo sia necessario per qualche ora essere nessuno, non preoccuparsi di cosa si dica di te o cose simili.” “Già.” Soffiò, sconsolato “Non credi che questa festa si stia afflosciando un po’?” chiesi per stemperare la tensione “Sì! E vogliamo parlare della scelta musicale? Dovremmo animare un poco la cosa. Mi sa che sono tutti dei vecchietti.” Ridacchiò indicando le persone di fronte a noi. Gianni ci guardò divertito. Mimai uno “scusa” e lui sollevò le spalle “Tutta colpa di Philip. Adesso ci penso io a smuovere questi vecchi.” Frugò nelle tasche e prese il suo cellulare, poi si dileguò. Tornò poco dopo tutto soddisfatto. “Héloïse, vorresti aprire le danze con me?” lo guardai stralunata, ma lui mi trascinò al centro della sala. Avrei ucciso Gianni molto presto “Ti odio!” sibilai “Dobbiamo far vedere a Mr Pattinson cosa si perde se non si da una mossa.” Mi disse con tono saccente “Sei pazzo?” scosse la testa prima di prendermi per i fianchi e cominciare a farmi volteggiare al suono di una musica latino americana, non ben definita. A salvarmi fu Chiara, che si presentò ridendo al nostro fianco con altri ragazzi. Non sarei morta di imbarazzo per essere la sola a ballare “Philip ti ucciderà!” disse a Gianni “Il suo ospite si era scocciato delle feste tutte infiocchettate.” Si giustificò facendo l’occhiolino a me. Gli schiaffeggiai una spalla e scoppiò a ridere. “Sta attenta, non ti dico altro.” Lo guardai storta “Anche se sei tu quello grande, di solito sono io che ti tengo d’occhio. Che ti succede?” si mise a ridere “Per una volta fammi svolgere il mio ruolo e tu divertiti, fai pure l’irresponsabile, ma con moderazione.” Mi prese in giro. Da sempre ero stata io l’adulta della situazione, nonostante le nostre carte d’identità dicevano ben altro. La festa si animò anche se la faccia di Philip era poco contenta, almeno fino a quando Robert non gli diede una pacca sulla spalla e si tuffò anche lui tra la folla danzante. Fu risucchiato perché non lo vidi più, almeno per qualche minuto, poi riuscii a vedere una donna accalappiata a lui. Era un bell’uomo, una star, era ovvio che avrebbe trovato la donna giusta in quella serata. La musica era di nuovo cambiata e qualcosa di familiare era riuscito a sovrastare i rumori della sala: “Stockolm Sindrom” dei Muse. Sorrisi a mio cugino e iniziai a ballare. Ero in una bolla: io, la musica, il mio cuore. Nient’altro. Almeno così credevo. “Serve una diagnosi, dottoressa.” Sussultai alla voce di Robert Pattinson, incredibilmente vicina al mio orecchio. Lo guardai senza capire e mi fece segno di ascoltare la musica. Giusto, il titolo della canzone. “Sindrome di Stoccolma. La diagnosi l’hanno fatta i Muse.” Sorrisi “Li conosci!” annuii di nuovo, lasciandomi cullare dalla musica. “Mi hanno salvato da un esame.” Sul serio erano stata la mia salvezza per quell’esame andato male. Lui cominciò a muoversi con me e mi sorpresi. Non mi era mai capitato di ballare con qualcuno appena conosciuto, non mi ero mai sentita a mio agio con qualcuno come in quel momento. “E come li hai conosciuti?” mi chiese poggiando una mano sul fianco, quando la musica cambiò. Guardai sbalordita la mano e poi lui, che si allontanò, forse vedendomi smarrita. “La risposta sta nella musica.” Gli dissi avvicinandomi per farmi sentire. Erano i Muse di nuovo ad accompagnarci. Sorrise. Forse si aspettava quella risposta, manipolatore. Cercai di allontanarmi, ma lui ritornò a poggiare la mano sul mio fianco. Ci dondolammo lenti al suono di “Neutron Star Collision”, in silenzio, occhi negli occhi. Mi prese la mano e se la portò al petto, all’altezza del cuore “Se mi tocchi non scompaio.” Mi prese in giro. Tutto era possibile dato che probabilmente ero in un sogno: stavo ballando ad una festa, a Roma, con il ragazzo più carino (ok carino è dire poco) della sala, nonché super star, desiderata da mezzo mondo, solo mezzo perché il resto ha altri gusti sessuali. Sorrisi al mio assurdo pensiero e lui mi guardò scettico. Scossi la testa e la mano, non impegnata sul suo petto, e lui ne approfittò per recuperarmela e portarsela quasi al collo. Avevo praticamente le mani su di lui, entrambe. Mi resi conto che a due millimetri dalle mie dita c’era il suo collo, libero, nudo e mai come allora avrei voluto sfiorare la pelle di qualcuno. Distolsi gli occhi dalla mia mano e mi concessi uno sguardo alla sala. Ci fissavano, molti ci fissavano e io entrai nel panico. Mi staccai brusca da lui, rovinando l’atmosfera e il ballo. “Che succede?” mi chiese cercando di avvicinarmi, ma io mi allontanai prontamente. “Ci … ci guardano.” Balbettai come una scema. Sentivo il calore sulle guance e non riuscivo a guardarlo negli occhi. “Scusa.” Mormorò lui e io mi decisi a guardarlo. Era veramente dispiaciuto. Che scema che ero stata: avevo rovinato uno dei momenti più beli della mia vita, lo avevo messo a disagio e l’avevo offeso. Era ovvio che ci guardassero: lui era Robert Pattinson, che ballava una canzone colonna sonora di un film che lo aveva reso famoso, con una ragazza sconosciuta ad una festa. “Scusami tu, solo che non sono abituata ad essere guardata. Io di solito sono quella che sta a bordo della stanza, quella che non viene mai notata.” Quanto mi ero lasciata sfuggire? Mi sentivo più in imbarazzo di prima e cercai di sfuggire dal suo sguardo penetrante. Lui mi bloccò e mi accompagnò a bordo pista, quando ormai la canzone dei Muse era finita da un po’ e io nemmeno me n’ero accorta. “Sta tranquilla, non mi sono offeso. Capisco che possa essere difficile, prima anch’io non venivo notato. Sai, a volte mi manca quel periodo: girare libero, non pensare a cosa fare ogni secondo con la paura di sbagliare ed essere visto e giudicato.” Lo guardai e notai il suo disagio: si sentiva in colpa “Non ti sentire in colpa e ti chiedo scusa per … per aver rovinato tutto. Solo non sono abituata a stare al centro dell’attenzione.” e sollevai le spalle. Lui si avvicinò un po’ di più e mi posò la mano sul fianco, come quando stavamo ballando, e mi guidò in un angolo quasi buio. La mia spalla sfiorava la tenda e potevo scorgere oltre le sue spalle la terrazza e la città, con le sue luci. “Credo che fino ad adesso tu abbia incontrato persone molto sciocche, perché meriti di stare al centro dell’attenzione.” lo guardai stupita: stava forse scherzando? “Mi hai capita, vero?” annuii, ma non potevo smettere di guardarlo così. Lui, Robert Pattinson, era in un angolo con me, Héloïse, l’invisibile studentessa, e mi aveva appena fatto un complimento, un complimento, a me. “Scusa è solo che …” Solo che cosa? Dai, Héloïse, parla! Lui non smetteva di guardarmi e di … di sorridere. Dio, con quel sorriso poteva vendere tutto. “Quanto tempo resti?” chiesi di botto e lui si sorprese “Sai, sono qui per dieci giorni e il mio intento è quello di fare la turista, dato che sono stata a Roma solo una volta nella mia vita e dato che mio cugino lavora sarei sola. Pensavo che se avessi un po’ di tempo libero, potresti fare il turista con me, solo se ti va, ovvio.” Quanto velocemente avevo parlato, inglese permettendo? Mi sorrise “Mi piacerebbe tanto.” Sorrisi anch’io “Ti do il mio numero, così mi chiami quando puoi e possiamo vederci da qualche parte. Mi trovi sempre in giro per la città.” Frugai nella mia pochette a tracolla ed estrassi una penna e un blocchetto, dove scrissi il mio numero e glielo porsi. “Sai, ho un cellulare e …” scoppiai a ridere. “Non ti sei offesa, vero? Solo mi sono stupito di vederti con carta e penna.” Scrollai le spalle “Nessuna offesa. Lo so che sono strana e … e tradizionalista, ma carta e penna sono la mia vita: mi ostino ad avere un’agenda cartacea e a portarmi dietro libri di carta e block notes dove appuntare le mie idee. Che ci vuoi fare, sono una all’antica!” sollevai le spalle. Prese il foglietto e se lo mise in tasca. “Tu non vuoi il mio numero?” “Tu hai il mio. Se vuoi vedermi mi chiami. So che sei molto impegnato, non vorrei disturbare.” Anche perché se avessi avuto il suo numero sarei stata a chiedermi milioni di volte se era il momento giusto per chiamarlo e io avrei voluto sicuramente chiamarlo. Io l’avevo invitato, ora toccava a lui fare un passetto. 

*La storia è totalmente inventata e con questa non voglio recare offesa a nessuno

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Capitolo 3
*** Incontro - Scontro ***


Vacanze Romane


Incontro - Scontro

 
Il suo passetto arrivò il giorno dopo all’ora di pranzo. “NUMERO SCONOSCIUTO”  comparve sullo schermo e io mi bloccai nel bel mezzo di un parco con il cuore in subbuglio. “Pronto?” quasi faticai a sentirmi “Halo! Sono Robert. Ti disturbo, Héloïse?” scossi la testa come una scema, come se potesse vedermi “Sai, stavo ripensando al tuo invito e si da il caso che oggi pomeriggio sia libero. Ti va di vederci?” deglutii rumorosamente. Avevo la gola secca e mi mancava l’aria. Dove caspita era finita l’aria? “Certo.” Non seppi dire altro. Ripensai ai discorsi fatti con mio cugino di ritorno dalla festa. Mi aveva raccomandato di stare attenta, ma di godermi quello che sarebbe stato. Lui sosteneva che la super star Robert Pattinson mi “facesse il filo” mentre io negavo, poi però mi ero fermata a pensare al suo sorriso e ai suoi occhi e al mio invito e glielo dissi e Gianni mi rispose che anche io gli “facevo il filo”. Mi prese in giro per tutto il resto della notte, fino a quando non ci addormentammo. “Ci sei ancora?” sussultai “Si, scusa. Stavo pensando a cosa potremmo fare.” “Mm … niente di impegnativo, la serata di ieri mi ha distrutto. Vorrei un pomeriggio normale, ti spiace?” Come poteva dispiacermi “No. Pensavo a un giro in centro, senza troppo impegno, un gelato o una pizza e ci godiamo Roma, ti va? “ “Mi va.” “Robert? Devo chiederti un favore …” Quanto si sarebbe arrabbiato “Tranquilla, non mi farò riconoscere. Hai presente che ti ho chiesto un pomeriggio normale? La mia normalità non prevede fan e paparazzi e sapevo che non te la saresti presa se te lo avessi chiesto.” Mi misi a ridere. Quanto aveva capito di me in poche ore? “Vediamoci a piazza del Popolo alle quattro, va bene?” “Hai impegni per pranzo?” “Mm … no!” “Allora vediamoci tra trenta minuti stesso posto. È un problema?” “No, a tra poco.” E chiudemmo la telefonata. Io mi preoccupai di salvare il suo numero. Lo so che non lo volevo, ma oramai lui aveva chiamato e io ero una contraddizione vivente.
Sussultai quando uno sconosciuto mi si affiancò. “Scusa, non volevo spaventarti.” Aveva un cappellino da baseball e gli occhiali da sole. “Non ti si riconosce.” Mi sorrise e io mi bloccai a guardarlo “Era questo l’obiettivo. Ora andiamo a mangiare che muoio di fame.” Andammo in una panineria e ordinammo i nostri panini, che consumammo su una panchina. Faceva caldo, ma non un caldo insopportabile e l’ombra offertaci era perfetta per farci godere quel momento di pace “Magnifico! Adoro gli italiani!” mi misi a ridere “Sai cucinare?” ero tremendamente curiosa “Non molto, ma me la cavo e tu?” annuii, addentando il mio panino “Si, vivo sola. Non sono una chef ma me la cavo. Mi piace cucinare.” “Cosa cucineresti per me?” mi sorprese la domanda, ma non lo lasciai a vedere “Vediamo. Qualcosa di molto italiano e di molto semplice, anche perché rischierei di fare brutte figure. Una pasta pomodoro e melanzane, alla siciliana, oppure pomodorino fresco, zucchine, basilico, speck, si forse questa.” “Ho fame.” “Stiamo mangiando.” “Ma io voglio la tua pasta, anche se non so cosa sia lo speck.” “Prosciutto più o meno.” Annuì “Me la cucinerai?” e calò gli occhiali per mostrarmi i suoi occhi supplicanti, da cucciolo bastonato. Manipolatore, io l’avevo detto che lui era un abile manipolatore. “Vedremo.” Non potevo certo arrendermi così. Mi ritrovai a pensare a come sarebbe stato vivere con lui, a cucinare per lui e mi diedi mentalmente della scema, perché io e lui era impossibile da pensare insieme. Eppure eravamo lì, insieme e il mio cuore era un totale scompiglio. “Allora, che si fa?” chiesi per stemperare la tensione che mi si era accumulata in petto. “Un giro.” E si alzò, prendendomi per mano. Lui aveva già finito, invece io mi prodigavo a finire il mio panino mentre passeggiavo con lui per via del Corso. Sbirciammo le vetrine, commentando alcuni vestiti; ci intrufolammo in qualche via per vedere qualche negozietto tipico; ci sedemmo a bordo della fontana di piazza di Spagna e poi sulle scalinate. “Com’è fare il modello?” Non avevo fatto minimo accenno alla sua carriera per quasi due ore. Ci eravamo limitati a chiacchierare di sciocchezze. Lui mi aveva chiesto della mia terra e della mia città e io mi ero divertita a raccontargli molte cose della mia adorata Sicilia. Avevamo scherzato su viaggi fatti da lui e posti visti. Gli avevo strappato la promessa che sarebbe venuto in Sicilia a visitare una terra così ricca, a come l’avevo decritta. Niente lavoro. Non volevo che si offendesse o annoiasse, non volevo che pensasse che fossi come tutte le altre, interessata solo a Mr Pattinson, la star. Ma eravamo a Piazza di Spagna e il mondo della moda mi affascinava, come potevo non chiedergli nulla? “Mi chiedevo quando mi avresti chiesto qualcosa del mio lavoro.” “Scusami, non volevo. Se non ti va non parliamone. Possiamo continuare a parlare d’altro, a me va benissimo. Sai, quando sono stata a Roma, ormai tanti anni fa, ha diluviato per tutto il tempo e io e la mia famiglia …” Mi bloccò poggiando una mano sul ginocchio e mi sorrise “Non volevo offenderti. Mi hai solo sorpreso, Héloïse. Da ieri sera mi hai trattato come un ragazzo normale e mi piace, ma non mi offendo se mi chiedi del mio lavoro. È parte di me e sono felice di quello che sono, di quello che faccio e che ho fatto e sarei felice di parlarne con te, perché è una parte di me molto importante. Ma mi piace che tu mi tratti come uno normale, non sai quanto. A dire il vero non ci sono più abituato, ma forse ti sembro solo presuntuoso, magari tu nemmeno hai visto i miei film e io sto straparlando e …” stavolta lo bloccai io “Qualche film l’ho visto e so alcune cose di te, lette qui e lì, anche se non sono una che si interessa molto di attori o gossip, ma alcune cose di te le so e non chiedermi troppe spiegazioni in merito.” Si mise a ridere “Fare il modello è stato un trampolino di lancio. Mi divertivo, ma fare l’attore è tutto per me, l’ho sempre sognato e ora che ci sono arrivato a volte mi chiedo se sia tutto vero … E quindi, sono curioso, cara la mia fan, che sa qualcosa di me ma si vergogna, che film hai visto?” mi mordicchiai il labbro. Come spiegargli che non ero esattamente una fan convenzionale “Harry Potter e  la saga di Twilight prima che tu mi dica altro, non sono esattamente una fan convenzionale, con nessuno, semplicemente perché non amo fissarmi con qualcuno e mettermi a vedere tutti i film o cercare notizie su notizie o piazzarmi sotto casa e chiedere autografi. Non sono nemmeno una cinefila. Amo i film, il cinema, ma non ho molto tempo per seguire e vedere tutto.” “Lo studio prima di tutto!” “Già.” Dissi quasi imbarazzata. Ma cosa avevo da essere imbarazzata? Quella ero, prendere o lasciare. “Ma di me hai letto qualche cosa?” mi stuzzicò lui. Brutto bastardo, se ne stava approfittando e mi voleva mettere in imbarazzo. Lo picchiai su una spalla e lui scoppiò a ridere “E va bene, si, ho letto qualcosa e allora? A volte lo faccio se vedo un film che mi piace, o un attore che mi colpisce o un cantante che mi emoziona. Ho cercato qualcosa su di te, ma anche su Chris Hemsworth o Sandra Bullock o altri.” Dissi tutto d’un fiato. Almeno tutto quello mi stava tornando utile per migliorare il mio inglese. Avevo scoperto che ero diventata piuttosto brava, anche a sputare tutto velocemente. “E quindi ti piaccio.” Sbuffai esasperata e mi alzai, cominciando a scendere. Robert mi affiancò subito dopo “Scusa, volevo solo prenderti un poco in giro.” “L’ho notato!” dissi esasperata. Scendemmo in silenzio. Forse mi ero sbagliata su di lui, forse non aveva bisogno di pause dalla sua vita da super star, forse gli dava pure fastidio che io non lo trattassi come tale, forse era solo curioso di sapere quanto ancora avrei retto a non buttarmi al suo collo per farmi “mordere” da lui o cose simili, forse, forse avevo sbagliato tutto. Fu il suo cellulare a salvarci dal silenzio e lui dovette rispondere. Mi disse che doveva andare, impegno imprevisto e mi lasciò sola. Era evidente che avessi sbagliato tutto.
 
La sua chiamata la stessa sera mi stupì. Pensavo che si fosse stancato di me, che si fosse offeso o cose simili. “Ti decidi a rispondere?” mi incitò mio cugino. Eravamo seduti ad un tavolo con alcuni suoi amici, in attesa delle nostre ordinazioni per l’aperitivo. Avevo passato il resto del pomeriggio in giro, senza troppa voglia di fare qualcosa, poi ero tornata a casa. Mio cugino era già lì. “Pronto?” mi ostinai a rispondere in italiano, nonostante sapessi bene chi c’era all’altro capo del telefono “Héloïse, sono Robert e prima che mi chiuda il telefono in faccia ti chiedo scusa per la mia stupidaggine e per averti lasciata sola oggi pomeriggio.” Silenzio. Forse avevo esagerato un pochetto pure io, ma ero suscettibile a volte, soprattutto se di mezzo c’era una persona che forse, e dico forse, un pochetto mi interessava. Questa era il massimo dell’ammissione che avevo fatto a mio cugino poche ore prima, quando gli avevo raccontato tutto. Inutile dire quanto mi aveva rimbrottato lui. “Héloïse, ci sei?” sospirai “Ci sono.” Già detto che ero suscettibile e non avrei accettato le sue scuse tanto facilmente, non potevo dargliela vinta così presto. “Per fortuna. Volevo proporti un incontro di pace, se ti va. Domani mattina hai da fare?” Certo che avevo da fare, mica avevo l’agenda libera solo per lui? “Sarei voluta andare ai Musei Vaticani.” Mio cugino mi fulminò “Ah!” unica risposta “Beh, se ti va, posso venire con te.” E adesso? “Nove e mezza di fronte l’ingresso. Sai che c’è una fila pazzesca, quindi non tardare.” Aspettai il suo “OK a domani.” e chiusi la telefonata.

*La storia è totalmente inventata e con questa non voglio recare offesa a nessuno


AUTRICE: Ecco il nuovo capitolo, spero che vi piaccia ... fatemi sapere. Ringrazio chi ha recensito il precedente, chi ha aggiunto la storia tra le seguite e chi ha semplicemente letto. Per i film con Robert vi consiglio di vedere "Come acqua per gli elefanti". Baci e alla prossima.

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Capitolo 4
*** Turisti per caso ***


Vacanze Romane

Turisti per caso
 
Nove e venti della mattina dopo e io ero a fare la fila per l’ingresso. Nonostante tutte le raccomandazioni di mio cugino, non avrei aspettato Mr Pattinson per nessun motivo al mondo. Mi sarei goduta la mia vacanza come previsto. Mi stupii quindi nel ritrovarmelo di fronte all’ingresso. “Sei in anticipo.” Osservai lo stesso cappellino e gli stessi occhiali del giorno prima “Anche tu.” Sollevò le spalle “Non volevo perdermi l’occasione. Andiamo?” annuii e mi affiancai a lui per entrare. Una volta dentro levò i suoi occhiali per osservare tutto, mentre io inforcai i miei da vista per lo stesso motivo suo. Restammo in silenzio per un po’, ammirando quello che ci circondava “Scusa per ieri, non volevo offenderti. Stavo solo cercando di sbloccarti e di capirci qualche cosa. Non riesco a capirti, Héloïse. Mi scombussoli perché non riesco a inquadrarti e, insomma cercavo di …” sbuffò. Più o meno avevo capito il senso di quello che voleva dire “Ok, scuse accettate e forse dovrei scusarmi anch’io. Ho esagerato, me la sono presa troppo.” Mi sfiniva tutta quella storia, perché passavo più tempo a decifrare me e lui che a godermi quello che facevamo. “Non devi scusarti, sono stato presuntuoso e antipatico. Non mi stupirei che non volessi più vedermi.” Un “Silenzio” ci fece bloccare e obbedimmo, per poco “Ma siamo qui.” gli sussurrai “Grazie, Héloïse e scusami ancora.” Sbuffai “Ti ho detto che accetto le tue scuse, quindi smettila. Ah e non citarmi più il tuo caro Edward, grazie. Se non hai capito, queste cose con me non attaccano.” E invece aveva fatto breccia nel mio stupido cuoricino, citando una delle scene di Twilight, quella in cui Edward dice alla sua Bella che non riesce a leggerla, non riesce a capirla. Uomini e il fascino per il mistero. Che fosse così anche per Robert, che non riusciva a capire il mio comportamento? Eppure era evidente: non volevo assillarlo e, come detto anche a lui, ero una fan non convenzionale. Mi interessavo più alle persone che ai personaggi, anche se il mio amore per i libri e i film avrebbe potuto smentirmi. Mi sorrise “Scusa, ma non stavo tentando di citare Edward, nemmeno me n’ero accorto. Ero … sincero.” “Si, si, come dici tu.” Feci la finta offesa, quando in realtà era qualcos’altro a scombussolarmi tutta. E lui si mise a ridere.
Ci godemmo le meraviglie dei Musei Vaticani per tutta la mattinata. Scoprii in Robert un amante della storia dell’arte. Quando giungemmo al cortile interno era passata l’ora di pranzo da un po’. “Un panino per lei, Mr …” mi bloccai. Caspita, avrebbero potuto sentirci! Robert mi sorrise e prese il panino dalle mie mani, poi si calò gli occhiali. Come avrei voluto che non lo facesse, perché mi sarebbe mancato non vedere quei suoi splendidi occhi verdi. Occhi verdi! Mi lasciai sfuggire un sospiro che però non sfuggi a Robert “Tutto bene?” mi chiese infatti. Annuii e diedi un morso al mio panino. Non andava per niente bene se lui mi faceva pensare al mio libro e al fatto che avessi scelto un protagonista dagli occhi verdi. Che scherzo mi aveva giocato il mio subconscio quando avevo buttato giù quelle parole? Certamente non avevo i super poteri e non avrei certo potuto prevedere che avrei incontrato un ragazzo dagli occhi verdi. E che ragazzo! Stupido subconscio! “Che ti succede, Héloïse?” sbuffai. E per fortuna che non mi capiva, però riusciva a inquadrare subito il mio disagio, o ero io ad essere troppo trasparente? Ma ugualmente cadevamo in contraddizione. Fantastico! “Niente, tranquillo. Stavo solo pensando.” Il che era vero “A cosa?” lo fulminai “Lo so, niente Edward. Lo odio per quanto interferisca con la mia vita, ma ero sul serio interessato.” Quanti danni potevo combinare con il mio solo pensiero? Molti, evidentemente. “Scusa. Deve essere difficile se tutti ti associano a un personaggio e non a te stesso.” E questo era il motivo per cui mi ero comportata così con lui, essendo semplicemente me stessa. “Già.” Disse. Forse lo avevo offeso “Pensavo che sto provando a scrivere un romanzo, ma non faccio molti progressi.” Che era la verità, dopo tutto. Lui si voltò a guardarmi e sollevò gli occhiali. Occhi verdi! Trattenni a stento un sospiro. “Scrivi?” annuii e tirai fuori il mio blocco “Ecco perché me lo porto sempre dietro, perché potrebbe venirmi un’idea da un momento all’altro e non vorrei farmela sfuggire. È un mio sogno e spero un giorno di realizzarlo.” Mi sorrise “Posso?” mi tirai il blocco al petto e negai energicamente “E dai?” mi chiese supplicante. Era difficile dire di no, ma non potevo fargli leggere qualcosa di incompleto e imperfetto e di dannatamente personale. “No, Robert, non offenderti, ma sono solo idee e non voglio e …” continuare di fronte ai suoi occhi tristi era troppo difficile. Manipolatore, dannato manipolatore. “Forse ti farò leggere qualcosa, un giorno, ma non forzarmi adesso.” Mi schioccò un bacio sulla guancia, che andò in fiamme. Rimasi paralizzata come una stupida. Lui invece, bello tranquillo, tornò a mangiare il suo panino.
Il telefono squillò, sia lodato Gianni. Mi disse che avrebbe fatto tardissimo a lavoro e che saltava la nostra serata, non poteva farne a meno. Sbuffai. Avevo dannatamente bisogno di parlare con mio cugino, forse lui ci avrebbe capito qualcosa. “Tutto bene?” “Si, solo che Gianni …” ricordai il soprannome “Bob rientra tardi.” Niente di grave. “Se ti va potremmo cenare insieme così non resteresti sola. Ti va?” Mi andava? Anche troppo.
Visitata la cappella Sistina, a cui non risparmiammo meraviglia e commenti sugli affreschi, ci concedemmo l’ingresso in Basilica e poi un giro a Piazza San Pietro. Erano quasi le sette quando sfiniti decidemmo di dirigerci al suo albergo, dove avremmo mangiato. Avevo avvisato mio cugino, che non si era trattenuto dal ridermi per telefono, ma mi avrebbe aspettato sveglio. Messaggi subliminari di un cugino maggiore? Di certo non aveva bisogno di ricordarmi di tornare a casa e di essere responsabile. L’adulta, tra i due, ero sempre stata io, nonostante tutto.
Robert mi fece accomodare in una magnifica stanza all’ultimo piano di un albergo in centro. Mi guardai intorno stupita. Quanto eravamo distanti noi due? “Se hai bisogno di qualcosa, basta dirlo. Quello in fondo è il bagno, fai come se fossi a casa tua.” “Un po’ difficile, ma ci proverò.” In bagno mi diedi una rinfrescata e optai per levarmi le scarpe: avevo i piedi distrutti. Fare i turisti era faticoso. Quando uscii trovai Robert al telefono che ordinava la pizza. Mi sorrise, notando i piedi nudi. “Anche i tuoi piedi soffrono, masochista di una turista?” “Da morire. Non ti spiace? Li ho lavati prima, non voglio farti svenire.” Si mise a ridere e si chiuse in bagno. Uscì poco dopo, a torso nudo, mentre frizionava i capelli bagnati. Ero in un sogno, sicuro! Non avevo mai visto tutto quel ben di Dio! Dire che era bello è poco, era splendido e bellissimo e dannatamente a suo agio a mostrarsi a petto nudo a una povera ragazza, semi sconosciuta, che voleva far morire di crepa cuore. Era stato un vero peccato non poter vedere per tutto il giorno i suoi capelli, nascosti dal berretto. Erano meravigliosi e stavo disperatamente bramando di poterci passare le mani in mezzo. Qualcuno bussò alla porta, dandomi il tempo di riprendermi un poco. Le pizze mi avevano salvato. “Non sapevo cosa preferivi allora ho preso quattro gusti.” Oltre che bello era estremamente gentile, quando voleva. “Mangio tutto io.” Lo aiutai a poggiare le pizze sul tavolo “E dovresti dirmi quanto ti devo.” Non volevo certo essere cafona. “Non dire scemenze, posso permettermi di offriti una pizza.” Lo fulminai ma era ovvio che fosse irremovibile nella sua scelta. “E ho una sorpresa.” Mi mostrò un dvd. Gli sorrisi. Quella si che era una sorpresa con i fiocchi. “Purtroppo è in inglese, ma in italiano non ci avrei capito un bel niente anche se lo so a memoria.” Gli afferrai il dvd dalle mani e gli mostrai l’opzione sottotitoli. Andò a inserirlo nel lettore, mentre io mi occupavo di tagliare le pizze. Avremmo assaggiato un po’ di tutto. Prima di tutto, per mia fortuna e del mio autocontrollo, si mise una maglia, privandomi di una magnifica visione. Mise le luci soffuse e lasciò partire il dvd. Una melodia molto familiare si diffuse nella stanza e sorrisi. “Ti tengo la mano alla scena cruciale.” Gli feci la linguaccia e addentai un pezzo di pizza. Quando giungemmo alla scena cruciale, come l’aveva chiamata lui, ci eravamo spostati sul divano con qualche pezzo di pizza nei piatti sul tavolinetto. Chiusi gli occhi come facevo sempre, ma Robert mi prese veramente per mano e io non resistetti ad accoccolarmi a lui. Mufasa era morto e una lacrima mi era sfuggita. Quante volte avrei dovuto vedere “Il re leone” prima di riuscire a non piangere? “Scusa.” Biascicai, allontanandomi. Mi sorrise e mi porse una birra, che rifiutai prontamente, preferendo l’acqua, come sempre. Non commentò e continuammo a vedere il film in silenzio. Mi incantai a guardare la scena cullata dalla voce di Elton John, adoravo quella scena. “Hai gli occhi a cuoricino.” Mi sussurrò Robert. Sussultai “Sono un’inguaribile romantica e questa scena è … splendida.” Sorrise. Stavo guardando “Il re leone” in una stanza di un lussuoso albergo con Robert Pattinson al mio fianco. Ero sicuramente finita imbrigliata in qualche sogno.
Finito il film restammo sul divano, piedi contro piedi e mangiucchiammo gli ultimi pezzi di pizza, più per golosità che per fame. “Piaciuto?” “E me lo chiedi? Amo questo film e non mi importa di sembrare una bambina.” Sorrisi, guardando i miei piedi nudi sul divano di fronte ai suoi, nella stessa condizione. “Allora sono un bambino anch’io.” Mi disse. “Quella scena mi fa paura perché quando avevo solo tre anni i miei genitori mi portarono a vederlo in un cinema all’aperto, in una pineta. Credo rimasi terrorizzata dallo zio cattivo e quella scena, vista dagli occhi di una bambina, gigantesca, in bosco, un trauma.” Risi. Avevo pochi ricordi, ma fu un’esperienza assurda. “Ma me ne innamorai.” “Io amo questo film, con le mie sorelle lo guardavamo sempre. Quali altri film ti piacciono?” “Cartoni intendi? Amo tutti quelli della Disney. Sono una romanticona.” “E il tuo preferito?” Quanto era curioso il ragazzo! “Mm … vediamo. Troppo difficile, ma ti darò una sorta di rosa di nomi, ok? Cenerentola, perché è molto romantica e vuoi mettere la soddisfazione di venire dal nulla, essere quella ai margini ed essere vista dall’unica persona che non ti aspetti, il principe? Amo quando allo scoccare della mezzanotte lei si rende conto che non ha incontrato il principe, senza sapere che ce l’ha di fronte. È la dimostrazione che lei lo ami al di là di quello che è per la società.” Repressi un sospiro alle mie stesse parole. Quanto mi sentivo Cenerentola in quel momento? Non lo guardai, continuai a fissare le dita dei piedi. “Poi direi Mulan, perché una donna salva la Cina e credo che questo basti a spiegare tutto. E La bella e la bestia perché tutti si possono innamorare di un principe, ma di una bestia no. Belle è coraggiosa e sa vedere oltre il pregiudizio e la paura e io la amo per questo e amo la Bestia perché anche lei sa andare oltre le sue paure e si apre a Belle.” Mi decisi a guardarlo. Lui mi sorrideva. “Mi piacciono le tue scelte, proprio tanto.” E non aggiunse altro, lasciando che il silenzio ci circondasse. Poteva essere così spinoso un discorso sui cartoni animati? “I tuoi invece?” dissi con fatica “Vediamo … Il re leone, ma questo non vale, perché lo abbiamo già detto, Hercules e hai piedi gelati.” “Che?” si mise a ridere e mi accorsi che ero finita per puntare le dita dei piedi contro le sue. “Scusa. Credo di avere un problema di … come si dice? Circolazione?” annuì “Ho la soluzione!” mi afferrò per le caviglie e mi tirò un poco verso di se, quel tanto che bastava a ritrovarmi le dita dei piedi sotto la sua pianta bollente e con le mani sfregava i lati. Avvampai per l’imbarazzo di un’azione estremamente intima. Quante volte mi ero ritrovata a così stretto contatto con un ragazzo? Mai. Mi sorrise e io mi sciolsi, godendomi il momento, le sue mani sulla mia pelle, il caldo emanato da lui, il suo sorriso, i suoi occhi e la dolcezza di tutto. Ridacchiai pure io. “Odio i miei piedi: sono bruttissimi e sempre freddi, anche se ci sono quaranta gradi.” “Questo l’ho visto, ma non sono brutti, sono … buffi.” “Non ho certo i piedini di Cenerentola!” borbottai “Cosa?” per fortuna avevo parlato in italiano “Tu hai bei piedi.” Cosa mi era preso? Da dove mi era venuto? Mi sorrise. Avevo la testa poggiata sulle ginocchia, un sorriso ebete sulle labbra e mi specchiavo nei suoi splendidi occhi. Non mi ero mai sentita così in tutta la mia vita, in imbarazzo, ma allo stesso tempo a mio agio, come se ci conoscessimo da una vita, quando invece si trattava solo di poche ore. “Dovrei andare, mio cugino mi aspetta.” Dissi poco convinta e tutt’altro che contenta. Annuì e mi andò a prendere le scarpe, lasciate in un angolo della stanza. Feci per alzarmi ma mi bloccò, si chinò di fronte a me e, dopo aver accarezzato le caviglie, mi aiutò a calzare le scarpe. Cenerentola! Martellava nella mai testa. Cenerentola! Mi sentivo stordita e felice e leggera come non mai. “Ti accompagno.” Mi aiutò ad alzarmi dal divano, per fortuna perché sentivo le gambe terribilmente deboli. “Ma poi dovresti tornare solo e non voglio, perché è una città e di notte da soli non è sicuro.” Sorrise di nuovo e mi diede un buffetto sulla guancia. Sentivo la pelle bruciare e forse brillava pure, come un vampiro con il sole. Ok, forse non era il caso di fare paragoni con vampiri e simili. “E ti lascio andare sola, così giri tu per la città tutta sola?” “Ma …” provai a fermarlo. Io non ero una star, non avevo nulla di prezioso che mi avessero potuto rubare, nessun riscatto cospicuo da chiedere. Ok, non sarei stata felice di girare sola di notte, ero pur sempre una ragazza ma … “Nessun ma, lasciami fare il cavaliere e non protestare.” Sbuffai e scendemmo per strada. Camminammo in silenzio per la città, godendoci le meraviglie sbocciare e aprirsi ai nostri occhi, illuminate dalla luna e dai lampioni. Roma era bellissima ed estremamente romantica. Guardai il mio accompagnatore: le mani in tasca, l’aria rilassata e un bellissimo sorriso sulle labbra. Era un ragazzo molto bello, per le strade di Roma ed era con me. Non mi sembrava vero. Poco dopo arrivammo sotto casa di mio cugino. “Senti, mi preoccupo a lasciarti andare solo.” Mi diede un tenero e dolce bacio sulla guancia “Ti chiamo appena arrivo, ok?” “E se non mi chiami io chiamo la polizia.” Mi sorrise e se ne andò, lasciandomi a guardare le sue spalle allontanarsi. Salii in casa e mio cugino mi aspettava al varco. “Allora?” Sospirai. Dovevo fare chiarezza, ero così confusa. Ebbi il tempo di accomodarmi sul divano, con un bicchiere di limonata in mano, pronta per l’interrogatorio, che a dir la verità non volevo nemmeno eludere, e il telefono squillò. Era già arrivato? “Mi hanno rapito.” “Scemo.” Sbuffai “Sono con la mia guardia del corpo, che ci ha seguiti in disparte e ora mi sta facendo compagnia e mi fa le linguacce mentre parlo con te al telefono.” “Scemo. Potevi dirmelo.” “Mi sembra di essere un bambino che ha bisogno di controllo e protezione sempre.” “Scemo. Io mi preoccupavo per te.” “Ehi, sono un vampiro con i super poteri, cosa poteva succedermi?” “Scemo.” “L’hai già detta. Comunque tranquilla, siamo già in albergo.” “Buona notte e grazie per la bella giornata e la splendida serata.” “Grazie a te, mi è piaciuto passare del tempo con te. Ti andrebbe di farlo ancora?” Cos’era quello sfrenante e assordante rullio? Ah, sì, il mio cuore! “Certo che mi va. Ci sentiamo domani e ci mettiamo d’accordo, ok?” “Si, certo. Ti chiamo io appena ho un poco di tempo libero.” “Va bene.” “Buona notte, Cenerentola.” Non riuscii a trattenere il sospirò che sfuggì e sembrò svolazzare per la stanza “Buona notte …” Cara la mia Bestia, aggiunsi solo mentalmente e la telefonata finì. Avevo le guance in fiamme, il respiro corto e il cuore in subbuglio. “La cosa si fa seria.” Gianni mi sorrise rassicurante e mi abbracciò. Sospirai. “Credo di si.”

*La storia è totalmente inventata e con questa non voglio recare offesa a nessuno.


AUTRICE: Salve a tutti ... eccomi tornata. Sono felice che questa storia vi stia piacendo, davvero molto felice, anche perchè come detto è la mia prima ff. Spero continuiate a recensire, a leggere e ad aggiungere la mia piccola storia tra seguite, preferite e ricordate. Un piccolo commento sul capitolo: la storia del romanzo è ispirata a me, a un romanzo che sto provando a scrivere, con un protagonista dagli occhi verdi e giuro che non avevo pensato a Robert Pattinson ( a proposito, ha vero gli occhi verdi? Se non fosse così prendetela come una licenza poetica); i film citati ecco sono i miei preferiti e sul serio la scena della morte di Mufasa non riesco a guardarla, perchè in quella pineta a tre anni c'ero io con i miei genitori, ma resta sempre il mio film Disney preferito. La smetto qui, altrimenti parlo  scrivo per ore. Alla prossima e un bacio a tutti.
PS Prometto di rispondere alle recensioni quanto prima

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Capitolo 5
*** Note magiche ***


Vacanze Romane
 
Note magiche

Con molta delusione, la sua telefonata arrivò solo la sera dopo. “Ciao Héloïse, come stai?” “Bene.” borbottai. Potevo essere seccata perché una super star non mi aveva cercata perché, ovvio, lavorava? Si, potevo essere seccata e il motivo principale era perché il giorno prima lo avevamo passato insieme ed eravamo stati bene, molto bene, almeno io si, e questo mi aveva portato ad ammettere con Gianni che per me Robert Pattinson era molto di più di una super star, ma anche molto di più di un ragazzo conosciuto per caso, con cui passare del tempo in vacanza. Per me era Robert, senza altri nomi e cognome, che mi faceva battere tanto il cuore. L’ammissione si era fermata qui, ma l’occhiata di Gianni era stata eloquente e non potevo certo ignorare il milione di pensieri che si affollavano nella mia mente. “Scusami se ti chiamo solo ora, ma ho dovuto lavorare oggi.” Ero ufficialmente una scema, perché nonostante tutto lui mi aveva chiamata e sembrava felice di sentirmi. “Tranquillo.” Deposi l’ascia di guerra “Capisco, sei qui per lavoro, non devi assolutamente scusarti.” Ero stata proprio brava “Cosa hai fatto?” E gli raccontai il mio giro da turista per la capitale. “Tu cosa hai fatto?” Sbuffò e sentii un tonfo. Dov’era? “Sono distrutto: incontri su incontri, noiosissimi, e provini e chiacchiere. Spero almeno servano a qualcosa.” Fruscio. Era sul letto? Deglutii un groppo in gola, terribilmente caldo e pesante. “Purtroppo domani sono impegnato di nuovo, almeno fino al pomeriggio, ma domani sera ho dei biglietti per un concerto a cui sono stato invitato e … Héloïse, mi farebbe piacere che venissi con me. Ti va?” Io ad un concerto con Robert Pattinson? “Non so.” Ero ufficialmente una scema a rifiutare, ma avevo mille pensieri e stavo facendo mille ipotesi “Dai, sono bravi e ho due biglietti. Non ti va?” Sentivo le rotelline del mio cervello girare a velocità contro tutti i principi della fisica. “Oh, capisco.” Cosa? Che avevo detto? Non ero stata in silenzio? “Non vuoi farti vedere con me, con tanto di paparazzi e voci e tutto il resto.” Aveva detto una bugia il giorno prima, quando diceva di non capirmi perché quel ragazzo mi capiva eccome. Ma c’era anche dell’altro, tipo il fatto che mi piacesse troppo e io non volevo rimanere scottata e delusa, perché era il primo ragazzo che mi faceva sentire così e che sembrava interessato, ma se mi avesse preso in giro sarei rimasta terribilmente ferita. “Si, ma potremmo organizzarci.” Evviva la coerenza “Tipo?” “Tipo che ci vediamo direttamente dentro e credo che ad un concerto con luci soffuse, nessuno si accorgerà di me e quindi potremmo passare del tempo insieme.” Non era proprio un ottimo piano, perché se sapevano che c’era lui al concerto era ovvio che l’avrebbero tenuto d’occhio, ma non ero pronta a rinunciare a lui e a tutto quello che poteva offrirmi, qualunque cosa fosse. “Credi che basti?” “Basterà e se non basterà non sarà la fine del mondo. Mica sono con un serial killer o un delinquente o un uomo da reputazione compromettente. Non sei tutte queste cose, vero?” Si mise a ridere “Non sono tutte queste cose, grazie comunque per aver pensato che potessi esserlo. Ci vediamo domani sera. Un’autista ti verrà a prendere e non protestare per questo, non ti lascio venire senza protezione, tutta sola. Ci vedremo direttamente dentro. A domani sera Héloïse, buona notte.” “Robert, se …” Vai Héloïse! Perché lo avevo bloccato? Potevo chiudere con un buona notte e addio! “ … Niente. A domani, Robert. Buona notte.” “Grazie per aver accettato.”
 
**********
Dove stavamo andando? L’autista con auto nera mandatomi da Robert non si era sbottonato, non aveva nemmeno provato a parlare. Io mi godetti il viaggio, senza troppi pensieri, almeno ci provavo. Percorremmo un viale alberato e giungemmo in un ampio cortile di fronte a una villa in tipico stile italiano dell’ottocento. La villa si trovava fuori Roma, a un’ora circa di strada, ed era una costruzione grandissima, tutta bianca, con marmi e stucchi e edera che di inerpicava sulle colonne. L’autista mi aprì lo sportello e mi guidò fino all’ingresso, dove mi lasciò  alle mani di un omino molto minuto in abito scuro, con simpatici baffetti. Mi guardai intorno, sempre con gli occhi che luccicavano alla vista di quelle alte colonne, che delimitavano un ampio ingresso dal pavimento in marmo lavorato, intervallati da specchi e mezzibusti in marmo. Sollevai leggermente la gonna e mi affrettai a seguire il mio accompagnatore dal passo veloce. Ringraziai mentalmente quel minuscolo spazio in valigia che mi aveva permesso di portare il mio unico abito lungo, color panna, con piccoli decori floreali in viola e rosa. L’uomo mi accompagnò in un’ampia sala, in penombra, per mia fortuna: non volevo che nessuno notasse che ci fosse Robert Pattinson in quel posto con una sconosciuta. E se ci fosse stato qualche giornalista? E lo vidi: in piedi, i capelli perfettamente spettinati, camicia blu con le maniche risvoltate e pantaloni chiari. Era proprio bello! Cosa avevo fatto per meritarmi tutto quello? Quando mi vide mi sorrise e io mi avvicinai. “Ciao.” Lo salutai, mentre lui si fece avanti per darmi un bacio sulla guancia, che mi fece arrossire come una ragazzina. Quanto poteva essere bello? La distanza non gli aveva reso giustizia, perché da vicino si aggiungevano altri elementi, come il colore degli occhi e il suo profumo, a stordirmi ancor di più. Le luci si spensero in quel momento, lasciandoci assoluta privacy e annunciandoci che lo spettacolo sarebbe cominciato di lì a poco, ringraziando per avermi tolto d’imbarazzo. “Passato una bella giornata?” “Si, ho fatto anche oggi la turista. Ho visitato alcuni musei, poi ho raggiunto mio cugino per il pranzo e di pomeriggio mi sono concessa un giro ai Fori, anche se vorrei tornarci. Tu invece?” “Io ho lavorato fino a poco fa.” Mi sorrise “Buone notizie?” “Forse.” E sollevò le spalle. Forse non poteva parlarne, forse non voleva, ma mi andava bene così. Mi concessi uno sguardo intono: la sala si era riempita di gente, che, come noi, aveva preso posto in eleganti e comode sedie ricoperte di stoffa e dal legno intagliato. Più o meno conteneva un centinaio di persone, suddivise in due sezioni, di fronte un palchetto illuminato, circolare come la sala, che accoglieva un pianoforte a coda nera, sei sedie con altrettanti leggii e strumenti a corda: quattro violini, una viola, un violoncello e in fine un’arpa. Opposto al pianoforte, una postazione con una chitarra classica e una elettrica, o forse un basso. Poco dopo entrarono i musicisti, accompagnati da un discreto applauso della sala, e presero posto. Il concerto cominciò e per un’ora e mezza ci deliziarono con brani di musica classica, ma anche con qualche brano pop, riarrangiato, adattato per piano o per i soli strumenti a corde. Il concerto fu molto vario, passammo dall’ascoltare un brano classico eseguito alla sola chitarra elettrica, da un musicista eccezionale, a brani di musica leggera suonati con l’arpa. Fu bellissimo.
“Ti è piaciuto?” guardai Robert come se fosse un alieno proveniente da chissà quale pianeta “E me lo chiedi?” non mi trattenni più e lo abbracciai di slancio “Grazie mille. È stato bellissimo!” gli dissi ancora abbracciata a lui, praticamente addosso a lui. Ero troppo scioccata per capire cosa stava succedendo e comunque prima che me ne rendessi conto, Robert aveva ricambiato l’abbraccio, poggiando le mani sulla mia schiena e spingendomi contro di lui. Fu forse proprio in quel momento che mi resi conto di tutto: ero ad un concerto con Robert Pattinson, ero abbracciata a Robert Pattinson, ero completamente schiacciata contro Robert Pattinson, potevo perfettamente sentire la possanza dei muscoli, frutto di fatica in palestra, ma anche di un abbondante dono di madre natura, avevo le narici impregnate del suo profumo e le sue mani, le sue mani erano radicate alla mia schiena, ferme, protettive e possessive. Il cuore rischiava di uscirmi dal petto e sentivo un caldo assurdo e le guance ardere. “Devo fare una cosa.” Mi sussurrò così vicino all’orecchio, che riuscii a percepire il soffio sul mio lobo, che mi trasmise un brivido lungo la schiena. Annuii come una scema, stordita e in totale adorazione per quel viso, per quel sorriso e per quegli occhi, che per fortuna si allontanarono prontamente, prima che potessi fare qualche altra figuraccia. Approfittando dell’assenza di Mr. Pattinson, cercai di riprendere il controllo di me. La cosa si faceva seria, addirittura molto più seria di quanto credessi e di quanto lo stesso Gianni mi aveva prospettato. Gianni … avrei dovuto parlare con lui. Avevo bisogno di un appiglio con la realtà così decisi che parlare con lui in quel momento era la cosa migliore da fare. “Pronto, Héloïse. Tutto bene?” era preoccupato “Si, Gianni, tranquillo. Va tutto bene. Volevo … volevo …” che gli avrei detto, se nemmeno io sapevo io cosa avevo, come stavo? “Gianni, io …” “Ti piace Robert Pattinson.” Sospirai. Gianni era un mito, nient’altro poteva descrivere mio cugino. “E sei spaventata, perché hai paura di quello che sei tu e di quello che è lui, hai paura di soffrire e che lui ti prenda in giro.” “Già.” Non avevo molte parole da usare, non ne ero capace “Héloïse, ti dico una cosa con tutto il cuore: vivi, vivi, Héloïse, vivi i tuoi anni, vivi la tua giovinezza. Non pensare troppo, ma vivi, lasciati trasportare dal tuo cuore. Non sempre le cose vanno come vogliamo, ma per questo non possiamo rinunciare a viverle. Non ti dico di essere prudente, perché lo sei e fin troppo. Vivi, Héloïse. Goditi questi momenti, goditi queste emozioni. Io ti dico che secondo me Mr. Pattinson è una persona seria e credo ci tenga a te, non penso ti possa far soffrire e se lo farà se la dovrà vedere con il sottoscritto.” Mi feci sfuggire un risolino tremulo e pauroso. Gianni avrebbe meritato una statua colossale. Potevo distruggere il Colosseo e farci mettere una sua statua, del resto quel posto si chiamava così esattamente per questo motivo, perché prima dell’anfiteatro ospitava il Colosso, appunto di non ricordo nemmeno chi. “Grazie, Gianni. Ti voglio bene, sei un mito. Adesso devo andare. Ci vediamo più tardi. Un bacione.” “Un bacio, Héloïse, ti voglio bene anch’io.” E chiusi la telefonata. Sospirai. VIVI, HÉLOÏSE. Mi aveva detto. Decisi che avrei vissuto tutto quello che quei giorni mi avrebbero offerto, qualunque cosa fosse.
La sala si era praticamente svuotata e io ero seduta sola a guardarmi intorno e non sapevo cosa fare. Dove era finito Robert? Forse mi aspettava fuori e lo aveva fatto per non farsi vedere ed esaudire il mio desiderio di non farmi beccare con lui. Ero … ero delusa, come una stupida. Glielo avevo chiesto io e ora non mi andava bene, avevo la sensazione che si vergognasse di me. Ero una vera scema, perché lui mi aveva semplicemente accontentato. “Héloïse.” Mi sentii chiamare. Era Robert che mi si era avvicinato e mia aveva preso per mano, per guidarmi accanto al piano. “Scusami se sono scomparso per tutto questo tempo, lasciandoti sola, ma dovevo chiedere un favore all’organizzatore del concerto.” e prese posto al piano. Le note si diffusero per la stanza, note che io conoscevo bene, perché appartenevano alla colonna sonora di Twiligth, River Flows in You. Mi sorpresi non poco alla sua scelta, ma era un regalo bellissimo. Significava tanto per lui, quanto per me, ma questo lui non poteva saperlo. Mentre suonava le sue mani si muovevano leggere sui tasti, era un bravo musicista, potevo confermare quanto letto, e di tanto in tanto sbirciava la mia reazione. Io ero semplicemente in adorazione e mai una volta mi sottrassi al suo sguardo. Altro che vergogna! Robert mi stava facendo un regalo ancora più grande del concerto ascoltato, mi stava regalando se stesso, una parte importante della sua vita, una sfaccettatura fondamentale del suo essere.
Rimasi imbambolata a guardarlo alzarsi, quando ormai le ultime note si erano disperse in quella magnifica sala rimasta in penombra, in un silenzio spezzato ormai solo dai nostri respiri. Si passò imbarazzato una mano tra i capelli e mi si avvicinò. Fu in quel momento che mi sbloccai, lasciando sfuggire una lacrima e dandogli un bacio sulla guancia, mormorando un tremolante “Grazie.” Mi sorrise e mi passò un braccio sulle spalle. “Andiamo.” Mi sussurrò e così, stretti l’uno all’altra, abbandonammo la villa che fino a quel momento ci aveva ospitati. Giunti al cortile ci aspettava lo stesso autista che quella sera mi era venuto a prendere. Per qualche minuto restammo in silenzio. Io avevo bisogno di assimilare quanto era successo, mi sembrava tutto così irreale, tutto così magico, mi sentivo in un sogno. “Héloïse?” ero totalmente imbambolata “Robert …” e mi fiondai su di lui per abbracciarlo. Era merito suo se avevo vissuto tutto quel sogno. Non mi scostai, lasciai che rispondesse al mio abbraccio, che poggiasse le mani sulla mia schiena e respirasse tra i miei capelli. “Grazie per la bellissima serata, non puoi capire quanto sia stato bello per me.” gli dissi con gli occhi offuscati dalle lacrime. Lui mi baciò sulla fronte, mandando in tilt il mio cuore, e mi attirò a sé, lasciandomi poggiare a lui e stringendo la mia mano. Passammo il resto del viaggiò così: stretti l’uno all’altro, le dita intrecciate, a sussurrarci le sensazioni provate quella sera, le impressioni, le opinioni. Arrivammo così sotto casa di mio cugino. Io feci molta fatica a staccarmi da lui, ma dovevo. Lui scese con me, accompagnandomi fino al portone, con le mani nelle tasche dei pantaloni. Lo guardai, era così bello. “Ti ringrazio di tutto, Robert, è stato tutto bellissimo. Mi hai fatto un grande regalo portandomi a questo concerto. Grazie. Ma soprattutto è stato bello passare questo tempo con te, provare queste emozioni con te e …” tentennai “E sentirti suonare è stato … è stato bellissimo, così emozionante. Il regalo più bello di tutta la serata.” “Solo per te.” E mi baciò. Fu un bacio delicato, labbra contro labbra, ma fu la cosa migliore di tutta la serata. Poi si allontanò e salì in macchina, mentre io restavo a guardare l’auto che scompariva all’orizzonte. Sentivo le gambe tremolanti e il cuore impazzito e il respiro corto. Con fatica raggiunsi casa di mio cugino, mi tremavano le mani e inserire la chiave non fu per niente facile. “Héloïse.” Lo trovai sul divano a guardare la tv, forse era rientrato da poco pure lui. Probabilmente vide qualcosa di sconvolgente sul mio viso perché si precipitò da me tutto preoccupato. “Che succede?” mi avvolse le spalle con un braccio, come per sorreggermi. Io mi portai le dita alle labbra e sussurrai “Mi ha baciata.” Gianni mi studiò e mi sorrise e io risposi con un risolino tremulo “Mi ha baciata.” Dissi più sicura e il telefono vibrò in borsa. Era lui. “Pronto?” risposi incerta e tremante “Avrei voluto farlo quella sera alla festa, quando ti ho vista sulla terrazza a guardare Roma, eri Bellissima.” Ebbi come un flashback, quel BELLISSIMA che avevo sentito pronunciare da uno sconosciuto era stato detto da lui e non sapevo fino a che punto fosse rivolto a me o a Roma. “Héloïse, ci vediamo domani. Ti va?” annuii ma un’occhiata di Gianni mi fece capire che lui, Mr. Pattinson, che aveva baciato la sottoscritta, non avrebbe potuto vedermi dall’altro capo del telefono. “Si.” Dissi semplicemente, ancora troppo sconvolta per mettere insieme delle parole in fila di senso compiuto “Pranziamo insieme?” “Si.” Poi mi ricordai che avevo promesso a Gianni di mangiare con lui “Robert, avrei voluto pranzare con Gianni, Bob, domani.” Gianni mi faceva di no con la testa “Ti va di venire a pranzo da noi? Ti preparo quella pasta che ti ho promesso.” “Va bene, non vedo l’ora.” “Puoi venire quando vuoi, io sono a casa.” “Ok, a domani, Héloïse.” “A domani, Robert, buona notte.” “Buona notte … e, Héloïse?” “Si?” “Niente, Buona notte, Héloïse.” E chiuse la telefonata.

*La storia è totalmente inventata e con questa non voglio recare offesa a nessuno.


AUTRICE: Salve a tutti ... so che sono in ritardo però non ho potuto fare altrimenti, in compenso, oltre che aver scritto il capitolo, ho controllato quello successivo, che quindi arriverà tra pochissimo.
Oggi è un giorno moooolto speciale (è il mio compleanno ... e anche il mio onomastico) e quindi ci voleva un capitolo speciale, quello del primo bacio *.* Che ne pensate? Fatemi sapere, vi prego. Ringrazio tutti. Un bacio e a presto.

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Capitolo 6
*** Conoscersi ***


Vacanze Romane
 
Conoscersi
 
Avevo fatto la spesa, avevo sistemato casa e stavo cominciando a cucinare, quando qualcuno suonò alla porta. “Ciao.” Fece il suo ingresso, splendente come il sole, Robert Pattinson. “Ciao.” Dissi timida io. Ci eravamo baciati e ora non riuscivo nemmeno a guardarlo negli occhi. Ed ero in condizioni pessime, non mi aspettavo si presentasse a casa così presto, erano solo le undici. Avevo programmato di finire di sistemare e poi mi sarei fatta una doccia e indossato qualcosa di più carino rispetto a un paio di pantaloncini e una canotta. Progetto andato in fumo. “Accomodati.” Gli presi la bottiglia di vino dalle mani e gli feci segno di sedersi sul divano di fronte la cucina. Casa di Gianni era piccolissima: una sala che faceva da ingresso, salottino e cucina, divisa da una penisola che era anche l’unico piano dove mangiare, la camera da letto e il bagno. “Gianni è a lavoro, arriva verso le due. Spero non ti sia dispiaciuto, ma sto passando così poco tempo con lui in questi giorni e questo pranzo era una promessa.” “Non mi dispiace per niente e poi non potevo perdermi la tua pasta. Posso darti una mano?” Annuii e, dopo essersi lavato le mani, gli passai un grembiule. Era estremamente affascinante. “Prima bisogna occuparsi delle zucchine …” e andammo avanti nella preparazione, scherzando e ridendo, canticchiando le musiche che passavano alla radio.
Quando il condimento era pronto, mancavano ancora quasi due ore all’arrivo di Gianni. “Bene, complimenti al mio aiuto cuoco: te la cavi piuttosto bene.” “Grazie, Chef. È stato un piacere cucinare con te. Non vedo l’ora di assaggiare questa pasta, ho già l’acquolina in bocca.” “Per rimediare, ti offro un aperitivo.” E presi del formaggio e miele dal frigo, con noci e mandorle, e stappammo il vino portato da lui “Gianni non si offenderà se noi abbiamo già assaggiato il tuo regalo.” Poggiai tutto sulla penisola e rimasi da una parte, lui dall’altra. Fino a che eravamo impegnati in cucina avevamo scherzato, avevamo giocato e io avevo fatto finta che tutto andasse bene, ma in quel momento mi sentivo addosso il peso dell’imbarazzo. Come mi sarei dovuta comportare? Cosa avrei dovuto fare? “Suppongo che la chitarra all’angolo sia di tuo cugino.” “Eh?” mi diedi una botta in testa virtuale. Stava cercando di sbloccare la situazione. Era evidente che dopo il bacio della sera prima il nostro rapporto era diventato ancora più confuso di prima e né io né lui sapevamo come comportarci in quel campo minato: io perché ero inesperta in campo amoroso e non potevo dimenticare chi avevo di fronte, lui perché sapeva esattamente chi aveva di fronte a sé e cioè una studentessa italiana, molto simile a quello che si può definire come fan, conosciuta per caso durante un viaggio di lavoro. Ma era lì di fronte a me e questo avrebbe dovuto bastarmi per convincermi che comunque a me un poco ci teneva. Sbuffai e cercai di allontanare quei contorti pensieri. “Si è di Gianni, lui ha imparato da piccolo a suonare, ma ora credo la tenga più per bellezza che per usarla.” Stavo parlando della chitarra classica, che faceva bella mostra di sé in un angolo del salottino. Robert afferrò una manciata di noci e cominciò a sgranocchiarle, studiando la suddetta chitarra. Poi tornò a studiare me, prima di versare un po’ di vino nei bicchieri, che presto scomparve. Sorrisi tremula e Robert mi lasciò una fugace carezza sulla guancia poi si allontanò in fretta. Prese la chitarra e si accomodò sullo sgabello di fronte a me, come poco prima. Accordò la chitarra e cominciò a strimpellare qualche nota. Io ero affascinata dalle sue lunghe dita che si muovevano fluenti sulle corde, ero affascinata dai muscoli del suo braccio rispondere in base alla tensione scatenata. Mi sorrise, prese un pezzetto di formaggio e un altro sorso di vino e riprese a pizzicare delicato le corde. Una familiare melodia si diffuse nell’aria e io rimasi totalmente scioccata a guardarlo. Stava suonando per me, stava suonando “Someone like you” di Adele, accompagnandola alla sua voce. Aveva una voce roca, bassa, suadente. Trattenni a stento un sospiro. Robert mi stava concedendo un altro regalo, un bellissimo regalo e  decisi che era arrivato il momento di farglielo io un regalo. “Torno subito.” Dissi quando finì. Stavo facendo una cosa importante per me e sperai con tutto il cuore che lui potesse apprezzare e si rendesse conto di come mi stavo esponendo. Ritornai con il mio computer tra le mani. Robert mi guardava curioso. Aspettammo in silenzio fino a che io non aprii una pagina di Word. Deglutii con fatica. “Lo traduco per te, perché è scritto in italiano. Si clemente.” Non potevo certo dirgli che dopo averne parlato con lui avevo provato a tradurlo, era come ammettere ad alta voce che fin dall’inizio avevo pensato di farglielo leggere. Poggiò la chitarra e si fece attento, così io mi schiarii la voce e iniziai: “Percorro una strada che non so dove …” Cercai le parole migliori per rendere l’idea, non lo guardai mai negli occhi, fino alla fine. Mi mancava il respiro e avevo la gola secca, sollevai piano lo sguardo su di lui. Mi sorrideva e aveva gli occhi così luminosi come mai li avevo visti. Non disse niente, si alzò, si avvicinò, chiuse il portatile e si sporse su di me e mi baciò. “Mi hai emozionato.” Disse sulle mie labbra, prima di rifarle sue. Questa volta non si scostò, rimase lì a giocherellare con la mia bocca, lasciando che a poco a poco io potessi sciogliermi e rispondere al suo bacio, come se fosse una cosa semplice. Eppure lui non si arrese e riuscì nel suo intento, perché qualche secondo dopo l’unica cosa che percepivo erano lo sfarfallio del mio cuore e le sue labbra sulle mie e tanto bastava per sentirmi felice, per buttargli le braccia al collo e affondare le dita tra i suoi capelli, come avevo tanto desiderato da tempo, molto tempo, ancora prima di conoscerlo. Incoraggiato dai miei movimenti si avvicinò di più a me e mi trascinò giù dallo sgabello per poi abbracciarmi per la vita e portarmi completamente contro di sé. Un tossicchiare poco vicino ci fece sobbalzare e allontanarci. Gianni era rientrato “Sono tornato prima.” Disse semplicemente e si precipitò in camera per darci il tempo di ricomporci. Io avevo il cuore che batteva a una frequenza inumana e sentivo le guance in fiamme. Guardai da sotto in su Robert, che non era messo tanto meglio: aveva le gote rosse, i capelli scombinati e uno sguardo perso. Pensai milioni di cose in quell’istante, ma quando si voltò e mi sorrise un poco imbarazzato, passandosi una mano tra i capelli, io mi sciolsi e in punta di piedi gli diedi un bacio a stampo, giusto in tempo prima che Gianni ci beccasse di nuovo ad amoreggiare. “Oh, vedo che avete spolverato la mia chitarra. Ciao Robert.” Disse dandogli una pacca, mentre io mettevo la pentola sul fuoco. “Ciao, cuginetta.” Mi sussurrò e mi diede un bacio sulla guancia che non era ancora tornata alla sua temperatura naturale e mi fece l’occhiolino. Sapevo cosa significava: poi avremmo parlato e niente e nessuno avrebbe potuto risparmiarmi un interrogatorio con i fiocchi. “Spero non ti dispiaccia, ma l’ho vista sola in quell’angolo e mi è venuta voglia di suonarla.” “No, anzi mi fa piacere, spero solo che mia cugina non ti abbia fatto assurde richieste.” “Che vuoi dire?” chiesi allarmata io “Oh, è risaputo che hai gusti musicali assurdi.” “Non ho gusti musicali assurdi, ma molto vari.” Gli dissi, dandogli una pacca sulla spalla. “Adesso sono curioso.” “Non mi dire che non ti ha deliziato con la sua playlist!” “Gianni, la smetti di prendere in giro me e la mia musica? Ho gusti variegati e quindi?” “Niente, scusa, ma devi ammettere che si ritrova di tutto e spesso in sequenza senza senso.” “Non avranno senso per te ma per me si.” Sbuffai, preferendo occuparmi della pasta. “Non hai intenzione di soddisfare la mia curiosità, vero?” mi chiese Robert e io scossi la testa. In pochi minuti ci mettemmo a tavola e Robert non finì di complimentarsi per la pasta. “Guarda che è anche merito tuo.” “Vero.” E scoppiammo a ridere. Fu un pranzo tranquillo, allegro, che però finì troppo in fretta, con Gianni che dovette ritornare a lavoro, seguito poco dopo da Robert, che mi lasciò con un bacio in fronte e un “Ti chiamo dopo.” 

*La storia è totalmente inventate e con questo non voglio recare offesa a nessuno.

AUTRICE: Salve a tutti. Passati bene questi giorni di festa? Io ho già ripreso a studiare :( che tristezza. Comunque, veniamo a noi: il capitolo è piccolino, ma ho già scritto il successivo ... quindi forza e coraggio che arriverà presto. Ringrazio chi ha recensito il precedente e chi ha letto. Fatemi sapere che ve ne pare di questo. A presto ... baci.

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Capitolo 7
*** Una serata speciale ***


Buongiorno a tutti. 
Volevo dedicare questo capitolo a Zikiki98 che con pazienza ha recensito tutti i capitoli fino a qui. Grazie Mille :)
Ringrazio chiunque abbia letto ... fatevi coraggio e ditemi cosa ne pensate.
Volevo precisare che, mentre i capitoli fin qui scritti erano frutto di qualcosa che avevo già buttato giù, ma rivisto e sistemato, da questo è tutto scritto nuovo nuovo solo per voi.
Un bacio e BUONA LETTURA!

 
Vacanze Romane

Una serata speciale

Mi chiamò dopo ore. Io ero ancora in giro per la città e mi invitò a passare la serata con lui, niente di speciale, disse, solo per passare del tempo insieme. Lo raggiunsi in albergo quasi a ora di cena. Non avendo idea di cosa avremmo fatto o dove saremmo andati. “Ciao.” “Ciao. Entra.” Mi guardai intorno e tutto era esattamente come ricordavo. “Vieni qui.” e mi trascinò a sé, baciandomi. Ci eravamo già baciati, ma questo bacio fu ancora diverso, famelico, possessivo, appassionato. E non mi faceva paura, ne volevo di più e ancora di più. “Ciao.” Disse senza fiato “Ciao.” Risposi nella stessa condizione io. Mi prese per mano, lasciando le nostre dita intrecciarsi e mi tirò sul divano, dove riprese a baciarmi. Alle labbra aggiunse le mani, che vagarono sul mio corpo, ma quando accarezzò la mia pelle sotto la spallina del vestito che indossavo, ebbi un fremito e quello fu un fremito di terrore. Lo allontanai “Robert …” sospirai “Non … io …” quanto era difficile. Come facevo a spiegargli tutto? Come facevo a dirgli che ero io e che …? “Calmati Héloïse. Non dobbiamo …” lo fermai “No, devo spiegarti almeno.” “Non devi.” “Si invece. Io non voglio correre, Robert, per me è importante e se ti ho dato questa impressione, scusa, non era nelle mie intenzioni, ma io non me la sento. Se è questo che pensavi di questa serata, mi spiace deluderti, forse è meglio che vada.” Feci per alzarmi, ma mi bloccò, afferrandomi per il polso, e mi trascinò su di lui, mi fece sedere sulle sue gambe, mi baciò teneramente sulle labbra. “Scusa, non avrei dovuto saltarti addosso, ma non è semplice per me, perché mi piaci molto.” Lo guardai stralunata “E va benissimo se non corriamo. Pensa che prima di vederti davanti quella porta anche io avevo pensato la stessa cosa, che fosse importante e quindi non andavano bruciate le tappe, ma poi tu ho visto e le tue labbra, i tuoi occhi, il tuo corpo e …” Gli poggiai due dita sulle labbra e poco dopo le sostituii con la mia bocca. Aveva parlato troppo e mi era bastato per capire che lui aveva capito, che mi aveva capito. “Così non mi aiuti, però.” Ridacchiai. Non mi era mai capitato e sentirselo dire da un ragazzo come Robert, Robert Pattinson, che di ragazze ne poteva avere quante voleva, era ancora più sorprendente. “Ti prendi gioco di me?” Negai scuotendo la testa “No, solo che mi sembra strano.” “Strano cosa?” Le sue mani avevano preso saldamente posto sulla mia schiena ormai da quando ero finita seduta sulle sue ginocchia. “Che un ragazzo, che tu, insomma che ti piaccia così tanto da …” “Da non riuscire a resisterti?” annuii, era imbarazzante. “Ma chi hai conosciuto fino ad adesso, scusa? Saranno stati tutti ciechi e stupidi, perché non c’è altra spiegazione. No, dico, ti sei vista allo specchio con questo vestitino? Sei di una bellezza sorprendente.” “Non esagerare.” Ero arrossita, sicuramente “Non esagero, sei bellissima: hai dei capelli meravigliosi, i tuoi occhi grandi sono così profondi e luminosi ed espressivi, le tue labbra, oh le tue labbra sembrano fatte solo per essere baciate e hai un corpo bellissimo, una pelle profumata e di un colore vagamente esotico che ti rende molto affascinante.” Mi lasciai sfuggire un risolino tremulo. Mai nessuno mi aveva fatto tutti quei complimenti, mai nessuno aveva trovato bella me, di solito ero quella che passava inosservata, che al massimo poteva essere la migliore amica, niente di più. “Non avevo mai baciato nessuno.” Era un’ammissione che mi era sfuggita così, senza preavviso, senza controllo. Mi sorrise “Questo mi rende vagamente felice, ma mi stupisce, lo ammetto.” “Perché?” “Perché sono felice di averti dato il tuo primo bacio, ma mi sorprende che non sia mai avvenuto prima.” “Per i miei anni?” “No, perché sei bella. Dimmi chi hai conosciuto fino ad adesso, perché saranno tutti scemi se non ti hanno mai notata.” “Forse non sono degna di nota.” “La smetti di sminuirti? Sei molto degna di nota, ma in fondo mi ritengo fortunato se hai incontrato solo degli stupidi, perché ti hanno lasciata tutta per me.” E mi baciò di nuovo, delicato, dolce. Mordicchiò il mio labbro, mi fece schiudere la bocca, lasciò che le nostre lingue si incontrassero, si sfiorassero e si riconoscessero. Affannati, ci scostammo e sorridevamo felici e luminosi, sì luminosi. “Mi piacciono i tuoi occhi.” Glielo dissi fronte contro fronte “Lo sai che ho gli occhi verdi?” “Lo vedo.” “Sai che il protagonista del racconto che hai scritto ha gli occhi verdi?” “Si.” Non c’era bisogno di aggiungere altro. “Bene. A proposito, mi è piaciuto molto, sono curioso di saperne di più.” “Si, ma che ne dici di metterci a tavola?” Annuì, mi fece alzare e mi fece accomodare a tavola. Poco dopo arrivò la cena. “Allora, raccontami.” “L’ho scritto più di un anno fa, ma sto pensando da un po’ di farlo diventare qualcosa di più di un semplice racconto. Sto coltivando l’idea di farne un romanzo, ma il tempo è poco e il progetto procede con fatica, ma procede.” “Mi ha sorpreso molto, è una bella idea e sono sicuro che il romanzo sarà ancora meglio.” “Lo spero, certo in italiano rende meglio.” “Ma rende ugualmente. Come ti è venuta l’idea? Cioè cosa ti ha ispirato per scriverlo e per scriverlo così? sono curioso.” “Emm … stavo guardando il video della canzone di Adele.” Lo guardai eloquente e capì “Someone like you.” “Già.” Mi sorrise, regalandomi un meraviglioso spettacolo. Ero a cena nella camera di Robert Pattinson, che mi aveva baciata, mi era quasi saltato addosso, che trovava il mio racconto bello, che trovava bella me, che sorrideva a me e che mi faceva battere il cuore a una frequenza inaudita. “Il video è in bianco e nero e lei cammina sola e triste. Ho cominciato da lì, poi è venuto naturale procedere, fare evolvere la scena e la storia. È stano, non so nemmeno spiegarti cosa succede e come, ma succede ed è bello.” “Credo che il tuo romanzo avrà successo.” “Spero di finirlo prima, poi vedremo.” “Prometti che me lo farai leggere.” Era la richiesta di un legame duraturo, era la richiesta di un futuro che vedesse me e lui in qualche modo legati. “Si.” E risposi a tutte le domande, anche quelle non dette.
Ci ritrovammo sul divano, l’uno di fronte all’altro, come quella prima sera, ci ritrovammo a parlare di noi, dei nostri gusti, dei suoi viaggi e dei posti che invece io avrei voluto visitare, delle impressioni su Roma e su quel soggiorno. “Mi piacerebbe vivere a Parigi, almeno per un periodo della mia vita.” “Ci sei ma stata?” Negai con la testa “Non ti ho mai chiesto del tuo nome.” “I miei genitori e la loro passione per il francese. Credo che Héloïse nello specifico fosse la protagonista di un romanzo che mia madre adora.” Dissi sollevando le spalle “Anche mia madre adora la letteratura francese.” “A si? Com’è tua madre?” “Una donna risoluta la definirei, un capo severo.” Sorrise furbo “Lavoravi per lei.” Annuì “Si, lavoravo per lei, ma fare il modello non era la mia vera ispirazione. Fu con mia mamma che visitai alcune città come Milano o Parigi, le capitali europee della moda. Parigi è veramente molto bella, è una città molto romantica, ma sa offrirti molto altro.” “Quanto hai viaggiato, Robert?” “Molto, ma tornare a casa è sempre bello. Quando sei lontano ne capisci veramente il valore. E poi Londra è Londra!” Gli sorrisi “Quando hai capito che avresti voluto fare l’attore?” E mi raccontò dell’inizio della sua carriera, delle porte sbattute in faccia, degli studi, dei sacrifici, dei primi si e finalmente dei primi successi “Non pensavo che accettare la parte di Edward Cullen mi avrebbe portato a tutto questo.” “Non ne sei felice?” “Oh, Héloïse, io ne sono molto felice, faccio quello voglio fare, faccio un lavoro che amo molto, che mi ha permesso di incontrare gente straordinaria, i miei idoli, quelli che spesso mi ero ritrovato a sognare di incontrare e ora lavorano al mio fianco o mi incontrano e mi reputano un loro pari. È un mondo bellissimo, anche se difficile e a volte ostile, ma io sono felice. A volte preferirei avere un po’ più di privacy, un po’ più di discrezione da parte delle fan.” “Posso capire che sia stressante avere sempre gli occhi puntati addosso.” “E una moltitudine di ragazzine urlanti che ti sta attaccato, chiedendo di essere morse. Se solo capissero che Edward Cullen è solo un personaggio, che non sono veramente io.” “Ma devi ammettere che gli hai dato una bella impronta.” Mi sorrise “Ne sono fiero, ma sono anche andato avanti, sono cresciuto, ho fatto altro.” “Capisco, non vuoi essere relegato in un personaggio, che fa comunque parte di te, ma che non è te.” “Già.” Lasciai cadere il discorso, perché capivo che per lui era una nota dolente. Edward Cullen era stata una parte della sua vita, una parte importante, ma ora era andato oltre e sapere che sempre, ovunque andasse, tutti lo associavano a lui doveva essere fastidioso. Sapevo anche che quel periodo della sua vita non era stato sempre felice e non per qualcosa legato al suo lavoro, ma per alcuni legami creati con i colleghi conosciuti sul set. Sentii una strana fitta a quel pensiero. Cos’era? Gelosia? Inoltre c’era un altro piccolo problema: io amavo Edward Cullen, il personaggio, mi piaceva l’impronta che lui gli aveva dato, mi piaceva la sua interpretazione e sapere che per lui era brutto che qualcuno lo associasse al tenebroso vampiro in un certo senso mi deludeva e mi faceva sentire a disagio. Io capivo la differenza tra il personaggio e la persona e Robert mi piaceva perché era Robert e basta, come persona, ma sapere che quasi odiava il personaggio, un personaggio a cui ero legata, mi faceva male. “Credo sia arrivato il momento di andare.” Feci per alzarmi, ma me lo impedì. Si avvicinò e mi passò la mano sulla guancia “Perché non resti?” lo guardai allarmata “Tranquilla, solo per parlare e passare un po’ di tempo insieme, poi andiamo a dormire.” Cosa fare? Avrei voluto rimanere, ma cosa sarebbe successo? E quel senso di disagio che mi aveva accompagnato negli ultimi minuti sarebbe scomparso? Mi diede un bacio delicato sulle labbra e mi sorrise e così decisi. “OK.” Questa volta il bacio fu più profondo. Era il suo modo di ringraziarmi. “Non dovevamo parlare?” chiesi senza fiato. Mi stavo lamentando? No era solo un modo per stemperare la tensione. Mi sorrise in un modo così sensuale e bello che feci fatica a non riappropriarmi di quelle labbra. “Più o meno.” Per fortuna mi baciò lui e io ne approfittai per accarezzargli i capelli e la nuca e la linea delle spalle. Aveva un corpo bellissimo, non che fossi un’esperta ma certe cose di vedono e si sentono, a giudicare dalla linea dei suoi muscoli. Stavo andando in fiamme, soprattutto se lui continuava a tracciare in punta di dita lo scollo a V del vestito che mi lasciava scoperta una parte della mia schiena. “OK, ok …” fece allontanandosi e scoppiammo a ridere.
Passammo altre ore a parlare di noi. Avevo avvisato Gianni che non sarei tornata a casa con un sms, lui mi aveva risposto solo con un “Stai attenta”. Gianni in tutta quella storia si stava rivelando un cugino maggiore protettivo, ma senza mai esagerare, ma soprattutto un grande amico. Decisi che il giorno dopo avrei parlato a cuore aperto con lui, ne avevo bisogno più che altro io, perché credevo che quella sera mi avrebbe rivelato quanto in realtà profondo fosse quello che provavo per Robert. Lo stesso Robert che mi stava studiando in quel momento “Dicevi?” si mise a ridere “Che a volte ti estranei, vai nel tuo mondo e non ascolti nulla.” “Scusa. Si, è vero, a volte finisco in un mondo tutto mio.” “E com’è questo mondo?” “Confuso, spesso catastrofico e pessimista, ma alcune volte romantico e meraviglioso.” Mi sorrise di nuovo. Non potevo ancora crederci che quel sorriso fosse tutto per me, solo per me quella sera. Quante volte lo avevo visto sullo schermo e avevo desiderato di poterlo vedere dal vivo? E ora non solo era dal vivo, ma era per me, solo per me. “Lo hai fatto di nuovo.” “Colpa tua.” Aggrottò le sopracciglia. “Emm … “ e lo baciai, di punto in bianco. Rispose al bacio, ma quando ci allontanammo mi guardò truce “Non te la cavi così.” “No?” “NO!” e sbuffando glielo dissi “Mi ero incantata a guardare il tuo sorriso.” Ridacchiò poi mi baciò ancora e ancora. “Perché non mi concedi un ballo?” Lo guardai scettica. Lui si alzò, mise la musica e mi tirò a sé. Era Neutron Star Collision dei Muse, come la prima sera che ci eravamo conosciuti “Scusa per aver interrotto quel ballo.” Gli dissi “Recuperiamo.” E ci muovemmo al suono della musica, le mie mani sulla sua nuca, le sue alla base della mia schiena, ad accarezzare la mia vita, gli occhi negli occhi. Fu un momento magico, mi sentivo in una favola, mi sentivo proprio come Cenerentola. “Sei bellissima.” Me lo disse sulle mie labbra, prima di farle sue. Sentivo il cuore battere così forte, così insistente che pensai potesse uscirmi dal petto. La musica finì e noi ci staccammo con fatica. Mi sorrise e gli diedi un bacio a stampo. “Andiamo a dormire?” Guardai l’orologio ed era effettivamente tardi. “Ti do qualcosa di comodo.” Mi prese una maglia e un paio di pantaloni. Mi intrufolai in bagno per metterli. La maglia mi stava grande e i pantaloni ancora di più. Annusai il suo profumo. Avevo sempre sognato un momento come quello: sentire il profumo del tuo ragazzo sulla maglia che indossi. Il tuo ragazzo? Il mio ragazzo? Robert era questo? Uscii dal bagno in fretta prima di essere travolta dalle domande e lo trovai steso sul letto che mi aspettava. Ebbi un flash: Breaking Dawn parte prima. Deglutii e mi avvicinai piano, mi stesi sul letto, rigida e cercai di non guardarlo. “Che succede, Héloïse?” Mi feci più piccola, se fosse possibile “Héloïse?” mi chiese lui con rimprovero. Sbuffando sollevai gli occhi su di lui e ritornai a deglutire con fatica. Si stese completamente e si avvicinò a me, circondando la mia vita con le sue braccia e tirandomi verso di sé. Mi diede un tenero bacio sulla punta del naso “Me lo dici?” scossi la testa e lui mi guardò con occhioni da cucciolo. Era difficile dire di no a quella scena, ma che potevo dirgli? “Dormiamo.” Dissi io “E dormiamo.” spense la luce e ritornò a sdraiarsi tirandosi il lenzuolo. Seguivo i suoi movimenti nel buio, mi tirai un poco il lenzuolo pure io e ripresi la mia posizione immobile, mentre lui ritornava fermo. Pensai che non mi avrebbe più stretta, che lo avevo offeso in qualche modo. Sembrava sempre infastidito quando non gli dicevo le cose, quando non esprimevo i miei pensieri. “Robert?” lo chiamai piano. Lui in un fluido movimento ritornò a stringermi la vita e mi portò contro di se, facendo appoggiare la testa sul suo petto. Mi rannicchiai avvolta nel suo profumo; contro il calore del suo corpo scoprii il tamburellare del suo cuore “Lo senti?” mi sussurrò tra i capelli. Annuii contro il suo petto, senza pronunciare parole che avrebbero potuto rovinare tutto “Mi fai uno strano effetto, Héloïse, e mi fa paura.” Sentii il mio cuore accelerare a quelle parole “Mi hai ricordato una scena del tuo film.” Perché avevo detto quello dopo che lui mi aveva confessato una cosa così importante? Perché avevo paura anch’io e allontanare l’argomento era come allontanare la paura, almeno mi illudevo che fosse così. “Edward …” sbuffò lui. Ecco, avevo rovinato tutto, maledetta linguaccia e maledetti pensieri contorti. “Robert non Edward. Ci sei tu qui con me e se mi hai ricordato quella scena è perché c’è molto di te in quel momento in Edward non trovi?” Ridacchiò “Ti sembra strano che pensi questo?” ricercai i suoi occhi nell’oscurità e ovviamente non li trovai, ma li immaginai. “No, solo che tutti cercano Edward in me e mai me in Edward.” “Te l’ho detto che secondo me gli hai dato una bella impronta.” “Grazie.” Mi baciò sulla fronte prima di attirarmi di nuovo completamente a se. Io non me ne lamentai, mi sentivo sicura e protetta tra le sue braccia, a respirare il suo odore e tra il bussare del suo cuore mi addormentai.

*La storia è totalmente inventata e con questa non voglio recare offesa a nessuno.

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Capitolo 8
*** Risvegli ***


VACANZE ROMANE
 
Risvegli
 
“Buongiorno.” Sussurrò con la voce impastata dal sonno. Mi voltai a guardarlo: era maledettamente sexy con quell’aria assonnata, i capelli scompigliati, la maglia stropicciata, un piede che sbucava dal groviglio di lenzuola. “Buongiorno.” Gli sorrisi “Ma che ore sono?” controllai io “Troppo presto per te, ma io non riesco a dormire fino a tardi.” Fece per alzarsi “Che fai? Torna a dormire.” Gli dissi “Ma tu che fai?” sollevai le spalle, notando solo in quel momento che la sua maglia troppo larga mi era scivolata completamente lasciando la mia spalla scoperta, mentre il piede poggiato sulla sedia si era tirato i pantaloni fino a coprirlo. Mi raggiunse e mi baciò sulla spalla “Scrivo.” Era quello che facevo da quasi un’ora nella penombra della sua stanza “Torno a dormire un po’, Donna dell’alba.” Ridacchiai e ripresi a scrivere. Lo feci per molto tempo, sbirciando di tanto in tanto Robert che dormiva beatamente sul letto della sua camera d’albergo. Avevamo dormito tutta la notte abbracciati, mi sentivo impregnata del suo profumo e la cosa mi piaceva da matti. Mi ero svegliata presto, come sempre, ma stranamente ispirata, come non lo ero da tempo, avevo voglia di scrivere. Il mio progetto di romanzo prendeva forma sempre di più e ne ero felice. Forse un giorno avrebbe visto la luce. Ritornai a guardare Robert. Era meraviglioso guardarlo dormire, era meraviglioso in qualsiasi momento. Sarebbe stato bello poter vivere sempre così, ma decisi che non era il momento di lasciarsi prendere dai pensieri, avevo deciso di godermi ogni istante per quello che sarebbe stato.
“Buongiorno.” Sobbalzai “Che fai?” Mi chiese mentre si faceva posto sul divano per poi accogliermi tra le sue braccia “Stavo curiosando e ho beccato questo film.” Ridacchiò “Sei una fanatica dei vampiri?” lo fulminai con lo sguardo “Non toccarmi Damon Salvatore.” Poi scoppiai a ridere. Avevo trovato una puntata di The Vampire Diaries qualche minuto prima mentre facevo zapping. “Allora la cosa è seria.” Mi scostò i capelli dal collo e dopo aver strusciato il naso fece per mordicchiarlo. Io rabbrividii e mi feci improvvisamente seria “Serissima.” Mugugnai spingendomi a lui e intrecciando le dita alle sue. “Profumi di me.” soffiò sulla mia pelle, che ormai era percorsa da continui brividi. “Ho fatto una doccia, ti dispiace?” dissi roca “Mi spiace che tu l’abbia fatta senza di me.” mi voltai appena per ricercare le sue labbra e consentire che si unissero alle mie in un bacio famelico e possessivo come pochi. Lo spinsi, lo strinsi, forse lo graffiai, poi lo guardai affannata, con il cuore che batteva a mille. E squillò il telefono. Proprio il momento adatto. Ero sul punto di cedere, di cedere definitivamente a lui e al desiderio che provavo, ero pronta a lasciare da parte tutte le mie paure e insicurezze. Robert sbuffò e si alzò per rispondere. Lo vidi andare su giù per la stanza, sempre più contrariato e nervoso. Quando chiuse la telefonata era di umore nero “Perdonami, ma mi hanno spostato un impegno per stamattina e devo andare, sono costretto ad andare. Purtroppo non so nemmeno a che ora finirò.” Mi alzai e gli andai incontro, intrecciando le mani sulla sua nuca e posandogli un delicato bacio sulle labbra. “Tranquillo, lo so che sei un uomo molto impegnato. Dammi due minuti di tempo e sarò fuori di qui in un baleno.” Lui mi attirò a sé “Puoi restare un poco più di due minuti. Anzi vorrei proprio chiudere tutto il mondo fuori e restare qui con te. Ma non posso.” Soffiò sulla mia pelle “Mi basta sapere che lo vorresti.” E nuovamente posi le labbra sulle sue in un bacio che di delicato aveva ben poco.
Pochi minuti dopo ero fuori dalla sua stanza, con un Robert riluttante a lasciarmi andare e io che sbuffavo come una locomotiva, ma potevamo farci ben poco. Uscii dall’albergo e notai un gruppo di fotografi piazzati accanto all’ingresso, pronti per qualche scatto. Io passai indisturbata, ero una persona qualunque che usciva da un albergo di lusso, non aspettavano me, ma qualcuno si azzardò ad avvicinarsi “Sa con chi ha diviso l’albergo, lo ha visto?” scossi la testa cercando di superarlo e l’uomo mi bloccò mettendosi di fronte a me “Pattinson, parlo di Pattinson …” ma le sue domande furono bloccate da un brusio confuso alle nostre spalle. L’uomo mi abbandonò di colpo per raggiungere i colleghi intenti a fotografare e assalire qualcuno in uscita dall’albergo. In quel momento, osservando Robert in camicia bianca e giacca nera, bello e sexy da morire, mi resi conto di come i nostri mondi fossero così diversi e lontani, ma per quanto distanti si erano incontrati, sfiorati e scontrati e per quanto mi riguardava si erano fusi, ma non sapevo per quanto tempo ancora. Mi allontanai, con il suo volto basso, di fretta, un poco infastidito, stampato nella mente.



Scomparso, nessuna traccia di lui, né un sms, né una telefonata. Per un giorno intero. Ero arrabbiata, delusa, triste e molte altre cose tutte tristi. Avevo pure versato qualche lacrima, che stupida. Io mi stavo per concedere totalmente a lui e lui cosa faceva? Era scomparso. Ci eravamo detti cose importanti, ci eravamo guardati scambiandoci informazioni importanti e lui era scomparso, per un giorno intero. Sapevo che era impegnato, che lavorava, ma mi era sembrato di capire che gli seccasse lasciarmi la mattina precedente, dopo avermi stretta tutta la notte, dopo avermi baciato in quel modo e toccato in quel modo e parlato in quel modo. E se gli fosse successo qualcosa? Avevo pure avuto quel dubbio, ma si sarebbe saputo subito se un certo Robert Pattinson avesse avuto un incidente, un attentato, qualsiasi altra cosa. Una morsa di paura e terrore mi chiuse totalmente lo stomaco e mi assalì la nausea fino all’ora di cena, quando tornò Gianni da lavoro con in mano un cartone di pizza. Ero rimasta chiusa in casa sua dal pomeriggio precedente. Dopo aver lasciato l’albergo di Robert, dove avevo passato la notte, ero andata dritta in ufficio da Gianni, avevamo preso un caffè e gli avevo raccontato tutto: i miei dubbi, le mie emozioni e avevo chiuso con un “Credo di essermi innamorata”, tremante, impaurita, ma felice. Come mi ero pentita di essermi lasciata trascinare a quel modo. Poi avevo fatto un giro per Roma, senza effettivamente vedere nulla, con un sorriso stampato in faccia come una scema. Ero tornata a casa ancora euforica, avevo cucinato, mangiato e mi ero riposata in attesa di un sms che non era mai arrivato e che dopo più di 24 ore non era ancora arrivato.
“Come va?” scrollai le spalle con finta indifferenza. “Mangiamo, poi ti fai una doccia e usciamo a bere e non voglio scuse.” Guardai Gianni e capii che non avrei veramente potuto dirgli di no. Feci quanto mi disse: anche se non avevo fame, mangiai un pezzo di pizza, poi feci la doccia e mi vestii in modo semplice. Gianni mi portò in vari locali ad ascoltare musica assordante, a bere qualcosa, il più delle volte analcolico (non ero tipo da tanto alcol e non volevo assolutamente ubriacarmi, considerando che di solito diventavo triste in quelle condizioni e non mi sembrava il caso di diventare più triste di quanto ero già). Mi ero innamorata di un ragazzo irraggiungibile. Ma come mi era saltato in mente? Sbuffai. Solo dieci giorni a Roma e avevo combinato un disastro. Mi conoscevo e non avrei dimenticato Robert tanto facilmente, sapevo che avrei passato mesi a fantasticare e, inevitabilmente, a soffrire. “Basta, Héloïse, basta. Non ti meriti questo.” Gianni mi scrollò le spalle “Gianni, non posso farci nulla. Hai mai sentito la frase al cuor non si comanda?” e fu in quel momento che lo vidi. Non so nemmeno come successe, era effettivamente poco probabile. Una ragazza seduta accanto a me al bancone di un locale sbirciava un sito sul cellulare, parlottando con la sua amica e puntando una foto. Sgranai gli occhi e come una pazza mi avvicinai “Scusa, potrei sbirciare.” La ragazza mi guardò strano, poi mi sorrise “Fai pure … non è un figo da paura? Certo, peccato che ci sia questa accalappiata a lui.” Ingrandii la foto e lui era lì: usciva da non so dove con una ragazza al braccio che lo guardava adorante. “Cosa … cosa dice?” balbettai incredula, mentre Gianni si avvicinava “Héloïse, lascia stare.” Lo fulminai e capii, capii che lui lo sapeva. Come pensava di tenermelo nascosto? “TU …” lo guardai furiosa. Mi trascinò fuori e cominciò a camminare, senza lasciarmi il polso. Io cercai di divincolarmi senza riuscirci. “L’ho visto poco prima di tornare e non sai come vorrei prendere a pugni quel cretino. Ho dovuto pure occuparmene perché ci ha scombussolato un poco di lavoro e progetti. Idiota.” Ringhiò “Ma soprattutto lo prenderei a pugni per quello che ti sta facendo.” Ci fermammo non so nemmeno su quale ponte sul Tevere. Io tremavo “Te lo volevo dire appena arrivato a casa, ma poi ti ho visto in quello stato e ho pensato che uscire ti avrebbe distratto un poco. Te lo avrei detto appena saremmo rientrati.” Lo guardai ed era veramente dispiaciuto “Scusami.” Dicemmo contemporaneamente e ci abbracciamo, lui mi cullò tra le sue braccia e io singhiozzai. Tornammo a casa in silenzio, a piedi, immersi nei nostri pensieri. “Mi dici perché è qui?” chiesi. Gianni sbuffò sedendosi sul divano “Lo vorrebbero ingaggiare per un film, ma alcuni componenti non erano convinti, alcuni dello staff, ma ha convinto tutti con le sue doti. Bastardo, attore della …” “Gianni!” lo interruppi. Ridacchiò “Ecco la mia adorabile cuginetta dittatoriale e maestrina.” Gli diedi un pugno sul braccio sbuffando una risata tremolante “Posso dire che è bravo, ha recitato bene anche con me.” Gianni mi abbracciò di nuovo “Quelle foto sono state scattate stamattina di fronte al suo albergo. Héloïse, è giusto che tu sappia. Non abbiamo idea di chi sia ed eravamo convinti che non fosse legato con nessuno, sai queste cose sono importanti da sapere nel nostro mondo, per organizzare, per …” “So che sfruttate quando una persona è considerato lo scapolo d’oro per attrarre le fan scatenate, non mi devi spiegare nulla.” “È un po’ più di questo, ma non voglio annoiarti con queste cose. Voglio solo dirti che non sappiamo chi sia, non è sua sorella, né un’amica, n’è una sua parente. Non abbiamo idea. Devi saperlo.” “Ho capito, Gianni. Potrebbe essere la sua fiamma e …” tremai “Mi ha preso in giro, si è preso una parte di me e mi fa male, mi fa male essermi fidata di lui ed essermi innamorata di lui, fa male e so che ne soffrirò ancora per un po’.” Gianni mi portò al suo petto “Passerà, Héloïse. Non ti dico che sarà facile, ma passerà, sei forte e sei più di questo e quel cretino non sa che si perde. Vorrei … vorrei proprio prenderlo a botte.”

*La storia è totalmente inventata e con questa non voglio recare offesa a nessuno

ANGOLO AUTRICE: per farmi perdonare avrei dovuto scrivere un capitolo chilometrico e così non è ... avrei dovuto scrivere una nota lunghissima e così non è. Non so nemmeno che cosa dirvi ... è stato un periodo stressante, difficile e pieno di impegni. Sono qui, per poco e per qualcosa che non mi soddisfa in pieno. Sto provando a rimettermi a scrivere ma ho pochissimo tempo. Spero che questo titolo sia di buon auspicio, che sia un Risveglio alla scrittura per me (Ovviamente i risvegli nel capitolo sono due: quello dolce e coccoloso e quello brusco, nel notare quanto siano distanti i loro mondi). Spero di portare a termire la storia molto presto, non mancano molti capitoli e spero di non farvi aspettare così tanto come per questo. Perdonatemi. Vi ringrazio se siete ancora qui. Un grazie a chi ha sempre recensito questa storia e chi continua a leggere. Baci.

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Capitolo 9
*** Epilogo ***


Ci siamo, ci siamo ... Felicità!!!!! Scusate per il ritardo. Ecco a voi l'epilogo.
BUON ANNO, BUONA EPIFANIA E BUON RIENTRO.
 

Vacanze Romane
 

Epilogo
 
Passarono due giorni ... Non potevo farmi rovinare così. Ripresi a visitare Roma. Mi mancava solo un giorno e poi sarei ritornata a casa. Sarei stata lontana, avrei dimenticato tutto, con il tempo avrei seppellito quello che provavo per lui e forse tutto sarebbe rimasto solo un aneddoto da raccontare. Avevo dato il mio primo bacio a una star internazionale e mi ero innamorata di lui. Sì, con il tempo, molto tempo, sarebbe divenuta una storia carina da raccontare, magari un giorno lo avrei raccontato ai miei nipoti. Per il momento la delusione e la tristezza prevalevano, ma avevo deciso che non potevo assolutamente predominare. Gianni stava lavorando come un matto in quei giorni, proprio per il film in cui ci sarebbe stato Rob … no Mr. Pattinson. Aveva provato a parlarmi ancora di lui, ma io mi ero rifiutata e, preso dal suo lavoro, aveva finito per rinunciare. Mi aveva invitato a una serata e io avevo accettato. Dovevamo festeggiare l’ultima mia sera a Roma. Così, rientrata da una lunga passeggiata, mi feci una doccia e mi preparai. Avevo comprato quello stesso pomeriggio un vestito nuovo, con scollo a cuore e piccoli ricami bianchi su sfondo blu, che scendeva morbido fin sopra il ginocchio. Avevo indossato i tacchi color carne e preso la borsetta di cuoio. Gianni mi comunicò il luogo e io mi avviai con un taxi.
Avevano fatto le cose in grande, questo era certo: tappeto rosso, scalinata, giornalisti appostati. Osservai tutto dalla vetrata della sala in cui mi trovavo. Io avevo percorso quella scena minuti prima, quando ancora non c’era quasi nessuno. Gianni lavorava in modo frenetico e non lo avevo ancora visto, quindi io mi aggiravo per la sala ancora quasi del tutto vuota, una sala di un lussuoso albergo, finemente addobbata per la festa. Le persone dello staff si aggiravano frenetiche, mentre io, ormai all’esasperazione, avevo abbandonato la sala per aggirarmi indisturbata per l’albergo. Composizioni floreali, ricchi drappeggi e mobili raffinati caratterizzavano gli ambienti che, deserti, visitavo. Vagavo senza meta, con una strana sensazione che mi serpeggiava nelle vene, sarebbe successo qualcosa, lo sapevo e la mia mente non faceva che elaborare possibili scenari e, purtroppo per me e il mio umore, erano tutti molto simili e presentavano sempre un volto. Come se si fosse sentito richiamato, quel volto apparve reale nel mio campo visivo. Era bello, incredibilmente bello, come lo avevo sempre visto su riviste, foto e film e come ormai lo avevo visto in quei pochi giorni, che però erano stati sufficienti per farmi capitolare il cuore. “Héloïse.” Disse solo il mio nome, che sulle sue labbra aveva un fascino particolare, che mai avevo pensato potesse avere; e si avvicinò. Io rimasi immobile mentre mi lasciavo scrutare dai suoi profondi occhi verdi(1), mentre le immagini di noi due insieme ruotavano in continuazione nella mia mente, come dimenticando gli ultimi giorni di delusione. Che brutti scherzi fa la mente, ma soprattutto il cuore. Mi giunse di fronte, a pochi centimetri da me, ci osservammo a vicenda, studiandoci, fino a che lui non prese il mio volto tra le mani e mi baciò. Un bacio impetuoso, passionale, che io non rifiutai, ma anzi al quale risposi con tutta me stessa, con tutto l’amore e il desiderio e con tutta la rabbia, che presto mutò in uno schiaffo. Si ritrasse di scatto ma senza lasciare il mio volto. “Guardami … guardami, Héloïse.” Mi disse. E io lo feci, non potevo fare altrimenti e con fatica trattenevo le lacrime. Non dovevo piangere, non se lo meritava. “Lei non significa niente, Héloïse. Guardami.” Continuava a ripeterlo e io lo facevo, restando in silenzio e lasciando che quelle parole si depositassero dentro di me e avessero effetto. Ma io ero solo confusa. Non significava nulla, ma era scomparso; Non significavo nulla nemmeno io? Eppure era lì a implorarmi; Era un attore e stava recitando o era sincero? “Cioè lei significa qualcosa, ma non nel modo che pensi tu. Devi credermi, Héloïse.” Dovevo credergli? Ero così confusa. Mi limitavo a fissarlo ad occhi sbarrati. Pensandoci dovevo sembrare un poco idiota. “Mr. Pattinson.” Qualcuno lo chiamò, ma lui non si voltò se non dopo che quella voce ripeté il suo nome un paio di altre volte. “Un attimo.” Rispose scocciato, mentre ancora si rifiutava di lasciare il mio volto, intrappolato tra le sue mani. Ritornò a guardarmi. “L’aspettano.” Nemmeno avevo guardato chi lo stesse cercando. “Ho detto un attimo.” Questa volta nemmeno si disturbò di voltarsi, continuò a mantenere il suo sguardo fisso sul mio. “Vai …” mi risvegliai “Non prima che tu mi abbia detto che mi perdoni.” E rimase immobile, come promesso. “Perdono? Perdono per cosa, Mr. Pattinson?” Come faceva male a me e lui pronunciare quel “MR PATTINSON” e non il suo nome; mi bruciava la gola e la delusione nei suoi occhi era così evidente. “Ti dovrei perdonare per essere sparito dopo che quasi come una stupida stavo per concedermi a te? Per cosa dovrei perdonarti esattamente, Mr. Pattinson? Per essere stato con una donna dopo che ci eravamo baciati in quel modo? Non me ne frega un cavolo di quello che vuoi tu, Mr. Pattinson. Mi dovrei prendere solo a sberle per essere stata così stupida tanto da fidarmi di te. Che pretendevo? Che una star trofia e piena di sé potesse essere interessata a me? Sono stata stupida, no? Ma devo ammettere che sei stato un bravo attore. Complimenti, Mr. Pattinson. E ora vai, altrimenti Gianni avrà problemi e sicuramente è quello che meno deve pagare per questa storia, anche se vorrei prenderlo a schiaffi per avermi trascinato qui oggi.” Non mi lasciava andare, non si spostava nonostante quanto gli avessi appena detto. Continuava a tenere il mio volto intrappolato tra le sue mani, in una presa decisa, ma non prepotente. “Robert, ti prego, dobbiamo andare.” Fu Gianni a strapparci da quello stallo dove eravamo finiti. Gli poggiò le mani sulle spalle e piano lo allontanò da me, affidandolo al signore che, invano, era venuto in precedenza a chiamarlo. Lui riluttante lasciò la sala, sapientemente scortato, mentre io rimasi con mio cugino e lo guardai in cagnesco “Robert?” fu l’unica parola che riuscii a sputare con rabbia “Si, Robert.” Fece indifferente lui “E da quando?” lo guardai ancora peggio, se possibile “Da sempre, ma diciamo che abbiamo fatto amicizia dopo che ho provato a prenderlo a pugni per la qui presente, ma è un energumeno quindi gli ho solo fatto il solletico. Ora vorrei stare qui a raccontarti tutto per filo e per segno, ma non ho né il tempo né la voglia, quindi andiamo di là … e non odiarmi troppo.” E mi trascinò letteralmente indietro nella prima sala “Amici … me la pagherai.” “Si, si, dopo Héloïse.”
Una conferenza stampa. Presentavano il lavoro a cui avrebbe preso parte Mr. Robert Pattinson, lavoro che lo avrebbe portato per molti mesi in Italia, lavoro a cui avrebbe partecipato anche mio cugino. E io me ne stavo ai margini di quella sala, così come ero consapevole di essere al margine di quel mondo patinato e luccicante che è il mondo del cinema. Me ne stavo ai margini, con il braccio di mio cugino saldamente ancorato alle mie spalle, come se avesse paura che scappassi, io imbronciata, lui felice e orgoglioso di vedere tutti quei giornalisti scannarsi per fare domande a Mr. Pattinson e gli altri. “Mr. Pattinson, è felice di dover passare così tanto tempo in Italia, così lontano dalla sua solita vita e dai suoi affetti?” era stata una donna a porre la domanda, sulla quarantina, con splendidi capelli rosso fuoco, tagliati in un simpatico caschetto. “Come potrei dirle di essere infelice? L’Italia è un paese meraviglioso, custodisce bellezze e tesori spesso sottovalutati e nascosti. Il mio lavoro mi ha spesso portato lontano dalla mia terra e dai miei affetti, anzi ormai da tempo torno a casa poche volte, ma sicuramente non sarà questa la volta in cui sarò più triste di stare lontano dalla mia solita vita. Anzi, voglio approfittarne per visitare l’Italia, anche e soprattutto quei posti meno conosciuti. Per esempio mi hanno parlato molto della Sicilia; ecco, quella è una terra che vorrei visitare.” E mi fissava insistentemente, come se in quella sala ci fossimo solo io e lui e nessuna massa di persone a dividerci. Gianni non parlava, non diceva nulla, si limitava a tenermi ancorata a sé. “E ci sarà qualcuno ad accompagnarla?” questa volta fu un uomo a porre la domanda “Il Signor Pattinson non risponde a domande personali.” Rispose Philip, ma lui, Mr. Pattinson, lo bloccò “No, intendo rispondere a questa domanda. No signori, non mi accompagnerà nessuna persona in particolare, non che io non vorrei. Ci sarebbe qualcuno che vorrei al mio fianco adesso, nei prossimi mesi e sempre, se possibile, ma ho combinato un casino e quindi non so se lei mi perdonerà mai.” Un brusio si levò dalla sala, i giornalisti si guardavano tra loro e scribacchiavano frenetici sui loro blocchi o sui loro tablet. Robert mi fissava, si Robert, al diavolo Mr. Pattinson. Io mi voltai a guardare Gianni, che non si era minimamente mosso, e mi fece un sorrisetto beffardo, come se lui sapesse cose che io non sapevo. Sbuffai spazientita. Ero io che mi ero rifiutata di ascoltare tutto e tutti, avevo spento il cellulare, negato di parlare con Gianni, mi ero chiusa in me stessa per non soffrire, ma in quel momento avrei voluto sapere e mi infastidiva terribilmente quella sorta di muro che mi trovavo di fronte. “E se ve lo state chiedendo, non parlo della ragazza che era con me l’altro giorno e che voi avete immortalato.” E la sala si trasformò in una vera e propria bolgia: domande che si accavallavano, mani che sventolavano in alto, gente che parlava tra di loro. Sicuramente si sarebbe parlato di quella conferenza stampa ancora a lungo. Io approfittai della confusione generale per avvicinarmi al tavolo dove erano seduti Robert e gli altri e Gianni mi lasciò andare tranquillamente. Mio cugino sembrava prevedere tutte le mie mosse quella sera e accompagnarle a reazioni perfettamente calcolate. Mi feci spazio tra giornalisti ormai fuori controllo, mentre gli uomini e le donne che si occupavano della gestione della sala tentavano di riportare la calma. Mi trovai praticamente di fronte al tavolo e ci ero arrivata sempre sotto lo sguardo fisso di Robert e di Philip, al suo fianco che pareva controllare tutto. “SEI TU” mimò in italiano come fui praticamente a pochi metri da lui. "SEI TU" ripeté e io in quel momento fui certa che avrei voluto che in quella sala ci fossimo solo io e lui per parlare, capire e ... baciarlo ... si, baciarlo ... era la sola cosa che avrei voluto fare in quel momento, in realtà. Gli sorrisi, "I'M HERE." mimai in risposta io. (2)
 
*La storia è totalmente inventata e con questa non voglio recare offesa a nessuno.


NOTE
(1) Ricordate la mia così detta licenza poetica sul colore degli occhi di Mr. Pattinson, solo per me sono verdi ahahah
(2) Questa scena è ispirata a due scene di due fil molto belli: “Vacanze Romane” con Audrey Hepburn e “Notting Hill” con         Julia Roberts e Hugh Grant
 
Angolo Autrice: Si chiude qui questa storia, questo esperimento. Ringrazio tutti. Mi scuso per il ritardo co cui ho pubblicato gli ultimi capitoli, ma la mia vita ha preso il sopravvento.
Piccola nota finale: ho pensato di chiudere diversamente, di spiegare chi fosse la ragazza con Robert, di capire cosa succederà ai due protagonisti, cosa farà Héloïse, ma ho preferito chiudere così, secondo me era la cosa migliore, un poco come succede nei due film a cui mi sono ispirata per questa scena. Non so, forse aggiungerò un extra dove spiegherò tutto, un poco come nella scena finale di Notting Hill, dove si vede che fine fanno i due protagonisti. Per quanto riguarda questa storia mi piaceva chiudere così. a voi libera immaginazione per il seguito.
È stato bello fare questo esperimento, di solito scrivo solo originali. Anche se un poco questa storia lo è, del resto, purtroppo, non conosco Robert Pattinson e non mi sono ispirata a nessun fatto reale. Spero solo che un poco somigli al mio Robert Pattinson. Se qualcuno dovesse incontrarlo ditegli che esiste questa storia e mi riferisca se ci ho preso almeno un poco con il carattere ahahah.
La smetto di blaterare, torno al mio studio, grazie a tutti, ma in particolare a ZIKIKI98 che ha recensito tutti i capitoli fino a qui.

Vi lascio con due ultime cose:
1. Se avete voglia, date un’occhiata alle mie storie
2. Progetti futuri: sto pensando a una sezione di originali da intitolare “Di principi e principesse”. Ho due storie in mente al momento, non so quando e se vedrà mai la luce, io spero di sì. Quindi spero a presto.

 
Chiara

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Capitolo 10
*** EXTRA ***


VACANZE ROMANE -EXTRA-

Lo so, lo so ... nemmeno io avevo creduto alla stesura di un extra, considerando anche quanto ci ho messo a scrivere gli ultimi capitoli.
E invece ...
Ma si sa che i miei deliri da esami sono pericolosi e producono mostri, tra questi un extra scritto al presente e
... niente ... buona lettura.

 
-A che pensi?- mi chiede arricciando una ciocca di capelli sul suo dito. Io sospiro.
-Non te lo dico.- sbuffo.
-Va bene te lo dico, ma solo se non mi prendi in giro.- ridacchia e mi sorprendo al martellare del mio cuore, come se fosse la prima volta, ancora incredula che quel sorriso sia per me. Mi sollevo su un gomito per guardarlo. Siamo stesi sulle lenzuola bianche del letto della nostra camera d'albergo. Inizio a disegnare cerchi sul suo torace nudo e sorrido appena noto il fremito e il sospiro che gli sfugge. Sono io a farlo sentire così. Non ci sono abituata, tutto è nuovo. Si sporge a darmi un bacetto a stampo, ma il mio cuore non ne vuole sapere di adattarsi a lui. I capelli scintillano sotto la luce pallida della luna e so che al di là della finestra svetta la Tour Eiffel. Siamo a Parigi, come avevo sempre desiderato e sono con la persona che amo e che mi ama, ancora fatico a crederci. Sono fermamente convinta di stare sognando.
-Dimmi che sei vero.- ridacchia e mi abbraccia, immergendo le dita tra i miei capelli scompigliati. 
-Dovresti smetterla di chiedermelo e anche se fossi un sogno, ti vorresti risvegliare?- risponde sempre così, ma io che posso farci se sono troppo felice e ho il terrore che tutto questo non sia reale e che da un momento all'altro possa scomparire?
-Devi avere pazienza con una zuccona come me.- Ridacchia facendomi vibrare contro il suo petto e trascinandomi su di lui. Mi tira le lenzuola sulla schiena nuda e io mi adatto al suo corpo, spingendomi a lui e ritornando a disegnare cerchi sul suo petto liscio e muscoloso, tutto per me. Poggio le dita sul pulsare del suo collo, leggermente più accelerato del normale, sono sempre io la causa di tutto ciò.
-Sono pronto a pagarne il prezzo.- e si scioglie in una fragorosa risata, prima di imprigionarmi le labbra con le sue e io mi perdo, i miei pensieri si scompigliano e non c'è più nulla, se non lui e il suo corpo stretto al mio. Divarico lentamente le gambe e sento che è pronto per me e ne gioisco.
-Mi stai distraendo.- ridacchia sulla mia mandibola.
-è il mio obiettivo.- sussurro sul suo collo, lasciandovi piccoli morsi. Lui risponde con una risata, che si blocca appena scivolo su di lui e diveniamo un unico corpo. Comincio a dondolarmi su di lui.
-Va bene, ci sei riuscita.- soffia -Ma non dimentico.-

Dopo ore il sole splende dalla stessa finesta e la Tourre Eiffel splende al suo fianco. Io sgranocchio un Croissant, mentre Robert sorseggia il caffè. Siamo seduti scomposti sul letto, io indosso la sua camicia azzurra, lui è a petto nudo con i pantaloni della tuta grigi. Fatico ancora a credere che sia tutto mio.
Sono tre giorni che siamo a Parigi e ogni mattina è così, finiamo per fare colazione alle undici e non ci alziamo dal letto prima di pranzo, è meraviglioso. Non ho accettato a cuor leggero questo regalo, ma devo ammettere che mentre me lo godo penso che sia un dono perfetto, è il suo dono dopo il periodo che abbiamo passato, l'uno lontano dall'altro. Lo guardo e mi perdo a ricordare i giorni che abbiamo passato insieme a Roma, quando ci siamo conosciuti, tra alti e bassi e ci siamo innamorati. Dopo quella conferenza stampa Robert si è guadagnato un altro schiaffo da parte mia e un bacio da mozzare il fiato. Abbiamo parlato molto sotto lo sguardo adirato di Gianni, perchè a suo dire abbiamo rovinato la festa, ma lui che ne sa che il meglio della festa noi lo abbiamo fatto in forma privata. Ok, forse lo sa, o almeno lo immagina. Robert mi ha spiegato chi fosse la ragazza fotografata con lui e perchè sia dovuto scomparire. Si trattava di una sua vecchia amica, scomparsa nel nulla per un po', avevano anche litigato, ma la sua apparizione improvvisa e la sua condizione lo hanno costretto a intervenire e a partire con lei per la Svizzera per due giorni, dove in una clinica era ricoverato il compagno della ragazza e il padre della creatura che portava in grembo. Robert li ha aiutati, non so bene come, ma ha preferito non approfondire e io ho preferito tacere la mia curiosità. Dopotutto mi è bastato sapere che è stata un'emergenza. E così si è guadagnato lo schiaffo, perchè se me lo avesse detto io non sarei impazzita come invece ho fatto. 
-Allora, mi dici a che pensavi?- mi chiede curioso. Io sbuffo, non si arrende mai. Come sempre odia quando non esprimo quello che penso, dice che gli risulta difficile decifrarmi, io invece dico che mi capisce perfettamente, riesce a cogliere ogni sfumatura della mia anima. Anche se non aveva capito che mi erano bastati pochi giorni per innamorarmi di lui. Ridacchio al pensiero. Gliel'ho confessato quella stessa sera, nella sua camera d'albergo, dove ci siamo rifugiati dopo aver abbandonato la festa. Non avevo paura, sapevo come so ora quello che provo per lui, anche se era ed è la prima persona nella mia vita che abbia conquistato il mio cuore. Lui mi ha guardato stralunato, come se fosse impossibile amarlo, come se gli avessi fatto un regalo immenso a donargli il mio amore. Oggi mi guarda ancora così, come se il regalo fossi io e non lui.
-Lo sai che ti amo?- dico guardandolo angelica.
-Lo sai che ti amo anche io?- risponde sfoderando un sorriso luminoso, che mi fa accelerare i battiti del cuore. -Ma vorrei saperlo.- ribatte imbronciato.
-E va bene.- sbuffo -Ma promettimi che non ti offenderai.- Mi guarda scettico. Perchè diamine mi faccio sempre convincere? A si, perchè lo amo, perchè ha un sorriso scintillante e due occhi verdi profondi in grado di leggerti e legarti l'anima e sono tutti miei, lui è mio, come è sempre stato da quel nostro primo incontro su una terrazza romana, come lo era la sera che io ho dichiarato di amarlo dopo aver fatto l'amore con lui, stesa su un letto come questo in una camera di albergo a Roma, come lo era quando mi ha risposto che anche lui mi amava e che gli sembrava impossibile che esistesse un amore così, come quello delle favole. La nostra favola. -Lo so che lo odi e mi odierai.- rispondo imbronciata. Lui si avvicina, scavalcando il vassoio della colazione e si pone di fronte al mio viso.
-Come potrei odiarti se ti amo. Ma tu ci credi che esiste un amore così?- chiede prima di baciarmi tanto a lungo da farmi mancare il respiro.
-Si, esiste solo nelle favole.- rispondo in un sussurro -E questa è una favola, la nostra favola.- mi sorride e so che devo parlare altrimenti resterà imbronciato per i prossimi due giorni che staremo insieme a Parigi e siccome passo troppo poco tempo con lui, non posso permettermi di passarlo con lui seccato per una ... si una stupidaggine. -In questi mesi mi sei mancato così tanto e ...- mi guarda confuso, come per dire: "E sarebbe questo che dovrebbe farmi arrabbiare?" -E non pensavo potesse mancarmi qualcuno così e ho dovuto fare qualcosa per alleviare questo dolore.- mi guarda ancora più confuso e perplesso. Lo so pure io che non si capisce niente -I tuoi film li ho visti tutti e più volte e allora ...- dannazione -Allora ho divorato i quattro libri della saga di Twilight. Lo so, lo so che Edward non sei tu e che ti infuri quando ti paragonano a lui, ma mentre leggevo immaginavo te e ti sentivo un poco più vicino.- scoppia a ridere. Mr Robert Pattinson scoppia a ridere mentre io gli dico che l'ho associato ad Eduard Cullen, il personaggio che lo ha reso famoso, che gli ha creato un'orda di fan che vogliono essere morse, che se ci penso mi sale una rabbia. Si sta sbellicando dalle risate. Lo guardo sconvolta.
-Oh tesoro ...- sbuffa una risata. Respira affannoso per recuperare un contegno, mentre io lo fulmino. -Ok, scusa, Amore.- e lo dice in italiano. Qui facciamo progressi, dopo tutto se vuole venirmi a trovare in Sicilia, mentre girerà in Italia, dovrà interagire con la mia famiglia e loro non parlano inglese. -So che mi arrabbio quando mi associano al succhiasangue.- ridacchiamo insieme, perchè questo è l'appellativo che gli danno i nemici della storia, i licantropi -Ma so perfettamente come la pensi tu e so che ... insomma che lo fai per me, cioè per te. Oh che complicato. Ok, capisco come ti sei sentita, perchè mi sono sentito anche io così in questi mesi, mi sei mancata così tanto che mi sarei aggrappato a qualunque cosa pur di soffrire un poco meno. Dopo quei giorni a Roma, dopo aver fatto pace e dopo che tu hai deciso di prolungare la vacanza per qualche giorno ancora, trasferendoti con me in quella adorabile villetta fuori città, non vederti per cinque mesi è stato straziante, ma il lavoro mi ha tenuto impegnato, troppo impegnato e tu con la tesi ...- lo blocco con la mano.
-Non è colpa di nessuno.- Lo guardo, ci guardo e sorrido -Adesso siamo qui, insieme.- e lo bacio. Non so come, non so per colpa, o meglio per merito di chi, finiamo a rotolarci sul letto rischiando di far volare il vassoio della colazione e scoppiamo così a ridere. 
-Dunque che ne pensi?- lo guardo confusa, non cogliendo la domanda -Della storia, del libro, di Edward in versione letteraria, di Bella e tutto il resto.- e poggia i gomiti ai lati della mia testa, per non farmi peso poichè è ancora su di me. 
-Ha i capelli più rossicci dei tuoi.- dico la prima cosa che mi viene in mente.
-Dettagli.- mi liquida.
-Ama molto anche Jacob, non lo avevo colto un sentimento così profondo nel film.- 
-Quel cane.- scherza lui, facendomi ridere.
-Però è caldo e ho pensato che forse avrebbe dovuto scegliere lui.- mi studia
-Ma non era Edward il tuo personaggio preferito?- dice quasi risentito, come se Edward fosse lui. Pff come se veramente non sapessi che la sua frase preferita è:"Io non sono Edwar Cullen".
-Si ma io non avrei rinunciato al caldo.- e scoppiamo a ridere, consapevoli della mia avversione alle basse temperature. 
-Io sono caldo.- risponde suadente, prendendo a slacciare il primo bottone della camicia che indosso.
-Lo so, per questo ti ho scelto.- ridacchia sulla mia pelle, dove sta lasciando una scia di baci infuocati.
-Robert?- sospiro, lasciandomi sfuggire un respiro estasiato. Lui mugugna in risposta, non scollando le labbra da me. Forse non ha capito che non era un gemito, ma tentavo di chiamarlo, forse perchè effettivamente non si capisce se pronunciare il suo nome era l'uno o l'altro. -Ho pensato a lei.- soffio. Lui solleva la testa e mi guarda confuso -Bella, dico, l'ho immaginata come lei. Tu sei Edward, lei Bella. è stata dura, forse non è stata una bella idea.- e sento la lancinante e familiare fitta di gelosia pensando a quel volto. Robert mi guarda torvo, odia parlare di lei.
-Amore, guardami. Io non sono Edward e lei non è Bella. Quei personaggi non esistono, loro hanno una storia tutta loro, una storia di fantasia, magnifica, di un amore eterno, ma io sono solo io.- lo guardo e so che ha ragione.
-Robert?- annuisce -Credo che anche il nostro amore sia eterno.- e non so chi si muove per primo, ma le nostre labbra sono già incollate le une alle altre, i nostri respiri sono uno il respiro dell'altro, i nostri corpi sono uno il corpo dell'altro, i nostri cuori sono uno il cuore dell'altro e la nostra anima è una sola. -Robert?- mi fissa un pizzico spazientito. Ho ancora voglia di parlare? Me lo chiedo io stessa. -La prossima volta la immaginerò come me e sceglierò il freddo.- ridacchiamo insieme e torniamo a baciarci.

 
Credo sia arrivato il momento di dire definitivamente addio a questa storia e questa sezione
... forse, per il momento
... chi sa se non avrò qualche altro delirio? 
Vi ringrazio tutti, è stato bello.
PS sto lavorando a un'originale, ce la sto mettendo tutta
PPS Il delirio riguarda anche il fatto che sto leggendo Twilight e non ne avevo mai avuto voglia, che fanno fa sti esami!!!!
BACI

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