Tre anime in un corpo. di fly90 (/viewuser.php?uid=491013)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 3 ***
Capitolo 4: *** 4 ***
Capitolo 5: *** 5 ***
Capitolo 6: *** 6 ***
Capitolo 7: *** 7 ***
Capitolo 8: *** 8 ***
Capitolo 9: *** 9 ***
Capitolo 10: *** 10 ***
Capitolo 11: *** 11 ***
Capitolo 12: *** 12 ***
Capitolo 13: *** 13 ***
Capitolo 14: *** 14 ***
Capitolo 15: *** 15 ***
Capitolo 16: *** 16 ***
Capitolo 17: *** 17 ***
Capitolo 18: *** 18 ***
Capitolo 19: *** 19 ***
Capitolo 20: *** 20 ***
Capitolo 21: *** 21 ***
Capitolo 22: *** 22 ***
Capitolo 1 *** 1 ***
1
Ariell Stuart
spense con un colpo secco la sveglia che gli strillava nelle
orecchie.
L'ora di
alzarsi era già arrivata e non aveva chiuso praticamente
occhio, tranne l'ultima ora prima che quell'arnese infernale la
strappasse alle dolci braccia di Morfeo.
Uscì
dalle coperte a malincuore maledicendo la scuola e gli obblighi
dovuti ad essa e si diresse con passo malfermo verso il bagno.
Si cinse il
petto con le braccia nel vano tentativo di riscaldarsi, in quel bagno
faceva un freddo cane: la mamma aveva aperto la finestra come sempre
per cambiare l'aria!
Con un moto di
stizza chiuse la finestra borbottando prima di avvicinarsi al
lavandino e legarsi i lunghi capelli corvini.
Fece scorrere
l'acqua un paio di minuti prima che diventasse abbastanza calda da
potersi lavare il viso senza congelarsi la pelle.
“Ora si
che sono sveglia...” disse con ironia asciugandosi il viso.
Alzò lo
sguardo e sospirò guardando il suo riflesso nello specchio.
Era una ragazza
normale, diciamo pure carina, minuta e alta con lunghi capelli
setosi.
Avvicinò
maggiormente il viso allo specchio soffermandosi a studiare i propri
occhi, era quella la parte problematica che incasinava tutto il resto
e lei li odiava con tutta se stessa.
Era nata con un
occhio azzurro e uno nero, insomma due opposti.
Si portò
la mano all'occhio destro e sorrise pensando che sarebbe stata molto
più carina con due favolosi occhi azzurri, si sarebbe sentita
normale perlomeno.
Con un altro
sospiro lasciò cadere la mano lungo il fianco tornando a
guardare quell'occhio così scuro che proprio stonava accanto a
quello chiaro e cristallino come un lago di montagna.
Da piccola i
genitori l'avevano portata da un oculista il quale l'aveva sottoposta
a vari esami venendo alla conclusione che era affetta da Eterocromia,
ovvero la malattia delle iridi dal colore differente.
Sapeva che non
avrebbe dovuto lamentarsi così tanto, in fondo poteva andare
molto peggio per esempio poteva avere qualche tumore o qualche
malattia grave, ma quegli occhi così diversi tra loro le
avevano creato problemi sia con se stessa che con gli altri.
Da piccola
vemiva presa in giro perché reputata diversa, strana, dagli
altri bambini che si rifiutavano di giocare con lei.
Crescendo le
cose erano leggermente migliorate anche se, talvolta qualcuno la
offendeva chiamandola strega o aliena.
In effetti
sembrava che avesse due facce fuse in una unica ed era parecchio
strano anche per lei.
Si slegò
i capelli e scrollò la testa per sistemarli in modo che
ricadessero liberi di coprirle quasi il viso, era così che li
portava sempre.
Si diresse
verso la camera dove afferrò dall'armadio una maglietta nera e
un paio di skinny jeans dello stesso colore, si infilò di
corsa le All-Star rosa fluo e la giacca di finta pelle quindi afferrò
lo zainetto ai piedi del letto e si avviò verso la cucina.
“Tesoro,
ti ho preparato delle uova.” la accolse la madre sorridendo.
“Ma' sono
in ritardo, Magdalena mi starà già aspettando, le avevo
detto che sarei passata da lei a portarle un libro prima di andare a
scuola assieme.” rispose ricambiando il sorriso.
Magdalena era
la sua migliore amica fin dall'asilo quando, con la dolcezza che la
distingueva, dopo che gli altri bambini le avevano impedito di
giocare con loro, le aveva detto: “Non ti preoccupare, ci gioco
io con te.”
Da allora non
si erano più separate.
Ancora oggi
doveva dire grazie a lei se non era diventata l'eremita che sarebbe
diventata di sicuro se non l'avesse incontrata.
Lei le dava
coraggio, la sosteneva nelle sue idee, la consolava quando era triste
e la difendeva quando i bulli la prendevano di mira.
Insomma, Maddy,
come la chiamava lei, era una ragazza tosta ma dolcissima che le
aveva fatto scoprire cosa volesse dire amicizia e sperava con tutto
il cuore di poter essere lo stesso per lei.
“Ma
tesoro, devi mangiare qualcosa. Non è un bene saltare la
colazione!” insisté la madre con sguardo preoccupato.
Ariell alzò
gli occhi al cielo e afferrò una fetta di pane tostato
ficcandosela in bocca e salutandola con la mano.
“A dopo.”
la salutò la madre scuotendo il capo divertita.
Mentre
camminava Ariell rimase ancora prigioniera dei propri pensieri.
La madre era la
classica mamma chioccia, sempre preoccupata e un pochino asfissiante
alle volte nonostante avesse ormai sedici anni.
Meno male che
il padre si intrometteva sempre bonariamente lasciandole lo spazio e
la libertà di cui aveva bisogno.
Amava Joyce e
Norman, erano dei genitori meravigliosi e non li avrebbe cambiati per
nulla al mondo.
Anche per
questo cercava di non deluderli, si impegnava a scuola, cercava di
non creare problemi, frequentava amici tranquilli e non dava loro
alcun pensiero.
Tutto sommato
anche lei non era male come figlia si disse abbozzando un sorrisino.
Il cellulare
vibrò nella tasca dei jeans riportandola con i piedi per
terra.
Lo tirò
fuori con qualche difficoltà dai pantaloni stretti e lesse
“Maddy” sullo schermo.
Rispose
velocemente.
“Ari ma
dove sei? Sono almeno dieci minuti che ti aspetto e non fa caldo qua
fuori.” la salutò l'amica con tono di rimprovero.
“Scusami
ho fatto tardi come al solito, sto arrivando.” si scusò
avvilita affrettando il passo.
“Mmm...ok
ma sbrigati!” brontolò Maddy asciutta.
“Sei
arrabbiata? Dammi cinque minuti e arrivo.” tentò di
rimediare Ariell.
“Ah ah
ah” la risata allegra dell'amica la sorprese tanto che si fermò
di colpo “sei sempre la solita sciocchina. Ma ti pare che mi
arrabbio? Ormai ti conosco e lo so che sei sempre, e dico sempre, in
ritardo. Ma ti voglio bene ugualmente!”
Anche Ariell
rise sollevata riprendendo a camminare.
Doveva
immaginarlo, a Maddy piaceva molto prendersi gioco di lei fingendosi
arrabbiata, ed era talmente brava a farlo che finiva per crederci
ogni volta.
“Giuro
che se lo fai ancora una volta ti prendo a calci in quel culetto
secco che ti ritrovi.” la minaccio bonariamente ridacchiando.
“Oh
certo, sempre che tu ci riesca prima di prenderle.” fu la
risposta pronta dell'amica.
In effetti non
c'era battaglia che tenesse, Maddy era una ragazza piuttosto robusta
grazie al nuoto, disciplina che praticava fin da piccola, e Ariell
era gracilina e molto meno alta di lei.
Le avrebbe
prese questo era certo.
“Beh,
basta parlare o non arriverò mai da te se continui a
distrarmi!” le disse prima di mandarle un bacetto e chiudere la
conversazione.
Era giunta al
cancello che contornava la graziosa villetta dell'amica e, alzandosi
sulle punte dei piedi poteva vederla in fondo al viale, seduta
sull'ultimo gradino mentre la aspettava.
Non appena la
vide si alzò e le corse incontro abbracciandola con foga e
schioccandole un bacio su entrambe le guance.
“Mi hai
portato il libro?”le chiese eccitata.
“Si”
disse Ariell aprendo lo zainetto e consegnandole il libro “eccolo
qui.”
Maddy glielo
strappò dalle mani saltellando su e giù per la
felicità.
“E' da
quando ho finito il primo che aspetto di leggere il seguito!”
le disse per la millesima volta.
“Lo so,
lo so è che sai che ho poca memoria e sono anche pigra quindi
l'ho finito da poco.” si scusò stringendole un braccio.
Per tutta
risposta Maddy le si appese al collo con entusiasmo.
“Ok ok,
se sapevo che mi saresti stata così riconoscente te lo avrei
portato prima!” la prese in giro Ariell tirandola affinché
si muovesse “ ora però è meglio andare o la prof
ci ucciderà se entriamo di nuovo in ritardo.”
“Uff,
spiegami perché la scuola è ancora obbligatoria.”
brontolò lei avviandosi per la strada mestamente.
“Non me
lo spiego nemmeno io.” le rispose Ariell affiancandola.
ANGOLINO
DELL'AUTRICE:
Ciao a tutti,
sono tornata
con un altra storia che spero vi piacerà.
Mi addentro in
un genere che amo tanto quanto l'Horror, l'urban fantasy.
Siate clementi
vi prego perché è la prima volta che ne scrivo una e
spero di ottenere un buon risultato perché sono affezionata a
quest'idea.
Spero che il
primo capitolo vi abbia incuriosito e mi auguro che proverete a
leggere anche i prossimi.
Ci saranno
alcuni capitoli introduttivi per farvi conoscere i vari personaggi ma
poi entreremo nel vivo della storia dove vi svelerò i numerosi
segreti che si celano dietro ad Ariell, ma forse dovrei dire dentro
ad Ariell. Abbiate un poco di pazienza e scoprirete tutto.
Per il momento
vi ringrazio e vi abbraccio.
Fly90
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** 2 ***
2
Quando
arrivarono nei pressi dei cancelli della scuola, Ariell venne presa
in braccio e alzata da terra.
Tomas le
schioccò un bacio dolce sulle labbra stringendola a se.
Ariell
ridacchiò felice ricambiando i baci con slancio.
Il ragazzo la
riadagiò al suolo in modo che potesse sostenersi coi propri
piedi e la strinse in un abbraccio baciandole la fronte.
“Dio,
siete così sdolcinati che mi viene la nausea.” brontolò
Magdalena con tono acido.
“Magari
ti addolcisci un po' pure tu, arpia.” la rimbeccò lui
senza degnarla di uno sguardo.
“Meglio
arpia che pallone gonfiato come te.” fu l'immediata risposta
della ragazza che li sorpassò stizzita dirigendosi all'interno
della scuola.
Ariell tirò
un pugno sulla spalla a Tomas.
“Possibile
che voi due non riuscite ad andare d'accordo?”
Tomas si
strinse nelle spalle. “Non è certo colpa mia se ti sei
scelta un amica che non mi sopporta. Secondo me è gelosa
perché sei tutta mia.” sghignazzò facendole il
solletico al fianco.
Per tutta
risposta Ariell gli scoccò un occhiataccia.
“Potresti
evitare di risponderle per esempio.” suggerì guardandolo
torva.
“E va
bene, prometto che ci proverò anche se è molto
difficile.” accettò lui mettendole un braccio intorno al
collo e trascinandola all'interno.
Ariell scosse
la testa sicura che quei due mai sarebbero andati d'accordo.
Era davvero
addolorata che le due persone a cui teneva di più non
riuscissero a stare nella stessa stanza per più di dieci
minuti senza scannarsi.
Purtroppo
doveva vederli separatamente se non voleva uscire di testa per cui,
niente uscite in comitiva, feste di compleanno separate prima con uno
e poi con l'altro e niente giornate a godersi la compagnia di
entrambi.
A dire il vero
Magdalena non era sempre stata ostile a Tomas, prima che si
mettessero assieme andavano piuttosto d'accordo ma, poi avevano
cominciato ad odiarsi quasi fossero realmente gelosi l'uno
dell'altra.
Aveva provato
in tutti i modi a farle capire che per lei era importante che
andassero d'accordo ma la sua amica non ne voleva proprio sapere così
aveva finito per arrendersi e districarsi a dividersi in maniera equa
tra lei e il fidanzato.
Certo non era
facile e la situazione spesso le pesava ma non se la sentiva di
perdere ne uno ne l'altra, erano parti fondamentali della sua vita.
Possibile che
Maddy non vedesse quanto Tomas la rendeva felice?
Come poteva
essere tanto egoista?
Il suo aspetto
le aveva sempre creato problemi anche con i ragazzi, ben pochi si
erano interessati a lei e nessuno di questi era durato molto tempo.
Si era quasi
rassegnata a non avere un ragazzo quando Tomas, un giorno, le chiese
di uscire con lui per una pizza.
Lei ne rimase
sconcertata e non era sicura di voler accettare ma poi, guardando
quegli occhi speranzosi, aveva finito per accettare.
Era corsa a
casa e col cuore a mille aveva passato più di un ora a cercare
nell'armadio qualcosa di adatto da indossare ma per quanto cercasse
niente sembrava andare bene.
Alla fine aveva
chiesto aiuto alla madre che le aveva consigliato un grazioso
vestitino giallo tenue che ben contrastava con i suoi capelli
corvini.
Quando Tomas si
era presentato alle 20.00 precise alla sua porta a lei parve di
volare fra le nuvole.
Per tutta la
sera si perse nello sguardo verde del ragazzo che non smetteva di
cercare un contatto con lei, le toccava spesso la mano, avvicinava il
ginocchio al suo, faceva di tutto per sfiorarla.
Ad Ariell
sembrava di essere in Paradiso e non capiva cosa ci trovasse in lei
visto che poteva avere tutte le ragazze che voleva.
Quando uscirono
dalla pizzeria lui le chiese se le andava di far due passi e non
appena lei annuì le prese la mano stringendola nella sua e si
incamminò lungo la via tra la gente che li osservava di
sfuggita.
Ad un certo
punto lui si fermò di colpo, la guardò intensamente
prima di scostarle una ciocca di capelli dietro l'orecchio, e la
baciò.
Fu un bacio
leggero, a fior di labbra che rubò il cuore ad Ariell
facendolo definitivamente sciogliere.
Da quella sera
non si erano più lasciati.
La mattina
trascorse lenta fra una lezione noiosa e l'altra.
Quando suonò
la campanella Ariell sospirò girandosi a guardare un assonnata
Magdalena nel mezzo di un gigantesco sbadiglio.
“Finalmente!”
brontolò chinandosi a raccogliere lo zainetto.
“Non so
come ho fatto a resistere senza cadere con la faccia sul banco.”
fu d'accordo Maddy.
Si diressero
verso il corridoio facendosi largo tra la marea di studenti
impazienti di uscire.
“Allora
oggi vieni da me?” le chiese Maddy prendendola a braccetto.
“Mmm...veramente
io...ecco...” cominciò Ariell.
“Ok ok,
ho capito. Ti vedi con il pallone gonfiato.” la interruppe
l'amica seccamente.
“Ho
promesso a sua madre che avrei cenato da loro stasera. Mi dispiace.”
si scusò contrita sperando di farle tenerezza.
“E va
bene, non mi arrabbierò per stavolta ma domani andiamo a
mangiarci un bel gelato da Fred.” le propose sorridendo.
“Affare
fatto.” rispose felice lei stringendola in un veloce abbraccio
a mo' di saluto prima di schizzare verso Tomas che la stava
aspettando appoggiato al muro.
Era presa a
baciarlo quando Maddy passò loro accanto rivolgendo un cenno
di saluto a lei e mostrando il dito medio al ragazzo.
Inutile dire
che Tomas le urlò dietro: “Maleducata come sempre
arpia!”
Ariell gli
pestò un piede smorzando la sua risata.
“Siete
proprio due bambini!” lo sgridò girandogli le spalle e
uscì.
Non ci mise
molto a raggiungerla e la tirò a se prendendola per la vita.
“Tanto lo
so che ti piaccio lo stesso.” la canzonò schioccandole
un bacio sulla guancia.
“Non
contarci troppo bad boy.” lo rimbeccò lei sorridendo.
Si avvicinarono
ad un gruppo di ragazzi e Ariell ne approfittò per salutare
Lara e Jen le uniche oltre Maddy con cui era riuscita a creare un
legame.
Come sempre
rimase colpita dalla bellezza mediterranea di Lara.
Era sempre
stata un po' invidiosa di lei che aveva tutto al posto giusto ed era
anche la più corteggiata della scuola.
Chissà
com'era vivere la sua vita?
Sospirando si
voltò verso Jen che con i suoi capelli biondi e lisci non era
da meno.
“Come va
ragazze?” chiese cercando di scacciare quei pensieri dalla
mente.
“Bene e
tu?” le rispose Jen mentre Lara scosse la testa come a dire che
andava bene.
“Bene ora
che la scuola è finita.” ridacchiò
stiracchiandosi.
“Puoi
dirlo!” fece Lara scostando una ciocca di capelli che le era
ricaduta sul viso.
Tomas le fu
affianco e s'intromise: “ Adesso ve la devo proprio rubare,
abbiamo un po' di cose da fare oggi.” quindi la trascinò
via un altra volta.
“La devi
smettere di portarmi via ogni volta che provo a parlare con
qualcuno.” lo stuzzicò Ariell incrociando le braccia sul
petto.
“Te l'ho
detto, abbiamo un sacco di cose da fare.” rispose lui con un
sorrisetto malizioso.
“Tipo?”
chiese lei curiosa.
“Tipo
pomiciare, coccolarci, fare qualche compito, pomiciare ancora e forse
cenare sempre che riesca a stare lontano dalle tue morbide labbra.”
sussurrò a pochi centimetri dal suo orecchio.
“Non è
male come programma.” stette al gioco lei rabbrividendo
leggermente.
“Lo
sapevo che sei una ragazzaccia.” e così dicendo le
pizzicò il sedere ridendo quindi scappò prima che lei
potesse picchiarlo come faceva sempre quando le toccava il sedere in
pubblico.
ANGOLINO
DELL'AUTRICE:
Ecco il secondo
capitolo.
So che è
un po' noioso ma vi prometto che il prossimo sarà meglio visto
che finalmente succederà qualcosina di significativo.
Gran parte dei
personaggi ve li ho presentati e quelli che verranno dopo cambieranno
decisamente registro.
Al prossimo
capitolo ragazzi.
Un bacione da
Fly90.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** 3 ***
3
Il telefono
trillò attirando l'attenzione di Ariell, intenta a leggere un
libro particolarmente emozionante.
Sbuffò
imbronciata e posò il libro sul letto trascinandosi alla
scrivania dov'era appoggiato il telefono.
Lesse il
messaggio di Magdalena.
“Scusami
tesoro ma dobbiamo rimandare, i miei mi costringono ad andare da zia
Milly, si, quella vecchia bacucca rompi balle. Mi spiace :-( “
Sorrise a
quella serie di “complimenti” che l'amica riservava
sempre alla sua odiata zia.
In realtà
non aveva mai capito il motivo di tanto astio ma tant'è che
Maddy non l'aveva mai potuta sopportare e, com'era consono al suo
carattere, lo diceva chiaro e tondo.
“Tranquilla,
ci vediamo domani a scuola. Mi raccomando non uccidere la povera zia
Milly.” scrisse velocemente.
Due secondi
dopo il telefono trillò nuovamente.
“Non ci
conterei, stasera guarda il telegiornale!” fu la risposta
dell'amica.
Ridendo scrisse
un altro messaggio.
“Ok,
vorrà dire che ti porterò le arance quando ti verrò
a trovare in carcere. ;-P “
Maddy la
chiamò.
“Ehy, non
sembri molto contenta di vedere la zia.” rispose mentre si
scostava i capelli dal viso portandoli oltre la spalla.
“Puoi
immaginare...” borbottò Maddy allusiva.
“E dai, è
solo una dolce nonnina di più di ottant'anni che cosa può
mai fare?” le chiese curiosa.
“Non è
una dolce nonnina, è un'arpia che non fa altro che criticare
il mio modo di vestire, mi sgrida per ogni parolaccia che mi esce di
bocca e quando mi saluta mi strizza sempre la guancia facendomi un
male cane.” sbottò contrita.
“Oddio!
La strizzata alla guancia no!” scherzò Ariell divertita.
“Non
tirare troppo la corda Stuart o saranno due le vittime stasera.”
la minacciò Maddy.
“Ok ok,
scusa. Comunque se mi uccidi non ti potrò portare le arance.”
la provocò nuovamente.
Non poté
trattenersi dal prendere in giro la sua amica quando era scocciata in
quel modo.
“Beh, ne
farò a meno. Tornando serie, mi spiace per oggi è stata
una cosa improvvisa.” disse avvilita.
Poteva
immaginarsi la ragazza mentre corrugava la fronte e i suoi occhi
diventavano simili a quelli di un cucciolo triste e implorante,
quella piccola canaglia sapeva sempre come farsi perdonare.
“Non ti
preoccupare, davvero.” rispose dolcemente sperando di farle
capire che non ci era rimasta male.
“Ok
tesoro, ci vediamo domani ora devo scappare. Augurami buona fortuna.”
la salutò l'amica.
“A domani
e non fare i dispetti alla nonnina.” la salutò a sua
volta prima di chiudere la conversazione.
Posò il
telefono nuovamente sulla scrivania e tornò al suo libro.
Dopo un oretta
finì il libro e si stiracchiò.
Erano solo le
due del pomeriggio e di stare in casa non ne aveva nessuna
intenzione, con il sole che c'era sarebbe stato un vero peccato non
uscire.
Pensò di
fare un salto a casa di Tomas quindi prese il telefono e fece per
scrivergli un messaggino ma ci ripensò fermandosi: poteva
fargli una sorpresa.
Andò
all'armadio e tirò fuori un paio di jeans sdruciti al punto
giusto che, sapeva gli piacevano, e una maglietta con un grosso cuore
disegnato al centro.
Corse in bagno
dove si ritoccò il mascara, giusto uno strato leggero, si mise
il lucidalabbra e si pettinò i lunghi capelli neri quindi
scoccò un bacio allo specchio e fu pronta per uscire.
“Mamma,
io esco. Vado da Tomas.” gridò nel corridoio.
“Va bene
tesoro. Torna per l'ora di cena, stasera faccio le lasagne.” le
arrivò la voce attutita dalla cucina.
“Ok.”
rispose.
Non era raro
che la madre si desse da fare per far trovare a lei e al padre i loro
piatti preferiti.
Anche per
questo l'amava.
La casa di
Tomas non distava molto dalla sua perciò in dieci minuti ci
arrivò godendosi la passeggiata e il sole caldo che le
scaldava la pelle.
Non appena fu
nel vialetto le giunse alle orecchie la musica lasciata trapelare
all'esterno dalla finestra aperta al piano superiore della casa.
Per tenere la
musica così alta voleva dire che era in casa da solo
altrimenti la madre lo avrebbe stressato finché non avesse
abbassato il volume.
Sorrise
compiaciuta, potevano avere la casa tutta per loro per un po'.
Avviandosi
verso la porta pregustò le ore che avrebbero passato a
baciarsi e scambiarsi effusioni sul letto ampio di Tomas.
Non si stupì
quando appoggiò la mano sulla maniglia e trovò la porta
aperta, quel ragazzo non dava mai ascolto ai suoi che non facevano
che raccomandarsi di chiudere la porta a chiave.
Ma lui era
così, ribelle fino al midollo, in fondo era anche per questo
che si era innamorata di lui, aveva un carattere forte e deciso
raramente si lasciava convincere a fare qualcosa che non voleva a
differenza sua che, per il quieto vivere, a volte cedeva alle
richieste dei genitori e delle amiche.
Entrando il
volume era ancor più assordante che dall'esterno quindi
mentre saliva le scale non prestò attenzione a fare piano per
coglierlo di sorpresa, non l'avrebbe sentita arrivare nemmeno se
fosse entrata sradicando la porta e pestando i tacchi degli stivali
ad ogni scalino.
Arrivando al
pianerottolo si accorse che la porta della camera del ragazzo era
socchiusa lasciando uno spiraglio, fu così che sentì la
sua voce ma non riuscì a capire cose stesse dicendo.
Divertita pensò
che stesse canticchiando.
Si avvicinò
facendo piano e trattenendo il respiro mentre si accostava alla
porta.
“Come
sapevi che mi piace il rosso?” Lo sentì dire con voce
bassa ma comunque udibile.
“Molto
interessante.” disse ancora.
Ariell pensò
stesse parlando al telefono.
Probabilmente
era al telefono con Mike o Jordan, i suoi amici nonché
compagni di squadra.
Accostò
il viso allo spiraglio ma Tomas doveva trovarsi nel lato della camera
che non riusciva a vedere perché tutto ciò che notò
fu la radio posata sul comò vicino alla finestra aperta.
Sentì il
suono di una risata soffocata che non distinse bene.
Curiosa poggiò
il palmo alla porta e l'aprì completamente ma quello che vide
non fu ciò che si aspettava.
Scioccata
rimase immobile sulla porta.
ANGOLINO
DELL'AUTRICE:
So che
lasciarvi qui così è una crudeltà ma adoro
creare un po' di attesa perché, tutto sommato a me piace
quando mi lasciano un po' lì a macerare nella mia curiosità.
Ditemi la
vostra, cosa pensate abbia visto Ariell?
Con chi parla
Tomas?
Parla al
telefono, o con un amico che è andato a trovarlo?
Lo saprete
presto.
Un bacione da
Fly90.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** 4 ***
4
Non poteva
essere vero, non poteva succedere davvero.
Non a lei.
Rimase immobile
sbattendo le palpebre un paio di volte ma ogni volta che le apriva la
scena era la stessa.
Voleva che
fosse un incubo, un terribile incubo dal quale si sarebbe svegliata.
La voce le si
bloccò in gola impedendole di dire qualcosa, di emettere un
solo suono.
Vicino al letto
Tomas era intento a premere le mani sul corpo di una ragazza dai
lunghi capelli castani e la pelle olivastra.
Lo vide mentre
chinava il capo per baciarle il collo e scendeva verso il seno
prosperoso contenuto a malapena in un reggiseno rosso di pizzo.
La ragazza
buttò la testa all'indietro con gli occhi chiusi e Ariell poté
constatare che si trattava di Lara.
Fu allora che
la ragazza aprì gli occhi e si accorse della sua presenza
irrigidendosi all'istante.
Fermò
Tomas che, seguendo lo sguardo di Lara si voltò.
Non appena i
suoi occhi si posarono su Ariell sbiancò sorpreso.
Ariell ancora
non riusciva a parlare, le sembrava di avere due pesi al posto delle
gambe e, per quanto avesse voluto correre via, rimase impalata mentre
l'immagine di Tomas si faceva sfocata dietro il muro delle lacrime.
Il ragazzo fece
un passo avanti allungando le braccia come a volerla afferrare.
“Ariell
t-ti posso spiegare, i-io...” farfugliò avvicinandosi di
un altro passo.
Dietro di lui
Lara si stava velocemente mettendo la maglietta, i suoi occhi che non
osavano guardarla.
“A-ariell?
Vieni qui ti prego.” Tomas si avvicinò ancora
afferrandola per le spalle.
Non appena
Ariell sentì le mani di lui sulla pelle si ritrasse come
scottata e riacquistò la capacità di muoversi.
Le lacrime le
caddero sul viso rigandolo.
Il ragazzo si
fermò capendo che avvicinarsi non l'avrebbe aiutato.
“Ti prego
Ari, vieni qui e siediti. Ti posso spiegare tutto.” le disse
dolcemente come se parlasse ad un bambino.
Distolse lo
sguardo posandolo su Lara che si dondolava da un piede all'altro a
disagio.
Era sempre
stata bellissima, la più bella della scuola.
Lasciò
vagare lo sguardo sul corpo della giovane, scrutò le forme
prorompenti e le labbra piene e gonfie probabilmente per i baci che
si erano scambiati.
Guardare Tomas
che la toccava, la baciava lascivamente, la desiderava era stato uno
schock.
Ma cosa si
aspettava?
Lo sapeva che
era impossibile che Tomas potesse amarla realmente, proprio lei che
era strana, chiusa.
Si era soltanto
illusa che potesse provare gli stessi sentimenti che provava lei.
Li guardò
entrambi e pensò quanto sarebbero stati bene assieme.
Il cuore le si
spezzò in petto e si prese la testa tra le mani mentre un
profondo singhiozzo le tagliava il respiro.
“Mi
dispiace. Sono uno stronzo, tu sei la cosa più importante
della mia vita Ariell. Io ti amo.” le disse Tomas guardandola
implorante mentre tornava ad avvicinarsi.
Lei lo stoppò
con un gesto della mano.
“Non ti
avvicinare. Non provare nemmeno a toccarmi!” urlò
ritrovando la voce.
Come poteva
mentire così?
Come osava
dirle che l'amava se nemmeno due minuti prima era intento a esplorare
il corpo di un altra?
Una rabbia
bruciante la investì mandandole in tilt il cervello.
“Tu non
sai nemmeno cosa vuol dire amare qualcuno! Sei solo un bastardo, un
bugiardo, un verme schifoso, un essere ripugnante! Mi fai schifo!”
Urlò ancor più forte.
Provò
una certa soddisfazione a vederlo sobbalzare ferito dalle sue parole
ma, non era ancora abbastanza, doveva fare di più.
“Ariell
lo so che mi merito tutto ma ti prego calmati un attimo e
ascoltami.” disse lui cercando nuovamente di avvicinarsi.
“Calmarmi?!
Forse non hai capito, ti ho appena trovato avvinghiato a quella
zoccola e mi dici di calmarmi?” sbottò la ragazza
sentendo montare ancor di più la rabbia.
Lara sussultò
sentendosi offendere, inarcò il sopracciglio alzando lo
sguardo su Ariell.
“Ok,
capisco che sei incazzata ma non starò qui a farmi offendere
da te.”la rimbeccò raddrizzando la schiena per darsi un
contegno.
“La
verità fa male eh? Sei una puttana Lara, una lurida puttanella
da quattro soldi!” l'aggredì ferocemente muovendo
qualche passo in avanti come a sfidarla.
Tomas si
frappose tra le due e per Ariell fu l'ennesimo colpo al cuore.
Stava cercando
di difendere Lara da una sua possibile aggressione.
“In
questo momento non sei in te, mi dispiace che tu ci abbia visti e se
potessi tornare indietro non lo rifarei ma ora è meglio
calmarci e parlarne in fondo non è successo nulla. Non abbiamo
fatto nient'altro che baciarci lo giuro. Possiamo ancora recuperare.”
le sussurrò con gli occhi comprensivi e supplicanti.
“Se non
fossi arrivata ci saresti andato a letto. Non prendermi per stupida
Tomas perché non lo sono affatto.” sbraitò a
pochi centimetri dalla sua faccia.
Il ragazzo non
l'aveva mai vista così arrabbiata, in genere Ariell era una
ragazza dolce e pacata, sempre educata mentre ora si trovava davanti
una belva pronta a saltargli al collo e questo lo spaventava, non
sapeva come gestire quel suo inaspettato comportamento.
“Ti amo
te lo giuro. Non voglio rovinare tutto, sei la cosa più bella
che mi sia mai capitata.” le disse dolcemente cercando di
calmarla.
Lei non rispose
nemmeno allontanandosi di qualche passo e stringendosi le braccia al
petto, tremava per la collera e il dolore.
Speranzoso lui
si avvicinò ancora prendendola per la vita ma appena la toccò
la sentì irrigidirsi.
Ariell si voltò
di scatto, i palmi aperti contro il suo petto.
Lo spinse
mandandolo a terra accanto al letto.
Rimasero tutti
sorpresi dal fatto che fosse riuscita a mandarlo al tappeto con una
spinta.
Lui pesava
settanta chili ed erano quasi interamente dovuti ai muscoli.
“Ok ora
basta! Datti una calmata!” le urlò Lara prima di
avvicinarsi a Tomas per aiutarlo ad alzarsi.
Ariell respirò
pesantemente sentendo la testa girare, la vista le si offuscò
ma non per le lacrime stavolta.
L'occhio destro
le pizzicava terribilmente e sentiva un gran calore in tutto il
corpo.
Tornò a
guardare Lara e vide la sua mano poggiata sul braccio di Tomas, il
cuore prese a battere all'impazzata come fosse pronto ad uscirle dal
petto, fu come se una bomba le fosse esplosa dentro offuscandole i
pensieri.
Sentì i
piedi che si muovevano, vide la propria mano afferrare Lara per i
lunghi capelli e tirarle su il viso così che potesse guardarla
in faccia prima che la mano le si serrasse sulla gola.
Fu un movimento
fulmineo al quale Lara non poté sottrarsi, la mano prese a
stringerle il collo sempre più forte mozzandole il respiro.
Provò a
pregarla di lasciarla andare ma non riuscì a parlare tanto la
teneva stretta, il bagliore sinistro che luccicava nello sguardo di
Ariell le fece paura.
Il viso della
ragazza era deformato da una smorfia di puro odio, sembrava un altra
persona.
“Sei solo
una puttana che va a scoparsi i fidanzati altrui, dovresti
vergognarti!” le urlò in faccia mentre la sollevava e la
sbatteva contro il muro sempre stringendole la gola.
Lara battè
la testa contro il muro, i polmoni iniziavano a bruciarle e la paura
la invase.
L'avrebbe
uccisa, glielo leggeva negli occhi spietati.
“Ariell
che fai?! Lasciala andare!” urlò Tomas prendendo Ariell
per la vita e strattonandola.
Il calore che
emanava attraverso i vestiti era quasi insopportabile e il ragazzo
riuscì a stento ad allontanarla dal muro.
Era forte, più
di quanto sembrasse.
Si chiese come
fosse possibile che una ragazza così minuta riuscisse a
sollevare Lara tenendola per la gola.
All'improvviso
Ariell mollò la presa tremando, guardò Lara mentre si
portava le mani alla gola tossendo livida, e il velo che le offuscava
la mente si dissipò.
Una profonda
paura le avvolse il cuore, paura di se stessa.
Che cosa stava
facendo?
Si voltò
e senza guardare nessuno scappò via.
ANGOLINO
DELL'AUTRICE:
Ciao ragazzi! Allora che ne
pensate del capitolo?
Finalmente entriamo nel vivo
della storia.
Cos'è preso ad
Ariell?
È stata la rabbia a
farle fare un atto così forte oppure c'è dell'altro?
Lo saprete andando avanti.
Un bacione da Fly90.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 5 *** 5 ***
5
Maria si agitò
nel letto facendo cadere la coperta leggera a terra.
Si sentiva
soffocare e la pelle si velò di sudore mentre prendeva a
respirare affannosamente rigirandosi da una parte all'altra inquieta.
Il cuore prese
a martellarle nel petto così forte che sentiva le orecchie
rimbombare.
I capelli
corvini le andarono in faccia appiccicandosi alle guance bagnate,
gemette, la testa pesante.
“Maria...”
una voce calda e profonda la chiamava da quella che pareva una
distanza infinita.
Tese le
orecchie cercando di captare ancora la voce.
Sapeva di stare
dormendo ma era come se fosse cosciente.
Intorno a sé
solo il buio.
“Maria...”
la voce si ripeté suadente ma sembrava arrivare da ogni parte.
Era come se
fosse in una stanza buia, si voltava a cercare ma non vedeva nulla.
Si sentì
inquieta come se qualcosa si stesse nascondendo nel buio, qualcosa
che aspettava solo il momento opportuno per aggredirla.
Il cuore
batteva sempre più forte incendiandole il sangue nelle vene.
Mosse qualche
passo alla cieca allungando le mani davanti a sé ma trovò
solo il vuoto e questo la spaventò ancora di più.
“Maria...”
ancora la voce roca la chiamò ma stavolta sembrava provenire
da qualche parte alla sua destra.
Si girò
lentamente e mosse qualche passo esitante verso destra.
Quel buio la
opprimeva, era spaventoso non sapere cosa vi fosse davanti a lei e
quella sensazione di essere osservata accresceva istante dopo
istante.
Inciampò
in qualcosa e cadde faccia avanti, istintivamente mise le mani avanti
evitando di picchiare con il viso sul terreno.
Cadde con un
gemito strozzato, sotto le mani qualcosa di duro e levigato, forse
marmo non lo poté stabilire con precisione.
Ciò che
le parve strano fu che invece di essere gelido, il pavimento sotto di
lei era caldo.
Si alzò
a carponi e girò su se stessa ispezionando il marmo con
entrambe le mani finché non toccò qualcosa.
Si ritrasse
bruscamente prima di prendere un respiro profondo e afferrare
l'oggetto.
Al tatto era
liscio con qualche increspatura, lo percorse con l'altra mano per
tutta la lunghezza.
Era un oggetto
abbastanza lungo con due rotondità sulla cima.
Inorridita lo
lasciò cadere emettendo un suono strozzato.
Era una osso ne
era certa.
Presa dal
panico si alzò in tutta fretta e una risata simile al suono
delle unghie sulla lavagna la fece voltare di scatto.
Stavolta la
voce era alla sua sinistra.
S'immobilizzò
desiderando stare ferma per l'eternità.
Sapeva che non
era una buona idea seguire la voce ma qualcosa dentro di lei le
urlava di avanzare.
Doveva farlo.
Passo dopo
passo avanzò acquistando più coraggio mano a mano che
procedeva.
Non si sentiva
più osservata ora.
“Maria...”
la voce le arrivò ora più chiara da un punto davanti a
lei.
Avanzò
ancora per diversi minuti prima che i suoi occhi scorgessero un
piccolo punto luminoso vermiglio.
Con un sospiro
di sollievo affrettò il passo, doveva essere una via di
uscita, non sapeva dove portava ma almeno non sarebbe più
stata al buio completo.
Più si
avvicinava e più sentiva calore, come se si stesse avvicinando
al fuoco, l'odore di fumo le giunse all'improvviso.
Ben presto
scorse quella che sembrava l'apertura di una grotta, le pareti simili
a quelle di un vulcano.
“Maria...”
ora la voce era a pochi metri di distanza e proveniva proprio
dall'interno della grotta.
Titubante entrò
guardandosi attorno.
Fece scorrere
lo sguardo sulle pareti rosso fuoco che donavano un bagliore sinistro
al pavimento di pietra, guardò in alto dove le stalattiti e le
stalagmiti in molti punti si univano a creare forme singolari.
All'improvviso
ebbe la sensazione di non essere sola, come se qualcuno fosse dietro
di lei.
Tremando e
trattenendo il respiro si voltò lentamente.
Dietro di lei
trovò una ragazza dalla bellezza singolare, teneva gli occhi
chiusi come se stesse dormendo, i capelli neri come la notte le
ricadevano in morbide onde sul viso minuto e pallido.
A occhio e
croce poteva avere dai quattordici ai diciassette anni.
Era alta e
magra, delicata.
Mosse qualche
passo avanti incerta, la ragazza sembrava non sentirla.
Le venne in
mente la bella addormentata che un sortilegio aveva costretto al
sonno eterno.
Si fermò
a poca distanza dalla giovane, si sentiva attratta, quasi non si
accorse che stava sollevando la mano per toccarla.
Avvicinò
la mano che tremava leggermente fino a portarla a pochi centimetri
dalla guancia cerea.
Appena prima
che le dita si posassero sulla pelle della ragazza, questa aprì
gli occhi di scatto facendola retrocedere e inciampare nei propri
piedi.
Cadde
all'indietro sotto lo sguardo fisso della giovane.
Lentamente si
appoggiò sui gomiti non osando distogliere lo sguardo da
quello di lei.
Uno sguardo
inquietante composto da un occhio azzurro come una distesa di
ghiaccio e da una nero come il vuoto in un pozzo.
I loro occhi
rimasero incatenati per un lungo momento, guardandola meglio si
accorse che i tratti del viso erano vagamente famigliari.
Negli occhi
della ragazza si accese una luce triste, impaurita.
D'improvviso ai
piedi di colei divamparono le fiamme, fiamme alte che in un attimo
l'avvolsero.
L'ultima cosa
che vide furono le labbra della ragazza che sillabavano la parola:
aiuto.
Maria sobbalzò
seduta sul letto col respiro corto e il cuore a mille, un senso di
angoscia che le attanagliava lo stomaco.
Non era solo un
sogno, lo sentiva dentro di sé.
ANGOLINO
DELL'AUTRICE:
Ciao ragazzi!
So che non
capite chi sia Maria ma ne saprete di più lo prometto,
fidatevi di me.
Un bacione da
Fly90.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 6 *** 6 ***
6
Ariell corse a
perdifiato con le lacrime che le appannavano la vista, i piedi che
volavano sul marciapiede e la mente piena di immagini sgradevoli.
Stampata nella
sua mente c'era l'immagine di Tomas che baciava appassionatamente
Lara, le sue labbra dolci e morbide che mordicchiavano il labbro
carnoso della ragazza.
Peccato che la
ragazza in questione non fosse lei.
Il mondo le era
crollato sotto i piedi.
Aveva donato il
suo cuore a quel ragazzo e lui glielo aveva restituito in mille
pezzi.
Correva a testa
bassa veloce come un fulmine, la gente la schivava per pura fortuna
gridandole dietro improperi ma lei non se ne curava.
Un ragazzo
colto di sorpresa non riuscì a togliersi di mezzo e cozzò
contro di lei facendola cadere.
“Ehi,
dovresti guardare dove vai ragazzina.” la rimproverò
allungandole una mano per aiutarla.
Solo quando
Ariell alzò lo sguardo lui si accorse del volto rigato dalle
lacrime.
“Stai
bene? Ti sei fatta male?” le chiese preoccupato tirandola in
piedi.
“S-si sto
bene. Voglio solo andare a casa.” riuscì a rispondere
stordita.
Il ragazzo la
guardò corrugando la fronte confuso.
“Vuoi che
ti accompagni? Non mi sembri granché in forma.” si offrì
sorridendole incerto.
Ariell scosse
la testa lentamente facendo cadere lo sguardo a terra.
“Ok, come
vuoi.” cedette lui.
La ragazza si
voltò e riprese il cammino con la testa bassa e la testa
pesante.
“Ehy!”
si sentì chiamare.
Si voltò
guardando il ragazzo che se ne stava fermo in mezzo al marciapiede
con la testa inclinata da una parte.
“Qualunque
cosa sia successo...beh, non vale la pena disperarsi.” le disse
con voce quasi dolce.
Tutta la rabbia
che covava dentro si spense a quelle parole.
Non capì
perché ma tutto d'un tratto si sentì come vuota, come
se la rabbia e il dolore si fossero portati via tutto, anima e cuore.
Guardò
il ragazzo e annuì.
“Grazie.”
disse soltanto prima di voltarsi nuovamente e riprendere la strada
verso casa.
Il ragazzo
rimase a guardarla un altro po' finché l'esile figura non
sparì dietro l'angolo di un alto edificio.
Poi, con il
volto della ragazza scolpito nella mente si mise le mani in tasca e
proseguì.
Perché
mai piangeva disperata?
Non lo avrebbe
mai saputo.
Come un automa
Ariell arrivò davanti a casa, salì i tre scalini e si
lasciò cadere sulla sedia sotto il portico, lo sguardo perso
nel vuoto e la mente buia, vuota.
Le mani strette
in grembo a stropicciare il tessuto leggero fin quasi a strapparlo.
Il cellulare
prese a squillare nella tasca ma lei non si mosse di un millimetro.
Non sapeva
quanto tempo era rimasta lì immobile, l'unico rumore il suo
respiro che si spezzava di tanto in tanto per un singhiozzo e il
cellulare che a intervalli suonava.
Poi la porta
d'ingresso si aprì e la madre si affacciò all'esterno.
“Tesoro,
che ci fai lì? Non entri?” la voce dolce di Joyce le
sciolse il cuore e alzò lo sguardo verso di lei.
Non appena i
loro occhi si incontrarono la donna capì che qualcosa non
andava, il viso di Ariell devastato dal dolore, gli occhi lucidi e
gonfi, il mascara che le segnava le guance pallide.
“Ariell,
cos'è successo?” si inginocchiò dinanzi alla
giovane prendendole le mani gelide nelle sue.
Quel contatto
caldo, affettuoso la fece piangere ancora di più.
“Tomas...”
un singhiozzo le incrinò la voce prima che lei potesse
continuare “Tomas mi ha tradita con Lara.” riuscì
infine a dire.
Gli occhi di
Joyce si velarono e l'unica cosa che poté fare fu abbracciare
la figlia che si lasciò andare tra le sue braccia, la testa
appoggiata alla spalla e le braccia strette intorno a lei così
forte che faticava a respirare ma la lasciò fare.
Dopo diversi
minuti la donna si staccò prendendole il viso tra le mani e
accarezzandola dolcemente.
“Tesoro,
entriamo in casa, comincia a fare freddo.”
Ma Ariell non
lo sentiva, come se il suo corpo fosse immune anche a quello.
Si lasciò
tirare in piedi e portare in casa come una bambina, si adagiò
sul divano e rimase lì per almeno un ora mentre la madre la
copriva con una coperta e le chiedeva più volte se voleva
parlarne.
Ariell non
aveva la forza di parlarne, forse domani, forse mai.
Quando rientrò
il padre, Joyce lo portò in cucina e gli raccontò il
poco che sapeva, le voci ovattate le arrivavano all'orecchio ma era
come se non attecchissero, come se non avessero un senso logico.
Lei era chiusa
nel suo mondo, un mondo dove al momento c'era solo dolore e
sconforto, un senso di tradimento che le bruciava in petto.
Sentì i
passi del padre avvicinarsi e alzò su di lui lo sguardo
spento.
Norman si
sedette accanto a lei e le prese il mento tra le dita guardandola
fisso.
“So che
ora stai male ma ricordati che sei forte, più di quanto pensi.
E non sei sola, hai me e la mamma, Magdalena, insomma non sei sola.”
le disse con la voce bassa e lo sguardo colmo d'amore.
Lacrime di
commozione le velarono gli occhi arrossati e di slancio si buttò
tra le braccia forti e sicure del padre che la strinse a sé
accarezzandole i capelli.
Joyce si
affacciò sulla soglia del salotto e si asciugò una
lacrima dal viso.
I giorni
seguenti furono terribili, Ariell rimase barricata in camera, non
volle andare a scuola per giorni, non mangiò praticamente
nulla, passava il suo tempo chiusa nel mutismo con lo sguardo perso
nel vuoto e la testa affollata da mille pensieri, il cuore pesante
nel petto.
Si sentiva
vuota, persa, non riusciva a concentrarsi su nulla che non fossero i
ricordi condivisi con Tomas.
Ricordava ogni
singolo momento di felicità, i baci, le parole dette.
Le mancava
tutto di lui, il suo profumo muschiato e fresco, il suo sorriso
aperto che faceva spuntare le due fossette al lato della bocca, lo
sguardo caldo quando scivolava su di lei.
Tutto questo
ora non c'era più e non ci sarebbe più stato.
Come avrebbe
fatto ad andare avanti senza di lui?
Sarebbe
ripiombata nella vecchia esistenza dove era solo una tra le tante,
una ragazza chiusa, solitaria, che non si fidava di nessuno ora più
che mai.
Non sarebbe mai
più riuscita a fidarsi di un altro ragazzo, non dopo il colpo
che le aveva inferto.
E le amiche
poi?
Si sarebbe
ancora fidata di una persona che si reputava amica?
Il leggero
bussare alla porta la fece trasalire.
Il viso paffuto
e dolce della madre si affacciò timidamente nella stanza, la
preoccupazione che le velava gli occhi.
“C'è
una persona che vuole vederti, è passata di qui tutti i giorni
per chiedere di te ma ho assecondato la tua richiesta di non vedere
nessuno e l'ho mandata via ma...ora tesoro devi uscire, affrontare il
mondo nuovamente.” le disse la madre dolcemente.
“Va bene
mamma. Ma non voglio vederlo, non ora.” sussurrò Ariell
con decisione.
“Non è
Tomas. È passato di qui ieri ma tuo padre l'ha cacciato. Non
credo si ripresenterà.” la rassicurò
avvicinandosi per accarezzarle la mano.
La ragazza la
strinse come a ringraziarla.
Con un debole
sorriso Joyce uscì dalla stanza.
Una testa
ricciuta fece capolino dalla porta assieme ad un paio di profondi
occhi castani.
“Hey
straniera. È ora di alzare il tuo bel sederino dal letto e ti
avverto che se non lo fai da sola sarò costretta ad
obbligarti.” fu il saluto diretto di Magdalena.
Per tutta
risposta Ariell si alzò dal letto.
“Oh
Maddy!” sussurrò prima di buttarsi fra le sue braccia e
scoppiare a piangere per l'ennesima volta.
“Lo so,
lo so che fa male. Piangi, sfogati e quando lo avrai fatto ti
vestirai, ti pettinerai i capelli e usciremo da questa stanza
insieme.” le bisbigliò all'orecchio stringendola a sé.
Ariell guardò
negli occhi la sua amica, la sua ancora, la sua roccia che ancora una
volta era venuta a salvarla.
“Mi
sembra di essere caduta in un incubo Maddy. Com'è potuto
succedere?” chiese più a sé stessa che a lei.
“Detesto
dovertelo dire ma io ho sempre saputo che era un bastardo, l'intuito
me lo diceva che non era ciò che sembra. Mi spiace che tu
l'abbia dovuto scoprire così.” disse Magdalena inarcando
il sopracciglio come faceva sempre quando parlava di Tomas.
“So cosa
pensi di lui e ora so che avevi ragione ma, lui era perfetto, dolce,
carino, premuroso... mai avrei pensato che potesse tradirmi.”
“Beh, gli
stronzi sono i migliori a fingere.” borbottò lei
infastidita.
“Già.”
rispose Ariell incurvando le spalle.
“Ascolta
Ari, non dico che non ti abbia mai amato perché direi una
cazzata, solo che probabilmente non ti amava abbastanza. E poi non
dimentichiamoci che è un maschio per cui geneticamente stupido
e pieno di ormoni in subbuglio. Lara è uno schianto e fa la
civetta un po' con tutti per cui penso sia stato facile per lui
cedere.” le confessò Maddy incurvando le labbra in un
lieve sorriso comprensivo.
Lo sguardo
della ragazza cadde sul cellulare di Ariell, buttato in un angolo
della scrivania.
“Ti ho
chiamata almeno dieci volte per non parlare della trentina di
messaggi che ti ho mandato. Non pensi sia ora di accenderlo?”
le disse facendo un cenno del capo in quella direzione.
“Tomas ha
cercato di chiamarmi ma io non ho nulla da dirgli.” si
giustificò aggrottando la fronte.
“Ari, non
lo potrai evitare per sempre, abitiamo in una cittadina piccola,
frequentiamo la stessa scuola e gli stessi posti. Prima o poi lo
dovrai affrontare ed prima lo fai meglio sarà.” la
rimbeccò decisa.
“Hai
ragione. Fammelo evitare ancora per oggi ok? Poi ti prometto che
accenderò il telefono, tornerò a scuola e mi riprenderò
la mia vita passo dopo passo.” le disse Ariell implorante.
“Ok, va
bene ancora oggi ma da domani si cambia registro. E ora alzati
pigrona che andiamo a mangiarci un maxi cono al cioccolato e crema.”
esclamò con un grosso sorriso ebete sulla faccia da monella
che aveva.
Ariell non poté
fare a meno di lasciarsi sfuggire una risatina prima di alzarsi e
andare all'armadio per un veloce cambio d'abiti.
La giornata
trascorse tranquilla e qualche volta Ariell riuscì anche a
ridere grazie a Maddy.
Il pensiero di
dover affrontare Tomas e Lara la angustiava ma almeno per qualche ora
non voleva pensarci.
Appena fosse
tornata a casa avrebbe acceso il telefono e se Tomas l'avesse
chiamata avrebbe risposto dimostrando di essere una ragazza matura,
che non sapeva solo scappare dalle situazioni scomode.
In fondo, era a
lui a doversi nascondere per la vergogna dopo quello che aveva fatto,
non certo lei.
Si, si disse ce
l'avrebbe fatta passo dopo passo.
ANGOLINO
DELL'AUTRICE:
Ciao a tutti,
spero che il
capitolo vi sia piaciuto, la povera Ariell soffre da morire e noi
ragazze sappiamo bene quanto diventiamo patetiche e fragili quando
soffriamo per amore ma dobbiamo ricordarci sempre che nessuno merita
le nostre lacrime perché ogni persona è speciale e se
gli altri non lo capiscono beh, peggio per loro.
Che pensate
succederà nel prossimo capitolo?
So che siamo
già al sesto capitolo e la parte mistica non è ancora
uscita ma vi ho promesso una storia con degli elementi sovrannaturali
e vi giuro che l'avrete, dovete solo pazientare un pochino e lasciare
che la storia prosegua passo passo per capire bene di che si tratta.
Fidatevi di me.
Un bacione
dalla vostra Fly90.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 7 *** 7 ***
7
Tornò a
casa per l'ora di cena e notò subito che i genitori la
scrutavano preoccupati ma speranzosi che finalmente si stesse
riprendendo.
“Non mi
sento magicamente meglio ma ora mi sento abbastanza forte da tornare
a scuola.” disse loro riuscendo a fargli anche un sorriso
sincero.
“Ne sono
felice tesoro.” disse Joyce guardandola con affetto mentre il
padre le stringeva la mano.
Riuscì
persino a gustarsi la cena: un favoloso piatto di succulenti
cannelloni al forno.
Nemmeno
riusciva a ricordarsi cosa avesse mangiato nei giorni indietro,
fortunatamente lo stomaco sembrava aver ripreso a funzionare.
Sollevata andò
in camera e accese la tv, lo sguardo le cadde sulla scrivania, in
particolare sul cellulare abbandonato lì da giorni.
Lasciò
andare un profondo sospiro prendendolo in mano e tenne brevemente
premuto il tasto d'accensione.
Lo schermo si
illuminò e dopo qualche secondo la foto che aveva impostato
mesi fa come sfondo apparve come a prendersi beffe di lei.
Ritraeva lei e
Tomas mentre si baciavano, ricordava ancora quando lui l'aveva presa
per la vita prima di esclamare gioioso: “Momento selfie!”
e baciarla mentre allungava l'altro braccio in modo da portare il
cellulare davanti a loro e scattare una foto.
Era fissato con
le foto, ne faceva tantissime, e poi ovviamente gliele mandava così
che ne aveva ormai la memoria piena.
Tomas aveva
sempre amato la fotografia e qualche mese fa si era perfino iscritto
ad un corso per migliorare la propria abilità.
Lasciò
vagare lo sguardo sul viso di lui, i capelli illuminati dai raggi del
sole, gli occhi socchiusi e le labbra morbide appoggiate sulle sue,
quel ricordo le mandò una fitta al cuore.
Il primo passo
per dimenticarlo sarebbe stato cancellare inevitabilmente tutti gli
album in memoria, quindi tutti i messaggi, le chiamate ed infine
anche il numero di telefono.
Poi bloccarlo
sia su facebook che su WhatsApp, forse anche cambiare proprio numero
in modo che non la potesse chiamare ne mandarle messaggi.
Aveva appena
finito di formulare quel pensiero che il telefono prese a vibrarle in
mano.
C'erano dieci
messaggi di Maddy, due di Lara e almeno venti di Tomas.
Stava per
cancellarli quando all'ultimo momento cliccò su Annulla.
Doveva
leggerli.
Il primo
diceva: “So che non vuoi più vedermi ma ti prego pensa a
tutti i momenti passati assieme, non possiamo buttare via tutto per
uno sbaglio. Pensaci Ariell...ti amo tanto.”
Leggendo quelle
parole Ariell sbuffò scettica ma andò avanti a leggere
il secondo.
“Ari ti
prego rispondi. Parlami. Non puoi evitarmi.”
Si, come no.
Pensò scorrendo per aprirne un altro.
“Ok, so
come ti senti. Sono un verme ma se tu butti via tutto quello che
abbiamo costruito assieme non sei tanto meglio di me. Non ti ho
tradita. Mi sarei fermato te lo giuro.”
Quelle parole
attecchirono alla sua mente facendola ribollire di rabbia.
Davvero pensava
che attaccarla fosse un buon modo per farsi perdonare?
Innervosita
premette rudemente il pulsante per aprire il quarto messaggio.
Non avrebbe
voluto leggerli ma era troppo curiosa di sapere che altro aveva da
dirle quello stronzo.
“Che
cazzo Ariell! Non rispondi ai messaggi, ignori le mie chiamate...chi
cazzo sei? Smetti di fare la prima donna e affronta la realtà
cazzo!”
Sentì i
nervi tendersi, la testa prese a girarle e l'occhio destro le pizzicò
leggermente.
Nonostante
questo andò avanti.
“Tesoro
ti prego scusami, ieri ero arrabbiato non dovevo dirti quelle cose ma
cerca di capire. Sto soffrendo anche io. Ti amo da morire e il
pensiero di averti perso mi uccide.”
Non credeva ad
una sola parola. Non poteva amarla davvero ed essersi portato Lara in
camera sua, dove aveva passato intere giornate lì con lei,
abbracciati sul letto.
No, non lo
poteva accettare e non lo avrebbe mai perdonato, non ce la faceva
proprio.
Altri tre
messaggi erano simili, le diceva di amarla, di pensarci, di
rispondere ma il penultimo era di nuovo aggressivo.
“Sai che
c'è? Non importa guarda, vuoi piantarmi? Bene fallo allora.
Lara è una gran figa ed è migliore di te sotto tanti
aspetti, è anche più matura di te. Sono sicuro che, se
fosse stata lei la mia ragazza, mi avrebbe capito e perdonato. Spero
che tu stia bene e ti senta soddisfatta per tutti i messaggi
disperati che ti ho mandato per non parlare delle chiamate che ti ho
fatto. Il tuo ego sarà così grande che probabilmente ti
farà scoppiare. Quando tornerai da me piangendo sappi che
potresti trovarmi tra le braccia di un altra, forse proprio fra
quelle di Lara!”
A quelle parole
la rabbia crebbe esplodendole nelle vene come lava incandescente, un
calore mai provato priva la riscaldò da dentro e la mente le
si annebbiò.
L'occhio destro
ora le pizzicava da morire, tanto che si portò una mano ad
esso sfregandolo, senza però alleviare la propria pena.
Il calore e la
rabbia continuavano a divampare in lei come un incendio irradiandosi
nelle mani che presero a illuminarsi di un rosso acceso.
La plastica del
cellulare prese a sfrigolare e l'odore le invase le narici facendola
tossire.
In una manciata
di secondi il telefono era completamente liquefatto e Ariell mollò
la presa spaventata.
Il cuore prese
a batterle all'impazzata mentre prendeva coscienza di quanto aveva
appena fatto.
Che cosa le
stava succedendo?
Mosse qualche
passo indietro, lo sguardo fisso sul mucchietto di plastica fusa, e
si lasciò cadere a terra con le mani nei capelli, le lacrime
presero a rigarle il volto, lacrime di paura, di orrore.
Ripensò
a quando aveva spinto Tomas così forte da farlo cadere a
terra, di come era riuscita a sollevare Lara, come se fosse una
piuma, ripensò al calore che sentiva crescere dentro di lei
ogni volta che si arrabbiava.
Ora riusciva a
far uscire quel calore trasformando le sue mani in armi pericolose.
Ogni volta che
s'infuriava era come se perdesse il controllo del proprio corpo,
della propria mente, era accecata dalla furia e diventava pericolosa.
Le tornò
alla mente lo sguardo impaurito e disperato di Lara mentre la sua
mano le stringeva la gola sempre più forte, se non fosse stato
per Tomas non sapeva fin dove si sarebbe spinta.
Sarebbe davvero
stata capace di uccidere Lara?
Guardava Lara e
la vedeva faticare per riempire d'aria i polmoni eppure non riusciva
ad ordinare alla mano di aprirsi, come se il suo corpo fosse
controllato da qualcun' altro.
Quando Tomas
era riuscito, con fatica, ad allontanarla da Lara il velo che la
teneva prigioniera si era dissipato magicamente e lei era tornata in
se stessa.
Non poteva più
ignorare quanto successo, c'era qualcosa in lei che non andava e ora
ne era più che mai convinta.
Presa dal
panico si raggomitolò su se stessa dondolando avanti e
indietro mentre si abbracciava le ginocchia.
Rimase lì
tutta la notte incapace di alzarsi ne di pensare ad altro.
ANGOLINO
DELL'AUTRICE:
Ciao a tutti!
Ecco il nuovo
capitolo, finalmente entriamo nel vivo della storia.
Che ne pensate?
Voi cosa
credete stia succedendo ad Ariell?
Sono curiosa di
sentire i vostri pareri.
Un bacione da
Fly90.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 8 *** 8 ***
8
Anche se non
avrebbe voluto, il giorno dopo arrivò in un baleno e Ariell
dovette fare i conti con la sua vita di sempre.
Doveva andare a
scuola ma, alla luce dei recenti fatti non si sentiva molto sicura di
se stessa.
E se avesse
dato ancora sfogo ai suoi poteri?
Se avesse fatto
del male a qualcuno?
Se qualcuno
avesse scoperto di cosa era capace?
Non poteva
rischiare ma non aveva altra scelta.
Con un sospiro
si alzò lentamente socchiudendo piano la porta e sbirciando al
di fuori, pareva non ci fosse nessuno in casa.
Per fortuna la
mamma doveva essere uscita di buon ora per andare dalla signora
Levinsky, com'era solita fare il lunedì mattina.
Drizzò
le spalle e andò in bagno, mentre si lavava il viso vide
qualcosa di diverso nel riflesso.
Ci mise un po'
a capire che era il suo occhio destro ad essere differente, pareva
più scuro del solito, tanto che riusciva a distinguere appena
l'iride dalla pupilla.
Era ancora più
inquietante del solito.
“Bene, ci
mancava solo questo.” borbottò mentre si pettinava
sistemandosi il ciuffo su quell'occhio scuro.
Si preparò
in fretta, nonostante la voglia di andare a scuola fosse nulla, e si
diresse come sempre a casa di Maddy.
“Ehy
straniera.” la salutò l'amica stingendola
frettolosamente “sono molto fiera di te.”
Ariell abbozzò
un sorriso imbarazzato e annuì debolmente.
Maddy le
strinse la mano e assieme s'incamminarono verso la scuola parlando
del più e del meno senza affrontare discorsi dolorosi.
L'amica sapeva
sempre qual'era il modo giusto per starle accanto.
Per l'ennesima
volta Ariell la ringraziò in silenzio.
Giunte davanti
ai cancelli della scuola prese un respiro profondo e oltrepassò
a testa alta il tratto di viale che portava alle porte dell'edificio.
Fu il tragitto
più lungo di tutta la sua vita, nonostante si sforzasse di non
guardare nessuno, il suo sguardo captava occhiate curiose sui volti
degli studenti, sentiva parole sussurrate di orecchio in orecchio e
sapeva per certo che l'intera scuola parlava di lei.
Quando
finalmente varcò le porte lasciò andare il respiro che
non si era nemmeno accorta di aver trattenuto e abbassò lo
sguardo sentendosi un po' più al sicuro, meno esposta.
“Vedrai
che la notizia sarà presto sostituita da un altra e in men che
non si dica più nessuno parlerà di voi.” le
sussurrò Maddy all'orecchio mentre la prendeva per le spalle e
l'accompagnava in classe.
Ad un tratto la
presa dell'amica sulle sue spalle s'irrigidì e Ariell alzò
lo sguardo trovandosi davanti lo sguardo limpido di Tomas.
Il ragazzo la
guardò con occhi tristi prima di parlare con voce roca.
“Ariell,
posso parlarti un attimo?” le chiese contrito.
Averlo davanti,
a poca distanza da lei le diede una forte emozione, iniziarono a
tremarle le gambe e fu grata del braccio di Maddy ancora intorno a
lei a sorreggerla.
“I-io e
te non abbiamo più nulla da dirci.” riuscì a
rispondere perdendosi in quegli occhi tristi come i suoi.
“Devi
ascoltarmi Ariell, ti prego. Mi manchi da morire.” le disse
implorante muovendo un passo incerto verso di lei.
“Hai
sentito no? Non vuole parlarti quindi faresti meglio a girare al
largo.” lo attaccò Magdalena prima che Ariell potesse
dire qualcosa.
Tomas trasalì
a quelle parole ma non si mosse di un millimetro sbarrandole ancora
la strada col suo corpo muscoloso nel quale avrebbe voluto ancora
perdersi.
La guardò
come a cercare conferma nel suo sguardo.
“Si,
voglio che mi stai lontano.” annuì Ariell scansandolo
leggermente e allontanandosi.
Non poteva
accertarsene ma aveva la sensazione che Tomas la stesse ancora
guardando impalato al centro del corridoio.
Chiudendo gli
occhi si lasciò cadere sulla sedia e prese posizione al banco
mentre Maddy la guardava aggrottando la fronte preoccupata.
“Tutto
bene?” le sillabò in silenzio.
Ariell si
ritrovò ad annuire ancora appena prima di chiudere gli occhi e
sospirare.
Sarebbe
riuscita ad evitare Tomas?
Le lezioni
catturarono tutta la sua attenzione tenendo lontano per un po' i suoi
problemi ma ben presto non poté più sfuggire ai
pensieri, all'uscita della scuola Tomas si fece trovare davanti ai
cancelli.
“Ariell
parliamone. Ti prego.” la supplicò prendendola per il
braccio.
A quel contatto
la ragazza trasalì come colpita da una scarica elettrica e
puntò lo sguardo nel punto in cui la mano calda di Tomas
entrava in contatto col suo polso.
Sotto quello
sguardo freddo il ragazzo la lasciò andare ferito.
“Ti
prego. Ti chiedo solo dieci minuti.” insisté cercandola
con lo sguardo.
“Non sei
obbligata se non vuoi.” le disse Maddy dolcemente
intromettendosi quasi fosse la sua guardia del corpo.
“Va tutto
bene Maddy, prima o poi ne dobbiamo parlare per chiudere finalmente
questo capitolo.” la rassicurò Ariell abbozzando un
sorriso che non le parve per nulla rassicurante.
L'amica annuì
e prima di lasciarla la strinse in un abbraccio da orso, quindi
fulminò il ragazzo con un occhiata omicida e si allontanò
verso casa.
“So che
ti ho fatta soffrire, non so cosa mi sia successo con Lara. Mi sono
lasciato trasportare dalla situazione. Lei è venuta a farsi
dare gli appunti di scienze, indossava una camicetta sbottonata a
scoprire il seno, la pancia nuda, i jeans che le segnavano ogni
curva.” mentre parlava Ariell credeva di impazzire, ogni parola
una coltellata dritta al petto.
“Ha
iniziato a flirtare con me, sorrideva sensuale, poi mi ha appoggiato
la mano al petto e si è avvicinata così tanto che
potevo sentire il suo profumo e ho perso la testa. L'ho baciata e una
cosa tira l'altra mi sono ritrovato avvinghiato a lei.”
continuò
guardandola tristemente.
“Che cosa
vuoi che ti dica Tomas? Che ti dia una medaglia?” commentò
lei tagliente sentendo la rabbia crepitare sotto pelle nonostante
cercasse di contrastarla.
“Non ho
detto questo. Poi sei arrivata tu e quando ho visto il dolore nei
tuoi occhi mi è crollato il mondo addosso. Ho capito di aver
rovinato tutto.” disse scuotendo il capo avvilito e
prendendola per mano ma lei si ritrasse bruscamente.
Lasciò
cadere la mano lungo il fianco e strinse il pugno come se sentisse
l'urgenza di toccarla, di sentire il calore della sua pelle sotto la
mano.
“Questi
giorni senza di te sono stati una morte, ho capito quanto sei
importante per me, Ariell sei tu la ragazza che amo e con la quale
sogno un futuro. Non voglio perderti e sono disposto a fare qualsiasi
cosa per riconquistarti. Qualsiasi. Eravamo troppo felici assieme per
permettere che finisca tra noi.” concluse con una luce
determinata negli occhi.
Non si sarebbe
arreso e Ariell lo capì all'istante.
“Hai
detto bene: eravamo felici insieme, peccato che hai rovinato tutto.
Non posso dimenticare quello che hai fatto e non so se potrò
mai. Mi dispiace.” confessò guardandolo dritto negli
occhi e sentendo la rabbia svanire sostituita da una tristezza senza
fine che le morse il cuore chiudendolo in una stretta implacabile.
Dopodiché
lo sorpassò allontanandosi ma appena ebbe mosso pochi passi la
voce di Tomas la richiamò costringendola a girarsi.
“Mi ami
ancora?”
Quelle parole
le si posarono sul cuore infrangendolo definitivamente.
Dovette
deglutire un paio di volte prima che la voce le uscisse chiara, senza
incrinature.
“Non ne
sono più sicura.” disse con voce flebile.
Lo sguardo
atterrito che le rivolse le rimase impresso nella mente anche dopo
che si fu allontanata, mentre mangiava la cena cercando di fingere
serenità e mentre era sdraiata nel letto senza riuscire a
dormire.
Non sapeva
nemmeno lei cosa sarebbe accaduto ne cosa provava, le sembrava di
essere vuota come il guscio di una conchiglia.
ANGOLINO
DELL'AUTRICE:
Ciao a tutti
eccomi ancora qua con l'ennesimo capitolo.
Allora che ne
pensate?
Tifate per
Tomas oppure volete vederlo soffrire le pene dell'inferno?
Ditemi la
vostra.
Un bacione da
Fly90.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 9 *** 9 ***
9
Erano passate
due settimane da quella dolorosa conversazione con Tomas ma il dolore
e la malinconia la facevano ancora da padrone nel cuore di Ariell.
Si era più
volte chiesta se aveva fatto la scelta giusta a lasciarlo, se sarebbe
stata meglio con lui piuttosto che soffrire per la sua assenza.
Le sembrava di
essere invecchiata di almeno dieci anni, le occhiaie la segnavano,
non riusciva più a dormire bene, non aveva più
appetito, era sempre distratta e taciturna.
Ultimamente le
sue notti erano costellate da incubi orribili dove Lara e Tomas
facevano fini cruente, subivano torture angoscianti ma, la cosa
strana era che venivano torturate, mutilate e uccise sempre dalla
stessa figura incappucciata che lei non aveva ancora visto in volto.
Cercava di
distrarsi in tutti i modi ma ogni cosa le ricordava di lui.
Su consiglio
della madre aveva chiuso in uno scatolone tutto ciò che le
aveva regalato, le foto con lui, persino i vestiti che le aveva
regalato, ma la cosa che più le era pesata era stata togliersi
la collanina a forma di cuore che portava da quando era iniziata la
loro storia.
Ma nemmeno
questo era bastato per farle trovare un po' di serenità anzi,
si sentiva sempre peggio.
Ogni qualvolta
si arrabbiava faceva sempre più fatica a trovare il controllo
e, per non fare del male a nessuno si allontanava in tutta fretta
combattendo contro il velo che le offuscava la mente.
Aveva paura ma
non poteva parlarne con nessuno, l'avrebbero presa per pazza o peggio
l'avrebbero tacciata di stregoneria o rinchiusa in qualche clinica
psichiatrica, non poteva rischiare che qualcuno le vedesse fare certe
cose, nemmeno i suoi genitori.
Dopo aver fuso
il telefono ne aveva comprato uno nuovo dicendo ai suoi che l'altro
le era caduto distruggendosi, per fortuna le avevano creduto e la
cosa era finita lì.
La cosa più
difficile da nascondere era l'occhio che aveva assunto un colore
sempre più scuro, quando lo guardava con attenzione le
sembrava di sentirsi risucchiare in un vortice, come se stesse
guardando nelle cavità di un pozzo.
Era spaventoso.
Sarebbe andata
dal medico che le aveva diagnosticato l'eterocromia per accertarsi
che fosse tutto a posto.
Perché
mi sta succedendo tutto questo?
Si chiedeva
sconsolata e impaurita, nessuno poteva aiutarla, nessuno.
Era
stato difficile guardare negli occhi tristi di Tomas quando era
entrata a scuola e l'aveva notato mentre parlava con alcuni amici.
Sembrava
aver perso anche lui l'allegria di sempre, ora si aggirava per la
scuola con gli occhi spenti, le rare volte che sorrideva lo faceva
senza più alcuna gioia come se si fosse stampato un sorriso
finto per nascondere al mondo la sofferenza che lo divorava.
Anche
lui soffriva senza di lei ma non le aveva più fatto nessuna
pressione, si limitava a guardarla da lontano.
Per
fortuna Maddy non la lasciava un istante quindi era più facile
non cedere all'istinto di correre tra le sue braccia e fargli tornare
il sorriso, quel sorriso che aveva tanto amato.
Tutt'altra
cosa sentiva quando vedeva Lara, un senso di rabbia la invadeva ad
ogni sua occhiata strafottente tanto che era difficile ignorarla, per
cui evitava accuratamente di imbattersi in lei.
Purtroppo
in una scuola non era semplice evitare d'imbattersi in una persona
per cui l'inevitabile accadde.
Ariell
chiese di poter andare al bagno e si alzò dirigendosi a passo
svelto verso il corridoio.
Aveva
bisogno di un attimo di pace, la lezione di matematica era piuttosto
pesante e lei non riusciva a concentrarsi.
Si
sciacquò il viso con l'acqua fredda per risvegliarsi e in quel
momento la porta di uno dei bagni a schiera si aprì.
Ne
uscì una Lara mentre si sistemava la gonna eccessivamente
corta che le copriva a malapena le parti intime.
Appena
alzò lo sguardo si accorse di Ariell che, intanto era tornata
velocemente a guardare in basso, facendo finta di lavarsi le mani.
La
sentì avvicinarsi al lavandino accanto al suo e con la coda
dell'occhio notò che la stava osservando.
Sapeva
che stava solo cercando di innervosirla ma non era facile
controllarsi quando avrebbe voluto cavarle gli occhi dalle orbite.
Prese
un respiro profondo quindi sollevò lo sguardo e lo puntò
dritto in quello di Lara come a sfidarla.
Si
guardarono per circa un minuto prima che Ariell la sorpassasse con la
chiara intenzione di abbandonare la stanza.
“Codarda.”
bofonchiò la ragazza con voce velenosa.
Ariell
si girò di scatto tornando sui suoi passi.
“Come
prego?” disse inarcando il sopracciglio.
L'altra
per tutta risposta drizzò la schiena incrociando le braccia
sul petto che rischiò di strabordare dalla maglietta scollata.
“Hai
capito benissimo. Sei una codarda.” ripeté guardandola
fisso.
La
rabbia aumentò velocemente incendiandole le vene.
Quanto
avrebbe voluto prendere quella faccia a pugni in modo da strappargli
quella smorfia altezzosa dal viso.
“Sappi
che non ti evito per codardia ma perché mi fai schifo, mi fai
schifo come persona e non starò qui a dirti cosa penso di te
perché sono troppo educata per farlo.”
la
rimbeccò piena d'odio.
Si,
quello che sentiva era odio, cocente e spietato.
“Davvero
pensavi che uno come Tomas potesse stare con te? Insomma guardati,
sei ridicola con quella faccetta acqua e sapone, quei capelli sempre
sulla faccia e poi, quegli occhi orribili. Mettiti le lenti a
contatto colorate, per fortuna le hanno inventate.” le disse
maligna con una risata di scherno finale.
L'occhio
destro iniziò a pizzicarle e il calore si fece mano a mano più
intenso.
“Meglio
strana che zoccola mia cara.” rispose cercando di controllare
la rabbia.
Tremava
di un'energia repressa, si sentiva come una bomba a orologeria pronta
a esplodere.
Ma
non poteva esplodere.
“Beh,
pare che al tuo fidanzatino piacciono le zoccole. Almeno io so come
farlo divertire a quanto pare.” Sbottò lei punta sul
vivo.
Quelle
parole furono la goccia che fece traboccare il vaso.
Ariell
sentì il calore giungere alle mani mentre la mente veniva
offuscata da un leggero intorpidimento.
“E
allora spiegami perché non sta con te ora che io non sono più
un problema.” la provocò con voce fredda, tagliente.
Qualcosa
nel volto di Lara cambiò, un lampo di timore passò nei
suoi occhi nocciola ma fu solo un istante.
“Sono
certa che presto riuscirò a conquistarlo. Sai, penso che tu
gli faccia pena e non vuole distruggerti, ma io gli farò
presto cambiare idea puoi starne certa.” disse cercando di
darsi un contegno.
“Sei
solo una lurida stronza Lara, come hai potuto? Noi eravamo amiche.”
si lasciò sfuggire Ariell contrita scatenando un altra risata
da parte della ragazza.
“Davvero
pensavi fossimo amiche? Fra me e te non c'è paragone.”
la freddò prima fare qualche passo verso la porta.
Ariell
le sbarrò la strada furiosa.
L'occhio
le pizzicava da farla impazzire e il respiro tremante e caldo le
usciva a sbuffi dalle narici.
“Tu
non vai proprio da nessuna puttana!” le disse avvicinandosi
minacciosamente.
Lara
retrocesse di qualche passo intimorita dal cambio d'umore della
ragazza.
Ariell
era irriconoscibile, la guardava come se avesse voluto ucciderla.
Un
brivido freddo le percorse la schiena mentre si portava
istintivamente la mano alla gola dove, fino a pochi giorni fa, un
livido violaceo le disegnava la pelle.
Si
guardò freneticamente intorno come a cercare una via d'uscita.
Ora
era Ariell a ridere, rideva di lei, della sua paura, l'assaporava con
soddisfazione.
“Ti
sei messa contro la persona sbagliata!” le disse con un ghigno.
Un
luccichio ferino
le illuminò lo
sguardo.
Lara
retrocesse fino ad appoggiare le spalle contro le piastrelle fredde,
schiacciata dal peso di quello sguardo omicida.
La
paura la invase.
Ariell
le balzò quasi addosso digrignando i denti con rabbia prima di
appoggiarle una mano sul viso.
La
pelle si raggrinzì all'istante ustionata.
L'odore
di carne bruciata aleggiò nella stanza e le narici di Ariell
si allargarono per gustarselo.
Il
dolore fu cocente, così forte che iniziò a girarle la
testa e si dovette appoggiare alla parete per non crollare a terra.
Prima
che potesse urlare Ariell le sbatté violentemente la testa
contro il muro facendola ricadere nel buio assoluto.
Doveva
calmarsi, non poteva uscire dal bagno in quelle condizioni, era fuori
di sé.
Si
guardò allo specchio, fissò lo sguardo sull'occhio
sinistro, quello di un azzurro glaciale e iniziò a calmarsi
mentre il velo che le offuscava la mente di diradava lentamente.
Respirò
a fondo dopo essersi sciacquata il viso.
Si
guardò le mani che ora apparivano normali, senza nessuna luce
rossastra ad illuminarle.
Tornò
a guardare l'occhio scuro, una pozza nera senza fondo in cui scorse
un lontano luccichio.
Guardò
meglio e non vide più nulla.
“Stai
diventando pazza Ari.” si disse prima di voltarsi a guardare
Lara.
Era
accasciata sul pavimento, svenuta, la guancia orrendamente sfigurata
da una bruciatura grossa come il palmo della sua mano.
Fu
allora che tornò in sé di colpo.
Che
cosa diavolo aveva fatto?
Spaventata
si mise le mani tra i capelli, non poteva rischiare che la trovassero
in bagno con lei, nessuno doveva sapere cos'aveva fatto.
Prese
un profondo respiro e uscì di corsa urlando a squarciagola.
Uscirono
tutti dalle aule, la confusione regnava sovrana.
Qualcuno
la prese per le spalle e la scosse delicatamente.
“Che
cosa succede?” le chiese la professoressa Right.
“L-Lara.
L'ho trovata nel bagno. È-è svenuta e ha una bruciatura
sul viso. I-io non so cosa le sia successo, vi prego aiutatela.”
gridò disperata con le lacrime che le ricadevano sul viso.
“Va
tutto bene, ci penso io.” le disse la donna prima di
precipitarsi verso il bagno.
Tomas
le fu accanto e la strinse fra le braccia accarezzandole i capelli
mentre piangeva a dirotto.
“Andrà
tutto bene.” le sussurrò.
La
paura le attanagliò il cuore.
Cosa
sarebbe successo ora? Lara avrebbe detto cos'era accaduto?
Sarebbe
stata riconosciuta come mostro da tutti?
ANGOLINO
DELL'AUTRICE:
Ciao
a tutti gente!
Cosa
ne pensate del capitolo?
Visto
che guaio?
Se
la caverà la nostra Ariell oppure il suo segreto verrà
fuori?
Ditemi
la vostra.
Un
bacione dalla vostra Fly90.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 10 *** 10 ***
10
Ariell si
distese sul letto con lo sguardo puntato al soffitto senza realmente
vederlo.
La mente vagava
nel ricordo orribile di quanto era successo nel bagno qualche giorno
prima.
Era stato
scioccante rendersi conto di quanto aveva fatto.
Strinse la mano
a pugno sulla pancia al ricordo della pelle di Lara che veniva
bruciata proprio dalla sua mano, l'odore di carne bruciata ancora le
impregnava le narici ogni volta che ci pensava.
L'aveva
sfigurata per sempre.
Nonostante
questo sapeva bene che le cose sarebbero potute andare diversamente,
era stata ad un passo dall'ucciderla, l'aveva sentito forte l'istinto
dentro di se.
Eppure era come
se fossero emozioni non sue, era certa che non fossero le sue
emozioni, lei non sarebbe mai arrivata a tanto, era arrabbiata certo,
ma non avrebbe mai fatto una cosa simile se fosse stata veramente in
se.
Lara era stata
portata di corsa all'ospedale in stato d'incoscienza.
Era stata
curata ma quando si era svegliata non aveva pronunciato una sola
parola, non aveva risposto a nessuna delle domande che le avevano
rivolto.
I medici
avevano accertato lo stato di schock ma non avevano saputo dire con
esattezza se avrebbe mai più parlato.
Chi era andato
a trovarla raccontava di una profonda bruciatura sul bel viso della
ragazza, rossa e rigonfia dalla vaga forma di una mano.
Anche Ariell
aveva subito un interrogatorio.
Per fortuna era
riuscita ad essere abbastanza lucida da dare sempre la stessa
identica versione senza tradirsi mai.
Quando la
professoressa Right le aveva chiesto come aveva trovato Lara e se
avesse visto qualcuno uscire dal bagno le aveva risposto
semplicemente che, quando era entrata nella stanza, Lara giaceva
inerme sul pavimento.
L'ipotesi più
logica fu che qualcuno probabilmente aveva dei conti in sospeso con
la ragazza quindi l'aveva seguita e aggredita facendole sbattere il
capo contro la parete e, una volta svenuta, l'aveva sfigurata con la
fiamma di un accendino.
Nessuno quindi
sospettò di Ariell, tutti le avevano offerto conforto
sopratutto Tomas, Jenny e Maddy.
Ma nonostante
tutto si fosse risolto nei migliori dei modi per lei, si sentiva un
mostro, aveva paura di quanto le stava succedendo.
Si portò
le mani alle tempie, massaggiandole nel tentativo di farsi passare il
terribile mal di testa che da giorni l'assillava, e si lasciò
andare piano piano ad un sonno profondo.
Ariell
stava camminando in un campo di fiori quando ad un tratto il
paesaggio intorno a lei cambiò di colpo.
Il
sole si spense e il cielo si fece scuro, con una pallida luna che
rischiarava solo in parte l'erba secca sotto i suoi piedi.
Gli
alberi rigogliosi di poco prima erano spariti sostituiti da carcasse
marce dai rami spogli che si s'innalzavano verso il cielo come mani
nodose pronte a ghermire la luna.
Un
vento gelido le scompigliò i lunghi capelli facendola
rabbrividire nella leggera camicia da notte.
Si
guardò attorno e mosse qualche passo non sapendo bene cosa
fare, voleva solo andare via da quel posto lugubre che
le metteva i brividi.
Un
gufo si librò in volo facendola sobbalzare mentre passava
sotto uno degli alberi cadenti.
Guardando
in alto si distrasse e inciampò in una radice rovinando a
terra e battendo la fronte su un sasso aguzzo.
Tirandosi
su si tastò la fronte dolorante e le dita si macchiarono di
sangue.
“Accidenti.”
si lasciò sfuggire.
La
sua voce s'infranse nel vento facendola sentire ancor più
sperduta e sola.
Improvvisamente
scorse una luce rossastra che si addentrava nel folto del bosco.
Tremante
si costrinse a muoversi in quella direzione, dentro di se un lieve
senso di paura le serpeggiò intorno al cuore.
Cosa
poteva attenderla laggiù?
In
che posto si trovava?
Come
ne sarebbe uscita?
Passo
dopo passo si addentrò nel bosco impigliandosi nei rami fitti
degli arbusti, carichi di spine, che le graffiavano la pelle e le
strappavano la veste.
Non
appena giunse a pochi passi dalla luce scarlatta il paesaggio cambiò
nuovamente.
L'erba
venne sostituita da un pavimento di pietra e gli alberi si
trasformarono in un soffitto a volta che pareva una specie di tempio
scavato nella roccia.
Al
centro del tempio una lunga lastra di marmo dalla quale pendevano
catene con grosse cinghie di cuoio, adornava l'ambiente.
Improvvisamente
il suono di una voce portò Ariell a nascondersi istintivamente
in una rientranza dalla
quale poteva scorgere la lastra.
“Ti
prego lasciami andare. P-per favore non farmi del male.” una
voce famigliare sembrava supplicare qualcuno di lasciarla andare.
Pochi
istanti dopo alla sua vista comparve Tomas mentre veniva sospinto
nella stanza da una figura incappucciata.
Sebbene
la figura fosse molto più minuta del ragazzo, sembrava avere
la forza necessaria per trattenerlo e spingerlo inevitabilmente sulla
lastra.
Lo
spinse così forte che Tomas cadde pesantemente sul marmo
battendo il viso e spaccandosi un dente.
Un
rivolo di sangue gli cadde sul labbro mentre la figura lo prendeva
per i capelli e gli sbatteva nuovamente il viso sul marmo stavolta
rompendogli il setto nasale.
Lo
schiocco della cartilagine che si rompeva fece venire un conato ad
Ariell che si dovette premere una mano sulla bocca per soffocare il
gemito.
Avrebbe
voluto intervenire ma la paura la bloccava come se fosse incatenata
al pavimento.
Sputando
altro sangue Tomas fu costretto a salire sulla lastra dove la figura
lo legò stretto per mani e piedi.
Una
risata maligna scosse le pareti del tempio.
“Deve
pagare per quello che ha fatto. Depurare la sua anima col sangue.”
una voce cavernosa e profonda, che sembrava arrivare da un luogo
dietro la figura esile, serpeggiò per la stanza permeandola di
cattiveria, odio puro.
Come
per rispondere la persona incappucciata tirò fuori dalla tasca
della toga nera un lungo coltello affilato.
La
lama luccicò alla luce rossastra e Tomas urlò mentre si
avvicinava allo sterno nudo.
“Lui
ha fatto cose cattive, ha deluso le persone che gli volevano bene, ha
peccato, ha tradito, ha ingannato. E ora deve pagare.” tuonò
ancora la voce.
L'esile
figura fece scorrere la lama graffiando leggermente la pelle nella
sua discesa lenta.
Sembrava
stesse decidendo dove colpire.
Un
secondo dopo, con la rapidità di un serpente, conficcò
la lama in mezzo alle ultime due costole facendo contrarre il ragazzo
dal dolore.
Ariell
guardò il coltello sparire fino al manico nella carne del
giovane e iniziò a piangere lasciandosi cadere lungo la parete
tremando.
La
mano esperta rigirò il coltello nella carne strappando a Tomas
altre grida pregne di dolore e disperazione.
“Pagherà
per tutto il male che ha fatto.” esplose ancora la voce
facendosi più forte.
Un
altra volta la mano si alzò e piombò nuovamente a
martoriare la carne del giovane.
Ariell
rimase pietrificata a guardare il coltello che apriva nuove ferite in
tutto il corpo di Tomas, per quanto si sforzasse di reagire qualcosa
la teneva incollata alla parete, una forza oscura.
“Aprigli
il petto e estraigli il cuore, quel cuore impuro che è il
nostro nutrimento, il mio nutrimento. Lo voglio assaporare pezzo per
pezzo.” urlò la voce arrivando al culmine della follia.
Sgranando
gli occhi Ariell guardò la figura esile che affondava il
coltello in pieno petto aprendo la carne e aiutandosi con le mani.
Lo
sterno orribilmente aperto in due mentre il sangue scorreva a fiumi
sporcando il pavimento.
Le
mani insanguinate estrassero il cuore pulsante del ragazzo che si
accasciò privo di vita.
Il
cuore batteva ancora tra le dita dello sconosciuto producendo un
rimbombo acuto all'interno della grotta che fungeva da amplificatore.
Ariell
si ritrovò a reprimere un violento conato mentre le lacrime le
inondavano il viso e la voce le s'incastrava in gola.
Concentrò
lo sguardo sulla figura che lentamente stava alzando il capo.
Il
cappuccio ampio nascondeva ancora i tratti della persona, il cuore di
Ariell venne attanagliato da un senso di disagio e di terrore allo
stato puro.
Sgranò
gli occhi cercando di vedere meglio quando la voce tornò a
farsi sentire chiara e fin troppo vicina.
Era
dietro di lei.
Si
voltò lentamente e vide un'ombra, una figura sfocata fatta di
fumo nero.
L'unica
cosa che si vedeva nettamente erano due occhi gialli con pupille
verticali e sottili simili a quelle dei rettili che la fissavano
glaciali.
Inorridita
retrocesse uscendo allo scoperto.
Si
rigirò indietro nel vano tentativo di scappare ma si trovò
davanti l'esile figura che le sbarrò la strada.
Le
mani pallide della figura si abbassarono lentamente il cappuccio
rivelando una lunga cascata di capelli corvini che nascondevano
ancora il viso ai suoi occhi.
Di
scatto la testa si raddrizzò e ciò che Ariell vide le
ghiacciò il sangue nelle vene.
“Nooooo!”
urlò mentre guardava se stessa negli occhi.
Ariell
si tirò su di scatto facendo volare le coperte, il cuore a
mille e la testa pulsante.
Il
respiro le uscì tremante mentre cercava di riprendere il
controllo.
Aveva
appena fatto l'incubo più brutto di tutta la sua vita.
Mentre
si alzava e accendeva la luce sentì qualcosa di bagnato
inumidirle la fronte, si portò la mano alla testa e se la
portò davanti al viso.
Sussultò
non appena vide il sangue e corse allo specchio.
Un
profondo taglio le solcava la fronte.
ANGOLINO
DELL'AUTRICE:
Ciao
a tutti.
Cosa
ne pensate del capitolo?
Ariell
ha davvero sognato?
Come
spiegate il taglio alla fronte?
Nell
incubo lei sbatteva la fronte su un sasso e si tagliava se ben
ricordate...
non
voglio aggiungere altro.
Un
bacione dalla vostra Fly90.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 11 *** 11 ***
11
“Ehy
bella addormentata nel bosco, mi ricevi?” la voce divertita di
Maddy scosse Ariell dai propri pensieri cupi.
“Si,
scusami ma sono un po' distratta oggi.” rispose lei toccandosi
la fronte e trasalendo quando le dita scontrarono il taglio.
“Ma come
te lo sei fatto quello?” chiese Maddy indicando il taglio che
si apriva sul lato destro della fronte dell'amica.
“Umh...ecco
io...ho sbattuto contro l'anta dell'armadio.” campò lì
Ariell cercando di essere convincente.
“Ok.
Comunque avresti dovuto andare in farmacia. Ti avrebbero messo
qualcosa. Sono sicura che ti rimarrà un bel segno.” le
fece notare la ragazza arricciandosi una ciocca di capelli chiari
attorno al dito.
“Beh,
credo che la farmacia sia chiusa alle due di notte.” mugugnò
lei sbuffando.
“Dovresti
farti controllare quell'occhio...” cominciò l'altra
insistente “non è normale che di punto in bianco sia
tutto arrossato.”
Ariell sapeva
bene che il suo occhio destro non aveva un bell'aspetto.
Nelle settimane
precedenti le era parso diventare sempre più scuro tanto che
non si distingueva più la pupilla dall'iride.
Cosa più
preoccupante erano i capillari rosso fuoco che affollavano
completamente la parte bianca dell'occhio.
Quando se n'era
accorta per poco non aveva urlato davanti allo specchio.
Ora si che
sembrava un mostro fatto e finito.
Anche i suoi
avevano insistito per portarla a farsi vedere ma lei aveva preso
tempo dicendo che se ne sarebbe occupata entro la fine della
settimana.
In realtà
aveva paura che il cambiamento dell'occhio fosse dovuto a quello che
le stava succedendo.
E se avessero
scoperto che aveva dei poteri?
Se qualcuno
avesse cominciato a studiarla trattandola come una specie di cavia da
laboratorio?
Eppure non
poteva sottrarsi per sempre alla visita, i suoi ce l'avrebbero
portata di peso.
“Si, oggi
pomeriggio prenoto una visita.” rispose sulla difensiva.
“Sarà
meglio perché altrimenti ti ci porto io. Sai che odio quando
scherzi sulla salute.” la redarguì Maddy con sguardo
intimidatorio.
Per tutta
risposta Ariell le fece una linguaccia.
**
Lo
studio del Dottor May era piuttosto affollato e il nervosismo
cominciò ad intaccare i nervi di Ariell.
Voleva
solo uscire da lì il prima possibile.
Avrebbe
voluto alzarsi e darsela a gambe ma non sarebbe servito a nulla.
In
cuor suo sapeva che non era nulla che riguardava la sua Eterocromia,
se lo sentiva nelle ossa.
Il
suo occhio era collegato al cambiamento che era avvenuto in lei da
qualche mese.
Si
concentrò ripensando a tutte le volte che aveva scatenato i
suoi poteri.
Ogni
volta che la rabbia prendeva il sopravvento cominciava a sentire
calore sotto la pelle, un velo che le annebbiava la mente e l'occhio
destro che le doleva, le pizzicava come se avesse qualcosa
all'interno.
Cosa
diavolo le stava succedendo?
Le
immagini spaventose dell'incubo che aveva fatto la notte precedente
le si affollarono nella mente.
Le
orribili torture che aveva subito Tomas gli erano state inferte da
lei stessa.
Come
poteva odiarlo tanto?
Quando
quella mattina non lo aveva scorto ai cancelli, dov'era solitamente
appostato ad aspettarla, un brutto presentimento le aveva ghermito lo
stomaco.
Stava
per chiamarlo al cellulare preoccupata, quando lo aveva visto
arrivare di corsa.
Per
un attimo aveva creduto che non solo il taglio che aveva alla fronte
fosse stato reale.
Il
solo pensiero che Tomas potesse essere morto l'aveva fatta
sprofondare nella disperazione.
Non
poteva però negare che una parte di lei fosse eccitata da quel
pensiero.
Per
un breve attimo aveva sentito come un moto di soddisfazione al
ricordo delle torture che gli aveva inferto.
Quell'emozione
l'aveva spaventata ancora più dell'incubo.
“Stuart
Ariell.” il suo nome echeggiò nella stanza.
Si
alzò di scatto come colta in flagrante e si avvicinò
alla segretaria del dottore rivolgendole un debole sorriso.
“Ciao
tesoro, come va? Il dottore ti sta aspettando.” la salutò
la donna che la conosceva fin da quando era piccolissima.
“Bene
grazie e lei?” rispose affabile cercando di scacciare la
tensione dai muscoli.
Si
avviarono assieme fino alla porta chiusa dello studio poi la donna la
lasciò riprendendo il suo posto dietro alla scrivania.
Ariell
entrò trattenendo il respiro.
“Buongiorno
dottore.” lo salutò con voce tremante.
“Ciao
Ariell, accomodati pure.” disse lui facendole cenno alla
poltroncina davanti alla scrivania.
Lei
si sedette stringendo i braccioli con forza.
Era
tesa come una corda di violino e a nulla serviva cercare di calmarsi.
“Allora,
dimmi tutto.” le chiese con un sorriso.
Il
dottore era sempre stato un omone gentile e gioviale e fin da subito
aveva stabilito un contatto con lei.
“Da
qualche giorno l'occhio destro mi da qualche problema.” esordì
lei senza aggiungere altro ma alzando lo sguardo su di lui in modo
che potesse rendersi conto di quanto fosse grande il problema.
“Mmm...vedo
che è molto arrossato.” proclamò alzandosi dalla
sedia e avvicinandosi per vedere da vicino.
Le
puntò la luce sugli occhi osservandoli
attentamente entrambi.
“L'occhio
sinistro sembra a posto ma l'occhio destro effettivamente pare
irritato.”
annunciò
gravemente aprendo la cartella sul tavolo e sfogliandola.
“Dottore,
è grave?” chiese Ariell con voce incerta.
L'uomo
stette in silenzio per alcuni minuti continuando a leggere i vari
fogli.
“Dottore?”richiamò
la sua attenzione.
“Emh
si, scusami Ariell. Stavo rileggendo alcune tue cartelle. No, non è
grave ma dovremmo fare degli accertamenti per verificare che sia
realmente tutto a posto. Comunque mi sento abbastanza sicuro da dirti
che i capillari si sono danneggiati a causa del aumento della
pressione sanguigna. Forse in questi giorni hai avuto problemi di
pressione?” le chiese rincuorandola.
“Si,
in effetti sono stati giorni abbastanza pesanti e mi sono sentita
male.” mentì lei cercando di apparire sicura.
“Proprio
come pensavo. Ti consiglio di andare da un dottore per farti
prescrivere delle pillole per la pressione.” le consigliò
sorridendole.
“Si,
ci andrò oggi stesso. Grazie dottore.” lo ringraziò
prima di uscire dallo studio.
Una
volta fuori lasciò andare un respiro di sollievo.
Salutò
la segretaria e si affrettò verso l'uscita.
**
Maria
guardò il foglietto che aveva in mano e sospirò.
Erano
settimane che cercava notizie.
Quell'incubo
ricorrente l'aveva perseguitata ogni singola notte e ogni volta era
peggiore.
Chiuse
gli occhi e il volto pallido della ragazza apparve vivido dietro le
palpebre.
Si
chiese se doveva dare davvero ascolto al suo sesto senso.
In
fondo non l'aveva mai ingannata una sola volta.
La
conoscevano tutti, nella piccola cittadina in cui si era rifugiata
diversi anni fa, come la sensitiva.
Era
nata con il potere di sognare le cose, aveva spesso aiutato a trovare
bambini scomparsi, a capire quando qualcuno era nei guai e una volta
aveva persino sognato la morte di una donna della cittadina e aveva
contribuito a far arrestare il responsabile.
No,
non poteva sbagliarsi, quella ragazza aveva bisogno del suo aiuto e
non si sarebbe certo tirata indietro.
Non
poteva tirarsi indietro, non quando si trattava di quella specifica
ragazza.
Aveva
capito subito di chi si trattava.
I
suoi occhi glielo avevano detto, quegli occhi che aveva incontrato
una volta sola nella vita segnandola per sempre.
Era
stato un lungo susseguirsi di ricerche che non avevano portato a
nulla finché, la notte precedente, non aveva sognato ancora la
ragazza dagli occhi bicolori che, prima di essere inghiottita dalle
fiamme, aveva detto con voce chiara un indirizzo.
Svegliatasi
di soprassalto, Maria aveva subito segnato l'indirizzo sicura che
fosse proprio lì che avrebbe trovato la ragazza.
Ed
era lì che si
trovava, nel vialetto che
portava alla casa numero 3 di Bowery, pronta
a bussare alla porta.
ANGOLINO
DELL'AUTRICE:
Ciao
a tutti.
Eccovi
un altro capitolo che spero non risulti pesante.
So
che non capite chi diavolo sia Maria ma vi prometto che nel prossimo
capitolo tutto sarà chiaro riguardo a questo personaggio.
Abbiate
fede.
Un
bacione da Fly90.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 12 *** 12 ***
12
Lara, lo
sguardo perso nel vuoto, se ne stava immobile nel letto d'ospedale.
Sembrava non
cosciente del mondo intorno a lei.
L'infermiera
che si occupava di lei da ormai una settimana le accarezzò i
lunghi capelli abbozzando un sorriso.
“Ora
piccola facciamo la medicazione ok?” le disse ben sapendo che
la ragazza non avrebbe risposto.
A dire il vero
molti trovavano stupido parlarle ma lei era sicura che la giovane la
stesse ascoltando e che la capisse nonostante fosse lontana anni luce
da lei con la mente.
Aveva sempre
pensato che, per sfondare il muro immaginario fra lei e gli altri,
occorresse creare un contatto.
Per questa
ragione parlava a Lara costantemente, la accarezzava, cercava di
rassicurarla in ogni modo.
Ogni piccola
cosa poteva “risvegliarla” in qualche modo riportandola
alla sua vita di sempre.
Lasciò
vagare lo sguardo sulla guancia orribilmente ustionata provando un
moto di rabbia verso il responsabile di tale cattiveria.
Chi mai poteva
odiare qualcuno a tal punto da rovinarla per sempre?
Spostò
la lunga treccia bionda all'indietro e si voltò a prendere
l'occorrente per pulire la lesione.
“Dovresti
mangiare qualcosa. So che il cibo dell'ospedale non è il menu
migliore che ci sia in giro ma almeno ti serve per rimetterti in
forze e uscire da qua il prima possibile.” continuò a
parlarle mentre le passava delicatamente la garza imbevuta sulla
ferita.
La giovane
continuava a guardare il vuoto senza dare segno di recepire le
parole.
“Sai, ho
un fratello della tua stessa età, una vera peste. Sono sicura
che ti piacerebbe se lo conoscessi. È un tipo molto
divertente.” si lasciò sfuggire un sorriso mentre
pensava a Paul, il suo fratellino.
Lara prese a
dondolare avanti e indietro.
“Tesoro,
ancora un po' di pazienza. Lascia che mi occupi di te.” le
disse mentre la bloccava con un braccio.
La ragazza si
immobilizzò all'istante irrigidendosi.
In quei giorni
aveva capito che essere afferrata la spaventava.
Si chiese per
l'ennesima volta cos'aveva subito per lasciarla in quello stato.
Passò la
crema sulla carne viva cercando di essere il più delicata
possibile ma Lara sembrava non sentire dolore.
Le applicò
una benda pulita e si tolse i guanti posandoli sul carrello dietro di
se.
“Sei
stata bravissima.” le disse accarezzandole i capelli con
dolcezza cercando di reprimere il groppo che aveva in gola.
Vedere quella
ragazza così piccola e fragile in quel letto d'ospedale le
faceva male al cuore.
Avrebbe fatto
di tutto per tirarla fuori dal limbo in cui era caduta.
“Torno a
trovarti appena finisco il turno.”
Sospirò
guardandola ancora un momento prima di uscire dalla stanza.
**
Il
suono della porta che si chiudeva fu seguito dal silenzio assoluto.
Lara
riprese a dondolarsi avanti e indietro alzando lo sguardo e
puntandolo sulla porta dove appena un istante prima c'era Vera.
Le
piaceva quell'infermiera, era gentile e le parlava di continuo, era
come se sapesse che lei la sentiva.
Vera
era l'unica cosa positiva in quella sua vita fatta di silenzi e paura
in cui era piombata, come un raggio di sole che squarcia le nuvole.
Un
brivido le percorse la schiena mentre lentamente portava una mano
alla guancia lesionata.
Non
aveva avuto ancora modo di vedersi e non sapeva se ne avrebbe mai
avuto il coraggio.
La
sua vita era finita.
Lasciò
vagare la mente in quel mondo oscuro e pauroso in cui era piombata.
Un
lamento strozzato le uscì dalle labbra mentre lo sguardo
impazzito di Ariell le si scolpiva nella testa.
Non
avrebbe mai dimenticato quello sguardo omicida, la paura e il dolore
che ne erano conseguiti.
La
sensazione della carne che bruciava, la sua carne, non l'avrebbe mai
lasciata.
Vide
il palmo arrossato e bollente che si avvicinava al viso, sentì
un dolore cocente al viso e calde lacrime le caddero dagli occhi.
Ogni
notte la sognava, sognava Ariell che l'aggrediva.
Il
suo sguardo aleggiava nella stanza buia, maligno, perfido, pronto a
incenerirla in un istante.
Ormai
non riusciva più a dormire e quelle volte che la sedavano
cadeva in uno stato d'incoscienza, purtroppo persino in quello stato
riusciva ancora a vederla.
Non
ne sarebbe mai uscita.
La
sua voce gracchiante le riempiva le orecchie dandole l'impressione
che la testa potesse esplodere da un momento all'altro.
Non
riusciva a parlare anche se avrebbe tanto voluto, era come se il suo
cervello non riuscisse più a comandare la bocca.
Avrebbe
voluto dire a Vera tutto ciò che aveva subito ma, per quanto
tentasse le parole le rimanevano incastrate in gola lasciandola
frustrata e indifesa.
Ogni
giorno scivolava sempre più in quel mondo inospitale, tagliata
fuori da tutto e senza possibilità di scappare.
Sarebbe
impazzita a breve.
I
suoi genitori non facevano che piangere straziandole il cuore già
provato.
Così
aveva incominciato a chiudersi completamente, non provava più
nulla se non paura.
Prese
a dondolare ancor più velocemente mugolando tremante.
Strinse
le braccia attorno al corpo nel vano tentativo di proteggersi da quei
ricordi orribili.
Andò
avanti così finché Vera non tornò alle 20.00 per
salutarla.
La
trovò seduta sul letto ormai del tutto disfatto con le mani
intorno al corpo e le lacrime ormai secche a solcarle le guance
ceree.
D'impulso
l'abbracciò stretta.
Lara
si strinse in quell'abbraccio come ad un ancora di salvezza lasciando
che la donna alleviasse un po' del dolore profondo che sentiva
dentro.
**
“Si,
sto bene. Sono appena stata dal dottore e mi ha detto che è
tutto a posto.” disse Ariell per la terza volta.
Maddy
l'aveva pregata di chiamarla non appena avesse avuto notizie del suo
occhio.
“Ma
te l'ha spiegato il perché ha quell'aspetto?” chiese
ancora scettica l'amica.
“Si,
ho solo avuto qualche problemino con la pressione. Ti ho detto che
sto bene. Smettila di preoccuparti o vengo lì e ti picchio!”
sbuffò spazientita.
Adorava
Magdalena ma, talvolta, era peggio dei suoi genitori, non faceva che
preoccuparsi per lei in continuazione.
Forse
era perché la vedeva come una specie di bisognosa di
protezione a causa del suo malessere dovuto all'eterocromia, o forse
perché semplicemente le voleva un gran bene, fatto sta che
però a volte Ariell si sentiva come una bambina e ciò
la irritava molto.
Non
era una bambina e di sicuro sapeva badare a se stessa.
È
vero che a causa della malattia aveva spesso sofferto, specie nelle
relazioni sociali, ma in fondo non aveva fatto altro che renderla più
forte.
“Ok
ok. Scusami. È solo che mi preoccupo per te piccola
irriverente che non sei altro.” scherzò Maddy per
calmarla.
“Beh,
smettila di farmi da mamma. Ho bisogno della mia pazza amica e non di
una chioccia al momento.” la rimbeccò lei tagliente.
“Va
bene. Come vuoi.” rispose l'amica piccata.
Ma
che diavolo sto facendo?
Si
chiese Ariell cercando di sbollire l'irritazione improvvisa.
Le
cose andavano peggiorando di giorno in giorno, ormai per un nonnulla
si arrabbiava, rispondeva male, era nervosa.
Decisamente
qualcosa in lei non andava.
“Scusami
Maddy. Sono solo stanca e non mi sono ancora ripresa completamente
dalla faccenda di Tomas e Lara.” si giustificò prendendo
un grosso respiro.
“Lo
so. Vedrai che col tempo andrà meglio. A proposito, ieri ho
sentito che Jen è stata in ospedale...” sussurrò
Maddy stoppandosi.
“E...come
sta?” chiese Ariell titubante col cuore che batteva a mille.
“Ancora
sotto shock, non parla e non sembra dare nessun segno di
miglioramento.” terminò lapidaria l'amica.
“Non
volevo che le capitasse una cosa del genere. Insomma io sono ancora
arrabbiata con lei e la odio per quel che ha fatto ma non avrei
voluto che subisse questo.” confessò mestamente Ariell.
Non
poté fare a meno di ripensare a quando lei stessa l'aveva
irrimediabilmente ustionata.
Poteva
sentire ancora la soddisfazione fugace che l'aveva colmata in
quell'istante.
Un
brivido freddo le percorse la schiena mentre pregava perché
Lara non dicesse mai cos'era successo quel giorno.
“Si,
lo so. Non si riesce a scoprire chi sia stato. Chiunque sia è
un essere orribile e merita di subire la stessa cosa se non peggio.”
sentenziò Maddy con un moto di rabbia nella voce.
A
quelle parole il cuore di Ariell si strinse in una morsa.
“essere
orribile, mostro” erano le parole che più si
avvicinavano a ciò che era attualmente.
Si
chiese come l'avrebbe presa Maddy se avesse saputo che era stata lei.
Le
venne da piangere ma ingoiò quel groppo che le risaliva in
gola, non poteva
dirglielo.
Nessuno
l'avrebbe capita ma, del resto, nemmeno lei stessa riusciva a capire
cosa stesse succedendo.
Si
sentiva sempre meno umana come se si stesse trasformando in un
mostro.
Che
ne sarebbe stato di lei?
“Ora
devo andare Maddy, ci vediamo domani a scuola ok?” disse
sbrigativa.
Quella
conversazione le faceva male.
“Va
bene. Un bacio.” la salutò l'amica prima di riattaccare.
Mancavano
un paio di isolati alla sua casa e Ariell camminò con calma in
mezzo alla gente, completamente presa dai propri pensieri.
Aveva
cominciato a pensare di essere affetta da schizofrenia, era l'unica
spiegazione possibile, l'unica soluzione per accettare l'enormità
di quanto aveva fatto a Lara.
Era
talmente presa che per poco non superò la casa passando oltre.
Portandosi
una mano alla fronte tornò indietro e finalmente entrò
in casa.
Chiuse
piano la porta alle sue spalle e mosse qualche passo nel corridoio.
“Non
erano questi i patti. Ci avevano assicurato che non saresti mai
venuta a sconvolgere la sua vita!” la voce concitata del padre
le giunse cogliendola di sorpresa.
Si
fermò di colpo restando in ascolto.
“So
che avevo giurato ma penso sia il momento che lei sappia la verità,
non voglio sconvolgerle la vita ma se sono qui è perché
ho i miei motivi e vi assicuro che sono motivi seri.” la voce
sommessa di una donna arrivò da un punto imprecisato della
cucina.
“La
sconvolgerà. Non puoi arrivare così di punto in bianco
e pretendere di poter entrare così nella sua vita. Ha bisogno
di calma e sta affrontando un momento molto difficile.”
continuò il padre sempre più concitato.
Ariell
si sentì confusa.
Di
cosa stavano parlando?
Mosse
altri due passi fermandosi appena dietro al muro e sbirciò
verso la cucina.
Una
donna dai lunghissimi capelli corvini legati in una coda alta era
seduta di spalle e ascoltava Norman che la sovrastava, la madre era a
qualche passo di distanza, l'espressione del viso pieno di angoscia.
“Non
posso fare altrimenti. È una cosa della massima importanza e
ho tutti i diritti di conoscerla. Non voglio portarvela via, voglio
solo poter creare un contatto con lei. Non potete negarmelo.”
disse la donna con voce implorante ma allo stesso tempo decisa.
“Caro
ti prego calmati. Ho paura anche io ma credo che prima o poi lei
debba sapere la verità, ne abbiamo parlato tanto in passato e
sapevamo che questo giorno sarebbe arrivato.” Joyce
si avvicinò al marito carezzandogli il braccio e trattenendo a
stento le lacrime.
“No.
Non lo permetterò mai io..”
Ariell
confusa e innervosita dalla donna uscì allo scoperto entrando
in cucina a passo di carica.
Nessuno
poteva far soffrire i suoi genitori.
“Che
cosa sta succedendo?” sbottò guardando la madre.
“T-
tesoro siediti un attimo.” le si fece dappresso la donna
cercando di accarezzarle il viso.
“No
mamma, voglio sapere cosa sta succedendo. Perché state
litigando e chi è questa donna?” chiese Ariell girandosi
a guardare la donna ancora seduta al tavolo.
La
guardò attentamente.
Era
una bella donna sulla quarantina con lunghi capelli scuri ad
incorniciarle il viso tondo e grazioso, gli occhi di un verde acceso
avevano un aura di saggezza, un acutezza che colpiva.
L'espressione
della donna si addolcì non appena i loro sguardi si furono
incrociati.
“Sei
bellissima.” sussurrò trasalendo come se le parole le
fossero sfuggite dalla bocca.
Gli
occhi le si inumidirono e le mani presero a tremarle leggermente.
“Chi
è lei?”le disse diretta Ariell non riuscendo a
distogliere lo sguardo da lei.
Sentiva
che quella donna aveva qualcosa di strano, ma anche di famigliare.
“I-io...”
balbettò la donna ma venne prontamente interrotta da Joyce.
“Tesoro,
dobbiamo parlare.” le disse guidandola verso la sedia più
vicina.
“Che
succede? Volete dirmelo?” chiese lei spazientita ma anche
nervosa.
C'era
qualcosa che non le tornava in quella situazione.
Guardò
il padre che la ricambiò con uno sguardo afflitto prima di
posarlo a terra come se non avesse il coraggio di guardarla
ulteriormente.
Quel
gesto le fece scorrere l'ansia nelle vene.
Qualcosa
non andava decisamente.
Tornò
a guardare la donna che ora tremava ancora di più.
ANGOLINO
DELL'AUTRICE:
Ciao
a tutti ragazzi!
Eccomi
qui con un capitolo un po' lunghetto...mi ha preso decisamente troppo
la mano e spero non risulti noioso.
Ve
lo prometto nel prossimo saprete finalmente chi è questa
misteriosa donna.
Voi
cosa dite?
Avete
delle idee a riguardo?
Fatemi
sapere cosa ne pensate e se la storia vi piace o se avete dei
consigli.
Insomma
ditemi la vostra se ne avete voglia.
Grazie.
Un
bacione da Fly90.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 13 *** 13 ***
13
Ariell fece
scorrere lo sguardo dal padre, alla madre, fino a fermarsi negli
occhi verdi smeraldo della donna.
Era come se
quegli occhi le stessero comunicando qualcosa.
“Tesoro”
la chiamò Joyce dolcemente riportando l'attenzione su di sé.
“c'è una cosa che io e tuo padre ti abbiamo nascosto.”
Ariell la
guardò aggrottando la fronte.
Non c'erano mai
stati segreti tra loro, o meglio non ce n'erano mai stati prima che
la sua vita venisse sconvolta dai poteri che da qualche tempo la
sconvolgevano.
Scrollò
il capo incapace di dire qualsiasi cosa.
Si sentiva la
gola secca e lo stomaco attanagliato dall'ansia.
“Ecco
vedi...noi non siamo...” cominciò Joyce ma venne
interrotta dal marito.
“Non lo
fare Joyce. Non è ancora pronta per questo.” gli occhi
del padre si velarono di lacrime.
“Smettila
di parlare come se io non ci fossi papà. Ho il diritto di
sapere qualunque cosa mi dobbiate dire, mi pare troppo tardi per
tirarsi indietro.” sbottò spazientita Ariell puntandolo
con uno sguardo duro.
Norman scosse
il capo abbattuto e mise una mano sulla spalla di Joyce come a
sostenerla in quel difficile compito.
La donna prese
un grosso sospiro tremante e strizzò gli occhi per poi
riportarli in quelli della figlia.
“Noi non
siamo i tuoi veri genitori...” disse con voce roca.
Le parole
attecchirono nel cervello di Ariell come macigni.
Sussultò
sulla sedia sgranando gli occhi.
“C- come
è possibile? State scherzando vero?” balbettò
attonita facendosi sfuggire una risatina isterica.
“Purtroppo
no. Volevamo parlartene ma solo quando saresti stata pronta.”
rispose la madre atterrita.
“E quando
pensavate di dirmelo? Quando sarei stata una quarantenne?”
sibilò la giovane irritandosi sempre di più.
“Non è
facile lo devi ammettere anche tu. L'avremmo fatto coi nostri tempi
ma l'avremmo fatto.” intervenne Norman supplicandola con lo
sguardo.
“Avreste
dovuto dirmelo già anni fa, non sono più una bambina!”
sbottò lei dura.
“Tesoro
noi...” sussurrò Joyce ma s'interruppe incapace di
continuare.
“Chi sei
tu? Cosa c'entri in tutta questa storia?” Affrontò la
donna che fino a quel momento era rimasta in silenzio come una
semplice spettatrice.
La inchiodò
con lo sguardo come volesse spaventarla ma capì che la donna
non era una che si faceva intimorire facilmente.
Per tutta
risposta la scrutò per qualche secondo con quei suoi occhi che
sembravano scavare nell'anima.
“Sono tua
madre.” scandì semplicemente, come se quell'affermazione
non stesse sconvolgendo del tutto la vita di Ariell.
“M-mia
madre?” riuscì a balbettare dopo qualche attimo la
ragazza.
La donna annuì
brevemente continuando a scrutarla in attesa.
Ariell prese ad
osservare meglio la donna.
I lunghi
capelli corvini così uguali ai suoi, i lineamenti dolci del
viso che ora le parvero famigliari, il taglio leggermente allungato
degli occhi.
Come aveva
fatto a non notare quelle somiglianze prima?
Più la
guardava e più le sembrava di vedere se stessa con diversi
anni in più.
“So che
non ho scelto il modo giusto, che non è facile ritrovarsi di
punto in bianco faccia a faccia con una madre che non sapevi di
avere...” la donna si tuffò a capofitto in un discorso
di scuse ma Ariell la interruppe con freddezza.
“Tu non
sei mia madre.” disse con disprezzo.
La donna
sussultò come colpita da uno schiaffo e, probabilmente se lo
avesse ricevuto davvero avrebbe fatto meno male ma, sapeva di
meritarselo dopotutto.
“Ariell,
so che ora sei arrabbiata ma col tempo forse le cose ti sembreranno
più chiare. A volte le persone sono costrette a fare delle
scelte per quanto sbagliate possano sembrare.” intervenne Joyce
dolcemente.
Il fatto che la
madre cercasse di giustificare l'abbandono della sua vera madre le
fece salire la pressione alle stelle.
Il consueto
dolore all'occhio tornò a tormentarla mentre cercava di
prendere dei respiri profondi.
“No, ha
ragione. Non sono sua madre, non mi conosce.” le si rivolse
Maria con un accenno di sorriso come se la volesse ringraziare per il
tentativo di scusarla.
“Infatti.
Tu mi hai abbandonata e io non voglio avere nulla a che fare con te
ne ora ne mai. Ho due genitori favolosi e sto benissimo così.
Non c'è nulla che tu mi possa dare. E voglio che tu sparisca,
in tutti questi anni non mi hai mai cercata quindi non vedo perché
dovremmo avere un rapporto ora.” sentenziò Ariell
guardandola con sdegno e rabbia.
Quando vide gli
occhi di Maria velarsi di lacrime provò un moto di
soddisfazione che assaporò fino in fondo.
“Ti
prego, so che non mi merito nulla ma dammi una possibilità.
Non voglio entrare nella tua vita come un uragano. Voglio soltanto
avere la possibilità di conoscerti.” provò a
farla ragionare la donna prendendole la mano.
A quel contatto
Maria sentì una scossa e si ritrasse bruscamente con un senso
di angoscia.
In quel momento
capì che c'era qualcosa di speciale in quella ragazza che la
guardava con spavalderia e cattiveria quasi volesse incenerirla sul
posto.
“Te lo
ripeto: io non ti voglio conoscere!” ripeté gelida.
“Tesoro,
io credo che dovresti pensarci con calma prima di...” provò
a calmarla Joyce ma venne bruscamente interrotta.
“No!”
urlò la ragazza facendola sobbalzare.
Il padre stinse
la spalla della madre come a trattenerla dal dire altro.
“Vattene
e non tornare mai più!” urlò in faccia a Maria
prima di alzarsi di scatto facendo cadere la sedia.
Il consueto
velo le annebbiò la mente e capì di dover uscire da
quella stanza subito prima di perdere definitivamente il controllo.
Si voltò
e corse in camera sbattendo la porta.
“Bene,
spero che tu sia contenta.” commentò aspro Norman
alzandosi a sua volta e lasciando la stanza.
Maria abbassò
lo sguardo sul tavolo piangendo sommessamente.
Singhiozzò
per qualche minuto prima che la mano leggera di Joyce le accarezzasse
la testa con dolcezza.
“Sono
sicura che col tempo Ariell ti cercherà. Non so dirti quando
ma la conosco abbastanza per esserne certa.” le sussurrò
incontrando il suo sguardo.
Provò un
istintiva stima per quella donna che, invece di odiarla la stava
consolando.
“Joyce,
non voglio portartela via. Voglio solo avere la possibilità di
conoscerla.” le disse atterrita.
“Avrai
questa possibilità solo quando lei si sentirà pronta.”
rispose la donna stringendole brevemente le mani.
A quel gesto
Maria sorrise con calore sentendo una complicità inaspettata
che la legava a quella donna.
Maria abbandonò
la casa mestamente.
Prima di salire
in macchina guardò in direzione della casa e fece appena in
tempo a notare Ariell che la osservava prima di scomparire dietro la
tenda.
Aveva sentito
che c'era qualcosa in lei che la stava distruggendo e non l'avrebbe
permesso.
Quella ragazza
era in pericolo e avrebbe fatto qualunque cosa per salvarla anche a
costo della propria vita, era sua figlia.
ANGOLINO
DELL'AUTRICE:
Ciao a tutti!
Che ne pensate?
Ve lo
aspettavate?
Al prossimo
capitolo.
Un bacione da
Fly90.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 14 *** 14 ***
14
Ariell ripensò
a quanto aveva scoperto poco prima e si sentì mancare.
Tutta la sua
vita era basata su una menzogna.
A ben pensarci
fisicamente non somigliava ne a quella che, fin ora, reputava sua
madre, ne a quello che pensava essere suo padre.
Com'era
possibile che non se ne fosse mai accorta, che non avesse mai avuto
il minimo sospetto?
Joyce e Norman
si erano sempre comportati come genitori veri, sempre affettuosi, le
avevano insegnato tutto quel che sapeva ed era a loro che doveva
tutto.
Le lacrime le
velarono gli occhi al ricordo del viso così simile al suo di
Maria.
Si chiese come
sarebbero andate le cose, che persona sarebbe ora se lei non l'avesse
abbandonata.
Scacciò
quel pensiero con un moto di rabbia e si asciugò gli occhi
rudemente.
Non poteva
permettersi di pensare a quella donna che sentiva di odiare, non
l'aveva voluta e doveva considerare una vera e propria fortuna che
due persone meravigliose l'avessero adottata.
Il cuore le si
infiammò di viva rabbia che le esplose nelle vene come lava
incandescente.
L'ormai
consueta scarica di calore all'intero corpo la pervase, guardò
in basso e vide le proprie mani illuminarsi come braci.
Più
pensava a quella donna e più la rabbia cresceva nell'attesa di
esplodere.
L'occhio prese
a pizzicarle dolorosamente e sentì le mani scaldarle la pelle
del ventre dov'erano posate.
Qualcuno bussò
alla porta e Ariell si stese velocemente sul letto nascondendo le
mani sotto al cuscino.
“Avanti.”
disse con voce roca, una voce per nulla simile alla sua.
La figura della
madre si stagliò sull'uscio scrutandola intensamente.
“Ti va di
parlarne?” le chiese titubante.
Ariell scosse
la testa abbassando lo sguardo.
Joyce curvò
le spalle abbattuta e si lasciò scappare un sospiro.
“Non mi
piace che tu ti chiuda a riccio tesoro. Abbiamo sempre affrontato
tutto insieme e abbiamo bisogno di confrontarci.” ritentò
guardandola speranzosa.
“Non mi
pare che tu e papà abbiate mai affrontato con me questo
argomento o saprei da anni di essere stata adottata.” rispose
tagliente guardandola duramente.
Appena vide gli
occhi di Joyce velarsi di lacrime si pentì e le regalò
un sorriso forzato.
“Mamma,
perché non me ne avete parlato prima?” chiese
flebilmente.
La donna si
avvicinò a passo lento e si sedette sul letto.
“So che
abbiamo sbagliato ma volevamo solo proteggerti. Quando ti abbiamo
adottata ci avevano assicurato che non si sarebbe mai fatta viva.”
cercò di spiegarle.
“Quindi
se non si fosse presentata non me l'avreste mai detto?” domandò
sconcertata.
“Certo
che te l'avremmo detto, non ora però. Un giorno te ne avremmo
parlato.” la rassicurò la donna.
Ariell finse di
crederle, non riusciva ad arrabbiarsi con i genitori.
Sapeva bene che
l'amavano più di ogni altra cosa al mondo e, anche se le
avevano nascosto la verità, l'avevano fatto a fin di bene ne
era certa.
Lasciò
andare un grosso e amaro sospiro.
La rabbia era
stata sostituita dalla tristezza perciò si tirò su e
appoggiò la mano su quella della madre.
Le lacrime
presero a rigare il volto della donna.
Rimasero così
per un attimo lunghissimo prima che Joyce trovasse il coraggio di
guardarla negli occhi.
“Tesoro,
spero che un giorno potrai perdonarci.” sussurrò prima
che le si rompesse la voce.
Ariell sentì
il cuore stringersi e di getto abbracciò la madre scoppiando a
piangere a sua volta.
Si strinse a
lei come ad un ancora di salvezza.
Si sentiva come
una naufraga in pieno oceano e in balia di una tempesta.
“Quindi
loro non sono i tuoi genitori?” chiese ancora incredula
Magdalena mentre si rigirava una ciocca di capelli tra le dita.
“Esattamente.”
concluse per la centesima volta Ariell iniziando a spazientirsi.
“Come
l'hai presa?” le chiese preoccupata l'amica.
La
ragazza scrollò le spalle corrugando la fronte.
“Direi
che è stato un bel colpo ma, infondo penso che non sia
cambiato nulla. Ho capito che l'hanno fatto solo per proteggermi.”
affermò sinceramente.
Gli
occhi dell'amica si addolcirono.
“Ti
vogliono molto bene.” annuì.
Ci
fu un momento di silenzio nel quale ognuna sprofondò nei
propri pensieri, poi Maddy ruppe il silenzio.
“Com'è
lei?” chiese titubante come avesse paura della reazione
dell'amica.
Immediatamente
lo sguardo della giovane s'indurì e le lanciò
un'occhiata tagliente prima di rispondere.
“Quella
donna è praticamente la mia copia solo con diversi anni in
più. È impressionante.”
Maddy
annuì lentamente.
“Che
effetto ti ha fatto vederla?” chiese esitante sapendo di
entrare in terreno minato.
“Non
lo so nemmeno io Maddy, so solo che la odio. La odio per avermi
abbandonato e per essere venuta a sconvolgermi la vita proprio ora.”
ammise duramente.
Il
solo pensiero le faceva ribollire il sangue nelle vene.
Prese
un lungo respiro e chiuse gli occhi per calmarsi.
“Non
sei curiosa di sapere perché ti ha abbandonata? Insomma io
vorrei almeno sapere il motivo.” affermò la ragazza
tornando a rigirarsi un ricciolo biondo attorno al dito.
“Non
la voglio vedere mai più! Non mi interessa il perché
l'ha fatto, so solo che non la perdonerò mai. Non è una
madre quella è...è un mostro senza cuore.”
sentenziò Ariell dura.
Maddy
trasalì sentendo il tono intriso d'odio dell'amica.
“Beh,
io lo sarei. Penso che ti debba una spiegazione.” insistette
decisa.
“Per
me può anche morire ora.” sbottò arrabbiata
decretando la fine del discorso.
Magdalena
fu scossa da un brivido, non aveva mai visto Ariell così, di
solito era dolce e sempre allegra ma, da qualche mese era
completamente cambiata.
Non
era certa che il brusco cambiamento fosse dovuto solo al fatto di
aver scoperto Tomas con Lara e nemmeno dal fatto che era stata
adottata, c'era di più ma lei non riusciva a capirne il reale
motivo.
Sperava
solo che la sua amica sarebbe tornata ad essere quella di un tempo
perché, sinceramente faceva molta fatica a interagire con la
nuova Ariell.
Il
mattino seguente Ariell si alzò di cattivo umore.
Non
era riuscita a dormire e, per di più aveva sognato ancora una
volta Tomas.
Il
solito incubo dove lo torturava nelle maniere più cruenti che
si potesse immaginare.
Iniziava
ad avere paura di se stessa, com'era possibile che dentro avesse
tanta cattiveria?
Ancora
una volta le tornò alla mente Lara.
Da
quando l'avevano ricoverata non era mai andata a trovarla, nonostante
Joyce si fosse offerta più di una volta di accompagnarla, in
realtà aveva paura che vedendola la ragazza avesse potuto
svelare il suo segreto.
L'ansia
la divorava, ogni momento poteva essere la sua fine.
Per
ora Maddy le aveva detto che non parlava, ancora in stato di shock,
eppure non era tranquilla.
Maddy
le fece un sorriso dolce mentre si sedeva accanto a lei.
“Come
va?” le sussurrò cercando di non farsi sentire dal prof.
Grey.
Ariell
scrollò le spalle come a dire che stava bene anche se in
realtà era ancora piena di rabbia repressa e tristezza.
La
giovane le accarezzò il braccio prima di girarsi e prestare
attenzione alla noiosa spiegazione che il prof stava cominciando.
Nonostante
cercasse di fare altrettanto Ariell non capì nulla di ciò
che Grey stava spiegando immersa com'era nei propri lugubri pensieri.
Per
distrarsi si mise a scarabocchiare sul foglio davanti a lei senza un
idea precisa, lasciò che la mano guidasse la penna.
“Che
cos'è quel coso?” chiese Maddy indicando il disegno
appena terminato.
Ariell
lo guardò attentamente come se lo stesse vedendo solo ora.
Un
essere abominevole con grandi corna e pelle squamosa che prendeva
tutto il foglio.
“Ehm..
ecco io...in realtà penso sia una specie di diavolo.”
borbottò stranita.
Come
aveva fatto a disegnare tanto dettagliatamente senza nemmeno
rendersene conto?
“Beh,
è orrendo!” la schernì lei facendo segno di
vomitare.
“Già,
non è proprio un capolavoro.” ammise mettendo via il
foglio con un brivido.
Gli
occhi di quell'essere sembravano guardarla davvero e la cosa la mise
a disagio.
Quando
la campanella suonò la fine delle lezioni il prof Grey fermò
Ariell prima che uscisse.
“Ci
vediamo all'uscita.” le disse Maddy prima di lasciare l'aula.
Sospirando
Ariell si avvicinò alla cattedra dove l'uomo la guardava
severamente.
“Ariell,
i tuoi voti sono calati a picco e se non inizierai a studiare
seriamente sarai rimandata.” sentenziò con sdegno.
Aveva
sempre saputo di essergli decisamente antipatica ma non credeva che
sarebbe stato soddisfatto di condannarla a bocciatura sicura.
Un
moto di bile le risalì le viscere mentre puntava lo sguardo in
quegli occhi severi e di uno slavato azzurro.
“Ho
avuto un sacco di problemi ultimamente e i voti sono calati, ne sono
al corrente.” rispose spocchiosa.
Non
voleva proprio dargliela vinta a quello scarafaggio.
“I
problemi non devono intaccare il rendimento scolastico.”
rispose secco Grey guardandola con ancor più stizza.
“Se
lei sapesse cos'ho passato io non parlerebbe così!” lo
rimbeccò impudentemente alzando il viso e sfidandolo
apertamente.
“Non
ti permettere di rivolgerti così ad un professore o ti
beccherai una bella sospensione signorina!” alzò anche
lui il tono della voce.
“Io
mi rivolgo come mi pare visto che lei è il primo a mancarmi di
rispetto!” gli rispose prontamente sentendo la vena della
tempia pulsare convulsamente.
Stava
perdendo il controllo per l'ennesima volta.
“Ti
consiglio di chiedermi scusa immediatamente o te ne pentirai
amaramente.” sibilò strabuzzando gli occhi.
“Non
ci pensi nemmeno, lei non può minacciarmi!” gli urlò
in faccia ormai al colmo della rabbia.
Il
consueto velo le oscurò la mente e il calore prese a scorrerle
sotto pelle ma, questa volta, accolse quella sensazione con gioia
sentendosi potente come non mai.
“Ora
basta!” Urlò il professore a sua volta diventando
paonazzo e alzandosi di scatto, fra i loro volti solo pochi
centimetri.
Ariell
gli sputò in faccia cogliendolo di sorpresa.
Poggiò
le mani sulla superficie di legno e lo guardò furente.
Per
un lungo attimo ci fu solo silenzio poi, l'uomo si riprese dalla
sorpresa e divenne ancor più rosso.
“Hai
fatto il più grosso errore della tua vita, io ti rovinerò,
ti insegnerò la disciplina, ti farò bocciare e
frequenterai questa scuola finché io avrò vita, io
ti...” urlò al colmo della furia prima di venire
interrotto da Ariell.
“Lei
non farà proprio nulla.” lo minacciò seria.
Lasciò
fluire tutta la rabbia che sentiva dentro liberandola di botto.
Tutti
i neon della classe scoppiarono lanciando pezzi di vetro ovunque.
Mentre
il professore si chinava portandosi le braccia alla testa per
ripararsi non vide Ariell in piedi in mezzo al caos, le scaglie di
vetro che la scansavano senza ferirla e si abbattevano su di lui
ferendogli le braccia, l'addome, le gambe.
Prese
ad urlare dal dolore e dalla paura.
Poi
come tutto era cominciato finì.
L'uomo
si alzò lentamente mentre il sangue sgorgava dagli
innumerevoli tagli, alcune schegge uscivano dalla carne martoriata.
Guardò
allibito Ariell, incolume che lo guardava con un sorriso di
soddisfazione sul volto e si sentì agghiacciare.
“C-che
cosa è successo?” balbettò prendendo a tremare.
“Questo
è nulla. Posso distruggerti in un solo istante.” tuonò
gelida avvicinandosi a lui che d'istinto retrocesse.
Quando
fu abbastanza vicina a lui gli sussurrò all'orecchio: “Te
lo do io un consiglio ora: vattene di qui e non farti mai più
rivedere.”
Detto
questo si allontanò e uscì dall'aula come se nulla
fosse successo.
Nel
corridoio non incontrò nessuno quindi si diresse a passo
svelto verso l'uscita col cuore a mille.
Il
professor Antonio Grey rimase fermo per un periodo lunghissimo
tremando da capo a piedi.
Doveva
andarsene e subito, avrebbe preso il primo volo che gli fosse
capitato.
Quella
ragazza non era certo umana ma non sarebbe rimasto un minuto di più
per accertarsene.
Rimase
in classe per un ora togliendosi le schegge una per una, trattenendo
le urla di dolore e, quando fu certo che nessuno era rimasto
nell'edificio, uscì in tutta fretta coprendo le ferite con il
lungo giaccone ed il cappello a tesa larga che era solito portare.
Non
poteva assolutamente rischiare che qualcuno lo vedesse e gli ponesse
domande, doveva scappare via e subito.
Non
sapeva cos avrebbero pensato l'indomani trovando la classe inondata
di schegge di vetro ma non sarebbe più stato un problema suo
se Dio l'assisteva.
ANGOLINO
DELL'AUTRICE:
Ciao
a tutti ragazzi!
Eccomi
con l'ennesimo capitolo, con questo sono stata un po' truculenta e
spero di non aver esagerato, visti i miei standard di crudeltà
sono stata buona quindi se siete deboli di stomaco vi dico subito che
ne vedrete di peggio.
Cosa
ne pensate?
Ariell
verrà scoperta o la passerà liscia?
Ditemi
la vostra se avete voglia.
Un
bacione da Fly90.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 15 *** 15 ***
15
Ariell,
immobile davanti allo specchio, scrutò il suo viso senza
riconoscerlo davvero.
Chi era
diventata?
Guardò
attentamente i suoi occhi, per la prima volta in vita sua si chiese
se era possibile avere una doppia personalità, chissà,
magari l'eterocromia era un segno del destino.
Ultimamente si
sentiva strana, come se non avesse più il controllo totale
della mente, come se stesse dividendo il suo corpo con qualcos'altro.
Un brivido le
corse lungo la schiena.
Il suo riflesso
ghignò compiaciuto.
Ariell urlò
balzando all'indietro, si stropicciò gli occhi prima di
guardare attentamente la propria immagine nello specchio.
Alzò la
mano destra e il riflesso la imitò, titubante si avvicinò
un poco e tornò a scrutare attentamente lo specchio.
Nulla sembrava
mutato.
“Fantastico,
ora ho anche le allucinazioni!” borbottò alla stanza
vuota.
Doveva essere
pazza.
Eppure non
sapeva come spiegarsi i poteri che crescevano in lei.
Poteri
pericolosi, se non fosse riuscita a tenerli sotto controllo, prima o
poi, avrebbe finito per fare del male a qualcuno.
Ripensò
a Lara, al professor Grey e si disse che, aveva già fatto del
male suo malgrado.
Che cosa
sarebbe successo se un giorno avesse finito per uccidere qualcuno?
Era possibile
che ciò accadesse, c'era arrivata molto vicina quello stesso
pomeriggio.
Se il
professore avesse parlato?
Era pensabile
che l'avrebbero preso per pazzo ma, se anche Lara avesse parlato,
allora sarebbe stata in guai seri.
L'avrebbero
trattata come un fenomeno da baraccone?
L'avrebbero
rinchiusa in qualche laboratorio e sottoposta a chissà quali
esperimenti?
Oppure
l'avrebbero semplicemente uccisa?
Scrollò
il capo come a voler scacciare i pensieri negativi che la stavano,
ormai da tempo, tormentando.
Si allontanò
dallo specchio e andò in cucina dove la madre stava preparando
la cena.
Si avvicinò
di soppiatto e le saltò addosso d'improvviso spaventandola.
La donna fece
un salto di lato facendo cadere a terra il cucchiaio, con quale stava
rimescolando il sugo, e sporcando il pavimento.
“Scusa
mamma...” si scusò la ragazza chinandosi a raccogliere
il cucchiaio e porgendolo alla madre con sguardo pentito.
Sapeva che
Joyce non poteva resistere a quello sguardo da cucciolo.
“Non
importa ma vedi di non farlo mai più se non vuoi farmi morire
giovane!” la minacciò col dito salvo poi ridere
divertita.
“Parola
di lupetto.” scherzò Ariell felice di vederla ridere.
Erano giorni
che la donna era triste, Norman si comportava in modo freddo con lei
dal giorno in cui Maria aveva fatto comparsa nella loro vita.
Non le aveva
perdonato il fatto che volesse aiutare la donna ad avvicinarsi alla
figlia.
Joyce aveva
provato più di una volta a spiegarsi ma lui semplicemente si
alzava e usciva dalla stanza rifiutandosi anche solo di cominciare il
discorso.
Sebbene
cercasse di non piangere davanti alla ragazza sapeva bene che la sua
tristezza non era passata inosservata ai suoi occhi.
Era sempre
stata una figlia attenta e sensibile ai cambiamenti umorali altrui.
“Dov'è
papà?” chiese aggrottando la fronte e intingendo un dito
nel sugo bollente senza nemmeno scomporsi.
“Attenta!
È ustionante!” l'avvertì la donna guardando
preoccupata il dito della figlia.
Per tutta
risposta la ragazza se lo mise in bocca assaporando il sugo.
“Ma no,
non è poi così caldo.” mormorò Ariell
rendendosi conto di aver appena messo a rischio il suo segreto.
Aveva scoperto
di essere diventata refrattaria al calore, era come se il fuoco
facesse parte di lei impedendole di scottarsi.
Joyce la
osservò confusa ma dopo un attimo di esitazione scrollò
le spalle.
“Allora,
è buono?” chiese curiosa.
“Sai di
essere la cuoca migliore al mondo, è buonissimo.” la
rassicurò desiderando intingere nuovamente il dito nel sugo.
Decise di
lasciar perdere onde evitare d'insospettire ulteriormente la donna.
“Dov'è
papà?” chiese nuovamente.
“Credo
sia in cantina.” rispose la madre concentrando lo sguardo sui
fornelli per evitare di guardarla.
“Va tutto
bene fra voi?” domandò la figlia puntando a sua volta lo
sguardo sui fornelli.
Non era facile
chiedere ai propri genitori se c'erano problemi in famiglia, sembrava
sempre di impicciarsi di cose che non riguardavano i figli.
“Sai che
papà è ancora scosso dalla visita di tua
madre...immagino abbia bisogno di tempo per digerire la situazione.”
la voce le si incrinò e cercò di mascherare la cosa
schiarendosela.
“Non
chiamarla così. Non è mia madre.” disse secca
Ariell.
“Tesoro,
a volte le persone non hanno scelta. Vorrei che riuscissi a capire
che è pentita di quello che ha fatto. Tutti hanno bisogno di
una seconda opportunità nella vita.” cercò di
farla ragionare con la solita dolcezza.
“Non so
se riuscirò mai a perdonarla per avermi abbandonata. Che razza
di persona è una che abbandona la propria figlia, sangue del
proprio sangue?” tuonò guardandola negli occhi.
“Se tu la
incontrassi almeno una volta magari scopriresti cose che non puoi
nemmeno immaginare. Sembra molto giovane e immagino fosse appena una
ragazzina quando ti ha avuta. Ti chiedo solo di non giudicare ciò
che non conosci Ariell.”
“Non ci
riesco. Ha rovinato la nostra famiglia, papà nemmeno ti guarda
più in faccia perché continui a scusare quella donna.
Mamma io non so se ce la farò mai a considerarla un essere
umano. Al momento per me è un mostro.” concluse
duramente.
La donna
sospirò addolorata.
“Non sto
cercando di difenderla è solo che ho visto il dolore nel suo
sguardo, il pentimento. Sto ragionando come una mamma. Sei la persona
più importante della mia vita e mi fa stare male la tua
sofferenza ma penso che se tu la incontrassi riusciresti anche a
placarlo quel dolore dentro di te. A volte la verità, la
conoscenza può appianare ogni cosa.”
Ariell lasciò
che le parole attecchissero nella mente.
Sapeva che la
madre aveva ragione ma al momento sapeva di non essere pronta.
Aveva paura di
lasciare andare tutta la rabbia che sentiva comprimerle il petto,
sarebbe potuto succedere qualcosa di irrimediabile.
“Prometto
che ci penserò. Coi miei tempi. Non escludo che un giorno io
possa trovare la forza di conoscerla.” cercò di
rassicurarla.
Joyce la guardò
con orgoglio e affetto, gli occhi lucidi.
Ariell
d'istinto si buttò tra le sue braccia stringendola forte prima
di allontanarsi.
“Vado a
cercare papà.” disse uscendo di casa.
La cantina si
trovava proprio in fondo alle scale ed fiocamente illuminata da un
unica lampadina.
Scese le scale
facendo attenzione a non scivolare sulla superficie umida.
Giunta agli
ultimi due scalini Ariell si bloccò sentendo suo padre
singhiozzare.
Si sporse un
poco e vide la sagoma robusta dell'uomo.
Era seduto e
teneva sulle gambe una vecchia scatola di latta, all'interno Ariell
sapeva esserci vecchie foto di quando era piccola, in genere quelle
foto erano custodite nel cassetto del comò della madre.
Probabilmente
Norman le aveva prese e si era rifugiato lì per dar sfogo al
proprio dolore.
Il cuore le si
spezzò in due sentendo l'ennesimo singhiozzo del padre.
Una rabbia
cocente prese a scorrerle nelle vene diretta a quella donna che era
venuta a rovinarle la vita.
Era colpa di
Maria se i suoi genitori stavano soffrendo così tanto.
Promise a se
stessa che quella donna l'avrebbe pagata cara.
Antonio
Grey si era chiuso nel suo appartamento come un fuggitivo.
Purtroppo
non aveva trovato neppure un volo per quella sera così si era
rifugiato nell'unico posto in cui si sentiva sicuro.
Si
diresse verso lo specchio del bagno e osservò con cura i
profondi tagli dovuti all'esplosione dei neon.
Non
erano poi così gravi in fondo ma era certo che avrebbero
segnato la sua pelle per sempre.
Non
aveva tempo per curarli a dovere.
Notò
che avevano smesso finalmente di sanguinare per cui li disinfettò
mettendoci una mezz'ora buona.
Le
braccia erano quelle messe peggio, le aveva usate come scudo per il
viso.
Un
brivido gli corse lungo la schiena al ricordo di quella ragazza, il
ghigno malefico che le solcava il viso fino a stravolgerlo
completamente.
Antonio
aveva avuto la sensazione di trovarsi di fronte a qualcos'altro, non
poteva essere Ariell quell'essere che lo aveva aggredito.
Se
qualcuno gli avesse raccontato una storia simile lo avrebbe preso per
matto ma, ora che era capitato a lui, non poteva far altro che
rivivere quell'incubo.
Peccato
che i tagli sull'intero corpo gli dicessero che non era un incubo ma
bensì la realtà.
Domani
sarebbe partito per Caracas col primo volo, non aveva nessuno da
avvisare, nessuna famiglia da lasciare.
Avrebbe
scritto due righe per la cugina, l'unica parente che gli fosse
rimasta.
Nessuno
doveva sapere che fine avesse fatto ma sopratutto nessuno doveva
sapere cos'era accaduto quel giorno.
Aveva
paura per la propria vita.
“Non
farti mai più vedere.” la voce di Ariell riecheggiò
nella mente ghiacciandogli il sangue nelle vene.
Non
aveva il minimo dubbio che, se l'avesse rivisto, l'avrebbe ucciso.
La
mente tornò al momento in cui la ragazza aveva scostato le
mani dalla scrivania dove il legno appariva carbonizzato proprio nel
punto dove prima era a contatto con la sua pelle.
Com'era
possibile una cosa simile?
Che
poteri aveva la giovane?
Cosa
sarebbe successo se non si fosse trattenuta?
Erano
domande a cui non avrebbe mai trovato una risposta.
L'unica
cosa a cui doveva pensare ora era scappare il più lontano
possibile da quella cittadina senza lasciare traccia.
ANGOLINO
DELL'AUTRICE:
Ciao
a tutti.
Se
avete letto il capitolo vuol dire che state seguendo questa storia
strana.
So
che non ci sono stati ancora molti punti particolarmente paurosi ma
arriveranno a breve perché ci stiamo addentrando nel vivo
della storia.
Se
avete voglia fatemi sapere cosa ne pensate e se avete delle idee da
propormi o cosa vi aspettate di leggere nei prossimi capitoli.
Se
avete consigli costruttivi non abbiate remore a scrivermeli.
Un
bacio da Fly90
|
Ritorna all'indice
Capitolo 16 *** 16 ***
16
Dopo aver visto
la sofferenza dei suoi genitori, Ariell, pensò per il resto
della serata a Maria, quella che si era presentata come madre
biologica.
La rabbia le
scorreva come corrente sotto la pelle incendiandole il corpo e la
mente.
Assieme alla
rabbia però era sopraggiunta anche la paura, paura di se
stessa, di ciò che giorno dopo giorno stava diventando.
Sapeva che, più
il tempo passava, e più lei perdeva controllo su se stessa, lo
sentiva chiaramente.
Si chiese se,
ad un certo punto, avrebbe perso totalmente il controllo del suo
corpo e della sua mente.
Quella
prospettiva le gelava il sangue nelle vene.
Ogni volta che
perdeva la calma era sempre più difficile trattenersi dal fare
qualcosa di irreparabile.
Aveva paura di
se stessa.
Era diventata
carnefice e vittima di se stessa allo stesso tempo.
Com'era solita
fare ultimamente si posizionò dinanzi allo specchio e guardò
con attenzione i suoi occhi così diversi fra loro.
L'occhio destro
ormai era irriconoscibile, nero come la pece, tanto che a guardarlo
si aveva l'impressione di essere risucchiati in un tunnel buio e
senza fine.
Rabbrividendo
distolse lo sguardo e si diresse verso l'armadio a muro in fondo alla
stanza.
Aprì le
ante con un colpo secco e frugò freneticamente all'interno
buttando a terra tutto ciò che le capitava a tiro, quando
trovò la coperta beige che le aveva regalato sua nonna prima
di morire, si diresse nuovamente verso lo specchio.
Buttò la
coperta sullo specchio in modo che lo coprisse interamente e si fermò
a guardare la propria opera con soddisfazione.
Ora non doveva
più fare i conti con se stessa, o almeno per il momento.
Si avviò
verso il letto dove si lasciò cadere con un profondo sospiro e
accese la tv per distrarsi un po'.
**
Maria
si rigirò nel letto inquieta.
Aveva
la sensazione di essere osservata.
Stava
dormendo, sognando e inconsciamente lo sapeva, eppure sentiva
chiaramente che qualcuno la stava fissando.
Non
avrebbe saputo dire se nel sogno o nella realtà.
Si
rigirò nuovamente emettendo un lamento, dietro le palpebre gli
occhi si muovevano nervosamente.
La
sensazione crebbe intrappolandole lo stomaco in una morsa, rabbrividì
stringendosi la coperta al corpo.
Le
venne la pelle d'oca.
Davanti
a sé vedeva il buio più totale, nero come la pece e
sembrava intenzionato ad inghiottirla.
Camminava
a passo lento, incespicando di tanto in tanto nei suoi stessi piedi.
La
paura le faceva accapponare la pelle, le orecchie tese a cogliere il
minimo rumore.
Nulla
però sembrava muoversi intorno a lei.
Eppure
era certa che qualcosa si nascondesse nell'ombra, pronta a balzarle
addosso quando meno se l'aspettava.
Era
così che doveva sentirsi una gazzella quando percepiva la
presenza del leone.
I
muscoli si tesero pronti a scattare in una folle corsa non appena
quel qualcosa si fosse deciso ad attaccarla.
Affrettò
il passo imprecando per la mancanza di luce.
Prese
un profondo respiro che si spezzò quando venne scossa
dall'ennesimo brivido.
Percepì
qualcosa davanti a lei e incespicò nuovamente perdendo
l'equilibrio.
In
un attimo si ritrovò a terra con le mani che si appoggiavano
al terreno freddo.
Un
verso strozzato le uscì dalla bocca suo malgrado,
disperdendosi nel nulla.
L'eco
sorda e lontana della sua voce spezzò il silenzio.
Si
portò una mano alla bocca cercando di incanalare l'aria.
Un
movimento improvviso seguito da un rumore appena percettibile la fece
sobbalzare.
Ora
ne aveva la sicurezza, qualcosa si nascondeva nell'ombra e tra poco
avrebbe sferrato il suo attacco.
Prese
a tremare incontrollabilmente mentre cercava di rialzarsi.
Più
faceva attenzione a non fare rumore e più le sembrava che,
ogni movimento, desse luogo ad un frastuono tremendo.
Presa
dal panico mosse qualche passo indietro scrutando davanti a sé,
nonostante non potesse vedere nulla.
La
cosa si mosse con lei, doveva essere a non più di una ventina
di passi, ne percepiva la presenza.
Si
fermò, il corpo incapace di muoversi, attanagliato dal panico.
Il
respiro le usciva spezzato e il cuore le rimbombava nelle orecchie
facendole venire la nausea.
Ci
furono attimi di completo silenzio, il silenzio dell'attesa, quel
momento in cui la preda analizza le varie possibilità di fuga
e il predatore sa per certo che dovrà attaccare prima che
l'altro muova un solo passo.
Ed
è allora che Maria si girò lanciandosi in una corsa
disperata, cieca.
Il
predatore si lanciò all'inseguimento portandola a correre
ancor più veloce, portando il proprio corpo allo stremo delle
forze.
Maria
sapeva che non poteva fermarsi anche se le gambe minacciavano di
cedere da un momento all'altro, i polmoni le bruciavano dolorosamente
chiedendole ossigeno.
Fu
un attimo, il piede destro scivolò di lato piegandole la
caviglia e facendola cadere a terra con un tonfo pesante.
Lanciò
un urlo di dolore e sorpresa ma tentò di strisciare ugualmente
arrancando nel terreno soffice.
Sapeva
che fra qualche istante la cosa l'avrebbe presa, poteva già
sentire il suo respiro caldo sui piedi mentre continuava ad
arrancare.
Un
corpo pesante si abbatté su di lei imprigionandola sotto di
sé.
D'istinto
cercò di far leva quel tanto che bastava per girarsi sulla
schiena e colpì alla cieca guadagnando tempo.
Sapeva
che doveva colpire più forte che poteva ma il corpo era stanco
e affaticato e l'adrenalina completamente esaurita dalla corsa.
Qualcosa
la bloccò schiacciandole la gola con forza.
Era
troppo forte rispetto a lei, non sarebbe mai riuscita ad avere la
meglio.
Pregò
di svegliarsi al più presto, quel sogno sembrava fin troppo
reale.
Sentiva
la presa farsi più stretta e i polmoni che cercavano aria
senza trovarla.
La
mente si annebbiò mentre le forze iniziavano definitivamente a
scemare dal suo corpo.
Mentre
si lasciava andare notò gli occhi della cosa, gialli e ferini
che la guardavano con perfidia, avidi di vedere l'ultimo barlume di
vita impresso nel suo sguardo.
E
allora trovò in fondo a sé stessa un residuo di forza
che la portò a stringere le proprie mani intorno a quelle
della cosa.
Prese
a graffiare quelle dita calde come il fuoco imprimendo a fondo le
unghie nella carne.
Maria
aprì gli occhi di scatto rendendosi conto che realmente stava
lottando contro qualcuno.
China
su di lei una donna la stava strangolando con una forza tremenda.
Non
riusciva ad urlare ne ad allontanarla nonostante la stesse graffiando
come un gatto.
Di
scatto piegò le gambe e sferrò un calcio a piedi uniti
in pieno petto alla donna mandandola a sbattere contro il comò.
Finalmente
libera prese una lunga boccata che le infiammò la gola e i
polmoni.
Tossì
alzandosi di scatto e accendendo la luce.
Guardò
la donna che si stava mettendo in ginocchio.
I
lunghi capelli neri le coprivano il volto impedendole di vederla con
chiarezza.
Un
presentimento si fece piano piano spazio nel suo cuore mentre
osservava la donna alzare lentamente il viso.
I
capelli si spostarono leggermente e Maria incontrò quello
sguardo glaciale che aveva visto mille volte nei suoi peggiori
incubi.
Chiuse
le palpebre per una frazione di secondo e quando le riaprì la
ragazza era scomparsa.
**
Ariell
si alzò così velocemente dal letto che la testa prese a
girarle vorticosamente e si dovette appoggiare alla spalliera per non
finire a terra.
Il
cuore che minacciava di esploderle nel petto.
Doveva
essersi addormentata davanti alla tv.
Scosse
la testa cercando di mettere ordine ai rimasugli di immagini
dell'incubo dal quale si era appena svegliata.
Non
aveva mai avuto un incubo così realistico.
La
sensazione della pelle fredda della donna sotto le mani, il suo
sguardo pieno di paura mentre soffocava, l'euforia dovuta alla
sensazione di potere che aveva provato accorgendosi di essere in
vantaggio su di lei.
Sarebbe
bastato ancora qualche attimo e l'avrebbe uccisa.
Il
suo corpo indifeso mentre si dibatteva nella sua stretta, che
aumentava la sua sete di sangue.
Aveva
sognato di uccidere Maria.
Il
suo odio verso di lei doveva essere forte a tal punto da farle
desiderare di vederla morta.
Un
brivido le percorse la schiena al ricordo di quando i loro sguardi si
erano incrociati.
Si
portò la mano alla fronte ma non appena la mise a fuoco si
bloccò.
Si
guardò sconcertata le mani ricoperte di graffi freschi, dai
quali sgorgava ancora il sangue che cadeva a terra in piccole gocce
sporcando il pavimento.
Ricordò
di quando Maria aveva preso a graffiarle le mani nel tentativo di
liberarsi, Ariell aveva sentito il dolore quando le piccole unghie le
si erano conficcate nella pelle ma questo non l'aveva fermata.
In
preda al panico corse in bagno e lavò via il sangue
freneticamente, sfregandosi la pelle fino a farsi male.
Avrebbe
voluto lavare via col sangue anche quella che stava diventando, quel
mostro che le si era annidato nel cuore.
ANGOLINO
DELL'AUTRICE:
Ciao
a tutti!
Cosa
ne pensate del capitolo?
Spero
che questa storia non stia diventando noiosa perché ci sto
mettendo molto impegno nel scriverla.
Che
dire?
Ci
vediamo tra una settimana con il prossimo capitolo.
Grazie
per averla letta.
Un
bacio da Fly90
|
Ritorna all'indice
Capitolo 17 *** 17 ***
17
Vera si
avvicinò cautamente a Lara, le accarezzò i lunghi
capelli castani.
Guardò
la il viso candido della ragazza e per un attimo sorrise, sembrava un
angelo mentre dormiva.
Poi il sogno si
spezzò e Lara girò la testa verso di lei esponendo la
guancia deturpata.
Vera non
riusciva a farsene una ragione, sapeva che la ragazza non avrebbe mai
potuto dimenticare quanto le era accaduto.
La guardò
con tenerezza prima di fare un passo indietro per permettere alla
giovane di mettersi seduta sul letto.
Erano ormai
quasi due mesi che la ragazza era ricoverata e, grazie a Vera, era
migliorata molto.
Ora sembrava
avere meno paura e sicuramente aveva fiducia in lei.
Lara la guardò
e un piccolissimo sorriso le increspò le labbra.
Non sorrideva
quasi mai ma quando lo faceva tornava ad essere per un attimo la
ragazzina che era.
“Vuoi
andare a fare due passi dopo la colazione?” le chiese di
slancio la donna vedendola di umore buono.
Lara fece segno
di si con la testa porgendole la spazzola che teneva sul comodino e
invitandola a pettinarla.
Non si lasciava
toccare quasi da nessuno ma a Vera permetteva spesso di pettinarla e
prendersi cura di lei.
Dopo che ebbe
fatto colazione Vera la condusse all'esterno procedendo a passo lento
verso il piccolo parco della struttura.
Si sedettero
sulla panchina e Vera guardò la ragazza mentre osservava il
mondo intorno a sé come se fosse da tempo che non lo vedeva
più.
“Lara,
come ti senti?” le chiese ben sapendo che non avrebbe ricevuto
risposta.
Infatti la
ragazza non si voltò nemmeno ma si limitò ad alzare le
spalle come a dire che non lo sapeva.
Poi
all'improvviso si girò puntando lo sguardo nocciola nel suo e
si gettò fra le sue braccia stringendola forte.
Vera ne fu
sorpresa ma dopo qualche attimo la strinse a sua volta sentendosi
vicina alle lacrime.
Avrebbe fatto
di tutto per quella ragazza.
Lara voleva
fare in modo che Vera sapesse quanto contava per lei, quanto la stava
aiutando ma le parole ancora faticavano ad uscire così l'aveva
semplicemente abbracciata sperando che capisse.
Appena si
allontanò lesse la commozione negli occhi della donna e fu
certa che aveva capito.
Era passato
molto tempo da quel terribile giorno e aveva fatto enormi passi ma
ancora non riusciva a comunicare, nemmeno con Vera.
Erano poche le
parole che riusciva a mormorare.
Eppure voleva
parlare, si sentiva le parole esploderle nella testa, e sapeva che
l'unica persona che poteva ascoltarla era Vera.
Prese un
profondo respiro e aprì la bocca.
Dapprima non
uscì altro che un gemito rauco che la scoraggiò.
Vera si girò
dalla sua parte e le prese la mano come a farle sentire che lei era
lì.
Lara ritentò,
prese un altro respiro e finalmente, dopo un tempo infinito, dalla
sua bocca uscirono le parole come un fiume in piena.
“è
… è stata una mia compagna di scuola a farmi questo.
Lei non è una persona normale, mi ha bruciata con la mano. Lo
giuro. Io le avevo soffiato il ragazzo e lei si è vendicata.
Ma non è umana! È un mostro, i suoi...i suoi occhi
erano strani, avevano una luce cattiva e...e...” vomitò
quelle parole incapace di fermarsi.
“Respira
Lara, calmati. Sono qui e ti ascolto.” la tranquillizzò
la donna stringendole la mano ancora più forte e
accarezzandole la guancia sana.
“I-Io...
io so che non sono pazza. Quella ragazza è un mostro. Io l'ho
vista.” Lara prese a tremare così forte che le fu
impossibile continuare a parlare senza mozzarsi la lingua.
“Andrà
tutto bene. Te lo prometto. Ora chiamerò la polizia e dirai
loro quello che hai detto a me.” Le disse Vera stringendola in
un abbraccio.
Sapeva che era
una storia inverosimile sicuramente alterata dallo shock ma qualcuno
doveva averle comunque fatto del male e se quella ragazza era
coinvolta avrebbe dovuto pagare.
Appena Lara si
fu calmata Vera la riaccompagnò nella sua stanza dove si
addormentò stanca, e provata dalle emozioni.
*
“Ma
non ti danno fastidio quelle maniche?” borbottò
Magdalena indicando le mani di Ariell.
“No.”
scosse il capo la giovane guardandosi le lunghissime maniche che le
coprivano quasi interamente le mani.
Era
costretta a nasconderle per via dei profondi graffi che le solcavano.
Rabbrividendo
tornò a guardare l'amica ignara di tutto.
“Oggi
fa freddino.” buttò lì a mo' di scusa sperando di
convincerla.
Maddy
si limitò a scrollare le spalle.
“Oggi
vieni da me?” le chiese tenendole aperta la porta.
“Umh...si,
perché no, tanto i miei sono andati dai Martin e penso che non
torneranno prima di cena.” Assentì Ariell mentre la
seguiva.
Si
stavano avvicinando al cancello quando Maddy la prese per il braccio
fermandola di colpo.
“Non
vorrei spaventarti ma davanti al cancello c'è una donna
bellissima che non ti mollato con lo sguardo nemmeno un secondo da
quando sei uscita dalla porta.” le disse in un sussurro.
Ariell
si sentì gelare cercando di voltarsi.
“No!
Non la guardare o capirà che l'abbiamo vista.” la
redarguì Maddy impedendole di girarsi del tutto.
“Com'è
fatta?” chiese Ariell trepidante.
“Ti
somiglia parecchio, capelli lunghi neri, viso ovale, tratti delicati.
In poche parole la tua copia un po' invecchiata.” la informò
l'amica.
“Cazzo!
È lei, è quella donna.” mormorò la giovane
tendendo i muscoli.
“Che
facciamo?”
“Credo
sia troppo tardi per scappare, sta venendo da questa parte.”
l'avvertì lasciandole il braccio e portandosi davanti a lei.
La
donna si fermò scrutando Ariell con quello sguardo smeraldo.
“Ho
bisogno di parlarti, voglio spiegarti tutto.” le disse
titubante.
“Non
abbiamo nulla da dirci! Come ti permetti di venire a scuola? Mi stai
forse pedinando?” sbottò alzando la voce e attirando
l'attenzione di alcuni ragazzi intenti a parlare fra loro.
La
donna si guardò intorno imbarazzata.
“N-no.
Volevo solo poterti parlare, spiegarti ogni cosa Ariell. Vorrei una
possibilità.” sussurrò guardando a terra.
“Non
credo sia possibile, ne ora ne mai.” Le disse secca Ariell
prima di sorpassarla lasciandola lì nel cortile.
“Ti
prego, aspetta!” tentò di fermarla muovendo un passo
verso di lei. Gli occhi tormentati.
Nel
allungare la mano per fermarla, la sciarpa che aveva al collo le
scivolò mostrando un segno violaceo intorno al collo
affusolato.
Ariell
rimase pietrificata.
Un
sospetto le si insinuò nel petto. Sentì un violento
bruciore alle mani, lì dove i segni delle unghie della donna
le avevano graffiato la pelle.
Non
appena Maria si accorse di essere esposta si coprì
velocemente.
Si
guardarono negli occhi ed entrambe ebbero la sensazione che, quegli
stessi sguardi si erano incatenati la notte prima.
Maddy
fece per parlare ma Ariell la interruppe.
“Va
bene, accetto di ascoltarti ma poi dovrai lasciarmi in pace. Per
sempre.” disse categorica incapace di mandare via quel senso di
terrore che le attanagliava le viscere.
Maria
assentì debolmente.
ANGOLINO
DELL'AUTRICE:
Ciao
a tutti, eccomi con un altro capitolo, questa storia procede a
rilento ma manca ancora molto per arrivare alla fine.
Non
ho molto tempo per scrivere ma cercherò di finirla al più
presto.
Un
bacione da Fly90
|
Ritorna all'indice
Capitolo 18 *** 18 ***
CAPITOLO 18
Il viaggio
dalla scuola alla casa di Maria fu silenzioso, di tanto in tanto la
donna guardava di sottecchi la ragazza che puntava lo sguardo ovunque
piuttosto che nello sguardo della madre.
Non sarebbe
stato semplice, Maria lo sapeva bene.
Con un lungo
sospiro parcheggiò nel vialetto e rimase per un attimo ferma
in attesa.
Ariell scese
quasi di corsa dall'auto come se trovasse insopportabile starle così
vicino, Maria sentì una fitta al cuore che le fece riaffiorare
le lacrime agli occhi.
Li strinse con
forza e prese un profondo respiro prima di scendere a sua volta ed
avvicinarsi alla ragazza che, con le mani in tasca si guardava
attorno titubante.
“Vieni,
accomodati.” la invitò la donna dopo aver aperto la
porta.
“Non è
una visita di cortesia.” la rimbeccò lei prontamente.
“Ascolta,
so che non vorresti essere qui ma ti ricordo che hai accettato di
ascoltarmi.” Maria si fece prendere dalla frustrazione.
Ariell trasalì
come se non si aspettasse la reazione della donna e senza dire una
parola procedette spedita verso il comodo divanetto verde al centro
della stanza.
“Vuoi
qualcosa da bere?” le chiese cercando di essere gentile.
“Un tè”
rispose secca “per favore” aggiunse poi in un raro
momento di gentilezza.
“Nessun
problema.” Maria si tolse la giacca e andò in cucina
dove riempì il bollitore e lo mise sul fuoco.
Ariell,
approfittando del momento di solitudine si alzò avvicinandosi
al mobiletto che ospitava diverse fotografie.
Ne prese una
che ritraeva una giovanissima Maria, la somiglianza fra loro era a
dir poco spaventosa.
La posò
con un brivido e diresse la sua attenzione su quella affianco.
Ritraeva una
coppia di cani dall'aria dolce e allegra.
“Vedo che
stai guardando Shawna e Billy, ti piacciono gli animali?” le
chiese Maria posando il tè sul tavolino di fronte al
divanetto.
“Si, ma
non ne ho mai potuto avere uno, papà è allergico al
pelo.” rispose lei rimettendo la foto al proprio posto e
voltandosi ad osservare la bellezza della donna mentre versava con
grazia il tè nelle tazze.
Si sorprese a
pensare se anche lei possedesse quella grazia.
Accorgendosi
del suo sguardo Maria le sorrise, un sorriso luminoso che le fece
brillare gli occhi di un verde indescrivibile.
Suo malgrado
anche sulle labbra della giovane balenò un sorriso.
Era davvero
bella.
“Quanto
zucchero ci vuoi?” le chiese sedendosi e prendendo il
cucchiaino in mano.
“Lo bevo
senza, aggiungo solo un goccio di limone.” rispose Ariell
sedendosi di fianco a lei.
Sorseggiarono
la bevanda in silenzio, l'unico rumore presente era il ticchettio
dell'orologio appeso in cucina che scandiva i secondi.
Ariell fu la
prima a spezzare il silenzio.
“Hai
sempre saputo dove abito?” le chiese a bruciapelo.
Maria posò
la tazza e serrò le mani in grembo osservando un punto
imprecisato del tavolino.
“No, in
realtà l'ho saputo solo di recente.” Rispose con voce
bassa.
“Perché
non mi hai mai cercata prima?” si lasciò sfuggire Ariell
guardandola di sottecchi.
Non voleva
farle capire quanto fosse importante per lei sapere il motivo
dell'abbandono ma non riuscì a trattenere il tono concitato
della voce.
Maria alzò
lo sguardo e lo puntò su di lei ma la ragazza continuò
a non intercettare gli occhi della madre.
“Non è
facile, i-io ero consapevole del fatto che tu non eri a conoscenza
del fatto che sei stata adottata e non volevo sconvolgerti la
vita...”
“Però
hai deciso di sconvolgermi la vita adesso.” la interruppe in un
moto di rabbia.
“Non è
come pensi, io ho dovuto cercarti ora...” cominciò a
farfugliare Maria ma si bloccò, pensò fosse meglio
iniziare dal principio.
“Quando
sono rimasta incinta di te ero molto giovane, nonostante questo ero
felice, avevo iniziato a sognare un futuro con te e il ragazzo che
amavo ma, le cose non sempre vanno come vorremmo.”
Ariell era
completamente persa ad ascoltarla, non lo avrebbe mai ammesso ma,
moriva dalla curiosità di sapere cos'era successo in seguito.
“Quando
comunicai a tuo padre la notizia lui invece di abbracciarmi ed essere
felice mi aggredì prendendomi a schiaffi e dicendomi
chiaramente che non ne voleva sapere. Tornai a casa distrutta e mi
gettai tra le braccia di mia madre in cerca di conforto. Purtroppo
non appena mi aprii lei reagì molto male, mi disse che avrei
dovuto abortire e che mio padre non ne avrebbe dovuto sapere nulla
altrimenti avremmo passato dei seri guai sia lei che io. Mio padre
era molto severo ma allora ero una ragazzina e vedevo le cose
semplici, con l'immaturità dei giovani. Cercai di farla
ragionare ma non ne volle sapere, la decisione era presa: avrei
dovuto abortire il giorno dopo.” fece una breve pausa in cui
Ariell non poté fare a meno si provare pena per quella ragazza
che Maria era stata.
“Passai
tutto il giorno a torturarmi, a pensare se davvero ti volevo, cercai
di convincermi che avere un figlio a quell'età non sarebbe
stato facile e che la mia vita sarebbe stata meglio senza di te.
Nonostante questo la notte decisi di scappare, non potevo abortire,
dentro di me sapevo che non l'avrei mai fatto. Aspettai che i miei
andassero a dormire e raggruppai le poche cose che possedevo, quindi
mi calai dalla finestra e corsi più veloce che potevo. Avevo
paura, ero sola nella notte e correvo senza una meta, non sapevo dove
andare e con me avevo poco denaro, poteva bastarmi giusto per una
settimana o forse due. Ero così spaventata!” la voce di
Maria s'incrinò e dovette aspettare qualche momento prima di
poter proseguire.
“Corsi a
perdifiato in mezzo al bosco fino a che non mi sentii stremata.
Trovai una piccola grotta e caddi in un sonno
profondo. Quella notte accadde qualcosa di strano, io ebbi una
premonizione.”
Ariell la
guardò sconcertata.
“Una
premonizione?” chiese confusa.
Maria annuì.
“So che
sembra una cosa strana ma...al mondo esistono cose a cui non si può
dare una spiegazione razionale Ariell. Io sono una sensitiva e quella
notte i miei “poteri” si manifestarono per la prima
volta.”
La ragazza
rimase in silenzio per un lungo tempo, tanto che Maria si aspettò
di vederla schizzare via dal divano accusandola di essere pazza. Ma
Ariell la spiazzò.
La guardò
attentamente negli occhi e le mise una mano fra le sue stringendole
le dita.
“E che
cos'hai visto?” le chiese docilmente.
“Ho visto
mia madre che si tagliava le vene.” sussurrò con lo
sguardo perso nel passato.
“Oddio! È
terribile. E cos'hai fatto?” la incalzò cercando di non
sembrare insensibile.
Poteva solo
immaginare come si fosse sentita Maria in quel momento.
“All'epoca
non sapevo di avere dei poteri e lo presi come un incubo dovuto allo
stress e al mio stato. Se solo avessi capito...” la voce le si
affievolì fino a smorzarsi del tutto e grosse lacrime presero
a rigarle il volto.
A quel punto
Ariell non la vedeva più come una minaccia, come un nemico,
vedeva una donna ferita che aveva affrontato situazioni più
grandi di lei.
Prima che se ne
rendesse conto la stava abbracciando stretta.
Non appena si
riprese Maria si sforzò di continuare.
“Per una
settimana vagai per i boschi, avendo troppa paura di essere trovata,
mangiando bacche e bevendo l'acqua che trovavo, poi però mi
decisi ad uscirne. Per fortuna una donna mi diede un passaggio fino
alla città vicina dove potei finalmente fare un pasto decente
e una doccia. Ma non potevo certo fermarmi a
lungo, i miei genitori sicuramente mi stavano cercando e non potevo
permettere che mi trovassero. Nei giorni precedenti avevo preso la
mia decisione: tu saresti nata. Mi sarei trasferita in una città
lontana, avrei lavorato e fatto mille sacrifici ma, insieme, ce
l'avremmo fatta.”
Gli occhi di
Ariell si velarono di lacrime a quelle parole.
“Se mi
volevi così tanto perché mi hai abbandonata?” le
chiese con la voce rotta.
Maria si
vergognò per questo e tuttavia non rispose alla domanda ma
continuò a raccontare.
“Facendo
l'autostop, prendendo bus e treni riuscii ad allontanarmi abbastanza
da pensare di essere al sicuro e iniziai una nuova vita. Trovai
lavoro come colf presso una ricca donna anziana che mi dava vitto e
alloggio. Quando seppe che ero incinta non mi cacciò come
temevo ma anzi, si offrì di aiutarmi. Era una donna
straordinaria.” si soffiò il naso cercando di non
piangere ancora “purtroppo le visioni si fecero più
frequenti, a volte vedevo cose irrilevanti, altre invece cose che mi
facevano paura. Finché mi resi conto di essere una sensitiva.
Vedevo le cose prima che accadessero e un giorno arrivai addirittura
a scoprire come un uomo del vicinato fosse morto per mano di un
delinquente. Allora cominciai ad avere seriamente paura.”
Ariell annuì
immaginando quanto dovesse essere spaventata, doveva proprio sentirsi
come lei adesso, un mostro.
“La mia
gravidanza era agli sgoccioli, mancava una settimana quando ebbi una
visione terribile. Ero in un letto d'ospedale e tra le mie braccia
tenevo un neonato. Era così piccolo e fragile che quasi avevo
paura a toccarlo. Lasciavo correre lo sguardo sulle guanciotte rosa,
il nasino a punta, le mani strette a pugno. D'improvviso sentii una
sensazione strana al petto e il neonato aprì gli occhi. Mi
ritrovai a fissare lo sguardo in due occhi dal colore differente. In
genere i neonati hanno gli occhi blu ma quello aveva chiaramente un
occhio azzurro ghiaccio e uno così scuro da apparire quasi
nero. Tuttavia non fu il colore degli occhi a terrorizzarmi. Lo
sguardo del bambino non era quello di un neonato, so che sembra
strano ma ti assicuro che non era uno sguardo umano.” si fermò
rabbrividendo, ancora oggi poteva vedere chiaramente quello sguardo
gelido incastonato nel viso innocente di un neonato.
Ariell sobbalzò
ravviandosi i capelli nervosamente.
“N-non ci
posso credere...” riuscì solo a dire.
“Da quel
giorno ebbi la stessa visione tutte le notti fino al momento del
parto. Ogni volta vedevo i tuoi occhi gelidi che mi guardavano con
rabbia. Nonostante questo cercai di convincermi che non poteva essere
vero, non poteva essere reale. Infatti, quando ti portarono
finalmente tra le mie braccia, eri una normalissima bambina dallo
sguardo innocente e dolce. La mia bambina.” disse dolcemente
perdendosi nel ricordo di quel viso paffuto.
Anche la
ragazza si trovò a sorridere suo malgrado.
“Eri una
bimba molto vivace, piangevi spesso e non volevi mangiare. Ma
nonostante questo mi regalavi momenti preziosi fatti di mugolii che
emettevi solo quando mi vedevi china sulla culla, fatti della
sensazione del tuo pugnetto che stringeva le mie dita con una forza
impensabile. Quando però tu avevi un mese le cose cambiarono
drasticamente.” la voce di Maria tornò ad incrinarsi ma
stavolta pareva per la paura e non per la tristezza.
“Ogni
volta che mi guardavi venivo oppressa da una sensazione di malessere,
facevi cose strane come ad esempio fissare il soffitto anche per un
intero pomeriggio senza nemmeno sbattere le palpebre. Una volta, non
so come, riuscisti anche a romperti un dito semplicemente prendendolo
con l'altra mano e girandolo all'indietro. Non versasti nemmeno una
lacrima nonostante dovesse farti molto male. Fu allora che capii che
qualcosa in te non andava. Lo sentivo nel profondo.” Maria
guardò la figlia stringerle la mano mentre una lacrima le
scendeva sulla guancia. “la cosa più spaventosa di tutte
fu quando mi accorsi di una macchia azzurra in un occhio. Decisi che
no era nulla di grave ma la macchia si allargava giorno dopo giorno
fin quando il tuo occhio non divenne interamente azzurro. E
allora mi tornò alla mente il sogno che mi aveva ossessionata
poco prima che nascessi ed ebbi paura Ariell. Una paura
incontrollabile. Diventavi sempre più strana, facevi cose che
un neonato normale non fa e io ebbi la certezza che in te ci fosse
qualcosa di malvagio.” a quel punto la donna prese a tremare
convulsamente sbattendo i denti.
ANGOLINO
DELL'AUTRICE:
Ciao a tutti,
preferisco spezzare il racconto di Maria altrimenti rischia di venire
troppo lungo e non mi piacciono i capitoli troppo lunghi.
Spero che vi
piaccia come sta procedendo la storia.
Un bacione da
Fly90.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 19 *** 19 ***
CAPITOLO 19
A quelle parole
il sangue di Ariell le si ghiacciò nelle vene.
“In te
c'era qualcosa di malvagio” aveva appena detto sua madre. Un
brivido le corse lungo la schiena mentre la guardava tremare dalla
testa ai piedi.
“Lo
sentivo dentro di me. E ho avuto paura Ariell. Sono stata una codarda
e...” la voce le si spezzò del tutto perdendosi in un
farfuglio del quale non si capiva nulla.
“E mi hai
abbandonata.” finì per lei la ragazza abbassando lo
sguardo, quello sguardo che aveva portato sua madre ad abbandonarla,
a disfarsi di lei.
“Si. Ti
ho portata all'ospedale e ho rinunciato a te assicurando che non
sarei più tornata a cercarti. Mi assicurai che trovassero una
famiglia che ti avrebbe amata e non ti facesse mancare nulla quindi
scappai. Non potevo tornare a casa senza di te così mi
ritrovai a scappare nuovamente. Non lasciai nemmeno un messaggio alla
donna che mi aveva accolta perché mi vergognavo troppo, mi
odiavo con tutto il cuore.” Disse le ultime parole guardando
Ariell negli occhi come se volesse farle capire quanto erano vere, e
lei le credette, le lesse il dolore e la rabbia nello sguardo verde
smeraldo.
“Se
potessi tornare indietro non lo farei Ariell, ti ho lasciata e non me
lo perdonerò mai, mai finché avrò vita. È
solo che ho avuto paura, non sapevo come fare e pensavo mi avresti
fatto del male senza pensare che io te ne ho fatto molto di più.”
si mise a singhiozzare così forte che sembrava le si potesse
aprire il torace da un momento all'altro.
La ragazza
rimase ferma per un momento. Pensava che avrebbe provato rabbia,
rancore, odio, ma nessuno di questi sentimenti albergava in lei ora.
Si sentiva
soltanto triste, vuota e impaurita.
Sapeva che la
madre aveva sempre avuto ragione, lei era malvagia. Era un mostro.
Il suo mondo
crollò in un istante infrangendosi in milioni di pezzi.
“Perché
mi sei venuta a cercare?” chiese con un filo di voce.
Maria si
asciugò le lacrime prendendo un profondo respiro tremante,
sapeva che sarebbe arrivato il momento di dirle la verità.
Cercò il
coraggio dentro di sé e con voce resa innaturalmente stridula
dal groppo in gola si preparò a vuotare il sacco.
“Circa
due mesi fa ho iniziato ad avere degli incubi ricorrenti. Vedevo una
ragazza sola e immobile, come se fosse congelata al centro di quella
che sembrava inizialmente una grotta. Era così bella da
sembrare quasi angelica finché non aprì gli occhi e mi
ritrovai a fissare con crescente terrore uno sguardo glaciale.
Proprio quello sguardo che tanto tempo prima aveva tormentato la mia
esistenza. Era il tuo quello sguardo che mi pungeva Ariell. Ma dopo
lo spavento iniziale finalmente capii. Non stavi cercando di farmi
del male ma bensì di chiedermi aiuto.” la guardò
dritto negli occhi e le carezzò il viso con dolcezza.
“Cioè,
tu hai sognato me che ti chiedevo aiuto?” chiese lei
sbigottita.
“Si,
notte dopo notte tu mi chiedevi aiuto disperatamente ma io non sapevo
come fare. Iniziai a cercare indizi, un modo per risalire alla
famiglia che ti aveva adottata, tornai all'ospedale dove ti avevo
lasciata ma nemmeno lì seppero dirmi nulla dato che io avevo
chiaramente detto di non volerne più sapere. Ero ad un punto
morto finché una notte tu mi diedi un indirizzo.”
“Come
facevi a sapere che era giusto? Si insomma, che non fosse solo un
sogno?” le chiese Ariell confusa.
“Col
tempo ho imparato a fidarmi dei miei poteri, li ho accettati e so che
posso prenderli in considerazione. Per questo mi sono recata a casa
tua e ho fatto pressione ai tuoi per vederti, per conoscerti.”
spiegò Maria cercando di essere il più chiara possibile
rendendosi conto dell'assurdità della propria storia.
Eppure Ariell
sembrava crederle. Si chiese come mai quella ragazza così
sveglia non le avesse ancora dato della pazza.
“Quindi
sei venuta qui per... salvarmi?” domandò incredula.
“Io so
solo che tu hai chiesto aiuto, la tua anima ha chiesto aiuto e io
sono venuta qui per aiutarti qualsiasi sia il motivo.”
sentenziò semplicemente.
“Ti rendi
conto che sono passati molti anni vero? E che mi hai abbandonata, non
sapevi nemmeno se fossi ancora viva o no.” Ariell si fermò
scrutandola a fondo con quegli occhi così strani, così
particolari e Maria si sentì scoperta, come se potesse
leggerle nell'anima.
“Si, me
ne rendo conto e non pretendo il tuo perdono, so di non meritarlo ma
sento che c'è qualcosa che mi nascondi e vorrei che me ne
parlassi.”
La ragazza
rimase in silenzio per un lungo momento chiedendosi se davvero poteva
fidarsi di quella donna.
Cos'avrebbe
pensato se le avesse raccontato tutto quello che aveva fatto?
Eppure
nonostante avesse paura sentì forte il desiderio di parlare
con qualcuno.
Sentiva di
potersi fidare.
“Non so
come spiegarlo ma da qualche tempo è come se qualcosa in me
stesse cambiando. A volte è come se perdessi il controllo
della mia mente e del corpo, mi capita di lasciarmi prendere dalla
rabbia, una rabbia incontenibile che mi esplode dentro. Ho paura. Non
so come contrastarla.” non appena ebbe tirato fuori queste
parole si sentì sollevare un peso dal cuore.
La donna si
prese un momento per riflettere strizzando gli occhi e stropicciando
distrattamente il fazzoletto tra le mani.
“In che
senso stai perdendo il controllo su di te?” chiese incerta.
“Non lo
so, i-io non so come spiegarlo. A volte faccio pensieri brutti,
davvero brutti. Sento dentro la voglia di fare del male a qualcuno.
Mi succede specialmente quando soffro, quando mi feriscono. Perdo il
controllo.” spiegò dando sfogo alla propria
disperazione.
“Ok, stai
tranquilla, sono qui per aiutarti.” le disse rassicurandola.
D'un tratto
Ariell si rese conto che non poteva raccontarle tutto, non poteva
dirle di Lara, del professore. Semplicemente non poteva parlarne con
nessuno.
Agitata si alzò
di scatto dal divano e si prese la testa tra le mani prendendo dei
respiri profondi.
Maria si alzò
a sua volta sentendo che la ragazza si stava chiudendo a riccio. Non
si fidava ancora di lei.
Le si avvicinò
titubante.
“Ariell,
non ti voglio fare pressioni. Sappi che io sono qui e se un giorno
vorrai condividere le tue paure ti basterà venire a cercarmi.
Ma se c'è qualcosa di grave, qualcosa che non vuoi dire
nemmeno a te stessa, penso sia meglio che tu me ne parli. Ti posso
aiutare, non so come ma so che c'è una ragione per cui il
destino mi ha riportata da te.”
Ariell chiuse
gli occhi e li strinse per impedirsi di piangere ancora.
Avrebbe tanto
voluto parlarle, vuotare il sacco ma qualcosa la trattenne.
Si voltò
e le rivolse un esitante sorriso che non comprese gli occhi.
“Ok, lo
farò.” le disse prendendole la mano e stringendogliela
tra le sue “ora si è fatto tardi ed è meglio che
vada, mam...si insomma mi aspettano a casa.”
Detto questo la
strinse in un breve abbraccio e si diresse verso la porta.
Un secondo dopo
la porta si chiuse e la casa sembrò sprofondare nel silenzio.
Maria sorrise
nonostante fosse turbata, aveva avuto il primo dialogo con sua
figlia.
Sapeva bene che
la ragazza le stava nascondendo qualcosa di grosso, lo sentiva.
Sperò
che arrivasse presto il momento in cui si sarebbe fidata abbastanza
da permetterle di aiutarla.
ANGOLINO
DELL'AUTRICE:
Ciao a tutti,
eccomi con un altro capitolo.
Ultimamente
sono stata un po' lontana dalla scrittura ma ho tutte le intenzioni
di portare a termine questa storia.
Un bacione da
Fly90.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 20 *** 20 ***
Capitolo 20.
Vera guardò
preoccupata verso la porta chiusa ormai da venti minuti buoni.
Il poliziotto
Anderson si era chiuso nella stanza con Lara per interrogarla ma la
cosa stava andando per le lunghe.
Si alzò,
aveva i muscoli rigidi e tremava leggermente, diede ancora uno
sguardo verso la porta ancora chiusa.
Mise una mano
in tasca facendo tintinnare le monete all'interno e decise di
prendersi un caffè.
Le si strinse
il cuore pensando agli occhi spaventati di Lara mentre le raccontava
tutto.
Proprio in quel
momento la porta si aprì e il poliziotto uscì con
sguardo corrucciato, si avvicinò al collega appoggiato alla
parete e si mise a confabulare sottovoce dando le spalle a Vera.
La donna si
avvicinò e mise una mano sulla spalla dell'uomo che si voltò
quasi sorpreso.
Sul suo bel
volto un'espressione interrogativa.
“Ha
confessato tutto? Farete qualcosa?” chiese Vera.
Il poliziotto
la guardò quasi divertito.
“L'unica
cosa che si potrebbe fare è farla ricoverare in un centro a
posta.”
“Cosa sta
insinuando?” Vera lo guardò minacciosa.
“Sto
dicendo che quella ragazza è rimasta “sconvolta”
da quanto successo e ha chiaramente stravolto la realtà.”
sentenziò il ragazzo lapidario.
La rabbia di
Vera schizzò alle stelle e si avvicinò a muso duro
all'uomo puntandogli un dito al petto, nonostante lui la superasse di
parecchi centimetri.
“Lara non
è matta, qualcuno l'ha ridotta in quello stato!”
Il poliziotto
fece un risolino di scherno.
“Come
altro giudicherebbe una ragazza che dice di essere stata aggredita
dal demonio? Non so lei, ma io non conosco nessuno in grado di
ustionare qualcuno con il solo tocco di una mano.”
“Vi ha
fatto un nome e un cognome, sa chi l'ha aggredita eppure questo non
basta?!” gli urlò in faccia sul punto di prenderlo a
sberle.
“Non
possiamo certo prendere per vero quello che ha detto. Non c'è
alcuna prova contro quella ragazza, sono solo vaneggiamenti.”
sentenziò l'uomo con una scrollata di spalle.
“Non ci
posso credere, è così che aiutate la gente? Ma che
razza di persone siete...” attaccò Vera livida di
rabbia.
“Ascolti
signora, mi dispiace molto ma non possiamo fare nulla, cerchi di
capire la prego. Se ci saranno altre aggressioni prenderemo
provvedimenti.” l'altro poliziotto si mise in mezzo per
acquietare gli animi e non mancò di lanciare uno sguardo
severo al collega.
“M-ma
allora non farete nulla? Non controllerete nemmeno quella ragazza che
l'ha aggredita?” chiese incredula la donna rivolgendosi al
poliziotto più vecchio.
Quello guardò
a terra come se non avesse il coraggio di guardarla poi con voce
calma ma decisa disse: “No signora mi spiace, non possiamo
prendere per vera una denuncia del genere.”
detto questo i
due girarono i tacchi lasciandola lì da sola in mezzo al
corridoio.
“Mi dia
retta, fatela vedere da uno psichiatra.” non mancò di
schernirla il poliziotto più giovane rimanendo qualche passo
indietro rispetto al collega.
“Se ne
vada al diavolo!” sibilò Vera tra i denti mentre lo
guardava allontanarsi.
Si voltò
verso la camera di Lara e, con un grosso sospiro entrò.
La ragazza la
guardò speranzosa.
“La
prenderanno?” Le chiese con gli occhi grandi.
“Tesoro,
sono certa che lo faranno, ma sai, ci vuole tempo per queste cose...”
non se la sentiva di dirle la verità, era già
abbastanza difficile per lei, non aveva certo bisogno di sentirsi
dire che la reputavano pazza.
La ragazza
annuì stringendole la mano e Vera la ricambiò cercando
di infondere in quella stretta tutto l'amore che sentiva nel cuore.
ANGOLINO
DELL'AUTRICE:
Ciao a tutti
lettori, oggi il capitolo è decisamente ristretto ma non
potevo aggiungere altro per far capire la situazione.
Voi cosa ne
pensate?
Un bacione.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 21 *** 21 ***
CAPITOLO
21
Joyce e Norman
si scambiarono uno sguardo preoccupato mentre lanciavano occhiate
fugaci alla figlia.
Se ne stava lì,
con lo sguardo perso nel vuoto mentre giocherellava con la lasagna,
ormai fredda, che giaceva nel piatto.
“Tesoro,
non ti senti bene?” azzardò la donna con voce dolce.
Ma Ariell parve
non sentirla mentre continuava a infilzare e lasciar ricadere il
pezzetto di lasagna nel piatto.
“Tesoro?”
ritentò la donna sporgendosi in avanti per attrarre
l'attenzione della giovane, ma ella non reagì nuovamente.
Norman allora
allungò la mano e l'appoggiò sulla spalla della figlia
che sobbalzò tornando finalmente al presente.
“Ariell
cosa c'è che non va?” le chiese preoccupato.
Ariell lo
guardò di rimando e si sforzò di fare un mezzo sorriso
“Niente papà, sono solo stanca. È stata una
giornata impegnativa.” spiegò sperando di risultare
convincente.
Il padre annuì
e le carezzò la testa.
“è
un vero peccato che tu non abbia fame, la mamma si è superata,
le lasagne sono una bomba!” disse indicando con il mento il
piatto ancora intatto di Ariell.
La giovane
sembrò rendersi conto solo in quel momento di non aver toccato
cibo e si voltò verso Joyce con aria colpevole.
“Scusa
mamma, hai faticato tanto per prepararle ma io stasera sono così
stanca da aver lo stomaco chiuso. Mi perdoni?”
la donna le
sorrise calorosamente e portò una mano calda e leggera sulla
sua guancia carezzandola dolcemente. “Ma certo tesoro, ora vai
a riposarti e se ti viene fame più tardi ne lascerò un
po' da parte così che dovrai solo metterle nel forno e
scaldarle.”
Ariell annuì
e si alzò da tavola baciando entrambi i genitori e augurando
loro la buonanotte.
Prima di
avviarsi in camera si voltò a guardarli ancora una volta
sentendosi il cuore pesante nel petto. Amava i suoi genitori con
tutto il cuore e non sopportava di poter fare loro del male, eppure
lo stava facendo indirettamente.
Ora sapeva che
c'era in lei qualcosa di reale, una malvagità che, a quanto le
aveva raccontato Maria, era nata e cresciuta con lei.
Cosa doveva
fare?
Fidarsi di
Maria non era facile, l'aveva abbandonata perché aveva paura
di lei, ma d'altra parte sembrava l'unica in grado di aiutarla.
Non poteva
permettere che la bestia dentro di lei uscisse del tutto e facesse
del male alle persone che più amava al mondo.
Ma esisteva un
modo per imprigionarla o, meglio ancora, liberarsene per sempre?
Si, si disse,
doveva affidarsi alle conoscenze di Maria in fatto di sovrannaturale,
dopotutto le aveva detto di essere una sensitiva e le aveva creduto
senza battere ciglio quando le aveva raccontato tutto.
Respirò
profondamente e si lasciò cadere sul letto.
Il cellulare
segnalò l'arrivo di un messaggio.
“Ciao...come
stai?”
Ariell si
bloccò di colpo e rilesse più volte il mittente: Tomas.
Da quando
l'aveva beccato con Lara non si erano più parlati se non in
rarissime occasioni.
Nonostante
questo il ragazzo la guardava in continuazione e sembrava parecchio
giù di morale, aveva persino perso l'allegria che lo
contraddistingueva dalla massa.
L'aveva ferita,
umiliata e distrutta...eppure le mancava come non mai, ripensava
spesso ai momenti passati insieme, ai progetti che avevano per il
futuro ormai lontani.
La rabbia nei
suoi confronti era ancora viva ma meno accecante e forte rispetto a
prima.
Ma Tomas era
una lama a doppio taglio, ogni volta il suo pensiero finiva
irrevocabilmente a quel che aveva fatto a Lara.
Le era giunta
voce che fosse ricoverata in ospedale e che aveva perso quasi
completamente l'uso della parola. Si chiese quando sarebbe tornata a
casa e un brivido le corse lungo la schiena.
La ragazza
avrebbe potuto raccontare quel che le era successo da un momento
all'altro e il rischio era altissimo.
Se qualcuno le
avesse creduto?
In preda a
questi terribili pensieri si mise le cuffiette e fece partire la play
list che solitamente aveva il potere di calmarla...ma questa volta
non ebbe lo stesso effetto.
Maria sospirò
rumorosamente e digitò il numero sulla tastiera, premette la
cornetta e attese.
Uno squillo,
due, tre finché una voce profonda non rispose all'altro capo
del telefono.
“Reverendo
Michael? Buonasera, sono Maria.”
“Buonasera
mia cara, in cosa posso esserle utile?” chiese con gentilezza
l'uomo.
“I...io
avrei una questione molto delicata di cui parlarle.” farfugliò
in preda all'agitazione. Le mani le tremavano così tanto che
dovette respirare a fondo per cercare di calmarsi.
“Sembra
una cosa grave dal suo tono di voce? È successo qualcosa?”
chiese il reverendo preoccupato.
“Non
riguarda me, riguarda mia...” la voce le tremò prima che
riuscisse a dominarla “ Riguarda mia figlia.” riuscì
finalmente a concludere.
Il reverendo
Michael era al corrente dell'esistenza di Ariell e del fatto che
Maria l'avesse data in adozione, conosceva la donna da molto tempo e
conosceva anche le sua abilità sovrannaturali.
Di lui si
poteva fidare, le aveva sempre dato sostegno e protezione, come un
padre.
“Sua
figlia? L'ha incontrata?” le chiese dubbioso l'uomo.
“In
realtà è un po' complicata la situazione. Ho avuto una
premonizione che mi ha portata da lei e...credo sia in pericolo.”
confessò con voce roca mentre una lacrima le scivolava lungo
la guancia.
“Capisco...non
è opportuno parlarne al telefono mia cara. Venga domani
pomeriggio in chiesa e ne parleremo in sicurezza.” la consolò
il reverendo.
“Grazie,
grazie davvero.” riuscì solo a sussurrare Maria prima di
concludere la chiamata.
ANGOLINO
DELL'AUTRICE:
Ciao lettori,
ci ho messo un po' ma sono tornata.
Ammetto che non
è stato facile riprendere in mano questa storia dopo mesi e
mesi di inattività, quindi se trovate delle incongruenze, vi
prego di non farci caso e di perdonarmi.
Spero che non
l'abbiate abbandonata perché ho tutte le intenzioni di
portarla finalmente a termine.
Abbiate
pazienza lettori ma ho avuto il così detto “blocco dello
scrittore”, spero possiate perdonarmi.
Un bacione e ci
vediamo al prossimo capitolo.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 22 *** 22 ***
CAPITOLO
22.
Maria entrò
titubante nella grande e fredda chiesa, non si poteva certo definire
una gran religiosa, però aveva trovato spesso conforto fra
quelle mura nei lunghi anni successivi all'abbandono di Ariell.
Il reverendo
Michael si voltò e le sorrise bonario andandole incontro.
“Mia cara
Maria, venga con me.” e detto ciò la guidò
dolcemente nel piccolo ufficio facendola accomodare e sedendosi, a
sua volta.
“Mi ha
accennato al fatto che sua figlia si trova in pericolo.”
Maria annuì
e prese un grosso respiro.
“Si
ricorda degli incubi che mi perseguitavano da mesi? Quelli dove
vedevo una ragazza che mi chiedeva aiuto?” iniziò la
donna guardandolo negli occhi.
L'uomo annuì
senza interromperla.
“Era mia
figlia, la ragazza del sogno. In genere quando apriva gli occhi io mi
svegliavo sempre ma, l'ultima volta che l'ho sognata, è andata
diversamente. È riuscita a darmi un indirizzo.”
L'uomo fece un
cenno col capo invitandola a proseguire e facendosi ancora più
attento.
“Mi sono
recata lì e ho fatto di tutto per vederla. All'inizio era
molto arrabbiata ma poi siamo riuscite a trovare un punto d'incontro.
Le ho raccontato la verità sulla sua nascita e le mie paure.”
Il reverendo a
quel punto parlò.
“Le ha
raccontato anche le sue percezioni?”
Maria annuì
tremando leggermente.
“E come
l'ha presa la ragazza?” chiese l'uomo preoccupato.
Maria scosse le
spalle facendosi pensierosa.
“Non ne
era stupita. Mi...mi ha raccontato di sentirsi...strana ultimamente,
è spesso preda di una rabbia cocente e arriva a formulare
pensieri orrendi. È spaventata ed ha paura che questa rabbia
la conduca alla pazzia e che possa perdere il controllo della mente e
fare qualcosa di irreparabile.” improvvisamente si zittì
come se si fosse svuotata.
Il reverendo
rimase in silenzio per un lungo momento, così tanto che Maria
pensò non avesse recepito le sue parole.
Poi l'uomo
parlò, con voce grave e preoccupata.
“Maria,
non vorrei essere affrettato ma credo che la ragazza sia posseduta da
un entità malvagia.”
Maria sbatté
le palpebre e un brivido le corse lungo la schiena. Aveva sentito
parlare di possessioni molto spesso ma credeva fossero, perlopiù,
trovate buone solo per qualche film e non cose che potevano succedere
nella realtà.
Eppure qualcosa
dentro di lei le disse che era quella la strada giusta, per quanto
incredibile potesse sembrare.
“So cosa
sta pensando Maria, ma non si lasci ingannare da ciò che ha
visto in tv o da quanto ha letto in qualche libro troppo fantasioso.
Esistono possessioni molto gravi, che portano a commettere gesti
inconsulti, portano a fare del male, a diventare pericolosi per se
stessi e per gli altri, ma esistono persone abbastanza forti che
riescono a contrastare la malvagità. Non è facile, e i
casi che riescono a convivere con lati oscuri del genere sono
pochissimi, ma se Ariell non è ancora arrivata a fare
seriamente del male a qualcuno possiamo intervenire per aiutarla.”
cercò di rassicurarla l'uomo.
“Ma
dicono che le possessioni siano terribili, che succedono cose
orribili, le persone possedute possono parlare in lingue sconosciute,
possono...” si interruppe con un singulto.
“Maria,
quello è ciò che fanno vedere al cinema. Non esistono
persone che girano la testa a 365 gradi, o che camminano sotto sopra.
Però esistono le possessioni, esistono persone in cui il male
alberga fin dalla nascita, non se ne conosce la ragione ma succede.”
Continuò l'uomo cercando di essere comprensivo.
“S-si può
fare qualcosa per lei?” Riuscì a buttare fuori la donna
ancor più tremante, guardandolo speranzosa.
Il reverendo
annuì.
“Dobbiamo
sottoporre la ragazza ad un esorcismo prima che la parte malvagia
prenda il sopravvento. Se perderà il controllo di se stessa
potrebbe condurla alla pazzia.” disse gravemente guardando
Maria negli occhi.
La donna riuscì
solo ad annuire prima di scoppiare in singhiozzi.
La voce di
Maddy giungeva ovattata alle orecchie di Ariell che non riusciva a
concentrarsi abbastanza da capire il discorso che l'amica aveva
iniziato almeno da dieci minuti buoni.
La mente
turbinava frenetica per oscure vie e non riusciva a fermarla.
Negli ultimi
giorni il nervosismo e la paura erano salite alle stelle e non
riusciva ne a dormire ne a concentrarsi nello studio. Ormai passava
il tempo chiusa nella sua stanza quando era a casa e persa nei
pensieri quando era a scuola.
Ma Maddy era la
sua migliore amica e non la mollava un attimo guardandola spesso con
sguardo preoccupato ma non osando chiederle nulla.
Ariell si voltò
a scrutare l'amica e cercò di concentrarsi al massimo su
quanto stava dicendo.
“Insomma,
non so come fare con Jaden, devi aiutarmi!” la supplicò
Maddy rivolgendole uno sguardo disperato.
Ariell sorrise,
forse se la sarebbe cavata senza dover ammettere di non aver sentito
nemmeno una parola.
“Ok ok,
ti aiuterò. Per prima cosa se vuoi destare il suo interesse
dovresti proprio rivolgergli la parola e non limitarti a sbavargli
dietro.” tentò e, per fortuna, fece
centro.
“Hai
ragione Ari, so che ha una passione per la musica, proverò ad
attaccar bottone con quella. Incrocia le dita per me” le
sussurrò prima di fiondarsi all'uscita dove Jaden se ne stava
appoggiato al muro in attesa, presumibilmente, di qualche amico.
Ariell si
lasciò sfuggire un sorrisetto scostandosi i capelli dietro la
spalla.
Passò
accanto all'amica e la salutò con la mano mentre Maddy le
faceva l'occhiolino senza farsi vedere dal bel ragazzo che le stava
di fianco.
Non aveva
nemmeno svoltato l'angolo quando si ritrovò faccia a faccia
con Maria che la prese per le spalle e si guardò attorno con
fare circospetto.
“Che
succede? Che ci fai qui?” le chiese sulla difensiva.
Nonostante il
discorso a cuore aperto di qualche giorno prima Ariell si sentiva
ancora ferita e mal disposta nei confronti della madre biologica.
“Credo di
poterti aiutare.” rispose la madre guardandola con quegli occhi
verde smeraldo.
“Aiutarmi?
E come?”
la donna si
guardò intorno ancora una volta come se avesse paura di essere
sentita o vista da qualcuno.
“Mi sono
rivolta ad un reverendo, è una brava persona e ci può
dare l'aiuto che ci occorre con il tuo problema.” mormorò
strizzandole leggermente le spalle.
“Un
reverendo? E cosa potrebbe mai fare un reverendo, esorcizzarmi?!”
la rimbeccò con ironia acida.
Quando vide
Maria sbiancare e serrare le labbra capì che era proprio
quello il piano.
“Stai
scherzando vero?”
La donna scosse
la testa e cercò di carezzarle la testa ma la ragazza si
scostò bruscamente.
“Io non
sono posseduta! Queste cose succedono solo nei film!” sibilò
serrando i pugni e sentendo, l'ormai famigliare, calore riscaldarle
il corpo.
Cercò di
allontanarsi e prese un profondo respiro, il cuore le batteva
all'impazzata.
“Ariell,
ti prego, lascia che ti aiuti!” La pregò Maria
afferrandole il braccio.
Ariell cercò
di scostarsi ma fu troppo lenta e la madre riuscì a poggiarle
le dita sulla pelle.
Con una smorfia
di dolore Maria ritrasse la mano bruscamente e se la portò
davanti agli occhi.
La pelle era
rossa e le bruciava terribilmente.
Dopo un momento
di stupore tornò a guardare la figlia e gli occhi le si
velarono di lacrime.
Anche quelli di
Ariell si velarono mentre guardava inorridita cos'aveva fatto alla
mano della donna.
“M-mi
dispiace, i-io non volevo. Non riesco a controllarmi!” cercò
di giustificarsi fra le lacrime.
“Va tutto
bene Ariell, lascia solo che ti aiuti.” la implorò
facendo un passo verso la ragazza che indietreggiò d'istinto.
“Nessuno
può aiutarmi.” sentenziò lei scuotendo la testa.
“E se ci
fosse qualcuno in grado di farlo? Non vorresti chiudere per sempre
questa storia e tornare a vivere la vita che facevi prima?”
La giovane
sollevò il capo offrendole uno scorcio della disperazione più
acuta in quei suoi occhi così strani, così particolari.
Quando parlò
Maria poté sentire tutto il dolore e la paura che la figlia
provava.
“Esiste
davvero qualcuno in grado di aiutarmi?”
La donna annuì
non trovando la forza di parlare, in realtà non era sicura che
il reverendo potesse aiutare Ariell, ma lo sperava con tutto il cuore
e ciò, per il momento, doveva bastare.
ANGOLINO
DELL'AUTRICE:
Ciao a tutti
amici lettori, come ve la passate?
Spero bene.
Sto procedendo
lentamente con questa storia e spero che tornerete a seguirla.
Fatemi sapere
cosa ne pensate.
Bacioni.
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=3378642
|