Amare senza amarsi

di Momo_91
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Primo giorno al Garden di Balamb! ***
Capitolo 2: *** In attesa di risposte ***
Capitolo 3: *** Chi sono veramente? ***
Capitolo 4: *** Illusioni. ***
Capitolo 5: *** Fame sconosciuta ***



Capitolo 1
*** Primo giorno al Garden di Balamb! ***


Un essere umano, quando compie tanti errori, poi deve vedersela col karma.
Ormai questa storia del karma era di mia forte convinzione. Stavo per essere punito per le mie “follie”. Il viaggio non giungeva mai al termine, i raggi del sole battevano insistenti sul mio viso. Ho sempre preferito climi caldi, ma vestito da damerino con questa stupida cravatta ad irritarmi il collo non era il massimo. Mi giro per un istante e lancio uno sguardo a mio padre, seduto qualche posto più in la nella limousine, a sbrigare chissà quale faccenda lavorativa col suo portatile.
Mi affaccio annoiato al finestrino, il paesaggio era sempre lo stesso da quelle che sembravano ore: una continuità di curve, da far venire il voltastomaco, con la foresta da contorno.
"Rajesh, da quanto siamo in viaggio?" Chiedo al nostro autista sistemandomi un po' sul sediolino stanco di quella posizione.
"Sono circa due ore, ma non tema signorino tra pochi minuti saremo arrivati all'istituto!"
Dopo poco potei scorgere, da non molto lontano, un’immensa struttura doveva essere di 3 o 4 piani ma le dimensioni erano da paura. Quanti studenti vivevano lì dentro?
“Cos’hai figliolo? Impaziente di cominciare? Vedrai che in un collegio severo come questo, e di soli uomini, le tue smanie verranno tenute a freno. Me ne accerterò personalmente!”
Finì la frase stendendo le labbra fino a formare un lungo sorriso compiaciuto e si sbrigò a chiudere e riporre il suo portatile.
Restai in silenzio. Ci guardammo per pochi secondi: nulla in quell’uomo mi piaceva, mi ha sempre considerato una nullità perché non ero al pari dei miei fratelli negli studi, perché ero un fottuto combina guai, perché non ero come loro.
Distolsi lo sguardo e tornai a concentratami sull’istituto. La foresta cominciava a diradarsi e si intravedevano vari campetti, riuscivo a distinguerne uno da calcio, uno da tennis.
Quando vedo dei ragazzi fare riscaldamento in un campo da rugby, il mio cuore perse un battito. Era forse l’unica cosa alla quale non avrei mai rinunciato, questo collegio era conosciuto anche per aver sfornato alcuni campioni internazionali in vari sport. La cosa mi consolava non poco, non sono mai stato un gran cervellone e l’unica cosa “impegnativa” che potesse interessarmi era proprio il rugby.
Quando, finalmente arriviamo ai parcheggi auto, Rajesh aprì lo sportello e ci accingiamo a scendere dall’auto. Lì ritti davanti a noi c’erano sono due figure. Un uomo di mezz’età, basso e grasso e una donna alta, snella e giovane. Le avrei dato si e no 25 anni, aveva i capelli rossi raccolti sulla nuca e portava degli occhiali, che le ricadevano sulla punta del naso minuscolo, senza dubbio una bella donna.
“Piacere signor Almasy! Sono Cid, il preside dell’istituto! Per noi è un vero onore poter istruire uno dei vostri figli” Disse l’uomo basso e grasso rivelatosi il preside. Mio padre gli strinse la mano a sua vola, col solito sorriso compiaciuto.
Poi fu la donna rossa a parlare:
“Io sono Quistis Trape! Insegnante di lettere e vicepreside dell’istituto! Piacere di conoscerla.” Mio padre strinse la mano anche a lei.
“Il piacere e mio signori! Purtroppo Seifer è un ragazzo molto svogliato, ha cambiato varie scuole nel corso degli ultimi anni, rimanendo in arretrato con gli studi. Ha la tendenza a combinare troppi guai. Non so che voci siano giunte a voi, ne sono girate di ogni, ma il ragazzo ha bisogno di essere messo in riga! E’ per questo che ho scelto il vostro rinomato istituto.”
Mi si rivoltò lo stomaco. E’ vero non ero uno stinco di santo, ma se mio padre avesse avuto una coscienza saprebbe di non poter aprire bocca a riguardo. I discorsi sull’istituto e la diligenza degli insegnanti continuò ancora per un po’, e io, che non ero stato preso in considerazione nemmeno durante le presentazioni, cercavo di farmi piccolo all’ombra di mio padre. Nel giro di tre anni avevo cambiato quattro scuole e portato a casa solo scandali, che erano un peso troppo grande per una famiglia rinomata come la mia. Arrivavano spesso minacce del tipo: –Se continui così ti spediamo al collegio-. Come si fa con i bambini, ma dopo gli ultimi casini era successo davvero, e ora mi toccava cavarmela da solo. Anche se l’idea di stare lontano da casa mi rallegrava non poco.
Durante la noiosa chiacchierata, che ascoltavo a intermittenza giusto per capire l’argomento, ci fecero fare un rapido giro dell’istituto. Salimmo la scalinata esterna, ai lati si mostravano forti e coraggiosi due leoni di pietra, alti probabilmente 3 metri. Pensavo fosse un enorme pacchianata ma appena varcata l’entrata sembrava di essere finiti nella fiaba della “Bella e la bestia”. Un enorme sala con pilastri in marmo, ai lati due enorme scalinate giravano intorno alla sala e in fondo si intravedeva un lungo corridoio. La sala sarebbe stata vuota se non fosse per la statua situata al centro della costruzione, dalla quale si ergeva fiero Dante, con la divina commedia in una mano e l’altra che si prostrava verso il prossimo.
Perfino io riuscivo a sentirmi piccolo in quel posto, io che sono 1 metro e 82 di altezza, muscoloso e spavaldo. Tutto lì, però, sembrava schiacciarti.
Il tour continuò, in fondo al corridoio si finiva nella mensa, non avrei saputo dire quanti tavoli ci fossero, ne erano 100? Di più? Scoprii che in quell’istituto vi erano sia ragazzi delle medie che delle superiori, il che pareggiò un po’ i conti con quell’enorme istituto.
Ci indicarono le scale spiegandoci che erano divise per le camere degli alunni: quelli delle medie e del primo anno superiori lato sinistro, mentre gli altri e i professori lato destro.
Infine andammo nella sala del preside dove mio padre ed io ci accingemmo a firmare alcune carte. Fu lì che pare si fossero accorti della mia presenza. Beh probabilmente ero il pargolo di una delle famiglie più ricche del paese che gli capitavano a tiro.
Si era deciso che avrei cominciato con dei corsi extra per recuperare lo studio arretrato, e pare mi fosse stato assegnato anche un alunno, una specie di secchine che avrebbe dovuto aiutarmi nello studio.
“Affido mio figlio a voi, sperando che in lui ci sia qualcosa di buono!” Aveva sputato quelle parole con il chiaro intento di ferirmi. Non che mi importasse più di tanto, ormai le parole della mia famiglia mi scorrevano addosso come acqua. Io non ero uno di loro, io non ero come loro. L’unica cosa importante era che io avessi il massimo dei voti e diventassi qualcosa di “importante”, un avvocato, ad esempio, proprio come mio padre, o un ginecologo, come mia madre, entrambi i numeri uno del paese. I miei fratelli, geni fin da bambini, chiudevano il tutto come una ciliegina sulla torta.
Poco dopo mio padre ripartì per tornare a casa. Mi fu assegnata la stanza, la 201.
“Almasy, lui è Irvine Kinneas, è uno dei tuoi compagni di stanza. Ci penserà lui a spiegarti le cose, e dove sistemarti.” Disse la vicepreside frettolosamente per poi svincolare via verso il lungo corridoio.
“Piacere amico, qua la mano! Vieni ora ti indico dove si trova la tua camera” Afferrò uno dei miei borsoni infilandoselo a tracolla facendo ballare sinuosamente i suoi lunghi capelli castani raccolti in un codino. Mi affrettai ad afferrare il mio trolley e a seguirlo. “Noi siamo del terzo anno quindi andremo all’ala est dell’istituto, siamo all’ultimo piano. Ogni stanza è formata da massimo 3 alunni. Io la condivido con Zell, siamo qui entrambi da 3 anni. Già due ragazzi hanno cambiato stanza, pare sia difficile convivere con noi due… anche se non capisco proprio perché.”
Annuisco distrattamente perso ancora nei miei pensieri.
“Allora?” mi chiede
“Cosa?” domando
“Come mai sei stato spedito nel paese delle meraviglie?” mi sentivo stanco e in quel momento non mi andava di parlare o fare altro che non riguardasse una doccia gelata, poi cerco di ricompormi e non comportarmi da stronzo.
“Beh come dire, genitori troppo perfetti, fratelli troppo troppo perfetti e nel quadretto stonavo.” Spiegai senza troppo preamboli. Mi fissò per qualche secondo con quegli occhi che sembravano due profonde pozze d’acqua.
“Ah, capito… a me non lo chiedi”
“Se non lo faccio è perché non mi interessa.” Ecco la mia pazienza aveva già toccato il fondo… “Piuttosto, com’è che un’insegnante donna insegni in un istituto rigorosamente maschile?”
“Visto che bomba? Lei è la mia musa ispiratrice, uno dei pochi motivi validi per aprire gli occhi ogni giorno! Ci sono altre professoresse, ma non temere tutte vecchie racchie.” in effetti era una bella donna, anche se sembrava decisamente troppo grande con quell’espressione sul viso da donna di mondo.
Arriviamo alla camera senza dirci molto altro. Quando Irvine aprì la porta quasi non si scorgeva la differenza con l’esterno. Tutto in marmo arredato con mobili d’epoca, dovevano essere lì da 100 o 200 anni probabilmente. Tutto era arredato per due: due letti, due armadi, due scrivanie.
“La tua stanza è di là.” Disse anticipando la mia domanda. Scorsi un arco nella parete alla mia destra, all’interno vi erano gli stessi mobili: armadio, scrivania e letto una piazza e mezza. Riponiamo le mie valigie nelle camera, un po’ più appartata.
“Sai in queste settimane l’intero istituto parlava di te e del tuo arrivo. Non so cosa sia vero oppure no, ma se vuoi divertirti di tanto in tanto si trova un modo per raggirare la guardia notturna, e si passa la sera con le ragazze dell’istituto femminile! E’ il paradiso per noi poveri reclusi. Pieno di pollastrelle!” Scoppiai a ridere, quel ragazzo era proprio fissato con le donne! In cuor mio fui grato di non ricevere immediatamente domande su di me del tipo “Questo e vero? E quest’altro?”.
“Meno male, cominciavo a pensare che non ci fossero forme di divertimento in questo posto!”
“Per ora credo sarà comunque dura per te, prima devi ambientarti al posto, ai ritmi dello studio. E poi il ragazzo al quale sei stato affidato… beh non ha la fama di essere uno paziente e simpatico. Si chiama Leonhart, Squall Leonhart ed è un grande stronzo. Perlopiù lo si trova in giro a fare a botte con qualcuno. A volte credo che ce l’abbia anche con se stesso.” Sembrava quasi che il ragazzo dalla lunga criniera stesse parlando con se stesso. Poi come se si fosse risvegliato dai suoi pensieri disse: “Oi Almasy, io ora scappo che ho lezione. Sistemati le cose o fatti un giro per l’istituto. Ci vediamo a orario di pranzo nella mensa così poi ti porto a vedere il corso di studi e altre palle simili insomma!”
Sorrisi tra me e me, non era male. Forse qui mi sarei trovato bene, e di certo non ero l’unico a fare parte di una famiglia senza essere particolarmente desiderato.
“Ah e mi raccomando! Arriva puntuale all’apertura della mensa. Altrimenti ti resterà il peggio!” E lo vidi sparire dietro la porta.
Mancavano circa due ore all’apertura della mensa, le mie valigie completamente svuotate con una metà che giaceva all’interno dell’armadio e l’altra ancora sul letto. Non avevo resistito molto e mi ero fiondato sotto la doccia poco dopo. Ora me ne stavo imbambolato sulla sedia della mia scrivania a sfogliare il dépliant.
Infine mi decido ad uscire per fare un giro per i vari campetti da sport che avevo intravisto arrivando all’istituto, con il rischio di perdermi in quell’enorme struttura!
Una volta uscito mi diressi verso il campetto di calcio quello più vicino all’entrata.
Adoravo gli sport, sin da bambino, ma il rugby era la mia vocazione, era il mio modo di sentirmi vivo. Prima di finire qui frequentavo una discreta scuola di rugby, ero il quarterback e mi vantavo non poco di quella posizione per far colpo sulle persone.
Ed ecco che incappo nel tanto bramato campo da Rugby, nulla da dire facevano proprio le cose in grande qui. Avevano di tutto, attrezzature e campi per ogni genere di sport.
Ad un tratto non potevo fare a meno di sentirmi osservato e scorciavo vari ragazzi parlare tra loro indicandomi o semplicemente guardandomi. Irvine non aveva esagerato dicendo che ero stato l’atteso oggetto di discussione per gli studenti.
Vedo l’allenatore avvicinarsi pronto per stringere la mia mano.
“Tu devi essere Almasy! Io sono Rajin, l’allenatore. Ho sentito che sei uno bravo nel campo, mi farà piacere vederti all’opera! Qui facciamo tanto per quelli che promettono bene, anche tornei e cose simili, ma per questa volta credo che tu sia arrivato troppo tardi.” Dopo avermi stretto la mano con un sorriso divertito tornò all’interno del campetto urlando a squarciagola contro un ragazzino magrolino. Mi piaceva, sembrava uno tosto e già solo accennandomi delle opportunità dell’istituto ero suo, potevo anche smettere di pensare agli studi. Era quello che volevo più di tutto nella mia vita!
Resto ancora lì a guardare l’allenamento, appena individuo il capitano i miei occhi si fissano su di lui come fosse una calamita. Probabilmente era più grosso di me di pochi centimetri, dovevo ammettere a me stesso che si impegnava e sembrava sapere il fatto suo, anche se ero abbastanza sicuro di poter pareggiare con lui, se non addirittura fare di meglio.
Quando mi accorgo che anche lui mi stava fissando gli mostro un bel sorriso spavaldo. Lui in tutta risposta mi mostra il dito medio, mi scappa una risata beffarda e ricambio il gesto.
Senza pensarci due volte alzo i tacchi e continuo a camminare lungo i campetti, non era il caso di cominciare una lite a poche ore dalla mia presenza all’istituto.
Mentre il mio cervello vagava il mio sguardo fu rapito da un altro ragazzo: si allenava nel campo da tennis, aveva la tuta apposita e un berretto bianco a coprirgli lo sguardo dai raggi del sole, eppure si intravedevano i capelli castani che gli ricadevano sulla fronte grondanti di sudore.
Da una parte della rete c’erano 4 ragazzi che gli lanciavano palle a turni brevi in ogni direzione, e dall’altra c’èra lui che le respingeva senza sosta. Correva veloce come un felino e non sbagliava un colpo.
Ero come ipnotizzato da quell’interminabile sequenza e dalla grinta del giovane.
“Ok, adesso basta! Ultima serie da otto!” Aveva gridato un uomo non troppo alto e muscoloso nei limiti. Immaginai dovesse essere l’allenatore: aveva un espressione severa in viso come se fosse la sua faccia abituale.
l’allenamento terminò pochi secondi dopo e il ragazzo si gettò su una panchina laterale distante pochi passi da me. Era piccolo, rispetto alla mia stazza, sul metro e 70, forse. I capelli, ormai non più cinti dal berretto, gli ricadevano sul viso e grondavano sudore quasi fosse appena uscito da sotto la doccia, ansimava affaticato. Si girò a fissarmi, aveva gli occhi di vetro con quelle fastidiose ciocche che, ricadendogli sul viso, li coprivano in parte, ed io ero lì come un ebete a fissarlo.
“Allora? Che cazzo vuoi?” Sbotta il ragazzo.
“Eh?” Esclamo intontito, effettivamente non aveva senso stare ancora lì.
“Ti ho chiesto che cazzo hai da guardare!” Continua lui.
“Ma che avete tutti qui? Vi servono merda a colazione?” Basta veramente poco per farmi svalvolare e questo qui ci stava riuscendo benissimo!
Si rimette velocemente in piedi e ancora affannato comincia ad allontanarsi, decisi di prendere la palla al balzo avviandomi dalla parte opposta, ma mi salto un nervo quando lo sentii dire:
“Che razza di coglione depravato…”
Lo afferrai per un polso e lo strattonai tirandolo dinanzi a me, dovetti usare una certa forza perché mi sembrò di spostare una piuma e non poteva essere lo stesso ragazzo che poco fa sembrava un automa in campo.
“Che cazzo dici idiota! Dimmelo in faccia!”
Aprì la bocca per dire qualcosa ma la richiuse quasi subito e mi fissò qualche secondo pensieroso.
“Ah tu sei quello nuovo! Cos’è, vuoi dimostrare di cavartela anche senza papà?”
Ero confuso, disse il tutto con un tono senza dubbio provocatorio ma il viso era fermo senza espressioni, senza sorrisetti superbi o altro. Cercai di mantenere la calma mentre un mostro sembrava graffiarmi all’interno dello stomaco.
“Ma come fate a riconoscermi tutti?” Chiesi senza pensarci troppo.
“Semplice! Sapevo dell’arrivo di un coglione, figlio di papà, senza spina dorsale e con una faccia da culo!”
La mia reazione fu istantanea, non sentii più nulla intorno a me c’èra il nulla, tutta la rabia stava nel mio pugno che regalai violentemente allo stomaco del ragazzino. Ero forte, molto, lo sapevo e il moro cadde a terra tutto d’un pezzo.
Avevo ricevuto ordine di non muovermi da fuori all’infermeria, me ne stavo appoggiato spalle al muro a sperare che la notizia non arrivasse a mio padre e che per questa volta chiudessero un occhio sulla faccenda! Ero lì da poche ore e quel pivello mi aveva già fatto combinare un casino… mi veniva voglia di dargli un altro pugno!
“Ehi tu!”
Sobbalzai. Avevo davanti un ragazzo più grosso di me (cosa che non mi capitava spesso), occhi castani e capelli rasati. E questo cosa voleva ora?!
“Sono Jass il caposquadra della squadra di rugby! Ti consiglio di andarci cauto fratello sei appena arrivato e già ne pesti uno?”
Mi venne in mente il ragazzo che poco fa mi mostrava il dito medio nel campo.
“Io sono nuovo, Sei…”
“Si si lo so chi sei, lo sanno tutti a dire il vero.” Mi interrompe Jass, e stavolta non chiesi come facesse a sapere chi sono.
“Sono passato solo per conoscerti! Spero non ti becchi una punizione e di vederti in campo quanto prima! Sono curioso di vedere di cosa sei capace, non credere di passarmi avanti ok?!” Mi guarda serioso per pochi secondi e poi si allontanò.
Beh non avrei iniziato un’altra lite ma il suo comportamento non facevo altro che stuzzicarmi e volevo solo andare in campo a fargli mangiare la polvere.
Subito dopo la porta dell’infermeria si spalanca e ne esce un’anziana signora col viso corrucciato.
“Almasy?” Chiede.
“Presente!” Rispondo serio.
“Insomma mi spiegheresti perché hai preso a pugni Squall?! Sei un nuovo bullo?”
“Insomma, lui mi ha provocato ed ho reagito d’istinto!” Mi giustifico brevemente.
“Ti pare un buon motivo? Se io dicessi che non mi piacciono i tuoi capelli prenderesti a pugni anche me?” Insistette lei furiosa.
“No signora, no di certo…” Non sapendo cosa altro dire resto in silenzio. L’anziana signora dell’infermeria torna dentro e lascia la porta aperta, lo prendo come un invito ad entrare e lo faccio.
“Lascia perdere, va tutto bene.” Diceva Squall all’anziana.
“Oh certo, dici sempre così tu e ti ritrovo qui un giorno si e l’altro pure!” Aveva ribattuto lei.
A quanto pare era un accanito frequentatore dell’infermeria, beh se si rivolgeva a tutti come aveva fatto con me la cosa non mi stupiva poi molto.
La donna si congedò in un’altra stanza con un sonoro sbuffo. Il ragazzo, il cui nome non mi era nuovo, si stava mettendo a sedere con un po’ di fatica.
Provai a dire qualche parola:
“Ehi, senti non mi andava di pestare un ragazzino appena arrivato qui”
“Allora non dovevi farlo.” Mi venne da sorridere. Era serio? Crede di poter provocare senza conseguenze?
“Come dici? Guarda che ti sei comportato come uno stronzo giù al campo!”
“Cosa vuoi che mi interessi di te? Sei il solito cretino, come tutti gli altri!” Stavolta era in piedi e mi guardava negli occhi.
“Posso sapere che hai? Stavo solo cercando di scusarmi.” Non avrei mai ammesso di star a per scusarmi ma con lui proprio non riuscivo a ragionarci, cercavo un filo conduttore tra il mio e il suo cervello.
“Ah non hai bisogno di scusarti per evitare che avvisino i tuoi, parlerò io con la vicepreside. Non avere paura per papà!” Ecco era tornato il tono di prima sempre privo di espressione, sembrava l’unico modo con il quale era capace di comunicare.
Fece per avviarsi alla porta ma gli andai incontro.
“Chi ti ha chiesto niente?! Io non voglio propri… ma che ca!” Squall dovette avere un attimo di sbandamento perché in pochi secondi mi ritrovai a reggerlo in piedi, si ridestò subito
“Non mi toccare!” Esclamò rimettendosi in piedi.
“Guarda che stavi cadendo… aspetta vado a chiamare l’infermiera.” Dissi girandomi verso la porta dove poco prima era sparita la donna.
“Non farlo più ok? Non toccarmi!” Mi voltai e Squall mi fissava era diverso, affaticato probabilmente incazzato… in quell’istante decisi di evitare quel ragazzo, era decisamente uno fuori di testa. Sembrava uno di quelli che fa cose autolesionistiche, non era esattamente il mio genere, quelli così erano bravi a dare la colpa agli altri.
Mentre lo fissavo ancora straniato la porta dell’infermeria si aprì nuovamente ed entrò la vicepreside.
“Oh insomma Squall!! Quand’è che deciderai di finirla col tuo caratteraccio!”
“E’ tutto ok Quistis, sul serio… come vedi siamo già grandi amici . Non è che si potrebbe cambiare?” Mi parve strano il loro rapporto sembravano avere una forte intimità, poi lui l’aveva chiamata per nome. Forse non era il solo ad avere quel rapporto con lei, forse era più “alla mano” per la sua giovane età.
“Oh no! Non se ne parla proprio, il preside ha scelto così e non si torna indietro! E tu Almasy insomma! Da quanto sei qui, 10 minuti?”
Non capivo di cosa parlassero i due e nemmeno mi importava volevo solo ripartire lontano da quel tizio “Credevo di dover parlare col preside!” Dissi con un sorriso beffardo.
“Oh non provarci ragazzino ok?! Ti avviso che questa sarà l’unica volta che te la faccio passare liscia, che non si ripeta più. E parlo con tutti e due!” Finì la frase rivolgendo uno sguardo severo a Squall che si girò dall’altro lato.
“Beh questo sarebbe dovuto accadere in giornata ma tanto vale farlo ora: Seifer lui è Squall Leonhart, il ragazzo a cui ti abbiamo assegnato per rimetterti in pari col programma. Mi raccomando ragazzi fate i buoni, ok?” Gli occhi e le labbra della donna si chiusero in un sorriso allegro e divertito. Ero sconcertato, ecco dove avevo sentito quel nome oh insomma
“Dannato Karma!”
“Come?” Chiese la vicepreside
“No nulla!” E mi sforzai di sorridere a mia volta.



Fine capitolo I
Spero la storia vi stia piacendo! Dal prossimo capitolo le cose saranno più "moviventate". Spero che qualcuno commenti positivamente o nevativamente sarei comunque contentissima! Grazie per l'attenzione!! :)

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Capitolo 2
*** In attesa di risposte ***


Era una mattinata di metà marzo e la pioggia incessante non aiutava molto nella mia corsa mattutina. Ci tenevo ad allenarmi tanto e correvo almeno un’ora al giorno tutti i giorni, e non potevo certo rallentare ora che si avvicinavano le finali del torneo di Tennis.
Uno solo sarebbe stato scelto per la finale ad Ester e quello dovevo essere io!
Ero quasi arrivato ai campetti di rimpetto all’istituto quando appostati tra gli alberi intravedo Jass e la sua banda erano una ventina in tutto, li si vedeva spesso a girare insieme e a combinare casini. Faccio un ghigno schifato e continuo a correre fingendo di non vederli, quando mi ritrovo a pochi passi da loro Jass mi afferra il collo col suo enorme braccio.
“Oi oi oi non allenarti troppo ragazzino, o va a finire che crepi prima delle prove finali!”
Lo guardai irritato e mi liberai dalla presa.
“Lasciami in pace idiota!”
“Chi ti ha insegnato a parlare così eh? Tanto lo sappiamo che se vieni scelto e solo perché sei raccomandato.” Questa volta a parlare era stato il mio rivale, Max, non mi facevo problemi ad ammettere la sua bravura in campo ma era decisamente al disotto del mio livello. Lui e Jass erano i capo branco di quella massa di idioti, ed io ero un loro bersaglio abitudinario, ma non avevo certo intenzione di farmi mettere i piedi in testa!
“Max arrenditi, verrò scelto io per le finali quest’anno!” Dico altezzoso cercando di camuffare l’affanno per la corsa.
“L’anno scorso sono stato mandato io alle finali, e ci andrò anche quest’anno!”
“Forse perché gli studenti del primo anno non possono partecipare ai tornei esterni, e guarda caso sei di un anno più grande di me! A quanto pare non è solo il tuo allenamento a perdere colpi!”
Come di consueto Jass fa un cenno con la testa ad un “novellino del branco”, come li chiamavo io, e quello si fionda su di me bloccandomi le braccia da dietro. Erano in troppi in quel momento e sarebbe stato stupido reagire, Jass si avvicina minaccioso stringendo una mano a pugno.
“Ehi Jass perché non lasci perdere? L’hai detto anche tu, no? Max lo batterà sicuramente lasciamo che se la vedano sul campo!” Era spuntato lui Almasy, era arrivato al Garden da poco più di un mese e come immaginavo si era unito alla banda dei senza cervello. Avevamo cominciato le lezioni nella mia stanza da due settimane ma era come parlare con una scimmia, così quel pomeriggio gli avrei sottoposto un test per capire come meglio muovermi. Non avevamo praticamente scambiato parola oltre che per lo studio, volevamo evitarci a tutti i costi e speravo di liberarmi di lui quanto prima, o comunque prima che diventasse come gli altri della banda.
Il ragazzino dietro di me allentò la presa e ripresi a camminare senza aspettare la sentenza del “capo”

Era sera fuori faceva freddo, aveva nevicato tutto il giorno. Avevo 5 anni, non capivo ancora il perché di tante cose.
Eravamo pochi metri lontani dal cancello di casa e lui mi portò a vedere il corpo del cucciolo di un gatto in decomposizione.
“Questo accade quando il genitore sa che il cucciolo non è abbastanza forte per sopravvivere alle difficoltà della vita, viene abbandonato!”
Non piangevo, non lo facevo mai. Ero arrabbiato, solo tanto arrabbiato.
“Allora la mamma è cattiva! Perché ha lasciato questo piccolo tutto solo!?” Chiesi indispettito.
“Perché se lo avesse fatto sopravvivere lui sarebbe morto comunque, perché se nasci sotto la luna nera della malasorte devi essere forte il doppio per sopravvivere!” Disse l’uomo con voce tremolante.
“E’ colpa mia vero? Quello che è accaduto… non potrò mai essere felice, vero?” Questa volta calde lacrime vennero a pizzicarmi gli occhi, puntai lo sguardo sulla neve per non cedere, per essere forte!
“Ricordatelo Squall, sarà sempre così: i bambini cattivi non potranno mai essere felici!”

Un forte rumore mi ridestò dai miei ricordi, era arrivato Seifer. Si era seduto sullo sgabello e aveva lanciato i suoi libri sulla scrivania.
“Oi sei vivo! Ho bussato per un’ora qua fuori e non ti sei accorto di me nemmeno quando sono entrato!” poi prese a grattarsi il mento con fare annoiato.
“Mmm ero impegnato, ripetevo!” la butto lì cercando di passare velocemente all’ora di recupero che ci aspettava.
“Come no… cosa sei un romanticone che ti metti a fissare il tramonto?” Giro la testa verso la finestra, in effetti si intravedeva un tramonto di fuoco… da quanto tempo ero lì?
“Squall, tutto bene?” Mi chiese fissandomi negli occhi.
“Che ti frega? Si sto bene! Tieni compila questo e poi cominciamo ok?” Dico mentre gli porgo il foglio con le domande.
“Non sei un professore non puoi rifilarmi un compito!”
“Idiota! E’ per vedere il tuo livello di studi, se hai imparato qualcosa insomma.” Lui continuò a dire qualcosa riguardo al compito, poi a lamentarsi e a chiedermi cosa significasse una parola o un’altra. Quando vide che non gli rispondo si mette a leggere in silenzio il questionario.

“Non hai segni sulle braccia…” Ancora una volta vengo colto di sorpresa, avevo ancora lo sguardo verso la finestra, doveva essere passata un’ora ormai.
“Come hai detto?” Chiesi a Seifer una volta tornato in me.
“No… niente, beh sei strano! Non hai amici, sei l’unico studente a stare in una camera singola, sei a dir poco odioso e poi… beh e poi guardi la finestra!” Mi rispose, stava stillando un lista della spesa o cosa?!
“Grazie per le belle parole, ma cosa centra questo con la finestra? I segni?” Quella giornata ero stressato più del solito e volevo solo buttarmi sul letto a dormire
“Nulla! Sai porti maglie a maniche lunghe e quando sei in campo hai i polsini e quindi… ah lascia stare sono un’idiota!” Aveva una faccia da tonto e un’espressione confusa.
“Cioè tu credi che io mi tagli? Sul serio sei un idiota. Tutti portiamo maglie a maniche lunghe e io faccio Tennis i polsini servono per il sudore.”
“Senti ma come mai hai una camera da solo? Allora è vero che sei raccomandato per via di tuo padre?” Cerco velocemente di cambiare discorso. Nemmeno a me interessava continuare quella conversazione e lasciai perdere.
“Non ho alcun favoritismo per via di mio padre, non sono uno che ama socializzare, e dopo alcuni mesi passati a cambiare camere per via delle violente conseguenze, hanno deciso di assegnarmi questa stanza.”
“Beh non ti è andata male, è piccola ma non hai molti oggetti a quanto pare, hai anche un balcone che affaccia sul bosco, l’unica pecca è che si deve fare tutta la scalinata. Nah qui c’è lo zampino di tuo padre come dicono i ragazzi!” Si stese un po’ sulla sedia e incrociò le mani dietro la testa, voleva provocarmi.
“Ora cominci a essere esattamente come loro… mi hai visto in campo, credi davvero che io non valga nulla? Credi che abbia bisogno di raccomandazioni per dimostrare di essere il migliore?” Non poteva darmi torto, capitava spesso di incrociarsi durante gli allenamenti. Se mi avesse dato torto era un cretino come tutti gli altri.
“No è vero te la cavi bene, ma sai tuo padre è il presidente di Esthar… e poi sei sempre convito di essere il numero uno, mi sa che l’aiutino ci sta.” Mi voltai iroso verso di lui aveva la testa pendete verso destra e un sopracciglio alzato. La voglia di afferrarlo per il collo e sbatterlo contro il muro era forte, dovevo trattenermi per via delle selezioni l’allenatore era stato molto chiaro: “Niente richiami o risse fino alla partenza, o ritieniti fuori prima che io abbia deciso chi mandare!”.
Rimasi in silenzio e presi il compito di Seifer, cominciai a cancellare e ricorreggere con la penna rossa.
“Dai “numero uno” sii clemente non posso aver sbagliato tutto. Spiegami come fai tu, se hai un trucchetto insomma.” Continuava a fare allusioni su mio padre e lo sforzo diventava sempre maggiore. Dopo poco staccai la penna dal foglio completamente rosso e glielo porsi.
“Tieni portalo al preside, vicepreside, professori non mi interessa. Sei un caso perso, non ho intenzione di continuare con te.” Mi alzai dalla sedia e mi diressi verso la porta, ma il biondo afferrò la maglia tirandomi verso di lui.
“Chi ti credi di essere eh? Sei così convinto di essere il migliore di tutti?!” Cercavo di non guardarlo negli occhi e non gli diedi alcuna risposta.
“Squall senti…” Cominciò lui lasciandomi andare “Tu non piaci a me e io non piaccio a te, mi serve il tuo aiuto ok! Ho il compito di recupero tra pochi giorni, magari se mi va bene potrò smettere di venire qui e ti lascerò in pace. Magari convinco anche i ragazzi a lasciarti stare!”
“Non ho alcun bisogno che tu dica loro di smettere. So cavarmela da solo, sono un mio problema!” Non volevo essere aiutato da nessuno in nulla, ma Seifer aveva ragione se volevo togliermelo davanti era meglio usare il cervello. Tornai a sedermi alla scrivania
“Allora? E’ già passata l’ora di recupero oggi faremo gli straordinari, fammi vedere cosa non ti è chiaro.”
Non vedendolo arrivare mi voltai a guardarlo: aveva le mani appoggiare ai fianchi e sorrideva, l’angolo desto della bocca tendeva ad alzarsi più del sinistro. Dalla finestra entravano gli ultimi raggi del tramonto, i suoi capelli biondi sembravano fondersi con quel colore caldo, il tutto calcava il suo viso come a fare de cornice a un quadro perfetto.
“Se passo il test e tu vieni scelto per le finali ad Esthar, giuro che non dirò mai che è grazie a tuo padre!” Giunse al suo accordo e si sedette accanto a me sorridente. Quel pomeriggio restammo lì a studiare fino all’ora di cena. Era strano, non passavo così tanto tempo con qualcuno, pensai che quando il biondo sarebbe arrivato in pari con gli studi non ci saremmo più visti. Era inutile tanto sarebbe finita presto.

Ero in piedi nell’atrio principale e continuavo a guardare la bacheca in sughero, era questione di attimi e sarebbero stati affissi i nomi dei partecipanti ai tornei ad Esthar. Ero fermo e tranquillo all’apparenza ma dentro morivo dall’ansia. Dietro di me Max e un suo compagno, altro tennista, parlottavano tra loro, aveva gli occhi sempre puntati su di me come se avessi potuto imbrogliare in qualche modo.
Atri ragazzi per altri sport erano lì in attesa, molto probabilmente io e Max saremmo stati insieme comunque, anche se la partita era una singola serviva comunque qualcuno in panchina.
Finalmente vedemmo arrivare Quistis con i fogli in mano.
“Ragazzi restate indietro! Fra un attimo saprete tutto!” Attaccò i fogli e appena si allontanò di qualche passi ci fiondammo tutti sulla bacheca, sembrava la mensa quando stavano per terminare i panini.
E finalmente il momento che aspettavo da anni eccolo lì: Tennis/Gara singola – Squall Leonhart! Ce l’avevo fatta! Il cuore sembrava impazzirmi nel petto!
Tutto d’un tratto mi sentii strattonare via.
“Brutto stronzo!” Max aveva gli occhi pieni di rabbia e probabilmente voleva fare a botte. Quistis era ancora lì appena si accorse della scena venne verso di noi “ Max cosa hai intenzione di fare!” Non so se la vicepreside si rendesse conto che col suo modo di fare aiutava solo a farmi odiare ancora di più. Max mi lasciò andare, aveva il viso contratto in una smorfia di rabbia, perfino i suoi capelli neri a spazzolino sembravano più ritti del solito.
“Lenhart questa me la paghi!” Sussurrò prima di allontanarsi, io ero sempre lì impassibile con l’espressione di sempre… non avrei fatti sciocchezze proprio ora.

Erano le sei di sera e stavo tornando dalla lavanderia, ero ancora eccitato dall’idea di partire tra due giorni. Imboccai il corridoio e mi scontrai con Seifer.
“Squall! Ma dov’eri? Ti ho cercato. Ho passato il test! Ma devo avvisarti che sono ancora indietro col programma, quindi vogliono che continui a studiare con te.” Nei giorni scorsi avevamo studiato spesso fino a tardi, personalmente non era un gran problema visto che io ero vanti col programma ma la cosa un po’ mi infastidiva.
“Non è una novità che sei ancora indietro, non credere che ti terrò fino a tardi nella mia stanza, scordatelo!”
“Oh insomma, faremo solo un ora come pattuito, non mi tratterò ok? Oh ho saputo dei risultati per le finali. Congratulazioni, non è stato grazie a tuo padre!” Lo fissai per qualche secondo
“Sei proprio stronzo!” Gli passai di fianco e continuai la mia strada
“No no Squall dico sul serio, credo davvero che tu meritassi più di Max di andare alle finali. Anche se non è quello che ho detto a lui. Sai è piuttosto irritato!” Fini la frase calcando l’ultima parola, era vero doveva essere proprio fuori di se.
“Comunque volevo ringraziarti per l’aiuto.”
“Aiuto? L’ho fatto perché non potevo fare altrimenti.”
“Non eri costretto a stare tante ore a darmi lezione però, il patto era solo di un’ora. Ti sei comportato da amico, per questo ti ringrazio.” Mi sentivo confuso, amico? Io e lui… ma cosa aveva capito.
“Seifer cosa cavolo credi? Continuerò ad aiutarti per un ora al giorno ma io e te non siamo amici, è impossibile.”
“Certo perché tu sei superiore giusto? E io che ti ho anche chiesto di aiutarmi! Sai una cosa Squall tu non vali proprio nulla.” Un secondo dopo era entrato nella lavanderia.
Io continuai a camminare fino ad arrivare alla lunga rampa di scale e scalino dopo scalino mi avviai alla mia stanza. Seifer voleva farmi credere di essere suo amico solo per essere aiutato, questo mi dava la nausea. L’avrei fatto solo perché mi era stato imposto non mi interessavano falsi interessi, non volevo nessuno intorno a me.

La conversazione avuta con Seifer poco prima continuava ronzarmi per la testa. Non ne capivo il motivo, era come se cercassi un ulteriore significato nelle sue parole.
Avevo quasi finito di prepararmi per la cena in giardino con parenti che si teneva ogni 3 mesi e qualche volta per gli eventi importanti. Mi infilai il vestito classico dell’istituto quello che si usa in momenti importanti tipo quello, per ultimo infilo la giacca con lo stemma del garden. Do un veloce sguardo all’orologio erano le 20:08 stavano già per cominciare a servire i tavoli, non tutti i genitori prendevano parte a questo tipo di eventi. Io ci andavo sempre nel caso si fosse prestato mio padre. Arrivato in giardino mi avviai verso l’allestimento di tendoni bianchi messi apposta per l’occasione, non avevo molto appetito avrei soltanto controllato la sicura assenza di mio padre e sarei tornato in camera.
Entrai nel tendone. Molte famiglie erano già sedute ai tavoli in attesa di essere serviti.
Mi sentivo sempre fuori luogo in quella situazione, era fastidioso zigzagare tra i tavoli ed essere osservato da tutti.
“Squall! Hai la luna storta anche oggi? Ho saputo delle selezioni per le finali, non ne avevo dubbi! Biondina sexy a ore nove, pare sia la sorellina di qualcuno” Irvine, aveva bisbigliato l’ultima frase. Fastidioso e stupido, cercava sempre modo di fare conversazione con me, con scarsi risultati ovviamente.
Lo ignorai bellamente e incrociai le braccia al petto, continuai a guardarmi ancora un po’ intorno.
“Oi Seifer tu invece non sei stato preso in nessuna categoria per la squadra di Rugby!” Mi voltai e dietro di me era apparso lui, il biondo. Aveva anche lui l’abito da sera del Garden, mi stava fissando poi rispose ad Irvine:
“Sono qui solo da un mese e da pochissimo ho cominciato ad allenarmi con la squadra, non avrebbero potuto mandarmi!”
“Oppure potresti ammettere di non valere più nemmeno negli sport fratellone.” Dietro di lui era spuntato un ragazzino sorridente che sembrava la miniatura di Seifer, occhi azzurri capelli biondi e carnagione chiara.
“E tu chi sei piccoletto?” Irvine si abbassò all’altezza del ragazzino e la sua lunga coda castana gli cadde da un lato.
“Ah non parlagli così.” L’avverti Seifer
“Io sono Gaho, non un ragazzino! Sono risultato quarantesimo ai risultati del QI di tutta la nazione. Sono il più intelligente di tutti e da grande avrò un brillante carriera!”
“Ti avevo avvertito…” Commentò Seifer tirando dietro suo fratello.
“Seifer non ci presenti i tuoi amici?” Si fecero avanti altre persone
“Piacere io sono Kojima e lei è mia moglie Selena, mentre lui è il mio primogenito Kakuei!” Il padre di Seifer gli somigliava molto, solo che aveva capelli e occhi castano scuro.I colori li aveva presi decisamente dalla madre.
“Vedo che avete già conosciuto la piccola peste di casa!” Disse il fratello maggiore tirando Gaho vicino a se, lui invece non somigliava agli altri aveva capelli e occhi scuri portava gli occhiali e aveva l’aria di un’intellettuale più degli altri. Era quasi come se Seifer con i suoi muscoli e i suoi modi stonasse lì in mezzo.
“Piacere io sono Irvine compagno di stanza di vostro figlio, e lui è Squll, l’allenatore del cervello di Seifer. Non mi avevi detto di avere una famiglia così numerosa!” Concluse Irvine, poi tornò a fissare la ragazzina bionda seduta al tavolo lì vicino.
“Oh allora sei tu il ragazzo che sta aiutando Seifer! Spero che non ti crei tanti problemi!” Il padre di Seifer mi si era avvicinato e mi aveva stretto la mano. Mi sentivo a disagio, volevo solo tornare nella mia stanza in quel momento.
“Mmm si più o meno, spero che prima o poi si rimetta in pari.”
“Senti la tua famiglia è qui?” Mi chiese l’uomo.
“No, in fondo lo immaginavo. Sono molto impegnati, vi auguro un buona serata.” Seifer mi fissava da quando era arrivato e non mi staccava gli occhi di dosso. Non volevo le carinerie della sua famiglia per litigare ancora di più con lui.
“Ho saputo che mio figlio ha superato il primo test oggi, perché non ti unisci a noi per la cena. Ci farebbe molto piacere.” Era stata la madre a farmi l’invito, mi prese delicatamente un polso. Per qualche istante mi persi nei suoi occhi: avevano un tratto severo ma allo stesso tempo trasmettevano tranquillità. Erano identici a quelli di Siefer.
“Ehm, no io ecco preferirei non distrubare.”
“Non disturbi affatto, ho sentito parlare molto di te. So che sei molto intelligente e poi chissà quante cose ha da raccontare il figlio del presidente di Esthar!” Disse Kakuei, mi osservava come se fossi un alieno da ispezionare. Sembrava analizzare tutte le persone in realtà.
“Non sapevo fossi il figlio del presidente! Mi dispiace ti sia capitato proprio mio figlio!” Si affrettò a dire il signor Kojima.
“Vorrà dire che per Natale manderemo alla famiglia una bottiglia del vino più costoso esistente.” Finalmente Seifer aveva detto qualcosa. Forse in quel momento ci sentivamo allo stesso modo… fuori posto.
Alla fine non ci fu verso e mi trovai seduto al tavolo con loro, servirono l’antipasto e Kakuei mi aveva già fatto mille domande sulla medicina, cose pensassi di questo o di quello. Erano tutti piuttosto impressionati nel vedere la mia vasta conoscenza nelle materie in generale e soprattutto in campo medico. Sembrava di essere in un quiz televisivo con tutte quelle domande. Seifer era seduto accanto a me e mangiava in silenzio, non ero nemmeno sicuro che stesse ascoltando la conversazione.
“Tuo padre deve essere molto fiero di te! Sei molto preparato e tra poco partirai anche per il torneo. Un ragazzo a dir poco in gamba!” Rimasi interdetto… essere fiero di me? E perché mai avrebbe dovuto, in quell’istante ci tolsero i piatti e cominciarono a servire i primi. Non avevo toccato ancora nulla.
“Ah come vorrei che mio figlio fosse come te…” Aveva dichiarato il padre esausto.
“Oh papà mi dispiace tanto… dai ti è andato male uno su tre non essere tanto triste!” Aveva risposto di rimando Seifer. Aveva il viso imbronciato e continuava a guardarsi intorno.
“Mi dispiace Signor Almasy ma non la penso come lei. Seifer mi ha chiesto di sua spontanea volontà di restare fino a tardi a studiare per superare questo test. Sicuramente è molto indietro col programma ma probabilmente anche per me sarebbe stato difficile studiare tante materie tutte insieme.” Mentii, per me non sarebbe stato difficile. Mi dispiaceva un po’ per come trattavano Seifer e quello che dissi mi venne spontaneo senza nemmeno pensarci troppo.
Tutti al tavolo mi fissavano e mi strinsi nelle spalle. Chi diavolo me lo aveva fatto fare!!
“Si forse hai ragione Squall. Sei proprio un bravo ragazzo, ma ho imparato a non riporre speranze in mio figlio.” Alle parole del padre mi girai a guardare suo figlio e lui continuava a guardarsi intorno e capii. Insomma il ragazzo più sfigato dell’istituto era seduto a cenare con la sua famiglia, non doveva essere il massimo per lui.
Posai le posate sul tavolo e mi congedai immediatamente fingendo un malore, salutai educatamente tutti anche il piccoletto che non aveva parlato per tutto il tempo e mi allontanai velocemente dal tendone.
Mentre camminavo respiravo lentamente scrollandomi di dosso il peso di quell’insolita serata.
D’un tratto mi sentii afferrare il polso. Era Seifer, e ora cosa voleva.
“Senti non era mia intenzione metterti in imbarazzo ok? Non mi ero accorto che tutti mi fissavano, sono stati i tuoi ad insistere!” Non avevo intenzione di farmi provocare, non avrei resistito ad un’altra lite.
“Ok sono stato un coglione a sentirmi a disagio. Volevo solo ringraziarti!” Si passò una mano tra i capelli tirandoseli all’indietro sulla nuca. Sorrideva.
“Nessuno ha mai parlato così di me con mio padre. Anche se non siamo amici ti sei comportato ancora una volta come tale. Ti sono debitore Lenhart.” Mi fissò un ultimo secondo e poi tornò al tendone.
Mi ero comportato da amico… non capivo, ero confuso. Per quella sera cercai di non pensarci troppo. Dovevo concentrarmi per il torneo, finalmente un altro giorno e lo avrei rivisto!

Bussai alla porta ancora una volta, e finalmente il volume dello sterio, che proveniva dalla stanza fu abbassato.
Zell aprì la porta
“Ciao Squall, come butta? Scusa ascoltavamo musica non ci eravamo accorti che stessi bussando!” Disse Zell, a volte cercavo di capire chi fosse più cretino tra lui e Irvine, di sicuro insieme erano insuperabili.
“Sono solo venuto a vedere se Seifer è qui. Devo consegnargli una cosa e pare che oggi abbia saltato alcuni corsi. Non riesco a trovarlo.” Era tutta la mattina che cercavo Seifer, tra poco avevo gli allenamenti poi mi sarei congedato, visto che l’indomani c’era la partenza.
“No amico, qui non si è visto. Vuoi che gli dica qualcosa?”
“No. Mmm si, digli solo che lo cerco ok?” Senza aspettare risposta me ne andai. Ero stanco non vedevo l’ora che quella giornata finisse. Mi diressi verso i campetti avrei chiesto al suo allenatore a quel punto. Era tutto il giorno che lo cercavo. La sera scorsa ero stato in libreria, avevo fatto un piccolo riassunto di cose che sarebbe stato in grado di studiare anche senza di me, così al mio ritorno avremmo ripreso insieme a studiare. Solo che non avevo idea di dove si trovasse, Eppure era sempre in giro, trovava sempre modo di farsi notare.
Arrivai al campo da rugby, dove da poco aveva cominciato gli allenamenti, ma nemmeno l’allenatore aveva idea di dove fosse. Non si era presentato nemmeno lì.
Alla fine decisi di dirigermi all’allenamento. Dopo avrei consegnato i riassunti a Zell sperando che non li distruggesse in qualche modo.
Mi cambiai e cominciai il riscaldamento. Katsuo, il mio allenatore, era sorridente e di buon umore, anche io lo ero. Erano anni che aspettavo quel momento, oltretutto sapevo che lui era fiero di me e la cosa mi faceva sentire bene. L’idea che qualcuno avesse scommesso senza pensarci troppo su di me mi rendeva in qualche modo felice.
Quando l’allenamento finì l’allenatore venne a parlare con me
“Bene Squall vedo che sei in ottima forma. Domani faremo un figurone, continua così. Sta rilassato e tutto andrà per il meglio!” Voleva incoraggiarmi, la cosa mi faceva piacere ma ormai non erano più tanto le partite a darmi ansia.
Mi diressi alle docce, quelle nel giardino. Era una struttura costruita sotto terra, era il bagno meno frequentato e quindi il mio preferito.
Lanciai i panni nell’armadietto assegnato a me e mi lanciai sotto la doccia.
Pensai molte cose in quel momento, l’adrenalina era viva in me. Nonostante la stanchezza sarei stato ancora in campo a giocare. Ma non dovevo esagerare troppo. Infine i miei pensieri andarono anche a Seifer, pensai al comportamento dei suoi genitori a lui che mi ringrazia e mi dice che sono come un “amico”.
Come si faceva l’amico? Non ne avevo mai avuto uno, e non reputavo lui tale.
Mi infilai i boxer e mi asciugai i capelli. Fuori cominciava a fare scuro era meglio darsi una mossa.
Mi incamminai nella sala dove c’erano gli armadietti per infilarmi i vestiti.
Appena oltrepassai la porta ad arco mi ritrovai davanti Seifer
“Hei, ma dove eri finito?! Ti ho cercato tutto il giorno!” Lui non rispose, lo guardai con più attenzione: era scuro in volto e aveva un espressione seria. Non eravamo soli nel camerino, pensai che qualcun altro fosse sceso a farsi la doccia. Erano troppi e tutti nello stesso momento.
Mi guardai intorno e vidi Jass appoggiato al muro in fondo agli armadietti, poi Max e gli altri della loro banda.
Il cuore cominciò ad accelerarmi nel petto. Mi voltai a guardare ancora una volta Seifer
“Cosa sta succedendo…”

Questo è il secondo capitolo. I primi sono un po' lenti ma ci tengo che le tematiche della storia siano chiare. Spero che mi facciate sapere cosa ne pensate! Grazie a tutti!

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Capitolo 3
*** Chi sono veramente? ***


“Cosa sta succedendo…” Aveva detto Squall, più a se stesso che a qualcuno. Ci guardava stordito e non sapeva cosa fare.
“Adesso!” Jass aveva dato il via e i ragazzi della banda gli erano andati in contro cercando di tenerlo fermo. Sembrava piuttosto difficile visto che Squall non smetteva di dimenarsi. Infine Jass si avvicinò al ragazzo e gli assestò un potente pugno nello stomaco.
Il moro si piago per qualche secondo su se stesso, non lasciò uscire nemmeno un gemito di dolore. Fu più facile per gli altri afferrarlo e trascinarlo al centro della stanza.
“Bastardi! Lasciatemi andare!” Jass si mise dietro di lui e con una mano gli coprì la bocca.
“Ora stai zitto moccioso.” asserì stringendolo bene vicino al suo corpo in maniera da tenerlo ben saldo. Anche gli altri ragazzi si disposero lungo il corpo di Squall, era praticamente steso a terra viso all’insù e ogni ragazzo si premurava di tenerlo ben fermo.
Infine Arrivò Max che gli afferrò la caviglia destra.
“Te l’ho detto che te l’avrei fatta pagare! Seifer muoviti, tocca a te!” In quell’istante gli occhi di Squall si posarono su di me, erano sgranati e cercava di dire qualcosa, nonostante la mano di Jass non lasciasse uscire nemmeno una parola.
Ogni passo che facevo sembrava che i miei piedi diventassero sempre più pesanti, arrivai accanto alla panca e con la coda dell’occhio lo vedevo ancora dimenarsi.
“Allora ti muovi? O vuoi che ci scoprano!” Sbottò Jass infastidito.
Per loro tutto quello era normale, non so se fossero abituati o cosa ma io non riuscivo a stare calmo. Afferrai la cassetta degli attrezzi, era pesante. Un brivido mi percosse la schiena. Presi coraggio e mi voltai verso gli altri
“Jass… non credi che dirà che siamo stati noi?” Esclamai usando un tono di voce decisamente troppo agitato
“Non avere paura, Squall non dirà nulla. Lui non fa mai nomi!” rispose l’altro velocemente.
Mi avvicinai di qualche passo e vidi Max tendere ancora un po’ la gamba di Squall.
Non resistetti. Lo guardai negli occhi non vi vedevo paura, era agitato e continuava a cercare di dire qualcosa. Sentivo un enorme peso sullo stomaco, cercando di non pensarci abbassai lo sguardo sulla cassetta e la protesi un po’ in avanti. La voce di Squall si fece più forte e capii, stava dicendo “Seifer” stava cercando di dire il mio nome, voleva che io lo aiutassi? Perché cazzo doveva dire il mio nome.
Esitai qualche secondo, poi guardai Jass
“Non c’è la faccio, cazzo Jass non ci riesco.”
“Idiota! Vieni qui! Sbrigati che tra poco arriverà il bidello! Tieni, e fa si che non esca nemmeno un fiato, hai capito?!” Jass levò per un attimo la mano dalle labbra di Squall
“No. Seifer No!” disse cercando di divincolarsi dalla presa della mia mano sulla sua bocca.
Strinsi forte e ogni mugolio che emetteva lo sentivo nella mia mano che formicolava, era come se urlasse dentro di me.
Jass afferrò in fretta quella dannata cassetta e tutto fu veloce, rapido, e il mio cervello che non sembrava più in grado di pensare, fu un fiume in piena di pensieri e sensi di colpa.
“La prossima volta imparerai a stare al tuo posto!” Furono le ultime parole del capo della banda e lanciò la cassetta degli attrezzi, con non poca violenza, sull’arto inferiore della gamba di Squall.
Si piagò letteralmente in due, molti di quelli che lo tenevano fermo vacillarono o lasciarono la presa. Io strinsi forte, fortissimo anche se quello del moro fu un urlo muto che mi attraversava tutto il corpo, a me pareva di sentire il suo dolore nello stomaco.
Premevo forte sulla mano come a voler diminuire il dolore. Dopo poco mi accorsi che alcuni erano già andati via compreso Max. Io rimasi ancora lì, ero l’unico a trattenerlo ancora.
“Alla fine te la sei cavata. Adesso sei uno dei nostri, andiamocene ora!” Quelle furono le ultime parole che mi disse Jass e poi si diresse verso l’uscita.
Lasciai lentamente la presa su Squall, lo guardai era a terra dolorante e ansimava.
Con quell’immagine nella mente corsi via. In un attimo mi sembrava di aver già raggiunto la mia camera, spalancai la porta e mi diressi verso il bagno
“Oh ciao, Squall ti cercava oggi e sai… ma che ti è successo?” Mi trovai Zell davanti e aveva detto proprio quello che meno volevo sentirmi dire.
“Ah non ora Zell!” Gli passai di fianco e mi chiusi a chiave nel bagno.
Aprii l’acqua del lavandino e ci infilai sotto la testa, mi sedetti a terra. Che cavolo stavo combinando!

Non scesi per la cena, tantomeno chiusi occhio quella notte. Ero solito litigare o prendermela con gli sfigati anche prima di finire al Gardern, ma non avevo mai fatto nulla di grave. Non avevo mai spezzato la gamba a nessuno.
E anche se Squall aveva quel caratteraccio non si meritava una cosa del genere. Quei pensieri mi tormentavano e alle prime luci dell’alba mi misi la tuta e andai a correre fuori per i boschi li in torno.
La mattina precedente Jass aveva parlato a turno con ognuno di noi, ci aveva detto della cosa e io non potevo tirarmi indietro orami ero uno di loro.
Non capivo perché me ne fregasse tanto, era come se avessi preso in giro Squall, prima mi sentivo in debito con lui poi gli spezzavo la gamba.
Più ci pensavo più mi girava lo stomaco. Il giorno precedente lo avevo passato a nascondermi e non avevo toccato cibo.
Dopo poco più di mezzora ritornai verso l’istituto. Volontariamente o no passai fuori allo spogliatoio sotterraneo. C’era l’ambulanza, il preside, vicepreside, bidelli e addetti alla guardia notturna e anche l’allenatore di Tenniss.
Come era possibile? Era successo tutto alle 6 del pomeriggio erano le 7 del mattino e solo ora Squall usciva di lì?
Vidi la barella con lui sopra e il suo allenatore accanto a lui, mi avvicinai involontariamente.
“Dobbiamo andare, dobbiamo partire Katsuo… dobbiamo andare!” Ripeteva il moro al suo allenatore. Mi sentivo una merda.
Aveva il viso bianco e le labbra, se possibile, ancora più bianche. Chiaramente vaneggiava, sperava ancora di poter partecipare. Per un attimo pensai che avessi dovuto lanciare io la cassetta degli attrezzi, di certo l’avrei fatto meno violentemente.
“Seifer cosa ci fai qui?” Quistis era spuntata accanto a me, o io mi ero avvicinato troppo senza rendermene conto.
“Cosa è successo qui?” Mi usci spontaneo da chiedere. Forse con la faccia avvilita e spuntato lì a quel modo mi ero creato anche un forte alibi senza nemmeno volerlo.
“Squall… pare sia stato preso di mira, chissà chi sarà stato eh?” Disse in modo sarcastico. Non risposi, sapevo si riferisse a Max, probabilmente mi tradii ma non resistevo più.
Scappai letteralmente, senza pensare alle conseguenze o quello che la vicepreside potesse pensare.

Erano passate due settimane dall’incidete. Nonostante l’allenatore di Tennis non volesse mandare nemmeno Max alle finali, credendolo responsabile, fu mandato comunque. Alla fine non vinse nessuna coppa. Come previsto Squall non aveva fatto nomi, pare avesse detto che gli aggressori erano coperti in volto. Mi chiesi a lungo il perché di quella risposta.
Alla fine, per assenza di prove, nessuno fu incolpato. Si decise, però, di incrementare i turni dei bidelli. A quanto pare quella sera il bidello aveva saltato il suo turno spostandolo alla mattina. La notizia ovviamente si diffuse anche tra i genitori degli alunni e si vociferava dell’applicazione di telecamere.
Io avevo passato quelle settimane a cercare di recuperare, mi avevano affidato ad un altro ragazzo ma non riuscivo a capire nulla di quello che spiegava lui, quindi rinunciai e passai molto tempo con la banda.
Ci si divertiva con loro e non mi andava di fare altro. Irvine e Zell mi avevano detto chiaro e tondo di ritenermi uno dei responsabili dell’accaduto a Squall, non si parlò d’altro nell’istituto per una settimana, io comunque non risposi. Non avevo alcun tipo ti rapporto con loro. Sembravano degli angeli buoni, mi ricordavano di studiare di comportarmi bene… erano bravi ragazzi ma non facevano per me.
Stare con quelli del gruppo invece si stava rivelando il meglio per me, un paio di volte eravamo riusciti a ricavare qualche cassa di birra  dalla scorta degli insegnanti. Qualsiasi sala poteva diventare il nostro punto di ritrovo, perché eravamo noi a comandare.
Tutto quello mi faceva sentire un po’ meglio, mi faceva allontanare dai problemi, mi aiutava a non pensare.
Un giorno ero nell’aula di tedesco, ero seduto al mio posto e parlavo con Hill, un amico del gruppo, parlavamo dell’istituto femminile. Ci ero stato la prima volta diverse sere fa, una volta alla settimana ci si organizzava in piccoli gruppi per andare all’altro istituto attraversando il bosco e ci si incontrava con alcune ragazze.
Il tutto era sempre ben studiato per non farci sorprendere. Avevo conosciuto una ragazza, Rinoa, era molto carina e sapeva il fatto suo.
Quella sera ci sarebbe stata anche lei quindi sarei andato anche io.
“Tieni, ti ho preparato questi! Vieni nella mia stanza quando vuoi e ti spiego quello che non ti è chiaro.” Era comparso Squall davanti a me. Rimasi in silenzio e lo fissai, aveva una gamba ingessata e per camminare aveva bisogno delle stampelle. Era stato in ospedale circa due settimane e sapevo fosse ritornato al Garden da tre o quattro giorni. Ovviamente non mi ero premurato di fargli visita.
Abbassai lo sguardo sui fogli che aveva poggiato sul banco, dai titoli in rosso mi resi conto che era il punto in cui eravamo arrivati a studiare storia insieme. Erano molti fogli… non volevo credere fossero dei riassunti di tutte le materie.
“Cos’è?” Chiesi direttamente, ma non lo guardai in viso.
“Quistis mi ha detto che con l’altro ragazzo non fai progressi, credevo saresti tornato per continuare, ma evidentemente non ti interessa più. Comunque prendi questi, non sono difficili.” Disse ancora una volta, si tirò un po’ più su lo zaino in spalla prese le stampelle e si avviò verso l’uscita dell’aula.
Mi sentivo confuso, che diavolo aveva nel cervello! Dopo quello che era successo si era messo lì a compilare dei riassunti per me?
Hill mi borbottava qualcosa riguardo la stranezza di Squall ma non gli prestavo molta attenzione. Mi alzai e corsi a raggiungere il ragazzino bruno.
“Ehi Squall! Perché mai hai fatto quei riassunti per me?” Si fermò e mi guardò negli occhi, doveva aver perso peso e la sua espressione sembrava più “morta” del solito. Da parte mia sentivo solo un gran senso di colpa.
“Se non ti interessano buttali.” Stava per riprendere a camminare ma lo fermai ancora una volta.
“Ma come dopo quella cosa… si insomma dopo quello che è successo hai ancora intenzione di aiutarmi?”
“Non avevo molto da fare. In realtà non ho mai molto da fare. So che non vuoi avere a che fare con me quindi lascia perdere, fa finta che non ti abbia detto nulla.” Stavolta si incamminò, per quanto possibile, più velocemente. Non lo fermai, rimasi sulla soglia della porta a pensare… voleva che tornassi da lui a studiare. Pensai che se voleva continuare con le ripetizioni fosse perché si sentiva solo, e questo mi faceva sentire ancora uno schifo. Quel ragazzo mi mandava in tilt il cervello! Cosa avrei dovuto fare.

Era pomeriggio ed erano passate cinque ore da quando Squall mi aveva portato quegli appunti. Già sfiorandoli tutto era più chiaro. Era capace di farmi capire le cose, come se si abbassasse al mio livello per farmi comprendere ogni cosa.
Ero arrivato fuori la porta della sua camera, incerto se bussare o meno me ne stavo lì fuori come un cretino.
Infine girai la maniglia e aprii la porta senza bussare, dopo un paio di passi oltrepassai il piccolo corridoietto, davanti a me c’era Squall che mi fissava, aveva un quaderno in mano e stava seduto di lato alla scrivania, aveva la gamba ingessata poggiata sullo sgabello.
“Perché sei entrato senza bussare? Ci sono gli altri dietro di te e volete rompermi l’altra gamba?” Le sue parole mi colpirono come tanti spilli infilzati nello stomaco. D’altronde aveva ragione.
“Sono venuto da solo. Volevo chiederti alcune cose.” Sventolai gli appunti che mi aveva dato. Mi fece cenno di sedermi sul letto. Mi accomodai sul bordo e gli mostrai alcuni punti che non riuscivo a comprendere.
Lui prese a darmi delle spiegazioni, poi aggiunse che ci sarebbero voluti degli esercizi da fare per comprendere al meglio.
Non lo ascoltavo molto attentamente, perlopiù mi fissavo a guardare la gamba. Quando si accorse della mia assenza smise di spiegare.
“Cosa vuoi realmente?” Chiese senza troppi giri di parole.
“La gamba, volevo sapere come va.”
“E’ rotta, come vuoi che vada?”
“Cosa devi fare ora? Cosa ti hanno detto i medici?”
“Si tratta della tibia e perone, tra poco più di una settimana mi leveranno il gesso. Farò della riabilitazione, giusto il tempo per tornare a camminare come si deve, nulla di grave.”
Mentre parlava, con violenza una bruttissima idea si insinuò in me
“E il tennis? Quando tornerai in campo?” Si guardava la gamba e non rispose.
“Tornerai in campo, vero?!” Rimase in silenzio e capii. Cosa avevo fatto? Quella mattina era così distrutto sulla brandina… per tutto quel tempo mi ero detto che era solo una cosa rinviata, invece non sarebbe più tornato in campo?
Mi alzai dal letto di scatto.
“Squall mi dispiace ok? Io non avrei dovuto farlo… io non”
“Non mi interessa, è meglio che sia andata così. Ho capito delle cose.” Era davvero convinto di quello che diceva.
“Di cosa parli?”
“Nulla! Sciocchezze. Vuoi sapere altro? Altrimenti vai.” Gettò gli appunti sulla scrivania, ovviamente aveva capito che non ero lì per quello.
“Perché ti comporti come se non ti importasse nulla?!” Il mio tono di voce si era alzato un po’.
“Perché non è nulla di importante.” Aveva ripreso a leggere il suo quaderno. Mi irritava, non poteva essere così calmo.
“Ho visto come eri agitato quella sera, ti vedevo chiedermi aiuto!”
“E l’hai fatto comunque!” Mi guardò negli occhi col suo sguardo serio, era come una pietra inscalfibile non si poteva penetrare in lui. Non si riusciva a capire cosa pensasse.
“E’ una scelta mia. Potrei continuare, probabilmente dopo mesi o anni di riabilitazione chissà, comunque non voglio.”
“Squall potrei aiutarti io. Cosa diavolo hai che non va?!”
“Seifer… mi spezzi la gamba e poi ti offri di aiutarmi, non credo di essere l’unico strano qui.” Mi sedetti di nuovo sul bordo del letto. Mi sentivo in colpa per quello, volevo stare con Jass e gli altri ma mi rendevo conto di non essere me stesso con loro. Squall mi faceva tornare con i piedi per terra.
Feci un profondo respiro
“Senti, hai ragione. Io non ho mai fatto una cosa del genere prima. Jass, Max e gli altri… mi piace stare con loro. Anche se quando fanno queste cose… io non sono come loro. Non so come spiegarmi. Una parte di me vorrebbe che almeno una volta nella loro vita i miei genitori fossero orgogliosi di me, e quando sto con te io riesco ad essere quello che voglio, mi impegno. Poi però ho anche paura, io non voglio diventare come mio padre. Ed è più facile stare con gli altri ed ubriacarmi.” Non avevo idea di cosa pensasse Squall, tanto per cambiare, avevo lo sguardo puntato sui miei piedi e speravo dicesse qualcosa.
“Capisco.” Alzai lo sguardo su di lui. “A me non interessa se frequenti sia me che loro, basta che mi lasciate in pace e non mi spezzate nulla!” Continuo facendo una risata nasale, non una vera risata o un sorriso. Non rideva mai.
Infine mi diede gli appunti “Ti preparerò degli esercizi. A domani!”
Titubante mi alzai e uscii dalla stanza.

Il giorno dopo mi presentai e l’altro pure, era come una tacita promessa di aiuto.
Lui mi aiutava con le ripetizioni e io non lo lasciavo completamente solo, o almeno così credevo fosse. Magari prima o poi avrei capito cosa lo tormentava tanto, volevo essergli amico. Io volevo conoscerlo!


Commento Autore:
Il prossimo capitolo verrà pubblicato prima, visto che ho già quasi terminato di scriverlo.
Grazie a tutti quelli che spendono un po’ di tempo per leggere la storia!!

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Capitolo 4
*** Illusioni. ***


Avevo tolto il gesso da diversi giorni. I primi giorni la gamba faceva malissimo, anche se non davo a vederlo. Avevo preso con la riabilitazione e mi ero rimesso piuttosto in fretta.
Vidi Seifer venire verso di me, eravamo nel pieno del bosco e quella sera faceva freschetto, indossava un lungo cappotto bianco, spesso mi capitava di pensare che fosse un diavolo mascherato da angelo.
“Oi Squall cosa ci fai qui? Hai la ragazza e non mi hai mai detto nulla?” Chiese sgranando gli occhi. Mi venne quasi da sorridere, mi capitava spesso con lui.
“Ovvio uno come me non troverebbe mai una ragazza.” Mi guardò esasperato.
“Non l’avrei mai detto prima, ma tu hai l’autostima sotto i piedi sai? Insomma devi esserti guardato allo specchio!”
“Non è vero! Cosa intendi dire?” Non mi piaceva che gli altri mi analizzassero.
“No nulla lascia perdere. Come mai Jass ti permette di andare all’istituto femminile?”
“Diciamo che su questa storia tende a chiudere un occhio.” Poco dopo sbucò proprio lui
“Eccomi ragazzi andiamo!” E ci incamminammo verso l’istituto femminile.
Seifer stette tutto il tempo con i suoi amici, sapevano che studiavamo insieme ma cercava di evitarmi quando c’erano loro.
Io stavo in fondo al gruppo tenendo il passo. Quando arrivammo sbucammo al solito posto, lo chiamavano “Il vecchio Garden” Era una piccola struttura abbandonata poco lontano dall’istituto femminile. Era il punto di ritrovo segreto delle due scuole.
Il tempo di spuntare dalle aiuole che lei mi saltò addosso stringendomi forte, la strinsi a mia volta e le carezzai la testa.
“Sono tanto contenta che tu sia venuto!”
“Beh ti avevo detto che appena la gamba riprendeva a funzionare sarei corso da te!” Ci guardammo negli occhi. Ogni volta che la vedevo mi sembrava sempre più grande.
“Scusa tu non sei la ragazza di Jass?” Seifer stava di fianco a noi decisamente confuso.
“Purtroppo è così, lei è mia sorella Ellione.” Mi beccai un pugno in testa da parte sua e le sorrisi dolcemente. Un secondo dopo Jass l’aveva attirata a se e la baciava. Mi voltai disgustato e Seifer era ancora lì a fissarmi.
“Hai una sorella? E sta con Jass?! Questa è bella!” Portai l’indice sul naso in segno di fare silenzio, mi avvicinai a lui e gli sussurrai.
“Ellione non è a conoscenza delle divergenze tra me e tutti gli altri. Lasciamo la cosa così, ok?” Non riuscivo a capire se fosse confuso o divertito da quel gioco del destino. Non ebbi il tempo di capirlo perché stavolta fu un’altra ragazza a gettarsi tra le sue braccia.
Quando si staccò da lui notò la mia presenza e si fece rossa in volto.
“Ciao Squall…” Disse timidamente.
“Ciao Rinoa.” Risposi freddamente, era la migliore amica di mia sorella. Era una brava ragazza ed ero felice che fossero come sorelle. Sapeva certamente scegliere amicizie migliori dei fidanzati. Qualche tempo fa, durante una visita segreta come quella, si era dichiarata. Rifiutai immediatamente, loro non sapevano come mi consideravano nell’altra scuola, Jass teneva tutto segreto per mia sorella. E non volevo mettere in cattiva luce Rinoa. Li fissai per un attimo.
“Ah state assieme!!””


“No Squall, non è proprio così.” Cercava di giustificarsi lei senza motivo.
“Non devi darmi spiegazioni.” Li liquidai così e mi avviai verso mia sorella.
Ci abbracciammo un paio di volte poi Jass la trascinò via, e sinceramente non mi piaceva pensare dove o a fare cosa.
Mi sedetti su una costruzione in pietra lì vicino e aspettai le solite due ore prima di tornare.

Trascorse le due ore i ragazzi cominciarono a fare ritorno, Seifer tornò senza Rinoa e venne a passo spedito verso di me.
“Fammi capire: tua sorella sta con il tuo peggior nemico e io sto uscendo con la ragazza che ti piace.” Parlò col suo solito tono spavaldo.
“A me non piace Rinoa!”
“Si effettivamente è un po’… appiccicosa! Mi ha detto che tu gli piacevi e che l’hai rifiutata brutalmente!” Non risposi nulla, strozzai in gola uno sbadiglio.
“Ehi… sei rimasto qui da solo fino ad ora?” Ancora una volta non risposi nulla. Le altre volte restavo in compagnia di Rinoa, non che la cosa mi facesse piacere ma almeno non facevo la figura dello scemo. Pian piano erano tornati quasi tutti.
“Sai prima, con tua sorella, era la prima volta che ti vedevo ridere.” Stava appoggiato con le braccia vicino a me, ci fissammo negli occhi per diversi secondi e solo allora mi venne una domanda: cosa aveva fatto con Rinoa? Cosa diavolo me ne importava poi.
Quando staccai lo sguardo dai suoi occhi vidi mia sorella avvicinarsi, scesi dalla struttura e le andai incontro.
“Scusa fratellino, volevo venire prima ma…” Una morsa di gelosia mi bruciò lo stomaco, la seppellii senza dargli voce e al suo posto sorrisi, il mio solito sorriso finto.
“Non dire sciocchezze!” poggiai ancora una volta la mano sulla sua testa castana.
“Ci vedremo la settimana prossima e starò con te tutto il tempo! Verrà anche papà sai? Oggi sono riuscita a sentirlo e ha detto che sarebbe venuto! E’ da tanto che non stiamo tutti insieme!” Le brillavano gli occhi, sembrava così eccitata.
“Ellion io non ci spererei troppo, sai che è impegnato e non è mai venuto per la festa annuale degli istituti!” Ogni 20 d’aprile si festeggiava l’anno di quei due grandi college, gli alunni e le famiglie si riunivano per cenare e festeggiare. Ma nostro padre era sempre mancato a quell’appuntamento, non volevo che Ellione ci restasse male.
“Papà ha detto che sarebbe venuto! Meglio che mantenga la promessa. Nel caso staremo io e te!” Mi poggiò un bacio sulla guancia, ci salutammo e mi misi in disparte. Non mi piaceva vederla salutare Jass.
Durante il ritorno all’istituto non potevo fare a meno di sentirmi osservato da Seifer, volevo chiedergli cosa volesse ma non l’avrei avvicinato davanti ai suoi amici. Infine fu lui ad indietreggiare avvicinandosi a me.
“E’ per il fatto che tua sorella e Jass stanno insieme che non hai detto nulla?”
“Cosa intendi dire?”
“Io pensavo che l’aggressione nello spogliatoio ti avesse spaventato, per questo non avevi fatto nomi o cercato vendetta. Ma non è da te startene buono, quindi non capivo. E’ perché non volevi che tua sorella sapesse cosa ti fanno Jass e gli altri.”
“Uno: a me non spaventa nulla. Due: chi ti ha detto che non gliela farò pagare? Tre: tu fai parte degli “altri”. Quattro: Si, mia sorella non deve sapere nulla.” Seifer restò indietro di qualche passo.
“Se odi anche me allora perché mi aiuti con gli studi?” La conversazione cominciava a darmi sui nervi.
“Non avevo di meglio da fare.”
“Che razza di risposta è?!”
“Credo che i tuoi amichetti si accorgeranno che stai parlando con me se resti ancora qui.” Detto ciò mi avviai avanti tra gli altri ragazzi, così non si sarebbe più avvicinato. Provavo una strana fitta quando pensavo che Seifer veniva da me solo per gli studi. Come mi dava fastidio che quel cretino di Jass fosse il ragazzo di mia sorella, e che Rinoa ora stesse con Seifer. Si l’avevo rifiutata io, non provavo nulla per lei, come per nessuno. Solo che adesso mi dava fastidio.

Il giorno successivo Seifer non si presentò, ero casualmente passato con la vicepreside davanti uno dei posti dove si appostava la banda. Ed erano tutti a bere birra, quindi quelli presenti erano stati tutti messi in punizione chissà in quale modo. Caso volle che Seifer fosse proprio con loro in quel momento.
Era così che vivevamo io e Jass, io trovavo il modo di metterli in ridicolo e poi facevamo a pugni. Anche se non si era mai presentato un episodio come quello della palestra.
Non li sopportavo, li avevo visti a volte intimidire quelli del primo anno o quelli con poco carattere. Si sentivano forti così, ma io non mi ero mai tirato indietro. Da quando Seifer mi aveva detto di avermi visto spaventato quella sera mi sentivo come se una parte del mio muro si fosse sgretolata.
Per me era solo importante partecipare a quella stupida gara! Erano 5 anni che aspettavo quel giorno, era come se non vivessi di altro aspettandomi chissà cosa. Pensare di essermi mostrato debole davanti agli altri mi faceva agitare. Sentivo il forte bisogno di consigli ed andai dall’unica persona dalla quale andavo sempre in quei casi.

Bussai alla porta dell’aula insegnanti ed entrai.
“Permesso! Cercavo la vicepreside Trepe.” Successivamente sbucò proprio lei dietro una scrivania con sopra un enorme pila di libri.
“Squall! E’ successo qualcosa?!”
“No, se non ha nulla da fare volevo mostrarle dei compiti poco chiari.” Sistemò delle cose dietro la pila di libri e mi seguii in corridoio.
“Vieni andiamo nella mia stanza!” Andammo dove c’erano le camere degli insegnanti ed entrammo nella sua camera, come di consueto.
“Mi sa che dobbiamo cambiare la scusa del “mi aiuti a fare i compiti”, orami sei una sorta di genio.” Si guardò velocemente allo specchio e si alzò un po’ gli occhiali sul naso. Era così che facevo quando avevo bisogno di parlare con lei, dicevo la scusa dei compiti e lei mi portava via.
“Mi ero preoccupata fosse successo qualcosa, è da prima dell’incidente che non vieni a cercarmi.” Mi lanciò uno sguardo di rimprovero.
“Quistis non ero dell’umore…”
“Si lo so!” Mi strinse una mano sulla spalla, mi svincolai senza sembrare troppo brusco. “E’ per questo che volevo che parlassi con me.”
“Sono venuto per altro.” Cercai di cambiare discorso quasi subito. “Come si fa a cambiare quello che è successo” Restai in silenzio in attesa di una risposta.
“Potresti esser un po’ più preciso Squall?” Scosse la testa esterrefatta.
“Non posso.”
“E come credi che possa aiutarti?”
“Scusa se ti ho rubato del tempo allora!” Mi avviai verso la porta della camera a passo veloce.
“Aspetta, voglio aiutarti ma come… oh insomma. Non si può cambiare quello che è successo, puoi cercare delle scappatoie all’infinito e non accettare la cosa o affrontarla e parlarne con il diretto interessato. Ti può essere utile questa risposta?” Finì in tono ironico.
“Forse, devo pensarci.” Conclusi
“Squall prima che tu vada. Volevo dirti che è stato confermato il tavolo dalla tua famiglia per domani sera. Non so che pensare ma credevo fosse giusto dirtelo.”
Non dissi nulla e uscii dalla stanza.

Era arrivato il 20 aprile. Quel giorno non c’erano lezioni, gran parte degli alunni aiutava in giardino per l’allestimento della festa. Quistis mi aveva buttato nel girone degli aiutanti senza dirmi nulla, certe volte era detestabile.
“Squalli!!” Bene, non poteva capitarmi capogruppo migliore di Selphie, frequentava l’istituto femminile ma non era lì che ci eravamo conosciuti. Lei come me era la vincitrice di una delle borse di studi per questo frequentava il college. Eravamo in molti a chiederci come fosse possibile, era sbadata e sembrava proprio il tipo di persona incapace di fare due più due. Mentre mi veniva incontro inciampò su un filo e cadde a terra stesa come un salame. Si rimise subito in piedi e si sistemò il vestito giallo canarino, per nulla imbarazzata o altro. Era decisamente abituata a certe figuracce.
“Sono contenta tu sia venuto ad aiutarci! Ci sono dei tendoni da alzare su, vai forza!”
“Faccio questa cosa e vado via, ok?”
“Squall non puoi fare solo una cosa e andare via!”
“Non sono stato io a mettere il mio nome nella bacheca per i partecipanti, e poi la gamba non funziona del tutto quindi farò questo ed andrò via!”
“Già è da un po’ che non ci vediamo, come va la gamba?”
“Non funziona del tutto.” Ripetei e mi avviavi verso un gruppo di ragazzi intenti ad alzare i tendoni.
Ero annoiato e non parlai per nulla, aiutati solo a tiare delle corde quando me lo dicevano. Poi uno con la delicatezza di un elefante mi pestò il piede, proprio quello che funzionava poco.
“Che cazzo!” Mi accasciai e mi massaggiai la gamba come mi aveva detto di fare il dottore di riabilitazione.
“Ti ho fatto male?” Seifer, chi altro sennò. “Diciamo che ora siamo pari per avermi fatto beccare a bere birra!” Sorrideva beffardo.
“Idiota!” Mi alzai e cercai di allontanarmi ma la gamba doleva e zoppicavo visibilmente.
“Ehi cosa hai fatto a Suqalli!” Selphie si era avventata su Seifer come un tornado.
“Nulla dolcezza, gli ho calpestato il piede. Ma non l’ho fatto apposta.”
“Ah, senti io torno dentro, non riesco a poggiare il piede.” Dissi rivolto a Selphie.
“Sicuro non sia nulla di grave?” Chiese col volto preoccupato, mi infastidiva che le persone di preoccupassero per me. Feci di no con la testa e mi avviai zoppicando verso l’entrata.
“Non credevo di averti fatto così male. Vieni ti aiuto.” Mi prese un braccio per sorreggermi, lo strattonai via.
“Sparisci non voglio il tuo aiuto!”
“Non fare lo schizzinoso, mi dispiace solo che sia stato proprio io a calpestarti il piede. Sai che me ne importa!” Una morsa di rabbia mi percosse il corpo, mi fermai e mi voltai verso di lui.
“Nessuno ti ha chiesto di preoccuparti per me e nessuno ti ha chiesto di starmi dietro. Ti sto aiutando con gli studi perché mi fai pena! Sei un tale cretino che prima mi spezzi la gamba e poi te ne penti!” Mi aspettavo una qualche reazione da lui, invece restò zitto e se ne andò. Vallo a capire quello.
A fatica mi avviai dentro l’istituto mi sedetti sui gradini e massaggiai la gamba aspettando che il dolore passasse un po’.
Come un raggio di sole in una giornata piovosa vidi Ellione venirmi vicino.
“Squall ciao.” mi poggiò un bacio sulla testa. “Papà ha prenotato un tavolo, quindi staremo tutti insieme dopo tanto tempo. Quanto tempo è che non stiamo tutti insieme?”
 “Non lo so, è da un po’ in effetti.” Le sorrisi dolcemente.
“Cos’hai ti fa male la gamba?” Chiese osservando le mie mani intorno alla caviglia.
“No, faccio solo un massaggio di routine!” Mentii. “Senti non sperare troppo che papà venga stasera ok?”
“Ah il solito pessimista!! Ora vado che sta per partire il pullman per tornare all’istituto!” si alzò e attraversò l’enorme portone dell’entrata. Era così bella e così forte, dovevo darle il meglio, io le dovevo tutto.
Me ne tornai lentamente in camera in attesa della serata.

Stavo in alto sulla scalinata principale, avevo indossato il vestito da sera del garden, come sempre. Aspettavo lì che Ellione arrivasse e mi vedesse.
Quando infine la vedo arrivare decisi di andarle io incontro, era bellissima come sempre. Indossava un lungo vestito da sera azzurro molto elegante, vicino a lei c’era Rinoa, indossava un abito bianco. Alle ragazze era consentito indossare abiti da sera purché non fossero troppo scollati o provocanti.
Le sorrisi e l’abbracciai, poi salutai anche Rinoa nel mio solito modo freddo e distaccato.
“Scusa, sai dov’è Seifer?” Mi chiese timidamente.
“Eccomi!” Era appena arrivato lui, indossava lo stesso vestito che indossavamo noi uomini. Sembrava più grande con quel vestito, lo pensai anche la prima volta che glielo vidi indosso. Non gli rivolsi la parola e pensai brevemente alla conversazione avvenuta la mattina.
“la vostra famiglia verrà?” Chiese il biondo
“Oh si, verrà nostro padre. Sarà qui a momenti.” Rispose Ellione. Seifer mi fissò qualche secondo.
“Beh ne i miei ne quelli di Rinoa verranno quindi andremo al tavolo degli alunni… senza famiglia?” Era stranamente agitato e sembrava non sapere nemmeno lui cosa stesse dicendo.
Erano già arrivate molte famiglie, quasi tutte.
“Eccolo la!” Esclamò mia sorella. Guardai nella sua stessa direzione e mi mancò un battito. Da una delle Limousine appena parcheggiate uscì lui, Laguna.
Quando si avvicinò un po’ Ellione corse da lui, io ero ancora fermo e non sentivo la piena stabilità sulle gambe.
“Tu non vai?” Seifer era ancora accanto a me, e non so se per divertimento o cosa ma non faceva altro che fissarmi.
Mi incamminai verso di loro con le gambe un po’ tremolanti.
“E tu che dicevi che non sarebbe venuto!” Disse mia sorella facendomi la linguaccia. Avrei voluto sorriderle o ricambiare ma ero troppo preso dalla presenza di nostro padre.
“Allora, non lo saluti!” Cercando di camuffare l’agitazione allungai una mano verso di lui per stringergliela.
“Buona sera Laguna!” Mi strinse la mano a sua volta e mi tirò verso di lui, mi abbracciò velocemente. Non capivo bene cosa stesse succedendo ma lo assecondai.
“Oh tutti insieme. Dov’è che si mangia? Sto morendo di fame!” Disse mio padre rivolto a noi.
“Papà sai che ti vedo molto dimagrito? Devi mangiare! Non farci preoccupare.” Poi si incamminarono verso i tendoni e io li seguii con qualche passo di distanza. Entrammo e una volta trovato il nostro tavolo ci sedemmo. Eravamo al centro, praticamente sotto gli occhi di tutti. Ci sedemmo ed Ellione e Laguna conversavano delle varie cose, poi mio padre cominciò a punzecchiarla dicendole che voleva conoscere il suo ragazzo. Non credevo lo sapesse.
Restai in silenzio per tutto il tempo e non feci altro che fissare la tavola apparecchiata.
Poi arrivarono i camerieri, servirono noi per primi con gli antipasti.
“Squall che ti prende?” Sobbalzai allo scrollarmi di Ellione.
“Nulla. Pensavo a.. ehm.”
“Cosa succede? C’è la ragazza che ti piace?” Fissai mio padre ma non gli risposi. Dovevo aspettarmi sarebbe venuto ma non mi sentivo pronto. Sembrava così assurdo…
“Buona sera signor Loire! Scusate, disturbo?” Quistis si era avvicinata, la guardai e sgranai gli occhi cercando di farle capire di andar via.
“Prego!” La invitò mio padre che le strinse la mano.
“Sono Trepe, la vicepreside, per noi è un onore averla qui. Come avere suo figlio nel nostro istituto è praticamente il primo in tutte le materie e sono felice di parlarne con lei!” Mi si raggelò il sangue nelle vene, cosa combinava ora?
“Oh la ringrazio signorina trape. Sono a conoscenza degli ottimi voti di mio figlio, mi rende molto fiero.” Quistis mi lanciò una veloce occhiata di intesa e si congedò. Io fissai per un po’ mio padre. Mi venne da pensare che fosse vecchio. Mi faceva strano sentirgli dire quelle parole, era una farsa oppure era sincero? Dopo poco fu l’insegnante di fisica che venne a replicare le parole di Quistis.
“Oddio che noia Squall sei un secchione! Nemmeno uno dei miei insegnanti si è avvicinato!” Disse Ellione appena il professore fu andato via. Mio padre sorrise e mi sentii tremendamente fuori posto.
“Scusa.”
“E di cosa? Scherzavo dai, stai rilassato!” Certo la faceva facile lei.
“Allora Squall come va con la gamba?” Chiese Laguna sorridendo.
“Molto bene, la terapia prosegue ma a breve dovrei terminarla!”
“E’ stato terribile quello che ti hanno fatto!” Commentò Ellione.
“Squall è mio figlio è un ragazzo in gamba si riprenderà.” Lo guardai e mi venne da sorridergli.
Le altre portate proseguirono veloci e noi ci lasciammo andare ad altre varie conversazioni, non parlai molto ma mi tenevo presente.
Quando la cena finì ci alzammo dai tavoli, c’era chi ballava o chi restava a chiacchierare. Non ero mai restato fino a quel punto. Arrivò Jass che si avvicinò a noi e salutò Ellione
“Papà lui è Jass… un mio amico!”
“Certo amico, piacere ragazzo!”
“Signore per me è un onore conoscerla, una persona importante come lei. La stimo molto!” Cominciò Jass.
“Mi raccomando fai il bravo ragazzo con mia figlia!” Ora stava per venirmi da vomitare. Che doppio faccia. Chiese il permesso a mio padre di invitare mia sorella a ballare e si avviarono sulla pista da ballo.
Restammo soli e stavolta potevo sentire la tensione anche da parte sua.
“Allora come va qui?” Mi chiese un po’ agitato.
“Bene.” Risposi semplicemente guardando la pista da ballo.
“Te la cavi bene insomma. Sembri uno tosto.” Mi faceva strano sentirlo parlare così, quasi mi venne da sorridere. Mi voltai a guardarlo.
“Se è questo che pensi mi rende felice.” Gli sorrisi e lui rimase fermo, il suo viso mutò in una smorfia severa e smisi subito di sorridere.
Vedendo la mia reazione scosse la testa.
“Scusa ragazzo, sono solo stanco.” Mi stinse la spalla con una mano. Possibile che avesse deciso di tornare?
“Sono felice che questa volta sei riuscito a venire.” Confessai.
“Non sei cambiato molto da quando eri piccolo.” Mi fissava intensamente in viso.
“Buna sera signor Leonhart! Io sono Seifer Almasy!” Cosa voleva combinare ora?!
“Seifer lui fa Loire di cognome! Insomma dovresti ricordare almeno i cognomi dei presidenti!” Lui si fece paonazzo, in fondo è normale che lui pensasse avessimo lo stesso cognome, d’altronde era anche normale che sapesse il nome dei presidenti.
“Mi scusi signor Loire! Volevo solo fare la sua conoscenza!”
“Sei un amico di mio figlio?” Chiese mio padre incuriosito.
“S… si, lui mi sta aiutando a riprendere con il programma di studi!” Lo guardai incuriosito, cosa stava cercando di fare?
“Mi fa piacere per te ragazzo.” Poi mio padre si allontanò e prese a parlare con alcuni genitori, probabilmente altri prezzi grossi.
“Scusa cosa volevi fare?” Chiesi passando la mia attenzione a Seifer.
“Volevo fare qualcosa di buono.”
“E in che modo?”
“Quello che hai detto questa mattina. Mi dispiace di essere un coglione ok? Volevo dire qualcosa di buono. Ah me ne vado!”
“No aspetta.” Lo fermai.
“Allora? Cosa vuoi dirmi?” Mi chiese aspettando una risposta.
“Nulla, è una serata strana per me.”
“Sembri agitato infatti, cosa succede?” Mi chiese avvicinandosi di nuovo. Restai in silenzio incerto su cosa dire.
“Ok lascia stare. Volevo dimostrarti che sono qui e parlo con te davanti a tutti, per farti capire che io faccio quello che voglio e non me ne frega nulla di cosa pensano gli altri.” Alle sue parole mi guardai intorno alcuni del suo gruppo in effetti ci fissavano, ma sembrava importare poi tanto. Cosa voleva dire con quelle parole?
“Comunque, visto che sono un fastidio me ne vado.”
“Aspetta, puoi restare solo un attimo?” Le parole mi uscirono di bocca da sole, Laguna continuava a conversare poco distante, ero agitato provavo mille emozioni e non ero abituato a gestire tutto quello.
“Come, come? Squall Lenhart mi chiede di restare con lui!” Volle prendermi in giro lui. Mi sentii tremendamente stupido. La testa prese a girarmi molto forte, in effetti mi sarebbe piaciuto svenire e svegliarmi da solo nell’infermeria.
Seifer mi afferrò da dietro e mi tenne fermo in modo da non dare nell’occhio.
“Squall che ti prende stasera? Vuoi uscire da qui?” Cercai di rimettermi in piedi ma la vertigine non passava. Gli feci cenno di si con la testa e piano piano ci avviammo verso l’apertura dei tendoni.
Una mano mi afferrò la spalla era mio padre.
“Eccoti qui ragazzo! Volevo presentarti i signori Dalam.” Si pararono davanti a me due signori dell’età di mio padre. Seifer era alla mia sinistra e mi sorreggeva con la sua spalla dietro di me. Accanto a loro c’erano anche Jass e Ellione, supposi fossero i genitori del quarterback. Allungai la mano e la strinsi ai signori mentre Laguna faceva le presentazioni.
“Lui è mio figlio, è l’alunno migliore dell’istituto e non può fare a meno di vincere la borsa di studio a quanto pare!” Mio padre si pavoneggiava col mio nome in bocca.
“Squall quest’estate, alla fine delle lezioni, la tua famiglia verrà da noi per cenare tutti assieme. Sarei molto contenta di avere anche il fratellino della fidanzata di mio figlio!” La signora Dalam mi stava invitando da loro ma io non potevo andare, guardai mio padre stralunato solo in quel momento mi accorsi dei suoi occhi spenti, ingrigiti, vecchi. Come se lui avesse capito che aspettassi il suo consenso disse:
“Certo che verrà! Verremo tutti insieme quest’estate!”
mi sembrava di impazzire. Tutto quello… non era normale. Il mio sguardo vagava tra i presenti da Jass a mia sorella e infine a mio padre. In preda al panico afferrai il polso di Seifer. Aveva il braccio dietro di me e nessuno poteva vedere, lui mi prese la mano e io strinsi forte.
Feci di si con la testa e senza dite altro sgattaiolai fuori di lì con Seifer.
Appena fuori lasciai la mano dell’altro e presi a fare dei profondi respiri, lui era lì che mi guardava. Chissà cosa pensava di tutta quella situazione.
“Squall vuoi andare via?” Aveva gli occhi fissi nei miei, volevo dirgli qualcosa provare a spiegarmi ma nemmeno io ci capivo qualcosa. La sua presenza mi teneva lucido mi teneva ancora presente.
“Squall tutto bene?” Era arrivato anche Laguna, mi voltai immediatamente verso Seifer, non volevo ci lasciasse da soli. Lui fece di si con la testa e si allontanò. Parlare con le espressioni non era il nostro forte.
“Scusami per poco fa, oggi ho avuto dei problemi con la gamba. Sono solo stanco.” Cercai di giustificarmi in qualche modo.
“Manca poco e andrò via, cerchiamo di finire bene la serata.”
Rientrammo nel tendone senza dirci altro, alcune famiglie avevano già cominciato a salutarsi e i pullman per riportare le ragazze all’istituto femminile sarebbe partito di lì a poco.
Accompagnammo Ellione al suo pullman, lei e Laguna si salutarono più volte.
Infine accompagnai mio padre alla Limousine. Lui stava di fianco a me e non diceva nulla, fuoi io a prendere l’iniziativa.
“La prossima volta che verrai potremmo chiedere comunque all’istituto femminile di far venire Ellione, sai alcune famiglie che hanno figli in entrami gli istituti lo fanno.” Lui continuò a camminare e non disse nulla.
“Beh se la cosa non ti piace non fa nul…”
“Senti Squall quello che è successo questa sera è solo per Ellione ok? Era da tanto tempo e lei ha insistito. Non pensarci più.” Era come se il cuore non ci fosse più, sentivo solo un forte bruciore al suo posto.
“Capisco, nessuna prossima volta.” Dissi facendo l’ultimo passo accanto all’auto. Laguna mi guardò gesticolando con le mani come in cerca di qualcosa da dire, rassegnato si avviò verso l’auto. Di fronte a me c’era Baltier il nostro autista lo vedevo spesso perché veniva a pagare rette e altro, aveva aperto la portiera per far salire mio padre e mi guardava preoccupato. Era sempre stato un po’ protettivo con me anche quando ero piccolo, e il suo sguardo di pietà non era mai cambiato.
“E’ stata una bella serata.” A quelle parole Laguna esitò un secondo prima di entrare in auto. Mi voltai e percorsi la strada a ritroso senza aspettare di veder l’auto sparire in quel momento potevo veder partire anche uno dei pullman e vidi Seifer venirmi in contro proprio da lì, dove poco va sostavano i mezzi.
Affrettai il passo, ora ero esausto non mi andava più di ragionare.
“Squall ehi aspetta! Ma non ti faceva male la gamba?!” Mi raggiunse in pochi secondi e mi afferrò per il braccio, misi entrambe le mie mani sul suo petto e lo spinsi via più forte che potevo. Lui mi guardò stranito e si fece ancora avanti, questa volta avverrai la giacca e lo spinsi quasi fino a farlo cadere.
“Ma che cazzo hai adesso?!” Sembrava irato oltre ogni limite.
“Adesso non ti va di fare a botte? Beh a me si!” Mi avventai ancora su di lui, mi afferrò il pugno e cercò di calmarmi
“Ok, ok vieni con me. Facciamo in un altro modo!” Mi trascinò nella palestra, rimase la porta semichiusa lasciando entrare la luce da fuori. Se avesse acceso le luci sicuramente sarebbe arrivato qualcuno a controllare. Dopo poco arrivò con dei guantoni da box piuttosto consumati.
“Indossali!” Mi incitò e si posizionò dietro il sacco da box.
“Vieni, colpisci qui. Quando accumulo stress vengo qui e mi sfogo, forza!” Infilai i guantoni e cominciai a lanciare qualche cazzotto.
“Se è con tuo padre che sei incazzato posso consigliarti di pensare a lui. Ti assicuro che ti sentirai meglio, te lo dice un veterano.” A quelle parole mi fermai, Seifer l’asciò la presa del sacco e venne verso di me.
“Cos’è successo?” Mi chiese lui, sembrava sinceramente interessato e io non sapevo cosa pensare dei suoi continui sbalzi d’umore verso di me. Ma in quel momento avevo altri pensieri per la testa.
“Tu perché odi tanto tuo padre?” Si prese del tempo per pensare, probabilmente, se rispondere o no.
“Non lo dirai a nessuno?” Ancora una volta mi guardò negli occhi in quel modo strano, come solo lui sapeva fare.
“No.” Prese a camminare avanti e dietro.
“Ero, sono, un gran combina guai ne ho fatte tante. Ad esempio una volta ho dato fuoco all’auto di un professore, credo tuttora se lo sia meritato era un grande stronzo e aveva molestato una mia amica. A mio padre non piacevano i miei modi o anche solo quello che pensavo e finiva sempre per slacciarsi la cinta, insomma hai capito.
Credo di essermele meritate molte di quelle botte.” Sorrise fra se e se, poco dopo tornò serio.
“Un giorno successe il putiferio, fu una ragazza della mia età che si presento a casa mia e urlò a mio padre di doverle dei soldi per mantenere il bambino.
Si ero stato con lei e l’avevo messa incinta. Era solo un’amica e ci eravamo divertiti.
I miei genitori si videro con la sua famigli e decisero di insabbiare la cosa facendola abortire. Il fatto è che io non volevo.”
“Eri innamorato di lei?” Interruppi il suo discorso curioso dei fatti.
“No assolutamente, ma era mio… si so di essere un ragazzino ma era un errore mio ed era mio figlio, cercai di far valere la mia idea. Andai anche da lei le dissi di tenersi il bambino che avrei lavorato, non volevo più dipendere da loro, alla fine capii che a lei non interessava nulla e che tutto quello l’aveva fatto solo per ricevere soldi dalla mia famiglia. Gli avevano proposto una grande somma per non far uscire la cosa allo scoperto.
La fine della storia è che quel bambino alla fine non era nemmeno mio. Era già incinta prima di stare con me e aveva camuffato tutto solo per il denaro.”
“Per questo lo detesti tanto?”
“Ti pare poco? Vivo in una famiglia dove non sono libero di scegliere nulla, dove mi insegnano che se hai i soldi il libero arbitrio non conta nulla. Ecco si quando penso a tutto questo mi viene da odiare mio padre.” Chiuse gli occhi e fece in gran respiro, successivamente tornò a guardarmi.
“Tu invece perché odi il tuo?”
“No io non lo odio…”
“Allora cos’è successo stasera?” Ci pensai un po’
“Era tanto che non lo vedevo, all’improvviso si è presentato qui dicendo che io sono suo figlio e che era fiero di me e io non capivo cosa stesse succedendo, ma alla fine ha detto che era solo per Ellione quindi nulla.” Mi guardava intontito.
“Scusa cosa hai detto? Non ho capito nulla” Sorrise “Da quanto tempo non lo vedevi” Mi si seccò la saliva in gola, non l’avevo mai detto e in qualche strano modo nemmeno mai ammesso a me stesso. Continuai a guardarlo negli occhi come per cercare un aiuto o un suggerimento per spiegargli la cosa.
“Sono… beh un po’ di tempo… molto direi.”
“Dall’inizio dell’anno a settembre? Non dovresti essere così pesante lui è il presidente sarà impegnato.”
“Cinque anni.” Mi studiò il viso poi sorrise.
“Non dire sciocchezze!” Vedendomi serio smise di ridere. “Sul serio non vedevi tuo padre da 5 anni?” Staccai gli occhi da lui e puntai lo sguardo sul pavimento della palestra.
“Già, lui mi odia molto. Un giorno mi portò qui e non l’ho mai più visto ne sentito. Dopo stasera dubito capiterà ancora.”
“E dici di non odiarlo, non puoi pensarlo davvero! Insomma Squall questo deve essere uno scherzo, e le vacanze estive?” Cominciava a gesticolare e comportarsi in modo agitato.
“Sono stato sempre qui.” Restò in silenzio e non smetteva di guardarmi, ora potevo leggere la stessa pietà che aveva negli occhi il mio autista.
“Stasera si comportava come se tutto questo… per Ellione vero?”
“Si lei non deve sapere nulla.”
“Ok abbiamo bisogno di qualcosa di forte. Molto, molto forte! Vieni andiamo dal preside.” Uscimmo dalla palestra e socchiuse la porta.
“Preside?”
“Tu passeggi sempre da quelle parti non ci noteranno. Fidati di me.” Sicuramente non aveva pensato all’importanza di quelle ultime parole, strinsi i pugni e lo seguii. ;i fidai di lui.


COMMENTO DELL’AUTORE:
Ringrazio ancora una volta tutti quelli che si soffermano a leggere questa storia.
Spero che questo capitolo vi piaccia. Si concentra molto sulla storia e su una parte del vissuto di Squall, la cosa si evolverà sempre di più nella storia.

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Capitolo 5
*** Fame sconosciuta ***


Ero entrato nell’ufficio del preside e avevo lasciato a Squall l’ingrato compito di fare da palo. Era solito sbrigare commissioni per il preside e cose così e ho pensato che se qualcuno gli avesse chiesto qualcosa lo avrebbero sicuramente creduto. Ma quando lui mi ha chiesto cosa avesse potuto inventare non seppi fare di meglio che chiudermi nella stanza senza dagli una risposta. Nella stanza c’erano molti liquori e alcolici vari, tutti dietro delle vetrine alcune erano chiuse con una serratura. Non me ne premurai molto presi una bottiglia di vodka alla menta e una liscia, infine presi una bottiglia di vetro con del rum quasi finito. Pensai di fermarmi lì per non dare troppo nell’occhio ma qual posto faceva invidia ai veri e proprio bar.
Così andai verso un armadietto dove supponevo si poggiassero cappotti e indumenti di questo genere. Nelle mie esperienze passate ne avevo capite un po’ di cose di gente benestante, cercai un po’ a testoni e trovai un cassettino che non si vedeva per via della poca luce. Bingo! Dell’assenzio! L’assenza di quella bevanda sarebbe sicuramente stata notata ma non ci pensai troppo su.
Mi sistemai tutte le bottiglie in modo da mantenerle solo con un braccio. Mi sfilai la giacchetta col marchio del garden e cercai di coprire meglio che potevo le bevande.
Con una certa fretta mi avviai alla porta e tirai giù la maniglia, in realtà il mio gesto fu solo un mimo perché la maniglia fu tirata giù da qualcun altro. Mi irrigidii sul posto, la testa di Squall sbucò da dietro la porta
“Allora ti muovi?! Vedo delle persone in lontananza… hai preso solo quelle bottiglie?” Disse mentre mi vedeva sistemarle sotto la giacca, per poco non mi faceva venire un infarto!
“Non hai idea di cosa sia questa roba, vero?” Chiesi sorridendo.
“Non ho mia bevuto nulla!” Rispose con un tono freddo, come se si fosse offeso.
“Da che parte stanno arrivando?” Deviai il discorso, volevo alleviare la tensione tra di noi non crearne dell’altra. Ci avviammo dalla parte opposta sicuri che non ci avessero notato. Erano talmente lontani che li si vedeva appena e doveva essere lo stesso per loro verso di noi.
“Dove andiamo ora?” Mi chiese il moro, pareva che il broncio gli fosse passato.
“In camera tua mi pare ovvio! Nessuno sospetterebbe di te!” Mi affrettai a dire prima che potesse replicare. “E comunque questa è roba molto forte, vacci piano ok?”
“Molto forte cosa?” ci trovammo davanti l’allenatore di tennis. Un brivido mi attraversò la schiena, mi ero distratto parlando a Squall e prima di girare l’angolo ci era sbucato davanti. Restai in silenzio e osservai il mio compagno aspettandomi che fosse lui a tirarci fuori da quella situazione. Ma restava in silenzio con lo sguardo rivolto altrove.
“I miei voti, professore! Sono forte, vado alla grande! Buona serata!” Buttai lì sperando che non si soffermasse o facesse altre domande, intanto Squall al mio fianco sembrava calmissimo ed impassibile.
Il professore mi lanciò uno sguardo veloce augurandomi a sua volta buona serata e proseguimmo per le nostre strade. Tra lui e Squall non c’era stato nemmeno uno scambio di sguardi, beh sicuramente si trattava di un altro casino. Era meglio sbiascicare i nodi uno per volta così non chiesi nulla.
Arrivammo alla rampa di scale e cominciammo a salire i gradini che ogni volta sembravano infiniti.
“Sai Squall, forse ho preso degli alcolici troppo alcolici. Con cosa ti farò cominciare?” Dissi quasi stessi parlando più con me stesso che con lui. Se stavo zitto la mia testa faceva troppo rumore, ero bramoso di sapere ogni minima cosa su Suqall. Le cose che mi aveva detto mi avevano scioccato, non volevo darglielo a vedere, ormai un po’ lo conoscevo e se avessi fatto troppe domande sarebbe partito con il gioco del silenzio.
“Quello che hai detto non significa nulla! Comincerò con la bottiglia più piccola.” La più piccola era quella dell’assenzio non era decisamente una buona idea cominciare con quella.
Le scale erano piene di studenti che stavano rientrando, cercammo di sgusciare senza farci troppo notare. Ovviamente trovammo Jass a fermarci.
“Seifer ma con chi diavolo ti frequenti!” quasi urlò nel tentativo di superare il frastuono degli altri studenti. “Squall, eravamo una bella famigliola stasera.” Concluse sorridendo. Squall, che era stato fino a quel momento in silenzio dietro di me, era partito come un missile pronto a lanciarsi addosso a Jam.
Con la mano libera lo afferrai per il colletto della giacca, lo tirai indietro verso di me.
“Lascia perdere ora è meglio non dare nell’occhio, ok?” Bisbigliai al suo orecchio. “Jass non me ne frega un cazzo di quello che pensi ok?” Senza perdere altro tempo mi avviai su per le scale ancora una volta, sperando che stavolta nessuno ci interrompesse il passaggio.
mi voltai a guardare Squall sembrava piuttosto scioccato dal mio comportamento verso Jass. In verità io e Il quoterback eravamo spesso in disaccordo e usavamo trattarci in questi modi.
Finalmente arrivammo agli ultimi due piani che erano praticamente disabitati. Le camere erano dedicare a ripostigli o cose del genere, quindi a parte trovare qualche inserviente di tanto in tanto non ci avevo mai trovato nessuno.
Arrivammo all’ultimo piano dove c’era l’ampia vetrata e l’unica stanza disponibile. Finalmente entrammo e immediatamente bloccai la serratura della porta con una sedia, nel caso qualcuno fosse entrato.
Posai le bottiglie sul letto e allentai un po’ la presa della camicia sbottonando qualche bottone, proprio non sopportavo le cose strette alla gola.
Il moro era in piedi di fronte a me e sembrava a disagio in quella situazione. La cosa mi divertiva.
“Allora, cominciamo?” Non rispose nulla, continuava a stare sulle sue e a mascherare il suo imbarazzo come faceva con qualsiasi altra emozione.
Non riuscivo a staccargli gli occhi di dosso, come la prima sera che lo vidi con quel vestito quando i miei genitori si presentarono a lui. Per me era praticamente evidente il fatto che volesse scappare via. Quando aveva la giacca aperta si poteva vedere come la camicia gli stesse aderente. Mi passai una mano tra i capelli e scacciai quegli insoliti pensieri.
“Andiamo col più leggero.” Dissi allora, afferrai la bottiglia di vodka alla menta. Era l’unica bottiglia a non essere mai stata aperta, la aprii e feci una lunga bevuta. Era come bere i vecchi tempi, l’impatto dell’alcol sulla mia lingua mi ricordava il sapore di serate passate in giro per la città a far baldoria con persone che un giorno sono tue amiche e l’altro non ricordi nemmeno chi fossero.
Passai la bottiglia a Squall che continuava a stare in piedi titubante.
“Oh insomma amico! Hai bisogno di allentare i nervi!” Gli andai vicino, avvicinai la bottiglia alle sue labbra, quando lui l’afferro non lasciai la presa e accompagnai il gesto fin quando bevve. Cominciò a riversare l’alcol dentro di se e appena ne sentì il sapore lanciò via la bottiglia.
Gli misi la mano sulle labbra e aspettai che avesse ingoiato tutto.
Allentai la presa con un tremolio, riaffiorò nella mia mente il ricordo di quando gli stringevo la bocca durante l’attacco alla gamba. Mi ricomposi in fretta vedendo che a lui non aveva causato alcuna reazione.
“Posso assaggiarne un altro? Questo sa di spirito.” Trattenni una sonora risata, sarebbe andato su di giri altrimenti.
“Se non ti piace quello con gli altri sarà peggio.” Gli lasciai la bottiglia di vodka e presi per me la bottiglia di rum, sembrava passata un’eternità dell’ultima volta.
Presi a bere la mia bevanda ma Squall non contento me la strappò di mano e fece un lungo sorso. Poi cominciò a tossire e ne riversò anche un po’ sul pavimento. Ridere era inevitabile ormai, la cosa sorprendere fu che una volta ripreso anche lui sorrise.
Bevendo alcol cominciava a fare sempre più caldo e ci sistemammo fuori al balconcino della sua stanza. Ci stavamo a stento in due.
L’atmosfera sembrava essersi fatta più tranquilla. Squall non sembrava stare sempre lì pronto per scoppiare alla minima cosa e io potevo allentare la tensione a mia volta.
Ormai sembrava aver preso gusto e la vodka era diventata in poco tempo il suo biberon.
“Perché tuo padre ti ha lasciato per così tanto tempo?” Buttai il discorso lì senza pensare a come formulare la domanda e se fosse realmente il momento giusto.
Stette in silenzio per pochi secondi. Aveva la schiena poggiata alla parete adiacente alla finestra, guardava diritto davanti a se con il suo solito sguardo serio, malinconico. Proprio come la prima sera con i miei genitori. Lui guardava altrove, io non riuscivo a staccare lo sguardo da lui. Il mondo appariva pieno di colori attorno a lui ma era il suo colore che volevo scoprire.
“Successe tanti anni fa…” Cominciò: “Avevo circa 10 anni, da piccolo non potevo mai uscire per via di… alcuni problemi. Vivevo nella villa e non mi era permesso uscire, tranne qualche rara volta. Quel giorno mio padre mi sveglio di buon’ora, mi portò con lui in giro per il centro di Esthar! Ero al quanto euforico sai, mangiammo un cheeseburger e, era la prima volta che ne mangiavo uno. Infine mi portò al campo a vedere un’importante partita di tennis. Al ritorno, in macchina, crollai dormii per tutto il viaggio quando mi svegliai non eravamo casa. Mi lasciò qui. Non l’ho più visto e sentito fino ad oggi.” Non staccai nemmeno un attimo gli occhi da lui e lui fece altrettanto con l’orizzonte che aveva catturato il suo sguardo.
Quello che mi aveva detto, era tutto così assurdo senza senso! Lui riusciva a raccontarlo con una tale calma che sembrava avessi assorbito io tutta la tristezza e l’agitazione per quell’incomprensibile realtà.
“Tua madre?”
“Ha lasciato la famiglia quando ero ancora un bambino. Non ho alcun ricordo di lei.”
Voltò la testa dall’altro lato in modo che io non potessi vederlo.
Smisi di fare domande per un po’, forse era arrivato il momento di passare a qualcosa di più forte. Presi la vodka liscia e cominciai a berla. Ancora una volta bevevo il sapore delle sere passate con gli amici, che tanto amici non erano.
Un paio di bevute e passai la bottiglia a lui.
“Vacci piano con questo.”
Squall avvicinò la bottiglia ne sentì l’odore e ci pensò prima di bere. Preso dall’indecisione bevve veloce tutto d’un fiato. Perché doveva fare sempre l’opposto di quello che gli dicevo?
Cominciò a tossire e l’alcol gli cadde dalla bocca e poi anche dal naso. Scoppiai a ridere fragandomene di chi potesse sentirmi. Ben gli stava, la prossima volta avrebbe fatto meglio ad ascoltarmi. Continuò a tossire e la parte divertente di tutto ciò era che cercava di camuffare il tutto, come se non fosse stato per via dell’alcol!
Più mi sentiva ridere più si arrabbiava. Si tolse la giacca con un gesto veloce e si asciugò il viso con quella, pensai che si stesse lasciando proprio andare.
Si voltò a guardami, aveva le guance rosse e gli occhi umidicci, mi ero preparato a una qualche sfuriata o a un silenzio impenetrabile. Invece riprese la bottiglia e bevve a lungo per dimostrarmi, in quell’assurdo modo, di essere in grado di farcela.
“Adesso basta Squall!” Gli staccai la bottiglia velocemente. “Domattina non ti alzerai dal letto...” bisbigliai.
“Come ti pare.” Furono le sue parole, ero abbastanza sicuro che fosse ubriaco, molto ubriaco. Squall aveva ancora 15 anni e quella era la prima volta che beveva alcolici, era più che normale. Anche io ero abbastanza stonato, sembrava passata una vita che non bevevo più così.
Il moro poggiò a terra i talloni e alzo le punte dei piedi verso l’alto, facendo dondolare le punte da un lato e poi dall’altro. Si, era decisamente andato.
“Non capisco ancora perché odi tanto tuo padre… avrà sbagliato ma forse anche io avrei agito come lui conoscendoti.” Dopo quelle parole avevo una forte voglia di lanciargli un pugno!
“Io non ho scelta. Vivo come dice lui faccio quello che dice lui e anche se mi ribello o cerco di cambiare le cose la mia volontà non conta!” Usai un tono forte senza nemmeno volerlo.
“Nah… io credo che tu cerchi l’approvazione di tuo padre. Vorresti che lui fosse fiero di te! Lo capisco, anche io l’ho fatto in questi 5 anni. Ci sono arrivato solo quando mi avete spezzato la gamba!” Sorrise, come non lo si vedeva mai fare. Era tutto così distorto, riusciva a sorridere solo per le avversità della vita. Più cercavo di capirlo più mi sentivo la copia di un puzzle con i pezzi sbagliati.
Parlava di quell’avvenimento sempre con molta leggerezza, ogni volta che lo faceva era come se la spezzassero a me una gamba.
“Cosa intendi? Anche in passato me lo dicesti, cosa significa? Non si può trarre insegnamento da una cosa del genere!” Mentre parlavo pensai che quella ad Esthar sarebbe stata la sua prima uscita da quell’istituto. “Tu ci tenevi tanto perché volevi uscire di qui…” Dissi più tra me e me mentre sentivo una stretta al petto.
Squall bevve ancora un po’ di vodka liscia “No! Non me ne fregava nulla di uscire di qui! Sai chi è presente alle finali dei campionati?” In quel momento capii tutto.
“Volevi vedere tuo padre! Essendo lui il presidente sarebbe stato certamente presente alla partita.” Squall non disse nulla. Quindi era veramente così, si era impegnato tanto da diventare il numero uno solo per vedere suo padre.
Squall mi osservò e non poteva vedere che compassione sul mio volto.
“Tranquillo, avevo la TV in stanza e vedendo i notiziari il presidente non c’era! Troppi impegni lavorativi.” Parlò con un tono scherzoso come se stesse ridendo ma non c’era espressione sul suo viso.
A quel punto riprendemmo a bere: io il mio rum, lui la sua vodka.
Squall cominciava a sudare un po’ sulla fronte. Ci stavamo andando giù forte.
Si sbottonò quasi tutti i bottoni della camicia che era ancora bagnata della vodka che aveva sputato. E io ero lì in silenzio a fissarlo. Aveva un forte senso del pudore. Anche durante gli allentamenti o negli spogliatoi non si mostrava mai a torso nudo. L’unica volta che lo vidi senza fu quella sera negli spogliatoi ma data la situazione non ci feci tanto caso.
Mi raddrizzai al mio posto e bevvi un altro sorso di rum, dovevo decidermi a smetterla o anche io non mi sarei alzato dal letto il giorno dopo.
Non trattenni la domanda più ovvia che potessi fare “Perché ti odia tanto?”
Si votò di scatto sgranando gli occhi, lo vidi leggermente sbandare si frenò poggiando le mani sul marmo freddo davanti a me. Tornò a fissarmi e questa volta era molto vicino a me. L’odore della vodka, i suoi capelli attaccati al collo per via del sudore, quello sguardo smarrito… tutto quello non mi aiutava a restare lucido.
“E me lo chiedi?!” Incalzò “Chi vorrebbe un foglio come me. Anche tu lo sai, sono uno sfigato, no? Insopportabile e sono il giochino dell’istituto! Vuoi fare a botte? E vai da Squall. Hai voglia di far sentire qualcuno meno di zero? Vai da Suqall! Vuoi spezzare la gamba a qualcuno? Vai…”
“Quello che dici non ha un cazzo di senso lo sai vero? Tuo padre dovrebbe odiarti per dei motivi campati in aria? E poi, ti prego, BASTA CON QUELLA CAZZO DI GAMBA!” Urlai. Ero stufo di sentirmi in colpa. Era palese che Squall non era pienamente cosciente ormai.
“Giusto! Io non sono uno dei tuoi amici con i quali ridere su della cosa.” La rabbia crebbe forse per il pizzico di verità. Quando si era soli col gruppo si finiva spesso a parlare di quella sera e ridere, io me ne stavo in silenzio ma sapevo che non giustificava nulla. Se lì c’era uno sfigato quello ero io.
“Basta ti prego. Ogni volta che prendi a parlare di quell’episodio… io sto male. Quello non sono io! Tu ne parli con tanta leggerezza, come se fosse una cosa normale, io invece mi sento male se penso a quello che ti ho fatto!”
Finalmente lo avevo detto! Avevo confessato il mio peccato con annesso il senso di colpa. Il moro era ancora li a penzoloni sulle mani mi guardava con i capelli arruffati e lo sguardo assente. Infine il mio sguardo cadde sulle sue labbra leggermente aperte il mio cuore cominciò a battere come un treno all’impazzata! Afferrai Squall per le spalle e lo spinsi all’arcata della finestra, dovevo allontanarmi e volevo uscire da quel dannato balcone.
Il moro non era pienamente stabile e si trattenne a stento tra il vetro e il muro per non cadere all’indietro.
“Che diavolo ti prende?! Vuoi fare a pugni?!” Aveva preso la mie reazione come una sfida e subito dopo mi lanciò un pugno, che secondo lui doveva finirmi dritto in faccia, ma bastò un leggero movimento per scansarlo. Aveva perso nuovamente equilibrio e stava cadendo all’inditro, mi usci naturale afferrarlo per le spalle ma cademmo entrombi nell’angusto arco della finestra. Squall era steso per metà fuori e per metà dentro e io lo stesso sopra di lui.
Feci forza sulle braccia sollevandomi a guardarlo: Aveva ancora un’aria di sfida nonostante non riuscisse a fare o a capire nulla. I suoi occhi erano di ghiaccio la sua espressione era sempre così seria, ma ora potevo capirlo un po’ aveva vissuto sempre da solo nel vero senso della parola. Le sue sopracciglia sempre inarcate in un’espressione di provocazione, le labbra serrate… quello era l’unico modo che conosceva per sopravvivere?
Quella sera era una vera e propria giungla di pensieri e di emozioni, molte delle quali senza senso. Potevo sentire le tempie battere velocemente. Fu Squall a smuovere quella situazione si sollevò sui gomiti e mi arrivò vicinissimo al volto, si guardava attorno palesemente intontito dai giramenti di testa.
“Adesso spostati” Sussurrò troppo vicino al mio orecchio. Ebbi un brivido forte, palese, l’aveva sentito anche lui. Poi fu l’alcol, decisamente fu quello! Rimasi una mano a terra per sostenermi e con l’altro afferrai la testa di Squall, lo spinsi verso di me e le nostre labbra si sovrapposero. Una parte di me voleva pensare dare un motivo o una scusa per quella situazione, ma l’altra era solo un istinto irrefrenabile di desiderio e non sapevo porvi fine.
Lui non si ritrasse così lo strinsi ancora di più e il nostro bacio prese forma, il rum e la vodka conobbero un nuovo modo per essere miscelati.
Le sue labbra erano morbide e calde e ogni minimo dettaglio di quella situazione non faceva altro che eccitarmi di più. Lo baciavo avidamente e lui non riusciva a stare al mio passo, più che altro annaspava in cerca di aria, quando anch’io non ne potevo più mi staccai da lui e presi a respirare.
Questa volta mi alzai frastornato e cercai dei pensieri lucidi, cosa cazzo avevo fatto? L’idea di aver baciato un altro ragazzo mi stava facendo impazzire “Squall…” Cercavo delle scuse per quel comportamento solo che lui non era più steso a terra si stava lentamente avvicinando al letto e si stava sedendo con la lentezza di un bradipo, come se tra lui e il letto ci fossero metri di distanza. Il suo tentativo fu vano e cadde in avanti tenendosi sulle ginocchia, risi silenziosamente faceva tenerezza in quelle condizioni.
Andai verso di lui cercando di non pensare a nulla lo aiutati a sollevarsi e lo feci sedere sul letto, i nostri sguardi si incrociarono e nessuno dei due lo distolse. Il mio respiro si fece affannato e solo un pensiero martellava la mia testa –vodka, voglio altra vodka!– spensi il mio cervello e mi protesi verso di lui a baciarlo ancora una volta.
Questa volta il bacio fu meno violento, Squall spinse la lingua nella mia bocca e la faceva guizzare come avrebbe fatto uno che non ha mai baciato. Probabilmente non aveva dato molti baci in passato, staccai le mie labbra da lui e quando ripresi a baciarlo fui io a prendere l’iniziativa con movimenti lenti della lingua. Imitava i miei movimenti e il bacio diveniva sempre più passionale e acceso, ad un tratto mi spinse leggermente via e cadde sul letto scosso da un altro giramento.
La camicia gli era scivolata via e ammirai il suo petto muscoloso e ben definito eppure se lo teneva sempre ben nascosto. Lo vidi alzare la testa e fissarmi, non resistevo più ero eccitato. Salii sul letto mi misi sopra di lui e ripresi a baciarlo non avrei ammesso altre interruzioni, ancora le nostre labbra si toccavano e il mio corpo era scosso da temiti non avevo mai provato nulla di simile. Mi staccai ancora da lui sentendolo mugolare di dissenso andai ad assaggiare il collo –mordi, lecca, bacia– ma questa volta non era una tecnica per far eccitare qualche ragazza, era fame, fame pura e sconosciuta.
Lo sentivo gemere mentre esploravo quel sapore nuovo: il collo era duro diverso da quello di un collo femminile. Forse era quello il motivo per il quale sentivo di dover mordere più forte, per farmi sentire, per trasmettergli quello che stava succedendo a me.
La mano che non sorreggeva il mio peso andò ad esplorare i suoi addominali, lui stava fermo incapace di reagire a tanto piacere. Il mio sesso era diventato duro non sapevo dire da quanto ormai, la mia mano scese sempre più giù arrivai all’attaccatura dei pantaloni, di scatto mi lanciai in avanti ansimante allontanando il contatto dei nostri corpi. Squall era rimasto fermo lì ad ansimare a sua volta.
Quello che stavo toccando e desiderando era un uomo… qualcosa non andava, forse era l’astinenza troppo tempo che non avevo rapporti. Poggiai le mani sul materasso e mi tirai un po’ più su, quella follia doveva finire! Abbassai lo sguardo cercando di non incrociare gli occhi di Squall, non mi ero accorto che questa volta lui stava fissando me col mento all’insù, aveva la bocca leggermente aperta un chiaro invito a baciarlo. Come un bambino davanti a un negozio di caramelle non resistetti! Mi avventai su di lui come un serpente, lo baciavo avidamente con i pensieri che facevano rumore. Allargai le sue gambe e mi sistemai in mezzo, questa volta anche lui reagì stringendomi forte a se. Strusciai il mio sesso contro il suo ed io stesso gemetti nella sua bocca, non sembrava duro come il mio, l’adrenalina che provai quella sera non mi portava ad avere pensieri concreti.
Continuai a strusciarmi contro di lui velocemente questa volta era lui e gemere continuamente. Mi diressi al petto lasciando una scia di baci. Non sentii più la sua presa sulle mie spalle non me ne curai e continuai a baciarlo salendo un po’ per volta per arrivare alle sue labbra morbide. Mi resi conto che non lo sentivo più nemmeno gemere, allora mi staccai per guardarlo, sembrava un angelo e la camicia stropicciata dietro di lui dovevano essere le sue ali. Si era addormentato
“Squall…” Lo scossi leggermente me era caduto in un sonno più forte di lui.
Mi alzai e cercai di sistemarmi la camicia, non ci potevo credere era crollato lasciandomi come un cretino. Ora che Squall non era più presente a farmi perdere la testa con il suo corpo non mi restavano che i pensieri. Ero abbastanza convinto che fosse stato l’alcol ad indurci a quella situazione, era stata pura curiosità… avevamo solo bisogno di sfogarci. Lanciai una rapida occhiata al corpo dormiente del moro, lui era sistemato era talmente ubriaco da aver risolto tutto addormentandosi ma il mio pene non ne voleva sapere di addormentarsi. Un forte senso di vergogna mi strinse lo stomaco, tirai via la sedia che bloccava la porta e senza curarmi che fosse chiusa o meno corsi giù per le scale.
Mi avviai verso gli spogliatoi interni del terzo piano, come immaginavo a quell’ora l’istituto era vuoto. Dopo le 8 di sera non era possibile entrare negli spogliatoi ma ne avevo un bisogno urgente. Le camere disponevano di un bagno ma avevano solo un lavandino e un water. Io avevo bisogno di una doccia fredda! E fu quello che ottenni, mi diressi sotto la prima doccia e feci partire il getto d’acqua. Era gelida, cadeva con una certa velocità sul mio corpo, non mi tolsi nemmeno i vestiti. Lasciai che l’acqua gelida portasse tutto via, la mia erezione, le sensazioni di quella sera e la vergogna che provavo dentro.
Non ero gay! mio padre non l’avrebbe mai… era proprio come diceva Squall, era la sua approvazione che cercavo! Ero talmente sbagliato che non mi avrebbe mai accettato. Restai molto tempo sotto la doccia che pian piano si portò via tutto anche le mie lacrime silenziose. Ma qualcosa rimase, qualcosa che ancora non conoscevo bene che mi portava un brivido di emozioni belle e brutte.

Il mattino seguente fui svegliato da un gallinaccio rumoroso, continuava a chiedermi cosa fosse successo mi sentivo a pezzi e ci misi un po’ per ricompormi era come se avessi dei pesi di 100 kili su tutto il corpo. Mi guardai intorno ero steso sul letto nella mia camera ed era tutto bagnato, io, il letto e i miei vestiti
“Allora cosa è successo?!” Ripeté ancora una volta con la sua insopportabile voce acuta non era capace di parlare senza urlare, quella mattina la sua voce era più fastidiosa del solito. A completare il tutto era arrivato Irvine che mi guardava con gli occhi sgranati mentre finiva di vestirsi.
“Ci sei?!” Continuò Zell, mi si avvicinò afferrò il mento e tirò la mia testa troppo bruscamente verso l’alto, voleva guardami per vedere come stavo. Non fece altro che peggiorare le cose il suo gesto mi provoco un giracapo tremendo che percepì anche il mio stomaco, in un attimo tutto quello che era successo la sera precedente era chiaro e limpido nella mia mente.
“Idiota di un gallinaccio!!” Esclamai mentre correvo al bagno, feci appena in tempo ad aprire la porta e cominciai a vomitare tutto! Si suol dire che il buongiorno si vede dal mattino.

Dopo una doccia e, quello che era stato probabilmente un litro, di caffe arrivai a uno stato quasi umano. Mi premurai di saltare le prime ore nell’aula di letteratura e scienza visto che erano gli stessi corsi che frequentavo con Squall. Partecipai a due lunghissime ed infinite ore di matematica e una di storia moderna, nonostante avessi ingerito poco prima un antinfiammatorio la testa sembrava stesse per scoppiare da un momento all’altro.
La mente tornava sempre a ripescare i ricordi del bacio cercavo di non farmi pesare la cosa. In fono non era successo nulla di grave non eravamo arrivati chissà dove ed eravamo ubriachi fradici. La cosa che mi metteva maggiormente ansia era un probabile faccia a faccia con Squall, non avevo idea in quali condizioni versasse non ero tanto contento  di dover andare da lui quel pomeriggio.
L’infernale ora di storia finì e andai dritto nella sala mensa, Jass e il resto della banda non erano ancora arrivati non arrivavano mai molto presto.
Mi guardai attorno in cerca di qualche viso conosciuto pochi tavoli più avanti vidi Irvine e mi sedetti accanto a lui.
“Il gallinaccio è già in fila per i panini vero?”
“Se lo chiami ancora così penso che ti lancerà giù per le scale. Ovviamente è lì” Indicò la fila al bancone dei panini. Lo guardai, per la prima volta in faccia quel giorno, e aveva una chiazza violacea in faccia.
“Cosa diavolo hai fatto alla faccia?”
“Ah una tipa ieri alla festa degli istituti, le ho chiesto se le ragazze si lavavano a vicenda sotto le docce e lei mi ha lanciato un ceffone talmente forte da far tremare la virilità di un uomo!” Mi spiegò, come se la sua domanda fosse stata più che lecita.
“Sei proprio un cretino! E pensare che se non fossi tanto idiota potresti avere molte ragazze dietro.”
“Vuoi dire che sono un bel ragazzo!” Sorrise facendo un occhiolino “Mi dispiace sono solo per le donne.” Divenni paonazzo, lo afferrai per il colletto
“Cosa vorresti dire eh?” Lo avevo strattonato e il suo viso era molto vicino al mio, avevo perso il controllo. Dopo quello che era successo ero ancora straniato.
“Ohi Seifer che diavolo ti prende? Scherzavo amico!” Rispose lui allontanando la mia mano senza problemi. Non era uno che amava creare liti inutili, non si poteva dire lo stesso di Zell. Si risistemò sulla sedia e stavo per fare lo stesso io, ma qualcuno mi prese con forza il polso e cominciò a tirarmi via
“Chi cazz..”
“Devi aiutarmi, cosa devo fare con questi dolori lancinanti alla testa? Ti pare il modo di andartene?! Mi sono ritrovato Quistis fuori dalla stanza questa mattina è stato un casino nasconderle tutto!” Era Squall, lo avevo volutamente evitato tutto il giorno ed ora eccolo lì. Non sapevo cosa dire, notai che lui mi fissava mi mancò un battito, quelle scene si muovevano a rallentatore nella mia testa.
“Cosa diavolo ti prende?!” Mi scosse vedendo che non avevo reazioni.
“N… nulla. Che hai?” Come diavolo faceva a comportarsi come se nulla fosse? Ero forse io quello strano?
“La testa sta per scoppiare cosa devo fare?” In quel momento misi a fuoco il suo viso, non aveva certamente una bella cera il viso era cereo e aveva due occhiaie nere sotto agli occhi.
“Ti serve un antinfiammatorio.”
“Ho creduto di vomitare le mie stesse interiora.” Ero teso e lui lo vedeva “Cosa ti prende?”
“Nulla, solo che… niente, ho bevuto troppo anche io!” Quando mi guardava negli occhi subito fissavo un altro punto, non riuscivo a sostenere il suo sguardo.
“Sei stato male anche tu? Ma che fine hai fatto ieri?” Chiese confuso.
“Sono… non ricordi nulla?”
“Certo abbiamo bevuto e parlato, poi mi sono addormentato!” concluse senza imbarazzo o aggiungere altro. Non ricordava nulla, lui non ricordava quello che era successo.
Quando pensai che lui non fosse cosciente qualcosa dentro mi fece male, molto male.
Era stato l’alta assunzione di alcol a fargli fare quello che ha fatto, non ero più sicuro di poter dire lo stesso di me.
Senza dire altro mi allontanai da lì, uscii dall’istituto e cominciai a camminare lungo i campetti. Ero confuso, ero deciso a lasciarmi quella vicenda alle spalle, ma sapere che Squall aveva dimenticato tutto avrebbe dovuto rincuorarmi invece mi faceva sentire un tale idiota.
Sapevo dall’inizio che quel cretino mi avrebbe portato solo casini, sorrisi tra me e me. Ah avevo decisamente bisogno di una donna!




Commento dell’autore
E’ passata una marea di tempo chiedo perdono!! Spero che questo capitolo vi piaccia.
Ci terrei a precisare che con certi concetti o avvenimenti non intendo offendere nessuno, vorrei solo far emergere la difficoltà di certi ragazzi nel conoscere se stessi.
Grazie a chi mi legge, lasciate un commentino <3

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