Leggende del Fato: La guerra degli elementi

di Vago
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 0: Capitolo senza nome ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1: Il Cambiamento ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2: Il Re e l'Ordine ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3: Il Palazzo del Mezzogiorno ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4: Il Palazzo della Mezzanotte ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5: Guerra e Draghi ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6: Lettere d'espulsione ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7: Il Bosco Nero ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8: Terre dell'Est ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9: La gente dei tunnel ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10: Arco e frecce ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11: La Grande Prateria ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12: Duro come la roccia ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13: La mente in prigione ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14: Invisibili, o quasi ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15: Messi ai voti ***
Capitolo 17: *** Capitolo 16: Ultimi due ***
Capitolo 18: *** Capitolo 17: Dimenticati ***
Capitolo 19: *** Capitolo 18: La prova ***
Capitolo 20: *** Capitolo 19: Un legame fraterno ***
Capitolo 21: *** Capitolo 20: Fuori dall'arena ***
Capitolo 22: *** Capitolo 21: Niunter ***
Capitolo 23: *** Capitolo 22: Consiglio divino ***
Capitolo 24: *** Capitolo 23: Le armi elementari ***
Capitolo 25: *** Capitolo 24: L'acqua ***
Capitolo 26: *** Capitolo 25: Festa tra amici ***
Capitolo 27: *** Capitolo 26: Solo ***
Capitolo 28: *** Capitolo 27: I Camabiti ***
Capitolo 29: *** Capitolo 28: Il fuoco ***
Capitolo 30: *** Capitolo 29: È ora! ***
Capitolo 31: *** Capitolo 30: In guerra ***
Capitolo 32: *** Capitolo 31: La Volta ***
Capitolo 33: *** Capitolo 32: Scambio ***
Capitolo 34: *** Capitolo 33: I draghi ***
Capitolo 35: *** Capitolo 34: Il tesoro d'argento ***
Capitolo 36: *** Capitolo 35: Il Cavaliere d'argento ***
Capitolo 37: *** Capitolo 36: Nella Tana del Lupo ***
Capitolo 38: *** Capitolo 37: Il sigillo ***
Capitolo 39: *** Capitolo 38: La tattica dei draghi ***
Capitolo 40: *** Capitolo 39: La Rocca ***
Capitolo 41: *** Capitolo 40: Il Re ***
Capitolo 42: *** Capitolo 41: Il dio ***
Capitolo 43: *** Capitolo 42: La fine della guerra ***
Capitolo 44: *** Capitolo 43: Il drago ramato ***
Capitolo 45: *** Capitolo 44: A casa ***
Capitolo 46: *** Capitolo 45: Il Cavaliere nero ***
Capitolo 47: *** Capitolo 46: Punizione ***
Capitolo 48: *** Capitolo 47: Saluti ***
Capitolo 49: *** Capitolo 48: La nuova vita ***
Capitolo 50: *** Capitolo 49: La nuova accademia ***
Capitolo 51: *** Capitolo 50: Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo 0: Capitolo senza nome ***


 Nella quiete della Volta degli Dei, la voce del dio primigenio Terra riverberò con la stessa intensità di una frana, tanto possente da far vibrare le colonne candide che delimitavano la dimora degli dei.
- Chi sei tu che vieni a disturbarci in questo luogo sacro alle anime? -  il dio appariva come modellato dalla roccia stessa, sembrava una statua ricavata da un blocco di pietra su cui un muschio umidiccio cresceva indisturbato. Quella era la forma che aveva assunto per fronteggiare l’intruso.
- Non mi riconoscete forse, Genitori? – chiese l’intruso permettendo a un sorriso forzato di deturpare il volto che indossava.
- Tu non sei nostro figlio, non sei un dio minore e non puoi permetterti di entrare nella Volta senza preavviso. Non mi hai ancora risposto, chi sei?-  continuò Terra, facendo un passo avanti con aria minacciosa.
- Mi chiamano in molti modi, mi citano anche in molte loro religioni… - L’intruso fece un cenno con il capo alla finestra da cui si vedeva il pianeta più bello – Belzebù, Portatore di Luce, L’oscuro signore… Io, tra tutti, preferisco Follia. Sono colui che trae il suo potere da cataclismi, guerre e pestilenze, da tutto ciò che voi o i vostri figli non controllate… Ed ora sono qui per prendere ciò che mi è stato negato: il giusto posto nella Volta, il mio trono. -  
Quando gli occhi verde muschio del dio incontrarono quelli neri di Follia si accorse della fredda determinazione che muoveva l’intruso, una determinazione portata dal bisogno di vendetta.
Aria posò una mano leggiadra sul petto di Terra, facendolo indietreggiare di qualche passo verso il suo scranno. La dea era apparsa sotto le spoglie di un delicato fantasma, con i capelli e il vestito candidi in continuo movimento, come se su di questi soffiasse un’eterna e inestinguibile tempesta. – Tu non meriti nulla di ciò che chiedi, come i nostri figli, non hai il diritto di accedere alla Volta senza il nostro permesso. Questo è un luogo di pace, il luogo di pace, quindi vattene e non provocare turbamenti più di quanto tu non ne abbia già portati. Se posso impartirti una lezione, Follia, non credere di esserci superiore. -  
- Vi credevo più svegli, più arguti. Ma mi sono sbagliato. La mia non è una richiesta, il mio è un comando, un ordine che dovete eseguire, e non importa come la otterrò, ma a breve la Volta sarà mia. E non pensate di potermi fermare, la mia energia è superiore a quella di ognuno di voi, sono millenni che assorbo nutrimento dal vostro… Creato. Perché è così che lo chiamate, vero? Il Creato. Ora sottomettetevi a me, inginocchiatevi ai miei piedi, o dovrete scontrarvi con la mia furia. E neanche voi, grandi dei primigeni, potrete resistermi.-  la calma glaciale, la sicurezza e la lentezza con cui la voce di Follia pronunciò la frase la fece apparire come una constatazione di un evento inevitabile.

Se non altro è un bravo oratore. Neppure quando il Fato plasmò la mia gente ci fece un discorso così ben articolato.
Menomale che non sa osservare altrettanto bene. Con il potere che possiede non so cosa potrebbe fare alla spira di vapore che fluttua dietro di lui… Se esco vivo da qui non accetterò mai più un invito nella Volta.


- La Volta non sarà mai tua! Non lo permetteremo!-  rispose il dio Fuoco nella sua armatura dardeggiante, ardente come se il fabbro l’avesse forgiata e poi, senza lasciarla raffreddare, l’avesse messa indosso al dio. L’elmo era appoggiato sul tavolo che presiedeva la Volta e le fiamme che sostituivano i capelli sul capo del dio ardevano senza rumore. Visto da lontano, quel corpo poteva apparire simile a quello di un uomo i cui capelli rossi erano agitati da un vento impetuoso, che soffiando dal basso li investiva come a cercare di strapparli dalla testa del proprietario.
- Dopotutto, - disse Acqua, seduta ancora comodamente al proprio posto, con i capelli che le scorrevano letteralmente sulle spalle - finora hai solo parlato. Non ci hai mostrato il tuo potere, non ci hai sottomesso. Personalmente sono annoiata. Sei un megalomane, nient’altro. Ti meriti unicamente il tuo nome, poiché solo un folle proverebbe a cambiare le fondamenta stesse del creato.-

Vai Acqua! Fagli vedere chi comanda! Tra tutti gli dei primigeni, la dea dei flutti è sempre stata quella con il carattere che più apprezzo.
Dai, guardatela. Non gli interessa nulla di niente e di nessuno.

- Vuoi vedere i miei poteri? Te li mostrerò. Avete scelto la vostra sorte, vecchi pazzi! Guardate come questo megalomane vi farà strisciare a terra come i lombrichi che siete. -  Follia aprì le braccia scarne di colpo, scatenando una bufera contro i quattro dei primigeni.
- Aria! – tuonò Fuoco - Fai qualcosa!-  
- Non ci riesco! I venti non mi obbediscono! Sono come animali impazziti che scappano terrorizzati. Non posso controllarli! -  
Follia ridacchiò per un secondo, poi portò le braccia distese davanti a se.
Gli dei degli elementi furono investiti da un uragano talmente violento e improvviso che li fece arretrare fino quasi al limitare della Volta.
Il rigoglioso giardino che l’attorniava sembrava tremare per la sorte degli dei che aveva ospitato fino ad allora.
Una voce si levò nell’ambiente, come se l’intero ambiente stesse parlando.
- Fermati! - una figura dalle quattro braccia scendeva lentamente dalla sommità della Volta degli Dei.
 Il dio Fato atterrò perfettamente davanti all’intruso e gli cinse i polsi, apparentemente fragili, con la sua presa possente.
Follia sorrise e lasciò cadere le braccia lungo il corpo, interrompendo la bufera che imperversava sui quattro dei degli elementi.

Le battaglie magiche mi hanno sempre entusiasmato, sempre che non sia io ad essere coinvolto… Non me la sono mai cavata bene, con gli incantesimi.
Diciamo che il mio ruolo preferito è a bordo campo, seduto su qualcosa di comodo, a fare commenti sarcastici su quello che mi succede davanti.


- Fato… Ti ho immaginato in molti modi ma averti davanti è… Una cosa completamente diversa. Che singolare forma hai assunto…-  l’intruso fece un accenno di inchino senza smettere di sorridere.
Il Fato non si scompose, sorrise a sua volta e aprì le mani con i palmi rivolti verso l’alto.
- È stato un piacere fare la tua conoscenza.-  disse semplicemente, senza mai abbassare lo sguardo. – Ma ora è arrivato il momento, per te, di andartene. -
Sui quattro palmi si andarono a formare altrettante cristalline sfere di mana, l’energia della vita. Ogni sfera fluttuò verso uno degli dei degli elementi. Queste presero quindi la forma delle armi elementari, gli strumenti che gli dei in persona forgiarono all’alba dei tempi per generare l’universo: a Fuoco l’alabarda dardeggiante, ad Aria l’arco di bora, ad Acqua la spada degli abissi e a Terra il martello delle vette.
- Follia, quello che tu non sai è che noi faremo tutto ciò che è necessario per preservare l’equilibrio, tu ti nutri del nostro creato e noi ti toglieremo il tuo nutrimento.-  Il Fato si fece lentamente da parte, senza perdere mai il contatto visivo con l’intruso.
Le armi elementari cominciarono a risplendere di una luce accecante, i quattro dei degli elementi le puntarono verso l’intruso e, dietro di lui, verso la finestra da cui si vedeva la il pianeta più bello.
- Non vi libererete di me. Non ci riuscirete in nessun modo. Ed io un giorno sarò di nuovo qui, davanti a voi, pronto a detronizzarvi. Arrivederci. –
Follia allargò le braccia, sorridendo di fronte alla minaccia del potere degli dei.
Un solo colpo, un unico fascio di energia dal colore simile a quello dell’oro si generò a mezzaria, energia alla quale Il Fato aggiunse la propria, nera come l’inchiostro con cui sanciva i destini dei mortali.
Follia fu colpito in pieno petto dal fascio, venendo trascinato dalla sua forza distruttiva e  scaraventato al di fuori della finestra. Attraverso il Tempo e lo Spazio.

Un bel volo. Non c’è che dire. Non voglio però pensare all’atterraggio che lo attende alla fine…

Solo quando videro il corpo del demone colpire duramente il pianeta, osarono riporre le armi e tornare ai rispettivi scranni.
Follia non mentiva né si sopravvalutava, aveva il potere di cui si vantava e, attraverso questo, avrebbe potuto raggiungere il suo scopo. Quel pazzo era diventato un reale pericolo per l’equilibrio.
- Avremo fatto la cosa giusta?-  chiese preoccupata Aria, guardando al di là della finestra.
- Abbiamo intrapreso l’unica strada possibile. – le rispose Fuoco, non meno preoccupato. – Ma temo che Follia sapesse cosa ci stava dicendo. Ho paura che non si lascerà abbattere da questa sconfitta e cercherà di tornare qui, per portare a termine la sua missione. -
- Abbiamo un nemico potente. – concordò il Fato voltandosi verso i quattro dei – Adesso toccherà a noi fare in modo che non rechi danno alle nostre creature. È nostro compito proteggere il creato da qualunque cosa quell’essere potrà escogitare. Ora andate! Nascondete le vostre armi in modo che al momento opportuno vengano trovate e recatevi in un tempio che abbia il potere di dissipare le tenebre che caleranno su di noi.-
La Volta fu sgombrata in pochi secondi.
Il Fato, rimasto solo, si diresse verso il massiccio libro che riposava chiuso sul lungo tavolo, lo sfogliò un poco poi, decisosi su un capitolo mormorò: - Tenete. Questo è un dono.- 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1: Il Cambiamento ***


 Sulla Terra era il tiepido pomeriggio di un giorno di metà marzo.
L’erba cominciava a ritinteggiare i prati e le colline con il suo verde brillante, mentre l’ultima neve dell’inverno appena terminato cercava di sopravvivere nelle poche zone permanentemente ombrose e sulla vetta degli alti monti che si stagliavano sull’orizzonte lontano.
Gli alberi parevano essersi appena risvegliati dal loro sonno, tornando a stendere i loro rami verso il cielo e vestirsi di foglie novelle.
Ardof spostò con un calcio un ciottolo che si era frapposto sul suo cammino, facendolo cozzare contro la rete metallica che delimitava il rettangolo di erba sintetica, per poi continuare a camminare lungo il margine del campo da calcio di Zadrow.
Al suo fianco, il suo amico Trado continuava a parlare a ruota libera, senza avere davvero qualcosa da dire. Per lui non era mai stato davvero importante l’argomento, tant’è vero che spesso saltava di palo in frasca senza nemmeno accorgersene, ma la sua bocca aveva bisogno di sentirsi piena di parole.
- …Allora, per questo penso che sia meglio avere un quaderno ad anelli invece che uno con le pagine attaccate, ma… li hai già fatti gli esercizi di matematica per domani? No, perché io non ne ho capito neanche uno e…-
Ardof non ci faceva quasi caso a quel che diceva, erano anni che continuava a ripetere le stesse battute scadenti e le stesse riflessioni filosofiche profonde come pozzanghere.
Il ragazzo si spostò una ciocca di capelli neri dall’occhio e continuò a camminare, mancavano sette mesi al suo compleanno, al suo sedicesimo compleanno, e i suoi genitori gli avevano già chiesto quale regalo volesse. Si spostò appena per far passare il gruppo di ragazzini che gli stava correndo incontro. Il primo aveva un vecchio pallone da calcio logoro in mano, lo stesso che aveva usato lui anni prima in quello stesso campetto.
- Ma, Ardof? Mi stai ascoltando?- chiese Trado interrompendo per un attimo il suo monologo.
- Si… si.- gli rispose.
Trado riprese a parlare, ma venne interrotto da un boato tanto forte da far tremare la terra, qualcosa di simile al suono che producono gli aerei quando rompono il muro del suono, solo molto vicino.
Forse troppo vicino, si ritrovò a pensare il ragazzo.
Per un attimo nel campetto tutto si fermò, tutti i giovani che lo popolavano alzarono lo sguardo al cielo, lasciando che il pallone rotolasse per conto suo e i pochi giochi dei bambini presenti cadessero a terra, ma nessuno trovò nulla di strano in quel cielo azzurro tinteggiato da alcune nuvole bianche come la panna.
Il vociare riprese più forte, ma venne nuovamente interrotto dal grido di una bambina con i capelli raccolti in una stratta treccia, non avrà avuto più di sei anni.
La bambina chiuse la bocca e alzò l’indice, indicando un punto in lontananza alle spalle di Ardof.
Chiunque fosse stato a portata d’orecchio si voltò nella direzione in cui aveva puntato il braccio.
Il ragazzo sgranò gli occhi, non poteva credere a cosa stava assistendo. Non poteva credere a quello che i suoi occhi gli dicevano di vedere.
Quello doveva essere un sogno, non c’era altra soluzione, presto si sarebbe svegliato nel suo letto e la giornata sarebbe cominciata come sempre.
Una specie di enorme bufera, simile a quella accompagnata da una voce narrante che non poteva mancare in uno di quei documentari sulla terra dei ghiacci, si stava avvicinando velocemente come uno spesso muro d’aria e polvere.
Senza pensarci due volte afferrò il braccio dell’amico e lo trascinò con sé per terra, coprendosi la testa con le mani.
Riuscì solo a chiudere gli occhi prima di essere investito da un vento simile a quello scatenato dalle tempeste montane o dalle trombe d’aria, che di tanto in tanto scoperchiavano qualche casa.
Le pietre del campetto e i ramoscelli degli alberi vicini continuavano a turbinargli sulla faccia, poi tutt’a un tratto una scarica di corrente gli percorse la colonna vertebrale, facendolo irrigidire improvvisamente.
Fu una scossa talmente forte da fargli mordere l’interno della guancia al punto da farlo sanguinare.
Poi tutto finì con la stessa velocità con cui era iniziato: il vento smise di soffiare improvvisamente e gli effetti della scarica che aveva colpito Ardof scemarono pian piano, lasciandogli addosso un leggero intorpidimento soffuso ed un vago prurito a mani e piedi.
Il ragazzo si alzò da terra ancora un po’ frastornato, sputando sull’erba la saliva mista a sangue che gli riempiva la bocca.
Si guardò intorno, ancora intontito. La maggior parte dei ragazzi aveva avuto il buon senso di buttarsi a terra, mentre quelli che erano rimasti in piedi ora si stavano tirando i pantaloni di sacco sopra le ginocchia o arrotolando le maniche delle camicie di tela per controllarsi i graffi che si erano procurati cadendo sulla ghiaia.
Qualcuno, più sfortunato, doveva aver perso i sensi sbattendo contro qualcosa o qualcuno.
Lo sguardo di Ardof vagò un attimo sul cielo limpido per poi tornare di colpo a posarsi sui malconci ragazzi di prima.
“ Pantaloni di sacco? Camicie di tela?” si chiese.
Poi ancora “ Ma che materiali sono il sacco e la tela?”
Purtroppo non si era sbagliato, quei ragazzi avevano davvero addosso quelle camicie e quei pantaloni. Solo allora si accorse dell’erbetta fresca che gli solleticava le dita dei piedi, così diversa dall’erba sintetica che le sue scarpe avevano pestato fino a poco prima.
Abbassò lo sguardo perplesso. La prima cosa che notò fu il fatto che le sue scarpe nuove e le calze erano scomparse e non sembravano essere state scagliate da nessuna parte. Si guardò quindi i pantaloni, ci rimase male quando vide dei calzoni di sacco al posto dei suoi bei jeans bianchi, i suoi preferiti, oltretutto. Tirò su la testa, pensieroso. Poi riguardò in basso di scatto, mentre una domanda gli balenava in mente “ Da quando su questo campetto c’è l’erba?”.
Quando alla fine si guardò la maglia non si stupì più di tanto nel trovarsi addosso una camicia di tela, di un colore marrone sbiadito. In fondo, dopo quel che aveva appena visto, la sua maglia nera gli sarebbe sembrata fuori posto.
Per la prima volta da quando si era alzato pensò a Trado.

Bell’amico che sei. Complimenti.
Sono sempre più convito che questa volta il capo abbia preso un abbaglio. Con tutto il mio potenziale mi mette alle calcagna di un ragazzino del genere.
Comunque, devo ammettere che lo schianto è stato più violento di quanto mi fossi immaginato. Se solo Follia non fosse un pazzo megalomane fuori controllo che è precipitato verso la terra per qualcosa come duecentotrentaquattro anni, potrei anche essere leggermente dispiaciuto per lui.


L’amico era ancora vicino a lui e lo stava guardando con un’aria stralunata. Indossava un paio di braghe marroni e una maglia verde acceso, della stessa tonalità dell’erba che gli infestava i capelli. Ai piedi aveva delle scarpe senza lacci color terra, simili, almeno nella forma, a quelle che popolavano le bancarelle nei fine settimana estivi.
Ad Ardof sembrò che il viso del suo amico fosse un po’ più appuntito di prima, ma non ci fece troppo caso. Si mise però a ridere per il modo in cui era vestito.
- Che cos’hai adesso da ridere?- gli chiese ancora stordito il ragazzo dai capelli castani.
- Scusa, ma con quei vestiti sembri un pagliaccio, ti mancano solo il naso rosso e la parrucca!-
- Si, si. Ridi pure.- Trado si si portò i capelli pieni di sterpaglie dietro le orecchie ma a metà del movimento si bloccò. Un’aria tra il confuso e lo spaventato gli si dipinse in volto. - Ardof? C’è qualcosa sulle miei orecchie?-
Ardof, non curante, si spostò un poco per vedere le orecchie dell’amico. Quello che vide, però, lo riuscì a sorprendere ancora.
- Trado, non crederai mai a quello che ti sto per dire. Hai le orecchie a punta! Come quelle di quegli strani esserini disegnati nei libri di fiabe!-
Trado si toccò la punta delle orecchie, che si erano allungate e, come gli aveva detto Ardof, si erano appuntite in cima.
Il ragazzo rimase fermo, immobile, come pietrificato. Le uniche cose che si muovevano erano le sue dita che percorrevano e ripercorrevano il profilo delle orecchie senza darsi un attimo di pace, come se le potessero smussare con quel solo gesto ripetuto infinite volte.
Ardof pensò che si sarebbe potuto mettere a piangere se fossero stati loro due da soli, in quel prato.
Poi un flash colpì il ragazzo dai capelli neri.
Le mani si mossero quasi da sole e il sospiro di sollievo fu automatico quando le dita tastarono le sue orecchie e le scoprirono, come di consueto, tondeggianti.
Tornò a guardarsi attorno. Erano in un prato, questo oramai era un dato di fatto, al cui centro era cresciuto una quercia enorme che poteva benissimo essere stata piantata lì da cento o duecento anni, certo, non fosse nata nel giro di qualche secondo in mezzo a una colossale tempesta.
Tutt’intorno una strada in terra battuta delimitava quel prato e, andando oltre con lo sguardo, si vedevano solo case di legno e paglia le une addossate alle altre e campi, infiniti campi coltivati.
Se si riusciva a spingere lo sguardo oltre il grumo di costruzioni, le uniche cose che rompevano la monotonia del paesaggio erano delle piccole fattorie isolate circondate solamente da prati verdeggianti.
Infine, superando questi ultimi, si poteva scorgere verso est un piccolo bosco in cui scorreva placido un fiume e, più in là, delle vette decisamente distanti, ma abbastanza alte da risaltare sul cielo azzurro.
Ardof lasciò l’amico ancora intento a tastarsi le nuove orecchie sul prato e prese a correre verso casa, spostando con una manata un bambino con indosso un gilet che gli si era parato davanti. Per un breve frangente si stupì di quanto pesasse, neanche avesse avuto addosso del piombo.
Si fermò a riprendere fiato davanti a una fattoria uguale alle altre: una costruzione a due piani interamente di legno, il cui tetto era stato rivestito di paglia per renderlo impermeabile all'acqua piovana.
Ma non era uguale alle altre. In quel luogo, prima, sorgeva casa sua.
Davanti alla porta c’era suo padre, inginocchiato, che parlava rivolto all'incavo delle sue mani messe a coppa.
- Pa’, che fai?- chiese Ardof preoccupato.
Suo padre alzò gli occhi pieni di lacrime e gli mostrò una specie di farfalla. Era quello l’oggetto che gli occupava le mani.
La farfalla si alzò in volo titubante, come se fosse la prima volta che si sollevasse da terra con la sola forza delle ali luccicanti, e si portò all’altezza degli occhi di Ardof. Solo allora, con stupore e terrore, il ragazzo si accorse che quell’animaletto non era una farfalla ma una specie di fata, con il corpo da donna alto non più di tre dita e un paio di grosse ali, decisamente sproporzionate rispetto al resto, che gli spuntavano tra le scapole.
- Ardof… - disse la fata – tu stai bene?-
Il ragazzo indietreggiò, cadendo a terra.
Un pensiero troppo grande per essere accolto si fece prepotentemente spazio nella sua mente.
Quella fata era sua madre.
Il suo corpo fu scosso da fremiti incontrollati mentre grosse lacrime splendenti cominciarono a rigargli le guance.

Ardof si alzò dal suo giaciglio massaggiandosi il collo, detestava dover dormire sulla paglia ma o lì, o sul freddo pavimento con gli insetti e la polvere.
La seconda opzione lo ispirava ancor meno della prima.
Aprì le imposte dell’unica finestra nella sua stanza, lasciando filtrare un raggio di sole che andò a colpire il pavimento sporco. Mulinelli di polvere luccicarono nell’aria, mostrando la loro danza.
Si vestì in fretta e furia e, con un paio di scarponi sbiaditi nei piedi, scese le scale scricchiolanti fino al piano terra, facendo attenzione a saltare il terzo scalino, quello che le termiti avevano reso pericolante.
Entrò velocemente nella cucina, dove prese la fetta di pane coperta da un sottile strato di miele che lo stava aspettando.
Diede quindi un’occhiata rapida al lettino che stava sul tavolo, per poi aprire la porta, scostando la pesante tenda che proteggeva il legno dalle intemperie, e quindi uscire all’esterno.
Sua madre si era ammalata due mesi prima e da allora non si era più alzata da quel minuscolo letto ricavato da una radice. Il suo corpo non aveva retto i cambiamenti subiti, avevano detto tutti i dottori che l’avevano visitata, e nessuno aveva ancora trovato una cura per quella terribile condizione che sembrava affliggere tutte le razze, eccetto quella umana.
“Certo, gli umani non potevano ammalarsi! – si disse ironicamente il ragazzo uscendo. – Non erano cambiati di una virgola. Come potevano non adattarsi ai loro vecchi corpi?”
Fece una leggera deviazione per raggiungere il ripostiglio degli attrezzi, dal quale tirò fuori un falcetto, e si diresse a passo spedito verso il campo di grano, giallo come il sole di mezzogiorno, che si trovava dietro la fattoria.
Vi trovò suo padre con un ragazzo di pochi anni più grande di lui, dal collo taurino e i muscoli delle braccia gonfi.
Ardof non poté fare a meno di provare una punta d’invidia, nonostante fossero cinque mesi che ogni giorno scendeva a lavorare alla fattoria con suo padre, non poteva neanche vantare la metà della muscolatura di quel tipo dalla pelle abbronzata.
- Ardof! – suo padre lo salutò con la mano appena lo vide arrivare – Lui è Grant, Grant questo è mio figlio Ardof. Lui ci aiuterà per il raccolto di questo autunno e la semina nella prossima primavera.- dopo questa scarna presentazione ritornò nuovamente chino e riprese a falciare gli steli del grano che ricoprivano la terra.
Ardof fece un cenno con la testa a Grant e si mise anche lui al lavoro, in silenzio.
Mentre tranciava gli steli gialli fece vagare la mente sugli avvenimenti degli ultimi mesi. Era l’unico modo per non farsi prendere dallo sconforto per l’esorbitante quantità di lavoro che ancora lo aspettava.
Innanzitutto ripensò al cataclisma, o Il Cambiamento, come oramai tutti lo chiamavano. Non solo aveva cambiato la fisionomia di alcune persone creando razze ben distinte, ma aveva anche sradicato dalla memoria delle persone ricordi utili, come costruire quei… al ragazzo scappò un’imprecazione tra i denti… quei… quei palazzi altissimi che sembrano toccare il cielo. Oppure come produrre le medicine e via discorrendo. Secoli di studi e l’impegno delle persone che avevano consacrato la loro vita al progresso erano stati letteralmente spazzati via da una bufera.
Poi un’immagine di Trado coprì i ragionamenti di Ardof. Non aveva avuto molte occasioni di vederlo dopo quel primo giorno, questo non l’aveva poi aiutato ad accettare il fatto che, pochi mesi più tardi, si sarebbe trasferito per andare a vivere nella foresta che copriva la parte settentrionale dell’unico continente rimasto, almeno a quanto si diceva.
I cartografi, che alla fine erano gli unici che ci avevano guadagnato in tutta la faccenda, ottenendo nuove terre da studiare, l’avevano chiamata Grande Vivente per le sue dimensioni e la sua estensione.
Dopo quell'avvenimento, la sua vita fu un susseguirsi di eventi di ben poca importanza, all’insegna di quel lavoro da contadino che aveva dovuto imparare a svolgere senza lamentarsi, fino al giorno maledetto in cui sua madre cadde dalla sua piccola sedia in preda alla febbre ed ai tremori.
Si diceva, in paese, che tutti gli elfi nati dal Cambiamento avessero assecondato quello strano senso di attrazione verso la natura che si erano ritrovati nelle menti e fossero quindi migrati nella Grande Vivente, dove, si narrava, avessero eretto una città interamente sospesa sui rami degli alberi.
Nello stesso periodo i nani avevano intrapreso un viaggio verso est, verso i monti che dividevano perfettamente il continente in due metà. E in quei monti sembravano essere scomparsi, se non fosse stato per le monete di recente coniatura che ogni tanto entravano in circolazione tra i banchi dei mercati.
Lavorarono fino a sera inoltrata, fino a quando il sole non fu completamente tramontato e il cielo era conteso tra gli ultimi morenti raggi rossastri del sole e la luna che cominciava il suo cammino sopra le vette frastagliate dei monti.
Con l’autunno che si faceva sempre più freddo, erano pochi i giorni in cui la sera non si sentiva l’umidità, quindi bisognava sfruttarli al massimo.
Ardof rientrò stancamente in casa, l’ultima cosa che vide prima di chiudere la porta fu suo padre che metteva in mano a Grant un pugno di monete di rame mentre gli affibbiava un'amichevole pacca sulla spalla.
Si chiese cosa si stessero dicendo, poi l’anta della porta terminò la sua corsa alle sue spalle ed Ardof tornò ad essere poco interessato alla cosa.
Suo padre entrò poco dopo e, dopo essersi tolto il fango da sotto le suole degli scarponi, si avviò a passo spedito verso la cucina dove trafficò con l’acciarino per accendere la stufa, su cui era appoggiata una pentola piena d’acqua.

- Chiede sempre di più per quel dannato carro.- disse a fior di labbra mentre mangiavano.
- Chi?- chiese Ardof pur conoscendo la risposta. Era una conversazione che avevano quasi tutte le sere, quella.
Suo padre diede un’occhiata al lettino sul tavolo, poi riprese a parlare a voce ancora più bassa, talmente bassa che Ardof dovette concentrarsi per cogliere le sue parole. - Quello stramaledetto Deric, il fabbro. È convinto che, essendo l’unico che sa lavorare il ferro nei dintorni, può fare ciò che vuole. Chiede addirittura nove Laire di rame per ruota. È un furto, pagherà si e no sette monete per il doppio del ferro di cui ho bisogno io, dai nani... Un furto bello e buono ti dico, ma fidati di me che quello non continua a campare per tanto se non abbassa i prezzi, negli ultimi giorni ho sentito delle voci circolare in paese che… lasciamo stare, non devo farti preoccupare per cose che non ti riguardano…-
- Poteva sempre andarti peggio…-
- E come scusami? I carri hanno solo quattro ruote, e il nostro non ne ha una che sta ancora su da sola! Nove monete di rame per ruota… tre monete d’argento e sei di rame solo per le quattro ruote… figurati quello che mi potrebbe chiedere per l’intelaiatura. Dove li trovo tutti quei soldi? Non può andarmi peggio.-
- Beh, potrebbe grandinare.- Ardof accennò un sorriso ma, appena vide che suo padre non ricambiava, si concentrò su una rondella di una carota nella sua scodella di minestra.
- Perché hai fatto venire quel tipo la… Grant, a lavorare con noi? Hai paura che non ce la possiamo fare, da soli?-
- Siamo finiti in pianura, è vero, ma siamo lontani dai mari. E con i monti comunque così vicini si teme che la neve arriverà presto. Non volevo perdere neanche una spiga.-
Il ragazzo scrollò la testa lentamente, assorto nei suoi pensieri.
Finirono di mangiare in silenzio.
Mentre Ardof stava salendo la scala che portava al secondo piano, suo padre gli disse ancora dalla cucina. - Domani non andare al campo, non ci sarò nemmeno io. Devo andare in paese per vedere a quanto mi mettono i pali per la vite. Se vogliamo piantarla devo vedere se ci conviene farceli da noi o comprarli…-
- Va bene. Come vuoi. Mi troverò qualcosa da fare. Sarò libero per tutta la giornata o tornerai nel pomeriggio?- In realtà non aveva nessuna idea su cosa fare il giorno dopo ma qualcosa lo avrebbe trovato. Magari sarebbe sceso in paese.
- No, no. Penso rientrerò domani sera. Prenditela con calma.-
- Ok. D’accordo. Allora ci vediamo domani sera.-
- Si… si.- 

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Capitolo 3
*** Capitolo 2: Il Re e l'Ordine ***


  La mattina seguente, il ragazzo si sedette su una panchina a lato della piazza principale del paese.
A quell’ora non c’era molta gente, ma presto si sarebbe riempita di persone indaffarate, come sempre.
In quello stesso luogo sorgeva, mesi addietro, il prato in cui il Cambiamento lo aveva investito; erano però state apportate delle modifiche, ora quasi totalità del manto erboso era scomparso per rendere meno alti i costi di manutenzione, fatta eccezione per alcuni ciuffi sparsi che ancora resistevano tra le radici della quercia secolare che svettava nel mezzo della piazza attorniata da una selva di case ammassate le une alle altre.
Appena vide due uomini avvicinarsi, appoggiò la testa al muro della casa alle sue spalle e chiuse gli occhi, godendosi il tepore del sole sul viso.
Ascoltò distrattamente cosa stavano dicendo.
- Comunque, ti dicevo, in questa nuova stalla dovrebbero riuscire a starci otto mucche in più. Appena il tizio di Sein, il villaggio a Est da qui, quello che sta a mezza giornata di viaggio a piedi, non so se hai presente… vabbè, quando quell'uomo, a cui ho venduto gli ultimi due maiali tra l'altro, torna per il mangime, gli chiederò se conosce qualcuno da cui poterle comprare. Quello mi ha dato l’impressione di conoscere parecchia gente qui, nella pianura, sai, dal modo in cui mi parlava e si comportava…-  
- Io devo ancora aggiustare il granaio nuovo. Mio figlio ieri, mentre giocava, si è accorto di un buco grosso quanto il mio pugno nella parte bassa dell'edificio. Che gli Dei siano lodati, perché se non ce ne fossimo accorti in tempo rischiavo di perdere tutto il raccolto. Sai quanti topi ci sono che girano per questi campi?-  
Ardof si domandò come avesse fatto quella nuova religione nata dal nulla a prendere tanto piede. Da quello che aveva capito c’erano cinque Dei importanti e sette minori, i primi dotati addirittura di armi meravigliose, secondo i nuovi predicatori che giravano di villaggio in villaggio.
Il ragazzo non aveva indagato molto sull'argomento, non era mai stato un credente e di certo non lo sarebbe diventato ad opera di un Santone che dalle cime dei monti predicava religioni quasi fossero ricette di cucina.
“Che fine avrà fatto l’andazzo cittadino che c’era prima? – si chiese riaprendo le palpebre per una attimo – "Davvero sono bastati cinque mesi di lavoro contadino per far scordare a un uomo la vita che faceva prima? Posso scommettere qualunque cosa che quei due erano impiegati, prima, ne sono sicuro.” alzò le spalle e continuò ad ascoltare i due uomini che avevano abbassato il tono di voce per non essere sentiti. Probabilmente non avevano nemmeno notato la presenza di Ardof, o, se l'avevano fatto, probabilmente avevano anche pensato che stesse dormendo.
- Quella… quella lettera di cui avevamo parlato l’altra sera… avete già fatto tutto?-  
- Tranquillo, scritta e consegnata… quel caprone di Deric non sa neanche più leggere, è andato da Fein. Si, insomma, per farsela leggere… quel povero mugnaio non ha potuto dirgli di no… Sai che se Deric ti chiede qualcosa vuole averla… Per poco non scoppiava a ridere mentre gli leggeva le nostre righe, oltretutto lui non era con noi quando l’abbiamo scritta. Ho visto Deric uscire da casa sua con la coda fra le gambe… Vedrai come caleranno i prezzi!-
I due uomini si allontanarono troppo perché Ardof riuscisse ancora a seguire la loro conversazione, in compenso, un gruppo di comari vocianti si avvicinò al punto in cui stava il ragazzo.
Dalla direzione da cui provenivano le voci, il ragazzo poté presumere che le donne si stessero dirigendo al fiume...dopotutto, dove altro potevano andare, quelle, quella mattina?
Stavano parlando delle solite cose: i ferri per lavorare a maglia, di quanto i loro mariti sporcassero i vestiti e di quanto a lungo stavano fuori la sera.
Ardof sorrise ripensando alla conversazione dei due uomini prima.
Ecco cosa facevano la sera, i poeti.
Una di loro lo sorprese, interrompendo la ripetitività dei discorsi con un’osservazione su Deric. - Sapete, quel povero fabbro deve avere dei grossi problemi… l’ho visto oggi nella sua fucina, era teso e continuava a guardarsi intorno come un lupo in trappola. Neanche avesse visto un fantasma.-
Il povero – beh, povero mica tanto – fabbro sarebbe stato sulla bocca di tutto il paese per giorni, si disse il ragazzo.
- Cara Elva, – disse un’altra – povero fabbro per niente, proprio per niente. Non hai visto come tratta tutti gli altri uomini? E poi era teso perché… – e qui abbassò la voce – perché deve aver ricevuto delle minacce.-  
La notizia fu accolta con dei bisbigli che Ardof non riuscì a cogliere, che continuarono finché una non riprese le redini della conversazione.
- Si, Luisa ha ragione. La moglie del nostro mugnaio Fein, una mia cara amica, mi ha raccontato che ha sentito Deric chiedere a suo marito di leggergli una lettera. Il succo del discorso, in pratica, era che o abbassava i prezzi o si sarebbe ritrovato la fucina piena di letame per il resto della sua vita. Mi ha anche detto che non appena Deric ha lasciato casa loro, suo marito non ha smesso di ridere per tutta la mattina.-  
- Secondo voi, - disse una quarta donna, che Ardof non riuscì ad identificare – quel mugnaio centra qualcosa?-  
Le rispose Elva, la prima ad aver parlato, con un tono brusco. - Certo che c’entra qualcosa, cara Mina. Quel Fein deve sempre mettere il naso nelle cose che non lo riguardano. È in cerca di grane, ve lo dico io.-
- Comunque… – disse la terza donna ad aver parlato – chiunque sia stato deve essere benedetto. Deric se lo meritava. Stava cominciando ad alzare un po’ troppo la cresta, per i miei gusti.-
- Si... – convenne Luisa, la seconda ad aver parlato – in ogni caso è meglio se questa sera vada a fare una chiacchierata con mio marito appena torna da quella sua “bella stalla nuova” come la chiama lui. Non tratterebbe nessuno come tratta quella stalla, neanche suo figlio.-
Le altre quattro comari convennero con lei.
Ardof le sentì andar via.
Un uomo arrivò nella piazza correndo e urlando - Nerra! Nerra!-  
Una delle cinque donne di prima lo salutò. - Patrick, ciao. Tutto bene? Qualcosa non va?-  
- Per quanto bene possa andare oggi, sì. Deric mi ha pure abbassato il prezzo per le tronchesi…-
- Non parlarmi di Deric, per favore. In ogni luogo in cui vado sento parlare di lui e di quella lettera che ha ricevuto. Non è che tu, per caso, c'entri qualcosa in tutta questa storia?-  
- Io?! Ma no, figurati! Sai che non mi piace immischiarmi in certe faccende! Anche se…qualche volta potrei aver chiuso gli occhi per un po’, così da non vedere chi si era riunito a parlare nel mulino...-
Ardof si immaginò l’uomo biondo sorridere alla moglie.
- Ah, siete dei pazzi, voi! Comunque, ci sono novità?-  
- Sì, per questo ti volevo parlare. Ultimamente sono dovuto andare a portare del vino ad un mio amico, l'oste di Venear, il paese che sta a nord rispetto a noi...sai, quello dove è andata a vivere tua cugina. E, niente...ho incontrato Kesher, il girovago, abbiamo parlato un po' e lui mi ha detto che questa sera verrà da noi. Mi ha anticipato che ci sono grandi notizie in arrivo. Spargi un po’ la voce, per favore.-  
- Tranquillo, fidati di me. Ti ho mai deluso?-  
- No, e spero non lo farai ora.-  
- Vado a lavare queste e poi spiffererò la cosa ai quattro venti.-  
- Grazie e, mi raccomando, non dire a Deric di me, intesi?-  
- Intesi.-
Ardof sentì i due lasciare la piazza. Ne aveva abbastanza di ascoltare i pettegolezzi del paese, per giunta tutti uguali, riaprì gli occhi, si alzò in piedi e prese la via di casa. Dopotutto si stava avvicinando mezzogiorno ed il suo stomaco iniziava a reclamare il suo pasto.
Entrato nella fattoria trovò suo padre già intento a impastare una pagnotta.
- Ciao, tutto bene? Non pensavo di trovarti qui…-
- Si… ho fatto in fretta. Finalmente Deric si è deciso ad abbassare il prezzo. Te l’avevo detto che prima o poi succedeva qualcosa.-  gli rispose senza neanche alzare lo sguardo dall’impasto.
- Chissà perché me lo aspettavo… - borbottò a bassa voce, poi alzando il tono riprese – sai che si dice giù in paese?-  
- Che la moglie del calzolaio ha i ferri per fare la maglia più belli di Zadrow?-  
- Sì…ma a parte le solite cose, questa sera arriverà Kesher, hai presente quel saltimbanco che arriva tipo una volta al mese portando le notizie che raccoglie in giro? Ho sentito uno dire che ha delle novità importanti.-  
- Bene, allora questa sera usciremo un po’. Se tua madre non sta troppo male portiamo anche lei, che ne dici?-
- Certo, le farebbe bene svagarsi un po'.-

La sera si sedettero sulla stessa panchina che aveva ospitato Ardof quella mattina.
Il ragazzo si accomodò alla destra di suo padre, con sua madre che si sporgeva da un piccolo cestino appoggiato sulle sue gambe. Era pallida, ma cercava di non dare a vedere la sua debolezza tentando di stare in piedi, curva sotto il peso delle ali azzurre che si aprivano alle sue spalle.
In poco più di dieci minuti la piazza era già colma di gente accalcata intorno a un carro scoperto.
Quando fece buio, due uomini passarono con una torcia ad accendere le decine di lanterne che pendevano dai muri delle case.
Non appena l’ultima candela fu accesa, un uomo con un abito pieno di toppe colorate e con un mantello scuro sulle spalle saltò rumorosamente sul carro, attirando l’attenzione dei paesani.
Ardof lo riconobbe subito, era Kesher. Non era cambiato di una virgola dal mese prima. Il volto incerato e sudato rifletteva la luce soffusa, facendolo scintillare.
- Oh, un altro mese è passato e io sono di nuovo qui! Ma quanti siete questa sera! Non pensavo che questo paese ospitasse così tante persone! Comunque, immagino che non siate venuti qui così numerosi per sentire da me le solite cose… O mi sbaglio?-  chiese con un largo sorriso.
Un “No” si levò dai bambini più piccoli seduti in prima fila.
- Oh… ma che peccato! – disse fingendosi dispiaciuto. Di Kesher si potevano dire molte cose, ma non che fosse un cattivo commediante o intrattenitore. Era l’idolo dei bambini. – Non stavo più nella pelle pensando che vi avrei potuto raccontare di quanto le strade di questa parte del paese siano piene dei ricordini delle mucche… No, ovviamente scherzo. Allora prima le cose serie, poi i miei soliti giochetti: Chi di voi è andato dalle parti di Sens nell’ultimo mese? Forza, dai, coraggio! Alzate quelle mani!-
Un po’ di braccia si alzarono dalla folla.
- Vediamo, vediamo. Uno, due, tre, quattro, sette… ah! Non sono mai stato bravo in matematica! Comunque, vi sarete accorti che sulla strada maestra che passa da Sens ci sono dei solchi profondi una spanna, spero. Altrimenti siete più cechi di mia nonna! E beh, vi starete chiedendo chi li ha fatti, quei solchi, vero? Vi rispondo subito: muratori, architetti, sia umani che elfici. Non ne avevo mai visti così tanti come quelli che mi sfilarono davanti quel giorno! Li hanno fatti portando dei blocchi di un marmo più bianco della luna a est di qui, precisamente in un isolotto di terra situato in mezzo ai due bracci meridionali del delta del nostro bel fiume Vrag. Vi stare chiedendo perché, immagino… dopotutto con il marmo non ci si costruiscono le stalle… perché vogliono costruire un castello, un palazzo, un maniero, una rocca! Per chi? Per il nostro re, che domande!-  Kesher smise un attimo di parlare, chiuse la bocca giusto il tempo che l’idea colpisse con tutta la sua potenza i paesani allibiti.
- Ebbene sì, tra due settimane o giù di lì avremo l'onore di ospitare il re, al quale dovremo lucidare le scarpette con la lingua, non siete contenti? Chi ha deciso tutto questo? Ma è logico! I “grandi capi” umani ed elfi! Ma come, non li conoscete? Hanno pensato bene che noi poveracci non potevamo governarci da soli, quindi hanno voluto eleggerci un re! Preparate dunque le armi, che tra due settimane si va a fare la guerra ai nani! Occhio ai colpi bassi!-  
La piazza si riempì di voci, Kesher aspettò con le mani alzate in segno di resa che il brusio finisse prima di continuare il suo monologo.
- Dicevo, avremo un Re! Ovviamente, le geniali menti che ce lo hanno affibbiato non potevano permettersi che in cinque minuti di follia il nostro stimatissimo ed illuminatissimo Sire ci facesse trucidare benevolmente tutti quanti! Hanno quindi creato un ordine, una combriccola, una compagnia, una confraternita, un circolo, chiamatelo come volete, per controllare ogni mossa del nostro amatissimo, stimatissimo e nobilissimo sovrano. E da chi sarà composta questa bella combriccola, vi chiederete… beh da Cavalieri e Domatori. Ma, Cavalieri e Domatori di cosa? Di cavalli e lupi giganti? No, ritentate. Ma come, non ci arrivate da soli? Ovviamente cavalieri e domatori di draghi!- Kesher dicendo quest’ultima parola prese gli angoli più bassi del mantello con le mani e aprì le braccia. Alla luce arancione delle torce sembrò trasformarsi in un enorme pipistrello variopinto.
- Ebbene, secondo voi, dove li scoveranno mai questi Cavalieri, o Domatori che dir si voglia? Perché dovete sapere che sono così pignoli da dover differenziare per nome se si tratta di un Cavaliere umano o di un Domatore elfico. Ma bando alle ciance, dicevo, secondo voi come verranno arruolati i membri di questo mirabolante Ordine? È presto detto! Ad ogni ragazzo che stia per compiere sedici anni giungono un cavallo ed una lettera, attraverso la quale viene invitato a sottoporsi ad una prova. Avete sentito? Pensate, persino i vostri figli potrebbero entrare a far parte dei loro ranghi! Eppure, nonostante i miei pellegrinaggi in lungo e in largo, non ho ancora sentito di un ragazzo partito e mai più tornato. Mi spiego: i ragazzi partono, perdono due o tre giorni di lavoro e poi tornano a casa come se nulla fosse stato. Ed ho sostato in diciassette paesi e tre grandi città! Seriamente, non ho mai incontrato nessuno, povero o ricco che fosse, che sia riuscito a far entrare il proprio figlio in questo contingente. E di gente ne conosco! Ho incontrato un mercante, una volta, che diede cinquecento Laire d’oro a suo figlio prima di farlo partire. Si avete capito bene, cinquecento Laire d’oro, cinquantamila Laire di rame! Ma quello tornò comunque a casa, con tutti i soldi per giunta!-

Ehi, è facile criticare il lavoro degli altri. Provaci tu in meno di un mese a creare una repubblica con il suffragio universale. Piazzare un re è un’ottima soluzione in caso di emergenza.


La serata andò avanti ancora per molto, con Kesher che intratteneva i bambino con giochi e indovinelli o con dimostrazioni delle sue abilità da giocoliere e mangiatore di fuoco.
Ardof e la sua famiglia furono tra i primi a lasciare la piazza. Poco prima di immettersi sulla strada di casa il ragazzo vide dietro di sé una vampata di fuoco talmente alta da sovrastare i tetti delle case, che illuminò per un attimo il cielo notturno, subito seguita dalle acclamazioni degli spettatori.

Il girovago, critiche a parte, è davvero un artista. C’è poco da dire.
Devo ammettere che nonostante il mio correre da un paese all’altro per controllare i sospetti cerco sempre di esserci quando da prova delle sue capacità.
Che volete farci? Gli artisti di strada mi hanno sempre affascinato…


Le notizie che aveva portato Kesher non avevano minimamente toccato il ragazzo, aveva già capito da un bel pezzo come stavano le cose, sia nel vecchio che nel nuovo mondo.
O hai i soldi, e ne devi avere tanti, o non vai da nessuna parte. E in questo caso nemmeno i soldi potevano aiutare.
Vide ancora due volte Kesher al villaggio, ma in nessun caso si soffermò sull’argomento del re per più di un paio di battute, ben conscio di poter finire sulla forca per essersi spinto troppo oltre.
Più sovente, invece, veniva a far visita un simpatico grasso signore accompagnato da sei, altrettanto simpatici, soldati, pronti a riscuotere, simpaticamente e con il sorriso sulle labbra, le tasse.

Una mattina di ottobre, Ardof uscì dalla porta di casa e si trovò faccia a faccia con una cavalla bianca sellata. Dentro l’unica bisaccia che pendeva dalla sella, trovò ben riposta una busta sigillata con della ceralacca rossa.
“Quindi è vero. – pensò. – Mandano davvero un cavallo.”
Portò la busta in casa e l’aprì sotto lo sguardo vigile di suo padre. Fuori dalla porta accostata, la cavalla non dava segno di voler scappare, nonostante non ci fosse nulla a trattenerla davanti all’abitazione.
Appena le dita di Ardof si appoggiarono sul sigillo rosso, questo si sciolse in un grumo di cera sul tavolo.
- Impressionante… Bel trucco, non credi?-  disse suo padre.
Ardof aprì la busta con dita tremanti. Aveva sentito parlare spesso di quelle buste, ma averne una tra le mani era tutta un’altra cosa.
All’interno c’era un foglio finemente scritto con lunghi caratteri sinuosi che si rincorrevano per tutta la lunghezza della pagina.
Ardof la lesse ad alta voce:


Gentile signor Neghyj Ardof, la informiamo che per il suo sedicesimo compleanno e, di conseguenza, per il suo ingresso nell’età adulta, è suo obbligo presentarsi al cospetto dei rappresentanti dell’Ordine dei Cavalieri e dei Domatori, altrimenti detto Ordine D. e C., presso il Palazzo del Mezzogiorno, situato sotto i primi alberi della Grande Vivente, recando appresso la presente missiva. Le è fatto obbligo di partire il giorno stesso in cui leggerà queste righe. Nel caso lei si rifiutasse di obbedire a questo ordine, lei e la sua famiglia diverrete perseguibili penalmente e i vostri beni verranno confiscati dalle autorità competenti.
Le auguriamo quindi un viaggio sereno e tranquillo.
Fiduciosi di vederla.
L’Ordine D. e C.


- Direi proprio che non mi lasciano altra scelta se non quella di partire…-  disse dopo aver compreso fino in fondo la minaccia, neanche troppo velata, contenuta nella lettera.
- Sì. – gli rispose suo padre dubbioso – Ma, figliolo, devi farmi una promessa. Promettimi che spronerai quella bestia là fuori come se avessi un branco di lupi che ti inseguono. Ho bisogno di te qui, io e Grant non bastiamo per finire il raccolto in tempo. Le colline ai piedi dei Muraglia cominciano ad imbiancarsi, tra poco la neve cadrà anche sulle nostre teste…-  
- Te lo prometto, Pà - rispose Ardof, guardandolo negli occhi.
- Bene. Bravo il mio ragazzo.-  
Ardof prese una sacca e ci mise dentro una coperta, un mantello pesante con il cappuccio e qualche pagnotta fresca per il viaggio.
Doveva proprio nascere ad ottobre? Dover viaggiare in un mese un po’ più caldo non gli sarebbe dispiaciuto poi così tanto. Magari a maggio o giugno, quando era più probabile incontrare un cavallo che balla piuttosto che la pioggia.
Salì sulla cavalla e si accorse che, inciso sulla sella, c’era il nome Zefira.
Si rese quindi anche conto, forse con un briciolo di ritardo, di non essere assolutamente in grado di cavalcare un cavallo.

Meglio tardi che mai. Questo è proprio uno dei peggiori sospetti che sto seguendo.
La sua ignoranza a volte mi stupisce.
Perché il suo nome è finito sulla mia lista? Dovevano allungarla? Volevano tenermi occupato per più tempo del necessario?
Io non li capirò mai.


Certo, Ardof sapeva stare su una sella e tenere le briglie, memore dei pochi giri fatti sul mulo del mugnaio, ma non era in grado di dirigere un cavallo e, me che meno, di spronarlo al galoppo.
Inoltre, non aveva nessuna idea dell'esatta ubicazione del fantomatico "Palazzo del Mezzogiorno", sicuramente qualche indicazione in più sulla strada da seguire non gli avrebbe fatto male.
Fortunatamente, non appena colpì i fianchi della cavalla con i talloni, questa partì al galoppo, come se avesse capito quali fossero le intenzioni del suo inesperto cavaliere, probabilmente, poi, ne sapeva addirittura più di lui, per quanto riguardava la strada da seguire.
Appena uscì dal paese, spronò Zefira a dare il massimo, facendola fermare solo un paio di volte per lasciarla abbeverarsi a un qualche ruscello o per sgranchirsi le gambe irrigidite dall'inattività forzata.
Nonostante mangiasse e dormisse in sella, e per dormire si intende chiudere gli occhi per poco più di dieci minuti, anche incitando la sua giumenta al galoppo più sfrenato, impiegò due giorni per arrivare alla linea di confine che separava le pianure dalla Grande Vivente.
Appena vide il muro verde che gli correva incontro, la sera del secondo giorno, dovette concentrarsi al massimo per non cadere di sella.
Non aveva mai visto niente del genere, né in quello, né nell’altro mondo.
Rimase sconcertato dalle dimensioni dei primi alberi che incontrò, poi si ricordò che quelli erano solo i più giovani e ne rimase ancora più affascinato.

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Capitolo 4
*** Capitolo 3: Il Palazzo del Mezzogiorno ***


 Impiegò un altro giorno per uscire dall’intricato labirinto verde della foresta e arrivare in uno spiazzo di terra brulla, su cui sorgeva una struttura incredibile.
La sua architettura era unica e le sue pareti sorreggeva la cupola che gli svettava sulla sommità.
La struttura esterna era composto da quattro piani ben visibili, ognuno dei quali tinto di un acceso colore diverso: il primo, il più basso, verde smeraldo inframezzato da venature marroni, il secondo blu, la cui tonalità schiariva salendo verso il successivo, il terzo era un intrecciarsi di rossi carmini e arancini chiari, l'ultimo, infine, era bianco, candido come la neve e perfettamente uniforme.
Sopra a quest’ultimo piano s’innalzava la grande cupola d’oro a cui il Palazzo del Mezzogiorno probabilmente doveva il suo nome, splendente come l’astro che rischiarava i giorni.
Ardof si chiese con quale materiale potessero aver costruito quel palazzo, poiché i suoi occhi non riuscivano a vedere né i tagli delle pietre né i nodi del legno, inoltre anche i colori erano così perfetti e puliti che non avrebbe saputo indovinare da dove li avessero ricavati.
Zefira si fermò davanti a uno stabile di legno, una piccola stalla nella quale erano stati legati almeno un’altra decina di cavalli, tutti ben sellati e in buone condizioni.
Il ragazzo fermò le briglie della cavalla a un anello di ferro della struttura, al suo fianco, un baio, che sembrava più adatto per andare in battaglia e che per i lunghi viaggi, brucava lentamente dalla mangiatoia di fronte a sé.
Prese la sua sacca e la lettera, per poi dirigersi a passo spedito su di un vialetto lastricato di marmo. Su entrambi i lati, a pochi metri l’una dall’altra, erano state posizionate statue di draghi seduti, fieri e maestosi ma allo stesso tempo inquietanti.
Il ragazzo percorse i venti metri che lo separavano dal portone d’ingresso e si fermò davanti alle due guardie dalle armature scintillanti che presiedevano i battenti. Mentre porgeva la sua lettera a quella di sinistra, si accorse distrattamente che l’ultimo paio di statue che avrebbero accompagnato il suo passo erano diverse, fieramente in piedi con le ali spalancate e le fauci, aperte, come a voler mordere chiunque si fosse avvicinato.

Non hanno badato a spese durante la costruzione di quest’edificio. Ho sempre pensato che quelle due statue fossero fuori luogo ai lati del portone.
Sono così fuori luogo qui, tra l’altro sono troppo vicine alle pareti del palazzo e l’ombra dell’edificio le fa sembrare più piccole di quel che sono davvero.
Io l’avevo detto di metterle all’inizio della strada, avrebbero reso molto meglio. Ma qualcuno mi ha ascoltato? Ovviamente no.
A ogni modo lui è il quarto di oggi.
Ora sono solo ventisei i sospetti che devono ancora ricevere il loro invito.
Una volta finiti i sospetti, secondo Loro, dopo la prova del Blatkod dovrebbero rimanerne almeno sei da seguire. Bene. Fantastico.
Ho un’esperienza millenaria alle spalle e mi usano per seguire dei ragazzini. La Loro nuova generazione non è minimamente all’altezza dei Loro antenati.
Ora zitto. Devi seguire gli ordini. Non perderti nei tuoi pensieri, che tra diciannove minuti devi essere a Sarnasj per controllare Numero 34. E poi stasera c’è Kesher che si esibisce, non posso perdermelo.


La guardia gli restituì la busta e lo fece accedere ad un salone, arredato parcamente con pochi sgabelli e alcuni quadri ritraenti dei paesaggi sulle pareti.
Si sedette accanto a un’elfa dai corti capelli chiari che giocava con una catena di anelli di ferro. Non appena si fu seduto una voce proveniente dall’alto della sala ruppe il silenzio quasi sacro che aleggiava nell’aria.
- Jeray Sierra.-
Una ragazza dalla pelle abbronzata si alzò da uno sgabello in un angolo ed entrò in una porta su cui si intrecciavano degli strani disegni.
Tutto attorno a quel portale si arrampicava una vite intagliata da un unico blocco di pietra nera. Ardof seguì per un po’ il tronco paralizzato della pianta finché non riuscì a memorizzare la posizione di ogni ramo e di ogni foglia, curati con cura maniacale dallo sculture.
Nel tempo che questa distrazione rubò al ragazzo, la porta, decisamente meno interessante rispetto alla sua cornice, venne aperta altre tre volte.
Il portone d’ingresso, al contrario, venne schiuso una volta sola.
Ardof degnò il nuovo arrivato di una manciata di secondi di attenzione. Umano, basso, decisamente robusto e dalla pelle talmente unta da luccicare.
Poi, però, il suo sguardo venne attirato dalle dita sottili dell’elfa al suo fianco che si muovevano agili sulla catena di anelli. Il suo viso concentrato era coperto dalla cortina di capelli.
Tutto a un tratto l’elfa alzò la testa con uno sbuffo di soddisfazione, facendo sobbalzare Ardof, e si fece rimbalzare un unico anello sul palmo della mano, orgogliosa di se stessa.
Il ragazzo non ebbe il tempo di ammirarlo che l’elfa l’aveva già smontato e aveva ricominciato a studiare il rompicapo.
- Dentu Sirvo.-  
Un elfo paffuto si alzò dal suo posto ed entrò nella porta intagliata.
Ardof si stupì, i pochi elfi che aveva visto, prima che si ritirassero nella foresta, erano tutti magri e slanciati. Si chiese se quel Sirvo fosse solo l’eccezione che confermava la regola o la dimostrazione che anche gli elfi potevano mettere su chili.

Quel Sirvo l’avevo già incontrato, è un amico di uno dei sospettati che stavo seguendo.
Ho impressa nella mente la prima volta che lo vidi mangiare, mi chiesi come facesse la sua famiglia a permettersi di mantenere quel moccioso con tutto il cibo che ingerisce.
Sembrava di essere di fronte a un animale affamato.


- Insiel Amanda.-
Via un’altra.
“Mi chiedo dove vadano a finire tutti quei ragazzi. Magari c’è una scala sul retro o… una porta di servizio nascosta su uno dei lati dell’edificio.” Si interrogò il ragazzo.
Il numero delle possibili vie d’uscita immaginate aumentò di pari passo con l’aumentare del numero dei nomi chiamati dalla voce.
Mentre l’ennesimo ragazzo varcava la porta intagliata lo sguardo di Ardof si posò per la prima volta sul soffitto affrescato della sala.
Il dipinto che copriva la volta rappresentava cinque globi di colori diversi, disposti fino a formare una stella. Partendo dalla punta più “alta” e girando in senso orario i colori erano: nero pece, bianco, blu, verde muschio e rosso.
La figura era racchiusa da un anello verde acceso a sua volta delimitato da un esagono tracciato con un verde scuro estremamente cupo.
Ardof stava ammirando le linee che si intrecciavano intorno ai cinque globi quando la voce risuonò di nuovo nella stanza.
- Vergy Frida.-
L’elfa di fianco a lui si alzò e, presa la sua sacca e riposto il rompicapo in una tasca dei pantaloni, varcò la soglia della porta .
Ardof chiuse gli occhi e cercò di rallentare i battiti del suo cuore. Non sapeva quanto mancava per il suo turno e non voleva assolutamente saperlo.

- Neghyj Ardof.-
Era il momento, prese la sua roba e spinse la porta intagliata che si aprì senza il minimo rumore.
Entrò così in una stanzetta quadrata da cui si apriva un’altra porta.
C’erano ad aspettarlo sei figure, tra umani ed elfi, che lo salutarono cordialmente con un caldo sorriso sulle labbra.
Lui tentò di fare altrettanto, nonostante la tensione che sentiva stringergli il petto.

Tra quanto arriva numero 13? Dannazione. Non posso aspettarti qui fuori ancora per molto.
Oh! Aspetta, eccone un altro che esce vittorioso. Vediamo chi entra nella nuova lista… ah! Numero 7. Me lo sentivo. Ho naso per queste cose. E con lui sono… vediamo… otto. E di sospetti da far esaminare ce ne sono ancora… ventisei. Compreso Numero 23. Cosa vuole fare il capo? Farmi perdere le eternità dietro a un gruppo di ragazzini come un maestrino? Dannazione.


Un elfo si staccò dal gruppo e accompagnò Ardof oltre la seconda porta, nel mentre prese a spiegargli cosa sarebbe accaduto da lì in avanti.

Ah! Finalmente Numero 13, era ora. Allora, senza di lui i sospetti in attivo rimasti sono venticinque.
Vado a dare uno sguardo dentro a Numero 23, seguo il ritardatario per qualche minuto e poi mi fiondo a Sarnasj.
Spero che nessuno si preoccupi di un piccione che in volo batte un falco in velocità. Oppure una gabbianella, visto che quella città fangosa è in riva al mare.


Del discorso dell’elfo Ardof capì che gli avrebbero fatto mettere la mano su una pietra, o uovo di drago, come lo chiamava lui, e se il Blatkod, o come diavolo si chiamava, l’istinto primordiale del cucciolo dentro l’uovo, del drago si fosse attivato lui sarebbe diventato un Cavaliere dell’Ordine.
Tutto chiaro.

Bene, sono arrivato in tempo. Non hanno ancora cominciato.
Perfino io, che ho assistito a questo discorso centinaia di volte, continuo a stupirmi di quanto sembri una favola assurda, un sogno per bambini.
Dai, chi potrebbe mai credere a quelle parole?
Forse, però, è meglio così. È più facile dire una verità incredibile, piuttosto che una bugia talmente credibile da sembrare strana.

La prima stanza che gli fece visitare aveva le pareti completamente marroni.
Come gli aveva anticipato l’elfo, due dozzine di pietre ovali di diverse dimensioni, che andavano dal marrone scuro al verde scintillante, erano state adagiate con cura su dei drappi dorati, che ne facevano risaltare i colori.
- Appoggia la tua mano sul primo uovo.-  gli ordinò l’elfo.
Ardof fece come gli era stato detto.
Lasciò la mano sulla pietra ruvida per una manciata di secondi, visto che non succedeva nulla passò alla seconda pietra, poi alla terza, alla quarta e così via, fino all’ultima della fila.
- Qui non vi è niente per te.-  disse l’elfo, forse con una nota di tristezza nella voce, e fece salire Ardof per una rampa di scale.
I due entrarono in una sala azzurra, al ragazzo sembrò di essersi immerso in un lago cristallino.
Di nuovo, due dozzine abbondanti di pietre riposavano su altrettanti piedistalli, queste passavano dal blu notte all’azzurro ghiaccio.
La superficie liscia di quelle contenute nella sala era fredda e piacevole al tatto.
Anche quella stanza si rivelò una prova inutile per Ardof e una delusione per l’elfo, o, almeno, questo era l’emozione che faceva trasparire dal suo viso.
Non che il ragazzo ci credesse davvero, alla reale utilità di quelle prove.
Con tutte le pietre che aveva dissotterrato dall’orto, avrebbe dovuto avere un allevamento di draghi in casa.
Alla fine della serie di uova azzurre, Ardof cominciò ad annoiarsi per davvero. Si sarebbe aspettato una prova molto più seria di quella cosa, qualcosa di lontanamente realistico come domande di conoscenza generale o magari prove di forza.
Salirono una seconda rampa di scale, entrando in una stanza rossa come tizzoni ardenti, le pareti sembravano risplendere di luce propria.
Una ventina di uova dal granata al giallo ocra attendevano sui drappi dorati così come nelle altre due stanze.
Ardof appoggiò la sua mano destra su ciascuna pietra, degnandole solo di un paio di secondi l’una.
La settima attirò la sua attenzione per un attimo, era più grossa delle altre e la sua superficie sembrava butterata come quella della luna.
Ardof ci appoggiò la mano sopra senza pensarci, sentendo ogni imperfezione sotto le dita, contò due secondi in silenzio e traslò la sua attenzione sulla pietra seguente.
Continuò la stessa sequenza di azioni senza neanche guardare dove metteva la mano.
Appoggia, uno … due, togli, cammina. Appoggia, uno … due, togli, cammina. Continuò con lo stesso ritmo, fino al fondo della sala.
“Due secondi sono quasi troppi.” Si disse.
Si accorse subito che qualcosa non andava, aveva sbagliato la sequenza. Aveva impiegato troppo tempo tra il togli e il cammina, aveva perso il ritmo e per questo aveva rischiato di cadere.

Così impara a non pensare a quel che sta facendo. Avrei riso fino a farmi scoprire se fosse caduto, lo giuro.

Tornò a concentrarsi su quel che stava succedendo. In effetti qualcosa lo aveva rallentato, al punto da fargli perdere il ritmo.
Si sentiva la mano più pesante di prima.
Non fece in tempo a guardarla che l’elfo che lo accompagnava strillò. - Guardie! Guardie! Venite subito!-

Quel maledetto elfo sta urlando come un forsennato, neanche ci fosse un ladro che sta scappando con le braccia cariche di Laire. Precisamente le Sue Laire.
Cosa pensava? Che quell’uovo sarebbe scappato? Magari trascinandosi dietro il ragazzo?
Magari lo avesse fatto. Ora mi tocca seguire nove ragazzi.
Menomale che dopo la prova dovevano rimanerne solo sei.


Due soldati nella loro armatura splendente entrarono nella sala e si precipitarono su Ardof, che, nonostante stesse utilizzando tutta la forza che possedeva nel braccio sinistro, non riusciva a staccarsi quella pietra dal suo palmo.
I nuovi arrivati si appesero con tutta la loro forza al guscio, che si ruppe con un rumore bagnato.
Una parte, nonostante le guardie avessero usato tutto il loro peso, rimase comunque attaccata al palmo del ragazzo mentre l’altra venne portata via in tutta fretta da quegli uomini in armatura.
Ad Ardof ci volle un momento per capire cosa fosse realmente successo, il suo cervello, per quanto si sforzasse, non riusciva a rimettere insieme i pezzi.
Quando si riprese dalla concitazione generale del momento e il suo cuore smise di battere come un forsennato, non riuscì comunque a spiegarsi cosa avesse visto.
E cosa diavolo aveva attaccato alla mano?
Alzò lo sguardo sull’elfo che lo aveva accompagnato e si rese conto che i occhi brillavano lucidi di lacrime.
- Cos’è successo?-  gli chiese, sbattendo più volte la mano nel tentativo di liberarsi dal frammento di guscio.
- Ragazzo, sei diventato un Cavaliere dei Draghi. Esci di qui, lasciati tutto e tutti alle spalle e parti al galoppo verso il palazzo gemello. Qui, in questo momento, inizia un nuovo capitolo della tua vita, non avere paura di quello che sarà perché oggi il Fato ti ha sorriso.-

No, ne dubito.
Ho visto il Fato più di una volta, anche se ultimamente è restio a convocarmi, forse a causa del mio sfruttamento, e, comunque, non l’ho mai visto perdere quella sua fredda imparzialità. Forse una volta ha accennato un sorriso, ma solo grazie a una delle migliore battute mai inventate dalla mia razza.


- Si, certo… come no… io non conosco la strada per questo palazzo gemello e… ho promesso a mio padre che sarei tornato, gliel’ho giurato. Non posso, davvero. Hanno bisogno di me, a casa. Felice di averla conosciuta, ma io ora devo andare. Ma… questo coso prima o poi si staccherà, vero? È abbastanza fastidioso non poter chiudere le dita… non so se mi spiego…-
- Ragazzo… – disse l’elfo sorridendo, ma ad Ardof quel sorriso mise una paura viscerale. – ti ho detto di non temere, penserà l’Ordine ai tuoi genitori e ai tuoi famigliari. Per la via da seguire non dovrai fare altro che lasciarti guidare da Zefira, perché è Zefira che ti è stata assegnata, vero?-
- Si. La cavalla è quella… Ma non posso lasciarli, dico i miei genitori… non gli ho neanche detto addio. Non so se sono riuscito a spiegarmi… non posso andarmene di casa così… su due piedi. E poi mia madre sta male, non posso lasciarla in quelle condizioni!-  
- Ascolta, quella che ti è stata proposta davanti e che ora è attaccata al tuo palmo non è una possibilità, è una responsabilità che viene data a pochi. Sai quanti ragazzi come te entrano da quel portone ogni giorno? Centinaia, da tutto il lato occidentale delle terre. E a ognuno di loro vengono presentate più di centocinquanta uova di drago. Se va bene ogni giorno nasce un nuovo Cavaliere o Domatore, uno! Su tutti quelli che entrano solo uno, o al massimo due hanno quest’onore e tu sei uno di questi pochi. Non dubitare quando ti dico che i tuoi genitori e i tuoi cari non sentiranno la tua mancanza e credimi se ti dico che il futuro ti sorriderà se seguirai la strada che il Fato ha tracciato per te. E poi, come ben saprai, spero, se il Fato traccia una sorte per te non la puoi evitare, puoi solo scegliere la strada migliore per giungervi.-  l’elfo si era abbassato in modo da guardare Ardof negli occhi e per mettergli le mani sulle spalle.
Quelle due mani sottili sembravano essere diventate due macigni, intenti a trascinare inesorabilmente il ragazzo in un baratro.
- Senta, è la prima volta che la vedo… lei sembra sicuramente una brava persona ma, non so quanto posso fidarmi di lei e dell’Ordine. E poi… mio padre…-  
- Capisco… facciamo un patto. Tu proverai la via che il Fato ha scritto per te, se non sarà di tuo gradimento potrai tornare alla tua vita di prima. Nessuno ti ostacolerà. Intesi?-

Pffff. Non ci credo! L’ha detto! Lo ha veramente detto! Ma con chi pensa di parlare? Con un bambino?
Perfino una pietra può capire che non esiste una via di ritorno da quando l’uovo si attacca alla mano.
Mi stupisce che il ragazzo non si sia ancora rassegnato all’idea, avrebbe dovuto abbassare da subito il capo e tirare dritto, perché la strada dietro di lui si è chiusa.
Anzi, non si è solo chiusa, c’è un esercito di belve che la controlla.

Ardof si rese conto di quanto l’elfo l’avesse messo con le spalle al muro, non gli dava altre possibilità se non quella che gli stava offrendo e il ragazzo era sicuro che dopo aver intrapreso la strada in cui lo stava spingendo, tornare indietro o rimediare sarebbe stato impossibile. Era come una cascata che scende per i ripidi crepacci montani, una volta che si comincia a precipitare non si può risalire la corrente.
Non aveva comunque altra scelta se non accettare. Non conosceva nemmeno la strada per tornare a casa. Già il semplice uscire dalla foresta gli sarebbe costato mesi, se fosse stato sfortunato.
Si chiese quante volte quel maledetto elfo sorridente avesse già fatto quel discorso ai ragazzi che non volevano quel destino, che volevano semplicemente tornare a casa e dimenticare quella giornata in mezzo alla follia.
- Intesi.-  disse rassegnato. Sperò solo che non lo stesse ingannando, non troppo, per lo meno.
Ma soprattutto sperò di non andare a finire dalla padella nella brace.
L’elfo fece entrare velocemente Ardof in un piccolo montacarichi incassato nella parete dietro le uova facendolo scendere per i tre piani che avevano visitato.
Il ragazzo uscì da una porticina dietro una delle due statue ai lati del portone d’ingresso, coperta dalla possente coda.
Ecco dov’era l’uscita nascosta, aveva pensato potesse essere nascosta dalle statue, ma non credeva così in bella vista.
Ad attenderlo c’erano le due guardie che gli avevano tolto il guscio dalla mano. Una portava in mano un sacchetto di provviste, che ad Ardof parvero fin troppe, facendogli chiedere fin dove dovesse andare, mentre l’altra teneva in mano un animaletto nero, quasi deforme, che continuava a stropicciare gli occhietti rossi e voltare la testa a destra e sinistra, come per esplorare quel mondo che gli stava intorno.
Si fece aiutare per mettere le provviste nella sacca e prese l’animaletto dalle mani della seconda guardia, che si piegò in un inchino, mormorando - Cavaliere, il tuo drago.-
“Bene… un drago deforme. Che bel destino che mi attende.”

Perché partire con ottimismo aiuta durante il viaggio.
Questo sì che sarà un viaggio interessante, magari se riesco a ritagliarmi qualche minuto gli faccio visita domani… O questa sera… Però stasera su tardi, Kesher ha la precedenza su qualunque moccioso armato di drago.

Ardof slegò Zefira dall’anello e con un po’ di fatica la montò, posizionandosi il cucciolo di drago tra le gambe in modo che non scivolasse per terra durante la cavalcata che li attendeva.
Diede un leggero colpo al fianco della cavalla, che partì, puntando verso i Monti Muraglia e lasciandosi il sole alle sue spalle, che da lì a poche ore sarebbe calato oltre il muraglione verde e, da lì, sotto la linea dritta dell’orizzonte.
Zefira non uscì dalla Grande Vivente, né sembrò interessata a farlo. Il ragazzo sperò in cuor suo che l’elfo avesse ragione e la cavalla sapesse esattamente dove dovesse andare, senza perdersi nella monotonia della foresta e nel susseguirsi dei tronchi identici.
Il cielo sopra il tetto di foglie si stava tingendo del rosso della sera, quando un cavaliere su un cavallo dell’Ordine lo affiancò.
Il ragazzo si tolse il cappuccio che gli copriva il viso, mormorando - Cavaliere.-,  per poi piegare il capo come segno di rispetto.
Ardof perse un attimo l’equilibrio sulla sella, rischiando di cadere.
Quel ragazzo aveva la sua faccia! Era come guardarsi allo specchio. Indossava perfino gli stessi vestiti.
Non ebbe il tempo per formulare una frase con un senso logico, che l’altro cavaliere aveva già spronato il suo destriero verso sud, verso il Vrag che scorreva placido e verso la fattoria che aveva ospitato il neo-Cavaliere dei draghi.
Il ragazzo rimase a fissare per un po’ le piante scorrergli tutte intorno, scosso per quel che aveva visto.
Quando riuscì a riprendere il controllo delle emozioni Ardof guardò il draghetto nero, che si era arrampicato sul pomello della sella ed ora era intento ad ammirare il paesaggio intorno a lui.
Lo accarezzò sulla testa squamosa.
Il cucciolo spostò su di lui gli occhi rossi e stropicciò il muso in un accenno di sorriso, lasciando così intravedere al ragazzo la sua fenomenale chiostra di denti bianchi e aguzzi.
Dopo averlo osservato per bene, Ardof gli disse, dubbioso che quell’animale capisse le sue parole. - Hai capito come faranno a coprire la mia partenza? Alla fine Kesher aveva ragione, tutti i ragazzi sono tornati a casa… Sinceramente non so se essere felice o triste per quelli che mi aspettano… non so quanto possa essere bello andarsene di casa senza che nessuno si accorga della tua partenza. Ho paura che non se ne accorgeranno mai…-
Si guardò un attimo la mano destra, sperando che gli scossoni del viaggio avessero fatto staccare il guscio, ma le sue dita erano ancora paralizzate intorno al frammento di pietra.
Quella sera Zefira si fermò in una radura sul limitare della foresta, vicino a un’ansa del Vrag, che scorreva tranquillo verso l’interno della Grande Vivente per poi giungere, biforcandosi, all’oceano a nord e ovest del continente.
Lì dove era giunto era stato allestito un piccolo campo per i viaggiatori.
Una staccionata era stata costruita vicino a una mangiatoia e al ramo del Vrag, un pagliericcio e un circolo di pietre pieno di cenere dove accendere il fuoco riposavano poi dietro di questa.
Ardof riuscì a trovare la legna secca e accendere il fuoco prima che gli ultimi raggi del sole scomparissero dietro la chioma verdeggiante che lo circondava.
Si mise addosso il mantello e la coperta, legò Zefira alla staccionata in modo che arrivasse sia alla paglia che all’acqua e si sedette davanti al fuoco, aprendo la sacca che gli aveva dato la guardia e frugando tra le provviste che gli avevano messo a disposizione. Quanti giorni sarebbe durato quel viaggio?
Il draghetto gli si avvicinò e cominciò a emettere un verso acuto, fregando la testa ruvida contro il braccio sinistro di Ardof.
Il ragazzo si diede dello stupido per non aver pensato prima a dare da mangiare a quell’animale, aveva meno di un giorno e sicuramente non era ancora in grado di procacciarsi da solo il cibo.
Il ragazzo frugò un attimo nella sacca e ne tirò fuori due strisce di carne secca che lanciò al cucciolo.
Il draghetto le prese al volo cominciò a sgranocchiarle con gusto, agitando di tanto in tanto la coda come segno di apprezzamento.
Quando ebbe finito quella parca cena, il draghetto nero si sedette in grembo ad Ardof, appoggiandogli la testa sul ginocchio. Il ragazzo gli posò la mano sinistra sul dorso e prese ad accarezzargli le dure squame, facendo attenzione a non pungersi con le piccole punte che gli percorrevano la schiena.

Bene, è già arrivato. Zefira è probabilmente uno dei migliori cavalli dell’Ordine. Numero 23 è stato decisamente fortunato.

Quando non ci fu più legna da buttare sul falò, Ardof si sdraiò sul pagliericcio, avvolgendosi nella coperta di lana per proteggersi dal freddo di quella notte autunnale.
Le ultime cose che sentì prima di addormentarsi furono le squame del draghetto premergli contro la pancia e il suo respiro caldo e regolare sul collo.

Maledizione! Questa non ci voleva! Cosa faccio ora? Non posso rivelarmi, quel drago ci vede ancora!
Maledizione Fato, avvertirmi di queste cose? Ma no, tu devi complicare la mia vita ancora di più, vero? E ci riesci benissimo, nonostante il mio nome non compaia su quel tuo maledettissimo libraccio nero.


Quella notte, quando la luna fu visibile attraverso il tetto verdeggiante, Ardof venne svegliato da dei guaiti, insistenti e troppo vicini.
Gli ci volle un attimo per rimettere insieme tutti i pezzi. La cavalla, il viaggio, il palazzo, il draghetto, l’accampamento… dannazione! Stava dormendo all’aperto!
Non appena si ricordò dov’era aprì gli occhi e si alzò di colpo. Nonostante fosse ancora frastornato dalla stanchezza riuscì quasi subito ad avere un quadro chiaro di quello che stava succedendo.
Grazie alla luce delle ultime braci e dei raggi di luna che filtravano dalla volta verde riconobbe il cucciolo di drago tremante, accucciato ai piedi di uno degli alberi che limitavano la radura e un lupo, se si poteva chiamare tale, alto un metro e cinquanta abbondanti e con un paio di zanne lunghe una spanna che gli spuntavano dalle fauci. Il pelo della bestia riluceva argenteo nella poca luce che riempiva la piana.
Il draghetto guaì un’altra volta, richiamando l’attenzione del ragazzo sulla scena che si stava svolgendo sotto i suoi occhi.
Non perse un attimo di più, superando il terrore che quell’enorme lupo gli incuteva gli si avventò addosso, cingendogli il collo con le braccia per provare a soffocarlo.

Come se avesse avuto speranze contro una bestia del genere. A questo punto direi che i sospetti da seguire tornano a otto.
Mi dispiace. Avrei potuto scacciarlo io. Se solo il drago fosse svenuto e tu non ti fossi svegliato, ma a quanto pare non è destino per te sopravvivere.
Peccato.
Sarà per la prossima volta…

Anche se riuscì a prendere di sorpresa l’animale, quello lo disarcionò con due poderosi scrolloni.
Ardof si ritrovò con la schiena a terra e il muso del lupo a una spanna dalla sua faccia. Solo le sue braccia incrociate sotto il collo dell’animale lo dividevano dalla chiostra di denti.
Una goccia di bava gli cadde sulla guancia quando il lupo aumentò la pressione per arrivare al suo viso.
Sentiva i muscoli delle braccia in fiamme, non era sicuro di poter reggere ancora a lungo. Quel lupo aveva una forza mostruosa.

Ed è così che vogliamo ricordarlo…

Come un fulmine nero il draghetto si avventò in planata sul lupo con le ali di velluto scuro spiegate, Ardof non lo vide arrivare fin quando non fu contro il fianco dell’animale.
Il cucciolo di drago riuscì a mordere due volte il ventre del lupo prima che questo lo scaraventasse con una zampata sul muso contro la staccionata da dove Zefira osservava la scena immobile.
Il lupo si girò verso Ardof ringhiando.
Il ragazzo non poté fare nulla per evitare che l’animale gli affondasse le sue zanne nel polpaccio. Come non poté fare nulla per soffocare l’urlo che gli consumò tutto il fiato che aveva nei polmoni.
La scarica di dolore improvvisa diede ad Ardof una lucidità che non avrebbe mai sperato, in un attimo il suo cervello capì che il lupo aveva commesso un errore: aveva lasciato la gola scoperta.

Che?


Senza neanche accorgersene aveva già stretto la mano e caricato il pugno diretto alla giugulare dell’animale che stava infierendo sulla sua gamba.

No, aspetta un sec…

Il lupo emise un guaito e rientrò correndo nella fitta vegetazione con la coda fra le zampe.

…ondo.
Fermi! Fermi tutti! Cosa? Cosa!
Mi rifiuto.
Il mio cervello ha bisogno di una vacanza.
No, questo è davvero troppo, anche per me. E menomale che gli interventi del Fato dovevano essere invisibili, lievi come un soffio di vento. Altro che soffio di vento, questa era una tempesta!
Ma come si può? Un ragazzino che fa scappare un Lupo tirandogli un pugno?
A questo punto tanto valeva far comparire una scimmia con una chitarra in mano che, essendo allergica ai lupi, avrebbe preso quella bestia per la coda e l’avrebbe scaraventata sui monti.
E no, Fato, la mia non è una buona idea, quindi non prendere nota per il futuro.
Non si può davvero vedere una cosa del genere.


Ardof non fu sicuro di quello che fosse successo. Nella sua testa un uomo che metteva in fuga una bestia di quelle dimensioni con un solo pugno non aveva senso, non era una cosa realizzabile. Nessuno poteva riuscirci, nemmeno i giganti che giravano di paese in paese assieme al circo.
Però lui era vivo, nonostante l’enorme quantità di sangue, tutto suo, che ricopriva il terreno. Lui poteva vantarsi di quel che aveva fatto, poteva vantarsi di essere sopravvissuto.
Ardof si guardò la mano destra ricoperta di sangue. Sentiva le dita pulsare e mandare un dolore sordo. Doveva essersi sbucciato le nocche nell’impresa.

Cioè, fa scappare un lupo gigante con un pugno e il suo problema è che si è sbucciato la manina?!
Allora, la prossima volta spero che ti ammazzi, così non dovrai subire questa terribile menomazione.
Ah, già, giusto per ricordartelo, nel caso non te ne sia accorto quell’affare ti ha quasi tirato via una gamba! Ma, no, tranquillo, continua a preoccuparti delle tue povere nocche.

Ringraziò che il guscio si fosse staccato al momento giusto, lasciandogli la possibilità di tirare quel pugno.
Si trascinò al fiume e si lavò la mano e il polpaccio in modo da liberarsi del sangue, ma il palmo e le dita non avevano intenzione di lasciar colare via il liquido che le tingeva di rosso scuro.
Poco lontano vide il draghetto immergersi nelle acque scure, lasciando dietro di se una scia ancora più scura.
Si fasciò come meglio poté la gamba nel punto in cui era stato morso e, messo il cucciolo al sicuro nella sacca che aveva sulle spalle, salì faticosamente in sella a Zefira, spronandola al galoppo.
Si addormentò in sella, cullato dall’andatura della cavalla.

Purtroppo ho altri impegni per oggi, devo fare un giro a controllare i sospetti dei paesi ai piedi dei monti, altrimenti mi piacerebbe seguire le tue valorose imprese.
E intanto i ragazzi da seguire sono tornati nove. Mai una soddisfazione nella vita.


Quando Ardof riaprì gli occhi, il sole risplendeva già alto nel cielo autunnale.
La criniera bianca di Zefira gli entrava in bocca di pari passo con la sua cavalcata e una fila infinita di abeti e querce secolari, assieme a roveri ed altre piante, in misura minore, svettavano maestosi tutt’intorno. Era un abbinamento inconsueto, non era facile trovare quelle piante assieme. Gli abeti, però gli indicavano che i Muraglia si stavano facendo sempre più vicini.
Quanto avevano viaggiato?
Il draghetto si mosse leggermente nello sacca del ragazzo e gli appoggiò il piccolo muso nero sulla spalla.
La giumenta procedeva nell’intrico di tronchi al piccolo trotto, sicura della sua direzione, e Ardof immaginò che stesse continuando a viaggiare con quel passo dalla notte precedente.
Stupendosi ancora una volta della resistenza di Zefira.
Il ragazzo appoggiò una mano sulla gamba destra e questa gli spedì subito una stilettata di dolore nel cervello.
Intanto il cucciolo di drago si era arrampicato sulla spalla del ragazzo, per poi farsi scivolare sulla sua gamba sana, da cui non si mosse più.
Ardof lo cominciò ad accarezzare distrattamente mentre osservava gli alberi intorno farsi via via più grossi. Sopra la sua nuca, le fronde s’infittirono, facendo sì che i sempre più rari raggi del sole che filtravano dalla cortina di foglie conferissero un aspetto ancora più magico all’ambiente.
Tutt’intorno a loro la natura sembrò cadere in letargo, non si vedevano le tracce lasciate dagli animali o dai viandanti e non si riuscivano più a sentire le rane gracidare, gli scoiattoli squittire o gli uccelli cantare. Il ragazzo si sentì in soggezione, come se quegli alberi maestosi potessero disarcionarlo e non lasciarlo più andare via da quel luogo fuori dal mondo.
Ardof si strinse nel mantello a quel pensiero, come trapassato da un vento gelido.
Fece fermare Zefira a riposare ai piedi di una pianta enorme. Il ragazzo non riuscì a dire di che albero si trattasse, i rami e le foglie erano troppo in alto per essere distinti nell’intreccio che oscurava il cielo.
Facendo attenzione alla gamba ferita riuscì a scendere dalla sella e a sedersi sul nodo di una radice che spuntava dal terreno.
Prese dalla sacca un paio di strisce di carne e le lanciò al draghetto.
Il cucciolo si voltò per afferrarle nella morsa delle sue mandibole e solo allora Ardof notò un lungo taglio bianco che, partendo da in mezzo agli occhi, scendeva fino alla narice, lì dove l’aveva colpito la zampata del lupo.
Prese una mela per se e cominciò a mangiare, ammirando il paesaggio immobile tutt’intorno.
Tra un morso e l’altro disse al draghetto, consapevole che comunque non avrebbe capito le sue parole - Sai, penso proprio che tu sua la mia salvezza, se non avessi avuto il coraggio di lanciarti su quella bestiaccia adesso non sarei qui. Mi spiace per quel taglio che ti sei fatto fare sul muso per me… spero un giorno di potermi sdebitare.-
Il cucciolo nero alzò il muso con un pezzo di carne che pendeva dalla bocca e squadrò Ardof con gli occhietti vispi. Poi zampettò fino al suo Cavaliere e si stiracchiò davanti a lui allungando schiena e coda e allargando la bocca e le ali di velluto nero come una notte senza stelle.
Finalmente le ali si erano scollate dal corpo, smettendo di conferirgli l’aspetto deforme che aveva colpito il neo-cavaliere la prima volta che aveva visto quella creatura.
Il ragazzo sorrise e gli accarezzò la testa, stupendosi di incontrare sotto i suoi polpastrelli delle squame più spesse di quelle del giorno prima.
Magari, si disse, avessero incontrato quel lupo una settimana dopo, la cicatrice bianca non sarebbe mai esistita.
Ardof si alzò barcollante, accorgendosi per la prima volta di non avere più sensibilità alla gamba morsa.
Cercò di non pensare a quello che stava accadendo sotto le bende.
Puntandosi con la gamba sinistra su una radice particolarmente sporgente e facendo forza sulle braccia, riuscì a risalire in sella.
Il draghetto a sua volta spiccò un balzo e con due goffi battiti d’ali arrivò sulla sella davanti al ragazzo, per poi guardarlo come per chiedere se era stato bravo.
Zefira ripartì sicura verso la sua meta non appena i talloni del suo cavaliere si appoggiarono sui suoi fianchi.
Ardof lasciò vagare la mente, ripensando a tutto quello che gli era successo negli ultimi mesi. Sembrava che, quando le cose si riuscivano a stabilizzare, qualcuno si divertisse a creargli nuovi problemi.
Chi mai avrebbe potuto immaginare che un ragazzo normale potesse trovarsi tutto a un tratto catapultato in un mondo nuovo, a cavalcare in una foresta enorme verso una destinazione sconosciuta? Per di più con un cucciolo di drago tra le gambe.
Eppure a lui era successo quello.
In sette mesi la sua vita era stata scossa come da un uragano, prima era diventato un contadino e poi, quando si era abituato all’idea di lavorare la terra fino alla fine dei suoi giorni era diventato un Cavaliere dei draghi, un titolo che gli suonava così importante e lontano, un appellativo di cui non comprendeva neanche il significato o la reale portata.
Non seppe dirsi se quest’ultimo scossone alla sua esistenza fosse un bene o un male. Forse entrambi.
Certo avrebbe preferito salutare meglio i suoi genitori… magari assistere sua madre ancora per un po’…
Una ciocca di capelli neri gli cadde sugli occhi e lui si affrettò a spostarli con un colpo della mano.
Ultimamente non si era preoccupato di tagliarli. Non erano ancora così lunghi da dargli fastidio mentre lavorava chino sul campo o nell’orto.
Il draghetto si voltò e lo guardò negli occhi, per poi cominciare a strofinare la testa ruvida contro il suo braccio.
Ardof lo coccolò un po’, sperando che quella banale azione gli consentisse di distrarsi abbastanza a lungo per scordarsi, almeno per un po’, il peso di quelle lunghe ore di cavalcata.
 Purtroppo venne subito riportato alla realtà da un fastidioso formicolio che gli aveva attanagliato la gamba destra, nato nella coscia si era propagato fin sulla punta delle dita del piede.
Non era un buon segno. Non era decisamente un buon segno. Perfino il più piccolo dei bambini poteva capirlo. Ma, in fondo, neanche essere morso da un lupo era un buon segno.
Ardof abbassò lo sguardo sulla gamba destra e gli parve che fosse molto più gonfia rispetto all’altra.
Si chiese cosa gli avesse mai fatto quel lupo.
Poteva avergli iniettato qualcosa con quel morso, molti animali lo facevano, o, magari, invece il gonfiore e il prurito fossero causati solo da un’infezione, che aveva preso per colpa dell’acqua in cui aveva lavato la ferita o del viaggio che lo aveva portato fino a quel punto della foresta.
Le possibili cause erano infinite, fatto sta che adesso aveva decisamente un grosso problema.
Mentre Zefira scartava sicura tra gli alberi senza mai perdere velocità, Ardof riuscì a vedere, attraverso il tetto di fogliame, il cielo imbrunire gradualmente, tingersi prima di arancione, poi scurirsi fino a diventare rosso, assumere una tinta rosata e, infine, diventare blu scuro.
Rimase un attimo a fissare la volta celeste che andava scurendosi, chiedendosi se anche nel vecchio mondo i tramonti erano così spettacolari. Non ci aveva mai dato troppa importanza, prima.
Aveva la testa pesante, ma era solo colpa del sonno, si disse.
A stento si accorse che il draghetto si era arrampicato sul pomello della sella per osservare con lui quello spettacolo, o forse solo per imitarlo.
Era ancora con il naso per aria quando Zefira scartò un’ultima volta per poi fermarsi davanti a un’inferriata incassata in un muro di cinta di pietra scura, al di sopra del quale un’alta torre svettava.
Da dentro due uomini apparentemente invisibili urlarono qualcosa che Ardof non si scomodò di capire, poi l‘inferriata si cominciò ad alzare, lasciando lo spazio a Zefira per passare. 

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Capitolo 5
*** Capitolo 4: Il Palazzo della Mezzanotte ***


 A quel punto del viaggio, Ardof aveva completamente perso il senso dell’orientamento. Poteva benissimo essere nella Grande Vivente come in una foresta a lui sconosciuta.
Per questo, come aveva previsto, non sarebbe mai riuscito a raggiungere quel luogo, o meglio lasciare quel posto, anche con l’aiuto di una cartina. Sapeva che quell’elfo gli aveva mentito.
Appena Zefira superò la soglia del muro di cinta l’inferriata si richiuse alle loro spalle con un clangore metallico.
Quattro uomini con indosso delle armature blu, scure come il crepuscolo, accorsero verso di lui.
Ardof si accorse di loro solo grazie ai riflessi della luna sulle placche metalliche e sui visi che in quell’uniforme parevano cadaverici.
- La gamba… non la muovo.-  riuscì a dire con la bocca impastata.
Doveva essergli salita la febbre. L’infezione stava peggiorando e lui non se ne era accorto.
Si rese conto a mala pena di essere stato calato dalla sella e di quei due soldati che, preso per le ascelle, lo aiutarono a entrare in quel palazzo di almeno dieci piani, dalle pareti pitturate con colori scuri. Da lontano, sicuramente, lo si sarebbe scambiato per una torre.
Lo portarono, quasi trascinandolo, per lunghi corridoi fino a una stanza vuota dove lo adagiarono su un pagliericcio fresco.
Sentì ancora il dolce peso del draghetto di fianco a se. Poi si assopì e tutto si fece nero.

La mattina seguente Ardof si mise a sedere sul pagliericcio dove l’avevano sistemato la sera prima, per poi guardarsi intorno.
Era in una stanza decisamente piccola, con il minimo indispensabile per viverci: un secchio pieno d’acqua tiepida per lavarsi con uno straccio a fianco, una sedia davanti a una piccola scrivania, una cassapanca con dei vestiti accuratamente piegati sopra e un vassoio con un pezzo di pane e un po’ di carne affumicata, a giudicare dall’odore.
Notò che la sua gamba era stata accuratamente fasciata con bende pulite e che accanto al letto lo attendeva una sedia a rotelle
Fu colpito da un’idea terribile: possibile che avesse perso l’uso di quell’arto?
Non aveva intenzione di passare il resto della sua vita bloccato su una sedia a rotelle.
Si mise i vestiti che gli avevano lasciato, accorgendosi che gli calzavano a pennello.
Si trattava di una specie di armatura leggera, con delle placche metalliche per proteggere le braccia, le spalle, il torso e la parte anteriore delle gambe, ricoperta sia dentro che fuori da uno strato di sottile pelle tinta. Le braghe erano color carminio con una striscia argento sul lato esterno, mentre la casacca era rosso vivo con un’ulteriore rinforzo esterno per la schiena e i gomiti di colore granata.
Per terra c‘era un paio di scarponi nuovi e, vicino a questi, un elmo leggero e un paio di guanti di pelle.
Si mise gli scarponi a fatica e fece una smorfia quando sentì la pelle dura premere contro il suo piede. Detestava dover mettere una calzatura nuova.
Sarebbero servite settimane affinché la pelle si ammorbidisse.
Faticosamente, cercando di mantenere l'equilibrio sulla gamba sana senza doversi appoggiare quella fasciata, si spostò sulla sedia a rotelle, ricadendo pesantemente sulla dura seduta in legno.
Provò a muovere le spesse ruote della sedia, che, con non poca fatica, presero a ruotare con una lentezza esasperante.
Lentamente si accostò al tavolo, dove prese in mano un pezzo di carne, che si gustò con calma, dopo le avventure degli ultimi giorni.
Intanto, il draghetto si era arrampicato sul tavolino e annusava entusiasta il vassoio di cibarie, il suo tentativo di attirare attenzione fu talmente insistentemente che Ardof fu costretto a lasciargli una parte della sua colazione.
Quando ebbero entrambi finito di mangiare, il ragazzo si portò di nuovo vicino al letto, si mise i guanti e prese in mano l’elmo.
Solo allora si accorse della sua fattura: la parte metallica era stata forgiata per proteggere la fronte, le guance, le orecchie e il capo, mentre la parte alta del viso, dal naso in su, era protetta da una visiera trasparente di un materiale simile al vetro ma, sperò Ardof, più resistente contro gli urti. Altrimenti si sarebbe trovato il volto pieno di schegge alla prima caduta.

Quanto mi piacciono queste armature leggere. Raramente ne ho viste di così belle. Però l’idea di mettere del normale vetro a protezione del viso mi è sempre piaciuta di più, in poco tempo rimarrebbero vivi solo quelli con l’equilibrio migliore.
Si chiama selezione naturale, ma tanto nessuno da mai ascolto a una voluta di fumo che si imbuca a un consiglio di sicurezza.


Si posò l’elmo in grembo, vicino al suo cucciolo di drago che riposava acciambellato.
Uscì dalla porta della stanza, curioso di cosa lo avrebbe aspettato.
Si ritrovò in un corridoio gremito di ragazzi della sua età, che si muovevano quasi a caso mentre le guardie dall’armatura scura cercavano di portare un po’ di ordine nella folla.
Ardof si diede un’occhiata spaesata intorno, cercando un punto di riferimento a cui aggrapparsi. Il cucciolo sulle sue ginocchia si mosse, sconcertato dalla presenza di tanti suoi simili che zampettavano dietro i rispettivi padroni.
Vide poi arrivare una guardia con l’armatura crepuscolare, che prese la sedia a rotelle da dietro e cominciò a spingerla per il corridoio, ignorando le proteste di Ardof quando un ragazzo o una guardia nella folla gli urtava la gamba.
Il tempo passato a farsi largo tra quei corpi sembrò infinito, poi, finalmente, la guardia ne uscì e spinse il ragazzo verso una porta marrone scuro, che aprì senza troppa cura, rivelando una stanza in cui erano state posizionate cinque coppie di banchi da due posti ciascuno e, proprio davanti alla porta, una pedana su cui era stata appoggiata una scrivania pesante, forse di noce, su cui erano poggiate delle file di libri.
Ardof rimase allibito a quella vista.
- Mi state prendendo in giro? Sono in una scuola? Cioè, ho dovuto mollare tutto quel che avevo, ho viaggiato come un dannato, sono quasi morto e tutto questo per tornare a scuola? Ditemi che è uno scherzo!-  disse incredulo alla guardia dietro di lui, ma questa si era già volatilizzata in mezzo al caos generale che dilagava nel corridoio.

Ahahah! Che faccia! E cosa si aspettava? Uno sgabuzzino degli allenamenti?
Che sospetto idiota.
Cosa pensavi ti aspettasse in un posto come questo?
Io e te diventeremo grandi amici, ogni momento libero ti starò addosso, non voglio perdermi una tua mossa, ho proprio bisogno di ridere un po’.


Ardof prese un respiro e tristemente entrò nella stanza, prendendo posto dietro al quarto banco, che ancora nessuno aveva occupato.
Intanto, si guardò intorno.
Già cinque ragazzi si erano seduti, con lui sei, tre umani e tre elfi, quattro ragazze e due ragazzi.
Non ci volle molto perché l’aula si riempisse totalmente.
Nel posto accanto a quello di Ardof si sedette un elfo dai capelli scuri, con l’armatura verde e un cucciolo di drago nero al seguito, come tutti in quella stanza, del resto.
Nessuno dei due guardò l’altro per più di qualche secondo, perché la loro attenzione venne attirata dall’uomo che chiuse la porta dietro di se con un sonoro botto.
Non era anziano, come dimostravano i capelli e la corta barba scompigliata neri, ma Ardof aveva l’impressione che avesse vissuto molti anni di più di quanto il suo viso non desse a vedere.
Si sedette alla scrivania, passando in rassegna i libri davanti a lui con studiata lentezza, poi alzò lo sguardo sulla classe immobile e annuì soddisfatto.
Si alzò nuovamente dalla sedia e diede un colpo di tosse per schiarirsi la voce, o attirare l’attenzione. O forse tutt’e due le cose.

Cosa? Dove sono finito? Non pensavo ci fosse il circo oggi.
Signor presentatore, tra quanto arrivano le belve? Cosa? Oh, siamo in una classe… sa, non l’avevo capito, ma a quanto pare neanche lei ne era al corrente…
Dannazione, la solitudine forzata mi sta facendo impazzire. Ho bisogno di parlare con qualcuno di vero, oltre le voci nella mia testa… se avessi una testa…

- Salve a tutti voi e benvenuti nel Palazzo della Mezzanotte. – la sua voce era dolce e dura allo stesso tempo, un miscuglio che non si poteva spiegare a parole. – Voi tutti siete aspiranti Cavalieri dei draghi o Domatori dei draghi. Questo edificio vi ospiterà per poco più di cinque anni, giusto il tempo per apprendere l’arte della scherma, della magia, della strategia militare, delle scienze naturali e della filosofia. Poi toccherà a voi decidere che indirizzo intraprendere, se Arti magiche, ovvero approfondire lo studio della magia in tutte le sue forme; Insegnamento alle nuove generazioni di Cavalieri e Domatori; Perfezionamento nell’arte militare, scherma e strategia; o Protezione e supervisione dei territori. Più o meno funziona come una scuola del vecchio mondo. Spero vi ricordiate tutti come funzionavano. Adesso faremo l’appello, quando verrete chiamati siete pregati di alzarvi in piedi e dire “Presente”, intesi? Così sarà più semplice per me memorizzare i vostri volti. Neghyj, lei è esonerato per ovvie ragioni.-  L’uomo tirò fuori da uno dei cassetti della scrivania un grosso libro rilegato di pelle marrone e, aperto alla prima pagina, cominciò a leggere ad alta voce.
- Avger Bredu -  
- Presente -  
- Cedef Fartek -  
- Presente -  
La cosa, capì Ardof, sarebbe durata a lungo, visto che erano una quindicina abbondante nella classe.
- Court Rodney. Erkot Pronde. Gorly Derli. Lortey Gherda. Loreki Trado. –
Il cuore di Ardof perse un colpo quando sentì il nome dell’amico, si provò a girare per vedere se era davvero lui, ma la sedia a rotelle gli impacciava i movimenti.
- Nafghe Fiynaz. Neghyj Ardof. Perfado Codero. Povasto Rilphax. Redra Sadrofea. Setsifa Cotef. Vergy Frida. Tocsin Vago. E Zatui Dasca.-

Setsifa Cotef? E cos’è uno scioglilingua? Ragazzo, i tuoi genitori ti volevano proprio male.

- Bene, ci siete tutti. Ora vi spiegherò come funzionano i cinque anni che passerete qui. Innanzi tutto ci sono tre classi indipendenti: Mare, Piana e Monti, quest’ultima è la vostra. Cercate di avere meno contatti possibili con le altre classi, perché verranno addestrate in modo diverso dal vostro, essendo il primo anno che adottiamo questa tecnica, cerchiamo di capire quale sia il percorso migliore da seguire. Secondo: per i primi due anni voi e i vostri draghi sarete allenati separatamente, quindi vi prego di lasciare i vostri compagni agli stallieri.-  A quelle parole tre guardie entrarono con altrettanti carrelli, in cui mettevano i cuccioli man mano che gli allievi glieli porgevano.
Ardof cedette il suo davvero a malincuore.
Intanto il professore stava passando tra i banchi, consegnando una copia del libro che teneva sulla scrivania a ogni ragazzo. - Terzo: - riprese. – questo sarà il vostro testo di Teologia, Lingua, Lingua del Potere, Storia, Matematica, Scienze, Filosofia, Fisica e Strategia per i prossimi cinque anni, quindi abbiatene cura!-
L’uomo tornò a sedersi.
- E, infine, le lezioni si svolgeranno sempre allo stesso modo, al mattino studi in classe, al pomeriggio esercitazione con scherma e tiro con l’arco nel piazzale esterno. Nei prossimi anni potreste essere chiamati per una missione nelle terre e solo in quel caso e in quello di malattia sarà perdonata la vostra assenza. La mensa è al piano terreno. Tutto chiaro?-
- Si.-  risposero in coro voci incerte.
- Ora comincerà la lezione.-
Il professore prese un ultimo, profondo respiro, per poi tornare a parlare con quella sua voce così singolare.
- Innanzi tutto, voi tutti avete la pelle di una delle vostre mani tinta di un colore insolito, quella a cui si è attaccato il guscio dell’uovo, per la precisione. Non preoccupatevi, non è niente di pericoloso, è solo il… contratto che avete firmato con il vostro drago, un marchio di ciò che siete diventati. Questa nozione è propedeutica al prossimo argomento, preparatevi per la vostra prima lezione di magia. La magia, così come si è manifestata dal Cambiamento, è controllata dai pensieri e può essere incanalata in vari modi attraverso dei, cosiddetti, catalizzatori, per voi sarà più semplice espellerla attraverso la mano che è entrata in contatto con il guscio. Usare la magia non si limita al semplice pronunciare un incantesimo o concentrarsi su qualcosa. Ognuno di voi possiede nel proprio corpo una riserva di un'energia particolare, che chiameremo mana, ed è questa energia che permette alla magia di manifestarsi, guidata da determinate formule. - il professore fece levitare la cattedra incantando la classe, ma nessuno si accorse del velo di sudore che imperlò la fronte dell’uomo. - Io ho sollevato lo scranno con la magia, ma ho prelevato una parte del mana contenuto nel mio "serbatoio" personale. Parte che poco alla volta verrà reintegrata naturalmente dal corpo. Tutto chiaro finora? Domande?-  
Una mano si alzò dal primo banco. - C'è un limite al numero di magie che uno può usare?-  era una voce femminile.
- Naturalmente. Per ognuno questo limite è diverso, ma sempre migliorabile. Nel momento in cui la riserva del mago raggiunge un livello critico, mago in questione può svenire, entrare in uno stato comatoso o persino morire. Ricordatevi anche, ragazzi, che tutto quello che vi sto dicendo deriva da esperimenti fatti durante il breve periodo che ci separa dal Cambiamento. Molto probabilmente, più avanti, qualcuno verrà a spiegarvi più nel dettaglio ciò che io, ora, posso solo accennarvi.-  
Ardof alzò la mano.
- Si?-
- Lei ha detto che un mago può migliorare, come?-
- Da quanto si è capito finora, la riserva di mana utilizzabile, di questa energia vitale, possiamo anche chiamarla, è come un muscolo. Possiamo paragonarla al nostro cuore. più la riserva è allenata, più mana potrà contenere e più velocemente si ristabilirà il livello ottimale di energia dopo il lancio di un incantesimo.-  
- Che cosa possiamo fare con la magia?-  chiese un altro.
- Potete sollevare, muovere, trasformare oggetti utilizzando i quattro elementi. Parlare, a diversi livelli, con il pensiero, la telepatia, però, è per lo più una questione di allenamento e predisposizione. Vedere e parlare con persone lontane... insomma, quasi qualunque cosa la vostra fantasia possa partorire. Vi provo a dare dei paletti: potete fare qualsiasi cosa che sia, anche solo vagamente, naturale. Se la vostra mente può immaginare un motivo minimamente plausibile per cui una cosa avvenga, la magia può farlo. Prendiamo in esempio la cattedra che prima ho fatto levitare, io ho utilizzato i venti: ho pensato che, con una spinta sufficiente dal basso verso l'alto questi sarebbero bastati per sollevare un qualsiasi oggetto, e così è stato. Potreste addirittura salvare una persona dalla morte, se arrivate prima che l'anima si sia interamente distaccata dal corpo, con una scossa elettrica potreste rimettere in funzione il cuore. Ovvio che non potreste riportare un'anima sulle Terre una volta che questa ha lasciato il corpo, perché non esiste in natura una forza sufficiente per esaudire la vostra richiesta. Queste regole basilari dovrete conoscerle a memoria. Un’ultima cosa, i draghi si distinguono in Draghi d’acqua, di fuoco, d’aria e di terra. Questo non dipende solo dal colore ma anche dal fatto che un cavaliere troverà più facile modellare l’elemento del suo drago, piuttosto che gli altri, questo però non comporta l’accantonare gli altri tre.-
Una campana suonò tre volte, indicando la fine della lezione. Il professore, prima di uscire disse rivolto alla classe. - Questa sera dovrete ritrovarvi tutti nello spiazzo davanti alla scuola, dove è stato predisposto il campo da scherma, per la vostra iniziazione.-  
Durante le altre tre lezioni della mattinata Ardof imparò le parole più facili della Lingua del Potere, il linguaggio che permetteva alla magia di compiere qualcosa e grazie a queste imparò come guarire piccole ferite o accendere fiammelle e fuochi fatui per illuminare l’ambiente. Non era molto, ma rimaneva comunque affascinato da ciò che poteva fare, senza neanche sapere la grammatica della nuova lingua che avrebbe dovuto studiare.
Non appena la campana suonò la mensa, Ardof approfittò della confusione per prendere da parte Trado.
- Senti un po’, tu ed io dobbiamo farci una chiacchierata.-
- Ardof, ma che bello vederti qui! Allora che mi dici, tutto bene? Che hai fatto per finire su una sedia a rotelle? Oh! Aspetta un attimo… Ciao Fata…-  guardò dietro l’amico e fece l’occhiolino a una ragazza che stava per uscire in quel momento dalla stanza.
- Ma che ti salta per la testa, neanche ti conosco! Vieni qua che te le faccio vedere io le fate…-
Ardof si girò faticosamente, facendo perno su una delle pesanti ruote della carrozzina, trovandosi dietro l’elfa che aveva già incontrato nell’altro palazzo, al suo polso, scintillante, notò il rompicapo risolto con cui l’aveva vista destreggiarsi il giorno precedente.
Aveva appena ritrovato uno degli amici migliori che aveva mai avuto e già doveva tirarlo fuori dai guai, almeno in quello non era cambiato.

In ogni caso, non penso che Numero 23 volesse scodinzolare per la felicità di aver ritrovato un amico.
Per me, qui ci esce un cazzotto.

- Senti… Frida, giusto? Adesso è il mio turno, dopo è tutto tuo. Va bene?-  
- Fa come vuoi…-  l’elfa se uscì dall’aula visibilmente irritata.
- Amico, non ti conviene metterti contro di quella… è una vipera, quando vuole… praticamente sempre. Te lo dice uno che le è rimasto seduto vicino per quattro lezioni. Non vi consiglio un’esperienza simile.-  disse un ragazzo umano a Trado, fermandosi dietro ad Ardof, cosicché lui dovette girare nuovamente la sedia a rotelle.
- Scusa, vorrei parlare con lui un attimo in privato. Posso?-  disse il ragazzo nell'armatura rossa, stringendo tra le dita le ruote in legno.
L'umano dall'armatura bianca se ne andò con un'alzata di spalle.
- Certo che puoi.-  disse un altro, ancora comodamente seduto al suo posto in prima fila. La prima cosa che Ardof notò di lui fu la singolare discromia negli occhi del ragazzo in bianco: il sinistro era verde brillante come uno smeraldo puro, mentre il destro era talmente nero che non si riusciva a distinguere dove finisse l’iride e iniziasse la pupilla.
- Che fai lì?-
- Aspetto.-
- Che cosa?-  
- Che la mandria passi.-  
- Quale man…-  la parola gli morì in gola quando un gruppo di ragazzi corse per il corridoio verso la mensa.
- Ora posso andare, a dopo. E… amico, il ragazzo di prima ha ragione. Non è molto socievole la tipa.-  detto questo se ne andò con tutta calma.
- Che gente strana che c’è qui dentro. Non trovi?-  chiese Trado sorridendo, mentre il suo sguardo seguiva i passi del Cavaliere che stava oltrepassando la porta.
- Non cambiare discorso. Ora stammi bene a sentire…-  
Ardof perse un minuto buono per dire a Trado quanto gli fosse mancato e quanto fosse arrabbiato con lui perché non gli aveva neanche scritto.
Trado incassò in silenzio, senza fare ulteriori commenti o battute, o semplicemente di giustificare le proprie azioni.

Mah, secondo me non lo sta nemmeno ascoltando.

Quando Ardof ebbe finito il suo monologo i due scesero al piano terra, dove  la mensa occupava un salone di diverse decine di metri quadri. Qui erano stati portati una quindicina di piccoli tavoli da quattro persone e quattro lunghe tavolate, di cui una era riservata agli insegnati.
Ardof e Trado si sedettero a un tavolino in un angolo, lontano dalla confusione generale e dagli schiamazzi.
Sembrava che tutti avessero preso posto, quando, dall’ingresso, comparve Frida, l’elfa che Ardof aveva incontrato nel Palazzo del Mezzogiorno. - Eccoti qua, essere viscido, figlio di un orco. Bada bene a non provarci mai più con me, perché ti faccio rimpiangere ogni singola parola che ti è uscita dalla bocca nella tua vita… è libero questo posto?-  e si sedette senza attendere la risposta. Ardof rimase a bocca chiusa. Forse stupito che l’elfa avesse addirittura preso posto con loro solo per insultare il suo amico.
L’elfa continuò a minacciare Trado in ogni maniera immaginabile finché un inserviente non arrivò portando due piatti.

Comunque gli sta facendo un favore. Quei due stanno imparando decine di nuovi insulti, molti dei quali estremamente coloriti.
Neppure credo di poter dire di conoscerne così tanti…


- Ah! Finalmente il tuo vocabolario si è esaurito!-  esclamò una voce alle spalle di Ardof.

Ahahah! Che cos’è oggi? Il mio compleanno?
Numero 23 sta impazzendo a forza di dover girare la sedia a rotelle per vedere chi è che gli parla alle spalle… letteralmente.


Due occhi discromici luccicarono divertiti davanti a quelli del ragazzo appena voltatosi.
- Ne conosci di paragoni… complimenti. Vi chiederete chi sono io. Beh, Vago, piacere. E voi siete Ardof, Frida e Trado. Evitatevi le domande, non ho poteri incredibili, ho solo una buona memoria.-  Vago si sedette al posto vuoto e prese a guardare i volti stupiti degli altri con un sorriso da bambino divertito.
- Direi che tutte le domande importanti te le sei già fatte da solo e… ti sei anche risposto. – disse Ardof – ma, se posso permettermi…-  
- Che nome è Vago? È un nome di quattro lettere. Che nomi sono Ardof, Frida e Trado posso chiedervi io.-  
Ardof non seppe come continuare il suo discorso, poiché Vago si era posto da solo la domanda che lui voleva fargli, ci rimase ancor peggio per la risposta ricevuta.

Numero 34 è uno dei sospetti più interessanti che mi sono stati affidati, beh, subito sotto a Numero 2. Credo siano gli unici che ho messo sulla lista dei ragazzi da continuare a seguire volentieri.


Per tutto il pranzo, Frida non smise di insultare Trado, paragonandolo agli oggetti e agli animali più brutti e inutili che le venivano in mente, mentre Vago continuava a guardarli, sorridere e scuotere la testa.
Appena il pranzo finì, Ardof si rinchiuse nella sua camera, aprì il grosso libro che gli avevano dato e lesse le prime tre pagine della sezione Teologia, lo studio delle divinità. A quanto pareva, volevano a tutti i costi convertirlo alla religione che dilagava in quelle terre.
Lesse che quello stesso testo era stato scritto da un’eremita che, sulle vette dei monti che dividevano il lato occidentale da quello orientale del continente, aveva avuto una visione sulla creazione dell’universo, o almeno era quello che sosteneva. Recitava:

“All’inizio era il Nulla.
Dal Nulla nacque un uovo grigio.
Quando l’uovo si schiuse ne uscirono cinque entità:
Il primo, Il Fato, creò la carta, la penna e l’inchiostro e si rinchiuse in isolamento per scrivere il destino di tutti coloro che sarebbero venuti, ma non volle renderli sue marionette, per cui scrisse solo le mete più importanti di ognuno, in modo che il viaggio intrapreso per raggiungerle fosse del tutto a carico dei mortali. L’intrecciarsi dei destini dei mortali costituì una fitta tela di storie ed eventi, su cui si potevano leggere gli eventi del mondo, nacque così la Trama del Reale.
La seconda entità, il Dio della Terra usò il guscio dell’uovo per plasmare i pianeti, creando valli e monti, in modo che qualunque creatura avesse calpestato quelle terre ne sarebbe rimasta incantata e intimorita.
La terza entità, la Dea dell'Aria, scelse i pianeta più belli che Terra avesse plasmato e li avvolse in numerosi strati d'aria diversi tra di loro, in modo che chiunque l’avesse respirata potesse gustarne il sapore e l’aroma.
La quarta e la quinta entità si misero a lavoro assieme, poiché estremamente simili nella loro diversità. Il Dio del Fuoco riempì l'interno cavo di pianeti più belli di ruggente fuoco, scavando poi all'interno delle montagne create da terra di modo che il suo elemento potesse fuoriuscire dal sottosuolo e rendersi visibile agli occhi di qualsiasi creatura; la Dea dell'Acqua riempì le valli più profonde con le sue acqua più trasparenti, creando poi delle sorgenti all'interno delle montagne non scelte da Fuoco, in modo che le giovani gocce potessero, dopo un lungo viaggio in cui sarebbero maturate, ricongiungersi alle più anziane.
Il buio era assoluto e nessuno avrebbe mai potuto vedere la bellezza del Creato, solo le sporadiche fontane di fuoco rischiaravano le terre. Allora, Fuoco e Aria si misero d’accordo e insieme crearono palle di fuoco che sarebbero rimaste per sempre sospese nei cieli a rischiarare il Creato; su una di esse costruirono anche una reggia, utilizzando i più bei minerali che la Terra offrì loro. Fecero quindi in modo che i pianeti vi ruotassero intorno, in modo da non lasciare per le eternità un lato rovente e uno nella gelida ombra. Con la creazione della palla di fuoco nacquero anche due dee gemelle: una amministrava la Luce e l’altra l’Oscurità.
Le acque e le terre del pianeta più bello cominciarono a scontrarsi in violente battaglie per avere più spazi dove prosperare, così i due dei che su di essi comanfavano furono costretti a scendervi per porre un rimedio. In questo soggiorno i due dei si accorsero di tre difficoltà: la prima era la totale oscurità che calava quando la palla di fuoco scendeva sotto l’orizzonte, la seconda era la totale mancanza di vita sulle terre, mentre la terza era l’impossibilità di continuare il lavoro di dei e contemporaneamente quello mantenere la pace fra gli elementi. Decisero quindi di creare due servi e dare loro il compito di mantenere la pace, scelta che fu ben presto condivisa anche da Aria e Fuoco. Plasmarono quindi una palla di roccia e acqua che seguisse il pianeta e illuminasse le terre e i mari durante il periodo di oscurità, qui vi costruirono un palazzo. Lasciarono quindi i quattro servi a controllare gli elementi mentre i due dei tornavano dal Fato, che ancora scriveva. Quella sera si unirono a loro quattro dei: i due gemelli Spazio e Tempo e, in seguito, fratello e sorella generati dalla guerra e dalla pace, il primo Ordine e la seconda Caos.
Tutto il Creato era incantevole, specialmente i pianeti su cui i quattro Dei degli Elementi si erano concentrati, ma nessuno li avrebbe potuti abitare e meravigliarsi di cosa contenesse.
Tre dei, Terra, Acqua e Aria decisero di creare qualcuno per popolare le terre, crearono quindi piccoli esseri semplici, ma questi si rivelarono troppo piccoli e imperfetti per poter ammirare ciò che li circondava.
Plasmarono poi le piante, con cui rinverdirono valli e monti costituendo boschi e foreste. Quando ebbero finito non furono soddisfatti del loro operato, poiché le piante e i piccoli esseri non si potevano guardare intorno e non vedevano il loro operato; quella sera, però, si unì a loro una dea bellissima e dalla voce melodiosa, il cui nome era Natura.
Aria, Acqua e Terra cercarono di convincere Fuoco a infondere nelle loro piccole creature la fiamma della vita e lui, nonostante non fosse completamente d’accordo nel lasciare il controllo materiale su quei bei pianeti a degli esseri non divini, si lasciò convincere. I quattro però si accorsero che per un obiettivo di simile portata i loro semplici poteri non sarebbero stati sufficienti. Fuoco decise quindi di permettere anche agli altri tre Dei l'accesso alle sue fucine, in modo che ognuno di loro potesse forgiare da sé la propria arma da utilizzare come catalizzatore e potenziatore di energia: a Fuoco l’Alabarda Dardeggiante, ad Aria l’Arco di Bora, ad Acqua la Spada degli Abissi e a Terra la Mazza delle Vette. Aria diede quindi ad alcuni degli esserini creati precedentemente le ali, cosicché potessero librarsi nei cieli, Acqua creò molte varietà di pesci che potessero dominare le acque marine e Terra, invece, modificò alcuni di quegli esseri, adattandoli alla vita nei vari biomi presenti sui pianeti più belli. Fuoco infuse, in ognuna di queste creature, la fiamma della vita e della conoscenza. Al loro ritorno nei Cieli, i quattro Dei trovarono due novità ad attenderli: la prima era che il Fato aveva terminato di scrivere ed ora teneva sotto una delle quattro braccia un libro, rilegato in nero e con il titolo in lettere d’oro, mentre la seconda era che i sette Dei Minori, generati durante la creazione, avevano preparato per gli Dei Maggiori un luogo di pace in cui poter svolgere i propri compiti. Era un luogo irraggiungibile per qualunque essere materiale, un’enorme parco che ospitava alberi e fiori di mille specie diverse, al cui centro s’innalzava una volta a crociera altissima di una materiale che passava dal bianco al trasparente salendo verso la sommità invisibile. - Questa, Maggiori, è per voi. Questa è la Volta degli Dei.- disse Natura, la più intraprendente tra gli dei minori.
Gli Dei videro il loro Creato crescere e prosperare per anni, videro molti Dei Minori comparire e scomparire dalla Volta, andando di pari passo con le religioni che li creavano. Si accorsero a malapena del declino degli elementi su uno dei pianeti più belli, chiamato Terra dai suoi abitanti. Convocarono quindi i quattro servi, che arrivarono bardati da battaglia con l’armatura e l’elmo, come il giorno in cui li avevano plasmati. - Diteci, cosa succede sul Creato? Perché gli elementi si ribellano?- chiese Fuoco.
Fu il servo dell’Acqua a rispondergli. - Le vostre creature pretendono da noi aiuto. All’inizio erano poche le richieste, ma col passare del tempo sono aumentate a dismisura, rendendo impossibile per noi aiutare tutti e conciliare gli elementi.-
- Questo è un grosso problema. – disse il Fato – dobbiamo trovare un rapido rimedio non solo per voi, ma anche per le creature. Non devono diventare dipendenti dai vostri servi. -
- Una soluzione c’è. – disse il servo dell’Aria – dovete allontanarci dalla Terra.-
- Possiamo farli soggiornare nei palazzi sulla Luna e sul Sole. – disse Terra – sarebbero abbastanza vicini da controllare gli elementi ma comunque lontani dalle creature.-
Tutti assentirono. Fu in quel giorno che i quattro servi lasciarono la Terra, quelli del fuoco e dell’aria per la reggia sul sole, quelli dell’acqua e della terra per quella sulla luna.
Qui ho riportato fedelmente la visione che ebbi in un giorno d’estate sulla cima del Flentu Gar nel periodo delle Grandi Migrazioni, mentre i nani s’incamminavano verso una vita di lavoro sotto le montagne e gli elfi creavano floride città nella foresta che si estende davanti a me.
Come mi si presentò questa visione vidi anche un simbolo, che racchiudeva tutto ciò che gli Dei sono: un pentacolo, una stella a cinque punte che indica il legame tra ogni Dio primigenio e gli altri; questo è circondato da un cerchio, che rappresenta Natura, tramite e muro tra gli Dei Minori e i quelli Maggiori. Infine, al di fuori del cerchio, è posto un esagono, ai cui vertici stanno gli Dei Minori. In questo simbolo io vidi la perfezione.”

Una lettura interessante. Qualche passaggio è un po’ fantasioso, ma il concetto di base c’è… sì, è quasi tutto corretto.
A parte il fatto che il Fato non si rinchiuse in isolamento, ma stette a criticare per tutto il tempo della Creazione il lavoro degli altri.
Ah, sì… non mi ha menzionato.
Sono un po’ offeso.
Quei montati dei Servitori vengono elogiati e non c’è nemmeno una nota a piè di pagina che parla della mia razza.
Sarà meglio che vada a fargli di nuovo visita quando questa missione sarà finita, sempre che il vecchiaccio sia ancora vivo.


Quel pomeriggio vennero portati nello spiazzo di terra brulla che separava il palazzo dalle mura di cinta. Si misero in riga, sull’attenti, aspettando che qualcuno gli venisse a spiegare cosa avrebbero fatto lì.
Il professore che gli andò incontro era alto e robusto, con le spalle larghe e i capelli tagliati in pieno stile militare. Indossava una cotta di maglia che a ogni suo movimento tintinnava come un sacchetto di monete.
- Io sono il Generale Gibber, comandante delle forze di difesa di questo istituto. Vi allenerete sotto la mia supervisione e dovrete sempre eseguire ogni mio ordine. Oggi vi affiderò la spada che sarà la vostra compagna di vita, perché dove il vostro drago non potrà arrivare sarà il suo acciaio che vi proteggerà. Neghyj, tu sei atteso nell’infermeria, uno dei miei uomini ti ci porterà.-  
Una guardia prese la sedia a rotelle e cominciò a spingerla verso la parete del palazzo che si affacciava sul campo d’addestramento.
Contro la pietra della struttura che saliva verso il cielo erano state costruite tre piccole casupole in legno.
Nell’infermeria un uomo chiese ad Ardof di togliersi le braghe e raccontargli cosa gli fosse successo.
Il ragazzo obbedì e prese a spiegargli di come il lupo gli avesse morso il polpaccio durante la loro lotta.
La gamba era gonfia e violacea, dai buchi dove i denti dell’animale erano affondati nel suo muscolo stillava un liquido trasparente.
- Beh, sei stato fortunato. Non c’è che dire… Non sono in molti quelli che possono dire di essere sopravvissuti a un incontro così ravvicinato con un Athur, il grande lupo grigio che popola questa foresta. Non è solo la sua forza che deve spaventarti, ma anche la sua saliva, sai? Gli Athur possiedono una saliva che contiene una sostanza simile al veleno delle vedove nere e delle vespe, in un soggetto normale questo è quello che può succedere, - e fece un cenno alla gamba – ma se si è allergici è la fine. Ora rilassati, ti farà meno male quando avrò finito.-  
Il guaritore posò le mani sui buchi lasciati dai denti e cominciò a recitare una nenia cadenzata. Ardof sentì la magia attivarsi, eliminando le tossine, riparando i tessuti e sgonfiando i muscoli infiammati. Una nebbia rosea si levò dalla pelle, disperdendosi nell’aria.
- Dovresti camminare per domani, per stasera potresti già reggerti in piedi.-  gli disse l’uomo infine.
Ardof lo ringraziò di cuore e spinse la sedia a rotelle fuori dalla baracca. Qui la guardia lo stava aspettando per riportarlo fino all’armeria, dove studenti e istruttori erano intenti a cercare la spada giusta per ognuno di loro tra decine e decine di rastrelliere addossate le une alle altre senza regola.
Si avvicinò un uomo con i capelli brizzolati e la faccia smunta, indossava i guanti e la cotta di maglia. Farfugliò qualcosa al soldato dietro ad Ardof che, dopo aver risposto con non più di tre parole, si allontanò verso un angolo dell’armeria.
L’uomo diede uno sbuffo, cominciando a spingere lentamente la sedia.- I guaritori non si annoieranno con voi, uno della classe della Piana è riuscito a farsi cadere addosso una rastrelliera piena di spade, è diventato un puntaspilli… Comunque, sono qui per la tua spada. Devi sapere che scegliere una spada non è un compito facile, prima di tutto non deve essere né troppo lunga da darti fastidio, né troppo corta da non servirti. Poi l’elsa… sapevi che ci sono decine di tipi di else diverse? Ognuna per adattarsi a uno stile di combattimento, di mano, di forza... Eccoci.-  l’uomo lo aveva portato davanti a una delle prime sezioni dell’armeria.
- Riesci a stare in piedi?-  gli chiese.
- Si, credo… non posso però camminare.-
- Me lo farò bastare.-
Lo portò davanti alla parete di fondo del primo stabile dell’armeria, dove erano stati appoggiati decine di bastoni scortecciati.
- Vieni qui e tirati su.-  gli ordinò e il ragazzo obbedì senza troppe domande.
Appena fu in piedi, l’istruttore gli lanciò un bastone lungo circa settanta centimetri.
Ardof lo prese al volo e lo guardò con fare interrogativo, non sapendo assolutamente cosa farci.
- Prendilo in mano come fosse un spada. – gli spiegò l’uomo – Bene… ora fammi vedere una stoccata… un fendente obliquo… un’orizzontale. Bene, ora vediamo lo stile di combattimento.-
Prese un altro bastone e cominciò a menare fendenti verso Ardof, non troppo potenti da fargli male o costringerlo a muoversi ma pur sempre ben piazzati. Il ragazzo riuscì a pararne la maggior parte, ma alcuni riuscirono comunque a toccarlo.
Quello che gli sfiorò la gamba gli fece salire le lacrime agli occhi.
- Può bastare così. Andiamo a trovare una spada adatta a te.-  
Ardof si sedette con un sospiro di sollievo sulla sedia a rotelle e seguì l’uomo in un altro settore dell’armeria, dove centinaia di spade diverse riposavano sulle rastrelliere di legno.
- Allora una spada a doppio taglio, per poter affondare, infilzare e parare senza dover storcere il polso. – l’uomo passò in rassegna quattro rastrelliere prima di fermarsi davanti a una, dove si mise a cercare qualcosa in particolare – Intanto vieni qui e alzati.-
Ardof continuò a obbedire ai comandi dell’uomo senza fiatare.
- Prendi questa.-  disse porgendogli una spada lunga, dalla lama larga e con la guardia ricurva verso l’elsa.
Ardof la dovette impugnare con due mani, perché era troppo pesante, ma così facendo si punse il dorso della mano con la punta della guardia.
- Lasciala pure. Non fa per te. – gli disse l’uomo – Te ne sarai reso conto pure tu. Prima di tutto questo eri un contadino, vero?-  
- Si… chiamarmi contadino mi sembra un po’ troppo. Lavoravo con mio padre in una fattoria.-
- Lo dovevo immaginare. Questa è una spada che può andare bene per un boscaiolo o un minatore. A te ce ne vuole una diversa, dobbiamo cambiare sezione per qualcosa di adatto a te.-
Lo portò due gruppi di rastrelliere più a destra, dove un uomo stava dando una spada a un ragazzo in armatura bianca. Solo quando furono più vicini e il ragazzo lo salutò, si accorse che era Vago.
- Jenga. Mi passi un attimo quella lama? Mi serve per un confronto con uno spadone del secondo gruppo.-  
Ardof non capì cosa intendesse l’uomo, ma Jenga sembrò aver inteso il significato e gli porse la spada.
- Drake, questa lama è perfetta per questo ragazzo. Non distruggermela, per piacere.-
- Tranquillo. Che c’è, non ti fidi di me?-  
Dopo un altro scambio di battute Drake chiese ad Ardof di alzarsi nuovamente e gli diede in mano la spada di Vago. Gli chiese di mettersi in guardia e menare due fendenti a vuoto.
- Non ce n’è una come questa ma con due dita di lama in più?-  chiese Drake.
- Certo, ne ho vista una poco fa era… da qualche parte… qua!-  disse Jenga tirando fuori una spada da una rastrelliera in fondo.
- Perfetta… - disse Drake rigirandosela tra le mani. – Ragazzo, prendila e mettiti in guardia. Tu, lì - riprese rivolgendosi a Vago - vediamo se è proprio la tua spada, quella… vieni qui e prova due colpi a piacere sul tuo amico, solo non costringerlo a muoversi.-  
Vago si riprese la spada e si mise in guardia a sua volta, per poi far scattare la lama verso il fianco di Ardof senza preavviso. Il ragazzo impugnò meglio l’elsa della sua arma e la mise sulla traiettoria dell’altra. Il colpo gli fece scivolare le dita, ma non cedette. Vago piegò il braccio che impugnava l’elsa e fece scivolare la lama verso l’alto.
Ardof vide il movimento e cercò di intercettarlo mettendo la guardia fra lui e la lama.
Non appena il guardamano toccò il filo dell’altra arma le sue dita persero la presa e il Cavaliere rosso lasciò andare l’elsa.
Vago fermò la lama della sua spada a un soffio dalle costole del compagno.
Ardof era sicuro che uno che prendeva per la prima volta una spada in mano non poteva fare movimenti così precisi. L’altro Cavaliere doveva aver già tirato di spada, in passato.
- Bene. Notevole. Complimenti Jenga, gli hai trovato per davvero la spada giusta… Per il mio penso che anche tu abbia capito dove sta il problema…-  
- Si. La lunghezza della lama è quella giusta, ma non riesce a muoverla con abbastanza velocità usando una mano sola.-  
- Quello che pensavo io. Ha i polsi troppo rigidi per poter usare una mano sola. Direi che ci vuole un’elsa a una mano e mezza… Almeno.-  
- Direi anche a due mani. Non riuscirà mai a combattere con lo scudo. Tanto vale dargli una lama con quattro dita in più di lunghezza e con un’elsa da due mani. Altrimenti se vuole combattere con lo scudo ci vuole uno stiletto o un fioretto, armi leggere comunque.-  
- La pensiamo allo stesso modo, quindi. Grazie Jenga, ti lascio al tuo lavoro.-  
Appena Jenga e Vago se ne furono andati Drake si sedette sui talloni e guardò Ardof senza dire una parola.
- Preferiresti andare in battaglia con o senza scudo?-  gli chiese dopo una lunga pausa.
- Uno scudo può sempre servire, ma se per averlo devo usare delle armi troppo leggere rischio di più di quanto farei andando solo con una spada. Sbaglio? Io non ho mai usato una spada, non so come funziona…-  

Ma che domande sono da fare a un ragazzino? Sono l’unico che pensa che l’unico al posto giusto, qui, sia io? Ed al momento sono una voluta di fumo senziente.
Maledizione.
Chiedere se preferisce combattere con o senza scudo a un sedicenne che dal Cambiamento non ha fatto altro che piantare sementi in un campo mi sembra la seconda cosa più stupida da fare in questo caso.
La prima sarebbe mettersi in mutande a ballare in mezzo alle rastrelliere, per chi se lo stesse chiedendo.

- Bene! Ho deciso! Allora, lasciami cercare un attimo che forse ho quello che fa per te. Ricapitolando: doppio taglio, elsa lunga da due mani o più, lama lunga da attacco e da difesa…-
Drake continuò a ripetere la lista sottovoce mentre passava in rassegna tutte le rastrelliere. Ardof si sedette sulla sedia a rotelle e si massaggiò la gamba destra che aveva ricominciato a formicolargli.
- Allora, - disse Drake senza alzare la testa dalla marea di spade davanti a lui – come ti trovi qui, al Palazzo intendo.-  
- Che c’è da dire? Non avrei mai pensato di tornare ancora a scuola dopo il Cambiamento.-  
- Hai anche ragione, ma penso che ne valga la pena per ciò che ti aspetta. Capirai meglio andando avanti con i tuoi studi e… questa scuola non è poi tanto dura, vedrai appena cominceranno a mandare i ragazzi in missione da una parte o dall’altra delle terre. Al contrario di quello che si pensa noi non siamo qui solo per controllare il re, abbiamo anche altri incarichi che vi terranno occupati per un bel po’. Tieni questa, dimmi: come la senti?-
Ardof prese l’arma che Drake gli stava porgendo. - È pesante sulla punta, ma con l’elsa così lunga riesco a tenerla bene con due mani e non ho problemi a sollevarla.-  il ragazzo la fece roteare un attimo per dare forza alle sue parole.
- Bene. Allora aspetta un attimo che ti prendo il fodero di Pyra e ti spiego due cose. Poi potrai andare dai tuoi compagni.-  
Drake scomparve per un minuto dietro l’armeria, per poi ricomparire con un fodero marrone in braccio.
- Allora, che ti stavo dicendo? A si, certo. Questa spade sono tutte di fattura nanica, superiori in tutto e per tutto alle spade umane o elfiche. Non dovrai preoccuparti di poterla sbeccare, scalfire o graffiare, perché è stata fatta con una lega di Mithril, un materiale quasi indistruttibile molto simile all’acciaio, in questo particolare caso è stata aggiunta una percentuale di polvere di diamante, per garantirne la solidità. Oltre a questo, non può prendere la ruggine o perdere il filo. Quindi non sarai mai costretto a pulirla o affilarla dopo ogni allenamento. Un’ultima cosa e puoi andare: devi appoggiare la tua mano destra sul diamante incastonato nell’elsa.-  
Ardof si tolse il guanto destro e appoggiò la mano carminia sul diamante. Sentì subito un piccolo senso di stanchezza, come se la gemma gli stesse succhiando della forza vitale come se fosse una magia, ma fu una sensazione di un attimo. Appena tolse la mano dal pomello della spada notò che il diamante era diventato un rubino, al cui interno si poteva distinguere una fiammella tremolante.
- Benissimo, con questo è tutto. Puoi andare dai tuoi compagni.-  
Ardof mise la spada nel fodero e spinse la sedia a rotelle per tutto il campo d’addestramento, fino alla fila che si andava formando davanti alla facciata principale del palazzo.
Non appena si fu messo in riga con gli altri, qualcuno lo chiamò.
- Ardof! Ardof! Da questa parte!-
Il ragazzo si girò e vide il viso di Vago con quel suo immancabile sorriso tra l’ironico e il bambinesco spuntare tra i ragazzi. - Allora, com’è perdere? No, seriamente, non ti ho distrutto il polso, vero? Subito non mi era venuto in mente di chiedertelo.-  
- No, tutto a posto. Per fortuna. Comunque ne riparliamo appena mi rimetto in piedi.-
- Ci conto. Comunque prima c’era la tua amichetta che… voleva chiederti qualcosa…-  disse girandosi e cercando qualcuno tra i ragazzi. A un certo punto fece un fischio e tornò a guardare Ardof.
- C’è Frida che voleva chiederti qualcosa…-
- Ardof! – lo interruppe l’elfa – Solo una cosa: quello che ti ha guarito non era un Cavaliere, vero?-
Il ragazzo pensò un attimo alle mani dell’uomo - No, era solo un mago. Perché, scusa?-
- Perché mi ha dato fastidio che oggi ci abbiano spiegato come si guariscono i lividi...perché giustamente nel bel mezzo di una battaglia, quando avremo tagli o arti mozzati, ci metteremo sicuramente a guarire dei lividi!-  
- E poi dicono che io sono fuori. Senti, - le disse Vago – va già bene così. È pur sempre il nostro primo giorno. Vedremo cosa ci faranno fare nei prossimi mesi e poi potrai dire tutto quello che vorrai. Chissà da quant’è che si esercita quell’uomo… o donna.-
- Speriamo ci insegnino qualcosa di più utile, come cicatrizzare delle ferite, magari. - aggiunse poi Frida, sbuffando.
Quando alla fine arrivarono tutti, Gibber si mise a camminare per tutta la lunghezza della fila, facendo scorrere il suo sguardo su tutti i ragazzi.
- Per oggi va bene così. Andate nelle vostre stanze, lavatevi, vedete di pulirvi bene perché questa sera verrà da noi il re per la vostra iniziazione e noi non possiamo permetterci di sembrare sciatti agli occhi di chi dovrebbe temerci. Intesi? Fatemi sentire un signorsì, signore come si deve!-

Sciatti? Sciatti! Ma dove sono finito? In una sfilata di moda?
Cos’è questo un corpo armato o una banda di modelle viziate?
E dai, uno come Gibber non può cadermi su queste cose, non può dare l’impressione di essere un generale di ferro e poi uscirsene con una considerazione da stilista frustrato.
Ho bisogno di una vacanza da tutto questo. Appena finisco questo incarico chiedo un permesso a Loro.
Ho bisogno di allontanarmi da questo concentrato di idiozia.


- Signorsì, signore.-  urlarono i ragazzi all’unisono.
- Bene, potete andare.-
Ardof andò spedito verso la sua camera, dove si lavò con l’acqua ancora tiepida del catino. Alla fine, dopo essersi rimesso l’armatura leggera, riprese il libro di testo e ripassò le congetture dell’eremita dei Muraglia sulla creazione dell’universo.
Era comunque una letteratura migliore di quella che aveva a casa, una lista di tasse da pagare e gli elenchi della spesa.

Quella stessa sera, i futuri Cavalieri e Domatori di Draghi vennero portati direttamente al campo d’addestramento, dove il generale Gibber si spese in molte raccomandazioni e spiegazioni su ogni passaggio della cerimonia.
Ardof riuscì ad arrivarci sulle proprie gambe, seppur zoppicando e con il costante bisogno di qualcuno a cui appoggiarsi.
Al campo di terra battuta i ragazzi vennero divisi per elemento.
Il Cavaliere in rosso si ritrovò nel primo gruppo a sinistra, con Trado tre file avanti e due colonne a destra. Dall’alto dovevano sembrare quattro quadrati colorati affiancati.
Il ragazzo cominciò a sudare sotto l’ancora caldo sole autunnale, tentò di sistemarsi l’elmo e spostò il peso sulla gamba sinistra. Non essendo ancora abituato al peso della spada sospesa al fianco perse per un attimo l’equilibrio, ma nessuno parve farci caso.
Da qualche parte qualcuno tossì.

Deve esserci una legge naturale, da qualche parte, che impone ad almeno uno dei presenti, in momento di silenzio, di tossire o, in presenza di neonati, di piangere e strillare a squarciagola.
Natura doveva aver pensato che fosse una cosa divertente, quando la impose.

Il grosso portone delle mura si aprì ed entrò un uomo con un lungo mantello rosso che gli svolazzava alle spalle e una corona d’oro tempestata di gemme gli ornava la testa. Al fianco portava una spada con l’elsa d’argento.

Ha ovviamente dei grossi complessi di inferiorità per conciarsi in quella maniera con il caldo soffocante di questa sera, per non parlare della sua povera cervicale, costretta a sopportare quella coroncina da due soldi.
Magari due soldi d’oro grossi come le ruote di un carro, ma comunque due soldi.


Ardof piegò il capo, ma non si inginocchiò al re, come del resto tutti i suoi compagni, dopotutto, come aveva detto il Generale, il Re doveva temerli.
L’inferriata si chiuse.
Il re camminò con il mento alto tra le due ali di guardie dalle armature scintillanti e crepuscolari, fermandosi poco distante dai professori, con i quali scambiò qualche parola.
Altri dieci minuti senza che nessuno muovesse un muscolo o dicesse una parola.
Ardof aveva i capelli attaccati alla fronte, con le ciocche incollate sugli occhi per colpa del sudore.
Più di una volta si ritrovò a oscillare.
Poi, finalmente, l’inferriata si riaprì e ne entrò un uomo magro, con indosso una tonaca marrone e con la testa calva bruciata dal sole ornata da una barba candida.
Percorse tutto il tragitto tra le guardie a passo lento, senza quasi accorgersi che i soldati tutto intorno a lui si inginocchiavano al suo passaggio.
Quando arrivò dai professori e dal re disse non più di tre parole e strinse la mano al reggente. Poi si girò verso i giovani che aspettavano in piedi.
Non appena si fu voltato i ragazzi estrassero le spada, le piantarono nella terra e vi si inginocchiarono dietro. Come ultima cosa si tolsero gli elmi, appoggiandoli tra le gambe e l’arma.

Quante cose sbagliate in un'unica scena.
Davvero, Fato? Davvero hai voluto affidare a un uomo del genere il compito di rivelare la verità sul panteon primigenio?
Dai, guardalo. Si è montato la testa.
Finirà tutto malissimo, se quello si convince di essere uno davvero importante.


L’uomo alzò la mano destra come per benedirli e disse con voce roca. - Voi oggi riempite il mio cuore di gioia, siete la realizzazione di un sogno, il sogno degli dei! Furono loro ad ispirarmi tutto questo con una visione, quando ero in meditazione sui nostri Monti Muraglia. Ora che vi ho davanti vedo che il loro disegno è veramente perfetto. Ora ho bisogno di sapere se siete davvero pronti per tutto quello che vi aspetta. Domatori elfici, manterrete i vostri obblighi nei confronti dell’Ordine e di tutte le popolazioni che vi riconosceranno? Giurate davanti a questi testimoni di mantenere la pace anche a costo della vostra vita o quella del vostro drago?-  
- Si.-  risposero all’unisono gli elfi.
“ Cos’altro potevano rispondere? – si chiese Ardof. – No, guardi, io preferirei andare in vacanza al mare…”

Finalmente ti sei svegliato ragazzino. Bene, meglio tardi che mai.
Ma facciamo una cosa, da adesso lasciale a me le battute, il mio sarcasmo ha avuto giusto qualche millennio per affilarsi.


- E voi, Cavalieri umani, manterrete i vostri obblighi nei confronti dell’Ordine e di tutte le popolazioni che vi riconosceranno? Giurate davanti a questi testimoni di mantenere la pace anche a costo della vostra vita o quella del vostro drago?-  
- Si.-  rispose Ardof insieme a tutti gli altri umani.
- Bene. Avete la mia benedizione. Che l’ardimentoso Fuoco, la leggiadra Aria, la savia Acqua e l’imparziale Terra, insieme alla guida severa del Fato, veglino sempre su di voi.-  concluse l’uomo.

Ardimentoso Fuoco?
Uno: che diavolo di parola è ardimentoso?
Due: sai di chi stai parlando? Fuoco più che ardimentoso è una testa calda. E non solo perché ha i capelli in fiamme venticinque ore al giorno.
Comunque sbrigati, ho ancora dodici sospetti sparsi tra città e paesi da controllare, non posso perdere la serata ascoltando le tue manie di grandezza; vorrei inoltre ricordarti che sei lì solo perché c’era bisogno di qualcuno che associasse i Cavalieri agli dei, non dimenticartelo.
Se non abbassi la cresta, la prossima visione che ti provocherò non sarà piacevole come la prima.

La funzione finì poco dopo. Con la ripartenza del re e del fondatore dell’ordine verso le rispettive dimore, il primo nella Rocca delle Due Razze, il secondo sulle alte vette dei Monti Muraglia, in perpetua contemplazione. 

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Capitolo 6
*** Capitolo 5: Guerra e Draghi ***


 Passarono così molti mesi, giorno dopo giorno Ardof cominciò a capire i più sottili usi della magia e dell’arte della spada, in parallelo alle altre materie più o meno utili che riempivano le sue giornate.
Fu chiamato solo una volta in missione come Cavaliere, a dispetto di quello che gli aveva promesso Drake il suo primo giorno.
Durante quell’uscita, ebbe inoltre la sfortuna di doversi muovere con il freddo delle notti che occupano la fine inverno.
Uscì dal palazzo la mattina presto, con il giaccone avvolto sull’armatura che gli avevano impostavano di portare. Poco distante dalla porta della guardiola, uno dei soldati in armatura crepuscolare lo attendeva tenendo Zefira per le briglie.
Quello scelto per la missione era un gruppo composto da cinque ragazzi, compreso lui, e dal generale Gibber. Ultimamente, dei briganti avevano cominciato ad attaccare i convogli dei mercanti e questi si erano rivolti all’Ordine per avere protezione.
Ardof si accorse quasi per caso che erano tutti umani.
Aveva sentito che alcune persone facevano ancora distinzioni tra elfi e umani e richiedevano gruppi solo dei primi o dei secondi, ma si era convinto che fossero solo voci infondate messe in circolazione.
Il gruppo di Cavalieri si prese ancora un paio di minuti per controllare che i finimenti dei rispettivi cavalli fossero stati stretti a dovere, per poi partire al galoppo verso sud, in direzione di una delle tre grandi città portuali umane.
Gibber l’aveva nominata solo una volta: Derout.
Ci impiegarono cinque giorni di cavalcata serrata solo per arrivare al punto d’incontro con il mercante.
L’uomo aveva tre carri pieni delle merci più disparate da portare fino a Liun, la città elfica più a sud.

A quanto pare, al nostro caro mercante non piace essere scortato dagli elfi ma non si face scrupoli a prendere i loro soldi.
Mi sono sempre piaciute le persone coerenti.


Il mercante volle partire la sera stessa, senza lasciare al gruppo di Ardof il tempo di riprendersi dal lungo viaggio d’andata.
Ad Ardof venne affidato il fianco destro del carro di coda e lì dovette stare senza mai smontare dalla sella di Zefira per tre giorni, quando, finalmente, il mercante si decise ad ascoltare le parole del generale Gibber e a far fermare il convoglio in una piana vicino a un tratto del Vrag, non molto distante dalla sua ultima biforcazione.
La gelida notte passò tranquilla, con solamente il verso dei gufi a rompere il silenzio. Ardof si sedette lentamente su di un ceppo, pronto a cominciare il suo turno di guardia, le mani, intanto, gli corsero alle sue cosce, ora costellate di vesciche sanguinolente. Dai suoi palmi parve fuoriuscire un piacevole tepore, tanto intenso da superare gli strati di stoffa e ferro che aveva indosso e raggiungere la carne martoriata, facendo richiudere i piccoli tagli nati dalla cavalcata.

Incredibile, alla fine ha davvero usato un incantesimo il cui unico scopo è quello di guarire le vesciche. E la gente dice che non sono utili magie del genere.

Il giorno seguente arrivò comunque troppo presto e la carovana si dovette rimettere in viaggio, trascinandosi avanti con una lentezza esasperante attraverso le ore del giorno.
Il Cavaliere cremisi si accorse quasi per caso, quel pomeriggio, di un uomo solo, ritto in mezzo alla piana.
Gli ci volle un attimo, poi, per capire quello che stava facendo. Aveva un dito puntato contro la carovana e Ardof giurò di averlo visto muovere la bocca.
Non ebbe neanche il tempo di chiamare il generale, agì puramente d’istinto, puntò la mano verso l’uomo, le parole nacquero sulla sua lingua quasi autonomamente.
- Destari jionn! “ Fuoco colpisci!”- una freccia di fuoco si formò dal palmo schizzando poi verso l’uomo e andandolo a colpire esattamente nel petto, trafiggendolo.
Era il primo incantesimo di offesa che gli avevano insegnato.
L’uomo cadde a terra e per poco non fece lo stesso il ragazzo.
Aveva ucciso una persona con una facilità disarmante.
E se avesse sbagliato?
Se non fosse stato un mago?

Tranquillo ragazzino, era un mago anarchico… pessimo abbinamento. Soprattutto visti i suoi precedenti con l’uomo che stai scortando.
Sapevi che prima del Cambiamento il tuo mercante era uno strozzino? E si, e aveva mandato in bancarotta quel povero diavolo che tu hai fatto fuori.
Poveraccio.
Ma, tranquillo, se può farti star meglio hai fatto bene il tuo lavoro.


- A rapporto! Subito! Chi ha fatto cosa?- urlò Gibber dalla testa della carovana.
Ardof spronò la cavalla ad aumentare il passo per raggiungerlo, stupendosi per l’ennesima volta di quanto Zefira fosse resistente.
Non appena si fu accostato al generale gli cecò di spiegare l’accaduto.
- Signore, Ardof Neghyj, lato destro dell’ultimo carro. Ho visto sulla piana un uomo puntare un dito verso la carovana e parlare da solo. Un mago probabilmente. L’ho colpito con un incantesimo di fuoco.-
- Bene. Hai fatto una cosa degna di nota e la riferirò ai tuoi superiori, ma la prossima volta chiedi il permesso prima di ripetere un’azione simile. Intesi?-
- Signorsì, signore.-
- Puoi tornare alla tua posizione. Manderò qualcuno a controllare il cadavere.-
Fortunatamente il Fato sorrise alla carovana e non si dovette ripetere una cosa del genere per tutto il resto del viaggio fino a Liun e, da lì, fino al Palazzo del Mezzogiorno.
Ardof non avrebbe mai creduto di poter essere così felice nel rimettere piede nella sua stanza.

Due anni, tra lezioni che spaziavano da uno studio sempre più approfondito della magia alla scherma, passarono rapidi come il battito d’ali d’un colibrì, arrivò infine il giorno che ogni studente all’interno di quell’alto edificio scuro stava aspettando sin dal primo giorno di quella vita.

Che diavolo di ellissi temporale è questa?
Mi ero ripromesso di non interferire con la Trama del Reale ma questo è troppo. Dopotutto se il Fato non avesse voluto che noi ci impicciassimo nel tessuto della realtà non ci avrebbe dotati, tra gli altri, del dono di leggere l’universo.
Ora faccio vedere io a questo narratore onnisciente dei poveri come si fa a fare un’ellissi degna di essere chiamata tale.
Allora: Era uno schifo, va bene? Tutti questi poveracci hanno passato gli ultimi due anni chiusi nel Palazzo della Mezzanotte a studiare cose che non gli serviranno mai nella vita, magia e un po’ di scherma.
L’unica cosa che rende degno di nota questo giorno in particolare è che finalmente il suo addestramento passerà a un altro livello.
Visto? Non era poi così difficile.
Ora me ne esco dalla Trama del Reale, che mi viene mal di testa ogni volta che ci entro a farmi un giro.

Al suono della campana che sanciva la fine dell’orario del pasto, Ardof e i suoi compagni vennero portati in una sezione del campo d’addestramento resa completamente sgombra. Drake, Gibber, Jenga e altri sei uomini che il ragazzo aveva visto solamente di sfuggita in quegli anni li fecero mettere i riga vicino alla parete del Palazzo.
- Finalmente potrete ricongiungervi ai vostri draghi. – disse Drake facendo un passo avanti, addosso portava la solita cotta e i guanti di maglia che tintinnavano a ogni suo movimento – Questa sarà anche una prova per voi. La prima cosa che dovrete fare è riconoscere il vostro compagno, la seconda è dargli un nome nell’antica lingua. Tutto ciò servirà a rafforzare il legame tra i due. Quindi, se siete tutti pronti, che i draghi atterrino!-
Due uomini chiusero gli occhi e puntarono il volto al cielo.
Ardof provò una punta d’invidia verso di loro, stavano senz’altro comunicando attraverso i loro pensieri con i draghi o con gli istruttori che li stavano guidando, inoltre, ci volevano anni di allenamento per riuscire a rendere la propria mente sufficientemente forte per poter mandare anche solo piccole istruzioni e lui era ancora lontano da quella meta.
I ventidue draghi atterrarono, schierandosi per colore. Bianchi, azzurri e blu, rossi e arancioni, verdi e marroni.
Il Cavaliere carminio riconobbe il suo compagno alla prima occhiata, non poteva che essere il drago rosso scuro con una lunga cicatrice sul muso. Il sesto da destra.

Difficile non riconoscerlo con quel marchio sulla testa. Tanto valeva mettergli un cartello intorno al collo.

- Andate!- li incitò Drake.
Il ragazzo partì verso il suo drago più veloce di quanto avrebbe voluto, rimanendo immischiato nel resto della massa.
Gli ultimi passi li fece incerti.
Il drago, il suo drago, era molto più grande di quanto non si fosse aspettato e solamente rimanendoci vicino si sentiva in soggezione.
Mosse lentamente le gambe, cercando di superare la paura che l’animale gli incuteva, avvicinandoglisi al muso e guardandolo in uno dei grossi occhi rubino.
Le sue dita corsero alla cicatrice, appoggiandovici sopra e sentendo le dure squame in rilievo lungo la scanalatura chiara. Il drago in tutta risposta si sdraiò, rivelando una sella simile a quella di Zefira, incastrata tra due spine cervicali grosse quanto il braccio del Cavaliere.
Il collo della creatura protese in avanti, permettendo all’appuntita estremità del muso di toccare il petto del ragazzo.
- Quindi alla fine non sono riusciti a fare niente per questa dannata cicatrice, vedo. Mi spiace.- disse guardando l’animale nell’occhio e passando l’indice per tutta la lunghezza della scanalatura.
Si sentiva male, sapeva che era colpa sua se un’animale così fiero era rimasto sfregiato.
“Non l’hanno neanche guardata quella cicatrice. Non so neanche se l’abbiano notata.” Gli rispose una voce calda.
Ardof si guardò intorno, intimorito da quella presenza che avvertiva vicina.
Nessuno lo stava guardando, o, almeno, nessuno con quella voce. - Chi ha parlato?- chiese intimorito.

Tuo zio.
Pensaci un po’, chi può essere stato? Cresciuto si, ma svegliato ancora no, vero?


Il drago carminio produsse un verso strano, come se qualcosa gli fosse andato di traverso.
Di nuovo la stessa voce riprese. “Cosa vi hanno insegnato sui draghi in quella scuola?”
- I punti di forza e quelli deboli. Più tutte le capacità che hanno. Perché?- rispose Ardof guardandosi intorno.
“Nessuno vi ha mai parlato del contatto empatico?”
- No. Che cos’è? Un’altra capacità dei draghi?-
“Più o meno. Ogni drago stringe un legame con il suo Cavaliere o Domatore. Un legame che si manifesta esteriormente con la mano che assume il colore delle squame del drago, ma non solo. L’umano o l’elfo che si legano a un drago acquisiscono, oltre alla capacità di avvicinarsi più facilmente alla magia e a un allungamento notevole della vita, la capacità di sentire i pensieri del proprio drago. Come tu stai facendo ora.”
- Quindi sei tu? Cioè io… ti sento i pensieri?-
“Si. Ora, tornando alle cose serie, mi devi dare un nome. Senza di quello mi sento né più, né meno che un mero animale.”

Bah, questo mi sembra un po’ esagerato.
Ti dico per esperienza personale che se per uno o due secoli nessuno ti chiama con il tuo nome, quello perde di significato.
E poi molto spesso i soprannomi sono molto più incisivi e appropriati di un semplice nome. Non per niente per tutti sono diventato soltanto il Viandante, nessuno, oltre il Fato che me lo diede, ha bisogno di conoscere il mio vero nome.


- Si… certo, certo. Ora ne trovo uno… Dammi solo un minuto.-
Ardof pensò a ogni parola nella Lingua del Potere che conosceva, ripassando intanto quel che sapeva del drago e quello che aveva passato durante il viaggio tra i due Palazzi. Non molto dopotutto.

Non è stata una furbata separare cuccioli e Cavalieri immediatamente, appena arrivati. I due non hanno avuto il tempo di stringere un legame abbastanza saldo.


“Mi piace quello…” disse il drago.
- Ma non te l’ho ancora detto!-
“Con il contatto io riesco a sentire delle parti dei tuoi pensieri.”
- Quindi potremmo parlare con il pensiero, noi due?-
“Solo se tu riuscirai a allargare la tua coscienza fino alla mia.”
- Comunque, davvero ti piace quel nome?-
“Si… Erdost. – si ripeté assaporandolo – Salvezza Segnata. Mi sembra una parola inventata solo per me.”
- Erdost, posso salirti sulla sella?-
“Certo, è lì per te. Non permetterei a nessun’altro di salirci.”
Per tutta la durata della lezione, Ardof stette sul dorso del suo drago, senza mai ascoltare davvero quello che il capo stalliere diceva. Perdendosi ogni dieci secondi nei riflessi delle spine cervicali o delle squame rosse del drago.
Alla fine del pomeriggio il ragazzo guardò con le lacrime agli occhi il suo drago volare verso est, perdendosi tra i corpi dei suoi simili. Avrebbe preferito potersi librare in aria con lui, almeno una volta.
Non voleva lasciarlo andare, aveva assaporato per un paio d’ore la sensazione di avere qualcuno davvero vicino e non voleva perderla così presto.
Fu una stilettata ancor più dolorosa quando, alla fine della giornata, gli si avvicinò il generale Gibber con sguardo serio.
- Prepara il mantello. Domani mattina dovrai partire per una missione ai piedi dei Muraglia. Avrai più informazioni domani all’ingresso.-
Aver visto il proprio drago per così poco tempo e dover subito ripartire rese il suo umore nero.

Non capisco se questo sia un cattivo scherzo del Fato oppure semplicemente sfortuna, ma perché devo preoccuparmi? Tanto riderei della comicità della cosa in entrambi i casi.

Uscì dalla propria stanza il mattino seguente ancor prima che il sole potesse filtrare dalla sua finestra, in modo da non trovarsi immerso nel mare di ragazzi.
Nel corridoio gli si avvicinò uno del secondo anno, il mantello che portava appena appoggiato sulle spalle copriva a stento l’armatura blu acceso.
Lo salutò con un cenno del capo e accelerò il passo, vedendo i primi studenti che uscivano dalle stanze.
Il Palazzo della Mezzanotte ospitava tre annate, più o meno sessanta ragazzi per anno, e quando i corridoi si popolavano la mattina e la sera diventava impossibile muoversi.
Arrivò davanti all’inferriata e fece un cenno ai soldati di guardia, che la sollevarono quanto bastava per far uscire i due ragazzi.
Fuori dalle mura Gibber li stava aspettando con altri nove ragazzi, due uomini senza il mantello e cinque cavalli, tra i quali Ardof riconobbe Zefira. Una delle ragazze della spedizione la conosceva anche, erano stati promossi al grado di capo-spedizione praticamente assieme e si erano più volte incontrati alle riunioni dei gradi più alti.
Era un’umana e doveva chiamarsi Niena Garvà, se ben ricordava.
La ragazza dai corti capelli neri lo salutò con un sorriso appena abbozzato.

Come dimenticare Niena?
Era Numero 2 della mia lista di sospetti… comunque meglio per me, con due ragazzi assieme devo fare un viaggio di controllo in meno al giorno.
E poi, non mi dispiace dover passare con lei un po’ di tempo.
Non so come, ma sento delle vibrazioni positive in lei… ma questa è un’altra storia e ve la racconterò con calma davanti a un fuoco.


- Bene. Questa è una missione di scorta divisa su due livelli. Dovrete andare a prendere uno scienziato a Vinat, la città umana più a ovest, e scortarlo fino a Gyun, il villaggio più a est della metà occidentale delle terre. Intesi? I due livelli saranno la scorta a cavallo con cui il nostro scienziato dovrà viaggiare e una scorta di riserva, sui draghi. – Gibber scoccò un’occhiata a Niena e ai tre ragazzi appena maggiorenni che Ardof non aveva mai visto, non aveva auto molte occasioni di incontrare persone delle altri classi parallele alla sua. – I draghi serviranno solo come sentinelle e, solo in caso di assoluta necessità, come animali da trasporto. Non vogliamo far credere alla gente che serviamo solo a trasportare le persone da una parte all’altra. Garvà, tu capitanerai la squadra a dorso dei draghi e dovrai portare con te Mall per tenerti in contatto con Neghyj che capitanerà la squadra a cavallo. Tutto chiaro?-
- Signorsì, signore.-
- Partite.-
Ad Ardof venne il magone quando vide i suoi cinque compagni di viaggio salire sui quattro draghi e prepararsi al volo.
Il ragazzo accarezzò il muso della cavalla e le salì in groppa.
Data un’ultima occhiata ai ragazzi del primo e del secondo anno che, montati sui cavalli, attendevano un suo comando e assicuratosi che non ci fosse nulla fuori posto diede l’ordine di partire.

Mi sono tolto ogni dubbio. Questa è una dimostrazione dell’umorismo scadente del Fato.

Dopo la prima ora di viaggio il ragazzo si accostò al mago che cavalcava con il suo gruppo.
- Voglio vedere se attraverso di voi riesco a parlare abbastanza velocemente con il capitano lassù, digli questo: “ Niena, non darti troppe arie sul tuo drago che rischi di volare via.”-
L’uomo chiuse gli occhi e riferì il messaggio con un mezzo sorriso.
Per fortuna, anche lui aveva il senso dell’umorismo, si disse il ragazzo.

Wow. Nel profondo sto ridendo per questa incredibile battuta, ma bisogna scavare parecchio per arrivare così in basso.
Vi prego, dei, non fate rispondere Niena a tono, non posso sopravvivere a un’altra freddura, vi prego. Se mi esaudite vi pago una birra dai nani!


Ardof sentì una pressione alla base della testa e allentò le mura che gli proteggevano la mente.

Ti prego Niena, non…


“ E tu là sotto non alzare troppo la cresta che rischi di prendere un ramo.” Per lo meno, si disse il ragazzo, non sarebbe stato un viaggio noioso.

…Rispondere.
No! Perché mi fate questo? Sono un ragno attaccato al posteriore di una cavalla, dovevate proprio far peggiorare la situazione? Cosa vi ho fatto di male per meritarmelo?


Fu comunque un viaggio estremamente lungo ed estenuante.
Impiegarono sei giorni per arrivare a Vinat, dove trascorsero la notte per riprendersi dalla cavalcata, per poi ripartire con lo scienziato verso Gyun il mattino seguente.
L’uomo sosteneva di aver scoperto una nuova specie senziente che chiamava Homo-Alfa che, solo un paio di giorni dopo, scopri Ardof, era un mezzosangue tra uomo e un elfo.

Che gran scoperta… ammettiamolo, quell’uomo non è uno scienziato, è un furbo che, trovata un’ovvietà la vuole spacciare per verità scientifica.
La cosa triste e che può farlo.
C’è poco che io possa dire, se non che è decisamente un esemplare della specie Homo-Furbo.


Il viaggio si preannunciava particolarmente noioso, secondo le loro stime ci sarebbero voluti otto giorni per arrivare al villaggio ai piedi dei Muraglia, diventato come un ritrovo per le migliori menti in qualunque campo, e altri quattro per tornare al Palazzo.
Erano all’altezza di Liun quando Ardof sentì la solita pressione alla testa, prodotta da chi vuole entrare nella mente per poter parlare.
“A tutti i Capitani, questo è un messaggio dal Palazzo della Mezzanotte. Jingher, mi sente?”
Ardof riuscì a anche sentire una vaga e lontana risposta. “Si.”
“Neghyj e Garvà?”
“Si.” Rispose Ardof avvertendo tra i suoi pensieri anche la risposta della compagna.
“Vergy e Burre?”
“Si.” Risposero.
Ardof si sorprese. Non sapeva che Frida fosse partita per una missione.
Buon per lei, si disse. Probabilmente era stata convocata poco dopo di lui.
“Ermon?”
“Si.”
“Bene. Tornate immediatamente al Palazzo. Lasciate solo gli studenti del primo e del secondo anno a portare avanti la missione capitanati da un esperto in lettura della mente. Tutti quelli che viaggiano via terra lascino la propria cavalcatura nel maneggio più vicino in pensione e si faccia caricare su uno dei draghi dei suoi compagni. Urgenza alta.”
Ardof alzò il braccio e fece fermare Zefira. Spiegò velocemente ai componenti del suo gruppo la situazione e, staccandosi da loro, puntò Liun galoppando.
Non era la prima volta che una missione veniva troncata, ma non era normale che tutte quelle in corso venissero fermate insieme.
Quando Ardof lasciò la cavalla in una stalla di servizio dell’Ordine alla periferia della città, Niena fece atterrare il suo drago per permettere al compagno di salire in sella.
- Sappi che non ho mai cavalcato un drago!- urlò Ardof all’altro capitano davanti a lui.
- Davvero?-
- Ho avuto il tempo di dare il nome al mio e sono dovuto partire per questa missione.-
- Allora, tranquillo. Il più è il decollo. Una volta che il drago è in aria sembra di cavalcare un cavallo. Più o meno.-
- Come più o meno?!-
- Rilassati.- disse solo l’altra.
Il suo drago balzò verso l’alto, spiegando le ali verdi.
Solo quando furono in aria, con il muso della creatura che puntava verso il palazzo e il vento che gli soffiava sul volto, Ardof riconobbe l’utilità della visiera trasparente dell’elmo.
Alle loro spalle, i restanti componenti della squadra aerea volavano in silenzio.
- Secondo te è successo qualcosa di grave?- chiese Ardof, tentando di rompere il silenzio.
- Non credo, al massimo l’eremita ha deciso di farci visita. E poi sono sicura che non mi succederà mai niente di grave.-
- Come fai a dirlo? Infondo siamo soldati… più o meno. Comunque ci hanno preparati per il combattimento, nel caso ci fosse la necessità.-
- Tanto se te lo dico non ci credi.-
- Ho visto il Cambiamento e sono diventato Cavaliere dei Draghi. Penso di essere pronto a qualsiasi rivelazione.-
- Mi prenderai per matta, ma… Sono sicura di avere un angelo custode che mi segue. Più o meno due mesi prima del Cambiamento ho cominciato a notare delle cose strane…-
- In che senso strane?-
- Niente di eclatante, ma… per esempio animali che mi seguivano oppure che si giravano mentre passavo… o ancora persone che mi seguivano per minuti interi per poi sparire in un soffio. So che è strano, ma sono davvero convinta di avere un angelo custode che veglia su di me.-

Ops… colpa mia. Scusate.
Potrei essere stato un po’ distratto con lei… vabbè, meglio che pensi di avere un angelo custode, piuttosto della verità.
Certo, però, che me la ricorda veramente tanto…
Dopotutto sapere che un superstite di una razza estinta ti sta seguendo per conto di un organizzazione che lo schiavizza da secoli non è un pensiero rassicurante.

La prima cosa a cui fece caso fu che tutti i ragazzi erano scesi nel campo d’addestramento, la seconda fu l’enorme stormo che stava arrivando dai Muraglia.
Gli ci vollero ancora un paio di secondi prima di rendersi conto che quello era un gruppo di draghi in formazione.
Atterrarono poco lontano dalla folla e, mentre i tre ragazzi si univano agli altri studenti, Ardof, Niena e l’esperto di lettura della mente andarono a fare rapporto a Drake.
Quando ebbero finito si unirono alle rispettive classi.
- Ora che siamo tutti posso spiegarvi la situazione. Il generale Gibber al momento sta organizzando le truppe dei due Palazzi, io quindi ne faccio le veci. L’Ordine è tenuto a entrare in azione contro il re che non si sta occupando degli affari che richiedono la sua attenzione e sembra che stia ammassando un esercito alle porte della Rocca delle Due Razze. Tocca a noi intervenire per portare luce sulla questione e, se è il caso, usare il pugno di ferro. Tutti gli studenti del terzo anno verranno con noi professori e un contingente di guardie alla Rocca, quelli del secondo anno rimarranno qui a proteggere il Palazzo della Mezzanotte e quelli del primo anno faranno la stessa cosa con il Palazzo del Mezzogiorno. È per tutti chiaro quel che ho detto? Preparatevi!-
I minuti seguenti furono riempiti da una frenetica cacofonia di suoni, passi che correvano dentro e fuori dal palazzo e voci troppo alte che discutevano tra loro. La situazione non poté che peggiorare con l’arrivo dei draghi.
Ci impiegarono un’ora per terminare i preparativi per la partenza dei tre gruppi.
Ardof strinse le cinghie che gli avrebbero tenuto le gambe saldamente ferme sulla sella, poi, dopo un rapido controllo al suo equipaggiamento, si permise di guardarsi intorno.
Davanti all’ammasso di rettili multicolore che fremeva per poter partire, imponenti volatili dal lungo becco e dal piumaggio dorato erano atterrati ed ora, decine e decine di soldati in armatura crepuscolare si stavano stringendo su pedane in legno saldamente legate ai petti degli enormi uccelli, pronti a farsi condurre fino alla loro meta.
“Hanno solo un difetto.” Al Cavaliere ci volle un attimo per capire che era stato Erdost a parlare.
- E quale sarebbe?-
“Sono stupidi come pietre. Hanno sempre bisogno di qualcuno che gli dica cosa fare.”
- Meno male che non è un problema mio.- gli rispose massaggiandogli il collo muscoloso.
Il drago rispose con un basso gorgoglio di gola, che fece tremare Ardof sulla sella.
Drake, che aveva ormai assunto il completo comando dell’operazione, diede il segnale della partenza dalla testa del gruppo.
Una cinquantina di draghi spiccarono il volo insieme, riempiendo il cielo dei colori accesi delle loro squame e delle membrane delle loro ali.
Si disposero a rombo, con i quattro uccelli da trasporto in testa e i draghi dietro.
Da terra non dovevano neanche sembrare uno stormo, ma una nuvola multicolore, da quanto volavano gli uni vicini agli altri.
Ardof si chiese come facesse Erdost a non sbandare o a non toccare la punta delle ali dei draghi vicini che sbattevano a poche dita dalle sue.
- Senti, Erdost, devo recuperare le ore di sonno dell’ultima missione. Vedi solo di non farmi cadere…- il ragazzo si sistemò i piedi nelle staffe e appoggiò il torace sulla lunga sella, in modo da avere la testa abbastanza lontana dalla spina cervicale del drago carminio.
Si addormentò cullato dal battito delle ali del suo drago e dai movimenti costanti dei muscoli della sua schiena.
Viaggiarono due giorni quasi ininterrottamente verso sud-est, verso l’isoletta circondata dal Vrag su cui sorgeva la Rocca delle Due Razze.

Sai che incredibile viaggio… stretto tra decine di uomini sudati, per giunta rinchiuso dentro un armatura di ferro.
Se solo ci fosse quell’idiota di Gibber al posto di Drake li avrei potuti seguire come uccello, oppure mi sarei imbarcato su qualche drago… ma no! Devo viaggiare scomodo perché Drake percepisce la magia intorno a se!
Così devo far finta di essere un umano inconscio dei suoi poteri magici innati, invece che volare libero.
Ma infondo poteva andarmi peggio, se quell’uomo riuscisse anche percepire quanta energia magica è contenuta in un corpo non basterebbe allontanarmi di cinquecento metri per non farmi riconoscere.


Quando il Cavaliere vide la Rocca per la prima volta, questa era bagnata dalla calda luce serale di quel giorno d’autunno inoltrato.
Si fermarono poco più a ovest della loro meta per riposare e arrivare al meglio delle loro forze a destinazione.
Ardof scese dalla sella con le gambe rigide, facendo una passeggiata per il campo di tende, tutte rigorosamente delle guardie.
Essere un Cavaliere, dopotutto, dava il vantaggio di non avere necessariamente bisogno di un riparo, perché il drago poteva creare un rifugio con il proprio corpo.

Se è per questo essere una formica da il vantaggio di non aver mai bisogno di un riparo, visto che ci sarà sempre il drago di qualcun altro a coprirti. Ma che discorsi sono?
Ora… scusatemi soldatini ma io mi dileguo… Dietro a quel cespuglio, si… ecco… Non c’è nessuno qui intorno? No. E…
Ah!
Non cominciate già a pensare male. Ho solo cambiato forma.
Scusate solo un attimo ma devo sgranchirmi le ali… ecco, si… mi sembra adatta adesso la forma di corvo. Non prevedo niente di buono.
Penso che sia arrivato il momento di depennare qualche nome dalla mia lista…
Vabbè. Capita. Me ne farò una ragione.


Il Cavaliere cremisi trovò il ragazzo che cercava accucciato vicino al proprio drago bianco, con cui stava parlando.
- Vago! Tutto bene?- Gli chiese.
- Ardof! Buongiorno! Cioè, buonasera! Che mi racconti? Comunque tutto va come deve andare, ma in linea di massima si può dire che la vita mi sorrida, adesso.- gli rispose Vago spostando la sua attenzione dal drago al ragazzo.
- Noi due abbiamo un duello in sospeso, se non mi sbaglio. Adesso che ho le gambe a posto e la spada giusta vediamo chi sarà disarmato.-
- Non aspettavo altro. La sfida è arrivata due anni in ritardo ma la accetto comunque. Ringrazio gli dei. Non c’è proprio niente da fare in un accampamento militare se non parlare al proprio drago che, oltretutto, non ti ascolta neanche.-
Il drago bianco alzò una palpebra e fece un piccolo ringhio in direzione del suo Cavaliere, per poi tornare al proprio riposo.
- Benissimo. Allora tira fuori la spada che iniziamo subito.-
Vago sfoderò la sua spada con l’elsa da una mano, mentre Ardof snudò Pyra impugnandola con entrambe le mani.

Voi due! Aspettate solo un attimo!
Devo controllare solo che altri due sospetti siano arrivati e poi sono da voi!
Aspettatemi, eh?
Che poi questa sarà l’ultima occasione che avrò per vedervi.


Fu Vago a cominciare il duello, puntando contro il fianco sinistro di Ardof, come nel loro primo scontro. L’altro parò l’attacco senza difficoltà. Il Cavaliere bianco roteò il polso facendo passare la lama sotto la guardia nemica, quello carminio dovette indietreggiare per non essere trafitto dal colpo.
Ardof si rese conto che, continuando a difendersi, sarebbe stato disarmato. Nonostante fossero passati due anni, il Cavaliere bianco era ancora in vantaggio, per quanto riguardava la tecnica.
Cominciò ad attaccare, sfruttando la potenza di entrambe le braccia per far sforzare il polso dell’avversario.

E ti pareva? Non mi hanno aspettato.
Che ingrati.


Continuarono così per tutta la serata, Ardof guadagnava terreno quando riusciva ad attaccare, ma lo riperdeva quando era costretto a difendersi.
Alla fine, come per un tacito accordo, si fermarono insieme.
I due lasciarono cadere le spade e si sedettero sull’erba calpestata che aveva ospitato il loro duello.
- Penso… che la questione sia chiusa. – disse Ardof prendendo fiato – con la spada siamo pari.-
- Comunque se… se vuoi possiamo… rifarlo, qualche volta. Non troppo spesso però che… io ci lascio le penne.- gli rispose l’altro con il sorriso sulle labbra, la voce rotta dal fiatone.
Ardof si alzò reggendosi alla spada e, dopo averla infilata nel fodero, salutò l’amico e ritornò da Erdost, che lo stava aspettando sonnecchiando nello stesso punto dove l’aveva lasciato.
Per la notte il drago si arrotolò su se stesso, mettendo la coda vicino alla testa e lasciando vicino al ventre abbastanza spazio per farci stare Ardof.
Non appena il ragazzo si fu sdraiato accanto alla calda pancia del drago questo distese la sua ala membranosa sopra di lui, creando l’illusine di essere in una tenda di velluto rosso.
La notte, Ardof, la passò placidamente, era sicuro che non si sarebbe scatenata una guerra tra l’Ordine e il re, notizie come quella avevano raggiunto il Palazzo della Mezzanotte decine di volte, pressoché ogni anno. I professori dovevano aver scelto di intervenire per rassicurare la popolazione che loro erano attivi.
Probabilmente il re non si era reso conto di una strada in cattive condizioni o dell’abuso di potere degli esattori delle tasse.

Cinicamente potrei dirti anche di no, tra qualche ora tu morirai e la mia missione diventerà più facile da portare a termine, visto che così si delineeranno finalmente i sei ragazzi che dovrò pedinare da qui alle eternità, se mi va bene.
Quasi mi dispiace dovervi abbandonare, te in particolare, visto il carico di sfiga che ti porti dietro, ma ho una missione da seguire e il resto non mi interessa.
Addio, quindi.
Ora ho una stanza prenotata sotto uno dei draghi verdi, lo trovo più tranquillizzante come colore, sa di boschivo… magari mi faccio ospitare da Niena questa notte, mi piace sonnecchiare con la sua voce che canticchia in sottofondo…
Ha una bella voce lei, dovreste sentirla.
È una delle poche persone che mi spiacerebbe perdere in questa parte del mio viaggio. Ma non credo che me ne libererò molto facilmente, per una volta confido che gli dei abbiano scelto la persona giusta.

Mi sto rammollendo con l’età.


La mattina seguente il Cavaliere cremisi mise la coperta di lana nella bisaccia di Erdost e montò sulla sella, aspettando che Drake desse l’ordine di partire.
Il ragazzo vide i quattro grossi uccelli prendere il volo sbattendo le ali dal piumaggio marrone spento, subito seguiti dal drago arancione argilla che, aveva scoperto, apparteneva a Drake.
Il ragazzo non avrebbe mai detto che il professore potesse essere anche un Cavaliere, ma non si era mai posto il problema, dopotutto.
Erdost stirò tutti i muscoli della schiena, aprì le enormi ali e con un unico colpo si librò in aria. Altri due possenti colpi e drago e Cavaliere furono al di sopra delle chiome degli alberi che li avevano ospitati.
Ci volle un’atra ora perché il ragazzo riuscisse a cogliere ogni particolare della Rocca. La prima cosa che gli saltò all’occhio furono le dimensioni del maniero, la seconda fu il tipo di architettura.
Era un enorme pentagono, con un portone su ognuno dei lati, al cui centro si sviluppava una torre che sembrava andare a toccare il cielo.
Fu però il colore a sorprenderlo di più, aveva sentito che la Rocca era stata costruita con il marmo più bianco che la terra poteva offrire, ma quella davanti a lui aveva la base come lambita da un fuoco nero pece. Il leggendario candore era conservato solo nella parte più alta della torre.
- Chi l’ha costruita doveva essere davvero un bravo architetto… guarda come la torre sembra presa d’assedio da quelle fiamme nere.- disse ad Erdost.
“Non dovrebbe essere così. Nei due anni in cui ci hanno addestrati senza di voi mettevano alla prova la nostra resistenza facendoci volare in lungo e in largo per le terre dell’ovest. Ho visto la Rocca un paio di volte ma non è mai stata così. Ho paura che ci sia qualcosa che non va, guarda intorno alle mura.” Disse lui.
Intorno alla base pentagonale c’era un mare nero. Una distesa di figure color pece che restavano immobili in lunghe file accalcate le une alle altre.
“Neghyj, è desiderato dal generale Drake.” La voce gli rimbombò nella testa.
Erdost si alzò al di sopra dei suoi simili e si mise a sbattere le ali a ritmo più sostenuto per guadagnare velocità e arrivare in testa al gruppo.
- Neghyj, - disse Drake appena arrivarono – prendi questa e unisciti a quel gruppo là. Ma fai in fretta e non farti notare. È un ordine!- disse dandogli in mano una busta rossa sigillata.
Erdost piegò leggermente l’ala sinistra, virando a nord dove un piccolo gruppo di draghi si era radunato.

No…questo non è giusto.
Non posso lasciare che Niena vada incontro alla morte!
Perché non può mai andare una volta per il verso giusto? Devo fare qualcosa… ma cosa?
I miei sospetti si stanno allontanando, ma posso raggiungerli in poco… Cosa posso fare?
Niente. Di nuovo niente.
Maledizione all’impotenza di questa vita senza fini.
Mi dispiace, ma per te non posso fare nulla. Posso solo augurarti una morte indolore.
Mi mancherà la tua voce, così simile alla sua… Il tuo angelo custode non può aiutarti oggi. E non lo potrà mai più fare.
Perdonami.
Addio.
Sentimi, ti prego! Ti auguro un buon ultimo volo Niena Garvà, e anche a te, Savend.
Magari in futuro ci vedremo, nella Volta.
Dai, ora esci dalla formazione dei draghi e non guardarti indietro. È già successo altre volte, sai come fare…
È sempre piacevole sentire le piume calde ricoprire il mio corpo… le ali gonfiarsi sotto la brezza.
Fossi diventato un’aquila forse sarei riuscito a raggiungere il mio nuovo gruppo prima, ma la poiana da meno nell’occhio, quindi mi sono dovuto accontentare per amor di invisibilità.
Non sapevo che gli uccelli potessero piangere… beh, almeno ora lo so…
Maledizione!


Niena sentì un brivido lungo il collo. Come se una goccia d’acqua le si fosse infiltrata sotto l’armatura.
Forse aveva sentito qualcosa, poteva essere una cosa simile a un augurio.
Non le sarebbe successo niente. Lei, dopotutto, aveva un angelo custode a proteggerla.
Savend ebbe un fremito, ma non disse niente. Doveva aver sentito anche lui qualcosa, ma preferì tenerla per sé.

- Visto? Mi devi una cena.- disse qualcuno da uno dei quattro draghi davanti ad Ardof.
- Ardof! Ringrazio che Vago abbia avuto ragione.- Trado girò la testa in direzione dell’amico.
Conosceva tutti. Sui due draghi bianchi c’erano Trado e Vago, su quello marrone Codero, mentre su quello azzurro Frida imbronciata, che non perdeva di vista il gruppo di draghi che si stavano lasciando alle spalle. La mano sinistra stringeva convulsamente l’elsa del suo spadone.
- Chi vi ha detto di venire qui?- chiese Ardof senza capire il perché di quella manovra estrema da parte degli istruttori.
- Drake.- risposero gli altri quasi all’unisono.
Ardof non riuscì a trovare una spiegazione alla formazione di quella compagnia. Confidava che ci fosse la soluzione nella lettera che il professore gli aveva affidato prima di partire.

Te lo dico io il motivo della formazione di questa maledetta compagnia. Rovinarmi questa parte di vita.
Sessant’anni persi, come minimo.
E ora muovetevi, i cieli non sono il posto più adatto per un sasso incastrato tra le squame di un drago.
E… grazie, dei, per avermi di nuovo ascoltato.
Non basta quello che i mortali mi fanno, non basta che la mia vita, la mia intera esistenza venga asservita, no. No, voi dovete giocare anche con l’unica cosa di cui ho ancora il controllo, le mie emozioni.
Grazie.
Magari un giorno ricambierò il favore.
Maledizione. A tutti a voi.
E io che pensavo che non potesse andarmi peggio.

Intanto i cinque draghi continuavano a volare verso nord, senza sosta, incuranti dell’ostinato silenzio che aleggiava tra i tre Cavalieri e i due Domatori.
A loro volta, i rettili volanti non sembravano voler essere di molte parole.
L’unico rumore udibile, alla fine, fu quello del vento, che impattava sulle ali membranose e sui caschi. 

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Capitolo 7
*** Capitolo 6: Lettere d'espulsione ***


 Volarono verso ovest fino alla mattina successiva, per poi fermarsi in una radura tra le propaggini più orientali della Grande Vivente e le pendici dei Monti Muraglia già innevati.
- Dannazione! Non è giusto! – La voce di Frida, alterata dall’ira, riempì il silenzio che aleggiava tra i tronchi degli alberi vicini, facendo scappare in gran fermento tutti i piccoli animali che stavano su quei rami. – Loro sono là a divertirsi a espognare una fortezza e noi siamo qui a rigirarci i pollici come maledettissimi conigli che si nascondono nella loro tana. E sono pure l’unica ragazza!-  
- Se ci hanno mandato qui c’è sicuramente un motivo, non allontanano di certo dei combattenti a cavallo di un drago per masochismo. – le rispose Trado. Aggiungendo – Comunque si dice Espugnare.-  
Ardof, intanto, si era voltato per gustarsi la scena.
- Quanti problemi che vi state facendo! Passando alle cose un po’ più serie: io ho una lettera, volete istigarvi a vicenda per tutta la giornata o preferite sentire cosa ci hanno scritto i professori, magari capire perché siamo qui?-  chiese Codero ancora seduto sul dorso del suo drago verde.
- Io preferirei che continuassero ancora un po’. Dopo il viaggio che abbiamo ci siamo fatti, ho proprio bisogno di un po’ di intrattenimento. Mi sto divertendo un mondo, davvero. – rispose Ardof mentre toglieva le bisacce dalla sella sul dorso di Erdost. – Comunque anch’io ho una lettera, se lo vuoi sapere. Mi chiedo perché ce ne abbiano affidata più di una.-  
- Sono d’accordo con Ardof da entrambi i lati. Trado e Frida sono due comici incredibilmente dotati ed anche a me hanno affidato una lettera prima di partire. In ogni caso lasciamoli finire di litigare per conto loro, ho paura che chiunque si voglia intromettere in una loro discussione possa fare una brutta fine.-  s’intromise nel discorso Vago, smontando dalla sua sella con un balzo agile.
Non appena i due elfi si furono calmati, i cinque ragazzi tirarono fuori le rispettive buste. Ognuna era di un colore diverso dalle altre. Rosso rubino, Verde smeraldo, Bianco come la luna piena, Azzurro zaffiro e Blu come una notte senza né luna né stelle.
- Blu? Che senso ha il blu? Cioè, capisco gli altri quattro, ci trovo ancora un senso, ma blu? Nel senso, rosso fuoco, azzurro acqua, bianco aria, verde terra, anche se questa è un po’ tirata. Ma… Blu?-  Trado continuava a fissare Vago con gli occhi sgranati in attesa di una spiegazione verosimile ma, quando vide che quest’ultima non arrivava, riportò la sua attenzione sulle cinque buste.
In ciascuna busta c’era un unico foglio.
Tutte i messaggi iniziavano con le medesime parole.
“Domatori elfici, Cavalieri umani. Chiunque di voi stia leggendo questo documento deve essere ormai lontano dal fragore della battaglia. –
Frida sbuffò irritata, facendo scricchiolare la carta che teneva tra le dita.
– Queste lettere sono state scritte in modo che solo avendo tutte i fogli assieme si possa accedere al contenuto. Procedete leggendo una parola a testa.
Quello. Che. State. Per. Leggere. È. Conosciuto. Solo. Da. Poche. Persone. Meritevoli.. Questo. Mondo. Non. È. Stato. Creato. Per. Caso.. L’universo. Era. Mantenuto. In. Equilibrio. Da. Quattro. Dei. Maggiori:. Acqua,. Terra,. Fuoco,. Ed. Aria;. Ma. Ad. Assicurarsi. La. Stabilità. Degli. Elementi. Vi. Era. un’. Ulteriore. Entità. Il Fato,. il Destino.. Un. Dì. Un. Demone. Cercò. Di. Togliere. Di. Mezzo. Gli. Altri. dei.. Venne. Così. Esiliato. Sul. Nostro. mondo,. Provocando. Il. Cambiamento.. Ora. Cerca. Di. Prendere. Possesso. Del. Regno. Attraverso. L’uomo. Incoronato. Re.. Voi. Siete. Le. Incarnazioni. Di. Queste. Cinque. Divinità,. Incaricate. Di. Ostacolare. Con. Ogni. Mezzo. L’operato. Del. Demone. –
Le lettere si unificarono di nuovo, lasciando la possibilità ai ragazzi di leggerne il testo separatamente.
– Andate nelle terre dell’est e riunite le popolazioni contro il re. Non come Cavalieri e Domatori, poiché avrete ascolto solo da elfi e umani ma non dalle altre popolazioni, ma come “persone normali” con una missione, io vi tolgo quindi il nome di Cavalieri e Domatori. Siete così espulsi dal nostro ordine, poiché ora parlate a nome degli dei e del bene del nostro continente. Ora, andate! Se tra di voi qualcuno non si sente di intraprendere questo viaggio se ne vada, poiché nessuno di voi è indispensabile. Sappiate che probabilmente mentre leggerete questa lettera i vostri compagni saranno già caduti sotto i colpi dell’esercito del re.”

Wow. In un mondo in cui la magia è ovunque voi ricorrete a una frase, addirittura scontata dal mio punto di vista, frammentata in cinque lettere. Voi si che sapete come stare al passo con i tempi, davvero.
La prossima volta cosa farete? Manderete un piccione viaggiatore a recapitare la vostra posta?

Ce la farò ancora?
Se mi ci metto d’impegno magari in una notte riesco ad andare e tornare…
Maledizione!
Per una volta che ne ho veramente bisogno la Trama del Reale mi delude. Com’è possibile che non ci siano neanche degli accenni alla battaglia?!

- Ciao belli! – disse Trado gettando la busta per terra – Per me questo è troppo. Vi lascio, divertitevi, fate quello che volete, ma consideratemi fuori. È una cosa troppo grande per me. Non posso farlo, davvero. Non posso! Consideratemi un vigliacco ma… non posso. Io non sono un prescelto, o quella roba lì. Andiamocene Reicant.-
Il Domatore bianco rimise le bisacce al loro posto e salì sulla sella del suo drago, che si librò sopra le frasche e puntò a nord, verso il Bosco Nero. La parte più a est della Grande Vivente. Talmente fitto da essere costantemente ammantato dalla penombra.

No, complimenti.
Complimenti Trado per il tuo incredibile coraggio e  complimenti a voi, dei.
Davvero.
Siete riusciti a mettere insieme il gruppo di incapaci disadattati migliore di tutti i tempi.
E questi dovrebbero essere i nostri salvatori
 Un fifone, una ragazza con grossi problemi nel controllo della rabbia, uno che senza il vostro intervento sarebbe già morto nella Grande Vivente, un ragazzo senza personalità… seriamente, non potevate scegliere Niena al posto di quel Codero? Lui non era nemmeno tra i miei sospetti.
E poi c’è quel tipo, Vago, che sembra più un mio simile che un umano. E voi sapete quanto noi siamo poco affidabili.
A cosa stavate pensando quando li avete scelti?
Vorrei ricordarvi che non posso manifestarmi, quindi non potrò interferire con loro… otto, visto che l’impavido elfo bianco se ne sta scappando ancora prima di cominciare la missione.
Ah, no. È vero. Sono legato a un contratto con i mortali.
Devo seguirli tutti, così non potrò nemmeno andare a dare una sbirciata alla Rocca, perché così rischio di perdermene qualcuno.
Meraviglioso!
E sono ancora offeso con voi, quindi non contate in nessuna maniera su di me.
Per una volta terrò fede al mio ruolo, sarò un semplice spettatore. Non interverrò, non interferirò per nessuna ragione e non perderò nemmeno un occasione per farvi notare i vostri e i loro sbagli.


I quattro ragazzi rimasti crearono un piccolo accampamento per passare la notte.
Mentre Ardof e Vago montavano la grande tenda da otto posti che l’Ordine gli aveva comunque messo a disposizione, Frida andò a riempire le borracce al fiume vicino e Codero prese la legna per accendere il fuoco.
Intanto i draghi si erano spinti fin sui Muraglia sulle tracce di un branco di cervi da cacciare.

La mattina seguente si alzarono in volo puntando verso est, verso le alte montagne aguzze e il caldo sole autunnale.
Si addentrarono nella catena montuosa finché la notte e il gelo che scendeva con essa non resero impossibile il volo.
Erdost e i tre draghi atterrarono in una conca, in uno spiazzo libero dai fitti pini che ricoprivano il paesaggio.
Come la sera prima Frida si occupò dell’acqua, Codero della legna e Ardof e Vago si assunsero il compito di cucinare la selvaggina che i draghi avrebbero portato da lì a poco.
Il ragazzo in armatura rossa non aveva ancora aperto bocca quel giorno, né con i compagni di viaggio né con Erdost che rispettava il suo silenzio senza fare commenti. Per questo il ragazzo gliene fu grato.
Il Cavaliere approfittò del momento di solitudine per calmarsi un poco.
Si addentrò nella pineta vicina e si sedette contro la dura corteccia di uno di quegli alberi, a contemplare lo scorrere dell’acqua nel ruscello a fianco.
Rimase seduto in silenzio, ad ascoltare il gorgoglio tra le pietre e ammirare come le tenebre via via ammantavano il paesaggio e gli oggetti intorno a lui.
Intanto ripensava a quello che avevano scritto nelle lettere, a quello che comportava ammettere che quelle parole dicevano la verità.
- A cosa stai pensando?-  
Ardof sussultò, girando la testa di scatto verso la voce.
- Scusa, non volevo proprio spaventarti. Mi spiace.-  Frida si sedette vicino a lui e immerse una mano nella fredda acqua di montagna che scorreva veloce tra le sue dita.
- No, no. Tranquilla. Solo… cosa hai detto, prima?-  chiese Ardof rimettendosi comodo contro la corteccia.
- Ti ho chiesto a cosa stavi pensando. Mi spiace che te ne stia da solo qui.-  la ragazza abbozzò un sorriso.

Incredibilmente sorride anche lei. Ogni tanto.
Anche se ho visto più volte un serpente con due teste che un sorriso su quella faccia negli ultimi due anni, a pensarci bene…
Ora scusatemi, ma un altro ragazzino isterico necessita delle mie attenzioni.

- Ah, beh… pensavo a tutto questo. Non avrei mai detto che… questo sarebbe potuto succedere a me. Né nel vecchio mondo né in quello nuovo. Quello che mi è capitato è una cosa che fatico ancora adesso ad accettare.-  
- E poi c’è Trado…-  disse la ragazza.
- E poi c’è Trado. Forse non ci crederai, ma una volta eravamo inseparabili… con il Cambiamento mi ha lasciato da solo. Subito ci sono rimasto male, ma poi mi è passata. Adesso che pensavo di...no, adesso che l’ho ritrovato... non capisco perché ci abbia lasciato così. Per cosa, poi? Per andare a nascondersi da una lettera. Non mi sembra giusto, tutto questo non mi sembra giusto.-  
- Io… io avevo un amica, Jancy, è diventata una nana. Dal Cambiamento si è trasferita sottoterra, non so di preciso dove. Mi manca moltissimo e non so se riuscirò mai a rivederla. Mi manca davvero moltissimo.-
Ad Ardof parve di vedere una lacrima argentea rigare la guancia di Frida per poi cadere sulla tuta, confondendosi nell’azzurro.
Ci fu un lungo silenzio, né il Cavaliere rosso né la Domatrice azzurra sembravano volerlo rompere.
- Ti devo lasciare, la mia dragonessa sta per arrivare e io voglio essere lì ad aspettarla. A proposito, ti ho già detto come l’ho chiamata?-  
- No.-
- Seisten. Che significa…-  
- Gemma Splendente. – terminò lui – Se ti interessa il mio l’ho chiamato Erdost. Per ovvi motivi.-
- Un giorno dovrai spiegarmi da dove arriva questo nome… devo andare, ci vediamo dopo!-
La ragazza si dileguò tra i pini rapida, silenziosa e aggraziata come tutti i componenti della sua razza, lasciando così Ardof di nuovo da solo con i suoi pensieri.
Rimase ancora appoggiato al tronco, in silenzio.
Non sapeva cosa pensare di Frida.
Codero era prevedibile, ragionava e agiva come una persona normale, per quanto normali potessero essere i componenti di quel gruppo…
Vago non era una persona normale, ma le sue azioni erano comunque dettate da ragionamenti precisi e previsioni basate sul comportamento delle persone intorno a lui, aveva una logica fredda che si basava sulla sua capacità di osservazione. Dopo averlo conosciuto, le sue previsioni non erano più così inspiegabili, seppur quasi sempre precise.
Frida invece poteva cambiare umore in pochi secondi, senza preavviso, non aveva una personalità precisa. Poteva trasformarsi dalla ragazza pronta ad azzuffarsi con chiunque non la pensasse come lei, a quella che ascoltava in silenzio i problemi degli altri, quella che Ardof aveva appena incontrato.
Ci fu un fruscio tra le frasche e un rumore di rami spezzati. Poi il muso sfregiato di Erdost comparve tra gli aghi di pino.
- Ciao.-
“Ciao.”
- Come è andata la caccia, avete fatto un buon bottino?-  
“Si… è andato tutto bene. Il branco di cervi che abbiamo seguito ci ha portati fino a valle, non lontano da dove siamo partiti. – il drago si accucciò e prese a leccarsi gli artigli insanguinati della zampa destra – La ragazza mi ha detto dove trovarti, mi sembra gentile.”
- Se lo dici tu…-  
“Cosa c’è che ti turba? Lo sai che non posso leggerti la mente. Con me puoi confidarti.”
- Penso a tutto questo, a quello che ci è stato affidato. E a cosa sono diventato quando il tuo uovo mi si è schiuso davanti.-  
“E…?”
- E niente. Non ho altre cose da dire.-  
“C’è qualcos’altro, non stai pensando solo a quello. Quella ragazza, Frida, ti piace. Non è vero?”
Ardof arrossì - Non lo so. Forse. Non so assolutamente cosa pensare di lei è… diversa da ogni altra persona che abbia incontrato. Diversa da chiunque.-  
Il drago ridacchio con quel suo verso di gola. “Voi bipedi siete strani, tutti. Umani, elfi. Saranno così anche quelli delle montagne e quelli che vivono dall’altra parte dei monti. Noi draghi non ci facciamo coinvolgere dai sentimenti, come voi.”
- Va bene. Mi sei superiore in tutto e per tutto. Contento? Andiamo all’accampamento che faccio cuocere la carne che ci avete portato.-
“Sono sempre più convinto che voi siate Strani.”

I mortali sono strani. Senza distinzioni.
Ora, se poteste ricordarvi che non siete usciti dal palazzo per andare a funghi e farvi un’allegra braciolata mi fareste un favore.
E per chi se lo stesse chiedendo, si. Sono uno spettatore su tutti i livelli, quindi sono partecipe di tutte le conversazioni e qualche volta percepisco dei brandelli di pensiero, dipende dallo spessore della Trama del Reale del luogo in quel momento.
Ora me ne vado sul serio. La situazione si sta facendo sempre più noiosa e scontata.

Intorno al fuoco, mentre Codero e Frida riposavano a fianco dei rispettivi draghi, Ardof diede una gomitata leggera a Vago. - Senti un po’ ho una domanda per te.-  
- Come faccio a far cuocere così bene la carne? – gli chiese l’altro con il suo solito sorriso da bambino stampato sul volto, mentre le iridi di colori diversi scintillavano di un furbo divertimento. – Vedi, ci vuole occhio. Bisogna fare attenzione al…-
- Si, certo, come no… seriamente, tu che capisci abbastanza bene le persone, ma… riesci a capire perché Frida si comporti così? L’ho già detto al mio drago, non ho mai incontrato nessuno con un carattere mutevole come il suo.-  
- Ho un’idea, ma la voglio tenere per me. Se è sbagliata, ma ancor più se è giusta, la mia ipotesi potrebbe rovinarci tutti e quattro quindi… comunque, se vuoi, un indizio te lo posso anche dare. Consideralo un regalo di compleanno in ritardo… o in anticipo… Quand’è che sei nato? Agosto? Sembri decisamente uno nato ad agosto.-
- Lascia stare il mio compleanno. Un indizio, dicevi? Vediamo un po’… mettimi alla prova.-  
Vago prese una delle borracce da terra e si versò un po’ d’acqua sul palmo della mano, lavandosi via la cenere dal polso e dalle dita. - Frida, hai controllato che non ci fossero carcasse a monte, vero? Non vorrei mai star male per un po’ d’acqua contaminata.-  
- Certo che ho controllato.-  rispose lei fredda.
- Ne sei sicura?-
- Ti ho detto di si! E lasciami riposare un po’.-  l’elfa prese un ramo secco in mano e lo lanciò contro il Cavaliere bianco che si scansò come se avesse saputo dall’inizio che l’avrebbe fatto.
Ardof non fu altrettanto veloce e il ramo lo prese in pieno sulla guancia destra.
- Oh, scusami! Non volevo! Ti ho fatto male? Scusami, scusami!-  prese a dire Frida preoccupata.
- No, no. Tutto a posto. Tranquilla. È solo una botta.-  
Frida tornò a sdraiarsi.
- Ecco l’indizio che volevi. Spero che tu ne sia soddisfatto, ho fatto più di quanto il mio istinto mi dicesse di spingermi. – disse Vago bevendo un sorso d’acqua divertito e tornando a guardare la carne sulle braci rosseggianti con un sorriso sulle labbra. – Se non avessi evitato quel ramo sarebbe stato poi tutto inutile… vabbè, me la sono cercata.-
- Per un ramo in faccia ne avrei fatto volentieri a meno. Non so chi, tra te e Frida capisco di meno.-
- Non capisco cosa tu non riesca a capire di me… -
“Continuo a pensare che voi bipedi siate strani, qualunque forma abbiano le vostre orecchie.”
Ardof scoccò un’occhiataccia al drago carminio, che continuò a sonnecchiare, senza neanche degnarsi di aprire uno degli occhi per ricambiare lo sguardo che sapeva essere puntato su di lui.
Quella sera, l’ultima cosa che Ardof sentì sotto la coperta nella tenda fu la voce stanca del drago.
“Strani” gli riverberò tra i pensieri, poi entrambi si addormentarono.

E adesso grazie alla loro stranezza devo di nuovo viaggiare di continuo per tenerli d’occhio tutti.
Ho già fatto tre viaggi, oggi.
Se continuiamo di questo passo sarò pronto per bruciare chiunque alle prossime olimpiadi… 

 Volarono verso ovest fino alla mattina successiva, per poi fermarsi in una radura tra le propaggini più orientali della Grande Vivente e le pendici dei Monti Muraglia già innevati.
- Dannazione! Non è giusto! – La voce di Frida, alterata dall’ira, riempì il silenzio che aleggiava tra i tronchi degli alberi vicini, facendo scappare in gran fermento tutti i piccoli animali che stavano su quei rami. – Loro sono là a divertirsi a espognare una fortezza e noi siamo qui a rigirarci i pollici come maledettissimi conigli che si nascondono nella loro tana. E sono pure l’unica ragazza!-  
- Se ci hanno mandato qui c’è sicuramente un motivo, non allontanano di certo dei combattenti a cavallo di un drago per masochismo. – le rispose Trado. Aggiungendo – Comunque si dice Espugnare.-  
Ardof, intanto, si era voltato per gustarsi la scena.
- Quanti problemi che vi state facendo! Passando alle cose un po’ più serie: io ho una lettera, volete istigarvi a vicenda per tutta la giornata o preferite sentire cosa ci hanno scritto i professori, magari capire perché siamo qui?-  chiese Codero ancora seduto sul dorso del suo drago verde.
- Io preferirei che continuassero ancora un po’. Dopo il viaggio che abbiamo ci siamo fatti, ho proprio bisogno di un po’ di intrattenimento. Mi sto divertendo un mondo, davvero. – rispose Ardof mentre toglieva le bisacce dalla sella sul dorso di Erdost. – Comunque anch’io ho una lettera, se lo vuoi sapere. Mi chiedo perché ce ne abbiano affidata più di una.-  
- Sono d’accordo con Ardof da entrambi i lati. Trado e Frida sono due comici incredibilmente dotati ed anche a me hanno affidato una lettera prima di partire. In ogni caso lasciamoli finire di litigare per conto loro, ho paura che chiunque si voglia intromettere in una loro discussione possa fare una brutta fine.-  s’intromise nel discorso Vago, smontando dalla sua sella con un balzo agile.
Non appena i due elfi si furono calmati, i cinque ragazzi tirarono fuori le rispettive buste. Ognuna era di un colore diverso dalle altre. Rosso rubino, Verde smeraldo, Bianco come la luna piena, Azzurro zaffiro e Blu come una notte senza né luna né stelle.
- Blu? Che senso ha il blu? Cioè, capisco gli altri quattro, ci trovo ancora un senso, ma blu? Nel senso, rosso fuoco, azzurro acqua, bianco aria, verde terra, anche se questa è un po’ tirata. Ma… Blu?-  Trado continuava a fissare Vago con gli occhi sgranati in attesa di una spiegazione verosimile ma, quando vide che quest’ultima non arrivava, riportò la sua attenzione sulle cinque buste.
In ciascuna busta c’era un unico foglio.
Tutte i messaggi iniziavano con le medesime parole.
“Domatori elfici, Cavalieri umani. Chiunque di voi stia leggendo questo documento deve essere ormai lontano dal fragore della battaglia. –
Frida sbuffò irritata, facendo scricchiolare la carta che teneva tra le dita.
– Queste lettere sono state scritte in modo che solo avendo tutte i fogli assieme si possa accedere al contenuto. Procedete leggendo una parola a testa.
Quello. Che. State. Per. Leggere. È. Conosciuto. Solo. Da. Poche. Persone. Meritevoli.. Questo. Mondo. Non. È. Stato. Creato. Per. Caso.. L’universo. Era. Mantenuto. In. Equilibrio. Da. Quattro. Dei. Maggiori:. Acqua,. Terra,. Fuoco,. Ed. Aria;. Ma. Ad. Assicurarsi. La. Stabilità. Degli. Elementi. Vi. Era. un’. Ulteriore. Entità. Il Fato,. il Destino.. Un. Dì. Un. Demone. Cercò. Di. Togliere. Di. Mezzo. Gli. Altri. dei.. Venne. Così. Esiliato. Sul. Nostro. mondo,. Provocando. Il. Cambiamento.. Ora. Cerca. Di. Prendere. Possesso. Del. Regno. Attraverso. L’uomo. Incoronato. Re.. Voi. Siete. Le. Incarnazioni. Di. Queste. Cinque. Divinità,. Incaricate. Di. Ostacolare. Con. Ogni. Mezzo. L’operato. Del. Demone. –
Le lettere si unificarono di nuovo, lasciando la possibilità ai ragazzi di leggerne il testo separatamente.
– Andate nelle terre dell’est e riunite le popolazioni contro il re. Non come Cavalieri e Domatori, poiché avrete ascolto solo da elfi e umani ma non dalle altre popolazioni, ma come “persone normali” con una missione, io vi tolgo quindi il nome di Cavalieri e Domatori. Siete così espulsi dal nostro ordine, poiché ora parlate a nome degli dei e del bene del nostro continente. Ora, andate! Se tra di voi qualcuno non si sente di intraprendere questo viaggio se ne vada, poiché nessuno di voi è indispensabile. Sappiate che probabilmente mentre leggerete questa lettera i vostri compagni saranno già caduti sotto i colpi dell’esercito del re.”

Wow. In un mondo in cui la magia è ovunque voi ricorrete a una frase, addirittura scontata dal mio punto di vista, frammentata in cinque lettere. Voi si che sapete come stare al passo con i tempi, davvero.
La prossima volta cosa farete? Manderete un piccione viaggiatore a recapitare la vostra posta?

Ce la farò ancora?
Se mi ci metto d’impegno magari in una notte riesco ad andare e tornare…
Maledizione!
Per una volta che ne ho veramente bisogno la Trama del Reale mi delude. Com’è possibile che non ci siano neanche degli accenni alla battaglia?!

- Ciao belli! – disse Trado gettando la busta per terra – Per me questo è troppo. Vi lascio, divertitevi, fate quello che volete, ma consideratemi fuori. È una cosa troppo grande per me. Non posso farlo, davvero. Non posso! Consideratemi un vigliacco ma… non posso. Io non sono un prescelto, o quella roba lì. Andiamocene Reicant.-
Il Domatore bianco rimise le bisacce al loro posto e salì sulla sella del suo drago, che si librò sopra le frasche e puntò a nord, verso il Bosco Nero. La parte più a est della Grande Vivente. Talmente fitto da essere costantemente ammantato dalla penombra.

No, complimenti.
Complimenti Trado per il tuo incredibile coraggio e  complimenti a voi, dei.
Davvero.
Siete riusciti a mettere insieme il gruppo di incapaci disadattati migliore di tutti i tempi.
E questi dovrebbero essere i nostri salvatori
 Un fifone, una ragazza con grossi problemi nel controllo della rabbia, uno che senza il vostro intervento sarebbe già morto nella Grande Vivente, un ragazzo senza personalità… seriamente, non potevate scegliere Niena al posto di quel Codero? Lui non era nemmeno tra i miei sospetti.
E poi c’è quel tipo, Vago, che sembra più un mio simile che un umano. E voi sapete quanto noi siamo poco affidabili.
A cosa stavate pensando quando li avete scelti?
Vorrei ricordarvi che non posso manifestarmi, quindi non potrò interferire con loro… otto, visto che l’impavido elfo bianco se ne sta scappando ancora prima di cominciare la missione.
Ah, no. È vero. Sono legato a un contratto con i mortali.
Devo seguirli tutti, così non potrò nemmeno andare a dare una sbirciata alla Rocca, perché così rischio di perdermene qualcuno.
Meraviglioso!
E sono ancora offeso con voi, quindi non contate in nessuna maniera su di me.
Per una volta terrò fede al mio ruolo, sarò un semplice spettatore. Non interverrò, non interferirò per nessuna ragione e non perderò nemmeno un occasione per farvi notare i vostri e i loro sbagli.

I quattro ragazzi rimasti crearono un piccolo accampamento per passare la notte.
Mentre Ardof e Vago montavano la grande tenda da otto posti che l’Ordine gli aveva comunque messo a disposizione, Frida andò a riempire le borracce al fiume vicino e Codero prese la legna per accendere il fuoco.
Intanto i draghi si erano spinti fin sui Muraglia sulle tracce di un branco di cervi da cacciare.

La mattina seguente si alzarono in volo puntando verso est, verso le alte montagne aguzze e il caldo sole autunnale.
Si addentrarono nella catena montuosa finché la notte e il gelo che scendeva con essa non resero impossibile il volo.
Erdost e i tre draghi atterrarono in una conca, in uno spiazzo libero dai fitti pini che ricoprivano il paesaggio.
Come la sera prima Frida si occupò dell’acqua, Codero della legna e Ardof e Vago si assunsero il compito di cucinare la selvaggina che i draghi avrebbero portato da lì a poco.
Il ragazzo in armatura rossa non aveva ancora aperto bocca quel giorno, né con i compagni di viaggio né con Erdost che rispettava il suo silenzio senza fare commenti. Per questo il ragazzo gliene fu grato.
Il Cavaliere approfittò del momento di solitudine per calmarsi un poco.
Si addentrò nella pineta vicina e si sedette contro la dura corteccia di uno di quegli alberi, a contemplare lo scorrere dell’acqua nel ruscello a fianco.
Rimase seduto in silenzio, ad ascoltare il gorgoglio tra le pietre e ammirare come le tenebre via via ammantavano il paesaggio e gli oggetti intorno a lui.
Intanto ripensava a quello che avevano scritto nelle lettere, a quello che comportava ammettere che quelle parole dicevano la verità.
- A cosa stai pensando?-  
Ardof sussultò, girando la testa di scatto verso la voce.
- Scusa, non volevo proprio spaventarti. Mi spiace.-  Frida si sedette vicino a lui e immerse una mano nella fredda acqua di montagna che scorreva veloce tra le sue dita.
- No, no. Tranquilla. Solo… cosa hai detto, prima?-  chiese Ardof rimettendosi comodo contro la corteccia.
- Ti ho chiesto a cosa stavi pensando. Mi spiace che te ne stia da solo qui.-  la ragazza abbozzò un sorriso.

Incredibilmente sorride anche lei. Ogni tanto.
Anche se ho visto più volte un serpente con due teste che un sorriso su quella faccia negli ultimi due anni, a pensarci bene…
Ora scusatemi, ma un altro ragazzino isterico necessita delle mie attenzioni.

- Ah, beh… pensavo a tutto questo. Non avrei mai detto che… questo sarebbe potuto succedere a me. Né nel vecchio mondo né in quello nuovo. Quello che mi è capitato è una cosa che fatico ancora adesso ad accettare.-  
- E poi c’è Trado…-  disse la ragazza.
- E poi c’è Trado. Forse non ci crederai, ma una volta eravamo inseparabili… con il Cambiamento mi ha lasciato da solo. Subito ci sono rimasto male, ma poi mi è passata. Adesso che pensavo di...no, adesso che l’ho ritrovato... non capisco perché ci abbia lasciato così. Per cosa, poi? Per andare a nascondersi da una lettera. Non mi sembra giusto, tutto questo non mi sembra giusto.-  
- Io… io avevo un amica, Jancy, è diventata una nana. Dal Cambiamento si è trasferita sottoterra, non so di preciso dove. Mi manca moltissimo e non so se riuscirò mai a rivederla. Mi manca davvero moltissimo.-
Ad Ardof parve di vedere una lacrima argentea rigare la guancia di Frida per poi cadere sulla tuta, confondendosi nell’azzurro.
Ci fu un lungo silenzio, né il Cavaliere rosso né la Domatrice azzurra sembravano volerlo rompere.
- Ti devo lasciare, la mia dragonessa sta per arrivare e io voglio essere lì ad aspettarla. A proposito, ti ho già detto come l’ho chiamata?-  
- No.-
- Seisten. Che significa…-  
- Gemma Splendente. – terminò lui – Se ti interessa il mio l’ho chiamato Erdost. Per ovvi motivi.-
- Un giorno dovrai spiegarmi da dove arriva questo nome… devo andare, ci vediamo dopo!-
La ragazza si dileguò tra i pini rapida, silenziosa e aggraziata come tutti i componenti della sua razza, lasciando così Ardof di nuovo da solo con i suoi pensieri.
Rimase ancora appoggiato al tronco, in silenzio.
Non sapeva cosa pensare di Frida.
Codero era prevedibile, ragionava e agiva come una persona normale, per quanto normali potessero essere i componenti di quel gruppo…
Vago non era una persona normale, ma le sue azioni erano comunque dettate da ragionamenti precisi e previsioni basate sul comportamento delle persone intorno a lui, aveva una logica fredda che si basava sulla sua capacità di osservazione. Dopo averlo conosciuto, le sue previsioni non erano più così inspiegabili, seppur quasi sempre precise.
Frida invece poteva cambiare umore in pochi secondi, senza preavviso, non aveva una personalità precisa. Poteva trasformarsi dalla ragazza pronta ad azzuffarsi con chiunque non la pensasse come lei, a quella che ascoltava in silenzio i problemi degli altri, quella che Ardof aveva appena incontrato.
Ci fu un fruscio tra le frasche e un rumore di rami spezzati. Poi il muso sfregiato di Erdost comparve tra gli aghi di pino.
- Ciao.-
“Ciao.”
- Come è andata la caccia, avete fatto un buon bottino?-  
“Si… è andato tutto bene. Il branco di cervi che abbiamo seguito ci ha portati fino a valle, non lontano da dove siamo partiti. – il drago si accucciò e prese a leccarsi gli artigli insanguinati della zampa destra – La ragazza mi ha detto dove trovarti, mi sembra gentile.”
- Se lo dici tu…-  
“Cosa c’è che ti turba? Lo sai che non posso leggerti la mente. Con me puoi confidarti.”
- Penso a tutto questo, a quello che ci è stato affidato. E a cosa sono diventato quando il tuo uovo mi si è schiuso davanti.-  
“E…?”
- E niente. Non ho altre cose da dire.-  
“C’è qualcos’altro, non stai pensando solo a quello. Quella ragazza, Frida, ti piace. Non è vero?”
Ardof arrossì - Non lo so. Forse. Non so assolutamente cosa pensare di lei è… diversa da ogni altra persona che abbia incontrato. Diversa da chiunque.-  
Il drago ridacchio con quel suo verso di gola. “Voi bipedi siete strani, tutti. Umani, elfi. Saranno così anche quelli delle montagne e quelli che vivono dall’altra parte dei monti. Noi draghi non ci facciamo coinvolgere dai sentimenti, come voi.”
- Va bene. Mi sei superiore in tutto e per tutto. Contento? Andiamo all’accampamento che faccio cuocere la carne che ci avete portato.-
“Sono sempre più convinto che voi siate Strani.”

I mortali sono strani. Senza distinzioni.
Ora, se poteste ricordarvi che non siete usciti dal palazzo per andare a funghi e farvi un’allegra braciolata mi fareste un favore.
E per chi se lo stesse chiedendo, si. Sono uno spettatore su tutti i livelli, quindi sono partecipe di tutte le conversazioni e qualche volta percepisco dei brandelli di pensiero, dipende dallo spessore della Trama del Reale del luogo in quel momento.
Ora me ne vado sul serio. La situazione si sta facendo sempre più noiosa e scontata.

Intorno al fuoco, mentre Codero e Frida riposavano a fianco dei rispettivi draghi, Ardof diede una gomitata leggera a Vago. - Senti un po’ ho una domanda per te.-  
- Come faccio a far cuocere così bene la carne? – gli chiese l’altro con il suo solito sorriso da bambino stampato sul volto, mentre le iridi di colori diversi scintillavano di un furbo divertimento. – Vedi, ci vuole occhio. Bisogna fare attenzione al…-
- Si, certo, come no… seriamente, tu che capisci abbastanza bene le persone, ma… riesci a capire perché Frida si comporti così? L’ho già detto al mio drago, non ho mai incontrato nessuno con un carattere mutevole come il suo.-  
- Ho un’idea, ma la voglio tenere per me. Se è sbagliata, ma ancor più se è giusta, la mia ipotesi potrebbe rovinarci tutti e quattro quindi… comunque, se vuoi, un indizio te lo posso anche dare. Consideralo un regalo di compleanno in ritardo… o in anticipo… Quand’è che sei nato? Agosto? Sembri decisamente uno nato ad agosto.-
- Lascia stare il mio compleanno. Un indizio, dicevi? Vediamo un po’… mettimi alla prova.-  
Vago prese una delle borracce da terra e si versò un po’ d’acqua sul palmo della mano, lavandosi via la cenere dal polso e dalle dita. - Frida, hai controllato che non ci fossero carcasse a monte, vero? Non vorrei mai star male per un po’ d’acqua contaminata.-  
- Certo che ho controllato.-  rispose lei fredda.
- Ne sei sicura?-
- Ti ho detto di si! E lasciami riposare un po’.-  l’elfa prese un ramo secco in mano e lo lanciò contro il Cavaliere bianco che si scansò come se avesse saputo dall’inizio che l’avrebbe fatto.
Ardof non fu altrettanto veloce e il ramo lo prese in pieno sulla guancia destra.
- Oh, scusami! Non volevo! Ti ho fatto male? Scusami, scusami!-  prese a dire Frida preoccupata.
- No, no. Tutto a posto. Tranquilla. È solo una botta.-  
Frida tornò a sdraiarsi.
- Ecco l’indizio che volevi. Spero che tu ne sia soddisfatto, ho fatto più di quanto il mio istinto mi dicesse di spingermi. – disse Vago bevendo un sorso d’acqua divertito e tornando a guardare la carne sulle braci rosseggianti con un sorriso sulle labbra. – Se non avessi evitato quel ramo sarebbe stato poi tutto inutile… vabbè, me la sono cercata.-
- Per un ramo in faccia ne avrei fatto volentieri a meno. Non so chi, tra te e Frida capisco di meno.-
- Non capisco cosa tu non riesca a capire di me… -
“Continuo a pensare che voi bipedi siate strani, qualunque forma abbiano le vostre orecchie.”
Ardof scoccò un’occhiataccia al drago carminio, che continuò a sonnecchiare, senza neanche degnarsi di aprire uno degli occhi per ricambiare lo sguardo che sapeva essere puntato su di lui.
Quella sera, l’ultima cosa che Ardof sentì sotto la coperta nella tenda fu la voce stanca del drago.
“Strani” gli riverberò tra i pensieri, poi entrambi si addormentarono.

E adesso grazie alla loro stranezza devo di nuovo viaggiare di continuo per tenerli d’occhio tutti.
Ho già fatto tre viaggi, oggi.
Se continuiamo di questo passo sarò pronto per bruciare chiunque alle prossime olimpiadi… 

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Capitolo 8
*** Capitolo 7: Il Bosco Nero ***


 “Sei sicuro che sia stata la cosa più furba andarcene dal gruppo? Un individuo che lascia il branco fatica a sopravvivere in natura. Pensa ai cacciatori o alle prede.” La voce preoccupata di Reicant invase la mente del suo Domatore.
- C’era pure scritto nella lettera, non siamo indispensabili. E poi cosa cambia se sono quattro o cinque? Se la caveranno anche da soli e avranno una bocca in meno da sfamare. Sono sicuro che questa è la nostra strada, non quella. Non sono fatto per le responsabilità.-

Eh sì, ragazzo mio! Hai un futuro in politica!

Trado e il suo drago bianco stavano sorvolando la volta verde del Bosco Nero.
Il nome che gli era stato affidato lo meritava in pieno, si diceva che sotto le sue fronde i pipistrelli, assieme a tutti gli animali notturni, fossero in continua attività. Tutto il giorno, tutti i giorni, senza mai la paura che i caldi raggi del sole li disturbassero.
Ci fu un violento scossone a destra. Trado non ci fece troppo caso, le turbolenze erano un pericolo da mettere in conto durante il volo su di un drago, qualunque fosse la sua esperienza.
Ce ne fu un altro e Reicant cominciò a perdere quota a una velocità spaventosa.
- Reicant! Cosa sta succedendo? Dannazione, Reicant! Rispondimi!-  urlò terrorizzato Trado schiacciandosi contro la sella e tenendosi con tutte le sue forze alle cinghie.
“L’ala… L’ala! Mi hanno… colpito. Credo!” L’elfo poteva sentire il dolore del drago come fosse il suo.

Piccola lezione di anatomia: per chi non lo sapesse l’ala di un drago è composta da tre ossa cartilaginee e da una membrana di una resistenza incredibile, visto il suo spessore, percorsa da tre arterie e un’infinità di capillari e vasi sanguigni.
Questo per dire che una botta sull’ala, per un drago, può provocare un dolore simile a quello che potrebbe provare un uomo se colpito dritto su una tempia da un calcio di un mulo.
Senza pensare al pericolo che il drago corre se malauguratamente una delle arterie si rompesse.
Spero di essere stato sufficientemente chiaro.

    
Trado voltò lentamente la testa verso destra, la sottile membrana era stata bucata e perdeva sangue a fiotti. Dalle chiome verdeggianti sotto di loro si alzavano pietre grandi quanto teste d’uomo, che tentavano in ogni modo di abbatterli.
Il ragazzo si rese conto che mancava davvero poco prima di toccare terra. Chiuse gli occhi e si aggrappò ancora più forte.
Reicant venne colpito da un’ultima pietra a un fianco prima di entrare violentemente nella fitta vegetazione.

Questo è uno di quei casi in cui nessuno si accorgerà mai che una foglia incastrata tra gli artigli di un drago all’improvviso muta in un pettirosso… ma anche se qualcuno mi vedesse, a questo punto, non me ne può interessare di meno. Non voglio rimanere per ore sotto forma di foglia schiacciata da un drago.

I rami erano ovunque, Trado aveva il volto e le mani completamente coperte di graffi sanguinanti e Reicant, ormai privo di sensi, non rispondeva più a nessun lasciandosi cadere verso il suolo.
Si schiantarono con un tonfo sordo e Trado perse subito conoscenza.
La testa gli ricadde sulle braccia e rimase lì, immobile, le gambe ancora bloccate dalle cinghie della sella.

L’elfo si svegliò incatenato a un albero, poco lontano dal punto in cui erano precipitati.
Una robusta catena lo teneva incollato alla dura corteccia, che Trado sentì premere sulle placche metalliche della tuta.
Tutto intorno a lui delle figure scure si muovevano frenetiche nell’ombra, quasi indistinguibili dall’ambiente sullo sfondo.
Il ragazzo si guardò intorno, cercando di scacciare il torpore che gli annebbiava la vista.
Davanti a lui si apriva un cratere decisamente profondo, coperto di rami pieni di aghi verdi, pigne schiacciate, sangue e polvere.
Se fosse stato solamente un po’ più lucido, avrebbe potuto pensare a un incantesimo per liberarsi, ma in quel momento non riusciva a concentrarsi su nient’altro se non il pulsante mal di testa che lo attanagliava.
Si accorse appena della figura nera che gli si avvicinò alle spalle, la poté mettere a fuoco solo quando gli si posizionò davanti.
Era un uomo, né giovane né anziano, aveva la pelle scura e lunghi capelli neri che gli scendevano sul collo.
L’uomo lo squadrò con gli occhi nocciola e si spostò le ciocche di capelli dietro le orecchie a punta.
L’elfo aspettò lunghi istanti prima di parlare.
- Chi sei, da dove vieni e che cosa vuoi dagli elfi scuri? Non ho tempo da perdere, quindi vedi di dire subito la verità.-
- Io sono… Trado Loreki e faccio parte, no, facevo parte dell’Ordine D. e C. ha presente i Cavalieri e Domatori dei Draghi? Sono, cioè ero, uno di loro… Mi hanno espulso tipo tre, quattro ore fa…-  Trado non si sentiva per niente bene, avesse mai mangiato qualcosa non sarebbe rimasta nel suo stomaco molto a lungo.
- Ah sì? E mi sapresti spiegare perché mai ti avrebbero espulso da quest’Ordine D. e C.? Non vogliamo teppisti e piantagrane. Viviamo in pace e non vogliamo smettere adesso per colpa di uno straniero.-  gli occhi dell’elfo si fecero duri.
- No, ho… una lettera. Dannazione, l’ho lasciata nella radura… era una busta bianca e dentro c’era un foglio che parlava di una missione… non sto mentendo! Eravamo in cinque ma io lasciato perdere e non sono partito con loro perché non ero indispensabile! L’avevano scritto! Se mi lasciate andare vi porto dove l’ho buttata. Deve essere ancora lì se gli altri non l’hanno portata via!-  
- E perché mai dovrei crederti? Dove l’hai buttata?-  
- Eravamo in una radura… si, in una radura a ovest avevamo la Grande Vivente e a est i Muraglia… c’era il Vrag che gli scorreva vicino e… il mio drago ve lo saprà dire meglio di me! Ma, dov’è Reicant? Dove l’avete portato?-  Trado aveva gli occhi lucidi.
- Per caso, questa è la busta di cui stavi parlando? Quella che hai buttato nella tua radura? – l’elfo tirò fuori dalla manica della casacca la busta candida – A quanto pare il drago è più previdente e saggio del suo Domatore. L’ha presa con la zampa quando siete partiti. Devi ringraziarlo. Quando si è svegliato ci ha spiegato la situazione e mi ha dato la busta, dovevo solo avere conferma di quello che mi ha detto, ragazzino.-  
Reicant uscì dalla boscaglia, si avvicinò a Trado e schiuse le labbra squamose facendone uscire una lingua di fuoco chiaro che sciolse le catene che bloccavano il suo Domatore all’albero, senza però intaccare la corteccia scura tutto intorno.
Trado sussultò: quella era la prima volta che lo vedeva sputare fuoco.

Come se fosse una novità che i draghi sanno sputare fuoco.
Decisamente non è lucido.


- Io e te dobbiamo parlare.-  gli disse scavalcando la catena.
“Dopo parleremo di tutto quello che vorrai. Adesso ascolta quello che lui ha da dirti. Penso sia importante. Per noi.”
L’elfo, come se avesse sentito quel che Reicant aveva detto al suo Domatore, gli si avvicinò appoggiandogli una mano sulla spalla. - Senti, da quello che hai capito noi sapevamo già del tuo arrivo. Se vuoi saperlo da molto tempo. Potresti seguirmi? Devo farti vedere una cosa.-
- Se mi promette di non tradirmi e di darmi un posto dove dormire per almeno una settimana la seguirò anche in capo al mondo.-
- Per la prima hai la mia parola, mentre sulla seconda vedrò cosa si può fare. Ora seguimi.-  
L’elfo dalla pelle color ebano prese un sentiero appena marcato che si addentrava nel fitto della foresta, Trado lasciò a malincuore il suo drago nella radura, perché per lui l’intrico della vegetazione era fin troppo fitta.
 Solo con uno sconosciuto, si sentì estremamente vulnerabile, ma si fidava dell’istinto di Reicant.
I due elfi percorsero di corsa un breve tratto sul terreno erboso per poi arrampicarsi sugli alberi e proseguire di ramo in ramo per evitare il terreno paludoso che si apriva sotto di loro.
L’elfo dalla pelle scura continuò la sua corsa indisturbato, nonostante non fossero appena partiti e si trovassero ad almeno due metri da terra. Trado dietro di lui ansimava e trascinava le gambe pesanti, infiacchito dai due lunghi anni passati all’interno delle mura del Palazzo della Mezzanotte.

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Capitolo 9
*** Capitolo 8: Terre dell'Est ***


 - Tre… due… uno… Terre dell’est, arriviamo!-  Urlò Vago dalla sella del suo drago bianco.
L’aveva chiamato Defost, gli aveva detto in uno dei suoi sproloqui.
Per tutto il viaggio, inoltre, non aveva smesso di ripetere quanto fosse impaziente di oltrepassare lo spartiacque dei Monti Muraglia e mettere così piede in quella parte di continente di cui si sapeva così poco.
Ardof si girò appena, quanto gli bastava per vedere il solito sorriso di Vago allargarsi a dismisura. Spostò appena le gambe indolenzite e si aggiustò la coperta di lana che si era messo addosso.
Il freddo era pungente, nonostante stessero sorvolando solo i picchi delle montagne più basse.
Codero si agitò scompostamente sulla sella del suo drago marrone sventolando un foglio di carta. - Una mappa! Ho trovato una mappa!-  la mappa per poco non gli cadde quando il suo drago virò per entrare in una corrente favorevole.
- Dove l’hai presa?-  chiese Frida facendo appaiare il suo drago azzurro a quello verde.
- Era qui… - fece un gesto con la mano – infilata nella sella del mio drago, sotto la bisaccia!-
Frida la prese e cominciò a studiarla per bene come se fosse una vita che faceva quel genere di cose. - Atterriamo, così la possiamo vedere meglio.-  ordinò con un tono che non ammetteva repliche.
I quattro draghi scesero di quota, fino a posarsi sulla neve che ricopriva la sommità di quei monti.
Per lo meno a quelle altezze non era difficile trovare un posto sgombro dagli alberi.
Ardof si strinse nella coperta e si avvicinò faticosamente a Frida, gettando un'occhiata alla mappa.
- Secondo voi perché ci sono dei disegni sulla mappa? Cioè, cosa sono quelle stelle e quelle macchie gialle?-  disse Vago indicando la carta in più punti.
- Penso che le stelle siano le capitali delle razze… guarda, sono tutte in posizioni centrali rispetto al territorio. Prendi per esempio questa sui Muraglia, è al centro della catena…-  gli rispose Codero.
- Dov’è quella più vicina?-  chiese Ardof intromettendosi nel discorso dei due compagni.
- È quella dei Muraglia. Dovrebbe essere poco più a sud di queste macchie gialle che… dovrebbero indicare la nostra posizione. Penso che ci sia un incantesimo che le fa spostare con noi. Comunque in mezza giornata dovremmo arrivarci.-  rispose Frida picchiettando il dito affusolato sulle macchie, ma badando di coprire quelle immobile sul Bosco Nero.
Non era quello il momento di pensarci.
I quattro draghi ripartirono, puntando verso sud, tenendo come punto di riferimento l’imponente Flentu Gar, il re dei Monti Muraglia. La sua vetta candida era nascosta dalle nuvole cariche di neve.

- Dove dovrebbe essere questa capitale?!-  urlò Frida dalla sella della sua dragonessa.
- Fammi controllare!- rispose di rimando Codero, lottando contro il vento per tenere aperta la mappa di fronte a sé.  – Dovrebbe essere sotto di noi! Le macchie e la stella sono sovrapposti!-  
- E allora perché non riesco a vederla? – chiese la ragazza. – Stiamo cercando una città, non una tana di conigli!-  
- Non ne ho idea!-  
I quattro ragazzi continuarono a volare in circolo sopra la zona, cercando di trovare un qualunque indizio sulla presenza di una città arroccata su quei monti inospitali.
- Bene Codero, sei divertente. Volevi sentirti dire questo? – chiese Vago – Ora smettiamola di giocare e portaci dalla capitale. Altrimenti lasciami la mappa.-  
- Sentimi, non sarò un cartografo geniale, o un navigatore, ma so orientarmi su una mappa, specialmente se ti indica dove sei. La stella, cioè la capitale, deve essere sotto di noi. E poi, quando hai smesso di giocare? È da quando ti conosco che giochi con chiunque o qualunque cosa.-  
- Non cambiare discorso. Adesso sono serio e abbastanza scocciato, aggiungerei. Portaci da quella dannata città.-
- Vieni e prenditi la mappa, se sei più felice. Così vedrai, vedrai un ammasso giallo sulla capitale e una macchia solitaria sul Bosco Nero…-  intanto il ragazzo si era sporto dal drago verde per passare il foglio di carta al Cavaliere bianco.
“Marfest.”
- Cosa, scusa? -  chiese Ardof distrattamente, guardando la mappa passare di mano in mano.
“Marfest. Questo è il nome del drago di Codero. Non ha uno spiccato senso dell’umorismo ma è una compagnia accettabile, la sua.”
I pensieri di Erdost arrivavano a fatica, il ragazzo sentiva dentro di se che il drago era stremato dal lungo viaggio ad alta quota, come se fosse stato lui ad aver compiuto quel tragitto sfiancante a dir poco.
- Ah…-  
Ardof colse con la coda dell’occhio una macchia chiara, indistinta, passare di fianco a sé velocissima, in caduta libera.
- Aiuto! Per favore, qualcuno mi aiuti! Dannazione, venite a prendermi!-  Frida si dimenava sulla sella della sua dragonessa azzurra mentre cercava di liberare le gambe dalle staffe.
Il drago bianco di Vago scese in picchiata con le ali strette al dorso squamoso, frenando solo per lasciare il tempo al suo Cavaliere di afferrare l’elfa per un braccio e farla salire sulla sua sella.
“Defost è sempre andato orgoglioso della velocità che riesce a toccare quando è in caduta libera.” Sentenziò Erdost.
- Ah, ah.-  rispose distrattamente Ardof , mentre osservava la scena che si stava svolgendo sotto di lui.
- Seisten! Seisten! Per favore svegliati! Dannazione, Seisten! Svegliati!-  
Il Cavaliere, dalla sua sella, poteva vedere le lacrime cristalline cadere dagli occhi dell’elfa mentre gridava.
Quando il corpo della dragonessa toccò terra, dopo aver rimbalzato sui pochi pini che erano riusciti a sopravvivere a quella quota, produsse un tonfo sordo, subito seguito da un gran vociare, come se ci fossero state centinaia di persone ad assistere al terribile spettacolo.

Seisten, che adesso giaceva raggomitolata con delle catene che le bloccavano le zampe e la mascella, era precipitata aprendo un varco tra i rami pieni di resina e scavando una piccola buca nella roccia della montagna.
Frida scese velocemente dalla sella del drago bianco, inciampando nei finimenti, e corse dalla sua dragonessa.
- Le catene non si spezzano! Venite a darmi una mano!-  urlò l’elfa che tratteneva a stento le lacrime, mentre le sue dita correvano sugli anelli di ferro.
I tre ragazzi le si avvicinarono circospetti, cercando di trovare nella penombra della sera le sagome degli uomini che avevano incatenato la dragonessa.
Bastò che un uccello prendesse il volo da uno degli alberi vicini, perché i quattro Cavalieri scattassero sull’attenti.
La catena sembrava non avere neanche un lucchetto, era un susseguirsi di anelli lucenti quasi perfetti spessi due dita, che parevano essere stati saldati sul momento, direttamente intorno al corpo della dragonessa.
Dopo averla studiata per lunghi momenti Vago si fermò davanti agli altri e, dopo essersi assicurato un’ultima volta intorno che non ci fosse nessuno nei dintorni che potesse osservarli, parlò. - Penso che uno di questi anelli sia un moschettone, non vedo altre possibilità, a meno che qualcuno non si sia portato una fucina qui sopra e abbia forgiato questa catena sul momento… certo che sarebbe una bella scena vedere un uomo portarsi su per la montagna tutti gli strumenti e il forno…-  sul viso di Vago comparve il suo inseparabile sorriso mentre si immaginava la scena che aveva descritto.
Interruppe bruscamente i suoi pensieri scuotendo al testa.
- Ti sembra il momento di sorridere? – chiese Frida con gli occhi lucidi e le guance rigate – La mia dragonessa, la mia Seisten, è svenuta ed è stata incatenata da qualcuno che potrebbe essere ancora qui intorno e tu sorridi? Cosa c’è di divertente? Le hai sentite anche tu tutte quelle voci, prima… quante erano? Sapete che non mi piace scappare ma penso che sia meglio liberare Seisten e andarcene da qui appena si sveglia. Missione o non missione. Per me niente è più importante della mia o della sua vita.-  
- Si, certo. Scusa. Per questa volta ti do ragione. Colpa mia… Comunque resta il problema di come liberarla… guarda questi anelli, sono troppo spessi per essere rotti senza un attrezzo adeguato. Non ci resta che cercare il moschettone, sempre ammesso che ce ne sia uno. In questo caso o ci troviamo di fronte al nostro fabbro girovago oppure di fronte a un mago in grado di controllare il metallo.-  
- In ogni caso, le nostre spade sono in Mithril. Dovrebbero essere, se non indistruttibili, almeno in grado di sopportare molti sforzi. Quindi sia che la catena sia normale, sia che sia protetta da un incantesimo, dovremmo riuscire a romperla. O mi sbaglio? Io nel palazzo ho capito questo dalle lezioni di Gibber. - disse Ardof prendendo fra il pollice e l’indice uno degli anelli della catena – sempre ammesso che anche questa non sia di Mithril o di una sua lega… tipo con la polvere di diamante o quella con le squame secche dei draghi…-
- Hai ragione! – esclamò Vago – adesso vediamo cosa succede.-  
Il Cavaliere bianco estrasse la sua spada dal fodero e calò il braccio sulla catena.
La lama rimbalzò leggera sull’anello che era andata a colpire. - Ahia! Mi sono fatto male al polso!-  
- Lascia provare a me. Quella tua spada da una sola mano adesso non è molto utile.-  lo rimbeccò Ardof e, tirata fuori Pyra, la calò con la forza di entrambe le braccia sugli anelli, che si ruppero tintinnando.
Finalmente la polvere di diamante contenuta nella lama era diventata qualcosa in più di un semplice abbellimento.
Non fece in tempo a colpire anche quella che bloccava il muso della dragonessa azzurra che una pietra grossa quanto un pugno colpì la corteccia di un pino a poco meno di mezzo metro da Frida.
I tre draghi si misero intorno ai Cavalieri per proteggerli con le dure squame dalle pietre e dai pezzi di legno che arrivavano dalla penombra.
Nonostante gli alberi dietro cui nascondersi non fossero molti, le pietre continuavano ad arrivare da tutte le direzione, a decine, senza che mai una sola figura, seppur indistinta, si facesse vedere o rivelasse il suo nascondiglio.

Lo ammetto. In casi normali andrei a controllare chi o cosa stia lanciando quella roba, anche se un’idea ce l’ho e sono sicuro di aver ragione.
Magari avrei potuto anche dare una mano a quei maledetti mocciosi…
Comunque ho fatto una promessa, no? Ho detto che sarei rimasto uno spettatore e così rimango, appollaiato su un ramo a lisciarmi le piume della coda.

I misteriosi aggressori capirono in fretta come rendere inoffensivi i tre draghi che ringhiavano al vento.
Le pietre, che si stavano facendo sempre più grandi, e i rami cambiarono obbiettivo, puntando al ventre morbido e alla gola di Erdost, Marfest e Defost, i punti più indifesi degli animali.
Il primo a cadere sotto la lapidazione persistente fu Marfest, seguito dopo poco tempo da Erdost. I due corpi fecero tremare la montagna quando caddero pesantemente a terra.
Defost, rimasto solo, appiattì il ventre contro la dura roccia e arrotolò la coda intorno ai quattro ragazzi, in un ultimo, disperato, tentativo di proteggerli.
Ardof notò in un attimo di distrazione che la coda del drago bianco era più lunga e affusolata di quella di Erdost. Poi la sua concentrazione venne riassorbita dalla situazione in cui si trovava.
Rimasero così per quella che gli parve un’infinità. Stretti contro le squame candide ad ascoltare i mugolii del drago ogni volta che qualcosa gli colpiva le fragili ossa delle ali o gli rimbalzava sull’imponente testa.
Ardof seppe che era finita quando sentì la sottile membrana dell’ala del drago strapparsi come fosse stata carta.
Defost inarcò il collo e ruggì contro il cielo, oramai buio sopra le loro teste.
I quattro ragazzi cercarono di tenere la testa del drago candido bassa, aggrappandosi con tutte le loro forze, ma non riuscirono nel loro intento.
Ardof si stava ancora tenendo ad una spina d’avorio quando una pietra grossa quanto una sedia colpì la gola di Defost, facendogli perdere i sensi.
Caddero insieme, Ardof non ebbe neanche il tempo di alzarsi. Qualcosa lo colpì dietro il collo, facendolo urlare di dolore. Rimase una manciata di secondi raggomitolato a terra boccheggiante, poi perse conoscenza, accogliendo il buio quasi fosse una liberazione dal dolore lancinante che lo stava assalendo.

Bene. Molto bene.
I prescelti più forti che abbia mai visto.
Quindi il destino di tutti gli idioti che hanno il vizio di vivere sulle Terre sarebbe in mano a questi? Bah. Forse è meglio se quella vacanza la faccio il prima possibile, finché c’è ancora qualche luogo in cui andare.

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Capitolo 10
*** Capitolo 9: La gente dei tunnel ***


  - Sì, sì! Deve essersi svegliato! Devo avvertire il mio sire, è importante! Corri Glick, corri! Non devi riferire la notizia al tuo re in ritardo!-  una voce rimbombò nella stanza vuota con una forza che fece lacrimare gli occhi ad Ardof.
Sentì ancora un rumore di passi allontanarsi velocemente. A giudicare dal ritmo della corsa doveva essere un bambino.

Un bambino con seri problemi mentali a giudicare da come parla. Una visita da un bravo psicologo non gli avrebbe fatto poi così tanto male.
Il mio unico rimpianto è non riuscire a vedere oltre la crepa che nasconde il mio corpo da formica.
Sono sicuro che mi sto perdendo una scena indimenticabile.


Il Cavaliere fu assalito dalla paura.
Sire? Quello che era corso via doveva essere senz’altro uno dei servitori del re, e se davvero lo stava andando a chiamare non aveva ancora molto tempo da vivere, di fronte a se.  
Il Cavaliere non riusciva a muoversi, per quanto si divincolasse. Aveva le mani e i piedi bloccati su una lastra di pietra da degli anelli in ferro e la testa immobilizzata dalla cinghia in pelle fredda che gli cingeva la fronte.
Il suo sguardo era costretto al soffitto di pietra.

Uno spettacolo monotono, poco ma sicuro.
Situazione peggiorata dal fatto che quella volta non forniva nemmeno dipinti o venature naturali da poter seguire per far passare il tempo, in attesa della sorte.

Gli ci volle un attimo per rimettere a fuoco la situazione. I pensieri continuavano a dilagare.
Se davvero gli avevano messo di guardia un bambino doveva essere finito in una specie di avamposto del regno, probabilmente sguarnito.
Forse una possibilità c’era ancora, in fondo…
- Chi siete? – chiese ad alta voce – Dove mi avete portato? Cosa volte farmi?-  il ragazzo aveva comunque paura di tutte e tre le risposte.
Chi poteva averlo imprigionato? Uomini o quei demoni neri? E che cosa ne aveva fatto dei suoi compagni? Provò a muovere la schiena indolenzita e l’armatura raschiò contro la pietra grezza che lo stava ospitando.
- Ardof? Sei tu? Dimmi che sei tu, in nome di tutti gli Dei, dimmi che sei Ardof!-
- Vago? Si, sono io… ti sei appena svegliato?-  
- Si… tu mi hai svegliato! Hai interrotto un sogno splendido per portarmi in questo posto! C’era un veliero maestoso e una splendida elfa dai capelli rossi che mi diceva di salire a bordo assieme a lei e imbarcarmi per…-  
- Si, vabbè, ne parleremo un’altra volta dei tuoi sogni. Dove sei?-  
- Da come sento la tua voce e il rimbombo penso che abbiamo le teste vicine. Dovrei essere dietro di te, testa contro testa.-  
- Dove siamo? Dove ci hanno portati?-  Una terza voce rimbombò nella sala di pietra.
- Frida? Ti sei svegliata?-  chiese Vago sorpreso di sentire la voce di un altro dei suoi compagni.
- No, guarda sono sonnambula e mi piace fare domande mentre dormo. Certo che sono sveglia!-

Sono contento di sentire che nonostante siano imprigionati, completamente indifesi, senza draghi o armi ed incatenati a lastre di pietra non abbiano perso le loro buone maniere. Di tutta la situazione la cosa più interessante era il sogno di Vago…
Chissà per dove doveva imbarcarsi…


- Piccolo riassunto della situazione per potarti al nostro livello. Non sappiamo dove siamo… o dove ci hanno portato. - Ardof era terrorizzato all’idea – Ma dovremmo essere in una stanza larga, di pietra. Senti il rimbombo. E… prima che Vago si svegliasse ho sentito una voce e dei passi che si allontanavano. Sembravano quelli di un bambino, avete presente quelli con le gambette corte che corrono? Magari un po’ grassottelli. Da come parlava non dava l’impressione di essere una cima.-
Altri passi, questa volta si stavano avvicinando. La cadenza era simile a quella di prima.
Una porta si aprì con un leggero cigolio.
- Venite. Il vostro compagno vi aspetta.-  disse.
- Genio, Se non te ne sei accorto siamo incatenati! Come vuoi che ci alziamo a ti seguiamo? Pensaci prima parlare.-  urlò Frida.
- Aspetti solo un attimo, signorina dalla lingua affilata come una lama, mi hanno mandato a svolgere quest’incombenza da solo e non intendo avere fretta. Ora, se non le dispiace, vorrei sentire solo il respiro delle pietre e la sua voce me lo impedisce.-

Beh, questo non sembrava così poco sveglio come il bambino che era corso via… beh, di certo è di gran lunga più pigro.
Mi piace il tipo.


- Mi hai chiamato incombenza? Come osi? Ora datti una mossa! Non voglio restare su questa pietra per un secondo di più!-  
Frida continuò a insultare l’uomo mentre lui bendava e liberava con deliberata lentezza i suoi compagni.
- Perché mi bendi? Dove ci vuoi portare? Voglio delle risposte!-  
Ardof sentì uno sbuffo da parte di Frida. Poi solo silenzio.
Il bambino, o uomo che fosse, doveva averla colpita abbastanza forte da farle passare la voglia di parlare.
I tre ragazzi uscirono dalla stanza dove si erano svegliati e tutti inciamparono nel gradino di cui l’uomo si era guardato bene di non avvertirli.

Si comincia bene! Purtroppo la visione da insetto non è delle più chiare, mi sarebbe piaciuto assaporarmi la scena…


Dovettero camminare per diverso tempo, continuando a svoltare con una frequenza impressionante, tanto che Ardof cominciò a chiedersi se l’uomo che li aveva liberati non li stesse facendo girare in tondo.
Batterono più volte la testa contro il soffitto basso, accompagnati dai borbottii della loro guida.
Quando inciamparono in un altro gradino il Cavaliere rosso capì che erano entrati in un’altra stanza.

E che stanza, ragazzi… la poteste vedere rimarreste a bocca aperta. Ma dobbiamo muoverci!
Dannazione, non posso permettermi di fare il turista per le terre, se non riescono ad andarsene alla svelta da questa situazione rischio di perdere le tracce di quell’idiota di un elfo. Poi mi diverto a rintracciarlo…
Senza contare gli anni aggiunti alla mia pena se il capo scopre che mi sono perso uno dei suoi ragazzi.
No! No! Figli di... Non ci provare nemmeno! Aspe…
Dannazione!
Mai una volta che mi vada bene. Quel dannato sacco di letame ha chiuso la porta!
Ovviamente, poi, non c’è neanche una fessura per far passare una formica.
Certo, potrei ritornare voluta di fumo, ma con la corrente che c’è dentro a questo corridoio mi disperderei per tutta la catena montuosa, poi sì che mi diverto a ricompormi.
Ma che razza di malasorte. Fato, questa me la lego al dito, se c’è ancora spazio.


Un calcio dietro le ginocchia costrinse Ardof ad inginocchiarsi sul pavimento freddo.
- Chi sono costoro che vengono portati al mio cospetto, mia guardia fidata?-
O il re si era beccato un brutto mal di gola, o quello non era il re. In entrambi i casi, per Ardof, sarebbe dovuto andare a farsi controllare da un bravo medico o magari da un mago.
- Sono gli stranieri, gli intrusi. Mio signore. Glieli ho portati come mi aveva ordinato.-  
- Bene. Sbendali pure. Il tuo re vuole parlare con costoro. Sbrigati. E tu. – disse rivolgendosi a qualcun altro – vai a prendere il quarto intruso nella cella dove l’avete rinchiuso.-

Una buona e una cattiva notizia. Codero è ancora vivo, almeno per il momento, e quello è il re affetto da raucedine.
Bene, molto bene. Non hanno neanche cominciato la loro missione che già sono stati catturati.
Sei simpatico Fato, davvero simpatico. Ora la smetti di prenderti gioco di me? Cosa diamine ti ho fatto?

Un rumore di passi avvertì i ragazzi della partenza del secondo uomo, diretto all’altra cella.

Dai, su. Apri questa maledetta porta!
Fatemi entrare maledetti!


Finalmente Ardof venne sbendato e poté finalmente vedere cosa gli stava succedendo attorno.
La prima cosa che notò fu l’enorme trono in marmo rosa che si stagliava davanti a lui e, seduto su di esso, un uomo tozzo, con le braccia muscolose, una corona d’oro a sette punte sulla testa e un’arma strana appoggiata sulle ginocchia: era completamente ricoperta, se non fatta, d’oro rosso, aveva l’aspetto di un grosso martello da fabbro ma, al posto di una delle due teste, aveva la lama di un’ascia.

Ah! Grazie! Ora se mi permetti mi imbucherei alla riunione. Con permesso… ma anche senza…
Beh.
Forse, e dico forse, quello non è il loro re. La situazione è un poco migliorata.


Il ragazzo impiegò qualche secondo per notare le strane proporzioni del re.
Aveva le gambe tozze e il torace largo, le braccia gonfie di muscoli e la testa un po’ troppo grossa per la sua stazza, come se fosse stata gonfiata.
Si voltò e vide che anche la guardia che li aveva portati in quella stanza aveva le stesse proporzioni, inoltre il Cavaliere da inginocchiato riusciva a guardare dritto negli occhi l’uomo.

È una situazione quasi buffa, quella in cui si trovano, sembra di aver a che fare con dei bambini.
Magari con una trottola e una bambola potrebbero uscire di qui senza problemi… e io divento un maiale. Ma quando mai.
Questo lavoro mi ucciderà prima o poi.


- Io sono Vroyer il tagliatore, figlio di Glatfes e Butara, non che re di tutti i nani sotto e sopra la superficie. Da dove venite voi, stranieri? Non cercate scuse.-

Grazie per averli messi al corrente che eravate nani. Da soli non ci sarebbero mai arrivati.
Per non parlare del nome dei genitori, menomale che Ardof e Vago erano nomi poco comuni…
Maledizione, Fato, che diavolo stavi facendo mentre scrivevi questa scena?
Non ci credo che sia stato il Caso a farli arrivare in questa sala.
Eri al bagno? Hai testato le capacità di una scimmia? Hai alzato troppo il gomito?
Su, dai, a me puoi anche dirlo.


Per amor di precisione vi voglio chiarire giusto due cose, visto che probabilmente non starete capendo nulla.
Allora: il Fato ha quel suo libraccio nero, avete presente? Quello della creazione? Ci siete? Bene.
Se avesse scritto ogni grattata di ogni essere vivente a quest’ora sarebbe ancora con la penna in mano.
Il mio caro amico ha pensato bene di scrivere per ogni capitolo solo le mete che la creatura avrebbe raggiunto, per lasciare al tipo almeno la possibilità di scegliere la strada per arrivare a quella meta. È un po’ il concetto di libero arbitrio, più o meno.
Poi c’è il Caso. Non è proprio una divinità, è più l’incrocio di due o più strade, che genera eventi imprevisti. Positivi o negativi dipende dalla situazione.
Chiaro?
Si, no, forse, fate come volete, io la lezioncina l’ho fatta.
Ora tutti zitti.
Oh! Ciao Codero! Vieni, accomodati con noi.


- Siamo del versante occidentale delle terre… siamo venuti qui per metterla in guardia da un grave pericolo: il re degli umani e degli elfi è impazzito.-  disse Ardof.
- Non mi interessa. Io sono responsabile solo per il mio popolo. Non sono informato su ciò che accade oltre le vette dei Monti Muraglia e non voglio essere informato adesso da voi.-

Popolo dalla mente aperta, mi dicevano, i nani.

- Sire, - esordì Vago con il tono più serio possibile, dando dimostrazione della sua bravura oratoria. – è il bene del suo popolo che ci ha spinti fin qui, nel bel mezzo di queste montagne. Certo non è questo l’incontro che sparavamo di ottenere. Il re delle terre a ovest dei Muraglia è impazzito, come diceva il mio compagno, e sembra voler mettere sotto il suo dominio, se non addirittura sterminare, tutte le razze che questo continente ospita.-  
- Questo non è un problema per noi. Abbiamo grandi città sotto queste vette e in caso di necessità tutto il mio popolo ci si può rifugiare. Non temiamo lo sterminio. I nostri maggiori centri sono stati visitati da stranieri in pochissime occasioni, sempre con il mio consenso. Mai nessuno potrà assediare la mia razza.-
- Ma, sire… - Vago fu costretto a prendere un attimo di fiato, cercando un’argomentazione che colpisse maggiormente quel re arrogante, gli occhi policromi, nel mentre, si muovevano disperati in cerca di qualcosa che gli fornisse lo spunto giusto per continuare il suo discorso. – ciò che deve spaventarvi non è il vostro sterminio dei suoi simili, che sappiamo essere di forte tempra, ma quello delle altre razze. Voi nani siete ottimi fabbri e minatori, questo è risaputo, ma se le altre razze scompariranno chi comprerà le pietre preziose che estraete? Chi userà le monete che coniate? Quali dame, quali donne indosseranno i gioielli che i vostri migliori artigiani creano e quali cavaliere in un duello sfodereranno una delle spade che i vostri armaioli hanno forgiato nelle vostre fucine? Io stesso ho una di queste spade e sono cosciente del significato delle parole che pronuncio dinnanzi a voi. Avrete capito che oramai questo sbaglio degli elfi e degli umani di eleggere un re ha portato a conseguenze che danneggeranno, direttamente o indirettamente, tutte le razze. Spero di essere stato esaustivo nella mia spiegazione e, se mai non lo fossi stato, non si preoccupi a domandare ulteriori delucidazioni.-

Che?
Ragazzino, tu hai un futuro in politica! O almeno nelle televendite, se ci fossero ancora.


Ardof si meravigliò con quanta disinvoltura e sicurezza il Cavaliere bianco avesse tenuto il suo discorso. Poteva non essere la persona più atletica o forte, ma sicuramente aveva una mente acuta.
Durante il silenzio che seguì il ragazzo temette che il re dei nani li avrebbe cacciati dai suoi possedimenti.

Se non peggio, ovviamente.
Potevano sempre venire giustiziati come comuni colpevoli, magari con l’accusa di… invasione di territori appartenenti al popolo nanico, per esempio.

- Quello che hai detto, umano, mi fa riflettere. Non posso negare che il mio popolo sarà comunque coinvolto in ciò che si sta compiendo. Questa nostra collaborazione è necessaria, se non obbligatoria. Sappiate che in ogni caso io non lascerò andare allo sbaraglio il mio popolo, se le condizioni lo richiederanno io ritirerò il mio esercito, patti o non patti. Sono disposto a subire le conseguenze di un crollo del mercato, se ciò vuol dire salvare i miei sudditi da morte certa.-

Tu… Mi scusi, lei, riflette? Questo è incredibile.
Io però tornerei a puntare sulla trottola, per me ha più presa.


- Non potevo sperare di meglio.-  gli rispose Vago.
- Bene… ora che mi avete iniziato a questa faccenda vorrei sapere i particolari, in modo da essere informato su tutto e poter trarre le dovute conclusioni.-
- In breve… il re fu eletto per assicurare la giustizia e il buon funzionamento nelle terre a ovest dei monti… hanno poi creato un ordine di combattenti, di cavalieri, per assicurarsi la buona condotta di questo regnante e intervenire in caso di necessità. – Codero prese fiato e si tamponò la fronte sudata. Non era riuscito a mantenere la calma come il compagno. – È stato durante questo intervento che ci hanno allontanato dal corpo dell’ordine e ci hanno mandato a riunire le razze in previsione di una sconfitta da parte di un esercito nero, accampato alle porte della Rocca delle Due Razze. Questo è più o meno tutto.-
- Penso di non aver capito. Un esercito nero?-
- Si. – rispose Vago riprendendo le redini del discorso e osando alzarsi in piedi. – Un esercito composto da… esseri neri, mi permetto di definirli demoniaci. Neanche noi ne conosciamo la provenienza o la reale natura, ma sappiamo che sono talmente forti da aver sconfitto la forza armata con più potere distruttivo che potesse esistere.-
- Quindi mi state dicendo che non conosciamo il nostro nemico?-
- Purtroppo, mio re, è così. Non abbiamo potuto raccogliere più informazioni su questo esercito per via della sua repentina comparsa. Ma non saremmo qui se la situazione non richiedesse il vostro aiuto. Voglia quindi perdonare la nostra sfacciataggine.-
Il re nano sospirò tristemente. - Come dici tu la situazione richiede un intervento. E noi siamo coinvolti direttamente. Saremmo degli sciocchi a non darvi il nostro appoggio. La nostra alleanza è oramai suggellata dagli eventi, quindi vi invito in segno della nostra nuova collaborazione nella meravigliosa Izivay Magnea.-
- Bene, però sbr…-  disse Frida.
- La ringrazio, saremo felici di partecipare.-  Ardof la interruppe velocemente dandole una gomitata sul fianco.
Si pentì immediatamente di quel gesto, ma almeno l’ira della ragazza l’avrebbe colpito per una giusta causa.

Fossi stato in te l’avrei lasciata parlare. Ora pagherai le conseguenze del tuo gesto… ed io voglio godermi la scena.

Appena il re uscì dalla stanza, trascinandosi dietro il suo martello-ascia d’oro rosso, Frida tirò un pugno nello stomaco del Cavaliere rosso, facendolo piegare in due per il dolore.
- Perché l’hai fatto?-  Ardof conosceva benissimo la risposta, ma la domanda gli sorse comunque spontanea.
- Perché mi hai interrotto?-  sibilò lei.
- Perché eri annoiata e stressata dalla conversazione. Quando si è davanti a un re, specialmente un re che si è appena alleato con te, è meglio moderare le parole.-
- Non importa! Non dovevi interrompermi, re o non re! Quel pugno te lo sei meritato!-
I due raggiunsero il gruppo poco prima che il re svoltasse in un cunicolo che dava su tre uscite diverse.
- Siete stati fortunati. Oggi verranno uccisi i demoni del cielo, che gli dei hanno esiliato sui nostri monti.-  
Il gruppo continuò la marcia per gli angusti corridoi.
- Ehi, coppia di pazzi. – disse Vago – Sapete mica che cosa sono questi demoni del cielo? Non ricordo animali con quel nome.-
- Non ne ho idea. Magari solo loro li chiamano così. Per le dimensioni o il colore del piumaggio. Viste le dimensioni di quel lupo che mi ha attaccato non mi stupirei di trovare un corvo grande quanto un’aquila.-  gli rispose Ardof.
- Si… o magari sono uccelli del malaugurio… gli avvoltoi. Rispetto a un nano sono enormi e poi, non è che sono proprio bellissimi. Anzi…-  
- Aspettate a fare previsioni… tanto tra poco li vedremo questi demoni. Piuttosto, guardate che portale.-  li interruppe Frida.
Davanti a loro si innalzava un immenso portone a due battenti interamente di marmo rosa con venature bianche.
- Signori, dietro questa porta c’è il più grande tesoro dei nani, la nostra gemma più preziosa.-

Un rubino, o magari uno zaffiro dal colore del mare… se invece mi capitasse in mano un diamante purissimo… chissà, magari un souvenir di quest’avventura potrei anche prendermelo…

Il re inserì il suo martello-ascia in un foro e lo ruotò, quasi fosse stato una chiave per il portone.
I due battenti si aprirono verso l’interno, rivelando una stanza gigantesca, illuminata dal danzare di centinaia di candele su altrettanti supporti splendenti, al centro ospitava un palco e sui lati una gradinata che poteva ospitare tranquillamente più di cinquemila individui.

Ovviamente si sarebbero dovuti stringere parecchio e le risse sarebbero scoppiate ovunque, ma questi erano problemi secondari.

Il vero tesoro, quello di cui il re parlava, era la stanza stessa, sulle pareti di marmo finemente lavota si snodava un lungo serpente interamente fatto d’oro che percorreva a larghe spirali la distanza che separava la sua coda, posta al centro del soffitto, dalla testa che era stata immobilizzata dall’artista nell’atto di chiudere le fauci irte di denti scintillanti sul palco centrale.
- Splendida… non ho mai visto nulla del genere.-  riuscì a sussurrare Frida, improvvisamente trasformata in un’appassionata d’arte, mentre cercava di abbracciare con lo sguardo tutto ciò che le si era presentato davanti.

Penso di potermi scordare il mio souvenir… peccato.
Ammetto, però, che hanno fatto un gran bel lavoro, qua sotto. Sarebbe un peccato se venisse tutto distrutto.

- Izivay Magnea, - ripeté il re – la Sala del Serpente. Costruita con il meglio che la terra potesse offrire e adornata con l’oro più puro. Non esiste niente del genere sopra e sotto la superficie ed oggi ospiterà l’esecuzione dei demoni del cielo.-  concluse fiero il re.
I quattro si sedettero su uno degli spalti più bassi, subito dietro al tozzo re.
Un piccolo nano dal volto sproporzionato persino per i canoni di quel popolo si avvicinò, avanzando insicuro sulle sue gambe. - Glick deve dire al re Vroyer che i demoni sono pronti…-
Vroyer batté le mani e ordinò - Boia!-  
Un nano vestito di entrò nella sala, in mano teneva una pesante scure che reggeva a fatica. La dimensione della lama sembrava fin esagerata per tagliare il collo a un gallinaccio, per quanto grande fosse.
Il boia si portò al centro della sala, sulla pedana, e si inchinò davanti al suo re.
- Fate entrare il primo demone!-  urlò ancora Vroyer, ansioso di assistere allo spettacolo che gli si prospettava.
Al suo comando una grossa inferriata si aprì stridendo e dall’oscurità del cunicolo nel uscirono quattro nani tirando una spessa catena. Erano tutti molto indaffarati nel compito.
- Penso che non sia un uccello del malaugurio.-  sussurrò Ardof senza distogliere lo sguardo dal tunnel buio.
- Lo credo anch’io… ma ho paura di quello che potrebbe uscirne…-  rispose il Cavaliere bianco.
Poco alla vennero alla luce due possenti zampe artigliate, un torace largo e un muso irto di denti.
Ardof si coprì gli occhi scoraggiato. “ Era andato tutto così bene! – si disse – non è possibile! Adesso come facciamo a tenere tranquillo re Vroyer? ” scosse la testa rassegnato.

Ahahahah!
No! Io me ne vado.
Non si può vedere una cosa del genere, ma insomma!
Non vi sembra che salvare il mondo sia già sufficientemente difficile come missione?

Vago tentò ancora di girarsi e fermare il compagno di viaggio, ma fu troppo lento per afferrarlo.
Come tutti avevano previsto Codero si alzò in piedi e, superata la balaustra che separava gli spalti dallo spiazzo centrale con un salto, si precipitò verso il drago verde che veniva trascinato nella sala.
- È finita. Non basteranno le più belle parole mai inventate per salvarci, adesso. Non so cosa potrò ancora inventarmi…-  borbottò Vago dando voce ai pensieri del Cavaliere rosso.

Che fortuna. Con tutti gli animali terribili e orribili che la natura offriva, i nani aveva scelto di demonizzare proprio i draghi.

Intanto, il Cavaliere verde aveva spinto da parte i quattro nani che stavano trascinando il suo drago e aveva raccolto la catena in modo che nessuno riuscisse a prenderla.
- Non provate ad avvicinarvi! Nessuno ci provi! Non vi lascerò far del male al mio Marfest, lo giuro sui miei genitori!-  continuava ad urlare, rivolto sia ai quattro nani che al boia, il nano in nero continuava a guardare il suo re con sguardo interrogativo, senza sapere come comportarsi.
- Ora basta!-  sbottò il re dei nani facendo rimbombare la sua voce per tutta la stanza. Il serpente sembrò tremare al suono di quella voce rauca.
Per un attimo sembrò che il tempo si fosse fermato, nessuno osava muoversi. Perfino Codero aveva smesso di urlare.
Ardof si portò le mani nei capelli, demoralizzato come poche altre volte gli era successo.
- Ora basta! – riprese Vroyer. – Ditemi immediatamente cosa sta succedendo! Non tollero segreti pericolosi nel mio regno! Voglio immediatamente delle risposte! Questo è un ordine!-
Il re alzò il martello-ascia e lo punto contro Ardof, che non seppe se alzare le mani verso il soffitto, scappare o estrarre la spada che, tra l’altro, non aveva al fianco.

Come diavolo si poteva reagire alla minaccia di un re? Per di più un re che si era appena alleato con te?

- Senta, non è una cosa pericolosa come appare…-  provò a dire Vago, appoggiando il palmo della mano sul piatto del martello d’oro e cercando inutilmente di abbassarlo.
- Non cercare di incantarmi con le tue parole, io vedo un demone dietro di me e un umano che lo protegge. Voglio una spiegazione esaustiva, non giri di parole, capito? Voglio capire perché non posso difendere i miei sudditi da quella minaccia!-  ruggì il re diventato paonazzo dalla rabbia.
Ardof avrebbe voluto sparire in quel momento, ma l’ingombrante presenza del martello-ascia davanti a lui lo intimoriva a tal punto da non farlo muovere di un solo passo.
Non si azzardò nemmeno ad usare la magia. Per quel che ne sapeva se avesse fatto fondere quella strana arma o anche solo immobilizzato il re lo avrebbero potuto considerare un servo del male.
- Senta. Codero le ha già parlato dell’ordine, mi scuso per lui se non è stato chiaro nella sua esposizione dei fatti. I combattenti di quest’ordine, si chiamano Cavalieri e Domatori, Cavalieri e Domatori dei draghi. Ognuno di noi ha un drago con cui ha un profondo legame. Quello che volevate uccidere non è un demone esiliato ma è un drago atterrato per soccorrere un suo simile, la mia dragonessa. Sono stata sufficientemente chiara, questa volta?-  scandì Frida guardando con uno sguardo freddo il re.
Ardof, nella sua immobilità, notò che la ragazza stringeva talmente forte i pugni da farsi sbiancare le mani. Il ragazzo ringraziò solo il fatto che non avesse al fianco lo spadone, altrimenti avrebbe sicuramente attaccato.
- Quindi non sono demoni maligni?-  chiese Vroyer, addirittura rattristato dalla notizia. Si comportava esattamente come un bambino al quale è stato tolto il suo gioco preferito.

Ve l’ho detto. La trottola è la soluzione.
Poca spesa tanta resa.

- No. Codero le darà volentieri una dimostrazione della loro bonarietà, ne sono certa.-  l’elfa incrociò le braccia e spostò il suo sguardo sul Cavaliere verde.
- Basta così! Non voglio parole, ma solo fatti! – ordinò il re – E tu, dammi una prova che non è un demone quello che proteggi.-
Codero rispose prontamente alla richiesta.

Dopotutto era la stessa cosa che aveva proposto Frida.
I nani non sono di certo una razza sveglia… Per favore, sbrighiamoci, che questo popolo talpe mi sta cominciando ad annoiare profondamente.
E devo ancora mettermi sulle tracce di quel genio di Trado.

Il Cavaliere verde fece aprire le fauci al suo drago e mise la testa fra le zanne candide. I due rimasero in quella posizione per un attimo, poi il Cavaliere si ritrasse lentamente.

Il massimo del comico e del tragico sarebbe stato uno sternuto da parte del drago, ma per loro fortuna la prova è finita senza intoppi.

- Questa dimostrazione di fiducia non me la sarei aspettata. – ammise il re – ma non è abbastanza per conquistarsi la mia fiducia, voglio una certezza sulle vostre buone intenzioni!-

Vuoi ancora qualcosa?! Non ti sai proprio accontentare?

- Posso restare qui con lei. – intervenne Codero – Così avrete un ostaggio che vi garantirà la collaborazione degli altri e inoltre potrete vedere con i vostri occhi che i draghi non hanno un’indole malvagia.-  
- Questo comincia ad avere senso. Ma come fai a sapere che questa… bestia non ti si ritorcerà contro? Come fai a fidarti di lui a tal punto da mettergli la testa fra le zanne?-
- Questo non è un semplice animale, è un drago. La sua razza è intelligente, molto più intelligente di alcune persone… - il re, però, non parve cogliere la frecciata di Codero. – Inoltre può parlarmi, è stato lui a suggerirmi la prova di fiducia.-  
- Ti ha… parlato?-  
- Si. Ora, lei e il suo popolo tornerete ad appoggiare la nostra causa, nonostante questa piccola incomprensione?-  
- Se mi giurerete di non tradirmi si e…-  
- Ci aiuterà nelle battaglia?-  intervenne Vago.
- Si… ci sarò quando la guerra si scatenerà. Ma non voglio dover combattere anche i vostri… draghi.-
- Bene. Allora il nostro accordo è fattibile. Le chiediamo solo una cosa, gli altri draghi. Vogliamo partire il prima possibile.-  disse Frida guardando il martello-ascia ancora puntato contro Ardof.
- Si… si. Seguite quel tunnel, troverete i vostri draghi in una grotta. Tu, accompagnali!-  ordinò a uno dei quattro nani cha avevano trascinato fino a Izivay Magnea Marfest. Questi fece un breve inchino e si diresse a passo spedito per il corridoio oscuro.

Grazie agli dei! Non ne posso più di questo posto.

I tre ragazzi trovarono i draghi incatenati alla roccia in una caverna stretta.
Il nano che li aveva accompagnati fin lì armeggiò per un attimo con un grosso mazzo di chiavi finché non ne trovò una lunga cinque dita che inserì nei collari in ferro che bloccavano i draghi, facendoli aprire con uno scatto.

Inutile dirvi quanto quelle grosse dita tozze tremassero. Il nano non riusciva in nessun modo a centrare la serratura.

Non riuscirono più a vedere Codero prima di partire, sembrava che la montagna lo avesse inghiottito. Il re doveva averlo fatto uscire per l’ingresso principale della sala non appena loro se ne erano andati.

- Avremo fatto bene a lasciare Codero là dentro?-  chiese Frida non appena furono in volo.
- Io confido nel Fato… – le rispose Vago – confido che le sue decisioni porteranno alla riuscita della nostra impresa… per quanto riguarda la strada che abbiamo intrapreso, penso che ce ne sarebbero state molte di peggiori. Comunque oramai è fatta, non possiamo più tornare sui nostri passi. Tutto sommato, Marfest si prenderà cura di Codero e viceversa. Vroyer non vuole ritrovarsi in uno scontro con un’animale del genere, se non sarà la fiducia, sarà la paura a far mantenere il patto. È pur sempre meglio di niente.-

Anch’io una volta confidavo nel Fato, sai? Poi mi sono ritrovato a fare da babysitter a cinque mocciosi. Vedete di non farvi ammazzare durante la mia assenza.

Che bella sensazione… il vento sotto le ali è una delle cose più belle del volo. Ora vediamo di trovare quell’idiota di un elfo.

I tre draghi virarono verso est, con il sole alle spalle che illuminava l’orizzonte con la sua calda luce rossa.

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Capitolo 11
*** Capitolo 10: Arco e frecce ***


  - Ancora un piccolo sforzo, siamo quasi arrivati. Non manca molto!-  L’elfo dalla pelle scura si muoveva agile fra i rami intrecciati che si snodavano come una strada sopra la palude.
- Non per lamentarmi, ma mi hai detto che mancava poco anche dieci minuti fa! E poi, manca poco a cosa? Ho bisogno di una motivazione per andare avanti… non mi basta la fiducia che Reicant ripone in te… per cosa poi? Cosa hai detto al mio drago di così importante?-  Trado non ne poteva più di arrampicarsi sui tronchi degli alberi che lo circondavano e di camminare sui loro rami. Anche con gli scarponi aveva le piante dei piedi che gli facevano male.
- Non posso parlarti di questo, ora. Ma fidati del tuo drago. Dopotutto è lui che ti ha consigliato di seguirmi. Quindi zitto e cammina, o non arriveremo mai.-  L’elfo non si era neanche voltato per guardarlo in faccia.

Cosa mi sono perso? Chi è l’assassino? Ah, nessuno… certo…
Tornando a noi.
La buona notizia è che sono riuscito a trovare Trado in mezzo alla boscaglia, quella cattiva è che c’ho impiegato cinque ore.
E non è stato divertente. Per niente.


Continuarono a camminare nella fitta vegetazione, passando di ramo in ramo come gli scoiattoli che squittivano spaventati al loro passaggio.
- Fai attenzione, adesso dobbiamo salire su quel pino là. – disse indicandogli un grosso fusto scuro – Quando saremo in cima mancherà veramente pochissimo, fidati.-
Trado raccolse tutte le forza che gli erano rimaste e cominciò la scalata, facendo strisciare il pettorale di ferro contro la corteccia. Ogni volta che l’armatura strideva contro un nodo del legno gli si accapponava la pelle e le orecchie gli mandavano fitte di dolore.
Il ragazzo si sentì perso quando le mani cominciarono a sanguinare, rendendo viscidi gli appoggi, e la cima non si vedeva ancora.

Dopo numerose soste sui rami che intralciavano la salita, Trado finalmente arrivò sulla cima del pino, o meglio dove questa avrebbe dovuto essere, perché, davanti a lui, si apriva invece una sorta di piazza fatta di rami intrecciati, da cui partivano numerose strade che percorrevano tutto il Bosco Nero, fin dove l’occhio riusciva ad arrivare.
Il ragazzo si inginocchiò e toccò i rami sotto ai suoi piedi, intuendo che l'opera era nata spontaneamente, senza il bisogno dell’intervento di qualcuno.
- Questa è una delle meraviglie delle Terre… la Strada Sospesa. Collega tutta la foresta da qui agli ultimi alberi sulla costa occidentale. Questa è la Piazza Centrale, tutte le strade si congiungono qui. Se si prende questa via si arriva dritti a Gerala, la capitale degli elfi, - Trado annuì distratto – proprio i mercanti di Gerala stanno pensando di far diventare questa bellissima opera della natura un mercato. Ma non è questo che volevo farti vedere.-
L’elfo nero passeggiò verso il centro della piazza, dove l’intrico di rami aveva creato una piccola protuberanza.
- Avvicinati, dai. Questa è una cosa interessante.-  disse la guida.
Trado si avvicinò un po’ titubante al bozzo che aveva rapito tutta l’attenzione dell’altro elfo, solo quando fu vicino si accorse che sulla corteccia risaltavano delle lettere di resina trasparente.
- Sai che lingua è questa?-  chiese l’elfo scuro.
- È la Lingua del Potere, la lingua che fa ordine tra i pensieri e ti permette di usare la magia …-  disse Trado meccanicamente mentre passava i polpastrelli sulle piccole lettere scintillanti.
- Non solo, è anche la lingua che parlano gli Dei. Sai leggerla?-  chiese la guida posando una mano sulla spalla del Domatore.
- Dunque... "Il libro narra che il prescelto arriverà su ali di nuvola, paura e rimorso saranno i suoi compagni. Se il capo riconoscerà me in lui, la sua prossima tappa sarà il pozzo, custode dell’arma da me forgiata. La chiave del custode risiede nella forza pura come l’aria di montagna, quella che rinfresca la mente delle persone"-  

Ecco, ci risiamo. Mai le cose dette in modo chiaro.
Oltretutto questo è uno dei peggiori indovinelli che io abbia mai sentito… sempre se si tratta di un indovinello.
Ma poi, era davvero necessario tutto quel “paura e rimorso saranno le sue compagne”?
Arietta mia dimmi, onestamente, non ti sembra un pochino esagerato?


- Esatto.-  
- Ma… cosa vuol dire?-  
- Non lo so… però la incise la dea Aria proprio sotto i miei occhi. Si materializzò in questo preciso punto, bellissima e diafana. Guardandomi con quei suoi meravigliosi occhi cristallini, mi disse che solo io avrei avuto il potere di riconoscere il prescelto e portarlo fino a qui. Ho scoperto che se faccio così succede qualcosa.-  l’elfo appoggiò la mano aperta sulla cima del bozzo. In un istante i rami presero vita, e si ritrassero come tentacoli, rivelando una cavità sotto la piazza.
- Prima tu…-  disse Trado.
L’elfo si lasciò cadere senza fare storie e fece cenno al ragazzo di seguirlo. Con una preghiera il Domatore scese nella cavità.
I due elfi si ritrovarono in una cappella rotonda, interamente fatta da rami intrecciati.

Una specie di gigantesco nido, alla fine.
Certo ci fossero state delle uova avrei potuto fare una frittata veramente spettacolare… peccato.

Un piccolo altare vuoto era illuminato dal cono di luce che entrava dall’apertura sul soffitto.
- Che cosa devo fare? Che posto è questo?-  chiese Trado confuso mentre guardava la piccola costruzione bianca.
- Non lo so. Sinceramente penso che l’iscrizione all’entrata si riferisse a questo quando parlava della “chiave del custode risiede nella forza pura come l’aria di montagna, quella che rinfresca la mente delle persone”. Ho idea che questa chiave sia la tua anima, ma non so come possa sboccare tutto questo.-  l’elfo scuro fece un gesto con la mano indicando la cappella tutto intorno.

- Tocca l’altare!-
Dannato moccioso, pensaci! C’era scritto all’ingresso chiaramente, non mi sembra che le parole di Aria fossero così criptiche.

Trado prese una lunga boccata d’aria e si tolse il guanto, una piccola parte di lui gli diceva che era quella la via ma non sapeva assolutamente spiegargli il perché.

Non ci fossi io qui non so dove potremmo finire.
Aria, Acqua, Terra, Fuoco e tu, Fato, paparino caro. Vorrei farvi notare che per poco Ardof non perdeva una gamba prima ancora di diventare Cavaliere.
Che schifo… sto cominciando a chiamarli per nome… sono disgustato da me stesso.
Ora devo suggerirgli qual è la prossima mossa da fare.
Se proprio volevate che sconfiggessi io il Re tanto valeva faceste arrivare tramite corriere un carico di armi incantate per la mia specie e avremmo disinfestato la Rocca dal Demone.
Oh! Aspetta! È vero! Non esiste più la mia specie, perché ci hanno massacrati. E voi dove eravate quella volta? A coccolare uno di quei maledetti Servitori?!

Appoggiò la mano candida come la neve sul freddo marmo dell’altare, tanto valeva provare.
Quasi subito provò una strana sensazione, come se la pietra stessa gli stesse succhiando via il suo mana, la sua energia magica e vitale, attraverso il palmo e le dita della mano.
Nonostante sapesse che se il suo mana avesse continuato a diminuire sarebbe morto, non riusciva comunque a staccare il palmo dall’altare.
Provò ad urlare, ma nessun suono uscì dalla sua bocca.
Paralizzato in quella posizione, era come se la sua mente sempre più annebbiata e stanca fosse stata rinchiusa in prigionia del suo stesso corpo.
Si era rassegnato a quella morte silenziosa quando l’altare smise di succhiargli via le energie.
La cappella si riempì di un vento tempestoso, che vorticava e ululava senza mai diminuire. In quel caos, sull’altare l’aria sembrò solidificare, plasmando un fine arco in legno bianco e una faretra vuota che rimasero sospesi a pochi centimetri dal dorso della mano del Domatore.
- Che cosa è successo?-  chiese Trado.
- La tua anima ha sbloccato il guardiano e questo... questo deve essere il leggendario Arco di Bora, la divina arma della dea Aria. Ragazzo, tu sei il suo discepolo, tu sei il suo incarnato. Dentro di te risiede la dea Aria, che tanto tempo fa mi incaricò di trovarti. -  
Il domatore non capì subito cosa comportassero quelle parole, era intento ad ammirare la splendida arma sospesa sulla sua mano, ancora adagiata sull'altare di marmo.
- Questo cosa vuol dire esattamente?-

Vuol dire che sarai il fattorino di Aria per il resto dei tuoi giorni. Ma insomma! Che domande fai? C’eri anche tu quando hanno letto le lettere, la conosci la storia!

- Vuol dire che sei speciale e sei destinato a qualcosa di grande. La dea Aria, la leggiadra Signora dei Venti, ha riposto in te la sua fiducia donandoti il suo arco.-
- Ma, cosa ci devo fare? Non sono un buon arciere e non so a cosa mi possa servire l’arco di una dea!-  
- Il Fato ha un disegno per te, fidati del parere degli dei e lascia che gli eventi ti scorrano addosso come se fossero una corrente d'aria. Se hai bisogno di tempo per riflettere, incarnato di Aria, posso offrirti un alloggio nel mio villaggio, non è molto ma non avrai bisogno di pagarlo. Non siamo un paese molto aperto ai viandanti, di qualunque razza essi siano, ma cercheremo di non farti sentire a disagio.-  gli disse l’elfo scuro scrutandolo con gli occhi neri.

Si, certo. Fidati del Fato.
Poi ti troverai incastrato in un ricatto e costretto a rimediare a ogni svista degli dei che incontri solo perché ti sei fidato di lui.

- Non posso approfittare della vostra generosità. Non posso occuparvi un alloggio senza neanche un affitto. Penso che io e il mio drago partiremo per Gerala o… non lo so. Decideremo sulla strada.-  
- Se il problema è solo quello che non vuoi sentirti inutile… abbiamo molti campi intorno al villaggio e scommetto che agli uomini non daranno fastidio un paio di braccia in più. Non devi far altro che chiedere e ti sarà dato.-  
- Allora proverò a stare con voi per un po’, però non posso assicurarti che resterò, ho… dei gusti difficili sugli stili di vita.-  
- Non voglio convincerti a restare, né voglio importi le mie idee. Mi sembri una persona che non sa dove andare e che ha bisogno di dimenticarsi per un po’ del mondo. Dopotutto, se Aria ha nascosto qui il suo arco e non a Gerala, ci sarà pure un motivo.-

Il motivo poteva essere la tranquillità del luogo come il fatto che, se fosse apparsa a un elfo di Gerala, come in ogni grande città questo sarebbe stato inghiottito dalla folla, magari considerato un pazzo con le visioni e rinchiuso a vita.
Ma chi può comprendere le decisioni degli dei fino in fondo?

Trado si mise la faretra a tracolla e vi ripose dentro l’arco.
- Ho un ultima domanda: Come posso usarlo senza frecce?-
- Non lo so, penso che dovrai scoprirlo da solo. Per il momento usciamo di qui, altrimenti non arriveremo mai al mio villaggio per il tramonto.- L’elfo scuro si arrampicò fino all'apertura che li aveva portati dentro la cappella.
Non appena furono entrambi fuori da quel luogo i rami ripresero vita, avviluppandosi gli uni sugli altri e sigillando per sempre quel luogo incantato.
Trado tirò fuori l’arco dalla faretra e provò a tendere la sua corda, appena la lasciò andare l’arma emise una nota cristallina.
Il ragazzo portò istintivamente la mano alla faretra e subito una brezza leggera si insinuò tra le sue dita. Ritrasse l'arto e notò che impugnava una freccia dal piumaggio candido.
- Penso che questo risponda alla mia domanda.-  si disse infine.

I due elfi seguirono per un breve tratto una delle strade che si aprivano dalla piazza, per poi scendere ramo per ramo dagli alti tronchi che ombreggiavano la foresta sottostante.
L’elfo scuro condusse Trado fino a un piccolo villaggio circolare, circondato dai campi ancora da mietere.
Mentre il ragazzo veniva accompagnato al piccolo alloggio che gli avevano messo a disposizione si accorse degli sguardi ostili che alcuni elfi gli indirizzavano al suo passaggio.

Altro che poco aperti ai viandanti. Quegli elfi avrebbero perfino ucciso una lumaca che fosse entrata nella loro parte di foresta senza esserci nata!

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Capitolo 12
*** Capitolo 11: La Grande Prateria ***


 - E siamo rimasti in tre.-  rifletté Vago ad alta voce mentre i suoi compagni caricavano le ultime bisacce sulle selle dei draghi. Si erano accampati a una giornata buona di volo dallo spartiacque dei Monti Muraglia.
- Comunque, se incontreremo un altro regnante, cerca di tenere a freno la lingua, Frida. Se ti arrabbi rischi di dire cose che ci possono mettere in guai seri. Capito? Ho l’impressione che ci sia molto di più dietro a questa missione, rispetto a quello che ci hanno lasciato scritto. Dobbiamo essere prudenti, che siamo o meno incarnazioni degli Dei potremmo davvero essere l’ultima linea contro il re.-  continuò il Cavaliere dalla sella del suo drago candido.
- Ma stai un po’ zitto! Mi sembra che sia andato tutto per il meglio, quindi non vedo il perché di questa ramanzina, sembri mio padre!-  
Ardof si avvicinò il più possibile all’elfa e le disse sottovoce, in modo che Vago non potesse sentire. - Comunque, non so se tuo padre te l’ha mai detto, sei carina quando ti arrabbi.-  
- Davvero?-  chiese Frida coprendosi le orecchie arrossite.
La domanda si perse nel silenzio. Il Cavaliere rosso si voltò dall’altra parte e tornò ai preparativi per la partenza, dandosi dello stupido per quella frase.
Probabilmente l’aria rarefatta della montagna gli aveva offuscato la mente.
“Tu non ci sai proprio fare, con le femmine, intendo.” Disse Erdost con tono critico.
- Perché, tu si? Ricorda che sono più vecchio di te.-  gli rispose il ragazzo avvicinando alla testa ruvida del suo drago per non farsi sentire dagli altri.

Quando tutto questo sarà finito e voi sarete morti, trucidati brutalmente dai demoni del re, vi insegnerò qualche trucco.
Ve lo prometto.


Quanto avrebbe voluto poter parlare con il suo compagno solo tramite lo scambio di pensieri… si sarebbe tolto moltissimi fastidi.
“A te sarebbe mai venuto in mente, se io mi fossi infatuato di Seisten, di andare da Frida ed elogiarmi per le mie qualità, per la mia bravura o per le mie mille doti? Non rispondere, è un domanda retorica. La vecchiaia ti fa male, Ardof.” Concluse il drago sfregiato.
- Davvero hai fatto questo per me?-  chiese stupefatto il Cavaliere trattenendosi di gridare.
“No, te l’ho detto per darti una falsa speranza. Certo che l’ho fatto! Non sono un rettile volante senza sentimenti!”  esclamò un po’ sdegnato il drago carminio.
- Grazie Erdost. È bello sapere che ho qualcuno su cui posso davvero contare.-
“Risparmia i ringraziamenti. Dopotutto è come se tu l’avessi fatto per te stesso. Siamo legati intimamente e ciò ci rende una sola creatura, in pratica io sono parte di te e tu di me. È il privilegio e la condanna di ogni drago e persona legati.”
- Comunque grazie. Non so come sdebitarmi.-  il ragazzo gli accarezzò le dure squame.
“Un modo te lo troverò. Vedrai…”
- Sei anche diventato un chiaroveggente oltre che un consulente di coppia?-  
“Sono solo ottimista.”
 
I tre ripartirono verso est non appena il sole sbucò tra le alte vette innevate che ancora li dividevano dal vero e proprio versante orientale delle Terre.
I draghi volarono il più vicino possibile, per evitare che i loro compagni dovessero urlare per poter parlare.
Poco lontano da loro si stagliava l’ultima vetta dei Muraglia, che si innalzava come ultimo baluardo prima di cedere il passo alle rade colline e all’immensa distesa pianeggiante che sembrava estendersi fino all’orizzonte.

- Tre, due, uno… Ragazzi, siamo entrati nella Prateria Infinita! Siamo veramente nelle terre dell’est!-  esultò gioioso Vago, ammirando la distesa su cui correva, appena visibile, l’ombra dei draghi.
- Scusa se non festeggio con te, ma la mia felicità si è congelata a queste temperature… scendiamo e poi ci stringiamo le mani.-  gli rispose Ardof stringendo la coperta.

Scesero fino alle pendici di una delle ultime colline che li dividevano dalla pianura.
Il cambio di temperatura diede al Cavaliere un’energia che non credeva di aver mai avuto.

Quando finalmente Ardof poté smontare dalla sella la sue gambe non ne volevano sapere di piegarsi, il ragazzo non seppe dirsi se fosse colpa del lungo volo o per le temperature polari che avevano incontrato all’altezze a cui avevano volato quel giorno.
Montò la tenda in fretta, tolse la sella dal dorso del suo drago e gli si sedette accanto, godendosi il tepore di quel ventre rosso.
- Sai, a volte mi chiedo cosa ne sarebbe stato della mia vita se non fosse successo quel che è successo… almeno in questi ultimi anni.-  disse ad un tratto Ardof.
“Intendi dire se non mi fossi schiuso davanti a te? Se non fossi diventato un Cavaliere dei draghi?”
- Si, anche quello, o anche se non ci fosse stato il Cambiamento. Non so se la vita prima fosse migliore o peggiore, però.-  
“ A questo non so risponderti, però una cosa la so per certo: c’è un motivo se io mi sono schiuso davanti a te e non davanti alle centinaia di ragazzi che hanno toccato il mio uovo prima.”
- E quale sarebbe questo motivo?-
“Un drago, o meglio un cucciolo di drago, quando è rinchiuso nel suo uovo ha un… potere speciale. Il Blatkod, lo chiamano. Quando un umano o un elfo toccano l’uovo, vale solo con queste razze perché l’incantesimo lanciato sulle uova donate dai draghi non include le altre, il cucciolo di drago vede davanti a se una striscia colorata, sembra la coda di una cometa. Questa coda rappresenta il Fato del Cavaliere o del Domatore di passaggio… è una sensazione difficile da spiegare, si sente il destino che si incontrerà se ci si lega a quella persona, se il destino offerto piace al cucciolo questo lecca l’interno del guscio, rendendolo morbido e appiccicoso. Il resto poi lo conosci anche tu. Capisci perché ti ho scelto? Perché tu ed io siamo destinati a qualcosa di grande, qualcosa che cambierà il mondo. Ne sono certo.”
- Non ti sembra di essere un po’ troppo ottimista? Insomma, va già bene se ci hanno fatto andare via dalla battaglia, altrimenti probabilmente non sarei neanche sopravvissuto.-  
“Io ti dico solo quello che penso. Sta a te poi decidere se crederci o meno, l’importante è non perdere mai la speranza.”
- Che bella frase… non perdere la speranza! Sembra uscita da un libro. Comunque perché non mi dai qualche anticipazione sul mio futuro? Tipo quando questa pazzia finirà o se devo già prepararmi la bara. Sai, mi piacerebbe essere sepolto sotto una quercia, mi è venuta questa idea qualche giorno dopo il Cambiamento…-

Devo davvero commentare questo discorso? Dai, è imbarazzante come discussione!

 
- Si… ecco, vedi, io non mi ricordo niente di quello che ho visto o sentito… ero ancora piccolo e non facevo attenzione a memorizzare le cose e poi non capivo ancora il significato di quello che mi succedeva. Quando sei arrivato tu mi sono sentito bene e ho leccato il guscio… ma non penso che ti avrei scelto se tu fossi crepato alla prima occasione. No?-
- Oppure mi hai scelto proprio per quello. Sai com’è, se io muoio tu non sei più legato a nessuno e puoi vivere la libertà… non so se mi spiego. Potresti tornare dai tuoi simili in natura. Io almeno farei così.-
“Purtroppo, o per fortuna, noi draghi nati… dal legame non possiamo fare questo ragionamento. Se muori tu muoio io, se muoio io muori tu.”
- Cos’è questa filastrocca?-
“Voi bipedi date troppe cose per scontate! Questa è una delle cose più importanti da sapere sul legame che viene stretto tra un drago e una persona! E i vostri insegnati hanno avuto il coraggio di guidarvi contro un esercito senza dirvi queste cose!”
- Ma cosa mi avrebbero dovuto dire?-
“Una persona, umana o elfa che sia, quando si lega a un drago non cambia solo fisicamente, facendosi colorare la mano. Cambia dentro, i “sintomi” visibili sono che la sua vita si allunga, i sensi diventano più acuti, si rinforza fisicamente, probabilmente per questo sei riuscito a far scappare quell’Athur, quella notte… Poi il Cavaliere riesce a percepire i pensieri del proprio drago a un livello superiore a qualunque telepate e si lega a lui in maniera così profonda, così intima che se uno dei due viene a mancare l’altro non può più sopravvivere. Non è come perdere un amico o un famigliare, è come perdere un pezzo di se stessi, della propria anima.”
Ardof si guardò la mano rossa riflettendo su quello che Erdost gli aveva appena detto.
- Senti, questa sera devo prepararlo io il campo, mentre Vago e Frida sono a caccia, mi andresti a prendere un po’ di legna per il falò? Deve bastare solo per questa sera, quindi non esagerare se non vuoi portare in volo oltre al mio peso quello delle fascine di troppo…-
Il ragazzo si alzò e si pulì le braghe dalla terra che aveva raccolto, per poi attraversare  lo spiazzo dove avevano deciso di passare la notte e dove adesso riposava la tenda che, senza picchetti, pendeva pericolosamente da una parte.
Estratta la spada, Ardof cominciò fare la punta ai rami più resistenti che riusciva a trovare, per poter tirare la tenda e non farla volare via al primo accenno di vento.
Si avviò quindi verso il torrente, che aveva intravisto appena erano arrivati, e ne prese delle pietre, in modo da recintare il falò e non dare fuoco a tutta la pineta che li ospitava.
Certo, non sarebbe stato un danno così grande, sarebbe stato solo più facile trovare la loro nuova meta.
Arrivò Erdost con passo pesante e le fauci piene di legna secca delle più disparate misure.
“ Dove la posso mettere?”
- Lasciala pure lì, adesso l’accendo.-  
Quando il ragazzo ebbe finito di posizionare con attenzione la legna sopra l’esca si fermò a riflettere.
- Dannazione!-  urlò.
“Che c’è? Che succede?” chiese allarmato Erdost alzano la grossa testa da terra.
- Aveva Codero l’acciarino! Ti dispiace accenderlo tu il fuoco?-  
“Potrei… ma voglio vederti usare la tua magia. Ho sentito tante storie ma non ti ho mai visto usarla. Forza, mostrami, fammi vedere quello che sai fare.”
Ardof inspirò a pieni polmoni, sgombrando la mente. Strofinò le mani e puntò l’indice destro contro l’esca del falò. Aveva usato solo una volta la magia al di fuori della lezione e aveva quasi ucciso una persona, che comunque si era rivelata un brigante che sapeva usare due incantesimi, quindi non era proprio sicuro dei quello che stava per fare.
Chiuse gli occhi e fece breccia nella sua riserva di mana, per un attimo si sentì invincibile, pieno di energia. Riportò alla mente l’incantesimo e lo tradusse nella lingua della concentrazione, la Lingua del Potere.
- Destari! “ Fuoco.-  
Una fiamma si accese alla base dell’esca, facendola prendere fuoco.
Sentì il senso di potenza scemare rapidamente, anche se aveva creato solo una piccola fiammella. Doveva allenarsi se voleva anche solo provare a lanciare incantesimi un po’ più impegnativi.
Di lì a poco arrivarono Defost e Seisten con tre carcasse sanguinolente tra le zampe.
- Questo branco era davvero resistente… - disse Frida scendendo dalla sua sella – non pensavo che degli animali potessero correre per tutta la vallata. Anche con l’aiuto di due draghi ci hanno dato dei problemi. Salivano, scendevano, entravano e uscivano dai boschi. Li abbiamo anche persi per un po’. Non è stata una caccia facile.-
Vago si sdraiò esausto accanto al fuoco mentre aspettava che le carne cuocesse.
La Domatrice dall’armatura azzurra si sedette di fronte al fuoco, pulendosi le mani per terra ed estraendo da una piccola bisaccia il rompicapo ad anelli con cui Ardof l’aveva vista giocare al Palazzo del Mezzogiorno.
In breve, lo scoppiettio della legna e il tintinnare metallico degli anelli furono gli unici suoni udibili nella pineta.
 
- Ah, è pronta! Vago, alzati e vieni a prendertene un pezzo prima che si bruci.-  disse Ardof infilzando una bistecca con un rametto a cui aveva fatto la punta.
I tre mangiarono in silenzio, ognuno perso nei propri pensieri. Solo Vago smuoveva la quiete con lunghi sbadigli.
- Guardate, ragazzi, io non ne posso più. Vado a dormire. Svegliatemi solo in caso di tempesta.-  Detto questo il Cavaliere bianco si alzò barcollando e si trascinò fino alla tenda, ricadendo di colpo con un sonoro tonfo. In mezzo minuto non si muoveva più.
- Secondo me, quello è allergico all’attività fisica. Mi chiedo come abbia fatto a non farsi prendere di punta da Gibber. Ho corso molto più di lui ma non sono ancora così stanca. – l’elfa terminò la frase con uno sbadiglio. Poi si corresse. – Almeno non stanca quanto lui. Comunque sarà meglio che anche io vada a dormire, così domani riuscirò a darvi una mano con la ricerca della prossima capitale. Quella maledetta città non l’ho neanche intravista durante il volo dietro il branco.-  anche Frida si andò sdraiare nella tenda, addormentandosi in un attimo.

Bene. Siete riusciti a non farvi ammazzare da un branco di cervi.
Se non vi dispiace ora faccio un salto da Codero e per domattina torno da voi. Riuscite a non fare danni questa notte?
Vediamo… Un gufo. Ho deciso. Almeno riesco a vedere dove vado e non congelo, con tutte quelle piume.


“Ardof, anch’io adesso vado a dormire, ti conviene fare lo stesso. Domani dovremo rimetterci in volo e dobbiamo essere più che svegli.” Gli disse Erdost con voce dolce.
Il drago si sdraiò sotto un pino vicino al falò, facendo cadere un po’ di pigne e graffiando la corteccia con le dure squame carminie.
Il ragazzo gettò un altro ramo sulla brace rosseggiante e distese la cartina davanti a sé. Le prime cose che notò furono le macchie gialle, tre poco oltre la catena montuosa che divideva da sud a nord le terre, una in mezzo alle montagne e una in mezzo al Bosco Nero.
Poi c’erano le sei stelle, divise tra il versante orientale e quello occidentale. Il Cavaliere si concentrò sulla parte a est dei Muraglia, Gerala e la Rocca delle Due Razze non gli interessavano.
La loro seconda capitale doveva essere vicina, proprio in mezzo alla pianura che si stendeva per tutto il versante, interrompendosi solo quando incontrava il Deserto Rosso a sud e una piccola catena montuosa senza nome a nord, vicina anch’essa ad una capitale.
Ardof si grattò la testa, ripensando alla discesa dalle vette dei Muraglia.
Non aveva visto nessuna città o paese nelle praterie desolate a un passo dal loro campo. Dovevano aver lanciato un incantesimo per nascondere la capitale da sguardi indiscreti, ma quanta energia ci voleva per mantenere un incantesimo del genere?
Non riusciva a venirne a capo.
Finalmente si decise ad andare a dormire, come gli aveva detto Erdost doveva essere sveglio il giorno dopo.
Ripiegò la mappa e si spostò per metterla nella bisaccia della sella di Seisten.
Forse fu la stanchezza, o le incredibili abilità delle persone che lo assalirono, comunque Ardof venne colto di sorpresa, lo tramortirono colpendolo alla base della testa e lo trascinarono via per le caviglie, silenziosi come erano arrivati.

Vago si svegliò lentamente, infastidito da un verso acuto che gli trapanava il cervello.

Ehi! Non guardate me!
Faccio già la balia a tempo pieno, non ho bisogno di fare anche da sveglia!
E poi sono appena arrivato, lasciatemi un attimo per riprendermi.


Prima di aprire gli occhi si concesse ancora un attimo di quel torpore che si ha da appena svegli, ma il lamento gli impedì di godersi anche quel piccolo istante di pigrizia.
- Defost! Fallo smettere! Per favore!- urlò, alzando un braccio per proteggere gli occhi socchiusi dalla luce che filtrava.
La prima cosa che vide furono i primi raggi del sole che tingevano di rosso il cielo.
“Dannazione, non potevamo dormire ancora un po’?” si chiese cercando di riprendersi dalla stanchezza che lo pervadeva.
Non avevano fretta, potevano permettersi una notte di sonno completa.
Un altro verso acuto lo fece sobbalzare, ricordandogli il vero motivo per cui si era svegliato.
- Defost! Fa qualcosa! –
“Fallo tu.” Fu la risposta secca che ricevette.
Gli ci volle un attimo per capire cosa stesse succedendo fuori dalla tenda: Frida era inginocchiata, vicino a ciò che restava del falò della sera prima, era lei a fare quel verso. La mente di Vago era ancora troppo annebbiata per capire se stesse urlando o piangendo, in ogni caso non pensava che l’elfa potesse star facendo una delle due cose, o entrambe, quindi si sdraiò di nuovo aspettando che il sogno sfocasse.
Gli scappò un sorriso. Frida che piangeva in modo così plateale non poteva che essere un sogno. Aveva versato appena tre lacrime durante la caduta di Seisten sui Muraglia.
E stava pure per morire, se non ci fosse stato lui.
Passò il tempo, e quel grido continuava ad assillarlo come una zanzara che continua a girarti attorno.
“Vago, svegliati! E falla smettere tu.” Ordinò una voce nella sua testa.
- Buon giorno anche a te, Defost. Dovremmo discutere sulla nostra divisione dei compiti.-  rispose alzandosi  e stropicciandosi gli occhi dalle palpebre pesanti.
Si mise a sedere e si passò una mano sul viso. Doveva fare qualcosa per far smettere quel maledetto rumore.
Si alzò e zoppicò fino a Frida, le si sedette a fianco e mettendole una mano sulla spalla.
- Che cosa sta succedendo?-  
Lei lo guardo con gli occhi lucidi e le guance rigate.
Stava davvero piangendo… per una volta si era sbagliato. Oh, beh, poco male. Ogni tanto poteva capitare… tutta colpa della stanchezza. Doveva un’ora di silenzio nei confronti del suo drago, ma non era una gran punizione.
Defost, comunque, non mancò di ricordagli il loro accordo. Per ogni previsione sbagliata un’ora di tranquillità.
“Che sogno orribile.” Pensò Vago guardandola negli occhi.
- Ardof… non c’è più, è sparito!-  
- Come? è sparito? Quando? In che senso, sparito?-  le chiese il Cavaliere bianco perplesso.
- Non lo so! Ieri sera io sono andata a dormire e lui era ancora qui… non lo so, non l’ho sentito entrare nella tenda! Non so dove possa essere finito, non c’è. Neanche Erdost sa dove sia andato! Cosa possiamo fare?-  Frida si rimise a piangere.

No no no no no! Non può essere! Ed ora cosa faccio che ne ho perso uno?
Come diavolo è possibile che mi assento un attimo e qui inizia il finimondo?
Calma Viandante! Se avessi una forma fisica mi tirerei uno schiaffo da solo.
Fermati, pensa, ragiona… Che diavolo può essere successo? In una sola notte, poi. Deve esserci una soluzione.
Basta trovarla.
Fai una cosa, diventa uno scoiattolo e accarezzati la coda… bravo, così. Un antistress naturale.
Ora trova una soluzione.


Vago si passò di nuovo la mano sulla faccia, pensando a cosa potesse mai essere successo.
Si rese tristemente conto di non essere in un sogno.
“ Le ore diventano due…” rimbeccò il drago candido.
- Sta zitto per un attimo, tu! Cinico di un drago!-
- Cosa ti ha detto?-  mugugnò l’elfa.
- Niente, è una discussione tra me e lui. Ardof ha lasciato un biglietto, una traccia su dove andasse?-  
- No, niente di niente. Però ho trovato la mappa vicina alle braci del fuoco… Ardof non sarebbe mai stato così sbadato da far bruciare la nostra unica mappa! Me lo sento, gli è successo qualcosa! Dannazione, non poteva andarci peggio!-  
- Calmati, per favore. Dove l’hai trovata la mappa? In che punto? Così magari riusciamo a capire cosa gli è successo. Però tu devi calmarti, altrimenti puoi non vedere qualcosa. O, peggio ancora, rovinare le tracce.-
Frida fece il giro del falò, avvicinandosi alla sella della sua dragonessa. Indicò per terra. - Qui. È qui che l’ho trovata.-  
Vago ragionò per qualche secondo. - Una delle possibilità è che ieri sera ha controllato la mappa, dopodiché ha deciso di andare a dormire, quindi ha cercato di mettere la cartina nelle bisacce di Seisten ma, essendo buio, ha sbagliato, facendola cadere per terra; non se ne è accorto, quindi è andato a dormire con noi. Questa mattina deve essere uscito dalla tenda per qualche motivo e adesso sta facendo qualcosa in questo bosco. Però…-  
- Ma non ha senso, avrebbe comunque dovuto dire qualcosa ad Erdost! O almeno ci avrebbe lasciato un messaggio! Ma io qui non vedo niente! Cosa mi dici adesso Sherlock?-
- A parte il fatto che è strano che ti ricordi ancora il nome di Sherlock Holmes, come me del resto, ma non quello degli altri innumerevoli investigatori. Comunque mi hai interrotto, prima. Stavo dicendo: che qui si vede della terra e degli aghi di pino secchi smossi. Come se fossero stati arati.-
- E allora? Non scherziamo, basta che ci sia passato sopra un drago e, o con gli artigli o con le squame, gli avrebbe smossi.-  
- Non ci sono i solchi degli artigli e le loro squame l’avrebbero lasciato solo se si fossero trascinati all’indietro. Vedi la coda di Seisten? Anche se striscia lascia una riga liscia, come la traccia di un serpente. Penso invece che Ardof sia stato preso da qualcuno e trascinato verso le praterie, così la tuta da Cavaliere avrebbe potuto lasciare questi segni.-
- Quindi dobbiamo solo riuscire a trovare quest’uomo, o quel che sia, e troveremo Ardof?-  
- Si… ma c’è un altro problema, vedi qualcosa di strano qui? Intorno alla traccia di Ardof?-
- No, non c’è niente.-  
- Appunto, anche un piede nudo lascia un’impronta, specialmente sugli aghi di pino. Ma qui non c’è niente. Quindi o cerchiamo qualcuno in grado di volare o stiamo inseguendo un autentico fantasma.-
- Un fantasma?-
- Si, o uno spettro. Qualcosa di inconsistente che però è in grado di toccarti e spostarti, una buona notizia è che non è forte a sufficienza per sollevare una persona da terra.-
- Dannazione! Cosa facciamo adesso, quindi? Siamo solo più in due!-  chiese Frida sconsolata, sedendosi in terra.
- Intanto cerchiamo la prossima capitale, magari quest’essere abita lì… direi che i draghi possono volare sopra le praterie cercando Ardof mentre noi seguiamo le sue tracce da terra. Magari troveremo qualcosa. Non so cos’altro fare, in questo momento.-  
- Si… proviamoci.-
Impiegarono pochi minuti a smontare il campo e sellare i tre draghi, l’ultimo segno della loro presenza fu il mucchio di terra che celava la cenere del loro fuoco.
Mentre i draghi prendevano il volo uno alla volta, Frida riuscì a sorprendere il Cavaliere bianco per la seconda volta nella mattinata, avvicinandosi e appoggiando volontariamente la fronte contro la sua spalla.
Il ragazzo non seppe bene cosa fare o cosa dire. Gli era capitato poche volte di dover consolare qualcuno, e mai in situazioni così disperate.
L’abbracciò goffamente e le parlò, cercando di mantenere un tono calmo.
- Tranquilla, vedrai che lo troveremo. Non preoccuparti e fidati dei draghi e delle tue capacità. Non preoccuparti…-  
- Non dovrei preoccuparmi? – chiese lei singhiozzando. – Come faccio a non preoccuparmi? Uno dei miei compagni, uno dei nostri amici è scomparso! Come puoi dire queste cose?-  
Vago strinse il suo abbraccio, cercando di confortare l’elfa. Non sapeva neanche cosa dire a se stesso, non sarebbe riuscito in nessun modo a trovare le parole giuste per consolare l’amica.
- Su… su. Dai, adesso lo cerchiamo e ti giuro che lo troveremo. È una promessa.-  riuscì solo a dire.
Vago chiuse gli occhi dai colori diversi, di cui andava tanto fiero, ascoltando i singhiozzi della Domatrice azzurra e cercando a sua volta di non cadere nel panico. Almeno lui doveva crederci, altrimenti non avrebbero mai trovato Ardof.
Prese un respiro, sciolse l’abbraccio e cominciò a seguire la traccia del compagno, proprio come gli aveva insegnato suo padre sia nel vecchio che nel nuovo mondo.
Ogni tanto essere il figlio di un cacciatore può essere utile. Come può esserlo aver speso anni in corsi di scherma. 

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Capitolo 13
*** Capitolo 12: Duro come la roccia ***


 Codero non riusciva ad abituarsi allo stile di vita dei nani sotto terra. Il tempo, o meglio le ore non avevano significato. La vita veniva scandita dai bisogni degli abitanti, quando aveva bisogno di dormire dormiva, se aveva fame mangiava e così via.
Ogni minuto di veglia del Cavaliere era stato riempito dalla sua missione di istruire quella razza ottusa sui draghi e sulla loro mentalità.
In compenso la cucina nanica era ottima, c’era un unico difetto: le pietanze erano tutte a base di funghi e tuberi.
Re Vroyer gli aveva spiegato che i nani del sottosuolo mangiavano solamente i prodotti che potevano coltivare nei loro cunicoli, in modo da essere autosufficienti in caso dovessero chiudere le comunicazioni con l’esterno.
- Ragazzo, - gli disse un giorno re Vroyer quando ebbero finito di ascoltare le lamentele dei nove clan dei nani. – ho visto con quanto fervore parteggi per i draghi, mi ricordi tanto una cosa… puoi seguirmi? Penso sia importante.-  
- Con piacere sire.-  
- Vedo che hai assimilato in fretta le basi della convivenza a corte.-  gli fece notare orgoglioso il re dei nani.
Il re fece strada al Cavaliere verde per tutta la capitale del regno dei nani, fermandosi pazientemente, ma fin troppo spesso, ad ascoltare le lamentele dei suoi sudditi.
Ancora Codero non riusciva a pronunciare il nome della città, tante erano le consonanti male accostate al suo interno.
Imboccarono svariate gallerie e passaggi laterali, al punto che il ragazzo perse completamente il senso dell’orientamento. Conosceva solo una piccola parte della città e per gli spostamenti più importanti doveva ancora affidarsi alla memoria del re o del cortigiano di turno, per non perdersi nei cunicoli.

Cortigiani che, tra parentesi, sembravano detestarlo, tutti, dal primo all’ultimo e, se non fosse stato così vicino al re, sicuramente lo avrebbero fatto perdere in quella ragnatela di gallerie.

Finalmente Vroyer dovette aprire una porta, entrando così nella sala del trono. Il re posò il martello-ascia sul trono di pietra e si fermò a guardare il muro in fondo alla sala.
- Quello che vedrai non dovrai mai dirlo a nessuno, intesi? Se non sei certo della tua risposta dimenticati quel che ti ho detto finora e continua la tua vita come se nulla fosse, anch’io farò lo stesso.-  
- La possibilità di scegliere l’ho persa quando mi sono imbarcato per la missione. Può fidarsi di me, sire.-  
- Bene, allora seguimi.-  
Il re appoggiò la mano callosa sul muro alle spalle del trono, aprendo una porta nascosta. - Questo passaggio l’ho scavato io stesso, quando il regno dei nani era ancora un’idea sfocata e Jianga, l’arma dei re, doveva ancora essere forgiata.-  si vantò il re dei nani.
Entrò nello stretto cunicolo, talmente stretto che Codero fu costretto a procedere a gattoni.
Al ragazzo cominciò a mancare l’aria, quando l’oscurità si fece sempre più fitta.
Vroyer lo fermò in malo modo.
Codero ci impiegò un momento per vedere la porta che ostruiva il passaggio.
- La prossima sala è il mio lavoro meglio riuscito, costruito intorno al dono degli dei.-  
- Che regalo vi fecero gli dei?-  
- La Sacra Pietra! Figlia del dio delle montagne e della terra. Figlia di colui che fa cantare la rocce e crescere i monti. Fu lui a guidare il mio piccone verso la prossima sala e fu lui a dirmi di condividere il segreto con pochi fidati, attraverso i sussurri di queste stesse pareti.-

E siamo a due. Non ci sono modi più semplici e meno fraintendibili per gli dei per comunicare?
Un cartello. Un grosso cartello luminoso con su scritto una cosa del tipo "Se sei un prescelto tocca la pietra".
Sarebbe facile, no? Forse troppo, per voi.

Devono per forza ricorrere ad altari magici, indovinelli orribili e apparizioni?

Con una spinta la porta si aprì, rivelando una piccola stanza rotonda, completamente ricoperta di muschio. Al centro si innalzava un masso con un incisione sopra.
Notata la curiosità di Codero per l’incisione re Vroyer gli si avvicinò. - È la Lingua del Potere. Noi nani ce ne andammo troppo presto dalle terre, conosciamo poco questa lingua, ma siamo riusciti a tradurne alcuni pezzi, per esempio: qui parla di un uomo di terra in cielo, o qui dice secondo di molti, o ancora parla di guerra. Io non sono un esperto, ma tu mi hai ricordato quest’incisione.-
- Probabilmente riesco a decifrarla.-  gli disse Codero inginocchiandosi vicino alla pietra.
Gli ci volle un po’, data la poca luce e la polvere che si era accumulata nella cavità, ma alla fine riuscì nel suo intento.
- Dice: Il libro narra di un uomo di terra che solca il cielo senza fine senza dimenticare le sue origini, quando vi farà ritorno sarà il secondo di molti e il cuore lo guiderà in guerra per la sua terra. Che suo animo duro come la pietra risvegli il guardiano.-  
- Te lo dicevo che mi ricordavi quest’iscrizione.-
- Si, sire. Però non so cosa voglia dire questa frase… non ci riesco a dare un significato. Visto che questa frase è stata scritta nella Lingua del Potere probabilmente ha a che fare con la magia ma io, sire, non so da dove cominciare, la magia non funziona come: io tocco una cosa e questa fa quello che deve fare.-  come dimostrazione il ragazzo appoggiò la mano sulla roccia.
Il masso si illuminò di un verde acceso, lo stesso colore dell’erba primaverile.

Fantastico. Ha sbloccato un incantesimo arcano posto da un dio in persona per sbaglio.
Sempre meglio di quell’altro, eh.

- Ma, cosa sta succedendo?!-  urlò Codero coprendosi gli occhi per non rimanere accecato da quel bagliore.
- Non lo so!-  gli rispose da lontano re Vroyer, il ragazzo non riusciva a vederlo.
Tutte le pietre, dai massi, alla ghiaia, alla polvere di roccia si sollevarono in aria e fluttuarono fin sopra il masso luminoso, che continuava a richiedere mana al Cavaliere ancora sconvolto, compattandosi e assumendo una forma ben precisa, come se qualcuno stesse modellando una scultura in fango.
Proprio come il fango le pietre si fecero morbide e malleabili, fondendosi le une con le altre.
Il Cavaliere smeraldino guardava la scena estasiato, appena cosciente delle energie in costante declino. “ Non può essere vero, - si disse – devo star sognando… è solo un sogno. Tra poco mi sveglierò in quel letto troppo corto e riprenderò la mia vita… si, è solo un sogno.” Intanto davanti ai suoi occhi la roccia continuava a mutare.
Dall’ammasso indistinto si cominciò a delineare un lungo manico verde, come se fosse ricoperto di muschio. L’asta allungandosi prese a diventare sempre più larga e spessa, finché non si aprì nella testa di un martello di pietra come una corolla sullo stelo di un fiore.
Codero cadde in ginocchio, stremato come fosse stato lui stesso a plasmare quell’arma, ma la debolezza non gli impedì di allungare il braccio e sfiorare con la punta delle dita il manico del martello.
La luce smise all’improvviso e il martello cadde pesantemente sul masso, crepandolo.
Il Cavaliere prese in mano il martello, più leggero di quanto le sue dimensione non avessero mai fatto immaginare.
- Non capirò mai la magia, ma penso che quest’arma sia per te. Fanne ciò che vuoi, ma ora andiamo, il clan dei tessitori ha richiesto un colloquio. Se ne avrai bisogno, ci sono molti guerrieri esperti nell’uso del martello in battaglia. Sono sicuro che almeno uno di loro sarà onorato di poterti insegnare quest’arte.-  
- La ringrazio, re Vroyer. Accetto molto volentieri la vostra offerta.-  rispose Codero. 

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Capitolo 14
*** Capitolo 13: La mente in prigione ***


 Ardof aprì gli occhi e il sole nascente lo accecò. Aveva la testa che pulsava e le orecchie gli urlavano di dolore per lo stridio che lo circondava.
Solo quando cercò di massaggiarsi la nuca si rese conto di avere le mani legate sullo stomaco.
Cominciò a rimettere assieme i frammenti dei ricordi della notte precedente, ma non riusciva a capire chi lo potesse rapire in una zona così remota delle terre.
Quando un sasso si infilò tra le placche della tuta da Cavaliere il ragazzo capì che si stava muovendo, qualcuno lo stava trascinando per le caviglie ma, quando abbassò lo sguardo per vedere chi fosse, non vide nessuno oltre i suoi piedi.
Si guardò intorno, stringendo i denti quando una pietra lo colpiva alla nuca o sotto l’armatura.
Era in mezzo alla prateria, di questo era sicuro, la pineta dove si erano accampati non si vedeva da nessuna parte.
Una pietra più grande delle altre gli fece inarcare la schiena e stridere la corazza.
- Per fortuna quest’armatura non si può rompere o rovinare… non so dove potrei trovarne un’altra così.-  si disse Ardof.
- Puoi ripetere quello che hai detto? Non ho capito.-  chiese qualcuno ai suoi piedi.
- Non ho detto niente… Ne sono quasi sicuro.-  rispose un’altra voce più debole.
- Me lo sarò immaginato… eppure mi era sembrato proprio di sentire qualcosa. Una voce…-  
“Forse è meglio starsene zitti ancora per un po’.” Pensò Ardof, intanto un dosso gli fece battere la testa.

Trovato! Sono salvo!
Meno male. Ora posso tornare al mio ruolo di spettatore passivo.
Si stanno muovendo a una velocità considerevole, visto che lo stanno trascinando. Questi uomini sarebbero stati dei contadini fantastici, con la loro forza e velocità… certo non passassero il loro tempo a rapire Cavalieri.

Una porta mimetizzata con il terreno si aprì e il ragazzo venne trascinato per una rampa di scale in pietra, ogni scalino gli faceva battere la schiena e la nuca.
La scalinata finì sotto un arco di pietra bianca enorme, lavorato talmente bene da sembrare di fattura nanica.
Che fossero stati di nuovo i nani a imprigionarlo? Eppure non riusciva a vedere quelle teste sproporzionate da nessuna parte.
Ardof fu portato dentro una grotta, chiusa da un’inferriata.
I suoi rapitori lo lasciarono dentro la cella e, richiusa la porta alle loro spalle, se ne andarono silenziosi come erano arrivati.
Il ragazzo aspettò in silenzio che quelle creature che l’avevano rapito tornassero, aveva paura di quello che potevano fargli se avessero scoperto che era sveglio.
Quando si fu convinto che non sarebbero tornati, chiuse gli occhi e sussurrò, attingendo al suo mana - Cedes, tonsait! “Nodi, scioglietevi!”-. La corda che gli teneva legati i polsi si slacciò, scivolando a terra.
Il Cavaliere si alzò da terra, massaggiandosi le contusioni che si era fatto durante il viaggio.
Notò distrattamente che era troppo ammaccato per un viaggio di una sola notte, ma in quel momento non ci fece molto caso.
Si guardò con molto più interesse intorno, cercando di indovinare dove l’avessero portato.
Era in una grotta piccola, con una spessa inferriata che chiudeva l’ingresso. Ardof le si avvicinò e posò la mano sul freddo metallo. Di fronte a sé vide un corridoio scarsamente illuminato che consentiva l’accesso a una ventina di altre grotte simili, fortunatamente tutte vuote.
- Moryu netdifu! “Sbarre piegatevi!”-  
II metallo sembrò brillare, ma non fece altro. Il ragazzo non volle perdersi d’animo e provò un altro incantesimo. - Mierna hinga! “ Metallo sciogliti!”-  
Di nuovo non successe nulla.
“ Deve esserci un incantesimo che protegge queste sbarre.” Decise Ardof. Portò la mano all’elsa di Pyra e si stupì di non trovarla nel suo fodero. Sperò solo che gli fosse scivolata mentre lo portavano in quella prigione e che non gliel’avessero rubata.
- Kinga ruofarti! “ Ferro spezzati!”-  provò a dire, ma senza ottenere grandi risultati.
- Nenzoi! “ Apriti!”-  disse ancora, sempre più frustrato per i suoi insuccessi. Intanto una profonda stanchezza lo pervadeva.
- Sarà meglio che la smetta. Di questo passo riesco solo ad ammazzarmi. Devo solo trovare una falla nell’incantesimo di protezione.-  disse a bassa voce mentre guardava in cagnesco la grata grigia che lo separava dalla libertà.
 
- Ardof! Ardof! Dove sei? Fatti vedere!-  Frida non si era tranquillizzata per niente e il fatto che avessero trovato la spada rossa del Cavaliere poco fuori dalla pineta non aveva fatto altro che peggiorare l’umore di tutti.
I tre draghi continuavano a sorvolare la Praterie Infinita, cercando di trovare una traccia, mentre i due ragazzi si davano da fare a terra, ma entrambi avevano avuto scarso successo.
- Qui non c’è, è inutile. – disse Vago guardando Frida senza saper bene cosa dire – richiamiamo i draghi e cambiamo zona.-
Così fecero, sorvolando pezzo per pezzo la prateria. Ogni tanto, in uno sporadico momento di fortuna, riuscivano a trovare una traccia, ma tutte portavano alle tane delle lepri che abitavano quella landa.
Il sole sorse di nuovo e Vago salutò il nuovo giorno con un largo sbadiglio. Non si erano fermati nella loro ricerca neanche per la notte.
- Penso che dovremmo fermarci a riposare, non siamo nelle condizioni di continuare la ricerca. Continueremo questo pomeriggio.-  
Frida protestò meno di quanto il Cavaliere bianco si fosse mai aspettato, ma questo non le impedì di dire la sua. - Si. Finiamo solo questo tratto e ci fermiamo.-  concluse l’elfa.
Ebbero un sussulto quando videro qualcosa di grosso strisciare tra le sterpaglie e la terra brulla, ma quando atterrarono non c’era già più niente da vedere.
Poteva essere stato semplicemente un grosso serpente.
Il gruppo, ridotto a un duo, si fermò lì dove era atterrato e crearono un piccolo rifugio per poter riposare in pace.
- Per questo dicevo che è meglio se ci fermiamo. – puntualizzò Vago – stiamo anche cominciando ad immaginarci le cose.-  
- Si, ma… io ho visto qualcosa, ne sono sicura. E l’hai visto pure tu. Non puoi dirmi che non è vero.-
- Siamo stanchi, tu puoi aver immaginato qualcosa e, dicendomelo, mi hai convito che ci fosse qualcosa. Sono cose che capitano. Riposiamoci un po’ e vedrai che non capiterà più.-
I due si sdraiarono, contando che i loro draghi li avrebbero protetti da qualunque cosa abitasse quelle terre desolate.
Vennero svegliati da un lungo ruggito, abbastanza forte da far tremare i sassi sul terreno. Frida scattò in piedi con la spada in mano, pronta ad attaccare chiunque si fosse avvicinando.
- Seisten, dannazione, cosa succede? Cos’ha Erdost? Perché fa tutto questo baccano?-  
“È Ardof.” Le rispose la dragonessa azzurra inarcando il collo verso il drago rosso.
- In che senso è Ardof? Seisten rispondimi! Non parlare per enigmi!-  la implorò l’elfa.

Nella cella il tempo sembrava non passare, la fioca luce che filtrava dal corridoio doveva essere quella di una torcia, perché era sempre la stessa, fissa e tremolante. Ardof la stava tenendo sotto controllo.
Il Cavaliere rosso si sedette a gambe incrociate, appoggiando la schiena contro la parete della cella. Se proprio doveva starsene dentro quella grotta almeno voleva usare bene il suo tempo.
Chiuse gli occhi e si concentrò sul suo mana, sulla sua energia.
Era un piccolo barlume al fondo della sua mente, non ne era rimasto molto per colpa di tutti gli incantesimi che aveva lanciato contro le sbarre della cella.
Provò ad eseguire uno degli esercizi di concentrazione che gli avevano insegnato nell’accademia.
Si concentrò sull’energia vitale delle creature intorno a lui, dalle più grandi alle più piccole.
Gli si presentavano tutte come piccole scintille di energia, vide gli insetti e i muschi che affollavano le pareti della sua caverna e di quelle vicine, ma non gli bastò. Affondò la sua sonda mentale nella pietra sopra di lui, superando strato per strato in cerca dell’esterno.
Non era mai riuscito a spingere così lontano la sua mente.
Trovò una quantità impressionante di insetti brulicare sopra di lui. Risalendo verso la superficie incontrò concentrati di mana che dovevano rappresentare i conigli che popolavano quella terra e, quando finalmente la sua ricerca raggiunse la superficie, cinque grossi soli abbaglianti lo accecarono.
Riconobbe subito la mente familiare di Erdost.
Ardof provò ad immergersi in quel mare di energia pulsante.
Si trovò in una specie di grotta di pietra rossa, con una fiamma che ardeva al centro.
Davanti a lui si apriva un’ampia finestra, da cui poteva a vedere quattro figure e, anche se a prevalere sui colori era il rosso in tutte le sue sfumature, riuscì a riconoscere i suoi compagni di viaggio.
Erano sdraiati, probabilmente stavano dormendo nonostante il cielo fosse ancora chiaro.
- Dove sono?-  chiese.
Intorno a lui qualcosa si mosse, come se l’intera caverna si fosse accorta della sua presenza.
“Ardof, sei tu?”
- Si. Ma, dove mi trovo?-  
“Sei nella mia mente. – gli rispose Erdost – Sei andato molto oltre al contatto empatico o al leggere la mente. Sei riuscito a entrare nella mia testa.”
- Ma come ho fatto?-  
“Non lo so. Ma di questo parleremo poi. Sono felice di sentirti, sai dirmi dove sei?”
- Sono sotto di voi. Ma sono parecchio in profondità. Non riuscirete mai ad arrivare qui scavando, però vicino a voi deve esserci una botola. È così che mi hanno portato qui dentro. Fate attenzione, perché non sono riuscito a vedere chi mi stesse trascinando. Vi aspetto.-
Ardof ritirò la sua mente da quella del drago, cercando però di mantenere con lui una brutta copia di quel legame che li aveva uniti per quei pochi istanti, era come una stretta di mano in confronto ad un abbraccio, ma gli permetteva di controllare il suo corpo, sentire i pensieri del drago e mandargli i suoi senza troppo sforzo. Finalmente era riuscito a comunicare con il pensiero.

“Erdost sta dicendo che ha sentito Ardof, o meglio la sua mente. Sono riusciti a parlare, il tuo compagno dice che è stato rapito e l’hanno portato sotto terra.” Disse Seisten alla sua Domatrice.
- Cosa aspettate, allora? Cominciate a scavare, dannazione!-  urlò isterica Frida.
“Ardof ha detto che troppo in profondità per poterlo raggiungere scavando. Ma ci ha anche riferito che per portarlo fino a lì hanno usato una botola. Ci consiglia di cercala non troppo distante da questo punto.”
- Grazie Seisten per la traduzione. Non so come farei senza di te.-  l’elfa diede un buffetto sul muso squamoso della dragonessa azzurra come uno zaffiro.
- Perché non possiamo essere anche noi uniti come loro?-  chiese Vago con il sorriso sulle labbra al suo drago.
Quello gli rispose con uno sbuffo d’aria calda dalle narici.
Il gruppo si mise alla ricerca della botola, anche se Vago non era sicuro che ci fossero possibilità di trovarla.
- Senti, Frida. Secondo me non c’è niente qui. Magari la botola è da qualche altra parte. Qui ci sono solo pietre!-
Un attimo dopo il Cavaliere bianco era seduto a terra tra a polvere, che si teneva la caviglia tra le mani.
- Che succede?-  
- Ho preso una storta! Te lo detto, non ci sono nient’altro che pietre qui intorno. Guarda qui intorno…-
Il ragazzo diede un calcio con il piede sano alla pietra che l’aveva fatto cadere ma questa non si mosse neppure di un millimetro.
- Radmun dei. “ Guarisci.”-  disse tra i denti Vago scocciato. La caviglia si mosse appena e con un sonoro schiocco ritornò a posto.
- Aspetta un attimo! Non ti muovere!-  urlò Frida.
La Domatrice strinse la pietra in mano e provò ad alzarla, inutilmente. Allora la fece ruotare su se stessa, tirò di nuovo.
Una sezione di terreno si alzò, rivelando una scalinata in pietra che scendeva dritta nelle fauci della terra.
- Ecco la tua botola, Sherlock.-  disse fiera l’elfa spostando una ciocca di capelli castani dagli occhi.
- Come hai fatto a capire che era una maniglia?-  chiese stupito Vago guardando la botola che si era aperta davanti.
“Un’altra ora.” Disse soltanto il drago bianco.
- Le pietre qui sono solo appoggiate, non ce ne è una affondata nel terreno. Anche una schiappa come te può calciarle via. Se una non si muove vale la pena di controllarla. – gli rispose orgogliosa di se stessa Frida – Ora alzati e scendiamo. Ardof adesso ha bisogno di noi e più tardiamo e più possibilità ci sono che gli succeda qualcosa di brutto.-
La ragazza scese gli scalini a due a due.
Vago la seguì, suo malgrado. 

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Capitolo 15
*** Capitolo 14: Invisibili, o quasi ***


 Frida e Vago avevano già percorso un buon tratto di strada, ora il cunicolo si stringeva costringendo i due ragazzi a procedere a carponi e a tastare il terreno davanti a loro per non imbattersi in ostacoli nascosti nella fitta oscurità. Erano stati costretti a lasciare i draghi fuori di guardia, perché per loro non c’era abbastanza spazio per muoversi.
Quando il tratto stretto si riaprì, i due compagni di viaggio si trovarono davanti a un bivio: una porta in legno si apriva alla loro sinistra, mentre la scalinata proseguiva verso il centro del pianeta.
L’ambiente era illuminato da una torcia appesa al soffitto.
Scelsero la scala.
Il cunicolo si era di nuovo ristretto, ma i due diciottenni riuscivano comunque a camminare chini.
Questo, unito al fatto che ogni dieci passi era stata appesa una torcia gli mise un po’ di positività addosso.
La scala sembrava non avere fine, ogni tanto piegava su se stessa, aumentando o diminuendo la pendenza, ma non dava anticipazioni sull’uscita.
Passarono sotto un arco bianco scolpito con un’attenzione quasi maniacale per i dettagli.
Vago notò un melo su cui si potevano contare le foglie a una a una senza difficoltà.
Erano entrati in un corridoio con numerose celle, tutte pulite e vuote come se non avessero mai dovuto ospitare nessuno.
- Ardof! Dove sei?-  disse Vago, ascoltando poi l’eco della sua voce che faceva vibrare le sbarre delle celle.
- Sono qui.-  rispose debolmente il Cavaliere rosso dalla sua cella, in fondo al corridoio.
Vago e Frida corsero verso la voce.
Ardof era appoggiato contro il muro della cella, era pallido e aveva le mani che tremavano.
- Tranquillo, ora ti tiro fuori io da questa cella. Non avere paura, tra meno di un attimo sarai fuori di qui.-  gli disse Vago.
- Non ci provare neanche, la magia non funziona con queste sbarre. Il ferro deve essere stato incantato. Secondo te come mi sono ridotto così?-  
- E chi ti ha detto che voglio usare la magia? Non sono così prevedibile.-  il ragazzo tirò fuori la sua spada dal fodero, facendo brillare la gemma di acquamarina incastona nell’elsa alla luce delle fiaccole.
Menò un fendente, ma la lama rimbalzò contro le sbarre, scalfendole appena e facendo volare una cascata di scintille.
Vago ci riprovò, ma non ebbe di nuovo molto successo.
- Permetti?-  chiese Frida sfoderando il suo spadone a due mani che scintillò minaccioso.
Il Cavaliere rosso si chiese come l’elfa riuscisse a sollevarlo.
Con due colpi le sbarre furono tagliate e caddero a terra tintinnando. Lo spadone si era fatto strada nell’acciaio come fosse stato burro caldo.
Ardof guardò attonito l’uscita attraverso ciò che restava delle sbarre refrattarie alla magia.
- Grazie…-  riuscì a dire guardando Frida negli occhi, si sentiva la gola stretta e la lingua asciutta.
- Di niente, figurati…-  gli rispose lei coprendosi le orecchie a punta, che si stavano arrossando, con i capelli castano chiaro.
Rimasero per qualche istante fermi. Nessuno osava muoversi o dire qualcosa.
- Allora, decidete. Volete continuare a guardarvi attraverso le sbarre o preferite capire chi ha rapito Ardof nel bel mezzo della notte? Tic tac, il tempo passa e non torna!-  li incitò Vago picchiettando un dito sull’elsa della sua spada.
- Si, si. Hai ragione, ora andiamo.-  gli rispose il Cavaliere rosso uscendo dalla cella e facendo attenzione a non ferirsi con i monconi appuntiti, tutto ciò che restava delle sbarre.
- La mia spada?-
- È con i draghi. Non abbiamo pensato di prenderla. Però adesso sbrigati!-  lo incitò ancora Vago.

I tre compagni risalirono la scalinata in fretta.
Quando finalmente arrivarono al bivio il Cavaliere bianco si fermò prendere fiato. - Penso che una di quelle scale automatiche del vecchio mondo qui non guasti. Un attimo solo che devo ancora recuperare… un po’ di buona aria.-  
- Beh, se trovi qualcuno che le sa costruire pago io il lavoro…-  gli rispose Ardof ancora indebolito.
Non appena Vago si riprese dalla scalata, i tre varcarono la soglia della porta, entrando così in una lunga sala, divisa in tre navate da due file di colonne grandi come i tronchi della Grande Vivente.
Al fondo della stanza era stato sistemato un trono d’oro. Questo scintillava alla luce delle torce che illuminavano la sala a giorno.
- Chi osa entrare in questa sala senza invito? Rispondete, identificatevi.-  chiese qualcuno, ma l’eco nell’enorme sala di pietra non permise di capire da dove venisse quella voce.
- Siamo… amici. – fu Vago a rispondere, ma non era per niente sicuro di ciò che aveva detto – Spero.-  aggiunse sottovoce.
- Lei è… è invisibile?-  chiese Frida guardandosi intorno come un’animale braccato dai lupi.
Ardof vide con la coda dell’occhio la mano dell’elfa correre allo zaffiro incastonato nell’elsa dello spadone.

Male. Molto male. L’elfa deve essere fermata o, se nessuno si fa vedere, in questa stanza non rimarranno in piedi nemmeno le colonne.
Punto uno. Diventa una voluta di vapore.
Punto due. Allontanati da quell’elfa pazza.
Punto tre. Goditi lo spettacolo ed evita gli schizzi di sangue.

- Invisibile? Non penso proprio. Non m sembra di essere invisibile, guardi giù.-  rispose un’altra voce.
La ragazza notò una piccola creatura verde chiaro vicino al suo scarpone. La prese in mano e se la portò all’altezza degli occhi.
“Pericolo scampato.” Pensò Ardof con sollievo, per poi concentrarsi sulla creaturina.
Era poco più alto di una fata e aveva due grandi occhi neri che risaltavano sulla pelle verde.

Spettacolo pirotecnico con fontane di sangue annullato.

- Ma che… chi sei? O meglio, che cosa sei, tu?-  chiese Vago avvicinandosi alla creatura e studiandola come uno scienziato studia una nuova sostanza o un mercante un nuovo articolo da esporre.
- Siamo. – rispose la creaturina sorridendo. – La stanza è piena di gente come me.-  
Saranno state migliaia le piccole creature verdi che uscirono allo scoperto da dietro le colonne. Il pavimento sembrava ricoperto di un manto d’erba, rendendo il panorama della grotta singolare.
- Noi siamo folletti. I folletti del sud, per la precisione.-  continuò il folletto dalla mano di Frida.
- Posso sapere i vostri nomi stranieri?-  chiese uno dei folletti dal trono d’oro.
I tre ragazzi si guardarono.
- Vago, a te la parola.-  disse Ardof appoggiando la mano sulla spalla del compagno.
- Perché io? Non potete farlo voi?-  chiese il Cavaliere bianco visibilmente preoccupato per quella responsabilità.
- Dai, sei bravo a parlare. C’eravamo anche noi quando hai convinto il re dei nani a darci una seconda possibilità, anche se lui credeva i draghi dei demoni. Facci vedere che non è stato un caso.-  
- Ma, io… con i nani è stato facile. Sapevo che cosa il loro re temeva che potesse succedere… ma qui! Non avrei neanche mai immaginato che esistessero i folletti! Non li conosco a sufficienza!-  
- Su un po’ di coraggio.-  lo incoraggio Frida.
Vago scoccò un’occhiataccia verso l’elfa tra l’impaurito e lo scocciato. Poi si girò verso il trono grattandosi la nuca.
- Il mio nome è Vago Tocsin e loro sono i miei compagni di viaggio ed avventura: Ardof Neghyj e Frida Vergy. Veniamo dal versante occidentale delle terre.-  Vago si era ripreso in fretta ed ora parlava disinvolto.
- Il mio nome è Foglietta I, – disse il folletto scendendo dal trono grazie a una scaletta. – della casa degli Hougher e attuale signore dei folletti del sud. Signorina, le dispiace lasciar scendere mio nipote Rovere dalla sua mano?-  
- Certamente…-  Frida fece come le era stato detto.
Appena fu sceso Rovere corse dal parente.
- Molte grazie. Posso sapere cosa vi ha portati in queste praterie e proprio nel bel mezzo del raduno cittadino di quest’anno?-  chiese Foglietta corrucciando le sopracciglia fini.
- Non potevate scegliere un momento peggiore per liberarmi, ragazzi.-  bisbigliò Ardof quasi senza muovere le labbra.
- Siamo venuti qua in buona fede. – rispose Vago – Nell’altro versante dei Monti Muraglia sono nati dei problemi, grossi problemi. E questi problemi probabilmente si riverseranno anche su di voi. Per farla breve e non rubare tempo al vostro raduno vi dirò solo che gli umani e gli elfi hanno eletto un re e per controllarlo hanno creato una specie di ordine composto da ragazzi delle due razze e draghi. Furono loro a mandarci a radunare le altre razze per…-
- Non penso che gli interessi.-  gli fece notare Frida a bassa voce.
- Parla tu, allora. – rispose lui a tono. Poi con voce più alta riprese – Alla fine questo re è impazzito e con un grande esercito sta preparando una spedizione militare per porre sotto di se tutte le razze.-  
- Questo problema non ci toccherà. Voi avrete avuto problemi a trovare l’entrata per la nostra città e anche una volta dentro non ci avete notati. Siamo usciti allo scoperto noi.-  
- Capisco perfettamente. – riprese Vago – Deve capire, però, che il re da cui la mettiamo in guardia non solo è impazzito, ma è entrato in possesso di poteri abbastanza potenti da evocare un esercito dal nulla. Non penso che faticherà molto a trovarvi e sottomettervi, sempre ammesso che risparmierà le vostre vite.-  
- In ogni caso non vedo il motivo di allearci con degli sconosciuti contro qualcuno che non ci ha ancora disturbato.-  
- Senta, capisco la sua titubanza di fronte a quello che le ho detto, ma qualcosa sta cambiando e tutti noi facciamo parte di questo grande mutamento. Arriva un momento in cui tutti devono schierarsi, questo è il suo. Allora decida: colpiti da noi e dalle razze che si uniranno alla nostra causa, colpiti dal re e dalle sue truppe o in mezzo al fuoco?-  concluse secco il Cavaliere bianco.
- Non è così facile…-  
- Cosa c’è di difficile?-  sbottò Ardof. Il ragazzo sperò di non aver rovinato il piano di Vago.
- Noi… non siamo soli. – continuò visibilmente seccato il folletto. – Facciamo parte di una lega tra alcune popolazioni e le decisioni le prendiamo sempre insieme… specialmente questo genere di decisioni. Se vorrete rimanere come miei ospiti finché il consiglio non si riunirà… così gli potrete sottoporre a tutti ciò che avete detto a me. Sappiate però che sarete sotto la nostra legge.-  
- Accettiamo di buon grado.-  rispose veloce Vago, sollevato per quella conclusione inaspettata. Il Fato gli stava ancora sorridendo.
- Bene, allora ben venuti nella capitale e unica città dei folletti del sud e spero abbiate una buona permanenza nei nostri territori. Tu e tu. Portate i nostri visitatori nella stanza degli ospiti. – disse Foglietta rivolto a due folletti, poi si allontanò dal trono e urlò in direzione di un tunnel più stretto degli altri – accendete le fiaccole! Il consiglio si deve riunire!-  Non si dovette aspettare molto per vedere lo stretto tunnel invaso da una luce rosseggiante e splendente.
I due folletti scelti s’incamminarono per un corridoio laterale.
Di nuovo i tre ragazzi dovettero accettare di soggiornare sotto terra, lontani dal calore del sole.
- Siete stati coraggiosi ad accettare di portare avanti la vostra richiesta nel consiglio.-  disse uno dei due folletti.
- Perché?-  chiese Ardof.
- Come perché? Quando un’idea viene portata in consiglio questo ha due possibilità: approvarla o bandire chi l’ha presentata e dichiaragli guerra.-  rispose il folletto semplicemente.
Finalmente i due folletti aprirono una porta, rivelando una stanza rotonda, in cui gli unici mobili erano sette letti a dimensione di nano.
Ardof la guardò incredulo. Tre porte si aprivano sulla parete di fronte alla porta d’ingresso.
- Questa è la stanza degli ospiti. – esordì uno dei due folletti – La porta su cui è incisa una quercia è la sala della vasca, una grotta in cui c’è una sorgente termale. La porta con il monte è il gabinetto ed infine quella con un libro conduce alla grande biblioteca dei folletti, che racchiude scritti di tutte le razze riguardanti qualunque argomento. Vi auguro buona permanenza.-  concluse.
- Ragazzi, vi rubo le terme. Ho proprio bisogno di un bagno caldo. Ci vediamo dopo.-  detto questo l’elfa puntò verso la porta con la quercia incisa.
- Amico, io mi tuffo nella biblioteca. Non ne vedo una dal Cambiamento e ho voglia di perdermi tra i fogli e l’odore di carta e inchiostro. Oltretutto, da quello che ci ha detto prima il folletto deve essere una cosa enorme. Adesso ti lascio.-  così anche Vago si dileguò, lasciando Ardof da solo nella stanza vuota.
Il Cavaliere rosso spostò uno dei lettini contro la parete e ci si sedette sopra. Appoggiò la schiena al muro e chiuse gli occhi.
Non gli ci volle molto per riallacciare il contatto mentale con il suo drago in superficie.
“La prima volta che uno di quei cosi mi finisce tra le zampe lo sbrano e lo risputo nella loro tana.”
“Ma anche no. Se lo facessi non ci ascolterebbero più, neanche se gli donassimo tutte le terre.”
“Come sta andando?” chiese Erdost.
“Abbastanza bene. A parte i letti troppo piccoli e le meravigliose leggi di questo popolo.”
“Poteva andarti peggio. Molto peggio.” Gli disse Erdost.
Ardof si guardò intorno e allargò le braccia, dimenticandosi che il drago sfregiato non poteva vederlo. “Come, scusa? Ci siamo immischiati in cose davvero troppo grandi per noi. Guerre tra re e tra dei non sarebbero cose da dare in mano a una banda di diciottenni. Come potrebbe andarmi peggio? Dimmelo!”

Potresti essere me.
 
“Beh, potrebbe piovere.”
Il cavaliere rosso storse la bocca, ripensando a quante volte aveva fatto quella battuta a suo padre.
“Non sai cosa rispondermi?” lo incalzò il drago carminio dopo un attimo di silenzio.
“Mi sono reso conto che non è una gran battuta… dovrei smetterla di ripeterla. Com’è il tempo lì fuori?”
“Niente di particolare. Ora devo andare, mi raccomando, non fatevi ammazzare, possibilmente non farti nemmeno bandire da una città che non è neanche casa vostra. Ci sentiamo quando torno.”
“Buona caccia.”
“Grazie.” 

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Capitolo 16
*** Capitolo 15: Messi ai voti ***


Dovettero avvicinare i letti che i folletti gli avevano messo a disposizione per poter dormire comodi.
Anche se comodi era un eufemismo. I tre ragazzi quasi rimpiangevano le lastre di pietra su cui i nani li avevano legati, tanto quei materassi erano rigidi.
Certamente quei lettini erano davvero troppo grandi per un suddito di Foglietta, ma ci sarebbe stato giusto un bambino nano.
Ardof rimpianse il materasso di foglie che lo aveva ospitato sui Monti Muraglia, quando batté la testa contro la testiera del lettino. 
Il suono di un campanaccio svegliò i ragazzi. Ardof sperò che fosse già mattino inoltrato.
Davanti alla porta d’ingresso trovarono piegate tre vesti di colori diversi. 
I due Cavalieri si vestirono in fretta e furia e uscirono nel corridoio, dove un folletto armato e bardato da soldato li stava già aspettando. Ardof lo scambiò per una bambola per bambini. La piccola spada che gli pendeva al fianco non faceva neanche rumore quando sbatteva contro la piccola gamba protetta da una cotta di maglia. 
- Dove si sarà cacciata Frida?! Foglietta ci starà aspettando di sicuro!- Vago stava camminando avanti e indietro nervoso. Indosso aveva un paio di pantaloni larghi e flosci, con una specie di tonaca grigia e giallo canarino.

Ah! Le mode.
Mai capite. E quello sarebbe un abito formale?
Che fine ha fatto la buona vecchia giacca da pinguino?
A proposito, chissà che fine hanno fatto i pinguini… Dovrei farmi un viaggetto ai poli, quando ne avrò tempo.

- Si starà ancora preparando… non penso sia scappata.- I vestiti di Ardof non erano molto diversi da quelli del compagno, solo di colore marrone fango. 
Finalmente la porta della camera degli ospiti si aprì di nuovo.
Vago cadde a terra tanto le risate lo lasciarono senza fiato, ad Ardof cominciarono a lacrimare gli occhi per il ridere. 
Frida uscì dalla stanza come una dama medioevale, si vedeva appena in mezzo a quel vestito. - Che avete da ridere? Voi non sapete cosa vuol dire dover mettere sette gonne una sull’altra. Sono sette! Questo coso pesa addirittura di più della sella di Seisten!- 
La dichiarazione anziché fermare l’ilarità dei compagni la fece aumentare. Vago cominciò a piangere e ridere insieme. 
- Non si lamenti signorina. – disse la guardia urlando sopra le risate dei due ragazzi – La vera veste da ricevimento Berengar è molto più complessa. Quelle complete possono arrivare fino a dodici gonne e sette sopragonne. Ringrazi il nostro re per averla risparmiata.- 
- Bere… che?- chiese Vago rialzandosi da terra e asciugandosi gli occhi.
- Berengar. Di fattura Bereng. I Bereng sono una delle razze che fanno parte della nostra alleanza.- 
- Ah…- dissero all’unisono i due ragazzi. Intanto Frida cercava di prendere in mano tutte le gonne per potersi muovere con un po’ più di libertà. 
Ardof si chiese quante razze si potessero ancora nascondere nelle terre e quali di queste facessero parte di quest’alleanza che sembrava essere così tanto importante per i folletti.
I tre vennero portati in una specie di sala conferenze ottagonale, completamente vuota.
Intorno al lungo tavolo che occupava buona parte della stanza erano state disposte nove sedie, mentre sopra di questo ce n’erano altre sei a misura di folletto. Solo allora il Cavaliere rosso si accorse che tre di queste erano occupate dal re dei folletti, Rovere e da un altro rappresentante della loro specie che il ragazzo non aveva mai visto, o almeno non aveva notato il giorno prima. 
I tre ragazzi si sedettero sulle sedie più vicine ai loro ospiti, attirando un’occhiataccia da parte del folletto che non avevano ancora conosciuto. L’elfa dovette di nuovo spostare la stoffa per potersi sedere senza scivolare dalla sua sedia e finire per terra.
- Benvenuti a tutti e tre, benvenuti. Siete arrivati giusto in tempo, tra poco arriveranno anche i rappresentanti delle altre razze. Mio nipote Rovere lo conoscete già, vero?- 
- Piacere.- dissero tutti e tre al folletto, mentre Foglietta si sistemava la corona. 
- Mentre lui è suo fratello Ercoel. Entrambi fanno parte della casata degli Hougher.- 
- Piacere.- ripeterono i diciottenni ma questo, al contrario del fratello, non gli degnò neanche di uno sguardo. 
- Vedo che vi siete già accomodati… Come vi dicevo stanno per arrivare gli altri.- 
Da una porta della sala entrarono tre folletti dalla pelle marrone come la corteccia. Grazie a una scaletta a pioli riuscirono ad arrivare fino ai loro posti sul tavolo e a sedersi. 
Non passò molto tempo che arrivarono anche i rappresentati degli gnomi e dei Bereng.

Entrambi possono essere scambiati per nani, da lontano… Ma molto lontano.

Gli gnomi però erano più paffuti e con i muscoli meno marcati degli abitanti delle montagne.
I Bereng erano l’esatto opposto: erano quasi squadrati, avevano la mascella e la fronte marcate e i muscoli di tutto il corpo gonfi con le vene pulsanti, inoltre un paio di zanne spuntavano dal labbro inferiore e arrivavano fino all’altezza degli zigomi appuntiti. 
Tutte e tre le razze portarono in dono ai folletti di Foglietta un grosso libro, furono tutti presi e portati fuori dalla stanza da un folto gruppo di folletti. 
- Benvenuti a tutti voi. Il motivo per cui ho fatto convocare il consiglio è il seguente: questi ragazzi hanno qualcosa da sottoporre alla vostra attenzione.- 
Vago diede una gomitata al fianco di Ardof. 
Il Cavaliere rosso si alzò di malavoglia. - Secondo quello che abbiamo visto e sentito, il re che gli umani e gli elfi hanno eletto per governare le loro terre, ovvero le terre dell’ovest, sta impazzendo. Ha già radunato un nutrito esercito e abbiamo ragione di credere che voglia invadere anche il versante orientale, sottomettendo se non sterminando le razze che incontrerà sul suo cammino. Noi ora siamo qui per chiedere il vostro supporto nella guerra che vedrà coinvolte tutte le nostre terre.- 
- Ora che abbiamo sentito cosa questi ragazzi avevano da dirci possiamo andare ai voti.- concluse Foglietta.
- Tutte le decisioni che riguardano il destino delle quattro contee, piccole o grandi che siano, vengono prese votando. La maggioranza vince. Adesso vedrete capirete meglio come funziona.- spigò a bassa voce Rovere ai suoi ospiti. 
- Io, Foglietta I degli Hougher, attuale signore dei folletti del sud e decido di votare… – il re ebbe un attimo di esitazione – a favore di questi ragazzi.- Foglietta si sedette, sussurrando. - Non fatemi pentire della mia decisione e sappiate che non vi avrei mai appoggiato se la vostra storia non coincidesse in modo così preoccupante con le notizie delle nostre sentinelle nell’altro versante.- 
“Cominciamo bene, finiamo meglio. Spero.” Pensò Ardof. Non sapeva ancora che utilità potessero avere i folletti in battaglia, ma la guerra si vince con gli uomini, qualcuno disse, quindi una popolazione in più poteva far comunque comodo. 
- Io, Rovere della casata degli Hougher, ambasciatore dei folletti del sud voto a favore.- 
I due fratelli si diedero il cambio. 
- Io, Ercoel degli Hougher, rappresentante dei folletti del sud non sono affatto d’accordo con costoro e voto contro.-

Una faida famigliare era l’ultima cosa di cui ho bisogno. I due fratelli non possono darsi contro in un momento un po’ meno importante?
E poi cosa crede questo nanetto, che elargendo un Costoro nel suo discorso diventi più alto?

La parola passò ai Bereng. 
- Rutnof, Jihgnatuarfjihgna Bereng dice favore.- 
- Jihgnatuarfjihgna nel loro dialetto vuol dire capo degli Jihgnatuarf, che sono i capi dei loro vari tuarf, ovvero delle specie di clan.- spiegò Rovere.

Wo… aspettate un attimo solo.
Jighnatuarf… Jihgnatuaf…
Insomma!
Jihgnatuarfjihgna! Ci voleva così tanto per pronunciarlo?
E voi, maledetti cinghiali troppo evoluti, non potevate inventare una parola meno difficile? Magari togliendo qualche consonante?

- Marton, ambasciatore Bereng e figlio Jihgnatuarfjihgna dice molto favore.- 
- I Bereng sono una razza bellicosa. La loro stessa esistenza è una proporzionalità inversa: più parlano sgrammaticati più sono valorosi combattenti. Nessuno di loro voterà a sfavore, penso. Sono comunque una razza pericolosa, perché quando iniziano a combattere sterminano nemici e, in mancanza di questi, gli amici.- continuò Rovere.
- Se è vero quello che ci hai detto, - bisbigliò Vago – quelli devono essere dei grandi guerrieri.- 
- Non sono i migliori. Il Bereng medio non capisce e non parla la nostra lingua. La ha totalmente rimossa dal Cambiamento. Normalmente comunicano tra loro con strilli e grugniti, questi tre si considerano già letterati.- 
- Begragz, rappresentante Bereng e figlio Jihgnatuarfjihgna dice tanto d’accordo a favore.- 
Quando l’ultimo Bereng si sedette si alzò un folletto.
- Come re dei folletti del nord e membro di questo consiglio io, Dencambro, mi schiero contrario.- 
La scelta fu accolta con una serie di grugniti da parte dei tre Bereng, che avevano assunto un’espressione ancora più corrucciata.
- Come ambasciatore dei folletti del nord e membro di questo consiglio io, Tembeo, mi dico sfavorevole a questa guerra.- 
- Come attuale rappresentante dei folletti del nord e membro effettivo di questo consiglio io, Gerbonio, mi dico assolutamente contrario.- 
Ardof si massaggiò le tempie, improvvisamente stanco. Erano ancora in vantaggio, ma di un solo voto. Aveva sperato che i tre voti consecutivi dei Bereng gli assicurassero la vittoria.

In compenso possono comunque pensare che quelli che gli hanno votato contro hanno tutti dei nomi ridicoli. Non è una gran consolazione, ma almeno ripetersi quei nomi gli può risollevare l’umore. Non tanto, sia chiaro, ma almeno un briciolo.
Detesto questo genere di votazioni. Almeno con le schede posso magheggiare un po’ nei seggi. Così non posso intervenire in nessun modo… o quasi. Potrei prenderne uno, stordirlo, assumere le sue sembianze e votare…
Questa me la segno. Chissà che in futuro non possa servirmi…

Toccò agli gnomi la parola. Il Cavaliere rosso si accorse solo allora che due di loro erano visibilmente anziani, inoltre l’unica femmina presente nella stanza oltre a Frida era una dei due anziani.
- Sono Merìo, re degli gnomi. Prima di dare il mio voto vorrei dire due parole: noi non siamo delle popolazioni bellicose, Bereng a parte. Non trovo giusto che questi ragazzi approfittino dell’ospitalità di Foglietta e ci trascinino in una guerra che non ci riguarda. Detto questo io voto a sfavore e passo la parola a mia moglie.- 
- Sono Rosa, regina acquisita degli gnomi. Al contrario di mio marito trovo lodevole che tre perfetti estranei abbiano viaggiato tanto e abbiano corso un così grande rischio per metterci in guardia da una minaccia così grande. Se verrete banditi almeno non sarà per colpa mia. Io voto a favore di questi ragazzi.- Terminò la regina Rosa sfoggiando un largo sorriso verso i tre compagni

Razza unita, gli gnomi… Prevedo un divorzio a breve…

- Siamo sei a cinque. Stiamo vincendo di uno. Rovere, cosa succede se la votazione finisce in pareggio?- chiese Vago tenendo il conto di voti sulle dita. 
- La proposta viene bocciata come se aveste perso. Questa è la legge delle quattro popolazioni.- gli rispose il folletto serio. 
- Mi spiace.- aggiunse.
- Il ragazzino può astenersi?- 
- Si, ma sarebbe considerato voto a sfavore.-

Ma che razza di votazione è questa? Cos’è? Se vota ballando fuori tempo un liscio con un folletto, il suo voto vale il doppio?
Detesto questo lavoro.

Tutti i quattordici sguardi si puntarono sul ragazzo, che sembrò voler sprofondare nella sua sedia.
Il volto del ragazzo si arrossò più di quanto non lo fosse già prima, in quegli istanti di silenzio.

Ora tocca a lui scegliere, prendere forse la decisione più importante della sua vita. Non tanto se andare in guerra o bandire quei ragazzi, quelle sono stupidaggini, no. No, la sua vera scelta è se dare contro il padre o la madre, e tutto sommato non è una scelta facile.

- Sono… sono Rainer… e sono il principe degli gnomi. E anche il loro rappresentante. – lo gnomo deglutì rumorosamente. – Io decido di… di appoggiare questi ragazzi. Scusami papà.- Il ragazzo abbassò lo sguardo per non incontrare quello gelido del padre.

Quei due hanno dei grossi problemi famigliari, non c’è che dire. Qui dentro ci vorrebbe un bravo consulente familiare.

- Dovresti almeno una cena allo gnometto.- disse sottovoce, in modo che nessuno potesse sentire, Vago a Frida, che gli rispose con una gomitata nel fianco.
I dodici rappresentanti discussero a lungo su come aiutare i loro ospiti, Ardof sentì che parlavano di certi vermi da guerra, ma non capì a cosa alludessero. Altri proposero ancora talpe e vespe di terra.

Ma lo sanno che non devono combattere contro i fili d’erba!?

I tre compagni dovettero stare in quella stanza ancora per molto, finché anche l’ultimo dei rappresentanti imboccò il proprio cunicolo, per poi sparire nell’ombra.
Frida aveva la faccia rossa quanto la mano di Ardof, tanto caldo aveva in quel vestito esuberante.

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Capitolo 17
*** Capitolo 16: Ultimi due ***


 Finalmente i tre ragazzi poterono uscire dalla sala conferenze.
Ardof non ne poteva più di tutti i cerimoniali che avevano trattenuto folletti e compagnia per le ultime ore.
- Devo chiedervi una cosa, ora.-  disse Foglietta I.
- Cosa?-  chiese Frida impaziente di togliersi la pesante veste da addosso. Riuscì però a controllare, almeno in parte, la voce.
- Come faremo a sapere quando sarà il momento di uscire dalla nostra città e raggiungere le altre popolazioni?-  
- Ecco… beh, si, insomma… pensavamo, se non le dispiace, di far restare uno di noi qui. Per gestire la faccenda.-  disse Ardof, che non voleva ammettere di non avere assolutamente idea di cosa dovessero aspettare.
- Va bene. Vorrei che per domani mi sappiate dire chi di voi resterà qui. Ogni ospite che sosta per un arco di tempo superiore ai tre giorni deve essere provvisto di documenti validi, se non portiamo avanti queste pratiche burocratiche incapperemo in delle sanzioni che, ora come ora, preferirei evitare. Buona serata.-

Quando furono tutti e tre in armatura nella stanza degli ospiti calò il silenzio.
- Chi rimarrà questa volta? – chiese piano Ardof mentre toglieva un sasso incastrato tra due placche della tuta da Cavaliere. – Se volete continuare resto io qui. Non sembrano ospiti troppo invadenti o pressanti, certo burocrazia e rapimenti a parte… ditemi voi, io sono disponibile a rimanere.-
Ci fu un’altra pausa, in cui nessuno voleva dire quello che pensava, o solo anche provare a muoversi.

Che suspense! Quasi non riesco a respirare per la tensione del momento.
Seriamente. Sbrigatevi.
Non ho voglia di passare la notte dietro a questa faccenda.

- Sentite, io non ne posso più di viaggiare. Rimango io qui. – disse Vago all’improvviso, sorprendendo tutti. Ardof non l’aveva mai sentito parlare con un tono così serio e deciso, nemmeno davanti ai reggenti. – Con questa biblioteca enorme non potrò annoiarmi. Voi continuate pure e divertitevi. Spero che ci rivedremo presto... sempre se capiremo cosa dobbiamo fare…-  
- Oh, grazie!-  Frida lo strinse in un abbraccio e gli baciò la guancia, facendo arrossire il Cavaliere bianco.
Quando l’elfa si accorse degli sguardi interrogativi che aveva attirato tornò subito al suo posto e cercò di spiegare la sua reazione. - Grazie. Non sarei riuscita a sopravvivere sottoterra ancora per due giorni, te lo giuro. Se fossi rimasta io sarei morta.-




No. Non mi viene niente da dire. Scusate, mi rifarò la prossima volta.

- Sei sicuro di voler rimanere tu? Se non te la senti posso tranquillamente fermarmi io.-  Ardof lo guardò dritto negli occhi. Sul volto di Vago ritornò il suo solito sorriso ironico.
- Tranquillo, so badare a me stesso. E poi, solo tu puoi farti mettere sotto da una manciata di omini alti cinque dita.-
- Ardof, possiamo andarcene di qui questa sera? Non ce la faccio proprio più! Per favore!-  
- Va bene… sei sicura di non voler riposare ancora questa sera prima di spiccare il volo?-  
- Frida, se volete partire questa sera andate a cercare Foglietta, così sarà già al corrente di tutto quando vedrà solo me… e potrà già portare le sue amate pratiche chissà dove.-
L’elfa sparì dalla stanza in un attimo.
Passarono alcuni secondi in silenzio, poi Vago si guardò intorno. - Ardof, senti: so che ti sei preso una cotta per Frida. Mi sembra giusto che tu possa stare con lei ancora per un po’.-  
- Come… come fai a saperlo? Mi hai letto il pensiero? Ne sei già in grado? Come sei riuscito a superare le mie barriere senza farti sentire? Tipo nel sonno o… o in un momento di distrazione?-  chiese stupito il Cavaliere rosso.
- No. Sai che sono solo un buon osservatore. Buona fortuna e buon viaggio, che il vento soffi sempre nella vostra direzione, come dice sempre Defost. Speriamo di rivederci presto…-  
- Grazie… di tutto. Non ammattire in questo posto, mi raccomando.-  Ardof diede una pacca sulla spalla del compagno.
- Tranquillo. Più matto di così è difficile che lo diventi. – Vago si concesse un altro sorriso, anche se era un’espressione con un retrogusto di tristezza. – Magari un giorno mi restituirai il favore. Riguardati e buon viaggio.-  gli rispose ancora l’amico.
- Grazie ancora. Sei già la seconda persona a cui devo un favore. Se continuo così sarò indebitato a vita.-
Frida entrò nella stanza con i capelli scompigliati, il fiatone e un sorriso che andava da orecchio a orecchio. - Tutto fatto. – disse – Foglietta ci saluta e, Vago, vuole che tu vada da lui. Ha… ha qualcosa da farti firmare. Vuole anche le tue impronte digitali… Noi andiamo?-  
- Si, adesso arrivo.-  le rispose Ardof.
Il gruppo si divise appena uscito dalla camera.
Il Cavaliere rosso e la Domatrice azzurra risalirono per lo stretto cunicolo che avevano usato per discendere alle celle, rimanendo accecati dalla fievole luce del tramonto autunnale che li accolse appena usciti.
Ardof ci mise un po’ per mettere a fuoco la sagoma del drago sfregiato che si avvicinava a passo pesante.
Appena furono abbastanza vicini il Cavaliere si appoggiò sul duro muso del suo drago, percorrendo con le dita l’incavo della cicatrice. Era un contatto diverso da quello che li aveva uniti durante la sua permanenza nella cella, e che ancora adesso, seppur in maniera fievole, li manteneva collegati. Questo era più materiale, più reale, ma meno sincero e intimo.
- Mi sei mancato.-  disse il ragazzo, dimenticando che poteva anche dirglielo attraverso il loro contatto.
“Anche tu.” Rispose il drago sfregando, appoggiando il muso contro la corazza sporca di terra.
Il loro momento di raccoglimento venne interrotto da una scossa di terremoto, seguita da un evento incredibile. Una porzione di terra grande quanto una casa si alzò, rivelando un grosso montacarichi da cui Vago sorrideva.
- Pensavate che avrei lasciato il mio Defost qui fuori per tutto questo tempo? Vieni, forza.-
Il drago bianco fu percorso da un brivido di felicità e si fiondò verso il suo compagno.

I due possono sembrare non andare d’accordo, ma in realtà potrebbero tranquillamente essere i più uniti del gruppo.
Hanno caratteri affini. Me ne sono accorto subito.

Il montacarichi scese di nuovo, scomparendo sotto la terra.
- È ora di andare.-  disse tristemente Ardof guardando in direzione del montacarichi nascosto, oramai indistinguibile dal resto della pianura.
Gli ultimi due draghi spiccarono il volo verso nord, la loro prossima meta era una capitale nascosta in una foresta ai piedi di una sperduta catena montuosa.

Ardof fu felice quando gli ultimi raggi del sole morente illuminarono le prime colline. Finalmente si erano lasciati l’immensa Prateria Infinita e i suoi minuscoli abitanti alle spalle.
- Ardof! – strillò Frida dalla sella della sua dragonessa – Si sta facendo buio! Fermiamoci!-  
- Va bene!-  gli rispose il ragazzo.
I draghi atterrarono poco lontano da un’abitazione in legno, da cui si levava un sottile filo di fumo bianco. Sopra la porta d’ingresso un’insegna scrostata dondolava per il venticello che si era appena alzato, la scritta locanda si leggeva appena.
- Che ne dici, questa sera cambiamo menù?-  chiese Ardof cercando di spezzare il silenzio che li circondava.
- Si… ma abbiamo abbastanza soldi? Qualcosa me lo sono portato dietro, ma non è molto.-  gli rispose l’elfa.
- Fammi controllare… io ho cinquanta Laire di rame. Cinque d’argento.-  
- Io ne ho sei d’argento e cinque di rame … credo possano bastarci.-  concluse la Domatrice.
Ardof picchiò tre volte il battente sulla porta scrostata, aspettando che qualcuno venisse ad aprire.
Li accolse un nano tarchiato, anche secondo i criteri della sua razza, indossava un paio di pantaloni bianchi costellati di macchie e un grembiule logoro e sporco di una qualche sostanza non ben definita sul largo petto.
- ‘Esta è la locanda del fiantat.-  disse il nano. La pipa in bocca e l’accento spiccato rendevano impossibile capire cosa stesse dicendo ai ragazzi.

Io dentro a questa fogna non ci entro. Materiale o immateriale che io sia.
Vediamo. Gli altri mocciosi stanno bene… credo. Mi prendo la serata libera. Me la merito.

- Locanda del cosa?-  chiese Ardof.
- Fiantat.-  
- Viandante?-  continuò il Cavaliere.
- No: fiantat. Viandante nel dialetto dei Muraglia del nord. Il mio dialetto. Ora ripeti: fiantat.-  
- Fiantat.-  
- Bene. – disse soddisfatto il nano – sono Ernamo, il direttore di questa locanda, cosa posso fare per voi? Ho delle camere, molte camere. E dei tavoli, se volete accomodarvi.-

L’oste voleva sicuramente tornarsene nella sua cucina, dove probabilmente lo attendeva una bottiglia di un alcolico scadente ma rigorosamente proveniente dai Muraglia del Nord, la sua patria! Non stare lì a contarsela con due ragazzini.
Vabbè, vi lascio alle cure di mister Ernamo il nano alcolizzato. Buona fortuna e fate attenzione ai topi.

Ardof sentì la puzza di alcol mentre il nano parlava.
- Quanto costa una cena?-  chiese Frida.
- Sono ventisette Laire di rame per porzione. Tutte allo stesso prezzo!-  
- E per le stanze?-  chiese l’elfa sorprendendo il Cavaliere.
- Sessantacinque Laire di rame a camera.-  rispose veloce l’oste.
- Senta. – gli disse l’elfa con un tono quasi da minaccia – Noi abbiamo solo undici monete d’argento e cinque di rame, ci può dare una camera e due porzioni per questo?-
- Penso che per questa volta posso fare un’eccezione. – rispose l’oste con sguardo furbo, poi si fece da parte – Prego, entrate pure. Mettetevi dove volete e decidete cosa prendere. Verrò a prendere le vostre ordinazioni tra poco.-  
I due diciottenni si sedettero al tavolo più vicino al caminetto, dove il fuoco scoppiettava.
- Che novità, vero? Per me, almeno, questa è la prima volta che mangio in un ristorante dal Cambiamento. O a casa o in mense, che siano state nel Palazzo o dai re.-  disse Ardof accennando un sorriso.
- Si… non mi dispiace mangiare qualcosa di diverso. Non voglio offendere la mia, la tua o la cucina di una delle razze a cui abbiamo fatto visita, ma non ne posso più di carne e funghi, funghi e carne. Ho proprio bisogno di cambiare un po’.-  
Ardof lesse il menù velocemente, quando arrivò al fondo si stava per mettere a ridere.
- Che c’è da ridere?-  chiese l’elfa.
- Leggi il menù, così lo capirai.-  
Frida prese il foglio dalle mani del compagno e ci fece scorrere lo sguardo sopra.
- Hai letto?-  chiese Ardof ancora sorridendo.
- Tutti i piatti sono… sono…-  
- A base o di carne o di funghi.-  finì la frase il Cavaliere.
- Proviamo allora a prendere questo.-  disse l’elfa indicando un nome in fondo al foglio.
Finalmente il locandiere tornò, dalla stanza in cui si era ritirato.
- Avete deciso?-  chiese.
- Si prendiamo due… Piatt’achasa. Si legge così, vero?-  disse Frida.
- No. Si dice Piatt’achasa. Vuol dire piatto della casa nel dialetto dei Muraglia del nord. Il mio dialetto! Ora ripeti. Piatt’achasa.-  Il nano fece schioccare la lingua mentre ripeteva la parola, Ardof si chiese come avesse fatto.
- Piatt’achasa.-
- No. Ascoltami: Piatt’achasa.-  
- Piatt’achasa!-  ripeté Frida cominciandosi ad arrabbiare. Ardof non seppe come farla calmare, quindi provò a mettere una mano sopra la sua. Non seppe come, ma il gesto riuscì nel suo intento.
- Per ora va bene. Le vostre ordinazioni arriveranno tra poco!-  il nano zampettò via, verso la cucina.
In men che non si dica l’atmosfera della locanda vuota fu riempita dal suono di pentole che sbattevano tra di loro e lo stridio del ferro contro ferro.
Frida si portò i capelli davanti alle orecchie arrossate. Ardof tolse la mano, anche lui imbarazzato.
- Sai, – disse Frida cercando di riempire quel momento di silenzio imbarazzante – oggi sono riuscita ad entrare nella mente di Seisten! Ci siamo parlate solo pensando e poi lei mi ha fatto entrare nel suo corpo era una sensazione incredibile, mi sembrava di essere proprio io il drago!-  
- E come è stato?-  chiese Ardof, decidendo che la mattina dopo avrebbe chiesto ulteriori informazioni ad Erdost.
- Te l’ho detto è stato incredibile, pazzesco. Non so come spiegartelo, non ho mai provato un’esperienza così. Ti senti un drago!-
Finalmente l’oste ritornò dalla cucina con due piatti fumanti in mano. Quando appoggiò le due portate sul tavolo Frida trattenne a stento un mugolio.
Il piatto era composto da una bistecca ancora sanguinolenta con un contorno di funghi. Il locandiere portò anche una caraffa d’acqua in cui galleggiava di tutto.
- Ecco qui i vostri due Piatt’achasa. – disse il locandiere gettando un’occhiata a Frida – Uno per la signorina azzurra, uno per il messere in rosso.-   disse il nano appoggiando frettolosamente i piatti sul tavolo e mangiandosi le parole.
- Dannazione. Non smetteremo mai di mangiare questa roba. Non ne posso più. Oramai mi può anche andare bene un passato di verdure, o uno di quei terribili pastoni che ci propinavano all’Accademia alla fine del mese, quando gli mancavano tre quarti degli ingredienti! Basta che non sia questo!-  mugugnò Frida.
- Basta che bevi solo. – le rispose il compagno azzardando una battuta – Penso che quest’acqua riempia di più della tua bistecca. Guarda quanta roba c’è dentro!-
Mangiarono in silenzio. Entrambi si accorsero dello strano sapore della bistecca, ma non osarono chiedere al locandiere che animale fosse e da quanto la stava conservando.
Finirono di mangiare e diedero le monete al nano, che le guardò con gli occhi che scintillavano.
L’oste li accompagnò nella loro camera e gli augurò una buona nottata.
Il fumo della pipa riuscì ad invadere l’aria della stanza in pochi secondi, appestando completamente l’ambiente.

Il sole sorse.
Ardof si svegliò e si sedette sul divano sudicio dove la sera prima si era addormentato, aveva la testa che girava e le farfalle nello stomaco.
Sperò di non vomitare tutta la cena.
“Siete ancora sicuri che un ristorante cucini meglio di voi due?” chiese ironico Erdost.
“Veramente simpatico. Dovresti fare il comico. – Gli rispose sdraiandosi di nuovo. Intanto schiacciò una blatta che gli stava camminando sulla tuta da Cavaliere. "Ma dimmi te se, con tutte le uova che ho toccato, proprio quella con il drago buffone dentro doveva schiudersi.”
“Guarda che potrei anche offendermi.”
“ Ma non lo farai.”
Il drago non seppe come replicare, o forse, semplicemente, non volle.
Dovette lasciar passare quattro ore prima che lo stomaco smettesse di girargli come una trottola.
Frida non era in condizioni migliori, la faccia bianca come un cencio brillava tanto era imperlata di sudore.
Scesero nella sala principale e, da lì, uscirono senza rivolgere neanche una parola all’oste, addormentato su una sedia.
Ardof era convinto che, se si fosse fermato anche solo per un attimo, avrebbe vomitato persino l’anima.
I due compagni di viaggio salirono barcollanti sui rispettivi draghi e presero il volo verso nord.
Il Cavaliere rosso cominciò a sentire sulla pelle l’aria fredda che annunciava la fine dell’autunno e l’inizio dell’inverno.
A cinquecento piedi da terra la temperatura era scesa a tal punto che lo costrinse a lanciare un incantesimo per scaldarsi e non morire congelato.
Incantesimo che si rivelò ben più efficace della coperta che lo aveva accompagnato sui Muraglia.
L’aria fredda, però, gli fece dimenticare la nausea con cui si era svegliato quella mattina.

Ardof tirò fuori la mappa e la guardò attentamente. - D’accordo… vediamo… noi dovremmo essere qui e la capitale è qui. Quindi dobbiamo ancora volare verso nord per almeno duecento chilometri, dobbiamo cercare una foresta.-
- Smettila di tirare distanze a caso, tanto non ci azzecchi. Basta che mi indichi da che parte andare e prima o poi la troveremo questa benedetta capitale. Tanto abbiamo già visto che le altre due le abbiamo scoperte per puro caso.-  Seisten eseguì una virata, interrompendo la sua Domatrice.
“Erdost?”
“Si?”
Il Cavaliere dovette far violenza su se stesso per non muovere la bocca mentre parlava con il suo drago attraverso il pensiero.
“Frida mi ha detto che è entrata nel corpo della sua dragonessa… come ha fatto? Come è possibile una cosa del genere?”
“Aspetta. Se hai voglia di provare, entra nella mia mente come hai fatto la prima volta, quando eri prigioniero. Dopo ti dirò come fare. Segui i miei comandi.”
Ardof fece come gli era stato detto, impaziente di provare quell’esperienza incredibile che gli era stata descritta la sera prima.
In men che non si dica si ritrovò nella grotta screziata di rosso, davanti a lui la fiamma ardeva viva e, di fronte, si apriva la finestra da cui il ragazzo poteva vedere con gli occhi del suo drago.
“Sono nella tua mente. Ora cosa devo fare?” chiese il ragazzo guardandosi ininterrottamente intorno, incantato dall’atmosfera surreale che permeava la mente, il sacro tempio, di Erdost.
“Fai un passo avanti, due indietro, una capriola, batti le mani…”
“Stai diventando sempre più simpatico.”
“Ok. Scusa. Entra nel cuore della fiamma.” Gli rispose il drago facendo tremare le pareti della grotta.
“ Ma, non mi brucerò lì dentro?” protestò Ardof.
“Ardof tu non sei davvero dentro di me. Quella è solo una proiezione della tua mente all’interno della mia, quel corpo è un tuo stratagemma per darti sicurezza vedendo i tuoi arti. Ora, tranquillo, entra nella fiamma e rilassati. Da quand’è che non ti fidi di me? Quando mai ti ho mentito?”
Il Cavaliere fece come gli era stato detto, seppur titubante.
Appena si fu immerso nella fiamma si sentì bruciare dall’interno. La sensazione che provò fu quella di essere arso vivo, di perdere la propria solidità e di diventare etereo, entrando a far parte del paesaggio intorno a lui.
La prima cosa che notò furono i colori completamente storpiati. Non stava più guardando dalla finestra, quelli con cui osservava erano proprio i suoi occhi.
Sentì il vento gonfiare le fini membrane delle sue ali, la coda scattare a destra e sinistra per muoversi tra le correnti come se fosse un timone, i muscoli dell’addome contratti e il vento sulle squame.
“Sto… volando?” chiese stupito.
“Stiamo volando. Ora guardati.”
Ardof sentì il suo collo voltarsi all’indietro senza che lui potesse farci nulla.
Si vide sulla sella, con il casco abbassato sul volto e il rosso della sua armatura luminoso come il sole estivo.
Il ragazzo spostò lo sguardo verso terra e si accorse dell’incredibile vista di cui erano dotati i draghi.
Riusciva a contare i sassi sul terreno e gli animali che correvano sulle colline che stavano sorvolando.
La cosa che lo colpì di più fu un ruscello che scorreva sotto di loro, vedeva l’acqua arancione e questo lo lasciò senza parole.
“Ardof, questo è quello di cui i draghi hanno bisogno. – Erdost irrigidì la coda, inarcò la schiena verso il cielo e si esibì in una capriola che lasciò il Cavaliere senza fiato "Questa è la libertà!”
La sera tinse le nuvole di porpora senza che Ardof si accorgesse che fosse passato così tanto tempo.
La notte ammantò ogni cosa, ma il gruppo continuò a volare verso nord, il ragazzo, ora, non aveva più nessun problema a vedere nell’oscurità e non si accorse quasi della mancanza della luce del sole.
Seisten emise un ruggito, ma il ragazzo riuscì a distinguere, grazie alle orecchie del suo drago, le varie modulazioni ed intonazioni del verso. Non si sarebbe mai aspettato un sistema di comunicazione così complesso tra quei bellissimi animali.
“Frida è con lei.” Disse semplicemente Erdost.
Continuarono a volare finché i draghi riuscirono a sopportare l’affaticamento per la giornata di volo serrato e di acrobazie che avevano eseguito per i loro compagni.
Quando atterrarono erano sul limitare della foresta che avrebbe dovuto ospitare la loro prossima meta.
Decisero di non montare neanche la tenda.
Dormirono sotto il cielo stellato, sfruttando i ventri caldi dei draghi per combattere il freddo che calava anche a bassa quota assieme alla notte.

Si… un viaggio particolarmente noioso.
Niente di che, oltretutto hanno perso talmente tanto tempo per fare gli avvitamenti e i giri della morte che sarei potuto andare e tornare dalla Rocca per poi atterrare prima di loro.
Oh! Ma aspetta! Sono riuscito a controllare che tutti quelli rimasti indietro stessero bene e sono arrivato prima di loro!
Ma io mi chiedo se sappiano quanto è importante questo viaggio…

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Capitolo 18
*** Capitolo 17: Dimenticati ***


 La vita al villaggio degli elfi neri dove era stato portato Trado non era molto diversa da quella a cui il ragazzo si era abituato nei primi mesi dopo il Cambiamento.
Reicant era trattato come un re: tutti, uomini, donne e bambini, si complimentavano con lui per lo splendore delle sue squame e per le sue zanne affilate. Il drago si compiaceva di tutte quelle attenzioni.
Intanto Trado lavorava nei campi insieme agli altri uomini. All’inizio era stato isolato, poi con il tempo lo avevano accettato in quella comunità ed ora era, se non uno di loro, almeno tollerato.
I due anni che aveva passato nel Palazzo della Mezzanotte lo avevano infiacchito, ma con il tempo si stava riprendendo la forza che aveva quando gli era arrivata la lettera dell’Ordine.

Diciamo però le cose come stanno.
Non proprio tutti i mali vengono per nuocere: Trado… beh, Trado si era trovato una ragazza.

È un’elfa di quel villaggio, Diana. Per lui è stato un fulmine a ciel sereno, l’aveva incontrata il terzo giorno del suo soggiorno in quel villaggio: era appena tornato dal campo e si stava esercitando con il suo nuovo arco contro un ceppo.
Mentre lui cercava di migliorarsi nel tiro con l’arco lei, tra il suo popolo, era già una specie di leggenda nella scherma, era l’unica che usciva da quella piccola comunità regolarmente per partecipare ai tornei che, di quando in quando, venivano organizzati nelle grandi città elfiche della Gande Vivente.
La si poteva riconoscere anche da lontano, era una mulatta, la madre dalla carnagione bianca le aveva conferito una pelle più chiara rispetto a quella dei compaesani, i capelli neri e gli occhi azzurro marino, che rilucevano come astri, per lui erano come un faro nelle sue giornate, troppo spesso monotone.

Quanta poesia…
È inutile dire perché Trado si innamorò di lei.

Da quel pomeriggio i due si vedevano ogni sera, quando Trado tornava dai campi allungava un po’ il tragitto per poter passare davanti a casa sua. Lei puntualmente era seduta sull’ingresso ad aspettarlo.

Finalmente la mietitura era finita, questo lasciava al Domatore bianco più tempo a disposizione per esercitarsi con l’arma e incontrare la sua bella dagli occhi di zaffiro. Se non erano quelli il paradiso, poco ci mancava, si diceva spesso.

Sarà… comunque ora devo lasciarti, Romeo.
Ci si vede! O forse no… comunque io vedrò te di sicuro.



Codero non poteva fare assolutamente niente dal momento in cui si alzava a quando si rimetteva a letto.
Si chiedeva spesso se ai suoi compagni fosse toccata una sorte migliore della sua.
Scavare era riservato ai prodi “nani minatori”, nessuno, oltre a loro poteva mettere piede nei tunnel in via di costruzione. Al re, ai nobili e al loro seguito non era permesso nel più categorico dei modi di lavorare o gironzolare, curiosando per i corridoi e le gallerie che risuonavano ora del fragore di un martello calato con forza su un’incudine, ora del pianto di un bambino o del suo riso.
Lui poteva stare soltanto vicino a re Vroyer nei consigli di guerra che teneva ogni tre giorni con i capi dei nove clan dei nani.
Clan che erano rigidamente divisi in costruttori, minatori, tessitori, fabbri, coniatori, allevatori, contadini, medici e boscaioli e, puntualmente, erano in disaccordo.
Per fortuna, almeno, il re era riuscito a trovare un buon istruttore per insegnare a Codero a combattere con il martello che aveva appena acquisito.
Quelle lezioni riuscivano, seppur per poco, a rompere la monotonia delle giornate che doveva passare chiuso in quei tunnel umidi.
Il Cavaliere si trovava in una larga stanza illuminata da decine di torce, davanti a lui si era piazzato Gouren, l’istruttore, che, da quello che il ragazzo aveva capito,  era anche un parente del re.
Gouren non smetteva di ripetere quanto una spada fosse meno affidabile di un martello o di una mazza. Non voleva assolutamente sentire niente di quello che il suo allievo diceva, continuando a ripetere sempre la stessa cosa.
- Una spada può essere affilata e appuntita quanto vuoi, ma qualunque materiale sarà sempre troppo fragile! Qualunque materiale, anche il Mithril, se viene assottigliato troppo perde la sua resistenza ai colpi. La mazza! Il martello è l’arma perfetta, la più affidabile in assoluto! Non va curato, non va affilato e sarà sempre pronto per servirti, qualunque cosa vorrai fargli fare!-

In pratica è un invasato.

Intanto Codero ascoltava distrattamente.

Un popolo davvero testardo, quello dei nani.
Direi secondo in testardaggine solo agli dei…

Per un attimo il suo pensiero si diresse al suo povero Marfest, costretto in una grotta per via dei tunnel troppo stretti per la sua mole.
Doveva andare a trovarlo, si decise.



Vago passeggiava tranquillo per uno dei tunnel dei folletti, Rovere si era seduto sulla sua spalla e gli faceva da cicerone.
- Come fate voi folletti a scavare dei tunnel così grandi? Sono sproporzionati rispetto alla vostra statura…-  
- Noi? Noi non facciamo niente. Non muoviamo un dito. Siamo alchimisti, noi. I nostri migliori scienziati sono riusciti a modificare i vermi che bucano le pareti di queste grotte e ora noi li usiamo per scavare al posto nostro. – Rovere aveva preso l’incarico di spigare all’ospite come funzionava la vita dei folletti. Sembrava pura curiosità nei confronti dell’ospite quella che l’aveva spinto ad assumersi quell’incarico. – Vieni, seguimi! Dovrebbero star lavorando proprio adesso! Su, sbrigati!-  Il folletto saltò giù dalla spalla del ragazzo e si mise a correre per il cunicolo.
Ogni suo passo rimbombava dieci volte più forte sulla pietra, creando una cacofonia terribile. Vago si affrettò a seguirlo, stupendosi d quanto quel folletto corresse veloce, nonostante le gambe corte.
- Ci siamo messi d’accordo con i nani. Noi scaviamo da questa parte e loro dall’altra. La nostra intenzione è creare un passaggio dalla nostra città alla loro capitale per agevolare gli spostamenti di Mithril. Lo creiamo noi, sai? Sono i nostri migliori alchimisti a miscelare gli elementi in modo che la lega non perda elasticità o resistenza. Loro lo lavorano solo.-  davanti ai due si stagliò un verme gigantesco, la pelle grigia e umida gli conferiva un aspetto demoniaco.
La bestia procedeva lenta attraverso la roccia, facendosi largo a colpi di denti.
- È… sono… enormi, giganteschi…-  riuscì a dire Vago ammirando la bestia dalla pelle umida che si contorceva sotto i suoi occhi.
- Sì, è tutto merito di un composto di nostra invenzione. L’acqua del reietto. Porta a galla la parte… possiamo dire demoniaca di chi ci entra in contatto. Da non crederci, cosa ne pensi?-
- Quindi, questi sono demoni?-  
- Demoni o la cosa che gli si avvicina di più che si possa trovare su queste terre.-  
- Userete questi in guerra?-  
- No… stanno sperimentando il composto su altri animali. Serpenti, salamandre, talpe. Metteremo insieme un buon esercito per la guerra. Non preoccuparti.-  
- Si…-
- Ti ho già fatto vedere la nostra biblioteca?-
- No… l’ho visitata velocemente il primo giorno qui, ma non mi è rimasto molto. E poi non so niente di cosa possa contenere e perché lo contenga.-  gli rispose Vago.
- Perfetto, vieni. Seguimi.-  
Il folletto riprese a correre per il tunnel, seguito a ruota da Vago. I due imboccarono vari tunnel, scale, passaggi stretti e larghi, entrarono in stanze riccamente arredate e stanze completamente spoglie, finché Rovere chiese a Vago di aprire una porta più spessa delle altre.
Finalmente entrarono nella biblioteca dei folletti. Il Cavaliere riconobbe subito l’odore di carta e inchiostro che permeava l’area dell’enorme stanza piena di scaffali.
- Buon giorno Rovere!-  a parlare stata un’anziana folletta ingobbita, con la pelle grinzosa.
- Salve signora Betulla, sta bene? Lui è il nostro ospite, l’ho portato qui per fargli vedere la nostra bella biblioteca. Vago, lei è la signora Betulla. È lei la custode di tutto il sapere di noi folletti, è la nostra bibliotecaria. Cara Betulla, lui è Vago, il nostro ospite. È rimasto qui per rappresentare gli umani e gli elfi.-  
- Piacere signora Betulla.-
- Mmm…-
Rovere fece fare un giro approfondito di tutti gli scaffali a Vago, spiegandogli come i tomi erano divisi.
- Quanti libri pensi ci siano in questi scaffali?-  chiese il Cavaliere guardandosi intorno con gli occhi lucidi, per lui quella era la perfezione, dubitava che sarebbe ancora uscito da quella stanza.
- Credo… credo proprio che ci siano almeno duemila, duemilacinquecento volumi in questo locale.-
- Sono meravigliosi… Bellissimi.-  disse Vago accarezzando la copertina in pelle bianca di un catalogo sui tipi di folletti esistenti.
- Ma… di cosa parla quel libro?-  Vago indicò con un cenno della testa un libro rilegato in pelle nera con il titolo tessuto in filo d’ oro.
Il libro in questione era custodito in una bacheca di vetro, chiusa, a differenza degli altri.
- Quello è stato il nostro primo libro. Il primo tassello di questo immenso puzzle. È il libro che ci regalarono gli dei il primo giorno del Cambiamento. È la cosa più preziosa che abbiamo.-
- Ve lo hanno regalato gli dei? Davvero? – Vago aprì la teca con cura e allungò le mani per prenderlo. Ma si fermò, con le dita  pochi centimetri dalla copertina. – Non te l’ho chiesto, posso… posso prenderlo?-  Il ragazzo ripensò a quello che avevano scritto nella lettera ed ebbe una specie di intuizione. Tanto valeva provare.

Cosa? L’ha capito da solo?
Mi viene da piangere… crescono così in fretta!

- Si, certo. I libri sono fatti per essere presi in mano, letti. Ci sono solo due regole: Non puoi portarlo fuori dalla biblioteca e non devi assolutamente rovinarlo. Oh, si… prima che ci rimani male: le pagine sono tutte bianche, dalla prima all’ultima. Non c’è una sola lettera scritta.-  
- Non importa.-  Il Cavaliere prese con cura il libro nero dalla sua sede nella teca e lo aprì lentamente ascoltando il frusciare dei fogli intonsi, perfetti come se fossero appena stati rilegati.
Come aveva detto il folletto non c’era un solo filo d’inchiostro sulla carta candida. Il ragazzo lo richiuse cautamente e passò le dita sul titolo in rilievo. Erano le rune dell’antica lingua, dicevano: “Non importa chi diventerai, ma chi sarai nel frattempo.”

Carina come frase, anche se non adatta a essere usata come vero e proprio titolo di un libro. Diciamo che sarebbe stata meglio nella prima pagina, assieme all’introduzione.
Ma tanto il Fato non ascolta mai i consigli degli altri, quindi è inutile che mi lamenti…

Vago non riusciva a capire fino in fondo quello che il titolo intendeva, ma poteva percepire la profondità di quelle parole.
Il ragazzo si stava perdendo nell’intreccio di fili d’oro sulla pelle nera, quando all’improvviso sentì il libro succhiargli le energie. Provò a buttarlo a terra, ma le braccia non lo ascoltavano. O forse non voleva lasciarlo andare nemmeno lui. Non aveva mai rovinato un solo libro in vita sua e non intendeva cominciare.
Cadde in ginocchio, sentendosi sempre più stanco e con le membra talmente pesanti da sembrare di pietra.
Finalmente l’incantesimo che stava lo uccidendo si ruppe, lasciandolo boccheggiante a terra, avido d’aria.
- Tutto bene?-  chiese preoccupato Rovere avvicinandosi all’ospite che si stava lentamente riprendendo.
- Si… ora sono di nuovo a posto.-  gli rispose il Cavaliere rimettendosi in piedi a fatica.
- Ma cosa è successo?-  
- Penso di aver attivato un incantesimo dormiente… è una magia che si attiva solo in determinate condizioni. Guarda.-  Vago fece scorrere le pagine, ora piene di parole e frasi che sembravano bruciare come un fuoco nero sulla carta bianca.
Il ragazzo si chiese come mai gli fosse venuta in mente una similitudine così particolare.
Ogni capitolo era etichettato con il nome e il cognome di una persona.
- Incredibile! Nessuno è mai riuscito a leggere queste pagine. E invece tu hai fatto comparire tutto… e solo toccandolo! Sai per quanti anni i nostri migliori scienziati lo hanno studiato senza trovare niente?-  
- Al massimo tre anni.-
- Si, ma non è questo il punto! Hai fatto qualcosa di incredibile!-
- Il punto è che gli scienziati potrebbero studiarlo finché vogliono. Ma questa è sicuramente magia, neanche i maghi comprendono appieno cosa fanno…-
La bibliotecaria si era avvicinata silenziosamente, così aveva sentito il discorso tra i due.
- Tu! – strillò la vecchia come una forsennata, puntando il dito magro contro Vago – Tu hai stregato il libro che ci diedero gli dei! Il nostro più prezioso tesoro! Incorreremo tutti nell’ira degli dei, lo so! Me lo sento! Ma tu, tu pagherai per quello che hai fatto. Lo giuro!-
- Signora, no… non ho fatto niente al libro. Piuttosto è stato lui a fare qualcosa a me… A dir la verità mi ha quasi ucciso…-
- Taci!-  urlò la vecchia avventandosi sul Cavaliere con un piccolo tagliacarte in mano.
La sottile lama strappò i pantaloni che i folletti gli avevano messo a disposizione per sostituire l’armatura bianca, e affondò più volte nella caviglia del ragazzo.

La stessa caviglia che si era slogato, per giunta. Non era proprio un periodo fortunato per quella povera articolazione.

Vago non ebbe il tempo di cacciare un urlo che tre guardie intervennero, agguantando l’anziana bibliotecaria e trascinandola via, separandola da quel dannato tagliacarte.
Poco prima di girare un angolo e scomparire la folletta riuscì ancora a urlare in direzione del Cavaliere. - Tu ci hai tolto il dono degli dei! Te la farò pagare! Loro dagli alti scranni te la faranno pagare! Non avrai un attimo di pace né in questo mondo, né nella Volta!-  
- Mi spiace moltissimo. Non avrei mai immaginato… non avrei mai creduto che la signora Betulla potesse fare così. È sempre stata così gentile con tutti…-
- Tranquillo, non ti devi scusare. Non ne hai colpa, non potevi prevedere una che succedesse una cosa di questo genere. Solo un attimo…-  Vago si scoprì la caviglia che si era ricoperta di sangue cremisi.
La piccola lama era riuscita a fare più danni di quelli che ci si potesse mai aspettare dalle sue dimensioni.
Il Cavaliere la pulì dal sangue con un dito bagnato di saliva, per poi appoggiare l’indice e il medio sulle piccole ferite.
- Radmun dei. “ Guarisci”-  borbottò, sentendo i tagli chiudersi sotto i suoi polpastrelli.
- Sei pieno di risorse, vero? Prima sei riuscito a leggere un libro bianco e adesso guarisci a una velocità mai vista. Come fai? Sei riuscito a demolire due leggi della razionalità in meno di un minuto!-  
- Semplice, come ti ho già detto è tutto merito della magia. Il libro, ti spiegavo prima, doveva contenere un incantesimo dormiente che si è attivato quando l’ho toccato, mentre la magia che ho usato per guarirmi è una delle prime che mi hanno insegnato quando sono diventato Cavaliere dei draghi. È uno degli incantesimi base da combattimento, ma non solo.-  
Vago accarezzò un’ultima volta la copertina nera del libro, poi lo rimise accuratamente al suo posto nella teca trasparente.
Appena alzò la mano dalla pelle nera alcune piccole scintille si accesero e, dalle pagine, tornarono alle sue dita, facendole formicolare.
- Cosa pensi di fare? – lo rimbeccò il folletto guardandolo di traverso. – Pensi di lasciare quel libro bianco in questa biblioteca ad ingiallire? Un libro deve essere letto, è quello il suo scopo.-  
- Bianco? Non le hai viste prima le parole… le frasi? Era tutto scritto.-  
Il folletto si arrampico fino al libro stregato e lo aprì alla prima pagina. Bianca. Voltò le pagine a una a una mostrandole al ragazzo che osservava inebetito.
- Come è possibile? Era a posto, l’avevo attivato!-  Vago lo riprese in mano e in un attimo le pagine si riempirono di nuovo di lettere d’inchiostro scuro.
- Vago... Pensi davvero che nelle mani alle persone normali un libro scritto dagli dei si lasci leggere! Gli dei possono essere tante cose, ma non sono stupidi di certo, pensaci!-  

Io su questo ogni tanto ho dei dubbi…

- La cosa ha un senso…-  
- Certo che ha un senso!-  
- Allora, secondo te cosa ne dovrei fare?-
- Tienitelo con te, vendilo, brucialo, usalo per non far dondolare un mobile, fanne quello che vuoi. Secondo alcuni quello è il libro del Fato, io comunque non so cosa farne. Tienitelo.-

Per me, l’avrebbe dovuto usare per fermare gli spifferi da sotto la finestra, ma voi pensate quel che volete.
Non sapete quanto detesto quel libro. Penso sia colpa sua se la mia razza è passata in secondo piano rispetto a tutto.
Dannazione. Non è che Aria, o Terra, o uno qualunque degli altri dei, dopo aver forgiato la propria arma abbiano passato la loro esistenza a pulirla o affilarla, dimenticandosi di andare a trovare ogni tanto i loro Servitori.
Non dico che il Fato avrebbe dovuto invitarci tutti alla cena del mercoledì, ma almeno costruirci… non dico un castello come quello dei servitori, ma almeno un paesino?
E poi mi chiedo come abbiano fatto i mortali a sterminare noi, protetti dall’ala del Destino.

- Davvero?-  
- Certo che è tuo! Noi non sappiamo cosa farci! E poi, se anche lo lasciassi qui, se il tuo destino è quello di possederlo, troverà lui un modo per ritornare a te! Non voglio trovarmi un libro che saltella per tutta la biblioteca perché vuole uscire!-  
- Grazie, allora.-  Vago sollevò Rovere su una mano.
- D’accordo, d’accordo… Sei felice. Ma… ora mi fai scendere? Per favore! Soffro leggermente di vertigini da quassù.-  
- Oh, si certo scusami.-

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Capitolo 19
*** Capitolo 18: La prova ***


 La mattina seguente controllarono un’ultima volta la posizione della capitale. Era leggermente più a nord, rispetto alla loro posizione, tutto quello che dovevano fare era entrare nella foresta che si apriva a due passi dal loro accampamento improvvisato e cercare quella città.
Si incamminarono a piedi, per non costringere i draghi a farsi strada sotto i rami circondati da foglie gialle e rosse da cui pendevano piccole strutture marroni che ricordavano le pigne dei pini.
- Da quando questi alberi fanno le pigne? Io qui vedo querce, faggi, castagni… non dovrebbero esserci queste pigne.-  disse Ardof guardandosi intorno.
- Genio, non sono pigne. Sono alveari.-  
- Il prossimo popolo è quello delle api?-

Ma come si fa ad essere così imbarazzanti?
 
Piccole farfalle luminose dai vari colori rilucevano nella penombra ai piedi degli alberi.
Un piccolo insetto che brillava di bianco come una stella scesa dal cielo notturno si posò sulla mano sinistra di Frida, che la scacciò malamente, continuando a camminare sul manto di foglie secche.
Inoltrandosi sempre più nel bosco i due compagni di viaggio videro il numero di insetti e di alveari aumentare sempre più.
Gli ci volle ancora molto per capire che quelli non erano insetti luminosi ma fate dalle ali colorate.

E pensare che ha vissuto con una fata per dei mesi… pensa se non ne avesse mai vista una.

- Fate… è questo il prossimo popolo…-  borbottò Frida.
Una fata dalle ali gialle si portò davanti al viso di Ardof e lì rimase, scrutando il ragazzo con gli occhietti neri da insetto. - Chi siete?-  chiese, più che una domanda di rito sembrava essere mirata a soddisfare la curiosità della fata.
- Io sono Ardof Neghyj, mentre la mia amica è Frida Vergy. Veniamo… come dire… in pace.-  
- Perché siete arrivati fin qui?-
- Lo stavo giusto per dire. Abbiamo bisogno di parlare con il vostro re, capo di stato, rappresentante o colui che vi comanda. È una cosa abbastanza urgente… Ci puoi portare da lui o lei?-  
- Noi non abbiamo un re!-
- Sentimi bene. – scandì Frida prendendola fata per le ali colorate – Dobbiamo parlare con qualcuno di importante. Il più importante. Quindi o ci porti da questa persona importante oppure dovrai imparare a volare senza ali. Hai capito bene, sottospecie di zanzara?-  
- Va bene! Va bene! Vi porterò da chi volete, ma non strappare le mie belle ali, ti prego!-  la fata era sbiancata.
- Bene.-  concluse Frida lasciando le ali.
La fata svolazzò per un po’ a destra e sinistra come se non sapesse bene cosa fare, poi puntò dritta verso un laghetto che risplendeva alla fievole luce che bucava le fronde.
- Qui, signor Neghyj e signorina Vergy… mettete le mani nell’acqua del lago… per favore.-  disse la fata tremante, senza staccare gli occhi da Frida.
- Chiamarlo “ lago” mi sembra un po’ eccessivo. Questa è più una pozza d’acqua.-  commentò Ardof inginocchiandosi sulla sponda argillosa ricoperta da foglie umide, che sembravano lastricarla.
I due ragazzi si tolsero il guanto dalla mano, per poi immergerla nell’acqua.
Si guardarono riflessi nello specchio cristallino.
Non videro niente di incredibile e ad Ardof venne in mente l’idea che la fata li stesse prendendo in giro.
- Cosa c’è di tanto particolare in questa pozzanghera, sottospecie di lucciola parlante?-  chiese Frida, guardando la fata impaurita con la coda dell’occhio.
- Zitti! – dissero le due immagini riflesse muovendo le labbra. Ardof pensò di esserselo immaginato – Cosa volete dal portale, voi che turbate il lago?-  
Ardof non riuscì a parlare per lo spavento, muoveva a vuoto le labbra senza essere copiato dalla sua immagine. - Noi… siamo qui per parlare con il leader di questa nazione… è urgente, dovremmo incontrarlo subito, se è possibile.-  
- Bene. Lasciate che io vi metta alla prova per verificare la veridicità di ciò che mi avete detto.-
Una scarica di dolore percorse tutto il braccio del ragazzo.
- Ah! Cosa vi abbiamo fatto? Perché ci hai fatto questo? Rispondimi subito!-  urlò Frida con le lacrime agli occhi.
Le due immagini riflesse si sfocarono, fino a lasciare il posto all’immagine di un solo volto azzurro dagli occhi bianchi come il ghiaccio.
- Voi non mi avete fatto niente. Questa però è la prima delle due prove. Non posso permettermi di far entrare nella nostra città due sconosciuti, magari due assassini, senza controllarli. Sono il custode e non posso permettermelo. Questo è il mio ruolo, questa è la mia missione.-

Beh, tutto sommato, passare la vita in un ingrossamento di un ramo secondario del Serat a far piangere di dolore i visitatori non è poi un così brutto mestiere. Per i sadici, intendo, ovviamente.

Prima che Ardof potesse rispondere tutto il suo corpo fu trapassato da una nuova lama rovente, la sensazione successiva fu quella di annegare. Provò a muovere le braccia ma il dolore lo paralizzava.
Cavaliere e Domatrice caddero a terra sotto gli occhi attenti delle fate che erano accorse per vedere cosa stesse succedendo.
Una possente mano, interamente fatta d’acqua, si levò dal lago e, agguantati i due diciottenni, li trascinò all’interno dello specchio, smuovendone appena le acque calme.
Quando l’aria tornò a riempire i suoi polmoni. il Cavaliere rosso si sentì rinascere. Non si era mai sentito così in pericolo come allora.
Si guardò intorno e vide Frida accanto a se. Erano in una specie di bolla d’aria circondata dall’acqua cristallina.
Quel lago era decisamente profondo. Non si riusciva nemmeno a riconoscere il disco rovente del sole sopra di loro.
- Dannazione, dove ci hanno portati quei piccoli…-  borbottò Frida completamente zuppa. Si tolse malamente le ciocche di capelli incollate sugli occhi e scosse le braccia per far cadere più acqua possibile.
- State per entrare nella sala della prova. – la voce sembrò arrivare dall’acqua che li circondava. – Solo vincendo la seconda prova potrete dimostrare il vostro valore e incontrare il fondatore dell’Oasi.-  
La bolla entrò all’interno di una più grande, che ospitava una specie di teatro in terra battuta.
I due compagni si trovarono a cadere da tre metri d’altezza quando la loro bolla scoppiò.
Ardof si alzò appena in tempo per vedere una figura dalle fattezze umane, ma interamente fatta d’acqua come la mano che li aveva trascinati lì dentro, materializzarsi davanti a lui.
- Signore e signori.-  disse la creatura d’acqua alzando un braccio, la risposta fu un sonoro grido proveniente dagli spalti gremiti di fate.

Sono diventati uno spettacolo. Bene. Poteva sempre finire peggio. In questo momento non mi vengono in mente situazioni peggiori, ma qualcuna dovrà pure esistere.

Quando l’esultanza si fu ridimensionata l’essere riprese - Costoro vogliono parlare con il fondatore di quest’Oasi e per questo verranno messi alla prova. Fate entrare i Dannatori!-  la fine del discorso fu accolta da un’altra cacofonia di esultanze.

Bel nome, i Dannatori, per un complesso di musicisti, magari. Ma dubito che la seconda prova sarebbe stata ascoltare della musica, per quanto possa essere brutta.

La creatura d’acqua si liquefece di nuovo.
La bolla dell’arena era attaccata a un portone grande abbastanza da far passare due draghi affiancati.
I due battenti si mossero piano, quasi fossero una macabra anticipazione di ciò che sarebbe successo in seguito.
La mano di Ardof corse alla cintura e il ragazzo non poté contenere l’ondata di sconforto che provò quando non sentì la fredda elsa della sua spada sotto le dita.
Ogni volta che ne aveva bisogno, Pyra non era nel suo fodero. Neanche avesse avuto vita propria e si divertisse a lasciarlo solo nei momenti peggiori.
Finalmente il portone si fermò e una quantità spaventosamente enorme di fate sciamarono dentro l’arena armate con piccole spade a forma di pungiglione. Una sarebbe stata divertente, due, forse, anche. Ma così tante potevano rappresentare un problema.
- Cosa facciamo ora?-  chiese Frida preoccupata. Ardof non l’aveva mai vista indecisa davanti a qualcosa.
Dopotutto il suo motto fino ad allora era stato: Se ti metti in mezzo, sei già stato tagliato in due dalla mia spada.

Già, normalmente avrebbe preso a calci qualunque cosa si trovasse davanti e poi avrebbe pensato cosa fare nel pomeriggio.

- Penso che l’unica cosa che possiamo fare per difenderci è la magia. Cerca solo di non rimetterci la pelle.-  
- Va bene. D’accordo… Reckiet! “ Acqua!”-  
Ardof seguì subito il suo esempio. - Destari! “ Fuoco!”-
Colonne di acqua e fuoco liquido si alzarono davanti ai due diciottenni, andando ad affogare e carbonizzare le fate che incontravano sul loro percorso.
Una. Due. Tre. Quattro colonne. Ma l’orda continuava a non dare segno di voler cedere.

Sono l’unico ad accorgersi che quei due stanno uccidendo centinaia di fate senza il minimo ripensamento?
Sono davvero l’unico qui dentro che non prova piacere nel rapire, incarcerare, torturare, uccidere, trucidare o dichiarare una guerra?

Dal portone aperto continuavano a entrare guerrieri che prendevano il posto dei caduti e ingrossavano le fila dei compagni sopravvissuti. Sembravano infiniti.
Tonf.
Ardof si girò velocemente e vide Frida cadere a terra priva di coscienza. Intanto la sua ultima colonna d’acqua si infrangeva violentemente contro la parete opposta.
Un’altra torre. Anche il ragazzo sentì il suo mana scendere vertiginosamente. Non sapeva quanto il suo corpo potesse ancora resistere a quello sforzo.
Quando si sentì troppo debole per continuare e troppo stanco per pensare decise di fermarsi.

Meglio vivo con una possibilità di sopravvivere su migliaia, che morto, dopotutto. O no?

In un attimo l’orda di fate gli fu addosso, sommergendolo in una marea di corpicini alati e infilzandolo con le spade.
- Aiuto.-  disse ancora Ardof prima di essere completamente schiacciato dalla massa di guerrieri che gli si avventavano contro, aumentando continuamente la velocità di quei piccoli pungiglioni di ferro.

Maledizione.
E adesso cosa faccio? C’è troppa gente per potermi manifestare…
Devo trovare una soluzione alla svelta. 

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Capitolo 20
*** Capitolo 19: Un legame fraterno ***


Su, giù. Su, giù. Su, giù.
Le ali battevano a un ritmo forsennato e a ogni colpo sembravano volersi rompere. Ma ogni volta riuscivano a sconfiggere la resistenza dell’aria di bassa quota.
Su, giù. Su, giù. Su, giù.
Non c’era assolutamente tempo da perdere, poteva già essere troppo tardi.
No, non era troppo tardi. La scintilla della vita del suo compagno di volo era ancora accesa. Fioca ma accesa.
Non poteva permettersi nessuna distrazione, nessuna indecisione. Non guardò neanche dietro di sé per sincerarsi che Seisten lo stesse davvero seguendo o si fosse già arresa.
Ecco. La mente del compagno di volo era più vicina. La sentiva pulsare. Veniva… veniva da…

Che diavolo faccio? No, non posso farli ammazzare, nonostante tutto. Se mai crepassero sotto i miei occhi non me lo perdoneranno mai.
Non ho bisogno di anni aggiuntivi alla mia pena.
Maledizione. Pensa. Hai ancora tempo. Non sono ancora morti.
Basta un contrattempo, forse.
L’idra mi è sempre venuto bene. Magari riesco a cavarmela…

Il drago sfregiato non perse tempo a riflettere. Si lasciò guidare dal suo istinto.
Serrò le ali contro i fianchi, inarcò la schiena e socchiuse gli occhi. Senza nessuna paura. La possibilità di fallire non doveva esistere.
I due padroni del cielo entrarono dentro lo specchio d’acqua sotto lo sguardo impotente del guardiano.

Dai…
Uno, due e… Nah! Non ci riesco! Maledizione!
Non posso mostrarmi! Si faranno troppe domande!

Acqua, acqua e ancora acqua intorno a lui. Poi il suo muso bucò qualcosa di non liquido e il possente drago poté riprendere fiato.
Erdost riempì più volte i grossi polmoni e chiuse un paio di volte le palpebre coriacee per scacciare le ultime gocce d’acqua che gli annebbiavano la vista.
Vide il suo compagno di volo in mezzo a tanti piccoli corpi ronzanti.
Erdost inarcò il collo, ma quando fu sul punto di sputare il fuoco che ribolliva nelle sue viscere si fermò. Non poteva.
Il suo compagno sarebbe sopravvissuto, ma la compagna di volo di Seisten sarebbe morta in quel rogo.
Decise di ruggire.
Non dovette aspettare molto per far unire la voce Seisten alla sua.
Il suono che produssero fu talmente forte da far tremare le pareti di quel mondo senza cielo.
Tutti i piccoli insetti che facevano del male al suo compagno di volo caddero a terra, come storditi.
Il suo istinto aveva avuto ancora ragione.

Si!
Grazie bestione!
Avessi una bocca tirerei un sospiro di sollievo.
Sono salvi… sono salvo.
Basta emozioni forti per oggi. Ho bisogno di una tisana, magari con un po’ di miele dentro.
Scusate. Sto straparlando. 

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Capitolo 21
*** Capitolo 20: Fuori dall'arena ***


 La presa delle fate si allentò e le orecchie di Ardof ulularono per il dolore. Non poté nemmeno coprirsele, tanti erano ancora i corpi che ancora gli immobilizzavano le spalle e le braccia.
“Almeno sono ancora vivo.” Pensò il cavaliere una volta che poté mettersi a sedere, tenendo le braccia e le mani premute sulle centinaia di tagli che gli costellavano volto, collo e giunture, lì dove l’armatura non lo proteggeva.
Finalmente il frastuono cessò e il ragazzo poté aprire gli occhi, seppur lacrimanti, ed elaborare ciò che gli stava succedendo intorno.
Con sua immensa gioia vide Erdost e Seisten occupare il centro dell’arena. Quella visione bastò a fargli tornare una piccola parte delle sue forze.
Tutte le fate, come anche l’essere d’acqua, erano prostrati a terra e in tutta la bolla d’aria non si sentiva più un rumore. Sembrava che il tempo si fosse fermato.

Incredibile ma vero nessuno ha ancora tossito e nessun bambino è ancora scoppiato in lacrime, come normalmente accade in queste situazioni, Natura ci insegna.

Ardof prese Frida sotto le ascelle e la trascinò claudicante verso i due draghi, almeno tre di quelle piccole spade erano riuscite a scavarsi  una nicchia nel suo ginocchio e non sembravano intenzionate a volerne uscire.
Nessuno si mosse per fermarli o attaccarli, erano tutti in uno stato di adorazione quasi sacra.
Il Cavaliere rosso posò piano la compagna di viaggio davanti alla sua dragonessa e si fece da parte per riprendere fiato, seduto poco distante.
Con le dita tagliuzzate percorse il contorno dell’armatura che gli contornava il ginocchio, stringendole attorno all’elsa delle piccole armi. Chiuse gli occhi, serrò la mascella, tirando con quanta più forza poteva.
Il rumore che ne seguì fu secco.
Con le lacrime agli occhi Ardof si guarì il ginocchio e le ferite più profonde, cercando di risparmiare il più possibile delle poche energie che ancora gli rimanevano.
Un rivolo d’acqua cristallina si alzò dalle pareti della bolla che li ospitava e serpeggiò verso la Domatrice azzurra, scorrendole sulla spalla fino a entrarle nella bocca semiaperta.
Il petto dell’elfa sembrò illuminarsi di una luce azzurra, ma fu un lampo di un attimo e Ardof si chiese se non fosse stato lui ad immaginarselo, abituato com’era agli affetti speciali che accompagnavano ogni incantesimo.
Con un colpo di tosse la ragazza si mise seduta contro la zampa squamosa della sua dragonessa.
“Come ha fatto Seisten a guarirla così velocemente senza usare la magia?” Pensò Ardof.
“È il legame che unisce un umano o un elfo a un drago e, di conseguenza, a un elemento. In questo caso Seisten ha usato l’acqua per ricaricare un po’ le riserve di energie della sua Domatrice. È una cosa che va oltre la semplice magia, ma non so dirti altro.”

Su questo posso aiutarvi io…
Ricordate il fascio di mana che ha scaraventato sulla terra il demone? Dove pensate sa finito?
Le particelle magiche si sono disperse sulla terra, venendo assorbite da tutte i corpi, animati e inanimati. Da qui la creazione delle razze e della magia.
Magia che tra l’altro è destinata a scomparire da questo mondo. Adesso tutti i maghi sono completamente permeati di mana divino e attingono a questo per lanciare gli incantesimi, ma le prossima generazioni non avranno che una piccolissima parte di quest’energia magica… forse potranno sfruttare quella ancora presente negli elementi per ancora qualche decina di anni, ma prima o poi finirà tutta…
Ma mi sono perso. Allora, per via del Cambiamento tutti gli elementi hanno assorbito parte di particelle magiche, caricandosi a loro volta di mana. Entrando in contatto con l’acqua, quindi, Frida non ha fatto altro che assorbire la carica magica presente in questa e farla propria.
Scusate l’interruzione.
 
“Quindi tu potresti farlo con me? Nel senso, se ne avessi bisogno potresti ricaricarmi?”
“Si, certo. Ma non con l’acqua, perché non è il nostro elemento. Se ci provassi rischierei solo di affogarti… sempre se riuscissi a richiamarla, l’acqua, intendo.”
“Si, ma il nostro elemento è il fuoco! Mi scotteresti la gola e mi bruceresti gli organi se facessi una cosa del genere! Mi uccideresti! Questa è una truffa!”
“No. Risposta sbagliata. Non sai proprio niente. Tu, come tutti gli altri Cavalieri e Domatori legati al fuoco siete… ignifughi. Potresti buttarti nella bocca di un vulcano e sentire solo un piacevole tepore. Ma in quel caso dovresti fare attenzione ai gas che ne escono…”
“E gli altri elementi che vantaggi danno?”
“Da quello che ne so… Quelli legati all’acqua dovrebbero poter respirare sott’acqua, almeno per un po’. Quelli della terra dovrebbero avere le ossa indistruttibili o quasi. Potrebbero cadere da un palazzo e farsi solo qualche sbucciatura. Mentre quelli dell’aria… dovrebbero aver subito una specie diminuzione del peso delle loro ossa. O forse queste sono diventate cave, tipo gli uccelli.”
“Ho capito…”
- Ardof… – articolò lentamente Frida ancora seduta – Cosa stanno facendo… le fate? Guardale…-  
- Non lo so. Sono arrivati i draghi e poi… si sono prostrati tutti, dal primo all’ultimo. Non so perché l’abbino fatto ma a me va benissimo se continuano così… Almeno per un po’-  
Dal portone entrò strisciando una creatura con la parte superiore del corpo da uomo e la coda di un pesce. Si muoveva in modo simile a quello dei serpenti, tenendo però il busto eretto.
Dietro di questo altri quattro della sua stessa specie sfoggiavano delle armature di bronzo e elmi dello stesso materiale ornati da una cresta colorata.
L’uomo pesce in testa alla formazione fece un inchino sbrigativo nella direzione dei due ragazzi, per poi rivolgersi al guardiano che si era di nuovo materializzato in mezzo all’arena. - Proteo! Ora rispondimi: come mai questi Farionim sono stati sottoposti alla prova dell’arena? Esigo una spiegazione.-  
- Non lo so, oh Gran Visir. Quando si sono affacciati alla finestra sul mondo e li ho esaminati non ho visto in loro il segno… mi scusi, Gran Visir.-  
- Lascerò passare questa volta, ma che non accada mai più. Proteo, ritieniti graziato. Fai rientrare l’esercito, a questi Farionim ci penserò io da adesso in poi. Ora va!-

Quanti ricordi con i Gran Visir… intendo quelli veri, eh. Venni imprestato qualche volta al regno dei faraoni…
 
Il Gran Visir si avvicinò ad Ardof e Frida e li esaminò con occhio severo. Poi sussurrò qualcosa al soldato con l’elmo scintillante alla sua sinistra che si batté il pugno sul petto e uscì dall’ arena.
- Mi scuso per il disagio, signori. Se foste così gentili da seguirmi, sarei onorato di portarvi dai nostri signori.-
Il Gran Visir strisciò verso l’uscita, seguito dai due diciottenni esausti e dai due draghi.
Oltrepassarono il portone.

- Per essere una città costruita sotto un lago è veramente grande!-  fece notare Frida.
- Hai ragione. Sembra di essere in superficie con tutti questi alberi.-  il ragazzo indicò con un gesto della mano il filare verdeggiante che costeggiava la loro strada sul lato sinistro.
I ragazzi, il Gran Visir e i draghi entrarono in una specie di tempio in marmo bianchissimo.
Le colonne davanti all’ ingresso erano finemente scolpite, tanto che sembrava che gli uomini rappresentati su queste si potessero alzare da un momento all’altro per dare il benvenuto ai visitatori.
Il luogo dava un senso di tranquillità incredibile.
Varcarono la soglia di una grande e splendida sala dalle pareti azzurre come l’acqua sorgiva.
Al fondo della stanza, dopo un lungo tappeto verde alga, che sembrava stonare e fondersi contemporaneamente con l’ambiente, c’era un uomo-pesce seduto a una scrivania, intento nella lettura di alcuni fogli, sparsi malamente sul piano in legno scuro.
Questo, al contrario dei soldati che erano andati a prendere gli ospiti all’arena, indossava una specie di camicia viola.
- Signore… - balbettò il Gran Visir inchinandosi – signore, ospiti di riguardo sono venuti per incontrarla.-  
- Molto bene Venùr, sei congedato.-  
- Si signore.-  l’uomo-pesce strisciò via. 

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Capitolo 22
*** Capitolo 21: Niunter ***



- Prego, accomodatevi pure.-  disse il leader alzando lo sguardo dalla scrivania ingombra.
I due ragazzi si sedettero sugli sgabelli che gli erano stati indicati, i draghi si accucciarono alle loro spalle.
- Benvenuti, stranieri! – iniziò con tono allegro, fin troppo spavaldo per un uomo che si trova di fronte a due draghi. – Benvenuti a Niunter, l’Oasi che ospita le razze senza terra!-  

Magari potrei venirci in villeggiatura…

- Grazie ma… il Gran Visir Venùr ci ha detto che ci sono più capi, qui… ma io vedo solo lei...-  puntualizzò Ardof , però si pentì subito di aver parlato.
L’uomo si massaggiò il naso senza smettere di sorridere. - Ah… Venùr, Venùr. Parli davvero troppo! Ebbene si, ragazzi. Qui io sono un co-reggente. Anche se il mio ruolo è solo quello di controllare che tutto vada al meglio.-  
- Allora…-  s’intromise Frida.
- Allora, il mio… come si può dire? Compagno? Socio? No, collaboratore. Ebbene, il mio collaboratore al momento non è qui. Un problema ha richiesto il suo intervento all’esterno.-
- Grazie per le spiegazioni. Solo un’ultima cosa: come possiamo chiamarla?-  chiese Ardof.
- Come? Non mi conoscete? Che cosa ci fa Drake in quella sua Accademia se non vi insegna un po’ di storia dal Cambiamento a oggi?-  
- Aspetta! Rallenta un attimo. Come… come fai a sapere di Drake, dell’Accademia, di tutto il resto? Quando siamo partiti ci hanno detto e ripetuto che i Cavalieri e i Domatori erano un organo conosciuto solo dagli umani e dagli elfi, infatti le altre razze non ci hanno riconosciuto come tali. I nani pensavano addirittura che i draghi fossero demoni! Tu come…?-  lo interruppe Frida.
- Infatti. – l’uomo si alzò dalla sua sedia mostrando le sue gambe. – Io sono completamente umano. Questo spiega come conosco il vostro Ordine… mentre Drake l’ho conosciuto all’epoca del trattato con i draghi. Eravamo stati scelti entrambi come diplomatici.-

Ah, sì. Che bei tempi.
Come dimenticarsi il giorno in cui mi convocarono per dirmi che, oltre a tenere sotto controllo i ragazzi della lista, avrei anche dovuto seguire e consigliare un gruppo di diplomatici autodidatti.
Mi chiedo come posso essere così pessimista sul mio futuro, viste le gloriose missioni che mi hanno affidato durante gli anni.

- Quindi… il nostro Drake era… quel Drake?-  chiese stupita Frida.
- Si. Perché? Non ve l’aveva detto?-
- No.-  rispose seccata l’elfa.
- Tipico di lui.-  replicò semplicemente l’uomo.
- Se non ricordo male, - Ardof cercò di riportare alla mente quello che gli avevano insegnato al Palazzo della Mezzanotte riguardo al trattato – i diplomatici erano tre e solo Drake volle ritornare in patria.-
- È proprio questo il punto. Solo lui ritornò in patria, come la chiami tu. Io mi trasferii qui e fondai questa piccola oasi di pace indipendente mentre Nestra… decise di solcare i mari a ovest delle terre da noi popolate.-
- Un momento… Drake, Nestra… quindi tu sei Farionim. Per questo Venùr ci ha chiamati Farionim, perché il tuo nome vuol dire umani, giusto?-  disse eccitato Ardof tutto d’un fiato.
- Non è tutto così facile… purtroppo. Quando, sull’isola dei draghi, stringemmo il patto fra le tre grandi razze, noi ci dovemmo unire a tre draghi per completare l’incantesimo. Quello che voi ora nascondete sotto quei guanti io, Drake e Nestra ce lo facemmo infliggere con il più caldo dei fuochi, quello che ribolle nei vulcani che diedero origine all’isola.-  Farionim tirò su la manica della camicia fin sopra il gomito, mostrando, con sguardo serio, ai due diciottenni l’avambraccio ustionato.
- Quindi… anche tu sei uno di noi. Un Cavaliere dei draghi, ho ragione?-  chiese Ardof guardando con un misto di interesse e ribrezzo l’avambraccio bruciato.
- Cavaliere, Domatore, Compagno, Amico, Fantino dei draghi, cosa vuoi che cambi? Sono parole, null'altro che parole. Ma, mettendo da parte le mie idee, si sono un Cavaliere dei draghi. Il mio drago, il mio compagno, adesso è fuori dall’oasi, ma tornerà presto. Mi sorprende che non lo abbiate già incontrato.-
- Bene, un drago in più ci aiuterà parecchio. Ma tornando alle cose serie: siamo venuti per conto dell’…-
- Lo so, lo so. Vi manda l’Ordine. Siete qui per radunare più razze possibili e combattere al loro fianco in una guerra contro il re delle vostre terre. Ho forse ragione?-  
- Si, ma… come fai a saperlo?-  ad Ardof davano parecchio fastidio tutte le conoscenze di Farionim su di loro e sui segreti del loro Ordine. Spesso conoscenze che nemmeno lui possedeva.
- Vedi, dopo la nostra partenza dall’isola dei draghi io e Drake ci tenemmo in contatto. Ogni due settimane io facevo partire una fata con una mia lettera, qualche giorno più tardi lei ritornava con la risposta. Non ci siamo più sentiti per un po’, fino a quando non mi venne la voglia di riallacciare i contatti con il mio vecchio compagno di viaggio. Con la sua risposta fui messo al corrente di tutto. Era da parecchi giorni, saranno stati almeno una dozzina, che vi stavo aspettando.-  concluse Farionim.
- E la prova nell’arena?-  chiese Frida.
- Avete chiesto di me. Le fate e i Budnear, questi uomini-pesce, sono molto protettivi nei miei confronti. Se aveste chiesto dell’oasi vi avrebbero fatto entrare senza problemi. Questo posto l’ho creato per ospitare le razze indifese o senza terra, per questo loro mi sono così riconoscenti. Ma ora basta con tutte queste chiacchiere, vi invito a restare come miei ospiti!-
- Grazie per l’offerta ma… ma almeno uno di noi due dovrebbe andare a cercare l’ultima capitale… capisce?-
- Insomma! Tu vedi mica un’invasione guidata dal re? Io no! – Farionim stava cercando in tutti i modi di convincerlo a restare. – Cosa ti costa rimanere per qualche giorno per riposare? Dopotutto, secondo i miei calcoli, vi siete trattenuti per un certo periodo nelle altre capitali.-

Se proprio vuoi che il moccioso resti, puoi usare il galateo dei nani. Tanto da qualche parte avrai una lastra di pietra con catene annesse. No?

- Dai Ardof, ha ragione e tu lo sai! Fermiamoci almeno per qualche giorno, solo per visitare questo posto fenomenale!-  
- Va bene. – disse Ardof sbuffando. – Restiamo per qualche giorno, ma poi almeno uno di noi due deve partire.-  
- Oh, grazie!-  Frida lo abbracciò.
- Bene! Allora è deciso!-  disse felice Farionim.
- A quanto pare…-  aggiunse il Cavaliere rosso.
- Venùr! – urlò Farionim alzandosi dalla sua scrivania – Venùr! Porta i nostri nuovi ospiti nella casa del viandante…-
Venùr entrò strisciando nella sala. - Signori, se volete seguirmi. Da questa parte.-
- Un’ultima cosa. – Li interruppe Farionim – Domani ci sarà l’inaugurazione delle prime Olimpiadi dal Cambiamento. La competizione nello sport aiuta a mantenere la pace. Mi farebbe piacere se voi ci foste.-  
- Ci verremo molto volentieri.-  gli rispose Frida sorridente.
Fuori dal tempio, o municipio che fosse, Venùr si fermò. - Draghi. Le grotte per voi sono da quella parte, sempre dritti. Buona permanenza. Se i Farionim mi vogliono ancora seguire…-
“Buona notte Erdost.” Pensò Ardof verso il suo drago.
“Buona notte anche a te.” Gli rispose il drago sfregiato.
Non ci volle molto perché il Gran Visir di quell’oasi si fermò di nuovo, questa volta di fronte a una casa con il tetto a cupola, costruita nella periferia della città.
- Prego. Questa sarà la vostra dimora per il tempo che riterrete opportuno. Verrò a prendervi domani mattina. Vi auguro un buon proseguimento di serata e una buona permanenza.-  Venùr strisciò via come era arrivato.
I due compagni di viaggio entrarono nell’abitazione, meravigliandosi di quanto fosse grande.
- Incredibile! Questo posto è enorme!-  Frida spalancò gli occhi estasiata.
- Ci vorrebbe una mappa per ritrovarsi qui dentro… infatti… guarda qui!-  Ardof alzò un foglio di carta da un mobile di fianco alla porta d’ingresso.
- Cos’è?-
- È una cartina… il disegno della casa!-  
- Hanno pensato proprio a tutto…-  
- Beh, Farionim ci stava anche aspettando. Quindi ne ha avuto di tempo per preparare tutto questo…-
- Comunque, ho l’impressione che qualcuno ci detesti e tenti in tutti i modi di farci perdere la voglia di continuare questo viaggio.-  aggiunse Frida.
- In che senso?-
Ovunque siamo andati, tre capitali su tre, ci hanno attaccato, rapito, incatenato, imprigionato e quant’altro. Ho rischiato di lasciarci la pelle in una città dove ero attesa!-
La risposta del Cavaliere rosso fu un’alzata di spalle. - Ricorda che se non ci fosse stato Vago ti saresti anche schiantata sui Muraglia.-

Eh, si. Come farei a vivere senza quelle sferzate di vita che mi regala ogni nota creativa del Fato.

Ardof e Frida posarono le poche cose che avevano preso dalle bisacce nelle camere che li aspettavano al secondo piano.
Il chiarore che filtrava dallo specchio d’acqua sopra di loro si fece sempre più fioco, segno che la notte era scesa nel boschetto delle fate e sul laghetto protetto dal guardiano.

Una specie di campanaccio svegliò i ragazzi la mattina dopo. Il Cavaliere si alzò di malavoglia dal comodo letto dove la notte prima si era addormentato.
- Sveglia! Farionim vuole che andiamo a vedere le loro Olimpiadi!-  
- Va bene! Adesso scendo… un attimo solo!-  urlò Ardof scendendo dal materasso e afferrando le braghe di cotone che Farionim gli aveva messo a disposizione.

La tuta corazzata da Cavaliere sarà sicuramente adatta a fronteggiare le più disparate condizioni, ma in quanto a comodità non prende nemmeno un punto. Ve lo posso assicurare. Ne ho dovuta indossare una fin troppe volte per fare il mio lavoro.

I due ragazzi scesero di corsa al pian terreno, dove Venùr li aspettava impazienti con una pergamena in mano.
- Questa è del primo Farionim. Per voi.-  disse il Budnear porgendo il foglio di carta ad Ardof.
Il ragazzo lesse ad alta voce. - Miei ospiti, siete formalmente invitati all’inaugurazione delle prime olimpiadi.-  
- Molto sintetico.-  commentò Frida alzando un sopracciglio fine.
I due vennero portati dal Gran Visir fino a una cupola ovale fatta interamente di pietra. L’unica imperfezione sulle pareti era la piccola porta incassata. Non sembrava esserci nessuna finestra.
Entrarono mostrando la lettera di Farionim a un Budnear immobile di fianco alla porta.
Venùr li condusse lungo un corridoio scavato all’interno delle pareti della cupola, per poi imboccare una porta sulla sinistra. Si ritrovarono sulle gradinate, poco lontano era seduto Farionim.
All’interno, lo stadio, illuminato a giorno da un indistinto sole, si presentava con un prato piatto su cui erano stati tracciati nove cerchi identici. Un uomo-pesce bardato di tutto punto si posizionò al centro del campo.
- Benvenuti! Oggi qui si terranno le prime Olimpiadi dal Cambiamento! Io e tutto il corpo dei soldati di Niunter vi auguriamo un buon divertimento!-  Il generale si ritirò.

Proteo e i Budnear hanno in comune l’ossessione per la spettacolarità. Non ci sono dubbi.

Otto uomini-pesce si posizionarono di fronte. Ci fu uno squillo di trombe. Da due dei Budnear in campo scaturirono dischi di fuoco liquido, mentre altri due si cimentarono con dischi d’acqua. Dei quattro rimasti due alzarono le mani e colonne di terra sollevarono i quattro compagni a molti metri di altezza.
I dischi si misero a ruotare intorno alle quattro figure in aria. Quando tutto sembrava calmo gli ultimi due mormorarono qualcosa impercettibilmente.
I quattro maghi del fuoco e dell’acqua si alzarono ulteriormente da terra sollevati da un turbine.
- Come... come fanno?-  Chiese il Cavaliere rapito a Farionim.
- Ragazzo, cosa credevi? Che solo le persone legate a un drago potessero usare la magia? Ricorda che la Magia è controllata dai nostri pensieri e precisata dalle parole nella lingua del potere. Voi siete facilitati, ma con un po’ di esercizio tutti possono diventare maghi.-
- Ah.-
Oltretutto, Ardof lo sapeva, ma in quel momento di meraviglia se ne era scordato come un pivello del primo anno.
Dopo quello spettacolo di magia mozzafiato, gli atleti si esibirono in attività che spaziavano dal combattimento corpo a corpo al tiro con l’arco, passando per il giavellotto, il combattimento con le spade e combattimenti navali per cui l’interno dell’arena venne allagato.
- Perché hai ripreso per la tua oasi queste idee del vecchio mondo? Non potevi inventare qualcosa di nuovo?-  chiese Frida.
- Vedi, cara. Il vecchio mondo non era completamente da buttare. Le olimpiadi sono una cosa buona e servono a far sfogare le popolazioni di quest’oasi senza dare il via a una guerra. Io ho ripreso dei giochi che la storia ha già visto per non doverne inventare di nuovi, che potevano non risultare altrettanto coinvolgenti.-
- Capisco…-
- Oltretutto gli otto maghi che hanno dato inzio a qhesta manifestazione sono sempre pronti a intervenire per curare un eventuale ferito. Ragazzi… Ardof, Frida, giusto? Vi devo chiedere un grosso favore. Sto cercando da molto tempo un’alleanza militare, ma soprattutto economica tra le razze che popolano queste terre ad est dei Muraglia, ed ora che il mio sogno si sta materializzando ho bisogno di altri due rappresentanti che mi accompagnino a questo incontro. È una cosa delicata e visto che voi avete conosciuto personalmente i loro governanti mi piacerebbe che quei due foste voi.-  
- Perché non porta Venùr o Proteo?-  Chiese Ardof perplesso.
- Perché Proteo deve stare di guardia all’ingresso mentre Venùr è l’unico, oltre al mio drago, a cui affiderei la gestione di quest’oasi, sembra servile ma in realtà ha una mente acuta. Voi ne avete vista una piccola parte, ma in realtà questa città è molto più estesa e le specie di Budnear che la abitano sono molte e non sempre ben disposte per una collaborazione reciproca.-  
- Bene, conta pure su di noi.-  gli rispose Frida, anticipando l’obiezione del compagno, che sperava di poter ripartire il prima possibile. 

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Capitolo 23
*** Capitolo 22: Consiglio divino ***


 Oh, no! Maledizione!
Di nuovo quella maledettissima sensazione. È come se una mano enorme ti afferrasse le viscere e ti trascinasse in un abisso.
Non riesco a farci l’abitudine.
Che vorrà di nuovo da me il Fato? Spero solo non sia in vena di paternali.

Ma… questo profumo…
Quanto tempo è passato dall’ultima volta che l’ho sentito? Secoli…
L’inconfondibile aroma di Natura, un odore che non è possibile descrivere.
Che meraviglia…

Natura stava percorrendo il viale lastricato che conduce alla volta.
Tutt’intorno, ad ogni suo delicato passo, gli alberi si piegavano in segno di rispetto e i fiori sbocciavano per celebrare la sua bellezza. Gli stessi alberi e gli stessi fiori che lei aveva piantato molti millenni prima.
Le migliaia di anime dei morti, sotto le spoglie che avevano assunto in quel luogo, la ammiravano esterrefatte.
La dea entrò nella Volta degli Dei e si sedette a fianco di Acqua, che la guardò con i suoi occhi azzurri.
- Benvenuta, Natura.-  l’accolse il Fato.
Avevano assunto tutti una forma antropomorfa per tranquillizzare gli uomini che, una volta morti, erano finiti al loro cospetto. Forme che però mantenevano le peculiarità degli dei.
- Grazie, Fato. Posso sapere perché ci avete radunato qui? È successo qualcosa di terribile nel Creato?-  
- No. Non ancora. Come ben sapete, Figli, tempo fa un demone venne qui. Per eliminare questa minaccia fummo costretti a modificare il Creato e intrappolare il demone sul pianeta più bello.-  raccontò Terra, impassibile come sempre nella sua forma, simile a un golem di pietra e terra.
- Si, Terra. Ne eravamo già al corrente. – rispose Tempo cercando di non sembrare scocciato – ma…-
- Ma da allora il Creato si è stabilizzato, Genitori.-  concluse suo fratello gemello Spazio.
- Come stavo dicendo, – riprese Terra – cambiammo il Creato e vi esiliammo sopra il demone senza alcun potere. Ma questi si è ripreso velocemente. Non ha più gli stessi poteri di prima, questo è certo, ma continua a essere un pericolo. Sia per le razze del nostro Creato, sia per noi.-  
- Ma, Genitori… Nella Volta adesso è concentrata una tale quantità di energia magica da distruggere questo universo e plasmarne un altro.-  obbiettò Spazio.
- È vero, ma è troppo pericoloso. Voi sette Dei veniste plasmati con la formazione del Creato. Un intervento così drastico, così potente sapete cosa potrebbe farvi?-  
I sette interpellati stettero in silenzio.
- Una quantità tanto grande di energia potrebbe completamente distruggere il vostro elemento. Voi rimarreste uccisi!-  rispose Aria.
- Ma, anche se uno di noi rimanesse ucciso, voi non ne avreste danno. Una magia, non importa quanto può essere potente, non può distruggere tutto il vostro elemento! Perché mettete la nostra sicurezza davanti a quella delle terre?-  domandò Oscurità.
- Perché, – rispose Fuoco – Voi siete indispensabili. Se anche solo uno di voi non esistesse il Creato andrebbe in frantumi, il tempo smetterebbe di scorrere, il sole o la luna non sorgerebbero più e sulla terra non ci sarebbe più vita. Questo vale a dire che siete voi che fate vivere il nostro Creato, avete capito?-  
- Si.-  risposero i sette.
Intervenne il Fato.
- Ma non vi abbiamo chiamato qui per parlare di chi è il più importante. Come vi abbiamo già detto, quel demone è riuscito a sopravvivere a un colpo inferto dalle armi elementari. Il potere divino non basta, neanche io posso controllarlo, poiché è una scheggia impazzita che vaga senza una meta.-
- Ma, – s’intromise Luce. – Genitori, perché ci avete chiamato con tanta urgenza, allora, se non possiamo intervenire?-
- Per farvi conoscere il futuro.-  terminò il Fato.
Sulle sue quattro mani si formarono quattro sfere di mana, che si mischiarono, creando un unico disco piatto.
Alcune immagini comparvero sullo specchio.
- Questi sono coloro che salveranno il futuro. – il Fato indicò cinque ragazzi sul disco. – Dovranno subire grandi perdite, piangeranno lacrime amare e sentiranno la voce della morte. Sarà grazie a loro cinque che il Creato si salverà. Uno di loro si distinguerà per tenacia e volontà d’animo, uno per il senso di giustizia, uno per il coraggio, uno per gli ideali e uno per il sacrificio. Quindi figli, non temete, perché finché loro saranno in vita, ci sarà ancora il futuro.-

Oh! Guarda chi si rivede!

“Tu ed io dobbiamo parlare.”

Incredibile, il grande Fato si degna di parlare direttamente a me…
E adesso si ricomincia. Ora mi farà la paternale come quando avevo duecento anni o giù di lì…

“Devo chiamarti con il tuo nome? Intendo il tuo primo nome. Riesci a ricordarti da solo per cosa sei stato creato o devo aiutarti io?”

No, grazie. Ne faccio a meno. Mi ricordo fin troppo bene ogni mio nome, non ho bisogno di qualcuno che mi aiuti.

“Allora vedi di non perdere la via.”

Perchè, ho mai avuto una via da seguire?

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Capitolo 24
*** Capitolo 23: Le armi elementari ***


Forse è il caso che vada a controllare gli altri disperati… Spero non si siano tranciati arti vari… o peggio.
Ho poche ore a disposizione… è il caso di muoversi.

Riparare il futuro

Vago lesse per un ultima volta la frase sul libro nero, prima di metterlo definitivamente nello zaino che aveva sulle spalle.

Che cosa vuoi fare? Non hai in mente di fare qualche idiozia, vero?

Coprì con la benda l’occhio verde, l’unico segno distintivo che l’abbigliamento scuro non copriva.
Con un gesto rapido estrasse il coltello da caccia dal fodero che aveva alla cintura e lo impugnò saldamente.
Prese un respiro e contò.
Tre… due… uno… e ora inciampa.
Sotto il suo ramo un uomo cadde, fermato nella sua corsa da una radice.
Aveva deciso che quella era un’azione necessaria e, per quanto lo disgustasse, doveva farlo. Per il bene degli altri.
Si lasciò cadere dal ramo e in un attimo fu sopra all’uomo.
Con una mano gli tappò la bocca per non farlo urlare.

No! Fermo! Che diavolo stai facendo?

“Ora non puoi tirarti indietro.” Lo incitò il drago bianco, a chilometri di distanza.
“Lo so…”

E non remarmi anche tu contro!
Che cosa avete di così sbagliato in quelle teste?

Il coltello corse veloce sotto la gola dell’uomo.
Per poco il Cavaliere non vomitò.


Cosa…

Qui finisce male… lo so già.

“Dovevi farlo. Non c’era altra scelta.”
“Lo so. Ma mi sento malissimo comunque… sono un assassino. Capisci?”
“O un eroe. Sono punti di vista.”
“Sei cinico. Questo è un dato di fatto.”
“Io sarò anche cinico, ma tu sai che ho ragione. Lo hai letto tu.”
La mente di Vago, sotto la guida del drago, corse a due sere prima.

Era intento a studiare il libro del Fato quando incappò in un capitolo particolare, non tanto per lo stile, quanto per il contenuto.
Parlava di un uomo. Solo, triste. Sfortunato oltre ogni dire che cercò fortuna alla corte del re. Qui divenne suo discepolo, imparando dal Sovrano stesso  la magia dei demoni e diventando suo braccio destro.
Ma quello era il meno.
Il passò che colpì veramente Vago era che quell’uomo era destinato ad uccidere Frida, scoccando la freccia che si sarebbe piantata tra la seconda e la terza vertebra della ragazza, là dove il casco della tuta non protegge.
Non poteva permetterlo. Un evento dl genere avrebbe causato chissà quali conseguenze.
Decise quindi di modificare il futuro, sperando di evitare così quell’evento catastrofico.
Non era fiero di se stesso. Ma non doveva esserlo.
Aveva anche rifiutato l’aiuto di Defost per non coinvolgerlo, costringendosi così a viaggiare a piedi per la Piana Infinita.
“Sbrigati a tornare. Sai che Foglietta vuole partire dopodomani sul presto, e tu devi essere presente.”
“Lo so. Adesso mi metto in viaggio… Defost?”
“Si?”
“Ho sbagliato?”
“Hai fatto quello che ritenevi giusto. Non esiste il giusto o lo sbagliato. Ora sbrigati, che devi togliermi un sasso da sotto le squame. Almeno in quello sei bravo.”
“Cinico.”
“Ragazzino.”
Vago ripulì il coltello nel mantello dell’uomo, cercando di non guardarlo in volto. Poi riparti verso la città dei folletti a passo spedito.
Si faceva schifo da solo, ma doveva convincersi che aveva fatto bene. Avrebbe trovato un modo per fare ammenda, in futuro, ma per ora il suo compito era quello di sconfiggere il Re.
E poi, se il Fato non avesse voluto quell’omicidio lo avrebbe fermato.

Per l’amor di me stesso!
Povero uomo…
Ho sempre odiato gli omicidi del Fato… uccidere un uomo prima della sua azione…
So che molte volte è meglio così, ma… lui, ora, cosa ne poteva?
Mi spiace, ma per te ora non c’è più niente da fare… se non chiuderti gli occhi.
Che gli dei abbiano pietà di te…
Spero che almeno Trado sia in una posizione migliore…


Cittadino onorario

- Trado, non sei contento?-  Diana correva per tutta la casa cercando un abito buono per la cerimonia che si stava per tenere nella piazza principale del piccolo villaggio.
- Si sono contentissimo, è meraviglioso. Ora, finalmente, farò anch’io parte di voi elfi.-  
- Non dire così, tu sei un elfo come me. Abbiamo tutt’e due le orecchie a punta, siamo agili e amiamo la natura, che altro vuoi? Dì piuttosto che farai parte del villaggio o della comunità, o quello che vuoi. Ma non fare le distinzioni, lo sai che detesto!-  
- Scusami tanto Diana. Mi sono sbagliato. Vedrò di non ripetermi mai più.-  si scusò Trado.
- Me lo prometti?-  gli chiese l’elfa.
- Te lo prometto.-  le rispose il Domatore bianco.
- Sarà meglio per te. Ricordati, la cerimonia è davanti al municipio, nella piazza principale. Tra due ore. Vedi di essere pronto. Ci vediamo dopo. Vedi di non sparire senza di me.-  
- Come potrei lasciarti qui?-  
Diana non gli rispose e usci dalla porta principale leggiadra come sempre. Trado la guardò incantato.

Visti i tuoi precedenti potresti anche scappare…
Tanto sei abituato, no?

Due ore dopo erano tutti radunati davanti al municipio. In mezzo alla piazza Trado era in piedi davanti all’elfo che aveva incontrato il primo giorno in quella foresta e che l’aveva condotto al mitico arco.
- Benvenuti a tutti. Io, Fasto, ho oggi l’onore di far diventare questo ragazzo, quest’elfo, uno di noi! Ha dimostrato pienamente di essere degno di vivere tra di noi: ci ha portato un drago, ha fatto avverare la profezia, risvegliando l’arco della dea dei tifoni e, ultimo ma non per importanza, già dal primo giorno si è impegnato nel lavoro nei campi come uno qualsiasi dei nostri uomini. Se ora giura di onorare questa città e i suoi abitanti, di osservare le nostre leggi e non infrangerle, difendendo la nostra gente in ogni caso, potrà entrare a far parte della nostra comunità. Trado Loreki, accetti questi termini?-
- Accetto.-
- Bene. Come sindaco di questa cittadina io ti nomino cittadino onorario, questo ti permetterà di comprare e vendere possedimenti, candidarti per prendere un giorno il mio posto e votare. Benvenuto tra noi.-  
- Mi spiace che non ci siano stati fuochi artificiali o quant’altro, ma la cerimonia è terminata.-  concluse Fasto.
La piccola folla che si era radunata si disperse in un attimo.

Erano per lo più curiosi, ragazzi che non sapevano cosa fare o lavoratori che cercavano una scusa per tardare. Più, ovviamente, una combinazione delle tre categorie.

Trado vide i genitori di Diana parlottare fra di loro, guardandolo in cagnesco. Come al solito.
Lui provò a non farci caso.
- Trado! - Diana corse verso di lui e gli gettò la mani al collo. – Adesso è finita, hai acquistato tutti i diritti. Così possiamo perfino sposarci!-  
- Già. – Trado la baciò. – Non so se i tuoi ti daranno il consenso. Quelli mi detestano. Anche se non capisco come mai, sono adorabile.-  disse, scatenando una risata cristallina nell’elfa.
- No, non è così. Sai che a loro… a loro non piace il diverso. Ma vedrai, presto ti accetteranno.-
- Comunque, visto che tua madre è come me, non sono poi così diverso. E anche se non mi accetteranno come uno di loro, io gli starò comunque intorno. Non mi scacceranno in nessun modo.-
- Giusto.-
- Trado!-  Fasto arrivò all’improvviso, spaventando i due ragazzi abbracciati.
- Che c’è?-  chiese il Domatore allontanandosi dall’elfa.
- Ora che sei un cittadino in piena regola avrei bisogno di un favore. È stato stabilito un incontro per le comunità minori. Si parlerà soprattutto di commercio e imposte sui beni in entrata e in uscita e coinvolgerà per lo più le comunità dall’altra parte della catena, ma avrei bisogno che venissi anche tu. Avere un drago dalla propria parte del tavolo può far pendere dalla tua parte le decisioni… Anche se mi secca dover ricorrere a comportamenti simili.-  

Chissà perché sento la leggerissima mano del Fato aleggiare qui intorno…
Quasi mi dispiace per Fasto... non avrà l’esclusiva del Domatore.

- Si, per me va bene, ma… ma può venire anche Diana? Mi piacerebbe farle vedere qualcosa al di fuori della Grande Vivente e del Regno.-
- Se proprio volete va bene. Dopotutto nell’invito c’è scritto che posso portare fino a due ospiti, o rappresentanti come li chiamano loro. Pensa che onore per me portare una leggenda! Saranno tutti invidiosi! Mi proporranno offerte incredibili, pensa che fortuna per la nostra piccola cittadina avere uno come te!-
- Bene, si… solo, tra quanto partiamo? Così mi organizzo anche con Reicant per il viaggio.-
- La riunione si terrà sui Monti Muraglia tra quattro giorni, accenderanno un falò per indicarci il posto giusto. Quindi dovremo partire non più tardi di dopodomani mattina, altrimenti non arriveremo mai in tempo. E, mi raccomando, ricorda di portare l’arco elementare. Voglio che vedano tutti chi sei e che cosa rappresenti. Pensa le loro facce quando ti vedranno entrare con me!-

E io che pensavo di aver incontrato finalmente un capo con la testa a posto. Dev’essere la carica ad attrarre la gente più strana. Non c’è altra soluzione.

- Si… sarà una cosa bellissima…-  gli rispose Trado assecondando i sogni, leggermente malati, del sindaco.

Bene. Vago e Trado sono fatti. Manca Codero…


Al campo di addestramento

- Molto bene, ora solleva la mazza sulla testa e colpisci il manichino.-  Gli ripeté il nano facendogli rivedere per la centesima volta il movimento corretto da eseguire per non affaticare troppo i muscoli.
Codero ripeté per la millesima volta l’esercizio.
- Gouren, mi interesserebbe sapere una cosa… chi ti ha insegnato a combattere con il martello? Nel senso, quanti anni hai studiato quest’arte per diventare così bravo?-  
- Te lo dirò dopo. Ora colpisci di nuovo il manichino, ma questa volta piega di più le gambe per essere più stabile e non seguire la traiettoria della mazza, ora colpisci! Non deve essere la mazza che guida te, ma la tua mano che le dà la traiettoria.-  
Codero fece come gli aveva detto il nano, dando un altro colpo al manichino riempito di paglia.
- Ora rispondimi, chi ti ha insegnato a combattere con quest’arma? Tuo padre o un maestro d’armi?-
- Vroyer mi insegnò i principi fondamentali del combattimento con il martello. Per il resto sono autodidatta. Praticamente tutto quello che so l’ho imparato da solo. Esercitandomi e cadendo.-
- Incredibile… tanto di cappello. Io non ci sarei mai riuscito a fare tutto questo da solo. Penso che il martello sia l’arma più difficile da usare, tra tutte.-  
- Può essere. Però il gioco vale la candela. In battaglia il martello è sicuramente l’arma…-  
- In battaglia il martello è sicuramente l’arma più sicura, perché non va curato ed è sempre pronto ad essere usato. È un’arma che niente può fermare, né una corazza, né uno scudo, né un’altra arma. Eccetto un altro martello.-  lo interruppe Codero.
- Mi sto ripetendo?-  chiese Gouren serio, corrucciando le folte sopracciglia.

Come poteva non ricordare la frase che aveva ripetuto un attimo prima? I nani non erano decisamente una razza sveglia… ma mi sto ripetendo?

- Solo un po’.-  gli rispose il Cavaliere.
In quel momento nella sala degli allenamenti entrò una guardia armata con tanto di lancia e uno scudo tondo. Il povero nano arrancava sotto il peso della corazza e del grosso elmo che gli copriva la testa.
Gli ci vollero alcuni secondi per riprendere fiato.
- Codero, signore. Il nostro grande e magnanimo re Vroyer vuole parlarti. Mi ha detto di riferirvi che è urgente. È pregato di andare nella sala del trono il più in fretta possibile.-  
- Va bene. Puoi andare. Andrò dal nostro re subito.-  gli rispose Codero, guardando la guardia che correva di nuovo via.
- Penso che per oggi abbiamo finito. – disse Gouren – Riprenditi la tua spada e corri dal nostro re. Vroyer ha molte buone doti, ma la pazienza non è sicuramente una di queste.-  
- Ci vediamo appena riusciamo, va bene?-  
- Certo, ma ora vai! Stai facendo attendere il tuo re! Corri!-  lo incitò il nano.
Codero ripose la spada nel suo fodero, appoggiò il martello sulla spalla e cominciò a correre, come il nano bardato prima di lui, per i lunghi corridoi che costituivano l’immensa capitale dei nani.
Fu sorpreso di trovare la sala del trono vuota, senza tutto il brusio dei capiclan, dei nobili e dei ricchi nani che normalmente la infestavano ventiquattrore su ventiquattro, portando le loro terribili piaghe al re.

Piaghe che normalmente venivano risolte con una riduzione della tassa su questo o quel materiale. Tra l’altro.

- Ben arrivato. Hai fatto in fretta. Devo chiederti un favore, Cavaliere Codero.-  
- Ne sono onorato, sire.-  gli rispose il diciottenne.
- Tra pochi giorni terremo un incontro tra le razze minori di queste terre. Io non ho eredi e ho bisogno di almeno un rappresentante che mi accompagni. Dato che tu sei stato scelto da una divinità e sei il nostro unico mago vorrei che fossi tu quel rappresentante.-
- Sono onorato che, tra tutti i nani a lei sottoposti, abbia scelto me, un umano, come vostro rappresentante. Non saprei trovare un onore più grande di questo.-  
- Si… si. Ho bisogno che tu ti faccia vedere più potente di quanto non sia in realtà.-
- Perché, sire?-  
- Perché se ti trovano potente avranno paura di me, accetteranno più di buon grado le mie condizioni e non cercheranno di estorcermi le ricchezze mie e del mio popolo!-  

Deja vu? Mah, magari mi sto sbagliando…

- Non mi sembra una cosa molto giusta, sire.-
- La politica non è giusta. Quando sono salito al trono ero intenzionata a cambiare la società dei nani, ad annullare i clan che si andavano formando, a rinnovare gli stili di vita… poi sono rimasto imbrigliato in tutti gli intrighi politici.-
- Mi spiace che il suo sogno non si sia realizzato…-  
- Ma non è questo di cui dovevamo parlare. Ho bisogno di te. La razza dei nani ha bisogno di te. Farai quello che è necessario?-  lo sguardo del re si fece duro.
- Arriverò fin dove la mia coscienza mi lascerà arrivare. Non le posso promettere altro. Mi scusi, sire.-
- Immagino di non poter sperare di meglio… non importa, me lo farò bastare. Grazie, Cavaliere.-
- Ancora grazie a lei, sire. Cercherò di non deludere le sue aspettative.-  Codero uscì con un inchino dalla sala del trono e si chiuse piano la porta alle spalle.
Dovette concentrarsi a fondo per non vomitare. Non sopportava più la vita alla corte dei nani e adesso re Vroyer voleva che parteggiasse per una razza! Non era rimasto per quello! Chiuse gli occhi e inspirò a fondo.
Aveva accettato per non perdere l’appoggio dei nani, ma non solo. Sperava ci fossero i suoi compagni in quella riunione, sarebbe stata una giornata diversa dal solito, una giornata che gli avrebbe fatto dimenticare l’opprimente pensiero di essere segregato sottoterra senza niente da fare se non girarsi i pollici o colpire un fantoccio di paglia con un martello di pietra.
Dovette prendere un altro respiro.
Decise di andare a trovare Marfest nella grotta dove i nani l’avevano portato. Tra i due, comunque, era il drago quello che soffriva di più della prigionia forzata.

Che situazione…
No, forse preferisco la mia condizione di servo.
Non pensavo l’avrei mai detto…
Comunque, è il caso di tornare all’Oasi. 

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Capitolo 25
*** Capitolo 24: L'acqua ***


 Ardof aveva indosso la sua tuta rossa da Cavaliere, camminava in tondo aspettando che Frida scendesse dalla sua stanza.
Farionim doveva essere furioso per il loro ritardo.
- Frida!-  urlò.
- Che vuoi?-  
- Sbrigati, Farionim è sempre stato gentile con noi, non vorrei fargli cambiare idea sul nostro conto!-  
- Adesso scendo. Dammi solo un attimo!-  
Il Cavaliere carminio si fermò e sollevò a una a una le piastre metalliche che coprivano la parte posteriore della sua armatura. Ogni volta che ne sollevava un pezzo piccole pietruzze cadevano sul pavimento tintinnando.
Da quando i folletti lo avevano trascinato per la Prateria non aveva mai pensato di ripulirla.
Finalmente Frida scese.
- In confronta alla tua, la mia tuta sembra uno straccio per pulire… la lucidi tutti i giorni?-
- No, faccio solo attenzione a non farmi mettere sotto da un popolo alto una spanna.-
- Divertente.-
I due diciottenni uscirono dalla casa dirigendosi verso l’arena dei combattimenti, dove erano stati messi alla prova il primo giorno, a quanto avevano capito era l’unico ponte tra quell’Oasi e il mondo esterno.
Seisten ed Erdost gli si affiancarono, sbucando da dentro la grossa caverna che li aveva ospitati durante la loro permanenza.
Il gruppo, per uscire, dovette fare la stessa strada che avevano fatto per entrare. Quando bucarono la superficie liscia del lago i due compagni di viaggio erano zuppi.
Frida sussurrò - Reckiet orlesu! “ Acqua evapora!”-
Dalle corazze e dai draghi si alzò una nuvola di vapore, che si disperse al di sopra della cupola verde.
Farionim li aspettava poco distante.
- Bene, - l’uomo parlava dal dorso di un drago dorato. – Lui è Graner. Ora che ci siamo tutti possiamo partire. Se mi è permesso: come vi siete conciati?-  
- Scusa Farionim. Mi spiace, ma abbiamo solo quest’armatura e gli abiti che ci hai imprestato… la scelta è abbastanza obbligata.-  gli spiegò Ardof, sistemandosi la spada al fianco.
- No, no… niente. Non ti devi scusare, capisco. Prima di andare alla riunione, però, voglio portarvi in un posto abbastanza importante, speciale. Potreste trovarci qualcosa di interessante.-
- Ti ha detto Drake di portarci li?-  chiese Frida.
- No, è più un mio esperimento.-
I tre draghi spiccarono il volo verso le alte vette coperte di neve dei Monti Muraglia. Ma, dopo poco più dieci minuti di viaggio, il drago dorato di Farionim cominciò a scendere di quota compiendo larghi cerchio sopra a un’ansa del fiume che stavano sorvolando.
Non molti chilometri più a valle quelle acque si sarebbero unite al corpo principale del Serat.
- Questo ruscello è particolare: scorre talmente tanto mana assieme a quest’acqua che persino la terra attorno ne è satura... Ma solo da questo punto in poi.-  spiegò Farionim scendendo dal dorso squamoso di Graner con un salto.
- E allora? -  Frida si avvicinò alla sponda, ma fece un salto indietro quando una scintilla partì dalla sua mano guantata e si spense nell’acqua che scorreva placida verso il mare.
- Incredibile, - commentò Farionim estasiato – Puoi avvicinarti di nuovo?-  
- Spero che non sia pericoloso.-  
- Non dovrebbe.-  
Quando Frida si riavvicinò alla sponda di nuovo una scintilla si alzò dal suo corpo, questa volta dalla gamba sinistra, andandosi a spegnere nella corrente.
Poi un’altra scintilla, poi un’ altra e un’altra ancora. Ogni istante che passava il numero di scintille aumentava.
Ad un tratto l’imponente flusso di energia che si allontanava dal corpo dell’elfa s’interruppe.
Dall’acqua si alzò un altare di pietra ricoperto di alghe viscide, su cui svettava una spada la cui lama sembrava liquida.
- Affascinante.-  Farionim mosse qualche passo verso l’altare, ma si ritrasse immediatamente quando questo s’immerse per tre spanne nel fiumiciattolo.
- Incredibile, semplicemente meraviglioso.-  continuò a dire Farionim parlando tra se e se.
- Farionim, - Ardof lo riscosse dai suoi sogni a occhi aperti – Cosa sta succedendo?-  
- Questa, ragazzo, a quanto ne so è una delle quattro armi elementari. È uno degli strumenti magici più potenti mai esistiti. Questo deve essere il sigillo dell’acqua. La spada della dea Acqua.-  
- Perché questi oggetti sono tanto potenti? A me sembra una spada normale… o quasi.-  Chiese Frida.
- Si dice appartengano agli dei primigeni. È stata la stessa Acqua a forgiarla all’inizio dei tempi… Si dice anche che il Cambiamento sia stato causato dal potere congiunto delle quattro armi degli dei primigeni.-  raccontò il diplomatico senza staccare gli occhi dal piedistallo.
- Cosa devo fare?-
- Frida, prendila pure. Quando tu ti sei avvicinata l’altare è comparso, mentre, quando l’ho fatto io si è ritirato. Ritengo che farebbe lo stesso se ad avvicinarsi fosse Ardof.-  
- D’accordo, spero solo che non mi faccia qualcosa di male. Per comparire mi ha tolto buona parte del mio mana.-  
La ragazza si avvicinò circospetta all’ altare di pietra. Prese l’elsa filigranata in argento e puntò la lama verso il cielo, guardando i riflessi dei raggi del sole. L’altare, dopo un paio di scricchiolii, si sgretolò riempiendo il letto del fiume di detriti.
- Molto bella, però non posso portarmi dietro una spada del genere senza un fodero. Dove la posso mettere per viaggiare?-  chiese Frida ancora ammirando l’intrico di fili d’argento che percorrevano l’elsa.
La lama scintillò per una frazione di secondo.
Un rivolo d’acqua si alzò da fiumiciattolo e, levitando, prese a intrecciarsi vorticosamente lungo la schiena della ragazza.
Ben presto Frida si trovò, a tracolla, un fodero dello stesso materiale della lama.
- Strepitoso.-  balbettò ancora Farionim guardando con gli occhi che scintillavano lo spettacolo che gli si presentava davanti.
Il gruppo rimase zitto per qualche minuto, fu il diplomatico, ripresosi dallo stupore, a rompere il silenzio.
- Abbiamo appena assistito a un evento unico. Avevo percepito un potere straordinario in voi. Ma bando alle ciance, ci aspettano! Muoviamoci! Abbiamo un altro evento che ci attende.-
Risalirono sul dorso dei draghi e ripresero il loro volo verso la vetta del Flentu Gar, che si stagliava maestoso sui monti intorno. 

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Capitolo 26
*** Capitolo 25: Festa tra amici ***


 Izivay Magne risplendeva come una stella alla luce delle decine di lampade ad olio che i nani avevano appeso su tutte le pareti della sala. Il serpente d’oro scintillava e, per l’occasione, sul palco era stato portato un tavolo rotondo.
Quando tutte le sedie furono occupate, il re dei nani sfoggiò un largo sorriso da sotto la corona in oro ed esaminò tutti i presenti.
- Benvenuti a tutti voi. Io sono Vroyer, il re dei nani, e vi porgo i miei più sentiti omaggi.-
Codero alla sinistra del re lanciò un sorriso, avrebbe avuto una serata diversa dal solito.

Non che fosse difficile rompere la sua routine.

Al tavolo di alabastro erano seduti i rappresentanti delle razze che Ardof aveva già incontrato, inoltre c’erano elfi dalla pelle scura che, a quanto pareva, abitavano ancora il versante occidentale.
- Ora, siamo tutti pronti per questa discussione.-  disse Farionim alzandosi dalla sedia e sporgendosi in avanti sul tavolo.
“Ardof?”
“Che c’è Vago?” chiese il Cavaliere alzando lo sguardo dal tavolo e puntandolo sul compagno. Due grosse occhiaie gli contornavano gli occhi.
“Niente… niente. Mi devo essere sbagliato. Chi è il tuo nuovo amico?”
“Farionim. Quel Farionim.” Ardof tornò a concentrarsi sull’alabastro che costituiva il piano del tavolo.
“Il diplomatico?”
“ Si.”
“Non vi siete fatti mancare nulla.”
Al Cavaliere rosso scappò un sorriso.
“Ho fatto una scoperta imbarazzante. Sei pronto?”
“Sentiamo cosa non avevi notato.”
“Il nostro Drake, quello dell’Accademia, era il Drake diplomatico.”
“Quindi alla fine era davvero lui… Alla fine ne ero quasi certo… I nomi rari come i nostri lasciano poco spazio agli errori…”
I quattro rappresentanti veri e propri cominciarono a discutere di una rete di tunnel che potesse collegare tutte le razze, agevolando così anche gli scambi.
Ardof si stancò ben presto di quel discorso e lasciò vagare la mente come aveva fatto nella cella in cui era stato rinchiuso.
Davanti a se vide tutte le menti dei rappresentanti e le tre menti schermate dei suoi compagni … più una quarta mente, anch’essa protetta da occhi indiscreti.
Si concentrò sula scintilla di quella mente e scoprì che apparteneva a uno di quegli elfi dalla pelle scura, era di quello con l’arco a tracolla e gli occhi bassi puntati ostinatamente sul tavolo.
“Chi sei?” si chiese il Cavaliere rosso.


Non credo ti piacerebbe saperlo…
Solo… puoi spostarti un pochino? Capisco che potrebbe non piacerti avere una mosca sulla gamba, ma potresti non schiacciarla?
I quattro capi di stato congedarono gli accompagnatori ad appena dieci minuti dall’inizio della riunione, visto che non erano molto attivi nelle conversazioni che si stavano tenendo nella sala.
Ma, infondo, nessuno si aspettava che effettivamente qualcuno di loro prendesse parte alle decisioni.
I quattro Cavalieri si fermarono subito fuori dalla sala, mentre i due elfi dalla pelle scura si avviarono quasi di corsa lungo un corridoio che conduceva chissà dove sotto i monti.
- Che bello vedervi ragazzi!-  
- Vago, non è neanche passata una settimana da quando ti abbiamo lasciato nella prateria.-  Puntualizzo Frida con una nota di sarcasmo nella voce.
- Cosa vuoi farci. Dovresti provare tu a vivere sei giorni con persone che ti stanno in tasca.-  
- Bada a come parli, questa persona sarà anche piccola ma ci sente benissimo.-  s’intromise Rovere uscendo dal taschino del ragazzo.
I tre compagni si misero a ridere.
- Sentite, continuiamo questo discorso in un posto un po’ meno scomodo. – disse Codero indicando un cunicolo sulla destra – Lì dietro c’è una mensa, potremmo andare là, così potrete assaggiare l’idromele dei nani. È una bevanda fantastica. Forse l’unica nota positiva di tutta la faccenda.-  
Quando furono tutti e quattro seduti con un boccale pieno di idromele davanti al naso il Cavaliere verde posò sul tavolo il suo martello di pietra.
- Ragazzi guardate cosa ho trovato durante il mio soggiorno presso i nani.-  Codero indicò il martello, accarezzandone la testa.
- Carina. Ma la spada che io ho trovato è ancora più bella.-  Frida sguainò la spada appena ricevuta.
- Tanto nessuno di voi può battere l’oggetto che ho ricevuto io.-  Vago tirò fuori dallo zaino alle sue spalle il libro nero.
- Cos’è?-  domandò curioso Ardof scrutando il titolo cucito sulla copertina in fili d’oro.
- Questo, ragazzi, è il Libro del Fato. Qui dentro, – disse Vago sfogliando alcune pagine – posso leggere il destino di ognuno di voi. Di chiunque, passato, presente e futuro.-
I tre ragazzi ammutolirono per la rivelazione.

Forse, vince lui questo confronto.


- Diana, secondo te cosa dovrei fare? Non mi oso andare da loro dopo quello che ho detto e gli ho fatto.-
- Per me sarebbe meglio se tu andassi là e chiedessi il loro perdono. Sarebbe la cosa giusta da fare.-
- Diana, te lo richiedo: come potrei mai presentarmi a loro dopo quello che gli ho fatto?-  
- Hai detto che eravate amici. Di solito gli amici si capiscono, o almeno cercano di farlo…-  
- Ma io li ho abbandonati! Me ne sono andato nel momento del bisogno! Penseranno che sono un vigliacco.-
- Ascolta: – Diana gli sistemò la camicia che Fasto gli aveva imprestato per l’incontro – vai da loro e scusati. Se non ti vorranno potrai sempre dire di aver provato. E nessuno potrà dire di te che sei un vigliacco.-  
- D’accordo. Spero che tu abbia ragione.-
Diana lo baciò dolcemente.

- Ragazzi, dovete portarmi via da qui. Mi sento ingabbiato, non posso fare niente per tutto il giorno eccetto colpire un manichino con questo martello! Fate qualunque cosa ma tiratemi fuori da questa tana gigante, vi prego.-  
- Noi non possiamo fare niente, spera che il re decida di attaccare al più presto. Altrimenti rimarrai qui ancora per molto.-
- Beh, – Disse il ragazzo sedendosi meglio sullo sgabello – per la prima volta spero che questo attacco arrivi davvero tanto in fretta. I nani sono… una razza odiosa. No, non tutti. I nobili sono odiosi, oziosi, inutili, viziati, senza spina dorsale…-  
Il suo discorso venne interrotto da una freccia candida che si conficco nel muro a pochi centimetri di distanza.
- Cosa diavolo è ?-  chiese Ardof mentre dalla freccia si srotolava un foglio su cui risaltavano lettere d’oro.

Trucco interessante e ad effetto, non c’è che dire.

Vago si avvicinò circospetto e cominciò a leggere la lettera.
- È scritto nella lingua del potere. Dovrebbe voler dire: Sono stato un… un codardo. Non avrei mai dovuto lasciarvi. Spero nel vostro perdono. Trado.-
- Trado è qui?-  dissero all’unisono gli altri tre compagni, guardandosi intorno in cerca dell’elfo.
- Deve essere quell’elfo di prima, solo un po’ più abbronzato e allenato.-  rispose Vago.
- Effettivamente, - s’intromise Ardof – quando ho allargato la mente nella Izivay Magnea i suoi pensieri erano schermati. Non c’è molta gente che può farlo senza aver passato un po’ di tempo all’accademia.-  
- Sentite, ora andiamo a cercarlo. Deve essere qui intorno. Poi vedremo cosa fare con lui. D’accordo?-  disse decisa Frida, prendendo in mano la freccia con la lettera e staccandola dal muro in cui era conficcata.
I quattro Cavalieri si avviarono per il corridoio imboccato dai due elfi poco prima, sicuri che li stessero aspettando.
Li trovarono appoggiati a un muro di marmo liscio e lucido, vicino alla porta che conduceva alla sala del trono.
- Sentite ragazzi, mi dispiace veramente tantissimo. Non avrei mai…-  Trado non ebbe neanche il tempo di finire la frase che Ardof gli aveva già dato uno schiaffo sonoro sulla guancia, abbastanza forte da far girare la testa dell’elfo abbronzato.
Le pareti riecheggiarono di quel suono.
- Immagino di essermelo meritato.-
- Immagini bene. Mi hai lasciato, ci hai lasciato perché avevi paura. Secondo te, noi eravamo felici di dover girare per le Terre dell’est da una capitale all’altra, senza sapere chi ci attendeva e cosa ci sarebbe potuto capitare?-
- Hai ragione. Mi sono comportato veramente da stupido, da codardo. Potrete mai perdonarmi?-
- Figlio di un… per stavolta passi. Ma la prossima volta che scappi senza di me augurati di non incontrarmi mai più. Ti potrei uccidere con le mie mani. Intesi?-  

Certo che, sapendo cosa guardare, alcuni dettagli risaltano amplificati…
Per fortuna nessuno, oltre a me, ha notato che lo sguardo di Vago si è abbassato a questa frase è il suo sorriso si è fatto tirato.
Poveraccio. Gli ci vorrà parecchio per digerire la situazione…

- Grazie Ardof.-  Trado aveva gli occhi lucidi.
- Eh, ehm. – scandì forte Frida – Trado, non ci presenteresti la tua nuova amica?-  
- Oh, si, Certo. Lei è la mia ragazza, Diana. Diana loro sono i Cavalieri che ho conosciuto nel Palazzo della Mezzanotte: Ardof, Vago, Frida e Codero.-  li presentò indicandoli uno alla volta, a turno.
- Piacere.-  disse l’elfa imbarazzata.
- Dai, abbiamo appena riunito il gruppo. Andiamo a festeggiare. Penso che i cuochi dei nani non faranno storie se chiediamo due boccali in più. Saranno felici di darceli, credete a me. Venite.-  suggerì Codero riprendendo la strada per la cucina da cui erano arrivati.

Se continua così, l’unico souvenir che rimarrà a Codero della sua permanenza dai nani sarà una pancia da alcolizzato…

Passarono così la serata, tra idromele e risate, aspettando che i governatori sbrigassero le loro faccende politiche che, infondo, a nessuno di loro interessavano. 

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Capitolo 27
*** Capitolo 26: Solo ***


 Il consiglio delle razze finì tardi, ma per i cinque diciottenni che si erano appena ritrovati fu comunque troppo presto.
- Frida, Farionim. Io vi lascio qui. Non posso perdere altro tempo. Pensavo che l’ultima razza sarebbe venuta a questo consiglio, ma mi sbagliavo. Devo andare. Statemi bene.-  si congedò Ardof.
- Perché vuoi andare tu?-  gli chiese Frida.
- Andiamo, tutti voi avete trovato un oggetto che è appartenuto agli dei. Adesso tocca a me… comunque è meglio che vada… sperando che il Fato mi assista.-  
Il ragazzo stava salendo sulla sella di Erdost quando sentì una mano sulla spalla che non lo lasciava salire. Il Cavaliere si girò.
- Stammi bene. Buon viaggio.-  gli disse Frida, poi, senza nessun preavviso, lo strattonò e lo abbracciò. La cosa lasciò Ardof per un attimo intontito, poi ricambiò il gesto.
Ardof salì sulla sella di Erdost senza dire più niente.
Quando i due si lasciarono le vette candide dei Muraglia alle spalle Ardof esclamò con il pensiero “Tu sapevi che quell’elfo era Trado e non me l’hai detto!”
“Reicant mi ha chiesto di non dirtelo, Trado si sentiva malissimo dopo la sua partenza e temeva che rivederlo ora scatenasse un litigio. Se ci pensi bene aveva anche una sua ragione.”
“Ah…”
Il resto del viaggio passò in silenzio, nessuno dei due voleva parlare e nessuno dei due aveva qualcosa da dire.
“Come credi che sia la prossima popolazione? Mostri terribili o esseri civilizzati?” disse Ardof rompendo la cappa di ostilità che si era creata durante il volo.
“Non lo so. - ammise Erdost – Non ne ho idea. Visto le razze che abbiamo incontrato fino ad adesso non riesco ad immaginarne altre!”
“Spero la seconda possibilità. Ti dirò, visto che da quando ci siamo lasciati Trado si è trovato una ragazza, Codero rimane tutto il giorno a bere l’idromele, Vago a leggere nella biblioteca più grande delle terre e Frida è rimasta come ospite di uno dei diplomatici. Spero che succeda qualcosa di spettacolare anche a noi. Magari i prossimi sono i draghi.”
“Ardof, i draghi sono dalla parte opposta. Abitano sull’Isola dei Draghi a nord ovest di Gerala, la maggiore città della Grande Vivente.-
“Giusto… allora i Goblin.”
“ Sono stati sterminati dal re e dal suo esercito questa primavera. Non ne è rimasto uno.”
“Poveracci. E pensare che una volta erano come me. Potrebbero essere i… troll, allora?”
“I troll? Penso che non esistano neanche! Senti, tanto è inutile continuare a tirare razze a caso. Vedremo chi o cosa ci sta aspettando quando saremo arrivati.”
“Si, hai ragione.” Gli disse Ardof continuando a ragionare su  quale razza potesse attenderli.
“Ardof?”
“Si?”
“Rilassati, nessuno può controllare il futuro. Ora calmati e non preoccuparti per quello che può succedere.”
“Ci proverò.”
“Riescici. I tuoi pensieri mi disturbano.” Concluse il drago, virando appena per intercettare una nuova corrente favorevole. 

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Capitolo 28
*** Capitolo 27: I Camabiti ***


 Drago e Cavaliere arrivarono in vista del golfo nel pomeriggio inoltrato, dopo giorni di volo.
Il sole già proiettava la sua ombra dall’orizzonte alle loro spalle.
Sotto il ventre del drago carminio sembrava svolgersi un assedio epico, dall’entroterra, dal deserto, centinaia di soldati urlanti sui loro cammelli, protetti da armature scintillanti, cavalcavano veloci, lasciandosi alle spalle una nube di sabbia e polvere. Sulla costa, invece, una specie di città protetta da alte mura scure si ergeva massiccia.
Dai merli, uno sparuto numero di arcieri cercavano di tenere a distanza gli aggressori scoccando i dardi in aria, quasi alla cieca.
Da alcuni tetti di paglia si potevano già vedere spire di fumo bianco.
“Ovviamente, tre popolazioni tranquille, più o meno, e quando ci troviamo da soli cosa incontriamo? Un assedio, una battaglia! – commentò scocciato Ardof, poi si rivolse ad Erdost – Secondo te da quale delle due parti dobbiamo schierarci?”
“Intanto facciamoli smettere. Poi dovremo solo pregare gli dei di fare la scelta giusta.”
“Va bene … allora, vedi se riesci ad atterrare nella terra di nessuno senza farti infilzare come un tacchino. Se riusciamo a fare abbastanza spettacolo per farli fermare bene, altrimenti, peggio per loro, assaggeranno la mia spada e il tuo… tutto. Soprattutto il tuo tutto.”
Il Cavaliere sentì il corpo del drago sfregiato fremere all’idea di entrare nel vivo della battaglia.

Non ricordo quasi l’ultimo assedio a cui ho partecipato… All’epoca, normalmente, mi facevano infiltrare nella città per sabotare le difese. Un lavoro pulito, decisamente niente male. Gli ottomani mi devono ancora ringraziare.

Appena i due compagni atterrarono, Erdost lanciò un ruggito tonante, Ardof dovette tapparsi le orecchie per il rumore. I difensori si rintanarono come topi spaventati dietro i loro merli, mentre gli assalitori, dopo un momento di indecisione, ristabilirono le loro file e partirono al galoppo verso i nuovi arrivati.
Il ragazzo non dovette neanche scendere dalla sella, il drago carminio aprì le fauci e vomitò una vampata di fuoco scarlatto contro i cavalieri che si avvicinavano mulinando le loro spade.
Metà delle prime quattro file cadde a terra carbonizzata, ma l’esercito scintillante non fermò la sua avanzata, né provò a scappare.

Sono decisamente molto più testardi dei nani. Potrebbe essere considerato un record, il loro.

Ci volle un’altra prova di forza da parte di Erdost per convincere i sopravvissuti a invertire la carica e a scappare verso il deserto, lasciando le carcasse fumanti dei commilitoni sul campo di battaglia.
Quando l’ultimo degli invasori se ne fu andato, il portone delle mura si aprì quel tanto che bastava per far uscire un ragazzo barcollante, che si diresse zoppicando, per niente sicuro di quel che stava facendo, verso il Cavaliere.
Più di una volta il ragazzino cadde a terra, ricoperta dalla sabbia arancione che divideva il deserto dal mare.
Finalmente il messaggero raggiunse Ardof; aveva la camicia e i pantaloni logori pieni di terra e i capelli ricoperti di sabbia.
Quando il Cavaliere scese dalla sella di Erdost per andargli incontro il ragazzino indietreggiò impaurito, inciampando e cadendo per l’ennesima volta.
Ardof lo aiuto a rimettersi in piedi, togliendosi il casco per tranquillizzare un poco il giovane messaggero.
- Perché sei venuto fin qui?-  gli chiese sorridendo.
- Il… se… se…-  i balbettamenti del ragazzino impaurito vennero interrotti dal fischio di una freccia che era partita dalle mura.
- Aspetta un attimo. – gli disse Ardof. – Neir! “Fermati!”-  la freccia si fermò a mezz’aria a pochi centimetri dal palmo sollevato del Cavaliere che la guardò pensieroso.

Benvenuto caloroso. Iniziano bene.
Geniali, direi quasi. Sono salvi per miracolo e vogliono già inimicarsi un drago…

- Intoguri Gust! “ Torna al mittente!” – disse ancora. La freccia invertì la sua direzione e ripartì verso le mura – dicevi?-
- Il signor… il nostro signor Governatore vi ringrazia per il vostro aiuto e… vi chiede se… se aveste voglia di venire nella nostra piccola città per essere ricompensati…-
- Vuole che io sia vostro ospite?-  
- Si… si. Ha detto così.-  
- Accetto con piacere.-  
Appena il ragazzino fece qualche passo verso la città Ardof lo fermò. - Dai, vieni con me. Non ti faccio tornare indietro con quella gamba. Su, ti accompagniamo noi. Non avere paura.-  
Davanti ad Erdost il ragazzino s’irrigidì. - Io non so se… se posso… insomma…-  
- Tranquillo, non avere paura. Erdost non è cattivo con le persone brave. Dai, avvicinati.-  Per accentuare quello che aveva detto il Cavaliere il drago si accucciò per terra per far salire più facilmente il ragazzo zoppo.

Ed ecco che uno dei più incredibili animali esistenti finisce a fare il mezzo di trasporto per gli invalidi. Una bella promozione, non credete?

I tre partirono in volo per la città.
Una volta atterrati in una delle rare piazze abbastanza grandi da poter ospitare il drago rosso, intorno a loro si creò un mare di gente curiosa.

No, pur essendo umani non sono a conoscenza dell’esistenza dei Cavalieri.

- Fammi vedere la tua gamba.-  disse Ardof al ragazzino senza curarsi della moltitudine di corpi che li circondava. Aveva visto fin troppe razze strane per farsi distrarre da un gruppo di umani.
Il ragazzo si tirò su il pantalone, fin sopra al ginocchio, mostrando una ferita che sembrava essere stata provocata dai denti di un grosso cane.
Una puntura, comunque, rispetto al morso di Athur che aveva quasi fatto perdere la gamba ad Ardof.
- Stai un attimo fermo. – continuò Ardof imperterrito. Si tolse il guanto dalla destra, mostrando la mano rossa e posandola sulla ferita – Radmun dei. “ Guarisci.”-  
I segni della ferita si rimarginarono, facendo tornare la gamba come doveva essere.
Il ragazzino portò Ardof dal Governatore saltellando sulla gamba di nuovo sana, animato da una felicità incontenibile.
Il Governatore li stava aspettando in una piazza più piccola, sgombra di gente. Era un uomo alto, con il volto pallido, i capelli che si stavano tingendo di grigio e gli occhi neri come due pozzi.
- Signore? I nostri salvatori sono arrivati.-  
- Vedo, vedo Martin. Hai fatto un buon lavoro, ora puoi anche andare.-  lo congedò.
- Innanzi tutto vorrei ringraziare te e il tuo drago…-  
- Erdost.-  lo interruppe Ardof un po’ scocciato.
- Te ed Erdost, per l’aiuto che ci avete dato in un momento di difficoltà. Probabilmente se voi non ci foste stati questa cittadina e i suoi pochi tesori sarebbero caduti nella mani dei Camabiti, di quegli uomini del deserto. Posso chiedervi, ora, perché siete venuti nella nostra città? Non molti ne conoscono la posizione… o l’esistenza.-  
- Stiamo cercando degli alleati per la nostra causa. Nel versante a ovest dei Monti Muraglia soffiano venti di guerra. Il re degli uomini e degli elfi è impazzito e, per quello che ne sappiamo, vuole conquistare e sottomettere tutte le terre. Temo anche che voglia eliminare qualunque razza diversa dalla sua.-  
- Mi sembra un discorso abbastanza a senso unico, mi sembra di aver capito che o vi seguiamo in battaglia o periremo. Ma mi sento in dovere di spiegarti come è nata questa città: quando le due razze dell’ovest decisero di eleggere un re una carovana di uomini, per lo più artigiani, partì dalla piana umana e, dopo aver oltrepassato la catena dei Muraglia e le praterie si sono stabiliti qui. Sono quasi due anni che viviamo su questa terra e che ci difendiamo dalle incursioni degli uomini del deserto. Abbiamo fatto tutto questo per sfuggire a quello che tu ora mi chiedi di attaccare. Potrei accettare solo se mi promettessi che una volta deposto il re ci concederete un territorio tranquillo dall'altra parte delle montagne. Sappi però che noi siamo solo artigiani, non ci sono né guerrieri, né strateghi, né maghi.-
- Tutto è utile in battaglia. Penso che trovare una porzione di territorio non sarà difficile, ci sono intere distese di terreno al momento libere nella piana umana. Per me va bene questo affare. Da mercante, vuole firmare questo contratto?-  
Dopo un attimo di esitazione, il Governatore strinse la mano tesa di Ardof. Aveva ottenuto molto di più di quanto si aspettasse. Tanto quella mano l’avrebbe stretta in ogni caso. - Firmo.-  
- Ne sono felice. Solo… fino alla resa dei conti posso rimanere come vostro ospite?-
- Si… certo. Martin ti guiderà per la città… ti ringrazio anche per quello che hai fatto alla sua gamba.-  
Erdost volò fino su una collina poco distante su cui si vedevano i buchi delle cave, mentre il Cavaliere fu portato al terzo piano di un edificio dove, gli aveva detto Martin, i cittadini si riunivano un giorno a settimana per ascoltare le notizie.
Il suo alloggio era piccolo e spoglio, c’erano giusto una cucina, un bagno, un tavolino e un divano.
Ardof stava per sdraiarsi sul divano quando Martin lo fermò. - Signore? Come posso chiamarla nei prossimi giorni?-  
- Ardof, il mio nome è Ardof.-  
- Buonanotte signor Ardof.-  
- Buonanotte anche a te.-  
Il ragazzino uscì chiudendosi la porta alle spalle. 

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Capitolo 29
*** Capitolo 28: Il fuoco ***


 Ardof la mattina seguente si svegliò tardi, con il sole già alto, in quel cielo rinchiuso tra le mura.
Quando scese in strada trovò la sua guida intenta ad intagliare un pezzo di legno scuro con un coltello dal manico d’osso.
- Buongiorno signor Ardof! Non sono salito per non svegliarla. Mi sono fatto dare il suo pranzo dai cuochi, ecco… tenga.-  Martin passò al Cavaliere un piatto con una fetta di arrosto con un contorno di patate al forno. Ad Ardof venne l’acquolina in bocca soltanto vedendo la portata e sentendone il profumo.
- Grazie, Martin, ma non dovevi disturbarti.-  gli disse con la bocca piena.
- No, nessun disturbo. I cuochi cucinano per tutta la popolazione, signor Ardof. Per loro un piatto in più non vuol dire niente.-
Il Cavaliere tornò a concentrarsi sul pasto.
- Cosa le piacerebbe vedere signor Ardof? Sa già dove vuole andare?-  chiese Martin impaziente appena Ardof ebbe ingoiato l’ultimo boccone di carne.
- Ieri il vostro governatore mi ha accennato ai tesori della città. Mi piacerebbe poterli vedere.-
- Non ci sono problemi.-  gli rispose Martin, alzandosi in piedi e fiondandosi per una viuzza verso il centro della città.
Alla fine si fermò davanti a un’inferriata.
Un contadino con le grosse braccia incrociate sul petto li squadrò da capo a piedi, per poi fargli strada oltre la porta. I tre percorsero un tratto di strada incuneato tra due alti muri che rendevano impossibile l'accesso da qualsiasi altra via.
Entrarono in una porta in bronzo lavorato.
- Il nostro tesoro è tutto qui. – disse Martin facendo strada al suo ospite per la stanza in cui erano entrati. – Sono esattamente cinque etti d’oro in sfere pure, tre etti d’argento, cinquantaquattro diamanti… non sono tanto grandi ma ci sono, e poi… questa.-
Il ragazzino tolse un drappo bianco da qualcosa al centro della sala, rivelando una lama dalle sfumature rossastre su un’asta di legno coperta di glifi in bronzo. Era un’alabarda di splendida fattura, un’arma dalla bellezza mortale.
- Cos’è?-  
- Non lo so. Era già qui quando siamo arrivati noi. Ci abbiamo costruito la stanza intorno perché nessuno è riuscito a spostarla. Non è davvero bellissima?-
- Il bagliore della lama… i glifi sul manico… sono come quelli delle armi di Frida e Codero… -  borbottò Ardof tra se e se.
- Cosa?-  chiese con sguardo interrogativo il ragazzino.
- Martin, vai a chiamare il vostro governatore. Digli che è abbastanza urgente. Dovrebbe venire qui. Io lo aspetterò.-  
Il ragazzino scattò via per il corridoio che li aveva condotti fino a quel deposito, sbattendo contro l’uomo che li aveva scortati.
“Erdost!”
“Che c’è?” chiese il drago sfregiato con voce assonnata.
“Erdost, penso di aver trovato la mia arma elementare! È veramente bellissima!”
“Bene. Ne sono contento, verrei anch’io a vederla ma quelle dannate stradine sono troppo strette! Ci passerebbe giusto un cucciolo. Non ci starebbe neanche la mia coda.”
“Tranquillo, verrò presto a trovarti. Resisti ancora un po’.”
“Farò come posso.”
“Ci conto.”
Il governatore della città arrivò pochi minuti dopo con aria trafelata e la fronte imperlata di sudore.
- Eccomi! Eccomi. Ho fatto più in fretta possibile. Perché mi hai mandato a chiamare? Qualcosa non va Cavaliere? Ci sono problemi? Ti serve qualcosa?-  
- No, va tutto bene. Ho da porle una domanda: Lei sa cos’è quest’arma? Da dove viene?-
- Direi che è un’arma raffinatissima, perfette sia per le cerimonie che per la battaglia. Ti posso anche dire che è stregata, perché nessuno è mai riuscito a spostarla da lì.-  gli rispose il governatore.
- Non è solo splendida, è divina. Questa è una delle quattro armi elementari, uno degli oggetti che hanno creato e poi cambiato il nostro mondo. Inoltre, nessuno è mai riuscito a spostarla perché solo il prescelto può tenerla in mano. Penso di essere io quel prescelto.-
- Quindi tu affermi di poterla togliere di li? Non sai di cosa stai parlando, è semplicemente impossibile.-  
- Posso mostrarglielo?-
- Provaci pure, ma tanto non riuscirai a fare niente. Neanche le nostre migliori macchine sono riuscite a sollevarla.-
Ardof strinse l’asta filigranata in mano, sentendo il mana che scorreva attraverso le dita per riversarsi nell’arma e nel piedistallo sottostante.
Ci fu un bagliore arancione, ma durò appena un attimo. Quando però la lama smise di brillare le pietre che componevano la sala continuarono a risplendere come tizzoni rosseggianti.
L’alabarda pesava poco più di un qualunque bastone nelle mani del ragazzo.
- Ma questo è… impossibile! Come hai fatto a sollevarla? Che trucco hai usato? Sto sognando?-
- Come le avevo detto, governatore. – Ardof si passò l’asta da una mano all’altra velocemente – Se vuole saperlo, ora vi posso liberare definitivamente dalla minaccia dei Camabiti.-  
- Puoi farlo per davvero? Non mi stai mentendo?-  
- Tant’è vero che sono riuscito a sollevare quest’arma. Deve avere più fiducia in me.-
Ardof tentò due colpi con l'asta, nell’Accademia gli avevano insegnato le basi per le tante armi che avrebbe potuto incontrare, ma l’alabarda era solo una delle troppe. Si sarebbe dovuto esercitare parecchio durante il suo soggiorno, se voleva usarla in una battaglia reale.
Il governatore accompagnò Ardof fuori dalla stanza del tesoro. I due vennero accolti con un’acclamazione, non si sa come tutta la città si era radunata davanti all’inferriata.
Il Cavaliere, facendosi largo quasi a spallate, riuscì ad arrivare fino alla porta della città.
Salì in cima alla collina piena di cave e vi trovò Erdost sdraiato vicino alla sua sella.
“ Partiamo?” chiese il drago.
“Come?… no, niente, contatto empatico. Vero?”
“ Si”
“Per l’appunto.” Ardof sellò il drago sfregiato e, dopo essersi accertato che tutte le cinghie fossero strette bene, gli salì in groppa.
Drago e Cavaliere partirono, puntando la distesa arancione del deserto e seguendo la linea scintillante di quel ramo del Serat.
In una manciata di minuti, l’ombra del drago rosso si era andata a posare sulle dune del deserto, seguendo il profilo delle colline di sabbia che il vento aveva modellato.
In lontananza si vedeva un’oasi stagliarsi sul paesaggio.
Era lì che i Camabiti avevano montato le loro tende di forma conica e avevano legato i loro cammelli. Il lago al centro dell’oasi sembrava non avere né immissari è emissari, ma l’acqua non era stagnante.
Atterrarono davanti all’ingresso principale del villaggio, alla loro vista tutti scapparono. Donne, bambini e anziani correvano al riparo mentre gli uomini armati si schieravano per difendere le poche cose che avevano nelle tende.
“Erdost, non mi sembra giusto. Molte di queste persone non si meritano una fine così tragica. Non posso fare la parte del giudice e della giuria.”
“Ma non possiamo neanche lasciarli andare. Tornerebbero ad attaccare gli uomini che ci ospitano.”
“Un altro modo c’è…”
“Sei un pazzo. Vada per il tuo piano, ma bada che non hai mai fatto una cosa del genere, è una vera follia.”
“Lo so.”
Ardof scese dalla sella, piantò l’alabarda a terra e, attraverso di questa, fece scorrere il suo mana per tutto il perimetro del villaggio, quando si sentì debole Erdost gli infuse buona parte delle proprie energie per non farlo svenire, o peggio.
Uno squarcio si aprì lungo tutto il perimetro del villaggio. Dentro al crepaccio si vedeva il rosseggiare del magma che ribolliva incandescente nelle viscere della terra.
“Fatto.” Disse Ardof tra un rantolo e l’altro. Non si era mai spinto al limite come allora, si sentiva i polmoni in fiamme e ogni muscolo del corpo intirizzito. Nemmeno durante la prigionia dai folletti aveva osato tanto, ma quell’arma che teneva stretta in pugno sembrava potenziare le sue capacità.
“Non provarci mai più a fare una cosa del genere! – sbottò furioso Erdost – Se non ci fossi stato io qui a darti la mia energia adesso tu saresti morto, ed io con te!”
“Hai ragione. Però tu eri qui, vicino a me. E io sapevo che avrei potuto contare anche sulle tue forze. È questo che distingue un semplice mago da un Cavaliere. Possiamo fare qualsiasi cosa assieme.”
“Si, ma è la capacità di capire quando ci si sta spingendo troppo oltre fa la differenza tra un uomo vivo e uno morto. Ardof, ci rimangono ancora molti anni da vivere, perfino di più di quelli che restano ad un umano normale. Io non voglio interrompere il mio volo per un tuo errore o perché hai osato troppo. Quindi non riprovarci mai più. Intesi?”
“Ho capito, cercherò di non superare il limite. – Ardof accarezzò il muso squamoso del drago rosso, soffermandosi sul solco della sua cicatrice – Dai, torniamo alla città. Abbiamo bisogno entrambi di una dormita, specialmente dopo quello che abbiamo fatto oggi.”
Alla cittadina nessuno li aspettava. Non c’era la festa che Ardof si era immaginato, nessun rinfresco, nessun torneo, nessuna celebrazione, neanche una partita a carte in onore dei presunti “eroi”.
Al portone d’ingresso li stava aspettando Martin. - Bentornato signor Ardof. Il governatore non è potuto essere qui perché si sta tenendo un rito nel tempio del dio Fuoco.-
- È iniziato da tanto? Posso partecipare anch’io?-  chiese Ardof, mentre alle sue spalle la mole di Erdost prendeva il volo verso la collina.
- Non è cominciata da molto, signore. La porto subito al nostro tempio.-  il ragazzino s’incamminò per una delle strette vie che si snodavano per la città.
- Martin? – chiese Ardof mentre camminavano – Come si chiama veramente il vostro governatore? Deve avere un nome, ma non l’ho ancora sentito.-  
- Quando io glielo chiesi, mi rispose che il suo nome è orribile, perché è stato portato da molte persone cattive. Nessuno di noi conosce il suo nome, per questo lo chiamiamo solo Governatore.-
La strada, effettivamente chiamata via dei templi, era un vicolo ceco che permetteva l’ingresso a quattro strutture separate, ognuna dedicata a un dio diverso.
I due varcarono la soglia della costruzione in marmo rosa e vennero subito avvolti dall’odore di erbe aromatiche bruciate e dalla puzza del sudore dei presenti.

Una botta di vita, non c’è che dire… Mi mancavano tutte queste porcate religiose.

In fondo al tempio, in mezzo a due bracieri accesi, il sacerdote stava parlando ad alta voce, in modo da farsi sentire da tutti.
- …quindi, Signore delle Fiamme, concedi a noi un’altra settimana prolifica per le nostre attività. Vi chiedo un attimo di silenzio, per le vostre preghiere personali.-  il sacerdote chiuse la bocca e si lisciò la tonaca arancione.
Il tempio cadde nel più profondo dei silenzi. Ardof però continuava a sentire un fastidioso ronzio intorno a se. Gli ci volle un po’ per capire che il rumore arrivava dalla lama cremisi dell’alabarda che teneva stretta in mano.
- Bene, – riprese il sacerdote ad alta voce – ora vi invito a ripetere con me la preghiera che fa crepitare le fiamme e danzare le scintille. La preghiera del fuoco.-  
- Signore del Fuoco. – intonò Ardof insieme agli altri presenti – Donaci tu la forza di continuare la nostra avanzata sulla tua strada. Tu che dai la vita e la morte non lasciarci mai soli e guida i nostri pensieri e le nostre azioni per avvicinarci alla tua gloria. Tu, e il tuo servitore per te, proteggici da chi vuole soffocare l’incendio dentro di noi e puniscili secondo la tua legge. Accoglici, alla fine del nostro cammino, al tuo fianco nella Volta Celeste. Così sia sempre.-  
“Alla fine mi hanno coinvolto in questa pazzia.” Si disse amaramente Ardof mentre ripensava alle sue idee prima e subito dopo il Cambiamento.
Il ronzio della lama si amplificò e così fece il bagliore che la circondava. Il Cavaliere sentì nuove energie entrare nel suo corpo dall’asta dell’arma.
Ardof espanse subito la mente in cerca del suo drago e, quando lo trovò, condivise con lui il mana che continuava ad entrare nel suo corpo. La lancia smise di irrorare il ragazzo di energia solo quando entrambi i corpi furono saturi di mana.
- Spero di rivedere tutti voi alla prossima celebrazione, la prossima settimana. Uscite da questo tempio sereni, perché il Signore del Fuoco veglia su di voi.-  il sacerdote guardò serio i presenti che uscivano pochi alla volta.
Ardof aspettò di fianco all’ingresso il Governatore, che uscì tra gli ultimi.
- Allora, ce l’avete fatta? Siete riusciti a eliminare i Camabiti? Non sono più una minaccia per noi?-  
- Stia tranquillo Governatore. Sono sicuro che i Camabiti non la disturberanno mai più. Non saranno più una minaccia per questa città e i suoi abitanti.-  
- Ne sei proprio sicuro? Non mi stai tranquillizzando per niente, vero? Devo essere certo che questa città sia al sicuro, è il mio compito come governatore.-  
- Le assicuro che non potranno più nuocere a nessuno. Un crepaccio pieno di lava li separa da questa città e penso proprio che non riusciranno a superarlo tanto facilmente.-  
- Questa si che è un’ottima notizia! Dobbiamo… dobbiamo organizzare una festa in vostro onore, una grande cena! E… non che non mi fidi di voi, ma potreste restare con noi ancora per un po’? Dovete sapere che quegli uomini sono astuti come delle volpi… potrebbero riuscire a superare il tuo crepaccio da un momento all’altro…-  
- Accetto. Dopotutto questa era l’ultima tappa. Non farò torto a nessuno restando qui ancora per un po’. Ho anch’io una richiesta, mi farebbe piacere se riusciste a creare uno spazio per il mio drago, mi rincresce doverlo lasciare fuori per tutto il tempo della mia permanenza.-
- Vedrò quello che potrò fare. Capisci, però, che questa città non è stata costruita per ospitare un drago… radunerò i migliori ingegneri e cercherò una soluzione attuabile…-  

La festa si tenne sotto la collina delle cave, alla luce di una moltitudine di falò.
I cuochi cucinarono i piatti migliori di Chiritai, come Ardof scoprì quella sera da una donna ubriaca che si chiamava la città, e prepararono un intero cinghiale al forno per Erdost. Le mura della città furono illuminate da decie di fuochi e la sala del tesoro, ancora intrisa della magia dell’alabarda, pulsava come un grosso cuore al centro della fortificazione.
“Sembra che la nostra vita stia migliorando, non trovi? In fondo potevano andarci male molte cose. Invece, guardaci qui, a festeggiare e con un’arma divina.”
“Si… sono d’accordo. Ringrazia i cuochi da parte mia, ricordatelo. Il loro cinghiale è fantastico.”
Il mattino seguente le lire e gli archi continuavano a diffondere nell’aria le loro dolci note, una canzone dopo l’altra, senza sosta dalla sera precedente.
Quando tutti i tavoli furono sgombri e gli strumenti d’argento vennero riposti nelle loro custodie Ardof salutò il suo drago e fece ritorno al suo appartamento.
Quando aprì la porta trovò il piccolo rifugio pieno di uomini che prendevano le misure dei muri e del soffitto. Erano almeno una decina, tutti indaffarati.
Senza far caso agli architetti che infestavano la sua camera da letto, Ardof si sdraiò sul divano.
Non dovette aspettare molto per addormentarsi. 

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Capitolo 30
*** Capitolo 29: È ora! ***


 Va bene, ho capito. Non c’è bisogno che tu mi ripeta tutti i passaggi, Fato. Ho capito.
Ho dovuto fare cose ben più complesse, non dimenticartelo.
Bene, un bel respiro e... Che lo spettacolo cominci.

Chiritai

“Due anni! Capisci, Erdost, sono due anni che siamo qui!” sbottò all’improvviso Ardof, mentre si radeva la barba che gli infestava le guance e il mento.
“In realtà sono passati… un anno, undici mesi e tre… no, cinque giorni.” Gli rispose il drago carminio affacciandosi dall’enorme nido che era stato costruito per lui sul tetto dell’edificio.
“Così non mi aiuti per nulla. Erdost... è possibile che abbiamo commesso un errore? Forse avremmo dovuto attaccare non appena siamo entrati in possesso delle armi degli dei… forse avremmo dovuto iniziare noi la guerra. O immagina se i Cavalieri e i Domatori che sono rimasti a combattere hanno vinto e si sono dimenticati di noi…”
Una nota bassa e rimbombante si propagò per la città. Un corno stava facendo propagare il suo suono vibrante per l'aria che polverosa che infestava i vicoli della città.
“C’è movimento in città. Deve essere successo qualcosa.” Disse allarmato Erdost, sporgendosi dal suo rifugio sopraelevato.
“È possibile che siano tornati i Camabiti? – chiese Ardof mentre si infilava la tuta da Cavaliere – Non sarebbero mai dovuti riuscire a superare quel baratro.”
“Non credo possano essere loro. Comunque, in ogni caso, chiunque sia se la vedrà con noi due.” Rispose il drago sfregiato accucciandosi davanti all’apertura che gli dava accesso al cielo sopra la città.
Il Cavaliere rosso rinfoderò Pyra facendo ricadere il fodero in pelle sul suo fianco, prese l’alabarda sotto braccio e salì con pochi passi distesi sulla sella del drago, stringendo le ginocchia per non perdere l'equilibrio.
Con pochi battiti d'ali quella possente creatura color rubino erano già in volo, con le membrane semitrasparenti delle ali gonfiate dai venti che soffiavano dal mare verso la terraferma. Sotto di loro i tetti di Chiritai fluivano veloci, come a voler dar loro una mano a raggiungere più velocemente la loro destinazione.
I due atterrarono sulle mura da cui continuava a risuonare senza sosta quella nota lugubre con un tonfo pesante.
Stain, l'uomo a cui il governatore aveva deciso di affidare la difesa della città, era intento a guardare verso l’orizzonte con un fine binocolo di bronzo che splendeva sotto il sole impietoso.
- Cosa succede?-  chiese il Cavaliere allarmato.
- Un uomo si sta avvicinando. È solo, non porta nessuna bandiera e sembra disarmato. Abbiamo paura che sia un mago e abbiamo dato l’allarme come precauzione. Cavaliere... posso chiederti di andare a controllare di persona cosa vuole quell'uomo?-  
Ardof sospirò, facendosi porgere il binocolo per poter vedere ciò che aveva allarmato a tal punto l'uomo che gli stava a fianco. - Vado. - decise dopo aver individuato la figura solitaria - Lei intanto raduni tutti gli arcieri che trova e li metta di guardia lungo tutto il perimetro della città. Se vedete qualcun altro che si avvicina, suonate di nuovo l'allarme ed io tornerò il più in fretta possibile.-
Il lontananza un uomo avanzava tranquillamente nella caldo soverchiante del deserto, il suo passo sembrava sicuro, come se non percepisse neppure il peso dell'armatura che portava indosso.

Ma chi me l’ha fatto fare? Perchè ho avuto quest'idea terribile?
Ho bisogno di una bottiglia d’acqua.
E questa maledetta armatura mi sta soffocando.

E, poi, com’è possibile che quando ci sono i lavori sporchi da fare chiamano sempre me? Hanno quattro fottuti servitori a disposizione e non li fanno mai lavorare seriamente. Li hanno creati per giocarci a carte, evidentemente.

Il drago sfregiato riprese il volo, lanciando la sua mole oltre la cinta muraria in direzione delle dune.
Gli bastarono pochi attimi per atterrare distante dalle mura, in modo da frapporsi sul cammino dell’uomo in armatura.
“Senti… – disse Ardof – hai notato che... quell’armatura... non ti ricorda vagamente quella…”
“Quella dei soldati del Palazzo della Mezzanotte.” Terminò la frase Erdost tenendo lo sguardo puntato sull’orizzonte reso tremolante dal calore.
“Esatto. Però mi sembra anche dannatamente diversa… c'è qualcosa che non mi torna, qualcosa di fuori posto, credo. Non riesco a capire.”

Scusami se l’ho dovuta ricostruire a memoria. La prossima volta me ne compro una originale, così sarai felice.
 
“Sarà lui a toglierci i dubbi, in un modo o nell'altro.” Gli rispose il drago sfregiato trattenendo a stento l’eccitazione, il suo petto vibrava, in attesa che qualcosa accadesse.
Lo straniero si fermò davanti a loro ritto e fece un breve inchino.
Non si tolse l’elmo e l'unica cosa riconoscibile attraverso le fenditure su di questo erano due tizzoni ardenti là dove si sarebbero dovuti trovare gli occhi.

Si, sto interpretando il servitore del Fuoco. Mi faccio schifo da solo.

- Chi sei?-  chiese Ardof.
- Il Viandante. Il messaggero.-  rispose l’uomo in armatura scomparendo in un vortice di polvere, come se non si fosse trattato d'altro che di un miraggio del deserto.

Un po’ di sani effetti speciali non me li toglie nessuno, questa volta. Per una volta che posso mostrarmi non perderò l'occasione di dare un po' di spettacolo.
Voglio godere la massimo di quest'occasione.

- Allora qual è il tuo messaggio?-  urlò il Cavaliere guardandosi intorno preoccupato, ma al contempo esaltato. Sentiva il cuore battergli in gola, mentre la sua mente veniva invasa da tutte le possibilità che quell'essere poteva portare.
- Il mio messaggio è questo: – disse l’uomo alle sue spalle, in piedi sul dorso del drago. – è ora, partite perchè il momento da voi atteso è giunto. Non abbiate paura e confidate nel futuro.-
- Questo messaggio ha anche una fonte?-  Chiese Ardof girandosi, ma non trovando più il soldato ad attenderlo.

Ma quanto mi sto divertendo!

- Certamente. – riprese il messaggero in equilibrio sulla punta del naso di Erdost. – È stato il nostro signore a ordinarmi di trovarti e avvisarti.-

Ed eccomi in versione equilibrista.

- E chi sarebbe il mio signore?-
Ma l’uomo in armatura era nuovamente scomparso e, questa volta, non diede risposta.

Pensaci un attimo. Puoi arrivarci anche tu… prescelto inutile.

“Chi potrebbe essere questo signore?”
“Non lo so, Erdost. Però ci ha salvati da questa prigionia, gli dobbiamo decisamente un favore.”
“Saremo pari quando scenderemo sul campo di battaglia. Te lo dico io, fidati.”
“Dobbiamo dirlo al governatore, così avrà modo di preparare la città per il viaggio che l’aspetta...”

Bene, questa è fatta. Prossima destinazione… Piana Infinita.


Ducato degli Hougher

- Cavallo in E sei.-  disse Vago spostando la pedina indicata.
Aveva ricominciato ad apprezzare gli scacchi in quei due anni da ospite dei folletti. Un popolo dalla mente decisamente brillante.
Muoveva le pedine con una strategia cangiante, cercando di immaginare come sarebbe andata la guerra che sembrava non voler arrivare.
Rovere spostò il suo ultimo pedone, cercando di trarre in trappola l’avversario, che, però, non rispose alla provocazione.
Bisognava avere pazienza e saper aspettare.
In quegli anni, sotto l’ospitalità di Foglietta, aveva avuto l’occasione di leggere buona parte dei volumi contenuti nella biblioteca, di sfidare, e spesso uscirne sconfitto, Rovere a quel gioco di strategia così amato dai folletti, e, ogni tanto, si concedeva una giornata per uscire in volo con il suo drago bianco.
Non aveva sentito nemmeno così tanto il peso del tempo, se non in sporadici momenti di noia.
Anche il rimorso di quella notte si era fatto meno opprimente.

Si alzi nuovamentd il sipario!

Il re bianco si mise a levitare sulla scacchiera, come dotato di vita propria, mentre quello nero cadde, come se il suo giocatore si fosse arreso.
- Vago! Ti sei già stancato di giocare?-
- No… a dir la verità non sto facendo nulla, io… non so cosa sia…-
Dal pezzo della scacchiera sembrò levarsi una voce.
- Vago Tocsin?-
- Si? Sono io. Ma questo lo so già. Piuttosto, tu chi sei?-

Interessante risposta…

- Il Viandante. Il messaggero.-
- Bene. Da parte di chi è il messaggio?-
- Dal tuo signore.-
- Riferiscimelo pure.-
- È ora che tu parta.-
Il pezzo ricadde sulla scacchiera in piedi, senza voler dar segno di cadere.
“Interessante come mezzo di comunicazione.” Riuscì solo a pensare il Cavaliere alzandosi dal suo sgabello.
- Forza Rovere, hai sentito il mio signore. È ora di andare. Se non ci sbrighiamo ad avvertire tuo nonno, le pratiche che dovrà compilare ci lasceranno partire si e no quando la guerra sarà finita!-


Niunter

Frida vagava senza meta per le strade, ammirando per l’ennesima volta gli strani effetti che produceva il sole sull’acqua che la sovrastava.
Aveva avuto occasione di scontrarsi più volte con i soldati dell’Oasi, ma nessuno di loro gli aveva causato problemi con la spada.
Da pochi mesi si era prefissata l’obbiettivo di imparare a combattere con due spade. Una tecnica decisamente più complicata, rispetto a quella che conosceva.
Non voleva ammetterlo, ma le spiaceva lascare il suo spadone, la sua prima arma, per quella che le era stata data dalla sua dea.

Chiamatela sentimentale, ma le dava fastidio dover riporre per sempre la sua prima spada. Anzi, non chiamatela sentimentale, perché il suo carattere in due anni non è migliorato molto ed entrambe le spade, se vi attraversano da parte a parte, fanno parecchio male.
Comunque dubito che riuscirà mai a brandire uno spadone come quello con una mano sola…

Seisten era a caccia, in quel momento, e la sua presenza era talmente flebile da non essere altro che un sussurro nella sua testa.

Cosa mi invento ora?
Ma si, facciamola arrabbiare un poco…

Una mano la trattenne per la spalla. Facendola fermare.
La Domatrice si girò con la mano pronta sull’elsa della sua nuova spada, pronta ad accettare qualunque sfida.
Non c’era nessuno intorno e lei, ma una voce sembrava ripetere il suo nome ritmicamente.
- Chi è?-
- Qualcuno.-
- Proteo? Sei tu? Fatti vedere e combatti!-
- Non sono Proteo. Sono il Viandante. Sono un semplice messaggero.-  La figura di un uomo dagli occhi azzurri si materializzò seduta sui rami più bassi di un albero vicino.
- Un messaggero?-
- Si. Della nostra signora.-
- E cosa vuole dirmi?-
- Sei sicura di volerlo sapere?-  chiese l’uomo saltando giù dal ramo.
- Certo che voglio saperlo! Sbrigati a riferirmi quel che devi!-
- Calma. Non agitarti. Ora parlerò. Ma tu ascoltami bene. È importante… è ora che tu riparta.-  continuò l’uomo girandole attorno come un lupo con la preda.

Puff.

- È davvero arrivata l’ora?-
Ma nessuno più le rispose.
La Domatrice si diresse a passo spedito verso la costruzione in cui Farionim passava le sue giornate, chino sulle relazioni provenienti da ogni settore di Niunter, per riferirgli la notizia.
Finalmente era arrivata l’ora di agire!


Bosco Nero

Non mi sei mai piaciuto, ragazzino.
Se Ardof mi dà sui nervi, non ti dico che reazioni fisiologiche sgradevoli mi provoca la tua presenza.

Trado si svegliò di soprassalto nel cuore della notte, la fronte imperlata di sudore e i battiti accelerati.
“È stato solo un brutto sogno… – si disse il Domatore cercando di rilassarsi. – Solo un brutto sogno…”
- Trado, torna a dormire…-  gli disse piano Diana al suo fianco, in uno stato di dormiveglia.
- Già. – aggiunse una terza voce. – Forse è il caso che torni a dormire.-

Oh! Ma chi sarà mai?

Trado scattò in piedi, pronto a fronteggiare chiunque fosse entrato in casa sua.

E si comincia.
“Tranquillo…”

- …Rilassati. Sei troppo teso. Non ti voglio fare del male. Né a te, né a lei…-  continuò la voce dell’uomo dalla parte opposta del letto.
Il Domatore aprì leggermente la persiana, lasciando passare la luce delle torce appese nella via.
Un uomo era seduto sul limitare del letto, al fianco di Diana, che era tornata a dormire tranquilla, inconscia della presenza.
- È veramente bella. – Riprese imperterrito l’uomo, ammirando l’elfa addormentata con occhi dolci. – Hai avuto fortuna ad incontrarla… Il Fato è stato molto gentile con te…-

Forse sono sincero… ora.
Spero che l’effetto del sonnifero che le ho somministrato prima non sia già finito…

- Cosa vuoi? Perché sei entrato in casa mia?-
- Per svolgere il mio lavoro. Sono il Viandante. Io sono un semplice messaggero e, il mio compito, era quello di incontrarti.-
- Hai anche un messaggio, o il tuo ruolo era semplicemente quello di svegliarmi e spaventarmi a morte?-
- Ovviamente ho un messaggio. La seconda parte era per semplice diletto personale. Trovo la notte molto più suggestiva. Non credi?-
- Preferirei sapere il messaggio.-
- Come vuoi. Devi sapere che è ora. È finalmente giunto il momento che attendevi. Non tardare.-
- Chi me lo manda a dire?-
- La nostra signora.-
- Grazie. Altro da dire?-
Ma la domanda si perse nel vuoto, poiché l’uomo era già sparito nel nulla, come, probabilmente, era comparso.
“Chissà – si disse il Domatore. – Se Fasto e il resto del villaggio mi accompagneranno in quest’impresa o meno…”

Dubito fortemente, ma se vuoi provare…


Monti Muraglia

Codero incise un’altra tacca sopra al muro della stanza che gli avevano adibito.
Erano esattamente settecentodue scalfitture. Ogni mattino se ne era aggiunta tristemente una.
Il Cavaliere guardò sconsolato la parete.
Il tempo non lo aveva aiutato ad imparare a sopportare quella vita sotterranea.
Nell’ultimo anno Vroyer aveva dato il permesso a Marfest per uscire da quei cunicoli per volare nel cielo al di sopra delle vette, permesso, però, che non si estendeva al Cavaliere, confinato a terra, anzi sotto terra, come un prigioniero.
La sua pelle si era schiarita a tal punto da farlo assomigliare ad un fantasma.
Il ventenne si chiese cosa lo trattenesse dall’impazzire. La sua volontà d’acciaio, si disse. O la costante presenza del drago verde nella sua mente, che, a volte, lo trascinava via dal suo corpo per renderlo partecipe dei suoi voli.
Il suono di passi riempì la stanza.
Passi strani, diversi da quelli a cui era abituato, quelli corti e pesanti. Questi sembrava i suoi, sembrava quelli di un uomo.
Ma non poteva essere un uomo.
Il Cavaliere si girò, curioso e spaventato.
Effettivamente, alle sue spalle c’era un uomo in armatura, in piedi.
- Chi sei? Come hai fatto ad entrare?-
- Sono entrato come uscirò. Sono il Viandante. Io sono il messaggero.-  rispose l’uomo sedendosi sul letto rifatto.

Scomodo, come l’ultima volta.

- Un messaggero? Da parte di chi?-
- Mi manda il nostro signore a riferirti che è ora. Armati, perché questo è il momento di scendere in battaglia.-
- Oh, grazie!-  disse Codero sporgendosi verso lo sconosciuto per abbracciarlo, ma le sue braccia si chiusero sull’aria.

Non pensarci nemmeno! Puoi essere felice quanto vuoi, ma non provare ad abbracciarmi.

Il messaggero era scomparso nel nulla. 

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Capitolo 31
*** Capitolo 30: In guerra ***


- Quindi, quello straniero ti ha detto che è ora di entrare in guerra? È il momento di andare?- chiese il Governatore mentre si grattava la barba con isteria.
- Si. Quello che bisogna fare adesso è andare dalla parte opposta dei Muraglia e unirci al resto dell’esercito che abbiamo radunato. Di quanto tempo avete bisogno per radunare tutti gli artigiani e i materiali per partire?-
- Dovremo costruire molti carri per trasportare tutto fino ai Muraglia… e poi, tutti gli artigiani dovranno decidere cosa portare con loro, con cosa vogliono lavorare per i prossimi anni. Questo ci porterà via molto tempo, ne sono sicuro. Potremmo impiegarci dai dieci ai dodici giorni per poi valicare i monti.-
- Questo potrebbe essere un problema… lei cerchi di velocizzare tutta la faccenda. Io dovrò andare avanti per seguire la guerra da vicino, lei non dovrà fare altro che dirigere la carovana oltre i Muraglia. Se ci saranno problemi o cambiamenti vi cercherò di mandare un messaggio o qualcosa del genere.-
- Va bene. Accelererò i tempi. Ci rivedremo sul campo di battaglia, allora.-
- Mi fido di lei.- concluse Ardof uscendo dalla casa del Governatore quasi correndo, doveva arrivare il più in fretta possibile.

Impiegarono tre giorni e mezzo per raggiungere l’accampamento in pietra che i nani avevano scavato sul fianco di una delle montagne che si affacciavano sulle ultime propaggini della Pianura Umana.
L’esercito del re sarebbe dovuto passare da lì per scavalcare la catena montuosa, se non voleva dover salire e riscendere per le colline a sud.
L’accampamento era già pieno di elfi dalla pelle scura e di nani sudati che si affaccendavano per i preparativi per l’imminente guerra.

Incredibile. Più della metà degli elfi dalla pelle scura si sono uniti alla causa… non ci avrei scommesso niente.
Guarda tu che cosa ha fatto Fasto…

Codero e Trado erano già arrivati e un messaggero dei folletti aveva già portato la notizia dell’imminente arrivo delle quattro razze, ma dell’oasi di Farionim non c’erano tracce.
La notte calò silenziosa sull’avamposto. I nani erano riusciti a ricavare, dalle pareti dell’accampamento, cuccette a sufficienza per poter ospitare tutto l’esercito. Inoltre l’ingresso era protetti da un muro sporgente che impediva a chiunque di entrare senza dover ricorrere a una scala.
Per un attimo Ardof credette che nessuno sarebbe mai riuscito a conquistare quell’avamposto.
Nell’oscurità si alzò una fioca luce argentea che si avvicinava barcollando verso l’accampamento addormentato.
Fu una delle sentinelle, appostate nelle caverne delle montagne intorno, che diede la notizia dell’arrivo della fata.
Ardof fu tra i pochi che accolsero la piccola creatura alata al suo arrivo.
- Ci sono delle complicazioni, - ansimò la fata con la voce roca e affaticata per il viaggio intrapreso. – i maghi del nostro esercito, i Budnear, non si possono allontanare dalle acque del lago… Farionim non riesce a fare niente per loro. Purtroppo sono loro il grosso del nostro esercito. Le fate sono comunque in viaggio, ma varremo ben poco.-
Tra i presenti si levarono numerose imprecazioni che rischiavano di svegliare i soldati.
Ardof si avvicinò alla fata e la guardò negli occhietti scuri. - Riesci ancora a volare? Per un lungo tratto, intendo.-
- Penso di farcela. Ho solo bisogno di un po’ d’acqua.- rispose l’esserino ansimando.
- Qualcuno porti una borraccia! – urlò Ardof, provocando del movimento nella massa che si era creata intorno a loro. Poi si rivolse di nuovo alla fata argentea. – Allora, ti affido un altro messaggio. C’è una carovana che sta risalendo il corso del Serat. Vai a dirgli di seguirti. Tu dovrai portarli da Farionim, penso che tra tutti riusciranno a trovare un modo per far arrivare anche i Budnear. Adesso bevi.- disse Ardof quando gli arrivò un bicchiere pieno d’acqua.
- Farò più in fretta che posso, Farionim.- la fata si alzò dal palmo del Cavaliere e uscì dall’accampamento puntando a est.
- Tutto risolto!- urlò ancora Ardof per tranquillizzare i soldati che avevano assistito alla scena.

Ma quando mai le cose sono così facili?

Il ventenne si sdraiò contro il ventre caldo del suo drago, in una parte di accampamento ancora sgombra dagli uomini. Il contatto della sua schiena contro le squame del drago sfregiato era l’unica cosa che gli dava infondeva ancora un po’ di tranquillità.
Venne svegliato da uno squillo di tromba la mattina seguente. - Fate! Fate in arrivo!- Urlò una delle sentinelle dalla sua caverna alzando la bandiera rossa per indicare uno sciame che si avvicinava da nord.
Ardof si alzò di malavoglia e andò fuori dall’accampamento per accogliere i nuovi arrivati. La sera prima aveva avuto un’idea e l’arrivo delle fate la stava semplificando.
Lo sciame non impiegò molto ad arrivare.
Quando tutte si furono sistemate nell’accampamento, Ardof avvicinò uno dei capitani di quella piccola specie alata.
- Salve. Sono uno dei Cavalieri. Ho bisogno di uno dei soldati al suo comando per mandare un messaggio.-
- Certamente, mi segua.- il piccolo capitano si librò in volo sbattendo le ali grigie e si diresse verso un gruppo di alveari appena costruiti.
- Mi serve un messaggero!- urlò.
Dal una delle pigne uscì una fata dalle ali verdi che scese rapida verso il suo superiore.
- Signore, messaggero del terzo sciame. Coma le posso essere utile?-
- Non a me. Il Farionim ha bisogno che recapiti un messaggio. Ora sei sotto il suo comando finché non avrai completato la missione.-
- Si signore.- rispose il messaggero.
Il generale se ne andò.

Ditemi, come si può prendere sul serio un generale altro tre dita o poco più?
Io non ci riesco a vedere le fate come un esercito, insomma… tu puoi avere un allevamento di mosche, ma sempre mosche sono, no? Certo, per confermare quel che ho detto bisognerebbe trovare qualcuno che allevi mosche…

- Ascolta. Una parte del nostro esercito sta arrivando da sud, penso di averli visti mentre superavo i Muraglia. Devi andare da loro e portargli questo ordine: accamparsi sulle colline a sud di questa piana, il più possibile nascosti, in modo da attaccare l’esercito del re anche sul suo fianco. Non fare tardi.-
- Ho capito, signore. Volerò veloce e porterò il suo messaggio.- la fata uscì dall’accampamento di pietra e scomparve nel cielo.
Dovette aspettare due giorni per veder ritornare il messaggero. Con sollievo gli sentì dire che era riuscito a trovare l’esercito delle Praterie e a portargli il messaggio.
La sua allegria venne però spazzata via dopo pochi secondi da un grido roco, proveniente da una delle caverne delle sentinelle, che interruppe i suoi festeggiamenti. - Notizie dalle unità avanzate! Quattrocentomila unità imperiali, uno, massimo due chilometri da qui! Corrono!-
- Corrono?- ripeté Ardof senza capire.
- Ardof. – il ragazzo si girò, era stato Trado a parlare. – Ascolta. Io, insomma, ho fatto una promessa a Diana. Le ho detto che l’avrei sposata, però se oggi morirò non posso mantenere la mia promessa. Perciò oggi ti chiedo, se per favore, puoi essere tu a celebrare il mio matrimonio? Oggi?-


Coff…

Non ho parole.
Sono costernato.
Non riesco a capire come si possa essere così idioti.
Un matrimonio! Adesso!
Cose da pazzi…
Ma poi, perché? Perché ora, perché un matrimonio? Eccolo il mio allevamento di mosche, è nella tua testa!

La domanda colse impreparato il ragazzo.
- Perché… perché io?- balbettò quando si riprese.
- Perché ho intenzione di dare a Diana un matrimonio con i fiocchi e il meglio che posso dargli è far celebrare il matrimonio da un Cavaliere dei draghi. In oltre tu sei il mio migliore amico, sarei onorato se fossi tu a celebrarlo.-
- Con tutti i capi di stato e i nobili che sono qui tu lo chiedi a me? Sei proprio sicuro?-
- Si.-
- D’accordo, quando?-
- Prima possibile. Dimmi quando ti va bene.-
- Lo vuoi celebrare proprio adesso?! Non potevi scegliere un momento migliore che questo? Siamo stati qui per tre giorni e ora che l’esercito si avvicina ti viene voglia di sposarti!-
- Te lo detto, vorrei farlo prima di morire. Purtroppo nel villaggio in cui vivevo non c’era nessuno che voleva o poteva sposarci. Poi non avevo mai pensato di poter morire così presto ma tutto questo… mi ha fatto pensare.-
- Cercherò di fare in fretta. Dammi… dammi solo venti minuti che mi preparo e chiedo a qualcuno cosa devo dire, sai non mi è mai capitato di far sposare qualcuno.-
- A questo ci posso pensare io. – s’intromise un elfo dalla pelle scura avvicinandosi con passo felpato – Piacere, io sono Fasto e tu devi essere uno dei compagni del nostro Domatore.-
- Sono Ardof. Piacere mio.-
Mentre i due si allontanavano Trado corse da Diana per portarle la notizia.
- Ottocento metri!- urlò la vedetta sporgendosi dalla parete rocciosa e alzando la sua bandiera verso ovest.
- Oh, dei, aiutateci per favore!- brontolò Ardof alla notizia mentre tutti i soldati si schierarono davanti al muro che bloccava l’ingresso della loro caverna.

Qui la storia finirà male…
Spero solo che quegli idioti di Chiritai abbiano seguito il mio consiglio e si siano messi a costruire quello che gli ho detto, altrimenti i Budnear non arriveranno mai più qui.

- Settecentocinquanta metri! Circa duemila cavalieri! I fanti tengono il passo dei cavalli!-

Cos…?

- Perché non l’ha celebrato lei il loro matrimonio?- chiese Ardof a Fasto mentre ripeteva le frasi del rituale per l’ennesima volta.
- Perché la famiglia di Diana non voleva! Io sono soggetto al volere dei genitori degli sposi, oltre che al volere degli stessi sposi. Ora concentrati non rimane molto tempo.- in effetti erano già passati quindici minuti da quando Ardof e Trado si erano separati.
- Settecento metri!- urlò la vedetta con la voce un po’ incrinata dalla paura. Si avvicinavano troppo in fretta.
- Pronto! Via con la celebrazione.- Urlò Ardof con la fronte sudata mentre si ripeteva mentalmente le frasi che avrebbe dovuto dire davanti ai due sposi. Aveva pensava di dover aspettare la battaglia imminente rigirandosi la spada o l’alabarda tra le mani, non celebrando una funzione per un suo compagno di avventura.
Le sentinelle che fino a quel mattino avevano costellato i monti e le colline che delimitavano quella valle si riversarono dentro l’avamposto correndo, pronte a cambiarsi gli abiti leggeri con delle armature.
I due sposi arrivarono.
Diana indossava un abito celeste chiaro, il Cavaliere rosso non seppe dirsi dove l’avesse trovato, ma non aveva il tempo per trovare una risposta, mentre Trado portava la sua tuta da Domatore bianca.
- Seicento metri! Questi diavoli corrono dannatamente veloce! E non sembrano cedere!- Urlò una delle ultime vedette rimaste.

Da quanto tempo non tendevo un arco? Chissà se so ancora usarlo come una volta…

- Loreki Trado vuoi tu prendere come tua legittima sposa… Natane Diana-
- Lo voglio.-
- Cinquecento metri! Non sono umani quei cosi!- urlò la vedetta con la voce ormai roca.
Un altro scaglione di sentinelle si riversò all’interno dell’accampamento.
- Natane Diana vuoi tu prendere come tuo legittimo sposo Loreki Trado?-
- Lo voglio.-
- Che gli dei ci proteggano! Trecento metri! Arcieri, pronti! Lanciate appena vi do il segnale!- era stato un generale dei nani a dare l’ordine.
In tutto l’accampamento si sentì solo il suono delle corde che si tendevano e del legno che si piegava. Una cappa di paura calò sull’ambiente, nessuno osò muoversi dopo quella notizia terribile.
Una decina di ragazzini passarono davanti agli arcieri, arrotolando sulla punta dei dardi uno straccio impregnato d’olio per lampade. Si accesero una ventina di fiaccole.
- Con i poteri conferitomi dall’Ordine dei Domatori e dei Cavalieri io vi dichiaro marito e moglie. Loreki può baciare la sposa.- disse Ardof cercando di non farsi contagiare dal terrore che lo circondava.
- Trecento metri! Picchieri, in posizione!-
Una fila di picche si alzò da sotto il muro che proteggeva l’accampamento, erano loro la prima linea di difesa.
Fu un bacio corto, fuggente, Ardof lo vide appena, preso com’era dalla concitazione generale. Ma bastava per legittimare il matrimonio, da quel che gli aveva detto l’elfo, avevano posto la firma sul quel contratto.
Le ultime vedette si rifugiarono nell’avamposto ansimanti.

Il soggiorno nella città di mercanti non gli ha fatto molto bene… ridurre un matrimonio a un contratto…
Ma ora silenzio. Ho bisogno di concentrazione per scoccare.

Le torce infiammarono la punta dei dardi.
- Arcieri, ora!- l’ordine fu ripetuto molte volte, ognuna per una squadra diversa.
Un nugolo di dardi infuocati piovve dalle mura di pietra sull’armata nera che avanzava velocemente sulla pianura.
- Grazie Ardof.-
- Se sopravviviamo ad oggi ne riparliamo.- gli rispose il Cavaliere prendendo l’alabarda da terra.
I due cavalieri salirono sui rispettivi draghi e si accostarono a Codero che già guardava al scena impassibile mentre soppesava la sua mazza, lo sguardo dubbioso passava veloce dal martello di pietra allo smeraldo dell’elsa della sua spada.
- Benvenuti. – disse Codero spostando lo sguardo sulla macchia nera che si avvicinava – Congratulazioni Trado.-
- Quanti sono esattamente?- chiese il Domatore bianco scoccando una freccia candida verso la massa.
- Come ha detto la vedetta, più o meno. Dalle quattrocento alle trecentomila unità. La prima fila, quella che impatterà contro i picchieri, dovrebbe essere composta da duemila cavalieri e altrettanti fanti. Sono davvero troppi.-
- Trecentomila… – ripeté a bassa voce Ardof – senza i maghi di Farionim noi arriviamo a stento ai ventimila uomini, tra cui ci sono almeno diecimila soldati folletti o fate. Se non scendono direttamente gli dei, verremo schiacciati. Abbiamo bisogno dei maghi dell’oasi per avere una piccola possibilità di sopravvivere.-
- E di un miracolo.- aggiunse Codero.
- Abbiamo anche bisogno di un miracolo.- ripeté il Cavaliere rosso scoraggiato di fronte alla massa sempre più vicina.
“Ardof?” disse qualcuno dentro la sua testa. Il cavaliere non riusciva a ancora a distinguere chi lo contattasse con il pensiero.
“Si?”
“Sono Vago. Ho qui con me la cavalleria pesante… dovresti vedere i folletti cosa sono riusciti a creare con qualche talpa e un preparato alchemico. Ma lo vedrai, ne sono sicuro.”
“Vago, sta per iniziare una guerra! Avremo tempo a parlare di questo dopo. Dove siete?”
“Dove ci hai detto tu. Vediamo l’esercito che si avvicina. Spero che la tua idea funzioni altrimenti non finirà per niente bene questa storia.”
“Incontriamoci nella mischia e… Trado si è sposato.”
“Bene. Ma ce ne sarà di tempo per parlarne. Ci vediamo dopo.”
“Vedete Frida?”
“No. Speriamo arrivi presto. A tra poco.”
Non dovettero aspettare molto per sentire il clangore delle armi e i nitriti dei cavalli infilzati sulle picche. Erdost si acquattò sulle possenti zampe e prese il volo sopra all’esercito nero che si riversava nella pianura, subito seguito dagli altri due. Il quarto drago spiccò il volo da dietro una collina vicina.
Le vampate di fuoco sembravano non intimorire l’esercito del re che continuava ad avanzare scavalcando e calpestando i cadaveri carbonizzati dei compagni.
Ardof lanciò un paio di magie, ma stette attento a non perdere troppa energia per poter combattere.
Una freccia dall’impennaggio nero passò veloce di fianco al Cavaliere rosso e si andò a conficcare nel costato, precisamente all’altezza del cuore, del drago verde che cadde a terra esanime.
Il suo Cavaliere era già morto quanto si schiantarono pesantemente a terra.

Eh?!
Io l’avevo detto che tutto questo era uno sbaglio.
La battaglia è iniziata da cinque minuti e uno di loro è già morto.
Questa è la fine. Non ho speranze.
Io l’avevo detto che quel Codero era fuori posto. Povera Niena… meritavi di più tu quell’incarico…

- Scendiamo!- Urlò Vago ansante mentre il suo drago si tuffava nella mischia.
Si fermarono vicini, respingendo la massa di corpi neri e deformi che si avvicinavano sventolando le spade.
Durante la discesa Ardof riuscì appena a scorgere cinque enormi bestie, simili in tutto e per tutto alle vespe di terra, ma migliaia di volte più grandi, attaccare i soldati dell’esercito reale, mentre sotto di loro, qualcosa di enorme sembrava muoversi appena oltre la superficie.
Bastò un attimo di distrazione da parte di Trado per far avvicinare troppo uno di quegli spadaccini.
Quando il Domatore si accorse dello sbagli aveva già la spada del demone infilata tra le placche dell’armatura e la pancia squartata dall’acciaio.

Pessima scena…
E io non sono riuscito a proteggerlo. Sono riusciti a sovrastarmi…
Non credo sopravvivrà a una ferita del genere e… cos’è quello che gli sta uscendo? Vabbè, all’anatomia umana ci penserò dopo.
Dieci minuti. Dieci minuti di battaglia.

L’ultima cosa che riuscì a fare prima di perire insieme al suo drago fu mozzare la testa al suo aggressore.
- Non è possibile! – urlò disperato Ardof quando vide l’amico accasciarsi. – Vago!-
- Non ti distrarre. Siamo solo in due, ma almeno siamo due vivi. Avrai tempo per piangerli questa notte. Non credo che questi demoni possano combattere con le tenebre.-
- Si…- gli rispose il Cavaliere rosso.
“Erdost! Dieci minuti! Sono riusciti a durare dieci minuti! Te ne rendi conto? Non ci sono più speranze.”
“Ardof! Ora pensa alla battaglia. Loro hanno avuto sfortuna, o si sono distratti, pensa quello che vuoi, ma ora non importa. Io voglio ancora vivere! Quindi combatti e non ammazzarmi, hai capito? Mi sono spiegato sufficientemente bene?”
I due Cavalieri continuarono a combattere a fianco dei cadaveri dei compagni.
“Ardof!”
“Frida?”
“Si, sono con Farionim, stiamo per arrivare da nord e sentiamo già il rumore della battaglia.”
“Sbrigatevi.”
“Penso che con i maghi dell’oasi abbiamo la vittoria in pugno.”
“Non credo. E non volare, ti abbattono con le frecce.”
“Capito. Veloce e a terra.”
Ardof riferì la notizia a Vago, che ansimava pesantemente mentre la sua spada scivolava sotto le armature dei nemici.
Entrambi erano stati feriti, ma nessuno dei due Cavalieri in modo serio.
Ardof aveva le gambe ricoperte di tagli lunghi, ma non erano troppo profondi, mentre Vago perdeva sangue da un taglio profondo sul fianco, ma la lama non era andata a colpire nessun organo.
Seisten raggiunse i due Cavalieri caricando i soldati nemici e scaraventandoli contro i compagni intenti a combattere.
La Domatrice si accorse subito dei due cadaveri a terra e non poté trattenere le lacrime.
- È tutto finito! – strillò disperata. – Farionim mi ha detto che le quattro armi messe assieme posso produrre una grande quantità di energia, ma senza di loro non ci sono più possibilità di vincere questa guerra, mi capite?-
Una vampata scarlatta di Defost creò uno spazio vuoto per alcuni secondi. - Non distraetevi! – urlò Vago approfittando dell’attimo di pausa. – Siamo ancora tre. Tre su cinque. Ne riparleremo appena il sole sarà calato e, visto che è autunno, non manca molto.-
- No, non c’è più niente da fare! Non…- la Domatrice non riuscì neppure a finire la frase. Una freccia nera superò lo spazio coperto di corpi bruciati, evitò la lama di una spada che tentava di frapporsi sul suo cammino a velocità disumana e si conficcò dietro la sua testa. Nel piccolo spazio che il casco non copriva.

Questa più che disattenzione, è sfortuna. Anche se avesse combattuto come una belva, quella stramaledetta freccia l’avrebbe colpita.
Neanch'io sono riuscito ad evitarle questa fine. Non mi era mai capitato di mancare un bersaglio così facile.

Sono disperato. Il Fato mi sta crollando addosso come un castello di carte in una tempesta.
Vi dirò una cosa, ma dovrete tenervela per voi. Ho già assistito a scene del genere nella mia vita. Una o due volte. In quanto io non ho un fato predisposto davanti a me, dovrei essere in grado di muovermi liberamente nella Trama del Reale, ma nel momento in cui non riesco a fermare una freccia che sibila in aria o una spada che contro ogni maledetta legge della natura squarcia un ventre sotto un’armatura, posso trovare una sola spiegazione, erano destinati a morire. Erano destinati a morire in quel modo, in quel punto e i quel momento. Il Fato ha scritto che quella freccia si sarebbe conficcata tra la seconda e la terza vertebra e, se anche io l’avessi intercettata, un’altra si sarebbe piantata nello stesso punto.
Non riesco a capire perché mai abbiano scelto questi avanzi di accademia come templi, se erano destinati a morire in battaglia.

- Frida! – gridò Ardof – Seisten, non puoi curarla?- Ma anche la dragonessa giaceva rannicchiata per terra, sulla sella teneva ancora la sua compagna, legata alle staffe.
- Siamo nel letame fino al collo.- disse pacato Vago dopo una seconda fiammata del drago bianco.
Era stato tutto inutile, il Fato l’aveva sopraffatto. Non era stato sufficiente uccidere quell’uomo per evitare la morte di Frida. Era stato un ingenuo a pensare di modificare così facilmente il destino della sua amica.
Intanto Erdost dimenava la coda pesante, sputava fuoco e artigliava i corpi neri per non far avvicinare nessuno. Si era accorto che il suo Cavaliere non era in condizioni né di combattere, né di proteggerlo. Da quel momento doveva combattere per due.
Anche con tutti i gli sforzi del drago, il gruppo di picchieri che si era formato alla sua destra era riuscito ad avvicinarsi al suo fianco e a punzecchiarlo con le loro armi.
Una delle picche forò le squame morbide del ventre e gli trapassò uno dei grossi polmoni proprio mentre gli ultimi raggi rossi del sole scomparivano dietro la coltre della Grande Vivente.
Drago e Cavaliere urlarono il loro dolore al cielo.
Forse, però, fu proprio quel dolore lancinante che permise ad Ardof di tornare alla realtà, facendogli colpire i demoni che si erano avvicinati.
Un solo spadaccino, silenzioso, era riuscito ad avvicinarsi abbastanza al drago candido per colpirlo e stava per calare la lama sull’arteria dell’ala.
Fu in quel momento che un nano calò una grossa ascia sul dorso del demone, tramortendolo.
- Grazie!- urlò Vago nella foga, ma il nano si era già allontanato.

Ci vorrebbe qualcosa di più di un semplice grazie.
Ti ho salvato la pelle. Ricordatelo.

Dopo gli ultimi scambi di colpi i due eserciti si ritirarono nei rispettivi accampamenti.
I due Cavalieri portarono i corpi dei compagni caduti in un angolo vuoto dell’accampamento, lì scavarono tre fosse abbastanza larghe da poter contenere anche i draghi. A lavoro finito si sedettero uno di fronte all’altro, con i draghi accucciati vicino.
Ardof appoggiò il palmo aperto sul muso del suo compagno.
“Cosa vuoi fare?” chiese Erdost.
- Nava. “Dormi”- disse piano Ardof . il respiro del drago si fece regolare e i possenti muscoli si rilassarono.
- Perché lo hai addormentato?-
- Perché non voglio che senta quello che voglio dirti. Mi spiace doverti far scavare un’altra fossa da solo… una picca ha trapassato il polmone di Erdost, non posso curarlo. Il danno è talmente esteso che, se lo facessi, morirei comunque. Non ho energia a sufficienza, dopo oggi. È triste, non pensavo di morire così…- dovette tossire e sputò un grumo di sangue per terra.
- Non è incredibile come siano collegati drago e Cavaliere? Tu non sei ferito, eppure sputi sangue…-
- Già. – gli rispose Ardof pulendosi le labbra e sputando la saliva mista a sangue che ancora gli rimaneva in bocca. – Ascolta, fai quello che vuoi adesso. Mi dispiace, ma rimarrai da solo in quest’impresa. Solo, non mollare. Qualunque sia la tua scelta.-
Ardof si alzò barcollante e si sdraiò a fianco del suo drago.
- È ora?-
- Penso di si… ho questa strana sensazione che mi dice che questo è il momento di andare. Sai, ho le dita maledettamente fredde.-
- Arrivederci, allora, e buon viaggio. La prossima volta ci rivedremo in un posto migliore… spero.- gli disse ancora il Cavaliere bianco con le lacrime agli occhi, ma non ricevette nessuna risposta.
Con le ultime energie che gli rimanevano in corpo guarì il taglio che entrava nel suo ventre.
Con l’aiuto di una manciata di soldati scavò la quarta fossa e vi depose dentro i due nuovi cadaveri.
Prese quindi una lampada da una delle nicchie e si trascinò fin sulla sella del suo drago, che lasciò l’accampamento coperto dall’oscurità della notte.
I due volarono sconfortati su una rupe che dava sulla pianura scura, in cerca di solitudine.
Defost arrotolò la lunga coda sinuosa intorno al suo compagno di volo, scaldandolo con il ventre caldo.
Non si permise nessuna battuta, non fece commenti. Non era quello il momento.
In quel giaciglio Vago pianse tutte le sue lacrime e urlò al mondo il suo dolore.
Drago e Cavaliere rimasero fermi, finché la luna non arrivò sulla sommità del cielo e la pianura non fu piena della sua luce argentea.
Il Cavaliere bianco alzò lo sguardo arrossato e appoggiò una mano sul fianco squamoso del suo drago. Non era riuscito a chiudere occhio quella notte, pur sapendo che facendo così il giorno dopo sarebbe morto.
Dava la colpa al Fato, per aver previsto una fine così ingloriosa per i suoi compagni, dava la colpa ai suoi amici per non aver combattuto meglio, dava la colpa all’Accademia, per aver perso tempo ad insegnargli a vincere un duello ma non una guerra, dava la colpa a se stesso, perché non era riuscito nemmeno a proteggere chi gli era vicino.
- Che storia è mai questa? Perché il Fato, lo scrittore della mia vita mi ha affibbiato un finale così terribile? Di solito non sono i buoni a vincere?-
“Se è davvero una di quelle storie… il re è il buono e noi siamo i cattivi. Tu sei sicuro che il re voglia davvero eliminare tutte le razze? Magari vuole creare un impero in cui tutti si possano considerare uguali senza distinzioni tra le razze.”
- Defost, io credo nelle mie idee e in quel... quella sensazione. Te l’ho già detto, è come se sentissi che quello che faccio è giusto. Che sono io il buono. Ma adesso non so più cosa fare. Cosa farebbe gli altri al posto mio?-
“Non lo so e non lo saprò mai. La tua sensazione non ti dice qual è la prossima cosa da fare?”
"No. Ma né continuare questa guerra da solo né scappare mi sembrano la soluzione giusta… Perché sono rimasto vivo proprio io? Non sono né il più forte, né il più bravo, né il più veloce. Sono intelligente, questo è vero, ma non è con il cervello che si vince quando si sta combattendo. Eppure sono l’ultimo che respira.-
“Non lo so, Vago. Magari dobbiamo terminare anche noi il nostro volo in battaglia, come hanno fatto i nostri compagni.”
"Defost… noi siamo burattini della storia. Non c’è altra spiegazione. Guardaci, gli eventi ci colpiscono e noi non abbiamo il potere di opporci-
“Ma questo non ha senso! La storia è inanimata! Sono le persone che la creano!” protestò il drago.
- Defost, siamo noi la storia! Forse proprio per questo c’è ancora una possibilità per la nostra storia. - disse calmo Vago, come se si fosse dimenticato di tutto quello che era successo.
“ Se pensi di incendiare l’accampamento nemico di notte cambia idea. Hanno troppe sentinelle e non riusciremmo a fare più di una decina di morti.”
- No… Pensavo a qualcosa molto più in grande. Quello che ho in mente è molto più complesso… E pericoloso. Pensi che potremmo farcela?- Il Cavaliere bianco guardò il suo drago in uno dei profondi occhi color ghiaccio.
“È molto più che pericoloso. Credo di conoscere già il finale di questa storia. Sei sicuro di volerlo davvero fare?”
- Defost, non credo che ci si ripresenterà un’occasione come questa. È un’opportunità come te, un’opportunità defost, unica al mondo. Sono sicuro che questa è la nostra strada.-
“Se la tua sensazione ti dice che è la cosa giusta da fare sono con te. Ho fiducia nelle tue decisioni.”
- Grazie Defost. Mi fa piacere avere il tuo appoggio. Allora…-
Vago prese il Libro del Fato dalla sella del drago candido e se lo posò sulle gambe incrociate, poi con la spada appuntì un bastoncino raccolto da terra. Infine si fece un taglio sull’avambraccio sinistro in modo da farne uscire del sangue, ma non troppo. Non voleva morire dissanguato prima di aver finito quel che si era prefissato di fare.
- Vediamo se ne sono ancora capace di inventare qualcosa di decente…- si disse il Cavaliere tra se e se.
Prese un profondo respiro e intinse la punta del ramoscello nel sangue vermiglio che usciva lento dal taglio.
“Facciamo questa pazzia.” Disse ancora Defost.
Mise un rametto alla fine dei capitoli che parlavano della vita dei suoi compagni e cominciò a scrivere la continuazione del loro destino, riprendendolo dalla loro caduta in battaglia e cercando di infondere più energia magica possibile in ogni parola. Quando il suo fisico rischiò di cedere Defost gli diede le proprie forze, in modo da permettergli di finire quel compito che si era imposto e che probabilmente sarebbe stato l’ultimo.
Drago e Cavaliere continuarono a lavorare fianco a fianco per tutta la notte, sostenendosi a vicenda.
Finalmente il sole mattutino sorse tra le vette già innevate dei Monti Muraglia, illuminando quattro Cavalieri e quattro draghi rigidi disposti davanti a Vago, che li osservava soddisfatto. Quelli erano i loro corpi, presi dalla magia dai loro sepolcri e sostituiti con dei miraggi per non fare entrare nel panico i soldati.
Il Cavaliere aveva quasi finito il suo compito e con questo le sue energie. Gli mancava un solo punto per terminare l’inizio del loro nuovo destino, il resto si sarebbe poi scritto da solo.
Prese un ultimo respiro dell’aria frizzante del mattino e girò lo sguardo sulla sagoma ansante del suo drago.
Un ultima scarica di mana riempì il suo corpo.
Pose gli ultimi punti, ammirando così il risveglio dei suoi compagni con le sue ultime forze.

Sono esausto. Riesco a stento a mantenere la forma di ramoscello.
Ho avuto fiducia in te, ragazzino. Spero di non averla riposta male…
No! Non ora! Vi prego, non sono nelle condizioni di sopportare un viaggio del genere!
Guardatemi! Sono al limite!

Chiuse il libro e sentì Defost mugugnare mentre spostava l’enorme testa a fianco del suo compagno di volo, che gli posò la mano candida sul muso squamoso. Il rametto che fino ad allora aveva utilizzato per scrivere semrava essergli sparito dalle dita, ma il Cavaliere non ci fece caso.
Se ci poteva essere un bel finale in quel momento, per loro, era quello, terminare la propria storia da veri compagni di viaggio e di vita.
Come un vero Cavaliere e un vero drago.

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Capitolo 32
*** Capitolo 31: La Volta ***


 Un lunghissimo corridoio bianco, accecante. Non si riusciva a distinguere nulla, se non un puntino ancor più luminoso in lontananza.
Codero si guardò intorno, spaesato, per poi far ritornare il suo sguardo su Marfest. Gli cadde un lacrima, che si perse nel bianco del pavimento.
“Quindi anche i fantasmi piangono.” Si disse il Cavaliere.
Erano morti. Non avrebbero più potuto combattere, non avrebbero più potuto gioire per la vittoria né piangere la sconfitta dei suoi alleati. Erano morti. Morti e soli in quello sconfinato candore senza più poter far niente per le Terre e per i loro abitanti.
Un lampo giallo infranse la calma glaciale del luogo. Il fantasma del Cavaliere verde dovette socchiudere gli occhi. Per il cambio di luce improvviso.
Trado e Reicant apparvero improvvisamente a fianco del Cavaliere.
Il Domatore aveva il volto pallido quasi paragonabile alle squame candide del drago che ancora cavalcava.
- Siamo… siamo morti?-  il ventenne tremava.
- Sì, siamo morti. Non siamo riusciti a portare a termine la nostra missione. Non siamo stati all' altezza del compito che gli Dei ci hanno assegnato.-  
Reicant mugugnò.
- Ci siamo solo noi? Nel senso: fino ad adesso Ardof, Frida e Vago sono ancora vivi, vero?-  
- Sì, per adesso siamo morti solo noi quattro, del gruppo.-  
Di lì a poco si materializzarono vicino a loro anche Seisten e Frida. La ragazza ebbe alcuni fremiti, poi si accasciò sulla sella della dragonessa, che portava ancora le macchie di sangue del battaglia, e cominciò a piangere, pianse per la propria morte, pianse per quella degli amici, pianse per ciò che lasciava.
Si erano appena arresi all’idea di essere morti, quando anche Erdost e Ardof si unirono al gruppo di spiriti. Erano stranamente calmi, coinvolti in una serena rassegnazione.
In quel momento una voce melodiosa richiamò la loro attenzione, proveniva da un punto preciso, quello più chiaro rispetto al resto del paesaggio.
I quattro draghi avanzarono, seguendo la melodica voce, ogni loro passo era incerto su quel pavimento indistinto.
Tutti i Cavalieri erano seduti dritti sulla sella, intenti ad ascoltare la melodia che quella voce celestiale stava tessendo per loro.
Perfino gli occhi di Frida avevano smesso di lacrimare, tanto la Domatrice era rapita da quel suono che chiamava i quattro ventenni a se.
Tutt’a un tratto il candore intorno a loro svanì e il paesaggio cambiò in modo radicale.
Erano entrati in un parco, pieno di fiori colorati ed alberi rigogliosi. Sopra di loro si stendeva un cielo azzurro rischiarato da un sole estivo. Un luogo talmente bello che era impossibile paragonarlo a una zona delle Terre.
Erano nel giardino dove tutte le anime, una volta morte sulla terra, andavano ad abitare.
Davanti a loro si apriva un arco bianco.
I quattro ventenni lo superarono, entrando così nella Volta degli Dei.

Oh! Dei del cielo! Pietà…
Avessi uno stomaco vomiterei…
Uhm… Mai più. Non farò mai più una cosa del genere.
E ora cosa vorranno da me?
Non riesco nemmeno a cambiare forma! Sono confinato allo stato di bastoncino appuntito!

Lo spazio era occupato da un lungo tavolo, a cui erano sedute dodici figure dai tratti unici. Avevano le sembianze di sei uomini e sei donne, e uno degli uomini teneva le quattro braccia incrociate sul torace.
- Benvenuti. – esordì l’uomo in tono amichevole, appoggiando le quattro braccia sul tavolo. – Benvenuti nella Volta degli Dei, la Volta Celeste. Lasciate che mi presenti: io sono il Fato, dominatore del destino e, se vi interessa, protettore del vostro compagno Vago, che non è qui con noi.-

Ancora per poco…

I quattro Cavalieri fecero per inchinarsi, ma vennero fermati prontamente dal Fato. - Lasciate stare i convenevoli. Voi siete importanti quanto noi, poiché mentre noi controlliamo l’elemento immateriale voi possedete quello materiale. Quindi non c’è bisogno che vi inchiniate a noi.-  
Gli altri dei ripresero a presentarsi, uno alla volta.
- Sono Terra e Codero, ho scelto te come mio tempio. Avrai sempre la mia protezione.-  il dio sembrò avere un istante di esitazione, ma si riprese subito.
- Io, invece, sono Fuoco. Ardof, tu potrai sempre contare sul mio aiuto e sulla mia forza.-  
- Tocca a me. Frida, io sono Acqua. Sono io la tua protettrice. Non temere, perché io ti proteggerò sempre.-  
- Ed infine ci sono io. Sono la dea Aria. Trado, sono fiera di essere la tua protettrice.-  
- Poi ci siamo noi. – disse una dea bellissima, la sua voce era uguale a quella che aveva guidato i ventenni fino alla Volta – Siamo gli dei del Creato. Io sono Natura, lui è Spazio e lui il suo gemello Tempo, lei è Oscurità, lei è Luce, lui è Ordine ed infine lei è Caos. Siamo tutti onorati di conoscervi.-
- Bene. – riprese il Fato alzandosi dal suo scranno – ora che ci siamo presentati arriverò diritto al dunque, poiché il tempo potrebbe non bastarci. Dovete assolutamente sapere che, quando arriverà la resa dei conti, noi saremo al vostro fianco. Nel bene e nel male.-
Frida aveva di nuovo gli occhi arrossati - Ma siamo morti! Oramai abbiamo tutto il tempo del mondo! Non ci sarà nessuna resa dei conti per noi, siamo morti, stecchiti! L’unica cosa che potete fare adesso è appoggiare Vago!-  

Giusta osservazione.
In casi normali.

Il Fato allargò le mani davanti a se e girò la testa verso l’alto con gli occhi chiusi. Quattro sfere di diverso colore si plasmarono sui palmi aperti, per poi andarsi a mescolare sopra alla superficie del tavolo. Si formò un disco piatto in cui si distingueva bene la figura di Vago.
Il Cavaliere aveva il libro del Fato aperto sulle ginocchia, gli occhi stanchi e infossati, il braccio sinistro stretto contro il ventre e il filo della spada sporco di sangue vermiglio.
- Questo cosa vuol dire?-  chiese Codero senza distogliere lo sguardo dallo specchio.
- Voi ricordate solo quello che vi abbiamo detto. Ora andate e liberate le terre.-
I quattro Cavalieri e i rispettivi draghi si sentirono come afferrati da una forza invisibile e trascinati fuori dalla Volta degli Dei, dal parco, dal corridoio candido in cui si erano svegliati.
Ritornarono così sulle Terre.

“Proteggili.” Disse il Fato.

Ho altra scelta?

“Non te ne pentirai.”

Ripeto, ho altra scelta? Forza, ora rispediscimi all’inferno.

Che sensazione disgustosa… Non ci farò mai l’abitudine. 

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Capitolo 33
*** Capitolo 32: Scambio ***


Quando Ardof si avvicinò al Cavaliere bianco, morente a terra, Vago lo spaventò voltando la testa e riuscendo ancora a sillabare: - Spero di non essermi ridotto così per niente… spero ci rivedremo… magari non troppo presto.-
- Non ti deluderò. Nessuno di noi ti deluderà. E la prossima volta che ci rivedremo sarà per davvero in un posto migliore.- rispose Ardof, mentre teneva la mano al moribondo.
- Allora mi hai ancora sentito…- un flebile sorriso si disegnò sul volto di Vago poco prima che il Cavaliere spirasse.
Frida si avvicinò piano ai due Cavalieri e mise la mano sulla spalla di quello rosso, facendolo sobbalzare.
- Ragazzi, Vago ci ha dato un’altra opportunità. Non possiamo sprecarla.- disse Ardof voltandosi. Gli altri tre Cavalieri annuirono.
Che altro potevano fare o dire?
- Cosa pensi di fare?- chiese Trado ancora tastandosi il ventre per accertarsi di essere vivo.
- Dobbiamo andare alla Rocca delle Due Razze e far fuori il re. Ho paura che questo sia l’unico modo per fermare tutto questo senza ripetere la stessa esperienza.- rispose il Cavaliere rosso alzandosi.
- Tu la fai sembrare una cosa semplice! Siamo quattro ragazzini, in confronto al re, come facciamo a ucciderlo nel bel mezzo di una guerra?- sbottò Codero.
- Ha ragione, Ardof. – disse da dietro Frida – E poi se proviamo a entrare nel palazzo andremo incontro a guardie, trappole e al re in persona. Pensaci, se il re può far combattere questi diavoli chissà cosa può fare a noi.-
- Noi però saremo preparati a tutto. Allora, chi di voi è con me in quest’avventura?-
Trado si fece avanti - Per Vago.-
- Per Vago.- concordarono gli altri.
- Ragazzi. - Trado interruppe l’ondata di temerarietà – Forse, e dico forse, sarebbe meglio se prima ci facessimo vedere vivi e vegeti dagli alleati. Un po’ di fiducia in più non credo gli faccia male.-
- Mi sembra un’ottima idea.- concordò Codero.
- Sempre se non scapperanno spaventati…- aggiunse Ardof.

L’accampamento era dominato dal nero. Tutti, uomini e donne portavano veli e fazzoletti neri in segno di lutto. La massa procedeva lenta verso quattro grossi buchi. Ognuno, arrivato il suo turno, bisbigliava qualcosa e gettava una manciata di terra in ognuna delle fosse.
Quando i quattro draghi fecero il loro ingresso nell’accampamento ci fu un unico grande strillo collettivo.

Per poco qualcuno non cadde in una delle fosse e, se quella fosse stata un'occasione qualsiasi, sarebbe anche stato divertente.

- Tranquilli, - Ardof alzò la mano per farsi vedere – siamo noi e siamo di nuovo vivi.-
La folla ebbe un fremito. Gli sguardi passavano velocemente dalle otto sagome all’ingresso alle fosse.
- Vago, – continuò Ardof alzando la voce, mentre Trado e Codero alzarono il corpo freddo del ventenne per renderlo meglio visibile – ci ha dato la possibilità di vincere ancora questa guerra.-
La folla si divise. Ognuno tornò alla propria occupazione senza guardare gli estranei, chi continuò la sua processione, chi si andò di nuovo a sdraiare nella sua cuccetta in attesa del prossimo attacco da parte dei demoni.
- Non mi aspettavo proprio questo…- disse Ardof a bassa voce, in modo che solo i suoi compagni potessero sentirlo.
- Cosa vuoi farci, Ardof? Credono che siamo fantasmi, o buffoni travestiti, a giudicare dalla loro ultima reazione.- gli rispose Frida con lo stesso tono.
- Frida ha ragione, amico. Perfino io faccio fatica a credere di essere di nuovo vivo e vegeto dopo aver assaggiato una spada e visto i creatori.- concluse Trado tastando con le dita il punto in cui la spada lo aveva trafitto durante la battaglia.

Non è rimasta nemmeno una cicatrice. Se Vago fallisse come Cavaliere può comunque diventare un ottimo chirurgo plastico.

Quando finalmente la folla in lutto si fu dispersa, i quattro poterono avvicinarsi alle fosse.
Dentro ognuna di queste, uno dei quattro draghi giaceva raggomitolato e, sopra la sella, era posta la salma del suo Cavaliere.
Ardof si fissò sconcertato, era una sensazione strana vedersi morto in una fossa, coperto dalla terra.
Provò ad allungare una mano verso il suo viso, ma un fuoco bianco divampò nella fossa, cancellando qualsiasi cosa dalla vista. Quando l’incendio fatuo si spense, nel buco rimasero solo la sua arma elementare, Pyra nel suo fodero incrostato di sangue e una squama rossa persa da Erdost.
Il ragazzo capì che era successo qualcosa di simile alle altre salme dalle espressioni sconvolte dei suoi compagni d’avventura.
Scese agile nel buco e raccolse i tre oggetti.
- Sentite, credo dovremmo onorare in qualche modo Vago. Dopotutto è stato lui a darci questa seconda occasione.- disse dopo essere uscito dalla fossa, aver legato il fodero di Pyra alla cintura, messo l’alabarda nella sella del drago e infilato la squama in una delle bisacce più piccole.
- Ho un’idea! – esclamò Frida dopo qualche attimo di silenzio – mettete i loro corpi in una di queste fosse. Su forza!-
I tre ventenni fecero come aveva detto. Frida riempì la buca d’acqua e la congelò, Trado grazie all’aria sollevò il blocco. Ardof infine con il fuoco modellò il ghiaccio in modo che il corpo del drago e quello del Cavaliere sembrassero sempre in movimento. Infine Codero, con un lungo incantesimo, eresse quattro statue identiche ai quattro Cavalieri di nuovo vivi che sorreggessero la bara.
- Direi che così va bene.- disse asciugandosi la fronte il Cavaliere verde.
- Sei decisamente un’artista.- concordò Trado ammirando il suo volto pietrificato.

 

 

 

Angolo dell'autore

Ehilà, gente.

Finalmente dopo 33 capitoli mi faccio vivo.

Permettetimi di presentarmi per bene.

Salve a tutti, sono Vago. No, non quello morto, quello dietro la tastiera.

Innanzi tutto voglio ringraziare tutti quelli che mi hanno sopportato fin'ora e che sono arrivati a leggere queste righe.

Purtroppo ho un annuncio da farvi. No, no. State tranquilli. la storia finirà, tant'è vero che ho già il capitolo finale pronto da pubblicare.

Dicevo, purtroppo per impegni vari mi è diventato difficile mantere la pubblicazione del capitolo giornaliera, per questo domani probabilmente non vedrete il Capitolo 33.

Cercherò comunque di pubblicare ogni due o tre giorni, non preoccupatevi.

Bene, grazie per essere arrivati fino a qui e buona lettura!

Vago passa e chiude.

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Capitolo 34
*** Capitolo 33: I draghi ***


 - Trado… sei proprio tu? I miei occhi non si stanno prendendo gioco di me?-  
- Diana?!-  Trado si girò indietro di scatto con gli occhi lucidi dalle lacrime.
Quando l’elfo provò ad abbracciarla lei si scostò un poco.
- Cosa succede?-  chiese allarmato il ventenne irrigidendosi.
- Ma… sei proprio tu? Cioè, io ti ho visto morire, ti ho visto morto! Ho visto con i miei occhi il tuo corpo senza vita in una di quelle fosse! Non puoi essere tu, non puoi essere qui!-
- È una lunga storia, ti basti sapere che è grazie a Vago se sono qui. Vivo e vegeto.-
- Non sei quindi un fantasma che mi perseguiterà per tutta la mia vita?-  chiese avvicinando una mano tremante al petto del marito.
- Ti perseguiterò di certo, ma da vivo. Ascoltami, ti assicuro che sono vivo. Toccami!-
A quel punto il volto dell’elfa fu rigato da copiose lacrime. La giovane si gettò tra le braccia del neo-marito.
In quel momento Ardof si sentì davvero solo. L’unica ragazza per cui si era preso una cotta era al suo fianco e lui non aveva nemmeno il coraggio di confessarglielo.
- Trado… non possiamo vincere, le truppe reali sono troppe. Non possiamo vincere in nessun modo… siamo pochi… ci mancano le armi.-  la voce dell’elfa era rotta dal pianto.
I cinque ventenni si disposero in cerchio in modo che ognuno potesse vedere gli altri.
- Cosa facciamo, adesso? – chiese preoccupato Codero – Le guerre si vincono con gli uomini e noi ne abbiamo ben pochi. Anche se avessimo una strategia incredibile il Loro numero ci sopraffarebbe comunque. Non possiamo vincere così, in queste condizioni disastrose.-  
- Beh, se ci fiondassimo al palazzo reale e facessimo fuori il re finirebbe tutto.-  ripeté Ardof sperando che adesso gli dessero ragione.
- Di nuovo, – disse Frida – Ardof, oltre a tutto quello che ti abbiamo detto prima, sai che se anche noi riuscissimo ad uccidere il re le sue truppe farebbero fuori i nostri alleati. Li travolgerebbero come una valanga. Siamo già stati fortunati che loro non hanno approfittato della nostra morte e della notte per attaccare.-

Loro di qua, loro di là. Voi non sapete nemmeno chi sono i veri Loro. Quindi non pronunciate quella parola in mia presenza.

- Allora che facciamo?-  domandò Trado stringendo a se Diana, che ancora piangeva.
- Dobbiamo trovare un’arma, o un alleato, o qualunque altra cosa che potrebbe darci giusto quel di vantaggio che ci permetterebbe di vincere.-  continuò Ardof.
- Alleati non credo proprio. Abbiamo già riunito tutte le popolazioni possibili e non credo che ce ne siano altre disposte ad aiutarci.-  gli rispose Trado.
- Non è proprio vero. Una soluzione c’è.-  disse Codero.
- Qual è questa soluzione?-  chiese Frida quasi sarcastica.
- Dovremmo compiere lo stesso gesto che compirono Farionim, Drake e Nestra, quasi cinque anni fa.-  concluse il Cavaliere.
- Davvero pensi che i draghi ci darebbero il loro appoggio?-  chiese sgranando gli occhi Ardof. Non aveva mai neppure sfiorato un’idea del genere.
- Secondo me sì. Dopotutto incarniamo il loro patto.-  
- Va bene. Ardof, Frida. Io penso che sia l’unica cosa sensata da fare.-  disse Trado accarezzando Diana.
- Aspettate, aspettate solo un attimo. Se Trado va, verrò anch’io. Non voglio perderlo, non di nuovo.-  la voce di Diana non era altro che un sussurro.
- Immagino che non abbiamo alternative.-  commentò Ardof un po’ seccato.
I tre elfi e i due umani salirono sui draghi. Poco dopo spiccarono il volo verso l’Isola dei Draghi.
Intanto Ardof lasciò un messaggio magico ai comandanti, in cui gli diceva di evitare di esporsi, di difendere solo l’avamposto e cercare di sopravvivere per il più lungo tempo che gli era possibile.
Erdost tremava entusiasta all’idea di incontrare i veri draghi selvatici, i suoi simili.

Viaggiarono per quattro giorni fermandosi solo per cacciare e lasciar riposare i draghi.
Al quinto giorno, i cinque ventenni sorvolarono il gorgo del leviatano, un immenso vortice che smuoveva le placide acque vicino alla costa del nuovo continente con una forza devastante.
Si fermarono solo a notte inoltrata.
Per sostenere i draghi, i Cavalieri gli dovettero dare la loro forza.
I nove, ormai esausti, si accamparono nella prima radura dell’isola che riuscirono a trovare.
Erano alle pendici dell’enorme vulcano che padroneggiava il paesaggio. Poteva essere alto poco meno dell’immenso Flentu Gar.
Ardof si distese a fianco del suo drago, sentendo ogni muscolo del suo corpo dolergli per la cavalcata forzata degli ultimi giorni.

Oh, poverino. Sei rimasto seduto su una sella per dei giorni. Immagino che non potrai mai più riprenderti da questa esperienza.
In fondo, cosa vuoi che sia per una mosca volare per cinque giorni alla velocità di un drago?
Si, ho detto mosca. Nonostante siano un’accozzaglia di imbecilli si sarebbero accorti pure loro che un uccello li sta seguendo da più giorni. Gli insetti sono più discreti, quantomeno.

“Allora, Erdost. Sei eccitato all’idea di incontrare i tuoi simili?” domandò Ardof pur conoscendo la risposta.
“Si, si! – il ventre del drago sfregiato sobbalzò – Da quando sono uscito dall’uovo ho solo conosciuto bipedi e altri draghi legati a Cavalieri. Come vivranno i draghi selvatici su quest’isola?”
“Non ne ho la minima idea. Speriamo siano ben disposti.”
- Ragazzi! – Frida con una nota abbastanza accentuata di preoccupazione e paura nella voce. – Abbiamo un grosso problema. Guardate!-  
Il ragazzo si avvicinò all’amica e guardò nella direzione in cui indicava. Per un attimo rimase inebriato dal profumo dei suoi capelli, ma ritornò subito alla realtà quando vide cosa gli stava capitando sotto i suoi occhi sgranati.
Davanti a lui una colata di lava incandescente correva rapida verso l’accampamento.
- Diana! – urlò Trado – Sali su Reicant!-  
Dopo innumerevoli inutili suppliche la ragazza si arrese e fece come le aveva detto il marito.
- Codero, riesci a fare un canale intorno a noi?-  urlò Frida portandosi dietro la propria dragonessa.
Il ragazzo si mise all’opera, gli altri tre ragazzi con l’aiuto dei draghi crearono una barricata di terra tra loro e la lava rovente.
La lava arrivò, ma non si fermò nel canale e nemmeno davanti alla muraglia che misurava quasi quanto un uomo. Saltò come se fosse un’animale davanti a un ostacolo.
Ardof non sentì caldo, dopotutto era refrattario al fuoco, ma tutt’intorno a lui l’erba ingialliva e i suoi compagni sarebbero morti di sicuro se non avessero usato la magia per proteggersi dalla colata che procedeva senza dar segno di volersi fermare.
Poco prima che l’onda di lava investisse i quattro Cavalieri, i draghi rimasti a terra ringhiarono, come avrebbero fatto con un predatore che li avesse minacciati.
Incredibilmente la colata si fermò, come se si fosse scontrata contro una barriera invisibile.
“Cosa avete fatto? Come ci siete riusciti?” domandò Ardof con il cuore che batteva a mille.
“Niente? Io… noi abbiamo solo ringhiato?” Erdost non sapeva come potesse essere successo tutto ciò.
La lava sfrigolò e si divise in molte pozze ribollenti. Ogni pozza cominciò a muoversi, acquistando una consistenza e una forma, quando il processo terminò, davanti ai quattro Cavalieri, si alzò un gruppo infinito, un esercito di animali fatti di fuoco liquido molto simili, per l’aspetto, ai cavallucci marini che popolavano i mari del vecchio mondo.
Ardof sentì una forza immensa trascinarlo indietro, come quando Vago li aveva riportati sulle terre, ma non così poderosa.
La sua mente, i suoi pensieri, furono trascinati fuori dal corpo del Cavaliere e portati nella fiamma guizzante che illuminava la mente cavernosa del drago sfregiato.
Attraverso le orecchie di Erdost il ventenne riusciva a sentire, e soprattutto capire, i sibili e gli schiocchi che il cavalluccio in testa alla colonna emetteva muovendo appena il becco.
- Chi siete?-  chiese.
- Cavalieri. Non veniamo per far del male alla vostra razza.-  rispose Marfest.
- Da dove venite?-  chiese il cavalluccio di fuoco continuando il suo interrogatorio.
- Siamo qui per volere dell’ordine dei Cavalieri e dei Domatori.-  continuò Marfest.
Ardof si chiese se fosse il drago a parlare o, invece, le parole arrivassero dal suo Cavaliere.
- L’ordine… non è un nome nuovo alle mie orecchie, ma non riesco a collegarlo a niente di conosciuto.-  continuò il cavalluccio dimostrando una notevole cultura che il Cavaliere rosso non gli avrebbe mai attribuito.
- Vennero qui, cinque anni fa, due umani e un’elfa, per stipulare un accordo tra le razze dominanti delle terre e i draghi.-  spiegò Ardof.
Sentire i suoi pensieri prendere forma con la voce del suo drago gli diede una strana sensazione.
- Si, certo. Ora ricordo. Ma perché vi mandano da noi? I patti li abbiamo mantenuti, per quel che ne so.-
- Nelle nostre terre si sta svolgendo una guerra sanguinosa. Abbiamo radunato un esercito per fronteggiare il re, ma stiamo perdendo e non possiamo far altro che posticipare la fine della libertà delle popolazioni dell’est.-  rispose Trado.
- Da quando i bipedi hanno un re? E perché dovreste combattere una guerra? Ma io non ho le basi per giudicare. Vi chiedo di seguirmi, la regina è più informata e saggia di me e saprà dare un senso al vostro viaggio.-  i cavallucci ripresero la forma di una colata che, invece di colare verso valle, risalì il pendio per poi gettarsi di nuovo nella bocca del vulcano.

E dire che pensavo di essere io la cosa più strana in circolazione.
Vabbè, dovrò inventarmi qualcosa per riprendermi quel titolo.

Mentre i tre draghi seguivano l’unico cavalluccio che aveva mantenuto la sua forma, quello con cui avevano parlato, Reicant atterrò planando sulle ali candide e si accodò alla processione.
- Questa sarebbe l’entrata?-  chiese Trado sul bordo del cratere.
- Cosa vuoi che sia? Abbiamo visto città con entrate nascoste nelle caverne naturali, sotto delle botole mimetizzate, dentro un lago protetto da un guardiano. Un vulcano non è poi così spettacolare, dopotutto.-  Seisten e Frida entrarono in picchiata nella bocca del vulcano.
- Io i miei tre anni li ho passati in una città fortificata nel bel mezzo del nulla.-  Ardof si piegò contro la sella per non essere sbalzato via dal vento che lo circondava durante la caduta ad ali chiuse.
Di nuovo ringraziò la visiera dell’elmo.
Buio, buio e solo buio. Dopo quella che sembrò un’eternità i ventenni riuscirono a scorgere un bagliore rossiccio, in lontananza.
La discesa durò ancora molto, anche se i draghi avevano rinunciato alla planata e si stavano gettando in picchiata verso il loro destino, o l’oblio.

Ognuno poteva pensare quello che voleva.

Finalmente le possenti zampe dei draghi toccarono terra, o meglio toccarono un pavimento nero di roccia vulcanica che riportava vistosi solchi, probabilmente creati dai draghi che nel tempo avevano spiccato il volo.
“Questo posto fa un certo effetto.”
Il drago sfregiato non rispose, immerso com’era in quell’ambiente incredibile.
Gli artigli degli animali ticchettavano sulla pietra scura creando una cacofonia rimbombante in quella camera spoglia.
Dopo qualche secondo di stordimento l'attenzione di Ardof fu richiamata dal drago di fuoco.
- Se volete seguirmi, la sala reale è da questa parte. Vi prego di non attardarvi poiché vi sono molti corridoi all'interno di questo vulcano e senza la giusta istruzione chiunque potrebbe perdersi e non ritrovare mai più la strada per l'esterno. Venite da questa parte.-  
- Ma guarda che bella notizia. Tanto vale che ci annunciasse anche che tra qualche minuto ci sarà un'eruzione e saremmo proprio a posto.-  commentò Frida con un filo di voce.
- Infatti è così.-  rispose comunque il cavalluccio. L’elfa sentì bene la freddezza della voce dell’animale di fuoco attraverso le orecchie della dragonessa.

Per chi fosse così poco interessato all’arredamento da chiedersi se quel… coso di lava stia scherzando o meno, posso essere utile. Non sta scherzando, le pareti di questo posto si stanno scaldando e probabilmente tra qualcosa come mezz’ora la popolazione mondiale di cose bruciacchiate salirà di qualche unità.

Ardof riusciva a malapena a capire cosa lo circondava, la sua mente era completamente concentrata nel camminare e nel rimanere bene in contatto con le orecchie di Erdost per sentire cosa diceva il cavalluccio di fuoco, che avevano scoperto essere una varietà particolare di drago di quel preciso vulcano.
Percorse gli interminabili corridoi per quella che gli parve un’intera giornata. Ogni angolo, svincolo, bivio, incrocio, diramazione e grotta sembrava identica alla precedente. Ad Ardof sembrava impossibile che il vulcano potesse contenere tutti quei cunicoli.
Le pareti vennero scosse da una violenta esplosione che andò scemando in pochi secondi.

Ecco a voi l’eruzione. Che vi avevo detto?

Finalmente i cinque ventenni videro un bagliore diverso da quello che splendeva nel corpo del drago di fuoco, questo era più chiaro, quasi rosato, ed era fisso in fondo al tunnel.
Ci volle comunque molto per arrivare alla fonte di quel chiarore, una sala le cui pareti erano completamente avvolte da un incendio rosato, con cui solo la splendente Izivay Magnea della capitale nanica poteva competere in bellezza.
Ma la sala non era l’unica cosa splendida che si presentò al gruppo. Seduta su un trono d’oro e d’argento rispendeva di luce propria una donna, altera, dai capelli neri e gli occhi di ghiaccio. Tutti, uomini e donne, umani ed elfi, rimasero affascinati davanti a quella figura.
- Benvenuti a El Terano, Il Cuore di Fuoco. Questa è la capitale dell’Isola dei draghi.-  
- Lei… lei è Nestra? La diplomatica?-  chiese balbettando Codero, schiacciato dalla figura che gli era davanti.
- No, io non sono la savia Nestra. Ella partì con il drago ramato Feran con i suoi compagni. No, io sono Fariuna, sono la regina dei draghi, o, per lo meno, di quelli che voi definite selvatici.-  
- Scusi… – quando gli occhi azzurri si spostarono su Diana questa ebbe un attimo di esitazione – perché i draghi hanno scelto come loro regina un’umana? Se non le dispiace dircelo, naturalmente.-  
- La tua osservazione è giusta, giovane elfa, ma non bisogna mai credere alle apparenze. – Fariuna sorrise mostrando due piccole zanne al posto dei canini – Il vostro sconcerto è giustificato. Quando vennero i vostri diplomatici a contrattare con la nostra razza eravamo contrari, non ci fidavamo delle loro intenzioni. Poi la savia propose un accordo che avrebbe messo tutti in una posizione privilegiata, noi fornivamo alla vostra Accademia qualche uovo e, in cambio, i vostri diplomatici evocarono un incantesimo, ci diedero la possibilità di assumere la forma umana, più piccola e comoda.-  
- Regina, - Ardof per la prima volta osò parlare davanti a quella bellissima falsa umana – nelle terre si è scatenato un grande male: il re eletto dagli umani e dagli elfi è impazzito e vuole sottomettere tutte le popolazioni, noi abbiamo tentato e stiamo ancora tentando di difenderci ma i suoi soldati sono troppi. Probabilmente quando avrà sottomesso le terre si dirigerà qui, quindi vi chiedo, regina, di aiutarci in questa nostra impresa.-  il ventenne decise di ingigantire la situazione per rendere la regina più ben disposta nei loro confronti. Dopotutto erano in guerra e lui non poteva permettersi che la sua coscienza li potesse far uccidere di nuovo, avrebbe avuto tutto il tempo che voleva quando la situazione si fosse risolta per fare i conti con i suoi
rimorsi.

Vai subito al dunque, vero?
Tra l’altro mi sembra tu abbia fatto un minestrone di tutte le scuse che usò Vago negli altri regni.

- Ne parleremo… ne parleremo e avremo tempo a discuterne. Ma per il momento siete miei ospiti, questa sera riposatevi e domani ragioneremo sulle possibili soluzioni per la vostra situazione.-  detto ciò Fariuna si alzò e, a passo spedito, si avviò per un corridoio laterale.
Su intimazione del drago di fuoco i cavalieri la seguirono.
Quella sera si tenne un banchetto in una delle sale sotto al vulcano.
Questa era pentagonale, sfarzosa, ma comunque insulsa confrontata a quella del trono. Intorno alla tavola imbandita erano già seduti numerosi draghi di fuoco e altrettanti falsi umani.
Quando anche gli ospiti furono accomodati intorno alla regina, i maschi alla sua destra e le femmine alla sinistra della bellissima figura, entrarono le portate su vassoi di bronzo lucido.
Durante quella serata il Cavaliere rosso scoprì che la regina aveva un ottimo senso dell’umorismo e una personalità molto spiccata.

Dire che non mi interessa il carattere della regina è un po’ azzardato?
Altro che regnanti pazzi, siete voi stessi il pericolo più grande per la vostra vita.

Durante il banchetto si sentì veramente bene, nessuna delle razze a cui avevano fatto visita era riuscita a dargli una cena come quella offerta da Fariuna. La compagnia dei suoi amici e le ottime portate non fecero che migliorare il suo umore. Di tanto in tanto lanciava un pezzo di carne ad Erdost, che lo afferrava prontamente al volo tra l’euforia dei presenti. Perfino la regina dai capelli neri, che fino a quel momento aveva mantenuto un minimo del suo contegno regale, si lasciò scappare una fragorosa risata cristallina che si andò a mescolare tra le centinaia di voci, versi e risate che riempivano la sala.
Una battuta di Trado catturò l’attenzione dei commensali. Ardof la conosceva già, gliel’aveva raccontata lui quand’erano ancora nel vecchio mondo.
Approfittò di quel momento di distrazione dei suoi compagni per far scomparire il sorriso che lo aveva accompagnato per tutta la sera. Si specchio nella bevanda scura che gli avevano servito, c’era un’unica cosa che gli rovinava quel momento: l’assenza di Vago.
Non sapeva esattamente cosa fosse, ma sentiva che comunque qualcosa mancava senza di lui.
Il Cavaliere cercò di scacciare quei pensieri lugubri dalla mente trangugiando un sorso di quella bevanda scura. Era sicuramente alcolica, ma Ardof non riuscì a capire il gusto amaro da che pianta potesse arrivare, doveva essere un’erba che cresceva solo su quell’isola.
Una risata dei draghi lo informò che la battuta era finita.
Ardof tornò a sorridere e guardò davanti a sé, cercando di ignorare l’ombra che gli attanagliava lo stomaco.
L'ospitalità di Fariuna era impeccabile, la regina dei draghi fece avere ai quattro Cavalieri delle stanze con i servizi interni, che erano poi caverne arredate per i draghi in forma umana, e mostrò ai cinque ragazzi le terme di El Terano: una grossa cavità naturale, al cui centro ribolliva un laghetto d’acqua cristallina. All'interno della grotta c'era una nebbia tanto fitta che non si riusciva a vedere a più di due spanne dal proprio naso.
Il giorno seguente, dopo una sontuosa colazione, i quattro Cavalieri e l'elfa vennero portati nella sala del trono. Fariuna vestiva un'armatura di placche di metallo che sembravano squame di drago. La chioma nera fluiva sulle spalle uscendo dal retro dell’elmo che la regina portava in testa.
Fariuna era affiancata da due finti umani maschi e due femmine. Erano tutti e quattro alti e magri, vestiti con abiti neri come la notte.
Non sembravano per niente portati alla battaglia ma negli occhi socchiusi Ardof poté vedere chiaramente una furia omicida, la stessa che intravide negli occhi dell’Athur quella notte. Le quattro figure lo fecero agitare talmente tanto che la sua mano corse veloce al rubino incastonato nell’elsa della spada che gli pendeva al fianco.

Faccio solo una considerazione personale. Sono abbastanza convinto che i draghi, almeno quelli selvatici, abbiano dei disturbi ossessivo-compulsivi.
Ho notato che tutto è disposto in maniera assolutamente simmetrica…
La cosa è un po’ inquietante, a dire il vero.

Due dei quattro spiegarono su un tavolo una mappa molto dettagliata di tutte le terre civilizzate.
- Permettete che vi presenti i miei generali. – la voce della regina era distaccata, non sembrava avere nulla a che fare con la Fariuna che li aveva accolti e cenato con loro la sera prima. – Lui è Lemia, Verdana, Yuna e Neto. Sono i più esperti soldati che i draghi abbiano mai visto.-  
- Da sei anni.-  disse Frida studiando i quattro draghi con attenzione.
- Da sei anni.-  ripeté la regina freddamente.
- Piacere.-  Codero allungò la mano ma, visto che nessuno si scomodò a stringerla, la ritirò. Forse deluso da quel gesto di scortesia da parte dei generali.
- Piacere.-  ripeterono gli altri senza muoversi.
- Bene. – disse la regina spianando la mappa – Mostrateci come sono posizionate le vostre forze.-  
Ardof cercò di fare mente locale ma, quando provò a rispondere alla domanda della regina, venne interrotto da Trado che fece un passo avanti per farsi vedere meglio.
- Signori… quando siamo partiti l'avamposto dei nostri soldati era qui. – e indicò il monte dove erano morti e resuscitati – Mentre le truppe del re, i demoni, erano sistemate su tutta questa linea. – e indicò con un dito l'intera vallata ai piedi dei Muraglia – Dovete sapere che il re ha a sua disposizione molte truppe di esseri che sembrano demoni.-
Uno dei quattro comandanti recitò una breve nenia, composta da gracidii, borbottii e sibili. Tutto a un tratto sulla cartina erano comparse delle figure blu e rosse.
- Capisco, – disse la regina – quante erano le truppe spigate dalle due parti?-  
- Più o meno trecentomila contro ventimila. Ovviamente noi eravamo quelli in minoranza numerica.-  si affrettò a dire Ardof in modo da non essere di nuovo anticipato da qualcuno.
- Va bene. Capisco la vostra situazione. Cosa ci darete in cambio del nostro aiuto?-  la domanda della regina spiazzò i Cavalieri che impiegarono un momento per capire che non stava scherzando.
- Insomma… – balbettò Frida incerta – noi veramente non… non abbiamo mai pensato che…-
Ardof la interruppe. - Possiamo lasciarvi queste terre per vivere. – il Cavaliere indicò la zona in cui sorgeva Chiritai e il deserto vicino. – Gli uomini che vi abitano hanno intenzione di andarsene da questa zona, che rimarrebbe disabitata una volta finita la guerra. Se vi stabiliste qui non incontrereste resistenza di nessun tipo, ve lo assicuro.-  
- Ho la vostra parola che manterrete quest’accordo?-  chiese Fariuna guardando Ardof con gli occhi azzurri.
- Si, regina. Ha la mia parola.-  
- Verdana, Neto. Organizzate i draghi del nord. Yuna, Lemia. Quelli del sud.-  I quattro generali scattarono veloci fuori dalla stanza verso le loro destinazioni.
- Oh… Menomale che è finita. – la regina si lasciò cadere sul trono dorato, poi si affretto a spiegare. – Davanti agli alti del governo devo mantenere un contegno logorroico. Da quando il primo re dei draghi abdicò in mio favore tutti a corte cercano di prendere il mio posto. Non tutti mi reputano adatta a questo incarico.-  
- Regina... - cominciò Frida – Quando pensate che le truppe potranno partire?-  
- Tra due giorni come minimo. Non posso fare di più. Questa è solo una delle tre città di draghi. Ci sono altri due vulcani abitati su quest'isola.-  
- Regina, se mi è concesso dall'etichetta regale...-  esordì Codero cercando di ricordare quello che gli aveva detto Gouren a riguardo dell'etichetta che si doveva tenere a corte.
- Ah! – disse esasperata Fariuna – Lascia stare l'etichetta di corte, per l’amor degli dei! Non dimenticatevi che io non sono nata a corte, non sono stata abituata a questi “scusi” e “se posso permettermi”! Ho bisogno di persone che mi trattino come una persona normale, non di altri leccapiedi che vogliono far carriera.-  
- Scusi...-  
La regina interruppe di nuovo Codero con un colpo di tosse un po’ troppo forzato.
- Scusa, – disse Codero correggendosi. – Per mobilitare gli eserciti delle terre dell'est ci sono voluti, in pratica, mesi. Per noi due giorni equivalgono a niente. Oramai.-
I quattro ragazzi si ritirarono nelle stanze a loro assegnate dai draghi.
Quella sera, mentre Ardof cercava di addormentarsi, sentì un ronzio provenire da ovunque.
Aprì la mente e percepì la profonda coscienza confortante di Erdost.
“Ciao, come stai nella patria dei tuoi genitori?”
“Non è un brutto posto… e poi Fariuna non è una dei soliti regnanti viziati.”
“Me ne sono accorto. Però esige rispetto. Mi ricorda un po’ il Governatore…”
“Solo che non è morbosamente attaccata alla sua religione… le può sopravvivere per più di due giorni senza andare in un tempio a pregare.”
“Devo ricordarti chi ci ha affidato la nostra missione? Ti sei già dimenticato la nostra ultima avventura?”
“No. Certo. Comunque appiccicarsi troppo a una credenza indebolisce il potere di decidere autonomamente di un uomo… ricorda che Fuoco ci ha promesso il suo sostegno, non la sua guida. Fariuna non corre questo rischio. Ho ragione, o no?”
“Certo. È una brava regina, comunque. Mi sono fatto una buona idea di lei.”
“Comunque, regina o no, è una compagnia interessante.”
“Che vi dite, quando vi incontrate?”
“Niente di particolare. Io le chiedo di raccontarmi storie di quest’isola e delle sue città mentre lei mi chiede delle terre. Del nostro mondo oltre il mare.”
“Erdost, da un po' ho una domanda che mi gira per la testa, come gli uomini di prima sono diventati elfi, nani, fate ed esseri umani, i draghi da dove vengono? Cosa eravate prima del Cambiamento?”
“Ardof, sai bene quanto me che non ricordo niente del prima. Ero nel mio uovo. Mi sono svegliato nel momento in cui tu hai toccato il mio guscio.”
“Si. Hai ragione. È solo che... che da quando siamo arrivati qui sei così silenzioso, con me… ho bisogno di un po’ di compagnia.”
“Ardof, sai benissimo che io ci sarò sempre, per te. Io sono e sarò sempre il tuo compagno di volo. Nel bene e nel male saremo sempre legati.”
“Grazie Erdost.”
“Di niente, Ardof. E ricordatelo quando tra qualche giorno dovremo ritornare in battaglia.”
“Lo sai per il contatto empatico. Vero?”
“No. Me l'ha detto Fariuna durante l'ultimo incontro che abbiamo avuto. Un’ora fa, più o meno.”
“Ah...”
“Buonanotte.”
“Buonanotte anche a te, Erdost.” Ardof si assopì sorridendo. 

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Capitolo 35
*** Capitolo 34: Il tesoro d'argento ***


 L'interno del cono vulcanico era pieno di draghi di tutte le forme e i colori, mancavano però i draghi di lava.
Si sentirono quattro urli distinti, poi i draghi che brulicavano nel cratere si alzarono in volo.
La formazione era tanto compatta da oscurare i cielo e si accrebbe ancor di più quando anche la popolazione degli altri vulcani si unì allo strano stormo.
“Erdost, mi sembra di essere tornato indietro nel tempo. Sembra l'attacco dell'Ordine al re.”
“Questa volta, però, siamo molti di più.”
“Giusto.”
In quel momento un drago rosato gli si affiancò.
- Quest'oggi ci fermeremo nella parte più rada della Grande Vivente. Impiegheremo tre giorni ad arrivare all'avamposto.-  
- Fariuna, sei proprio tu?-  Ardof non aveva mai visto la regina nella sua vera forma.
- Si, sono io. Perché me lo chiedi?-  
- No, niente. Non vi... ti avevo mai visto nella tua vera forma. Scusa, ma avrei un’altra domanda.-  
- Si?-  
- Quanti draghi sono partiti?-  
Fariuna fece guizzare la lingua. - Direi ventimila.-  
Ardof ci restò di stucco. - E… perché i draghi di fuoco non partono con noi?-  
- Perché non possono allontanarsi di molto dal vulcano se non vogliono morire.-  
- Un’altra cosa, spero l’ultima, come fai a parlare con la voce quando sei… un drago? Perché, vedi, Erdost mi parla, come parla anche a te, ma con la mente non con le parole.-  
Fariuna rimase in silenzio pensierosa. - Non mi era mai accorta di questo. Deve essere un altro degli effetti dell’incantesimo. Non so darti, però, una risposta precisa.-  
- Va bene…-
La regina si rialzò al di sopra dell’accorpamento.

L'esercito di draghi si fermò sul confine della Grande Vivente poco prima dell’imbrunire del sesto giorno di viaggio.
Ardof non fece planare il suo drago all'accampamento con gli altri, ma virarono verso nord.

Davanti a loro si innalzava una torre di quattro piani, con una cupola dorata, che anche con gli ultimi raggi del sole splendeva come il sole di mezzogiorno.
“Andiamo a vedere cosa ne è rimasto delle uova.”
Erdost atterrò davanti alla porta principale del Palazzo del Mezzogiorno.
Il portone era completamente distrutto e le fiere statue di draghi erano ricoperte di muschio e rampicanti, se non distrutte a terra.
Le due enormi statue che presiedevano l'ingresso erano a terra, decapitate.
Ardof si fece strada tra i frammenti del portone, ritrovandosi di fronte a uno spettacolo raccapricciante.
Il corridoio era coperto di fuliggine, il marmo grigio era spaccato in più punti e offriva ancora riposo alle ossa dei giovani cavalieri che erano stati mandati a difenderlo.

Oh, dei del cielo…
Che schifo.
Mi sarei volentieri evitato questo spettacolo.

Il Cavaliere diede un calcio a un elmo, facendolo rotolare per il corridoio. Quando questo sbatté contro il muro, l’ambiente vuoto fu riempito dal suono che produsse.
Ardof passò nel corridoio senza far caso al puzzo di morte e arrivò nella sala d’aspetto, dove aveva visto per la prima volta Frida.
Al solo pensiero gli formicolarono i capelli.
Passò sotto il grande arco che una volta circondava il portone, ora in cenere, e si avviò per le stanze desolate.
Ogni tanto, attaccati alle pareti, luccicavano gusci di uova di drago rotte e raccapriccianti mucchietti di ossa.
Il Cavaliere arrivò all'ultimo piano, quello a cui non aveva mai avuto accesso, e si concesse un attimo per ammirare lo splendore dell’interno della cupola dorata. Fu solo grazie al quel momento di meraviglia che il ventenne riuscì a scorgere il piccolo buco che si apriva nell'angolo.
Diede una spallata alla parete, poi un'altra. Visto che non sortiva nessun effetto si decise ad evocare la magia e bisbigliò - Destari. “Fuoco.”- . Piccole fiammelle cominciarono a divorare la calce per allargare il buco nel muro.

Sicuramente evocando incantesimi così complessi riuscirai a controllarli perfettamente, evitando che ti possano scappare di mano.
Ma che maledetto incantesimo è Destari? È come se io, adesso, dicessi Prugna perché voglio che l’osso della maledetta prugna schizzi in aria andando a colpire un bocciolo su un ramo.
Ecco, adesso mi è venuta pure voglia di una maledetta prugna. Grazie.

Una volta che fu soddisfatto bisbigliò - Estra. “Segui.”- . Le fiammelle si compattarono fino a formare una sfera rossastra che si librò in aria.
Ardof impugnò saldamente Pyra, lasciando l'alabarda del fuoco all’ingresso del buco poiché era troppo lunga per potersi difendere nel tunnel che il cavaliere si era trovato davanti.
Fece un passo in avanti e la sfera si mosse con lui.
Il Cavaliere cominciò a discendere una lunga scala a chiocciola.
Scese, scese, scese ancora. La fine non sembrava esistere. Quando poi trovò l'uscita si sentì rinascere.
Entrò in una stanza illuminata da una candela e arredata solo con un tavolo, una libreria stracolma di rotoli impolverati e uno sgabello che dovevano aver preso dalla sala d’aspetto.
Appesa sul muro opposto all’entrata c’era una cartina delle Terre. Numerose righe e frecce rosse erano state tracciate e l’isola a sud del paese era stata più volte circolata.
Dovevano averla chiamata Isola dei Monaci poco dopo il Cambiamento, visto che uno sparuto gruppo di eremiti si era ritirato in adorazione su quelle colline.

Inutili.
Gli avevo dato il permesso di fare quello che volevano su quell’isola a condizione che facessero una sola cosa per me. Una.
Indovinate? Una volta che il ricco uomo d’affari, aggiungerei incredibilmente bello e geniale, se permettete, li fece sbarcare su quelle sponde quei babbei cosa fecero? Mi dissero: scusa noi non pratichiamo la magia.
Detto questo mi “costrinsero” a partire per le Terre con la barca che lentamente bruciava.
Ovvio, appena non fui più a portata di sguardo scomparii da quella bagnarola in fiamme e demolii le case che costruii per loro.
Spero siano morti orribilmente, quei maledetti.
Forse mi sono lasciato prendere un pochino la mano.

Ardof prese un appunto mentale su quel dettaglio.
Il Cavaliere lasciò la sfera fluttuante si spegnesse e si guardò attorno.
Dell'inquilino che aveva abitato lì non c’era nessuna traccia.
- Chi sei?-
Ardof sobbalzo al suono di quella voce: rude, aspra.
- Chi sei?-  continuò la voce.
Ardof optò per la verità. - Sono Ardof Neghyj, Cavaliere dei Draghi, Incarnazione del Dio del Fuoco e incaricato dell'ordine D. e C.-  Ardof alzò un poco la spada. Il rubino nell'elsa brillò alla luce della candela.
- L'ordine D. e C… da quanto che non lo sento. Ma devo essere sicuro. Dammi una prova di quel che dici.-  
Il ragazzo pensò prima alla mano rossa, poi alla spada, poi ancora all'alabarda. Ma in tutti e tre i casi si sarebbe esposto troppo a un attacco da parte dello sconosciuto. Poteva essere un assassino, o uno dei demoni del re, incaricato di sorvegliare il palazzo.
Fu la coscienza di Erdost a dargli la soluzione.
Estrasse dal sacchetto che portava alla cintura la lettera di espulsione dall'ordine.
- Ecco qui, ecco la prova.-  la busta sparì tra le dita del ventenne.
- Questa prova non basta! Potresti aver rubato questa lettera al vero emissario!-  gracchio la voce.
- Cosa posso darti, allora, come prova? Non ti basta quella?-  
- Potresti dirmi cosa c'era scritto nelle cinque lettere per esempio. Quello potrebbe bastare.-
Ardof fu tentato di dirgli tutto, ma la coscienza di Erdost lo bloccò. - Non posso. Le lettere erano e sono tutt’ora fatte apposta per far sì che nessuno, a parte i prescelti al completo, potesse accedere al testo completo. Deve trovare qualcos’altro.-  
- Giusto ragazzo, giusto. Questo mi basta.-  da dietro la libreria uscì claudicante un elfo bruno. Lo stesso che aveva visto il giorno del suo sedicesimo compleanno, solo un po' invecchiato.

Ma va?
Neanche tu sei rimasto un sedicenne, mi sembra.

- Se… se posso permettermi: lei cosa ci fa qui? Cioè, sopra è pieno di cadaveri e uova infrante, il pavimento è completamente coperto da gusci rotti. Credevo che fossero tutti morti.-
- Dovevo far credere che nel Palazzo del Mezzogiorno fossero tutti morti.-  
- Ma, perché?-  chiese sconcertato il Cavaliere.
- Per proteggere questo da quei demoni. – l'elfo estrasse da sotto lo scrittorio ingombro un globo d’argento, perfetto e bellissimo. – Questo è l’unico dono di valore  che ci sia mai stato affidato dai draghi. È un oggetto prezioso e, a nostro tempo, ritenemmo che era il più importante tra tutti quelli che custodivamo. Finché questo rimarrà integro, i draghi saranno dalla nostra parte.-
- È bellissimo.-  Ardof era rimasto incantato da quella sfera d’argento.
- È unico, come ti ho detto. L'ho conservato in attesa che uno dei prescelti venisse a prenderla. Ora te l'ho lascio.-  
- Senta. Gli altri prescelti sono poco lontani da qui. Venga con me, se non ha un altro posto dove stare.-  
- Non posso. Ho terminato la mia missione. Ora sono inutile, mi considero morto senza il mio compito in questo palazzo in rovina.-
- Ascolti, so per esperienza che a poche persone è data una seconda possibilità dopo la morte. Venga con noi. Può essere ancora utile alla nostra resistenza.-  
- Davvero, non posso.-  
- Senta, io ora andrò. Il mio drago è fuori, dall'entrata. Se vuole venire c'è posto per lei sulla sella.-  
- Grazie.-
Ardof ripose la spada nel fodero, prese il globo argento con delicatezza dalle mani del vecchio elfo, la stessa delicatezza con cui avrebbe preso un oggetto in vetro, e risalì la scala a chiocciola.
Una volta uscito nel giardino del Palazzo del Mezzogiorno Ardof ebbe un moto di pietà per quell'elfo.
Mise un piede sulla staffa della sella quando una mano lo trattenne.
- Hai dimenticato questo.-  Gracchio da dietro l'elfo sventolando la lettera.
- Sapevo che sarebbe venuto. Cosa le ha fatto cambiare idea?-  
- Il rumore del vento. Se non ti avessi dovuto portare questa non avrei mai cambiato la mia idea ma questo…-  
- Salga. Scusi ma… come la posso chiamare per il resto del viaggio?-  
- Dimitri. Mi chiamo così.-  
- Molto bene signor Dimitri. Si tenga forte.-  
Erdost spiccò il volo che la luna era già alta e arrivarono al campo poco prima dell'alba.
L'elfo sembrava intimorito da tutti quei draghi selvatici. Si aggirava tra gli animali addormentati in punta di piedi, come se avesse paura di disturbare il loro sonno.
Ardof svegliò gli altri Cavalieri e li portò poco dentro la foresta, dove mostrò loro la sfera d’argento, accuratamente avvolta nella coperta di lana.
Rimasero tutti esterrefatti a quella vista.
La passarono di mano in mano, ammirandone la perfezione.
- Dobbiamo dirlo alla regina. Se è un oggetto così importante per loro, saperlo al sicuro li porterà sempre più dalla nostra parte.-  disse Frida.
- Ci penso io!-  Bisbigliò Trado.
- Fermo, ricorda di… – ma l'elfo era già corso via. – …non svegliare nessun altro.-  completò Ardof parlando al vento.
La regina dei draghi arrivò dopo poco nella sua aggraziatissima forma umana.
- Perché mi avete mandata a chiamare?-  chiese con la voce cristallina, un poco smorzata dalla stanchezza.
- Regina…-  esordì Ardof.
- Fariuna, prego.-  
- Scusa, Fariuna… questa notte sono andato con Erdost nel deposito delle uova dei draghi. Non ti metterò al corrente dello scempio che ho visto, ma ti mostrerò cosa ho trovato.-
Codero passò alla regina il globo.
A Fariuna luccicarono gli occhi. Se il sole fosse già sorto i Cavalieri avrebbero potuto veder scintillare una lacrima mentre correva giù dalla guancia della dragonessa.
- Non ci credo, non ci credo… – la voce della regina tremava. – Questo, questo è… questo è il mio uovo… il mio…-
I ragazzi rimasero interdetti.

Uhm…
Ok, questo non lo sapevo. Cioè, sapevo che era un uovo, era abbastanza ovvio. Quale altro tesoro potrebbe custodire quel palazzo?
Non sapevo che l’unico uovo argento mai generato nella breve storia dei draghi fosse di Fariuna.
Questo è un interessante sviluppo.

La regina impiegò qualche istante per ricomporsi, ma quando lo fece non rimase nulla a indicare la commozione di poco prima. - Grazie Ardof per avermi dato subito la notizia. Per quanto mi addolori dovrò però lasciare il mio uovo in vostra custodia, ormai l'incantesimo che attiva il Blatkod è già stato imposto e non può essere rotto in nessuna maniera. Lo affido, allora, alla vostra cura.-  
- Grazie… Fariuna per la tua fiducia. Non te ne pentirai.-  
- Ne sono sicura. Ora preparatevi, partiremo fra non molto e i draghi detestano i ritardatari.-
- Fariuna, io e gli altri pensavamo di passare più a nord. Dobbiamo controllare se è rimasto qualcosa dell’altro palazzo dell’Ordine, il Palazzo della Mezzanotte.-
- Molto bene. Andate pure. Voglio sperare che ci sarete quando arriveremo sul campo di battaglia.-

- Ci troverà là.-

 

Angolo dell'autora:

Buon salve a tutti.

Oramai ci ho preso la mano con quest'angoletto.

Che ve ne sembra della storia, giunti a questo punto?

Devo darvi una piccola informazione di sistema: domani il capitolo non uscirà al 100%.

Quindi ci vediamo dopodomani, gente!

Vago.

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Capitolo 36
*** Capitolo 35: Il Cavaliere d'argento ***


 - Com'è il Palazzo della Mezzanotte?-  Diana teneva in mano l'uovo di drago con grande cura, accarezzandone la superficie.
- È enorme. – rispose da davanti Trado – Non ti voglio dire altro per non rovinarti la sorpresa. Spero solo che le truppe del Re non lo abbiano completamente raso al suolo...-  
Il battito delle ali di Reicant era lento e regolare. La lunga coda affusolata, tipica dei draghi bianchi, era rigida alle sue spalle e scattava a destra e sinistra a seconda delle correnti che investivano il drago.
- Trado, non mi hai mai detto come mai hai chiamato Reicant il tuo drago? Il suo nome vuole dire qualcosa?-  
Trado sorrise e cominciò a grattare le squame del drago bianco. - Reicant vuol dire “Anima libera”.-  
- In che lingua?-  
- Reicant, come Erdost o Seisten o anche le parole che uso per richiamare le magie, deriva dalla lingua del potere. È una lingua… non so da dove l’abbiano tirata fuori, ma quando la parli, senti che ha un potere diverso da qualunque altra cosa. È come se fosse quello il modo corretto per chiamare le cose.-
- Mi insegneresti qualche parola, per favore?-  
Trado si girò e sfoggiò uno dei suoi migliori sorrisi.
Atterrarono davanti all'ingresso principale. Le mura del palazzo erano intatte, come il portone, come anche tutto il resto della struttura.
L'interno era esattamente come se lo ricordavano i Cavalieri, ma l'erba era cresciuta là dove una volta c’era solo terra battuta e non si vedeva anima viva.
I ragazzi scesero dai draghi.
Le truppe del Re non dovevano essere entrate durante il loro attacco nei confronti dell'Ordine.
- Ragazzi, ho un grosso problema. Trado mi stai ascoltando?-  chiese Diana.
- Si?-  
- L'uovo grigio, non riesco a posarlo!-  
I quattro Cavalieri si guardarono.
L'uovo era incollato alla mano sinistra. Trado la guardò trasognato. - Diana, sei diventata una Domatrice di Draghi!-  
- Ma, ma come? Io non ho fatto niente!-
- No, tu no. – s'intromise Codero – Ma il cucciolo di drago che c'è dentro ha deciso che, insieme, sareste stata una coppia formidabile. Almeno questo è quello che so io.-  

Sbaglio, o l’amico dei nani ha sviluppato manie di protagonismo, durante il suo soggiorno?

- Ma, come si toglie questo uovo dalla mia mano?-  
Trado e Ardof si avvicinarono all'uovo e iniziarono a tirare verso il basso. Il guscio si ruppe e apparve la testolina nera di un cucciolo di drago che scrutò l’ambiente con gli enormi occhi grigi.
- È… è bellissimo.-  disse Diana.
Ardof non capì cosa ci trovasse di così bello in quel draghetto nero coperto di… cos’era? Saliva?

No. Non è saliva, ma ti risparmio dalla verità.

- È tuo.-  apostrofò Frida.
Diana sventolò la mano sinistra. - Come si fa a togliere questo pezzo di guscio?-  
- Devi solo aspettare. Tra un po' diventerà così.-  Codero si tolse il guanto e le mostrò la mano verde. Lo stesso fecero gli altri.
- Ok, si. Ma non è pericoloso?-  
- Tranquilla, - cercò di rassicurarla Trado – in tre generazioni di Cavalieri non ho mai visto nessuno con dei problemi a causa del guscio… a parte quell’idiota del secondo anno che è riuscito a piantarselo nell’occhio… poveretto.-  
Ad Ardof scappò un sorriso, era stato uno dei pochi fortunati ad aver assistito alla scena.

 

Angolo dell'autore:

E rieccomi qui.

Quanti di voi avrebbero puntato su Diana come Domatrice?

Eh, lo so. è un capitolo corto. E domani non riuscirò a pubblicare. Per questo ho deciso che non voglio lasciarvi troppo a bocca asciutta.

Questa sera, intorno alle 18, pubblicherò il prossimo capitolo. E non dite che non vi ho preso a cuore, mia quindicina di lettori assidui.

Bene, a stasera.

Buona giornata e buona lettura!

Vago.

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Capitolo 37
*** Capitolo 36: Nella Tana del Lupo ***


Angolo dell'autore:

Cosa?! Un'angolo dell'autore all'inizio della storia?

Si. proprio così.

Volevo solo dire a tutti quelli che mi stanno seguendo in tempo reale che questo è il secondo capitolo della giornata. Quindi, se non l'avete ancora fatto, andate a dare un'occhiata al capitolo trentacinque, che ho pubblicato questa mattina.

Bene! Informazioni di servizio finite! Buona lettura a tutti!

Vago.

 

I cinque Cavalieri entrarono nel palazzo.
Non c'era nessuno. Né persone, né resti. Era pulito come il giorno in cui l’avevano lasciato.
Decisero di passare la notte nelle stanze degli allievi, mentre i draghi volavano verso la rocca dove erano cresciuti.

Il giorno dopo, con gran gioia, Diana si accorse di non avere più l'impaccio del guscio. La mano però, aveva assunto il colore dell'argento.

Sta succedendo tutto troppo in fretta. La materia cristallina di un guscio impiega mediamente sessanta ora per essere assorbita dalla materia organica.
Solo quell’imbecille in rosso ha costretto gli dei ad accelerare i tempi per potersi difendere da quell’Athur…
C’è qualcosa che non va. Il tempo non si accelera senza una ragione.
Devo stare in guardia.
Perché ho questa brutta sensazione? Lo so già, finirò in mezzo a qualche macello.

Saputo questo, gli altri si fecero in quattro per cercare tutto quello che serviva per essere considerati cavalieri: Trado si occupò di insegnarle i rudimenti della lingua del potere e Codero della magia stessa, Frida trovò in una tuta grigia con il casco che i primi cavalieri avevano messo da parte per il Cavaliere del drago argento, Ardof invece passò le due giornate in cui stettero fermi nell'armeria mettendo da parte tutte le spade ancora in buono stato che erano rimaste nascoste sotto le rovine delle rastrelliere, in attesa che Diana venisse a chiedere la sua spada. Fu felice di sapere che lei era già brava nell’arte della scherma. Non avrebbero perso tempo ad insegnarle i rudimenti e, alla fine, sapeva già di che spada aveva bisogno.
Non fu bravo come Drake in questo ma riuscì comunque a trovare una spada adatta, specialmente perché spesso l’elfa lo lasciava rovistare nel mucchio mentre andava a controllare una delle spade che ancora non avevano provato.
La ragazza sembrava soddisfatta della delicatezza dell'arma. Un filo solo, leggermente curva, iridescente per tutta la lunghezza della lama sottile.
- Oh, Diana. Aspetta un attimo. Devi ancora fare una cosa: metti la mano sulla pietra incastonata nell'elsa e facci scorrere all'interno il tuo mana come ti ha spiegato Codero.-
Diana chiuse gli occhi e la pietra cominciò a brillare. Quando la ragazza finì di trasferire il mana la pietra si era totalmente trasformata: ora nell'elsa vi era incastonata una splendida perla dai riflessi grigio-rosati.
L'elfa rimase incantata di fronte a quello spettacolo.
Quella sera i cinque cavalieri si ritrovarono nella grande mensa del palazzo. Codero creò un altopiano, Frida riuscì a far funzionare di nuovo le fontane, Trado fece soffiare un dolce brezza umida per togliere la polvere dalla sala.
Ardof attese.
Avrebbe potuto appiccare un incendio, ma a che scopo?
Diana fece il suo ingresso. La tuta da Domatrice dei Draghi le era leggermente larga, la spada le pendeva al fianco destro e i capelli neri, oramai lunghi, erano raccolti in una treccia che usciva morbida dal casco.
Gli altri quattro Cavalieri non erano da meno. Tenevano le spade al fianco e la propria arma elementare in mano.
Diana si avvicinò.
Codero con un leggero movimento della mazza sollevò di un’altra spanna il terreno.
L'elfa si inginocchiò.
Trado fece soffiare una brezza fresca facendo vibrare la corda dell'arco e Frida accese le fontane infilando la punta della spada nel terreno.
- Diana, non potremo darti gli onori dovuti, – esordì Ardof – ma, per quel che vale, benvenuta nell'ordine D. e C. L'ordine dei Domatori elfici e dei Cavalieri umani.- il Cavaliere batte in modo appena percettibile l'asta dell'alabarda sul terreno. I bracieri che avevano disposto intorno all’altopiano si accesero.

Chissà se quel vecchio matto dell’eremita è ancora vivo…
In ogni caso, non vi sembra di aver esagerato un po', con tutto questo?

Acqua, Terra, Fuoco, Vento. I quattro elementi uniti.
Una porzione del muro della mensa si mosse rivelando un buco buio che proseguiva diritto, scendendo appena per i primi dieci metri, per poi perdersi nel buoi notturno che lo avvolgeva.

Maledizione.
Deve sempre succedere qualcosa.
La mia vita non può essere piatta e facile, monotona… no. Sarebbe troppo bello.
Forza… Entriamo.
Tanto lo fareste in ogni caso, vero?

I Cavalieri si guardarono.
- Destari Estra. “Fuoco, segui.”- un fuoco fatuo cominciò a fluttuare davanti a Frida.
I cinque cavalieri entrarono nel tunnel, perché di un tunnel si trattava, con le spade in mano. Frida in testa con il globo levitante, Trado dietro a chiudere la fila.
Il tunnel a volte si allargava permettendo ai ventenni di affiancarsi, a volte si stringeva talmente che erano costretti ad avanzare a carponi.
Dovettero fermarsi più di una volta a riposare o mettere qualcosa sotto i denti. Sottoterra non si riusciva a percepire lo scorrere del tempo e solo grazie alle coscienze dei draghi all'esterno i Cavalieri potevano capire se fosse notte o giorno.
Ci fu uno squittio, poi uno struscio. Trado e Codero si affiancarono con le spade in pugno.
Dalla penombra perpetua che lasciava il globo uscì veloce il draghetto nero. Aprì le ali e provò a volare ma tutto quel che riuscì a ottenere furono dei buffi saltelli.
- Piccolo!- Diana prese il draghetto in braccio con fare materno.
“Scusa Ardof… io e Marfest non siamo riusciti a tenerlo. Questa dannata galleria è troppo stretta per noi.”
“Non importa Erdost, il draghetto ci ha tirato un po' su il morale. Ho un favore da chiederti: vedi se tu e gli altri draghi riuscite a seguirci in volo. È già da un po' che camminiamo e non so se esista una fine a questo tunnel. Se vedi qualcosa di strano, come una casa o un rialzamento innaturale del terreno fammelo sapere. Ok?”
“Ok.”
Camminarono spediti per un altro giorno, in base a quello che gli dissero i draghi all’esterno.

Sono passati quattro giorni da quando ci siamo divisi dai draghi…
Se Fariuna è stata furba, ha deviato verso sud, stando lontana però dalla Rocca. Normalmente un drago ci metterebbe cinque giorni alla velocità normale…
Abbiamo ancora un giorno, se non vogliamo farli aspettare.
E voi cos’avete da guardare? Si, io facevo due volte quel tragitto in giornata, allora? Ero sotto la forma di un falco… e rompevo il muro del suono. Ve l’ho detto che avrei potuto gareggiare alle olimpiadi.

- Ragazzi, il cibo che ci siamo portati dietro sta finendo... se diminuiamo le dosi ci basterà si e no per… per tre giorni al massimo. Anche le borracce si stanno svuotando velocemente, ma l’acqua la possiamo ricavare con la magia.- Codero aveva lo zaino aperto a terra e stava controllando i sacchetti all'interno.
“Vedo qualcosa.”
“Cosa di preciso?”
“Sembra una casa. Beh, chiamarla casa è un po' eccessivo... diciamo che è una baracca in balia degli elementi.”
“Quanto siamo distanti?”
“Tanto... una cinquantina di chilometri circa. Forse di più.”
Ardof fu abbattuto. - Ragazzi, c'è una bella e una brutta notizia: la bella è che se il tunnel continua dritto finiamo sotto una baracca, la brutta è che tra noi e lei ci sono ancora circa cinquanta chilometri. Questo è tutto quello che mi dice Erdost.-
I Cavalieri si misero in marcia con la consapevolezza dei chilometri davanti.
Il Fato fu però clemente con loro. Non percorsero più di tre chilometri che il corridoio si apriva in una grotta nera, troppo grande per essere illuminata per intero dal globo di Frida.
Ci fu un fruscio in un angolo scuro della caverna e il draghetto alzò la testa incuriosito.
Un rumore di passi. Questa volta più vicino.
Ardof sentì una mano sulla spalla. Si voltò. Codero con la mazza in mano gli indicò con la testa una roccia.
Frida ridusse il globo.
I ragazzi si spostarono lenti verso il masso tenendo coperta Diana con il draghetto.
Codero appoggiò la mazza e attese che gli altri si preparassero. Trado prese una freccia d'aria dalla faretra, Frida si mise in guarda, Ardof poté solo aspettare; l’alabarda non gli permetteva preparazioni spettacolari.

Certo che Fuoco poteva forgiarsi un’arma un po’ più divertente… che so… un ascia bipenne. Una catapulta o… una falce. Una falce! Quanto sarebbe stata spettacolare una falce dalla cui lama nascono delle fiamme? Maledizione, questa me la segno. È un’idea geniale.

La mazza calò lentamente e la roccia si ruppe.
Dietro non c'era nessuno.
Passi, ancora passi. Ma dall'altra parte della sala.
Trado incoccò la freccia.
Il dardo partì e passò attraverso il masso da cui proveniva quel rumore di passi. Non si sentì nessun suono provenire dal bersaglio.
Ancora passi frettolosi, infondo alla sala.
- Basta!- disse esasperato Ardof. Piantò il manico dell'alabarda nella roccia del pavimento. I muri della grotta presero fuoco illuminando l’intero ambiente. Non c'era nessuno.
- Sentite, qui da soli non ne usciamo più. Chiamiamo uno dei draghi che ci dia una mano a far uscire il nostro amico.- sussurrò Codero.
- Ci penso io.- Trado chiuse gli occhi.
- Aspetta, non chiamiamo subito i draghi, chiedigli solo di prepararsi.- disse Frida.
- Cosa pensi di fare?- Le chiese Codero.
- Se non volete bruciare come le pareti di questa grotta uscite subito allo scoperto!- urlò l’elfa con tutto il fiato che aveva in corpo.
Un uomo uscì allo scoperto dal fondo della grotta. Seguito da una donna a destra, e ancora uno da dietro. Poi altri, non solo umani ma anche elfi, tutti malconci e con armi maltrattate, arrugginite e sbeccate.
Ci fu un sibilo nell'aria, alle loro spalle. Tempo un attimo e Trado aveva già incoccato una freccia, questa partì e divise a metà l’altro dardo. Ne scoccò una seconda e dal buio si alzò un grido di dolore.
- L'hai ucciso?- chiese preoccupato Ardof.
- No. L'ho preso alla gamba. Tranquillo.-

L’importante è che tu ne sia convinto.

Dopo la manifestazione di precisione di Trado uscirono allo scoperto altre sette persone.
- Chi di voi è il capo?- chiese Codero battendosi la mazza sul palmo.
Silenzio. Nessuno osò fiatare.
- Codero, – gli disse Frida scuotendo la testa. – di solito la gente non parla se glielo chiede gentilmente. Tu sei troppo bravo per tenere un interrogatorio. Si fa così!- l'umidità della grotta si concentro davanti al gruppo creando una colonna alta poco più di un metro. La colonna cominciò a turbinare, ghiacciandosi.
- Chi non vuole finire così farà meglio a dirci chi è il capo.-
Si fece avanti un ragazzo, avrà avuto quindici o sedici anni, - Lui non è qui. È al centro.-
- Bene ragazzino. Portaci da lui.- concluse Frida. E aggiunse sottovoce - Visto? Se lo chiedi con una minaccia hai più possibilità di farli parlare.-
Si misero in marcia.
Ardof si avvicinò alla ragazza. - Da quand'è che sei così cattiva da congelare le persone?-
Lei sorridendo gli rispose. - Non so. Magari è sempre stata la mia passione creare statue di ghiaccio…-
- Allora non devo starti tanto vicino. Potrei diventare un ghiacciolo.-
- Tanto lo scioglieresti, no?-
- Sono sicuro che non me lo permetteresti.-
I due si misero a ridere.

A me, più che altro, è salito un conato di vomito a sentire questo scambio imbarazzante di battute. Non so voi.
Sono persino imbarazzato per loro…

Una volta separati Ardof abbandonò il suo sorriso, quando stava vicino a quella ragazza sentiva un tornado di emozioni nel petto. Non riusciva a pensare con una logica e quando le parlava gli uscivano solo battute stupide o frasi imbarazzanti.

Mi trovi perfettamente d’accordo.

Frida dal canto suo si sentì sollevata quando Ardof rallentò il passo, non riusciva ad avere un pensiero compiuto che la faccia di Ardof si intrometteva: i suoi occhi, i suoi capelli, il sorriso.

E dai! Dove sono finito? Alla sagra dell’imbarazzo? Per favore! Abbiate pietà di me!

La ragazza scosse la testa per allontanare quelle immagini. Era una Domatrice, era l'incarnazione di una dea, non poteva permettersi distrazioni. Non doveva permettersi distrazioni, checchè ne dicesse Seisten.

Ah! sono stanco. Non ne posso più.
Voglio il cambio. Datemi un sostituto!

“Erdost, ci stiamo spostando. Se c'è abbastanza spazio da questo loro capo ti chiamo.”
“Tranquillo io e Reicant siamo sopra di voi.”
“Mi manchi...” Ardof chiuse lì la comunicazione.
- Trado! – Chiamò Ardof – Senti un po', amico, come fai a mantenere la concentrazione anche con Diana vicina?-
- In che senso?- Trado rallentò il passo, facendo attenzione a rimanere indietro rispetto al gruppo.
- Cioè, avere lei intorno non è un disturbo?-
Trado sorrise e mise un braccio sulle spalle dell'amico. - Perché, hai qualcuno in mente?-
- Beh, una cosa forse ci sarebbe...-
- È Frida, vero?-
- No. Perché pensi subito a lei?-
- Si vede a chilometri di distanza che siete una coppia perfetta.-
- Ma figurati un po'. Comunque, non mi hai dato ancora una risposta. Come fai a non distrarti?-
- Subito, al villaggio elfico, ero impacciato. Poi quando è iniziata la guerra in me si è accesa una luce. Se mi fossi distratto in battaglia Diana ne avrebbe risentito. Io combatto per proteggerla, non posso dire che combatto per un Bene Superiore o per concetti inafferrabili. Io cerco di costruire un futuro per lei... per noi.-
- Si...-
- Ma questo vale per me. Ognuno combatte per quello in cui crede.- il tono di Trado si era di nuovo fatto baldanzoso.
- Scusa, ragazzo...-
- Si, signora?-
Diana si stupì di essere stata chiamata signora. - Questo vostro capo, dove si trova?-
- Non è molto lontano, signora. Dovete aspettare ancora poco.- il ragazzo aprì una porta nascosta che si apriva sulla parete destra del cunicolo che avevano appena imboccato.
- Signori. – riprese il ragazzo – Dopo di voi.-
La porta si chiuse dietro di loro. Ardof stava per battere l'asta dell'alabarda per terra quando sentì un lieve presenza nella sua testa.
“ Ardof, lascia stare. Non mostriamogli ancora i nostri poteri.”
“ D'accordo Frida.” il ragazzo mise via l'arma.
Una candela si fece largo nell'oscurità. Cinque fiammelle si staccarono da quella principale per rischiarare i volti dei cavalieri.
- E così... – esordì una voce chiaramente maschile – Qualcuno ha trovato l'ingresso. Ora bisogna capire da che parte sta questo qualcuno così fortunato.-
Si sentirono alcuni passi.
“Ora!”
Ardof batté con forza l'asta. Il soffitto della stanza in cui erano entrati prese fuoco, illuminando tutto l’ambiente.
Una figura ammantata sedeva comodamente su una poltrona lacera al centro della sala. Intorno a questa stavano in piedi sei uomini, sotto al peso di armature rovinate dal tempo.
- E così uno di voi sa usare la magia senza il bisogno di parlare. – continuò calmo l’uomo sistemandosi il cappuccio sul volto. – Sono sorpreso di vedervi vestiti come dei Cavalieri… non vedevo armature del genere da un bel pezzo. Vedo anche che la signorina lì ha un cucciolo di drago in braccio. Quindi, ricapitolando: uno di voi è un mago e la signorina è una Domatrice dei draghi... e che bel drago, devo dire, non è nato da molto, vero? Direi più o meno una settimana. Non di più. Voi altri cosa fate, invece? Il ragazzo castano sarà sicuramente l'arciere... sì l'arciere con la faretra vuota... – Si fermò un attimo ridacchiando alla sua battuta. – e ora passiamo a voi due. – disse rivolgendosi a Codero e Frida – Chi di voi è il guerriero e chi l'erborista? Tutti i gruppi dovrebbero essere composti così, se vogliono andare avanti nel loro viaggio personale.- l'uomo prese fiato squadrando tutti i ventenni.

Ok. Sono confuso.
Lo ammetto. Non ho capito nulla del suo discorso. Credo di essermi peso al cucciolo di drago.

- Come fa a sapere tutte queste cose su come deve essere costruito un gruppo? Non mi sembra un grande viaggiatore, lei. O magari sbaglio.- disse ironica Frida.
- L’apparenza non sempre dice tutto di una persona. Una volta anche io facevo parte di un gruppo. Il gruppo più importante che la Storia abbia mai visto!-
“Dopo il nostro.” puntualizzò Trado facendo sentire i suoi pensieri solo ai suoi compagni. Ad Ardof scappò da ridere, si morse la lingua per non sembrare impertinente.
- Eravamo grandi, eravamo in quattro. – continuò l'uomo – C'era l'arciere, il mio migliore amico, la maga – la voce si incrinò un poco, ma lui continuò il suo monologo – il medico, il mio compagno più fidato, ed io, il soldato. Eravamo uniti e imbattibili... finché non finì la missione. Mesi di lavoro, solidarietà e fatica condivisa andati in fumo. Tutto quanto finito in meno di una notte.- la voce dell'uomo si ruppe.
“Ragazzi. – chiamò Ardof – Da come si pavoneggia di aver fatto parte quella missione mi sembra che parli di Quella Missione. La missione dei diplomatici.”
Trado rispose subito. “Non può essere. In Quella Missione erano solo tre. Drake, Farionim e Nestra. Non c'entra nessun quarto Diplomatico.”
“Ma allora di che diavolo sta parlando?” disse Frida scocciata.
“Chiediamo. Comunque magari non parla di Quella Missione.” Disse Codero.
- Scusi. – fu Frida a rompere il silenzio. – Ci può dire i nomi dei suoi compagni di viaggio?-
- Oh, i loro nomi sono ormai sbiaditi nella mia memoria.- evase dalla domanda l'uomo.

Proprio simpatico il nostro amico. Non c’è che dire.

“Calma, sta giocando con noi. Assecondiamolo.” ammonì Codero.
- Bene, bene. Ma le cose serie: voglio sapere il motivo per cui siete qui, al mio cospetto, nella Tana del Lupo?-
- Noi non sapevamo dell'esistenza di questo... posto. – cominciò Ardof. – Siamo capitati qui per puro caso.-
- Il Caso non esiste, ragazzo.-
- In ogni caso, volevamo solo passare la notte nello stabile qui sopra.-
- E quelle tute?-
Fu Trado a rispondere. - Le abbiamo trovate nel magazzino qui sopra. Ci piacevano e ognuno di noi ne ha scelta una. Come anche le spade. Erano di sopra e le abbiamo prese. Con i tempi che corrono non si sa mai. Poi, con la guerra che c’è, è sempre meglio essere previdenti.-
- E il draghetto, quel draghetto dove l'avete trovato?-
- Signore, ho trovato il suo uovo qualche giorno fa abbandonato nella Grande Vivente. Mi si è schiuso davanti due giorni fa.-
- Grazie, mi avete dato molte spiegazioni. Ora come ultima cosa: cosa sono quelle armi colorate?-
- Glielo ho già detto. Erano di sopra. Insieme a queste spade. Erano troppo belle per lasciarle lì. Sa quanto può valere al mercato di Gerala un arco come questo? Penso che non avrei più problemi economici per tutta la vita, se trovassi il giusto compratore… Magari un collezionista di armi sarebbe disposto a pagare fino a cento Laire d’oro per ottenerlo… Guardi che intagli meravigliosi.-
L'uomo non sembrò completamente convinto.
- Bene, comunque... dicevo all'inizio, prima di divagare, mi è dato sapere da che parte state?-
- Dalla parte giusta.- rispose secco Ardof.
- Ragazzo, non esiste una parte giusta e una sbagliata. Davvero credi che il Re abbia iniziato questa guerra solo perché gli andava bene così? Perfino lui nella sua infinita pazzia ha un fine, secondo lui, migliore. O i ribelli che combattono sulle alture, anche loro portano avanti la guerra per un fine ai loro occhi giusto. Quindi io torno alla stessa domanda: da che parte state?-
“Glielo diciamo?” fece Frida.
“Se vivono sotto terra ci sarà un motivo.” rispose Diana.
“Chi parla?” fece Codero.
- Siamo dalla parte dei ribelli.- fece tutto d'un fiato Ardof.
- Bene, bene. Oggi le nostre armi non berranno sangue!-

Che frase colorita… non la sentivo da qualche centinaio d’anni. Più o meno. E, se non ricordo male, quella serata è finita con un massacro.

Ai ragazzi scappò un sospiro di sollievo.
- Se mi è concesso, – ricominciò l'uomo – chi di voi è il mago? No, vorrei solo chiedergli di spegnere il soffitto.-
“Ardof, ho paura che prima ti abbia visto. Diglielo.” gli intimò Frida.
- Sono io. Come aveva intuito dall’inizio, immagino. – poi aggiunse a bassa voce ma in modo da essere sentito dall’uomo – Destari Frot. “Fuoco spegniti.”-
- Bene, bene! Un mago del fuoco! Noi poi dovremo parlare. Ora vi prego di rilassarvi qui. Questa sera vorrei che mangiaste alla mia mensa.-
- Se non disturbo, – intervenne Codero – noi dobbiamo ricongiungerci con la nostra carovana il più presto possibile. Abbiamo deciso di raggiungere i Monti Muraglia… Magari superarli, se non incontreremo ostacoli.-
- Si, d'accordo. Ne parleremo poi questa sera. Ora lasciate che i miei uomini vi facciano vedere dove dormirete.-
Entrarono due uomini con una casacca di pelle e una spada dell'Accademia al fianco. I Cavalieri vennero portati in una stanza più piccola con dieci amache attaccate al soffitto.
- La stanza degli ospiti.- ridacchiò uno dei due.
Ardof si sedette pesantemente su un'amaca, chiuse gli occhi e mormorò piano, stringendo l’alabarda tra le mani - Stern Moght. “Silenzio Esterno.” Ora possiamo parlare tranquillamente.-

Per cosa hai studiato la grammatica dell’antica lingua?
Questo è l’incantesimo più sgrammaticato che abbia mai sentito… no, non è vero. Quel destari al palazzo del mezzogiorno vince ancora… ricordate? Fuoco, prugne… avanti, sapete perfettamente di cosa parlo.
Ti va solo bene che la magia non abbia capito di dover zittire il mondo esterno.

- Bene. – sbottò Frida. – Mettiamo subito le cose in chiaro: questo tipo non mi piace. Troppi segreti, troppi giri di parole. Non mi fido di uno così e mai mi fiderò.-
- Neanche a me piace. – assentì Trado. – Però questa resistenza può aiutarci, quando arriveremo con i draghi ai Monti Muraglia avremo un vantaggio iniziale. Se riuscissimo a prenderli in contropiede e a farli indietreggiare potrebbero tendergli un'imboscata.-
- Trado ha ragione. Anche se ho paura che loro siano veramente pochi… Ma non possiamo fidarci di questo tipo a occhi chiusi. Dobbiamo scoprire qualcosa di più su di lui e su tutto questo posto.- commentò Codero.
Ardof si batté una mano sulla gamba. - Lui ha detto che faceva parte del più grande gruppo mai esistito. Ma se parlava di Quel Gruppo, perché ha detto che erano in quattro? Magari per sviarci, confonderci... oppure c’è stata qualche altra spedizione. Mi ricordo che nella stanza nascosta, nel Palazzo del Mezzogiorno, era stata evidenziata l’isola dei monaci su una cartina. Magari hanno mandato un gruppo lì a fare qualcosa…-
La voce di Diana interruppe le riflessioni di Ardof. - In ogni caso questa sera cercheremo di capire. Bisogna però creare una storia abbastanza convincente. Non mi sembrava molto convinto del fatto che abbiamo trovato questa roba di sopra.-
Frida ricapitolò. - Secondo lui Ardof è il mago. Bisogna anche inventarsi dei nomi per coprirci. Trado ovviamente è l'arciere, Diana è la Domatrice, Codero è il medico, o erborista, come lo chiama lui, e io sono la guerriera. Dobbiamo continuare a farglielo credere.-
- Sì, Frida ha ragione! Non dobbiamo commettere nessun errore. Se poi riterremo che merita la nostra fiducia, gli diremo le cose come stanno per davvero.- il tono di Trado era allegro e sicuro di se.
I due soldati tornarono a prendere gli ospiti e li trovarono sdraiati sulle amache. Delle armi colorate nessuna traccia, ma i due uomini non ci fecero caso.
La mensa era un'enorme caverna circolare naturale, con tre lunghi tavoli paralleli. Molte persone erano già al loro posto, davanti a un piatto fumante.
L'uomo li salutò dal posto capotavola del tavolo centrale.
Subito tre bambini vestiti con abiti di fortuna multicolore portarono agli ospiti cinque piatti pieni.
- Per favore. – disse Ardof implorante rivolto all'uomo. – Dimmi che questa non è carne.-
- Noi qui non possiamo allevare delle bestie. Tutto quel che mangerete qui sarà composto dai funghi che crescono sottoterra. Quelli che avete nel piatto ora sono funghi fritti.-
Cominciarono a mangiare in silenzio.
- Ora, che ha capito che non abbiamo cattive intenzioni, ci può dire il suo nome?- la voce di Codero squarciò il silenzio.
L'uomo si pulì gli angoli della bocca che si intravedeva sotto la penombra del cappuccio e prese fiato. - Il mio nome è oramai conosciuto solo più da me. Ed è meglio così. Voi potrete chiamarmi Il Capo, come tutti qui dentro, del resto. È una precauzione che ho dovuto prendere. E voi?-
Ardof ripassò mentalmente la storia che avevano inventato. - Io sono Nair. I miei compagni di viaggio sono: Fireo, Jeara, Sertian ed Debra.- disse indicando Codero, Frida, Trado e Diana. – Inoltre nel nostro gruppo c'era anche un altro membro, Eldèro, lo abbiamo perso durante il viaggio.- Cadde sui cinque un silenzio carico di dolore.
- Capisco... allora, Nair... giusto?-
- Si, sono io.-
- Bene. Dov'è che hai imparato la magia del fuoco? Se puoi dirmelo, ovvio.-
- No, no. È una domanda giusta da parte sua. Io, subito dopo il Cambiamento, mi sono trasferito oltre i Monti Muraglia. Lì ho conosciuto uno dei tre diplomatici: Farionim. Non so se lo conosce, almeno per sentito dire. Lui aveva creato una colonia di uomini-pesce e fate, mi ha accolto con lui e il suo drago e mi ha insegnato qualcosa sulla magia, per lo più le basi. Il resto l’ho imparato viaggiando per le terre. Sapeva che nel deserto si sono stabilite delle tribù? Anche i loro sciamani mi hanno insegnato qualcosa…-
- E, voialtri che storia avete alle spalle?- continuò Il Capo da sotto il suo cappuccio, ignorando la domanda.
- Mio padre era un soldato. Poi quando ho conosciuto gli altri ho capito che questa era anche la mia strada.- rispose bruscamente Frida.
- Io, invece, – disse Codero – al contrario di questi due non ho una storia particolare alle spalle. Quando il loro gruppo è passato vicino a casa mia ho deciso di viaggiare con loro. Mia madre mi ha insegnato le proprietà di molte erbe, quindi potevo anche essere utile, durante il loro viaggio.-
- Si, capisco. – disse l'uomo sporgendosi ma senza scoprire mai il volto – Però non ho capito come si è formato il vostro gruppo.-
- Ecco tutto. – fece Ardof cercando di sembrare più naturale possibile – Dopo aver appreso un po' di magia da Farionim e dalle popolazioni a est, ho deciso di vedere com'era diventata la vita da questa parte dei Monti Muraglia, sa, sono stato via per più di due anni… Oltretutto ero senza una Laira e potevo utilizzare le conoscenze che avevo ottenuto come guaritore o prestigiatore ai mercati. Ho girato per un po', guadagnandomi da vivere come potevo e, quando ho sentito che il re è impazzito, mi sono deciso a ritornare dall'altra parte. Purtroppo la guardia reale mi ha ostacolato poco lontano dalle colline che dividono la Piana Umana dai Muraglia... Mentre girovagavo, in cerca di qualcuno che potesse darmi informazioni sulle strade sicure per i valichi ho conosciuto Sertian.-
- Sì. Gli ho dato una mano un paio di volte e, alla fine, abbiamo deciso di restare uniti come gruppo.-
- Bene. Eravate un duo. Poi chi si è unito?- Il Capo cominciava a sembrare interessato alla storia che gli stavano raccontando.

Ed io che pensavo che Vago fosse l’unico in grado di inventarsi balle interessante…
Dai, su. Continuate.

- Poi, – Continuò Trado – sono passato dal villaggio degli elfi scuri e ho chiesto alla mia ragazza, Debra, di venire con noi.-
- E ora eccomi qua.- S'intromise Diana.
- Sapevo che gli elfi del Bosco Nero erano estremamente riservati. Non credevo avessero conoscenze al di fuori della loro comunità.-
- Ho avuto la fortuna di dovermi muovere fino a Gerala più volte per portare i prodotti dei nostri campi ai grandi smerciatori. Fu durante uno di questi viaggi che lo conobbi.- rispose l’elfa.
Anticipando la domanda dell'uomo Frida disse. - Quando poi passarono da casa mia, toccò a me unirmi al gruppo. E con me mio fratello, Eldèro, quello che oggi non c'è. Non aspettavo altro. Dovetti uscire da una finestra per non essere fermata dai miei genitori, ma mio fratello mi vide e decise di accompagnarmi…-
- Infine passarono da me. Nair aveva una brutta ferita a una gamba che aveva fatto infezione. Non so se lo sa, ma quando un mago ha la febbre la magia è indebolita… avevano sentito dire che mia madre era la migliore guaritrice in circolazione. Purtroppo lei non era in casa, un malato la stava trattenendo ad alcuni giorni di cammino dal mio villaggio, e dovetti curarlo io. – Codero prese fiato – Poi quando Nair si fu rimesso completamente mi proposero di andare con loro. Non riuscii a dire di no. In fondo non era il mio sogno quello di rimanere confinato in un villaggio come assistente di mia madre…-
- Bene. Ma, com'è che... Debra ha il draghetto e l'altro, Eldèro non c'è?-
- Eravamo appena entrati nella Grande Vivente quando un lupo enorme, grigio o bianco, non mi ricordo bene, ci attaccò. Eldèro si fece rincorrere da quel coso per lasciarci proseguire... poi non lo abbiamo più trovato.- Trado si zittì.
L’uomo parve dispiaciuto. - Probabilmente siete incappati in un Athur. Non credevo ce ne fossero ancora di vivi. Mi spiace dirvelo ma non sono in molti quelli che riescono a sopravvivere a un incontro con una di queste bestie.-
- Il mio drago invece lo abbiamo trovato mentre cercavamo Eldèro. Era ben nascosto. L'ha trovato... Jeara, mi sembra. Subito non sapevamo esattamente cosa fosse. Quando, però, tenni io in mano l'uovo non riuscii più a staccarmelo dal palmo. Da allora Nair mi allena per la magia ed Jeara con la spada. Come un vero Cavaliere.-
- Ti correggo, sei una Domatrice. Molto bene. Cosa volete fare, ora?-
- Spostandoci verso la Grande Vivente abbiamo incontrato un gruppo di ribelli che andava verso il fronte abbiamo deciso di unirci a loro.- rispose Ardof.
- Sapete cosa sono quelle armi che portate con voi? Non le spade, le altre.-
- Beh, direi che sono delle armi di eccellente fattura e dai colori sgargianti.- disse Trado.
- Non sono solo quello. Dove le avete trovate?-
- Erano... per terra, le spade fuori dai foderi e quelle armi abbandonate per terra. Erano state lasciate non molto lontano da quel palazzo da cui siamo entrati in questo posto.- fece Frida, gli altri annuirono.
- Perché avete preso proprio quelle?-
- Io ho preso tutto rosso per via dell'elemento che controllo.- fece Ardof.
- Io ho preso il completo bianco per via dell'arco. Ha una tensione incredibile… certo, devo trovare un po’ di frecce, ma almeno l’arma ce l’ho.- continuò Trado.
- La mia tuta non era per terra. – disse Diana – L'ho presa da una specie di magazzino. Non ce n'erano altre grigie, come la mia mano. Ho sentito delle storie sul fatto che i Cavalieri si vestissero dello stesso colore dei loro draghi.-
- Io ho preso la tuta verde poiché è il colore delle erbe con cui ho imparato a lavorare.-
- E io quella azzurra perché c'era la spada dello stesso colore.-

Mi correggo. Vago era l’unico in grado di inventarsi scuse decenti.
Ma come si fa ad inventare motivi così stupidi?

- Ah. Molto bene.- l'uomo sembrò rattristarsi dietro il suo cappuccio.
- Mi dica, – esordì Codero – perché ha detto che le armi che abbiamo preso su non sono normali?-
- Per favore, venite un attimo con me.- detto questo l'uomo si alzò e puntò verso l'uscita. I ventenni lo seguirono silenziosi.
L'uomo li guidò fino a una stanzetta appartata, lontana dalla mensa.
- Allora. – l'uomo si massaggiò il naso. – Quello che sto per dirvi è una cosa che pochi sanno. Pochi davvero.-
Ci fu un momento di silenzio.
- Quasi tre anni fa, quando il re cominciò a dare di matto, abbiamo deciso di ostacolarlo. Badate bene, perché ho detto abbiamo. Comunque. L'accademia si mosse contro la rocca del re. Purtroppo ad aspettarci c'erano dei... dei demoni. Fummo decimati. Molti ragazzi vennero uccisi. Ragazzi umani, elfici, draghi. Molti draghi vennero anche uccisi. Rimanemmo vivi solo in pochi. Fu una strage, ma noi ci eravamo preparati. Prima dello scontro abbiamo allontanato cinque ragazzi, non erano allievi come gli altri, i nostri saggi avevano visto in loro una forza incredibile. Li abbiamo incaricati di radunare le popolazioni dall'altra parte e guidarli contro il re. Penso che i ribelli sui Muraglia siano stati radunati da questi allievi.-
- Cosa avevano di tanto speciale quei ragazzi?- chiese Frida.
- Avevamo visto in loro un destino incredibile. Un destino dettato dagli dei, gli stessi dei che hanno cambiato il nostro mondo.-
- Si, – s'intromise Trado – ma perché ci dice queste cose? Noi cosa c'entriamo? Siamo un minestrone di persone che viaggiano assieme.-
- Vedi, quelle vesti, quelle armi, tutto quello che vi portate dietro era loro.-
- Si, certo. – continuò Trado. – ma tanto io non sono un dio, come non lo è nessuno dei miei compagni. Da quanto so.-
- Per favore, - disse Ardof. - perdoni l'insolenza di Sertian. Ma, lei come fa a conoscere tutte queste cose?-
- Io sono stato uno dei diplomatici. Drake è il mio nome.-

Zan zan zaaaan!
Vabbè, c’erano pochi dubbi su chi fosse, dopo quel discorsetto.

- Ma, scusi, lei ha detto che faceva parte di un gruppo di quattro persone. Da quel che Farionim mi ha detto i diplomatici erano solo tre.-
L'uomo si tirò giù il cappuccio, mostrando il i capelli grigi incolti e una cicatrice sullo zigomo.
“È proprio Drake!” commentò Ardof.
“Ma no? Sei un genio, davvero. Complimenti. Non l'avevo proprio capito.” ribatté Frida un po' scocciata.

Obbiettivamente non era difficile arrivarci…
Qualche piccolo indizio lo ha lasciato.

- Invece ci fu anche un quarto diplomatico. Quando andammo dai draghi per il trattato, ci fu offerto di diventare Cavalieri. Noi accettammo, ma uno di noi, Reis, non trovò nessun drago adatto a lui. Quando fummo tornati, decidemmo di nominare Reis re, per compensare ciò che non aveva mai ricevuto.-
- Un lucertolone alato sputafuoco.- puntualizzò Codero.
- Per l'appunto. Un drago.-
“Allora, glielo diciamo?” fece Frida.
“Non so. Scoprirci subito...” Trado era ancora scocciato dai giochi di parole con cui Drake gli aveva ricevuti.
“Dobbiamo dirglielo. Dopotutto di lui ci possiamo fidare. È stato uno dei nostri maestri...” ribatté Codero.
“Facciamo una cosa: domani mattina, quando leviamo le tende, gli diciamo la verità. Così magari ci darà il suo appoggio.” concluse Ardof mettendo d’accordo tutti.
- Scusi. – Codero ruppe il silenzio – Lei ancora non ci ha spiegato perché ci sta dicendo queste cose.-
- Vedete, il Fato esiste. Uno dei ragazzi che mandammo in missione lo incarnava. Io sono sicuro che c'è un motivo perché voi abbiate trovato le tute e le armi.-
- Si, un altra cosa non mi è chiara: perché vi siete divisi? Ha detto che eravate molto uniti.-
- Per il motivo più stupido del mondo. Nestra. Farionim si innamorò di lei, e con lui Reis. All'inizio tra i due ci furono dei battibecchi, niente di particolare, di pericoloso. Poi la cosa divenne una faccenda seria. Molto seria. Io non riuscivo più a farli stare calmi, alla fine Nestra decise di lasciarci per non fare danni alle Terre. Lì Farionim, il mio migliore amico, si fermò non si mosse più dal punto in cui era atterrato, spezzò il suo arco e lo gettò in un lago vicino. Alla fine mi lasciò anche Reis, rinchiudendosi nella sua rocca. Non rovinate le vostre amicizie per cose così futili, ve ne prego. Non sopporterei di vedere altre persone soffrire come ho sofferto io.- Drake sembrava sincero.

Proprio un tenerone, che altro si può dire?
Reis. Come dimenticare la scenata che fece quando nessun drago accettò di legarsi a lui? Comica.
Cosa? Non vi avevo già parlato di lui, prima? Oh! Come sono distratto!
Vabbè, ora sapete che ci fu un quarto diplomatico.

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Capitolo 38
*** Capitolo 37: Il sigillo ***


 Quella notte Ardof non riuscì a dormire. Non riusciva a capacitarsi delle notizie assorbite quella sera. Per fortuna la coscienza di Erdost era sempre allerta per tranquillizzarlo ogni volta che la sua testa dava vita a immagini orribili sulla possibile fine di quella guerra.
Non riusciva a far altro che lasciarsi dondolare dall’amaca, lanciando di tanto in tanto occhiate nella direzione delle armi elementari, rese invisibili dalla sua magia. Alla fine la stanchezza ebbe il sopravvento e il ventenne si addormentò nel suo giaciglio sospeso.

La mattina arrivò forse troppo presto e i Cavalieri si alzarono indolenziti dalle ruvide amache.
Vennero portati da Drake a un'uscita secondaria, più piccola ma sicuramente più vicina.
Quando sbucarono dal buco, che poteva essere scambiato per una tana di qualche animale, dovettero socchiudere gli occhi per la luce.
- Ora le nostre strade si dividono. Oh, Nair, se potessi salutare Farionim da parte mia te ne sarei grato.-  
- Certamente. Appena lo vedrò glielo dirò.-
I Cavalieri si fecero un cenno con il capo.
- Drake, – incominciò Codero. – noi non ti abbiamo detto proprio tutto.-  
Ardof cercò mentalmente il suo drago. Lo trovò immediatamente.
- Vedi… – continuò Frida – noi, non ci siamo incontrati proprio come ti abbiamo raccontato...-
- È difficile da spiegare. – concluse Ardof prima che Drake potesse dire qualcosa – Invece di cercare di spiegartelo, noi preferiremmo mostrarti quel che davvero siamo.-  
“Ora!”
- Sappiate che se siete spie del re non mi spaventate. Non farete più di tre passi da vivi.-
Le chiome degli alberi intorno si piegarono e violente folate si abbatterono sulla radura. Tutti chiusero gli occhi. Mentre una pioggia di foglie e ramoscelli pioveva su di loro.
Nella radura atterrarono i quattro possenti draghi.
Drake vacillo un poco e gli si riempirono gli occhi di lacrime.

Giuro che, se avessi ancora potuto, avrei scattato una foto alla faccia di Drake. Unica, davvero. È un peccato che non possiate vederla. Credo rimarrà per sempre nella lista dei miei cento migliori ricordi.

- Quindi, i Cavalieri... voi... non siete morti...-  balbettò Drake.
Trado fece un sorriso tirato. - Beh, noi in realtà siamo morti, poi per vari motivi siamo stati riportati in vita. Comunque adesso siamo vivi. Per il momento.-  
- Va bene. Non ho capito quel che hai detto, però adesso non mi interessa. Quindi avevamo ragione? Davvero voi siete i predestinati? Le incarnazioni degli dei.-  
- Predestinati, come incarnazioni, è un po' vago. – rispose Frida, tenere Drake sulle spine la faceva stare bene – Diciamo che noi siamo… Gli dei ci hanno detto che noi siamo i loro templi su queste terre. Ecco cosa siamo, templi.-  
- Comunque, – prese la parola Ardof – abbiamo bisogno che la Resistenza sia pronta alla battaglia. Al fronte potrebbero esserci delle svolte e dobbiamo prendere da dietro l'esercito del re. Chiuderlo in una morsa per avere qualche possibilità in più.-  
- Il gruppo a cui vi siete uniti, se così è andata, da quanti soldati è composto?-  
- Mi hanno detto da ventimila soldati. Più quelli che abbiamo radunato e che ora stanno combattendo al fronte.-  fece Ardof.
- Vuoi scherzare? Ventimila uomini non bastano per causare uno stravolgimento. Io l’ho visto con questi occhi l’esercito del re!-  
- Chi ha mai parlato di uomini? – Frida adorava la smorfia di confusione che si dipingeva sul volto dell’insegnate – Sono draghi. I draghi selvatici con cui avete stipulato il trattato sono tornati. Anche se chiamarli selvatici non è poi così corretto, a quanto ho visto sulla loro isola, sono più civilizzati i draghi selvatici che quelli legati agli umani e agli elfi.-  
Drake strabuzzò gli occhi.
- Voi siete pazzi! I draghi vogliono sempre qualcosa in cambio. Sempre! Cosa gli volete dare? Quelli hanno già tutto!-
- Lui ha già risolto tutto.-  disse Codero indicando Ardof.
- Gli ho promesso una terra dalla parte est dei Monti Muraglia.-
- Capisco… ma, ditemi: come stanno gli altri?-
- Altri? Di chi parla?-  chiese Trado.
- Non siete ancor stati sull’isola dei monaci? Voi dovete…-
- Signore, deve scendere. C’è bisogno del suo intervento.-  lo interruppe un ribelle.
Drake salutò con un sospiro i Cavalieri e sprofondò di nuovo nel cunicolo da cui erano usciti.
“Secondo te come l'ha presa?”
“Uh, mi sembra che non fosse proprio convinto riguardo all'ultima parte. Quella sui draghi.” rispose Erdost.
I Cavalieri montarono sui draghi e partirono.
- Come facciamo a trovare l'esercito dei draghi? Potrebbero essere ovunque.-  fece Frida.
- Tranquilla. – la rassicurò Codero. Il ventenne tirò fuori dalla sella di Marfest un foglio spiegazzato. Era la mappa che li aveva condotti alle capitali – Quando abbiamo lasciato i draghi ho usato sulla nostra mappa lo stesso incantesimo che mostra le nostre posizioni: ora oltre a mostrare dove ci troviamo noi, ci fa vedere anche quanto lontana sta volando Fariuna con il suo esercito.-  
Mostrò a tutti il sesto puntino giallo che si muoveva sulla mappa a incredibile velocità.
- Dovrebbero essere... vicini a noi, a qualche chilometro da quella parte.-  Indicò un punto nella direzione dei Monti Muraglia.
- Prima però dobbiamo andare all’isola dei monaci. Come vi ho detto, quando ho trovato l’uovo d’argento e Dimitri, sul muro, c’era una cartina e l’isola era circolata. Dobbiamo andare, l’ha detto pure Drake.-
Codero chiuse gli occhi e le vene si fecero più marcate sulla sua fronte.
Passarono diversi secondi, prima che lui ritornasse a volgere lo sguardo ai suoi compagni.
- Ho detto a Fariuna del nostro ritardo. Aspetteranno il nostro arrivo per attaccare.-
Sulla mappa sgualcita la macchia che rappresentava la regina dei draghi virò verso sud, puntando una piccola montagna che si ergeva sul mare.

Cosa diavolo sta succedendo, ora?
Di questo non ero a conoscenza. Cosa diavolo hanno nascosto su quello scoglio insignificante? Soprattutto dopo quell’incidente con i monaci… Loro conoscevano alla perfezione il risultato della mia missione… sapevano che quel piano non era realizzabile, è per questo che mi sono ritrovato a seguire questa marmocchi!
Spero solo che non si vadano a creare altri problemi.

In un giorno e mezzo di volo serrato riuscirono ad arrivare a destinazione.
Era mattina inoltrata e l’isola era completamente deserta.
- Bene. Per prima cosa dobbiamo capire chi o cosa dovevamo trovare su quest’isola. Dividiamoci. Il primo che scopre qualcosa contatti gli altri. Diana, visto che non sei ancora in grado di espandere la tua mente, vai con Trado.-  Frida aveva preso in mano la situazione.
I cinque si divisero.
Ardof non trovò altro che templi abbandonati e distrutti. Dei monaci a cui l’isola doveva il nome non era rimasta neanche l’ombra. Non erano rimaste nemmeno delle tombe tra i ruderi di quelli che potevano essere degli alloggi.

E pensare che immediatamente dopo il Cambiamento erano nate un’immensità di idee per l’uso di questa isoletta... Se solo quegli imbecilli avessero voluto ascoltarmi, quel giorno, qui ci sarebbe ancora qualcosa…

Solo a tarda serata una voce richiamò l’attenzione del Cavaliere carminio.
“Sono Frida. Ho trovato qualcuno… venite. Seisten sta volando proprio sopra di me.”
Ardof si precipitò nel luogo indicato.

Frida era in piedi, da sola, davanti a una grotta.
- Che succede?-
- Guarda tu stesso.-
Dentro all’insenatura Trado e Diana erano chini su tre corpi.
- Ma che…?-
Due ragazze e un ragazzo nelle loro tute da Cavaliere erano stesi a terra, privi di coscienza.
- Come stanno?-  chiese entrando nella grotta.
- Non lo so. – gli rispose il Domatore bianco – Bene. Credo. Mi sembra abbiano il mana congelato.-
- Congelato?-  ripeté Diana.
- Si, è tipo un termine medico… per i maghi. – rispose Ardof facendo una altro passo avanti – Capita quando il mana di un corpo cala troppo rapidamente ma non si esaurisce completamente. Il corpo rimane congelato finché la riserva di energia magica non si è ricaricata completamente. È tipo un sistema con cui il corpo cerca di sopravvivere a uno sforzo magico eccessivo. Taglia ogni consumo di energia superfluo, così da poter rimanere in questo stato a lungo senza doversi nutrire.-
Un flash colpì il Cavaliere rosso non appena si avvicinò all’umana nell’armatura smeraldina. I capelli lunghi tenuti insieme da una coda di cavallo non gliel’avevano fatta riconoscere. Quelli e due anni trascorsi senza vedersi.
Ma adesso non c’erano dubbi su chi fosse l’umana dai capelli corvini.
Un sorriso nacque sul suo volto.

No! Non ci credo!
Niena? Niena! Sei viva? Ma come? Quando?
Per gli dei! Cosa ci fai qui? Qual era la vostra missione?
Va bene. Ok. Mi rimangio tutto. Grazie.
Grazie a tutti voi, dei.
Non dubiterò più così tanto di voi.
Grazie!

- Cosa ci faranno in questo posto?-  chiese Diana tornando a guardare il viso dell’elfo.
- Non lo so. Ma ce lo diranno presto. Appena arriva Codero proveremo a svegliarli.-  gli rispose ancora Ardof.

Il Cavaliere verde non si fece aspettare per molto.
- Dobbiamo provare a ricaricarli con il nostro mana. – esordì Trado – Ma potrebbero essersi congelati da troppo poco… non penso si sveglieranno se non riusciamo a riempire completamente la loro riserva.-
Frida si fece largo con una spallata per andare dai corpi. - Cosa aspettate? Dobbiamo provare a fare qualcosa. Anche se non si svegliassero almeno velocizzeremo il processo.-
Il mana cominciò a fluire dai tre Cavalieri, mentre Diana cercava disperatamente di fare come suo marito le aveva spiegato.
I tre corpi assorbirono voracemente l’energia magica che gli si gettava nel petto, ma l’ora di terapia non fu sufficiente a farli svegliare.
I Cavalieri si sedettero ansimanti.

No! Dai, guardatela!
Niena si sta per svegliare! Non vedete il movimento delle palpebre?
Dai! Basta ancora poco mana!
Non importa. Vuol dire che ci penserò io.

Ecco. Prendi un po’ della mia energia…

Con un colpo di tosse l’umana dai capelli neri si mise bruscamente a sedere. Il petto le tremava vistosamente.
- Niena? Stai bene?-  chiese il Cavaliere scarlatto.
La ragazza si girò di scatto come se qualcosa di caldo l’avesse toccata.
- Aspetta. Tu chi sei? Come fai a conoscermi? Voi… siete Cavalieri e Domatori dei draghi, vero?-
- Davvero non ti ricordi di me? Vabbè, ci siamo visti poche volte, in effetti…-
- Forse… tu sei quello con cui sono partita per l’ultima missione, vero? An… Arol?-
- Ardof. Si sono io. Non pensavo che qualcuno fosse sopravvissuto… degli studenti. Perché siete venuti su quest’isola?-
- È successo poco prima che i draghi atterrassero. Un gruppo si era staccato e viaggiava verso nord e noi tre venimmo chiamati da Drake per una missione. Ci disse che probabilmente quell’assalto non si sarebbe concluso con la nostra vittoria e che il gruppo che si stagliava sull’orizzonte era composto dalle uniche persone che avrebbero potuto uccidere il re. Se però anche quell’offensiva avesse fallito saremmo dovuti intervenire noi. Non credo le abbiate notate, ma sulle pareti di questa caverna sono incise centinaia di rune. Il nostro compito è quasi finito, appena i miei compagni si sveglieranno completerò il sigillo che renderà questa caverna una prigione temporale. L’ultima linea difensiva contro il re.-
- Una prigione temporale?-  chiese Trado passando un dito sulla runa più vicina. Una piccola scheggia di pietra gli rotolò sullo scarpone.
- Si. È un incantesimo complicato, in pratica, una volta lanciato chiunque entrerà in questa caverna rimarrà intrappolato in un tempo che scorre centinaia di volte più lentamente del nostro, senza la possibilità di uscirne. Almeno, questo è quello che c’è scritto sulle istruzioni che ci hanno lasciato.-
- Capisco… Solo un’ultima cosa, – disse Ardof – i vostri draghi?-
- Si sono rifugiati su un’isola più a sud, in attesa di un nostro messaggio. Ma ora dimmi, la vostra missione ha avuto successo?-
Niena venne messa subito al corrente della situazione sulle Terre. Per tutta la durata del racconto la sua fronte rimase corrucciata.
- Ho capito. Va bene. – disse risoluta l’umana dai capelli neri – Voi andate a fare quello che dovete. Io per il momento non potrò seguirvi. I miei compagni devono ancora riprendersi e dobbiamo ancora attivare l’incantesimo. Non appena ci saremo ripresi vi raggiungeremo, è una promessa.-
- Non devi promettere. Ti credo sulla parola.-  le rispose Ardof, accennando un sorriso.
- Si, certo. Comunque sarebbe meglio se richiamaste i draghi. Sareste più al sicuro con loro nelle vicinanze.-  si intromise Frida con tono secco.
- Hai ragione… allora noi ci rivedremo sui Muraglia, vero?-
- Certamente. Ora però voi pensate a terminare la vostra missione e ristabilitevi, al resto proveremo a pensarci noi.-  le rispose sorridendo il Cavaliere rosso.
- Andiamo. Non dobbiamo far aspettare Fariuna.-  lo rimbeccò l’elfa dall’armatura azzurra dall’ingresso della grotta.
- Si, certo. Scusa… Ci rivedremo, Niena!-  disse il Cavaliere uscendo dalla grotta in direzione di Erdost.
- Ci conto! E, Domatrice argento, complimenti per essere diventata una di noi!-
I quattro draghi ripartirono con un poderoso battito d’ali sotto lo sguardo di Niena.

Il Cavaliere verde tornò a voltarsi verso i compagni ancora svenuti. - Sei qui, non è vero? È la prima volta che sento la tua presenza da quando tutto è cominciato a precipitare… stavi aiutando il gruppo di Ardof, vero? Hai fatto la cosa giusta, solo… che in qualche modo mi sei mancato… – Le labbra di Niena si incresparono in un sorriso – Ma forse sono solo io che voglio immaginarti qui…-

Oh, Niena… quanto vorrei poterti dire che sono qua…
Non posso, purtroppo. Ma è meglio così. Mi sei mancata, è vero. Ma non posso lasciarmi ossessionare da te…
Devo andare, ora. Lo devo al Fato.
Mi raccomando, abbi cura di te e dei tuoi compagni… magari ci rivedremo…

Un falchetto spiccò il volo poco lontano, scompigliando i capelli della ragazza con l’aria spostata dal battito frenetico delle sue ali. 

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Capitolo 39
*** Capitolo 38: La tattica dei draghi ***


 “Fariuna.” chiamò Trado con la mente.
“Si? Siete arrivati?”
“Vi vediamo. Ti ho chiamata in anticipo per darti per primo la notizia. Il tuo uovo si è schiuso. Ora il cucciolo è legato a Diana.”
Un'ondata di emozioni diverse e contrastanti travolse Trado con la potenza di un uragano. L’elfo fece fatica a rimanere concentrato.
“Scusa, è che... che non me l'aspettavo. Grazie per avermelo detto.” Riprese la regina dei draghi dopo essersi calmata.
“Non importa. A tra poco.”
Trado si ritrasse dal contatto.

Non riuscivi proprio a trattenerti per un’altra ora, vero?
No, mi raccomando. Distrai la regina dei draghi con una notizia di questo minuscolo peso. Tanto la riuscita del vostro piano non dipende solo dalla freddezza con cui guiderà il suo esercito.

Di lì a poco il gruppo poté vedere la nuvola multicolore dei draghi.

“Erdost, secondo te, tra quanto entreremo nel gruppo?”
“Se non ci sono venti contrari tra una decina di minuti. Non sono così tanto lontani.”
E così fu. Il gruppo di draghi sembrava uno stormo in migrazione. Fariuna era al centro, attorniata dai suoi quattro generali.
- Per favore, – disse la regina ai suoi generali – lasciatemi da sola con i Cavalieri.-  
Attorno al drago rosato si creò un vuoto.
- Venite pure.-  I quattro draghi si avvicinarono.
- Bentornati. Sono contenta di vedervi.-  continuò la regina.
- Fariuna. – disse un po' intimorita Diana dalla sella di Reicant – Vedi, si tratta del suo uovo... insomma... mentre andavamo verso il Palazzo, beh, mi si è schiuso in mano... io, cioè non sapevo che... che potesse succedere una cosa del genere. Però, insomma... questo è il cucciolo che ne è uscito.-  la ragazza mostrò il draghetto nero alla regina dei draghi. I due draghi si squadrano.
- Ascolta, non è colpa tua se lui ti ha scelto. Anzi, sono sollevata e felice che abbia scelto te. Felice per te e per lui.-  una lacrima rigò il muso della dragonessa, cadendo poi nel vuoto
- Aspetta, mi sembra giusto che tu possa vedere bene il tuo cucciolo. – Fece Trado e con un balzo passò sulla sella di Marfest, rischiando di far cadere il Cavaliere verde. – Fariuna, se prendi la tua forma umana il posto per te sulla sella di Reicant c'è.-
La regina non se lo fece ripetere due volte. In un attimo era già seduta al contrario sulla sella del drago bianco con il draghetto scuro in grembo.
- Come... come l'hai chiamato?-  la voce era rotta dall'emozione.
- Io, non le ho ancora dato un nome... non so neanche da dove devo cominciare... -  
La voce di Codero le risuonò nella testa. “Il nome è una caratteristica fisica o... o di un episodio particolare tradotto nella lingua del potere. Noi abbiamo usato questo metodo per trovare il nome ai nostri compagni.”
Il Cavaliere verde mise a disposizione di Diana la sua conoscenza e il suo vocabolario della lingua del potere.
- Si, allora... si, forse. no. E... forse. Ci sono! Vanenir! Sangue azzurro!-  
- Bene, allora Diana ti affido Vanenir e spero che te ne prenderai cura.-  concluse Fariuna con gli occhi lucidi.
La regina saltò via dalla sella del drago candido e riprese la sua vera forma. Frenò la caduta con uno schiocco delle ali membranose e si portò di nuovo al centro dello stormo.
Il buio arrivò all'improvviso, grandi nubi temporalesche si addensarono in un attimo sopra al gruppo dei draghi.
Una voce spaventosamente bassa arrivò direttamente nel cervello dei ragazzi. “È ordine della regina che tutti i draghi atterrino.”

Ardof si separò dal gruppo per sedersi su uno spuntone di roccia che guardava a ovest.
Dalla collina su cui si erano accampati la Grande Vivente era solo una striscia verde scuro che si stagliava sul crepuscolo.
- Bello spettacolo, vero?-  
Ardof balzò in piedi e per poco quel gesto non lo fece cadere dal masso su cui si era appollaiato. - Frida! Mi hai spaventato! Per la centesima volta, oltretutto.-
- Già, e sempre nello stesso modo…-
- Comunque si, è uno spettacolo incredibile.-
- Vieni, devo farti vedere una cosa. Uno spettacolo un po' diverso…-  la ragazza gli prese la mano e lo portò dalla parte opposta della collina, lo fece passare attraverso delle sterpaglie secche alte fino al ginocchio e in un roveto. Alla fine si ritrovarono davanti a una colonna di roccia naturale. Sembrava un obelisco.
- Ik. “ Su.”-  i due Cavalieri si sollevarono da terra e fluttuarono verso la cima della montagnola. Sopra vi era uno spazio erboso ombreggiato da un ulivo dai rami contorti e le foglie ingiallite.
- Wow. Come ha fatto a nascere qui quest' albero?-  
- Non lo so. Ma non è proprio questo che volevo farti vedere.-  Frida lo portò sull'orlo della colonna e gli mostrò la vallata che aveva ospitato gli scontri.
- Siamo davvero così vicini?-
- Si. Secondo Fariuna arriveremo là per domani pomeriggio. Anche se si alzasse il vento contrario li raggiungeremo prima che il sole superi l’orizzonte.-  
I due si sedettero con le gambe a penzoloni. Frida gli posò la testa sulla spalla e Ardof le guardò pensieroso i capelli castani scompigliati.
Di lì a poco arrivò anche Erdost, che si accucciò di fianco al suo Cavaliere, con la coda che penzolava al di fuori di quel praticello fuori dal mondo. Ardof gli appoggiò una mano sulla scapola squamosa.
Si. Stava bene. Era in mezzo alle persone a cui voleva più bene. Neppure la distesa nera demoniaca che si stendeva per la vallata poteva demoralizzarlo. Era la persona più felice del mondo o, se non lo era, ci mancava davvero poco.

Ti accontenti di poco…

Ardof si addormentò appoggiato al ventre caldo del drago cremisi, mentre la sua ala spiegata lo riparava dalla pioggia che aveva cominciato a cadere sulla collina.
Quando il Cavaliere si svegliò il sole non era ancora sorto e accanto a lui non c'era più nessuno. Dall'ulivo cadeva una goccia ogni secondo. Ardof mise le mani a ciotola e raccolse l'acqua.
La superficie divenne opaca, poi la faccia di Frida comparve tra le mani del ventenne.
- Ciao. Fariuna ci ha chiamati e non volevo svegliarti. Ricordati che siamo dove ieri ti ho spaventato... – le labbra della ragazza si incresparono appena in un sorriso – A presto.-
La superficie dell’acqua tornò trasparente e il Cavaliere la usò per sciacquarsi la faccia.
Ardof si cercò di pettinare i capelli, poi partì di corsa verso l'altra parte della collina.
Il Cavaliere ringraziò gli dei che la tuta dell'Accademia proteggesse da qualunque cosa, quando dovette ripassare fra i rovi.
Quando fu arrivato da Fariuna aveva il fiatone, la faccia arrossata e gli scarponi ricoperti di fango.
- Bene, ora che ci siete tutti posso spigarvi il piano per domani: arriveremo al monte che ci avete indicato per le tre di pomeriggio, non prima. Inoltre dovremo volare alti per evitare le frecce e per non essere visti. Dobbiamo sfruttare il fattore sorpresa e la paura che quei soldati possono avere della mia razza.-  
I cavalieri annuirono.
- Appena saremo arrivati qui, – la regina indicò con un dito affusolato un monte poco distante dal campo di battaglia – Voi dovrete partire da soli per infondere coraggio ai vostri soldati e dare a loro la notizia della nostra scesa in guerra. Una volta fatto questo attaccheremo tutti insieme. Durante la nostra prima incursione fate stare tutti i vostri uomini lontani dal nemico. Le nostre fiamme non fanno distinzioni tra amici e nemici.-
- Come farete a sapere che è il momento?-  chiese Codero.
- Uno di noi verrà con voi e ci darà il segnale prestabilito.-  
- Se lei... tu ne sei sicura, va bene.-  concluse Trado.
- Chi dovrebbe venire con noi?-  Chiese Frida.
- Venite, vi presento.-  
La regina li portò a un estremo del campo, presieduto da una grossa tenda verde. L’unica tenda che i draghi avevano montato.
Dentro l'aria era intrisa del profumo di molte spezie.
Gli venne incontro un uomo, o meglio un drago sotto le spoglie di un uomo, smilzo, alto, con i capelli bianchi e un naso adunco. Era il primo che vedevano sotto una forma così poco altezzosa e nobile.
- Vi presento Nettevì, è uno dei miei draghi più fidati e, inoltre, per via di alcuni problemi a cui non accennerò non potrà unirsi a noi nella pieno della battaglia.-  
I cavalieri strinsero a turno la mano del drago che sarebbe partito con loro.
- Bene, – si congedò la regina – io devo preparare l'attacco e dare le ultime direttive. Voi… – Fariuna si passò una mano tra i capelli neri – Voi fate quel che volete, basta che siate pronti per partire entro un’ora. Prima che il sole sorga.-  
- Si regina.-  Nettevì si piegò in uno strano inchino e tirò su con il lungo naso.
Quando la regina fu scomparsa nell'accampamento Nettevì si diresse alla sua tenda senza fiatare.
“Che simpaticone…” commentò Frida.
I Cavalieri misero tutti i loro bagagli nelle selle e si sdraiarono sulle foglie secche compattate dal diluvio della notte.
In quell’ora riuscì a ricominciare a piovere. Reicant spiegò la sua candida ala sui Cavalieri che cercavano di far passare il tempo, chi sonnecchiando, chi ammirando le proprie armi.
Ardof stava ammirando la squama rossa persa da Erdost, quando un ruggito basso riempì l’aria.
Nettevì era già pronto sul versante nord della collina su cui erano accampati, aveva i vestiti bagnati e una borsa sgualcita a tracolla. I capelli erano attaccati alla fronte e sugli occhi ma il drago sembrava non farci caso. Erano in ritardo di mezz’ora sulle previsioni di Fariuna per colpa di quella pioggia.
Il terreno era saturo d'acqua, le unghie d'avorio dei quattro draghi degli elementi erano inzaccherate di melma.
All'orizzonte si poteva vedere lievemente l'arcobaleno.
Quando i quattro cavalieri si fermarono alle spalle di Nettevì, il drago si trasformò in un rettile malaticcio con un'ala più corta dell'altra e la coda mozzata. Il drago aprì le ali sghembe e si sollevò da terra.

Mamma mia che drago mal ridotto! Dannazione, poveraccio! Trovategli un diavolo di mago che lo rimetta in sesto!
Perfino da ubriaco riesco a volare più dritto di lui!

I draghi degli elementi fecero altrettanto.
La temperatura fra le nuvole era davvero bassa, ogni goccia d'acqua era come un proiettile sulla pelle di Ardof.
- Destari intr! “Fuoco dentro!”-  la pelle del Cavaliere riprese un po' di colore mentre i suoi muscoli venivano scaldati dalla magia.

La grammatica, maledizione! La grammatica!
Possibile che non riusciate a comporre una frase di senso compiuto? Cosa vuol dire fuoco dentro?
Ringrazia di essere ignifugo, perché altrimenti saresti diventato un pezzo di carbone, probabilmente.

I draghi sorvolarono il campo nemico. Migliaia di demoni neri ammassati nella vallata.
Ad Ardof venne un brivido, sia lui che Erdost avevano paura. Tanta paura.
“Il campo dei nostri soldati non è molto lontano... ce la fai ad andare avanti?” chiese Ardof grattando le squame dorsali del drago carminio.
“Tranquillo, non ho mai ceduto in volo e non cederò ora. Soprattutto dopo una notte di sonno come questa.”
Finalmente atterrarono nell'avamposto delle popolazioni dell’est. Attorno a loro si creò una folla parlottante. Si fecero spazio il Governatore di Chiritai, Farionim, Foglietta I sulla spalla di quest'ultimo, Re Vroyer e Fasto.
La nota positiva nella faccenda è che avevano digerito la loro resurrezione. Questo era un bene.
- Bentornati!-  disse Farionim sfoggiando un sorriso splendido.
- Siamo felici che siate di nuovo fra di noi. In tutti i sensi.-  apostrofò Fasto.
- Siamo contenti anche noi di essere qui. – disse Trado – scusateci se non siamo più venuti a trovarvi dopo la battaglia… non volevamo creare troppo scompiglio.-  
- E il vostro compagno chi è?-
Fu Ardof a rispondere - Siamo partiti perché sapevamo di essere in svantaggio rispetto ai demoni. Siamo andati a trovare l'unica razza libera che non era ancora scesa in guerra…-  
- Ti prego... non dire i draghi.-  borbottò Farionim.
- I draghi.-  
- Siete pazzi! – imprecò Vroyer – Dei draghi non bisogna fidarsi!-  
Il re dei nani venne colpito da un’occhiata gelida di Codero.

Quel povero Cavaliere aveva perso due anni di vita con lui e non era riuscito a convincere il re dell’intelligenza di quella razza.

- E… – aggiunse Farionim – pretendono sempre qualcosa in cambio. Lo so per esperienza.-  
- A questo abbiamo trovato una soluzione. – continuò Ardof tranquillo –Governatore?-
- Si?-
- Lei mi aveva detto che se avessimo vinto la guerra lei e il suo popolo vi sareste trasferiti nella parte ovest delle Terre, o sbaglio?-  
- No, è corretto. Ma con questo?-
- Ho detto a Fariuna, l’attuale regina dei draghi, che sarebbero potuti andare a vivere in quella zona se la guerra fosse finita in nostro favore.-  
I governanti rimasero un attimo in silenzio.
- C'è un piano. – disse Frida. – I draghi si stanno preparando per la guerra. Nelle prossime ore ci manderanno un messaggio attraverso lui. – e indicò il drago verde. – Allora, appena loro avranno terminato la prima incursione, dovremo attaccare in massa. Il nostro obbiettivo non deve essere per forza quello di sterminare il nemico, basterà farlo indietreggiare a sufficienza. Ai confini della Grande Vivente c'è un gruppo ben nutrito di ribelli guidati da Drake. Lì spero che si svolgerà l'atto finale. Se non riusciamo a sconfiggerli prendendoli di sorpresa non so se avremo un’altra possibilità.-  
- Volete dire che sarà Drake a guidare i ribelli?-  chiese Farionim.
- Si.-  rispose Trado.
- E ti saluta.-  aggiunse Ardof.
Codero approfittò di un attimo di silenzio per dire. - Noi, approfitteremo della battaglia per raggiungere la Rocca delle Due Razze. In ogni caso rimarremo in contatto con voi. Uno di noi vi passerà le informazioni necessarie, faremo così anche con i draghi e i ribelli.-
- Molto bene. Manderemo l'ordine di armarsi.-  concluse il discorso Foglietta I.
I cinque governatori se ne andarono richiamando i generali.

I Cavalieri aspettarono che la folla si disperdesse nell'accampamento scavato nella roccia, dirigendosi poi verso la bara del compagno caduto per loro.
Il suo viso era duro, bianco, ma il sorriso era ancora il suo. Il sorriso di un bambino, il sorriso di un mezzo pazzo, il sorriso di chi sa di essere diventato un eroe, forse.
Era uno sguardo che Ardof non aveva visto su nessun altro in vita sua. Ma una cosa era sicura, Vago non era una persona comune.

Ci fosse una sola persona normale in questo gruppo…

I quattro si ritirarono nelle tende che i soldati della resistenza aveva montato per loro in un angolo dell’accampamento.
Mentre Ardof si sciacquava il viso dallo sporco che lo aveva accompagnato dalla partenza dalla capitale dei draghi, arrivò a fargli compagni una farfalla che rischiarava un poco la tenda intorno, come una piccola candela.
Le sue ali sembravano fatte di fuoco, ma non era una fata, come si sarebbe aspettato.

Ehi, non guardate me, questa volta.
Finalmente hanno capito che non sono qui per eseguire ogni loro ordine e basta.
E poi, dai. Una farfalla? Sul serio? Avanti, mi conoscete. Fossi stato io sarei diventato un enorme teschio infuocato con tanto di corna che fluttua a mezzaria. La farfalla non è proprio nel mio stile.

La farfalla svolazzò in tondo, per poi poggiarsi al centro alla tenda.
Ci fu un bagliore e la farfalla prese a crescere, assunse una vaga forma umana, gambe, braccia, un volto... l'alabarda del fuoco si alzò da terra e librò verso il nuovo arrivato che la prese al volo, sicuro, come se si fosse allenato per anni nel maneggiarla.
Ardof si inginocchiò subito al nuovo arrivato. Davanti a lui stava in piedi un uomo senza età, la faccia pallida in netto contrasto con gli occhi rossi incandescenti. I capelli erano fuoco vivo, scoppiettante e informe. Il nuovo arrivato portava un'armatura pesante di placche metalliche filigranate, un elmo con un pennacchio di fuoco sotto il braccio e l'alabarda luminosa come non mai in mano.
Era il messaggero, ne era sicuro. Non percepiva lo stesso potere che lo aveva avvolto nella Volta, ma era estremamente simile.
Le labbra rosse del soldato di fuoco si incresparono in un sorriso divertito, come se stesse ridendo a una battuta che aveva sentito solo lui. - Perché ti inginocchi davanti a un tuo pari, Ardof? Non lo hai fatto al nostro primo incontro.-

Senti un po’ quel fiammifero maledetto.
… Non lo hai fatto al nostro primo incontro. Non lo hai fatto al nostro primo incontro?!
Bravo! Prenditi i meriti non tuoi. Tanto ero solo io quello con un’armatura nera sotto il sole del deserto.
Te la farò pagare. Non so ancora come, ma una maniera la troverò. Stanne certo.

- Scusami... – disse il Cavaliere rialzandosi – perché sei venuto fin qui? Cos’altro hai da dirmi.-  
- Il nostro signore vuole metterti in guardia.-  Il messaggero porse al Cavaliere un foglietto spiegazzato e ingiallito. Sembrava antico, come se fosse un reperto. Appena Ardof prese il foglio di carta il messaggero si ritrasformò in farfalla e se ne andò.
Ora in mezzo alla tenda erano ammucchiati i pezzi l'armatura del soldato di fuoco e l'alabarda dell'elemento che aveva ripreso il suo colore abituale.
Ardof lesse il biglietto ad alta voce. - Buon pomeriggio, Ardof. Il mio consiglio è solo quello di lucidare le armi e scaldare i muscoli perché tra poco un incendio ti colpirà con tutta la sua prorompenza. Spero che il mio dono ti sia utile nelle battaglie a venire. Ricorda sempre chi sei, un figlio del fuoco. Arrivederci, il tuo signore.-

Semplicemente scrivere “preparati!” era troppo difficile?
Sappiamo già che sei il dio del Fuoco, non c’è bisogno che ce lo ricordi.

Ardof si tolse per la prima volta la tuta rinforzata dell'accademia per mettersi la nuova armatura.
Le placche metalliche erano molto più leggere e flessibili di quanto avesse pensato la prima volta che le aveva viste, ma davano un senso di resistenza incredibile.
Nessun metallo sulla terra aveva quelle caratteristiche, ne era sicuro.
I glifi sull'armatura presero a vorticare, modificandosi e unendosi. La frase finale recitava: “Ardof, il dominatore del fuoco, il Cavaliere delle fiamme, la fenice del Signore del Fuoco.”
Il ragazzo si sedette a gambe incrociate sulla branda, posò a terra l'elmo e con un panno cominciò a lucidare la lama della sua spada e quella dell’alabarda.
Dopotutto era stato uno degli Dei primigeni a suggerirglielo.

Non credo che intendesse lucidare le armi nel senso letterale del termine… dubito sarebbe di qualche utilità in questo momento.
Ma fai quel che vuoi. Vedi solo di non tagliarti qualche dito.

Nel rubino incastonato nell’elsa di Pyra la fiammella era divampata.
Verso l’una del pomeriggio un soldato andò alla tenda del Cavaliere rosso mentre sbraitava come un forsennato. - Vieni, sbrigati! Il vostro dannato amico sta dando di matto come un ubriaco alla festa degli alcolici dei nani. Presto!-  
Nettevì era sdraiato sul pavimento della grotta, sbavando e contorcendosi.
Urlava come un forsennato. - Sii, sii mio siignore!! Solo per leiii! Lo farò siignore!-

Ma che?
Spero che questo rettile malandato soffra di allucinazioni e convulsioni… se non è così prevedo grossi problemi.

Ardof entrò nella mente del drago storpio e la trovò contorta, era un labirinto, completamente diversa da quella di qualsiasi altra creatura.
Sopra quel labirinto oscuro fluttuava un'immagine nitida, una corona d'oro circondata da un alone nero.
Il Cavaliere carminio uscì appena in tempo da quella mente così inusuale per vedere il drago alzarsi incerto sulle proprie gambe e scagliarsi contro di lui.
Con una velocità che nessuno gli avrebbe mai attribuito, Nettevì rubò una spada a un soldato lì vicino, abbassandola violentemente sulla testa del Cavaliere.
L’alabarda pose l’asta filigranata tra la lama e la pelle appena in tempo.
Ardof riusciva a stento a parare i colpi del drago storpio con quell’arma così ingombrante, senza mai riuscire a creare uno spazio sufficiente per attaccare.

Merda.
Devo trovare una soluzione al problema.
Quell’inutile alabarda va bene solo a un mago puro, come puoi pretendere che in un duello sia di qualche utilità?
E dove sono finiti quegli altri maledetti marmocchi?

- Perché mi stai attaccando?- urlò Ardof portando l’alabarda di fronte a sé.
- Mi ha promesso che se ne uccido uno, avrò un nuovo corpo!-
I fendenti si fecero più violenti.
Qualunque soldato cercasse di intervenire veniva prontamente falciato dall’acciaio di quella spada.
Ci fu un sibilo nell’aria, poi una freccia candida trapassò il petto scarno del drago, facendolo ricadere a terra sul suo stesso sangue.

I cinque cavalieri si presero in disparte per discutere dell'accaduto. Ardof notò che tutti, Diana esclusa, avevano un'armatura nuova.

Complimenti per l’attenzione e lo spirito di osservazione.
Ora possiamo tornare a parlare del drago?
 
I glifi sui pettorali recitavano:

“Trado, il dominatore dei venti, il cavaliere degli uragani, il serpente piumato della Signora dell'Aria.”

“Frida, la domatrice delle acque, il cavaliere delle onde, la sirena della signora dell'Acqua.”

“Codero , il dominatore della terra, il cavaliere delle montagne, il golem del Signore della Terra.”

Vi ricordo che il punto di legame tra voi e i draghi è appena stato trapassato da una freccia! Volete svegliarvi a parlare di quello?
Si, belle le armature, ma dopo avrete tempo per parlarne.
Forza, prima le cose importanti!

- A chi tocca dare la notizia a Fariuna?-  fece Trado.
- Ci penso io.-  disse Ardof.
Il ragazzo chiuse gli occhi e si concentrò sulla regina dei draghi.
“Si?”
“Fariuna, il drago che ci ha mandato assieme è morto.”
“Come è potuto accadere?”
“Si contorceva e urlava lodi a un suo signore. Poi mi ha attaccato. Non siamo riusciti a fermarlo in altro modo.”
“ Questo non ha senso...”
“Fariuna. – Continuò Ardof. - Sono entrato nella mente di Nettevì poco prima che morisse. C'era un'immagine, una corona con un alone nero attorno.”
“Se quello che dici è vero dobbiamo fermare il re il più presto possibile. Tempo un'ora e attaccheremo. Non permetterò che un altro dei miei sudditi venga assassinato.”
Ardof diede la notizia dell'attacco a chiunque fosse a portata d'orecchio.
Il segnale di Fariuna arrivò puntuale. I soldati liberi si gettarono fuori dal campo con un urlo spaventoso.
“Fariuna, non temete le frecce delle truppe del re?”
“Tranquillo, abbiamo la nostra tattica.”
“Mi affido a lei, regina. Noi partiamo per la Rocca.”
Fuori i draghi volavano a coppie, ventre contro ventre, i muscoli tesi e le fauci spalancate in un interrotta fiamma.
Era uno spettacolo, bello come il parco appena fuori alla Volta degli Dei.
I draghi riuscivano a volare mantenendo la posizione, le virate erano precise e, anche se il volo era interrotto da picchiate e schivate, il loro ventre poco protetto non veniva mai scoperto.
- Ragazzi, prendiamo nota. Una cosa del genere ci sarebbe servita la prima volta…-  disse Codero.
- Ci avessimo pensato prima non sarebbe finita così male la nostra battaglia.-  rifletté Trado, concedendosi ancora qualche secondo per ammirare la scena.
- O forse si. Magari era destino che noi morissimo in quella battaglia.-  rispose Ardof sistemandosi l’elmo.

I signori sono pregati di riportare la loro attenzione sul fatto che non dovrebbero perdere tempo a parlare! Dannazione! Svegliatevi!
Sono d’accordo con voi che siete stati degli emeriti idioti la prima volta, ma avete un compito da portare a termine!

No! Ragazzina vattene!
Ti prego Diana, siamo in ritardo su qualunque tabella di marcia!

E ti pareva? Una perdita di tempo dopo l’altra. Non riusciremo mai a prendere il volo.
Forza Trado, salutala alla veloce così potremo incamminarci. C’è qualcuno qui che non vede l’ora di morire, non essere egoista.
E che fastidio rimanere fermo sotto forma di falco. Ho tutta la coda che prude!
Forza! Vogliamo partire? 

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Capitolo 40
*** Capitolo 39: La Rocca ***


 - Ascolta, rimani qui. Per favore. Non potrei mai permetterti di perdere te... – disse Trado. - O lui.-  aggiunse posando una mano sul ventre di Diana.

Bello. Molto bello. Grazie per averci messo al corrente del fatto che diventerai padre. Forse da morto, ma diventerai padre. Complimenti. Le migliori idee possono venire solo a te.
Aspettare, che so, la fine della guerra?

Su, dai! Sposiamoci quando manca si e no mezz’ora alla prima battaglia di questa guerra!
Forza! Cerchiamo di avere un figlio quando ancora non so se uscirò vivo o morto da quest’impresa!
Bah.
E io dovrei affidare il mio destino a uno come te? Piuttosto apro una distilleria.

Diana dopo mille e mille preghiere si lasciò convincere e rimase con Vanenir nell'accampamento.

I quattro draghi degli elementi partirono in volo. Verso sud. Verso la rocca.
L'ultimo viaggio era appena cominciato.

Adesso ci si mette anche la Trama del Reale a infondermi fiducia?
Ma che ultimo viaggio?! Io ho intenzione di riportare a casa la pelle, non credere.

Il cielo era terso, neanche una nuvola. Una giornata bellissima per un'avventura che avrebbe deciso le sorti del nuovo mondo.
I draghi volavano velocemente, oltre ogni limite fino ad allora raggiunto. Il paesaggio scorreva rapido sotto i loro ventri, le colonne di fuoco che illuminavano la battaglia si facevano sempre più piccole e indistinte.
I draghi volarono per tutto il giorno e per le prime ore della notte senza sosta. Si fermarono a due chilometri dalla rocca per mangiare e riposarsi.
Ardof si stese per terra e guardò le stelle da uno squarcio tra le fronde dei pini.
- Ciao, fenice!-  Ardof balzò in piedi con il cuore a mille e la spada sguainata.
Frida scoppiò a ridere di cuore.

Dopo un po’ questa cosa smette di essere divertente.

- Di nuovo.-  borbottò Ardof tornando a sdraiarsi.
- Posso?-
- Vieni, vieni.-
Frida gli si sdraiò a fianco.
- Il cielo è rimasto lo stesso anche dopo il Cambiamento... guarda, quello è il Grande Carro! – Disse indicando sette stelle – E, se segui le ultime due... ecco la stella polare.-  
- Io non sono mai riuscito a trovare tutte le costellazioni nel cielo... neanche una, se devo essere sincero.-  
- Guarda, basta esercitarsi un po'... infatti là c'è Orione e là – indicò dalla parte opposta – c'è Cassiopea.-  
- Wow... -  
- Già, wow... -
- Frida... -  Ardof si girò di lato alzando appena la testa per poter vedere il viso dell’elfa.
- Si?-  Frida si mosse a sua volta in modo da poter guardare Ardof negli occhi.
Il ragazzo ebbe un attimo di ripensamento, poi disse: - Beh, visto che domani potrebbe finire tutto non nel migliore dei modi mi sembra giusto che tu sappia tutto...-  
- Si...-

Guardate, sarò sincero, avessi un violino, un paio di mani e lo sapessi suonare avrei dedicato loro qualche nota. Ma non ho nessuna delle tre cose quindi… me ne resterò qui a godermi questa scena imbarazzante.
 
- Ecco... vedi, io... insomma... tu... ah! Ho preso una cotta per te. Ecco, l'ho detto. Mi piacevi già all'inizio di questa storia, all'Accademia, ma fino ad oggi non sono mai riuscito a dirtelo.-  
Frida rimase un attimo interdetta, combattuta dentro tra i sentimenti per Ardof e gli obblighi che si era imposta dal fatto di essere l'incarnazione di una dea.
- Ecco! – sbottò Ardof – Ho fatto la figura dell'idiota.-  il Cavaliere si alzò e si diresse verso l’interno del piccolo boschetto che era nato lì vicino, godendo delle acque di quel ramo del Vrag.
- Ardof, senti... devo dirti anch'io una cosa.-  disse Frida inseguendolo. Quando il ventenne si girò lei prese la sua testa tra le mani e lo baciò. Lasciandolo senza fiato.
Acqua gli aveva detto di seguire il suo cuore e lei l'aveva seguito. Ora stava bene. Si sentiva realizzata.

Ow… che scena tenera…

Dentro Ardof a quel bacio era scoppiato un inferno. Si sentiva bruciare dentro. Fuoco non parlava della guerra nel suo biglietto, Ardof aveva sentito dentro di se tutto il fuoco del mondo. Ora era pronto per qualsiasi cosa. Qualunque cosa.
I due Cavalieri si addormentarono abbracciati, Ardof passò la notte tra sogni splendidi e presagi di lotta e morte.
Rivide la Volta Celeste, tutti gli Dei che lo avevano ricevuto, i suoi compagni di scuola, il generale Gibber durante l’iniziazione, i sui amici, il volto freddo di Vago, Nettevì morto, la corona, per un attimo vide anche quell’ultimo istante nel vecchio mondo. Poco prima che il Cambiamento li travolgesse e che cambiasse la sua vita in maniera definitiva.
Venne svegliato da una doccia d'acqua gelata addosso.
- Ehi, bel addormentato, è ora di partire.-  disse ridendo Trado mentre si asciugava le mani.
Ardof salì a fatica sulla sella di Erdost.
“Perché sei così giù? Ieri sera è andata bene. No?”
“Certo... ma oggi potrebbe finire tutto. Potremmo addirittura mandare a quel paese il lavoro che abbiamo fatto fino ad adesso, gli anni all’Accademia, le giornate di viaggio, le vite di chi si è schierato con noi e ha creduto in noi, il sacrificio di Vago... tutto. Tutto quanto.”
“Per vincere bisogna sempre credere nella vittoria. Senza la volontà di fare qualcosa non si arriverà mai da nessuna parte. Ricordatelo. Un cucciolo non imparerà mai a volare se non sente il richiamo del cielo e della libertà, ma ricorda anche che le ali sbattono solo fino a quando tu vuoi che esse si muovano.”
“Si. Forse hai ragione... ma abbiamo davvero delle buone possibilità? Dai, guardaci bene.”
“È proprio perché vi ho visti che sono fiducioso.”
Gli altri Cavalieri montarono sui draghi e partirono verso la piccola sagoma scura della rocca.

Proprio perché vi ho visti sto prendendo in considerazione di cambiare mestiere… se solo potessi.

La costruzione non impiegò molto a manifestarsi in tutta la sua grandezza. La struttura di marmo bianco, avvolta da fiamme nere invisibili.
Sui torrioni sventolavano dei vessilli con ricamata la corona d'oro su sfondo nero. Ad Ardof venne un conato di vomito ripensando alla triste sorte di Nettevì.
Davanti ai portoni della rocca non c'era un filo d'erba, la terra era sterile, secca, morta, nonostante la costruzione fosse stata eretta su un isolotto in mezzo ai due rami meridionali del Vrag.
La vegetazione sembrava aver paura di crescere. Come se temesse ciò che l’uomo che abitava quel maniero poteva farle.
E più ci si avvicinava ai portoni più la terra si faceva sabbiosa e inospitale come quella del più arido dei deserto. 

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Capitolo 41
*** Capitolo 40: Il Re ***


 L’ampio portone nero cedette a una zampata di Seisten.
Il corridoio che vi era dietro era totalmente deserto, non volava neanche una mosca nel vero senso dell'idioma. La calma era mortuaria.
Le pareti erano state coperte da enormi drappi rossi e l’aria fredda pareva quella di una ghiacciaia.
I Cavalieri entrarono nella rocca lasciando i draghi di guardia all’esterno della struttura. Non voleva che si presentassero complicazioni al loro compito.
La rocca era un susseguirsi di corridoi e scale, i loro passi cadevano perennemente sul tappeto nero che ricopriva il pavimento e, dietro ogni nuova porta che aprivano, li aspettava una stanza occupata per gran parte del  suo volume, da un arazzo ricamato con la stessa corona su campo nero che sventolava all’esterno e che aveva portato il povero drago malconcio alla morte.

Un posto allegro.
Mi chiedo come abbia fatto il re ad impazzire.

I piani si susseguivano uguali, non c’erano quadri, mobili o esseri viventi che tradissero il cambio delle sale.
Una grande con quattro porte, una per parete. Dietro ogni porta un corridoio che portava a sei stanze più piccole e, solo al fondo di uno di questi, si trovavano le scale per il piano superiore.
- Ragazzi, quanti piani... credete che ne manchino ancora molti alla sala del trono?-  chiese Trado ansimando.
- Non ne ho... assolutamente… la minima idea.-  Ansimò a sua volta Codero fermandosi sul gradino per riprendere fiato.
- Più che altro... non vi sembra che sia tutto... tutto troppo facile?-  disse Ardof.
- Il re avrà... un'arma segreta... o una specie di mostro al suo fianco.-  rispose Trado.
- Zitti... zitti e continuare a camminare. – ordinò Frida secca – Sembrate Vago.-  
- Si, signora!-  bisbigliarono i tre all'unisono.
- Vi ho sentiti!-
Continuarono a salire, scalinata su scalinata, corridoio su corridoio, sala su sala.
“Ardof?” chiamò Trado con la mente.
“Si? Che c’è?”
“Io te l’avevo detto, quella sera, nella base della Resistenza.”
“Cosa mi avevi detto?”
“Che tu e Frida siete una coppia perfetta.”
“Non ci crederai. Ma credo che Vago l’avesse già previsto ancor prima di entrare in possesso del libro del Fato… sono stato un cieco a non cogliere l’indizio che mi ha lasciato.”
“Che indizio?”
“Un bastone sulla faccia.”
“In che senso?”
“Letteralmente mi ha fatto arrivare un ramo sulla faccia.”

Incredibile, alla fine ci sei arrivato.
Avevo perso ogni speranza.

Il discorso fu interrotto da una voce tanto bassa da far tremare le pareti stesse del castello. Il Cavaliere verde non poté che guardarsi spaurito intorno a quel suono cupo, indistinguibile.
- Fermi.-  disse Codero.
I compagni di viaggio non lo sentirono.
- Fermatevi! Fermatevi un attimo!-  ordinò di nuovo il Cavaliere.
- Cosa succede? Sbrigati che con un’altra scossa del genere rischiamo di farci cadere una pietra in testa, se stiamo troppo fermi.-  domandò Trado alzando un sopracciglio.
- Chi è?-  chiese Codero come se non avesse sentito la domanda del compagno.
- Cosa hai detto?-  chiese Frida voltandosi.
- Non avete sentito la voce che ci ordinava di fermarci?-  
- No. Deve essere... l'ambiente. Siamo tutti sotto pressione.-  concluse Trado.
Le pareti vibrarono di nuovo.
- Lo ho sentito di nuovo.-  
- Cosa dice questa volta?-  chiese Ardof.
- Mi dice ancora di fermarmi. Non credo di essermela immaginata per la seconda volta.-
- Assecondiamolo.-  Frida si fermò di colpo.
- Bene. Ora dovete aspettarmi.-  disse ancora Codero con gli occhi socchiusi.
- E noi lo aspetteremo. Chiunque egli sia. Magari il re ha deciso di venirci incontro.-  ripeté Ardof.
- Speriamo non si faccia attendere... – commentò Trado – E speriamo non sia una trappola del re.-  aggiunse.
Dal soffitto cominciarono a cadere piccole gocce verdi fluorescenti che, con l’ultima luce di quel tardo pomeriggio si vedevano nitide sui tappeti neri pece.
Le gocce colarono per la scala lasciando dietro di loro una striscia verde. I ragazzi la seguirono finché non finiva nel muro. Fu Trado a prendere l'iniziativa. - Dast Hert. “Vento Soffia.”-  
La parete cedette sotto la pressante forza dei venti scatenati dal Domatore. Si rivelò un montacarichi.
I quattro vi entrarono e tirarono la fune per salire. Seguirono la scia luminosa, in alto, sempre più in alto. Finalmente la striscia fosforescente si fermò, questa volta in una porta scura.
- Dast Hert. “Vento Soffia.”-  
Il legno scricchiolò, poi cedette. Un'altra scala. La striscia questa volta saliva. Poi un'altra volta nel muro, dall'altra parte della parete. Questa volta, però, c'era una seconda scala, a chiocciola, su ogni scalino brillava una goccia fosforescente.
Salirono. Salirono. Salirono ancora. Ogni tanto la scala cambiava direzione. Prima in senso anti-orario, poi orario.
Gli scalini si facevano sempre più logori e scricchiolati. Ardof e Trado dovettero portare su a forza Codero che per la prima volta in vita sua stava soffrendo di vertigini.
Quando alla fine raggiunsero una porta rossa, a due battenti e alta almeno due metri e mezzo si sentirono quasi rinascere, nonostante sapessero che dietro quel portone li aspettava colui per cui tutto era cominciato.

Giusto per far chiarezza: qui dentro non c’è nulla che abbia senso.
Questa struttura non ha una torre abbastanza alta per contenere tutte le scale che abbiamo percorso, senza contare che non ci sarebbe posto per la sala in cui stiamo per entrare.
Dev’essere un incantesimo che influisce sullo spazio…

- Non vi sembra che per essere la sala del trono è un po' sguarnita in quanto a guardie?-  fece notare Trado.
- Si. – disse fredda Frida – Il re avrà sicuramente un asso nella manica. Dobbiamo fare molta attenzione.-
Ardof diede un colpetto con la punta dello stivale sul portone, il ferro contro il legno tintinnò.
Il portone si aprì senza rumore rotando su cardini ben oliati.
Dentro la sala tutto era nero: le pareti, il soffitto, il pavimento, i due troni…
L'unica luce proveniva da poche candele fluttuanti a mezz'aria addossate alle pareti.
Lunghi drappi pesanti e scuri cadevano dal soffitto, forse coprendo quelle che erano state delle finestre.

Oscurità deve avergli dato qualche dritta per quanto riguarda l’arredamento, non c’è che dire.

Sui due troni vi erano seduti un uomo con il viso coperto da un cappuccio e una donna con una lunga veste blu notte, che guardò i nuovi arrivati curiosa.
- Benvenuti nella mia reggia. Cosa può fare Reis per voi?-  il re sembrava serio.
- Potresti far smettere la guerra in corso.-  suggerì Frida.
- No, non posso. Devo purificare questa terra dalle razze impure. Non meritevoli di questa meraviglia che è la vita.-  
- Ma stiamo vivendo in pace con le altre razze! Perché distruggerle?-  chiese esasperato Ardof.
- Adesso stiamo bene perché ho già sterminato gli orchi, gli unicorni, l'unica fenice esistente, le cui ceneri bruceranno per sempre per impedire che questa rinasca, e la maggior parte dei troll. Pensa che meraviglia quando distruggerò i folletti, i nani, le fate e le sirene! Sarà un paradiso per gli uomini! Gli umani sono l’unica razza che è veramente meritevole di vita, l’unica che non è nata per un capriccio degli dei!-  
- Ma non ha senso!-  continuò il cavaliere del fuoco.
- Si che ha un senso, perché lo dico io!-  il re si tolse il cappuccio mostrando gli occhi dardeggianti e i capelli che si dimenavano come serpenti blu.
- Come puoi dire che gli umani siano superiori, se nemmeno tu lo sei!-  urlò Codero.
- Lo ero. Ma ero debole. Il dio del caos mi è venuto a trovare. Ci siamo alleati, uniti. Mi ha dato il potere. Ora siamo invincibili!-  

Oh! Ma guarda chi si rivede!
Vedo che in quella caduta non ti sei fatto abbastanza male… peccato. Sarà per la prossima volta.

- Quello con cui ti sei unito non è il dio del Caos. Quello vero ora risiede nella Volta Celeste, insieme ai suoi fratelli. Chi ora domina il tuo corpo è un demone. Un demone che fu esiliato dalla Volta e che la cui caduta sulla Terra causò il Cambiamento.-
- Zitti!-  i capelli del re si rizzarono, dalle mani scaturirono due fuochi fatui blu che sfrecciarono verso i Cavalieri.
Il dio della Terra sorse imperioso dal pavimento e assorbì il colpo, esplodendo in mille pezzi. Dai resti del dio uscirono quattro scintille colorate che si posarono sul cuore dei Cavalieri.

Ma cosa? Terra?
Perché diavolo hai parato tu quel colpo?
Non ti rendi conto che ci hai condannati tutti?
Maledizione. Da qui non ne esco vivo.
Se la situazione non migliora alla svelta sarò costretto a manifestarmi… tanto non mi rimane ancora molto tempo da vivere…

Le incarnazioni sentirono un calore nuovo. Poi un formicolio in tutto il corpo. Infine lo spazio alterarsi.
In pochi secondi al posto dei due umani e dei due elfi si ergevano quattro bestie leggendarie: una sirena dalla sinuosa coda dai colori dell'arcobaleno; un golem, un colosso di pietra con due occhi stilizzati e un terzo sulla fronte e le tre parole aleph, mem e thau incise sopra quest’ultimo; una fenice rossa con due lunghe piume azzurre che dalla sommità del capo cadevano sul resto del corpo, seguendo il profilo delle piume porpora e dorate che ricoprivano ali e corpo; ed un lungo serpente verde smeraldino con un cresta di piume azzurre sulla nuca che ricadevano sul collo, da dove spuntavano due ali candide talmente lunghe da poter toccare la punta aguzza della coda.
- Cosa, cosa è successo? Che magia è mai questa?-  urlò inferocito Reis.
- Non è una magia. – disse la fenice con voce alterata – È il potere degli Dei. Gli Dei veri, quelli primigeni che crearono questo mondo.-  
- No! Non è possibile. Io sono l'unico dio! Io! L'unico!-  la voce del re era alterata, era più acuta di prima e gli occhi lampeggiavano d'ira. Letteralmente.
- No. Tu non sei un dio. Non sei abbastanza potente.-  lo stuzzicò il serpente piumato.

Vorrei ricordarvi che nemmeno voi siete dei…

- No, ti sbagli. – disse calmo il re, o chi lo controllava. – Io ho tutto il potere che voglio!-  il corpo di Reis fu scosso da molti spasmi.
Il re dimagrì di colpo, la pelle gli si tirò fino a quasi a strapparsi. La sua carnagione si scurì fino a diventare nera. La schiena si ingobbì. Quello che si rialzò non era più umano.

Maledizione… Ora vomito…

Sembrava uno di quei demoni contro cui stavano combattendo i ribelli, ma era più grosso, con i muscoli tonici sotto la pelle scura. Gli occhi, ora incavati, guardavano con disgusto le quattro bestie che gli si paravano davanti.

Va bene. Si prega di far uscire tutti i bambini dalla sala.
Non so se riuscirò ancora a dormire con quel corpo impresso nella testa. È molto più brutto di qualsiasi cosa abbia mai visto.
Avete presente i vermoni demoniaci che scavano al posto dei folletti? Bene. In questo momento, se mai un pazzo mi domandasse chi bacerei tra i due, innanzi tutto lo manderei a quel paese, poi scegliere comunque il vermone umidiccio.
Non so se sono riuscito a farvi capire quant’è brutto quest’affare.

La fenice si buttò con gli artigli aperti contro il re che, senza fiatare, si spostò di lato, evitando l’assalto e colpendo l’uccello dal piumaggio rosso con un pugno sul dorso talmente potente da schiantarlo a terra.
Golem e serpente piumato si gettarono contro quel mostro, che continuò ad evitare i colpi restituendone altrettanti, sufficientemente forti da crepare il corpo marmoreo del golem.
La sirena prese da terra lo spadone che aveva lasciato cadere e puntò la lama contro la gola del re, senza riuscire a trapassarla.
- Mi dispiace, ora sono un dio, non posso morire per così poco.-
La fenice tornò all’assalto, ma venne sbattuta contro una delle pareti.
Le quattro bestie si guardarono.
Un incantesimo.
Lo avevano imparato all'accademia. Il professore glielo aveva insegnato con queste esatte parole. - L'incantesimo più potente mai concepito dall'uomo non è stato inventato dopo il Cambiamento. È stato creato in epoca medioevale da un'alchimista in cerca della pietra filosofale. Quest'incantesimo è composto da una sola parola: Serynto. “Potere dell'elemento.” Quest'incantesimo trae energia dal vostro elemento. Ma ricordate: una volta usata questa magia le energie del vostro corpo scemeranno, portandovi alla morte. Devo insegnarvelo per darvi un‘ultima arma quando le vostre forze non basteranno e la vostra spada non taglierà più, ma spero che quel giorno non arrivi mai.-
La fenice si chiese quanti Serynto fossero stati lanciati, quando l’armata dell’Ordine capì che sarebbe stata sconfitta.
“Ragazzi. – chiamò Ardof con la mente – Penso sia il momento dell'incantesimo dell'elemento.”
“No. – contestò il serpente piumato, quasi disperatamente – Ci deve essere un altro modo, non voglio morire di nuovo! Questa volta nessuno ci potrà più far tornare indietro!”
“No, la fenice ha ragione. – disse la sirena tristemente. – Abbiamo delle nuove riserve di energia. Con questi corpi siamo più potenti. Abbiamo un solo colpo e una sola possibilità. Non dobbiamo sprecarla.”
“Va bene, facciamolo. Che gli Dei siano con noi.” Si rassegnò il serpente piumato allargando le ali.
“Sempre e comunque io vi seguirò.” rispose il golem.
In un fiato i quattro dissero la formula.
- Serynto.-  il bagliore sul petto dei ragazzi s'intensificò, fino a diventare un vortice di luce pura.
I quattro globi si unirono, si compattarono, andarono a creare una sfera dorata che girava su se stessa a una velocità incredibile. Al suo interno sembravano esserci piccole scariche di energia.
Un calo improvviso delle forza, poi la sfera scattò verso il re.

Purtroppo per te non siamo più nella Volta, e questa volta il tuo corpo è materiale. Non penso che te la caverai con un semplice saltino nello spazio-tempo.
Fai buon viaggio!

Un lampo, gli occhi delle creature mitiche bruciarono per la luce accecante che li colpì, intanto i quattro Cavalieri sentirono i loro corpi farsi sempre più deboli e stanchi. Finché non riassunsero le loro forme originali.
Il corpo deformato del re fu investito dal fascio di energia, Reis urlò mentre la sua pelle nera si spaccava, dalle ferite uscì un fumo scuro e denso che prese una forma quasi umana.
Il fantasma urlò a sua volta, spandendosi per la sala come a volerla occupare per intero, poi cadere a terra come cenere.
Piano, lentamente la scintilla sul petto dei ragazzi venne assorbita dalla pelle, dai muscoli, dallo spirito.
Il cuore dei Cavalieri ricominciò a battere. A battere come prima di aver pronunciato l’incantesimo dell'elemento e come prima della loro trasformazione.
Quando i quattro si rialzarono per prima cosa controllarono di non essere di nuovo morti, tastandosi il corpo per accertarsi della sua solidità. Solo dopo si accorsero dei resti del re a terra fumanti.
- È, è finita? È tutto finito?-  chiese Codero ancora ascoltando il suo polso.
- Si. – disse Trado con la voce rotta dall'emozione e gli occhi pieni di lacrime. – Si Codero. Ora è tutto finito! Finalmente! Contro ogni previsione siamo riusciti a vincere.-  
- Quindi abbiamo vinto per davvero, noi...-  Ardof non finì la frase per colpa di uno scossone violento. Poco dopo cadde un pezzo di soffitto. Un altro scossone.
La donna parlò con la voce di quella che pareva appartenere a una bambina. - Questo edificio era tenuto insieme dalla magia di Reis. Senza di lui crollerà tutto in pochissimo tempo.-
Ardof corse a spostare un dei pesanti drappi scuri che erano stati appesi alle pareti, sperando in una via di fuga. - Non ci sono finestre! Penso che non ci siano altre via d’uscita da questa sala!-  
- No, c'è un'altra uscita.-  Codero colpì il muro con la mazza che stava perdendo la sua luminosità e sfondò la parete, facendo cadere blocchi di pietra all’esterno. Poi si buttò nel vuoto chiamando mentalmente Marfest.
- Quello è pazzo. Oppure sa volare?-  
- Stia tranquilla. Si fidi di noi. Non moriremo per così poco.-  Ardof cercò di risponderle senza sapere se trattarla come un’adulta o una bambina.
- Io vado.-  Trado si buttò.
- Ardof ci pensi tu qui?-  
- Si, tranquilla.-  
Frida si lanciò nel vuoto.
- Dopo di lei, signora.-  Ardof fece una buffa riverenza, forse un po’ fuori luogo, ma era ancora euforico per la vittoria che erano riusciti ad ottenere.
La donna si sporse un poco dal buco nel muro, una fitta nebbia le impediva di vedere i draghi. Ci fu un altro scossone.
- Ma io non so volare.-
Ardof spinse la donna oltre il buco e le si gettò dietro.

Bene. Io vado. Spero non vi spalmiate al suolo come formaggio.

“Erdost, se non vuoi che il tuo compagno di volo faccia la fine di una frittata ti converrebbe venire a prendermi. E se riesci prendi anche la donna davanti a me. Vedi di riuscirci.”
Un ombra passò accanto al Cavaliere. Dopodiché Ardof si trovò aggrappato al muso del drago carminio, a fissare la cicatrice bianca tra le squame.
Gli grattò il muso, sollevato di vederlo.
Il Cavaliere, tenendosi alle punte d’avorio sul collo di Erdost, si issò sulla sella, aspettando di vedere la terra.
Erdost strinse la veste blu della donna tra i denti e la posò delicatamente al suolo dopo alcuni secondi. 

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Capitolo 42
*** Capitolo 41: Il dio ***


 Quando atterrarono, la donna si accasciò a terra urlando e coprendosi gli occhi con le mani magre.
- Che ha ora?-  sbraitò Trado tirando un calcio al terreno, facendo così alzare un ventaglio di sabbia.
- Deve soffrire davvero tanto. -  puntualizzò Frida.

Ma va?

- Deve essere la luce. Avete visto com'era buia quella stanza in cui era rinchiusa. – disse Codero – Inoltre la sua pelle è tremendamente bianca, deve essere stata segregata là dentro per molto tempo. Temo smetterà solo quando si sarà abituata di nuovo ai raggi del sole.-  
Frida posò quattro dita sulle tempie della donna. - Reckiet, radmun dei. “Acqua, guariscila.”-  Un velo d'acqua fasciò la testa della signora, ghiacciandosi prese poi la forma di un elmo.

Per favore, datemi un libro di grammatica della lingua del potere. Voglio tirarglielo sulla testa finché non imparano a parlare.
Acqua? Guarire? Ma provate almeno ad ascoltarvi mentre parlate?
Dovreste ringraziare di essere protetti dal Fato.

La donna in blu si alzò, rivelando tutto il viso bianco incorniciato da capelli corvini pieni di polvere.
Il vestito, alla luce del sole, risultava sgualcito e il blu, una volta probabilmente luminoso, era ricoperto da uno strato di sudiciume.
- Chi è lei?-  chiese Ardof.
- Io... io sono... non riesco a ricordare.-
- Non importa.-

E il premio smemorata dell’anno va a… alla signora in blu! Complimenti! Venga a ritirare il suo premio!
Ok. Ora me ne sto zitto… forse questo non è il momento di scherzare, dopotutto sto per morire, no?

Ci fu uno scossone. La rocca del re implose con un gran fracasso.
Poi un'altra scossa, un'altra, un'altra. Una più forte dell'altra.
Gli ultimi pinnacoli della rocca caddero a terra, sollevando una nuvola di polvere di marmo nero e bianco.
Le scosse continuarono.
- Cosa sta succedendo? La rocca è distrutta dovrebbe essere tutto finito.-  Urlò Trado.
- Oramai la Terra è finita.-
I Cavalieri e la donna si voltarono verso le macerie. Tre uomini e una donna stavano in piedi, ognuno di loro teneva in mano un pezzo di pietra.
- Perché? Abbiamo vinto, no? Il demone è morto, le popolazioni sono salve!-  urlò disperata Frida.
- No. Per proteggervi Terra è morto. Senza di lui il suo elemento è come un gregge senza un pastore. Le terre si disperderanno.-
- Perché si è sacrificato per noi? Non c'è un modo per rimediare? Non può occuparsene il suo servitore?-  
- No, il suo servitore non ha abbastanza potere. Noi non siamo a conoscenza di una soluzione praticabile.-  
- Io ne conosco una… forse.-  Codero si avvicinò alle divinità e prese i pezzi di pietra dalle loro mani. Il Cavaliere si concentrò quindi sulle reliquie del dio scomparso che aveva disposto in cerchio intorno a se.
Terra, o meglio, il suo servitore, gli aveva insegnato un incantesimo, la notte prima della grande battaglia. Non gli aveva spiegato a cosa servisse ma oramai non gli importava più.
Se non avesse funzionato la Terra sarebbe stata spacciata comunque.
Codero si sedette e riportò alla mente il lungo incantesimo.
- Allora… Qwerty greif glerde, dot no greif sefkey tuido fer dogi Merton! “Reliquie del sacrificio del dio, conferite al tempio ciò che era della Terra!-  questo era l'incantesimo più lungo che avesse mai evocato.
I pezzi di pietra cominciarono a levitare, il loro mana venne trasferito nella mazza dell'elemento e da lì nel corpo del Cavaliere verde.
Le membra di Codero vennero ricoperte da zolle di terra, sassi, pezzi della rocca e sabbia, aumentandone così il volume.
Su di lui si andò a creare una seconda armatura compatta.
Al posto del Cavaliere ora c'era una statua grottesca, costituita da diversi tipi di pietra e con alcune parti del corpo ricoperte dal muschio proveniente da chissà quali parti delle Terre. Dal suolo circostante si alzarono piccole scintille gialle e verdi che ricaddero sulla statua come api attratte da un bel fiore.
Per qualche secondo i tre Cavalieri non si mossero.
Avevano perso un altro membro del gruppo. Lo stesso fecero gli dei, perfino loro, nella loro ampia visione della realtà, non capivano cosa stesse succedendo.
“Ardof, Frida. Se questa cosa non funzionerà e la Terra verrà distrutta voglio che sappiate che è stato veramente bello avervi come compagno di viaggio.”
“Lo stesso vale per me, amico.” Ardof diede un buffetto sulla spalla di Trado.
La statua aprì gli occhi, mosse le braccia rigide come una persona che si è appena svegliata da un lungo sonno e si guardò intorno senza capire bene cosa stesse accadendo.
Infine fece una cosa unica. Prese la mazza dell'elemento e vibrò un colpo contro la gamba sinistra, che cadde a terra divisa in tre frammenti.

Ahia! Ma che…?
Questo è masochismo! Era davvero necessario?
Ma insomma! Ho lo stomaco debole per queste cose, avvertitemi con un po’ di anticipo, almeno mi preparo!

Il nuovo dio della terra riassemblò la parte che si era amputato con nuove pietre e ci fece cadere sopra del terriccio.
Le giunture tra i sassi si saldarono e la gamba ritornò intatta come prima.
Il nuovo Terra sbriciolò la vecchia gamba e, presa in mano la polvere che ne aveva ricavato, al cui interno si potevano ancora vedere pezzi di carne, ossa e ferro, la disperse nell’aria.
Le scosse si arrestarono.
Il dio mosse la nuova articolazione per assicurarsi che funzionasse correttamente.
Calma. Calma piatta. Neppure il vento soffiava più.

Beh, ci credo. La dea dell’Aria era ammutolita di fronte a quello che era successo. È normale che anche il suo elemento se ne stesse zitto…

Né gli dei né i mortali osarono muoversi, in attesa di una qualunque mossa da parte del dio.
Terra si rialzò, appoggiandosi alla mazza di pietra, e si diresse zoppicante verso i Cavalieri. La metà sinistra della faccia gli si sbriciolò lasciando intravedere una porzione del viso di Codero. - Amici, alla fine ho incontrato il mio destino... abbiate cura di voi.-  il dio si spalmò del terriccio sul viso.
Tutto quello che rimaneva di Codero, così, scomparve per sempre.
Il dio della Terra si allontanò, dirigendosi risoluto verso i suoi simili.
- Andate, il vostro esercito vi aspetta.-  disse Acqua poco prima di assumere le sembianze di un cavallo e gettarsi nelle acque del fiume.
I tre Cavalieri e la donna salirono in sella ai loro draghi, ancora scossi da quel a cui avevano assistito.
Quando si girarono verso Marfest il drago li guardò con gli occhi marroni. In pochi secondi si trasformò in polvere. Un lieve venticello lo disperse sulle macerie della rocca.
- Andiamo, per favore. Finiamo al più presto.-  disse piano Trado, senza più voce.
La donna in blu salì sulla sella dietro a Frida, guardando trasognata le squame blu della dragonessa attraverso il ghiaccio che le copriva gli occhi.
Ardof chiamò mentalmente Drake, Farionim e Fariuna. Come d'accordo.
Frida e Trado pensarono a contattare Vroyer, Diana, Foglietta, il governatore e Fasto.
Scoprirono che la tattica era riuscita e, a metà della battaglia, i demoni avevano smesso di combattere. Ora li stavano sterminando davanti alla piccola uscita della base della Resistenza.
I Cavalieri si affrettarono a raggiungerli.
Volevano chiudere quel capitolo della loro vita il più in fretta possibile. Avevano accumulato davvero troppi lutti da piangere per colpa di quell’avventura in cui erano stati costretti ad imbarcarsi.
Ardof diede un ultimo sguardo ai resti della Rocca. Senza la sua presenza incombente il paesaggio sembrò rifiorito, come a voler festeggiare il lieto avvenimento.

Bah… se vuoi chiamarlo lieto… Ci hai rimesso un altro compagno… Ma, in fondo, puoi pensarla come vuoi.
Comunque è finita. Finalmente. Non dovrò più farvi da balia, dopo questo giorno.
Addio!

I draghi presero il volo, puntando verso il mare verde della Grande Vivente. 

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Capitolo 43
*** Capitolo 42: La fine della guerra ***


 Ma questa è sfortuna.
Vado a fare rapporto e cosa mi dicono? Non puoi ancora fermarti. Devi assicurarti che l’Ordine venga ristabilito come prima della guerra.
Bella fregatura…

Il campo di battaglia si era spostato dalle pendici dei Monti Muraglia alla pianura a est della Grande Vivente. Proprio sulla fascia di giovani alberelli che preannunciavano l’immensa foresta che ricopriva buona parte del versante ovest delle terre.
C'erano corpi ovunque, ma Ardof constatò che erano quasi tutti dei demoni del re. Quando incontravano un soldato ancora vivo lo guarivano come meglio potevano e lo caricavano sui draghi.
Dopo almeno un'ora e mezza riuscirono a trovare l'ingresso secondario della base della Resistenza.

Dovevate vedere quanti corpi erano stati accatastati sulle selle dei draghi. Una cosa impressionante. Ed erano tutti vivi, chi più chi meno.
Non pensavo che una sella potesse sopportare tutta quella gente…

Farionim gli aveva detto che tutto l'esercito si era riunito lì dopo la schiacciante vittoria.
E così era.
I corridoi sotterranei erano pieni di soldati, l’odore di sangue e sudore era ovunque e l’ambiente era riempito dagli schiamazzi e dal rumore delle armi.
La donna in blu rimase all’esterno, non voleva andare a fare la talpa, aveva detto.
Appena furono entrati, i Cavalieri vennero sommersi da miliardi di domande, congratulazioni e commenti da parte dei soldati.
Si avvicinarono tre soldati in armatura, due erano umani, il terzo era un elfo dalla pelle bianca che aveva aderito alla resistenza di Drake.
Probabilmente uno degli umani era un drago nella sua forma meno ingombrante.
Il soldato ne diede la prova snudando i canini appuntiti e sporgenti.
Ardof si stupì di quanto i draghi si riuscissero a mescolare bene con gli uomini. Sarebbero stati spie perfette se la loro razza avesse dichiarato guerra a quella umana.
I tre soldati presero da parte i feriti e scortarono i tre ventenni fino alla camera degli ospiti dove, seduti sulle amache, li aspettavano i capi di stato, intenti a discutere.
- Innanzi tutto: complimenti. Complimenti vivissimi da parte tutti noi. Siete stati veramente incredibili.-  disse Fasto rivolto ai Cavalieri. Gli altri annuirono.
- Grazie.-  rispose Trado.
- Ora ditemi, – disse Vroyer guardandosi intorno – Codero, dove è andato?-  
- Vede, Codero ha, ha...-  inizio Frida ma si ritrovò a corto di parole per spiegare quel che era accaduto.
- Le avete sentite le scosse di prima?-  chiese Ardof.
I capi di stato annuirono.
- Il dio della Terra si era sacrificato per proteggerci dal re. Il mondo stava cadendo a pezzi senza il suo perenne controllo e Codero si è trasformato nel nuovo dio, ne ha preso il posto, per salvare il pianeta. Per salvare tutti noi. So che suona strano, incredibile e impensabile, ma è così.-  
- Fatico veramente a credervi. – disse Fariuna – Ma ho visto con i miei occhi che intorno a voi succedono cose senza senso, quindi penso di potervi dare la mia fiducia.-
- In ogni caso, – disse Farionim – adesso abbiamo vinto. In due battaglie combattute in campo aperto abbiamo vinto una guerra. È il momento di festeggiare per davvero. Dobbiamo andare in un posto abbastanza largo da poterci far stare l’intero esercito.-  
Sentito questo, tre stregoni della colonia di Niunter intonarono un incantesimo, evocando un portale per far spostare i capi e i Cavalieri attraverso lo spazio.
Si trovarono soli nel campo di addestramento del Palazzo della Mezzanotte, che era rimasto esattamente come lo avevano lasciato.
I maghi si adoperarono per dare l’ordine a tutti i generali di trasferire le truppe alla loro posizione.
Non fu facile, ma alla fina tutti i combattenti si misero in marcia diretti alla festa che celebrava il coraggio di ognuno di loro. 

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Capitolo 44
*** Capitolo 43: Il drago ramato ***


 Gli elfi bianchi che fino ad allora avevano combattuto per Drake decisero di tornare nella Grande Vivente ancor prima che i festeggiamenti fossero iniziati.
Gli artigiani di Chiritai, seguendo il loro esempio, trovarono una piccola valle, adatta a fondare una nuova città.
I ribelli rimasti, tutti tranne Drake, decisero che, prese le poche cose che avevano portato con loro, sarebbero tornati nella Piana Umana. Alla vita tranquilla della gente di campagna che avevano lasciato.
“ Erdost, vieni all'Accademia. Siamo tutti qui. Ci sarebbe piaciuto dare una specie di festa ma i soldati hanno fretta di tornare alla vita di tutti i giorni.”
“ Arrivo.”
- Penso che dovremo lasciar perdere i festeggiamenti. Gli uomini non hanno più voglia di ricordare questi anni. Lasciamo perdere e andiamo avanti.-  disse Fasto, scrutando truce la folla di soldati rimasti nel piazzale.
- Bene, – disse Farionim a ciò che rimaneva dell'esercito – prima di tutto voglio complimentarmi con tutti voi. Siete stati incredibili. Detto ciò vi devo chiedere di dividervi. Una parte di voi andrà al Palazzo del Mezzogiorno, per ripulirlo dallo scempio che ne hanno fatto quei demoni. Gli altri verranno con noi, andiamo a riprendere chi è rimasto nei Monti Muraglia.-  
Gli uomini-pesce con le bombole piene dell’acqua dell’oasi caricate sulle spalle e i tubi che irroravano la loro pelle squamosa, i folletti e i nani si divisero sui dieci draghi messi a disposizione da Fariuna.
Arrivarono in quel momento Erdost, Reicant e Seisten con la donna in blu. Drake si avvicinò alla donna e borbottò qualcosa che i Cavalieri non riuscirono a capire.
- Come ti chiami?-  aggiunse poi, cercando di incrociare gli occhi bassi della donna.
- Non lo so. Non mi riesco a ricordare il mio nome.-  rispose lei visibilmente imbarazzata.
- Farionim! Vieni un attimo.-
- Eccomi.-  rispose il diplomatico lasciando perdere il gruppo di nani che stava salendo sul dorso squamoso di un drago dalle squame tra il giallo e il bianco.

Quei piccoletti cocciuti non riescono a rimanere fermi sul dorso del drago, continuano a scivolare da una parte o dall’altra.
Anzi, vi dirò di più. Scommetto cinque Laire d’argento che ne perderemo tre o quattro durante il viaggio.

- Guardala un attimo. Non ti ricorda...-  
- Nestra! Sei proprio tu?-
- Io... io non lo so.-  disse con la solita voce da bambina, piegando il capo di lato.
- Ragazzi! – Farionim chiamò i tre cavalieri – Avete già provato a ridargli la memoria?-
- No. Se devo essere sincero non so neanche come si faccia. Nessuno mi aveva mai detto che si potesse togliere o ridare la memoria a un individuo.-  rispose con un po' di seccatura Ardof.
- Dovete entrare nella sua mente e sbloccarla. Capirete tutto quando sarete dentro.-
- Ne sei sicuro?-  chiese Frida.
- No.-  rispose Farionim scrollando le spalle.
I tre Cavalieri chiusero gli occhi ed entrarono all'interno della mente della donna, era la prima persona con cui avevano stretto un contatto così profondo, di terzo tipo, se vogliamo essere precisi.

Il primo era il semplice leggere nel pensiero, il secondo era il poter comunicare, mentre il terzo era l’entrare fisicamente nella mente, esperienza che avevano intrapreso solo con il proprio drago.
Din din din! La campanella è suonata! Lezione finita!

Si trovarono tutti e tre dentro una sala di pietra.
Non era come la mente dei draghi, era molto più simile al corridoio che avevano percorso per arrivare alla Volta Celeste, solo che lungo le pareti di quel luogo si aprivano un'infinità di porte. Quasi tutte aperte. Solo tre erano chiuse.
Ardof si avvicinò alla prima, mise la mano sul pomello e tirò. Venne in suo aiuto Trado e, insieme, riuscirono a schiuderla.
Da dentro uscirono una marea di note musicali.

Interessante… Questo cosa significa? Che voleva dimenticare come si suona?!

- Qualcosa mi dice che questa non è quella giusta. Proviamone un’altra.-  disse Trado allungando un dito verso una nota vicina a lui.
Si diressero alla seconda porta. Questa volta anche Frida dovette dare il suo contributo. Quando la riuscirono a schiudere uscirono dei... dei folletti chiassosi.

È incredibile come quegli esserini verdi si riescano ad infilare ovunque…

- Rimane l'ultima.-  disse scocciata Frida mentre calciava via un folletto che le si era attaccato a uno degli stivali.
La terza porta era incatenata.

Classico. Mai una cosa facile quando sei di fretta.

Frida si avvicinò alla catena, sfilò la spada dal fodero e menò un fendente.
La spada passò attraverso la catena come se quest'ultima fosse fatta d’aria.
Si fece avanti Ardof, appena Frida ripose lo spadone nel fodero. Il Cavaliere rosso chiuse gli occhi e pronuncio lentamente. - Destari erla fer sather! “ Fuoco sciogli questa catena!-  non successe nulla.
- Ragazzi neanche la magia funziona... che facciamo?-
I tre Cavalieri si sedettero in terra, cercando un modo per rompere quella catena.
- Ma certo!-  disse Trado schioccando le dita.
- Ma certo cosa?-  chiese Ardof alzando di scatto lo sguardo dal pavimento al compagno.
- Non siamo nel mondo reale! Qui non siamo reali, siamo solo proiezioni di noi stessi, come della nostra spada o della nostra magia!-  
- E con questo?-  continuò Ardof riprendendo a fissare le mattonelle su cui era seduto.
- Guardate.-  
Trado fece un passo indietro. Tirò un respiro e mutò. Davanti a loro ora svettava una drago identico a Reicant.
Il drago si avvicinò alla catena, l'annusò e, con un morso, la spezzo. Prese poi il pomello tra le labbra squamose e tirò. La porta si aprì sotto l’enorme forza del drago.
Trado riprese la sua forma elfica.
- Trado, – gli disse Ardof dandogli una pacca sulla spalla – sei proprio un autentico genio.-
- Dimmi qualcosa che non so.-

Autostima ad altezze epiche.
Qualcuno mi porti una scala che ho dimenticato lassù l’orologio!
Non so se notate la nota ironica nella mia voce.

Dalla porta aperta non uscì nulla.

Bella fregatura.

I tre Cavalieri lasciarono la mente della donna in blu sperando di averle restituito la memoria.
- Tutto fatto.-  disse Frida, appena fu tornata in sé.
Gli sguardi di tutti si puntarono sulla donna.
- Come ti senti?-  chiese Farionim.
- Io... io sto cominciando a ricordare... Drake, Farionim e... e Reis, si, Reis, quel... quel figlio di goblin! – urlò la donna – E... e... oh, no. Feran! Dov'è il mio Feran? Oh Farionim! Dov'è il mio Feran?-  
- Calma.-  disse Farionim abbracciandola dolcemente.
- Chi è Feran?-  chiese Trado.
- Come Trouw per me e Graner per Farionim, Feran è il drago che ha scelto di seguire Nestra.-  gli rispose Drake facendo un passo verso i Cavalieri e creando un piccolo vuoto intorno a Farionim e Nestra.

Che scena toccante… qualcuno mi porti dei fazzoletti!

Si avvicinarono due uomini vestiti con abiti contadini, che si inchinarono ai tre Cavalieri.
“ Non sono umani.” setenzionò Erdost.
- Feran esiste ancora. Almeno per adesso è vivo. Parole della grande regina Fariuna.-  

Esiste? Esiste?!
Non penso abbiate ben presente la differenza tra esistere e vivere.

- Nyer è morto? Il vecchio re dei draghi è morto?-  chiese Nestra preoccupata.
- No, ma… sono successe molte cose da quando sei sparita. Ti diremo tutto dopo.-  le rispose Drake.
- Lasciate che vi presenti Trouw. – disse Farionim indicando l'uomo con i capelli castani – e, immagino che Graner lo abbiate già visto.-  continuò indicando l'altro uomo, quest’ultimo era più alto del primo e aveva i capelli neri come la pece.
- Mai in questa forma.-  rispose Frida.
- Dov'è Feran?-  
- Sta volando, ci ha detto la regina. Ti sta cercando. Ha sentito che sei stata liberata.-
- Graner, Trouw. Riuscite a dirgli di raggiungerci ai piedi dei Monti Muraglia? Nella valle? Faremo qualcosa per fargli capire dove siamo.-  chiese Ardof.
I due draghi ebbero un attimo di esitazione, i loro sguardi si spostarono su Fariuna che gestiva i gruppi di uomini che salivano a dorso dei suoi sudditi.
La regina si voltò, come se avesse sentito la loro conversazione, e fece un cenno con il capo.
I due draghi le risposero chinando la testa in segno di profondo rispetto.
- La regina ci da il suo permesso.-  annunciò Graner.
Fariuna, Trouw e Graner ripresero la loro vera forma per caricare gli ultimi soldati rimasti a terra.
Ardof si ritrovò sulla sella di Erdost con una decina di nani borbottanti e un'infinità di folletti. Quei piccoli esseri erano riusciti a sistemarsi nei posti più disparati: nelle tasche, nelle bisacce, ne aveva uno addirittura infilato nei capelli, sotto l’elmo dalla
chioma infuocata.

Io l’ho detto che riescono ad infilarsi ovunque, anche se sono ancora confuso del perché ce ne fossero nella mente di Nestra…

Per i draghi fu un viaggio terribile, i nani si lamentavano di continuo e il peso in eccesso li rallentava parecchio.
Ci impiegarono così sei giorni per arrivare all'ex-avamposto, oramai praticamente vuoto.

I sei giorni più lunghi della mia esistenza.
Sto cominciando a detestare i nani con ogni fibra del mio essere.

Nell'accampamento, infatti, erano rimaste pochissime persone, un centinaio non di più.
- Trado! Trado!-  urlò una donna.
Trado si girò spalancando gli occhi lucidi.
- Oh, Diana!-  la abbracciò e gli diede un bacio.
- Destari, renf ou seii! “ Fuoco, sali fino al cielo!”-  Urlò Ardof prima di entrare all’interno della grotta.

Si! Si!
Ce l’ha fatta! È riuscito a dare vita a una frase grammaticalmente e sintatticamente corretta!
Oggi è un grande giorno! Dobbiamo festeggiare!

Una colonna di fuoco scarlatto si levò dalla pietra e uno spaventoso ruggito riempì l'aria.
Ardof mantenne l'incantesimo attivo per una manciata di minuti, poi quando sentì le sue forze scemare interruppe il flusso di mana che alimentava l’incendio.
- Drake, aspettatelo voi Feran. Io devo occuparmi di alcune cose prima dei soliti convenevoli.-
- Si, vai pure. Qui possiamo fare noi.-
Ardof entrò nell'accampamento a passo spedito. “ Frida, dove sei?”
- Dietro di te.-  
Ardof sobbalzò.
- Che c'è?-  chiese ridacchiando l’elfa.

Maledizione Ardof! Dai! Fai sempre la figura del pollo!
Oramai dovresti averlo capito che se qualcuno ti arriva alle spalle è lei novantasette volte su cento.
Nelle rimanenti tre potrebbe essere un assassino, qualcuno che vuole chiederti qualcosa, oppure uno che si è perso.
Andiamo! Mi stai deludendo!

- Vedi, volevo fare un regalo a Trado per il suo matrimonio. Avrei bisogno però del tuo aiuto.-  
- Per cosa?-  
- Pensavo a due anelli.-  
- Ti seguo...-  
- Volevo farli metà di fuoco solido e metà d'acqua.-  
- Sì, l'idea è buona. Ci serve solo l'incantesimo giusto.-  
- Ci ho già pensato. Fai attenzione perché è lungo.-  
- Vai. Sono pronta.-
- Destari estriu en Reckiet... Tu dovrai invertire acqua e fuoco... set retty nat nerutti grei yietter rey ingted. “ Fuoco unisciti con l'acqua per creare un anello d'equilibrio indistruttibile e indolore.-
- Che incantesimo complicato. Non ho solo capito il senso dell'ultimo pezzo.-  
- Non mi è venuto niente di meglio per non farli ustionare il fuoco solido.-  
- Si. Hai ragione. Non ci avevo pensato.-  
- Prova a ripeterla.-  
- Reckiet estriu en Destari set retty nat nerutti grei yietter rey ingted.-  
- Perfetto. Al mio tre partiamo con la formula... uno, due e... tre! Destari estriu en Reckiet set retty nat nerutti grei yietter rey ingted.-  
Si crearono due anelli perfettamente identici. Erano formati per metà di fuoco e per metà d'acqua. I due elementi sembravano rincorrersi all''infinito.
- Perfetti... molto meglio di come me li fossi immaginati...-  
- Si, sono venuti proprio bene. Complimenti per l'incantesimo. Se non vuoi continuare ad addestrare le nuove generazioni di Cavalieri e Domatori avrai comunque un futuro da gioielliere.-

Ehi! L’elfa mi ha rubato la battuta! Che cosa ci sto a fare io qui se quelli mi rubano il lavoro?!

- Andiamo a darglieli.-
Il Cavaliere e la Domatrice raggiunsero il compagno. Ognuno di loro teneva in mano un anello.
- Trado, Diana. Quando vi siete sposati non sono riuscito a farvi nessun regalo e... io e Frida vi abbiamo preparato una cosa. Non è molto ma spero vi piaccia.-  i due aprirono i le mani per mostrare i gioielli perfettamente identici.
- Wow... Ardof è... è semplicemente bellissimo.-  disse Diana ammirando il suo.
- È il minimo. Davvero.-  
Trado e Diana presero gli anelli e se li misero a vicenda. All’elfa brillarono gli occhi per l'emozione.
Tutto d'un tratto si fece tutto nero.
- Trado, cosa sta succedendo?-  
- Non lo so.-  

Te lo dico io cosa sta succedendo. È la giusta punizione per avermi rubato la battuta sul gioielliere. Ecco cos’è.
Nah… non sono così vendicativo. Comunque stavo scherzando. Non ho idea di cosa stesse succedendo… o forse si.
Dai, lo sapete bene quanto me che questa emicrania vuol dire solo una cosa.

I quattro Cavalieri si ritrovarono nella Volta Celeste, davanti agli sguardi duri degli dei.
Erano presenti tutti gli dei primigeni e anche quelli minori. Non mancava nessuno all’appello.

Riunione di famiglia! Che bello!
Adesso scusatemi ma devo fare da controfigura.

Si fecero avanti il Fato, con a fianco lo spirito a malapena visibile di Vago, etereo come l’arcobaleno. Ad Ardof parve di veder comparire un sorriso sulle labbra pallide del compagno, ma si convinse di essersi sbagliato.

Non male, vero?
Nessuno si accorgerà mai che non sono veramente Vago…
Almeno così quei quattro si tranquillizzano sulla sua sorte.
Avete qualcosa da ridire? Bene, andateci voi in una selva praticamente illimitata a cercare un’anima in particolare in mezzo a qualche miliardo.

Il dio fu seguito da Aria, Acqua, Fuoco, il nuovo Terra, Natura, Spazio, Tempo, Ordine, Caos, Luce e Oscurità.
- Bravi, bravi da tutti noi.-  disse Fato accennando un applauso con le quattro mani.
- Grazie…-  rispose Ardof.
- Questa probabilmente sarà la vostra ultima visita alla Volta da vivi. La vostra missione si è conclusa. Non siete più legati da nessuna profezia. Ma sappiate sempre che noi veglieremo su di voi, perché rimarrete per sempre i nostri templi sulle Terre.-  
- Questo vuol dire veramente tanto per noi.-  rispose Frida.
- Abbiamo riflettuto a lungo e siamo giunti alla conclusione che doveste essere ricompensati per le vostre fatiche e per le vostre sofferenze. Vi faremo un dono che non è mai stato concesso a nessun mortale in nessun Creato. Ecco a voi.-

Cos’è? Cos’è? Dai, dai! Scartalo e dimmi cos’è! Sono curioso come uno scoiattolo! Su, forza! Ditemi qual è il vostro regalo!
Ma soprattutto, dov’è il mio regalo? Il mio sudato premio?

I tre dei degli elementi si posizionarono davanti alle loro incarnazioni e posarono sulle loro teste la mano destra aperta.
Dalle schiene dei tre cavalieri nacquero un paio di grandi ali. Ognuna era composta dell'elemento su cui avevano il dominio.
L'armatura si modello in modo da lasciare libere le ali di muoversi, stendersi e rannicchiarsi.
Quando ebbero finito ritornarono ai loro posti.
I sette dei minori si avvicinarono a Diana.
Fu Natura a prendere la parola, guardando negli occhi l’elfa. - Diana, oramai fai parte anche tu di questo gruppo. Io, i miei fratelli e le mie sorelle abbiamo deciso che è giusto fare un dono anche a te.-  la dea mise le mani a ciotola, facendo nascere una ninfea a sei petali. Natura gliela pose tra i capelli biondi.
Caos continuò il discorso della sorella. - Finché avrai con te questo fiore avrai la nostra protezione e…-
Ordine prese la parola - … al momento giusto rivelerà i prossimi prescelti.-  

Ma… che? Altri prescelti? Che noia. Si vede che siete dei senza hobby. Prescelti di qua, servitori di là… ma per favore!
E io che pensavo di prendermi una vacanza.
Tanto lo so già che ci finirò di mezzo.
Perché poi vi servono altri prescelti? Quel maledetto demone è finito in cenere e l’ultima volta che ho controllato non c’era nessun megalomane che potesse distruggere il Creato. Perché mai dovreste trovarvi altri prescelti?

- Arrivederci, Cavalieri.-  concluse il Fato.
La realtà intorno a loro si frammentò come uno specchio colpito da un sasso.

Ed ecco che rimango solo io… non vorrà farmi un’altra paternale, spero.

- Ben fatto, Commedia.-

Ti prego! Non chiamarmi con quel nome! È come uno spettro che mi insegue. Io non sono più Commedia da quando la mia razza venne sterminata. Chiamami Viandante, perché è questo che ora sono.
Comunque posso capire la vostra perplessità.
Oramai le uova sono rotte, tanto vale che vi dica qualcosa su di me.
Io sono una musa, una musa ispiratrice. Per la precisione il mio campo di influenza erano le commedie.
Cosa speravate? Che le muse fossero donne bellissime?
Mi dispiace, ma vi siete beccati me.
La mia razza era l’equivalente di un servitore per il Fato e il nostro compito era quello di accendere la scintilla della creatività negli uomini, e per far questo fummo dotati di tre principali poteri: la capacità di mutare il nostro aspetto in quasi qualunque cosa, la possibilità di addentrarci nella Trama del Reale e una vita pressoché infinita.
Poi venimmo sterminati da quegli stessi uomini che dovevamo ispirare, il resto è storia.
Ecco il motivo per cui il Fato mi chiama Commedia.


I quattro Cavalieri dei draghi si ritrovarono distesi sul pavimento dell’avamposto. Tutti i soldati che non erano ancora partiti li stavano fissando.
I ventenni si ritirarono in una delle poche tende che non erano ancora state smontate.
- Cosa avrà voluto dire Ordine?-  chiese Diana.
- Non lo so. Ma lo scopriremo, un giorno o l’altro.-  le rispose dolcemente Trado, abbracciandola.
Ardof, Frida e Trado si tolsero le armature ancora scintillanti, rimanendo solo con indosso l'imbottitura.
Le armature si erano modificate appena: la parte superiore si era divisa a metà, tutte le placche di metallo stavano insieme grazie a incastri impeccabili, lasciando, però, due feritoie simmetriche all'altezza delle scapole.
I tre Templi degli dei primigeni chiusero gli occhi e si concentrarono sul loro mana. Si sentivano diversi, una parte della loro mente era sicuramente mutata. Non sapevano con precisione cosa fosse cambiato, ma si sentivano... decisamente diversi.
Liberarono il loro mana in una maniera che non avevano mai neanche immaginato prima.
Fecero scorrere la loro energia magica, che si propagò per tutto il corpo, le ossa diventarono di elemento purissimo, i muscoli si irrigidirono e, dalle scapole, uscirono un paio di ali simili a quelle dei draghi, fini, costituite da un impalcatura ossea leggerissima e da una membrana semitrasparente.
- Ragazzi, è... è pazzesco. Non ho mai visto una cosa così.-  Trado fece sbattere due volte le sue, provocando una ventata che per poco non scoperchiò la tenda.
- Già. Gli dei ci hanno fatto un regalo incredibile...-  concordò Frida, ammirando le proprie ali riflesse in una delle placche dell’armatura.
- Ehi, guardate qui!-  Diana teneva in mano il fiore che le avevano regalato gli dei minori.
La ninfea era dai colori sgargianti, piena di riflessi incredibili. Al centro stava seduta una fata completamente fatta di erba.
La piccola creatura li guardò di sottecchi con gli occhi verdi e si limitò a ridacchiare.
I sei petali sembravano brillare.
Fuori si sentì un urlo, seguito da molti altri. Tutti i soldati nell’avamposto sembravano correre nella stessa direzione.
I tre cavalieri ritirarono le ali, si rimisero addosso le armature e uscirono.
Feran era atterrato.

E aggiungerei in maniera parecchio spettacolare, vista la reazione dei pochi ancora presenti.

Ardof, Frida, Trado e Diana si unirono a Drake, Farionim, Nestra, Fariuna e Vroyer in prima fila.
Un drago ramato era atterrato davanti all'ingresso dell'accampamento, radunando un cospicuo numero di curiosi.
Nestra si avvicinò al drago e gli cinse il collo.
In un attimo Feran assunse la sua forma umana e ricambiò l'abbraccio.
- Oh, Feran, Feran. Quanto mi sei mancato.-  
- Mi sei mancata anche tu.-  
- Dove ti eri nascosto?-
- Quando quegli esseri vennero a ovest e ti rapirono ti cercai per i primi tempi. Quando non ti riuscii a sentire per tutto quel tempo mi ritirai in un isoletta vicino alla mia isola natia.-  
- Oh, Feran! Come sono felice di vederti!- 

 

Angolo dell'autore:

Ehilà, era da un po' che non mi facevo sentire.

Che ne dite? Gli ultimi capitoli sono stati pregni di avvenimenti... la fine della guerra, il re, gli dei...

Ebbene, ora Viandante si è aperto. Onestamente, sono riuscito a sorprendervi un pochino? Non mi dispiacerebbe sapere cosa pensavate fosse, in base a quello che avete letto negli ultimi quarantadue capitoli. Ma soprattutto, ci credereste se vi dicessi che non ha ancora detto tutto? Sempre a poroposito del Viandante, domani, o al posto del capitolo o in parallelo (devo ancora decidere), pubblicherò una storia a parte. O meglio, non è proprio una storia, è stato lo scritto in cui ho provato a delineare il suo carattere.

A domani, quindi!

Vago.

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Capitolo 45
*** Capitolo 44: A casa ***


 Dopo tutti i convenevoli tra Nestra e Feran e le congratulazioni di Fariuna al drago ramato, tutti i soldati si apprestarono a recuperare i propri bagagli e uscire dalla grotta per tornare a casa. Finalmente.
Non sarebbe stato semplice per loro tornare alla vita normale, imparare di nuovo a vivere senza il terrore di poter morire da un momento all’altro, ma il tempo li avrebbe aiutati. Poco a poco.

Si, certo. Oppure sarebbero entrati in psicosi, avrebbero avuto complicazioni di tutti i tipi tra cui paranoia, insonnia e problemi affini e, magari, sarebbero caduti vittime dell’alcolismo.
Ma mi piace il tuo modo di pensare.
Sempre ottimista, mi raccomando.

- Frida, Ardof. Mi sembra giusto, prima di partire, andare dare un ultimo saluto a Vago. Se lo merita.-  
- Si, caro... a proposito di Vago… è successa una cosa terribile mentre non voi c'eravate... Nella concitazione del momento, poi con gli dei e… me ne ero scordata fin quando non l’hai nominato… mi spiace davvero tanto.-  
- Cosa? Ti spiace per cosa?-  chiese Trado un po' preoccupato.
- Venite a vedere.-
Il sepolcro di Vago era distrutto: il blocco di ghiaccio sfaccettato era per terra, rotto in centinaia di schegge che non si sarebbero mai sciolte. Le quattro statue dei cavalieri erano collassate senza la magia di Codero a sostenerle e i corpi di Vago e Defost erano stati portati via. Trascinati, visto che sul pavimento luccicavano alcune squame bianche.
- Dannazione! – imprecò Frida – Che cosa è successo qui?-
- Non lo so. Nessuno di quelli che sono rimasti qui lo sa. Le statue sono crollate e il blocco si è schiantato. Da quel momento non siamo più potute venire qui. Non so chi abbia potuto prendere il corpo di Vago… Io non lo so! Mi dispiace!-  
- Va bene. Non è colpa tua. – disse sospirando Ardof – Oramai è così. Non riusciremmo più a rintracciare i loro corpi. Se chi li ha presi è un discreto trafugatore di reliquie li avrà già nascosti chissà dove. Magari per venderli. Che fine ingloriosa dopo tutto quel che ha passato… Ora che la guerra è finita bisognerà rimettere in sesto le terre. Chiamiamo Fariuna, Drake, Fasto e gli altri. Dobbiamo parlargli.-  

Comunque, trafugatore di reliquie discreto o meno, voglio vedere chi è disposto a comprare un cadavere.
Fossi stato io avrei preso solo la spada, l’armatura da Cavaliere, un paio di squame e, proprio per fare quello che sa cosa sta facendo, il libro del Fato. Poi me ne sarei andato.
Quelli erano oggetti più piccoli, potevano passare inosservati e si vendevano sicuramente meglio di un corpo rimasto congelato per settimane.
O forse mi sbaglio. Dopotutto nel tempo libero gioco a carte, non trafugo reliquie.

Quando furono tutti riuniti Farionim prese la parola.
- Ho pensato a un nuovo sistema di governo per le terre. Secondo me dovremmo creare almeno quattro nazioni distinte. Ognuna indipendente dalle altre.-  
- Si, va bene. Ma a con alcune condizioni. – disse Trado – Ce ne dovrà essere una centrale, in cui avranno sede il Palazzo del Mezzogiorno, quello della Mezzanotte e le sedi del potere di tutte le nazioni. Ma soprattutto non dovrete affidare a noi tre il potere, dividetevelo tra di voi, fate quel che volete. Non mi interessa come ve la sbrigherete. Non metteteci in mezzo in nessun modo. Noi gestiremo le nuove generazioni di Cavalieri e non vogliamo rimanere incastrati nelle vostre faccende politiche.-
- D'accordo. Io propongo di fondare quattro terre. Come sono quattro gli dei che ci osservano. – borbottò Vroyer indicando i Cavalieri – Una terra dell'Acqua per le sirene e le fate, una del Fuoco per i draghi, una delle Rocce per noi nani e i folletti e una dell'Aria per umani e elfi.-  
- Bene, l'accordo è preso?-  chiese Frida impaziente.
- No, questa proposta è fattibile, ma… – disse Drake non troppo convinto – Bisognerebbe ancora deciderne la gestione... e i confini. E le leggi. Senza contare i limiti che dovremo imporre ai reggenti e i loro poteri…-

Voglio giocare anch’io! Voglio una regione tutta mia! Dove tutti devono vestirsi eleganti e passare almeno un’ora al giorno ad adorarmi!
Ma, insomma! Vi rendete conto che state parlando di politica con quattro ventenni appena usciti da una guerra?
 
- Sapete farlo anche da soli, noi ora dobbiamo andare.-  detto ciò Frida si alzò e uscì all'aperto.
Gli altri tre la seguirono.
- Ragazzi. Io prima di cominciare una nuova vita devo chiudere con la vecchia. Vado a fare visita al mio paese. Almeno per un’ultima volta.-  disse Ardof.
- Si, io e Diana andremo a fare un giro per la Grande Vivente. Vogliamo vedere se i nostri genitori sono ancora vivi dopo tutto quel che è successo.-
- Lo stesso vale per me. Tra otto giorni ci incontriamo al palazzo della Mezzanotte. Dovremo cominciare a spostare tutto.-  concluse Frida.
- Cavalieri! Cavalieri! Aspettatemi, vi prego!-  Vroyer arrivò corricchiando sulle sue gambette tozze.
- Cavalieri!-  ripeté il re dei nani quando fu più vicino.
- Si?-  chiese Diana.
- Il mio popolo ha deciso di togliere la vetta al Flentu Gar, il signore dei monti che domina al centro dei Monti Muraglia, per far posto alla terra centrale.-  
- Grazie Vroyer. Sarebbe un grande gesto per noi. Ma è sicuro di poter rendere realizzabile questo progetto?-  disse a sua volta Ardof.
- Sicuro come sono sicuro di essere davanti a te.-

E io rimarrò qui. Non posso lasciare che le fondamenta del nuovo governo vengano gettate senza la mia firma.
Dopotutto quello di dirottare le decisioni politiche è un altro dei miei compiti principali.
Vedrò di raggiungerli appena avrò finito con loro.

Dopo un ultimo saluto i quattro Cavalieri, sul dorso dei loro draghi, decollarono verso le colline che li separavano dalle loro mete.
“ Ardof, devi dirmi una cosa. Cosa è successo prima che atterrasse Feran? Ti ho perso per quasi tre minuti.”
“ Gli dei ci hanno convocato nella volta per ringraziarci e farci un piccolo dono. Come ringraziamento per il nostro lavoro.”
“ Che sarebbe?”
Ardof agganciò l'alabarda vicino alla sacca in cui aveva messo la tuta da Cavaliere. Prese una profonda boccata d’aria fredda e si lasciò cadere nel vuoto.
“ Ardof! Che stai facendo? Ardof, ti sei mangiato il cervello? Hai perso completamente la ragione!”
Ardof sentì un brivido in tutto il corpo, poi le sue ali si aprirono. Il ragazzo riprese quota.
“ È magnifico!” disse impressionato Erdost.
“ Facciamo una gara?”
“ Non c'è speranza per te. Volo da una vita, io.”
“ E allora? Io ho le ali da un’ora, cosa cambia?”
I due volarono affiancati per gran parte del pomeriggio.
Atterrarono poco distanti dal Palazzo della Mezzanotte.
“ Erdost, non riesco praticamente più a muovermi. Sono distrutto.”
“ Te l'avevo detto che non avevi speranza.”
Ardof mangiò qualche pezzo di carne secca che gli era rimasto nelle bisacce. Andò poi a dormire esausto.
La mattina non riusciva quasi a camminare, volare si era dimostrato più impegnativo del previsto ed ora i suoi muscoli ne stavano risentendo, dagli addominali ai muscoli del collo e delle gambe.
Scoprì quasi per caso come spegnere il pennacchio dell’elmo della sua nuova armatura, poté così ritiralo insieme agli altri pezzi nelle sacche vuote della sella, indossando la più confortevole tuta da Cavaliere.
Salì con una certa fatica sulla sella di Erdost, mise la sicura alla spada e incastrò meglio l'alabarda tra le bisacce della sella, in modo che non potesse cadere in nessun modo. Poi si fissò con alcuni lacci i piedi e cercò di riprendere sonno, cullato dal battito delle ali del suo drago.
Erdost si muoveva lentamente in modo da non disturbare il suo compagno di volo. Ci avrebbero impiegato un po' di tempo in più per arrivare a destinazione, ma andava bene così. Oramai non avevano più fretta, la guerra era finita, non c'era più niente che avrebbe potuto rovinare quel momento, neanche la peggiore delle turbolenze.
Si fece presto buio, il drago carminio stava sorvolando un tratto abitato della Pianura Umana, ma sembrava che nessuno lo riuscisse a distinguere dal cielo.
Erdost atterrò in uno spiazzo libero da colture o rovi, proprio in mezzo a un frutteto che si sarebbe quasi potuto dire abbandonato a se stesso. Probabilmente non ci andava più nessuno da quando era scoppiata la guerra.
Tutto intorno i rovi crescevano indisturbati.
Una cassetta in legno era abbandonata per terra, infestata dalle erbacce e con un angolo coperto dalla muffa.
Il drago sfregiato fece scendere con la massima delicatezza Ardof senza svegliarlo, ebbe qualche problema a fargli scivolare i piedi fuori dalle staffe, ma alla fine riuscì ad adagiarlo su una zona del terreno sgombra.
L’animale si librò di nuovo in volo per andare a cacciare, era da quando erano entrati nel castello che non mangiava qualcosa che gli riempisse davvero lo stomaco.
Non temeva per il suo compagno di volo, aveva visto e combattuto talmente tante cose strane che non si sarebbe fatto spaventare da un possibile brigante in cerca di refurtiva e soldi facili.

- Ehi, Mirko, mamma! Venite, c'è un intruso! Nella nostro fortino è entrato qualcuno!-  
- E chi è questo intruso? Un passerotto o uno scoiattolo, Sif?-  Joanna, la madre di Sif e Mirko, scavalcò i rovi portando sulle spalle un bambino che avrà avuto al massimo cinque anni.

Ma come? Prendi alla leggera uno scoiattolo ribelle?
Guarda che non bisogna mai dare confidenza agli scoiattoli. Sembrano teneroni, ma poi, quanto hai abbassato le tue difese, cominciano a tirarti e ghiande e, quando sei a terra stremato, ti rubano il portafogli.
Te lo dico io, gli scoiattoli sono delle brutte persone.
Ammettetelo, vi ero mancato.

- No, no! Qui davvero c'è qualcuno! Non è uno scoiattolo!-  Sif corse dalla madre, tirandola per la manica della camicia.
Un uomo con una strana armatura era steso dove i bambini avevano costruito il loro piccolo fortino.
Joanna corse dall'uomo e gli mise due dita sul collo. Tirò un sospiro quando sentì il lento battito del cuore. Per loro fortuna stava soltanto dormendo.
- Mirko, Sif. Non muovetevi da qui. Io vado a prendere il carretto. E chiamo anche vostro padre. Sapete dov'è?-
- Deve essere nel campo di mais a lavorare con i nonni.-  
Joanna si voltò e corse dal marito, l'unico figlio dei signori, con cui vivevano da quasi quattro anni, oramai.
Mirko e Sif girarono intorno all'uomo che dormiva. Era stata mamma a dirgli che dormiva e la mamma non si sbagliava mai. Se aveva detto che dormiva stava sicuramente dormendo.
- Ehi, Mirko. Guarda qui!-  Sif sollevò con le sue mani paffute da bambino di dieci anni l’elsa di una spada.
Il bambino sfoderò la lama dal fodero in cuoio e ne ammirò i riflessi vermigli. Con la schiena dritta diresse la punta aguzza della spada contro il tronco di un albero vicino, immaginandolo come un nemico che voleva impossessarsi del loro fortino.
Con un colpo un po' tremante taglio qualche rovo, per poi concentrarsi di nuovo contro la corteggia dell’albero cattivo.

Prima non l’ho detto? Anche gli alberi sono persone cattive.
Voi pensate che quando ti cade addosso un frutto o una pigna sia stato un caso, non è vero? E invece sbagliate! Sono gli alberi che le lasciano cadere sulle vostre teste!
Forse la situazione mi sta scappando di mano. Credo sia il caso di smetterla con queste battute squallide.

Il buio si stava facendo sempre più fitto e Mirko si avvicinò al fratello singhiozzando.
Arrivarono Joanna con il padre e un carretto.
- Sif! Metti giù quella spada!-  Urlò Joanna spaventata.
Sif abbassò lo sguardo e rimise la spada nel fodero da cui l’aveva presa.
Caricarono lo sconosciuto nella carretta e lo portarono fino alla loro casa nel paese.

Ardof si risvegliò in un letto comodo, paragonato alle cuccette di pietra dell’avamposto.
Era coperto da una coperta di lana. Indosso aveva un vestito di cotone bianco. Aveva ancora i guanti di pelle infilati nelle mani.
Sorrise, ripensando a quanto tempo era passato dall’ultima volta che se l’era tolto…
“Deve essere da quando ho preso l’uovo argento al Palazzo del Mezzogiorno.” Si disse.
Si guardò intorno. Era in una stanza con le pareti in legno.
I ricordi di quando ancora viveva con i suoi genitori lo assalirono.
Provò a chiamare Erdost ma non riusciva a concentrarsi, aveva la testa che gli pulsava.
“ Devo allenarmi molto di più nel volo.” Si disse.
La porta della camera si aprì.
- Mamma, papà! – la vocina stridula di un bambino gli fece aumentare il mal di testa. La schiena e il collo gli formicolarono. – Il signore si è svegliato!-  
Poco dopo entrarono nella stanza due uomini, una donna di circa ventuno, ventidue anni e un bambino di sei, forse. Non era mai stato bravo ad indovinare le età.
- Stai bene?-  chiese la ragazza.
- Si... si, grazie. Dove sono? Dove mi avete portato?-  
- A casa nostra. – rispose un uomo più o meno della sua stessa età, aveva i capelli scuri ed era di corporatura robusta, la pelle abbronzata tipica di chi lavora per tutto il giorno in campagna. In netto contrasto con la donna, magra e dai capelli castani – Ti abbiamo trovato nel nostro frutteto, stavi dormendo.-
- Grazie mille.-
- Ha una bella spada, signore.-  disse il primo bambino sicuro di sé.
- Sif!-  lo rimproverò l'uomo più anziano del gruppo che stava al suo capezzale.
- Mi dica. – continuò l'uomo più vecchio – Lei è uno di quei soldati del Re?-  
- No... io ho combattuto dall'altra parte. A proposito, abbiamo vinto. Il re è morto.-  
- Si... lo sapevamo già. Notizie del genere arrivano in fretta. Che cosa ci faceva da questa parti?-
- Vede, finita la guerra ho deciso di rivedere i miei genitori... è da parecchio tempo che non li vedo, sono stato trattenuto dai miei doveri, negli ultimi anni. Mi sembrava il caso di tornare a trovarli, ora che la guerra è finita. Giusto per vedere come stanno...-  
- Va bene, capisco. Devi aver lasciato casa da molto giovane, se è vero che non vedi i tuoi genitori addirittura da anni. Se te la senti di scendere è pronto pranzo.-  
Ardof si alzò barcollante e scese al piano di sotto reggendosi al corrimano della scala. Al piano inferiore c'era una tavola imbandita ad aspettarli.
Mangiò con gusto. Gli sembrava di essere tornato indietro di anni, in quella casa.
Il bambino più grande, Sif, l’avevano chiamato, continuava a fargli domande del tipo da dove venisse, quanti anni avesse, dove avesse preso quella bella spada.

Quanto detesto i bambini! Sono insopportabili.
Se non chiudi quella bocca immediatamente ti spedisco con un biglietto di sola andata in mezzo al Vrag.
Non ho potuto chiudere occhio per tutta la notte, per così dire, visto che al momento gli occhi non li ho.

Al Cavaliere venne un’idea per stupirlo.
Aveva ancora con sé il sacchetto che, normalmente, teneva legato alla cintura. Lo aprì e tirò fuori la squama di Erdost.
Nonostante fosse stata persa manteneva il suo colore brillante.
La fece vedere al bambino con gli occhi che brillavano.
- Sai cos’è questa?-
- No! È una pietra preziosa? Una cosa magica? L’hai rubato a un re potente? Dai! Cos’è?-
- È una squama di drago.-  gli rispose facendogliela cadere in mano.
- Wow! Che bella! Me la regali?-
- Ma certo. Tienila pure.-

Finito di mangiare Ardof chiese. - Scusi, dove avete messo la mia armatura e le armi?-
- Le abbiamo messe da parte. Ardof, puoi accompagnare il signore nel ripostiglio?-
Ad Ardof venne la pelle d'oca.

Oh, ragazzi, che casino adesso con i nomi. Ardof qua, Ardof là… chiamarli Ardof uno e due? Così, giusto per capirci.

Il ragazzo si alzò dalla tavola e salì le scale. Ardof lo segui. Entrarono in una stanzetta. In cui erano riposte le sue cose con la massima cura.
- Ardof, che strano nome...-  
- Si, non è molto comune.-  
- Per caso di cognome fai Neghyj?-  
- Si, come fai a conoscermi?-  
- Perché, sono io Ardof Neghyj.-  disse sfilando la mano rossa dal guanto e mostrandola al ragazzo di fronte a lui.
- Oh…-  
- Dimmi, chi sei? Sei una specie di mio sosia o uno dei soldati del Palazzo del Mezzogiorno?-
- No, il Palazzo del Mezzogiorno, per colmare i vuoti nelle famiglie dei Cavalieri, manda dei senzatetto. Io prima di venire qui non avevo né casa né famiglia.-  
- Ah. Oh. Capisco... Solo per sapere… com’è la mia vita? Cosa mi sono perso in questi anni? E mia madre, come sta?-  Chiese il Cavaliere sentendo l’ira che lo aveva attanagliato scemare in pochi istanti, lasciando il posto a un’amarezza profonda.
- Tua madre è ancora malata come quando la lasciasti. Forse è peggiorata un po’. I migliori sacerdoti e maghi delle terre hanno detto che non si può fare nulla per lei. Mi spiace. Mentre per la vita va tutto bene, come vedi. Tuo padre ha fatto dei buoni investimenti ed è riuscito a mettere in piedi tutto questo… e il mio matrimonio… il tuo matrimonio con Joanna. Sif e Mirko sono i tuoi… i miei figli.-  
Ardof si sentì svuotato. Non riusciva a credere a quel che aveva sentito. Prese la sua roba e scese.
- Mi ha detto vostro figlio che sua moglie non è in ottime condizioni…-  disse il Cavaliere. Risedendosi al tavolo per potersi rimettere la tuta comodamente.
- Si. Purtroppo è così. Il Cambiamento non è stato dolce con lei. È da allora che sta male.-
- Mi spiace… se vuole sono un discreto mago. Se posso darle un’occhiata… per sdebitarmi…-
L’uomo sembrò combattuto a quella proposta, ma poi cedette, portando un cesto in vimini nella sala da pranzo.
Ad Ardof salirono le lacrime agli occhi vedendo sua madre in quelle condizioni. Tutto era come quel primo giorno, come se non fosse passato un minuto dal Cambiamento. Ora però poteva fare qualcosa per lei. Ne era sicuro.
Riportò alla mente le nozioni di magia medica, di anatomia delle fate e di conoscenze sulle malattie che gli avevano passato all’Accademia.
Finalmente poteva metterle in pratica.
Per prima cosa sfruttò il proprio mana per controllare il corpo della madre, cercando il colpevole della sua tortura. Lo trovò quasi immediatamente.
Era una malattia poco comune, ma non sconosciuta. E lui l’aveva già incontrata nei suoi studi.
Tutto era dovuto a un interferenza nel corpo durante il Cambiamento, che portava a una mala mutazione dell’individuo, lasciando tracce di “umanità”.
Proprio perché gli umani non erano mutati non potevano contrarre quei sintomi, a differenza di tutte le altre razze.

Beh, sei rimasto un umano noioso, senza qualità eccezionali, ma almeno non puoi star male. Rallegrati, su, forza!

Il passo successivo fu ancora più semplice: dovette individuare a una a una le fonti dell’interferenza sopprimendole con il proprio mana. Quando si fu assicurato di averle eliminate tutte si concesse un sorriso. Tutti quegli anni senza vedere la sua famiglia alla fine gli erano serviti.
- Ardof? Sei tu?-
Il cuore del Cavaliere cominciò a battere all’impazzata. Sua madre l’aveva riconosciuto? Come era possibile? Si costrinse a calmarsi. Non voleva portare troppo caos in quella casa.
- State tranquilli. Si riprenderà nel giro di poche settimane. Non dovrebbe avere un’altra ricaduta.-
Ardof si incamminò a passo spedito verso la porta, mentre suo padre, con le lacrime agli occhi lo ringraziava di cuore.
Se solo avesse potuto dirgli la verità…
- Signori, grazie per la vostra ospitalità. Siete stati gentilissimi ad invitarmi alla vostra mensa. E… – aggiunse rivolgendosi a suo padre – lei ha avuto un ottimo figlio. Non c’è che dire. Buona continuazione a tutti voi.-

Quanta modestia…

“ Erdost, – chiamò con il pensiero – vieni. Sbrigati, sono veramente distrutto. Non voglio che mi vedano fare una scenata, rischio di rovinare la vita della mia controfigura…”
- Grazie. Grazie ancora!-  
- Arrivederci. E, Sif, giusto? Guarda come mai ho ricevuto questa bellissima spada.-  disse sorridendo.
Erdost atterrò davanti all'ingresso della fattoria, proprio come Ardof voleva. Il Cavaliere gli salì sulla sella.
- Parti, Erdost.-  disse piano Ardof mentre Sif, e la sua famiglia guardavano estasiati il drago rosso.
Il drago sfregiato si levò in volo con un possente battito d’ali.
“ Mi dispiace che sia andata così. Dopo quello che hai passato avresti avuto tutto il diritto di dire a tuo padre chi sei veramente.”
“ Non ho voglia di parlarne, adesso.” Gli rispose il Cavaliere con gli occhi pieni di lacrime, trattenute a stento.

 

Angolo dell'autore:

Eccomi di nuovo qui a perdere tempo.

Sempre meno capitoli ci separano dalla fine di questo viaggio.

Ma non parliamo di questo. Come vi ho detto ieri, oggi pubblicherò anche una velocissima... possiamo chiamarla one-shot? Comunque, un testo che scrissi per delineare un pochino meglio il nostro caro Viandante. Non aspettatevi una "Divina Commedia II - Virgilio ammazza-vampiri", però se avete dieci minuti (ma anche molti meno) da perdere, fateci un salto.

Qui chiudo. Buona continuazione a tutti.

Vago.

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Capitolo 46
*** Capitolo 45: Il Cavaliere nero ***


 I due volarono fino al Palazzo della Mezzanotte. Ci impiegarono tre giorni per arrivarci, ma Ardof non si era ancora ripreso.
Mancavano ancora due giorni all'appuntamento con gli altri.
Il Cavaliere rosso si rinchiuse in una delle camere destinate agli allievi e si mise in meditazione. Si rinchiuse in se stesso, lasciando fuori tutto, compreso Erdost.
Ardof fece passare così una giornata.

Qualcuno bussò.
- Avanti.-  disse alzandosi sulle ginocchia doloranti.
- Ardof? – era Trado – Erdost mi ha detto dov'eri.-  
- Vieni. Entra pure.-  
- Mi... mi spiace.-  
- No... non dispiacerti. Tanto è andata così e non si può più cambiare nulla. Come è andata a te, invece?-
- Male. Non sono riuscito a trovarli. Abbiamo incontrato solo la madre di Diana. Dai, vieni a mangiare. Ti farà bene un po' di aria fresca. E soprattutto vedere qualcuno.-  
I due uscirono. Ad aspettarli all’esterno c'erano Erdost, Diana e il piccolo draghetto nero. Ardof notò che il drago argento era ancora cresciuto, tanto che l’elfa non riusciva più tenerlo in braccio.
- Ardof, stai bene?-  Diana si avvicinò al Cavaliere con il viso segnato e gli occhi arrossati. Aveva pianto.
- Io sto bene. Cosa è successo a te?-  
Trado le cinse le spalle.
- Quando siamo andati nella... nella Grande Vivente, speravo di ritrovare i miei... ma mio padre se ne andò di casa appena noi partimmo... mio padre... e mia madre mi odia... mi maledice tutte le sere e dice che è colpa mia... io... dice che papà se ne è andato per colpa mia.-  Diana singhiozzava.
- Tranquilla, adesso calmati. Non devi dirmi niente se non te la senti… Tranquilla…-
Ardof mangiò poco. Quando ebbe finito liberò Erdost dall'impaccio della sella e portò tutta la sua roba in una delle stanze che una volta avevano ospitato i professori.
Riscaldò una tinozza d'acqua e vi si immerse. Era stanco, aveva bisogno di rilassarsi.
Rimase lì dentro per un po'.
Quando si alzò ricostruì la sua armatura in un angolo della stanza e indossò di nuovo la tuta dei Cavalieri.
Il giorno dopo arrivò anche Frida. Non volle parlare di quanto era successo in quegli otto giorno. Gli altri fecero ben attenzione a non chiederglielo.
In quella giornata presero tutto ciò che si poteva spostare a mano e lo portarono nel cortile, facendo l’inventario.
- Sette scrivanie, cinquantasei banchi, – prese nota Trado su un taccuino che avevano trovato – centododici sedie, dodici librerie e... centoquaranta tute da Cavaliere per colore. Centocinquantatré di colore blu. Centododici cassapanche. Centoundici, questa è inservibile. I tarli hanno banchettato con il fondo.-  

Il lavoro era uno schifo. Ma, almeno, a fine giornata avevano portato fuori tutto quello che avevano trovato.
Il giorno successivo ci fu una sorpresa. Farionim aveva mandato alcuni dei suoi stregoni ad aiutarli. Sei, per la precisione, ognuno con una bombola giallognola sulle spalle, tenuta da un fascia di cuoio che passava sopra la spalla sinistra.
Tre di loro si impegnarono in un lungo incantesimo, per aprire un varco tra il Palazzo della Mezzanotte e la vetta, incredibilmente già mozzata, del Flentu Gar.
Grazie a loro e a una buona dose di mana riuscirono a spostare completamente il Palazzo, mura comprese, in otto giorni. Un'impresa impossibile senza l'aiuto della magia.

Impresa di traslochi Cavalieri e Co.
Perché cambiare casa quando puoi spostarla a piacimento?

Spostavano i muri ad uno ad uno, ricostruendo la struttura e risaldandola come fosse un puzzle dall’altra parte del portale.

Giochi di società 3D. Poco male. Potrebbero brevettare l’idea…

La vetta tagliata era brulla. Una distesa di roccia.
Grazie al portale degli stregoni di Farionim, i quattro Cavalieri raggiunsero anche il Palazzo del Mezzogiorno, il palazzo con la cupola d'oro, in un attimo.
Stettero lì, senza far niente per due giorni. Per potersi riposare e poter riprendere le forze dall’ultimo lavoro.

Ripresero il trasloco, ma più lentamente rispetto all'altro palazzo. I muri erano più fragili, crepati. Bisognava ripararli prima di trasportarli sulla vetta.
Nonostante tutto, però, una buona notizia accolse i ventenni. Una parte dei ribelli che erano stati sotto il comandi di Drake in quegli anni avevano ripulito l’intera struttura da cima a fondo. Nessuno avrebbe mai potuto immaginare la terribile scena che aveva accolto Ardof poco tempo prima.

Il Cavaliere rosso si stava tagliando i capelli con un rasoio improvvisato. Erano troppo lunghi per il lavoro che stava facendo e non aveva intenzione di sprecare energie in una maniera così stupida.

Finalmente stai mettendo un po’ di testa.

“ Ardof! – era Frida – hanno bussato. Vai ad aprire!”
“ Perché non vai tu?”
“ Mi sto lavando. Fai tu…”
Il Cavaliere rosso si sciacquò nella tinozza che aveva davanti alla testa e uscì dalla camera in cui si era sistemato.
Mentre percorreva il corridoio che lo avrebbe portato alla porta si fece asciugare i capelli dalla magia. Una nuvola di vapore si alzò dal suo capo per poi diffondersi nell’aria, tra le pareti di pietra.

Ti avevo appena fatto un complimento! Perché hai ritrattato tutto così in fretta! È come mi avessi appena detto in faccia: “finalmente la magia serve a qualcosa! Ma che spostare palazzi o guarire i feriti, quelli sono lavori per architetti e medici, asciugare i capelli!” E questi ragazzi sarebbero il futuro per la magia…

Aprì la porta.
Davanti si trovò un mendicante, impossibile dire quanti anni avesse, ma era sicuramente più giovane di lui . Forse di due o tre anni.
Il viso magro, sporco di terra e graffiato. Il corpo era coperto da una specie di tonaca strappata e ricucita più volte, qua e la rattoppata con pezzi di stoffa di fortuna. Il mendicante portava a tracolla una borsa marrone, logora.
- Chi sei?-  
- Un povero. Non si vede?-
- Cosa posso fare per lei? Vuole qualcosa?-
- Posso entrare?-  non finì neanche la frase che era già oltre la soglia con il naso all'insù, ad ammirare il dipinto sul soffitto.
Solo ora Ardof ne poteva comprendere il vero significato.
- Vuole qualcosa?-  ripeté Ardof.
- Ospitalità. Due giorni al massimo, poi me ne andrò.-  
- Molto bene, venga dentro.-

Capisco che l’ospitalità è sacra ma… non ti pare un pochino eccessivo?

- Le posso dare questa stanza.-  disse ancora Ardof di fronte alla porta di una delle stanze vuote.
Il povero entrò nella stanza. Nonostante l’impegno, il Cavaliere non riusciva leggergli i pensieri, il mendicante aveva la mente troppo confusa e affollata da cose diversi per potercisi orientare. Sembrava non essere in grado di controllare il proprio intelletto.
Ardof espanse la mente.
“ Abbiamo un ospite.” disse a tutti.
“ Chi è?” chiese qualcuno, Ardof non fece caso a chi fosse.
“ Un povero. Ci ha chiesto due giorni di ospitalità.” rispose.
La sera il Cavaliere carminio andò a chiamare lo straniero. Quando bussò alla porta, sentì dentro qualcosa che cadeva, un tonfo pesante. Poi il mendicante uscì; il volto pulito era quello di un uomo di diciotto anni, magro. Segnato da alcuni graffi lungo lo zigomo sinistro.
- Venga. La cena è pronta.-
- Grazie.-
Ardof spiegò allo straniero come arrivare alla mensa. Appena il mendicante svoltò l'angolo Ardof entrò nella sua stanza.
Dentro era tutto in ordine: letto, scrivania, pavimento, tutto. Sulla scrivania erano impilati alcuni libri della libreria della camera.
Il Cavaliere, visto che nella stanza non c'era niente di particolare, andò nella mensa.

Sospettoso il ragazzo… che c’è, hai paura che se ospiti un senzatetto questo ti rubi il cibo da sotto il naso?

Era Diana a cucinare da quando erano iniziati i lavori, in quanto non riusciva a rendersi particolarmente utile con la magia cercava di non essere di peso in ogni modo.
Quando Ardof si sedette alla tavola c'erano già tutti. Da un lato i maghi di Farionim, dall'altro i suoi compagni.
A capotavola sedeva lo straniero.
Diana e Trado portarono i piatti: agli stregoni di Farionim, come al solito, un piatto di insalata; mentre per i Cavalieri c'era una fetta di arrosto.

A quanto ho capito i Budnear non si reputavano né carne né pesce. Letteralmente.
E per non cadere nel cannibalismo non mangiavano né uno né l’altro. Pazzi.


Mangiarono in silenzio.
- Come posso chiamare i miei ospiti?-  chiese titubante il mendicante alzando gli occhi dal suo piatto quasi vuoto.
Ardof non ci pensò per più di un secondo. - Io sono Nair, lei è Jeara, Sertian ed Debra.-  Lo disse senza neanche alzare lo sguardo dal piatto. Usava gli stessi nomi che avevano adottato dalla Resistenza per non fare confusione.
- Bene, allora grazie per l'ospitalità.-  
- Ora la bilancia pende dalla tua parte, – Disse Trado – tu conosci il nostro nome, ma noi non conosciamo il tuo.-
- Oh, si certo. Il mio nome è Denia.-
Il resto della cena passò in silenzio, almeno parlando di suoni. I quattro Cavalieri discutevano vivacemente attraverso i loro pensieri. Parlavano di tutto e di niente, senza far trasparire niente dai volti concentrati sul piatto ancora pieno.
“ Ardof, c'è un problema.” i pensieri di Erdost lo avvolsero come una calda coperta, una fitta nebbia rossastra coprì tutto ciò che succedeva intorno al ventenne, suoni e colori.
“ Dimmi tutto.”
“ Un gruppo di quei demoni del re si sta avvicinando al palazzo. Arriveranno da voi tra dieci minuti, forse anche meno, visto come correvano la prima volta che li abbiamo incontrati. Fate attenzione perché noi siamo lontani. Arriviamo il prima possibile. Fino ad allora cerca di non morire di nuovo.”
Ardof guardò gli altri Cavalieri. Sapevano già tutto.
- Dobbiamo andare. Maghi, venite con noi. Denia, tu rimani qui, non devi assolutamente uscire. Intesi?-  disse Ardof.
- Intesi… perché?-
Nessuno sembrò aver sentito la domanda.
- Voi cominciate ad andare. Ho lasciato la faretra e l'arco in camera.-  si scusò Trado.
All’esterno, per il momento, era tutto tranquillo.
Il Palazzo del Mezzogiorno, a differenza del gemello della Mezzanotte, non era protetto da mura di cinta. Quindi, se veniva attaccato, i soldati non avrebbero avuto protezione. Dopotutto chi poteva essere interessato ad entrare in un palazzo che contiene solo uova di drago, uova di drago che per molti erano solo una leggenda, si doveva essere chiesto l’architetto.

Rispondo io a questa domanda! I demoni creati dal re, ecco chi!

Ben presto dal folto della Grande Vivente spuntò una moltitudine di corpi neri. Su alcune picche sventolavano sporchi i vessilli del re.
- Eccomi.-  era arrivato Trado con la faretra a tracolla e l'arco in mano.
Indossava la tuta dei domatori e l'elmo donatogli dagli dei.
- Diana, tu stai qui all'entrata.-  
- Ma caro...-  
- Ti prego, stai qui.-  la interruppe con un tono che non ammetteva repliche.
Intanto l'orda si avvicinava.

Saranno stati un centinaio, a occhio e croce. Forse qualcosa in più.

I maghi lanciarono qualche magia, Trado alcune delle sue frecce di aria solida. Ma volevano aspettare ancora un po', c'era qualcosa che proteggeva l'orda dalle magie e dalle incursioni mentali dei Cavalieri.
- Tre, due, uno. Andiamo.-  Trado scoccò una freccia, ma quest' ultima si dissolse prima di arrivare a destinazione.
Uno dei maghi lanciò un incantesimo, ma non successe nulla.
- Dovremo attaccarli con la spada. Maghi, appena togliamo questa barriera voi attaccate.-  Frida sembrava un generale. Gibber sarebbe impallidito di fronte alla macchina da guerra che aveva contribuito a creare, si disse Ardof.

Chissà che fine ha fatto quel maledetto Gibber.
Penso sia morto nell’incursione. Non mi sembrava un granché sotto tutti i punti di vista.

I demoni arrivarono.
“ Erdost, tra quanto arrivi?”
“ Poco. Non avere paura. Stiamo facendo il più in fretta possibile.”
“ Vanenir è con voi?”
“ Si.”
“ Grazie.”
“ Ora fai attenzione alla battaglia.”
Lo scontro iniziò. Quella era la prima volta che combattevano contro quei mostri senza i draghi, e l’ultima volta non era finita bene: erano forti, i loro colpi erano incredibilmente poderosi. Ma non erano imbattibili come nella prima battaglia, qualunque cosa fossero dovevano trarre le loro abilità incredibili dalla magia di Reis.
In mezzo a loro c'era una specie di goblin dalla pelle rossa e unta, vestito con una tunica e con una collana di ossa. Probabilmente era lui che li proteggeva dagli incantesimi…
Forse l’ultimo dei goblin era stato asservito all’uomo che ne aveva sterminato la razza.

Ehi, coerenza!

I demoni ci si accalcavano intorno per proteggerlo. Non c'erano possibilità di avvicinarcisi.
I tre Cavalieri si gettarono nella mischia, ma nonostante l’alto numero di perdite che infierivano al nemico, non sembravano fare danni concreti alla compagnia.
Ardof si spinse nel centro dell’ammucchiata, ma i demoni non lasciavano nessuno spiragli abbastanza grande da permettere a qualcuno di avvicinarsi allo stregone.
Una fiammata rovente bruciò l'aria.
Buona parte dei demoni cadde a terra carbonizzata, senza neanche uno squittio. Come anche il goblin, del resto.
Il fuoco prese in pieno il petto di Ardof, che cadde nella cenere dopo almeno un metro di volo.
- Ardof, Ardof!-  Frida corse verso il suo corpo nero per terra.
- Tranquilla, sono ancora vivo.-  tossicchiò tirandosi su.
Si tolse la fuliggine dalla faccia e sputò un grumo di saliva mista a cenere. La tuta, per fortuna, era ignifuga quanto lui.
Le placche di metallo si erano giusto un po’ arroventate, ma non le avvertiva che tiepide sulla pelle.
“ Grazie Erdost. Non ce l'avremmo fatta senza di voi.”
“ Ardof, noi non siamo ancora arrivati.”
Ardof si voltò, guardando da dove era arrivato quel fuoco.
Un drago nero stava sospeso a mezz'aria.
Sulla sua sella un uomo dall'armatura nera come la notte stava in piedi, guardando verso terra.
- Frida, dimmi che non me lo sto immaginando.-  
- No. Non te lo stai immaginando.-
- Spero non sia l’ultimo ricordo che ci ha lasciato Reis.-
Senza il mago a proteggere quel poco che restava della compagnia, grazie alla magia, riuscirono a sterminare quei demoni.
Il drago nero atterrò e il suo Cavaliere saltò a terra piegandosi sulle ginocchia, come simulando un beffardo inchino.

Ma guarda un po’! Che fantasia aveva avuto il buon vecchio Reis! Si era fatto un Cavaliere dei draghi personale… E pensate che fantasia! Un cavaliere nero!
I cattivi hanno sempre meno fantasia. C’è poco da fare.
Pensaci, crea un Cavaliere bianco, o d’oro. Tutti sanno che un cavaliere bianco non può essere cattivo. Ma no, devi rimanere fedele alla tradizione continuando a utilizzare vecchi cliché.
Sto perdendo la fiducia nella nuova generazione di cattivi. 

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Capitolo 47
*** Capitolo 46: Punizione ***


 - Chi sei.-  chiese subito Trado sulla difensiva. L'arco in mano.
Il cavaliere nero si limitò a piegare la testa e sorridere in modo ironico. La maggior parte della faccia era coperta da un elmo.
Le labbra bianche e gli occhi, comunque coperti dall’ombra, erano tra le poche cose riconoscibili di quel volto.
- Chi sei?-  ripeté Trado.
Il cavaliere continuò a tacere.
- Parla o ti pianto una freccia dello stomaco.-  
L'altro aprì le braccia, sfidando apertamente l’arciere.
Trado scoccò una freccia, ma questa passò attraverso il Cavaliere nero senza né toccarlo, né ferirlo. Come se questi fosse un fantasma. L'elfo rimase inebetito.
Lo straniero soffiò e Trado cadde a terra privo di coscienza.
- Cosa hai fatto?-  chiese Diana con le lacrime agli occhi.
- Stai tranquilla, sta solo dormendo. Non gli potrei mai fare del male. Dopotutto è protetto e custodito dalla dea Aria, o mi sbaglio?-
La lama color pece emerse dal fodero e vibrò in direzione di Ardof.
Pyra si frappose appena in tempo per evitare una ferita assicurata.
Bastarono pochi colpi per far capire al Cavaliere cremisi la netta superiorità del suo rivale. Lo riusciva a leggere, riusciva a prevedere ogni sua mossa e senza la benché minima fatica la parava.
La spada degli abissi scese come un falco in picchiata, ma venne deviata senza difficoltà da quella piccola spada dalla lama nera, che non smise per un secondo di abbattersi su Pyra.
Il tallone di Ardof incontrò una radice sporgente e il Cavaliere, prima di potersene accorgere, era a terra, con la schiena premuta contro il terreno e la lama nera a pochi centimetri dalla gola.
- Cosa dobbiamo fare per farti togliere quell'elmo?-  chiese Ardof spostando di continuo il suo sguardo dal Cavaliere a Trado a Frida che tentava disperatamente di liberarsi dalla presenza del drago nero per potersi avvicinare al suo Cavaliere.
- Offrirmi una cena?-  
- Cosa?-
- Hai capito bene. Ho fame. Voglio una cena.- Il Cavaliere sorrise beffardo.
“ Erdost, aiutami…”
La coscienza di Erdost si fece più forte, fino a travolgere Ardof nella memoria del drago.

I primi giorni del loro viaggio, i muscoli contratti per volare, l'aria frizzante dei Monti Muraglia... - Tre… due… uno… Terre dell'est arriviamo!-  Erdost girò un poco la testa, abbastanza da inquadrare il volto di Vago.
Intorno a lui il ricordo si dissolse. Si ritrovò sotto terra, nella capitale dei folletti. Quelli erano i suoi ricordi.
- Tranquillo. Quando ci rincontreremo mi restituirai il favore.-
- D’accordo.-  
Solo in quel momento Ardof si accorse della scintilla dentro i suoi occhi.
Vide anche quando li fece resuscitare tra i monti.
Il suo sorriso, gli occhi ancora arzilli sulla faccia smunta...

“ Erdost, sei sicuro che sia lui?”
“ I nostri ricordi ne sono sicuri.”
Ardof riaprì gli occhi. Era ancora sdraiato per terra, nel suo campo visivo c'era sola faccia di Frida, i suoi capelli chiari creavano tutt'intorno una specie di tendaggio che li divideva dal resto del mondo. Sperò che quel momento non finisse mai.
Guardò Frida dritta negli occhi, le orecchie a punta dell’elfa si arrossarono. Lei si rialzò velocemente.
La luce sole gli ferì gli occhi.
Si mise in piedi e guardò il cavaliere nero, che si era allontanato di qualche passo e aveva rinfoderato la spada.
- Togliti quell’elmo.-
Da sotto la protezione di ferro comparve un volto smunto incorniciato dai capelli corvini. Due occhi policromi lo osservavano  da sopra quel sorriso beffardo.
Rimase un attimo stordito, poi gli gettò le braccia al collo con gli occhi lucidi.
- Ardof, che fai?!-  chiese Diana.
- Lui... io...-  non riusciva a parlare.

Appena impari di nuovo a parlare chiamami. Non ho tutta la giornata da perdere con i tuoi borbottii.
Comunque sono stupito, lo ammetto.

- Ardof!-  lo richiamò Trado.
- Mi aspettavo un benvenuto migliore.-  disse solo il Cavaliere nero.
- Lui è... è...-  non riusciva a dire il suo nome. Qualcosa nella sua gola gli impediva di continuare la sua frase.
Si era convinto che Vago non sarebbe tornato che ora faticava a parlare di lui. La sua testa gli diceva che era impossibile.
- Vago?-  concluse il Cavaliere nero.
Un silenzio assordante scese sui Cavalieri.
- Tu, come mai... non dovresti essere qui... Questo non ha senso! Dovresti essere morto! Almeno un po’!-  balbettò Frida.

D’accordissimo con Frida. In gergo medico si direbbe: con leggeri sintomi di decesso. O qualcosa di simile. Mica sono un dottore, io.
Comunque voi dovreste essere gli ultimi a parlare, vi vorrei ricordare

- Si. Dovrei essere morto. Ma come vedete non lo sono. Gli dei hanno fatto anche a me un regalo. Grazie a loro sono di nuovo vivo. Di certo il mio… risveglio non è stato dei migliori, mi sono… ci siamo ritrovati sul carro di un simpatico mercante di reliquie che ci stava per vendere come un qualunque oggetto al mercato nero. È stata una ripresa un po’ traumatica della vita… Ma di sicuro quello più traumatizzato era il mio amico mercante quando ci ha visti alzarci. Grazie al Fato ho portato i miei poteri a un livello incredibile. Non volevo arrivare così di sorpresa. Pensavo a un' entrata in scena più ad effetto, spettacolare. Purtroppo sono arrivati quei demoni e senza i vostri draghi non sareste riusciti a scamparla. Sono dovuto intervenire per forza.-  
- Wow.-  riuscì solo a dire Trado.
- Allora, mi avevate promesso una cena...-  
- Certamente!-
Entrarono nel Palazzo del Mezzogiorno.
- Ragazzi, non c'è più Denia. E con lui le nostre provviste. – Diana era appena risalita dalla cantina – di sotto non c'è più niente. Scusaci, Vago. Non potremmo fare molto per questa sera...-

Ah… Oh… Vabbè, dimenticate il mio commento di prima. Se ospiti un senzatetto, lui ti toglierà il cibo da sotto il naso.
Almeno anch’io ho imparato qualcosa di nuovo.

- Non è un problema.-  Vago chiuse gli occhi, mise le mani con le palme aperte davanti a sé e tirò un sospiro.
Non servivano le parole, quella che stava per fare non era una magia. Stava modificando il fato del mondo intorno a lui.

Mica male come potere speciale.
Cos’altro aveva imparato a fare? Muovere gli oggetti con la forza del pensiero? Sputare salami?
Quello si che sarebbe un potere utile. Sai a quante feste sarebbe invitato?

Davanti ai suoi occhi si misero a vorticare parole nere. Un lampo scuro lacerò l’aria.
Davanti a lui comparve Denia con due sacchi in mano.
- Dannazione, cosa diavolo...-  in quel momento si accorse di Trado e Ardof spalla a spalla davanti a lui.
Denia si voltò e cominciò a scappare verso la porta. Frida gli si parò davanti.
- Se non è cambiata dall'ultima volta che l'ho vista non ti conviene metterti contro di lei.-  gli urlò dietro Vago.
Denia non lo ascoltò e caricò Frida a testa bassa in un disperato tentativo di fuga.
Frida si spostò appena di lato, mettendo una gamba per far inciampare il ladro. Lui cadde come un sacco. Frida gli appoggiò un piede sulla schiena per tenerlo fermo.
- Nava. “Dormi.”-  sibilò.
Denia si accasciò sotto il peso di Frida.
- Dove lo mettiamo?-  chiese Trado.
- Io ho un'idea.-  gli rispose Ardof.
- Spara.-  

Denia si trovò disteso su un pagliericcio, tutt'intorno solo piante. Si appoggiò a una staccionata lì vicina.
Ci fu un ringhio dal folto degli alberi. Il ragazzo cominciò a correre in una direzione a caso.

E io che pensavo di essere vendicativo!
Povero ragazzo… non credo che risentiremo il suo nome molto presto.


- Ik. “Su.”-  La cupola dorata del Palazzo della Mezzanotte si sollevò di qualche spanna dal terreno su cui l’avevano posata. Ardof la fece passare attraverso il portale aperto dagli stregoni di Farionim.
Era l'ultimo pezzo. Il resto del palazzo era già montato sulla piana in cima al Flentu Gar.
Saldò la cupola al resto della struttura.
Il Cavaliere rosso si sedette sulla terra battuta. I lavori erano finalmente finiti.
Si godette il momento con la schiena appoggiata alle pareti di quel maestoso palazzo, godendosi gli ultimi raggi del sole di quella giornata.

Ardof entrò nell'edificio di marmo bianco che i nani e gli elfi di entrambe le carnagioni avevano costruito di fronte ai due palazzi.
Nella sala principale, seduti alla tavolata, c'erano Drake, Farionim e Nestra, Fasto, Vroyer, il rappresentante degli elfi della Grande Vivente, Foglietta I, l’altro rappresentante dei folletti, degli gnomi e dei Bereng e il Governatore.
Dopo poco arrivarono anche gli altri Cavalieri.
Era la prima riunione delle Cinque Terre. Dovevano essere presenti tutti i capi di stato e, per forza, anche i cinque cavalieri.
- Benvenuti, - esordì Farionim. - Apriamo ora il primo consiglio delle cinque terre.-  una signora in un angolo buio scrisse quel che Farionim aveva detto con una velocità impressionante. - Queste le decisioni prese: Re Vroyer e Foglietta I con il popolo dei nani, dei folletti, degli gnomi e dei Bereng si stabiliranno nella zona sud delle terre occidentali, da ora Terra della Pietra; Il Governatore, sotto suo suggerimento, con gli abitanti di Chiritai fonderà una propria colonia nella Terra del Vento, la zona superiore delle terre occidentali; Fasto, Tearo, - il rappresentante degli elfi - e Drake andranno a occupare la Terra del Vento, comprendente la parte superiore della Piana Umana e la Grande Vivente, dove vivranno elfi chiari, elfi scuri e umani; Fariuna andrà con il popolo dei draghi, come promesso, nella zona sud delle terre orientali, delimitata dal corso del Serat a nord, dalla catena dei Muraglia ad ovest e dal mare a sud ed est, inoltre l'isola rimarrà a loro; Io e Nestra andremo invece con i Coloni nella Terra dell'Acqua, la regione che si spartirà con la Terra del Fuoco i territori orientali.- Farionim prese fiato. Poi si rivolse ai cavalieri. - Vi abbiamo convocati per concedervi il comando della Terra degli Eroi.-  
I cavalieri si guardarono.
“ Ragazzi. Se per voi va bene mi offro io.” disse Vago.
“ Perché?” chiese Frida.
“ Ardof, Frida, voi volete portare avanti il Palazzo della Mezzanotte. Trado, Diana, mi avete detto che voi dirigerete il Palazzo del Mezzogiorno. Così anch'io ho la possibilità di fare qualcosa di buono per le Terre.”
“ Non impazzirai come Reis?” Gli chiese Ardof per alleggerire un po' l'aria.
“ Tranquilli.”
- Bene.- disse ad alta voce Vago. - Abbiamo discusso. Se vi sembro adatto, prenderei io il posto di comando qui.-  
- Bene!-  si lasciò scappare Fariuna. Ma riprese subito il suo contegno.
- Molto bene. - Riprese Farionim. - siamo felici che sia stato tu a prendere questo incarico. La seduta è sciolta.-  
- Ancora una cosa...- disse Frida - Fariuna, per i nuovi Cavalieri come ci possiamo organizzare?-  
- Pensavo di darvi almeno venti uova nel prossimo mese e... sette, massimo dieci uova ogni mese... a meno che non ci siano pestilenze o catastrofi. Nel caso in cui la popolazione dei draghi sia messa a rischio ogni nostro accordo verrà fermato finché l’emergenza non sarà terminata.-  
- Sono d'accordo.-
- Io avrei ancora un'idea, se per lei va bene. Quando venimmo addestrati noi, ci separarono dai nostri draghi per un periodo. Possiamo chiedervi di allenare le nuove generazioni di draghi per i loro primi due, tre anni?-  
- Certamente.-
- Cavalieri...-  s'intromise Vroyer dopo un attimo di silenzio in cui sembrava che la riunione stesse davvero per concludersi.
- Si?-  rispose Ardof.
- Posso chiedervi di estendere i cavalieri anche alla nostra razza?-  
- Penso che non ci siano problemi. Fariuna?-  
- Non ci sono problemi. Basterà modificare l'incantesimo sulle uova. Non sono però la più indicata a rispondere di questo, coloro che crearono il primo incantesimo sapranno sicuramente come far ciò.-
- Non sarà un problema per noi, prima di partire, modificare l’incantesimo che creammo durante la nostra prima visita.-  rispose Drake.
- Grazie!-  il re nano era commosso.

Sono quasi commosso anch’io… Ora, la volete sciogliere questa seduta che avremmo tutti di meglio da fare?
Anche io ho una vita sociale.

- Molto bene. Ognuno di noi avrà quattro mesi per creare un sistema di gestione funzionante. Poi ci trasferiremo tutti in questa sede. Intesi?-  concluse Farionim.
- Intesi.-  fu la risposta collettiva.
La sala si svuotò in un baleno.

Per fortuna, aggiungerei. Se c’è una cosa che detesto di più di chi mi ruba le battute, sono i politicanti. 

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Capitolo 48
*** Capitolo 47: Saluti ***


 All’esterno i Cavalieri salutarono tutti i rappresentanti delle varie razze per un periodo infinito. Chi per dovere, chi per augurargli di cuore un buon viaggio.
Ardof si accorse appena con la coda nell'occhio di Fariuna, in piedi, fiera e splendida, di fronte ad Erdost.
Si allacciò appena alla mente del drago sfregiato, quel tanto che bastava per venire messo al corrente dei pensieri del suo drago senza diventare talmente invasivo da allertarlo della sua presenza.
Erdost e Fariuna stavano parlando mentalmente e il drago carminio era talmente occupato dalla conversazione che non si sarebbe accorto del legame con il suo compagno di volo in nessun caso.
“ Mi spiace che tu non possa venire con noi...”
“ Fariuna, sai che mi piacerebbe spiccare il volo con te e la nostra razza, ma non posso. Sono legato ad Ardof e mi spiace lasciarlo. Non posso lasciarlo. Mi spiace dovergli dire addio dopo tutto quel che abbiamo passato assieme. Nel bene e nel male. Oh, Fariuna. Se solo non fossi legato al mio Cavaliere ti seguirei, anche in capo al mondo.”
“ Capisco. No, non ti riesco a capire. Forse non ti riesco a capire perché non sono legata a nessuno come lo sei tu, ma posso immaginare quello che senti. Erdost, abbi cura di te. Sappi che alla mia corte e nel mio cuore ci sarà sempre un posto riservato per te... è stato bello averti incontrato.”
“ Fariuna...”
“ Erdost...” La regina dei draghi passò una delle sue dita affusolate sulla cicatrice bianca che sfregiava il muso del drago carminio, Ardof sentì gli occhi di Erdost chiudersi, il suo cuore accelerare, la mante si fece più confusa e sensazioni alterne invadevano la mente del drago.
Il Cavaliere pensò che, quando Frida era con lui, provava le stesse sensazioni, all’incirca. Forse non quella sorda voglia di scodinzolare, ma sapeva cosa stava provando il suo drago.
Una triste idea si fece strada nella mente del ventenne.

Dannazione! Tutti questi intrecci amorosi mi stanno facendo salire la glicemia alle stelle. Sono tutti troppo zuccherosi.
Solo a me mancano i discorsi da piazza del villaggio?
La gente che si vantava di aver scritto una lettera minatoria a un fabbro per via dei prezzi troppo alti?
Maledizione!

“ Che il vento soffi sempre nella tua direzione. Mia regina.” Disse ancora Erdost riaprendo gli occhi.
“ E anche nella tua.”
“ Erdost! – Ardof s'intromise prepotentemente nel discorso – Perché non me l'hai detto?!”

Ti chiamavano finezza, vero?

“ Non volevo... Non so perché non te l'ho detto. Forse non mi sembrava giusto nei tuoi confronti.”
“ Tranquillo. Tanto era mia intenzione mandare o te o Seisten nella capitale dei draghi per seguire l'addestramento dei nuovi cuccioli. Tu mi hai solo tolto il dispiacere di scegliere. – mentì il Cavaliere – E poi potremo sempre sentirci con la mente. Ricorda che il nostro legame è più forte della distanza. Neanche la morte può scioglierlo, me l’hai insegnato tu.”
“ Grazie...”
“ Per te questo e altro. E poi, io e te siamo una cosa sola. È come se mi fossi fatto un piacere da solo… Con questo ho anche appianato il mio debito. Menomale che tu eri l’essere superiore che non si faceva guidare dai sentimenti…”
Ardof si avvicinò al drago e gli mise una mano sul muso.
- Fariuna, abbi cura di lui...-  
- Si, conta su di me. Grazie per tutto quello che stai facendo.-  
- Non è niente. Davvero.-  
“ Ardof, se posso fare qualcosa per te dimmelo.”
“ Fare un volo con te fino alla nuova capitale dei draghi sarebbe magnifico. Un ultima volta.”
“ Questo lo posso fare. Ma, come tornerai qui?”
“ Ricordi, ho le ali... dammi solo un momento per salutare tutti e spigargli la situazione e ti raggiungo.”
“ Vai.”
Ardof raccontò sbrigativamente quello che aveva sentito ai suoi compagni di viaggio e, presa Pyra e risposta nel suo fodero, salì sulla sella di Erdost. Dopotutto per il viaggio che doveva intraprendere non gli serviva l’alabarda. Gli sarebbe stata solo d’intralcio nel momento del ritorno.
Partirono con tutta la popolazione dei draghi quando il sole arrivò al culmine del suo percorso.
Quasi subito Ardof entrò nella coscienza del suo drago. Voleva godersi fino in fondo quel viaggio, che poteva essere l’ultimo che facevano assieme.
I draghi avevano scelto come zona per la loro prima città della nuova Era una collina rocciosa tra i Monti Muraglia e il deserto, poco a sud del Serat. Appena le possenti zampe degli animali toccarono terra, alcuni dei draghi più robusti, tutti con la caratteristica di avere delle squame visibilmente più spesse degli altri, si misero a scavare nella roccia con le poderose zampe. Tutto sommato sembravano più talpe che draghi.
- Cosa stanno facendo?-  chiese Ardof a Fariuna.
- Sono dei draghi particolari, hanno le squame più spesse, come avrai già notato, e degli artigli più robusti rispetto a noi draghi normali. Sono praticamente infaticabili. Questa notte dovremo dormire all'aperto, ma per domani avremo dei cunicoli a grandezza di drago.-  
E così fu. La notte non piovve e il mattino seguente, di fianco alla massa di corpi sdraiati c'era un foro che entrava verticalmente nella collina.
L'interno non era come Ardof se lo era immaginato, rude e appena abbozzato, ma le pareti erano lisce, i tunnel erano larghi e creavano una specie di ragnatela stradale. Di lato, scavate nella roccia, c'erano parecchie case da due, tre stanze ognuna. Tutti i draghi presero la loro forma umana, ognuno di loro si scelse una casa e, con un artiglio, incisero qualcosa all'entrata, sullo stipite di pietra della porta.
Erdost si muoveva faticosamente nei corridoi, ma nessuno di questi era troppo stretto da non permettergli il passaggio.
Fariuna, al contrario, camminava agile tra i cunicoli, quasi vivesse in quella città da una vita.
- Come fai a conoscere tutte le strade di questo posto?-  provò a chiedere Ardof per rompere il silenzio.
- Tutte le nostre città hanno la stessa pianta. Le strade sono le stesse. Molto spesso i draghi decidono di andare a vivere nella stessa posizione in tutte le città dove questo è possibile, in modo da non perdere mai la via o confondersi. Conosci una delle nostre città, le conosci tutte. Non saranno particolari come le vostre, uniche, ma nelle nostre città non c’è il rischio di perdersi tra i cunicoli.-  
Fariuna si fermò davanti a un arco maestoso.
I tre entrarono in quell’abitazione.
Le stanze erano ampie. Ardof ne contò sette, una con un lungo tavolo, una adibita a cucina, una che ospitava un pagliericcio e altre completamente vuote.
La regina dei draghi girava per la casa estasiata. Probabilmente era completamente diversa dal suo palazzo sull’isola.
Dopo qualche ora una dozzina di draghi arrivarono nella casa reale per iniziare a lavorare: chi cucinava, chi puliva, chi si ambientava semplicemente.
La casa si era trasformata, da silenziosa e vuota a piena di vita.
Particolari e ben studiati, giochi di specchi illuminavano i corridoi a giorno, convogliando la luce del sole che filtrava dall’ingresso.

Si fece sera. Ardof tolse la sella e i finimenti ad Erdost e li mise in uno sgabuzzino ancora vuoto. Non li avrebbero usati per molto tempo, probabilmente non sarebbero più usciti da quello stanzino.
Fu in quel momento che una voce lontana, forse quella di Trado, lo raggiunse, annunciandogli che il gruppo di Niena era finalmente ritornato sulle Terre.
 
Fariuna lo invitò a cena e il Cavaliere non riuscì a rifiutare.
Quando entrò nella sala da pranzo tutte le sedie erano occupate, si dovette sedere vicino a un drago dai capelli rossi che si era posizionato immediatamente alla destra della regina. Il finto uomo continuava a sorridere come se non riuscisse a non pensare a qualcosa di comico.
- Dov'è Erdost?-  
- Qui.-  
- Io non lo vedo.-  
- È seduto vicino a te.-  
Ardof quasi non cadde dalla sedia, quando si girò per guardare il drago dai capelli rossi, questo si limitò a sorridere. Quando provò a parlare riuscì solo a fare una sequela di rumori simili a grugniti.
“ Fariuna è riuscita a farmi prendere questa forma, ma non riesco ancora a parlare. Questa maledetta gola non vuole fare cosa gli dico io!”
- È così. Per imparare la tua lingua ci vuole molto tempo. Mi ha sorpreso la sua trasformazione, non era mai accaduto che un drago nella sua forma umana avesse i capelli dello stesso colore delle squame, è una cosa che sta affascinando molti dei nostri studiosi...-  
- È fantastico... quasi non ci riesco a crederci…-
Fecero il loro ingresso una decina dragonesse nella loro forma umana, portando ai commensali delle brocche stracolme e dei vassoi d'argento, muovendosi leggere e silenziose.
Servirono i draghi riuniti alla tavola come una grazia simile a quella di leggiadre danzatrici.
Passò la serata sorseggiando la bevanda alcolica dei draghi e scherzando con Erdost e Fariuna, dopo qualche minuto la regina perse la rigidità e la freddezza che l’accompagnavano durante il giorno, per lasciarsi scappare lunghe risate.
Fecero alloggiare il Cavaliere in una delle case rimaste vuote.

Il giorno seguente, il ventenne si svegliò di buon ora, salutò Fariuna ed Erdost e, aperte le sue ali fiammeggianti, ripartì puntando verso la terra centrale. 

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Capitolo 49
*** Capitolo 48: La nuova vita ***


 Quando il Cavaliere arrivò nella Terra degli Eroi alcune piccole cose erano già cambiate.
Erano in costruzione le prime case e alcuni mercanti avevano portato i loro carri sulla montagna.
La terra centrale stava già cominciando ad essere abitata, a perdere il suo aspetto duro per avviarsi a divenire fiorente.
Atterrò davanti al Palazzo della Mezzanotte. Nessuno si accorse di lui.
Avevano deciso di togliere le mura intorno a quel palazzo, quindi gli bastò schiudere il portone d'ingresso ed entrare.
Con un guizzo della mente Ardof trovò Frida. Ma si accorse subito della mancanza del suo drago, negli anni che avevano passato vicino ad Erdost si era abituato a sentire sempre la sua coscienza, anche quando non erano coscientemente legati. Ora che il suo drago era lontano nella sua mente c'era un vuoto incolmabile. Gli sembrava di aver perso parte di sé, parte della sua anima.
Il Cavaliere entrò in una delle stanze dei professori. Frida era seduta alla scrivania, stava leggendo una pergamena ingiallita dal tempo che aveva passato sugli scaffali, intoccata.
- Come è andato il tuo viaggio?-  chiese Frida alzando lo sguardo dal testo che stava studiando.
- Bene. Penso che Fariuna ed Erdost si troveranno bene insieme. Almeno lo spero. Il viaggio è stato tranquillo.-  
- Ti spiace averlo lasciato la, vero?-
- Si , certo... non è stata una decisione facile. Ma in fondo se lo meritava... è il suo premio per quello che ha passato. Cosa leggi?-
- Sono gli appunti del nostro professore di magia. Qui c’è di tutto, persino incantesimi di cui non capisco il significato… penso che dovremo chiedere a Nestra o a uno degli stregoni di Farionim di farci un corso accelerato su queste cose… se vogliamo poterle spiegare.-  
- Davvero? Sono così complicate?-  
- Si, e poi, dopotutto, se dobbiamo dirigere questo posto, qualcosa dovremo pur saperlo spiegare. No?-  
- Certo... Hai anche ragione… Come si trovano Trado e Diana nel palazzo qui di fianco? Si sono ambientati abbastanza bene?-  
- Stanno bene, ma... Trado non te l'ha ancora detto? Non ti ha contattato mentre venivi in qua?-
- Cosa doveva dirmi?-  
- Hai presente l'elfo che nascondeva l'uovo del drago argento? Quello che abbiamo lasciato con l’esercito dei draghi?-  
- Si... Dimitri, mi sembra.-  
- L'hanno trovato e gli hanno chiesto se voleva rimettersi al lavoro nel palazzo. Lui prima era un po' restio, poi si è lasciato convincere. Secondo me non aspettava altro che rimettersi al lavoro. Ora lui si occupa delle lettere ai ragazzi.-  
- Che fortuna. Quando inizieremo a far girare questo posto? Quanto tempo libero avremo ancora?-  
- Poco.-
- Quanto poco?-
- Un mese al massimo. Dobbiamo solo trovare i ragazzi che faranno da controfigure e che le famiglie si sistemino stabilmente nelle terre. Poi toccherà a noi entrare in gioco.-  
- Mi è venuto un dubbio, ce la faremo a far funzionare tutto l'edificio solo noi due? Avremo anche i soldati delle varie razze ad aiutarci ad addestrare i ragazzi, ma per la magia?-  
- Ci ho già pensato. Come hai già detto tu a darci una mano con l'allenamento con le armi si sono offerti alcuni soldati, nani, umani, elfi… mentre per le lezioni... per il primo anno io e te dovremmo farcela, mentre per i quattro dopo Trado e Diana si sono offerti per aiutarci. E ricordati che Niena, Kella e Savan vorranno sicuramente rendersi utili. Purtroppo non sono ancora riuscita a parlargli, ma conto che ci daranno una mano. Perfino Vago ci ha offerto il suo aiuto... quando avrà tempo. Poi ci saranno gli allievi di quest'anno che hanno scelto di insegnare. Avremo un po’ di problemi per i prossimi cinque, sei anni al massimo.-
- Hai già pensato a tutto.-
- Si, mi sono data da fare.-  
- Sei fantastica.-  
- Lo so.-  
Ardof la baciò. Rimase un attimo stupito con quanta naturalezza l’aveva fatto. Non si era ancora abituato a vedere Frida come più di una buona amica.
- Vado nella stanza. Il viaggio mi ha distrutto.-  

Il giorno successivo andò a vedere nel Palazzo del Mezzogiorno come se la cavavano Trado e Diana. Non appena aprì il portone Vanenir gli corse incontro. Le squame del draghetto cominciavano a prendere un colore metallizzato. Aveva una macchia argentata proprio in mezzo alla fronte, tra i due occhi grigi.
- Oh, Vanenir!-  Diana gli stava correndo incontro.
- Tranquilla. Non mi da fastidio.-
- Allora, come è andata con Erdost?-  
- Bene. Niente di particolare. E voi?-  
- Si va avanti come al solito. Ne più ne meno di quando sei partito. Trado, Niena e Dimitri stanno evocando un incantesimo per mandare le lettere a tutti. Hanno provato a spiegarmi il suo funzionamento ma non ci ho capito nulla.-  
- Tranquilla. Sono passato solo per salutarvi. Quando ha finito salutali da parte mia.-  
Ardof uscì dal palazzo e si fece un giro per la città in costruzione.
I primi mercanti si erano stabiliti intorno al palazzo del governo e un fabbro aveva addirittura aperto una fucina sul ciglio del dirupo a nord. Presto sarebbero arrivate anche le persone normali.

A mio parere quel Cavaliere è davvero troppo ottimista. Dannazione! Si trovava su una terra dannatamente inospitale. Non sarebbe nato un filo d’erba neanche a pregarlo.
Lì, si e no, potevano guadagnare i negozietti di souvenir.

Ardof passò l’intera giornata a girare per la cima piatta del Flentu Gar. Quando il sole scomparve dietro l’orizzonte il ventenne entrò nel Palazzo della Mezzanotte, andò nella sua camera e si sdraiò sul pagliericcio.
Chiuse gli occhi e si rilassò.
Cercò di non espandere la mente per non sentire troppo la mancanza del suo drago, ma il buco che aveva lasciato nella sua mente la loro separazione continuava a tormentarlo. Frida, per fortuna, arrivò in suo soccorso, stendendosi al suo fianco.

 

Angolo dell'autore:

Signori e signore, questa storia oramai è quasi finita. Domani e dopodomani caricherò gli ultimi due capitoli, per poi cambiare lo stato della storia da incompleta a completa.

Per il momento grazie a tutti per essere arrivati fin qui nonostante gli evidenti problemi di questo racconto. problemi che, ovviamente, cercherò di risolvere in futuro.

Buon proseguimento, allora.

Vago.

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Capitolo 50
*** Capitolo 49: La nuova accademia ***


L’autunno arrivò come prima del Cambiamento. Il vento si fece freddo e gli alberi della Grande Vivente si tinsero di giallo e rosso. Ardof ammirò il paesaggio. Era la prima volta che guardava la grande foresta con quei colori.
Il Cavaliere rosso si strinse il mantello che aveva appena comprato addosso.
Trado li aveva avvertiti con una settimana di anticipo dell’arrivo dei nuovi Cavalieri e dei nuovi Domatori, con la novità dei nani. Le uova erano arrivate e Fariuna aveva creato uno spazio speciale per l’addestramento dei cuccioli di drago nella Terra del Fuoco. Era tutto pronto e studiato nei più piccoli particolari. Ardof si incamminò verso il Palazzo della Mezzanotte passando attraverso le piccole case che cominciavano ad infestare la piana.
Mentre Frida finiva i preparati nelle stanze degli allievi a lui era toccato il compito di mostrare alle nuove guardie i loro alloggi.
Si ritrovò davanti un gruppo vociferante di umani, elfi chiari e scuri, nani e, addirittura, Bereng nelle loro armature leggere.
Il cavaliere tirò un sospiro e si fece strada nella calca. I soldati avevano la curiosa caratteristica di puzzare di sudore anche senza aver fatto nulla di faticoso. E tra questi odori quello dei Bereng spiccava particolarmente.

Non credo metterò mai più piede in quel palazzo. L’odore di quei soldati si attaccherà a qualunque cosa, ne sono sicuro.

Fece giusto in tempo a darsi una sciacquata e mettersi la tuta rossa e argento addosso. Le guardie all’ingresso aprirono il portone e una massa di ragazzi sedicenni entrò.
Avevano deciso di far entrare nell’Accademia tutti i nuovi allievi in una sola volta, e non a ondate, non sarebbero stati costretti a dividerli in sezioni per mesi di nascita come era toccato a loro.
Appoggiò il casco da Cavaliere sul pagliericcio e uscì dalla stanza. Nel corridoio non c’era già più nessuno. Le guardie avevano fatto un ottimo lavoro con l’assegnazione delle camere.
Ardof si diresse veloce verso la mensa, era lì che si sarebbero presentati ai ragazzi, che gli avrebbero detto in che meraviglioso posto erano finiti.
Quando entrò nella sala c’erano Frida, Niena e Savan, seduti a uno dei tavoli e intenti a discutere animatamente-
- Allora, sei pronta per cominciare?- chiese Ardof sedendosi sulla panca vicino alla Domatrice azzurra.
- Penso di sì.-
- Già… finalmente il nostro momento è arrivato. Che ne dici, facciamo un po’ di spettacolo per questi poveretti che ci dovranno sopportare per i prossimi cinque anni?-
- In che senso?-
Ardof si alzò dalla panca su cui si era appena seduto e, estratta Pyra, si mise in guardia. Frida fece lo seguì e, impugnata saldamente la spada dell’acqua, si mise a sua volta in guardia. Umano ed elfa si studiarono per alcuni attimi.
- Per favore. – supplicò Niena facendosi da parte – Oggi è il primo giorno, cercate di non rompere niente.-
Cominciarono a scambiarsi qualche colpo per riscaldarsi, dopo aver smussato le lame per non farsi troppi tagli.
Il duello si fece più accanito.
Una serie di affondi e parate, stoccate e schivate.
I due sfidanti non si accorsero neanche del gruppo di ragazzi che si era creato intorno a loro, tenuto a stento a bada dai tre Cavalieri non impegnati nel duello.
Quando si fermarono erano entrambi sudati e con il respiro affannoso. Riposero le lame nei foderi e si girarono verso i sedicenni.
- Dovremmo poi trovare un nome per i nani che si legano a un drago. Sai, come Cavaliere o Domatore.- bisbigliò Ardof.
- Che ne dici di Compagni? Compagni dei draghi. Come ci ha detto Farionim quando lo abbiamo incontrato. Dopotutto loro ci chiamano compagni di volo…-
- Aggiudicato Compagno dei draghi.-
- Derta noy. “ Voce spanditi.”- bisbigliò Ardof quando le porte della mensa si chiusero
- Benvenuti a tutti. – disse con la voce amplificata dalla magia. – Io sono Ardof Neghyj, lei è Frida Vergy e loro sono Niena Garvà, Savan Letèn e Kella Nairua. Saremo i vostri insegnanti per i prossimi cinque anni. Come i più acuti di voi avranno capito questa è una specie di scuola, come quelle prima del Cambiamento. – un mormorio si propagò per la folla di sedicenni accalcati – Qui non ci sono molte regole da seguire, nelle lezioni dovete stare attenti, quando farete scherma vi chiedo di non tagliarvi nessun braccio. – ci fu una risatina soffocata – E vi chiedo di indossare sempre la tuta che avete trovato nelle vostre camere. Ci vedremo domattina nelle classi in cui sarete divisi. Siate puntuali.-
Ardof se ne andò seguito da Frida. I due entrarono nello studio dei professori.
- Come ti sono sembrato?-
- Bravo. Io non avrei saputo dire di meglio.-
- Grazie. Per me vuole dire molto. Comunque, io vado a dormire, domani ce la dovremo vedere con un bel gruppo di ragazzi. Buonanotte.- Ardof fece per andarsene ma Frida lo trattenne.
- Buonanotte anche a te.- gli rispose l’elfa, e lo baciò.
Ardof rimase un attimo inebriato, poi se ne andò nella sua stanza.
La mattina seguente, quando entrò nell’aula, tutti i posti erano occupati. Aveva passato la notte a pensare a cosa avrebbe detto in classe.
- Ciao a tutti e benvenuti. Voi tutti qui presenti siete aspiranti Domatori, aspiranti Cavalieri o aspiranti Compagni dei draghi. Questo edificio vi ospiterà per cinque anni, poi voi sceglierete che indirizzo prendere: se Arti magiche, insegnamento agli aspiranti, scherma o protezione dei territori. Funziona più o meno come le scuole del vecchio mondo. Ora faremo l’appello, vi chiedo cortesemente quando sentite il vostro nome di alzarvi e dire “presente”.-
- Artey Mert.-
- Presente.-
- Bern Tonai.-
- Presente.-
- Born Redio.-
- Court Nefertia, Danse Gersy, Estrea Nifedo, Gift Nerton, Irk Martes, Neft Bergia, Poart Rikley, Radd Notfe, Saturned Tarudia, Versetta Merìan.-
Tutti risposero.
- Ora vi spiegherò come funziona questa scuola: per i primi due anni faremo allenare draghi e allievi separatamente, per poi riunirli. Ora vi chiedo di dare in custodia i vostri cuccioli agli stallieri che stanno per entrare.-
Le guardie entrarono e Ardof vide che i suoi allievi cedevano a malincuore i loro compagni.
Le guardie incaricate portarono via i draghi neri.
- Innanzi tutto, voi tutti avete la pelle di una delle vostre mani tinta di un colore insolito, quella a cui si è attaccato il guscio dell’uovo, per la precisione. Non preoccupatevi, non è niente di pericoloso, è solo il… contratto che avete firmato con il vostro drago, un marchio di ciò che siete diventati. Detto questo, preparatevi per la vostra prima lezione di magia. La magia è controllata dai pensieri e può essere incanalata in vari modi, per voi sarà più semplice espellerla attraverso la mano che è entrata in contatto con il guscio. Usare la magia non è il semplice pronunciare un incantesimo o concentrarsi su qualcosa. Ognuno di voi possiede nel proprio corpo una riserva di un'energia particolare che chiameremo mana ed è questa energia che permette alla magia di manifestarsi, guidata da determinate formule. Domande?-
Una mano si alzò dal primo banco. - C'è un limite al numero di magie che uno può usare?-
- Naturalmente. Per ognuno questo limite è diverso, ma sempre migliorabile. Nel momento in cui la riserva del mago raggiunge un livello critico, mago in questione può svenire, entrare in uno stato comatoso, detto congelamento, o persino morire.-
Una ragazza alzò la mano
- Si?-
- Lei ha detto che un mago può migliorare, come?-
- La riserva di mana utilizzabile è come un muscolo. Più la riserva è allenata, più mana potrà contenere e più velocemente si ristabilirà il livello ottimale di energia dopo il lancio di un incantesimo.-
- Che cosa possiamo fare con la magia?- chiese un altro.
- Potete sollevare, muovere, trasformare oggetti utilizzando i quattro elementi. Parlare, a diversi livelli, con il pensiero. Ma la telepatia è per lo più una questione di allenamento e predisposizione. Vedere e parlare con persone lontane... insomma quasi qualunque cosa. Vi provo a dare dei paletti: potete fare qualsiasi cosa che sia, anche solo vagamente, naturale. Se la vostra mente può immaginare un motivo minimamente plausibile per cui una cosa avvenga, la magia può farlo. Potreste addirittura salvare una persona dalla morte, se arrivate prima che l'anima si sia interamente distaccata dal corpo, con una scossa elettrica potreste rimettere in funzione il cuore. Ovvio che non potreste riportare un'anima sulle Terre una volta che questa ha lasciato il corpo, perchè non esiste in natura una forza sufficiente per esaudire la vostra richiesta. L’unica cosa che può riportare in vita un morto è il cambiamento del suo fato, del suo destino. Ma molto raramente il dio Fato modifica ciò che ha scritto all’inizio dei tempi sul suo libro.-
Fino a quel momento la lezione era proseguita come la prima lezione di Ardof, in maniera spaventosamente identica.
- In che senso una persona può essere riportata in vita dal suo Fato? Il destino può essere davvero cambiato?-
- Come spero sappiate, esistono numerosi Dei. Cinque primigeni, Acqua, Aria, Fuoco, Terra e il Fato, e sette secondari, o minori, Natura, Tempo, Spazio, Luce, Oscurità, Ordine e Caos. Il Fato, vi ho detto, è uno di quelli primigeni. Il fato, o destino, è segnato per ognuno di noi su un libro dalle pagine infinite. Se un mago entrasse in possesso di quel libro e scrivesse con parole cariche di mana una continuazione della vita di un morto, questo potrebbe resuscitare. Certo c’è un problema a questo: il libro del fato, ovviamente, non può essere letto da un comune mortale.-
Ardof benedisse la campana quando suonò.
Si chiese se anche i suoi compagni di avventura di fossero ritrovati nella sua situazione.
La classe defluì verso la mensa. Quando furono tutti seduti i cuochi portarono i piatti che avevano preparato.
- Come è andata?- chiese Frida.
- Abbastanza bene. Gli ho spiegato come funziona la magia e, a sorpresa, gli ho spiegato il libro del fato.-
- I nostri professori queste cose non ce le hanno mai dette.-
- I nostri professori queste cose non le conoscevano neanche. Siamo i primi di questa nuova generazione.-
- Hai ragione. Le spade sono arrivate, vero, Savan?-
- Si, erano quasi tutte a posto. Ne ho dovute rimandare indietro tre perché erano sbeccate e due perché i diamanti si erano staccati dall’elsa.-
- Menomale. Altrimenti avremmo dovuto rimandare la prima lezione di scherma a chissà quando.-
- Non penso sarebbe stato necessario. – intervenne Niena – dopotutto abbiamo armi a sufficienza per tutti questi ragazzi.-
Il pomeriggio arrivò in fretta.
Ardof si sedette in terra guardando le guardie cercare di dare a ogni ragazzo una spada appropriata. C’era solo un vociare confuso in torno a lui.

Quella notte il Cavaliere rosso sognò il vecchio mondo, gli era successo solo un’altra volta, dal Cambiamento. Si vide in terza persona, stava leggendo uno dei suoi libri. Il titolo era sbiadito nella sua memoria. Vide chiaramente una frase sulle pagine coperte di forme insensate. “ La vita è un cerchio e, prima o poi tutto ritorna alla partenza.”
Ardof si svegliò di colpo, ansante e completamente sudato. Fuori era ancora buio. Si sentiva lo scroscio della pioggia sulle pareti di pietra. Dalla piccola finestra che dava sulla Grande Vivente non si riusciva a vedere pressoché nulla, se non i lampi che ogni tanto illuminavano il cielo notturno.
“ Tutto ritorna al via… come è vero. Io sono di nuovo qui, quasi non fosse mai successo niente…”
Il Cavaliere si sdraiò di nuovo, affondando il viso tra i capelli di Frida. Poco prima di riaddormentarsi pensò a cosa sarebbe successo se ci fosse stata un’altra guerra.
La flebile presenza della coscienza di Erdost lo fece stare subito meglio, era troppo lontano per potergli parlare, ma oramai gli bastava quel semplice contatto per infondergli fiducia.
Se ci fosse stata un’altra guerra loro l’avrebbero combattuta e vinta. Su questo non dovevano esserci dubbi.

 

Angolo dell'autore:

Ciao a tutti!

Ebbene, Ardof, Frida, Diana, Trado e Vago si sono sistemati, tutto più o meno è tornato come prima, la storia sembrerebbe non avere altro da dire, MA, - guarda questi ma, si infilano ovunque... - Dicevo, MA non scappate proprio ora. A domani l'ultimo capitolo, perchè c'è ancora qualcuno che deve dire la sua. Seriamente, credo sappiamo tutti di chi sto parlano e, scusate se sono di parte, quello di domani è il capitolo che più mi piace, è un po' come la scena dopo i titoli di coda, quindi vorrei chiedervi di non alzarvi ancora dalla vostra poltrona e avere ancora un pochino di pazienza.

A domani, quindi. Buon proseguimento a tutti!

Vago.

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Capitolo 51
*** Capitolo 50: Epilogo ***


 Che schifo.
Dopo tanto tempo che passi assieme a qualcuno ti ci finisci per affezionare.
Non so chi, tra di loro, mi mancherà di più.
Forse tutti, o forse nessuno. Prima o poi dimenticherò i loro nomi.
In fondo, mi sono divertito anch’io a seguirli.
Sai, la mia ironia non ha perso l’occasione di affiorare.
Ho visto cose incredibili. Potessi solo vederle… draghi, fate, esseri fantastici… e poi la magia. Quant’è bella?
Peccato che, se mai uscirai da lì, non potrai vederla con i tuoi occhi…
Nel mio viaggio con quei cinque ragazzi ho visto cose veramente incredibili, magnifiche.
Questo nuovo mondo è pieno di sorprese. Sarebbe bello poterlo esplorare assieme a te… Come ai vecchi tempi…
Sai, ho visto persone resuscitare dopo essere state trafitte da spade, lance e frecce…
Ho visto perfino le armi elementari all’opera ancora una volta…
Non mi è dispiaciuto fino in fondo questo lavoro… O forse sì.
Il finale è stato bello e, nonostante tutto, devo ammetterlo, perfino io mi sono commosso, ogni tanto.
Un ragazzo ha sacrificato la sua vita per i suoi compagni… forse c’è ancora qualcuno non corrotto, in fondo.
Un altro è diventato un dio! Un dio! Capisci?
Incredibile.
Non ho mai visto cose di questo tipo in tutta la mia vita…
Aspetta un attimo, così potrai vedermi anche tu.

Decisi di abbandonare la forma di fumo, così comoda per viaggiare e seguire qualcuno senza farsi notare, per una forma umana. Forse una tra le più scomode del mio repertorio, ma era quella richiesta dalla situazione.
Davanti a me c’era lei, incatenata e drogata da centinaia d’anni, ma sempre bellissima.
Appoggiai la mano sulla spessa parete in diamante che ci separava.

Un giorno riuscirò a liberarti…
Ma che dico?
Non mi lasceranno mai andare. Gli faccio troppo comodo.
Comunque, ti dicevo…
Li ho seguiti per anni. Dal momento in cui Loro mi misero al corrente della loro esistenza.
Li ho seguiti in un viaggio per tutte le Terre, osservandoli attentamente, come mi era stato ordinato.
Sono anche stato richiamato più volte nella Volta Celeste, sai?
È veramente bella… identica a come era quando ci andavamo insieme…
Non so se gli dei si siano accorti della mia situazione o meno… Ma, forse, è il mio destino, quello di rimanere sconosciuto a tutti, per sempre, nient’altro che un’ombra o uno sbuffo di fumo…
Non vorrei ripetermi, ma che schifo.
Sai? A volte mi piacerebbe essere più che un semplice spettatore, potermi mostrare, poter fare qualcosa in più di semplici battute…
Ah, si! Una ragazza mi ha percepito. Nessuno ci era mai riuscito, ma avevo capito da subito che lei era speciale… Ma credo sia stato anche merito della mia disattenzione. Sai, ha gli stessi capelli che porti tu ora… devo ammettere che assomiglia molto a questa tua forma, forse è per questo che mi ci sono affezionato.
Non puoi immaginare quanto coraggio abbiano tirato fuori quei ragazzi…
Mi spiace, ma, durante la loro ultima visita alla Volta, gli dei hanno parlato di nuovi prescelti.
Verrò richiamato, lo so già. Non importa quanti anni potranno passare, saranno comunque un battito di ciglia, rispetto alla mia vita.
O forse no, non verrò richiamato. Loro non sanno dei nuovi prescelti, magari non lo sapranno mai…
Mi piacerebbe fosse così.
Ma non lo sarà.
Non so come, ma riescono a sapere sempre tutto. Da sempre.
Comunque, se me lo ordineranno, io obbedirò. Magari quella potrebbe essere la mia ultima missione.
Magari ti lasceranno libera.
E pensare che quella umana non era nemmeno la tua forma preferita… invece sei bloccata così da anni…
Quando ti libereranno potrai tornare a mutare, potrai di nuovo essere qualunque cosa tu vorrai…
Il tuo viso preferito non me lo ricordo quasi… Aveva a che fare con la luce, vero? Se non mi ricordo male assumevi la forma di una volpe dagli occhi di luce e, se qualcosa ti tormentava, ti lisciavi la coda.
Quanto vorrei che questa tortura finisse. Quanto vorrei poter tornare indietro, quando noi due, ultimi di una specie, scappavamo dal massacro e io ti guardavo, attraverso gli occhi di un corvo su un ramo, lisciarti la coda… Un corvo dal becco nero con una piuma bianca in mezzo alla coda. Te lo ricordi?
O forse tornare ancora più indietro, quando facevamo quello per cui siamo stati creati insieme agli altri…
E invece questa tortura continua inesorabile.
Seguire, consigliare, lottare, a volte mi hanno costretto ad uccidere.
È stato terribile.
Non credo che Loro sappiano cosa vuol dire ammazzare qualcuno a sangue freddo, sapendo che non ha modo di evitare quella fine…
Ma non devo disturbarti con i miei problemi. Soffro volentieri, se serve per avvicinarti alla libertà.
Spero che tu stia facendo dei bei sogni, sotto l’effetto di quella roba che ti iniettano.
Sanno di non poterti uccidere in quel modo, e se ne compiacciono.
So che ti usano per arrivare a me. Ne sono al corrente. Ma non posso farci niente…
Ora ti lascio.
Quanti anni ci avrà già portato via questa conversazione?
Non lo so.
Devo andarmi a preparare.
So che mi richiameranno in servizio tra poco e dovrò essere pronto. Come lo sono sempre stato.
Ritornerò ancora. Te lo giuro.
Magari, quando ci rivedremo, tu sarai cosciente e libera.
Cerca solo di resistere.
Questo è solo un piccolo capitolo della nostra esistenza.
Ma vuoi sapere la cosa davvero più triste di questa situazione?
Sono riuscito a sdrammatizzare situazioni assurde, serie e, a volte, spaventose, ma non ho una sola battuta da offrirti… forse, quando sarai fuori, riuscirò di nuovo a farti ridere… 


Angolo dell'autore:

...

Eccoci giunti alla fine di questa storia. Per davvero, questa volta.

Voglio ringraziare tutti voi, che mi avete sopportato fin qui. Grazie anche a chi ha recensito, dandomi pareri e feedback che contribuiranno al miglioramento del mio stile e, in futuro, di questa storia.

...

Come avrete capito, ho in mente anche un seguito per le Terre che, però, a differenza di questa storia è ancora in fase di stesura. cercherò di pubblicarlo il prima possibile, ma non riuscirò a mantenere il capitolo giornaliero a cui vi ho abituati. Probabilmente, se riuscirò, sarà settimanale, ma è ancora tutto in forse. Comunque, se vi sono piaciuto, date un'occhiata ogni tanto al mio profilo.

...

Grazie ancora a tutti voi. Questo è stato veramente un bel viaggio.

Vago.

 

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