Quando cadono le foglie

di ChiaraSerafin22
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La bambina e l'assassino ***
Capitolo 2: *** Un regalo di amicizia ***



Capitolo 1
*** La bambina e l'assassino ***


I delitti si compiono quando le foglie cominciano a cadere. Perché anche le vite, come le foglie, vengono falciate dal vento freddo della morte.
Gli assassini sono vestiti di buio e portano la maschera della notte: sono emissari di un altro mondo e la loro volontà è la stessa di tutti coloro che evocano il sangue.
La casa era avvolta da una corolla di tenebre e il silenzio era fin troppo pesante: c'era da chiedersi perché i suoi abitanti non si fossero ancora svegliati in preda a qualche brutto presentimento, perché non sentissero l'odore della paura.
Non c'era da chiedersi però cosa ci facesse lì nei pressi l'uomo ammantato di nero, avvolto dalla determinazione, gli occhi che riflettevano la luce di ghiaccio delle stelle. L'uomo non aveva altri pensieri che accontentare il suo pugnale dandogli in pasto carne, di nutrire la terra col sangue del suo nemico.
Quando decise che l'attesa si era trasformata in brama, l'assassino si mosse e uscì dal nascondiglio. Si era accertato che la porta sul retro fosse difettosa e che avrebbe potuto aprirla senza causare troppo rumore. La attraversò, e passò oltre.
"Seconda stanza a sinistra" pensò, nient'altro gli si affacciò alla mente. Era febbricciante d'ansia. La mano a pochi centimetri dal pomello della porta. Entrare o fuggire? La sua vita dipendeva da quella scelta. Venne privato di quell'ultima decisione: si sentì lo scatto della serratura e la porta che gli stava davanti venne aperta dall'interno.
"Troppo tardi". Ma era ancora lui il carnefice. Avrebbero potuto sventare il suo attacco, ma era ancora lui il carnefice.
La lama della sua arma brillò prima di trapassare la carne.

 

La prigione di Kaléfe era nell'esatto centro della vallata. Era la stagione dei fiori rossi e gli alberi erano quasi del tutto spogli: uno in particolare era bersaglio di Angel, che attendeva da ore, con pazienza, il momento in cui si sarebbe arresa l'ultima foglia. Ma quella rimaneva appesa al suo ramo, battagliera.
Angel però aspettava, forse perché non le veniva in mente altro da fare. Ciondolava nei pressi del tronco e lo sguardo le volava inevitabilmente verso l'alto: sua madre diceva che a prendere al volo l'ultima foglia di un albero non si avrebbe patito freddo durante l'inverno. La bimba un po' ci credeva, un po' no. Però era anche dell'idea che tentare non costava nulla, inoltre lei aveva tutto il pomeriggio libero.
Mentre aspettava, Angel udì un rumore. Tese le orecchie: qualcuno piangeva. Pur nella sua ignoranza del mondo, la bambina capì che doveva trattarsi di un pianto di rabbia e di... Come si diceva? Frustrazione.
Da dove proveniva? Da poco lontano da lì, decretò. Così si incamminò verso la sua fonte, perplessa e curiosa.
Dato che si trovava in una zona boschiva, doveva stare continuamente attenta al fitto del sottobosco e a dove metteva i piedi. Di conseguenza, non fece abbastanza attenzione a ciò che si trovava davanti e, all'improvviso, si scontrò con una fitta e alta rete di metallo. Corrucciata, sbatté diverse volte le palpebre e guardò finalmente davanti a sé: accucciato in terra dall'altra parte della rete stava un uomo. Ma, notò Angel, considerarlo tale forse era eccessivo: era piuttosto un ragazzo, e nemmeno molto adulto; anche se questo non lo si poteva giudicare perché egli stava rannicchiato e sofferente, il viso nascosto e incassato fra le mani, il corpo striato di sangue e frustrate.
La bambina non indietreggiò di fronte a quella vista, ma ne rimase comunque turbata, se non addirittura spaventata: "Chi sei?" provò a domandare, con tutta l'ingenuità dei suoi dieci anni.
Il ragazzo, pur dal suo stato chino, parve udirla: smise immediatamente di lamentarsi e pian piano i loro occhi riuscirono ad incrociarsi.
Entrambi rimasero muti per il tempo di un lungo respiro.
Poi lui disse: "Sono un assassino".
"Come ti chiami?" insistette candidamente Angel, non soddisfatta della risposta, C'è da dire che, comunque, era rimasta scossa.
"Hai sentito quello che ti ho detto?" ringhiò l'altro, a denti stretti per il dolore. Anche il volto era graffiato da strisce rosse.
La bambina storse il nasino e si accucciò in terra, le mani sulle ginocchia e il viso proteso verso lo sconosciuto: "E per questo motivo non avresti più un nome?".
Il ragazzo assunse un'espressione sofferta e strinse i pugni premendoli sulle guance, ricacciando indietro le lacrime: "No, per questo motivo non ho più una libertà".
"Cos'è "libertà"?" chiese lei, interessata alla parola che, pur avendola sentita tante volte, non le era mai stata chiarita.
"Non fartelo spiegare da una persona che vive in gabbia".
"e sai il significato però puoi anche dirmelo" ribatté Angel.
Lui parlò con la voce roca di chi è stato a lungo in silenzio: "È quella che appartiene a coloro che stanno al di là di questa rete. È quella che permette a te di alzarti quando vuoi e di andartene via, lontano da questo posto. Mentre al contrario io non potrei far altro che addentrarmi sempre più in questa prigione di morte".
La bambina osservò gli occhi del prigioniero, carichi di qualcosa che non era in grado di interpretare, e provò tristezza.
"Il mio nome è Dwight" le rispose lui, alla fine, "Lo rivedrai presto fra gli annunci mortuari". Si sentì di fare del sarcasmo, ma la sua risata sfociò in un rantolo di tosse, che lo fece contrarre in un crampo e sputare sangue.
Angel inorridì visibilmente e sbatté ripetutamente gli occhi: "Chi ti ha fatto tanto male?".
"Gli uomini". C'era un tale rancore in quelle due parole che lei quasi non se la sentiva di ribattere. Quasi: "Tutti quanti?".
"Chiunque giudichi senza conoscere".
"Anch'io sto giudicando te, eppure non ti conosco. Faccio male?".
Dwight era troppo amareggiato per sorridere a quelle parole così dolci: "Dipende da cosa giudichi" disse, con un chiaro atteggiamento di sfida.
La bimba aprì la bocca per replicare, ma sentì le campane in lontananza e ricordò che era l'ora di tornare a casa: "Devo andare, magari ci vediamo domani". Senza un saluto in più, si allontanò.
Il ragazzo osservò quella candida figuretta saltellare fra gli arbusti e andarsene. Avrebbe tanto desiderato possedere quella sicurezza di raggiungerlo, il domani.

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Capitolo 2
*** Un regalo di amicizia ***


Dwight aveva chiuso le palpebre e le aveva strette, svenendo poco dopo per il dolore. Quando aveva riaperto gli occhi, la ragazzina era di nuovo dall'altra parte della rete, a scrutarlo con quella curiosità ingenua.
"Dwight? Hai dormito qui?".
"Sì" rispose con un filo di voce, "Mi hanno tolto la volontà di alzarmi".
"Sarebbe?".
"Bambina, perché te lo fai spiegare da me? Io sono un uomo finito che non vedrà più altro che incubi notturni e poliziotti armati. Volontà non ne ho, quindi al momento non saprei nemmeno spiegarti cosa sia".
"Non credo di essere un incubo notturno" sottolineò lei, -"E non porto armi, eppure mi vedi. Le cose non sono mai quelle che sembrano".
Dwight la guardò come se la vedesse per la prima volta. Piccola, esile, i capelli pieni di nodi e foglie autunnali. "Come hai detto che ti chiami?".
"Veramente non me l'avevi chiesto. Sono Angel".
"È un bel nome". Mentre parlava, le sue sopracciglia si corrucciavano, come se ogni respiro gli costasse una fatica infinita, o come se fosse prezioso più di un diamante e gli dispiacesse dissiparlo.
"Lo dice sempre anche la mamma. Dice che "mi sta bene", anche se non capisco bene perché".
"Perché sei un angelo". Lo disse con un sorriso da assassino che avrebbe intimorito qualunque lupo, eppure non fece tentennare un agnello come Angel.
"Se lo sono, allora sarò il tuo angelo, perché credo che tu ne abbia bisogno", dicendo questo si dondolò sui talloni e gli occhi le brillarono. "Posso farti una domanda?".
"Me ne hai appena fatta una" fece notare Dwight.
La bambina lo ignorò: "Tu non mangi nulla? Sei qui da ieri, giusto?".
"Queste sono due domande".
"Mmh".
Il ragazzo tirò un sospiro: "Hanno dato disposizioni di incarcerarmi, ma non ho ancora avuto la sentenza. Due notti fa mi hanno catturato. La mattina scorsa mi hanno torturato e poi abbandonato nel campo della prigione. Mi verranno a prendere fra non molto e, credimi, anche tu avresti perso l'appetito nelle mie condizioni".
"Sembri uguale a tutti quelli che abitano da me in paese. Tutti gli assassini hanno le strisce rosse sul corpo?".
"Non lo so. Me le hanno fatte perché... sono stato cattivo".
"Cosa hai fatto di tanto sbagliato? Papà dice che si dà sempre una seconda possibilità alla gente. O che si dovrebbe darla".
Dwight la fissò con quello sguardo corrucciato e si accorse che, a forza di mordersi l'interno della guancia, ora aveva il sangue che gli spruzzava in gola. "Il fatto è che sono stato io a non dare una seconda possibilità, così mi hanno punito".
Angel storse il naso: "Non mi potresti dire... cioè... perché ti hanno tolto libertà e volontà? Qual è il motivo che ti fa stare dietro la rete?".
"Ho ucciso. Con un coltello. Sono entrato in una casa e ho pugnalato un uomo". Gli fece male rivelare quelle cose. Il suo angelo sarebbe fuggito con le ali ai piedi.
Eppure la bambina reagì comportandosi come se le avesse detto che aveva rubato un cesto di frutta al mercato: "Così, ti hanno costretto a stare qui. In fondo non hai proprio una brutta sistemazione, con il bosco e la vista della vallata". Si pulì il moccio dal naso e fece spallucce: "Poteva andarti peggio".
"Non credo che tu abbia afferrato a pieno la situazione. Ad ogni modo, che gusto c'è a vedere il paradiso senza poterlo toccare?". La vide tentennare, cercare di trovare una vita d'uscita da quel mare di pensieri che la stava di certo inghiottendo. "Lascia stare angioletto, tornatene a casa. Sono la persona meno adatta con cui stringere amicizia".
Angel si stava mordicchiando le labbra, tant'è che divennero tutte rosse. Il suo viso si accese e tentò più volte di parlare, riuscendo solo a boccheggiare qualche frase sconnessa. Alla fine riuscì a dire: "E se lo volessi io? Se desiderassi esserti amica? Me lo impediresti?".
"Non riesco a capire perché". Era sinceramente stupito.
La bambina fece di nuovo spallucce: "Gli amici non si scelgono. Si trovano e basta. Me lo impediresti?".
"Dovrei" ammise Dwight, "Eppure non ne ho la forza. Sei l'unica cosa dolce e fresca che il destino mi permette di vedere".
Angel stette a contemplarlo cercando di interpretare il significato delle sue parole, così infelici eppure così piene di speranza. Poi si ricordò che aveva portato una cosa per lui: frugò in tasca ed estrasse la manina. "Volevo farti un regalo, per la nostra conoscenza".
Nel palmo poggiava una conchiglia, piccola come una perla e preziosa allo stesso modo. "Mi sono resa conto che la vallata è bella, ma che da qui non si riesce a vedere il mare. Ne ho cercata una che riuscisse a passare fra i fili della rete".
La bimba alzò alta la conchiglia e dopo abbassò il braccio, tentando il far passare l'oggettino fra la fitta maglia di ferro.
Dwight afferrò al volo il regalo, lo osservò curioso e non riuscì a reprimere un sorriso. "Grazie, ma io per te non ho nulla".
In quel momento, forse per magia, la foglia che il giorno precedente Angel aveva tanto desiderato acciuffare si staccò dal suo ramo e cominciò a planare verso il suolo. Sia la ragazzina che l'assassino la ammirarono nella sua danza e quella, con un'agile piroetta, si tuffò al di là della rete e cadde fra le mani di Dwight. "Immagino che questa sia tua" disse lui.
"Oh, no no" la bambina scosse la testa: "Se tentassi di farla passare da me, il ferro la trancerebbe. Tienila tu".
"Così io avrei due regali e tu nemmeno uno?".
"Parlarti è il dono più grande" disse Angel, "Tu mi insegni. I miei genitori non vogliono che sappia che esistono le cose cattive, non vogliono che sappia degli assassini. Secondo te perché si comportano in questo modo?".
Dwight avrebbe voluto risponderle "Per proteggerti", eppure: "Non lo so, ma è sbagliato. Senza conoscere ciò che è male come lo si distingue dal bene?".
La bambina si corrucciò: "Tu sei male?".
"Scegli tu. Lo sono?". Era curioso della risposta.
Angel ci rifletté un attimo: "Secondo gli uomini, sì. Secondo me, no".
"Questo perché tu sei un angelo. Se tutti come te vedessero solo gli aspetti buoni della gente, questa barriera che ci separa non esisterebbe".
"E non esisterebbero i tribunali, né i giudici. Mio papà fa il giudice, ti ha messo lui in prigione?".
"Probabile".
Lei era meditabonda: "Devo chiedergli che ti faccia uscire?".
"Non servirebbe".
"Lui fa tutto quello che gli chiedo" spiegò Angel.
"Però non potrebbe prenderti la luna neanche se la volessi. Per la stessa ragione non mi può lasciare libero".
La bambina sbarrò gli occhi. Dwight si chiese se fosse per quella sua risposta o per qualcos'altro. Ammutolì anche lui e si accorse che si stavano avvicinando delle voci.
Il piccolo angelo sapeva cosa fare: si alzò e cominciò ad indietreggiar verso il fitto del fogliame, nascondendosi grazie ai possenti alberi e all'alto sottobosco. A un'attenta osservazione, si sarebbero potuti notare ancora i suoi grandi occhioni blu spiccare da dietro un cespuglio, ma di sicuro nessuno si sarebbe aspettato la sua presenza lì.
Giunsero due uomini, fecero alzare l'assassino e gli dissero che era stata decretata la sentenza: avrebbe avuto a disposizione otto giorni, dopodiché sarebbe andato alla forca, alle sei della mattina.
Mentre si allontanavano, trascinandolo per le braccia insanguinate, lui chiese se avrebbe avuto a disposizione l'ora d'aria. Gli risposero che dalle tre alle quattro del pomeriggio sarebbe potuto uscire.
Dwight lanciò uno sguardo all'indietro e individuò gli occhi del suo angelo: "Torna, ti prego" imploravano quei dischi blu.
La foglia che il ragazzo aveva infilato nella tasca dei pantaloni scricchiolò. Anche il suo cuore si incrinò, e già cominciò ad attendere che giungesse il giorno dopo.

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