Desidus

di CHAOSevangeline
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo primo ***
Capitolo 2: *** Capitolo secondo ***
Capitolo 3: *** Capitolo terzo ***
Capitolo 4: *** Capitolo quarto ***
Capitolo 5: *** Capitolo quinto ***
Capitolo 6: *** Capitolo sesto ***
Capitolo 7: *** Capitolo settimo ***
Capitolo 8: *** Capitolo ottavo ***
Capitolo 9: *** Capitolo nono ***



Capitolo 1
*** Capitolo primo ***


Questa fanfiction ha decisamente bisogno di qualche nota di pre-lettura.
È la prima storia seria che scrivo inserendo un nuovo personaggio ed è proprio questa presenza ad avermi fatto esitare tanto nel postare. La storia infatti è stata conclusa qualche mese fa e tralasciando qualche modifica da fare suppongo che riuscirò ad aggiornare in modo rapido e regolare.
Ho attinto sia dal film che dal libro, in quanto a idee, anche se ovviamente qualche avvenimento è stato modificato per non rendere la storia qualcosa di trito e ritrito. Quello che ho tentato di mantenere il più fedele possibile è il carattere dei personaggi originali e spero vivamente di esserci riuscita.
Sto seriamente uscendo dal mio proverbiale seminato e devo dire di essere un po' in ansia. Spero che questo primo capitolo vi piaccia e che vogliate dirmi cosa ne pensate!
Ah e ringrazio Jessica. Questa storia non avrebbe mai visto la luce senza la sua sopportazione.


 

Desidus
Capitolo primo


 
 
Nell’entroterra di Narnia, lontano dall’ormai diroccata reggia di Cair Paravel e ben protetta dal fiume Beruna si stagliava fieramente la fortezza di Telmar, un austero monito per chiunque la guardasse da fuori: “Che nessuno si azzardi a sfidarci”, sembrava dire.
Ma le minacce passate e future nemmeno sfioravano il pensiero dei due bambini che giocavano nel cortile di pietra, rincorrendosi e portando colore all’interno di quelle fredde mura. Più volte era stato loro ripetuto che quel luogo non era fatto per giocare, ma non erano mai stati troppo bravi ad ascoltare, soprattutto mentre erano insieme.
Caspian ed Eria, i legittimi eredi al trono, così legati da essere l’uno l’estensione dell’altro.
Il loro precettore aveva detto che un legame come il loro avrebbe potuto superare, per la sua forza ed intensità, addirittura quello di due gemelli.
E nulla era cambiato, nemmeno quando erano cresciuti: non c’era invidia o rivalità per ciò che uno aveva e l’altra no. Eria non bramava il trono di Caspian, lui non immaginava nemmeno di precludere alla sorella la possibilità di regnare.
All’ombra di una rigogliosa quercia, poco lontano dall’uscita della fortezza, stava la sorella. Gli occhi scorrevano rapidamente le parole del libro che aveva in grembo, senza alcuna preoccupazione; i telmarini erano spaventati dagli alberi e se per lei non valeva lo stesso era solo grazie al suo precettore, Cornelius.
Il passare del tempo l’aveva portata ad essere più pacata di suo fratello, ma questo non le impediva di mostrare, talvolta, i resti dell’indole giocosa che aveva conservato. E per fortuna: era stato solo grazie ad una gara di pizzichi se era riuscita a convincere Caspian, rimasto lì con lei fino a poco dopo la pausa pranzo, che si sarebbe dovuto affrettare per raggiungere la sala del Gran Consiglio.
La ragazza aveva esultato senza cattiveria dopo essersi liberata di lui.
Era impossibile dedicarsi alla lettura di un libro con Caspian accanto: parlava in continuazione e sceglieva argomenti pressoché inutili, lamentandosi poi se la sorella non gli dava risposte più soddisfacenti di un sintetico monosillabo.
Eppure, quando il principe cominciò a far tardare il proprio ritorno, le dita della giovane cominciarono a tamburellare contro la coscia coperta dalle morbide pieghe di un abito di velluto blu. Era un regalo di compleanno della sua matrigna, da cui la giovane non si sarebbe mai aspettata un dono. Metteva in risalto la sua pelle di porcellana e gli occhi cerulei, diceva.
Eria avrebbe dato per scontato che fosse sincera, data la poeticità, ma conoscendo chi le aveva rivolto simili parole poteva solo assumere che fossero quanto di più falso avesse mai sentito.
Caspian era arrossito, la prima volta che glielo aveva visto indossare, accorgendosi di quanto la sorella stesse diventando donna.
L’unico che non aveva commentato era stato suo zio Miraz, ma Eria non aveva avuto il coraggio di pretendere qualcosa di più oltre al suo silenzio. Dopotutto non sarebbe mai stato la figura paterna e premurosa di cui aveva sempre avuto bisogno. Né per lei, né per suo fratello.
Fortunatamente c’era il loro precettore, il dottor Cornelius, senza cui, di certo, sia lei che Caspian sarebbero stati perduti.
Dei passi concitati fecero gemere l’erba e subito Eria si sporse oltre l’albero per controllare che fosse suo fratello.
Quel gesto dettato sia dall’impazienza di un resoconto del consiglio, sia da una lieve preoccupazione, le diede una prova sufficiente per calmarsi: era Caspian e nessun’altro. L’unico che non l’avrebbe sgridata vedendola fuori dalle mura.
« Ci hai messo più tempo del solito », gli fece notare lei.
Non lo stava rimproverando, quanto piuttosto incitando a raccontarle cosa si era detto tra le pareti di cui la confidenzialità sarebbe presto stata spezzata.
« Lo so », asserì il ragazzo, che si sedette con un movimento fluido accanto alla sorella. Lanciò in aria una mela rossa dalla parvenza succosa e la porse ad Eria non appena gli ricadde in mano. « Ma non è stato detto nulla di troppo importante. Si è parlato quasi per tutto il tempo del nostro… futuro cugino. »
Caspian esitò prima di dire quelle ultime due parole. Entrambi avevano accolto di buon grado la notizia di un nuovo arrivato nella famiglia reale, ma Eria non aveva perso occasione per riflettere, forse troppo, su ciò che questo avrebbe comportato.
Non era riuscita a non guardare lo zio con un occhio più preoccupato del solito, interrogandosi costantemente su ogni suo atteggiamento.
Caspian l’aveva accusata di paranoia, lei si era giustificata parlando di previdenza.
« Oh. Dovrebbe nascere tra poco, dopotutto. »
« Spero non lo guarderai come stai facendo ultimamente con nostro zio. Credo se ne sia accorto. »
« Chissà che magari non sia un bene. »
Solo allora la ragazza addentò la mela.
« Non lo sarà di certo quando ne parlerà con Lady Prunaprismia. Tra i due, la peggiore è sicuramente lei. »
Caspian voleva solo il quieto vivere e tutte le preoccupazioni e riflessioni su cui la sorella si soffermava troppo erano per lui unicamente fonte di problemi. Problemi che si sarebbero potuti evitare, poi, essendo i suoi timori infondati.
« Posso tener testa alla nostra matrigna, Caspian. »
« Chissà se puoi tenere testa anche alla guardia davanti a camera tua, che ti impedirà di venire qui fuori tutte le volte che vuoi. »
La bocca della ragazza si serrò in una linea, mentre lo sguardo scoccava una scintilla di odio al fratello.
Era libera perché ai sovrani non importava troppo di loro, ma i regnanti sarebbero stati capaci di rendere loro la vita un inferno anche solo per dispetto.
Come sempre Caspian sapeva dove premere per farsi dare ragione, ma non avrebbe ottenuto ciò che voleva così facilmente.
« Nessuno a corte vuole una nipote pazza, suppongo. Se non potessi venire almeno qui otterrebbero quel risultato. »
Eria rilassò la schiena contro il tronco nodoso dell’albero, assaporandone la forma con la pelle lasciata scoperta dal vestito.
Socchiuse gli occhi per un momento, riaprendoli con lentezza qualche attimo dopo.
La vita a corte era monotona, soffocante. Caspian aveva per lo meno degli impegni, ma lei? Poteva solo leggere, studiare ed imparare altre mansioni che non le interessavano. Non che le prime due attività non le piacessero, ma vivere solo di quelle era noioso.
Avrebbe voluto partecipare alla vita politica della città, tirare di spada ed impararne l’arte. E per fortuna che il suo precettore le aveva fatto l’immenso regalo di insegnarle di nascosto, fino a qualche mese prima.
Caspian non disse nulla, perfettamente a conoscenza del disagio della sorella. Si limitò ad incrociare le braccia al petto, osservando i fili verdi che tra le loro gambe venivano mossi dal vento.
« Siamo sempre chiusi tra queste mura, Caspian. Non voglio credere che per tutta la mia vita vedrò solo questo. »
« Non devi, perché non lo farai. Appena avrò abbastanza potere ti porterò dovunque vorrai, d’accordo? Devi solo resistere ancora qualche tempo. »
Caspian poteva essere anche principe, l’erede legittimo al trono, ma era ancora sommerso da doveri e sopraffatto da persone che limitavano la sua possibilità di scegliere e dettare legge in quanto ragazzo e non ancora re.
Eria rispose alle parole del fratello con un sorriso vagamente malinconico; sapeva di potersi fidare di lui, che se solo avesse potuto l’avrebbe portata lontano anche subito, ma un po’ meno sperava nell’avverarsi di quel sogno.
Rimasero ai piedi dell’albero fino al calare del sole. Solo allora rientrarono.


 

Non avrebbe mai creduto che il suo istinto l’avrebbe portata ad occuparsi con ogni energia della sua matrigna, durante la notte.
Il primogenito di Lady Prunaprismia aveva deciso di nascere proprio nel cuore delle tenebre ed Eria non era riuscita a non seguire le nutrici per aiutarle.
La sua unica funzione era stata quella di portare panni puliti e acqua calda. Avrebbe anche tenuto stretta la mano della donna, se solo non l’avesse rifiutata bruscamente.
Quando il bambino era venuto al mondo, la principessa aveva sentito tutta la tensione scemare, abbandonarla e lasciarla più leggera, ma anche sfinita.
L’unica cosa che rimaneva da fare, dopo aver visto il piccolo affidato alle cure amorevoli della donna, era avvisare Caspian.
Il miracolo della vita aveva allontanato dalla sua mente tutti i pensieri di cui aveva discusso con il fratello appena quel pomeriggio e l’unica cosa che ora riempiva la sua testa era l’idea che ci fosse un bambino da accudire, un nuovo elemento con cui riempire le proprie giornate.
Scivolò tra i lunghi corridoi, pensando e ripensando a come dare la notizia al fratello.
Svoltato l’ultimo angolo, quello che l’avrebbe condotta rapidamente alla camera di Caspian, il cuore di Eria cominciò a vacillare, come scosso da un certo tremore. La ragazza non ne capì la ragione.
Bussò alla porta del fratello, più per adempiere all’incombenza delle buone maniere che per ricevere risposta.
Conosceva Caspian abbastanza bene da sapere per certo che non le avrebbe risposto e che, con ogni probabilità, non appena fosse entrata avrebbe nascosto la testa sotto il cuscino pur di non sentirla e continuare a dormire.
« Caspian? Caspian, avanti, ho una bella notizia! »
Era insolitamente energica, per un evento che fino a qualche ora prima le era sembrato solo una pesantissima scocciatura.
Aprì la porta ed entrò nella stanza.
« Brutto dormiglione, guarda che è important- »
La voce della ragazza venne smorzata con prepotenza dal silenzio, lo stesso che l’aveva accolta nella stanza e che lei stessa aveva riempito.
Dalle sue labbra tuttavia non uscì che un piccolo sbuffo: il letto era sfatto in modo scomposto esattamente come quando lei e il dottor Cornelius andavano a svegliare Caspian per una lezione d’astronomia, e lui si alzava colto dall’entusiasmo, dopo aver scacciato il sonno.
Il fatto che fosse stata impegnata nell’assistere la matrigna doveva probabilmente averle fatto perdere una delle sue lezioni preferite.
La prima cosa che Eria fece fu salire sulla torre.
Il castello era letteralmente morto, dopo essersi svuotato delle grida di dolore della moglie di Miraz. In giro non c’era un’anima e il numero di guardie sembrava addirittura dimezzato rispetto al solito.
Nonostante questo, Eria si accertò ugualmente che nessuno la vedesse salire le scale. Incespicò per la fretta fino alla cima, maledendo la propria gonna troppo lunga.
Una volta sul tetto ottenne solo una sferzata di vento dritta in faccia.
Se né Caspian e né Cornelius si trovavano lì, allora erano nello studio del precettore. La cosa le sarebbe suonata insolita anche se per natura non fosse stata diffidente e sospettosa: il dottore guidava sempre lei e Caspian dritti nelle loro stanze, subito dopo aver finito di osservare gli astri.
Le lezioni di astronomia erano un piccolo supplemento che Cornelius aveva sempre aggiunto per la gioia dei due fratelli.
Non sarebbe mai stato abbastanza imprudente da portare Caspian nel proprio studio, soprattutto durante una notte movimentata come quella.
Le scale le parvero interminabili, raddoppiate rispetto a quando le aveva salite. I corridoi erano come un labirinto lungo chilometri e le sembrava che le proprie falcate fossero troppo corte e che la rallentassero.
La porta dello studio del suo precettore era ben chiusa, ma Eria si scordò l’educazione ed irruppe nella stanza.
« Dottor Cornelius? »
La voce le uscì strozzata. Non se lo aspettava nemmeno lei e subito si schiarì la gola.
« Principessa! »
Si sarebbe sentita subito più calma se solo non avesse percepito un certo sollievo nella voce altrui. Esattamente come se le fosse dovuto succedere qualcosa che per fortuna non era accaduto.
L’uomo si spostò da dietro la scrivania, dove si trovava, fino a lei.
Eria si guardò intorno, rendendosi conto che il fratello non c’era.
Sentì di nuovo il tumulto al cuore che l’aveva colpita davanti alla porta di Caspian e si pentì di non averlo considerato un presentimento.
« Caspian non è qui? » domandò. « Che gli è successo? Non riesco a trovarlo da nessuna parte. »
Cornelius, che sapeva quanto i due fratelli fossero legati capì subito che la prima cosa da fare era rassicurare Eria che, senza avere qualche garanzia sull’incolumità del fratello, certamente non si sarebbe rivelata troppo collaborativa.
« Dovete stare tranquilla, principessa. Almeno per la sorte di vostro fratello. È fuggito, o meglio, l’ho fatto fuggire non appena ho saputo del parto di Lady Prunaprismia. »
« Fuggito? E dove? Perché? »
Cornelius spostò uno sgabello, per poi invitare la principessa a sedervisi. Eria però era pietrificata sul posto e non aveva alcuna intenzione di mettersi comoda.
Era sempre stata una ragazza dall’incredibile forza d’animo; era cresciuta in una famiglia nobile e per questo poteva dirsi fortunata, ma certamente la sua situazione familiare non sarebbe stata invidiata da molti.
Alle volte si era immaginata un’esistenza felice con suo fratello ed i loro veri genitori, giù al villaggio, a spezzarsi la schiena come quasi tutti gli abitanti. Sarebbe stato decisamente meglio che vivere tra lenzuola di seta e l’odio di un patrigno ed una matrigna.
L’unica persona capace di darle una buona ragione di non considerare quell’esistenza persa era suo fratello e chissà adesso dov’era, magari indifeso e nei guai. Sempre che fosse ancora vivo.
Eria era decisamente facile ai cattivi pensieri, per quanto tentasse di contrastarli con tutte le proprie forze.
Cornelius fece guizzare lo sguardo fino alla porta come per accertarsi che nessuno la stesse aprendo, poi parlò.
« È per la nascita del bambino, vostra maestà. Sono certo che qualche cattivo pensiero abbia toccato anche voi, di recente: Caspian me l’ha confidato », cominciò, con un tono grave affatto rassicurante ed il volto gioviale ora cupo e serio. « Ebbene, non avevate tutti i torti. Vostro zio stava per rivelarsi per ciò che davvero è. Ho fatto fuggire vostro fratello per evitare che venisse ferito in qualunque modo. »
« Un momento, state dicendo che…? »
« Intendeva assassinarlo, vostra maestà. »
Rimase ammutolita. Amava tanto le spiegazioni plausibili, ma in quel momento sperava di aver capito male. Il suo sguardo doveva essere piuttosto eloquente, perché l’uomo proseguì subito per spiegarsi meglio.
« Sì, avete capito bene. Vostro zio, per il trono. Avrei voluto avvisarvi prima, ma il tempo non mi è stato amico e tutto è stato anticipato rispetto al previsto », si giustificò, mortificato. « Ciò che conta ora è che Caspian è scappato, raggiungendo la foresta. Gli ho detto di dirigersi ad Archen, ma potrebbe anche aver incontrato dell’altro aiuto lungo la strada. I narniani, vostra altezza. »
Ad Eria sembrò quasi che ogni certezza fosse stata risucchiata in un vortice senza fine. Nella sua mente non era rimasto che un baratro, ma un baratro colmato dalla consapevolezza di Caspian vivo. E se era vero questo, allora l’oppressione allo stomaco un poco si affievoliva, costretta a lasciar spazio all’astio che per anni aveva cercato di reprimere e ad una rabbia infuocata nei confronti di proprio zio Miraz.
Poi il suo pensiero si spostò all’ultima parte del discorso di Cornelius, ai narniani. Ora anche la loro esistenza decideva di colpirla all’improvviso.
« I narniani? Ma voi ci avete sempre e solo raccontato leggende. »
« Vi ho sempre e solo raccontato leggende perché era più sicuro che le conosceste come tali. »
« Perciò esistono sul serio? »
« Per quel che ne rimane sì, tanto quanto esisto io. Ho del sangue di nano nelle vene, fino a prova contraria. »
Eria non aggiunse altro in merito all’argomento. Fu come se il suo cervello avesse deciso di archiviare le ultime informazioni decidendo che in quel momento l’esistenza dei narniani non la toccava. Se ne sarebbe riparlato quando si fosse trovata davanti un minotauro o uno gnomo.
In tutta quell’assurda situazione il fatto che esistessero creature magiche non la spaventava, né la lasciava entusiasta come avrebbe creduto dopo aver sperato da tanti anni a quella parte che la magia permanesse in quelle terre.
Decise inconsciamente di posticipare una reazione di sorpresa, che al momento non era rilevante. Non più di altre questioni, almeno.
« Devo andare da mio fratello », fu l’unica cosa che riuscì a dire. « Mio zio dovrà sbarazzarsi anche di me, no? Raggiungendo Caspian sarò più al sicuro. »
« Non è così semplice. Dovete allontanarvi dalla fortezza, questo è indubbio, ma le foreste non sono mai un bel luogo dove scappare se non le si conosce. Potreste perdervi e nessuno sa quanto potreste vagare prima di trovare aiuto. Se foste abbastanza fortunata da trovarlo, certo. »
« E questo non vale anche per Caspian? Ha esplorato a malapena qualche sentiero. E poi avete detto che i narniani potrebbero averlo aiutato. »
« Per lui non c’era tempo di pensare ai dettagli. »
« Chi dice che per me ce ne sarà? »
Eria non era mai stata troppo abituata ad abbandonare il proprio posto, nemmeno con persone che, stando alla dura gerarchia che avrebbe consentito a suo zio di far cadere molte teste, avrebbero solo dovuto tacere di fronte a lei.
Gli occhi si fecero lucidi, ma la ragazza non osò nemmeno singhiozzare. Il dottore tuttavia poggiò ugualmente una mano sulle sue, strette in grembo e gelate per l’ansia.
« Ascoltatemi. Ho detto che sarebbe meglio che voi non fuggiste ora, che sta per fare giorno e soprattutto non da sola, perché vi perdereste. Non ho detto che non dovete fuggire e basta. » Il tono di Cornelius era tornato ad essere rassicurante, ed Eria riuscì a calmarsi quel tanto che bastava da non perdere il controllo. « Vostro fratello ha un giorno per allontanarsi, prima che la sua assenza venga notata da molte persone. Il re e sua moglie adesso hanno ben altro a cui pensare, con il bambino appena nato. Di certo non chiederanno di Caspian fino a domani sera e probabilmente si accontenteranno di una semplice scusa per giustificare il fatto che non sia a cena con voi. Voi fate il possibile per evitare chiunque, nel frattempo. Quando la sparizione di vostro fratello sarà cosa nota a tutti allora prenderemo tutto ciò che io avrò preparato nel mentre e ce ne andremo per raggiungerlo. Di sicuro Re Miraz non vi farebbe del male così presto, se non ha la possibilità di colpirvi insieme a vostro fratello. In ogni caso risulterebbe tutto troppo evidente. »
Eria non poté fare a meno di accettare quelle condizioni.

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Capitolo 2
*** Capitolo secondo ***


Capitolo secondo



 
La notte non le aveva portato consiglio né riposo; era semplicemente stata un inferno di ombre nel quale Eria non era stata in grado di trovare alcun conforto.
Gli occhi erano gonfi, arrossati, il colorito e le labbra più pallide del solito. Era scossa da brividi per i nervi tesi, ma non si curava della propria situazione: non era quella l’importante.
Come le aveva consigliato il suo precettore, Eria non aveva parlato con nessuno di Caspian e anzi per evitare che le proprie condizioni insospettissero le varie ancelle, la giovane aveva preferito di gran lunga rimanere nella propria camera. Non era raro che non volesse uscire e quando una delle giovani serve del castello raggiunse la sua porta e bussò, Eria rispose semplicemente che quella mattina non aveva fame e voleva essere lasciata sola.
Le orecchie della principessa rimasero in tensione costantemente.
L’unica volta che Eria si era addormentata, sfinita dalla stanchezza, aveva sognato che suo zio mandava delle guardie ad ucciderla poco prima di quella che nel suo incubo era la sua partenza per raggiungere Caspian.
Le sembrava spesso di sentire i passi di qualcuno percorrere il corridoio. A quel punto si stringeva nelle spalle, fissava la porta e, quando finalmente riusciva a capire che era tutto frutto della sua immaginazione, chiudeva gli occhi e prendeva un profondo respiro per calmarsi.
Si alternavano momenti di terrore a momenti di estrema tranquillità, durante i quali Eria riusciva addirittura a convincersi che sarebbe andato tutto bene. Poi tornava lo sconforto e allora niente riusciva a rassicurarla.
Non era proprio in grado di essere oggettiva né tantomeno di pensare a come, secondo gli elementi che aveva, le cose sarebbero potute andare.
Rimase segregata nella propria stanza fino all’ora di cena, unico pasto davvero importante all’interno del castello: molte volte il pranzo era individuale e ognuno mangiava o nelle proprie stanze o dove si trovava, a seconda di ciò che stava facendo. Lei e Caspian, ad esempio, erano soliti mangiare con Cornelius nel suo studio, talvolta senza nemmeno chiudere i libri che stavano studiando.
Il pasto serale, invece, era sacro, ed Eria proprio non avrebbe potuto evitarlo a meno che qualcosa come un’incredibile febbre la costringesse a letto.
Per tutto il giorno aveva pensato, fra le altre cose, alla scusa da utilizzare per giustificare l’assenza di Caspian. Non aver fatto credere di essere stata colta da un febbrone per evitare la cena le avrebbe servito su un piatto d’argento la possibilità di coprire così l’assenza del fratello.
La totale mancanza di premurosità e di interesse da parte di Miraz e Lady Prunaprismia diede ad Eria non solo la certezza che non si sarebbero preoccupati di chiedere troppo del Caspian presunto malato e confinato nelle proprie stanze, ma che probabilmente non avrebbero nemmeno tentato di andare a controllarlo: la donna, dal canto suo, aveva da pensare al giovane nato e non di certo a Caspian, per cui aveva sempre nutrito un odio particolare; Miraz invece, stando a ciò che ora Eria sapeva, sarebbe andato a pregare affinché la febbre portasse via il ragazzo e, allora, lo liberasse dell’incombenza di dare l’ordine di ucciderlo.
Il pasto fu infinito per quanto poco Eria si intrattenne con i sovrani; li lasciò in fretta, come era solita fare sempre. Finì il proprio piatto e tornò nella sua camera, dove tentò di riposare.
La tensione fece finalmente la sua parte ed Eria cadde addormentata.
Il fatto che la scusa avesse attecchito le fece dormire sonni non proprio sereni, ma quanto meno senza sogni capaci di disturbarla.
Il giorno seguente fu addirittura quasi migliore di quello prima.
Eria scese per colazione, si aggirò nei dintorni della stanze di Caspian riferendo alla servitù la volontà del fratello di non essere disturbato e raggiunse lo studio del dottor Cornelius per aggiornarlo circa gli eventi della sera precedente.
Dal loro ultimo colloquio, la stessa notte della fuga di Caspian, precettore ed allieva non si erano nemmeno visti: avevano pensato che sospendere per un giorno le lezioni avrebbe dato meno nell’occhio che fingere di proseguirle, rischiando che qualcun altro si accorgesse dell’assenza di Caspian.
Fu questione di ore perché il palcoscenico costruito da Eria cominciasse a crollare.
Il cavallo di Caspian era tornato senza alcun cavaliere in groppa.
La visione del solo purosangue fece decisamente allarmare la ragazza, ma per i motivi sbagliati: pensò prima alle condizioni di Caspian piuttosto che al pericolo che quell’inaspettato ritorno avrebbe costituito per lei e il dottore.
Quando Re Miraz venne avvertito e il cavallo riconosciuto fu subito teorizzata una fuga; di certo rapimento non poteva essere, o gli aguzzini del principe si sarebbero ben guardati dal lasciare che la sua cavalcatura facesse ritorno.
La fuga a cui Cornelius l’aveva preparata si rivelò alle porte. Non giocarono tanto sulla scelta di un orario tardo per sfruttare il vantaggio che le ombre avrebbero offerto loro, quanto piuttosto sulla disinvoltura.
Preso il fagotto che il precettore aveva riempito con tutte le provviste che era riuscito a recuperare e indossati degli abiti più comodi – sotto la gonna di Eria vi erano infatti dei calzoni, decisamente più adatti per affrontare la foresta rispetto ad un abito –, entrambi si diressero verso le scuderie.
Indossavano un mantello pesante per ciascuno e questo rese possibile ad Eria trasportare una spada, ben nascosta sotto di esso. Non ne aveva mai avuta una che pendesse al proprio fianco e avrebbe quasi potuto ritenere l’emozione che provava degna di nota, se solo non avesse avuto ben altro a cui pensare.
Seguì Cornelius e insieme attraversarono la piazza di pietra, raggiungendo la grata che li divideva dal ponte levatoio.
Eria usciva sempre di nascosto grazie ad una serie di vie segrete che non avrebbero assolutamente potuto percorrere con i cavalli, necessari per attraversare più in fretta la foresta. La presenza del suo precettore tuttavia giustificava il fatto che dovessero allontanarsi dal forte: un giro per il paese e l’osservazione di qualche pianta che non avrebbero facilmente trovato in quell’ambiente spoglio erano due motivi plausibili.
Non ci fu nemmeno bisogno di convincere la guardia, perché non appena li vide insieme diede ordine di far alzare la grata e di abbassare il ponte.
Lo attraversarono galoppando.
L’unica differenza rispetto a quando uscivano per compiere qualche semplice studio di botanica, fu che dopo aver attraversato il ponte e raggiunto il paese non rallentarono.
Aggirarono la cittadina, passando per gli spiazzi erbosi che la circondavano e cominciando ad avviarsi verso la foresta che si scorgeva in lontananza come se fosse un’estesa macchia scura.
Qualsiasi sentiero era completamente nuovo per Eria: mentre suo fratello aveva frequentato qualche battuta di caccia, a lei era stato severamente vietato qualsiasi tipo di passatempo simile. Non che invidiasse Caspian, non per questo almeno. Le escursioni con Cornelius, però, a quelle sì che avrebbe voluto partecipare più spesso anche lei.
Con le gambe serrate intorno ai fianchi del cavallo, Eria si piegò leggermente in avanti, spronando l’animale a seguire in velocità quello del suo precettore.
Esitante com’era in groppa al destriero che non toccava da mesi, la ragazza poteva fare tutto fuorché deconcentrarsi. Occasionalmente, però, si concedeva qualche sguardo al panorama circostante per registrare l’ambiente. Compito arduo da svolgere: tutto ciò che aveva intorno le sembrava esattamente uguale a quel che aveva visto appena qualche metro prima.
Dopo aver percorso una distanza che le sembrò infinita, in silenzio e accompagnati solo dal rumore ripetitivo degli zoccoli dei cavalli sulla terra battuta, Cornelius ordinò di fermarsi un poco per lasciar bere gli animali.
Ripresero la marcia non appena i cavalli ebbero finito di dissetarsi, ma ad un’andatura che non ricordava più una fuga disperata da dei possibili inseguitori.
L’idea che qualcuno potesse seguirli si fece strada di nuovo nella mente di Eria solo a notte fatta, quando lei e Cornelius decisero di fermarsi, questa volta più a lungo.
La coltre di alberi della foresta era così fitta da rendere loro impossibile la vista della luna e delle stelle. Appena qualche contorno balzava fuori dal muro invisibile dell’oscurità, ma decisamente era troppo poco per intuire un percorso da seguire in sicurezza.
Un fuoco era fuori discussione: avrebbe lasciato tracce e attirato attenzioni indesiderate.
Per fortuna non faceva freddo e non dovettero nemmeno usare i mantelli come coperte.
« Cornelius, siete certo che riusciremo a trovare Caspian? La foresta è immensa e le probabilità sono bassissime…»
« Vostra maestà, dovete avere fede. Avevo consigliato a vostro fratello di raggiungere Archen, perciò almeno sappiamo dove sta cercando di andare. »
Eria si morse il labbro, con indecisione. Odiava piangere e farsi vedere mentre accadeva, ma la frustrazione l’avrebbe spinta a questo ed altro.
Era solo una ragazzina, lo sapeva. Una ragazzina finita in qualcosa di troppo grande. E suo fratello! Chissà dov’era e come stava.
« Sì, ma… se non dovessimo fare la stessa strada? »
« Fuggiamo dallo stesso nemico, vostra maestà, probabilmente questo ci spingerà a fare le stesse scelte. »

 

Eria aveva perso il conto degli insoliti gesti, quasi rituali, che aveva visto compiere al suo precettore mentre erano in viaggio. Sembrava che controllasse qualche cosa, ma tutte le volte che la giovane cercava di allungare il collo con discrezione per vedere e capire cosa cercasse, non ci riusciva.
Aveva giurato a sé stessa che se gliel’avesse visto fare ancora non si sarebbe trattenuta dal chiedere spiegazioni.
L’interesse non sarebbe stato tanto se solo il dottor Cornelius non le avesse ribadito più volte che senza un pizzico di magia avrebbero faticato molto di più nell’impresa di trovare Caspian.
A differenza delle due – o forse tre – sere precedenti, quella non si accamparono.
Cornelius le aveva detto che se avessero continuato a camminare sarebbero stati capaci di uscire dalla foresta prima che il sole calasse e aveva sottolineato quanto vantaggiosa sarebbe stata per loro una notte in meno da trascorrere lì.
Spuntarono in una vasta radura, attorniata su tre lati da alberi. Il rimanente, alla loro sinistra, era chiuso da un’imponente costruzione di pietra.
Ad Eria parve familiare, ma non riuscì proprio a ricordare dove l’avesse già vista.
Al momento la gioia di non dover più incespicare nel sottobosco, tra radici sporgenti e cespugli che la graffiavano in continuazione superò quasi l’interesse.
« Dove siamo? » chiese infine.
« È la Casa di Aslan, vostra altezza. »
La giovane era sul punto di chiedere che cosa avrebbero fatto, ora che si trovavano lì, ma venne interrotta da una voce concitata.
« Umani! » esclamò.
Quando allieva e precettore cercarono di identificare chiunque avesse parlato non senza una certa preoccupazione, videro che dalle mura a gradoni dell’imponente costruzione scendeva a salti un uomo con il petto scoperto. Non era quello, però, ciò che ad Eria saltò più all’occhio: la persona che si stava precipitando loro incontro saltava agilmente grazie alle proprie gambe irsute. Gambe che in realtà erano zampe di capra e facevano un baccano assurdo quando gli zoccoli picchiavano contro la pietra.
Non impiegò molto per arrivare fino al tappeto erboso e in quel preciso istante una seconda creatura comparve da uno degli angoli del monumento.
Un centauro galoppava verso di loro e il fauno che aveva dato l’allarme lo seguiva.
Eria arretrò d’istinto senza sapere cos’altro fare e rischiò di inciampare sugli arbusti del sottobosco al limitare della foresta.
Se non cadde fu solo perché Cornelius la trattenne per un braccio impedendole di fuggire.
Non era inorridita e benché stesse realizzando quanto l’esistenza di quelle creature le risultasse più strana ora che finalmente le vedeva, capì anche che la paura nata in lei sarebbe stata uguale se al posto di quei due le fosse corsa incontro una coppia di soldati armati: se la volevano morta, che fossero umani o narniani cambiava davvero poco.
« Non siamo ostili », annunciò Cornelius.
Il tono di voce era fermo, proprio come se si fosse già trovato in situazioni simili diverse volte e avesse ormai molta esperienza.
« Questo di certo non lo potete giudicare voi », rispose con irruenza il fauno. Si rivolse poi al suo compagno. « Dovremmo andare ad avvisare i sovrani. »
Con un cenno il centauro si preparò a raggiungere l’ingresso dell’edificio a cui facevano la guardia.
Pur essendo appena giunta la sera – era estate e le giornate erano lunghe, perciò non era ancora buio – le persone che si trovavano nella struttura di pietra erano già belle che addormentate; il fauno non aveva fatto abbastanza rumore da svegliarle, o almeno così credeva: una figura sbucò dall’ingresso proprio quando il centauro si girò in quella direzione e cominciò a camminare con ampie falcate sull’erba, verso il gruppetto.
« Cosa sta succedendo? » chiese il nuovo arrivato.
Aveva una voce familiare.
Eria alzò subito il capo, anche se non aveva bisogno di conferme.
« Caspian! »
La magia del professore era servita davvero, allora.
Le due creature si voltarono in direzione del ragazzo e, ad un rapido cenno di lui, smisero di serrarsi reciprocamente i fianchi per impedire ai due intrusi di fare un solo passo più avanti.
Eria scattò per raggiungere quanto più in fretta possibile il fratello, stringendolo poi in un abbraccio che venne ampiamente ricambiato.
« Stai bene? Sono così contenta di vederti! »
« Sto benissimo, e tu? Miraz non ha fatto in tempo a farvi nulla, vero? »
Con quelle parole, Caspian rivolse lo sguardo anche al proprio precettore, che scosse la testa come del resto fece Eria.
« Il tuo cavallo è tornato indietro. Siamo fuggiti per questo prima che Miraz potesse fare qualsiasi domanda. »
Quando la situazione venne spiegata anche al fauno e al centauro, che potevano solo ipotizzare cosa stesse accadendo, si mostrarono entrambi costernati e chinarono il capo verso Eria e il precettore. La ragazza non seppe cosa fare e poté soltanto imitare quel gesto, incerta su cosa sarebbe stato giusto dire per rassicurarli.
Subito dopo Caspian condusse i due nuovi arrivati fin nella grotta. Sfilarono tra i corpi addormentati di nani, fauni e altre creature che ora Eria riusciva ad osservare con stupore, la mente non più annebbiata da altre preoccupazioni.
Quando aveva visto per la prima volta quelle creature aveva quasi urlato, convinta che nulla del genere sarebbe mai potuto esistere al di fuori delle leggende. Da bambina aveva sperato a lungo che quelle non fossero solamente storie, ma pian piano, crescendo, aveva lasciato da parte quel desiderio per concentrarsi su ciò che era reale.
Caspian li guidò fino ad una sala che, come spiegò, fungeva da luogo di riunione. Non per niente era vastissima, anche se scarsamente illuminata com’era non se ne sarebbe vista la fine nemmeno se fosse stata ampia appena un metro.
« Quando sono scappato e ho raggiunto la foresta », cominciò Caspian, dopo aver indicato dei massi su cui sedersi. « Ho incontrato gli abitanti di Narnia. All’inizio non ci credevo e devo dire di aver temuto di essere finito in guai peggiori di quelli da cui ero appena fuggito. Alcuni di loro si sono mostrati un po’ ostili inizialmente, ma dopo aver spiegato la situazione, chi ero e perché mi trovavo lì, hanno deciso di appoggiare la mia causa. Abbiamo saccheggiato qualche forte di Miraz. Una mossa sciocca, sì, ma avevamo bisogno di provviste dato che siamo in abbastanza da formare un esercito. »
« Esercito? » incalzò Eria. « Siamo in guerra? »
« Non ancora, ma presto probabilmente sarà così. »
« E hai suonato il corno? » Questo era Cornelius.
Eria aggrottò le sopracciglia chiedendosi di che corno stessero parlando, ma almeno per il momento decise di non domandare nulla.
« Sì, l’ho fatto la stessa notte in cui sono fuggito. Mi è stato detto che avrei dovuto aspettare di più, ma non sapendo quanto tempo avrebbe impiegato per fare effetto ho preferito essere previdente. »
« E dunque? »
« Sono arrivati, gli antichi Re e Regine di Narnia. Appena stamattina. »
Improvvisamente nell’antro calò un silenzio di tomba che nessuno si azzardò a spezzare.
Per Eria era incredibile che il Re Supremo e i suoi fratelli, gli stessi su cui aveva fantasticato ascoltando le antiche leggende, si trovassero probabilmente ad appena qualche metro di distanza da lei, in quella stessa grotta.
Improvvisamente l’idea di conoscerli la oppresse. Come sarebbe stato conveniente comportarsi, con dei sovrani tanto importanti?
Era sempre stata abituata a rifiutare gli onori eccessivi dei sudditi, ora invece si ritrovava a non essere certa di saper essere abbastanza ossequiosa. Non tutti i sovrani odiavano essere riveriti, dopotutto.
Vennero scambiate poche altre parole prima che il dottor Cornelius chiedesse a Caspian dove andarsi a riposare. Non che la grotta fosse scandita da stanze, ovviamente: c’erano degli antri in cui più di qualcuno riposava, ma ogni giaciglio era semplicemente un ammasso di coperte gettato a terra e per questo facilmente spostabile.
Chi aveva fortuna magari era riuscito a trovare una pietra come cuscino, nulla di più.
Dopo il congedo del dottore, i due fratelli rimasero soli.
« Dovresti andarti a riposare anche tu », disse Caspian, controllando di sottecchi il volto provato di Eria: la pelle era più pallida del solito e occhiaie violacee avevano scavato a fondo sotto i suoi occhi.
« Lo farò certamente, ma non adesso. Tanto non riuscirei a dormire con tutto quello che è successo. In così poco tempo, poi. »
Caspian le si fece più vicino, sedendosi accanto a lei sulla stessa roccia.
« Mi dispiace essere fuggito senza di te, Eria. Volevo aspettarti, davvero, ma Cornelius non me l’ha permesso », si giustificò Caspian con tono mesto.
Eria lo guardò, gli occhi illuminati dalle poche torce accese spalancati per la sorpresa.
« Spero davvero che tu non mi creda arrabbiata con te, Caspian. » Poggiò la mano sulla sua, rivolgendogli un piccolo sorriso. « Mi sarei arrabbiata di più se pur di non lasciarmi lì non te ne fossi andato.. »
Caspian annuì, ora più leggero dopo essersi tolto quel peso.
« I sovrani come sono? »
Per un momento Eria si sentì sciocca a fare una domanda tanto superficiale nonostante la situazione. Caspian però parve gradire: anche se la sorella non lo sapeva, negli ultimi giorni nemmeno lui aveva avuto modo di pensare a cose che non fossero tentati assassinii e guerre imminenti, per cui una discussione più frivola non gli dispiacque affatto.
« Mi sembrava strano che non avessi già cominciato l’interrogatorio. » Caspian roteò gli occhi, prendendola in giro. « Molto diversi da come mi aspettavo. Sono estremamente giovani, ma sanno il fatto loro. Te li presenterò domattina. »
« Non ho mai avuto a che fare con dei veri sovrani. Gli unici che io abbia mai conosciuto sono nostro zio e nostra zia, ma… non penso che loro contino molto. Questi sono i sovrani di Narnia, Caspian! »
« Grazie per avermelo ricordato. »
Il ragazzo sorrise appena, con tenerezza. Non riusciva a deriderla troppo, vedendola così sinceramente entusiasta.
« E anche se contano di più pretendono molto meno rispetto ai nostri zii, davvero. Li conosco da poche ore, ma le formalità sono sparite dopo il primo saluto. »
Scambiarono ancora qualche parola, poi Eria non riuscì a trattenere uno sbadiglio che cercò di nascondere con una mano.
« Avanti, è ora di dormire », disse Caspian.
Eria sarebbe volentieri rimasta a parlare per ore e ore con il fratello, ma si convinse che dormire, al momento, fosse la cosa migliore che potesse fare.
Recuperarono una coperta e il fratello la guidò fino al luogo dove lui riposava. Il giaciglio non era altro che un pezzo di stoffa steso a terra, la cui unica funzione era non farlo sporcare troppo con la polvere che copriva il suolo della caverna. Una coperta non sarebbe mai riuscita a rendere più confortevole il suolo.
Per Eria fu come tornare bambini, quando alle volte sgattaiolavano l’uno nella stanza dell’altro per non dover affrontare soli i loro mostri immaginari.
Il letto dove avevano dormito da piccoli, però, era di gran lunga più morbido.
 

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Capitolo 3
*** Capitolo terzo ***


Capitolo terzo



 
« Quindi tu sei Eria. »
Nell’aria aperta della radura di fronte la Casa di Aslan stavano quattro ragazzi, tutti pressoché coetanei. Peccato solo che due di questi fossero gli antichi re di Narnia e che una delle due persone rimanenti proprio non sapesse come comportarsi al loro cospetto.
“Sii naturale e rilassata”, questo era stato il consiglio di Caspian.
Eria lo aveva guardato malissimo quando glielo aveva detto; la naturalezza poteva anche esserle propria, ma il rilassamento proprio non faceva parte di lei e chi meglio di Caspian poteva saperlo?
La ragazza pensò addirittura che il fratello le avesse dato quel consiglio per prenderla in giro, ma la realtà era che Caspian era più che in buona fede: avendo già fatto la conoscenza dei sovrani il giorno prima sapeva bene quanto poco ci fosse da preoccuparsi e avrebbe solo voluto che la sorella non percepisse quelle presentazioni come qualcosa in più per cui angosciarsi, soprattutto dopo averlo fatto per ogni avvenimento nel corso dei giorni precedenti.
Tutto inutile, perché non appena Eria li vide si irrigidì e fece una gran brutta figura, dato che non si inchinò e non spiccicò parola per diversi attimi.
Quando realizzò di essere rimasta immobile riuscì solamente a piegare appena le ginocchia per una riverenza e sia re che regina – anche se più che altro fu Peter – non riuscirono a trattenere una leggera risata.
« Sì », rispose semplicemente Eria alle parole del re, terribilmente imbarazzata.
Susan, non per nulla appellata La Gentile, le si avvicinò e le rivolse un sorriso mite.
« Io sono Susan, lui è Peter. Non preoccuparti troppo dei convenevoli. »
Le parole della giovane parvero ad Eria così simili a quelle che Caspian le aveva rivolto il giorno prima per rassicurarla da farle pensare che per qualche motivo il fratello avesse ascoltato con così tanto interesse Susan da impararle a memoria.
« E niente “vostre maestà”, prima che tu lo dica », aggiunse.
Seppur ancora un poco a disagio, più per il proprio comportamento che per quello dei legittimi sovrani di Narnia, Eria annuì.
« È un piacere per me conoscervi. »
E per fortuna che quella frase sarebbe comunque dovuta essere pronunciata al plurale, dato che per Eria si trattò più che altro di un dare del voi.
« Vieni Eria, ti porto a conoscere gli altri. »
Eria fu felice di essere stata presa sotto l’ala protettiva di Susan, che voleva saperne tanto quanto lei circa le discussioni belliche che di lì a poco Caspian e Peter avrebbero condotto.
Non avrebbero potuto evitare l’argomento in eterno ed Eria nemmeno voleva farlo, ma per il momento proprio non le andava di riflettere su strategie militari e ipotetici scontri. Non dopo aver passato quelle ultime giornate infernali.
Lei e Susan fecero una vera e propria visita della grotta, con tanto di spiegazione delle funzioni degli ambienti. Eria vide dove i nani avevano allestito una fucina improvvisata e dove i fauni intagliavano archi di legno flessibile.
Subito dopo aver chiacchierato con uno di questi ultimi, dato che Susan pareva particolarmente interessata all’arco che il fauno stava costruendo, una vocina squillante chiamò la giovane regina.
Quando si voltarono videro una ragazzina di qualche anno più giovane correre loro incontro.
« Lucy, capiti a fagiolo », disse Susan. « Questa è Eria, la sorella di Caspian. »
La bambina parve felice di conoscere una persona nuova e rivolse ad Eria un sorriso raggiante; avrebbe potuto rallegrare un intero esercito a terra, con quell’espressione.
« Io sono Lucy. »
« È un piacere. »
Parlare con Lucy risultò ad Eria più semplice di quanto non lo fosse stato con i suoi fratelli.
« Peter e Edmund li ha già conosciuti? » chiese la bambina.
« Peter sì. Edmund invece non so dove sia », confessò Susan, pensierosa.
Le due sorelle si guardarono intorno ed Eria fece lo stesso pur non sapendo chi stessero cercando, per non essere da meno.
« Stamattina non l’ho visto », fece presente Lucy.
« Starà ancora dormendo, a meno che non sia da qualche parte ad esercitarsi con la spada. »
« Ora che mi ci fai pensare forse ieri sera mi ha detto qualcosa in proposito. »
Lucy non pareva troppo convinta e Susan decise che proseguire il giro della grotta sarebbe stato più utile che andare alla ricerca del Pevensie mancante.
Eria si chiese come facesse Susan ad essere così tranquilla, a non preoccuparsi di dove si fosse cacciato il fratello, ma poi pensò che forse era normale dato che da un re ci si dovrebbe aspettare una certa responsabilità e, in ogni caso, anche se così non fosse stato, non tutti erano apprensivi come lo era lei.
« Dimmi che non sono l’unica che non riesce mai a gestire i propri fratelli », sospirò Susan.
Lo disse con un tono a metà tra il disperato e lo scherzoso, cosa che portò Eria a lasciarsi sfuggire una piccola risata. Per un attimo fu come se conoscesse Susan da anni.
« Oh, no: io ne ho soltanto uno e trovo il compito già abbastanza difficile. »
Le tre ragazze si lasciarono andare ad una risata prima di riprendere a camminare.
I corridoi rocciosi erano illuminati quasi a giorno per tutte le torce accese e ora la grotta aveva un aspetto decisamente meno tetro della sera prima.
Eria venne lasciata sola dalle sorelle soltanto verso la tarda mattinata; avevano delle mansioni da svolgere e la affidarono ad uno dei nani affinché le procurasse un’arma, necessaria nella situazione in cui si trovavano.
Eria aveva ancora con sé la spada che il suo precettore le aveva affidato quando erano fuggiti dalla fortezza di Miraz, ma non appena il nano gliel’aveva vista impugnare aveva scosso la testa dicendo che per lei non andava bene, che non era adatta.
Pur dovendo forgiare in qualsiasi caso un’arma nuova, Eria decise che avrebbe colto l’occasione per avere la sua spada, la prima e forse unica.
Tralasciando il suo ben noto interesse per le armi bianche, Eria non aveva mai avuto occasione di provarne di altro tipo e, cosa annoverata, la sua mira era abbastanza penosa da farle escludere qualsiasi tipo di arma a distanza: sarebbe stata capace di mancare una mela a pochi metri da terra con un sasso, figurarsi puntare con una freccia ad un nemico.
Il nano che doveva occuparsi della sua lama, tarchiato, con dei lunghi capelli neri e una barba folta, rimase a fissarla per qualche attimo. Sembrò studiarla e poi senza dire nulla si mise al lavoro.
« C’è qualcosa che posso fare? » chiese Eria dopo aver atteso istruzioni in silenzio per diversi attimi.
« No. Sarà pronta in qualche giorno, non serve che stiate qui ad aspettare. »
Le aveva in pratica detto, molto implicitamente e con tutta la cortesia di cui disponeva, di andarsene e di non disturbarlo.
I nani erano strani, un po’ bruschi e forse non troppo gioviali, ma ad Eria proprio non riuscivano a non stare simpatici.
Senza sapere cosa fare, ora che non aveva più una guida né tantomeno un compito da portare a termine, Eria decise di andare a cercare Caspian sperando che, magari, fosse in compagnia di Cornelius: ancora non aveva avuto occasione di incontrarlo da quando erano arrivati e le avrebbe fatto piacere scambiare qualche parola con lui.
Per uscire doveva passare di fronte al grande focolare al centro della “stanza d’ingresso” della grotta, se così si poteva chiamare.
Lì, seduto su un masso capace di sembrare abbastanza comodo, c’era un ragazzo.
Eria non lo sapeva, ma si trattava proprio dell’Edmund che le sorelle Pevensie stavano cercando.
Il giovane si trovava nella grotta appena dal giorno prima, circondato da gente che non conosceva.
Mentre aspettava il treno per raggiungere la propria scuola insieme a Peter e alle sorelle, mai avrebbe pensato che esistessero Caspian o il Piccolo Caro Amico che tanto Lucy e Susan si divertivano a chiamare così, né tantomeno che li avrebbe incontrati così presto.
Nessuno degli abitanti di Narnia che conosceva prima di tornare nel proprio mondo era ancora lì, fatta eccezione per Aslan che però ancora non aveva visto. Si fidava ciecamente di Lucy ed era certo che la sorella non avesse mentito quando aveva detto loro di aver visto il leone mentre si dirigevano verso l’accampamento del principe Caspian.
Narnia faceva a Edmund un effetto strano: oltre a sentirsi in forze come mai si trovava perfettamente a proprio agio; era come se avesse parlato per una vita intera con il centauro a cui si era rivolto per la prima volta quella mattina.
Seduto vicino al focolare, acceso tutto il giorno per aiutare la poca luce naturale che filtrava dall’ingresso, Edmund stava rimirando l’unica spada che mai lo avesse accompagnato nel corso della propria vita a Narnia.
Non era stata usurata dal tempo per fortuna, ma aveva comunque bisogno di qualche cura che il ragazzo, non avendo poi molto da fare, le stava dedicando di persona.
Sarebbe stato più utile consigliando Peter per la battaglia; aveva spesso dato idee brillanti al fratello maggiore durante la loro epoca d’oro, ma da quando erano tornati aveva come l’impressione che Peter non fosse molto incline ad accettare il parere altrui. Edmund non voleva che la loro permanenza a Narnia  divenisse spiacevole come lo era stata all’inizio la prima.
Dopo aver la spada Edmund aveva cominciato ad affilarla, totalmente concentrato sul proprio lavoro e capace di sentire soltanto il rumore ripetitivo della lama che strideva.
Si stava concedendo per un attimo di non arrovellarsi su tutto ciò che era successo e sarebbe successo da quel momento in poi: era certo che avrebbe avuto moltissime occasioni in seguito per pensarci.
Preso com’era dal proprio lavoro il giovane re non si accorse nemmeno della presenza di una ragazza che, fermatasi accanto al fuoco, stava osservando il suo impegno certosino.
« È una bella spada. »
Le sfuggì.
Edmund non lo seppe mai, ma pur essendosi vergognata a morte per aver aperto bocca così a sproposito la giovane non si pentì mai di averlo fatto.
La ragazza parlava poco se non interpellata, ma la situazione era così stramba da averle fatto credere che forse qualche strappo alla regola non sarebbe stato nocivo.
Edmund non alzò subito gli occhi; lo fece solo quando si rese conto che nessuno aveva risposto e che quindi spettava proprio a lui farlo.
La giovane dai capelli castani, che poi era Eria, forse non aveva sbagliato credendo che il ragazzo non volesse essere disturbato: dopotutto era lei la prima a non gradire le interruzioni inaspettate, soprattutto da perfetti sconosciuti. Non che molti perfetti sconosciuti avessero mai avuto occasione di disturbarla.
« Oh. » Il moro abbassò per un momento gli occhi sulla propria spada. « Ti ringrazio. »
Adesso il suo sguardo stava dicendo qualcos’altro, qualcosa che però Eria non riusciva a leggere con chiarezza.
All’improvviso le tornò in mente il dialogo tra Lucy e Susan, che non sapevano dove si fosse cacciato un certo Edmund.
« Sei la ragazza che è appena arrivata? » le chiese lui, inaspettatamente.
Avrebbe dovuto ringraziarlo, perché l’aveva appena sgravata dell’incombenza di trovare un qualcosa da dire che proprio non le passava per la testa.
« Sì, sono Eria, sorella di Caspian. Tu sei…? »
« Re Edmund. »
Ecco perché aveva ripensato a ciò che avevano detto Lucy e Susan.
Eria fece un rapido inchino, rimanendo con il volto fisso verso terra.
I fratelli Pevensie avevano detto che non servivano gli ossequi e lei, che tanto li criticava, si sarebbe dovuta abituare in fretta.
Tuttavia non avrebbe smesso di sentirsi in dovere di inchinarsi fino a quando ognuno di loro non le avesse detto che no, non era davvero necessario che lo facesse.
Magari, dei quattro fratelli, quello di fronte a lei era l’unico che si sarebbe adirato di fronte ad un comportamento troppo confidenziale.
Eria si appuntò che una volta avuti dei figli – sempre che rientrasse nel suo destino averli – avrebbe fatto in modo di non soffocarli così tanto con l‘etichetta da costringerli a farsi paranoie simili a quelle con cui si tormentava lei.
« Vostra maestà. Vi chiedo scusa, non pensavo… »
Edmund un po’ si sentì in colpa: più che per forza dell’abitudine si era presentato come re Edmund per dispetto e per studiare la reazione della ragazza che tanto gli era parsa titubante.
Vederla tanto costernata gli fece quasi tenerezza e si adoperò al massimo per farsi perdonare, alzandosi in piedi con un lieve sorriso sulle labbra.
« Non vi preoccupate, principessa. Nemmeno vostro fratello sapeva. »
Era la prima volta che Edmund aveva di nuovo a che fare con una principessa dopo un centinaio d’anni in tempi narniani, o da una vita in tempi terrestri.
« Vi prego, solo Eria. »
« Solo Edmund, allora. »
Le gote arrossate della giovane cominciarono a stingersi quando alzò il viso. Per sua estrema fortuna, avrebbe aggiunto: non avrebbe proprio voluto che un perfetto sconosciuto la vedesse così.
A quel punto Edmund si sedette di nuovo e, lanciando uno sguardo alla pietra su cui si era accomodato, parlò di nuovo.
« Vuoi sederti anche tu? »
« Se non è un disturbo », rispose Eria a mezza voce, aggirando il focolare e sedendosi accanto a Edmund.
Accanto solo perché condividevano il masso su cui si era appena sistemata, ma non per questo troppo vicini.
Edmund, a cui non pareva dispiacere troppo quella distanza, tornò subito al proprio lavoro. Era consapevole che la concentrazione necessaria per affilare una lama fosse abbastanza poca da permettergli di conversare. Sempre che lo avessero fatto: quella ragazza gli sembrava timida, forse anche oltre la soglia che lui avrebbe reputato gradevole.
« È una delle tue vecchie spade, quella? »
Fu lei a cominciare, sorprendentemente.
Nemmeno Edmund parlava troppo, pur non stando in silenzio per timidezza: sapeva quando parlare per dire, fra l’altro, cose giuste. Farlo senza motivo non gli piaceva troppo.
Quella volta però il suo sesto senso l’aveva un po’ tradito: Eria non era esattamente timida, quanto piuttosto abituata a stare in disparte. A corte veniva rimproverata quando diceva qualcosa che, se ripetuto da suo fratello o qualcun altro, sarebbe stato tranquillamente ascoltato dei sovrani e aveva maturato la convinzione che fosse lei a rendere tuto poco interessante.
Se fosse stata timida sarebbe stato un bene: si sarebbe evitata di sbottare con i propri sincerissimi pensieri sul conto altrui di fronte ai diretti interessati. La sua matrigna una volta le aveva pure dato uno schiaffo, odiandola per un momento più di quanto non odiasse Caspian.
« La mia unica spada, a dire il vero. Fortuna che era ancora al suo posto. »
A quel punto a Edmund sorse spontanea una domanda.
« Tu non hai un’arma? »
« La stanno forgiando i nani. Una spada anche per me. Spero che mio fratello voglia aiutarmi a recuperare un po’ di quel che ho imparato in passato. »
Quella conversazione di circostanza non sarebbe continuata a lungo, o se l’avesse fatto avrebbe di certo faticato. Perciò quando Lucy arrivò al focolare insieme agli altri Pevensie e a Caspian fu come se non avessero interrotto nulla di interessante.
« Narniani », cominciò Peter, con tono solenne. « Alcuni dei topi che abbiamo mandato ieri alla fortezza di Miraz sono tornati e ci hanno riferito che l’usurpatore sta cominciando a radunare un esercito. Il ponte di Beruna è ancora ben lontano dall’essere completato, ma dobbiamo cominciare a prepararci. Chiunque abbia bisogno di un’arma inizi a procurarsela e rispolveri il combattimento: ne avrà bisogno. »
Peter parlò in tono tanto solenne che nessuno riuscì a distogliere lo sguardo dalla sua figura fino a quando rimase in silenzio.
L’unico che si distrasse anche se solo per un momento fu un topo, schierato poco lontano dal sovrano su una delle rocce addossate alla parete. Eria per poco non si spaventò, ma non tanto perché fosse un topo, quanto piuttosto perché parlava: ancora doveva abituarsi, agli animali parlanti; non sapeva perché ma le facevano un effetto particolarmente strano.
Ad ogni modo, il topo in questione aveva da lamentarsi circa il non essere stato mandato con i compagni in ricognizione alla fortezza. A giudicare da tutte le parole che spese descrivendo ciò che avrebbe fatto alle guardie del castello, non era difficile capire perché l’avessero voluto tenere lì: la copertura sarebbe saltata subito data la sua palese smania di gettarsi alla gola del nemico.
Peter sembrò risplendere così tanto durante la propria arringa che ci sarebbe stato da chiedersi con che coraggio Miraz avrebbe sostenuto la legittimità del proprio trono di fronte a lui. Persino Caspian, che si trovava nel giusto, pareva sentirsi del tutto assoggettato dalla presenza dell’antico re supremo di Narnia.
Quando tutti furono tornati a svolgere i propri compiti, Peter si avviò verso l’uscita della Casa di Aslan per riferire ciò che aveva appena detto alle vedette, che ovviamente non avevano potuto ascoltare.
Mentre passava si fermò accanto ad Eria. Sul viso non aveva più l’espressione sorridente e quasi rassicurante con cui l’aveva visto quando si erano incontrati la prima volta: in quel momento il suo sguardo era duro, il portamento da vero sovrano.
« Quel che ho detto vale anche per te, Eria. Più braccia sanno combattere, meglio sarà per tutti. »
 

Stare seduti con le gambe penzolanti dagli enormi gradoni della Casa di Aslan e gli occhi fissi sull’orizzonte, dove il cielo si fondeva con la foresta, aveva un proprio fascino.
Tutta quell’infinitezza stava quasi facendo dimenticare ad Eria le preoccupazioni che l’avevano instancabilmente accompagnata nell’arco degli ultimi giorni e, in particolar modo, durante quella giornata che le era parsa interminabile.
Dopo il discorso di Peter, Eria non aveva fatto altro che stare con Lucy e Susan.
Pur discutendo amabilmente con le ragazze, una parte della mente di Eria non aveva fatto a meno di ritornare di tanto in tanto alle parole di Peter e, più succedeva, più la ragazza si incupiva.
All’ora di cena stava quasi impazzendo e per questo dopo aver mangiato rapidamente spiccicando poche parole se ne era scappata all’aria aperta.
Ora che pian piano la sua testa cominciava a svuotarsi uno strascico di emozioni negative che la ragazza proprio non voleva riversare sugli altri cominciava ad affliggerla: le era bastato un giorno lì per capire quanto fosse l’anello debole, probabilmente l’unico elemento inutile dell’intera compagnia. Cosa avrebbe potuto fare? Tirar di spada era fuori discussione, perché anche se qualche fondamento di quell’arte le rimaneva non sarebbe mai stata all’altezza di una simile occasione. In ogni caso, anche se ne fosse stata capace, non era certa che sarebbe riuscita a combattere.
Il solo pensiero di uccidere una persona, per quanto nemica e sconosciuta, le faceva accapponare la pelle.
« Cosa ci fai qui? »
Eria trasalì. Esageratamente oltretutto: la voce non era affatto minacciosa, anzi, ma a sua discolpa la ragazza non si sarebbe proprio immaginata di sentir parlare qualcuno, presa com’era dai propri pensieri.
« Mi hai spaventata. »
Si portò una mano sul petto, tirando un sospiro di sollievo.
Caspian si sedette con una mossa fluida al fianco della sorella, lasciando cadere a propria volta le gambe verso il gradone più in basso rispetto a quello dove si trovavano.
« Sei tu che reagisci in modo esagerato per qualsiasi cosa », la rimproverò Caspian, seppure con tono morbido.
Eria avrebbe voluto ribattere, ma rinunciò.
« Suppongo tu abbia ragione. »
Caspian aggrottò le sopracciglia, sorpreso da quelle parole.
« Allora la situazione è grave », constatò semplicemente.
In realtà non trovare la sorella da nessuna parte se non lì per Caspian aveva voluto dire sin da subito guai. Chiedendo alle poche creature ancora sveglie, che di certo non si sarebbero lasciate ingannare facilmente dalla discrezione della sorella come normalmente facevano le guardie della fortezza di Miraz a cui erano abituati, Caspian era riuscito a scoprire dove Eria si era rifugiata e quindi l’aveva raggiunta.
Eria non parlò; si limitò ad accennare un piccolo sorriso per poi voltarsi di nuovo in direzione della foresta.
Caspian non era mai stato un cattivo consolatore, più che altro alle volte si trovava a non sapere che cosa dire e non riusciva a mettersi completamente nei panni della sorella, che ragionava in modo diametralmente opposto al suo: lui era più impulsivo, questo era certo; lei invece no. Peccato che se lui era semplicemente istintivo, lei riflessiva lo era fin troppo.
Molte volte Eria si consolava semplicemente per i tentativi del fratello di capirla, perché dopotutto non pretendeva troppo da chi la voleva aiutare; le bastava un minimo interesse per sentirsi almeno un poco meglio.
« Dovrò scoprire cosa ti affligge con un interrogatorio o sarai tu a dirmelo? » indagò il fratello, che in realtà aveva qualche carenza anche nel capire quali fossero i problemi altrui, se non erano le persone a parlarne per prime.
« Non sei obbligato a saperlo », borbottò Eria, in tutta risposta.
« Ma voglio saperlo, però. »
La ragazza sospirò, voltandosi verso il fratello solo allora. Intrecciò le dita delle proprie mani e vi giocherellò, distrattamente.
« Sono preoccupata, Caspian. »
« Quando mai non lo sei? » le chiese.
In un altro momento avrebbe potuto cercare di farla ridere o quantomeno distrare con un tono più canzonatorio, ma riconosceva che non era il caso di farlo proprio allora.
Eria lo guardò male, poi proseguì.
« Non so se sono all’altezza di tutto questo », sussurrò. « Forse ti sarei stata più utile rimanendo a corte: Miraz avrebbe avuto un erede fuori e uno in casa. Per gestire me non avrebbe avuto troppo tempo per preparare delle truppe. »
« Eria, questo non lo devi dire nemmeno per scherzo. »
Caspian aveva alzato un po’ la voce.
« Ma è vero, Caspian. Qui cosa potrò mai fare per aiutare? Magari qualcosa di facile mentre la battaglia è ancora lontana, ma quando arriverà? Sarò semplicemente un peso ed è frustrante. Vorrei sapermi battere e… non avere così paura di quello che dovrei fare sul campo di battaglia. »
Il ragazzo rimase in silenzio per qualche attimo, perfettamente conscio del fatto che a quel punto continuare a ripetere che sarebbe stato una sciocchezza che Eria rimanesse a corte avrebbe necessitato anche di un motivo valido.
« Eria, restare a casa avrebbe significato morire, presto o tardi. Mentre dici questo stai pensando a te stessa, ma prova a immaginarti come mi sarei sentito io se avessi scoperto che mia sorella era rimasta a farsi uccidere per me. » Prese un respiro, poi continuò. « Nemmeno io credevo che sarei mai stato in grado di guidare qualcuno in battaglia, né tantomeno di battermi sapendo che avrei potuto uccidere o essere ucciso, eppure l’ho già fatto diverse volte prima che arrivassi qui. E non penso tu creda che io sia stato in grado di farlo perché sono crudele e spietato, o qualcosa di simile. »
Eria scosse la testa, gli occhi sorpresi fissi sul fratello.
« Le spie che abbiamo mandato in ricognizione hanno detto che Miraz sta cercando di radunare un esercito? Perfetto, vorrà dire che ci prepareremo di conseguenza e così farai anche tu. » Caspian sembrava così autoritario e saggio per come parlava che se Eria non l’avesse conosciuto l’avrebbe creduto già un re e non un principe.
« L’importante è che tu non finisca con il sforzarti di fare qualcosa semplicemente perché pensi che altrimenti il tuo onore ne uscirebbe scalfito. »
Eria tacque, sentendosi ora più leggera, tranquillizzata dalle parole del fratello. Gli rivolse un sorriso più tranquillo, appoggiando la testa sulla sua spalla.
« Ti ringrazio, Caspian. »
Il ragazzo sorrise e le avvolse un braccio intorno alle spalle. Si trattenne dal lasciarsi sfuggire un sospiro sollevato; aveva scongiurato una davvero brutta serata della sorella, il che era un’ottima cosa.
« Se non ti aiuto io che sono tuo fratello, chi lo dovrebbe fare? » chiese, retoricamente. « Anche se dubito che troveresti qualcuno disposto a sopportarti… »
Eria colpì il suo braccio con un pugno leggero, sfoderando un broncio molto convincente.
« Vogliamo scommettere? »
« No, ti prego, non voglio che tu vada ad importunare tutta la gente qui intorno. »
« Caspian! » sbottò lei, dandogli una leggera spinta.
Eria aveva deciso che dal giorno seguente avrebbe cominciato ad impegnarsi sul serio in qualsiasi cosa ritenesse necessaria.
Con la mente occupata e la coscienza pulita, forse, sarebbe riuscita ad evitarsi pensieri come quelli della serata appena trascorsa.


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Devo impormi di essere sintetica, o finirò per scrivere un trattato più lungo del capitolo per giustificare gli avvenimenti e i comportamenti dei personaggi.
Mi limiterò a due cose: Eria è un personaggio piuttosto insicuro, lo si vede e lo si vedrà in svariati punti della storia. Purtroppo è uscita da un ambiente in cui doveva rimanere ampiamente inquadrata entro certi limiti e la cosa l'ha portata a sviluppare questo senso di inadeguatezza.
Seconda cosa, l'avvenimento a cui Peter fa riferimento: né nel libro né nel film c'è una parte in cui i topi vengono mandati in ricognizione alla corte di Miraz, ma questa è una delle varie modifiche apportate al naturale corso degli avvenimenti. Il topo rimasto indietro - che poi è Ripicì - li avrebbe in teoria dovuti accompagnare in quanto viene dipinto come una sorta di "loro capo", ma penso di non essere l'unica a credere che sarebbe abbastanza irruento da sventare un piano dove è necessario mantenere un basso profilo.
Giuro che ho finito.
Ringrazio tutti per aver letto.
Sperando di sentire il vostro parere, alla prossima!

 

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Capitolo 4
*** Capitolo quarto ***


Capitolo quarto

 

Eria credeva che non avrebbe più incrociato la propria spada con qualcuno.
Dopo qualche spiacevole screzio avuto a corte, sia la sua matrigna che il suo patrigno si erano adoperati al massimo affinché Cornelius non le insegnasse più l’arte della spada. A detta loro ciò che aveva appreso era più che sufficiente per quella che sarebbe dovuta essere semplicemente una dama; sapeva come difendersi e questo era già tanto.
Tutto ciò che superava l’obbligo e diveniva passione andava sradicato, secondo quelli che Eria si rifiutava di chiamare genitori.
Con ciò che era accaduto, poi, Eria aveva capito per quale motivo due eredi capaci di maneggiare decorosamente una spada dessero tante preoccupazioni a Miraz.
Dove si trovava ora però le cose erano completamente diverse. Glielo avevano insegnato Lucy e Susan semplicemente guardandole: non erano le solite regine costrette a comportarsi come volevano gli altri; facevano ciò che loro desideravano e non avevano limiti.
Dopo la discussione della sera precedente Caspian si era subito offerto di aiutarla a riprendere confidenza con la lama, ed Eria era convinta che fosse elettrizzato almeno quanto lei all’idea di tornare ad esercitarsi insieme.
Stava ancora usando la spada con cui era fuggita dal castello qualche giorno prima. Se il nano che stava forgiando la sua futura arma l’avesse vista probabilmente avrebbe brontolato dicendole una seconda volta quanto poco fosse adatta a lei.
Si stavano allenando da circa mezz’ora; il fratello le aveva ricordato la posizione più adatta per cominciare un duello e stavano ripassando qualche tecnica di attacco.
« Caspian. »
Una voce sovrastò lo stridore delle loro lame, facendoli fermare.
Il principe si voltò in direzione della voce: era Edmund.
Eria si ricordò di dover trattenere l’istinto di inchinarsi quando era già ormai a metà di una riverenza.
Giurò di aver visto un piccolo sorriso comparire sulle labbra del Giusto, ma svanì talmente in fretta da impedirle di considerare quell’impressione una certezza.
« Peter ti stava cercando, ha bisogno di parlarti », proseguì il nuovo arrivato.
Caspian parve per un attimo un bambino privato del proprio giocattolo.
Sia a lui che ad Eria dispiaceva che il loro incontro fosse stato interrotto così presto, ma il dovere chiamava ed entrambi sapevano che discutere sarebbe stato sciocco e infantile.
« Lo raggiungo subito », si rassegnò il principe, rinfoderando la propria spada prima di compiere qualche passo in direzione della Casa di Aslan.
Caspian conosceva i Pevensie da poche ore in più rispetto ad Eria, ma sembrava aver acquisito una confidenza che lei ancora faticava a prendersi.
« Edmund, sei uno spadaccino anche tu, giusto? »
« Fino a prova contraria », rispose il ragazzo.
Ancora non aveva capito a cosa Caspian stava cercando di arrivare.
« Perché non prendi tu il mio posto e aiuti Eria finché non torno? Sicuramente sai più cose di me. »
Edmund parve indeciso: non voleva farlo, o forse era irritato dall’idea che Caspian avesse dato per scontato che non avesse nulla di meglio da fare che impiegare il proprio tempo in quel modo.
Sotto lo sguardo insistente di Caspian, tuttavia, parve decidersi.
« D’accordo, anche se non ho mai insegnato a nessuno. »
Caspian parve soddisfatto e prima di congedarsi diede a Edmund una rapida pacca sulla spalla.
« Te la affido, allora. Sono certo che sarai bravissimo. »
Una delle abilità di Caspian era indubbiamente sembrare convincente: nessuno di fronte alle sue parole avrebbe potuto dire di non credere fermamente in ciò che gli era appena stato detto.
Dal canto suo Eria aveva sperato che Edmund non accettasse e non perché si sarebbe sentita a disagio allenandosi con uno degli antichi re di Narnia: la faccenda era ben più complicata, forse addirittura esageratamente e per nulla.
L’unica volta che aveva interagito con Edmund era stato il giorno prima, quando aveva fatto quella pessima figura rivolgendosi a lui come se fosse qualcuno del suo stesso identico rango.
Nulla di troppo grave comunque, perché il pericolo che il ragazzo si fosse offeso era stato scongiurato relativamente in fretta. Eria si era sentita imbarazzata per via del proprio comportamento impacciato con lui tanto quanto con i suoi fratelli e, almeno in questo, non c’era nulla di diverso.
La giovane si sentiva come se stesse esasperando la questione, perciò si stava sforzando di abituarsi a quel trattamento alla pari. Prova ne era il modo con cui ora chiacchierava con Susan e Lucy, come se fossero di famiglia.
Tutto sommato, però, non la si poteva biasimare più di tanto: Eria si trovava di fronte ai quattro re di cui per secoli le leggende avevano parlato, portandoli ad essere guardati con incredibile rispetto o, come nel caso di suo zio, come una sorta di minaccia di cui nemmeno si doveva parlare.
Forse se Eria non avesse vissuto in quel clima di tensione di fronte alle antiche storie di Narnia e, questo soprattutto, se avesse avuto un carattere anche solo un minimo più simile a quello del fratello, tutto questo rispetto per la differenza tra lei e i Pevensie non l’avrebbe afflitta poi così tanto.
C’era un secondo fattore, come se il primo non bastasse, legato a solo uno dei re e che non le dava pace.
Eria era discretamente brava a capire le persone, o meglio, era abbastanza sveglia da assemblare tutta una serie di sfaccettature e, se il caso la rendeva degna di conoscerne abbastanza, allora riusciva a costruirsi un’immagine ben precisa di una persona, che talvolta risultava essere del tutto veritiera. Era il caso di suo zio Miraz, che mai le era piaciuto e sempre aveva criticato; le aveva dato una prova più che tangibile dei propri sospetti e, addirittura, aveva raggiunto un punto che Eria mai avrebbe immaginato.
La giovane aveva però un difetto: alle volte si basava sul sesto senso che la natura le aveva donato in modo troppo inflessibile, diventando così restia a modificare il proprio parere. E non sempre, purtroppo, si poteva giustificare questo suo atteggiamento parlando di un’alchimia mancata con alcune persone.
Edmund era un’eccezione scomoda come poche altre: si trovava a metà, in quel limbo che Eria proprio non sapeva definire.
La ragazza avrebbe giurato senza incrociare le dita che sì, Edmund era davvero una brava persona, ma una parte di lei la spingeva a volergli stare insolitamente a distanza perché non riusciva a capire che cosa aspettarsi da lui. Ed era un peccato, perché quando quell’insolita diffidenza non si faceva sentire aveva come la sensazione che avrebbe potuto trascorrere delle ore con il ragazzo, come aveva fatto la sera prima insieme alle sue sorelle e a Peter. Si ricordò subito dopo che effettivamente Edmund era con loro mentre chiacchieravano tutti insieme, ma che non si erano mai rivolti la parola, come se stessero partecipando a due discussioni diverse.
Rimasero diverso tempo uno di fronte all’altro, immobili; Eria con la testa piena di questi pensieri ed Edmund tormentato da chissà quali altri.
Fu lei a prendere la parola; lo aveva visto muovere le labbra a dire il vero, probabilmente per parlare, ed improvvisamente le era venuto in mente che forse avrebbe dovuto rompere il ghiaccio per prima.
« Non sono troppo brava », cominciò per rassicurarlo.
Pareva dirgli “sta tranquillo: qualsiasi cosa deciderai di insegnarmi, probabilmente non la saprò o la saprò troppo poco”.
« Voglio dire, ho preso diverse lezioni a suo tempo, insieme a mio fratello, ma poi ho dovuto smettere. Credo di essere molto arrugginita. »
Quella premessa parve mettere più a suo agio Edmund, che aveva sempre ricevuto lezioni e quasi mai ne aveva impartite.
« Credo che per capire il tuo livello l’unica cosa da fare sia una prova di combattimento. Sei d’accordo? »
Glielo chiese, ma solo per cortesia, dato che già stava indietreggiando di qualche passo per prendere posizione.
« Mi sta bene. Vacci piano però. »
Eria gli accennò un sorriso, che Edmund ricambiò corredando il proprio di un’inaspettata battuta.
« Spero di non starti antipatico. »
Eria si lasciò andare ad una risata, dimenticandosi di tutti quegli inutili pensieri che tanto l’avevano fatta sentire a disagio quando Caspian aveva lasciato lei e Edmund da soli.
Dopo essersi messa in posizione e aver sollevato la spada – che per altro Edmund sospinse leggermente più in alto con la propria –, venne incitata dal ragazzo ad attaccarlo.           
Più che un combattimento sembrava una coreografia: si muovevano molto più lentamente di quanto non avrebbero fatto se avessero voluto rendere quello scontro realistico, ma Edmund le pareva comunque piacevolmente sorpreso dal fatto che sapesse rispondere alla maggior parte dei colpi che più avrebbero dovuto metterla in difficoltà.
La maggior parte, sì, perché per una svista decisamente troppo madornale Edmund riuscì a disarmarla e a farle cadere la spada. Eria fissò l’arma al limite del costernato prima di chinarsi a raccoglierla.
« Credo che prima tu sia stata un po’ troppo modesta. » Eria si rialzò, guardando Edmund negli occhi. « Non te la cavi male. Per niente. Avrò molte meno cose da insegnarti del previsto. »
Eria non riuscì a classificare il torno saccente di Edmund come scherzoso o meno.
« Non toccavo una spada da anni, ormai. Pensavo di essermi dimenticata quasi tutto. »
« Correggendo qualche errore qui e là potresti tranquillamente affrontare un campo di battaglia in poco tempo. La prima volta che io ci sono stato sapevo molto meno. »
Gli occhi di Eria si illuminarono e la ragazza si sentì subito caricata da un rinnovato entusiasmo. Una volta non avrebbe mai ambito ad affrontare una battaglia, non ci avrebbe nemmeno voluto tentare e prova ne erano tutte le insicurezze che aveva confidato in cima alla Casa di Aslan a suo fratello.
Benché ancora in quel momento non sapesse cosa effettivamente una guerra volesse dire avendo solo sentito parlare delle atrocità che gli uomini erano in grado di compiere ed essendone sempre stata tenuta lontana, il fatto che ci fosse da combattere per una causa che anche lei sosteneva, liberando il regno da un uomo che per anni aveva ritenuto crudele, la stava convincendo che forse scendere in battaglia non sarebbe stato tanto sbagliato o terribile.
« Allora insegnami. »

 

Si erano seduti sull’erba dopo ore di allenamento e solo allora Eria aveva cominciato a sentire le braccia indolenzite a causa del peso della spada.
La stanchezza si era abbattuta su di lei improvvisamente, trovando il campo libero dall’entusiasmo che si era esaurito insieme alle sue energie. Se fosse stato necessario, però, Eria era abbastanza certa che sarebbe riuscita a rialzarsi e a continuare il proprio allenamento intensivo per il resto della giornata.
Quella lezione non era stata utile solo alla sua tecnica con la spada: le aveva anche permesso di capire che qualsiasi preoccupazione o disagio riguardante Edmund era più che infondato.
Sentiva non solo che le lezioni di Edmund le erano rimaste impresse quasi a fuoco nella mente, ma anche che il ragazzo era molto più di quanto non facesse in modo di mostrare.
Le era sembrato schivo, troppo serio; invece si era rivelato di una gentilezza quasi disarmante e anche simpatico: si erano fatti qualche grossa risata, una anche per colpa dell’espressione corrucciata che il volto di Eria assumeva tutte le volte che si impegnava molto in qualcosa.
« Se posso permettermi di esprimere un parere », cominciò Eria, attirando l’attenzione di Edmund. « Anche tu sei stato troppo modesto prima, quando hai detto di non saper insegnare. »
« La differenza tra le nostre situazioni è che io non avevo mai provato », si giustificò lui, pur non riuscendo a mascherare una palese soddisfazione provocata dalle parole della ragazza. « Ho cominciato ad imparare come combattere appena un anno fa. »
Dapprima Eria annuì convinta, ma non impiegò molto per rendersi conto che qualcosa non tornava; da ciò che le era stato raccontato i fratelli Pevensie erano stati sovrani di Narnia secoli prima: com’era possibile che Edmund avesse imparato ad usare la spada da così poco tempo?
Prima ancora di cominciare ad elaborare qualche congettura, Eria non ebbe paura di chiedere spiegazioni.
« Com’è possibile? Voglio dire, lo scorso anno non eravate a Narnia, o avreste già cercato di liberarla da mio zio. »
Edmund non parve capire subito. Per lui che aveva il quadro completo della situazione avendo vissuto quell’esperienza direttamente, tutto sembrava filare in modo logico. Poi ricordò la scomoda questione dello scorrere del tempo.
« È passato un anno del mio mondo. Qui il tempo scorre in modo diverso. Quando io e i miei fratelli siamo usciti dall’armadio che ci ha portati qui, a casa non erano passati che pochi attimi. »
Sul volto del ragazzo si dipinse un sorriso vagamente malinconico; gli faceva sempre uno strano effetto pensare a quante cose a Narnia potessero succedere in quello che un qualsiasi abitante della Terra avrebbe reputato un battito di ciglia.
Eria annuì, accendendosi subito al pensiero del mondo di Edmund. Lucy le aveva accennato qualcosa, il giorno prima, ma non aveva avuto modo di farsi raccontare nulla.
« Com’è il tuo mondo? È tanto diverso da Narnia? »
« Troppo. È più moderno, ma meno magico. »
C’era una punta di amarezza nella voce di Edmund, mentre pronunciava quella semplice quanto efficace spiegazione.
« Fammi un esempio. »
« Un esempio… » mormorò pensoso.
Ce n’erano a bizzeffe di esempi, ma pensarne uno in particolare rendeva quasi impossibile trovarlo. Alla fine Edmund riuscì a sceglierne ben due.
« Ho trovato. Da noi per viaggi molto lunghi si usa l’aereo. Diciamo che sarebbe un sostituto a motore degli ippogrifi che avete qui », fece una piccola pausa, ripensando per un attimo a quanto potesse sembrare ridicolo ciò che aveva appena detto. « Oppure non abbiamo più bisogno di candele, perché da noi ormai è stata scoperta l’elettricità. E se salta abbiamo pur sempre le torce. »
Eria si stava davvero sforzando di capire, ma i significati di alcune parole le sfuggivano; solo per questo si rendeva conto di quanto effettivamente i due mondi da cui provenivano fossero diversi.
« Cos’è un motore? »
Edmund non sarebbe stato capace di spiegarle per analogie e differenze di cosa si trattava senza averne uno a portata di mano da farle vedere.
« Non importa », concluse Eria vedendo il difficoltà. « Però a grandi linee penso di aver capito. Per fortuna hai fatto il paragone con gli ippogrifi. » Eria si interruppe qualche attimo, poi riprese. « Suppongo che il nostro concetto di magia sia diverso. Le cose che a te sembrano normali nel tuo mondo sono qualcosa di fantastico, per me. Anche se a dire il vero nemmeno io pensavo esistesse la magia, fino a… ieri. »
« Tutto quello che ti sembra tanto strano e che c’è nel nostro mondo è semplicemente… beh, è possibile. Qui le cose diventano possibili improvvisamente, senza una spiegazione logica. È così e basta. E poi da noi non c’è traccia di creature come quelle di Narnia. »
« Magari tempo fa c’erano anche nel vostro mondo. E poi, scusami, se non ci fosse magia come avreste fatto a raggiungere questo posto? »
Edmund non le poteva dare tutti i torti. C’erano effettivamente quei rari eventi magici che fortunatamente avevano deciso di manifestarsi proprio a lui e a i suoi fratelli.
« Effettivamente. La prima volta siamo entrati attraverso un armadio. Che fosse una porta l’ha scoperto Lucy. »
« Com’era Narnia la prima volta che siete stati qui? »
Edmund allungò le gambe davanti a sé, voltando il busto in direzione di Eria. Gli sembrava tanto una bambina curiosa per come le brillavano gli occhi.
« In difficoltà, come adesso. Non voglio dire se di più o di meno solo per scaramanzia. »
« Ma siete pur sempre riusciti a salvarla, no? »
« A caro prezzo, sì. »
Eria improvvisamente si ammutolì. Aveva la sensazione che se avessero continuato a parlare di quell’argomento Edmund non avrebbe gradito; sarebbe stato sciocco continuare ad insistere cavandogli di bocca frasi che diventavano sempre più brevi man mano che il loro discorso proseguiva.
« Ad ogni modo, Edmund. Mi farebbe piacere, sempre che tu ne abbia voglia, continuare ad allenarci nei prossimi giorni. »
Eria si ritrovò a sperare ardentemente che il ragazzo non rifiutasse. Magari aveva scelto il momento peggiore per chiedere una cosa del genere, considerando la conversazione di cui erano reduci.
Il ragazzo le parve rianimarsi e quando si voltò verso di lei i suoi occhi erano tornati ad essere privi di qualsiasi nebbia malinconica.
« Sempre che così facendo non rubi il divertimento a tuo fratello. »
« Ma andiamo! Caspian mi ha affrontata a duello per anni, gli farà più piacere sfidarmi quando saprò cose nuove. »
Quando si alzarono, ognuno per andare alla ricerca di nuovi compiti, finirono di accordarsi. Il giorno dopo alla stessa ora il loro allenamento sarebbe continuato.

 

Eria e Lucy avevano raggiunto da poco il ruscello vicino alla grotta che ora faceva da quartier generale per la resistenza di Narnia.
Era una piccola ramificazione del fiume principale, ma era abbastanza fonda da permettere loro di riempire i secchi improvvisati che mani ben più sapienti avevano assemblato – Eria non avrebbe mai saputo da dove cominciare per costruire un buon secchio –.
Il loro compito non era esattamente facile né tantomeno privo di fatica: per evitare di dover fare troppi viaggi per riempire i barili nella grotta, i secchi erano molto fondi e una volta pieni diventavano davvero pesanti.
Le due ragazze avevano quindi deciso di portarne tre: uno a testa e l’ultimo da tenere a turno durante il ritorno.
Si trattava già del loro secondo viaggio ed Eria non se l’era proprio sentita di lamentarsi perché Lucy aveva portato due secchi molto meno di lei: la vedeva già abbastanza spossata trasportandone uno solo, che la faceva pendere e traballare pericolosamente di lato.
Alcuni narniani avevano insistito a lungo affinché la loro regina non si abbassasse a simili attività, ma Lucy aveva insistito senza voler sentire ragioni: tra loro e i suoi fratelli avrebbe finito con il non poter fare nulla.
Eria la ammirava davvero: era di qualche anno più piccola, ma nonostante questo aveva affrontato molte più esperienze di lei e, ne era certa, Lucy si sarebbe potuta rivelare cento volte più coraggiosa di quanto non avrebbe potuto fare lei. Questo lo diceva perché il primo viaggio dalla grotta al fiume e ritorno era stato abbastanza lungo da permetterle di scoprire l’inizio – molto dettagliato – dell’avventura dei Pevensie a Narnia.
« Sai, stamattina ne ho parlato anche con Edmund. Della vostra prima visita a Narnia, intendo », cominciò Eria, camminando meno goffamente con le mani impegnate dai due secchi adesso vuoti. « E mi chiedevo se anche per lui fosse stato un bel periodo. »
Eria non aveva davvero alcun diritto di essere curiosa e Lucy l’avrebbe potuta liquidare in velocità senza darle una risposta soddisfacente.
La giovane sovrana parve intuire la domanda di Eria e prese la parola. Ad Eria sembrò quasi che ne volesse parlare da tempo, senza mai aver avuto qualcuno a cui raccontare quella storia.
« Sì, certo. Edmund è stato molto felice qui a Narnia, proprio come tutti noi. Ci sono stati diversi momenti difficili però, soprattutto per lui. Il peggiore per lui è anche quello che la gente ci chiede di raccontare più spesso. »
Così parlando erano arrivate al torrente, dove si chinarono per riempire i secchi.
« Aslan forse si arrabbierebbe se sapesse che ne ho parlato », borbottò tra sé Lucy.
« Aslan? Ne ho sentito parlare », la interruppe Eria prima che Lucy potesse riprendere.
Di lui Cornelius aveva parlato particolarmente poco, forse perché non l’aveva mai visto davvero.
« Sì, è il leone che ci ha sempre guidati mentre eravamo a Narnia », spiegò Lucy. Gli occhi le brillarono un momento, ma parve voler riprendere subito il discorso principale per non rischiare di raccontare troppo di Aslan. « Ad ogni modo, la prima volta che siamo stati qui una strega si era impossessata del trono di Narnia e ha convinto Edmund a comportarsi male nei nostri confronti. » Per la spiegazione che Lucy diede del comportamento di Edmund, Eria non poté che convincersi di quanto Lucy fosse ancora una bambina nonostante la sua forza d’animo. « Però non ho pensato nemmeno per un momento che fosse un traditore. Infatti quando è tornato da noi ha combattuto al nostro fianco ed è stato quello a rischiare di più tra me, Susan e Peter. Se non avessi avuto il mio cordiale ora non sarebbe qui. »
L’ultima frase Lucy la aggiunse non per vantarsi dell’importanza del proprio intervento, ma più per ringraziare candidamente chiunque le avesse dato la possibilità di avere quella boccetta miracolosa con sé.
Eria impiegò qualche attimo per trovare qualcosa da dire. Conosceva la storia, il suo precettore gliel’aveva raccontata. Eppure la parte che riguardava Edmund le era sempre parsa nebulosa, censurata forse per via della sua successiva redenzione. Per questo Eria aveva chiesto spiegazioni direttamente a Lucy.
« È terribile. Tutto ciò che quella donna vi ha fatto passare, dico. A tutti e quattro. »
Si sentì sciocca per aver detto qualcosa di tanto monotono.
« A Edmund, soprattutto », ci tenne a precisare la più piccola. « Vorrei che anche lui si rendesse conto di quanto poco ci sia da vergognarsi, considerando il modo in cui si è riscattato. »
Dopo quella spiegazione scese per diverso tempo il silenzio.
Lucy le sembrava quasi intristita ed Eria si sentì in colpa per averla fatta parlare di qualcosa di simile; solo a metà del loro ritorno riuscì a farla ridere di nuovo e decise che, a meno che non fosse stato strettamente necessario, non avrebbe più parlato con i Pevensie del loro primo viaggio a Narnia.

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Capitolo 5
*** Capitolo quinto ***


Capitolo quinto


 
Era una mattinata fresca che nessuno si sarebbe aspettato dopo le giornate di sole spaccapietre appena trascorse.
Non ci si poteva lamentare però: l’aria frizzante ripuliva l’ambiente della grotta dal fumo del focolare e una volta entrata smetteva di essere troppo pungente e non dava alcun fastidio.
Eria era seduta insieme a Cornelius e a Caspian poco distante dal focolare appena ravvivato dopo la notte.
Per una volta si stavano concedendo di cominciare più pigramente la giornata, anche se forse si sarebbero dovuti sentire morsi da qualche senso di colpa: alcune creature già correvano da una parte all’altra per avvantaggiarsi con i propri compiti mentre loro ancora poltrivano.
Più che per Cornelius questo sarebbe dovuto valere per i due giovani che si stavano attardando mangiando fin troppo lentamente l’ultimo boccone rimasto della loro colazione.
Da un momento all’altro Eria si accese, come se fosse improvvisamente stata strappata dal dormiveglia prolungato in cui si trovava.
« Cornelius, c’è una cosa che dovevo chiedervi », cominciò. « Riguarda alcune usanze della nostra gente. »
Per un attimo il dottore e Caspian si guardarono; che Eria avesse cominciato a parlare spontaneamente di qualcosa che c’entrava con la vita precedente all’incontro con i narniani sembrava loro strano.
« Chiedete pure, allora. »
« Credo che me ne abbiate parlato proprio voi, dopotutto non vedo dove altro avrei potuto sentirlo… » La giovane si tenne il mento con una mano, cercando di richiamare alla mente le stesse parole con cui quel concetto le era stato spiegato ed era ben chiaro nella sua testa. « Non c’è una regola che permette ad un qualsiasi erede legittimo di rilevare la corona e prendere il posto dell’attuale re, se questi non si trova a corte? »
Cornelius seguì attentamente ciò che la ragazza stava dicendo, poi annuì.
« Vedo che siete stata molto attenta: dice proprio così. Serve ad evitare che in caso di crisi durante l’assenza del re e senza un reggente, la situazione degeneri. Ma come mai me lo chiedete? »
Eria era sempre stata molto curiosa e non aveva mai perso occasione, quando ne sentiva il bisogno, di tormentare il proprio precettore con domande; lo costringeva a scendere sempre più profondamente nei dettagli per pura avidità di conoscenza e non si fermava fino a quando non sentiva che la propria sete era stata placata.
Non c’era troppo da sorprendersi, quindi, del fatto che Eria si fosse mostrata interessata alla politica, né tantomeno che avesse chiesto improvvisamente, mentre si parlava di tutt’altro: erano queste curiosità inaspettate l’unico motivo per cui Eria smetteva per un momento di essere pertinente come era sempre stata abituata ad essere.
Furono più che altro le circostanze a destare qualche sospetto e a far credere a Cornelius e a Caspian che dovesse esserci qualcosa di diverso dalla semplice curiosità alle spalle del ragionamento di Eria.
« Stavo pensando… » cominciò lei.
« È sempre un male quando lo fai. Questa volta penso che sarà anche peggio », la interruppe Caspian, ed Eria lo guardò male.
Nessuno dei due però sembrava scherzare come facevano solitamente.
« Stavo pensando che la cosa potrebbe essere un vantaggio, per noi. Caspian potrebbe andare a rilevare la corona. »
« Questa modalità di solito si usa di comune accordo con il vero re », puntualizzò Cornelius. « Ma effettivamente nulla vieterebbe di fare come dite voi. »
« E magari potrebbe fermare l’esercito di nostro zio. »
Eria lanciò uno sguardo indagatore a Cornelius per trovare una conferma negli occhi del precettore. Era la prima ipotesi che nel corso di quella discussione azzardava, senza avere delle basi certe su cui fondarla.
« Questo no. Se il re viene sostituito mentre è in battaglia, salvo in alcune particolarissime condizioni che comunque ora come ora non ci sono, il vecchio sovrano continua comunque ad avere tutti i diritti di dettare legge sul campo. Il massimo che potrebbe fare il principe sarebbe impedire ai lord di inviare ulteriori truppe a sostenere Miraz, così l’esercito risulterebbe più debole. »
Sul volto di Eria comparve un’espressione soddisfatta, nonostante la propria idea iniziale si fosse rivelata imprecisa. Le sembrava che finalmente la situazione di svantaggio dei narniani stesse subendo una rivalsa.
« Non sprecatevi troppo a pensarci, Cornelius: non lo farò. »
Caspian parlò con voce seria, puntando gli occhi in quelli sorpresi della sorella.
« Perché no? Caspian, a me sembra una buona idea. »
« Ti sei forse dimenticata cosa ci hanno riferito i topi che sono tornati ieri? Miraz mi ha dipinto come un traditore. »
Eria aveva davvero scordato quel dettaglio.
Alcune delle spie che Caspian e Peter avevano mandato alla fortezza di Miraz avevano fatto ritorno il giorno prima per raccontare le ultime nuove: l’esercito ancora non era partito e da quel punto di vista la situazione risultava ancora congelata, tuttavia Miraz aveva sparso la voce che Caspian, di comune accordo con Cornelius, avesse rapito Eria per chissà quale scopo.
L’idea che il fratello e il precettore fossero stati dipinti come due uomini senza onore da una persona ben peggiore, aveva fatto infuriare Eria così tanto da farle credere di preferire il ruolo della traditrice a propria volta a quello di vittima che le era stato assegnato.
« Non potrebbero farti nulla, se ti appelli ad una regola del genere! Anche Miraz è un tiranno e non piace alla gente, ma non mi pare che nessuno gli abbia mai fatto nulla. »
« Se arrivasse solo ed indifeso a corte forse anche lui subirebbe delle conseguenze », le fece notare Caspian.
« Ma non è detto che tu debba andare da solo. »
Eria si fece insistente, ma solo perché stava cercando disperatamente di sostituire alla battaglia una soluzione meno sanguinosa.
Il solo pensiero le faceva venire i brividi.
« Eria, non puoi costringermi. Oltre a quello che ti ho già detto, non pensi a come mi sentirei? Sarebbe terribile aspettarvi lì, comodamente seduto su un trono, mentre vi so a combattere contro nostro zio. No, grazie. »
Caspian si diede una spinta con le braccia per alzarsi in piedi.
« Non fraintendere, non è per dare contro a te. Solo che davvero non posso. »
Poi se ne andò.

 

« Se non sai difenderti serve a poco che tu sappia attaccare. »
Il tono di voce di Edmund era scocciato, come se si trovasse nel bel mezzo di un rimprovero. Ed era proprio questo che stava facendo: rimproverando.
Erano passati tre giorni dal primo allenamento con Eria, e quella era la quarta volta che si trovavano fuori dalla Casa di Aslan per fronteggiarsi. Eria, però, stava battendo la fiacca e sembrava poco intenzionata a dare ascolto agli insegnamenti di Edmund. Chiunque si sarebbe accorto che la testa della ragazza era altrove, focalizzata su chissà quali altri pensieri.
« E perché? » domandò lei.
« Perché non puoi colpire il nemico, se sei morta. »
Eria sbuffò, lasciando ricadere il braccio che teneva la spada lungo il fianco.
Erano passati pochi giorni da quando il giovane re aveva cominciato a farle da insegnante e poteva darsi che il suo entusiasmo fosse ancora influenzato dalla novità, ma di certo questo non gli avrebbe impedito di essere severo con la ragazza.
Nonostante non si trovassero ancora sul campo di battaglia, che lei lo capisse o meno, la stava preparando ad una questione di vita o di morte.
Edmund pensò di voler rincarare la dose per ficcarle in testa che quello che le aveva appena detto era importante, ma si trovò a dover fronteggiare uno sguardo che per un momento gli parve così triste da trattenerlo.
« Che cosa c’è? » chiese infine, rassegnato.
Edmund avrebbe tanto voluto evitare di fare quella domanda, perché se si fosse trovato a dover dare consigli sarebbe stato spacciato.
Non era particolarmente bravo a consigliare, o meglio: era stato uno dei migliori consiglieri di Peter in fatto di battaglie, politica e diplomazia, ma se Eria era arrabbiata o triste, Edmund proprio non avrebbe saputo cosa dirle.
E poi lui non se n’era mai inteso di psicologia femminile. Se c’era una cosa che aveva imparato dopo la propria prima permanenza nel suo regno era che le donne che avevano frequentato la corte di Cair Paravel durante gli anni d’oro di Narnia non erano affatto diverse dalle ragazze inglesi.
« Non è nulla di importante », rispose Eria.
Edmund la guardò, indeciso.
Quel poco che sapeva di psicologia del gentil sesso, ahimé, gli suggeriva che a quel punto avrebbe dovuto insistere.
« Per caso ho fatto qualche cosa io? » indagò.
« No, non c’entri tu. »
« Allora va bene. »
Per Edmund la discussione sarebbe stata da reputarsi conclusa.
Lo sguardo di Eria però si fece improvvisamente più buio, così Edmund si sentì in colpa per aver liquidato l’argomento tanto in fretta.
Non capiva nemmeno più se Eria facesse apposta quelle espressioni tanto sconsolate per influenzarlo oppure no.
« Avanti, tanto tra poco è ora di cena e non ha senso allenarsi in queste condizioni », cominciò Edmund, rinfoderando la propria spada. « Cos’è successo? »
Sentendoselo chiedere per la seconda volta e vedendo Edmund finalmente più convinto – o forse rassegnato –, Eria decise di rispondere.
« Prima ho parlato con Caspian. Non era nulla di importante, davvero, ma alle volte è così testardo! Vorrei che si mettesse nei miei panni e cercasse di venirmi incontro. »
Edmund annuì appena, facendosi più vicino.
« Credo di capire la situazione. »
E non scherzava: la capiva davvero.
« Te ne intendi di fratelli che si comportano così? »
Edmund avrebbe potuto rispondere con molta tranquillità a quella domanda, che alla fine voleva solo una conferma di ciò che lui stesso aveva appena detto. Tuttavia, per come Eria gliela pose, Edmund proprio non riuscì a non lasciarsi sfuggire un risolino sarcastico e un’espressione vagamente divertita.
« Io? Ma no. »
Eria rimase in silenzio, ma le sfuggì uno sbuffo di risata; non si aspettava una reazione simile da parte di Edmund e forse fu proprio quel cambiamento di tono improvviso a farla ridere.
Il ragazzo parve soddisfatto, benché non avesse cercato di farla divertire.
« Ad ogni modo », riprese lui. « Se non è una cosa troppo importante, lascia correre. Ora come ora Caspian è sotto pressione. Lo dico perché anche Peter in questi giorni sa essere intrattabile. Non che per noi le cose siano più facili, ma in queste situazioni siamo noi a dovergli dare il nostro supporto. Magari se affronterete l’argomento tra qualche giorno sarà più ben disposto. »
Eria annuì. Non ne aveva parlato poi molto dell’accaduto e Edmund non le aveva dato una risoluzione che le sarebbe dovuta piacere troppo, testarda com’era, ma le rispose come se si trattasse di un problema molto meno significativo di quanto non le sembrasse.
« Farò così allora », rispose Eria, che aveva particolarmente voglia di lasciarsi aiutare e di non risultare petulante sguazzando nell’autocommiserazione.
Al momento, persino chiacchierare con Caspian come se nulla fosse le sembrava un’ottima idea.
« Sai, sei bravo a dare consigli. »
Edmund rimase in silenzio, chiedendosi se lo stesse prendendo in giro; e dire che lui si era fatto tanti scrupoli.
La discussione si allontanò spontaneamente da un argomento gravoso come quello che avevano appena affrontato e venne il momento per entrambi di dirigersi verso la grotta per raggiungere gli altri e cenare.
Susan, Lucy e Caspian erano già seduti con le loro ciotole in mano e, non appena li videro, fecero loro segno di raggiungerli.
Caspian rivolse ad era un mezzo sorriso e la sorella capì che fare finta di non essersi salutati in modo troppo brusco, quella mattina, sarebbe stato più facile del previsto.
Edmund ed Eria dovettero rimanere in fila per un po’, attendendo di ricevere la propria razione. L’attesa parve infinita, tanto i loro stomaci brontolavano, ma tra una chiacchiera e l’altra gli interminabili minuti trascorsero.
Quando si allontanarono dalla lunga coda di creature per raggiungere i ragazzi, Eria venne colpita da una visione che le fece dimenticare per un momento la fame: Peter, seduto in disparte, osservava lo stesso gruppo che lei e Edmund stavano raggiungendo.
« Tu va dagli altri, io arrivo tra un momento », disse a Edmund.
Il ragazzo ubbidì senza ribattere: da un lato aveva troppa fame per aspettare oltre di mangiare, dall’altro, quando vide Eria dirigersi verso un Peter così serio, capì le intenzioni della ragazza. Avrebbe forse dovuto imitarla, dato che si trattava pur sempre di suo fratello, ma dopo aver ricordato gli atteggiamenti assunti da Peter negli ultimi giorni non si sentì troppo in colpa a delegare almeno per una volta qualcun altro di occuparsi del maggiore.
« Avrebbero la tua benedizione, Peter? » ruppe il ghiaccio la ragazza quando fu abbastanza vicina al giovane re.
Eria stava gradualmente cominciando ad abbandonare l’abitudine di tenere per sé ogni proprio pensiero. Uscire dalle mura del castello aveva avuto un’ottima influenza su di lei, tanto che ormai si stava convincendo che Caspian non fosse l’unica persona al mondo ad ascoltarla senza farle subire ripercussioni per le sue parole.
« Che intendi? » domandò Peter, confuso.
« Sai che intendo », lo incalzò Eria. « Studi Susan e Caspian da quando hai cominciato a vederli insieme e… non so se mio fratello ti piaccia o meno, o se la cosa ti dia fastidio. »
Peter lanciò un rapido sguardo ai due ragazzi che conversavano con Lucy e Edmund. Era chiaro, nonostante la presenza degli altri due fratelli, che Susan non aveva occhi che per Caspian e la cosa era reciproca.
« Susan è abbastanza grande per scegliere da sola, che a me piaccia la persona su cui ricade la sua scelta o meno. » Peter aveva sapientemente evitato la domanda, a cui rispose però poco dopo. « Non ho nulla contro tuo fratello. Sono solo preoccupato per come andrà a finire. »
Eria non capì.
« Come dovrebbe andare a finire, scusami? »
« Dovremo tornare a casa, prima o poi. »
« Come? Non avevate in mente di fermarvi, quando sarà tutto finito? »
Eria si trovò sconvolta da quella notizia e per questo non riuscì a staccare lo sguardo da Peter.
« Non è detto che potremo farlo. »
Peter si alzò, comunque senza andarsene. Stava facendo di tutto per liquidare il discorso e, Eria se ne convinse, non avrebbe voluto rovinarsi la serata sapendo di più.
Entrambi raggiunsero il capannello che avevano osservato fino a quel momento, sedendosi. Eria si trovò tra Edmund e Caspian, Peter scelse invece il posto tra le due sorelle.
Stavano chiacchierando con una serenità sorprendente, considerando che si trovavano quasi in tempo di guerra. Sarebbe stato da sperare che ogni momento fosse come quello.
Alle loro parole cominciò ad aggiungersi una costante di sottofondo. Una musica, che dapprima fu così bassa da non disturbare la loro conversazione. Gradualmente il volume aumentò, ma non li infastidì: i ragazzi, come tutti i presenti, smisero di parlare per potersi concentrare soltanto su di essa senza alcuna forzatura.
Il canto dei fauni si librava lento e melodioso, come una ninnananna. Le uniche note, oltre a quelle della voce delle creature, scappavano ad un flauto sapientemente suonato.
Il canto, la grotta illuminata dal fuoco; tutto contribuiva a rendere l’atmosfera suggestiva. Nemmeno Peter aveva pensato di spezzarla dicendo che la musica avrebbe potuto attirare visite indesiderate.
Eria si trovava poco distante da Edmund e se solo avesse allungato un braccio accanto a sé sarebbe stata capace di toccarlo. Gli lanciò uno sguardo, che ricevette rapidamente risposta da quello del ragazzo.
Non sapendo che altro fare Eria gli rivolse un piccolo sorriso, voltandosi prima di osservare la sua reazione.
La melodia cominciò a farsi più concitata e lo scoppiettare del fuoco sembrò seguire lo stesso ritmo. Forse non si trattava nemmeno di una semplice illusione.
Alcuni dei fauni non impegnati nel canto si misero a ballare e in brevi attimi molti degli spettatori cominciarono a battere le mani.
Era come se l’aria si fosse alleggerita, portando sul volto di tutti un sorriso allegro.
Altre creature si unirono alla danza, a coppie. Caspian tese la mano a Susan, dopo essersi alzato; Peter già rideva insieme a Lucy, imitando goffamente i passi di danza che non conosceva.
Gli unici ad essere rimasti seduti erano Eria e Edmund, insieme a pochi altri abitanti di Narnia. Un minotauro di certo era giustificato: avrebbe compromesso la propria immagine, mostrandosi tanto allegro, ma loro?
Il cuore di Eria prese a batterle con forza nel petto e il sorriso sulle sue labbra si ampliò. Era uno di quei momenti in cui il suo essere bambina prendeva il sopravvento.
« Avanti, Ed! »
Peter aveva seguito il flusso delle danze, trovandosi vicino al fratello; la distanza che li separava non giustificava un tono di voce alto come quello usato da Peter, ma il ragazzo non se ne accorse.
« Non ci penso nemmeno », replicò Edmund con prontezza, come se avesse avuto in serbo da tempo quella risposta.
« Eria! Non vorrai rimanere lì seduta! »
Era Caspian.
I fratelli di entrambi erano in grado di raggiungere una sintonia inimmaginabile, alle volte.
Eria si spinse in avanti, solamente più motivata dalle parole dei ragazzi.
« Che stai facendo? »
Edmund le sembrava preoccupato. Troppo preoccupato per qualcuno che è semplicemente sul punto di dover ballare.
« Ti porto a ballare. » Fu la risposta coincisa di lei, come se si trattasse di una cosa palese.
« Devo ripeterti quello che ho detto a Peter? »
Che Edmund fosse spesso restio era un dato di fatto, Eria aveva avuto molte occasioni per appurarlo. Si trattava di carattere, c’era poco da fare, e non trovava giusto che venisse sempre e costantemente forzato. Alle volte però poteva essere un toccasana.
Non era certa che costringere qualcuno a ballare fosse realmente d’aiuto per un’indole recalcitrante, ma non le interessava: voleva ballare. Voleva ballare con Edmund.
Scegliere un altro dei cavalieri disponibili sarebbe stato piacevole tanto quanto rimanere seduta a guardare tutti mentre si divertivano. Non sarebbe stato lo stesso.
« Ti farebbe bene lasciarti andare. È perché ti vergogni? »
« Non mi vergogno. È solo che… » Edmund si interruppe, le labbra chiuse in una linea stretta. Stava sicuramente per dire che si sarebbe sentito stupido. Le aveva detto che era solito assumere quell’espressione, quando era sul punto di dire qualcosa che solitamente diceva spesso quando era più piccolo. E quando era più piccolo tutto l’avrebbe fatto sentire stupido.
La ragazza si alzò in piedi battendo le mani sulle gambe per scrollarsi la polvere di dosso. Sarebbe stato più utile se avesse indossato una gonna: con i pantaloni risolse poco e nulla.
« Non vorrai lasciarmi tra le grinfie di qualcuno che non conosco. »
Scherzava, eppure a quelle parole Edmund parve rianimarsi. Non abbastanza da muoversi però. Lanciò uno sguardo indeciso prima a lei, poi al circolo di corpi danzanti.
Non festeggiava a Narnia da un secolo, ma questo non toglieva che lo avesse fatto, a suo tempo. Solo perché un anno nuovamente trascorso a Londra l’aveva fatto tornare Edmund Pevensie strappandolo alla vita ben più allegra condotta a Narnia, non voleva dire che non dovesse più lasciarsi andare come aveva fatto in quel mondo: dopotutto, ora si trovava lì.
Per questo si alzò senza preavviso, afferrando la mano della ragazza accanto a lui e trascinandola vicino al focolare, al centro delle danze.
Vennero acclamati al loro arrivo, mentre si destreggiavano in quel ballo movimentato dove ogni regola sembrava lasciare troppa libertà.

 

Erano stati gli ultimi ad avvicinarsi al fuoco e poi gli ultimi ad allontanarsene. Avevano ballato fino a consumare ogni energia, così tanto da rimanere senza fiato. Anzi, il fiato mancava loro già a metà della danza, ma non era stato un impedimento abbastanza grave da fermarli.
Mentre tutti si preparavano a coricarsi, Eria aveva seguito Edmund fuori dalla grotta, respirando a pieni polmoni l’aria fresca: non avrebbe resistito un solo secondo in più in quell’antro fumoso e caldo.
Il frinire dei grilli e il leggero venticello furono un balsamo per la sua mente ancora vorticante.
« Spero tu non abbia intenzione di chiedermi di nuovo qualcosa di simile tanto presto. »
Fu Edmund a spezzare il silenzio, accovacciandosi sull’erba e poi sedendosi su di essa. Eria lo raggiunse e si accomodò al suo fianco. Lo guardò negli occhi, come avevano fatto per tutto il tempo durante il ballo.
« Ma come? Stavo per chiederti di tornare dentro a tenere svegli gli altri. »
Gli impedì di allarmarsi con una risata, a cui anche lui si unì, con più compostezza.
Era raro che Edmund ridesse così apertamente, perciò ogni volta che accadeva per Eria era come diventare la proprietaria di un tesoro prezioso. Un po’ come era un tesoro un momento di tranquillità, o non vedere Peter e Caspian preoccupati per la battaglia.
« È stato divertente », le confessò Edmund dal nulla, scrutando intensamente l’erba poco davanti a sé.
Eria non se lo sarebbe mai aspettato e forse, per non spingere il giovane re a rifugiarsi di nuovo nel proprio guscio, non avrebbe dovuto parlare né fargli notare ciò che aveva detto. Le fu impossibile.
« Lo hai detto davvero o l’ho sognato? »
Edmund esalò più uno sbuffo che un sospiro, uno di quelli che ogni tanto gli sfuggivano alle spalle di Peter, quando il fratello parlava troppo. Qualche traccia dell’infanzia era rimasta.
« Non mi piace troppo ripetermi. »
Una palese scusa per una domanda che palesemente lo voleva irritare: uno scambio equo.
« Non ti piace troppo qualsiasi cosa, Ed. »
Eria enfatizzò la frase con quel soprannome. Lo usava di rado e da poco tempo, senza nemmeno rendersene conto.
Era passata dal temere qualsiasi confidenza con Edmund a prendersene fin troppe dopo appena qualche giorno.
« Vuoi farmi credere che a te piaccia tutto? Avanti. »
Eria si sentì colta in flagrante. Se le avessero fatto la stessa domanda mentre ancora abitava a corte la sua lista sarebbe stata infinita.
Decise di farlo sapere all’altro, per essere quanto più cristallina possibile.
« Qui mi piacciono molte cose. Mentre ero a corte ero come te. »
« Grazie », le rispose con sarcasmo Edmund.
Eria gli rivolse un sorriso angelico, prima di cominciare a parlare.
« Per esempio, odiavo quando Caspian doveva partecipare al Gran Consiglio. Rimanevo ore ad aspettarlo perché non potevo accompagnarlo. Oppure non sopportavo quando non mi lasciavano uscire dalla fortezza e… »
« Non ti lasciavano uscire? Vivi a Narnia e non hai mai visto quello che c’era fuori dal tuo castello? »
Edmund era incredulo.
« Già. Vorrei essere una sovrana fortunata quanto te e i tuoi fratelli. » Eria rimase in silenzio qualche attimo, poi riprese. « Anzi, forse non dovrei nemmeno chiamarmi sovrana dato che a quanto pare alla mia famiglia non spetta il trono. »
Si stese, piegando una gamba per essere più comoda.
Il cielo sopra di loro era punteggiato da un’infinità di stelle, che rendeva solo più luminoso quell’infinito.
« I figli non dovrebbero rispondere delle colpe dei padri. La vita a corte è così terribile? »
« Se non è una corte governata da persone giuste, sì. Sono certa che se ci fosse ancora mio padre non sarebbe così… orribile. Miraz non merita di regnare, non merita nulla. »
Eria puntellò i gomiti a terra, sistemandosi a pancia in giù. Edmund, che si era steso accanto a lei, adesso la guardava.
« Voi avete salvato Narnia una volta e state per rifarlo. Quell’uomo è solo assetato di potere, invece. Se penso che stava per uccidere Caspian, io… »
« Stava per uccidere anche te. »
Eria si ammutolì e distolse lo sguardo. Di nuovo quel pizzicore terribilmente fastidioso agli occhi.
« Non ti ci dovevo far pensare », disse Edmund con un filo di voce, il volto contratto in un’espressione sinceramente preoccupata.
Il ragazzo allungò silenziosamente la mano, sfiorando il braccio di Eria, che improvvisamente pensierosa com’era diventata non ci fece nemmeno caso.
Sceglieva sempre la cosa peggiore da dire, maledizione a lui.
« Non è nulla, Ed. Hai solo detto la verità. »
Eria si sforzò di sorridergli, ma Edmund non fece altro che sentirsi più in colpa.
Dopo qualche attimo trascorso in silenzio, il ragazzo decise di prendere in mano la situazione.
« Hai detto che non hai visto molto di Narnia. Domani ti porto a vedere i dintorni, ti va? Non sarà una visita eccelsa, ma sarà sempre meglio di niente. »
Eria parve riscuotersi e gli occhi le si illuminarono. Come i bambini, alle volte le bastava solo che le venisse dato qualcosa di meglio a cui pensare per stare subito meglio.
« Lo faresti davvero? » domandò, un filo di voce a testimoniare la sua infinita sorpresa.
« Te lo avrei proposto, altrimenti? »
« Sei sicuro che non sia un problema? Per gli altri dico. »
« Avviserò che non ci saremo per tutto il giorno, così sapranno di non doverci cercare e che anche se non siamo qui non ci è successo nulla. »
La vecchia Eria di sicuro si sarebbe rifiutata di partecipare ad un’uscita del genere, poco importava che volesse farlo: sarebbe stato venire meno alle regole o, quantomeno, alle abitudini.
Doveva ancora decidere se in quel senso l’aria aperta di Narnia le facesse bene o male.
Ad ogni modo, la nuova Eria si permise non solo di accettare, ma anche di gettarsi senza troppi complimenti al collo di Edmund.
« Grazie, grazie Edmund! È il regalo migliore che qualcuno mi abbia mai fatto! »
Edmund rimase fermo immobile, troppo sorpreso da quell’abbraccio per fare qualsiasi cosa. Infine riuscì semplicemente ad allungare una mano e a poggiarla sulla schiena di Eria, le guance arrossate per fortuna nascoste agli occhi della giovane.
« Non… mi devi ringraziare, davvero », borbottò. « Ora va a riposarti, avanti. Ci aspetta una giornata lunga. »



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Considerando la data in cui viene postato questo capitolo ne approfitto per augurare a tutti quanti una buona Pasqua!
Bando alle ciance, questa è una delle parti della storia che più mi hanno fatta dannare: avevo davvero paura di mandare OOC Edmund, di scrivere qualcosa di troppo fluff (come potrebbe accadere nei prossimi capitoli, ma non anticipo nulla!) e di non farmi capire (per quanto riguarda l'inizio del capitolo).
Senza dilungarmi, ringrazio chiunque stia leggendo questa storia e al solito mi auguro che vogliate dirmi cosa ne pensate!
Alla prossima ~

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Capitolo 6
*** Capitolo sesto ***


Capitolo sesto

 


Eria aveva a malapena chiuso occhio quella notte e stranamente la cosa non le pesava affatto: era troppo eccitata dall’imminente visita a Narnia promessale da Edmund, per pensare alle ore di sonno che le mancavano.
Il ragazzo l’avrebbe dovuta svegliare pressoché all’alba e poi, con uno degli ippogrifi, avrebbero sorvolato la regione, curandosi bene di evitare la zona dove gli uomini di Miraz stavano costruendo il ponte che avrebbe permesso di guadare il fiume Beruna. Edmund aveva avuto modo di scoprire dove si trovava quella zona e il suo orientamento gli avrebbe tranquillamente permesso di evitarla anche in volo.
L’idea era di accompagnare Eria fino a Cair Paravel.
Pur rimanendo del castello solamente macerie, Edmund trovava che al momento quello fosse il luogo più emblematico di tutta Narnia.
L’avrebbe potuta anche portare fino al lampione, quello vicino all’armadio – chissà se sarebbe ancora potuto uscire, da lì! –, ma non sapeva se esistesse ancora.
Quando Edmund si chinò accanto al corpo addormentato di Eria, pronto a scuoterla con delicatezza per svegliarla, la ragazza si voltò in sua direzione, più attenta di lui. Edmund per poco non prese un colpo.
« Buongiorno », disse lei.
« Hai almeno dormito? »
« No, in realtà no. »
La ragazza, troppo entusiasta per attendere oltre, si sollevò e si alzò in piedi osservando con impazienza Edmund.
Una bambina, ecco cosa sembrava.
Il giovane re di Narnia non si sarebbe sorpreso se da un momento all’altro Eria l’avesse preso per mano trascinandolo e urlandogli di sbrigarsi.
In un certo senso gli ricordava Lucy quando era più piccola, l’unica differenza era che adesso il suo carattere era migliorato abbastanza da permettergli di godersi l’euforia di qualcuno.
Sgattaiolarono fuori con cautela, attenti a non svegliare gli altri: anche se si erano alzati presto, la loro non sarebbe stata stancante. Coloro che ancora dormivano meritavano di continuare a riposare.
Si trattava di una piccola fuga, la loro, che Edmund aveva architettato in tutto e per tutto come se fosse tale, pur avendo avvisato Lucy.
L’ippogrifo era già pronto al lato della costruzione che si ergeva sopra la grotta e con lui avrebbero raggiunto a piedi un punto non troppo lontano nel verde della foresta, dove si trovava una radura che Edmund aveva scoperto insieme a Susan.
Da lì sarebbero riusciti a spiccare il volo e poi si sarebbero allontanati.
Il piano filò liscio e si trovarono in meno del previsto in viaggio, verso Cair Paravel.
Eria non aveva mai volato su un ippogrifo. Non aveva mai volato nemmeno su un grifone o su qualsivoglia altro animale o cosa. Non aveva mai volato e basta.
Tuttavia non percepiva nessuna sensazione di libertà o di euforia, ma solo delle schiaccianti vertigini che le facevano sentire i piedi pesanti come blocchi di pietra che da un momento all’altro l’avrebbero trascinata giù dalla groppa della creatura alata.
Era avvinghiata ad Edmund e, ne era certa, nella sua presa non doveva esserci nulla di piacevole per quanto era stretta.
Edmund era un cavaliere singolare su un destriero diverso dal solito e la cosa non le dispiaceva, ma tutte le emozioni che avrebbe dovuto provare stando alle aspettative che le favole su principesse e principi avevano destato in lei quando era piccola tardavano a farsi vive.
Non sapeva nemmeno perché avesse pensato alle favole, a dire il vero.
« Eria. »
Edmund la chiamò ad alta voce.
Eria era sicura che Edmund avesse intuito la sua condizione, come era convinta che fosse in procinto di lamentarsi. Si stavano abbassando, però. Il volo che le era parso eterno doveva essere finalmente giunto al proprio termine.
« Sì? » rispose lei.
« Mi stai soffocando. E se dovessi svenire per questo, cadrei giù e tu mi seguiresti. »
C’era quell’indole dispettosa di Edmund che ad Eria non dispiaceva troppo. Certo, non che in quei pochi giorni avesse avuto modo di saggiarne molta, ma la poca a cui aveva avuto l’occasione di assistere si era rivelata esilarante. In quel momento però c’era gran poco da ridere.
Era vero anche, però, che pure la battuta più divertente del mondo le sarebbe risultata quasi fastidiosa.
« Aspetta che scenda da qui e te la faccio pagare! »
Edmund si lasciò sfuggire una risata divertita che Eria ebbe modo di sentire con più chiarezza quando l’ippogrifo cominciò a planare, e il suo viso smise di essere sferzato dall’aria fresca. E per fortuna che era dietro Edmund, o si sarebbe letteralmente ghiacciata.
Si rese conto immediatamente di quando la creatura giunse sulla superficie solida del suolo, ma non si gettò subito a terra, lasciando che fosse Edmund a scendere per primo.
Il ragazzo dovette accorgersi delle condizioni della ragazza che, pallida come un cencio, lo fissava con uno sguardo carico d’odio per la presa in giro.
« Non pensavo che la situazione fosse così grave », disse solo lui, con un filo di voce.
Non una parola di scuse uscì dalle sue labbra, ma si premurò di ottenere il perdono della ragazza allungando le braccia verso di lei per aiutarla a scendere dalla groppa della creature.
Per amor d’orgoglio Eria sarebbe volentieri scesa dall’altra parte, ma dopo aver osservato gli arti tesi di Edmund ed essersi accorta di quanto la testa le girasse decise che sostenersi a lui sarebbe stata una scelta ben migliore.
Poggiò le mani sulle spalle altrui e il ragazzo serrò la propria presa sulla sua vita, attento a non farle male quando fu il momento di sorreggerla.
« Maledizione a te e all’altezza, Edmund… » borbottò con voce tremolante, appoggiando la fronte contro la sua spalla. « Se ce ne fossero anche qui non salirei mai su un aereo. »
Edmund trovò da ridere anche per quelle parole e, quando pian piano si riprese, Eria decise di giustificarlo. Si allontanò da lui con un colorito già migliore del precedente.
« Dovrai farti perdonare per le prese in giro, sappilo. »
« Agli ordini, principessa », disse sarcastico, alzando gli occhi al cielo prima di carezzare la testa e poi il dorso del grifone che, ne era certo, li avrebbe aspettati nei dintorni fino a quando sarebbero tornati.
Edmund cominciò a camminare senza invitare Eria a seguirlo in nessun modo; la ragazza, dal canto suo, gli era già vicina e sull’attenti, pronta ad osservare tutto ciò che Edmund le avrebbe indicato.
Dopo qualche minuto di camminata raggiunsero uno spiazzo erboso circondato da alberi.
Poco più avanti si riusciva a vedere una muratura diroccata, collegata ad alcune gradinate che scendevano verso di loro.
Tra il punto dove si trovavano e la parete, Eria riuscì a scorgere degli elementi architettonici che, per le loro condizioni, proprio non riusciva a classificare: alcuni parevano dei pilastri, altri forse erano mattonelle semidistrutte.
« Vieni », fu la prima cosa che le disse Edmund, deviando il proprio cammino verso una piccola collinetta, sopraelevata rispetto alla depressione dove si trovavano prima.
Su di essa la pavimentazione era più presente, seppur coperta di erba e crepata in moltissimi punti.
Degli altri pilastri – o almeno ad Eria parvero tali –, più piccoli, spiccavano a gruppi di quattro a distanza quasi uguale gli uni dagli altri; alcuni erano più alti, di altri invece si poteva vedere soltanto la base.
Edmund poggiò le mani sulle spalle di Eria, facendola voltare verso la depressione e guidandola lentamente di lato, di fronte ad uno dei quattro gruppi di quelle che, lei proprio non riusciva a capirlo, erano le gambe di pietra di alcune sedie che sarebbe stato increscioso definire semplicemente tali.
« Non stai per chiedermi dove penso di trovarmi, vero? »
Edmund si sporse oltre la spalla di lei cosicché potesse vederlo, per poi scuotere il capo.
« Vedi lì dove c’è la parete? Era uno dei muri che chiudeva questa sala. Sulla collinetta che abbiamo risalito, invece, c’erano delle scale. In alcuni punti si vedono ancora. »
Eria annuì appena, abbassando lo sguardo sui propri piedi per seguire le indicazioni di Edmund. Il ragazzo parve accorgersi di quando Eria ebbe notato l’ultimo elemento a cui aveva accennato, poi proseguì.
« Dritto davanti a te, in fondo in fondo, c’era un portone imponente e maestoso, così tanto che persino i minotauri non faticavano ad oltrepassarlo. »
Edmund si soffermò a raccontarle delle colonne, delle finestre e della luce dell’ambiente, prima di farla ruotare lentamente sul posto, muovendosi insieme a lei.
« Qui c’erano i quattro troni dove io e i miei fratelli abbiamo regnato, prima di tornare a casa. »
Eria rimase in silenzio, cercando di figurarsi le sedute. Sorprendentemente l’immagine maestosa che aveva preso vita nella sua testa non era poi così differente da quella che era stata la realtà, ma questo lei non l’avrebbe mai saputo.
« Il tuo qual era? » azzardò a parlare.
« Il secondo da sinistra. »
Edmund si mosse verso di esso, dopo aver lasciato scivolare le proprie mani dalle spalle della ragazza.
Vedere Cair Paravel di nuovo, una volta tornato a Narnia, era stato straziante: rendersi conto delle condizioni in cui riversava il luogo che per anni lui e i suoi fratelli avevano governato cercando di essere quanto migliori possibile come sovrani era stato doloroso e deludente, così tanto da portarlo a provare una rabbia profonda. Raccontare la reggia per come l’aveva vista lui tante volte, tempo prima, l’aveva aiutato a non soffrire gli effetti che quel luogo ormai aveva su di lui.
Eria avrebbe voluto chiedergli anche le cose più ovvie, i dettagli più sciocchi, ma si guardò bene dal farlo; si era concessa solo un rapido attimo per osservare l’espressione di Edmund e non le sembrava proprio che addentrarsi in dettagli fosse ciò che più lo avrebbe reso felice.
« È molto bello, Ed », commentò infine.
Edmund si voltò appena verso di lei, accennando un piccolo sorriso che venne ricambiato dalla ragazza.
Dopo aver finito di osservare la sala del trono e i dintorni, Edmund ed Eria decisero che mangiare sarebbe stata la cosa migliore.
Avevano con loro un piccolo cesto contenente del pane insieme a qualche altra pietanza che avevano preso dalle provviste quella stessa mattina. Per una questione di correttezza non era nulla di più di ciò che avrebbero mangiato se fossero stati al campo.
Gli stessi pasti che per giorni avevano saputo di stantio, seppero rivelarsi alquanto succulenti per i due, che la mattina non avevano nemmeno fatto colazione.
« Siamo sicuri che questo sia semplicemente pane vecchio? » domandò Eria, le gambe fasciate dai soliti calzoni, incrociate.
« A giudicare dalla consistenza e dal fatto che ho quasi perso un dente, sì. »
« Allora credo che stia cominciando a piacermi anche il pane vecchio. »
« La principessa non è più tanto sofisticata, eh? »
Eria alzò lo sguardo dal proprio pasto, osservando il volto divertito di Edmund che, di fronte a lei, si stava fingendo disinteressato.
Avrebbe volentieri sottolineato che lei non era mai stata troppo sofisticata, anche se un poco lo era. Portava ancora le dolorose conseguenze del dormire su una superficie di pietra e non su un comodo materasso, e si sarebbe volentieri lamentata per ore del doversi lavare con l’acqua fredda del ruscello ad un orario a cui, una volta, non si sarebbe nemmeno sognata di svegliarsi, però non lo faceva, perché era lei la prima a non voler essere trattata con un occhio di riguardo per nessun motivo.
« Poteva andarti peggio, sai? Per esempio mi sarei anche potuta lamentare del fatto che mi stai facendo mangiare per terra », avanzò un esempio, toccandosi la punta dell’indice come se stesse per cominciar e un lungo elenco a cui, tuttavia, rinunciò. « E comunque mi fa ridere che sia il re a dire qualcosa del genere alla principessa. »
« Ma io sono un re diverso. »
Edmund aveva la risposta sempre pronta, forse troppo.
Da lì in poi vi fu tutta una serie di aneddoti volti a sottolineare quanto poco Edmund si comportasse da re, primo fra tutti la rissa in stazione a cui aveva partecipato pochi minuti prima di raggiungere Narnia, nella metropolitana di Londra.
Allora anche Eria insistette, dicendogli che lei non si comportava poi così tanto da principessa come avrebbe dovuto. La discussione degenerò poi in una battaglia di episodi poco felici e divertenti.
Edmund le aveva raccontato di quella volta in cui, da piccolo, aveva fatto degli sberleffi alla sua maestra. Peccato che la donna si fosse voltata appena in tempo per vederlo e, quando aveva cercato di dargli una bacchettata sulle mani, lui era scappato fuori dalla classe per andarsi a nascondere.
Era il caso di ribattere con un racconto altrettanto assurdo, altrimenti Eria avrebbe perso di certo.
« La prima volta che sono andata a cavallo con Caspian ed il mio precettore sono caduta », cominciò, puntellando i gomiti sul telo che avevano steso a terra.
« Tutto qui? Mi aspettavo di meglio », la incalzò il ragazzo.
« Quanto sei impaziente! » borbottò in tutta risposta Eria, punzecchiandogli il petto con un dito.
Edmund se ne stava spaparanzato sul quadrato di stoffa colorata, un braccio piegato dietro la testa per tenerla appena sollevata.
« Sono caduta. Il fatto è che loro due se ne sono andati avanti senza accorgersi che li stava seguendo solo il cavallo. C’era l’erba alta. »
Edmund la guardò, le sopracciglia inarcate.
« Non potevi mica urlare per fermarli? »
Stava cercando di mostrarsi impassibile, ma l’ombra di una risata faceva già capolino sul suo viso.
« E ridi un po’! » sbottò la ragazza, che da qualche turno a quella parte si era dovuta sorbire solo e soltanto l’espressione pressoché indifferente di Edmund.
« Mi dispiace, non so ridere per forza. »
Eria lo guardò malissimo prima di lanciarsi di peso su di lui. Non sapeva di preciso cosa l’avesse spinta ad agire in quel modo, forse il desiderio di provare a schiacciarlo come faceva con Caspian quando erano più piccoli e il fratello particolarmente fastidioso.
Dopo aver annaspato per un attimo sotto il peso della ragazza, Edmund poggiò le mani sulle sue spalle per tenerla abbastanza lontana da vederla.
« Questo è un comportamento disdicevole per una principessa! »
« Oh, stai zitto! »
« Queste sono delle parole disdicevoli da rivolgere ad un re! », insisté il ragazzo.
« Edmund! »
Solo a quel punto lui scoppiò a ridere.
Eria non lo aveva mai sentito ridere così di gusto e fu piacevole rendersi conto che in parte era lei la fonte di tutta quell’ilarità.
Punzecchiarla doveva essere particolarmente divertente per chiunque, ma per Edmund nello specifico, dato che quel giorno stava mostrando una soddisfazione non da poco ogni volta che trovava un pretesto per farlo.
A quel punto successe una cosa strana, una cosa davvero strana per entrambi, terribilmente spontanea e a cui nessuno dei due aveva avuto il coraggio di pensare prima di quel momento.
Eria si chinò lentamente su Edmund. Era come se il loro sguardo si fosse incatenato con così tanta forza da costringerli ad avvicinarsi: non ci sarebbe stato altro di più adatto da fare.
Se si fosse trattato di qualcun altro Eria non si sarebbe lasciata andare e anzi, sarebbe saltata indietro a piè pari.
Quando mancava davvero poco perché si sfiorassero, Eria socchiuse gli occhi e aspettò di sentire il tocco delle labbra di Edmund. Qualcosa le aveva impedito di annullare quella minima distanza e aveva sperato che fosse il ragazzo a mostrare quel coraggio in più che a lei mancava.
Il tempo pareva essersi fermato da diversi attimi, ma Eria non impiegò molto a realizzare che era passato troppo da quando si era fermata a quando socchiuse gli occhi, accorgendosi che l’espressione del ragazzo era cambiata.
« Forse… è meglio se cominciamo a rientrare. »
Edmund era di nuovo lontano. Si trovavano a pochi centimetri l’uno dall’altro, ma ad Eria pareva di essere molto più lontana da lui.
Era come se improvvisamente il ragazzo si fosse chiuso di nuovo in se stesso come quando l’aveva conosciuto. Aveva la sensazione che tra di loro si stagliasse un’altissima muraglia.
La ragazza schizzò a sedere, come se quelle parole l’avessero scottata. Subito decise di impegnarsi mettendo via ciò che avevano disposto sulla tovaglia.
Mancavano ancora diverse ore perché cominciasse a fare buio, ma non era il caso di attardarsi abbastanza da non riuscire più a vedere dove si stavano dirigendo.
Edmund seguì il suo esempio e cominciò a prepararsi per partire.
Calò il silenzio, almeno fino a quando non fu ora di cominciare a dirigersi verso il grifone.
« Lascia, porto io il cesto », disse, già indirizzando la mano verso il manico di vimini per poterlo afferrare.
Eria scostò il braccio affinché Edmund non riuscisse a prenderlo, tenendolo ben stretto contro il proprio fianco.
« So portare un cesto, Edmund. Non ti preoccupare. »
Il ragazzo non insistette ed Eria decise di non farsi aiutare nemmeno quando fu ora di salire sul grifone, l’unico elemento allegro della combriccola.
Fu un viaggio monotono, silenzioso. Se Eria avesse potuto avrebbe evitato addirittura di stringersi a Edmund.
Non si era mai trovata in una situazione come quella che tanto l’aveva delusa e si sentiva quasi sciocca ad essersela presa perché Edmund si era tirato indietro in quel modo. Magari lo avrebbe fatto anche lei, se le fosse toccato prendere l’iniziativa fatale. Anzi, era quello che aveva fatto: aveva lasciato a lui l’ultima mossa solo perché lei non aveva avuto abbastanza coraggio.
Si sentiva così sciocca che per un attimo gli occhi le si fecero lucidi e nascose ancor di più il volto contro la schiena del ragazzo, prima di rendersi conto di ciò che aveva fatto e tornare ad allontanare il viso.
Se non altro quel viaggio le portò consiglio: decise che, se ne avesse avuto occasione, la sera stessa avrebbe cercato di parlare con Edmund di ciò che era quasi successo quel pomeriggio. Si rifiutava categoricamente di vivere nell’imbarazzo troppo a lungo e ancor meno voleva che il loro rapporto venisse rovinato da una sciocchezza come quella.
Quando finalmente arrivarono nello spiazzo erboso di fronte alla Casa di Aslan, una voce cominciò a farsi strada nella tranquillità della radura.
« Si può sapere cosa diavolo ti è saltato in testa?! » strillò Peter mentre procedeva verso di loro con ampie falcate.
Era scattato fuori dalla grotta non appena si erano avvicinati abbastanza da essere sentiti; quello che Eria non sapeva, oltre al motivo della sua arrabbiatura, era che Peter era rimasto in attesa del loro ritorno quasi tutta la giornata, sia concentrato sulle questioni riguardanti la battaglia che con un orecchio teso ad ascoltare ogni movimento esterno.
La ragazza guardò Edmund che già era sceso dalla groppa della creatura, nella vana speranza di trovare una giustificazione.
Edmund era sorpreso quasi quanto lei.
« Di che stai parlando? » chiese lui al fratello.
« Allontanarsi così, con questa situazione! »
Edmund cambiò subito espressione, diventando di gran lunga più serio.
« Avevo avvisato Lucy, Peter. Non serve che ti agiti tanto. »
Ebbe appena il tempo di finire che Peter parlò di nuovo. Eria non l’aveva mai visto così arrabbiato e forse nemmeno Edmund, anche se c’era andato vicino molte volte.
« Da chi pensi che abbia saputo dov’eri? Devi sempre fare di testa tua, devi sempre fare cose stupide. »
Edmund percepì una chiara allusione in quelle parole, forse anche senza motivo. Si sarebbe dovuto aspettare una reazione del genere ed in parte si pentiva per non averla prevista; dopotutto era avendo immaginato un simile risvolto che aveva detto solo a Lucy della propria intenzione di uscire per la giornata. La sorellina, pur se con una certa preoccupazione, aveva accettato di essere lei ad avvisare gli altri se ce ne fosse stato – ovviamente – il bisogno.
Edmund sperava soltanto che la più piccola non si fosse dovuta sorbire una scenata da parte di Peter, anche se era quasi del tutto certo che Susan avrebbe scongiurato quel pericolo.
Ad ogni modo quella provocazione fece scaldare Edmund più del dovuto.
Il ragazzo si avvicinò al fratello, un’espressione decisamente irata in volto.
« Non ho fatto nulla di stupido, Peter! Ci hanno presi? No. Qualche soldato ha scoperto dove ci troviamo? No! Non sono un bambino, so quel che faccio. »
« Davvero? A me non sembra. »
Eria vide comparire sull’ingresso della grotta suo fratello e le due giovani Pevensie, ma per quanto si stessero affrettando tutti per arrivare quanto prima possibile non avrebbero certamente fatto in tempo ad impedire che Peter dicesse qualcosa capace di portare Edmund a sbottare.
Eria decise di mettersi in mezzo ai due, incurante di trovarsi esattamente tra due fuochi. Sfiorò il braccio di Edmund per chiedergli silenziosamente di trattenersi, pur non essendo convinta che proprio la sua presenza potesse aiutarlo dopo ciò che era successo.
« State calmi. Non possiamo cominciare a metterci uno contro l’altro. »
« Eria, stanne fuori. È una questione di famiglia », asserì Peter, con un tono di voce ed uno sguardo che non le piacquero affatto.
Non li aveva mai sperimentati, ma la ragazza ebbe la sensazione che quelli fossero gli occhi di un genitore che incolpa qualcuno di aver messo strani grilli per la testa del figlio.
« È una questione di famiglia aggredirlo in questo modo? Davanti a me che non c’entro nulla? Davvero perfetto. »
Eria non riuscì proprio a trattenersi e per la prima volta, da quando si trovava al campo, diede prova di quanto diretta sapesse essere.
Prendere la parola però non fu abbastanza per trattenere Edmund, che tornò ad inserirsi nel discorso dopo che Peter le ebbe scoccato un’occhiata di fuoco.
Sembrava quasi che arrivati a quel punto l’unico modo per risolvere davvero qualcosa fosse lasciare che i due si sfogassero. Ciò che preoccupava Eria era il modo con cui l’avrebbero fatto.
« È da quando siamo arrivati che fai il gradasso, Peter. Essere Re di Narnia non ti rende migliore di chi hai intorno, sai? »
Sarebbero rotolati a terra in un polverone di pugni e calci se solo Caspian non fosse riuscito ad afferrare Peter sotto le braccia e Susan non avesse raggiunto Eria per aiutarla a trattenere Edmund, dall’altra parte.
« Smettetela! »
Lucy aveva la voce disperata, come se si trovasse sul punto di piangere. Un rapido sguardo ed Eria si rese conto che avrebbe potuto farlo da un momento all’altro.
« Smetterò quando Edmund non farà più il bambino! »
Edmund dovette davvero mordersi la lingua per non ribattere con un commento velenoso. Odiava quando sentiva la voglia incredibile di sfogarsi e dire a Peter tutto ciò che pensava, perché sapeva che sarebbe potuto diventare davvero cattivo.
« Peter! »
Susan gli scoccò un’occhiataccia così terribile che per un attimo Peter si scordò di tutte le frasi poco carine che avrebbe continuato a rivolgere ad Edmund.
Dopo l’episodio dell’armadio non avevano avuto troppi problemi degni di nota: era inevitabile che tra fratelli ci fosse qualche litigio, ma mai erano arrivati a rivolgersi l’uno all’altro in quel modo.
Lucy doveva essersi ricordata di quando, un anno prima, Edmund aveva gridato a Peter che non era suo padre. Le parole del fratello appena più grande le erano rimaste così impresse nella mente che appena osava pensarci gli occhi le bruciavano.
Edmund smise di divincolarsi per un attimo e dopo uno strattone ben assestato si liberò. Prese di sorpresa, le due ragazze non poterono far altro che lasciarlo andare, ma fortunatamente Edmund si stava dirigendo verso l’ingresso della grotta e non aveva nemmeno cercato di sfiorare Peter che, a sua volta, venne lasciato da Caspian.
Dopo aver chiamato Edmund senza successo, Susan si voltò verso Peter, lasciando a Lucy il compito di inseguire l’altro fratello per cercare di calmarlo, anche se probabilmente Edmund sarebbe rimasto chiuso in sé stesso per diverso tempo prima di accettare di parlare con qualcuno dell’accaduto.
Susan era la seconda in termini di vecchiaia, ma la sua maturità talvolta superava quella di Peter, che proprio non riusciva ad essere comprensivo.
« Edmund fa il bambino? » sbottò alla fine la ragazza, ricordandosi solo dopo aver parlato che anche Caspian ed Eria erano lì.
Credeva che avessero dato fin troppo spettacolo, ma non dovette dire nulla perché i due fratelli si congedassero autonomamente.



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Ehilà! Un po' in ritardo questa volta, ma infine sono arrivata a postare anche questo capitolo. Diabetico, oserei aggiungere.
Confesso che se ci ho messo tanto è stato anche per un centinaio di dubbi che mi sono venuti in fase di correzione. "Ma forse è troppo fluff", "Ma forse non dovrei scrivere una cosa del genere al sesto capitolo". Sì, si vede che non sono poi così pratica di storie con il nuovo personaggio.
Mi sembra sempre di andare troppo di fretta e di non aver contestualizzato bene.
Comunque, da qui in poi ci saranno delle svolte per la storia. Spero di sentire i vostri pareri in merito al capitolo.
Alla prossima <3

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Capitolo 7
*** Capitolo settimo ***


Capitolo settimo
 
 



Fu una pessima serata.
Edmund restò per tutto il tempo seduto in un angolo della grotta, rifiutandosi di toccare cibo. Lucy era stata raggomitolata al suo fianco e per solidarietà aveva digiunato insieme a lui mentre Susan e Peter mangiavano da tutt’altra parte, in un anfratto della grotta capace di tenerli nascosti da occhi indiscreti.
A Edmund sarebbe importato gran poco saperlo, ma Susan stava continuando a rimbeccare Peter per come si era comportato, cercando di convincerlo quanto più in fretta possibile che dovesse chiedere scusa al fratello.
L’esperienza passata di Edmund l’aveva portato a credere che la sorella maggiore tendesse a voler parteggiare per Peter, forse per convenienza. In realtà non lo pensava davvero, ma al momento era così nervoso che l’unica persona che non gli sarebbe risultata molesta e di cui non avrebbe pensato male era proprio Lucy.
« Sei sicuro di non voler mangiare qualcosa, Edmund? » squittì la ragazzina, alzando gli occhi sul fratello. « Domani non starai in piedi. »
« Tu mangia se vuoi, io non ho proprio fame. »
Lucy aveva cercato di far parlare Edmund dell’accaduto non appena erano entrati nella grotta, con il fratello che portava con sé un’aura d’odio tanto impetuosa da far fermare il lavoro di chiunque per controllare cosa stesse succedendo. Come avevano previsto sia lei che Susan, però – troppo bene conoscevano i fratelli! – ogni sforzo si era rivelato vano.
Insistere avrebbe voluto dire sprecare fiato, perché Edmund si sarebbe con ogni probabilità innervosito, a differenza di Lucy che invece era molto più brava a mantenere la calma. Ma come non le mancava la dote di saper aspettare, non le mancavano nemmeno la risolutezza e la testardaggine: aveva deciso che Edmund avrebbe parlato dell’accaduto e così lui avrebbe fatto. Lucy era fermamente convinta che fosse la cosa migliore per tutti.
« Dobbiamo parlare di quello che è successo. »
« No, non serve. »
« Invece sì, se non vuoi che il nostro soggiorno a Narnia diventi un supplizio. »
Lucy aveva quella capacità di parlare candidamente, ma con una decisione tale da rendere impossibile agli altri non ascoltarla. C’era un motivo se Aslan l’aveva resa regina, dopotutto.
« Di cosa dobbiamo parlare, Lu? Del fatto che Peter alcune volte mi sta davvero antipatico? Perché se vuoi posso ripetertelo all’infinito. Volevo solamente fare qualcosa di carino per Eria, ho avvisato te e sono stato prudente. Possibile che non possa fidarsi? Ho regnato accanto a lui per anni, dovrebbe sapere che non sono più uno sprovveduto! »
Senza rendersene conto Edmund aveva dato voce a gran parte dei propri pensieri. Non se ne pentì, perché questo lo fece sentire più leggero, ma si sarebbe guardato bene dall’ammetterlo.
« Non credo che Peter faccia così perché non si fida di te, penso piuttosto che voglia avere sempre la situazione sotto controllo. Un po’ come la mamma.. »
« Già, peccato che la mamma ci perda sempre di vista e quando questo succede finiamo in un altro mondo a combattere qualche guerra », ribatté Edmund in tono sarcastico, prima di roteare gli occhi. « E Peter non può avere sempre tutto in pugno. »
Edmund aveva quell’incredibile capacità di diventare tremendamente scostante quando si arrabbiava, cosa che lo rendeva una persona difficilmente consolabile. Tutto un altro discorso era invece quando era triste: allora diventava docile e mansueto come un agnellino.
Il compito di Lucy sarebbe quindi stato arduo, essendo ancora ben lontana dal farlo calmare.
A quel punto un dubbio balenò nella mente della ragazza, che aggrottò le sopracciglia.
« Sei certo che il problema sia solo Peter? » indagò, con tono insolitamente sapiente.
Edmund alzò entrambe le sopracciglia in un moto di sorpresa; se solo non fosse stato arrabbiato avrebbe potuto ridere in faccia a Lucy per l’assurdità che gli aveva appena chiesto. Che in realtà non era un assurdità, ma una domanda più che legittima.
Scoprendosi tanto sulla difensiva Edmund cominciò a pensare che fosse in lui quel qualcosa che non andava e non negli altri.
« E chi altri dovrebbe essere? »
L’intuizione femminile di Lucy era ottima, perché aveva avuto una bravissima insegnante: aveva visto quella tecnica di Susan usata così tante volte che le era stato impossibile non acquisirla. Almeno di questo la sorella maggiore sarebbe stata felice, dato che più volte durante il loro soggiorno a Narnia si era lamentata dicendo che Lucy non era stata signorile come invece avrebbe dovuto.
« Non lo so, magari un’altra persona… » buttò lì un’idea la più piccola. « Ed, davvero. Non ti vedevo prendertela così tanto con Peter da un sacco di tempo. Con altre persone l’hai fatto, magari, ma era sempre per spalleggiare lui. So che oggi ha esagerato, ma non è da te perdere le staffe così. E non ti arrabbiare di più, voglio solamente aiutarti. »
Edmund osservò lo scoppiettare del fuoco per un attimo, poi prese un respiro così profondo che per un attimo Lucy pensò che sarebbe stato in grado di spegnere lo stesso focolare a qualche metro di distanza.
Edmund sapeva perfettamente cosa lo affliggeva oltre al litigio avuto con Peter, anche se di certo quella era la ragione per cui era più arrabbiato. Con qualcuno che non fosse lui stesso, almeno, perché differentemente dal solito Edmund aveva davvero molte cose da rimproverarsi per quel pomeriggio.
Ora che la vedeva da quel punto di vista, cominciò a credere che forse quella situazione avrebbe anche potuto non crearsi, che con Peter si sarebbe potuto far pace subito e… no, decisamente no: era Peter che aveva sbagliato, non poteva mica essere sempre lui ad avere torto. Peccato che la colpa ricadesse sempre, inevitabilmente solo su di lui.
Edmund si sentì terribilmente sciocco a costruire tutti quei pensieri, perché gli ricordarono la prima visita a Narnia e come si era comportato con tutti, mosso talvolta dalle stesse idee che gli stavano saettando nella testa in quel momento.
In realtà il problema era molto più piccolo di quanto non lo vedesse lui con i propri occhi.
« È stata una giornata strana », asserì.
Lucy stava procedendo a fatica, spillandogli di bocca una parola per volta, ma sentiva che finalmente qualcosa nel fratello si stava muovendo.
« Ma come? Pensavo che fosse divertente quello che dovevate fare oggi tu ed Eria. »
A quel nome Edmund sentì un brivido. Una sensazione alla pari del torcimento di budella che aveva provato tutte le volte che Lucy aveva detto “Peter” e a lui era venuta un’incredibile voglia di gettarsi contro la parete di pietra e di picchiarla per sfogarsi.
« Già. E lo è stato fino ad un certo punto, ma poi… Lucy, non è di questo che stavamo parlando prima. »
« Ma i discorsi vanno avanti e se siamo arrivati qui un motivo ci sarà. Continua. »
« L’ho portata a vedere Cair Paravel e poi ci siamo messi a mangiare, poco lontano. Non è stato nulla di che. Dobbiamo proprio parlare di Eria? »
« Sei tu che stai parlando di Eria. »
Lucy era convinta che si stessero addentrando in un territorio non di sua competenza. Si sarebbe volentieri alzata per andare a chiamare Susan che, ne era certa, se fosse stata lì avrebbe subito capito, ma farlo avrebbe determinato uno sciopero del silenzio da parte di Edmund e questo Lucy proprio non poteva permetterlo.
« Hai litigato anche con lei? » lo incalzò.
« Non ho litigato con lei. È che da un certo momento in poi non le ho più parlato perché… » Edmund fece una piccola pausa, poi ripensò al momento a cui si riferiva. « … Sono uno stupido », aggiunse, più parlando con se stesso che per finire di motivare la propria frase.
Lucy rimase in silenzio, cominciando a sentire che aver distratto Edmund dalla questione Peter stava portando dei benefici.
Certo, stando a ciò che Edmund diceva doveva averlo fatto arrivare ad un secondo problema, ma era meglio che si accusasse di essere sciocco piuttosto che vederlo mentre macchinava un piano diabolico contro il fratello maggiore.
Lucy stava per insistere ancora perché proprio odiava lasciare le questioni in sospeso quando sentì dei passi accanto a sé e, alzando lo sguardo, vide Peter e Susan.
Edmund li guardò a propria volta e per poco non si alzò per andarsene. Una parte di lui però avrebbe anche voluto che tutto si risolvesse perché, fino a prova contraria, si sentiva un emerito sciocco per aver reagito come aveva fatto a delle semplici frasi di Peter. Frasi che però, se ricordate, ancora lo facevano imbestialire.
Il più grande dei Pevensie si sedette accanto a Edmund, Susan invece si sistemò accanto a Lucy, la quale avrebbe volentieri chiesto alla sorella com’era andata la sua missione di pacificazione con Peter, ma decise di rimandare a quando i fratelli non l’avrebbero potuta sentire.
Peter era lì per chiedere scusa e, per quanto la lunga invettiva di Susan lo avesse fatto accorgere che aveva esagerato, si riteneva ancora un po’ nel giusto. Un po’ meno di quanto lo fosse Edmund.
« Ascolta Ed, mi dispiace per prima. Ero arrabbiato. »
« Me n’ero accorto, sì. »
Edmund si morse il labbro subito dopo per prevenire ulteriori commenti simili.
« Il fatto è che è una brutta situazione. Preferirei che stessi nei dintorni. »
« Sai che non ho più dieci anni, vero? »
Peter lo guardò senza capire se le proprie parole fossero servite a qualcosa.
« D’accordo, basta questo », sospirò Edmund. « Ho sbagliato anche io. »
Un sorriso si aprì sul volto di tutti i Pevensie, meno Edmund che decise di farsi desiderare ancora un poco. Peter lo prese sotto braccio, stringendolo contro il proprio fianco.
« Ed che ammette le proprie colpe è una cosa più unica che rara.  »

 

Il giorno successivo il tempo scorse in modo inesorabilmente e paradossalmente veloce.
Eria rimase sempre accanto a Caspian, i Pevensie invece ebbero da fare tra di loro, così addio il buon proposito della ragazza di parlare con Edmund per chiarire quanto accaduto il giorno prima.
Aveva cominciato ad avere il dubbio che anche Peter fosse arrabbiato con lei per come gli si era rivolta, che un po’ tutti i Pevensie ce l’avessero con lei, per la verità.
Scongiurò quella preoccupazione parlando proprio con Peter, nel tardo pomeriggio. Per la verità era stato lui il primo a rivolgerle la parola, per motivazioni così rilevanti da costringerlo a trascendere qualsiasi problema, nel caso in cui effettivamente ci fosse.
Tuttavia le parlò in modo tanto pacato da convincerla di non doversi preoccupare.
« Eria, stasera dobbiamo discutere di faccende importanti. Potresti venire nella sala della tavola di pietra con Caspian? »
« Certo, lo avviserò appena lo vedo. »
Peter le rivolse un piccolo sorriso, ma prima che se ne andasse Eria gli parlò nuovamente.
« Peter, scusami per ieri sera. Non avrei dovuto parlarti come invece ho fatto. »
Peter era stato davvero infastidito da ciò che Eria gli aveva detto perché l’aveva punto nel vivo con la sua. Si era convinto che la ragazza non avesse torto, però, solo grazie alle parole di Susan, le stesse che l’avevano rabbonito subito dopo il litigio con Edmund, convincendolo ad andarsi a scusare con il fratello.
« Me lo dici perché ti dispiace sul serio o perché ti senti in colpa per aver mancato di rispetto ad un re? »
Eria aggrottò le sopracciglia, stupita da quella domanda a tal punto che dovette riflettere qualche attimo prima di rispondere.
« Perché mi dispiace sul serio e perché mi sono intromessa. L’avrei detto a te come ad un altro. »
Peter parve soddisfatto da quella risposta.
« Ci vediamo questa sera Eria, non fate tardi. »

La sala dove si trovava la tavola di pietra spezzata era ben illuminata. Ogni torcia lungo il perimetro dell’ambiente era accesa e ne era stata aggiunta qualcuna al centro, sostenuta da dei supporti improvvisati e fantasiosi.
« Scusate se vi abbiamo fatto aspettare », disse Eria, rimanendo sull’uscio immaginario della sala.
Quando si ricordò che nessuno le avrebbe dato il permesso di entrare perché non ve ne era alcun bisogno, avanzò affiancata da Caspian e raggiunse a propria volta la tavola.
Rivolse un sorriso a tutti i presenti e, quando fu il turno di guardare Edmund, gli riservò uno sguardo indeciso, che sfociò comunque in un sorriso timido. Non c’era tempo per farsi il sangue amaro con le loro questioni. Sempre che fossero loro e non semplicemente sue: Edmund magari nemmeno si stava facendo problemi e forse non c’era nemmeno da dargli torto.
« Stavo pensando che forse sarebbe il momento di prendere un altro forte. Purtroppo le provviste scarseggiano e non sappiamo quando sarà necessario chiedere a tutti quelli che si trovano qui le forze necessarie per combattere. Non possiamo rischiare di essere troppo deboli, quando sarà il momento. »
Peter illustrò chiaramente la situazione ed Eria non poté che dirsi d’accordo. Avrebbe preferito che non si arrivasse ad una soluzione del genere, ma in tempo di guerra una minima dose di violenza per sopravvivere sarebbe stata necessaria.
« Il fatto che Miraz non abbia ancora attaccato forse vuol dire che sta cercando di prenderci per fame. Come pensiamo io e Susan », parlò Caspian, gettando poi uno sguardo alla ragazza che aveva nominato. « Sarebbe meglio non arrivare a tanto, ma è inevitabile. Le vedette ci hanno riferito che il ponte di Beruna è stato quasi completato e si vocifera che l’esercito sia pronto a partire. In una giornata sarebbe lì, perciò è il caso di tenerci pronti. »
« Porteremo quanta più gente possibile, altri invece rimarranno qui », continuò a spiegare Peter. « Verresti con noi, Eria? Un paio di braccia in più faranno comodo. »
Eria avrebbe fatto di tutto pur di potersi rendere utile e quella proposta la rese più contenta di quanto avrebbe dovuto. Così tanto che parve scordarsi di cosa Peter le stava chiedendo di fare, proprio a lei che non aveva mai visto un campo di battaglia prima.
Eria si voltò verso Caspian, che sfoggiava un cipiglio palesemente preoccupato. L’idea di Peter non l’aveva affatto sorpreso, anche se per l’incolumità della sorella doveva aver sperato che quell’opzione non venisse presa in considerazione.
« Lo farò, se credi che potrei essere d’aiuto. »
Eria pensava che la riunione fosse già finita, perché effettivamente sarebbe dovuto essere così, quando una voce che ancora non si era fatta sentire intervenne.
Edmund era appoggiato con le spalle contro una roccia, poco distante dal gruppo.
« Peter, mi sono occupato io di allenare Eria negli ultimi giorni. » Il ragazzo fece guizzare di tanto in tanto gli occhi sulla ragazza, il cui sorriso si stava spegnendo rapidamente. « Se tu chiedessi a qualcuno come Ripicì di combattere con noi, ti direbbe di sì anche in pessime condizioni di salute. Eria vuole aiutarci e verrebbe con noi ad ogni costo, ma io mi sono occupato di allenarla e non credo che sia pronta. »
La ragazza sentì ogni parola morirle in gola e serrò le labbra.
Tutti si guardarono, ma fortunatamente non come se stessero biasimando la ragazza: stavano più che altro ringraziando silenziosamente Edmund per aver esposto un’eventualità a cui non avevano pensato.
Lucy fu la sola a guardarla, come se avesse intuito qualcosa.
L’unico che avrebbe potuto difendere la posizione di Eria era Caspian, che sapeva bene quanto lei sarebbe stata potenzialmente utile. Inoltre, ma questo Eria non lo sapeva ed era un bene, il principe aveva sentito proprio da Edmund le stesse parole di incoraggiamento che aveva rivolto a lei. Le aveva detto che avrebbe potuto combattere anche subito, se fosse servito.
« Se è così… », iniziò Peter.
« Scusami, Peter. » Eria lo interruppe bruscamente, fissando Edmund. Il ragazzo avrebbe dovuto ringraziare la tavola di pietra e i metri che li separavano. « Edmund, tu mi hai detto che avrei potuto aiutarvi in battaglia. »
« Era per spronarti. »
Alle volte Eria conosceva dei momenti in cui sapeva far valere la propria opinione abbastanza da dare filo da torcere a chiunque. In quel momento si scoprì capace di essere solo molto arrendevole: da un lato sentiva che le cose sarebbero solo potute peggiorare, dall’altro una parte di lei era così allibita che non aveva idea di cosa avrebbe potuto dire per difendersi e ottenere ciò che voleva.
Se solo il momento fosse stato diverso sarebbe riuscita a comprendere cosa aveva davvero mosso Edmund e si sarebbe accorta anche dello sguardo che Caspian gli aveva indirizzato. Un ringraziamento silenzioso.
Quando i ragazzi ebbero finito di accordarsi su cosa dire ai narniani nella grotta principale cominciarono ad uscire.
Edmund era l’ultimo della fila, ma non per questo quello con meno fretta: aveva evitato lo sguardo di Eria per gli ultimi minuti trascorsi nella sala e avrebbe dato di tutto pur di non rischiare di parlarle.
« Ti senti realizzato, per caso? » gli domandò la ragazza, in piedi al centro della sala. Usava un tono pacato, ma solo per non attirare l’attenzione degli altri che altrimenti sarebbero subito tornati indietro.
Appena la sera prima tutti erano stati scossi dal furibondo litigio tra Peter e Edmund: non era il caso di ripetere l’esperienza.
Edmund si fermò, voltandosi verso la ragazza. Sperare ardentemente che non lo fermasse non aveva funzionato.
« Realizzato per cosa? »
« Per quello che hai fatto. Volevo venire ad aiutarvi, non credo sia una grande pretesa. Avresti solo dovuto stare zitto invece di parlare per dire una bugia. »
« Chi ti dice che io abbia detto una bugia? »
Gli occhi del ragazzo erano così glaciali che Eria si ricordò del perché la prima volta che avevano avuto davvero a che fare, per altro durante il loro primo allenamento, si fosse sentita tanto indisposta da Edmund.
« So che lo hai fatto, non mi serve né una prova né che qualcuno me lo venga a dire. »
« Presuntuoso, da parte tua. Come è presuntuoso che tu pretenda di avere ragione. In base a cosa, poi? Mi sfugge ancora. »
« In base a quello che tu mi hai detto. “Eria sei così brava che potresti venire in battaglia con noi!” Forse tu lo hai detto senza pensarci, ma io ci ho dato un peso. » Il volume della voce si alzò di poco, ma bastò a riecheggiare tra le pareti dell’antro roccioso.
« Non alzare la voce, tanto non serve », le fece presente Edmund con una tranquillità disarmante.
« Posso anche urlare, se mi va! Non cambiare argomento! »
« Stavo solo cercando di evitare di spiegarti qualcosa che tanto non capiresti. Pensi che sia divertente venire a combattere? Io non direi. »
« Io non capirei? Sei tu che non capisci, Edmund! Voglio solo aiutare, voglio venire a darvi una mano e non rimanere qui a non fare assolutamente nulla mentre voi siete chissà dove, in chissà quale situazione. Non ho la presunzione di poter fare la differenza, ma… »
Edmund le rivolse uno sguardo che le parve stanco. Per un momento Eria pensò che forse sarebbe stato meglio – e l’avrebbe fatta sentire meglio – dire a Edmund che non serviva preoccuparsi e di lasciarsi tutto alle spalle.
« Non serve che insisti Eria, non ne parliamo più. »
Edmund si voltò. Quando il contatto visivo si interruppe, l’effetto degli occhi del giovane re svanì ed Eria tornò all’attacco.
« Intendi non parlare di qualsiasi cosa possa causare difficoltà? Tipo quello che è successo ieri? »
Il ragazzo si morse il labbro, ma Eria non lo vide e per lei fu come se non avesse fatto una piega, perché quando si voltò la sua maschera era impassibile come quella che le aveva mostrato appena avevano iniziato a parlare.
« Ieri... Non è successo nulla. Per fortuna, o credo che sarebbe stato uno sbaglio. »
Pugnalata dopo l’altra, Eria aveva finalmente deciso che parlare ancora sarebbe stato inutile. Decise di superarlo per raggiungere il proprio giaciglio, coricarsi e magari non svegliarsi quando il giorno seguente sarebbe rimasta sola con pochi altri nella casa di Aslan.
« Già, uno sbaglio », asserì mentre lo raggiungeva, già pronta a superarlo. « Sai, sei proprio codardo. E io sono proprio una sciocca. »
Edmund rimase immobile. La vide fino alla fine del corridoio di pietra, poi scomparve dalla sua vista.



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Sono una persona davvero orrenda: sono tornata ad aggiornare dopo più di un mese e per altro con un capitolo che fa abbastanza da transizione.
Spero possiate perdonarmi, ma è stato un periodo davvero intenso e la mia ispirazione è così capricciosa che non trovavo nemmeno la concentrazione per mettermi a correggere e rivedere i capitoli!
Conto di tornare ad essere più presente già dal nuovo aggiornamento.
Spero di sentire i vostri pareri, alla prossima.

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Capitolo 8
*** Capitolo ottavo ***


Capitolo ottavo
 



Edmund proprio non capiva come potessero esistere persone votate alla battaglia.
Lui per primo era uno degli impavidi re di Narnia, pronto a tutto pur di difendere il regno ed i suoi abitanti, ma se c’era una cosa che odiava era allontanarsi da un luogo sicuro per andare incontro all’imprevedibilità di un conflitto.
Solo il fato conosceva i propri programmi e, Edmund lo sapeva, quella fastidiosa sensazione di tensione non gli si sarebbe scrostata di dosso fino a quando non avrebbe fatto ritorno insieme a tutti i suoi alla Casa di Aslan.
Aveva già indossato la cotta di maglia che i nani avevano confezionato per lui appena il giorno prima, scoprendola impeccabile; come tutti i lavori dei nani, in fin dei conti.
Dopo aver ripassato per l’ennesima volta il piano con Peter e riflettuto ancora sulle variabili che potevano essere loro sfuggite Edmund rimase in silenzio accanto all’ingresso, una mano sull’elsa della spada e un braccio che ricadeva morbidamente lungo il fianco.
Lo sguardo scorse sui presenti e si fermò per un attimo su Eria, che a qualche metro di distanza da lui parlava con Caspian.
Edmund era in ansia per la spedizione imminente e l’idea di non poter salutare pacificamente la principessa non alleggeriva affatto il peso sulle sue spalle.
Non poteva andare peggio di così, ne era convinto.
Il suo pessimismo gli fece pensare che non salutare Eria l’avrebbe presto portato ad avere un motivo di biasimo per essersi accomiatato da tutti meno che da lei.
Non riusciva a giustificare la propria scelta di starle lontano ripetendosi quanto Eria fosse una testarda che non voleva sentire ragioni: Edmund sapeva perfettamente di essere stato criptico la sera della riunione alla tavola di Aslan; nessuno, nemmeno un indovino avrebbe capito che si era comportato in quel modo solamente perché mosso dalla volontà di tenerla al sicuro.
Edmund decise di non fissare la giovane troppo a lungo, pur essendo convinto che lei lo avesse notato e lo stesse volutamente ignorando.
Non aveva torto: essere un buon osservatore era tanto un pregio quanto una condanna; Eria aveva notato gli occhi del ragazzo puntati su di sé avendo gettato un rapido sguardo oltre la spalla di Caspian, ma si era rifiutata di reagire in qualsiasi modo.
« Promettimi che starai attento », disse la giovane al fratello dopo essere tornata a concentrarsi su di lui.
« Quando mai non lo sono? », rispose Caspian, fingendo un tono spavaldo per tranquillizzare la sorella.
« Caspian, sono seria », sospirò, guardandolo dritto negli occhi.
« Starò attento, Eria. Non devi preoccuparti: ho già fatto qualcosa del genere. »
La ragazza si rassegnò, annuendo seppur debolmente, come se non volesse lasciarsi convincere troppo.
Mentre lei e Cornelius raggiungevano il campo della resistenza narniana, Caspian aveva dovuto affrontare diverse prove. Averne sentito parlare solo quando ormai quelle imprese si erano concluse, però, aveva fatto percepire ad Eria quegli avvenimenti come lontani, quasi come se fossero qualcosa di cui non era necessario preoccuparsi.
Adesso però doveva fronteggiare l’imminente partenza del fratello e la consapevolezza di non poter rimanere al suo fianco la stava già logorando.
« Perché devo sempre rimanere ad aspettare? È terribile. »
Caspian tacque, poggiando le mani sulle braccia di Eria.
In quel momento qualsiasi frase detta sarebbe suonata come un tentativo di convincerla che rimanere lì fosse la cosa migliore per lei, la cosa che più le si addiceva. E Caspian sapeva quanto Eria si sarebbe infuriata sentendo delle simili parole. Però sapeva anche di non potersi irritare per le proteste della sorella: se fosse stato lui a dover aspettare con le mani in mano il ritorno di qualcuno, l’agonia dell’attesa sarebbe stata tale da farlo impazzire. Sua sorella ormai stava diventando abile in questo e Caspian non ne era affatto felice.
« Pensa solo che saperti al sicuro mi farà concentrare di più su ciò che devo fare », cercò di rassicurarla, affrettandosi a proseguire. « So che non è piacevole, la parte che devi fare tu come tutti quelli che rimarranno qui è forse più esasperante della nostra, che siamo lontani e sappiamo cosa sta succedendo. »
Eria capì, nonostante Caspian non avesse parlato con troppa precisione, che si riferiva a ciò che era accaduto la sera prima. Anche se la ragazza non aveva prestato eccessiva attenzione al ringraziamento che il fratello aveva rivolto a Edmund quando quest’ultimo aveva convinto Peter a non portare Eria con loro, la giovane si era ugualmente resa conto che la persona che più aveva beneficiato di quell’azione era sicuramente suo fratello.
« Spero che tu capisca. »
« Sì, Caspian. Lo capisco. »
Allo stesso modo avrebbe dovuto capire Edmund allora, a cui invece aveva rivolto tante cattiverie. Ma quello era un discorso diverso; se solo il ragazzo le avesse parlato chiaro quando gli aveva chiesto spiegazioni, forse Eria sarebbe stata in grado di farsene una ragione e di sentirsi addirittura lusingata. Era ciò che era emerso da quel minuscolo pretesto a farla andare su tutte le furie.
Peter diede l’ordine di partire pochi attimi dopo.
« Non pensare troppo finché non torno », si raccomandò Caspian, chinandosi per lasciare un bacio sulla fronte della sorella.
Quando il ragazzo si allontanò Lucy, che aveva appena salutato tutti e tre i fratelli, la raggiunse ed Eria le avvolse affettuosamente un braccio intorno alle spalle.
Prima di restare sola con Caspian, Eria aveva avuto occasione di parlare con Susan. Come la giovane regina aveva chiesto a lei di badare alla sorella minore mentre erano lontani, Eria aveva chiesto a Susan di vigilare, per quanto le era possibile, sul fratello. Il sì di Susan l’aveva resa molto più tranquilla di quanto non avesse fatto la promessa di Caspian di essere prudente.
Occuparsi di Lucy – che invero aveva molta più esperienza di Eria in fatto di attese, cosa che l’avrebbe resa probabilmente più tranquilla di lei – sarebbe stato un ottimo metodo per non pensare ogni secondo a tutta la gente di Narnia e a Caspian. E a Edmund, su cui ora i suoi occhi si erano posati.
Eria aveva salutato persino Peter, ma lei ed Edmund si erano evitati come se avvicinarsi troppo potesse scottarli.
Incrociò lo sguardo del ragazzo e non lo distolse. Sapeva che si sarebbe pentita di non essergli andata a parlare prima che partisse per tutto il tempo che avrebbe trascorso in attesa nella grotta, ma la sua caparbietà in quel momento la stava facendo da padrona.
La compagine di narniani si allontanò sotto lo sguardo vigile dei rimasti, che ben presto tornarono alle proprie mansioni o ne trovarono di nuove pur di tenersi occupati.
Solo lei e Lucy rimasero ad osservare i compagni marciare fino a quando non scomparvero oltre la linea degli alberi.
La mattinata trascorse in modo relativamente tranquillo. Eria e Lucy dovettero occuparsi come al solito dell’incombenza di riempire i barili d’acqua, quasi del tutto svuotati durante la notte per riempire le borracce di coloro che erano partiti.
Chiacchierarono e parve quasi che tra loro vigesse il tacito accordo di non accennare in alcun modo alla partenza di quella mattina. Per un attimo fu quasi come se stessero vivendo uno dei tanti normalissimi giorni tra le fila della resistenza di Narnia.
Il pranzo fu silenzioso e il pomeriggio non fu da meno. Quasi tutti avevano finito di svolgere le proprie incombenze e il caso decise che, nonostante l’indicibile quantità di cose da fare ogni giorno, per quella giornata non fossero rimasti molti altri compiti da svolgere.
Rimuginare fu presto l’unico passatempo disponibile.
Quando il sole era già alto nel cielo tutti i presenti nella grotta sentirono uno scalpiccio furibondo sulla discesa che portava all’ingresso della casa di Aslan: erano i topi che fino a quel momento erano rimasti nascosti alla corte di Miraz.
« Dobbiamo vedere il Re supremo! » sentenziò uno di loro.
Lucy, che era seduta poco distante dall’ingresso, si alzò e andò loro incontro.
« Non c’è. È partito per raggiungere uno dei forti rimasti. »
I topi si scambiarono degli sguardi allarmati, poi quello che aveva parlato tornò a rivolgersi a Lucy.
« Vostra Maestà, siamo tornati tutti perché l’esercito di Miraz è partito. »
I nuovi arrivati vennero rapidamente sommersi di domande, a molte delle quali non sapevano nemmeno dare risposta.
Non era certo che l’esercito avesse preso la strada del forte, ma in ogni caso non c’era nulla che i presenti potessero fare: tutti coloro che potevano combattere erano già partiti, mentre i rimasti avevano ricevuto l’ordine tassativo di non raggiungerli per alcun motivo.
Una corsa disperata verso di loro sarebbe comunque stata inutile: sarebbe stato impossibile raggiungerli in tempo e la fretta avrebbe fatto rischiare ad un qualsiasi messaggero di lasciare tracce che sarebbero potute tornare utili al nemico.
Quando le tenebre cominciarono a calare, nella grotta sembrò quasi di impazzire.

 

Anche per coloro che si erano allontanati dalla Casa di Aslan la mattinata fu infinitamente più semplice del pomeriggio.
Se avevano attaccato di giorno non era stato certo per mancanza di riflessione: a furia di pensare erano giunti alla conclusione che comparire al forte durante le ore più buie non sarebbe stato sorprendente come farlo quando il sole era ancora alto nel cielo. Dopotutto le azioni losche vengono sempre associate al calar della notte e non tanto al giorno.
In realtà le cose non sarebbero nemmeno dovute andare troppo male, seguendo i loro calcoli minuziosi. Era stato proprio il fato che tanto faceva allarmare Edmund a mettersi contro di loro, cogliendoli alla sprovvista.
I narniani erano arrivati al forte quando il sole era già alto: purtroppo per loro tutte le roccaforti di Miraz si trovavano dall’altro lato del fiume Beruna, cosa che li aveva costretti a guadarlo lontano dal punto in cui si trovava il ponte per non rischiare di incontrare gli uomini di Telmar.
Avevano risparmiato le energie per attaccare appena giunti al forte. Combattendo con forza e tenacia nessun narniano era caduto sotto i colpi nemici. A dire la verità la cosa nemmeno sorprese troppo Edmund: colui che amministrava la fortezza, un lord basso e grassoccio, sembrava più bravo a urlare ai suoi uomini di difenderlo piuttosto che a impartire ordini utili in qualsiasi modo. La vittoria era assicurata.
I problemi erano giunti una volta trascorse le ore più calde.
I narniani erano ad un passo dalla vittoria, quando al rumore della battaglia, allo stridere delle spade e alle urla concitate dei soldati si era aggiunto quello di una marcia decisa.
Una vedetta di Narnia era stata mandata subito ad affacciarsi ai merli della fortezza e una compagine di uomini, palesemente di Miraz, era stata avvistata all’orizzonte.
Di certo non si trattava di un esercito, ma il quantitativo di soldati sarebbe comunque stato in grado di dare problemi agli invasori del forte.
Fu proprio così che andò: gli uomini mandati da Miraz a sorvegliare il castello – Caspian ne aveva già saccheggiati altri prima dell’arrivo dei Pevensie. Se quel tiranno di suo zio fece una sola cosa intelligente e giusta fu proprio questa – si riversarono oltre i cancelli e combatterono i Narniani.
Tutti gli uomini risparmiati nel corso della giornata caddero allora e i superstiti furono costretti a battere in ritirata.
Avrebbero dovuto essere più previdenti e andarsene subito, senza sperare di poter riuscire a fronteggiare il nemico in modo tanto spavaldo.
Sapevano che una volta raggiunta la foresta sarebbero stati salvi, perché gli uomini di Telmar com’erano i seguaci di Miraz non avrebbero mai avuto il coraggio di seguirli nel folto degli alberi per paura che si rianimassero inaspettatamente e facessero loro del male.
Fu una corsa folle e disperata, quella dall’uscita del forte fino al bosco; in mezzo si trovava una vasta pianura, ottimo territorio dove gli arcieri avrebbero potuto fare strage.
Gli sconfitti avrebbero potuto fermarsi subito dopo aver raggiunto la coltre di fronde, ma continuarono la propria fuga fino a quando non guadarono il fiume Beruna per la seconda volta nel corso della giornata.
Avevano fatto ritorno alla casa di Aslan a sera fatta, stanchi e feriti, sia dai nemici che dalle seppur non troppo numerose perdite.
Nella grotta si sentirono riecheggiare le indicazioni di Caspian e Peter su come disporre i feriti.
Peter fu il primo ad entrare.
« Lucy, ci serve il tuo cordiale! »
La bambina era già in piedi, pronta a correre incontro alla voce di Peter per controllare che lui e i fratelli stessero bene. Il fatto che avesse sentito la voce del maggiore dei Pevensie era già di per sé una garanzia che almeno lui fosse illeso, ma nella mente di Lucy era ancora vivo il ricordo della battaglia combattuta contro la Strega Bianca in cui Edmund era rimasto ferito e la richiesta del suo cordiale non fu affatto rasserenante.
Eria scattò insieme a Lucy per prestare soccorso ai feriti. Peter entrò di gran carriera nell’antro illuminato solo dal focolare, seguito da Caspian; stavano trasportando insieme Trumpkin, che fu il primo a saggiare la miracolosa medicina di Lucy.
Tutti coloro che versavano in condizioni peggiori rispetto agli altri vennero salvati dal cordiale della più piccola dei Pevensie, mentre gli altri ricevettero le attenzioni mediche man mano che qualcuno era disponibile per fornirgliele.
La grotta si riempì dell’intenso odore delle erbe usate per le cure.
Eria riuscì ad avvicinarsi a Caspian solo dopo aver aiutato Cornelius a medicare la zampa di un fauno zoppicante. Nulla di grave nel momento in cui era arrivato, ma era meglio occuparsene subito per scongiurare la possibilità che lo diventasse con il tempo.
Egoisticamente la giovane non aveva fatto altro che pensare di voler svolgere in fretta quel compito solo per essere libera di raggiungere suo fratello e i suoi amici. Se ci fossero state notizie infauste però sarebbe stata già raggiunta e che nessuno si fosse avvicinato a lei con sguardo cupo l’aveva rasserenata.
In un momento di tregua da fasciature ed erbe officinali, Eria si voltò e vide il fratello. Anche lui la notò e le corse incontro.  
« Caspian, stai bene? » gli chiese dopo avergli gettato le braccia al collo.
Le bastò sentire la stretta in cui il fratello la avvolse per capire la risposta alla sua domanda.
Eria si sentì in colpa a stringere così Caspian, al centro della grotta e davanti a tutti coloro che nello scontro di quel giorno potevano aver perso qualcuno.
« Non sono ferito », disse con voce piatta il ragazzo, fingendo un sorriso che gli riuscì così apatico da far quasi male a chi lo guardava.
Eria gli carezzò il viso, leggendo nei suoi occhi una disperazione tale che le sembrò di fare davvero poco rivolgendogli semplicemente qualche parola di conforto.
« I topi ci hanno detto cosa stava per succedere », sussurrò la ragazza, mordendosi il labbro. « Era troppo tardi per raggiungervi, però. »
« È una fortuna che nessuno abbia deciso di tentare un’impresa simile: sarebbe stato un suicidio. » Caspian la guardò negli occhi, omettendo le ultime parole che gli erano passate per la testa. Era particolarmente grato per il fatto che proprio Eria non avesse sellato un cavallo per raggiungerli e tentare l’impossibile contro il tempo e le forze nemiche che avrebbe potuto trovare lungo la strada.
Eria vide Susan avvicinarsi e le rivolse un piccolo sorriso.
« Qui state bene? » domandò la ragazza, dopo averla abbracciata.
« Non mi preoccuperei di noi », rispose Eria, il tono amareggiato.
Scambiò con Susan e il fratello qualche altra parola, limitando il proprio discorso ad un imbarazzato scambio di battute. Non c’era nulla capace di sembrare davvero adatto da dire per il momento.
A quel punto Eria si rese conto di non aver ancora visto Edmund. Diede per scontato che fosse lì, da qualche parte, perché altrimenti i fratelli Pevensie non sarebbero stati tanto tranquilli.
Per quanto poco conoscesse il carattere di Edmund, la giovane era più che convinta che con l’esperienza appena affrontata il ragazzo non volesse parlare con nessuno; doveva essersi rintanato in qualche anfratto nascosto della grotta con l’intenzione di non farsi trovare né di comparire fino a quando non si sarebbe leccato da solo le ferite.
Quello sciocco che non voleva mai farsi aiutare da nessuno.
In quel momento c’era così tanto bisogno di sostenersi l’un l’altro che ad Eria non importava nemmeno più quello che era successo il giorno prima. Forse se fosse andata ad interrompere il ritiro di Edmund lui si sarebbe arrabbiato e dopotutto non avrebbe potuto dargli torto: l’aveva insultato e, ripensandoci, si sentiva sciocca.
Avrebbe raccolto ciò che si meritava.
Prima che potesse avviarsi verso il corridoio di pietra che l’avrebbe condotta dove generalmente riposava Edmund, Eria si sentì chiamare; era Peter, che seduto poco distante insieme a Lucy aveva alzato lo sguardo verso di lei.
« Sì? » chiese lei con tono febbricitante, già pronta a scattare via come una molla.
« Stai andando a cercare Ed? »
Se in condizioni normali Eria avrebbe smentito quell’ipotesi, in quel momento nemmeno si sforzò di negare ed annuì.
« Bene, non voglio che stia solo. »
Eria lo rassicurò, dicendogli che sarebbe stata lei ad occuparsi di Edmund. Sempre che lui glielo avesse lasciato fare, ma questo non lo aggiunse.
Camminò in lungo e in largo per tutta la grotta, percorse persino cunicoli che conducevano ad angoli che non aveva mai esplorato. Ma di Edmund nessuna traccia.
La richiesta di Peter era stata una conferma del fatto che il ragazzo fosse lì da qualche parte e non riuscire a trovarlo fu per Eria la goccia che fece traboccare il vaso. Tutta la frustrazione dovuta agli avvenimenti degli ultimi due giorni, che fossero più o meno seri, si abbatté su di lei e le fu impossibile impedire a qualche lacrima di scendere lungo le sue guance.
Si sentì così piccola e stupida che prima di continuare la propria ricerca e farsi vedere in condizioni tanto pietose da qualcuno – sebbene quelle degli altri fossero anche peggiori delle sue –, Eria decise di dirigersi in quella che oramai definiva la propria camera da letto per calmarsi.
Quando arrivò lì si asciugò le lacrime, che continuarono imperterrite a scendere. Venne scossa da un brivido nervoso.
Scostata la mano e aperti gli occhi, finalmente Eria lo vide: Edmund era seduto una coperta, distesa accanto alla quella che lei usava come giaciglio. Aveva le gambe raccolte al petto ed era assorto nei propri pensieri. Fu l’arrivo della ragazza a interromperlo.
Eria rimase in silenzio sull’uscio, sentendo un moto di calma pervaderla. Edmund era davanti a lei e stava bene, solo un piccolo graffio gli solcava la pelle pallida della guancia, ma nulla di più.
Dal canto suo Edmund era andato lì perché avrebbe davvero voluto vedere Eria, ma allo stesso tempo temeva di farsi vedere da qualcuno perché si sentiva vulnerabile. Lei in particolar modo non avrebbe avuto nessun motivo per aiutarlo, però era comunque lei che aveva cercato.
« So che forse non mi volevi vedere, ma… » cominciò a borbottare Edmund, pronto ad alzarsi.
Eria non lo sentì nemmeno. Corse verso di lui e gli gettò le braccia al collo, una mano affondata tra i suoi capelli e l’altra arpionata disperatamente alla sua schiena.
« Mi dispiace! Mi dispiace, Ed », singhiozzò. « Sono così contenta che tu sia qui e stia bene. Io… oggi non sono nemmeno venuta a salutarti. Ero arrabbiata e… per cosa poi. »
Edmund rimase immobile, ma non perché quell’abbraccio gli desse fastidio: semplicemente si sarebbe aspettato tutto fuorché una reazione simile.
Ricambiò la stretta senza esitazione, affondando il viso contro la spalla di Eria.
Per un momento Edmund si dimenticò della terribile giornata appena trascorsa e di tutto ciò che aveva visto.
Quando Eria si allontanò da lui per poterlo guardare, Edmund lottò con forza contro le lacrime che volevano inumidirgli gli occhi dopo aver visto Eria lasciarsi andare.
La ragazza poggiò le mani sulle sue guance, carezzandole appena. Avrebbero avuto fin troppe cose di cui parlare, della battaglia e di ciò che era successo quel giorno, ma Edmund avrebbe fatto di tutto pur di non dover affrontare l’argomento.
Preferì piuttosto giustificarsi. Giustificarsi per ciò che aveva fatto la sera in cui si erano riuniti intorno alla Tavola di Aslan, la stessa sera in cui era stato deciso che Eria non avrebbe visto la battaglia a cui lui aveva invece partecipato.
« Non ti ho lasciata qui per farti un torto. Lo sai questo, vero? »
« Non serve che ne parliamo, Ed. Davvero: ho capito. »
« Voglio che sia chiaro », insistette lui dopo aver scosso la testa. « Ero sincero quando ti ho detto che avresti potuto combattere, ma ho preferito pensare a me e saperti al sicuro. »
Eria lo ascoltò in silenzio. Tra le lacrime si aprì un sorriso e la giovane annuì appena, lasciando che il ragazzo le asciugasse il volto con le dita.
Ora aveva davvero una ragione per sentirsi lusingata.
Rimaneva ancora in sospeso ciò che era successo a Cair Paravel, quando si erano concessi la loro piccola fuga, ma ci avrebbero pensato in seguito; non sarebbe stato quello a tenerli ancora lontani.
L’unica cosa che Edmund voleva, al momento, era sentire Eria vicina a sé nella speranza che questo lo confortasse. Almeno un poco.
Solo quando il ragazzo cominciò a sbadigliare, vinto dal sonno, Eria ruppe il silenzio.
« È meglio se ti riposi ora, Ed. Io rimango qui. »
Edmund si sdraiò e l’unica cosa che sentì furono le piccole carezze della ragazza sul proprio viso.

 

Era stato tutto così vivido da togliergli il fiato.
Gli sembrava che Jadis fosse lì, proprio di fronte a lui, pronta a confonderlo di nuovo, a fargli commettere il secondo sbaglio peggiore della sua vita.
Tra le mura asfissianti e buie dell’incubo i suoi fratelli non lo perdonavano; non c’era un lieto fine, non c’era nulla di tutto ciò che aveva conosciuto in realtà.
Rimuginare su come sarebbe potuto andare il passato era sciocco perché in cuor suo Edmund sapeva molto bene che la Strega Bianca non sarebbe più riuscita a farlo cadere nel proprio tranello, ma non poteva fare a meno di torturarsi pensandoci.
Gli succedeva sempre quando le cose si facevano difficili. L’aveva rivista nei propri sogni per molto meno: una battaglia era un motivo più che sufficiente.
Tiratosi a sedere di scatto Edmund si passò una mano sul viso, scoprendo delle gocce salate ad inumidirgli le guance.
Tutti dormivano, nessuno l’avrebbe visto.
Nessuno lo vedeva mai in quei momenti e a lui non dispiaceva affatto: sapeva consolarsi da solo e non aveva bisogno dell’aiuto di qualcuno. O almeno questo era ciò di cui si voleva convincere.
« Edmund…? »
In quell’anfratto della grotta non c’era nessuno. A parte loro.
Eria aveva insistito per rimanergli accanto quando era tornato e lui le era stato grato, anche se non era certo che quel sentimento stesse permanendo.
Non si accorse nemmeno di non averle risposto; lo realizzò solo quando lei sistemò una mano sulla sua, allarmata.
« Ehi… »
« Sto bene, sto bene. Non ti preoccupare. »
Edmund distolse lo sguardo da un punto imprecisato sul viso della ragazza. Certamente non si trattava degli occhi, perché aveva troppa paura che lo vedesse scoperto e vulnerabile per guardarla direttamente.
Non si era mai lasciato andare nemmeno con i propri fratelli, di certo non voleva farlo in quel momento, anche se avere Eria accanto faceva premere le sue lacrime per uscire.
« No, non è vero. »
Eria gli si fece più vicina, continuando a carezzargli la mano. Si morse il labbro preoccupata, senza sapere cosa dire. Non insistette, ed Edmund non parlò.
Avvolse però un braccio attorno al suo, appoggiando silenziosamente la guancia sulla sua spalla.
Edmund le era grato per non aver insistito e per essere semplicemente rimasta accanto a lui.
« Ho sognato Jadis, la Strega Bianca. » Ricordò che Eria aveva molti meno anni di lui e che all’epoca della sua prima visita a Narnia ancora non era nata. Era una cosa che tendeva a scordarsi, perché alle volte le sembrava di conoscerla da una vita. « Sai chi è? »
Parlarle, se non avesse conosciuto nulla dell’identità della strega, sarebbe stato inutile e avrebbe resa necessaria tutta una serie di preamboli che Edmund non credeva di poter fare in quelle condizioni.
Eria alzò lo sguardo, facendo un rapido cenno con il capo.
« Il mio precettore me ne ha parlato, qualche volta », asserì.
« Chissà se ti ha raccontato anche di quello stupido bambino che ha tradito la sua famiglia per seguire la strega. »
Un sospiro più simile ad un singhiozzo sfuggì alla presa delle sue labbra ed Eria si spostò immediatamente, sgattaiolando di fronte a lui per poterlo guardare negli occhi.
« Il bambino che poi ha combattuto rischiando la morte? Quella storia me l’ha raccontata tua sorella Lucy. »
Edmund rimase spiazzato. Era convinto che l’invito di Aslan a non parlare del passato con lui avesse fatto passare qualsiasi voglia ai fratelli di parlarne in qualsiasi occasione. Per Lucy era sempre diverso, però.
« Lucy non è obiettiva. »
« Perché, tu sì? » lo incalzò, prendendogli le mani.
Lui gliele strinse di rimando.
« Edmund, cos’hai visto nel tuo sogno? »
« Narnia che cadeva a pezzi per colpa mia, i miei fratelli che non perdonavano un traditore come me, io che diventavo Re accanto alla strega. »
Ogni parola pronunciata gli bruciava in gola; pensava di meritarsi quel dolore, pur essendo passato diverso tempo ed essendosi riscattato. Ci sono sempre vecchie ferite che si riaprono quando meno te lo aspetti e quando credi che si siano rimarginate del tutto.
« Forse sei stato un traditore tempo fa, ma ora non lo sei più, Ed. »
Edmund la guardò di sottecchi, con scarsa convinzione.
« Quando hai detto che ho meritato il mio titolo conoscevi già questa storia? »
« Perfettamente. Non parlo mai senza sapere quel che dico. »
Eria accennò un sorriso, con cui cercò di alleggerire l’atmosfera pesante. Poggiò una mano sulla spalla di Edmund, sospingendolo affinché si sdraiasse e lo seguì, coricandosi di fronte a lui. Tracciò un percorso immaginario sulla sua guancia con la punta delle dita.
« Avrai sempre I tuoi fantasmi, Ed. Ma dipende da te se saranno in grado di ferirti di nuovo. Tra i tuoi fratelli sono sicura che tu sia quello che ha meno probabilità di cadere in un tranello del genere una seconda volta. »
Sembrava che Eria sapesse perfettamente cosa dire e come accarezzarlo, per farlo calmare.
Edmund non volle sapere chi, secondo la ragazza, avrebbe avuto più possibilità di commettere un errore. Forse in parte conosceva la risposta, ma per un momento voleva concedersi di essere egoista e non pensare a qualcuno che non fosse lui stesso.
« Cerca di riposare ora, d’accordo? Ne hai bisogno. »
Edmund credeva che non sarebbe riuscito ad addormentarsi, un poco per lo spavento dovuto al sogno, un poco per paura che un altro incubo simile si ripresentasse, portandolo ad essere ancor più sconvolto.
Sprofondò fra le braccia di Morfeo improvvisamente, senza volerlo, venendo accolto da un sonno senza sogni.



 
- - - - - - - -
Di nuovo un po' in ritardo rispetto alla mia tabella di marcia, ma sono oberata dalla mole di studio per gli esami.
Non ho molto da dire per quanto riguarda il capitolo se non che ci ho lavorato tantissimo perché, pur avendolo già scritto, non riusciva a convincermi del tutto. Ora credo di poterm idire quantomeno abbastanza soddisfatta!
Sperando nei vostri pareri, alla prossima ~

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Capitolo 9
*** Capitolo nono ***


Capitolo nono
 


 
Eria era sorpresa da quanto esperta stesse diventando, oramai, nel fuggire.
La consolava se non altro che quelle dipartite fossero mosse da nobili intenzioni; nobili intenzioni e una buona dose di disperazione: era perché non aveva trovato soluzioni migliori che si stava comportando così.
Sentiva dentro di sé la vecchia Eria, quella assennata e riflessiva, che le urlava contro una buona dose di motivi per cui avrebbe dovuto fermarsi. Il suo piano avrebbe anche potuto fallire, ma Eria voleva essere sicura di non aver lasciato nulla di intentato, soprattutto dopo aver visto a cosa lo sconforto aveva spinto Caspian.
Erano passati due giorni dall’attacco al forte di Miraz; il pessimo errore di suo fratello risaliva al giorno prima.
La tensione per la sconfitta era palpabile e gli animi, seppur a terra, sembravano non aspettare altro che esplodere gli uni contro gli altri.
Nonostante questo tutti cercavano di controllarsi e gli unici a non riuscirci erano stati Peter e Caspian.
Si erano gridati contro durante il pranzo, muovendo accuse per cercare di addossarsi a vicenda la colpa del terribile esito dell’attacco al forte telmarino.
Il principe sosteneva che se fossero rimasti alla Casa di Aslan – come aveva caldamente suggerito lui, insieme a Susan – si sarebbero potute evitare tutte le perdite del giorno prima, Peter invece aveva continuato a difendere l’idea che, se così avessero fatto, sarebbero stati presi inevitabilmente per fame.
Eria aveva osservato il litigio in silenzio, rimanendo al fianco di Edmund e alle sorelle di lui.
Nessuno credeva che ci sarebbe stato qualcosa di davvero efficace da dire ai due litiganti per farli calmare; forse sarebbe stato meglio lasciare che la loro rabbia si consumasse da sola.
Certo quei due stavano rivangando un passato doloroso: molti dei presenti, compresi Edmund e la stessa Eria che non l’aveva direttamente vissuto, avrebbero semplicemente voluto gettare nel dimenticatoio gli avvenimenti del giorno prima. Caspian e Peter non stavano facendo altro che rigirare il coltello in una ferita ancora fresca.
Il vero motivo del litigio, ovvero il senso di colpa di entrambe le parti, emerse portando la discussione a degenerare quando Peter accusò Caspian di non essere stato troppo fermo nelle proprie idee e il principe ribatté dicendo che era il re supremo a non volersi prendere le proprie responsabilità.
A quel punto Susan era intervenuta insieme a Lucy, spossata dalle continue e inconcludenti urla. Eria aveva contribuito quasi subito ad aiutarle, ma ogni tentativo era stato vano. Si erano calmati solo quando Edmund, esasperato, aveva tagliato corto dicendo che se non l’avessero finita in fretta la gente di Narnia si sarebbe stancata di seguire due ragazzini che non sapevano nemmeno mettersi d’accordo l’uno con l’altro.
Parole dette con un tono che normalmente gli sarebbe costato per lo meno un’occhiataccia da parte di Peter, ma il re supremo doveva aver avuto una qualche reminiscenza del tempo in cui suo fratello era stato anche il suo più fidato consigliere e si era reso conto che, solo perché ringiovanito, Edmund non aveva perso la cognizione di causa nel parlare.
Ascoltarlo sarebbe stato indubbiamente un bene.
Non vi furono più problemi fino al pomeriggio, quando attirata nella sala della tavola di Aslan, Eria aveva scoperto che Caspian aveva tentato di chiedere aiuto alla Strega Bianca.
La lotta che si consumò tra le mura della caverna non aiutò a risollevare l’umore di nessuno: Edmund tornò ad isolarsi per la persecuzione che quel vecchio fantasma lo stava costringendo a subire, Susan era terribilmente delusa da Caspian e Peter, che per poco non aveva portato a termine ciò che il principe aveva iniziato, Lucy piangeva la morte e il tradimento di Nikabrik ed Eria si sentiva terribilmente impotente.
Per questo aveva deciso di mettere in atto quella fuga che sembrava molto meno nobile e necessaria se chiamata così. Era più che altro un allontanamento momentaneo, un tentativo disperato di aiutare.
Avrebbe potuto parlare della propria idea, magari con Peter o forse con Susan e Lucy. Era convinta che soprattutto quest’ultima l’avrebbe compresa e appoggiata.
Se c’erano due persone a cui invece Eria era certa fin da subito di non dire nulla, quelle erano Caspian e Edmund: il primo avrebbe respinto per la seconda volta la sua idea; Edmund invece l’avrebbe frenata come già aveva fatto qualche giorno prima, quando era stato il momento di decidere chi avrebbe partecipato all’attacco al forte.
Eria non voleva vedersi nuovamente privata della possibilità di fare qualcosa.
Così era giunta alla conclusione che esporre la propria idea a chiunque sarebbe stato un rischio: il suo piano sarebbe stato decretato malsano e così sarebbe solo potuta tornare al proprio posto, come aveva imparato a fare stando a corte.
Se decise di eliminare il problema alla radice non parlandone con nessuno e di gettarsi in quell’impresa avventata non fu certo per dare prova del proprio valore: se avesse avuto successo prima le avrebbero detto a voce che era una stupida, poi forse l’avrebbero ringraziata.
Non c’era nulla da organizzare e per fortuna: i preparativi danno sempre nell’occhio.
Eria poteva recuperare tutto ciò che le serviva senza destare sospetti: le bastava una spada – dato che la sua non era ancora pronta –, niente provviste per non appesantirsi ed evitare che l’assenza di cibo dalle scorte della resistenza venisse notata abbastanza in fretta da suscitare dubbi, soprattutto dopo la sparizione sua e di Edmund risalente a qualche giorno prima.
Aggirare la ronda della guardia sarebbe stato altrettanto semplice, perché lo scopo era controllare che nessuno arrivasse, non che qualcuno uscisse dal perimetro della Casa di Aslan.
Eria non dubitava che i fauni lasciati di guardia fossero estremamente attenti e mai una volta si era sentita insicura sapendoli a vigilare, ma era anche abbastanza certa che la stanchezza dovuta alla fine del loro turno e l’attenzione che sapeva di poter porre nei propri movimenti non l’avrebbero fatta scoprire con troppa facilità.
Una volta giunta nella foresta sarebbe stato diverso.
Fortunatamente aveva avuto Cornelius come guida mentre fuggiva dalla fortezza di Miraz, perché altrimenti si sarebbe persa subito. Il suo precettore si era impegnato a spiegarle minuziosamente come orientarsi usando del semplice muschio ed eventualmente le stelle, di notte.
Se non altro Eria sapeva che una volta entrata nel folto degli alberi avrebbe dovuto proseguire sempre e solo in una direzione, senza mai piegare o allontanarsi dal proprio sentiero immaginario. Questo l’avrebbe ricondotta al punto dove sia lei che Cornelius avevano guadato il fiume.
Entrata nel bosco, Eria cominciò a camminare a passo spedito.
Il buio era calato già da diverse ore e, se avesse continuato a camminare senza sosta, con ogni probabilità sarebbe arrivata a metà del proprio percorso all’alba.
Le uniche pause previste dal piano della ragazza erano poco prima e poco dopo il fiume.
La caparbietà era una caratteristica tanto forte in Eria da essere sia un pregio che un difetto, ma nonostante le proprie convinzioni più volte lungo il cammino la ragazza si domandò se non fosse meglio per lei fermarsi e tornare indietro, sfruttando il tempo necessario a fare ritorno per elaborare una scusa che giustificasse la sua assenza.
Guadò il fiume poco dopo l’alba. Non se ne accorse, ma non oltrepassò la riva di Beruna molto lontano da dove suo zio Miraz aveva fatto costruire il ponte; in quello le tenebre le furono certamente favorevoli.
Arrivò a corte a mezzogiorno, stanca, provata e con i vestiti sciupati per colpa del fitto sottobosco che le aveva fatto compagnia per tutto il viaggio.
Aveva una gran fame e tutte le accortezze per non essere scoperta dai suoi stessi amici le sembrarono delle paranoie sciocche: avrebbe potuto portare con sé almeno un tozzo di pane. Tanto quello che rimaneva era così raffermo che forse l’avrebbero addirittura ringraziata per averlo portato via.
Quando fu avvistata dalle guardie vi fu scompiglio generale; nessuno si sarebbe aspettato di vederla, non con quegli abiti poco signorili e l’aspetto sciupato a causa della stanchezza. Di certo la prima impressione alimentò la storia secondo cui Caspian aveva ordinato di rapirla in preda alla pazzia.
Varcato il ponte levatoio fiancheggiata da una serie di guardie – che non erano state istruite sul comportamento da tenere nel caso in cui uno dei due eredi al trono si fosse fatto vedere, tanto Miraz era convinto che non avrebbero fatto ritorno –, Eria fu scortata all’interno della corte.
Era tutto così… freddo.
Eria aveva sempre avuto quell’impressione del castello, ma prima di quel momento non era mai riuscita a definirla, a descriverla. Avendo ormai vissuto una vita, seppur breve, fuori dalle mura, era in grado ad elencare tutto ciò che a quella fortezza mancava.
Era spenta, vuota e monotona, e ad Eria dava tanto l’impressione che le sue pareti di mattoni fossero intrise di dolore e tristezza.
La prima persona che vide fu Lady Prunaprismia.
Per un attimo, forse a causa della stanchezza, ad Eria parve di vedere negli occhi della donna una certa preoccupazione. Realizzò subito che di certo non era per lei.
Non ricevette come benvenuto né un abbraccio né qualche parola calorosa. Lei e la donna si scambiarono semplicemente un lungo sguardo e la moglie del re, in cima alle scale con il proprio pargolo tra le braccia, parve capire che quella di fronte a lei non era più la ragazza che per tanti anni aveva plasmato a proprio piacimento.
Nonostante tutto Lady Prunaprismia offrì ad Eria la possibilità di mangiare, ma la giovane rifiutò: non sapeva quanti dettagli della situazione conoscesse la donna né cosa le fosse stato ordinato di fare.
Se era come il marito – ed Eria era abbastanza convinta che lo fosse – non avrebbe esitato un solo istante a far versare qualche goccia di veleno nel suo piatto prima di servirglielo.
Paranoica o no, Eria avrebbe mangiato a cose fatte. Magari si sarebbe addirittura preparata il pranzo da sola.
« Voglio convocare i lord », sentenziò
« I lord? Per quale motivo? »
Lady Prunaprismia parve cominciare a capire e ciò che balenò nella sua mente non le piacque affatto. Che la donna fosse così agitata era per Eria semplicemente una conferma del fatto che Miraz doveva essere lontano.
“Magari già al campo”, pensò con un moto di riluttanza.
« Lo spiegherò direttamente a loro. »
Non avrebbe di certo dato dettagli a sua zia.
Dopo aver chiesto ad una guardia di andare a chiamare gli stessi uomini che avevano dato il potere all’attuale tiranno, Eria raggiunse la sala su cui per anni e anni aveva fantasticato.
Le sembrava incredibile che per una volta non avrebbe dovuto farsi raccontare da nessuno cosa sarebbe accaduto tra quelle mura. Era lei l’unica a sapere cosa sarebbe stato detto prima di chiunque altro.
Se solo la situazione non fosse stata tanto critica avrebbe ammesso che c’era qualcosa capace di renderla inevitabilmente estatica nell’essere l’unica a poter tirare le fila degli avvenimenti.
Quando la stanza cominciò a riempirsi – per modo di dire: molte delle imponenti sedie di legno erano vuote da anni –, Eria sentì gli sguardi dei nobili puntarsi su di lei con stupore.
La giovane stazionava in fondo alla sala, dove tutti l’avrebbero potuta osservare al meglio; il suo aspetto e il vestiario erano poco adatti ad una riunione che solenne come si intuiva sarebbe stata quella, ma ad Eria non importava: si era giusto curata di allacciare di nuovo il piccolo spago di cuoio intorno alla coda di cavallo per darsi una parvenza più ordinata.
« Principessa, spero vogliate spiegarci come mai questa riunione », cominciò uno degli uomini quando tutti furono arrivati.
« Prima non sarebbe meglio chiederle perché suo fratello l’abbia portata via di forza dalla corte? »
« Come siete riuscita a scappare? »
Le voci dei nobili cominciarono a sovrapporsi l’una all’altra. Eria chiese il silenzio una volta, ma non fu ascoltata.
« Silenzio! »
Si stupì di se stessa, sia per il coraggio di aver parlato a voce tanto alta e in modo tanto insolente, sia per non essersi tappata la bocca con le mani a danno fatto.
Non voleva di certo abusare del potere che stava per prendere, ma mettere a tacere un po’ di quei vecchiacci, soprattutto dopo averli sentiti insultare l’onore di suo fratello, le sembrò quasi d’obbligo.
Si accorse solo allora che nella stanza era calato un silenzio tombale, allora cominciò a parlare.
« Sono stata io a raggiungere Caspian. Se c’è una cosa di cui potete stare certi è che non mi ha torto un solo capello; né lui, né il mio precettore, il Dottor Cornelius. »
« Ma il re ha detto… »
« Il re ha sempre detto tante cose », tagliò corto Eria, che voleva dare meno dettagli possibili.
Di lì a poco, in ogni caso, sarebbe stato fin troppo ovvio per quale fazione parteggiava.
Gli occhi di Eria ripassarono il volto di ogni singolo nobile, studiando gli sguardi e le espressioni. Non sapeva chi sarebbe stato dalla sua parte, anzi: non sapeva nemmeno se qualcuno effettivamente avrebbe voluto schierarsi con lei.
Osservò infine i posti vuoti e si ricordò di una vecchia storia che Cornelius aveva raccontato a lei e Caspian, anni e anni prima. Eria aveva sempre avuto l’impressione che ne avesse parlato per sbaglio, incapace di trattenersi, perché tutte le volte successive in cui lei e suo fratello avevano cercato di farsela raccontare di nuovo non c’era stato verso di sentirla.
Cornelius aveva detto che sette nobili del consiglio, presenti a corte fin dal regno di suo padre, tutti suoi fidi compagni, erano stati mandati oltremare da Miraz e non avevano più fatto ritorno.
Eria aveva sempre pensato che quel racconto celasse qualcosa, un po’ come un cassetto con un doppio fondo; ora ne aveva quasi del tutto la certezza.
« Se oggi sono qui è per appellarmi ad un’antica regola del nostro popolo », proseguì con tono solenne, catturando l’attenzione di tutti i presenti nella stanza. « Una regola secondo cui un legittimo erede può prendere la corona in vece del sovrano, durante la sua assenza. »
Il vociare cominciò di nuovo, ma Eria non lo interruppe: che i nobili parlassero, tanto avrebbero comunque potuto fare poco contro di lei. A meno che non la uccidessero lì, su due piedi.
Il trambusto si placò da solo e uno degli uomini, forse il più anziano, parlò con un sorrisetto vagamente divertito in volto.
Eria si rese conto che in realtà non riusciva ad associare alcun nome ai volti degli uomini nella stanza.
« Principessa, vi rendete conto di ciò che state dicendo? Con tutto il rispetto, ma credo non conosciate abbastanza la politica e deve esservi sfuggito che questa… usanza è comune quando si è d’accordo con il re. »
« Con tutto il rispetto, Lord, credo di essere stata istruita abbastanza bene. Oltretutto, come voi stesso avete detto, questa usanza è comune quando si è d’accordo con il sovrano, ma non è vietata quando non lo si è. »
Il Lord ammutolì e perse tutta la propria strafottenza.
« Suppongo non ci sia nemmeno da votare », proseguì Eria, pacata. « Dopotutto è una procedura comprovata. »
Eria era entrata nella sala dei lord privata di qualsiasi cosa e ne era uscita regina e in possesso della garanzia che i lord non avrebbero inviato alcuna truppa a supportare l’esercito già partito alla volta del campo della resistenza narniana.
Quando vide i contingenti pronti a partire Eria tirò un sospiro di sollievo per aver attuato il proprio piano: c’erano almeno cinquemila uomini. Cinquemila uomini che avrebbero contribuito insieme a tutti gli altri già al servizio di Miraz a schiacciare la resistenza narniana.
Forse non si sarebbe distinta per valore, ma di certo lo avrebbe fatto per astuzia.
Ciò per cui era andata a corte avrebbe portato i suoi frutti e, se solo avesse potuto, avrebbe lasciato il castello per raggiungere di nuovo il fratello. E Edmund.
Si chiese se non fossero in pensiero e sperò nel contrario, perché in ogni caso non si sarebbe potuta allontanare per andare a rincuorarli: non appena avesse messo piede fuori dalle mura della fortezza Eria  avrebbe perso il titolo appena acquisito e tutto sarebbe stato vanificato, proprio come se non fosse nemmeno stata lì.
Dopo aver ricevuto la notizia dell’incoronazione tempestiva della nipote, Lady Prunaprismia non si era più fatta vedere e, dal canto suo, Eria non l’aveva né cercata né fatta convocare.
Fare del male alla zia o al suo bambino non rientrava neanche lontanamente nelle intenzioni della giovane regina, ma la donna, che come modello aveva sempre avuto sé stessa, si sarebbe potuta aspettare soltanto un comportamento come il proprio, se non peggiore.
Il colloquio con i lord finì ben oltre l’ora di pranzo, ma nonostante questo Eria raggiunse la cucina e raccattò dell’acqua da bere e del cibo.
Le cuoche la conoscevano fin da piccola e la accolsero con enorme gioia. Si fece preparare un pasto al momento ed Eria mangiò con gusto. Era già abbastanza sicura che le cuoche non le avrebbero fatto nulla di male e controllare la preparazione del pranzo le diede solo una conferma in più.
Con la pancia piena e i nervi un po’ meno tesi Eria raggiunse il piazzale del forte dove avrebbe dato istruzioni alle guardie su come comportarsi da quel momento in poi.
Lì fece un incontro che non si sarebbe aspettata e nemmeno troppo gradito.
« Principessa. O forse dovrei dire regina. »
Eria non l’avrebbe comunque corretto, ma finse un sorriso.
« Lord Sopespian. »
Ora che uno dei fedelissimi – per modo di dire – di suo zio le stava di fronte, Eria cominciò a domandarsi se forse non avrebbe dovuto essere più prudente.
Portare qualcuno con sé sarebbe stato il primo passo: non aveva mai governato e anche se l’intenzione era di farlo solamente per poco di sicuro un amico che le coprisse le spalle o le desse un appoggio sarebbe stato utile. Magari il dottor Cornelius? Doveva a lui tutta la propria astuzia.
Fino a quel momento Eria se l’era cavata, ma sentiva che lentamente le fondamenta del suo piano cominciavano a sgretolarsi.
Doveva rimanere concentrata.
« Sono costernato per non aver potuto partecipare alla riunione, ma ho appena fatto ritorno. Come vostro zio sono felicissimo che stiate bene: era davvero in pena per voi. »
Eria ricambiò lo sguardo tagliente dell’uomo, accostandovi un sorriso di circostanza.
« Non ne dubito. »
« Spero vogliate concedermi qualche attimo del vostro tempo per raccontarmi cosa vi è successo negli ultimi giorni. Passeggiamo, vi va? »
Eria credette ingenuamente che Lord Sopespian desse credito alla versione secondo cui Caspian l’aveva rapita.
Rendere giustizia al fratello per l’ennesima volta, lavando via dal suo nome l’appellativo di traditore l’avrebbe fatta enormemente contenta. Meno felice sarebbe stata di camminare con l’uomo.
Ripeté la stessa identica storia che aveva riferito ai lord, passeggiando per uno dei corridoi al piano terra della fortezza.
« Dunque vostro fratello è davvero innocente? »
« Sì, come il dottor Cornelius. »
« Non capisco proprio perché vostro zio abbia deciso di mentire. »
« Credo che sia ovvio, invece. »
Tanti anni passati a tenere per sé le proprie idee pur di evitare ripercussioni parevano essersi vanificati in pochi giorni trascorsi lontani dalla corte, proprio come se l’aria del castello l’avesse tenuta sotto un maleficio per tanto, troppo tempo.
Fu già qualcosa se Eria riuscì a non lasciarsi sfuggire che secondo lei Lord Sopespian mentiva quando diceva di non capire.
« Vi dispiacerebbe spiegarvi? » la incalzò lui.
Eria avrebbe voluto dire che in realtà sì, le dispiaceva e anche parecchio perché non sapeva fino a che punto le sue parole sarebbero rimaste impunite; anche se si stava concedendo molte libertà non voleva peccare di audacia e finire con il far ritorcere tutto contro di sé.
« In realtà non penso mi credereste, Lord Sopespian », cominciò.
Tra accusare brutalmente lo zio e il male minore, Eria aveva scelto senza esitazione la seconda possibilità.
« Mettetemi alla prova. »
Dopo aver ardentemente sperato che l’uomo desistesse e appurato che forse era più determinato di lei, la giovane si decise a parlare.
« Penso che sia ormai ovvio che parteggiamo per fazioni molto diverse, io e mio zio. E in battaglia screditare il nemico è sempre un’ottima mossa. »
Più di quello Eria non si sarebbe fatta scucire: era stata eloquente nel proprio essere implicita e dal bagliore negli occhi del lord le fu chiaro che l’uomo aveva capito perfettamente.
In realtà l’espressione che si stampò sul volto dell’uomo andò solo a confermare ciò che la ragazza già aveva pensato, ovvero che sapesse dei piani di suo zio e che fingesse invece di non capire: Lord Sopespian aveva assunto l’atteggiamento da manuale per creare una connessione con qualcuno che per qualche motivo è ostile, anche se Eria non ne capiva il motivo. O almeno, questo era quello che credeva lei.
Era questo il grande difetto della ragazza: credere e credere, pensare e pensare anche quando forse avrebbe semplicemente dovuto capire che non c’era molto da spiegare e che forse, invece, si trovava davanti qualcuno di imprevedibile.
Se non riusciva a capire di preciso che posizione avesse assunto Lord Sopespian in tutto quel conflitto era proprio perché una vera e propria posizione non l’aveva presa, per convenienza.
Forse non c’erano secondi fini da leggere nell’indagine che aveva appena condotto, perché magari stava solo cercando di capire quale schieramento fosse più vantaggioso per le sue mire.
Finito di parlare Eria fece per accomiatarsi: voleva solamente chiudersi nella propria stanza e non uscire per qualche tempo. C’erano poche cose che potesse fare e aveva bisogno di riposarsi; tanto valeva farlo in un luogo che la faceva sentire tranquilla.
Ma ormai c’erano troppe variabili imprevedibili e, quando non ci si fida di chi si ha vicino non gli si dovrebbero mai voltare le spalle.
Dopo aver salutato, Eria sentì un pezzo di stoffa premersi contro bocca e naso. Sgranò gli occhi, cercando di liberarsi dalla presa ferrea del braccio di Lord Sopespian che la teneva bloccata.
« I giovani d’oggi si credono sempre così furbi. »

 

Quando aprì gli occhi, Eria venne avvolta da un’atmosfera illuminata da una luce calda, filtrata da delle pesanti tende di tessuto grezzo e color crema.
Era sdraiata su un giaciglio improvvisato, addirittura meno comodo di quello di pietra che aveva saggiato nell’ormai ben nota Casa di Aslan.
Quanto le mancava quel luogo.
Le doleva incredibilmente la testa e quando riuscì a mettere a fuoco l’ambiente scarno della tenda non riuscì proprio ad immaginare dove fosse. Più cercava di ricordare, più riviveva in modo dettagliato gli ultimi attimi prima di svenire e si rendeva conto di quanto fosse frustrante non riuscire a tirare le fila della situazione.
In condizioni normali avrebbe volentieri cercato e aggredito Lord Sopespian senza alcun indugio, perché sicuramente l’aveva rapita lui, ma in quel momento non ci riusciva. In quel momento non riusciva nemmeno a muoversi, tanto era spaventata e dolorante.
Spaventata più per ciò che sarebbe potuto accadere ai suoi amici: escludeva a priori di trovarsi a corte e non sapeva né quanto tempo fosse passato da quando era svenuta, né che cosa fosse successo nel frattempo. L’armata di Narnia poteva anche essere stata spazzata via mentre lei dormiva beatamente e al sicuro.
Possibile che anche aiutando riuscisse solo a fare danni?
Eria prese un profondo respiro e chiuse gli occhi, richiamando alla mente l’immagine di Caspian. Le diceva sempre che il pessimismo era un suo difetto, una convinzione che applicava a tutti i propri pensieri.
Una sera, se non ricordava male quando ancora erano a corte e lei si era detta particolarmente preoccupata per la reazione di suo zio in merito a qualcosa che nemmeno le tornava alla mente, Caspian le aveva detto che solo perché lei pensava che tutto sarebbe potuto andare male non significava che questo sarebbe successo. Se proprio non voleva sforzarsi di essere ottimista per lo meno avrebbe potuto dare il beneficio del dubbio a ciò che sarebbe accaduto, senza crearsi aspettative troppo catastrofiche.
Eria cercò di muoversi, ma si rese conto ben presto di avere i piedi legati insieme e i polsi uniti dietro la schiena.
L’unico modo per fuggire da quella situazione, o per lo meno un buon modo per cominciare a farlo sarebbe stato urlare, chiedere se ci fosse qualcuno.
Era ovvio che ci fosse qualcuno, in realtà: oltre a dei rumori palesemente umani come lo scalpiccio fuori dalla tenda, Eria riusciva a vedere due ombre stagliarsi contro il tessuto.
Era anche abbastanza ovvio che gli individui nei dintorni non fossero suoi amici, però.
Dopo aver cercato di allentare i nodi per non dover parlare, con gli occhi inumiditi di lacrime e il petto pieno di pentimento, un uomo si affacciò dai lembi di stoffa che facevano da entrata. Non le disse assolutamente nulla ed Eria poté solamente capire il perché della luce calda: il sole stava tramontando e avrebbe lasciato spazio alla sera di lì a poco.
Se Eria avesse saputo come erano andate le cose non avrebbe faticato a capire che il tramonto era dello stesso giorno in cui aveva raggiunto il castello: Lord Sopespian, dopo averla addormentata, l’aveva caricata con sé sul cavallo ed era partito alla volta dell’accampamento di Re Miraz. Considerando che il punto dove l’attendamento sorgeva era molto vicino alla Casa di Aslan, i due avevano percorso una distanza sorprendente in pochissime ore.
Ma se ad Eria lo stesso tragitto compiuto la notte prima era sembrato eterno, tutt’altra cosa era stata a cavallo.
Quando la tenda si aprì nuovamente, Eria vide Miraz. Non sembrava troppo arrabbiato, quanto piuttosto divertito di vederla in quelle condizioni.
La ragazza sentì l’impetuoso bisogno di arretrare, ma non ci riuscì. Improvvisamente tutto il coraggio acquisito venne meno e l’ormai di nuovo principessa si rese conto che in balia di suo zio non poteva davvero nulla.
« Buonasera, Eria. Non credevo che ci saremmo visti in queste circostanze », cominciò lui. « Non credevo che ci saremmo proprio rivisti, a dire il vero. »
Eria continuò a rimanere in silenzio, gli occhi fissi in quelli del tiranno. Il volto del re si fece più serio.
« Parla dannazione! Mi hanno detto che avevi così tanta parlantina quando sei andata a prenderti la mia corona! »
Paradossalmente fu la paura, mista all’incapacità del cervello di Eria di ragionare come avrebbe dovuto a farla parlare.
« Non è la tua corona! Sei solo un tiranno che non ha la minima idea di cosa voglia dire essere un re, né alcun diritto di regnare su questa terra! »
Eria non vide nemmeno la mano che la schiaffeggiò prima che la colpisse. Si accorse di cos’era successo per il rumore secco della sua guancia e il dolore lancinante. Sentì un sapore metallico diffondersi nella propria bocca e alcune delle lacrime che fino a quel momento aveva trattenuto con tutte le proprie forze, anche per non far tremare la voce, scesero lungo le sue guance.
Si morse il labbro, come se già non sentisse abbastanza dolore, solo per impedire anche al proprio orgoglio di essere ferito facendosi vedere in quelle condizioni.
« Tu non sai contro chi ti sei messo », sussurrò Eria, gli occhi fissi sul tappeto erboso. « Caspian e i re di Narnia non ti lasceranno al potere. »
Miraz proruppe in una fragorosa risata.
« Non sono forse loro quelli che appena un quinto del mio esercito ha spazzato via mentre tentavano di prendere uno dei miei forti? Sono loro che dovrebbero fermarmi? »
Eria non seppe come ribattere. Sapeva di avere in testa troppe valide spiegazioni, ma anche se le avesse spiegate al meglio sarebbe stato uno sforzo inutile: Miraz non avrebbe capito.
« Lo faranno. »
« L’unica cosa che farete tutti sarà inchinarvi al mio cospetto! »
Miraz la afferrò per il bavero della blusa ed Eria si ritrovò così vicina al suo viso che l’unica cosa che le parve sensato fare fu riassumere i propri sentimenti sputando sul volto che per tanti anni aveva odiato.
Quando vide il tiranno allontanarsi per ripulirsi il viso Eria si preparò ad un secondo ceffone, anche più forte del primo, se non a qualcosa di peggiore.
Non arrivò nulla di tutto questo.
« Hai passato troppo tempo con i selvaggi, Eria. È il momento di far credere loro che tu abbia capito da che parte è il caso di stare. »
Si congedò con queste parole.
Eria realizzò subito di aver appena provocato il peggio.


 

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Penso che ormai si sia capito quanto io sia lenta a postare. Suppongo che la mia colpa sia rileggere più e più volte i capitoli per renderli quanto più precisi e privi di errori possibile.
Bando alle ciance, penso che questo sia il capitolo più... "originale" della storia. Dico così perché è l'unico in cui gli avvenimenti si discostano davvero da quelli che invece si verificano ne "Il principe Caspian", nella versione cartacea o cinematografica che sia.
Vi ricordate quando Eria, all'inizio del quinto capitolo, ha chiesto al dottor Cornelius di una certa regola di cui aveva sentito parlare? Quella che avrebbe permesso a Caspian di ottenere la corona? Esattamente a questa si è appellata!
Ho fatto il possibile per rendere il tutto quanto più chiaro e plausibile: volevo assolutamente qualcosa che rendesse gli avvenimenti più originali e questo mi è sembrato un buon compromesso, anche se Eria non è stata abbastanza viscida da prevedere i risvolti della situazione e forse ha peggiorato le cose.
Conto di aggiornare prima questa volta. Sul serio.
Come sempre ringrazio chiunque sia arrivato fino in fondo e spero vogliate dirmi cosa ve ne pare <3
Alla prossima!

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