Inferno.

di MetalheadLikeYou
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 25: *** Capitolo 24 ***
Capitolo 26: *** Capitolo 25 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo.



Sotto sotto sono un'inguaribile romantica.
Ho sempre cercato di nascondere questa parte del mio carattere sotto una corazza di freddezza e, solo quando serviva, rabbia.
Avevo sempre preferito nascondermi dentro questa mia fortezza per proteggermi dalle freccie avvelenate che molta gente, sin da bambina mi aveva scagliato contro.
Sfortunatamente ero nata un una famiglia di cristiani un po troppo estremisti.
Mia madre era stata violentata da un pazzo ed appena scoprì di aspettare un bambin decise di tenermi, solamente per non commettere un peccato, crescermi e una volta messa alla luce, lasciarmi in ospedale.
Aveva deciso così, lasciandomi appena nata con un nome in cui riversava la sua profonda rabbia.
Mi chiamarono Hell.
Ovviamente quello strano nome mi creò non pochi problemi e a scuola venni nominata la figlia del Diavolo, nome che nonostante mi fossi dimostrata aperta e gentile con tutti, fu la causa per cui mi allontanarono.
Insomma, chi avrebbe mai voluto una bambina di nome "Inferno"?
E come se non bastasse la mia chioma era di un'insolito rosso, del tutto innaturale ma che mi portavo dietro fin dalla nascita.
Feci avanti e indietro da una famiglia all'altra.
Da una casa all'altra finchè ormai troppo grande, non venni più adottata da nessuno.
Non ricevetti mai un regalo a Natale.
Ne al mio compleanno.
Non ricevetti mai l'amore di una famiglia.
Le uniche cose che mi aiutarono ad andare avanti furono i libri e la musica.
Mi tatuai l'Heartagram sul polso sinistro e la scritta "COBHC" sul destro.
Gli Him e i Children of Bodom erano i miei due gruppi preferiti e a loro insaputa, mi avevano donato forza e coraggio.
Mi avevano aiutata nei momenti no e fatto sognare una vita migliore.
Decisa a cambiare vita, una mattina feci i bagagli e mi trasferii dalla mia inospitale Inghilterra alla fredda Finlandia.
Mi illusi che scappando via avrei risolto i miei problemi smettendo di soffrire per il mio nome, per il mio passato e per il fatto di essere completamente sola.
Se fossi morta, non sarebbe importato a nessuno.
Avevo la mente stracolma di mille illusioni e demoni.
Il mio bisogno di diventare importante per qualcuno si trasformò nella pura fobia del non essere abbastanza, di essere motivo di vergogna e di divinetare magari troppo gelosa e possessiva da essere lasciata sola di nuovo.
Nonostante la mia strana ambizione e la mia fobia, in contrasto con me stessa, la solitudine rimaneva la mia compagna.
Amavo fermarmi per qualche secondo e chiudermi nel mio solito mondo, riuscendo in qualche modo a distrarmi.
Avevo deciso di scappare a soli 20 anni senza un posto dove rifugiarmi.
Ero arrivata con tutte le buone intenzioni del mondo, cercando subito qualcosa da fare e sperando che qualcuno mi accettasse.
E così fu.
Conobbi un'inglesino di nome Anthony detto anche Tony.
Era un bel ragazzettom gay dichiarato e con la parlantina sciolta, un tipo simpatico, conosciuto in modo piuttosto strano.
Gli piombai addosso.
Lui mi tenne stretta evitandomi una brutta caduta e mentre lo fissavo alquanto sorpresa, mi presentai.

"Che nome strano, sono Tony sono gay e noi saremo molto amici!"- rispose lui strappandomi un sorriso.

E fu così.
Diventammo buonissimi amici, lui riuscì a guardare oltre il mio nome, leggendomi l'anima, riuscendo a scaldare il mio piccolo e freddo cuore.
Imparò a volermi bene comprendendo quanto il mio bisogno di affetto fosse alto ed io imparai finalmente a fidarmi.
Imparai a credere che forse, per la prima volta, potevo permettermi di aprirmi con qualcuno.
Non avevo nulla da perdere.
Anthony riuscì a trovarmi un posto nel locale dove lavorava, aiutandomi a mettere da parte i soldi per prendere in affitto una casetta piuttosto grande e con un bel girardino alberato.
Quella casa era il mio Paradiso.
Ed io..il suo Inferno.





*******
Salve salve salve.
Premetto che è la mia prima ff sugli HIM e come detto nell'anteprima la nostra piccola Hell avrà a che fare anche con altre Band, come COB e Nightwish.
Please siate clementi con me.
Beh per ora ho solo una cosa da chiedere, un piccolo favore:
Fatemi sapere se vi piace questa mia ff.
Detto questo un bacione a tutti e alla prossima.
:)

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Capitolo 1



"Dai Tony muoviti!" - urlai al mio amico che si stava ancora specchiando.

Ogni mattina era sempre la stessa storia, lui veniva a prendermi e passava le ore a fissarsi nello specchio ed io gli urlavo in continuazione di darsi una mossa.
Da sette anni a questa parte quella era la mia vita.
Lavoravo in un locale molto famoso nel centro di Helsinki, avevo comprato e arredato la casetta secondo i miei gusti.
Anche se la mia vita era diventata quasi perfetta, i miei incubi affollavano ancora la mia mente e quando non riuscivo a dormire, o mi svegliavo urlando, mi accovacciavo con una coperta vicino ad una finestra e mi immergevo in un libro.
Fissai il mio amico che era sempre vestitto alla moda, mi fissava come se fossi un mostro.

"Hell amore mio, ma una bella maglia con scollo?".
"Taci, andiamo". - gli ordinai con tono fermo e autoritario.

Lui scosse la testa, sbuffando per il mio scarso senzo dell'eleganza ed io risi divertita.
Eravamo agli antipodi, lui amava la musica da discoteca ed io il metal, lui preferiva vestrire elegante, io una felpa larga due taglie in più o una camicia da uomo, lui preferiva i ragazzi modelli, io i musiciti capelloni.
Lui amava le macchine costose, io le moto.
Lui adorava le feste ed io amavo starmene seduta sotto la mia finestra o in giardino con un buon libro.
Lui amava i film sdolcinati ed io rimanevo fedele al "Signore degli Anelli", ai fantasy e agli horror.
Eppure eravamo inseparabili.
I miei demoni mi venivano a trovare solo la notte, lasciandomi il tempo di respirare e vivere di giorno, ma appena me ne restavo qualche giorno da sola o quando vedevo altre ragazze con le loro famiglie, sentivo un moto di tristezza crescermi dentro e mi chiudevo a riccio.
Tony comprendendo questa mia debolezza mi fece conoscere la sua famiglia che mi accolse come una seconda figlia, donandomi un po d'amore, ma nonostante tutti i suoi sforzi, io restavo un'intrusa.

"Potevi essere un pochino più elegante..." - sbuffò di nuovo lui aprendo il finestrino della macchina e tossendo per via del fumo che si inalzava dalla mia sigaretta.

Alzai gli occhi al cielo.

"Cioè oggi ci saranno delle persone famose...".
"E quindi?" - domandai curiosa inarcando un sopracciglio.
"Magari sono dei modelli..." - sussurrò ridendo.
"O magari dei musicisti e poi no, io non mi metterò mai dei tacchi per servire delle birre" - risposi, ui rise della mia determinazione e lasciò correre.
"Sai chi ci sarà?".
"No." - rispose svoltando nel parcheggio per gli addetti, sbuffai.

Mi aveva chiamato il nostro capo, chiedendoci il favore di andare al locale perchè un gruppo di ragazzi aveva deciso bene di prenotare all'ultimo minuto un tavolo da otto.
Scesi appena lui spense la sua macchina e mi fiondai nel locale, eravamo in perfetto orario, per fortuna.

"Hell e Tony, domani avrete una giornata libera, promesso."
"Si può sapere almeno chi mi ha fatto rinunciare ad una buona lettura?".
"Oh, musicisti, è la festa di uno oggi.." - rispose alzando le spalle in nostro direttore.

Mi girai verso Tony che si schiaffò con disapprovazione una mano in fronte, triste all'idea di dover sentire musica rock e metal per tutta la serata.
Scoppiai a ridere divertita passandogli un braccio dietro le spalle e frizionandogli i capelli, sentendolo poi lamentarsi.

"Piccola bastarda!" - urlò lui facendo ridere anche il nostro capo che dopo averci rigraziato ancora e promettendoci un aumento, ci lasciò al nostro lavoro.
Mi levai la giacca poggiandola distrattamente su un divanetto dello stanzino privato.

"Bah sicuramente sarà qualche gruppetto poco famoso..." - pensai ad alta voce, uscendo e mettendomi a cercare dei cd buoni per la serata.

"Tu dici?" - domandò una voce alle mie spalle, mi girai fissando il ragazzo che mi aveva appena rivolto la parola.
"Too ciao!" - esclamai sorridende e felice.
"Ciao piccoletta ho prenotato un tavolo per la festa di un mio amico".

Davanti a me avevo il tastierista e fondatore di una delle band finlandesi più famose al mondo, i Nightwish.
L'avevo conosciuto circa un 3 o 4 anni prima, lavorando in questo locale.
Si era presentato con un "piacere mi chiamo Tuomas" ed io da brava ragazza in piena euforia gli avevo risposto qualcosa come "so chi sei oh mio Dio".
Da quella sera diventammo ottimi amici, conobbi anche gli altri componenti della band, stringendo una grandissimo rapporto di amicizia con il Marco, soprannominato vichingo.
Lui ridendo per la mia reazione mi seguì, commentando il posto e la musica che avevo scelto.
Gli mostrai il tavolo, chiedendogli chi fosse il festeggiato.

"No non te lo dico".
"Ok, come vuoi" - risposi fingendomi offesa mentre lui sorrideva appena.
"Ti ringrazio" - mi seguì di nuovo, fino al bancone sedendosi su uno sgabello e parlandomi con tenerezza.
"Mia piccola Inferno, sei quasi più finlandese di me" - ammise lui, fissandomi negli occhi con una tale intensità che avrei potuto scioglermi li sotto il suo sguardo.

Tuomas, per quanto ormai facesse parte della mia vita e per quanto fossi abituata a vederlo spesso, nonostante i tour e i suoi impegni, riusciva a farmi rabbrividire ancora.

"Oh ne sono felice".

Lui annuì convinto e si girò poi verso la porta, da dove provenivano le risate di 7 ragazzi.
Lo vidi alzarsi andando a abbracciarne uno, il festeggiato, il basso cantante biondo dei Children of Bodom.
Abbassai lo sguardo sentendomi avampare come una bambina, fissandomi le maniche della felpa che per fortuna mi stavano nascondendo i miei tatuaggi.
Dietro di lui si trovavano gli altri componenti della band, più Marco Hietala che venne ad abbracciarmi stritolandomi, facendomi ridere e l'altro poeta finnico.
Ville Valo.
Cercai con lo sguardo il mio amico Tony che però stava gentilmente parlando con una ragazza, sicuramente di glitter e lustrini.
Mi girai di nuovo verso il gruppo trovando quelle due pozze verdi che mi scrutavano con attenzione.
Se prima credevo di sciogliermi in quel momento stavo decisamente morendo.
In quegli occhi lessi un misto di dolore, tristezza e buio.
Uno sguardo tormentato, pieno di risentimento e paure, lo stesso che vedevo ogni mattina quando mi fissavo allo specchio dopo una notte insonne.
Mi sentii triste e lui notando forse qualche cambiamento nel mio sguardo, spalancò il suo stupito.
Ci eravamo appena letti l'animaa vicenda.
Li vidi avvicinarsi al loro tavolo ridendo, metre il cantante ancora mi osservava ed io che di solito avevo l'abitudine di mantenere alto lo sguardo, mi sentii decisamente messa alle strette, così abbassai il mio di nuovo, colpita da quelle iridi fredde.

"Ti fissa" - commentò a bassa voce e in inglese il mio amico, forse per non farsi capire da chi avevamo intorno.
"Lo so e non so che mi prende".
"Alza lo sguardo" - mi ordinò quasi il mio amico.
"No non ci riesco, lui..lui mi legge dentro!" - risposi.
Tony sapeva e capiva cosa volessi dire perchè proprio lui fu il primo a farlo.
"Lascia correre, non fissarlo". 
"No, io...vado" - presi i menù potrandoli al tavolo dei musicisti, dove un Tuomas piuttosto allegro mi presentò come la piccola mascotte dei Nightwish.
Sorrisi appena, sentendomi osservata.

"Non guardarmi così" - pensai.

Ville con un piccolo sorriso appena pronunciato continuava ad osservarmi.
"Il festeggiato è lui" - continuò il tastierista tirando una palletta di carta all'altro cantante, Alexi.
"Tanti auguri" - risposi allegra fingendo di non sapere che fosse il suo compleanno perchè non mi sembrava carino mettermi a urlare di gioia o fare sceneggiate inutili per lui.
Mi ringraziò con un sorriso enorme e quasi da bambino, mentre io richiamata da Tony girai i tacchi e tornai dietro il bancone.






*****
Buon pomeriggio a tutte/i.
Oh mamma avete letto il primo capitolo in tante/i, mi fa davvero piacere e sono contenta che qualcuno ha inserito questa ff (frutto della mia mente malata) tra le seguite.
Se volete lasciatemi qualche commento, mi farete felice.

Grazie.
Un bacione e alla prossima.

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2



Per tutta la durata della serata rimasi sotto lo sguardo attento del Valo, che non toccò nemmeno una birra.
Un ragazzo, al bancone, forse troppo ubriaco e capendo che non gli avrei servito più nessuna birra o alcolico, iniziò ad urlarmi contro che me l'avrebbe fatta pagare e appena si alzò dallo sgabello, per venire da me fu bloccato dai due cantanti.
Li fissai spaventata e sorpresa.
Silenziosamente dopo aver mandato via il pazzo, il Valo tornò a sedersi insieme ai suoi amici mentre Alexi si sedette su uno sgabello.

"Davvero ti chiami Hell?" - domandò fissando la targhetta cucita sulla divisa del locale - "O è un soprannome?".
"No, mi chiamo davvero Inferno".
"Wow, mi piace perchè è figo".
"Grazie" - risposi sorridendo mentre il ragazzo mi fissava con attenzione.

Rimase un po li ridendo e ponendomi delle domande sui miei gusti musicali ed io rivelai di conoscere le loro canzoni ma imbarazzata, preferii non svelargli il mio amore incondizionato per il suo gruppo.
Lui sorrise in modo strano e iniziò a domandarmi quale fosse la mia canzone preferita ed io risposi che non ne avevo una, mentendo.
Fingendosi offeso se ne tornò dai suoi amici, mettendo il broncio e lanciandomi di tanto in tanto qualche occhiataccia.
Scossi la testa ridendo.
Quando li vidi alzarsi per uscire, tirai un sospiro di sollievo sentendomi finalmente libera dagli occhi di Ville che non mi avevano mai lasciata nemmeno un secondo, soprattutto quando insieme ai suoi vi erano quelli del biondo.
Tony mi riaccompagnò a casa raccontandomi nel dettaglio ogni movimento dei due cantanti e ripetendomi quasi fino allo sfinimento che era rimasto sopreso da quegli strani comportamenti.
Si soffermò sul poeta che con quello sguardo mi aveva destabilizata, mi aveva annullata.
Appena rimasi sola ripensando con calma a quegli occhi mi girò la testa, sentendo poi un senso di malinconia e solitidine attanagliarmi il cuore.

Fissai la mia libreria, cercando i "Racconti dell horrore" di Edgar Allan Poe, rintanandomi nella mia solita posizione vicino alla finestra e dopo aver appurato che la neve aveva ricominciato a cadere sulle strade di Munkkiniemi, mi immersi nella lettura.
Era come se quel ragazzo dagli occhi verdi, fissandomi per tutta la serata e intercettando il mio sguardo, fosse ruscito a leggermi l'anima, catturando i miei soliti demoni e facendoli diventare suoi, proteggendomi.
Come se mi avesse portato via una parte di me.
Sbuffai, passandomi una mano nei capelli.
Per quanto mi sforzassi di non pensare a lui e concentrarmi sulle parole dello scrittore, la mia mente era ben ancorata al ricordo di quelle iridi verdi.
Passai la notte a combattere contro me stessa e per mia fortuna, il giorno dopo me ne rimasi a casa, dormendo fino a tardi e lasciando che un piccolo fuocherello che ardeva nel mio caminetto, mi riscaldasse.

Tornai anche a lavoro sperando che nessuno notasse la mia insolita agitazione lasciando che il dover servire i clienti mi occupasse la mente e mi riportasse un po con i piedi a terra.
Volevo ritrovare la mia calma e soprattutto di non pensare ancora a quella strana sensazione che avevo avuto quando avevo incrociato i suoi occhi e al batticuore che mi aveva incasinato la testa.
A calmare le mie continue domande furono quelle del biondino che si presentò per due sere di fila sedendosi al bancone e ordinando da bere, scherzando e parlando con me come se mi conoscesse da una vita.
Mi raccontò che stavano registrando e che di conseguenza tutto il gruppo era preso dal loro lavoro.
Dentro di me esultavo felice.
Mi piaceva parlare con lui perchè mi veniva naturale e non mi vergognavo assolutamente, certo era un pochino imbarazzante vedere le occhiate furiose di certe ragazze che mi dichiaravano guerra con lo sguardo.
Sorrisi.

Passarono un po di giorni, io iniziai a farmi mille domande e a sognare una possibile storia seria o di semplice amicizia con quel cantante, ricollegando poi il tutto all'anima da fan sfegatata che si celava dentro di me.
Sorrisi come una deficiente pensando a quanto mi piaceva la sua compagnia, la sua voce.
Tuomas iniziava a fare domande su domande notando il mio comportamento.
Eppure io non facevo o dicevo nulla di strano.

"Sorridi e sbavi come un cane appena lo vedi" - mi confessò una sera Tony, ridendo e prendendomi in giro.

A distrarmi dai miei stupidi sogni fu il mio cellulare che vibrava senza sosta nella tasca destra dei miei jeans.
Risposi al mio amico, scoprendo con mio sommo dispiacere che non sarebbe venuto a prendermi e che di conseguenza sarei dovuta tornare a casa da sola.
Eravamo all'orario di chiusura quando un nuovo cliente si sedette vicino al bancone, richiamando la mia attenzione.
"Salve, cosa vuole?" - domandai, senza nemmeno vedere chi avessi davanti, ma fissando gli innumerevoli cd che avevo messo quella sera.
Il silenzio del mio interlocutore mi costrinse ad alzare la testa.
Un colpo al cuore, un battito in meno, il respiro mozzato e quel ragazzo che mi osservava.
I suoi occhi verdi perforarono i miei.
"Vorrei un succo di frutta" - rispose, dopo un po, senza però distogliere il suo sguardo.
Mi girai di scatto riprendendo a respirare, prendendo una bottiglietta e riuscendo dopo qualche minuto e con le mani tremanti, ad aprirla.
Non beveva più alcolici, questo era certo.
"Bel tatuaggio" - disse con voce roca, calda e bassa.
Mi sentii avampare fissandomi i polsi.
Aveva visto.
Lo sentii ridere appena in quel suo strano modo e lo fissai azzardando io la prima mossa dell'incatenare i miei occhi nei suoi leggendoci stupore, euforia e allo stesso tempo, tormento, rabbia, paura.
Demoni.
"Grazie e grazie per l'altra sera" - risposi alludendo al tipo ubriaco, allontanandomi poi da lui e entrando nello stanzino, poggiandomi una mano sul cuore che rischiava un attacco cardiaco.
Aveva capito.
Fissai l'ora al piccolo orologio che stava appeso sulla parete, erano le 4.
Sbuffai.

"Che occhi".

Uscii dallo stanzino trovando il locale vuoto, così chiusi tutto abbassando la saracinesca e incamminandomi poi con le mani nelle tasche della giacca, verso la prima fermata.
Il silenzio regnava sovrano, in cielo le stelle brillavano rendendo la notte meno buia.
Eppure uno strano senso di inquietudine mi pesava sul cuore, rendendolo un macigno pesante e dolorante.

"Abiti a Munkkiniemi" - una voce mi fece girare di scatto pronta a tirare un ceffone a chiunque mi aveva seguita, ma la mia mano fu bloccata lontana dal viso da un'altra.
"Perdonami se ti ho spaventata" - disse il poeta fissandomi attentamente.
Presi un lungo respiro poggiandomi una mano sul cuore che batteva troppo velce, forse per la paura o forse per lui.
"Come fai a sapere che...".
"Ti vedo spesso da casa mia, vieni ti accompagno io" - tagliò corto lui, interrompendomi e con un tono che non ammetteva repliche.
Alzai le spalle poco convinta e notando forse per la prima volta, quanto fosse alto - "Una ragazza non dovrebbe mai andare in giro da sola" - aggiunse, sorridendo appena.
Lo scquadrai pensando che forse avrei rischiato di più andando via con lui ma, spinta da una forza e una fiducia che non credevo di possedere, lo seguii silenziosa verso la sua macchina come se fossi la sua ombra.
"Grazie" - azzardai con voce tremante e voltandomi verso di lui che stava fumando una sigaretta.
Aveva ai piedi delle Converse nere, dei jeans scuri, forse blu o neri, indossava un cappotto lungo fino alle ginocchia nero, che faceva risaltare la sua pelle bianchissima, i suoi occhi brillanti e quelle labbra.

"Hell non guardarlo".

Lottando contro me stessa rimasi a spiarlo con la coda dell'occhio, rimanendo incollata a lui che si girò verso di me sorridendo e facendo rischiare al mio cuore un altro arresto.
Arrivammo vicino la sua macchina una normalissima 5 posti nera.
Abbassai il viso coprendolo con i miei capelli rossi in modo da mascherare le mie guance infiammate.
"Come ti chiami veramente?" - domandò.
Mi girai di nuovo, osservando la sua figura che stava fumando di nuovo, poggiando le labbra sul filtro in una maneria decisamente troppo delicata e sexy.
Mi concentrai sulla domanda, prendendo un respiro e sperando vivamente di non sentire le solite risate.
"Hell" - sussurrai torturandomi una mano e giocando poi con un lembo della manica del mio cappotto.
"Inferno..." - pronunciò con un tono basso e decisamente troppo roco - "Come questa città".
Un brivido salì lungo la mia schiena facendomi tremare.
Lo vidi sorridere appena poi si mise a canticchiare una canzoncina che mandavano alla radio - "Non sei finlandese vero?".
"No, sono inglese".
"Noto una punta di amarezza, cos'è non ti piace come nazione?".
"No" - la mia risposta fu secca e ciò lo fece ridere di nuovo.

Rimasi in silenzio affondando le mani che iniziavano a diventare rosse per il freddo, nelle tasche del mio cappotto. 
Lo sentii sospirare e incapace di parlare lasciai che il nostro viaggio verso casa diventasse silenzioso.
Lo fissai ancora.

"Perdonami" - disse piano facendomi tornare alla realtà, fissai appena l'ora sul telefono era davvero tardi ed erano già 20 minuti che guidava.
"Per cosa?" - domandai incuriosita e girandomi verso di lui che si era appena fermato.
"Per aver riso".
"Oh n-non preoccuparti" risposi balbettando appena, lasciandogli credere che fosse per il freddo.
In verità ero a in imbarazzo.
Vidi in lontananza la via che portava alla mia casa ed inconsapevolmente sorrisi.
"Oh io sono arrivata" - dissi poco prima di entrare nella via, stranamente illuminata, senza fissarlo negli occhi - "Grazie per avermi accompagnata".
Lui sorrise appena poggiandomi una mano in testa e scompigliandomi un po i capelli, come fanno di solito i genitori ai figli ed io rimasi senza fiato, sentendo gli occhi pungere per colpa di quel fastidioso pensiero.
"Buona notte, Hell". 
"Buona notte" - risposi mentre la pressione della sua mano si allentava e mi lasciava libera di uscire da quel mezzo.
Mi incamminai verso casa sentendo ancora i suoi occhi su di me.









****** 
Buona seraaaaaaaa.
Come state? 
Oh bhe Ville ha fatto davvero la sua comparsa, così bello ma dannato.
Devo farvi una confessione....sugli HIM e su Ville in particolare ho scritto diverse storie, ma questa mi piace davvero tanto, spero sia lo stesso per voi.
Ci sto davvero mettendo il cuore.
Bene detto questo ringrazio:

Lea_love_Valo: ahahahah giuro i tuoi commenti mi hanno davvero resa felice e fatto ridere, spero che anche questo capitolo sia di tuo gradimento <3

Ringrazio anche chi sta leggendo.
Lasciatemi qualche commentino così mi fate felice e soprattutto mi fate capire se questa mia ff vi piace.
Un bacio e alla prossima.

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3



"Ma ti rendi conto? Dovresti vedere se ansima come nella canzone" - mi disse Tony mentre facevamo colazione nel nostro bar di fiducia.
"Tony..." - lo ripresi guardandomi poi attorno sperando che nessuno dei presenti avesse sentito la nostra conversazione.
"Perchè ti scandalizzi tanto tesoro? Non è che ti piace?".
"Non capisci!" - risposi secca.
"Mmh si ti legge dentro bla bla bla, conosco a memoria questa scusa, allora le cose sono due, o meglio tre" - iniziò lui fissandomi con attenzione - "Ti piace? Gli piaci o ti piace il biondino?"
"Nessuna delle tre, Tony....".
"Oh certo e io sono la regina Elisabetta".
"Chiuso il discorso" - borbottai.





Scossi la testa al ricordo delle parole del mio amico.
Era stato parecchio imbarazzante affrontare quel discorso, soprattutto perchè avevo mille domande che mi circolavano nella mente.
La prima era quella che più mi lasciava senza nemmeno una risposta.
Perchè mi ero sentita in colpa nei confroni di Allu?
Non avevo fatto nulla di male eppure quella domanda ancora mi frullava nel cervello, nonostante fosse passato un bel po di tempo.
Io, Ville e Alexi diventammo, volendo o meno, un trio.
Eravamo quasi inseparabili.
Alexi era lo spirito gioioso, ti trascinava nella mischia, qualsiasi fosse la sua inizitiva.
Era un chicchierone e aperto.
Ville invece era proprio come me, chiuso.
Con lui potevo anche star in silenzio perchè sapevo che mi avrebbe capito.

"Auguri" - una voce mi fece tornare alla realtà.
"Cos...Tuomas! Oddio quando sei tornato?" - domandai girando attorno al bancone del locale per abbracciare il mio amico tastierista -" Come è andato il tour? Come stai?".
"Calma calma, sto bene, il tour è andato benissimo e sono tornato oggi".
"E sei venuto qui?".
"Mia piccola Inferno, è il tuo compleanno, come potevo non venire?".
"Oh" - emisi un mugolio sorpreso - "grazie".
"Questa sera su decisione di Alexi ce ne andiamo fuori a bere e a festeggiare".

"Chissà perchè ma so che finirà male" - pensai.

Ogni volta era sempre la stessa storia, bere con loro equivaleva allo svegliarsi con un dopo sbornia colossale e con la nausea.
"Ti passo a prendere alle 8".

Così come venuto, il mio amico pirata se ne andò, sicuramente a casa.
Mi osservai attorno, ero sola nel locale ma avevo l'impressione di essere osservata.
Entrai nello stanzino, per prendermi una sigaretta e andarmene nel retro a fumare in santa pace.
Appena rientrai tutti i miei colleghi si misero ad urlarmi gli auguri e la classica canzoncina del compleanno, facendomi arrossire imbarazzata e ridere divertita.
Tony conoscendo la mia passione per la fotografia, mi regalò una bellissima macchina fotografica e il capo, in via eccezionale mi lasciò il pomeriggio e la serata libera.

Il mio pomeriggio fu segnato da una lunga e rilassante al Gert Skytten puisto, un parco che confinava con il mare.
Mi sedetti sotto una quercia, immergendomi nella lettura dei "Racconti dell'orrore" di Poe.
Erano come una droga per me, amaro leggerli e rileggerli più volte.
"Allan Poe".
La mia testa scattò a quelle parole, incontrando lo sguardo del secco cantante che, tenendo le mani in tasca mi fissava con un sorrisetto maligno.
"Ciao Ville".
"Come mai sei qui?" - domandò lui.
"Mi rilassavo...e tu?" - chiesi a mia volta, mettendo un cartoncino nel libro e chiudendolo, per poi girarmi di nuovo verso di lui che si era seduto su una radice.
"Pensavo".
"Pensieri tristi o felici?".
"Pensieri...idee..riflessioni..." - rispose mentre fissava il mare.
Era assente, lo sguardo privo di qualsiasi emozione.
Mi strinsi nel cappotto, poggiandogli una mano su una gamba e inevitabilmente ricatturando la sua attenzione.
"Tanti auguri". 

"Hell calma il tuo cuore, calma i tuoi pensieri, calmati tu".

"Ci sarai questa sera?" - domandai, pentendomi subito dopo, forse Tuomas non gli aveva detto nulla.
"Dillo che brami la mia presenza alla serata delle bevute".
"Era una curiosità la mia."
"No, Inferno, non è così tu speri di vedermi, perchè tu non riesci a starmi lontana, non riesci..." - iniziò lui avvicinandosi a me.

Se c'era una cosa che rendeva Ville un emerito stronzo era il suo atteggiarsi.
Aveva un carattere particolare, riusciva ad essere dannatamente perfetto e un secondo dopo rendersi egocentrico ed egoista da diventare antipatico ed essere lasciato solo.
Sbuffai e mi alzai di scatto.
"La mia era una domanda..." - precisai di nuovo, allontanandomi poi da lui e tornandomene a casa.
Una volta rientrata nel mio piccolo angolo di pace, mi lanciai nella doccia, riscaldandomi e riuscendo in qualche modo a rilassarmi e mandar via il nervosismo che quel bell'imbusto del finnico mi aveva fatto salire.

"Lo detesto quando fa così".

Mi vestii, cantando ad alta voce le canzoni dell'album "Are You Dead Yet?" dei Children of Bodom, sorridendo come una bambina all'idea di rivedere ancora Alexi.
Sentivo di provar qualcosa per lui.
Qualcosa maggiore di una semplice amicizia.
Qualcosa che mi faceva battere il cuore appena incontravo i suoi occhi.
In un anno i miei sentimenti erano decisamente cambiati.
Sorrisi di nuovo.
Il campanello di casa iniziò a trillare, impaziente.
"Arrivo!" - urlai lanciando un veloce sguardo all'orologio e notando con sorpresa che segnava le 8 di sera.
Aprii la porta, trovandomi danvanti il sorriso magnetico del tastierista.
"Ancora non sei pronta?" - domandò poggiandosi le mani sui fianchi.
"Manca solo la matita!" - mi lamentai alzando le spalle e correndo verso il bagno, seguita dal mio amico che prese una matita nera e si truccò.
Questa era una delle assurdità della mia vita.
Era divertente ritrovarsi davanti allo specchio del bagno, insieme, a truccarsi.




"Perchè io...insomma...che ho di speciale...io sono i...tu...".
"Ehi ehi ragazzina, calmati" -  mi disse qualla volta, mentre salivamo nella sua macchina.
Era la prima volta che il tastierista dei Nightwish mi chiedeva di uscire con lui e i suoi amici e io ancora non ci credevo, sognavo, mi illudevo.
"Si ma che...cioè...".
"Sai ti ho chiesto di venire perchè sei diversa, sei reale e noi non siamo abituati ad essere trattati come persone normali. Quindi quando incontriamo qualcuno di speciale...bhe vogliamo tenercelo stretto" - mi spiegò.
Lo osservai con attenzione, notando la tanta sofferenza nelle sue parole.




"A cosa pensi mia cara 29enne?" - mi domandò il mio amico, riportandomi alla realtà.
"Ti ricordi la prima volta che siamo usciti?".
"Come potrei non ricordarla, eri rossa, hai parlato a raffica e Alexi ti ha stressata perchè non volevi rivelargi il titolo della tua canzone preferita".
"No avevo rimosso quella continua lagna".

Scoppiammo a ridere.
Alexi quella sera, si lamentò, chiedendomi in continuazione perchè a Ville avessi rivelato quale era la mia canzone preferita degli Him e a lui no.
Notò i miei tatuaggi e di conseguenza si mise a ridere come un bambino.
Continuò a farmi domande e come se non bastasse tutti i Children of Bodom mi propinarono un terzo grado con i fiocchi e controfiocchi, partendo dall'età fino al mio essere single.
Arrivammo davanti al Tavastia in perfetto orario, trovandoci tutti i nostri amici, tranne quegli occhi verdi che mi avevano tanto fatta imbestialire.

"Mia dama".
"Grazie mio cavaliere" - risposi afferrando la mano di Tuomas che, con fare teatrale, mi aiutò ad uscire dalla macchina.
"Sei un buffone!" - gli urlò Janne, facendo ridere tutti i presenti.

Alexi mi passò un braccio attorno alle spalle, ascoltando i commenti poco gentili del poeta che rispondeva a tono al suo collega.

"Non mi abituerò mai" - confessai.
Non mi sarei mai abituata a loro, ai loro teatrini, alla loro forza e voglia di vivere, alle continue bevute e agli scherzi che ci facevamo a vicenda.
Non mi sarei abituata ai loro sorrisi e alle loro litigate.
Non l'avrei mai fatto perchè con loro era una continua ma stupenda sorpresa.

"Mi accompagni a fumare?" - mi domandò Alexi, prendendomi per mano e trascinandomi con se.
Sbuffai e lo seguii.
"Tu e Tony...?".
"Cosa?".
"State insieme?" - domandò accendendosi la sigaretta e abbassando lo sguardo ai suoi piedi.
Scoppiai a ridere, cercando di riprendermi il prima possibile - "Tony è gay".
"Meno male" - rispose lui avvicinandosi con una sola falcata a me e infilando la mano destra nei miei capelli, attirandomi a se per baciarmi.

"Ora muoio" - pensai, rispondendo felice alle sue labbra.

Si muovevano veloci ma allo stesso tempo lente, quasi come se volessero torturare le mie che, impazienti chiedevano di più.

"Vorrei essere più di un amico per te" - mi confessò, baciandomi ancora.
"Ed io vorrei che tu non fossi un semplice amico" - risposi sorridendo ed abbracciandolo con una tale irruenza da fargli cadere la sigaretta nella neve.

Lo sentii ridere e mi baciò di nuovo.








***** 
Ciao a tutti, come state?
MI scuso se pubblico solo ora ma non trovo più il file sul pc, per fortuna mi ricordo abbastanza bene quello che avevo scritto e di conseguenza sto riscrivendo di nuovo tutto.
Che dire: vedo che questa ff viene letta da parecchie persone e ne sono super felice.

Devo ringraziare:
- la mia cara Lea_love_Valo che mi commenta ogni capitolo.
Berthier, per il bellissimo scambio di opinioni e per la recensione.
- chi ha messo questa mia storia tra le seguite e le preferite.
Grazie davvero <3

Spero che questo capitolo sia di vostro gradimento.
Fatemi sapere che ne pensate e buona notte a tutti.
Un bacione e alla prossima.

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


Capitolo 4




Nonostante con Alexi avessimo deciso di vederci con calma, di non bruciare tutte le tappe e comunque di procedere un passo alla volta, restare lontani e separati ci intristiva così tanto che alla fine ci ritrovavamo a vederci ogni due giorni.
Lui usava la solita scusa della casa discografica per venirmi a prendere la sera e portarmi a casa, rimanendo con me.
Era bellissimo parlare fino a tardi, scambiandoci di tanto in tanto qualche tenero e ancora imbarazzato bacio, addormentarsi tra le sue braccia e risvegliarsi con il suo profumo addosso.

Era disarmante vederlo dormire tranquillo.
Sembrava un bambino, rilassato e sorridente anche nel mondo dei sogni.
Ogni tanto mugugnava qualche parola senza senzo, facendomi sorridere.
Poi apriva i suoi occhi e mi investiva con quelle sue iridi chiare, rendendomi incapace di ragionare e dire un semplice "buongiorno".
Sorrisi per l'ennesima volta.

"Mi ascolti?" - urlò Tony, sventolandomi una mano davanti agli occhi e facendomi arrossire.
"Scusami".
"Alexi, da quando stai con lui..ti sei rincitrullita".
"Non è vero!" - mi lamentai fingendomi offesa.
"Oh si, sbavi come un cane".
"Non sbavo assolutamente...e poi scusa non eri tu quello: "oddio i musicisti no!"?" - domandai, porgendo ad un cliente il suo boccale di birra e fissando negli occhi il mio amico.
"Io personalemente preferisco i modelli..".
"Non mi hai risposto!" - gli feci notare sorridendo poi al secondo cliente.
Quella sera il locale non era molto affollato, per fortuna.
"Ok diciamo che tifo per loro..." - rispose alzando le spalle e tornando a lavare un bicchiere.
"Loro?".
"Tifavo di più per il Valo" - ammise ridendo.

"Ville" - pensai, schiaffandomi una mano sulla fronte.

Non gli avevo ancora detto di me ed Alexi.
Erano ormai due mesi che mi frequentavo con il biondino e non avevo ancora parlato con il nostro amico.
"Che c'è?" - domandò il mio amico, notando forse la mia espressione o sentendomi sbuffare.
"Non gliel'ho ancora detto".
"Da quanto non parlate?" - mi chiese attento.
"Dalla nostra discussione al parco...".
"Due mesi..complimenti".

Sospirai e mi girai verso l'entrata del locale, incrociando le iridi azzurre del mio ragazzo, che rideva insieme a Janne mentre si avvicinavano al bancone.
Arrossii.

"Ciao!" - mi salutò allegro il tastierista.
"Janne...ciao Allu" - risposi, trovando quelle labbra ad aspettare pazienti le mie.
"Ciao mia dolce ragazza".
"Come sei teatrale" - commentai, strizzando un occhio in direzione del suo migliore amico che si mise a ridere per qualche secondo.
"Perchè Tuomas può essere teatrale ed io no?" - si lamentò con tono acido e quasi geloso il mio biondo cantante.
"Ti adoro quando fai così".
"Sei una piccola....piccola...".
"Piccola?" - incalzai avvicinando di nuovo il mio viso al suo, inarcando un sopracciglio curiosa.
Lui sbuffò e mi baciò di nuovo.
"Tra quanto stacchi?".
"Un'oretta, ammeno che non entrano tutti insieme mille clienti" - risposi fissando subito la porta.

Era bellissimo.
Mi riempiva di gioia sapere che lui era disposto ad aspettare la fine della mia giornata lavorativa, per stare con me.
Era qualcosa che mi rendeva tremendamente felice.
Così anche quella sera, una volta finito il mio turno, mi strinsi nel suo abbraccio e camminammo insieme fino alla macchina, andando poi a casa mia.

"Devo dirlo a Ville" - ammisi mentre gli accarezzavo i capelli, stesa sotto il mio pesante piumone e fissando il ragazzo al mio fianco.
"Hai ragione..." - commentò lui con tono seccato e  girando il viso verso la finestra.


Dire a Ville che io e Alexi ci eravamo fidanzati non fu per niente semplice, anzi.
Avevo l'impressione di fargli del male, di tagliarlo inevitabilmente fuori, come se il nostro trio    si stesse rompendo a causa mia, nostra.
Lasciai correre i miei stupidi ed insensati dubbi e mi sedetti al suo fianco, su una panchina del solito parco.
"Io e Allu stiamo insieme" gli dissi senza fissarlo, mentre lui restava in silenzio, chiuso forse nel suo solito ed imbarazzante mutismo.
Mi fissò per qualche secondo poi si alzò e se ne andò.
Provai a corrergli dietro ma mi bloccò dicendomi, con tono decisamente deluso e sofferente, che era felice e che dovevo lasciarlo in pace.
Rimasi a fissare la sua schiena che dondolando da destra a sinistra, si allontanava da me, mettendo non solo della distanza fisica, ma soprattutto quella mentale.
Ville aveva deciso, senza darmi nemmeno una spiegazione, di far finta che non ci fossimo mai conosciuti.
Capitava di uscire insieme la sera e mi rivolgeva solamente, qualche volta, un Ciao di circostanza.
Nulla più.
Se provavo a parlargli mi rispondeva male e con frecciatine, che non comprendevo.
Non riuscivo proprio a capire il perchè di tutto quel rancore che portava nei miei confronti.
Provai anche a parlarne con Allu, ma lui liquindò il discrorso con un "sarà nervoso per il cd" o "avrà qualche problema con qualche donna".

Per quanto mi sforzassi di mostrare ed ostentare una forza e un menefreghismo che non possedevo, dentro di me soffrivo.
Stranamente, era come se Ville mi avesse portato via una parte del mio cuore.
Provai per qualche giorno ad andare alla torre, fermarmi li e suonare, chiamarlo ad alta voce.
Ma l'unica risposta che ricevetti fu il silenzio quasi innaturale della sua casa, dell'ambiente che mi circondava.
L'Heartagram sul polso bruciava, faceva male anche solo guardarlo.
Avevo perfino nascosto i cd, perchè da pazza masochista, mi ritrovavo a piangere in silenzio con la sua voce come sottofondo.
Per me che mai avevo avuto amici, perderne uno senza capirne il motivo, era difficile da  digerire e in qualche modo superare.
Se poi questo amico era il caro Valo, era ancora peggio.

Ero piuttosto felice della mia vita.
Avevo una bella casa.
Un bel lavoro e dei bei amici.
Avevo un ragazzo fantastico che, anche se spesso doveva partire per qualche giorno, era sempre pronto a fare i salti mortali per me.
Le ore con Allu si trasformarono, come se nulla fosse, in giorni, poi mesi.
E mi gonfiava il cuore di gioia.
Le ore senza Ville invece facevano male.
Le sue continue occhiatacce erano davvero brutte e ferivano sempre.
Ville sapeva essere sia il tuo migliore amico, ma anche il tuo peggiorn nemico.
L'inuico che capì che qualcosa era cambiato fu Tuomas che da bravo osservatore notò il suo evitarmi e il mio sguardo spento.








*****
Buona sera a tutti.
Eccomi qui di nuovo, con un nuovo capitolo e con delle novità.
Mi scuso per gli eventuali errori.
Un grazie speciale a Lea_love_Valo: ragazza mia ti adoro sappilo.
Un bacione a tutti e alla prossima.

P.S. lasciatemi qualche commento così mi fate felici.

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


Capitolo 5



"Ci facciamo una foto?" - domandò Allu ridendo appena mentre controllava i mille commenti sulla sua pagina.
Lo squadrai curiosa - "Ci sono decine e decine di foto su di noi".
"Ma voglio metterla sulla mia pagina per far rosicare e far vedere che gran bella ragazza che ho".
"Quanto sei stupido".
"Dai!" - mi pregò lui, facendo sporgere il labbro inferiore e rendendosi adorabile ai miei occhi.
Alzai gli occhi al cielo - "Magari un'altra volta" - mi avviacinai a baciarlo.

Nell'esatto momento lui scattò una foto con il suo telefono.

"Sei un traditore" - commentai dandogli una pacca detro al collo e facendolo ridere divertito.
"Lo sai che adoro vederti imbronciata?".

Feci la finta offesa girandomi dall'altra parte, dandogli le spalle e tornandomene sul divano.
Lui scosse la testa ridendo divertito e caricò quella foto sulla sua pagina, ricevendo in meno di due secondi mille commenti.

Lottai contro la mia curiosità che prevalse sulla ragione e mi avvicinai al mio ragazzo.
Lui scoppiò a ridere divertito, prendendomi tra le sue braccia e facendomi sedere sulle sue gambe.
La maggior parte dei commenti proveniva da finti felici, persone che ci auguravano la felicità e che commentavano con aggettivi decisamente falsi ma allo stesso tempo bellissimi.
Allu si rabbuiò quando gli scrissero che ero molto meglio di Kristen.
Notai quel cambio di cambio di atteggiamento e mi rattristai.
Lui ancora ci stava male.

"Stai bene?" - domandai sussurrando appena, terrorizzata dall'idea che la mia domanda potesse farlo arrabbiare.
"Si, non preoccuparti".
"Ok" - risposi alzandomi dalle sue gambe e allontanandomi da lui, per prendere una sigaretta, rigorosamente Lucky Strike e accendermela.

Lo sentii sbuffare sonoramente e chiudere con forza il suo portatile, alzandosi di scatto e andando nella
stanza dove teneva le sue chitarre.

Rimasi a fissare il soffitto, sentendolo poi suonare per sfogo.
Sospirai, presi il mio cappotto e uscii di casa, decidendo di fare quattro passi nella calma più totale.
Come un'aspirante suicida, decisi di infliggermi del male iniziando a sentire le canzoni degli HIM, sentendo quella voce che avevo iniziato inevitabilmente a dimenticare.
Mi mancavano i pomeriggi passati nel più totale silenzio, sapendo che non servivano le parole per capirci.
Con Ville era così.
Mi chiedevo il perchè fossi così triste di non avere più vicino il cantante.
Respingevo ogni più piccolo dubbio sul mio amore.
Anche se ancora non l'avevo detto ad alta voce, amavo Alexi, non potevo negarlo e non riuscivo a prendere in considerazione nemmeno per qualche secondo l'idea che potessi provare qualcosa di più di una semplice amicizia nei confronti del Valo.
Non potevo amarlo.
Non potevo nemmeno odiarlo.
Mi fermai nel bel mezzo di una strada, alzando la testa verso il cielo.
Cadevano piccoli fiocchi di neve.
Allu invece ancora provava qualcosa per la sua ex.
Me lo ritrovai vicino, spaventandomi e chiedendomi per quanto tempo fossi rimasta a fissare la neve.
Mi tolsi una cuffia, sorridendogli appena e spegnendo poi la musica.

"Perdonami" - mi disse sincero, accarezzandomi una guancia.
"Non preoccuparti".

La mia risposta lo fece sorridere dolcemente, poi mi abbracciò.

"Mi ha lasciato perchè ero troppo impegnato con il gruppo".
"Mi dispiace" - ammisi provando tristezza e dolore per lui.

Molte volte avevamo parlato della vita di un musicista, sempre in giro per il mondo, sempre a divertirsi davanti agli occhi di tutti, ma quando finiva si ritrovavano da soli.
Le loro relazioni erano messe a dura prova e spesso, molto spesso finivano.
Le loro storie erano di dominio pubblico e tutti potevano metter bocca su ciò.
I giornalisti squali per fare notizia e di conseguenza guadagnare di più, inventavano relazioni inesistenti e creavano scandali senza nessuna base.
Questo era capitato ad Allu non appena aveva rotto con la sua ex compagna.

"Inventarono che avevo un'altra relazione e per quanto mi fossi impegnato nel riconquistare Kristen, ciò distrusse la sua fiducia nei miei confronti" - mi spiegò prendendomi per mano e iniziando a camminare verso casa insieme.
"Quando è successo?" - domandai stringendogli poi la mano.
Lui sorrise tristemente - "Quasi due anni fa".
"Ti manca?" - chiesi timidamente.
"No" - ammise - "no perchè ho ricominciato a vivere grazie a te".

Il mio cuore perse un battito o forse due.
"Diglielo" - mi consigliò la mia mente, che ancora lottava contro se stessa.

"Sai ho paura..." - disse quasi sussurrando, mentre si girò a fissarmi dolcemente.
"Di cosa?".
"Che possa succedere lo stesso...di svegliarmi domani senza di te..".
"Io.." - strinsi gli occhi insieme alla presa sulla sua mano, mi fermai, ccostringendolo inevitabilmente a girarsi verso di me.
"Che c'è?" - domandò preoccupato.
"Io..".
"Tu cosa?".
"Sta' zitto, fammi parlare o non ci riuscirò mai..." - lo ripresi stizzita.

Lui rise piano, fissandomi con attenzione e incrociando le braccia al petto.

"Mmh io...quelle parole che hai detto sono state dolci...ho paura anche io" - ammisi abbassando la testa, torturandomi le mani - "Ho paura di rimanerti lontana..però posso impegnarmi perchè non sia così".
"Non permetterò a nessuno di tenerci separati".
"Ti amo...si ecco..l'ho detto..ti amo" - ripetei rossa in viso e sorridendo come una scema.

Lui scoppiò a ridere e mi abbracciò, sollevandomi e girando su se stesso, cercando le mie labbra.
Il silenzio attorno a noi era riempito dai battiti dei nostri cuori.
Cantavano la loro canzone.
Battevano l'uno per l'altro.
"Ti amo mia piccola e dolce Inferno"






*********
Ed eccomi qui, sono tornata!
Chiedo venia per l'attesa e ringrazio come sempre la mia amata Lea_love_Valo.
Spero che ti sia divertita.
Io invece ho passato le giornate a dover ricordare i capitoli e riscriverli.
Che altro dire, Hell e Allu sono tenerissimi, li amo quasi......bheeeeeee....niente spoiler.
Dai su tu...si proprio tu, che stai leggendo e ridi perchè sai che parlo con te...fammi sapere che ne pensi XD.
Scusate per i miei scleri.
Un bacione e alla prossima.

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


Capitolo 6



"Che è successo con Ville?" - domandarono Tony e Tuomas fissandomi con attenzione, mentre io risistemavo la mia collezione di cd.

Mi girai a fissarli.
Il poeta teneva in mano i cd del suo amico, rivolgendomi un'occhiata piena di domande.

Too..nulla perchè?" - mentii.
"Non mentirmi" - mi riprese lui con tono fermo e nervoso.
"Non lo so" - risposi sospirando e alzando le spalle, prendendo uno per volta i cd degli Iron Maiden che avevo poggiato sul tavolo.
"Come non lo so?".
"E' cambiato, credo che mi odi!".
"E per quale motivo?" - domandò Tony ridedo forse per il mio tono o perchè non credeva alle mie parole.
"Mi evita da quando gli ho detto di me e Allu".

Le immagini della sua schiena che si allontanava mi fecero boccheggiare per qualche secondo.
Erano passati già sette mesi.
Setti mesi in cui avevo davvero provato di tutto per riallacciare i rapporti.

"Ne hai parlato con il tuo boy?" - chiese il mio collega di lavoro, avvicinandosi alla finestra e fissando la torre, buia e silenziosa.
"Si".
"E?" - incalzò Tuomas, tenendomi ferma la scala mentre salivo di qualche gradino.
"Ha detto che era nervoso per il cd o per una donna".
"Oh certo!" - commentò stizzito il ragazzo alla finestra - "il tuo ragazzo secondo me, non ha capito nulla di questa situazione".
"Se è per questo, io ci ho capito molto meno" - affermai a tono, facendo ridere di gusto il tastierista.
"Andiamo Hell, secondo te perchè si è allontanato così da te?".
"Perchè gli ho fatto qualcosa? Non so" - domandai a mia volta.
Tony scosse la testa sbuffando e borbottando tra se - "Sei sveglia solo quando ti fa comodo".
"Allora illuminami, mio sommo guru".
"E' innamorato di te" - rispose come se fosse una cosa ovvia.

Lo fissai in silenzio, scoppiando poi in una fragorosa risata, scendendo dalla scala che tremava pericolosa e appoggiandomi al mobile, per evitare di cadere.

"Non ha tutti i torti" - commentò Tuomas, scambiandosi uno sguardo d'intesa con il mio amico.
"Voi vi fate dei viaggi epici, ragazzi se fosse stato così avrebbe smesso di parlare anche con Allu, ma non l'ha fatto quindi...".
"Quindi Ville è strano" - terminò il tastierista.
"Puoi giurarci" - disse a sua volta Tony.

Mi ritrovai a sorridere appena.
Potevano dire tutto di Ville, che era strano, scostante, decisamente idiota e egocentrico, un'egoista e menefreghista ma io sentivo che vi era qualcosa di grosso sotto.
E il non capirlo mi mandava fuori di testa.
Soffrivo per quei silenzi, per le volte che uscivamo tutti insieme e mi ritrovavo inevitabilmente a sentirmi male, in colpa.
Vedevo i suoi occhi scrutarmi o forse uccidermi.
Quegli occhi che una volta mi rivelavano ogni più piccola emozione erano freddi, taglienti.
Lame che mi ferivano.
Mi mancava, nonostante le porte sbattute in faccia, i "vattene non voglio parlarti ne vederti" o "non abbiamo più nulla da dirci", sapevo che quello che avevo davanti non era il Ville.
Non era il mio Ville.
Mio? 

"Sai già che farete per il vostro mesiversario?" - domandò di scatto uno dei miei due amici, facendomi girare verso di loro, risvegliandomi dai miei soliti e deprimenti pensieri.
"Non so, ha detto che è una sorpresa".
"Oh mio Dio, posso truccarti?" - chiese Tony saltando su dal divano e unendo le mani in segno di preghiera, lo fissai alzando un sopracciglio e girandomi poi verso Tuomas che alzò le mani in segno di resa e dopo avermi salutato se ne andò via.
"Dai ti prego...mi vuoi...".
"Tony no! Non provarci! Ti voglio bene ma no!" - risposi scappando via da lui, che si mise ad inseguirmi per casa ridendo ed urlando che se non mi facevo truccare mi avrebbe ucciso o non mi avrebbe più parlato.

Scossi la testa e mi chiusi in bagno a farmi una doccia rilassante, scollegando del tutto la mia mente.
Alla fine cedetti alla richiesta del mio amico.
Non perchè mi avesse costretta, ma perchè era decisamente troppo palloso ascoltare le sue lamentele continue.

"Hell, sei davvero bella".
"Cosa vuoi?".
"Tutti i particolari dopo che vi sarete fatti una ricca e sana tromb...".
"Oddio, oddio, oddio!" - urlai fissandolo con occhi sgranati e arrossendo.
"Che ho detto? E' una cosa del tutto normale...se proprio vogliamo essere romantici diciamo che dopo che avrete fatto l'amore nel modo più dolce possibile, dovrai dirmi tutto!" - si corresse lui.

Mi schiaffai una mano in fronte, sentendomi andare a fuoco per l'imbarazzo.
Ad essere sincera ogni tanto avevo pensato alla nostra prima volta insieme ma, parlarne o meglio ascoltare il proprio migliore amico urlarti che stai per fare qualcosa con il tuo ragazzo, non rientrava nei miei pensieri.
Sorrisi.

"Sorriso ad ore 12, hai pensato a quello che ho detto?".
"Effettivamente..si" - ammisis fissando il mio amico che guardava nel mio armadio, mentre io me ne restavo seduta sul letto a fissarmi allo specchio.
"Oh bene significa che sei normale, comunque non preoccuparti, non forzarti..se sarà, sarà".

Presi un lungo respiro, annuendo piano e torturandomi una ciocca di capelli.

"Hell guardami" - mi ordinò lui, accucciandosi davanti alle mie gambe e fissandomi con tenerezza - "andrà bene, non temere".

Sentimmo il campanello iniziare a suonare e insieme ad esso il mio cuore prese a battere frentico e felice.

"Mio caro Alexi, la tua dolce ragazza si sta vestendo".
"Oh ok..." - rispose un tantino imbarazzato e sorpreso.

Spiai per qualche secondo la loro conversazione, concentrandomi su Allu.
Era bellissimo anche con i capelli raccolti in una coda bassa.
Indossava dei semplici jeans, troppo semplici conoscendo il tipo.
Una camicia nera che lo rendeva davvero sexy e allo stesso tempo perfetto.
Arrossii.
Sorrisi e corsi su per le scale, evitando di far rumore e muovendomi nel vestirmi.
Tony mi aveva costretta ad indossare un vestitino celeste chiaro, quasi tendente al bianco  con delle scarpine abbinate.
Aveva lasciato i miei capelli rossi sciolti che ormai molto lunghi mi arrivavano quasi all'altezza dell'ombellico.
Sembravo una bambola.
Sorrisi per il risultato, sentendomi decisamente perfetta e bellissima.
Scesi al piano di sotto.
Alexi scattò in piedi, osservandomi con gli occhi spalancati e con un sorriso dolce sul volto.

"Sei bellissima" - disse avvicinandosi a me e baciandomi con estrema ed infinita dolcezza.

Mi mozzò il fiato, rendendomi incapace anche solo di ragionare.
Mi allontanai da lui solo per riprendere aria.

"Vogliamo andare?" - domandai facendolo sorridere mentre ancora mi accarezzava il viso.
"Andiamo" - rispose prendendomi per mano.

Tony sorrideva beato e felice.
Sorrisi a mia volta e me ne andai con il mio ragazzo.
Alexi mi sorprese.
Nonostante fosse un tipo sbadato e sempre "trasandato", casinista e decisamente calato nella parte del ragazzo cattivo, mi portò in uno dei ristorati più costosi di Helsinki.
Aveva richiesto un tavolo per noi con la vista sulla città.
Una città che mai prima di allora avevo amato così tanto.

"E'..è bellissimo" - dissi guardando appena fuori la vetrata.
"Tu lo sei" - rispose lui, sorridendomi.
"Ti amo lo sai?".
"Ti amo da morire".



La nostra cena fu perfetta, non per il posto, non per il cibo, non per l'arredamento o il servizio, ma perchè c'eravamo noi.
Solo questo contava.
Il ritorno a casa fu ancora meglio perchè, innamorati come non mai, ci lasciammo travolgere dalla passione.
Lasciammo cadere le giacche sul pavimento.
Gli sciolsi la coda, lasciando che i suoi capelli ricadessero liberi sulle sue spalle.
Lui mi prese in braccio di peso, camminando veloce verso la sua sua stanza, continuando a baciarmi, con una tale intensità da farmi tremare per la felicità.

"Ti amo" - mi ripeteva staccandosi dalle mie labbra per poi impossessarsi di nuovo di esse come se fossero una droga.

Di tanto in tanto sospiravamo.
Gli levai quella stupida ed ingombrante camicia, arretrando verso il letto.
Sentii le sue mani vagare sulla mia schiena, fermandosi inevitabilmente sulla chiusura del vestito, lo sentii armeggiare per qualche secondo e poi le sue dita fredde far si che quel inutile abito scivolasse a terra insieme alla sua camicia.
Ci stendemmo sul letto, accarezzandoci e baciandoci lentamente, provocando una passionale tortura per tuttie due che sospirammo beati.
Presto o tardi anche i suo pantaloni e gli utlimi ingombranti indumenti furono tolti, rendendoci vulnerabili.
Le sue mani e le sue labbra disegnarono una linea invisibile che partiva dalla mia fronte fino alle mie gambe, sospirai ad ogni suo bacio.

"Sei sicura?".
"Ti voglio" - risposi sincera baciandogli le labbra e sorridendo.
"Ti amo" - mi ricordò accarezzandomi con gentilezza, mentre, con estrema dolcezza unì i nostri corpi.

Rimase fermo qualche secondo, lasciandomi il tempo di riprendere aria e rilassarmi sotto al suo corpo.
Fu dolce, lento, irresistibilmente perfetto.
Ripetevamo i nostri nomi, guardandoci negli occhi, confessandoci il nostro amore e arrivati al culmine del piacere, ci abbracciammo stringendoci con quella poca forza che ci era rimasta e ci addormentammo insieme.






*********
Buon pomeriggio.
Amo questa coppia, davvero sono dolcissimi e troppo belli...ok scusate il mio sfogo da pazza sclerotica.
Come state?
Io piuttosto bene e sono felice di sapere che oltre alla mia Lea_love_Valo che ormai mi fa sorridere ogni volta con i suoi commenti, ho una nuova "fan" :D

LIlith_s: grazie per il bellissimo commento spero che anche questo capitolo sia di tuo gradimento e sono davvero felice che questa mia ff ti piaccia.

Un bacione e alla prossima.
<3

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


Capitolo 7



Dopo la nostra prima volta, ovviamente ci fu un semplice ma comprensivo imbarazzo.
La mattina quando mi svegliai mi gira sul fianco sinistro, trattenendo il respiro, emozionata dall'immagine di Allu che dormiva, sorridendo beato e rilassato, lasciando ricadere qualche ciocca di capelli sul volto.
Sorrisi accarezzandogli la testa, per poi sfiorare i suoi tatuaggi sul braccio sinistro percorrendo i controrni.
Adoravo fare ciò.
Era rilassante e in qualche modo era come sentirli sulla propria pelle.

Spesso avevo fatto la stessa cosa con il poeta che viveva nella torre, passando le dita sui suoi disegni, sentendolo rilassarsi sotto al mio tocco e trattenere il respiro quando, senza nessun imbrazzo percorrevo quelli sui suoi fianchi, sul suo petto o sul ventre.

Scossi la testa, sentendomi di nuovo e osservando il mio ragazzo che, nonostante i miei continui vaggi mentali e i ricordi, amavo davvero.
Lo vidi muoversi appena, aprendo per qualche secondo i suoi occhi e richiuderli subito dopo per la troppa luce.

"Buongiorno" - mi disse con voce roca.
"Ciao" - risposi sporgendomi un poco verso di lui e baciandolo - "Vado a farmi una doccia".

Lui annuì ed io, arrossendo come una bambina, mi alzai dal letto, indecisa se trascinarmi dietro anche il lenzuolo.
Sgattaiolai in bagno, aprendo l'acqua calda e rilassandomi sotto il getto, chiudendo appena gli occhi e lasciando che le immagini di noi due mi ritornassero in mente, facendomi sorridere sincera e appagata.

Dopo esserci preparati, Allu mi portò a fare colazione fuori, accarezzandomi languidamente di tanto in tanto.
C'erano delle ragazzine che ci fissavano con attenzione, ma non ce ne preoccupammo minimamente anzi, appena finito di mangiare ci alzammo e pagammo, uscendo dal bar e andando ad andare al mio lavoro.
Una volta arrivati al mio locale rimase per qualche minuto, salutando con calore anche Tony.

"Ti chiamo sta sera" - disse serio ed io annuii triste all'idea di vederlo andar via, ma dopo un suo bacio decisi di sorridergli.

"Allora, quel sorriso la dice lunga...come è stato?" - domandò Tony dandomi una gomitata in un fianco.
"Oh...". 

Arrosii visibilmente facendo ridere il mio amico.

"Dai..." - incalzò lui, facendomi gli occhi dolci e facendomi notare che nel locale ancora non vi era nessuno - "Dai sono curioso, come è messo il ragazzo?".
"Tony sei pessimo" - commentai sorridendo al ricordo delle mani e dei baci del mio ragazzo.

Era stata la notte più bella della mia vita.
Mi sentivo amata.
Amavo l'idea di amare quello straordinario ragazzo che, sotto la maschera da bullo e da cattivo che indossava, nascondeva un dolce e premuroso compagno.

"E' stato bellissimo" - ammisi sorridendo.
Il mio amico sorrise a sua volta e si mise seduto sul bancone, incrociando le braccia e annuendo con fare curioso, invitandomi ad andare avanti - "E' stato dolce, passionale, perfetto e...sta messo bene".
"Grazie per le info".
"Che vorresti fare?" - domandai scaldandomi e facendo scoppiare a ridere il mio amico, che mise subito le mani avanti rassicurandomi che la sua era solamente curiosità.

Ridemmo tutto il pomeriggio e la sera.
Il suo sorriso sparì dal suo volto quando la porta del locale emise il solito cigolio.
Mi girai anche io verso la porta, cercando di capire cosa avesse turbato così tanto il mio amico e capii.
Ville era li.
Freddo e distaccato come sempre.
Affianco a lui, quasi come se fosse una sfera stroboscopica, vi era una ragazza bionda vestita con lustrini e paillettes.
Inarcai un sopracciglio.
Non era il tipo di Ville, assolutamente.

"Hell.." - la voce di Tony arrivò alle mie orecchie come se fosse un sussurro, mi girai verso di lui che mi osservava preoccupato.
"Che c'è?".
"Stai bene?" - domandò.
"Si perchè?" - mentii spudoratamente.

Mentii perchè ero rimasta sconcertata da quella donna, che si era arpionata al braccio del cantante e non lo lasciava camminare e da Ville che fissava ghignando appena, come se volesse farmi del male.
Mi sentii morire lentamente sotto il suo sguardo.
Sentii la mia testa girare e poggiai con troppa velocità le mani sul bancone, Tony mi si avvicinò comprendendo il mio stato d'animo che, nonostante cercassi di nascondere, era evidente.
Gli feci capire di star bene e servii qualche tavolo, tornando poi alla mia postazione e mettendo un cd dei Children of Bodom, rilassandomi subito al solo sentire la voce di Alexi.
Tirai un sospiro.

"Certo che figlia mia ti ha stancata davvero" - disse il mio amico nel nostro perfetto inglese, lasciando che le sue parole arrivassero alle orecchie del ragazzo che si era appena seduto ad un tavolino piuttosto vicino al bancone.
"Tony" - sussurrai arrossendo.
"Che ho detto? E' una cosa naturale, adesso sarete ancora più uniti".

Instintivamente mi coprii il viso con una mano, ridendo appena e notando che il finnico dagli occhi verdi mi stava fissando, stringendo la mascella e i pugni.

"Ti accompagno a casa?" - domandò il mio amico che invece aveva adocchiato un ragazzo.

Era un tipo decisamente bello, alto e con un fisico statuario.
Scossi la testa divertita.

"No, vado da sola".



Così come detto, appena finito il mio turno lasciai la "divisa" nel mio armadietto e dopo aver salutato i colleghi, uscii dal locale.

Helsinki a fine maggio era decisamente perfetta, non faceva ne troppo freddo ne troppo caldo.
Le giornate erano un pochino più lunghe e i tramonti, mozzafiato.
A metà strada una folata di vento mi fece rabbrividire e nello stesso istante sentii il mio telefono squillare.
Lo cercai per qualche secondo in tutte le tasche della mia semplice giacca, sorrisi e risposi.
 
"Amore ciao".
"Piccola, dove sei?".
"Sto torando a casa, tu?" - domandai.
"Sto in sala, abbiamo finito finalmente la prima canzone" - rispose allegro ed io sorrisi felice, sia per lui sia per me, perchè nonostante la nostra relazione, i Bambini erano il mio gruppo preferito - "Ho una proposta da farti".
"Cosa?" - chiesi.
"Ti va di venire qui domani?".
"SI!" - urlai ridendo, come se mi avesse appena fatto una proposta di matrimonio.
Lo sentii ridere di cuore, divertito dalla mia reazione e solo dopo avermi detto di amarmi attaccò la chiamata.

Abbassai la testa mentre attraversavo la strada dopo aver controllato attentamente che non passasse nessuno e riflettendo su quanto, nonostante tutto, la mia vita fosse bella.
Tutti i miei buoni pensieri cambiarono in una manciata di secondi, quando sentii lo sgommare di una macchina e qualcuno afferrarmi di colpo e lanciarci verso il marciapiede, dove battei violentemente la testa.
La macchina continuò imperterrista a sfrecciare lungo la via, nonostante mi avesse quasi travolta.
Tremai appena, scoprendo con orrore che qualcosa mi colava lungo la tempia e la guancia destra mentre una voce continuava a chiamarmi.
Mi girai verso chi mi aveva appena salvato la vita e mi ritrovai a fissare quelle iridi verdi che per la prima volta avevano abbandonato la loro espressione fredda e distaccata, per una troppo preoccupata.
Mi toccò la testa con la punta delle dita, gemendo terrorizzato dall'idea che potesse farmi ancor più male, aiutandomi ad alzarmi senza però dire una parola.
Stordita mi poggiai ad un palo della luce.

"Andiamo in ospedale" - esordì mentre prendeva il suo cellulare.
"No, ti prego portami a casa".
"Ok" - rispose con un tono che non ammetteva repliche, mentre chiamava un taxi- "Siediti e cerca di non sentirti male".
"Vuoi darmi altri ordini?" - domandai con la voce rotta e spaventata.
Non mi rispose.
Lo sentii prima parlare veloce e con tono nervoso, poi i suoi passi avvicinarsi a me subito dopo.
"C'è uno sciopero, chiama Alexi..."
"NO!" - urlai, non volevo assolutamente farlo preoccupare, non in quel momento che era tanto felice.
"Allora ci toccherà andare a piedi, ce la fai ad alzarsi?" - chiese sospirando.

Mi alzai.
Una voce sconosciuta ci chiamò preoccupata.
Un signore arrivò correndo verso di noi, chiedendoci se poteva aiutarci aiuto o darci un passaggio, che accettammo.
Ville mi fissò per qualche secondo, prendendomi in braccio e caricandomi nella macchina, dando le indicazioni stradali al signore, di cui non capii nemmeno il nome.
Mi strinsi addosso al cantante che se ne stava rigido ostentando freddezza, tradito però dal suo cuore che ancora batteva veloce.
Parlava veloce, preoccupato.
Chiusi gli occhi, sperando di calmarmi e di smetterla di piangere.


Sentii la porta richiudersi con forza e il morbido tessuto del divano, toccare la mia schiena.
Ville si accucciò sulle gambe davanti a me, scostandomi i capelli dal viso e dalla ferita che aveva smesso di buttar via il sangue.
Lo vidi alzarsi e tornare dopo poco con dell'ovatta, mi misi seduta, poggiando la schiena sulla spalliera.

"E' solo un taglietto, non avrai bisogno di punti" - mi confessò lui, mentre con delicatezza mi levava via il sangue che mi si era seccato attorno ad essa.
"Dove vai?" - domandai non appena lo vidi alzarsi.
"A casa".
"Ti prego rimani" - sussurrai, supplicandolo e in qualche modo sperando di averlo vicino anche solo per una notte.
"Rimango qui, ma tu cerca di dormire un po" - disse sorpreso, accompagnandomi in camera e lasciandomi poi da sola.

Mugugnai qualcosa di incomprensibile e mi stesi sul mio letto, chiudendo gli occhi stanca.
L'immagine della macchina e il suono delle ruote sull'asfalto mi tornarono in mente e incapace di scappare, iniziai ad urlare finchè la luce non mi si parò davanti agli occhi.
Fissai la mia stanza, respirando affannosamente e notai Ville che ancora teneva le mani sui miei fianchi.
Lo vidi sorridere tristemente, quasi sofferente.
Abbassai lo sguardo dai suoi occhi alle sue mani, tramavano e la sua camicia era sporca.
Una macchia appariva sul petto, proprio dove io avevo poggiato la testa.
Scoppiai a piangere di nuovo, terrorizzata e triste.

"Calmati è tutto finito" - mi disse, prendendomi il volto fra le mani.
"Io...stavi per morire..ti ho sporca.." - farfugliai gesticolando come una pazza.
"Calmati" - riprovò di nuovo, stringendomi a se e canticchiando appena.

Aveva sempre fatto così con me.
Aveva sempre cantato per me.

"Io...so...".
"Inferno...non potevo lasciarti li".
"Potevi morire!" - urlai nel pieno del mio sfogo, risposi cercando di allontanarlo da me.

Il mio corpo, in contrasto con il cuore, lo spinse via.
Era come se il suo corpo e le sue parole mi stessero ferendo e curando ancor di più.
Eppure nonostante il mio cervello mi dicesse di mandarlo via, il mio cuore che sembrava dover scoppiare, bramava la sua presenza vicino a me.
Lui mi strinse ancor pià forte.
Si distese sul letto, continuando a cullarmi nella sparenza di farmi calmare così come mi aveva detto di fare e dopo qualche minuto riuscii ad addormentarmi di nuovo.


La mattina dopo, al mio risveglio trovai Allu che mi osservava con uno sguardo intenerito e preoccupato.

"Come stai?" - mi domandò accarezzandomi piano il viso - "Ville mi ha chiamato dicendomi cosa era successo, ti eri appena riaddormentata".
"Mmh".
"Ti fa male la testa?" - chiese di nuovo.
"No, dov'è?".
"E' andato a casa" - rispose strngendomi poi tra le sue braccia.

Fissai la finestra, riflettendo e ripensando a Ville.
Dovevo parlargli, ringraziarlo.
Dovevo sfruttare quest'occasione per chiarire i miei dubbi, per capire cosa fosse successo e il perchè di tutto quell'odio che fino alla sera prima mi aveva riservato.
Volevo anche chiedergli di quella bionda.
Sospirai.

"Oggi niente sala...sarò tutto tuo".
"Ehi no, è il tuo lavoro, non preoccuparti per me" - risposi.

Stavano lavorando duramente per quel cd e l'idea che lui dovesse assentarsi per me, nonostante mi facesse piacere, mi innervosiva e non poco.
Mi sentivo un'egoista.
Lui sorrise dolcemente, rassicurandomi che se proprio non lo volevo tra i piedi si sarebbe assentato solamente per 4 ore.
Sorrisi e mi riaccoccolai al suo petto, lasciandomi accarezzare e coccolare per tutto il tempo.
Restammo in silenzio.
Lui capì che avevo bisogno di tranquillità, di assimilare e in qualche modo superare quello che avevo passato.
Le uniche volte in cui parlammo furono delle comunicazioni come il permesso per malattia che aveva lui chiesto per me al mio capo.
Sorrisi sincera.
Lo amavo.
Lui era tutta la mia vita e la sola idea che avrei potuto non vederlo più, per colpa mia, mi fece boccheggiare per qualche secondo.
Mi strinsi a lui che sorrise dolcemente e mi baciò con altrettanto amore.
Non avrei potuto vivere senza di lui.








*****
Salve salve.
Quante novità in un capitolo solo e quanti pensieri per la nostra Hell...poverina.
Le cose iniziano a farsi ingarbugliate e chissà che succederà nel prossimo capitolo....
muahahahah *ride malefica*.

Ok tralasciando i miei momenti da matta psicopatica tipo questo, voglio ringraziare le mie due adorate:
Lea_love_Valo e Lilith_s: sono davvero davvero felice di sapere che vi piace questa ff e sono contenta di leggere i vostri commenti, grazie mille, spero che anche questo capitolo vi piaccia.

Ringrazio anche voi lettrici/lettori silenziosi e tutte quelle persone che hanno messo la mia ff tra le seguite, preferite e da ricordare.
Grazie davvero.
Un bacione e alla prossima <3

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***


Capitolo 8 




Nei mesi successivi all'incidente, non solo mi rilassai e tranquillizzai moltissimo ma ebbi anche molto tempo per pensare, specie quando uscivo di casa per fare una passeggiata nel parco.
Passai vicino alla torre, trovandola come sempre buia e silenziosa.
Sospirai e prendendo un po di coraggio andai a suonare, aspettando qualche secondo.
Suonai una seconda volta.

"Che ti aspettavi eh?" - mi domandai mentalmente, dandomi anche della stupida.

Sospirai e mi girai, consapevole che tutto era tornato esattamente come prima.
Sentii la porta cigolare e aprirsi, rivelandomi la secca figura del cantante che mi fissava con attenzione.

"Ciao" - dissi sussurrando stupita.

Lo vidi abbassare la testa e spostarsi dalla porta, invitandomi silenziosamente ad entrare in quella casa che con mia felicità non era cambiata di una virgola.
Era come ricordavo.
Stesso odore di legno e menta.
Stessi quadri perfetti quanto malinconici.
Stessi libri sparsi per casa.
Stessi animali impagliati.
L'unica cosa che stonava era l'assenza di luce che, una volta, la rendeva più ospitale e allegra.
Mi sentii a casa e sorrisi a quel pensiero stupido e irrazionale.

"Non è cambiato nulla" - riflettei ad alta voce - "Ti devo ringraziare...".
"Non mi devi nulla" - rispose freddamente.
"Invece si, mi hai salvato la vita e ti ringrazio con tutto il cuore, se non ci fossi stato tu...ora io..non sarei qui" - balbettai appena e come un automa mi accesi una sigaretta, notando che lui fece la stessa identica cosa.
"Sei venuta qui per questo?" - domandò incollando i suoi occhi ai miei, cercando di leggermi dentro come faceva un tempo ed io vacillai per qualche secondo, sapendo che non avrei mai potuto nascondergli nulla.
"No, non solo per questo...Ville...che cosa è successo fra noi?" - domandai seria e con voce ferma.

Lui mi fissò per qualche secondo, rimanendo impassibile come se la mia domanda non gli importasse ne lo riguardasse.
Mi sentii sprofondare e mi sedetti.

"Perchè siamo finiti a questo punto? Perchè mi odi tanto?" - chiesi ancora.
"Vai via" - mi disse, girandosi e avvicinandosi alla scala a chiocciola che portava alle camere, al suo studio privato e alla sua terrazza.

Mi alzai di corsa, afferrandogli un braccio che lui strattonò via mugugnando appena.

"Che hai fatto al braccio?" - domandai tirandogli su la manica e scoprendo il grosso livido che si estendeva
dal gomito fino al polso.

Lui ritrasse il braccio, comprendolo e invitandomi di nuovo ad andarmene.

"No, voglio una risposta".
"Non l'avrai". 
"Me la devi, non puoi trattarmi così...".
"Inferno, va' via!" - mi ripetè di nuovo.
"Ville perchè? Prima mi salvi e poi mi mandi via...avresti potuto lasciarmi li...avr...".

Mi ritrovai in un secondo contro la parete, con le sue braccia che mi intrappolavano in una gabbia e il suo corpo che tremava di rabbia.
I suoi occhi erano scuri, furiosi e sofferenti.
Mi fissava con rancore e tristezza.

"Se mi odi tanto dovevi lasciarmi li" - dissi urlandogli contro, lasciando che i 6 mesi di sofferenza che mi aveva provocato, si riversassero come una tempesta su di lui.

Volevo fargli sentire cosa avessi provato.
Volevo che capisse quanto l'assenza della sua amicizia mi avesse fatto male.

"Ti odio!" - mi rispose con un tono di voce molto alto - "Ti odio, devi andartene".
"Cosa ti ho fatto?" - domandai, era stato lui ad allontanarsi da me, a tagliare i rapporti e a far si che l'unica cosa che condividessimo fosse il silenzio.
"Ti odio!" - ripetè di nuovo, lasciando scivolare lungo la parete la mano sinistra, che prese poi con forza il mio mento - "Vorrei non averti mai conosciuta".
"Perchè?" - domandai trattenendo le lacrime, colpita da quelle sue parole dette con cattiveria.
"Mi hai ammazzato" - rispose questa volta con tono sofferente, gridando un dolore che non comprendevo.

Una strana luce percorse i suoi occhi per un secondo.
Mi ritrovai le sue labbra sulle mie.
Mi morse un labbro con rabbia, facendomi male non solo fisicamente e mossa da un'impeto di rabbia incontrollata feci la stessa cosa sentendo poi il sapore del mio sangue mischiarsi al suo.
Il suo era un bacio strano, rabbioso e allo stesso tempo dolce, freddo ma bollente.
Ripresi il controllo sul mio corpo che per qualche secondo aveva deciso di abbandonare il mio cervello.
Lo spinsi via, fissandolo con attenzione e lasciando che sulla sua guacia pallida si formasse il segno della mia mano.
Uscii da quella torre correndo, scappando via da lui, dai sentimenti contrastanti che stavano attanagliando il mio cuore e dalle mille domande che affolavano la mia mente.



Tornai a casa, chiudendomi dentro e scivolando addosso alla porta, piangendo.
Tirai un pugno al muro, rannicchiandomi e stringendomi le gambe al petto.
Mi aveva baciata.
Mi aveva appena fatto del male.
Mi era piaciuto.
Mi vergognavo di ciò.
Mi sentivo in colpa nei confronti di Alexi.
Mi sentivo una traditrice e volevo sprofondare.
Arrancai fino al bagno, osservando poi il mio viso allo specchio, notando il mio labbro gonfio e rosso.
Ci passai due dita sopra, tremando come le classiche ragazzine innamorate al loro primo bacio e terrorizzata dai mille pensieri chiamai il mio amico.

"Tony ti prego vieni da me" - dissi al telefono, sentendo il suo respiro dall'altra parte farsi veloce.
"Sto arrivando".

Mi lavai la faccia, cercando di nascondre quell'espressione imbarazzata e allarmata che si era formata sul mio volto, arrancando poi in cucina e sedendomi silenziosa.
Sentii la porta aprirsi e richiudersi, la voce del mio amico chiamarmi e la mia, che talmente era  greve e rotta sembrava quella di un'altra persona, dirgli che stavo in cucina.
Spensi la terza sigaretta.
Lo vidi sedersi e fissarmi con attenzione, soffermandosi sul mio labbro su cui avevo deciso di mettere del ghiaccio.

"Sesso violento?" - domandò con una punta di malizia.
"Non è stato Allu" - risposi abbassando la testa.
"Che..? Cosa?".
"Sono andata da Lui...abbiamo credo discusso..mi ha detto che...".
"Hell per favore parla piano, non ti capisco se corri, lui chi?".
"Ville".
La sua espressione cambiò, si fece cupa e attenta - "Che è successo?".
"Volevo ringraziarlo...mi ha detto che mi odia..." - iniziai accendendomi una nuova sigaretta e fissando il mio amico, che silenzioso scosse la testa prendendosela tra le mani - "Ha detto che l'ho ammazzato...mi ha baciata".
"Oh mo Dio!"
"Lo dirò ad Allu".
"Sei sicura?" - domandò prendendomi una mano tra le sue.
"Si, deve saperlo".
"Che cosa hai provato?" - mi chiese dopo qualche minuto di silenzio, riempito solamente dal flebile rumore della cartina della sigaretta che bruciava ad ogni mio tiro.

Portai il mio sguardo vitreo e privo di qualunque emozione al suo, che mi osservava con attenzione per captare ogni mio movimento.

"Non lo so..." - risposi sincera - "Tutti sentimenti contrastanti".
"Lo ami?".
"No, amo Allu" - spiegai con tono fermo, cercando di convincerlo o forse autoconvincermi.

Esattamente come avevo deciso, rivelai la cosa al mio ragazzo che in un primo momento mi osservò senza fiatare poi fece esplodere la sua rabbia, borbottando ad alta voce che avrebbe volentieri ammazzato con le sue mani il secco cantante.
Gli chiesi di lasciar perdere e lui, per tutta risposta mi chiese se avessi provato qualcosa per lui.
Mentii dicendo che mi aveva fatto schifo e di tenere per me lo strano e innaturale piacere che avevo provato quando Ville mi aveva baciata.
Non dovevo assolutamente provare nulla per nessun altro ragazzo che non fosse il mio Alexi.

"Amo te" - dissi sulle sue labbra, che torturarono le mie e marcando bene il suo territorio.
"Tu sei mia, solamente mia" - rispose, prendendomi in braccio e portandoci verso la mia camera.

*

I mesi con Allu diventarono due anni.
Due anni tra alti e bassi.
Due anni fortunati e sfortunati.
Dimenticai o forse, per meglio dire, accantonai la storia del bacio, costringendomi a non pensarci più e vivere la mia felice vita con il mio amato ragazzo.

I Children of Bodom fecero uscire il loro cd, promuovendolo con un lungo tour ed io, incapace di star da sola o impaurita da ciò, li seguii per molte date facendo avanti e indietro, raggiungendoli e tornando poi a casa.
La maggior parte delle serate, terminavano con delle ricche bevute e dei bruttismi e dolorosi dopo sbornia.
Se c'era una cosa che amavo alla follia era vederlo suonare, divertirsi e ridere per ciò che faceva, amavo il suo modo di coinvolgere anche il fan più timido e i gli sguardi che mi lanciava tra una canzone ed un'altra.
Amavo addormentarmi con lui in una città e svegliarmi in un'altra.
Adoravo camminare mano nella mano con lui e scoprire dei posti nuovi, che io non conoscevo.
Mi piaceva ascoltarlo mentre mi raccontava le volte che erano già stati in quei luoghi, parlandomi delle persone che aveva incontrato e di come avevano suonato i ragazzi.
Molto spesso mentre eravamo sul tourbuss, Janne ed Henkka si divertivano a farci degli scherzi, Roope ne rideva divertito e Jaska mi difendeva sempre e comunque.

"Qualcuno dovrà pur difendere questa ragazza dai questi animali" - ripeteva ogni singola volta che io scappavo dalle grinfie dei musicisti e mi rifugiavo o vicino all'autista, Samu, o vicino al batterista che, prendendo le mie difese faceva scappare via i ragazzi.












******
Ciao a tutti.
Eccomi qui, quanti danni e drammi in un solo capitolo, perdonatemi, non lo faccio più....ahahaha :)
Ringrazio come sempre:
Lea_love_Valo: giuro mi sono commossa per il dolce messaggio di posta;
Lilith_s: mi sa che questa volta Ville l'ha fatta grossa ahahah chissà....
Spero che anche questo capitolo vi piaccia e vi ringrazio per la vostra infinita pazienza.
Un bacione e alla prossima.
<3



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Capitolo 10
*** Capitolo 9 ***


Capitolo 9




L'estate e le mie ferie erano finite, di conseguenza il non potermi assentare ogni giorno dal mio lavoro, mi avrebbe costretto a riprendere l'aereo e tornarmene ad Helsinki da sola, dopo le date del mio ragazzo.
Nonostante stessi mettendo mille chilometri di distanza tra me e lui, non mi dispiaceva tornare indietro ed in più, oltre al locale, avevo trovato una galleria che innamorata delle mie foto aveva deciso di fare una mostra, rendendomi a tutti gli effetti una fotografa professionista.
Aprii la porta di casa, trascinando il mio troley e lasciandolo affianco ad essa e togliendomi la sciarpina che avevo al collo.

Alexi e i ragazzi erano in ancora in tour, avevano in programma ancora 20 date e sarebbero tornati a casa, io avrei potuto raggiungerli solamente per le ultime due e l'idea di aspettare così tanto mi uccideva, mi stressava soprattutto l'idea di discutere con lui per telefono.
Ero arrivata il sabato mattina in aeroporto, sorprendendomi di trovare Janne ad attendermi in una macchina parcheggiata proprio fuori l'uscita.
Salii, controllando che nessuno ci stesse osservando e una volta dentro salutai il mio caro amico che, dopo un lungo sospiro, mi confessò che Alexi era parecchio nervoso.
Il motivo principale era il suo nervosismo pre-live, che quel giorno aveva superato il limite della sopportazione.
Il secondo: eravamo a Los Angeles.
Avevamo discusso pesantemente prima della mia partenza.

*

"Non capisco perchè ti innervosisci tanto" - commentai mentre lui continuava imperterrito a camminare avanti e indietro nel grande camerino.
Janne lo fissava e scuoteva la testa con evidenza - "Vi lascio soli".

Lo fisai andar via, stupendomi di quella reazione perchè di solito, quanto Allu impazziva così, il tastierista, essendo il suo migliore amico, era l'unico capace di calmarlo.
Sbuffai e presi una sigaretta dal pacchetto di Lucky Strike che avevo lasciato sul tavolo, avvicinandomi alla finetra e aprendola per non creare la solita cappa.

"Mi spieghi qual'è il problema?" - domandai esasperata e in qualche modo anche preoccupata.
"Non mi va di esser qui" - rispose ringhiando.
"Questo l'avevo capito ma mi vuoi dire il perch....".
"Oh Hell cazzo, è la città di Kristen..." - urlò spazientito forse dalle mie domande ed io, al solo sentir pronunciare quel nome, mi irrigidii.

Da quella conversazione a casa, non avevamo più affrontato quel tema se non un volta, quando durante in un'intervista lei non confessò di voler ancora molto bene al ragazzo.
Questa rivelazione ovviamente non ebbe un risolvo molto positivo anzi.
Io mi innervosii oltre ogni limite, tirando fuori una gelosia che non mi apparteneva.
Allu invece ebbe una mezza crisi, dovuta allo shock.
Mi aveva ripetuto constantemente che amava me e non lei ma, scettica o forse solo incazzata, iniziai a farmi mille su mille problemi, ripetendomi che prima o poi lui se ne sarebbe andato via da me, che in fin dei conti non avrei mai dovuto illudermi di essere così tanto importante per lui, sarei rimasta da sola.

"Perchè sei così nervoso?".
"Cazzo..." - borbottò appena, passandosi una mano nei capelli - "Ieri ho incontrato Kerry...".
"Mmh".
"Mi ha detto che sarebbero venuti qui oggi" - continuò, mentre io iniziavo a sentire le gambe molli - "Verrà anche lei, ha detto Kerry che lei mi ama ancora". 
"E tu? Tu l'ami ancora?" - chiesi.
"No" - rispose, avvicinandosi e inginocchiandosi davanti a me - "io amo te".
"Allora perchè?".
"Non so, non voglio che vi incontriate, non voglio vederla, non voglio che lei si avvicini a noi".
"Mmh non va nemmeno a me" - confessai alzando gli occhi e incrociando i suoi, limpidi e sinceri, senza nemmeno l'ombra di una menzogna.

Lo abbracciai di slancio, stringendolo a me e sentendo le sue mani vagarmi per la schiena, coccolandomi con dolcezza.
Passata questa piccola discussione, uscimmo dal camerino, ritrovandoci davanti tutti i ragazzi che gli dicevano di iniziare a riscaldarsi un po perchè mancava poco alla loro entrata in scena.
Io mi sistemai nel solito angolino sul retro del palco, in un punto in cui potevo benissmo vedere la loro esibizione, un pochino meno eccellente del solito, senza essere di troppo ne vista dai fans.
Qualche secondo prima della fine del concerto me ne andai in bagno, per rinfrescarmi un po il viso e subito dopo andai a prendere due bottigliette d'acqua, una per me e una per il cantante che ogni volta si lamentava che aveva sete.

Presi a manate il distributore automatico perchè non faceva cadere la prima, sentendo le urla dei fans e i ragazi ringraziare come sempre.
Sentii prima delle risate e poi un silenzio tombale, così incuriosita, appena riuscii a mettere le mani su quelle dannate bottiglie, tornai dai ragazzi, trovandomi davanti una scena che non avrei mai voluto vedere.
Una ragazza che aveva incollato le sue labbra a quelle del mio ragazzo che l'allontanò spingendola.
Lasciai la presa, facendo cadere le bottiglie e attirando su di me l'attenzione di tutti i presenti.

"No, no, no..non può esser vero" - urlò la mia mente.

Henkka e Janne mi osservarono preoccupati, mentre Kristen mi fissò sorpresa, squadrandomi dalla testa ai piedi.

"Tu..." - mi avvicinai a lei in poche e lunghe falcate, sentendo la rabbia rendermi incapace di ragionare - "STAI LONTANA DAL MIO RAGAZZO!".

Sentii le mani di Allu tirarmi indietro in modo da mettere un po di distanza tra me e quella ragazza.
Recuperai la mia bottiglia e me ne andai, decisamente incazzata e ferita.
Alexi che teneva un braccio attorno alle mie spalle, mi fissava in silenzio, con uno sguardo nervoso e decisamente dispiaciuto.
Aprii la porta del camerino, entrando e richiudendola con troppa forza, facendo vibrare le pareti e senza dire una parola mi accesi una sigaretta.

"Hell..." - la voce del mio ragazzo era flebile, quasi un sussurro, rotta e decisamente greve - "Mi dispiace io...".
"La uccido" - commentai.
"Tu non farai proprio niente" - rispose lui, cambiando radicalmente tono di voce.
"CHE COSA?" - urlai alzandomi di scatto e avvicinandomi a lui - "Quella viene qui, ti bacia come se niente fosse e tu mi dici di non far nulla...".
"Ti vuoi calmare?" - mi domandò strillando a sua volta.
"NON DIRMI DI STARE CALMA! Facciamo una cosa, me ne vado e torno a casa, ci vediamo quando torni".

*

Ripartii la domenica mattina, tornandomene al freddo.
Chiusi la porta e fissai casa.
Da quando Allu vi era entrato, essa era diventata decisamente più allegra e ancor più disordinata per via degli innumerevoli fogli che lui usava per scrivere, i suoi berretti e cappelli dissemiati sopra ogni ripiano o mensola.
Scossi la testa, cercando di non pensare a quanto mi avesse fatto innervosire la sera prima.

Ero tornata in hotel prima di lui, decisa a preparare subito i bagagli e mettermi a dormire ma, come se non bastasse, Janne iniziò a bussare in modo piuttosto insistente alla porta e nonostante i miei "vattene non voglio parlare" lui continuò a rimanere li fuori finchè non gli aprii la porta.

"Dai non prendertela così, anche lui è dispiaciuto" - ripeteva a raffica, cercando di calmarmi ma riuscendo solamente a farmi incazzare ancor di più.

Avevamo parlato per circa un'ora o meglio, aveva parlato.
Io non lo ascoltavo nemmeno.
Non mi scomposi mai ne lasciai che le lacrime, minacciose, uscissero fuoi. 
Si sentiva il suo odore e in qualche modo, nonostante la sua assenza, riuscivo a sentirlo vicino.

Mi levai anche la giacca, lasciandola cadere sul divano e stanca morta per il lungo viaggio, andai a farmi un bel bagno caldo, riuscendo finalmente a sfogarmi.
Mi ritrovai a piangere, ripensando ad Allu che era tornato tardissimo e per giunta in un pessimo stato.
Avevo fatto finta di dormire e la mattina mi alzai con due occhiaie così nere da far invidia ad un panda.
Me ne andai solamento avergli lasciato un biglietto con scritto che stavo tornando a casa e che avevo provato a svegliarlo senza risultato.

Sbuffai e uscii dalla vasca, avvolgendomi in un telo e fissandomi allo specchio che rivelava un'immagine piuttosto brutta di me, pallida e con gli occhi gonfi e rossi per il pianto.
Mi asciugai i capelli e mi vestii, riprendendo le mie solite abitudini.
Adocchiai la chitarra classica che Alexi aveva lasciato a casa mia, decidendo di provare a suonare un motivetto malinconico mi risuonava nella testa da quando ero partita.
Mi sedetti nel mio solito angolino, a gambe incrociate, un foglio ed una penna, imbracciando la chitarra e mettendomi a suonare.
Continuai così per delle ore, senza nemmeno accorgermene e sempre senza farci caso mi bloccai, fissando un punto indefinito davanti a me.
Mi accesi una sigaretta come un automa e mi presi la testa fra le mani.

Alzai la testa verso il soffito e durante questo movimento, notai la secca e scura figura di Ville alla finestra della sua torre, che fissava giù con un'espressione triste sul volto.
Mi alzai seccata anche da quel suo sguardo e me ne andai a dormire.








********
Eccomi qui, mentre ascolto-vedo la partita del Brasile contro la Germania.
Come state? 
Io mi sono ritrovata un livido su una caviglia e non so come me lo sono fatta...vabbè voi mi volete bene lo stesso.
Ho scritto questo capitolo mentre ascoltavo le dolci quanto tristi parole di "Hole in my Soul" degli Aerosmith.
Ringrazio come sempre chi legge e segue questa mia storia e chi, con molta pazienza e allo stesso tempo pazienza mi lascia dei bellissimi commenti.
Grazie davvero.
Buona serata a tutti e alla prossima.

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Capitolo 11
*** Capitolo 10 ***


Capitolo 10



Per tre giorni di fila, spensi ogni mezzo di comunicazione, dedicandomi interamente alla fotografia e al locale.
Non avevo voglia di parlare con nessuno e Tony, preoccupato dal mio mutismo e dal mio esasperante nervosismo decise di organizzare una cena a casa sua per farmi calmare e capire cosa fosse successo.
Decisamente riluttante di dover sorridere a tutte le persone, mi recai al locale, sbuffando ogni due secondi.
Lavorammo duramente fino alla chiusura del locale.
Andammo a cambiarci per utlimi, prendendocela con calma e in silenzio.
Usci dal camerino, sorprendendomi nel ritrovarmi davanti i miei amati Nightwish con i loro visi grevi.
Mi fiondai tra le braccia di Tuomas, lasciandomi stringere e stringendolo come se fosse la mia ancora di salvataggio.

"Ehi come va?" - mi domandò Marko, mettendomi una mano su una spalla.
"Bene, come mai siete qui?" - mentii, sviando poi il discorso - "Too che è questa faccia?".

Lo vidi abbassare la testa.

"Non hai ancora visto nulla di strano in giro?".
"Che..?".
"Ha il telefono spento..." - sussurrò Tony, attirando la mia attenzione - "Tuo, dovrebbe...".
"Che sta succedendo?" - domandai mentre il tastierista urlava.
"Voglio proteggere la mia migliore amica!" - disse sorprendendomi con il suo tono di voce molto alto e per aver calcato la parola amica.

 Mi sedetti, decisamente preoccupata e fissando il mio amico.

"Tony, Tuomas ha ragione, potrebbe leggerlo o sentirlo..." - commentò Emppu.
"Smettetela, smettetela di parlare tra di voi, io sono qui, ditemi quello che devo sapere!".

Il mio tono di voce era lapidario, freddo e distaccato.
Tuomas mi fissò con attenzione e si sedette davanti a me.
Lo vidi infilarsi una mano nella giacca, trando fuori un foglio spiegazzato e porgendomelo.
Lo squadrai curiosa, prendendo poi il foglio che lui mi aveva allungato sul tavolo, stirandolo e rimanendo senza parole.
Era un articolo di qualche stupida rivista di gossip.
Sentii gli occhi iniziare a bruciare e lasciai di scatto quel foglio, che raffigurava Allu e Kristen insieme, con tanto di titolo d'introduzione.

"Alexi Laiho e Kristen Muldering di nuovo insieme?"

Alzai lo sguardo, immergendomi in quello del tastierista che, sofferente si alzò dallo sgabello e mi abbracciò.

"Mi dispiace".
"No..è..è giusto...io e Ville ci siamo baciati tempo fa...ora loro...è norm..." - risposi con una tale freddezza e convinzione che li sorprese, mi alzai scollandomi dal petto del poeta e solo dopo aver preso la mia giacca mi avviai verso la porta.
"Dove stai andando?" - mi domandò allarmato Jukka.
"A casa...".
"Ti porto io" - si offrì Marko, ma alzai una mano scuotendola e dicendogli che volevo andare da sola, che volevo starmene da sola e lui, senza badar alle mie parole fece per seguirmi ma la mano destra del tastierista lo bloccò.

L'aria fuori il locale era piuttosto fredda.
Camminai a lungo, precorrendo la stessa strada che avevo fatto il giorno dell'incidente.
Passai nello stesso punto dove avevo incontrato e sentito di nuovo gli occhi e la voce del cantante della torre.
Un brivido mi corse lungo la schiena.
Scossi la testa, stringendomi nella mia giacca e asciugandomi con una manica il viso, bagnato dalle troppe lacrime che avevo evitato troppo al lungo.
Mi trascinai quasi come se fossi un peso morto fino a casa, riuscendo ad aprire prima il cancelletto e poi la porta, chiudendomela dietro le spalle.
Lasciai le chiavi su un mobiletto presente sotto ad uno specchio.
Non ebbi il coraggio di vedere in che stato fossi ma continuai a camminare verso la mia stanza, prendendo il mio vecchio mp3 e senza preoccuparmi del freddo uscii nel mio giardino, sdraiandomi nell'erba fredda e lasciandomi cullare dalla musica degli HIM.
Ricominciai a piangere per l'ennesima volta, portandomi una mano sulla bocca e sfogandomi.
Inconsapevolmente, mi addormentai li.




Un raggio di luce posato esattamente sul mio viso mi fece svegliare.
Mi guardai attorno, riconoscendo il bianco panna delle pareti della stanza.
Sentii un delizioso odore di cioccolata calda nell'aria.
La mia testa scoppiava e come se non bastasse sentivo freddo.
Mi alzai, facendo attenzione a non cadere ne sbattere contro qualcosa mi avviai verso la porta.
Lanciai un rapido sguardo allo specchio, avevo addosso un paio di pantaloni lunghi, che non riconoscevo e maglione blu scuro abbastanza largo e caldo.
Scossi la testa, credendo di esser pazza e scesi in cucina.

"OH CAZZO!" - urlai riconoscendo la figura del cantante della torre che stava versando della cioccolata in una tazza.

Sussultò urlando a sua volta per essersi bruciato con quella bevanda bollente ed io corsi da lui per aprirgli l'acqua fredda del lavandino.
Lui mise subito sotto il getto la parte lesa, rivolgendomi poi uno sguardo che non riuscii nemmeno a decifrare.
Mi passai una mano sulla fronte calda e mugugnando qualcosa di incomprensibile.

"Hai la febbre alta, dovresti stare a letto" - mi consigliò lui, annuendo appena.
"Tu che ci fai qui..?" - domandai storcendo il naso per la mia voce bassa e malata.
"Eri in giardino credo svenuta. Ti ho portato dentro" - mi spiegò fissando la finestra, senza nemmeno l'ombra di nessun tipo di emozione negli occhi.

Annuii convinta e mi sedetti vicino al tavolo, massaggiandomi le tempie.

"Questi non sono miei.." - commentai ad alta voce fissandomi una manica del maglione che troppo lunga mi arrivava alla punta delle dita.
"No, sono miei..non trovavo nulla di pesante che potesse coprirti...".
"Non ho ancora fatto il cambio di stagione" - mi giustificai.

Sorrise appena, poggiandomi davanti la mia tazza e sedendosi dall'altra parte del tavolino, osservandomi con attenzione.

"Non ho una bella cera vero?" - domandai tentando di sorridere un po.
"No, assolutamente".
"Grazie per la sincerità" - commentai ironica, bloccandomi all'istante non appena l'immagine di quella maledetta foto non mi tornò in mente.
"Hell..ti senti male?".
"No, sto bene, credo che andrò a letto" - risposi alzandomi di scatto e dopo nemmeno due passi, le sue braccia mi afferrarono al volo, salvandomi da una caduta epica.
"Andiamo, non fare la super donna" - disse sorridendo lieventemete e dopo essersi piegato su se stesso, mi sentii sollevare e dopo qualche minuto il materasso aderire alla mia schiena.
"Perchè?".
"Che cosa?".
"Perchè sei qui? Perchè mi stai aiutando? Perchè sto male?" - domandai più a me stessa che a lui.

Lo vidi sedersi sul bordo del letto, proprio affianco a me ed osservarmi con tristezza.
Quello sguardo lo riconoscevo.

"Ti ho aiutata perchè non potevo lasciarti li, sono egoista e tremendamente stronzo, ti ho detto che ti odio ed è vero".

Scoppiai a piangere, sentendo la testa diventare troppo pesante e quel peso sul cuore inizare a far male davvero.
Lui mi accarezzò la testa, prendendomi poi tra le sue braccia, per l'ennesima volta e iniziando a cantare una canzone, triste, maliconica ma con una dolcezza e un motivo che conoscevo, era quello che avevo scritto dopo il mio ritorno.
Restai in silenzio, sforzandomi di controllare le mie emozioni e cercando di calmarmi quel poco che bastava per chiudere di nuovo gli occhi.

"Ieri sera ti ho messo in carica il telefono, hai molti messaggi e chiamate non lette".
"Non mi importa".
"Che è successo?" - domandò mentre mi accarezzava i capelli.
"Non voglio parlarne" - risposi, lasciando che uno spesso muro di silenzio ci allontanasse di nuovo, poi dopo qualche lungo ed interminabile minuto, prendendo un lungo respiro, trovai il coraggio per abbatterlo di nuovo - "Ho paura" - confessai.
"Di cosa?".
"Di domani" - affermai, senza riuscir a spiegare cosa mi facesse realmente paura.

Non riuscivo ad esternare il mio terrore di perdere Alexi.
Ne quello di perdere ancora una volta il poeta che mi era vicino in quel momento.
Avevo una tremenda ed angosciante paura di crollare di nuovo e di ritrovarmi con gli incubi e i mostri che affollavano la mia mente.
Non volevo ritrovarmi di nuovo nel mio Inferno.

"Dormi". 

E così feci.









*******
Buona sera :)
Eccomi qui con un nuovo capitolo.
Povera piccola Hell, quanti casini deve sopportare, compreso Ville e il suo caratteraccio....

Lea_love_Valo e Lilith_s spero che anche questo capitolo vi piaccia e spero di non aver esagerato con i colpi di scena.

Ringrazio con tutto il cuore voi che seguite e leggete con molta pazienza questa mia ff.
Un bacione e alla prossima. 

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Capitolo 12
*** Capitolo 11 ***


Capitolo 11



"Come sta?".
"Ha la febbre piuttosto alta, l'ho trovata in giardino e per entrare ho dovuto scavalcare il cancello".
"Mio dio che casino" - rispose l'altra voce.
"Non mi ha detto nulla".
"Quando ci riuscirà te lo dirà lei e...Ville..".
"Si?" - domandò lui.
"Non lasciarla sola".


Aprii gli occhi, passandomi una mano sul viso e fissandomi attorno come sempre.
Ero ancora nella mia stanza, ma non era illuminata.
Girai lo sguardo alla sveglia posta sul mio comodino, scoprendo con orrore che segnava le dieci di sera.
Mi alzai appena ed arrancai quasi come uno zombie verso le voci.
Ville e Tuomas se ne stavo in cucina a bere caffè.
Si girarono insieme a fissarmi, salutandomi appena.

"Too, ciao..".
"Ehi piccoletta.." - fece per avvicinarsi ed abbracciarmi ma lo fermai.
"Sto male, potrei attaccarti tutto questo schifo" - riposi, avvicinandomi al tavolo.
"Hai fame?" - mi domandò alzando le mani.
"No".
"Non mangi da ieri sera" - mi fece notare con tono ansioso il tastierista.
"Non ho fame".

Ville mugugnò qualcosa come "vado a far cambiare un po l'aria in camera" e si allontanò, lasciandoci da soli.
Tuomas mandando al diavolo il mio consiglio di rimanermi lontana, si avvicinò a me, poggiandomi una mano dietro la schiena e abbracciandomi con calore.
Mi lasciai stringere sospirando appene.

"Mi ha chiamato" - mi disse con poca voce.
"Anche a me".
"Lo so...dice che lui non se l'aspettava, stavano parlando animatamente e lei l'ha baciato di scatto".
"Ti ha detto anche di cosa parlavano?" - domandai con una punta di ironia.
"Si" - rispose serio.
"Wow" - commentai prendendomi una scatola di biscotti dalla mensola e scaldandomi un po di latte.
"Stavano discutendo per quello che è successo tra loro e.." - lo vidi trattenere il respiro - "..di quello che è successo a Los Angeles, lui non c'entra Hell, lui voleva dirle di lasciarvi in pace".
"Lo stai difendendo?".
"No, sto cercando di farti capire che non è tutto finito".
"Ok, ok, quando starò bene gli parlerò".
"Gli ho detto che stai male, voleva saperlo" - ammise.
"Va bene..me ne torno su, ciao Too..grazie" - risposi lasciandogli un bacio su una guancia e lasciandolo solo.

Incrociai Ville ma non dissi nulla.
Non avevo nulla da dire.
Mi chiusi la porta dietro le spalle e dopo aver mandato giù un'aspirina, mi rimisi a letto,  fissando per qualche minuto il soffitto.
Sentii la porta aprirsi e richiudersi subito.

"Hell".
"Dimmi".
"Vado un attimo a casa...".
"Se ti pesa star qui, tranquillo..." - cominciai.
"Torno" - tagliò corto lui, sorridendo forse per la mia espressione sofferente.

Dopo circa un'oretta e mezza, più o meno, andai ad aprire la porta a Ville che sicuramente aveva lasciato le chiavi ma davanti a me, ritrovai la figura bionda e bassa del cantante dei Children of Bodom, che mi fissava con una faccia strana.
Preoccupata.
In un primo momento ebbi l'impulso di sbattergli la porta in faccia ma per colpa della mia stanchezza non ci riuscii, così lo lasciai entrare.
Chiusi la porta avviandomi in salone, seguita da Alexi.

"Perchè non mi hai risposto?".
"Perchè avrei dovuto?" - domandai a mia volta.
"Te ne sei andata lasciandomi un biglietto, ti chiamo e non rispondi...ho preso il primo aereo per venir...." - si bloccò, girandosi verso la porta che si era aperta, rivelando il corpo del secco cantante entrare da essa - "Ora capisco".

Ville si fermò di scatto, alzando la testa e squadrando sorpreso il biondo che con odio passava  lo sguardo da me a lui.
Mi sedetti sul divano.

"Ora ho capito".
"Alexi..." - provai a chiamarlo.
"Cosa? COSA?" - urlò lui, livido di rabbia.
"Io me ne vado..." - affermò il ragazzo che teneva in mano un pacchetto di sigarette.
"No che non te ne vai".
"Alexi..pe...".
"Sta zitta, io ti ho chiamato mille volte, ho chiamato Tuomas che mi ha detto che stavi male e poi ti trovo qui con lui".
"Non è successo nulla tra noi" - ci difese il cantante.
"Spero tu stia scherzando" - commentai alzandomi di scatto e avvicinandomi al mio appendiabiti e tirando fuori la foto che con riluttanza avevo afferrato al volo proprio prima di uscire dal locale.
Mi riavvicinai a lui sbattendogliela sul petto e incrociando le braccia - "Se vieni qui a fare scenate di gelosia sei proprio uno stronzo. Guarda..quella non sono io...".
"Io credo sia meglio che vi lasci soli" - disse di nuovo Ville.

Mi girai verso di lui, annuendo stanca.
Lo vidi portarsi la mano alla fronte nel suo classico saluto militare e sparire dalla mia casa con   la stessa facilità con cui vi era entrato.
Portai di nuovo il mio sguardo ad Alexi, che ancora fissava quella foto.

"Ville mi ha solamente evitato di morire" - gli dissi, sorpassandolo e sedendomi di nuovo sul divano.
"Non è come pensi".
"No? Dimmi cosa dovrei pensare" - risposi incrociando le braccia.
"Le ho detto di lasciarmi in pace, che io amo te..ma lei mi ha baciato".
"E tu?" - domandai - "Tu l'hai baciata?".
"Si" - ammise abbassando la faccia.
"Vattene" - dissi fredda, alzandomi e avviandomi verso la mia camera.
"No, non me ne vado, non ho provato niente, nulla, ho pensato a te e mi ha fatto schifo" - mi bloccò, parandosi poi davanti a me e fissandomi sincero - "mi dispiace".
"Anche a me".
"Io amo te, non lei" - mi ricordò per l'ennesima volta, accarezzandomi il viso e sorridendomi, - "Scotti, andiamo a dormire".
"Non dirmi cosa devo fare".
"Hell io amo te, come devo fartelo capire?" - domandò tenendomi ancora le mani tra le sue e fissandomi con attennzione.
"Al, sto male, per favore...voglio andare a dormire".
"Ok, ne riparliamo quando starai meglio" - rispose lasciandomi andare.
"Si è meglio".

Lo sentii andarsene, aprire e richiudere la porta e il rombo della sua macchina risuonare nell'aria.
Sbuffai e me ne andai a dormire di nuovo, o almeno ci provai.
Pensai e ripensai all'immenso quanto pesante casino successo per via di quella foto, che  giaceva ora sul tavolino a vetro davanti al divano.
Era assurdo che Alexi avesse pensato che lo stessi tradendo con Ville, nonostante sapesse quanto mi avesse fatto imbestialire quel cantante e quanto mi fosse mancata la sua amicizia.
Sbuffai.

*

Tornai a lavoro dopo una settimana.
Venni accolta da festoni e abbracci.
Tony mi sorrise comprensivo e assieme a lui vi era un ragazzo, lo stesso che avevo visto il giorno dell'incidente, lo stesso bel ragazzo che ora anche se con discrezione, teneva la mano al mio amico.
Sorrisi sincera e felice per loro.
Si chiamava Marcello ed era italiano, di Milano ed era un modello.

Alexi era ripartito esattamente due giorni dopo la nostra conversazione, portandosi con se una parte di me stessa, lasciandomi con un enorme vuoto e l'impressione di aver posto una notevole distanza tra noi.
Una distanza non solo fisica dovuta al tour, ma una distanza mentale.
Sentivo e comprendevo che qualcosa tra noi non andava, o per meglio dire si era nettamente incrinata, rendendoci difficile o comprensivo qualsiasi tipo di dialogo.

Le nostre telefonate venivano riempite da domande futili e prive d'interesse come "dove sei" o "cosa fai".
Erano chiamate di circostanza, in cui nessuno dei due riusciva a sbilanciarsi ne a rischiare troppo, evitando così di mettere troppa carne sul fuoco e giocare con i nostri sentimenti.
Quei "mi manchi" o "ti amo" che ci dicevamo quasi sussurrando erano carici di dolore e di malinconia.
Non vi era nulla di diverso, non vi era traccia di felicità.
Ne soffrivamo, tutti e due, nella stessa misura e non solo per la tristezza e l'imbarazzo, ma per il semplice motivo che come ci stavamo privando di ciò che ci aveva fatto sorridere di nuovo.

Come se non bastasse si avvicinavano inevitabilmente le utlime date.
Sarei partita il giovedì sera dopo la mia giornata di lavoro e sarei atterrata la mattina alle 10 da Helsinki-Vantaa e sarei atterrata a Toronto per la penultima data e l'avrei seguito fino a Calgary dove avrebbero tenuto il loro ultimo concerto.
La mattina dopo saremmo ripartiti per la Finlandia.
Più pensavo all'imminente partenza, più mi sentivo la mia ansia saliva e sentivo un grosso nodo alla gola che faceva male.

"Avrete modo e tempo di chiarire" - mi ripetevo mentalmente, cercando di ristabilire un minimo e precario equilibrio mentale e fisico.

Mi ripetevo quasi come se fosse una poesia da imparare a memoria, che sarebbe andato tutto bene, che saremmo tornati ad essere i soliti di prima, senza imbarazzo ne sfiducia.

"Lo ami e ti ama, qual'è il problema?" - mi domandavo da sola, fissando le foto che avevo appeso al muro, raffiguravano me e il mio ragazzo insieme.
Due anni d'amore e felicità
Lo amavo?
Si.
Mi amava?
Certo.
Eppure ci sentivamo soffocare.
Era come se la nostra storia ci stesse portando sull'orlo dell'autodistruzione, ci stavamo distruggendo insieme e non riuscivamo a capirlo, ma ci illudevamo che andasse tutto bene e che la nostra storia procedesse perfettamente.
Ed invece non era così.
Non avevamo nessuno spazio e quel periodo di pausa che involontariamente avevamo preso durante il tour ci stava facendo capire tante e forse troppe cose.
Il nostro amore ci stava uccidendo e noi lo lasciavamo fare.

Con Ville le cose miglioravano ogni giorno.
Avevamo ricominciato a parlare, anche se con un grande imbarazzo iniziale.
Avevamo ricominciato a rivederci con allegria, ridendo e ricordando con altrettanta felicità le cavolate che avevamo fatto insieme.
Averlo di nuovo con me, vederlo e riuscir a conversare senza più rabbia mi rendeva felice e in qualche modo la sua vicinanza riusciva quasi ad anestetizzare l'assenza del mio ragazzo.
Avevamo perfino ricominciato a fare le nostre lughe e rilassanti passeggiate, senza mai però affrontare il discorso sulla nostra separazione, su quel bacio che mi aveva talmente travolta da farmi quasi crollare.
Non ne avevamo bisogno.
Avevo ritrovato anche un certo equilirio e forza che mi rendeva molto più tranquilla e spensierata. 
Era tornato esattamente tutto come prima.
Ville era tornato da me e con lui, anche quella parte del mio cuore che mi era stata strappata.





***********
Buona sera mia dolci lettrici.
Si lo so, questo capitolo è decisamente molto triste...chiedo venia, non uccidetemi.
Che succederà tra la piccola Hell ed Alexi?
Chissà....
Scommetto che molte di voi stanno esultando di gioia per il bel poeta della torre.
Spero che anche questo capitolo e come sempre ringrazio le mie fedeli e adorate Lilith_s e Lea_love_Valo che ormai stanno odiando il biondino ahaha e fanno il tifo per Ville.
Ringrazio anche chi sta seguendo e leggendo questa mia storia.
Grazie davvero.
Un bacione e alla prossima :)
 

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Capitolo 13
*** Capitolo 12 ***


Capitolo 12



Fissai il cielo dal finestrino vicino al mio sedile 13 c.
Mi sentivo tremendamente sola e il mettere di nuovo una notevole distanza tra me e il poeta della torre mi rendeva triste, quasi vulnerabile e ciò mi impediva di ragionare lucidamente.
Mi strinsi nella mia felpa, continuando a vagare con lo sguardo alle nuvole che assumevano forme sempre nuove e diverse.
Il blu dell'oceano sotto di noi mi infondeva uno strano senso di inquietudine e non riuscivo a non pensare al fatto che tra massimo due ore avrei rivosto il mio ragazzo.

"Che farò?" - mi continuavo a chiedere senza sosta, credendo di trovare una risposta.

Come ci saremmo comportati?
Come ci saremmo salutati?
Freddamente o con amore?
Con gioia scaturita dal nostro essere insieme di nuovo o con sofferenza?
Le parole di Ville che accompagnate da melodie dolci e allo stesso tempo dirette, mi rendevano un bersaglio troppo semplice da colpire.

"When Love is a gun 
separating me from you"


Rabbrividii.
Era difficile non pensare.
Era tremendamente complicato non aver paura di veder crollare tutto ciò che avevamo costruito insieme.
Il mio pessimismo mi diceva che prima o poi sarebbe accaduto, ma l'idea che questo momento fosse arrivato mi faceva morire lentamente.
Mi sembrava di non aver lottato affatto.
E quasi schifata da me stessa per il mio egoismo, mi ripetevo che comunque al mio ritrorno avrei ritrovato ancora una volta Ville e le sue braccia pronte a tirarmi in salvo.

Il mio volo atterrò e dopo qualche secondo di smarrimento, decisi di alzarmi e prendere il mio piccolo troley dal portabagagli sopra la mia testa, camminando poi in fila indiana con gli altri turisti verso il portellone, dove due hostes ringraziavano sorridendo.
Uscita fuori, il freddo del Canada mi ricordò per un breve istante quello finlandese.
Camminai con gli altri turisti per qualche metro, salendo poi sul classico bus che ci avrebbe portati dalla pista fino all'imponente edificio dell'aeroporto.
La porta scorrevole si aprì al mio passaggio, facendomi entrare in un luogo caldo ma che con dove il brusio delle persone era davvero insopportabile.
Sopra la mia testa vi era il pannello con le indicazione degli arrivi e le relative piste, mentre esattamente davanti a me vi erano delle poltroncine sul quale trovai seduto Janne.
Un velo di delusione si posò sul mio cuore già troppo ferito.

"Hell ciao, come stai?" - mi domandò infondendomi un po della sua continua allegria.
"Janne, credo di star bene".
"Allu è andato un attimo a prendersi un caffè, vieni andiamo" - mi disse prendendomi il troley, sorrisi appena in modo tirato e lo seguii.

Sospirai.

"Lo vedi che ci sta? Stupida".

"Come è andato il volo?" - chiese il tastierista trascinandomi inevitabilmente via dai miei insulti mentali, lo fissai appena e alzai le spalle, rispondendo con un misero "tutto ok" e chiedendogli come fosse andato il live della sera prima.
Janne iniziò il suo solito elenco di aggettivi positivi, dialogando da solo.
Non che non volessi ascoltarlo anzi, mi interessava parlare con lui e con i ragazzi, ma la mia mente vagava troppo nei meandri oscuri delle mie domande stupide e decisamente inutili.
Senza badare troppo al ragazzo che continuava a parlare, mi fermai di botto, fissando un punto o meglio, una persona che aveva fatto esattamente la stessa cosa.
Alexi.
Lui.
Vestito con i suoi soliti pantaloni militari larghi e una felpa nera, di una o due taglie più grande, di cui aveva tirato un po su le maniche.
Spinta da una qualche forza maggiore e con un coraggio che non sapevo da dove fosse uscito, iniziai a correre, sfrecciando senza paura tra le persone che si lamentarono per la mia velocità.
Avevo bisogno di abbracciarlo.
Avevo bisogno di sentirmi sua e di sentire la sua pelle, il suo profumo e la sua voce.
Volevo le sue labbra e il suo corpo.
Il suo cervello e il suo cuore.
Volevo lui e nessun altro.
Lo vidi allargare le braccia, attendendo l'impatto con il mio corpo ed il mio cuore.
Ci saremmo fatti male.
Non mi importava.
Se dovevo morire, tanto valeva farlo nel modo migliore.

Gli saltai in braccio, rischiando di farlo cadere di schiena, ma fortunatamente non accadde.
Mi strinse le braccia attorno al corpo, infilando la testa nell'incavo del mio collo, respirando il mio profumo e accarezzandomi i capelli con energia.
Lo guardai, levandogli poi quei fastidiosi e orribili occhiali, perdendomi nel azzurro dei suoi occhi e lasciando che le nostre labbra si unissero di nuovo in un bacio colmo di amore, tristezza e allo stesso tempo gioia.
Si.
Sentimmo gli occhi di alcune persone su di noi, ma non mi importava.
Stavamo dando spettacolo e non mi importava nemmeno questo.
La risata di Janne ci riportò alla realtà, facendoci staccare e costringendomi a mettere i piedi  per terra.
Allu mi sorrise, tirandosi su il cappuccio della felpa per non essere riconosciuto più del dovuto, prendendomi poi per mano e baciandomi di nuovo ma con dolcezza.

"Ciao" - disse staccandosi da me - "Mi sei mancata".
"Anche tu" - ammisi cercando di fermare il mio cuore che sembrava avesse corso per ore e ore.

La fortuna volle che fuori all'aeroporto ad attendermi vi fossero anche gli altri ragazzi, compreso Roope che fumava e continuava a ripetere che finalmente Allu si sarebbe calmato grazie alla mia presenza.
Saggi, avevano deciso di venire con due macchine, in modo da lasciare me e il mio ragazzo da soli per il viaggio che avremmo dovuto fare fino all'hotel.
Rimasti soli, salimmo insieme nel macchinone nero che il loro manager aveva affittato solamente per noi.

"Sei stanca?" - domandò lui, girandosi verso di me mentre metteva in moto e abbassando la radio.
"No, ora sto bene".
"Quando ho detto che mi eri mancata, ero sincero".
"Anche io Allu, anche io...mi sei mancato come l'aria" - confessai arrossendo e suscitando in lui delle risate allegre.
"Se arrossisci ancora, significa che è tornato tutto come prima" - disse esultando e facendo il buffone come al suo solito - "Sai, mi sono chiesto come sarebbe andata...intendo rivederci qui, dopo quello che è successo".
"Me lo sono chiesta anche io, sembravo pazza, mi chiedevo come ti avrei salutato..".
"Ti amo" - mi disse prendendomi una mano e stringendola.

L'idea di riavvicinarci, passare tre giorni insieme e di rivederlo suonare sul palco prima della nostro ritorno a casa, mi rendeva molto felice.
Il capitolo Kristen l'avevamo chiuso.
Lui l'aveva chiuso definitivamente ed aveva gettato ogni più piccolo ricordo.
Era andato avanti finlamente.

Entrai nella stanza, lanciandomi come una bambina sul letto e ridendo divertita dai miei gesti che non si adattavano proprio ad una 29enne.
Alexi chiuse la porta e con mia sorpresa fece lo stesso.
Scoppiammo a ridere entrambi, abbracciandoci come due ragazzini alla loro prima cotta e rimanendo così per un tempo infinito.
La sera avrebbero suonato e lui forse per la prima volta era calmo.
Sorrideva beato e allegro.

"Questo è per te" - disse allngando la mano verso il comodino, porgendomi poi il solito pass per il backstage - "ci sarà prima un meet&great con i fans e poi suoneremo".
"A che ora dovete stare li?".
"Per le 4, abbiamo il soundcheck...".
"Andrà bene vedrai" - risposi prendendo una ciocca dei suoi lunghi capelli e attorcigliandola attorno alle mie dita, giocandoci e sorridendo da sola.
"Ora che ci sei tu si, andrà bene".
"Quanto hai rotto a quei poveracci?" - domandai seria.

Aveva sicuramente scocciato con le sue domande quei poveretti di Henkka e Janne, che per amor del prossimo lo stavano ad ascoltare e lo tiravano su di morale.
Conoscendo Roope e Jaska potevo immaginare le loro facce esasperate.

"Un po".
"Un po quanto?".
"Roope voleva uccidermi" - rispose alzando le spalle.
"Sei sempre il solito".
"E' che credevo fosse finita" - ammise, abbassando lo sguardo e sistemandosi meglio, poggiando la schiena contro la spalliera del letto mentre io mi giravo verso di lui, ritrovandoci uno difronte l'altra.
"Lo credevo anche io, ci siamo allontanati e ho paura che questo...".
"Non voglio chiudere con te, non voglio lasciarti, non voglio che questi due anni si trasformino in niente".

La sua mano sinistra si poggiò sulla mia guancia destra, accarezzandomi con gentilezza e sorridendo dolcemente.

"Non posso pensare ad un domani senza di te" - confessò rivelandomi i suoi sentimenti e le sue paure, abbassando poi il viso di nuovo.
"Non voglio vivere un domani senza noi" - conclusi, avvicinandomi a lui e baciandolo, annullando quella stupida ed inutile distanza, sentendo le sue labbra accogliermi con felicità.



Lo stadio era gigante.
Nonostante mi fossi abituata a vedere quelle enormi costruzioni, ancora mi emozionavo all'idea di vederlo suonare li dentro.
Sorrisi e mi sedetti davanti al palco, munita della mia solita macchina fotografica e immortalando i ragazzi mentre provavano le loro canzoni, mentre ridevano e mentre gesticolavano l'uno contro l'altro.
Sorrisi.
Mi stesi sentendo il terreno vibrare al suono del basso di Torso.

"Terra chiama Inferno, ci sei?".
Alzai il braccio, sollevando il pollice e ridendo come una cretina per il tono di voce usato da Jaska.
"Guarda che abbiamo finito!" - disse ancora.

Storsi il naso, lagnandomi per il fatto che dovevo alzarmi da li.
Seguii i cinque nel backstage fino alla stanza dove si sarebbe svolto il meet&great.
Sul lungo tavolo erano poste delle bottiglie di birra, che attirarono subito l'attenzione dei ragazzi.
Si sistemarono tutti nella loro postazione e dopo qualche minuto gli uomini della sicurezza li avvertirono dell'imminente arrivo dei fans più fortunati.
Arrivarono in massa, ridendo ed esultando tra di loro per l'emozione di vedere i loro idoli e avere le foto e gli autografi da mettere sicuramente in bella mostra a casa e per vantarsene poi con gli amici.
Sorrisi osservando un ragazzo che teneva per mano un bambino, di 7 o 8 anni, che indossava una magliettina con il nome del gruppo.
Erano davvero dolci.
Notai lo sguardo di Alexi intenerirsi e girarsi poi verso di me, sorridendo sornione e alzandosi dalla sedia, proprio come tutti gli altri.

"Abbiamo un baby fan" - commentò allegro Janne abbassandosi sulle gambe per arrivare all'altezza del bambino, che rideva felice come se avesse visto Babbo Natale.
"Si, mamma non voleva che lo portassi, ma lui ha scocciato tantissimo che alla fine, pur di farlo star zitto l'abbiamo accontentato".
"Il ragazzino ha capito tutto, come ti chiami?" - gli domandò Roope ridendo.
"Mi chiamo Phil" - rispose con quella vocina stridula classica dei bambini.
"Phil chi preferisci tra di noi?" - domandò inevitabilmente Alexi, beccandosi le occhiatacce   degli altri quattro musicisti e scatenando una risata generale da parte di tutti i presenti.

Scossi la testa, sospirando.
Non sarebbe cambiato mai.
Janne iniziò a indicarsi senza farsi vedere dal cantante, seguito poi dal bassista.
Roope e Jaska si diedero nello stesso momento una manata sulla fronte, scandalizzati dall'infantilità dei tre loro compagni.
Il bimbo si girò verso il fratello che alzò le spalle, trattenendo una risata.
I tre musicisti si misero l'uno affianco all'altro, facendo delle facce piuttosto buffe, forse per attirare su di se le attenzioni del piccolo, che li fissava incuriosito, grattandosi la testa.

"Il mio preferito è Janne" - disse poi, indicando il tastierista che si mise ad esultare come un pazzo come se stesse vedendo una partita di calcio.
"Tu sei il mio fan numero uno".
"Non che il solo!" - commentò Allu stizzito, tutti risero.
"Non essere geloso, tu i fans ce l'hai, lasciamente uno anche a me".

Passata questa piccola parentesi di allegria, i ragazzi tornarono a firmare gli auografi, per poi alzarsi di nuovo e accontentare quei 20 fans che avevano preso il biglietto speciale.
Sui loro visi era dipinta l'espressione più felice del mondo.
Sorridevano tutti ed avevano gli occhi lucidi per l'emozione.
Terminato ciò, ce ne andammo verso il palco, sentendo il boato degli urli dei tanti ragazzi la fuori, che chiamavano a gran voce il gruppo.
Mi girai verso di loro, vedendoli imbracciare gli strumenti e darsi la loro solita pacca di incoraggiamento.
Il primo a salire fu Jaska.
Le urla si alzarono potenti, continuando così anche per Henkka, Janne e Roope.
Allu mi baciò, stringendomi a se con fare possessivo e rendendomi incapace di pensare.

"Andrà alla grande" - disse allontanandosi da me.
"Come sempre" - risposi, vedendolo scomparire e sentendo i fans strillare e cantare con forza tutte le loro canzoni.

Lo guardai pensando a cosa avevo rischiato di perdere e mi diedi della stupida.
 






************
Sono tornata!!!
Come state? Io molto bene, ho scritto molto e ne sono felice.
Mentre rileggevo questo capitolo ho ascoltato a ripetizione "The funeral of Hearts" e mi sono commossa da sola.
Come sempre ringrazio chi commenta e chi segue in silenzio questa mia ff.
Grazie davvero di cuore.
Un bacione e buona domenica a tutti/e.

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Capitolo 14
*** Capitolo 13 ***


Capitolo 13



L'ultima data fu quella migliore, non solo per il numero di fans, ma anche perchè i ragazzi erano felici.
Alexi non li stressava più con il suo cattivo umore e il suo nervosismo, tutti non vedevano l'ora di tornarsene a casa.

Secondo quelle persone che avevano dei lavori normali, la vita in tour era una  sciocchezza, un continuo divertimento.
Si, era divertente e molto gratificante, ma allo stesso tempo era una delle cose più stancanti del mondo.
I ragazzi stavano suonando l'ultima canzone del tour.
Riconoscevo la tristezza nella voce dei fans e nello sguardo del gruppo.

Le ultime battute di Jaska posero fine a "In Your Face" e al live.
Si mossero tutti verso l'uscita, lasciando le chitarre e il basso ai rodie che si complimentavano con loro per la grande esibizione.
Li vidi tornare sul palco, lanciando i soliti plettri e bacchette, abbracciandosi e concendendo un inchino ai fans, che stanchi e con poca voce continuarono ad urlare come pazzi.
Sorrisi dolcemente vedendo il mio ragazzo entrare nel backstage con uno sguardo stanco ed emozionato.
Mi passò un braccio attorno alle spalle avvicinandomi a se, baciandomi con dolcezza e chiedendomi con fare narcisista, se mi fosse piaciuto.

"A che ora abbiamo il volo domani?" - domandò Janne levandosi la maglietta sudata e lanciandola in una sacca.
"Alle 4 di pomeriggio" - gli rispose Jaska, prendendosi una birra e andando a farsi una doccia veloce.

Ad uno ad uno tutti i ragazzi andarono a lavarsi, togliendosi di dosso quella puzza di sudure e tornando belli profumati.
Per qualche minuto rimasero tutti con i capelli avvolti nei loro asciugamani ma iniziarono a sentir freddo e andarono ad asciugarseli.
Io nel frattempo me ne stavo seduta su un divano, con l'esp nera e gialla di Alexi in braccio a suonare delle note che rimbombavano nella mia testa.
Quella era l'esp che gli avevo regalato per il suo compleanno, se la portava sempre dietro, sia sul tourbuss sia in aereo, non la mollava mai e ne ero felice perchè sapevo quanto ci tenesse.



"Amo la mia ragazza quando suona" - disse lui baciandomi il collo e spaventandomi.
"Io odio quando il mio ragazzo mi fa prendere i colpi" - commentai fissandolo.
"Che suonavi?".
"Stavo suonando la mia preferita" - risposi squadrandolo e cercando di non ridere per la sua espressione indispettita.
"Mi rivelerai mai il titolo?" - domandò incrociando le braccia al petto - "Si parla del mio  gruppo".
"E va bene...la mia preferita è..." - iniziai vedendo la sua espressione farsi sempre più felice e curiosa, sorrisi - "E' ora di andare".
"Ma non è il titolo!" - si lagnò ed io feci appena in tempo a poggiare la chitarra, che dovetti iniziare a correre veloce - "Se ti prendo".
"TI AMO!" - urlai scappando.



Continuammo a ridere per un po, finchè non ci raggiunsero gli altri pazzi, con cui decidemmo di andare a festeggiare in un locale vicino al nostro hotel.
Restammo li dentro per circa due ore, poi io ed Allu ce ne andammo.

Avevamo bisogno di un po di intimità e di ritrovarci a tutti gli effetti.
I nostri corpi, i nostri cuori e anche i nostri cervelli avevano l'esasperato bisogno di toccarsi di nuovo.
Avevamo il disperato bisogno di calore.
Lui mi baciò non appena entrammo nell'ascensore ed io, appena le porte si aprirono di nuovo, lo spinsi fuori con forza.
Lui mi prese per mano, accorciando la distanza che ci divideva dalla nostra camera e aprendo la porta con velocità, vi entrammo e con un calcio la richiusi, girando poi la chiave e buttando subuto dopo le braccia al collo del mio ragazzo.
Mi sentii sollevare e poggiare contro la parete vicna alla porta, allacciai le gambe sui sui fianchie mi pieghai sul suo collo, mordendolo con fare possessivo e facendolo gemere.
Sentii le sue mani vagarmi sulle gambe, accarezzandole sopra il tessuto dei miei Jeans scuri.

"Mi sei mancata piccola" - mi disse lui ad un centimetro dalle mie labbra.

Lo baciai con foga, infilando le mani nei capelli e tirandoglieli piano, attorcigliandoli attorno alle mie dita e carezzandoli con  decisione.
Dopo aver vagato come anime in pena per la stanza, spargendo per la stanza le felpe, le maglie e con non poche difficoltà anche i nostri ormai scomodi pantaloni, ci ritrovammo sul letto, morbido e di color panna.
Le sue mani continuarono a percorrere senza sosta il mio corpo, che trasformava le mie emozioni in brividi, scuotendomi e facendomi gemere per l'eccitazione.

"Ti amo" - dissi osservandolo mentre sorrideva beato.

I capelli gli ricadevano lisci sulle spalle nude e sul volto, creando un gioco di luce e ombre in cui mi persi.
I suoi occhi erano liquide e ardenti di una passione che ci stava scaldando i cuori, il suo corpo fremeva dolcemente e le sue mani, che nonostante fossero abituate a ciò, tremavano mentre mi abbassava le con una lentezza quasi snervante le spalline del reggiseno nero.
Le mie dita percorsero languidamente il suo petto, fino ad arrivare all'elastico dei suoi boxer.
Lo sentii sospirare e lo baciai di nuovo, lasciando poi libero di torturarmi come meglio credeva.
Iniziò la mia agonia fatta di sospiri continui e carici di sentimento.
Alle sue mani seguirono le sue labbra, che umide lasciarono una scia immaginaria di baci, continuando così finchè non decisi di invertire le posizioni e renderlo schiavo delle mie labbra.
Dei miei denti che di tanto in tanto lo mordevano piano e lo facevano gemere.

Ormai stanchi di giocare, non riuscimmo più a contenerci e decidemmo, togliendo gli oramai inutili e ultimi indumenti, di porre fine alle nostre amorevoli torture.
Ci unimmo, finalmente.
Dopo troppo tempo riuscii finalmente a sentirmi di nuovo completa, amata e desiderata dall'uomo che amavo e lui, felice continuava ad accarezzarmi con decisione, cercando in qualche modo di trasformare ogni più piccola espressione di sofferenza in una di felicità.
Fare l'amore con lui era sempre una nuova emozione.
Ogni volta era come la prima e ciò ci faceva sorridere.

"Ti amo mio piccolo Inferno" - mi disse calcando il "mio".
"Ti amo da morire" - risposi baciandolo e lasciandomi andare tra le sue braccia, ritrovandomi a sussurrare il suo nome nello stesso momento in cui lui nominò il mio.
 
Ci avvolgemmo nella coperta, stringendoci in un caldo abbraccio che sapeva di casa e di protezione.
Inspirai il suo profumo, lasciandogli di tanto in tanto qualche bacio sulle labbra, stese in un sorriso dolce e sincero.
Continuava ad accarezzarmi con i polpastrelli ruvidi la schiena, facendomi sorridere e rabbrividire per la consistenza dei suoi calli da chitarrista.
La sua mano si spostò al mio viso, scostandone i lunghi capelli rossi che vi si erano attaccati e continuando ad accarezzarlo con lentezza e amore.
Sospirai e mi lasciai stringere, affondando il viso nel suo petto e chiudendo gli occhi.



Ci svegliammo insieme alle 11 e riluttanti dell'idea di doverci preparare, ci alzammo, andando a turno a farci una bella doccia calda e a preparare i nostri bagagli, poggiandoli poi vicino alla porta.

Fissai un po fuori la finestra, prendendo la fotocamera ed uscendo sul balconcino, per immortalare in qualche scatto il bellissimo paesaggio canadese illuminato dai dei piccoli e tenui raggi di sole.
Alexi mi abbracciò, poggiando il mento sulla mia spalla sinistra e strofinando il naso sul mio collo, facendomi rabbrividire e sorridere beata.
Avrei voluto rimanere così per tutta la vita.















*****
Eccomi qui di nuovo, con un nuovo capitolo pieno d'amore.
Si lo so che molte di voi che speravano in una separazione ora saranno in collera con me ma per favore non uccidetemi.
Che dire i due hanno chiarito e fatto pace, molta pace eheheh.
Ringrazio come sempre la mia Lea_love_Valo e chi segue qesta mia ff.
Buona serata a tutti/e.
Un bacione e fatemi sapere (con un commento possibilmente) cosa ne pensate.

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Capitolo 15
*** Capitolo 14 ***


Capitolo 14


Tornare indietro fu estremamente bello.
Finalmente tornavo nella mia amata Helsinki, a casa con il mio ragazzo.
Avevamo chiarito, o meglio avevamo deciso di non arrenderci in questo modo stupido, senza lottare nemmeno due secondi.
I ragazzi della band erano decisamente stanchi ma felici.
Alexi aveva dormito per quasi tutto il viaggio, poggiato con la testa sulla mia spalla destra e tenendomi per mano.
Io invece rimasi a guardare fuori, accarezzando piano il braccio del mio compagno e tracciando i contorni dello stemma finlandese.

Il giorno seguente fu un riordinare casa, idee e cuore.

Tornai a lavoro decisamente felice e con la voglia di sorridere, facendo quasi commuovere Tony che aveva sfruttato la mia assenza per uscire con Marcello e rubargli un bacio.
Avevano deciso di procedere con calma, non solo perchè per tutti e due quella si stava rivelando la relazione più seria ed importante ma, anche perchè il lavoro del modello gli occupava davvero molto tempo e quello del mio amico non era certo da meno.
Tuomas venne subito a trovarmi, soprendendosi nel vedermi attiva e pimpante.
Capì subito che la situazione si era aggiustata, o stava migliorando ogni giorno, riportando me e il mio ragazzo alla realtà.

Avevamo preso in considerazione anche l'idea di trasferisci a vivere insieme, comprando o per  il momento anche affittando una casetta con tanto di sauna e giardino.
La nostra idea fu supportata da tutti con felicità.
Di tanto in tanto mi fermavo a pensare.
Mi chiedevo cosa avrebbe pensato Ville di ciò, domandandomi se avrebbe reagito bene o male.
Sospirai.
Nonostante i miei continui film mentali, mi stupii della strana quanto assurda tranquillità nelle parole del cantante, che mi abbracciò gentilmente, ripetendomi quasi come una cantilena che era contento se tra me e il suo amico le cose fossero migliorate.



Mi svegliai intorpidita e con la testa che mi faceva male, guardandomi attorno e riconoscendo l'amaro profumo del caffè provenire dalla cucina.
Mi alzai, stiracchiandomi e scendendo a piedi nudi, scoprendo un tenero biglietto, del mio ragazzo, con su scritto che con tristezza aveva dovuto lasciarmi perchè doveva recarsi alla Finnvox con Janne.
Guardai il tavolo su cui era posata una rosa e un cornetto ripieno di cioccolata.
Sorrisi come una bambina, innamorata di quei piccoli gesti che ai miei occhi lo rendevano perfetto.
Versai il caffè nella mia tazza e addentai il cornetto.
Storsi il naso schifata e corsi in bagno a vomitare quello che avevo appena mangiato, sciacquandomi la bocca e tornando in cucina per buttare quel coso che era decisamente avariato.
Dopo qualche secondo, mi chinai di nuovo sul water.
Sbuffai lanvandomi di nuovo la bocca e il viso, fissandomi allo specchio che mi rivelava una ragazza decisamente bianca come un cadavere.
Me ne tornai a letto, addormentandomi di nuovo.

Per qualche giorno, di tanto in tanto mi risentivo male.
Alexi preoccupato quanto gli altri mi disse di andar a fare duemila visite, ma lo rassicurai dicendogli che era solamente un'influenza intestinale, che sicuramente mi ero beccata in tour e che non era nulla di preoccupante.

*

"Vogliono organizzare una serie di tre live qui a Helsinki con la Local Band" - mi disse Allu aspirando dalla sua solita Lucky Strike mentre io me ne stavo bella rintanata tra le sue braccia storcendo visibilmente il naso per il cattivo odore.
"Sembra una cosa bella!" - commentai.
"Molto, ti presenterò i ragazzi".
"Quando devi andare a sentire per queste date?" - domandai incuriosita da questa novità.

Non era la prima volta che sentivo parlare di questa specie di Super gruppo, formato da diversi musicisti che si ritrovavano uniti per suonare cover di altre band e per divertirsi insieme al pubblico.

"Tra un'ora, ma non voglio".
"Perchè?" - chiesi girandomi verso di lui che mi stampò un tenero bacio sulle labbra.
"Perchè vorrei rimanere con te" - rispose ridendo, poi sbuffò e si alzò, portando via da sotto il mio naso quel orribile quanto puzzolente posacenere e andandosi a vestire.
"Quando fai così ti vorrei rapire..." - commentai seguendolo e sentendolo ridere.
"E che cosa mi faresti?" - chiese con tono basso e roco.

Alzai gli occhi al cielo.

"Possibile che pensi solo a quello?".
"Ti stavo dando libera scelta per la risposta, sei tu che pensi male".
"Ti odio!" - sbuffai incrociando le braccia al petto.
"Ti amo quando fai così" - mi disse baciandomi di nuovo e infilandosi il suo solito berretto nero.
"Io di più".
"Ah...Tony ha detto che passava a salutarti" - disse prima di richiudersi la porta alle spalle.

Vederlo andar via era sempre una sofferenza.
Avrei voluto restare con lui per un tempo infinito, anche solo abbracciati su un divano, stretta dalle sue braccia tatuate.
Sentii il citofono trillare all'impazzata, costringendomi ad alzarmi e correre ad aprire al mio stupido amico, che si presentò con una maglia rosa pastello abbinata a dei pantaloni bianchi.
Sorrisi appena per i suoi stravaganti abbinamenti e lo abbracciai, chiudendo poi la porta e girandomi verso di lui.

"Che c'è?" - domandai incuriosita dal suo sguardo.
"Mia cara, sei sicura di star bene?" - mi domandò a sua volta, osservandomi ancora e sfilandosi la sua giacchetta.
"Te l'ho detto, è l'influenza..." - alzai gli occhi al cielo per la sua troppa apprensione e mi avviai verso la cucina, seguita dal mio amico che continuava a ripetermi di non dover prendere troppo alla leggera questa banale malattia.
"Oh mio Dio, è un ciambellone all'italiana?" - chiese con gli occhi a cuoricino mentre fissava il dolce che avevo fatto quella mattina.
"Si ma non mi fa impazzire" - risposi lasciando che si servisse da solo.

Se c'erano delle cose che Tony amava, esse erano i dolci.
Amava da impazzire il cioccolato e lo zucchero tanto che, nonostante la sua fissazione per la linea perfetta, era capace di finirsi da solo una vaschetta di gelato davanti ad un film sdolcinato.
Scossi la testa divertita vedendolo abbuffarsi felice come un bambino.

"E' buonissima".
"Mah sarà che ho lo stomaco scombussolato".
"Hai ancora la nau..." - smise di parlare, girandosi verso di me e fissandomi.
"Mi fai paura, comunque si, ogni tanto la mattina, che c'è?".
"Tesoro, tu e il tuo splendido uomo avete fatto sesso in tour?".
"L'amore, abbiamo fatto l'amore...si".
"Avete usato precau....".
"No" - risposi sedendomi e portandomi una mano alla fronte, rimanendo a fissare il mio amico che smise di mangiare e mi prese la mano libera tra le sue.
"Quanto?".
"Due settimane, ma sicuramente è colpa dello stress".
"Hell, non muoverti da qui..." - mi disse alzandosi di scatto e recuperando la sua giacchetta e le chiavi della sua macchina.

Lo vidi uscire di corsa da casa senza darmi il tempo di chiedergli cosa stesse facendo o dove stesse andando.
Mi alzai, incapace di frenare i miei pensieri, andandomi a sciacquare il viso sperando che la fredda acqua mi facesse rilassare per qualche secondo.
Mi fissai allo specchio, constatando che il terrore nei miei occhi era talmente tanto da renderli rossi, come se avessi pianto.
Contai per l'ennesima volta i giorni che segnavano il mio presunto ritardo.
Quattordici
Sempre e solo quattordici.
Mi portai una mano al ventre e mi osservai di nuovo allo specchio, immaginando inevitabilmente una me con il pancione.
Spaventata da quella visione distorsi lo sguardo, trovandomi a fissare di nuovo gli occhi del mio adorato amico che teneva in mano una bustina.
Lo fissai.

"Falli".
"Io...Tony ho paura" - confessai, prendendo le due scatoline e fissando con puro terrore la scritta che indicava cosa ci fosse al loro interno.
"Non ti lascerò mai sola" - mi rassicurò lui, chiudendo la porta.

Feci quei test e scappai da quel bagno, diventato improvvisamente troppo piccolo.

"Cosa farò?" - continuavo a ripetermi come una pazza.

Tony seduto a terra, vicino alla porta del bagno mi osservava, tenendo le mani unite come era solito fare nei momenti di stress, continuando a respirare con calma e mascherando la sua emozione.
Camminai avanti e indietro.

"Hell il tempo è finito".
"Ti prego guarda tu".
"Ok..." - rispose gentilmente, alzandosi e entrando dentro, prendendo quei due test e   fissandoli con molta attenzione, girandosi poi verso di me con un'espressione talmente strana che non riuscii a decifrare.











*******
Eccomi qui.
Quante di voi sono morte leggendo questo capitolo?
Quante di voi mi stanno odiando per non aver scritto il risultato dei test?
Vi adoro, tantissimo quindi non uccidetemi.
Come sempre ringrazio chi segue e legge questa mia ff, portando infinita pazienza e in qualche modo invitandomi a continuare.
Ringrazio soprattutto Lea_love_Valo e Lilith_s.
Voi non sapete quanto mi rendete felice con i vostri commenti, mi fate sorridere sempre.
Spero che anche questo capitolo sia di vostro gradimento.

Un bacione e alla prossima.




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Capitolo 16
*** Capitolo 15 ***


Capitolo 15



"Sei incinta" - mi ripetevo mentre aspettavo seduta vicino al tavolo della cucina, Alexi tornare.

Tony aveva capito anche se riluttante, di dovermi lasciare sola.
Mi aveva sorriso e mi aveva abbracciata, tirando su con il naso mentre delle lacrime di gioia gli rigavano il viso, illuminato da un sorriso sincero.

"Sarai madre".

Mi passai una mano nei capelli, sentendo la serratura scattare e la porta aprirsi, inondando la casa con una fredda corrente.
Mi girai verso il mio ragazzo che mi osservava, cambiando la sua espressione da felice a preoccupata, avvicinandosi a me in pochi secondi e inginocchiandosi proprio al mio fianco.

"Stai male? Chiamo un medico? Vuo...".
"Allu...".
"Andiamo dai ti porto...".
"Sono incinta" - sussurrai piano, incapace di morderare la mia voce.
"Vuoi che chiamo il...che cosa?" - domandò rendendosi finalmente conto delle mie parole e osservandomi per un secondo con uno sguardo perso.
"Aspetto un bambino" - ripetei scoppiando a piangere, sentendomi talmente fragile da potermi rompere in quel preciso istante.
"Oh...io...oddio vieni qui" - disse, prendendomi tra le sue braccia e stringendomi appena, forse impaurito dall'idea che potesse farmi del male - "E' bellissimo Hell, sarò padre".

La sua voce, rotta dall'emozione, era felice.
Lui era felice.
Davvero.
Non stava fingendo.
Tutta quella coltre di paura che si era poggiata sul mio cuore, inizò a dissolversi, facendomi sorriere e ricambiare l'abbraccio del mio ragazzo che continuava a ripetere incredulo ma orgoglioso che sarebbe diventato padre.
Mi baciò.

"Sei felice?" - gli domandai stupidamente, mentre ci sedevamo vicini sul divano.
"Sono la persona più felice di questo mondo, ti amo, ti amo da morire".
"Ti amo anche io" - risposi lasciandomi stringere di nuovo e piangendo lacrime di felicità, comprendendo e sorridendo al fatto che saremmo stati bene insieme.
"Vuoi tenerlo?".
"Si..." - dissi con poca voce - "Possiamo tenerlo per noi...per ora".
"Certo, non lo saprà nessuno".

Lo ringraziai, sorridendo come un'ebete e spiegandogli che l'unico a sapere questa novità era Tony.
Gli raccontai del mio terrore.
Della mia visione.
Del mio essere stata quasi catapultata in un'altra dimensione.
Lui sorrideva beato, stringendomi a se e accarezzandomi la schiena, baciandomi di tanto in tanto e continuando a ripetermi quanto fosse felice e quanto mi amasse.
Poggiò la mano destra sul mio ventre, accarezzandolo piano e sorridendo.

*

Per quattro giorni me ne rimasi a casa, riposandomi e riprendendomi dallo shock iniziale, abituandomi all'idea di avere un figlio e iniziando inevitabilmente a sentire l'istinto materno invadere il mio corpo e la mia mente.
Anche Alexi rimase a casa, rimanendomi vicino e coccolandomi di continuo ed io amavo tutto ciò.
Uscimmo solamente per andare a fare un'ecografia, sorridendo come due idioti quando mi dissero che avremmo avuto una famiglia.
Amavo l'idea di avere una famiglia.
Amavo l'idea di avere una famiglia tutta mia con lui.
Una famiglia che io non avevo mai avuto.

Tony mi passava a trovare, portandomi dolci e sorridendo felice.
Aveva inizianto a farneticare cose come "sarò lo zio preferito" o "sarà viziato da morire, o viziata".
Era impazzito, non che fosse mai stato normale, ma ciò l'aveva davvero reso euforico ed io ne ero felice.

Decidemmo di fare una cena a casa mia, invitando tutti i nostri amici, compresa Annette che fu la prima ad arrivare, comprendendo subito il motivo della mia chiamata e scoppiando a piangere di gioia, abbracciandomi e ridendo felice.
Per fortuna gli altri invitati arrivarono più tardi.
Marcello e Tony sorridevano beati e innamorati, tenendosi per mano.
Tuomas, Emmpu e Marco arrivarono urlando e con la loro solita cassa di birra.
Alexi mi lanciò uno sguardo allarmato, mimandomi che se avessi solamente toccato un goccio di birra si sarebbe incazzato.
Floor attenta osservatrice capì ma rimase in silenzio.
I ragazzi dei Children of Bodom e degli Him arrivarono insieme poco prima di cena, mettendosi subito a scherzare con gli altri mentre io, attendevo con ansia l'arrivo di Ville
Fissai la casa.
Era piena di persone.
Era allegra e piena di calore.
Era quella la vita che volevo e vedere i miei amici riuniti tutti li mi rendeva euforica.
Alexi mi abbracciò, sorridendo insieme a me alla vista di quella grande ed allegra famiglia che avrebbe sicuramente apprezzato e amato nostro figlio.
O nostra figlia.
Sentimmo il campanello suonare e andai ad aprire, sorridendo al poeta della torre che osservava la casa e mi salutava con gentilezza.
Eravamo proprio tutti.

"Io e Hell dovremmo fare un annuncio" - disse Alexi, prendendomi per mano ed alzandosi.

Aveva interrotto l'ennesima battuta di un Roope alquanto brillo che rideva da solo.
Sorrisi e lo fissai, stringendo la presa e sospirando.

"Aspettiamo un bambino".

Non appena finimmo di dare questa notizia, Allu fu travolto e buttato a terra dai suoi compagni di band che urlavano felici, che dopo averlo quasi schiacciato sotto al loro peso, mi abbracciarono ad uno ad uno.
Ossrvai Henkka commosso e scoppiai a ridere.
Floor e Annette mi abbracciarono piangendo e ripetendo all'inifinto quanto fossero felici.
Marcello e Tony si baciarono e mi sorrisero dolcemente.
Anche i ragazzi degli Him si alzarono dai loro posti allegri e ci abbracciarono.
Mi girai verso Ville, che mi osservava con uno sguardo spento.

"Ehi.." - provai a dire avvicinandomi a lui, che per tutta risposta si alzò e se ne andò, sbattendo anche la porta e lasciandoci tutti senza parole.

"Lascialo perdere, oggi ha avuto una giornataccia, festeggiamo?" - le scuse di Burton mi fecero tornare con i piedi a terra, sorrisi appena e annuii.

Eppure quelle scuse non mi convincevano.
Non perchè le avesse dette Burton ma perchè erano assolutamente troppo strane in contrapposizione con il comportamento di Ville.
Un attimo prima rideva ed un secondo dopo se ne andava sbattendo la porta.
Sbuffai e decisi di lasciar correre, almeno per quella sera, promettendomi che il giorno dopo sarei andata alla torre a parlargli.
Nel frattempo continuavo a fissare e sorridere ai nostri amici ed ad Allu che iniziava a ripetermi come una macchinetta di non bere e che non dovevo stancarmi.

"Allu lasciala respirare" - disse ridendo Tuomas che mi scompigliò i capelli e fissò l'orologio sorridendo - "Ragazzi sono le tre, andiamocene tutti e lasciamo riposare questa ragazza".
"Ma sto bene...".
"Non fa niente, devi riposare" - rispose Janne.
"Grazie per essere  venuti" - disse allegro quanto stanco Alexi.
"Ma figurati anzi, grazie a voi per la bella notizia" - risposero in coro Marco e Annette, che si sorrisero e recuperando gli altri se ne andarono, laciando la casa in uno strano silenzio.

Sospirai serena.
Allu mi attirò a se, baciandomi e accarezzandomi piano, abbracciandomi subito dopo e stringendomi appena.
Sentivo il suo cuore battere veloce, frenetico e pieno di vita.
Sorrise e mi poggiò una mano sul ventre, accarezzandolo con gentilezza e continuando a fissarmi negli occhi.
Lo baciai, annullando quella scomoda e futile distanza.

"Ti amo Hell, ti amo".
"Ti amo tanto.." - risposi a mia volta, abbracciandolo di nuovo e prendendolo per mano.

Ce ne andammo a dormire, ormai esausti ma felici davvero.








*****

Eccomi qui di nuovo.
Sono in vacanza e di conseguenza non ho la possibilità di collegarmi e aggiornare tutti i giorni come facevo prima, perdonatemi.
Come state? Come procedono le vostre vacanze?
Come sempre ringrazio le mie adorate Lea_love_Valo e Lilith_s, grazie per la pazienza e per i commenti, vi voglio bene davvero.
Un bacione e alla prossima.

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Capitolo 17
*** Capitolo 16 ***


Capitolo 16


"Ville aprimi questa maledetta porta, lo so che sei a casa!" - urlai battendo di nuovo la mano la porta della torre.

Continuai a battere e suonare all'impazzata, decisa a capire cosa gli fosse preso quella sera a casa mia e per quale motivo, da allora, non mi ripondeva ne mi parlava se lo incontravo per caso.

"Ville se non apri butto giù la porta!" - minacciai piena di rabbia.
"Come non lo so, ma giuro che lo faccio" - pensai, fissando l'imponente e pesante porta di legno della casa.

Una signora passò li per caso, osservandomi con un po di attenzione e scuotendo la testa, le feci segno di andarsene e farsi gli affari suoi.
Certo, vedere una ragazza così piccola come me, urlare e prendere quasi a pugni una porta del genere doveva essere parecchio esilarante o, comunque, poteva attirare l'attenzione dei passanti.
Incazzata continuai a suonare al campanello che echeggiava fastidioso all'interno della casa facendola sembrare vuota.
Lui era lì.
Lo sapevo.

"Ville per favore, aprimi! Voglio capire che cos'è successo".
"Vattene!" - urlò da dietro la porta.

Un urlo animalesco.
Un ringhio feroce di un animale infastidito o ferito.

"No, non me ne vado, apri questa cazzo di porta!".
"Non voglio parlarti, ne vederti".
"E io si invece, voglio capire cosa ti ho fatto questa volta, non voglio perderti di nuovo" - risposi piano, decidendo di porre un freno alla mia ira che non faceva bene ne a me, ne al mio bambino.

Erano passate già due settimane da quella sera.
Sentii la serratura scattare e vidi la porta arpirsi, rivelandomi solo buio e un Ville freddo, quasi estraneo.
Mi afferrò un braccio e mi tirò con davvero poca delicatezza dentro, chiudendo subito dopo la porta e girandosi verso di me.
Mi guardai un secondo intorno, per capire cosa non mi tornava.
Vidi delle bottiglie di vino sul tavolo e sgranai gli occhi, preoccupata.

"Oh merda" - disse la vocina nella mia testa, facendomi capire quanto la situazione fosse critica e troppo negativa.

"Da quanto?" - chiesi con tono decisamente troppo isterico.
"Che cosa?".
"Da quanto hai ricominciato a bere?" - domandai mentre sentivo il sague cominciare a bollire di nuovo nelle mie vene.
"Non sono affari tuoi!".
"Oh invece si perchè mi preoccupo per te!".
"Ma davvero?" - domandò sarcastico, mentre prendeva un bicchiere pieno fino all'orlo e se lo portava alle labbra per bere.

Gli tolsi quel vino, rovesciandolo nel lavandino mentre lui, prendendomi per le spalle e strattonandomi lontano da tavolo, mi urlava di andarmene e che se ne sarebbe comprato altro.
Piena di veleno lo spintonai lontano da me, facendolo arretrare e mettere una certa distanza tra noi.
L'avevo visto arrabbiato mille volte, ma così mai.
Nonostante mi fossi sempre fidata di lui, in quel momento ne avevo paura, perchè sapevo quanto l'alcool potesse cambiare le persone e vedere quelle iridi, ridotte a fessure fredde e prive di qualsiasi sentimento positivo, mi terrorizzò.

"Si mi importa!" - dissi in un sussurro, forse più a me che a lui.
"Non l'avrei mai detto" - commentò di nuovo sarcastico, portandosi direttamente la bottiglia di vino alle labbra e bevendone un lungo sorso, sorridendomi poi da vero bastardo.
"Perchè?".
"Che cazzo vuoi da me?".
"Voglio capire perchè mi tratti così, prima sei qui, poi lontano anni luce, sei scostante, non mi parli, poi mi aiuti..io..".
"COME DOVREI TRATTARTI EH?!"
"Non so, non capisco cosa ti ho fatto"
"NON HAI MAI CAPITO NULLA, SEMPRE E SOLO ALEXI!".
"Ma perchè lo metti in mezzo, il problema è tra me e te".
"TRA ME E TE, CI STA LUI!".

Le sue urla mi arrivarono come una pugnalata.
E come se non bastasse lanciò la bottiglia contro la parete, portandosi poi le mani alla testa, urlando ancora.
Lo vidi avvicinarsi a grandi passi a me, costringendomi ad indietreggiare lontana da lui, che continuava imperterrito a strillare, lasciando fuoriuscire la sua rabbia e il suo odio.

"TU HAI SCELTO LUI, sempre".
"Ville io..".
"IO COSA?" - domandò furioso - "Io cosa? Già una volta ti ho allontanata, sperando che tu capissi, ma poi torni qui e ad una cena dici che sei incinta, come dovrei reagire? Quando cazzo lo capirai che sono innamorato di te?".

Lo vidi allontanarsi ed io, incapace di dire o anche solo ragionare, rimasi bloccata li, vicino al muro della cucina.
Poggiò le mani sul tavolo, stringendole a pungo e tirando su il viso.
Mi osservò mentre tenevo la testa bassa, iniziando a realizzare il significato delle sue parole.
Appena sollevai il volto, forse per controllare o autoconvincermi che fosse tutto vero, me lo ritrovai davanti.
Provò a baciarmi ed io mi scostai da lui.
Fissai per un'ultima volta quel volto scavato e quegli occhi assenti, freddi e ad un tratto pieni di rabbia.
Lo vidi portarsi una mano alla fronte e riavvicinarsi alla bottiglia.
Scappai da quella torre, accorgendomi della pioggia che cadeva fitta dal cielo.
Corsi via, spaventata da quelle parole, quelle bottiglie maledette e da quegli occhi.
Scappai via da lui, da quell'amicizia che purtroppo si era trasformata.
Corsi via anche dalla mia vita.
Sentii lo stridolio delle gomme sulla strada.
Mi girai in tutte le direzioni, incapace di vedere nulla per via delle lacrime che mi appannavano la vista.
Venni catapultata via, atterrando sul praticello vicino alla strada.




***Ville***




Sentii un boato e qualcuno strillare.
Logorato dai miei sentimenti non ricambiati e dalla rabbia che riversavo in quelle bottiglie che per troppo tempo avevo eliminato, decisi di fregarmene di quelle urla.
Egoista.
Mi ripetevo di essere un'egoista.

"Qualcuno mi aiuti, qualcuno chiami un'ambulanza".

Per l'ennesima volta sentii quella disperata richiesta e giusto per capire cosa fosse successo, aprii la porta, vedendo una serie di persone correre verso un punto vicino alla strada.
Scossi la testa, finchè non vidi in lontananza la macchina di Migè fermarsi.
Era venuto a trovarmi, come ogni giorno.
Lo osservai scendere e fermarsi, passandosi una mano nei capelli, si girò verso la torre, fissandomi con uno sguardo terrorizzato mentre chiamava qualcuno, ciò mi fece uscire di testa.
Iniziai ad avvicinarmi a quella folla ed il mio amico corse verso di me, infilandosi immediatamente il telefono in tasca e trattenendomi.

"Lasciami".
"No, Ville, non ti lascio".
"Chi cazzo c'è li per terra?".
"L'ambulanza arriva tra qualche secondo".
"DIMMI CHI CAZZO E' STATO INVESTIITO" - risposi spintonandolo lontano da me e accorgendomi con terrore e improvviso senso di colpa che, si trattava proprio della donna che amavo.

Incapace di piangere, mi avvicinando a lei, cercando di farle aprire gli occhi, mentre il mio amico aiutato da qualche mio vicino, cercava disperatamente di allontanarmi, di trascinarmi via.
Urlai per l'ennesima volta di lasciarmi.

"NON DEVI MORIRE!" - strillai mentre Migé mi sollevava da terra, tenendomi in piedi e accorgendosi di quanto fossi ubriaco e fuori di me.




***Alexi***




"Quindi quando ci presenterai la tua donna?" - domandò Olli, il cantante dei Reckless Love e voce della Local Band.

Stavamo tutti seduti in sala, ridendo e scherzando nella pausa che ci eravamo presi per riprendere un po il fiato.
Il mio telefono prese a squillare e come sempre, i ragazzi iniziarono a simulare la mia voce e quella della ragazza che amavo.
Scossi la testa e risposi.

"Pronto?".
"Allu sono Migè..".
"Ehi ciao, come sta?" - chiesi mentre mi prendevo una bottiglia di birra.
"Al..dove sei?".
"Sono alla Finnvox..perchè?".
"Hell è rimasta vittima di un incidente" - disse.

Fissai il vuoto, sentendo il rumore dello schianto della mia bottiglia contro il pavimento, lo stesso rumore che fece il mio cuore.
I ragazzi che fino ad un secondo prima ridevano, si zittirono e si alzarono.

"Dove?" - domandai, cercando di non scoppiare.
"Vicino casa di Ville, vieni qui, presto" - rispose attaccandomi in faccia.
"Allu tutto bene?".
"Inferno, il mio Inferno. Cazzo!" - urlai, scappando via come un pazzo e lasciando tutto li, chitarre comprese.

Olli mi corse dietro, comprendendo che qualcosa mi avesse fatto impazzire e prima che partissi, si infilò in macchina, obbligandomi a mettermi al posto del passeggero e chiedendomi cosa fosse successo.
Gli urlai di andare a casa di Ville, chiudendomi in un mutismo fatto solamente di paura.
Mi presi la testa fra le mani, terrorizzato da quello che avrei potuto vedere.
Notai un'ambulanza sorpassarci veloce e urlai al cantante di muoversi.








*******
Hola Hola!
Perdonatemi per la lunga attesa e per questo capitolo tragico.
Lo so, sono una persona orribile, povero Ville, povero Alexi e soprattutto: povera Hell!
Devo ammettere che nonostante tutto, non è stato semplice scrivere questo capitolo perchè mi sono affezionata alla mia dolce Inferno.
Passando alle cose serie, come sono andate le vacanze? Vi siete divertite? 
Ora arriva la parte che più amo, ovvero i ringraziamenti ahah.
Prima di tutto ringrazio Lea_love_Valo che mi sostiene sempre e con cui si è creata anche una bella amicizia.
Poi voglio ringraziare tutte coloro che leggono e seguono questa storia in "silenzio", ragazze fatemi sapere cosa ne pensate che mi fa piacere, dico davvero.
Detto questo vi saluto, auguro la buona notte (visto l'ora) e vi mando un bacio.
Alla prossima.

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Capitolo 18
*** Capitolo 17 ***


Capitolo 17


***Alexi***



"Che cos'è successo?".
"Hanno investito Hell".
"Oh mio Dio".
"Devo devo chiamare Janne..ho lasciato il telefono".

Olli mi prestò il suo, dicendomi anche quale fosse la password per bloccarlo e composi il numero del mio migliore amico.

"Chi è?" - rispose.
"Ja-Janne".
"Alexi che hai?".
"Hanno investi-to Hell, ti prego vieni".
"Oh porca puttana, dove sei?" - domandò con tono preoccupato.
"Sto andando da lei, vieni in ospedale".
"Arrivo, arrivo, non ti lascio solo" - rispose mentre lo sentivo correre per casa.

Attaccai e scoppiai a piangere.
Vidi delle luci ed incapace di aspettare che il biondo al mio fianco parcheggiasse, scesi dalla macchina e mi misi a correre verso quelle luci, quelle voci, intravedendo due ambulanze.
Vidi i paramedici della seconda, avvicinarsi correndo alla mia ragazza, mentre io venivo bloccato a distanza da due ragazzi.

"Fatemi salire!" - ordinai mentre anche Olli si parava al mio fianco per trattenermi  - "Sono il ragazzo, il padre del bambino!" - urlai sperando che qualcuno mi riconoscesse e mi desse la possibilità di andare con lei.
"Ok, fatelo salire" - rispose uno dei due paramedici, passandomi un braccio dietro la schiena.

Prima che chiudessero il portellone, vidi Migé sollevare Ville da terra, che lo spintonò lontano da se.
Non riuscivo a capire cosa stesse succedendo, o meglio, mi illudevo che fosse solo un bruttissimo incubo, ripetendo in continuazione che doveva svegliarsi.
Dovevamo solamente svegliarci.

Arrivammo in ospedale ed io corsi fuori dall'ambulanza dietro alla barella, costringendomi a rimanere in piedi e andare dietro ai medici che urlavano di fare spazio e le informazioni necessarie per salvarle la vita.
Provai a correre anche dentro la sala dove la portarono ma degli addetti alla sicurezza mi bloccarono, dicendomi che non potevo entrare..
Ripetei, quasi a volerli convincere, che quella era la mia ragazza, che volevo sapere come stava.
Mi risposero di nuovo di sedermi ed aspettare.
Tirai un calcio ad un cestino e mi lasciai cadere su una sedia, prendendomi la testa fra le mani e piangendo come un bambino.
Sentii dei passi veloci e alzai la testa, incontrando lo sguardo spaventato di Olli.
Dietro di lui camminavano a stento Migé e Ville, sorretto dal suo amico.

"Se muore io mi ammazzo" - confessai nel pieno di una crisi di panico.
"Non morirà" - rispose il biondo, accovacciandosi sulle gambe e costringendomi a guardarlo - "Non morirà".
"Alexi!" - la voce del mio migliore amico mi fece scattare in piedi.

Lo vidi correre verso di me, segiuto da Roope e Henkka.
Lo abbracciai, sentendomi per qualche secondo a casa, ricominciando a piangere disperato sul suo petto e lui mi strinse forte, facendomi capire quanto mi stesse vicino e quanto mi volesse bene.

"Allu calmati" - mi sussurrò Janne, aiutandomi a sedermi ma stringendomi ancora a se.
"Che cos'è successo?" - domandò Roope cercando di contenere il suo pianto.
"Era venuta da me.." - la voce di Ville arrivò greve, fredda, rotta - "Abbiamo discusso perchè ho ricominciato a bere, stava tornando a casa".
"Tu! Tu..." - mi alzai ancora di scatto, aggredendo il cantante degli HIM - "E' colpa tua!".
"NON E' COLPA MIA! NON LE FAREI MAI DEL MALE!" - urlò a sua volta, spingendomi via.
Era la prima volta che vedevo Ville reagire così.

Notai il suo respiro affannato e lo vidi allontanarsi di nuovo.

"Alexi, Alexi, calmati, per favore, non facciamo scenate...".
"NON DIRMI DI STARE CALMO!" - spintonai il mio bassista, che mi bloccò le mani e mi fece sedere di nuovo.

Janne mi strinse di nuovo, cercando invano di calmare il mio pianto e la mia rabbia.
Vidi Henkka passarsi le mani nei capelli e fare un cenno a Roope, che lo seguì.
Andarono a chiamare gli altri.

"Janne..se lei muor..".
"Non morirà, è forte..lei è fort-forte" - rispose scoppiando anche lui, che mi strinse ancora.
"Abbiamo chiamato Tuomas e Tony, stanno arrivando" - ci informarono i nostri due amici, sedendosi vicino a noi e poggiando la testa al muro, asciugandosi gli occhi e rimanendo in silenzio.

La mia mente iniziò inevitabilmente a soffermarsi su mille pensieri diversi, tutte pieni di sofferenza.
Iniziavo a domandarmi perchè era capitato a lei.
Fissavo, con la testa poggiata sul petto di Janne, le pareti bianche di quell'ospedale, osservando la gente entrare e uscire con un'apparente calma che mi metteva ancora più nervosismo.
Spostai l'attenzione su quella porta che mi divideva da lei.
Un'infermiera, gentile, ci portò degli asciugamani per tamponare almeno un po i nostri vestiti e i capelli bagnati.

Un solo minuto sembrava durare l'eternità e io non riuscivo a calmarmi ne distrarmi.
Vidi un medico uscire e per poco non lo stritolai, nella speranza di sapere qualche cosa, mi disse che dovevo solamente starmene buono ad aspettare e che stavano facendo tutto il posssibile.
Ma come facevano a restare così calmi.
Mi risedetti, ritrovandomi ancora una volta nelle accoglienti braccia del mio amico che mi dava un po di calore e forza.

Tony arrivò correndo, bianco come un fantasma e abbracciandomi di slancio.
Con lui vi era Marcello, timido e con la tristezza sul viso.
Dopo qualche altro minuto arrivarono anche Tuomas e Marco, accompagnati da Jukka.
Il tastierista era il ritratto del dolore e riuscivo a capirlo.
Lui e la mia ragazza erano molto uniti e riuscivo apercepire tutta la sua paura e la tristezza.

Roope che fino a quel momento era rimasto in silenzio, si allontanò per rispondere al telefono, chiamando poi Jaska e chiedendogli di venire in ospedale.
Prima di sedersi di nuovo spiegò agli ultimi arrivati, preoccupandosi di non farmi ascoltare troppo ed ancora una volta, cosa fosse successo

Vidi un altro medico uscire.
Mi fissava con uno sguardo strano.
Mi alzai, sentendo le gambe tremare e la forza mancarmi.

"Tu sei il ragazzo?" - mi domandò mentre si abbassava la mascherina verde che portava sulla bocca e buttando in un secchio i guanti macchiati di sangue.
"Si, come sta? Il bambino? L'avete salvati?".
"Ragazzo, stiamo facendo tutto il possibile per salvare la vita alla tua ragazza, ha riportato delle ferite molto gravi e ha delle ossa rotte".
"Mio dio" - sussurrai, sentendomi afferrare da Tuomas e Janne.
"Appena ho altre novità vi informo".
"Grazie" - rispose Tuomas che piangeva in silenzio.
"Vado a chiamare a casa per dire che tornerò tardi" - annunciò Olli, alzandosi e allontanandosi con passo malfermo.

Aspettai un'altra ora, seduto li, con i miei amici a sostenermi, rendendomi conto di quanto fossi fortunato ad averli tutti li vicino a me, finchè vidi uscire di nuovo il medico, che mi fissò sospirando.

"Siamo riusciti a salvare la ragazza ma abbiamo perso il bambino o la bambina, mi dispiace".
"Quando possiamo vederla?" - domandò per me Henkka.
"Ragazzi domani, andate a casa, cercate di riposare".
"Grazie" - rispose il mio amico, comprendendo il mio silenzio.

Olli e tutti gli altri ragazzi si avvicinarono a me, abbracciandomi e facendomi sentire a casa, ripetendomi tutti che  potevo appoggiarmi a loro e che mi avrebbero aiutato a superare questa disgrazia,
Janne al mio fianco mi strinse di nuovo, il più forte possibile, ripetendomi che lei era viva, che era questo quello che contava eppure, mi sentivo morire.
Avevo appena perso mio figlio o mia figlia.
Avevo appena detto addio ai miei buoni propositi da padre e questo faceva male.



***Ville***



La notizia che Hell era salva mi tranquillizzò un poco, ma sapere che aveva perso il figlio mi faceva star male.
La colpa era mia.
Mia soltanto.
Ero stato io, con il mio egoismo e il mio stupido comportamento a spingerla a scappare da me e dalla torre.
Vidi i ragazzi abbracciare il loro amico e mi alzai, sentendomi di troppo e allontanandomi da loro, seguito da Migé che silenzioso continuava a massaggiarsi le tempie.

"Ti accompagno?" - domandò rompendo il muro di silenzio che io avevo inalzato.
"No".
"Ma è lontan..",
"Ho bisogno di stare da solo" - risposi duramente.

Avevo un disperato bisogno di andarmene a casa, rintanarmi nella mia torre e perdermi nel fondo di una maledetta bottiglia.

"Dimmi che non sei stato tu".
"Ville io..." - provò a parlare, ma non gli diedi il tempo di finire la frase..
"DIMMI CHE NON SEI STATO TU!" - urlai fuori di me,  prendendolo per la giacca e sbattendolo contro il muro esterno dell'ospedale.

Vidi il mio amico sgranare gli occhi terrorizzato dalla mia improvvisa ira.

"Ville lasciami" - sussurrò cercando di allontanarmi da se.
"DIMMI CHE NON SEI STATO TU, DIMMI CHE E' SOLAMENTE COLPA MIA!".
"Calmati ti prego" - mi implorò, staccando le mie mani da se e abbracciandomi di slancio - "Non sono stato io e non è colpa tua, quando sono arrivato, era già lì".



***Migé***


Nonostante ripetesse di voler tornare a casa da solo, lo accompagnai.
Non si reggeva in piedi ed era la prima volta che lo vedevo star così male, comprendendo quanto fosse innamorato di quella ragazza.
Era un vero strazio vederlo in quello stato, per non parlare di Alexi.
Ma io dovevo pensare al mio cantante perchè, anche se iniziava ad ammutolirsi e chiudersi a riccio come al suo solito, aveva bisogno di avere i suoi amici vicino.
Accompagnai Ville fino alla porta, mentre lui continuava a ripetere imperterrito che la colpa era sua, che era a causa sua se Hell era stata investita da qualcuno che aveva sicuramente sbandato per la strada bagnata.
Purtroppo, quel poveretto ci aveva rimesso la vita.
Non dissi nulla di tutto ciò al mio amico, già troppo sull'orlo del baratro.
Assecondai il suo volere e sapendo che sarebbe stato meglio per lui starsene un po per conto suo, ma appena entrai in macchina, mandando al diavolo il pensiero che si sarebbe incazzato, chiamai Jesse.
Suo fratello.
Gli spiegai cosa fosse successo e lui, attaccato com'era a Ville, mi rassicurò dicendo che sarebbe andato subito da lui.
Lo ringraziai e me ne tornai a casa, stanco e con un forte desiderio di piangere.









*********
Salve salve.
Lo so, volete uccidermi per quello che ho scritto ma io vi voglio bene.
Non credo di dover dare nessuna spiegazione per questo capitolo, posso solamente dire che mentre lo scrivevo stavo ascoltando Don't Cry dei Guns N'Roses.
Come sempre ringrazio chi legge in silenzio e voi, le mie dolcissime Lea_love_Valo e Lilith_S per la vostra infinita pazienza e dolcezza.
Poi voglio fare un rigraziamento speciale a RoarGirl: ragazza, non sai quanto mi ha fatto piacere il tuo commento, dico davvero. Mi sono piaciute molto le parole che hai scritto e mi hai anche fatto commuovere.
Grazie a tutte :)
Un bacione e alla prossima.

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Capitolo 19
*** Capitolo 18 ***


Capitolo 18




Mi svegliai.
Ero in una stanza di ospedale, bianca e con il classico odore nauseante di medicinali.
Mi sentivo male, nonostante i continui antidolorifici che mi davano.
Mi stroppicciai gli occhi appena, lasciando poi ricadere il braccio destro lungo il mio fianco e toccando qualcosa, mi girai, trovando la testa di Alexi poggiata al materasso, stava dormendo.
Gli accarezzai i capelli, svegliandolo nonostante avessi fatto il più piano possibile.

"Sei sveglia".
"Ciao" - risposi con voce rotta e gracchiata.
"Come ti senti?".
"Dimmi che era ironico" - sussurrai - "Ho passato momenti migliori".
"Hell..io..".
"Che c'è? Ehi, sono qui, siamo qui..".
"Ci sei solo tu..." - disse, abbassando di scatto il volto e coprendolo con i lunghi capelli.
"Cosa stai dicendo?" - domandai negando a me stessa quelle sue parole.
"Non sono riusciti a salvarlo, hanno salvato te" - rispose.

Lo fissai, sentendo il mio cuore accellerare e il bip della macchina collegata ad esso, diventare più frequente e veloce.
Un'infermiera entrò di corsa, ripetendomi di calmarmi.
Come potevano dirmi di star calma?
Avevo appena perso il mio bambino.
Avevo perso i miei sogni e loro mi dicevano di stare calma.
Scoppiai a piangere, sentendo il bisogno di scappare via da lì, da tutto.
In un attimo tutto quello che avevo costriuto e il mio amore per Alexi, sparì nel buio della disperazione.
Un buio pesante e senza nessuna via d'uscita.
Un lungo sentiero da cui non potevo fuggire ne tornare indietro.
Allu mi fissava, condividendo il mio dolore ma senza capire che proprio quel dolore mi aveva fatto dimenticare tutto.
Si sedette di nuovo, prendendomi una mano e sussurrandomi che prima o poi avremmo avuto un figlio nostro e ad ogni sua parola, sentivo il mio cuore rompersi e cedere.
I miei sentimenti si stavano affievolendo come la luce di una candela, eppure, continuavo a lottare contro questa tristezza, costringendomi a rimanere al suo fianco.


*


Sentii la porta della mia stanza aprirsi, ormai era un mese e mezzo che me ne stavo in quel maledetto ospedale e avevo imparato a riconoscere qualsiasi rumore e i diversi passi di chi mi veniva a trovare.
Mi girai verso Tuomas e Tony, che mi osservavano dolcemente.

"Come state?" - domandai.
"Sono felice di vederti in piedi" - risposero insieme.
"Si con le stampelle".

Loro avevano capito e accettato, come sempre, di non chiedermi niente riguardante il mio umore.
Capivano il mio dolore e cercavano in tutti i modi di non farmelo pesare troppo.

"Oggi ti tocca il giro nel giardino".
"Sempre meglio che stare chiusa qui" - risposi, avvicinandomi ai e sorridendogli appena.
"Andiamo" - rispose il tastierista.

Il giardino dell'ospedale non era male.
Aveva delle grosse siepi che creavano una specie di piccolo labirinto, nel mezzo della piazzetta vi erano mille rose di tanti colori diversi che portavano un po di allegria e buon umore.
Vi era anche qualche pino che con la sua folta chioma, faceva ombra sulle panchine.

"A che pensi?" - chiesi fissando Tony.
"Che devi dirci qualcosa".

Sospirai.

"Hai ragione".
"Di cosa si tratta?" - domandò a sua volta il finnico.
"Appena esco di qui, me ne vado".
"Dove?".
"In America, voglio andarmene, qui sto soffocando" - ammisi, senza guardarli in faccia.
"Ed Alexi?" - chiese Tony, fissandomi con attenzione.
"Alexi andrà avanti" - risposi, strizzando gli occhi.
"Non gli dirai nulla?".
"Gli dirò quello che serve, ma non dove andrò ne cosa farò, siete gli unici a sapere ciò".
"Sei sicura di volertene andare?".
"Si".

Sentii i passi arrestarsi, costringendomi a girarmi verso di loro.
Tony piangeva a testa bassa, mentre Tuomas aveva un'espressione di pura tristezza sul viso.
Ma erano forte, avrebbero capito e mi avrebbero sorretto ancora una volta.
Ancora una.

"Tony" - sussurrai, sentendomi poi abbracciare di slancio e le stampelle cadere a terra.
"Mi mancherai".
"Anche tu, mi mancherete come l'aria" - ammisi.
"Che farai con la tua casa, hai fatto tanti sacrifici".
"Lascio le chiavi a voi...non riuscirò mai a disfarmene e se mai tornerò qui, bhe, avrò un posto dove dormire".

Lo sentii ridere, singhiozzando ancora.
Anche Tuomas mi strinse a sua volta, nascondendomi il suo viso e i suoi occhi decisamente spenti e malinconici.


*


Tornare a casa fu un sollievo, non solo perchè finalmente mi levavo dai piedi tutte le infermiere che mi fissavano con tristezza, ma anche per il semplice fatto che avevo dei programmi.
Arrivai alle 10 e sfruttai l'unica occasione utile per mettermi al pc, prenotare un hotel e un volo di sola andata delle 16 per l'America e per preparare le uniche valige che mi sarei portata dietro.
Chiamai anche un taxi, chiedendogli di venire per 14.
Non appena attaccai, vidi la porta di casa aprirsi e la figura di Alexi entrare, sorridente e avvicinarsi a me per baciarmi.

"Devo chiederti una cosa".
"Anche io".
"Ok, ti prego non interrompermi, perchè già mi sto cagando sotto" - rispose lui sorridendo appena - "Quello che è successo ci ha davvero distrutti, ho avuto il terrore di perderti e ciò mi ha fatto capire quanto io sia stato stupido e i miei errori, ho capito che non sono il migliore e che sono palloso. Ho capito che io ti amo e che voglio passare il resto della mia vita con te quindi..mi vuoi sposare?".

Lo fissai, sgranando gli occhi e scoppiando inevitabilmente a piangere, sentendomi un mostro.
Mi sedetti prendendomi il viso tra le mani.

"Cosa..?" - sentii quella domanda arrivarmi ovattata alle orecchie e appena sollevai il volto, notai lo sguardo di Allu rivolto vero le valige poggiate vicino alla porta.
"Allu..io me ne vado" - confessai con la morte nel cuore, vedendolo vacillare per qualche secondo e sedersi sul divano vicino a me.
"Perch-è? Non puoi, non voglio".
"Perchè ho bisogno di andare via".
"Io ti amo" - rispose, alzandosi e appoggiando le sue mani callose sul mio viso.
"Lo so" - risposi, sentendo le mie guance bagnarsi delle mie lacrime - "Lo so e mi dispiace".
"Non andartene, ti voglio sposare".
"Non riesco a stare qui, non riesco a vivere".
"Non lasciarmi".
"Ti amo, ti amo davvero e starai meglio, domani".
"Tu sei il mio Inferno".
"Troverai il tuo Paradiso".

Le sue labbra si posarono sulle mie, condividendo con me il suo dolore, le sue paure e tutti quei sentimenti a cui io stavo ponendo fine.

"Ti prego, resta".
"Ti prego, lasciami andare" - risposi a mia volta, mentre come se ciò potesse curare le nostre profonde e ormai incurabili ferite, ci lasciavamo andare l'una nelle braccia dell'altro, ritrovandoci poco dopo su quel letto che troppe emozioni aveva vissuto.

Quella volta fu dolce, triste, piena di rabbia e di amore.
Ci amammo e uccidemmo a vicenda, sapendo che avremmo sofferto ancora di più.
Lo vidi piangere e questo mi fece sia soffrire ancor di più, sia accettare e supportare la mia decisione.
Sarebbe andato avanti.
Avrebbe continuato a suonare, a girare il mondo.
Avrebbe trovato un'altra donna, ricevendo tutto l'amore che io, non ero più in grado di donargli ed io, io avrei continuato a sopravvivere, perchè questo stavo facendo.
Avrei forse, un giorno, ricominciato a credere in qualcosa e nell'amore.
Sarei anche tornata qui, nella mia amata Finlandia.
Nella mia Helsinki.
In questa casa.

Mi preparai e sentii il clacson del taxi, avvisarmi del suo arrivo.
Fissai ancora una volta la mia casa, che iniziava ad emanare un'aria malinconica, sorrisi appena, pensando a quello che avrei lasciato.
Sospirai e mi girai ancora una volta verso di lui.

"Ti amo" - dissi - "Per favore, dimenticami".
"Non lo farò" - rispose baciandomi un'ultima volta.
"Vai avanti, ti prego, ricomincia a vivere...ricomincia ad amare".
"Io amo te".
"Addio" - dissi, lasciando la sua mano e uscendo da casa.

Il tassista caricò le mie valige nella macchina ed io mi chiusi dentro, lasciandomi andare ad un pianto silenzioso.
Mi girai una sola volta, vedendo la casa e quel fantastico ragazzo, inginocchiato a terra e con le mani nei capelli, allontanarsi sempre di più.
Sospirai.

"Sarai felice".











******
Salve salve.
Si lo so, non solo ci ho messo molto ad aggiornare ma questo capitolo è davvero molto ma molto triste.
Perdonatemi.
Che dire, poveretti.
Tutti quanti.
Ringrazio tutte voi che leggete e commentate questa mia storia, frutto del mio cervello dalle rotelle fuori posto.
Un bacione a tutti e soprattutto buon anno scolastico a tutte quelle che hanno ricominciato in questi giorni,
(non come me che sto cercando lavoro).

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Capitolo 20
*** Capitolo 19 ***


Capitolo 19



Distaccarmi così dalla mia amata Finlandia fu doloroso.
Ma ciò che più mi fece star male, fu lasciare la mia vita e tutto quello che avevo costruito, illudendomi come una stupida che fuggire fosse l'unica e sola cosa da fare.
 
Così alla bellezza di 32 anni ero scappata via, di nuovo, prendendo il primo aereo da Vantaa e atterrando al John F. Kennedy, a New York.

Mi ero sentita una perfetta estranea e per fortuna trovare il mio hotel non fu difficile, riuscii a chiamare il taxi con un fischio, un po come nei film e diedi l'indirizzo.
Nonostante la facciata bianca ed imponente, le grosse vetrate e un tappeto rosso sulle scale, l'accogliente e raffinata hall, l'hotel non era chissà quanto costoso, anzi.
Mi fermai alla reception dove una ragazza di nome Emily mi salutò con dolcezza e rispetto, chiedendomi i documenti e porgendomi la chiave della mia camera.

Non entravo in un hotel da quando ero tornata dal tour e tutta la tristezza accumulata durante il viaggio, uscì fuori non appena mi chiusi la porta alle spalle.
Fissai la stanza, sentendomi di nuovo sola.
Avevo chiesto un letto singolo proprio per evitare di immaginarmi lì con lui.
La stanza era al buio ed io non avevo nessuna intenzione di accendere la luce, del tutto superflua.
Mi sedetti sul letto, accorgendomi di quanto fosse morbido e constatando che Lui sarebbe piaciuto.

Lui.


Mi mancava.
Mi mancava come l'aria, mi aveva chiesto di sposarlo ed io ero andata via, spezzado ulteriormente il mio cuore, sapendo che per lui era lo stesso e che non potevo più tornare indietro, non ne avevo la forza.
Non riuscivo nemmeno più a pronunciare il suo nome.
Mi passai una mano sul ventre.
La mia vita era finita.
Per cosa poi?
Per colpa di uno stupido cantante, innamorato della ragazza di un suo amico.
Presi la prima cosa a portata di mano e la scagliai con rabbia contro il muro, accorgendomi solo dopo di aver lanciato una delle due scarpe che avevo lasciato ai piedi del letto.
Mi lasciai cadere di schiena, fissando il soffitto e cercando di calmare i miei singhiozzi.
Stupido Ville.
Stupida me che ero andata da lui.
Se solo avessi deciso di tagliare i rapporti con lui, continuando per la mia strada senza preoccuparmi dei suoi continui cambi di umore, in quel momento sarei stata a casa mia, con mio figlio dentro di me e suo padre che mi baciava con amore.

Mi guardai i polsi, dove i miei tatuaggi bruciavano.
Che strano scherzo del destino.
Fissai l'Heartagram, pensando a quanto avrei voluto picchiare quel finnico borioso ed egoista.
Ripensai alla nostra discussione, rivedendo i suoi occhi pieni di odio e tristezza.
Presi il mio pacchetto delle sigarette e il posacenere, poggiandomi allo schienale del letto e fissando un punto immaginario sul muro.
Mi aveva rovinato la vita.


*

Per le prime due settimane, passai le mie giornate in hotel.
Nella mia stanza.
Nascondendomi al mondo come spaventata da esso e cercando qualcosa che mi spingesse a rialzare la testa.
L'unica cosa che trovai, fu il fondo delle mille bottiglie di vino e super alcolici che ordinavo e mi facevo portare in stanza, finendole una per una, illudendomi come sempre che questo mi avrebbe tirata su.
E più bevevo, più cedevo.
Mi ostinavo a ripetermi di non aver bisogno di nessuno, che a nessuno sarebbe importato di me e che, ormai, era inutile combattere per qualcosa.

Accesi il mio telefono e sullo schermo comparirono le innumerevoli chiamate del mio ex ragazzo, di Tony e Tuomas.
Composi il numero del mio inglesino preferito e aspettai la sua risposta.

"Pronto, Hell...mio dio".
"Ciao Tony" - salutai - "come stai?".
"Io sto bene, tu?".
"Sto benissimo, sto benissimo, si, si".
"Sei ubriaca?".
"NO!".
"Hell..non farlo, non bere" - sussurrò.
"Sto male" - ammise.
"Lo so, torna qui, sistemeremo tutto".
"No, non si sistemerà niente, non riavrò la mia vita, non riavrò Lui, non riavrò nemmeno mio figlio!" - urlai nel pieno della rabbia, piangendo - "Non cambierà nulla" - ripetei di nuovo, con voce distorta e impastata.
"Finirà tutto questo, finirà".
"Come sta?" - domandai conoscendo già la risposta.
"E' distrutto. Proprio come te" - confessò.

Tony nonostante mi ripetesse di non voler parlare di lui ma di me, mi riverò che il mio ex ragazzo era distrutto.
Dopo la mia partenza si presentò al locale, chiedendogli in lacrime e sorretto dal suo fedele Janne di dirgli dove ero andata, ma ovviamente, Tony rispose di non esserne a conoscenza.
Mi raccontò che Marcello aveva assistito a tutto ciò e aveva aiutato il tastierista a portare a casa il cantante che aveva chiesto di rimanere solo ed i due, rispettando il suo volere, si allontanarono dalla casa, anche se, dopo qualche secondo erano dovuti rientrare in caa di corsa perchè lo avevano sentito urlare, trovandolo nel pieno del caos.

Come un pazzo furioso e un animale appena liberato dalle catene, aveva preso a rompere qualsiasi cosa gli capitasse a tiro, prima una delle sue chitarre classiche, poi una sedia, molte delle foto messe sulle mensole.
Aveva rovesciato il tavolo e per fortuna, erano riusciti a fermarlo prima che potesse distruggere anche quella ESP gialla e nera che tanto amava.
La chitarra che io gli avevo regalato.

Sapere tutto ciò, mi terrorizzò ed attaccai, senza più dire una parola, spegnendo il telefono e sprofondando nel letto, piangendo.
 








*********
Ebbene sono tornata, dopo circa un mese sono di nuovo qui.
Vi sono mancata?
Voi molto.
Lo so, sono una persona orribile perchè sto facendo soffrire tutti e chieso scusa.
Ora come sempre ringrazio le mie adorate Lea_love_Valo che per posta ha continuato a scrivermi e Lilith_s per il commento bellissimo che mi ha fatto commuovere.
Grazie davvero :3
Un bacione a tutti/e.
Alla prossima!!!

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Capitolo 21
*** Capitolo 20 ***


Capitolo 20

Il primo mese fu un vero incubo.
Il secondo ancora peggio e ciò intensificò la mia depressione.

Avevo comprato una nuova sim per il telefono e che fino a quel momento avevo tenuto spento e nascosto, perchè dopo aver parlato con Tony si era scatenato in me il terrore che qualcuno potesse trovarmi.
Insieme ad esso, iniziai ad avere incubi e di conseguenza avevo preso a bere e ingurgitare pasticche la notte prima di dormire.
Se uscivo andavo in cerca di un qualsiasi ma modesto lavoro, venendo puntualmente respinta perchè non avevo esperienza.

Una mattina mi svegliai nella mia stanza, chiedendomi prima come ci fossi arrivata e due secondi dopo, chinandomi sul gabinetto per vomitare.
Mi tirai su, con quelle poche forze che mi erano rimaste, fissandomi allo specchio e vedendo realmente di quella che ero diventata.
Mi resi conto di quanto facessi schifo, non solo per i capelli arruffati, la pelle cadaverica e le evidenti occhiaie, ma anche per tutti gli sbagli commessi nel giro di 60 giorni.
Mi facevo schifo e questo mi spaventò così tanto che decisi di reagire quel poco che bastava per non sporfondare.
Mi lavai e mi rimisi a dormire, sperando che una buona e sobria dormita, alleviasse il mio mal di testa e mi permettese di uscire.
Ancora non sapevo che durante quella giornata, partita malissimo, un bambino avrebbe portato con se un po di felicità.
Non appena mi sentii meglio, mi vestii e truccai, mettendomi anche gli occhiali da sole per coprire i segni delle notti passate sveglia ed uscii.

Durante le mie varie uscite, finite male, avevo intravisto due locali in cerca di personale, così decisi di farci un salto.
Il direttore del primo, era un tipo piuttosto vecchio e viscido, che non perse tempo a ripetermi quanto fossi adatta per il posto, sfiorandomi ogni due secondi e facendomi venire il vomito.
Diedi una veloce occhiata al posto, accorgendomi solo in quel momento di quanto fosse intriso di puzza di tabacco, alcool e olio, comprendendo il perchè dell'impellente bisogno di personale.
Così dopo aver parlato qualche minuto, dissi che sarei ripassata a lasciare il mio numero perchè avevo un'impegno importante e che dovevo andare via di corsa.
E così feci, corsi via anche da quello squallido posto, disgustata e giù di morale.
Mi fermai per qualche minuto in un parchetto affianco al secondo locale, sedendomi su una panchina e fissando con disinteresse il cielo, chiedendomi se dovessi tentare di trovare un posto anche al secondo locale.
A distrarmi dai miei pensieri, fu la voce di un bambino dalle guance paffute e i capelli castano scuro.

"Ciao" - mi disse sorridendo.
"Ciao anche a te" - risposi freddamente.
"Sei nuova di qui?" - chiese, sedendosi al mio fianco e fissandomi con quei suoi due bellissimi occhi color cioccolato.
"Si, perchè?".
"Io sono il capo di questo parco, sei sul mio territorio e io devo sapere se sei una mia alleata o un nemico".
"Mmh vediamo, io mi chiamo Hell, posso essere una tua alleata?" - domandai vedendo una schiera di bambini, armati di bastoncini, correre verso di noi e urlare qualcosa come assalto o per il mio capitano.
Vidi un ragazzo corse verso di me - "William..non puoi metterti ad importunare la gente così! Perdonalo, mio fratello..".
"Oh no, figurati, stavo rassicurando questo valoroso generale che sono una sua alleata, mi chiamo Hell".
"Io sono Bill" - rispose lui stringendo la mia mano e fissando i ragazzini ricominciare a correre intorno ad un albero urlando ordini - "Mio fratello ogni volta che vede qualcuno di nuovo deve andare ad indagare".
"Bhe ero sul suo territorio".

Il ragazzo mi fissò, sorridendo.
A differenza del fratellino, lui alto, biondo, con gli occhi azzurri e un bel sorriso.

"Sei nuova?".
"Si".
"Dall'accento direi che sei inglese, ma sento qualcosa di strano".
"Ho vissuto quasi 12 anni in Finlandia, ma ora sono qui".
"Quanto rimarrai?" - chiese fissandomi - "scusami, sono stato molto invadente, perdona la mia curiosità".

Scossi la testa, rassicurandolo.
Egoisticamente, dopo i miei due mesi di recludione forzata e volontaria, nonostante il mio dolore e la mia persistente quando attenuata voglia di farla finita, ero felice di parlare con qualcuno.
Non che andassi a dire in giro i miei problemi, ma avevo un dannato bisogno di parlare e in qualche modo far tacere i demoni che urlavano continuamente nella mia testa, facendomi impazzire sempre di più, giorno dopo giorno.

"No nessun problema, credo che rimarrò per un bel po, infatti sto anche cercando lavoro.." - risposi sincera e sorridendo appena.
"Ah si? E hai già in mente cosa fare?".
"Per ora vorrei andare a sentire lì" - indicai il locale - "Sono anni che lavoro nei locali, ho letto che cercano personale, quindi vorrei provare a sentire".
"Sei assunta" - tagliò corto lui, facendomi sorridere appena - "ecco...quel locale è mio, l'ho ereditato, insieme ad un appartamento proprio sopra, da mio nonno".
"Davvero?" - domandai incredula mentre lui rideva di gusto.
"Davvero! Vieni, ti faccio vedere, Will tu e gli altri, venite".

Sorrisi sincera e insieme alla banda di bambini, lo seguii, entrando in quel piccolo locale, scoprendo quanto fosse accogliente e quanto mi ricordasse quello di Helsinki.
Sospirai, Helsinki era ancora nei miei pensieri.
I suoi abitanti pure.
Mi mancava, mi mancava tutto.
Il locale era davvero carino e ben arredato, con una bella vista sul parco e una buonissima illuminazione.
I mobili presenti erano chiari, quasi color panna.
Sulle pareti erano appesi dei quadri di alcuni gruppi famosi, come Kiss, Aerosmith, Beatles o Iron Maiden.
Un posto tranquillo, che mi faceva sentire un po a casa.

"Mettetevi qui, tra un po vi preparo una bella cioccolata".
"Si!" - urlarono tutti, con quelle loro vocine stridule ma felici.

Sorrisi tristemente, pensando che non avrei avuto l'occasine di sentire la rista di mio figlio.

"Ti piace?".
"E' bellissimo e ti ringrazio per questo, cioè non mi aspettav..".
"Figurati, è un piacere" - mi rispose gentilemte.

Presi la una tasca dei pantaloni un foglietto, su cui avevo scritto una lista delle cose da fare, cancellando la frase "cercare lavoro" e sorridendo decisamente più allegra del solito.
Mancavano solamente due cose.
Cercare casa.
Essere di nuovo felice.
La prima era molto più semplice, mentre la seconda no.
Avrei dovuto riprendere davvero in mano la mia vita, dimenticare e andare avanti.

"Bhe manca solo una casa" - pensai ad alta voce.
"Se vuoi, poi cancellare anche quella".
"Cosa? Perdonami stavo pensando ad alta voce e non ti ho capito".
"Dicevo, puoi eliminare anche quella. Proprio qui sopra ho un piccolo appartamento che non uso e nessuno se lo vuole prendere proprio perchè è sopra il locale, se vuoi....".
"Oh davvero?".
"Si".
"Grazie" - urlai abbracciandolo di slancio, colta da un'irrefrenabile attacco di euforia.
"Per così poco?".
"No, questa è la prima cosa bella che mi accade dopo quasi quattro mesi".
"Oh, allora vieni, ti mostro la tua nuova casa".
"Grazie Bill, grazie davvero" - dissi mentre sentivo gli occhi pungermi per quelle che non erano lacrime di dolore, bensì di gioia.
"Will, ti affido i tuoi soldati, torno tra qualche minuto".
"Agli ordini!" - rispose il piccolo, simulando il saluto militare che mi ricordò Ville.

Lo seguii, uscendo di nuovo dal locale.
Camminammo per qualche metro, fermandoci proprio davanti ad un portone scuro, che aprì e tenne spalancato per farmi entrare.
Lo ringraziai e continuai a camminare in silenzio dietro di lui, salendo poi una piccola rampa di scale e fermandomi davanti alla porta di un ascensore.

"A che piano andiamo?".
"Allora l'appartamento è al 4 piano".
"Ok" - risposi elettrizzata e accorgendomi solo dopo che eravamo già arriati.

Lui sorrise e mi fece uscire per prima, simulando un inchino.
Sorrisi mentre mi tornò in mente il ricordo di Tuomas che faceva la stessa cosa.
Avrei dovuto chiamarlo, dirgli che stavo sopravvivendo a me stessa e ai miei demoni.
Lui mi affiancò e mi guidò verso la porta di casa, aprendola e facendomi entrare.
Sospirai.
Non era ne piccola ne enorme.
Era giusta e già arredata con mobili e librerie del tutto vuote e impolverate.
Mentre visitavo le stanze, parlammo dell'affitto e lui mi sorprese ancora una volta, dicendomi che finchè non mi sarei ambientata, avrebbe pensato a tutto lui.
Sorrisi e ma, cocciuta come sempre, mi impuntai nel dovergli qualcosa, così lui mi propose un affitto davvero basso, spiegandomi che l'unica cosa che poteva servirgli era solamente non dover pagare le tasse.
Ridemmo un po per questo ed accettai la sua proposta.

"Perdonami se te la faccio vedere così" - disse indicando la polvere e i teli che ricoprivano i divani.
"Non preoccuparti, assolutamente, va benissimo".
"Non ci vengo mai".
"Lo vedo, tranquillo" - risposi ridendo appena per il suo imbarazzo.
"Quindi?".
"Quindi si, è perfetta".
"Davvero?".
"Si, davvero e ne sono felice, grazie".
"Allora è tua, queste sono le chiavi e benvenuta".
"Grazie Bill" - dissi di cuore, commossa per tutta quella gentilezza e sorridendogli grata.








******
Ed eccomi qui, tra un impegno e un altro, finalmente ho trovato il tempo di aggiornare.
Hell sta iniziando una nuova vita?
O è solo un'illusione?
Ah non dirò nulla e vi lascio con un mega dubbio!
Comunque come sempre ringrazio chi segue la storia lasciandomi dei teneri messaggi, chi resta in silenzio.
Grazie davvero!
Alla prossima e buona serata.

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Capitolo 22
*** Capitolo 21 ***


Capitolo 21


Per i primi giorni, Bill mi fece il favore di lasciarmi mezza giornata libera per sistemarmi e sistemare casa.
Era un tipo piuttosto riservato e tralasciando la curiosità del primo giorno, iniziò a non chiedermi nulla di troppo personale, se non semplici domande del tipo: com'era vivere al freddo?.

Avevo iniziato anche ad ambientarmi in quella nuova casa
Grande.
Vuota.
Mi sentivo terribilmente sola questo permetteva alla mia mente di coninciare a volare e immergersi nei ricordi, agognando e disperandosi per i flash dei miei vecchi amici e il mio vecchio fidanzato.

Sospirai mi misi seduta vicino alla finestra che dava sul balcone, utilizzando il mio telefono come se fosse un pc ed entrai nel mio vecchio e inutilizzato profilo, accorgendomi delle innumerevoli notifiche da parte di diverse persone a me care.
Presa da un'attacco di masochismo, aprii il primo dei messaggi di Lui.

"Hell ti prego, torna a casa, torna da me".

"Amore per favore, ho bisogno di te, ho bisogno di noi. Torna a casa, torna qui, ti ho amato, ti amo e ti amerò".

"Inferno dove sei? Ci riproveremo, voglio te, nessun'altra".

Uscii, incapace di continuare a leggere.
I miei occhi si appannarono di lacrime amare e sofferenti.
Erano passati ormai 5 mesi.
Cinque mesi duri, di un'infernale agoina.
Di dolore e tristezza.
Di ricordi che mi annientavano l'anima.

Si avvicinava il primo Natale.
In solitudine.
Niente regali.
Niente baci e niente abbracci.
Niente sorrisi, niente ti voglio bene o ti amo.

Sospirai e mi misi a fissare il cielo, ormai scuro e nuvoloso come la mia anima.
Me ne andai a letto, sperando di dormire e non avere i miei soliti incubi divenuti più numerosi dopo l'incontro con Will e Bill.

Se in un primo momento e durante le mie giornate riuscivo in qualsiasi modo ad anestetizzare solo in parte il mio dolore, appena mi ritrovavo sola iniziavo a riflettere e ciò mi spingeva sempre più vicina alla fossa.
Non riuscivo ad andare avanti.
Ogni sera, dopo aver preso il mio sonnifero, credevo fosse l'ultima.
Speravo con tutta me stessa di non risvegliarmi il giorno dopo e ogni mattina, mi sentivo una sopravvissuta che stava sprofondando pian piano nella tristezza e volente o meno, dovevo sforzarmi di mascherare al meglio questa mia debolezza.
Più i giorni passavano, più era difficile alzarsi dal letto.
Sorridere ai clienti era complicato.
Sorridere ai bambini che entravano nel locale insieme ai loro genitori era una vera pugnalata.
Accettare era difficile e andare avanti mi sembrava impossibile.


Un giorno, mentre pulivo uno dei tavoli, due ragazze entrarono nel locale, sedendosi al bancone mentre parlavano in maniera fitta di musica.
Mi sembrava di rivedere me e i ragazzi.
Sospirai e mi avvicinai a loro, mentre Bill continuava a controllare che i conti fossero esatti.

"Ragazze cosa volete?" - domandai accorgendomi che una delle due portava una felpa nera, con la stessa scritta che io avevo tatuata sul polso, che nascosi di fretta e furia.
"Prendiamo due birre e due panini tonno e mozzarella".
"Birre come?".
"Corona?" - chiese la ragazza che aveva attirato la mia attenzione alla sua amica che annui - "Si Corona...Ma tu sei la ragazza di Alexi Laiho!".

Le sue parole mi fecero venire i brividi.
Boccheggiai per qualche secondo, ringraziando il fatto che fossi di spalle e che loro non potessero vedere la mia faccia.

"Ma dai Lea, che stai dicendo?" - la rimproverò l'amica, mentre io poggiavo le due birre davanti a loro.
"Si, ti dico di si, è lei".
"Tu e quei finnici, non lo so, se lo dici tu".
"Di chi dovrei essere la ragazza?".
"Ma come di chi? Del chitarrista dei Children Of Bodom".
"Non so nemmeno chi siano questi Children of..qualcosa.." - mentii, cercando di risultare il più convincente possibile.

Per mia fortuna, la ragazza smise di fare domande e la loro conversazione si spostò sulla loro scuola, sui ragazzi e sui professori.

Sentii la testa girare e dovetti poggiarmi al ripiano dietro di me, non appena le due uscirono dal locale.
Sentivo le gambe farsi molli, troppo da tenermi in piedi.
Mi girai verso Bill, che mi osservava parecchio preoccupato.
Mi corse vicino, facendomi sedere su una sedia e portandomi un bicchiere d'acqua, che lasciai sul tavolo mentre cercavo di riprendere il controllo di me stessa, scossa da un attacco di panico.
Quello fu il primo di una lunga serie.
Oltre ai sonniferi per dormire, iniziai così a prendere anche ansiolitici.
Come se non bastasse anche se con disgusto, continuavo a bere.

Bill iniziò a capire che qualcosa mi turbava, che mi faceva soffrire ed un pomeriggio, mentre eravamo in pausa, mi chiese cosa fosse successo di così difficile da superare.
La prima cosa che feci, fu scoprire i miei polsi che con i loro tatuaggi, attirarono ancora di più la sua attenzione.
Gli rivelai la mia passata relazione con il frontman del gruppo che quella ragazza aveva nominato, sorprendendolo e sorprendendomi del tono greve e quasi rotto che avevo usato nel pronunciare il suo nome.
Raccontai delle mie vecchie amicizie, di Tuomas e Tony.
Gli raccontai anche di Ville, dei suoi comportamenti, dei suoi baci e di come avesse distrutto involontariamente la mia vita.

"Mi dispiace" - ammise sincero il ragazzo davanti a me, che mi osservava con uno sguardo colmo di tristezza.

Mi prese le mani per qualche secondo ed io le ritrassi di scatto, come scottata e dalla poca e quasi inesistente voglia di essere toccata.

"Vedrai che passerà" - mi disse con voce seria e speranzosa.
"Me lo ripeto tutti i giorni" - confessai.

Ed era fottutamente vero.
Continuavo a ripetermi, come se fosse una cantilena, che tutto questo dolore sarebbe terminato, che avrei ricominciato a sorridere.
A divertirmi davvero.
Ad amare.
A vivere di nuovo.





********
Eccomi quiiiiii!
Buona sera a tutte!
Come state? Spero bene.
Alloooooooora, passando al capitolo...non credo di dover dare delle spiegazioni ma posso dirvi che mentre lo scrivevo ascoltavo i Nightwish, mi hanno dato molta ispirazione.
Voglio ringraziarvi per le mille visualizzazioni che mi rendono molto ma molto felice.
A rendermi ancora più felice però sono i vostri commenti, che siano per messaggio o sotto ai capitoli, sempre bellissimi quanto utili (per me), quindi fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima!

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Capitolo 23
*** Capitolo 22 ***


Capitolo 22


Passarono i giorni.
Passarono il Natale e il Capodanno.
Passarono i mesi, il suo compleanno ed anche il mio.
Passarono le stagioni e anche il primo anno.
Le lacrime no.
Esse e i miei continui incubi no.
Loro non passarono mai, erano sempre lì a minacciare il mio animo già troppo debole.

Di tanto in tanto mi concedevo il lusso e la breve felicità, delle telefonate e le conversazioni che facevo sia con Tony che con Tuomas.
Raccontavo loro la mia vita, gli sviluppi e le mie giornate.

Passarno anche i miei 33 anni.

Mi girai verso il mega televisore attaccato al muro, incuriosita dalla musica di sottofondo.
Lake Bodom.
Fissai lo schermo notando quanto, dopo due anni, i miei sentimenti fossero ancora accesi.

"I Children of Bodom sono atterrati questa mattina all'aeroporto Kennedy, terranno due date qui a New York" - raccontava la voce della giornalista, mentre l'inquadratura si allargava e riprendeva Janne e Henkka.

Per un breve momento ebbi la voglia di spegnere tutto, ma fissando quelle immagini e quegli occhi che non potevano vedermi, mi sentii quasi a casa.
Bill mi osservava in silenzio a debita distanza, comprendendo quanto stessi soffrendo in qei secondi.

"Ho l'onore di intervistare il bassista ed il tastierista del gruppo. Allora ragazzi, siete felici di essere qui?".
"Molto, dobbiamo aprire per i Machine Head, abbiamo in programma un breve tour con loro e questo ci rende felici".

Janne rispose in modo gentile ed educato come sempre, tenendo le mani in tasca, salvo qualche volta in cui le usava per gesticolare.

"Ditemi, come procede il vostro nuovo lavoro?".
"Stiamo andando molto piano, il nostro cantante ha avuto dei problemi personali e per per un periodo, come abbiamo rilasciato in un comunicato stampa, aveva deciso di ritirarsi".
"Oh mio dio" - sussurrai spaventata.
"Hell, non è necessario che tu veda ciò".
"No, non spegnere. Per favore" - lo pregai, fissandolo con tristezza per poi tornare con lo sguardo allo schermo.
"Ma ora va tutto bene?".
"Non proprio, Alexi è molto testardo, ha passato un bruttissimo periodo e noi con lui".
"Avete avuto paura per un possibile scioglimento?".
"Si" - ammise Henkka - "Ma prima di tutto abbiamo avuto paura che il nostro amico non riuscisse ad andare avanti, è stata dura e ancora non riesce a non star male".
"Secondo delle voci, pare che i problemi siano nati a causa della ex fiamma. E' vero?".

Mi portai le mani alla testa, sedendomi e osservando senza nemmeno respirare le espressioni dei due musicisti.

"Non siamo tenuti a parlarne".
"Ricevuto e cosa mi dite della data di domani sera?".
"Bhe siamo molto carichi e anche nervosi. E' molto che non suoniamo, ma daremo il massimo come sempre".

Spensi la tv, scoppiando a pinagere e rendendomi conto di quanto mi sentissi braccata.
I giornali sapevano di noi.
Di me.
Bill mi si avvicinò, poggiandomi una mano sulla spalla sinistra e stringendola per darmi un po di forza.
Non ne avevo.

"Vai a casa, ci penso io qui".
"Davvero?" - domandai.
"Si, riposati e non preoccuarti".
"Grazie Bill" - risposi sincera, mentre fuggivo via dal locale e mi rintanavo in casa.

Passai una gran parte del tempo a versar lacrime.
Lui aveva preso in considerazione di ritirarsi, di smettere di fare quello che amava, smettere di suonare.
Smettere di vivere davvero.
Tirai un sospiro e andai a lavarmi per l'ennesima volta il viso, lasciando che l'acqua gelata mi calmasse.
Mi accesi una sigaretta, sedendomi sul divano e fissando senza interesse la tv, spenta, indecisa se pugnalami ancora una volta chiamando Janne, oppure rimanermene rintanata nella mia fortezza segreta di dolore e paura.

"Pronto?".
"Janne..." - risposi con tono freddo e all'apparenza privo di emozioni.
"Sei tu davvero?".
"Si, non dire a nessuno che ti ho chiamato, ti prego".
"No, non lo farò" - rispose con tono agitato e forse sorpreso.
"Ho bisogno di vederti" - ammisi scoppiando inevitabilmente a piangere, comprendendo quanto fossi masochista ed egoista verso me stessa.
"Dove?".
"Brooklyn Botanic Garden, vieni li".
"Ok, arrivo".

Avevo il disperato bisogno di vedere una faccia amica, di risentire il classico odore finlandese, di poter parlare di nuovo quella fantastica lingua e liberarmi un po.
Se il mio cuore mi diceva che stavo facendo la cosa giusta, il mio cervello, razionale come sempre, mi ripeteva come una cantilena quanto fossi stupida.
Mi incamminai verso il giardino, controllandomi intorno come se qualcuno potrebbe seguirmi o spiarmi, mandando giù un'altra pasticca di ansiolitico e lasciando che il nervosismo sciamasse un po.
Aspettai due ore, sapendo che Janne sarebbe venuto da solo e non avrebbe detto a nessuno di me, rispettando il mio volere.
Aspettai due ore in cui mi domandai più di una volta se avessi fatto bene a chiamarlo.
Mi sedetti su una panchina, osservandomi con attenzione le mani, che tremavano.
Sentii dei passi avvicinarsi a me e alzai il viso, perdendomi in quegli occhi, leggermente commossi.
Scoppiai a piangere, lanciandomi tra le sue braccia e lasciandomi stringere.

"Hell, mio dio, sei tu. Quanto ci sei mancata, quanto ci manchi, quanto gli manchi" - disse prendendomi il viso tra le mani - "Sei cambiata".
"Janne mi dispiace".
"Non è colpa tua, non è colpa di nessuno".

Tirai fuori dalla tasca il contenitore delle pasticche e ne mandai giù altre due, sotto lo sguardo triste e sofferente del tastierista.

"Da quando prendi quella merda?" - domandò con tono greve.
"Da quando una tizia mi ha riconosciuta. Da due anni".
"Perchè?".
"Perchè è l'unica cosa che mi calma" - ammisi abbassando il volto - "Lui come sta?".
"Sta come te".
"Ho sentito l'intervista..." - confessai, sedendomi e facendo spazio al ragazzo che si mise al mio fianco.
"E' stato un brutto periodo. Ma sta capendo che non può smettere".
"Sta andando avanti?".
"Un passo alla volta. Ha ricominciato a suonare, sta ricominciando ad uscire con noi e tu? Ti prego, dimmi la verità".
"Ho pensato di morire, ho incubi, attacchi di panico..".
"Perchè non torni?".

Quella domanda mi spiazzò, lasciandomi per qualche secondo senza parole ne fiato.

"Perchè non posso. Non posso tornare e dire: ciao, sono tornata".
"Si che puoi?".
"No Janne, non posso, non ho la forza".
"Perchè non vieni domani sera? Ti porto un biglietto".
"No, ti prego, non...per favore".
"Stai tranquilla".
"Grazie" - risposi sincera, sorridendo appena e lasciandomi abbracciare ancora e un'ultima volta da quel ragazzo.

Il mio incontro con Janne terminò così.
Con un abbraccio.
Non avevamo più parole da usare, non servivano.
Quella notte non dormii.
Non presi pasticche.
Rimasi sveglia a fissare il cielo, sospirando ogni 5 minuti e chiedendomi cosa stesse facendo il mio ex ragazzo.




******
Salve Salve mie care e dolci anime.
Come state?
Tutti pronti e pronte ad abbuffarsi durante i cenoni e i pranzi di queste feste?
Prima di tutto vi volevo augurarvi una buona Vigilia e un buon Natale, se ci credete, poi volevo scusarmi con voi per aver aggiornato solamente ora è stato un periodo decisamente brutto e triste (alcune di voi sanno e le ringrazio per essermi rimaste vicine) per non parlare del lavoro che mi ha portato via quel poco spazio che avevo, ma ora sono tornata!!!!
Un bacione :)

p.s. commentate, commentate, commentate.

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Capitolo 24
*** Capitolo 23 ***


Capitolo 23


"Tuomas".
"Hell, piccola mia, come stai?".
"Loro sono qui".
"Lo so".
"Ho visto Janne, ho parlato con lui, dovevo..." - ammisi liberandomi da quel peso.

Sentii i pesanti passi del tastierista che spostò una sedia.
Lo immaginai sedersi come al suo solito e poggiando il telefono sul tavolo e mantenendo le cuffie per potermi sentire.

"Ed ora come ti senti?".
"Non lo so".
"Sono passati ben due anni, devi ricominciare a vivere, smettere di prendere quelle maledette pasticche, smettere di bere e rifarti una vita" - rispose duramente, cercando di spingermi a seguire i suoi consigli.
"Non ci riesco".
"Dov'è finita la donna che ho conosciuto? Quella che è arrivata in Finlandia a 20 anni è ha tirato su tutto?".
"E' morta in quell'incidente" - commentai fredda.
"No, non è morta, è lì..da qualche parte, tirala fuori!".
"Vorrei che tu fossi qui" - ammisi.
"Prendo il primo aereo e vengo da te" - mi rispose, strappandomi inevitabilmente un sorriso.
"No, non preoccuparti".

Essendo più grande di me di ben cinque anni, lo vedevo come un fratello maggiore.
Il fratello maggiore che non avevo mai avuto.
Era l'unico che riusco a considerare come tale, nemmeno Tony era mai entrato così tanto nella mia vita, nonostante fosse un pilastro portante della mia esistenza.
In più avevamo discusso per la sua costante domanda su un mio possibile ritorno a casa.

"Tu non vuoi affrontare nulla. Non  vero che sei stata messa in mezzo da loro perchè hai voluto tutto, hai voluto Alexi, hai voluto Ville e ormai stanca te ne sei andata. L'incidente è stata solamente una scusa per scappare, per allontanarti e smetterla di giocare. Cresci, torna e affronta tutto questo".


Non capiva che non volevo, che non c'era più posto per me li, che non avevo la forza di tornare e quelle parole che mi aveva urlato, facendomi soffrire e rendere conto di quanto fossi stata anche egoista, mi aveva fatto allontanare ancor di più dall'inglesino.
Tuomas invece era entrato così, di punto in bianco e mi aveva cresciuta, accettando e supportando qualsiasi mia scelta, trascianandomi con se e insegnandomi a suonare anche le sue amate Korg che non faceva toccare a nessuno, se non me.
Di tanto in tanto, quando andavo da lui nei fine settimana ci facevamo delle lunge suonate insieme, ridendo e divertendoci come bambini.

"Ci sei?".
"Si, stavo solo ricordando delle cose".
"Di che tipo?".
"Mi ricordo le nostre suonate, le notre giornate passate con le Korg" - confessai.
"Mi mancano".
"Adesso devo andare, ci sentiamo" - tagliai corto, non volendo sentire altro.
"Ti voglio bene, ricordalo".
"Lo so" - risposi, chiudendo la chiamata e tirando un sospiro.
 
*

Mi stiracchiai, mentre rispondevo cordialmente al saluto di un ragazzo che usciva da locale.
Era appena passata l'ora di pranzo e Bill era appena rientrato dopo aver preso il fratellino a scuola.

"Ciao soldato Hell".
"Mio capitano" - risposi - "Come è andata la sua giornata?".
"Bene, abbiamo iniziato a imparare i dinosauri".
"Oh e ti piacciono?".
"Si" - disse sorridendo.

Bill mi sorrise, mentre metteva a scaldare un panino per il piccolo William che esausto dalla lunga giornata scolastica, si era appena seduto su una panca, incollandosi come tutti i ragazzini alla tv.
Mi misi seduta, prendendomi una coca cola e massaggiandomi come di consueto le tempie e lisciando i capelli che avevo tagliato e ora arrivavano poco più giù delle spalle.
Sentimmo la porta aprirsi e un signore portar dentro delle valige.
Anzi per essere corretti, delle custodie di qualcosa.
Dietro di lui, entrò un'altra persona, decisamente più alta e magra, dai capelli neri e lunghi più o meno fino alle spalle.
Portava una canotta bianca con una leggera sciarpina messa tanto per bellezza e dei pantaloni neri abbinati con gli anfibi neri.

"Oh mio dio" - dissi ad alta voce, aspettando solamente di vedere il suo viso.
"Che c'è?" - chiese Bill, mentre io mi perdevo negli occhi azzurri del tastierista dei Nightwish.
Mi alzai di corsa dallo sgabello, lasciando la bottiglia sul bancone e correndo a tuffarmi nelle sue braccia.
"Tuomas...Tuomas sei tu, sei qui".
"Piccola Inferno, sono qui, che fai piangi?" - domandò, prendendomi il viso tra le mani e asciugando con i pollici le mie lacrime che avevano preso a scorrere senza interruzione sulle mie guance.

Mi lasciai stringere, insipirando il suo odore che sapeva di nord, di freddo e bosco.
Sapeva di Finlandia e di casa.
Bill ci fissava senza parole e William aveva anche smesso di mangiare, incuriosito dallo strano soggetto che mi stava stringendo a se con così tanta dolcezza.
In confronto a lui sembravo una bambina.
Mi staccai, fissando le custodie ai suoi piedi e indicandole incuriosita.

"Mi hai detto che ricordavi le nostre giornate".
"Hai portato qui le Korg solo per suonare insieme?" - domandai.
"Esattamente, hai bisogno di sorridere e quando suonavamo, lo facevi sempre, se piangi ti picchio".
"Sono solo felice che tu sia qui".
"Lo so" - risposie accarezzandomi la testa e avvicinandosi a Bill - "Tu dovresti essere Will...?".
"No, Will è lui, io sono Bill" - lo corresse, stringedo poi la sua mano.
"Perdonami".
"Ma figurati".
"Grazie per quello che hai fatto e stai facendo per Hell".

Sorrisi intenerita mentre come una malata accarezzavo la custodia che io avevo modificato, attaccandoci sopra mille adesivi diversi.
Era la custodia della "mia" Korg.

"Quanto rimani?" - domandai già ansiosa al pensiero di doverlo salutare di nuovo.
"Quanto vuoi tu, quado vorrai, me ne riandrò".
"Fosse per me ti terrei sempre qui" - confessai.
"Potrei anche rimanere sai".
"No, hai la tua vita, il gruppo....".
"Ehi ehi, via quel muso".
"Hell, oggi sto io, divertiti e domani guai a te se ti presenti qui".
"Sentito il ragazzo? Su su, dobbiamo suonare un po!" - disse euforico il tastierista, sollevando di nuovo le sue due amate Korg e uscendo dal locale.

Mi girai verso Bill, sorridendogli grata e ringraziandolo per la sua infinita dolcezza.
Poi corsi dietro al mio amico, aprendo il portone e facendolo salire.
Aprii anche la porta di casa e lo aiutai, chiudendoci dentro e fissandolo.

"Rimani qui, vero?".
"Si, non me ne vado, sta tranquilla".
"E' che..che..." - scoppiai a piangere, affondando istintivamente il viso nel suo petto e sentendo prima i suoi sospiri, poi le sue braccia avvolgermi.

Mi trascinò con se, facendoci sedere sul divano e continuando a stringermi a se, cullandomi e accarezzandomi la schiena che tremava a causa dei miei incontrollati e innumerevoli singhiozzi.



***Tuomas***


Sentire Hell piangere in quella maniera non mi piaceva e sapevo che la mia irruzione a sorpresa era stata un duro colpo.
Continuai ad accarezzarla, riuscendo a sentire tramite le mie callose mani da musicista, quanto lei fosse debole e fragile, lontana anni luce dalla ragazzina che era arrivata ad Helsinki e aveva conquistato tutto e tutti.
Notai il contenitore delle sue pasticche per l'ansia sul mobiletto vicino alla tv e sospirai.

"Io non ce la faccio" - disse sussurrando appena, confessando quelle parole che sapevo fossero nella sua mente dal giorno del suo risveglio.
"Puoi farcela, ce la farai".
"Non dormo più, non riesco a non pensare, non riesco a vivere" - rispose, richiudendosi nel suo inutile mutismo, fatto solamente di singhiozzi.

Quel mutismo troppo simile a quello di Ville.
Poggiai il mento sulla sua testa, iniziando a canticchiarle The Islander, canzone che le era sempre piaciuta molto.

"Sai Annette e Floor quando hanno saputo che eri sparita, volevano venire a cercarti, non le ho mai viste così unite. Marco ogni tanto prova a chiamarti e anche Tarja non smette di pensare a te".
"Lo so, loro sanno che sono qui?".
"No".
"Cosa gli hai detto prima di partire?".
"Che andavo in Italia" - risposi sorridendo appena mentre lei continuava a piangere.

Quante lacrime aveva trattenuto?






*******
Salve!!!
Dopo giorni e giorni, mesi e mesi, eccomi qui!
Come va? Come state? 
Io bene, stanca per il lavoro ma abbastanza felice e voi? Siete felici?
Un bacione e alla porssima!

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Capitolo 25
*** Capitolo 24 ***


Capitolo 24



Mi svegliai nel bel mezzo della notte, come sempre del resto, fissandomi intorno e ritrovandomi nel mio letto con il filnadese al mio fianco, che dormiva tenendomi per mano.
Lo fissai avvicinandomi e stingendomi a lui per qualche secondo, dopo di che mi alzai, arrancando in salone dove con sorpresa trovai le Korg già montate sui loro piedistallo.
Sul mio viso comparve l'ombra di un sorriso e spinta da un'irrefrenabile voglia di suonare, mi avvicinai ad una delle due, trascinandomi dietro la sedia.
L'accesi, abbassando al minimo il volume, giusto per riuscire a sentire senza però svegliare nessuno.
Iniziai a passare le dita sui tasti bianchi e neri, premendoli piano e lasciando che una melodia risuonasse appena nella stanza.

Ero un egoista.

Prima ero scappata pensando solamente a me stessa.
Ed ora volevo che lui fosse solamente per me.
Avevo allontanato tutti per due anni e l'idea che potessi avere quel fantastico uomo al mio fianco mi infondeva un po di forza.
Ero ridotta ad un semplice guscio privo di emozioni felici e da quando avevo visto Tuomas entrare nel locale con quella sua solita espressione da lupo e quel sorriso dolce, il mio cuore rischiò di scoppiare di gioia.

Mi accesi una sigaretta, prendendo un posacenere e poggiandolo sul bordo della finestra, continuando a suonare quella melodia triste e malinconica.

Oltre ai demoni che affollavano e distruggevano la mia mente, avevo anche un altro problema.
Un secondo prima, mi sarebbe piaciuto ed avrei voluto provare rabbia e disgusto verso quel borioso finnico, mentre un secondo dopo bramavo la sua silenziosa presenza.
Ville riusciva a farmi uscire di testa, anche a distanza di due anni.

"Da quanto sei li?" - domandai con la voce incrinata dal pianto al tastierista che mi osservava in silenzio.

"Da qualche minuto. Ti senti meglio?" - domandò spostandosi vicino a me e sedendosi al mio fianco.
"Credo di si..." - lasciai cadere la frase.
"Cosa c'è?" - chiese osservandomi con intensità.
"Niente".
"Non tenerti tutto dentro" - mi riprese, poggiando anche lui le mani sulla sua tastiera e iniziando a suonare con me.
"Spesso mi chiedo cos'è cambiato...".
"Da quando te ne sei andata? Tutto, tutti".
"Non credevo di essere così importante..." - ammisi.
"Non hai mai avuto un'ottima autostima ma sei importante, tutti continuano a chiedersi dove sei, Marco, Emppu, Jukka...Tony..gli altri".
"V-Ville?" - chiesi nascondendo il viso e evitando che riuscisse a leggermi l'anima.

Lo sentii sospirare e fermarsi, lasciandomi di nuovo sola con la mia melodia.


"Ville si è rinchiuso nella torre".


Strinsi gli occhi, costringendomi a ricacciare dentro quelle stupide e inutili lacrime.


"Non esce più, continua a ripetersi che la colpa è la sua. Non si parlano più".

"Basta...".
"No, hai chiesto tu e devi sapere, non passa giornata che lui non si addossi la colpa e vorrebbe chiederti scusa".
"Ti prego basta" - ripetei - "Se non fossi andata da lui...".
"Hell, lo so. So che ti da fastidio parlarne ma devi farlo, devi affrontare una volta per tutte questa storia".
"Non qui, non ora!" - urlai alzandomi di scatto e allontanandomi da lui, che mi seguì con lo sguardo.
"Non ora? Sei scappata, stai scappando ancora. Anche da me. Odio farti del male ma, non andrai mai avanti se continui a rimandare".
"Tu non capisci!".
"No, non capisco è vero, ma posso dirti che quando Roope mi ha chiamato ho creduto di morire. Vuoi capirlo che sei importante, per me lo sei e sono stanco di sentire che stai male, di vedere un'altra donna al tuo posto!".
"La Hell che conosci non c'è più!".
"NON E' VERO! La vera Hell c'è, ma sta scappando. Ti prego, smetti di fuggire da te stessa" - rispose, poggiandosi con le mani sul bordo della tastiera e fissandomi con un pizzico di nervosismo.

Mi sedetti di nuovo, a qualche centimetro di distanza dalla Korg, prendendomi la testa fra le mani e fissandolo.

Si mise al mio fianco, poggiandomi una mano sulla schiena e baciandomi la testa.

"Sono andata lì perchè dovevo capire. Lui mi amava".

"Lo so".
"Aveva bevuto e ho avuto paura, sono scappata perchè non credevo alle sue parole, non accettavo l'idea che soffrisse per colpa mia".
"Tu lo amavi".
"Amavo di più Alexi..." - risposi rendendomi conto per la prima volta che avevo provato dei sentimenti anche per quello che doveva essere un semplice amico - "E anche se provavo qualcosa per lui, è svanito".
"Dovresti parlargli, mettere il vostro cuore in pace".
"No".
"Perchè?".
"Perchè no, non voglio vederlo mai più" - affermai secca e fredda - "Eppure...".
"Eppure?".
"Un po mi manca. Mi odio per questo, vorrei odiarlo davvero, con tutto il cuore, mi ha fatto continuamente del male, sempre e comunque ed ora mi manca".

La mia rivelazione lo fece sospirare.

Lo squadrai, cercando di capire tramite le sue espressioni cosa stesse pensando ma non ci riuscivo.
Le sue mani tornarono sui tasti e si mise a suonare una canzone finlandese che conoscevo bene.
Mi unii a lui, suonando insieme, proprio come una volta.
Sorrisi sincera e felice, lasciando che tutta la mia tristezza si riversasse su quei tasti.
Tuomas sorrise dolcemente, comprendendo il mio attuale bisogno di staccare la spina e divertirmi.

"Mi mancava fare ciò" - ammise.

"Anche a me".


***


Dopo quel giorno, affrontammo solamente due volte il discorso del mio incidente e le sue relative conseguene.
Bill mi diede due settimane di ferie, lasciandomi il tempo di stare con il mio amico.
Sapevo benissimo che Tuomas sarebbe ripartito e questo mi metteva tristezza.
Lui lo vedeva e non me lo faceva pesare, anzi, continuava a ripetermi che lui sarebbe venuto ogni volta che io ne avrei avuto bisogno.
Ed io, nonostante fossi felice di ciò, mi sentivo un peso.
Lo stavo costringendo a dover mentire ulteriormente ai suoi amici e alla sua famiglia, che già erano all'oscuro di tutto ciò.
Ripensai agli anni passati in orfanotrofio, ghignando tristemente per l'ironia della sorte che iniziava a farmi sentire sola e quella terribile sensazione l'avevo sopportata per ben 20.

"Hell, tra una settimana devo ripartire" - mi disse, mentre stavamo mangiando.

Mi bloccai, sospirando.
"Mi piacerebbe restare, ma dobbiamo iniziare a provare per il nuovo alb...".
"Non devi scusarti, hai fatto già troppo".
"Ma..".
"Sono io che devo scusarmi con te. Sono un'egoista ed una stronza, hai ragione, continuo a scappare perchè mi illudo che sia giusto così. Penso solamente a me stessa e non al fatto che anche altre persone stanno soffrendo".
"Inferno...".
"Sono sempre stata un'egoista, con te...con Lui, potevo benissimo rimanere e ricominciare, invece ho preferito scappare qui, fargli del male per cosa? Perchè credevo che sarei stata meglio" - continuai, sentendo le lacrime bagnarmi per l'ennesima volta il viso - "Sono stata un'egoista con Ville, l'ho sfruttato sin dall'inizio, ho voluto la sua presenza anche quando lui aveva deciso di allontanarsi per dimenticarmi, non ho mai accettato questo".

Mi fissai le mani, prendendo un lungo respiro.


"Ero abituata a stare da sola, a non aver mai nessuno su cui contare, poi sono venuta lì, siete arrivati piano piano tutti voi e non accettavo che qualcuno potesse stufarsi di me e andarsene" - confessai.


Mi vergognavo come un'assassina nel rivelare quelle cose e vedevo il viso di Tuomas mutare dal curioso al triste, sofferente e forse anche incazzato.

"Mi dispiace" - dissi, alzandomi e chiudendomi in camera come una ragazzina a piangere.


Poggiata alla porta, mi strinsi le gambe e vi poggiai sopra la testa, lasciando che i capelli nascondessero il mio viso.

Sentii i suoi passi avvicinarsi alla mia stanza e la sua schiena poggiarsi dall'altra parte della porta.

"Hell, perchè non me ne hai mai parlato?".

"Perchè avevo il terrore che tu sparissi".
"Non me ne sarei mai andato e non lo farò".
"Ho bisogno di aiuto!" - ammisi.
"Ti accompagnerò io".

Aprii la porta, dandogli così il permesso di avvicinarsi a me ed io mi buttai di nuovo tra le sue braccia ricominciando a piangere proprio come la prima sera che lui era arrivato.

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Capitolo 26
*** Capitolo 25 ***


Capitolo 25




Il giorno della sua partenza arrivò troppo velocemente e proprio come immaginavo, passai tutta la mattinata a non parlare.
Sapevo che se gli avessi detto qualcosa, sarei scoppiata di nuovo e non ne avevo la forza.
Così come mi aveva detto, mi aiutò a trovare una psicologa brava disposta ad aiutarmi ed ascoltarmi, ripetendomi con gentilezza che le cose sarebbero migliorate e anche se un po riluttante, decisi di fidarmi.
Lo vidi iniziare a smontare la sua Korg, sistemandola delicatamente nella sua custodia e fissandomi.

"E quella?" - domandai mentre portava vicino alla porta la valigia e la custodia.
"Quella te la lascio, suonare ti fa bene, sorridi".
"Io..non so cosa dire".
"Non devi dire nulla" - rispose ridendo e poggiandomi come sempre la mano destra sulla testa, facendomi sentire una bambina.

Lo abbracciai, poggiando la testa sul petto.

"Grazie" - dissi piano.
"Non devi ringraziarmi".
"Invece si perchè tu mi stai aiutando, mi sei vicino e io ti voglio bene".
"Piccola Hell, anche io te ne voglio".



***


Esattamente un mese dopo la sua partenza, decisi di recarmi dalla psicologa.
Presi coraggio e decisi di voler dare un taglio al mio passato.
Volevo andare avanti, ricominciare a vivere per me stessa ma anche per chi mi stava vicino.
Per Tuomas.
Per Bill.
Per William.
Per Tony con cui avevo chiarito.

La sera mi mettevo a suonare, appuntando su un vecchio quaderno tutte le melodie che mi venivano in mente e ciò, nonostante fossero tutte parecchio tristi e malinconiche.
Suonare mi riempiva il cuore di gioia.

Volevo smetterla di annullarmi per colpa di una disgrazia fin troppo dolorosa.
Volevo anche ritrovare quella Hell sorridente che avevo volutamente sepolto sotto finti sorrisi di circostanza e continuo pessimismo.
Avrei benissimo potuto competere con Leopardi.
Avevo il disperato bisogno di trovare un muro su cui poggiare la mia scala ed inziare la mia scalata, stando attenta a dove mettere i piedi.


Andrea Miller, la mia psicologa era la classica donna sulla cinquantina, con i capelli lisci in un caschetto perfetto e ordinato, dagli occhiali quadrati e spessi e la mania per l'ordine.
Nel suo studio non vi era polvere e sulle pareti, vi erano in bella mostra gli innumerevoli attestati che si era guadagnata nella vita.
L'unica cosa che poteva risultare anormale per uno studio così perfetto che rispecchiava indubbiamente l'anima e la vita della dottoressa, era il forte odore di incesco che aleggiava nell'aria e infondeva uno strano senso di pace.
Andare da lei, rappresentava uno sfogo e nonostante la mia strana quanto nuova timidezza, mi aiutava nella mia lunga e forse infinita scalata.

Per circa due anni di fila, ogni Martedì, mi sedevo su quella poltrona, comoda e invitante, costringendomi a calmare il mio cuore e dar sfogo a tutti i pensieri tristemente negativi che affollavano la mia mente, riuscendo in qualche modo ad affrontare quei demoni che tanto mi avevano terrorizzata nelle mie notti.
E mi sentivo meglio.
Molto meglio.
Mi sentivo libera e tranquilla, riuscendo anche a non sforzarmi più nel dover sorridere, gesto che di tanto in tanto tornava automatico sul mio volto, donandogli una luce nuova.
Ma la mia scala era lunga e quelli erano solamente i primi gradini.
Il mio percorso, inziava dalla mia infanzia, passando per gli anni in orfanotrofio o nelle famiglie che poco avevano rapprestentato per me una base solida.
Si proseguiva poi per la mia voglia di vita, la mia fuga verso il nord, verso la mia tanto amata Finlandia che ora più che mai mi mancava.

Raccontavo e comprendevo che i miei amici, o quelli che consideravo tali, per me rappresentavano la mia famiglia e così come avevo capito in precedenza, l'idea che anche solo uno di loro potesse uscire da quella struttura che io avevo inconsapevolmente costruito.
E poi si arrivava alla parte difficile.
La continua lotta tra Lui e Ville, la mia spasmodica necessità di mantenere in piedi un rapporto che forse sarebbe dovuto sfociare in altro, piuttosto che nell'odio reciproco.

Grazie ad Andrea, riuscii a capire che per quanto il mio amore nei confronti del biondo frontman dei Children of Bodom, per quanto sincero e ricambiato, non era solido e questa continua voglia di perfezione e la gelosia di entrambi, ci aveva portato più volte a doverci allontanare, soffrendo.
Ma, a distogliere l'attenzione su tutto ciò fu l'arrivo del bambino che mi costrinse a scegliere quale vita seguire.
Quale amore coltivare.
Ed Alexi era tornato prepotentemente a riavere la supremazia sul mio cuore.
Alexi.

Avevo da poco ricominciato a dire il suo nome, accorgendomi che faceva meno male del previsto e che con pazienza, avrei ricominciato a non soffrire più.
Il nostro rapporto era stato messo alla prova più volte e l'incidente fu quella che indubbiamente, decretò la fine dei giochi.
Stare insieme avrebbe portato forse ad ulteriore e futura sofferenza, quindi perchè mai avrei dovuto costringere qualcuno, oltre me stessa, a vivere una vita di continue discussioni e delusioni?
Lui, così come avevo affermato convinta nella mia stanza dell'ospedale, stava ricominciando a vivere e ciò l'avrebbe reso sicuramente più forte e forse, la mia fuga, era stata dettata dalla voglia di vederlo felice di nuovo.
Mi ero sacrificata per la sua felicità.

L'ultima parte dei miei racconti, come la maggior parte, andavano a finire su Ville e su quel maledetto giorno.
Ville.
L'eterno rivale e l'oscuro fantasma che percorreva silenziosamente le stanze della sua torre solitaria.
Lui era esattamente l'opposto.
L'unico capace di capire il delirio della mia mente, entrarvi quando voleva, prendere a braccetto i miei silenzi e tirarne fuori delle parole che nessun altro se non noi, potevamo capire.
Era un gesto così intimo che mi portava alla pace e i suoi continui sbalzi di umore, avevano condizionato il mio, rendendomi succube di se stesso e incapace di intendere e di volere se lui si avvicinava.

Quell'estasi che provavo in sua presenza era riconducibile ad un amore che covavo e nascondevo agli occhi di tutti, persino ai miei, constringendomi a ripetere che la mia voglia di averlo vicino fosse ricollegata all'amicizia.
Egoisticamente, credevo che avrei potuto continuare così, prendendo in giro non solo le persone che amavo ma anche me stessa e prima o poi il sipario sarebbe sceso inevitabilmente su quel mio teatrino.

"Stai migliorando molto dal primo giorno che sei venuta qui".
"Davvero?".
"Certamente, sei molto più rilassata e parli con più disinvoltura".

Sorrisi appena.

"Che ne dici di rendere meno frequenti le sedute obbligatorie e vedere come va?"
"Ok".
"Va bene, interrompiamo. Abbiamo finito, ogni tanto, ogni due o tre settimane ci rivedremo".
"Grazie" - dissi sincera.

Alla bella età di 35 anni, avevo finalmete riconquistato la mia stabilità e forse, una gran parte della mia vita.
Andrea, la mia psicologa, mi disse che forse era anche ora di tornare a casa, ripetendomi che per quanto mi sentissi a casa con Bill e il piccolo Will, era giunto il momento di chiudere il libro e iniziarne uno nuovo ed esso non era in America.

Non a New York.
Ma a casa mia.
Ad Helsinki, nel mio Inferno.









*******
Dopo secoli, sono tornata, con due nuovi capitoli pieni di novità.
Ce la farà la nostra Hell a tornare quella di prima?
Ce la farà a tornare a casa?
Oppure cadrà di nuovo nella sua spirale di sofferenza e malinconia?
Un bacione a chi ha letto e sta leggendo questo mio racconto e a chi mi ha lasciato e mi lascerà un suo parere.
Alla prossima <3

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