Compression of Time

di Selhin
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Passato - Where I Belong? ***
Capitolo 2: *** Wait and Hope ***
Capitolo 3: *** I Promise ***



Capitolo 1
*** Passato - Where I Belong? ***


Fandom: Final Fantasy VIII
Pairing: Nessuno
Personaggi: Squall Leonhart, Raine Leonhart
Tipologia: One Shot (1338 parole )
Genere: Slice of Life, Missing Moment
 
12° Argomento: Tempo
56. Passato
 
Where I belong?
 
 
 
  Dove mi trovo?
 
Mi volto ma vedo solo oscurità attorno a me. Una pesante, fitta e soffocante oscurità.
 
  Dove siete tutti quanti?
 
Corro quasi senza respirare, non ho idea di dove stia andando né se sia la direzione giusta da seguire. Hyne, qui non c’è nessuna direzione da seguire!
 
  Rinoa, dove sei?
 
Possibile che sia solamente io a non riuscire a tornare? Possibile che sia davvero solo, di nuovo?
Per un momento ci avevo quasi creduto, all’amicizia, all’amore... che stupido! Eppure lo sapevo, sapevo che sarebbe successo, che sarei stato solo ancora come in passato. Mi sono lasciato ingannare dalle loro parole d’incoraggiamento, dai loro sorrisi. Anche gli occhi di Rinoa mi hanno illuso. Mi guardava e sembrava che per lei esistessi solo io e quando lo faceva io mi sentivo bene, in pace, sereno. Sentivo di potermi fidare ma mi sbagliavo. Sono solo uno stupido, uno stupido completamente perso nella compressione temporale. Riuscirò mai a tornare a casa da solo? E se anche ci riuscissi, alla fine qual’ è la mia casa? Il Garden? L’Orfanotrofio? Non lo so, non so più niente.
Mi accascio su me stesso mentre avverto l’oscurità farsi ancora più densa attorno a me, come se volesse consumarmi. Che faccia pure, prendimi, non ho nessuno da cui tornare, non ho niente da perdere, nessuno se ne dispiacerà.
 
 
Sorellina... io, sono solo?
 
 
  Mi sveglio all’improvviso quando sento il tocco leggero di una mano fresca sulla mia fronte. Non riesco subito ad aprire gli occhi, la luce è troppo accecante e il conforto di questa carezza è così gradevole... qualcuno mi ha mai accarezzato in questa maniera? Mi sento al sicuro e vorrei quasi non svegliarmi mai del tutto, ma alla fine mi costringo ad aprire gli occhi stranito dal paesaggio che mi si focalizza davanti. E’ un piccolo paese di campagna, riesco ad avvertirne il profumo di legna ed erba appena tagliata. Le case sono poche, piccole e tutte tremendamente vicine. Io conosco questo posto.
La mia attenzione si sposta sulla mano che mi scosta i capelli dal viso permettendomi così di vederla con più chiarezza. Il suo nome mi sfugge in un sussurro che lei sembra non udire, poi mi guarda negli occhi, occhi uguali ai miei, sembra così preoccupata.
  - Stai bene? – sorride appena cercando di mascherare il suo nervosismo.
Non posso fare a meno di notare quanto mi somigli, o sono io ad assomigliare a lei? Non solo nell’aspetto fisico, ma anche nei gesti. Come si passa una mano fra i capelli, come s’inumidisce appena le labbra, il suo sguardo deciso. L’avevo già vista attraverso i sogni che Ellione mi faceva rivivere, ma non le ero mai stato così vicino.
Il mio silenzio sembra innervosirla ancora di più così mi sbrigo ad annuire e lei allontana la mano dalla mia pelle ed è una sensazione orribile. Perché mi sento così?
  - Si, sto bene –
Mi alzo senza fatica ma noto che per lei non è altrettanto facile. Le afferro un braccio e la aiuto e quando siamo entrambi in piedi uno di fronte all’altro non possiamo fare a meno di fissarci. Io perché so, lei perché probabilmente avverte qualcosa che non sa spiegarsi.
  - Ti sei perso? –
La sua voce è calda, morbida. Annuisco ancora incapace di parlare, una stretta alla gola mi da il tormento e sento il respiro accelerarsi. Non ho mai provato niente del genere in vita mia.
Lei mi prende la mano e mi sorride ancora, incoraggiante.
  - Seguimi. – dice senza staccare lo sguardo dai miei occhi – Sembra tu abbia avuto una lunga giornata, qualcosa di caldo non potrà che farti bene. –
Ed io la seguo dimentico di chi sono e di dove dovrei trovarmi. Penso solo che vorrei non dover mai lasciare questa mano così morbida anche attraverso il guanto di pelle, la mano di mia madre. Dopo appena qualche passo lei si ferma all’improvviso, la fronte corrugata, sospira. Con gli occhi le chiedo se sta bene, non ho il coraggio di parlare per paura che svanisca questa magia. Non lascio mai la sua mano.
Lei mi guarda e sorride ancora portandosi una mano al ventre gonfio. Com’è possibile che non me ne sia accorto subito? Forse ero troppo concentrato su di lei per vedere.
  - Scusami, il piccolo scalcia sin da quando ti ho incontrato. Solitamente è tranquillo, chissà cosa sta pensando… –
E allora allungo una mano sul suo ventre sorprendendo me stesso. Avverto il contatto della stoffa del suo vestito leggero sotto il guanto, il calore della sua pelle e infine un movimento veloce e intenso. Lei mi guarda confusa ma io sono ancora più confuso di lei.
  - Devo andare a casa. - le dico alla fine, ed è una delle cose più dolorose che io abbia mai pronunciato nella mia breve vita. Perché io sono a casa, solo in un epoca sbagliata e non la incontrerò mai più.
Lei annuisce ma sembra preoccupata – Sei sicuro? E’ sera e sembra avvicinarsi una burrasca. Ce la farai a tornare a casa da solo? –
Gli occhi mi bruciano all’improvviso, devo guardare in basso per trovare sollievo ma nel farlo mi accorgo che sto piangendo. Lei lo comprende e forse inconsciamente mi attira in un piccolo e timido abbraccio. E’ così confortante, aspiro il suo calore e il suo profumo che sa di buono, la stringo senza farle male ma forte per poter imprimere dentro di me la sensazione del suo abbraccio.
E dopo un lunghissimo istante mi stacco da lei controvoglia, mi passa le dita sul viso asciugandomi le lacrime che non scendevano dai miei occhi da molti anni.
  - Va tutto bene. – dice lei appoggiando la fronte contro la mia. – Sono sicura che da qualche parte qualcuno ti sta cercando, che è disperato perché ti chiama a gran voce ma non ti trova. –
Annuisco e la guardo ancora negli occhi chiari. So che ha ragione ma è così difficile lasciarla.
  - Ne sono sicura. – ripete con decisione. La mia stessa determinazione. – Non aver paura, ce la farai. –
Mi allontano dal suo abbraccio e faccio qualche passo indietro cercando di mettere distanza, continuando a ripetermi che non dovrei essere qui, che sto commettendo un errore. Poi lei scuote la testa, chiude gli occhi e torna a guardarmi. – Perché mi sembra di conoscerti? –
Come si può rispondere a una domanda come questa senza stravolgere gli eventi? Intuisce la mia titubanza e porta entrambe le mani al ventre in un gesto protettivo.
  - Non ha importanza. Vai a casa adesso . –
Avverto un leggero pizzicore alla punta delle dita, sento che il mio tempo sta finendo. Mi volto e inizio ad allontanarmi e sono i passi più faticosi che io abbia mai compiuto. Poi la sua voce lontana mi raggiunge, avvolta dal vento impetuoso della tempesta in arrivo.
  - Posso almeno sapere il tuo nome? –
Io mi volto a guardarla ancora una volta. L’ultima volta.
  - Squall. – non esito a rispondere perché voglio che sappia il mio nome, voglio sentirglielo pronunciare.
  - Squall... è un nome proprio adatto. – e alza un dito ad indicare il cielo.
E quel gesto semplice mi riporta ad un'altra realtà, ad un’altra giovane donna che non guarda un cielo burrascoso ma una notte scura e una stella cadente. So che Rinoa mi sta cercando. Lo so e basta. Devo trovarla, in qualche modo devo farlo.
Alla fine le sorrido timidamente e lei restituisce il gesto incoraggiandomi, stringendosi nelle spalle per il vento freddo. Alcune gocce di pioggia iniziano a bagnare la pietra del piazzale di Winhill.
  - Grazie, Raine... -
Appena pronuncio il suo nome lei e la cittadina iniziano a svanire nel nulla, dissolvendosi in energia portata via da un vento invisibile. L’oscurità torna ad avvolgermi ed io ricomincio a correre. Voglio tornare a casa, voglio ritrovare i miei amici, Rinoa…
 
Sono certo che quest’incontro influenzerà il corso della mia vita, o forse lo ha già fatto. Forse tutto doveva accadere perché io potessi arrivare fin qui?
Forse è solo un eterno cerchio senza fine e il tempo né è la chiave.
 

 
 
 
 
 Note Autrice: Sono stata ieri fino alle 3 a scrivere questa shot e a farmi venire idee per le altre XD
Ieri sera ho terminato per l'ennesima volta questo game e per l'ennesima volta ho pianto come una povera scema T^T e poi è nata quest'idea che ho subito voluto mettere in pratica. Ancora non ne sono sicura ma credo che sarà ogni storia a sé ma forse si potranno leggere anche come un'unica trama, una piccola long. 
Spero che questo primo capitolo possa esservi piaciuto. Era tanto che non mi cimentavo in questo personaggio, forse il tutto è un pò sdolcinato ma ho pensato che dopo tanta sofferenza, dopo aver vagato nel nulla più totale e completamente solo, ritrovandosi davanti a quella che è la madre mai conosciuta anche Squall potesse reagire con un pò di dolcezza. Cerca di trattenersi ma la figura materna gli è sempre mancata ed ecco che se la ritrova davanti. 
E niente, spero di non essere andata troppo IC ><
Anche questa raccolta si baserà sul progetto One Hundred Prompt, l'argomento è quello temporale ( che fantasia ahahhaha XD )
Fatemi sapere, non siate troppo crudeli e grazie per essere passati per di qua! *^*

A presto, Selhin
 
The One Hundred Prompt Project

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Capitolo 2
*** Wait and Hope ***


Fandom: Final Fantasy VIII

Pairing: Nessuno

Personaggi: Laguna Loire, Angelo, Rinoa Heartilly

Tipologia: One Shot ( 1670 parole )

Genere: Slice of Life, Missing Moment, Introspettivo

 

12° Argomento: Tempo
57
. Presente

 

 

Wait and Hope

 

 

 

  Plic. Plic.

Un suono leggero che conosce gli arriva limpido alle orecchie. Pioggia. Da quanto sta piovendo?

Apre gli occhi e si guarda attorno confuso. Perché si trova a Winhill? Quando è arrivato? O forse la domanda corretta era un’altra. Se n’era mai andato davvero?

Una mano gentile gli sfiora la spalla e non serve che la guardi per sapere a chi appartiene quel tocco. Il suo viso si anima, gli occhi quasi brillano mentre si volta felice come non mai di vederla. Raine lo scruta in silenzio, sorridente, ma lui capisce subito che qualcosa non va. La afferra per le spalle, l’abbraccia con trasporto, le chiede quasi supplicandola di parlargli perché vuole sentire la sua voce. Le chiede perdono un’infinità di volte fra lacrime che rigano le guance. Ma lei si ostina nel suo silenzio, non lo abbraccia, non è felice. Finché Laguna torna a guardarla e vede che gli occhi adesso sono color oro. Sono occhi crudeli, sono occhi ingannatori. I capelli si allungano e mutano colore trasformandosi in argento vivo. Il sorriso diventa un ghigno di scherno, una risata malvagia. Non ha mai visto questa donna ma sa a chi appartiene quel volto.

Ed è lui adesso a mutare, ringiovanendo. Una lunga cicatrice gli solca il viso, fra le mani stringe un gunblade. Sa di essere lui ma allo stesso tempo riesce a vedere la scena con occhi da spettatore.

La Strega si erge in statura, è avvolta da una luce rossa e tenebrosa, gli occhi sembrano fuoco. Il ragazzo si prepara ad attaccare ed ecco che lei muta ancora una volta divenendo un enorme e mostruoso essere. Assomiglia a un leone.

Sfodera gli artigli e colpisce il ragazzo trapassandogli il petto. Sangue denso, scuro, scivola lungo il suo corpo mentre la vita lo abbandona. E Laguna urla di dolore ma nessun suono esce dalle sue labbra perché è lui stesso ad essere morto. L’ultima cosa che riecheggia nella sua mente è ancora quella risata perversa che gli gela l’anima.

 

 

  Plic. Plic.

Ancora quel suono. Umido sulla sua pelle.

Non aprì subito gli occhi, aveva troppa paura di ritrovarsi davanti ancora quel mostro. Non voleva rivedere quella scena di nuovo.

  Plic. Plic.

Da qualche parte, come un eco lontano nella sua testa, sentì ancora quella risata. Brividi freddi gli corsero lungo la spina dorsale.

  Plic. Plic.

Un gemito, le dita della sua mano erano completamente bagnate. Sentì freddo.

Aprì di scatto gli occhi come se fino a quel momento fosse stato ancora prigioniero di quell’incubo. Perché quello era stato e nulla di più. Forse un presentimento? Sperava di no e voleva davvero cercare di rimanere positivo fino alla fine.

Quando finalmente guardò la mano che ciondolava lungo il bracciolo della sedia vide Angelo osservarlo quasi con preoccupazione. Dopo qualche secondo riuscì a tirarsi su e si allungò per accarezzarla dietro le orecchie.

  - Ehi piccola, ti ho fatto preoccupare? Scusami, era solo un incubo. -

La cagnetta accettò con gratitudine le carezze appoggiando il muso sulle sue ginocchia. Sentiva che quell’uomo aveva bisogno del suo conforto, che soffriva in silenzio come lei. Viveva quasi in solitudine, sebbene fosse circondato sempre da molte persone era solo e, adesso, anche lei era sola. Aspettavano silenziosamente che i loro cari tornassero, speravano che stessero bene, avevano paura di non vederli mai più. Per un cane era normale passare le ore ad aspettare il proprio amico umano ma per quell’uomo era assai diverso. Come doveva essere aspettare e aspettare senza poter fare niente? Estenuante, straziante forse. Si sentiva impotente e più passavano le ore più temeva per la vita di quei ragazzi che avevano accettato con onore quella missione pericolosa. Tra di loro c’era suo figlio inconsapevole della verità, combatteva anche per quell’uomo di cui appena conosceva l’identità, rischiava la vita senza sapere chi lui fosse. Per Squall era naturale combattere, aveva conosciuto solo quello nella sua vita, ma a Laguna non piaceva e detestava ancor di più starsene rinchiuso in una stanza ad aspettare.

Guardò Angelo mentre gli restituiva silenziosa lo sguardo. - Spero solo non fosse una specie di premonizione. Sai, mi hanno sempre detto di non credere a queste sciocchezze, eppure io non posso farne a meno. Stupido eh? -

La cagnetta abbaiò forte in risposta. A Laguna sembrò quasi di sentirla mentre lo sgridava per essere così debole. Si accucciò accanto a lei assorbendo il suo calore, il pelo era morbido e il suo respiro regolare lo rilassò. Come se si trovasse in un altro sogno sentì bussare alla porta, il suono riecheggiò in tutta la stanza con un brontolio…

 

  - Mi scusi signor Laguna, posso entrare? -

La voce femminile oltre la porta era nuova e familiare allo stesso tempo. Quando la porta si aprì anche il volto di quella ragazza era conosciuto. Rinoa fece capolino dalla porta, lo sguardo leggermente intimorito, i capelli scuri stretti in una treccia.

  - Prego, entra pure… Rinoa. -

Lei avanzò di un paio di passi oltre la soglia della stanza tenendo gli occhi sul pavimento.

  - Ecco, mi chiedevo se lei potesse farmi un favore. -

L’uomo la guardò con disappunto.

  - Primo : non darmi del signore ti prego, parliamo a tu per tu. Secondo : credo tu sia in diritto di chiedermi qualsiasi cosa visto quello che stai per fare, non solo per me, ma per tutta l’umanità. -

La ragazza alzò lo sguardo, c’era qualcosa in quell’uomo che le ispirava simpatia.

  - Va bene sig… ehm, Laguna. -

Lui annuì soddisfatto e con un gesto della mano la invitò a continuare.

  - Dunque, vorrei affidarti il mio cane mentre saremo in missione. Solitamente la porto sempre con me, ma questa volta è troppo pericoloso, non voglio rischiare che si perda nella compressione temporale. -

Laguna non si era accorto che la cagnetta era entrata nella stanza e si era seduta accanto alla giovane.

  - Non ti darà fastidio, lo prometto. Non ho nessuno a cui affidarla e di te mi fido. -

Lui si accucciò all’altezza di Angelo e le carezzò il muso. - Ma certo, non c’è nessun problema. A lui ci penso io! -

Rinoa rise non appena la sua amica pelosa abbaiò contrariata. - Oh no, Angelo è una femmina! -

Laguna sgranò gli occhi. - Ah scusami, con quel nome credevo che… non importa. Perdonami Angelo. -

La ragazza si abbassò alla loro altezza e abbracciò la cagnetta.

  - Si, è un errore comune. Lei è l’unico legame rimastomi con mia madre. -

L’uomo la guardò incuriosito e lei continuò. - Mia madre aveva un cane, glielo aveva comperato mio padre perché si sentisse meno trascurata quando lavorava nei primi mesi di matrimonio. La lasciava quasi sempre sola. Io non lo ricordo molto perché ero piccola ma Angelo era un cane dolcissimo, mi stava sempre vicino quando ero giù di morale o mi facevo male. -

Alla giovane sfuggì dagli occhi una lacrima veloce, che si dissolse quasi subito ma a Laguna non sfuggì.

  - Bè, quando mia madre morì Angelo era l’unico amico che mi era rimasto, purtroppo quattro anni dopo si ammalò ma per fortuna era nata già questa piccolina qua. Così ho deciso di darle lo stesso nome del cane che aveva tanto aiutato mia madre nella sua solitudine, sperando potesse aiutare anche me. -

Lui accarezzò nuovamente la cagnetta poi rivolse la sua attenzione alla ragazza mettendole premurosamente una mano sulla spalla. - Ho capito, lei è molto importante per te. -

Rinoa gli sorrise, annuì e si avviò alla porta. Prima che toccasse la maniglia si sistemò i capelli sulla fronte, scostandogli dagli occhi. Un gesto semplice e comune ma che lui l’aveva già visto…

  - Aspetta. - la fermò prima che potesse uscire. Lei si voltò confusa temendo potesse aver cambiato idea. - Come... qual'era il nome di tua madre? -

La ragazza non capì ma rispose senza pensarci troppo. - Julia… Julia Heartilly. -

Laguna ebbe quasi un mancamento, tutto gli era chiaro. La sua voce famigliare, il suo aspetto e i modi di fare come se la conoscesse già… il destino aveva davvero uno strano senso dell’umorismo.

Le sorrise provando già un grande affetto per quella ragazza. - Mi prenderò io cura di Angelo, sta tranquilla. -

Rinoa uscì dalla stanza sorridente non sapendo quanto avesse importanza l’identità di sua madre per quell’uomo.

 

  Si svegliò mentre Angelo continuava imperterrita a leccargli il viso preoccupata. Aveva tentato per parecchi minuti di svegliarlo abbaiando così era passata direttamente alla procedura che Rinoa prediligeva la mattina presto.

Laguna la allontanò ridendo, accarezzandola forte dietro le orecchie.

  - Sono sveglio, sono sveglio! -

Un forte bussare interruppe il loro gioco e l’uomo ebbe una strana sensazione di dejà vu.

  - Si? -

La voce di Kiros oltre la porta gli arrivò ben chiara alle orecchie.

  - Laguna, la compressione temporale è iniziata! -

Il presidente di Esthar si alzò in fretta, una nuova sensazione di paura lo assalì all’improvviso. Ce l’avevano fatta oppure erano caduti nel tentativo? Lo avrebbero saputo di lì a poco ma nel frattempo poteva solo sperare ed aspettare.

E lo avrebbe fatto.

Guardò Angelo d’improvviso seria e non più giocosa come se sapesse che la sua amica umana era in pericolo. La guardò e gli sembrò che finalmente il cerchio si chiudesse, dando un senso a tutte le scelte che aveva compiuto nella sua vita. Alle scelte buone, alle scelte giuste e a quelle sbagliate. Adesso lui era lì e non avrebbe cambiato niente del suo passato perché i suoi errori lo avevano portato ad arrivare fino a quel momento. Julia, Rinoa, Raine, Squall… erano tutti collegati a lui in qualche modo. Forse era ancora in tempo per la sua redenzione.

Si accucciò nuovamente all’altezza della cagnetta. - Te lo prometto Angelo, ce la faranno. Non gli accadrà niente. -

Lei non si lamentò e si diresse verso la finestra cercando nel paesaggio un segno della sua amica. L’uomo la seguì, in silenzio.

Insieme avrebbero atteso e sperato. Non potevano fare altro per il momento.

 

 

 

 

 

 

Note Autrice : Mmmmh sono stata bloccata su questa fic per troppo tempo, non mi veniva nessuna idea per rappresentare il presente ( quando le successive sono praticamente pronte ) e quindi non potevo andare avanti. Tutto sommato penso si faccia leggere, ma non ne sono molto soddisfatta, però non volevo restare bloccata al 2 capitolo che diamine. Spero che a qualche anima pia sia piaciuta comunque ç_ç

A presto!
Selhin <3


The One Hundred Prompt Project

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Capitolo 3
*** I Promise ***


Fandom: Final Fantasy VIII
Pairing: Nessuno
Personaggi: Rinoa Heartilly, General ( Fury ) Caraway
Tipologia:  One shot ( 2564 parole )
Genere: Slice of Life, Missing Moment. Triste

 

12° Argomento: Tempo
58. Futuro

 

I Promise

 

 

 

  Correva e correva ancora.
Sentiva un gran calore lungo tutto il corpo, il sudore le imperlava la fronte bagnandole i capelli corvini, le gambe dolevano pericolosamente rendendo i suoi passi sempre più incerti.
Da quanto tempo stava correndo in quel modo?

Tempo.
E’ giusto parlare dello scorrere del tempo quando ti ci ritrovi dentro, nel suo caos più totale e inimmaginabile?
Eppure non voleva fermarsi. Fermarsi avrebbe significato arrendersi e lei non poteva permetterselo, non adesso che tutto stava per finire. La sua storia era al capitolo conclusivo, non poteva rinunciare proprio adesso!
La corsa si fece ancor più disperata. Presto, doveva far presto o lui... no, era meglio non pensare a niente e continuare a correre. Attorno a lei il paesaggio cambiava nervosamente. Prima una distesa innevata, poi le strade di una città grigia che non conosceva, ora una collina illuminata dal sole. Chiuse gli occhi e capì che se avesse continuato così si sarebbe persa.
Pensò intensamente a lui, ai suoi occhi forti ma spaventati da se stesso. Pensò al prato fiorito dove aveva promesso di aspettarla.
Quando riaprì gli occhi non fu troppo sorpresa di trovarsi proprio li, circondata da un’immensa distesa fiorita, il profumo era così forte da penetrarle fin dentro la gola riarsa, il cielo era coperto da nuvole scure che preannunciavano un tremendo temporale. Si guardò attorno e solo in quel momento si fermò. Era senza fiato e la disperazione stava per consumarla in un pianto incontrollato.
Lui non c’era.
Per quanto si voltasse a cercarlo, Squall non si trovava in quel luogo.
Perché? Le aveva promesso che l’avrebbe aspettata proprio li, quello era il luogo dove dovevano incontrarsi. Glielo aveva promesso.
Forse se n’era dimenticato ed era già tornato indietro, forse aveva interpretato male ogni cosa e di lei non gliene importava niente. Forse per lui era stata solo un momento, un gioco, un modo per sentirsi più forte. Dopotutto era una Strega adesso, chiunque avrebbe voluto avere quel potere, persino lui e, accettando di essere il suo cavaliere, l’aveva ottenuto. Era stato così facile illuderla...
Guidò una mano a stringere gli anelli che portava al collo, l’argento tintinnò quando li toccò e la sua pelle accaldata provò uno strano senso di piacere a toccare il gelido metallo. Fece scorrere le dita attraverso la vera di sua madre, quel gesto l’aveva sempre rassicurata fin dall’infanzia, poteva sentirsi un po’ più vicina alla donna che aveva conosciuto appena. Poi l’indice incontrò l’altro anello che adornava il suo collo solo da poche settimane, con il polpastrello seguì gli intagli che creavano Griever. Era questo adesso l’anello che più le dava conforto. Un brivido freddo la fece tornare in sé dal torpore nel quale era caduta. Si stava lasciando andare ai dubbi e alle insicurezze che Artemisia aveva insinuato nella sua mente, era a questo che mirava fin dall’inizio.
Lei non avrebbe ceduto.
Se Squall non si trovava là sicuramente c’era un motivo valido, forse era ferito e non poteva muoversi, o si era perduto nella vastità del tempo oppure era...

No!
Doveva cercarlo, doveva assolutamente trovarlo.
Si rimise a correre senza sapere dove il tempo l’avrebbe condotta.

 

 

Io sarò il tuo Cavaliere!

 

 

  Per un po’ vagò nella tenebra, dei sussurri lontani seguivano la sua traversata. Non era sicura se esistessero davvero o se fossero solo frutto della sua immaginazione. Alcune volte erano così vicini da procurarle brividi sulla pelle, ma voltandosi non vedeva nessuno. Pensò che forse erano voci ingannevoli create da Artemisia per confonderla, per turbarla. Alla fine si accasciò su se stessa abbracciandosi le ginocchia com’era solita fare quando era piccola e qualcosa la spaventava. Si ripeté che quei bisbigli non esistevano, che non c’era alcun motivo di avere paura, che doveva solo continuare a camminare, ma anche la sua positività aveva dei limiti.
Non sapeva più dove si trovava, era perduta in un mondo buio fatto di voci silenziose.
Le lacrime iniziarono a uscire copiose dai suoi occhi chiusi.
Non aveva avuto intenzione di piangere, voleva essere forte almeno quella volta, ma i sentimenti avevano avuto la meglio sulla sua determinazione.
Sarebbe mai tornata a casa?
Con questo pensiero una fievole luce oltrepassò il vetro di una finestra colorata davanti a lei, il bagliore era delicato come un pallido quarto di luna. Rinoa guardò con attenzione il cristallo lucente che le sembrava così familiare. Le dava conforto come se quei tenui colori potessero avvolgerla allontanandola dal grigiore del mondo nel quale si trovava. Poi seppe di conoscere quella finestra.
Si trovava nella sua casa di Deling, in un corridoio che portava al retro del palazzo. Lei ci andava quando era piccola per raggiungere il giardino dove spesso passava i pomeriggi con la madre e aveva continuato a recarsi davanti a quella finestra dopo la sua morte quando si sentiva sola o dopo una brutta lite con suo padre.
Inconsciamente allungò una mano a toccare la superficie di vetro e non appena la sfiorò una voce alle sue spalle catturò la sua attenzione.
Alla fine del lungo corridoio in penombra qualcuno tossiva con violenza, sembrava faticasse a respirare.
Presa dal suo spirito empatico si preoccupò quasi e, dopo un momento di esitazione, avanzò diretta verso quel suono. Chiunque fosse doveva soffrire molto e lei non sopportava l’idea di ignorare una persona in quello stato, anche fosse stata la stessa Artemisia.
Raggiunse una grande porta in legno semi aperta, dallo spiraglio passava la debole luce di qualche candela. Dopo qualche secondo la aprì lentamente, spingendola appena, e questa cigolò leggermente creandole una strana sensazione di imbarazzo e di disagio. Forse quella persona voleva essere lasciata in pace e lei invece si stava intromettendo senza che nessuno glielo avesse chiesto. Aveva fatto così anche con Squall e, ci pensò su, persino con Seifer.
Mentre pensava al da farsi lo sconosciuto smise di tossire e si abbandonò a lunghi sospiri di sollievo.
Rinoa guardò la grande stanza incuriosita ma la luce era troppo fioca per vedere bene, un grande letto sorgeva immobile accanto ad una finestra chiusa. Vide le coperte muoversi appena e vi si avvicinò con cautela, il respiro trattenuto inconsciamente. Quando arrivò al limitare del giaciglio e riconobbe la figura avvolta nel lenzuolo il cuore sembrò impazzirle nel petto.
L’uomo aveva gli occhi chiusi e respirava profondamente, un sospiro roco gli fuoriusciva dalle labbra, la pelle era di un colore pallido e malato, profonde rughe solcavano la fronte su cui ricadevano folti capelli candidi. La ragazza non ebbe dubbi nonostante il suo aspetto fosse diverso da quello che conosceva.
Quello era suo padre.
Ma perché era così vecchio? Era malato?
E fintanto che lei se ne stava immobile avvolta dai dubbi e dalle incertezze, quasi per uno strano richiamo l’uomo aprì gli occhi rivelando le iridi brune sempre attente. Si accorse di lei e la scrutò con freddezza per qualche istante. Poi la riconobbe.
Fu allora che per la prima volta nella sua vita Rinoa vide Caraway piangere.
Non ricordava di averlo visto nemmeno quando era morta Julia, pensò che avesse pianto all’epoca, solo nella sua stanza, chiuso nel suo cuore lontano dagli occhi di tutti, anche da quelli di sua figlia la quale ne condivideva il dolore. Ma allora lui si era rifiutato di mostrare a lei quei sentimenti, si era chiuso nel suo guscio fatto d’ indifferenza e non ne era più uscito. Fino a quel momento.
Allungò con fatica una mano verso di lei, temette di vederla svanire davanti ai suoi occhi. Se era arrivata la sua fine voleva almeno redimersi, glielo doveva.
La chiamò con voce roca, poi mutò in una tosse senza respiro ma non abbassò mai la mano. E allora Rinoa la prese gentilmente fra le sue inginocchiandosi accanto al letto, guardando quell’uomo attraverso un velo di lacrime negli occhi, chiedendosi cosa stesse succedendo.
Quando Caraway si riebbe dalla crisi tornò a guardare la figlia visibilmente stanco. C’era un profondo tormento nei suoi occhi che la giovane non aveva mai visto. Gli sorrise lievemente e lo rassicurò della sua presenza stringendo più forte la sua debole mano.
  - Dunque eri qui... –
L’uomo si lasciò andare all’ennesimo sospiro mentre lei non capiva a cosa alludesse. Non riusciva a concentrarsi su nient’altro che il suo aspetto e la sua voce così terribilmente debilitati.
  - Cos’hai? Dove ci troviamo? –
Lui sembrò esitare qualche istante, forse era troppo stanco per parlare o forse non sapeva nemmeno lui cosa rispondere. La ragazza sembrava turbata di vederlo in quello stato, e come poteva biasimarla?
  - Sono malato Rinoa... – disse piano scandendo bene il suo nome -... sto morendo. –
Lei trattenne il respiro assimilando bruscamente quelle parole.
  - Cosa? Come? –
Non riusciva a crederci, dove l’aveva spinta la compressione temporale?
L’uomo scosse lentamente il capo poi allungò entrambe le mani a prenderle il viso, sfiorandole le guance, obbligandola a guardarlo.
  - Ascoltami attentamente adesso. –
La voce era debole eppure manteneva lo stesso tono austero che lei aveva sempre conosciuto. Quello che da bambina la costringeva ad obbedire anche contro la sua volontà.
Quando non ricevette alcuna risposta Caraway decise di continuare, dopotutto si meritava una spiegazione. – Credo tu l’abbia compreso guardandomi che ti trovi nel futuro. Un futuro non troppo lontano dal tuo tempo. Rinoa... – esitò ancora -... tu ti sei perduta nella Compressione Temporale, non sei mai tornata indietro. –
Il cuore della giovane mancò un battito e rimase ferma immobile ad osservare quell’uomo davanti a lei. Possibile che fosse solo un tempo fittizio creato dalle sue paure inconsce? Se fosse stata la verità e fosse ormai troppo tardi per tornare indietro? Come poteva credere che nessuno, nemmeno i suoi amici, avessero provato a cercarla?
Quasi Caraway poté leggere nei suoi occhi le insicurezze e i dubbi.
  - Rinoa, devi credermi. Non permetterò che accada di nuovo, riuscirò a convincerti a tornare a casa. –
Lei abbassò lo sguardo non riuscendo più a sopportare il peso degli occhi di suo padre. C’era qualcos’altro, qualcosa che non le diceva, non sapeva spiegarsi la ragione di questo pensiero ma sapeva che qualcosa non andava in quella storia.
  - E Squall? – disse piano, la voce le tremò leggermente al pronunciare quel nome.
Caraway emise un sospiro ma non rispose e quando la figlia alzò nuovamente lo sguardo vide che lui si era voltato altrove.
  - Squall, dov’è? Lui è tornato indietro? – insisté lei alzando il tono della voce. Si stava innervosendo ed era tornata quella brutta sensazione di paura che l’aveva accompagnata fino a poco prima. – Perché non mi rispondi? –
Adesso ne era certa, le stava nascondendo qualcosa.
Al suo continuo silenzio quasi gli urlò contro. – Si può sapere cosa diavolo sta succedendo? –
Allora Caraway tornò a guardarla, un’espressione quasi colpevole negli occhi stanchi. Scosse appena la testa. – Si Rinoa, lui è… è tornato. –
  - Ma? –
Sapeva che c’era un “ma” da qualche parte.
L’uomo deglutì. – Ma era… -
E Rinoa capì senza che lui continuasse la frase. Lo capì dal suo sguardo pieno di dolore, dal suo tormento, si sentiva forse in parte responsabile?
Non era possibile, non avevano lottato tanto per giungere a quel destino, non poteva essere vero, semplicemente non poteva. Ricacciò indietro le lacrime con grande fatica poi la mano di suo padre le sfiorò una guancia con una dolcezza che non aveva mai conosciuto.
  - Mi dispiace dirti questo, sapessi quanto mi dispiace Rinoa… –
Il suo corpo fu di nuovo scosso da quella tosse tremenda che non lasciava spazio all’ossigeno e lei vide del sangue uscirgli dalla bocca macchiando il lenzuolo. Dopo la crisi Caraway si riebbe e accarezzò i capelli scuri della giovane. Lei era troppo sconvolta per poterglielo impedire.
  - Quando lo trovammo, vicino all’orfanotrofio, per un’istante mi sono sentito sollevato che non fossi tu e questo è stato l’inizio. Ho continuato a cercarti finché ne ho avuto la forza, poi ho iniziato a sperare che fossi morta. Preferivo credere a quello piuttosto che saperti in chissà quale epoca di chissà quale universo, perduta per sempre. Ma il mio senso di colpa per non averti protetta come avrei dovuto ha finito per consumarmi. –
Fece una lunga pausa per riprendere fiato, faticava sempre di più a parlare. – Mi sento così miserabile. – I suoi occhi scuri non riuscivano più a trattenere le lacrime che scesero giù lungo il suo viso. Anche Rinoa non riusciva più a trattenere le sue, per la prima volta vedeva suo padre per quello che era davvero e scoprì che quell’uomo gli piaceva più di quanto credesse possibile. Tutte le liti, tutte le incomprensioni e le parole dure erano perse in un tempo lontano, non dimenticate, solo perdute, nascoste da un velo fatto di rimpianto.
Poi Caraway parlò ancora, la sua voce tremava ed era sempre più flebile.
  - Adesso devi farmi una promessa. –
Lei lo guardò sorridendo, pronta a qualsiasi cosa lui volesse dirle.
  - Promettimi che riuscirai a tornare indietro. -
Rinoa annuì. - Te lo prometto. -
Il vecchio colonnello sospirò. - E poi, promettimi che proverai a perdonarmi. Ti ho sempre amata molto, questo devi saperlo. Ho sbagliato a tenerti lontana, pensavo che così ti avrei protetta. Mi dispiace non esserci stato per te e per tua madre, soffrivo da solo senza rendermi conto di quanto potessi soffrire anche tu. Ti prego Rinoa, perdonami. -
Non riusciva a credere che quello fosse davvero suo padre, il duro e freddo colonnello Caraway. Si lasciò andare ai singhiozzi mentre le lacrime uscivano copiose dai suoi occhi.
Ma lui aspettava una risposta. - Te lo prometto, papà. -
Indugiò su quell’ultima parola. Quanti anni erano passati dall’ultima volta che lo aveva chiamato così? Anche Caraway sembrò soddisfatto di sentirgliela pronunciare, chiuse gli occhi e si abbandonò a un sorriso stanco. Il silenzio regnò sovrano per alcuni minuti, interrotto solo dal singhiozzare della giovane strega e dai sospiri pesanti dell’uomo.
Poi il silenzio cessò e a fatica lui uscì dal suo torpore. - Adesso vai, non voglio che tu stia qui, devi tornare a casa. -
Rinoa scosse la testa. - No, non posso lasciarti solo. Non chiedermelo! -
Ma lui annuì deciso. - Si, invece. Vai! - allontanò la sua mano da quelle di lei, il distacco era freddo e si sentì solo come non mai. - Per favore, vattene. -
E allora lei capì che non l’avrebbe mai convinto, che aveva già preso quella decisione da tempo e che niente e nessuno poteva fargli cambiare idea. Così si alzò in piedi e senza dire una parola si voltò e si avvicinò alla porta della stanza. Quando l’aprì e uscì non si accorse che i pesanti sospiri erano cessati e non vide mai il volto sereno di suo padre mentre si abbandonava alla morte.
Rinoa fece qualche passo avanzando in una fitta nebbia scura, le lacrime le rigavano il volto ma voleva mantenere la sua promessa.
Sarebbe tornata a casa ad ogni costo.
Adesso doveva continuare a camminare e trovare Squall. I suoi passi riecheggiarono su un suolo sterile e riarso, la nebbia si alzava appena per lasciarle intravedere il panorama che la circondava. Non c’era niente li, né vita, né colori, era un territorio così solitario e a lei trasmise tanta tristezza.
Se Squall si trovava in quel luogo lei lo avrebbe raggiunto, per una volta sarebbe stata lei a salvarlo.
E poi, una volta tornata a casa, avrebbe salutato suo padre con un sorriso.
Dopotutto, aprire una porta per il futuro, poteva davvero averle salvato la vita.
Ora lo pensava davvero.

 

 

 

Note Autrice : Mi sono accorta che, nonostante questa fic fosse stata pronta prima della precedente, non l’avevo ancora pubblicata. Forse ne ho un po’ paura perché per me è un tema molto difficile da comprendere. Io non ho mai avuto un vero papà, o qualcuno che fosse particolarmente affettuoso in quel senso, e perciò posso solo immaginare cosa si provi ad averne uno vero.
Sicuramente Rinoa e Caraway hanno da sempre avuto moltissimi problemi ma io non sono mai riuscita a disprezzare questo personaggio. Da un certo punto di vista potevo capirlo.
E niente, questo è ciò che la mia mente ha partorito, spero sia comunque qualcosa di piacevole da leggere mi farebbe piacere sapere la vostra opinione in merito.
Alla prossima! 

Selhin <3


The One Hundred Prompt Project

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