Salvami.

di GeorgiaRose_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I. Dietro a una maschera. ***
Capitolo 2: *** II. Nuova casa ***
Capitolo 3: *** III. Aspettare ***
Capitolo 4: *** IV. Momenti no. ***
Capitolo 5: *** V. Nuove Coppie. ***
Capitolo 6: *** VI. Dare un senso. ***
Capitolo 7: *** VII. La mia strada ***
Capitolo 8: *** VIII. Segreti? ***
Capitolo 9: *** IX. Una nuova conoscenza ***
Capitolo 10: *** X. Gelosia ***
Capitolo 11: *** XI. Sentirsi a disagio. ***
Capitolo 12: *** XII. Al riparo ***
Capitolo 13: *** XIII. Di martedì ***



Capitolo 1
*** I. Dietro a una maschera. ***


Mi è sempre piaciuto guardare fuori dalla finestra della mia camera ed immaginare la vita che si nasconde dietro al sorriso di una persona. Molte volte mi capita di vedere persone correre di fretta per prendere un taxi o un mezzo pubblico, o per arrivare puntuali a scuola; tutti si focalizzano sul ritardo vero e proprio, ma nessuno cerca di andare oltre. Certo, quel “ritardo” può avere anche dei motivi futili come l’essersi svegliati tardi o non aver voglia, ma un “ritardo” può essere portato anche da un motivo come un litigio, magari con un parente, o per altri motivi non più così innocui. Quello che voglio dire è che secondo me non bisognerebbe mai fermarsi alle apparenze. Nessuno pensa a quanto possa essere incasinata la vita di una persona, tutti pretendono che tu sia sempre felice e in ordine. Primo esempio di una vita incasinata? La mia. Ogni giorno indosso come una maschera che mi protegge da quel giorno in cui la mia vita ha preso una piega totalmente diversa. Molte volte mi capita di vedere persone lasciare un bambino di pochi mesi, o anche pochi giorni, fuori la porta di questo edificio e lì mi chiedo perché. Perché abbandonare un figlio? Non ha deciso lui di venire al mondo. È colpa tua che lo stai lasciando se lui esiste. Perché? È una domanda che non abbandonerà mai la mia mente, almeno fino a quando non avrò trovato una risposta che abbia un senso. Altre volte, invece, vedo una coppia di amanti uscire e portare con sé un bambino, peccato che non sia mai io. Be’, non c’è da sorprendersi data la mia età. Sono più che convita che abbandonerò questo edificio da sola. Tra un anno e due mesi avrò l’età giusta per andare via. Ma, cosa farò allora? Da sola?
«Martina, posso?» Un bussare alla porta interrompe i miei pensieri. Abbandono la finestra e mi siedo al lato del letto della mia camera, che in realtà non ho mai considerato mia.
«Sì, avanti»
«Tesoro, verresti a darmi una mano per la festa?» La testa di Patty sbuca da dietro la porta.
«Certo, Patty, arrivo subito» Le sorrido 
Patty chiude la porta alle sue spalle per poi andare via. È come una seconda madre per me o, meglio, terza madre. Lei mi ha aiutato quando nessuno c’era più e le sarò sempre grata per questo.
Dopo essermi cambiata, scendo al pian terreno dove un’indaffarata Patty sta aprendo degli scatoloni.
«Serve una mano?» Le chiedo, affiancandola.
«Sì, sono i resti della festa dell’anno passato, dammi una mano a portarli fuori» Prendo anch’io una scatolone e la seguo.
Ogni inizio anno l’orfanotrofio organizza una festa alla quale partecipano tutti i bambini e gli adulti interessati ad adottare.
«Quest’anno la festa sarà un successone!» Esclama Patty sistemando un telo su uno dei tavoli in giardino.
«Lo dici ogni anno, Patty» Le faccio notare.
«E infatti lo è ogni anno» Afferma, provocandomi una leggera risata.
«Domenica potrai accompagnarmi?» Le chiedo mentre sistemo dei bicchieri a forma di piramide.
«Oh, tesoro, te l’ho detto. Domenica ho diversi appuntamenti» Mi spiega, dispiaciuta.
«Posso andarci anche da sola, ormai conosco la strada a memoria»
«Lo sai che non puoi: hai ancora sedici anni…»
«Quasi diciassette.» La interrompo.
«Certo, ma sei comunque minorenne e non puoi uscire da sola. Chiederò a Lily di accompagnarti, okay?»
«Sì, va bene» Le rispondo, anche se non molto entusiasta.
Lily è una ragazza all’ultimo anno di liceo, diciannove anni, e per avere dei crediti extra per il diploma fa volontariato aiutando qui in orfanotrofio. È simpatica, ma non mi capisce come Patty. Lei non sa. Non capisce. Purtroppo, quando vado in quel luogo, mi perdo tra i pensieri e ci rimango anche per ore. Sicuramente Lily non vorrà aspettare per molto. Ma va bene così. Quel luogo mi fa ricordare ed è meglio starci per poco.
Dopo due ore di lavoro, il giardino è pronto per la festa. Tre tavoli sono ricoperti da bicchieri, piatti e posate, e tra poco la cuoca porterà le pietanze come dolcetti, cupcakes, torte e altro. Ci sono poi dei festoni e dei palloncini.
«Tesoro, la festa inizierà tra poco più di un’ora. Hai il tempo per una doccia e per cambiarti»
«Sì, grazie, Patty»
Salgo le scale del pianerottolo ed entro nell’edificio. Sto per salire la scala che porta alla mia stanza, quando qualcuno mi ferma.
«Martina, guarda!» Il piccolo Josh mi si avvicina e allunga il braccio destro verso di me; ha un foglio tra le dita.
«Wow, bellissimo, Josh!» Il disegno che mi mostra ha raffigurate quattro persone, tre donne e un uomo o, meglio, un bambino. Qui dentro sono una sorella maggiore un po’ per tutti, essendo la più grande.
Mi piego sulle ginocchia. «Questo sei tu?» Gli chiedo indicando il bambino sul disegno.
«Sì, questa è Patty, poi ci sei tu e questa è la mamma!» Afferma indicando le altre tre persone.
«Com’è bella la tua mamma!» L’ha raffigurata con i capelli scuri e gli occhi azzurri, proprio come lui.
«Sì, la mia mamma è bellissima, anche se non l’ho mai vista.» Annuisce.
«Tra poco inizia la festa, perché non vai a cambiarti?»
«Ancora due minuti, devo finire il disegno»
«Va bene, a dopo, Josh» mi rialzo e riprendo a camminare.
«A dopo, Tini»
Sorrido sentendo quel soprannome. La mia madre adottiva mi chiamava sempre così e da allora è diventato come un soprannome. Lei diceva che ero troppo piccola ed esile per avere un nome lungo come Martina e preferì abbreviarlo a Tini.
Salgo le scale e rientro in camera. Apro il mio armadio, e prendo i panni da indossare: dei jeans scuri, una maglietta grigia con le maniche che arrivano sotto i gomiti e decido di indossarli con le converse bianche. Prendo l’intimo ed entro in bagno - Patty ha deciso di darmi l’unica stanza con il bagno privato e le sarò eternamente grata per questo.
Dopo una doccia fresca, mi vesto e mi trucco con il mio solito strato di fard e un po’ di matita nera sugli occhi. Decido di lasciare i capelli sciolti. Sono di un colore tra il castano e il biondo ed arrivano alle spalle.
Controllo l’orario: 17:30. La festa sarà già iniziata.
Chiudo la porta della mia stanza e scendo in fretta le scale, per poi entrare in cucina.
«Posso fare qualcosa?»
«Oh, Martina, sì. Puoi portare quei vassoi fuori» Mi risponde gentilmente Angela, l’aiuto cuoca.
Prendo i due vassoi pieni di cupcakes ed esco sul giardino. È pieno di adulti che parlano tra loro, mentre i bambini giocano con l’altalena e lo scivolo. Sorrido vedendo quanto siano felici nonostante non abbiano dei genitori.
«Permesso… Scusate… Permesso… Grazie» La gente mi fa spazio man mano che cammino.
«Serve una mano?» Un ragazzo con un ciuffo all’insù mi viene in aiuto, vedendomi in difficoltà.
«No, non preoccuparti, faccio da sola.» Rispondo. Da quell’accaduto preferisco non stare molto a contatto con i ragazzi.
«Sei sicura? Sembra che a stento tu riesca a camminare.» Insiste.
«Ti ho detto che ce la faccio, okay?»
«Come siamo aggressive…» Sta iniziando a snervarmi.
«Senti, non ho tempo da perdere, quindi, per favore…»
«Per favore mi dai una mano? Certo.» Detto questo prende il vassoio dalla mia mano destra.
«Ehi!»
«Dove li portiamo?» Mi chiede, ignorando le mie proteste.
«Esattamente qui.» Poggio il vassoio sul tavolino e lui mi segue.
«Allora, come ti chiami?» Mi chiede lui.
«Perché dovrebbe interessarti?»
«Sì, sei molto aggressiva.» Sorride. «Andiamo, ti ho chiesto solo il tuo nome.»
«Mi chiamo Martina, ma tutti mi chiamano Tini.»
«Tini, molto piacere, Jorge Blanco.» Allunga la mano destra verso di me che, dopo un po’ di esitazione, afferro. Sbaglio o ha detto “Blanco”?
«Oh, Tini, vedo che hai conosciuto Jorge.» Patty ci raggiunge.
«Già.»
«Anche lui, come Lily, fa volontariato per la scuola. Ci aiuterà questa settimana.» Mi spiega.
«Grandioso…» Sorrido molto ma molto falsamente.
«Voi restate qui e quando finirà il cibo, venite in cucina a prendere gli altri vassoi. Okay?»
«Certo, Patty.» Le sorrido, mentre Jorge annuisce.
Patty va nuovamente via.
«Allora, hai detto che ti chiami Blanco?»
«Esattamente.» Sorride.
«Per caso sei figlio di Cecilia e Alvaro Blanco?»
«Sì, come fai a saperlo?» Mi chiede sorpreso.
«Erano i miei vicini.»
«Aspetta…» Mi guarda attentamente come se stesse cercando di capire qualcosa. «Tu sei Martina, la figlia di Mary e Stefan?» Mi indica con il dito destra, completamente sbalordito.
A sentire quel nome mi si congela il sangue nelle vene. Da quanto tempo non lo sentivo? Ma no, lui non ha più questo potere su di me, ormai l’ho dimenticato.
«Sì, sono io»
«Ma come, non vi eravate trasferiti?»
«Trasferiti?» Non capisco.
«Sì, almeno così mi ha detto mia madre. Avevo dodici anni quando ve ne siete andati.»
«No, non ci siamo trasferiti.»
«Oh, bene. È un sacco di tempo che non vedo tua madre. Lei è qui? Mi piacerebbe rivederla.» Già, anche a me.
«No, non è qui.»
«No? E dov’è?»
«Potresti smetterla di fare domande sulla mia famiglia?» Gli chiedo non proprio educatamente.
«Okay, okay. Scusa. Cambiamo argomento, ti va?» Annuisco. «Anche tu sei qui per volontariato?»
«Ehm, non proprio.» Rispondo. Tutte queste domande sulla mia famiglia e il mio passato mi stanno mettendo a disagio.
«No?»
«Certo che non ti smentisci mai, eh.»
«Chiamala curiosità.» Sorride beffardo.
«Io qui ci vivo.»
«Come?» Adesso è sorpreso.
«Sì, sono un’orfana.» Perché cavolo sto raccontando a questo sconosciuto della mia vita? Be’, non proprio sconosciuto. Lo conosco da quando avevo otto anni, da quando la sua famiglia si è trasferita a Buenos Aires, proprio nella casa accanto alla mia, ed era un mio caro amico. Ci divertivamo un sacco quei pomeriggi a giocare a nascondino e a mosca ceca. Sorrido, pensando a quei bei ricordi.
«Cosa? Un’orfana?»
«Sì, Jorge, un’orfana. Ma non chiedermi di raccontarti cosa è successo perché non ti risponderò.»
«Okay, va bene.» Non se l’aspettava, ovvio che non se l’aspettava. «Ehm, e quanti anni hai, adesso?»
«Sedici, a Marzo diciassette.»
«Io ne ho diciassette, a Dicembre diciotto. Ho un anno in più a te.»
«Sì, lo so. Me lo ricordo. Ricordo anche quanto piangesti quando tua madre ti disse che non ci sarebbe stato il clown al tuo undicesimo compleanno.» Scoppio a ridere ricordando quella scena.
«Ehi, il clown era fondamentale. Si sarebbe travestito da Spiderman, capisci? SPI-DER-MAN.» Esclama, facendomi ancora più ridere. È ancora buffo come ricordavo. «Credi che ti adotteranno?» Diventa d’improvviso serio.
«No, ormai ho superato l’età. Nessuno vuole una sedicenne. Preferiscono i neonati o al massimo i bambini di tre o quattro anni.»
«Sì, capisco. E cosa farai quando avrai diciotto anni?»
«Non ne ho idea. Patty mi ha detto che posso rimanere qui quanto voglio, ma, sai, non è bello. Questo posto, per quanto possano essere accoglienti le persone che ci vivono, non mi piace, non mi piacerà mai.»
«Sì, posso capirti. Ma, la tua famiglia? Non so, nonni, zii… Dei parenti.»
«Sono finiti i cornetti, vado a prenderli.» Lo informo, deviando la sua domanda.
«Certo, ti aspetto qui.» Mi sorride ancora.
Non avrei mai detto di rincontrarlo, non dopo tutto questo tempo. Devo ammettere che è diventato proprio un bel ragazzo.
«Servono dei cornetti.» Dico alla cuoca Mirta, dopo essere entrata in cucina.
«Sì, quasi pronti.»
«Ehi, Tini, lo sai che quel ragazzo, Jorge, sembra molto interessato a te?»
«Ah, Patty, non iniziare. Non dovresti essere fuori?» Ogni ragazzo che incontro, comincia a dire che è fatto apposta per me. Ormai ci sono abituata.
«Certo, ma sono rientrata perché volevo parlare con te. Sai, Jorge è molto carino, potresti provarci.»
«No, Patty, non posso. Lo sai.»
«Oh, ma, tesoro, non puoi vivere nel passato. Devi andare avanti.»
«Lo so, ci sto provando, ma così non mi aiuti.»
«Ecco i cornetti.» Afferma Mirta per poi tornare al lavoro.
Afferro il vassoio e poi raggiungo Jorge.
«Ehi, posso?» Mi chiede vedendo il vassoio pieno di cornetti.
«Va bene, ma solo uno, sono per gli ospiti.»
«Solo uno.» Prende un cornetto e lo assaggia. «Molto buono, ma mia madre li fa meglio.»
«Sì, concordo pienamente. Sai, mi piacerebbe rivederla.»
«Noi abitiamo ancora lì, se ti va, puoi venire qualche volta.» Mi invita.
«Ci penserò, okay?»
«Certo.» Mi sorride, mangiando poi l’ultimo pezzo di cornetto. Smettila di sorridere!
«Sei ancora un maiale, vedo. Hai già finito il cornetto.»
«Sei tu che sei lenta.» Ribatte.
«Certo, certo.» Dico con nonchalance. Ci guardiamo poi negli occhi e dopo qualche secondo scoppiamo a ridere. Mi ero quasi dimenticata come fosse ridere così, e con Jorge.
«Purtroppo adesso devo andare. Ho gli allenamenti di calcio»
«Fai calcio?»
«Già, non te lo ricordi?»
«Vero, ogni pomeriggio la tua palla arrivava nel mio giardino e puntualmente bussavi alla porta ed andavi a riprenderla.»
«Be’, almeno era una scusa per vederti.»
«Cosa?» Non credo di aver capito bene.
«Ciao, Tini.» Mi dà un leggero bacio sulla guancia e poi mi sussurra all’orecchio. «Sei diventata ancora più bella di quel che già eri.» Mi sorride di nuovo, e poi si allontana.
Perché riesco a fidarmi di lui? DI solito, quando un ragazzo o un uomo mi si avvicina ho dei brividi lungo la spina dorsale, provocati per la paura. Con Jorge, invece, è stata bella sensazione, erano brividi, oserei dire, di piacere. Spero di rincontrarlo.
Sabato mi sveglio al solito orario. Dopo essermi cambiata scendo al pian terreno per andare a fare colazione. Mi seggo al solito posto, a capotavola, dove posso vedere tutti i bambini giocare e parlare. Prendo i miei soliti cereali e inizio a mangiarli in una tazza con del latte. Sono tranquilla, quando vedo Patty arrivare velocemente verso di me. Cosa ci può essere di tanto urgente di Sabato mattina?
«Martina, io… sono così contenta, ah...» È addirittura sudata.
«Patty, calmati. Che succede?»
«Vogliono incontrarti… Oggi. Sono così contenta per te.»
«Non ti capisco, ti prego, parla chiaro.»
Dopo aver fatto due respiri profondi, Patty mi risponde. «Due signori hanno chiesto di vederti, hanno le carte in regola per adottarli ed hanno intenzione di farlo, oggi stesso li incontrerai.»

 

*Angolo autrice*
ehi ehi ehi! Come staate? Ebbene sì, sono tornata mlmlml questo è il primo capitolo della mia nuova FF. La sto scrivendo da tempo per aggiustare bene trama e capitoli, e solo adesso mi sono decisa a pubblicarla. Bien bien bien. Spero che questo primo capitolo via piaciuto eeee al prossimo caaapitolo! Tanti besoos, byeee.

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Capitolo 2
*** II. Nuova casa ***


Scendo velocemente le scale, ancora sbigottita per la notizia di questa mattina. Tra pochi minuti incontrerò due persone che hanno l’intenzione di adottarmi. Davvero? Proprio io? Non riesco quasi a crederci. È letteralmente impossibile. Il fatto è che Patty ha detto che hanno chiesto di me, il che significa che mi conoscono, che sanno il mio nome. Ho quasi paura che ci sia qualcosa sotto. 
Attraverso il lungo corridoio, alla fine del quale trovo Patty a braccia conserte. Sembra molto più entusiasta di me. 
«Martina, stai tranquilla, okay?»
«Credo che dovrei essere io a tranquill
izzare te, Patty» Ridacchio, e come risposta ricevo uno sguardo storto. Mh, okay. 
«I signori ti stanno aspettando. Appena ti senti pronta, puoi entrare.» Mi informa. 
«Ma, cosa devo fare, cose devo dire?»
«Niente, al massimo presentati. Poi saranno loro a parlare e a farti delle domande. Non preoccuparti.» Mi sorride.
«Va bene, grazie.»
E poi, di punto in bianco, mi abbraccia forte. «Sono così contenta per te.» Mi sussurra all’orecchio, per poi staccarsi.
«Anche io lo sono.»
«Buona fortuna.» Dice, per poi andare via.
Respiro profondamente e mi stiro i vestiti con le mani. Mi guardo allo specchio e controllo che i miei capelli legati con una forcina siano apposto. Quando mai mi sono interessata del mio aspetto esteriore? Mha. Respiro ancora una volta, per poi avvicinarmi alla porta semiaperta. La apro totalmente per poi chiuderla alle mia spalle. Davanti mi ritrovo un signore e una signora sulla cinquantina, seduti ad un tavolo, che mi guardano quasi con ammirazione. Mi siedo alla sedia all’altra parte del tavolo. Mi sembra di aver già visto queste due facce. Sono così familiari.
«Io vi conosco, non è vero?» Chiedo immediatamente.
La signora respira profondamente, scambiandosi uno sguardo col marito che non riesco a decifrare.
«Chi siete?»
«Martina,» Inizia l’uomo. «Noi siamo Alvaro e Cecilia Blanco.»
Sono i miei ex vicini. Non capisco. Che ci fanno qui?
«Siete i genitori di Jorge.» Affermo.
«Esatto.» Mi risponde la signora.
«Cosa ci fate qui?»
Cecilia prende la parola. «Martina, noi sappiamo cosa è successo cinque anni fa. Siamo stati noi a chiamare la polizia…»
«Che è arrivata troppo tardi» La interrompo.
«Sì, purtroppo. Non sai quanto ci dispiace.» Afferma Alvaro.
«Non voglio la pietà di nessuno.» Ribatto seria.
«Martina, noi…»
«Perché mi volete adottare? Adesso, dopo cinque anni? Perché? Io non capisco.» la interrompo nuovamente.
«Martina, noi vorremmo ridarti una famiglia. Fino a ieri eravamo convinti che vivessi con i tuoi nonni, i genitori di tuo padre. Poi Jorge ci ha raccontato tutto e abbiamo deciso di venire. Noi ci teniamo a te.»
«Io non ho una famiglia. E non ho un padre. Quell’uomo non è mio padre.»
«Ti possiamo capire. E ci dispiace. Non si tratta di pietà. Solo che noi ti volevamo bene e te ne vogliamo ancora e ci dispiace per quello che ti è successo.»
«Nessuno può capire. Voi non eravate lì. Non avete visto i suoi occhi pieni di rabbia. E quel coltello. Il sangue.» Le parole mi si mozzano in gola. No, non posso piangere. Ho promesso che non l’avrei più fatto. Non per lui. Non merita le mie lacrime.
Cecilia mi prende la mano che ho disteso sul tavolo. Solo ora mi accorgo di star tremando.
«Ci dispiace così tanto.» Afferma. Anche lei ha la voce tremante.
«Smettetela di ripeterlo!» Urlo. Non ce la faccio più. Rivedere i loro volti. Ripensare a quel giorno. Mi alzo, apro la porta e scappo via, lasciando il mio passato in quella stanza.
 
Sono distesa sul letto e guardo il soffitto bianco. Sto ancora pensando all’incontro di una settimana fa. Non voglio andare da loro. Rivedere quella casa mi riporterebbe troppi ricordi. Ancora una volta, un bussare alla porta interrompe i miei pensieri.
«Posso?» Chiede Patty, entrando e chiudendo la porta alle sue spalle.
«Ormai sei già entrata.»
«Giusto. Ma, ancora devi preparare niente? Stasera Cecilia e Alvaro verranno a prenderti per portati a casa. Quindi adesso ti alzi e prepariamo le valige. Su.» Prende una valigia da sopra l’armadio e la poggia ai piedi del letto, dopo avermi fatto alzare. Sistemiamo tutto al suo interno in circa un’ora.
«Come è andata stamattina al cimitero?» Mi chiede, mentre sistemo la coperta bianca con sopra ricamato il mio nome. Patty mi ha detto che era nella culla insieme a me quando mi ha trovato fuori la porta dell’orfanotrofio che avevo meno di un mese.
«Bene. Le ho cambiato i fiori e poi sono andata via.»
«Ho notato che sei tornata prima del previsto. È per via di Lily?» Chiede, chiudendo la cerniera.
«No, è stata una mia decisione.»
«Be’, meglio così.»
«Forse hai ragione.»
«Ma non sei contenta di avere dei nuovi genitori adottivi?» Mi chiede poi.
«Non lo so, sono così confusa. Desideravo andarmene da questo posto, ma quelle persone mi ricorderanno continuamente ciò che è accaduto cinque anni fa. E non so se riuscirò a reggere.»
«Martina, io credo che tu debba dare una possibilità a quelle persone. Ti vogliono bene. Ed è vero, che forse ti ricorderanno quel giorno, ma ti ricorderanno anche tutti i momenti belli che ci sono stati precedentemente. Davvero vuoi dimenticare anche quelli?»
Non l’avevo mai vista da questo punto di vista.
Dissento con la testa, per poi essere accolta tra le braccia di Patty.
«Grazie mille, per tutto.» Le sussurro.
«Io non ho fatto niente.»
 
Scendo in fretta le scale con la mia valigia e la mia borsa a tracolla contenenti le cose di scuola. I Blanco sono arrivati ed è il momento di andare. Passo prima in cucina a salutare Mirta ed Angela. Poi passo nel giardino, dove saluto tutti i bambini. Infine, esco dall’edificio. Alvaro e Cecilia mi stanno aspettando fuori la loro macchina.
«Alvaro, aiuta Martina con la borsa.»
«Certo.» Alvaro prende la mia valigia e la mette nel bagagliaio.
«Vorresti andartene senza salutare me?» La voce di Patty mi fa voltare. Mi butto letteralmente tra le sue braccia.
«Mi mancherai tanto.»
«Anche tu, ma ci rivedremo. Posso venire a trovarti qualche volta oppure potresti venire tu qui, sia che sei sempre ben accetta.» Mi sorride.
«Grazie ancora.»
«Ti ho già detto che non hai nulla di cui ringraziarmi.»
L’abbraccio ancora una volta, per poi entrare in macchina ed allontanarmi da quell’edificio.
«Allora, Tini, Patty mi ha dato una lista delle tue abitudini alimentari e generali. Domattina andrò al supermercato a fare la spesa. Però, io e Alvaro abbiamo intenzione di cambiarti di scuola e iscriverti a quella dove vanno Jorge e Candelaria. Ti ricordi di lei, vero?»
Come non ricordare quella rossa piena di energia e sempre solare? È la sorella minore di Jorge, la mia stessa età. Sarà bello rivederla. Per quanto riguarda la scuola, non me ne farò un problema. Non ho amici, quindi non dovrei salutare nessuno.
«Certo che me ne ricordo. E per la scuola, va bene il cambiamento.»
«Molto bene!»
«Ma Jorge e Cande non sanno di quanto è successo, vero?» Solo ora mi ricordo della conversazione con Jorge di venerdì.
«No, nessuno dei due. Erano troppo piccoli e abbiamo deciso di non raccontargli niente. Jorge è stato quello più triste per via del tuo trasferimento. Credo proprio che avesse una cotta per te allora.»
«Cosa? Nha, non credo.»
«Perché no? Eri una bella bambina, e adesso sei una bella ragazza. Chissà, magari Jorge ha ancora quella cotta.» Ridacchia, assieme ad Alvaro. 
Sto iniziando a sentirmi un po’ a disagio. Io non posso stare con un ragazzo. Ho dei limiti.
«Comunque, tornando a quel discorso, non sanno niente. Sia io che Alvaro crediamo che sia compito tuo dirgli quanto è successo, sempre che tu voglia dirglielo.»
«Grazie, apprezzo il vostro silenzio.»
«Certo. Ah, mi ha detto Patty che ogni domenica vai al cimitero. Se non è un problema vorrei accompagnarti io.» Mi dice ancora Cecilia, mentre Alvaro ha gli occhi sulla strada.
«Per me va bene.» Annuisco. «Grazie»
«Di niente, tesoro.» Mi sorride lei.
Arrivati fuori la loro casa, Alvaro parcheggia l’auto in garage. Scendo velocemente, è proprio come me la ricordavo. A destra c’è il garage. Prima dell’ingresso c’è un portico dove, sulla sinistra, ci sono due sedie a dondolo con un tavolino. Il giardino è enorme e sulla sinistra c’è ancora quell’altalena dove io, Jorge e Candelaria giocavamo da bambini. Adesso è un po’ arrugginita a causa del tempo passato e del poco utilizzo.
Guardo oltre il garage e la vedo. La mia casa. Adesso è un po’ rovinata e fuori c’è un cartello con scritto “Vendesi”.
«Martina, vai pure dentro con Cecilia, prendo io le valige.» La voce di Alvaro mi fa distogliere lo sguardo e lo ringrazio mentalmente. Quella casa mi porta brutti ricordi.
Io e Cecilia saliamo i tre gradini e poi lei estrae il mazzo di chiavi dalla borsa. Con un giro nella serratura apre la porta. Jorge e Candelaria sono seduti sulle scale di fronte l’ingresso e stanno chiacchierando tra loro. Appena ci vedono, balzano all’in piedi e Candelaria viene ad abbracciarmi.
«Martina! Che bello rivederti!» Adesso ha dei lunghi capelli rossi leggermente mossi, gli occhi scuri, e poche lentiggini.
«Mi sei mancata, Scoiattolo.» Rido, chiamandola con quel soprannome che le dava tanto fastidio da piccole.
«Ah, te ne ricordi. Sarò cambiata esteticamente, ma continuo ad odiare quel soprannome.»
«È questa la parte divertente!» Rido ancora. «E comunque non sei cambiata per niente.»
«Nemmeno tu. Jorge aveva ragione, sei bellissima.» Dice guardandomi.
Dopo questo commento le mie guance si tingono leggermente di rosso e sposto lo sguardo su Jorge che è stato tutto il tempo accanto alla sorella minore, ma non ha detto niente.
«Nha, non è vero. Lasciala perdere.» Mi dice lui. «Inventa un sacco di sciocchezze.»
«Quindi mi trovi brutta?» Gli chiedo scherzosamente facendo un leggero labbruccio, come quando eravamo piccoli.
«Uuh…» Sento il piccolo commento di Cande.
«No, non ho detto questo! Sei bellissima, davvero.» Alla sua affermazione, arrossisco nuovamente. Perché mi fa quest’effetto?
Cande, invece, ride. «Sai, è divertente vederti imbarazzato!» Gli dà una pacca sulla spalla.
«Non sono in imbarazzo!» Esclama guardandola storto.
Il rumore della porta d’ingresso che si chiude ci fa voltare tutti. Alvaro e Cecilia sono dietro la porta. Ho come l’impressione che siano rimasti lì a guardarci tutto il tempo.
«Io vado a preparare la cena, ragazzi.» Ci comunica Cecilia con gentilezza, prima di entrare in cucina che è alla sua sinistra.
«Martina, porto le tue valige in camera.» Mi dice Alvaro che sposta poi lo sguardo sui suoi figli. «Perché non le fate fare un giro per la casa?» Gli chiede, prima di superarci e salire le scale.
«Ah, sì. Vieni con me, Tini!» Cande mi afferra il braccio, ma Jorge ci blocca.
«No, Cande, tu non dovevi andare a vedere quel programma di gossip? Non vorrei mai che ti perdessi il tuo programma preferito, faccio fare io a Martina il tour della casa.» Le dice in modo altamente strano e indicandole con un cenno il soggiorno sulla nostra sinistra.
La rossa fa scorrere lo sguardo da lui a me velocemente e sembra di aver capito qualcosa da come le si illuminano gli occhi e dal suo tono di voce. «Ah, sì, certo. Come sei altruista, fratellone. Vado subito.» Gli sorride, per poi avviarsi in soggiorno.
«Andiamo?» Mi chiede lui, sorridendo.
«Certo.»
Entriamo in cucina dove Cecilia con un grembiule rosso, è occupata ai fornelli.
«Questa è la cucina.» Mi indica con un gesto teatrale tutta la stanza.
La cucina ha una forma quadrangolare. Al centro c’è un grande tavolo con sei sedie e di fronte ci sono i vari mobili di un colore bianco accesso. Il frigorifero è posto sulla destra ed è argento, mentre tutti gli accessori sono verde mela.
«Quest’odore… Cecilia, non dirmi che…» Sento un odore invitante arrivarmi alle narici.
«Esatto! Carne al curry e yogurt. Spero ti piaccia ancora.»
«Ah, sì. Da bambina adoravo quel piatto.»
«Già, ogni volta che mia madre lo cucinava, arrivavi tu all’improvviso e ne volevi un piatto. Avevi un fiuto incredibile.» Ride Jorge.
«È una delle mie tante qualità.» Mi vanto.
«Sì sì, certo.» Dice alzando gli occhi al cielo.
«Cosa vorresti insinuare, scusami?» Lo guardo rabbiosamente.
«Niente, niente. Andiamo avanti col giro, okay?»
Il mio sguardo si addolcisce e annuisco. Il primo si sposta poi su Cecilia che solo ora scopro ci stava guardando dolcemente. «A dopo, Cecilia»
Entriamo in soggiorno. Cande è sul grande divano beige a guardare la televisione, posta su una grande parete attrezzata. In fondo c’è un camino, alla cui sinistra si trova una grande libreria e una poltrona sempre beige. Accanto a quest’ultima c’è una lampada. A destra c’è una finestra dalla quale si può vedere il quartiere. Sotto alla finestra c’è uno stereo.
«Il soggiorno.» Anche questa volta Jorge mi fa un gesto teatrale per indicarmi la stanza.
Saliamo al piano di sopra. Di fronte la scala c’è la camera dei genitori di Jorge. Svoltiamo a destra e ci troviamo un corridoio. La prima camera in cui entriamo è quella di Cande: la prima sulla sinistra. Sulla destra c’è una scrivania e una libreria, mentre a sinistra c’è il letto. Sulla scrivania c’è una grande bacheca piena di foto, di biglietti scritti a mano, di inviti per feste e molta altra roba. Sul soffitto c’è una lampada con il ventilatore. Il tutto è sui toni del rosso. La stanza accanto a quella di Cande, è quella di Jorge. Questa è sui toni del blu. Al centro della stanza c’è il letto a una piazza e mezza. Sopra di esso c’è una mensola sul quale ci sono due palloni da calcio e una grande trofeo al centro. Ai lati della mensola ci sono due chitarre elettriche appese al muro, uno è rossa e l’altra è blu. Alla destra del letto c’è un comodino accanto al quale è invece poggiata al muro una chitarra classica. Alla sinistra del letto, e quindi di fronte la porta, c’è la scrivania in un completo stato di disordine. Sopra di essa c’è una seconda mensola con altri piccoli trofei e dei modellini di auto.
«Cos’è quel trofeo?» Gli chiedo, indicando quello tra i due palloni.
«L’anno scorso abbiamo vinto il campionato di calcio tra le scuole, e hanno dato il trofeo a me perché sono il capitano.» Afferma, fiero.
«Wow.» Sussurro quasi. «Suoni?» Chiedo facendo riferimento alle chitarre.
«Diciamo che me la cavo.»
«Mi fai sentire qualcosa?» Gli chiedo.
«Magari un’altra volta, okay?» Chiude la porta della sua camera.
«Come vuoi.» Faccio spallucce.
In fondo al corridoio c’è il bagno e, di fronte alla camera di Jorge c’è quella degli ospiti.
«Questa è la tua nuova camera.» Mi dice Jorge aprendo quella degli ospiti.
La disposizione delle cose è come quella della camera di Jorge, ma è tutto sui toni del beige, un colore neutro.
«È un po’ spoglia.»
«Già, ma adesso la puoi rendere come più ti piace. La mamma ha detto che possiamo anche dipingere le pareti se vuoi. È tua.»
«Grazie.» Gli sorrido, entrando in camera e lui mi segue.
«Ricordi quando eravamo piccoli e ci mettevamo in questa camera fingendo di essere sposati?»
«Come dimenticarlo? La bambola Stella era nostra figlia.» Rido, ricordando. «Chissà che fine ha fatto quel bambolotto.» Scuoto la testa.
«Aspetta qui.» Mi dice Jorge prima di andarsene e tornare dopo due minuti. «Eccolo, l’ho trovato.» Allunga il braccio, dandomi proprio il mio bambolotto. Indossa ancora quel vestito che gli cucì la mamma.
«Ma come…?» Non capisco come possa averlo lui.

«L’hai lasciato qui prima di andartene. E l’ho conservato con l’intenzione di ridartelo un giorno. Quindi, eccolo qui.» Alza le spalle, rispondendo alla mia domanda inespressa.
«L’hai conservata tutto questo tempo?»
Alza nuovamente le spalle.
Gli sorrido. È stato un pensiero davvero carino. Poggio il bambolotto sul letto.
«Prima Cande ti ha salutato abbracciandoti, e io non ne ho avuto la possibilità… Quindi, be’, ecco…» È diventato all’improvviso nervoso. «Posso abbracciarti adesso? Per darti il benvenuto o, meglio, il bentornato.» Allarga le braccia, un po’ titubante.
Deglutisco. È solo Jorge. Mi fido di lui. Più volte mi ha toccato o sfiorato e non mi ha terrorizzato come di solito accade con gli altri ragazzi. Probabilmente perché lo conosco da tanto. Non mi farebbe mai del male, giusto?
«Certo che puoi.» Gli sorrido, anche se non del tutto convinta.
Il suo sorriso dapprima accennato, adesso si allarga e mi si avvicina avvolgendomi con le sue forti braccia, mentre io gli avvolgo il collo.
«È bello riaverti qui.» Mi sussurra tra i capelli.

 

*Angolo autrice*
Ehi ehi eeeehi! Ed eccolo qui, il secondo capitolo di questo bella storiella che, per fortuna, sta avendo "successo", se così si può dire. Eh, sì, sono una sfigatella che aggiorna di sabato sera, ma non credo che a voi abbia dato fastidio il fatto che abbi aggiornato, giusto? No, okay, la smetto di "vantarmi". E me ne vado. Sì, perché da ottima sfigata sto gardando C'è posta per te, non posso tradire la mia Maria ahahahah Tanti besooos e al prossimo capitolo!! 

 

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Capitolo 3
*** III. Aspettare ***


 

Alle 7:00 suona la sveglia. Allungo il braccio verso il comodino e, dopo vari tentativi, riesco a spegnerla. Apro lentamente gli occhi. Non è la camera dell’orfanotrofio. Poi ricordo tutto: sono stata adottata e questa è la mia nuova camera. Mi alzo dal letto e lo rifaccio, per poi uscire dalla camera, portando con me i vestiti. Busso alla porta del bagno, nessuno risponde. È libero. Mi fiondo dentro e mi faccio una doccia calda per poi cambiarmi. Indosso un jeans scuro, le mie all star bianche e un maglioncino blu. Mi trucco e mi sistemo i capelli, legandoli in un codino, lasciando furori il ciuffo. Scendo al piano di sotto e trovo tutta la famiglia a fare colazione in cucina. Appena entro smettono di parlare.
«Buongiorno.» Sorrido a tutti.
«Buongiorno.» Mi rispondono in coro.
«Di che parlavate?» Chiedo sedendomi al mio nuovo posto di fronte a Jorge.
«Niente di importante.» Mi risponde quest’ultimo.
«Non ci posso credere.» Dico scuotendo la testa e guardando il ragazzo di fronte a me.
«Cosa?» Mi chiede alzando lo sguardo.
«Il lupo perde il pelo ma non il vizio.» detto questo prendo la tazza piena di cereali che ha davanti e inizio a mangiare.
Quando eravamo bambini, e il sabato rimanevo a dormire dai Blanco, il mattino dopo Jorge faceva colazione sempre con la mia tazza e coi miei cereali. È sempre stato snervante.
«Jorge, quei cereali sono per Martina.» Lo rimprovera la madre.
«Ecco, diglielo, Cecilia.» Dico prima di mettere un cucchiaio di cereali in bocca.
«Scusa…» Mi dice, sorridendo e prendendo una fetta di pan carré. Cosa sorridi?
Dopo colazione, io, Jorge e Candelaria usciamo per andare a scuola. Primo giorno nella nuova classe. Starò in classe con Cande, la III B, ed utilizzerò i suoi libri. Siamo entrambe al terzo anno, mentre Jorge è di quinta, V D.
«Pronta per il primo giorno?» Mi chiede eccitata la rossa, allacciandosi al mio braccio sinistro.
Annuisco sorridendo.
Arrivati a scuola, Jorge ci saluta andando non so dove, probabilmente verso il suo gruppo di amici, mentre io e Cande preferiamo entrare a scuola e prendere posto nella classe ancora vuota.
«Allora, adesso ti racconto un po’ di pettegolezzi, ti va?» Mi chiede voltandosi verso il mio banco.
«D’accordo.»
«Devi sapere che in questa scuola Jorge è molto popolare. Ovvio, è il capitano della squadra di calcio. Lui e il suo migliore amico, Ruggero, vengono considerati i più “fighi”, ma anche tutta la squadra di calcio è molto quotata. Jorge è però il più popolare. Molte ragazze gli vanno dietro, ma lui non le considera molto. Anche se, come ogni ragazzo di diciassette anni, si diverte. Magari il sabato sera, o la domenica.»
Ho già capito cosa intende con “si diverte”. Mi dà un leggero fastidio. Non perché io sia gelosa o qualcosa del genere, ma perché i ragazzi così non mi sono mai piaciuti.
«Okay, va avanti.»
«Bene! Persone dalla quale devi stare alla larga? Alicia Lopez. È il capitano delle cheerleaders ed è veramente odiosa. Una poco di buono, per intenderci.»
«E tu?» Le chiedo.
«Be’, io sono la sorella del più popolare della scuola, quindi sono molto conosciuta, ma sinceramente preferisco stare con il mio gruppo.»
«Gruppo?»
«Ah, sì! Lodovica, Alba e Facundo sono i miei migliori amici, sono in questa classe. Sono sicura ti piaceranno. Alba e Facu stanno insieme da qualche settimana, dovresti vedere come sono carini. Invece Lodovica è cotta di Diego, un amico di Jorge che fa parte della squadra.»
«E a te non piace nessuno?»
Fa una leggera risatina. «No, nessuno. Anche se ammetto che c’è chi mi viene dietro e non sono pochi. Ci credo, una bella ragazza come me.» Si vanta.
«Scommetto che tutti sono attratti dalla tua modestia.» Detto questo scoppiamo a ridere.
Suona la campanella e i ragazzi iniziano ed entrare in classe, chi in gruppo e chi da solo.
«Eccoli!» Urla quasi Cande, mentre sventola una mano per farsi vedere da non so chi.
Tre ragazzi ci si avvicinano. L’unico ragazzo è un po’ basso, ha i capelli ricci coperti da un berretto ed è mano a mano con una ragazza mora che immagino sia Alba. Anche l’altra ragazza ha i capelli scuri e porta un cerchietto.
«Ragazzi, lei è Martina. Ve ne ho già parlato. Martina, loro sono Facu, Alba e Lodo.» Ci presenta Cande.
«Molto piacere.» Sorrido a tutti.
«Ordine! Ordine!» Una professoressa entra in classe, e i ragazzi sono costretti a sistemarsi.  «Ragazzi, da oggi avrete una nuova compagna, Martina. Fate in modo che si trovi bene.» Sorride. Sembra essere molto solare. Ha lunghi capelli biondi e gli occhi verdi. È magra e slanciata. Sembra quasi una modella.
«Martina, io sono la professoressa Saramego, ma puoi pure chiamarmi Angie, e insegno storia e geografia.» Io sorrido.
«Molto piacere.»
 
Al termine della quarta ora mi alzo dal mio posto e dopo aver lentamente riordinato la mia roba nello zaino, esco dall’aula. La giornata è trascorsa bene. Ho conosciuto il professore di matematica e scienze, Gregorio –che avrebbe bisogno di almeno due camomille al giorno secondo il mio parere- e quello di spagnolo, Pablo. Appena varcata la soglia della mia aula per raggiungere gli altri, un ragazzo con un alto ciuffo nero mi si avvicina.
«Tu sei la nuova, quindi.» Mi sorride avvicinandosi. Il suo sorriso non è per niente accogliente. Mi pare di averlo visto seduto in aula da qualche parte, ma non ha parlato molto durante le ore.
«Ehm…» le parole non mi escono da bocca. Questo ragazzo mi mette i brividi.
«Io sono Damien, molto piacere» detto questo, mi prende con forza la mano destra e me la stringe. Con la coda dell’occhio vedo Cande, Jorge e gli altri tre parlare tranquillamente.
«Mar-Martina»
«Toglile quelle mani di dosso, Damien!» Jorge mi si avvicina e mi allontana dal bruno.
«Jorge, qual cattivo vento ti porta qui?» Gli chiede Damien con un sorriso beffardo.
«Sta lontano da lei o te la vedrai con me, mi hai capito bene?» ha la mascella tesa e lo sguardo infuocato. È terribilmente bello.
«Certo, certo…» Si allontana ma ho la sensazione che non seguirà il “consiglio” di Jorge. Quest’ultimo si volta verso di me. Sembra essere arrabbiato, ma il suo sguardo si addolcisce quando incontra il mio.
«Non parlare con quello lì. È un idiota che si crede dio sceso in terra. È un imbecille. Non guardarlo nemmeno. Mi hai capito?»
«Okay.» Annuisco, un po’ incerta.
«Dai, andiamo.» Mi affianca per poi attorcigliarmi la vita con il braccio destro. Sono molto più tranquilla così.
 
La mensa è molto grande. Ha i tavoli rossi e le sedie rosse e bianche, i colori della scuola. C’è una grande vastità di cibo, ma molti piatti non sembrano essere molto buoni, tutt’altro.
Sono seduta al tavolo con Jorge, Cande e gli amici della rossa. Quest’ultima mi ha informato però che di solito Jorge non siede con loro, oggi è qualcosa di eccezionale.
«Tini, cosa ne pensi della nuova scuola?» mi chiede la bruna, che ricordo essere Lodo, dopo aver ingoiato un po’ della sua insalata.
«Mi piace molto e i professori sono molto bravi, a parte Gregorio, è odioso.» rispondo.
«Ah, concordo. L’ho avuto per tre anni e io e i miei compagni gli abbiamo fatto i peggiori scherzi.» ride Jorge.
«Sì, ricordo quando l’anno scorso gli avete ricoperto l’auto di carta igienica. Ammetto che in quel caso mi ha fatto un po’ pietà.» dice Cande.
«Quell’uomo non merita pietà. Non merita niente.» Ribatte lui. «Fortuna che quest’anno abbiamo cambiato e abbiamo la Camarena. Molto meglio, anche perché lei ha cose che Casal non ha, se capite che intendo.»
«Avrei preferito non aver capito.» concordo pienamente con Lodo.
«Sei proprio squallido, fratello.» Lo riprende Cande.
«Ah, voi non capite. Vero, Facu?» cerca un appoggio.
«Mi dispiace, Jorge, ma questa volta non posso proprio appoggiarti. Perché non provi a smetterla coi giochetti e a trovare una ragazza seria come ho fatto io?» gli chiede prima di sorridere a Alba.
«Ma se vuoi proprio saperlo, il mio fratellino è innamorato.» ridacchia la rossa.
«Cosa? No, non ascoltatela. Sta delirando.» dice Jorge prima di una risatina nervosa e di un’occhiata omicida alla sorella.
«Andiamo, Jorge, non c’è niente di male.» gli dice Alba.
«Già, è normale innamorarsi.» continua Lodo.
Ammetto che mi fa un po’ strano parlare con qualcuno che non siano Patty, Lily o i bambini dell’orfanotrofio. A scuola sono sempre stata sulle mie. Non ho mai avuto un amico se non alle elementari. Mi sento un po’ a disagio, fuori posto. Ma, d’altro canto, io sono sempre fuori posto.
«Chi è la fortunata, eh?» Lo punzecchia Facu.
«Nessuno.» risponde Jorge, alquanto infastidito. «Con voi non si può parlare.» detto questo, prende la sua roba e si allontana.
«Che ho detto?» si chiede Facu.
«Ah, non è colpa tua, Facu. Mio fratello è fatto così.»
 
Dopo pranzo, abbiamo avuto altre due ore di scuola nelle quali ho conosciuto il professore Roberto –alquanto bizzarro-, detto Beto, che insegna latino, e il professore d’arte Antonio.
«Martina, che ne dici di andare al centro commerciale oggi? Potremmo comprare qualcosa per la tua nuova camera.» Mi propone Cande.
Stiamo tornando a casa.
«Non so, non ho molti soldi…» sono molto imbarazzata.
«Non hai bisogno di soldi, li chiederemo a mia madre.»
«Cosa? No, non se ne parla.»
«Perché no? Siamo la tua famiglia adesso e i soldi sono anche i tuoi.»
Loro sono la mia famiglia.
«E va bene, mi hai convinto.»
«Fantastico! Andiamo!» Mi prende per mano per poi iniziare a correre. Non riuscirò mai a stare dietro a questa ragazza, è una forza della natura.
Una volta al centro commerciale, io e Cande ci siamo divertite un sacco a comprare peluche, una targa con il mio nome da appendere alla porta, come lo hanno lei e Jorge, un libro –Una ragione per amare- che leggerò poi, e altre piccole cose come scatole, portapenne, e altro. Mi vergogno quasi per quanto abbiamo speso per cose futili. Alla fine, quando stavamo per andare via, Cande mi ha letteralmente trascinato in un negozio di vestiti. Si può dire che mi sono completamente rifatta il guardaroba. Cande mi guardava male per ogni capo che prendevo, ma sono riuscita a convincerla, in “cambio” però ho dovuto comprare anche un vestito nero e un paio di tacchi che non metterò mai. Fantastico.
«Quel vestito ti sta un incanto, davvero. Mi ringrazierai un giorno.» Mi dice lei aprendo la porta di casa.
«Convinta tu, Scoiattolo.» Ridacchio.
«Per la milionesima volta, non chiamarmi così!» Esclama, facendomi ridere.
Entrate in casa, nel salotto troviamo Jorge ed altri due ragazzi. Stanno giocando alla play, e dalle esclamazioni non molto pulite di Jorge, capisco che è lui quello che sta perdendo.
«Buonasera!» Afferma Cande, mentre io mi limito a un cenno con la testa.
«Buonasera.» dice Jorge senza staccare gli occhi dalla televisione. Il gioco viene messo in pausa da non so chi precisamente. «Ehi!» Protesta, guardando il ragazzo dai capelli neri che si è appena alzato.
«Quindi sei tu la nuova Blanco.» Mi dice avvicinandosi. «Io sono Diego, molto piacere.» Tende il braccio per darmi la mano. Sono titubante nel prenderla. Non voglio stare a contatto con nessun ragazzo, se non Jorge.
«Martina.» Mi presento mentre Diego, capendo che non prenderò la sua mano, rilassa il braccio.
«Sei la ragazza di cui Jorge parla in continuazione! Piacere, Ruggero.» L’altro ragazzo, quello che era a terra, si avvicina presentandosi. Lui è il migliore amico di Jorge, da quanto detto da Cande. “Jorge parla in continuazione”. Perché sono così interessata dal sapere se sta dicendo la verità o meno?
«Ruggero, non dire cazzate!» Lo riprende Jorge dal divano che intanto ha ripreso a giocare.
«Scusa!» Urla il castano. «È vero!» Mi sussurra poi. Arrossisco. «Sai, Jorge, hai ragione. È davvero adorabile.» Afferma guardandomi sorridendo. Avrà notate il rossore sulle guance. Che imbarazzo, Dio.
«Okay, noi andiamo di sopra.» Cande ferma il bel quadretto e io la ringrazio mentalmente.
 
Prima di andare a dormire, esco fuori al giardino e mi stendo su una delle sedie a sdraio. Mi è sempre piaciuto stare a guardare il cielo. All’orfanotrofio mi affacciavo sempre dalla finestra e stavo lì a guardare per ore, senza un motivo, solo perché mi piaceva. Solo che qui è molto meglio, anche perché si possono vedere le stelle, dato che la villa enorme dei Blanco è situata in un posto non molto affollato.
«Ehi» Jorge si siede sulla sdraio accanto a me.
«Ehi» rispondo, senza però guardarlo, ma continuando ad ammirare il cielo.
«Che fai qui?»
«Guardo il cielo.» Lo informo.
«Uh, interessante.» Ridacchia stendendosi.
«No, è rilassante.» Spiego. «TI sei mai chiesto cosa c’è fuori il nostro mondo? Se guardi il cielo, quello che c’è fuori ti sembra rilassante, molto meglio di tutto il caos che c’è qui.»
«A che caos ti riferisci?» Cerca di capire. Ma non può. Lui non sa, e non deve sapere.
«Parlo in generale.» Invento.
«Secondo me no.» Dice, rimettendosi seduto e ruotando il busto dalla mia parte, in modo da guardarmi.
«No, cosa?»
«Non stai parlando in generale. Oggi ho notato qualcosa nei tuoi atteggiamenti. Con Damien, con Diego e Ruggero e anche con me quando ci siamo rincontrati. Con tutti noi ragazzi, sembra che hai quasi… paura.» Lo dice molto con tono molto basso, come se avesse paura di parlarne o di interferire.
«No, non è vero.»
«Hai una storia da raccontare, e io voglio ascoltarla.»
«E se io non volessi parlartene?»
«Allora aspetterò.»
«Non puoi aspettare per sempre.»
«E chi te lo dice? Posso aspettare tutto il tempo di cui hai bisogno. Aspetto sempre per le cose che mi interessano. E a me interessi tu.»
Il cuore mi batte all’impazzata. Devo andarmene prima che mi esca dal petto.
«Buonanotte, Jorge.» Mi alzo.
«Buonanotte, Martina.» E sarà davvero una buonanotte se è lui ad augurarmela.

 

*Angolo autrice*
Ehi eehi eeeehi! come va, chicos? A me tutto bene, un'altra settimana scolastica è passata, aw. Sapete che mancano solo dieci settimane alla fine dell'anno scolasticoo? Aiuuut. No, okay, parliamo del capitolo. Qui, diciamo, che stiamo entrando nel vivo della storia. Tini sarà in classe con Cande, mentre Jorge, essendo più grande di loro di poco più un anno, è invece di quinta. Conosciamo il primo "cattivo", se così si può dire, della storia: Damien. Ma vi assicuro che non porterà problemi. Non voglio che sia una di quelle solite storie dove ci sono i due innamorati e quello "cattivo" che rovina tutto, ma, diciamocelo, un bullo ci deve essere ahahahah Poi viene nominata Alcia, ma di lei non mi interessa parlarne, quindi andiamo avanti lalalala. Lodo, Alba, Facu, Diego e Ruggero sono gli amici dei nostri protagonisti aw Muoro. I Falba vincono tuuuttto. Ma la cosa che mi interessa sapere da voi è: vi è piaciuta la scena Jortini? Io l'ho trovata fjsancioadshncl e la frase finale? fcshanincajrjfca anche quella. Okay, mi sto dilungando troooppo. Quindi, al prossimo capitolo, tanti besooos. 

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Capitolo 4
*** IV. Momenti no. ***


L’aria è fredda. Nemmeno uno spiraglio di luce in questo buio. Sono sola. Mi giro attorno, cercando qualcuno o qualcosa, non lo so precisamente. Sono confusa. «Argh» Una specie di ringhio alle mie spalle. Mi volto velocemente. Mi si gela il sangue ancor più. Un uomo, nel buio. Dalla sagoma capisco che ha qualcosa tra le mani e riconosco una lama affilata. Corro nel vuoto, cercando una via di fuga, ma l’uomo è sempre più vicino. A causa della vicinanza riconosco il suo volto. Mio padre. O almeno l’uomo che credevo fosse mio padre. Non lo è più, forse non lo è mai stato. Si avvicina ancora. Occhi scavati, labbra aperte, viso pallido. Sembra un mostro, per molti lo è davvero, per me lo è davvero. Sono immobile, a pochi passi da lui. Mi prende per le braccia, attaccate al corpo, mi stringe. Urlo.
 
«Martina! Martina, svegliati!»
Apro gli occhi. Sono sudata. Il respiro affannato. Era solo un incubo. Mi metto seduta, cercando di far tornare il respiro a un ritmo regolare. Alzo di poco lo sguardo. Jorge è seduto accanto a me, sul letto, è stato lui a svegliarmi con tono allarmato. Il suo volto è preoccupato, ha i capelli scombinati, si sarà svegliato da poco. Ci sono anche Cande, Cecilia e Alvaro in stanza. Hanno la stessa espressione.
«Tutto bene?» Mi chiede Cecilia, avvicinandosi.
«Sì, era solo un incubo.» Mi affretto a rispondere, guardando la mano sinistra di Jorge che è sulla mia coscia destra. Non è fastidioso, sembra che voglia proteggermi. È una bella sensazione.
Jorge si volta verso sua madre, e lei annuisce avendo colto non so che cosa nello sguardo del figlio. Cecilia si affretta ad uscire insieme ad Alvaro e Cande, mentre Jorge è ancora vicino a me, nella stessa identica posizione.
«Io… vi ho svegliati?» Chiedo anche se conosco già la risposta.
«Credo che le tue urla abbiano svegliato tutto il vicinato.» Mi risponde lui, iniziando ad accarezzarmi la coscia lentamente, ma senza malizia, lo fa come per tranquillizzarmi.
«Mi dispiace. Non volevo.»
«Non è colpa tua. Però vorrei sapere cosa hai sognato.»
«Non ricordo, Jorge. È stato solo un incubo.»
«Hai urlato come se qualcuno ti stesse uccidendo nel sonno…» non proprio sbagliato. «Non puoi non ricordarlo.»
«È così.» Sono molto taciturna. Mi vergogno. E ho paura. Ma non di Jorge. Di tutto il resto. Di tutti gli altri. Di quell’uomo.
«Vuoi che resti qui fino a quando non ti addormenti?» Mi chiede, premuroso. Deglutisco. Davvero riuscirei a dormire con lui? A stento riesco a mantenere una conversazione di due minuti con un ragazzo. Ma con Jorge è diverso. Lui non è un ragazzo qualunque. È quel bambino che ho conosciuto quando avevo sette anni, molto timido. Che se ne stava per fatti propri, quel bambino con cui giocavo ogni pomeriggio, con cui mi divertivo, che quando ero triste sapeva riportarmi il sorriso anche con solo un abbraccio. È quell’unico ragazzo di cui mi fido, nonostante gli anni passati.
«Si, va bene.» Annuisco lievemente.
Vedo come un lampo nei suoi occhi, seguito da un sorriso accennato. Fa pressione sul ginocchio destro, e poggia il sinistro dall’altra parte del mio corpo. Mi sovrasta con la sua figura e sono esattamente sotto di lui. Sembra una posizione ambigua. Alza il ginocchio destro e si butta sull’altra parte, così che è alla mia destra.
«Non c’era bisogno di fare quest’acrobazia, potevo benissimo spostarmi.» Gli dico, voltando il volto verso di lui. I nostri nasi quasi si sfiorano. Non sono mai stata così vicino ad un ragazzo.
«Sarebbe stato meno divertente.» Mi sorride, facendo spuntare quelle adorabili fossette. È così bello visto così da vicino.
Mi metto sul fianco sinistro e lui fa lo stesso, avvolgendo il suo braccio attorno alla mia vita.
«Ti va bene se sto così? È comodo.» Mi chiede, premuroso, facendomi scappare una risatina.
«Si, va bene.» Annuisco. «Buonanotte per la seconda volta, Jorge.»
«Buonanotte, Martina.»
E oggi, dopo tanto tempo, mi sento protetta, tra le sue braccia.
 
Quando mi sveglio la mattina dopo, Jorge non è accanto a me. Se ne sarà andato quando mi sono addormentata, come avevamo deciso. Posso dire che, a parte l’incubo, stanotte ho dormito bene. Non mi sentivo così tranquilla, si può dire, da cinque anni. Prendo dalla sedia i vestiti che avevo preparato la sera prima: dei jeans scuri stretti molto semplici, una maglia a lunghe maniche stretta bordeaux con il simbolo della Chanel sopra e delle Vans dello stesso colore. Insomma, tutti acquisti che ho fatto ieri con Cande. Mi reco in bagno, e dopo essermi sistemata, scendo di sotto per la colazione.
Dopo aver salutato tutti, mi siedo al mio posto.
«Scusami…» Prendo la tazza da sotto al naso di Jorge, che sorride, di nuovo. Mi volto accigliata verso Cande, e noto che anche lei ha un sorriso sotto i baffi.  Che avranno da ridere forse non lo capirò mai.
«Sei riuscita a dormire poi, Martina?» Mi chiede Cecilia.
«Sì, grazie. E scusate ancora se vi ho svegliati.»
«Nha, non preoccuparti.» Mi dice Cande, sorridendomi rassicurante.
«Ah, Martina, ho una cosa per te!» Alvaro si alza frettolosamente per poi uscire dalla stanza e rientrare dopo pochi minuti con un pacchetto tra le mani. «Sai che lavoro per un’azienda di elettronica, giusto?» Annuisco. «Bene, ho preso questo per te.» Dopo essersi riseduto, mi porge il pacchetto.
Lo scruto per bene. Non sono più abituata a ricevere regali. Il massimo in questi ultimi anni è stato qualcosa da parte di Patty a Natale come una maglia o un paio di scarpe. Apro il pacchetto. È uno di quegli aggeggi che hanno tutti oggi, ma che io non ho mai avuto. Un tempo utilizzavo quello di mia madre per giocare, ma era molto meno bello di questo. È un cellulare. Un i-phone 6 a quanto detto dalla scatola.
«Cosa? Hai avuto un cellulare migliore del mio? Questo è l’ultimo modello!» Urla quasi Cande. «Papà!» Protesta, guardando in cagnesco suo padre.
«Mi dispiace, tesoro, ma è l’unico che hanno voluto darmi e a Martina serve un cellulare così potremo sempre stare a contatto con lei.» Le spiega, e Cande sembra calmarsi, ma comunque ha ancora quel lieve broncio sulle labbra. «Martina, ho già memorizzato i numeri di tutti noi e ti ho istallato le applicazioni più importanti, poi tu deciderai il resto.»
«Oh, io non so che dire… Grazie.»
«Di niente, tesoro» Mi sorride Alvaro prima di riprendere la sua colazione.
Apro la scatola e prendo il mio nuovo telefono. È molto più leggero di come mi aspettassi. È bianco con la parte dietro –che non so bene come si chiami- dorata. È davvero stupendo da un punto di vista estetico.
«Ehm, come si accende?» Chiedo imbarazzata, facendo ridere la mia famiglia.
«Dai qua!» Cande mi prende il telefono dalle mani e mi indica un pulsante. «Tieni premuto per qualche istante questo.» Mi spiega e dopo poco lo schermo si illumina.
«Davvero non hai mai avuto un cellulare?» Interviene Jorge.
«Quello che esce dall’uovo di Pasqua vale?» Chiedo speranzosa e lui scuote la testa con un lieve sorriso. «Allora no, non l’ho mai avuto.» rispondo.
Il resto della colazione lo passo ascoltando le quasi noiose spiegazioni di Cande sull’uso del cellulare. Mi scarica un’applicazione per fare foto, mi crea un profilo Facebook –social network-, uno Instagram –social network di foto- e anche uno Ask –social network di domande-, cose che sono sicura non userò mai, ma non si può mai sapere. Mette come sfondo una fantasia di nuvole colorate e un PIN, che fa decidere a me, per sbloccare il telefono. Mi salva inoltre i numeri di Lodo, Alba e Facu, mentre Jorge mi salva quelli di Diego e Ruggero.
«Che ne dici di una foto per commemorarlo?» Mi chiede la rossa, eccitata.
«Mh, okay.» Annuisco leggermente.
«Bene! Mettiti in posa!» Detto questo, apre la fotocamera interna del cellulare e alza il braccio, poi scatta la foto.
 

 
Dopo un estenuante pomeriggio sui libri e una cena abbondante, è arrivato finalmente il mio momento preferito della giornata. Esco fuori al giardino e mi siedo sulla stessa sdraio di ieri. Decido di prendere il cellulare, dovrei abituarmi ad usarlo. Lo sblocco e apro Whatsapp per vedere se ho nuovi messaggi, ovviamente no. Apro la lista dei contatti. Il primo è quello di Alba che ha come immagine del profilo una foto sua, di Lodo e Cande, hanno dei frullati tra le mani e sono tutte e tre molto sorridenti. Diego ha una sua foto in bianco e nero, ammetto che è davvero molto bello. Facu ha invece una foto sua e di Alba che si tengono per mano, è molto dolce. Jorge ha una foto con Cande e Ruggero. La curiosità mi colpisce e apro il suo profilo per vedere il suo stato che, come Cande mi ha spiegato, puoi cambiare quando vuoi e scrivere ciò che vuoi. Dovrei metterne uno anche io. Leggo attentamente le poche righe che seguono la parola “Stato”: «Potrei perdere la memoria mille volte, ed io per altre mille volte mi rinnamorerei di te.». Okay, il che significa che ciò che ha detto Cande in mensa ieri è vero: Jorge è innamorato. Di chi? Bella domanda. Ammetto che sono curiosa. Lo sono sempre stata. E almeno questo del mio carattere non è cambiato. Chiudo il profilo di Jorge e vado nelle impostazioni per cambiare il mio stato. Dopo qualche minuto mi viene in mente una frase riferita a mia madre: «Mi manca e non posso farci nulla. Può solo mancarmi e basta.» Sì, questo va bene. Blocco il telefono e lo poggio sulla sdraio. Poi mi metto a guardare il cielo. Nonostante sia inverno, qui a Buenos Aires non fa molto freddo, si sta bene anche solo con una felpa, e il cielo è tempestato di stelle. Mentre sono impegnata ad osservare le costellazioni, sento un rumore alla mia destra. Volto il viso. È Jorge. Ma non parla. Guarda il cielo, e decido di seguirlo.
«Quella è la costellazione dell’unicorno!» Indica un punto a caso nel cielo e mi fa ridere per la sua faccia convinta.
«Non esiste la costellazione dell’unicorno.» Gli spiego, tranquilla.
«Uff, come sei noiosa.» Borbotta abbassando il braccio e in un qualche modo mi ha ferita.
«Sì, lo so.» Sussurro appena.
«Ehi, stavo scherzando. Non prendermi sul serio. Dico un sacco di cose senza pensare.»
«Ti capita mai di vedere gli altri vivere e tu seduto su una panchina che osservi?» Gli chiedo, lasciando perdere ciò che ha detto.
«Mh, sì, a volte mi succede. Sai, tutti hanno quei momenti no dove si sentono tristi senza un motivo e nei miei momenti no, mi piace stare da solo. A guardare. Posso guardare gli altri, posso guardare il cielo o per terra, posso guardare un animale o semplicemente posso guardare nel vuoto, ma posso dirti che mi capita spesso.» Dice. «Perché?» Mi chiede voltandosi verso di me.
«La mia vita sembra un lungo momento no allora.»
«Che vuoi dire?» Chiede, accigliato.
«Che non so che farmene della mia vita. A volte mi chiedo perché io sia nata.» Resta zitto, si aspetta che continui, ma dalla sua espressione capisco che sta cercando di capire il perché delle mie parole. «Sì, perché io nella mia vita, se vogliamo chiamarla così, ho soltanto sofferto. E allora mi chiedo, con tutto questo dolore, vale la pena di vivere?»  Continuo a guardare il cielo e solo sulla domanda decido di voltarmi verso di lui.
«”Perché essere triste per un solo motivo quando ce ne sono altri cento per essere felice?” Ricordi questa frase?»
«Sì, la ricordo. Ma non la penso più così.»
«Quando ci siamo conosciuti.» Inizia a raccontare, ignorando la mia affermazione. «Ero nel mio giardino a piangere perché avevo litigato con mia sorella. Tu eri nel tuo giardino, mi hai visto e sei venuta da me. E mi hai chiesto se ero triste. Io ti ho risposto di sì e allora tu mi hai detto quella frase. E allora io oggi ti chiedo: perché essere triste per un solo motivo quando ce ne sono altri cento per essere felice?» Il suo tono è calmo. Mi tranquillizza. È come se la sua voce fosse come un calmante. Potrebbe farmi dei complimenti o insultarmi, non importerebbe.
«Avevo solo sette anni, Jorge. E dicevo quella frase solo perché mia madre me la ripeteva in continuazione. E, comunque, a quei tempi avevo dei motivi per essere felice, ora non ne sono più così tanti.» Si alza di scatto e porta le gambe al lato della sdraio, in modo da voltarsi con tutto il corpo verso di me.
«Oh, sì che ne hai. Puoi essere felice perché mia madre ieri sera ha fatto il tuo piatto preferito. Puoi essere felice perché hai un telefono nuovo. Puoi essere felice perché hai un armadio completamente nuovo. Puoi essere felice perché hai dei nuovi amici. Puoi essere felice perché ti hanno adottata. Puoi essere felice perché hai una nuova famiglia. Puoi essere felice perché hai me, e mi hai sempre avuto.»
Deglutisco. Non so che rispondere. Mi ha letteralmente tolto le parole di bocca. E poi, quella frase. “Hai me, e mi hai sempre avuto” cosa vuol dire?
«Sai,» vedendo il mio stare zitta, Jorge riprende a parlare. «credo di essermi innamorato di te proprio il giorno in cui mi dicesti quella frase. Forse un tempo non capivo che era amore. Ma adesso sì.»
Innamorato” “Innamorato di te” “amore” Il mio cervello sta cercando di collegare il tutto. Sono confusa e non capisco. Non capisco ciò che mi sta dicendo. Non capisco lui. Come siamo arrivati a parlare di questo? Non stavamo parlando degli unicorni?
«C-cosa?» È l’unica cosa che mi esce di bocca.
«Sì, credo di amarti da allora. E dopo tanto tempo ti amo ancora. Ma tu sei occupata a vedere gli altri vivere, giusto?» Mi chiede con un sorriso amaro, guardando in basso e scuotendo di poco la testa. Non ci sto capendo niente. Sbaglio o mi ha appena detto di amarmi? Ma allo stesso tempo mi sta dicendo che dovrei farmi una vita… O lo ha detto per scherzare? Ma poi come fa ad amarmi se mi conosce appena?
«J-Jorge, io…» Balbetto ancora. Non so che dire.
«No, lascia perdere. Scusa. Dimentica ciò che ti ho detto. Buonanotte, Martina.» Cosa? Si alza e si avvia verso casa.
Non credo che la mia testa riesca a stare al passo con quel ragazzo. Era dolce, antipatico, scettico, e presuntuoso allo stesso tempo. Ma se quello che ha detto fosse vero, io che farei? Non credo di amarlo, no. Certo che no. Ma ammetto che qualcosa per lui c’è. È l’unico di cui riesco a fidarmi e da cui mi faccio avvicinare. Ma non potrei mai stare con lui, o con chiunque altro. Ho dei limiti, delle paure che non voglio affrontare. Non potrei essere più confusa.
 
Mi sveglio di soprassalto per la seconda volta durante la notte. La mia camera è buia, il che significa che ancora una volta sono riuscita a non urlare anche se, in realtà, non è una cosa che riesco a controllare. Prendo il telefono, per farmi ritornare il sonno, apro Facebook, ma la home è noiosa: non ho molti amici e adesso stanno tutti dormendo. Quindi apro Whatsapp. Aprendo la chat con Jorge, noto che è online. Strano, sono le tre di notte.
«Non dormi?» Gli scrivo.
La risposta arriva poco dopo. «Potrei farti la stessa domanda.»
«Incubi.» Scrivo semplicemente.
«Credo di non riuscire a dormire per i sensi di colpa. Mi dispiace per stasera.» Non so dire se è sincero o meno.
«Non fa niente, Jorge.»
«Però ciò che ti ho detto è vero.»  Poco dopo mi arriva un altro messaggio. «Dannazione, non avrei voluto che lo sapessi così.» «So che non provi lo stesso, e so che odi i ragazzi per un motivo a me sconosciuto, ma voglio dimostrarti che non avresti timori con me.» Cosa? «Dio, ci conosciamo da tanto, ma da così poco.» Arriva un altro messaggio. «Sono patetico.» «E mi sto rendendo ridicolo.» «Scusa, di nuovo» Dopo l’ultimo messaggio la scritta “Online” si trasforma in un “Ultimo accesso alle 2:58” Blocco il telefono per poi posarlo sul comodino. Esco di fretta dalla stanza e faccio pochi passi verso la porta di Jorge. Sorrido trionfante notando che non è chiusa a chiave. Entro. Jorge è di spalle, ma si volta di scatto sentendo il rumore della porta.
«Che ci fai qui?» Mi chiede, ha gli occhi un po’ lucidi, ma se li asciuga subito. Ha pianto?
«Ecco, io…» E adesso? In realtà non so nemmeno io perché l’ho fatto. Ho agito di istinto e basta. «Non riuscivo a dormire… per, sì, per gli incubi. E, dato che ieri, con te, sono riuscita a dormire, pensavo che…»  Sì, la scusa funziona, ma sono negata nel dire bugie.
Si sposta e alza le coperte.
«Vieni qui.» Mi fa un cenno con la testa e indica con la mano il poco spazio avanti a lui.
Mi stendo e lui avvolge entrambi nella coperta, sono completamente avvolta dal suo corpo.
«Grazie.»
«Di niente.»
E mi addormento con la sua voce che mi sussurra: «Vorrei addormentarmi ogni notte con te accanto.»

 


*Angolo autrice*
Ehi Ehi Ehi! Come vaaa? E il quarto capitolo eccolo qua! (sono negata con le rime). Che ne pensaaate? So che adesso vi starete facendo film mentali su Tini e Jorge. Jorge le ha detto di amarla e quindi "sicuramente tra poco si metteranno insieme" ma no eheheh. Davvero credete che sia tutto così facile? E poi, diciamocelo, davvero credete che Jorge si sia innamorato di lei in due giorni? Quindi no, toglietevi quest'idea dalla testa. Ci manca ancora molto perché si mettano insieme (sempre se si metteranno insieme eheheheh). In questo capitolo scopriamo nuovi tratti dei due fratelli Blanco. Scopriamo, in ordine, quanto Cande sia capricciosa. Cande, in realtà, è un personaggio che mi diverte ma questo già lo sapete lol E poi, grazie alle scene Jortini, abbiamo una grandee caratterizzazione di Jorge, ma, sinceramente, non saprei descriverlo perfettamente. Possiamo dire, però, con certezza che è dolce e permaloso e molte volte agisce senza pensare. Sì, tanto permaloso ahahah. Okay, io ho detto fin troppo, quindi al prossimo capitolo chicas e chicos. Byeee.

 

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Capitolo 5
*** V. Nuove Coppie. ***


La luce del sole mi acceca. Batto le palpebre più volte e mi rendo conto di non essere nella “mia” camera. Mi metto seduta, Jorge è accanto a me, sveglio.
«Ehi.» mi saluta.
«Buongiorno» gli rispondo.
«Dormito bene?» mi chiede poi.
«Sì, grazie» sono in imbarazzo ricordando tutto quello che è successo ieri, a partire dal nostro incontro-scontro in giardino. Sono tesa, non solo perché sono nella sua camera, nel suo letto, con lui steso accanto a me, ma anche perché ho paura di come si potrebbe comportare. Ne parlerà? Farà domande?
Mi scruta attentamente, come se aspettasse una mia mossa.
«Che ore sono?» chiedo, rompendo il silenzio.
«Le 7:45» mi informa.
«Cosa? Oddio, Jorge, siamo in ritardo! Perché non mi hai svegliata prima?» Quasi urlo, alzandomi velocemente dal letto.
«È che dormivi così bene…» ridacchia a causa della mia reazione.
«Sei uno stupido!» esco di lì, precipitandomi nella mia camera. “È che dormivi così bene”... Ma… mi stava guardando dormire?
 
Io e Cande stiamo parlando del più e del meno, mentre aspettiamo la professoressa Saramego. Come al solito, siamo agli ultimi banchi; Facu, Alba e Lodo sono davanti a noi, mentre sulla nostra destra c’è Damien che parla con due ragazzi, Alex e Daniel mi pare.
«Oggi la prof ci dividerà in coppie» afferma la rossa.
«Cosa?»
«Sì, dobbiamo fare dei progetti sul Medioevo e presentare poi, con il nostro compagno o compagna, il lavoro alla classe.» Mi informa.
Bene… Parlare davanti a tutti. Fantastico.
«Dimmi che starai con me, ti prego» La supplico.
«Vorrei, ma la prof ha detto che farà a sorteggio, mi dispiace.»
Di bene in meglio. E se mi capitasse un ragazzo? Se mi capitasse Damien? Non credo riuscirei a concludere nulla stando a contatto con un ragazzo, soprattutto con lui. Ogni volta che uno di loro mi è vicino, sento il battito del cuore accelerarmi e le mani sudare. Con tutti, tranne che con Jorge, e neanche con Alvaro. Di loro mi fido, mi sento protetta, mi hanno accolta con loro. Pensandoci, però, anche quell’uomo che chiamavo “papà” mi ha accolto e mi proteggeva, ma poi si è rivelato tutt’altro che un padre. E allora perché con quei due mi sento bene?
La professoressa entra in classe con una scatola rosa decorata con delle immagini floreali tra le mani. La poggia sulla cattedra e la apre, rivelando il contenuto, ovvero tanti biglietti bianchi. Ci saluta per poi fare l’appello.
«Bene, siamo tutti presenti. Sapete già che oggi faremo le coppie per il progetto sul Medioevo. Estrarrò due biglietti per volta, e i due nomi ci diranno gli appartenenti alla coppia. Va bene?»
Noi tutti annuiamo. Il primo ad essere chiamato è Ivan Garcia. Non ho mai parlato con lui, ma sembra simpatico. Ha i capelli castani e gli occhi scuri. Indossa degli occhiali neri abbastanza grandi, che lo rendono serio ma non troppo. Il secondo nome ad essere estratto è quello di Cande. Mi volto verso di lei e mi sembra felice di essere con Ivan.
«È molto figo!» Mi fa l’occhiolino ridacchiando.
Angie va avanti con il sorteggio. Lodovica capita in coppia con Daniel Alvarez, uno dei due migliori amici di Damien. Ha i capelli e gli occhi scuri. È molto magro, ma muscoloso. Facu è in coppia con Mauro Gomez, uno dei più intelligenti. Gli è andata bene. Alba, invece, è in coppia con Jonas Gallardo. Quest’ultimo, a quanto detto da Cande, si impegna molto ma non riesce ad arrivare a voti molto alti; Alba mi sembra comunque contenta, probabilmente per non essere capitata con uno del trio di Damien. Quando Angie prende il biglietto con il mio nome, ne è rimasto solo un altro nella scatola che corrisponde al nome di Mercedes Lambre. Sempre secondo Cande, è la secchiona della classe, prima di Mauro, e siede sempre al primo banco. È timida ed impacciata, un po’ come me. Posso dire di essere contenta di essere capitata con lei.
Al termine del sorteggio, Angie ci spiega di che argomenti dovremo occuparci. Io e Mercedes studieremo gli usi e le tradizioni in America durante il Medioevo, sembra un argomento interessante. Al suono della campanella, mi alzo e mi avvicino al banco di Mercedes. Mi presento gentilmente e lei fa lo stesso, mentre prende dal suo zaino il necessario per l’ora successiva.
«Che ne dici di pranzare insieme dopo? Così ci accordiamo sul progetto.» le chiedo.
«Sì, va bene.» annuisce. «A dopo»
«A dopo, Mercedes.»
 
All’ora di pranzo mi ritrovo con Cande, Lodo, Alba e Facu al solito tavolo.
«Sono capitata con Daniel, non posso crederci.» Si lamenta Lodo.
«Dai, poteva andarti peggio. Pensa se ti capitava Damien.» Cerca di consolarla Facu.
«In quel caso credo che mi sarei suicidata.» ridacchiamo alla sua affermazione. «E comunque tu non parlare che stai con Mauro. Probabilmente farai fare tutto a lui!» Lo rimprovera.
«Cosa? Ma no! Io mi impegno molto in storia!» Ribatte ma si vede che non ci crede neanche lui.
Quando vedo Mercedes entrare in mensa, alzo un braccio per farmi vedere. Quando mi nota, accenna un sorriso e si avvicina. I ragazzi, vedendo il mio movimento di braccia, si voltano per capire dove io stia guardando.
«Perché sta venendo qui?» Chiede Cande con un tono tutt’altro che dolce.
«Perché dobbiamo accordarci sul progetto.» Le spiego.
«Cosa? Oggi è mercoledì e il progetto è per martedì. Abbiamo una settimana e vi accordate oggi? Ma, soprattutto, perché farlo in mensa?»
«Mi piace essere organizzata.»
«Tu non sei mai stata organizzata.» Ribatte.
«Cande, a dieci anni non ero organizzata. Le persone cambiano, no?» Faccio un sorriso innocente, facendola ridacchiare. «E poi perché te la prendi tanto? Non può pranzare con noi?»
«Be’, non lo so, non fa parte del gruppo. È strana.» Mi risponde.
«Neanche io faccio parte del gruppo, ma sono qui.» Le dico. Sembra essersi offesa, ma sinceramente mi ha un po’ deluso con le sue parole. Cos’ha Mercedes che non va?
Cande non ha neanche il tempo di pensare ad una risposta, che Mercedes si siede di fronte a me.
«Ehi.» La saluto con un sorriso che lei ricambia.
La rossa prende a parlare con gli altri tre e io mi concentro su Mercedes, meglio così.
«Che ne dici di vederci a casa mia?» Mi chiede.
«Il problema è che sono qui solo da Domenica, non conosco bene le strade della città e, sinceramente, ho paura di perdermi.» Ridacchiamo entrambe a questa mia affermazione.
«Allora verrò io da te. Secondo me è ottimo se ci vediamo due volte, così da perfezionare bene il progetto» E da questa affermazione capisco che è una ragazza molto precisa.
«Iniziamo a vederci una prima volta, poi vediamo» Le sorrido.
«Sì, hai ragione.» Dice. Sto riuscendo a farla sciogliere e questa cosa mi piace. Di solito sono gli altri a cercare di far sciogliere me. Non è che io abbia avuto molti amici, sia chiaro. Ma c’è stato chi mi si avvicinava e cercava di conversare, sempre con nessun risultato. È strano trovarsi dall’altra parte.
«Che ne dici di domani?» Le chiedo.
«Per me è perfetto.» Annuisce.
«Bene, chiederò a Cecilia –la mia madre adottiva- se la casa è libera. Se mi dai il tuo numero, ti manderò un messaggio con l’indirizzo»
«Non conosci il tuo indirizzo?» Chiede, un po’ scettica.
«Ehm, no. Te l’ho detto, sono qui da Domenica» mi giustifico.
«Okay» Dice, allungando la “o”, per poi alzare gli occhi al cielo.
«Ehi, non alzare gli occhi al cielo con me!»
«Scusa, scusa» Alza le mani, ridendo ancora sotto i baffi, facendo ridere anche me.
«Mi piacerebbe fare un cartellone.» Le dico, dopo esserci scambiate i numeri.
«Io avevo pensato a qualcosa di più formale come un Power Point, con le immagini, i titoli e le spiegazioni»
«Sì, sarebbe bello. Ma potremmo farli entrambi» propongo.
«Non se ci incontriamo una sola volta.» Riprende.
«Va bene, va bene: ci incontreremo due volte» Gliela do vinta, roteando gli occhi al cielo.
«Ehi! Neanche tu devi alzare gli occhi però!»
«Hai ragione, scusa!» Ridacchio.
«E smettila di ridere!» Esclama, allungando la “e” finale.
Dove è finita la ragazza timida? Si sta dimostrando simpatica e divertente. Perché tutti ce l’hanno con lei? Tutti come Damien, che con i suoi amici durante le lezioni si diverte a prenderla in giro con qualche battutina ogni tanto o lanciandole palline di carta tra i capelli o sul banco. Tutti come Cande, che non ci rivolge la parola e che secondo la quale Mercedes è strana. Non ha niente che non va. Sto con lei da soli quindici minuti e sto ridendo tantissimo. Come non facevo da tempo.
Il nostro battibeccare termina quando Jorge si siede accanto a me.
«Salve, popolo!» Esclama, facendo la voce grave.
«Che ci fai qui, Jorge?» chiede Cande.
«Non posso venire a salutare la mia sorellina, i suoi amici e la mia coabitante?» Le chiede, sempre con quel finto tono da superiore.
«Coabitante? Davvero?» Gli chiedo, alzando un sopracciglio.
«Non sapevo come definirti» Mi spiega sottovoce, facendomi stranire ancora di più. «Avete una new entry?» chiede guardando Mercedes che, solo ora mi accorgo, sembra essersi imbambolata.
«Sì» rispondo, mentre Cande risponde con un «No»
«Sì» ribatto, mentre Cande ripete «No»
«Mh, sono confuso» dice Jorge, prima di addentare il suo panino.
«Mercedes è una nostra compagna di classe. Io devo fare un progetto di storia con lei, quindi oggi si è unita a noi» Spiego.
«Ah, bene. Piacere, io sono Jorge, il fratello di Cande e coabitante di Martina.» Si presenta lui.
«Ancora?» chiedo riferendomi al “coabitante”.
Lui alza le spalle, per poi tornare a guardare Mercedes che è ferma immobile ad osservarlo. Le do un leggero calcio sulle gambe sotto il tavolo che sembra svegliarla.
«M-M-Mercedes.» Risponde.
«Ah, ma allora ce l’hai una lingua.» ridacchia lui, prendendola in giro.
«Sì, ma comunque non si unirà più a noi.» Cambia discorso Cande.
«Perché no?» Le chiedo, con tono di sfida.
«Perché non fa parte del gruppo.» mi dice, guardandomi con occhi infuocati.
«Pare che la tua sorellina e la tua coabitante stiano litigando, Jorge.» gli fa notare Facu.
«Ah, adesso ti ci metti anche tu?» quel “soprannome” mi sta dando sui nervi.
«Credo che tu abbia ragione, Facu. Che è successo?»
«Succede che la tua sorellina si sente superiore rispetto ad altre persone e questo non è giusto» Spiego.
«Uh, okay. Cande?» Jorge vuole avere anche una sua opinione.
«Non mi sento superiore. Semplicemente certe persone non possono far parte del gruppo» Dice, aggressiva.
«Forse è meglio che io vada» si alza Mercedes. So che si sta sentendo a disagio e, soprattutto, si starà sentendo triste per come Cande sta parlando di lei. Non la capisco. Perché diavolo si comporta così?
«Sì, Mercedes. È meglio che noi andiamo.» Detto questo, mi alzo, e la seguo ad un altro tavolo.
 
Il giorno dopo, tutto procede a scuola. Io e Cande continuiamo a non parlarci, se non per litigare. Abbiamo idee diverse su Mercedes e entrambe siamo troppo orgogliose per cercare di parlare e chiarire.
Sono sul divano e sto aspettando Mercedes. Porterà un cartellone bianco e un altro color marrone che, secondo la mia interpretazione, riprende un po’ il colore del “passato”. Jorge entra in soggiorno, e si siede accanto a me, poggiando una mano sulla coscia.
«Sai, a Cande non piace molto questa situazione.» Mi informa.
«Neanche a me piace»
«Allora perché non vai da lei e chiarite?» Inizia a fare dei leggeri cerchi con l’indice sulla mia coscia, riuscendo a farmi rilassare. Come fa a tranquillizzarmi un gesto che normalmente mi spaventerebbe? Cioè, non è una cosa da due amici.
«Perché ha sbagliato e continua a farlo» spiego.
«Solo perché non vuole Mercedes nel gruppo?» i suoi movimenti vanno sempre alla stessa velocità, ma adesso sono più marcati. Mi sta distraendo.
«Non è solo questo. È come ne parla. La considera una sfigata e non mi va bene. Cande si ritiene superiore, ma non lo è. So come si sta sentendo Mercedes, l’ho provato anch’io. E non è bello.»
«L’hai provato anche tu?» I suoi movimenti cessano. No, ti prego, continua.
«Jorge, prima di essere adottata andavo in un'altra scuola. Non avevo amici. Ero da sola. E c’era chi mi prendeva in giro. Ero la “ragazza sfigata senza amici e senza genitori”. Certo, Mercedes i genitori li ha e non è chiusa in un orfanotrofio a 16 anni, ma la situazione, alla fine, è quella.» Sospiro.
«Chi ti diceva quelle cose era uno stupido. Non ti conoscono. Non sarai mai più sola.» La sua mano dalla mia coscia si sposta alla mia guancia sinistra. Mi accarezza lentamente. Mi piace questo contatto. La sua mano è calda. Mi appoggio col volto su di essa e chiudo gli occhi per poi riaprirli poco dopo.
«Già. E Cande si sta comportando come quelle persone che tu hai definito “stupide”.»
Ridacchia, e sposta la mano. «Ma mia sorella è stupida»
«Dai, Jorge, sono seria»
«Scusa, coabitante» Lo fa apposta.
«La smetti? Mi stai facendo innervosire»
«Scusa…»
«Ecco, bravo, scusati»
«…coabitante» e ride ancora. Ma che ci trova di divertente?
«Jorge!» Lo riprendo, dandogli un leggero schiaffo sul braccio.
«Oh, la coabitante diventa aggressiva»
«Eddai!» e gli do un altro schiaffo. Mi innervosisce forte.
«Okay, okay. Perdono» muove le mani verso di me, come per calmarmi.
«No» mi volto verso la finestra e incrocio le braccia sotto al seno.
«Oh, andiamo» fa il labbruccio e mette le mani a mo’ di preghiera, ma non cambio la mia posizione. «Mi perdoni?» si avvicina e lo guardo. Continua a guardarmi. Sbuffo. Con quel labbruccio è irresistibile. «Sì!» esclama per poi buttarsi addosso per abbracciarmi calorosamente.
All’inizio sono a disagio, molto, non so che fare o come muovermi, ma poi decido di ricambiare. Si sta così bene tra le sue braccia.

 

*Angolo autrice*

Ehi Ehi Ehi! Scusate il ritardo, ma, sapete, con le vacanze di Pasqua era davvero difficile aggiornare. Be', il lato positivo è che non dovrete aspettare troppo per il prossimo capitolo :) (credo lol). Comuuuunque, che ne pensate del capitolo? Ammetto che è un po' corto, ma comunque non si può dire che non è importante. Candelaria e Martina litigano, ed entra in gioco un nuovo personaggio: Mercedes. Non so bene quanto sarà importante in questa storia, ma posso dire che sarà presente. Parliamo pure della scena Jortini, vi prego. Amori. A differenza di quanto pensavate, non c'è disagio tra loro: Martina è troppo timida per parlarne ed Jorge si comporta come sempre. Be'è, meglio così, no? Okay, chicas, al prossimo capitolo! Tanti besooos!

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Capitolo 6
*** VI. Dare un senso. ***


Anche questa notte ho dormito con Jorge. E, no, questa volta non è stato per gli incubi, e non mi sono presentata in camera sua con una scusa. È stato semplicemente perché lo volevo. Sono andata da lui e con un semplice “posso dormire con te?” mi sono ritrovata avvolta dalle sue braccia per tutta la notte. Sto bene con lui, mi sento protetta. Non so come mi sento a riguardo. Ho sempre avuto timore dei ragazzi. Ho sempre pensato che se l’uomo che consideravo mio padre, colui di cui mi fidavo più di tutti, mi aveva “tradito” e trattata in quel modo, significa che tutti lo avrebbero fatto. Sono sempre stata distante da tutti gli altri, ho sempre avuto terrore, paura. Ma non con Jorge. Con lui sono sempre stata tranquilla. Anche all’inizio, quando l’ho incontrato all’orfanotrofio: non sapevo chi fosse, ma mi sono comportata normalmente con lui. Certo, ero un po’ distaccata, ma semplicemente perché era uno sconosciuto, o almeno così credevo. È ovvio che a volte anche con lui faccio l’acida, se così si può dire, ma qui non si tratta di essere acidi, si tratta di essere spaventati, di aver paura di regalare la nostra fiducia alla persona sbagliata.
«Tini, possiamo parlare, per favore?» mi chiede Cande, durante l’ora di spagnolo.
Sono in classe, seduta accanto a lei. Continuiamo a non rivolgerci la parola, ormai da due giorni, io continuo a sentirmi con Mercedes. Proprio non sopporto come si stia comportando, non la facevo una ragazza così superficiale, che si ferma alle apparenze. Dove è finito il detto “non giudicare un libro dalla copertina”?
«Non ho niente da dirti.»
«Voglio semplicemente chiederti scusa. Hai ragione. Ho parlato con Jorge e ho capito che mi sto comportando da bambina. Perdonami, ti prego.» Sussurra, con tono implorante.
«Ragazze, perché non condividete i vostri pensieri con noi?» ci blocca il professore.
Entrambe voltiamo il capo verso la cattedra ed aspetto che il professore ricominci a spiegare per sussurrarle «Non è a me che devi chiedere scusa»
 
Al suono dell’ultima campanella, mi alzo sistemando le mie cose nello zaino, contenta che anche l’ultimo giorno scolastico della settimana sia concluso senza problemi. Certo, a parte Cande.
«Okay, questa cosa non può continuare così!» sento esclamare da quest’ultima.
Non faccio in tempo a voltarmi verso di lei che mi afferra il braccio e mi trascina al banco di Mercedes. La guardo non capendo.
«Mercedes, ti chiedo scusa.» mi guarda. «Va bene così?»
«Wow, non ti sei per niente sprecata» dico ironica.
«Hai ragione.» mi sussurra, per poi voltarsi di nuovo verso Mercedes che, con una faccia alquanto confusa, sta cercando di capire la situazione. «Mercedes, ti chiedo scusa per essere stata così superficiale e averti giudicata senza conoscerti. Non mi comporterò più così e, se vuoi, puoi anche mangiare con noi e possiamo uscire qualche volta.» Sussurra, tenendo lo sguardo basso e alzandolo solo una volta aver smesso di parlare. Devo ammettere che un po’ mi ha sorpresa. Aspetto la risposta di Mercedes.
«Oh, be’, grazie. Accetto le tue scuse.» Annuisce.
«Ah, fantastico!» Le sorride radiosa.
«Scusate ragazze, ma ora devo andare.» Ci comunica.
«A domani, Mercedes.» Sorrido.
«Adesso mi perdoni anche tu?» Chiede speranzosa.
«Cande…» sto per dire, ma lei mi blocca.
«Aspetta, so cosa vuoi dirmi e giuro che mi dispiace. Ho parlato con Jorge, e lui mi ha fatto capire che non è giusto giudicare qualcuno senza conoscerlo. Sono davvero pentita, Tini. Perdonami.»
«Certo che ti perdono.» Le sorrido e lei mi abbraccia forte. Non sono abituata ad essere abbracciata. Prima Jorge, poi lei. È bello sentirsi protetti tra le braccia di qualcun altro. Qualcuno che sai che ti vuole bene.
 
Tornati a casa, Cecilia ha accolto con grande gioia la notizia della riconciliazione tra me e Cande. Devo ammettere che in casa si era creata un’aria un po’ tesa a causa nostra e, sì, la cosa stava diventando insopportabile. Cecilia ci informa che preparerà una torta per stasera per festeggiare. Tutto ciò che sta accadendo è completamente nuovo per me. Mi sento quasi un pesce fuor d’acqua. Non sono mai stata abituata ad avere qualcuno con cui vedermi a mensa, qualcuno da salutare quando tornavo a casa, qualcuno che mi desse dei soldi in caso di necessità, o qualcuno su cui posso sempre contare, a parte Patty. Ho degli amici adesso, una famiglia.
 
Dopo aver terminato i pochi compiti per domani, prendo il libro che ho comprato l’altro giorno con Cande. La trama mi ha attirato particolarmente perché si avvicinava non poco alla mia. Anche la protagonista del libro ha perso i genitori, proprio come me, con la differenza che lei si è ritrovata in una famiglia tutt’altro che tale: era rifiutata, considerata una schiava, a differenza mia che invece qui a casa Blanco vengo considerata proprio come se facessi parte della famiglia da sempre. Ma alla fine è così. Sono parte di questa famiglia da quando avevo nove anni.
La mia tranquilla lettura viene interrotta da una dolcissima melodia suonata alla chitarra e dalla voce più dolce che io abbia mai sentito. Ci metto poco a capire che si tratta di Jorge. Metto il segnalibro a pagina 23 e poggio il libro sul comodino. Mi alzo ed esco dalla camera. La porta della camera di Jorge è aperta, mi affaccio sentendolo cantare.
«Lo que te doy, ya no tiene fin. Dime quien soy y me quedo aquí. Dame el motivo de tu temor. Dame tu amor. Todo es como tu y yo. Solo dame una razón. Mírame vivamos el momento. Háblame que se detiene el tiempo. Tu y yo, tu la melodía que en mi sintonia nace una canción. Mírame vivamos el momento. Háblame que se detiene el tiempo. Tu y yo, tu la melodía que en mi sintonia nace una canción»
Ed è mentre canta che mi arriva un’idea, L’idea. Forse ho trovato la mia strada, cioè, potrei sbagliarmi, ma potrei sempre provare, e se non va, riprovare.
«Wow, sei bravissimo» Gli dico applaudendo.
«Grazie.» Sorride, poggiando la chitarra sul letto e facendomi segno di entrare e di sedermi accanto a lui. Mi avvicino e mi siedo piegando la gamba sinistra e poggiandola sul letto. «Come mai sei qui? Ti serve qualcosa?»
«In realtà ti ho sentito cantare e mi sono avvicinata, tutto qui.»
«Ah, okay.» Sembra un po’ deluso dalle mie parole.
«Jorge, insegnami a suonare.» gli dico subito, senza giri di parole.
Assume un’espressione corrucciata.
«L’altra sera io ti ho detto che passo tutto il tempo ad osservare gli altri vivere, te lo ricordi?» Annuisce, mentre mi chiedo come stia facendo a parlarne così apertamente con qualcuno. «Jorge, voglio provare con la musica. Cioè, ti ho già detto che non ho avuto amici, né una vera e propria famiglia fino ad oggi, che per me la mia vita non ha senso. Voglio provare a dargliene uno, e voglio provarci con la musica. Capisci?»
La sua espressione cambia, sta pensando, poi annuisce leggermente sorridendo. Ricambio il sorriso per poi buttarmi tra le sue braccia. All’inizio sembra confuso dal mio gesto, ma poi mi stringe a sé.
«Allora dobbiamo andare a comprare una chitarra.» Mi dice dopo aver sciolto l’abbraccio.
«Non posso usare la tua?» Gli chiedo. Mi sembra la scelta più semplice.
«Nha, se dobbiamo fare una cosa, dobbiamo farla bene.» Si alza dal letto e si avvia in corridoio. Lo seguo. «E poi solo io posso usare la mia chitarra» Ridacchia. «E non uscirtene dicendo che non hai abbastanza soldi. Cande me lo ha detto, e sì, adesso siamo la tua famiglia e i soldi nostri sono anche i tuoi e non devi avere paura a chiederne.»
«Tu e Cande parlate proprio tanto, eh?» mi sento un po’ in imbarazzo sapendo che parlano di me alle mie spalle. Chissà cosa si dicono.
«Sì, siamo sempre stati molto uniti» Sorride, è molto contento del rapporto che ha con sua sorella. Anche a me piacerebbe avere qualcuno con cui confidarmi sempre. Un tempo avevo mia madre o, meglio, la mia madre adottiva che per me, ovviamente, è sempre stata come una madre, il mio punto di riferimento. Quella persona contro la quale correvo quando tornava da lavoro perché mi era mancata o che, insieme a mio padre *o quel che era*, mi leggeva la favola della buonanotte prima di andare a dormire. Quella persona che cercava di accontentarmi sempre, che non ho mai visto piangere, perché lei era così, solare, altruista. Sempre. Quella persona che mi preparava il mio dolce preferito la domenica o alla quale potevo dire tutto, qualunque problema potesse avere una bambina di dieci anni. E lei mi ascoltava, mi consigliava. Lei era tutto per me. Era mia madre, mia sorella, la mia amica. E adesso? Adesso con chi posso sfogarmi? Avrei tanto da dire, ma ho sempre paura che quel che penso sia sbagliato. Forse perché io sono sbagliata.
Io e Jorge scendiamo le scale, Cande è in soggiorno a guardare la televisione, mentre Cecilia è in cucina. Jorge entra in cucina, mentre io prendo le giacche dall’armadio.
«Ok, perfetto, ho parlato con mia madre. Possiamo andare.» Mi dice Jorge, mentre gli passo la giacca di pelle nera.
«Quindi ti ha dato i soldi?»
«Esatto.» È più forte di me, non posso non sentirmi a disagio. È come se me ne stessi approfittando. «Ehi, so cosa ti sta passando in quella testolina e non ti devi far problemi, okay? Non parliamone più.» Ha capito quel che stavo pensando in nemmeno un secondo. A quanto pare, mi conosce meglio di quanto pensassi.
«Soldi per cosa?» Cande ci raggiunge all’entrata.
«Andiamo in centro a comprare una chitarra per Martina: vuole imparare a suonare.» Spiega Jorge, prendendo due mazzi di chiavi dal contenitore, un paio sono quelle di casa mentre l’altro, immagino per l’auto, anche se, se non ricordo male, l’unica auto che hanno l’ha presa Alvaro questa mattina per andare a lavoro. Di cosa sono quelle altre? Glielo chiederò.
«Figo! Posso venire anch’io?»
«Certo!» Affermo, ma Cande guarda sua fratello che sembra avere un’espressione indecifrabile, a mio parere.
«Ah, no! Adesso che mi ricordo, devo ancora finire i compiti per la prossima settimana! Non fa niente, andate voi due.» sorride, mentre Jorge le fa l’occhiolino. Questi due sono strani.
«Ma non abbiamo ancora compiti per la prossima settimana!» Protesto, ma ormai è inutile: Cande ha già salito le scale e Jorge mi sta trascinando fuori.
«Jorge, prendiamo il pullman per il centro?»
«Pullman? Anche no» Apre il garage nel quale si vede una moto rossa fiammeggiante.
«La moto?» Ecco di cos’erano le altre chiavi. «Non sapevo aveste una moto. E, soprattutto, non sapevo sapessi portarla.»
«Be’, ora lo sai.» Mi passa uno dei due caschi, mentre si infila il suo.
Lo guardo attentamente mentre se lo infila, per poi osservare il mio casco. Non ne ho mai messo uno, e non sono mai andata in moto. Bene.
«Che fai? Vuoi restare lì?»
«Ehm…» non so spiegarmi
«Non dirmi che hai paura.» Mi prende in giro.
«No, è che non so come si mette» affermo riferendomi al casco. Ride alla mia affermazione, per poi avvicinarsi.
«Dammi, ti faccio vedere.» Prende il casco tra le mie mani e me lo infila. «C’è il gancio. Non esiste niente di più semplice» Sono portata per fare figure di merda. «Bene! Andiamo?» chiede, eliminando il mio imbarazzo.
«Andiamo.» Annuisco.
Mi dà una mano a salire e poi mi dice di abbracciarlo, in modo da non cadere.
«Non così stretto, altrimenti mi soffochi.» ride.
«Oh, scusa.» Mi scuso allentando la presa.
«Sicura di non aver paura?» Si gira verso di me, guardandomi con quel suo sguardo intenso, quegli occhi verdi mi fanno mancare il fiato.
«Sicura.» Annuisco sorridendo. Come potrei aver paura con lui?

 

*Angolo autrice*
Ehi Ehi Ehi! Come va? A me tutto bene, grazie per averlo chiesto u.u (No, okay). Piaciuto il capitolo? A me non particolarmente. Non mi piace come ho scritto alcuni punti, ma okay, spero comunque di aver fatto intendere ciò che volevo. Direi che, nonostante ciò, questo capitolo non è da trascurare. Difatti, Martina chiede a Jorge di insegnarle a suonare e, vi dirò, la musica sarà un elemento fondamentale per "salvare" (come dice il titolo) Martina. A giudicare però dovete essere voi. Quindi ditemi cosa ne pensate con una bella recensione, ci conto! ahahah Okay, meglio che vada. vvb :*

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Capitolo 7
*** VII. La mia strada ***


Avete mai avuto paura del futuro? Non sapere cosa ci aspetta il giorno dopo, o anche l’ora dopo. Quante volte saluti una persona non sapendo che è l’ultima volta che le stai parlando? Quante volte sei tranquillo in casa tua, senza sapere che da qualche parte, nel mondo, qualcuno non c’è più, da un momento all’altro? Io ho sempre avuto paura del futuro. Ma non solo per quanto sia imprevedibile e devastante, a volte. Nel presente, riesci a stabilizzarti. A, diciamo, renderti qualcuno, avere un tuo posto nella società, o qualcosa del genere. Ma nel momento in cui qualcosa finisce, come fai a ricostruire tutto? Come fai a iniziare un nuovo cammino? Come fai a prendere una nuova strada, la strada giusta per te, la tua strada? Non ho mai capito quale fosse la mia strada, fino a quando, oggi pomeriggio, sono entrata in un negozio di musica. Era affascinante. Spartiti, strumenti, accessori per suonare. Una musica classica di sottofondo. E poi c’era lui, Jorge, con il suo sorriso, che mi spiegava la differenza tra chitarra classica e chitarra acustica. Non mi vergogno di dire che non ci ho capito niente, ma non perché il concetto fosse complicato, ma perché ero troppo impegnata ad osservare le sue labbra muoversi per ascoltarlo. Quando ha preso una chitarra classica blu tra le mani e si è portato alla cassa, non riuscivo a togliergli gli occhi di dosso. Era così bello, ma non esteticamente, non solo. Aveva una chitarra tra le mani, sorrideva, gli occhi brillanti. Si vedeva che era felice. E in quel momento ho capito qual è la mia strada. Ma ancora non mi è chiaro se la mia strada sia la musica, quella chitarra, o se sia insieme a quel ragazzo che sta diventando il mio nuovo tutto. Probabilmente, entrambi.
Guardo il soffitto della mia camera, sono felice. Non mi sono mai sentita così. Ho quasi paura di quello che sto provando. Non capisco se sono emozionata, o eccitata, o confusa. Emozionata ed eccitata, perché ho una possibilità, per la prima volta. Ho l’occasione di non essere solo un qualcuno tra i sette miliardi di persone che ci sono su questo mondo. Ho l’occasione di essere qualcuno, qualcuno per chi mi interessa davvero (qualsiasi riferimento ad un ragazzo dagli occhi verdi è puramente casuale). Fino ad ora, non sapevo cosa ne avrei fatto della mia vita, non sapevo dove sarei andata a finire. A sedici anni, chiusa in orfanotrofio, senza amici, né parenti. Quale poteva essere la mia aspettativa di vita? E adesso eccomi qui, con una famiglia, un sogno, qualcuno di cui potermi fidare e tanta felicità. Ma allo stesso tempo sono confusa. Sì, perché, non solo mi stanno accadendo cose completamente nuove per me, ma anche perché non capisco perché quando penso a lui, mi spunta un sorriso idiota, così, senza motivo. Solo perché lo penso. Perché lui mi ha portato qualcosa in cui credere. Perché so che posso fidarmi di lui. O forse, quando lo penso sono felice, solo perché è semplicemente lui, ed ho l’occasione di averlo nella mia vita.
La mia testa sta scoppiando, troppe emozioni tutte insieme, troppe cose nuove, troppe “occasioni”. Ma ciò non vuol dire che non ne sia felice, ovviamente.
I miei pensieri vengono interrotti dal leggero cigolio della porta e dei leggeri passi sul parquet. Cecilia entra con due tazze dal quale esce del vapore che tiene su un vassoio rosso.
«Ecco la camomilla per il mal di testa» Mi sorride, piegando in avanti il busto per permettermi di prendere una tazza.
Inizio a sorseggiare, mentre Cecilia, dopo aver preso la tazza restante, poggia il vassoio sul comodino e si siede accanto a me.
«Allora, come va? Sei riuscita ad ambientarti?» Mi chiede, premurosa.
«Sì, qui è tutto fantastico. Niente poteva essere peggio dell’orfanotrofio, comunque. E poi ci siete voi. Tu, Alvaro, Cande, … Jorge. Mi state aiutando tutti, chi in modo e chi in un altro.» Dico alludendo alla tazza di camomilla che mi ha appena preparato nonostante stesse giù nel letto da un po’.
«Di niente, tesoro, anche io avevo sete, comunque.» È incredibile quanto sia dolce con me, per non farmi mai sentire in imbarazzo o per non farmi sentire in colpa. «Adesso, però, vorrei sapere perché sei arrossita quando hai detto il nome di Jorge.» Ridacchia. Come non detto, mi ha appena messo in imbarazzo. «Dai, ne puoi parlare con me, lo sai»
«Il fatto è che non so che dire» Le spiego.
«Potresti dirmi semplicemente ciò che provi.» Tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare.
«Non so di cosa tu stia parlando.» Faccio la finta tonta, per quanto mi sia difficile mentire.
«Con chi credi di star parlando?» Chiede in modo giocoso. «So che hai qualcosa, qualcosa che ti fa spuntare un sorriso appena dici il suo nome, o solamente lo pensi.»
«Non so, sono confusa.» Decido di confessarle.
«Io, invece, credo proprio che tu lo sappia, solo che non lo vuoi ammettere, o, molto semplicemente, non lo hai ancora capito.» Dice, prima di bere un po’ di camomilla.
«Cosa dovrei capire esattamente?»
«Di cosa stiamo parlando? Di ciò che provi per Jorge, no? Tesoro mio, certo che sei proprio ingenua.» ridacchia, ma comunque non mi sento offesa. Ha ragione: ammetto che in alcuni ambiti non sono molto sveglia.
«Io non provo niente per Jorge, o, almeno, niente di speciale. Per lui provo esattamente ciò che provo per tutti voi altri. Gli voglio bene, certo, ma niente di più.»
«Niente di speciale, dici?»
«Esatto. Cioè, Jorge con me è molto dolce, è simpatico, premuroso, …» Mi fermo rendendomi conto che sto divagando. E ciò lo dimostra anche il fatto che Cecilia mi sta guardando con uno sguardo malizioso, ma allo stesso tempo comprensivo.
«Va bene, ma sappi che se avrai bisogno di parlare, io sono qui. E scommetto che anche a Cande farebbe piacere ascoltarti. Va bene?»
«Sì, lo so, grazie mille.»
«Di nulla, tesoro» Si alza, per poi avviarsi verso la porta. «Ah, e un’altra cosa. Quando andrai in camera di Jorge per dormire con lui anche stanotte, non fare troppo rumore: ad Alvaro non piace essere svegliato.» Mi raccomanda. Non potrei essere più imbarazzata di così.
«Ma come…?»
«Come lo so? Non potete nascondere niente a me.» Si vaneggia. «Non preoccuparti, non è un problema per me e non lo dirò a nessuno. Buonanotte, Martina»
«Notte.» Le dico, prima che lei chiuda la porta.
Okay, Cecilia lo sa e ha detto che non è un problema. Ma il punto adesso è un altro: perché Cecilia è convinta che io provi qualcosa per Jorge? Ma, cosa più importante, perché lo penso anch’io?
 
Il sabato è passato senza problemi e molto, troppo velocemente. Cande ed Jorge hanno preferito uscire la sera, mentre io sono rimasta a casa a leggere un libro, come mio solito. Alvaro e Cecilia hanno deciso di rimanere a casa con me, non che la cosa mi facesse differenza, o almeno così credevo. Quando Jorge e Cande sono usciti, alle 20:00 in punto, Cecilia ed Alvaro mi hanno letteralmente trascinato al piano di sotto per guardare una maratona di film di Hunger Games –non li facevo così moderni-; hanno ordinato le pizze e Cecilia ha preparato anche i popcorn. Mi sono molto sorpresa quando Cecilia mi ha rivelato che ricordasse ancora il mio gusto preferito di pizza ed era molto lieta che i miei gusti non fossero cambiati. Insomma, una serata da ricordare. Il mio primo sabato a casa Blanco dopo anni, è stato probabilmente il sabato più divertente della mia vita. In più, dopo aver finito anche il terzo film, verso le 3:00 di notte –Jorge e Cande ancora dovevano tornare-, i miei secondi genitori adottivi mi hanno raccontato alcune delle imbarazzanti avventure di Jorge e Cande, come quando il primo ha rischiato di incendiare il garage. Verso le 3:20, Alvaro e Cecilia sono andati a dormire, mentre io sono uscita, come mio solito, in giardino per osservare il cielo. Questa sera era stupendo. Pieno di stelle e costellazioni. Ma forse non era il cielo ad essere più bello, forse ero semplicemente io che lo guardavo con occhi diversi, più spensierati, più tranquilli e rilassati. Ho deciso di aspettare Candelaria e Jorge. Cecilia ed Alvaro mi hanno anche assicurato che è loro solito fare così tardi e che quindi non si preoccupavano. Ma io non sono loro. Per quanto fossi determinata ad aspettarli, il sonno si è fatto sentire e non ho potuto far altro che addormentarmi sui cuscini del divano. Ero persino troppo stanca per aprire gli occhi quando mi sono sentita sollevare da qualcuno, probabilmente braccia maschili per via della durezza delle braccia dell’estrema facilità con cui mi hanno sollevata. E non mi sono sorpresa quando ho riconosciuto il profumo di Jorge. Mi ha poggiato su un letto, troppo freddo, ma subito mi sono sentita al caldo e protetta quando si è steso accanto a me e mi ha stretto da dietro sussurrandomi un –Buonanotte, piccola-. Probabilmente prima o poi morirò con i suoi sussurri.
E adesso sono qui, in camera mia, a prepararmi per andare in un posto dove, in realtà, non vorrei. La Domenica di solito è il giorno nel quale si sta con la propria famiglia, ed è per questo che vado al cimitero: è lì la mia famiglia. Per quanto io possa amare la famiglia Blanco, è mia madre la mia famiglia, solo lei. E sarà sempre così.
«Martina, sei pronta?» Mi chiede Cecilia da dietro porta.
«Sì, arrivo»
Provate ad immaginare l’imbarazzo quando è venuta a svegliarmi in camera di Jorge. Come è suo solito, non mi ha messo per niente in imbarazzo quando mi ha detto –So che vorresti stare lì per almeno qualche altra ora, ma dobbiamo andare- ed, ovviamente, con “lì” non intendeva al caldo, nel letto, ma intendeva al caldo, tra le braccia di Jorge. Probabilmente non riuscirò mai a toglierle la convinzione che Jorge mi piaccia. Ma, alla fine, perché farlo? Anche io ne sono convinta, o quasi.
Quando arriviamo al cimitero, prendo dal fioraio le camelie bianche che tanto piacevano a mia madre per poi dirigermi verso la sua tomba. Cecilia decide di restare a circa dieci metri di distanza, sotto il gazebo di pietra bianca che si trova al centro del cimitero. Cambio i fiori e poi mi siedo sullo sgabello di legno che ormai qui è fisso. Peter, il guardiano, mi ha prestato uno di quelli che si trovano qui in cimitero e mi ha detto addirittura che ormai lo posso considerare mio, cosa che non accadrà. Bacio alcune dita della mia mano destra per poi toccare la foto di mia madre in cima alla lapide. Le prime volte che sono venuta qui ero solo una bambina; mi piaceva parlarle, raccontandole quello che avevo fatto quel giorno con tanto entusiasmo quanto quello che avevo quando era ancora viva, per me era come se non fosse cambiato nulla. Incredibile quanto possa essere ingenua una bambina di undici anni. Ma poi, crescendo, incominciando a capire, sentendo la sua mancanza, le cose, ovviamente, sono cambiate. Oramai le parole sarebbero inutili, le lacrime si sono prosciugate, ne ho versate talmente tante che non ne ho più, così mi limito a stare con lei, ad osservare la sua lapide con le date di nascita e morte iscritte, chiedendomi perché è successo a me, perché è successo a lei. Chiudendo gli occhi e sperando che sia tutto un fottuto incubo dal quale devo svegliarmi. Ma poi quando li riapro sono ancora qui, al cimitero, su uno sgabello che ormai cigola per le tante volte in cui mi ci sono seduta, con la lapide di mia madre davanti, e con un freddo glaciale che mi distrugge il cuore.
 
Dopo aver pranzato in mensa, io e gli altri ci dirigiamo verso l’aula di arte. Tra me, Cande e Mechi, non potrebbe andare meglio. Cande mi ha sussurrato, durante il pranzo, che si era sbagliata sul conto di Mercedes, che in realtà è simpatica, e molto carina. Ma questo già lo sapevo.
Entriamo in aula e ci sediamo dietro a dei cavalletti da pittore. Ho la fortuna (cogliete l’ironia, per favore) di sedermi vicino a Damien.
«Ehi, splendore.» Mi chiama, ma lo ignoro. «Oh, andiamo, parlami.» Prova ancora. «Perché non mi parli?» Si lamenta.
«Lasciami in pace, Damien.» Gli ordino. Wow, mi complimento con me stessa. Sono riuscita a rivolgere parola ad un ragazzo come Damien. È un progresso, anche se minimo.
Fortunatamente la professoressa entra in classe ed interrompe il nostro dialogo, se così si può chiamare.
«Allora, ragazzi, ricordate il discorso dell’altra volta? Avevamo iniziato a parlare del futuro, dei sogni. E avevamo già detto che in questa lezione avreste dovuto rappresentare, in qualsiasi tecnica desiderate, la vostra idea di futuro. Ci siamo?» Sorrido pensando alla mia idea di futuro. «Perfetto, iniziate pure, poi mi consegnerete il lavoro al termine dell’ora».
Prendo un foglio e lo attacco al cavalletto utilizzando un gancio, per poi prendere una matita. Voglio ricorrere alla semplicità. Cosa è più semplice di una matita, alla fine? Prendo, però, anche il colore verde che mi servirà successivamente. Al termine dell’ora, sono contenta del risultato. Sorrido guardando il mio disegno: un sentiero lungo, del quale non si vede la fine, e, sulla destra, seduto su una panchina, un ragazzo dagli occhi verdi che suona una chitarra.


 

*Angolo autrice*
eeehi! Okay, lo so, meriterei di essere picchiata per il mio enorme ritardo. Quanto tempo è passato? Due mesi? Chiedo scusa, davvero, ma la scuola è stata davvero stressante. Ma adesso è finiita! E quindi aggiornerò più spesso, almeno spero. Ciò che vi posso assicurare, però, è che ho tutte le intenzioni di terminare la storia, quindi state tranquille. Okay, spero che il capitolo vi sia piaciuto. Alla prossima. :)

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Capitolo 8
*** VIII. Segreti? ***


Non capirò mai perché esiste l’algebra. Davvero c’è chi pensa che saper svolgere una disequazione di secondo grado sia utile nella vita? Sono davanti questo libro da due ore e non me n’è uscita una e tra una settimana ho il compito. Fantastico. Sono pronta per il mio tre. Inizio ad accartocciare leggermente le pagine del libro per la frustrazione.
«Ehi! Non si trattano così i libri!» Ridacchia. Ero talmente concentrata su quegli esercizi che non mi sono neanche accorta che Jorge fosse entrato in camera.
«Jorge! Non ti ho sentito entrare!» Mi giustifico, non so per cosa in realtà.
«Sì, ho notato.» Ridacchia ancora. «Hai problemi con l’algebra?»
«Sì, sempre avuti.» E all’improvviso mi arriva un’illuminazione. «Jorge, non è che puoi darmi una mano?»
«Uhm, dipende.» Ci pensa su, chiudendo la porta alle sue spalle. «Cosa stai facendo?» Si mette accanto a me, poggiando la mano destra sullo schienale della sedia.
«Disequazioni di secondo grado.» Spiego.
«Cosa non ti riesce?» Chiede prendendo il foglio.
Perché è così dannatamente bello mentre è concentrato? No, okay, lui è bello sempre.
«Dopo aver calcolato il delta, come faccio a capire quando è positivo?»
Si siede sul letto per poi spiegarmi «Niente di più semplice. Se A è negativo allora devi prendere tutto ciò che è tra i due risultati, di conseguenza 331.»
«Davvero? Tutto qui?» Gli chiedo, riprendendo il foglio.
«Eh, già.» Annuisce e sorridendo leggermente, facendo spuntare due fossette ai lati delle sue labbra. «Comunque, sono venuto per chiederti una cosa» Mi comunica, facendomi smettere all’istante di scrivere. Spero non riprenda il discorso dell’altra sera. Ancora mi imbarazza pensarci. Lo incito a continuare, porgendo l’attenzione su di lui. «Credo che dovremmo organizzarci per le lezioni di chitarra.»
Immediatamente mi rilasso e tiro un sospiro di sollievo. «Sì, certo. So che avevamo deciso di iniziare questa settimana, ma oggi non posso: viene Mercedes a casa perché domani dobbiamo presentare il progetto.»
«Non è un problema, oggi ho gli allenamenti, e li ho anche il mercoledì e il venerdì, quindi pensavo di fare il martedì e il giovedì. Possibilmente dopo cena così avremo già terminato tutti i compiti.» Wow, ha pensato veramente a tutto.
«Mi sembra perfetto.» Annuisco.
«Bene, allora, tolgo il disturbo.» Si alza avvicinandosi alla porta. «E per qualunque problema, algebra e non, non esitare a chiamarmi.» Mi sorride, facendomi l’occhiolino per poi chiudere la porta alle sue spalle. Quindi rimango così: a guardare la porta chiusa sorridendo, volendo che non se ne fosse già andato. Perché quel ragazzo mi fa quest’effetto?
 
«Allora, il cartellone è pronto, il Power Point pure. Tu sai quello che devi dire?»
«Sì, Mercedes. Anche se preferirei non parlare» Parlare in pubblico non mi è mai piaciuto. Quante volte ci sono i cretini che ridono e ti prendono in giro? Già sono abbastanza complessata di mio. Poi si mettono pure loro…
«Te l’ho già detto Martina: dobbiamo parlare entrambe, altrimenti la prof ti metterà un voto negativo.» Mi spiega per la tredicesima volta. Giuro che le ho contate.
«Okay, va bene. Ma se tipo, mentre cammino per andare verso la cattedra, inciampo e mi rompo una gamba? E se mentre parlo, mi va di traverso la saliva, soffoco e muoio?» Chi ha mai detto che sono pessimista?
«Martina, sta tranquilla, okay? Andrà tutto bene.» Annuisco, non completamente sicura. «Sono le sei, mio padre viene a prendermi tra un’oretta. Che facciamo nel frattempo?»
«Vado a prendere qualcosa da mangiare, ti va?»
«Potremmo anche anticipare i compiti per mercoledì…» Propone, ma la ignoro scendendo giù per prendere un po’ di cibo. Proposta inaccettabile.
«Avete finito?» Mi chiede Cecilia, quando entro in cucina. Ma questa donna passa tutto il tempo qui? Starà preparando la cena per questa sera, probabilmente.
«Sì, prendo qualcosa da mangiare e torno su.» Spiego, prendendo un vassoio rosso dal mobile.
«Certo, se vuoi qualcosa di salato, guarda il mobile al centro; se vuoi qualcosa di dolce, apri quello a destra.» Mi indica.
«Okay, grazie.» Riempio due bicchieri di succo all’ace per poi riempire il vassoio di roba da mangiare. Non so esattamente cosa voglia lei.
Torno al piano di sopra e vedo la porta socchiusa dal corridoio.
Sto per entrare, ma le parole che sento mi bloccano.
«Parlerò chiaro: non voglio che tu dica a Martina ciò che è successo anni fa. È passato e non voglio che lei si preoccupi di qualcosa che non ha più importanza. Sono stato chiaro?» Sento la voce di Jorge, ha un tono serio. Ma di che sta parlando?
«Cosa c’è, Jorge? Hai paura che le dica ciò che hai fatto?» Il tono di Mercedes è diverso dal solito, più sicuro, quasi presuntuoso.
«Io non ho fatto niente e lo sai! È stato un incidente.» Alza il tono.
«Facciamo un accordo: se tu torni, io non le dirò niente. Altrimenti…» Okay, dov’è la Mercedes che conosco?
«Cos’è? Una minaccia?»
«Non una minaccia, un accordo.» Ripete.
«Mercedes, non mettiamo Martina in fatti che non la riguardano.»
«Mi sembra di capire che non accetterai il mio accordo. L’hai voluto tu.»
Sento uno sbuffo e poi Jorge dire: «Non è un buon posto per parlarne. Ti manderò un messaggio, va bene?»
«Magari ne parleremo anche in presenza di Mike.» Suggerisce a Jorge. Chi è Mike?
«Sì, va bene.» Si rassegna.
La conversazione sembra essere finita. Entro in camera, prima che Jorge esca.
«Jorge, che ci fai qui?» Chiedo, facendo finta di niente. Indagherò su questa cosa.
«Uh, cibo!» cambia subito discorso. Sono sorpresa dalle sue capacità di perfetto commediante.
«Non è per te, è per me e Mercedes.» Schivo col vassoio la sua mano, facendo attenzione a non far cadere il succo.
«Oh, ma andiamo, solo un biscotto, coabitante.»
«Ricominci?» Mi sale il nazismo quando fa così.
«La smetto se mi dai un biscotto, coabitante.» Ride.
«No, va via.» Gli ordino, poggiando il vassoio sul comodino e permettendo a Mercedes di prendere un bicchiere.
«Ma andiamo, coabitante!»
«Esci dalla mia camera, Jorge!» Gli ordino con un tono più duro.
«Okay, va bene. Ciao Mercedes.» Sembra essersi offeso. È proprio un bambino.
«C-ciao, Jorge.» Sorride leggermente lei. Cos’è? Adesso balbetta e fa la timida?
Sono stata così distratta da lui che è riuscito a sviare la domanda. Non me ne sono nemmeno accorta. Che nervoso.
«Perché era qui?» Chiedo quindi a Mercedes, sedendomi sul letto, per poi prendere il pacco di biscotti.
«Voleva solo salutarmi.» Sembra convinta della sua affermazione, ma so benissimo che sta mentendo.
«Uhm, okay.» Dico, chiedendomi se sia il caso o meno di continuare a fare domande. «Mer, posso farti una domanda?» Mi decido.
«Certo.»
«Come mai quando c’è Jorge nei paraggi, sei sempre così nervosa?» Mi sembra un buon modo per arrivare al punto. Almeno voglio capire perché davanti a me fa in un modo e quando sono da soli in un altro.
«Cosa? Questo non è vero.» Afferma, ancora convinta. Ammetto che sa mentire bene.
«Andiamo, Mercedes! Quando c’è lui, inizi a balbettare e a sudare. È ovvio che c’è qualcosa!» Insisto.
«No, Martina, non c’è niente, davvero. Fidati di me.»
«Okay, va bene.» Mi rassegno, per oggi.
 
Oggi dobbiamo presentare il progetto. Non sono in ansia, di più. Ammetto però che la presentazione è passata in secondo piano da quando ho sentito parte della conversazione di ieri tra Jorge e Mercedes. Che hanno da nascondere? Perché Jorge ci tiene così tanto a tenermi all’oscuro? Che ha fatto di così terribile? Chi è Mike? Troppe domande a cui non posso dare risposta. Candelaria sta parlando tranquillamente con Lodovica e Alba, mentre aspettiamo che la professoressa di storia e geografia entri in classe. Facundo non c’è, non so dove sia e sinceramente non mi interessa.
«Questa borsa è davvero stupenda, Cande!» Esclama Alba.
«Lo so! L’ho comprata con Martina quando siamo andate al centro commerciale. Quando l’ho vista è come se avessi sentito che mi chiamasse!» Afferma, scatenando qualche risatina da parte di Alba e Lodo. È guardando Candelaria che mi viene un’illuminazione. Lei e Jorge hanno un rapporto molto stretto. Probabilmente lei sa cosa è successo tra Jorge e Mercedes. Be’, chiedere che mi costa?
«Cande, possiamo parlare un attimo?» La faccio voltare verso di me.
«Certo.» Mi risponde con un gran sorriso. Come fa questa ragazza ad avere sempre il sorriso sulle labbra? Probabilmente ha una paralisi o qualcosa del genere.
Prima di parlare, mi assicuro che Lodo e Alba siano distratte. «Ho bisogno di sapere una cosa. Mi sto scervellando da ieri.»
«Okay, dai, parla.» Sembra essere preoccupata.
«Tu sai se qualche anno fa è successo qualcosa tra Jorge e Mercedes?» Inizialmente sembra perplessa, come se avesse paura.
«Ehm…» Inizia a guardare da un’altra parte.
«Lo sai, non è così?»
«Ecco…» Allunga leggermente la “o”, come se volesse prendere tempo. «Come mai questa domanda?» Tenda di sviare.
«Questo non è importante. Rispondi, per favore.»
«Martina…»
«Te l’ha detto Jorge di non dirmelo, vero?» Chiedo, sapendo che non avrebbe continuato la frase.
«Senti, Martina, io penso che qualunque cosa tu voglia sapere, devi chiedere a Jorge. Non mettere altre persone in mezzo o in difficoltà.» Sicuramente lo sa.
«Okay, va bene. Chiederò a lui. Grazie comunque.» Mi volto verso la cattedra, sbuffando.
«Non sei arrabbiata con me, vero? Cioè, cerca di capirmi, non posso.» Ha un tono preoccupato.
«No, tranquilla, non sono arrabbiata. Spera solo che Jorge me lo dica.» Scherzo, facendola ridacchiare.
La professoressa è entrata in classe. Eccolo arrivato. Il momento a cui ho pensato per tutta la settimana. Io e Mercedes saremo l’ultimo gruppo. Spero solo non succederà nulla di imbarazzante.
 
Guardo il soffitto mentre ripercorro con la mente ciò che è successo oggi. Io e Mercedes siamo andate alla grande. C’era complicità tra noi, ricordavo il mio pezzo alquanto bene ed ero molto sicura di me. Ammetto che sono state le parole di Cande a darmi coraggio -Stendili tutti!-. Quando è stato il mio turno di parlare, guardavo lei. Mi ispirava fiducia. Mi faceva sentire sicura e se avevo qualche momento di dimenticanza, mi sorrideva come a dire “Va tutto bene”. La professoressa è stata entusiasta del nostro lavoro e ci ha premiato con un bell’8 –il voto più alto che io abbia mai preso-, ma probabilmente è tutto merito di Mercedes.
È passata da poco l’ora di cena, Jorge sarà qui tra poco. Mi ha detto che gli servivano due minuti e poi sarebbe stato da me con la sua chitarra. Sto cercando di trovare le domande giuste per farmi dire ciò che è successo tra lui e Mercedes. Non voglio essere troppo diretta, per non rischiare di spaventarlo, anche se sono sicura che ciò non accadrà, Jorge ha sempre la risposta pronta.
«Ehi, allora, iniziamo?» Chiede Jorge, prima di chiudere la porta alle sue spalle. Non l’avevo sentito entrare a causa dei miei pensieri.
Ha la sua chitarra tra le mani e un gran sorriso sparato in faccia. La paralisi facciale sarà qualcosa di famiglia.
«Certo.» Gli sorrido, alzandomi e avviandomi a prendere la mia chitarra da dietro l’armadio.
Sono un po’ nervosa. È la mia prima lezione. So che se andasse male, dovrei cominciare tutto da capo e dovrò trovare una nuova “strada”.
«Che stai facendo?» Mi chiede Jorge, distraendomi dai miei pensieri ancora una volta.
Mi volto verso di lui. È seduto sulla parte destra del letto con le gambe incrociate in modo da tenere bene la chitarra. Ha il ciuffo abbassato, un’espressione un po’ corrucciata, probabilmente per via della domanda che ha fatto. Non posso non notare quanto sia dannatamente bello.
«Prendo la chitarra.» Rispondo come se fosse ovvio.
«Oh, no. Non ce ne sarà bisogno. Questa prima lezione sarà solo di teoria.» Mi comunica.
«Okay.» Mi servirà un quaderno o qualcosa del genere per prendere appunti. Perché non ci ho pensato prima? Mi avvio alla scrivania e prendo un quaderno qualsiasi da sotto il banco. Lo sfoglio e noto con piacere che è bianco. Prendo poi una penna nera dall’astuccio.
Jorge mi sorride, mentre mi fa cenno con la testa di sedermi accanto a lui.
Dopo aver eseguito, inizia a parlare. «Allora, innanzitutto bisogna definire una chitarra. Come fai a suonare qualcosa se non sai nemmeno di cosa si tratta? Quindi, una chitarra è uno strumento musicale cordofono, che viene suonato con i polpastrelli, con le unghie o con un plettro. Questo strumento è costituito da una cassa armonica a fondo piatto, a forma di 8 e con un foro circolare al centro, detto rosa, da un manico fornito all'estremità di piroli, o cavicchi o bischeri, ai quali s'attaccano le corde, e di stanghette trasversali con funzione di tasti, e da un ponticello sulla cordiera incollata sulla tavola. L'accordatura delle sei corde è mi-la-re-sol-si-mi.» Ogni volta che pronuncia un nome, indica sulla sua chitarra un elemento. È molto concentrato. Sinceramente, credo di non averlo mai visto così serio.
La lezione va avanti per un po’, Jorge mi spiega la differenza tra chitarra acustica e chitarra classica. Io mi eserciterò sulla classica. Inizia poi ad accennarmi qualcosa sulle note e sugli accordi. Passa un’ora in questo modo. È ancora preso a parlare quando gli suona il telefono.
«Scusami un attimo.» Mi dice, prima di alzarsi e posare la chitarra sul mio letto.
Esce dalla stanza, mentre io prendo a leggere gli appunti. Jorge è stato chiaro su tutto, mi sorprende quasi quanto sia bravo in questa materia.
«Eccomi.» Dice, rientrando in camera. «Riprendiamo?»
«In realtà sono un po’ stanca. È passata un’ora.»
«Davvero? Non ci avevo fatto caso… Va bene, riprendiamo giovedì. Studia ciò che ti ho spiegato, che ti interrogo.»
«Cosa?»
«Hai capito bene! Ti conviene studiare, posso essere molto severo.» Ha uno sguardo malizioso. MI spaventa quasi.
«Va bene. Studierò, professore.» Sorride, sentendo il soprannome con cui l’ho chiamato.
«Buonanotte, Tini.» Sta per uscire, ma lo blocco.
«Aspetta, Jorge.»
«Sì?» Si volta.
«Io… ho bisogno di chiederti una cosa.» Mi faccio coraggio. La curiosità mi sta mangiando viva.
«Uhm, va bene.» Sembra dubbioso. Lo invito a sedersi accanto a me e lui così fa.
«Voglio essere sincera. Ieri, quando c’era Mercedes, ho sentito una strana conversazione tra te e lei…» Sospira, non so esattamente per quale motivo.
«Che hai sentito esattamente?» Chiede.
«Non so, che hai fatto qualcosa in passato e un certo Mike…»
«E? Cosa vuoi sapere?»
«È successo qualcosa tra te e Mercedes?»
Sbuffa. «Perché vuoi saperlo?»
«Perché sembrava una cosa seria ed hai chiesto a Mercedes di non dirmelo.»
«Okay, va bene, te lo dirò. Non è niente di troppo brutto come stai pensando.» Fa una premessa. Questo mi rilassa. «Io e Mercedes stavamo insieme.» Mi dice. Il mio cervello non sembra di recepire subito il messaggio. Lui e Mercedes, insieme?
«Cosa?»
«Sì, lo so che ti sembra strano, ma è così.»
«Okay, va bene. E cosa hai fatto tu? Chi è Mike?»
«Io…» Sembra titubante. «Io l’ho tradita.»
«Eh?» Mi sembra tutto così strano. Sta dicendo la verità?
«Sì, Martina, sì. Mike è suo fratello. Mercedes ci stava molto male e io e lui ci siamo picchiati un paio di volte.»
«Quindi, quando Mercedes ha detto “se tu torni” o una cosa del genere si riferiva a lei? “se tu torni” da lei?»
«Contento che tu abbia capito.» Annuisce sorridendo leggermente. «E per la cronaca, Mercedes non mi stava ricattando. Cioè, non era sua intenzione. Ti posso assicurare che è una ragazza molto buona e dolce. Non voleva farlo, molto semplicemente è ancora sconvolta per ciò che è successo e, a quanto pare, mi ama ancora.» Mercedes lo ama. Oh, no. «Ehi!» Urla quasi quando gli do uno schiaffo sul braccio.
«Come hai potuto tradirla?» Mi sfogo, dandogli un altro colpo. «L’hai detto tu: lei è così buona e dolce. Come hai potuto?» Un altro colpo.
«Okay, Martina, fermati. Mi dispiace, okay? Ero un ragazzino stupido, lo ammetto. Mi dispiace. Ma è passato, sono cambiato. Sono andato avanti con la mia vita e dovrebbe farlo anche lei.»
«Per quanto tempo siete stati insieme?» Gli chiedo, iniziando a calmarmi.
«Poco meno di un anno.» Risponde. Non so cos’altro chiedergli. Ha ragione: è passato. «Finito l’interrogatorio?» Scherza.
«Non era un interrogatorio!» Obietto. «E comunque sì, finito.»
«Bene! Buonanotte, Martina.» Mi sembra di capire che stanotte non dormirà con me.
«Jorge, un’altra cosa.»
«Eh?»
«Perché non volevi che me lo dicesse?»
«Te l’ho detto: sono cambiato. Non volevo che avessi una brutta impressione di me. Se mi fidanzassi di nuovo, non so, con qualcuno come te, non rifarei mai una cosa del genere.» Mi fa l’occhiolino, prima di uscire dalla camera.
Sbaglio o stava alludendo a qualcosa…? Okay, non voglio pensarci. In fin dei conti, la storia è molto semplice. E Jorge non ha fatto nulla di illegale, come avevo immaginato. Allo stesso tempo, ho la testa in subbuglio. Mercedes è ancora innamorata di lui.
 
Scendo giù in piscina, come ogni sera. È l’una passata. Non riuscivo a chiudere occhio. Ormai mi ero abituata a dormire con Jorge, a sentire il suo respiro mentre dormiva teneramente e al calore del suo corpo che mi riscaldava. Forse sono una stupida. Cioè, sono sempre io ad andare da lui. Probabilmente mi starà aspettando. Sì, perché no? Mi alzo dalla sdraio e rientro in casa. Salgo al piano di sopra per poi aprire la porta della camera di Jorge. Sono alquanto confusa quando non lo vedo steso sul letto. Non ho notato nessuna luce accesa mentre rientravo, quindi, a meno che non sia un vampiro, non è in casa.
Il rumore della serranda del garage mi fa avvicinare velocemente alla finestra posta sulla sinistra. Sono ancora più confusa quando vedo Jorge mettersi il casco della moto e partire.
Jorge, ma che stai combinando?

 

 

*Angolo autrice*

Ehi ehi ehi! Avete visto? Sono riuscita ad aggiornare presto! *Applauso a me*. Questo capitolo è un po' diverso rispetto agli altri. Ci fa vedere un'altra faccia dei personaggi, almeno per quanto riguarda Mercedes e Jorge. Mercedes sembra completamente un'altra persona quando è da sola con Jorge e lui è più duro rispetto a quando è con Tini. Martina sente parte della loro conversazione e non può far altro che chiedere spiegazioni, prima a Cande e poi a Jorge. Dopo la prima lezione di chitarra, Jorge le spiega tutto. Lui e Mercedes stavano insieme e lui l'ha tradita. Martina, nonostante non sia una cosa bella ciò che ha fatto Jorge, si rilassa e gli crede. Ma, nel bel mezzo della notte, vede Jorge lasciare casa con la sua moto. Dove starà andando? Bieeeen! credo di aver fatto un buon riassunto del capitolo ahahah  Tanti besooos e alla prossima :D


Vi invito a vedere il trailer della FF: https://www.youtube.com/watch?v=hRQKRn8yneU

 

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Capitolo 9
*** IX. Una nuova conoscenza ***


Il suono della sveglia interrompe il mio tranquillo sonno. È così altamente fastidiosa. Provo ad allungare il braccio per spegnerla, ma ciò che le mie mani tastano non è lo spigoloso materiale della sveglia –che non so bene quale sia-, bensì è un ammasso di peli, come se fosse un peluche. Sono soffici, sorrido per la sensazione tranquillante che mi provoca accarezzarli. Aspetta, io non dormo con dei peluche.

Alzo immediatamente il busto, mettendomi seduta. Sospiro quando mi accorgo che erano i capelli di Jorge e non uno strano animale come mi ero immaginata. Ma cosa ci fa Jorge nel mio letto? Lo vedo allungare un braccio e spegnere la sveglia.
«Mh, dovresti svegliarmi più spesso in questo modo.» Si gira nella mia direzione con un sorriso assonato.
«Jorge, che ci fai nel mio letto?» Chiedo. Da quanto ricordo, ieri sera, o meglio, ieri notte l’ho visto uscire, ma ero troppo stanca per aspettarlo e chiedergli poi, al suo ritorno, dove fosse stato.
«Non è ovvio? Sto aspettando che continui ad accarezzarmi i capelli.» Continua a fare il finto tonto, con quel sorriso malizioso che tanto mi dà fastidio.
«Sono seria, Jorge. Ieri…» Mi blocco subito, non sapendo realmente cosa dire. Glielo chiedo o non glielo chiedo? Se lo facessi, mi direbbe la verità? Se non lo facessi, continuerebbe a comportarsi come se niente fosse?
«Ieri?» mi chiede, sollevando il busto leggermente, sorreggendosi con i gomiti. «Aspetta, stai ancora pensando alla storia di Mercedes?»
«No, non è questo» Mento. Il fatto che Mercedes sia innamorata ancora di lui mi perseguita da ieri sera. Ma questo non è necessario che lui lo sappia.
«Allora cosa?» Poggia una mano sulla mia in modo da darmi conforto e rassicurarmi. Non sa che così mi rende solo più nervosa. Ma non perché io abbia paura o altro. Semplicemente perché è questo l’effetto che mi fa, non credo sia per qualcosa di negativo. «Puoi dirmi tutto, lo sai.» Mi accarezza la mano lentamente. Martina, resta calma.
«Semplicemente quando sono andata a dormire non c’eri, stamattina mi sveglio e ti trovo qui…» Non sto mentendo. Semplicemente sto omettendo delle informazioni. Non gli dirò di averlo visto uscire nel bel mezzo della notte.
«Ogni sera sei tu a venire da me. Ho aspettato un po’, ma quando non ti ho vista arrivare sono venuto io da te. Tutto qui. Anche se mi chiedo perché tu non sia venuta.» Mi spiega.
«Non lo so, ieri sembravi arrabbiato…»
«Non ero arrabbiato. Non lo sono nemmeno ora. E, solo per fartelo sapere, anche se fossi la persona più arrabbiata del mondo, non rinuncerei mai a dormire con te.» Continua ad accarezzarmi la mano. Oddio, perché mi fa quest’effetto? E le sue parole… Dannazione. «Meglio che vada, o faremo tardi. A dopo.» Si alza dal letto, prima di lasciarmi un bacio sulla guancia ed uscire dalla camera. A quel contatto perdo un battito. Non so che pensare. Perché mi mente in questo modo? Perché mi vuole tenere all’oscuro? Non si fida di me? Perché perdo la mia sanità mentale quando mi è così vicino?
 
Finalmente anche l’ora di matematica termina. Non che io abbia seguito molto, certo. In realtà quest’ora mi è servita parecchio per recuperare ore di sonno. In più, ho avuto l’opportunità per pensare a tutta questa storia. Ricapitolando, Jorge e Mercedes stavano insieme e lui l’ha tradita. Mercedes è ancora innamorata di lui, ma Jorge non ricambia. Mike è il fratello di Mercedes che ce l’ha con Jorge per averla fatta soffrire. Okay. Sembra semplice. Candelaria è a conoscenza di tutta questa storia, ma Jorge le ha chiesto di non parlare. Ho come l’impressione che ci sia di più. Dove è andato Jorge ieri notte? Si sarà incontrato con Mercedes? Spero vivamente di no.
«Alba, vieni immediatamente! Facundo e Jonas sono nel bel mezzo di una rissa!» Le urla provenienti da una ragazza di cui sinceramente non ricordo il nome, mi distraggono dai miei pensieri.
Vedo intorno a me un gran trambusto. Alba, Lodo e Cande, che erano impegnate in una conversazione su rossetti e ombretti, adesso sembrano spaventate e si alzano immediatamente recandosi fuori dalla classe. Le seguo, non sapendo esattamente che fare in questa situazione.
Fuori dalla classe, vedo Facu trattenuto da Jorge, mentre Jonas è mantenuto da Diego. Attorno a loro si sono raggruppate alcuni ragazzi. Probabilmente Jorge e Diego sono intervenuti per far terminare la rissa, ma i due sembrano ancora presi dallo scontro, infatti continuano la lite in modo verbale con termini che preferirei non ripetere.
«Io non ho fatto niente!» Si difende Jonas.
«Ti è piaciuto fartela con lei, eh?» Urla invece Facundo.
Vedo Alba andare incontro al suo fidanzato. È agitata.
«Facu, non è successo niente! Perché non ne parliamo io e te? In privato?»
Da quanto ho capito, Facu crede che Jonas ci abbia provato con Alba, o qualcosa del genere. Non sono pratica di queste cose.
Facundo strattona Jorge per liberarsi dalla sua presa, e segue Alba, diretta non so dove.
In poco tempo, le persone che si erano accerchiate intorno a loro si allontanano, dirigendosi ognuna nella propria classe. Io, Cande e Lodo facciamo lo stesso, sapendo che la professoressa Saramego è appena entrata in aula. Vedo Cande fermarsi vicino la cattedra. Non riesco a sentire cosa dice alla professoressa, ma i nomi di Facundo e Alba sono ben chiari. Probabilmente li avrà coperti in qualche modo.
Ci sediamo ai nostri posti e, dopo aver fatto l’appello –che ogni prof fa nella sua ora-, la professoressa inizia la lezione.
«Allora, ragazzi, dato il successo, se così si può chiamare, dei lavori di coppia, ho deciso di ripetere il progetto. Ovviamente le coppie saranno diverse e, dato che la prima volta è stata su argomenti di storia, stavolta sarà su quelli di geografia. Che ve ne pare?»
La maggior parte dei ragazzi è entusiasta di ripetere i lavori, sicuramente perché in questo modo avranno un voto in più senza essere interrogati. Io non la penso allo stesso modo, ma a quanto pare il mio parere non è importante, dato che la prof prende la stessa scatola della scorsa volta e inizia a rimescolare i bigliettini.
Candelaria non sembra molto entusiasta quando il suo nome esce seguito da quello di Mercedes. Eppure mi sembrava che stessero imparando ad andare d’accordo. Lodovica, invece, è in coppia con Alicia, quella snob di cui Cande mi ha consigliato di starne alla larga. Povera Lodo.
«Martina Blanco con…» Salto quasi quando sento la professoressa dire il mio nome.
Fa che non sia un ragazzo. Fa che non sia un ragazzo.” Mi ripeto.
«Alex Ramirez.» Sorride la professoressa. Tutt’altra reazione ho io.
Mi volto verso Alex –facile da riconoscere perché è l’unico biondo nel trio di Damien-. Lo vedo mentre mi fa l’occhiolino e una strana mossa con la bocca seguita da uno schiocco. È una di quelle cose che fanno i ragazzi per farsi fighi. Lo saluto lentamente con la mano, già intimorita da lui.
La professoressa continua con la formazione delle coppie e al termine ci comunica di quali argomenti dovrà trattare ogni coppia. Inizia poi a spiegarci in generale l’argomento principale.
Al termine della lezione, mi alzo per sistemare la mia roba, inserendola ordinatamente nel mio zaino.
«Quindi lavoreremo insieme.» La voce di Alex quasi mi fa saltare.
«A quanto pare.» Annuisco impercettibilmente, tenendo lo sguardo basso. Incredibile quanto la roba nel mio zaino sia diventata interessante.
«Che ne dici se ci scambiamo i numeri così possiamo metterci d’accordo sul lavoro?» Mi sorride. Ammetto che ha un bel sorriso.
«Certo.» Prendo il telefono e salvo il numero che mi detta. Gli faccio poi una chiamata in modo che lui possa salvare il mio numero.
«Perfetto.» Sorride ancora. «Sarà un vero piacere lavorare con te, Martina.» Afferma, prima di allontanarsi. Vorrei poter dire lo stesso. Anche se, ammetto che non c’era nessun tipo di malizia nel suo tono. Anzi, sembrava quasi… amichevole.
 
Sarò stesa sul letto da tipo due ore, aspettando l’orario giusto per uscire di casa. Vorrei che questo sabato passasse il più in fretta possibile. Solo il pensiero di dover stare nella stessa casa con uno sconosciuto mi terrorizza. –Devo badare a mio fratello. Puoi venire tu da me?-. Bella scusa, Alex. Sì. In più, non conosco per niente la zona e sarò costretta ad utilizzare il navigatore del telefono –che tra l’altro non so nemmeno usare- per orientarmi.
La lezione dell’altro ieri con Jorge è andata bene. Alla fine non mi ha interrogato. Probabilmente l’ha detto solo per farmi studiare. Nell’ultima lezione mi ha spiegato la posizione corretta per mantenere una chitarra e ho dovuto fare un po’ di pratica per assimilarla, mi ha fatto poi esercitare sulla posizione delle dita. Alla fine della lezione, ha affermato che potrebbe interrogarmi da un momento all’altro, ma poco gli credo sinceramente.
Notando che si sono fatte le 10.00, esco di casa dopo aver salutato Cecilia che, come al solito, è in cucina. Alvaro è a lavoro mentre Jorge e Candelaria sono usciti verso le 9:00 diretti non so dove.
Non ho più visto Jorge uscire durante la notte da martedì e sono sollevata di ciò, ma allo stesso tempo non posso far altro che pensare alla situazione sempre di più. Non è la prima volta che Jorge e Candelaria escono e, voglio dire, è normale che lo facciano. Non è normale allo stesso modo che quando chiedo spiegazioni diventino evasivi e cerchino di cambiare argomento in tutti i modi. Sono sempre più confusa.
Sorrido soddisfatta quando vedo una cassetta della posta con su scritto “Ramirez”. Percorro il piccolo vialetto che conduce alla porta principale per poi bussare.
«Ehi. Benvenuta nella mia dimora.» Scherza Alex quando mi fa entrare in casa. Mi sembra un ragazzo così solare, completamente diverso da come lo descrive Cande. Ma forse è solo impressione.
«Alex, lei è la ragazza di cui parlavi?» Un bambino sui cinque anni arriva in soggiorno. Ha gli occhi azzurri e i capelli biondi. Un piccolo Alex in miniatura.
«Si, Nico, lei è Martina. Martina, ti presento Nicolas, mio fratello.»
«Molto piacere, Nicolas.» Mi abbasso alla sua altezza e allungo un braccio per dargli la mano che lui subito stringe.
«Aveva ragione mio fratello a dire che sei bella.» Incredibile quanto una frase detta da un bambino di cinque anni possa metterti in imbarazzo.
«Cos… Nicolas, ma che dici?! Vai a giocare, su.» Vedo Alex in imbarazzo, oserei dire anche più di me. «Lascialo perdere, dice un sacco di bugie.» Si giustifica.
«Sì, so come sono i bambini.» Affermo. Ho una certa esperienza con i bambini per via dell’orfanotrofio. «Quanti anni ha?»
«Otto.» Afferma. Sembra più piccolo. «È un problema se ci mettiamo qui in soggiorno? Vorrei tenere d’occhio mio fratello. È un combina-guai.» Indica col pollice della mano destra suo fratello che è intento a giocare con dei dinosauri, mentre è seduto sul divano.
«Certo, nessun problema.» annuisco.
«Bene, vado a prendere il libro. Fa pure come se fossi a casa tua.» Dice prima di salire le scale.
Mi guardo intorno. La casa sembra molto grande. Mi distraggo guardando una foto appesa proprio di fronte l’ingresso. Nella foto ci sono quattro persone: Alex, Nicolas e due adulti, un uomo e una donna, che saranno senza dubbio i loro genitori. Il mio sguardo poi viene catturato da qualcos’altro. Una macchina fotografica con un obiettivo grande quanto la mia mano, è posta sul mobile al di sotto della foto, quasi come se fosse un vaso o un oggetto prezioso.
«Ti piacciono le macchine fotografiche?» Chiede Alex, mentre scende le scale con il libro di geografia e un computer portatile tre le mani.
«Non ne ho mai usata una, quindi non te lo so dire. Ma mi hanno sempre affascinato.» Spiego.
«Non ne hai mai usata una, davvero?» Sembra incredulo e annuisco alla sua domanda. Mi sorprendo di me stessa per come stia riuscendo a mantenere la calma. «Magari potrei mostrarti come si fa qualche volta.» Suggerisce.
«Ehm… Certo, sarebbe carino.» Dico, non pensandola realmente in questo modo. Anche se sinceramente mi piacerebbe imparare.
«Comunque mio padre è un fotografo professionista e per questo motivo ha quella macchina fotografica lì. È un po’ come se fosse una terza figlia. Se hai notato, lì sopra c’è la foto di famiglia.» Ridacchia. Effettivamente, il fatto che suo padre consideri una macchina fotografica sua figlia è un po’ strano.
«Sì, l’avevo notato.»
«Probabilmente un giorno mi prenderò la sua attività e sinceramente non vedo l’ora. Mi ha trasmesso la passione per la fotografia già da quando ero piccolo e gli sono molto grato per questo.»
«Immagino.» Dico, non essendo abituata a mantenere una conversazione. «Iniziamo?» Per quanto io mi senta a mio agio –stranamente- voglio andarmene il prima possibile.
«Sì, certo.» Ci sediamo al tavolo da pranzo da cui abbiamo una buona visuale di Nicolas. Lui inizia a cercare qualcosa dal libro, mentre io inizio a fare qualche ricerca su internet. «Oh, a proposito della fotografia…» Mi interrompe dopo circa dieci minuti che abbiamo iniziato «…che ne dici se per la presentazione facessimo un video? Dato che il nostro argomento è la biodiversità dei mari e degli oceani, a trenta minuti da qui c’è l’oceano e potremmo scattare delle foto o anche fare dei video con la videocamera di mio padre.» Propone.
«Sì, mi piace!» Rispondo entusiasta all’idea di non dover fare un altro noioso Power point.
«Bene!» Sorride soddisfatto per la sua idea.
Solo adesso mi rendo conto che in questo modo dovremmo trascorrere ancora più tempo insieme. Perché sono così stupida?
«Che ne dici di domani mattina?»
«Oh, domani mattina non posso, ho già un impegno.» Dico, pensando al mio incontro settimanale col cimitero. «Dovrai andare da solo.» La mia me interiore sta festeggiando con tanto di coriandoli in questo momento.
«Per me va bene anche domani pomeriggio. Tu che dici?» Ci penso qualche secondo. «Potremmo approfittarne e inizierei a insegnarti qualcosa.» Propone ancora. Sospiro. Ci tengo davvero ad imparare.
«Okay, domani pomeriggio va bene.» Mi maledico subito per aver accettato. Ma che ho in testa? Marmellata?
«Bene, allora! Ti passo a prendere alle quattro così faremo le foto sia con la luce del giorno sia al tramonto.» Mi piace quanto sia organizzato e preciso.
«Aspetta, hai la macchina? Non hai 17 anni?»
«No, dovrei stare al quinto anno. È la seconda volta che ripeto il terzo.» Organizzato e preciso è stata la prima impressione. Ho appena cambiato idea.
«Oh…» Non so che dire, decido quindi di rispondere alla sua precedente domanda. «Sì, alle quattro va bene.»
«Perfetto.» Sorride, prima di riprendere a leggere il libro di geografia.


*Angolo autrice*
Ehi Ehi Ehi! Sono riuscita ad aggiornare in pochi giorni. Veneratemi, susu. Allora, in questo capitolo succede qualcosa di nuovo. Come dice il titolo, Tini fa "una nuova conoscenza"... Che ne pensate di Alex? FIsicamente ve lo potete immaginare come Colton Haynes (che figo, madò ahah). Il piccolo Nicolas, invece, corrisponde a Mason Vale Cotton ai tempi di Desperate Housewives (non so se avete presente). Scleriamo tutti insieme appassionatamente per la scena iniziale Jortini aw. Jorge non si smentisce mai. E poi poi, questione tra Facu e Jonas. Spero per i Falba che le cose si sistemeranno, sono così cariini. Bieeen! Mi aspetto tante recensioni! Tanti besoos e al prossimo capitolo!

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Capitolo 10
*** X. Gelosia ***


«Te l’ho già detto, Cande. Non voglio venire.»
«Andiamo, Martina. Non puoi stare tutti i sabato chiusa in casa. Hai quasi 17 anni. Devi divertirti e stare con i tuoi amici.» Insiste. Sono trenta minuti che sta cercando di convincermi ad andare con lei e Jorge in discoteca. Cioè, mi vedete in discoteca? Io che non sono mai uscita dall’orfanotrofio? Con tutti quei ragazzi?
«Mi sentirei un pesce fuor d’acqua, Cande. Non voglio venire.»
«Starai con me e con Jorge. Ti divertirai, te lo prometto.» Si siede sul letto di fronte a me, iniziando a fare una faccia da cucciolo.
«Cande…» Inizio, sapendo già che perderò. Quella faccia da cucciolo è davvero irresistibile.
«Per favore.» Dice, allungando la “o”.
«È che tu e Jorge tornate sempre tardi e già so che vorrò tornare a casa prima.» cerco una scusa.
«Non è un problema. Ho già chiesto ad Ivan, e ha detto che in qualsiasi momento è disposto a riportarci a casa.» Spiega.
«Ivan? Quello con cui eri in coppia per il progetto di storia?»
«Proprio lui!» Sorride.
«Cande, è successo qualcosa che non so?» Indago.
«No, Martina, non è successo niente. Siamo solo diventati molto amici.»
«Sicura?» Chiedo, non essendo completamente sicura che sia la verità.
«Sicura, Martina. Se fosse successo qualcosa te l’avrei detto.» Mi rassicura.
«Okay, va bene. E, per stasera, non so neanche cosa mettere.» Si nota che sto cercando di arrampicarmi sugli specchi?
«Puoi mettere il vestito nero che abbiamo comprato la settimana scorsa.»
«Hai una risposta a tutto, eh?»
Annuisce sorridendo. «Non hai più scuse.» Mi ammonisce.
«Okay, mi hai convinta…»
Non mi fa nemmeno terminare la frase che mi abbraccia. «Fantastico. Okay, sono le otto. Iniziamo a prepararci. Usciamo con Jorge alle dieci.»
«Usciamo così tardi?»
«Sì, Martina, per andare in discoteca sì. Devo insegnarti proprio tutto, eh?» Ride, prima di aprire il mio armadio.
 
«Oddio, sei stupenda. Sono fiera di me!» Dice eccitata Candelaria. Ha appena terminato di truccarmi. Lei è già pronta da qualcosa come una mezz’ora e mi ha dato una mano con il vestito, i capelli ed il trucco.
Sono ansiosa di vedermi. Mi alzo dallo sgabello e mi volto in modo da guardarmi nello specchio. Rimango affascinata.
«Sono davvero io?» Mi chiedo, fissandomi.
«Sì!» Risponde Cande alla mia domanda retorica.
I capelli sono leggermente arricciati ed il trucco è molto semplice, ma è incredibile quanto mi faccia sembrare un’altra persona. Mi sento… bella.
«Dai, andiamo. Jorge ci sta aspettando.»
«Sì.»
Seguo Cande fuori al corridoio. Ho ancora difficoltà a camminare su dei tacchi, nonostante Cande abbia speso un’ora per insegnarmi come si fa.
Vedo Jorge, Cecilia e Alvaro giù alle scale. Mi chiedo perché ci stiano aspettando tutti e tre. Appena sentono i rumori dei tacchi sulle scale, si voltano verso di noi. Tutti e tre rivolgono l’attenzione verso di me e la loro bocca assume la forma di una perfetta “o”, probabilmente perché non mi hanno mai vista vestita in questo modo. Incredibile quanto riescano a farmi sentire in imbarazzo.
Arriviamo giù alle scale e Cande prende i nostri due cappotti.
«Wow, Martina, sei stupenda!» Si complimenta Alvaro.
«Grazie.»
«Ho fatto un bel lavoro, vero?» Si vaneggia Cande.
Tutti annuiscono, ancora affascinati da me.
«Ragazzi, mi raccomando, fate attenzione, non bevete, non drogatevi, e, soprattutto, non accettate bevande da sconosciuti.» Ci avverte Cecilia, per poi rivolgersi a Jorge. «Jorge, prenditi cura di loro.»
«Sì, mamma, non preoccuparti, non succederà niente.» Dice, prima di lasciarle un bacio sulla guancia.
«Per qualsiasi cosa, chiamateci.» Dice invece Alvaro.
«D’accordo.» Sorride Cande prima di uscire di casa seguita da me e Jorge.
 
Il tragitto verso la discoteca è stato tranquillo, nessuno dei tre ha parlato ed il silenzio è stato riempito dalla musica della radio al massimo volume. Una volta arrivati ed entrati in discoteca, Jorge si dilegua con un -Okay, allora divertitevi.-, lasciandoci da sole.
«Non doveva stare con noi?» chiedo a Cande, confusa.
«Nha, ha il suo gruppo e sta con loro.» Mi spiega, dando le nostre giacche e le nostre borse ad un signore che ci lascia un bigliettino con un numero -che si tiene Cande- per ritirarle all’uscita.
«Bene! E adesso che si fa?» Chiedo urlando a causa dell’alto volume della musica.
«E adesso… Andiamo a ballare!» Mi spinge verso la pista da ballo.
Una volta arrivate al centro della pista, Candelaria inizia a ballare e a saltare a ritmo di Animals di Martin Garrix.
«No, Cande, io non ballo.» Affermo, decisa.
«Andiamo, Martina, divertiti, lasciati andare.»
«Io…» Sono estremamente a disagio in mezzo a tutte queste persone sudate che urlano e bevono come se non ci fosse un domani. «D’accordo, ci provo.»
Cande urla approvando la mia affermazione. Inizio a muovere leggermente i fianchi, sentendomi ancora in imbarazzo, nonostante qui intorno ci siamo persone di tutti i generi, quindi, effettivamente, non ho nulla per cui sentirmi in imbarazzo.
«Guarda quella.» Mi indica una ragazza che si sta dimenando, ma probabilmente lei lo chiama ballare. Cande mi fa ridere con una delle sue battute ironiche, per poi affermare «Qualsiasi cosa tu faccia, non sarà mai peggio di quello. Lasciati andare, sta tranquilla.» Le sue parole mi rassicurano, ha ragione.
Annuisco, iniziando a muovermi con lei. Ogni tanto mi fa ridere con qualche battuta su qualcuno che non sa esattamente cosa significhi ballare. Non l’avrei mai detto, ma mi sto divertendo.
Dopo qualcosa come quindici minuti, Cande mi offre un bicchiere con della roba verde all’interno.
«Cos’è?» Urlo per farmi sentire.
«Vodka alla menta.» Dice, per poi bere parte del suo drink.
«Vodka? Cande, non è il caso, davvero.»
«Andiamo, Martina. Ricordi? Lasciati andare.» Mi incita ancora.
«D’accordo.» Sbuffo. «Ma solo un bicchiere.»
Bevo un sorso e subito strizzo gli occhi per quanto è forte il sapore. Il ghiaccio mi ghiaccia il cervello, ma non è male. Mi sento più leggera, continuando a bere il bicchiere. Passano i minuti, e Candelaria mi passa un altro bicchiere e poi un altro ancora che bevo senza problemi. Meno male che doveva esserne solo uno.
«Vado un po’ a sedermi.» Dico, indicando il bar.
«D’accordo, io resto ancora un po’ a ballare.»
Mi gira la testa camminando. È la prima volta che bevo alcool.
Arrivo agli sgabelli di fronte al bar e chiedo al barista qualcosa di analcolico. La mia coscienza ha la meglio su di me anche da quasi ubriaca.
Mi sento cingere la vita. Sussulto. Ma la voce che sento, mi tranquillizza immediatamente.
«Non ti ho ancora detto quanto tu sia bella stasera.»
Mi volto verso di lui, sorridendo.
«Grazie.»
«Come te la stai passando?»
«Bene! È meglio di quanto sperassi.» Dico, con la voce un po’ stridula.
«Stai bene? Sei strana…»
«Sì, sto bene. Ho solo bevuto qualcosa che mi ha dato un po’ alla testa.»
«Sei ubriaca?» Chiede, corrucciando la fronte.
«Forse un po’, ma che importa?! Dobbiamo divertirci, giusto?»
Il barista mi dà la coca che ho ordinato. Non devo pagarla perché è tutto compreso nell’ingresso.
«Giusto, dobbiamo divertirci. Ti va di ballare con me?»
«Perché no?» Sorrido.
Mi prende per mano e mi porta in mezzo alla mischia. Sexy di French Affair è appena iniziata.
Inizio a muovermi a ritmo di musica.
«Wow, non male.» Si congratula Jorge per come mi muovo e guardandomi in modo malizioso «Questa canzone si può ballare anche in coppia, sai?»
«E come?» Chiedo, eccitata di star ballando con lui.
«Avvicinati.» Faccio un passo e lui, prendendomi per i fianchi, mi avvicina ancora di più a lui. I nostri bacini si toccano. «Piega un po’ le ginocchia.» La mia gamba destra è tra le sue, mentre la sua gamba destra è tra le mie. Faccio come mi ha ordinato e poi inizia a muovere i fianchi da destra verso sinistra e viceversa facendo muovere anche me. Se lui si ferma, mi fermo anch’io. Se lui si muove, mi muovo anch’io. È come se fossimo una cosa sola ed è così altamente eccitante. Non riesco a credere di star pensando questo. L’alcool ha un brutto effetto su di me.
Continuiamo a muoverci fino a quando non sento le labbra di Jorge sul mio collo. Inizia a lasciarmi dei baci. Probabilmente se non avessi bevuto, l’avrei fermato. Ma adesso perché farlo? È così bello.
Mentre continua con la sua opera, noto che la mia coca è finita. Proprio in quel momento vedo un barista passare con un vassoio pieno di drink. Ne afferro uno. Bevo un sorso della mia bibita, dello stesso colore verde di prima. Ancora una volta il sapore mi fa strizzare gli occhi anche se in questo momento sono più distratta da Jorge che da qualsiasi altra cosa. Ad un certo punto mi viene un’idea pazza. Calo leggermente il capo, proprio sulla sommità del suo lobo dove inizio a lasciare dei baci. Lo sento immediatamente irrigidirsi, cosa che mi incita a continuare. Mi piace fargli questo effetto. Continuiamo a lasciarci baci umidi a vicenda. Ho i brividi ovunque. Il mio bicchiere è ancora pieno, piego leggermente il polso in modo da far cadere un po’ del liquido sul collo di Jorge, dopo di ché inizio a succhiare. L’alcool è più buono sulla sua pelle. La situazione sta diventando davvero calda e senza controllo. Nessuno di noi vuole fermarsi. Anzi. Probabilmente domani mi pentirò di ciò che sto facendo, ma adesso non mi interessa. Ci penserò domani. Al momento mi importa solo di Jorge. La canzone termina. Blocco il mio movimento di bacino, facendo fermare anche lui. Alziamo entrambi il capo. Ci guardiamo negli occhi. Siamo talmente vicini. Non sono pronta per questo.
«Io… io devo andare un attimo in bagno.» Trovo una scusa, allontanandomi da lui.
«Oh, d’accordo. È da quella parte.» Dice, indicando dietro di me e guardando con un sorriso il mio collo. Cosa sta guardando? «Ti aspetto qui.»
Annuisco, per poi allontanarmi.
Trovo il bagno in poco tempo. Entro, vado verso il lavandino e poggio il bicchiere ancora mezzo pieno sul marmo. Mi sciacquo i polsi e il collo, sapendo di non poter lavarmi la faccia per via del trucco. Sono così sudata e appiccicosa. Chiudo il rubinetto. Poggio entrambe le mani sul lavabo, braccia tese, sguardo fisso allo specchio. Ho i capelli leggermente spettinati, le guance rosse così come anche gli occhi, l’affanno. Sembro un’altra persona. È guardandomi allo specchio che noto una piccola macchia violacea sulla parte destra del mio occhio. Oddio. Cosa è appena successo? L’alcool mi ha dato alla testa. Ho fatto quella cosa con Jorge. Oddio. Presa dall’agitazione, afferro il bicchiere e getto il contenuto nel lavandino. Non avrei dovuto bere così tanto, non la prima volta. Esco dal bagno, decisa a tornare da Jorge per parlargli, non so esattamente per dirgli cosa. Ma devo chiarire ciò che è successo. Non doveva accadere.
Quando riesco ad individuarlo tra la folla, rimango pietrificata. Sulle note di un’altra canzone, sta ballando con una ragazza bionda, nello stesso modo con cui stava ballando con me prima. Mi sento umiliata, non so perché. Non mi piace la sensazione che sto avendo. Un improvviso fastidio alla bocca dello stomaco. Devo andarmene da qui. Controllo il mio vestito e solo ora mi rendo conto che non ha tasche e che, ovviamente, ho lasciato il telefono nella borsa all’ingresso. Per giunta, è Cande che ha il biglietto per ritirare la roba. Non mi resta far altro che cercarla tra la folla. Sono già più lucida rispetto a prima. La visione di Jorge con quella ragazza mi ha svegliato. Nonostante ciò, non riesco a vedere Candelaria da nessuna parte. Sbuffo. Mi appoggio al muro dietro di me rendendomi conto che sono sola e non so come comportarmi. Che devo fare? Non posso andarmene, non posso e non voglio andare da Jorge che so che è a pochi metri da me con quella bionda, e non trovo Candelaria. L’unica opzione che mi resta ed anche la più piacevole è quella di uscire fuori a prendere un po’ d’aria. Esco dalla sala principale, attraverso il piccolo corridoio ed esco. Per fortuna, fuori c’è una panchina su cui posso sedermi. Non voglio pensare. Ciò che farei, probabilmente, sarebbe solo pentirmi di essere venuta stasera.
«Allora non ho le allucinazioni: eri davvero tu.» Sussulto, sentendo la voce familiare di un ragazzo.
Mi volto e mi sorprendo di vedere Alex. Si avvicina e si siede sulla panchina alla mia destra.
«Come mai qui?» Chiede, curioso.
«Sono venuta con Cande e Jorge.» Spiego. «Tu, invece?»
«Ci vengo tutte le settimane. Sai, quando si è popolari e si vuole mantenere la reputazione bisogna seguire delle specie di regole.» Mi dice. Sbaglio o lo dice a mo’ di critica?
«Non capisco…»
«Semplice. Se non si fa ciò che la gente si aspetta che tu faccia, sei uno sfigato. Non mi piace questa cosa. Sto cercando di cambiare, ma è così difficile.»
«Continuo a non capire…»
«È come se avessi un’etichetta…» continua il suo discorso. «… come se “Alex è amico di Damien. Fa sempre questo e quello. E non stargli vicino: ha una cattiva influenza. “» Dice, imitando una voce che mi fa ridacchiare, ma smetto subito quando capisco che è serio.
«Non sono vere?» Mi guarda corrucciato per via della mia domanda poco chiara. «Le voci, dico, sono vere?»
«No, non lo sono.» Afferma. «È vero: in passato non mi sono comportato proprio bene, ma ciò che voglio far capire è che sono cambiato.» Annuisco, non sapendo esattamente che dire. «Scusa, sto divagando, non avrei dovuto.»
«No no, anzi, sono contenta che tu ti sia aperta con me.» Accenno un sorriso. «Ma non capisco perché tu l’abbia fatto. Perché proprio con me?» Sono troppo ingenua?
Alza lo sguardo e sorride. Avvicina la mano destra al mio volto e accarezza lentamente la mia guancia. Brividi. Non so se posso fidarmi di lui, ma il suo tocco è così delicato e leggero che non posso credere che sia “cattivo”. Lo ha detto anche lui: è cambiato. «Perché sento di potermi fidare di te.»
Ci guardiamo negli occhi. Entrambi sorridenti.
«Martina!» Un tono alto fa allontanare immediatamente la mano ad Alex ed entrambi rivolgiamo lo sguardo verso il nuovo arrivato. «Che ci fai… con lui?» Grida.
«Non devo darti spiegazioni, Jorge.»
«Vieni, andiamo a casa.» Dice, avvicinandosi a me e prendendomi la mano.
«No, Jorge, non vengo con te.»
«Martina.» Dice il mio nome con una serietà che quasi mi spaventa. Mi guarda dritto negli occhi. Per la prima volta, sono intimidita da lui.
«Ciao, Alex.» Dico, prima di iniziare a camminare con Jorge.
Rientriamo in discoteca. «Devo prendere la mia roba, ma il biglietto lo ha Cande.»
«Non importa, ritirerà tutto Cande.» Afferma, uscendo seguita da me. Ha ancora la mia mano nella sua.
«Non viene con noi?» Chiedo, confusa.
«No: l’accompagna una delle sue amiche.» Apre la portiera dell’auto di Alvaro ed entra, ed io faccio lo stesso. È arrabbiato.
Il tragitto è silenzioso, ma non imbarazzante. Lui ha la mascella tesa e le mani sembrano voler rompere il volante per quanto sta stringendo forte. Ma perché è così arrabbiato? Be’, anche io lo sono. Deve spiegarmi perché stava ballando con quella bionda quando mi aveva detto che mi avrebbe aspettato.
Arriviamo a casa. Quando Jorge scende per aprire la serranda del garage, ne approfitto e scendo dalla macchina, dirigendomi a casa.
«Ehi, avete fatto presto.» Sento la voce di Cecilia appena entro.
«Sì.» Affermo e mi ritiro nella mia camera. Non voglio parlare con nessuno.
Prendo un pigiama pulito e l’intimo, per poi entrare in bagno. Ho bisogno di una doccia, non importa se è l’una di notte.
Dopo aver fatto la doccia e raccolto i miei capelli in una crocchia disordinata, rientro in camera. Mi butto sul letto. Sono stanchissima e tutto ciò che voglio fare adesso è dormire. Peccato che il rumore della porta che viene aperta e chiusa, non mi permette di farlo. Non vogliono proprio lasciarmi in pace stasera. So già di chi si tratta. Fingerò di dormire. Ho il volto verso il muro, quindi gli do le spalle.
Lo sento sedersi sul letto per poi stendersi. Sussulto quasi quando mi abbraccia da dietro.
«Martina, lo so che sei sveglia.» Sussurra. Il suo respiro caldo sul mio collo non può far altro che provocarmi dei brividi. «Quando ti ho abbracciato, sei saltata. Sei sveglia. Parlami.»
Non voglio dire niente. Sono arrabbiata con lui.
«Perché non vuoi parlarmi?» Sbuffa. «Okay, allora io ti farò qualche domanda e tu risponderai, va bene?»
Non rispondo e non do cenno di risposta, ma ciò non gli fa non iniziare le domande. «Perché non sei tornata da me, dopo essere andata in bagno?» Non rispondo. Passa qualche secondo. «Per favore, Martina, ho bisogno di saperlo.»
«Sai cosa invece vorrei sapere io? Vorrei sapere cosa ti passa in quella dannata testa.» Mi metto seduta molto velocemente, facendolo saltare, e guardo verso di lui.
«Che intendi?»
«Che intendo? Oh, be’. “Ti aspetto qui”…» dico, imitando la sua voce, per poi continuare. «e poi, al mio ritorno, ti vedo con una bionda tinta a ballare esattamente come stavi facendo con me.» Non so perché questa cosa mi fa arrabbiare così tanto.
«Ehi, io non parlo così!» Dice in modo scherzoso, ignorando le mie parole. «Aspetta. Cosa hai detto?»
«Cosa ho detto?»
«Ti ha dato fastidio che io abbia ballato con quella ragazza?» Corruccia la fronte, sembra interessato alla mia risposta.
«Non so esattamente il motivo, ma sì, mi ha dato fastidio.» Sorride. «E non sorridere da stupido!» Lo ammonisco.
«Martina, tu sei gelosa?»
«Cosa?»
«Sei gelosa?»
«No! Io non sono gelosa!» Lo sono?
«Sicura?»
«Certo, non so nemmeno cosa significhi la parola “gelosia”.» Mi stendo e gli do le spalle.
Mi abbraccia di nuovo da dietro per poi sussurrarmi «Be’, meglio così. Non avresti alcun motivo per esserlo. Tu sei l’unica per me.»

 

*Angolo Autrice*
Ehi ehi ehi! Okay, amatemi! Chi di voi non ha adorato questo capitolo? Volevate una parte "hot" ed eccovi accontentaaaate. Okay, dato che non ho molto tempo, vi lascio qui. Commentateelo voi il capitolo ahaha Tanti besooos :*

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Capitolo 11
*** XI. Sentirsi a disagio. ***


È strano dirlo, ma non mi sentivo a disagio mentre Jorge mi stringeva con le sue forti braccia stanotte. Non mi sentivo a disagio quando mi ha svegliato con un bacio sulla guancia. Non mi sentivo a disagio quando mi guardava da dietro la porta mentre mi sistemavo davanti allo specchio, e nemmeno quando mi ha chiesto gentilmente se poteva essere lui ad accompagnarmi al cimitero oggi.  Inizialmente ero confusa per questa domanda, ma poi mi sono sentita stupida. Era abbastanza ovvio che i suoi genitori glielo avessero detto, a lui come a Cande. Jorge mi ha rassicurato dicendomi che sua madre gli aveva detto il minimo indispensabile e che non sapeva quasi niente riguardo alla faccenda. Gli ho sorriso quando ha affermato che non avrebbe fatto domande né ricerche, ma avrebbe aspettato che fossi io a parlargliene. Ho apprezzato molto questo suo pensiero. A dirla tutta, non mi sento a disagio nemmeno ora, nella macchina di suo padre, con lui che mi sta stringendo il ginocchio sinistro con la sua mano destra, mentre guida. Ricordo perfettamente ciò che è successo ieri sera. Il nostro ballo, la musica ad alto volume, l'alcool, i movimenti, i baci. Nemmeno pensando a quello che mi sento a disagio. Ma, sinceramente, vorrei non averlo fatto. Sapevo che me ne sarei pentita, eppure sentivo che ne sarebbe valsa la pena. Avevo ragione.
«Siamo arrivati.» Dice, accostando la macchina.
Slaccio la cintura e scendo velocemente dalla macchina. Saluto Peter per poi avviarmi verso la tomba di mia madre. Ogni domenica la stessa storia.
Mi siedo allo sgabello, mentre Jorge decide di aspettare sotto al gazebo come ha fatto sua madre la settimana scorsa. Sulla tomba noto dei fiori, delle margherite bianche. Strano: non le ho messe io. Decido di non prestarci troppa attenzione, molte persone conoscevano mia madre, ed era cara a molti. Probabilmente una delle sue amiche sarà venuta qui a portare delle margherite che tra l’altro erano i suoi fiori preferiti. La mia mente va altrove, come al solito, d’altronde. Da anni vengo qui ed ormai è diventata un’abitudine, mi piace far sapere a mia madre che la penso sempre, anche se, sinceramente, non vorrei fosse così. Vorrei lasciarmi il passato alle spalle, sentirmi più libera, senza tutti quei timori, quelle paure, e quegli incubi. Perché è così difficile?
«Martina,…» ero talmente immersa nei miei pensieri che non ho sentito Jorge arrivare. Mi volto verso di lui. «se non ti dà fastidio, io vorrei dire qualche parola.» Faccio un cenno col capo, dandogli il mio consenso. «Bene.» Mi accenna un sorriso, per poi guardare la foto di mia madre in cima alla lapide con uno sguardo più serio, quasi malinconico. «Ciao, Mary. È passato tanto tempo, eh? Mi sento quasi in imbarazzo per essere qui ora. Ti chiedo scusa per non essere venuto prima ma i miei genitori hanno preferito non dirmi niente per non, diciamo, “traumatizzarmi”.» Sto per dirgli che non c’è bisogno che si scusi, ma poi mi blocco, preferendo che continui il suo discorso e sentire cosa ha da dire. «Sai, quando ero bambino, ti vedevo sempre come un angelo, ma non solo da un punto di vista fisico,…» Mia madre aveva i capelli quasi sul biondo e gli occhi chiari. Anche io le dicevo sempre che sembrava un angelo. «Eri sempre buona con tutti, sapevi sempre cosa dire, e avevi sempre i miei biscotti preferiti.» Sorrido per questa sua ultima affermazione. «Sappiamo tutti che ero un capriccioso, piangevo per ogni cosa, ma nonostante ciò, tu non hai mai perso la pazienza con me. Eri sempre gentile, rispettosa, sorridente. Eri tu, un angelo. Adesso, invece, sei un angelo nel vero senso della parola, non solo da un punto di vista fisico o caratteriale. Ho sempre pensato che gli angeli abbiano il compito di proteggere chi è sulla Terra, perché molte volte capita che loro perdino la strada giusta da seguire. Sì, credo negli angeli custodi. È un po’ stupido, vero? Be’, non fa niente, non mi importa.» Si blocca per qualche secondo, come se stesse riflettendo, per poi proseguire. «Sai, anche a me piacerebbe essere un angelo custode, anche se ammetto che non sono la persona più appropriata per questo ruolo. Ho commesso degli errori in passato, e anche oggi continua a capitare che sbagli. Be’, perché no, io non sono ancora un angelo custode. Anche se, oggi, voglio prometterti una cosa: non importa quanto io sia stupido, stronzo, scansafatiche e chi più ne ha più ne metta, ti prometto che, qualunque cosa succeda, mi prenderò sempre cura di chi hai dovuto lasciare anni fa.» Non riesco a seguire il discorso. Sta parlando di molte cose che aveva in privato con mia madre. Non sapevo avessero un rapporto di questo genere. E, in più, non capisco chi voglia proteggere. «Un po’ perché te lo devo, per tutto ciò che hai fatto per me, un po’ perché mi importa davvero di chi hai dovuto lasciare.» Dice, guardandomi. Gli importa davvero così tanto di me? «Quindi, Mary,…» riprende a guardare la lapide.  «…grazie per tutto ciò che hai fatto e scusa se non sono diventato il ragazzo che speravi diventassi. Metterò la testa a posto. Ci proverò, almeno. Ti voglio bene.» Bacia la sua mano destra, per poi accarezzare delicatamente la foto di mia madre. Mi ha sorpreso. E una consapevolezza mi colpisce improvvisamente: anche a me importa davvero di lui.
 
Mi strofino la testa con le mani, impazzendo quasi cercando di scegliere cosa mettere. Tra poco più di mezz’ora arriverà Alex per andare al mare e io sono ancora in accappatoio. A volte non mi capisco. Perché sono così dannatamente agitata? Certo, è un ragazzo e questo sarebbe un buon motivo. Eppure sento che non è per questo che ho lo stomaco in subbuglio. Saremo io e lui, da soli, al mare. Oddio, non sarà mica un appuntamento?
«Tini, ci sei?» Un bussare alla porta interrompe i miei pensieri e riconosco la voce di Cande da dietro la porta.
«Sì, entra» Alzo un po’ il tono di voce per farmi sentire. Entra e si guarda intorno confusa.
«Che è passato qui? Un uragano?» In effetti ha ragione, decine di vestiti sono sparsi per la camera. Non sapevo di averne così tanti.
«Devo uscire con Alex e non ho la più pallida idea di cosa mettere» Mi giustifico. Quasi si strozza con la sua stessa saliva.
«Uscire con Alex? Un appuntamento? Tu e lui?» Chiede ripetutamente, agitata.
«Cosa? No, non è un appuntamento! …credo»
«Credi?»
Sbuffo per poi spiegarmi «Per il progetto io e lui dobbiamo occuparci degli oceani, quindi andiamo al mare a fare qualche scatto.»
«E starete da soli.» Afferma, seria.
«Sì, Cande, non agitarmi più di quanto io non sia già»
«Ok, tra quanto arriva?»
«Tra… venti minuti.» rispondo dopo aver guardato l’orologio. Mi mordo il labbro inferiore per l’agitazione.
«Venti minuti?» Urla e le tappo la bocca con la mano per non farla continuare. Dopo essermi accertata che si sia calmata, tolgo la mano. «Okay, qui c’è bisogno dell’aiuto di Candelaria Blanco perché tu, mia cara, sei in alto mare!» Dice, per poi scoppiare a ridere. «L’hai capita? Alto… mare… Tu devi andare a mare…» Spiega, ridendo.
«Cande.» La guardo seria. «no»
Sbuffa per poi iniziare a cercare tra i miei vestiti.
«Ti presterei qualcosa di mio, ma, purtroppo per me, tu hai qualcosa che io non ho. Ti andrebbero piccolissimi!» Si lamenta.
«Che intendi dire con “qualcosa che non hai”?»
«Ma non è ovvio? Poi mi spieghi come fai ad avere una 38 e una terza abbondante di reggiseno, eh.»
«Ma cosa..?» oddio, parlava delle mie tette. «Cande!» La riprendo, sentendo la faccia andarmi a fuoco.
«Cosa? Martina, è normale parlare di certe cose con le amiche. Devi abituarti a certi discorsi, non sei più una bambina!» Ugh, ha ragione. «Tieni, questo dovrebbe andar bene.» Mi passa un maglioncino abbastanza pesante a lunghe maniche marroncina e un paio di pantaloni beige. Siamo in pieno inverno e io vado al mare. «Dobbiamo rinnovare il tuo guardaroba, comunque.»
«Non ti basta tutta la spesa che abbiamo già fatto?»
«Lo shopping non basta mai!» Dice, facendomi ridere, per poi uscire dalla camera.
Sento il campanello. Dannazione, è in anticipo!
Dopo circa un quarto d’ora, sono pronta. Non ho esagerato col trucco e ho legato i capelli in una coda alta.
Scendo le scale e, mentre prendo il cappotto, vedo Alex e Jorge nel soggiorno. Il primo è seduto sul divano e pare essere parecchio a disagio. Be’, mi sentirei anch’io così se Jorge mi guardasse in quel modo. Pare sia inorridito. Sembra quasi arrabbiato. Ma che gli prende? Uff, dovrei smetterla di farmi tutte queste domande.
«Eccomi, andiamo?» Chiedo ad Alex che subito si alza.
«Certo.»
«Divertitevi.» Sento dire da Jorge in modo ironico mentre alza gli occhi al cielo, ma non gli presto molta attenzione.
Entriamo in macchina e subito l’aria si fa pesante. Non so che dire né che fare.
«Non ci dovremmo mettere molto ad arrivare, il mare è vicino, per fortuna.» Rompe il ghiaccio dopo qualche minuto di silenzio.
«Bene.» mi limito a dire.
«Sei silenziosa.» Mi fa notare. Non sei d’aiuto.
«Non sono il tipo che parla molto.» Spiego.
«D’accordo, allora mettiamo un po’ di musica, okay?» Annuisco.
Accende lo stereo e subito riconosco la mia canzone preferita, la colonna sonora della mia vita.
«Ti piacciono i Simple Plan?» Chiedo, mentre le note di Welcome to my life si sentono in sottofondo.
«Li amo. Anche tu?»
«Sì! Posso alzare il volume?»
«Certo!»
Alzo il volume quasi al massimo e inizio a cantare, sapendo alla perfezione le parole. Nessun imbarazzo. È bello lasciarsi andare. Anche Alex inizia a cantare, e il tragitto continua così. Con me, lui, e i Simple Plan.
Dopo non molto arriviamo al mare.
«Già arrivati?»
«Sì, te l’avevo detto»
«Peccato, mi stavo divertendo.» Ammetto, scendendo dall’auto.
«Be’, possiamo benissimo continuare a farlo.» Prende una borsa dal sedile posteriore, probabilmente dove ha la fotocamera. Mentre ci incamminiamo sulla spiaggia, lo vedo attaccare al telefono una piccola cassa portatile e ancora una volta sento la mia band preferita suonare. «Ecco» sorride, facendomi ricambiare.
Inizia a camminare sulla sabbia, con il sorriso sul volto. Non sembra per niente il ragazzo che tutti descrivono.
«Allora, vieni?» Si gira a guardarmi, e lo raggiungo.
Stende un telo per terra, facendomi intendere che posso sedermi lì, mentre lui si occupa delle foto. Inizia a fare qualche scatto e lo osservo mentre fa la cosa che più gli piace.
Mi distraggo per qualche secondo, ma mi accorgo comunque che sta facendo una foto a me. È piegato sulle ginocchia alla mia destra.
«No, cosa fai?» Dico coprendomi con le mani.
«Scusa, ma un tal panorama non potevo non immortalarlo.» Dice, facendomi arrossire. «Sei talmente bella.» E lo vedo avvicinarsi. Sto fraintendo, non si sta avvicinando per quello. Dannazione.
«Alex.» Dico.
«Sì?» Dice, continuando ad avvicinarsi. Non capisco le sue intenzioni.
«L-Le foto.» Oh, no. Adesso torno a balbettare?
Scuote la testa come se si fosse appena svegliato da un sogno ad occhi aperti. Che imbarazzo. «Sì, certo, le foto. Ne vuoi fare qualcuna tu?» Mi chiede.
Annuisco, e mi raggiunge a terra. Si accuccia dietro di me, posizionandomi la fotocamera tra le mani, davanti al volto. Poggia la sua testa sulla mia spalla sinistra e inizia a spiegarmi le cose da fare per un buon funzionamento della macchinetta. Il suo fiato sul mio collo. Sono completamente avvolta dal suo corpo. I brividi. È così dannatamente vicino. «Non te la cavi male» Dice dopo avermi fatto fare una foto, ma sono troppo distratta. Adesso sì che mi sento a disagio.

*Angolo autrice*
Ehi ehi ehi!! Sono tornaaata? Non siete contenti? Sì, due mesi senza aggiornare. Vi chiedo scusa, ma ho avuto dei problemi che ancora ora ho e poi sono andata in vacanza, quindi il computer non l'ho proprio visto. Be', spero di essermi fatta perdonare con questo capitolo. Ammetto che è il più corto fin'ora ma spero comunque che vi sia piaciuto. Alla prossima, tanti besoos :*

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Capitolo 12
*** XII. Al riparo ***


La presentazione di me e Alex, martedì, è andata davvero bene. Alla professoressa è piaciuta tantissimo la nostra idea, più originale rispetto alle solite presentazioni PowerPoint. Si è anche congratulata con me perché ho esposto molto meglio rispetto alla volta precedente. Non me l’aspettavo, ma Alex ha saputo tranquillizzarmi, nonostante l’ancora grande imbarazzo che provo per via di domenica. Pian piano mi sto aprendo con lui e anche con tutti gli altri. Sto facendo grandi progressi e non potrei essere più fiera di me stessa.
La gioia lascia il posto alla preoccupazione quando inizio a pensare che Jorge e Cande non sono ancora tornati nonostante siano le 2 di notte. È sabato e oggi ho fatto la saggia decisione di restare a casa. Dopo l’ultima volta, non credo che tornerò molto presto in discoteca. Devo ricordarmi di dirgli che esistono anche altri posti dove andare oltre al quel luogo rumoroso e pieno di gente, ma probabilmente non mi ascolteranno.
La porta d’ingresso che si apre e si chiude mi distoglie dai miei pensieri. Jorge e Cande sono tornati.
«Fai presto, mi raccomando. È tardi.» Sento dire da Cande lungo il corridoio.
«Sì.» risponde Jorge. Di che parlano?
Subito chiudo gli occhi, facendo finta di dormire. Sento la porta della mia camera che si apre. Riconosco i passi pesanti di Jorge. Dopo pochi secondi, sento le sue labbra premere sulla mia guancia, e un piccolo ghigno subito dopo. Probabilmente sta sorridendo.
Lo sento allontanarsi e chiudere la porta, lasciandomi di nuovo sola.
Sento nuovamente la porta di casa aprirsi e chiudersi. Jorge è uscito di nuovo? Alle 2.30 di notte? Questa cosa non è normale. Mi alzo immediatamente dal mio comodo letto, ed esco dalla camera per poi entrare in quella della rossa. Ma, con mia grande sorpresa, Candelaria non è nella sua camera.
 
Dei baci umidi lungo il collo e i brividi provocati da essi, mi fanno svegliare d’improvviso. So di chi si tratta, ma faccio finta di dormire ancora, voglio che questa sensazione duri più a lungo possibile.
«Buongiorno, dormigliona!» Uff, se n’è accorto.
«Buongiorno.» dico, stropicciandomi gli occhi. «Che ore sono?» chiedo, ancora con la voce impastata, guardandolo. I capelli scompigliati, lo sguardo assonnato. È così maledettamente bello.
«Le 10.30.» risponde, con tranquillità.
«Cosa? È tardissimo.» Mi alzo immediatamente dal letto, avviandomi verso l’armadio per scegliere cosa mettere, ma Jorge mi prende per un braccio, bloccandomi.
«Oggi non andiamo al cimitero, ricordi?»
Mi rilasso. Ha ragione. Ieri Cecilia mi ha detto che oggi sarebbero venuti i nonni di Jorge e Cande e che quindi voleva una mano in cucina. Un po’ mi dispiace non andare da mia madre, ma non del tutto.
«In ogni caso è tardi! Devo aiutare tua madre!»
«C’è già Cande che l’aiuta! Dai, torna a letto. Divertiamoci un po’.» Ma cosa sta dicendo?
Ammetto che l’idea di stare ancora un po’ con lui, tanto vicini da poter sentire il respiro l’uno dell’altro, mi alletta parecch… Un momento. Ma cosa sto pensando?
«Esci dalla mia camera.»
«No, dai.»
«Esci, devo cambiarmi.»
«Un motivo in più per restare.» Sorride beffardo.
«Jorge!» Urlo quasi.
«D’accordo.» Si alza dal letto. È a petto nudo nonostante siamo alla fine di gennaio. Deglutisco, guardandolo.
Apre la porta e prima di uscire, mi dice «non mi guardare troppo, che mi sciupo.» Prendo un cuscino dal letto e lo lancio verso la sua direzione, ma Jorge riesce a chiudere velocemente la porta, e il mio lancio va a vuoto. Mi mordo il labbro inferiore sorridendo. Cosa mi sta facendo quel ragazzo?
 
«Mamma, davvero ti fidi di Cande ai fornelli?» Jorge entra in cucina. Si è cambiato, ora indossa un maglioncino beige che gli va parecchio attillato, il che non mi dispiace.
«Ma stai zitto, sei bravo tu!» Risponde Cande.
«Lo sai che sono bravo!»
«Certo certo…» Ironizza la rossa.
«Ehi..!»
«Smettetela di battibeccare voi due!» Li riprende Cecilia.
«Se sei così bravo come dici, perché non ci dai una mano invece di stare lì a guardare?» Propongo.
«No, vi farei fare una brutta figura.» Si vanta.
«Certo, se lo dici tu.» Dico, poco convinta.
«Ora ti ci metti anche tu!»
«Ora basta, o ti rendi utile o esci dalla cucina! Grazie!» Sbotta Cecilia, sembra essersi infastidita. La capisco pienamente.
«Me ne vado, me ne vado. Non meritate la presenza di un grande chef come me tra voi.» Dice, uscendo.
«Ma quanto è stupido quel ragazzo da 1 a se stesso?» Dice Cande, facendoci ridere. Mi ha tolto le parole di bocca.
 
Il pranzo sta andando davvero bene, i genitori di Alvaro sono gentili e simpatici proprio come li ricordavo. Molte volte intervengono con qualche aneddoto su Alvaro, di quando era piccolo o di quando frequentava Cecilia. Lo stanno mettendo davvero in imbarazzo, ma ciò non sembra preoccuparli.
«Ehi, Jorge, vieni qui, ho una cosa per te.» Dice Alvaro, alla fine del pranzo. Ormai sono tutti seduti sui divanetti, mentre io guardo fuori dalla finestra. Sono attenta sul paesaggio fuori, sta per fare notte, ormai, ma le parole di Alvaro mi fanno voltare immediatamente, facendomi concentrare su di loro.
«La vedi questa?» Dice, indicando qualcosa tra le sue mani. Mi avvicino, non riuscendo a vedere cos’è. È una collana, il ciondolo è un po’ rovinato, ma non ha perso la sua bellezza. Jorge annuisce, permettendo al padre di continuare. «Vedi, questa collana appartiene alla nostra famiglia da generazioni. È tradizione che il figlio maschio la debba donare alla ragazza con cui trascorrerà tutta la sua vita.»
«Non è proprio così, Alvaro.» Interviene il nonno Bob. «In realtà la tradizione è che la collana si deve donare alla ragazza, che non abbia legami di parentela con te, che ami più di chiunque altro. Non dovete per forza stare insieme ed essere felici, anche perché in passato ciò non poteva accadere sempre per via di accordi prematrimoniali o roba del genere. Deve essere quella ragazza che ogni volta che la guardi da lontano, nello stomaco non hai farfalle, ma uno zoo intero.» Dice, ridacchiando. «Quella ragazza che sai che il tuo sorriso dipenderà solo ed esclusivamente dal suo. Quella ragazza che ogni volta che ci parli, ti faccia dimenticare il tuo passato, la tristezza. Trova qualcuno che ti cambi la vita, che la renda migliore, che sostituisca e riempia il vuoto di chi se n’è andato. Trova quella ragazza per cui valga la pena sorridere.» Wow, che belle parole. Esiste davvero una persona che potrebbe farti provare tutte queste sensazioni? Mi faccio così tante domande a cui non so rispondere; mi sento così stupida a volte.
«Ho capito, nonno, grazie.» Dice, prendendo la collana. Mi guarda per qualche secondo per poi rivolgersi di nuovo a suo nonno. «Sai, nonno, la cosa divertente e che penso di averla già trovata.» Dice, sorridendo, facendo sorridere anche agli altri.
«Jorge, non puoi saperlo ora. Quella collana è molto importante per noi. Non devi darla a chiunque, o a una ragazza di una notte. Hai capito?»
«Sì, nonno, ho capito. Grazie ancora.»
«Ehi, non è giusto! La voglio anche io una collana da poter donare all’amore della mia vita!» Si lamenta Cande. È la solita.
Si sente il campanello di casa. «Vado io.» dico, non volendo interrompere questo momento in famiglia.
Apro la porta, e mi paralizzo all’istante. Non può essere davvero lui. Come è possibile? Ha qualche ruga in più, ma il suo volto è inconfondibile.
«Martina. Sei davvero tu! Come sei cresciuta, bimba mia!» Sorride.
Indietreggio immediatamente, quasi cado. Le mani immobilizzate, la paura che mi si legge negli occhi. No, non di nuovo.
«Cosa fai qui? Via da questa casa!» Sento la voce alta di Alvaro, ma i miei occhi sono paralizzati su di lui.
«Alvaro, ti prego. È mia figlia.»  
«In questa casa non sei il benvenuto! Va via!»
Non voglio continuare a sentire la questione. Mi volto e salgo velocemente le scale.
«No, Martina, no!» Sento la sua voce, ma non mi volto.
Corro per il corridoio e mi rifugio nella mia camera. -Non piangere, Martina, non piangere.- Mi dice il mio cervello, ma non sembro ascoltarlo. Le lacrime scivolano velocemente lungo le mie guance. Perché? Perché? Perché? Stava andando tutto così bene. Perché?
Mi sento sul letto e cerco di soffocare le lacrime con il cuscino, ma tutto sembra inutile. E mi addormento con ancora le lacrime che mi bagnano il volto.
 
Bussano alla porta. Non so quanto tempo sia passato, ma sono ancora sul letto, con il volto bagnato. Mi fa leggermente male il collo, probabilmente per la posizione scomoda con cui mi dono addormentata.
«Martina, sono io. Posso entrare?» Non rispondo alle parole di Jorge. «Martina, rispondi, ti prego.» La sua voce sembra stanca e preoccupata, ma non ci faccio molto caso. «Martina se non rispondi, entro.» Ancora non rispondo. Probabilmente non voglio che capisca che ho pianto, o, ancora più probabile, il mio inconscio mi sta dicendo che voglio che entri. «Ok, non mi lasci scelta.»
Sento la porta aprirsi e chiudersi. Dei passi avvicinarsi. La molla del letto che si abbassa. È seduto accanto a me ora.
«Ehi.» dice, con voce calma. «Come stai?» non rispondo. Come dovrei stare? «Hai ragione, domanda stupida. Ma sai, non so esattamente cosa dire o cosa fare. Aiutami ad aiutarti, Martina.»
Mi alzo col busto dal letto, sedendomi di fronte a lui. Le lacrime scendono ancora ma non mi importa. Mi butto tra le sue braccia. E lui subito mi accoglie.
«Vorrei solo essere qualunque cosa ti faccia star bene.»
«Sii te stesso. Tu mi fai star bene.» Gli dico, e non posso credere di averlo fatto davvero. Ma è così. Un suo abbraccio è riuscito a calmarmi come niente era mai riuscito a farlo. Anche solo la sua presenza in questa stanza. Le sensazioni e le emozioni che mi fa provare mi hanno travolta completamente, come un uragano, e non so davvero come uscirne. Anche se, credo di voler stare in questa tormenta per sempre.
 
Scendo le scale, un’altra stressante settimana di scuola sta per iniziare. Fortunatamente mancano solo quattro mesi al termine. Svegliarsi presto e lo studio non fanno per me.
«Buongiorno.» Dico, entrando in cucina.
Dopo il solito “rituale” di prendere la mia tazza da sotto il naso di Jorge, la colazione continua tranquillamente.
«Jorge, oggi non vado a lavoro, puoi prendere la mia auto, se vuoi.» Dice Alvaro a suo figlio, mentre aiuta Cecilia a togliere la tavolo.
«Grande, pà! Grazie.» dice, prima di risalire le scale.
In cucina siamo rimasti solo io e i due padroni di casa. Mi sembra il momento giusto per parlarne.
«Alvaro, Cecilia…» Li chiamo, attirando la loro attenzione. «Sentite, mi sapete dire perché… cioè, perché lui ieri era qui?»
Cecilia mi fa un sorriso amaro per poi rispondere. «Ha avuto un giorno di uscita per via di buona condotta. Ovviamente, era scortato da due poliziotti.»
«Ah… Ho-o capito, grazie.» Dico, prima di girarmi, pronta per tornare di sopra per prepararmi, ma la voce di Alvaro mi fa voltare nuovamente.
«Martina, non devi preoccuparti. Non si avvicinerà più a te, non ti farà più del male. Hai capito?»
Annuisco lentamente e lo ringrazio con un flebile sorriso, per poi uscire dalla camera.
 
Fortunatamente questo lunedì è passato in fretta. Anche se, ammetto che la scuola è stato un ottimo diversivo per non pensare alla giornata di ieri. Mio padre, Jorge… Mi fido di Alvaro, so che non permetterà mai che qualcuno mi faccia del male. Eppure, questa sensazione di paura e trambusto non riesce ad andare via, come se il mio cuore la trattenesse con forza. Ora che ci penso, però, c’è stato un momento in cui queste due sensazioni mi hanno lasciato. Sono così confusa. Vorrei poter parlare con qualcuno e capire cosa mi sta succedendo. Ma, pensandoci, ho qualcuno con cui confidarmi. Mi alzo dal letto e abbandono la mia camera. Busso alla porta della stanza di fronte ed entro subito dopo un «Avanti» squillante.
«Tinitaa!» Mi sorride raggiante, facendomi segno di sedermi accanto a lei, sul suo letto.
«Cande, ho un urgente bisogno del tuo aiuto.» Le dico.
«Uh, la cosa sembra seria. Dimmi tutto.» Prende un cuscino e se le posiziona sulle gambe incrociate per poi appoggiarci sopra i gomiti.
«Ecco, io non so come iniziare.»
«Dall’inizio, magari.» Ironizza, ma non ha tutti i torti.
«Ti è mai capitato di abbracciare qualcuno e sentirti al riparo?» Le chiedo. Un sorriso dolce si stampa sulla sua faccia.
«Certo. Moltissime volte.»
«E sai spiegare questa cosa? Perché succede?» Alza un sopracciglio, quasi come se le facesse strano che io non sappia rispondere a queste domande. «Okay, ascolta, io sono completamente inesperta, in qualsiasi campo. Aiutami, ti prego.» Ride per questa mia ultima affermazione. Sembro davvero disperata.
«Okay, ascoltami, non so esattamente perché succede, anche perché dipende con chi ti succede, se c’è un legame di parentela o altro. Ciò che posso garantirti, però, è che la persona o le persone con cui ti succede sono molto importanti per te…»
Non la lascio continuare che la interrompo «È che con lui è tutto così diverso, tutto ha una luce migliore.»
«Aah, ma quindi è un lui!» Esclama sorpresa, ma qualcosa mi dice che già avesse capito di chi si tratta.
«Sì, è un lui.»
«Okay, fammi capire esattamente ciò che provi. Le cose si fanno interessanti.» Sghignazza.
«Non lo so esattamente. Ma lui mi fa sorridere sempre, nonostante tutti i problemi, se solo lo vedo mi sento meglio, tutti i problemi vanno via e rimane solo lui. Anzi, rimaniamo solo io lui. Poi è molto dolce…» Sto divagando.
«Ehi ehi ehi! La nostra Tini è innamorata!» Esclama.
«Cosa? No, non sono innamorata. Non so nemmeno cosa voglia dire essere innamorati.»
«Non lo sai, e infatti sei qui a chiedere spiegazioni.» Ride. Ha ragione.
«Sei seria, Cande? Io bho, non ci posso credere. E poi non credo che lui ricambi.»
«Tini, ma non devi preoccuparti per questo. Ma ti vedi? Sei fantastica, sia fuori che dentro e se lui non lo vede, allora non ti merita.»
«Dici?» Chiedo, insicura come al solito.
«Ma certo! Devi avere la forza di rischiare, e superare la paura. Quindi sei praticamente obbligata ad andare a parlare con lui.» Cos’è questa dittatura?
«E se va male?»
«E se va bene?» Chiede. «Il bicchiere non è sempre mezzo vuoto, Martina. So che la tua vita non è stata tutta rose e fiori, e questa deve essere un’incentiva in più per migliorarti.»
«Credo che tu abbia ragione, Cande.»
«Io ho sempre ragione.» Si vanta.
«Sì, certo, Scoiattolo.» Dico, ironizzando, andando verso la porta.
«Ehi! Non chiamarmi così!»
«D’accordo, Scoiattolo.» Oddio, mi sembro Jorge.
«Smettila.»
Sorrido, guardandola. «Grazie, Cande.»
«Questo e altro per te.» Ricambia il sorriso.
Esco dalla camera. Deglutisco. Devo parlare con lui.

 

*Angolo Autrice*
Ehi, ragazzuooli! Come state? Spero beeene. A me la scuola sta già stressando e stiamo solo all'inizio... Nonostante ciò, sono riuscita ad aggiornare :D Che brava che sono u.u Comuuuunque, non voglio allungarmi troppo, anche perché devo studiare. Buona lettura :* (Anche se in teoria leggete prima il capitolo e poi l'angolo autrice ma okay xD) Tanti beesooos :**

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Capitolo 13
*** XIII. Di martedì ***


Il martedì non è mai stato il mio giorno preferito. Quando ero piccola, i miei genitori adottivi mi lasciavano sempre a casa della signora Pansy in questo giorno, per motivi lavorativi. Odiavo quella donna. Mi obbligava sempre a fare le pulizie al posto suo, minacciandomi di dire chissà quali bugie ai miei genitori. Non le ho mai creduto, ma ho sempre rispettato le sue regole. Qualche volta mi capitava di avere la febbre e di non poter andare a scuola, e anche in quell’occasione, i miei genitori mi mandavano da lei. Ricordo che urlavo a squarciagola per farmi sentire mentre ero sofferente nel letto. Non veniva mai a vedere cosa avessi, probabilmente impegnata a vedere la sua soap preferita in tv. Ero sicura di aver provocato io la sua morte, per via di tutte quelle volte in cui l’ho mandata al diavolo. “Il cielo se l’è chiamata”, così diceva mia madre, ma io non le credevo. Per un po’ mi sono sentita in colpa, era strano vedere la sua casa vuota e dover stare con qualcun altro il martedì. Poi, però, i Blanco sono diventati i nostri nuovi vicini, non pensavo più alla signora Pensy. Ma, se davvero fossi stata io, colgo l’occasione per chiederle scusa.
Il martedì non è mai stato il mio giorno preferito. È stato proprio di martedì il giorno in cui tutto è cambiato. Poi, il martedì era il giorno in cui l’orfanotrofio era aperto per accogliere le coppie con intenzione di adottare. Era sempre brutto vedere qualcuno rinunciare, soprattutto quando la bambina in questione ero io. Anche se, probabilmente ora ringrazierei tutte quelle coppie che mi hanno “scartata”. Se una di loro mi avesse adottata, ora non starei qui seduta accanto a Candelaria. Quindi sì, grazie anche a loro.
Il martedì non è mai stato il mio giorno preferito. Il martedì è il giorno in cui filosofia interroga. Ho sempre paura che il prof faccia qualche domanda a cui non so dare risposta, dal momento che filosofia non è solo un semplice limitarsi a studiare. Ed è brutto quando non riesci ad ottenere il risultato sperato, solo perché non riesci a comprendere bene qualcosa.
«Buongiorno!» Sento praticamente urlare Lodo e Cande che mi distolgono dai miei pensieri. Facundo è appena entrato in classe, ma non ha rivolto loro uno sguardo, sedendosi direttamente al suo posto. Ha un’espressione corrucciata, non sembra essere di buon umore.
«Ma che ha?» Chiede Lodo, a cui Cande risponde con un’alzata di spalle, non sapendo che rispondere.
«Ah, credo di aver capito.» Sussurro quasi, vedendo Alba e Jonas entrare in classe. Parlano e ridono tra loro. Sembrano molto in confidenza.
«Ma cosa sta combinando Alba? E, soprattutto, non ci dice niente? Ah, ora mi sente!» Dice Lodo, combattiva.
Jonas va a sedersi al suo posto ed Alba ci raggiunge. «Buongiorno!» sorride, sedendosi accanto a Lodo.
«Buongiorno un corno!» Sbotta lei.
«Ehi, cos’è questo tono aggressivo?» Chiede la riccia.
«Alba, cosa sta succedendo tra te e Jonas?» Va dritto al punto Cande.
Io mi limito ad ascoltare, non voglio entrare troppo in questioni che non mi riguardano.
«Jonas? Ma che state dicendo?»
«Oh, ma andiamo! I sorrisi, gli sguardi! C’è qualcosa, ammettilo!» Continua Lodovica.
«Cosa? No! Tra me e Jason non c’è niente! Come vi è saltato in mente?»
«Aha… Sì, dici pure così, ma non siamo le uniche a pensarlo.» Cande fa un cenno con la testa verso Facundo. Sta seduto al suo banco, con la testa china sul libro di filosofia. A quanto pare, non sono l’unica a preoccuparsi per l’interrogazione.
«Cosa...?!» Alba guarda verso di lui, sembra dispiaciuta. «Ragazze, non c’è niente, davvero. Siamo solo buoni amici. E Facu lo sa. Vi ricordate la discussione dell’altro giorno? Abbiamo chiarito tutto dopo.» Spiega.
«Se lo dici tu… Ma, parla con lui, non mi pare stia bene.» Suggerisce la rossa.
«Sì, però una cosa non mi è chiara.» Intervengo. «Perché Facu ha fatto quella scenata? Va bene che è geloso e tutto, ma non può essere arrivato a fare tutto quello per una gelosia ingiustificata.» Penso ad alta voce.
Alba diventa rossa tutta di un botto. C’è qualcosa che non ci ha detto.
«Be’, proprio ingiustificata non è.» sussurra.
Lodovica e Candelaria spalancano gli occhi.
«Non mi guardate così!»
«Cos…?!» Inizia Lodo, ma si interrompe subito. «Alba Rico Navarro, parla!»
Alba sbuffa, non le piace parlare di quest’argomento. «Diciamo che abbiamo continuato a vederci, non usando più la scusa del progetto. Mi piace stare in sua compagnia, cosa c’è di male in questo? Un pomeriggio, però, stavamo prendendo un gelato. Ad un certo punto, usando una scusa mi si è avvicinato, un po’ troppo, direi, e… e, be’, ragazze, mi ha baciata.» Spiega l’accaduto. Strano non l’abbia detto prima a Cande e Lodo. Bha, le amicizie sono difficili da capire.
«Alba Rico Navarro, non posso credere che tu non ce l’abbia detto.» Continua a chiamarla usando il suo nome completo Lodovica.
«Lo so, ragazze, mi dispiace. Non volevo pensaste che fossi una traditrice o qualcosa del genere. Lo so di aver sbagliato, anche perché io non ho fatto niente, ed è stato lui, ma avevo paura, tutto qui.»
«Lo sai che non ti giudicheremmo mai.» La rassicura Cande.
«Anche se non credo sia proprio corretto dire che abbia fatto tutto lui…» Intervengo una seconda volta. «Cioè, tu gli hai dato corda. Siete usciti insieme, da soli: probabilmente lui pensava che fossi d’accordo.»
«Tini ha ragione.» Concorda con me Cande. «Non avresti dovuto dargli tanto spazio, o, comunque, avresti dovuto chiarire con lui da subito.» Dice. «Be’, e Facu come l’ha presa?»
«Avete visto, no? Affatto bene. Anche se mi ha creduto e non potrei essere più felice di ciò. Ho chiarito le cose con Jason, ora siamo solo amici, non che prima fossimo qualcosa di più.»
«Sì, okay, Alba, ma pensa anche a Facundo. Mettiti nei suoi panni. Come reagiresti tu al suo posto? Cioè, guardalo, sembra un cane bastonato.» Dice Lodo.
Alba sbuffa ancora una volta. «Sì, avete ragione, ma non posso farci niente, mi piace stare in sua compagnia. È possibile che non possa avere un amico maschio?»
«Alba, ma tu sei sicura di non provare niente per Jonas?»
L’ingresso del professore non le permette di rispondere e la domanda di Lodo rimane sospesa nel vuoto. Con lui entrano anche tutti gli altri studenti, tra cui Alex, che mi fa un occhiolino prima di sedersi. Buongiorno anche a te.
 

Casa Lambre è davvero enorme. Credo di non aver mai visto una casa così grande. La camera di Mercedes è più grande di tutta casa Blanco messa insieme, che comunque non è tanto piccola.
«Ah, ci voleva un pomeriggio tutto per noi! Allora, che mi racconti?» Mercedes chiude la porta della camera alle sue spalle e si butta sul letto accanto a me.
«Mh, nulla di nuovo in realtà. Oggi ho una lezione con Jorge.» Ricordo improvvisamente.
«Lezione?»
«Sì, mi dà lezioni di chitarra, non te l’ho detto?» Dissente con la testa. «Il martedì e il giovedì. Fino ad ora abbiamo visto solo la parte teorica, credo che oggi inizieremo con quella pratica.» Dico eccitata.
«Davvero? Fantastico! Sai che anche io suono?»
«Ah, sì?»
«Sì, ho preso lezioni dagli otto ai sedici anni. Poi, però, ho deciso di lasciare per dedicarmi di più alla scuola, dato che i risultati non erano poi così buoni.»
Aspetta, qualcosa non torna.
«Non credo di aver capito, tu non sei sempre stata la secchiona della classe?» Sembra offendersi quando sente il mio “soprannome”, ma poi scuote la testa, come per voler lasciare stare.
«In realtà, sono stata bocciata due volte in primo superiore.» Ammette.
Cosa?
«Eh?»
Scoppia a ridere. «Dovresti vedere la tua faccia.»
«Aspetta, quindi non hai diciassette anni?»
«No, ne ho diciannove, dovrei essere in quinta.» spiega.
«Non ci posso credere, e come mai questo radicale cambiamento?»
«Diciamo che i miei genitori, come puoi immaginare, non erano proprio entusiasti. Erano delusi. Quindi ho deciso di mettermi sotto, glielo dovevo, per tutto ciò che loro fanno per me.»
Annuisco, sorridendo. Sono felice che abbia voltato pagina. Adesso non la conoscerei nemmeno.
«Che dici se vado a prendere qualcosa da mangiare?»
Mi si illuminano gli occhi.
«Lo prendo per un sì!» Ride, per poi uscire dalla stanza.
Mi alzo dal letto e mi metto a curiosare un po’ in giro. Noto che ha una bacheca appesa al muro sopra la scrivania. Ci sono moltissime foto. Alcune di quando era bambina, insieme ai suoi genitori e ad un altro bambino, probabilmente suo fratello o un cugino o, non so, un amico. Non importa. Altre foto dove è con altre bambine, era davvero tenera da piccola. Tra tutte queste foto, ne noto una. Mercedes qui è con Jorge e con altri due ragazzi. Lui è in mezzo e ha le sue braccia attorno ai colli degli altri due che tengono Mercedes in braccio. Tutti con i pollici in su. Jorge ha i capelli un po’ più lunghi ed è anche un po’ più in carne. La foto sarà di qualche anno fa, forse del periodo in cui sono stati insieme. Prendo la foto dalla bacheca e inizio ad osservare i particolari. So che nascondono qualcosa, lo sento e il mio sesto senso non mi mente mai. Jorge che esce di notte, con Candelaria. Come sia lui che Mercedes sono stati evasivi sulla loro relazione. Nascondono qualcosa, ma cosa? Qualcosa mi dice che non vorrei sapere. Deve essere davvero una cosa non troppo bella, per nasconderla in questo modo. Giro la foto, cercando sul retro la data che però non c’è. Al suo posto trovo una specie di descrizione, scritta a penna: “Mercedes, Jorge, Mike e Dennis”. Mike è il fratello di Mercedes. Me lo disse Jorge, quando gli chiesi spiegazioni. E l’altro ragazzo?
Sento dei passi sulle scale. Mi affretto a posare la foto e rimettermi sul letto. Non ho il tempo di dire niente che Mercedes entra nella stanza con un vassoio con dei biscotti e del succo di frutta, esclamando «Allora, iniziamo i compiti?»
 

Sto aspettando Jorge in camera, ripassando ciò che mi ha spiegato l’ultima volta. Credo che la lezione sia una buona occasione per parlargli, anche se non saprei esattamente cosa dirgli. So perfettamente che se mi preparassi un discorso adesso, me lo scorderei appena entrerebbe dalla porta. Forse dovrei lasciare scorrere le cose, ho sempre creduto nel destino: se una cosa deve succedere, succederà. Oh, sono davvero una fifona.
«Ma buonasera!»
«Al tuo paese non si usa bussare? Avrei potuto essere nuda!»
«Be’, meglio ancora! Non busserò mai più in vita mia, aspettando quel momento.» Dice ridendo.
Gli butto un cuscino addosso, ma questo non basta a calmare la sua risata e, ben presto, la mia espressione arrabbiata si addolcisce.
«Okay okay, pronta per la lezione di oggi?» Si siede sul letto accanto a me. Annuisco energicamente.
«Oggi, per la tua felicità, inizierai a suonare.»
E così inizia a spiegarmi le prime note, i primi accordi. È tutto così facile spiegato da lui. Mentre mi esercito in alcuni esercizi, prende la sua chitarra e inizia a suonare una melodia, facendomi bloccare subito. Inizio a guardarlo, osservandolo e facendomi trasportare da questi suoni così dolci.
«Oh, scusa, la smetto subito.» si accorge che ho smesso di suonare.
«No, ti prego, continua, era così bella.»
Sorride, e riprende a pizzicare le corde. Poco dopo, il suono si blocca. «e da qui non riesco più a continuare.»
«L’hai scritta tu, quindi?»
«Già.»
«Scrivi solo melodie, o anche testi?»
«Entrambi. Ho scritto diverse canzoni. Ma questa melodia non riesco proprio a portarla avanti. Ogni tanto la risuono sperando di trovare l’ispirazione per continuare» Mi spiega. È così strano. Davvero lui è quel ragazzo che a scuola viene descritto come stronzo troglodita a cui tutte vanno appresso?
«È molto dolce.» Sorrido e lui ricambia, abbassando lo sguardo. «L’hai scritta per qualcuno?» Chiedo, non so davvero da dove mi escano certe domande.
«Oh, nono, di solito per scrivere prendo la chitarra e lascio libero sfogo alla fantasia. Ci siamo solo io e la musica. Non penso praticamente a nulla quando scrivo.»
«Ero convinta di sì. Hai mai scritto una canzone per qualcuno?»
Prova a rispondere, ma lo anticipo. «Magari per Mercedes… O per qualcun altro dei suoi amici… Com’è che si chiamano? Mike, Dennis…» Mi sto lasciando trasportare. Il mio tono è duro, quasi da rimprovero.
«Martina, chi è Dennis?»
«Non far finta di non sapere.»
«Da dove hai tirato fuori quel nome?» Chiede, è serio, ma non gli rispondo. «Be’, lascia stare, non importa.»
«Sì che importa! Mi nascondete qualcosa. Tu, Mercedes… anche Candelaria! E chissà chi altri è a conoscenza di questo “gran segreto”!» Lo accuso, facendo il gesto delle virgolette con le mani. «Perché non ti fidi di me, Jorge?»
«Ah, io non mi fido di te? Ti ho detto ciò che è successo. Lo sai!» Si alza dal letto, l’ho fatto arrabbiare. «E poi, da che pulpito arriva la predica?! Sei tu che non ti fidi di me, né di qualunque altro ragazzo esistente sul pianeta! Anche tu nascondi qualcosa!»
«Ho i miei motivi per non fidarmi!»
«Ah, be’, almeno lo ammetti!»
«Tu neanche quello!»
«Sai che ti dico? Vai a quel paese, Martina! E te lo dico col cuore!» Detto questo, esce dalla stanza, sbattendo forte la porta.
Mi butto sul letto, affondando la testa nel cuscino. Ma che ho combinato?
Sbuffando, prendo il telefono dal comodino, non so nemmeno perché io lo stia facendo, ma ho davvero bisogno di sfogarmi. Cerco il suo nome in rubrica, per poi premere sul tasto verde. Uno squillo. Due squilli. Poco dopo il terzo squillo risponde.
«Ehi, Martina, ma che bella sorpresa!» Il suo tono è contento.
«Ciao, Alex. Ti va di vederci?»
Il martedì non è mai stato il mio giorno preferito.

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