1944

di _writeismyworld_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 16 Marzo 1944 ***
Capitolo 2: *** Una zazzera rossa e profondi occhi verdi ***
Capitolo 3: *** Decisioni ***



Capitolo 1
*** 16 Marzo 1944 ***


Il 16 marzo 1944 Aria Scarlett si svegliò nell' ormai decadente orfanotrofio di San Michael. Si era accasciata vicino ad un colonna che era crollata trascinando con sé buona parte del soffitto del cornicione all'entrata. Vicino a lei corpi ansimanti di suoi coetanei giacevano in una posa sofferente che lasciava ad indurre la loro imminente morte. Con fatica si aggrappò alla colonna e fece forza con le braccia per elevarsi in alto, in quanto le sue gambe erano ancora intorpidite dal sonno. Non ottenendo risultati provò a voltarsi di schiena e fare forza sui gomiti per alzare il busto. Si mise a sedere in modo da ammirare il desolante paesaggio che si elevava ai suoi occhi. I suoi compagni di studi, di giochi, di vagabondaggi erano schiacciati dalle macerie o dalle robuste colonne che un tempo sostenevano l'immane soffitto dell'orfanotrofio, il quale ora lasciava spazio ad un cielo stellato appena rischiarato dall'aurora del mattino.
In quell'istante avrebbe voluto ritornare ai suoi sogni, dove la guerra non imperversava violentemente sulle città e le case non erano distrutte dalle bombe ma ormai la vita la stava già chiamando alla sopravvivenza.
Con un movimento meccanico, quasi come se qualcosa la bloccasse, mise il piede sinistro davanti a quello destro, chiuse gli occhi per non vedere i corpi morti davanti a lei e si tappò le orecchie, per non sentire i loro lamenti angoscianti.
Nella sua mente però le immagini di quella disgrazia erano forti e vivide. Ignorare quei bambini che di li a poco non sarebbero stati altro che corpi senz’ anima non fu facile. Nonostante tenesse gli occhi chiusi, le immagini continuavano a riemergere dal profondo pozzo che  costituisce la coscienza.
Con frenesia aumentò il passo sempre di più fin quando si ritrovò a correre incessantemente  per le vie di Londra.  In lontananza sentì un rumore assordante che proveniva alle sua spalle, spaventata si girò e quello che scorse la lasciò senza fiato: orde di aeroplani solcavano con vessazione  il cielo sganciando enormi bombe,  che senza una direzione ben precisa  colpivano i civili.
Con un grido di terrore negl’occhi cominciò a correre percorrendo tutte le vie in cerca di una botola o di una cantina dove ripararsi.
Gli aerei erano troppo veloci e in men che non si dica la raggiunsero continuando a sganciare bombe.
Aria, intanto, pensava alla sua imminente morte, non comprendendo la sottile ironia della vita, a  che scopo sopravvivere al crollo dell’orfanotrofio per poi morire sotto i bombardamenti?
Corse a per di fiato fino a che i polmoni non le fecero male ma di una botola o una cantina nessuna traccia. Lungo le strade diversi bambini  erano appollaiati ad un angolo in cerca di elemosina, ma adesso tutti correvano nella stessa direzione esclusi quelli che non avevano più niente da perdere e fissavano il vuoto con occhi vitrei in attesa del gelido bacio della morte.
Aria, quei bambini, nemmeno li notava, era intenta a salvare la sua vita e non aveva tempo per chi aveva deciso di sprecarla. In quell’istante notò con amarezza come un gelido egoismo si fece strada dentro di lei fino a renderla incurante di ciò che succedeva intorno, fino a calpestare quei bambini che, proprio come lei, stavano correndo verso la salvezza e la libertà.
Silenziosamente chiese scusa ai ragazzi che si era lasciata alle spalle e che intanto cercavano si rialzarsi da terra ma invano.
Immersa nei suoi pensieri, non si accorse che un ragazzo dalla costituzione robusta le era venuto addosso facendola cadere con la faccia a terra e calpestandola. Aria, dolorante cercò di tirarsi su con tutte le proprie forza ma era troppo stanca, non aveva mangiato e l’organismo era debole per continuare quella inesorabile corse verso una presunta salvezza.
“Non fare agli altri ciò che non vorresti essere fatto a te” pensò con amarezza.
Con un gesto dolorante, si girò con la schiena per terra e volse i suoi occhi verso il cielo: era pronta.
 In lontananza vide una sagoma nera che lentamente avanzava verso di lei con la mano scheletrica protesa in avanti come a mimare il gesto di potenza nel prendere una vita.
La Morte si avvicinò inesorabilmente verso il piccolo corpicino steso a terra che, come ultimo desiderio prima di morire, aveva espresso di guardare le stelle.
Avvicinò la sua faccia a quella della piccola che la fissava con gli occhi spalancati. Che strano, la maggior parte delle anime che andava a prendere la guardavano con occhi pieni di paura e nei loro ultimi istanti sulla vita terrena ansimavano pregandola di non portarli via. Questa faccia, invece la fissava con semplice curiosità, come un bambino guarda una caramella provando ad indovinarne il gusto.
Sapeva chi era e cosa rappresentava ma in lei non c’era alcun minimo segno di paura, solo una miserabile rassegnazione alla morte.
In quell’istante la bambina di fronte a lei venne scossa con violenza e trascinata lungo le strade della capitale. Venne presa per mano, poi presa in braccio e infine caricata sulle spalle.
Aria non capiva ancora cosa stesse succedendo, ricordava soltanto quella figura minacciosa che veniva verso di lei ed era ad un passo da strapparle l’anima. Improvvisamente qualcuno l’aveva scossa e il suo desiderio di morte si era attenuato. Non era spaventata, bensì abbagliata da quel velo nero che celava un’ombra di sofferenza e solitudine.
Non seppe come ma si ritrovò al fianco di una ragazzino poco più grande di lei che la trascinò in una cantina sotterranea nel giardino di qualche piccolo borghese. Al suo interno c’erano quattro ragazzi che la squadravano dalla testa ai piedi con aria incuriosita. Aria sapeva che quelli erano i figli della signorina Bronte, benestante ma di nobili origini, quel che non sapeva è che sarebbero stati i suoi amici, confidenti e sostenitori per il resto della vita.

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Capitolo 2
*** Una zazzera rossa e profondi occhi verdi ***


Aria si sollevò da terra ripensando a come la sua banale e monotona vita, in soli due giorni, avesse preso una piega totalmente inaspettata. Aria apprese soltanto che la madre dei ragazzi era morta ma non osò chiedere altro perché la ferita era ancora aperta e bruciante nei fragili cuori dei piccoli. Chi fosse la sua, di madre, non l’ebbe mai saputo e ringraziò il cielo per questo. Sarebbe andata anche in capo al mondo pur di trovarla e anche solo per un momento provare la sensazione di essere accudita, amata e protetta. Ma sapeva che non si sarebbe data pace e per questo, avrebbe rincorso il folle sogno che le avrebbe per sempre rovinato la vita. Sua madre, semplicemente, l’aveva abbandonata in quanto lei era nata da un rapporto non coniugale. Le poche cose apprese di lei, le erano state dettate dal padre che, seppur con lontana frequenza, le veniva a far visita. Aria non aveva un buon rapporto con lui, anzi a volte il disgusto nei suoi confronti aveva finito per tramutarsi in odio. Era una persona manipolata dalla corruzione che si era fatto strada nel ceto sociale medio-alto con inganni e sotterfugi di cui era venuta a conoscenza da svariati pettegolezzi. La famiglia di lui, a quanto sentito, era stata molto influente economicamente per quanto riguardava il commercio dell’oppio e del tabacco. Rinomato per tutta l’Inghilterra come “il Signore” si accerchiava di malviventi che svolgevano il lavoro sporco al suo posto. Quando la veniva a trovare lo faceva sempre in segreto indossando sempre un enorme mantello con un cappuccio, appositamente per nascondere il viso. La madre badessa, pagata in incognito, lo faceva entrare permettendogli di passare intere giornate con la piccola. Aria non si capacitava di come sua madre potesse essersi innamorata di un essere tanto subdolo che manipolava le persone assuefandole con false promesse. Molto probabilmente anche sua madre era stata manovrata, come un burattinaio muove gli intersecati fili delle sue marionette obbligandole a seguire i meschini obbiettivi del suo arguto teatrino. Sicuramente, lei era parte essenziale di quel teatrino e ne avrebbe sempre fatto parte. Quel pensiero servì solo ad accrescere e covare- come un uccello cova le sue uova- l’odio smisurato, bruciante e vivido di quel verme. In certi momenti, si sentiva finta, annullata e ingannata come se fosse soltanto una bambola a cui era prescritto un destino diverso da quello che lei sognava. Il tormento di questo pensiero, di tanto in tanto le faceva visita alla notte rendendola inquieta e angosciata. Passati due anni, suo padre non era ancora venuto a farle visita, solo più tardi apprese che aveva lasciato l’Inghilterra per raggiungere una meta sconosciuta e aveva abbandonato la sua piccola figlia nelle braccia mortali della seconda guerra mondiale. Così Aria comprese la triste verità che avrebbe determinato il suo ipotetico futuro: nata bastarda da un rapporto extraconiugale e abbandonata da un padre lugubre e avido d’animo. Si riscosse dai suoi pensieri interiori quando il ragazzino più grande dei quattro fratelli le venne incontro con aria timida e titubante: << Io.. Ecco, volevo chiederti se ti andrebbe di accompagnarmi alla vecchia risaia. >> disse sommessamente con una chiazza paonazza che gli colorava il viso. << Per prendere le razioni di cibo. >> precisò dopo, tutto d’un fiato. Aria si divertì molto nel vedere quel ragazzino tanto impacciato che le tornò il sorriso, facendole scomparire tutti i macabri pensieri dalla mente. << Certo. >> disse con decisione. I due s’incamminarono lungo il vialetto che costeggia il Tamigi proseguendo fino ad un dosso che evidentemente indicava che la meta non era molto lontana. Intanto il ragazzino proseguiva con la testa bassa e le mani serrate lungo i fianchi. Anche se non lo guardava in viso Aria sapeva che sotto quella zazzera rossa si nascondevano due occhi verdi pieni di curiosità messi in risalto dalla sua pelle altrettanto rossa. La ragazzina non capiva il motivo del suo disagio, era da quando l’aveva strappata alla Morte, trascinandola per le vie di Londra che si comportava così. Imperterrita, decise di affrontare la questione di petto e domandò, questa volta anche lei tutto d’un fiato: << Perché mi hai preso con te? >> . Il ragazzino la guardò con Aria interrogativa soffermandosi sui suoi occhi azzurri incorniciati da un manto di capelli neri lunghi fino alla schiena. La fissò intensamente per un momento, come se volesse leggerle dentro ma non appena si accorse del vano tentativo arrossì più di quanto non lo fosse già e riabbassò lo sguardo. << Non volevo che morissi >> disse con una voce flebile ma dominata da una calma surreale. << In quanto… >> <> . Ora la sua voce aveva un sottile accenno alla superbia e all’ira. Aria si stupì di come in pochi istanti, il carattere di quel ragazzino poco più grande di lei, assumeva sfaccettature del tutto nuove e inaspettate contorcendosi in manifestazioni del suo animo dettate da sentimenti diversi o del tutto nuovi. Non sapendo cosa rispondere, stette zitta e si morse un labbro torturata dalle sue parole. Camminarono in silenzio per un bel po’, fino a quando, finalmente, giunsero in prossimità della piccola risaia. Il ragazzino, invece, girò a sinistra proseguendo dritto. Aria, stupita, gli chiese: << Dove stiamo andando? La risaia è da quella parte >> e indicò lo strano edificio in lontananza. << So benissimo dov’è la risaia >> rispose lui con stizza << ma noi andremo in un posto dove le razioni di cibo saranno abbondanti rispetto alla razione giornaliera >>. Poco più avanti, sorgeva una casetta isolata dal resto della città, denso fumo usciva dal camino immergendola in una coltre nebbiosa. Il ragazzino bussò alla porta da dove ne emerse un gigante dall’aspetto gentile. Bernie, infatti, era considerato il gigante della città ma sempre bonario e pronto ad aiutare gli altri. << Ciao zio Bernie >> disse il ragazzino << cinque fette di formaggio e cinque tozzi di pane, per favore >> << Arrivano immediatamente >> poi si riscosse e domandò << Non sapevo aveste ospiti >> disse con un largo sorriso sul volto. Aria arrossì leggermente e il ragazzino per distoglierla da quella situazione imbarazzante prese la parola: << Si è unita a noi due giorni fa e da allora è diventata del gruppo >>. << Capisco >> disse il gigante mantenendo quel suo riso contagioso, e andò dietro la fucina a prendere un sacchetto con dentro il cibo. << Buon viaggio di ritorno, ti aspetto domani, come sempre >>. Salutato il signor Bernie, Aria si rimise in cammino verso casa ma, il ragazzino disse che ormai era quasi l’una- regolandosi sul grosso orologio posto in altro alla torre- e che era ora di fermarsi. La piccola accettò a malincuore il saggio consiglio in quanto non si sentiva a suo agio vicino al ragazzo, non riusciva né a comprenderlo, né leggergli dentro e questo la frustava. Si sedettero a ridosso di un campo di grano e mangiarono in silenzio quando il ragazzino prese un profondo respiro e disse con vergogna: << Rifammi la domanda >> . Aria non capì all’istante ma poi comprese ciò che le stava chiedendo. << Perché mi hai presa con te? >> disse con vocina esile quasi fosse un sussurro e poi aggiunse: << Non l’aveva mai fatto nessuno >>. Quella frase le pareva come una confessione, qualcosa che di intimo le era sfuggito via; per debolezza, forse , o soltanto per paura. Non seppe dirlo con esattezza. Il ragazzino era disorientato e rosso in viso: << Il motivo per cui ti ho salvata è perché non volevo che finissi come tutti quei bambini i cui corpi marciscono nelle fosse, non volevo che finissi così, lo giuro. Sei l’ultima persona che lo meriterebbe, un destino tanto crudele >>. Aria era perplessa, sembrava che quel ragazzino la conoscesse nel profondo e questo le diede un forte senso di inquietudine. << Invece sono la prima >>. Ammise con riluttanza. Lui la guardò in viso vigorosamente, poi le disse: << Credimi non lo sei >>. Aria smise di fissarlo nei suoi profondi occhi verdi che intanto la stavano ammirando con un’ invadente curiosità. << Non so neanche il tuo nome >> rise come farebbe una bambina piccola alla vista di un cavallino a dondolo. << Jack…mi chiamo Jack Jackson >>. Adesso Aria sapeva finalmente il suo nome, quel che non sapeva e che sarebbe rimasto taciuto per molti anni è il segreto che Jack si portava addosso da due anni a questa parte. Ogni giorno si affacciava alle grate che davano sull’orfanotrofio e ammirava Aria Scarlett in tutta la sua innocente bellezza giocare e ridere. Le intere ore passate a contemplarla le rivelarono i suoi lati più nascosti, scuri e privati. Niente e nessuno conosceva Aria Scarlett come Jack Jackson.

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Capitolo 3
*** Decisioni ***


Erano passate due settimane da quando Aria si era unita ai fratelli Jackson, il che non le dispiacque. Il loro obbiettivo non consisteva in nulla di preciso, semplicemente sopravvivere e valutare cosa, quel mondo così martoriato, poteva ancora offrirgli. Vagavano senza meta da un casa all’altra, durante i bombardamenti, rubando scorte di cibo o oggetti utili da vendere per ricavarne pochi spiccioli. Il loro gozzovigliare di tanto in tanto si era tramutato irrimediabilmente in un’azione quotidiana compiuta tutte le mattine per la ricerca di viveri. Principalmente si dirigevano in abitazioni che sapevano appartenere a famiglie nobili o del ceto medio e rubavano tutto ciò che trovavano. Vivevano il presente, inconsapevolmente delineato da una condizione di conservazione, senza pensare o aspettarsi qualcosa dal futuro. I pensieri di Aria vagavano nella confusione più totale. Non sapeva chi era, non sapeva perché si trovava in quel posto e nemmeno perché fosse determinata a rimanerci. La guerra imperversava in tutto il mondo e in qualunque posto andasse ne sarebbe stata sempre perseguitata. Aveva paura ma questo sentimento non lo manifestò mai. Durante la notte rievocava tutti i mostri che le infestavano l’animo e l’ansia tornava a farle visita, come una vecchia amica. Aveva così tanto desiderato la libertà che una volta ottenuta non sapeva più cosa farsene. Lì fuori, nel mondo, non sarebbe sopravvissuta due giorni. La noia si impossessava sempre di più della sua mente, lasciandola ad oziare tra i ricordi di quando guardava le grate inferriate alle finestre e sognava di essere in un mondo lontano ornato da culture e tradizioni differenti tra loro. In un giorno di Aprile la sua calma si tramutò in un atteggiamento stizzoso irrequieto: << Io me ne vado. Non ce la faccio più. >> Rose, la più piccola dei fratelli, sconcertata, si mise a piangere emettendo striduli acuti che costrinsero i tre fratelli a tapparsi le orecchie. << Come sarebbe a dire che te ne vai? >> urlò Rick, di un anno più piccolo di Jack. << Non puoi! >> strillò Joshawa, il penultimo dei quattro fratelli. << Sono stanca di restare a guardare il mondo che cade nella morte. Non è mia questa guerra e di certo non l’ho voluta io. Qui si sta parlando del mio futuro e dinnanzi a me non vedo altro che buio. >> Adesso Aria li stava fissando con un’intensità tale che, quando tutti distolsero lo sguardo contemporaneamente, seppe di averli in pugno. << Potremmo restare qui e trovare lavoro in una piccola bottega quando la guerra sarà finita. >> provò a dire Rick cercando di convincerla. << Le botteghe sono tutte distrutte e ci vorranno anni per ricostruire la maggior parte degli edifici in città. La guerra non finirà mai, Rick. Non appena il mondo si sarà ripreso da quest’ultima ce ne saranno molte altre che distruggeranno tutte le fatiche che il popolo ha sudato per ricostruire tutto e sperare in una vita migliore >> disse con gli occhi lucidi e mentre pronunciava quelle parole seppe, in cuor suo, che erano la verità assoluta. Poi con una smorfia di dolore che le cresceva in petto, aggiunse: << E io sono stanca di sperare. L’ho fatto per tutta la mia vita senza rendermi conto che sperare in qualche miracolo non basta. Ora sono libera e non intendo sprecare la mia vita così. >> Jack prese fiato per parlare senza sapendo che la decisione presa avrebbe cambiato le loro vite: << Vengo con te >> disse quasi urlando per sovrastare il pianto di Rose e le lamentele di Joshawa. Questa volta fu Aria ad urlare: << Ma sei pazzo? Hai tre fratelli da accudire >> << I miei fratelli verranno con me, ovviamente >>. Jack, invece, era calmo e il timbro della sua voce, deciso. La scena, vista dall’esterno, poteva risultare quasi comica: Jack e Aria litigavano su ciò che fosse meglio per i fratelli mentre Rick e Joshawa escogitavano, in preda al panico, un futile motivo per farla restare e Rose strillava imperterrita, atterrita dall’imminente partenza della sua compagna di giochi. Ad un certo punto, Jack perse la pazienza e sbottò: << Basta così! >>. Impauriti dal suono della sua voce tutti stettero zitti e lo fissarono con sguardo sbigottito. Le parole pronunciate da Jack presero la decisione al posto di tutti i ragazzini: << Noi andremo con Aria. >> e guardandola in cagnesco riprese: << Non si abbandona mai la famiglia >>. Il giorno dopo Aria era ancora scossa da quella frase. Una famiglia, lei, non sapeva neanche cosa fosse. Sapeva solo che era una cerchia sociale dove tutti si volevano bene e si amavano l’un l’altro ma non l’aveva mai sperimentato sulla propria pelle. Continuava a tormentarsi da ore su quella frase e il modo in cui Jack l’aveva guardata la faceva sentire tremendamente in colpa. Jack dovette provare lo stesso sentimento perché le venne incontro accompagnato dai fratelli al seguito. Con il capo chino la guardò di sottecchi dicendole: << Hai già una meta? >> In quell’istante gli occhi di Aria si ingrandirono e assunsero una luce splendente << Si, certo >> aggiunse con un largo sorriso stampato sul volto. Velocemente prese la piccola sacca in pelle che aveva trovato qualche giorno fa nelle macerie e tirò fuori una cartina piegata in tante piccole parti. La stese sulla terra fredda e indicò il piccolo paesino. << Qui. Canterbury. >> nel pronunciare il nome di quel piccolo paesino, Aria, ci mise tutto il suo entusiasmo e in segreto anche le sue speranze. Jack fissò la cartina nel punto in cui il dito della ragazzina indicava la cittadina di Canterbury sulla mappa. Immediatamente spostò lo sguardo dalla mappa a lei e si chiese come potesse essere così bella. Non avrebbe mai potuto dirle di no e soprattutto, renderla infelice. Con la paura di un ragazzino che avrebbe dovuto attraversare tutta Londra e percorrere tutte le campagne che separavano Canterbury da quell’immensa città per trovare un futuro migliore, Jack con un grande sospiro, prese coraggio e disse: << Si parte domani >>.

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