Alla ricerca di un nuovo inizio

di ilcielopiangequalchevolta
(/viewuser.php?uid=788754)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** PROLOGUE ***
Capitolo 2: *** 1) New Life Abroad ***
Capitolo 3: *** 2) Who is James Harrison? ***
Capitolo 4: *** 3) You can call me James, sweetheart! ***
Capitolo 5: *** 4) The weitress is right for me. ***
Capitolo 6: *** 5) Now that I'm around you, I'm definitely better. ***
Capitolo 7: *** 6) We need to talk. ***
Capitolo 8: *** 7) Was this your dream? ***
Capitolo 9: *** 8) I wanted to run away from myself ***
Capitolo 10: *** 9) Don't cry over spilled milk. ***
Capitolo 11: *** 10) She was my first thought in the morning when I used to open my eyes. ***
Capitolo 12: *** 11) I'm constantly thinking about you! ***
Capitolo 13: *** 12) Truth or dare? ***
Capitolo 14: *** 13) When will you realise that you really care for me? ***
Capitolo 15: *** 14) Will I ever find a love as strong as theirs? ***
Capitolo 16: *** 15) I didn't believe in his words, but I didn't care. ***
Capitolo 17: *** 16) Taking my place in bed next to her. ***
Capitolo 18: *** 17) His arms were made for holding me ***
Capitolo 19: *** 18) It is a game for perverts! ***
Capitolo 20: *** 19) Don't let me go. ***
Capitolo 21: *** 20) It's our fault! ***
Capitolo 22: *** 21) My worst nightmare has come true ***
Capitolo 23: *** 22) LOVE MAKES US BREAKABLE ***
Capitolo 24: *** 23) I have a surprise for you! ***
Capitolo 25: *** 24) Even when you're crying, you're beautiful too ***
Capitolo 26: *** 25) Tonight we'll go to dinner with my mom ***
Capitolo 27: *** 26) Stop thinking you're a burden to people. ***
Capitolo 28: *** 27) Loving her was so easy ***
Capitolo 29: *** 28) Nothing and no one can separate us ***
Capitolo 30: *** 29) Will you marry me? ***
Capitolo 31: *** 30) Say three, f**k! ***
Capitolo 32: *** EPILOGUE ***



Capitolo 1
*** PROLOGUE ***


- PROLOGUE        
                 
 SABRINA’S POV
Sollevai la testa verso il cielo, udendo un rumore insopportabile per la maggior parte delle persone. Era un trambusto violento, fastidioso e molesto. Per me, invece, quello era il suono più soave che le mie orecchie avessero mai sentito. La scia bianca che si lasciava dietro si stagliava nell’infinita volta celeste. Quell’aereo sembrava microscopico in confronto all’immensità del firmamento e mi ricordava quanto noi fossimo piccoli, insignificanti, anonimi.

Come tutte le volte che scorgevo un velivolo del genere squarciare la nuvole, mi chiesi quale fosse la sua destinazione e provai ad immaginare le storie di coloro che, racchiusi in quell’ammasso di acciaio, sorvolavano la Città Eterna.

Gli invidiavo. Avrei voluto essere al loro posto e non in piedi, sulla terrazza della mia casa, a sperare di racimolare il coraggio per partire senza una meta, alla scoperta di ciò che il mondo aveva da offrirmi. Avevo vent’anni ed ero in grado di parlare cinque idiomi diversi, quindi le barriere linguistiche e culturali non mi ostacolavano. Appunto mi domandavo incessantemente cosa diavolo mi impedisse di scappare, di fiondarmi sul primo volo. E non trovavo risposta, o meglio non volevo davvero trovarla, perché l’unico motivo che mi teneva incollata alla mia squallida vita era la paura dell’ignoto. Preferivo restare all’oscuro, piuttosto che ammettere a me stessa che mi stavo comportando da coniglio.

Eppure, quel giorno, avevo una strana sensazione: il mio stomaco era in subbuglio e la causa non era la fame, il mio cuore era attanagliato da una strana ansia e non riuscivo a stare ferma un secondo. Avevo tentato di tenermi impegnata in tutti i modi possibili,  ma vibravo comunque per quell’insana agitazione. Quella mattina mi svegliai con la consapevolezza che sarebbe successo qualcosa di importante.

 
Rientrai nel mio appartamento, sbuffai e mi accomodai alla mia scrivania. Calamitai tutta la concentrazione che possedevo, mi passai una mano sul viso, sfregai i miei occhi insonnoliti con le dita, raddrizzai la schiena, presi un profondo respiro e puntai lo sguardo sullo schermo del mio computer. Lessi ogni singolo vocabolo e arrivai alla fine di quel saggio non avendo capito neanche una parola. Le numerose lettere iniziarono a vorticare nella mia mente, le pupille tremolarono e cercarono di rincorrerle tutte, il mio capo si mosse frenetico a destra e sinistra e osservai incuriosita una penna viola che si trovava sul mio quaderno. La sfiorai con i polpastrelli, la presi, la guardai e… mi diedi una manata sulla fronte per essermi distratta ancora. Dovevo scrivere la tesi di laurea, non un tema su di una biro.

Mi diressi in cucina per prendere un bicchiere d’acqua come un fantoccio o un burattino. Così mi sentivo: come se qualcuno tenesse le redini della mia giornata e decidesse per me. Non ero capace di ribellarmi a quella monotonia e sapevo che ero rotta, distrutta e delusa. Non avevo la forza di combattere il mio incubo peggiore.

Decisi di distrarmi, navigando sul web e spaparanzandomi sul letto. Ero ritornata alla mia arida mattinata, quando una frase schiaffeggiò la mia coscienza. Il mio cervello  strepitò in subbuglio e le mie sopracciglia si aggrottarono:
 “Hai mai pensato di andare via e non tornare mai più?! Fuggire e far perdere ogni tua traccia, per andare in un posto lontano e ricominciare a vivere?! Ci hai mai pensato?!”.


NOTE DELL'AUTRICE
Ciao a tutti! Ecco la mia nuova storia! Spero davvero che vi piaccia e che, col tempo, i protagonisti entrino nei vostri cuori come hanno fatto con il mio. Fatemi sapere cosa ne pensate e commentate.
Alla prossima spero!
Ciao S.S.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** 1) New Life Abroad ***


-CAPITOLO 1   NEW LIFE ABROAD
SABRINA’S POV
Il trambusto rabbioso della sveglia mi destò dal mio stupendo sonno senza sogni e mi fece capitolare giù dal letto. Il mio fondoschiena cozzò brutalmente contro il pavimento. Mi alzai dolorante e mi diressi in cucina. Il mio mal di testa aumentò a causa dei rumori che provenivano dall’esterno. In fondo quella era una città grande, in continuo movimento, frenetica. La “Grande Mela”, meglio conosciuta come New York, era da sempre stata famosa per la sua febbrile follia. Mi ero quasi abituata del tutto a quel nuovo stile di vita, dopo due mesi trascorsi in quel caos.  

Nella mia mente avevo ricordi nitidi del mio arrivo all’aeroporto, come se di tanto in tanto rivivessi la scena da spettatrice, seduta su di una poltrona del cinema osservando uno schermo collegato a una videocamera che mi riprendeva. Dopo essermi scontrata con quella fatidica domanda, rimasi scombussolata con un turbine di emozioni che mi squassavano le viscere. Corsi letteralmente in camera e spalancai le ante dell’armadio. Racimolai un cambio veloce di abiti e scansai la catasta di vestiti che nascondevano la mia riserva di denaro. Presi tutti i soldi di cui disponevo, tuttavia non ero solita lasciare in casa i miei risparmi, infatti, il denaro poteva bastare solamente per pagare il biglietto aereo e qualche spesa extra. Non preparai neanche la valigia: agguantai un pantalone felpato, un maglione di lana e un cappello rosso di quelli che la gente usa per coprirsi dalle violente bufere di neve. Buffo dato che non avevo la più pallida idea di cosa stessi facendo, però inconsciamente sapevo che ne avrei avuto bisogno e che avrei fatto meglio a portarli con me. Appena giunsi a Fiumicino, mi fiondai allo schermo che mostrava le varie partenze. Adocchiai una hostess di terra e le chiesi cortesemente se potessi comprare un volo per l’America.

Quando misi piede negli USA, ebbi paura e credetti di aver commesso una sciocchezza: ero fuggita come una ladra e avevo lasciato alla mia famiglia un misero foglietto di scuse, invitandoli a non preoccuparsi per me, perché sarei stata bene. Domandai a un impiegato del posto se potesse essere così gentile da scortarmi ad un velivolo che mi avrebbe riportata in Italia, ma egli mi rispose che il primo sarebbe decollato soltanto due giorni dopo, per una brutta tempesta in arrivo. Ringraziai l’uomo e sospirai sconsolata, guardandomi intorno con un sorriso amaro sulle labbra. A causa della mia bravata avevo gettato parte dei miei risparmi e, anche se non ero sul lastrico, mi innervosiva sapere che i miei soldi erano stati spesi irragionevolmente.

Decisi di cercare un posto per passare la nottata e l’indomani di assumermi le mie responsabilità. Prenotai un taxi e esortai garbatamente l’autista a portarmi in un hotel. Egli fece come gli avevo chiesto e, appena arrivata, pagai la corsa. Disponevo ancora  di pochi spiccioli, che non erano abbastanza per pagare una stanza, anche la più piccola, di quell’albergo a cinque stelle. Mi sedetti su di un marciapiede lì vicino e piansi quasi per mezz’ora, affondando il viso tra le mani. Mi rimproverai per aver agito tanto d’impulso. Non ero pronta ad affrontare tale esperienza da sola, non avevo neanche un telefono. I clacson assordanti delle auto, le luci infinite di questa città, i monumenti imponenti mi spaventavano.

All’improvviso, avvertii una voce femminile e una mano sfiorarmi la spalla. Alzai di scatto il capo e mi ritrovai di fronte a due occhi marroni sorridenti, incastonati in una carnagione chiarissima, con un naso piccolino al centro del viso, incorniciato da una catasta di boccoli neri. La ragazza di fronte a me indossava un cappotto color topo ed un paio di tacchi da capogiro.
-Hello, my name is Alexis…What’s your name? Do you need help?-.
-I’m Sabrina Vacciello…nice to meet you-. replicai, cercando di fermare le lacrime che ancora mi bagnavano le guance.

Le raccontai parte della mia storia e scoprii che lei cercava una coinquilina per il suo appartamento.

Da quel giorno, vivevo in una casa situata a Times Square  con Alexis, che aveva imparato a conoscermi meglio di qualsiasi altra persona. Sapeva quando dare aria alla bocca per lasciar svolazzare qualche battuta, o quando, invece, era meglio che stesse zitta per non farmi innervosire. Da lì a poco, trovai anche un lavoro al “Ryan’s New York”, un locale caratteristico situato a Manhattan. Era sia un bar  che un ristorante. Lo adoravo! All’interno, sulle pareti, vi erano disegnati vari grattacieli e quadri con foto delle opere newyorkesi più importanti come Central Park o la Statua della Libertà.  Ero una normale cameriera come Lexy e di sera mi esibivo in qualche spettacolo per intrattenere i nostri clienti. Il proprietario, Ryan, era diventato un mio grande amico. Aveva 22 anni, era un uomo molto alto e muscoloso, con tratti asiatici. La sua fidanzata storica, Allyson, aveva 20 anni, ed era minuta con occhi marroni screziati di verde.

Circa dopo una settimana dal mio arrivo, passai affianco ad un salone di bellezza. Arrestai la mia camminata spedita e mi voltai nella sua direzione. Scrollai le spalle ed entrai con la mia chioma castana. Ne uscii dopo due ore, accompagnata dalla mia nuova criniera di setosi cappelli biondi con punte fucsia.
 
Dalla mia partenza non avevo seminato ancora nulla e non avevo raccolto fiori. Non c’era stato nessun miglioramento materiale: avevo abbandonato la mia patria, i miei genitori, mia sorella, i miei studi per i quali avevo sudato sette camice, mi prendevo cura di me stessa esclusivamente con le mie forze; ciò nonostante sorridevo di più ed ero felice, finalmente soddisfatta e allegra.  
 
Alexis si accomodò sul divano vicino a me, indossando ancora il suo pigiama raffigurante un tenerissimo pinguino e sbadigliando sonoramente. Mi fissò insonnolita, poggiando una tempia sulla mia spalla.
-Good morning, darling!- esclamai con la mia perfetta pronuncia inglese, stampandole un bacio sulla guancia.
-‘Morning…- borbottò a mezza voce.
Le preparai la colazione, conscia del fatto che sarebbe stata capace di rimanere sul sofà e saltare il lavoro.

Ci preparammo in fretta e furia con un abbigliamento comodo.  Varcai la soglia del bagno con il cofanetto dei miei fidati cosmetici.
 -Brina, non userai troppo trucco?- mi riprese la mia migliore amica. Ruotai gli occhi, sbuffando, e le mostrai dallo specchio una linguaccia infantile, seguita da un dito medio in contrasto con essa.
-Lexy, lo sai come la penso: se non mi trucco sembrerò un mostro e farò scappare tutti i clienti, così Ryan si arrabbierà per poi licenziarmi.- dichiarai in modo melodrammatico, sbattendo i piedi per terra.
-Uffa, che noia, ma ti senti quando parli? Comunque muoviti principessa sul pisello, altrimenti arriviamo tardi!-

Ci lanciammo nella metro, scalpitando come due matte. Infilai le mie cuffiette e ne offrì una ad Alexis. Ero pronta per iniziare la mia nuova vita all’estero.


NOTE DELL'AUTRICE
Eccomi... spero di non avervi fatto aspettare troppo, comunque mi auguro che il capitolo vi piaccia. 
per chiarirvi le idee volevo darvi i nomi degli attori che ho immaginato per la mia storia! Spero che i personaggi vi piacciano perchè ci ho messo un vita per trovarli....
 Sabrina è Lily Collins
Alice è Victoria Justice
Alexis è Selena Gomez
Ryan è Taylor Lautner 
Allyson è Lucy Hale
So che ognuno immagina i personaggi in un modo differente, ma questi volti  sono quelli che creo io nella mia mente. Man a mano che incontreremo nuovi personaggi aggiungerò il suo "attore".  Vi prego fatemi sapere cosa ne pensate, per capire se sto andando per la giusta strada! 

Alla prossima spero!

Ciao SS.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** 2) Who is James Harrison? ***


-CAPITOLO 2                    WHO IS JAMES HARRISON?

SABRINA’S POV
La domenica trascorse molto velocemente, come tutti i periodi feriali che si rispettino.  Dormii fino a mezzogiorno e pulii un poco, giusto per ammazzare il tempo. All’ora di pranzo mangiai con Alexis i soliti surgelati, dato che eravamo delle frane in cucina e sapevamo a mala pena mettere l’acqua in una pentola e guidarla fino al punto di ebollizione. La pasta, nonostante fossi italiana, non potevo farla a causa della mia incapacità in campo culinario.

Verso le due e mezza del pomeriggio andai al “Ryan’s New York” per provare alcune canzoni per gli spettacoli serali. Presi i mezzi pubblici e arrivai a destinazione circa per le tre e un quarto. Fortunatamente trovai il locale aperto, visto che il mio capo rimaneva sempre a sorvegliare le donne delle pulizie. Lui era un tipo aperto, gentile, premuroso e cordiale, però ripeteva spesso che era meglio prevenire anziché curare.

Ero contenta della piega che aveva preso la mia vita, malgrado i numerosi sacrifici che ero stata obbligata a compiere. Proprio io che avevo sempre messo la scuola davanti al resto, avevo buttato tutto all’aria una sera di Ottobre, segnando con l’inchiostro indelebile il mio futuro.

Danzai e cantai fino alle sei, quando decisi di tornare nel mio appartamento. Misi piede dentro il salotto, convinta di venir investita da quell’uragano scatenato quale era la mia migliore amica, invece non la trovai a spalmarsi qualche strana lozione sul viso per combattere le rughe.

Alexis rincasò solo verso le otto con due cartoni di pizza in mano e, non appena mi vide fissarla confusa, i suoi occhi si illuminarono e iniziò a parlare come una macchinetta impazzita e fuori controllo:                    
 -Oh mio Dio, tesoro! Non sai cosa mi è successo! Io non ci credo, ma ti rendi conto?- urlò trasognante chiudendosi, con un tonfo violento, la porta alle spalle. Gettò le chiavi nel vaso vicino l’ingresso, correndo a poggiare la nostra cena sul tavolo e catapultandosi di nuovo nell’atrio per togliere il giubbotto.
-Lexy…- provai a fermarla, frugando  negli scaffali delle credenze per trovare una tovaglia, tuttavia non mi diede ascolto e mi sovrastò con la sua voce squillante.
- No! C’è un spiegazione. Certo, è impossibile...- continuò imperterrita, appendendo la sua pelliccia all’attacca-panni e sgattaiolando da me ad una velocità impressionante. Mi racchiuse le mani nelle sue, proprio mentre stendevo il telo.
- Lexy…- ritentai una seconda volta, invano. Mi fermò, ponendo un suo indice sulle mie labbra e scuotendo la nuca a destra e sinistra in segno di diniego. La trafissi con uno sguardo truce e lei, forse intimidita, mi lasciò andare le dita, senza smettere di sparare parole a vanvera.
- Ma, si…ovvio! C’è una Candid Camera...certo, certo ...- tartagliò, annuendo da sola alle sue stesse affermazioni e saltellando nella cucina come un grilletto impazzito.
-ALEXISSSSSSS…- gridai quando, nel suo balletto improvvisato, pestò un paio delle mie scarpe preferite. -Zitta e spiegami cosa ti è successo, con calma.- conclusi, abbassando il tono e cercando di apparecchiare la tavola. Mi regalò un sorriso dispiaciuto e si accomodò di fronte a me.
- Ok, scusa. Allora: sono andata in pizzeria, perché non ce la facevo più a mangiare surgelati su surgelati.- gesticolò e si mosse irrequieta, facendo scricchiolare in protesta la sedia sulla quale era spaparanzata. -Andando verso la pizzeria, dietro l’angolo, un cretino mi è venuto addosso e mi ha fatto cadere il cellulare. Pensa che non si è neanche scusato! Comunque stavo per raccogliere il telefono, ma sono stata preceduta da un ragazzo alto, moro, con gli occhi celesti…Insomma la reincarnazione di un Dio! – proseguì, balzando di nuovo in piedi e piroettando mentre batteva i palmi, incapace di stare ferma per la troppa euforia che provava. Risi a quella vista, rimproverandomi di non avere un telefono a portata di mano con cui riprenderla. -L’ho ringraziato e mi ha chiesto: “Cosa ci fa una bella ragazza come te tutta sola in giro per New York a quest’ ora?”. Mi ha invitata a fare una passeggiata, poi ci siamo salutati e scambiati i numeri di telefono…- finì la sua brillante spiegazione con un gridolino isterico e la sua bocca si incurvò in una tenue linea allegra.
- Tesoro, scusami... almeno sai come si chiama?- domandai piano, pentendomene subito dopo. Non avrei mai voluto smorzare il suo entusiasmo, però non volevo neanche che manipolasse la realtà e si illudesse.
-Certo, che sbadata! Non te l’ho detto...Si chiama Kevin, Kevin Harrison! –

Chiacchierammo tutta la notte nel mio letto tra risate e vaneggiamenti di Lexy sul suo latin lover. Ci ritrovammo, quindi, quel lunedì mattina alle nove in punto, dinanzi ad altro fatidico giorno di lavoro.

 Nel primo pomeriggio stavo pulendo il bancone con una pezza bianca, quando la mia migliore amica mi affiancò con passo felpato, tanto che non la sentii e sobbalzai colta alla sprovvista.
-Brina, a ore dodici!- mi sussurrò all’orecchio, fingendo di sistemare alcuni bicchieri già perfettamente in ordine.
-Eh?- chiesi, credendo di aver capito male. Aggrottai  le sopracciglia, mi girai verso di lei e smisi per un secondo di strofinare il panno sul legno.
-Ho detto: a ore dodici.- ripeté, guardandomi e distraendosi. Fece cadere nel lavello due bicchieri e si scansò per riflesso, schiacciandomi un piede. Trattenni un grido di frustrazione e la scansai in malo modo.  
-Alexis, la smetti di parlare come in “Mission Impossible” e mi spieghi cosa vuoi dire, per favore?!- affermai nervosa, dandole una spallata ed assicurandomi che i vetri non si fossero né rotti né scheggiati. Dopo un giorno faticoso non avevo voglia di mettermi a risolvere gli indovinelli privi di senso nati dalla sua mente bacata e seguirla passo, passo per evitare che combinasse disastri!
-Uffa, quanto sei noiosa…comunque guarda il tipo seduto a quel tavolo.- mi spronò, indicando con un indice un punto preciso. Sbuffai innervosita e arpionai la sua mano, invitandola ad abbassarla. Alexis non era di certo nota per la sua discrezione. -Tesoro, tu sei una bellissima ragazza che lavora in questo locale, single. Lui è un bellissimo ragazzo nostro cliente e magari ,se Dio ci assiste, è anche single…- spiegò lapidaria, poggiando i palmi sulle mie guance e costringendomi a puntare le mie pupille nelle sue. –Quindi, perché adesso non vai a prendere la sua ordinazione e ci scambi due chiacchere?- concluse con un sorrisetto irritante stampato in faccia.
Avvampai immediatamente, boccheggiando in cerca d’aria. Per me non era facile interagire con individui maschili a causa delle mie insicurezze, se poi Lexy mi opprimeva in tal modo diventava impossibile. Mi voltai di scatto per scrutare l’uomo e notai che era un pezzo di manzo niente male. Avvertii il battito del mio cuore rimbombarmi nel cervello ed una sensazione assai familiare, simile ad un fuoco che nasceva dalle mie membra, alimentarsi per arrivare pian piano fino in gola. Mi stavo agitando per nulla, tuttavia non riuscivo a fermarmi.
Alexis mi osservava tranquilla, come se non si fosse minimamente accorta del rossore che mi aveva inondato le gote e del tremolio che mi faceva vibrare le dita.
-Cosa? No, no, no…Alexis zitta e tu…- mi indicò Ryan, comparso magicamente alle nostre spalle. Ci fece sussultare come due molle ed emettere degli starnazzi poco femminili. - …sta ferma qui… quello seduto a quel tavolo è James Harrison!- bisbigliò e faticai a comprendere ciò che disse.
-Chi è James Harrison?- chiese lei, non preoccupandosi di non attirare l’attenzione del diretto interessato. Se gli sguardi avessero potuto uccidere, quello di Ryan avrebbe disintegrato Lexy.
-James Harrison è uno dei più potenti imprenditori di New York, direttore del azienda “Harrison’s industriers”, ergo vedete di non farlo scappare.- ordinò candidamente il nostro capo, spostando tutto il peso del suo corpo su di una gamba sola e poggiando le mani sui fianchi.
-Oh, Ryan, è un piacere sapere che tu confidi in me…- risposi sarcastica, alzando gli occhi al cielo e dandogli un pugno lieve sulla clavicola.
-Dai…troviamo un fidanzato a Sabrina!- piagnucolò Alexis peggio di una bambina invadente, sporgendo il labbro inferiore per impietosirci.
-Io sto bene anche da sola!- strepitai, cercando un poco di sostegno nel volto del mio amico. Lui non riuscì neanche a trattenersi dalle risate e si scambiò uno sguardo eloquente con la ragazza affianco a lui.  
-Certo, certo…dicono tutti così.- affermò stizzita, tartagliando parole sconnesse che mi rifiutai di ascoltare.
-L’ordinazione del signor Harrison la prenderò io personalmente.- concluse Ryan, sollecitandoci a riprendere le nostre normali attività quotidiane.
Scrutai ancora un po’ quel tizio, stando bene attenta a non farmi beccare con le dita nella marmellata. Era davvero molto bello, dovevo ammettere che Alexis non aveva tutti i torti.

 JAMES’POV
Il lunedì era un giorno veramente stressante. Riprendersi dal clamore, dalla vivacità, dalle cretinate del fine settimana risultava dura per chiunque, figuriamoci per me! Essere alla ditta ad un orario decente, quando la sera prima avevo scherzato e fatto mattina, mi prosciugava di tutte le mie energie. Il suono della sveglia era snervante, rimpiangevo quasi le urla di mia madre.

Molte persone pensavano che fossi un riccone spocchioso, figlio di papà, che non sapeva cosa volesse dire spaccarsi la schiena dopo ore ed ore di fatica. Forse non ero un operaio e non svolgevo lavori manuali, però io avrei sfidato quella gente a farsi carico di un impegno del genere a soli ventidue anni e dividersi in quattro per evitare imprevisti, come avevo fatto io.

La Harrison’s Industries era stata dal mio bis nonno molto tempo addietro. Non era nei piani della nostra famiglia mettermi a capo di tale impero a questa tenera età, ciò nonostante il fato decise per noi. Un’orribile malattia colpì mio padre che ci lasciò ed io preferii mettere da parte per un secondo i miei voleri per renderlo orgoglioso di me.

Dopo aver trascorso un po’ di tempo in un bar ed essermi risalassato, tornai nella mia villa. Il caffè mi era piaciuto e il personale del “Ryan’s New York” era cortese e simpatico, così decisi di tornarci nell’indomani. 
NOTE DELL'AUTRICE

Eccomi qui! Ammetto che questa volta ci ho impiegato veramente tanto per aggiornare, ma tra lo studio ed il resto non ho avuto un attimo di tempo. Comunque spero di non metterci mai più così tanto e di regalarvi il prossimo capitolo a breve. Spero che la storia vi piaccia, anche se  deve ancora entrare nella vera vita dei due protagonisti. In questo capitolo conosciamo per la prima volta il protagonista maschile, James. Mi auguro che vi piaccia con l'avanzare della storia. Piuttosto, il suo attore è Ian Somerhalder. Che ne pensate? E' davvero un gran pezzo di manzo e mi sembrava appropriato per il ruolo. Ammetto di aver impiegato tantissimo tempo per sceglierlo, ma alla fine ha vinto lui! Fatemi sapere cosa ne pensate.

Alla prossima spero!

Ciao SS.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** 3) You can call me James, sweetheart! ***


-CAPITOLO 3                           YOU CAN CALL ME JAMES, SWEETHEART.

SABRINA’S POV  
Si avvicinava in fretta il sabato, il mio giorno preferito. Il locale era sempre stracolmo di persone che sgomitavano per assicurarsi un posto in prima fila e godersi lo spettacolo, canticchiando e oscillando a ritmo della mia voce. Era magnifico sentirsi al centro dell’attenzione, anche se sapevo di essere conosciuta solo nella cerchia ristretta dei clienti abituali di Ryan. In questo modo capivo, in minima parte, come si sentissero le grandi celebrità nei loro concerti. Quando tutta la folla impazziva. Quando i fan scatenati si catapultavano sul palco braccati dalla sicurezza per ottenere un autografo, una foto o semplicemente per emergere dalla massa di gente con cui si confondevano.  Quando i loro occhi erano felici, allegri, spensierati. Io saggiavo solo una minuscola scheggia della fama, ma andava bene così. Non avrei sopportato essere l’idolo degli adolescenti se io per prima non mi vedevo portata per quel ruolo.

Ero talmente immersa nei miei vaneggiamenti che non mi accorsi di avere ancora le mani umide nell’istante in cui acciuffai di sfuggita un calice. Vidi la scena a rallentatore: le mie dita scivolarono lungo la superfice di quel vetro trasparente. Nonostante avessi tentato di stringere la presa e di sporgermi con il bacino verso il bancone per eludere la caduta dell’oggetto, non riuscii ad evitare che il bicchiere si scontrasse violentemente con il suolo, frantumandosi in mille pezzi.

Venni riportata bruscamente alla realtà ed imprecai tra me e me. Ripulii e spazzai via tutti i resti di cristallo, borbottando e sbuffando come una pentola a pressione. Stirai con le mani le pieghe del grembiule e mi guardai in torno con un sospiro.
Quel mercoledì il bar era in subbuglio e, di conseguenza, avevo molto lavoro da svolgere. Non stavo ferma un attimo: prendevo le ordinazioni, preparavo le portate, consegnavo le consumazioni, pulivo i tavoli ed facevo tutto in un ciclo infinito. Alexis, invece,  era giù di corda, perché il tipo misterioso, di cui non ricordavo nemmeno il nome, non l’aveva più contattata, malgrado avesse il suo numero di cellulare. Ryan aveva provato ad incoraggiarla dicendole che forse era indaffarato o che magari aveva perso il suo recapito telefonico, però Lexy ripeteva che era solo un altro imbecille da aggiungere alla lista e che quasi certamente era stato gentile con lei semplicemente perché voleva portarsela a letto quella notte. Le avevo detto che poteva benissimo chiamarlo lei stessa, eppure la sua mente ancora vagava tra le strade di una New York anni quaranta, quando le donne non avevano potere decisionale. Credeva fermamente  che fosse il maschio a dover compiere la prima mossa. Avevo tentato di spronarla in tutti i modi, facendole intendere che anche una ragazza poteva avere le palle, metaforicamente parlando, tuttavia non riuscii a smuoverla dalla sua idea.

 In un momento di tranquillità, cercai di consolare Alexis, che stava seduta ricurva su di uno sgabello del bancone, mentre sorseggiava una coca cola con sguardo assente.
-Ehi tesoro, se stai male va  a casa...lo avverto io il capo!- la tranquillizzai, toccandole una spalla e prendendo posto vicino a lei. Osservai il boccale nel quale stava ribollendo il liquido marrone. Alzai gli occhi incuriosita e stranita, fino a giungere alle sue labbra premute sulla cannuccia.  Sospirai schifata, appena capii che stava soffiando nella bevanda come una bambina. Le tolsi il drink dalle mani, dirigendomi al lavello per buttare la rimanenza.
-E’ meglio se resto, almeno ho qualcosa da fare. Se vado a casa mi deprimo e passerò il pomeriggio a guardare la tv e mangiare gelato…- esclamò con aria afflitta, dopo avermi regalato una linguaccia.
-Dai, non è da te fare così per un ragazzo!- dissi esasperata, giungendo alle sue spalle e massaggiandole le braccia per infonderle forza.
-Non capisci... Pensavo di poterci uscire almeno una volta…- ammise distrutta, gettando il volto tra i suoi palmi. Quell’uomo non sarebbe arrivato su un cavallo bianco con rose rosse e con calzamaglia a seguito, Alexis avrebbe dovuto essere più realista in certe occasioni.
-Beh, allora è proprio un idiota! Non sa cosa si prede quel Kyle.- conclusi, scuotendo  il capo e fissandola intensamente negli occhi. Scoppiò a ridere, sbilanciandosi lievemente e rischiando di cadere. La afferrai per una spalla, intanto che si sbellicava, tenendosi lo stomaco e lasciandomi interdetta. –Scusa, perché stai ridendo?- le chiesi un po’ stizzita, aggrottando la fronte. Era un pensiero profondo il mio!
-Come hai detto che si chiama?- mi destabilizzò, rispondendo con un'altra domanda.
-Kyle... mi spieghi cosa c’è di tanto divertente? –.
-Si chiama Kevin, non Kyle... - mi riprese, sorridendo ancora ilare. Le regali un occhiolino, almeno l’avevo distratta.  

Verso le tre del pomeriggio arrivò il signor Harrison, come era solito fare da tre giorni ormai. Le sue ordinazioni erano sempre prese da Ryan, che si arrabbiava per un nonnulla quando c’era quell’imprenditore nei paraggi. Aspettai che si trasformasse in una versione un po’ più comica dell’incredibile Hulk, ma mi agitai quando non lo vidi da nessuna parte. Improvvisamente mi ricordai che era uscito per delle commissioni importanti ed aveva lasciato a me la gestione del locale. Mi preparai per servire il nuovo arrivato, però Alexis mi precedette.

Adoravo Lexy ed avrei dato la mia vita per lei, eppure venni investita da un’irrefrenabile voglia di pestarla a sangue, quando sbagliò l’ordinazione di quel cliente tanto importante. Gli portai un latte macchiato con un sorriso cordiale stampato in faccia e tutta l’educazione che possedevo. 
-Penso che ci sia un errore. Io non ho ordinato nessun latte macchiato.- mi rispose tranquillo, alzando lo sguardo dal suo Ipad e puntandolo su di me. Mi irrigidii alle parole pronunciate da quella voce così profonda e sensuale e ancor di più per le sue gemme del colore dell’oceano che mi stavano osservando da cima a fondo. Le sue pietre celesti avevano delle sfumature verdi in certi punti, il naso era proporzionato perfettamente, la bocca era sottile e rosea, i capelli sembravano ancora più fini del solito e provai il terribile impulso di affondare la mano tra di essi,  la carnagione era bianca e per nulla abbronzata. Potei fantasticare sui muscoli presenti sotto la sua camicia,  che tuttavia risaltavano anche attraverso la stoffa bianca, e accipicchia se aveva un bel fisico! Portava gli occhiali da lettura che gli conferivano quell’aspetto da ragazzo acculturato e, al tempo stesso, libidinoso. Probabilmente rimasi a boccheggiare per un paio di secondi senza spostarmi di un solo passo.  
- Mi scusi per lo sbaglio. Le porto immediatamente la giusta ordinazione.- affermai confusa e mi maledissi, udendo la mia voce innaturalmente acuta.
-Certo, non si preoccupi!- asserì, delineando la sua bocca in una curva lasciva, che ebbe il potere di mandare il mio povero cervello in pappa e far assomigliare i miei zigomi a dei pomodori eccessivamente maturi.
 
Mi diressi dalla mia coinquilina con il fumo che mi usciva dalle orecchie, a causa della figuraccia appena compiuta che era nata esclusivamente per la sua disattenzione.
-Scusa tesoro, ho sbagliato tavolo...- mi rivelò, non lasciandomi neanche il tempo di aggredirla verbalmente. Scambiò velocemente i nostri vassoio e mi diede una leggera spintarella nel sorpassarmi.

Tutti i miei buoni propositi di rigirarla come un calzino e dirgliene quattro, scemarono e decisi che non era proprio il caso di far attendere l’uomo che stavo servendo.
-Eccomi! Mi scusi ancora per il disagio...questa è la giusta portata. Offre la casa, signor Harrison.- annunciai, materializzandomi al suo fianco e tentando di svignarmela il prima possibile.
-Grazie, ma puoi chiamarmi anche James, dolcezza!- ammise, sorprendendomi e mettendomi in soggezione.

Me ne andai con una strana sensazione alla bocca dello stomaco. Mi fermai e mi volsi per guardare le sue spalle possenti. Scossi la nuca e tornai al mio lavoro. 

NOTE DELL'AUTRICE:

Ciao, bella gente! Spero che il capitolo vi piaccia e mi auguro di aggiornare presto durante le vacanze. Ringrazio immensamente Shadow writer per avermi aiutata a risolvere il mio problemino con la grafica. Davvero, grazie mille tesoro!
Alla prossima spero!
Ciao SS.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** 4) The weitress is right for me. ***


-CAPITOLO 4                                     THE WAITRESS IS RIGHT FOR ME

JAMES’ POV
Se avessi dovuto dare retta al famoso proverbio, “il buongiorno si vede dal mattino”, mi sarei dovuto sigillare in casa e non mettere il naso fuori per nessun motivo al mondo.

La sveglia non era suonata ed ero arrivato a lavoro con un’ora di ritardo. Mi ero anche subito le sgridate della mia segretaria. Quando Nicole inveì contro di me in tutti i modi possibili, alzando la voce e attirando l’attenzione di altri impiegati, mi irritai e tentai di mantenere la calma. Chissà cosa pensava la gente di quello squallido teatrino. In teoria, ero io al timone di tutta l’azienda, eppure mi stavo facendo umiliare dalla mia assistente direzionale come un moccioso indifeso dinanzi a sua madre. Decisi di lasciar correre per non alimentare ancora la curiosità della folla che si era creata intorno a noi ma, rimasto solo con lei, mi avvicinai con l’intenzione di sgridarla e concludere con un bel licenziamento. La ragazza, appena mi vide allungarmi e sporgermi, incollò avida le nostre labbra e iniziò a muoversi sulla mia bocca espertamente. Avrei voluto ritrarmi, mostrare la mia autorità, cacciarla via per quell’ultimo affronto, invece riuscii solo a rispondere al suo assalto, arpionando i suoi fianchi e avvicinandola a me. Emisi un gemito gutturale e lusingato, in risposta al suo sussulto eccitato. Il nostro rapporto aveva oltrepassato i limiti lavorativi già da molto tempo e, in fondo, era comodo poterla chiamare nel momento del bisogno. Mi spinse verso  il mio ufficio per ripararci da eventuali sguardi indiscreti, però la accompagnai gentilmente nello sgabuzzino. Inizialmente sembrò scocciata di questa deviazione, ciò nonostante la distrassi con le mie dita esperte e demmo libero sfogo ai nostri istinti primordiali.

Nicole era infastidita dal mio divieto e non cercava neanche di nasconderlo. Nessuno, oltre me e la mia famiglia, poteva varcare la soglia del mio ufficio. La sola idea che qualcun altro vi mettesse piede, mi innervosiva. Era il mio spazio e lo condividevo con chi era importante per me.

Fui impegnato tutto il pomeriggio in un grosso progetto con il Giappone e due riunioni.  Non potei recarmi al “Ryan’s New York” per rilassarmi almeno un po’. Per fortuna sapevo che restava aperto fino a tarda notte, quindi afferrai il telefono e composi il numero del mio migliore amico, Andrew.
Dopo svariate suppliche e promesse in cambio, lo convinsi a passare una piacevole serata con me e quel locale assai carino.

SABRINA’S POV
Quella mattina mi svegliai di buon umore, feci jogging e comprai persino la colazione per me ed Alexis. Lavorammo ad un ritmo sostenuto e non estenuante in quelle ore antimeridiane.

Controllavo l’orologio ossessivamente e sperai di vedere quel sorriso provocatorio. I miei sogni divennero realtà e quell’imprenditore sensuale ammiccò verso di me. Mi chiese un espresso e mi regalò un occhiolino malizioso. Rimasi imbambolata a fissarlo e mi riscossi, provando a ricambiare il suo gesto. Lui mi parve sorpreso e si lasciò trasportare da una sonora risata.

In un millesimo di secondo, i bellissimi diamanti azzurri di James vennero sostituiti da due occhi marroni, anonimi e assonnati del tizio davanti a me. Un signore di mezza età stava stravaccato sul bancone, strascicando le parole. Era palesemente ubriaco, nonostante fosse ancora molto presto. Ma non mi spaventai: insomma quelle braccia mingherline non avrebbero potuto far del male nemmeno ad una mosca. Tutto l’opposto di quei bicipiti muscolosi e gonfi di Harrison che avrei voluto toccare, carezzare, graffiare…. E stavo farneticando, era ufficiale! Non solo l’avevo immaginato flirtare con me, avevo pure sentito la sua pelle sotto i miei polpastrelli, la sua carne sul mio palmo.

Scossi la testa e mi guardai nei paraggi, sperando che nessuno avesse osservato quella patetica scena. Probabilmente strambe espressioni si erano dipinte sul mio viso e io avevo lanciati sguardi ammiccanti praticamente nel vuoto. Con mio sommo dispiacere, notai che una bambina mi stava scrutando con un cipiglio confuso sulla fronte.

Sospirai desolata e mi arrabbiai con me stessa. Non capivo il significato di quell’ansia e di quella delusione improvvisa. Non dovevo illudermi, perché ci eravamo scambiati solo due parole. Lui era il perfetto capitalista newyorkese, io una povera cameriera che aveva abbandonato la sua famiglia  senza il minimo ritegno. Banale anche per un romanzetto rosa scadente! Avevo troppe insicurezze addirittura per intraprendere una misera conversazione con l’altro sesso. A volte mi capitava di ripensare alla mia vecchia vita, di meditare sui miei amici e sui miei genitori. Ogni tanto mi domandavo se sentivano la mia mancanza e se mi stavano cercando, oppure se esultavano felici della mia piccola fuga.
***
Applicai l’ultima leggera pennellata di blush color pesca ed ero pronta. Serrai le palpebre, inspirai profondamente e buttai via tutta l’aria lentamente. Avvertii i miei polmoni svuotarsi e la lieve agitazione abbandonare il mio stomaco. Uscii fuori dal camerino e mi avviai sul palco. Lexy mi scioccò un bacio nel tragitto ed iniziai quello spettacolo con un pezzo in francese, ‘Ma philosophie’ di Amel Bent.
 
Tra una giravolta e un inchino, venni fulminata da un ghigno  familiare, che mi fece voltare il capo e scontrare con delle gemme celesti. Quella mascella squadrata, quel naso dritto, quei capelli morbidi, quelle labbra piene le avrei riconosciute tra mille.
James agitò una mano e mi salutò cordialmente, con uno splendido sorriso che illuminava le sue guance. Non sapevo da quanto tempo fosse arrivato, comunque era seduto con un ragazzo avente un velo di barba, capelli biondi ed occhi neri come la pece. Mi affrettai a fiondarmi dalla mia migliore amica, zigzagando tra i tavoli e schivando gomitate, sgambetti, ginocchiate e chi ne ha più ne metta.
 
-Tesoro, dovrei essere gelosa?- mi accolse Alexis e mi fece cenno di seguirla verso uno spogliatoio, avendomi prima passato un bicchiere di Tequila.
-Perché?-
-Il riccone ti sbava dietro.- disse, alzando le spalle in un segno di finta noncuranza e indicando James che non poteva vederci. Sbuffando la spinsi in quella stanza.
-Cosa? Lexy basta con queste fesserie!- sbottai e le mie gote assunsero il colorito del ketchup. Mi spazzolai i capelli e aggiustai i vestiti.
- È vero! Non ti ha tolto gli occhi di dosso neanche per un secondo.- si difese, strappandomi il calice dalle mani e prendendone un sorso.
-Torno sul palco!- squittii frenetica, balzando troppo velocemente e ruzzolando a terra. Grugnii seccata, intanto che lei scoppiava in una fragorosa risata.

JAMES’POV
La cameriera salì frettolosamente i gradini e arpionò il microfono, muovendosi aggraziata, attraente, seducente, provocante. Mi stava ammaliando con la sua performance, a tratti diventava quasi irresistibile.

-La ragazza ha fatto colpo, eh?- mi apostrofò Andrew, dandomi un leggero scappellotto sulla nuca e ridendo sguaiatamente.
-Eh?- esclamai brillantemente, non avendo udito il resto della chiacchierata e scostando, mio malgrado e con una grande forza di volontà, lo sguardo dal palco.
-Su James ti conosco troppo bene…-iniziò, poggiando i gomiti sul tavolo e accostandosi a me -…hai la faccia da pesce lesso e anche la bavetta.-
-Amico per piacere, deve ancora nascere la donna in grado di farmi perdere la ragione.- minimizzai con un gesto secco e mi girai ancora verso quella visione celestiale.
-Oh, si si… come no. Perché siamo venuti qui allora?- mi interrogò lui, sollevando un sopracciglio ed un angolo della bocca.
-Beh, perché...ehm… -balbettai, colto alla sprovvista e ritrovandomi con le spalle al muro -Okay, non nego che abbia un bel corpo e che una bottarella gliela darei volentieri…- provai gesticolando, però non risultai convincente neanche alle mie stesse orecchie.
-E…-
-E che morirei felice soffocato tra le sue tette.- ridacchiai, sperando di coinvolgerlo, ciò nonostante non sortii l’esito desiderato.
-E…-
-Va bene…e che voglio provarci! –affermai, esasperato da tanta sicurezza. - Magari se ha almeno il diploma posso assumerla come segretaria, portarmela a letto e licenziare quella sgualdrina di Nicole.- confessai, prendendo il mio boccale di birra e portandomelo alle labbra. -Ho bisogno di nuovi stimoli, di cambiare repertorio e la cameriera fa al caso mio.-

SABRINA’S POV
Erano, ormai, le due e mezza di notte ed il locale era praticamente vuoto, fatta eccezione per James ed il suo amico. Volevo tornare a casa il prima possibile, invece quei due era seduti e parlavano allegramente. Stavo aiutando gli altri a mettere a posto le ultime sedie, quando lui mi sorprese, spuntando al mio fianco.
-Salve, dolcezza!- disse, sedendosi sullo sgabello che ero in procinto di sistemare insieme agli altri. Era sfacciato come poche persone avevo visto in vita mia. Quella sua aria arrogante mi destabilizzava, comunque fui costretta a fermarmi e comportarmi da brava lavoratrice qual ero.
-Salve, signor James.- esclamai a denti stretti, stringendo i  pugni per calmarmi e mostrando il sorriso più falso di cui ero capace.
-Oh, no ti prego, dammi del tu  e non mi chiamare ‘signore’. – annunciò con aria afflitta -Ho più o meno la tua età, no?-
-Penso di si… non so quanti anni hai tu. Io ne ho 20.- asserii, imitandolo e accomodandomi sulla seggiola. Ero davvero distrutta e non vedevo l’ora di tuffarmi tra le federe morbide del mio letto.
-Io 22… aspetta non è giusto!- esplose d’un tratto, come se gli si fosse accesa la lampadina, e batté un pugno  scherzosamente.
-Cosa?- chiesi confusa e, contagiata da tanta ilarità, mi calmai definitivamente.
-Tu conosci il mio nome, io no… Come ti chiami?-
-Sabrina, Sabrina Vacciello.- ammisi, lusingata del suo piccolo interesse  e per nulla intimorita dalla sua perfezione. Era piacevole conversare con lui.
-Non sei americana? Parli davvero bene l’inglese, ti avevo scambiata per una londinese! Come mai da queste parti? Parli altre lingue?- mi interrogò velocemente e trattenere una risata fu davvero impossibile.
-Una cosa alla volta! Sono italiana e parlo anche francese, spagnolo e russo.- confessai,  nascondendo faticosamente un tenue rossore che voleva imporporarmi gli zigomi.
 -Scusa, sono molto curioso… - proseguì, incrociando le braccia al petto e studiandomi dall’apice della sua altezza. Fu  interrotto dal suo amico che gli indicò il suo orologio da polso, evidentemente spazientito. –Devo andare.- sospirò, alzando gli occhi al cielo. -Con chi vai a casa? Non ci tornerai da sola, vero? È pericoloso.-
-No, no! Mi accompagna Ryan, il mio capo…Ciao.- tartagliai, facendo un passo indietro, perché quella vicinanza mi mandava in tilt.
-Ciao, dolcezza.-  NOTE DELL'AUTRICE: 

Ciao a tutti! Allora i capitoli si fanno più interessanti man a mano che la storia continua. Personalmente non vedo l'ora di arrivare almeno a metà del racconto. Andrew è interpretato da Theo James. Che ne pensate del nuovo personaggio? E del capitolo in generale? Ringrazio tutte le persone che leggono la mia storia, ma mi fareste un gran favore a farmi sapere cosa ne pensate. Accetto anche tutte le critiche del mondo! Voglio solo sapere se continuare la storia o se sto sprecando tempo a scriverla, correggerla e leggerla mille volte, se vi piace oppure se c'è qualcosa da cambiare. Coraggio lettori silenziosi! Ancora un grazie di cuore comunque a chi passa da queste parti! Alla prossima spero, ciao SS.



 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** 5) Now that I'm around you, I'm definitely better. ***


-CAPITOLO 5              NOW THAT I'M AROUND YOU, I'M DEFINITELY BETTER

SABRINA’S POV   
Rotolai tra le lenzuola per un tempo indeterminato e caddi in uno strano stato di dormi-veglia. Ero semicosciente. Immaginavo i meravigliosi taxi gialli, sentendo i clacson provenienti dalla mia finestra; avvertivo il fruscio della seta, quando muovevo alcune parti del mio corpo; udivo la vecchietta del piano sovrastante al mio camminare per casa con il suo passo cadenzato e, ammettiamolo, strascicato data la sua età. Mi crogiolai nel torpore stupendo che la posizione assunta poco prima mi donava e sorrisi, percependo i muscoli tendersi e rilassarsi ad ogni mio gesto. Mi rasserenai definitivamente e rimasi immobile senza un briciolo di forza per spalancare le palpebre. Le gocce del rubinetto del bagno che perdeva mi quietarono e alzarmi dal mio dolce materasso fu impossibile.    

Aprii effettivamente gli occhi, puntandoli direttamente sulla radio sveglia sul comodino della mia camera, alle sei meno un quarto. Mugugnai innervosita, sapendo che non sarei riuscita a dormire ancora. I capelli sparsi sul mio collo mi pungolavano la pelle, nonostante ciò ero troppo pigra per controllare se avessi al polso un elastico. Il cotone del cuscino era eccessivamente caldo per il mio umore lunatico e la coperta donava al mio corpo troppo calore, così decisi di scacciarla con un movimento repentino della gamba, salvo poi essere abbracciata dal freddo mattutino di quella città. Rimpiansi di aver indossato la mia striminzita camicia da notte e riafferrai con stizza il piumone.

Il nucleo di tutto il mio malumore era un pensiero costante e fisso. Più cercavo di allontanarlo dalla mia mente,  più ritornava con il suo viso candido, la sua bocca sottile e rosea, il volto incorniciato da filamenti scuri, i suoi due pozzi color oceano. Strinsi stufa le mani in due pugni, emettendo a denti stretti  un suono indefinito. Non sopportavo più di starmene nel letto rimuginando, inevitabilmente, al mio breve dialogo con James. Forse, tutta quella frenesia, era dovuta alla consapevolezza di aver trovato un potenziale nuovo amico di sesso maschile, oltre a Ryan. Certo era che non dovevo montarmi la testa: io e lui potevamo essere solo e soltanto amici! Anzi, probabilmente, neanche quello. Lui era un cliente del ristorante, dove io lavoravo come cameriera. Nulla in più, nulla in meno! Rinfacciavo tanto a Lexy di andare in iperventilazione ogni volta che si trovava catapultata davanti ad un uomo, ma io non ero da meno!

Decisi di farmi una doccia e regolai il getto dell’acqua. Mi lavai con il mio fidato bagnoschiuma alle fragole e lo shampoo alla vaniglia. Quando terminai, mi vestii immediatamente per ridurre al minimo le possibilità di ammalarmi. Coprii le mie gambe con un paio di jeans chiari e super attillati, ai quali abbinai una maglia che mi lasciava scoperto l’ombelico e, di conseguenza, il piercing. Adocchiai, nell’anta sinistra dell’armadio, le mie solite All Star bianche e le acciuffai velocemente per poi infilarmele ai piedi.  

-Ma ti rendi conto che siamo a fine novembre e che vestita così ti prenderà un accidenti?- urlò la mia coinquilina, vedendomi conciata in quel modo. Arrestò repentinamente la sua camminata verso la cucina e si portò le mani congiunte alla bocca. Sobbalzai leggermente, non avendo avvertito i suoi passi concentrata come ero ad evitare di far bruciare il latte.
-Buongiorno anche a te, tesoro!- sbottai, regalandole una linguaccia infantile subito dopo essermi voltata nella sua direzione -Comunque non preoccuparti, so in che periodo siamo: per uscire metterò un cappotto e a locale ci sono sempre i riscaldamenti accesi, quindi non c’è da preoccuparsi...- spiegai brevemente, versando il liquido dal pentolino alla tazza.
-Okay…perché ti sei messa così in tiro? È merito di un certo imprenditore super figo?- mi domandò, osservandomi scrupolosamente con le sopracciglia aggrottate e puntando, alla fine, il suo sguardo indagatore nel mio.
-A lavoro fa troppo caldo e sudo ad andare sempre da una parte e l’altra del locale. In questo modo sto più fresca!- enunciai, annuendo pensierosa per donare maggior enfasi alle mie parole.

JAMES’ POV
Ero sempre fermamente convinto che fossero passate delle ore ed invece grugnivo irrequieto, leggendo la radio sveglia e accorgendomi che erano passati solo pochi minuti. Cambiavo posizione, variavo il modo  di poggiare la nuca sul cuscino ed ero arrivato persino al punto di fissare il soffitto sconfitto per cercare di annoiarmi ed indurmi al sonno. Alla fine, tutti i miei sforzi non aiutarono poi molto la situazione e,  ogni volta, ero più sveglio ed arzillo di prima. Di quel passo, sarei crollato sulla mia scrivania in azienda.

Con una camomilla non cambiò niente. Ritornai in camera distrutto, soprattutto psicologicamente, dato che fisicamente potevo vestirmi ed andare in discoteca anche in quello stesso momento. Avevo una strana sensazione alla gola, non sapevo come comportarmi. Il corpo di Sabrina si materializzava nella mia mente ogni istante in cui provavo ad abbandonarmi tra le braccia di Morfeo, i suoi occhi nocciola mi invitavano a seguirla proprio come una musa, le labbra schiuse mi richiamavano come le sirene con le navi dei pescatori e l’insieme era irresistibile. Non potevo stare calmo e quieto. Era snervante, volevo fare dei sogni d’oro e staccare un attimo la spina dalla realtà, ma evidentemente qualcuno aveva altri piani per me quella notte.

Riuscii a spegnere il cervello verso le quattro e mezza, quando ormai le speranze erano distrutte, quando avevo optato per vestirmi e compiere qualcosa di producente per il mio lavoro.

 La mattina seguente, però, la stanchezza mi piombò addosso peggio di uno tsunami. Il bip fastidioso della sveglia si insinuò nelle mie orecchie violentemente e mi pungolò le tempie. Mi diressi a lavoro, barcollando e assomigliando ad uno zombie malconcio.  Quella cameriera era diventata quasi un’ossessione, a tal punto da sconvolgere la mia quotidianità, e decisi di mettermi all’opera il prima possibile, recandomi al solito bar.

Udii l’ormai noto tintinnio dello scaccia pensieri attaccato alla porta. Non ero l’unico ad aver ascoltato lo scampanellare dell’oggetto incollato all’entrata, poiché Sabrina stava guardando nella mia direzione e, appena i nostri occhi si incrociarono, li distolse arrossendo. Giocò distrattamente e nervosamente con alcune ciocche di capelli e si dondolò sui talloni.

 Il mio corpo si mosse prima che il cervello gli diede l’impulso e mi ritrovai ad avanzare verso di lei con la strana sensazione di non poter resistere un secondo in più senza sentire la sua voce. Lei irradiò un caldo e sincero sorriso che ricambiai.
-Ciao dolcezza!- salutai voluttuoso.
-Salve, James.- rispose, mentre i suoi zigomi si imporporavano di nuovo di bordeaux e puntò lo sguardo sull’ambiente circostante. Il genere di ragazze con cui ero solito stare non avrebbero mai adottato quel suo comportamento. Lei era diversa: non si rendeva conto del potenziale che aveva, del forte ascendente che possedeva sugli uomini.
-Com’è andata a lavoro oggi?- chiesi per intavolare una conversazione e lievemente interessato per davvero.
-Bene…a te?- ammise contenta, intanto che le sue mani si rilassavano impercettibilmente e si poggiavano lentamente sul legno scuro del bancone.
-Non male, ma adesso che ti vedo va decisamente meglio!- affermai compiaciuto, sfoderando le solite carte per fare il casca-morto. Le donne erano senza sosta in cerca di complimenti e tutte abboccavano a qualche moina. Portai il mio viso a pochi centimetri dal suo e lei si allontanò come se potesse scottarsi. Sabrina scosse la testa incerta e continuò ad arretrare.
-Ehm…io ora devo lavorare, puoi chiedere a Ryan o ad Alexis per la tua ordinazione.- concluse e, alla velocità della luce, voltò le spalle e mi lasciò stupito.

 Mi girai ed osservai il locale frastornato, domandandomi cosa avessi detto per farla scappare. Lei era totalmente indifferente alle mie frecciatine.
 Dopo il nostro breve dialogo, la vidi portare qualcosa ai clienti sorridendo cordialmente, a tutti tranne che a me. Era una ragazza come un’altra e mi stava tormentando troppo! Dovevo concludere alla svelta la faccenda, conquistandola, ottenendo ciò che volevo e andando avanti.

SABRINA’S POV
Quando notai James, il mio cuore mancò alcuni battiti. Quel giorno era particolarmente attraente: aveva dei jeans scuri abbinati ad una camicia a righe infilata nei pantaloni e ad un cappotto beige. Sul viso, però, alleggiava un’espressione di stanchezza ed i suoi magnifici occhi celesti erano leggermente arrosati. Volevo parlare con lui e non potevo permettere che le mie paure me lo impedissero. La sua voce era melodiosa e fissavo le sue labbra che si piegavano per suo volere allo scorrere delle parole. Sorridevo grata per quella visione e mi beavo alla vista della sua bocca incresparsi in alcune smorfie.

 Mi ritrassi, basita e confusa per una manciata di secondi, appena cercò di avvicinarsi pericolosamente a me. Lo liquidai con una scusa alquanto banale e fuggii in bagno per calmarmi.

“Adesso che ti vedo va decisamente meglio”.

Quella frase mi perseguitava. Semplicemente bastava una battutina mirata e credeva che io cadessi ai suoi piedi, baciandogli le scarpe. Era questa la reputazione che avevamo noi femmine: sgualdrine alla mercé del primo che capitava a tiro. Di certo non mi sarei abbassata a quei livelli ed ovviamente non sarei stata un’altra delle sue ragazze senza cervello.    
NOTE DELL'AUTRICE
Ciao a tutti! Allora, in primis cosa ne pensate del capitolo? Lo so, ci ho messo un po' per aggiornare, ma la scuola mi sta uccidendo. Purtroppo per me da domani inizierà l'inferno e rimarrò bloccata alla mia scrivania tutti i giorni temo. La causa? Lo studio, ovviamente! Penso proprio che per un ulteriore aggiornamento ci vorrà venerdì se tutto va bene. Spero, come sempre, che la storia vi appassioni e non annoi e che riesco a farvi immedesimare nei personaggi.  Alla prossima, spero! Ciao SS.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** 6) We need to talk. ***


 6) WE NEED TO TALK

JAMES’POV
Sabrina era diventata il mio chiodo fisso. Per colpa sua avevo passato un’ulteriore notte insonne. Durante le ore buie, avevo capito che lei non era assolutamente il tipo di ragazza con cui ero solito stare o, per lo meno, non dava quest’impressione quando la si conosceva; non per il suo abbigliamento, assai provocante in certe occasioni, piuttosto perché non mi era ancora saltata addosso come il resto delle altre ragazze avrebbe fatto. Giustamente bisognava sottolineare che le donne con cui trascorrevo il mio tempo non erano propriamente l’immagine delle perfette figlie, cresciute in un monastero che tenevano le gambe chiuse fino al matrimonio. Giunsi alla conclusione di dover conquistare quella cameriera con metodi assai gentili e galanti. Mi rivolsi alla persona più indicata sulla faccia della terra: mio fratello, Kevin. Con la fortunata di turno, io ero antipatico, indisponente ed odioso ai limiti del possibile per far in modo che lei non scappasse a causa del mio carattere e, allo stesso tempo, che non etichettasse la nostra avventura come una relazione seria. Adoravo le serate focose senza impegni. Lui, invece, era educato e garbato; un giusto miscuglio di spensieratezza e buone maniere. Metteva alla luce del sole il suo lato migliore, quella parte che mia madre stimava e idolatrava, quello spicchio di personalità che lei stessa aveva creato e affinato scrupolosamente, che aveva trasmesso anche a me. Sapevo di essere in grado di amare e onorare la mia fidanzata, eppure credevo che una facciata tanto profonda e intima non fosse degna di una compagna con scarni principi. Avrei venerato la donna che avrebbe meritato le mie attenzioni.

Kevin accettò di accompagnarmi quello stesso pomeriggio al locale per osservare la misteriosa ragazza che, dopo avermi visto varie volte, ancora non era caduta ai miei piedi. Quando gli raccontai le mie strambe peripezie degli ultimi giorni, percepii curiosità nel suo tono di voce e notai anche qualche sfumatura di ironia.  

SABRINA’S POV
Non riuscivo a trovare una posizione sufficientemente comoda per dormire oppure, se la trovavo, dopo cinque minuti mi lamentavo nella stessa situazione di prima. Tiravo le coperte fino a sotto il naso e, il minuto successivo, le scostavo in preda ad attacchi di calore. Tentai di contare a mente le pecorelle, però neanche questo metodo sofisticato mi aiutò. Immaginavo caprette ricoperte da batuffoli di lana che saltavano un recinto e, dato che il sonno era assai lontano dai miei orizzonti, diedi libero sfogo alla fantasia, creando nella mia mente la figura di un pastore con tanto di cagnolino. Ad un tratto, quest’ultimo assunse le sembianze di James! Quel maledetto imprenditore era sempre in mezzo ai miei pensieri! Dio, provavo pena per me stessa: non dovevo illudermi per così poco!

Mi diressi a lavoro senza guardarmi allo specchio, evitando di gettare la mia autostima al di sotto del pavimento. La mattina passò molto lentamente. La stanchezza mi stava uccidendo e  le occhiatacce che mi riservavano i clienti non mi entusiasmavano. Indispettita, andai in bagno e, scontrandomi con il mio riflesso, compresi di non vantare un bel aspetto, anzi tutto il contrario: avevo due occhiaie orribili che neanche il mix di fondotinta e correttore riuscì a coprire e che da sole stimolavano ribrezzo,  inoltre i miei capelli erano penosi, non volevano assumere un verso decente, erano arruffati e crespi.


Verso le tre del pomeriggio arrivò James, seguito da un uomo mai visto prima. Spalancai la bocca per la sorpresa, poiché non credevo sarebbe ritornato dopo il modo in cui lo avevo trattato. Bello, dannato e sfacciato, un classico! Probabilmente la sfortuna mi perseguitava, perché Ryan era uscito ed Alexis momentaneamente sparita. Dovetti prendere io stessa la loro ordinazione, dopo avergli lasciato cinque minuti d’obbligo per decidere quali pietanze gustare.
-Salve, cosa desiderate?- domandai con voce flebile e con un finto sorriso che sembrò, presumibilmente, più una smorfia. Cercavo di sembrare sicura e calma, quando dentro di me pregavo tutti i santi dell’universo affinché mi aiutassero a scappare da quella situazione. Volevo voltare le spalle a quei due e tornare a casa mia, per buttarmi sul letto e piangere. James mi fissò per quelle che mi parvero ore, nelle quali le mie gote si infiammarono ed i battiti del mio cuore rimbombarono sempre  più forti e chiassosi nelle mie orecchie, distanziandomi dal mondo circostante. Alla fine, prese parola il suo amico.
-Per me un latte macchiato, grazie!- rispose  con tono allegro, abbandonando sul tavolo il menù che aveva osservato scrupolosamente e stiracchiandosi sulla sedia incurante della mia presenza.
-Okay.- esclamai ,  annotando il tutto sul block notes e ridacchiando lievemente per la sfacciataggine naturale di quello strano tipo. Cosa diamine avrei dovuto dire a James?! Mi sarei dovuta rivolgere a lui dandogli del lei o del tu? Sospirai mentalmente, decidendo di essere professionale: - E per lei?- chiesi, guardandolo di sottecchi e fingendo di scrivere ancora qualcosa sul taccuino.
-Sabrina, ti ho già detto che puoi darmi del tu e ora aggiungo che puoi farlo anche in presenza di mio fratello… –chiarì, sospirando. -Comunque vorrei un caffè. – concluse, riacquistando il suo ghigno provocatorio.
-Va bene, arrivano subito.- confermai, girando i tacchi e fuggendo alla ricerca della mia coinquilina.
 

-Lexy, mi spieghi cosa ci fai qui?- la implorai per l’ennesima volta, mentre eravamo sedute in quello scomodo gabinetto.
-Scusa, ma non mi sento molto bene…- sospirò con un’espressione più finta dei miei capelli. Le sue pupille fiaccamente abbandonarono le mie e si posarono sul marmo lucido del suolo.
-Alexis, per favore. Fuori ci sono una marea di clienti che aspettano ciò che hanno ordinato e, sicuramente, ne saranno arrivati degli altri. Non farmi perdere tempo e sputa il rospo...- dichiarai, afferrandola per le spalle e costringendola a voltarsi. Provai a essere il più sbrigativa possibile e la incitai con un’alzata di sopracciglia.
-Tu sei mia amica, giusto?- piagnucolò, torturando le sue povere manine strette l’un l’altra a pugno e con un broncio dipinto in viso degno dei bimbi dell’asilo. Dal canto mio, annuii immediatamente e mi accigliai ancor di più.– …quindi ci diciamo tutto, no?!- continuò, recuperando un pizzico di sicurezza e mordendosi il labbro inferiore. Volevo un mondo di bene a Lexy, perché non aveva peli sulla lingua e non girava mai intorno al nocciolo della questione. Appunto per questo, era troppo evasiva e agitata.
-Sei incinta?- le parole si storpiarono e incollarono sui miei palmi che mi tappavano la bocca, quasi fossi spaventata per l’assurdità che stavo svelando.
-Cosa? No, che dici? –destò i miei sospetti, regalandomi un pugno sulla spalla. -E’ solo che…quello lì fuori è… ti ricordi Kevin? Il ragazzo bellissimo: alto, moro, occhi celesti? Quello stronzo che ho incontrato alla pizzeria, ma che poi non mi ha più cercata?-
-Si…-
-L’ho visto entrare in compagnia del tuo spasimante!- rivelò, girandosi e contemplandosi allo specchio con cipiglio critico. Boccheggiai per alcuni secondi, però poi esultai e mi infilai prepotentemente tra Lexy e il lavandino.
-Oh mio Dio, avevo ragione: James e Kevin sono fratelli. Ho preso la loro ordinazione e l’ho scoperto! Perché ti sei chiusa qui dentro, allora?- mi bloccai repentinamente, ricordandomi del tanfo che  proveniva dal WC.
-Hmm… ho vergogna! Insomma, lui mi ha ignorata una volta, quindi potrebbe rifarlo ancora.- rispose, arrossendo. Mi supplicò con lo sguardo di aiutarla e la abbracciai di slancio.
-Tesoro, tu ora vai lì fuori e gli fai vedere quanto sei splendida, non fissarti sulle azioni senza senso degli stronzi. Non ne vale la pena!- spiegai, sfregando una mano sulla sua schiena.
Lei si staccò, mi guardò, e mi diede ragione.
 
JAMES’POV
-Kev? Che te ne pare?- gli chiesi, strappandogli dalle dita il suo telefono e buttandolo con stizza sulla superficie piana del tavolo. Gravai il mio peso su di esso attraverso i gomiti e intrecciai le braccia tra di loro.
-E’ carina.- confermò noncurante, allungando una mano per afferrare il suo cellulare, però lo agguantai prima io e lo misi in tasca. Mio fratello protestò gesticolando, ma sollevai un sopracciglio per rimproverarlo. -Ok, forse è un po’ più di carina, bella…- emise incerto, tanto che la sua risultò una classica domanda. Aggrottai di nuovo la fronte. -E va bene, è veramente uno schianto!- confessò infine, sbuffando arreso.
-L’ho vista prima io!- strepitai, colpendolo lievemente sulla clavicola e facendolo arretrare.  – Kev, come faccio a portarmela a letto?!- sospirai desolato e realmente confuso. Mi parve di sentir provenire da lui un misto tra un lamento e un gemito di rassegnazione.
-Non è una sgualdrina, non abbocca alle tue solite battutine, quindi devi parlarle in modo educato, gentile e cortese. Ossia come si tratterebbe una vera donna e non le tue solite puttanelle da quattro soldi.- mi ammonì, stravaccandosi sullo schienale e scuotendo la testa inerte.
-Cioè dovrei corteggiarla regalandole dei fiori, cioccolatini o cose del genere?- brontolai afflitto e disgustato al solo pensiero. Ero d’accordo con lui sul mio modo rude di trattare le ragazze, ciò nonostante esagerare con tali smancerie mi sembrava un’eresia.
-Certo che no, idiota! Solo evita di usare doppi sensi e non essere affrettato, anzi chiedile un appuntamento e non pensare subito al sesso.-
-Posso continuare a fare sesso con Nicole, vero?- sghignazzai tra me e me e pensando alle curve formose della mia segretaria. Gongolai felice, donandogli un occhiolino.
-No James, se ci provi con una ragazza non puoi fare sesso con un'altra!- mi sgridò, infastidito e nauseato da me. Col tempo avevo imparato a non soffermarmi sulle sue ramanzine e i suoi sguardi torvi e derisori non mi scalfivano minimamente.
-Cosa?! No, non ci riesco. Facciamo così: per questo momento di conoscenza e smancerie varie continuerò a fare sesso con Nicole, poi vedremo!- sbottai, agitandomi. 
 
 
-Alexis?- boccheggiò Kevin rivolto alla cameriera che ci portò le nostre ordinazioni. L’avevo vista di sfuggita un paio di volte, però non conoscevo nulla sul suo conto.
-Kevin!- sputò con disprezzo la ragazza, svuotando il vassoio e poggiando i due caffè sulla superficie piana.
-Abbiamo bisogno di  parlare.- concluse mio fratello.
Decisi di  consumare la mia bevanda al bancone per lasciare un po’ di intimità a quei due e poter conversare liberamente con Sabrina.
 
SABRINA’S POV
Avevo rimuginato tutto il giorno su un eventuale incontro con James ed avevo deciso di mostrare indifferenza nei suoi riguardi e non degnarlo di alcun tipo di attenzioni; eppure, quando me lo ritrovai davanti, i miei piani andarono a farsi benedire. 
-Ciao, dolcezza!- mi salutò cauto e tranquillo. La rabbia montò per l’ennesima volta dentro di me: la sua spavalderia mi annebbiava la mente e mandava su tutte le furie. Pensare che io avessi speso tempo ed energie  riflettendo sul nostro piccolo diverbio e che lui si presentasse come fosse successo niente, mi innervosiva.
-Ciao.- dissi distaccata, sistemando un bicchiere nel lavabo e non impedendo alle mie gote di andare in fiamme per il nomignolo appena utilizzato da lui.
-Mio fratello e la tua amica si conoscono?- domandò, accomodandosi su di uno sgabello.
-Si, si sono incontrati per caso un giorno ad una pizzeria.- ammisi, sorridendo e osservandola da lontano discutere con Kevin. Lexy stava ascoltando l’altro con un cipiglio strafottente ed annuiva ironica, mentre lui si dimenava e si sbracciava irrequieto.
-Come si chiama la tua amica?- mi interrogò, di nuovo, coinvolgente. Se non altro, per quel poco che mi era stato concesso di conoscerlo, avevo capito che era molto curioso, a tratti invadente e bizzarro, comunque si interessava con naturalezza, così facilmente, che era impossibile pensare  lo facesse perché pettegolo.
-Alexis, Alexis Richmond.- sghignazzai, poggiandomi con un fianco al bancone.
-Okay…senti, forse noi due abbiamo iniziato con il piede sbagliato. No,  abbiamo iniziato con il piede giusto, ma poi qualcosa è cambiato. Perché sei fuggita l’altra volta?- il suo tono accusatorio mi fece sussultare e rischiai di perdere equilibrio. Fortunatamente, riuscii a liberare il piede destro e non caddi.
-Te l’ho detto: dovevo lavorare!- gemetti, inarcando di poco verso l’alto gli angoli della mia bocca. Con un’alzata di spalle ed uno gesto noncurante sperai di risultare abbastanza credibile.
-Va bene, comunque non è stato molto carino sai?- sollecitò ancora, per nulla convinto dalla mia replica. Essendo insopportabilmente a disagio, come spesso capitava, permisi alla prima frase di senso compiuto che librava nel mio cervello di fluire libera dalle mie labbra.
-Scusa, non volevo…- mormorai, avvertendo il sangue bollente scorrere ai miei zigomi e arrossarmi il viso. James scoppiò a ridere come un matto.
- Dolcezza, non devi scusarti. Non volevo farti sentire in colpa.- confessò, quietandosi un poco nel momento in cui la pelle calda dei suoi polpastrelli sfiorò la mia spalla in una carezza incerta. Probabilmente avevo un’espressione dubbiosa, poiché ritirò immediatamente l’arto e tossì imbarazzato. Mi maledissi mentalmente e lo pregai silenziosamente affinché mi toccasse ancora. Non successe e lui tentò di riacquistare la sua solita aria maliziosa. - In qualche modo dovrai farti perdonare!-
- Oh, in che modo? Se verrai allo spettacolo di sta sera ti dedicherò una canzone.-
- Beh, devo confessarti che quest’idea non mi dispiace affatto, ma io pensavo ad un appuntamento!- esclamò, avvicinandosi pericolosamente a me.
- Ehm...io…non penso che sia una buona idea...- tartagliai titubante e impacciata, indietreggiando fino a toccare con la zona inferiore della schiena il legno freddo.
-Cosa vorresti dire, dolcezza? Sono talmente brutto che non mi concedi neanche un’uscita?- rise apertamente della mia timidezza e si mise in piedi.
 - No, no, certo che no, però…-  balbettai, tremando come una foglia e deglutendo rumorosamente. 
-Allora non puoi che accettare la mia offerta, dolcezza. Facciamo domani sera? – mi interruppe risoluto, guardandomi ormai vincente.
-Si, va bene.- acconsentii mio malgrado, nascondendo il volto con i capelli che mi caddero ai lati della faccia.
-Per quanto riguarda la tua idea, tranquilla: sta sera ci sarò così potrai dedicarmi una canzone.- ammiccò libidinoso, elargendomi un buffetto sul naso e andandosene.
 
Alexis mi saltò in collo con un Koala, emettendo dei gridolini fanciulleschi. Mi spiegò allegra che Kevin aveva segnato male il suo numero di telefono e che non aveva potuto rintracciarla in nessuna maniera. Le aveva promesso che sarebbe tornato quella sera stessa per lo spettacolo e che era persino ritornato nel luogo del loro incontro sperando di imbattersi in lei. 

NOTE DELL'AUTRICE
Scusate mille volte per il ritardo! Allora cosa ne pensate del nuovo capitolo? Il nuovo personaggio, cioè Kevin, è interpretato da Chase Crawford. Inoltre ero tremendamente indecisa su quando introdurre il personaggio di Nicole, ma alla fine ho optato per questo capitolo. Anche se lei e Brina non si sono mai incontrate, James la già descrive in minima parte. Comunque Nicole è interpretata da Candice Swanepoel. Alla Prossima spero, Ciao SS. 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** 7) Was this your dream? ***


7)         WAS THIS YOUR DREAM?

SABRINA’S POV
Appena spalancai gli occhi imbattendomi nel buio fitto della mia camera, sbuffai spazientita ed il mio corpo reagì di conseguenza al ticchettio proveniente dalla finestra sigillata alla mia destra: mi voltai in posizione fetale sul fianco sinistro intenzionata a ricadere tra le braccia di Morfeo. La pioggia di quella giornata non aiutava e, anzi, mi teneva sveglia anche se assonnata. Pensare alle strade inumidite dall’acqua, ai cappotti delle persone bagnati da essa, agli ombrelli aperti e ai fiumi in piena, mi convinse a sprofondare maggiormente nel materasso ed imbacuccarmi nel lenzuolo. Mi tranquillizzai e,  proprio un secondo prima che il sonno si impadronisse di tutte le mie membra, si materializzò nella mia mente un ragazzo stupendo, fasciato in un elegante abito di tutto punto e con un sorriso strafottente e malizioso: James.

Balzai sul letto come una molla e mi sedetti, scivolando su di esso per poggiare la schiena alla testiera. Impugnai il pesante piumone tra le dita e realizzai che quella sera stessa lo avrei rivisto. Abbandonai l’appagante e confortevole bollore delle mie adorate federe e vagai per casa annoiata. Mi gettai a peso morto sul divano e tentai di rilassarmi, ricorrendo a profondi e lunghi respiri. Il mio pesante pigiama di pile non era sufficientemente ponderoso, almeno non quanto una coperta, e fui percorsa da mille brividi.

Mi diressi ai fornelli inacidita per preparare un po’ di latte, prevenendo il brontolio della mia pancia che sapevo sarebbe iniziato tra poco. L’allegria di Lexy mi colpì come un pugno allo stomaco e l’invidiai per poter trascorrere un’altra giornata in spensieratezza; non come me, invece, che avrei dovuto prepararmi sia psicologicamente che fisicamente, a causa dell’appuntamento con James e, ne ero sicura, avrei passato tutta la mattinata a fasciarmi la testa.

 Per ammazzare il tempo spolverai  la sala, mi dilettai in cucina e gironzolai tra una stanza e l’altra incapace di stare ferma un attimo. Avvertivo uno strano senso di continua agitazione e scompiglio, per non parlare dell’opprimente morsa fastidiosa che provavo all’altezza del petto. James possedeva il mio indirizzo e rimanemmo d’accordo che sarebbe venuto a prendermi per le 20.00.

Cercai di distendere e calmare i miei muscoli con un interminabile e gratificante bagno. Immersi i miei piedi seguiti dalle mie gambe fino ad arrivare alle spalle nella vasca colma  e schiumosa aromatizzata  con campioncini di saponette alle rose. Accompagnata dalla voce di Christina Aguilera che mi penetrava nelle orecchie e intonava una delle sue canzoni a mio parere più belle, “Beautiful”, inalai quanta più aria possibile nei polmoni e sommersi anche il capo, percependo l’acqua calda circondare ogni parte del mio corpo. Udii un tranquillo ronzio in sottofondo e raggiunsi la quiete tanto attesa. Riaffiorai soltanto quando il petto mi dolse per la mancanza di  ossigeno e mi issai aggrappandomi al bordo. Uscii da quel liquido trasparente che aveva raggrinzito la mia pelle  e le goccioline formatesi sul mio corpo morirono a contatto con la stoffa dell’asciugamano.

Decisi di piastrarmi accuratamente i capelli e optai per un trucco eccessivo, aggressivo, prorompente ed irruente. Forse non ne avevo neanche bisogno, tuttavia la mia maledetta autostima ne necessitava sul serio. Non ero a mio agio con gli uomini.
Fu la prima domenica dal mio arrivo a New York,  in cui non mi recai al locale nel pomeriggio per inventare nuove coreografie oppure perfezionare quelle già esistenti.  Sgattaiolai nella mia stanza e osservai critica il mio armadio aperto.

Jeans e camicia o vestito? Scarpe alte o basse? Orecchini a perla o a pendoli? Questo era il genere di domande che mi frullavano in testa da più di mezz’ora. Ringhiai spazientita e, con una leggerissima spintarella, decisi di scegliere una volta per tutte cosa indossare. Un abito bianco senza spalline con una fascia ed un fiocco neri sotto il seno, che arrivava neanche a metà coscia, sembrava perfetto per l’occasione. Abbinai un paio di tacchi 15 centimetri a spillo neri e aperti in punta, con ricamature in pizzo. Uno spruzzo del mio profumo preferito ed ero pronta.

Controllai l’orario sul cellulare e notai, con mia somma sorpresa, che mancavano ancora venti minuti al fatidico incontro con James. Ripensai agli avvenimenti delle ultime quarantotto ore. In particolare, sghignazzai lievemente rimuginando sullo spettacolo della sera precedente. Dovetti, per cause di forza maggiore, stornellare  una canzone all’imprenditore. Dopo molta indecisione scelsi di dedicargli “Oops!... i did it again” di Britney Spears. Fortunatamente la prese sul ridere e si divertì come non l’avevo mai visto fare.

Lo scampanellare incessante del mio telefono mi catapultò nel mondo dei comuni mortali. Lessi il nome di James sul display e il mio cuore perse un battito. Dopo aver infilato il mio cappotto, trotterellai all’esterno della mia abitazione.  Chiuso il portone, lo scorsi poggiato al cofano della sua auto. Portava dei jeans scuri, una camicia bianca fermata nei pantaloni, una giacca beige e delle vans azzurre.  
- Ciao, dolcezza.- salutò, chinandosi per regalarmi un bacio sulla guancia. Arpionò un mio fianco con la sua mano e mi cinse la schiena.
-Ciao, James.- risposi, sganciando le sue dita dal mio corpo ed allontanandolo. Mi pentii immediatamente della mia azione ottusa, sentendo le gote andarmi a fuoco. Sperai, comunque, che la grande quantità di fondotinta usata coprisse il rossore.
-Sei stupenda…- sussurrò al mio orecchio, subito dopo avermi ammirata scrupolosamente, agitandomi e mettendomi in soggezione. Probabilmente se ne accorse e sorrise compiaciuto, come se godesse nel vedermi così trasparente e tesa. Lui aveva il potere di azzerare tutte le mie difese e di trasportarmi su un altro mondo, su un altro Universo! In sua presenza facevo battute idiote, dicevo fesserie senza senso e mi imporporavo peggio di una ragazzina alla sua prima cotta.
-Grazie anche tu…stai bene.- balbettai mesta. – Dove mi porti?- chiesi, spostando il nucleo del discorso in un’altra direzione e schiarendomi leggermente la gola e le idee. Mi distaccai stentatamente da lui e camminai in direzione della macchina.
-In un ristorante fuori città, ci impiegheremo più o meno un’oretta e mezza per arrivarci, è un problema?- domandò d’un tratto nervoso.  Percepii la sua presenza alle mie spalle e mi sorpassò per aprirmi lo sportello.
-Oh, no non preoccuparti.- dichiarai, abbandonandomi sul sedile. Le mie narici vennero punzecchiate da un forte odore di menta e dopobarba al muschio, lo stesso di James! Inspirai profondamente per memorizzare il suo aroma.

JAMES’ POV
Andai a prendere Sabrina al suo appartamento vicino Times Square alle 20 in punto. Spalancai gli occhi dalla sorpresa, quando venni accecato dalla sua bellezza. Era fantastica, incantevole, splendida…aveva superato tutte le mie aspettative! Montammo sulla mia BMW grigia metallizzata e partimmo verso l’osteria di Andrew. Voltai la nuca nella sua direzione appena mi fu possibile e la rimasi ammaliato, godendomi la visione del suo profilo: aveva le pupille puntate fuori dal finestrino, il nasino piccolino e all’insù e la bocca dischiusa.  Notai che il suo vestito era salito leggermente mentre si era seduta e dire che fosse corto era un eufemismo.  
Sospirai mentalmente per infondermi un po’ di coraggio. Volevo scoprire qualcosa in più sul suo conto, perché quella ragazza mi intrigava.
– Come sei finita a New York?- chiesi, augurandomi di non sembrare troppo ficcanaso.
 - L’Italia mi è sempre stata stretta.  Ho studiato ad un liceo classico linguistico per poter saper parlare altre lingue e integrarmi in altri paesi. Capisci? Ho pensato che fosse inutile intraprendere altre strade se avevo già un idea sul mio futuro.- spiegò brevemente, sorridendo felice e squadrandomi per una piccolissima frazione di secondo.
-Perché proprio qui? Insomma tra tanti posti nel mondo questo era il tuo sogno?- domandai ancora,  più tranquillo sta volta. Sentire il suono della sua voce, così armonioso e calmo, mi faceva rilassare. Inoltre, conversare con lei senza preoccuparmi di dover fare battute a doppio senso mi piaceva. Ne ero sicuro: saremmo diventati ottimi amici, dopo una sana notte focosa!
-Beh, New York è una città fantastica, non trovi?- rispose vaga, fissando ancora la strada scorrere veloce sotto di noi. Aggrottai le sopracciglia incuriosito all’inverosimile dalla donna al mio fianco e tentai di scorgere qualche indizio ancora sconosciuto. Era inquieta e malinconica. Non serviva un genio per capire che avrei dovuto lasciar perdere, tuttavia lasciar morire il dialogo in quel modo non mi sembrava neanche un opzione da prendere in considerazione.
-In questo modo non fai altro che incrementare la mia curiosità e poi, anche se fosse un reato, non ti giudicherei.- la rassicurai, sfiorando brevemente con i miei polpastrelli il suo viso.
-Hmm…io…- mormorò titubante. Immaginavo gli ingranaggi nel suo cervello ruotare frenetici in cerca di un appiglio a cui aggrapparsi. Pareva talmente indifesa che mi maledissi per averla costretta a parlare, nonostante ciò dovevo dissetare il mio interesse. -In realtà non c’è un vero motivo. Ecco, un giorno mi sono svegliata e poi ho deciso di partire. Ho lasciato gli studi, la mia famiglia con un semplice biglietto e sinceramente non  sento i miei genitori da allora. Non avevo nessun motivo importante per restare lì. Non mi sentivo a casa. Non so se puoi capirmi, ma dovevo andare via. – ammise con gli occhi rivolti verso il basso. Magari non riusciva a guardarmi in faccia o forse non voleva farlo. Chi ero io d’altronde per lei? Uno sconosciuto? Beh, no! Sapeva almeno il mio nome. Ero un conoscente e niente più. Un cliente del ristorante in cui lavorava.  Un alone di tristezza alleggiava nell’abitacolo e circondava prepotentemente Sabrina.
-Sei figlia unica?- proruppi, virando completamente da un’altra parte  e cambiando argomento, risollevandole il morale.
-No, ho una sorella. Si chiama Alice ed è più piccola di me. Tu hai solo Kevin come fratello?-
-No. Io sono il maggiore, poi c’è Kevin ed infine mia sorella Amber. –annunciai, ricordandomi del bel volto di quella pazza di mia sorella. -Perché hai lasciato gli studi?- la interrogai, riconnettendomi al discorso precedente. La sorpresi e lei tossì spaventata.
-Ehm…ho cambiato vita e ho voluto cambiare anche le altre abitudini.- affermò scocciata. D’altro canto quello sembrava un interrogatorio e la stavo portando all’esasperazione.
Lottavo contro me stesso per tenere le labbra sigillate, le parole smaniavano per uscire allo scoperto e schiaffeggiare Sabrina. Strinsi il volante per contenere la voglia di conoscere che mi aveva sempre caratterizzato, però non riuscii nel mio intento più di dieci minuti.
-Perché non hai più sentito i tuoi genitori?- esclamai e mi pentii del mio tatto totalmente inesistente, dopo l’ultima sillaba. Lei si irrigidì all’istante, diventando quasi di ghiaccio, e si girò con la fronte corrugata e infastidita. Scosse la testa sbalordita e, proprio quando ero certo mi chiedesse di compiere un’inversione e riportarla a casa sua, sospirò a palpebre serrate ed iniziò a parlare con un fil di voce.
-I miei non hanno mai appoggiato la mia scelta. Anzi…mio padre è un avvocato e voleva che seguissi le sue orme così che avrei trovato lavoro facilmente. Sai, con la crisi che c’è oggi. Ma io non volli e da allora i nostri rapporti si sono allentati.- confessò fugacemente. Mi pervase lo stimolo di abbracciarla forte e  stringerla a me. - Come mai tu sei il capo dell’ azienda così giovane?- continuò poi, scrollando le spalle in un gesto che l’avevo vista tante volte eseguire.
-I miei genitori hanno sempre voluto che lo diventassi e a me non dispiaceva, anzi amo questo lavoro. Certo, nessuno si aspettava di vedermi salire al potere tanto presto, ma mio padre è venuto a mancare un annetto fa, così non ho avuto altra scelta. Perché fai la cameriera? Non penso che questa fosse la tua più grande aspirazione o sbaglio?-
-No, no hai ragione.- mi interruppe, ridacchiando lievemente. -Sono venuta qui circa due mesi fa ed è stata una fortuna enorme incontrare Alexis, che cercava proprio un coinquilina. Poi ho trovato lavoro da Ryan e ne sono felice, ma ho sempre sognato di lavorare in un luogo dove possa essere accolta a braccia aperte dagli altri colleghi e immagino una vita lavorativa rosa e fiori, un buon rapporto con il capo e tante serate libere per fare baldoria. Vorrei trovare una grande famiglia e essere un’amica per il mio sovrintendente, la persona della quale lui si possa fidare e che interpelli se ha bisogno di un consiglio o che lo rappresenti alle riunioni al posto suo se è impegnato.- esclamò, accavallando le gambe.
-E se ti offrissi un lavoro del genere?- mi pavoneggiai scherzosamente. Lei sembrò presa alla sprovvista e, improvvisamente, come fosse stata colpita da un cazzotto nell’addome, boccheggiò in cerca d’aria, diventando paonazza in faccia.  
-Oh no James, scusami. Io non volevo propormi come tua segretaria, è solo che tu mi hai chiesto il mio sogno e…- disse, sbracciandosi animatamente.
-Calma dolcezza, quest’idea non mi ha proprio sfiorato la mente. So che non sei il tipo di persona che lo farebbe. Comunque, se può interessarti, avevo già in mente di licenziare la mia segretaria attuale e dopo che mi hai detto questa cosa pot….-
-No James, scusami ancora. Dimentica quello che ho detto. Non voglio rubare il posto a nessuno…- mi fermò, ponendo una sua mano sul mio braccio in un tocco troppo lieve.

Lasciai che il discorso sprofondasse e si dissolvesse, divenendo solamente un vago ricordo. Giurai su me stesso che la avrei convinta.  Nicole non era nulla in confronto a Sabrina: non faceva altro che ammirarsi le unghie e il suo unico compito era prendere e passarmi le telefonate o disdire le riunioni.
 
Trascorremmo il resto della serata tra chiacchere e sorrisi sereni. Non sapevo come ci riusciva, però quella donna era in grado di portare a galla il lato più sensibile e riservato di me.
Rincasai e mi addormentai felice, pensando a quando l’avrei rivista.


NOTE DELL’AUTRICE:
Alloooora: non ho aggiornato subito, ma neanche con grande ritardo! Spero di riuscire a regalarvi un aggiornamento il prima possibile…. Non vi prometto nulla, però mi auguro di riuscirci entro Lunedì. Tutto dipende dalla Letteratura che, si spera, non mi terrà con le chiappe incollate alla sedia della scrivania tutto il tempo. Comunque, ritorniamo alla storia: finalmente i due protagonisti si incontrano anche fuori dall’ambito lavorativo e hanno il loro primo appuntamento. Emergono lati del carattere di James ancora ignoti e parte della fragilità di Sabrina. I personaggi sono quasi finiti e manca all’appello solo Amber, la sorella di James. Il suo personaggio lo metterò quando qualcuno la descriverà anche solo un pochino. Vi consiglio di ascoltare “Oops…I did it again”  per capire meglio la scena della canzone. Alla prossima spero, ciao SS.  

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** 8) I wanted to run away from myself ***


8)      I WANTED TO GET AWAY FROM MYSELF

JAMES’POV
Candidi fiocchi di neve si posavano leggeri sul vetro della mia auto oppure sui cappotti mezzi aperti che conferivano alla gente un aspetto trasandato. I semafori delle strade trafficate di New York sembravano volersi rivoltare alla mia macchina e schizzavano in pochi secondi al rosso proprio prima che io li sorpassassi. Mi girai un attimo solamente per osservare, attraverso il finestrino chiuso, i comportamenti delle persone della città che mi aveva visto venire alla luce, crescere, trasformarmi da bambino a ragazzo e, infine, uomo: alcune di loro correvano veloci con un viso trafelato, altre passeggiavano tranquille con un  bicchiere dello Starbucks in mano, altre ancora camminavano svelte nella mia stessa situazione con valigette oscillanti. Finalmente il verde scattò all’ennesimo stop e mi affrettai a schiacciare l’acceleratore.

Controllai l’orario non appena un mio piede sorpassò la soglia dell’azienda: le 7:58. Dovevo essere a lavoro per le otto in punto e, nonostante avessi rischiato di arrivare in ritardo, spiattellarmi sull’asfalto o prendere una multa per eccesso di velocità, ero riuscito a varcare la porta in tempo.

Il sorriso malizioso di Nicole mi accolse, quando svoltai l’angolo e compresi immediatamente le sue intenzioni. Inizialmente, quella mattina, avevo pensato di impiegare il mio tempo a prepararmi per una riunione con dei rappresentanti messicani, invece mi ricredetti osservando il corpo della mia segretaria fasciato in un tailleur troppo stretto ed eccessivamente corto. Mandai all’aria l’incontro, percependo la sua pelle setosa, luminosa e splendente sotto i palmi delle mie mani. La mia bocca famelica si insediò sapiente sul suo collo, mentre gli occhi smaniavano per osservare il seno della ragazza difronte a me compresso in un completino di pizzo trasparente. Quasi strappai la sua gonna per scoprire se indossasse delle mutandine coordinate. Le sue labbra mi torturarono e arrossarono in vari punti e mi ammaliarono esperte quando oltrepassarono l’elastico dei miei boxer e lambirono la mia virilità. Persi il lume della ragione dentro di lei in uno degli sgabuzzini. Sapevo di star facendo tardi, pensando esclusivamente ai miei bisogni animaleschi, eppure in quel momento non ci badai.

 L’importante progetto con il Messico, del quale mi ero preoccupato tutta la settimana e che avevo pianificato nei minimi dettagli, si rivelò un buco nell’acqua. Gli imprenditori fuggirono adirati non trovando da nessuna parte né me né la mia assistente direzionale. Cercai di chiamarli ed organizzare un’ulteriore assemblea, tuttavia fu tutto inutile.

Mi maledissi per il mio carattere eccessivamente egoistico e mi diressi a passo spedito nel mio ufficio, urtando con la spalla un povero uomo che passava da quelle parti. Il malcapitato portava un bicchierino di caffè e aveva lo sguardo perso sul suo cellulare, quindi non si accorse neanche della mia presenza. Almeno non prima che la bevanda che teneva tra le dita gli macchiò il costoso completo che indossava. Mi inveì contro per poi scusarsi immediatamente, pietrificandosi non appena si accorse della mia identità. Lo lasciai in mezzo al corridoio a blaterare giustificazioni.

Quando, sbuffando, abbandonai tutto il peso del mio corpo sulla poltrona della mia scrivania, si materializzò d’improvviso il volto di Sabrina nella mia mente. Mi disgustai di me stesso per il modo in cui l’avevo trattata. Fui percorso da mille brividi di ribrezzo e puntai lo sguardo assente sul tavolo. Massaggiai le tempie con movimenti lenti e circolari per alleviare la tensione e schiarirmi le idee.

Quella cameriera aveva acquistato inconsapevolmente troppa importanza per me e non riuscivo a spiegarmi il motivo per cui mi ossessionasse tanto. Avvertivo una strana sensazione per nulla piacevole alla base dello stomaco, un groppo pesante in gola e una morsa opprimente al cuore. Ad ogni battito sentivo il mio malumore aumentare. Col senno di poi, saggiate tutte quelle orribili sensazioni, avrei evitato di agire di impulso se avessi potuto riavvolgere il nastro e tornare indietro. Ero confuso ed avevo solo una certezza: volevo assumere Sabrina, una collaboratrice che mi aiutasse veramente a svolgere le mie faccende, anche per diminuire lo stress. La situazione era notevolmente peggiorata dal nostro appuntamento: non facevo altro che pensare alle sue gambe perfette, al suono dolce della sua voce, ai suoi occhi e, per finire, mi isolavo completamente  dal mondo circostante immaginando quella magnifica bocca che avrei baciato, avrei morso fino allo sfinimento. Chiamai Andrew e Kevin, così ci organizzammo per andare al “Ryan’s New York” quel pomeriggio e, eventualmente, anche quella stessa sera.
 
Tra le battute idiote del mio migliore amico e le risposte altrettanto stupide di mio fratello entrammo nel locale e, intanto che i due cercavano con lo sguardo un posto dove sederci, io mi affidai ai miei cinque sensi per trovare Sabrina. La vidi china sulla superficie di un tavolo intenta a pulirlo e mi sorrise non appena posò le sue pupille su di me. Non potei distogliere l’attenzione dal suo corpo, avvolto in una mini-gonna nera con calze color carne, in una maglietta larga bianca che le arrivava giusto sotto il seno e lasciava scoperta una spalla, poiché una manica scendeva sul braccio. In prossimità del petto, c’era scritto “twerk it”. Il mio cervello realizzò dei pensieri veramente poco casti.

- Ciao, dolcezza.- la salutai dopo essermi avvicinato a lei, mentre le mie labbra si scontravano fugacemente con la sua guancia. Sicuramente indugiai troppo in quel contatto innaturale, tuttavia non riuscii a separarmi per una manciata di secondi e rimasi immobile. Inspirai a fondo il suo profumo, sapeva sempre di fragole e vaniglia, un abbinamento eccellente che le si addiceva perfettamente. Le fragole erano dolci e rosse, ciò nonostante se si beccava quella sbagliata lasciava un brutto sapore aspro e agre, proprio come lei: tenera alle volte e scontrosa alle altre, ma era anche l’unica che riusciva a farmi gioire senza un motivo preciso. Quando arrossiva, poi,  le sue gote assumevano la sfumatura tipica di questi frutti. Una volta avevo addirittura letto che la vaniglia aveva proprietà benefiche per la sfera sessuale.
 -Ciao, James. - rispose lei, abbandonando lo straccio lì vicino e poggiandosi con un fianco ad una sedia.
-Quando hai un attimo libero?- le chiesi, incrociando le braccia al petto.
-Hmm…porto un ordinazione e arrivo!- concluse, guardando il suo taccuino e scappando immediatamente prima ancora di terminare la frase.
-Ok, ti aspetto qui.- sussurrai ormai al vuoto.

Improvvisamente venni investito da scariche di agitazione e violenti spasmi di irrequietudine: le mani iniziarono a tremare e sudare oltremodo, il cuore incominciò a battere all’impazzata, il palato si prosciugò di ogni liquido e divenne secco e ario. Dovevo necessariamente calmarmi! Non era la prima volta che abbordavo una ragazza…

Dopo due minuti scarsi, Sabrina ritornò di fronte a me con un’espressione allegra e si fermò rasente al mio corpo, tanto che potevo avvertire il suono lieve del suo fiato caldo.
-Eccomi, allora cosa devi dirmi?-
-Hmm…volevo sapere se puoi prenderti una serata libera questa settimana…- domandai esitante, dondolandomi sui talloni  e forzando un sorriso che le fece increspare le sopracciglia.
-Penso di si….ma perché?- mi interrogò dubbiosa,  toccandomi leggermente una spalla. Mi rilassai impercettibilmente, incontrando i suoi profondo occhi da cerbiatta.
-Beh...pensavo che… insomma…che potevamo…uscire come ieri sera! Aspetta non è un…obbligo, se ti va!- balbettai, grattandomi la fronte e ondeggiando concitatamente. Lei trattenne le risate ed evitò di scoppiarmi a ridere in faccia. Normalmente mi sarei stizzito non poco, però la trovai eccessivamente carina con le labbra strette che, tuttavia, a volte lasciavano intravedere qualche dente.
-Oh, certo James, volentieri….- accettò , quietandosi ed annuendo con la nuca –Ora torno a lavoro. Ciao!- strepitò, regalandomi un dolce bacio sullo zigomo. Il contatto tra le nostre pelli mi destabilizzò e il suo respiro bollente si scontrò con la mia mascella. Troppo presto le sue dita ripercorsero a ritroso il loro viaggio e scivolarono via dalle mie braccia. Troppo presto il suo viso si allontanò dal mio. E troppo presto lei fuggì da me, lasciandomi impalato nel mezzo della sala.
 
 Mi diressi barcollando da Kevin ed Andrew e li trovai a sorseggiare due caffè avendo, già ordinato e non essendosi preoccupati di aspettarmi. Il primo fissò imbambolato Alexis, mentre l’altro pigiò velocemente i tasti del suo telefono. Probabilmente, stava parlando con il suo fidanzato, Gabriel. Tra quei due c’era aria di tempesta e litigavano ogni due per tre. Lui era molto geloso del fatto che Andrew avesse avuto anche relazioni con il gentil sesso.
-Ciao, ragazzi!- sospirai pesantemente, buttandomi sulla sedia libera e poggiando immediatamente i gomiti sulla superficie di legno scuro.
-James, come va?- mi accolse Drew, dandomi un leggero buffetto sulla clavicola. Notai che mio fratello non si scompose molto, anzi mi rivolse un cenno del capo appena accennato e si accigliò con le sopracciglia aggrottate guardandomi. Stranito voltai il capo e vidi Lexy proprio dietro di me. Spostai  lievemente il mio sgabello, lasciandogli libera la visuale e lo rimproverai. Lui scacciò la questione con un gesto noncurante e si puntellò sul tavolo, osservando la sua conquista.
-Bene, voi?- ammisi, girandomi verso il mio migliore amico. 
-Stiamo bene, ma racconta cosa vi siete detti tu e la cameriera sexy.- esclamò Andrew, abbandonando il suo amato cellulare nella tasca dei jeans.
-Le ho chiesto un altro appuntamento. Torniamo qui anche sta sera?-
-Ovvio!- urlò, forse eccessivamente entusiasta, Kevin indietreggiando per il contraccolpo, dato l’improvviso impeto.
-Kev, sta calmo. Abbiamo  capito che l’amica della nuova fiamma di James ti attizza!- affermò l’altro, spintonandolo scherzosamente su una spalla. Scoppiammo tutti e tre in una fragorosa risata. -Comunque io non posso sta sera: esco con Gabriel!-.
-Ok, allora veniamo noi due, Kev. Possiamo invitare anche Amber…- dissi sbrigativo, per poi venir distratto dalla televisione inchiodata al muro che stava trasmettendo una partita di football americano.
 
SABRINA’POV
Mi aveva chiesto un’altra uscita! Fantastico! Ero al settimo cielo: questo significava che avevo almeno una speranza, che un po’ gli interessavo. Esplose in me una gioia inaudita alla completa intuizione dei miei pensieri e mi ritrovai a esultare come un’ebete davanti allo specchio del camerino, preparandomi per lo spettacolo. Era ormai trascorso tutto il pomeriggio ed avevo vagato come una trottola da una cioccolata calda per un  bambino ad un caffè per una signora, dalla frittelle ad una birra, dalla sala alla cucina ed anche all’ufficio del capo; tutto pur di non ritrovarmi a rimuginare su quelle spalle possenti che la giacca elegante metteva in mostra ancor di più, su quei pantaloni che fasciavano le sue gambe muscolose e slanciate, sui muscoli di James che guizzavano ad ogni suo movimento e che ebbi la possibilità di ammirare con maggiore attenzione quando tolse il cappotto. Con lui mi sentivo libera, contenta; vedevo una speranza per buttarmi alle spalle definitivamente il mio passato con i suoi demoni e concentrarmi sulla mia nuova vita. Tutto questo non poteva essere un male e il battito accelerato del  mio cuore lo confermava.

 Alle nove precise, udii il boato provocato dal tacco delle mie scarpe scontrarsi con il parquet del palco e la folla applaudire, avanzando sicura al centro di esso. Mi bastò spostare l’attenzione sul mio abbigliamento per essere invasa da una sensazione di ripugnanza verso me stessa. I due terzi dei clienti che sembravano elettrizzati alla mia vista erano uomini, alcuni accompagnati persino da donne, che fossero mogli oppure semplici avventure di una notte, e nonostante questo guardavano me come un succulento boccone in cui affondare i polpastrelli il prima possibile. Le mie cosce nude, proprio come la mia schiena e parte dell’addome, mi invogliarono a scappare il più lontano possibile, tuttavia compresi che sarebbe stato tutto inutile, perché volevo fuggire da me stessa. Era solo colpa mia se mi trovavo in quella situazione rivoltante. Avvertii le note iniziali della canzone “Counting Stars” dei One Republic e svuotai la mente.
 
Repentinamente venni schiaffeggiata da una scena che, contro tutte le mie aspettative, mi fece male. I fratelli Harrison si accomodarono in prima fila e vennero subito raggiunti da Alexis. James aveva un braccio mollemente appoggiato sulle spalle di una ragazza e i due ridevano felici. Lei  aveva con una chioma di cappelli castani ondulati  e liberi sulla schiena, che pizzicavano il collo del suo accompagnatore. Anche se eravamo abbastanza distanti, non potei non scorgere le sue gemme azzurre rubate al cielo che non stonavo assolutamente con tanta bellezza. Era una vecchia fiamma di James? O peggio: una sua eventuale fidanzata? Se era veramente così, come avrei potuto competere con una donna tanto…perfetta? Mi innervosì e cantai con rabbia e rancore. Non potevo vantare dei diritti su di lui e il mio malumore era originato proprio da questa macabra constatazione.
 
Nella pausa, raggiunsi velocemente Lexy, spintonando per la fretta qualcuno e non curandomi neppure di chiedere scusa.
-Tesoro, dammi un mojito, per favore!- ordinai, quanto più dolcemente potevo in quel momento.
-Un secondo, Brina.- rispose lei triste e mogia.  
-Lexy, cos’hai?- proruppi, dimenticandomi il mio malumore e avvicinandomi a lei.
-Faccio schifo!- dichiarò con le lacrime agli occhi. Notai un broncio serio stagliarsi sul suo viso, proprio un attimo prima che affondò il naso sulla mia spalla. Boccheggiai  per alcuni secondi colta totalmente alla sprovvista e la strinsi leggermente per rassicurarla.
-Cosa? Ma che dici?- le domandai, cullandola delicatamente e cercando di comprendere il movente di tutta quella malinconia brusca e illogica.
-Guarda Kevin e James, sono abituati a ragazze bellissime come te o Amber. Io faccio schifo!-.
-Alexis, chi è Amber?- sbottai smarrita. Avevo già sentito quel nome da qualcuno, ma non ricordavo da quale voce fosse stato pronunciato.
- La sorella di James e Kevin! La tipa seduta al tavolo con loro adesso!- piagnucolò innervosita  a causa della mia lentezza mentale. Mi ritornarono in mente le parole dell’imprenditore e mi sembro di avvertire il  suo odore forte avvolgermi e la sua bocca a pochi centimetri dal mio orecchio, sussurrare la nostra conversazione passata. Mi spaventai per la credibilità di quel momento assurdo e, anche se riconoscevo l’impossibilità della mia idea, voltai un poco la nuca a destra e sinistra per controllare di non averlo davvero a pochi passi da me. La voglia di prendere la rincorsa e schiantarmi contro il primo muro che avrei trovato era tanta, data la sensazione di stoltezza che provai quando capii che, ovviamente, quello era uno strano scherzo del mio cervello.  Volli sprofondare, realizzando che l’irritazione, l’istinto omicida e l’orribile nodo allo stomaco che avevo provato fossero tutti sintomi della peggior malattia sulla terra: la gelosia!  
-Ah si, è vero…me l’aveva accennato!- esclamai stridulamente, scuotendo la testa.– Comunque, Lexy, perché dici di essere brutta? Non è assolutamente vero. Non farti queste seghe mentali.- confessai, concentrandomi sulla ragazza stretta a me, che mi stava stritolando con i suoi esili bicipiti.
- Kevin si stancherà presto di me e troverà una compagna migliore, non che ci voglia poi molto!- continuò imperterrita, roteando gli occhi al cielo o, nelle nostre condizioni, meglio dire al soffitto.
-Alexis Richmond, vedi di non farmi arrabbiare! Kevin non si stancherà di te così facilmente come pensi! – conclusi e la incitai a riprendere a lavorare.

Era insolito per Alexis che, non si poneva mai tali problemi, venir sopraffatta da un simile attacco di panico.  Afferrai carta e penna e scrissi un messaggio per Kevin, che gli feci arrivare tramite Allyson:
“Ho appena parlato con Alexis. Per qualche strana ragione, crede che molto presto ti stancherai di lei.  Per favore, cerca di far capire a Lexy quanto è bella e speciale e spero che non le sbavi dietro solo per portartela  a letto, perché se la farai soffrire ti taglierò le palle. Sabrina.”  
 
JAMES’POV
-È lei la ragazza?- mi chiese Amber una volta rimasti soli, visto che nostro fratello era corso da Alexis, dicendo che era una questione importante. Mia sorella indicò con un cenno del capo Sabrina e la vidi sorridere angelicamente. Mi preoccupai  e avvertii i peli del mio corpo aizzarsi verso l’alto: quando lei tentava di risultare serafica, c’erano solo guai in vista.
-Eh? Chi ragazza?-
-La ragazza per cui hai una cotta! Me l’ha detto Kevin…- dichiarò indifferente. Tirai alcuni capelli tra le dita e immaginai centinai di torture a cui sottoporre quel coglione di Kevin.
-Amber non ho una cotta per nessuno, solo una leggera infatuazione, comunque non è lei!- annunciai sbrigativo, alzandomi e sollecitando l’arrivo delle nostre portate.
 
Erano, ormai, le due di notte e Amber mi spinse letteralmente alla cassa per pagare. Io sarei potuto rimanere anche fino all’alba, però lei era molto stanca e dovetti assecondarla.
-Così sei tu la ragazza per la quale mio fratello ha una cotta, eh?!- trillò la sua voce squillante e fastidiosa, incontrando di sfuggita Sabrina, che fu colpita da un violento rossore. Lei si sorresse al bancone e le rivolse un occhiolino ammiccante. Io mi strozzai quasi con la mia stessa saliva e tossii, piegandomi su me stesso.
-Amber sta zitta! Aspettami in macchina!- digrignai fra i denti e la spinsi verso l’uscita. Posi fine a quel quadretto familiare, nel quale stavo perdendo la mia dignità.  Lei riuscii a liberarsi dalla mia ferrea presa e tornò indietro, saltellando dinanzi a Sabrina e porgendole una mano:
-Comunque mio fratello ha veramente buon gusto. Piacere, io sono Amber, tu?- 
-Ehm…Mi chiamo Sabrina!- affermò timidamente, pietrificandosi appena l’altra ignorò le sue dita e la abbracciò contenta come una Pasqua.
-Okay,  Amber taci e fila in macchina.- intimai stizzito e perentorio, staccando quella piovra dalla povera cameriera. Lei mi pestò un piede e si allontanò, mormorando quanto fossi scorbutico.
-Scusa, ha una fervida immaginazione e mi rende la vita impossibile.- svelai a Sabrina, costringendo i muscoli della mia faccia a disegnare un’espressione serena.
-Tranquillo…-.

NOTE DELL’AUTRICE:
Come vi avevo detto sono riuscita ad aggiornare veramente presto, tuttavia non sono per niente sicura di questo capitolo! Qui spero davvero di aver descritto al meglio il carattere e i comportamenti di James e i suoi gesti fanno ribollire di rabbia persino me! Finalmente, però, conosciamo anche Amber e con il suo personaggio abbiamo conosciuto tutti i protagonisti. Lei è interpretata da Miranda Kerr! Il carattere di Amber emergerà con l’avanzare della storia, ma sarà davvero una ragazza speciale. D’altronde già il siparietto creato da lei a fine capitolo ne è una prova. Non vedo l’ora di riuscire a postare il capitolo successivo perché ci sarà un gran bel colpo di scena che porterà… guai. Non voglio anticiparvi nulla, ma è uno dei capitoli fondamentali nell’intera storia. Non so quando riuscirò ad aggiornare e non credo neppure troppo presto, tuttavia che razza di scrittrice sarei se non vi lasciassi un po’ sulle spine? Alla prossima spero, ciao SS. 

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** 9) Don't cry over spilled milk. ***


9) DON'T CRY OVER SPILLED MILK

 SABRINA’S POV
Acchiappai velocemente il telefono sul tavolo della cucina per rispondere al dubbio che era appena nato nella mia testa. Quella mattina mi ero svegliata stranamente tranquilla, ero giunta ai fornelli ed avevo riscaldato il latte in un pentolino, mentre avevo frugato nella dispensa alla ricerca dei miei biscotti preferiti. Avevo aperto un nuovo pacco di Grisbì al cioccolato e versato la mia bevanda in un’allegra ciotola con la renna Rudolf dipinta sopra. Mi ero seduta rilassata alla sedia di legno ed avevo iniziato a sgranocchiare i dolci insolitamente affamata. Mi sorse, leggermente in ritardo, una domanda spontanea: che giorno era? Presi il mio cellulare e illuminai lo schermo pigiando il tasto di blocco. Lessi la data rapidamente e mi fiondai in camera per prepararmi. Era martedì ed io dovevo correre a lavoro.

 Nel momento in cui infilai il primo piede nei miei jeans ricordai il nome di una ragazza che era stata in grado di farmi spuntare un sorriso felice per tutta la durata della scorsa notte: Amber. La sorella di James mi aveva confessato che piacevo al fratello. Credevo che lui  mi considerasse una semplice cameriera e, forse, era proprio così. La donna dagli occhi azzurri, nonostante sembrasse piuttosto sicura di ciò che diceva, aveva sicuramente travisato tutto e l’imprenditore non provava assolutamente nulla per me.  Non dovevo illudermi, perciò presi la decisione più appropriata e mi dimenticai di quanto accaduto la sera precedente. Se veramente, in un universo parallelo, in extremis, piacevo a quell’uomo qualcosa sarebbe successo, dovevo semplicemente lasciare che il tempo facesse il suo corso.

Una volta giunta davanti all’entrata del “Ryan’s New York”, trovai la porta sigillata. Stranita chiamai il titolare, il quale mi rammentò che il locale sarebbe stato chiuso per ventiquattro ore a causa di una disinfestazione. E io, ovviamente, me ne ero scordata.
Cercai il numero della mia migliore amica e sperai avesse la mattinata libera da dedicare a qualche pazza spesa. Mi sedetti su di una panchina dall’altro lato del marciapiede.

 -Pronto?- rispose al terzo squillo, insonnolita. Turbata dal suo tono di voce in stile oltretomba, le chiesi spiegazioni. Credevo si trovasse a casa dei suoi genitori,  che vivevano nella Grande Mela. Non era insolito per lei trascorrere qualche nottata da loro. -Ehm… sono rimasta a dormire da Kevin!- confessò lievemente in imbarazzo. Rimasi stupefatta, con la bocca spalancata a quell’inaspettata rivelazione e mi ritrovai a ridere sinceramente allegra, provocando l’ilarità anche della mia interlocutrice.  Nonostante fossi gioiosa e speravo in un po’ di felicità decisamente meritata per Lexy, ripensai alla mia immensa stupidità per non essermi accorta assolutamente di niente.   
-Oh Tesoro, non lo sapevo!- mi scusai, racimolando la mia borsa e mi diressi a grandi passi verso la fermata della metropolitana più vicina. Lei emise un risolino malizioso che non ero sicura fosse rivolto a me. Involontariamente scorsi il mio riflesso nella vetrina di fronte, notando il cipiglio disgustato che aveva assunto il mio viso e che non ero proprio riuscita a sopprimere.
-Tranquilla, Brina! Comunque, visto che oggi siamo libere, andiamo a fare una passeggiata. Aspettami davanti al locale, massimo mezz’ora e arrivo!- affermò ed attaccò celermente, lasciandomi con un pugno di polvere in mano.
Arrestai i miei passi e ritornai al punto di partenza, mettendomi comoda e aspettandola. Mi domandai se avessi dovuto considerare Alexis e Kevin una coppia. Magari lui, da gentiluomo, si ero appisolato sul divano per non metterle pressioni. Avevo il cervello in subbuglio, comunque decisi che mi sarei fatta raccontare tutto ciò che volevo sapere dalla diretta interessata appena ci saremmo viste.
 
Le loro dita erano intrecciate, i loro sguardi persi l’uno negli occhi dell’altra, i loro volti illuminati da due sorrisi identici. Il fratello di James e Lexy stavano avanzando verso di me, che mi alzai e gli andai  incontro. Mi sarei sentita il terzo incomodo? A giudicare dalla complicità che alleggiava tra quei due, il presentimento non era dei migliori.
- ‘Giorno Kev, Ciao Tesoro!- dissi, sporgendomi per dare un bacio sulla guancia ad entrambi.
-Ciao.- rispose lui, ricambiando il saluto allo stesso modo. Aveva la dote di mettere a proprio agio chiunque. Era sempre allegro e gentile e era in grado di trasmettere tranquillità.
-Brina, scusa se non ti ho detto niente, ma mi stavo vestendo e lui si è svegliato. Non aveva niente da fare, così è venuto!- starnazzò Lexy senza neanche staccarsi dal mio abbraccio, indicando quello che dedussi essere ormai il suo fidanzato. Si dondolò sui talloni, puntando le sue pupille sull’asfalto. Questo suo lato timido mi era del tutto nuovo e, a dire il vero, non le si addiceva per niente. La fissai a lungo per metterla ancor di più sotto pressione e farla agitare maggiormente. Kevin comprese le mie intenzioni e nascose un ghigno dietro la sua mano. Un po’ mi dispiaceva per lei, tuttavia vederla così impacciata e scorgere le sue guance rosse mi spronò a continuare. Almeno finché non cedetti e la risata che stavo trattenendo da circa un minuto fuoriuscì dalle mie labbra, facendo vibrare tutto il mio corpo. Fui seguita dal ragazzo e ci guadagnammo un’occhiata smarrita da Alexis. 
-Tranquilla Lexy, mi fa piacere. Non è un problema se viene.- la calmai, carezzandole un braccio e regalando a lui un occhiolino. Quest’ultimo le circondò le spalle e la strinse lievemente a sé.
 
Facemmo colazione e successivamente andammo a comprare alcuni regali in vista del Natale imminente. Quando eravamo seduti ad un tavolo a mangiucchiare un po’ di muffin, riuscii a strappare Lexy dalle grinfie di Kev, o il contrario! Stavano sempre appiccicati e si provocavano a vicenda. Io e la mia migliore amica ci fiondammo in bagno.
-Okay, abbiamo poco tempo! Massimo cinque minuti o lui capirà che stiamo confabulando. Raccontami tutto!- la spronai, voltandomi verso di lei e saltellando sul posto curiosa come, forse, non lo ero mai stata. Non era il luogo più adatto per scambiare due chiacchere e, in teoria, potevo benissimo aspettare di giungere al nostro appartamento, però sarei stata logorata dalle mie stesse mille domande se non avessi ricevuto subito qualche risposta.   
-Beh…Ieri sera Kevin mi è stato vicino tutto il tempo e gli ho spiegato i miei timori. Mi ha detto che io gli piaccio sul serio e  dopo la chiusura del locale mia ha offerto un passaggio. Non so come, ma tra una risata e l’altra siamo finiti avvinghiati sulla sua moto. Mi ha proposto di andare da lui ed io non ho rifiutato. Ora siamo ufficialmente fidanzati!- esclamò con un’alzata di spalle, con la voce spezzata probabilmente dalla vergogna. Malgrado ciò era chiaramente felice e mi ritrovai a gioire contenta per lei. Ritornammo da quell’uomo paziente che ci aveva aspettate fin troppo e ci catapultammo in un negozio di scarpe.

Lo squillo incessante del telefono di Kevin interruppe un’animata discussione sul tipo di cucina in assoluto migliore delle altre. Lui  si allontanò un secondo e parlottò con il cellulare all’orecchio. Lo accosto al palmo e si rivolse di nuovo a noi:  
-Ragazze, è un problema se ci raggiungono James ed Amber?-
Ai nostri cenni negativi, ricongiunse l’apparecchio al lobo e  borbottò ancora con la persona dall’altra parte della linea.
 
JAMES’ POV
Quel martedì fu un giorno veramente stressante. Arrivai in perfetto orario a lavoro. Accomodata alla mia scrivania intenta a fissarsi le unghie trovai Amber. La scortai gentilmente ad andarsene, dato che avevo alcuni problemi dell’azienda da risolvere, però non volle sentire ragioni, affermando che “doveva aiutarmi a conquistare Sabrina”. Mi ero cacciato in un gran bel guaio! Se avevo una possibilità con quella cameriera, grazie a mia sorella, l’avrei persa. Come se non bastasse, durante il nostro dibattito, si intromise Nicole:
 - Chi è Sabrina?-domandò stizzita e alterata, affacciandosi allo stipite sulla soglia del mio ufficio, poggiando il peso di un fianco ad esso e incrociando le braccia al petto. Ogni suo singolo movimento era dettato dalla libidine eccessiva e sprizzava  brama mista a sensualità. Il suo vestiario rendeva chiare le sue intenzioni e la quantità di pelle lasciata scoperta attirava gli occhi, e non solo quelli, come una calamita. Mi riscossi dallo stato di trans in cui sembravo esser caduto  osservando la mia segretaria, perché Amber la liquidò malamente sbattendole la porta in faccia e frugò nella borsa alla ricerca di qualche oggetto.
 
Venti minuti dopo ci stavamo recando da Sabrina, Kevin ed Alexis. Io avevo un braccio mollemente abbandonato sulle spalle di mia sorella. Lei, invece, lanciava occhiate accusatorie alla ragazza leggermente distante da noi con il viso incurvato in un tenero broncio. Infine, la mia assistente, camminava ancheggiando a passo svelto qualche metro più avanti e, ogni tanto, ci incitava ad aumentare la velocità.  Lei aveva origliato la nostra conversazione ed aveva insistito per venire con noi a tutti i costi, esclamando di stare sempre rinchiusa in ufficio e di aver bisogno di svago. In realtà, voleva solo fare un capoluogo tastando la sua nuova minaccia: Sabrina. La fanciulla italiana bella, dolce, intelligente, con delle curve da urlo, una cantante nata, una ballerina stupenda… Dio Santo, non potevo veramente aver pensato tutto ciò. Nessuna donna era mai riuscita a conquistarmi, ad attrarmi oltre alla sfera sessuale come era, invece, successo a mio padre con mia madre. Se Amber avesse avuto ragione e mi fossi preso una cotta per lei, sarebbe stato un male? A mente lucida credevo proprio di no. In fondo, in sua compagnia, mi sentivo bene, mi divertivo… ed ancora non avevo provato quelle magnifiche labbra!

Scorsi la camminata di Nicole bloccarsi repentinamente, seguita da quella di mia sorella. Capii di essere giunti difronte ai nostri amici e mi avvicinai a Sabrina, attratto dal suo bel viso a cuore.
-Buongiorno dolcezza, sei stupenda.- sussurrai piano al suo orecchio in modo da non essere udito dagli altri, intanto che mi chinavo per lasciarle un tenero bacio sulla guancia. Indossava un paio di jeans chiari, un giubbotto beige perlato, i piedi erano tenuti caldi all’interno di un paio di stivaletti neri e i capelli svolazzavano per colpa del vento in tutte le direzioni non coprendole, fortunatamente, mai la faccia poiché un paio di ciocche erano tenute ferme con una molletta in prossimità della nuca. La pelle nivea del suo volto era sempre troppo truccata e i suoi profondi pozzi color nocciola assumevano quasi il color della pece pura a causa dell’ombretto scuro.
-Grazie, James!- disse arrossendo, come era solita fare quando c’ero io nei paraggi. Bastava che le facessi un complimento, indubbiamente meritato,  e i suoi zigomi assumevano una tonalità bordeaux.
-Ciao, cognata!- urlò Amber, saltandole al collo. Tossii, portandomi un pungo alla bocca e cercai di concentrarmi sulle espressioni chiaramente stupite degli altri per eliminare la smania di prenderla a calci .. Come aveva potuto chiamarla “cognata”? Sabrina strabuzzò lievemente gli occhi, nonostante ciò non replicò nulla.
-Amber!- ricambiò, piuttosto, con un sorriso da togliere il fiato.
-Ciao, piacere! Io sono Alexis.- affermò, rivolgendosi a Nikky. Quest’ultima ricambiò a mala pena il saluto e si sporse verso Kevin  con fare sensuale. Gli dedicò un benvenuto abbastanza caloroso, facendo ringhiare la povera Lexy peggio di un cane in gabbia.
-E tu sei?- domandò la mia segretaria a Sabrina, alzando un sopracciglio e squadrandola dalla testa ai piedi con atteggiamento altezzoso.
-Mi chiamo Sabrina, piacere.- si presentò educatamente l’altra, invitandola a stringerle la mano. La guardò per alcuni attimi, non ricambiando neppure la stretta.
-Oh tesoro, sta volta sei caduto in basso! Come puoi sostituirmi con questa…questa…cosa! – strepitò la mia collaboratrice aspramente, indicando la ragazza dinanzi a lei. Boccheggiai per un paio di secondi non sapendo come ribattere. In quel momento la mente sembrava sul punto di esplodere. Da ottimo codardo, non avevo la più pallida idea di cosa dire, di come comportarmi.
-Come scusa?- gridò la diretta interessata sconvolta.
-Oh cara, non illuderti. Si stancherà molto presto di te, vedrai! Fa sempre così: vede una bella donna, le va un po’ dietro, se la scopa e poi ritorna da me. Di solito sono belle gnocche, ma tu…tu sei… come dire?... –
-Perfetta!- asserì qualcuno, intanto che i miei occhi scrutavano le mie scarpe. Nicole si zittì di colpo, pestando un piede sull’asfalto grigio del marciapiede ed interrompendosi a metà della sua frase. Passarono alcuni minuti di totale silenzio, nei quali la quiete era interrotta solamente dai nostri respiri. Stranito, alzai lo sguardo e notai che mi stavano studiando tutti attentamente e scombussolati.  Ero stato io a  parlare, o meglio il mio cervello collegato alla mia lingua. Sicuramente avevo l’espressione di un pesce lesso, comunque continuai per la mia strada, schiarendomi la voce ed aggiustandomi il cappotto –E’ perfetta. Lei è perfetta, non tu Nicole. Sai anche tu che lei è mille volte meglio di te!- conclusi, avvertendo il sangue fluire leggero alle mie gote.
-James, non puoi parlarmi così!- balbettò nel vano sforzo di riacquistare un po’ di contegno.
-Ti licenzio!- 
-Come? Ma non puoi…- tartagliò confusa, perdendo gran parte del coraggio che l’aveva accompagnata fino a quel momento. Mi osservò stralunata, scuotendo la nuca e tentò di arpionare un mio braccio per spiegarsi meglio. Mi allontanai schifato e cozzai contro Sabrina. Mi voltai nella sua direzione  e l’attirai con grazia al mio petto.
-Hai appena fatto una figura di merda, non è ora che giri i tacchi e vai a fanculo?- ruggì stizzita Amber. Nicole fu costretta a girarsi per fronteggiarla.
-Ma come ti permetti? I ragazzi fanno la fila per me!- dichiarò con gli zigomi rossi come dei pomodori, stringendo convulsamente le dita e piagnucolando alla pari di una bambina capricciosa.
-Ovvio, i prezzi bassi attirano sempre tanti clienti.- bofonchiò mia sorella.
Le gambe della mia ex-assistente scalpitarono velocemente per fuggire da quella situazione il prima possibile. Quando pensavamo che fosse davvero finita, abbaiò dall’altro lato della via.
-Tesoro…- iniziò, ruotando il busto verso la ragazza che ancora tenevo saldamente al mio fianco -...io non so da quanto tempo ti sbavi dietro James, ma sappi che ieri abbiamo fatto sesso. Anzi l’abbiamo fatto molto spesso nell’ultimo periodo e, credimi, lui si è divertito tanto!- terminò, fuggendo dalla mia rabbia.
Sabrina, basita, si scansò violentemente da me e sondò la mia anima con i suoi profondi occhi scuri e lucidi. Si scontrò con il mio cipiglio colpevole e sembrò rinsavire dallo stupore in cui era caduta. Corse via, scappando e fiondandosi su un bus che passava di lì.
-Sei proprio un coglione!- ammise Alexis, spintonandomi e seguendola insieme a Amber e Kevin.
Mi ritrovai da solo, di fronte ad un negozio di muffin, perso a guardare le macchine di tutti i modelli sfrecciare sulla strada dinanzi a me.
 
SABRINA’S POV
Vagai in quella città illuminata e mastodontica, mentre tutti i colori intorno a me sfumavano nel grigio ed il mio cuore si accartocciava sempre di più su sé stesso. Arrivai al mio appartamento ormai svuotata di tutte le mie energie, barcollando e sorreggendomi agli alberi che incontravo sul mio cammino. Provai a infilare la chiave nella serratura varie volte, tuttavia il tremolio della mia mano, gli spasmi che scuotevano il mio corpo e le lacrime che scorrevano ancora copiose sulle mie guance non resero semplice l’impresa.

Mi precipitai in camera mia e mi buttai sul letto. Annaspai in cerca d’aria senza togliere il naso dalla stoffa del cuscino. Portai le mani alla nel disperato sforzo di far cessare la morsa che sembrava opprimerla. Sfregai velocemente i palmi sul torace per cercare di far almeno diminuire quel dolore assurdo.  Ero solita ripetermi che “non si piange sul latte versato”, eppure facevo sempre tutto l’opposto. Le mie illusioni si riversarono su di me come una cascata burrascosa. James era uno stronzo che voleva solo abbordarmi per togliersi lo sfizio; a me, invece, lui piaceva sul serio…con quegli occhi verdi come smeraldi, i capelli mori che sembravano così morbidi, per non parlare delle sue labbra rosse che avevo una voglia matta di baciare e baciare e baciare… 


NOTE DELL’AUTRICE:
Chiedo immediatamente scusa per il ritardo, ma lo studio non voleva più darmi tregua. So che nel capitolo precedente vi ho praticamente lasciate col fiato sospeso, ma spero che questo capitolo non deluda le vostre aspettative. Lexy e Kevin mi fanno sciogliere e, probabilmente, il mio carattere da romanticona non aiuta. Kevin è davvero un ragazzo d’oro e so per certo che adesso tutte voi vorrete un ragazzo come lui! Si, lo vorrei anch’io! La sua è una razza in estinzione, ma la speranza è l’ultima a morire. Come vi avevo anticipato nel capitolo precedente, c’è stato un gran colpo di scena. Ovviamente non è stato per nulla positivo. Nicole ha sbattuto la verità poco elegantemente in faccia a Sabrina. James si è sentito “bloccato” e la nostra povera protagonista è fuggita in lacrime. La colpa, tuttavia, non è solo di Nicole, ma soprattutto di James. Quest’ultimo riuscirà a farsi perdonare? Come andranno le cose tra Brina e James? Alla prossima spero, ciao SS.

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** 10) She was my first thought in the morning when I used to open my eyes. ***


10) She was my first thought in the morning when I used to open my eyes.

SABRINA’S POV
Trascorse una lunghissima settimana, durante la quale non uscii dalla mia camera fatta eccezione per le poche volte in cui tentai di ingerire un pasto decente. Ricevetti un numero infinito di chiamate di James, tuttavia non risposi neppure ad una. Me lo ritrovai persino sotto casa, nonostante ciò l’imprenditore non varcò mai la soglia del mio portone. Fortuna che mi erano rimaste ancora le amiche: Alexis ed Amber rimasero appiccicate a me alla pari di due sanguisughe. In pratica non restavo mai sola nel mio appartamento. Quando la mia coinquilina lavorava, l’altra cercava di farmi compagnia, malgrado i miei grugniti di risposta ai suoi tentativi di instaurare una conversazione. Al contrario, nel momento in cui la ragazza doveva correre a scuola, Alexis la sostituiva, fermandosi con me  e guardando un film oppure allontanando in un altro modo la mia tristezza. Varie volte mi ero chiusa in me stessa, pensando alla gentilezza di quelle due donne e avevo rivissuto quei sette giorni straziante costituiti da silenzi e pianti mal celati, a partire dal momento in cui avevo capito che tipo fosse veramente James Harrison.

Dopo aver corso a perdifiato per la Grande Mela ed esser giunta sul mio letto svuotata di tutte le mie forze, sentii un ticchettio  provenire dalla porta della mia stanza. Credendo fosse il bastardo non aprii, anzi affondai maggiormente nel cuscino per attenuare i miei singhiozzi convulsi.  Successivamente mi domandai come fosse entrato senza chiavi e scartai immediatamente la possibilità di aiuto da parte di Lexy. Racimolai un po’ di coraggio  e mi trovai difronte  ad Alexis ed Amber. Mi abbracciarono di slancio all’unisono e, di nuovo, le lacrime sgorgarono disperatamente dai miei occhi per andare a morire sulle loro spalle. Passammo la nottata a vedere commedie sdolcinate e mangiare chili e chili di gelato. Discutemmo e scherzammo insieme fino alle luci dell’alba quando, ormai stremate, ci addormentammo strette l’una all’altra per non cadere dal mio materasso. Non mi recai neanche mezza volta al locale per timore di poter incontrare il ragazzo dal quale ero fuggita. Se me lo fossi trovato davanti, non avrei saputo proprio come comportarmi.

Quel breve arco di tempo era stato sufficiente per farmi comprendere che ero innamorata persa di lui. Lo avevo accolto nella mia vita timorosamente, avendo già giocato con il fuoco ed essendomi scottata in precedenza; in seguito, però, aveva acquisito un ruolo fondamentale per me. James aveva fatto il suo ingresso nella mia quotidianità in un periodo di stallo, nel quale mi trovavo catapultata in un nuovo mondo senza alcuna compagnia. In lui avevo visto un faro da cui orientarmi in caso di naufragio, una persona fidata a cui rivolgermi in caso si necessità; ma avrei dovuto ricredermi. Non immaginavo avesse assunto tanta importanza per me, invece la situazione era più complicata di quanto credessi. Mi aveva fatta cadere ai suoi piedi con semplici gesti, come una cenetta, una battuta qua e là e la sua presenza costante al “Ryan’s New York”.  Mi aveva ferita, umiliata, calpestata, distrutta, demolita, eppure non riuscivo ad odiarlo o a lasciarmelo alle spalle. All’opposto, continuavo a pensare a lui. Nella mia mente, soprattutto prima di prendere sonno, si creavano immagini di lui avvinghiato ad un'altra ragazza e il mio povero cuore sanguinava al solo pensiero. Quel martedì era l’ultimo giorno che avevo libero e l’indomani sarei tornata alla normalità, andando a lavoro.

Mesi prima non avrei mai avuto quell’idea, però stufa di poltrire senza un obbiettivo, volli svagarmi un po’. Decisi di chiamare Amber per uscire e respirare un po’ di aria fresca, magari rilassandomi e dimenticandomi per un ora della realtà che mi circondava. A tentoni alzai il viso dalla federa ed agguantai il mio telefono. Regolai immediatamente la luminosità, poiché l’immensa luce che lo schermo emanava contrastava con l’oscurità presente fino a quel frangente nella mia camera. Scorsi i miei contatti in rubrica e, quasi all’inizio di essa, trovai il numero da me desiderato. Lei rispose appena al secondo squillo:
- Ciao tesoro, a cosa devo la tua chiamata?-  mi chiese con tono gentile la sua voce, mentre avvertivo dei rumori in sottofondo. Erano circa ottanta giorni che vivevo a New York, perciò non faticai molto a realizzare che quel frastuono era il chiasso tipico della metropolitana.
-Ciao, Amber! Avevo voglia di uscire e volevo sapere se volevi accompagnarmi in centro…- ammisi,  sedendomi più o meno composta sulla coperta e stiracchiandomi le ossa indolenzite. 
-Scusa, non posso! Sono contenta che tu abbia deciso di uscire, ma ho un impegno!-
-Che impegno? Se vuoi ti accompagno!- proposi contenta, pronta per fiondarmi in bagno e prepararmi alla meno peggio. Chiacchere e passeggiate tra amiche: era questo ciò di cui avevo bisogno!
-Oh no, no meglio di no. È una cosa…ehm…personale.- rivelò a stento, balbettando con un tono talmente isterico e falso che anche uno stolto non le avrebbe creduto. Non sopportavo che mi nascondesse qualcosa. Probabilmente risultai presuntuosa, sfacciata ed indiscreta, comunque non tolleravo che mi dicesse menzogne, quindi insistetti:
-Avanti sputa il rospo! Che hai da fare?- domandai con più audacia di quanta mi aspettassi e mi tappai immediatamente la bocca con una mano, certa di sentire la ragazza dall’altro capo della linea troncare la conversazione con poca grazia.
-Devo aiutare un componente della famiglia con il lavoro.- affermò, sbuffando irritata senza compiere nulla di tutto ciò che mi ero immaginata.
-Un componente della famiglia?- interrogai ancora pensierosa. Tutti i parenti degli Harrison, eccetto la madre, vivevano a Los Angeles. Me lo aveva detto Kevin in una conversazione passata. Avevo, ormai, capito che si trattasse di James e sapevo perfettamente che se avessi continuato ad avere contatti con i suoi fratelli, prima o poi, avrei sentito il suo nome in giro. – Che tipo di componente?-
-Beh, uno…zio. Si, uno zio di secondo grado!-
-E cosa devi aiutarlo a fare?- continuai imperterrita sulla mia strada, sorridendo lievemente e curiosa di scoprire quali altre scuse avrebbe accampato.
-Ehm…deve riordinare casa.- sbottò e avvertii che il rumore della ferrovia sotterranea  era stato sostituito da un vociare più orecchiabile e meno asfissiante.
-Amber, fai pena come bugiarda! Hai detto di avere un impegno personale e poi inventi di tuo zio. Hai detto che lo devi aiutare con il lavoro, ma dici di aiutarlo a mette a posto casa! Puoi dirmelo se si tratta di lui!- strepitai stizzita, alzandomi e dirigendomi a grandi falcate verso la cucina.
-Okay, James mi ha chiesto una mano per aiutarlo in ufficio. Non ha ancora assunto una segretaria!- confessò, sconfitta. Parlare di lui come se non fosse successo nulla, provocò la comparsa di alcune stille che mi pungevano violentemente gli occhi. Non ero pronta per proseguire il discorso, tuttavia non lo ero neppure per abbandonare la conversazione.
-Perché non ha ancora assunto nessuno?- dissi flebile, intanto che il cuore scalpitava e lo stomaco si attorcigliava su sé stesso, immaginando le sue gemme color oceano e le sue labbra rosee come petali.
-Ha fatto dei provini, ma nessuno lo convince… Adesso dovrebbe ritornare in ufficio, io sono appena arrivata qui. La verità è che vorrebbe te come segretaria, Brina!- confessò candidamente, supplicandomi quasi di fare qualcosa oltre i limiti delle mie possibilità.
-Okay, allora sei impegnata. Ciao tesoro, ci sentiamo dopo!- conclusi sbrigativa, socchiudendo le palpebre.
-Okay, ciao tesoro.- esalò comprensiva.
 
JAMES’POV
-Per favore, Ryan!- urlai nel bel mezzo del marciapiede. –Ho bisogno di parlarle!- strepitai, sperando di far placare la furia di quel bestione che mi stava trascinando per un orecchio fuori dal suo locale.
-Ti ho già detto che non è qui!- replicò lui, spintonandomi e facendomi quasi cadere. Barcollai e mi sorressi in piedi. Lisciai i miei vestiti sgualciti e mi scrollai di dosso le sue enormi mani.
-Non puoi chiamarla? Io non riesco ad avvicinarmi a lei!- gridai, arpionando le sue spalle e scuotendolo con forza.
Quell’omone arrabbiato mi fissò con un cipiglio imbestialito e si avvicinò pericolosamente a me. Arrivai alla conclusione che non mi avrebbe mai fatto quel favore e scappai a gambe levate.

Era la prima volta, dopo un’intera settimana, che uscivo dalla mia villa, eccetto quando avevo tentato di spiegare a Sabrina come erano andate le cose. In azienda mi stava sostituendo mio fratello. A volte persino mia madre aveva preso il mio posto, prodigando ordini a destra e sinistra e, nel momento in cui mi si parò davanti leggermente stranita per mio comportamento, incolpai una finta febbre di Dicembre. Amber non aveva tutti i torti, anzi ci aveva indovinato alla grande: io ero cotto della ragazza italiana.Lei era il mio primo pensiero alla mattina quando aprivo gli occhi,   chiamavo altre persone con il suo nome e la sognavo pure di notte. Mi agitavo nelle lenzuola irrequieto, immaginando di baciare ogni singolo millimetro della sua pelle candida. Io le toglievo lentamente la maglia e liberavo il suo seno stupendo. I suoi gemiti arrivavano ovattati alle mie orecchie, poiché la mia mente era annebbiata o stordita dalle sue labbra perse nei meandri del mio corpo. Le sue gambe si stringevano attorno al mio bacino, facendo sfregare le nostre intimità. Sbottonava la mia camicia per mordere, leccale o succhiare il mio petto. Fantasticavo sempre di giungere quasi all’apice del piacere e mi svegliavo nel cuore della notte sudato ed accaldato.

La questione era molto semplice: dovevo farmi perdonare da Sabrina, conquistarla, assumerla come segretaria e mettere la testa a posto. Non avevo mai avuto una relazione lunga e duratura, però con lei sentivo che poteva veramente funzionare. I suoi pozzi color caramello, le sue gote che si tingevano spesso di rosso, la sua timidezza che le faceva abbassare lo sguardo timorosa, la sua femminilità che sgorgava dalla sua carne sensuale mi trasmettevano sicurezza. Avrei voluto carezzarla, abbracciarla, affondare dentro di lei, far scivolare le mie dita tra i suoi capelli lucenti, incollare la mia lingua alla sua, riempire i miei polmoni del suo profumo inconfondibile e bearmi della sua vista ogni minuto.

Controllai l’orologio e dovetti ritornare alla “Harrison’s Industries” per svolgere dei provini per assumere la mia nuova assistente.

I colloqui furono un vero disastro e, demoralizzato,  mi diressi in ufficio. Stando ancora in corridoio scorsi mia sorella parlottare da sola e gesticolare nervosa. Accostandomi capii che stava discutendo con qualcuno al telefono. Mi fermai incuriosito. Trasalii all’improvviso e mi sembrò di non avere più la terra sotto la suola delle mie scarpe, ma di star sprofondando verso il suolo. Un vuoto d’aria mi colpì lo stomaco e dei polpastrelli invisibili strinsero la mia gola, impedendomi di respirare. Annaspai in cerca di ossigeno, quando udii Amber pronunciare il nome della creatura più bella sulla faccia del Pianeta. La parola “Sabrina” fluì dalle sue labbra con naturalezza, sfiorando la mia bocca dolcemente, per poi pugnalarmi all’addome rabbiosamente. Io dovevo cambiare il  mio destino, non potevo permettere che lei se ne andasse per sempre.
 
- Amber, puoi farmi una cortesia?- le domandai, entrando nella stanza un attimo dopo che staccò la chiamata.                                               
  -Certo, fratellone!- esclamò. Le scoccai un rapido bacio sulla fronte e mi accomodai sulla mia scrivania.               
  -Ho un mal di testa assurdo, mi servirebbe un’aspirina. Purtroppo nello scaffale dei medicinali non ci sono più. Ho chiamato  Kevin, ma dice che non può aiutarmi adesso, così mi chiedevo se avevi qualcuno che mi potesse comprare la medicina.- annunciai disinvolto, scoprendo le mie carte.
-Oh tranquillo, ne ho una in borsa!- mi sorrise rassicurante. Mi porse la bustina e tentai di mascherare al meglio il mio disappunto. Adocchiai la data impressa sull’involucro e notai che era buona per altri due anni.
  -Sorellina, ma è scaduta!- affermai e, prima che potesse pronunciare una sola sillaba, la buttai nel cestino.                                                                          
 -Ma come? Sei sicuro? Fammi vedere!-  starnazzò sconvolta, dirigendosi verso la spazzatura. Sobbalzai di scatto e mi parai difronte a lei, intralciando il suo cammino.                                                        
 -Amber, non puoi mettere le mani nel cestino, che schifo! E poi ho visto bene… allora non puoi mandare nessuno a comprarle?-                  
 -Vado io!-
 -Veramente io e te non possiamo muoverci da qui! Ho una riunione importante e mi servi tu!- dissi con voce ferma, che non ammetteva repliche.
 -Davvero? Ma sulla tua agenda non c’era nessuna riunione!- asserì confusa, prendendo l’oggetto in questione e sfogliando solo due pagine. Glielo strappai dalle mani e lo tenni stretto tra le mie.
 -Amber, fai meno domande! Insomma hai qualcuno da mandare a comprare un’aspirina?- ringhiai stizzito ed esasperato per poi sgranare le palpebre ad una sua risposta negativa.  -Come no? Alexis? Io sto male!- affermai con la voce piagnucolosa,  molleggiando le braccia avanti e indietro e distendendo i muscoli facciali in un’espressione infantile.
-Lexy è a lavoro…ma, forse, posso rimediare una persona!- concluse, sbuffando e prendendo il suo cellulare. Formulò velocemente un messaggio e ne attese la risposta. -Okay, una mia amica può!-.
 
Feci chiamare mia sorella dalla hall e attesi che se ne andasse, lasciando il telefono sul tavolo. Mi fiondai vicino a quell’aggeggio incriminato e lessi tutta la conversazione. Scoprii che Sabrina si stava dirigendo alla farmacia vicino Times Square per prendere una medicina per Amber. Aveva inventato che la malata era proprio lei, non mettendomi in mezzo. Le mie pupille scivolarono tra le lettere dei loro sms frenetiche, sopraffatte dal timore di essere scoperto e dalla frenesia di poterla finalmente rivedere.
Mi precipitai fuori dal edificio e sfrecciai tra i monumenti di New York, sentendo il freddo gelido della Grande Mela penetrarmi le ossa visto che, per la fretta, non avevo indossato un giubbotto. 

NOTE DELL’AUTRICE:      
Per prima cosa mi scuso immensamente con tutti per il ritardo. Oggi è esattamente un mese che non aggiorno e mi ero ripromessa di aggiornare almeno una volta a settimana. Tuttavia non ci sono stata e non ho potuto scrivere nulla né tantomeno collegarmi ad internet. Ormai è iniziata l’estate e mi auguro che i miei aggiornamenti saranno più frequenti. Comunque, venendo al capitolo, confesso che non mi convince poi molto. Ammetto che è un capitolo di stallo, anche abbastanza corto. Non succede nulla e non abbiamo neanche un piccolo dialogo tra i due protagonisti. Solo nella parte finale si avvicinano in minima parte. Ovviamente, da come si capisce, il prossimo capitolo inizierà proprio con il loro incontro dopo questa lunga settimana di silenzi. Non vi anticipo assolutamente nulla, ma sarà probabilmente il capitolo che state aspettando da una settimana. Se lo state aspettando. Forse il capitolo appena postato è una delusione per tutti quelli che volevano scoprire quello che succederà tra Brina e James e credo che la lunga attesa non abbia aiutato, però non ho saputo fare di meglio. Se avessi messo anche la conversazione tra i due sarebbe stato un capitolo infinito e non voglio annoiare il lettore. Sicuramente sto annoiando con le “note dell’autrice” infinite, quindi la finisco qui e ci vediamo nel prossimo capitolo. Alla prossima spero, ciao SS. 

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** 11) I'm constantly thinking about you! ***


CAPITOLO 11                             I’M CONSTANTLY THINKING ABOUT YOU!
SABRINA’S POV
Vagavo tranquillamente tra le corsie della piccola farmacia situata proprio sotto il mio appartamento, destreggiandomi e facendo scivolare velocemente lo sguardo tra i vari nomi strambi dei medicinali che dimenticavo ancor prima di aver letto. Dopo cinque minuti di sospiri e rimorsi per non essermi mai interessata ai titoli bizzarri stampati sulle confezioni dei farmaci, mi diressi al bancone e chiesi cordialmente ad un dipendente un’aspirina. Pagato il mio acquisto, uscii dall’edificio con un sorriso accennato per ringraziare il personale così gentile e, giusto il tempo di mettere un piede fuori dalla porta, che mi si gelò il sangue nelle vene. James gravava tutto il suo peso ad un palo, comodamente appoggiato ad esso con una spalla e i suoi occhi fissi sull’asfalto scioglievano tutta la neve circostante, bruciandomi nel profondo dell’animo. Indossava dei semplici jeans scuri, una camicia blu, ai piedi portava delle Air Force e i capelli disegnavano la solita cresta sbarazzina. L’intenso calore che mi colpiva ogni volta che le sue pozze azzurre si incastonavano nelle mie color cioccolato,  arrivò nel momento stesso in cui le nostre pupille  si incrociarono  ed un lieve sorriso gli increspò le labbra. I battiti del mio cuore aumentarono tanto che temetti potesse balzare fuori dal mio petto e rotolare sul marciapiede. Provai l’irrefrenabile impulso di fuggire il più lontano possibile da quell’uomo e non riuscii a vietare alle mie gambe di correre nella direzione opposta rispetto alla sua. Udii chiaramente James inseguirmi ed urlare il mio nome a gran voce per fermarmi. Mi tappai le orecchie con i palmi delle mani e tentai di aumentare il passo. Improvvisamente avvertii una presa forte e bollente arpionare il mio avambraccio, costringendomi ad arrestare la mia scorrazzata e voltarmi.

- Ciao, dolcezza.- affermò lui con un leggero affanno neanche lontanamente paragonabile al mio, avvicinandosi ulteriormente fino a giungere ad una spanna dal mio viso. Provò a posare la sua morbida bocca sulla mia gote sinistra, però deviai la sua traiettoria scansandomi ed incenerendolo con un’occhiataccia.
-James!- sputai, invece, con disprezzo strattonando il mio braccio e liberandomi dalla sua stretta asfissiante. Indietreggiai per inspirare aria non impregnata del suo profumo e abbassai timorosa la faccia, giocherellando con la plastica della bustina che tenevo tra le dita.
-Possiamo parlare?- chiese speranzoso, riacquistando una postura normale.
-No, vado di fretta.- cercai di liquidarlo su due piedi, con una scusa alquanto banale e imboccando una stradina laterale, tuttavia mi blocco per un polso prima che potessi scappare da quella situazione imbarazzante. La mia pelle a contatto con la sua sembrò ardere e mi resi conto di quanto, nonostante tutto, avessi bramato tale sensazione.
-Ti prego…ho bisogno di parlarti!- mi supplicò intrecciando la sua mano con la mia.  Mi attirò cautamente verso di sé con tocco lieve, ma cogliendomi alla sprovvista affinché poggiai al suo petto l’altro palmo aperto. Lucidità! In quel momento mi serviva lucidità, anche se il suo respiro tra i miei capelli mi confuse ancora di più.
-Ti ho già detto che vado di fretta, ho dei giri da fare. Lasciami in pace!-  risposi sottraendomi dalla sua morsa ferrea e tentando, per l’ennesima volta, di svignarmela.
-No, ti accompagno a fare questi giri, ma devo parlarti!- insistette testardo.
-Uff…che  rompi palle. Hai finito la tua lunga lista di puttane da scoparti e vieni da me? O  Nicole  non te la dà e speri in un mio aiuto? Oppure  ho ferito il tuo orgoglio maschile non venendo a letto con te?- sbottai inacidita giunta ormai al limite della sopportazione ed alzando non poco il tono della voce. Attirai l’attenzione di numerosi passanti che si accigliarono e drizzarono le orecchie per comprendere il movente del nostro litigio. Mi morsi internamente la guancia pentendomi della mia azione avventata e sospirai nascondendomi con la mia chioma bionda.
-Cosa? Nessuna delle tre! Sai che non lo farei mai, non con te almeno!- confessò abbandonando il suo tono calmo e pacato, perdendo le staffe come me.
-No, sinceramente non ti riconosco più. O meglio, non credo di averti mai conosciuto veramente.-
-Sono sempre io. Anzi non credo che qualcuno mi abbia mai conosciuto bene come te.- dichiarò e scacciò con un movimento rapido il mio tentativo di zittirlo – E’ vero: ci conosciamo da pochissimo tempo, ma ti giuro che nessuno è riuscito a scavarmi dentro come hai fatto tu. A primo impatto posso sembrare un menefreghista attaccato al sesso, e forse lo sono anche, ma quando sono con te mi sento felice. Magari è una cosa banale, ma è la verità. Il vero James è quello che hai conosciuto tu. Lasciami il tempo per spiegarti, ti prego.-
-James, io….non…- balbettai imbarazzata. Il mio obbiettivo, i miei piani, erano andati a farsi benedire. Le mie esperienze passate mi avevano insegnato a non fidarmi della gente ed essere diffidente, a scostare gli uomini e chiudermi a guscio, a non far entrare nessuno nella mia vita, a non permettere alle persone di scalfirmi. Anche le mie barriere, però, erano crollate sotto lo sguardo magnetico di James.
-Per favore, Sabrina…solo cinque minuti.- mi implorò accostandosi cauto e pietrificandomi con i suoi smeraldi color oceano.
-Dopo te ne andrai? Io ti ascolto, però se non mi convinci te ne vai?- domandai sbuffando e incrociando le braccia al petto.
-No, te lo puoi anche scordare! Se non mi crederai ci riproverò domani, dopo domani, dopo domani ancora, fino allo sfinimento. Ma devi ascoltarmi!- disse risoluto imitandomi e assumendo un atteggiamento altezzoso, alzando un sopracciglio incurante del mio cipiglio inceneritore.
-Okay, dai parla…- cedetti rendendomi conto solo allora che stava portando una misera camicia senza alcun giubbotto.- Scusa, ma non hai freddo? Io così congelo, figuriamoci tu!- lo interrogai incredula indicando il mio pesante cappotto e i miei scarponcini ricoperti di pelliccia, grazie ai quali riuscivo persino a dimenticare i pochi gradi che mi circondavano la maggior parte del giorno.
-Beh, ecco…veramente…- cominciò grattandosi nervosamente la nuca e passando il peso da un piede all’altro- …per venire da te sono, letteralmente, scappato dall’ufficio e nella fretta non ho indossato la giacca.- confessò nervosamente, mentre i suoi zigomi venivano infestati da un rossore infantile.
-Oh, come facevi a sapere dove ero?- chiesi confusa.
-Amber ti ha chiesto un’ aspirina, no? In realtà era per me, ma lei non te l’ha detto. Sinceramente neanche io sto male, ma mi serviva una scusa per poterti incontrare. Sai com’è, non sono riuscito a contattarti: non mi rispondevi alle chiamate o ai messaggi, Alexis non mi ha fatto entrare in casa vostra, minacciando di tagliare la mia virilità se necessario, al locale non c’eri e Ryan mi ha buttato fuori a calci nel fondoschiena…così mi serviva una scusa. Dopo aver chiesto ad Amber la medicina, le ho detto che lei non poteva muoversi dall’ufficio e ha chiesto a te. L’ho distratta e ho letto i vostri messaggi.  Poi sono corso fin qui.- concluse allargando le braccia e indicando il cemento innevato che ci sorreggeva.
-Sei venuto a piedi dal tuo ufficio?- starnazzai incredula con gli occhi leggermente sgranati.
-Ehm…si!- ammise imbarazzato. Dal canto mio tentai invano di trattenere le risa, malgrado ciò quest’ultime furono più forti di me e mi arresi scoppiando a ridergli in faccia. –E’ così divertente?- mi rimproverò con un tono falsamente indignato, in contrapposizione con il sorrisetto allegro che gli illuminò subito il volto. 
-Scusa James ma si, è proprio divertente. Soprattutto immaginare Alexis che  minaccia di tagliartelo!-
-Invece dovresti essere preoccupata! Se avessi visto il mio amico lì sotto, capiresti!- esclamò ammiccando apertamente con fare malizioso. Mi fermai di scatto e lo osservai sbalordita.
-Oh mio Dio, James! Non posso credere che tu l’abbia detto veramente… - lo ammonii per la sua provocazione e, riacquistata la giusta serietà, lo invitai in casa per poter discutere.
 
JAMES’ POV
Erano anni o, probabilmente, secoli che non mi sentivo tanto rilassato e sereno. Ero al settimo cielo, pronto per poter scalare l’Everest. Ogni tanto osservavo di nascosto la ragazza al mio fianco e la mia bocca si incurvava in una linea gioiosa. Eravamo muti, incapaci di pronunciare una sola parola. Tuttavia, quello, non era un silenzio imbarazzante. Non persi neanche un suo piccolo gesto e la osservai compiere azioni dettate dalla normalità: sfilò la sua borsa da una spalla e la aprì velocemente, pescò all’interno di essa le chiavi del suo appartamento riposte con cura in una tasca laterale, le infilò nella serratura e girò finché non avvertì uno scatto. Puntò i suoi occhi su di me e mi invitò ad entrare. Una volta giunti nel suo bilocale, comunque, provai paura per un’eventuale rifiuto. Se non mi avesse più voluto l’avrei riconquistata, anche a costo di ricorrere ai metodi sdolcinati di mio fratello. Avrei chiesto aiuto a lui, ad Alexis, a Ryan e persino a mia sorella.

-Vuoi qualcosa da bere?- mi domandò gentilmente facendo segno di accomodarmi sul divano: sollevò il mento e indicò il sofà rosso carminio.
-No, grazie.- replicai sedendomi, subito seguito da lei. Mi feci coraggio mentalmente, annuii da solo e saltellai a disagio lisciandomi le pieghe dei pantaloni. Sabrina mi squadrò con entrambe le sopracciglia aggrottate e aprì la bocca richiudendola senza emettere alcun suono. Scosse la testa chiaramente stranita e  strabuzzo  leggermente gli occhi quando borbottai tra me e me sillabe prive di senso rimproverandomi per la mia stupidità. -Allora…io volevo…beh...come dire…- tartagliai mezze frasi tentando di articolare una proposizione di senso compiuto, però l’unico risultato furono vocaboli sconnessi.
-James, ascolta! Ho reagito in modo sbagliato: dovevo ascoltarti. Mi dispiace se mi sono comportata da vigliacca. Siamo amici. Le nostre erano semplici uscite da amici, quindi non posso vantare nessun diritto su di te. Mettiamoci una pietra sopra ed amici come prima! Tu potrai andare con tutte le ragazze che vorrai, insomma, continuerai la tua solita vita, così come io continuerò la mia.- mi interruppe improvvisamente impacciata mordendosi il labbro inferiore e muovendosi irrequieta sul posto. I miei comportamenti e le mie parole inopportune avevano rovesciato i ruoli, a tal punto che l’unica persona a non  dovermi delle scuse si stava crucciando per me. Sarebbe stato fin troppo semplice incolpare lei, passare il peso dei miei sbagli sulle sue spalle, assecondare quelle idee senza fondo, ma non potevo permettermelo.
-No, aspetta, tu mi piaci!- rivelai non esitando un solo attimo, prendendole le spalle dolcemente e costringendola a guardarmi. Brina fissò le sue pupille scure nel chiarore delle mie e boccheggiò per alcuni secondi, scrollando il capo con la fronte increspata creando una leggera ruga nel mezzo. Stavo giusto per avvicinarmi al suo viso, non riuscendo a negare alla mia bocca un tenue contatto con la sua, quando la sua voce mi colpì e mi obbligò a dissimulare tutto con disagio.
-Cosa? Puoi ripetere?- disse stravolta non accorgendosi neppure del mio inutile tentativo di baciarla.
-Hai capito bene: mi piaci e anche tanto! Non ho mai provato questi sentimenti per nessuna e, sinceramente, non so se esserne spaventato o no.- dichiarai senza vergogna lasciando cadere i miei palmi e  carezzando la sua pelle fino  a stringere le sue dita fredde tra le mie.
-Ma James…- mi interruppe ritirandosi e provando a liberarsi dalla mia presa. Allentai leggermente la stretta, tuttavia questo bastò per permettere alle sue mani di scivolare via dalle mie come neve al sole.
-Lasciami spiegare, ti prego, perché altrimenti non troverò più il coraggio.- affermai risoluto passandomi nervosamente i polpastrelli tra i capelli. Inalai nei miei polmoni quanto più ossigeno potevo e pensai al modo più semplice ed efficace per farle capire ciò che non riuscivo a spiegare neanche a me stesso. -Come ti ho già detto tu mi piaci! Non solo per l’aspetto fisico, che non è per niente male, ma anche per come mi fai sentire, per quello che mi fai provare. Ci conosciamo da poco tempo, ma riusciamo a parlarci e scherzare come se fossimo amici da una vita. Quando sono con te mi sento felice, leggero, posso raccontarti del mio passato perché mi fido di te e spero che anche tu abbia fiducia in me.- esclamai, a disagio come poche volte in vita mia di fronte ai suoi occhi dubbiosi che scrutavano la tappezzeria di quella stanza.
-James….è vero quello che ha detto la tua segretaria?- mi mise metaforicamente con la schiena contro il muro e accerchiandomi con il suo malcelato timore. Si impegnò per rimanere calma, nonostante ciò non mi sfuggì un leggero fremito delle sue ciglia.
-Si.- risposi  in un sussurro pentendomi di me stesso.
-Perché?- continuò lei in un bisbiglio leggero e basso che le mie orecchie faticarono ad udire un istante prima che si dissolvesse attorno a noi. Però uno schiaffo in pieno viso, un urlo dritto al mio timpano, un’ondata di acqua gelata avrebbero avuto la stessa intensità, la stessa forza, la stessa capacità di mettermi K.O.
-Ehm…io…non lo so. –confessai- La verità è che sono abituato a giocare con le ragazze, a passarci una semplice nottata di sesso. Nicole era la mia segretaria ed abbiamo fatto sesso qualche volta. Forse… molte volte… ma non è questo il punto.- sottolineai affrettandomi a svelare la verità una volta per tutte-  Ho conosciuto te e tutto è cambiato. All’inizio volevo solo portarti a letto, l’avventura di una notte. Poi ti volevo  come segretaria soprattutto per il tuo corpo: hai delle tette da paura, per non parlare del tuo sedere che è da urlo, e poi le gambe… sto parlando troppo!- mi ripresi notando la sua espressione sconcertata e focalizzai bene nella mente il mio obbiettivo -Questo era all’inizio, okay? Ti giuro che adesso non ci penso più. O meglio: penso ancora a te in quel senso, ma voglio anche conoscerti meglio, scoprire tutto su di te, ti voglio come mia segretaria e poi…- cercai di proseguire, malgrado ciò venni rudemente bloccato dal suo dito che si posò sulle mie labbra imprigionando e incastonando ogni suono pronto per uscire da esse.
-James! Tutte queste cose quando le hai capite, scusa? Prima o dopo essere andato a letto con Nicole?- enunciò sprezzante.  
-Le ho capite in questa settimana. Si capisce di tenere veramente ad una persona quando la si perde, ma forse non è troppo tardi….Ti prego perdonami! Ho fatto sesso con Nicole, ma vuoi sapere la verità? L’ ultima volta, nel mentre, io ho pensato a te.- rivelai non perdendo coraggio davanti alla sua espressione incredula e mi avvicinai ancora.- Sabrina, questa cosa non mi fa onore, ma te l’ho detto solo per farti capire che anche quando non dovrei penso solo a te. Ti penso incessantemente.-
-James, è molto…bello, credo, quello che mi hai detto, ma…io…insomma…tu vai a letto con quella…quella…sgualdrina da quattro soldi, poi… poi vieni qui e…Tu sei attratto solo dal mio corpo!-  concluse scuotendo la nuca, allontanandosi da me e sprofondando nei cuscini. -E non capisco neanche il perché.- balbettò, girandosi nella direzione opposta alla mia.
-Hai ragione a dire che sono attratto dal tuo corpo perché è vero. Dolcezza, tu non te ne rendi conto, ma hai un corpo  stupendo. Non so perché credi il contrario, anche se  penso sia stato qualche cazzone ad averti messo in testa queste fesserie.- mi difesi prendendole il mento tra il pollice e l’indice e costringendola a guardarmi in faccia. Quando i suoi denti torturarono la sua lingua, capii di aver centrato il punto.- Ecco…se mai un giorno avrò l’opportunità di incontrare quel bastardo, sappi che gli staccherò le palle!- ironizzai strappandole un sorriso che lei tentò di nascondermi voltandosi di nuovo. – Ascoltami, non te lo dico tanto per dire. Te lo dico perché è la verità: hai il corpo più bello che io abbia mai visto e, credimi, ne ho visti tanti…Merda, forse questo non dovevo dirlo… Comunque sappi che mi sono scaldato soltanto a vederti ballare.- La sua testa scattò immediatamente verso di me e le sue gote si imporporarono all’stante di un rosso acceso. -Non dovevo dire neanche questo?! Ormai siamo in vena di dichiarazioni, tanto vale essere sinceri fino in fondo. Non ti permetto di pensare che sono attratto da te solo per il tuo corpo…Mi piaci da impazzire perché sei unica, dolce, magnifica, stupenda, intelligente e avrei una lista infinita di aggettivi da poterti affiancare…In questa settimana non ho fatto sesso con nessuna ragazza, non ci ho proprio pensato, mi sono dato al fai-da-te quando mi svegliavo ogni notte dopo i miei sogni su di noi!- annunciai velocemente per niente intimorito dalla piega che aveva preso il discorso e lei si abbandonò ad una risata cristallina. Affondò il volto nelle sue ginocchia.
-‘Sta Zitto!- bofonchiò alzandosi e spalleggiandomi lievemente.
-Vorrei che tu fossi la mia ragazza, vorrei mettere la testa a posto e vorrei che tu mi aiutassi.- ammisi serio prendendo una sua piccola mano e  racchiudendola tra le mie. Quando le mie labbra si scontrarono con il suo dorso candido i nostri sguardi si incontrarono.
-Oh...io…James…Noi praticamente non ci conosciamo.-
-Tranquilla, dolcezza. Non devi darmi una risposta adesso. Penso anch’io che dovremmo conoscerci meglio.- la rassicurai sfiorando la bocca con la sua guancia. -Per ora solo amici, ma voglio solo farti sapere che sono serio.- sussurrai direttamente al suo orecchio –Perdonami, per favore. Per tutte le cazzate che ho fatto e per averti ferita. Non lo farò più, non intenzionalmente almeno.-
-Fammici pensare…- iniziò indecisa con un finto tono esitante osservandomi dritto negli occhi.- Forse potrei anche perdonarti…si…- terminò incurante.
L’abbracciai. Tenerla stretta al mio petto fu una sensazione stupenda che mi provocò una miriade di brividi lungo la colonna vertebrale. Scoppiammo entrambi a ridere, mentre il suo naso si incastonava nell’incavo del mio collo.

-Amico, che ne dici se sta sera ti fermi a cena qui? Per conoscerci meglio!- mi propose allegra e io non potei che accettare.


NOTE DELL’AUTRICE: Tesori, questa volta, finalmente, non ho aggiornato tardissimo! Diciamo che ho postato in un tempo fattibile. Comunque non ho grandi cose da dirvi, piuttosto lascio a voi le considerazioni personali sul capitolo che spero vi sia piaciuto . Alla prossima! Ciao SS. 

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** 12) Truth or dare? ***


CAPITOLO 12                                     TRUTH OR DARE?

SABRINA’S POV
-Non l’avrei mai detto!- affermai stupita, contemplando la meraviglia creata da James, che equivaleva a due piatti di pasta fumanti e invitanti poggiati sul tavolo della cucina.
-Guarda che mi offendo! Non sembro uno chef?- mi schernì lui, indicandosi. Risi talmente tanto che tutti i muscoli facciali e dello stomaco mi chiesero pietà. Il ragazzo difronte a me indossava un grembiulino da cuoca, perché solo di quello disponevamo io e Lexy. Il risultato era un pezzo di stoffa striminzito, che gli arrivava a metà coscia, con disegnate sopra delle ciliegine di tutte le dimensioni.
-Sinceramente tra le tue doti non avrei mai immaginato che sai anche cucinare... era da tempo immemore che non gustavo qualcosa di commestibile, a parte cibo spazzatura! Io ed Alexis non siamo molto portate per la cucina, andiamo avanti con surgelati!- confessai allegra, prendendo la seconda forchettata dei suoi spaghetti e portandomela alla bocca.
-Beh, sono un uomo che vive solo soletto. A casa ho la mia cuoca personale, ma non è presente tutto il giorno, così mi sono dovuto rimboccare le maniche.- enunciò pavoneggiandosi. Alzai un sopracciglio e gli lanciai uno strofinaccio preso dal bancone poco distante da me. Lui riuscì a prenderlo al volo senza scomporsi minimamente. -Adesso sai una cosa in più su di me! Dimmi qualcosa su di te che non so già!-.
-Ehm...lasciami pensare…il perché mi sono trasferita qui te l’ho già detto, ti ho anche parlato della mia famiglia….non so James, fammi una domanda e ti rispondo!- conclusi risoluta e sbrigativa, scrollando le spalle e continuando a gustare quella cena dell’ultimo minuto.
-Con quanto ti sei diplomata, dolcezza?-  mi domandò con un sorrisetto irritante aspettandosi, probabilmente, una misera sufficienza.
-Con 100 e Lode, tesoro.-  ammisi compiaciuta e la sua reazione incrementò il mio orgoglio: spalancò gli occhi e boccheggiò per alcuni secondi.
-Cosa?-  esclamò stupito. Sogghignai a tal punto che i crampi provati poco prima per le innumerevoli risa tornarono. -Sul serio? Perché non hai preso la laurea?-
-James, mangiamo che altrimenti si fredda!- dissi. Non ero ancora pronta per rivelargli dettagli tanto intimi della mia vita e, se proprio avesse voluto ricevere una risposta, mi avrebbe aspettata.

James mi fissò per alcuni secondi, tuttavia, scuotendo il capo, si sedette difronte a me ed iniziò a mangiare. Capii di averlo offeso dal modo in cui la sua mascella si irrigidì, dal suo sguardo fisso sul tavolo e dalla sua bocca che non snocciolava fiumi di parole come era solita fare.  Provai a stemperare la tensione creatasi tra noi, però ricevetti poca partecipazione da parte sua. Dopo una lenta e noiosa cena decidemmo di stenderci un po’ sul divano e guardare qualcosa in TV. L’ansia di poco prima scomparve e ritornammo a giocherellare come due idioti. L’aria, meno contrita e intrinseca di imbarazzo,  divenne decisamente più amichevole.
 -Dolcezza, che ne dici di fare un gioco?- propose, abbandonando una ciocca dei miei capelli, con la quale aveva iniziato a gingillarsi non appena ci eravamo seduti sul sofà, e si mosse leggermente per potermi guardare in viso.
-Che gioco?- chiesi dubbiosa a causa delle sue labbra dolcemente incurvate in un ghigno provocatorio. Ero preoccupata, comunque non volevo far scomparire il suo sorriso degno di un bambino.
-Un gioco per conoscerci meglio! Obbligo o verità…lo conosci, no? –.
-Suppongo che non ci saranno limiti, vero?- domandai titubante non potendo tirarmi indietro.
-Ovviamente no!- strepitò euforico, battendo le mani e allontanandosi da me per stendersi con il busto sul divano. –Bisogna essere sinceri in tutto e per tutto! Inizio  io: verità.-  decise.
-Ehm… sei laureato?- lo interrogai e ricevetti un’occhiata divertita. Gli regalai una linguaccia e lo esortai a rispondere, giustificandomi del mio essere sotto pressione ed avere la mente completamente vuota.
-Si, ho una laurea in economia aziendale.-  dichiarò semplicemente, ma non mi sfuggì il lampo di fierezza che gli illuminò le pupille. – Obbligo o verità?- mi pungolò successivamente.
-Verità…- sussurrai, non potendo evitare al mio  corpo di anchilosarsi e al mio cuore di aumentare frenetico i suoi battiti.
-Qual è il tuo colore naturale di capelli?- mi incitò oscillando la nuca, incuriosito per quel piccolo particolare.
-Sono mora.- ammisi sollazzata, fissando le punte rosa della mia criniera lievemente danneggiata dalla mia voglia frequente di cambiarle gradazione –Obbligo o verità?-
-Obbligo.- parlò candidamente, osservando la mia chioma e carezzandola con la punta delle dita. Voltai la testa di lato e sfiorai con le labbra la pelle del suo polso.
-Devo metterti il rossetto e scattarti una foto.- soffiai sensuale direttamente sulla sua mano, compiaciuta della mia idea. Ritirò l’arto e ne avvertii la mancanza. Lui mi guardò credendo scherzassi, però fissando  il mio volto serio iniziò a inquietarsi, pregandomi di cambiargli imposizione. Lo bloccai ricordandogli che era stato proprio lui a proporre quel passatempo.
-Okay, ma non fare vedere la foto a nessuno!- mi supplicò sconfitto, piagnucolando qualcosa di incomprensibile.

 Ci dirigemmo in camera mia e presi, dal mio borsellino per il trucco, la tinta rosso fuoco. Feci sedere James sulla sedia della scrivania con le spalle rivolte allo specchio e iniziai a dipingergli la bocca. L’impresa non fu affatto facile, dato che lui continuava a lamentarsi, parlare e distrarmi. Appena finito, tuttavia, misi la foto come sfondo di blocco del mio telefono. Si voltò e ammirò il riflesso della sua immagine. La sua espressione fu un miscuglio di stupore, incredulità, orrore, paura e, in seguito,  spensieratezza.  Scoppiammo entrambi a ridere.

-Obbligo o verità?- mi domandò una volta tornati in sala con ancora i sorrisi stampati in faccia.
-Obbligo…- risposi impaurita, già sapendo che si sarebbe vendicato.
- Allora dolcezza, ce l’hai del ghiaccio?-
-Ehm… si, nel congelatore… perché James?- tartagliai, indicando con lo sguardo la cucina e scrutando, con la coda dell’occhio, la sua reazione per captare ogni piccolo passo falso.
-Beh…- sospirò teatralmente strusciando le mani sopra le mie guance-…dovrai metterti il ghiaccio tra le tette! – terminò alzandomi di peso e spintonandomi verso il frigorifero. 
-Cosa? James, sei impazzito? Dai, fa freddo!- starnazzai indignata e, scattando come una molla, mi scostai da lui.  Lo osservai con fare omicida, eppure  lui ricambiò con una smorfia sul volto nel tentativo di trattenere una risata prorompente.
-Tranquilla dolcezza, se hai freddo posso riscaldarti io!- affermò arrogante e malizioso avvicinandosi al mio lobo. Lo fermai e lo distanziai da me.
-James, non hai ancora capito che le tue solite battutine non attaccano con me?!-
-Okay…allora fai la tua penitenza.- mi incoraggiò, afflosciandosi leggermente su sé stesso colpito dal mio tono tagliente.
-Oh no, dai James! Faccio qualcos’altro.- lo scongiurai, inutilmente.

 Presi i cubetti di acqua gelata dal freezer. Mentre lui cercava di far uscire questi ultimi dagli stampini, io tolsi la maglietta lasciando scorgere il mio seno compresso nel reggiseno di pizzo nero trasparente. Quando James si girò, boccheggiò per alcuni secondi evitando di trattenere lo sguardo sul mio petto. Sapevo che non lo faceva apposta, ma la curiosità era più forte di lui. Era un continuo abbassare ed alzare gli occhi dal mio volto al mio torace. Mi passò il ghiaccio e, facendomi forza, presi un bel respiro mettendomelo nella stoffa della lingerie. Sentii immediatamente il freddo provocatomi da quell’azione e me ne pentii all’istante. James, dal canto suo, ghignava compiaciuto. Feci per togliermi i cubetti ormai sciolti e colati fino al mio piercing all’ombelico, quando lui mi fermò. Allarmata gli chiesi: - Non vorrai farmi una foto, vero?-
-Oh, non preoccuparti, dolcezza. Nessuna foto, morire consumato dalla gelosia sapendo che qualcun altro possa godere di questa magnifica vista. Volevo solo dirti di andare ad asciugarti in bagno. Non vorrei mai che ti ammalassi per colpa mia.- confessò con la sua solita indifferenza, per nulla turbato dalla sua stessa ammissione che in me, invece, scatenò una bufera di emozioni contrastanti: incredulità per la sua mancanza di filtri, speranza e gioia poiché la sua frase assomigliava ad un complimento.
-Cosa?... Sei geloso?- esclamai sulla sottile linea tra la domanda e l’affermazione, al tal punto che il mio tono fu incerto e non ben definito. Tentai di tenere sotto controllo il sorriso che lottava contro le mie labbra per posarsi su di esse, però non riuscii a impedire ad una leggera curva felice di incresparle.
-Certamente! Dolcezza, quando danzi in quei vestitini minuscoli al locale,  ucciderei tutti gli uomini che osano solo posare i loro occhi su di te o, peggio, che fanno  anche apprezzamenti e, credimi, sono tanti.- concluse con un’alzata di spalle e, immediatamente, le mie gote si imporporarono di un lieve bordeaux che cercai di non far notare andando a cambiarmi. Dopo essermi asciugata per bene, indossai la maglia del mio pigiama in pile con un grosso gattino sul davanti.

-Obbligo.- disse lui sicuro, appena varcai la soglia del salotto, non lasciandomi neanche il tempo di porgli il quesito di rito.
- Resta solo in mutande, vai fuori dalla finestra, chiama la prima donna che passa e fai apprezzamenti su te stesso.- asserii, convinta che avrebbe almeno protestato. Al contrario, mi sorprese e, con una disinvoltura pazzesca, si alzò e si privò dei suoi indumenti, restando solo con dei boxer alquanto particolari: erano tutti grigi, con degli elefantini sparsi di qua e di là e, al centro, era disegnata la testa di un elefantino dei cartoni animati con un proboscide molto lungo. Si diresse da solo nella terrazza della cucina e lo sentii parlottare con qualcuno. Per fortuna la stanza affacciava su una stradina buia e poco trafficata. Lo seguii fuori anch’io, godendomi la scena.
-Ti piace?- urlò alla sconosciuta indicandosi il corpo. La ragazza indossava un vestitino corto, aveva capelli rossi e ribelli, faccia ricoperta da quintali di trucco e tacchi vertiginosi. Mi fece ribrezzo vedere come era conciata, però mi chiesi se io fossi tanto diversa da lei. Vestiti, tacchi e trucco come quelli li portavo anch’io. Indubbiamente alla donna James piaceva, d’altronde aveva un fisico scolpito: i suoi addominali a tartaruga erano accentuati dalla “V” tipica del basso ventre, per non parlare del suo sedere stretto in quel povero intimo. Sarei voluta essere un paio di mutande in quel momento, possibilmente le sue! Ma quali pensieri sconci facevo? La tipa ci provò spudoratamente con lui, facendo aumentare la mia ira. Mi maledissi per avergli fatto fare tutto ciò! L’uomo affianco a me rifiuto l’offerta della sgualdrina, affermando che “mirava ad altro” ed ammiccando verso di me.
***
-Verità!-  esalai, infine, dopo averci pensato alcuni secondi. Incrociai le gambe sul divano e mi sistemai comoda e pronta per la sua prossima curiosità che, a giudicare dalla sua espressione, non mi avrebbe fatto particolarmente piacere.
-Perché non hai continuato l’Università?- mi interrogò furbastro, sapendo che non avrei potuto mentirgli.  Sollevai il viso ferita e nel suo lessi soltanto tanto, tantissimo, interesse. Sospirai improvvisamente esausta, però lui non poteva sapere che intavolare certi argomenti mi faceva star male. Incoraggiata dal suo sguardo fiducioso, dalla sua gentilezza nei miei confronti e dalla sua presenza, decisi di raccontargli tutta la mia storia, anche a rischio di essere derisa o, addirittura, essere compatita.

Dimenticai per un attimo il luogo in cui mi trovavo, lo stabile in cui vivevo e il paese in cui mi ero trasferita. Ripensai alle espressioni dei miei genitori e della mia sorellina, si susseguirono quelle smaglianti dei miei amici, i traguardi raggiunti nel contesto scolastico e non solo. Le risate, i pianti, le mille sensazioni testate in Italia, a casa mia. Quasi mi strozzai con la mia stessa saliva tornando al presente e tentai di tossire per dissimulare la mia soggezione. James si avvicinò per aiutarmi, tuttavia, ancora scossa, mi diressi in cucina per allontanarmi da lui e dai ricordi vividi che la sua domanda aveva portato con sé. Mi osservai intorno e compresi che, nonostante stessi cercando con tutte le mie forze di costruirmi una nuova vita, non ci stavo riuscendo e fui pervasa dalla disperazione. Mi versai dell’acqua fresca e feci giusto in tempo a portarmela alla bocca e berla, che James proruppe nell’ambiente in cui mi trovavo. 
-Sabrina, non ti senti bene? Ti serve aiuto? Perché sei fuggita?- balbettò a raffica, strappandomi il bicchiere di plastica con il liquido trasparente dalle mani e buttandolo alla rinfusa dietro le sue spalle. L’oggetto in questione rimbalzò sul tavolo di legno per poi arrestare i suoi movimenti sul suolo, producendo un rumore ovattato alle mie orecchie. –Perché non hai continuato l’Università?- mi chiese ancora, serio in viso e incastonando le sue pietre celesti nelle mie nocciola.
-Perché non avevo i soldi per pagarmi il college!- gridai con tutto il fiato che possedevo in corpo, fino a sentire i miei polmoni e la mia gola bruciare. -Io sono praticamente scappata: ho acciuffato solo passaporto e alcuni soldi e sono andata all’aeroporto. Sono salita sul primo volo in partenza per l’estero e, quando sono atterrata qui, ho preso un taxi. L’autista mi ha portato in un albergo fuori città così, per pagare la corsa, ho terminato i miei soldi. Ho pianto per più di mezz’ora, perché non avevo il denaro per pagarmi una stanza d’albergo e non avevo il telefono. Poi ho incontrato Alexis che cercava una coinquilina. Ho conosciuto Ryan che aveva bisogno di una cameriera e  ho iniziato la mia nuova vita.-  proferii. Scossi la testa per scacciare quanto possibile l’aura di tristezza che mia aveva assalita e lottando con le maledette lacrime che volevano a tutti i costi scendere e rigare le mie guance. Passai la punta della lingua sul contorno del mio labbro superiore e alzai le palpebre fissando un punto del muro davanti a me.  –Non so neanche io perché sono scappata… In pratica l’Italia mi stava stretta. Ero stanca della mia vita monotona: mi svegliavo, studiavo, pranzavo, studiavo e andavo a dormire…Il giorno successivo ricominciava tutto daccapo. Certo, uscivo anche per fare la spesa, andare a trovare i miei famigliari oppure alcuni amici. Però non ero felice, non mi sentivo a casa. Non era colpa delle mie amiche o dei miei genitori, ma mia. Creavo solo problemi, così me ne sono andata lasciandogli un biglietto con su scritto che volevo staccare un po’ la spina e di non preoccuparsi perché sarei stata bene. Pensavo di essere ormai cresciuta e matura, ma mi sbagliavo. La verità è che mi mancano, James.- ammisi e avvertii un luccicone solitario inumidirmi uno zigomo. Lo soppressi con un movimento veloce della mano e continuai singhiozzando ad ogni parola. – Mi manca mia sorella. Anche se litigavamo il più delle volte, le volevo bene, anzi le voglio bene ancora. Eravamo molto unite, invece ora credo sia troppo tardi. Mi manca mia madre anche se non avevamo un buon rapporto madre-figlia. Non posso biasimarla, però: non credo di essere stata una figlia modello.  Mi manca mio padre…In questi tre mesi ho capito che si preoccupava per me, che voleva a tutti i costi che intraprendessi la sua carriera da avvocato per trovarmi la strada spianata a lavoro. Con la crisi che c’è oggi non voleva farmi struggere inutilmente sognando un lavoro che forse non sarei mai riuscita neanche ad avere. Lo faceva solo per me, pensavo che mi remasse contro perché invidioso della mia bravura... invece lo faceva solo per me.  Ed io l’ho capito troppo tardi. I miei non hanno mai approvato la mia scelta di andarmene dall’Italia. La cosa che più mi dispiace è che me ne sono andata senza salutare la mia famiglia, loro non hanno più mie notizie da allora. Mi mancano anche i miei amici. Li ho sempre considerati troppo noiosi, a volte anche antipatici ma, ancora una volta, la colpa è solo mia.  Adesso penseranno che io sia solo una  stronza che, dopo anni di conoscenza, se ne sia andata senza nemmeno salutarli. Ho fatto tanti sacrifici per studiare e laurearmi, invece quando mancavano soltanto due esami, ho mollato. Sono una misera persona codarda e cinica.- terminai piangendo, ormai, dirottamente, vergognandomi di me stessa e sicura che, dopo la mia rivelazione, James mi avrebbe abbandonata  sola con il mio dolore. D’un tratto però, avvertii la mia fronte gravare su una superfice dura, bensì comoda e due braccia forti circondarmi il busto.
- Sabrina, non è mai troppo tardi per qualsiasi cosa. Sono sicuro che la tua famiglia e i tuoi amici ti perdoneranno e, se mai un giorno vorrai incontrarli di nuovo, puoi contare sul mio aiuto. “Casa” è dove sei tu, dove tu vuoi che sia. Tu puoi decidere dov’è la tua casa. Non sei una persona egoista e codarda. Sei fantastica, dolce, gentile, intelligente, matura, stupenda, unica, sensuale, affascinante, tremendamente sexy…- bisbigliò, affondando il viso tra i miei capelli e posando un lieve bacio sulla mia nuca.
- James, nessuno si è mai interessato così tanto a me come te. –  farfugliai commossa, alzando il naso dal suo petto e raggiungendo la sua altezza.
-Piccola, puoi contare su di me per qualsiasi cosa. Potrei pagarteli io li studi al college.- propose pacatamente, contento della sua brillante idea.
-No, non potrei accettare.-
-Allora diventa la mia segretaria, così potrai guadagnare i soldi.- fece scontrare le sue morbide labbra con la mia gote e la sua lieve barba solleticò la mia faccia. Dovetti fare appello a tutte le mie forze per declinare quell’offerta dato che non faceva proprio una piega, tuttavia non potevo approfittare di lui in quel modo.
-No James, con il lavoro metto qualche soldo da parte. Tra un po’ riuscirò a concludere gli studi.-  dichiarai, risultando poco convincente perfino a me stessa. Non avevo nessun risparmio da parte, il denaro che mi era avanzato dal lavoro l’avevo usato per comprarmi un nuovo telefono. Il ragazzo di fronte a me mi strinse di nuovo. Io mi abbandonai a lui e lasciai che le stille trattenute in quei tre mesi finalmente fluissero dalle mie ciglia. Mi accostai convulsamente a lui facendo in modo che il suo odore mi penetrasse le narici.
 
Restammo in quella posizione per secondi, minuti o forse ore, tanto che persi la condizione del tempo, almeno fino a quando venimmo distratti dalla serratura della porta. Quest’ultima si aprì rivelando le figure di Alexis e Kevin, che ci costrinsero a separarci. Lexy, vendendomi con gli occhi arrossati e le guance ancora bagnate, si scaraventò su James:
-Tu, brutto idiota, l’hai fatta piangere un'altra volta? Adesso ti taglio veramente le palle!- urlò con il fumo che le usciva dalle orecchie.
-Dolcezza, dammi una mano che la tua amica mi sembra molto inviperita.- replicò lui.
-Dolcezza?! Ma come ti permetti, Dongiovanni!- rincarò la dose Lexy,  avvicinandosi pericolosamente a James.
-Piccola, lascialo spiegare!- si intromise Kevin, rivolto ad Alexis per sostenere suo fratello.
-Lexy, tesoro, hai frainteso. Io e James abbiamo chiarito, decidendo di essere amici e di mettere una pietra sopra a quello che è successo.- dissi, parandomi tra lei e l’imprenditore.
-Cosa?!- esclamarono all’unisono i due fidanzati.
-Eh già, la tua meravigliosa amica mi ha perdonato, così abbiamo deciso di iniziare daccapo.- ammise James.
-Veramente? Oh, sono così felice per voi!- proruppe lei con degli urletti di gioia, sbattendo le mani davanti al viso.
-Ma non mi odiavi fino a due secondi fa?-  le chiese il ragazzo vicino a me esterrefatto dal suo improvviso cambiamento d’umore.
-Oh, no caro, quello era prima. Adesso sono contenta per voi. Ah, e non taglio il tuo amichetto lì sotto perché ti servirà molto con lei.- continuò Alexis, puntandomi a dito e facendomi avvampare.
 Passammo la successiva mezz’ora con i fratelli Harrison, che, una volta andati via, mi lasciarono nelle grinfie di Miss Richmond. Capii da sola che avrei dovuto raccontarle tutta la storia, così chiamammo Amber invitandola per un pigiama party organizzato all’ultimo minuto:  sicuramente anche lei avrebbe voluto sapere ogni cosa per filo e per segno, tanto valeva spiegare tutto una sola volta. .

NOTE DELL’AUTRICE:
Ho l’impressione che i miei messaggi inizino sempre allo stesso modo e anche oggi si ripete la stessa storia: mi scuso immensamente per il ritardo! Ormai è noto a tutto il mondo che sono estremamente ripetitiva, ma non credo di essere mai stata tanto dispiaciuta come questa volta. Nel capitolo precedente credevo di aver superato ogni limite, facendo passare un mese dall’ultimo aggiornamento. Invece, questa volta, mi sono addirittura superata, facendo passare più di un mese. I giorni esatti non li so perché ho smesso di contarli quando mi sono accorta di star tirando troppo la corda. Comunque, per i lettori che ancora non si sono stancati di aspettarmi a lungo e per i nuovi, spero davvero che il capitolo vi piaccia. Forse, data l’immensa attesa, vi aspettavate un colpo di scena o uno sviluppo più consistente, ma non è così. Questo è un capitolo… giocoso e, al contempo, delicato. Ah, sto anche cambiando la trama! Fatemi sapere cosa ne pensate. Alla prossima, ciao SS.

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** 13) When will you realise that you really care for me? ***


CAPITOLO 13           WHEN WILL YOU REALISE THAT YOU REALLY CARE FOR ME?
JAMES’POV
“Fixing up a car to drive in it again,                                    
Searching for the water, hoping for the rain.                                                                                       
Up and up, Up and up”.
Canticchiavo a bassa voce, pervaso da una strana felicità, da una gioia invidiabile. Sbattevo il piede a tempo della musica proveniente dal mio telefono appoggiato al lavandino, mentre mi pettinavo accuratamente. La mia voce sovrastava quella di Chris Martin e il mio corpo era in totale subbuglio  trasportato dalla nuova melodia dei Coldplay.
“Down upon the canvas, working meal to meal,                                                                             
Waiting for a chance to pick your orange field.                                                                                  
 Up and up, Up and up”.
Il mio tono si alzò di un paio di ottave. Uscii dal bagno spegnendo la luce e saltellai andando a mettere qualcosa sotto i denti. Nel corridoio improvvisai una manciata di passi di danza: misi il piede destro avanti al sinistro, lo riportai indietro, ripetei l’operazione nel senso opposto, incrociai i talloni e, infine, roteai su me stesso, accompagnando il tutto con dei buffi movimenti delle mani.
“See a pearl form, a diamond in the rough,                                                                                    
 See a bird soaring high above the flood.                                                                                              
It's in your blood, It's in your blood”.
Giunto in cucina  presi dal frigorifero del latte e lo poggiai sulla penisola al centro della stanza. Agguantai dalla credenza al di sopra del lavabo una tazza e la lanciai in aria facendola volteggiare, conscio del pericolo che correva, ma indifferente alla prospettiva che si rompesse. Fortunatamente la afferrai al volo dopo che ebbe compiuto due giri su sé stessa.
 “Underneath the storm an umbrella is saying,                                                                    
sitting with the poison takes away the pain.                                                                              
  Up and up, Up and up.”                        
Arrivato, ormai, all’ultima strofa prima del ritornello stavo praticamente urlando a squarcia-gola. Versai la bevanda nel bicchiere e acchiappai un pacco di biscotti. Lo aprii e ondeggiai al ritmo della musica, allargando le braccia.
“We’re gonna get it, get it together.                                                                                                              
I know we’re gonna get it, get it together somehow.                                                                         
We’re gonna get it, get it together and flower”.
La canzone improvvisamente cessò di suonare ed io mi voltai stranito e un po’ irritato verso il mio cellulare. Quest’ultimo stava vibrando incessantemente per l’arrivo di un messaggio. La mente mi riportò alla ragione della mia gioia e mi accesi di speranza, pensando potesse essere Sabrina. Perciò rimasi deluso quando scoprii che non si trattava di lei, bensì di mia mamma. Il suo non era neppure un buon motivo per interrompermi a quel modo: aveva soltanto inviato una serie di lettere senza senso, probabilmente perché non in grado di utilizzare una tecnologia così all’avanguardia. Riacquistai subito il sorriso immaginando il volto di Brina nella mia  mente. Odiava quando la mettevo alle strette, quando arrossiva contro la sua stessa volontà o quando  la sorprendevo a  fissarmi insistentemente. Dal canto mio, adoravo far tingere di bordeaux le sue gote e osservare il suo profilo perfetto. Si diffuse nell’aria un altro trillo  e, spazientito, mi accinsi a scoprire chi fosse questa volta.        
                                                                
SABRINA’S POV
-Mhhh…..- gracchiai, stendendo tutti i miei muscoli, permettendogli di riprendersi dal torpore tipico di chi si è appena svegliato. Le mie labbra si piegarono, immediatamente, in una curva contenta e le mie palpebre si spalancarono. Al buio impugnai il mio telefono dal comodino, dopo aver testato alla ceca gran parte della superficie. Lo staccai dal caricatore e lo accesi. Inviai un messaggio a James, in tutta fretta, ancora prima di aver visto che ora fosse, chiedendogli se fosse venuto quell’oggi al locale. Dopo una sua risposta affermativa, mi lasciai andare ad un sospiro estasiato e rischiusi gli occhi abbandonandomi al sonno.

Venni ri-destata dalle urla isteriche della mia coinquilina e, insieme, ci preparammo in fretta in furia per non essere in ritardo.    Chiamammo Amber, la quale si affrettò per andare a scuola. Frequentava l’ultimo anno di Ragioneria e, come mi aveva detto, non se la cavava troppo male. Alle nove in punto, io e Lexy, eravamo fuori dal “Ryan’s New York”, aspettando il proprietario che arrivò poco dopo. Iniziammo a lavorare tra battutine e risolini mal celati. Alle tre del pomeriggio, varcarono la soglia del locale i fratelli Harrison. 
-Ciao, dolcezza!- esclamò James, giuntomi davanti. Scontrò, in un dolce e leggero bacio, le sue morbide labbra con la mia guancia.
-Ciao, James.- affermai felice, ricambiando il suo gesto. Ci sedemmo ad un tavolo lì vicino, mentre controllai l’orologio per non assentarmi oltre cinque minuti. -Come va con la nuova segretaria?- chiesi, interessata all’argomento.
-Ho assunto una nuova segretaria. Si chiama Anne e ha 48 anni. È di nazionalità spagnola ed è bilingue. Sempre meglio di niente. Però le ho detto che il suo è un posto momentaneo, perché deve solo sostituire la mia futura ragazza.- ammise, facendomi l’occhiolino. Avvertii distintamente il sangue caldo fluire agli zigomi e un’espressione incredula incresparmi la bocca. Strinsi le mani tra di loro per darmi forza.
-Mio Dio!- gemetti. -Tu non perdi mai l’occasione di provarci, eh?- domandai retoricamente, sollevando un sopracciglio.
-Perché ti dà fastidio, piccola?-  sogghignò, sporgendosi in avanti e incatenandomi con i suoi diamanti rubati al mare. Non mi mossi di un solo millimetro, i miei arti sembravano paralizzati. Al contrario, notai il torace del ragazzo di fronte a me guizzare velocemente su e giù, scosso da risate incontrollabili.
-Non chiamarmi “piccola”!- risposi stizzita e imbarazzata. Spostai lo sguardo altrove, ambendo un appiglio per cambiare discorso e mi alzai.
-Non mi hai risposto: ti da fastidio che io ci provi con te?- mi interrogò ancora, fissandomi con sguardo di fuoco, poggiando i suoi gomiti sulla superficie di legno del mobile e approdando ad una spanna dal mio viso. Io indietreggiai intimidita, finché non toccai con la parte retrostante del ginocchio una sedia e caddi, per il contraccolpo, a peso morto su di essa. James era occupato a tastare le mie pupille, scovandovi ogni singola traccia delle mie emozioni.
-Devo lavorare, scusa!- proferii, cercando di allontanarmi: con un balzo mi ritrovai in piedi e sgambettai verso una meta imprecisa; però egli, dopo essersi issato dalla seggiola, mi arpionò per la vita avvicinandomi, pericolosamente, al suo volto. Avvertii il mio cuore battere all’impazzata e mi preoccupai affinché anche lui potesse sentirlo.
-Rispondi!- soffiò a pochi millimetri dalla mia bocca. Boccheggiai per alcuni secondi, maledicendo parole che non avevano nessuna intenzione di venir fuori. Lo osservai annodando i nostri pozzi chiari e scuri e sospirai sconfitta difronte a tale bellezza.
-No, no James. Non mi dà fastidio.- confessai infine, facendo appello a tutte le mie forze per non baciarlo, data la poca distanza che ci divideva e la voglia immensa che avevo. Gravai la testa nell’incavo tra la sua spalla e il collo, così restammo abbracciati per alcuni secondi.
-Sta sera devi fare lo spettacolo?- mormorò, stando ancora avvinghiato a me. Sentii le sue dita percorrere, avanti e indietro, la mia schiena e il suo fiato caldo tra i capelli.
-Si... – cigolai, completamente appagata per le sue dolci premure, tenendo le palpebre socchiuse e, in un momento di coraggio, avvolsi le mani intorno alla sua vita.
-Quante persone ci saranno?- bisbigliò di nuovo, stringendomi più forte a sé.
-Poche…è lunedì.- replicai, adocchiando, in un attimo di lucidità, l’ora. Sospirai sconfitta e premetti leggermente i palmi sul petto di James. Prima che la sua faccia venne invasa da una nota interrogativa, con un cenno del mento gli indicai l’orologio e comprese al volo.
-Okay, riprendi a lavorare. Io vado da Kevin.- disse, sciogliendo definitivamente la nostra stretta.

Lo vidi allontanarsi e,  ancora scossa da brividi di piacere che mi donava la sua vicinanza, mi diressi con passo malfermo verso il bancone. Trovai Amber e Ryan intenti a parlare. Mi posizionai al fianco del mio capo, prendendo una pezza per ripulire qualche tavolo. Inalai nei polmoni quanta più aria potevo e canticchiai a bassa vice “Take your time” di Sam Hunt. Nonostante il mio tentativo di non essere udita, Amber mi fissò sorridendo leggermente e io la imitai.

 Ormai era quasi un’ora che i fratelli Harrison erano arrivati al locale. Alexis cercava di svolgere il suo dovere, malgrado gli sguardi che Kevin le lanciava. Quest’ultimo stava seduto vicino a sua sorella, che sorseggiava un thè, divertita dalla scena di pochi minuti prima, quando Lexy aveva fatto cadere un cappuccino bollente su un cliente, poiché impegnata a guardare il suo ragazzo. James e Ryan erano misteriosamente spariti e, quando svoltai l’angolo per portare alcuni piatti vuoti in cucina, mi scontrai proprio con il mio superiore.
-Oh, scusa Ryan!- enfatizzai, stando ben attenta a non far capitombolare nulla al suolo. Lui mi aiutò e prese le cose che avevo tra le dita.
-Tranquilla!- mi rassicurò, guardandomi insistentemente. Iniziai a dondolarmi sui talloni.
-Ehm…che c’è?-
-Adesso avrete più tempo per fare attività fisica….se hai capito cosa intendo!- ghignò, dileguandosi velocemente e sparendo oltre le porte di servizio. All’improvviso, ancora confusa per quella strana conversazione, percepii due braccia forti avvilupparmi il bacino.
-Non dargli retta: non l’ho fatto solo per “l’attività fisica” , come lo chiama lui!- proruppe James, poggiando il mento sulla mia spalla. Il suo petto premette sulla mia colonna vertebrale e notai i suoi muscoli contrarsi lievemente, mentre lui aumentava la forza della presa e mi accostava a sé.
-Puoi spiegarmi, per favore?- esalai, posando i miei palmi su quelli dell’uomo. Ryan ci passò affianco e diede una leggera pacca sulla spalla di James; successivamente prese a passeggiare tra i tavoli assicurandosi che ai nostri clienti non mancasse nulla. -Allora?- esortai impaziente per spronarlo, visto che non accennava a cambiare posizione e tanto meno a darmi delucidazioni.
-Beh, di solito il lunedì non c’è molta gente, ovviamente perché è un giorno settimanale, così come martedì, mercoledì e giovedì. In questi giorni non si guadagna poi molto con gli spettacoli serali, la clientela scarseggia. Quindi ho parlato con Ryan, gli ho chiesto se potevate fare a meno degli spettacoli serali per questi quattro giorni settimanali. Ha approvato la mia idea. Era una faticaccia anche per lui! Chiudere il locale a notte fonda e riaprirlo la mattina presto. – dichiarò, piazzandosi di fronte a me, tenendomi per i fianchi.
-Cosa? Ma perché l’hai fatto?- urlai incredula, alzando il tono di voce. Me ne pentii all’istante, non appena scorsi la felicità nei suoi occhi vacillare e mi resi conto di essere stata troppo avventata nei suoi confronti.
-Beh…perché prima ti ho vista stanca e non era la prima volta, poi ho notato che il pienone lo fate nel week-end, così ho pensato di… Ma se non vuoi parlo io con Ryan… si, scusa, non dovevo intromettermi…io non ho pensato che potesse darti fastidio…- si giustificò, balbettando e staccandosi da me. Scosse il capo per riprendersi e si voltò per andare chissà dove. Una voragine si aprì al centro del mio petto e non potei evitare alla mia mano di agguantare quella di James e stringerla convulsamente.
-No, James!- urlai, tirandolo nella mia direzione e, quando i nostri nasi si sfiorarono, sciolsi il legame tra i nostri polpastrelli e poggiai i polpastrelli sul suo torace. –Scusa, non volevo essere così impulsiva. Non mi dà fastidio, davvero, anzi mi fa piacere! E poi hai ragione: è inutile tenere il locale aperto in questi giorni e sprecare energie per le poche persone che ci sono.- strisciai sulla sua maglia e arrivai alle sue clavicole. -Solo mi hai sorpresa…non credevo che ti interessarsi così tanto a me.- confessai, sorridendogli incerta e accarezzandogli le braccia con movimenti lenti.
-Dolcezza, quando capirai che a te tengo davvero?- mi domandò, fissandomi seriamente. Io annegai nel azzurro intenso delle sue gemme. Annaspai in cerca d’ossigeno e delle giuste sillabe da pronunciare. –Perché ti è così difficile capirlo?-
-In Italia, nessuno si preoccupava per me. Io vivevo da sola, quindi non vedevo spesso i miei genitori, inoltre non avevo un buon rapporto con loro… -  dichiarai a testa bassa, osservando la punta delle mie scarpe. James mi bloccò, congiungendo le labbra in una smorfia di disappunto. Successivamente, donò alla chiacchierata un aspetto più rilassato e cambiò argomento:
-Sta sera, visto che sei libera, vieni a casa mia!-
 
Alle diciannove in punto, James era fuori dal locale. Notai che non si era cambiato e  indossava gli stessi abiti di quel pomeriggio:  pantaloni beige, camicia bianca, giubbotto nero e Air Force.
-Ciao, James! E’ un problema se passiamo un attimo da me? Ho bisogno di una doccia!- lo supplicai, salutandolo con un bacio sulla guancia.
-Oh, tranquilla! Nessun problema.-

Salimmo in macchina e sfrecciamo per le strade di New York. Lo feci accomodare sul divano, quando giungemmo nel mio appartamento, ed io mi fiondai in camera. Appannai l’uscio e ghermii il più velocemente possibile tutto il necessario per una sciacquata.  Mi spogliai, abbandonando i miei indumenti sul letto e mi avviai in bagno. Entrata nella stanza, poggiai l’asciugamano che tenevo in mano sul lavandino, spalancai il box-doccia e mi infilai dentro, aprendo il getto dell’acqua.  Venni colpita da un fiotto ghiacciato e rabbrividii, regolandolo. Dopo dieci minuti ero già fuori e tentavo di coprire più pelle possibile con la spugna del telo. Uscii dopo essermi legata la stoffa sul seno e meditai su quale abbigliamento adottare per quella cena. Fermai la mia camminata repentina appena sorpassata la soglia e mi bloccai, sgranando gli occhi. Un uomo se ne stava al centro della mia stanza, con in mano il mio reggiseno, che avevo precedentemente abbandonato sul materasso. Non mi fu difficile riconoscere quelle spalle larghe, quel fondo-schiena da urlo, quel tatuaggio sull’avanbraccio, quel profilo del viso.
-James!- strillai, completamente accecata dalla sorpresa, correndo nella sua direzione e afferrando l’oggetto che stava esaminando attentamente. Lo nascosi dietro la mia schiena e incenerii il ragazzo di fronte a me ringhiandogli contro.
-Oh…io... ehm… posso spiegarti!- farfugliò, per una frazione di secondo leggermente imbarazzato, per poi mutare il suo comportamento finendo addirittura per trattenere una risata.
-Ti avevo chiesto di stare in sala!-
-Si, ma è passata quasi un ora e mi annoiavo…. Non pensavo di trovarti in queste condizioni!- disse,  indicandomi. Boccheggiò un po’ e vidi le sue guance venir invase da un tenue rossore. Mi incantai a quella vista e rimasi spiazzata dal suo improvviso disagio.  Abbassai il capo per guardarmi e ricordai, con mio sommo dispiacere, di non star indossando praticamente nulla. Dischiusi la bocca ed avvertii il cuore aumentare frenetico i suoi battiti, il cervello iniziare a pulsare in cerca di qualcosa da esclamare, le mie gote imporporarsi di un bordeaux acceso.
-Ritorna subito il sala!- strepitai.
 
JAMES’POV
Fissai il vuoto davanti a me. Mi concentrai sul colore della parete e cercai di togliere dalla mia mente l’immagine di  Sabrina con solo l’accappatoio addosso. Mi imposi di smettere di rimuginare su di lei in quel modo e, quando quella visione si materializzò per l’ennesima volta nella mia retina, percepii il sangue fluire verso il mio basso ventre e la mia virilità venire a contatto con la stoffa dei boxer. Imprecai a bassa voce e scacciai quei pensieri impuri. Stavo ancora inveendo contro la mia stupida stupidità , quando venni raggiunto dalla fonte del mio tumulto. Sorrisi forzatamente e, insieme, raggiungemmo la mia dimora.
-Questa non è una casa! È una villa! Tre piani, giardino… oh, ma quella è una piscina? - esclamò, scendendo dalla mia auto e adocchiando una delle piscine esterne. Come avrebbe reagito sapendo che avevo un’altra piscina esterna e, per di più, anche una interna?
La presi per mano e varcammo la porta. Salutai la domestica, Maria, intenta a preparare da mangiare. Era una donna sudamericana di 50 anni, gentilissima, che mi conosceva sin da bambino. Viveva poco lontano da casa mia, tuttavia, certe notti, si fermava a dormire in una delle sale per gli ospiti o perché troppo tardi o per le condizioni metereologiche. Le regalai un bacio e lei rimase piacevolmente sorpresa nello scoprirmi in sua compagnia. Non avevo mai portato una donna lì, poiché cercavo di evitare di avere intorno delle persone che si attaccassero a me solo per soldi. Volevo amici veri, non sanguisughe. Con Sabrina era diverso: mi fidavo di lei, sapevo che non avrebbe cambiato opinione nei miei confronti per denaro.
-Sei la prima ragazza che porta qui! Sono contenta che abbia deciso di mettere a posto la testa!- rivelò Maria, strappandomi dai miei vaneggiamenti. Notai che era giunta difronte a me e Brina e trillava contenta con gli occhi lucidi e le labbra distese in un sorriso gioioso.
-Maria, lei non è la  mia ragazza.- ammisi dispiaciuto.
***
-Le vuoi molto bene?- mi sussurrò Sabrina, una volta rimasti soli.
-Si, la considero come una seconda mamma.-  
Scontrai la fronte con quella di lei e mi chiesi se sarei stato in grado di raccontarle di me stesso, di mio padre, di svelarle la mia storia. E la risposta lampeggiò vistosamente davanti ai miei occhi quando compresi di essere fottutamente, irrimediabilmente e insaziabilmente innamorato di lei. 

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** 14) Will I ever find a love as strong as theirs? ***


CAPITOLO 14                 WILL I EVER FIND A LOVE  AS STRONG AS THEIRS?
SABRINA’S POV
Asciugai una lacrima sfuggita al mio controllo e mi osservai intorno per verificare se qualcuno mi stesse fisando. Quando ebbi appurato di non avere sguardi indesiderati addosso, mi immersi di nuovo nella lettura di quello splendido romanzo. Girai l’ultima pagina del libro, lessi l’ultima parola e, senza che potessi impedirlo, una valanga di lucciconi repressi, nati circa a metà manoscritto, si riversarono sulle mie guance. Mi rinchiusi nel bagno del bar in cui mi trovavo e mi maledissi per aver scelto di tuffarmi in una storia così triste. Una mano oscura mi strinse il cuore e la sensazione fu così opprimente che dovetti chiudere gli occhi, prendere dei sospiri profondi, trattenere il fiato per alcuni secondi e buttarlo fuori pian piano, schiudendo le palpebre. Ormai giunta al termine di quell’avventura, osservai ancora l’opera che tenevo tra le mani. L’immagine di una chiesetta nel mezzo della campagna contrastava con i toni di colore più accesi che ingiallivano il nome di Nicholas Sparks e, al di sotto di essi, si espandeva in nero la scritta “I passi dell’amore”. Scossi la testa sorpresa dalla mia eccessiva emotività. Nonostante fossi una persona dal pianto facile, mi ostinavo ad imbattermi in quelle letture purtroppo assai veritiere ed infelici. Arrivata alla cassa, sentivo le gote umide e pizzicanti. Pagai la consumazione e mi buttai tra la calca di gente che affollava i marciapiedi. Estrassi dalla mia borsa a tracolla il telefono ed infilai le cuffiette alle orecchie. Una melodia dei The Chainsmokers e Rozes  si diffuse nel mio cervello e le mie labbra si incurvarono felici verso l’alto, animate da vita propria. A casa mi fiondai spedita verso la mia stanza e, dopo essermi tolta il giubbotto, mi gettai sul letto, volendo staccare la spina e rilassarmi in vista dello spettacolo di quella sera. I giorni erano trascorsi in fretta ed era già approdato il sabato. I miei vaneggiamenti mi condussero a James, il quale possedeva il dono di farmi dimenticare i problemi e l’intero mondo circostante. Stare abbracciata a lui, appoggiata al suo petto o anche il minimo contatto tra i nostri corpi mi causava mille brividi lungo la schiena. Quando ero con lui sentivo il bisogno irrefrenabile di baciarlo. Mi appisolai con il sorriso sulle labbra e mi catapultai in una realtà piena di James, orsacchiotti e tanta felicità. Metaforicamente parlando, ovvio!
                                                                         ***
Erano le ventuno in punto: la mia esibizione stava per iniziare. In un tavolo, al lato destro del palco, scorsi i volti di James, Amber, Kevin ed Andrew. Quest’ultimo, un secondo prima che poggiai il piede sinistro sul gradino per entrare in scena, si voltò e parlottò col fidanzato  che stava incessantemente picchiettandogli il dito sulla spalla ossuta. I due sfregarono lievemente le loro bocche e suscitarono reazioni diverse: da un lato uomini schifati si girano dalla parte opposta e, dall’altro, persone intenerite dalle loro effusioni celebrarono il loro amore con dei sorrisi sinceri.
 
JAMES’POV
Diedi uno scappellotto a Drew, che stava beatamente divorando Gabriel davanti a tutti. Mi incantai a guardare Brina. Era seduta su di uno sgabello al centro del palco e intonava qualche lenta canzone abbellita grazie a degli arpeggi.
-Fratellone, vuoi sciuparla? La stai fissando da quando siamo entrati in questo posto!- ridacchiò Amber, infilzando con la forchetta la bistecca che giaceva nel suo piatto.
-E’ solo che è….bellissima…- sospirai, tenendo le braccia incrociate al torace. Non staccai neanche per un secondo le pupille da quella visione celestiale.
-L’abbiamo perso!- esclamò Andrew, nascondendo la bocca dietro la sua mano per coprire una risata così prorompente che avvertii, nonostante mi trovassi dall’altro lato e il volume assordante della musica.
-Quando farai il grande passo?- domandò Ryan, che stava raccogliendo i piatti vuoti di alcuni clienti lì vicino e turbinò nella nostra direzione per regalarmi un’occhiata derisoria. –Quando le chiederai di diventare la tua ragazza…. la tua donna… la tua fidanzata…o come si dice?- continuò, vedendo i nostri sguardi dubbiosi.
-E’ questo che tu intendi per “grande passo”? Non devo chiederle di sposarmi!- asserii, provocando l’ilarità dal resto della compagnia.
-Immagina quando glielo chiederai!- sogghignò mio fratello. I miei amici cominciarono a ridere uno di seguito all’altro e finirono per asciugarsi le lacrime e tenersi la pancia.
-‘Sta zitto!- sbottai, lasciando a Kevin un fazzoletto appallottolato che trovai sul legno. –Mi fate salire l’ansia!- borbottai.
- Alza quel bellissimo sedere che ti ritrovi e datti una mossa a chiederle di mettersi con te!- mi spronò mia sorella, indicando Sabrina. Occultai il viso tra i palmi, indignato. La faceva facile lei! Io non avevo la minima idea di come comportarmi, da dove iniziare, cosa dire! Non l’avevo mai fatto prima, ad eccezione delle storielle delle medie o del liceo. Ero davvero pronto a prendermi questa responsabilità? A rinunciare al sesso occasionale quando mi si presentava davanti una bella ragazza?
 
SABRINA’S POV   
Tracannai il mio Sex on the Beach al bancone in quei cinque minuti di meritata pausa. Percepii una strana ombra offuscarmi la luce e mi voltai incuriosita da quella presenza.
-James…- mormorai stupita e divertita da quell’inusuale mutismo. Il ragazzo difronte a me aveva un’espressione tirata stampata in faccia e una vena rialzata pulsava sul suo collo. La mia bocca si increspò in una linea allegra ed ebbi l’impressione di ridestarlo leggermente dal suo delirio e riportarlo con la mente nel “Ryan’s New York”.
-Sei stanca?-  mi chiese, sospirando in uno strano modo. Forse mi risultò tanto bizzarro, poiché tentò di nasconderlo: incanalò parecchio ossigeno e lo buttò fuori; ma, non resosi pienamente conto delle sue azioni, rischiuse la bocca e spalancò gli occhi trattenendo il fiato. Fu costretto, dopo quasi un minuto, ad annaspare in cerca di aria pulita.
-Un pochino…- ammisi, sempre più sollazzata. Venni chiamata dal mio superiore e fui costretta ad abbandonarlo con un  semplice saluto troppo formale.
***
I maledetti raggi del sole mi appannarono la vista non appena spalancai le palpebre. Quella domenica mattina vagai per il mio appartamento insonnolita ed irritata. Dopo venti minuti a fissare il divano, andai a svegliare Alexis. Entrata in camera sua, però, notai un bigliettino sul cuscino:
“Scusa tesoro, sono uscita con Kevin. Tu dormivi e non ti ho svegliata! Staremmo fuori per tutta la giornata e non penso che dormirò a casa sta notte”.
Sentii il campanello suonare ed immaginai di trovarmi davanti la mia amica in lacrime, magari per una futile discussione dell’ultimo momento con il suo ragazzo. Spalancata la porta, una rosa rossa si stagliò sotto il mio naso. La osservai per un tempo indefinito, come se avesse magicamente camminato fino al mio appartamento. Ad un tratto si accese la lampadina immaginaria che viveva nel mio cervello ed abbassai lo sguardo, notando delle gambe sporgere al di sotto di essa. Compresi che se c’erano delle gambe, più in alto, doveva esserci un viso. Il meraviglioso volto di James era illuminato da un sorriso a trentadue denti.
-Ciao, dolcezza.- spostò il fiore e fece scontrare le sue labbra con la mia mascella. Allacciai le braccia dietro la sua nuca e mi godetti a pieno quelle piccole attenzioni che era solito riservarmi.
-James? Che ci fai qui?- sibilai direttamente al suo orecchio, stritolandolo con la mia stretta da polipo innamorato. Egli ridacchiò sulla mia clavicola e, per farmi staccare, iniziò a tempestarmi i fianchi con de piccolissimi tocchi, solleticandomi e provocandomi degli spasmi involontari. Mi allontanai di un paio di passi, ridendo ancora a crepapelle e pregandolo di fermarsi.
-Ti rapisco! Oggi sei completamente mia!- affermò, spingendomi verso il salotto . Lo feci accomodare sul sofà e misi la rosa in un vaso di vetro con dell’acqua. Lo raggiunsi e mi sedetti al suo fianco, aspettando che mi svelasse qualcosa in più riguardo la sua visita.
-Io voglio parlarti un po’ di me e della mia famiglia.- confessò dopo attimi interminabili di silenzio, fissandosi insistentemente le mani strette in grembo.  Lo guardai stralunata: non aveva mai accennato a voler condividere con me una questione tanto personale ed io non lo avevo mai costretto. Portai le ginocchia al petto. Lui era agitato: si torceva i polpastrelli, aveva il respiro affannato, picchiettava il piede al suolo velocemente e sbatteva in continuazione le ciglia. Aggrottai la fronte e scovai nei meandri della mia memoria, tentando di ricordare se, quando i miei genitori mi avevano insegnato le buone maniere, mi avevano anche spiegato cosa dire in situazioni del genere. Fallendo nella mia impresa, rimasi semplicemente senza parole, congelata sul posto.  Ero il perfetto riflesso di James: una statua di marmo sarebbe risultata più espressiva e meno rigida, il cuore batteva all’impazzata, gli zigomi erano stati invasi da un rossore per nulla piacevole e nel mio petto si irradiò un calore che mi incendiò dall’interno e mi fece grondare di sudore freddo. Cercai di calmarmi e puntai l’attenzione su di lui. Dopo molto tempo, proprio quando stavo per aprir bocca, iniziò a raccontare con voce arrocchita:- Sono nato a New York, nel 1992. Ho avuto genitori fantastici e fratelli splendidi. Mia madre, Carly, non mi ha mai fatto mancare nulla. Le voglio un mondo di bene. Ma il genitore con cui passavo più tempo, quello che mi capiva di più, era mio padre. Si chiamava Matthew Harrison. E’ morto due anni fa.- proferì, abbandonandosi completamente nei cuscini. Voltò la nuca di lato e notai le sue dita tremanti serrarsi a pugno. La rabbia che covava era molta, tuttavia era abbattuto a causa della tristezza e della malinconia, che lo tormentavano e dilaniavano la sua anima. – Morì a causa di un tumore ai polmoni. Gli fu diagnosticato circa cinque anni fa, quando aveva quarant’anni. Seguì vari circoli di chemioterapia e sembrava che il tumore fosse sparito. Tre anni fa, però, ritornò. Mio padre riprese le cure, ma secondo i medici non c’era più nulla da fare. Mamma piangeva ogni giorno. Vedere l’uomo della sua vita che le veniva strappato dalle mani e non poter far niente per impedirlo, non era facile per lei. Non sarebbe stato facile per nessuno. Amber era la più piccola. Inizialmente non le dicemmo niente per non farla preoccupare, però col tempo capì da sola. Ogni giorno, insieme a Kevin, andava all’ospedale a trovare papà e mamma, che si era trasferita lì pianta stabile. Per fortuna c’era Kevin ad aiutarle. Anche lui soffriva, però lo nascondeva bene. Varie volte lo trovai a piangere e singhiozzare, ma nel silenzio della sua stanza. Mai davanti a qualcuno. Dal canto mio appena colsi la notizia del tumore, cinque anni fa, mi mostrai forte e, quando vedevo mamma o Amber straziate, le consolavo ripetendo che tutto si sarebbe aggiustato, che tutto sarebbe andato bene.- gorgogliò con tono basso, al punto che mi dovetti avvicinare per udire tutte le sue frasi. Mi faceva male vederlo in quelle condizioni e, ancor di più, pensare che non volesse mostrarsi a me senza alcuna maschera. Era un ammasso di amarezza, le sue sillabe vibravano disperate nell’aria e la sua angoscia si opponeva all’immagine di lui che mi ero creata: pensavo fosse un uomo saccente, arrogante, allergico a qualsiasi tipo di rapporto serio, una persona chiusa nella sua routine che non aveva mai conosciuto la sofferenza, qualcuno che aveva sempre vissuto nel lusso e nella bella vita; invece, in quel momento, era così indifeso, spaventato, afflitto, dominato da ricordi  brutali che lo stavano selvaggiamente distruggendo, cellula dopo cellula, e lo stavano trascinando del baratro della costernazione. Se ne stava rivolto verso la cucina, dandomi le spalle. Credeva che lo avrei giudicato? Che mi avrebbe fatto pena? Che lo avrei compatito? Nulla di tutto questo! Volevo solo stragli vicina come meglio potevo, come lui aveva fatto con me. – Quando il tumore ritornò andai su tutte le furie e fuggii a Los Angeles dai miei parenti. Ogni sera andavo con una tipa diversa, mi ubriacavo e facevo sesso fino a perdere la ragione. Cercavo di scappare dal presente che mi circondava. E intanto la mia famiglia soffriva.- riprese. Cercai di ignorare la fitta di gelosia che mi pervase quando avvertii le sue parole. –Dopo due mesi venni qui e scoprii che papà era tornato a casa. Aveva abbandonato le cure e voleva morire a casa sua, piuttosto che in uno sporco ospedale. Mamma aveva accettato la sua decisione come tutti, anche se con non poche difficoltà. Vivemmo felici o come meglio potemmo in quelle condizioni, fino…fino a quando lui morì.- terminò. Stanca di quella barriera che aveva innalzato tra di noi, mi avvicinai a lui e gli toccai una spalla. I miei palmi sfiorarono la stoffa bollente della sua maglia. Lo sentii sussultare sotto la mia mano. Gli carezzai il collo, mentre lui subiva impassibile. Gli girai poco la testa e gli bisbigliai flebile all’orecchio:
-Girati. Stai tranquillo. Fidati di me.-
Lui fece come gli ordinai e, lentamente, si volse. Portai un dito sotto il suo mento e gli sollevai il volto in tutta calma. Scorsi delle innumerevoli lacrime intente a solcargli le guance, che mai mi sarei sognata di vedere, non nei suoi bei tratti. Quella vista fece salire dei lucciconi anche a me, tuttavia mi sforzai di rimanere quieta. James si asciugò la faccia con stizza, quasi fosse arrabbiato con se stesso per essersi palesato debole difronte a me. Fermai i suoi movimenti, prendendo i suoi polsi, e mi avvicinai cauta. Gli intrappolai le fastidiose gocce salate con le mie labbra, baciandogli le gote e intrecciando le sue mani con le mie. Lui si arrese al mio tocco, gravando la fronte sul mio petto. Non mi sentivo tesa, ansiosa o nervosa. Avevo semplicemente acciuffato quel poco coraggio che possedevo ed avevo agito con il mio cuore. Avevo spento il cervello e le mie azioni erano esclusivamente dettate dal mio istinto. Desideravo solo che il ragazzo stretto tra le mie braccia smettesse di soffrire a quel modo.
-Ero molto simile a lui, sai?- replicò, richiamando la mia attenzione. –…sia fisicamente, che caratterialmente. Mio padre aveva i capelli mori ed occhi celesti. Era un farfallone come me, ma si era messo l’anima in pace trovando mia madre.- rivelò. Colsi la sua bocca stendersi in un sorriso. Anche la mia si ondulò in una curva mestamente giuliva e accostai il mio mento al suo capo. Affondai il naso trai suoi capelli e inspirai il loro ottimo profumo. Posai un bacio tra di essi e ridonai tutta la mia concentrazione alla sua storia. –Era proprio innamorato di lei…non la lasciava un attimo sola, erano la perfetta immagine di marito e moglie.- cigolò. Per un breve momento invidiai i suoi genitori. Mi domandai se anche io un giorno avessi trovato un amore tanto forte come il loro. –Prima fumavo, tanto. Poi, però, quando hanno diagnosticato il tumore a papà, mi sono ripromesso che non l’avrei più fatto. Sono cinque anni che non tocco una sigaretta... E’ stato un brutto periodo. La cosa che mi fa più rabbia è, che mentre la mia famiglia soffriva per un male che non potevamo guarire, io li ho abbandonati. Non me lo perdono. Io..- proseguì poi, arrabbiato con sé stesso, cercando persino di staccarsi da me. Lo trattenni saldamente e incrociai i gomiti dietro la sua schiena.
-James… hai sbagliato, ma sei tornato indietro! Sei rimasto quando tua madre aveva bisogno di te, dopo che tuo padre...- esclamai, cercando di consolarlo e di fargli perdonare sé stesso. Egli, probabilmente non abituato a ricevere tutto quell’affetto, tentò ancora di allontanarsi e divincolarsi. Sembrò essersi improvvisamente scottato con la realtà e provò a  fuggire da essa. Fui più testarda di lui: mi imposi di rimanere ancorata al quel barlume di prodezza che mi stava lentamente abbandonando e lo bloccai. Ormai era una lotta: lui cercava di fuggire e di liberarsi dalla mia presa, ed io non ero per  nulla intenzionata a concedergli tale opportunità. –Stai fermo!- mi scappò ad un tratto. Pentita per il mio grido, lo baciai sullo zigomo. –James, tutti sbagliano, l’importante è capire ed imparare dai nostri errori.-
-Grazie.-  sussurrò, tanto sommessamente che faticai anche a sentirlo, dopo aver atteso secondi interminabili ed aver espiato tutto il suo tormento in un sospiro pesante. –Dopo la morte di papà, nessuno voleva prendersi la responsabilità dell’azienda. A me dispiaceva che tutto il suo duro lavoro venisse abbandonato, così mi sono fatto avanti...-
-Tua madre come sta adesso?-
-Adesso bene. Ha superato tutto.- rispose semplicemente. Carly: una donna così forte, che dopo aver assistito al capezzale del marito, dopo aver perso l’amore della sua vita, continuava a donare affetto ai suoi figli.
Restammo abbracciati a lungo, indisturbati. Avevo addirittura chiuso gli occhi. Quando James si distanziò da me, le sue guance erano ormai asciutte ed i suoi occhi ancora leggermente rossi e gonfi. Non resistetti all’impulso di avvicinare le mie labbra alle sue. Un lieve tocco, troppo lieve e breve per essere considerato un bacio.
-Dobbiamo andare.- disse, non appena mi separai da lui. Una sua mano corse dietro il mio collo per tenermi vicina il più possibile al suo viso. I nostri nasi si sfiorarono e lo vidi abbassare le palpebre e sorridere lievemente.
-Andare dove?-  domandai, stordita dai mille brividi che mi stavano facendo accapponare la pelle. James venne investito da una patina maliziosa in netto contrasto con l’atmosfera che alleggiava prima.
-Sorpresa!-
 


NOTE DELL’AUTRICE:
Aggiornamento lampo, a neanche una settimana dallo scorso capitolo! Mi aspetto un gran premio, sia chiaro! Comunque, nonostante mi sia messa a lavoro immediatamente e non vi abbia fatto aspettare troppo…. Ho letto, modificato e riletto il capitolo in questione migliaia di volte ed il risultato? Non mi sento ancora pienamente convinta di ciò che ho scritto. Sento che manca qualcosa, sento che è troppo veloce e rapido. Ho cercato in tutti i modi di “appesantire” l’ultima parte, la storia di James, perchè volevo che avesse il suo spessore, eppure non ne sono convinta. Meglio di così forse non potevo fare, quindi lascio a voi il coltello dalla parte del manico e… criticate pure se la pensate come me e avete la sensazione che manchi qualcosa. Il segreto è scoprire “cosa”! Comunque… alla prossima spero, ciao SS.

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** 15) I didn't believe in his words, but I didn't care. ***


CAPITOLO 15                I DIDN’T BELIVE IN HIS WORDS, BUT I DIDN’T CARE!
SABRINA’S POV
Un po’ frastornata ero seduta nel sedile accanto a James. I miei occhi vagavano fuori dal finestrino, dove l’asfalto scorreva sotto il mio sguardo velocemente, in cerca di risposte. Speravo di riconoscere un monumento, un nome, un indirizzo. Qualunque cosa pur di scoprire dove fossimo diretti. Non avevo la minima idea di quale fosse la nostra destinazione e l’incredulità, per gli eventi avvenuti nell’ultima ora, si riversò su di me, dando vita ad una valanga di dubbi. Non sapevo se seguire l’imprenditore al mio fianco, senza chiedere una piccola spiegazione a riguardo, fosse stata una saggia decisione. Mi fidavo di lui, però la sua guida nervosa e i suoi continui sbuffi alle mie iniziative di intavolare una conversazione, mi fecero preoccupare al tal punto che dovetti mordermi il labbro inferiore per reprimere le lacrime e la delusione.

-James?- chiamai, voltandomi nella sua direzione con un sorrisetto sulle labbra per addolcire l’atmosfera assai tesa. Strinsi le mani in grembo e stritolai le mie dita. Osai sbirciare la sua reazione un solo attimo e riportai la vista a scrutare il tappetino della macchina. Egli rispose con un grugnito per nulla incitante, tuttavia, ormai stufa, presi un profondo respiro e domandai con voce malferma: -Potresti spiegarmi dove andiamo?-
-Sorpresa.- disse atono, inserendo la freccia, rallentando e svoltando in una traversa sulla destra. Mi trattenni saldamente allo sportello per la leggera forza invisibile che mi spinse a sinistra a causa della curva. Egli tamburellò con i polpastrelli sullo sterzo per rilassarsi e il lieve suono delle sue dita che sbatterono sul volante mi innervosì. Si stava comportando come se non volesse stare lì, come se lo annoiasse la mia stessa presenza. Un po’ iniziavo a sentirmi a disagio ed indesiderata. Per un secondo infinito mi feci piccola, piccola e stetti in silenzio incurvando le spalle; poi ripensai all’origine di quella situazione scomoda e sussultai animata da una nuova forza.  Lui era venuto a prendermi all’improvviso e sempre lui mi stava facendo inviperire di brutto!
-Voglio tornare a casa!-annunciai decisa, incrociando le braccia la petto e alzando un sopracciglio per rendere la mia espressione più minacciosa possibile. Un comportamento tipico di una bambina, ma solo in quel modo ottenni la sua attenzione: si girò di scatto e mi fissò con le pupille fuori delle orbite. Fu costretto a riportare gli occhi sulla strada dopo un improvviso sbandamento che mi fece salire il cuore in gola e aggrappare al primo appiglio che trovai. Quando l’auto riprese stabilità, lui strepitò in un tono acuto e decisamente agitato:
-Cosa? Perché?-
-Perché? Tu mi stai chiedendo perché? Ma ti rendi conto che non mi hai proprio calcolata da quando siamo usciti? Non mi hai neanche avvertita. Ti comporti come se io ti dessi noia. Se non vuoi stare con me, riportami a casa. Non ti ho chiesto io di uscire!- urlai, fiera di me stessa per aver trovato il coraggio di contestarlo e non essermi fatta mettere i piedi in testa.
-No! Aspetta, dolcezza! Posso spiegarti!-  mi rispose, uscendo di nuovo dalla nostra corsia e facendo strombazzare frenetici i clacson delle altre persone. “Se continuiamo così, ci lasciamo la pelle” pensai, acciuffando la maniglia dello sportello per sorreggermi. James sembrò captare i miei desideri, infatti accostò in una zona di blocco. -Io non posso dirti dove stiamo andando e neanche il perché, ma ti giuro che non mi dai noia. In questo momento non vorrei essere con nessun altra persona. Fidati di me, ti prego. Se ti sono sembrato distaccato, ti chiedo perdono. La verità è che sono nervoso.-  ammise, con un sorrisetto concitato annaspando lievemente per la velocità con cui aveva parlato. L’intensità con cui mi osservò accelerò il mio battito cardiaco e mi procurò miliardi brividi lungo la colonna vertebrale. Ricambiai la sua occhiata timorosa: tutta la prodezza e la spavalderia acquistate prima  sembravano scomparse, sparite nel nulla.
-Così mi fai preoccupare.- farfugliai, scuotendo la nuca e strinsi la pelle del sedile sul quale mi trovavo. Mi mossi irrequieta e torturai il mio labbro inferiore con i denti, voltandomi verso il finestrino. Accarezzai con la vista la vegetazione che si stagliava al mio lato e mi beai di quella libertà che emanava, di quell’infinito che sprigionava e della luminosità che splendeva. Quasi mi persi in quello spettacolo naturale, giungendo con le pupille sino alle montagne e non mi accorsi della mano di James che approdò sulla mia. Avvertii il suo tocco leggero solo quando i suoi palmi vezzeggiarono il dorso del mio arto e rafforzarono la presa su di esso.
-No, non preoccuparti. È una cosa bella. – affermò, continuando a disegnare dei cerchi immaginari sulla mia pelle. Il capo pulsava e lo malediva per avermi causato tale confusione e imbarazzo. Il cuore era in trambusto e lo ringraziava per aver risvegliato in me una voglia così forte. - …o almeno per me.- continuò poi, ormai sussurrando. Incatenò i miei pozzi scuri alle sue gemme liquide e mi pietrificò sul posto. Fui solo in grado di deglutire un fiotto di saliva, mentre le sue lunghe dita si intrecciavano alle mie. La sua epidermide, leggermente callosa e calda, si  unì alla mia, decisamente più debole e fredda. La sua mano grande rinchiuse la mia in una gabbia e scorsi uno strano desiderio. Compresi immediatamente le sue intenzioni e fui percossa da un fremito al solo osservare i suoi occhi così espressivi, che urlavano una sola, unica e prorompente verità: mi bramavano. Lui mi desiderava e fece scivolare il suo sguardo su tutto il mio corpo. Senza l’utilizzo di benzina o fuoco, diede vita ad un incendio dentro di me. La sua espressione da predatore rese la distanza che ci separava insopportabile e non riuscii a nascondere la voglia di un contatto materiale tra di noi. Portò l’altra mano sulla mia coscia e risalì sempre più su, arrivando al mio fianco. Lo sfiorò con delicatezza e riprese il suo viaggio, fermandosi sulle mie costole. Si avvicinò pian piano al mio viso. Inclinò di poco  la testa e si fermò ad una spanna della mia bocca. Il suo respiro si infranse contro il mio e dovetti mordermi l’interno della guancia violentemente per non saltargli addosso e baciarlo con tutta la cupidigia che avevo accumunato in appena venti secondi. Mi lasciò un po’ di tempo per permettermi di comprendere la sua iniziativa e tirarmi eventualmente indietro. Un sorriso estasiato e dolce si impossessò delle mia labbra e James si sporse sempre di più, fino a quando la sua bocca rosea e morbida non toccò la mia. Delle scintille sprizzarono nell’aria e noi, animati da un sentimento ancora sconosciuto che raggrinzì le nostre membra, schiudemmo le labbra e ci avvicinammo per diventare un’unica, immensa bolla di passione. Un gemito incontrollabile fuggì al mio controllo, subito seguito da un ringhio di impeto di James. Le mie dita arrestarono la loro marcia dietro il suo collo, dove si intrecciarono e  si persero tra i suoi capelli. Le sue, invece, volarono sui miei vestiti fino a giungere sulla mia schiena. Lui rafforzò la presa e mi avvicinò a sé, spingendomi contro il suo torace. Lo schiacciai contro lo schienale e mi spalmai su di lui, arrivando a sedermi a cavalcioni sulle sue gambe. Le nostre lingue si incontrarono a metà strada e iniziarono a rincorrersi. Un’esplosione di colori proruppe nella mia mente. Continuammo a baciarci freneticamente, incuranti del luogo in cui ci trovavamo. Poi, a causa dei polmoni che richiamarono la nostra attenzione, producemmo un piccolo schiocco e ci staccammo per mancanza di ossigeno.
-E questo per cos’era?- bisbigliai, stupendomi di sentire la mia voce tanto roca.
-Io avevo bisogno di un incoraggiamento.- confessò sarcastico, gravando la fronte nell’incavo della mia spalla.
 
 Riprendemmo il nostro misterioso viaggio e, dopo un'altra oretta passata a chiacchierare, sbarcammo in una casetta di medie dimensioni in montagna. James spense i motori vicino l’entrata, mentre lo guardai torva e confusa.
-Questa sarà la villa in cui passeremo i seguenti due giorni. Prima che tu possa farmi qualche domanda, ti spiegherò tutto: come ormai avrai capito devo chiederti una cosa, però prima voglio passare con te altro tempo. Non chiedermi perché, dopo comprenderai tutto. Per il tuo lavoro non devi preoccuparti: ho chiamato Ryan e ti ha dato un giorno libero. Per i vestiti stai tranquilla: Amber ha preparato una piccola valigia per te, è nel bagagliaio. Questa è la casa in montagna di mia madre, le ho detto che per oggi e domani sarebbe stata mia. Così non ci disturberà nessuno! Per pranzo ho portato due panini e a cena andremo in un ristorante qui vicino… Poi domani vedremo. Pronta?-  disse, carezzando le mie gote. Annuii e scendemmo dalla macchina. Fuori mi colpì un’aria particolarmente fredda, ma piacevole. Notai che la casetta della signora Harrison era isolata da qualsiasi altra abitazione. Mi persi a fissare il panorama e mi riscossi quando avvertii una presenza al mio fianco: James aveva due valigie in mano ed un mazzo di chiavi. Mi fece un cenno con il mento ed entrammo.  Dopo il breve giro turistico a cui mi sottopose il ragazzo, ci accomodammo sul divano in salotto. Mangiammo e scorsi il telecomando della tv abbandonato sul tavolo. Mi sporsi e vagai tra i canali, finché non ne trovai uno sul quale trasmettevano “50 first dates”, titolo originale di “50 volte il primo bacio”.
 
JAMES’POV
-…anche tu? James?  Mi stai ascoltando?- mi interrogò Sabrina, osservando il mio cipiglio stordito. Si alzò dal sofà, quando ormai il film era giunto al termine, e mi schioccò le dita davanti al naso. Ritornai bruscamente alla realtà e la osservai intontito.
-Eh? No… cioè, si!- balbettai confuso, tossendo lievemente per smorzare la tensione che mi opprimeva. Lei scoppiò a ridere e fece sciogliere in un sorriso anche me.
-Ti chiedevo cosa ne pensassi del film!- ripeté, poggiando le mani sui fianchi e comunicandomi tutta la felicità che provava attraverso i suoi meravigliosi occhi nocciola. Alzò  un sopracciglio per spronarmi a rispondere, quando mi persi ancora una volta nei miei pensieri.
-Ah! Era…molto bello!- esclamai, accompagnando la mia frase con dei cenni della testa per rendere più credibili le mie parole.  -Sabrina, devo dirti quella cosa!- sospirai.

 Lei acconsentì appena e la scortai in terrazza, intrecciando i miei polpastrelli ai suoi. Giunti oltre la porta finestra a vetri, venimmo accecati dalla luce maestosa del sole e fummo costretti a chiudere le palpebre. Dopo esserci abituati, la feci poggiare alla ringhiera. Le sue pupille rispecchiavano l’intero panorama: i colori del cielo erano racchiusi nel suo sguardo. La abbracciai da dietro, facendo incrociare le mie mani sul suo ventre piatto e incastonando il collo sulla sua clavicola. Restammo per alcuni minuti in quella posizione, ammirando lo spettacolo paradisiaco che avevamo difronte: quel balcone si affacciava su delle maestose colline che incorniciavano una distesa di alberi, alcuni fioriti e altri spogli. Tra le nuvole erano sfumati il giallo, l’arancione, il rosso e, in alcuni punti, si poteva ancora contemplare il celeste limpido. Tutto gridava pace. Tutto gridava libertà. Le donai un bacio sulla spalla, catalizzando la forza di volontà che possedevo per iniziare a parlare.

-Your eyes make the stars look like they're not shining. I could kiss your lips all day if you'd let me. When I see your face,  there’s not a thing that I would change, cause you’re amazing just the way you are.  You’re so beautiful…- Bisbigliai al suo orecchio, fissando il suo adesso sorpreso e lasciando che le parole della canzone di Bruno Mars fluissero dalla mia bocca per infrangersi sul suo lobo. Feci una lieve pressione sui suoi fianchi in modo da farla girare e poterla osservare in faccia. -Non so da dove iniziare. Non l’ho mai fatto prima. Ti sembrerò alquanto strano, ma ti giuro che sono un fascio di nervi. Io non ho mai provato per nessun altra quello che sto provando per te. Con te mi sento felice, a mio agio  e mi fido di te. Sono geloso anche se un tizio osa solo guardarti e lo picchierei per questo, se poi fa anche commenti sul tuo corpo ha firmato la sua condanna a morte.- rivelò e le strappai un lieve ed incerto sorriso. Mi rilassai all’istante, intravedendo la sua chiostra di denti bianchi e le allontanai con le nocche delle dita una ciocca di capelli che prepotentemente le stava pizzicando lo zigomo. I palmi delle mie mani scivolarono ai lati della sua mascella e i pollici si ancorarono alle sue guance. -Sei meravigliosa, bellissima sia dentro che fuori. Vorrei che tu ti fidassi di me, in tutti i sensi, che mi rivelassi le tue paure o i tuoi problemi in modo che potremmo risolverli insieme. Voglio aiutarti in tutte le maniere che posso. Quando sono con te provo l’insistente bisogno di baciarti, baciarti e baciarti fino allo sfinimento. Voglio poterti baciare tutte le volte che lo desidero. Voglio poterti stringere quando ne abbiamo bisogno entrambi. Voglio far capire a tutti che non possono nemmeno pensare di sfiorarti perché sei solo mia. Voglio avere una faccia da ebete quando ti penso o quando parlo di te con le altre persone….forse quella ce l’ho già. –dichiarai grattandomi la nuca e separandomi di un passo da lei. –Io ti voglio. Quindi…Sabrina vuoi essere la mia ragazza?-  domandai, dandomi del cretino patentato un minuto dopo. Avevo pensato a mille modi diversi per chiederglielo e quella stupidissima frase era il meglio che avevo saputo dire in un momento del genere. Ero già pronto per ricevere un suo rifiuto, quando Sabrina stessa boccheggiò per alcuni secondi. Tentai di stroncare il suo inutile tentativo di indorarmi la pillola e deviare la mia proposta, tuttavia mi si avvicinò finché le nostre bocche non si scontrarono per la seconda volta. Mi paralizzai all’istante completamente preso alla sprovvista, però riacquistai immediatamente le mie facoltà motorie e diventai parte integrante di quell’unione. Ci fondemmo in una sola persona, stringendoci convulsamente all’altro.
-Lo prendo per un si questo?- annaspai una volta riacquistato il respiro, scontrando la mia fronte con la sua.
-Si, sta zitto a baciami ora!-
 
SABRINA’S POV
-Quando hai perso la verginità?- proruppe James, lasciandomi completamente interdetta. Mi irrigidii inevitabilmente e, essendo avvinghiati sul divano, lui se ne accorse. Nessuno gli aveva mai insegnato a star zitto e  non sparlare inutilmente? Era una delle persone in assoluto più curiose che avessi mai conosciuto, ciò nonostante non avrei mai creduto che si sarebbe spinto tanto oltre, che avrebbe valicato un confine così intimo e personale. Era, ormai, tarda serata ed eravamo rientrati da poco tempo, essendo usciti per cenare.
-James!- lo rimproverai con il battito del cuore frenetico che rimbombava nei timpani ed il respiro accelerato, un po’ per la domanda non gradita, un po’ per gli innumerevoli baci che ci eravamo scambiati fino ad allora. Scossi la testa per allontanare i ricordi orribili che quel quesito portò con sé. - Non te lo dirò mai!-
-No, ti prego. Voglio saperlo!-mi supplicò, abbandonando le sue labbra sulle mie in un piccolo frangente, in un breve attimo.  Sembrava un bambino che stava chiedendo alla sorella più piccola di rivelargli dove la mamma avesse nascosto le sue caramelle preferite. Non si rendeva proprio conto che certe cose era meglio non saperle.
-No…è personale!- esclamai, tremando. Cercai di buttarmi sulla sfera del pudore ed, in parte, non dovetti fingere: me ne vergognavo davvero.
-Ti giuro che anche se fosse così imbarazzante non riderei! Ma dimmelo!-
-Okay, okay!- capitolai sbuffando e alzai le mani in segno di resa, pronta per rendere il mio racconto una normale prima volta, escludendo molti dettagli. Presi un profondo respiro, irritata dalla sua sfrontatezza. – E’ stato più  o meno due anni fa. Io avevo 18 anni, lui si chiamava Mattia e ne aveva 19. Stavamo insieme da due mesi. Ci eravamo conosciuti ad una festa di un’amica comune.- conclusi. Storiella banale, comune e spoglia di qualsiasi particolare. Già leggevo la delusione nel suo sguardo, ma, prima che potesse aprir bocca per dissetare la sua sete di pettegolezzi, pronunciai due paroline delle quali mi pentii: -Tu, invece?-
-Avevo 15 anni, lei ne aveva 17. Era più grande, ma non ricordo neanche il nome. Speravo di imparare qualcosa da una più grande di me, però feci solo la figura dell’idiota. Mentre mi infilavo il preservativo lo ruppi anche!- ammise divertito, tuttavia non mi sfuggii un lieve rossore che gli colorò gli zigomi.  Scoppiai a ridere sguaiatamente immaginandomi un James adolescente e totalmente inesperto, dimenticando la tensione avvertita prima.
 
Canticchiando, sorridevo felice allo specchio e mi preparavo il più in fretta possibile per mettermi a letto. Quasi corsi alla valigia, gentilmente preparata da Lexy, per scoprire quali indumenti avrei indossato. Sul fondo di essa giacevano i due pezzi di un completo intimo che avevo comprato un po’ di tempo prima,  e un baby- doll color crema. La mia bocca si spalancò inevitabilmente e fissai il contenuto del mio bagaglio immobile. Scavai nel fondo di esso per cercare qualcos’altro con cui dormire quella notte, eppure non trovai nulla. Balbettai parole sconnesse, insultando la mia migliore amica in tutte le lingue che conoscevo, e afferrai in tempo il telefono per chiamarla e sbraitarle contro, quando avvertii un rumore leggero rimbombare oltre la porta.
-Che ci fai qui?- mi rivolsi a James, dopo aver spalancato la soglia, piazzandomi difronte a lui. Ero veramente stanca e faticavo a restare sveglia.
-Io….volevo…io…- tartagliò con lo sguardo fisso su di me. Avvertii le gote andare a fuoco, però cercai di apparire più sicura di quanto non fossi realmente.
-Cosa?-
-Beh…volevo…chiederti se volevi dormire con me. Tranquilla, prometto che dormiremo soltanto, terrò a freno i bollenti spiriti!- si affrettò a rassicurarmi. Mi girai di scatto, portandomi i palmi a coprire il viso. Come ero finita in una situazione del genere? James non aveva un minimo di tatto e, per una ragazza insicura come me, non era l’ideale. Oppure, nel migliore dei casi, era proprio quello che mi serviva per abbandonare una volta per tutte la buca di timidezza nella quale vivevo. Sentii i suoi passi farsi sempre più vicini, fino  a quando captai le sue mani sui miei fianchi. -Dolcezza, non volevo spaventarti. Se non vuoi, non fa niente. Aspetterò.- affermò, spingendo la mia schiena contro il suo petto marmoreo.
-Io…- farfugliai, tossendo per schiarirmi la voce. –Non.. non ci vedo proprio nello stesso letto. Tu… ed io… Noi siamo così diversi!-
-In che modo saremmo diversi? Spiegamelo perché non lo capisco. – disse, vezzeggiando le mie braccia, rigide e incollate al busto.
-Io non sono bella o intelligente. Sono una semplice cameriera sbarcata in America chissà come.-
-Hai ragione: non sei bella. Tu sei magnifica. Sei unica. Sabrina, dimentica le stronzate con cui sei fissata e vivi una volta per tutte questa vita. Fosse anche l’ultima cosa che faccio, ti giuro che ti aiuterò ad abbandonare le cattiverie che ti corrodono l’anima.- proferì, costringendomi a voltarmi. Alzai lo sguardo dal pavimento lucido e lo puntai nel suo, sincero e caldo. James era lì, con me, e non potevo credere di non interessargli: non dopo il modo in cui mi aveva baciata fino a poco prima, non dopo essermi accorta delle reazioni che innescavo in lui, non quando mi fissava con quegli occhi, così dannatamente decisi e fermi. Non credetti alle sue parole, ma non me ne curai  e lo seguii nella sua stanza. Parlammo per un altro po’, scambiandoci di tanto in tanto alcuni baci. Mi feci prestare una maglietta per dormire perché non avrei mai indossato il baby-doll fornitomi da Alexis. Ero felice e a mio agio, forse per la prima volta in tutta la mia vita. Mi appoggiai al suo torace e, cullata dalla sua voce dolce e dalle sue carezze sulla mia nuca, mi addormentai con il sorriso sulle labbra.  

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** 16) Taking my place in bed next to her. ***


CAPITOLO 16                       TAKING MY PLACE IN BED NEXT TO HER
JAMES’POV
Aprii un occhio infastidito dai raggi solari provenienti dalla finestra vicino il letto. Avvertii immediatamente un peso sul fianco destro, così, un po’ frastornato ed insonnolito, voltai la testa. Scorsi l’angelo più bello dell’intero Paradiso dormire beatamente appoggiato al mio dorso.  Le sue gambe erano intrecciate alle mie,  un suo braccio mi cingeva il busto, mentre l’altro era piegato su sé stesso, la mano di quest’ultimo mi carezzava la spalla e, sotto di essa, la sua nuca gravava sulla mia clavicola, le palpebre erano completamente serrate. Il mio sguardo venne incatenato per un attimo infinito dalla sua bocca socchiusa; quando liberò il suo respiro caldo,  mi solleticò il petto nudo. Il suo corpo era coperto dalla stoffa azzurra della mia maglia e quella visione, il mio indumento utilizzato per nascondere i suoi tesori, scatenò in me  una reazione inaspettata: fu un surrogato di una veste di pizzo trasparente, anzi mi accalorò ancor di più. Sentii chiaramente il sangue fluire veloce fino al mio basso ventre, qualcosa indurirsi nei miei boxer, brividi prender vita e sfrecciare lungo tutta la mia anima. Mi agitai all’istante e mi mossi irrequieto sul materasso per tentare di riassumere il controllo delle mie facoltà. Non volevo che Sabrina potesse pensare che, dopo aver fatto sesso con lei, l’avrei lasciata. Non stavo di certo con lei solo per portarmela a letto. Non potevo rischiare di indebolire maggiormente la sua già scarsa autostima, paragonandola ad una prostituta pagata per donarmi piacere in un modo subdolo e privo di sentimento. Non potevo rapportarla ad una ragazza frivola e dissoluta che sarebbe stata con me esclusivamente per quella notte. Io  stesso avevo avuto  legami con donne di quel tipo prima di incontrare lei. Con il suo arrivo nella mia vita l’interesse che  nutrivo per nottate di fuoco senza impegni era scemato, lasciando posto ad un’innaturale voglia di intraprendere la strada della maturità con Brina. Quella notte non avevamo coronato la nostra storia appena nata facendo l’amore, nonostante avessi provato varie volte l’impulso di perdere la ragione dentro di lei. Non volevo metterle pressioni inutili e spingerla a compiere un’azione che non desiderava o farla sentire inadeguata, perché lei per me era perfetta proprio come era. L’avrei aspettata anche in eternità e sarei sempre stato pronto a mollare tutto per correre ad aiutarla. Tuttavia, i miei movimenti concitati, la disturbarono e si mosse lievemente su di me. Mi bloccai e sperai che tornasse a dormire, però si stropicciò gli occhi, mugugnò parole incomprensibili e si svegliò irradiandomi con la luce racchiusa nelle sue iridi da cerbiatta. Sorrise leggermente e le sue guance si  tinsero di un rossore tenue avendomi trovato a fissarla impunemente. Biascicò un “Buongiorno” troppo assonnata e  strusciò il naso sulla mia spalla, tornando ad appisolarsi. Dio, quant’era bella! E pensare che qualche coglione aveva gettato fango su di lei, riempiendole la testa di idiozie assolutamente non vere. Non credeva più in sé stessa, nelle sue doti da donna, nella sua sensualità, nella sua bellezza, nella sua forza. L’avevo capito dal modo in cui girava timida al “Ryan’s New York” tra i tavoli, dal suo sguardo che si abbassava timoroso ogni volta che taluno le rivolgeva la parola anche per motivi di circostanza, dalle sue braccia che le circondavano il busto spasmodicamente se non si trovava al centro dell’attenzione, dalla sua postura rigida e dalla sua schiena ricurva. Era stupenda e non se ne accorgeva neppure, ma sarei riuscito a farla ricredere!
-Buongiorno, dolcezza!- la salutai, incastonando il viso nell’incavo tra la sua spalla e il collo e massaggiandole un fianco con movimenti lenti e circolari.
-Voglio dormire!-  gemette imbronciata, accoccolandosi su di me e sigillando il più possibile le ciglia per non far filtrare all’interno i raggi del mattino.
 Avevo proprio deciso di lasciarla riposare ancora un po’, quando Sabrina si scontrò con la mia erezione e balzò nell’altro capo del materasso come scottata. La sua reazione improvvisa ed eccessivamente esagerata mi fece scoppiare a ridere, lasciando che la preoccupazione di offenderla esulasse dal mio cervello e si perdesse nell’aria. Mi guadagnai una cuscinata in faccia e un’occhiataccia, ciò nonostante neanche lei poté controllare il sorrisetto divertito che le increspò la bocca.
–Vedo che siete già svegli!- annunciò inacidita peggio di uno yogurt scaduto da una settimana, incrociando le braccia sotto il seno e mordendosi il labbro inferiore. Mi avvicinai cauto a lei e le alzai il mento con due dita, costringendola a baciarmi. Contrariamente a quanto mi sarei mai aspettato, non oppose resistenza e ricambiò il mio gesto con la mia stessa passione ed intensità. I miei palmi si chiusero a coppa sul suo viso e il mio corpo la spinse sulle morbide lenzuola. Appena ci staccammo le mie pupille la fissarono a lungo e le sue ricambiarono imbarazzate il mio sguardo. I miei polpastrelli si allungarono per toccare la sua pelle soffice. -James, devo dirti una cosa.- dichiarò d’un tratto seria.
-Cosa?- chiesi preoccupato per un suo eventuale pentimento.
Brina si scansò da me, allontanandosi; si girò su di un fianco in modo da potermi guardare in faccia, gravò la nuca sul cuscino, mentre adagiò le dita sul mio petto. Prese ad accarezzarmi con gesti leggiadri, mordendosi il labbro inferiore. Involontariamente la mia virilità si rianimò, soprattutto per l’innocenza che trapelava dal suo tocco. Mi stavo eccitando come un marmocchio alle prime armi e mi sentivo pure un pervertito perché Sabrina non si stava minimamente impegnando per infocare in me un effetto del genere ed io, in quel preciso momento, non avrei dovuto immaginare il suo corpo nudo sotto il mio.
-Ieri hai detto che ti fidi di me e che vorresti che ci confidassimo i nostri problemi per risolverli insieme. Ci ho pensato molto e non è giusto che le persone soffrano al posto mio.- disse con gli occhi lucidi e l’espressione distrutta. Prese una pausa respirando affannosamente e distolse lo sguardo dal mio puntandolo altrove. – I miei famigliari o amici non hanno mie notizie da quando me ne sono andata, non sanno se sto bene o dove vivo adesso. Non li ho nemmeno salutati. Non lo meritano, mi volevano bene in fondo. Io…io non voglio tornare in Italia, però….però devo far capire a loro che sto bene….-  concluse, singhiozzando e portandosi la mano posata sul mio torace davanti alla bocca per cercare di sopprimere i singulti. Vedendola, il mio cuore si frantumò. Alzai di scatto il busto, abbracciandola.
-Piccola, certo che ti aiuto.  Stai tranquilla, risolveremo tutto! Possiamo contattarli oppure andare direttamente in Italia da loro!- proposi, esaltato all’idea di un bel viaggetto in compagnia di questa donna alla scoperta delle bellezze della Città Eterna.
-Lo faresti davvero?- mi interrogò sorpresa. Avvicinò maggiormente le nostre bocche e la forza di resistere alla voglia che avevo di baciarla vacillò. Opporsi era quasi fisicamente doloroso.
-Ovvio, per la mia ragazza questo ed altro!- affermai, mentre mi alzai dal letto e presi a girovagare per la stanza. Forse distanziarmi un po’ da lei avrebbe acquietato i miei spiriti bollenti. -Dolcezza, cosa intendi fare con i tuoi?- domandai dopo alcuni minuti, tentando di calmarmi. Mi voltai nella sua direzione e scoprii che si era seduta sul letto ed aveva poggiato il mento sulle ginocchia. Cercava di calare la maglia per coprire le gambe il più possibile, improvvisamente in imbarazzo, rischiando anche di sgualcire l’indumento. I suoi pozzi scuri e magnifici erano ancora leggermente assonnati e la sua testa si teneva in equilibrio solo perché era poggiata alla testiera. A quella visione mi eccitai un’altra volta e mi avvicinai a Sabrina, capendo che in nessun modo avrei colmato il desiderio che avevo di lei.        –Perché non chiami tua sorella?- esclamai,  riacquistando il mio posto nel letto vicino a lei.
-Si…si, questa è un ottima idea!- annunciò, fiondandosi su di me. Rotolammo avvinghiati tra le lenzuola e lei nascose il viso sulla mia spalla. Si staccò poco dopo e mi guardò felice.  
 
SABRINA’S POV
Facemmo colazione, scherzando come due bambini e ci accomodammo poi sul divano. Afferrai il mio telefono, pronta per far partire la tanto attesa chiamata.  
-Rilassati!- mi suggerì James, sfregando un po’ il palmo poggiato sui miei capelli. Lo osservai e, appena i nostri sguardi si scontrarono, mi regalò un dolce sorriso che mi tranquillizzò un po’. Posò un bacio sulla mia tempia, notando il ginocchio muoversi irrequieto a causa del nervosismo.
 La luminosità dello schermo del mio iPhone si abbassò di colpo, facendomi intuire che stava per spegnersi e, travolta da un improvvisa adrenalina, schiacciai il pulsante per avviare la chiamata. Me ne pentii all’istante: ad ogni squillo che andava a vuoto, il ronzio del battito  del mio cuore diventava sempre più forte, un magone dilaniava il mio petto e quest’ultimo si tramutò in un violento calore che mi inondò sino alle orecchie; avvertii distintamente il  sangue fluire per arrivare alle guance e un tenue rosso porpora propagarsi sui miei zigomi. Sgranai gli occhi quando udii, dall’altro capo del telefono la voce di una ragazza lievemente affannata. Irrigidii la schiena e tentai di articolare una frase. Nel momento in cui compresi che non ci sarei mai riuscita, provai almeno a far uscire un qualsiasi suono dalle mie labbra, tuttavia le corde vocali sembravano non collaborare minimamente e rimasi a boccheggiare come un pesciolino, intanto che Alice inveiva e le sue parole si propagavano nella stanza.
-Pronto?...Pronto?... Oh, che palle! E’ uno scherzo? Non è divertente! O mi rispondi o attacco!-
-Alice?- mormorai a stento, iniziando a mangiarmi le unghie per la tensione.  
-Si? Chi sei?- indagò lei con un tono guardingo, però abbandonò la sfumatura di irritazione che l’aveva accompagnata dall’inizio della conversazione e si animò di una lieve curiosità che mi fece rasserenare un pochino.
-Alice, sono… sono...-
-Sabrina?- domandò incredula ed improvvisamente attenta. Serrai le palpebre isolandomi dalla realtà che mi circondava e tentai di immergermi in un’altra dimensione per distendere i muscoli, liberare la mente da ogni pensiero e rilasciare, attraverso un lungo respiro, tutte le mie ansie e i miei tumulti. -Oh Santissimo Signore, ma dove sei?-
-A New York…- ammisi, portando le mani davanti alla bocca per frenare la mia voglia inaspettata di mettermi ad urlare per la gioia.
-New York? Ma stai bene? Dio, ci hai fatti preoccupare tantissimo! Mamma ha dato di matto: voleva andare dalla polizia, poi abbiamo trovato il tuo biglietto!- gridò mia sorella, addolcendo il tono sulla parte finale del discorso. Mi era mancata tantissimo. Sopraffatta da una miriade di emozioni diverse, quali stupore, incredulità, felicità, allegria e molte altre, diedi libero sfogo a quelle maledette gocce salate che presero a cadere sulla mia pelle, quei lucciconi sempre odiati dalla sottoscritta. James mi circondò le spalle con un braccio e voltai il capo verso di lui. Le sue pupille erano ricoperte da una patina di confusione: avevo messo il vivavoce, ma io ed Alice stavamo parlando in italiano e, di conseguenza, lui non stava capendo nulla. -Quindi sei a New York! Perché mi hai chiamata? E’ successo qualcosa? Stai bene? Vuoi che chiami mamma? O papà? Vuoi che veniamo lì? Dacci una mezz’ oretta per preparare le valigie e prendiamo il primo volo!- continuò, poi, sparando a raffica una serie di quesiti. Il suo comportamento da mamma chioccia premurosa riuscì a strapparmi un sorriso.
-No, no tranquilla. Io sto benissimo qui! Ti ho chiamata perché...perché non volevo farvi preoccupare inutilmente, volevo farvi sapere che sto bene. Dillo anche a mamma e papà.- la rincuorai, aggiustando bene le carte in tavola: io da New York non mi sarei mossa, non avevo la minima intenzione di ritornare nel mio paese.
-Aspetta che te li chiamo, vorranno sentirti di sicuro. Sono di sotto, un attimo! –dichiarò e la sentii in sottofondo parlottare con i miei genitori. Sudai freddo, impaurita da due persone a migliaia di chilometri da me. Il rapporto tra me  e i miei non era mai stato pacifico e negli ultimi anni era addirittura peggiorato a dismisura. Probabilmente, viste le mie azioni infantili, mi avrebbero urlato contro e rinfacciato a vita il mio comportamento per nulla maturo. Volevano educarmi ed assicurarsi che non avrei ricommesso gli stessi errori una seconda volta. Ormai ci ero abituata e non mi affliggevo più se mi mettevano in ridicolo davanti ad altre persone o se citavano i miei errori in continuazione, semplicemente rimanevo ferita. Quando gli avevo detto educatamente che mi sarei trasferita al più presto non l’avevano presa bene e, da allora, cercavo di evitarli il più possibile.
-Sabrina? Oh tesoro, sei veramente tu?- esordì mia madre, singhiozzando con la voce tremante .
-Si, mamma. Come state?-  chiesi pur mantenendo un tono freddo e distaccato. Ero stanca dei loro continui sbalzi d’amore e non mi sentivo mai completamente a mio agio, anzi avevo costantemente paura di dire la cosa sbagliata e subire una sgridata degna di nota. Il mio carattere timido, insicuro ed introverso non aveva di certo giovato al nostro rapporto e neanche il loro atteggiamento puntiglioso.  
-Passatela a me!- sentii la voce di mio padre echeggiare nel apparecchio, sbrigativa ed autoritaria. Un tono che non ammetteva repliche. Cercai la mano di James e la strinsi avvertendo l’ansia crescere dentro di me. Non riuscii più a far uscire una singola parola dalla mia bocca e attesi impaziente ciò che lui aveva da dirmi.
- Perché te ne sei andata? Dove vivi adesso?- si informò prontamente. Mi concentrai per descrivergli tutta la situazione nei minimi dettagli.
Dopo una mezz’oretta di domande asfissianti, leggere critiche e piccoli rimproveri avevo ufficialmente concluso il  mio racconto, esponendo passo, passo la mia esperienza dal momento in cui avevo messo piede sul suolo americano fino a quell’istante e riferito loro ogni incontro fatto da allora, anche il più banale. Avevano, perciò, scoperto di James, Lexy, Amber, Ryan, Andrew e Kevin. Gli avevo spiegato chiaro e tondo che non volevo tornare in Italia e lasciare la Grande Mela e che non avevo continuato i miei studi, parlando a raffica per non dargli la possibilità di esprimere la loro opinione e alla fine avevo cercato di salutarli ribadendo che stavo bene e dicendogli che non potevo spiegargli tutto in una sola volta.
Rimanemmo al telefono solo io e mia sorella. Alice non riusciva a credere al fatto che avessi un ragazzo e continuava a chiedermi di descriverle James.
- Hai qualcuno da presentare anche a me? Gli americani so proprio boni!- proseguì sprizzando felicità da tutti i pori.
Fui costretta a smorzare il suo entusiasmo,  le promisi che ci saremmo sentite al più presto ed attaccai. Inalai quanta più aria possibile nei polmoni, la trattenni per alcuni secondi e la rigettai fuori, liberandomi di tutta la tensione che mi attanagliava ancora le viscere.  
-Tutto bene?- chiese il mio ragazzo, che per tutto il tempo non aveva spiaccicato una sola sillaba. Io gli sorrisi sprofondando nel sofà, annuì, lo attirai a me e lo baciai innumerevoli volte.
 
JAMES’POV
Quando Sabrina si allontanò un attimo per sistemare la sua valigia, presi dal suo cellulare il numero di sua sorella. Dopo averla riaccompagnata a casa ed essere anche io entrato nel mio appartamento, composi il numero di Alice e attesi impaziente. Udii diversi squilli e poi mi rispose una voce  insonnolita. Guardai l’orario: le 22. Mi diedi una manata sulla fronte, il Jet Lag! Forse lì era notte! Oramai il danno era fatto, così continuai con l’obbiettivo che mi ero prefissato.
-I’m James, Sabrina’s boyfriend! Do you remember?- asserii lentamente, sperando che comprendesse un po’ d’inglese.
-Cosa? Che cazzo dici?- 
-I don’t speak italian. I’m your sister’s boyfriend. James!- ripetei con più calma, grattandomi la nuca per preparami psicologicamente a quella conversazione che si prospettava lunga e faticosa. .

NOTE DELL’AUTRICE:
Allora come promesso ho continuato la storia, non sono stata particolarmente veloce (anzi per niente), ma la scuola ha assorbito tutto il mio tempo. Tuttavia, il periodo peggiore del primo quadrimestre è finito e spero che gli aggiornamenti saranno più rapidi. Ormai non mi scuso neanche più per i miei ritardi! L’ho fatto così tante volte!
Questo non è propriamente un capito pieno di sorprese e non è neanche particolarmente lungo. L’avevo già scritto e l’ho aggiustato come meglio potevo, anche se tuttora non mi piace per niente. Lascio a voi i commenti….


Alla prossima spero, ciao SS. 

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** 17) His arms were made for holding me ***


CAPITOLO 17             HIS ARMS WERE MADE FOR HOLDING ME
SABRINA’S POV
Un enorme fosso si stagliava davanti a me. Al di là della sponda di terra rocciosa, che si interrompeva bruscamente e imprecisamente, per poi riprendere centinaia metri più avanti, scorgevo solo buio. Sapevo perfettamente di non poter saltare e giungere dall’altro capo, perché la distanza che avrei dovuto percorrere era troppo grande, ma non riuscivo a fermare il mio corpo, il quale era scosso da una paura tremenda e correva sempre più veloce verso quell’immensa voragine. Non sapevo come ero arrivata in quel luogo o da cosa stessi scappando; sapevo solo che era ciò che dovevo fare in quel momento. Rallentai e arrestai la mia fuga repentinamente un millimetro prima che la roggia terminasse e mi voltai. Scorsi distese sconfinate di alberi con fiori di mimosa, che non ricordavo di aver sfiorato nella mia corsa sfrenata. Non badai a quel particolare inutile e mi concentrai ancora sulla fossa. Notai un’onda gigantesca di lava crescere dal suolo e innalzarsi verso il cielo nuvoloso. Il mio cuore batteva a mille e il terrore attanagliava il mio stomaco. Ad un tratto, venni violentemente spinta nella buca da una presenza oscura e sprofondai nell’oblio. L’angoscia e il panico contorcevano il mio corpo e gridavo con tuttala voce che avevo, mentre cadevo inevitabilmente nel buio pesto.

Mi svegliai di soprassalto con il fiato corto, aprendo gli occhi. Strinsi spasmodicamente le lenzuola del mio letto e, calmandomi, accesi l’abat-jour. Tastai la morbidezza del materasso e scossi la testa incredula per ciò che il mio subconscio era riuscito a concepire. Quello non era un brutto periodo per me: non ero stressata, avevo amici fantastici, James mi trattava come una regina, a lavoro andava tutto bene, avevo riallacciato i rapporti con i miei genitori; eppure avevo appena avuto un incubo terribile.

Controllai l’ora e notai che erano le sei del mattino. Capii che non sarei riuscita ad addormentarmi di nuovo, così mi alzai e feci colazione.
Quando fui completamente lavata, vestita e pronta per un’altra monotona mattinata di lavoro mi diressi da Alexis, che non vedevo da secoli. Mi precipitai in fretta in camera sua, aprii la porta violentemente e urlai a squarcia gola.
-Alexissssss! Svegliaaaa!- 
Lei, in risposta, mugugnò qualcosa di indistinto; allora alzai le tapparelle della finestra, le quali donarono un po’ di luce alla stanza che, fino a quel momento,  era stata dominata dall’oscurità. Mi girai con un sorrisetto soddisfatto sulle labbra, ma restai a bocca aperta per la scena che mi si presentò davanti: Lexy, ancora mezza insonnolita, non era sola. Era comodamente appoggiata al petto di Kevin. Erano nudi, completamente nudi, coperti soltanto da un lenzuolino dalla vita in giù. Se la ragazza era nel mondo dei sogni, Kevin era già super sveglio, con un braccio che cingeva le spalle della mia amica e mi fissava con un sorrisetto malizioso stampato in volto. A stento ricollegai il cervello alle altre articolazioni del corpo, portai le mani sugli occhi e mi girai di schiena per non cedere alla tentazione di rivedere i due piccioncini. Perché la tentazione c’era, oh eccome se c’era!
-Scusate, io… non… io non volevo..- provai ad articolare una frase di senso compiuto, ovviamente senza successo.
-Tranquilla, Brina. – mi rassicurò lui, con un tono calmo. Come faceva a non essere in imbarazzo in una situazione del genere?
-Ops…non ti ho detto che Kev rimaneva a dormire qui?- domandò retoricamente lei, stiracchiandosi, leggermente preda del torpore mattutino. La incenerii con lo sguardo e scossi la nuca in segno di diniego.
-Ragazze sapete che ore sono?- chiese Kevin, osservandoci soddisfatto. Io e Lexy scuotemmo la testa e lui ci mostrò con un cenno la sveglia posta sul comodino. Diversi urletti dopo, stavamo correndo per tuta casa a prepararci. A causa dell’ora tarda, saremmo sicuramente arrivate fuori tempo massimo a lavoro.
 
JAMES’POV
Suonai il clacson all’imbecille che avevo davanti e lo incitai a camminare, dato che il semaforo era verde. Era, ormai, tardo pomeriggio e, dopo una giornata in ufficio, non vedevo l’ora di andare al Ryan’s New York per rilassarmi.

Finalmente varcai la soglia del locale e mi diressi a passo spedito da Sabrina. Ancor prima che potesse salutarmi,  poggiai le mie labbra, che ardevano di desiderio, sulle sue. Sentii la sua bocca tendersi e formare il suo grazioso sorriso,  mentre le sue braccia mi circondavano il collo e le mie  andavano a cingerle i fianchi. Il bacio si fece sempre più profondo, almeno finché lei si staccò da me per mancanza di ossigeno e, forse, anche per non dare spettacolo. Per fortuna Brina riusciva a mantenere un certo contegno in pubblico, perché  se non mi avesse fermato, sarei stato capace di prenderla su un tavolo nel bel mezzo della sala.
-Ciao.- esclamò raggiante ad un centimetro del mio viso.
-Ciao.- le risposi. –Non riesco a smettere di baciarti!- le confessai divertito e le dimostrai che le mie non erano parole vane, assolutamente.
-Allora non farlo!- propose con un’alzata di spalle ed una finta espressione pudica, accarezzandomi la base della nuca con le dita, solleticandomi e creando  mille fremiti per tutta la mia schiena.
-Non mi dire così, altrimenti ti salto addosso anche davanti a tutte queste persone e lo facciamo sul bancone!-
-James!- mi rimproverò, scherzando e sgranando gli occhi. Mi  sorrise allegra e mi diede  un lieve pugno sulla spalla. – Da oggi ho capito che, nella vostra famiglia, non avete vergogna a parlare di sesso!-
-Perché?- domandai stranito da tanta scioltezza e pensai a cosa la mia ragazza potesse sottintendere con una frase del genere.
-È una storia lunga! – enunciò, scrollando le spalle per far cadere il discorso.
-No, adesso me lo dici!- insistetti testardo e curioso, arpionandole i fianchi per non permetterle di muoversi e cominciai a farle il solletico quando non volle aprir bocca. Resistette pochi secondi e poi mi rivolse un’occhiataccia stremata.
-Sta mattina sono andata in camera di Alexis e l’ho trovata nuda nel letto con tuo fratello…nudo anche lui!- affermò sbuffando,  alzando gli occhi al cielo e arrossendo inevitabilmente.
-Hai visto mio fratello nudo?- strepitai agitato e con un tono di voce più alto di quanto pensassi, infatti attirammo l’attenzione di vari clienti, soprattutto di una vecchietta poco distante da noi che ci fulminò con lo sguardo. Sabrina le sorrise timidamente, bisbigliando uno “Scusi” appena accennato e ridusse gli occhi a due fessure puntandoli su di me.
-Ssh, stai zitto! Appena sono entrata mi sono coperta gli occhi e poi era nascosto dal lenzuolo!-
-Ah, meno male!- dissi, accompagnando il tutto con un sospiro di sollievo.
-Che c’è? Hai paura che tuo fratello possa superarti per le dimensioni? - mi interrogò di colpo, avvicinando la sua bocca perfetta alla mia, soffiandoci sopra il suo respiro caldo, agognando quel bacio, tuttavia prendendo ancora tempo. Da quando era diventata così intraprendente?
-Piccola, credimi: per le dimensioni sono ineguagliabile! Lo capirai presto!-
-Dio, James!- rise, poggiando la fronte sulla mia clavicola e pizzicandomi il collo con il suo fiato.
Restammo abbracciati un altro po’, almeno finché non arrivò Ryan a reclamare la sua cameriera. Riuscii a spiegare il mio piano ad Alexis prima di andare a casa. Mi feci una doccia e, alle 18.30, mi diressi all’appartamento di Sabrina per preparare per filo e per segno la sorpresa.
 
SABRINA’S POV
Finii il turno alle le sette ed insieme ad Alexis, Kevin ed Amber tornai nella mia dimora. I miei amici erano strani, più del normale: stavano zitti e rispondevano a monosillabi, però non la smettevano un attimo di sorridere. Dopo aver parcheggiato la macchina di Kevin scendemmo  e giungemmo al portone. Non capivo perché Alexis li avesse invitati. Certo, non mi davano fastidio, tuttavia era chiaro che mi stessero nascondendo qualcosa.
Misi un piede fuori dall’ascensore e aprii la porta di casa mia. Feci un segno ai ragazzi alle mie spalle affinché mi seguissero  e mi girai per entrare. Mi tolsi il cappotto nell’ingresso, posai le chiavi sul mobiletto e mi diressi in camera, passando per il salotto. Mi bloccai in un baleno ed emisi un urletto davvero poco maturo, quando scorsi due figure sedute sul divano. Riconobbi James e mi quietai, portando una mano al petto. Lo guardai con uno sguardo smarrito e arrabbiato e volsi gli occhi sull’altra persona. Il cipiglio confuso che avevo in fronte si accentuò ancor di più e le mie sopracciglia si aggrottarono.
- A-Alice?- chiesi allibita, scuotendo la testa e allargando le braccia. –Ma che…-
- Sorellona!- urlò lei,  venendomi in contro e abbracciandomi in stile koala. Barcollai all’indietro e dovetti sorreggermi al muro retrostante per evitare di cadere. – Quanto mi sei mancata!- starnazzò euforica nel mio orecchio, tanto che fui costretta a scostare il capo e sul mio viso si dipinse un’espressione contrariata.
- Alice! Mi sei mancata anche tu!- balbettai sconvolta, ricambiando la sua stretta –Cosa…Come...-
-Adesso ti spiego tutto!- dichiarò, staccandosi dal mio collo e annuendo ripetutamente per dare conferma alle sue parole.
Mi prese per mano e mi trascinò sul sofà correndo. Si fermò velocemente e mi diede una leggera spinta per farmi accomodare. Finii in grembo a James e mi scusai con lo sguardo, mentre lui mi salutò con un bacio accennato. Mi sedetti lì vicino, seguita da mia sorella. Avevo dimenticato la sua irrequietezza e la sua iperattività. Era un surrogato di un tornado! Sul divano opposto si sedettero Lexy e Kev, mentre Amber si posizionò sulla poltrona. Io mi girai leggermente nella direzione di Alice, poggiando la schiena sul petto di James; quest’ultimo incrociò le sue mani sul mio ventre in un leggero abbraccio e poggiò il mento sulla mia spalla, facendo scontrare le sue labbra con la mia guancia.
- Allora...- cominciai, non sapendo bene cosa dire. –Perché sei qui?-
- Semplice: è da più di tre mesi che non ci vediamo, volevo sapere come stavi, mi mancavi e volevo vedere New York. Ah, poi volevo anche conoscere il tuo ragazzo e i tuoi amici.- mi spiegò tranquilla, aiutandosi a segnare ogni punto focale delle sue motivazioni con le dita.
- Okay…- risposi dubbiosa –Come sei venuta fin qui?-
- Con l’aereo! Che domande fai?!- sbottò ridendo Alice e muovendo la mano davanti al viso in un gesto noncurante.
- Ovvio con l’aereo, intendevo… come hai fatto a comprare il biglietto e poi mamma e papà lo sanno?-
- Mamma e papà lo sanno, erano contenti quando gli ho detto che volevo venire da te. Mi hanno fatto milioni di raccomandazioni, ma li ho chiamati appena sono atterrata, così si sono calmati. Per il biglietto… è una storia più lunga. Praticamente la scorsa notte, verso le 4.00 mi è suonato il telefono. Non sapevo chi fosse, era anche un numero che non avevo salvato, così mi sono preoccupata. Però ho risposto. Era il tuo ragazzo, James. Mi ha proposto di venire qui. È stato lui ha pagarmi il biglietto e venirmi a prendere all’aeroporto per portarmi da te.- disse con voce acuta e saltellò sul posto, non riuscendo a stare ferma dalla contentezza. La presi e la costrinsi  a immobilizzarsi.
- James?- esclamai frastornata, pensando di aver capito male data la velocità con la quale aveva parlato.
- Cosa?- replicò disorientato il diretto interessato.  Non aveva capito niente, poiché io e mia sorella avevamo parlato in italiano. Mi girai per fronteggiarlo, sciogliendo la presa delle sue mani sul mio addome.
-Hai comprato il biglietto per Alice?- domandai per conferma, anche se il  luccichio dei suoi occhi aveva appena avvalorato ogni mio dubbio.
- Si.- affermò deciso. Avrei voluto dirgli molte cose, però non riuscii a esternare la miriade di emozioni che stavo provando in quel momento. Ero letteralmente bloccata e, nonostante tentassi di far uscire qualsiasi suono dalla mia gola, annaspavo e tentennavo. Scossi il capo incredula e presi un profondo respiro per fare chiarezza.
-Comunque io sono Alice, la sorella di Sabrina!- annunciò verso i miei amici, in un inglese grammaticalmente perfetto.
- Quanto tempo rimarrai?- le chiesi.
- Una settimana!-
 
Parlammo per un'altra oretta, successivamente decidemmo di ordinare la pizza ad un ristorante italiano. Quando arrivò la nostra cena, apparecchiammo e ci spostammo in cucina. Fermai James per un braccio e lo trattenni lontano dagli altri.
-Grazie.- esalai sincera, cercando di imprimere in quell’unica parola tutta la gratitudine e l’affetto che provavo nei suoi confronti.  Sperai che bastasse per fargli capire quanto era diventato importante per me e che ero ormai innamorata di lui.
Non seppi se ci riuscii, ma dovetti trasmettergli almeno in parte i miei sentimenti, perché qualcosa nel suo sguardo cambiò e si avvicinò cautamente. Si sporse sempre di più, fin quando le nostre labbra si sfiorarono. Poggiò con determinazione e gentilezza la sua bocca sulla mia e avvertii le sue dita stringersi sui miei fianchi, chiudendo gli occhi. Mi avvicinò con urgenza al suo corpo e io afferrai il suo collo, sorreggendomi e alzandomi sulle punte. Capii che le sue braccia erano state create per stringermi. Passò la punta della sua lingua sul mio labbro inferiore e accettai la sua muta richiesta, schiudendo la bocca e accogliendolo dentro di me. Sfogammo la passione che univa le nostre anime, almeno finché non terminammo l’ossigeno a disposizione e dovemmo staccarci. 
Partirono fischi di approvazione da Kevin, un applauso da Lexy e gridolini intervallati a sospiri di ammirazione da parte di Amber ed Alice. Sobbalzai spaventata, tornando violentemente sulla Terra. Sentii le mie guance venire invase da un rosso accesso e volli sprofondare il più in fretta possibile. James, invece, soffocò una risata e mi massaggiò la schiena con movimenti lenti e rilassanti.
- Non ringraziare solo lui! Anche io ho fatto la mia parte!- si agitò Alexis, stizzita –Ho dato a James le chiavi del nostro appartamento così che potesse portare qui tua sorella. È arrivata all’una, non sarebbe stato molto carino farla rimanere in mezzo alla strada.- concluse, intersecando le braccia al petto.
- Certo, amore! Sei stata indispensabile!–la schernì Kevin. In risposta, lei gli regalò un’ occhiataccia, con un sopracciglio alzato. Prima di continuare lo fissò in modo spietato.
- Sta sera vai in bianco!- proseguì la mia amica con sguardo molto serio ed eloquente. Kevin cercò di ritrattare impaurito,  con scarsi risultati. 

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** 18) It is a game for perverts! ***


CAPITOLO 18                        IT IS A GAME FOR PERVERTS!
SABRINA’S POV
Infilai un piede in un paio di jeans neri a vita bassa, ripetei l’operazione  anche per il piede sinistro e, stando in equilibro precario, mi sbilanciai, cadendo rovinosamente sul letto.
-Mhh…- grugnii, soffocando i miei lamenti nel lenzuolo. Piantai le mani sul materasso e mi alzai con le poche forze che avevo.

 Finii di indossare i pantaloni e, quando fui completamente vestita con una maglia rossa che mi lasciva scoperto l’ombelico e delle converse bianche ai piedi, mi diressi in salotto cautamente. Essendo ancora mezza addormentata, lanciavo sbadigli ogni tre secondi a destra e a manca. Normalmente la mattina, quando mi svegliavo presto ed ero costretta a vagare per casa alla ricerca di un’attività da svolgere più interessante che fissare il muro, preferivo uscire e godermi la Grande Mela illuminata solo da qualche tiepido raggio di sole, oppure, come succedeva spesso in quel periodo, semplicemente offuscata dallo smog e dalla pioggia. Fortunatamente, però, in casa non c’eravamo solamente io  e Lexy. Andai di fronte al divano trovando mia sorella beatamente  assopita. La fissai per un tempo indeterminato con un sorriso dolce ad incresparmi le labbra. Dopo vari minuti di contemplazione, mi sedetti su un tavolinetto poco distante dalla televisione. Indecisa, quasi timorosa, per paura di svegliare Alice, allungai e ritirai la mano per poterla accarezzare varie volte. Alla fine, vinta dalla voglia di sentirla più vicina, le sfiorai leggermente, in un tocco fulmineo e lieve, una guancia. Il mio sorriso, se possibile, si allargò ancora di più e gli occhi si inumidirono inevitabilmente. Mi era mancata! In tutto quel tempo non avevo capito quanto e non pensavo che rivederla avrebbe provocato in  me tali emozioni. Allontanai da lei il braccio con cui l’avevo carezzata, le poggiai entrambe sulle mie ginocchia e sospirai. Tentai di gettare fuori tutta l’amarezza, la tristezza e la rassegnazione, che opprimevano il mio petto. Ero pentita di essermene andata senza aver rivolto un saluto ai miei genitori o ai miei amici. Avevo sbagliato e ne ero consapevole, ciò nonostante non avrei mai trovato il coraggio, l’umiltà, per chiedere scusa. L’orgoglio era sempre stato il mio difetto fatale e mi impediva di rimediare ai miei errori. Era un comportamento infantile il mio, eppure non riuscivo a crescere sotto quel punto di vista. Avevo la brutta abitudine di scappare difronte alle difficoltà.

 Spostai lo sguardo da mia sorella su un mobiletto lì vicino. Ero davvero entusiasta di poter trascorrere un po’ di tempo con lei, e grazie a chi? James! Quanto era dolce, mi aveva fatto un regalo stupendo! Dovevo sdebitarmi, però non sapevo come ringraziarlo nella giusta maniera. Magari avrei potuto dirgli qualcosa in più sul mio passato, in fondo lui si era confidato con me, avrei dovuto farlo anche io. Inconsciamente, tuttavia, ero terrorizzata: temevo che, una volta che il mio passato fosse venuto a galla, portando con sé quella terribile verità, dalla quale tentavo incessantemente di fuggire, James se ne sarebbe andato. Lui avrebbe capito ciò che comportava stare con me e, giustamente, avrebbe preso le distanze. Le mie solite insicurezze erano sempre pronte ad inondarmi la testa con le loro continue paure infondate, nate nei meandri del mio cervello.  

-A cosa pensi?- mi chiese d’un tratto spaventandomi, Alice, con voce dormiente. Ero così assorta nei miei pensieri, che non mi accorsi minimamente del suo risveglio, tanto che balzai un poco su me stessa. Per tranquillizzare il mio cuore in tumulto, portai un palmo su di esso. La fulminai con lo sguardo e mi regalò un sorriso delicato, mentre si metteva seduta stiracchiandosi sonoramente.
-Pensavo dormissi!- le rivelai, scuotendo il capo e riacquistando un certo contegno.
-No, in realtà ti osservavo da un po’. Mi sono svegliata e tu eri già qui. Si può sapere a cosa pensi?- mi interrogò, coprendosi maggiormente con la coperta infestata da orsacchiotti celesti su sfondo rosa. Mi fece cenno di sedermi vicino a lei. Non rifiutai la sua offerta e ci avvolgemmo entrambe con il plaid.
-A…niente! Buongiorno comunque, che sbadata non ti ho nemmeno salutata!- affermai, colpendomi la fronte con una mano per ampliare la mia esclamazione e uno sorrisetto tranquillo. Probabilmente mi uscii più una smorfia di assenso. Non volevo dire ad Alice cosa passasse in realtà nella mia mente, non sapevo come spiegarle tutta la faccenda …o forse sapevo tutto, ma non volevo ammettere niente.
-Buongiorno anche  a te! Non cambiare discorso e dimmi a cosa stavi pensando!- rispose.
-Che palle!- sbuffai roteando gli occhi e incrociando le braccia al petto –E’ il secondo giorno che mi vedi e già mi fai l’interrogatorio!- la accusai tentando, invano, di buttarla sul ridere.
-Sabrina! Dimmelo!-
-Okay.- mi arresi, sospirando. Come potevo pensare di eludere le sue pupille accusatorie e curiose? Mi conosceva troppo bene, non avevo nessuna possibilità di scamparla. –Pensavo...è una storia lunga, non puoi capire!-
-Tu spiegamela, poi vediamo se capisco!- esclamò, parlandomi come se fossi una bambina di due anni.
- James lo conobbi circa un mese fa, perché un giorno lo vidi al locale dove lavoro.- iniziai, gravando la nuca sui cuscini. Trovai una posizione comoda e giocherellai con le dita per fare chiarezza. -Prese l’abitudine di venirci spesso. Lo serviva sempre Ryan, perché lui è un grande imprenditore ed il mio superiore non voleva che il bar sfigurasse quando lui era nei paraggi. Un giorno Ryan non era al locale, così lo servii io. Da lì iniziammo a conoscerci….- raccontai brevemente e un sorriso si formò sul mio volto, ripensando ai momenti trascorsi con James. –All’inizio non gli prestavo molta attenzione, ma poi uscimmo insieme una volta. Stava andando tutto bene ed era tutto troppo perfetto, almeno finché la sua segretaria   non mi disse che il giorno prima aveva fatto sesso con James e che lui era solito andare dietro belle ragazze solo per portarsele a letto e mollarle. Non ci parlammo per una settimana, ma alla fine riuscì ad avvicinarmi. Mi spiegò che voleva mettere la testa a posto e voleva che diventassi la sua ragazza a tutti gli effetti. Io gli piaccio e vuole aiutarmi, proprio come io voglio aiutare lui. Dio, è così bello! Quando sto con lui…non facciamo altro che baciarci e baciarci e….insomma è stato merito suo se adesso tu sei qui. Io non ne sapevo niente e lui l’ha fatto per me! Alice sembro una ragazzina in piena crisi ormonale!-
-Dov’è il problema allora? So che c’è qualcosa che non va.- ammise con ovvietà, sforzandosi di arrivare ad una conclusione.
-Ho paura.- gracchiai, afflosciandomi su me stessa e sospirai stanca di mentire             -Paura che James possa stancarsi di me, che possa tradirmi, paura che io non sia abbastanza per lui. Sono terrorizzata da tutta questa situazione.-
-Brina, parla con lui e esterna le tue paure.  Dovrai anche raccontargli la storia di Mattia! Sono abbastanza sicura che lui non sappia ancora la verità.-
-No! Gli ho detto solamente che con lui ho perso la verginità, ma non gli ho detto nient’altro.- dichiarai, abbassando lo sguardo. –Ho paura  che dopo possa fargli schifo stare con me…- sussurrai, avvertendo le lacrime pungermi le palpebre. Mi morsi le labbra rudemente tentando di non far sgorgare le gocce salate sulle mie guance, arrabbiandomi con me stessa per essere troppo debole, per sprecare ancora tempo indugiando su una cosa simile, odiando Mattia per quello che ero diventata a causa sua.
-Non abbatterti in questo modo e, soprattutto, non crearti strane idee sul tuo conto. Quello che è successo è storia vecchia, non è neanche lontanamente paragonabile a James. James non è come lui!- annunciò convinta. Io annuii solamente.
 
JAMES’POV
Notai Amber ridere allegramente con Ryan, non appena misi piede nel locale. Era da un po’ di tempo che quei due non me la raccontavano giusta. Si stavano avvicinando troppo e percepivo lo sguardo perso di entrambi quando i loro occhi si incontravano.  Ma lui non andava bene per lei. Era già un uomo, aveva un lavoro e anche una fidanzata. La mia sorellina era ancora una bambina.

Venni riportato nel mondo reale da un sorriso bellissimo ed un paio di iridi color nocciola che mi stavano fissando. Mi diressi spedito nella sua direzione.
-Ciao!- mi salutò reclamando un bacio,  però la scansai prima che le nostre labbra si toccassero evitando di prendere la via per la tangente e perdere il controllo.
-Come ti sei vestita?- le chiesi brusco, forse troppo, mentre Sabrina mi guardava stranita, afferrandola per le spalle e scuotendola un poco.  
-Cosa?- domandò lei confusa, dimenandosi leggermente per cercare di sfuggire alla mia presa.  
-Come ti sei vestita? Ti sembra questo il modo? Questi bastardi ti stanno mangiando con gli occhi!- rintronai, indicando un po’ di uomini vicino a noi.
-James, abbassa la voce!- mi rimproverò, trascinandomi sul retro del Ryan’s New York. Si sporse oltre la soglia per vedere se qualcuno mi avesse sentito e si calmò osservando tutti i clienti soddisfatti. -James!- mi ammonì Brina, schiaffeggiandomi violentemente la spalla con la sua piccola mano. Non mi fece male, eppure forzai un’espressione contrariata, spaventato dal suo sguardo di fuoco. Forse avevo esagerato un pochino e cercai di rimediare come meglio potevo.
-Questi uomini vogliono portarti al letto!- le confessai, indicando tutta la popolazione maschile in quel locale, eccetto mio fratello. Perfino un bambino sui sette o otto anni rientrò nel gruppo degli imbecilli.
-Ma che dici? Dio, quanto sei geloso!- sogghignò apertamente, beffeggiandosi della mia serietà –Questi poveri sconosciuti non stanno facendo niente. Nessuno mi ha toccata o anche solo sfiorata.- annunciò alzando un sopracciglio, facendomi l’occhiolino e spintonandomi giocosamente.
-Senti, hai ragione. Mi dispiace essermi scaldato così tanto!- esclamai, quietandomi e poggiandole le mani sui fianchi per avvicinarla a me –Scusa, mi mandi in tilt il cervello.- dissi lambendole la bocca dolcemente e carezzando la sua pelle lasciata scoperta dalla maglia. Lei mi circondò il collo con le braccia. Quando il bacio terminò, poggiai la fronte sulla sua clavicola. -Sta sera venite tutti a casa mia. Dico a Maria di cucinare qualcosa e poi giochiamo a carte.- le proposi, posando la mia lingua sulla sua pelle.
-Dobbiamo portare anche mia sorella!- mi ricordò, staccandosi e costringendomi a fare altrettanto controvoglia
-Certo! Poi invitiamo Amber,  Kev , Lexy e Andrew. Che ne dici?-  
-Va bene!-accettò elettrizzata, salvo poi ricordarsi di un’altra persona: -E Gabriel?-
Le spiegai brevemente che il mio migliore amico e il suo ragazzo si erano lasciati per incomprensioni. Gabriel non si era mai integrato nella nostra comitiva e, non avendo un buon motivo per coinvolgerlo, anche noi avevamo iniziato a non trascinarlo nelle nostre attività.

***
 
-Ben tornato James!- mi salutò Maria, scoccandomi un bacio sulla guancia e strizzandomela con due dita, quando varcai la porta della mia villa, con Sabrina ed Alice al seguito.  Pizzicò le mie gote senza farmi male e mi scompigliò i capelli.
-Ciao, Maria!- esclamai, ricambiando il suo gesto con aria sarcastica.
-Oh, che bello rivederti, cara! Come stai?- continuò lei, rivolgendosi alla mia ragazza. Le due si sorrisero e la donna le accarezzò affettuosamente un braccio.
-Bene, grazie. E tu?- replicò, dondolandosi un po’ sui talloni.
Iniziarono a conversare amabilmente e presentai Alice, cingendole le spalle con un braccio. Brina mi rivolse un cenno di ringraziamento, quando non ce n’era nessun bisogno, perché renderla felice era diventato il motivo che mi spingeva ad alzarmi dal letto ogni mattina.
Maria mi aveva visto fin da piccolino e presentarmi davanti a lei con una fidanzata mi metteva a disagio. Non mi vergognavo certo di Sabrina, ma quella situazione era nuova per me. Quando mi chiese delucidazioni riguardo le nostre mani intrecciate, balbettai insicuro su cosa dire.
-Stiamo insieme!- dichiarò lei allegra, gettandomi le braccia al collo di lato e baciandomi una guancia. Tutta la tensione provata prima scomparì in un secondo e mi sciolsi cingendole i fianchi.
-Oh, che bello! Congratulazioni!-
 
Dopo mezz’ora arrivarono i nostri amici. Presentammo Alice ad Andrew e ci sedemmo a tavola, impazienti di gustare ciò le abili mani di Maria avevano preparato.
 
SABRINA’S POV
Avevamo appena finito di mangiare e stavamo decidendo a cosa giocare con le carte. Avevo apposta evitato di indossare vestitini striminziti o maglie scollate, avevo anche avvertito le atre ragazze della mia  idea e, inutile dire, che ne erano rimaste entusiaste.
-Giochiamo a “Strip-poker”?- chiesi euforica, battendo le mani e spronando i tre ragazzi difronte a me.
-No!- gridò, subito, Andrew contrariato, scuotendo la testa verso gli altri due uomini.
-Cos’è?- domandò ingenuamente Kev. Scambiai un’occhiata densa di significati con le mie amiche e sorrisi colpevole in direzione del migliore amico del mio ragazzo.
-Oh… E’ come poker, solo più…divertente!- spiegai con una luce da folle negli occhi e mi morsi il labbro inferiore. Kevin e James erano sempre più interdetti: da una parte c’ero io, con il mio comportamento da matta; dall’altra Andrew, che a stento tratteneva l’irritazione. Infondo era solo un gioco!
-È un gioco per pervertiti!- proseguì lui, voltandosi di spalle per dirigersi verso il divano, tuttavia venne bloccato da Amber, la quale tentennò la testa a destra e sinistra in segno di diniego.
-Praticamente valgono le stesse regole del poker solo che, invece di puntare i soldi, si puntano i vestiti. Se perdi, devi levarti gli indumenti che hai scommesso…Puoi scommettere tutto: pantaloni, scarpe, calzini, bracciali…fino a rimanere nudo!- affermai velocemente con noncuranza. I fratelli Harrison spalancarono le palpebre all’unisono e si scambiarono uno sguardo fugace.
-No!- proruppero insieme, pronti per raggiungere Andrew, il quale, spostando delicatamente Amber, era arrivato sul sofà bianco di James. Lexy fermò Kev e io James, afferrandolo per la vita da dietro e costringendolo a girarsi.  
-Allora facciamo a votazione!- disse Amber.
Dalla mia parte avevo quattro voti favorevoli contro tre. In fondo sapevo che si sarebbero divertiti anche loro e che ci avrebbero ringraziate a fine partita.
-Si gioca!-trillò contenta Lexy, regalando una linguaccia al povero Kevin. Lui alzò gli occhi al cielo e mise le mani nelle tasche, sconfitto.
-Okay… ma ad una condizione!- si arrese James.- Non si può rimanere nudi, solo in biancheria intima. Questo è il massimo! Chi rimane così perde ed esce dal gioco!- concluse, raggiungendo gli altri due sul divano e stravaccandocisi sopra senza cercare di nascondere la stizza.
 In fondo era un giusto compromesso e annuimmo soddisfatte.
***
 
Dopo una mezz’oretta di risate malcelate, insulti benevoli e vestiti sparsi per il pavimento, presi la decisione più sbagliata di tutta la serata: mi voltai per guardare James. Indossava una camicia celeste, i primi tre bottoni erano slacciati e lasciavano intravedere il suo petto marmoreo, i polsini erano piegati fino all’avanbraccio, la cintura dei pantaloni gli fasciava perfettamente il punto vita. Avrei voluto baciare il suo petto, mordere il suo pomo d’Adamo, carezzare il suo collo e marchiarlo con il mio profumo, per far capire a qualunque altra donna che lui era fuori dal mercato. Deglutii sonoramente per scacciare dalla mia mente quelle immagini, prima che un calore molto familiare nascesse dal mio basso ventre. Attirai la sua attenzione, ma tentai di sorridergli. Sulle mie labbra, però, si creò una linea incerta che sembrava affermare: “Ti prego, sposta il tuo sguardo e riprendi la partita!”. Lui non se la bevve, infatti la sua espressione mutò e divenne dubbiosa. Fortunatamente il gioco fu dalla mia parte e James dovette concentrarsi sulle carte.  Sospirai di sollievo e ringraziai quel poker di assi che avevo in mano, poiché mi avrebbe sicuramente salvata nel prossimo giro.
***
Contro le aspettative di tutti vinse Alexis. La fortuna del principiante aveva colpito ancora una volta.  

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** 19) Don't let me go. ***


CAPITOLO 19                                     DON’T LET ME GO
JAMES’POV
Ci alzammo dal letto, ci fissammo contrariati, andammo in cucina e ci sedemmo sul divano, continuando a guardarci senza parole. Ero consapevole di aver sbagliato, perché ciò che avevo fatto non mi faceva onore e, soprattutto, non rendeva giustizia a Sabrina. Mi presi la testa tra le mani e sperai di svegliarmi da quell’incubo il prima possibile. Non riuscivo a liberarmi di quel senso opprimente di nausea, che nasceva proprio nel mio stomaco e mi ricordava incessantemente cosa avevo fatto quella notte. Erano state davvero delle ore buie molto focose e, la sera precedente, mi addormentai sperando di aprire gli occhi l’indomani e scorgere il bellissimo viso della mia ragazza. Ma tutto questo non avvenne, dato che non trascorsi la notte con Brina e, quando spalancai le palpebre, la consapevolezza di ciò che avevo compiuto mi investì come una doccia di acqua ghiacciata in pieno inverno.

Sbuffai frustrato e rivolsi lo sguardo alla fonte della mia irrequietezza. Lui era tranquillo, felice e fiero di se stesso. Non si preoccupava minimamente del mio avvilimento, anzi sembrava prendersi gioco di me. Se ne stava dritto e non voleva saperne di riacquistare un certo contegno.  Il mio amico dei piani bassi, al culmine dell’eccitazione, era accalorato a causa delle mille immagini che ancora mi passavano per il cervello. Avevo sognato le mie mani vagare sul corpo di Sabrina, le nostre anime fondersi, i respiri unirsi, i corpi intrecciarsi, ma come ogni volta, prima di giungere all’apice del piacere, mi ero svegliato sudaticcio e appiccicoso, con la tenda canadese alzata e con il fiatone degno di un maratoneta dopo aver concluso una gara. Mi sentivo come un bambino quattordicenne che scopriva di poter provare emozioni tanto forti e non come l’uomo che ero. Non era giusto neanche nei confronti della mia ragazza. Ero arrivato al punto di sminuirla, concependo con la fantasia la nostra prima volta. Non volevo darle modo di pensare che stessi con lei solo per portarla a letto e accantonarla subito dopo, come tutte le altre. Dovevo pensare razionalmente. Quando eravamo insieme nutrivo il bisogno insistente di baciarla, abbracciarla, osservarla e prenderla sulla prima superficie piana a mia disposizione. La desideravo, la volevo, la amavo? Possibile che io mi fossi innamorato così tanto di una donna in così poco tempo? Possibile che quello che provavo per lei era un sentimento tanto forte da essere definito amore? Provavo quello per lei?

Accantonai i miei pensieri dirigendomi a lavoro. La mattinata fu molto intensa e il pomeriggio non fu da meno. Erano settimane che non mi imbattevo in una giornata lavorativa così dura. Dissi a Sabrina che sarei passato a prenderla alle otto e mezza di quella stessa sera. Ero davvero impaziente di vederla e, dopo un solo giorno senza incontrala, la brama di lei mi spingeva a compire ogni gesto con stizza e fretta, per poter correrle incontro il prima possibile.

 ***
-Lexy!- esclamai rivolto alla ragazza difronte a me, colei situata dopo l’uscio della porta. Mi sporsi in avanti per salutarla, dandole un castissimo bacio sulla guancia.
-Ciao James!- affermò, donandomi una pacca sul braccio. Successivamente mi invitò ad entrare e venimmo raggiunti anche dalla mia ragazza.
-Dolcezza!- la richiamai, andandole incontro e baciandola sulle labbra con un tocco lieve e veloce. Alexis ci osservava impunemente e non volevo dare spettacoli inutili. Solitamente sbandieravo ai quattro venti le mie conquiste, andando ben oltre un innocuo bacetto a stampo. Talvolta anche creando teatrini quasi vietati ai minori, però con Sabrina non sentivo il bisogno di pavoneggiarmi; anzi, probabilmente se lo avessi fatto, mi sarei sentito ridicolo. Non dovevo dimostrare ad altri di aver conquistato una bella donna, dovevo dimostrare a lei che non stava sprecando il suo tempo con me e dovevo tenermela stretta.
-Ciao!- ricambiò lei dopo essersi staccata dalle mie labbra.
 
Salutammo la sua migliore amica ed uscimmo con le mani intrecciate. Appena fuori dalla porta, stando ben attento che fossimo soli e che non ci fossero sguardi indesiderati a gravare su di noi, la tirai delicatamente verso di me dalle dita che le tenevo. Lei si girò spaesata e mi guardò con un grande punto interrogativo sulla fronte. Le sorrisi malizioso e le lambii le labbra con passione e brama finalmente sfogati. Le nostre lingue iniziarono a danzare rincorrendosi, prendendosi, mordendosi, succhiandosi. I miei palmi si poggiarono, quasi autonomamente, come se animati di vita propria, sui suoi fianchi. Lei si mise sulle punte per arrivare alla mia altezza, circondandomi il collo con le braccia. Ci staccammo ansimanti e con il fiatone.
-Wow!- sussurrò ad un centimetro dalla mia bocca, socchiudendo gli occhi ancora appesantiti dall’eccitazione del momento, respirando profondamente per restituire al suo corpo tutto il fiato da me rubatole.
-Non ci siamo visti per tutto il giorno, stavo impazzendo!- dichiarai mellifluamente con un’espressione maliziosa, baciandola di nuovo. Avvertii dei sospiri sommessi e confusi di Brina e quelli mi diedero la voglia di continuare ancora con la mia lenta tortura. Mi spostai sul suo zigomo fino all’orecchio, dove sfiorai con i denti il suo lobo e dovetti trattenermi con tutte le mie forze dal sussurrarle il resoconto dei miei pensieri poco casti. Con uno sforzo immane mi allontanai da lei, un dolore sia psicologico sia fisico: una morsa insistente al petto e, soprattutto, al mio basso ventre, dal quale si stava espandendo un calore famigliare. La vidi, di sfuggita, riaprire gli occhi e scuotere la testa come per scacciare un pensiero. Mi sorrise sincera con le gote colorate di rosso.
 
                                                                    ***
Arrivammo a casa mia e corremmo quasi in cucina. Trovammo apparecchiato per due, con una candela al centro del tavolo ed un mazzo di rose rosse. C’erano un paio di bicchieri di cristallo ed una bottiglia di vino pregiato. In cucina notai un bigliettino sulla penisola:
“James sono andata a casa. La cena è pronta! L’arrosto è nel forno e nel frigo c’è la torta al cioccolato e fragole. Ho già apparecchiato. Sapevo venissi con lei così ho pensato di creare un’atmosfera romantica. Trattala bene e divertitevi. Ci vediamo domani. Maria.”
Lo lessi ad alta voce e, prima ancora di riuscire a posarlo, Sabrina intrecciò le sue braccia sotto le mie; quest’ultime si poggiarono sulle sue spalle racchiudendola in una stretta ferrea e non violenta.

Dopo cena, un’ottima cena, decidemmo di mangiare il dolce sul divano. Feci ridere fino alle lacrime la mia ragazza appena mi vide in una posizione da vero troglodita: con la pancia piena, una mano sullo stomaco, l’altra sul bracciolo del sofà, la testa reclinata all’indietro e le gambe leggermente aperte. Misi un finto broncio, impuntandomi e indignandomi, tuttavia sortii il risultato di farla sbellicare ancora di più. Dopo essersi calmata mi raggiunse e si sedette accanto a me. Calò un’atmosfera tutt’altro che serena e spensierata come cinque secondi prima.  L’aria era carica di tensione. Sapevo che lei avesse ormai capito la mia voglia di passare la notte a rotolarci tra le lenzuola, così come io avevo compreso che non era agitata solo per quello.
 
SABRINA’S POV
Forse per la prima volta da quando ci conoscevamo eravamo in reale imbarazzo. Avevo deciso di parlare a James di Mattia e avevo capito lui volesse che il nostro rapporto raggiungesse ad un nuovo traguardo quella sera stessa.
Come avrei dovuto iniziare?
“James devo dirti una cosa privata prima di fare sesso con te.”? No, non mi sembrava il caso.
 “James prima di saltarci addosso devo farti una confessione.” No, neppure così.
-James…- lo chiamai, attirando la sua attenzione e acquistando una postura un pelino rigida. Stavo cercando di calmarmi, però la mia ansia aumentava a dismisura. Non andava per niente bene, dovevo trovare a tutti i costi una soluzione. Non allungai una mano, non cercai di instaurare alcun tipo di contatto fisico con lui. Rimasi ferma e inflessibile nel mio posto, con il piattino della torta ancora stretto tra le dita. Stavo stritolando quel povero oggetto che se avesse avuto la facoltà di parlare mi avrebbe inveito contro in tutte le lingue del mondo per il dolore. Tremavo per l’agitazione, l’angoscia e la tremenda paura che mi assaliva quando tentavo di ricordare quelle scene.
-Dimmi!- rispose. Si avvicinò maggiormente a me che, presa alla sprovvista, mi allontanai da lui con un balzo all’indietro, giungendo al limite del divano. Mi fissò con espressione dubbiosa, aggrottando fronte e sopracciglia. Gli sorrisi debolmente e respirai a fondo, gonfiando le guance e  inalando nei polmoni quanta più aria possibile.
-Ehm…devo…dirtiunacosa!- buttai fuori tutto d’un fiato, di corsa, tanto che temetti non mi avesse capita.
-Cosa?- domandò stranito, togliendomi il piattino dalle mani che ripresero ad oscillare violentemente. Le intrecciai tra di loro e le adagiai in grembo, stringendo talmente tanto forte che le nocche e i polpastrelli diventarono bianchi.
-Devo dirti una cosa!-affermai, annuendo con il capo a conferma delle mie parole. Riuscii anche a piegare leggermente gli angoli della bocca all’insù. -È una cosa importante…una cosa seria. Riguarda…la mia prima volta.- ammisi a fatica,  sussurrando le ultime parole, dopo aver ricevuto un cenno di assenso da parte sua. Abbassai lo sguardo e non potei osservare la sua reazione.
-Dimmi.- dichiarò, avvicinandosi e prendendomi una mano tra le sue. Forse aveva capito la gravità della situazione dal mio tono brusco e dalla mia espressione tesa e infelice.
-La mia prima volta è stata quando avevo 18 anni, lui si chiamava Mattia e ne aveva 19.- iniziai a raccontare trovando, non so dove, il coraggio e la forza per parlare. Gli strinsi entrambi  i palmi tra i miei, allungandomi verso di lui e depositandogli un bacio sul collo. –Io e Mattia stavamo insieme da due mesi. L’avevo conosciuto ad una festa di una mia amica e lui era invitato, perché era il fratello di questa ragazza. Io non lo conoscevo. Ero stata trascinata a quella festa dalle mie amiche che, dopo la prima mezz’ora, mi avevano abbandonata da sola per trovarsi un tipo con cui appartarsi nei bagni a fare sesso. Stavo al bancone sorseggiando un “Sex on the beach”, quando arrivò  Mattia. Chiacchierammo per un po’.  Dopo la festa, uscimmo varie volte insieme e ci fidanzammo. Ero innamorata e credevo che lui lo fosse di me.- enunciai, avvertendo qualcosa inumidirmi, anzi bagnarmi, le guance.  James prontamente, sfilando la mano da una delle mie, mi asciugò le gocce salate sgorgate dai miei occhi. Io lo ringraziai con un sorriso appena accennato. –Un giorno decisi di saltare scuola ed andare a casa sua per fargli una sorpresa. Suonai il campanello e mi venne ad aprire tutto trafelato dopo minuti interminabili. Quando spalancò la porta era a torso nudo, con i pantaloni sbottonati, i capelli scompigliati e le labbra gonfie. Mi stranii vedendolo così e lui si sorprese per la mia presenza. Rimase  impalato, non accennava a farmi entrare. Poi qualcuno lo chiamò da dentro casa. O meglio, qualcuna. Entrai infuriata non sapendo cosa aspettarmi, puntai dritto verso la sua camera da letto e trovai Antonietta De Rossi, la sgualdrina della scuola, nuda nel suo letto che lo chiamava “Amore”. Litigammo di brutto, non ci parlammo per una settimana, ma me lo ritrovai sotto casa. Ero decisa a chiudere definitivamente con lui, così lo feci entrare. Fu l’errore peggiore che ebbi mai commesso. Era ubriaco fradicio e io non me ne ero accorta, se non prima che mi baciasse con foga e percepii il sapore di alcol. Io ero sola in casa, i miei ed Alice erano usciti a cena fuori con amici. Mi spinse al muro. Io cercai di ritrarmi, ma era più forte di me.- raccontai oramai singhiozzando, inarcando la schiena e chiudendomi a guscio su me stessa col capo chino, stringendo maggiormente la mano di James –Io… non ho potuto… fare niente! Lui era troppo forte… non mi ascoltava….mi… mi ha portata sul divano e…..- tentai di dire, ciò nonostante le lacrime mischiate ai brutti ricordi me lo impedirono. Mi bloccai all’istante e tornai in dietro nel tempo rivivendo il mio passato. Le urla, i pianti, la casa deserta, le preghiere silenziose affinché quella tortura finisse, le mie mani che spasmodiche stringevano la stoffa della maglia. 
-Cosa?- mi spronò il mio ragazzo, avvicinandosi ancora di più. Singhiozzai e, per evitare di riprovare la miriade di sensazioni orribili appena saggiate, osservai il bellissimo volto del ragazzo di fronte a me.
-Lui…quella…è stata la mia prima volta. Io non volevo, lui mi…mi ha violentata e…picchiata molto. Ho dovuto nascondere…i lividi per due settimane.- ammisi infine preda agli spasmi del pianto, rifugiandomi tra le sue braccia. Mi accorsi che era diventato improvvisamente teso, non ricambiò neanche il mio abbraccio. Evitò di stringermi e subì impassibile le mie lacrime sulla sua maglietta.
-Cosa. Ha. Fatto?- ripeté scandendo bene tutte le parole. Mi staccò  da lui, dandomi un leggera spinta e afferrandomi dalle spalle. Sussultai quando vidi i suoi occhi carichi di rabbia, disprezzo e disgusto. Tremai visibilmente, inghiottendo la saliva rumorosamente e scuotendo la testa. Provai a prendergli il viso con le mani, tuttavia lui si scansò prima che potessi riuscire nel mio intento.
-Lui…io….adesso sto bene. Non mi lasciare!- piagnucolai, gettando la testa nell’incavo tra il suo collo e la sua spalle e stringendomi affannosamente con le braccia al suo torace.
-Piccola, non lo farei mai!- rispose. Le sue mani si annodarono intorno alla mia schiena. Strinse forte, ma non mi procurò dolore. Probabilmente perché tra lui e Mattia c’era una colossale differenza. James era buono, vero, gentile, premuroso con me e sapevo che non mi avrebbe mai fatto del male. Mi massaggiò la colonna vertebrale con movimenti lenti e circolari e mi carezzò la nuca.
-Ho pensato che…non mi avresti più voluta, perché…- spiegai, stando ancora accoccolata a lui con il viso schiacciato contro la sua pelle, al punto che la voce uscì stranamente ovattata.
-Non pensarlo mai più. Scusa se ti sono sembrato brusco, ma…questa notizia mi ha un po’ spiazzato. Tu hai denunciato Mattia, vero?-
-Veramente…. no. Io mi  sentivo sporca e…mi vergognavo. È successo solo una volta, poi non l’ho più visto, né sentito. Mi sono chiusa a guscio e…non sono più uscita, non ho avuto più amici o ragazzi per almeno un anno e mezzo. Sono entrata in depressione per un po’. - ammisi stupidamente, tirando poco romanticamente sù col naso e scrollandomi da dosso a lui, per poterlo osservare negli occhi. –E’ una storia vecchia. Ho voluto raccontartela solo perché tu avresti potuto tirarti indietro se lo avresti voluto.-
-Perché avrei dovuto farlo?- domandò stranito.
-Tu puoi sentirti a disagio a stare con me.- dissi risoluta, preparandomi al peggio, e i miei occhi si inumidirono di nuovo.
-No…Piccola, non è stata colpa tua! Sei la creatura più bella sulla faccia del pianeta. Non ti lascerei mai per una cosa del genere. Tu non c’entri niente.- disse, posando un leggero bacio sulla mia fronte. Spinse la mia guancia contro la sua clavicola e poggiò il mento sui miei capelli.- Io… voglio fare l’amore con te.-  esclamò velocemente, stupendomi. Un calore nuovo, sconosciuto, comparve nel mio stomaco e mi infiammò tutto il corpo. Chiusi gli occhi, soppesando le sue parole e la mia decisione.
-Anch’io voglio fare l’amore con te.- asserii convinta, trovando l’audacia di allontanarmi da lui e guardarlo dritto negli occhi. Qualcosa si accese in essi e un sorriso radioso si formò sul suo volto, un attimo prima di avventarsi su di me e baciarmi.
 
Mi prese per i fianchi e mi sollevò di peso. Salimmo le scale e arrivammo boccheggianti alla sua camera da letto. Aprì la porta con un calcio e si diresse spedito verso il materasso. Serrai le palpebre e tentai di scacciare quella lieve patina di timore, che mi aveva assalita quando James si era tuffato su di me. Capii che mi adagiò accuratamente vicino i cuscini e si sdraiò anche lui. Poggiò la mano destra all’altezza del mio capo per sostenersi e puntò le ginocchia al lato del mio bacino per non pesarmi eccessivamente. Con la mano sinistra descrisse il contorno del mio viso, carezzandomi dolcemente la guancia. Intanto le nostre bocche non ne volevano sapere di staccarsi. Le nostre lingue si rincorrevano. Caldo, provavo molto caldo. Un fuoco rovente, ardente, bruciante mi aveva invaso il basso ventre.
 In un momento di lucidità, in cui cercammo di riprendere fiato, James puntò il suo sguardo nel mio. Io sprofondai nel mare dei suoi occhi. Si abbassò per baciare il mio collo più e più volte, rubandomi innumerevoli sospiri. Impunemente il mio bacino si inarcò verso di lui, malgrado cercassi di darmi un contegno. Gli ansimi e i gemiti sconnessi iniziarono ad uscire dalle mie labbra. Continuò il suo flemmatico tormento, scendendo a tartassare la scollatura della mia maglia e giocando con la collana che portavo.
Le sue mani esplorarono tutte le mie bellezze, fino a quando non indugiarono sull’orlo dei miei indumenti. James si staccò un secondo dalla mia pelle e mi guardò per chiedere conferma.
Annuii debolmente e, in un battibaleno, lui sfilò la mia maglietta.   Non mi vergognai di rimanere con un pezzettino si stoffa a coprirmi il petto. Mi baciò la spalla e proseguì verso l’avanbraccio. Risalì per ad arrivare alla spallina destra del mio reggiseno. La prese con i denti e la fece scivolare lentamente, sfilandomela. Ripeté l’operazione dal altro lato e, nel momento in cui passò da una parte all’altra, potei notare il sorriso malizioso che illuminava il suo volto.
Inserì le sue mani tra la mia schiena ed il materasso, sganciando e sfilando di lato il reggiseno. Mi coprii di riflesso il seno nudo, improvvisamente vinta dal pudore. Era in quei momenti che la mia insicurezza mi assillava e mi ossessionava, urlando a squarcia gola nella mia testa.    
-Non ti coprire, sei bellissima!- sussurrò lussurioso al mio orecchio, mordendomi il lobo.
Lasciai che prendesse le mie mani e le spostasse per dedicare tutta la sua attenzione ai miei capezzoli. Io sussultai inevitabilmente a quel contatto così diretto. Continuò il suo supplizio anche quando la mia mente era completamente annebbiata dal piacere. Si poteva morire di desiderio? In quel momento avrei risposto di si. Continuò con la scia di baci verso lo stomaco, poi verso l’ombelico, dove rimase a stuzzicare il piercing.
Con un colpo di reni capovolsi la situazione. Mi misi a cavalcioni su di lui, strusciandomi involontariamente sulla sua erezione evidente, e lo fissai con un sopracciglio alzato. Gemette per il mio tocco e gli sfilai la camicia lasciandolo a torso nudo. Mi chinai a baciarlo sulle labbra con urgenza. Scesi verso il collo, leccai il suo torace e sempre più giù, verso l’addome, dove una leggera peluria prendeva vita e poi spariva sotto l’orlo dei suoi pantaloni.
Gli sbottonai i primi due bottoni dei jeans, quando mi meravigliò rovesciando ancora le posizioni. Sbuffai contrariata, facendolo ridere leggermente sulla mia spalla nuda. Mi tolse i leggins velocemente e acchiappò con i denti l’elastico delle mutante. Le accompagnò nella loro discesa fino a metà coscia, per poi liberarsene con le mani. Si spogliò rapidamente e tornò a stendersi.
 Mi regalò un altro bacio intenso sulle labbra, che valeva più di mille parole. Sentii la sua mano prendere qualcosa da un mobiletto lì vicino. Aprì la bustina metallica, sfilò l’oggetto di lattice su una lunghezza che un po’ mi spaventava e si riposizionò su di me, pronto per continuare ciò che avevamo iniziato.
Se volevo fermarlo quello era l’ultimo momento per farlo, ma non lo feci e lui entrò delicatamente in me. Tutto intorno a noi tacque per interminabili secondi. Nessun rumore, fatta eccezione per i nostri gemiti e sospiri di piacere.
Continuammo a lungo quella danza carnale, scambiandoci carezze e baci su ogni millimetro di pelle, plasmando le nostre labbra e i nostri corpi in un solo ente. Lui gravò la testa sulla mia spalla ; io allacciai le gambe intorno al suo bacino per sentirlo ancora più vicino di quanto già non fosse. Non sapevo più dove iniziasse il mio corpo e dove finisse il suo, eravamo uniti.
 Avvertii le spinte aumentare di profondità ed intensità, fino a quando non raggiunsi la sommità del piacere, subito seguita da lui. Si lasciò cadere sfinito sul mio corpo accaldato ed ancora scosso dagli spasmi. Ripresi aria, respirando a pieni polmoni.
Dopo alcuni minuti, troppo presto a dire la verità,  si tolse il preservativo, che buttò nel cestino accanto al letto, e mi accolse tra le sue braccia, distendendosi nel letto di schiena.  Mi accoccolai sul suo petto, inspirando il suo odore, e mi lasciai cullare dal battito del suo cuore, ancora un po’ accelerato come il mio. Io mi puntellai sui gomiti e lo baciai dolcemente. Lo vidi aprire la bocca in procinto di dire qualcosa, però la richiuse un attimo dopo. Mi sorrise debolmente e capii che qualsiasi cosa avremmo detto sarebbe stata superflua. Non eravamo ancora pronti per esprimere a parole ciò che le nostre anime stavano già gridando.
 Ci addormentammo insieme e felici.
 
JAMES’POV
Avevo fatto, per la prima volta in vita mia, l’amore.  Ero al settimo cielo. C’era solo una piccola faccenda che mi infastidiva: Mattia. Quel bastardo aveva osato illudere, tradire e violentare Sabrina. Una cosa era certa: non l’avrebbe passata liscia! 

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** 20) It's our fault! ***


20) IT'S OUR FAULT!
 
JAMES'POV

-Mhhh…- mugugnai, infastidito da quel leggero contatto. Voltai il capo dall’altro lato e cercai di allontanarmi per sprofondare di nuovo tra le braccia di Morfeo, ma una seconda volta avvertii qualcosa poggiarsi sulle mie labbra in un tocco mellifluo e breve.
Storsi il naso irritato e colsi una lieve e distante risata cristallina allietare il mio risveglio e cullarmi come una carezza delicata. Il mio cervello sembrò accendersi autonomamente e rivissi velocemente tutte le mie avventure delle ultime ventiquattro ore.  Si susseguirono nella mia testa svariate immagini dei nostri corpi intrecciati, della mia bocca vagante sulla sua pelle, delle sue unghie che si conficcavano nella mia schiena, dei nostri respiri smorzati, della bolla di eccitazione nella quale ci eravamo rinchiusi, delle mie braccia che si erano poggiate sulla sua schiena, racchiudendola in una morsa sicura. Cercai di azionare anche i sensi percettivi e mi accorsi di un peso sul fianco sinistro. Spalancai di scatto gli occhi.
-Buongiorno!- mi salutò la mia ragazza, non nascondendo un sorrisetto soddisfatto. Notai che aveva un braccio e parte del busto adagiati al mio petto, una mano abbandonata sulla mia guancia e le gambe intrecciate alle mie. Il contatto diretto tra i nostri corpi mi fece intuire che fossimo entrambi ancora completamente nudi. Anche di prima mattina con i capelli tutti scompigliati, gli occhi mezzi insonnoliti ed i muscoli intorpiditi Sabrina era bellissima.
-Devo dire che questo è veramente un bel risveglio, ma non mi aspetterebbe il bacio del buongiorno?- chiesi retoricamente con voce roca ed insonnolita, reprimendo l’istinto di sbadigliare e faticando per tenere gli occhi aperti. Le circondai la vita e presi ad accarezzarle la schiena verticalmente, agognando quello scontro tra labbra che già mi mancava terribilmente. Lei schiuse la bocca e la adagiò sul mio torace, accarezzandolo con il palmo lentamente, arrivando fino al mio collo. Mi abbandonai al suo tocco, socchiudendo gli occhi sopraffatto dalle sue attenzioni.
-Ah, si?!- domandò fingendosi pensierosa: accostò una mano al mento e aggrottò la fronte.
-Certo, è un diritto!-
-Allora farai meglio a chiamare tua madre per il fantomatico bacio!- continuò stando al gioco, scrollando le spalle e riprendendo a carezzarmi, sta volta con più intraprendenza. Si spostò maggiormente sul mio corpo per approfondire le sue lusinghe fino al mio ombelico.
-Sabrina, stai giocando col fuoco, potresti bruciarti.- dichiarai risoluto, avvicinandomi a lei per congiungere le nostre lingue, vinto dal desiderio irrefrenabile.
-So dominarlo e non mi brucerò. – esclamò sensuale, avvicinandosi al mio viso. Capovolsi le posizioni, ritrovandomi a cavalcioni su di lei e la baciai impaziente. Le presi delicatamente i polsi e li portai sulla sua testa. Si staccò in affanno e mi guardò eloquentemente. Compresi i suoi pensieri senza che lei li tramutasse in parole e mollai le sue mani, per contornarle il viso. Mi concentrai sulla sua clavicola, per poi giocare con la sua femminilità. Aveva un seno proporzionato per la sua statura, con leggere smagliature che avevano segnato il suo passaggio da ragazzina a donna. Tutte le sue imperfezioni erano, per me, i particolari magnifici del suo corpo che la rendevano unica. La sentii fremere e contorcersi verso di me.
***
-Vado un secondo in bagno!- le bisbigliai all’orecchio stando sdraiato vicino a lei, dopo aver fatto l’amore per la seconda volta. Eravamo ancora ansimanti e respiravamo a fatica.
-Vengo con te!- enunciò sicura. Io mi voltai per osservarla, stranito da tanta malizia e sicurezza. Data la mia espressione dubbiosa, lei continuò sorridendo con leggero imbarazzo e stringendosi nelle spalle. –Dobbiamo andare a lavoro. In due la doccia si fa prima, così risparmiamo tempo!-
-Oh, certo. Per risparmiare tempo…- sogghignai divertito e sfrontato, non che la sua idea mi dispiacesse, anzi....
Andammo nel box doccia, dove io aprii l’acqua  regolandola per non far bruciare o gelare Brina. Ci lavammo l’un l’altro. Mi beai della sua ilarità, quando, insaponandola, le toccavo qualche punto in cui soffriva il solletico. Lei mi sfiorò il petto, il torace, la pancia, i muscoli delle braccia e, inaspettatamente, mi strinse leggermente tra le sue dita le natiche. Avrebbe mai smesso di sorprendermi questa ragazza? Io penso di no!

Dopo la doccia ci asciugammo velocemente, ci vestimmo e facemmo colazione. Uscimmo di casa e accompagnai Sabrina al Ryan’s New York.

SABRINA'S POV
Le ore al locale trascorsero velocemente. Verso le tre del pomeriggio arrivarono i fratelli Harrison. Ryan era molto contento. Aveva preso in simpatia Kevin, James e, soprattutto, Amber. Più di qualche volta li avevo scoperti ridere insieme e fiancheggiarsi.
Quando finii il turno decidemmo di andare a casa di James. Lexy e Kev non si unirono a noi, avendo già programmato un’uscita; mentre Alice, Andrew e Amber ci seguirono a ruota.

Passammo prima da casa mia e mi fiondai in bagno. Mi feci una doccia nel minor tempo possibile.   Mi legai un asciugamano al seno, mi spazzolai i capelli, dove applicai successivamente un olio per districare più velocemente i nodi, e gli asciugai con il phon. Corsi in camera per vestirmi, ma trovai James comodamente sdraiato sul mio letto.
-Non capisci proprio che devi restare in sala, eh?- domandai fintamente indignata. Lui alzò un angolo della bocca in un’espressione sfrontata e mi venne incontro.
-Mi annoiavo a sentire i discorsi senza senso delle nostre sorelle, così ho pensato che avresti avuto bisogno di aiuto.- spiegò, gravando le mani sui miei fianchi e avvicinandomi, pericolosamente, a lui. I nostri nasi si sfioravano. Il mio sguardo vacillò, come il mio autocontrollo e tutto il mio corpo.
-Aiuto? Per cosa?- chiesi, riacquistando un po’ di contegno ed alzando il mento in una smorfia altezzosa.
-Per allacciare in reggiseno, o cose di questo tipo…Volevo aiutarti a vestirti, anche se preferisco il contrario.- mormorò ad un centimetro dalla mia pelle. Sentii la punta della sua lingua stuzzicarmi il collo e non potei evitare ad un sospiro estasiato di scappare dalle mie labbra.
-James, faremo tardi.- lo ripresi poco convinta, iniziando a sbottonargli i primi bottoni dalla camicia e scoprendo la sua pelle marmorea.
-Corriamo il rischio…-
Mi baciò intensamente e mi sfilò l’asciugamano, gettandolo ai nostri piedi. Arpionò i miei glutei e… la porta della mia camera si aprì bruscamente.
-Insomma quanto ci metti a…oh, scusate non volevo interrompervi!-  affermò mia sorella rossa in viso e si portò le mani davanti alla bocca.
-Tempismo perfetto!- disse sarcasticamente James, sbuffando ed affondando la testa sulla mia spalla esasperato.
-Fate pure con calma!- asserì Alice, annuendo e chiudendo la porta velocemente.
-Riprendiamo da dove siamo stati interrotti?- chiese speranzoso il mio ragazzo, avvicinandosi e voltandomi con appena due dita la testa nella sua direzione.
-No, James! Se iniziamo non finiremo più! Sei insaziabile.- lo bloccai, alzando gli occhi al cielo e premendo le mie mani sulle sue spalle.
-Va bene!- ammise sconfitto.
***
Arrivammo a casa di James, trovando già fuori Andrew.
-Ragazzi, dove eravate finiti?- domandò, dopo averci salutato e indicando contrariato l’ora che il suo orologio da polso segnava.
-Colpa nostra!- confermò James, alzando le mie e le sue mani in segno di resa e liquidando la questione con un cenno della testa.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** 21) My worst nightmare has come true ***


21) MY WORST NIGHTMARE HAS COME TRUE


SABRINA'S POV
Osservai il cielo tinto di un grigio scuro attraverso la finestra. L’immensa distesa di nuvole presagiva la comparsa di una violenta pioggia. I raggi del sole tentavano di oltrepassare timidi le nubi e alcuni colpivano i candidi cuscini del letto. Notai che uno di essi illuminava il bel volto di James. Lui aveva un braccio mollemente appoggiato sulla mia vita e la testa sopra il mio seno. Potevo sentire il suo respiro rilassato e vedere le sue spalle alzarsi ed abbassarsi ad intervalli regolari. Presi ad accarezzargli i capelli per far passare più velocemente il tempo.

Dopo alcuni minuti, avvertii dei brividi nascere dal fianco ed espandersi per tutto il corpo. Curiosa, abbassai il capo e scorsi la mano del mio ragazzo che si muoveva verticalmente sulla mia pelle. Le sue palpebre, seppur lente, si alzarono lasciando intravedere i diamanti azzurri, quali erano i suoi occhi.
-‘Giorno, piccola.- biascicò, sorridendomi e affondando il viso nell’ incavo tra la mia spalla ed il collo. Faticai persino a capire le sue parole per quanto erano state pronunciate con voce impastata nel sonno.
-Buongiorno!-
-Che ore sono?- domandò, troppo stanco addirittura per alzare semplicemente il capo e controllare di persona l’orario alla sveglia sopra il mobiletto. Gli circondai le spalle con le braccia e vezzeggiai i suoi muscoli intorpiditi.
-Le otto!- risposi, scoccandogli un bacio tra i capelli.
-Potrei abituarmi a tutte queste tue attenzioni.- ammise, apparentemente felice di quel lieto risveglio; ma poi sbuffò, d’un tratto contrariato, come se avesse rammentato un brutto sogno. –Mi mancheranno quando partirai…- confessò, sorprendendomi e facendo incurvare le mie labbra in un sorriso spontaneo.
-Ritornerò, James…- gli ricordai, punzecchiandogli la guancia con un polpastrello.

Tra una settimana sarebbe stato Natale. Per le strade della “Grande Mela” si potevano già ammirare gli addobbi natalizi. Era magnifico! Times Squares era inondata di ghirlande, alberelli, Babbo Natale giganti, stelline….
 Avevo deciso di ritornare in Italia per questa festività. Sarei rimasta nella mia casa a Roma fino al tre gennaio. Avrei passato il capodanno nel mio paese d’origine e rivisto tutti i miei vecchi amici. Ero stata proprio maleducata ad andarmene senza nemmeno salutarli, senza lasciargli un biglietto o un messaggio, senza dire nulla. La sola idea di separarmi dal mio ragazzo mi faceva star male, però non volevo diventare una fidanzatina appiccicosa, così mi limitavo a tenermi tutto dentro cercando di non pensarci. Non era da James avere ragazze sdolcinate, quindi non lo sarei stata!

Carezzai la sua guancia e lo vidi tranquillizzarsi. Sul suo viso si delineò un’espressione davvero calma, che gli avevo visto solo pochi giorni prima. Eravamo in giro per le strade caotiche di New York. Ad un tratto mi portò su una panchina e mi prese le mani tra le sue. Mi abbandonai completamente a lui e, quando non credevo avrebbe mai aperto bocca, iniziò a raccontare della sua amicizia con Andrew.
-Io ed Andrew ci conosciamo da…non ricordo neanche da quanto a dir la verità! Siamo sempre stati ottimi amici e, fin dal primo momento, siamo andati d’accordo. –cominciò con un sorriso radioso sulla bocca e lo sguardo perso nei ricordi. –Da piccoli ne abbiamo combinate di tutti i colori: come quella volta che abbiamo incollato la prof alla sedia, oppure quando abbiamo lanciato un uovo in testa alla ragazza più schizzinosa della classe, o ancora quando ci siamo nascosti nello sgabuzzino della scuola e abbiamo ripreso il preside che se la faceva con una professoressa. Ovviamente il video ha fatto il giro di tutti i cellulari!- continuò. Nella mia mente si susseguirono numerose immagini di due piccoli bambini pestiferi e furbi, di due adolescenti inseparabili e di due uomini stupendi, dal cuore d’oro, che erano stati capaci di accogliermi nelle loro vite, seppur in modi diversi. –Andrew mi è stato vicino durante il periodo peggiore della mia vita: la morte di papà. Senza di lui non sarei riuscito ad andare avanti. Gli voglio bene.- sospirò infine, abbandonando la testa sulla mia spalla e stringendomi forte. Decisi di ricambiare il gesto, confessando a mia volta tutte le amicizie fallite e la mia infelicità in Italia, giungendo finalmente alla stabilità nella Grande Mela.

Ritornai al presente, abbandonando quel pomeriggio di confessioni. Ci preparammo e James si mise alla guida della sua auto.  Nell’abitacolo risuonavano le note di “Wild Child” di Elen Levon.  Arrivai a lavoro e lui sgommò diretto in azienda. La mattinata passò abbastanza in fretta, così come il pomeriggio ed, in men che non si dica, arrivò il momento dello spettacolo. Il locale era in subbuglio e fui vinta da una terribile ansia da palco scenico, che scomparve fortunatamente quando intonai la canzone.
 *** 


La mattina successiva mi svegliai nel mio appartamento in totale solitudine. Alexis era rimasta a dormire da Kevin e io, troppo stanca dopo lo spettacolo, avevo chiesto a James di riaccompagnarmi a casa. Mi alzai, feci colazione e controllai il telefono, accorgendomi di due messaggi del mio ragazzo che non avevo letto:
 
“Buongiorno, dolcezza. Dormito bene? Io una merda senza di te al mio fianco!”
 
“Oggi ti rapisco! Quando sei pronta chiamami che ti vengo a prendere. Rimarrai tutto il giorno a casa con me e domani ti porto a lavoro. Prepara la borsa per dormire qui!”.
 
Risposi immediatamente, con frenesia. Cercai di fare il più in fretta possibile, costringendo le mie dita a pigiare velocemente i tasti:                                    
 
“Giorno, James! Appena sono pronta vengo da te. Kevin dovrebbe riportare Lexy a momenti, mi faccio dare un passaggio da lui.”.

 
JAMES'POV
Dopo aver letto la replica di Sabrina, mi precipitai al computer per svolgere del lavoro arretrato. Controllai l’orologio che avevo al polso e mi meravigliai, comprendendo che era già passata mezz’ora. Decisi di farmi una doccia veloce e, appena uscii dal box, il campanello rimbombò per tutta la casa, spezzando la lieve tranquillità. Mi legai un asciugamano in vita e mi precipitai all’ingresso. Feci scattare la serratura della porta e la aprii.  

Non ebbi tempo neanche di salutare, che venni investito da una criniera di capelli biondi, una nube di fumo e dal sapore inconfondibile di alcol. Lei poggiò violentemente le sue labbra colorate di rosso carminio sulle mie e si mosse su di esse con maestria. Storsi il naso irritato e la sua intraprendenza accentuò maggiormente il mio sdegno. Arpionò i miei palmi e li portò sulle sue natiche. Tentò di slacciarmi l’asciugamano, quando riuscii ad allontanarmi.  
-Nicole, che cazzo fai?- esclamai rabbioso,  strofinando con il dorso della mano la bocca, per togliere ogni residuo di rossetto.
-Capo, ho un’oretta libera!- asserì,  sorreggendosi allo stipite della porta e piegandosi leggermente in avanti in un gesto volontariamente impudico. Accentuò il suo seno prorompente e troppo perfetto per essere vero.   Indossava una mini gonna nera, un paio di calze a rete rotte in alcuni punti, tacchi a spillo e un provocante top rosso. Si avvicinò pericolosamente a me e feci qualche passo indietro impaurito. Non temevo di perdere il controllo, in mente mia c’era solo il bellissimo volto di Sabrina e il suo corpo racchiuso in un intimo succinto.
-Nicole, vai via!- la liquidai, provando a chiuderle la porta in faccia, stringendo forte i pugni per la collera improvvisa che mi aveva assalito.  
-Oh, hai ancora in mente Sabrina? Non te l’ha data? Tranquillo tesoro, te lo succhio così forte che ti scorderai anche il suo nome!- continuò, azzerando la distanza tra di noi e portando le sue braccia intorno al mio collo. Preso alla sprovvista, in un riflesso involontario, portai le dita sui suoi fianchi per sorreggerla ed indietreggiai, entrando in casa.
Puzzava di alcol e fumo, chissà dove era stata durante la notte, in quale letto e con quale uomo se l’era fatta prima di venire a casa mia. Non appena percepii di nuovo le sue labbra lambire avide le mie, mi schifai e la scansai, ma notai un'altra persona osservare quella squallida scena.


SABRINA'S POV
Rivolsi un sorriso di cortesia a Kevin, che mi aveva accompagnata da James, e lo salutai con la mano, scendendo dalla macchina. Quando se ne andò, mi diressi sicura verso la porta e mi stupii nel trovarla stranamente aperta.

Con passo titubante, incerto ed intimorita mi avvicinai di più. Una voragine si aprì al centro del mio petto e sentii mancarmi l’aria per una frazione di secondo. Avvertii il mio cuore frantumarsi in mille pezzi, i quali arrivarono anche allo stomaco, pizzicandolo e provocandomi una potente nausea. Provai l’irrefrenabile voglia di porre fine a tutta la disperazione, che mi aveva assalita scorgendo James quasi nudo avvinghiato ad una donna che non ero io. Riconobbi immediatamente Nicole e, contro la mia volontà, calde lacrime sgorgarono dai miei occhi e inondarono le mie guance.

Riconoscendomi lui se la tolse di dosso e mi fissò sconcertato.  Percepii un formicolio fastidioso alle mani. Le chiusi per porre fine a quel martirio, però non sortii l’effetto desiderato. Vinta dalla stizza, mi accostai a loro e stampai uno schiaffo sonoro sulla guancia della ragazza difronte a me. Il suono dell’incontro brutale tra le nostre pelli si diffuse nell’atrio. Non ero mai stata una tipa violenta, ma in quel momento persi le staffe.
Mi voltai verso James. Lo guardai con disprezzo, odio, ribrezzo, amarezza e tristezza.
-Sabrina posso spiegarti! Non è come pensi!- mi disse, parando le mani in avanti e cercando di afferrare una mia mano. Io lo schivai rapidamente . –Piccola, ti prego! Ascoltami!- proseguì implorandomi con lo sguardo, con due pozze infinitamente angosciate al posto degli occhi. In quel momento non ero affatto lucida: non mi accorsi della sincerità del mio ragazzo, così come non vidi il sorrisetto malefico dipinto sulla faccia di Nicole.
Il peggiore dei miei incubi si era avverato: mi aveva tradita. Da quando andava avanti questa farsa? Da quanto tempo mi tradiva con la sua ex-segretaria? Colei che già aveva messo i bastoni tra le ruote alla nostra storia. Non trovai la forza di porgli tutte queste domande, riuscii solo ad affondare prepotentemente il mio ginocchio nella sua virilità.
-Sei un fottuto bastardo! Non voglio vederti mai più! Stronzo!- affermai, con voce rotta.
Lo vidi accasciarsi a terra per il dolore e ne approfittai per girare i tacchi ed andarmene.
                                      

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** 22) LOVE MAKES US BREAKABLE ***


22) Love makes us breakable. 


SABRINA'SPOV

-Brina, apri immediatamente!-

Udii in lontananza la  voce insolitamente acuta di Alexis, però non ci badai, dato che la mia mente era circondata da una nube di confusione e inondata da ricordi feroci, che dilaniavano il mio cuore. Avevo un’emicrania insopportabile, le guance bruciavano per le troppe lacrime, il respiro era affannato e la vista oscurata a causa delle palpebre chiuse. Non volevo vedere il mondo che mi circondava; preferivo stare rinchiusa nella mia realtà, dove ero avvolta nel buio inespugnabile.

-O apri o butto giù questa porta!-

Sentii Amber urlare contrariata, fluttuando ancora nell’oscurità. Continuarono a gridare e battere pugni sul muro per secondi, minuti, ore…Un tempo indeterminato a cui non ero in grado di donare una durata: non sapevo quando ero entrata in quella stanza e non sapevo quando ne sarei uscita. Avvertivo la stoffa del giubbotto tirare le mie spalle sulla zona in tensione, tuttavia non me ne curai e continuai a piangermi addosso ed oscillare per mancanza di forze. Percepii un sorriso amaro incresparmi le labbra alla consapevolezza della mia testardaggine: io sapevo di non poter cambiare una persona soltanto con le mie forze, eppure per compiacermi avevo provato lo stesso.

-Andatevene!- risposi io, cercando di moderare il tono per non far capire il mio stato d’animo. –Tra un po’ esco!-
-No! Apri, ora!- esclamarono all’unisono.
 
Fuggita da casa di James, avevo chiamato subito Kevin, che avendomi accompagnata dal fratello pochi minuti prima, non era molto distante. Mi riportò nel mio appartamento. Non fece alcun tipo di domande e, anzi, mi accolse con il trucco colato e il corpo scosso dai singhiozzi che non ero riuscita a trattenere. Appena arrivata a destinazione, mi rintanai nel bagno. Da quanto avevo capito, Alice e Kevin stavano in sala, mentre Amber e Lexy tentavano di convincermi a parlare con loro. Le mie amiche mi tartassavano di domande, ciò nonostante per me erano solo un brusio lontano. Non sentivo niente, ero svuotata. Percepivo soltanto le gocce salate che, calde e copiose, mi rigavano il volto. Decisi di lasciarmi andare e sprofondare nei ricordi. Mi afflosciai sulla tazza del water, portai le gambe al petto e mi presi la testa fra le mani. Avevo ancora il mio parka che, nella fretta di stare da sola, non avevo neanche tolto, ed ero ghiacciata. Non capivo più dove iniziassero i brividi di freddo e dove si mescolassero con i brividi causati dagli spasmi dell’angoscia. Ricordai tutti i momenti passati con James: quando mi presentai a lui, il nostro primo appuntamento, le stupide litigate, i baci infuocati, le nostre pelli nude che si toccavano, le bocche che si sfioravano, le mani che si cercavano…

 Venni distratta dal suono del citofono. Dopo pochi istanti, una terza persona accorse in aiuto di Alexis e Amber.
-Sabrina, apri! Posso spiegarti. Non è come pensi tu!- affermò James con il fiatone, spingendo la maniglia per aprirla. Fortunatamente l’avevo chiusa a chiave. Spalancai di  scatto gli occhi abbandonando la mia bolla nera. Dovetti portarmi una mano davanti alla bocca per cercare di alleviare il rumore del pianto, che era diventato insostenibile. Non gli risposi neanche, non  avevo proprio le energie per farlo. – Piccola, ti prego! Ascoltami!-
-James, forse è meglio se vai ora. Quando starà meglio te lo facciamo sapere!- disse Amber. Bisbigliarono un poco e non avvertii ciò che dicevano, poiché le loro parole erano attutite dalla parete che ci separava.     
Continuare con quella sceneggiata mi faceva solo stare peggio. Presi il telefono dalla tasca del giubbotto e mandai un messaggio ad Alice.

“Per favore, mandatelo via! Appena se ne sarà andato, uscirò e vi racconterò ogni cosa! Lo voglio fuori da casa mia!”.
 

Cinque minuti dopo ero in salotto seduta sul divano abbracciata a mia sorella. James era stato trascinato via a forza da Kevin. Amber mi carezzava leggermente la testa e difronte avevamo Alexis. 
-Tesoro, vuoi raccontarci qualcosa?- mi chiese, dolcemente, ad un certo punto Alice. –Non per metterti fretta, ma noi non ci abbiamo capito niente! Cosa è successo tra te e il tuo ragazzo?- proseguì, arrivando dritta al nocciolo della questione.
-Ex! Il mio ex-ragazzo. Io e lui non stiamo più insieme!- precisai, tirando su con il naso e staccandomi leggermente dalla sua spalla. Puntai lo sguardo sulla sua maglietta: era completamente zuppa dei miei lucciconi ed anche  un po’ sporca di mascara sbavato. Non osai immaginare che aspetto avessi in quel momento.
-Cosa?- strepitarono tutte e tre insieme esterrefatte dalla mia decisione, osservandomi con gli occhi fuori dalle orbite.
-Già, volete sapere cosa è successo? Ero andata da lui e mi aveva accompagnata Kev. Ho trovato la porta aperta e ho visto James che baciava Nicole! Quel brutto bastardo mi ha tradito per tutto questo tempo! Mi diceva cose carine, mi prendeva per il culo e poi andava a letto con quella puttana! È uno stronzo. Ma la cosa peggiore, come se non ce ne fossero già abbastanza, è che io mi sono innamorata di lui!- sbraitai, esplodendo; un secondo dopo piansi istericamente e smisuratamente. -  Penserete che io sia soltanto una povera illusa! Lo penso anche io! Dio, come ho fatto ad innamorarmi di lui? James Harrison è il ragazzo più stronzo sulla faccia della terra, ed io sono riuscita a farlo entrare nella mia vita. Credevo di poterlo cambiare! Certo, come no! Gli ho raccontato di tutto, persino di Mattia!- confessai, pestando i piedi sul pavimento in evidente stato confusionale. Il mio corpo era permeato dalla disperazione e dalla tristezza e non riuscivo a concentrarmi su nessun’altra emozione. Notai gli sguardi interdetti di Amber e Lexy. –Mattia è un mio ex. Non ne voglio parlare. Non è importante.-
-Okay, ti sei sfogata! Ora lascia parlare noi.- mi consigliò Alice. Io annuii flebilmente, scacciando stizzita le ultime gocce salate sui miei zigomi .
-Secondo il mio modesto parere c’è un errore, ci deve essere un errore. È impossibile che ti abbai tradita.- proruppe Lexy, alzandosi dal divano e dirigendosi in cucina.
-No, cara. Non è impossibile, è appena successo!- gridai impazzita, voltandomi nella sua direzione e scorgendola intenta a prendere un bicchiere di acqua. Me lo porse e sussurrai un fioco “grazie”.
-Pensaci… –proseguì Amber, provando a farmi ragionare razionalmente –Mio fratello è veramente uno stronzo e puoi dirgli tutto quello che vuoi, non ti dirò che hai torto e non lo difenderò. Però non credo che ti abbia tradita! Prima l’avrebbe fatto senza troppi problemi, ma…è cambiato, lo vedo più maturo ed…. innamorato. L’hai cambiato, Brina.- concluse amabilmente, sorridendomi e alzando un sopracciglio accondiscende.  Alice annuì, evidentemente d’accordo con lei.
-No! Basta, mi ha tradita! Mi aveva invitata a casa sua e poi l’ho trovato in…quelle condizioni!- balbettai furiosa, agitandomi sul posto per non essere ascoltata e sostenuta dalle mie amiche. Non capivo perché non stessero inveendo con me contro James.
-Se ti stesse tradendo, non ti avrebbe invitata a casa sua per poi farsi trovare con le mani nel sacco. Non è così stupido. Con la porta aperta con quella sgualdrina, sapendo che stavi per arrivare!- esclamò Amber leggermente seccata, scuotendo la testa e incenerendomi con lo sguardo.
-Inoltre non credo che se ti avesse tradita gli sarebbe importato così tanto di te. È venuto qui di corsa, aveva i capelli ancora bagnati e sparati in tutte le direzioni! Ha rischiato di prendersi una polmonite solo per spiegarti. Se non gli importasse veramente di te non avrebbe fatto tutto questo. Ti avrebbe semplicemente lasciata andare!- continuò mia sorella. Rivolsi un’occhiata smarrita a Lexy e, stanca di quella situazione snervante, mi appollaiai sul sofà. Chiesi aiuto in una muta richiesta.
-Secondo me dovresti parlargli! Lascialo spiegare! Poi vedrai tu se andare avanti con questa storia o meno!- propose Amber. Le altre due concordarono semplicemente. 


JAMES'POV

-Lasciami andare!- strillai a mia fratello, che tenendomi con tutte le sue forze a pochi passi dal portone di Sabrina, tentava di impedirmi di tornare da lei. Ero inginocchiato sul marciapiede e Kevin mi teneva le mani dietro la schiena. Neanche fossi un carcerato! –Devo andare da lei!- dissi e provai a liberarmi con l’ennesimo strattone. Farfugliavo da alcuni minuti, però lui sembrava irremovibile e non mi permetteva di muovermi.
-Aspetta! Stai calmo! Adesso andiamo in macchina, ti porto a casa e poi mi racconti!-
-No! Devo spiegarle bene cosa è successo!- affermai fuori di testa. Avevo una tremenda paura di aver perso per sempre Brina. Sapevo che lei stava soffrendo e volevo rassicurarla sulla portata dei miei sentimenti. Essere consapevole dei suoi tormenti e non poter far niente, mi faceva sentire impotente e inutile.
-James, per l’amor del cielo! Lasciale sbollire la rabbia, tanto sta sera starà tutto il tempo con Lexy, Alice ed Amber. Domani vi chiarirete ed intanto io e te andiamo a casa, così mi spieghi tutta la storia. Non ci ho capito un emerito cazzo!- riprovò e, a quel punto, mi convinse.
 
Venti minuti dopo eravamo seduti sul divano di casa mia. Mi presi alcune ciocche di capelli tra le mani e le tirai per punirmi, anche se nulla di quella storia era colpa mia. La sola idea delle guance di Sabrina inondate da lucciconi, mi faceva andare in bestia. Kevin stava al mio fianco e, ogni tanto, scambiava sguardi indecifrabili con Andrew, che aveva chiamato appena eravamo saliti in macchina. Necessitavo di consigli di più persone.
-Spiega cosa è successo!- mi spronò Drew, il mio migliore amico dai tempi dell’infanzia.
-Io aspettavo Sabrina, tutto bello contento. Avevo deciso di fare una doccia e, appena uscito dal box, ho sentito il campanello suonare. Convinto che fosse la mia ragazza mi sono coperto solo con un asciugamano in vita e sono andato ad aprire. Non era Sabrina, ma Nicole. Era vestita da sgualdrina…- riassunsi brevemente ed a grandi linee, animandomi e sbracciandomi.
-Che novità!- mi interruppe mio fratello. Io gli regalai uno sguardo di fuoco e, ad un suo segno di scuse, continuai:
-Era vestita da sgualdrina e mi ha baciato. In quel momento è arrivata Sabrina. Ci ha visti abbracciati e con le bocche incollate. Io nudo praticamente e lei quasi! Ammetto che la scena possa sembrare un po’ ambigua, ma io non c’entro niente. Ho subito scansato Nicole, però ormai Sabrina mi aveva visto! Prima di andarsene mi ha stampato un calcio nei gioiellini di famiglia, che dolore! - conclusi con un espressione da cane bastonato. I due si scambiarono un’occhiata furtiva. –Quindi? Cosa faccio? Credo che Sabrina non ne voglia più sapere di me!-
-E allora?- domandò sfacciato Andrew.- Che t’importa?! Peggio per lei. Ritorna il James di una volta. Vatti a vestire, andiamo in un locale e portati a letto un bella cameriera senza pretese! Sabrina è carina, però ricorda che il mare è pieno di pesci!-
-Cosa?- chiesi sconvolto, probabilmente con occhi spiritati. Presi un profondo respiro per evitare di alzarmi e picchiarlo. –Tu non hai capito. Io non voglio portarmi a letto nessuna. Voglio Sabrina!- confessai, stringendo i pugni e osservando mio fratello, che se ne stava in disparte non intromettendosi nel nostro discorso.
-Ma perché ti stai fissando con una sola ragazza quando sai anche tu che puoi averne molte altre?!- mi affrontò sicuro di sé, piegandosi in avanti, poggiando i gomiti sulle ginocchia e osservandomi con il coltello dalla parte del manico.
-Il sesso è bello! È una delle migliori esperienze della vita. Belle ragazze, tette grandi, sederi sodi, orgasmi multipli e così via. L’amore è tutt’altra cosa. È carezze, abbracci, baci, parole dolci. Lo  so, posso sembrarti un povero sfigato verginello che non l’ha ancora mai fatto, ma tu sai che non lo sono! Un po’ di tempo fa la pensavo esattamente come te. Non mi sarei mai complicato la vita in un relazione con una ragazza. Quando fai sesso con una donna e non la ami, è facile essere sicuri di sé. Non ti poni il problema di piacerle. Vederla godere è la conferma che ci sai fare, per questo ti piace. Ma tu prova a fare l’amore con una donna che ami, comprenderai le mie paure. Proverai la tremenda ansia di non essere abbastanza. L’amore ci rende fragili. E sai una cosa? Io preferisco mille volte essere fragile che fare sesso tutte le sante sere!- ammisi, respirando a fatica. Il mio amico mi guardò con superiorità e fremetti in attesa delle sue prossime parole.
-Non sono d’accordo con te. Perché  complicarmi la vita? Per poi finire come te? Seduto su un divano a piangersi addosso per una puttanella come le altre!- esclamò e, ancor prima di terminare la sua frase, strabuzzò gli occhi leggermente intimorito dal mio scotto d’ira: balzai in piedi inferocito, tuttavia Kevin fu subito al mio fianco  e mi trattenne per un braccio.
-Non dire mai più che Sabrina è una puttana! Baciare una ragazza diversa ogni sera, ubriacarti e ballare attaccato a quelle che sai che ci stanno perché anche in un bagno sporco te la danno. Ma un giorno, quando sentirai il bisogno di fare l’albero di Natale con qualcuno, di passeggiare in riva al mare stringendo una mano, e vorrai una donna che sappia amarti troverai solo puttane, perché le ragazze serie  avranno già sposato  un uomo vero!- sputai inviperito, cercando di fuggire da mio fratello. Gli assestai un pugno sulla spalla e vidi un’espressione di fastidio dipingersi sul suo volto, ciò nonostante non mollò la presa, anzi la fortificò maggiormente.
-Pensi di aver trovato questa donna?- mi chiese Andrew, sorridendomi vittorioso e per nulla impaurito dalla mia furia cieca.
-Lo spero tanto. Non posso esserne sicuro, perché non ho certezze del futuro, però di una cosa sono certo: io la amo. In un modo stupendo e come non ho mai amato nessuno!- rivelai sincero, stranito dal suo comportamento bizzarro.
-Allora vedi di riconquistarla!- disse Kevin alle mie spalle, spintonandomi e allontanandomi da lui. Mi voltai di scatto e lo vidi sogghignare con Drew. Quei due stronzi si erano messi d’accordo per farmi esplodere e ci erano anche riusciti! Mi ritrovai a ghignare tra me e me, oramai sicuro di ciò che il mio cuore dettava alla mia anima.


***
SABRINA'S POV
Sbuffai per l’ennesima volta e ruotai sul fianco sinistro, provando di prendere sonno. Era notte fonda e non avevo chiuso occhio neanche per cinque secondi. Non trovavo una posizione sufficientemente comoda per addormentarmi e mi rigiravo tar le coperte ogni minuto. Il cuscino aveva assunto la consistenza di una spugna a causa delle troppe lacrime versate. Ero in ansia per l’incontro con James. Avevo deciso di seguire i consigli delle mie amiche e provare a parlargli. Ero stata molto fredda con lui ed avevo mantenuto un tono neutro, dicendo che ci saremmo visti al locale poco prima delle nove.
I postumi delle ore buie trascorse in preda ai pensieri si fecero vivi la mattina seguente, quando delle orribili occhiaie violacee, dei capelli indomabili, un viso arrossato e un mal di testa atroce si riversarono su di me con una violenza inaudita.
Mi preparai e uscii di casa. Fuori il portone per poco non mi venne un colpo, scorgendo James in tutta la sua bellezza, tranquillamente appoggiato alla sua auto. Emisi un sospiro di frustrazione e un ringhio rabbioso. Decisi di avvicinarmi a lui per chiudere senza troppi indugi la nostra relazione malridotta.
-Dovevamo vederci al locale!- lo rimproverai, lanciando saette dagli occhi e con il fumo che usciva dalle orecchie. Vidi il suo sorriso, che era nato non appena mi aveva vista, affievolirsi e lo sguardo vacillare. Gli giunsi davanti e incrociai le braccia al petto.
-Lo so, però non riuscivo a stare un altro minuto senza la mia ragazza!- proruppe candidamente con la sua solita spavalderia e provò a baciarmi. Mi indispettii all’stante e mi scansai. L’arroganza con cui parlò mi diede la forza di spingerlo il più lontano possibile da me e di scrutarlo con decisione per fargli capire che non era affatto un gioco il nostro.
-La tua ex-ragazza!- precisai sprezzante, invitandolo comunque a dire qualcosa. Volevo solo terminare in fretta quella conversazione e gettarmi alle spalle quella brutta esperienza.
-Sabrina, perché fai così?- annaspò esasperato-  Io non sono andato a letto con Nicole! Ti avevo invitata a casa mia, mi ero fatto  una doccia ed ero appena uscito dal box. Ho sentito suonare il campanello e sono andato ad aprire in quelle condizioni perché pensavo fossi tu, invece ho trovato lei. Mi ha chiesto esplicitamente di fare sesso, lo ammetto. Prima avrei accettato senza indugiare un attimo, ma adesso no! Appena l’ho vista ho pensato a te e ho capito che non ti cambierei neanche con la pornostar più famosa del mondo! Perdonami! Non so esattamente per cosa ti chiedo perdono, in teoria non ho fatto niente. Mi sono ritrovato una battona davanti casa, ma l’ho mandata subito via perché ho già una ragazza stupenda! Io ti amo e non riesco a stare senza di te! Non sopporto l’idea di non svegliarmi con il tuo sorriso ad accogliermi, di non sentire la tua risata, di non toccarti e accarezzarti, di non baciarti, di non poterti vivere come vorrei. Non posso farti uscire dalla mia vita…- esalò, respirando faticosamente. I suoi smeraldi color  acqua-marina persero parte della luce che di solito rischiarava il suo sguardo e mi osservarono incerti e timorosi. La sua bocca tremò leggermente e non con la solita puntigliosità che la animava. James si mosse irrequieto e non con la decisione che lo contraddistingueva. Si avvicinò cautamente a me.
-Io vi ho visti abbracciati e con le bocche incollate!- gli ricordai, abbandonando parte della mia sicurezza. Non pensai neanche per un secondo alle parole che fuoriuscirono dalla mia bocca. Insomma, è clinicamente testato che nelle situazioni in cui non si sa cosa fare, si finisce per dire la frase meno sensata di tutte.
-Si lo so! Lei mi ha baciato e io, non so come, l’ho retta per i fianchi. Ti giuro, è stato  un riflesso involontario, non volevo. L’ho respinta subito! - annunciò, arrivando a sfiorarmi la punta delle scarpe con le sue.
-Io…io…. Insomma….-
-Credimi! Fidati di me!- mi supplicò, sentendo con i polpastrelli la morbidezza della mia guancia. –Ti amo. Non posso costringerti a dimenticare tutta questa faccenda, anche se lo vorrei, ma posso ripeterti all’infinito l’amore che provo per te. Sei la creatura più bella che io abbia mai incontrato e, ti prego, permettimi di amarti e prendermi cura di te e di abbandonarmi a te quando ne avrò bisogno.- concluse, scontrando la fronte con la mia e serrando le palpebre.

Tentò di assaporare come meglio poteva quel momento, forse perché credeva che non ce ne sarebbe stata più occasione, tuttavia capii che non potevo perderlo e rovinare ciò che c’era tra di noi, facendo vincere le mie insicurezze.  Mi fiondai tra le sue braccia e lo baciai, riversando nella sua bocca tutto l’angoscia, la tristezza, la sofferenza, il dolore, che mi avevano dilaniato.  Le nostre lingue giocarono insieme, intrecciai tra le dita delle mani alcune ciocche dei suoi capelli e li tirai lievemente. Lo sentii accennare una lieve risata, che venne subito respinta dalle mie labbra irruente.
Quando udimmo lo schiocco provocato dalla nostra separazione, riprendemmo fiato ansimanti nel mezzo del marciapiede, incuranti dei nivei fiocchi di neve che si posavano sui cappotti, del vento gelido che soffiava tra i capelli. I nostri corpi si incollarono, i nostri sguardi si cercarono, i nostri respiri si fusero.

-Ti amo.- confessai in un sussurro. 

Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** 23) I have a surprise for you! ***


23) I HAVE A SURPRISE FOR YOU


SABRINA'S POV
I miei occhi rimasero incollati all’enorme albero di Natale che si stagliava difronte a me. Le luci intermittenti non annebbiavano la vista, le decorazioni, seppur sfarzose e innumerevoli, non erano eccessive, la stella cometa in alto era enorme e facilmente riconoscibile. Mi guardai intorno e vidi nastri rossi e bianchi, batuffoli di lana  simboleggianti finta neve, renne, elfi e omini di pan di zenzero sparsi per tutta la piazza. Nonostante fosse già passato il 25 Dicembre, quegli addobbi non erano ancora stati tolti. Tutti si godevano ancora gli ultimi giorni di vacanza e si preparavano per accogliere il nuovo anno quella sera stessa.

Le mie gambe camminavano spedite verso la piccola libreria del paese, sperando di trovarla aperta, mentre mia sorella mi seguiva. Tornare in Italia non era stato così traumatico come credevo. Io e Alice eravamo partite da New York insieme. James si era impuntato per volermi accompagnare all’aeroporto ed era stato irremovibile. Ci eravamo abbracciati stretti, sussurrati parole dolci all’orecchio e non ci saremmo staccati se non avessero chiamato il mio volo. Avevo capito che ero diventata importante per lui. Dovevo crederci, volevo crederci! Da quando ci eravamo confessati i nostri sentimenti reciproci, spendevamo i momenti insieme a ripetere di amarci. Stavo così bene, ero così felice, temevo che questa mia allegria sarebbe finita troppo presto. Ero una pessimista cronica, me ne rendevo conto; infatti decisi di non pensarci e di godermi ogni attimo giorno per giorno. Com’è che si dice? Ah si, Carpe Diem! Ecco, avrei colto l’attimo!

Appena io e Alice scendemmo dall’aereo che ci aveva riportate nella nostra patria, scorsi le figure dei miei genitori che ci attendevano agli arrivi. Mi scrutarono a lungo, demolendo ogni piccola scheggia di coraggio che avevo in corpo, mentre erano stretti l’uno all’altra  in un abbraccio. Dopo  interminabili secondi avvertii le braccia della mia genitrice circondarmi il busto. Dovetti fare appello a tutte le mie forze per non scoppiare a piangere sulla spalla della donna stretta a me. Il marito imitò il gesto della moglie e mi stritolò con i suoi bicipiti mascolini.
-Tesoro mio, scusaci…noi non… non ce ne rendevamo conto; non sapevamo di farti soffrire con il nostro affetto celato.- farfugliò mamma – Ti prometto che da ora in poi sarà tutto diverso!- stabilì, affondando ancora la testa nell’incavo del mio collo. Tentai di rassicurarla, tuttavia non una parola riusciva ad uscire dalle mie labbra, strette in una linea dritta senza sentimenti. Analizzai attentamente ciò che mi si stagliava davanti: mia madre indossava un tailleur grigio, mentre mio padre un completo color ratto. Impeccabili e distaccati come sempre. In quel momento compresi di essere molto più simile a loro di quanto credessi: fredda come papà, dato che stavo impalata come una mummia; debole come mamma, che non aveva mai avuto il coraggio di contraddire il suo compagno, sottostando sempre ai suoi voleri, proprio come io non ero mai riuscita a ribellarmi a Mattia. Mi ripromisi che da allora in poi tutto sarebbe cambiato. I miei occhi incrociarono quelli del capo-famiglia e compresi le sue mute scuse. Quando mi resi conto di aver ancora la mia genitrice attaccata al petto le posai un dolce bacio sulla fronte, avvicinai la bocca al suo orecchio  e le sussurrai che avremmo risolto tutti i nostri problemi, che tutto si sarebbe aggiustato, che avremmo recuperato il tempo perduto in quei mesi che ero stata lontana da casa.  
-Allora? Mi aiutate? ‘Sta valigia pesa!- esclamò contrariata mia sorella osservando il nostro quadretto familiare. Mi distolse dalla mia valanga mentale di pensieri e indicò con un cenno della testa il suo bagaglio. Mio padre prontamente la aiutò, ma non prima di aver sospirato con una nota di rassegnazione.

Una mattina, dopo essermi sistemata per bene nella mia vecchia camera, andai un bar vicino alla mia università, che sapevo essere il punto di ritrovo dei miei amici. Entrai nel locale senza attirare l’attenzione, salii su di una sedia al centro della sala e iniziai a parlare ad alta voce:
-Mi scuso con tutti voi. Circa quattro mesi fa, sono andata via dall’Italia. Se qualcuno di voi si è sentito offeso dalla mia partenza improvvisa, lo scongiuro di non sentirsi escluso o cose del genere. È stata una partenza repentina: non ho avvertito nessuno, neanche i  miei famigliari. Un giorno mi sono svegliata e ho preso il primo volo! Se può interessarvi adesso mi sono stabilita a New York e devo dire che è veramente una città stupenda. Mi scuso ancora per non avervi detto niente, spero possiate perdonarmi!-

Dopo il mio brillante discorso mi diressi verso il tavolo dei diretti interessati con un sorriso veramente mortificato stampato in volto. I presenti si scambiarono uno sguardo sbalordito, neanche avessero visto un fantasma, e si alzarono di botto per abbracciarmi. Venni sommersa da gridolini sorpresi e stritolata da braccia forti. Paola Rossi, una ragazza divertente e alla mano, che socializzava con tutti, mi diede un buffetto sul mento. Elisa Ruscitto, sempre in vena di fare battute e lo spirito allegro del gruppo, e Arianna Saccoccio, la ragazza più disponibile e gentile di tutti, mi inondarono l’addome di pizzicotti, facendomi contorcere dalle risate. Eleonora Neri e Federica Conte, le mie amiche più care, compagne di mille avventure, notti trascorse in bianco e ore a commentare il fondo-schiena di qualche ragazzo che ci si parava davanti, fecero commuovere anche me con le loro lacrime. Matteo Giovannoni, classica faccia da casanova, che nascondeva un cuore da cucciolo, Andrea Serra, simpatico e divertente, e Luca Percoco, il povero nerd del gruppo, colui che si ingraziava per copiare la versione di greco, si limitarono a stringermi ai loro toraci. Presi posto vicino a loro e, dopo un’ora di domande incalzati e risposte brevi e coincise, decisi di tornarmene a  casa. Sulla soglia della porta, mi voltai e salutai il proprietario del bar, un uomo bassetto e veramente gentile. Mi conosceva, come conosceva tutti i suoi clienti, specialmente noi studenti che ogni mattina ci ritrovavamo a fare colazione nel suo locale. Soddisfatta e con il cuore più leggero mi incamminai, però mi bloccai quando scorsi un parco con delle panchine. Non ci pensai due volte e mi fiondai su una di esse, incrociando le gambe.  Le mie labbra si incurvarono in una curva gioiosa, che non riuscì a contenere, e scoppiai a ridere in mezzo a quel verde rilassante. Pescai nella mia borsa il telefono con frenesia e, senza pensare, feci partire la chiamata.

-Pronto?- affermò, in un sussurro, con voce rauca ed impastata con il sonno, tanto che faticai a sentirlo io stessa e temetti di aver appena compiuto l’epica figuraccia sbagliando numero, ma il tono basso e sensuale che lo distingueva e che era diventato così intimo per me, mi fece capire che la persona dall’altro capo era proprio il mio ragazzo.
-James, ma dormi?- chiesi incredula, osservando l’orologio che avevo al polso, segnante le dieci passate.
-Piccola, buongiorno! Comunque, se non te ne fossi ricordata, qui c’è il jet- lag!-
-Oddio, scusa. È vero! Scusami, ti ho svegliato! Ci sentiamo dopo!- bofonchiai, cadendo dalle nuvole come una deficiente e, facendo due calcoli, compresi che lì era notte fonda. Mi dispiaceva averlo destato con il suono incessante del telefono. Personalmente odiavo quel rumore insopportabile che mi regalava un senso di ansia assurdo.
-No, no…non vedevo l’ora di sentirti! Dimmi, come va lì?- domandò, appena smisi di chiedergli perdono, bloccandomi un attimo per riprendere fiato.
-James, è tardissimo, ti richiamo dopo!- protestai.
-No, dolcezza. Perché mi avevi chiamato?- continuò incurante delle mie lamentele, sbadigliando.
-Perché è successa una cosa stupenda! Ho rincontrato i miei amici, ho parlato con loro e non mi odiano, James! È bellissimo! Vorrei che tu fossi qui con me!- annunciai entusiasta come una bambina che scarta i regali la sera di Natale, agitandomi lievemente sul posto e alzando un po’ troppo la voce, infatti attirai l’attenzione di una donna con una carrozzina che passeggiava poco lontano da me. Borbottai delle scuse poco comprensibili.
-Lo vorrei anch’io. Tra un po’ staremo insieme!- mi consolò invano. Avvertii il fruscio ovattato delle lenzuola, segno che si era alzato dal letto.
-Mancano ancora 13 giorni!- ricordai mesta, più a me stessa che a lui, puntando lo sguardo sul terreno breccioso sotto di me.
-Non pensarci. Ho una sorpresa per te.- dichiarò contendo. Captai il rumore dell’acqua del lavandino dall’altra parte della cornetta, probabilmente era in bagno o in cucina.
-Che sorpresa?-
-Non posso dirtelo! Ma lo scoprirai presto!- mi rispose vago. Parlammo per un altro po’ di argomenti futili e successivamente ci salutammo. -Ciao, Brina! Ti amo!-
-Ciao, James. Ti amo anch’io! E mi machi!-
 
Trascorsi, infine, il Natale con i miei genitori e Alice e, ad un paio d’ore dalla vigilia di Capodanno, stavo ancora vagando in intimo nella mia camera come una pazza isterica. Tanto per cambiare, ero in ritardo! Dovevo prepararmi per festeggiare il nuovo anno. Insieme alla mia famiglia avevamo deciso di andare in un ristorantino veramente molto carino. Fissai contrariata i miei capelli scuri e inclinai la testa di lato. Dovevo abituarmi a vedermi di nuovo castana: pochi giorni prima avevo deciso di abbandonare il biondo platino con punte fucsia e accogliere a braccia aperte la lucentezza del mio colore naturale. Decisi di domare la massa informe dei miei  ricci, armata di piastra. Completata la mia opera, mi concentrai su uno smookey eyes, ossia un trucco molto scuro, che metteva in risalto la profondità del mio sguardo. Spalancai, poi, le ante dell’armadio e scaraventai tutto il contenuto sul letto. Scavai tra i miei indumenti alla ricerca del vestito perfetto e poi… lo trovai! Un bellissimo tubino rosso, lungo fino alle ginocchia, con un’abbondante apertura sulla schiena. Ai piedi misi le mie fidate Jeffrey Campbell nere ed ero pronta. Tirai un sospiro di sollievo, ma neanche il tempo di rilassarmi un minuto, che sentii il campanello suonare. Uscii dalla mia stanza e vidi mia sorella, avvolta nel suo abito color crema decisamente stupendo. Aveva un sorrisone a trentadue denti in faccia e mi fece segno di andare ad aprire. Non poteva andarci lei? Che sfaticata!




JAMES'POV
Puntai ancora una volta lo sguardo fuori dal finestrino. Scorgere l’immensa distesa di nuvole soffici e candide aveva da sempre avuto l’effetto di un calmante naturale su di me e, mai come in quel momento, avevo bisogno di tranquillizzarmi. Stavo per fare una magnifica sorpresa alla mia ragazza, o almeno speravo! Ero, quindi, agitato per questo motivo, perché non sapevo come avrebbe accolto la mia presenza, se le avrebbe fatto piacere, se io stesso ero pronto a conoscere i suoi genitori. Inoltre, il pianto insistente di un bambino seduto poche file più avanti della mia urtava ancor di più i miei nervi e la mia salute mentale giù precaria. Adoravo i bambini, ma in quel momento volevo solo chiudere gli occhi, sprofondare in un sonno profondo, non pensare a nulla e svegliarmi a Roma. Quando avevo prenotato, non avevo pensato che mi sarei trovato in un aereo pieno di gente. Insomma, era il 30 Dicembre e credevo che la maggior parte delle persone già si trovasse da amici e parenti e non si riducesse come noi a partire un paio di giorni prima del Capodanno. Avere Sabrina poggiata alla mia spalla, che mi carezzava il braccio con noncuranza, come era solita fare, avrebbe di certo aiutato la mia ansia assurda a tornare al suo posto, però al mio fianco avevo solo mio fratello con la sua fidanzata che si scambiavano parole dolci, occhiate ammiccanti e baci sensuali e, per di più, guardarli mi ricordava cosa io non potessi fare in quel momento con la mia donna. Verso metà volo mi distrassi un poco scambiando due chiacchere con Andrew ed Amber.

Finalmente quel viaggio infernale era finito! Mi catapultai fuori dall’aereo velocemente e, senza aspettare gli altri, corsi al ritiro bagagli. Il resto della comitiva arrivò qualche minuto dopo e mi guadagnai sguardi di ammonimento dalla maggior parte di essi. Solo mia sorella sembrava incurante del mio comportamento assolutamente irrispettoso e si mise con le mani sui fianchi ad aspettare la sua valigia rosa con fiorellini fucsia. C’era una sola parola per descriverla: atroce! Tuttavia, Amber era sempre stata un tipetto sopra le righe e la sua borsa si abbinava perfettamente al suo carattere piperino. Quando tutti prendemmo i nostri effetti personali ci dirigemmo al taxi più vicino e ci facemmo scortare in albergo.

Una volta giunti in hotel, ognuno si ritirò nella propria stanza. Io, appena varcata la soglia della mia, mi tuffai sul letto e mi persi tra mille pensieri, fissando il soffitto.
***
Un ultimo rapido controllo alla specchio ed ero pronto. Fui il primo a scendere nella hall e dovetti aspettare gli altri per alcuni minuti che mi parvero infiniti. Controllai ancora una volta il messaggio di Alice con l’indirizzo di casa sua e chiesi informazioni su come arrivarci. Dopo un lesto ringraziamento al tizio della reception, fui investito da un uragano con capelli castani e occhi troppo simili ai miei, che indossava un vestito color acqua marina. Mi circondò il collo con le braccia e mi stritolò in un abbraccio fraterno.
  • Ancora non ci credo! Tra poche ore sarà Capodanno e noi siamo in Italia tutti insieme!- strepitò Amber, urlando nel mio orecchio e rendendomi quasi sordo. La strinsi a me di rimando e la cullai, schioccandole un bacio sulla fronte.
  • Gli altri?- chiesi, voltandomi verso gli ascensori e, non notando nessuna faccia familiare, sbuffai. –Non sopporto i ritardatari!-
  • James, stai calmo! Non siamo in ritardo e Sabrina sarà contentissima di vederti!- mi ammonì, capendo subito il motivo della mia ansia. Mi limitai ad abbassare il capo e annuire con la coda tra le gambe.
Ovviamente gli ultimi a scendere furono Alexis e Kevin. A quel punto avevo capito che non era stata una buona idea metterli in stanza insieme. Esortai tutti a muoversi e li spinsi letteralmente fuori dall’enorme porta a vetri.

Di fronte al portone del palazzo dove abitava la famiglia della mia ragazza, mandai un messaggio ad Alice. Alcuni secondi e la serratura scattò. Feci le scale due a due per arrivare prima e davanti alla porta tirai un sospiro di sollievo. Mi girai, vidi il resto della ciurma dietro di me e suonai il campanello. Avvertii delle voci borbottare qualcosa, poi delle scarpe rumoreggiare e dei passi avvicinarsi. La maniglia si abbassò e l’uscio di aprì, rivelando un paio di tacchi neri e dall’aria non molto comoda, delle lunghe e belle gambe, un vestitino rosso che avvolgeva quel corpo in maniera divina, le spalle coperte da ciocche scure, un  viso a cuore, delle labbra carnose, un naso piccolino e degli occhi profondi e magnetici. Sabrina fece per parlare, però si dipinse sul suo volto un’espressione interrogativa, che venne immediatamente sostituita da una sorpresa e commossa.
  • Surprise!- gridammo noi in coro.
Boccheggiò per alcuni secondi, poi si voltò verso sua sorella, che osservava la scena alle sue spalle.
  • Alice? Che cosa….?- domandò. Anche se aveva parlato in italiano non mi fu difficile comprendere che stesse chiedendo informazioni. Alice fece una smorfia di finta innocenza, così la mia ragazza puntò di nuovo lo sguardo nel mio, sorridendo gioiosamente. –Oddio, che bello! Siete qui!- esclamò, fiondandosi su di me e saltellando allegramente come una bambina.  Io le circondai la schiena con le mie mani e la adagiai al mio petto.
Successivamente salutò i nostri amici e fummo raggiunti da una signora di mezza età e un uomo robusto. Brina ci invitò ad entrare e diedi un celere abbraccio ad Alice, imitato dagli altri.
Ci accomodammo sul divano e, fatte le presentazioni, venni abbandonato alle grinfie dei genitori della mia fidanzata. Sapevo che quel momento prima o poi sarebbe arrivato, ma stavo sudando freddo lo stesso. Gli altri seguirono Alice al piano di sopra, mentre io, Sabrina e i suoi restammo in salotto.
  • Allora…lui è James, il mio ragazzo!- iniziò la mia donna, alzando la testa dalla mia spalla. Non che la sua vicinanza mi dispiacesse, però in quel momento avrei preferito essere a chilometri di distanza da lei se suo padre non mi avesse rivolto occhiate assassine. –James, they are my parents, Lucia and Luca!- continuò poi rivolta a me.
  • Nice to meet you!- dissi, allungando la mano destra come segno di piacere. Purtroppo non conoscevo neanche una parola in italiano, fatta eccezione per il solito “Ciao”. La madre mi strinse la mano dicendo qualcosa in quella lingua a me straniera.
  • Dice che anche per lei è un piacere conoscerti!- tradusse Sabrina.
  • Piacere, James!- esclamò il padre, avvicinando a sua volta le dita. – Visto che non riusciamo a capirci, temo di non poterti fare un bel discorsetto, ragazzo. Ma tu trattala male e mi capirai a modo mio!- proseguì aumentando la presa e facendomi quasi male.
  • Papà!- affermò contrariata Brina, ponendo i suoi palmi sulle nostre mani ancora strette e facendoci staccare.
  • Piccola, cosa ha detto?- chiesi innocentemente, indirizzandogli un’occhiata fugace. Notai, con mio sommo dispiacere, che l’avvocato non aveva ancora abbandonato la sua espressione ostile verso me.
  • Oh, niente. Non preoccuparti!- dichiarò lei con un sorriso tiratissimo in faccia.
  • Tesoro, andiamo a vedere gli altri!- esalò la signora Lucia, tirando delicatamente il marito per un braccio.
 
I coniugi Vacciello  uscirono dalla stanza lasciandoci da soli. Mi voltai immediatamente verso la mia ragazza, intrappolandola subito in un bacio. La sentii sorridere sulla mia bocca e ne approfittai per approfondire il contatto. Le nostre lingue danzarono insieme a lungo, mentre le mie mani si poggiarono sul suo viso fino a chiudersi a coppa sulle sue guance. Lei mi accarezzò i capelli, scompigliandomeli probabilmente, tuttavia in quel momento non me ne importò più di tanto. Percorse con la punta della lingua il mio labbro inferiore e non resistetti all’impulso di baciarla ancora. Quando ci staccammo portai le dita sui suoi fianchi e la attirai verso di me facendo combaciare alla perfezione i nostri corpi.
  • Non puoi nemmeno immaginare quanto mi sei mancata!-  le confessai, strusciando verticalmente il naso sul suo zigomo.
  • Anche tu mi sei mancato!-
 
Ci recammo al ristorante. Un posto veramente carino ed accogliente: piccolino, ma confortante. Feci “amicizia” con Luca e Lucia. O meglio mi intrattenni un po’ con la mamma, sempre con l’intervento delle figlie  per la traduzione, mentre non scambiai neanche una parola con Luca. Per lo meno a fine serata non mi lanciò più occhiate diffidenti e mi diede anche gli auguri per il nuovo anno in modo civile. Durante la cena mangiammo di tutto, in Italia cucinavano veramente molto bene, anche i dolci erano fantastici.   
 In quell’atmosfera rilassata, amichevole e allegra, mi chinai all’orecchio di Sabrina e le chiesi di venire a dormire con me in albergo. 
  • Certo! Speravo me lo chiedessi, perché chi fa sesso a capodanno, fa sesso tutto l’anno!- rispose, bisbigliando  e toccandomi la gamba da sotto il tavolo.  
  • Dolcezza, ti ho proprio rovinata!-
A mezzanotte andammo all’aperto e vedemmo i fuochi d’artificio. Circondai le spalle della mia ragazza con un braccio e mi persi ad ammirare le luci artificiali che si stagliavano in cielo.
 Ci scambiammo tutti gli auguri e brindammo con lo spumante.
  • Auguri, James!- disse Brina, baciandomi una guancia.
  • Auguri, amore!-  

Ritorna all'indice


Capitolo 25
*** 24) Even when you're crying, you're beautiful too ***


24) Even when you're crying, you're beautiful too.


SABRINA'S POV
Mi svegliai infastidita dalla luce accecante provocata da un raggio solare che penetrava della finestra e riscaldava proprio il mio viso. Avevo un mal di testa allucinante e i muscoli tutti intorpiditi. Avvertii un peso all’altezza della vita, così abbassai intrigata lo sguardo e notai il braccio del mio ragazzo malamente appoggiato sul mio fianco. Sorrisi automaticamente, ripensando agli ultimi avvenimenti. James, Amber, Lexy, Kevin ed Andrew mi avevano fatto una sorpresa stupenda ed avevo passato il Capodanno più bello della mia vita! Verso le tre e mezza di notte ci eravamo ritirati in albergo, anche se convincere papà non fu affatto cosa semplice. Il rapporto con mio padre e mia madre sembrava essersi aggiustato del tutto. Avevano finalmente capito che trattarmi con freddezza, allontanarmi e spingermi oltre i miei limiti con metodi poco gentili non era un giusto comportamento da adottare con una persona con un carattere timido, riservato e insicuro come il mio. Capivo che lo avevano fatto per farmi crescere e pretendere sempre il meglio da me stessa, ma non erano stati certo genitori modello i miei. Sicuramente lì fuori c’era moltissima, forse troppa, gente che cresceva i propri figli peggio di come ero stata cresciuta io, però mi ero ripromessa più volte di non assumere certi loro atteggiamenti con la mia futura prole.  Magari avrei anche dovuto ringraziarli perché mi avevano fatto comprendere ciò che era meglio evitare  con i loro sbagli. Inoltre non era stata solo colpa loro: Alice era una ragazza forte, indipendente e sicura di sé. Avevamo ricevuto la stessa ferrea educazione. Ormai non ero neanche arrabbiata, poiché sapevo che non mi avevano causato dolore volontariamente e a volte avevo io stessa ingigantito la situazione. Non ero, comunque,  abituata all’improvvisa gelosia del capo famiglia.
  • Papà, io vado a dormire da James, nella sua stanza d’albergo!- lo informai titubante la sera prima, andandogli vicino, torturandomi con i denti il labbro inferiore, stringendo convulsamente le mani tra di loro e osservando le sue scarpe, dato che non avevo il coraggio di guardarlo negli occhi.
  • Cosa?- esclamò lui contrariato, alzando il tono di voce. –Non se ne parla proprio!-
  • Dai, papà. Lasciala vivere!- enunciò mia sorella accorsa in mio aiuto. –Certo, non dormiranno poi molto, ma non sarebbe la prima volta che fanno quello che hanno intenzione di fare!- continuò poi, guadagnandosi una mia occhiata ammonitrice. In quel momento avrei voluto sotterrarmi e non ritornare alla luce mai più.
  • Appunto. Proprio per questo non vai!- proseguì il mio paparino, annuendo con la testa per donare più enfasi alle sue parole e gesticolando nervoso.
  • Non vorrai farla arrivare vergine al matrimonio, vero? Anche perché penso sia un po’ troppo tardi!- chiarì lei, con un sorrisetto malizioso in volto.
  • Alice!-sbottai esausta. –Così non mi aiuti!-
  • Tesoro, lasciala andare!- mi difese mamma, toccando lievemente la spalla di suo marito.
  • Oh, Lucia. Ti ci metti anche tu ora?- chiese esasperato lui, aprendo le braccia e guardando sua moglie in cerca di un consenso.
  • Papà, ma non succederà niente! L’hai conosciuto James! Non è un maniaco!- protestai, credendo fosse arrivata l’ora di intervenire, altrimenti quella conversazione sarebbe durata in eterno.
Insomma, dopo le mie numerose suppliche, il mio babbo cedette e, arrivata in camera per preparare una borsa con l’occorrente, saltellai al settimo cielo per tutta la stanza.
 Io ed il mio ragazzo eravamo felici, spensierati e sorridenti. Neanche il tempo di chiudere la porta della stanza 265 dell’albergo che James si era appiccicato alle mie labbra.
 
Stando accoccolata tra le sue braccia, poggiai la guancia sul suo petto, mentre lui giocò distrattamente con alcune ciocche dei miei capelli.
  • Ora tocca a te!- esordì ad un certo punto, ridendo lievemente e destandomi dallo stato di dormi-veglia in cui mi trovavo. Mi colse alla sprovvista e temetti di essermi addormentata alcuni minuti perdendomi parte del discorso. Provai a tenere le mie palpebre più aperte possibile, anche se il sonno mi stava azzannando, e mi concentrai.
  • Eh?- fu la mia risposta brillante. Mi puntellai sui gomiti per guardarlo bene in viso ed inclinai il mio capo di lato per prestare maggior attenzione alle sue parole.
  • Io ho conosciuto i tuoi genitori, ora devi conoscere mia madre!- spiegò, sorridendo e continuando  a massaggiarmi la cute con le sue mani. La mia espressione fu un misto tra incredulità, orrore, paura e soggezione, tuttavia lo divertì assai, perché scoppiò a ridere –Dai! Non è un mostro a tre teste. Non fare quella faccia!- cercò di convincermi e addolcirmi, donandomi un bacio sulla guancia.
  • Ehm.. okay.- risposi infine tintinnando e sdraiandomi di nuovo.
 
Fin da piccola avevo pensato a come sarebbe stato conoscere i genitori del mio futuro ragazzo. Da bambina pensavo che non ci sarebbero stati problemi, che nessun’altra fanciulla potesse essere più dolce e buona di me. Ciò nonostante, crescendo avevo cambiato corrente di pensiero, credendo che non mi avrebbero accettata a causa di qualche strano scheletro nel mio armadio, magari poiché una loro lontana parente mi aveva vista lavorare come prostituta ai margini della strada, o bere come se non ci fosse un domani in un bar, oppure andare con tutti i ragazzi possibili ed immaginabili. Tutte cose irreali, ma che avrebbero convinto i miei probabili futuri suoceri.  Speravo che maturando le idee compromettenti mutassero ancora e che forse riacquistassero la positività delle prime. Invece adesso avevo ancora un’altra opzione da aggiungere alla lista: la madre di James non mi avrebbe accettata per suo figlio  per via del mio aspetto e dei miei problemi. Mi avrebbe classificata come una poco di buono e, scoprendo i miei segreti, mi avrebbe allontanata da lui. D’altro canto le mamme hanno un radar anti-bugie incorporato addosso.
 
  • Sai, non le ho mai fatto conoscere nessuna delle mie fidanzate. Tu saresti la prima!- mi confessò lui dopo un eterno silenzio, però avrei preferito non sentir volare una mosca, piuttosto che udire le sue parole.
  • Ah, si?-  piagnucolai tristemente.
  • Si! Ma le piacerai sicuramente! È impossibile non amarti!-
  • Ma quanto siamo sdolcinati!- lo schernì io, recuperando un po’ di buon umore e schiaffeggiandolo lievemente sulla pancia.
  • Colpa tua!- si mise sulla difensiva, sogghignando e stringendomi maggiormente a lui. –Comunque adesso dormiamo. Buonanotte, amore!- affermò e, dopo esserci dati un bacio leggero e pigro, ci addormentammo.
 
La mattina restai a contemplare il soffitto per cinque minuti buoni, a causa del raggio di sole che mi aveva destata. Successivamente tentai di voltarmi verso il mio ragazzo senza svegliarlo. Riuscii nel mio intento, tuttavia spostai accidentalmente le coperte. Cercai di coprirmi come prima poiché eravamo ancora nudi ed io sentivo freddo, però gli diedi una botta sul fianco. Mi immobilizzai all’istante. James mugugnò contrariato come un bambino piccolo e affondò meglio sul mio seno, circondandomi il busto con le braccia, e continuò a dormire beato. Sorrisi tra me e me per la sua reazione e presi ad accarezzargli i capelli. Non so dire con esattezza quanto tempo passò, ma venni distratta da un suo movimento.
  • Buongiorno!- mi salutò con dolcezza, prima di baciarmi castamente, allungandosi leggermente per arrivare alla mia faccia.
  • ‘Giorno, amore!- ricambiai il saluto, dopo esserci staccati. Rivolgermi a lui con quell’appellativo fu più semplice di quanto mi aspettassi. Quella parola scivolò dalle mie labbra con una naturalezza disarmante e avvertii immediatamente un formicolio piacevole nel basso ventre. Sorrisi spontaneamente. -Sta sera c’è una festa a casa di una mia amica. Ci sarà un DJ, musica, alcol e tanto casino, proprio come una discoteca. Vi va di andarci?-
  • Per me non ci sono problemi, poi chiediamo anche agli altri… non ti azzardare a mettere un vestito come quello di ieri sera! Felpa e jeans vanno più che bene!- ragionò tra sé e sé, borbottando vocaboli sconnessi e annuendo alle sue stesse domande.
  • James!- affermai esasperata, spintonandolo un poco e alzandogli il mento con le dita in modo da poterlo fissare negli occhi. La sua espressione stupita diventò seria non appena incontrò i miei occhi socchiusi a fessure.
  • Tu non hai visto ieri sera come ti guardavano gli altri maschietti. Persino un vecchietto non ti toglieva gli occhi di dosso. Cavolo, erano tutti maniaci!- si giustificò agitato, gesticolando nervosamente, e gli scoppiai a ridere in faccia, non riuscendo  a trattenermi. –Sono serio! Non posso lasciarti sola neanche un secondo che qualcuno ti ha già presa di mira. Sei troppo bella!-
  • Finiscila!- lo ammonii rossa in viso, dandogli uno scappellotto sul braccio e nascondendomi sulla sua spalla. –Vuoi continuare così tutto il giorno?-
  • No, ora voglio fare l’amore con la mia ragazza!-
 
Si fiondò sulla mia bocca, non lasciandomi quasi il tempo di metabolizzare ciò che aveva detto. Portai le mani sul suo viso, vezzeggiandogli le gote e avvertii le sue fare lo stesso con i miei seni. Si spostò verso destra, mordendomi la mascella, continuò il suo percorso passando per la guancia, lasciando un ascia umida, e arrivando al mento. Si fermò in questo punto alcuni minuti, baciando la pelle sensibile del mio collo. Morse leggermente un centimetro sotto l’orecchio, quando non riuscii a soffocare un gemito più forte degli agli che si scontrò con la sua fronte. Martoriò la carne delicata del mio labbro inferiore con i denti e mi abbandonai completamente a lui, estraniandomi dal mondo circostante. Stuzzicò, da bravo esperto,  il mio capezzolo sinistro con la lingua, mentre giocava con l’altro con le dita. Ripeté l’operazione nel senso opposto, facendomi fremere di desiderio. Sotto in suo tocco la mia schiena si inarcò automaticamente come per voler approfondire il nostro contatto. Mi sentivo impotente: volevo fargli capire in qualche modo tutto l’amore che provavo per lui, eppure non sapevo come fare. Qualsiasi azione compissi, pensavo non fosse abbastanza per mostrargli la portata dei miei sentimenti. James mi distrasse dai miei dubbi, quando tornò alla mia altezza e mi regalò un altro bacio, lento e sensuale. Sfiorai il suo naso con il mio e lo spinsi delicatamente indietro, gustando ancora il suo sapore sulla mia bocca. Mi guardò spaesato e sconcertato, forse temendo un mio rifiuto, quindi lo tranquillizzai sussurrandogli all’orecchio:
  • Ora tocca a me!-
  • D’accordo, amore. Ma non fare niente che non vuoi fare, non ti obbligo, anzi va benissimo così!-
 
Adoravo questo suo lato carnale e, al tempo stesso, premuroso: stava sempre in allerta, ad ogni mia smorfia di dolore si fermava e mi chiedeva preoccupato la causa, mi conduceva fino al piacere, ma non mi costringeva a compiere nessun gesto contro la mia volontà. Nascondere un sorriso di gratitudine fu davvero difficile, ma decisi di concentrarmi per non commettere qualche errore. Scesi a lambirgli gli addominali sdraiandomi su di lui e  sentendo la sua evidente erezione premere sulla mia coscia.  Alzai un solo istante lo sguardo per vederlo e lo sorpresi intento a fissarmi. Racchiusi la sua virilità tra le mani e iniziai a carezzarlo delicatamente per tutta la sua lunghezza. All’inizio furono tocchi incerti e timorosi, dettati dalla curiosità di tastare la consistenza della pelle in quel punto, però compresi presto di dovermi solo affidare all’istinto. In un primo momento lo sentì sussultare e irrigidire i muscoli, poi si rilassò lasciandosi sfuggire di tanto in tanto qualche ansimo. Dopo alcuni minuti, l’intensità del mio tocco aumentò, mi bloccai sentendo le sue mani afferrarmi le spalle e farmi alzare gentilmente.
-Non voglio venire così!- mi sussurrò, quasi temesse di rovinare quel momento solo nostro; tuttavia non avrebbe mai potuto rovinarlo, perché con lui mi sentivo a mio agio, ero libera di dire e fare ciò che volevo, fermarlo, guidarlo, amarlo senza limiti né costrizioni. – Ora ricambio il favore!- sogghignò maliziosamente, ribaltando le posizioni e sistemandosi tra le mie gambe.
Giunse all’apice della mia femminilità, circondandola con il suo calore. Boccheggiai in cerca d’aria e venni inondata da un fuoco ardente, bollente che mi stava ustionando dall’interno e che era stato appiccato nel mio basso ventre.  Il mio corpo non rispondeva più ai miei comandi: si muoveva autonomamente, piegandosi ad ogni sua mossa. James proseguì il suo supplizio, aiutandosi  con i polpastrelli. Non avevo mai provato emozioni tanto contrastanti: stavo provando dolore per qualcosa che non arrivava, ma non volevo che si fermasse. In un attimo di lucidità, lo interruppi prima dell’imminente esplosione e lui capì all’istante.
Afferrò velocemente un preservativo, lo sfilò attentamente e lo infilò con cura. Mi schiacciò sotto il suo peso e, quando credevo ci saremmo uniti per non separarci molto presto, indugiò, facendomi sbarrare gli occhi. Incurvò un angolo della bocca all’insù e affondò le dita tra i miei capelli. Carezzò la mia nuca, sospirò sulle mie labbra e assaporò quel secondo con tutta la calma del mondo. Puntò i suoi occhi nei miei, fissò le mie pupille, scavando nel profondo della mia anima e, finalmente, scivolò dentro di me. Lo accolsi anche nel mio cuore, dove ormai aveva acquistato un posto speciale. Immerse il viso nell’incavo della mia spalla e voltai il volto a destra per permettere al mio respiro di infrangersi sulla sua tempia.
Quel letto fu teatro della nostra storia d’amore, quella stanza testimone del nostro amplesso.
***
Lexy saltò in braccio a Kevin, Amber emise gridolini striduli, Andrew annuì indifferente, dopo che io e James parlammo loro della festa di quella sera. Ad unanimità decidemmo che saremmo andati e noi ragazze ci catapultammo nella camera della sorella del mio ragazzo per prepararci.
Con mezz’ora di ritardo ci dirigemmo a casa della mia amica. Già da fuori si sentiva la musica  a palla e, avvicinandoci, vedemmo alcune persone nel giardino. Scorgemmo anche Alice parlottare con altre persone. Appena ci vide ci corse incontro, seguita dagli altri ragazzi, che riconobbi essere i miei amici. Per fortuna non fu difficile instaurare una conversazione, dato che tutti masticavano l’inglese.
Passata un’oretta dal nostro arrivo, decidemmo di andare a sgranchirci le gambe facendo due passi in pista. Un paio di balli scatenati e partì una musica lenta e sentimentale. Si diffusero le note di “All of me”, John Legend. Notai Kevin ballare con Alexis e, con mia somma sorpresa, Andrew porgere una mano ad Alice. D’un tratto mi sentii cingere i fianchi da qualcuno. Sobbalzai per la sorpresa, però mi tranquillizzai riconoscendo James. Iniziammo ad ondeggiare su quelle note calme e fiacche,  cullati dalla voce del cantante. Le nostre braccia strinsero i nostri corpi e, mentre lui si abbassò leggermente fino a poggiare il naso sul mio collo, io lo gravai sulla sua clavicola.
- How many times do I have to tell you? Even when you're crying you're beautiful too.- soffiò lui, prima di unire le nostre bocche.


JAMES'POV
  • Piacere, mi chiamo Mattia!-
Mi si gelò il sangue nelle vene.  Non poteva essere lui. Non potevo aver incontrato quel Mattia. Sabrina si era allontanata un attimo e il resto della comitiva mi aveva presentato questo nuovo ragazzo. Mi litai a ricambiare il suo gesto e a rivelargli il mio nome. Alcuni minuti dopo, la mia ragazza tornò e arpionò il mio braccio, sorridendomi spensierata. Mi tranquillizzai e sfiorai con il palmo la sua guancia, tuttavia mi mossi leggermente verso sinistra e  permisi ai suoi occhi di vedere Mattia. Il suo sguardo divenne di ghiaccio e deglutì a vuoto. Tentò di nascondere la sua paura, eppure non poté evitare alla sua voce di tremolare quando lo salutò,  al suo sguardo di vacillare, al suo corpo di cedere. Stava per cadere, però la tenni circondandole con finta noncuranza la vita. Non avevo bisogno di spiegazioni: quel uomo non poteva essere definito tale, quello era il verme che aveva violentato la mia ragazza. Evidentemente era destino che gliela facessi pagare, perché l’avevo incontrato ad una festa casualmente.
Conversai con tutti apparentemente tranquillo, dentro di me covavo vendetta.
A fine serata adocchiai tra la folla lo stronzo, che se ne stava andando con una tipa bionda tutte tette e zero cervello. Dissi a Brina che andavo a prendere qualcosa da bere. Invece, mi diressi nella stessa direzione di quel lurido bastardo e lo vidi intento a salire su di una macchina grigia. Lo fermai in tempo e ragionai solo con la rabbia, la ripugnanza, il disprezzo e l’angoscia che avevo in corpo. 

Ritorna all'indice


Capitolo 26
*** 25) Tonight we'll go to dinner with my mom ***


25) TONIGHT WE'LL GO TO DINNER WITH MY MOM


JAMES'POV
La prima parola che mi venne in mente: buio.
La seconda: dolore.
La terza: confusione.
Mi trovavo steso su una superficie morbida, a giudicare dal tocco era un materasso, avevo le palpebre come incollate tra di loro e non riuscivo ad aprirle. Appunto per questo intorno a me alleggiava il buio più totale. Non ricordavo assolutamente nulla! Cercai di sforzare la memoria, con il solo risultato, però, di aumentare l’intensità dell’emicrania che mi faceva pulsare la testa come se al suo interno ci fosse un martello pneumatico. Quindi cercai di muovere gli arti, per esempio gambe, piedi, mani, braccia… ma ancora non sentivo praticamente niente. Oddio, ero morto? Certo che no: era tutto troppo calmo, tranquillo, noioso! Era come se fossi in un limbo, con la mente annebbiata. Non sapevo spiegarlo: non si sa cosa si provi a passare a miglior vita, però io non mi sentivo esanime. Sapevo di non essere deceduto!
Mi concentrai sull’udito, ciò nonostante  non captai alcun suono. Provai a rilassarmi per vedere se potevo avvertire un rumore o un tocco. Questa volta i miei sforzi fruttarono qualcosa di buono: percepii un peso, una presenza, sulla mia mano sinistra.
Mi costrinsi a rammentare anche un piccolo dettaglio e improvvisamente mi ritornarono in mente tanti piccoli flash: il Capodanno, il Colosseo, piazza di Spagna, la festa e, soprattutto, Mattia. Era stato lui a ridurmi così, ne ero sicuro. Dopo averlo fermato, gli sbarrai la strada. Inizialmente lo vidi sorpreso, comunque sospettai che intuisse già un eventuale confronto.
  • Mattia!- sputai il suo nome, digrignando i denti e sorridendo perversamente. Quel ragazzo, oltre all’odio immenso, suscitava in me anche molta pena.
  • Jamie!- rispose spavaldo, circondando le spalle della donna vicino a lui con un suo braccio, come volesse rinfacciarmi la sua ultima conquista. Povero illuso: questo riuscì soltanto ad incrementare la mia compassione nei suoi confronti. Insomma, per soggiogare una biondina tutte tette e zero cervello non servivano doti particolari, generalmente bastava avere un aggeggio nelle mutante.
  • Mi chiamo James, no Jamie. Bastardo!- dissi. Notai, con mio sommo piacere, che mi capiva alla perfezione, malgrado parlassi solo americano. La tizia al suo fianco, invece, aveva uno sguardo perso. –Manda via la tu amichetta, dobbiamo parlare!-
  • E se io non volessi?- domandò temerario, scuotendo la testa e continuando a baciarla sul collo, sulle labbra, sulla scollatura del vestito, incurante della mia presenza. Lei sghignazzava e tentava di fermarlo, lanciando occhiate impacciate nella mia direzione, improvvisamente vinta da un pudore che contrastava con il suo abito, tanto corto che le copriva appena il sedere.
  • Parleremo davanti alla signorina, lo dicevo solo per evitarti una figura di merda!- continuai. Vidi la sfrontatezza, che lo aveva accompagnato fino a poco prima, scemare pian piano dal suo corpo e abbandonarlo. Borbottò con la sua accompagnatrice, che si allontanò con uno sguardo contrariato.  
  • Allora? Fai veloce che ho altri impegni!- mi spronò lui, alzandosi le maniche della camicia che indossava fino ai gomiti e aggiustandosi il colletto rigido.
  • Sai già perché sono qui: Sabrina mi ha raccontato tutto! -
  • Sabrina? Cosa importa a te di Sabrina? Aspetta…. Adesso te la scopi anche tu?- chiese, ridendo e avvicinandosi a me. Credevo volesse picchiarmi ed ero già pronto per bloccare ogni sua mossa e contraccambiare con la stessa moneta, invece mi diede una pacca sulla spalla ed annuì compiaciuto alle sue stesse parole.
  • È la mia ragazza! Comunque non deve importarti, questo non è imp….- cercai di concludere al più presto la discussione, in modo che potessi tornare alla festa per non far preoccupare la diretta interessata, tuttavia mi interruppe.
  • La tua ragazza? Per favore, puoi dirmelo: è solo una troietta e te la scopi ogni tanto!- esclamò convinto ,sospirando e poggiandosi con una spalla ad un palo poco lontano da lì. Mi sentii posseduto da una strana rabbia e, accecato da questo sentimento, gli sferrai un pugno in pieno viso. Lo vidi barcollare per alcuni secondi, piegandosi leggermente su se stesso a causa del dolore, ma successivamente si riprese e ritornò in posizione eretta -Non ti permettere di chiamarla così, dopo tutto quello che le hai fatto!- proseguii e caricai un altro colpo.
  • Oh, che vuoi che sia! Le ho fatto un favore: me la sono scopata una mezza volta.- affermò, con la voce ovattata per mano che teneva sul viso. Guidato, di nuovo, dall’ira e dalla repulsione che provavo verso quell’individuo, lo ferii un'altra volta. Scorsi chiaramente un rivolo di sangue uscire dal suo naso. Stranamente non mi pentii del mio gesto avventato, anzi lo pestai ancora, tirandogli altri due o tre cazzotti ben assestati. Non ero mai stato un tipo violento: i piedi in testa non me li facevo mettere facilmente, eppure non avevo mai goduto così tanto nel veder soffrire una persona. Mattia provò a proteggersi il volto con le braccia e a rispondere invano ai miei attacchi. Io, però, ero la reincarnazione di una bomba ad orologeria appena esplosa. I suoi assidui gemiti di dolore mi spronarono a scagliarmi contro di lui con più foga.
  • Stronzo, tu l’hai violentata!- dissi, acciuffandolo e bloccandolo tra il mio corpo e il muro.
  • Andiamo! “ Violentata”! Che brutta parola! Okay, l’ho scopata e magari lei, in un primo momento, non voleva; ma poi ha goduto come una puttana!-
  • Bastardo, l’hai tradita e poi violentata quando eri ubriaco!- chiarii, livido in viso per la furia. Le nocchie della mia mano destra si scontrarono brutalmente con la sua faccia, con il busto, con lo stomaco.  Riuscivo solo a pensare alle guance di Sabrina rigate dalle lacrime che scendevano leste dai suoi occhi, mentre mi raccontava la sua storia, ai problemi che aveva dovuto affrontare dopo l’accaduto, alla sua diffidenza e sfiducia verso se stessa. Era tutta colpa di quella mezza cartuccia che stavo picchiando. Inoltre, il suo comportamento non era affatto d’aiuto. Parlava di lei come se fosse una ragazza facile. Sabrina non era questo, era tutto il contrario!
 
Andai avanti bastonandolo  per molto tempo. Nei miei polpastrelli sentivo un prurito fastidioso che potevo lievemente colmare solo sferrando pugni a Mattia. Ad un certo punto si accasciò a terra esausto.
  • Per scatenare in te tutta questa rabbia, penso proprio che deve scopare bene! Quando me la sono trombata io non era poi così brava, deve essere migliorata, facendo molto allenamento!- esalò con un sorrisetto irritante. Aveva un occhio completamente tumefatto, il labbro spaccato, il naso frantumato, e trovava ancora la forza di sparare stronzate.
Ripresi a inveire contro di lui, urlandogli anche contro. Questo, probabilmente, attirò l’attenzione di alcuni ragazzi che passavano lì vicino. Quattro o cinque uomini ci notarono e si avvicinarono all’idiota steso sull’asfalto. Iniziarono  a parlottare  e subito dopo si tuffarono su di me. Tentai di rispondere ad alcuni loro affondi e, cercando di evitare una ginocchiata all’addome, mi girai agilmente, facendo una mezza piroetta a destra, non notando colui che portò in avanti un piede. La punta della sua scarpa si scontrò con il mio tallone, la sua mano con la mia spalla e mi spinse indietro, facendo in modo che perdessi l’equilibrio. Urtai la nuca al marciapiede e venni accecato dalla luce del lampione che illuminava fioca la strada poco trafficata. Uno dei miei assalitori mi sferrò un calcio alle costole e ancora una manata sul volto. Si irradiò nella mia bocca un sapore metallico: sangue.  Intanto, Mattia si sollevò  con l’aiuto di un suo amico. Barcollò verso di me, tenendosi una mano all’altezza della milza.
  • Ho visto che prima parlavi con Matteo.- iniziò, strascicando le parole e facendo fatica a muovere le labbra. -Evidentemente la troia della tua ragazza non ti ha detto che con Matteo ci ha fatto sesso!- si beffeggiò di me, ridendo come meglio poteva, dolore permettendo.
 
Le voci sorprese di Kevin e Andrew e il volto stupito e impaurito di Brina erano le ultime immagini che ricordavo.
 
 
Quando finalmente le mie palpebre decisero di collaborare e di schiudersi, fui costretto a ritornare sui miei passi e a celare alla mia vista il piacere di ammirare ciò che mi circondava. Una morsa lancinante si propagò dalle mie pupille al centro della mia fronte. Feci un secondo tentativo e provai ad abituarmi al bagliore accecante cautamente. Mi trovavo in una camera a me sconosciuta. Le pareti erano lilla, al lato destro c’era una finestra a due ante, da cui proveniva quell’abbacinante chiarore, sui muri erano attaccate moltissime foto, ritraenti due bambine in particolare, che avevano dei tratti conosciuti; davanti a me c’era una tv al plasma, una scrivania con alcuni libri sopra, a sinistra un armadio bianco e un altro letto. Abbassai lo sguardo: seduta su di una sedia e accovacciata sul materasso, c’era Sabrina. Una sua mano fungeva da cuscino per il suo capo e l’altra era poggiata sulla mia, abbandonata sul lenzuolo. Stava dormendo tranquillamente, eppure, come se fossimo collegati, si mosse lentamente, fino a svegliarsi. 
  • James!- esclamò sollevata, buttandomi le braccia al collo. La sentii sospirare sulla mia spalla e avvertii le sue labbra frenetiche lasciare baci roventi sulla mia pelle. Di colpo si staccò violentemente da me, facendomi aggrottare le sopracciglia spaesato.  –Sei un idiota, stupido, cretino, deficiente, stronzo!- sbraitò, alzandosi e traballando per la stanza, gesticolando come un’ossessa.
  •  Potresti spiegarmi cosa è successo?- le domandai sconvolto. Si bloccò immediatamente e si voltò pacatamente verso di me, trucidandomi con un’occhiataccia.
  • Cosa è successo? È successo che tu hai picchiato Mattia alla festa di Arianna. Poi sono arrivati i suoi amichetti e ti hanno restituito il favore. Per fortuna io mi sono stranita non vedendoti più in giro, così ho chiesto qua e là dove potevi essere andato. Luca mi ha detto che ti aveva visto uscire ed io, Kev, Lexy e Drew siamo venuti a cercarti. Ti abbiamo visto mentre ti menavano. Tuo fratello ed Andrew hanno picchiato a loro volta gli amici di Mattia, mentre io e Alexis ti abbiamo soccorso. È arrivato il padre di Arianna che è un dottore e ti ha visitato. Ha detto che non hai lesioni gravi, solo qualche taglio superficiale e ha aggiunto che non c’era bisogno di andare anche all’ospedale, ma che necessitavi soltanto di riposo. Quindi ti abbiamo portato a casa mia, che era la più vicina, mentre gli altri sono andati a riposarsi in albergo.- spiegò velocemente, annuendo di tanto in tanto e ridendo funesta ogni volta che ne aveva l’occasione.
  • Non capisco perché tu sia incazzata con me… mi sono preso tante di quelle botte dal tuo ex per te, per difenderti, e tu hai anche il coraggio di sbraitare contro di me al mio risveglio!- risposi, gridando al tal punto che la gola mi bruciò. Notai il suo sguardo vacillare e l’espressione incupirsi. Abbassò gli occhi e fissò un punto impreciso sulla trapunta del letto.
  • Ti avevo detto di lasciar stare questa faccenda. Non pensavo di trovarlo anche alla festa. Quando me lo sono trovato davanti ho avuto paura che potesse… che potesse costringermi ancora a fare qualcosa che non volevo.- ammise con tono basso e voce rotta, intanto che tentava di asciugarsi con mani tremanti e gesti secchi le lacrime, che copiose avevano iniziato a rigarle le gote. Scosse il capo inorridita da tutto il male che si stava scagliando su di noi.  –Ho avuto paura vedendoti steso per terra, privo di sensi. Non sapevo che fare, avevo il terrore di toccarti e procurarti dolore. Volevo solo che quell’incubo finisse presto per rivederti sorridere. –
  • Tranquilla, amore. Ho agito anche io d’impulso. Da ora in poi però cerchiamo di aprirci di più e di parlare, okay?- sussurrai, fissandola in viso. Lei annui impercettibilmente e io la invitai a sdraiarsi vicino a me. –Allora questa è la tua stanza?-
  • Si…-
  • Per quanto tempo sono svenuto?-
  • Quando ti abbiamo trovato erano circa le due di notte, ti sei svegliato solo ora ed è ormai mezzogiorno. Ti hanno picchiato parecchio. Hai lividi qua e là…- proferii mesta, regalandomi un bacio sulla clavicola.
  • Ma…. Mattia come sta?- chiesi titubante. Insomma lo avevo picchiato e speravo che i miei sforzi non fossero stati inutili.
  • Oh, lui è messo peggio di te: ha il naso rotto, la spalla slogata e lividi ben più evidenti dei tuoi. Non ti denuncerà alla polizia perché gli ho detto che se lo farà lo denuncerò a mia volta per quello che mi ha fatto.-
  • Dovresti denunciarlo lo stesso!- le ricordai, forse un po’ troppo duro. La sentii irrigidirsi e decisi che quello non era il momento adatto per intraprendere una nuova discussione. La tranquillizzai poggiando le mie labbra sulla sua fronte. - Qualcuno si è accorto di qualcosa?-
  • No, no. Andrea, Luca e Matteo hanno spiegato tutto come meglio potevano. Hanno detto che era solo una litigata da poco.- confessò. Non riuscii a impedire ai miei muscoli di rattrappirsi e al  mio cuore di aumentare i battiti. Sabrina se ne rese conto immediatamente, perché si issò dal mio petto e mi osservò in faccia con aria confusa.
  • Ti farò una domanda e tu dovrai essere sincera!- affermai, sedendomi sul bordo del materasso e mettendo un po’ di distanza tra di noi. Ad un suo segno assertivo, continuai: - Mattia mi ha detto che tu e Matteo siete stati a letto insieme. È vero?- pronunciai ogni singola sillaba con uno strano peso allo stomaco e il fiato in gola.  
  • Ah… beh si, abbiamo fatto sesso una volta!- rispose tranquilla, vezzeggiandomi il braccio. – E’ stato due anni fa. Non puoi essere geloso di Matteo!- dichiarò, osservando il cipiglio nervoso che aveva assunto la mia espressione.  Scostai la mano dalla sua presa, incapace di proferire parola. -Siamo solo amici, AMICI! Quando è successo lui era stato appena lasciato da una ragazza, io ero andata a vedere come stava e ci siamo saltati addosso. Solo sesso, niente di più. Né io né lui eravamo impegnati sentimentalmente con qualcun altro. Adesso è felicemente fidanzato con Elisa, l’hai visto anche tu  come si tengono per mano e come stanno sempre appiccicati. James! Anche tu non mi hai detto con quali e quante ragazze sei stato. Non ti ho fatto nessuna scenata, inoltre sai benissimo che mi batteresti di numero!-
 
Aveva maledettamente ragione! Non potevo fargliene una colpa, non mi conosceva neanche quando era capitato. Decisi di metterci una pietra sopra e sperare che quella gelosia che mi stava corrodendo le viscere, prima o poi sarebbe sparita.


SABRINA'S POV
  • Ciao, tesoro. Chiama spesso!-
  • Certo, mamma!-
  • Ciao! Saluta anche Ryan!-
  • Certo, Alice!-
  • Ciao, piccola. Tieni d’occhio James!-
  • Certo, papà!-replicai con fare annoiato alle mille raccomandazioni della mia famiglia. Eravamo all’aeroporto pronti per ritornare a New York e, sebbene non volessi, i miei mi avevano accompagnata con la forza.
  • Si avvisano i gentili passeggieri che il volo 1856, diretto a New York, è in partenza. Per l’imbarco dirigersi al Gate 8.- annunciò la voce metallica dall’auto parlante.
Approfittai della situazione e riuscii a raggiungere gli altri nella folla di persone agitate e scatenate. Una volta a bordo ci sedemmo comodamente nei nostri posti della prima classe.
 
A circa due ore dalla partenza James  si avvicinò al mio orecchio:
  • Amore, ma hai mai fatto sesso sull’ aereo?- domandò, lambendo il  mio lobo e carezzandomi con la mano la coscia. Ritrassi immediatamente la gamba, guardandomi intorno per verificare se qualcuno avesse visto la scena. Fortunatamente tutti sembrano impegnati in un’altra attività: c’era chi guardava il cielo fuori dal finestrino, chi leggeva, chi ascoltava la musica o chi semplicemente dormiva.
  • James! Non voglio fare sesso in un bagno piccolissimo mentre sorvoliamo l’oceano.- ribattei, dando una gomitata al ragazzo seduto di fianco a me.
  • È romantico, invece! Proviamo!- mi esortò.
  • No, ho detto di no!-
  • Dammi una valida giustificazione, almeno!- mi supplicò, come un bambino capriccioso e insolente.
  • Con i vuoti d’aria che probabilmente ci saranno, ti ritroveresti le palle al posto delle tonsille!-
***
Io e Lexy salutammo i nostri rispettivi fidanzati, Andrew ed Amber non appena uscimmo dal John F. Kennedy. Montammo nella sua auto e sferzammo verso casa. Ancora prima di parcheggiare, scorsi una figura familiare, seduta sulle scale del nostro palazzo. Quando mi avvicinai, vidi degli orrendi lucciconi uscire dagli occhi di Ryan e inondare il suo viso. Mi fiondai da lui preoccupata e Alexis iniziò a porgli una serie di quesiti. Capimmo presto che non avrebbe mai confessato la causa del suo supplizio in quel modo e lo invitammo ad entrare. Gli offrimmo una tazza di  cioccolata calda e ci sedemmo sul divano. Grazie ad un resoconto rapido e coinciso, venimmo a conoscenza di verità inattese: Allyson aveva tradito il nostro capo con Jacob, migliore amico di quest’ultimo. Non era neanche la prima volta: era successa la stessa cosa con il personal trainer, un certo George, due anni prima.
Io e Lexy rimanemmo sbalordite e non potemmo far nient’altro se non scambiarci un’occhiata sconcertata. Lei si recò nella sua stanza e io rimasi con Ryan, che aveva affondato il volto nelle mani. Gli strinsi la spalla e lui sospirò pesantemente.
- Lo sai qual è l’unica cosa a cui riesco a pensare adesso?- chiesi retoricamente. - Amber... Adesso sei ufficialmente libero! Puoi provarci tranquillamente con Amber! E non negare: si vede lontano un miglio che vi piacete! Sareste una bella coppia!- gli confidai allegra, chinandomi in avanti per abbracciarlo.
- Sono troppo grande per lei e i suoi fratelli mi detestano!- piagnucolò, ricambiando la stretta.
- Ma che dici? Vi portate sei anni di differenza! Lei ne ha 18 e tu 24! Non sono poi così tanti. Con James e Kevin ci parlo io e poi non è vero che ti detestano, è solo che è la loro sorellina, è normale! Provaci e stai zitto! Vedrai che Amber sarà felicissima a sapere che tu e quella troia vi siete lasciati!-
***
-Amber!- esclamai entusiasta, scrutandola varcare la soglia del locale e venirmi incontro, raggiante come sempre, accompagnata da James.
  • Ciao, cognata!-  mi salutò rapida, dirigendosi al bancone per conversare con Ryan.  
 
  • Ho una notizia stupenda!- mi informò il mio ragazzo, felice come una pasqua, donandomi un bacio sul naso. -Sta sera io e te andiamo a cena da mia mamma. -
 
Oh, cacchio!

Ritorna all'indice


Capitolo 27
*** 26) Stop thinking you're a burden to people. ***


26) Stop thinking you're a burden to people. 


SABRINA'S POV
  • Sta sera io e te andiamo a cena da mia mamma!-
  • C-cosa?- balbettai, credendo di aver sentito male, strabuzzando gli occhi ed allontanandomi leggermente da James con una lieve pressione sulle sue spalle. Scossi la testa freneticamente  e iniziai a sudare freddo. Fui dominata da un’improvvisa voglia di fuggire da qualsiasi parte, purché lontano da quel posto.
  • Sta sera andiamo a cena da mia mamma…- ripeté lentamente, troppo lentamente. Corrugò la fronte e mi fissò in attesa che capissi una semplice frase. L’ansia che montava dentro di me, la brusca agitazione e il nervosismo mi fecero esplodere e, con uno spintone non molto delicato, lo separai definitivamente da me. Avvertii le lacrime pungermi gli occhi pronte per uscire, tuttavia tentai di ricacciarle indietro.
  • Ma… cioè…. Io… e tu… insomma…- non riuscivo neppure ad articolare una proposizione di senso compiuto e, probabilmente, avevo lo sguardo perso nel vuoto, mentre tartagliavo parole sconnesse tra di loro e gesticolavo velocemente con voce incrinata.
  • Ehi! Tranquilla! Non agitarti.- sussurrò il mio ragazzo, abbracciandomi di nuovo, carezzandomi le braccia e facendomi poggiare il capo sulla sua clavicola. –Ho pensato che fosse un’idea carina, ma se non vuoi non fa niente!- continuò. Certo, come potevo dirgli di annullare tutto? Lui aveva già conosciuto i  miei genitori senza troppe storie, la solita complessata ero io. Inoltre aveva, sicuramente, avvertito la sua genitrice e avrei fatto una pessima figura, rifiutandomi di conoscerla.
  • No… no, è che mi hai preso in contropiede! Okay, sta sera conoscerò tua madre!- replicai in uno stato di catalessi, annuendo e sospirando.
 Trascorsi il resto del pomeriggio su un altro pianeta. Sbagliai innumerevoli volte le portate, i tavoli e perfino i conti alla cassa. James doveva fare delle commissioni e non rimase al locale tutto il tempo. Almeno la ruota della fortuna ogni tanto sbandava nella mia direzione, seppur involontariamente. Non volevo sentire il suo sguardo addosso perennemente, non avrei resistito. Non che mi desse fastidio, tuttavia avrebbe facilmente capito che qualcosa non andava, mi conosceva troppo bene.  L’ultima cosa che volevo era mostrarmi ancora insicura davanti a lui. Stavo cambiando e non mi sarei fatta intimorire da quella donna. Me la immaginavo come nel film “Quel mostro di suocera”, con Jennifer Lopez. Se non le fossi piaciuta? Forse, per non mettersi contro sua madre, lui mi avrebbe mollata.
Mi stavo fasciando la testa prima di essermela anche solo graffiata. Ryan mi esortò a prendermi una pausa e sedermi ad un tavolo per riposarmi. Esitai, poiché a mente libera i pensieri negativi sarebbero fluiti più velocemente, comunque non volevo neanche combinare altri pasticci ed eseguii il quasi ordine del mio amico. Poco dopo mi si avvicinò la sorella del mio fidanzato, la quale era rimasta al locale con Kevin.
  • Cognata, cos’hai?- mi chiese, accomodandosi di fronte a me nel posto vuoto di quel tavolo per due e barcollando leggermente sui suoi tacchi a spillo. Amber era stupenda nella sua semplicità, ciò nonostante non avrebbe mai rinunciato ad un bel paio di scarpe alte. Le chiamava “le sue bimbe” e non strabuzzai gli occhi e tartagliai sconvolta come Alexis quando la vidi accarezzarle amorevolmente e sussurrare loro parole dolci, qualche settimana prima.
  • Niente!- mentii. Ovviamente non se la bevve; lo compresi dal suo sopracciglio destro che, una volta avvertite le mia parole, scattò all’insù.  Scioccata ed impaurita, aspettai la sua prossima mossa: ero per caso un libro aperto? Troppe persone capivano i miei stati d’animo con una sola occhiata, dovevo mascherare meglio le mie emozioni o, semplicemente, avevo finalmente trovato nel mondo il posto giusto per me ed ero circondata da gente che mi accettava senza compromessi, che mi voleva bene e mi capiva con uno sguardo.
  • Dai, dimmi la verità. Da quando mio fratello se ne è andato hai la testa tra le nuvole! Per non parlare del tuo muso lungo. Sembra che ti è morto il gatto.- spiegò, inclinando la nuca da un lato e puntando le sue gemme celesti sul mio viso. Provai invano a cercare una via di fuga.
  • Primo, tuo fratello Kevin è ancora qui seduto da qualche parte; secondo, sono solo stanca; e terzo, io non ho nemmeno un gatto!- esclamai, sperando in un miracolo e sapendo che le mie argomentazioni erano delle scuse scadenti.
  • Parlavo di James, non di Kevin, e tu lo sia bene, solo che fai la finta tonta. La tua non è stanchezza e ora mi racconterai tutto e chi se ne frega se non hai un gatto!- affermò risoluta, arpionando la mia mano e stringendola nella sua sulla superficie di legno. –Se hai qualche problema con James puoi dirmelo!- concluse dolcemente, stringendo le mie dita per infondermi coraggio. Mi sciolsi come neve a sole di fronte a quella gentilezza trasparente e a quell’affabilità limpida. Se non riuscivo  ad ammettere i miei problemi, in che modo potevo credere di risolverli? Mi fidavo di lei ed avrebbe potuto darmi un giudizio parziale date le circostanze.
  • Non è questo! È…è…Cheluivuolefarmiconoscerevostramadre!- annunciai velocemente, come un treno ad alta velocità.
  • Eh? Non ho capito niente!- strepitò Amber, schiaffeggiandomi un poco il palmo ancora incollato al suo.
  • Ho detto che… tuo fratello… vuole farmi conoscere tua madre!- riprovai, ma stavolta parlai troppo piano, quasi non avevo sentito io stessa la mia voce.
  • Cosa?-
  • James vuole…vuole…farmi conoscere…tua… vostra… madre!- ammisi sconfitta, gettando il volto in avanti e poggiando la fronte sul tavolo. Iniziai a sbattere poco violentemente la faccia, sperando di fracassarmi il cranio per sgusciare via da quella situazione. Probabilmente era un rimedio fin troppo tragico, però avevo terminato l’ottimismo già da un pezzo ed era rimasta quella mal celata sfiducia mista ad una macabra ironia. Venni distratta dalla progettazione della mia morte dalla risata allegra, incredula e limpida di Amber.
  • Aspet-ta!- articolò, tentando di smettere di ridere a squarcia-gola, tenendosi lo stomaco essendo ancora scossa dagli spasmi, che aggressivi la facevano contorcere sulla sedia.  –Tu stai vivendo le peggiori pene dell’Inferno perché devi conoscere la mia mammina?-
  • Si…-sussurrai, vergognandomi. –Cioè no, ma si…E se non le piacessi?- domandai, dando voce alle mie paure.
  • Le piacerai sicuramente! Mamma non è certo un segugio infernale!-
  • Ah, già. Dimenticavo la tua fissazione per Percy Jackson.- sbuffai, roteando gli occhi al cielo. Lei mi fissò con i muscoli intorno alla bocca tirati in un’espressione sgomenta.
  • Per favore, non ricominciare! “Gli Dei dell’ Olimpo” è una serie stupenda, per non parlare del film con Logan Lerman!- urlò,  con tono che alternava una nota sognante con una starnazzante. –Comunque, ritornando al discorso di prima, devi stare tranquilla… mamma ti adorerà!-
 
  • Quattro ore dopo: 20:00 pm
 
Charlotte Turner, all’età di diciotto anni, sposò Matthew Harrison e assunse il cognome del marito. Agli amici, ai parenti e a tutte le persone del suo quartiere era nota come “Carly” e, sentendo i pareri dei suoi figli, era una persona stupenda e amorevole, che aveva dato alla luce il ragazzo che amavo. Lo aveva cresciuto con tutto l’affetto di cui aveva bisogno, non facendogli mancare mai nulla, né dal punto di vista umano, né da quello economico. Da piccolo lo rimpinzava di dolci, temendo che se non avesse mangiato, non sarebbe cresciuto correttamente. Ogni giorno, prima di andare a scuola, gli preparava una colazione in grado di sfamarlo per tutta la mattinata e si svegliava all’alba per preparargliela anche quando non si sentiva bene. Diceva sempre che niente poteva impedirle di svolgere il ruolo per cui era venuta al mondo: essere madre. E, tutte queste attenzioni che a lui rifilava, non le negava agli altri figli. Anche Amber e Kevin erano stati cresciuti in quell’ambiente roseo e gioioso. Scendevano dal letto e sapevano che ogni giorno la prima cosa che avrebbero visto sarebbe stato il sorriso della loro mamma, racchiuso in quello stesso viso che li avrebbe confortati sempre e che avrebbe illuminato le loro notti più buie. Avrei, senza dubbio, dovuto ringraziare quella fantastica donna, perché era merito suo se James era l’uomo meraviglioso di cui mi ero innamorata. Quindi, in fondo, la mia felicità era dovuta a Charlotte Harrison.
 
Con ancora le mie pantofole di topolino ai piedi, mi diressi verso l’armadio. Aprii tutte le ante e iniziai a perlustrare ogni cassetto in cerca di qualche abito adatto all’occasione. Proprio quando stavo per mettermi a piangere, credendo di non avere neanche un vestito che andasse bene, suonò il campanello. Spalancai la porta concitata e incapace di intrattenere una conversazione, data la mia trepidazione per quella sera. Fortunatamente, mi trovati davanti Amber, che mi sorpassò accennando appena ad un saluto veloce e corse dritta in camera. Mi aiutò a prepararmi, calmandomi come meglio poteva. Lei viveva con sua madre però, per non essere d’intralcio, sarebbe andata a mangiare fuori con alcuni amici.
Verso le sette e mezza arrivò anche Lexy, che sollevò i pollici in alto, squadrandomi dalla testa ai piedi. Indossavo un paio di pantaloni blu a vita alta, una camicia beige con le maniche arrotolate sui gomiti, dei bracciali con perline d’oro, delle ballerine e una pochette dello stesso colore dei calzoni. I capelli scuri erano tenuti fermi da un  mollettino. Un po’ del mio profumo preferito ed ero perfetta. Mi sentivo bella. Era l’effetto di James? Possibile, anzi sicuramente era tutto merito suo. Il cuore batteva a mille e sembrava voler uscire dal petto, perforando perfino la cassa toracica. Non riuscivo a fermare le mie mani, che frenetiche tremavano senza ritegno, e le mie gambe, che leste passeggiavano per tutta casa.
Infilai i miei tre anelli preferiti e mi arrivò un messaggio del mio ragazzo:
“Sta sera rimani a dormire da me. Prepara la borsa! <3”
 
Dopo cinque minuti, avvertii il clacson dell’auto di James. Scesi le scale, non prima di aver salutato le mie amiche, e uscii dal portone. Mi fiondai in strada e, una volta individuato l’oggetto del mio desiderio, mi catapultai da lui. Mi gettai sul mio fidanzato, gli circondai il collo con le braccia e congiunsi le nostre labbra.
  • Sei bellissima...- bisbigliò, guardandomi fisso negli occhi e tenendo le sue mani chiuse a coppa sulle mie guance.
  • Grazie…anche tu.-
Andando verso la macchina, James mi precedette e non potei evitare di abbassare lo sguardo  e godermi la vista dei suoi glutei di marmo stretti nella stoffa attillata. Per tutto il tragitto non spiccicai una parola e la tensione che mi aveva torturata  tutto il giorno e che era scomparsa non appena l’avevo visto, ritornò più vigorosa che mai. Volevo solo piangere e tornare nel mio appartamento. Svoltò in una piccola stradina laterale e parcheggiò difronte ad una villetta a schiera, bianca, con il tetto di mattoni, un giardino ben curato e la porta in legno scuro. James mi fece segno di scendere. Chiudemmo gli sportelli, mi prese per mano e mi condusse vicino alla casa. Mi bloccai di colpo, tirandolo di conseguenza dalle dita che tenevo attorcigliate alle sue.
  • Cosa c’è?- domandò con espressione interrogativa. Non dovevo avere un bell’aspetto, perché i suoi occhi si incupirono e mi osservò preoccupato che potessi svenire da un momento all’altro. Il mio viso doveva avere un colorito poco rassicurante e di sicuro non vi era neanche traccia di un piccolo rossore che contrastasse con il bianco funereo.  Scossi velocemente la nuca, osservando la villa, come se fosse abitata dalla strega cattiva di Hazel e Gretel!
  • Non posso…- balbettai, indietreggiando. Sfuggii alla sua presa e ritrassi la mano.  –Non ce la faccio…-
  • Amore, che hai?- mi interrogò ancora lui, avvicinandosi ulteriormente e prendendo il mio volto tra i suoi palmi.
  • Io…io...-cominciai, facendo vagare lo sguardo per il giardino. Tutto pur di non incontrare i suoi pozzi verdi. –Tua madre mi odierà…e tu mi lascerai per non fare un torto a lei!- mugolai. Una lacrima solcò la mia guancia e celere si scontrò con il suo polpastrello. La sua espressione mutò immediatamente e assunse un cipiglio angosciato, turbato e afflitto. Avrebbe calamitato verso di sé tutte le mie preoccupazioni se avesse potuto. Qualcosa dentro di me scattò, quando compresi che James avrebbe voluto avere poteri sovrannaturali pur di non farmi soffrire, innervosire o intimorire. Avrebbe speso tutti i suoi soldi pur di non farmi mancare nulla. Si sarebbe preso cura di me, proprio come la sua genitrice aveva fatto con lui.
  • Cosa? Amore, non lo farei mai! E mamma non ti odierà. Fidati di me!- esclamò, abbracciandomi.  Mi rilassai automaticamente, prendendo un profondo respiro e gettando via le mie inquietudini.
  • Andiamo!- esclamai convinta.
 Ci dirigemmo a piccoli passi verso il patibolo e lui suonò il campanello due o tre volte, impaziente di presentarmi Carly. Si girò nella mia direzioni e la sua bocca si incurvò in una linea allegra. Udii dei tacchi rumoreggiare oltre la soglia e la serratura scattò dopo qualche attimo. Pensai di star impazzendo, quando scorsi due occhi, due gemme azzurre, identici a quelli del mio ragazzo. Charlotte era una donna bassina, che aveva capelli castani con piccoli ciuffi bianchi alla radice, indossava una tuta comoda e portava un grembiule da cucina. Un sorriso gentile troneggiava sul suo volto, illuminando anche la vista.
  • James!- gridò la signora appena lo vide. Se possibile un amore puro si irradiò nel suo viso e le pupille vacillarono. Era una donna molto forte, che dopo aver assistito al capezzale del marito, dopo aver perso il suo amante, donava comunque affetto ai suoi figli.
  • Mamma!- ricambiò lui, lasciandomi la mano e prendendola tra le braccia. Erano così carini e James la sovrastava completamente con il suo corpo, tanto che per un momento non riuscii a vederla. –Mamma, lei è Sabrina; Sabrina lei è mia madre.- annunciò solennemente, quando si staccarono. Lei balzò un poco sul posto, emise un urletto euforico e si tuffò su di me, cingendomi le spalle. All’inizio mi sorprese, ma ricambiai l’abbraccio impacciatamente.
  • Oh, gioia, è un piacere conoscerti! James non fa altro che parlare di te!-
  • È un vero piacere conoscerla, signora Harrison!- affermai, ormai un po’ più tranquilla.
  • Chiamami pure Carly e dammi del tu! Ma adesso entrate che qui fuori si congela!-
L’ingresso era piccolino e sul lato sinistro c’era un mobiletto per appoggiare chiavi o cianfrusaglie di questo genere, sulla destra, invece, c’era un attaccapanni. Poggiamo qui i nostri giubbotti e andammo in sala. Era una dimora rustica, niente a che vedere con quella del mio ragazzo, la quale era decisamente più moderna. C’erano due divanetti bianchi, un tavolino di marmo per decorazione (era così basso che soltanto un nano di Biancaneve avrebbe potuto starci bene) e una televisione. Dopo aver parlato, mangiammo in cucina. La cena fu piacevole, non avrei potuto sperare di meglio. Charlotte Harrison si dimostrò una donna premurosa, provava a farmi sentire a mio agio, non faceva mai una battuta fuori posto o che mi desse noia.
  • Allora cara, com’è l’Italia?- mi chiese lei ad un certo punto, mentre addentava una fetta della sua pizza appena sfornata. Era sorprendente la quantità di cibo che aveva preparato, poteva benissimo sfamare un esercito.
  • Ehm…bella… è veramente stupenda, solo che io ho sempre voluto viaggiare e venire a New York era il mio sogno nel cassetto!- risposi, stando composta al mio posto.
  • Andare in Italia è il suo sogno!- mi informò James, indicando la sua genitrice e ingozzandosi ancora. Carly lo aveva già sgridato numerose volte, tuttavia lui sembrava non sentirla minimamente. Non ingeriva un boccone che subito ne aveva un altro ancora più grande in bocca. Temevo si sarebbe strozzato e non sapevo quando si sarebbe sentito sazio
  • Già, purtroppo non parlo l’italiano!- piagnucolò lei mogia. Sorrisi quando mi balenò per la mente un’idea fantastica.
  • Allora possiamo andarci insieme. Tu visiteresti l’Italia e io ti farei da traduttrice, nonché guida turistica!- proposi e Charlotte annuì contenta.
 
A metà serata filò in camera per prendere il telefono e ritornò elettrizzata. Ci spronò affinché ci scattassimo una foto. La pubblicò istantaneamente su Instagram, Facebook, Twitter e ogni social network a me noto, con scritto: “Primo incontro con la fidanzata di mio figlio!”.
 
 
  • Hai la stoffa da Newyorkese e non hai il solito accento italiano quando parli…- proruppe la madre di James, quando eravamo stravaccati sul sofà a chiacchierare.
  • Ho studiato lingue al liceo e, prima di trasferirmi, ero all’Università! Parlo inglese, francese, russo, spagnolo e, ovviamente, italiano. Sono portata per le lingue e adoro l’inglese!- confessai candidamente, gravando la tempia sulla spalla del mio ragazzo. Lui prese ad accarezzarmi il braccio con i suoi polpastrelli.
  • Quindi sei laureata!- enunciò entusiasta, battendo le mani e regalandomi un sorriso sincero. Mi irrigidii di colpo, difronte a quel compiacimento e a quella soddisfazione che lei stava donando a me. James se ne accorse e la spronò a cambiare discorso.
  • No, non fa niente!- lo bloccai, toccandogli un gomito, e proseguii rivolta a sua madre –Non mi sono laureata perché mi sono trasferita qui. Vorrei continuare i miei studi, ma dovrei tornare in Italia perché qui non ho i soldi per permettermeli, mentre lì ho già tutto pagato. Sarebbe una questione di pochi mesi, poiché mi mancherebbero solo due esami finali, però adesso sto bene così.-
  • Ah… scusa, non volevo porti una domanda scomoda. Comunque, anche se non hai la laurea, non devi fare la cameriera a vita, no? Perché non lavori come segretaria da James?-
  • Ma infatti glielo avevo già proposto!- svelò lui. Tutti e due si voltarono nella mia direzione e mi fissarono. Se volevano la verità, gliela avrei servita su un piatto d’argento:
  • Io…io non volevo che voi avreste potuto pensare che mi sia avvicinata a James solo per questo. -
  • Chi vuoi che lo pensi?- sbraitò Carly, alzandosi e avvicinandosi a me. Strinse il lobo dell’orecchio del figlio tra le dita e lo allontanò senza troppi preamboli, ignorando le sue lamentele. Mentre lui si massaggiò la parte incriminata borbottando e inveendo, lei si buttò a peso morto vicino a me.- Sei così carina, che è impossibile pensare a secondi fini!- affermò, arpionando i miei zigomi e tirando proprio nel punto in cui avvertii distintamente il sangue fluire, arrossandomi le guance. –Dai, diventa la segretaria di James! Dai, dai, dai….- cantilenò, saltellando.
  • Okay...- cedetti.
Charlotte emise urletti di gioia e mi circondò con una presa ferrea. James si unì all’abbraccio, gettandosi su di noi. Scoppiarono a ridere come poppanti e mi contagiarono con la loro ilarità.
 
Le sorprese per quella sera non erano ancora finite, perché lui mi chiese quanti mesi mi servissero per laurearmi. Stranita e abituata al suo modo di ragionare, compresi che ci sarebbe stato da preoccuparsi. Infatti, mi spiegò che saremmo andati a Roma per tre mesi, così che io potessi finalmente dare i miei esami finali. Successivamente sarebbe venuta Carly in Italia per festeggiare. In azienda, James sarebbe stato sostituito da Kevin, il quale scorrazzava nella “Harrison’s Industries” ogni giorno.
Tentai di fargli capire che il suo piano aveva molte lacune e sarebbe stato uno spreco di tempo, però non volle ascoltarmi e ebbe la completa approvazione di sua madre. Alla mia ennesima protesta, sbuffò stufo e stanco delle mie lagne.
  • Lo so che per lavorare da me non hai bisogno della laurea, ma ti sei impegnata duramente tutta la vita ed è giusto che tagli il tuo traguardo.- chiarì, accostandosi a me. Persino Carly ci diede un minuto di privacy e se ne andò in cucina.  - Non resto qui mentre tu vai in Italia, c’è troppa distanza e poi posso permettermelo, quindi perché stare lontani quando non è strettamente necessario? Kevin mi sostituirà volentieri e se ci saranno problemi, mi chiamerà. Smettila di pensare di essere un peso per le persone: non lo sei, tanto meno per me!- disse, un attimo prima di baciarmi.
 
Sulla soglia del vialetto, la mamma del mio fidanzato mi salutò con la sua solita sfrontatezza:
  • È stato un piacere conoscerti, gioia! Vieni quando vuoi! E dimmelo se mio figlio ti tratta bene o male, che nel secondo caso gli spezzo le gambe!-
  • Mamma! Per chi mi hai preso?- esclamò contrariato James, cingendomi la vita con un braccio e tirandomi a sé.- La tratto benissimo!-
  • Confermo!- sghignazzai.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 28
*** 27) Loving her was so easy ***


27) LOVING HER WAS SO EASY


SABRINA'S POV

Prima di baciarmi,  mi afferrò per la vita, mi avvicinò al suo corpo caldo, mi guardò negli occhi, fissò le mie labbra mentre si morse le sue, già rosee e gonfie, incastonò di nuovo i suoi diamanti celesti nel mio sguardo, mi carezzò dolcemente il viso e si chinò lentamente per congiungere le nostre bocche. Inizialmente fu uno sfiorarsi pigro, una nascita di sospiri che si frantumarono contro le nostre pelli. L’adrenalina germogliò nei nostri corpi, la passione fluì dai nostri ventri, l’amore si irradiò dai nostri cuori e le emozioni crebbero incontrollate, non appena le nostre lingue si sfiorarono. Ci divorammo incapaci di fermarci, come se una forza oscura possedesse le nostre anime e ci spingesse a cercare qualcosa che da soli non potevamo raggiungere. Le sue mani arpionavano salde i miei fianchi, il suo profumo mi inebriava, le sue carezze stuzzicavano ogni mia remota parte, i suoi capelli solleticavano il mio collo di tanto in tanto.  
Arrivammo in camera e James mi sospinse verso il letto. Mi stesi su di esso e fui immediatamente raggiunta da lui, che si mise a cavalcioni sul mio bacino, sorreggendosi  con le gambe per non schiacciarmi. Accecata dal desiderio e dalla lussuria, non mi accorsi delle sue dita abili che acciuffarono i lembi della mia camicetta e la sfilarono. Non perse neanche tempo a slacciarmi i bottoni.  Mi abbracciò, mentre continuava a depositare baci roventi sulla mia clavicola, sulla spalla, sulla mandibola, sulla guancia e sullo zigomo. I suoi polpastrelli armeggiarono con il gancetto del reggiseno e lo fecero saltare egregiamente. Si mosse ancora:  i suoi denti lambirono la spallina destra per accompagnarla nella discesa e riservò lo stesso trattamento anche alla sinistra.  Se ne liberò completamente e lo gettò dall’altro lato del materasso. Dedicò tutte le sue attenzioni al mio petto e succhiò, leccò e strinse la mia femminilità. La mia schiena si inarcò senza pudore in cerca di un contatto più profondo. Stavamo prendendo tempo, lo sapevamo: l’unico modo per far tacere il desiderio che stava strepitando dentro di noi, sarebbe stato unirci e inondare quella stanza dei i nostri gemiti.
All’ennesimo mio sospiro si dispiegò sul volto di James il suo meraviglioso ghigno. Rise, divertito dalla mia lussuria mal celata, e compresi che era l’ora di fargli vedere chi comandava. Puntai i miei occhi nei suoi per svelargli le mie intenzioni. Quando la mia bocca si inarcò provocatoria, le sue sopracciglia si corrugarono in un’espressione attonita e lievemente maliziosa. Con un colpo di reni, ribaltai le posizioni e gli levai velocemente la maglia. Mi osservò incuriosito e, al tempo stesso, turbato mentre mi avvicinavo cautamente alla sua pelle marmorea. Vezzeggiai i suoi muscoli di pietra e scesi verso il suo addome. Lo morsi sensualmente, oltrepassai l’ombelico ed arrivai alla leggera peluria che scompariva sotto l’elastico della stoffa dei pantaloni.
-Sabrina…- singhiozzò all’estremo delle sue forze. Stuzzicai ancora un po’ di carne e combattei per alcuni secondi con la cintura e i bottoni dei suoi jeans.
Non sarei mai riuscita a sfilarli se non fosse intervenuto lui in mio aiuto. Alzò di poco il bacino e anche i boxer fecero la loro scomparsa sul pavimento. Sghignazzò per il mio imbarazzo.  Lo rimproverai, addentandogli una spalla e  indugiando con i palmi sul suo ventre, senza mai spingermi  più in basso, dove pulsava di brama. Gemette frustrato, ma quella era la giusta punizione per essersi preso gioco di me.
  • Amore...-biascicai, strofinando la punta del mio naso su un suo capezzolo.
Circondai con la mano il suo sesso e  lo  massaggiai per tutta la sua lunghezza. Lo sentì sussultare e avvertii la sua virilità lievitare tra le mie dita.
 Lo provocai, risalendo e baciando la linea ben visibile dei suoi addominali, lo sterno, la clavicola ed arrivando fino al suo orecchio. Tentò di dirmi qualcosa, però le mie audaci carezze non permisero alle sue parole di scivolare dalle sue labbra. James si lasciò torturare, totalmente abbandonato a me.
Stanco di non avere il pieno controllo delle sue facoltà, ruggì e in un secondo mi ritrovai distesa di schiena sulla trapunta. Ricambiò il favore e mi spogliò con cura ed eleganza, con calma. Sibilai lievemente, quando il mio segreto venne circondato dal suo calore. Vibrando e contorcendomi rimasi senza fiato e cercai i suoi smeraldi dello stesso colore del mare in tempesta. 
Mi fece un occhiolino e mi regalò un ultimo bacio, prima di sbilanciarsi verso il comodino e prendere un preservativo. Lo infilò attentamente, si sdraiò su di me, reggendosi con i gomiti, che poggiò ai lati delle mie tempie. Allargai le gambe per farlo stare più comodo e lo sentii fondersi pacatamente con me. I nostri movimenti si armonizzarono, i nostri respiri si fusero e i nostri cuori fluttuarono insieme.
Le spinte si fecero sempre più decise. Dopo un tempo indeterminato, lo avvertii uscire da me e mugolai con disappunto.
  • Calma micetta!- affermò, inumidendosi le labbra e sorridendomi furbamente.
 Si stese al mio fianco, accostando la sua schiena alla testiera del letto e mi scortò a sedermi sopra di lui. Lo accontentai e non mi preoccupai neanche di sgridarlo per la maniera in cui mi aveva chiamata. Ci avrei pensato nell’indomani. Lo riaccolsi completamente e i suoi polpastrelli si poggiarono leggeri sui miei fianchi per sorreggermi. Dettai il ritmo ed improvvisamente la nostra danza divenne scatenata, l’aria che usciva dalle nostre bocche agitata e i sospiri rumoreggianti. Condussi entrambi sulla strada dell’appagamento e poi... poi tutto fu un delirio di colori, un’esplosione di benessere. I nostri sguardi colarono l’uno nell’altro, le contrazioni dei nostri corpi scossero la terra.
 Sfiniti ci addormentammo insieme.
***
  • Buongiorno, micetta!-
Avvertii le labbra di James stuzzicarmi il collo e le sue mani intraprendenti massaggiarmi la pancia, mentre la mia schiena combaciava perfettamente con il suo petto caldo e le nostre gambe erano aggrovigliate insieme.
  • Mmh, mmh!- mi lagnai, contrariata per il nomignolo affibbiatomi e nascondendo meglio il viso nel cuscino, arpionandogli le dita e stringendomele intorno al corpo.
  • Svegliati o farai tardi a lavoro!- mi spronò, baciandomi la nuca e blandendomi le braccia scoperte.
  • Mmh, mmh!- continuai, scuotendo leggermente la testa.
  • Non dovrò ricorrere al metodo del solletico, vero?- chiese ingenuamente James, poggiando il mento sulla mia spalla ed osservandomi dall’alto: anche se avevo gli occhi chiusi, sentivo le mie gote andare a fuco a causa dell’intensità del suo sguardo.
  • No, no!- risposi, balzando a sedere sul materasso.
 
Dopo essere rimasti  a letto a cincischiare per cinque minuti, ci preparammo e montammo sulla sua macchina. Nonostante il traffico, arrivammo al “Ryan’s New York” quando anche Lexy stava scendendo dall’auto di Kevin. Li salutammo velocemente e il capo esortò me e la mia amica ad entrare. Prima di voltarsi, James bisbigliò al mio orecchio con voce suadente:
  • Buon lavoro, micetta!-
  • Ehi!- gli diedi un pugno indignata –Richiamami ancora così e ti mando in bianco per una settimana, poi saranno problemi tuoi ad arrangiarti con il fai-da-te!- lo minacciai, additandolo con l’indice destro.
  • No, amore mio!- sbottò immediatamente.



JAMES'POV

Sfrecciai tra le strade della Grande Mela e svoltai allegro alla traversa della mia azienda. All’ingresso lasciai le chiavi ad un addetto e varcai la soglia di quel enorme palazzo bianco. In ascensore schiacciai il piano del mio ufficio e mi rintanai qui per tutta la mattinata. Seduto alla mia scrivania colsi anche l’occasione per chiamare Kevin e chiedergli di sostituirmi, quando sarei andato con Sabrina in Italia. Mio fratello esultò contento come un bambino alla mia proposta. Sapevo che avrebbe gradito e ringraziai il cielo di avere una famiglia comprensiva, a tratti pazza e fuori dalle righe.
Dopo la nostra chiacchierata chiusi la conversazione e svolsi un po’ di lavoro arretrato. Verso le quattro del pomeriggio, ormai libero ed esausto, decisi di andare al locale dalla mia ragazza. Sarebbe stato molto meglio se non l’avessi fatto.



SABRINA'S POV
   
 
  • Posso avere un cappuccino doppia schiuma?- mi chiese cortesemente un ragazzo, sedendosi su di uno sgabello al bancone e sorridendomi affabile.
  • Certo, arriva subito!- risposi automaticamente.
  • Oh, abbiamo la stessa età, dammi pure del tu! Io sono Steve!- mi disse. Alzai lo sguardo e mi soffermai a guardarlo per un istante: di media altezza, biondo cenere, occhi marroni, vestito casual.
  • Piacere Sabrina!- affermai, porgendogli la mano. Tentai di mostrarmi gentile e disponibile, nonostante la stanchezza, e gli preparai la sua ordinazione.  
 
 Nei momenti di buco, quando non ero sballottolata da una parte all’altra della sala, parlai un po’ con Steve. Ad un certo punto, fece una battuta su una signora seduta lì vicino e sul suo abbigliamento poco consono per la sua età. In fondo, il suo vestitino rosso fuoco, abbinato a zeppe altissime leopardate e ad una borsa zebrata, con collane di tutte le dimensioni e forme più strambe, non si accostava molto bene ai suoi cinquant’anni suonati da un pezzo. Scoppiai a ridere, cercando di nascondermi per mantenere un po’ di serietà.
 
Improvvisamente, sentii il campanellino attaccato alla porta tentennare, segno che era arrivato qualcuno. Le mie pupille incrociarono il bellissimo volto di James, però la mia felicità non venne da lui ricambiata, perché sul suo viso si disegnò un’espressione contrariata e imbestialita, mentre provava a marcare il territorio con Steve. La sua diffidenza era palpabile. Nessuno di due voleva darla vinta all’altro e si scambiavano occhiate assassine. Se fossimo stati in un vecchio film western avrebbero aspettato il momento adatto per afferrare le pistole e uccidersi senza pietà.
Il mio ragazzo era rimasto immobile sulla soglia; Steve era stravaccato sullo sgabello.
Mi avvicinai a James che, risvegliatosi dal suo stato catatonico, si diresse dal mal capitato a passo spedito.
  • Ci provi con lei?- gridò, attirando l’attenzione di alcuni clienti. I più curiosi mossero addirittura dei passi verso di noi e assistettero a quello scambio di battute strafottenti che aveva tutti gli attributi per trasformarsi in una rissa.
  • Chi? Io? Ammetto che non sarebbe una cattiva idea, ma no!- rispose serafico l’altro duellante.
  • James! Basta!- affermai risoluta e, proprio quando credevo di esser riuscita a convincerlo ad abbandonare quell’insulsa sceneggiata, qualcosa rovinò i miei piani.
  • Oh… fidanzato geloso, Sabri?- domandò con finta ingenuità Steve. Gli intimai di starsene zitto, ciò nonostante non mi ascoltò e schioccò le labbra per regalarmi un bacio volante e indisponente.
  • Come cazzo di permetti?- esclamò James, accostandosi pericolosamente a lui.
  • Oh, ma siamo amici. Poi se usciamo e ci scappa qualcos’altro, ben venga!- ridacchiò impassibile, sbattendo un piede al suolo improvvisamente agitato.
Non ebbi neanche il tempo di metabolizzare le sue parole che il mio ragazzo caricò un colpo. Ero già pronta a sbraitare, urlare e piangere, quando Ryan comparve magicamente dietro di lui e circondò con la sua mano quella dell’imprenditore, sospesa a mezz’aria.
  • James!- starnazzai, avvilita al solo pensiero di quello che sarebbe potuto succedere.
  • Non prendertela con me! Se tu ci provi con un altro è colpa mia?- si scaldò lui, scrollandosi di dosso il mio capo e allontanandolo con una spinta. Scorsi il fumo uscire dal naso di quest’ultimo, tuttavia adocchiò Amber e si calmò. Con molta fatica invitò il nostro cliente ad andarsene, senza aver neanche pagato. Steve uscì dalle nostre vite con un sorrisetto irritante, ma non portò con sé tutti i guai che aveva generato.
  • Non ci stavo provando con nessuno! Smettila di dire cavolate.- replicai, guardando James furiosa e spingendolo leggermente.
  • Certo, certo! Allora tutta questa confidenza me la sono sognata? Per piacere! Dimmi la verità: con quanti altri sei andata a letto da quando stiamo insieme?-
  • C-cosa? Non puoi pensarlo veramente….- tartagliai, dopo attimi di sbigottimento passati ad aprire e chiudere la bocca senza che ne uscisse alcun suono.
  • Tranquilla! Sta sera mi scoperò un'altra ragazza così saremo pari. Comunque non penso che una sola scopata possa sostituire tutte le tue!- disse sarcastico e si avviò verso l’uscita. Stava succedendo tutto troppo in fretta. Non capivo come fossi passata dal lavorare e scherzare al litigare velenosamente.
Mi parai difronte a lui, decisa a non permettergli di andarsene in quelle condizioni: era completamente nero di rabbia e, se avesse potuto, avrebbe rotto qualche bicchiere di vetro per scaricare la tensione. Puntò i suoi occhi nei miei, però non mi vide. Aveva uno sguardo vitreo, assente, distante. Il mio palmo sfiorò la sua guancia in una tenera supplica e la mia bocca tremò per lo sforzo immane che stavo compiendo: le lacrime pungevano violente le mie palpebre per sgorgare da esse e straripare e io non volevo permettere che questo accadesse.
Lui spostò la mia mano dalla sua pelle, agguantando il mio polso non molto delicatamente, e lo gettò lontano da sé quasi schifato dalla mia vicinanza. Mille coltelli mi infilzarono contemporaneamente la carne del cuore e iraconde stille mi rigarono le guance. Mi umiliai più di quanto già non avessi fatto e singhiozzai impunemente davanti a lui. Cercai di darmi un contegno, imposi a quei bastardi lucciconi di fermarsi, ordinai ai miei sospiri di smetterla di fremere.
Offesa e ferita mi levai  il grembiule, lo lanciai addosso al mio ragazzo, o a quello che consideravo tale fino ad un secondo prima, e corsi fuori. Senza giubbotto, senza una meta e senza un briciolo di forza.


JAMES'POV
Sabrina scappò da me con gli zigomi striati da maledette gocce salate. Quando la porta si chiuse, si innalzò un brusio di mormorii tra i clienti. Mi guardai intorno spaesato come se fossi stato appena dominato da chissà quale demone atroce.
 
Lexy marciò verso di me con fare minaccioso e temetti che potesse schiaffeggiarmi o perfino rompermi qualche arto. Malgrado la sua furia e il suo ribrezzo, si limitò a sputarmi in faccia poche semplici parole:
  • Sei un bastardo! Mi fai schifo. Se osi farti rivedere ancora in giro ti faccio rimpiangere di essere nato!- asserì con una calma innaturale e con voce pacata, eppure dal modo in cui strinse i pugni fino a far diventare le nocche bianche, compresi che si stava solo trattenendo.
 
Scrutai i quadri che animavano le pareti di quel risto-bar, sapendo che probabilmente quella sarebbe stata l’ultima volta che le avrei viste. Squadrai attentamente le facce attonite dei miei amici: Alexis sprizzava disgusto da tutti i pori, Ryan arginava a mala pena l’ira, Kevin doveva ancora assimilare tutto ciò che era successo e Amber tratteneva a stento il disgusto per me.
 
Avvertendo il gelo tipico di New York colpirmi in pieno volto e osservando la strada deserta, compresi davvero il gigantesco casino che avevo appena combinato: avevo dato della sgualdrina alla donna che amavo, l’avevo accusata di avermi tradito, l’avevo umiliata dinanzi a dei perfetti sconosciuti, le avevo promesso di spassarmela con un’altra donna quella sera stessa, e solo perché l’avevo vista ridere con un altro. Ero diventato un’altra persona. L’avevo delusa. 
 
 
•Sette giorni dopo•
Uno squillo, niente! Cinque squilli, niente! Tre chiamate, niente! Quattro giorni, niente! Sei giorni, niente! Erano passati sette fottutissimi giorni dal mio battibecco con Sabrina e ancora niente! Maledetto me e la mia cazzo di gelosia. Non potevo essere stato così imperdonabile! O forse si? Riconoscevo di aver esagerato, comunque credevo almeno di meritare un’occasione per chiarirmi.
Invece di sbraitarle contro frasi senza senso, avrei dovuto dirle che avevo costantemente la tremenda paura che lei potesse innamorarsi di qualcun’altro, perché per me era stato così semplice amarla, che chiunque avrebbe potuto portarmela via. Inconsciamente e involontariamente, Sabrina era la creatura più bella sulla faccia della Terra, era la persona più buona, gentile e disponibile con cui mi ero mai scontrato, era un arcobaleno di allegria e gioia, era un angelo venuto in questo schifoso Mondo per schioccarmi la freccia di Cupido e destabilizzarmi con il suo innato incanto.
Ed io avevo rovinato ogni cosa irrimediabilmente. Provai a scusarmi, però non riuscii a vederla neanche di sfuggita: al telefono Brina non rispondeva, al “Ryan’s New York” il proprietario mi aveva rovesciato una caraffa di birra sul capo e cacciato poco cortesemente, la fidanzata di mio fratello non mi faceva entrare a casa loro. Avevo provato ad attaccarmi al citofono per venti minuti, col solo risultato di venir malmenato con un mattarello da Alexis. Quella pazza mi aveva rincorso fino al ciglio della strada e strillato come un’ossessa.  
Mi rifugiai tra le calde ed accoglienti braccia di mia madre, pregando per un po’ di conforto, invece ricevetti uno schiaffo e tante grida. Mi incitò a rimboccarmi le maniche per riconquistarla, dopo ciò che era uscito dalla mia bocca merdosa.
Sabrina non voleva più sentir parlare di me e io non potevo rinunciare ad un ultimo tentativo, non quando avevo capito che senza di lei la mia non era vita! La notte del settimo giorno ebbi un’idea. Non potevo più sperare in un miracolo, dovevo agire!



SABRINA'S POV

-Il tempo risana le ferite…- mormorai, stretta al cuscino. –Starò meglio… prima o poi non farà più così male…- sibilai, tentando di auto-convincermi.
Erano sette giorni che cercavo di buttarmi alle spalle gli ultimi due mesi, dal primo incontro con James alla nostra rottura, e mi ripetevo come un  mantra quelle frasi per non sprofondare nell’oblio, anche se ero già caduta nella fossa ed avevo ormai toccato il fondo. La sera era il momento peggiore: stavo da sola in un enorme letto freddo, senza un corpo rovente che mi scaldasse; piangevo disperata e dialogavo con il nulla, senza una persona che mi baciasse e quietasse nelle notti glaciali.
James aveva scavato nella mia anima e con prepotenza e impeto aveva squarciato il mio petto, per entrarvi spietatamente e annientarmi crudelmente dall’interno. Aveva lasciato un vuoto enorme dentro di me e non c’era niente che potessi fare per alleviare la mia sofferenza. Non potevo prendere un antibiotico, assumere delle medicine. Era un dolore più profondo, che mi stava portando alla pazzia. Le gonfie borse sotto i miei occhi, i capelli arruffati, il viso scavato, le gambe molli e la nausea incessante mi tormentavano costantemente. Non riuscivo a dormire serenamente, pensando a quante ragazze si stava sbattendo solo per ripicca nei miei confronti, che poi io non avevo nessuna colpa.
 
Venni distratta dalla valanga dei miei tirannici pensieri, dalla porta della mia camera che si spalancò brutalmente ed ebbi paura che si scardinasse dai sostegni. Girai la nuca e mi persi nell’oceano limpido dello sguardo di James per un secondo, fin quando quell’immagine creata dalla mia mente non venne spazzata via dalla realtà. Lexy schiamazzava sulla soglia e gesticolava impaziente:
  • Brina, veloce…devi venire con noi!-
  • C’è una cosa che devi vedere!- mi spiegò Amber, sorpassando la nostra amica e afferrandomi  per un braccio.
 
 Mi trascinarono letteralmente fuori casa e, quando giunsi a destinazione, le mie parole si prosciugarono e rimasi a fissare immobile quello spettacolo.

Ritorna all'indice


Capitolo 29
*** 28) Nothing and no one can separate us ***


28) Nothing and no one can separate us


SABRINA'S POV
 
  • Forse è meglio se noi andiamo via…- annunciò titubante Amber. 
Lexy annuì freneticamente, però entrambe non mossero un solo muscolo per allontanarsi effettivamente da lì. Le scrutai e, dopo averle incenerite con lo sguardo, si defilarono e mi lasciarono sola. Battei ancora le palpebre, credendo che tutto ciò che stavo vedendo fosse frutto della mia marcia immaginazione e contro ogni mia aspettativa, quando le riaprii, i miei occhi si scontrarono di nuovo con il muro di mattoni rossi, che ogni mattina osservavo uscendo dal mio appartamento, e con la frase che vi era scritta sopra con una bomboletta nera.
 “Non vedo niente, non sento niente, solo tu nella mia mente! Perdonami, Ti Amo. J.”
 
Sentii una stilla solitaria rigarmi il viso, ma non me ne curai. Anzi ne fui felice: quella era una lacrima di gioia. Dopo alcuni secondi iniziai a scorgere le lettere sfocate. Piansi e risi con un sorriso da ebete stampato in faccia. Non mi fu affatto difficile capire chi avesse improvvisato quella meraviglia.
 
Non potevo credere che James avesse fatto una cosa del genere per me. Era un gesto bellissimo e ogni volta che sarei uscita di casa avrei letto quelle parole, però non potevo dimenticare tutto il male che mi aveva procurato e che continuava ad infliggermi, non potevo perdonarlo dopo l’enorme cazzata che aveva combinato. Era giunto il momento di pensare prima a  me stessa e ormai lui aveva perso la sua possibilità: aveva distrutto un futuro insieme. Con la solita amarezza che mi trafiggeva il cuore, rientrai in casa.
 
 Amber e Alexis stavano parlottando fitto, ciò nonostante corsero immediatamente a strangolarmi in un abbraccio.
  • Oh mio Dio, che carino che è stato!- esclamò la prima, saltellando sul posto eccitata più di me e battendo le mani davanti al viso.
  • Una frase sul muro davanti casa tua! Che dolce!- continuò l’altra. In risposta, le fulminai entrambe con un’occhiataccia e mi dimenai affinché me le scrollassi di dosso. - Ha sbagliato, ma non siamo perfetti, siamo umani. E poi non ti ha tradita, lì sarebbe stato diverso!- proseguì Lexy, acciuffando le mie dita e provando a farmi ragionare.
  • Questo non puoi saperlo! Ha detto chiaro e tondo che si sarebbe scopato un’altra ragazza!- sbottai contrariata, scansandomi definitivamente da loro. Una patina di calma apparente ricoprì la mia voce e sapevano entrambe che sarebbe bastata una parola fuori posto per farmi esplodere e crollare.
 
Mi dileguai nella mia stanza, facendo capire alle due ragazze che non avrei dimenticato lo stupido comportamento di James tanto facilmente. Decisi di non rovinare il mio già precario umore e mi misi ad ascoltare un po’ di musica. Uno, due, tre minuti e l’ansia era sempre più pressante. Cosa avrei dovuto fare? Forse James si aspettava che lo chiamassi, che gli mandassi un messaggio o che andassi direttamente da lui, ma io non avrei mosso un solo passo e non lo avrei perdonato. Mai.
 
Spulciai un po’ di notizie su Facebook, chiamai con Skype mia sorella in Italia e le raccontai gli ultimi eventi. Mi consigliò di starmene buona, buona al mio posto e di trattarlo con indifferenza. Un po’ più tranquilla, la salutai e cercai di staccare la spina con un film. Rinunciai nel mio intento, nel attimo in cui compresi che ogni pellicola mi ricordava lui. Mi stesi sul materasso e, proprio quando la mia testa sfiorò il lenzuolo, il campanello trillò. Amber e Alexis erano uscite una mezz’oretta prima, quindi mi toccò andare ad aprire con un sonoro sbuffo.
 
Sperai con tutta me stessa che non fosse James. Non ero ancora pronta per ritrovarmelo davanti in carne ed ossa e parlargli faccia a faccia. Il cuore iniziò a battermi all’impazzata, il respiro si accorciò, le gambe mi tremarono e l’ansia salì alle stelle. Le mie labbra lottarono contro la mia buona volontà per far spuntare una linea gioiosa sulla mia bocca, tuttavia la mia allegria scemò nell’istante in cui, oltre la soglia, non trovai il mio principe azzurro, bensì un semplice fattorino, che mi porse una scatola a forma di cuore con attaccata una marea di palloncini rossi. Lo ringraziai con un cenno e lui mi sorrise un poco.
 
 Chiusi la porta e mi diressi in salotto. Poggiai la consegna sul tavolino e feci qualche passo indietro. Piegai il capo di lato e fissai attentamente la composizione: il pacchettino era del colore dell’amore e c’era su un lato una stella creata con del nastro dorato, dalla quale penzolava un pezzo di carta a forma dell’iniziale del mio nome. Feci un profondo respiro per affrontare al meglio quella situazione e mi avvicinai al regalo. Staccai l’unico pezzo di scotch che teneva i palloncini incollati alla confezione e questi volarono fino al soffitto. Mi diedi della rimbambita patentata e una manata sulla fronte. Spalancai il cofanetto e scoprii che conteneva cioccolatini di tutti i gusti. Saggia un dolcetto e notai che sul retro del coperchio c’era un bigliettino. Lo lessi velocemente:
“Scoppia ogni palloncino! J.”
Spostai lo sguardo dal foglio allo scrigno dei pasticcini. A causa della mia scarsa altezza, non sarei mai riuscita a eseguire quell’ordine. Presi una sedia e uno stuzzicadenti dalla cucina  e mi arrampicai per compiere la mia missione.
 
Al dodicesimo palloncino, trovai un altro cartoncino al suo interno:
“Siamo due corpi e una sola anima, due cuori ed un solo battito, due luci e un solo colore... due persone in un unico amore. Ti Amo!”
 
Ruppi freneticamente tutti gli altri pezzi di plastica che contenevano elio, rischiando di cadere più volte. Volevo trovare altre smancerie, invece quello era l’unico che contenesse qualcosa. Frustrata mi tuffai sul divano.
 
Lo squillo inarrestabile del telefono mi strappò violentemente dallo stato di dormi-veglia nel mezzo del quale ero piombata. Sobbalzai spaventata e saltellai come un grillo sul sofà. Iniziai a camminare avanti e indietro agitata. E se fosse stato James? Cosa gli avrei detto?
Mi avvicinai cauta alla fonte della mia inquietudine. Rimasi di sasso quando adocchiai il nome di Amber che illuminava ad intermittenza lo schermo del mio cellulare e mi affrettai a rispondere.
  • Pronto?-
  • Oh, finalmente! Senti, bando alle ciance, devi venire subito qui al locale, c’è la metro che passa tra cinque minuti! Devi prendere quella! Prendi quella!- urlò concitata e starnazzò nel mio orecchio, facendomi quasi perdere l’udito malgrado la mia tenera età. Con tutta l’intenzione di rifiutare la sua gentile offerta e starmene nella mia dimora un altro pomeriggio a deprimermi, aprii la bocca per spiegarle il mio punto di vista, però lei attaccò e non mi diede la possibilità di declinare il suo invito.
 
Afferrai un giubbotto e una borsa e mi catapultai verso la ferrovia sotterranea, sapendo di star firmando la mia condanna. Mi lanciai all’interno di uno dei vagoni un minuto  prima che gli sportelli si chiudessero. Strinsi un sostegno per non cadere, mentre il treno acquistava velocità. Individuai un posto libero e mi sedetti, aspettando di arrivare a destinazione.
Dopo circa cinque minuti mi si avvicinò un tizio strano: portava un paio di jeans e delle normali Air Force, aveva una parrucca tricolore con la bandiera italiana, degli occhiali giganti rossi e una maglia con incisa una “S” gigante al centro. Si accomodò vicino a me e lo guardai sbalordita. Sfilò dalla tasca dei pantaloni un volantino raggrinzito e me lo porse con nonchalance. Lo schiusi rapidamente: “Voglio essere il pensiero che ti fa sorridere per strada senza motivo. J.”
  • Fatti trovare pronta per le 20 in punto! Ordini di J.- sibilò come se fosse un segreto e scese alla fermata che avevamo appena raggiunto, lasciandomi stordita.
 
Lo imitai e mi gettai tra la calca di persone che animava quella metropolitana. I miei occhi si scontrarono con l’enorme orologio che segnava la mia sentenza di morte: avevo meno di due ore per preparami, perché erano già le sei passate. Improvvisamente capii anche lo strano atteggiamento di Amber, che era evidentemente d’accordo con suo fratello.
 
Filai a casa. Per la troppa fretta le chiavi mi caddero dalle mani e le inserii nella toppa della serratura con i nervi a fior di pelle. Spalancai la porta, lanciai la borsa sul mobiletto dell’ingresso e mi fiondai nella doccia senza essermi spogliata del tutto: aprii il getto d’acqua con ancora il reggiseno indosso.
 
Non sapendo dove mi avrebbe portata l’imprenditore, decisi di vestirmi con dei calzoni attillati neri, un body bordeaux e dei mocassini ai piedi. Mi feci una treccia a spina di pesce laterale e mi truccai il minimo indispensabile.  Bracciali, anelli, profumo ed ero pronta! Presi la sveglia per controllare l’ora, però non feci in tempo perché  udii il campanello suonare. Trottai verso l’ingresso, ma mi fermai con il palmo tremolante sulla maniglia. Racimolai un po’ di coraggio boccheggiando e dischiusi l’uscio.
Un mazzo di rose rosse, decorato con un fiocco che le teneva unite per i gambi e un bigliettino bianco,  si stagliò davanti a me. Tentai di afferrarlo, tuttavia colui che teneva i fiori li sposò rapidamente e li nascose dietro la sua schiena. Con le dita a mezz’aria e il fiato sospeso, scorsi il bellissimo, incantevole e accattivante sorriso di James illuminargli il volto, segnato da lievi rughe da sonno.
 
Restammo a guardarci a lungo, senza spiccicare una parola, senza emettere un suono, senza compiere alcun movimento. Deglutii vistosamente e lo stesso fece lui. Eravamo entrambi spaventati da quella situazione e non volevamo rovinare il momento di spensierata pace che si era formato.
 
Presto mi stancai di quelle frasi non dette e di quel gioco di sguardi, così lo invitai ad entrare nel mio appartamento. Mi offrì il fascio di rose e fui costretta a serrare le palpebre e le gambe, quando i nostri polpastrelli si toccarono per un secondo. Acciuffai il cartoncino e lo girai per scoprire cosa ci fosse scritto e constatai con mio sommo dispiacere che era totalmente bianco immacolato, candido, niveo. Stranita, osservai il ragazzo  e lo sollecitai a darmi una spiegazione.
  • L’ultima volevo dirtela io, non fartela leggere!-.
  • Allora dimmela!- lo esortai impaziente, gelandolo con un’occhiataccia. Sembrò perdere un po’ della sfrontatezza che si portava sempre dietro e mi parve un bambino impacciato e impaurito difronte alla mamma che lo stava per sgridare.  
  • Okay…- iniziò imbarazzato, avvicinandosi al mio viso. Temetti che volesse baciarmi, infatti  mi allungai anche io per un riflesso involontario, tuttavia a pochi centimetri dalle mie labbra bisbigliò così a bassa voce che faticai io stessa a sentirlo: – Se fossi un poeta ti scriverei una poesia, se fossi un musicista ti inciderei una canzone, se fossi Dio ti dedicherei il paradiso, ma siccome sono solo io, ti chiamo Amore Mio.-
 
Scossi la testa incredula e obbligai le mie labbra a non incurvarsi gioviali verso l’alto, ciò nonostante non mi ascoltarono e, probabilmente, incitai James ad accostarsi di nuovo a me. Schiuse la bocca e…. la mia mano si scontrò rabbiosamente contro la sua guancia. Lo schioccò di quel sonoro ceffone rimbombò nel mio capo per i successivi attimi, mentre si dipinse sulla sua faccia un’espressione incredula.
  • Mi hai dedicato delle parole stupende e mi sono sentita lusingata, ma non puoi pensare che basti questo per farmi dimenticare tutto ciò che è successo. Anzi, tutto ciò che tu hai fatto succedere. Per la tua stupida gelosia. Quindi… perché sei qui?-asserii fermamente, allontanandomi da lui, poiché la sua vicinanza mi confondeva le idee e resistere all’impulso che mi stava bruciando l’animo, per fare in modo che lo abbracciassi e perdessi la ragione tra le lenzuola con lui, stava diventando impossibile e stava richiedendo uno sforzo fisico immane.
  • Perché volevo scusarmi con te.            Hai ragione ad essere arrabbiata, sono stato imperdonabile, ma non dimenticarti di tutti i momenti magnifici che abbiamo passato insieme solo perché non sopporto l’idea che qualcun altro possa averti.- dichiarò, abbassando gli occhi e afflosciandosi su sé stesso.   
  • James, io…- balbettai, distratta dai suoi pettorali che la maglia indossata non copriva a dovere. La sua stazza muscolosa contrastava con il tono afflitto che aveva usato.  –Non puoi presentarti qui dopo una settimana e…. Insomma cosa ti aspetti da me adesso? Che ti perdoni? Che mi dimentichi tutte le cattiverie che mi hai detto?-
  • Non mi aspetto niente. Spero solo che non sia bastato così poco per perderti.- ammise, incastonando le sue gemme del color del mare nel mio viso e muovendo un passo nella mia direzione. Di riflesso, arretrai per fuggire da lui, dal mio predatore. La mia schiena sfiorò la parete e fui costretta a fermarmi.
  • Io….non so… devo… pensarci! Mi serve tempo!- tartagliai, confusa e combattuta. Una parte di me voleva lasciar correre, però l’altra  non riusciva a dimenticare le parole crudeli che aveva pronunciato.
  • Cosa ti blocca?- mi chiese, carezzandomi una guancia. Non mi scostai e il suo profumo mi inebriò.
  • Tutte le cose che hai detto!-
  • Non le pensavo veramente!- disse esasperato.
  • Non le pensavi, ma le hai dette! Potevi pensarci due volte, prima di dare aria alla bocca.- esclamai, sbattendo i piedi per terra. Mi voltai per non fargli vedere la mia delusione e poggiai la fronte al muro.
  • Brina, non puoi credere che io pensi davvero tutto quello. Non penso che tu sia una puttana, non penso che ci stessi provando con… Steve e non penso che tu mi abbia mai tradito.- mi rassicurò e gravò le sue mani leggere sulle mie braccia. Il suo mento si posò sulla mia spalla ed il mio corpo reagì d’impulso, piegando il capo di lato fino a scontrare il suo.
  • Allora perché l’hai detto?- domandai, scappando e rifugiandomi in cucina. Ero arrabbiata con lui per avermi ferita e con me stessa per averglielo permesso.
  • Perché temo che tu possa innamorarti di qualcun altro, qualcuno migliore di  me. Per me è stato così facile avvicinarmi a te, amarti, che penso possa farlo anche un altro uomo.- confessò disperato e, dinanzi a quella scena, mi immobilizzai. Parlò con il cuore in mano, lasciandomi ammutolita. Non emisi alcun suono per un alcuni minuti e mi riscossi quando lui si spostò nervosamente, dirigendosi verso l’entrata. Si era denudato davanti a me e mi aveva mostrato i suoi timori senza filtri, umiliandosi, ed io non potevo abbandonarlo e perderlo. Non avrei mai commesso quest’errore. Lo raggiunsi con un sorriso delicato e intriso di rassegnazione e lo agguantai, intrecciando le nostre dita.
  • James…- lo chiamai dolcemente, lasciandogli una blandizia tenue sullo zigomo. –Non potevamo parlarne come una coppia, invece di stare male per una settimana intera? Perché non so te, ma io non ho dormito per niente, non ho mangiato molto e ho pianto per la maggior parte del tempo. Inoltre… anche per me vale la stessa cosa! Anch’io ho paura che tu possa trovare un'altra ragazza, che ti possa stancare di me!- mormorai e lo feci girare. Le punte dei nostri nasi si sfiorarono e i nostri sospiri si fusero.
  • Io amo te, ficcatelo bene in testa! Non voglio un'altra ragazza, voglio solo te. Non puoi avere queste paure folli, se solo sapessi quanto ti amo, non saresti così spaventata. Non puoi saperlo perché non sei me, ma credimi: ti amo talmente tanto da farmi male.- proferì, abbracciandomi. Mi sentii a casa, dopo sette giorni di esilio. Affondò il volto nel mio collo e mi solleticò con la sua barba corta.– In questa settimana sono stato di merda anche io. Non sono uscito se non per andare da mamma, in azienda mi ha sostituito Kevin. Non facevo altro se non pensare a te. Perdonami.-
  • Io amo te, ficcatelo bene in testa! Non voglio un altro ragazzo, voglio solo te.- risposi, sperando che finalmente comprendesse che lui era insostituibile per me. –James, non pensare mai più che possa innamorarmi di un altro. Impariamo da questa esperienza  e mettiamoci una pietra sopra!- proposi, staccandomi delicatamente da lui. Lui annuì felice e riprovò a baciarmi. Anche questa volta, però, mi scansai. Presi l’ultimo briciolo di coraggio che mi rimaneva e formulai il quesito che mi aveva perseguitato in quelle notti trascorse in solitudine: -Con… con quante ragazze sei stato in questa settimana? Non mentirmi, voglio la verità!-
  • Con nessuna! Sul serio, non sono stato con nessuna! L’ho detto perché ero arrabbiato, ma non ho mai pensato veramente di farlo. Scusami se ho messo in dubbio i tuoi sentimenti, non ho mai amato nessuno in questo modo e questo mi ha fatto diventare geloso, perché niente oltre te riesce più a stupirmi, a riportare in me quella sensazione stupenda che provo quando ti sono vicino!-
  • Okay,  ti credo!- esclamai decisa e libera finalmente da ogni peso.
  • Adesso…posso baciarti?- chiese spazientito. Quando acconsentii, si avventò subito sulle mie labbra. -Quanto mi sei mancata!- gemette, assalendo di nuovo la mia bocca.
 
Avevamo perso già troppo tempo e continuammo a scambiarci effusioni a lungo. Le mani arpionavano i nostri indumenti per cercare un contatto con la nostra pelle, le lingue lottavano perpetuamente, gli occhi si fissavano innamorati. Tra di noi ci sarebbero stati assidui litigi e prove da superare, eppure  niente e nessuno sarebbe riuscito a separarci. Saremmo ritornati sempre più uniti di prima.
 
  • Ho una, anzi due sorprese per te! La prima è che ti porto a cena fuori!- affermò, riprendo fiato e sorridendomi giulivo.
  • La seconda?-
  • La seconda sono due biglietti aerei per l’Italia. Devi finire i tuoi studi, così potrai diventare la mia segretaria il prima possibile!- 

Ritorna all'indice


Capitolo 30
*** 29) Will you marry me? ***


29) Will you marry me?

SABRINA'S POV

 *TRE ANNI DOPO*
Sbattei le palpebre più volte prima di abituarmi alla nitidezza accecante della luce che proveniva dalle tapparelle della finestra non abbassate alla perfezione. Tipico nostro errore che si ripeteva tutte le sere, quando eravamo troppo stanchi e pigri per alzarci e chiuderle bene. Al mattino, però, ci pentivamo della nostra oziosità. Quel teatrino si ripeteva tutti i sacrosanti giorni.
Voltai il capo verso la sveglia sul comodino e scorsi il mio reggiseno penzolare con noncuranza  da uno dei cassetti. Aggrottai la fronte perplessa e, guardandomi intorno, notai altri miei indumenti sparsi per la stanza. Scossi la testa e sbruffai insonnolita. Dopo circa dieci minuti, persi a fissare il soffitto in cerca della forza necessaria per alzarmi, mi diressi in  cucina, acciuffando una camicia di James dalla sedia e lo lasciai dormine beato.
Sbadigliai sonoramente dinanzi alla credenza e mi rimboccai le maniche per preparare qualcosa da mangiare. Disposi latte, caffè, succo d’arancia, uova e bacon, toast e un cornetto su di un vassoio e portai tutto dal mio fidanzato. Arrivai nella nostra camera che lui ancora riposava tranquillo e un sorriso affiorò sulle mie labbra. Posai il pasto più importante della giornata sulla scrivania e mi avvicinai a quello spettacolo.
  • Amore… svegliati….- sussurrai al suo orecchio, scuotendolo lievemente con una mano. –Tesoro, ti ho portato la colazione a letto….- aggiunsi, baciandogli con cautela la mascella.
Si mosse leggermente, emise qualche grugnito e aprì gli occhi insonnolito.
  • Buongiorno…- biascicò, sollevando la schiena per far schioccare la sua bocca contro la mia e poggiandola alla testiera. Gli diedi un buffetto sulla guancia e gustammo quelle prelibatezze tra battute e  risate. 
 
Ci preparammo e ci dirigemmo in azienda. Erano ormai quasi tre anni che lavoravo con lui. Io ero solennemente diventata la sua segretaria e non avrei barattato il mio lavoro per nulla al mondo. Appena mi laureai io e il mio ragazzo decidemmo di vivere insieme nella sua villa. In Italia ci eravamo avvezzati a stare nella stessa dimora e non sopportavamo l’idea di separarci una volta tornati a New York. Lexy e Kevin traslocarono in una residenza a Staten Island e lei vendette il suo appartamento a Times Square. Erano una coppia fantastica e avevano aperto una nuova attività: un’agenzia di viaggi. Era una cosa alquanto buffa, dato che nessuno dei due amava particolarmente viaggiare e lasciare la loro città Natale, dopo aver trascorso più di dieci ore su di un aereo. Quel volo era stato particolarmente turbolento e, a causa di quella terribile esperienza, nessuno dei due aveva più messo piede su di un mezzo di trasporto del genere.
Nel pomeriggio avevo appuntamento con Alexis ed Alice per andare al centro commerciale e dedicarci allo shopping sfrenato. Uscii da casa con cinque minuti di ritardo e scorsi le due donne nella decappottabile grigia di mia sorella. Mi scusai con loro, anche se erano abituate alla mia precaria puntualità. Ci immettemmo nella corsia e ci demmo alla pazza gioia.
 
Verso le sette, Alice ricevette una chiamata urgente dal suo Andrew e fummo costrette a tuffarci in auto e ritornare dai nostri rispettivi uomini.  Lei venne varie volte a trovarmi in America e circa due anni prima si trasferì qui, nel giorno del suo diciottesimo compleanno in un appartamento vicino Rockefeller Center. Strinse immediatamente un legame profondo con il migliore amico di James e si fidanzarono ufficialmente nove mesi prima, dopo aver passato un secolo a nascondersi.
 
***
-Sono tornata!- urlai dall’ingresso, fiutando l’odore inconfondibile dei maccheroni al formaggio. Poggiai il cappotto sull’attaccapanni ed avvertii delle dita posarsi spensierate sui miei fianchi. Gettai la testa all’indietro fino a gravarla sulla spalla del mio imprenditore e carezzai le sue mani esperte con le mie. 
-Ben tornata, tesoro. – mormorò, solleticandomi la vita. Risi agitandomi per sottrarmi alla sua stretta e mi rigirai tra le sue braccia per guardarlo negli occhi. Congiunsi le nostre lingue e lo assaporai lentamente, prosciugando tutto l’amore che aveva da offrirmi. Ansimante e appagata, mi staccai da lui e annusai l’aria attentamente. Le mie narici vennero punzecchiate da un odore amaro che mi fece sgranare gli occhi.
-James, non far bruciare la nostra cena!-
-Hai ragione!- affermò ,correndo in cucina e smanettando espertamente con alcune pentole. Lui adorava cucinare, quindi questo difficile compito della nostra convivenza glielo affidavo volentieri.
 
 
***
-Domani è domenica, perché non andiamo al Luna Park di Coney Island? Sarebbe fantastico! La sera possiamo anche fermarci al “Ryan’s New York”!- esclamai, stando accoccolata insieme a lui sul divano e vezzeggiando il suo petto con calma.  Il locale era migliorato grazie al tocco femminile di Amber, che aveva strepitato come una pazza in mezzo alla strada quando Ryan l’aveva finalmente invitata ad uscire. Avevano capito che ignorarsi e fingere di non provare niente era soltanto un’agonia per entrambi. Di tanto in tanto  ospitavano degli spettacoli di danza di alcune scuole per bambini e il ricavato era destinato alla beneficienza. Mi mancava terribilmente esibirmi ogni week-end, tuttavia alcune volte cantavo qualcosa in onore dei vecchi tempi.
-Ecco…veramente...-tentennò, irrigidendo i muscoli e muovendosi irrequieto sul posto. Mi stranii ed alzai la nuca per guardarlo in faccia. Lui cercava di non osservarmi negli occhi e puntava lo sguardo a destra e sinistra per squagliarsela da quella scomoda situazione.
-James...- lo richiamai perentoria, prendendogli il mento tra i palmi e ruotandogli il volto verso di me. –Devi dirmi qualcosa?- gli domandai retoricamente alzando un sopracciglio.
-No! Solo…devo andare a dormire!- concluse rapidamente, balzando in piedi e galoppando verso il corridoio.  Rimasi imbambolata a fissare la porta di legno come in trance.

 
JAMES'POV
Mi chinai velocemente e tentai di allacciarmi quelle scarpe il più in fretta possibile. Poi mi alzai cautamente dal materasso e sperai con tutto me stesso che Sabrina non si svegliasse. Mi voltai nella sua direzione per vedere se ero riuscito nel mio intento e mi deliziai di quella magnifica visuale: aveva un braccio sotto il cuscino, l’addome era adagiato sul lenzuolo così come lo zigomo destro sul cuscino, le sue palpebre erano chiuse, i capelli sparsi sulla federa, la schiena seguiva la sensuale curva delle sue forme e la coperta copriva le  sue gambe.
Improvvisamente rinsavii e mi ricordai che erano appena le sei del mattino, che mi ero destato tanto presto per un solo motivo e che avevo impiegato dieci minuti buoni per vestirmi perché ad ogni passo avevo paura di fare troppo rumore. Varcai la porta con una camminata felina e, giunto in salotto, acchiappai il giubbotto.

Aprii lo sportello della macchina, infilai le chiavi nell’accensione, feci manovra e spinsi sull’acceleratore diretto a casa di mio fratello. Dopo circa 45 minuti giunsi a destinazione e mi attaccai rabbiosamente al campanello, finché non avvertii la serratura scattare. Incontrai subito il cipiglio imbestialito di Lexy, che mi stava fulminando con un’occhiataccia, ma venne immediatamente sostituito da un’espressione imbarazzata. Abbassai la vista e scorsi il suo corpo avvolto da una leggera vestaglia di flanella, che non lasciava nulla all’immaginazione, anzi sollecitava pensieri poco casti.
-Che è successo?- affermò, cercando di avvolgersi il più possibile il piccolo indumento intorno al bacino per coprirsi.
-James?- chiese incredulo Kevin, diventando immediatamente rosso dalla rabbia.
-Calmo, calmo, calmo!- tartagliai, ansioso a causa del periodo difficile che stavo passando da circa tre settimane.- Ho un problema e sono arrivato al momento sbagliato! Di certo non ci provo con la tua ragazza!-.
-Okay, io vado a vestirmi, voi intanto sistematevi sul divano.- disse risoluta Alexis, spingendoci entrambi e dandoci uno scappellotto sul collo.  
 
Un silenzio frustrante ci aveva sommerso e nessuno dei tre proferiva parola. Lexy annuiva a quesiti inesistenti, Kevin smanettava con il suo telefono ed io mi carezzavo le gambe freneticamente per allontanare un po’ quell’apprensione assurda. Ad un certo punto lei gli tirò un cuscino e lui decise di prendere in mano la situazione.
-Allora, cosa è successo?- soffiò, evidentemente turbato dall’interruzione.
-Brina oggi vuole andare al Luna Park! Ma non possiamo! Quando me l’ha chiesto non ho saputo risponderle e me la sono data a gambe levate. Ora sicuramente sospetterà qualcosa. Ho rovinato tutto! Sono giorni che mi organizzo, invece mi sono dato la zappa sui piedi.- piagnucolai, scuotendo la testa e affondando la faccia tra le mie dita.
-Oh, James! Calmati! Non capisco perché reagisci così! Insomma, tu la ami e lei ti ama, mi spieghi cosa c’è di sbagliato nel chiederle di sposarti? Siete giovani, ma siete prontissimi!-  dichiarò Lexy, regalandomi un pugno neanche troppo lieve sulla spalla.
 
Salutai i miei amici leggermente più tranquillo e mi diressi ad una gioielleria per ritirare l’anello di fidanzamento che avevo precedentemente ordinato. Sabrina era l’unica donna con cui volessi realmente unirmi in un vincolo così importante e, anche se lei non avesse accettato, ci sarebbe stata sicuramente un giustificazione lecita. In quel caso l’avrei aspettata fin quando non si fosse sentita pronta.
Le mandai un messaggio e mi scusai per il modo in cui quella mattina l’avevo abbandonata nel nostro letto matrimoniale:
“Amore, mi dispiace di non esserci stato al tuo risveglio. È solo che oggi ho una sorpresa per te. Passo a prenderti verso le 11:00.”


 SABRINA'S POV
Spalancare gli occhi convinta di trovare la bellezza accecante di James ad accogliermi e scoprire, invece, un posto vuoto e freddo accanto a me, non era di certo stato un il buongiorno che mi aspettavo. Non avevamo mai avuto dei segreti, anche se non eravamo una di quelle coppiette mielose che si raccontavano ogni piccolo dettaglio della loro vita. Eppure era chiaro che qualcosa lo turbava e non me ne aveva parlato. Passai la mattinata a rimuginare su cosa poteva essergli successo di tanto brutto a tal punto di non avermelo detto.
Puntuale come un orologio svizzero arrivò al cancello della nostra villa. Mi affrettai a raggiungerlo e, quando sorpassai l’ingresso, lui attaccò vorace le mie labbra. Inizialmente rimasi spiazzata, però non riuscii a non ricambiare il suo bacio. Appena ci separammo notai il suo abbigliamento e tremai disorientata: indossava uno smoking con tanto di papillon.
-James, dove stiamo andando? Fammi cambiare!- ordinai perentoria, correndo verso l’entrata. Lui mi bloccò, parandosi difronte a me e sorridendomi felice.  
-Stai tranquilla, stai bene così!-
 Mi opposi senza successo e fui costretta a seguirlo all’interno della sua BMW nera.  Strisciando e svoltando tra le vie della Grande Mela, ci fermammo a Times Square. Scese dall’auto e mi intimò di restare immobile. Venne ad aprirmi lo sportello come un ottimo gentiluomo.
D’un tratto sbucò da un albero un signore sulla cinquantina, mi allungò una scatola rosa e si dileguò non spiccicando una parola. L’imprenditore mi spinse leggermente verso una panchina lì vicino e dischiusi il cofanetto, che conteneva piccoli pezzetti di un puzzle.
-Ora devi assemblarlo, dolcezza!- disse lui, visibilmente divertito.
 
Non sapevo se il mio fidanzato volesse liberarsi di me con una morte lenta e dolorosa, tuttavia dopo due ore passate a risolvere quell’enigma, temevo che la testa potesse scoppiarmi, che potessi addormentarmi e che le mani non potessero smetterla di tremare. Supplicai James di finirla con quella pagliacciata e lui decise di aiutarmi, assicurandomi che ne sarebbe valsa la pena e spronandomi con qualche moina.
 
Mancava solo una casella e fortunatamente combaciava con l’unico buchetto che avevo lasciato. Gridai, strepitai ed esultai contenta per aver concluso quell’impresa e attirai l’attenzione di una famiglia che passeggiava poco distante da noi. Osservai altezzosa quel rompicapo e la mia bocca si incurvò repentinamente verso il basso.
 
 
-Oh Dio!- sussurrai, incapace di credere a ciò che stavo leggendo.
Il mio ragazzo si inginocchiò ed estrasse dalla tasca della giacca uno scrigno azzurro firmato Tiffany. Delicatamente tirò un’estremità del nastro argentato che lo  attorniava e quello si aprì.
-So che siamo giovani, so che potrei correre troppo, ma so anche che ti amo e che non vorrei nessun altra al mio fianco sull’altare all’infuori di te.- ammise sincero, mentre io faticavo a trattenere lacrime di gioia  e fissavo impunemente quell’anello. Era abbastanza semplice, niente di troppo vistoso, in oro bianco con un diamante incastonato al centro.  -Quindi… Sabrina, vuoi sposarmi?- chiese nervoso, ripetendo la stessa frase che si stagliava imponente al cento del puzzle.
Provai a far uscire un misero suono dalla mia bocca, imposi alle mie corde vocali di collaborare, ordinai ai miei piedi di muoversi, ciò nonostante sembravo paralizzata, come se uno strano animale mi avesse punta e infettata con il suo veleno. Annuii, incapace di fare altro.
James mi mise l’anello al dito e si alzò. Circondai immediatamente il suo collo con le braccia e lo baciai innumerevoli volte. Avvertii un applauso alzarsi  tra la folla di gente che si era creata e incastonai la mia fronte sulla sua clavicola, piangendo di gioia. 
-Ti amo!-
-Anch’io.-
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 31
*** 30) Say three, f**k! ***


30) Say three, f**k!


•CIRCA UN ANNO DOPO•
JAMES'POV
Rimirai il soffitto per cinque minuti buoni, con le palpebre che faticavano a restare aperte. Dovetti sforzare un poco gli occhi per allontanare la stanchezza della prima mattina. Mi volsi verso destra e notai che mancava poco meno di un minuto al suono della sveglia. Mi affrettai a spegnarla senza muovermi troppo e evitando accuratamente di destare mia moglie. Poi mi voltai a sinistra, dove giaceva addormentata Sabrina, con la testa sulla mia spalla, un braccio intorno alla mia vita ed la sua gamba intrecciata alle mie. Sapevo quanto odiasse essere disturbata da quel rumore assordante, fastidioso e acuto, perciò quando potevo preferivo chiamarla io stesso.
Mi chinai lievemente su di lei, poggiando il palmo della mia mano sulla sua nuca e le massaggiai la cute con calma. Le baciai il collo con studiata lentezza e la rimpinzai di attenzioni.
-Amore…- mormorai per non turbarla, mentre con le mie labbra erano giunte al suo orecchio. Le morsi delicatamente lo zigomo e le rubai una carezza sul fianco.
Lei mugugnò contrariata e scosse la testa. Mi finsi offeso dal suo gesto e le diedi le spalle. Dopo circa dieci secondi avvertii le sue piccole e gentili dita cingermi il bacino e la sua bocca vezzeggiare il mio lobo. Tentò di farmi stendere di schiena sul materasso con tutte le sue forze. Nonostante le limitate capacità motorie che aveva, ci riuscì e si mise a cavalcioni sul mio ventre. Lambì la mia lingua pigramente e spinse il suo seno contro il mio torace.
-Buongiorno…- disse, accucciandosi su di me e affondando il naso sul mio petto.
-Sono arrabbiato con te!- esclamai non molto convinto, faticando a tenere a bada il desiderio dirompente di farla mia e perdere il senno dentro di lei.
-Ah, si? Allora…- iniziò sensuale e scaltra, sollevando il mento e sfidandomi con lo sguardo, però venne violentemente interrotta da un conato di vomito.
Si alzò velocemente dal letto e si precipitò in bagno. La seguii rapidamente e la aiutai a piegarsi sul water. Mi fece segno di allontanarmi, ma non l’ascoltai come tutte le altre volte e le tenni i capelli mentre rimetteva. Ultimamente le succedeva molto spesso, tuttavia lei aveva incolpato un’intossicazione e aveva anche fatto delle analisi per scoprire il cibo che la riduceva in quello stato. Mi preoccupavo da matti per la sua salute e non vedevo l’ora di leggere quei risultati, che sarebbero stati pronti quel giorno. Quando finì, Sabrina si appoggiò con la testa alle mattonelle del muro. Era esausta e priva di forze, con un colorito biancastro e il respiro tremolante.
-Tesoro, oggi non venire a lavoro, ci penso io in azienda.- le consigliai, ricevendo da parte sua un cenno negativo. Sbuffai e provai a farle capire che in quelle condizioni non doveva affaticarsi, malgrado ciò mi regalò un’espressione contrita e cocciuta. Gemetti sconfitto, ricordandomi che la donna di cui ero follemente innamorato, era anche la persona più testarda che avessi mai conosciuto.
 
Si rimise in piedi, seppur barcollando. Si lavò i denti ed io andai in camera per cambiarmi. Mi imbattei nella foto ritraente me e Brina nel giorno delle nostre nozze. Io indossavo uno smoking blu cobalto, con un gilet celeste, una camicia bianca e una cravatta a righe trasversali e la mia compagna un bellissimo abito da sposa, con un corpetto a cuore in brillantini, che si allargava e si trasformava in una gonna morbida e ampia, rifinita con decorazioni floreali. Era stato un matrimonio da favola, non sfarzoso, e la cerimonia si tenne a Roma. Mangiammo ad un ristorante con una vista stupenda su Castel Sant’Angelo e la sera stessa partimmo per il nostro viaggio di nozze. Girammo l’America on the road per un mese intero.
All’aeroporto di Fiumicino, mi scontrai con un bambino dai profondi occhi marroni e capelli biondo cenere. Lo afferrai prima che sbattesse il viso sul pavimento e fui immediatamente imitato da sua madre. Mi preparai a sorriderle e a dirigermi dalla mia consorte, quando mi imbattei in uno sguardo verde stupefatto come il mio. Riconoscevo quei tratti, quella chioma mora, quella pelle scura, quel naso dritto, tempestato di lentiggini. Quella ragazza era Chiara, la madre di Tommaso, l’unico figlio di Mattia. Li avevo conosciuti in tribunale, durante il processo che era scaturito in seguito alla denuncia di Sabrina. Quel bastardo aveva ottenuto la giusta pena, anche se la sua prole sarebbe cresciuta senza un padre. Lei si era scusata con noi, ammettendo di non sapere ciò che il suo fidanzato avesse fatto.
 
 
Appena io e mia moglie ritornammo a New York, ci accolse una notizia che lasciò tutti di stucco. Amber era in dolce attesa da ben oltre tre mesi e nessuno di noi, a parte Ryan, se ne era accorto. La sua pancia crebbe a dismisura fino a che non diede alla luce Travis.
Sabrina mi distrasse dal flusso dirompente dei miei pensieri e mi invitò a seguirla per fare colazione. Mi offrii di accompagnarla all’ospedale per ritirare gli esami, tuttavia non ottenni la risposta sperata:
-James, hai una riunione dalle 11.00 alle 12.30! Stai tranquillo, vado con Lexy.- mi rammentò e gemetti frustrato.
 Giunti in azienda la salutai e mi diressi nel mio ufficio, mentre lei si accomodò alla sua scrivania.


SABRINA'S POV
Adocchiai il telefono vicino il computer e lessi celermente l’ora. Mi alzai dalla sedia forse un po’ troppo speditamente e fui colpita da un brutale capogiro. Mi aggrappai alla superficie piana del tavolo e tentai di tranquillizzarmi come mi aveva consigliato la dottoressa. Uscii da quel palazzo bianco e montai sull’auto di Alexis, gettandomi sul sedile a pezzi.
-Hai un aspetto orribile, sai?- domandò retoricamente la mia migliore amica ed io la trafissi con un’occhiataccia.
-Parti!- digrignai a denti stretti e tenni lo sguardo fisso sulla strada, nel momento in cui la macchina cominciò a muoversi.
Ci fiondammo a casa e ci buttammo sul divano.
-Dovresti dirglielo.- affermò, abbracciandomi goffamente. Mi quietò come meglio poteva ed io mi abbandonai alle sue premure, ripensando per la centesima volta a come rivelare quel enorme macigno che mi opprimeva il cuore a mio marito.
Mi portai una mano sull’addome e lo coccolai sovrappensiero. Circa da due mesi a quella parte avevo degli intensi voltastomachi e la mia stanchezza era triplicata. La mancanza del ciclo mestruale aveva spazzato via tutti i dubbi ed avevo comprato un test di gravidanza al settimo cielo. Risultò positivo e, nello stesso istante in cui vidi le due linee rosse, mi chiesi se James volesse veramente un bambino. Non ne  avevamo mai parlato e forse mi avrebbe intimato di abortire, poiché spaventato.  In quel caso, probabilmente, avremmo divorziato perché mai e poi mai avrei distrutto un pezzo della mia stessa vita. Oppure il mio uomo sarebbe direttamente scappato, lasciandomi a crescerlo da sola.
Sospirai afflitta e mi rifugiai ancora sulla clavicola di Lexy. Rimanemmo in silenzio a lungo e fummo costrette a staccarci a causa del rombo di un motore che proveniva dal parcheggio.
–Segui l’istinto e diglielo! Sarà felicissimo!- mi consigliò,  correndo via dalla porta sul retro.
 
Un secondo dopo, James varcò la soglia trafelato e, tolto il giubbotto, si precipitò verso di me.
-Allora?- strepitò impaziente, accomodandosi sul sofà – Che dicono le analisi?-
-N…non… erano ancora…pronte.- balbettai colta alla sprovvista. Mi ero dimenticata di accampare l’ennesima bugia e fui costretta ad arrampicarmi sugli specchi.
-Cosa? Ma…- farfugliò, deluso dalle mie frottole.
-Sai come vanno queste cose! I medici hanno detto che c’è stato un problema in laboratorio  e che i risultati saranno pronti lunedì prossimo!-
-Preparo il pranzo.- soffiò amareggiato, non bevendosi la mia menzogna, comunque non indagò più a fondo per fortuna.
                         
Si chiuse in un mutismo selettivo e non mi rivolse mezza parola. Non sopportavo questo suo tenersi tutto dentro e non condividere i suoi dubbi con me. Era un asso nel nascondere le emozioni, una vera faccia da poker, e ancora non riuscivo a decifrare i suoi sentimenti.
 Non assaggiò il mio dolce e fuggì da me, non aiutandomi neanche a lavare i piatti. Di solito ci divertivamo a schizzarci come due bambini vicino al lavello.
 
Il mio cellulare trillò e mi avvisò dell’arrivo di un sms di Amber:
“James è a casa mia. Non preoccuparti se non lo trovi in ufficio.”
La scongiurai di convincerlo a raggiungermi e calamitai quel poco di coraggio che avevo. Ad una sua replica affermativa, attesi lo impaziente e ansiosa. Trottai verso lo sgabuzzino e acciuffai quella scatoletta. Impacciatamente, in bagno, eseguii le istruzioni e mi rinfrescai anche il viso.
Quando la serratura scattò, sobbalzai come un grillo, però mi costrinsi a non darmela a gambe levate. Il mio coniuge avanzò con passo cadenzato e mi trafisse con le sue gemme celesti, velate da un sottile strato di rabbia e sconforto. Lo invitai  a sedersi su di una sedia della cucina e mi appollaiai sulle sue ginocchia.
-Io non ho mai fatto delle analisi.- rivelai, accarezzandogli una guancia e inalando quanta più aria possibile nei polmoni per raccontargli la verità. Lui non mi sembrò per niente sorpreso e la stizza nel suo sguardò aumento, gelandomi e pietrificandomi. –Io… non mi sentivo tanto bene. All’inizio ho dato la colpa alla stagione, ma sapevo che non era per questo.- spiegai, cercando di mantenere la voce ferma, nonostante il bruciore incessante che mi opprimeva la gola. –E’ una cosa molto bella secondo me.- confessai, non fermando la prima di una lunga serie di stille che mi bagnarono copiose le gote. Condussi un suo palmo sulla mia pancia, bombata così dolcemente era ancora impossibile capirne il motivo.
-E’ solo stanchezza? Nulla di grave?- domandò lui, massaggiandomi il grembo senza aver compreso ciò che volevo dirgli. Risi tra le lacrime e mi affrettai ad essere più esplicita.  Gli porsi un cofanetto di cartone e lo incitai ad aprirlo.
-Circa un mese fa ho fatto un test di gravidanza. Questo che hai in mano è un altro che ho fatto circa mezz’ora fa.-
-Oh, mamma… Ne sei sicura?- proruppe, indicando il risultato positivo. Si dimenò inquieto sotto di me.
-Si… ho fatto un controllo con una ginecologa. Sei felice?- bisbigliai, racimolando le ultime forze che mi restavano.
-E me lo chiedi anche? Sono felicissimo! E’ una notizia meravigliosa.- disse, un attimo prima di congiungere le nostre bocche. Mi lagnai appena si staccò da quel tenero contatto troppo presto e puntò i suoi occhi sul mio ventre. Lo vezzeggiò con calma mista a timore. Premetti le mie dita sulle sue e lo sollecitai a intensificare la pressione. –Vi amo!-esclamò contento, abbassandosi per baciare il mio addome.
***
I mesi passavano in fretta. Alla trentacinquesima settimana avevamo finalmente deciso di chiamare nostro figlio Michael. Il giorno dopo, nel bel mezzo della solita cena di famiglia, mi alzai per aiutare Carly a sparecchiare, nonostante le lamentele di tutta la tavolata. Mentre portavo due piattini di frutta, venni prosciugata di tutte le mie energie. La vista mi si annebbiò un istante e avvertii la mia prole scalciare. I muscoli si atrofizzarono per una manciata di secondi e non risposero a nessuno dei miei comandi. Sembravo svuotata dalle mie emozioni e non avevo più la percezione del mondo intorno a me. I suoni cessarono e le mie orecchie non captarono nulla. L’unica cosa che sentivo, e che mi fece reagire, fu un dolore lancinante alla pancia. Feci cadere le stoviglie, che si frantumarono emanando un rumore stridulo. Mi afflosciai su me stessa ed urlai talmente tanto da farmi ardere i polmoni.
Spalancai gli occhi solo quando avvertii mio marito urlare il mio nome al mio fianco e arpionare le mie spalle.
-Oh, cazzo…- imprecò Kevin nella confusione più totale puntando un dito dritto ai miei piedi. I miei pantaloni erano fradici e anche il pavimento che mi circondava. -Le si sono rotte le acque…-
-Chiamate un’ambulanza!- ordinò sua madre, ricomparendo dalla cucina con un ventaglio per farmi aria.
Le fitte erano sempre più violente, squassanti. Non c’era nulla che potessi fare per fermarle o lenirle. Piangevo ormai disperatamente, pregando affinché quella tortura finisse al più presto. Gridavo, urlavo, inveivo in tutti i modi che conoscevo per distrarmi da quel supplizio.
I paramedici mi caricarono sull’ambulanza e ci fiondammo in ospedale. In sala parto l’atmosfera era tutt’altro che spensierata e festosa. Respiravo a fatica e scortavo anche poco garbatamente il dottor Jones, l’ostetrico, per far nascere Michael. Era un uomo paffuto, bassetto, fastidioso, insopportabile, irascibile e odioso, ma in quel momento  era la mia unica salvezza.
-Allora, signorina! Spinga al mio tre!- esclamò il medico, posizionandosi in mezzo alle mie gambe.–Uno… Due…-
-Dica “tre”, cazzo!- abbaiai nella sua direzione incurvando la schiena a causa dell’ennesima stilettata. Lui schiuse le labbra per ribattere, però le serrò saggiamente scuotendo la testa.
-Tre!- mi concesse infine ed iniziai a spingere. Con tutta la forza, la volontà e la voce che avevo in corpo. Ad ogni colpo stringevo la mano di James e le sue ossa scricchiolavano in dissenso.
Dopo molto sudore e tante imprecazioni, finalmente la mia sofferenza cessò. Poggiai il capo alla barella e fissai Jones tendermi un neonato sporco e piangente. Lo cullai sul mio seno. Era piccolissimo, indifeso e gemente, tuttavia parve tranquillizzarsi quando la mano tremante di suo padre gli toccò lievemente la nuca.
***
    Mi stiracchiai intorpidita ed esausta. Quel materasso era davvero scomodo e non vedevo l’ora di ritornare a casa. Venni inondata da una serie di sguardi curiosi e impavidi. Andrew, Alice, Kevin, Alexis, Amber, Ryan e Carly fissavano impunemente me e James, appisolati sul letto di quella clinica. 
-Michael?- chiesi al ragazzo di fianco a me, dandogli una gomitata nelle costole.
-E’ qui.- asserì, indicando una culla alla mia destra. I pochi capelli castani erano sparati in tutte le direzioni sul cuscinetto, una manina era adagiata vicino alla sua boccuccia leggermente aperta. Si alzò, lo prese e lo allungò verso di me. Lo adagiai sul mio cuore e lo dondolai.
-James…- irruppe suo fratello –…guarda Sabrina! Dopo il parto ha un aspetto stupendo. Tu, invece, sei pietoso!- 

Ritorna all'indice


Capitolo 32
*** EPILOGUE ***



EPILOGO 

SABRINA’S POV

-Dai, amore di mamma! Mangia.- tono stucchevole, velato di mille suppliche implicite, espressione facciale di cui si sarebbe vergognata a vita, strana pappetta in un vasetto tra le dita che, volente o nolente, noi mamme avevamo fatto assaggiare ai nostri bambini, biberon a portata di mano sul tavolino e cucchiaino a forma di mucca. – Vuoi l’areoplanino?- replicò. Si preparò per quell’improvviso giochetto che tutte avevamo sperimentato e che, stranamente, contro ogni nostra prognosi infantile, ci aveva anche divertito fare. Mimò con la bocca il suono di un velivolo. Quando la punta della posata toccò le labbra ancora serrate della bambina, queste si dischiusero un po’ intimorite. Il suo sguardo verde divenne furbo in un nanosecondo e, prima che io o la sua genitrice potessimo accorgerci delle sue intenzioni, mia nipote sputò tutta la sua colazione proprio davanti a sé, colpendo il viso di mia sorella. Alice imprecava in mille modi, mentre la piccolina di appena due anni se la spassava saltellando nel suo seggiolone per le troppe risa. –Sarah!- urlò, facendola ammutolire all’istante. La marmocchia assunse un aria dispiaciuta, con lucciconi agli occhi annessi. –Non vuoi mangiare? D’accordo, salterai la colazione, allora!-
-Dai, fai provare me…- proposi, prendendo il suo posto e schioccando un bacio alla pupa, che riacquistò un po’ della sua allegria, ancora intrisa di senso di colpa. –Tesoro di zia. Fa’ la brava e mangia tutto.- ordinai perentoria con tono dolce.

Dopo le prime due imboccate, Alice si rese conto che la situazione procedeva bene e andò a cambiarsi borbottando tra sé e sé per il comportamento della piccola. La frugoletta indossava un completino rosso e bianco con una gonna resa vaporosa grazie alle numerose balze, delle spesse calze bianche le coprivano le gambe, le manine erano intrecciate in grembo e la testolina era incorniciata da capelli biondi e lisci come la seta.

Passarono quindici minuti e la pargoletta, ormai sazia, giocava in salotto con sua sorella Eva e i suoi fratelli Luca e Marco. La prima stava in disparte a pettinare le bambole. Aveva 7 anni, una chioma castana, le guanciotte paffutelle perennemente arrossate e il naso piccolino. Gli altri, 6 e 5 anni, si litigavano l’attenzione delle mie figlie.
-Ali, ricordati la crostata. Io scappo a lavoro!- le dissi, raccattando la mia borsa abbandonata sul divano ed il mio cappotto con guanti e sciarpa. Imbacuccai Michael, il mio primo genito di ormai 9 anni e mezzo. La sua criniera marrone gli si era appiccicata alla fronte e la bocca era incurvata in una linea gioiosa. Sistemai Amanda, il mio secondo capolavoro di 6 anni. E per finire, mi concentrai sull’ultima arrivata, la nostra principessina: Elettra, 3 anni appena. Schiuse le labbra  e notai un buchetto proprio al centro del suo sorriso, a causa di un paio di dentini mancanti.

Quella mattina ero andata da Alice per consegnarle un dolce che avrebbe dovuto portare la sera stessa ad una cena di famiglia. Mi diressi, con tutta la mia ciurma, alla macchina e ricevetti una telefonata da mio marito.
-Amore…- risposi, tenendo l’apparecchio incastrato tra la spalla e l’orecchio e tentando di agganciare per bene Elettra al passeggino. Intanto Michael aiutava Amanda con la cintura.
-Dove siete? Qui ci sono dei clienti francesi ed avrei bisogno di te per contrattare…- ammise con una certa urgenza.

Ci accordammo che massimo venti minuti sarei stata in azienda e avviai il motore. Portai i miei bimbi a casa di Carly. Ad aprirmi la porta fu proprio mia suocera e mi spupazzò raggiante uno zigomo. Mi salutarono anche le figlie di Kevin ed Alexis. Kimberly aveva 7 anni e Victoria 4  e mezzo. Fisicamente erano molto simili, però, la differenza stava essenzialmente nel carattere: Kimberly era dolcissima, premurosa, gentile ed ubbidiente. Victoria, invece, era testarda, cocciuta e quando si impuntava nessuno poteva contraddirla! Stava facendo impazzire i suoi genitori, ma d’altronde anche quello era il sale della vita.

Raggiunsi James a velocità supersonica. Feci le scale per evitare il malloppo di gente che si creava agli ascensori e arrivai a grandi falcate alla mia scrivania. Mi spianai le pieghe del tailleur rosso che portavo. mi avviai in sala riunioni e, appena mi vide, il mio consorte mi venne in contro, mentre di fronte a lui c’erano due uomini di mezza età palesemente stranieri.
-Finalmente sei arrivata! Non riesco a capire nulla di quello che dicono!- affermò esasperato, baciandomi fugacemente sulle labbra.

Tradussi tutta la loro conversazione per filo e per segno. Quando finimmo uno dei due clienti mi chiese il mio nome.
-Je m’appelle Sabrina.- risposi cortesemente, intanto che il suo socio firmava il contratto sotto l’occhio vigile del mio imprenditore.
-Mr. Harrison est son mari?- “Il Sig. Harrison è suo marito?” domando, avvicinandosi. Mi allontanai di riflesso,  per il  tono di voce da predatore che aveva usato, e lo scrutai attentamente.
-Oui, il est mon mari. Nous sommes heureusement marriès. Je ne cherche pas un amant.- “Si, è mio marito, siamo felicemente spostati. Non cerco un amante.” liquidai la faccenda e lo vidi alzare le spalle indifferente.
***
-Sono distrutto!- ammise James, dirigendosi alla mia scrivania. Aveva gli occhi arrossati e stanchi e si buttò frustrato sulla sedia.
-Hai mal di testa?- mi preoccupai, carezzandogli la mandibola  e sporgendomi su di lui. Annuì mestamente e io racimolai da dietro le mie spalle la borsa. Frugai leggermente al suo interno e trovai una medicina contro l’emicrania. Mi alzai, presi un bicchiere d’acqua, mischiai il rimedio con essa e gliela porsi. –Bevi.- gli consigliai. –Riposati, a me serve ancora mezz’ora per finire il lavoro.- esclamai, indicando con un cenno il portatile sopra il tavolo. Mi risedetti al mio posto e lui poggiò il suo capo sulla mia spalla.
 
Montammo nell’auto e guidammo fino alla villa di Charlotte. Racimolammo i nostri figli e tornammo nella nostra dimora. Nell’atrio, vidi il mio compagno barcollare in cucina.
-James!- lo richiamai, prendendolo per un braccio. –Non ti reggi in piedi! Stenditi sul divano e cucino io.-
-Amore…- sospirò lui, intrecciando le sue braccia dietro il mio collo. –Io ti amo, ma non offenderti se ti dico che in cucina sei un vero disastro…- annunciò impertinente e scaltro. Risi, dandogli ragione,  e gli baciai il mento.
-Giusto, ma abbiamo delle cose pronte in frigo. Devo solo scaldarle.- confessai, regalandogli un occhiolino.

Dopo pranzo mio marito si stese sul materasso della nostra camera con Elettra spaparanzata sul suo torace. Misi Amanda a letto per il suo sonnellino pomeridiano e mi sdraiai con lei per farle prendere sonno. Quando si abbandonò tra le braccia di Morfeo, raggiunsi mio figlio sul divano.
-Dormono tutti?- chiese Michael innocente, salendo sulle mie ginocchia. Io annuii e lo tenni stretto a me, vedendo la tv.  
 
James parve rinsavire grazie al suo riposino e Elettra ci costrinse ad assemblare un gigantesco puzzle tutti insieme.
Quella sera eravamo stati invitati da Amber e Ryan per festeggiare il ritorno di quest’ultimo dall’Austria. L’attività di Lexy e Kev andava a meraviglia, tuttavia la loro agenzia di viaggi aveva delle esigenze ed era necessario che quel week-end un rappresentante andasse a Vienna per recensire un albergo importante. Kevin aveva girato mezza New York per trovare qualcuno da spedire in Europa. Ryan si era offerto ed era stato incaricato di trascorrere 48 ore in quella struttura.

Vestii i miei piccoletti e corsi a prepararmi il più in fretta possibile.  
-Mamma, sei bellissima!- ammise Michael appena mi notò, con  i palmi congiunti ai lati della bocca. Arrossii inevitabilmente. –Io e il papà siamo gelosi!- continuò, imbronciandosi e abbracciandomi. James ridacchiò e lo assecondò annuendo, mentre gli accarezzava la nuca.
-Pensa quando anche Amanda ed Elettra diventeranno belle come la mamma!- gli rinfacciò, ricevendo in risposta una mia gomitata e dei risolini dalle dirette interessate.
-Beh, dovremo tenere lontani tutti i maschietti da loro.- decise mio figlio, contento della sua stessa idea. Sospirai afflitta, pensando che le mie bimbe non avrebbero avuto vita facile con un padre ed un fratello tanto pessessivi.

 Dopo esserci immersi nel traffico sostenuto della Grande Mela, Elettra adocchiò un cagnolino sul bordo della strada.
-Papà, papà! Fermo! Prendiamolo!- urlò agitandosi sul seggiolino. Da un po’ di settimane ci stava facendo ammattire con questa sua voglia irrefrenabile ed era quasi riuscita a convincerci, solo che, alcuni giorni prima, una deliziosa palla di pelo aveva scambiato James per un pezzetto di terra dove potersi liberare dei suoi bisogni fisiologici e lui aveva saltellato schifato per cinque minuti buoni.
-Elettra, ho detto di no!- concluse perentorio, lanciandole un’occhiata ammonitrice dello specchietto retro-visore.

Arrivammo a casa di Amber e Ryan in perfetto orario e fummo accolti dai nostri bellissimi nipoti. Travis aveva ormai raggiunto i 10 anni e i suoi capelli rossi erano cresciuti a dismisura, ciò nonostante per qualche strana ragione sembrava aver paura del parrucchiere, perché non voleva mai tagliarli ed erano acconciati perennemente come una zazzera arruffata. Immediatamente si chiuse in camera con mio figlio per combinare qualche marachella delle loro. Quei due avevano uno splendido rapporto che, ne ero sicura, sarebbe rimasto tale anche con il trascorrere del tempo. Amber e Ryan avevano dato alla luce anche due gemelli identici: David e Connor. La loro mamma era solita correre a destra e a manca per stargli dietro, dopotutto avevano ancora 6 anni.

Nel bel mezzo della cena, Kevin fece cadere dell’acqua. Tra le sue imprecazioni e i rimproveri di Lexy, sul suo viso si dipinse un sorrisetto da ragazzino. In quegli anni ne aveva combinate davvero di tutte i colori e avevo capito che non avrebbe mai abbandonato la sua aria da eterno Peter Pan. Al matrimonio di Andrew e Alice regalò alla neo-sposa un pacchetto rosso fuoco con un fiocchetto al centro della scatolina. Sussurrò qualcosa alla sua amica che corse immediatamente in bagno. Kevin prese un microfono ed iniziò a dettare le regole di un gioco. Acciuffò  una sedia, la posizionò al centro della sala in cui si stava svolgendo la cerimonia e fece accomodare mia sorella. Chiamò anche Drew e lo fece inginocchiare difronte alla moglie. Spiegò di averle regalato  una giarrettiera e che il suo compagno doveva toglierla, utilizzando solo i denti.
Appena l’uomo riuscì a sfilare il pezzetto di pizzo fino al piede di Alice, si sollevò inviperito e rincorse Kev per tutta la location, buttandolo in piscina.

Mi riscossi dai miei pensieri tornando al presente, grazie alla voce di Amanda che chiedeva dell’acqua. Travis, seppur arrossendo, le riempì il bicchiere. Avevamo  capito che era stracotto di lei. Le sue guance si tingevano del colore dell’amore in sua presenza, le stava sempre accanto e non le rivolgeva mai la parola. Ogni volta che rimanevano da soli, Michael li seguiva e li teneva sotto controllo.

Mi guardai attorno, godendomi il clima familiare che si era creato tra di noi dopo anni ed anni di conoscenza, e mi beai di quell’aria piacevole. Avevo trovato senza dubbio il mio posto nel mondo, ero soddisfatta della vita che conducevo e ringraziai il cielo per avermi spedita in America. Non avrei cambiato una sola virgola della mia storia, neanche il mio arrivo trafelato a New York quando, distrutta e delusa, ero alla ricerca di un nuovo inizio.

 
NOTE DELL’AUTRICE:
Con questo sguardo al futuro si conclude ufficialmente questa storia! Da una parte sono felicissima, ma dall’altra sono davvero triste. Non scriverò più di James e Sabrina e di tutti i loro amici.
Ringrazio di cuore chi ha seguito quest’avventura, chi ha recensito, chi mi ha spronato a continuare e chi ha semplicemente letto.
Spero di avervi resi felici almeno la metà di quanto lo sono io ora e mi auguro di rivedervi anche nelle mie prossime storie.
Alla prossima spero, ciao SS

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3401781