Le Bizzarre Avventure di JoJo: Deep Memories

di Recchan8
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il biologo marino ***
Capitolo 2: *** Celeste Giosta ***
Capitolo 3: *** Deeper Deeper ***
Capitolo 4: *** Stalker ***
Capitolo 5: *** Segnurina ***
Capitolo 6: *** Spavalderia ***
Capitolo 7: *** Beccato ***
Capitolo 8: *** La guardia del corpo ***
Capitolo 9: *** Haruno ***
Capitolo 10: *** Schiavo ***
Capitolo 11: *** Debole. debole ***
Capitolo 12: *** Sangue ***
Capitolo 13: *** Acquisto ***
Capitolo 14: *** Leonessa ***
Capitolo 15: *** Demone ***
Capitolo 16: *** Destino ***
Capitolo 17: *** Imbarazzo ***
Capitolo 18: *** Somiglianza ***
Capitolo 19: *** Uomini ***
Capitolo 20: *** Restauro ***
Capitolo 21: *** Cerniera ***
Capitolo 22: *** Nipote ***
Capitolo 23: *** Florida ***
Capitolo 24: *** L'amore perduto ***
Capitolo 25: *** Dea Brando ***
Capitolo 26: *** Partenza ***
Capitolo 27: *** Scariche elettriche ***
Capitolo 28: *** Occhi ***
Capitolo 29: *** Storia ***
Capitolo 30: *** Tu ***
Capitolo 31: *** Mostro ***
Capitolo 32: *** Interrogatorio ***
Capitolo 33: *** Sottovalutato ***
Capitolo 34: *** Colpa ***
Capitolo 35: *** Freccia ***
Capitolo 36: *** Colore ***



Capitolo 1
*** Il biologo marino ***


-"Ci andiamo?"-.
Celeste lesse un paio di volte e svogliatamente il volantino che un tizio le aveva lasciato una mezz'oretta prima all'ingresso della mensa universitaria, poi spostò lo sguardo su Tessa, seduta di fronte a lei. Si vedeva benissimo che era su di giri. Doveva forse assecondarla?
-”Sembra interessante...”- disse Celeste arrendendosi alle occhiate supplichevoli dell'amica. -”Voglio dire... Una conferenza, in Italia, nella nostra città, sulla biologia marina egiziana tenuta da un giapponese? Bizzarro...”-.
Tessa annuì più volte; si vedeva lontano un miglio che non stava più nella pelle all'idea di partecipare alla conferenza.
-”A che ora e dove?”- le chiese subito.
Celeste cercò le informazioni sul foglio.
-”Trovato...”- mormorò qualche istante dopo. -”Sì, si può fare”- commentò. Guardò l'ora sul suo orologio da polso e sobbalzò.
E' già così tardi?!”.
Scattò in piedi e recuperò la borsa a tracolla dall'attaccapanni accanto al tavolino. Tessa, il vassoio con i piatti ancora mezzi pieni, la guardò con aria interrogativa.
-“Tra quindici minuti a Biologia!”- le disse.
-”Merda!”- esclamò Tessa facendo cadere le posate nel purè. -“Ci conviene sbrigarci o rischiamo di non trovare posto!”-.
-”Scherzi?”- domandò Celeste accompagnandola al nastro trasportatore in fondo alla mensa. Celeste e Tessa si erano trovate per caso dentro la mensa, proprio quando Celeste aveva finito di pranzare e stava per andarsene.
Tessa, i capelli mori legati in una coda bassa, posò il vassoio sul rullo e scosse la testa. Si precipitò giù per le scale e Celeste la seguì a ruota.
-”E' un biologo marino piuttosto famoso, il nostro giapponese”- spiegò la ragazza mora.
-”E tu come lo conosci?”-.
-”Sai, anche a noi studenti di ingegneria ogni tanto piace svagarci, specialmente se a offrire materiale di svago è un uomo come lui!”- le rispose facendole l'occhiolino.
Celeste la guardò spaesata. Tessa alzò gli occhi al cielo, scosse la testa, la afferrò per mano e prese a camminare più velocemente, ignorando le proteste dell'amica.
Abbiamo appena mangiato! Come può pretendere di correre?!”, si domandò Celeste. A quanto pare per Tessa la conferenza era davvero importante.
Arrivarono davanti all'ingresso del palazzo della sede di Biologia col fiatone, le gambe doloranti e cinque minuti di anticipo sull'inizio della conferenza.
-”Tessa... Prima di entrare... Toglimi una curiosità...”- iniziò Celeste levandosi il giacchetto di pelle e cercando di riprendere fiato; le era improvvisamente venuto caldo. -”Come... Come si chiama 'sto tipo? Non ho visto il nome sul volantino...”-.
-”Lascia... Lascia che si presenti da solo...”-.

 

 

Celeste si sorprese nel constatare che l'aula magna della facoltà di Biologia fosse piena zeppa di persone; c'era persino qualcuno in piedi in fondo e ai lati dell'aula. Senza tanti complimenti le due ragazze si sedettero nei posti che Tessa era riuscita abilmente a conquistare.
-”E' un gran peccato essere qui in fondo, ma almeno siamo sedute”- commentò Tessa guardandosi intorno.
Lanciò un'occhiata all'ora sul display del cellulare ed esultò silenziosamente. Celeste la guardò basita, non riuscendo a capire quale fosse la fonte della sua impazienza.
-”Non guardarmi così, aspetta di vederlo... Oddio, eccolo!”- esclamò indicando il palco rialzato.
In mezzo a una cascata di applausi e apprezzamenti verbali, fece il suo ingresso un uomo con un soprabito nero tempestato di spille variopinte e un cappello altrettanto nero con una spilla dorata a forma di mano sulla visiera. La cosa che stupì Celeste più di tutte fu la sua altezza: a occhio e croce un metro e novantacinque. Il direttore della facoltà, in piedi accanto a lui, in confronto sembrava un nano da giardino.
-”...Lascio la parola al nostro ospite”-.
Non appena il biologo prese in mano il microfono, nell'aula calò il silenzio. Tutti gli occhi erano puntati su di lui, persino quelli di Celeste. C'era qualcosa di ipnotico nella sua figura.
-”Sono Kujo Jotaro”- disse; il suo tono di voce era caldo e profondo. -”Jotaro Kujo per voi occidentali. La mia conferenza inizia adesso”-.

 

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Capitolo 2
*** Celeste Giosta ***


Durante le due ore di conferenza Celeste non prestò attenzione a nemmeno una sola parola pronunciata dal giapponese. C'era qualcosa in quell'uomo che la rendeva irrequieta, un costante senso di déja-vu. Più lo guardava e più sentiva nascere dentro di sé un sentimento paragonabile a un misto tra affetto e odio.
-”Ehi, ti senti bene?”- le chiese Tessa sottovoce.
Celeste la guardò distrattamente e annuì poco convinta.
-”Ormai Kujo ha finito, se vuoi ti accompagno fuori”- insistette Tessa.
Celeste scosse la testa. Le dispiaceva far perdere all'amica gli ultimi minuti della conferenza del suo amato biologo, così le disse di non preoccuparsi per lei e che l'avrebbe aspettata fuori. Si alzò e uscì dall'aula cercando di non farsi notare; corse verso i bagni del piano terra e ci si chiuse dentro. Quel dannatissimo senso di disagio era aumentato, aveva persino la vista annebbiata. Ci fu un attimo in cui pensò che sarebbe svenuta da lì a poco. Tentò di calmarsi tramite dei respiri profondi e si sciacquò il viso con l'acqua fredda, dimenticandosi di avere il mascara sulle ciglia.
-”Perfetto...!”- borbottò sarcastica. Fu costretta a struccarsi con una buona dose di acqua e carta igienica.
Terminata l'opera si guardò allo specchio e sussultò: non si era mai vista così pallida in tutta la sua vita. Cosa diamine le stava succedendo?
Uscì dal bagno qualche minuto dopo e, svoltato l'angolo, sbatté contro una figura imponente. Cadde a terra di rimbalzo e il contenuto della sua borsa a tracolla si sparse sul pavimento.
-”M-mi scusi!”- disse chinandosi a raccogliere le sue cose.
-”Yare yare daze...”- sentì dire dall'alto.
Alzò lo sguardo e si trovò faccia a faccia col biologo giapponese. Celeste rimase qualche secondo immobile, non riuscendo a capire come fosse possibile che gli occhi di quell'uomo fossero turchesi. Sotto lo sguardo duro e indecifrabile di Jotaro Kujo, Celeste raccolse in fretta le sue cose e, una volta finito, fece un rapido inchino, ricordandosi delle usanze orientali. Nel farlo i suoi capelli si spostarono e scoprirono la voglia a forma di stella che aveva sulla sinistra alla base del collo. Pensando che fosse tutto a posto, fece per passare oltre l'uomo, ma questo la fermò posandole una mano sulla spalla. La ragazza sussultò al contatto; si girò lentamente, e gli occhi turchesi del gigante giapponese la misero per un attimo in soggezione. C'era qualcosa di strano nel suo sguardo, un misto di incredulità e... paura?
-”Quella stella... E' un tatuaggio?”- le domandò.
Celeste si portò istintivamente una mano alla base del collo e scosse la testa.
-”E' una voglia?”-.
-”Esatto...”-.
-”Ce l'hai dalla nascita?”-.
La ragazza non riusciva a capire l'assurdo interesse di Jotaro Kujo nei confronti della sua voglia, ma annuii.
-”Perdona la mia insistenza, ma posso sapere il tuo nome?”-.
-”Celeste”- rispose dopo qualche attimo di esitazione.
Il giapponese, con un quasi impercettibile cenno del capo, la intimò a proseguire.
-”Celeste... Giosta”-.
Il volto di Jotaro Kujo si rabbuiò di colpo. Si calò la visiera sugli occhi e fece schioccare la lingua.
-”Ore wa... shinjite imasen”- mormorò. -”Vorrei porti altre domande. Si tratta di una questione piuttosto... importante”-.
La serietà nella sua voce e la sua insolita richiesta fecero preoccupare Celeste e la indussero a rifiutare.
-”Mi dispiace, signor Kujo, ma al momento non ho tempo da dedicarle”- disse in fretta. -”La mia amica mi sta aspettando...”-.
-”Non hai mai conosciuto tuo padre, vero?”- la interruppe.
Il resto della scusa le morì in gola. Lo guardò dritto negli occhi, non credendo alle proprie orecchie.
-”Come... Come fa a saperlo?”- sussurrò Celeste.
Jotaro Kujo le voltò le spalle e si incamminò verso l'uscita del palazzo.
-”Vieni con me. A quanto pare abbiamo molto di cui parlare”-.

 

 

Chiusi dentro a una caffetteria vicina alla facoltà di Biologia, Jotaro osservò la ragazza dai capelli color miele seduta di fronte a sé, domandandosi se avesse fatto bene ad assecondare il suo istinto. Del resto, la voglia a forma di stella non aveva mai mentito.
-”Sarebbe così gentile da dirmi di cosa voleva parlarmi?”- esordì Celeste, le braccia incrociate al petto.
Jotaro si sorprese un poco del repentino cambio di carattere della ragazza, ma non lo diede a vedere. Gli occhi ambrati di Celeste lo stavano guatando da qualche minuto, in attesa che Jotaro parlasse. Forse aveva avuto una prima impressione su di lei errata; evidentemente la ragazza aveva più carattere di quel che sembrava.
-”Prima ho bisogno che tu mi dica una cosa”- disse Jotaro a voce bassa. -”Vedi qualcosa?”-.
Evocò il suo Stand, Star Platinum, che comparve alle sue spalle. La gente comune non era in grado di vedere gli Stand, perciò..
Jotaro vide lo sguardo di Celeste spostarsi sopra la sua testa, e la fronte della ragazza si aggrottò. Celeste indicò un punto sopra Jotaro e aprì la bocca per dire qualcosa, ma ci ripensò.
-”Lo prendo come un sì”- disse Jotaro richiamando Star Patinum.
-”Quello... Che diamine era?”- esclamò Celeste poi.
-”E' uno Stand, l'emanazione dell'energia spirituale di un individuo”- spiegò Jotaro. -”Non tutti gli esseri viventi possiedono la capacità di manifestarlo. Il fatto che tu sia stata in grado di vederlo significa che sei una portatrice di Stand. Lo sapevi?”-.
Celeste storse la bocca e alzò un sopracciglio.
-”Secondo lei?”- borbottò sarcastica. -”Aspetti, chi mi assicura che non si tratti di uno scherzo di cattivo gusto?”- aggiunse chinandosi in avanti. -”Quella specie di guerriero maya viola... Potrebbe essere un ologramma”-.
-”Un ologramma sarebbe in grado di fare questo?”-.
Star Platinum riapparve e frantumò con un pugno la tazzina di caffè del suo portatore. Celeste lanciò una rapida occhiata alle persone attorno a loro, e notò che tutte stavano fissando il giapponese e non il guerriero maya fluttuante alle sue spalle.
-”Va... Va tutto bene?”- chiese un cameriere avvicinandosi.
-”Sì. Fuori dai piedi”- rispose Jotaro bruscamente.
Il cameriere deglutì e si allontanò in fretta. Celeste osservò per qualche secondo in silenzio quel che rimaneva della tazzina, poi spostò lo sguardo su Jotaro e strinse le labbra.
-”Le credo”-.
-”Bene. Adesso, torniamo a noi. Potresti ripetermi il tuo cognome?”-.
-”Giosta”- rispose Celeste. -”Lei... conosceva mio padre?”-.
-”Un passo alla volta”- disse Jotaro alzando una mano. -”Prima ho bisogno che tu risponda sinceramente ad alcune mie domande. Tua madre ti ha mai parlato di tuo padre?”-.
-”No, mai. In realtà non ho mai avuto modo di chiederglielo. E' sparita poco dopo la mia nascita. Io sono stata allevata da mia zia”-.
-”La sorella di tua madre, suppongo”-.
-”Esatto; nemmeno lei, però, sa qualcosa sull'identità di mio padre o su dove sia finita mia madre. Secondo il marito di mia zia, sono fuggiti insieme lasciando a qualcun altro il peso del loro... fardello”-.
Jotaro notò che l'ultima parola pronunciata da Celeste conteneva una certa di dose di rabbia mal velata. Quindi la ragazza non conosceva i suoi genitori, era stata cresciuta dalla famiglia della zia materna e... ed era una portatrice di Stand, ma evidentemente il suo Stand non si era ancora manifestato.
-”Nessuno ti ha mai detto qualcosa riguardo alla voglia a forma di stella?”- le chiese.
Celeste scosse la testa.
-”Perché, cos'ha di così importante?”-.
-”Troppe cose”- borbottò Jotaro distogliendo lo sguardo da Celeste. Si sporse in avanti e scostò con un dito il colletto della maglia, mettendo in mostra la base del collo. Celeste guardò nel punto che gli stava indicando il biologo e si sorprese quando vide una voglia a forma di stella identica a quella che possedeva lei.
-”E' uguale alla mia”- constatò Celeste.
Jotaro fece un grugnito d'assenso e si appoggiò allo schienale della sedia, incrociando le braccia al petto.
-“Quella voglia è un tratto caratteristico e distintivo della famiglia Joestar. Il mio trisavolo Jonathan ce l'aveva, così come il mio bisnonno George II, mio nonno Joseph, mia madre Holly e mia figlia Jolyne”- spiegò Jotaro.
-”Lei non è purosangue”- commentò Celeste. Adesso si spiegavano l'altezza e gli occhi turchesi.
-”Madre inglese e padre giapponese”- si limitò a dire Jotaro. -”Il tuo cognome, Giosta, è la traslitterazione italiana del cognome della mia famiglia. Io credo che tu... che tuo padre abbia a che fare con noi Joestar”-.
Gli occhi ambrati di Celeste si illuminarono per un secondo. Jotaro capì di aver fatto centro e continuò a parlare. Doveva solamente convincerla a dargli un campione del suo DNA per effettuare un test e verificare che il suo timore fosse infondato; eppure gli occhi della ragazza sembravano parlare chiaro...
Jotaro decise di omettere la storia di Dio Brando e di far pressione, invece, sulla questione del test del DNA.
-”Celeste, ho una proposta da farti”-.
-”Vuole fare un test del DNA per scoprire se mio padre è un suo parente?”- lo precedette la giovane. -”D'accordo. Le farò avere un campione del mio DNA, ma lei, in cambio, dovrà insegnarmi a usare il mio Stand”-.
Jotaro si lasciò sfuggire un mezzo sorriso che nascose sotto la visiera del cappello. Acuta, brillante e decisa: quella ragazza gli piaceva.
Celeste gli tese una mano per suggellare il patto, e Jotaro l'afferrò.


 

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Capitolo 3
*** Deeper Deeper ***


Non appena il giapponese le sfiorò la mano, Jotaro stesso, il tavolino e la caffetteria attorno a lei svanirono come sabbia mossa dal vento. Improvvisamente Celeste si ritrovò all'interno di una pinacoteca dai muri bianchi. Numerosi quadri variopinti erano appesi alle pareti, ognuno di loro incorniciato da cornici di vario genere.
Che sta succedendo?!”, pensò sbalordita.
Si guardò intorno e si avvicinò alla parete di fronte a sé. In alto, una targhetta di ottone riportava l'incisione “Mostra allestita dall'artista Kujo Jotaro” e sotto la data “1988”
Artista Kujo Jotaro...?”.
Alla parete erano appesi sette ritratti di dimensioni notevoli e un numero maggiore di ritratti di dimensioni molto più piccole. Incuriosita, si concentrò sui ritratti più grandi. Uno di questi ritraeva un giovane dai capelli rossicci e gli occhi viola, con indosso un'uniforme scolastica giapponese di colore verde scuro; inoltre, due orecchini rossi gli pendevano da entrambi i lobi delle orecchie. Il pannello accanto al dipinto riportava il nome del soggetto ritratto.
-”Kakyoin Noriaki”- lesse.
-”Era il migliore amico del signor Kujo”- disse una voce alle sue spalle. -”Dico era, dal momento che è deceduto”-.
Celeste si voltò di scatto e si ritrovò faccia a faccia con uno strano essere dalle sembianze umanoidi: il capo era coperto da un elmo rinascimentale col pennacchio e gli abiti, trinciati qua e là, richiamavano uno smoking a scacchi; il suo corpo era dipinto di varie tonalità di blu, dall'azzurro confetto al blu cobalto.
-”Cosa diavolo sei?!”- esclamò indietreggiando.
-”Qual vile linguaggio... Sono il tuo Stand”- rispose l'essere.
-”Il mio Stand?”- ripeté la ragazza indicandosi.
Lo Stand fece un breve inchino.
-”Il mio nome è Deeper Deeper, sono il curatore della mostra. Delle mostre. Tutti i quadri che vedi qui appesi altro non sono che i ricordi di Kujo Jotaro. Prego, volgi lo sguardo da questa parete”- disse.
Nonostante fosse ancora sulla difensiva, Celeste seguì l'invito dell'essere azzurro e tornò a guardare la parete che stava osservando fino a qualche attimo prima.
-”Ogni opera raffigura un individuo di cui il signor Kujo possiede memoria. La dimensione dell'opera è proporzionale sì alla quantità di ricordi, ma anche all'importanza di questi”-.
-”Quindi il potere del mio Stand... il tuo potere, è quello di visualizzare i ricordi delle persone?”-.
Deeper Deeper annuì.
-”Non solo visualizzarli, ma anche interagire con essi, modificandoli o eliminandoli in prima persona”-aggiunse.
-”Cosa intendi?”-.
-”Ogni cosa a suo tempo...”-.
Celese passò lo sguardo dai quadri allo Stand, domandandosi in che razza di situazione si fosse cacciata.
Già l'università è impegnativa, ci mancava solo 'sta storia!”.
-”Parli in modo strano e sei vestito in maniera... bizzarra”- commentò squadrando il proprio Stand da capo a piedi.
-”Ti porgo le mie scuse”-.
-”Come se mi servissero a qualcosa...”- borbottò alzando gli occhi al cielo. -”Senti, mi basta toccare una persona per attivare questo potere?”-.
Deeper Deeper annuì nuovamente. Celeste incrociò le braccia al petto e strinse le labbra. Modificare i ricordi delle persone... Quel potere le sarebbe davvero stato utile? A che scopo, poi? Lei voleva solamente scoprire l'identità di suo padre, tutto qui...
-”E come posso interagire coi ricordi?”- domandò poco dopo.
Lo Stand fece per rispondere quando all'improvviso nella pinacoteca calò il buio. Qualche secondo dopo tornò la luce, ma Deeper Deeper non c'era più.
-”Cos'è successo? Deeper Deeper!”-.
Lo chiamò più volte, ma non ottenne mai risposta. Presa dal panico, la ragazza si guardò forsennatamente attorno in cerca di un'uscita, e fu allora che si accorse che uno dei sette ritratti più grandi era sparito, e con lui il pannello esplicativo.
-”Non fidarti di Jotaro”- le disse improvvisamente una voce dolce, suadente e profonda. -”Non permettergli di effettuare il test. C'è in gioco la tua vita”-.
-”Chi sei? Fatti vedere! Deeper Deeper, torna qui!”-.
-”Non permettergli di prelevare un campione del tuo DNA”- insisté la voce, ignorando la domanda di Celeste. -”Vai a Napoli e cerca una persona di nome Giorno Giovanna: è la tua unica speranza di salvezza. Ti prego, Celeste... Fuggi finché sei in tempo”-.
Così come era apparsa, la pinacoteca scomparve. Celeste si ritrovò nella caffetteria, la mano tesa che stringeva quella di Jotaro. Il giapponese si accorse del suo turbamento e alzò un sopracciglio a mo' di domanda. Celeste lasciò di scatto la sua mano e mostrò un sorriso finto.
-”Tutto bene?”- le domandò Jotaro. I suoi occhi turchesi la stavano scrutando intensamente.
-”Assolutamente”- mentì.
-”Sei impallidita”-.
-”E' l'emozione!”-.
Jotaro sembrò credere alla scusa, e i suoi lineamenti si rilassarono. Celeste tirò un lieve sospiro di sollievo e si accasciò sulla sedia. Ripensò alle parole che quella misteriosa voce aveva pronunciato e si domandò a chi dovesse dar retta: a uno strano biologo marino giapponese che l'aveva messa al corrente dell'esistenza degli Stand e della storia della voglia a forma di stella, o a una voce che l'aveva messa in guardia contro un pericolo e le aveva dato delle indicazioni precise?
Ti prego”, aveva inoltre detto.
Non poteva ignorare entrambi? No, ormai c'era dentro fino al collo in quella storia.
-”La Fondazione Speedwagon si occuperà del test e di mettere al corrente di ciò la tua famiglia”- disse improvvisamente Jotaro.
-”La Fondazione Speedwagon?”- ripeté Celeste sorpresa. -”Lei è in contatto con un'associazione così influente?”-.
Il giapponese non rispose; si limitò a stringersi nelle spalle e a distogliere lo sguardo.
D'accordo, ricapitoliamo”, pensò Celeste. “Un biologo anglo-giapponese con una voglia identica alla mia che è apparso all'improvviso mostrandomi il suo Stand e raccontandomi della famiglia Joestar vuole un campione del mio DNA per scoprire se mio padre appartiene alla sua famiglia. Perché? E' così importante che mio padre sia un Joestar?”.
Guardò di sottecchi Jotaro e notò che la stava fissando con quei suoi soliti occhi duri e impassibili. Cosa voleva davvero da lei? Un improvviso brivido le percorse la schiena e le parole della voce misteriosa riemersero nella sua testa.
Non fidarti di Jotaro”.
Ormai era troppo tardi per far finta che non fosse successo niente. Doveva prendere una decisione: mantenere l'accordo stipulato con Jotaro o partire alla ricerca di Giorno Giovanna.
-”Ci vediamo domattina alle dieci qui”- disse Jotaro ripescando Celeste dal fiume dei suoi pensieri.
-”...Sì, d'accordo”-.
Lasciò sul tavolino una banconota da venti euro e se ne andò, seguito dagli sguardi curiosi degli altri clienti del locale. Qualche minuto dopo Celeste lo imitò, ringraziandolo di aver pagato anche la sua consumazione e la tazzina che il suo Stand aveva rotto.
Appena mise piede fuori dalla caffetteria, Celeste prese il suo cellulare dalla borsa e chiamò a casa. Sua zia rispose dopo pochi squilli.
-”Zia, tornerò a casa un po' più tardi del previsto”- le disse. -”Devo andare in stazione a comprare dei biglietti”-.



La mattina seguente Jotaro aspettò Celeste davanti alla caffetteria per ben quaranta minuti; quando fu chiaro che la ragazza non si sarebbe presentata, fece una telefonata.
-”Sei in Italia?”-.
-”Ah, odio le persone irrispettose che saltano i convenevoli...”- si lamentò l'interlocutore dall'altro capo del cellulare. -”Sì, sono in Italia. Perché?”-.
-”Ho bisogno che tu mi raggiunga. E' una questione urgente”- spiegò brevemente Jotaro.
-”C'entrano di nuovo l'Arco e la Freccia?”-.
-”No, qualcosa di peggio”-.
-”Mandami le tue coordinate su Maps. Ti raggiungerò il prima possibile”- disse Rohan Kishibe.





NOTA DELL'AUTRICE
Salve a tutti! Grazie per aver letto anche questo terzo capitolo! :D Ci tenevo a fare due precisazioni. La prima riguarda il nome dello Stand di Celeste, Deeper Deeper: come forse qualcuno di voi ha notato, è il titolo di una canzone della band giapponese ONE OK ROCK (che io AMO); la seconda, invece, riguarda proprio il potere di Deeper Deeper: apparentemente è molto simile a quello dello Stand di Rohan Kishibe, ma credetemi, quello che in realtà può fare è completamente diverso.
Spero che leggerete anche i prossimi capitoli! A presto ^^

 

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Capitolo 4
*** Stalker ***


Lo sto facendo davvero!”.
Celeste sprofondò nel sedile del treno, coprendosi il viso con entrambe le mani. Erano le nove del mattino e, stando a quanto aveva appena detto il train manager tramite gli altoparlanti, il treno sarebbe arrivato alla stazione di Napoli tra due ore e mezza.
Dio benedica i treni ad alta velocità”, pensò con una punta di sarcasmo.
Si era lanciata all'avventura senza pensarci su più di tanto. Avvisò solo sua zia, dicendole che sarebbe tornata la sera stessa.
-”Vado a trovare una mia amica a Napoli!”- le aveva detto. Che senso avrebbe avuto raccontarle la verità? Non le avrebbe assolutamente creduto.
-”Be', hai vent'anni, puoi fare quello che vuoi. Anche se salti un giorno di università non sarà di certo la fine del mondo!”- le aveva risposto.
Prese in mano il cellulare e riprese le ricerche online su Giorno Giovanna; per quanto ci si fosse impegnata, non riuscì a trovare nessuna informazione.
Non so nemmeno quale sia il nome e quale il cognome! Probabilmente il nome è Giovanna...”.
I suoi pensieri tornarono un attimo a Jotaro e si domandò che cosa avrebbe fatto quando avrebbe scoperto che non si sarebbe presentata all'appuntamento. Sperò con tutta se stessa che lo Stand del biologo non avesse la capacità di localizzare le persone.
Tanto stasera sarò di nuovo in città. Di sicuro non se ne andrà finché non mi avrà rivista...”.

 

 

-”Heaven's Door!”-.
Jotaro afferrò la donna prima che, priva di sensi, cadesse a terra, e la adagiò sul divano del salotto. Fortunatamente era sola in casa: il marito era già uscito per andare a lavoro.
-”Vediamo un po'...”- mormorò l'uomo alto e snello, vestito da capo a piedi con abiti firmati Gucci; in testa portava una fascia verde scuro a zigzag. -”Cosa mi racconti?”- domandò avvicinandosi a lei.
Il viso della donna era diventato un libro aperto; Rohan ne sfogliò rapidamente le pagine cercando delle informazioni ben precise.
-”Non ho mai visto il padre di Celeste...”- lesse distrattamente. -”Credo che mia sorella sia ancora viva, ma non so dove sia... Bla bla bla... Trovato!”- esclamò a un tratto. -”Stamattina mia nipote Celeste è partita per Napoli”-.
Jotaro, in piedi alle spalle di Rohan, aggrottò la fronte.
-”Napoli?”-.
-”Qui c'è scritto che è andata a trovare un'amica e che tornerà questa sera”- spiegò Rohan. -”Questa donna non sa altro”-.
-”Ha mai notato qualche comportamento sospetto in sua nipote?”-.
Il mangaka girò qualche pagina e scosse la testa.
Perché quella ragazza se n'era andata senza dirgli niente? Che si fosse dimenticata dell'impegno preso con l'amica? Jotaro escluse a priori questa ipotesi; era sicuro che Celeste avrebbe trovato il modo di avvisarlo. Ormai ne era certo: la giovane dagli occhi ambrati era fuggita per non fare avere alla Fondazione Speedwagon il suo DNA.
-”Io non credo che sia scappata”- disse Rohan intuendo i pensieri di Jotaro. -”Probabilmente è davvero andata da un'amica”-.
-”Lo escludo”- ribatté Jotaro lapidario.
Rohan si strinse nelle spalle; sull'ultima pagina dei ricordi della donna scrisse "Quando mi sveglierò dimenticherò gli eventi degli ultimi dieci minuti", e chiuse il volto della zia di Celeste, che tornò immediatamente normale.
-”Fossi in te aspetterei domani prima di lanciarti all'inseguimento di quella ragazza. Se venisse fuori che è davvero andata a trovare l'amica ci faresti la figura dello stalker”-.
-”Yare yare daze...”- borbottò Jotaro calandosi la visiera del cappello sugli occhi. -”Andiamo via prima che si risvegli”- aggiunse poi indicando con un cenno del capo la donna stesa sul divano rosso.





NOTA DELL'AUTRICE
Questo capitolo è molto più corto degli altri perché rappresenta un punto di transizione: Celeste decide di abbandonare la normalità per intraprendere un viaggio che le cambierà per sempre la vita. Non vi anticipo altro, se non che nel prossimo capitolo verrà introdotto un personaggio importante :>

Alla prossima! :D

 

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Capitolo 5
*** Segnurina ***


Era mezzogiorno passato, e di Giorno Giovanna non aveva visto nemmeno l'ombra. Non sapeva niente di quella persona, né una caratteristica fisica, né l'età. In realtà stava brancolando nel buio più totale: non era neanche riuscita a capire se si trattasse di un uomo o di una donna.
Appena scesa dal treno e uscita dalla stazione, Celeste aveva iniziato la sua ricerca, fermandosi in ogni bar e ristorante per chiedere informazioni su di una persona di nome Giorno Giovanna o Giovanna Giorno. A qualunque persona chiedesse, aveva sempre ricevuto la stessa risposta: “Non so chi sia”.
Celeste si trovava seduta sul bordo della Fontana del Carciofo, in Piazza Trieste e Trento, quando le si avvicinò un ragazzo moro.
-”Ciao!”- la salutò allegramente.
-”...Ciao”- rispose Celeste squadrandolo da capo a piedi. Avrà avuto sì e no un paio d'anni più di lei. Indossava una maglietta con lo scollo a V bianca a maniche corte, un paio di jeans neri e un paio di Vans grigie fumo; legata attorno ai fianchi portava una camicia a quadri verdi e azzurri che ben si intonava ai suoi occhi verde brillante dal taglio lievemente all'ingiù. I capelli corvini erano tirati all'indietro e un ciuffo gli ricadeva dolcemente sul viso.
Si sedette accanto a lei e tirò fuori dalla tasca dei jeans un pacchetto di sigarette e un accendino.
-”Sei una turista?”- le domandò accendendosi una sigaretta. Le porse il pacchetto, chiedendole se ne volesse una; Celeste rifiutò.
Com'è che si dice? Non accettare sigarette dagli sconosciuti”.
-”Diciamo di sì”- rispose Celeste.
-”Toscana, eh? Si sente dall'accento”- disse il ragazzo con la sigaretta tra le labbra.
Celeste si strinse nelle spalle e non rispose. Che diamine voleva quello? Ci stava provando con lei? O forse voleva solo distrarla per rubarle la borsa? Immediatamente controllò con la coda dell'occhio che la sua borsa beige fosse ancora al suo posto.
Tutto bene, è sempre qui”, pensò sollevata.
-”Ti serve una mano? Qualche indicazione stradale, qualche consiglio...?”-.
Celeste alzò gli occhi al cielo e trattenne a stento uno sbuffo.
Si può sapere che cazzo vuoi?!”, pensò esasperata. Odiava la gente troppo invadente, e quel ragazzo dagli occhi verdi la stava facendo innervosire.
-”No, sono a posto, grazie”- tagliò corto. Recuperò la borsa, si alzò e se ne andò senza neanche salutarlo. Doveva trovare Giorno Giovanna, mica perdere tempo a chiacchierare con...
Un momento”. Celeste si fermò in mezzo alla piazza e fece immediatamente dietrofront. Il ragazzo moro era ancora seduto sul bordo della fontana e il suo sguardo tradiva una certa nota di divertimento.
-”Cosa posso fare per lei, segnurina?”- le chiese chinando il capo a mo' di inchino.
-”Sto cercando una persona”- gli disse Celeste ignorando la sua pagliacciata. -”Giorno Giovanna. E' piuttosto importante, devo trovarla prima di questo pomeriggio”-.
Il ragazzo fece qualche tiro dalla sigaretta con aria pensosa, poi scosse la testa; il ciuffo nero ondeggiò con essa.
-”Non so chi sia”- disse.
Celeste fece schioccare la lingua e un sorrisetto sarcastico comparve sulle sue labbra.
-”Ho chiesto a un sacco di persone prima di te, e tutti mi hanno dato la stessa identica risposta che mi hai dato tu. Nessuno che mi abbia detto “Mai sentito”, “Mi dispiace, non posso aiutarti”, “Boh” o “Qual è il nome? Giorno o Giovanna?”. Alquanto insolito”-.
-”E con questo? Mi dispiace che Napoli non sia riuscita a darti quello che cercavi”- disse il ragazzo, gli angoli della bocca rivolti verso il basso in una finta smorfia di tristezza.
-”Mi sa tanto di scusa pianificata”-.
-”Scusa pianificata?”- ripeté lasciandosi sfuggire una mezza risata.
-”Omertà”- sillabò la giovane in un sussurro.
Il ragazzo moro la guardò attraverso il fumo della sigaretta e puntò i suoi occhi color smeraldo in quelli di Celeste. Gettò per terra il mozzicone di sigaretta e lo spense con un piede. Si alzò, lanciandosi occhiate sospettose intorno. Improvvisamente afferrò Celeste per una spalla e la attirò a sé, coprendole la bocca con una mano per impedirle di urlare dalla sorpresa. Si chinò su di lei e avvicinò le labbra al suo orecchio.
-”Hai quindici minuti per lasciare Napoli. Se lo farai non ci saranno conseguenze. Hai capito?”- sussurrò.
Appena le tolse la mano dalla bocca, Celeste lo afferrò per i capelli e lo spinse verso di lei, costringendolo a chinarsi ancora di più.
-”Non posso farlo”- sussurrò in risposta. -”Devo trovare Giorno Giovanna, ne va della mia vita”-.
Lo spinse via e lo afferrò per un polso. Lui la guardò sorpreso.
-”Deeper Deeper, allestisci la mostra”- disse.
Deeper Deeper si materializzò di fronte a Celeste in uno svolazzare di vesti azzurre. Tese una mano e strinse la testa del ragazzo, il quale perse immediatamente conoscenza.
-”L'artista non ha alcun quadro da esporre”- disse Deeper Deeper dopo qualche secondo. -”Sono costernato, non sono in grado di allestire la mostra né di stilare un catalogo”-.
-”Scusa?!”- esclamò Celeste. -”Come sarebbe a dire?”-.
Le cornici che apparvero sopra la testa del ragazzo erano vuote, le tele completamente immacolate. La targhetta d'ottone posta sulla sua fronte era rovinata e leggere il suo nome risultava impossibile.
Perché il suo Stand non riusciva a visualizzare i ricordi di quel ragazzo? Celeste non sapeva niente di lui, se non che conosceva Giorno Giovanna e che, quasi sicuramente, faceva parte di un'organizzazione malavitosa.
Richiamò Deeper Deeper e lanciò una breve occhiata al ragazzo accasciato per terra. Probabilmente tra qualche secondo avrebbe ripreso conoscenza; doveva sparire prima che la vedesse. Appena gli voltò le spalle, Celeste sentì una morsa attanagliarle il polso destro. Alzò il braccio e vide un anello di fumo chiuso attorno al suo polso.
-”Cosa stai guardando?”- le domandò il ragazzo alzandosi in piedi. -”Oh, lo vedi? Allora quello che ho visto prima era davvero il tuo Stand, non me lo sono immaginato!”-.
Un portatore di Stand. Quel ragazzo era un portatore di Stand. Celeste provò a strapparsi di dosso l'anello di fumo, ma era come se al tatto fosse inconsistente.
-”Ho alcune domande da farti”- disse il ragazzo moro accendendosi un'altra sigaretta. -”A ogni risposta che non mi piacerà stringerò un po' di più quel bellissimo braccialetto finché non ti si spezzerà il polso”-.
-”Io devo incontrare Giorno Giovanna”- ringhiò Celeste a denti stretti. -”Lasciami!”-.
-”Prima domanda: perché?”- disse il ragazzo tornando a sedersi sul bordo della fontana. La gente passava loro accanto ignorandoli, pensando che il loro fosse un semplice battibecco tra fidanzati.
-”Mi è stato detto di farlo”-.
-”Seconda domanda: da chi?”-.
-”Da una voce nella mia testa”- rispose Celeste sinceramente.
Il ragazzo spalancò gli occhi e scoppiò a ridere; per poco non gli cadde la sigaretta dalle labbra.
-”Non mi prendere per il culo”- disse improvvisamente serio. L'anello di fumo attorno al polso di Celeste si strinse un po' e la mano le prese a formicolare. -”Ripeto la seconda domanda: da chi?”-.
-”E io ripeto la mia risposta: da una voce nella mia testa”-.
Il ragazzo gettò la sigaretta per terra con foga, si alzò e andò a puntarle un indice contro il petto. La sua espressione era tutto fuorché pacifica e serena.
-”Ti stacco la mano, puttana”-.
-”Io la testa, coglione”-. Deeper Deeper, riapparso da pochi secondi, stava puntando la lama scintillante di un'alabarda alla gola del ragazzo. Celeste non si domandò da dove l'avesse tirata fuori, ma ringraziò che il suo Stand fosse in grado di maneggiare un'arma.
-”A quanto pare siamo in una situazione di stallo”- osservò poi. -”Più la lama preme contro il tuo collo, più il bracciale aumenta la morsa; più stringi il bracciale, più la lama affonda. Non ho mai ucciso una persona, ma al momento l'idea non mi spaventa per niente”-.
Il suo intento era quello di spaventarlo e di indurlo a lasciarla andare, ma le parole di Celeste ottennero un altro effetto. Il ragazzo sorrise e scosse lentamente la testa; solo allora Celeste si rese conto dell'innaturale silenzio che aleggiava attorno a loro. Si guardò intorno e si accorse che la piazza era completamente vuota. Spostò lo sguardo sul ragazzo e notò uno strano esserino seduto sulla sua spalla. Grande quanto un proiettile, aveva la testa a forma di goccia e la cifra “5” stampata sulla fronte. 
-”Mista, Mista! L'ho trovato!”- esclamò. Si alzò in piedi e prese a saltellare sulla spalla del ragazzo, il quale lo guardò con aria divertita.
-”Ritira lo Stand”- ordinò qualcuno a Celeste.
La ragazza non fece in tempo a voltarsi che si ritrovò una pistola puntata alla nuca. Fece sparire Deeper Deeper e mise in bella vista le mani. Il ragazzo moro, in tutta tranquillità, si accese l'ennesima sigaretta.
-”Ce l'avrei fatta anche da solo”- disse alla persona alle spalle di Celeste.
-”Sì, come no”- ribatté l'altro in tono di scherno. -”Ehi tu! Adesso verrai con noi. Prova a fiatare e ti giuro che sarà l'ultima volta che lo farai”-.
Zia, col cavolo che torno stasera...”, pensò sconsolata.

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Capitolo 6
*** Spavalderia ***


Dopo averla messa con le spalle al muro in Piazza Trieste e Trento, i due tizi la bendarono e la condussero a piedi da qualche parte. Per tutto il tragitto fece come le era stato ordinato e non disse una sola parola; anche quei due stettero in silenzio senza scambiarsi una battuta. Dopo quelli che a Celeste parvero su per giù venti minuti, la fecero entrare in un edificio. La gettarono dentro una stanza e per poco non inciampò. Qualcuno la afferrò, la spinse a sedere su di una sedia e le legò i polsi dietro lo schienale di questa. Quando finalmente le venne tolta la benda, Celeste si trovò a fissare negli occhi il ragazzo moro.
-”Vado a dire al boss che l'abbiamo presa”- disse l'uomo da dietro la porta. Celeste non era ancora riuscita a vederlo.
-”Ricevuto!”-.
Il ragazzo si mise a camminare lentamente su e giù per la stanza quadrata, scostando coi piedi i sassolini che, molto probabilmente, erano caduti dal basso soffitto a travi nel corso degli anni. I muri della stanza, fatti con pietra a vista, ospitavano solamente due scaffali di legno traballanti carichi di ogni tipo di cianfrusaglia. Sulla parete di fronte a me c'era una finestrella quadrata da cui entrava la luce del primo pomeriggio e si intravedeva il Vesuvio.
A un tratto il ragazzo si fermò e si mise a osservare Celeste intensamente; la ragazza ricambiò le occhiate, caricandole però di odio e sufficienza.
-”Non sembri spaventata”- constatò.
-”Già”- confermò secca. Anche Celeste stessa aveva notato di non essere per niente spaventata. Probabilmente la coscienza di avere dalla sua parte uno Stand aveva aumentato la sua già grande sicurezza nelle proprie capacità.
-”Sembri sicura di te”-.
-”Ho sempre peccato di superbia”- rispose con un'alzata di spalle.
-”L'ho notato”-.
-”Sei stato tu a legarmi i polsi, vero?”-.
Il ragazzo si picchiettò l'indice della mano sinistra sulla tempia come a dire “Acuta osservazione”. Per un po' lo osservò mentre, in silenzio, riempiva il piccolo ambiente di fumo.
-”Sai, io credo che le persone che fumano siano le più deboli”- esordì Celeste a un tratto.
-”Nessuno ha chiesto la tua opinione a riguardo”- ribatté infastidito.
-”...Sei debole, debole!”- cantilenò Celeste.
Probabilmente aveva premuto un tasto dolente, perché il viso del ragazzo si indurì di colpo e le sue mani si strinsero a pugno. Si sarebbe sicuramente scaraventato contro Celeste se la porta non si fosse aperta cigolando.

 

 

Mista entrò nella stanza per dare il cambio al compagno, portandosi dietro una sedia. La posò con poco garbo davanti alla ragazza e ci si sedette al contrario, appoggiando il torso e i gomiti allo schienale. La ragazza seguì ogni suo movimento in silenzio.
-”Sai dove ti trovi?”- le domandò.
-”No”-.
-”Il perché tu sia qui?”-.
-”Credo sia evidente che non volete che incontri Giorno Giovanna”-.
-”Perspicace...”- si complimentò ironicamente Mista. -”Come ti chiami?”-.
-”Mi avvalgo della facoltà di non rispondere”-.
Mista rimase spiazzato; non si aspettava una risposta del genere. Quella ragazza... Dove trovava tutta quella spavalderia? I suoi occhi ambrati, simili a quelli di un gatto, non erano quelli di una normale ragazza; lasciavano trasparire un'insana superbia del tutto inadatta alla situazione in cui si trovava. Si rendeva conto di star rischiando la vita?
-”Metto le mani avanti”- disse dopo un po' la giovane dai capelli color miele. -”Ho scoperto di avere uno Stand solo ieri”-.
Mista ridusse gli occhi a due fessure e si massaggiò il mento, tentando di capire se la ragazza stesse dicendo la verità o lo stesse prendendo in giro.
-”Senti, posso sapere perché mi state impedendo di incontrare Giorno Giovanna?”-.
-”E tu saresti così gentile da dirmi perché lo vuoi incontrare?”- ribatté Mista.
La ragazza spalancò gli occhi.
-”E' un maschio?”- domandò sorpresa. -”Pensavo fosse una donna!”-.
Questa manco sapeva che Giorno è un ragazzo! Si può sapere da dove spunta fuori?”, pensò Mista scuotendo impercettibilmente il capo.
-”So che sembrerà una scusa, ma non lo so”- rispose poi.
-”Chi ti ha detto di cercare Giorno?”-.
-”Mi prenderesti per pazza se te lo dicessi; il tuo compagno non mi ha creduta”-.
-”Dimmi chi ti ha mandata”- le ordinò Mista.
-”...Avrei fatto meglio a dargli un campione del mio DNA”- borbottò la ragazza abbassando lo sguardo a terra.
-”A chi? Di cosa stai parlando?”- la incalzò. -”Chi ti ha mandata a Napoli?”-.
-”Cazzo!”- esclamò lei. -”Ma io la settimana prossima ho un esame!”-.
Mista perse la pazienza: si alzò di scatto in piedi, facendo rovesciare di lato la sedia, e puntò la sua pistola contro la fronte della ragazza, la quale sussultò lievemente e chiuse gli occhi.
-”Dai Mista, facciamola fuori!”- esclamò Numero 3 da dentro il tamburo.
-”Non vedo l'ora...!”- disse Mista con un ghigno sul volto.
-”Sto dicendo la verità”- mormorò la ragazza. -”Sono venuta a Napoli più per inerzia che per volontà. Ieri, appena il mio Stand si è manifestato, una voce mi ha detto che dovevo trovare Giorno Giovanna e che ne andava della mia vita”-.
Mista abbassò leggermente la pistola e si trovò a domandarsi che cosa avrebbe fatto Bucciarati se fosse stato al suo posto; lui purtroppo non era pratico in queste cose, non riusciva mai a distinguere le menzogne dalla verità.
A quanto pare fu la provvidenza a decidere per lui.
-”Mista”- disse la voce di un ragazzo da dietro la porta. -”Ti do' il cambio”-.

 

 

 

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Capitolo 7
*** Beccato ***


Celeste capì subito che il ragazzo che prese il posto dell'uomo coi pantaloni beige e la giacca a losanghe rosse e arancioni era diverso dai due tizi che aveva incontrato prima. Non era stata la sua camminata elegante a farglielo capire, nemmeno il completo nero su cui portava appuntata un'enorme spilla a forma di coccinella, o i capelli biondi legati in tre lunghe trecce che gli arrivavano ai fianchi e acconcianti come se in fronte avesse tre ciambelle; era stata la sua aura. Un'aura talmente brillante che Celeste non poté far altro che definire “dorata”.
Andò a sedersi dove fino a pochi attimi prima c'era l'uomo che rispondeva al nome di Mista; accavallò le lunghe gambe e incrociò le braccia al petto. Osservandolo bene Celeste intuì che dovesse avere qualche anno in meno di Mista e alcuni in più rispetto al ragazzo moro di cui non conosceva ancora il nome.
-”Non ho potuto fare a meno di origliare la tua conversazione con Mista”- esordì. Il suo tono di voce non era né infastidito né incalzante; era tranquillo. -”Ti sarei grato se mi spiegassi tutto. Capisci che non possiamo portarti dal boss senza avere la certezza che tu non sia un sicario mandato da qualche traditore dell'organizzazione?”-.
-”Giorno Giovanna è il vostro boss?”- gli domandò Celeste.
Il ragazzo biondo annuì.
-”E' il boss dell'organizzazione mafiosa Passione. Ne hai mai sentito parlare? No? Strano...”-.
Dove aveva già visto quegli occhi azzurri? Un nuovo e improvviso senso di déja-vu la colpì e sentì lo stomaco contorcersi.
-”Ti senti bene? Vuoi che ti porti un bicchiere d'acqua?”- le domandò il ragazzo notando il suo malessere.
-”...E finire avvelenata? No... No grazie”- rispose a fatica Celeste. Si appoggiò allo schienale della sedia e alzò il volto verso il basso soffitto. Fece qualche respiro profondo, inspirando, oltre alla polvere, il fumo del ragazzo moro che aleggiava ancora nella stanza. Con la coda dell'occhio vide il ragazzo biondo alzarsi e andare ad aprire la piccola finestra. Tornò a sedersi con un leggero sorriso sulle labbra.
-”Va meglio?”-.
-”Un po' ”- rispose titubante. La sua gentilezza, confrontata con i modi bruschi e rudi di Mista e del tizio antipatico, la disorientava.
-”Mi chiamo Haruno Shiobana”- disse portandosi una mano al petto. -”Posso sapere il tuo nome?”-.
Un altro giapponese che sembra tutto fuorché giapponese”.
-”Celeste Giosta”- rispose. Le parole le erano uscite di bocca senza il suo consenso. Si passò la punta della lingua sulle labbra e aggrottò la fronte, non riuscendo a capire cosa fosse appena successo.
-”Giosta...?”- ripeté Haruno pensoso. -”Mi suona familiare”-.
Improvvisamente Deeper Deeper apparve al fianco di Celeste. Le posò una mano sulla testa e, altrettanto improvvisamente, sulle ginocchia della ragazza si materializzò un libro di fotografie. Celeste guardò Haruno, pronta a dare la colpa di tutto a Deeper Deeper, ma lo sguardo del ragazzo era catturato dai movimenti dello Stand. Deeper Deeper toccò la copertina del libro con l'indice della mano libera, e questo si aprì; le pagine presero a girare da sole finché non si fermarono sulla foto di un dipinto che raffigurava Jotaro Kujo. Solo allora, leggendo la breve descrizione dell'opera, Celeste capì che quello non era un semplice libro di fotografie ma il catalogo di una mostra di dipinti, della sua mostra.
-”Non sei stata tu a evocare il tuo Stand, vero?”- le domandò Haruno.
-”Ha fatto tutto da solo”- rispose subito Celeste. -”Fino a ieri non sapevo nulla di Stand, Joestar, test del DNA...”-. Attaccò a parlare a ruota, raccontando ad Haruno tutto quello che le era successo il giorno prima, dalla conferenza di biologia alla conversazione avuta con Jotaro Kujo.
Mentre era ancora immersa nella spiegazione (continuando a domandarsi perché diamine stesse raccontando tutto a uno sconosciuto appartenente a un'organizzazione mafiosa), Haruno spostò il colletto della giacca e le si avvicinò. Quando Celeste vide una voglia a forma di stella alla base del collo, si zittì.
-”Ma cazzo!”- esclamò. -”E' pure a sinistra!”-.
-”Sai, nemmeno io ho mai conosciuto il mio padre biologico”- disse Haruno.
Tra i due calò un pesante silenzio. Mentre Haruno, con quei suoi occhi limpidi, fissava intensamente Celeste, la ragazza non poté fare a meno di comparare “Haruno Shiobana” con “Giorno Giovanna”. Il ragazzo biondo, a un tratto, prese la parola, ma Celeste non lo stava ascoltando.
Fu come un fulmine a ciel sereno.
Come aveva fatto a non accorgersene prima?
-”Ehi”- lo interruppe bruscamente. Haruno alzò un sopracciglio con aria interrogativa. -”Tu... Tu sei Giorno Giovanna”-.
Il ragazzo biondo sorrise e si strinse nelle spalle.
-”Beccato”- disse Giorno.




NOTE DELL'AUTRICE
Salve a tutti! ^^ Mi sono ritagliata questo spazietto per dire giusto un paio di cose (niente di importante, in realtà).
1) Oggi ho pubblicato due capitoli di questa fanfiction perché, diciamocelo, in "Spavalderia" non è successo praticamente nulla =3=  
2) Pensavo di averlo già scritto da qualche parte, e invece no (la vecchiaia incombe >:3): molte delle fanfiction che pubblico qui su EFP sono o già terminate o in gran parte scritte. Ad esempio, le fanfiction della mia serie "Ignis' Chronicles" sono già terminate, così come "Chance" e "Frozen Time"; altre hanno numerosi capitoli già scritti ma non sono ancora terminate, come, appunto "Le Bizzarre Avventure di JoJo: Deep Memories" (della quale ho già scritto 13 capitoli) e "L'Estate dell'Imperatore" (11 capitoli sono già pronti); altre ancora, come "Archangelus" e "Condominio XIII", si vedono immediatamente pubblicare il capitolo che finisco di scrivere. Per quanto riguarda le fanfiction complete o che presentano un discreto numero di capitoli già pronti, ho deciso di non pubblicare in una botta sola tutti i capitoli in favore della suspance >:D
Un saluto a tutti, alla prossima!

 

 

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Capitolo 8
*** La guardia del corpo ***


Celeste si appoggiò coi gomiti alla ringhiera barocca della terrazza e contemplò in silenzio il panorama che si estendeva di fronte ai suoi occhi: il mare e la silhouette del Vesuvio che si stagliava contro il cielo di quella sera di maggio. Ogni tanto, attraverso la portafinestra, udiva le voci di Mista e di Giorno discutere animatamente. A quanto era riuscita a capire, a Mista non andava molto a genio la decisione di Giorno di ospitare nella villa del boss di Passione “una portatrice sconosciuta di uno Stand sconosciuto”.
-”Mi piace”- aveva risposto il ragazzo biondo. -”Ha una voglia identica alla mia, sai?”-.
-”Ma che me ne frega!”-.
Celeste sospirò e si massaggiò il setto nasale. In realtà non si sentiva molto a suo agio a stare in quella villa situata su di una collina appena fuori Napoli in compagnia di un'organizzazione mafiosa (a quanto le avevano detto e aveva potuto intuire) così potente.
Tutti i membri sono portatori di Stand, il boss ha ventisei anni ed è la persona che dovevo trovare”, pensò Celeste.
Giorno le aveva detto che Passione l'avrebbe protetta fino a nuovi ordini.
-”Nuovi ordini? Di chi?”- gli aveva domandato.
-”Della voce”- aveva risposto il boss come se si trattasse di una cosa ovvia.
Celeste guardò l'orologio e decise di telefonare a sua zia per dirle che sarebbe rimasta a Napoli per qualche giorno.
Resto a Napoli per qualche giorno... con Giorno”, pensò mentre chiudeva la chiamata. Scoppiò immediatamente a ridere e per poco il cellulare non le cadde di sotto dalla terrazza.
-”Sei scema?”-.
Il ragazzo moro, appoggiato con la schiena allo stipite della portafinestra e le braccia incrociate al petto, lanciò un'occhiataccia a Celeste, la quale, immediatamente, si ricompose e rispose all'occhiata con uno sguardo di sufficienza.
-”Da quanto tempo sei qui?”- gli domandò.
-”Da un po' ”- rispose il ragazzo. -”Non te n'eri accorta, eh?”- la schernì.
-”Solitamente ignoro le persone di scarso valore”-.
Il ragazzo fece schioccare la lingua, scimmiottò Celeste e si accese una sigaretta. Guardò il fumo arricciarsi ed elevarsi svogliatamente verso il cielo.
-”Il boss mi ha designato tua guardia del corpo”- disse dopo qualche imbarazzante minuto di silenzio.
-”Evvai...”- commentò Celeste sarcasticamente. Gli volse le spalle e domandò al Vesuvio perché, tra tutti i membri di Passione, Giorno avesse scelto proprio lui. Che fosse un forte portatore di Stand? O forse, in realtà a Giorno non importava nulla di Celeste e le aveva affiancato un ragazzo di, come aveva detto lei stessa poco prima, scarso valore. Celeste escluse quest'ultima possibilità: aveva deciso di fidarsi della voce e, di conseguenza, di Giorno.
-”Ehi, segnurina!”- la chiamò il ragazzo con un tono di voce tutto fuorché amichevole. -”Fossi in te non mi darei le spalle”-.
Celeste serrò la mascella e, controvoglia si voltò: il ragazzo moro non c'era più.
-”Dimmi il tuo nome”- le ordinò sgarbatamente comparendo di fianco a lei. Celeste sussultò e trattenne a stento un gridolino. Il ragazzo schioccò la lingua e appoggiò un gomito sulla ringhiera.
-”Volevi sentirmi gridare, vero?”- gli chiese Celeste. -”E' un privilegio che spetta a pochi, sappilo”- disse ammiccando.
Il ragazzo scosse la testa e aspirò una boccata di fumo dalla sigaretta.
-”Il tuo nome”-.
Celeste gli lanciò un'occhiata di sottecchi.
-”Se te lo dico tu mi dirai il tuo?”-. Si era ricordata di quando Deeper Deeper non era riuscito a visualizzare né i suoi ricordi né il suo nome.
-”Sarebbe uno scambio equivalente”- commentò il giovane con la sigaretta tra le labbra.
-”Celeste”- disse la ragazza dagli occhi ambrati. -”Celeste Giosta”-.
-”Mercuzio”- si presentò il ragazzo dagli occhi verdi. -”Mercuzio Zeppeli”-.

 

 

-”Non è tornata”- disse Jotaro al telefono. -”Andrò a Napoli”-.
-”Si può sapere cosa dovrebbe esserci a Napoli?”- gli chiese Rohan.
-”Una persona che non deve assolutamente incontrare”-.




NOTA DELL'AUTRICE
GO! GO! ZEPPELI! (M'è venuto dal cuore <3)
Ebbene sì, il ragazzo moro antipatico è uno Zeppeli, uno Zeppeli portatore di Stand :> Niente Onde Concentriche, sorry >< 
Come si evolverà il rapporto tra Celeste e Mercuzio? Lo scopriremo solo vivendo (?)
Al prossimo capitolo!

 

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Capitolo 9
*** Haruno ***


La mattina seguente Giorno diede appuntamento a Celeste per le nove sulla terrazza della villa. La ragazza si presentò puntuale, ma il boss era già lì ad aspettarla.
-”Mista mi ha detto che hai scoperto da pochissimo di possedere uno Stand”- esordì.
-”Esatto”- confermò Celeste.
-”Me lo faresti vedere nuovamente?”-.
Celeste evocò Deeper Deeper, il quale apparve al fianco della ragazza e fece una breve riverenza. Celeste lo fulminò con lo sguardo; odiava i suoi modi cavallereschi. Giorno lo osservò per qualche attimo, poi spostò gli occhi azzurri sulla giovane.
-”Ha un'alabarda”- disse la ragazza prevedendo la domanda di Giorno. -”Ma non ho la più pallida idea di dove la tenga”-.
In tutta risposta Deeper Deeper tese un braccio e fece apparire l'arma che strinse subito tra le mani guantate.
-”E' uno Stand a corto raggio”- sentenziò Giorno. -”A giudicare dalla lunghezza dell'alabarda direi di circa tre o quattro metri. Ieri ha materializzato un libro... In cosa consiste il suo potere, di preciso?”-.
Di preciso?”. In realtà nemmeno Celeste lo sapeva. Decise di mostrargli una delle poche cose che aveva scoperto sullo Stand: tese una mano verso Giorno, il quale, senza esitare, la afferrò.
-”Deeper Deeper, stila il catalogo della mostra”-.
Deeper Deeper si avvicinò al ragazzo biondo e gli strinse la testa tra le mani; Giorno non batté ciglio, gli occhi azzurri puntati sull'elmo rinascimentale dell'essere umanoide. Nella mano di Celeste apparve un libro; la ragazza lo sentiva diventare sempre più pesante a ogni secondo che passava.
-”Ho preferito stilare il catalogo per potertelo mostrare”- spiegò Celeste una volta che il suo Stand ebbe finito. -”Se avessi allestito la mostra aperta al pubblico ti saresti trovato immobilizzato, mentre con quella privata non avresti visto assolutamente niente, visto che quella posso vederla solo io”-.
-”Cos'è quello?”- le domandò Giorno indicando il libro.
-”Sono i tuoi ricordi, Haruno”- mormorò Celeste, lo sguardo perso nella contemplazione dei dipinti. -”Solitamente Deeper Deeper li cataloga in base agli anni e alle persone. Ti faccio un esempio... Ecco: anno 2001, undici anni fa. Ogni quadro ritrae una persona di cui tu possiedi dei ricordi. Ah, questo è Mista!”-. Celeste indicò la fotografia del ritratto di un ragazzo dal fisico atletico e dallo strano berretto arancione e blu. -”Non ci credo, porta ancora lo stesso cappello!”- commentò con una risata.
Giorno la affiancò e si mise a guardare i dipinti insieme a lei. Celeste voltò pagina.
-”E questi chi sono?”- domandò. Alzò lo sguardo dal libro e incrociò gli occhi di Giorno; il suo sguardo era improvvisamente cambiato, Celeste vi notò una nota di malinconia.
I tre quadri ritraevano ognuno un ragazzo: il primo aveva dei lunghi capelli argentati e un insolito rossetto nero sulle labbra, il secondo portava una fascia arancione tra i capelli arruffati e neri, mentre il terzo, del quale il ritratto era il più grande dei tre, aveva i capelli lisci tagliati a caschetto e una risolutezza nello sguardo che Celeste non aveva mai visto.
-”Leone Abbacchio, Narancia Ghirga e Bruno Bucciarati”- rispose Deeper Deeper al posto di Giorno. -”Ex membri della squadra di Bruno Bucciarati, di cui questo era, appunto, il capo. Dico ex, in quanto deceduti”-.
Immediatamente Celeste chiuse il libro e fece sparire il suo Stand. Il catalogo della mostra di Giorno imitò Deeper Deeper pochi attimi dopo, permettendo alle mani della giovane di congiungersi e nascondersi dietro la sua schiena.
-”Mi dispiace”- fu tutto quello che riuscì a dire.
Giorno scosse la testa e le sorrise debolmente.
-”Non preoccuparti; prima o poi sarebbe venuto fuori. Sono passati undici anni, ormai... Non ha più senso piangere i morti dopo così tanto tempo. Dobbiamo guardare avanti, al futuro”-.
Era evidente che Giorno non credeva davvero alle sue parole. Stava cercando di convincersi della loro veridicità, ma Celeste sapeva che in cuor suo il giovane boss non aveva dimenticato i suoi vecchi compagni, non voleva dimenticarli; i suoi occhi parlavano chiaro.
Gli occhi sono lo specchio dell'anima”, pensò.
-”Insomma, è questo il potere del tuo Stand?”- cambiò argomento Giorno.
Celeste tentennò e non rispose subito. Era indecisa se rivelare al ragazzo il vero potere di Deeper Deeper o meno. Certo, chissà cos'altro era in grado di fare quello strano cavaliere rinascimentale in smoking, ma Celeste non era sicura di voler svelare a Giorno ciò che sapeva.
Dovrei dirgli che da ora in avanti posso sbirciare nel suo passato e giocarci come mi pare?”.
Ripensò allo sguardo del boss quando aveva visto i ritratti dei suoi vecchi compagni; si morse il labbro inferiore e prese una decisione.
Non posso farlo... Non ancora”.
-”Sì”- rispose, mentendo. -”Visualizzare momentaneamente i ricordi delle persone con cui ho avuto anche solo un minimo contatto fisico”-.
Giorno puntò addosso alla ragazza quei suoi, per lei, troppo familiari occhi azzurri, e Celeste avvertì un brivido correrle lungo la schiena. Che avesse capito che gli aveva mentito? Si ricredette quando Giorno annuì un paio di volte e si massaggiò il mento, pensoso.
A un tratto volse lo sguardo verso il tetto della villa e si coprì gli occhi con una mano per non farsi accecare dal sole.
-”Ti senti più sicuro adesso, Mercuzio?”- domandò.
Celeste si voltò nella direzione in cui si era girato Giorno e, non appena mise a fuoco la figura di Mercuzio che si stagliava contro sole, serrò la mascella, decisamente contrariata.
-”Da quanto tempo era lassù?”- domandò con poco garbo.
-”Dall'inizio della nostra conversazione. Ha accettato di diventare la tua guardia del corpo solo se avesse saputo il potere del tuo Stand”-.
-”E io non posso sapere il suo?”-.
-”No”- rispose Mercuzio seccamente, comparendo alla destra della ragazza dagli occhi ambrati.
-”Piantala di fare così”- gli ordinò Celeste lanciandogli un'occhiataccia.
-”Così come, Azzurro?”- le chiese con aria strafottente. Fece per accendersi una sigaretta ma la ragazza fu più veloce di lui: gliela tolse di bocca e la gettò a terra, pestandola. Mercuzio la guardò come se gli avesse appena ucciso il cagnolino.
-”Punto primo: mi chiamo Celeste. Punto secondo: la prossima te la lascio accendere e te la spengo in un occhio”- ringhiò Celeste.
Prima che la situazione potesse degenerare, Giorno si intromise tra i due.
-”Mercuzio, ho bisogno di parlarle in privato. Resta in attesa di nuovi ordini”-.
Mercuzio si irrigidì immediatamente e, senza fiatare, si congedò, andandosene attraverso la portafinestra della terrazza. Senza aspettare che Giorno parlasse, Celeste andò a sedersi su una delle sedie di vimini poste di fronte al panorama che si apriva su Napoli e sul Vesuvio. Incrociò le braccia al petto e sbuffò; si sentiva tradita.
-”Scusami, ho dovuto farlo”- disse Giorno dietro di lei; era rimasto in piedi.
-”Nessun problema”- mentì. -”Hai solo rivelato il mio potere a un tizio che non posso patire”-.
-”Dovresti essermi grata che un tizio che non puoi patire ti faccia da guardia del corpo. Avrei potuto benissimo dare ascolto a Mista, e credimi, se lo avessi fatto a quest'ora ti troveresti crivellata di pallottole in fondo al mare”-.
Le parole improvvisamente dure di Giorno fecero vacillare l'arroganza di Celeste: si ritrovò ad abbassare lo sguardo, leggermente in imbarazzo, e a sospirare rumorosamente.
-”Perché non l'hai fatto?”- gli chiese invece di scusarsi.
-”Perché ho l'impressione di conoscerti da sempre, Celeste”-.
La ragazza alzò lo sguardo, incrociando nuovamente gli occhi del giovane boss, e rimase per qualche secondo senza parole.
-”E' la stessa impressione che ho io guardandoti”- riuscì a dire alla fine.
Giorno allargò le braccia e si strinse nelle spalle, come a dire “Visto?”.
-”Ti ho affidata a una guardia del corpo affinché questa ti protegga da chi ti sta cercando”- spiegò poi.
-”Perché proprio Mercuzio?”-.
Giorno indossò una maschera inespressiva e non rispose alla domanda di Celeste. La ragazza corrugò la fronte, non capendo il repentino cambio d'atteggiamento del boss.
-”Lo capirai”- si limitò a rispondere alla fine. -”Adesso dovrei proprio andare, ma prima ho tre richieste da farti”-.
Celeste non si scompose minimamente. Esaudire tre richieste le sembrava il minimo per ringraziare Giorno della protezione.
-”La prima è di tentare di ricreare le condizioni in cui la voce che ti ha condotta da me ti ha parlato la prima volta”-.
-”Era già nei miei piani farlo”- gli disse.
-”Ottimo; fammi sapere se ci sono sviluppi. La seconda è di non usare il tuo Stand contro Mercuzio, per nessun motivo”-.
Celeste gli lanciò un'occhiata interrogativa alla quale Giorno rispose scuotendo il capo. Le stava chiedendo di non fargli domande. La giovane accettò anche la seconda richiesta, ricordandosi solo pochi secondi dopo che, in realtà aveva già usato Deeper Deeper contro Mercuzio, senza però ottenere alcun ricordo. Avrebbe dovuto dirlo a Giorno? Fece per interromperlo ma ci ripensò.
-”La terza...”-. Il boss si bloccò un attimo. Era imbarazzo quello che gli aveva colorato le guance di un leggero rossore? -”Mi farebbe piacere se mi chiamassi Haruno, come hai fatto prima”-.
Prima della comparsa di Mercuzio Celeste aveva inconsciamente chiamato Giorno col suo vero nome. Chissà se c'era qualcuno che usava ancora quell'appellativo con lui.
Gli sorrise sinceramente.
-”Va bene, Haruno”-.

 

 

NOTE DELL'AUTRICE
...E pensare che mi sono ricordata solo adesso che "Haru" in giapponese significa "Primavera". Nome perfetto per il nostro Giorno, visti i poteri di Gold Experience. Mitico Araki <3
E niente, dato che i prossimi capitolo sono pronti d tipo una vita, ho deciso che nel pomeriggio pubblicherò anche il prossimo ^^ So, stay tuned ;)

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Capitolo 10
*** Schiavo ***


Erano quasi le undici di mattina, e, per ordine del boss di Passione, Mercuzio aveva scortato Celeste in città per un giro turistico.
-”Portala a pranzo nella mia pizzeria preferita!”- si era raccomandato Giorno.
Il ragazzo moro, non potendo rifiutare gli ordini del boss, si era rassegnato ad accettare l'incarico. Una delle ultime cose che avrebbe voluto fare era accompagnare una pazza scatenata a fare shopping.
-”Perché non mi parli un po' di te?”-.
Mercuzio si riscosse dai suoi pensieri; seduto di fronte a Celeste al tavolino di un bar in Piazza Nicola Amore, le lanciò un'occhiataccia. Alzò un sopracciglio e scosse la testa.
-”Perché dovrei?”- le chiese di rimando.
-”Perché stiamo cercando di diventare amici, no?”-.
-”No”- disse lapidario.
-”Come vuoi”- rispose Celeste alzando le mani in segno di resa. -”Lo facevo per te, sappilo”-.
-”Come se me ne fregasse qualcosa. Sto con te solo perché me l'ha ordinato il boss”- le disse abbassando la voce per non farsi sentire dagli altri clienti.
Celeste si tappò la bocca con fare teatrale e dopo sillabò un silenzioso “Ma non mi dire!”. Mercuzio fece schioccare la lingua e sospirò esasperato. Alzò il braccio e si fece portare il conto. Celeste prese il suo giacchetto di pelle dalla sedia e si mise la borsa in spalla.
-”Dove credi di andare?”- le domandò Mercuzio. -”Devi pagare la tua parte”-.
La ragazza si passò una mano tra i capelli e gli sorrise malignamente.
-”Sei la mia guardia del corpo, non un mio amico; ergo devi pagare anche per me. La tua chance per diventare mio amico l'hai avuta. Ci vediamo fuori!”- gli disse ammiccando.
-”Io la ammazzo...!”- gli sentì dire a denti stretti mentre usciva dal bar. Celeste trattenne a stento una risatina di malvagia soddisfazione e, una volta fuori, si appoggiò al muro dell'edificio. Pochi minuti dopo venne raggiunta da un Mercuzio decisamente alterato. Si accese una sigaretta a un paio di metri da lei, probabilmente ricordandosi della minaccia che la ragazza gli aveva fatto più o meno un'ora prima.
-”L'ho già detto che le persone che fumano sono le più deboli?”- lo punzecchiò.
-”Sì”- la freddò senza guardarla.
Celeste lo scrutò intensamente per un po', notando solo allora l'helix all'orecchio sinistro, un anello argentato.
-”Che vuoi?”- le domandò rendendosi conto che lo stava fissando. Celeste incrociò i suoi occhi e si meravigliò di quanto fossero verdi.
-”Hai degli occhi pazzeschi...”- disse sinceramente.
Mercuzio sussultò e la sigaretta gli cadde di mano, finendo per terra. Imprecò e si chinò rapidamente a raccoglierla.
-”Ma che vuoi?! Pensa ai tuoi di occhi!”- ribatté voltandosi dall'altra parte.
Era arrossito? Celeste sorrise e, le mani intrecciate dietro la schiena, si spostò davanti a lui.
-”Perché, come sono?”- gli chiese con un tono di voce innocente.
-”Sono occhi e basta”- tagliò corto Mercuzio.
Stava escogitando un nuovo modo per far andare il ragazzo su tutte le furie quando vide una figura tremendamente familiare dall'altro lato della piazza; impiegò pochi secondi per riconoscerlo e per capire che doveva defilarsi il prima possibile. Senza dire una parola, afferrò Mercuzio per il polso e prese a correre lungo Corso Umberto I sperando con tutta sé stessa che Jotaro Kujo non l'avesse vista.
-”Si può sapere cosa ti è preso?”- le domandò Mercuzio irritato. Piantò i piedi per terra e si liberò dalla sua presa con uno strattone.
-”Ti ricordi della voce di cui ti ho parlato?”- gli chiese Celeste frettolosamente.
-”Quella a cui crede solo il boss? Certo...”-.
Lo fulminò con un'occhiata. Mercuzio alzò un sopracciglio e incrociò le braccia al petto. Con un cenno del capo la incitò a proseguire.
-”Oltre a dirmi di trovare Giorno Giovanna, mi ha detto di non fidarmi di una certa persona. Bene, questa persona è qui, l'ho vista prima! Dobbiamo allontanarci dalla piazza ancora un po'!”-.
Celeste si alzò sulla punta dei piedi per riuscire a vedere le persone alle spalle di Mercuzio; le si gelò il sangue nelle vene quando vide Jotaro guardarsi intorno e proseguire nella loro direzione.
-”Sei la mia guardia del corpo, cazzo!”- esclamò. -”Muoviamoci ad andarcene!”-.
Mercuzio la guardò negli occhi per qualche secondo, storse la bocca e, con sua grande sorpresa, la attirò a sé passandole un braccio attorno ai fianchi. Prima che Celeste potesse ribattere in qualche modo, i due ragazzi vennero avvolti da una spessa cortina di fumo biancastro; quando questa si diradò Celeste si accorse di trovarsi nella piazza in cui il giorno prima aveva incontrato Mercuzio. Sospirò di sollievo e fulminò il ragazzo con un'occhiataccia.
-”E ci voleva tanto?”- chiese seccamente. Notò che nessuna delle poche persone che bazzicavano nella piazza si era accorta della loro improvvisa comparsa.
-”Prego, non c'è di che, Arancione!”- esclamò Mercuzio andandosi a sedere sul bordo della fontana.
-”Ti sarei grata se la prossima volta eseguissi i miei ordini senza fiatare”- sbottò Celeste.
Se gli occhi verdi di Mercuzio avessero avuto il potere di uccidere con una sola occhiata, a quell'ora Celeste sarebbe morta.
-”Sono la tua guardia del corpo temporanea”- le disse Mercuzio scandendo bene le parole. -”Non il tuo schiavo. Vedi di ficcartelo bene in testa, altrimenti la prossima volta ti abbandono al tuo destino...”-. Prese una sigaretta dal pacchetto che teneva nella tasca dei pantaloni e se la rigirò tra le dita con aria pensosa. -”...Che, diciamocelo, spero sia nefasto”-.
-”Nefasto...”- ripeté Celeste lentamente. -”Che termine aulico! Quel damerino del mio Stand sarebbe orgoglioso di te!”-.
Mercuzio non rispose alla sua provocazione ma anzi, si alzò e si diresse a passo spedito verso due ragazze che stavano battibeccando riguardo a qualcosa. Vestite entrambe come se fossero appena uscite da una discoteca, una teneva in mano una cartina di Napoli mentre l'altra, gli enormi occhiali da sole in testa, stava indicando con foga una viuzza alle sue spalle.
-”Buongiorno, segnurine!”- le salutò Mercuzio con fare ammaliante. -”Siete in difficoltà o sbaglio? Posso aiutarvi?”-.
Celeste lo guardò a bocca aperta. Non riusciva a credere ai propri occhi: l'aveva ignorata per andare a fare il Casanova con due oche di evidente limitatezza cerebrale? Si coprì il viso con una mano e scosse la testa.
-”C'è uno che mi sta cercando e tu ti metti a fare il deficiente?!”- gli urlò dietro.
-”Non fate caso a lei, segnurine, è solo invidiosa”- disse Mercuzio volgendole le spalle e concentrandosi sulle due ragazze. Entrambe si esibirono in un'irritante risatina e diedero corda a Mercuzio, iniziando a parlare del più e del meno.
Che schifo”, pensò Celeste con disprezzo. “D'accordo che Mercuzio è un bel tipo, ma sembra che non abbiano mai visto un ragazzo in vita loro!”.
Si sedette sul bordo della fontana e, guardandosi continuamente attorno, evocò Deeper Deeper; aveva paura di veder spuntare fuori Jotaro da un momento all'altro. Nonostante il suo timore e il fastidioso schiamazzo del trio degli imbecilli poco distante da lei, Celeste decise di esaudire la prima richiesta fattale da Giorno: ricreare le condizioni in cui la voce le aveva parlato per la prima volta; del resto non aveva niente di meglio da fare.
-”Deeper Deeper, allestisci una mostra privata di Jotaro Kujo”- mormorò.

 

 

 

NOTE DELL'AUTRICE
Santa Claus Jotaro is comin' to town! In realtà è già in town :O Mercuzio, da bravo Zeppeli qual è, è un Casanova inside; non c'è niente da fare. Si vede che è parente di Caesar è__è 
Scusate se ho pubblicato il capitolo così tardi, ma ho fatto tardi in autoscuola >___<
Lasciate qualche recensione per farmi sapere se la storia vi sta piacendo, se avete dubbi, o se volete minacciarmi (?). Al prossimo capitolo! :D

 

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Capitolo 11
*** Debole. debole ***


In men che non si dica Celeste si ritrovò nella pinacoteca che vide qualche giorno prima mentre era nella caffetteria con Jotaro. La parete di fronte alla ragazza era la solita, quella datata 1988, e, come la prima volta, il settimo ritratto maggiore mancava. Che fine aveva fatto?
-”Ce l'hai fatta, Celeste”- disse improvvisamente la voce misteriosa. -”Sono orgoglioso di te...”-.
Quella volta Deeper Deeper era rimasto al fianco di Celeste, non era scomparso. La ragazza strinse i pugni lungo i fianchi e tentò di controllare la respirazione: non voleva apparire troppo agitata, cosa che, in realtà, era.
-”Ho seguito il tuo consiglio”- disse guardandosi attentamente intorno. -”Adesso posso sapere chi sei e perché hai voluto che cercassi Giorno?”-.
Qualcuno le posò una mano sulla spalla. Celeste si voltò di scatto, trovandosi faccia a faccia con un ragazzo dai capelli biondi e gli occhi ambrati. Indossava una camicia bianca e un gilet blu scuro sopra un paio di pantaloni dello stesso colore; al posto della cravatta aveva un fazzoletto giallo pallido elegantemente ripiegato e appuntato con una spilla argentata. Le sue labbra erano incurvate in un magnifico sorriso. Il ragazzo le prese delicatamente il viso tra le mani e la scrutò intensamente; Celeste non aveva mai visto una persona così affascinante. Per la prima volta in tutta la sua vita non riuscì a sostenere lo sguardo di qualcuno.
-”Oh, Celeste”- mormorò quello. -”Che creatura perfetta!”-.
Era completamente incantata dalla sua bellezza; capì subito di trovarsi di fronte a una persona carismatica. Provò a dire qualcosa, a chiedere spiegazioni, ma le sue labbra, così come tutto il suo corpo, erano paralizzate.
-”Tu sì che sei mia figlia...”- sussurrò il ragazzo biondo. La liberò dalla sua dolce presa e si allontanò di qualche passo, non smettendo però di squadrarla da capo a piedi.
-”Tua... figlia?”- riuscì finalmente a domandare Celeste con un fil di voce. -”Tu saresti... mio padre?”-.
Il giovane, che all'apparenza avrà avuto una ventina d'anni, annuì lentamente.
-”Per la precisione, io sono solo un ricordo”-.
Suo padre. Quel bellissimo ragazzo era suo padre. Celeste non riusciva a crederci; la testa prese a girarle sempre con maggiore intensità, e dovette ricorrere a tutte le sue forze perché le gambe non cedessero sotto al suo peso.
-”Mia adorata figlia, il tuo Stand non ti ha ancora mostrato tutto il suo potenziale. Dovrai crescere ancora un poco prima di potermi incontrare di persona”-.
-”Cosa... Cosa vuoi dire?”- domandò Celeste a fatica.
Il ragazzo si passò una mano tra i capelli dorati e sorrise debolmente.
-”Purtroppo non possiamo continuare la conversazione, devo tornare ai ricordi ai quali appartengo”- le disse con una nota di dispiacere nella voce.
Come se stesse aspettando proprio quelle parole, il corpo del ragazzo iniziò a diventare diafano.
-”Aspetta!”- esclamò Celeste arrancando verso di lui. -”Tu... Tu sei mio padre? Non mi stai prendendo in giro? Chi sei? A quali ricordi appartieni? Perché mi hai mandata da Giorno Giovanna?”-.
Fece per afferrarlo per un braccio ma lui si spostò elegantemente. Le lanciò un'occhiata di amorevole compassione e scosse la testa.
-”Ci rivedremo presto, Celeste; confido nelle tue capacità”- disse. -”E, figlia mia, stai attenta a Jotaro Kujo e alle sue memorie: un gran numero di queste è stato alterato”-.
Il suo corpo perfetto sparì portandosi dietro le ultime lapidarie parole e la pinacoteca.
Un'irritante risatina stridula riportò Celeste nella piazza. Con grande stizza notò che Mercuzio era ancora impegnato a fare un set fotografico alle due ragazze che, da come lo stavano guardando, se lo sarebbero mangiato con gli occhi.
Doveva correre ad avvisare Giorno, doveva dirgli che aveva “incontrato” suo padre sbirciando nei ricordi di Jotaro Kujo; doveva immediatamente andare, con o senza Mercuzio.
Guardia del corpo un cazzo!”, pensò mettendosi la borsa in spalla e andandosene lasciando Mercuzio alle sue fans.
Per raggiungere la villa di Giorno doveva solamente prendere l'autobus fino alla fermata ai piedi del colle e farsi poi la salita a piedi. Semplice. Giorno glielo aveva ripetuto un paio di volte, non poteva sbagliare.
Pensando di prendere una scorciatoia, Celeste si buttò in una stradina stretta e completamente isolata. Solitamente il suo senso dell'orientamento era impeccabile e il suo sesto senso non falliva mai, ma quella volta dovette ricredersi. Era quasi arrivata in fondo alla buia viuzza quando un uomo si frappose tra lei e lo sbocco sulla strada principale
-”Allora quello che si vocifera è vero...”- disse incrociando le braccia al petto. -”Una ragazza dagli occhi di gatto si aggira per Napoli. E dimmi, è vero anche ciò che dicono le altre voci? Sei una protetta del boss di Passione?”-.
Celeste squadrò da capo a piedi l'uomo, non notando alcun tratto distintivo che potesse saltare agli occhi. Disarmato, le mani ben in mostra, avanzò di qualche passo; la ragazza, inconsciamente, retrocedette di uno.
-”Non so davvero di cosa stia parlando”- disse cauta.
Dov'è quel Casanova di Mercuzio quando serve?!”, pensò.
-”La mia dolce Napoli non mente mai”- sibilò l'uomo.
-”C'è sempre una prima volta”- ribatté Celeste con un sorriso sornione.
Silenziosamente evocò Deeper Deeper, il quale comparve con in mano l'alabarda. L'uomo di fronte a Celeste non diede alcun segno di poter vedere lo Stand. Si ficcò una mano nella tasca dei pantaloni e ne estrasse un coltello. Con la punta della lama prese a pulirsi le unghie, come se fosse una cosa del tutto normale.
-”Vediamo se sei abbastanza intelligente da capire cosa devi fare”- disse lanciandole un'occhiata minacciosa.
-”Oh, ma certo che lo so!”- rispose la ragazza.
L'alabarda di Deeper Deeper si abbatté sul coltello dell'uomo, troncandolo a metà e facendolo cadere a terra. L'uomo guardò Celeste sorpreso, come se avesse appena visto un fantasma. Celeste si passò una mano tra i capelli e lo guardò dall'alto in basso. L'uomo digrignò i denti e prese dalle tasche del giacchetto verde militare altri due coltelli. A quanto pareva era ben equipaggiato. L'alabarda di Deeper Deeper scaraventò via uno dei due coltelli, facendolo finire in mezzo alla via principale.
-”La terza volta non sarò così magnanima”- disse Celeste. -”Uomo avvisato, mezzo salvato”-.
L'uomo parve non darle ascolto: si lanciò contro di lei tentando un affondo che Celeste schivò con un movimento fluido ed elegante. Per un attimo le tornò in mente la figura del suo presunto padre che scansava la sua presa con altrettanta eleganza. Ricacciò indietro quel pensiero e lanciò all'aggressore un'occhiata carica di disprezzo.
-”Non pensare che ti lascerò andare via”- disse l'individuo.
Quella persona la stava intralciando, le stava facendo perdere del tempo prezioso, aveva provato a metterle le mani addosso; quella persona, solamente posando i suoi viscidi occhi marroni su di lei, l'aveva oltraggiata, e per questo meritava di morire. Celeste avvertì un'improvvisa scarica di adrenalina addosso e una sete di sangue che non aveva mai provato prima.
Doveva ucciderlo.
Voleva ucciderlo.
Quasi come se avesse intuito i suoi sentimenti, Deeper Deeper afferrò l'uomo per i capelli e gli puntò la lama dell'alabarda alla gola. Le orecchie di Celeste udirono una risata sguaiata, una di quelle che fanno accapponare la pelle, una appartenente a qualcuno che sta per macchiarsi le mani di sangue altrui.
Allora non si rese conto che quella risata era proprio la sua.
-”Sei debole, debole!”- gridò Celeste. Vide il terrore negli occhi dell'uomo e se ne compiacque. -”Che ne dici? Ti va di contemplare l'oblio della morte?”-.

 

 

 

 

NOTE DELL'AUTRICE
Be', be', be'. Se avete colto le citazioni (di cui una piuttosto ricorrente, CHISSA' PERCHE') battete un colpo :>
Adesso "sapete" chi è il padre di Celeste e avete scoperto un lato della cara ragazza di cui nemmeno lei era a conoscenza. Cosa starà succedendo a Celeste? Che minchia sta facendo Mercuzio? E Jotaro? Che fine ha fatto?
Tutte (o quasi) le risposte nel prossimo capitolo ^^
Alla prossima!

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Capitolo 12
*** Sangue ***


-"Chiamaci quando vuoi!"-.
-”Lo farò! A presto, segnurine!”-.
Mercuzio guardò il display del cellulare e non poté fare a meno di congratularsi con se stesso. Due numeri di cellulare in meno di venti minuti: meraviglioso!
Non esiste al mondo un essere umano di genere femminile in grado di resistermi!”. Si infilò in tasca il telefono, si accese una sigaretta e lanciò un'occhiata alla fontana alle sue spalle. “Tranne quella rompicoglioni... Oh cazzo!”.
Celeste era sparita, non era più seduta sul bordo della fontana. Mercuzio si guardò intorno ma non la vide da nessuna parte. Prima di farsi prendere dal panico, chiese a un paio di persone se avessero visto una ragazza dai capelli color miele e gli occhi ambrati, con un giacchetto nero di pelle e dei jeans attillati; una donna gli disse di aver visto una ragazza corrispondente a quella descrizione dirigersi a passo spedito verso Piazza del Plebiscito. Il ragazzo ringraziò frettolosamente la donna, gettò la sigaretta per terra e si lanciò alla ricerca di Celeste.
Giorno si era raccomandato di non perderla mai di vista, neppure per una manciata di secondi; aveva saputo da Mista che altre organizzazioni mafiose e i dissidenti di Passione le avevano già messo gli occhi addosso. La protetta di un boss costituisce sempre un punto debole per il boss stesso.
-”Se lei muore, muori anche tu”- gli aveva detto Giorno.
No, no, no! Sono ancora troppo giovane e affascinante per morire!”, pensò Mercuzio mentre si faceva largo tra la folla nella strada. Quando si rese conto che di quel passo non sarebbe mai riuscito a trovare Celeste, si infilò in un vicolo. Non c'era tempo da perdere, doveva trovarla immediatamente.
-”Chaosmyth”-.
In una nube di fumo grigiastro comparve un essere umanoide simile a un giullare. Le braccia, sproporzionate e lunghe, gli arrivavano alle ginocchia sporgenti e a punta; le mani guantate erano provviste di lunghi artigli e le scarpe, decisamente troppo grandi, erano incurvate all'insù. L'essere indossava una sorta di uniforme attillata a motivi geometrici grigi, neri e bianchi e un cappello da giullare dal quale pendevano tre sonagli; il colletto richiamava la forma del cappello. Il suo volto consisteva in una maschera veneziana dall'inquietante sorriso ambiguo. La sua figura, alta quasi due metri e fine, stava con la schiena ricurva in avanti.
Mercuzio, una stranissima espressione sul volto, si girò dall'altra parte per non guardarlo. Lo Stand spalancò le braccia e sia lui che il portatore vennero trasformati in fumo che, muovendosi controvento, iniziò a setacciare la città dall'alto.
Dopo qualche minuto, Mercuzio individuò Celeste: stava percorrendo un vicolo secondario poco trafficato. Il fumo strisciò sul tetto di una palazzina che si affacciava sul vicolo e Mercuzio tornò alla sua forma originale. Chaosmyth sparì.
-”Ti ho trovata, maledetta...”- sussurrò con una punta di sollievo.
Stava per scendere dal tetto e dirgliene di tutti i colori quando vide un uomo sbarrarle l'uscita. Mercuzio si accucciò e osservò la ragazza e l'uomo parlare. Intuì subito che l'uomo appartenesse a un'organizzazione mafiosa rivale di Passione e si preparò a intervenire, ma l'atteggiamento calmo di Celeste lo trattennero dal farlo. Sembrava avere la situazione sotto controllo.
-”Vediamo se sei abbastanza intelligente da capire cosa devi fare”- disse l'uomo con un coltello in mano.
-”Oh, ma certo che lo so!”-.
Tutto ciò che accadde dopo parve privo di senso agli occhi di Mercuzio. Osservò basito l'evolversi della situazione, tentando di capire come fosse possibile che quella ragazza, all'apparenza semplicemente viziata ed egocentrica, nascondesse un'indole così malata e violenta. Il suo viso era una maschera di malvagità e i suoi occhi esigevano sangue.
Quella risata, poi, gli mise i brividi.
C'era qualcosa che non andava in Celeste, qualcosa di terribile e al momento incomprensibile.
-”Sei debole, debole!”- gridò la ragazza. -”Che ne dici? Ti va di contemplare l'oblio della morte?”-.
Stava per macchiarsi di omicidio. Doveva fermarla.
-”Chaosmyth!”-.
Questa volta lo Stand del ragazzo moro si materializzò direttamente sotto forma di fumo e andò a immobilizzare le braccia di Deeper Deeper. Mercuzio scese abilmente nel vicolo e si avvicinò cautamente a Celeste.
-”Mi stavo giusto domandando dove fossi finito”- disse con tranquillità la ragazza. Le sue braccia erano strette lungo i fianchi a causa della morsa che Chaosmyth stava esercitando su Deeper Deeper. L'uomo colse al volo l'opportunità e scappò come un razzo nella via principale.
-”Giallo, cosa stavi facendo?”-.
Celeste si voltò verso il giovane e fece spallucce. A Mercuzio gli occhi della ragazza non parvero quelli di un essere umano, ma di un predatore. Non riuscì a fare a meno di paragonarli a quelli di un vampiro assetato di sangue.
-”Hai quasi ucciso una persona”- le fece notare con tono grave.
-”E allora? Chissà quante ne hai uccise tu”- ribatté.
Mercuzio sussultò e strinse i pugni.
-”Non è un affare che ti riguarda”-.
-”Credimi...”- sussurrò Celeste avvicinandosi a lui. -”So riconoscere benissimo gli occhi di un assassino quando li vedo...”-.
Vecchi ricordi riaffiorarono nella sua mente e, sfortunatamente, non fece in tempo a ricacciarli indietro. Le ginocchia, improvvisamente deboli e tremolanti, cedettero al suo peso. Le immagini che per anni aveva tentato di dimenticare affollarono la mente del ragazzo. Mercuzio si accasciò al suolo sporco e boccheggiò; improvvisamente sentiva mancargli l'aria. La momentanea fragilità del portatore indebolì Chaosmyth, e Deeper Deeper si liberò facilmente dalle catene di fumo. Celeste si sgranchì le braccia e si sciolse le spalle. Si chinò sul ragazzo moro e lo costrinse a guardarla negli occhi; solo allora Mercuzio si accorse, con grande stupore, che l'iride di Celeste era rossa scarlatta.
Questa non è Verde...”, pensò in un misto di orrore e confusione. “Che sta succedendo?!”.
-”Io sono superiore a tutta questa gentaglia”- sibilò la ragazza. -”Sono superiore a tutti. Nessuno deve osare intralciare la mia strada”-.
La situazione stava degenerando; se non avesse trovato un modo per fermare Celeste, la ragazza avrebbe potuto fargli del male, se non addirittura ucciderlo. Mercuzio non poteva più contare sul suo Stand, appena svanito in quella che sembrava una nuvola bianca diradata. Con le poche forze che gli erano rimaste fece una cosa che non si sarebbe mai sognato di fare a una donna.
Le tirò una testata.
Una testata talmente forte da far barcollare Celeste e da oscurare per qualche secondo la vista di Mercuzio con tante stelline scoppiettanti. Poco prima che la giovane svenisse, Deeper Deeper si mosse da solo: un dipinto comparve sopra la ragazza e lo Stand ne trinciò la tela con un fendente dell'alabarda.
Che cazzo...?”, pensò Mercuzio meravigliato. Che fosse un'allucinazione causata dalla testata appena data?
Celeste cadde a terra con un tonfo. Mercuzio, reggendosi la testa con una mano, si trascinò fino al muro del vicolo e ci si appoggiò con la schiena. Facendo dei respiri profondi, lanciò un'occhiata al corpo inerme della ragazza. Prese a fatica il cellulare dalla tasca dei pantaloni e compose il numero di Mista; dopo un paio di squilli ci ripensò e chiuse la telefonata. Quello che era appena successo era una questione che doveva risolvere personalmente con Celeste; ne andava dei ricordi che aveva volutamente nascosto per sette anni.

 

 

 

NOTE DELL'AUTRICE:
Hello (it's me...)! Eccomi tornata dopo la pausa di Natale :3 
Finalmente è comparso lo Stand di Mercuzio, che prende il nome da un'altra canzone del gruppo giapponese ONE OK ROCK. Eh sì, è il mio gruppo preferito, che ci posso fare? :> 
Deeper Deeper ha agito da solo. Per quale motivo? Quali saranno le conseguenze? E cos'è che Mercuzio ha tentato di dimenticare? Tutte le risposte nei prossimi capitoli ;D 
Alla prossima!

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Capitolo 13
*** Acquisto ***


Celeste si svegliò di soprassalto nella sua stanza nella villa di Giorno. Fissò per qualche istante il soffitto biancastro, domandandosi come fosse finita lì. Si ricordava vagamente di aver parlato con un avvenente ragazzo biondo che sosteneva di essere suo padre e che le aveva ripetuto nuovamente di stare attenta a Jotaro, ma poi... Vuoto. Il vuoto più totale.
Si tirò lentamente su a sedere e si accorse di una figura seduta per terra nell'angolo sinistro della stanza: era Mercuzio. Gli sguardi dei due ragazzi si incrociarono e i gelidi occhi verdi di Mercuzio fecero rabbrividire Celeste.
-”Che ci fai qua?”- gli domandò.
Il ragazzo non rispose. Si alzò, prese una sedia e si avvicinò al letto. La posò a terra e ci si sedette. Appoggiò i gomiti sulle ginocchia, intrecciò le dita sotto al mento e fissò Celeste negli occhi. Sembrava che stesse tentando di vedere l'anima della ragazza. Celeste sostenne lo sguardo intenso di Mercuzio, guardando il ragazzo con evidente superbia e fastidio.
-”Ti ho fatto una domanda”- gli fece notare stizzita.
-”Ricordi cosa hai fatto prima di svegliarti?”- le chiese Mercuzio ignorandola.
-”...No”-.
Mercuzio sospirò e lanciò un'occhiata alla porta della stanza. La preoccupazione negli occhi verdi del ragazzo mise a disagio Celeste, la quale si alzò dal letto e andò allo specchio a sistemarsi i capelli.
-”Grigio...”- iniziò Mercuzio titubante.
-”Mi chiamo Celeste”- borbottò la ragazza.
-”...Hai quasi ucciso una persona”-.
Celeste si immobilizzò, le mani nei capelli color miele. Guardò il proprio riflesso nello specchio e vide il suo volto sbiancare. Si voltò lentamente, le labbra socchiuse e gli occhi spalancati, in un'espressione di incredulità.
-”Non te lo ricordi?”-.
-”No”- rispose buttando giù il groppo che le si era formato in gola. -”Come...?”-.
-”Il tuo Stand stava per mozzargli la testa”-.
Celeste, dopo qualche secondo di silenzio, fece una breve risatina isterica. Si passò una mano tra i capelli e i suoi occhi ambrati tornarono quelli di sempre: impertinenti e spavaldi.
-”Non dire cazzate”- sbottò.
-”E' la verità, non sto mentendo”- ribatté serio Mercuzio. Prese a torturarsi le mani in un' evidente condizione di disagio e preoccupazione. Celeste alzò gli occhi al cielo sbuffando, prese il giacchetto di pelle che qualcuno aveva appallottolato ai piedi del letto e si diresse verso la porta della camera. Mercuzio scattò in piedi facendo rovesciare la sedia. La ragazza si voltò e gli scoccò un'occhiata profondamente infastidita.
-”Inizio a pensare che oltre all'enorme quantità di sigarette tu stia fumando qualcos'altro”- disse. -”Adesso, con permesso, ti lascio ai tuoi vaneggiamenti. Ho cose più importanti a cui pensare”-.
-”Non ti azzardare a uscire da questa stanza”- sibilò in tutta risposta Mercuzio. -”Abbiamo una questione da risolvere”-.
Le spalle di Celeste si irrigidirono, e la ragazza si girò di scatto, gli occhi ambrati fiammeggianti di rabbia. Con due passi coprì lo spazio che la separava dal ragazzo moro e gli puntò un indice contro il petto.
-”Chi sei per impartirmi ordini, eh?!”- gli domandò in tono bellicoso.
Mercuzio le scostò la mano con un gesto impaziente e la guardò dall'alto di quella quindicina di centimetri di altezza che aveva in più rispetto a lei.
-”Tu non te ne andrai da qui finché non avremo discusso di quello che è successo oggi”-.
Celeste non riusciva a credere alle proprie orecchie. Mercuzio stava forse cercando di fare il duro con lei? Un piacevole senso di rabbia le pervase il corpo, e per un attimo le sembrò di vedere il ragazzo sussultare, come se avesse visto un fantasma.
-”Sei debole, debole”- gli disse dopo aver fatto schioccare la lingua. -”Non osare più rivolgerti a me in quel modo”-.
Detto ciò uscì dalla sua stanza sbattendo rumorosamente la porta. Mercuzio si passò una mano sul viso e tirò un calcio all'aria, chiedendosi per quale assurdo motivo quella ragazza stesse iniziando a turbarlo così tanto.

 

 

Ma che gli è preso?!”, si domandò furibonda uscendo in terrazza.
Celeste si lanciò un'occhiata alle spalle e sospirò di sollievo quando vide che Mercuzio non l'aveva seguita. Appoggiò i gomiti all'elegante ringhiera e si portò una mano alla fronte. L'inspiegabile vuoto di memoria era, al momento, l'ultimo dei suoi problemi. Secondo Mercuzio avrebbe quasi ucciso una persona? Assurdo. Certo, Celeste aveva sempre desiderato ammazzare qualche individuo poco simpatico, ma, come si suol dire, tra il dire e il fare c'è di mezzo il mare.
Quel ragazzo le dava parecchio sui nervi. Non le risultava facile capire il suo modo di ragionare e il suo problema col fumo era talmente evidente che più volte Celeste arrivò a sostenere, con una certa soddisfazione, che Mercuzio sarebbe morto di tumore ai polmoni prima dei trent'anni.
C'era una cosa, però, che le dava più fastidio di tutte: non poter visualizzare i suoi ricordi.
Non usare il tuo Stand contro Mercuzio, per nessun motivo”, le aveva detto Giorno.
Ma perché? Per quale motivo non avrebbe dovuto? Cos'era che Giorno e Mercuzio stesso le stavano nascondendo?
C'era un solo modo per scoprirlo.
Dopo essersi assicurata che nessuno la stesse spiando, Celeste evocò Deeper Deeper; per un attimo le venne spontaneo domandarsi cosa ci fosse sotto il suo elmo.
-”Spero tu sia in grado di fare una ricerca sui ricordi che hai in... database”- gli disse a bassa voce.
Deeper Deeper annuì lentamente.
-”Magnifico. Cerca il primo ricordo che Giorno possiede di Mercuzio”-.
Lo Stand alzò una mano, come a ordinarle di aspettare. Qualche secondo dopo si chinò sulla ragazza e le tese la stessa mano.
-”Ho trovato l'opera che stavi cercando. Risale all'anno 2005. Desideri acquistare il dipinto?”-.
Non ci pensò su due volte: Celeste strinse la mano di Deeper Deeper e annuì con convinzione.
A noi due, maledetto Zeppeli!”.

 

 

 

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Capitolo 14
*** Leonessa ***


Il giardino della villa del boss era un posto frequentato quasi esclusivamente da Giorno (che se ne prendeva cura in prima persona) e da Mista, che trovava rilassante sedersi su di una panchina a fissare la siepe di alloro che delimitava il perimetro del giardino ben curato. Una volta Numero 6 gli aveva detto che sembrava Leopardi; quel giorno Mista l'aveva lasciato senza pranzo.
Mista si era appena seduto sulla sua solita panchina quando, in una nube di fumo, Mercuzio gli apparve accanto.
-”Cazzo, Zep! La prossima volta ti pianto un proiettile in fronte!”- gridò Mista spaventato dalla comparsa del compagno.
-”Mista, posso farti una domanda?”-.
Mista, dopo essersi ricomposto, lanciò un'occhiata di sottecchi a Mercuzio e aggrottò la fronte.
L'ultima volta che l'aveva visto così provato era stata due anni prima, quando una ragazza di Amalfi lo aveva perseguitato per ben sette mesi; Mercuzio dovette fare l'impossibile per scrollarsela di dosso, e ciò influì negativamente sul suo lavoro, tanto che Giorno fu costretto a dargli delle “ferie” per risolvere la questione. Nessuno, tranne Mercuzio, sapeva che fine avesse fatto quella ragazza.
-”Se c'entra di nuovo una femmina, lascia che ti dica una cosa: così impari a fare il Casanova!”- sbottò Mista. Gli doleva ammetterlo, ma sotto sotto invidiava Mercuzio per il suo successo con le donne. Più volte si era domandato cosa ci trovassero le ragazze in lui. Cos'era che le attirava? I capelli neri? Gli occhi verde smeraldo? Il fisico ben messo?
No, no. Il mio fisico non lo batte nessuno!”, finiva sempre per concludere.
Numero 5 uscì dal tamburo della pistola di Mista e andò a sedersi sulla spalla di Mercuzio. Per qualche strano motivo il piccolo Stand era particolarmente affezionato al ragazzo moro.
-”Come ci si deve comportare con una ragazza che non si è in grado di gestire?”-.
E ti pareva?”, pensò Mista alzando gli occhi al cielo e scuotendo il capo.
-”Zep, possibile che non ti sia servita a nulla la storia di due anni fa?”-.
Mercuzio prese una sigaretta dal pacchetto che teneva in tasca e se la accese col suo solito accendino celeste. Se lo rigirò tra le dita per un po', poi se lo rificcò in tasca.
-”Con gestire non intendevo in quel senso, ma in quell'altro”- spiegò il ragazzo moro scandendo i concetti con dei gesti delle mani.
-”Quale quell'altro?”- domandò Mista.
-”Quell'altro!”- sbottò Mercuzio ad alta voce. Numero 5, ancora seduto sulla sua spalla, sobbalzò per lo spavento.
Mista strinse gli occhi fino a ridurli a due fessure e incrociò le braccia muscolose al petto. Mercuzio sembrava molto a disagio: tra un tiro di sigaretta e l'altro non faceva passare nemmeno cinque secondi, e le sue ginocchia continuavano a fare rapidamente su e giù. Colpito da una folgorante illuminazione, Mista annuì e diede al compagno una pacca sulla spalla.
-”E' una ninfomane, eh?”- disse guardandolo con compassione.
Mercuzio gettò la sigaretta sull'erba e scattò in piedi, facendo cadere Numero 5; Mista riuscì a prenderlo al volo.
-”Cazzo, Mista!”- gridò Mercuzio. -”Possibile che tu non capisca mai un cazzo?! Mi sto riferendo a quella rompicoglioni che mi è stato ordinato di proteggere! E no, il sesso non c'incastra niente!”-.
-”Ah”- disse Mista visibilmente deluso.
Il ragazzo con gli occhi verdi spense con un pestone la sigaretta che aveva buttato per terra e se ne accese immediatamente un'altra, ficcandosela con rabbia tra le labbra. Mista lo osservò in silenzio, accarezzando distrattamente la testolina di Numero 5.
Possibile che il suo pacchetto di Marlboro Gold sia infinito?”, si chiese.
-”Non esiste ragazza che resisti al mio fascino, giusto?”- iniziò Mercuzio prendendo a camminare su e giù davanti alla panchina sulla quale era seduto Mista. -”Allora perché quella là mi schifa?! E' la prima volta in tutta la mia vita che vengo ignorato da una ragazza! Si crede chissà chi, la regina del mondo! E come se non bastasse mi tratta come il suo schiavo! Tratta me, Mercuzio Zeppeli, come il suo schiavo?! Ma io l'ammazzo!”- urlò agitando la sigaretta a destra e a manca.
-”Zep, posso dire una cosa?”- tentò di intervenire Mista.
-”Stai zitto! Non ho finito!”-.
Numero 5, dopo aver lanciato un gridolino, tornò nel tamburo della pistola insieme agli altri Sex Pistols. Mista alzò le mani in segno di resa e si abbandonò sullo schienale della panchina. Normalmente sarebbe andato su tutte le furie per una risposta così irrispettosa nei suoi confronti (del resto Mercuzio aveva ventidue anni e Mista ventinove), ma quella volta decise di sorvolare e starsene buono; era evidente che Mercuzio fosse profondamente alterato.
-”Io non la capisco, davvero! Ci sono momenti, quei rari momenti in cui sta zitta, che la guardo e penso che sia proprio una bella ragazza, e ti dirò, più volte ho pensato di provarci, di darle una possibilità, ma poi si gira, mi guarda con quei suoi occhi gialli, mi dice “Che cosa vuoi?” e lì mi viene da strangolarla!”-.
-”Mi sembri in conflitto con te stesso”- riuscì a commentare Mista.
Mercuzio espirò furiosamente il fumo dalle narici e gli scoccò un'occhiataccia.
-”Credimi, se qui qualcuno è in conflitto con se stesso, questo qualcuno è lei”-.
-”Che intendi dire?”- gli domandò Mista curioso.
Mercuzio parve pentirsi delle sue ultime parole. Distolse lo sguardo dal compagno, serrò le labbra e finì la sigaretta con tre tiri.
-”Niente, lascia perdere”- bofonchiò chinandosi a spegnere il mozzicone tra l'erba; già che c'era andò a recuperare la mezza sigaretta che qualche minuto prima aveva buttato via. Lanciò un'occhiata di sottecchi a Mista, borbottò un “Ci vediamo” e fece per andarsene, ma Mista lo richiamò indietro.
-”Lo vuoi 'sto consiglio o no?”- gli domandò.
Un po' esitante, Mercuzio annuì.
-”Quando si ha a che fare con una leonessa, cercare di contrastarla con la forza è controproducente. La cosa migliore da fare, se la si vuole avere al proprio fianco, è mostrarle quanto di bello c'è in questo mondo e qui”- disse indicandosi il petto.
Mercuzio spalancò gli occhi dalla sorpresa per le belle parole di Mista; poi capì, e sorrise.
-”Trish Una, eh?”- disse.
-”Già...”- sorrise a sua volta Mista.
Mercuzio fece qualche colpetto di tosse, imbarazzato, e si ficcò le mani nelle tasche dei pantaloni.
-”Col mio discorso di prima non volevo dire che la rompicoglioni mi pia...”- iniziò arrossendo di botto.
Mista si alzò, prese il ragazzo per le spalle, lo girò e gli diede una pedata al fondoschiena.
-”Sì, sì, come ti pare. Adesso levati di culo; devo fare Leopardi”-.

 

 

Giorno, affacciato alla finestra della sua enorme camera, osservò Mista e Mercuzio parlare in giardino. Raramente capitava che il ragazzo moro chiedesse consiglio al collega più grande, ma quando questo accadeva era uno spasso starli a osservare: Mercuzio si arrabbiava sempre per un nonnulla, mentre Mista si sforzava di assumere un tono da superiore e fratello maggiore. Ogni volta le loro conversazioni si concludevano con una pedata da parte di Mista.
Giorno non dovette sforzarsi molto per capire quale fosse l'argomento della conversazione di quei due: Celeste. Quella ragazza lo aveva colpito fin dal primo istante in cui l'aveva vista, e tutti i membri di Passione che avevano avuto modo di vederla avevano intuito che fosse una persona speciale. Nessuno, però, si era accorto di un “piccolo” dettaglio che ultimamente aveva dato parecchio da pensare a Giorno: la somiglianza di Celeste con Giorno stesso. Forse se la stava solo immaginando, o forse quella somiglianza saltava all'occhio solo di chi, come loro, possedeva quella dannata voglia a forma di stella.
Che sia per questo che Jotaro Kujo la sta cercando?”, si domandò andando a sedersi sulla poltrona rossa. “Ma...Chi è Jotaro Kujo?”.
Era sicurissimo di aver già sentito il nome di quella persona ancor prima che Celeste glielo nominasse; eppure, per quanti sforzi facesse, non riusciva a ricordare niente.
Era come se qualcuno gli avesse strappato una pagina dei suoi ricordi.

 

 

 

NOTE DELL'AUTRICE
Salve a tutti! ^^
Mi sono divertita un sacco a scrivere questo capitolo, giocando con Mista e Mercuzio. Nei precedenti capitoli non sono stata ad approfondire il rapporto che c'è tra loro (ed è un peccato), ma sì, i due vanno molto d'accordo.
Oh, Giorno, mio caro Giorno... >:)
Al prossimo capitolo! :D

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Capitolo 15
*** Demone ***


Sua zia ne aveva una cartolina attaccata al frigorifero, perciò Celeste la riconobbe subito: Piazza del Plebiscito. Era notte fonda e una pioggia fine e gelida cadeva dal cielo tenebroso.
-”Deeper Deeper”- evocò il suo Stand. -”Mi faresti il favore di spiegarmi dove diamine mi hai spedita?”- gli domandò con poco garbo.
-”Qual vile linguaggio...”- si lamentò lo Stand dall'elmo rinascimentale. -”Codesti son i ricordi contenuti nel quadro che hai acquistato. Osserva”- aggiunse indicando una pagina di giornale abbandonata per terra. -”Leggi la data odierna”-.
Celeste guardò nella direzione che Deeper Deeper le aveva indicato, raccolse il giornale ormai zuppo e cercò di leggere la data del quotidiano.
-”Uno... No, sette... Ottobre... Novembre... Si può sapere cosa c'è scritto?!”- sbottò spazientita. -”Sette dicembre duemilacinque”- lesse alla fine. Guardò Deeper Deeper e socchiuse le labbra, stupita.
-”Sono tornata indietro nel tempo...”- mormorò.
-”Grazie alle memorie delle persone hai la capacità di viaggiare nel passato”- spiegò lo Stand.
-”Era questo che intendevi con “interagire in prima persona”, vero?”-.
Deeper Deeper alzò una mano e zittì Celeste. Guardò alle spalle della ragazza e le indicò la Basilica.
-”Il momento di cui desideravi venire a conoscenza sta per accadere. Il signor Shiobana sta per arrivare”-.
Celeste corse a cercare riparo dalla pioggia e dagli occhi di Giorno sotto il colonnato della Basilica di San Francesco di Paola. Superò la statua equestre di Carlo III di Borbone, si nascose dietro una colonna e si accorse di una figura rannicchiata ai piedi della statua: era un ragazzino dai capelli neri. La sua schiena era scossa da forti singulti; le sue ginocchia, così come le mani che nascondevano il viso, erano bagnate da pioggia e lacrime.
A un tratto Celeste notò una persona camminare attraverso la piazza. Avrebbe riconosciuto ovunque quella camminata elegante e la strana acconciatura bionda: si trattava di Giorno. Con in mano un ombrello rosso a pois neri, passò accanto alla statua di Carlo III e soffermò gli occhi azzurri sul ragazzino. Celeste, si sporse un poco dalla colonna, pregando con tutta se stessa che nessuno dei due si accorgesse della sua presenza. Giorno, dopo qualche minuto di immobilità, coprì il ragazzino con l'ombrello, lasciando che la pioggia bagnasse il suo completo blu dall'assurda scollatura a forma di cuore. Il ragazzino lanciò un'occhiata a Giorno attraverso una fessura tra due dita della mano; i suoi occhi verdi confermarono la sua identità a Celeste: si trattava di Mercuzio.
-”Tutto bene?”- gli chiese dolcemente un Giorno appena diciottenne.
-”Va' via”- rispose duramente Mercuzio. -”O finirà per uccidere anche te”-.
Uccidere?”, ripeté mentalmente Celeste.
Giorno si lanciò una rapida occhiata attorno (Celeste si nascose completamente dietro la colonna) e piegò le ginocchia, abbassandosi all'altezza di Mercuzio.
-”Cosa ti è successo? Puoi dirmelo. Io posso aiutarti”-.
La sicurezza nella voce di Giorno sarebbe riuscita a far vuotare il sacco persino a una persona chiusa e scontrosa come Celeste; pensandoci bene, ci era già riuscita.
-”Un demone... Un demone ha ucciso... ha ucciso la mia famiglia”- disse Mercuzio con voce tremante. -”Li ha uccisi tutti, li ha soffocati col suo fumo... E adesso mi perseguita”-.
Un inquietante giullare grigio apparve alle spalle di Mercuzio e lo abbracciò, ma il ragazzino moro gridò e si divincolò, finendo tra le braccia di Giorno. L'ombrello rosso a pois neri cadde a terra. Il giovane biondo si chinò e disse qualcosa all'orecchio di Mercuzio; Celeste rischiò di farsi vedere per tentare di ascoltare le parole di Giorno.
-”Se non hai più un posto a cui far ritorno, Passione sarà la tua nuova casa”-.
Il piccolo Mercuzio crollò e pianse accasciandosi al suolo bagnato.
-”Deeper Deeper, desidero restituire l'opera”- mormorò Celeste al suo Stand.
Deeper Deeper prese la mano tesa di Celeste ed entrambi tornarono nel 2011, sul terrazzo della villa del boss di Passione. La ragazza dagli occhi ambrati, incredula, andò lentamente a sedersi su una sedia. Aveva capito bene? Lo Stand di Mercuzio aveva ucciso la sua famiglia? Stando a quanto le aveva detto Jotaro Kujo, lo Stand era l'emanazione dell'energia spirituale di un individuo; possibile che un “fantasma” potesse agire di propria iniziativa e uccidere qualcuno? Per un attimo Celeste ebbe paura di Deeper Deeper: e se avesse fatto del male a sua zia o a Tessa? Aveva bisogno di risposte e di chiarimenti, ma per esigerle avrebbe dovuto confessare a Giorno di aver sbirciato nei suoi ricordi in cerca di informazioni sul passato di Mercuzio. Celeste si morse il labbro e sospirò. Non poteva farlo; non poteva assolutamente rivelare ad anima viva ciò che aveva appena fatto.
Viaggiare nel tempo tramite i ricordi... Assurdo”.
E se invece fosse andata a chiedere spiegazioni al diretto interessato? Gli occhi di Mercuzio non erano quelli di un assassino, ne era più che sicura.
Farà anche parte di un'organizzazione mafiosa, ma Mercuzio non ha mai ucciso nessuno”.
Celeste non era mai andata d'accordo col ragazzo moro, ma ogni volta che lo guardava vedeva in lui una luce rassicurante, una specie di ancora. Improvvisamente si accorse di essere lievemente arrossita e si batté le mani sulle guance.
Ma cosa vado a pensare?!”, pensò imbarazzata. “Gli lancerei un rullo compressore addosso, a quello lì, altroché!”.
Aveva appena deciso di andare a cercare Mercuzio, quando Mercuzio stesso apparve accanto a lei, la afferrò per un polso e la guardò negli occhi.
-”Dobbiamo parlare”-.
Fu la prima volta in tutta la sua vita che Celeste si sentì in soggezione.

 

 

Ne era più che sicuro: quella ragazza che era appena fuggita insieme a un giovane dai capelli neri era Celeste.
Jotaro non aveva fatto in tempo a raggiungerli che i due erano spariti nel nulla.
Celeste doveva essere riuscita a trovare Giorno Giovanna; quel ragazzo moro era sicuramente un membro di Passione. Il fatto che la ragazza si fosse recata a Napoli esclusivamente per Giorno Giovanna poteva significare una cosa sola.
Ormai Jotaro era certo dell'identità del padre di Celeste Giosta. L'età della ragazza lo aveva inizialmente confuso, ma il biologo sapeva che quella persona era imprevedibile e possedeva sempre un asso nella manica.
Già, perché la voglia a forma di stella non mente mai.
E nemmeno gli occhi ambrati di Celeste, maledettamente identici a quelli di suo padre: Dio Brando.

 

 


NOTA DELL'AUTRICE
Ultimo capitolo che pubblico nel 2015 :> Ci tenevo che fosse di "Deep Memories" <3 
E' ufficiale: Celeste è figlia di Dio Brando. E Mercuzio... Be', la storia del suo passato non è ancora finita. 
Al prossimo capitolo! ^^

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Capitolo 16
*** Destino ***


Celeste dovette stringersi a Mercuzio per non scivolare giù dagli scogli di Largo Nazario Sauro. Odiava il fatto che la sua guardia del corpo non le dicesse mai dove fossero diretti ogni volta che usava il potere del suo Stand. Dopo aver riacquistato l'equilibrio tossicchiò imbarazzata e si staccò dal ragazzo.
Il mare che si estendeva di fronte a loro, calmo, limpido e piatto, era esattamente l'opposto degli occhi di Mercuzio. Celeste aveva capito fin da subito che il ragazzo era profondamente turbato; che avesse scoperto il suo viaggio nel passato?
-”Mercuzio...”- iniziò Celeste spezzando il silenzio. -”Ho delle domande da farti”-.
-”Sei riuscita ad accedere ai miei ricordi, vero?”- le domandò senza guardarla; aveva lo sguardo fisso di fronte a sé, perso nella contemplazione del Mar Tirreno.
Per un momento Celeste si sentì colpevole. Strinse le mani a pugno, cercando di ricacciare indietro quella fastidiosa sensazione e di convincersi di aver fatto la cosa giusta.
-”Non proprio”-.
Mercuzio, il volto apatico, si spostò di qualche scoglio più avanti e si sedette su di uno con la superficie perfettamente liscia e lievemente inclinato verso il mare. Celeste lo seguì senza aspettare un suo invito. Si sedette accanto a lui e si circondò le ginocchia con le braccia.
-”Hai mentito al boss”- esordì Mercuzio a un tratto.
-”Che intendi dire?”-.
-”Tu puoi visualizzare i ricordi delle persone in qualsiasi momento. Il tuo Stand è una sorta di archivio”-.
Celeste sussultò lievemente e si morse il labbro. Avrebbe voluto ribattere in qualche modo, continuando a mentire o aggirando Mercuzio, ma dopo quello che aveva visto nei ricordi di Giorno non se la sentiva. Per qualche assurdo motivo la sua caratteristica superbia, in quel momento, se n'era andata.
-”Credo sia giusto che tu sappia una storia...”- continuò Mercuzio. Non aveva ancora posato gli occhi su Celeste, neppure una volta. -”Io sono uno Zeppeli, discendente di una famiglia i cui membri sono destinati a morire tragicamente. Sembrava che Caesar Anthonio, fratello del mio bisnonno, fosse l'ultimo Zeppeli ad aver ereditato la sfortuna della famiglia, ma ci sbagliavamo tutti. Sette anni fa, come passatempo, imparai a leggere i tarocchi. Quando fui sicuro delle mie capacità, decisi di predire il mio futuro; fu la scelta sbagliata più grave della mia vita”-.
Mercuzio si fermò. Un breve tremito gli scosse il corpo e, con mani tremanti, andò a cercare il pacchetto di Marlboro Gold nelle tasche dei pantaloni. Gli fu difficile accendersi la sigaretta, le mani non smettevano di tremare e la fiamma dell'accendino traballava con esse. Celeste avvertì l'istinto di stringergli le mani tra le sue, ma si impose di non farlo. L'orgoglio è una brutta bestia.
-”Il Mago e La Morte, entrambe rovesciate. Sai cosa significa?”-.
Celeste scosse la testa.
-”Che qualcosa di tragico sarebbe successo a causa mia. E così fu”-.
-”Hai...?”-.
-”...Ucciso la mia famiglia? Esatto”- rispose Mercuzio con un sorriso tirato; i suoi occhi piangevano. -”Mio padre, mia madre, mia sorella e mio nonno, tutti soffocati nella notte dal fumo del mio Stand. Quella notte sognai di venir attaccato da una figura malvagia dai terribili occhi rossi. In mio soccorso apparve Chaosmyth. “Ti proteggerò da qualunque pericolo”, mi disse. Al mio risveglio la casa era inondata di fumo e la mia famiglia agonizzante nei letti. Morirono tutti sotto i miei occhi. Solo in seguito scoprii l'identità di Chaosmyth e realizzai che era stata colpa mia. I tarocchi avevano ragione”- concluse con un sussurro.
Mercuzio, la sigaretta stretta tra l'indice e il medio della mano destra, fece un respiro profondo e chiuse gli occhi. Celeste intuì che dovesse essere la prima volta che raccontava a qualcuno la sua storia, tralasciando Giorno. Titubante, gli posò una mano sulla spalla; il ragazzo parve sorpreso da quel gesto, e finalmente si voltò a guardarla. Per un breve istante Celeste si perse in quel mare di smeraldi.
-”Se stai per farmi le condoglianze, ti prego, fermati”- la anticipò Mercuzio. -”Non ce n'è bisogno”-.
Celeste tolse la mano dalla spalla del ragazzo moro e abbassò lo sguardo sugli scogli grigiastri.
-”Sai perché fumo?”- disse Mercuzio a un tratto, rigirandosi la sigaretta tra le dita. -”Per sconfiggere la paura del mio Stand. Ho reso il fumo una parte di me e della mia vita. Avendolo sempre attorno, prima o poi riuscirò a superare il mio trauma e a pensare alla mia famiglia col sorriso sulle labbra, e non con le lacrime. E' stato grazie al fumo di Chaosmyth se sono riuscito a nascondere agli altri i miei ricordi; per questo non sei riuscita a vederli...”-.
-”Posso aiutarti!”- esclamò Celeste facendo rimanere di sasso sia Mercuzio che lei stessa. Era scattata in piedi, i pugni chiusi lungo i fianchi e un equilibrio precario che per poco non la fece scivolare in acqua. -”Posso eliminarli definitivamente... forse!”-.
Mercuzio scosse lentamente la testa, un debole sorriso a incurvargli le labbra.
-”Historia magistra vitae. Senza quei ricordi non sarei la persona che sono adesso. E' giusto così”-.
Il ragazzo fece cadere il mozzicone di sigaretta in una fessura tra due scogli, si alzò in piedi e puntò i suoi occhi verdi in quelli ambrati di Celeste. Il suo viso si indurì di colpo.
-”Non ti ho raccontato la mia storia per farmi commiserare, Rosso; l'ho fatto per dirti di fare attenzione al tuo Stand. Questi esseri sono nati dall'energia spirituale e dalla volontà degli esseri viventi; basta poco, come un attimo di distrazione o di follia, per compiere azioni irreversibili. Sei ancora inesperta e hai un carattere... particolare. Ti prego, fai attenzione”-.
Quel “Ti prego” fu come una stoccata finale. Mercuzio le aveva appena mostrato un lato di sé che mai si sarebbe immaginata di trovare in una persona come lui. L'unica certezza che aveva da giorni, ovvero “Odio Mercuzio”, crollò come un castello di sabbia.
-”Non sei mia madre...”- borbottò Celeste arrossendo e voltandosi dall'altra parte.
-”No, ma sono la tua guardia del corpo”- rispose l'altro. -”E...”-. Fece per dire qualcos'altro ma si zittì subito. Celeste notò l'indecisione nel suo sguardo e lo spronò a proseguire, ma Mercuzio aggrottò le sopracciglia, strinse le labbra e non continuò.
-”Torniamo in centro, è ora di pranzo”- disse invece.

 

 

...E svelarle quello che mio nonno mi disse anni fa? Assolutamente no”.
Più terrificante della predizione dei tarocchi fu una lettera che Mercuzio trovò in casa sua circa un anno dopo la morte della sua famiglia. Era indirizzata a lui, da parte del nonno.

Nipote mio,
Quando leggerai questa lettera io, i tuoi genitori e tua sorella non ci saremo più. Lo so perché ti ho visto quando ti sei predetto il futuro. Siamo Zeppeli, la morte ci è più vicina rispetto a qualunque altro essere vivente.
C'è una cosa che devi sapere: a generazioni alterne la morte degli Zeppeli è fortemente legata a una certa famiglia. Il tuo avo Will e mio zio Caesar sono deceduti tragicamente perché il loro destino si è intrecciato con un membro di questa famiglia. Tu ed io apparteniamo alle generazioni maledette, eppure il fato, stranamente, vuole che io spiri per mano tua; ma tu, Mercuzio, tu morirai a causa di un Joestar. Stai lontano dai discendenti di quella famiglia. Una voglia a forma di stella ti rivelerà la loro identità.
Che tu possa vivere felice e a lungo.
Ti voglio bene.

                                    Augusto Zeppeli

 

Mercuzio aveva notato la voglia di Celeste e aveva subito capito che “il suo Joestar” aveva appena fatto la sua comparsa. Fu una frase di Giorno, sentita per bocca di Mista, a dare coraggio al ragazzo.
Tutti gli esseri viventi sono schiavi sopiti del destino, eppure noi siamo riusciti a rompere l'incantesimo. E' questa la vittoria”.
Anche lui, come Giorno, sarebbe riuscito a spezzare l'incantesimo del fato. Nessuno gli avrebbe impedito di camminare a fianco di quella leonessa.
Se lui voleva farlo, l'avrebbe fatto.
Anche a costo di sfidare la maledizione degli Zeppeli.

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Capitolo 17
*** Imbarazzo ***


Rohan adagiò la cartella sul portabagagli e si lasciò cadere sul proprio sedile, incrociando poi le braccia al petto e sospirando rumorosamente. Guardò fuori dal finestrino e vide il capotreno camminare lungo la banchina e fischiare animatamente: il treno sarebbe partito tra poco. Allungò le lunghe gambe fasciate da un paio di pantaloni blu rigorosamente di Gucci e si congratulò con se stesso per aver scelto un posto in prima classe. Quando si trattava di viaggiare, il mangaka non badava a spese.
Le porte si chiusero e il treno ad alta velocità iniziò la sua corsa.
-”Kishibe”- l'aveva chiamato al telefono quella mattina Jotaro. -”Sei sempre in Italia?”-.
-”Dannazione, Kujo, stai iniziando a essere molesto quasi quanto tuo zio!”- aveva esclamato infastidito. -”Sì, sono a Firenze”-.
-”Ho bisogno di te qui a Napoli. E' giunto il momento di troncare ogni dubbio una volta per tutte”-.
Se c'era una cosa che Rohan aveva imparato era di non dire mai di no a Jotaro Kujo. Quell'uomo odiava essere contraddetto, e se si ficcava una cosa in testa era impossibile fargli cambiare idea. Non si sarebbe arreso fino all'ottenimento delle risposte cercate.
-”Quanto è importante?”- aveva domandato sapendo già quale sarebbe stata la risposta.
-”Troppo”-.
Un'ora dopo, a mezzogiorno, Rohan si era recato alla stazione di Firenze Santa Maria Novella per salire a bordo del treno che lo avrebbe portato a Napoli.
Giuro che se mi ha fatto sospendere il lavoro per una paranoia lo ammazzo!”.

 

 

Rohan trovò Jotaro ad aspettarlo fuori dalla stazione. Il suo viso, come al solito, era impassibile, ma i suoi occhi turchesi dal taglio occidentale lasciavano intravedere quella paura che per giorni albergava nel cuore del biologo marino.
-”Credo di doverti delle spiegazioni”- esordì Jotaro.
-”Direi di sì”- concordò Rohan visibilmente irritato.
Jotaro si ficcò le mani nelle tasche dei pantaloni neri e si incamminò verso Corso Arnaldo Lucci, seguito da un Rohan che si era appena messo al collo la sua fida macchina fotografica. Jotaro gli lanciò un'occhiata di sottecchi e fece schioccare la lingua.
-”Non provare a dirmi che non siamo qui per hobby”- lo anticipò il mangaka. -”Ho il costante bisogno di documentarmi per le mie storie e, sorpresona, sono multitasking”-. Si fermò per scattare una fotografia a due persone davanti alla vetrina di un negozio e poi riprese a camminare. -”Quindi”- proseguì. -”Parla pure. Ti ascolto”-.
Jotaro si calò la visiera del vistoso cappello sugli occhi, borbottò qualcosa che a Rohan parve diverso dal solito “Yare yare daze” e si strinse nelle spalle, sospirando.
-”Dobbiamo trovare un edificio. Questo”- disse passando una fotografia a Rohan.
-”Carino”- commentò il mangaka. Stava già pensando a come farne una trasposizione su carta.
-”E' la villa di un boss mafioso”- spiegò Jotaro.
-”Ehi ehi ehi ehi ehi...”- mormorò Rohan restituendo la foto a Jotaro. -”Cosa c'entra la ragazza bionda con la mafia?”-.
-”E' la sorella del boss. Da parte di padre. Sorellastra”-.
Rohan si fermò e costrinse Jotaro a fare lo stesso. Il nipote di quella seccatura di Josuke l'aveva trascinato a Napoli senza dirgli praticamente niente; adesso non si sarebbe mosso da lì finché il biologo non gli avesse spiegato la situazione fin nei minimi dettagli. Jotaro intuì le intenzioni di Rohan ma non cedette allo sguardo inquisitorio del mangaka giapponese.
-”Quando avremo trovato la villa e il boss ti spiegherò tutto. Ti basti sapere che se la mia ipotesi risultasse esatta dovremo essere pronti ad agire per il bene dell'umanità”-.

 

 

Celeste non aveva mai avuto un pranzo così imbarazzante.
Per tutto il tempo né lei né Mercuzio avevano aperto bocca, se non per mangiare. Se qualcuno avesse chiesto a Celeste quale fosse stato il momento più bello di quel pranzo, avrebbe risposto “La pizza con la mozzarella di bufala”. Non si erano parlati neppure al momento di pagare il conto; Mercuzio aveva tirato fuori il portafoglio e aveva pagato per entrambi. Celeste non era riuscita a ringraziarlo e Mercuzio non glielo aveva fatto pesare.
Uscirono dalla pizzeria, l'uno con lo sguardo rivolto a destra, l'altra a sinistra.
Mercuzio aveva mostrato le sue debolezze e preso coscienza dei suoi sentimenti, mentre Celeste si era vista distruggere la sua più grande certezza e stava ancora lottando contro se stessa; era naturale che i due non riuscissero a guardarsi negli occhi.
Raggiunsero la fermata e riuscirono per un pelo a prendere l'autobus delle 15:06. Si sedettero vicini, Mercuzio dalla parte del finestrino, e portarono avanti il loro imbarazzante silenzio. Per Celeste furono tre quarti d'ora di agonia: voleva parlare, dirgli qualcosa, ma al tempo stesso il suo orgoglio la tratteneva dal farlo. Mercuzio le sembrava arrabbiato, sul piede di guerra e pronto ad attaccar briga alla prima parola sbagliata della giovane dai capelli color miele. I suoi occhi, nei quali Celeste era solita vedere una luce brillante, parevano spenti e opachi. Per lui aveva messo da parte le sue priorità, come comunicare a Giorno dello strano incontro con suo padre o della presenza di Jotaro Kujo a Napoli. Perché? L'aveva fatto per curiosità, e quindi per se stessa, o per il bene del ragazzo che le sedeva accanto? Celeste non ne aveva la più pallida idea. C'era troppa confusione nella sua mente, troppe emozioni che le vorticavano in testa e, apparentemente, nessun modo per farle quietare.
I quarantacinque minuti trascorsero molto lentamente, e l'autobus si fermò ai piedi del colle per far scendere i due ragazzi. Celeste e Mercuzio s'incamminarono lungo la strada in salita che si snodava attraverso il bosco e che conduceva alla villa del boss di Passione. Quando raggiunsero il palazzo, Mercuzio, di qualche metro davanti a Celeste, si fermò improvvisamente e alzò un braccio, intimando a Celeste di non proseguire.
-”C'è qualcuno davanti al portone”- sussurrò Mercuzio. Celeste si sorprese nel sentire la sua voce. Si sporse oltre le spalle della sua guardia del corpo e vide, in piedi di fronte al portone, una ragazza: indossava un top nero dalla scollatura a cuore, un paio di pantaloni lunghi leggeri beige dal cavallo basso e delle francesine laccate nere. I capelli, di un fucsia brillante, erano acconciati in dolci boccoli che le arrivavano a metà schiena. Alzò una mano, il polso pieno di braccialetti, e prese a bussare con foga. Sembrava particolarmente irritata.
-”C'è nessuno?!”- esclamò la ragazza. -”Non fatemi arrabbiare!”-.
Il campo visivo di Celeste si liberò a causa della scomparsa di Mercuzio. Lo vide riapparire in uno sbuffo di fumo vicino alla ragazza, scambiare due parole con lei, farle il baciamano e prendere il cellulare. La ragazza, invece, si voltò nella direzione di Celeste, si abbassò gli occhiali da sole sul naso e la squadrò con evidente scetticismo. Celeste, sentendosi giudicata, raggiunse a passo spedito i due ragazzi, incrociò le braccia al petto e fulminò Mercuzio, intento a parlare al telefono, con un'occhiataccia.
-”Scusami tesoro, posso sapere chi sei?”- le domandò la ragazza dai capelli fucsia.
-”Ti faccio la stessa domanda”-.
-”L'ho fatta prima io”- disse freddamente.
-”Non mi interessa”- ribatté Celeste.
Mercuzio chiuse la chiamata e si frappose tra le due ragazze.
-”Il boss non è in casa, ma sta arrivando Mista. Stava dormendo...”- disse.
La ragazza, più bassa di Celeste, alzò il mento e fece un breve sbuffo di disappunto.
-”Mercuzio, chi è questa sbruffona?”-.
-”Scusa?!”- gridò Celeste andando su tutte le furie. Senza pensarci, evocò Deeper Deeper e minacciò la ragazza con l'alabarda. Mercuzio agì a sua volta d'istinto: legò Celeste con una spessa catena di fumo e fece retrocedere la ragazza dai capelli fucsia di qualche passo.
-”Ti ammazzo!”- le ringhiò Celeste. Tutta la tensione che aveva accumulato fino ad allora aveva trovato come valvola di sfogo l'irritazione che Celeste provava per quella tipa. -"Te li faccio ingoiare quei cazzo di occhiali da sole! Anzi, non ti dico dove te li ficco perché sono una ragazza fine!"- sbraitò.
Le sue iridi si tinsero di rosso; Mercuzio se ne accorse, spinse via la ragazza e si parò di fronte a Celeste, afferrandole il viso tra le mani.
-”Blu... Blu, ascoltami”- sussurrò, la punta del naso a sfiorare quella di Celeste. -”Mi stai ascoltando? Calmati, stai tranquilla. Va tutto bene. Va tutto bene, hai capito? Non ti devi arrabbiare. Avete cominciato col piede sbagliato, ma vedrai che andrete d'accordo. Controllati. Calmati”-.
-"Come si è permessa?!"- disse Celeste a denti stretti.
-"Ha sbagliato. Hai ragione, sei nel giusto, stai tranquilla, ma adesso calmati. Ti prego..."-.
Lentamente l'iride di Celeste tornò al suo colore naturale e i suoi occhi misero a fuoco quelli verdi di Mercuzio. Passò rapidamente lo sguardo da uno smeraldo all'altro, deglutì e annuì. Richiamò Deeper Deeper e Mercuzio la liberò dalle catene. Si allontanò di un passo, senza però togliere le mani dal suo viso.
-”In qualunque situazione tu ti trovi, in qualunque momento, prima di agire chiamami. Sono la tua guardia del corpo, è il mio lavoro. Intesi?”- le disse lasciando trapelare una certa nota di dolcezza nella voce.
-”Sì...”- mormorò Celeste.
Il portone si spalancò di colpo e ne uscì Mista con uno sguardo sconvolto.
-”Dov'è?!”- gridò guardandosi furiosamente intorno.
La ragazza sconosciuta alzò una mano e si mise sulla testa gli occhiali da sole. Mista, lasciando il portone aperto, si precipitò verso di lei e la abbracciò.
-”Non ci credo, sono passati dieci anni da quando te ne sei andata!”-.
-”Già...”- disse lei tentando di non soffocare tra le braccia muscolose dell'uomo.
-”Vieni, entra! Sono sicuro che anche Giorno sarà contento di rivederti!”-. Detto ciò, Mista trascinò la ragazza dentro la villa.
Celeste, rimasta da sola con Mercuzio, si voltò verso il ragazzo, esigendo delle spiegazioni.
-”Lei è la figlia del precedente boss di Passione. Fai attenzione a come ti poni nei suoi confronti... E' più fragile di quanto sembri. Suo padre ha tentato di ucciderla e il ragazzo che amava, per salvarla... è morto”-.

 

 

 

NOTA DELL'AUTRICE
Suppongo abbiate tutti capito chi è il nuovo personaggio arrivato. No? Allora non ve lo dico :> Inizialmente la sua presenza, così come quella di Rohan, non era prevista; c'è stato un cambio di programma in corso d'opera. 
Alla prossima! :D

 

 

 

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Capitolo 18
*** Somiglianza ***


Tale padre, tale figlio”, pensò Jotaro irritato.
Avrebbe dovuto aspettarselo. Trovare la dimora del boss di Passione non sarebbe di certo stata una passeggiata, e gli abitanti di Napoli erano tutto fuorché collaborativi. Fortunatamente aveva il potere di Heaven's Door dalla sua parte, nonostante il suo portatore stesse iniziando a mostrare i primi segni di stanchezza.
-”Possiamo sospendere la ricerca per un po' “- gli disse.
Rohan scosse con foga la testa. Possibile che quella fascia a zigzag non si spostasse mai neppure di un millimetro?
-”Prima troviamo la villa, prima troviamo il boss; prima troviamo il boss, prima mi spiegherai tutto; prima mi spiegherai tutto, prima avrò tra le mani del materiale per una nuova storia”-.
Jotaro sospirò.
-”Yare yare daze...”-.

 

 

Trish Una uscì in giardino seguita a ruota da Mista. Si mise le mani sui fianchi e osservò compiaciuta il lavoro di Giorno; prato verde ben curato, siepe di alloro impeccabile e svariati alberi in perfetta salute. Che altro ci si poteva aspettare da Gold Experience?
Mista affiancò la ragazza e le sorrise.
-”Come va, Trish?”- le domandò con un po' di imbarazzo.
-”Benissimo, direi”-.
-”Recentemente ho sentito una tua canzone alla radio”-.
Le labbra color porpora di Trish si incurvarono in un lieve sorriso.
Dopo la sconfitta di suo padre, Diavolo, Giorno era diventato il boss di Passione e per un anno Trish aveva portato avanti la tradizione di famiglia, diventando un membro dell'organizzazione mafiosa. Successivamente si era accorta che quella non era la vita che faceva per lei; aveva così abbandonato Passione e cambiato totalmente vita, riuscendo a diventare, nel corso del tempo, una cantante pop di discreto successo. Nonostante fossero passati dieci anni, aveva dedicato il suo ultimo singolo alla gang di Bucciarati; probabilmente Mista aveva ascoltato proprio quella canzone.
-”Ti è piaciuta?”-.
-”Ovviamente”-.
-”Senti un po', chi è quella ragazza che era con Mercuzio?”- chiese a Mista incrociando le candide braccia al petto. Cambiò argomento; parlare dei suoi vecchi compagni le faceva sempre male.
Mista si portò le mani dietro la testa e alzò le spalle.
-”Non lo so. E' arrivata a Napoli qualche giorno fa sostenendo di dover trovare Giorno a qualunque costo. E' una portatrice di Stand...”-.
-”Lo so”- lo interruppe. -”Prima che tu arrivassi abbiamo avuto una brevissima discussione, e lei ha tirato fuori il suo Stand”- raccontò con leggerezza.
Mista spalancò gli occhi per la sorpresa, ma Trish liquidò la faccenda con un gesto della mano.
-”E pensare che Giorno si fida di lei”- borbottò Mista. -”Ci tiene così tanto che l'ha affidata alla protezione di Mercuzio”-.
Trish annuì pensosa. Conosceva Mercuzio grazie alla sua fama di Casanova ma al tempo stesso di ragazzo d'oro, per cui si era sorpresa quando se l'era visto comparire accanto; non pensava fosse un portatore di Stand, né tanto meno un membro di Passione.
-”Certo che Napoli è piccola”- disse sottovoce, più a se stessa che all'ex compagno.
Mista la sentì e aggrottò le sopracciglia, lanciandole un'occhiata interrogativa. Trish scosse la testa fucsia e si calò sul viso gli occhiali da sole. Pensò che Giorno dovesse aver avuto un buon motivo per accogliere una portatrice di Stand improvvisamente apparsa in cerca di lui. Il padre di Trish, se fosse stato ancora il boss di Passione, avrebbe mandato qualcuno a ucciderla; ma Giorno era diverso. La sua aurea dorata lo rendeva speciale. Perché non aveva eliminato quella ragazza dagli occhi di gatto? Mista le disse qualcosa, ma Trish era troppo presa dai suoi ragionamenti per farci caso. Improvvisamente ebbe un'illuminazione.
-”Mista”- interruppe l'uomo. -”Hai mai prestato attenzione ai lineamenti di quella ragazza? Com'è che si chiama...?”-.
-”Celeste... No, sinceramente no”- rispose.
Trish si coprì la bocca con le nocche della mano e corrugò la fronte.
-”Solo a me ricordano quelli di Giorno?”-.
A quelle parole il prugno del giardino della villa si attorcigliò su se stesso, il tronco si assottigliò e i rami si ritirarono. In pochi attimi al posto dell'albero apparve Giorno nel suo completo nero con la vistosa spilla a forma di coccinella appuntata al revers della giacca.
-”A questo proposito”- esordì anticipando i due che lo guardavano sbalorditi. -”Trish, sono contento che tu abbia accettato il mio invito. Mi dispiace aver disturbato la tua quiete, ma si tratta di una questione importante. Ho bisogno di chiederti un favore”-.
La ragazza dai capelli fucsia dovette ricorrere a tutto il suo autocontrollo per non gettarsi tra le braccia di Giorno, l'unico che undici anni prima era stato in grado di starle vicino al momento della perdita del suo amore; Mista non aveva tatto con le donne, mentre gli altri... Gli altri erano morti. Si passò una mano tra i capelli, un po' a disagio, e annuì.
-”Vorrei che domani uscissi con Mercuzio e Celeste e instaurassi una conversazione con la ragazza”-.
Trish alzò un sopracciglio, sorpresa dall'assurdità della richiesta di Giorno.
-”Sarà difficile”- disse cauta. -”Diciamo che non siamo partite col piede giusto, e questa Celeste mi sembra una... leonessa”-.
-”Da qual pulpito...”- commentò Mista ridacchiando.
-”Imbecille”- borbottò Trish tirandogli una gomitata.
-”Mista, vai a controllare che Mercuzio e Celeste siano rientrati e non stiano litigando come al solito”- ordinò Giorno.
Mista alzò il pollice e seguì immediatamente gli ordini del boss. Salutò Trish e sparì all'interno della villa. Quando Giorno fu sicuro che Mista si fosse allontanato abbastanza, si avvicinò alla ragazza e, con fare sospetto, si chinò su di lei.
-”Ti ho chiamata perché ho bisogno del parere di una persona esterna alla mia cerchia di tutti i giorni. Sei sempre stata una buona osservatrice e sei una delle poche persone di cui mi fido ciecamente. Trish, sii sincera: quella ragazza mi somiglia?”-.
Trish notò negli occhi azzurri di Giorno una preoccupazione che non gli aveva mai visto. Avrebbe voluto rispondergli che no, Celeste era completamente diversa da lui, ma così gli avrebbe mentito, e lei non ne aveva la minima intenzione. Sospirò e distolse lo sguardo dai suoi occhi, abbassandolo sulle francesine nere.
-”Non è evidente, bisogna prestarci molta attenzione, ma una somiglianza c'è”- disse tutto d'un fiato. -”I suoi occhi, però, sono completamente diversi dai tuoi”-.
Giorno si accarezzò distrattamente una delle tre trecce e annuì lentamente.
-”Credi...?”- iniziò Trish titubante.
-”Puoi dormire qui stanotte. La tua camera è ancora libera”- la interruppe Giorno, lo sguardo perso oltre la siepe. -”Domani, però, vorrei davvero che parlassi con Celeste. Credo che mi stia nascondendo qualcosa”-.
-”E secondo te dovrebbe confidarsi con me? Una persona che non conosce per niente?”- gli domandò Trish scettica.
Giorno si strinse nelle spalle.
-”Prima Mista mi ha detto che ti fidavi di questa Celeste”- proseguì Trish con tono accusatorio.
-”Trish...”- mormorò Giorno. -”Quella ragazza è riuscita a mandare in tilt Mercuzio in pochi giorni e... ha una voglia identica alla mia. Non la conosco per niente, ma al tempo stesso sento di conoscerla da sempre. Sto impazzendo? No. C'è qualcosa sotto. Ti ricordi quando, dieci anni fa, eri una delle migliori spie di Passione? Credo ancora nelle tue capacità”-.
Trish alzò gli occhi al cielo e storse le labbra color porpora. Certo che Giorno ci sapeva proprio fare con le parole... Sbuffò e si maledisse per essersi appena fatta convincere dal giovane boss nonché ex compagno a tornare per poche ore al suo vecchio lavoro.
-”D'accordo, ci proverò”- si arrese la ragazza.
-”Grazie Trish”- disse Giorno con un sorriso tirato.

 

 

Jotaro e Rohan dovettero sospendere la ricerca della dimora del boss e pernottare in un albergo. In una giornata di ricerca non erano riusciti a scoprire niente, se non che Passione era un'organizzazione mafiosa particolarmente influente. Jotaro si domandò come Celeste fosse riuscita a rintracciare Giorno in poche ore mentre lui e Rohan non avevano cavato un ragno dal buco in un'intera giornata. Si chiuse nella sua camera e si preparò ad essere operativo già dalle sette della mattina seguente.

 

 

 





NOTE DELL'AUTRICE
Data la difficoltà che Jotaro ha avuto nel trovare la magione di Dio al Cairo, non poteva non averne nel trovare la villa del figlio >:) 
Giorno si è accorto della somiglianza con Celeste e sospetta che la ragazza gli stia nascondendo qualcosa, per questo ha convocato Trish. Riuscirà la cantante pop a scoprire qualcosa su Celeste? Per quanto tempo ancora lo strano duo Kujo-Kishibe dovrà girare per Napoli? 
Tutte le risposte nel prossimo capitolo :)
A presto! ^^

 

 

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Capitolo 19
*** Uomini ***


Trish smise di far ondeggiare i fianchi e si fermò davanti alla vetrina di un negozio di vestiti di lusso, tirandosi su gli occhiali da sole e osservando con attenzione i capi esposti al di là della vetrata. Mercuzio la affiancò mentre Celeste, decisamente contrariata, si piazzò dietro di loro, le braccia conserte e lo sguardo rivolto verso la strada.
Ancora non riusciva a capire per quale motivo la ragazza dai capelli fucsia avesse insistito così tanto per uscire con lei e Mercuzio, visto che il giorno prima Celeste l'aveva minacciata col suo Stand. Le lanciò un'occhiata di sottecchi, non riuscendo a nascondere a se stessa quel briciolo di invidia che provava nei suoi confronti; un'invidia insana, nata all'improvviso e che stava pian piano crescendo.
-”...dici, Celeste?”-.
Celeste sussultò e mise a fuoco Trish. Cosa diamine aveva appena detto?
-”La gonna”- disse Trish aiutandola. -”Ti piace?”-.
Celeste guardò la gonna nera a ruota esposta in vetrina e si strinse nelle spalle. In realtà non impazziva per le gonne, nel suo armadio ne aveva solamente due che era solita indossare esclusivamente per le occasioni speciali. L'ultima volta che i suoi amici l'avevano vista con una gonna era stata al compleanno di Tessa, ormai nove mesi prima.
-”Lo prendo come un sì”- decise Trish. -”Andiamo a provarla”-.
-”...Prego?”- domandò Celeste strabuzzando gli occhi.
Anche Mercuzio reagì come la ragazza, lasciandosi sfuggire un “E no, eh!”. Sembrava che da “guardia del corpo” fosse passato a “amico gay”.
-”Ma sì, secondo me ti starebbe molto bene!”- sostenne Trish. -”Dai, se ti piace te la compro io. Tesoro, puoi aspettarci fuori se vuoi”- disse a Mercuzio prendendo Celeste per mano e trascinandola dentro al negozio.
-”Ovviamente vi aspetto fuori”- borbottò il ragazzo con la sigaretta tra le labbra.
Celeste provò a opporsi ma la presa di Trish era talmente decisa che ogni suo sforzo fu inutile. Le due ragazze entrarono nel negozio e Trish liquidò subito il commesso in giacca e cravatta con un gesto della mano. Ci sapeva fare; evidentemente era solita frequentare posti del genere.
-”Già che ci siamo potremmo anche comprare una nuova mise. Perché limitarci alla gonna?”-.
Ma certo, compriamo direttamente la boutique!”, pensò Celeste alzando gli occhi al cielo.
-”Cosa vorresti mettere sopra la gonna? Quella te la prendo a prescindere, sappilo”- disse Trish facendole l'occhiolino. Celeste si infastidì non poco per l'esuberanza di Trish, ma non lo diede a vedere. L'unica cosa che poteva fare era assecondarla. Si guardò un po' attorno, pensando a cosa potesse stare bene con una gonna di quel tipo.
-”Forse quel...”- iniziò indicando un leggero maglioncino grigio e bianco.
-”Trovato!”- esclamò Trish. Sparì dietro l'angolo e tornò un paio di minuti più tardi con in braccio la famosa gonna, una camicietta di raso bianca a maniche corte col colletto nero, un paio di anfibi neri di pelle opaca e qualcosa che a prima vista a Celeste parve come un paio di guanti lunghi.
-”Stai scherzando?”- domandò alzando un sopracciglio.
-”Per niente”- ribatté Trish sorridendo. -”Al camerino!”- ordinò.
Celeste, strascicando i piedi per terra sotto lo sguardo contrariato dei commessi, seguì la ragazza dai capelli fucsia, domandandosi più volte perché non aveva invocato l'aiuto di Mercuzio per non farsi trascinare nel negozio.
Perché non ci parliamo da ieri, ecco perché”, pensò con una nota di tristezza.
Trish spostò con decisione la tenda rossa del camerino, appese i vestiti all'appendiabiti e spinse Celeste dentro.
-”Fatti vedere quando sei pronta!”- trillò, e chiuse la tenda.

 

 

L'unico modo che Trish aveva per poter parlare in privato con Celeste era rifugiarsi in un negozio di vestiti; sapeva che l'orgoglio maschile di Mercuzio l'avrebbe trattenuto dall'entrare con le due ragazze. Trish aveva davvero intenzione di comprare la gonna e tutto il resto a Celeste, ma il suo obiettivo principale era un altro: scoprire cosa la ragazza dagli occhi di gatto stava nascondendo a Giorno.
-”Sai, Celeste, volevo scusarmi per ieri”- esordì a un tratto. Aveva appena dato inizio alla sua missione. -”Sono stata molto... scortese”-.
-”Nessun problema”- disse Celeste. -”Ma questa cosa non è elasticizzata, ha la cerniera...”- borbottò. -”Oddio, ma sono calze, non guanti!”-.
Trish si ritrovò a pregare con tutta se stessa che la ragazza non strappasse qualcosa. Si aspettava che anche Celeste si sarebbe scusata, ma non lo fece.
-”Come mai sei tornata dopo dieci anni?”- domandò invece.
Trish si sorprese per la franchezza della domanda ma rispose prontamente. Era abituata alle domande a bruciapelo.
-”Qualcuno ti avrà parlato della mia vita, no? E' stato uno shock. La storia di mio padre mi ha segnata. Ho dovuto staccare per un po'... Poi ho iniziato la mia carriera da cantante, e i miei vari impegni mi hanno impedita di tornare anche solo per un saluto”-.
Celeste uscì dal camerino e guardò Trish. Il suo sguardo era un misto tra imbarazzo e disappunto. Si voltò verso lo specchio e si osservò.
-”Approvato a pieni voti”- sorrise Trish. -”Ma la camicia va portata dentro la gonna. E' a vita alta, vedi? Provvedi”-.
Celeste alzò gli occhi al cielo e tornò dentro al camerino per rimediare al suo “errore”. Ne uscì qualche minuto dopo e gli occhi di Trish si illuminarono.
-”Adesso sì che ragioniamo!”- esclamò applaudendo lievemente. -”E le parigine sono un tocco di classe”- aggiunse indicando le calze nere.
-”Hanno il bordo di pizzo”- disse Celeste con fastidio.
-”Non ti piacciono?”-.
-”...Non tanto”-.
-”A Mercuzio sì”- disse Trish con un sorriso sornione.
Celeste arrossì e il suo sguardo si indurì. Alzò il mento e fece per tornare nel camerino, ma Trish la fermò prendendola per un polso.
-”Cosa credi di fare?”-.
-”Cambiarmi, ovviamente”- rispose Celeste con una nota di fastidio nella voce.
Trish fece schioccare più volte la lingua e chiamò il commesso che aveva provato ad accogliere le due ragazza all'ingresso. Gli disse che avrebbe comprato tutti i capi indossati da Celeste e gli ordinò di mettere in una busta i suoi vecchi vestiti. Celeste assistette a tutto con un misto di incredulità e incomprensione.
-”Quando sarà tutto pronto ci chiameranno alla cassa”- le disse Trish preparando il portafoglio. -”Toglimi una curiosità, tesoro: come mai sei venuta a Napoli? Mercuzio mi ha detto che sei toscana”-.
Avrebbe abboccato a un'esca così evidente? Trish guardò la ragazza dai capelli color miele, ma non notò nessuna espressione strana sul suo volto.
-”Mi è stato detto di scappare da una certa persona e di trovare Giorno se volevo sopravvivere”- rispose Celeste con tranquillità.
Il sopracciglio sinistro di Trish scattò verso l'alto.
-”Da chi?”- le chiese interessata.
Celeste sbuffò e alzò gli occhi al cielo. Trish pensò che non dovesse essere la prima volta che la ragazza di fronte a lei si trovava a rispondere a quella domanda.
-”Da una voce nella mia testa”-.
Assurdo”, pensò la cantante. Doveva trovare il modo di farle dire la verità. Si esibì in una breve risata di finta compassione e posò una mano sulla spalla di Celeste; la ragazza la fulminò con un'occhiataccia.
-”Guarda che puoi essere sincera con me, non ti giudicherò. Dimmelo che è stato un ragazzo a spingerti a venire qui...!”- si inventò. Probabilmente, ferendo il suo orgoglio di donna, Celeste avrebbe ceduto e vuotato il sacco.
Ma non lo fece.
La ragazza dagli occhi ambrati si passò una mano tra i capelli e strinse le labbra.
-”Non dovremmo fare affidamento sugli uomini”- disse. -”Quando uno di loro ci ruba il cuore, per noi è la fine. Sai perché? Perché non ce lo restituirà mai più, specialmente da morto”-.
Trish sussultò e rimase a bocca aperta. Per la prima volta da parecchi anni si ritrovò a non sapere come ribattere. Il ricordo del suo primo amore la colpì all'improvviso, e la cantante fece di tutto per mantenere la calma. Celeste la osservò per qualche attimo, poi scosse impercettibilmente la testa.
-”Sei debole, debole”- mormorò. -”Andiamo, ci hanno chiamate”- disse dirigendosi verso il bancone di marmo all'ingresso del negozio.

 

 

-”Mi lamento per la scelta di un albergo a tre stelle”- disse Rohan davanti a una tazza di cappuccino.
Jotaro abbassò con forza il giornale sul tavolo facendo rovesciare la sua tazzina di caffé sulla tovaglia rosa confetto. Possibile che quel mangaka da strapazzo avesse sempre qualcosa da ridire? Stava iniziando a pentirsi di aver chiesto il suo aiuto.
-”Lamentati in silenzio”- lo freddò.
Rohan sostenne lo sguardo del biologo, poi appoggiò un gomito sul tavolo e si sostenne il mento con la mano.
-”Sai, ho notato una cosa: nonostante tu voglia trovare il prima possibile quella villa, facciamo spesso delle soste nei bar. Come mai?”-.
Jotaro fece per rispondere ma Rohan fu più veloce di lui.
-”Speri di veder passare la ragazza bionda o il belloccio moro, vero? Non male come strategia, ma io preferisco l'azione”- disse il mangaka.
-”Dici di preferire l'azione ma odi ciò che non è lussuoso e costoso”- gli fece notare Jotaro ripiegando il giornale e appoggiandolo su una sedia libera. -”Piuttosto incoerente”-.
Rohan finì il suo cappuccino e sorrise al biologo.
-”L'azione è un lusso che solo pochi si possono permettere”-.
Jotaro trattenne a stento un sospiro di esasperazione e si alzò, ergendosi in tutta la sua statura. Aprì il portafoglio e gettò qualche euro sul tavolo, voltando le spalle al compagno e dirigendosi verso l'uscita del bar. Rohan, decisamente contrariato per la mancanza di educazione del biologo, si vide costretto a imitarlo e a seguirlo.
-”Non funziona così in Italia”- gli fece notare una volta fuori dal locale.
Jotaro lo ignorò. Gli occhi vigili, si stava guardando attentamente intorno. Rohan fece schioccare la lingua e prese in mano la macchina fotografica che portava appesa al collo; non fece in tempo a scattare una foto a due piccioni appollaiati in cima allo schienale di una sedia di finto vimini che Jotaro lo afferrò per il colletto della camicia e lo costrinse a girarsi nella sua direzione.
-”Kujo!”- ringhiò. -”Questa camicia costa più di te!”-.
-”E' lui”- mormorò Jotaro indicando con un cenno del capo l'altro lato della strada. Rohan seguì il suo sguardo e vide un ragazzo moro appoggiato alla vetrina di un negozio di vestiti, le caviglie incrociate e una sigaretta nella mano destra.
-”E' il belloccio”- disse il mangaka.
-”Kishibe, sai cosa fare”-.

 

 

 

NOTE DELL'AUTRICE
Cambio di stile per Celeste che si trova costretta ad abbandonare il suo abbigliamento vagamente simile a quello del padre (chiodo di pelle, top nero a collo alto senza maniche e jeans). Trish non è più la spia che era un tempo e perde lo "scontro" con Celeste. Nel frattempo il magico duo Kujo-Kishibe ha individuato Mercuzio.
Al prossimo capitolo! ^^ 

 

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Capitolo 20
*** Restauro ***


Ma quanto ci mettono?”, pensò Mercuzio accendendosi la quinta sigaretta.
Ormai erano trascorsi quasi venti minuti da quando Trish e Celeste erano entrate nel negozio. Forse avrebbe dovuto seguirle. Scosse la testa, pensando che la sua presenza sarebbe stata decisamente fuori luogo.
Ultimamente non si riconosceva più. Per la prima volta aveva incontrato una ragazza che gli teneva testa, e ciò lo aveva reso nervoso e instabile. Solitamente tutte cadevano ai suoi piedi nel giro di qualche ora, ma quella ragazza dagli occhi dorati era diversa, così diversa da essere riuscita a invertire i ruoli. Adesso era Mercuzio che moriva dietro a una ragazza.
Morire... Speriamo di no!”, si ritrovò a pensare.
La maledizione degli Zeppeli gravava su di lui, destinandolo, secondo suo nonno, a morire a causa di un Joestar. Celeste era una di loro, possedeva la voglia a forma di stella, ma al tempo stesso aveva un ché che gli ricordava il boss di Passione.
Me lo starò immaginando”.
Per un po' rimase ipnotizzato dal fumo della sua sigaretta. Nonostante fumasse da anni, non aveva mai notato che era di due colori diversi: grigio e azzurrognolo. Pensò che dovesse esserci una spiegazione scientifica a quel fenomeno, ma abbandonò subito quel pensiero; a scuola non era mai stato un asso nelle materie scientifiche.
-”Scusami...”-.
Una voce maschile lo ripescò dal fiume dei suoi pensieri. Mercuzio si portò la sigaretta alle labbra e si voltò verso l'uomo che gli aveva appena rivolto la parola. Indossava un paio di pantaloni blu attillati, una camicia bianca a maniche corte con un gilet a righe bianche e cobalto; una cravatta rossa spiccava sul suo abbigliamento e un'assurda fascia verde a zigzag posizionata sulla fronte correva attorno alla sua testa, impedendo ai capelli neri, rasati sulla nuca e ai lati, di coprirgli gli occhi chiari.
-”Mi dica, come posso aiutarla?”- disse Mercuzio gentilmente.
L'uomo estrasse dalla borsa a tracolla una mappa di Napoli la aprì.
-”Vorrei raggiungere Piazza dei Martiri, ma mi sono perso”-.
Mercuzio alzò gli occhi dalla cartina e iniziò a guardarsi attorno, pensando alla via più breve per mettere all'uomo dallo strano accento di raggiungere la piazza.
-”Purtroppo ho i giga del telefono fortemente limitati, non posso usare Maps”- si scusò l'uomo.
-”Da dove viene?”- gli chiese Mercuzio incuriosito.
-”Giappone”-.
Il ragazzo moro fece un fischio di esagerazione. Chissà quante ore di viaggio aveva dovuto fare quel turista per arrivare a Napoli. Incrociò le braccia al petto, la sigaretta stretta tra le labbra, e tornò a pensare al percorso per raggiungere Piazza dei Martiri.
-”Tornando a noi”- esordì dopo qualche secondo. -”Le conviene prendere l'autobus. Vede quell'edicola? All'angolo giri a destra; la fermata è poco più avanti”-.
L'uomo sorrise, fece un breve inchino e seguì le indicazioni di Mercuzio, il quale lo seguì con lo sguardo finché non fu certo che avesse capito la strada. I turisti erano soliti perdersi con estrema facilità, specialmente quelli orientali.
Dopo altre due sigarette, le porte automatiche del negozio si aprirono e Trish fece la sua comparsa con una busta del negozio in mano.
-”Finalmente!”- esclamò Mercuzio. -”Dov'è Bianco?”-.
Trish si guardò alle spalle, pestò un piede a terra sospirando di esasperazione e tornò dentro, uscendo qualche attimo dopo trascinando la ragazza in questione per un polso.
-”Perché devo andare in giro conciata in questo modo?!”- si lamentò Celeste.
Mercuzio, gli occhi verdi spalancati, sussultò; si soffocò col fumo e prese a tossicchiare convulsamente. Diede le spalle alle due ragazze e si allontanò di qualche passo. Guardò il proprio riflesso alla vetrina e notò che era arrossito violentemente.
-”Tutto bene?”- gli domandò Trish.
Mercuzio, una volta ripresosi, si voltò verso Trish e annuì più volte, il ciuffo di capelli neri che tentava di seguire la testa. Gli occhi gli scivolarono su Celeste, in piedi accanto a Trish con le braccia conserte e un piede che batteva a terra spazientito. La ragazza si accorse dello sguardo di Mercuzio e si voltò di scatto verso di lui, facendolo sobbalzare. Stava bene vestita in quel modo, dannatamente bene.
Trish gli si avvicinò e gli posò una mano sulla spalla.
-”Ringraziami”- gli sussurrò all'orecchio.
Mercuzio provò a ribattere e a dire che non gliene importava niente, ma venne colpito improvvisamente da una sorta di balbuzie; alla fine cedette e sospirò rumorosamente.
-”Grazie...”- borbottò.
-”Bene!”- esclamò Trish voltandosi verso Celeste e battendo le mani. -”Adesso che il mio compito è finito, me ne torno alla villa! Ci vediamo quando tornate!”-. Detto ciò si calò gli occhiali da sole sul naso e, ancheggiando, si diresse alla fermata dell'autobus coi vecchi vestiti di Celeste nella busta.
No, non mi lasciare da sola con lui!”, pensò Celeste agitata.
Ottimo lavoro con le parigine!”, pensò Mercuzio complimentandosi con Trish.

 

 

Quella stronza l'aveva fregata.
Si era accorta dei sentimenti contrastanti che Celeste provava per Mercuzio e le aveva dato una piccola spinta cambiandole i vestiti e poi lasciandoli soli come se si trattasse di un appuntamento.
Promemoria per me: fargliela pagare”.
Se n'era accorta parlando con lei dentro il negozio: quella ragazza irritante e antipatica, Trish, aveva un enorme punto debole, e Celeste possedeva il potere adatto a scoprirlo e a usarlo a proprio vantaggio. L'unico ostacolo che si frapponeva tra lei e il suo “piano malefico” era Mercuzio. Doveva trovare il modo di allontanarsi da lui per una decina di minuti, il tempo necessario per fare un giro alla mostra privata di Trish.
Da quando la ragazza dai capelli fucsia se n'era andata, né Mercuzio né Celeste si erano rivolti la parola, come ormai accadeva da un paio di giorni. Celeste dovette ricorrere a tutte le sue forze per trovare il coraggio di fermarsi e di guardare la sua guardia del corpo negli occhi.
-”Devo andare in bagno”- proclamò.
Mercuzio si arrestò. Le lanciò una rapida occhiata interrogativa e aggrottò le sopracciglia. Celeste si indicò le parigine e gli disse che voleva levarsele. Per un attimo intravide una traccia di dispiacere negli occhi verdi del ragazzo, ma non ci diede importanza.
-”Come vuoi”- si limitò a dire Mercuzio.
I due entrarono in un bar e, mentre il ragazzo moro si sedeva a un tavolino per ordinare qualcosa, Celeste si fiondò nel bagno riservato alle donne. Aveva poco tempo a disposizione, perciò non era il caso di perderlo davanti allo specchio. Evocò Deeper Deeper e guardò il riflesso del suo Stand.
-”Allestisci una mostra privata di Trish Una”- gli ordinò. -”Portami nella sala del 2001”- aggiunse poi.
Lo Stand obbedì. Il bagno del bar scomparve e al suo posto apparve la pinacoteca bianca. Sulla grande parete di fronte a Celeste, datata 2001, erano esposti sette ritratti, di cui uno dotato di dimensioni maggiori rispetto agli altri sei e agli altri dipinti che Celeste definì “insignificanti”. La ragazza dai capelli color miele riconobbe subito il soggetto; lo aveva già visto nei ricordi di Giorno.
-”Bruno Bucciarati”- disse senza leggere il pannello della descrizione. -”L'amore perduto di Trish”-.
Celeste sogghignò, pregustandosi la sua vendetta. Cosa avrebbe potuto fare? Impadronirsi dei ricordi riguardanti Bucciarati e rivelarli a mezzo mondo? No, troppo banale e infantile. Cancellarli? No, a cosa sarebbe servito? Trish non se ne sarebbe neppure accorta. Modificarli? Doveva esserci un modo per fare qualcosa di cattivo...
Per un attimo Celeste prese in considerazione l'idea di lasciar perdere. Aveva vent'anni, non era più una bambina. Si stava comportando in maniera troppo infantile.
Oh, ma chi se ne frega!”.
-”Deeper Deeper, cosa posso fare con un quadro?”- domandò allo Stand.
-”Dipingerlo, eliminarlo, modificarlo, restaurarlo...”-.
-”Che differenza c'è tra la modifica e il restauro?”- lo interruppe.
Deeper Deeper non rispose.
-”Allora?”- lo incalzò.
Celeste non ottenne alcuna risposta. Irritata dal comportamento del suo Stand, decise di fare di testa propria. La faccenda del restauro la intrigava. Chissà di che cosa si trattava...
-”Deeper Deeper, restaura il ritratto di Bruno Bucciarati”-.
Lo Stand dallo smoking trinciato staccò il dipinto dalla parete e vi immerse un braccio. Quello che accade dopo Celeste non poté vederlo, perché il buio piombò nella pinacoteca, e quando le luci si riaccesero la ragazza si ritrovò nel bagno del bar, seduta per terra.
Bene!”, pensò sarcastica. “Non è successo niente!”.
Maledicendo il proprio Stand, Celeste si alzò in piedi e si guardò allo specchio.
Ciò che vide le fece gelare il sangue nelle vene.
In piedi dietro di lei c'era un ragazzo con indosso un completo bianco pieno di enormi cerniere e un'apertura sul petto a forma di triangolo rovesciato. Questo si guardò stupito attorno, gli occhi di un insolito lilla spalancati.
Celeste si voltò, non riuscendo a credere ai propri occhi.
-”Chi sei e dove sono”- disse il ragazzo dai capelli a caschetto omettendo il punto interrogativo.
-”Porca puttana...”- sussurrò Celeste incredula. -”Ho fatto tornare in vita un morto...”-.

 

 




NOTE DELL'AUTRICE
Et-voilà, svelato il secondo micidiale potere di Deeper Deeper (oltre a poter viaggiare nel passato): riportare in vita le persone decedute. Nel prossimo capitolo verrà descritta l'unica "piccola" clausola di questo potere.
Come avrete notato, io shippo la Bush (nome inventato sul momento, alias Bucciarati X Trish) e non la Mish (ci risiamo con i nomi inventati a caso, Mista X Trish). Credo di essere l'unica di questo pianeta a shipparli, ma vabbe' :3 
Strano l'incontro tra Rohan e Mercuzio, vero? *ride*
La pubblicazione su EFP ha raggiunto i capitoli che avevo già scritto, quindi da ora in poi l'aggiornamento di Deep Memories procederà un po' più a rilento rispetto a come è stato fin'ora.
Alla prossima! ^^

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Capitolo 21
*** Cerniera ***


Quei penetranti occhi lilla non promettevano niente di buono.
Presa dal panico, Celeste evocò Deeper Deeper.
Fu la scelta più sbagliata che avesse potuto compiere.
Immediatamente alle spalle di Bucciarati apparve Sticky Fingers. Lo Stand colpì Deeper Deeper con un velocissimo pugno sull'elmo; il dolore causato dal colpo riecheggiò nella testa di Celeste, la quale venne scaraventata contro la porta del bagno. Deeper Deeper venne sollevato da terra per la gola, e lo stesso accadde a Celeste, che si vide alzarsi lungo la porta da una forza invisibile. In quel momento capì che ciò che accadeva allo Stand veniva riflesso sul portatore.
Grazie a tutti per avermelo detto!”, pensò con quel poco di sarcasmo che le era rimasto.
Bucciarati le si avvicinò e le puntò gli occhi addosso, squadrandola da capo a piedi più e più volte. Il viso del ragazzo era contratto in una smorfia di rabbia e di incomprensione.
-”Dottore...”- disse Celeste a fatica. -”Quando ha finito... mi faccia avere risultati della lastra...”- ridacchiò.
Il sopracciglio ben disegnato di Bucciarati scattò verso l'altro e Sticky Fingers scrollò Deeper Deeper; Celeste venne sbattuta ripetutamente contro la porta. La schiena della ragazza stava iniziando a chiedere pietà, così come il collo; respirare le faceva un male cane.
-”Chi sei?”- le domandò Bucciarati autoritario.
Doveva trovare il modo di liberarsi e di sbarazzarsi di quel ragazzo; la sua esistenza era sbagliata, un errore disastroso. Come poteva essere tornato in vita? Era questo il vero potere di Deeper Deeper? Riportare in vita le persone tramite i ricordi? Come se viaggiare nel passato non fosse già abbastanza...
-”La mia guardia del... corpo è fuori...”- mormorò Celeste. -”Potrebbe... piombare qua dentro da... da un momento all'altro”-.
Bucciarati non si lasciò intimidire dalle parole della ragazza dai capelli color miele e aumentò la presa attorno al collo di Deeper Deeper. Celeste prese a scalciare inutilmente, la vista che le si annebbiava e la gola bruciante. Di lì a poco avrebbe perso conoscenza. Con la coda dell'occhio intravide il suo Stand perdere consistenza e diventare sempre più diafano. Provò a gridare, ma tutto quello che uscì dalla sua bocca fu un lievissimo suono rauco. Mercuzio sarebbe arrivato in tempo per salvarla? Possibile che fosse destinata a morire per mano di un cadavere ambulante? No, Bucciarati non era un cadavere; era proprio lui, in carne, ossa, forza e Stand.
Non è nel nostro stile farci battere così, non credi?”, disse a un tratto una voce suadente nella mente di Celeste.
Assolutamente no”, concordò la giovane.
Una forte e improvvisa scarica di adrenalina la pervase. Sentiva il suo corpo come rinato e dotato di una nuova e prorompente forza. Sforzando gli addominali alzò le gambe e sferrò un calcio contro Bucciarati. Il ragazzo, colto alla sprovvista, venne colpito in pieno e cascò all'indietro, ma si rialzò subito. Sticky Fingers perse la presa su Deeper Deeper, il quale si armò subito della sua alabarda.
-”Ti conviene dirmi chi sei e cosa ci faccio qui se non vuoi essere uccisa”- disse Bucciarati puntandole un dito contro.
Celeste si massaggiò la gola e fece qualche respiro a pieni polmoni. Guardò Bucciarati con gli occhi spalancati e scoppiò a ridere. Era euforica e si sentiva talmente potente da reputarsi invincibile.
-”Vorresti uccidermi? Tu vorresti uccidere me?! Esilarante!”- esclamò con un inquietante sorriso sulle labbra. -”Deeper Deeper, rimandiamolo da dove proviene!”-.
-”Chiedo venia, ma non è nelle mie capacità”- disse subito lo Stand. -”Il dipinto restaurato non può essere riportato allo stato originale se non dopo ventiquattro ore dalla prima operazione”-.
Celeste liquidò la faccenda con un gesto spazientito della mano. Non poteva farlo tornare nei ricordi di Trish? Perfetto, lo avrebbe ucciso una seconda volta. Si lanciò contro Bucciarati e fece fare un affondo a Deeper Deeper, ma il ragazzo dai capelli neri e il suo Stand aprirono una grossa cerniera nel pavimento e sparirono al suo interno.
-”Non mi sfuggirai, Raffaella Carrà!”- gridò Celeste ridendo sguaiatamente.
Mentre si guardava attorno cercando di individuare il punto in cui Bucciarati sarebbe riapparso, lo sguardo della ragazza venne catturato dalla propria immagine riflessa nello specchio. C'era qualcosa che non le tornava. Si avvicinò e si accorse che la propria iride era rossa scarlatta. Sbatté le palpebre un paio di volte, ma quell'assurdo colore non accennava a voler cambiare. Celeste si strinse nelle spalle.
Be', non mi sta così male”, pensò compiaciuta.
No, non va bene!”, pensò subito dopo. “Non va bene! Non va bene!”.
Ti dona così tanto, invece...”, commentò la voce suadente di suo padre.
-”No...”- mormorò Celeste. Si accucciò e si portò le mani alla testa, il viso nascosto tra le ginocchia piegate. Sentiva il cuore batterle a mille dall'euforia del combattimento e dalla sete di sangue che l'aveva pervasa da quando si era liberata. Improvvisamente si era accorta che quello che le stava succedendo non era normale. Richiamò alla mente l'immagine del viso di Mercuzio distante pochi centimetri dal suo e delle sue labbra che le dicevano di calmarsi. Come accadde il giorno prima, grazie alle parole del giovane Zeppeli un'ondata di calma prese il posto della scarica di adrenalina. Celeste fece un respiro profondo e si alzò in piedi. Notò con piacere che i suoi occhi erano nuovamente ambrati, ma non si domandò per quale strano fenomeno avessero cambiato colore; al momento aveva una questione più importante da risolvere.
La porta del bagno si aprì di scatto e un Mercuzio arrabbiato fece il suo ingresso. Celeste non fece in tempo a esultare per la comparsa della sua guardia del corpo che in quell'istante una cerniera gialla si aprì dal muro di fronte alla porta e Bucciarati, scivolando su un'altra cerniera chiusa sul pavimento, si lanciò contro il ragazzo.
-”No!”- gridò Celeste, e si parò davanti a Mercuzio con le braccia aperte e gli occhi dorati stretti. Si preparò a incassare il colpo che...
Che non arrivò.
Socchiuse un occhio e vide Bucciarati in piedi di fronte a lei, senza Stand.
-”Hai tentato di proteggerlo”- constatò il ragazzo dal completo bianco.
-”Sì”- confermò Celeste abbassando le braccia.
Mercuzio, dietro di lei, chiuse la porta con un calcio e si frappose tra la ragazza e lo strano individuo. Nonostante gli fosse tremendamente familiare, Mercuzio evocò Chaosmyth e assunse una posizione offensiva, pronto ad attaccare il ragazzo coi capelli a caschetto al suo primo movimento sospetto.
-”Siete entrambi portatori di Stand. Chi vi ha mandato?”- domandò Bucciarati.
-”Questa è la domanda che rivolgo io a te”- ribatté duramente Mercuzio. -”Chi ti ha mandato?”-.
Bucciarati sollevò un indice e lo puntò contro Celeste. Sia Mercuzio che Celeste stessa sussultarono e si guardarono negli occhi. Prima che il giovane dagli occhi verdi potesse aprire bocca, la ragazza sorrise debolmente a Bucciarati.
-”Te ne sei accorto?”- gli chiese.
-”Sì. Ho ricordato tutto”- rispose.
-”Nero, che cazzo sta succedendo?”- domandò Mercuzio spazientito.
Celeste si morse il labbro. Non poteva nascondere la verità a Mercuzio; non proprio a lui.
-”Non so se l'hai riconosciuto o meno, ma lui è Bruno Bucciarati, il...”-.
Mercuzio spalancò i suoi occhi verdi e retrocedé di qualche passo fino a raggiungere lo stipite della porta, al quale si aggrappò con mani tremanti.
-”M-ma... Dovrebbe e-essere m-morto...!”- balbettò sconvolto.
Bucciarati fece spallucce e gli lanciò un'occhiata compassionevole, soffermando poi lo sguardo lilla su Celeste.
-”Tu mi devi delle spiegazioni”- le disse serio.

 



NOTE DELL'AUTRICE
Dopo aver dato (e passato) due esami, eccomi col nuovo capitolo :)
Celeste continua a fare casini uno dietro l'altro >:D Bucciarati è tornato dall'Aldilà, ma, stando alle parole di Deeper Deeper, la sua permanenza nel mondo dei vivi è limitata. Cosa succederà in quel lasso di tempo?
Alla prossima! ^^

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Capitolo 22
*** Nipote ***


Grazie a Heaven's Door avevano ottenuto le informazioni che stavano cercando senza che il belloccio moro se ne fosse reso conto. Jotaro ascoltò il resoconto di Rohan e si sorprese quando apprese che la villa del boss di Passione non possedeva nessun membro posto di guardia. Persino Dio aveva posizionato qualche scagnozzo ad attendere Jotaro e gli altri nella sua magione al Cairo; cos'era che rendeva Giorno Giovanna così sicuro della propria sicurezza? Il biologo ritenne che l'unica risposta plausibile fosse l'esistenza di un micidiale asso nella manica, e l'unico oggetto che poteva guadagnarsi tale ruolo era la Freccia. Molto probabilmente il giovane boss era in possesso della Freccia di Polnareff.
Le cose si complicano”, pensò scocciato.
Grazie a una lettera mandatagli dall'amico anni prima, Jotaro aveva appreso della possibilità di dotare gli Stand di nuovi poteri grazie alla Freccia. Non immaginava che Giorno ne fosse in possesso.
Non ci resta che tentare di ottenere il suo appoggio pacificamente”.
Pacificamente. Quella parola non era presente nel suo vocabolario, ma fu costretto a infilarcela a forza.
Giorno Giovanna era pur sempre un Joestar; non avrebbe potuto resistere al richiamo della giustizia.
-”Facile come vincere a morra cinese contro un bambino”- si compiacé Rohan seguendo Jotaro lungo le vie di Napoli. -”La prossima mossa?”-.
Jotaro gli indicò con un cenno del capo la fermata dell'autobus in fondo alla strada, e il mangaka capì le intenzioni del suo compagno: recarsi immediatamente alla villa del boss mafioso.
Grazie ai ricordi del belloccio aveva scoperto il suo nome. Rohan si era meravigliato quando aveva scoperto la sua identità; non pensava che proprio quel ragazzo biondo fosse il boss di Passione. Quando, qualche mese prima, si erano conosciuti in circostanze particolari, non avrebbe mai creduto che quel giovane dall'aura dorata fosse un mafioso.
-”Kujo, forse sto iniziando a capire perché tu abbia chiesto il mio aiuto”- disse Rohan salendo con Jotaro sull'autobus appena giunto.
Jotaro non rispose. Si sedette in fondo al mezzo nel posto accanto al finestrino e, reggendosi il mento con una mano, si mise a osservare la città scorrere oltre il vetro, ignorando il continuo parlare di Rohan.
Dopo quasi tre quarti d'ora di viaggio, i due uomini si trovarono alle pendici di un colle dai fianchi boscosi. Una stretta stradina in salita attraversava il bosco davanti a loro e sembrava essere l'unica via possibile per raggiungere la villa. Nonostante le informazioni ottenute, Jotaro non era certo che il bosco fosse un posto sicuro.
-”Puoi ancora fermare il tempo, vero?”- gli domandò Rohan intuendo i suoi pensieri.
-”Solo per due secondi”-.
Rohan alzò le braccia e le lasciò ricadere lungo i fianchi, come a dire sarcasticamente “Utilissimo!”. Jotaro fulminò il compagno con un'occhiataccia alla quale Rohan rispose facendo schioccare la lingua.
Senza dirsi altro e mantenendo una certa distanza l'uno dall'altro, Jotaro e Rohan si avventurarono nel bosco del colle seguendo il sentiero. Il biologo non poté fare a meno di notare la rigogliosità della vegetazione. Se non ricordava male, i poteri dello Stand di Giorno Giovanna erano legati alla natura...
-”Kujo”- disse Rohan dopo un po'. Si avvicinò a Jotaro e gli indicò un passerotto appollaiato sul ramo di un albero che si erano da poco lasciati alle spalle. -”Ho l'impressione che quell'uccellino ci stia seguendo...”- sussurrò.
Jotaro si voltò nella direzione indicata da Rohan ed evocò Star Platinum. Grazie alla sua vista mise ben a fuoco il piccolo volatile e lo osservò per qualche secondo, finché il passerotto, dopo aver zampettato un paio di volte sul ramo, non volò verso il fondo del colle.
-”Non è niente”- tagliò corto Jotaro. -”Proseguiamo”-.

 

 

Trish, nascosta dietro il tronco di un albero, osservò i due uomini camminare lungo il sentiero. Non li aveva mai visti in vita sua, ma se erano riusciti a scoprire l'ubicazione della villa del boss significava che avevano qualcosa a che fare con Passione. Quello più alto, dal lungo cappotto nero pieno di spille colorate, aveva dei lineamenti duri e una perenne espressione di disappunto sul volto; l'altro, invece, le sembrava uno snob di prima categoria.
Che strana coppia...”.
Trish aveva preso l'autobus dopo il loro, perciò quando era scesa alla fermata li aveva visti sparire nella boscaglia.
A un tratto quello col gilet si avvicinò a Mr. Sorriso e gli indicò qualcosa alle loro spalle. Il gigante, con enorme sorpresa di Trish, tirò fuori uno Stand, osservò qualcosa in alto, e poi lo richiamò, borbottando qualcosa. I due ripresero a camminare, la loro andatura lievemente più rapida rispetto a prima.
Potrebbero essere affiliati di Passione come anche non esserlo... Dovrei forse fare qualcosa?”, si domandò preoccupata.
Un passerotto le si posò sulla spalla, facendola sobbalzare.
-”Trish, torna in città. Per te non è sicuro stare qui”- le cinguettò all'orecchio.
-”Giorno?!”- esclamò sorpresa la ragazza.
-”Vai da Mercuzio e Celeste. Non tornare fino a nuovi ordini”-.
Detto ciò, il passerotto spiccò il volo in direzione della villa. A quel punto Trish fu sicura che quello strano duo non facesse parte di Passione, e la faccenda doveva essere davvero importante se Giorno in persona aveva intenzione di affrontarli. A malincuore tornò sui suoi passi e lasciò Giorno libero di agire come meglio credeva.

 

 

Il giovane che stava venendo loro incontro aveva gli occhi dei Joestar.
Jotaro non avrebbe mai immaginato che si sarebbe mostrato di sua spontanea volontà. Giorno, continuando ad avanzare, si levò la giacca nera e la appese a un ramo che si era appena proteso verso di lui. Si sfilò la cravatta, affidandola a due merli in volo, e si sistemò i polsini della camicia bianca. Jotaro e Rohan si immobilizzarono non appena tra loro e il ragazzo ci furono più o meno sette metri.
-”Rischioso da parte vostra avventurarvi nel mio territorio”- disse Giorno.
Jotaro, nella paura che Rohan potesse ribattere con quella lingua tagliente che si ritrovava, lo spinse dietro di sé. Il mangaka non fiatò; affidò tutto al compagno.
-”Giorno Giovanna, abbiamo una questione importante di cui discutere. Non siamo venuti con intenti...”- iniziò Jotaro alzando le mani.
-”Lei è Jotaro Kujo”- lo interruppe Giorno. -”Siete venuti a riprendervi la ragazza?”-.
Esattamente come aveva ipotizzato, Celeste era riuscita a trovare il fratellastro e a entrare nelle sue grazie. Doveva chiarire la faccenda il più presto possibile, prima che il piano segreto di Dio Brando potesse essere messo in atto.
-”Non ti ricordi di noi?”- domandò al ragazzo biondo, già conoscendo la risposta.
La fronte di Giorno si corrugò e il suo sguardo si fece per un momento titubante.
-”Dovrei conoscervi?”- chiese di rimando.
Jotaro lanciò un'occhiata a Rohan, ancora dietro di lui, e gli diede il permesso di affiancarlo.
A patto che tu stia zitto”, gli disse con lo sguardo.
-”Vorremmo parlarti della ragazza, Celeste Giosta”-.
Giorno socchiuse gli occhi azzurri e alzò il mento, imitando un atteggiamento tipico di suo padre. Ci mancava solo che dicesse “E' inutile” e avrebbe compiuto una perfetta imitazione di Dio Brando.
-”E' inutile”- disse Giorno realizzando i pensieri di Jotaro. -”So che Celeste stava scappando da lei, signor Kujo. Adesso è una mia protetta; non ho intenzione di cederla a nessuno”-.
Sospirando rumorosamente e ricorrendo a tutte le sue forze per non spaccare il bel visino del giovane boss, Jotaro gli diede le spalle sotto lo sguardo interrogativo di Rohan.
-”Neanche a qualcuno di famiglia?”- disse facendo vedere la voglia a forma di stella.
Giorno si portò istintivamente la mano alla base del collo e serrò la mascella.
-”Non dica una parola così importante con tanta facilità. La mia famiglia è scomparsa undici anni fa. Una voglia non significa niente”- disse Giorno.
-”Eppure è stato proprio a causa di questa voglia se hai accolto Celeste Giosta. Dobbiamo parlare della ragazza”- ribadì Jotaro con forza.
L'ultima frase del biologo, pronunciata come un ordine assoluto, non piacque per niente a Giorno, abituato a dare ordini e non a riceverli. Jotaro si accorse troppo tardi dell'errore commesso e si ritrovò a sperare che il giovane biondo non avesse ereditato dal padre la sua parte peggiore.
-”Kishibe, penso che tu abbia capito tutto”- disse a Rohan.
-”Coprimi le spalle mentre tento di avvicinarmi, Kujo”- confermò.
Giorno evocò il proprio Stand e puntò un dito contro i due uomini.
-”Andatevene”- ordinò.
-”Io rifiuto!”- esclamò Rohan lanciandosi contro Giorno. Tirò fuori dai pantaloni un pennino e, con rapidità sorprendente, disegnò il suo Stand nell'aria. Heaven's Door apparve, ma Giorno era sparito.
Jotaro si lasciò sfuggire un'imprecazione a voce alta. Come avevano potuto cadere nella sua trappola? Si trovavano in un bosco, un agglomerato di forme di vita vegetali; quello era l'ambiente perfetto per Gold Experience, lo Stand di Giorno.
-”Kishibe!”- chiamò Jotaro. -”Dobbiamo...!”-.
Non fece in tempo a finire la frase che un'edera si staccò dal tronco di un albero e si avvinghiò a Jotaro, strisciando lungo il torso e raggiungendo la gola. Il biologo evocò Star Platinum e lo Stand liberò il portatore dalla stretta della pianta.
-”Siete in netto svantaggio”- disse Giorno comparendo alle spalle di Jotaro.
-”Hora!”- gridò Star Platinum sferrando un pugno contro Giorno, ma non appena lo colpì il corpo del giovane si trasformò nel tronco di un albero e il colpo appena inferto si trasferì su Jotaro. Il biologo si passò il dorso della mano sulla bocca e sputò sangue. Stava iniziando a perdere la pazienza.
-”Kishibe!”- sbraitò. -”Vieni immediatamente qui!”-.
Rohan non se lo fece ripetere due volte e corse verso il compagno, ma in quel momento Giorno riapparve dalla vegetazione con Gold Experience pronto a colpire il mangaka.
-”Star Platinum: The World!”-.
Il tempo si fermò e l'ambiente attorno a Jotaro si immobilizzò. Il giapponese si affrettò a sollevare Rohan da terra e a spostarlo prima dello scadere dei due secondi. Quando il tempo tornò a scorrere, il pugno di Gold Experience finì nel vuoto e gli occhi azzurri di Giorno si puntarono in quelli turchesi di Jotaro. Il giovane boss di Passione non aveva compreso cosa fosse appena successo. Guardò i due uomini e il suo sguardo si indurì.
-”Dovete andarvene e lasciare Celeste in pace”- disse a denti stretti.
-”Impossibile”- ribatté Jotaro. -”C'è in ballo il futuro del mondo”-.
Jotaro, sperando che Rohan avesse intuito il suo piano, sfruttò a suo vantaggio la sorpresa procurata a Giorno dalle sue ultime parole. Fermò nuovamente il tempo e si posizionò dietro al ragazzo biondo, immobilizzando i suoi movimenti. Il tempo tornò a scorrere e Giorno si trovò in trappola. Rohan attivò il potere di Heaven's Door e trasformò il viso di Giorno in un libro. Il mangaka mostrò il palmo della mano al proprio Stand e quello gli consegnò una pagina piena di scritte. Rohan girò con la punta delle dita le pagine di Giorno, e quando trovò la traccia di un foglio strappato, vi inserì la pagina che aveva in mano; poi, con una certa soddisfazione, chiuse il viso del ragazzo. Jotaro si allontanò di qualche passo da Giorno, il quale si accasciò lentamente a terra. Per qualche secondo una lieve luce bianca si sprigionò dal suo volto. Dopo quello che a Jotaro e a Rohan parve un lasso di tempo interminabile, Giorno si alzò in piedi e si spolverò le ginocchia. Puntò gli occhi azzurri prima su Rohan e poi su Jotaro. Un lieve sorriso incurvò gli angoli delle sue labbra.
-”Nipote, ne è passato di tempo...”- disse a Jotaro.

 


 

NOTE DELL'AUTRICE
Giorno ha riacquistato le memorie perdute. Non è la prima volta che Jotaro e Rohan agiscono insieme contro Giorno; mesi prima accadde un certo fatto che verrà narrato nel prossimo capitolo.
So bene che Jotaro non è il nipote di Giorno ma qualcosa come bisnipote o pronipote, ma non essendo riuscita a capire come definirlo ho preferito lasciare "nipote" >w<
Alla prossima!

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Capitolo 23
*** Florida ***


Quando aveva riaperto gli occhi, Giorno si era reso conto di non trovarsi nella sua camera da letto. Certo, quello su cui era sdraiato era un letto, ma non il suo. Le mattonelle lucide e quadrate del pavimento erano bianche, così come il soffitto e le pareti. A destra del letto, una finestra a nastro dalla leggera tenda biancastra svolazzante faceva intravedere un'infinita distesa azzurra.
Non è il Mar Tirreno...”, aveva pensato Giorno.
La flebo attaccata al suo braccio sinistro l'aveva mandato in confusione; come se non fosse bastato, un continuo chiacchiericcio sembrava provenire oltre la porta scorrevole chiusa. Giorno si era sforzato di captare qualcosa, ma sembrava non essere in grado di riconoscere neppure una parola.
Mi hanno rapito? Mi hanno drogato?”.
Grazie ai suoi nervi freddi era riuscito a non farsi prendere dal panico e ad analizzare la situazione razionalmente. Quella in cui si trovava sembrava proprio la stanza di un ospedale. Un rapitore non l'avrebbe mai portato in un ospedale, ne era certo.
Con un gesto deciso si era tolto l'ago della flebo dal braccio e si era alzato in piedi, facendo cadere a terra le lenzuola candide. Al posto del suo completo da lavoro indossava una specie di pigiama color carta da zucchero. Nel chinarsi a cercare delle scarpe, i lunghi capelli dorati gli erano ricaduti sulle spalle, facendogli capire che le sue tre trecce in cui era solito acconciarli erano state sciolte. Aveva trovato sotto al letto un paio di ciabatte dello stesso colore del pigiama, si era legato i capelli in una coda bassa con un elastico trovato sul comodino e aveva spalancato la porta, pronto a cercare risposte.
Il continuo vociare si era improvvisamente chetato e una serie di sguardi sorpresi e incuriositi si erano posati su di lui. Una ragazza dagli chignon neri e la frangia verde chiaro aveva strattonato il cappotto viola di un uomo altissimo, borbottando qualcosa in una lingua che a Giorno era parso inglese. L'uomo, sulla quarantina, stava parlando con un ragazzo sui trent'anni i cui capelli erano fermati da una fascia verde a zigzag. La ragazza con gli chignon, dopo un po', era stata presa per le spalle da un giovane dai lunghi capelli lisci e rosa. La ragazza aveva preso a gridare e a massaggiarsi le spalle, come se il contatto col giovane le avesse causato del dolore. Solo allora Giorno si era accorto che tutte le persone presenti nel corridoio davanti alla porta mostravano i segni di una lotta: tagli, lividi, bruciature e fasciature. Solo il trentenne con la fascia a zigzag sembrava indenne.
-”Dobbiamo parlare”- aveva detto l'uomo col cappotto viola rivolgendosi a Giorno in italiano.
-”Sì”- aveva concordato il boss.
Giorno era rientrato nella stanza, seguito dal gigante anglo-giapponese e dallo strano individuo vestito con abiti costosi. Quest'ultimo si era chiuso la porta alle spalle e aveva abbandonato la sua cartella di pelle per terra, sedendosi sulla poltrona in fondo alla stanza.
-”Ricordi qualcosa di cosa è successo?”- gli aveva domandato l'omone. -”Sai dove ti trovi?”-.
Giorno aveva risposto a entrambe le domande scuotendo la testa.
-”Il mio nome è Kujo Jotaro, sono un biologo marino giapponese. Lui è Kishibe Rohan, un mangaka”-. Rohan aveva alzato una mano e chinato lievemente il capo a mo' di saluto. -”Attualmente ci troviamo in Florida, al St. Raphael Hospital. Abbiamo impedito la fine del mondo da qualche giorno”-.
Rohan si era mosso a disagio sulla poltrona e aveva ripreso Jotaro per il modo troppo sintetico con cui aveva spiegato a Giorno la situazione. Jotaro aveva fulminato Rohan con un'occhiataccia, dicendogli di stare zitto perché lui nella faccenda c'entrava poco e non aveva assistito ai fatti. Giorno aveva osservato in silenzio lo scambio di battute tra i due, aspettando che qualcuno gli fornisse altre spiegazioni.
-”Cosa ci faccio in Florida? Mi ci avete portato voi?”- aveva infine domandato, vedendo che la discussione tra la strana coppia stava prendendo la via del non ritorno.
Prima di rispondere, Jotaro aveva cacciato Rohan dalla stanza, beccandosi una bella dose di insulti in giapponese. Il biologo aveva poi chiuso la porta scorrevole in malo modo e si era rivolto nuovamente al ragazzo biondo.
-”No. Sei stato richiamato dai poteri di Padre Pucci, colui che ha tentato di raggiungere il Paradiso tramite gli insegnamenti e il segreto di Dio”- aveva risposto Jotaro.
-”Richiamato dai poteri di un credente? Che stupidaggine. Io non credo in Dio”- aveva affermato Giorno.
Jotaro si era abbassato la visiera del cappello sugli occhi e si era schiarito la voce.
-”Giorno Giovanna, tu non hai mai conosciuto tuo padre, vero?”-.
-”No”- aveva risposto il giovane boss sinceramente. Aveva capito che l'unico modo per comprendere in che situazione si stava trovando era quello di assecondare quell'uomo.
-”Purtroppo è una storia lunga”- aveva sospirato Jotaro.
-”Non ha importanza, la racconti”- gli aveva ordinato Giorno.
Jotaro, premettendo che anche lui era un portatore di Stand, raccontò a Giorno la storia di Dio Brando: le sue origini, l'adozione da parte dei Joestar, la Maschera di Pietra, la trasformazione in vampiro, la lotta con Jonathan Joestar, la conquista del corpo di quest'ultimo, l'eterno scontro coi membri della famiglia Joestar e il diario segreto.
Giorno non aveva reagito. Sembrava che una maschera di apatia si fosse posata sul suo volto. Sapere che era stato suo padre la causa di tutti quei mali lo aveva sconvolto. Lui, che a soli quindici anni aveva deciso di rincorrere il suo sogno di diventare un “GangstAr”, che aveva sconfitto Diavolo ed era diventato il boss di Passione portando l'organizzazione sulla retta via, era il figlio di un mostro.
-”Biologicamente parlando, tu sei un Joestar, il figlio del mio trisavolo Jonathan Joestar”- aveva precisato Jotaro. -”Del corpo del mio trisavolo. Hai la voglia a forma di stella, no?”-.
-”Sì...”- aveva mormorato Giorno.
-”Perché ti sorprendi tanto della malvagità di tuo padre? Sei il boss di un'organizzazione mafiosa. Sei un cattivo anche tu”- aveva detto il biologo facendo spallucce.
Gli occhi azzurri di Giorno si erano improvvisamente accesi di una luce iraconda, e il giovane, senza pensarci, si era scagliato contro Jotaro, alzandosi sulla punta dei piedi e afferrandolo per il colletto del cappotto.
-”Passione non è più quella di una volta!”- aveva detto a denti stretti. -”Controllo l'Italia nell'ombra, lasciando ai nostri politici corrotti l'illusione di avere il pieno potere. Sono io quello che sta impedendo al mio paese di crollare!”-.
Il pugno che Giorno stava per scagliare era stato fermato da Jotaro stesso. Il biologo aveva ridotto gli occhi a due fessure e aveva ricorso a tutta la sua forza di volontà per non strattonare il braccio del ragazzo. Aveva lasciato la presa su Giorno e aveva preso le distanze da lui.
-”Padre Pucci ti ha chiamato in Florida, ma tu sei stato abbastanza... “Joestar” da resistere e non prendere parte alla battaglia”-.
-”Dio Brando è morto, vero?”- aveva domandato Giorno ignorando le parole di Jotaro.
-”Sì”-.
-”Perfetto”-.
Dopo qualche secondo di silenzio, Jotaro si era avvicinato alla finestra e ci si era appoggiato con la schiena. Aveva infilato le mani nelle tasche dei pantaloni di pelle di serpente e aveva sospirato rumorosamente.
-”C'è altro che dovresti sapere”-.
Giorno, che fino ad allora era rimasto in piedi, era andato a sedersi sul bordo del letto. Con un cenno del capo aveva ordinato a Jotaro di proseguire.
-”Hai tre fratellastri, e la Fondazione Speedwagon vuole ucciderli insieme a Padre Pucci e a te”-.
Rohan aveva improvvisamente fatto irruzione nella stanza ed era tornato a sedersi sulla poltrona.
-”Tua figlia stava iniziando a scocciarmi”- si era giustificato.
-”Kishibe...!”-.
-”Ah, e non ho potuto fare a meno di origliare l'ultima cosa che hai detto al ragazzo”-. Aveva fatto roteare gli occhi e aveva sbuffato. -”Ti sembra il modo di dare una notizia del genere a un innocente? Tua madre non ti ha insegnato a essere più delicato?”- aveva sbottato il mangaka.
-”Senti chi parla”- aveva ribattuto Jotaro.
-”Silenzio!”- aveva detto Giorno alzando la voce. Immediatamente Rohan e Jotaro si erano zittiti, uno guardando il giovane con aria divertita, l'altro con la chiara intenzione di volerlo incenerire con gli occhi. Giorno si era rivolto a quest'ultimo, puntando i suoi occhi azzurri in quelli turchesi del biologo.
-”Non le chiederò dei miei fratellastri, non mi interessano, ma... Perché la Fondazione vuole farci fuori?”- aveva chiesto con un tono di voce sorprendentemente calmo.
-”E' una decisione che abbiamo preso insieme, io e la Fondazione”- iniziò Jotaro sostenendo lo sguardo duro del giovane biondo. -”Riteniamo che sia giunto il momento di eliminare per sempre ogni traccia di Dio Brando”-.
Giorno, a quelle parole, aveva alzato il mento e incrociato le braccia al petto.
-”Non potete uccidermi”- aveva orgogliosamente detto.
-”Lo so”- aveva ribattuto Jotaro, meravigliando Giorno. -”Parlando con la Fondazione, ho messo in evidenza i contro che potrebbero saltare fuori dalla tua eliminazione, primo fra tutti il fatto che Pas...”-. Jotaro aveva lanciato un'occhiata a Rohan e si era bloccato. Giorno aveva intuito che il mangaka non sapesse del suo ruolo di boss di un'organizzazione mafiosa. -”Ad ogni modo”- aveva ripreso il biologo. -”Siamo giunti a un compromesso: ti verrà risparmiata la vita se dimenticherai tutto ciò che riguarda Dio”-.
Giorno aveva lanciato un'occhiata scettica a Jotaro e si era lasciato sfuggire una breve risata amara.
-”Come se potessi scordare le cose a piacimento!”-.
-”Per questo ho portato lui”- aveva detto Jotaro indicando Rohan. -”Il suo Stand ha il potere di modificare i ricordi delle persone”-.
Rohan si era alzato dalla poltrona, si era sistemato il colletto della camicia e aveva evocato lo Stand. Giorno, ancora seduto sul bordo del letto, aveva chiuso i pugni senza però abbassare lo sguardo; i suoi occhi erano due acquamarine orgogliose. Si trattava di scegliere tra il vivere braccato e il vivere nell'ignoranza di una storia che avrebbe voluto non sapere mai. La scelta era più che ovvia.
-”Accetto la sua offerta, signor Kujo”-.
Jotaro aveva annuito e con un cenno del capo aveva ordinato a Rohan di procedere.
-”Quando Kishibe avrà finito, dimenticherai tutto ciò di cui ti ho parlato, noi due compresi. Ti risveglierai a Napoli, e lì dovrai vedertela da solo coi tuoi sottoposti; avrai sicuramente detto loro qualcosa prima di partire per la Florida. Addio, Giorno Giovanna, spero di non doverti più incontrare”-.







NOTE DELL'AUTRICE
Questa è una signora nota perché mi è stato fatto notare da AlsoSprachVelociraptor (grazie, cara >w<) di aver commesso un errore clamoroso nelle date della fic. Stone Ocean inizia nell'ottobre/novembre del 2011 per terminare poi nel marzo 2012. Presa dall'euforia della scrittura di una nuova storia su JoJo, non sono andata a controllare gli anni e le date e ho sminchiato tutto D: Perciò, siccome il tutto deve comunque funzionare, ho shiftato la storia avanti di un anno. Ecco una specie di promemoria degli anni:

  • "Deep Memories" comincia nel maggio 2012, due mesi dopo l'ipotetica sconfitta di Padre Pucci
  • Le età di Celeste e di Mercuzio restano invariate: la prima ha vent'anni, il secondo ventidue
  • Giorno ha ventisei anni
Perdonate la mia sbadataggine >///<
Alla prossima! ^^

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Capitolo 24
*** L'amore perduto ***


-”Mi scusi, avete una M di quella felpa azzurra e beige esposta in vetrina?”- chiese frettolosamente Celeste.
Il commesso annuì, sparì nel magazzino e tornò dalla ragazza. Celeste gli strappò il capo d'abbigliamento dalle mani e si fiondò alla cassa, gettando la felpa addosso al secondo commesso e sbattendo una mano sul bancone, lasciando i trenta euro che qualche minuto prima le aveva consegnato Mercuzio.
-”Come siamo di fretta...!”- esclamò il ragazzo seduto davanti alla cassa. Ammiccò e Celeste lo fulminò con un'occhiata truce. Senza dire una parola prese la busta, girò i tacchi e uscì dal negozio. Girò a sinistra, svoltò l'angolo, superò un bidone dell'immondizia e si infilò nel vicolo in cui l'attendevano Mercuzio e Bucciarati.
-”Fatto”- disse lanciandosi una rapida occhiata alle spalle per assicurarsi che nessuno l'avesse vista. -”Con questa addosso nessuno dovrebbe riconoscerti”-.
Nonostante fossero passati undici anni dalla sua morte, Bucciarati era ancora un individuo molto conosciuto in tutta Napoli. La sua indole e le sue gesta lo avevano reso una delle persone più amate e allo stesso tempo temute della città del Vesuvio. Se qualcuno l'avesse riconosciuto sarebbe stata la fine.
Bucciarati, la schiena contro il muro, si sbottonò la giacca bianca, la appallottolò e la lanciò a Mercuzio, il quale, per afferrarla al volo, si fece cadere la sigaretta a terra.
-”Merda...”- borbottò guardando il mozzicone annegare in una pozzanghera.
Celeste non riuscì a distogliere gli occhi dal torso asciutto di Bucciarati: non aveva gli stessi pettorali di Mista e nemmeno le stesse spalle larghe di Mercuzio; Celeste paragonò il suo fisico a quello di un quattrocentista. Lo strano tatuaggio simile a un ricamo di pizzo nero che Bucciarati aveva sui pettorali la incuriosì parecchio. Il ragazzo si accorse dello sguardo fisso di Celeste e sorrise debolmente.
-”Una volta tra i membri di Passione vigeva la tacita regola di tatuarsi dei disegni simili a questi”- disse Bucciarati indicandosi. -”In realtà eravamo in pochi ad averli. Il boss li aveva, me lo ricordo benissimo...”-. Sospirò; si infilò la felpa e si tirò su il cappuccio, nascondendo il più possibile il volto. Recuperò la sua giacca dalle mani di Mercuzio e, dopo aver evocato Sticky Fingers, la fece sparire all'interno di una cerniera che lo Stand aveva appena aperto per terra.
Celeste, appoggiata di lato al muro con le braccia incrociate al petto, stava aspettando delle parole ben precise che non tardarono ad arrivare.
-”Spiegaci tutto”- disse Mercuzio con una nuova sigaretta tra le labbra. I suoi occhi verdi erano tutto fuorché amichevoli; Bucciarati, invece, era spaesato e non la smetteva di guardarsi continuamente attorno, come se fosse la prima volta in vita sua che vedeva quel luogo. Celeste sapeva, però, che era un particolare sentimento a farlo comportare in tale modo; glielo avevano detto le lacrime agli angoli degli occhi lilla di Bucciarati.
Celeste si trovò in una situazione spiacevole. Ormai era chiaro che non avrebbe più potuto nascondere niente a Mercuzio, e continuare a mentire a Giorno sarebbe stato sempre più difficile. Aveva fatto il possibile per non far scoprire i poteri del proprio Stand ad anima viva, ma sembrava che lo stesso Deeper Deeper le remasse contro.
-”Preferisci la versione dettagliata o quella breve?”- si arrese la giovane.
-”Quella dettagliata”- rispose inaspettatamente Mercuzio. -”Voglio sapere tutto, Giallo”- aggiunse.
Bucciarati, dopo essersi osservato per un po' i palmi delle mani, annuì in silenzio, in sostegno delle parole di Mercuzio.
-”Io non dovrei essere qui. Ho bisogno di sapere il più possibile”- si giustificò.
Celeste, stringendosi il setto nasale tra l'indice e il pollice della mano destra, sospirò esasperata. Alzò gli occhi verso la fessura di cielo che si intravedeva tra i tetti delle case del vicolo e si morse il labbro.
-”D'accordo, ho capito. Come aveva già intuito Mercuzio, il mio Stand è un archivio: immagazzina i ricordi di chiunque venga toccato da me, permettendomi di consultarli in qualunque momento. Una volta che Deeper Deeper mi mostra dei ricordi, posso praticamente farci di tutto, compreso...”-. Si fermò. L'idea di rivelare i suoi assi nella manica la terrorizzava. L'occhiata di Mercuzio valse come mille parole e la convinse a proseguire.
Puoi fidarti di me”.
-”...Compreso viaggiare indietro nel tempo e, a quanto pare, riportare in vita i morti per ventiquattro ore. Non ti ho resuscitato volontariamente, è stato uno sbaglio. Il mio Stand si diverte a fare il misterioso e a non volermi spiegare i suoi poteri. Prima che tu me lo chieda: provieni dai ricordi di Trish Una. Volevo vendicarmi per una cer...”-.
-”Ma sei stupida?!”- saltò su Mercuzio facendo sobbalzare Celeste. -”Il tuo Stand possiede dei poteri così spaventosi e tu li usi per delle cretinate del genere?!”-.
Incrociò le braccia al petto e strinse tra i denti il filtro della sigaretta, scuotendo la testa.
-”Li uso come mi pare”- ribatté Celeste battendo un piede a terra.
Come poteva Mercuzio avere degli sbalzi d'umore del genere? Era appena passato da ragazzo dolce a stronzo di prima categoria. Celeste non ne poteva più; i suoi sentimenti nei confronti del giovane Zeppeli erano più che confusi, e il comportamento ambiguo del ragazzo non faceva altro che peggiorare la situazione. Come se non bastasse, Jotaro Kujo era in città e suo padre, quell'avvenente giovane biondo, non si era più fatto vedere.
Lanciò un'occhiata a Bucciarati, ma il suo sguardo era assente. A cosa stava pensando?
-”Dobbiamo andare dal boss e dirgli tutto”- stabilì Mercuzio dopo aver gettato il mozzicone di sigaretta.
-”No!”- quasi gridò Celeste. -”No...”- ripeté in tono supplichevole.
-”Perché no?”- le domandò Mercuzio, gli occhi verdi ridotti a due fessure sospettose.
Già, perché no? In fondo, Giorno era la persona che suo padre le aveva detto di cercare, l'unico in grado di salvarle la vita. Ma salvarle la vita da cosa? Chi la stava minacciando? Di una cosa era certa: doveva fuggire da quel biologo marino giapponese. No, non poteva rivelare a Giorno i veri poteri di Deeper Deeper. Cosa sarebbe successo se fosse venuto a sapere della capacità di resuscitare i morti per ventiquattro ore? Giorno Giovanna era pur sempre un boss mafioso.
-”Perché no!”- rispose Celeste come se fosse una cosa ovvia.
Mercuzio la afferrò per le spalle e la scrollò, avvicinando poi il viso a quello della ragazza.
-”Verde, ti rendi conto della situazione in cui ci troviamo?! Stiamo andando a giro con un morto! E non un morto qualunque, ma il capo della banda di traditori che undici anni fa ha rovesciato Passione!”-.
Celeste non lo stava ascoltando. I suoi pensieri vagavano verso i suoi problemi, quelli che, ovviamente, le premevano di più. Se c'era una persona in grado di darle delle risposte una volta per tutte, quella era suo padre.
Devo incontrare mio padre”, decise sotto gli scrolli di Mercuzio.
-”Mi stai ascoltando?!”- ringhiò la guardia del corpo.
Celeste, gli occhi ambrati fiammeggianti, lo fulminò con un'occhiataccia. Mercuzio non si fece intimorire e sostenne facilmente lo sguardo bellicoso che si ritrovava puntato addosso.
-”Aspetteremo lo scadere delle ventiquattro ore, poi torneremo da Giorno”- disse Celeste con lo stesso tono con cui si dà un ordine assoluto.
Mercuzio, con enorme sorpresa da parte della giovane, le afferrò il viso tra le mani e lo strinse.
-”Sei pazza?! Non possiamo farlo! Possibile tu sia così deficiente?!”-.
Celeste si liberò con un gesto scocciato della mano e incrociò le braccia al petto, alzando il mento e facendo scattare un sopracciglio verso l'alto.
-”Perché non sentiamo l'opinione della Carrà?”- disse sarcasticamente. -”Ehi, Raffaella, tu cosa proponi?”-.
Ma Bucciarati era sparito; di lui non era rimasta neppure l'ombra.
Le braccia di Celeste ricaddero lungo i fianchi mentre Mercuzio si copriva il volto con una mano. La ragazza si girò a guardare la sua guardia del corpo, la quale imprecò ad alta voce.
Perfetto, siamo nella merda”, pensarono Celeste e Mercuzio.

 

 

Trish.
Appena le sue orecchie avevano captato quel nome, Bucciarati si era dileguato. Il fatto che Trish fosse ancora viva poteva significare una cosa sola: i suoi compagni ce l'avevano fatta. Giorno, Mista e Trish erano sopravvissuti allo scontro con Diavolo. E Narancia? Non riusciva a ricordare... Fugo? Che fine aveva fatto Fugo?
Stringendo i pugni, Bucciarati corse lungo le strade di Napoli senza una meta precisa. Non sapeva dove andare, voleva solamente rivedere i suoi compagni.
Aveva capito subito che quella ragazza, Celeste, non aveva nessuna intenzione di fargli incontrare Giorno; i suoi occhi erano belli, per carità, ma quella traccia di malvagità che Bucciarati vi aveva intravisto lo spinse a non fidarsi. Il giovane con un'evidente dipendenza da nicotina, invece, sembrava una persona a posto; purtroppo, però, era profondamente legato alla ragazza dagli occhi ambrati. Bucciarati era sicuro che per lei Mercuzio avrebbe fatto qualunque cosa.
Giorno è diventato il nuovo boss di Passione e ha stabilito la sua dimora a Napoli”. Trovarla e, contemporaneamente, mantenere la sua identità nascosta era un'impresa praticamente impossibile; non ce l'avrebbe mai fatta in ventiquattro ore.
Chissà se quei due si sono finalmente accorti della mia scomparsa...”, pensò divertito.
Bucciarati si fermò qualche minuto per riprendere fiato. Ne approfittò per guardarsi intorno e per farsi assalire dalla malinconia. Nonostante fossero passati undici anni, Napoli era proprio come se la ricordava: bella. Non aveva mai trovato altre parole per descrivere la sua città. Guardò la fermata dell'autobus dall'altra parte della strada e un debole sorriso gli incurvò gli angoli della bocca. Quella era proprio la fermata dove, undici anni prima, era salito sull'autobus sul quale si era scontrato per la prima volta con Giorno. Quella fermata...

 

 

Trish scese dall'autobus e provò per la quinta volta a telefonare a Mercuzio, ma il cellulare del ragazzo era spento. Come poteva raggiungere lui e Celeste senza sapere dove si trovavano? Sbuffò, alzando gli occhi al cielo e borbottando qualche accidente. Aveva ancora i vecchi vestiti di Celeste nella busta; purtroppo la sua borsa era troppo piccola, per cui non vedeva l'ora di trovare quella ragazza ingrata per restituirle la sua roba e levarsela dalle mani.
L'autobus ripartì, liberando la strada e permettendo a Trish di lanciare una rapida occhiata alle insegne dall'altra parte. Era una vita che non faceva un salto da Guess... Mentre era ancora sull'autobus, Giorno le aveva mandato un messaggio comunicandole che i due uomini non erano nemici e che andava tutto bene, ma che Trish non aveva ancora il permesso di tornare alla villa.
Ricongiungiti ai ragazzi, non dire niente sui due uomini e resta in attesa di nuovi ordini”: così si concludeva il messaggio di Giorno.
Be', direi che nessuno mi vieta di provare quel favoloso vestitino bianco in vetrina”, pensò con un'alzata di spalle.
Invece qualcuno c'era.
Un ragazzo dalla felpa azzurra e beige e degli strani pantaloni bianchi a macchioline nere, immobile di fronte alla vetrina di Guess, aveva bloccato i muscoli di Trish. Nonostante il ragazzo avesse il cappuccio calato sugli occhi, Trish era stata comunque in grado di vedere le sue labbra, un paio di labbra che, da ragazzina, aveva guardato e desiderato milioni di volte.
Sì, lei le sue labbra le avrebbe riconosciute tra mille.
Eppure... Non poteva essere vero, nel modo più assoluto. I morti non tornano in vita.
Con una forza d'animo che Trish non credeva nemmeno di avere, attraversò la strada e si avvicinò al ragazzo incappucciato. Non appena questo si accorse di lei, si voltò di scatto nella sua direzione; nel farlo, il cappuccio si spostò un poco, permettendo a Trish di intravedere quegli occhi lilla che, undici anni prima, l'avevano conquistata.
Trascorsero degli interminabili secondi di silenzio in cui il cuore di Trish prese a martellarle all'impazzata nel petto e gli occhi le si riempirono di lacrime. Nonostante sapesse che era impossibile e che doveva aver preso un colossale abbaglio, lasciando cadere a terra la borsa e la busta coi vestiti di Celeste, Trish si gettò tra le braccia del ragazzo, il quale, per assurdo, non stava aspettando altro. Si strinsero forte l'un l'altra, e a Trish non importava di essere caduta nella trappola di un eventuale Stand nemico; avrebbe venduto l'anima al diavolo per rincontrare il suo amore perduto.
-”Sei tu...”- mormorò Trish tra le lacrime. Aveva nascosto il viso nel petto del ragazzo, bagnandogli la felpa e sporcandogliela di trucco.
-”Ciao Trish...”- sussurrò Bucciarati accarezzandole i lunghi capelli fucsia. -”Eccomi a casa”-.

 

 

 

 

NOTE DELL'AUTRICE
Io boh, adoro Bucciarati e Trish, li shippo tantissimo *^* 
Celeste ha finalmente capito che l'unico modo per porre fine a tutti i guai che ha combinato è trovare il modo di parlare con quel disgraziato di suo padre. Jotaro e Rohan hanno fatto tornare la memoria a Giorno e hanno parecchie cose da dire al giovane boss. L'assurda differenza di età tra i due figli di Dio Brando ci verrà spiegata da Jotaro nel prossimo capitolo che, molto probabilmente, pubblicherò domani o dopodomani.
Alla prossima! ^^

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Capitolo 25
*** Dea Brando ***


Giorno fece accomodare gli ospiti nel suo studio, una camera dalle dimensioni modeste in cui troneggiavano una poltrona barocca dal tessuto rosso brillante e le rifiniture dorate, e un'antica scrivania di mogano. Rohan prese immediatamente la macchina fotografica e scattò qualche foto ai mobili, senza chiedere il permesso a Giorno; Jotaro, invece, si guardò intorno facendo arricciare il naso. Forse si aspettava qualcosa di più maestoso dallo studio di un boss.
-”Solitamente ricevo i miei ospiti in giardino, ma per voi ho fatto un'eccezione. Desidero che nessuno ci senta”- spiegò Giorno andando a sedersi sulla poltrona dietro la scrivania. -”Dovrete stare in piedi, mi dispiace”- disse poi con una piccola punta di divertimento.
Rohan si avvicinò alla libreria a muro alla sinistra dell'ingresso e prese a consultare ogni libro il cui dorso catturava la sua attenzione. Giorno lo seguì per un po' con lo sguardo, in attesa che il suo lontano nipote parlasse.
-”L'Orlando Furioso illustrato da Doré!”- esclamò Rohan prendendo un tomo in mano. Guardò Giorno in controluce a causa della grande finestra alle sue spalle e gli mostrò il libro. -”Posso guardarlo?”- domandò eccitato.
-”Prego”- rispose il boss accompagnando la risposta con un cenno del capo.
Jotaro sospirò rumorosamente, irritato dal comportamento infantile del mangaka. Giorno lo notò e posò sulla scrivania un pacchetto di sigarette, un accendino e un posacenere, prendendo tutto da un cassetto del mobile. Jotaro gli lanciò un'occhiata perplessa ma accettò la tacita proposta del giovane.
-”Un mio sottoposto mi ha detto che è buona cosa avere sempre delle sigarette con sé”- si giustificò Giorno.
Jotaro se ne accese una e inspirò il fumo a pieni polmoni. Era da un po' di tempo che non fumava. Con tutto quello che era successo le sigarette erano passate in secondo piano, così tanto da avergli fatto dimenticare di essere un fumatore dall'età di diciassette anni.
-”Stai temporeggiando, nipote?”- gli domandò Giorno.
-”Ti stavo osservando”- ribatté Jotaro con la sua voce profonda. -”Ma hai ragione, non c'è tempo da perdere. Hai notato la voglia della ragazza?”-.
-”Ovviamente”-.
-”Perfetto. Lei è la tua sorellastra”-.
Rohan si lasciò cadere dalle mani l'Orlando Furioso e si chinò immediatamente a raccoglierlo.
-”Kujo! Siamo alle solite!”- lo rimproverò.
Giorno, i gomiti appoggiati sulla superficie della scrivania, avvicinò le punta delle dita tra loro e si portò gli indici alle labbra. Aveva visto giusto: Celeste gli somigliava perché era una sua parente, stretta per di più.
-”Certo che mio padre si è dato parecchio da fare...”- commentò il boss sarcasticamente.
Jotaro inspirò una boccata di fumo e smicciò la sigaretta nel posacenere.
-”Questa volta la storia è un po' diversa e... bizzarra”- disse il biologo. Estrasse un fascicolo da una tasca del cappotto nero e lo passò a Giorno senza dire una parola. Giorno lesse un nome in alto sulla prima pagina e il suo volto si rabbuiò.
-”Documenti della Fondazione Speedwagon, eh?”- disse voltando pagina.
Il foglio successivo conteneva tutte le informazioni su Celeste che la Fondazione era riuscita a ottenere: varie fotografie della ragazza, la sua descrizione fisica, la sua biografia, i nomi dei parenti, il suo indirizzo, i suoi hobby...
Jotaro fece scivolare il dito su una riga precisa e Giorno seguì con gli occhi l'indicazione del biologo.
-”Data di nascita”- lesse il giovane ad alta voce. -”Sedici gennaio millenovecentonovantadue. Ha vent'anni, lo so. E allora?”- domandò Giorno non capendo cosa ci fosse di tanto sorprendente in quella data.
-”Lo sai in che anno è morto Dio?”- gli chiese Jotaro, la sigaretta stretta tra le labbra. -”Nel 1988”-.
Giorno lasciò il fascicolo sulla scrivania e si appoggiò allo schienale della poltrona, incrociando le braccia al petto e aggrottando le sopracciglia bionde.
-”C'è qualcosa che non quadra”-.
Jotaro prese la pila di fogli spillati e la sfogliò fino ad arrivare a un punto preciso del rapporto che la Fondazione Speedwagon gli aveva fatto reperire il giorno prima.
-”E' qui che comincia l'aspetto bizzarro della storia...”- iniziò.
Una breve risata lo interruppe. I due Joestar si girarono verso Rohan, il quale chiuse il libro che stava leggendo e scosse lentamente la testa.
-”Potrei scrivere un manga sulle avventure della vostra famiglia, sapete? Già lo vedo: Le Bizzarre Avventure di JoJo. Bello, mi piace”- disse compiaciuto.
Jotaro spense con forza la sigaretta nel posacenere e se ne accese immediatamente un'altra, chiedendosi come facesse quel mangaka da strapazzo a prendere tutto così alla leggera. Giorno attese pazientemente che Jotaro riacquistasse la calma per continuare la spiegazione. Voleva sapere tutto sulla sua sorellastra.
-”Nel 1987, Pucci incontrò Dio per la prima volta. Nonostante fosse solo un quindicenne, Pucci impressionò particolarmente Dio, il quale gli donò una Freccia; grazie a essa sarebbero riusciti a ritrovarsi. E così accadde: un anno dopo, Pucci e Dio si incontrarono al Cairo e fu lì che Dio gli raccontò della sua eterna lotta con noi Joestar. Gli disse inoltre che sospettava di aver avuto un figlio, che sapeva che sarebbe stato un Joestar e che, per qualche assurdo motivo, desiderava trovare il modo di avere un altro figlio, il suo degno erede, un Brando. Pucci, colpito dalle sue parole, accantonò gli ideali etici e morali della Chiesa e...”-.
-”Manipolazione genetica...?”- lo precedette Giorno.
Jotaro annuì con aria grave.
-”Pucci si rivolse a delle sue conoscenze tedesche e affidò loro il compito di modificare geneticamente i campioni di sperma che aveva loro consegnato, potenziando ed eliminando dei tratti secondo le istruzioni dello stesso Dio”-.
-”Ma questo è impossibile!”- commentò il boss sconvolto. -”Come ha potuto il suo seme sopravvivere per quattro anni prima di fecondare un ovulo?!”-.
-”Mio nonno me lo diceva sempre: la scienza tedesca è la migliore del mondo. Durante la Seconda Guerra Mondiale i tedeschi hanno trasformato un colonnello nazista in un cyborg; non mi stupisce che siano riusciti a modificare del materiale genetico contenuto dentro degli spermatozoi e a farli sopravvivere così a lungo”- disse Jotaro stringendosi nelle grosse spalle. -”La madre di Celeste, Serena, era in ottimi rapporti con Pucci; lui deve averle parlato molto di Dio, così tanto e bene da convincerla a prestare il suo utero. Dopo la nascita della bambina, Serena è sparita in circostanze misteriose. Nemmeno la Fondazione Speedwagon è riuscita a sapere che fine abbia fatto. Per quanto riguarda il cognome, “Giosta”, Dio ha voluto prendersi gioco di noi”-.
Giorno strinse le mani lungo i braccioli della poltrona e fece saltare più volte lo sguardo da Jotaro a Rohan, in piedi nell'angolo della camera intento ora a sfogliare la Divina Commedia illustrata, anch'essa, da Doré.
-”Fammi capire”- disse poi posando lo sguardo sul nipote. -”Celeste è il frutto di una manipolazione genetica in cui sono state messe in risalto le caratteristiche fisiche e caratteriali di mio padre. Di nostro padre”- disse lentamente, come se stesse cercando di convincersi delle proprie parole.
-”Esatto”- confermò il biologo spegnendo la seconda sigaretta. -”Possiamo dire che Celeste sia...”-.
-”...Dea Brando”- lo precedette Rohan senza alzare gli occhi dal libro.
Jotaro, nonostante l'interruzione di Rohan, annuì. Giorno espirò rumorosamente e scosse la testa. Non poteva crederci.
-”Ovviamente Dio non l'ha fatto per istinto paterno, doveva avere qualcosa in mente, forse un piano di riserva nel caso in cui fosse stato sconfitto...”- borbottò Jotaro quasi fra sé e sé.
-”La ragazza sa qualcosa?”- domandò il mangaka a Giorno.
Il giovane biondo fece schioccare la lingua.
-”Non lo so. Ho l'impressione che mi stia nascondendo qualcosa ma non so davvero di cosa si tratti. Mercuzio, un mio sottoposto, l'ha trovata che vagava per Napoli chiedendo di me, e l'ha portata qui. L'abbiamo interrogata; ha detto che una voce nella sua testa le aveva detto che se voleva sopravvivere doveva trovare Giorno Giovanna e fuggire da Jotaro Kujo. Il suo Stand, Deeper Deeper, non sembra pericoloso. Fondamentalmente si tratta di un archivio temporaneo; le permette di visualizzare sotto forma di dipinti i ricordi delle persone con cui entra in contatto”-.
-”Dilettante”- bofonchiò Rohan mettendo a posto la Divina Commedia.
Jotaro, rigirandosi tra le dita una sigaretta, storse la bocca, poco convinto dalle parole di Giorno. Era più che sicuro che i poteri dello Stand della figlia di Dio Brando non fossero solo quelli descritti dal giovane boss. Dio e Pucci non si sarebbero dati così tanto da fare per un potere talmente insignificante.
-”E' semplice”- esordì il biologo dopo un po'. -”Se i poteri di quello Stand sono davvero solo quelli che ci hai detto, Kishibe le cancellerà la memoria e non ci saranno problemi; in caso contrario, è molto probabile che saremmo costretti a prendere altri provvedimenti”-.
-”Non vorrete mica ucciderla?”- domandò Giorno lentamente.
La mano di Jotaro si chiuse di scatto attorno alla sigaretta, spezzandola in due.
-”Temo che non ci siano alternative”-.





NOTE DELL'AUTRICE
DOITSU NO KAGAKU WA SEKAI ICHIIIIIIIIIIII!
Mi rendo conto dell'assurdità della cosa, ma ci sarà un motivo se le avventure dei JoJo sono "bizzarre", no? :P 
Con un cadavere ambulante a piede libero, il magico duo Kujo-Kishibe che cerca di portare Giorno dalla sua parte, uno Zeppeli destinato a morire tragicamente e una ragazza più Brando che Joestar, la storia si avvicina al suo fulcro. *musichetta drammatica*
Alla prossima! ^^

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Capitolo 26
*** Partenza ***


Jotaro e Rohan se n'erano andati da ormai un'ora, ma Giorno non si era spostato di un millimetro. Abbandonato sulla poltrona del suo studio, il boss di Passione stava ancora riflettendo su quanto suo nipote gli aveva rivelato. Sapeva che quella ragazza era speciale e che aveva qualcosa in comune con lui, ma... Sua sorella. Celeste era sua sorella, e Jotaro voleva ucciderla. In quanto capo di un'organizzazione mafiosa, quante persone aveva ucciso indirettamente e direttamente? Centinaia. Perché adesso stava esitando? Cos'era che lo bloccava? L'idea di ammazzare un familiare? Ma se fino a un'ora prima non sapeva nemmeno che lui e Celeste fossero parenti! Jotaro aveva ragione: la salvezza del mondo veniva prima di tutto. Giorno, in quanto Joestar, non poteva permettersi di venir meno al bene comune. Se lasciare in vita Celeste equivaleva a condannare l'umanità, allora non avrebbe esitato un solo secondo: avrebbe messo fine alla vita della ragazza anche a costo di macchiarsi personalmente le mani. Ma le sorti di Celeste non erano ancora state decise, dipendeva tutto dai poteri del suo Stand, Deeper Deeper.
Giorno chiuse gli occhi e sperò con tutto se stesso che sua sorella non gli stesse riservando altre spiacevoli sorprese.
Tamburellò le dita della mano destra sulla scrivania per qualche minuto, non pensando a niente in particolare e facendo vagare lo sguardo per lo studio. Dopo un po' estrasse il cellulare dalla tasca dei pantaloni e lo accese; l'aveva precedentemente spento in vista del colloquio con Jotaro e Rohan. Non appena il dispositivo fu operativo, sul display comparvero una decina di notifiche, tutte da parte di Trish: dieci chiamate perse e un messaggio. Giorno, accigliato, visualizzò l'SMS.
Stiamo tornando. Insieme, come ai vecchi tempi!”.
Giorno rilesse il testo un paio di volte, continuando a non capire il senso delle parole scritte da Trish. Stava tornando alla villa con chi? Mista e i due ragazzi? E quindi?
Come ai vecchi tempi...”, ripeté mentalmente Giorno. “Bah, donne”, concluse con un'alzata di spalle.
Si infilò il cellulare in tasca e aprì la finestra alle sue spalle. Il ciliegio si protese verso il davanzale, permettendo a Giorno di salire sui suoi rami per poi adagiarlo sull'erba del giardino. Il giovane biondo si spolverò gli abiti e, dopo essersi guardato attorno con aria soddisfatta, andò a sedersi sulla panchina sulla quale qualche giorno prima aveva visto Mista e Mercuzio parlare di Celeste. In attesa dell'arrivo di Trish si mise a trasformare i fili d'erba in farfalle.
Ah, chissà come sta Jolyne...”.
Non passarono nemmeno dieci minuti che Giorno sentì delle voci oltre la siepe. Il pesco lo riportò nel suo studio e il boss, con molta calma, si apprestò ad andare ad aprire il portone. Mentalmente si appuntò di chiedere a Trish gli esiti della “chiacchierata” con Celeste. Giorno aprì il portone della sua dimora e rimase perplesso di fronte alle due figure che si trovò davanti: Trish in lacrime e un ragazzo dal volto coperto dal cappuccio di una felpa azzurra e beige.
-”Che sta succedendo?”- domandò sulla difensiva. Uscì e si chiuse l'anta alle spalle. C'era qualcosa che lo inquietava profondamente.
Trish si asciugò gli occhi con le punte delle dita e sorrise, indicando il suo compagno con un cenno del capo. Giorno guardò il ragazzo e il suo sguardo si soffermò sui suoi pantaloni. Impiegò meno di una manciata di secondi a riconoscerli e a comprendere la ragione del proprio turbamento. Afferrò Trish per un polso e la trascinò con forza dalla propria parte. Come aveva potuto essersi fatta abbindolare in modo così plateale?
-”Gold Experience!”- gridò.
Lo Stand dorato apparve di fronte a Giorno e una parete di piante rampicanti intrecciate tra loro emerse dal terreno, frapponendosi tra il boss e il ragazzo incappucciato.
-”Giorno, cosa stai facendo?!”- domandò Trish divincolandosi dalla presa del ragazzo biondo. -”Lui è...!”-.
-”Lui è morto”- la interruppe freddamente. -”Non è possibile che sia resuscitato”-.
Bucciarati si abbassò il cappuccio, mostrando il suo volto e degli occhi lilla velati di lacrime. Per un attimo Giorno si sentì mancare.
-”Ascoltami!”- lo implorò Trish aggrappandosi alla sua giacca. -”Quella ragazza, Celeste, non è innocua come pensavi!”-.
-”Trish ha ragione”- disse Bucciarati.
Sentire la voce del suo migliore amico dopo undici anni fu un colpo al cuore per Giorno. I rampicanti, influenzati dal suo stato d'animo, appassirono e lentamente rientrarono nel terreno.
-”E' stata lei a farmi tornare in vita. Domani alle 16:30 svanirò, tornando da dove sono venuto, ma prima vorrei passare del tempo con voi, rivedere Mista e... e parlare della ragazza dagli occhi ambrati”- disse Bucciarati con un tono di voce che non ammetteva repliche.

 

 

Dando ascolto al suo sesto senso, Mercuzio era ricorso ai poteri di Chaosmyth e si era precipitato insieme a Celeste alla villa di Giorno. Sotto forma di fumo grigio avevano percorso tutto il bosco fino a raggiungere il suo limitare; lì i due ragazzi avevano assunto il loro aspetto originale e si erano nascosti nella boscaglia, tentando di captare le parole del dialogo tra Giorno e il suo ex capo. Celeste, intravedendo con la coda dell'occhio Mercuzio accendersi una sigaretta, con un colpo deciso della mano gliela strappò di bocca e la gettò a terra.
-”Vuoi che ci scoprano?”- lo rimproverò senza distogliere lo sguardo dalla schiena di Bucciarati.
Mercuzio si strinse nelle spalle e lanciò un'occhiata a Celeste che si era accucciata dietro a un cespuglio; lui aveva deciso di nascondersi dietro al tronco di un albero.
-”Ormai ti hanno scoperta”- le fece notare con stizza. -”Bucciarati gli ha detto tutto”-.
Celeste fece schioccare la lingua e ignorò le parole del giovane moro. C'era qualcosa nel volto di Giorno che non la convinceva. Non sembrava arrabbiato, ma nemmeno contento. Pareva...
...Rassegnato?”, si domandò la ragazza corrugando la fronte.
Eppure avrebbe dovuto essere felice di rivedere il suo compagno; Trish stava ancora piangendo dalla gioia! Perché Giorno non si stava comportando come lei?
-”Tra poco arriverà Mista”- disse Mercuzio. -”L'hanno sicuramente avvisato del lieto evento”- aggiunse trattenendo a stento una risata.
-”Cosa c'è che ti fa tanto ridere?”- saltò su Celeste.
Mercuzio scosse la testa e liquidò il discorso con un cenno della mano.
Quando Giorno, Trish e Bucciarati entrarono nella villa, Mercuzio uscì dal suo nascondiglio, si espose alla luce del sole nello spiazzo davanti all'edificio e si accese quella sigaretta che minuti prima gli era stata vietata. Celeste, invece, non si mosse. Il ragazzo dagli occhi verdi, incuriosito dal comportamento della sua protetta, tornò sui suoi passi.
-”Ehi, Rosso! Cosa stai aspettando? Ormai è finita, devi... costituirti”-.
Mercuzio le tese una mano per aiutarla ad alzarsi, ma Celeste la fissò per qualche secondo per poi scansarla col dorso della propria mano. Si alzò in piedi da sola, spolverandosi gli abiti e storcendo la bocca. Quella gonna nera lunga fino a metà coscia le impediva di muoversi come voleva; ogni volta doveva fare attenzione che non le si intravedessero gli slip.
-”Su, andiamo”- la esortò Mercuzio incamminandosi verso il portone.
-”No”- fu la lapidaria risposta di Celeste.
La guardia del corpo si voltò verso la ragazza e alzò gli occhi al cielo, esasperato.
-”Come sei infantile!”- commentò con un ghigno sul volto. -”Hai paura del boss? Fai bene, ma molto probabilmente te la caverai alla grande; Giorno ha un debole per te, non ti farà del male...”-.
-”Non è per questo”- lo interruppe Celeste. -”Ho un'altra faccenda da sbrigare”-. Sotto lo sguardo sbigottito di Mercuzio, Celeste evocò Deeper Deeper e gli puntò un indice contro il petto. -”Sarà meglio per te che questa volta tu non mi faccia qualche scherzetto!”- ammonì lo Stand.
-”Frena, frena, segnurina! Cos'hai intenzione di fare?!”-.
-”Chiedere spiegazioni a mio padre”- rispose con semplicità. -”E' stato lui a dirmi di scappare a Napoli; più che lui in carne e ossa è stata la sua voce. Dammi pure della pazza, ma ormai ho preso una decisione. Lo incontrerò nei ricordi di una certa persona. Io...”-.
Celeste pensò che quello fosse il momento migliore per dire a Mercuzio tutta la verità sul proprio conto e sui sentimenti contraddittori che provava per lui, ma proprio nel momento in cui stava per liberarsi del peso che la opprimeva da giorni, le sue labbra si serrarono di colpo e le impedirono di riversare sul ragazzo il fiume di parole che le scorreva dentro. Si rivolse a Deeper Deeper e gli ordinò di allestire la mostra privata di Jotaro Kujo.
-”Coprimi”- si limitò a dire a Mercuzio.
Il giovane moro la guardò spaesato mentre una luce bianca le avvolgeva il corpo.
-”Non posso farlo! Se il boss scoprisse che ho nascosto la tua fuga mi ucciderebbe!”-.
Celeste, per la prima volta da quando era arrivata a Napoli, rise di cuore, senza cattiveria. Mercuzio se ne accorse e, istintivamente, cercò di afferrarle un braccio, ma la ragazza si scansò con un movimento fluido ed elegante che le rievocò alla mente la misteriosa figura del padre.
-”Punto primo: non sto scappando, sto cercando risposte. Punto secondo: sei la mia guardia del corpo, dovresti essere pronto a morire per me”- disse Celeste inclinando la testa di lato e sorridendo.
Mercuzio non poté né dire né fare altro. Celeste e il suo Stand vennero completamente avvolti dalla luce bianca e scomparvero nel nulla, lasciando il giovane Zeppeli nell'incomprensione più totale.

 

 

Celeste trovò suo padre seduto su un trono con eleganti ed elaborati intagli in legno e il tessuto delle imbottiture purpureo. Il trono era situato al centro della sala “1988”. Il giovane biondo sorrise con fare ammaliante e applaudì lentamente.
-”Ho un sacco di domande da farti... padre”- disse Celeste calcando l'ultima parola.
-”Oh? Perché non farmele di persona?”- propose.
Celeste annuì vigorosamente, buttando giù il groppo che le si era formato in gola. Finalmente avrebbe conosciuto uno dei suoi due genitori e avrebbe ricevuto le risposte alle domande che l'assillavano da giorni.
-”Dove posso trovarti?”- gli chiese, il cuore che le martellava nel petto dall'emozione.
Il giovane chiuse i suoi bellissimi occhi dorati e sorrise.
-”Londra, 1888”- disse.
-”P-prego?”-. Aveva capito bene? 1888? Celeste spalancò la bocca ma non riuscì a dire una sola parola. Suo padre si alzò dal trono e si avvicinò alla parete alla sua destra, una parete sulla quale era appeso un'unica grande tela ritraente un paesaggio desertico notturno. Glielo indicò, alzando le sopracciglia e annuendo.
-”Questo ricordo sarà il tuo punto di partenza. Dovrai riuscire a trovarmi. 1888, Londra, Villa Joestar: è lì che ti attenderò”-.
Celeste non aveva ancora ben chiara la situazione, ma si ritrovò a sorridere eccitata all'idea di mettersi in gioco e di dimostrare a suo padre di essere una ragazza in grado di fare qualunque cosa. Il giovane biondo notò l'espressione della figlia e sorrise compiaciuto.
-”Cominciamo?”- disse divertito.

 

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Capitolo 27
*** Scariche elettriche ***


Era notte fonda e nel cielo brillavano, nitide, miriadi di stelle. La Via Lattea divideva la volta celeste in due parti e una magnifica luna piena, grande e candida, vegliava sul gruppetto di persone addormentate attorno a un piccolo falò. Celeste aveva appena acquistato il dipinto indicatole dal padre e, non appena aveva messo piede sulla sabbia del deserto, un inaspettato freddo l'aveva accolta facendola rabbrividire più volte.
Maledetta escursione termica desertica!”, aveva pensato sfregandosi le braccia attorno al corpo.
Cercando di non pensare al freddo, si avvicinò silenziosamente ai quattro uomini avvolti nei sacchi a pelo e nelle coperte. Uno di loro lo riconobbe subito: si trattava di un Jotaro Kujo non ancora ventenne. La sua solita espressione dura e severa non aveva lasciato il suo viso nemmeno durante il sonno. Accanto a Jotaro, sdraiato su un fianco, dormiva quel ragazzo dai capelli rossi di cui aveva visto il ritratto la prima volta che era entrata nella pinacoteca del biologo marino.
Ah, Kakyoin Noriaki”, si ricordò. “Non è ancora morto”.
Dall'altro lato del fuoco c'erano un egiziano, un anziano vestito come Indiana Jones e un ragazzo dalla strana capigliatura argentata che russava rumorosamente. Celeste chiamò in suo aiuto Deeper Deeper e si fece dire i nomi dei tre individui: l'egiziano si chiamava Mohammed Abdul e sarebbe presto morto; il ragazzo, un francese, si chiamava Jean Pierre Polnareff; il vecchio era Joseph Joestar, nonno di Jotaro Kujo.
Un Joestar!”.
In quel momento Celeste si trovava nel 1988, forse in Egitto; in che modo avrebbe potuto viaggiare ancora più indietro nel tempo e raggiungere la Londra del 1888? Si sedette sulla sabbia, facendo attenzione a non svegliare nessuno; sicuramente erano tutti portatori di Stand, non solo Jotaro.
Tocco una persona e mi impadronisco dei suoi ricordi. Benissimo. Viaggio indietro nel tempo sfruttando i ricordi. Benissimo anche questo. Quindi...”.
I suoi occhi ambrati scivolarono sul viso rilassato del vecchio Joestar e le sue labbra si incurvarono in un sorriso trionfante. La soluzione era più facile ed evidente di quanto avesse pensato.
Celeste gattonò fino ad avvicinarsi a Joseph e, cauta, gli toccò una guancia. Il vecchio storse il naso e si girò dall'altra parte, dando le spalle alla ragazza. Celeste si lasciò scappare un sospiro di sollievo e si affrettò ad allontanarsi il più possibile dal gruppetto. Trovato rifugio dietro a una duna, esultò silenziosamente ed evocò Deeper Deeper.
-”Presto, cerca il primo ricordo di suo padre che Joseph Joestar possiede!”-.
Lo Stand alzò una mano e chiese a Celeste di attendere. Un minuto dopo lo Stand abbassò la mano guantata e scosse il capo.
-”Il signor Joestar non ha memorie riguardanti il genitore”-.
Perfetto, un orfano di padre!”, pensò Celeste irritata.
Facendo un rapido calcolo mentale, la ragazza arrivò alla conclusione che il Joestar del 1888 dovesse essere il nonno di Joseph, per cui le sarebbe bastato trovare nel suo passato una persona che avesse ricordo del nonno di cui, purtroppo, non conosceva ancora il nome.
-”Deeper Deeper, acquista da parte mia un dipinto in cui sia presente una persona che abbia memoria del nonno di Joseph Joestar. Lascio tutto nelle tue mani”- disse Celeste dopo aver riflettuto un po'.
Deeper Deeper fece un breve inchino e, trascorsi un paio di minuti, tese una mano alla sua portatrice.
-”Il quadro da me scelto risale all'anno 1938. Desideri acquistare il dipinto?”-.
-”Ovviamente”-.
Il paesaggio attorno a lei si disintegrò come un mosaico infranto per poi ricomporsi rapidamente sotto un altro aspetto. Celeste si ritrovò davanti all'entrata di un hotel a quattro stelle; spaesata, si guardò attorno e capì, grazie alle insegne dei locali e alle targhe delle vie, di trovarsi a Roma. Deeper Deeper, fluttuante al suo fianco, le indicò l'albergo di fronte a loro e la esortò a entrarvi. La ragazza seguì le indicazioni dello Stand e fece il suo ingresso nella hall.
-”Cosa dovrei fare?”- sussurrò a Deeper Deeper.
-”Ristorante”- si limitò a rispondere quello.
-”Cos'è, torni a fare il misterioso? Non t'azzardare...”- sibilò Celeste a denti stretti. Nonostante il rimprovero, la ragazza dai capelli color miele seguì nuovamente l'ordine dello Stand e si diresse a passo spedito verso il ristorante dell'albergo. Appena fu entrata nella sala, un cameriere la accolse e le domandò se fosse una cliente dell'albergo o meno. Celeste rispose di no, e l'uomo in completo elegante nero la accompagnò a un tavolo. Le lasciò il menu, dicendole che sarebbe tornato non appena fosse pronta a ordinare.
-”Deeper Deeper, porca miseria, che diamine mi stai facendo fare?! Non ho uno straccio di soldo con me!”- disse Celeste a bassa voce, nascondendo il volto dietro al menu.
Lo Stand inclinò lievemente la testa di lato e a Celeste parve di sentire il suono leggero di una risata ovattata.
-”Desidero tu conosca una certa persona. Quando mi sarò ritenuto soddisfatto, proseguiremo il nostro viaggio”- disse prima di svanire.
Celeste abbassò di botto il menu sul tavolo coperto da una tovaglia azzurra e trattenne a stento un gridolino indignato. Deeper Deeper si congedò, svanendo nel nulla, e Celeste si ritrovò da sola nel ristorante di un albergo a maledire il proprio Stand. Ogni volta si ripeteva la stessa storia; perché non poteva ubbidirle e basta? Cercando di darsi un contegno, la giovane riprese in mano il menu e iniziò a consultarlo. Era sicura che prima o poi sarebbe successo qualcosa. Doveva accadere qualcosa.
Qualche minuto dopo, il cameriere si ripresentò con un blocco notes e una penna in mano, pronto a prendere l'ordinazione.
Deeper Deeper, io ti ammazzo!”, pensò mentre fingeva di essere indecisa tra due primi piatti.
Stava per arrendersi e dire al cameriere di portarle quello che voleva, quando un ragazzo dai capelli biondi si sedette al suo tavolo e ordinò per lei.
-”Ci porti due spaghetti al pomodoro Piennolo. Decideremo in seguito i secondi piatti”- disse con sicurezza.
-”Vino?”-.
-”Chianti rosso, grazie”-.
Il cameriere prese nota e se ne andò, dirigendosi verso un altro tavolo. Celeste non poté fare a meno di lanciare un'occhiataccia al ragazzo biondo, il quale, di rimando, le sorrise con fare ammaliante.
-”Buongiorno!”- la salutò intrecciando le dita sotto al mento.
E questo da dove salta fuori?”, pensò Celeste squadrandolo. Sotto a una giacca completamente bianca portava un panciotto fucsia e, sotto questo, una maglia verde militare; i guanti arancioni avevano delle strane placche metalliche sulle nocche; un papillon rosa confetto era legato direttamente attorno al collo, come se fosse una collana, e tra i capelli biondi spiccavano due piccole piume; come se ciò non bastasse, sui suoi zigomi vi erano degli strani tatuaggi rosa.
-”Seriamente, chi è il tuo stilista?”- si lasciò sfuggire Celeste.
Il ragazzo spalancò gli occhi verdi per la sorpresa e scoppiò a ridere. Il sopracciglio sinistro di Celeste scattò verso l'alto.
-”Cosa ci fa una bellissima ragazza da sola nel ristorante di un albergo? Non dirmi che stavi aspettando il tuo fidanzato, potrei morire”- disse ignorando le parole di Celeste e facendosi improvvisamente serio. -”Permettimi di offrirti questo squisito pranzo, segnurina”-.
Segnurina?”.
-”Fai pure”- disse sbrigativa. -”Posso sapere il tuo nome?”- gli domandò.
Il ragazzo parve compiacersi della risposta ricevuta e sorrise amabilmente col chiaro intento di provarci spudoratamente con Celeste.
-”Caesar”- rispose il ragazzo dagli occhi verdi.
-”Zeppeli!”- esclamò Celeste, rendendosi conto troppo tardi di ciò che aveva appena detto.
-”Sono così famoso?”- domandò Caesar ammiccando.
-”S-sì...”- mentì Celeste distogliendo lo sguardo da quegli occhi verdi dannatamente simili a quelli di Mercuzio. Non poteva crederci: stava pranzando con un lontano parente di Mercuzio, colui morto tragicamente a causa di un... Joestar.
Ma certo! Il suo Joestar è Joseph! Ma cosa c'entra Caesar con suo nonno?”.
-”E tu, segnurina, come ti chiami?”-.
-”Celeste”- rispose la ragazza distratta, ancora presa dal suo ragionamento. Perché Deeper Deeper aveva voluto a tutti i costi che incontrasse Caesar Zeppeli? In che modo quel bel ragazzo biondo avrebbe potuto rivelarsi utile nella ricerca di suo padre? Celeste alzò lo sguardo dalla tovaglia e osservò Caesar, notando che spesso i suoi occhi verdi ispezionavano la sala, come se fosse in attesa di una persona in particolare.
-”Allora... Caesar... Chi stai aspettando?”- gli domandò a bruciapelo.
Caesar sussultò e riportò gli occhi su Celeste.
-”Oh, non provare a dire che eri in trepidante attesa di un angelo come me, perché credimi, mi definirei in qualunque modo fuorché angelica”- sogghignò la ragazza.
Caesar si abbandonò sullo schienale della sedia, incrociò le braccia al petto e si esibì in un sorriso tirato.
Pessima faccia da poker”, pensò Celeste.
-”Non sto aspettando nessuno, Celeste; sono solo un cliente affamato di pasta e di amore”- mormorò allungandosi sul tavolo per posare la sua mano su quella di Celeste, la quale alzò gli occhi al cielo e sospirò esasperata. -”Raccontami di te”- le disse poi dolcemente.
La giovane si arrese e, inventandosi tutto di sana pianta, raccontò a Caesar gli eventi della sua vita fittizia; nel mentre il cameriere portò loro l'ordinazione. Caesar pareva davvero interessato al racconto, ma a Celeste non sfuggì il fatto che gli occhi del bel ragazzo continuassero a puntare la porta d'ingresso del ristorante.
Celeste era talmente intenta a inventarsi una storia interessante da non accorgersi dello strano cliente seduto a un tavolo poco distante dal suo: un ragazzo altissimo e muscoloso dai capelli castani e gli occhi verde acqua; indossava una camicia bianca dalle maniche arrotolate fino ai gomiti, un gilet rosso e delle bretelle. Quando il cameriere gli portò un piatto di spaghetti al nero di seppia, sussultò e scattò in piedi, afferrando il pover'uomo per il colletto della camicia.
-”Che roba sarebbe 'sta qui?!”- esclamò indignato. -”Questo cazzo di albergo serve ai propri clienti degli schifosi spaghetti conditi con l'inchiostro?!”-.
-”O-ovviamente no, signore!”- rispose frettolosamente il cameriere. -”Questi sono spaghetti al nero di seppia! S-spaghetti conditi con l'inchiostro fresco di seppia!”-.
Il ragazzone aggrottò le spesse sopracciglia e lanciò un'occhiata al piatto.
-”Inchiostro di seppia?”- ripeté scettico.
-”E' squisito!”- tentò di convincerlo l'uomo.
Il ragazzo mollò la presa sulla camicia del cameriere e tornò a sedersi. Celeste vide Caesar lanciargli una rapida occhiata per poi tornare a concentrarsi su di lei. Possibile che fosse proprio quel ragazzo la persona che Caesar stava aspettando? Eppure gli era familiare... Dove l'aveva già visto? Dall'accento doveva essere un turista inglese...
-”Deliziosi! Sono squisiti!”- gridò il ragazzo castano interrompendo il flusso di pensieri di Celeste e iniziando a mangiare rumorosamente.
Caesar sospirò. Si versò del vino nel bicchiere e ne bevve un sorso.
-”La qualità di questo hotel deve essersi abbassata, visto che permettono agli animali di pranzare con noi”- commentò ad alta voce.
Ma questo è pazzo!”, pensò Celeste sconvolta. “Vuole attaccar briga con quel turista?!”.
-”Segnurina, ho un regalo per te”-. Caesar tirò fuori dalla tasca dei pantaloni un ciondolo argentato con un rubino incastonato al suo centro e lo mostrò a Celeste.
-”Okay, mi sembra tu stia correndo un po' troppo...”- commentò sottovoce. Con la coda dell'occhio notò che il ragazzo inglese li stava fissando.
-”Vorrei che ogni volta che andrai a dormire, levandotelo, tu pensassi a me”- proseguì Caesar con un tono di voce abbastanza alto perché il ragazzo castano riuscisse a sentirlo.
-”Ti droghi?”- gli domandò Celeste con gli occhi sbarrati.
-”Oh no!”- esclamò l'inglese. -”Che snob! Come ha potuto dire una cazzata del genere con una faccia così seria?!”- disse concordando, nonostante non l'avesse sentita, con Celeste.
Caesar sentì il commento del ragazzo e il suo sopracciglio biondo scattò verso l'alto. Ignorò completamente la domanda retorica di Celeste e si stampò sul volto l'ennesimo finto sorriso ammaliatore. Celeste imprecò mentalmente contro il suo Stand.
-”Ah, ma prima che tu lo prenda, vorrei infondergli un po' di magia affinché il nostro amore possa durare per sempre...”-. Detto ciò, Caesar baciò il ciondolo e lo diede a Celeste, la quale lo prese con mani esitanti e con un'espressione tra lo sconvolto e il disgustato. Cosa diamine stava succedendo?
-”Ma è orribile!”- gridò il ragazzo castano scattando in piedi e portandosi le mani al viso scioccato.
Caesar lo fulminò con un'occhiataccia e Celeste stava per alzarsi e andarsene quando il giovane biondo le afferrò il mento con due dita e si avvicinò a lei.
-”E adesso suggelliamo il nostro patto con un bacio”-.
Celeste fu spiazzata dal bacio di Caesar e non riuscì a reagire. Arrossì di botto e rimase in completa balia del bel giovane. Avrebbe voluto tirargli uno schiaffo, buttargli il ciondolo nel bicchiere, rovesciargli il piatto di spaghetti addosso e andarsene, ma il suo corpo era bloccato, e non a causa del bacio di Caesar; Celeste aveva un brutto presentimento, sentiva che stava per succedere qualcosa che avrebbe potuto farle del male. L'inglese stava blaterando qualcosa, Celeste ne era certa, ma non riusciva a capire cosa stesse dicendo: le sue orecchie pulsavano e sentiva il sangue ribollirle nelle vene e agitarsi, quasi come se fosse una creatura spaventata. Una scarica di adrenalina le diede la forza per spingere via Caesar, esattamente nel momento in cui il ragazzo biondo bloccò con la forchetta degli spaghetti al nero di seppia carichi di... elettricità? Cos'erano quelle scintille che crepitavano attorno alla pasta? Caesar, poco prima di rispedire al mittente gli spaghetti, guardò stupito Celeste; la ragazza gli restituì un'occhiata spaesata e piena di incomprensione.
-”Mi scusi”- esordì un cameriere interrompendo il loro scambio di sguardi. -”C'è una chiamata per lei da parte del signor Speedwagon, signorino Caesar Zeppeli”-.
Il signor Speedwagon? Il fondatore della Fondazione?!”.
-”A-arrivo...”- rispose senza riuscire a distogliere gli occhi verdi da Celeste. -”Tu sei riuscita ad avvertirle...”- le sussurrò.
Celeste si sentì improvvisamente tirare per un braccio: finalmente Deeper Deeper era riapparso. La ragazza oppose resistenza alla presa dello Stand; voleva saperne di più riguardo a quelle strane scariche elettriche che l'avevano terrorizzata così tanto. Deeper Deeper ignorò la volontà della portatrice e agì di propria iniziativa. Il ristorante esplose in mille pezzi, e con lui Caesar Zeppeli e il rumoroso turista inglese. La giovane dagli occhi ambrati e lo Stand cambiarono ricordo per ritrovarsi in un ristorante.
Un'altra volta.

 

 

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Capitolo 28
*** Occhi ***


Celeste appoggiò le mani sulla tovaglia rossa del tavolo rotondo al quale si trovava seduta e si trattenne dal tirare il menu in testa al suo Stand.
Il locale, apparentemente più lussuoso del precedente, era affollato da persone in abiti eleganti; per un attimo, con la sua gonna a metà coscia, Celeste si sentì fuori luogo. Nuvole di fumo si innalzavano dai posacenere di numerosi tavoli, e camerieri in completo nero volteggiavano ovunque portando ricchi piatti in equilibrio sulle mani e sugli avambracci. Celeste, con sollievo, notò che nessuno era in grado di vedere Deeper Deeper.
-”Tra pochi istanti il signor Joestar entrerà in codesto ristorante assieme alla signora Erina Joestar”- disse lo Stand invitando Celeste a tenere d'occhio l'ingresso della sala.
Come era stato predetto, un ragazzone dai capelli castani, un ragazzo di colore e un'anziana dai capelli chiarissimi fecero il loro ingresso. A causa dell'apparizione del ragazzo di colore, nel ristorante calò il silenzio e un lieve vociare contrariato si elevò dai tavoli più lontani, ma Celeste non ci fece caso; ciò che la stupì fu il fatto che il ragazzo castano col giacchetto rosso chiaro fosse lo stesso tipo che nel ricordo precedente aveva attaccato briga con Caesar. Finalmente la giovane si rese conto di chi fosse: Joseph Joestar.
-”Prego, nonna Erina, accomodati”- disse spostando la sedia per far sedere l'anziana signora.
Celeste si sorprese della mancanza di accento da parte del ragazzo; eppure era pronta a giurare che nel ristorante di Roma Joseph possedesse un marcato accento inglese...
-”Codifica del linguaggio”- disse Deeper Deeper.
-”Una... traduzione istantanea?”-.
-”Non esattamente”-.
Celeste fece spallucce. Che importanza aveva? Ciò che le premeva più di tutto era trovare il modo di toccare Erina Joestar senza creare scompiglio. Purtroppo la giovane sembrava avere il tempo contato: i clienti del ristorante parevano irritati dalla presenza del ragazzo di colore che sedeva al tavolo dei Joestar, e gli occhi di Joseph stavano lanciando occhiate omicide a destra e a manca.
-”Tra settanta secondi quell'uomo darà inizio a una disputa”- disse Deeper Deeper indicando un omone seduto al tavolo vicino a quello del target di Celeste.
-”Che faccio, mi butto sulla vecchia e scappo?”- propose la giovane trattenendo una risatina. -”Settanta secondi, eh? Me li farò bastare”-.
Celeste scostò la sedia e si alzò; con la coda dell'occhio notò che un discreto numero di persone si era voltato nella sua direzione, stupito dalla lunghezza della gonna e dal fatto che una ragazza indossasse degli anfibi neri. Con nonchalance passò vicino al tavolo dei Joestar e allungò una mano, facendo cadere a terra lo scialle di Erina. Con una piccola esclamazione di finta sorpresa si chinò a raccoglierlo e posò delicatamente una mano sulla spalla dell'anziana.
-”Mi perdoni, questo scialle è suo?”- domandò sorridendo. -”Le era caduto”-.
-”Oh, sì, gentilissima!”- rispose Erina, voltandosi verso Celeste per ringraziarla. Non appena gli occhi di Erina si posarono sul viso della giovane, l'anziana Joestar si portò una mano alla bocca spalancata dallo shock. Joseph saltò su e si precipitò dalla nonna, la quale continuava a scuotere lievemente la testa e a sussurrare “Non è possibile”.
Prima che la situazione potesse degenerare, Celeste si defilò e uscì dal ristorante quasi di corsa, lasciandosi alle spalle un Joseph fuori controllo e un'Erina sconvolta per chissà quale motivo.
-”Okay, adesso basta scherzi”- si rivolse poi a Deeper Deeper. -”Ne ho le scatole piene dei tuoi giochetti. Non ho altro tempo da perdere”-.
Lo Stand annuì con un'aria che a Celeste parve rassegnata.
-”Perfetto. Destinazione: 1888, Londra, Villa Joestar. Procedi!”-.

 

 

Il cancello della villa era imponente, così come l'edificio stesso. La ricchezza della famiglia Joestar era fin troppo evidente. Celeste vide una ragazza bionda allontanarsi lungo la strada e dedusse che quella fosse Erina Joestar, da nubile...
-”Pendleton”- le suggerì Deeper Deeper.
-”E' appena stata dai Joestar?”-.
-”No. La signorina Pendleton, al momento, non ha più alcun tipo di rapporto con la famiglia Joestar”-.
Celeste corrugò la fronte ma decise di non indagare. Doveva trovare il modo di entrare nella residenza. Facendosi aiutare da Deeper Deeper, Celeste scavalcò il cancello e, guardandosi continuamente attorno, corse fino al portone. Per il momento nessuno si era ancora accorto della sua presenza.
-”Se posso permettermi”- esordì Deeper Deeper. -”Consiglio la pittura di un dipinto”-.
Celeste, che stava sbirciando l'interno della villa da una finestra, si voltò verso lo Stand dall'elmo rinascimentale e inclinò il capo di lato, chiedendogli con gli occhi di esprimersi in modo più chiaro.
-”Faremo credere alla prima persona che ti aprirà la porta di essere un ospite atteso...”-.
-”...Aggiungendo un ricordo, eh?”-. Le labbra di Celeste si incurvarono in un sorriso scaltro e dentro di sé la ragazza cantò vittoria. Allora Deeper Deeper sapeva anche rivelarsi utile a volte!
Celeste si spostò davanti al portone e sollevò un battente, facendolo ricadere pesantemente sul legno della grossa anta. Dopo lunghissimi attimi il portone si aprì facendo uscire il maggiordomo della famiglia Joestar.
-”Sì? Posso sape...”- iniziò.
Celeste lo afferrò per il colletto della camicia e lo trascinò fuori, impartendo allo stesso tempo l'ordine a Deeper Deeper.
-”Allestisci una mostra aperta al pubblico e dipingi un quadro che mi ritragga come l'ospite atteso!”-.
Deeper Deeper afferrò la testa dell'uomo e fece apparire una tela bianca sopra il maggiordomo. Nelle mani dello Stand apparve un pennello e l'essere, con velocità impressionante, dipinse sulla tela Celeste che faceva il suo ingresso nella villa scortata dal maggiordomo. Finita l'opera, afferrò il quadro per la cornice inferiore e lo spinse contro l'uomo, il quale lo assorbì e riprese subito i sensi.
-”Miss, la stavamo aspettando”- disse il vecchio maggiordomo con un breve inchino. -”Prego, da questa parte”- la invitò facendosi da parte e permettendo a Celeste di entrare nel palazzo. -”Il signorino la sta aspettando nella biblioteca”- aggiunse indicandole il piano di sopra.
Celeste non lo ringraziò nemmeno; attraversò a grandi passi l'androne e salì l'enorme scalinata due gradini alla volta. Improvvisamente aveva iniziato a sentire caldo e il battito del suo cuore aveva preso a rimbombarle nelle orecchie. Lo sentiva, era vicino! Riusciva ad avvertirne la presenza. Superò un paio di porte e piantò i piedi davanti a una terza. Suo padre era lì dietro, ne era certa. Posò una mano tremante sulla maniglia e si apprestò a eliminare l'unico ostacolo che la separava da quel mistero che rispondeva al nome di “padre”. Chiuse gli occhi e fece un respiro profondo.
Uno, due... tre!”.
Spalancò la porta, convinta di trovare un ragazzo biondo, ma il giovane che stava leggendo un libro seduto su una poltrona verde aveva i capelli neri dai riflessi bluastri e gli occhi di Giorno Giovanna.



 

NOTE DELL'AUTRICE
Con questo capitolo entriamo nella parte della storia più confusionaria di tutte; so dove voglio andare a parare e cosa voglio far succedere, ma gli elementi che fungono da collante tra i vari fatti devono essere ancora ben definiti, per cui l'aggiornamento della fic non sarà velocissimo (considerando che sono ancora in sessione d'esami) ^^" 
Alla prossima! ^^

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Capitolo 29
*** Storia ***


Degli occhi così azzurri, limpidi determinati e sinceri li aveva visti solo sul volto di Giorno. Quel giovane moro aveva i suoi stessi occhi, completamente diversi da quelli che Celeste si era aspettata di trovare oltre la porta.
Celeste tentennò, spiazzata dall'inaspettata presenza; il ragazzo posò il libro sul bracciolo della poltrona e si alzò in piedi, lo sguardo sconvolto e stupito quanto quello della giovane bionda.
-”Voi... chi sareste?”-.
Improvvisamente la voglia a forma di stella prese a bruciarle fortissimo. Celeste non rispose e si portò una mano alla base del collo, nella vana speranza di placare l'inspiegabile e lancinante dolore. Sotto gli occhi sempre più sbalorditi del giovane, serrò la mascella e strinse i denti tentando di non urlare. Era come se qualcuno la stesse marchiando a fuoco; cosa stava succedendo?
-”Vi sentite... bene?”- domandò il ragazzo moro avanzando titubante di qualche passo.
Celeste alzò un braccio e gli puntò un dito contro, formulando mentalmente un ordine che Deeper Deeper, appena apparso alle sue spalle, non fu purtroppo in grado di eseguire. Non vi era ancora stato nessun tipo di contatto fisico tra i due giovani, per cui era impossibile per Deeper Deeper modificare i ricordi di quella persona.
Avanti, toccalo!”, si spronò Celeste, ma le sue gambe non ne volevano sapere di muoversi; erano come inchiodate al pavimento, pesanti pezzi di marmo impossibili da spostare.
Il giovane, preoccupato dalle condizioni di Celeste, si precipitò verso di lei e mise una mano dietro la sua schiena, riuscendo a sorreggerla prima che crollasse a terra. Non appena il ragazzo sconosciuto la toccò, Celeste si sentì andare a fuoco; non riuscendo più a sopportare il dolore, urlò e piantò le unghie nel braccio del suo soccorritore. Prima che potesse accadere altro, Deeper Deeper, sfruttando il contatto fisico appena avvenuto tra i due ragazzi, eseguì l'ordine della sua portatrice: strinse tra le mani guantate la testa dai capelli neri-bluastri e con un colpo di alabarda spezzò in due la tela appena comparsa sopra il giovane. Il ragazzo perse i sensi e si accasciò al suolo. Celeste, facendo appello a tutte le sue forze, barcollò un poco ma riuscì a restare in piedi; si deterse la fronte dal sudore e fece dei respiri profondi, tentando di calmarsi. La voglia a forma di stella stava pian piano cessando di pulsare e di bruciare. Celeste fece per ringraziare Deeper Deeper ma lo Stand si era già dileguato.
-”Lo sapevo”- disse a un tratto una voce alle spalle della ragazza. Prima che potesse aggiungere altro, Celeste si voltò di scatto, causandosi un forte giramento di testa, e per poco non si mise a piangere: appoggiato allo stipite della porta con le braccia incrociate al petto c'era il giovane biondo, suo padre. Nella testa di Celeste stavano vorticando un sacco di domande, ma la giovane dagli occhi ambrati le mise tutte da parte per gettarsi tra le braccia del padre. Gli passò le braccia attorno al collo e lo strinse a sé, mentre lui le accarezzava dolcemente i capelli e le ripeteva quanto fosse stata brava e in gamba a riuscire a trovarlo e a rendere Jonathan inoffensivo.
-”Ci sono molte cose che devi sapere, Celeste, ma il tempo a nostra disposizione è scarso”- le disse con tono grave e scostandola un poco da sé. -”Oh, hai degli occhi bellissimi, proprio come i miei”- si compiacé il giovane biondo. Celeste arrossì e distolse lo sguardo, abbassandolo. -”Non perdiamoci in altre chiacchiere: andiamo!”-. Afferrò la figlia per un polso e, insieme, si misero a correre verso il portone della villa.

 

 

Celeste lasciò che fosse suo padre a dirigere la fuga. Il giovane biondo, senza mai lasciarle il polso, la condusse lontana dalla villa in un prato vicino alle sponde di un torrente. Una volta raggiunto quel posto, il ragazzo la liberò dalla sua presa e riprese fiato, lanciandosi qualche occhiata sospetta attorno. Celeste si sedette sull'erba, ma non fece in tempo a riprendere fiato che il giovane e avvenente padre si chinò su di lei e le mise pesantemente le mani sulle spalle; due paia di occhi ambrati si fissarono gli uni negli altri.
-”Mia adorata, sei in grave pericolo”- esordì. -”Jotaro Kujo vuole la tua morte perché sei rea di essere mia figlia”-. Celeste corrugò la fronte e tentò di chiedere spiegazioni, ma il padre la batté sul tempo, impedendole di parlare. -”Il mio nome è Dio Brando, e il giovane moro in cui ti sei imbattuta precedentemente è Jonathan Joestar, l'artefice della mia rovina e l'avo di Jotaro Kujo. Quello che sto per raccontarti è il futuro, la mia triste storia...”-.
Celeste, in completa balia del padre, ascoltò il suo racconto in silenzio. Dio, rimasto orfano in giovane età, venne adottato da George Joestar, intimo amico della famiglia Brando, e trattato da quest'ultimo come un figlio. Jonathan, invidioso del rapporto che Dio aveva instaurato con suo padre, fece di tutto per rendere la vita del fratellastro un inferno. Il culmine fu raggiunto quando, in seguito a un pesante litigio, Jonathan costrinse Dio a indossare un'antica maschera di pietra che lo rese un vampiro. Il giovane Joestar, accecato dall'invidia e dalla follia, finì per uccidere il proprio padre e accusò Dio di aver compiuto tale gesto. Dio, non potendo più esporsi alla luce del sole e divenuto un ricercato, fu obbligato a fuggire da Londra e a cercare riparo presso uno sperduto paese, ma Jonathan riuscì a rintracciarlo, spinto dall'odio e dall'invidia che provava nei confronti del povero fratellastro. Lo scontro fratricida non durò molto perché Dio riuscì ad avere la meglio su Jonathan e finì per ucciderlo involontariamente. Essendo un vampiro, Dio piangerà la morte del fratellastro per cento anni, finché il discendente di Jonathan, Jotaro, non gli darà la caccia per vendicare il suo antenato.
Celeste si sentì mancare; aver ricevuto tutte quelle informazioni in una volta sola le fece girare la testa, e una pesante morsa le attanagliò lo stomaco. Dio la sorresse prontamente e la strinse a sé, gli occhi dorati velati di lacrime.
Mio padre è un vampiro... Chissà quante persone è stato costretto a uccidere per sopravvivere...”, pensò la giovane unendosi al pianto silenzioso di Dio.
Jotaro conosceva la verità ma aveva deciso di non dirgliela. Quel fottuto biologo marino pensava davvero che sarebbe riuscito a fregarla e a ucciderla? Aveva inscenato quel teatrino sulla voglia a forma di stella per convincerla a consegnargli un campione di DNA per verificare la sua tesi... Spregevole. Ma allora perché ce l'aveva anche Giorno?
-”Padre...?”- mormorò Celeste contro la spalla di Dio. -”Qual è la storia della voglia? Perché la possiedono anche Jotaro e Giorno?”-.
Dio le accarezzò una guancia e sorrise debolmente.
-”E' un tratto caratteristico della nostra famiglia, i Brando. Quella di Jotaro e Giorno, in quanto Joestar, è falsa; si tratta di uno stupido tentativo di imitazione”- le spiegò con una lieve traccia di rabbia nella voce.
Celeste spalancò gli occhi e strinse le mani attorno al gilet del padre. E così pure Giorno le aveva mentito: era un Joestar in combutta con Jotaro! Quindi anche Mercuzio era dalla parte del biologo!
Dio vide la figlia scossa e sconvolta, e le diede un bacio sulla fronte, passandole poi una mano tra i lunghi capelli color miele. Le prese il viso tra le mani e lo avvicinò al suo, fronte contro fronte.
-”Celeste, c'è un'altra cosa che devi sapere, anche se penso che tu l'abbia già intuita: io sono morto, i discendenti di Jonathan sono riusciti nel loro intento e mi hanno ucciso. Purtroppo non so che fine abbia fatto Serena, tua madre...”-. La ragazza si lasciò sfuggire un sussulto e nuove lacrime le rigarono le guance. -”Non sei abbastanza forte da cambiare radicalmente il mio futuro, ma c'è una cosa che puoi fare e che servirà a rendere giustizia alla nostra famiglia. Sai a cosa mi sto riferendo?”-.
Celeste fissò gli occhi ambrati del padre e in essi vide ciò che Dio stava cercando di dirle. Lentamente gli angoli della bocca le si incurvarono in un sorriso complice e si ritrovò a fremere dall'eccitazione. Dio sorrise a sua volta e si alzò in piedi, tendendo una mano alla figlia per aiutarla ad alzarsi.
-”Pensi che ventiquattro ore ci basteranno per annientare i Joestar?”- gli domandò una volta affiancato.
Dio la guardò, lasciandosi sfuggire una breve risata.
-”Oh, Celeste, quello con cui adesso stai parlando è il Dio Brando umano; c'è ancora una persona che devi conoscere, il tuo vero padre: il Dio Brando vampiro portatore di Stand, colui che dovrai riportare in vita”-.

 

 

NOTE DELL'AUTRICE
Chiedo venia per il tempo che ho impiegato a scrivere questo capitolo, ma tra esami e il dover riordinare le idee è stata un'impresa trovare del tempo per scrivere >w<
Ebbene sì: Dio ha mentito spudoratamente a sua figlia per convincerla a stare dalla sua parte. Come Dio ha escogitato il suo piano e i dettagli di questo verranno svelati nel prossimo capitolo >:) 
Alla prossima! :D

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Capitolo 30
*** Tu ***


Celeste era confusa, terribilmente confusa. Aveva finalmente ricevuto delle risposte, ma nuove domande erano inevitabilmente sorte nella sua testa. Come era riuscito Dio a comunicare con lei all'interno della pinacoteca di Jotaro Kujo? Come faceva il Dio Brando del passato a conoscere il suo futuro? Qual era il grado di parentela che legava Giorno al biologo anglo-giapponese? Perché il suo cognome era “Giosta” e non “Brando”? Chi era lei in realtà?
Avrebbe voluto porre tutte queste domande al giovane biondo, ma questo, prima che Celeste potesse aprire bocca, le diede una leggera spinta e la ragazza, dopo un battito di ciglia, si ritrovò davanti al cancello di un'enorme villa giallo pallido. Un accecante e caldo sole batteva i suoi raggi sulla magione facendola quali risplendere. Celeste impiegò un minuto buono per rendersi conto di non trovarsi più nella Londra del 1888.
Possibile che questo sia un altro ricordo?”, si domandò spaesata.
Un alto muro rossiccio correva attorno alla magione e al suo giardino, difendendone il perimetro. A un tratto uno strano uccello rapace scese in picchiata dal cielo e andò a posarsi per terra a pochi passi da Celeste. Una piccola sciarpa rossa arrotolata attorno al collo e un cappuccio da falconeria con tre piume in testa, il volatile piantò i suoi occhi blu in quelli della ragazza. La giovane, incuriosita, sostenne lo sguardo indagatore del rapace finché questo non si librò in volo e sparì oltre le mura del palazzo.
Padre, dove mi hai mandata?”.
Le porte del cancello si aprirono lentamente, mostrando un rigoglioso giardino tropicale; lo attraversava un sentiero in terra battuta che conduceva all'ingresso della villa dove Celeste, dopo averlo percorso con passo titubante, vi trovò ad attenderla un giovane stravagante con indosso un completo bianco e i capelli verdastri acconcianti come un turbante. Dei grossi orecchini dorati a forma di lettera “T” e “D” spiccavano sui lobi delle sue orecchie, e sulla fronte, così come sul setto nasale e sul mento, il giovane aveva disegnati dei motivi che richiamavano delle placche metalliche. Non appena vide Celeste, lo strano ragazzo si portò una mano al petto e fece un breve inchino.
-”Se Pet Shop l'ha fatta entrare significa che lei è l'ospite atteso dal mio padrone”- esordì. -”Il mio nome è Terence D. D'Arby, il minore dei fratelli D'Arby, e sono il maggiordomo del Sommo Dio. Prego, seguitemi”- disse mettendosi di lato e indicando a Celeste l'interno buio del palazzo.
-”Prima vorrei sapere in che anno siamo”-.
D'Arby parve un poco sorpreso dalla richiesta di Celeste ma non si scompose.
-”Millenovece...”-.
-”Basta così”- lo fermò. Gettò lo sguardo a terra e fece schioccare la lingua. Doveva trovarsi nel 1988, esattamente cento anni dopo lo scontro tra Dio e Jonathan Joestar, ovvero quando Jotaro Kujo aveva deciso di mettersi in viaggio per vendicare l'avo ucciso. Affiancò il maggiordomo in bianco e annuì, facendogli intendere di essere pronta. D'Arby, camminando davanti a lei, la guidò attraverso il tetro piano terra della villa, passando per un enorme e buio salone dal soffitto altissimo.
-”Mi stia vicina o si perderà”- disse D'Arby offrendo a Celeste un braccio.
-”Il tuo padrone non può esporsi alla luce del sole, vero?”- domandò la ragazza ignorando il gesto cortese del maggiordomo. Aveva il presentimento che Terence non fosse a conoscenza della sua vera identità, per questo evitò di riferirsi a Dio con l'appellativo “padre”.
D'Arby annuì e a Celeste parve di vedere un sorriso fare capolino sulle sue labbra.
-”E' molto informata”- commentò senza guardarla. La giovane dagli occhi ambrati non rispose.
Il maggiordomo si fermò di fronte a una scalinata e indicò l'alto con una mano.
-”Al piano superiore troverà un uomo: sarà lui a guidarla dal nostro padrone”-.
Celeste osservò per un po' la schiena di D'Arby sparire nell'oscurità che regnava nel palazzo, domandandosi come avesse potuto suo padre assumere un individuo così bizzarro. Ormai i suoi occhi si erano abituati alla scarsa luce; posò una mano sul corrimano e prese a salire lentamente la scalinata, facendo attenzione a non inciampare. Raggiunto il primo piano si guardò attorno non sapendo da che parte andare. Non doveva esserci un altro tizio ad attenderla?
Vatti a fidare di uno con un paio di orecchini così orribili”.
Celeste iniziò a vagare per il primo piano in cerca dell'uomo che, secondo D'Arby, l'avrebbe condotta da suo padre. Entrò in un paio di stanze ma le trovò completamente vuote. Tornò sui suoi passi fino alla scalinata e si sedette sul primo gradino. Se avesse continuato ad aggirarsi senza una meta avrebbe finito per perdersi davvero; quella villa era straordinariamente grande, quasi infinita.
Improvvisamente qualcosa alle sue spalle sfondò la parete accanto alla porta di una stanza. Celeste scattò in piedi ed evocò Deeper Deeper. Lo Stand impugnò la sua alabarda e si piazzò davanti a Celeste in posizione difensiva. Il buio non aiutava la sua vista, ma ciò che si parò di fronte alla ragazza era simile a una grosso corpo rotondo. Le dinamiche del fatto non furono molto chiare, ma in pochi secondi al posto della palla comparve un uomo dai lunghi capelli biondo cenere con indosso un body dall'ampio scollo e un gilet aperto; portava due grossi orecchini a forma di cuore e una catenina dorata sulla fronte; con le cosce scoperte, ai piedi portava degli stivali alti fino a metà polpaccio.
Ma chi è lo stilista di 'sta gente?!”, pensò Celeste a bocca aperta.
Uno sguardo duro e arrogante si posò sui suoi occhi.
-”Ritira il tuo Stand, ragazza”- le ordinò con voce piatta. -”O non potrò condurti al cospetto del Sommo Dio”-.
Celeste richiamò Deeper Deeper e si affidò all'uomo che, secondo la giovane, era appena uscito da un video di Madonna. I loro passi riecheggiarono nell'aria, spezzando di volta in volta il silenzio surreale che aleggiava nella magione. L'uomo, al contrario di D'Arby, lungo il tragitto non le rivolse mai parola. D'altro canto Celeste non provò mai a instaurare una conversazione; aveva cose più importanti a cui pensare.
L'uomo interruppe la sua camminata di fronte a una porta apparentemente uguale a tutte le altre. Poco prima di bussare guardò Celeste dall'alto e i suoi occhi si inasprirono.
-”Osa solo sfiorare il Sommo Dio e potrai considerarti già morta”- sibilò.
Il sopracciglio di Celeste scattò verso l'alto e la ragazza sostenne con facilità lo sguardo dell'uomo. Si comportava esattamente come un servo fedele e un... fanatico. L'uomo bussò e la voce di Dio diede il permesso di entrare. L'uomo aprì la porta e attese che Celeste fosse entrata prima di richiuderla.
-”Ed eccoti qua”- disse Dio. Si alzò dal letto a baldacchino sul quale era sdraiato e andò incontro a Celeste. -”D'Arby e Vanilla Ice ti hanno trattata bene?”-.
Celeste non rispose subito. Per qualche secondo rimase spiazzata dal modo in cui il suo eterno ventenne padre era vestito: torso nudo, pantaloni gialli, cintura verde e stivali scuri alti fino alle ginocchia; le bretelle verdi come la cintura ricadevano lungo le gambe e ai polsi portava due spessi bracciali di cuoio.
-”S-sì...”- rispose alla fine.
Dio fece schioccare la lingua e fece una breve risata.
-”Ho sentito quello che Vanilla ti ha detto. Si definisce il mio più fedele servitore, sostiene di poter fare qualunque cosa per me, e non è in grado di riconoscere la mia adorata figlia? Un falco è riuscito a notare la nostra strabiliante somiglianza, ma non un essere umano. Esilarante!”-.
Celeste seguì con lo sguardo il padre andarsi a sedere a un tavolino rotondo dall'altra parte della stanza. Dio le fece cenno di seguirlo e di accomodarsi sulla sedia di fronte alla sua. Celeste si sedette e per un po' la sua attenzione venne catturata da un arco e una freccia appesi alla parete sopra di loro.
-”C'è una cosa di cui ti vorrei parlare prima di dare inizio alla nostra vendetta”- esordì Dio. -”Io sono un vampiro e tu, essendo mia figlia, lo sei a tua volta; o meglio, sei un dhampir”-.
-”Prego?”- disse la ragazza accigliata.
Dio accavallò di lato le gambe e si sorresse la testa con una mano.
-”Un dhampir è un essere nato da un vampiro e un'umana, e in quanto tale ha ereditato i punti di forza di entrambe le specie: sei forte, veloce e resistente come un vampiro, ma puoi esporti alla luce del sole come un umano; il sangue delle persone ti rende più forte, ma puoi sopravvivere anche senza berne mai una singola goccia.  Purtroppo, però, non sei dotata di giovinezza eterna come un vampiro, ma solo di una straordinaria resistenza alle ferite umane. Quando decidi di far ricorso ai poteri da vampiro entri in una modalità detta “Vampirismo” che...”-.
-”...Mi tinge gli occhi di rosso”- anticipò il padre, ricordandosi di quando aveva combattuto contro Bucciarati nel bagno del bar.
Dio accese il candelabro posato al centro del tavolo e lo avvicinò al proprio viso.
-”Come i miei”- disse indicandosi gli occhi scarlatti. -”Sei già entrata in questa modalità vero?”- le domandò rimettendo il candelabro al proprio posto.
La domanda di Dio arrivò alle orecchie di Celeste come un suono ovattato e distante. La giovane vide le labbra del padre muoversi, ma non fece caso a ciò che stava dicendo. C'era qualcosa di strano che aveva attirato la sua attenzione e che l'aveva isolata da tutto il resto: una profonda e orribile cicatrice che, come una collana, correva attorno al collo di Dio. Era come se qualcuno gli avesse tagliato la testa e gliela avesse poi ricucita al corpo.
-”...alche domanda?”-.
Celeste si riscosse dal suo stato di trance e, avendo intuito la domanda del ragazzo biondo, annuì.
-”Perché hai voluto che andassi da Giorno Giovanna se sapevi benissimo che è un Joestar?”-.
Dio non rispose subito; si concesse qualche secondo per formulare bene la risposta.
-”Sotto un certo punto di vista il giovane boss era dalla nostra parte. Ti ha protetta da Jotaro, no?”-.
Celeste dovette dargli ragione. Si sentì comunque tradita da Giorno. Le aveva promesso che non avrebbe permesso a Jotaro di avvicinarsi a lei, e invece... E invece era sempre stato dalla sua parte.
Che voltagabbana”, pensò con disprezzo.
Dio, con fare paterno, le posò una mano sulla sua e le accarezzò il dorso con il pollice.
-”E' un Joestar, cosa ti aspettavi?”- le disse in un sussurro. -”Hai altre domande? Ormai il tempo stringe”-.
-”Ecco...”-. Ne aveva. Eccome se ne aveva. Celeste avrebbe voluto sommergere il padre di questioni irrisolte e quesiti senza risposta, solo che non ebbe la forza per farlo. Aveva paura di scoprire verità di cui non avrebbe mai voluto venire a conoscenza. -”No”-.
Dio congiunse le dita delle mani e annuì.
-”A questo punto non ti resta che una cosa da fare”- disse con tono solenne. -”Aprire le danze. Le nostre danze. Finalmente la nostra famiglia avrà la sua tanto agognata vendetta... Su, è il momento di andare”-. Tese una mano sopra il tavolo e attese che Celeste la stringesse.
Gli attimi successivi, nella mente di Celeste, accaddero a rallentatore. Celeste protese la mano verso quella del padre, ma non fece in tempo ad afferrarla che Deeper Deeper apparve a fianco del tavolo e fece cadere la lama della sua alabarda in mezzo al mobile, spaccandolo a metà e impedendo la stretta di mano. Dio scattò immediatamente in piedi ed evocò il suo Stand.
-”The World! Che il tempo si fermi!”- gridò.
-”Sciocco”- lo beffeggiò Deeper Deeper. -”Celeste è immune ai poteri del tuo Stand, e, di conseguenza, lo sono anch'io”-.
-”Celeste!”- sbraitò Dio volgendo il suo sguardo in fiamme sulla ragazza. -”Cosa significa tutto ciò?!”-.
Celeste si rialzò a fatica e, gli occhi spalancati, scosse con foga la testa. Il suo Stand aveva appena ostacolato il patto con suo padre, stava agendo di propria iniziativa, ribellandosi alla volontà della portatrice. Dio capì lo smarrimento della figlia e si concentrò sullo Stand dallo smoking trinciato.
-”Non posso permetterti di tornare”- disse Deeper Deeper puntando l'alabarda direttamente alla gola di Dio. -”Non dopo tutto il dolore e la sofferenza che hai causato”-.
The World strinse un pugno attorno al bastone dell'arma e lo spezzò in due. La lama cadde ai piedi di Dio producendo un tonfo metallico che si propagò per la camera.
-”Questo Stand è particolarmente interessante e... irritante”- disse Dio incrociando le braccia al petto muscoloso. -”Sappi che ogni tua resistenza sarà...!”-.
-”Inutile?”- lo anticipò Deeper Deeper. Gettò a terra ciò che rimaneva della sua arma, si sfilò rapidamente un guanto e, con un pugno avvolto da misteriose scariche elettriche, colpì Dio in viso. Il giovane biondo, sotto lo sguardo scioccato di Celeste, venne scaraventato dall'altra parte della camera, sbattendo la schiena contro il muro. Celeste guardò stupita il padre passarsi il dorso della mano sulla guancia e fissare sbalordito Deeper Deeper. Dio si alzò in piedi e con una velocità fuori dal comune raggiunse lo Stand della ragazza, afferrandolo per il colletto dell'abito. I suoi occhi rossi come il sangue lasciavano trapelare un'emozione che Celeste non avrebbe mai creduto di trovare in suo padre: paura.
-”Non puoi essere tu...”- disse a denti stretti. -”Non puoi essere tu!”-. Con una mano dotata di unghie affilate afferrò il pennacchio dell'elmo di Deeper Deeper e con uno strattone lo fece volare via.
Celeste si tappò la bocca per non gridare. Tutto avrebbe potuto immaginare, ma non che sotto l'armatura di Deeper Deeper ci fosse una persona. Quella persona.
Un paio di fieri e limpidi occhi azzurri si piantarono in quelli del vampiro, e quegli attimi di silenzio sbalordito che avevano riempito la magione vennero infranti dal grido di rabbia di Dio.
-”JoJo!”-.





NOTE DELL'AUTRICE
Non potete immaginare da quanto tempo desideravo scrivere questo capitolo *^* Deeper Deeper ha svelato la sua vera identità (ve lo sareste mai aspettato?), ma tutto quello che c'è da sapere su di lui verrà spiegato nel prossimo capitolo. 
Cosa succederà adesso? Riuscirà Jonathan/Deeper Deeper a impedire a Dio di realizzare il suo piano? E Celeste? Scoprirà la verità su di sé e su suo padre o continuerà a credere alla versione della storia raccontata da Dio? 
Mancano pochi capitoli alla conclusione di "Deep Memories", perciò stay tuned! :D
Alla prossima! ^^

 

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Capitolo 31
*** Mostro ***


Le mani di Dio si aprirono di scatto, liberando la preda dalla sua feroce presa. Il vampiro biondo indietreggiò di qualche passo, gli occhi da gatto ridotti a due fessure disprezzanti. Celeste era pietrificata. Il suo Stand si era rivelato essere il fratellastro del padre, o meglio, il suo... fantasma?
Jonathan si tolse anche l'altro guanto e lo gettò di lato, chiudendo poi le mani a pugno e assumendo una posizione offensiva.
-”Tutto ciò è sbagliato”- disse Dio a denti stretti. -”Come puoi essere ancora vivo?”-.
-”Non sottovalutare la forza di volontà dei Joestar: è in grado di trascendere lo spazio e il tempo!”- replicò Jonathan.
Dio fece schioccare la lingua e alzò il mento, lanciando al fratellastro un'occhiata di puro odio e ribrezzo.
-”Sei sempre stato incline alle stupide frasi a effetto. Celeste...”- iniziò volgendo lo sguardo sulla ragazza. Dovette zittirsi immediatamente quando si trovò puntata alla gola la lama di una spada; a impugnarla era Jonathan stesso. Sull'elsa vi era incisa la parola “Luck” e, davanti a essa, una “P” appena visibile e dal colore rossastro.
-”Non osare rivolgere parola a mia figlia”- gli intimò Jonathan.
-”Mia figlia...?”- ripeté Celeste in un sussurro.
Dio sibilò qualcosa, un suono simile a “Wry...”, e afferrò la spada con entrambe le mani. Le stesse scariche elettriche che avevano avvolto il pugno di Jonathan presero a scorrere lungo la lama. Il vampiro provò a resistere, ma dopo qualche secondo fu costretto a mollare la presa. Le sue mani iniziarono a esalare del fumo grigiastro e alcune gocce di sangue caddero a terra. Lo sguardo spaesato di Celeste continuava a balzare da un giovane all'altro. Mentre gli occhi rossi di Dio continuavano a lanciare occhiate assassine rivolte al ragazzo moro, gli occhi azzurri di Jonathan si rivolsero verso Celeste in una silenziosa preghiera.
Fuggi”, sembravano dirle.
La determinazione, la forza e la fierezza che quello sguardo limpido lasciava trapelare sembravano essere accompagnate da una nota di tristezza e di timore; era come se Jonathan avesse già vissuto un episodio di quel genere.
-”Non posso!”- gridò Celeste. -”Ho bisogno di risposte!”-.
La spada di Jonathan premette contro il collo di Dio, ma il vampiro riuscì ad evitare che la sua testa venisse mozzata nuovamente. Spostatosi in fondo alla camera, evocò The World e tentò di fermare il tempo una seconda volta, ma, come gli aveva detto Jonathan prima, lui e Celeste erano immuni a quel potere.
-”Che il tempo torni a scorrere...”- ringhiò.
-”Celeste, devi tornare nel presente. Di lui me ne occuperò io”- disse Jonathan frettolosamente. Spinse via la ragazza e si scontrò con Dio, il quale si era appena lanciato contro di lui. Il giovane Joestar piantò un gomito nello stomaco di The World e colpì il viso di Dio con un pugno.
-”Devi andartene!”- ribadì lanciandosi un'occhiata alle spalle.
Celeste smise di respirare per qualche secondo. Era talmente scossa e confusa che non ricordava più come si facesse. Il suo sguardo era rivolto verso le due figure combattenti: una mossa da un chiaro intento omicida, l'altra che cercava in tutti i modi di sovrastare l'avversario e di difendere Celeste. Per qualche assurdo motivo, il legame che univa uno Stand al proprio portatore si era spezzato: i colpi che Jonathan, l'ex Deeper Deeper, subiva non si riflettevano su Celeste.
Perché Jonathan Joestar sta cercando di difendermi? Perché sembra che a mio padre non importi rischiare di colpirmi?”.
Più volte le Onde Concentriche scaturite dai colpi di Jonathan illuminarono per pochi attimi la camera, rivelando a Celeste il volto di Dio deformato dalla rabbia; non vi era più alcuna traccia di quel giovane biondo e gentile che si era dichiarato suo padre. La spada del Joestar deviava gli artigli del vampiro; i pugni del giovane moro venivano contrastati da quelli del giovane biondo. Sembrava che Dio avesse deciso di rinunciare al proprio Stand e di fare affidamento alle sue sole forze.
-”Celeste!”- la chiamò Jonathan. -”Non devi credere a una sola parola di quello che Dio ti ha detto!”-.
-”Silenzio!”- urlò Dio afferrando la lama della spada e troncandola a metà. Impugnò la punta della spada e tentò di pugnalare Jonathan, ma questo bloccò il colpo chiudendo i pugni attorno al polso di Dio. -”Ho un déja-vu...”- sorrise malignamente il vampiro. Strinse le dita della mano libera e tentò di conficcarla nel collo di Jonathan. Il giovane Joestar piegò le ginocchia, tirò il polso di Dio di lato, facendo scivolare il nemico in avanti, e lo colpì sulla nuca. Dio venne sbattuto con forza contro il pavimento e sputò sangue. Jonathan gli piantò un piede sulla schiena e si girò verso Celeste, lanciandole un'occhiata supplichevole.
-”E' stato Dio a uccidere mio padre! E' stato lui stesso a voler diventare un vampiro per acquisire potere ed elevarsi sopra ogni essere umano! Dio mi ha ucciso e ha preso il mio corpo! Il corpo col quale ti ha concepita è il mio! Tu sei mia figlia! Sei una Joestar!”- gridò disperato.
Celeste aveva gli occhi ambrati sbarrati. Scosse la testa prima lentamente, poi con maggior forza. Sentì le lacrime bruciarle gli occhi e scorrerle lungo le guance. Jonathan liberò Dio e corse verso Celeste. Prima che la ragazza potesse realizzare quello che era appena accaduto, Jonathan le afferrò la testa con le mani e attivò i poteri di Deeper Deeper.
-”Tornerò subito, te lo prometto”- le disse dolcemente mentre l'ambiente attorno a lei iniziava a scomporsi in piccoli frammenti di vetro. -”Cancellerò i ricordi di questo Dio, sconfiggerò una volta per tutte il suo sentimento persistente e tornerò da te”-.
La camera oscura, Dio e Jonathan si frantumarono in mille pezzi, e una straordinaria quantità di piccoli tasselli colorati iniziarono a rotearle attorno, componendo delle nuove immagini. Ormai tornata nel presente, nelle orecchie della confusa e distrutta Celeste risuonò un'ultima volta la voce di Jonathan.
Fidati solo del tuo cuore! Devi vivere!”.

 

 

Nonostante avesse la visuale annebbiata dalle lacrime, la vista della villa di Giorno le fece capire di essere tornata nel 2012. Sembrava che nessuno fosse rimasto in attesa del suo ritorno. Probabilmente Mercuzio era riuscito a tenere nascosto il suo viaggio nel tempo.
A giudicare dall'altezza del sole dovevano essere più o meno le sette di sera.
Celeste si accasciò al suolo e si strinse le braccia attorno al petto. Il suo corpo era scosso da continui singulti; si morse il labbro per evitare di urlare. Un dolore atroce la colpì all'altezza del cuore e la giovane dai capelli color miele finì per sdraiarsi per terra tra erba, foglie e lacrime. Si portò le ginocchia al petto e vi nascose il viso.
Ormai non sapeva più chi fosse. Una Brando? Una Joestar? Le uniche cose certe erano il suo nome e la sua razza; tutto il resto era completamente avvolto dalla nebbia del dubbio. A chi doveva credere? Dio Brando o Jonathan Joestar? Jotaro Kujo le aveva detto che la voglia a forma di stella non mente mai, ma la situazione in cui Celeste si trovava era molto problematica: qualcuno aveva mentito in partenza, e lei non aveva modo di capire chi fosse statp. Di chi doveva fidarsi? Jonathan si era dimostrato essere l'unico Joestar che non la voleva morta, ma Dio... Da quando aveva visto Jonathan era come se Celeste avesse smesso di esistere. Il suo odio profondo nei confronti del ragazzo era esploso all'improvviso e lo aveva fatto apparire agli occhi di Celeste come quello che, probabilmente, era: uno spietato vampiro. E se invece avesse avuto ragione lui? Se fosse stato davvero Jonathan a farlo diventare un mostro?
Dio mi ha ucciso e ha preso il mio corpo!”, aveva detto il ragazzo moro.
In quel modo si sarebbe spiegata l'orribile cicatrice sul corpo di Dio... Quindi Jonathan era nel giusto. No... Chi le assicurava che Jonathan non avesse tentato di manipolarla? Anche Giorno sembrava essere dalla sua parte, e invece... Invece cosa? Tutte le informazioni che possedeva su Giorno le aveva ottenute dal suo presunto padre, per cui potevano essere false.
Si tappò le orecchie con le mani e desiderò con tutta se stessa di svanire nel nulla.
Sola, senza il supporto del proprio Stand, in piena crisi esistenziale e quasi sicuramente ricercata da Joestar e compagnia, le era rimasta un'unica cosa da fare: fuggire. Doveva assolutamente tornare a casa dalla sua famiglia e lasciarsi quella brutta esperienza alle spalle. Non aveva la più pallida idea di come ma doveva farlo.
Batté un pugno per terra, si asciugò gli occhi e le guance e si rialzò in piedi. Jonathan le aveva detto che doveva vivere.
Questo è poco ma sicuro”, pensò, e iniziò a correre lungo il sentiero che attraversava il bosco. Corse con tutta se stessa, rialzandosi immediatamente ogni volta che inciampava e saltando gli ostacoli che riusciva a vedere. Arrivò ai piedi del colle e salì sull'autobus. Gli altri passeggeri le lanciarono delle occhiate incuriosite; era sporca di terra e aveva il fiatone. Le venne in mente che la sua borsa e i suoi vecchi vestiti erano ancora nelle mani di Trish; fece schioccare la lingua e si strinse nelle spalle.
Trascorse i tre quarti d'ora di viaggio con il cuore che le batteva a mille dall'ansia, mille pensieri che le vorticavano nella mente e un nome che non faceva altro che finirle sulle labbra. Già... Lui da che parte stava?
Appena l'autobus raggiunse l'unica fermata che Celeste conosceva, si precipitò fuori e iniziò a correre. Non aveva la più pallida idea di dove stesse andando; sperava prima o poi di incappare in un cartello che indicava la direzione per la Stazione Centrale. Per un momento pensò di prendere la metropolitana, ma dovette subito scartare l'idea: sarebbe stato difficile entrarvi senza biglietto.
E come la mettiamo col treno?”, si domandò sarcastica.
Eludere la sorveglianza della stazione era molto più facile.
A un certo punto Celeste entrò in una zona della città poco trafficata, quasi deserta. Man mano che proseguiva il numero delle persone diminuiva, così come quello dei mezzi pubblici e privati. Improvvisamente si ritrovò da sola in mezzo alla strada. Iniziò ad aleggiare un silenzio innaturale, interrotto ogni tanto dal garrito di qualche gabbiano.
C'era qualcosa che non andava.
Tutti i suoi sensi erano all'erta. Celeste avvertiva la presenza di qualcuno nelle vicinanze, qualcuno con intenti ostili. Piegò le ginocchia e scattò in avanti, ma la sua corsa venne interrotta da un proiettile che le tagliò la strada. La giovane alzò lo sguardo verso il tetto dell'abitazione alla sua sinistra e vide colui che aveva appena sparato: Mista.
-”Lascia che ti dica una cosa”- disse l'uomo a voce alta. Scese abilmente dal tetto e le si parò davanti, puntandole la pistola contro. -”Non mi sei mai andata a genio”-.
Un passo falso e l'avrebbe freddata.
-”Cosa sta succedendo?”- domandò Celeste, sorprendendosi della sua voce ferma.
-”Che ti importa? Tanto tra poco sarai morta”- rispose Mista facendo spallucce.
-”Voglio parlare con Haruno”- disse decisa.
Mista fece una breve risata di scherno ma non si mosse di un millimetro.
-”Secondo te chi mi ha ordinato di farti fuori?”-.
Quindi quello che aveva detto la verità era... Dio? Le tornarono in mente le ultime parole che Jonathan aveva pronunciato prima di rispedirla nel presente.
Fidati solo del tuo cuore! Devi vivere!”.
Ci doveva essere un motivo per cui Giorno si era unito a Jotaro, qualcosa che andava oltre il semplice legame di sangue, e Celeste era intenzionata a scoprirlo, anche a costo di diventare un mostro.
Ah, ma io sono un mostro...”, pensò divertita.
La ragazza liberò la mente e lasciò che fossero la rabbia, la frustrazione e lo spirito di sopravvivenza a prendere il sopravvento. La tanto familiare scarica di adrenalina la pervase e sentì scorrerle nella gola una voglia matta di sangue. Avrebbe potuto scommetterci l'anima: in quel momento i suoi occhi erano di un brillante rosso scarlatto.
-”Sai, Mista...”- iniziò guardandosi con noncuranza gli artigli delle mani. -”Lascia che ti dica due cose: punto primo, nemmeno tu mi sei mai stato simpatico; punto secondo... Prega per la tua anima!”-.

 

 

NOTE DELL'AUTRICE
Non ho saputo resistere alla tentazione di pubblicare subito il nuovo capitolo >:)
Celeste è più confusa che mai e ha una sola certezza: deve vivere. La strada verso la verità sembra piena di ostacoli... Cosa è successo nel presente mentre Celeste era impegnata nel suo viaggio nel passato? 
Da che parte starà Mercuzio?
Alla prossima! ^^

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Capitolo 32
*** Interrogatorio ***


[ Tre ore prima ]

 

Mentre saliva le scale che lo avrebbero condotto al primo piano, Mercuzio sapeva che molto probabilmente il boss non gliela avrebbe fatta passare liscia. Non denunciando il viaggio nel tempo di Celeste aveva tradito la sua fiducia. Avrebbe dovuto correre immediatamente dal boss, senza far passare nemmeno un minuto, invece ne erano trascorsi ben venti da quando Celeste era partita. Che scusa avrebbe dovuto inventarsi per giustificare la sua sola presenza?
Chiuse la mano a pugno e si apprestò a bussare alla porta dello studio di Giorno. Deglutì, preparandosi a un'epica lavata di capo.
Mi scoprirà subito. Be', magari non è così grave come penso”, tentò di rassicurarsi.
Prese coraggio e bussò. Il fitto vociare proveniente dall'altra parte della porta si acquietò di colpo.
-”Avanti”- ruppe il silenzio la voce di Giorno.
Mercuzio fece capolino dentro lo studio. Passò rapidamente lo sguardo su tutte le facce che lo stavano fissando ed entrò, chiudendosi la porta alle spalle cercando di fare meno rumore possibile. Perché lo studio era così affollato? Trovò Giorno seduto sulla sua poltrona, i gomiti appoggiati sulla scrivania e le dita intrecciate sotto al mento, Mista e Trish che facevano capannello con Bucciarati vicino alla libreria, un uomo con un cappotto nero che fumava appoggiato alla finestra alle spalle di Giorno e...
Il turista giapponese!”, pensò sorpreso vedendo l'uomo con la fascia a zigzag leggere un libro nell'angolo dello studio.
Guardò Giorno e dal suo sguardo capì di essere già stato scoperto; Bucciarati, come previsto, doveva aver cantato. In realtà il ragazzo biondo non sembrava arrabbiato ma quasi dispiaciuto.
-”Sono confuso”- proclamò Mercuzio indicando tutti. -”Devo fumare”-.
-”Mercuzio, non è il momento”- lo rimproverò Giorno. -”Non abbiamo tempo da perdere. Sto per spiegarti alcune cose importanti, per cui assicurati di essere al massimo delle tue facoltà mentali. Sappi che, al termine della mia spiegazione, dovrai considerarti sotto interrogatorio”- disse il boss con voce autoritaria.
Mercuzio rimise la sigaretta che aveva da poco preso in mano nel pacchetto che rinfilò nella tasca dei jeans. Guardò Giorno con gli occhi spalancati, convinto di aver frainteso gran parte del suo discorso. Cercò con lo sguardo il supporto di Mista, ma questo fece di tutto per evitare un contatto visivo col giovane Zeppeli.
-”Io... Io credo di non aver capito”- disse dopo aver buttato giù il groppo che gli si era formato in gola.
L'uomo con la fascia a zigzag chiuse il libro e si lasciò scappare una breve risata.
-”Kujo, è in momenti come questi che la tua mirabolante dote della sintesi sarebbe più che apprezzata!”-.
Kujo, il gigante col cappotto nero, si calò la visiera del cappello sugli occhi, spense la sigaretta nel posacenere appoggiato al davanzale della finestra e si schiarì la voce. Giorno si appoggiò allo schienale della poltrona e lo guardò, passandogli tacitamente la parola.
-”Mi chiamo Kujo Jotaro. Sono la persona dalla quale Celeste Giosta stava scappando. Sono un... lontano parente del tuo boss”-.
-”Jotaro è il nipote del figlio del mio fratellastro”- specificò Giorno. -”E' più... grande di me perché mio padre era un vampiro; io sono nato nel 1985, il mio fratellastro George II nel 1889”-.
Mercuzio alzò di scatto le mani e sorrise, nervoso.
-”Un momento, un momento! Fatemi capire...”-.
-”Non c'è tempo”- tagliò corto Jotaro. -”Devi prendere per vero tutto quello che ti diremo”-.
-”Ma stiamo scherzando?!”-.
-”Zep, fai come ti dicono”- si intromise Mista.
Mercuzio gli lanciò un'occhiataccia; ce l'aveva ancora con lui per il mancato scambio di sguardi di prima. Si aspettava un po' più di complicità da parte sua. Si strinse il setto nasale tra due dita e sospirò.
-”D'accordo”- si arrese stringendosi nelle spalle. -”Ma vi prego, fatemi fumare”-.
Decisamente contrariato, Jotaro spostò il posacenere sulla scrivania di Giorno e lanciò un accendino a Mercuzio. Il giovane moro si accese la sua tanto agognata sigaretta e si sentì un poco meglio.
Il padre del boss un vampiro: che scempiaggine”.
-”Celeste Giosta è figlia di un uomo molto pericoloso. Nonostante io l'abbia visto morire anni fa, sono più che certo che siamo tutti vittime di un suo piano postumo. Il suo nome è Dio Brando ed è anche il padre di Giorno”-.
-”No, no, no, no”- disse rapidamente Mercuzio facendo oscillare la mano che reggeva la sigaretta. -”Non ci sto capendo più un cazzo! Azzurro è la sorella del boss?!”-.
-”Sorellastra”-.
Mercuzio alzò i palmi verso l'alto e fece scattare un sopracciglio verso l'alto. Quanti fratellastri aveva Giorno? Guardò il boss e questo si strinse nelle spalle, come a dire “Eh già”.
-”Celeste Giosta è il frutto di una manipolazione genetica. E' nata dal seme di Dio Brando quattro anni dopo la sua morte”- proseguì Jotaro ignorando lo spaesato e sconvolto Mercuzio. -”Teoricamente lei e Giorno sono figli di Dio, ma praticamente sono figli di un'altra persona, del mio avo Jonathan Joestar”-.
Joestar”.
Mercuzio vedeva le labbra di Jotaro muoversi ma nessun suono fuoriusciva da esse. Gli era bastato sentir pronunciare quel cognome per tagliare i contatti col mondo circostante.
Joestar”.
Aveva appena ricevuto la conferma definitiva: Celeste era una Joestar. Lo sapeva da tempo, ma in cuor suo aveva sempre sperato di essersi sbagliato. Non solo Celeste, ma anche Giorno lo era. Il fumo della sua sigaretta gli passò davanti agli occhi facendogli mettere a fuoco l'elemento sbagliato.
Cosa sta dicendo Kujo? Ah, fanculo, che m'importa...”.
Aveva vissuto gli ultimi sette anni della sua vita con la costante presenza di un Joestar. Come aveva fatto a non accorgersene? Forse perché Giorno non era un purosangue? Mercuzio era sicuro che Jotaro gli stesse spiegando proprio quel particolare, ma ormai per lui era troppo tardi tornare nel mondo sensibile e seguire il filo del discorso dello spilungone.
Morirò”, concluse Mercuzio facendo lievemente spallucce. “Sono finito in una storia che riguarda direttamente la famiglia Joestar. Morirò”.
-”Grazie, nipote”- disse in lontananza Giorno. -”Spero ti sia tutto chiaro”-.
-”...Sì”- mentì Mercuzio riscuotendosi.
-”Benissimo”-. Giorno guardò Bucciarati e gli fece uno strano cenno col capo. Il ragazzo dagli occhi lilla si separò da Mista e Trish e affiancò Giorno dietro la scrivania. Rohan, apparentemente estraneo alla questione, seguì i movimenti del giovane con uno sguardo svogliato.
-”E' il momento dell'interrogatorio, suppongo”- constatò Mercuzio spegnendo la sigaretta. Jotaro fece un breve grugnito d'assenso e allungò una mano per riprendersi avidamente il posacenere, posandolo poi sul davanzale della finestra. Mercuzio interpretò il gesto del biologo come una sfida e si accese una seconda sigaretta, costringendo Jotaro a spostare nuovamente il posacenere.
-”Bucciarati, è tutto tuo”- disse Giorno interrompendo il silenzioso duello.
Mercuzio vide con la coda dell'occhio Mista trasalire. Il giovane Zeppeli si ricordò di tutte le volte in cui il collega più anziano gli aveva raccontato della particolare abilità che Bucciarati dimostrava di avere per gli interrogatori. Sarebbe riuscito a tener testa a un maestro come lui? Era arrivato il momento di decidere se continuare a coprire Celeste anche a costo di arrampicarsi sugli specchi, o se vuotare il sacco e prepararsi alle conseguenze. Per qualche secondo incrociò gli occhi con Jotaro e Rohan; i loro sguardi, uno duro e l'altro disinteressato, lasciavano trapelare una certa nota di ostilità che non sfuggì a Mercuzio. Quei due avrebbero sicuramente fatto del male a Celeste.
Devo proteggerla”.
-”Prima di cominciare devi sapere due cose”- esordì Bucciarati. -”Uno: non puoi mentire. Se una tua risposta sarà ritenuta sincera, ricorrerò allo Stand del signor Kishibe per leggere nei tuoi ricordi e scoprire se hai mentito o meno”-. Rohan, sentendosi chiamato in causa, alzò gli occhi dal libro e sorrise perfidamente. -”Due: come penso tu abbia ormai capito, tutti i qui presenti sono portatori di Stand, per cui non puoi scappare”-.
Mercuzio annuì e fece spallucce, mettendo su la miglior faccia da poker del suo repertorio; in realtà, dentro di sé, la pressione che Bucciarati gli aveva appena messo addosso lo stava uccidendo. Gli sguardi azzurri di Jotaro e Giorno, così simili l'uno all'altro, sembravano volergli leggere l'anima. Il giovane moro prese due boccate di fumo consecutivamente, tentando di mostrarsi tranquillo.
Perfetto, mi ammazzano”, pensò però.
-”In quali circostanze hai conosciuto Celeste?”-.
D'accordo, questa domanda mi sembra semplice e innocua. Direi che posso rispondere sinceramente”.
-”La Squadra della Sera mi aveva chiesto di investigare su di una ragazza bionda che stava cercando informazioni sul boss. L'ho trovata, bloccata e portata qui alla villa”- rispose Mercuzio scandendo le azioni con movimenti delle mani.
-”Le hai mai chiesto per quale motivo fosse venuta a Napoli?”-.
Fatto noto e universalmente riconosciuto”.
-”Sì. Ha sempre risposto che una voce nella sua testa le aveva detto che recarsi a Napoli e trovare Giorno fosse l'unico modo per sopravvivere”-.
-”Cosa sapevi di suo padre prima di oggi?”-.
-”Niente”-.
-”Conoscevi l'identità dell'uomo che le dava la caccia?”-.
-”Jotaro Kujo? No”-.
-”Eri a conoscenza dei poteri del suo Stand?”-.
Voglio vedere come funziona lo Stand del turista...”.
-”No”- mentì.
Bucciarati si zittì e Giorno storse le labbra. Rohan mise a posto il libro, aprì una cartella di pelle e ne estrasse un pennino; con rapidi e precisi movimenti disegnò per aria una figura che prese vita e che si lanciò contro Mercuzio, aprendogli il volto e rendendolo un libro dalle pagine sfruscianti.
-”Che cazzo...?!”- esclamò Mercuzio retrocedendo di qualche passo e inciampando sui suoi piedi.
Rohan gli si avvicinò e si chinò su di lui, scorrendo velocemente le informazioni contenute nelle pagine.
-”Sì, ne era a conoscenza. Glieli ha rivelati la ragazza quando ha casualmente riportato in vita Bucciarati”-.
-”Proprio come ti avevo detto”- si rivolse Bucciarati a Giorno. -”E tu che non volevi credermi”-.
Jotaro incrociò le braccia al petto e fece schioccare la lingua. Trish e Mista si scambiarono una rapida occhiata. Numero 5 uscì dal tamburo della pistola si andò a posare sulla spalla di Mista, portandosi le piccole mani alla testolina a forma di goccia.
-”Che faccio, chiudo?”- domandò Rohan indicando il viso di Mercuzio.
-”Non ancora”- disse Bucciarati puntando gli occhi lilla in quelli verdi del giovane Zeppeli.
-”Perché stiamo perdendo tempo in questo modo?”- sbottò Jotaro. -”Leggiamo tutte le informazioni che ci servono e...”-.
-”No”- lo interruppe Giorno. -”Attualmente Mercuzio è sotto processo. Sto verificando la sua lealtà nei confronti di Passione”-.
Il ragazzo moro si toccò con dita tremanti la faccia, trasalendo quando sfiorò gli angoli delle pagine. Era finita, non c'era più niente che potesse fare per proteggere Celeste. L'unica cosa che gli era rimasta da fare era raccontare la verità e pregare che nessuno avesse cattive intenzioni nei confronti della ragazza. Si alzò in piedi, raccogliendo da terra la sigaretta che gli era caduta.
-”Boss, cosa volete farle?”- domandò audacemente.
Giorno abbassò lo sguardo e non rispose. In quel momento Mercuzio capì tutto. Celeste non doveva tornare nel presente, altrimenti...
La vogliono uccidere”.
-”Quella ragazza non è umana”- si affrettò a spiegare Jotaro vedendo Mercuzio cambiare atteggiamento. -”E' un dhampir. E' una dhampir figlia di Dio Brando e portatrice di Stand. La sua sola esistenza è un pericolo per l'umanità”-.
Il giovane dagli occhi verdi scosse la testa, prima lentamente, poi con veemenza. Soffermò lo sguardo su tutti i presenti, e avvertì una morsa attanagliargli il petto quando notò che nessuno sembrava intenzionato a schierarsi in difesa di Celeste. Guardò con disperazione Giorno, sperando che uno stretto legame di sangue potesse salvarla, ma il giovane biondo scosse impercettibilmente la testa.
-”Dov'è lei?”- gli domandò Bucciarati a bruciapelo.
Doveva fuggire. Doveva trovare Celeste prima che fossero loro a farlo. Non poteva permettere che venisse uccisa. Incrociò casualmente lo sguardo di Mista; i suoi occhi lo stavano pregando di non farlo.
Mi dispiace”, pensò Mercuzio evocando Chaosmyth e stendendo Rohan con un colpo a sorpresa. Il mangaka perse i sensi e gli effetti di Heaven's Door su Mercuzio svanirono. Tentò di trasformarsi in fumo e di scappare dalla finestra, ma il processo di trasformazione non venne completato perché uno Stand simile a un guerriero maya lo afferrò per la testa e lo sbatté contro il pavimento. La vista di Mercuzio venne offuscata da una miriade di lucine bianche scoppiettanti.
-”Non... Non vi... permetterò di... di ucciderla...”- boccheggiò.
Un rivolo di fumo serpeggiò fino a Jotaro ed entrò nelle sue narici. Il biologo spalancò di scatto la bocca e si portò le mani alla gola. Il suo petto si alzava e si abbassava, ma i suoi polmoni, otturati dal fumo di Chaosmyth, non funzionavano correttamente. Bucciarati scavalcò la scrivania con un balzo e assestò un calcio ben piantato al costato di Mercuzio, il quale incassò il colpo in silenzio e perse il controllo sul fumo di Jotaro. Il biologo riprese a respirare normalmente e un'espressione di puro odio si dipinse sul suo volto. Bucciarati afferrò il giovane Zeppeli per una spalla e lo fece girare supino. Si chinò su di lui e lo afferrò per la maglietta, avvicinandolo al suo viso.
-”Ripeterò la domanda: dov'è Celeste?”-.
Mercuzio sorrise e volse lo sguardo da un'altra parte.
-”Mi sa che per saperlo dovrete aspettare che il damerino laggiù si riprenda”- sghignazzò tra qualche colpo di tosse.
Bucciarati guardò Trish che era accorsa in soccorso di Rohan. La ragazza scosse la testa, facendogli capire che il mangaka non aveva ancora ripreso conoscenza. L'ex capo sorrise di rimando a Mercuzio e nei suoi occhi passò fulminea un'ombra minacciosa.
-”Sembra che il signor Kishibe impiegherà un po' per riprendersi, e ciò singifica che io ho un sacco di tempo a disposizione per pestarti come si deve”-.



 

NOTE DELL'AUTRICE
Mentre Celeste era impegnata nel suo viaggio nel passato alla ricerca del padre, Mercuzio se l'è dovuta vedere con Giorno e compagnia bella. Come andrà a finire? 
Piccola nota sulla Squadra della Sera: ho immaginato che Giorno, una volta diventato boss, avesse cambiato i nomi delle squadre di Passione rendendoli un po' più consoni al proprio nome; nella mia mente le altre squadre hanno titoli del tipo "Squadra del Mattino", "Squadra dell'Alba", "Squadra del Mezzogiorno", "Squadra della Mezzanotte", e via dicendo. Non ho introdotto gli altri membri di Passione perché ho voluto che la storia di Celeste rimanesse una "questione di famiglia"; sì, ovviamente Passione conta numerosi membri, ma nessuno di loro farà la sua comparsa.
Alla prossima! ^^

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Capitolo 33
*** Sottovalutato ***


Bucciarati non si era trattenuto. Aveva sfogato la sua rabbia e la sua frustrazione sul corpo del giovane Zeppeli. Non si era ritenuto soddisfatto finché non aveva visto Mercuzio chiudere gli occhi e non muoversi più.
Giorno guardava le chiazze di sangue sparse sul pavimento del proprio studio con uno sguardo assente, come se i suoi occhi stessero in realtà osservando tutt'altra scena.
Mista, non appena l'ex capo aveva dato inizio al pestaggio, si era voltato dall'altra parte. Non poteva guardare un caro amico venir preso a botte in quel modo, semplicemente non ci riusciva. I colpi inferti sul corpo ormai esanime di Mercuzio rimbombavano nelle sue orecchie.
Numero 5 si era messo a piangere.
Trish avrebbe voluto gettarsi sul ragazzo e implorarlo di vuotare il sacco; era l'unico modo per porre fine alla sua sofferenza. Si reggeva al braccio di Mista e teneva lo sguardo abbassato, serrando le palpebre ogni volta che Mercuzio vomitava sangue.
Jotaro non era riuscito a fare a meno di riconoscere e ammirare la tenacia degli Zeppeli, ma nessuno poteva impedirgli di pensare che il ragazzo moro fosse stato un completo idiota.
Rohan, dopo aver ripreso conoscenza, del tutto apatico disegnava la scena sul suo blocco degli schizzi. I pestaggi di Josuke e Okuyasu non erano minimamente paragonabili a quello di un mafioso adirato. Non poteva certo lasciarsi sfuggire un'occasione del genere.
Mercuzio non aveva mai sofferto così tanto in vita sua. Soffriva fuori e soffriva dentro. Non era stato lui a tradire Passione; era stata Passione a tradire lui.

 

 

[Un'ora e mezza dopo]


Mista si acquattò sopra al tetto del palazzo e aprì il tamburo della pistola per controllare le condizioni dei Sex Pistols. Sembravano tutti operativi e pronti all'azione; tutti tranne Numero 5.
-”Cumpà, che ne dici di darci un taglio?”- lo riprese seccato. -”Abbiamo una missione da compiere”-.
Dopo aver lasciato che Bucciarati infierisse su Mercuzio fino a farlo svenire, Rohan aveva ricorso nuovamente a Heaven's Door per leggere i ricordi del ragazzo e scoprire dove si trovasse Celeste Giosta.
-”Dobbiamo ucciderla appena farà ritorno nel presente”- aveva stabilito Jotaro. -”Che al suo seguito ci sia Dio o meno”-.
Mista picchiettò la testolina di Numero 5 con l'indice della mano sinistra e non riuscì a non riservargli una breve occhiata compassionevole. Anche lui era dispiaciuto e stava in pensiero per Mercuzio, ma quel ragazzo scapestrato se l'era cercata.
Mista si portò una mano alla piccola ricetrasmittente auricolare e premette il pulsante per l'invio di un messaggio vocale.
-”Calma piatta”- si limitò a comunicare.
-”Passerà da lì per forza”- rispose la voce profonda di Jotaro.
-”La stazione è ancora libera”- aggiornò la situazione Bucciarati.
Mista infilò un dito nel grilletto della pistola e prese a farla roteare, lo sguardo fisso sulla strada sotto di lui. Per qualche assurdo motivo Kujo era sicurissimo che la ragazza avrebbe effettuato un percorso ben preciso che l'avrebbe condotta alla Stazione Centrale. Giorno gli era andato dietro, concordando con la tesi del nipote. Mista se ne era tirato fuori, limitandosi a eseguire gli ordini del boss; che diritto aveva di mettere bocca in un affare di famiglia o di discutere un ordine?
Jotaro, Giorno, Mista e Bucciarati si erano divisi: Bucciarati pattugliava la Stazione Centrale, Mista l'ipotetico percorso di Celeste, Giorno il centro storico di Napoli e Jotaro il lungomare. Trish e Rohan erano rimasti alla villa a sorvegliare Mercuzio.
-”Mi... gira... la... testa...”- disse Numero 2 pronunciando ogni parola a un giro diverso.
Mista afferrò l'impugnatura della pistola e si scusò coi Sex Pistols.
Perché si sentiva così teso? Cos'era che lo turbava? Aveva un brutto presentimento, la sensazione che qualcosa sarebbe andato storto. Giorno avrebbe dovuto ricorrere all'aiuto della Squadra del Pomeriggio, ma per un motivo a lui sconosciuto aveva deciso di tenere fuori tutti i membri di Passione estranei alla faccenda. Placcare una dhampir con soli quattro uomini?
Così non la prenderemo mai...”, pensò storcendo la bocca. “Sembra quasi che il boss...”.
I suoi pensieri vennero interrotti da un rumore di passi di corsa proveniente dalla sua destra. Si affacciò un poco e sorrisone di soddisfazione si stampò sul suo volto. Celeste interruppe la sua corsa e piantò i piedi in mezzo alla strada, guardandosi sospettosamente attorno. Mista si sdraiò e puntò la pistola un poco più avanti rispetto alla posizione della ragazza, la quale fece un inaspettato scatto in avanti.
Come se ti lasciassi scappare!”, pensò Mista beffardo. Sparò un colpo e Celeste si bloccò nuovamente. Alzò il capo nella direzione dalla quale era stato sparato il proiettile e incrociò lo sguardo con Mista.
-”Lascia che ti dica una cosa”- disse a voce alta e scendendo abilmente dal palazzo. Le si parò davanti e le puntò la pistola contro. -”Non mi sei mai andata a genio”-.
Gli occhi di Celeste, prima fissi in quelli di Mista, scivolarono lentamente sulla pistola.
-”Cosa sta succedendo?”- domandò con voce ferma.
-”Che t'importa? Tanto tra poco sarai morta”- rispose Mista facendo spallucce. I Sex Pistols risero sommessamente.
-”Voglio parlare con Haruno”- disse Celeste con decisione.
Mista rise. Davvero quella ragazza credeva di essere così in confidenza con Giorno? E che diritto aveva di chiamarlo col suo vero nome?
-”Secondo te chi mi ha ordinato di farti fuori?”-.
In una manciata di secondi l'atmosfera attorno alle due figure cambiò; sia Mista che i Sex Pistols se ne accorsero. L'aura attorno a Celeste si incupì, diventando quasi una nube oscura e minacciosa visibile a occhio nudo. Le sue iridi, solitamente di un caldo oro, sfumarono rapidamente in un rosso scarlatto. Le unghie delle sue eleganti mani divennero artigli affilati e i canini della ragazza si appuntirono. Mista sentì il proprio battito cardiaco accelerare e aumentò la presa attorno al manico della pistola.
-”Sai, Mista...”- iniziò Celeste guardandosi con noncuranza le unghie. -”Lascia che ti dica due cose: punto primo, nemmeno tu mi sei mai stato simpatico; punto secondo...”-. Nei suoi occhi passò un'ombra omicida. -”Prega per la tua anima!”-.
Mista non fece in tempo a comunicare agli altri la posizione del bersaglio che questo si lanciò contro di lui e lo stese con una ginocchiata nel petto. Celeste ruotò su se stessa e gli tirò un calcio nel costato. Mista, completamente preso alla sprovvista, rotolò per qualche metro. Si rialzò a fatica e sputò per terra un grumo di sangue, fulminando con un'occhiataccia Celeste. La ragazza rispose allo sguardo bellicoso con una risata che mise in evidenza i canini sporgenti.
-”La vecchiaia incombe, eh Mista?”- lo beffeggiò incrociando le braccia al petto.
L'uomo dal copricapo a losanghe in tutta risposta sparò una serie di proiettili contro Celeste. Numero 1 e Numero 2 ne indirizzarono uno verso il suo ginocchio sinistro, Numero 3 verso la sua spalla destra e Numero 6 esattamente al centro della sua fronte. Dei tre proiettili lanciati solo uno andò a segno, il più letale. Celeste venne colpita alla fronte e cadde a terra all'indietro. Il rumore della sua testa che batteva contro il selciato riecheggiò nell'aria accompagnato dai garriti dei gabbiani. I suoi capelli color miele si macchiarono di sangue. Mista rimase a osservare il corpo inanimato di Celeste per qualche secondo, un ghigno di soddisfazione che gli sfregiava il volto.
-”Missione compiuta!”- cantilenò ai compagni. -”Il bersaglio è stato abbattuto”-.
-”Ne sei certo?”- gli domandò Jotaro sospettoso.
Mista si avvicinò a Celeste e picchiettò la canna della pistola contro la testa della ragazza. Nessuno poteva sopravvivere a un proiettile conficcato nel cervello.
-”Signor Kujo, per chi mi ha preso?”- domandò divertito.
-”Dove ti trovi?”- gli chiese Giorno.
-”Sono in Via...”-.
Mista non se ne rese conto subito. Quando vide uno strano oggetto venir scagliato lontano da sé si chiese solamente da dove fosse spuntato fuori. Istintivamente abbassò lo sguardo e notò con orrore che Celeste era sparita. Al suo posto, oltre all'enorme lago di sangue lasciato dalla sua testa, vi erano delle macchioline rosse causate da gocce di sangue che sembravano provenire da... lui.
-”Oh...!”- mormorò Celeste accucciata a pochi metri da Mista. Raccolse da terra lo strano oggetto e lo strinse tra l'indice e il pollice, portandoselo all'altezza degli occhi. -”Guarda guarda, una ricetrasmittente!”- esclamò. -”Oh, c'è pure un orecchio! E' per caso tuo?”-.
La mano sinistra di Mista si tastò il lato del viso e iniziò a tremare quando l'uomo si rese finalmente conto di aver perso un orecchio. Il dolore lo colpì all'improvviso, come se questo si fosse ricordato solo in quel momento di dover contattare il cervello e le terminazioni nervose. Mista strinse i denti; non voleva gridare e dare soddisfazione a quel mostro. Celeste guardò Mista con aria di sfida. Tolse la ricetrasmittente dal padiglione auricolare e la frantumò con un pestone, poi leccò il sangue che colava dall'orecchio mozzato. Mista si portò una mano alla bocca e trattenne a stento un conato di vomito.
-”Sai cos'è divertente? Il fatto che io al momento sia priva di Stand ma riesca comunque a tenerti testa!”-.
-”Puttana...!”- disse Mista a denti stretti. Sparò un altro colpo e questa volta Celeste si lasciò colpire. Guardò il foro in mezzo al proprio petto e scoppiò a ridere.
-”Guarda, ti mostro una cosa!”- disse entusiasta. Indicò il foro sulla sua fronte e quello sul suo petto; sotto gli occhi stupefatti di Mista, i proiettili fuoriuscirono autonomamente dal corpo della ragazza e caddero a terra con un suono metallico. Le ferite si rimarginarono immediatamente.
-”Non puoi battermi”- disse con semplicità. Spalancò le braccia e le fece ricadere lungo i fianchi. Si gettò alle spalle l'orecchio di Mista e avanzò lentamente verso il portatore dei Sex Pistols.
Mista, purtroppo, dovette ammettere a se stesso di essere con le spalle al muro. La sua pistola era completamente inefficace contro Celeste; nemmeno i Sex Pistols potevano fare qualcosa. La testa gli pulsava terribilmente, il lato sinistro gli faceva un male cane. Aveva preso sottogamba la missione e sottovalutato la dhampir. I suoi occhi scarlatti erano puntati su di lui, sentiva lo sguardo della ragazza addosso. Con mani tremanti aprì il tamburo della pistola. Non gli era rimasta altra scelta.
-”Numero 5, corri ad avvertire il più vicino...”- ordinò con voce flebile.
Celeste afferrò Mista per il collo e lo sollevò da terra con una facilità spaventosa. Non degnò nemmeno di uno sguardo la pistola caduta a terra e i Sex Pistols attorno a essa; sembrava non essere in grado di vederli. Le punte delle dita della giovane si conficcarono nel collo dell'uomo. Il corpo di Mista si irrigidì e l'uomo guardò Celeste con gli occhi spalancati.
-”Mi è piaciuto il tuo sangue, ne voglio ancora”- spiegò la dhampir leccandosi le labbra.
Numero 5 e Mista si scambiarono una rapida occhiata. Il piccolo Stand, le lacrime agli occhi, si separò dal resto dei Sex Pistols. Mista si ritrovò a pregare con tutto se stesso che qualcuno dei suoi compagni si trovasse dentro al raggio d'azione del suo Stand. Chiuse gli occhi, rassegnato. Sentiva le forze abbandonarlo, il sangue confluire verso un altro corpo. Qualcuno sarebbe riuscito ad arrivare in tempo? Qualcuno sarebbe riuscito a salvarlo? I suoni e i rumori attorno a lui si facevano pian piano sempre più ovattati e distanti. L'unico suono che risultava ancora perfettamente udibile era la voce della ragazza, plasmata in un verso inquietante e al tempo stesso incomprensibile.
-”Wryyyyyy!”-.



 

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Capitolo 34
*** Colpa ***


Rohan tese un braccio di fronte a sé e inclinò in varie angolazioni la matita che teneva in mano. Strizzò l'occhio sinistro e strinse le labbra. Annuì un paio di volte, compiaciuto; poi tornò a tracciare linee morbide e precise sul blocco di fogli che teneva appoggiato sulle gambe. Mercuzio, il torso, le gambe e le braccia legati stretti alla sedia, lanciò un'occhiata bellicosa al mangaka. Rohan lo ignorò.
Appena aveva ripreso i sensi, Mercuzio si era ritrovato nel seminterrato nel quale giorni prima, insieme a Mista, aveva rinchiuso Celeste. Aveva sospirato, pensando a quanto potesse essere stata comica la sorte. Il ragazzo moro avvertiva varie contusioni in tutto il corpo. I suoi vestiti erano sporchi di sangue, lo scollo a V della maglietta si era sformato lasciando ora intravedere maggiormente i suoi pettorali. Per qualche strano motivo Bucciarati non lo aveva mai colpito in viso.
Trish, in piedi a fianco alla piccola finestrella, teneva le braccia incrociate al petto e gli occhi abbassati sulle sue scarpe. Sembrava far di tutto per evitare un qualsiasi contatto visivo con Mercuzio. Il giovane, notando questo suo comportamento, non poté fare a meno di offenderla mentalmente; gliene avrebbe dette di tutti i colori se non fosse stato per il nastro adesivo da pacchi che gli sigillava le labbra.
-”Questo viaggio è stato molto produttivo”- ruppe il silenzio Rohan senza distogliere gli occhi dal suo disegno. -”Ho avuto modo di raccogliere del materiale interessante”-.
Come se me ne fregasse qualcosa...”, pensò Mercuzio riducendo gli occhi verdi a due fessure.
Il giovane Zeppeli fece vagare lo sguardo per la stanza e impallidì quando si rese conto di non poter fumare. Si domandò quanto tempo fosse passato dall'ultima sigaretta che aveva fumato.
Troppo, decisamente troppo”, concluse facendo un respiro profondo.
Batté un piede a terra per richiamare l'attenzione degli altri due e provò a parlare. Il nastro adesivo era più resistente di quanto pensasse. Si innervosì e prese ad agitarsi sulla sedia per quanto gli era possibile.
-”Oh! Questa è esattamente l'espressione che stavo cercando!”- esclamò Rohan prendendo un nuovo foglio.
Devo fumare, devo fumare, devo fumare, devo fumare, devo fumare...”.
-”Credo che stia cercando di dirci qualcosa...”- disse Trish esitante.
-”Potresti aspettare che io finisca?”- domandò il mangaka. Più che una domanda il suo sembrava un ordine.
Mercuzio avvertì l'improvviso impulso di spaccare la faccia a Rohan e di prendere a pugni quell'ignava di Trish. Era l'unica che qualche ora prima non aveva aperto bocca. Persino quel voltagabbana di Mista aveva detto qualcosa, anche se stupido. Quel mangaka poi... La sua sola esistenza era irritante. L'avrebbe volentieri soffocato coi poteri di Chaosmyth.
Il giovane Zeppeli si agitò così tanto da far rovesciare la sedia di lato. Si ritrovò a fissare con occhi iracondi gli stivaletti marroni di Trish.
-”Crisi d'astinenza, eh?”- commentò Rohan appoggiando il blocco da disegno per terra. -”Be', tientela”-.
Mercuzio spalancò gli occhi e prese ad agitarsi e a tirare calci all'aria. Tutto sarebbe riuscito a sopportare, ma non una crisi d'astinenza da nicotina. Era ben consapevole del fatto di aver imboccato da tempo la via del non ritorno; per lui smettere di fumare era ormai impossibile, così come ridurre il numero di sigarette.
-”Maestro Rohan, non penso ci sia niente di male nel concedergli di fumare”- disse Trish guardando il giapponese.
Rohan fece roteare gli occhi e scosse la testa. Lanciò un'occhiata di sottecchi alla ragazza e fece schioccare la lingua.
-”Niente fumo”- stabilì lapidario.
Io ti ammazzo!”, pensò Mercuzio stringendo i pugni.
-”Maestro Rohan, la prego...”- lo supplicò Trish.
Sia Mercuzio che Rohan la guardarono stupiti. Nessuno dei due credeva che una persona come Trish fosse capace di supplicare qualcuno in quel modo. Il mangaka, dopo qualche secondo di silenzio, andò a tirare su la sedia di Mercuzio. Dopo avergli riservato un'occhiata di sufficienza, si mise al collo la macchina fotografica.
-”Vado a prendergli le sigarette nello studio del vostro boss. Pensi di potertela cavare per una decina di minuti? Ne voglio approfittare per fare qualche foto”-.
Trish annuì. Il mangaka uscì dal seminterrato e si richiuse dolcemente la porta alle spalle. L'idea che tra qualche minuto avrebbe potuto fumare fece stare un poco meglio Mercuzio. Si accasciò sulla sedia e sospirò rumorosamente. Trish gli si avvicinò e con un gesto deciso gli strappò il nastro adesivo dalla bocca. Mercuzio strinse i denti e si passò la punta della lingua sulle labbra screpolate.
-”Grazie”- borbottò quasi sarcasticamente.
Trish appallottolò il nastro adesivo e lo gettò per terra.
-”Mi dispiace”- fu tutto quello che riuscì a dire.
-”Ti aspetti che ti creda?”- le domandò alzando un sopracciglio.
-”Sì”- ammise Trish.
Mercuzio fece schioccare la lingua e distolse lo sguardo dalla ragazza dai capelli fucsia, lasciandoci sfuggire un commento poco garbato.
Il garrito dei gabbiani risuonava nella stanza attraverso la finestrella. Mercuzio chiuse gli occhi, vagando coi ricordi e richiamando alla memoria i tempi in cui era solito passeggiare sul lungomare napoletano col nonno, Augusto Zeppeli. Ricordò la perplessità che nasceva in lui quando osservava gli strani segni rosa scuro sugli zigomi del nonno, segni che, chissà per quale motivo, solo a lui erano stati negati fin dalla nascita.
-”Perché la vogliono uccidere?”- domandò dopo un po'.
Trish si strinse le braccia attorno alla vita e fece spallucce. Fece per rispondere dicendogli che gli era già stato spiegato, ma Mercuzio la anticipò, rubandole la parola.
-”Non ha scelto lei di essere figlia di quella persona. Che colpa ne ha? Solo perché suo padre è questo Dio Brando Verde merita davvero la morte? Pensaci, Trish, la storia si sta ripetendo; non è esattamente la stessa cosa che accadde a te?”-.
Mercuzio vide negli occhi di Trish un piccolo cedimento. Aveva colto nel segno. Sapeva bene che la ragazza era rimasta segnata dagli eventi accaduti undici anni prima. Una vicenda del genere non si dimentica tanto facilmente. Trish serrò le labbra e gli voltò le spalle.
-”Trish, liberami. Io devo aiutarla. Tu avevi Bucciarati e la sua gang, lei... lei ha solo me”- continuò Mercuzio.
-”...Lascia perdere, pensa a vivere”- mormorò la flebile voce della ragazza. -”Ti firmeresti da solo la condanna a morte”-.
Mercuzio fece spallucce e scoppiò a ridere. Trish si voltò di scatto, indispettita dall'insolita reazione del giovane moro.
-”Credi che il boss mi risparmierà dopo tutto quello che è successo? Oh, andiamo! Io sono già morto!”- esclamò. -”Ma prima di lasciare questo mondo c'è una cosa che devo fare, ed è evitare che Arancione venga con me”- disse serio.
Una risolutezza del genere Trish l'aveva vista solo in Bucciarati. Gli occhi della ragazza si riempirono lentamente di lacrime e un sorriso tirato comparve sul suo volto. Mercuzio comprese i sentimenti di Trish e chinò il capo. Il suo discorso non era solamente servito a convincere la ragazza a liberarlo, ma anche a farle capire che quello che Giorno e gli altri stavano per fare era sbagliato.
Trish tirò lievemente su col naso, si asciugò elegantemente le lacrime che avevano preso a correrle lungo le guance e voltò nuovamente le spalle a Mercuzio. Spice Girl, il suo Stand, apparve di fronte al giovane Zeppeli e lo liberò dalla spessa corda che lo teneva inchiodato alla sedia.
-”Io non ho visto niente”- disse Trish cercando di assumere un tono irritato. -”Sarà meglio per te che il giapponese non ti trovi. Sappi che io negherò tutto. Considerami pure una traditrice, ma non ho intenzione di mettermi contro i miei salvatori. Dirò loro che mi hai attaccata”-.
Mercuzio si massaggiò le membra doloranti e sorrise. Il tempo stringeva. Si trasformò in fumo e serpeggiò in aria velocemente, dirigendosi verso un luogo ben preciso.

 

 

L'astinenza si faceva sentire, ma al momento aveva cose molto più importanti a cui pensare. Spiò dal buco della serratura e vide che lo studio del boss era deserto. Vi si introdusse silenziosamente, correndo poi verso la libreria di sinistra. Una volta da ragazzino aveva visto Giorno premere il dorso di uno specifico libro e un intero ripiano della libreria era fuoriuscito e scorso verso l'alto, rivelando una nicchia segreta. Mercuzio sapeva bene che tipo di oggetto conteneva lo scrigno rettangolare celato all'interno della stretta nicchia e sapeva altrettanto bene che il suo furto avrebbe rappresentato un tradimento a Passione in piena regola.
Col cuore che gli martellava nel petto e un'insana ansia originata dal pensiero che il mangaka avrebbe potuto scoprirlo e dalla crisi d'astinenza, Mercuzio si mise a scorrere con gli occhi i titoli dei libri, maledicendo Giorno per la quantità spropositata di tomi che aveva accumulato nel corso degli anni. Quando finalmente trovò il libro giusto esultò: il “Paradiso Perduto” di Milton. Senza esitazione premette il dorso. Le sue orecchie udirono un leggero clic e immediatamente il ripiano fuoriuscì dal suo asse, spostandosi poi verso l'alto. Esattamente come ricordava, agli occhi di Mercuzio si palesò la nicchia e al suo interno lo scrigno di legno. Dopo essersi lanciato un'occhiata furtiva alle spalle, il giovane moro si gettò sul cofanetto rettangolare e lo aprì.
La punta tagliente e decorata della Freccia sembrava sorridergli.

 




NOTE DELL'AUTRICE
Mancano così pochi capitoli alla fine di Deep Memories che sono elettrizzata e tristissima allo stesso tempo D:
Non lascio nessun commento per paura di fare spoiler involontari >w< 
Al prossimo capitolo! ^^

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Capitolo 35
*** Freccia ***


-”Signor Kujo, per chi mi ha preso?”- domandò Mista divertito.
-”Dove ti trovi?”- gli chiese Giorno.
-”Sono in Via...”-.
Una suono simile a un una cascata di ghiaia sovrastò le parole di Mista. Bucciarati si portò una mano alla ricetrasmittente e provò a chiamare il compagno un paio di volte, ma non ricevette alcuna risposta. Allarmato, contattò Giorno.
-”L'abbiamo perso”- disse il boss di Passione con voce turbata. -”Si è sicuramente sopravvalutato...”-.
Bucciarati serrò la mascella e si lanciò una rapida occhiata alle proprie spalle. Si trovava costretto a dover interrompere il pattugliamento della Stazione Centrale; non poteva non accorrere in aiuto di un suo caro amico.
-”Signor Kujo, mi descriva nuovamente l'ipotetico percorso di Celeste Giosta. Le consiglio di abbandonare il lungomare e di sostituirmi alla Stazione. Se ci saranno problemi vi contatterò immediatamente. Non possiamo lasciarci le spalle scoperte”-.
Giorno approvò la modifica del piano e Jotaro diede a Bucciarati le informazioni richieste. Il giovane dagli occhi lilla, incurante degli eventuali sguardi dei passanti, evocò Sticky Fingers e materializzò una cerniera lungo il percorso indicatogli dal biologo giapponese. Scivolando su di essa, Bucciarati si apprestò a raggiungere Mista il più velocemente possibile.
Dopo qualche minuto l'apparecchio acustico fece uno strano rumore.
-”Oh...!”- mormorò la voce di Celeste. -”Guarda guarda, una ricetrasmittente!”- esclamò. -”Oh, c'è pure un orecchio! E' per caso tuo?”-. Poco dopo si udì un terribile “crack”.
Merda!”, pensò Bucciarati aumentando la velocità. Sembrava che per Mista le cose si stessero mettendo male. Fortunatamente Dio Brando non era riuscito a tornare dal passato... L'unico pericolo era costituito da Celeste, molto probabilmente entrata nella sua “modalità dhampir”. Jotaro Kujo, prima di partire per la missione, aveva detto che l'unico modo per uccidere un vampiro era ricorrere a una speciale e antica tecnica basata sul respiro e sulla circolazione del sangue, la Tecnica delle Onde Concentriche. Purtroppo tale tecnica non poteva essere appresa da tutti; la sua era una trasmissione genetica. L'ultimo membro della famiglia Joestar in grado di usare le Onde Concentriche era il nonno di Kujo, l'ultranovantenne Joseph Joestar. Apparentemente Celeste Giosta era invincibile.
-”In realtà esiste un modo per ucciderla”- aveva sostenuto il biologo. -”Farla tornare al suo stato umano e ucciderla come si farebbe con un normale essere umano”-.
Bucciarati stava riflettendo sul modo in cui avrebbe potuto far “rinsavire” la ragazza quando un esserino a lui fin troppo familiare gli piombò addosso, tenendosi stretto ai suoi capelli per non volare via.
-”Numero 5!”- esclamò il giovane sorpreso.
Il piccolo Stand, com'era solito fare, scoppiò a piangere, ma Bucciarati vide nelle sue lacrime una disperazione che non aveva mai conosciuto. Lentamente il corpo di Numero 5 divenne sempre più diafano. Bucciarati inorridì e afferrò lo Stand, esortandolo a parlare.
-”Stiamo morendo! Stiamo morendo!”- gridò Numero 5. -”La ragazza ci ammazzerà!”-.
-”Dov'è Mista?!”-.
-”Di qua!”- mugulò l'esserino indicando con insistenza una via sulla destra di Bucciarati.
Il ragazzo dagli occhi lilla non se lo fece ripetere due volte: deviò il suo percorso sulla cerniera e si fiondò verso la direzione indicata da Numero 5. Il piccolo Stand, adagiato sulla mano di Bucciarati, si accasciò pian piano e chiuse gli occhi. L'ex capo abbassò per un attimo lo sguardo sulla propria mano e un grido disperato uscì dalle sue labbra. Aveva già vissuto una scena del genere su quel maledetto treno per Roma, quando Mista stava per morire e aveva mandato Numero 5 ad avvertire i suoi amici. Non poteva permettere che la storia si ripetesse, non poteva permettere che anche lui morisse.
Quando vide la ragazza sollevare Mista per il collo non ragionò più. Sfruttando la spinta datagli dalle cerniere di Sticky Fingers, Bucciarati si lanciò contro Celeste e la colpì sulla guancia con un pugno. La giovane dagli occhi scarlatti mollò la presa su Mista, volteggiò per aria e atterrò elegantemente qualche metro più in là. Bucciarati afferrò al volo l'amico e sparì dentro una cerniera aperta sotto i suoi piedi, riemergendo dal terreno a una decina di metri di distanza dalla dhampir. Con la disperazione negli occhi guardò il viso sofferente di Mista. Il suo corpo aveva visibilmente perso troppo sangue: la pelle era rugosa e grigiastra, come incartapecorita, e i movimenti del suo addome erano appena percettibili. I Sex Pistols erano spariti.
Celeste si leccò la punta delle dita che fino a qualche attimo prima stavano conficcate nel collo di Mista. Guardò Bucciarati con uno sguardo a metà tra lo scocciato e il curioso. Le macchie di sangue sui suoi abiti e sui suoi capelli mettevano in risalto i suoi occhi rossi dalla pupilla affilata.
-”E così ci rivediamo, Raffaella!”- trillò. -”Noto con pacere che indossi ancora la felpa che ti abbiamo comprato”-.
Bucciarati adagiò Mista per terra e si alzò in piedi, parandosi di fronte a lui come a volerlo proteggere col proprio corpo. Celeste recepì il messaggio e si coprì la bocca col dorso della mano, ridendo e socchiudendo gli occhi.
-”Oh...! Ma cosa hai capito? Ne ho avuto abbastanza di lui. Il suo è il sangue di un perdente”- disse la dhampir calcando l'ultima parola. -”Mi hai sentita, Mista? Sei debole, debole!”- gli gridò contro.
Una nuova cerniera appena apparsa sulla strada fece scivolare velocemente Bucciarati verso Celeste. La ragazza schivò elegantemente l'offensiva frontale ma venne colta in pieno dalla raffica di pugni scagliatale contro da Sticky Fingers, strategicamente apparso alle sue spalle. Un suono secco riecheggiò nell'aria e Bucciarati capì che la forza del proprio Stand era riuscito a spezzarle una costola. Celeste, dopo aver compreso la meccanicità dei colpi subiti, afferrò il braccio di Sticky Fingers e lo sfruttò come leva per balzare in aria e raggiungere il tetto del palazzo sul quale Mista si era appostato per tenderle la trappola. La giovane incrociò le braccia al petto e alzò il mento, guardando Bucciarati dall'alto in basso.
-”Che seccatura...”- sbottò premendo il pollice sul costato e sistemandosi la costola spezzata. Sotto lo sguardo stupito del ragazzo dai capelli neri, Celeste alzò un dito e inclinò il busto verso destra. Un altro suono inquietante si propagò nell'ambiente attorno a loro. -”Sì è aggiustata!”- esclamò spalancando gli occhi e sorridendo, mettendo in bella vista i canini.
Bucciarati la guardò scendere dal tetto con un salto e atterrare graziosamente e leggermente, come se il suo corpo fosse fatto di piume. All'improvviso capì cos'era successo a Mista e non poté fare a meno di comprenderlo: si era sopravvalutato, certo, ma si era anche reso conto che contro un essere del genere lottare in singolo era inutile. Celeste Giosta non era umana; avrebbe potuto mozzarle un arto o aprirle un buco nella pancia, ma lei non sarebbe mai caduta in ginocchio.
Con gli occhi lilla puntati su di lei, Bucciarati contattò Giorno e Jotaro.
-”Chiedo rinforzi”- si limitò a dire con voce ferma. -”Via Geronimo Carafa”-.
Celeste lo osservò incuriosita. Socchiuse le labbra e da esse fece capolino la punta della sua lingua. Il suo comportamento era simile a quello di un predatore: lo sguardo, minaccioso e divertito al tempo stesso, non faceva presagire nulla di buono.
A un tratto Celeste spostò il peso sulla gamba sinistra e si portò una mano sul fianco.
-”Bucciarati”- ruppe il silenzio. -”E' giunto il momento di tornare da dove provieni”-.
Il suono dell'ultima parola raggiunse le orecchie di Bucciarati nello stesso momento in cui la dhampir si era scagliata contro di lui. Gli trinciò la giacchetta con le unghie affilate di entrambe le mani, lo spinse all'indietro con una ginocchiata nel petto, ruotò su se stessa e lo colpì alle caviglie con un pestone. Bucciarati cadde a terra, ma Celeste lo fece rialzare conficcandogli tre dita nella giugulare.
Il giovane dagli occhi lilla urlò dal dolore e strinse con forza la mano di Celeste, pur ben sapendo che se lei l'avesse estratta per lui sarebbe stata la fine.
-”Dimmi, Carrà, perché volete uccidermi?”- gli domandò.
Bucciarati dimenò i piedi per aria e strinse i denti. Lanciò un'occhiata a Mista e sperò con tutto se stesso che fosse ancora vivo e che per lui ci fosse anche una sola piccola speranza di sopravvivenza.
-”S-sei un... mostro...”- mormorò Bucciarati a fatica.
-”Oh... Non vuoi dirmelo? Pazienza”- si strinse nelle spalle Celeste. -”Vorrà dire che farò fuori tutti finché qualcuno non mi spiegherà la situazione. Ah, Bucciarati, lascia che ti sveli un segreto: io non vedo più gli Stand”-.
Nei pochi secondi che precedettero l'azione spregevole e tremenda di Celeste, Bucciarati si vide nuovamente passare davanti agli occhi tutta la vita. La sua gang occupò gran parte della sua mente, ma il viso sorridente di Trish era il ricordo che splendeva più degli altri. Aveva avuto una seconda possibilità e non era riuscito a sfruttarla al meglio. Il destino, a volte, sapeva essere davvero perfido: la persona che gli aveva donato una seconda chance era quella che lo stava per uccidere una seconda volta.
Celeste aprì di scatto le tre dita piantate nel collo del giovane. La giugulare venne trinciata di netto, così come il collo stesso. La testa di Bucciarati cadde a terra e rotolò finché non incontrò i piedi di Giorno. Il giovane biondo, appena arrivato in loco assieme a Jotaro, con volto impassibile si chinò a raccogliere la testa del migliore amico, ma questa, così come il suo corpo accasciato ai piedi di Celeste, tornò a essere pura pittura per dipinti. La dhampir si guardò disgustata le dita sporche di tinta e le scosse con ribrezzo.
-”Celeste...”- mormorò Giorno. Il suo sguardo incappò in Mista e il suo viso di indurì un poco. Sentì la pesante mano di Jotaro sulla spalla che gli chiedeva di farsi da parte e di lasciare a lui la questione, ma Giorno rifiutò. Avanzò con decisione e sicurezza verso la sorellastra, finché questa non ridusse gli occhi felini a due fessure e non scoprì i denti minacciosamente.
-”Celeste, in quanto figlia di Dio Brando, dhampir e potenziale assassina, mi trovo costretto a... eliminarti”-.
-”Haruno, in quanto figlia di nessuno, essere umano e giovane innocente, mi trovo costretta a... eliminarvi”- ribatté Celeste.
Prontamente Jotaro fermò il tempo e si apprestò a spostare Giorno dalla traiettoria del fendente della ragazza bionda. Purtroppo in due secondi non era possibile fare altro. Non appena il tempo tornò a scorrere, Celeste portò a termine il colpo e si sbilanciò in avanti a causa dell'assenza del bersaglio. Star Platinum la afferrò per un braccio, ma la giovane, dotata di una forza straordinaria, si disarticolò volontariamente la spalla e riuscì a liberarsi dalla presa dello Stand. Si allontanò da Giorno e Jotaro e lanciò loro un'occhiata in cagnesco mentre si sistemava la spalla.
-”Nipote, mi sembra giusto tu sappia che non ho alcuna intenzione di ricorrere a Gold Experience Requiem”- disse Giorno senza distogliere gli occhi dalla sorellastra.
Jotaro fece schioccare la lingua e spinse il giovane da parte.
-”Lo avevo intuito”- borbottò seccato. Evocò Star Platinum e si lanciò contro Celeste. La ragazza era certamente veloce, ma non quanto i pugni dello Stand. Era strano: la giovane incassava i colpi con sguardo assente, come se...
...Come se non fosse in grado di vedere Star Platinum”.
Jotaro colpì Celeste con un calcio inaspettato e osservò la ragazza rotolare a terra e rialzarsi lentamente. Fece muovere Star Platinum alle proprie spalle e notò che Celeste non lo degnava nemmeno di uno sguardo. Allora era proprio come aveva intuito...
Giorno, mentre Jotaro era impegnato nel combattimento con Celeste, corse da Mista. Sospirò di sollievo quando si rese conto che l'amico stava ancora respirando. Le sue condizioni non erano delle migliori, ma molto probabilmente se la sarebbe cavata. Si voltò verso la lotta che si stava svolgendo alle proprie spalle e strinse i pugni, rassegnato. Aveva giurato a se stesso che, se ce ne fosse stato davvero bisogno, avrebbe eliminato Celeste con le sue stesse mani, ma adesso... Non ce la faceva. Il solo pensiero di ammazzarla lo faceva star male. Aveva ucciso Bucciarati, certo, ma lui in realtà era già morto; aveva quasi fatto fuori Mista, ma lo aveva fatto per legittima difesa. Guardò Jotaro tentare di sfruttare al meglio le potenzialità di Star Platinum per tenere testa alla dhampir e si sentì un ignavo.
Alla fine il suo senso della giustizia ebbe la meglio sui sentimenti. Evocò Golden Experience e questo intrappolò Celeste in un solido intreccio di piante rampicanti. La ragazza si voltò di scatto verso Giorno e urlò con rabbia il suo nome. Jotaro approfittò dell'occasione creata dal boss di Passione per riempire Celeste di pugni potenti. Il grido di battaglia di Star Platinum risuonava nelle orecchie dei presenti. Il sinistro rumore delle ossa di Celeste che si frantumavano sotto i colpi violenti dello Stand del giapponese sembrava voler sovrastare la voce del guerriero maya.
Dopo un ultimo e potente “Hora!”, Celeste venne scaraventata contro un palo della luce. La ragazza inarcò la schiena e prese a tossire, sputando una discreta quantità di sangue. Jotaro serrò la mascella quando si accorse che le fratture della giovane erano già guarite, ma un lieve sorriso fece capolino dalle sue labbra quando Celeste alzò il viso e lo guardò: i suoi occhi erano ambrati; era riuscito a farla tornare umana. Giorno lo affiancò e con estrema riluttanza legò Celeste al palo con un trancio di vite spuntato dal terreno. I due le si avvicinarono, uno con grandi falcate, l'altro con passi esitanti.
-”Mi dispiace, ma non ci sono alternative”- fu tutto quello che Giorno riuscì a dire. Si rivolse a Jotaro e lo guardò con uno sguardo quasi supplichevole. -”Fa' che sia rapido e indolore”-.
Jotaro si sistemò il cappello e annuì. Evocò Star Platinum: The World. Avrebbe fermato il tempo e colpito mortalmente Celeste alla testa in quel lasso di tempo; era l'unica cosa che poteva fare per venire un minimo incontro alla richiesta del ragazzo biondo. Stava per ordinare a Star Platinum di fermare il tempo quando una figura prima opalescente poi sempre più nitida apparve di fronte alla ragazza. Il suo smoking trinciato e dalle varie tonalità di blu era inconfondibile.
-”Deeper Deeper...!”- mormorò Celeste sorpresa.
Lo Stand spalancò le braccia nello stesso istante in cui una nube di fumo si condensò di fronte a lui, frapponendo un'altra figura tra Celeste e Jotaro. Un Mercuzio trafelato fece la sua comparsa. Giorno notò immediatamente ciò che il ragazzo stava stringendo nella mano destra.
-”Mercuzio, no!”- gridò, facendo per scagliarsi contro di lui.
Il giovane Zeppeli non gli diede ascolto. Rapidamente si voltò e conficcò la punta della Freccia nel petto di Deeper Deeper. Immediatamente, l'ambiente circostante venne inondato da una fortissima luce bianca proveniente dallo Stand dall'elmo rinascimentale.






NOTE DELL'AUTRICE
E' con rammarico che vi annuncio che il prossimo capitolo di Deep Memories sarà l'ultimo. Ebbene sì, ormai è tutto finito...
Alla prossima :(

 

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Capitolo 36
*** Colore ***


La bianca parete che apparve di fronte ai suoi occhi sembrava dotata di un'altezza spropositata; su di essa vi era appeso e incorniciato un numero apparentemente infinito di dipinti, tutti ritraenti lo stesso soggetto. Ritratti, primi piani, mezzibusti, figure intere, panoramiche... In tutte le opere esposte era presente Celeste. Uno spesso cordone dorato separava il muro dal resto della pinacoteca e di fronte a esso era stato piazzato un solitario pannello. “Titolo della mostra: Celeste Giosta. Artista: Vari” erano le parole che il pannello riportava orgogliosamente.
Celeste era accanto a lui, lo sguardo stupito e la bocca spalancata in un silenzioso grido di meraviglia. Gli occhi verdi del ragazzo indugiarono a lungo su di lei. Nonostante gli abiti rovinati, la pelle piena di lividi e di graffi, e il sangue che le colava lentamente addosso, Celeste era bella, bella come sempre.
Gli angoli della bocca di Mercuzio si incurvarono in un sorriso dolcissimo. Afferrò la ragazza per un polso e la attirò a sé, stringendola forte tra le sue braccia. Pensava che non l'avrebbe mai più rivista, era quasi certo di fallire nel suo intento. Sentì le sue mani tremanti scivolare dietro la sua schiena e stringere la maglietta.
-”Ciao Viola”- la salutò in un sussurro.
-”Ehi...”- rispose lei, il viso nascosto nella maglia di lui. -”Mi dispiace di averti coinvolto in tutto questo”-.
Mercuzio posò le mani sulle spalle di Celeste e la scostò un poco da sé per poterla guardare in viso. I suoi occhi ambrati lasciavano intravedere un senso di disperazione che Mercuzio aveva visto solamente nei suoi di occhi, quando aveva ucciso la propria famiglia. Le passò un pollice sulle labbra e sorrise imbarazzato; non credeva di star per dire e fare una cosa tanto sdolcinata. Si chinò su di lei e finalmente, dopo giorni interi passati a lottare contro il proprio orgoglio, la baciò. Avvertì l'esitazione e la sorpresa di Celeste, ma quando fece per staccarsi la ragazza intrecciò una mano nei suoi capelli neri e gli restituì il bacio.
-”Partners in crime”- mormorò Mercuzio contro le labbra di Celeste, divertito.
-”Partners in crime”- ripeté Celeste scoppiando a ridere.
Il momento di intimità tra i due ragazzi non durò purtroppo a lungo.
Deeper Deeper, di cui i due si erano completamente dimenticati, fece la sua comparsa nella pinacoteca dai muri bianchi. La Freccia era ancora piantata nel suo petto. Le mani inguantate si alzarono e si posarono sull'elmo, levandolo dal capo e mostrando il volto di un Jonathan Joestar dagli occhi malinconici. Mercuzio non sapeva che sotto l'armatura di Deeper Deeper si nascondeva una persona, e non sapeva nemmeno che la persona in questione era il vero padre di Celeste. Jonathan posò una mano sull'asta della freccia e con decisione la estrasse dal suo corpo. Si sciolse il papillon e si sfilò i vestiti di dosso, rivelando un altro tipo di abbigliamento sotto lo smoking: una maglietta celeste senza maniche, dei proteggispalle di duro cuoio, dei pantaloni grigi, degli stivali marroni alti fin sotto le ginocchia e dei guanti marroncini. Celeste si separò da Mercuzio e raggiunse Jonathan, in piedi accanto al pannello esplicativo. Sotto lo sguardo sbigottito del giovane Zeppeli, Jonathan posò una mano sulla spalla di Celeste e sorrise debolmente e forzatamente.
-”Non vi è altra soluzione”- le disse con rammarico.
-”Lo so”- sussurrò Celeste chinando il capo.
-”Mercuzio Zeppeli”- si voltò Jonathan verso il ragazzo moro. Mercuzio sussultò nell'incrociare uno sguardo assurdamente simile a quello di Giorno. -”Buon sangue non mente”- commentò compiaciuto. -”Grazie per aver protetto mia figlia fino alla fine”-.
La parola “figlia” lo fece tentennare. Come sarebbe a dire? Quella ragazza era figlia del proprio Stand? O forse... Forse lui era Dio Brando? Chi era quel giovane dai capelli bluastri? Una voglia a forma di stella fece capolino dalla maglietta indossata dall'ex Deeper Deeper.
Dio ha rubato il corpo del mio trisavolo Jonathan Joestar”. Kujo non aveva detto una cosa del genere?
E così lo spirito di Jonathan, il primo Joestar la cui vita era stata sconvolta da Dio Brando, era sempre stato accanto a Celeste, vegliando su di lei. Mercuzio scosse la testa e non poté fare a meno di rivolgere a quella strabiliante famiglia un pensiero pieno di ammirazione.
E pensare che noi Zeppeli siamo destinati a morire per mano loro...”.
Jonathan spinse dolcemente da parte Celeste. Assunse una strana posa e il suo respirò iniziò a produrre un rumore insolito. Delle inconsuete scariche elettriche rosse presero a scorrere lungo le sue braccia muscolose.
-”Scarlet Overdrive!”- gridò balzando oltre il cordone e sfondando la tela di uno dei dipinti. Questo prese immediatamente fuoco e le fiamme che scaturirono da esso si propagarono velocemente verso gli altri quadri. Presto l'intera parete venne avvolta da lunghe e scarlatte lingue di fuoco. L'ossigeno, catturato dal fuoco ingordo, faceva compiere all'aria dei movimenti assurdi, come se l'interno della pinacoteca fosse scosso da un forte vento.
-”Cosa sta succedendo?!”- domandò Mercuzio coprendosi gli occhi con un braccio. La luminosità dell'incendio e i forti spostamenti d'aria rendevano quasi impossibile tenere lo sguardo alzato.
Celeste si voltò verso il giovane, le mani intrecciate dietro la schiena e una lacrima solitaria che le correva lungo la guancia destra.
-”Rosa, ti prego, dimmi che sta succedendo!”-.
Il vento caldo le sferzava il viso. La sua tipica acconciatura, una mezza coda, si sciolse, e i lunghi capelli macchiati di sangue presero a volteggiarle intorno. Le fiamme alle sue spalle, intanto, stavano aumentando.
-”Non potevo fare altrimenti...”- disse alzando la voce per sovrastare il crepitio del rogo. -”Ero con le spalle al muro!”-.
Mercuzio avanzò di qualche passo ma una pericolosa lingua di fuoco si separò dalle altre e, passando sopra la testa di Celeste, si frappose tra i due giovani. Mercuzio lanciò un'occhiata disperata a Celeste, ma questa abbassò gli occhi e si morse il labbro. Il giovane Zeppeli venne colpito dall'insolito comportamento della ragazza; non l'aveva mai vista comportarsi in un modo così schivo e... impotente. Era come se si fosse rassegnata ad accettare un triste destino. I suoi occhi verdi vagarono sulla parete in fiamme e sui dipinti bruciati e inceneriti. In un improvviso lampo di genio Mercuzio capì cosa stava succedendo. Come aveva potuto impiegare così tanto tempo per comprendere le circostanze? Provò a lanciarsi contro Celeste ma l'insolita lingua di fuoco era ancora lì, ligia e fedele al suo compito.
-”Rosso, non lo fare!”- gridò disperato.
Celeste si strinse nelle spalle e gli lanciò un'occhiata fugace.
-”E' troppo tardi per tornare indietro. Presto tutti si dimenticheranno di me. Tutti, comprese le persone con cui non ho avuto alcun tipo di contatto fisico ma che sono a conoscenza della mia esistenza; è questo il potere di Deeper Deeper Requiem. Tutti, compreso tu”-.
L'ultima frase fu come una pugnalata al cuore. Mercuzio vacillò; le gambe, diventate come sabbia bagnata, non ressero il peso del suo corpo e il giovane cadde in ginocchio, le braccia distese lungo i fianchi.
Era tutta colpa sua. Se non avesse trafitto Deeper Deeper con la Freccia, lo Stand non avrebbe acquisito quel potere in più e... No, ma cosa andava a pensare? Se non lo avesse fatto a quell'ora Celeste sarebbe stata uccisa da Jotaro senza tanti ripensamenti. Aveva fatto la scelta più corretta ed era giusto che adesso anche lui ne pagasse il prezzo.
Guardò il volto della giovane dai capelli color miele oltre le fiamme, rimanendo letteralmente incantato dai suoi occhi ambrati pieni di lacrime e da quel suo bellissimo sorriso, dolce e tremendamente triste al tempo stesso. La sua mente e il suo cuore stavano lottando ferocemente contro perché l'una sosteneva di non aver mai visto quella ragazza, mentre l'altro era più che convinto di trovarsi di fronte alla donna della sua vita. Nella memoria di Mercuzio presero a vorticare una moltitudine di nomi, tutti riguardanti i vari colori della scala cromatica.
-”Ormai il processo di cancellazione è giunto al termine...”- disse la ragazza misteriosa.
-”Provvederò a fornire a tutti dei ricordi alternativi”- proclamò il giovane in piedi accanto a lei. E lui chi era?
La testa gli faceva un male cane. Era sicurissimo del fatto che gli stesse accadendo qualcosa di terribile, qualcosa che stava andando contro la sua volontà.
Qualcosa dentro di lui gli stava gridando che la morte sarebbe stata la soluzione migliore.
-”Be', Mercuzio, addio”- lo salutò piangendo la ragazza dagli occhi ambrati.
Dopo che la giovane ebbe pronunciato quelle parole, la pinacoteca in fiamme si scompose in una miriade di tasselli colorati. Mercuzio si sentì afferrare per un braccio e trascinare all'indietro. Piantò i piedi per terra, lottando contro la forza misteriosa che stava facendo di tutto per portarlo via dalla ragazza bionda e dal giovane dagli occhi azzurri. Nonostante non sapesse chi lei fosse, aveva la sensazione di conoscerla e di provare qualcosa di forte nei suoi confronti.
Mercuzio compì un ultimo e faticoso sforzo: si oppose con grinta alla trazione all'indietro e alzò un braccio, puntando il dito contro la giovane.
-”Ti troverò!”- gridò con quanto fiato aveva in gola. -”Mi hai sentito?! Ti troverò, Celeste!”-.
Mercuzio venne portato via dalla pinacoteca con uno strattone violento che gli fece perdere i sensi. L'ultima cosa che le sue orecchie riuscirono a udire prima che svenisse fu la dolce voce di una ragazza cosparsa di angoscia e di sincera contentezza.
-”Finalmente hai azzeccato il colore giusto!”-.

 

 





ANGOLO AUTRICE
Piango. Piango tantissimo. Non posso credere di essere riuscita a portare a termine una fanfiction così lunga. Voglio ringraziare tutti gli utenti che hanno aggiunto Deep Memories alle storie preferite, alle storie seguite o a quelle da ricordare; ringrazio chi ha recensito lasciandomi i suoi pareri e le sue opinioni; ringrazio i lettori silenti che sono riusciti ad arrivare fino a qui senza mandarmi a quel paese >w<
Un "grazie" colossale va ad AlsoSprachVelociraptor per il sostegno, le dritte e i meme :>
So che la mia fic è appena finita, ma ci tengo a consigliarvi di "stay tuned" perché c'è qualcosa che sta ribollendo nella mia testolina >:)
Grazie a tutti! <3
       Recchan8

 

 

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