L'Ultimo Giorno Della Guerra

di eringad
(/viewuser.php?uid=20680)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** {Morning [Part One] – Bombe} ***
Capitolo 2: *** {Morning [Part Two] – Temari} ***
Capitolo 3: *** {Half morning – Eroe} ***
Capitolo 4: *** {Afternoon - Famiglia} ***
Capitolo 5: *** {Evening – Tunnel} ***
Capitolo 6: *** {Night [Part One] – Ino} ***
Capitolo 7: *** {Night [Part Two] – Gaara} ***
Capitolo 8: *** {Night [Part Three] – Kankuro} ***
Capitolo 9: *** {08 May 1945: Morning – Leggenda} ***



Capitolo 1
*** {Morning [Part One] – Bombe} ***


L’Ultimo Giorno della Guerra




{Morning [Part One] – Bombe}

“Corri! Più forte! Corri più forte Ino!”

La bambina di sei anni stringeva forte la mano del bambino davanti a sé.
Lui la trascinava correndo spaventato per il campo di grano in campagna.
Ino correva instabile sui suoi zoccoli di legno annaspando per la fatica.
Il ragazzino continuava a incitarla tirandola per la mano.
Quando videro un albero isolato, si fermarono sotto di esso.

“Stenditi a terra Ino! Veloce!”

La costrinse per le spalle a rannicchiarsi sul terreno arido con la piccola schiena contro il tronco ruvido, poi la abbracciò coprendole la testa con le braccia rannicchiato vicino a lei.
Il bambino tremava di paura e la bambina ingenua ed estranea allo spavento lo abbracciò a sua volta tentando di calmarlo.
Pochi secondi dopo sentirono un fischio assordante e un boato.
Gli occhi azzurri della bambina guardarono i grappoli cadere dal cielo, provò a contarli divertita.
Alzò un braccio per indicare un grappolo particolarmente ricco che scendeva veloce giù da un aereo. Rise divertita per avvertire il compagno e lui severo lo riportò tra i due corpi.

“Ino sta giù! Devi stare giù mi hai capito?”

La bambina bionda lo guardò non capendo, sorrise candida e annuì.

“Sì Kankuro, ma è divertente vedere l’uva che cade dal cielo!”

Lui la guardò corrucciando le piccole sopracciglia. Gli occhi taglienti del ragazzino di otto anni erano pieni di preoccupazione e severità. In quel momento assomigliava veramente tanto al padre.
Quando le esplosioni finirono, lui si alzò in piedi raccogliendo una spiga e strappandola dal fusto che la teneva, poi la mise in bocca come stecchino e si sedette accanto alla bambina.
Guardò la campagna devastata e bruciata e strinse forte la mano alla piccola vicino a lui.

“Ino… Quelli che cadono dal cielo non sono grappoli d’uva. Sono bombe.”

Lui parlò greve, sapeva della guerra, c’era da sette anni ormai.
La bambina dondolò i piedini sul terreno riarso e poi parlò innocente.

“A me sembrano grappoli. So cosa sono, ma non fanno più paura se vedi l’uva al posto delle bombe.”

Kankuro voltò la testa verso di lei sorpreso.
Sospirò alla saggezza fanciullesca della bambina e le strinse la mano poggiando la testa sulla sua spalla.

“A me le bombe fanno sempre paura…”

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** {Morning [Part Two] – Temari} ***


{Morning [Part Two] – Temari}

Un sonoro schiaffo arrivò dritto sulla guancia del bambino.

“Kankuro, ti rendi conto dello spavento che mi hai fatto prendere?”

Il volto del bambino si piegò in una smorfia annoiata. Temari mise le piccole manine ancora da bambina sui fianchi battendo un piede per terra e aspettando sullo stipite della porta di casa la risposta del fratello minore.

“Sono ancora vivo, no? È quello che conta.”

Un altro schiaffo lo colpì in pieno volto.
La bambina sapeva essere davvero violenta a volte.

“Torna in camera tua! Adesso! Il papà mi aveva detto di prendermi cura di voi! Non puoi fare quello che ti pare! Sei sotto la mia responsabilità!”

Continuò a urlare anche quando il bambino la sorpassò indifferente entrando in casa.
Si morse un labbro ferita, sentendosi impotente.
Si girò entrando in casa, ondeggiò fino alla cucina con le lacrime agli occhi.
Guardò il fratello più piccolo della famiglia, solo sei anni, mangiare in silenzio i suoi fiocchi d’avena senza latte, non poteva comprarlo, aveva finito le tessere per la cena e le provviste per i giorni seguenti.

“Gaara…”

Gaara posò il cucchiaio all’interno della ciotola alzandosi dalla sedia. Si affiancò alla sorella guardandola indecifrabilmente e poi da bravo bambino tornò nella sua stanza.
Temari strinse i piccoli pugni cominciando a singhiozzare.
Aveva solo dieci anni e sulle sue spalle gravava l’intera famiglia. Si arrampicò sulla sedia prendendo la ciotola svuotata e immergendola nel catino lì affianco.
Aveva mentito ai suoi fratelli, suo padre non le aveva detto niente. Un giorno se n’era semplicemente andato, partito per la guerra.
Ma lei sapeva di dover prendersi cura dei suoi fratelli minori, e a volte avrebbe preferito che avessero collaborato.
Detestava entrambi. Kankuro non la ascoltava mai, faceva sempre quello che voleva. Gaara, invece, lui non faceva nulla, non la ascoltava neanche lui, e nemmeno le parlava se non in caso di estrema necessità.
Però, non poteva fare a meno di amarli entrambi.
Strofinò quella ciotola con uno straccio logoro, i fiocchi incrostati non volevano sapere di lasciare il loro posto.
Alla fine quei fiocchi erano come la sua famiglia, testarda, e difficile, problematica. Ma non sarebbe stata in grado di mandarla via.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** {Half morning – Eroe} ***


{Half morning – Eroe}

Un piccolo sassolino rotolò sul pavimento della stanza di Kankuro.
Il bambino che era sdraiato con la spiga in bocca, le braccia dietro la testa, sul suo piccolo lettino si alzò di scatto sentendo quel rumore molesto.
Andò all’apertura sul muro di camera sua provocato da una bomba e fece capolino con la testa.

“Pssss! Kankuro!”

Una bambina dai corti capelli biondi spuntava tra le macerie sorridendo sdentata.
Il ragazzino sorrise e si arrampicò giù per il cumulo di mattoni crollati dal muro della sua stanza.
Si avvicinò saltellando alla bambina che teneva le mani dietro la schiena nascondendo due contenitori in metallo dietro al largo vestitino azzurro.

“Cosa c’è Ino?”

“Ti hanno messo in punizione?”

“No.”

“A me si… La mamma mi ha detto che devo andare a prendere il latte.”

Il bambino dondolò sulle gambe calciando una pietra.
Mise le mani nelle tasche dei pantaloncini corti e guardò la bimba alzando le spalle.

“E allora?”

“Mi accompagni? Ho preso due contenitori, così ne prendi anche per tua sorella e fate pace!”

La bambina mostrò fiera i contenitori di metallo che cozzarono l’uno contro l’altro.
Il bambino ne prese uno e con una mano in tasca cominciò a camminare affiancato dalla compagna di giochi.
La strada per arrivare alla fattoria dove prendere il latte passava in mezzo a un bosco e costeggiava un burrone, dove crescevano i castagni.
La loro meta era lontana e il paesaggio poco gradevole li impauriva.
Spesso e volentieri in quelle zone c’erano i partigiani, o i tedeschi. Sapevano bene che era più o meno la stessa cosa, i partigiani erano cattivi con loro, li picchiavano se ne avevano voglia, o rubavano, ma almeno parlavano la loro lingua, non come i crucchi che scendevano per le montagne.
Quando arrivarono al burrone, cominciarono a fischiettare battendo i piedi forte per spaventare gli animali selvatici e per farsi un po’ più di coraggio.
Gli aghi dei castagni crocchiavano sinistri contro gli zoccoli di legno, e loro si afferrarono per mano spaventati velocizzando il passo.
Quando raggiunsero la fattoria, il cancello d’ingresso era sbarrato. Gli abitanti si erano chiusi dentro per la paura.
Ino cominciò a scuotere forte le sbarre gridando con la sua vocina acuta.

“Siamo due bambini! Abbiamo bisogno solo di un po’ di latte!”

Non ricevette risposta. Ma lei testarda, continuava a percuotere le sbarre e a chiamare i padroni.
Kankuro, stanco di aspettare dopo tutta quella strada, poggiò a terra il contenitore metallico e fece spostare la bambina tirandola indietro.

“Aspetta Kankuro! Sicuramente verranno ad aprirci!”

Il ragazzino pestifero la guardò scettico arrampicandosi su per il cancello e scendendo cautamente dall’altra parte con un salto.
Una volta arrivato dall’altra parte, fece leva sulle ginocchia e si alzò creando un gran polverone, la bambina gli passò i contenitori attraverso le sbarre e il bambino cominciò a correre verso la stalla.
La bellissima bambina bionda cominciò a saltellare da un piede all’altro impaurita lanciando spesso occhiate verso la stalla.
Poi ripose i suoi sandali di là del cancello metallico ed emulò il gesto del bambino impacciata.
Raggiunta l’estremità superiore del cancello prese un gran respiro, era testarda e quello che voleva fare, faceva, a suo rischio e pericolo.
Fece passare l’altra gamba al di là del cancello e cominciò a scendere. Calcolò male la distanza tra il terreno e il punto da cui saltò cadendo sul ginocchio.
Si mise seduta con le lacrime agli occhi pulendo la ferita con le piccole manine.
Presto cominciò a singhiozzare spaventata e dolorante chiudendo gli occhi e strillando.
Aprì gli occhi quando sentì un cozzare metallico sul terreno e vide Kankuro correre verso di lei spaventato.

“Ino! Ti sei fatta male? Come hai fatto ad arrivare qui?”

Le mani del bambino si posarono prima attorno alla sbucciatura per esaminarla poi sotto le sue ginocchia e sulla schiena.
La raccolse tra le sue braccia trasportandola verso la fontana al centro del cortile, la posò su un gradino ponendo un secchio sotto il rubinetto e cominciando a pompare acqua da quello.
La bambina piangeva singhiozzando e il bambino tirò il secchio pieno fino a lei.

“Dai, Ino, non piangere, diventi brutta se piangi!”

Come se avesse detto le parole magiche, la bimba smise subito stringendo con le mani il vestito e trattenendo a fatica i singhiozzi. Il bambino strappò un lembo di stoffa da una manica della sua camicetta estiva e lo intinse nell’acqua strizzandolo e passandolo sulla ferita.
Ino guardò il ragazzino affannarsi per lei.
Era un eroe, perché gli eroi si prendono sempre cura delle principesse e la salvano sempre.
E lui lo faceva sempre.

“Kankuro, tu sei il mio eroe.”

Lui arrossì picchettandosi una guancia con una nocca e bagnandola d’acqua.
La bambina si chinò sul ragazzino donando un innocente bacio sulla guancia.

“Io sono la tua principessa però, vero?”

“Sì Ino, tutto quello che vuoi, però sta ferma con il ginocchio altrimenti la fasciatura non viene bene.”

Ino sorrise felice. La sua mamma le raccontava sempre, prima di addormentarsi nel tunnel, quelle belle favole in cui la principessa veniva salvata dal suo principe, il suo eroe, e poi si sposavano e vivevano felici e contenti.
E lei ci credeva fermamente alle favole.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** {Afternoon - Famiglia} ***


{Afternoon – Famiglia}

Temari guardò fuori dalla finestra. Il suo piccolo paese non era più come prima.
Si ricordava di quando correva per la piazza luminosa la sera con la mamma, prima che nascesse Gaara.
Si ricordava il dolce profumo di fiori che aveva sempre casa sua, quando aiutava la mamma a cucinare per il papà che tornava sempre stanco da lavoro e si chiudeva in camera sua senza nemmeno salutare.
Ora la sua casa era un rudere che puzzava di polvere da sparo. E la bella piazza luminosa era coperta di macerie e la sera era sempre troppo buio, anche d’estate.
Strinse forte la bambola che le aveva regalato Kankuro per il suo terzo compleanno. Erano ancora felici a quell’epoca. La mamma aveva aiutato il fratellino a cucire la stoffa e l’aveva riempita di ceci, perché solo quello avevano.
Poi era arrivato Gaara nella pancia della mamma, e il papà e la mamma litigavano sempre, ogni sera. Poco prima che Gaara uscisse dalla pancia di mamma, lei le aveva detto di volere sempre bene ai suoi fratellini e alla sua famiglia, era la cosa più preziosa che aveva, le aveva detto, come i diamanti.
La bambina invece li vedeva solo come due grossi pezzi di terra.
Poi la mamma era morta quando Gaara era uscito dalla sua pancia, dicevano che il medico era partito per la guerra, come il papà.
Guardò oltre il cumulo di macerie dietro la casa Kankuro arrampicarsi sulle rocce e salire in camera sua.
Strinse forte la bambola rabbiosa, e gelosa forse. Sapeva che era di nuovo scappato con la sua compagna di giochi: Ino, quella mocciosa rompiscatole.
Non faceva altro che metterlo nei guai e lui era uno stupido perché la seguiva sempre.
Gettò la bambola dall’altra parte del letto e si alzò correndo in cucina per togliere le patate dal fuoco, doveva badare ai suoi fratellini.
Quando entrò in cucina vide il fratello di mezzo che tirava su a fatica il pentolone delle patate gettando l’acqua in un’altra pentola per poter lavare i piatti dopo.

“Kankuro… Sei di nuovo uscito vero?”

Lo sgridò con severità, lui indifferente annuì. Non gli importava se si preoccupava per lui.

“Se guardi in dispensa c’è del latte, così possiamo fare colazione, il contenitore me l’ha prestato Ino quindi lo dobbiamo restituire.”

Lo guardò sorpresa poi corse in dispensa trovando il contenitore metallico in bella vista. Sorrise quasi commossa, infondo anche lui pensava alla famiglia, ritornò seria e si voltò verso il bambino che seduto al tavolo spelava le patate.
Si sedette accanto a lui prendendo una patata e levando piano la buccia attenta a non scottarsi.
Guardò il fratello, lui odiava Gaara. Era il più attaccato da piccolo alla mamma, era un vero mammone a dirla tutta, per ogni cosa strillava come un ossesso chiamandola.
Poi arrivò il fratellino numero tre e prese la mamma e la portò via.

“Tem… Tra poco è il mio compleanno sai?”

“Sì, tra una settimana. Kankuro… I soldi mancano, non potremmo farti il regalo, lo sai vero?”

“Sì lo so. Non preoccuparti, tanto sono tre anni che non festeggiamo.”

Le si spezzò il cuore, lei voleva festeggiare, lei voleva vedere il volto del fratello nuovamente sorridente.
Però non poteva fare altro che prendersi cura di loro, maldestramente, come solo una bambina di dieci anni poteva fare.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** {Evening – Tunnel} ***


{Evening – Tunnel}

“Kankuro! Gaara! Alzatevi! Prendete le vostre cose muovetevi!”

La bambina bionda, spettinata, correva per la casa con gli zoccoli di legno ai piedi svegliando i fratellini.
L’allarme anti-aereo copriva qualsiasi rumore, Temari teneva una lanterna in mano aprendo a fatica le porte e urlando come non mai.
Quasi ogni notte lo faceva.
Gaara era già sveglio, lui non dormiva mai a causa della frequente sirena e anche quando non suonava non riusciva a dormire lo stesso per paura di un imminente attacco aereo, le sue cose erano già comodamente ripiegate sul letto. Al grido della sorella si alzò lentamente dal letto raccogliendo le poche cose che possedeva, con una calma irreale per un bambino di sei anni in quel mondo, e uscì dalla stanza aspettando all’ingresso i fratelli.
Kankuro si gettò giù dal letto quando sua sorella lo percosse per farlo alzare, si scambiarono uno sguardo spaventato e l’aiutò a raccogliere le cose per la notte.
Temari lo prese per mano e lo trascinò verso l’ingresso.
Guardò il minore terrorizzata, lasciò la mano al mezzano e prese Gaara per mano correndo verso il condotto.
Il tunnel era un rifugio anti-aereo costruito dalla gente del paese per potersi proteggere in quelle notti, aveva due entrate ed era molto lungo.
Scalavano le macerie sparse per la città correndo veloci, più veloce che potevano.
Non facevano caso alle impronte del carro armato per la strada, loro correvano solo, aiutandosi l’un l’altro a non restare indietro.
Quando videro l’apertura del tunnel vi ci si infilarono dentro cercando un posto lungo le mura per potersi accampare.
Camminarono a lungo, tenendo la mano a Temari che li guidava nell’oscurità, fino ad arrivare a metà del lungo corridoio.
Si sedettero con la schiena contro il muro e la maggiore coprì con una coperta le loro gambe.
Kankuro si guardò intorno, c’era tutta la gente del paese, vide la signora Nara che teneva stretta il moccioso noioso che giocava sempre con quell’altro ciccione.
Gli occhi del bambino si erano abituati al buio da un po’, guardò una bella signora bionda camminare a fatica tra la gente tentando di correre, ma troppo stanca per farlo.
La signora Nara si alzò spostando il figlio da un lato e le corse incontro aiutandola a reggersi in piedi. Non ce la fece, la donna cadde in ginocchio ansimando e chiamando la figlia.

“Cara, cosa ti succede?”

La donna bionda la guardò con gli occhi sbarrati dal terrore.

“Yoshino! Dov’è Ino? Le avevo detto di venire qui!”

Il bambino a quel nome drizzò le orecchie, si alzò sciogliendo la presa dalla mano della sorella e si fece più vicino per sentire cosa dicevano.
La mamma di Ino era terrorizzata.

“Ero andata a prendere il cibo per stasera in casa! Le… Le avevo detto di venire qui! Ma non c’è! Non c’è! Dov’è, Yoshino? Dov’è Ino?”

“Cosa è successo?”

“Io… Ho dovuto dare il cibo ai tedeschi per farmi risparmiare, poi sono scappata qui per incontrare la mia bambina… Ma non c’era!”

Il ragazzino corse al luogo dove stavano i suoi fratelli, prese la sua fionda e raccolse alcuni sassolini dal terreno.
Temari lo bloccò per un polso guardandolo severa e impaurita.

“Dove credi di andare Kankuro?”

“Devo andare a salvare Ino. Tu rimani qui!”

“No Kankuro! Tu non ci vai! Io devo proteggervi!”

Il bambino tirò il braccino che però era saldamente stretto dalla sorella, mise una mano sulla sua spalla guardandola serio, come non lo era mai stato forse.

“Temari, tu proteggi Gaara, papà lo avrebbe voluto, e anche la mamma lo avrebbe voluto.”

Colpo basso. Lo sapeva che puntare sui sentimenti che la legavano ai genitori l’avrebbe fatta desistere. Sentì la presa sul polso allentarsi e cominciò a correre facendo slalom tra la gente, non avrebbe lasciato Ino nelle mani del nemico.
Strinse una mano attorno al manico della sua fionda, la sua arma e uscì dal buco arrampicandosi.
Corse sulle macerie nascondendosi di tanto in tanto dietro di quelle quando vedeva i soldati che imbracciavano i fucili.
Correva forte, sentendo il vento fischiare nelle orecchie. Fu quasi scoperto quando un fascio di luce venne fuori dal buio, si nascose in fretta dietro un grosso pezzo di cemento drizzando le orecchie per ascoltare cosa dicevano.

“Hier gibt es die Parteigänger…[Qui ci sono i partigiani…]”

“Lo so, arrivano notizie che dicono che sono nascosti in un tunnel, signore, dannatissimi partigiani!”

Il bambino strinse la presa sul masso con le mani respirando affannosamente. I due parlavano come se avessero una patata in bocca, ma riusciva lo stesso a capire le loro parole.
Nel tunnel non c’erano partigiani, si sbagliavano.

“Ist es den fertig bewaffneten Wagen? [È pronto il carro armato?]”

“Armato e pronto a sparare nel covo.”

Il bambino ti morse forte la lingua per non urlare. Tappò con entrambe le mani la bocca lasciando cadere la sua fionda sul cemento arido con un rumore sordo.
Avrebbero sparato nel tunnel!
Si sentì morire. Doveva avvertire gli abitanti, ma tanto non gli avrebbero creduto, era solo un bambino.
Doveva fare qualcosa, doveva assolutamente fare qualcosa. Però, non poteva lasciare Ino da sola, l’avrebbero uccisa.
Trovare Ino, o avvertire gli abitanti?



§§§


Red Diablo: Grazie! Sono contenta che ti piaccia! In questa storia le metafore purtroppo, sono vere. È la storia vera di mia nonna paterna che diciamo è Temari in questa storia, e il suo gesto eroico (quello che veramente ha compiuto) si vedrà più avanti. Ok, ho esagerato! Ti lascio alla prossima! Grazie mille, contegua a seguire! ^^

Hotaru: Grazie, grazie mille veramente *^* Ancora non ce ne sono sul loro rapporto, ma le ho fatte partecipare a qualche contest quindi due o tre arriveranno nei prossimi mesi ^^ In ogni caso, mi fa piacere che ti sia piaciuta, ho voluto usare apposta un linguaggio semplice e conciso proprio dei bambini dell’età dei protagonisti, anche perché è una storia basata su quello che vivono loro con i loro occhi.
Grazie ancora, continua a seguire mi raccomando, tanto è corta ed è quasi finita ^^

Bye Bye

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** {Night [Part One] – Ino} ***


{Night [Part One] – Ino}

La bambina bionda saltellava impaurita da un piede all’altro stringendo con le manine i lembi del vestito.
Aveva disobbedito alla mamma. Le aveva detto di andare al rifugio, ma lei era andata a cercare Kankuro.
E davanti alla sua dimora, vuota, si era bloccata cominciando a piangere impaurita.
Non sapeva dove andare, non ricordava come si arrivasse al tunnel da lì.
Strinse gli occhi e le piccole mani ripetendo meccanicamente le parole che le avevano insegnato.

“I’m holding out for a hero ‘til the end of the night. I’m holding out for a hero…”

La bambina sedeva in braccio a un bel ragazzo biondo, straniero.

“Oh, how lovely! You’re very pretty little princess!”
[Oh, che amore! Sei davvero carina piccola principessa!]

Lei non lo ascoltava masticando con calma la caramella dolciastra che le avevano dato.
Erano strani quegli americani, lei era carina e l’avevano subito presa con loro.
L’avevano fatta sedere sulle loro ginocchia, le avevano offerto le caramelle e i cioccolatini.
Lei aveva ripiegato tutto e l’aveva messo nel suo grembiulino per portalo a casa.
La mamma sarebbe stata contenta.
Un americano le mise una mano sopra la testa scompigliandole i capelli ridendo.

“Ok, little princess repeat with me, I’m holding out for a hero ‘til the end of the night!”
[Ok, piccola principessa ripeti con me, resisterò per un eroe fino alla fine della notte!]

Lei lo guardò innocente ripetendo a fatica quello che diceva, dopo un paio di volte si stufò e rimise in bocca la piccola caramella succhiandola avidamente.
Alzò lo sguardo quando sentì alcuni passi di corsa venire verso di lei.
Un bambino vestito con un paio di pinocchietto e una camicia a mezze maniche si era fermato a poco più di un metro dalla compagnia, aveva messo le mani in tasca e tirava calci a un sasso.
Sembrava arrabbiato.

“Ino, vieni a giocare con me?”

La guardò irritato mentre lei sorrideva felice.
Annuì spensierata camminando sinuosa per arrivare dall’amico.
Un americano la sorpassò scompigliando i capelli al ragazzetto.

“Is he your boyfriend lady?”
[È il tuo fidanzato fanciulla? ]

Il bambino fece il gesto di tirar via la mano irritato, non riuscendoci però.
Imprecò verso l’uomo scalciando come un mulo.
Ino rise alla scena e corse verso il ragazzo, non capiva una parola di quello che dicevano.
Kankuro gettò un po’ di polvere sugli stivali del soldato che lo lasciò e prese iroso la bambina per mano.
Lei si voltò scuotendo la manina per salutare gli uomini gentili.

“Bye bye nice baby!”
[Arrivederci bambina carina!]

Kankuro si fermò voltandosi di scatto verso l’uomo. Lo guardò arrabbiato stringendo la mano di Ino.

“She is nice, and she is mine! Vieni Ino, andiamo via!”
[Lei è carina, ed è mia!]

Urlò forte indicandosi con il pollice poi trascinò la compagna di giochi lontano da quei soldati.
La guardò storto, era arrabbiato con lei.
Lei si sentì in colpa, ma non aveva fatto nulla di male.

“Non voglio più che ci parli con quelli lì!”

“Perché? Sono stati gentili!”

“Perché no! Altrimenti non gioco più con te!”

La bimba mise il broncio voltando la testa dall’altra parte.
Però, lei non poteva fare ameno di essere curiosa.
Mantenendo il broncio pose la sua domanda al bambino davanti a sé.

“Kankuro, cosa vuol dire ‘I’m holding out for a hero ‘til the end of the night’?”

“Resisterò per un eroe fino alla fine della notte.”

“Kankuro… Sei tanto arrabbiato con me?”

“…No. Andiamo a giocare.”

“Voglio il mio eroe! Kankuro… Dove sei?”

Strinse i pugnetti davanti agli occhi asciugando le lacrime e lamentandosi.
Aveva paura, però sarebbe restata lì per tutta la notte aspettando il suo eroe.
Nel silenzio della notte sentì dei passi sordi che si avvicinavano veloci. Sbarrò gli occhi rannicchiandosi con la testa tra le braccia.
Era sicuramente un soldato, l’avrebbe uccisa.
Strinse gli occhi trattenendo il respiro, non riusciva a muovere un muscolo.
Nella sua testa si ripeteva un solo pensiero ‘Kankuro verrà a salvarmi’.
Una mano si posò gentile sulla sua spalla.

“Ino…”

Ino alzò la testa di scatto, il bambino inginocchiato su di lei aveva i capelli ritti sulla testa e ancora più scompigliati del solito.
Gettò le braccia sul suo collo cominciando a singhiozzare, aveva avuto paura. Kankuro, frettoloso, si alzò e le porse una mano.

“Dobbiamo andare. Ino muoviti!”

Lei si alzò e lui la tirò per un braccio, ma lei rimase ferma sul suo posto.
Le lacrime premevano sui suoi occhioni cielo.
Il bambino la tirò disperato.

“Ino! Dobbiamo andare!”

“Mi fa male la gamba…”

Kankuro sbuffò sonoramente prendendola in braccio, bambina capricciosa, poi si diresse verso la piazza arrampicandosi con le gambe e un braccio solo.
Sapeva di dover prima mettere Ino in salvo, e sapeva già anche dove portarla.
Non c’era luogo più sicuro della chiesa. Lì non l’avrebbero mai cercata.
Saltò giù da una maceria e fece scendere Ino, sapeva che poteva camminare, la trascinò fino al portone spingendolo con tutte le sue forze fino a farlo aprire di mezzo metro.
Spinse Ino dentro e si abbassò alla sua altezza tenendola per le spalle. Le spiegò brevemente quello che era successo e quello che aveva sentito, poi la guardò serio.

“Ino, tu devi stare qui ok? Io devo andare a fermare i tedeschi.”

“No! Io vengo con te!”

Disse la bimba pestando i piedi e stringendo gli occhi. Kankuro la scosse per le spalle e la guardò serio e severo.

“Ino, basta fare i capricci. Tu rimani qui, chiaro?”

“Ma… Ma…”

“Se non torno a prenderti, tu scappa via!”

Sentì la presa delle mani scivolare via e rimase sul portone guardandolo sparire nel buio.
O nel silenzio. Perché il buio è solo il silenzio della luce.
E a lei aveva sempre fatto paura il silenzio.
Si aggrappò al portone cercandolo nella notte senza luna, inutilmente.
Corse lungo la navata centrale, tra le panche che stavano zitte e immobili non notando la bimba spaurita che passava.
Raggiunse l’abside, dove sulla sinistra c’era il campanile, s’infilò in quello sedendosi al centro sotto le campane, davanti alla croce di legno dove regnava incontrastato Gesù Cristo con un’espressione sofferente.
Nella penombra quel volto trasfigurato dal dolore era l’immagine della paura.
Strinse forte le braccia con le mani guardando in alto le campane.
La sua mamma le diceva sempre che quando una campanella suonava un desiderio espresso si avverava. E lei ora desiderava ardentemente che tutti si salvassero.
Trascinò una panca, quella dei chierichetti, fino al centro della stanzetta facendola cozzare malamente contro la croce di legno alta che oscillò instabile. Vi salì sopra cauta e allungò le manine sul cordone tirandolo con tutta la sua forza di bambina, non riuscendo comunque a farle suonare.
Un boato fece tremare la terra, la bambina cadde all’indietro sulla panca.
Il crocefisso oscillò paurosamente cadendo in avanti, verso la piccola.
Ino chiuse gli occhi proteggendosi con le piccole braccia, pronta all’impatto. Ma questo non arrivò.
Un suono melodioso rimbombò per il campanile. La campana stava suonando.
Aprì gli occhi sorpresa osservando la croce di legno tirare su e giù il cordone a cui si era impigliata con un chiodo che sosteneva la scritta ‘INRI’.
Scese in fretta dalla panca inginocchiandosi e unendo le mani.
La campana avrebbe esaudito il suo desiderio.
Corse fuori dalla chiesa cercando Kankuro, doveva trovarlo.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** {Night [Part Two] – Gaara} ***


{Night [Part Two] – Gaara}

Temari stringeva forte la mano del bambino accanto a sé, pregava a mezza voce per la loro salvezza, perché tutti si salvassero, perché Kankuro stesse bene.
Aveva sentito dai vicini che i tedeschi avevano fatto un’incursione nel villaggio cercando i partigiani.
Gaara, accanto a lei, non parlava, si accucciò su se stesso guardando il terreno calpestato. La tensione in quel tunnel era gravida di paura e di speranza.
A un tratto delle urla, il rumore di una corsa disperata.
Temari guardò dal fondo del condotto le persone scappare verso l’altra estremità. ‘Il carro armato! Il carro armato!’ era l’unica parola che riusciva a sentire, poi altre urla, le madri che prendevano i loro bambini in braccio scappando, le altre che lasciavano tutto a sé stesso fuggendo.
La bambina ci mise qualche attimo per capire cosa stava accadendo, balzò in piedi e tirò il fratello per mano, prese la sua bambola e cominciò a trascinarlo nella direzione dove fiume di persone correva.
Ma la folla era grande, prepotente ed egoista.
Nessuno si curava di chi rimaneva indietro, di chi veniva calpestato.
Sentì la stretta sulla mano del fratello sciogliersi, lentamente, urlò il suo nome, ma la sua vocina era coperta dal rumore della gente.
Si fermò per un secondo guardando l’uscita, la sua salvezza.
Lei sarebbe rimasta in vita fuggendo, ma Gaara sarebbe morto.
Batté le palpebre lasciando cadere la sua preziosissima bambolina e corse contro corrente, fino a raggiungere il fratellino rannicchiato a terra, tremante. Si gettò su di lui coprendolo con il suo stesso corpo.
Sentiva i passi pesanti gravare su di lei che si teneva con le piccole manine al terreno facendo leva per non schiacciare il fratellino.
D’un tratto si fece il silenzio, le urla cessarono, i passi sopra di lei anche.
Trattenne il fiato chinandosi di più sopra Gaara.
Un boato fece tremare le pareti e il pavimento. Chiuse gli occhi stordita da quel rumore.
È la fine…

La mamma urlava, gridava stringendo i denti sdraiata sul tavolo con le mani che tenevano le gambe sollevate.
Una vicina tra le sue gambe, sozza di sangue le diceva di respirare, ma lei non lo faceva.
Urlava, urlava e basta.
Stringeva con le mani ossute le assi del tavolo. Temari affacciata sulla porta vedeva il suo volto pieno di dolore.
La signora urlava alla figlia quattordicenne di portarle l’acqua calda, ma non avevamo più legna, non poteva scaldarla. Di solito la portava papà, ma papà era partito.
La mamma smise di urlare ansimando. La vicina gridava forte ‘È nato! È nato!’ stringendo una cosa rossa e sporca.
La mamma si distese sul tavolo poggiando le spalle e il capo sulle assi marce. Girò lo sguardo verso la bambina muovendo stancamente una mano per chiamarla, lei intimorita annuì e con il passo incerto dei suoi quattro anni le afferrò la mano.

“Temari… Tuo fratello… Stringilo, stringilo più forte che puoi…”

La guardava sorridendo di un sorriso stanco, rassegnato.
Chiuse gli occhi lentamente, Temari provò a chiamarla ma lei non rispondeva.
La vicina la scostò malamente sciogliendo la presa sulla mano della madre.

“Da dove viene tutto questo sangue? Cerca di fermarlo figlia!”

La mamma pian piano appassiva, la vedeva con i suoi occhi, come una bella rosa arrivata alla fine della sua vita.
Corse fuori, fuggendo da quella visione, si aggrappò a uno stipite ansimando, gemendo, tremando.
La mamma non c’era più. Se n’era andata per sempre.
Dopo quattro mesi da quando la mamma era morta, lei si sedette vicino alla cesta ovale in cui il bambino rosso per lo sforzo, piangeva. Lo guardò con odio.
Lo odiava.

“Tu hai portato via la mia mamma.”

Scandì le parole con odio allungando le piccole manine verso la gola del bambino.
Le aveva portato via la cosa più preziosa che aveva. Meritava di morire.
A un centimetro dalla sua gola si fermò.
‘Temari… Tuo fratello… Stringilo, stringilo più forte che puoi…’
Lo raccolse facendo passare le manine intorno alle spalle e alle gambe fasciate. Lo portò al suo petto rannicchiandosi su di lui. La mamma avrebbe voluto che lo amasse come lei amava tutti loro…
Il neonato aveva smesso di piangere.

“Stringilo, stringilo più forte che puoi…”

Sussurrò la bambina ricalcando le parole della madre. Chiuse le braccia attorno alla testa del fratello stringendolo in un abbraccio protettivo.
La mamma avrebbe voluto così.
Sentì la sua pelle bruciare viva sotto l’esplosione, ma era completamente concentrata sulla salvezza del fratello per sentire alcun dolore.
Alcune lacrime scivolarono piano lungo il suo naso.

“Gaara… Ti voglio bene…”

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** {Night [Part Three] – Kankuro} ***


{Night [Part Three] – Kankuro}

Kankuro aveva raccolto un ramo spezzato da terra.
Tolse la camicia inginocchiato sul terreno. Fece un nodo stretto su una delle maniche infilando il bastone attraverso l’altra manica.
Il petto scarno si alzava e si abbassava lento, e gli occhi slittavano attenti sulla bandiera bianca improvvisata.
Era la sua unica speranza, doveva parlare con i tedeschi e convincerli che non c’erano partigiani in quel villaggio, che era tutto uno sbaglio.
Strinse un’estremità del bastone tra le piccole mani annuendo fiero del suo lavoro.
Fece un passo verso il carro armato che aveva visto poco lontano e sentì la terra tremare sotto i suoi piedi.
Un boato investì l’aria circondandolo.
Le piccole mani caddero come morte lungo i suoi fianchi.
Temari…
Era troppo tardi.
La bandiera cozzò contro il terreno producendo un rumore sordo, seguito dai passi di corsa del bambino.
Un secondo suono gli arrivò alle orecchie, una campana sovrastava il rumore dell’esplosione.
Ino! L’avevano trovata!
Gli occhi furiosi scintillavano nella notte. Correva verso gli uccisori della sua famiglia. Della bambina a cui teneva di più.
Temari era morta, Gaara era morto, Ino era morta, tutti quelli che conosceva erano morti.
Vide un tedesco che imbracciava un fucile ridendo sguaiato. Si gettò contro di lui con entrambe le braccia raccolte facendolo barcollare e facendogli cadere l’arma.
Cominciò a tirare pugni alla cieca, le lacrime gli offuscavano la vista.

“La mia famiglia! Avete ucciso la mia famiglia! Bastardi!”

Il soldato lo bloccò per le braccia mentre il bambino continuava a urlare e a piangere.
Urlava la sua disperazione. Le mani del bambino di muovevano feroci colpendo l’aria.
Scalciava, urlava, piangeva.
Era colpa sua, era solo colpa sua.
Se non avesse lasciato da soli sua sorella e suo fratello, se non avesse lasciato sola Ino, sarebbero stati ancora tutti vivi.
Il soldato alzò un braccio colpendolo in pieno volto, ma non servì a farlo desistere dalla sua missione.

“Non ci sono partigiani in questo villaggio! Non ci sono partigiani!”

Strillava piangendo. Era solo.
Ora era completamente solo.
Non ci sarebbero più stati compleanni con la torta fatta da sua sorella. Non ci sarebbe più stata la corsa insieme ai campi con Ino.
Non ci sarebbe più stato nulla, era tutto finito.

“Kankuro!”

Una vocina ferma strillò il suo nome. Lui si voltò per vedere chi lo chiamava; anche attraverso le lacrime riusciva a riconoscere quel vestitino azzurro coperto da un grembiule.
Era viva. Un’ondata di felicità lo travolse. Ino era viva!
Poi si ricordò chi lo teneva per le braccia. Sbarrò gli occhi urlando.

“Ino! Scappa! Vattene! Vattene via! Scappa!”

Tirò le braccia che erano saldamente tenute dal tedesco. Si dimenava, ma la bambina non si muoveva.
Perché non scappava? Doveva andarsene!

“Il tuo eroe non tornerà stanotte Ino! Scappa! Scappa…”

Singhiozzò forte lasciandosi cadere in ginocchio ma il soldato nemico lo tirò in piedi, come se Kankuro fosse solo una marionetta.
Guardò la bambina, la sua espressione determinata.
Dal buio dietro di lei spuntò una canna di fucile scintillante. L’arma era sorretta da un soldato americano di quelli che aveva visto insieme a Ino l’ultima volta.
Il soldato teneva puntata l’arma verso il nemico.
Passò accanto alla bambina fermandosi e scompigliandole i capelli per un secondo.

“Good job baby! [Ottimo lavoro piccola!]”

Il tedesco strinse la presa sulle braccia del bambino arrabbiato.

“Get off your dirty hands from that boy! [Metti giù le tue sporche mani da quel ragazzo!]”

“Schieße! Schieße! [Spara! Spara!]”

Urlò al compagno affacciato dal carro armato. L’altro, però, non rispose.
Il bambino si voltò verso l’altro tedesco e lo vide con le mani alzate, dietro di lui un uomo con un grande pancione, una coppola sulla testa, gli puntava contro una pistola alla tempia.

Guagliò, tu spara, e io ti faccio un altro buco per respirare meglio!”

Il tedesco che teneva il bambino lo lasciò alzando le mani e imprecando a mezza voce nella sua lingua.
L’americano si fece avanti tenendo il fucile puntato sull’altro, si rivolse al bambino con un tono severo nella sua voce adulta.

“C’mon! Go and see how your family is! [Muoviti! Vai a vedere come sta la tua famiglia!]”

Kankuro non se lo fece ripetere due volte, si alzò con un salto e corse verso la bambina prendendola per mano e trascinandola.
Se c’erano gli americani e i partigiani voleva dire solo una cosa.
Aiuti.
Si arrampicavano sulle macerie come al solito, veloci, e quando videro un mare di gente si fermarono.
I due bambini si guardarono un’ultima volta intendendosi. Ino cercò tra la folla sua madre e Kankuro scese nel tunnel per cercare sua sorella e suo fratello.
Il bambino correva osservando terrorizzato i muri bruciati, le persone ferite che perdevano sangue, accasciate accanto alle pareti.
Alcune persone li aiutavano a uscire da quell’inferno.
Arrivato a un quarto del tunnel, vide una figura rannicchiata. I vestiti spessi completamente bruciati sulla schiena avevano impedito alle ustioni di propagarsi su tutta la pelle.
Kankuro corse verso la figura rannicchiata inginocchiandosi accanto a quella, tappò con una mano tremante la bocca per coprire l’orrore. Tese una mano incerto fino a toccare la spalla della sorella.
Temari si alzò lentamente dalla sua posizione guardando chi l’aveva chiamata.
Le lacrime le riempirono gli occhi.

“Kankuro…”

Temari si slanciò verso il fratello abbracciandolo forte. Lui non sapeva come ricambiare l’abbraccio, aveva paura di farle male. Le prese la testa unendo fronte contro fronte piangendo anche lui.
Temari si scostò improvvisamente da lui ricordandosi dell’altro fratello. Si voltò verso la figura rannicchiata, non si muoveva.
Strozzò un grido in gola.

“Gaara!”

Il fagottino di vestiti neri si mosse lentamente. La fronte leggermente ustionata, guardò la sorella e il fratello.

“Sono… Ancora vivo…”

Kankuro sentì nuovamente le lacrime salirgli agli occhi, abbracciò il fratello piangendo di felicità. Credeva di averli persi entrambi. Con un braccio raccolse la testa della sorella unendola all’abbraccio.
Erano vivi. Erano vivi, e quasi illesi.
E, cosa più importante, erano insieme.



§§§

Penultimo capitolo.
Grazie a tutti quelli che hanno letto e che hanno recensito <3

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** {08 May 1945: Morning – Leggenda} ***


{08 May 1945: Morning – Leggenda}

La città era in festa. La piazza di giorno era viva, coperta di macerie, ma viva.
La gente ballava, rideva, piangeva di gioia.
Un ragazzino stava seduto su un masso, giocando con una spiga di grano tra le labbra.
Una bambina si avvicinò di corsa a lui sorridendo.
Si fermò a poco meno di mezzo metro di distanza e urlò felice.

“Kankuro! La guerra è finita!”

“Lo so, Ino…”

Il bambino sorrise a sua volta facendole spazio sulla roccia. Ino si arrampicò su sedendosi affianco a lui. Gli prese la mano sorridendo e incominciando il racconto.

“Sai, Kankuro, hanno detto che ieri sera il carro armato ha sparato una volta sola perché le campane della chiesa hanno suonato, e perché una voce d’angelo ha fermato i soldati dal loro intento. La voce d’angelo è la tua…”

Kankuro sorrise sputando la spiga, la loro storia era già diventata leggenda nel paese.
Strinse la mano della bambina guardandola grato.
Si affacciò sul volto della bambina che era girata verso di lui schioccandole un bacio sulle labbra.
Girò immediatamente il volto dall’altra parte rosso di vergogna dietro le orecchie mentre Ino portava una mano alla bocca stupita.

“Gra… Grazie Ino, se non ci fossi stata tu ieri sera, sarei morto.”

“Non c’è di che, mio eroe!”

La bambina sorrise radiosa dondolando i piedini emozionata. Il bambino si voltò verso di lei sorridendo a sua volta.
Strinse la mano alla bambina poggiando la testa sulla sua spalla e sorridendo felice. Sarebbe tutto tornato come prima.
E se lei non avesse suonato le campane che avevano richiamato l’attenzione, se non avesse chiamato gli americani a quest’ora sarebbero tutti morti. Era grazie a lei che erano tutti vivi.

“No ti sbagli Ino, tu sei la mia eroina…”



§§§

Ringrazio tutti i lettori e i recensori, siete stati grandi.

E per rispondere a Lyla...

Sì, è basata su una storia vera, quella di mia nonna paterna. Ho preso spunto dai suoi racconti. Quando suo padre l’aveva portata nella campagna e lei aveva visto le bombe scendere dal cielo paragonandole a grappoli d’uva. Quando doveva prendere il latte per la sorella in fasce in una fattoria e i proprietari si erano chiusi dentro costretta a scavalcare il cancello con il piede ferito per aver perso uno zoccolo durante la strada dei castagni (aghi del guscio delle castagne). Quando la sirena d’allarme suonava e lei si nascondeva nel Tunnel per l’attacco aereo, mi ha descritto lei il paesaggio della sua città. Quando sua madre per salvarsi la pelle aveva donato pasta e patate, le loro ultime scorte di cibo, ai tedeschi, lasciando le sue figlie nel rifugio quella notte.
Quando, a otto anni, ha protetto con il proprio corpo la sorella in fasce dall’essere schiacciata quando hanno sparato con il carro armato nel loro nascondiglio.
La leggenda delle campane e degli angeli esiste ancora al suo paese, io l’ho solo ritrattata in fatti più probabili, magari incredibili ma probabili. Ogni particolare è nella sua memoria. Spero sia gradita l’ispirazione a una storia realmente accaduta.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=338934