Il Ritorno delle Tenebre

di zing1611
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** capitolo I - La fine è l'inizio ***
Capitolo 2: *** capitolo II - Casa ***
Capitolo 3: *** capitolo III - La caccia è aperta ***
Capitolo 4: *** capitolo IV - Nemici e ***
Capitolo 5: *** capitolo V - Incubi felini ***
Capitolo 6: *** capitolo VI - Caccia al Tesoro ***



Capitolo 1
*** capitolo I - La fine è l'inizio ***


È facile entrare nelle tenebre. È facile quando ormai non hai più nulla da perdere, quando ormai già hai perso ogni cosa. La parte più dura, è uscirne, è ritrovare la luce.

5 mesi prima

I lunghi capelli rossi si attorcigliavano attorno alle braccia longilinee e pallide. I cinque anni trascorsi a Londra non avevano di certo contribuito all’abbronzatura.
Strawberry si trovava sul tetto della casa che da ormai un anno condivideva con Mark.
La decisione di andare a convivere era stata a lungo discussa e raggiunta di comune accordo. C’era un esorbitante lista di pro, a favore di quella convivenza, come il fatto di trovarsi la cena pronta cinque giorni su sette,  l’affitto e le spese di mantenimento dell’appartamento inevitabilmente dimezzate e ovviamente la presenza sempre costante di Mark. Il ragazzo che, pur essendo passati ormai cinque anni dalla grande guerra, tutt’ora possedeva i poteri del cavaliere blu, e di tanto in tanto, dopo aver ricevuto una chiamata di Kyle, o di Ryan, usciva di nascosto, quasi scomparendo, per andare a scacciare quei Chimeri ancora rimasti a zonzo per la terra.


La squadra Mew era ormai sfalsata.
Pam viaggiava di continuo, da un paese all’altro per portare avanti la sua carriera di modella, attrice e indossatrice.
Mina aveva trascorso gran parte del suo tempo, negli ultimi anni, tra la Germania e l’Italia, seguendo suo fratello, con la personale missione di difenderlo da quel mondo che pur essendosi allontanato da lei, da loro, talvolta le perseguitava. Lory era rimasta a Tokyo assieme a Puddy che aveva riallacciato i rapporti col padre ed era cresciuta moltissimo, diventando una splendida ragazza dai capelli dorati e dalla figura snella e atletica. Tutti loro erano cresciuti, compresa Strawberry, che al momento era tanto immersa nei suoi pensieri da non rendersi conto delle persone che gridavano e discutevano appena davanti la sua porta d’ingresso.

Anche lei come le altre continuava a lottare contro quei chimeri che cinque anni addietro non erano riuscite a scacciare. Crescendo aveva deciso di continuare i propri studi. Per qualche strana ragione le origini di quello stesso progetto Mew, che avevano congelato la sua adolescenza, l’avevano ispirata così profondamente, che soli  quattro mesi dopo essere arrivata nella grande capitale britannica, aveva preso la decisione di volerne sapere di più, e così esattamente come il padre di Ryan, si trovò ,sommersa sempre di più, giorno dopo giorno da terra e rocce da ripulire, immagini da interpretare e analisi chimiche da effettuare. Era riuscita a mantenere i rapporti con tutti i suoi vecchi amici. Eccetto Ryan con il quale aveva discusso aspramente l’anno precedente, ormai stufa del suo comportamento cinico e insensibile, costantemente critico riguardo qualsiasi azione avesse avuto intenzione di fare o qualsiasi parola avesse avuto intenzione di pronunciare, e con il quale aveva deciso di mantenere un rapporto strettamente "professionale".

 Dal terribile incidente della madre, Strawberry era cambiata. Ogni cosa in lei era ormai diverso e lontano da ciò che c’era prima. Eccetto forse quei capelli rossi, ora più lunghi, ma dello stesso colore di sempre. Anche il rapporto con Mark era mutato irrimediabilmente. Sapeva di amarlo, e la sua vicinanza la faceva sentire in un certo senso meno sola, meno lontana da casa, ma nulla era più come prima. In quegli occhi scuri, così dolci e profondi che aveva sempre tanto amato continuava a ritrovare se stessa, la vecchia se. Quella da cui insistentemente tentava di scappare ogni giorno sempre più lontana.

La morte della madre era stato un tremendo fulmine a ciel sereno. La notte in cui il padre la chiamò per avvisarla di tornare in Giappone, non si prese neanche la briga di svegliare Mark dal sonno profondo in cui era piombato. Semplicemente sotto shock si era alzata dal letto, si era rivestita e aveva preso il primo volo diretto per Tokyo. Arrivata lì era stata inevitabilmente costretta a confrontarsi con i profondi occhi blu che ormai da tempo non vedeva. Ryan le si era avvicinato, guardandola con la circospezione di chi sa bene cosa stai passando, e lasciandosi alle spalle ogni stupida discussione, l’aveva abbracciata, in silenzio, facendola sentire per un secondo più leggera.

Il giorno del funerale non riuscì a versare una sola lacrima. Le persone la circondavano affettuosi con le braccia e lei fissava ognuno di loro in viso senza davvero riconoscerli.  Subito dopo la funzione era tornata a casa sua.
Appena oltrepassò la soglia inspirò ed espirò profondamente assaporando quella serie di vari odori famigliari che le ricordavano tanto sua madre. Il giorno successivo uscì di casa di prima mattina , e camminando si perse tra le strade della città. Percorse le vie solitarie a lungo, passando l’intera giornata così, fino a quando voltando l’angolo non si trovò di fronte qualcosa che non avrebbe mai voluto dover vedere…  sobbalzando, colta di sorpresa dalla suoneria del cellulare, prese in telefono in mano e rispose portandoselo all’orecchio. La voce che la raggiunse dall’altra parte della cornetta era gelida e tremendamente famigliare. – Avevi ragione- disse Ryan, -abbiamo bisogno di te, qui-.

 

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Capitolo 2
*** capitolo II - Casa ***


La voce di Ryan era gelida e inespressiva, come sempre, ma conoscendolo bene, Strawberry, si immaginò il barlume di timore che doveva riflettersi negli occhi del ragazzo. 
Non fece in tempo a rispondere che l’altro aveva già buttato giù.

La rossa si alzò strofinandosi le mani sui jeans e portandosi i capelli sulle spalle dividendoli in due folte ciocche che le ricadevano sul seno. Era chiaro che avrebbe dovuto avvisare Mark della sua partenza, e con molta probabilità lui sarebbe voluto andare con lei fino a Tokyo. “Mio malgrado”, pensò Strawberry. Non appena quel pensiero le balenò in mente cercò di ricacciarlo prontamente indietro. Teneva ancora a Mark ma nell’ultimo anno i due si erano allontanati moltissimo. Lei era cresciuta e più il tempo passava più si ritrovava a desiderare e bramare emozioni e sogni diversi da quelli che invece il ragazzo sembrava ricercare. Scese le scale rapidamente entrando nell’ambiente riscaldato della cucina gialla e arancio che aveva ospitato brani di vita quotidiana di lei e del suo ragazzo negli ultimi cinque anni. Afferrò il telefono e fissò lo schermo illuminato per alcuni secondi tentata di non informare Mark della sua partenza. Alla fine però, colta dal rimorso, compose il numero.  –Hey tesoro…- non lo fece neanche finire di parlare che gli aveva già comunicato l’intera conversazione col biondo. –dobbiamo partire per Tokyo-, disse -stasera-.
    
*******

Il volo fu lunghissimo, interminabile. Mark aveva continuato a leggere per circa la metà del tempo, trascorrendo invece l’altra metà dormendo. Strawberry aveva passato buona parte del viaggio fissando il panorama ceruleo e nuvoloso che si stagliava nel cielo notturno senza parlare, liquidando ogni argomento di discussione proposto dal fidanzato. Non appena lui era crollato aveva tirato fuori dalla borsa i documenti riportanti le ricerche che ormai da tempo la tenevano impegnata.

Il progetto Mew e le nuove intuizioni che aveva avuto riguardo l’acqua cristallo avevano condotto a nuovi interrogativi. L’unica persona con la quale aveva condiviso le sue ricerche era stato Ryan. O meglio, Ryan tramite Kyle, volendo evitare qualsiasi stretto contatto con il suo ex datore di lavoro. Il dolore della perdita l’aveva allontanata da tutti, ma non da lui, al quale si sentiva intimamente legata. Solo ora riusciva a comprenderlo più profondamente e solo ora riusciva a sostenere quella sicurezza e quella maturità che il ragazzo pareva possedere. Forse perché ora apparteneva anche a lei. Tuttavia la presenza della nuova fiamma di Ryan aveva costretto Strawberry a tenersi alla larga da lui, e aveva reso quell’intimità che tanto li aveva riavvicinati puro imbarazzo, costringendola a mantenere le distanze.


La rossa si risvegliò da quel turbinio di pensieri che la stava travolgendo. Stavano per atterrare.
Non appena Mark e Strawberry abbandonarono l’aeroporto raggiunsero il Caffè Mew Mew, ormai chiuso. Il locale era ben diverso da come la rossa lo ricordava. Non risplendeva più di quei colori brillanti e di quell’aria giovanile che in precedenza lo caratterizzava. La vernice era scrostata, le edere ricoprivano quasi interamente la struttura e le finestre e il portone principale erano sbarrati con spesse assi di legno.
La rossa sapendo che avrebbe trovato l’entrata secondaria aperta si diresse sul retro seguita dal ragazzo, che fino a poco prima era rimasto a fissare la facciata cadente dell’edificio. Appoggiò una mano sulla spalla della fidanzata nel momento stesso in cui lei pronunciò, con voce atona, una singola parola –Ryan-.

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Capitolo 3
*** capitolo III - La caccia è aperta ***


~~La voce di Strawberry rimbombò per l’intera sala ormai deserta. L’arredamento era stato completamente smantellato e le uniche cose rimaste erano due sedie nell’angolo infondo a sinistra, vicino alla porta d’ingresso, e il lungo bancone dove un tempo era poggiata la cassa.  Attese una risposta in silenzio e dopo pochi secondi udì dei passi provenire dal piano superiore, dove solo 5 anni prima vi erano le camere di Kyle e Ryan, e il bagno di servizio. Avanzò di poco sempre con la mano del fidanzato sulla spalla fino a trovarsi di fronte il biondo americano.

POV Strawberry

Non potevo immaginare che anche dopo tutto quel tempo riuscissi a perdermi ancora dentro i suoi occhi. Almeno ora riesco a sostenere il suo sguardo, pensai soddisfatta, ancora pervasa da quella sensazione di pseudo-annegamento. Sospirai inconsciamente (che poi tanto inconsciamente non fu visto che sembrò accorgersene lo tesso Ryan, che, per un attimo, si tolse la gelida maschera che ormai indossava quotidianamente e i suoi occhi furono invasi da un lampo di incertezza). Cercai di concentrarmi nuovamente sul perché ci trovavamo in quel luogo e richiusi dentro la scatola dei ricordi tutto ciò che, pur appartenendo al mio ormai passato, stava tornando a galla. Anche Ryan, come me si soffermò sul mio corpo, ormai maturo, suoi miei occhi e sulla bocca socchiusa, per poi distogliere prontamente lo sguardo e lanciare un gelido sorriso a Mark, fino a quel momento presenza per lui irrilevante.
Lui e Mark non avevano mai avuto un buonissimo rapporto. O meglio il moro cercava di abbozzare il comportamento di superiorità del biondo, e l’altro, l’americano, cercava invece di fingere che il moro non esistesse affatto. Dopotutto erano come sole e luna, giorno e notte. Uniti dalla cosa che più al mondo li separava. Me.
Avevo scoperto, solo tempo dopo la sconfitta di Profondo Blu, quello che Ryan provava per me. Non fu uno shock. Inconsciamente sapevo che sotto c’era qualcosa, ma consciamente ero sempre stata troppo infantile, distratta e innocentemente  innamorata di Mark per aprire gli occhi e rendermene davvero conto.  Come ho già detto, quando lo scoprii, o meglio, quando Pam me lo gridò dietro ormai esasperata da una delle nostre solite discussioni, non mi sorpresi. Mi incazzai. Ero arrabbiata perché mi aveva sempre fatto credere di essere una ragazzina, di non essere abbastanza per capirlo e per stargli vicino. Ero incazzata con lui per non avermi dato la possibilità di farsi capire da me. Per non avermi dato la possibilità di scegliere.
Che poi a quale possibilità mi riferissi proprio non ne ho idea. Ero sempre così su di giri per Mark che forse, se me l’avesse detto, avrei addirittura fatto finta di essermelo sognato. Sarebbe cambiato dunque qualcosa? Che vado a pensare?

Ryan non fece neanche un fiato e ci portò nel laboratorio sotterraneo, sempre in silenzio, facendosi strada tra i scatoloni ammassati lungo il corridoio e per le scale. Non fece in tempo ad aprire la porta blindata che una ragazza altissima dai capelli verdi e un'altra più giovane e bionda mi saltarono al collo. Era da così tanto tempo che non le vedevo che feci fatica a metterle a fuoco. Presi un attimo di respiro e le abbracciai a mia volta stringendole più forte a me, fino a farmi mancare il fiato. Sempre sorridendo le liberai dalla morsa delle mie braccia e scompigliando i capelli a Puddy, passandole affianco, salutai Kyle che era rimasto ad osservare la scena in silenzio, con un sorriso a trentadue denti stampato in faccia. Con stupore notai che non portava più i capelli lunghi ma che ora gli arrivavano appena sopra la spalla, in modo disordinato.
Conclusi i saluti, Ryan prese la parola comunicandoci che Mina e Pam sarebbero arrivate il giorno a seguire ma che ci avrebbe comunque esposto il motivo per cui tanto di fretta ci aveva fatto giungere al caffè.
-Strawberry aveva ragione. – pronunciò la frase con grande fatica, con la stessa difficoltà con la quale di solito era in grado di scusarsi. Fece un lungo sospiro guardandomi in cagnesco con la coda dell’occhio. Mi vuole sbranare perché ho ragione? Sorrisi di rimando. – i Chimeri rimasti sulla terra dopo la morte di Profondo Blu stanno mutando-
-Cosa significa?- chiese Lory con gli occhi sgranati. Avrei scommesso qualsiasi cosa che la ragazza non volesse tornare a combattere. Dopo la fine della battaglia, aveva trovato la propria tranquillità, rifugiandosi nei libri e tra i corridoi della biblioteca universitaria, e per nulla al mondo avrebbe voluto abbandonare quella pace.
Ryan sembrò aspettarsi quella risposta e si girò verso Lory pronto a risponderle ma io fui più rapida. Adoro infastidirlo. – Significa che alcuni di loro hanno trovato un modo per legarsi direttamente al DNA umano- feci una pausa cercando di cogliere dagli occhi blu della mia amica, comprensione – e non solo temporaneamente purtroppo.- Puddy sembrava confusa e come Lory era chiaro che non stesse afferrando il concetto. Ryan se ne rese conto tanto quanto me e cercò di spiegarsi meglio che poteva  - si fondono così ..bene col DNA umano, da creare un legame indissolubile. Una volta creato questo “legame” non si può più sciogliere. L’unico modo per mettere fine alla vita del Chimero è eliminare il corpo che lo ospita.-
Lory si coprì gli occhi sconcertata. Ormai le era chiaro cosa avessero voluto dire Strawberry e Ryan. – Questo significa che dovremmo uccidere?-  fui pervasa da un infinita tristezza per la verdina che ormai sembrava stare per scoppiare a piangere. Mi avvicinai a lei e le posai una mano sul braccio cercando di calmarla. –Sono pericolosi Lory, e molto. Per di più i corpi che ospitano sono ..marionette.- feci una pausa, cercando le parole adatte per non sembrare senza cuore –non sono più le persone che erano un tempo.-
Puddy al contrario di Lory sembrava comprender con più freddezza la situazione. -Sappiamo quanti sono?- chiese fissando il pavimento e torturandosi le mani compulsivamente. Lanciai uno sguardo a Ryan e il biondo prese la parola – Non sappiamo ne quanti sono ne dove sono. Il DNA umano riesce a nascondere qualsiasi traccia della presenza aliena. Dovremmo inventarci qualcosa.-
-Da quello che ho potuto scoprire grazie ad alcuni..ehm accertamenti..- a quelle mie parole Ryan mi fulminò con lo sguardo –è difficile distinguerli dai normali esseri umani. A volte è più semplice. Hanno caratteristiche, come dire, animalesche abbastanza evidenti. Altre volte invece è molto più difficile.- Mark mi si avvicinò prendendomi la mano e stringendola forte. In quel momento fui grata per quel contatto così dolce e comprensivo. Era difficile coinvolgere qualcun’altro in qualcosa di così pericoloso. E lui sapeva quanto ne fossi addolorata. –tuttavia una volta che ve lo troverete davanti, posso assicurarvi che saprete riconoscerlo-. Quest’ultima era un innegabile verità. Semplicemente guardando negli occhi uno di quei mostri ci si poteva rendere conto che in loro non c’era più un briciolo di umanità. E per di più i sensi degli animali a codice rosso aiutavano particolarmente nel riconoscimento dei chimeri.
Lory riprese finalmente la parola. Sembrava aver riacquistato un po’ del suo colore naturale e aveva portato le braccia lungo i fianchi allontanandole dagli occhi e dalla bocca che fino a poco prima coprivano disgustate dalla prospettiva di ciò che avrebbe dovuto fare stavolta per salvare la terra – ma se non riusciamo a rintracciarli, come facciamo a sconfiggerli?-.
-Li cerchiamo-. Stavolta fu Mark, che fino a quel momento era rimasto in silenzio, a prendere la parola.
La caccia sta per essere aperta.



Appena finita la piccola riunione nel seminterrato me ne tornai di sopra, bisognosa di aria e luce. Fuorii dal caffè mi sedetti alla panchina più ombreggiata, davanti al vialetto d’ingresso. Portai le gambe al petto e abbracciandomi appoggiai la testa sulle ginocchia, chiudendo gli occhi stanca. Avrei potuto rimanere in quella posizione per sempre; accarezzata dal vento e cullata dal rumore dell’aria che si infrangeva sulle foglie e sui ramoscelli del parco Inhoara. Anch’io come Lory avevo avuto paura la prima volta che avevo fatto i conti con la realtà, riguardo la nuova battaglia che il team Mew Mew avrebbe dovuto affrontare. Ma dopotutto io, non mi ero mai davvero allontanata dal campo di battaglia.
Avevo continuato ad allenarmi, e grazie anche ai geni del gatto (e anche a qualche aiutino supplementare) mi ero ritrovata più volte a sconfiggere con crescente facilità quei Chimeri che sempre più deboli continuavano a nascondersi negli angoli più reconditi della terra, aspettando il momento più opportuno per tornare a combattere. Per lo meno non avevo mai trovato difficoltà fino a quel giorno…
All’inizio avevo cercato di tenere le mie “scappatelle” segrete a Mark, perché sapevo che non avrebbe approvato, preoccupandosi per la mia incolumità, dal momento che, ormai da tempo, non ero più in grado di trasformarmi. Come le altre dopotutto.
Subito dopo la battaglia con profondo blu infatti i nostri poteri erano ricomparsi a causa dell’ingente presenza di chimeri a Tokyo, che a quel tempo, essendo imbevuti fino al midollo di acqua cristallo, erano una gran bella minaccia. Man a mano che il pericolo andava scemando i poteri si erano affievoliti impedendoci le metamorfosi ma lasciandoci comunque i geni degli animali a codice rosso.
Comunque, riuscii a mantenere il segreto con Mark per circa due mesi, poi una volta scoperta, il dolce idillio che era stato il mio periodo da cacciatrice-solitaria/hobby era andato a farsi fottere e il Cavaliere Blu aveva iniziato a seguire ogni mio passo  e ogni missione, costringendomi al lavoro di coppia. Da una parte gli ero grata. Lo amavo e lui amava me, ero felice che volesse proteggermi. Dall’altro volevo che mi liberasse da quella campana di vetro che mi aveva costruito intorno e che mi lasciasse andare permettendomi di dimostrargli che potevo farcela anche da me.  Volevo solo essere libera. Volevo mettermi in gioco e l’avrei fatto. A qualunque costo.
Persa nei miei pensieri non mi accorsi del ragazzo che era appena uscito dal caffè e che da lontano mi osservava, intrappolando nei suoi pensieri piccole istantanee di me, così piccola e fragile, raggomitolata su me stessa, in segreto. Come ai vecchi tempi.


Dopo un tempo lunghissimo passato a crogiolarmi nei miei pensieri Mark mi venne a chiamare dicendomi che saremmo tornati il giorno seguente e che era ora di andare a mangiare qualcosa. Salutai gli altri sbrigativamente ce ne andammo.
Passammo la notte nella vecchia casa dei miei, a Ginza. La casa dove ero cresciuta e che fino a cinque anni prima aveva ospitato la mia famiglia felice. Mio padre dopo la morte dell’amore della sua vita (e della mia) si era allontanato da tutto ciò che potesse ricordargliela anche solo lontanamente.
Deve essere dura perdere la propria anima gemella. Deve essere tremendo trovarsi dentro un vuoto così grande da non poter essere riempito con nulla se non con malinconia e una serie infinta di ricordi. Ricordi che ti salvano e che ti condannano allo stesso tempo. Deve essere stata dura per mio padre, aggirarsi per casa sentendo ancora il suo odore, aprire gli armadi, i cassetti e trovarci dentro le sue cose come se ancora lei fosse lì.
In segno di rispetto Mark dormì sul divano in sala al piano inferiore lasciandomi la mia camera da letto, non volendo costringermi a dover disfare il letto nel quale aveva dormito per l’ultima volta mia madre.
Io non chiusi occhio tutta la notte, continuando a girarmi a destra e sinistra nel letto e non trovando una posizione comoda in quello che fino a così poco tempo prima era stato un cosi dolce giaciglio. Piansi ininterrottamente senza rendermene conto, in silenzio, sotto le lenzuola che usavo un po’ come fossero una barriera verso il mondo.
Quando la luce iniziò  a filtrare dalle tende spesse e rosa alla finestra mi misi seduta sul bordo del letto. Tirai fuori la siringa col siero da dentro la borsa che la sera prima avevo poggiato sul comodino e presi respiro. Una volta tolto l’imballaggio metallico che circondava il siero contai fino a tre e piantai l’ago nella coscia reprimendo un urlo, mordendomi la mano. Spinsi il liquido celeste e iridescente nelle carni e tolsi l’ago, rigettandomi di schiena sul materasso. Ormai il dolore era diventato sopportabile. Ci ho fatto l’abitudine. Nascosi nuovamente la siringa del contenitore e presi a massaggiarmi il punto dove si stava andando a formare un piccolo livido circolare.
Mark stava ancora dormendo, sentivo il suo respiro calmo e cadenzato dal piano superiore grazie ai sensi di gatto. Scendendo le scale in punta di piedi lo raggiunsi e mi accoccolai a fianco a lui, che percependo la mia presenta sorrise nel sonno. Chiusi gli occhi, cercando di liberare la mente dai mille pensieri.
Ho un brutto presentimento.

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Capitolo 4
*** capitolo IV - Nemici e ***


-Berry?-
Qualcuno mi stava chiamando, scuotendomi delicatamente la spalla.
Sentivo la voce ovattata, distante, ma un soffio leggero mi accarezzava le guance ogni qual volta sentivo pronunciare il mio nome. Svogliatamente aprii un occhio per vedere chi mi avesse svegliato, e mi trovai davanti Mark, che accucciato di fronte al divano mi sorrideva.
Ricambiai il sorriso e mi sedetti appoggiando la schiena al cuscino rosso che avevo alle spalle. Lui si alzò e mi raggiunse incrociando le gambe sul divano.
Quel ragazzo tirava fuori la parte migliore di me. Era sempre stato in grado di strapparmi un sorriso, anche nei momenti peggiori e io mi ero sempre sentita in dovere di sorridere per lui. Dopotutto non merita di vedermi triste.
-Tesoro, devo tornare a Londra-
Appena lo disse mi voltai verso di lui con un’espressione interrogativa sul volto.
Che significa?
Quasi leggendomi nel pensiero mi prese le mani e iniziò a spiegarmi che Ryan quella mattina l’aveva chiamato e gli aveva chiesto “gentilmente” (per quanto il biondo potesse essere gentile nei suoi confronti) di tornarsene in Inghilterra perché un gruppo non indifferenti di Chimeri stava creando non pochi problemi nel caro vecchio continente.
–Non puoi andare da solo, devo darti una mano!- non appena pronunciai quelle parole una parte del mio cervello si annebbiò completamente rendendosi conto che , in effetti, poteva aver bisogno di una mano; mentre l’altra parte, quella che con la vecchia Strawberry c’entrava un po’ di meno si morse la lingua. Ho bisogno del mio spazio, almeno per un po’, mi dissi.
Lui mi accarezzò il viso e stampandomi un bacio a fior di labbra fece per alzarsi, ma involontariamente lo trattenni per una manica, attendendo una sua risposta.
–Berry, tu servi qui, per il progetto e tutto- si sedette di nuovo – io posso cavarmela anche da solo. Lo sai che sono molto deboli, e sai che non mi caccerò nei guai tanto facilmente-.
Vedendomi più tranquilla rispetto a poco prima si avvicinò al mio viso e colmò la distanza che ci separava baciandomi di nuovo, approfondendo stavolta il contatto. Gli gettai le braccia al collo e continuai a baciarlo per un po’, cercando di assaporare quella dolcezza tipica di Mark, il mio Mark.
-Ti amo- .
Me lo disse così, con semplicità, tra un bacio e l’altro. Io chiusi gli occhi assaporando quel momento, ma senza rispondergli .Lo abbracciai stretto e seppellii il viso nell’incavo tra il collo e la spalla.
Perché non rispondi Straw?
Rimanemmo così per non so quanto tempo.
Quando Mark uscì di casa salutandomi con tanto di valigie alla mano sprofondai la faccia tra i cuscini del divano cercando di riaddormentarmi. L’unico modo per resistere dentro quella casa era per me a) non entrarci, il che era di per se una contraddizione o b) dormire, premettendo il fatto che ci fossi riuscita.
Entrai in uno stato di dormiveglia e con gli occhi socchiusi mi abbandonai al flusso dei miei pensieri.  Rimanere lì era di per se devastante. Ogni angolo di quella casa mi ricordava Lei. Qualsiasi cosa a cui mi avvicinassi aveva il suo odore e ovunque guardassi c’erano foto sue, mie e di Shintaro, ancora sorridenti e felici, inconsapevoli di quello che sarebbe stato il destino della nostra famiglia.



Tenevo gli occhi socchiusi e il rumore del televisore sovrastava quello del traffico fuori casa, quando all’improvviso i miei sensi di gatto si risvegliarono e una strana sensazione mi colpì, come un pugno alla bocca dello stomaco. Una voce, sepolta sotto i pensieri, stava gridando nel mio cervello, dicendomi di stare all’erta, di scappare. 
Mi alzai a sedere guardandomi in torno indispettita per quella voce interiore che mi aveva costretta a uscir fuori dallo stato di torpore in cui ero sprofondata. Con la coda dell’occhio notai qualcosa muoversi dietro le tende che coprivano la grande finestra a terra del salone. In un attimo fui in piedi, in posizione di difesa. Una scossa di elettricità mi pervase la spina dorsale e un sorriso compiaciuto mi si stampò sul viso. Quelle iniezioni facevano sempre dei piccoli miracoli e ne ero profondamente soddisfatta.
In silenzio acuendo i sensi di gatto e sgranchendo il collo, ruotando la testa a destra e sinistra mi mossi verso l’ingresso. Dovevo uscire in giardino e vedere chi, di soppiatto, provava a spiare dentro casa mia.
Quando fui in giardino mi richiusi la porta dietro assicurandomi di averla ben chiusa in modo che nessuno potesse così entrare eccetto me, per lo meno senza essere sentito. Il chiavistello dava un bel po’ di problemi e tutte le volte che la serratura veniva forzata faceva un rumore a dir poco assordante.
Vieni fuori, forza.
I combattimenti, da un pezzo a quella parte avevano smesso di incutermi paura e avevano finito per eccitarmi sempre di più, trasmettendomi quella sensazione adrenalinica di libertà, potere e forza che cinque anni prima non mi sarei nemmeno minimamente sognata. Non avevo più paura, per lo meno non temevo per la mia vita. D’un  tratto mi spuntarono fuori le orecchie e la coda, segno che il pericolo si stava avvicinando e i miei geni stavano rispondendo attivamente al segnale. In quelle condizioni sapevo che sarei riuscita a percepire rumori, odori e movimenti sospetti anche a occhi chiusi e a cento metri di distanza. Non hai più scampo, ti sento, pensai . Ed era vero.
Riuscivo a percepir una presenza a circa quindici metri da me, dietro il muro di casa che copriva la visuale su tutto il resto del giardino. Chiusi per un secondo solo gli occhi, ispirando profondamente e un odore metallico e dolciastro mi arrivò al naso, facendolo storcere. Sangue. Quell'odore poteva voler dire una sola cosa: lo spione in questione, era uno di loro.
Era arrivato il momento di affrontare il mio nemico. Cominciai a muovermi di soppiatto producendo il minimo rumore possibile, fino ad arrivare all’angolo che separava me dal probabile aggressore che si aggirava nella mia proprietà. Assunsi la posizione di difesa e velocemente, concentrandomi mi gettai  dalla parte opposta del muro ritrovandomi nella zona più ombreggiata del giardinetto che mia madre amava curare.
Piegai poco la testa verso destra e raggelai. Poco distante da me, come mi aspettavo, c’era uno di quei mostri. Perché è qui?
-Che vuoi?- cercai di reprimere la rabbia e parlare in modo pacato così da non attirare gli occhi dei vicini più curiosi, ma dentro avrei voluto gridare. La donna di fronte a me di tutta risposta esplose in una fragorosa risata e gettò la testa indietro. Sembrava divertirsi un sacco –Stai tranquilla, micetta-. Appena finito di parlare si portò una mano davanti alla bocca continuando a sogghignare sotto i baffi. Aveva i capelli corvini raccolti in una coda alta ed era vestita di tutto punto, con dei pantaloni aderenti neri e una blusa del medesimo colore. Sarebbe stata una bellissima donna se non fosse stato per gli occhi dalle iridi di un nero innaturale e iniettati di sangue. La pelle del collo era tirata e sulle mani aveva delle chiazze violacee. La pelle era così pallida da sembrare di porcellana ma di una sfumatura innaturale, cinerea.
Se davvero era una di quei chimeri non mi sarebbe bastato il mio allenamento e qualche gene felino. Mi serve un arma.
Allora, colta dalla consapevolezza che, senza un arma, mi avrebbe di sicuro fatto fuori dopo dieci minuti, cercai di prendere tempo, e guardandomi intorno provai a chiedere –Perché sei qui?- questa volta la voce uscì fuori quasi come un ringhio, gutturale e profondo. Lei inclinò la testa e con un finto sorriso angelico, particolarmente inquietante mi rispose –La micetta tira fuori le unghie?- .
Non mi diete il tempo di rispondere che riprese a ridere buttando la testa di nuovo all’indietro. Mi stavo innervosendo e se non avessi trovato a breve qualcosa con cui difendermi avrei dovuto combattere disarmata. E la cosa non mi piaceva affatto, visto il nemico he avevo di fronte. Lei vide, o forse addirittura percepì il mio disappunto e l’insicurezza che per un attimo mi era balenata in facia e tornò a rivolgere la propria attenzione su di me.
-Sai, pensavamo di uccidervi una per una…- mentre pronunciava quelle parole vidi nell’angolo destro del giardino, subito dietro alle spalle del chimero, gli attrezzi da giardino che mio padre aveva lasciato abbandonati lì. Tra quelli spiccava un lungo bastone di legno che probabilmente un tempo era stato il manico di una delle pale usate dalla mamma per curare le piante. Bingo! Sarebbe stata una buona arma, non ottima, ma sufficiente. Se solo riuscissi a distrarla.
-Non vedo l’ora di vedere quanto è forte la leader delle Mew Mew-. Un ghigno divertito apparve sul mio viso e per un attimo sembrò turbarla. Poi con un lampo di genio, capii che se volevo recuperare quella pseudo-arma abbandonata là in fondo avrei dovuto attaccarla, in modo da avvicinarmi a lei, e di conseguenza, al muro alle sue spalle.
La ragazza sembrò capirlo e in un batter d’occhio me la ritrovai di fronte intenta a colpirmi con una gomitata in piena faccia. I geni dell’Iriomote però giunsero subito in mio soccorso e con velocità innaturale schivai il suo attacco voltandomi sulla destra e afferrandola per il braccio. Sembrò colta di sorpresa per l’agilità con la quale avevo reagito e mi tirò verso di se facendo leva sul braccio che io stessa avevo afferrato. Le tirai un calcio nello stomaco e grazie alla spinta mi ritrovai a due o tre metri da lei, che a causa del colpo si era piegata su se stessa. Credevo di averla ferita quando tirò su la testa e fissandomi mi sorrise divertita. Stava solo giocando.
 Ero a pochi passi dall’attrezzo tanto agognato; cosi iniziai a indietreggiare sempre sotto il suo sguardo divertito. Aveva capito cosa stavo per fare ma non sembrava volesse fermarmi, anzi questo eccitava i suoi istinti di cacciatrice ancora di più. Decisi di accontentarla e afferrai il bastone con la mano destra. Lo feci ruotare due volte a passandolo dietro la schiena lo passai nella mano destra brandendolo come fosse una spada. Mancava poco che la mia avversaria iniziasse a battere le mani e saltellare a destra e manca felice di vedermi pronta al combattimento.
-Vieni qui, stronza-. La chiamai sempre ringhiando.
Non volevo che mi vedesse semplicemente come una gattina con cui fare i suoi giochi. Non ero più la Strawberry di una volta.
Accolse il mio invito di buon grado e mi si gettò addosso. Parai tre o quattro attacchi con il legno ma fui colta di sorpresa dalla ginocchiata che mi piantò il pieno petto. Senza mollare l’arma indietreggiai di qualche passo cercando di non perderla di vista e recuperando quel poco di respiro che mi era rimasto nei polmoni. La stronza parve compiaciuta e ammicco verso di me, muovendosi lentamente e sinuosamente, come a volersi gustare il momento, e godendo nel vedermi in difficoltà. Decisi di farle credere ancora per un po’ di stare al suo gioco per poterla cogliere di sorpresa. E quando fu abbastanza vicino mi accucciai, colpendola con un calcio alla gamba destra e lei vacillò cadendo a terra. Ora ero io ad avere la meglio così mi gettai su di lei puntandole la parte spezzata e più tagliente della mia arma al petto ma lei la evitò ruzzolando su un lato e rialzandosi con un colpo di reni.
Mi fu alle spalle un millesimo di secondo dopo ma aspettandomelo feci leva sulle gambe e, non appena mi afferrò le braccia cingendomi con una mano gelida il collo la colpii con una testata ben piazzata.
Barcollò e approfittai del suo momento di debolezza per colpirla alle spalle. L’impatto fu abbastanza forte da farla cadere a quattro zampe, così le balzai sopra tirandole i capelli per farla voltare e portai il bastone sotto la sua gola trattenendole le braccia con le ginocchia.
-E ora, ci facciamo una bella chiacchierata- sembrò non essere contenta della piega che stava prendendo la situazione e cercò di liberarsi ma la tenevo troppo saldamente e alla fine smise di agitarsi sotto il mio peso.
-Chi ti dice che io abbia voglia di parlare?- rispose poi. Era incazzata nera.
- Beh non mi aspetto certo una chiacchierata di piacere- lo dissi convinta, sottovoce, indurendo la presa sulla coda e tirandole di più i capelli, costringendola a storcere il collo ancora più verso di me. Piantò quei pozzi di petrolio che erano i suoi occhi nei miei e mi sentii per un attimo terribilmente indifesa di fronte a quella disumanità che ormai abitava il corpo di quella ragazza.
Con una forza innaturale si liberò le braccia dal mio peso e mi spinse via da lei. Rotolai indietro per una o due volte poi mi alzai, rimanendo accucciata, pronta ad attaccare da un momento all’altro, come un animale che nascosto attende che la sua preda faccia un passo falso per poterla attaccare. 
-Sai mi aspettavo che fossi rimasta più fuori allenamento di così- fece una pausa, poi riprese il filo del discorso – ti trovo bene Mew Berry- aveva il fiatone, ero riuscita a metterla in difficoltà più di quanto volesse dare a vedere.
-Dimmi cosa vuoi e facciamola finita, non voglio giocare con te-. Mi stavo stancando di stare dietro ai suoi giochetti e volevo sapere perché addirittura era venuta a casa mia. C’era sotto qualcosa più grande di quanto avevamo immaginato io e Ryan e volevo far luce.
-Per tua sfortuna sono venuta proprio per giocare con te, gattina- mi sorrise – quindi, credo proprio che per oggi dovrai accontentarti di sapere che vi faremo fuori una ad una-.
Mi stava dando sempre più sui nervi. Bene, se non voleva collaborare con le buone, l’avrei fatta parlare a modo mio. Con uno scatto felino le fui davanti e in un attimo la colpii alla tempia con la punta dell’arma improvvisata che avevo racimolato. Lei si scostò di corsa e si portò una mano alla testa sanguinante. Si osservò le dita e le portò alla bocca, assaporando il sapore metallico del sangue e socchiudendo gli occhi fingendosi quasi estasiata. Era divertita. Feci per muovermi ancora verso di lei per attaccarla, ma mi afferrò per il braccia buttandomi a terra.
Non appena mi rialzai la cercai con lo sguardo, ma era scomparsa.
Ti troverò, e ti farò parlare. Fosse l’ultima cosa che faccio.

***

Decisi che mi sarei dovuta dare una ripulita prima di andare al Caffè e raccontare tutto a Kyle e Ryan visto che avevo i capelli pieni di foglioline e la faccia sporca di terra e sangue. Salendo le sale, prima di gettarmi sotto la doccia mi ero accorta che quella stronza era riuscita a colpirmi così forte alla faccia che un rivolo di sangue mi colava dalla bocca. Ok, ora mi stavo stranendo.
Indossai un paio di Jeans attillati a vita alta e gli anfibi, chiusi la giacca di pelle sulla camicia bianca e nera e legai i capelli in una crocchia disordinata sopra la testa.  Afferrai senza pensarci la borsa in camera e mi diressi al Caffè.
Quando arrivai l’atmosfera era decisamente diversa da quella del giorno precedente. La porta principale era spalancata e Kyle, all’interno del locale stava dando una bella ripulita a terra sbuffando di tanto in tanto e facendo sollevare la frangetta, che poi gli ricadeva disordinatamente sulla fronte.
Salutai di fretta il ragazzo che mi ricambiò con un sorriso e mi diressi giù in laboratorio dove sapevo avrei trovato Ryan.
Gli scatoloni lungo le scale erano scomparsi, segno che Kyle, forse aiutato da un più pigro Ryan si erano dati da fare davvero quella mattina.
Quando giunsi di fronte alla porta del laboratorio tirai un sospiro di sollievo. Mi piaceva stare in quel posto. Era come se mi trovarsi a casa, ma non abbastanza a casa da farmi sentire costantemente la presenza (o meglio la mancanza) di mia madre. Per di più lì, ero al sicuro.
La mia speranza di passare la giornata persa tra le ricerche assieme a Ryan, cercando di indispettirlo e infastidirlo però andarono in frantumi non appena spalancai la blindata, dopo aver inserito il codice.
Le luci della stanza erano soffuse e le pareti bianche erano illuminate per lo più dagli schermi colorati dei computer e delle macchine che di tanto in tanto lanciavano suoni metallici.
Ryan era seduto sulla solita sedia, dandomi le spalle e aveva le mani dietro la nuca come era solito starsene spesso. Ma non era solo.
Fujiko, la sua bella fidanzatina giapponese, stava seduta sopra di lui, poggiata su una delle gambe del capo del progetto Mew. La gonna era leggermente sollevata e non lasciava molto spazio all’immaginazione lasciando intravedere buona parte delle cosce toniche. Era chinata appena e stava posando le sue labbra su quelle del biondo quando si accorse della mia presenza. Sembrò scocciata del fatto che fossi lì e si raddrizzò con la schiena salutandomi con la mano. Il biondo si decise a muoversi solo quando la vide allontanarsi da lui, ma ero sicura al 100% che mi avesse sentita già mentre stavo scendendo le scale. Dopotutto anche lui aveva i geni del gatto.
-Ciao Fujiko- sorrisi falsamente, sperando dentro di me di non darlo troppo a vedere visto che non volevo dare a quella gallina la soddisfazione di rendersi conto apertamente che proprio non riuscivo a sopportarla –è da tanto che non ci vediamo-. 
Lei annui –Già, ora ci vedremo molto più spesso però- mi fece l’occhiolino e poi si chinò a baciare il ragazzo che era rimasto seduto. Il mio stomaco fece una capriola, colto tra il nervoso che quella Fujiko mi provocava e il disgusto della situazione in cui ero incappata. Sapevo che tutte le volte che si trovava in mia presenza doveva accertarsi che tutte le attenzioni di Ryan fossero rivolte a lei e ben distanti dalla mia figura. Ma che pensa? Che io sia interessata a lui? Sorrisi al pensiero, poi un secondo dopo raggelai, chiedendomi perché non appena quell'idea mi era balenata in testa il mio cervello non l’avesse bollata con la scritta impossibile di un bel rosso acceso.
La mora mi passò a fianco e fui invasa da un ondata del suo profumo, che mi nauseò non poco. Dio, non la sopporto proprio!
Solo in quel momento Ryan si degnò di donarmi un po’ della sua attenzione e una volta che la fidanzata fu fuori dalla stanza mi scrutò in lungo e in largo come se non riuscisse ancora a capacitarsi del cambiamento che in quegli anni mi aveva sconvolto così tanto.
Il calore con cui mi osservò duro solo pochi secondi, poi il suo sguardo tornò glaciale come sempre.
– Che vuoi, Strawberry?- chiese gelido tornando a voltarsi verso lo schermo che illuminandolo gli conferiva un colorito pallido. Mi sedetti nella sedia di fianco a lui e mi persi anch’io a fissare il computer che al momento trasmetteva immagini varie di luoghi dove probabilmente si annidava l’acqua Cristallo che ancora non eravamo riusciti a scovare.
-Stamattina mi hanno attaccata- pronunciai la frase con tutta la tranquillità possibile, come se gli stessi raccontando cosa avevo mangiato per colazione o a cena la sera precedente. Lui di tutta risposta si voltò con gli occhi sgranati, fissandomi serio e cercando di capire se fossi o meno seria.
-Che significa che ti hanno attaccata?- chiese.
-A casa mia, era una ragazza. Si stava aggirando nel mio giardino e quando sono uscita fuori per vedere chi fosse mi ha attaccata, dicendomi che prima o poi ci avrebbero eliminato tutte- feci una pausa tornando a fissare lo schermo per poi proseguire – in pratica sa, o meglio, sanno, che gli metteremo presto e volentieri i bastoni tra le ruote-.
Ryan ribolliva letteralmente di rabbia –Sapevi che era uno di quei Chimeri, Strawberry?-. Stava cercando di mantenere la calma, infatti parlò molto lentamente, soffermandosi appena sul mio nome. Sapevo che sperasse dicessi che no, non sapevo chi mi sarei trovata davanti, perché altrimenti per lui sarei stata non molto coraggiosa, ma anzi, solo tremendamente stupida. Tuttavia la voglia di farlo incazzare era troppa e soprattutto se avessi detto il contrario avrei mentito spudoratamente solo per farlo contento, il che non era affatto da me.
-Sapevo che era una di loro- mi stavo preparando all’esplosione –è praticamente impossibile non riconoscere il loro odore.- scandii bene la parola “impossibile”, tornando a guardarlo dritto negli occhi. Anche lui nello stesso istante tornò a puntare quei pozzi azzurri che erano i suoi occhi si di me e mi fulminò con lo sguardo. Probabilmente se avesse potuto mi avrebbe strangolata lì sul momento.
Negli anni passati era sempre stato un po’ restio nel mandarmi in “missione” da sola ed era stato segretamente e infinitamente grato a Dio quando Mark aveva deciso di accompagnarmi. Ora evidentemente, pensava che sarebbe stato in grado di impedirmi di andare a cercare i guai, ma aimè erano loro che cercavano me, e su questo Ryan non avrebbe potuto intervenire in alcun modo.
-Strawberry sei una ragazzina! Una stupida ragzzina!-
Boom. La bomba era esplosa. Aveva quasi gridato quelle parole prendendomi da una parte un po’ alla sprovvista e facendomi salire dentro una rabbia a me ben nota. Quel tipo di incazzatura che solo Ryan era in grado di tirarmi fuori arrivando a farmi scoprire le parti peggiori di me. –Che avrei dovuto fare? Chiudermi in casa e chiamare soccorsi?-
Mi ero alzata dalla sedia buttandola praticamente a terra e mi ero chinata pericolosamente verso di lui cercando di sovrastarlo e impormi sulla sua figura, che altrimenti anche da seduto sarebbe stata molto più alta della mia.
-Ecco. È esattamente quello che avresti dovuto fare!- era deciso più che mai a farmi passare per una scoscenziata.
-Si certo, e magari nel frattempo, avrei potuto offrirle una bella tazza di tè?-. Ok stavo iniziando ad essere leggermente stranita dal suo comportamento da fratello maggiore. Non avevo bisogno di una balia, tanto più se questa balia era proprio Shirogane. Stava per controbattere ma fui più rapida di lui.
-So difendermi anche da sola, non ho bisogno di tutta la cavalleria Ryan!-.
Lui fece un lungo sospiro e tornò calmo e controllato come sempre –Non mi importa della tua incolumità, Strawberry. Però così rischi di mandare a puttane tutto prima ancora di aver iniziato.- Le sue parole mi colpirono con la forza e la velocità di uno schiaffo e per un attimo, dopo aver ricevuto il “colpo” sgranai gli occhi. Colpita e affondata, Strawberry.
Per un attimo la consapevolezza di non valer più nulla per lui, fu dolorosa come nient’altro. Sentii qualcosa spezzarsi e lo stomaco rivoltarsi in mille capriole fino a intrecciarsi del tutto. Poi fui invasa dalla consapevolezza che non avevo bisogno di lui e mi salì dentro tutta la rabbia che disperatamente avevo tenuto dentro negli ultimi otto mesi. Cercai di trattenere le lacrime che spingevano per poter uscire e non solo quelle. Dovetti portarmi le mani in grembo e tenerle ferme l’un l’altra per non sganciargli uno schiaffo che si sarebbe ricordato per tutta la vita.
Mi alzai senza nemmeno guardarlo e feci per uscire. Quando fui sulla soglia mi voltai quanto bastava per vederlo con la coda dell’occhio. –Non rovinerò il tuo progetto, puoi starne certo- quasi lo sussurrai, ma ero sicura che lui l’avesse sentito. Come ero sicura che si fosse reso conto che stavolta, aveva esagerato e non l’avrebbe passata liscia tanto facilmente.


Fine POV Strawberry


***

Pam e Mina si presentarono davanti alla porta di casa Momomya verso le 8, quando ormai il sole era calato all’orizzonte e la luna illuminava flebile la città di Tokyo.
Pam non era cambiata per nulla, era sempre della solita bellezza sconcertante anche se i capelli erano leggermente più corti di quando l’aveva incontrata l’ultima volta. Mina era rimasta minuta come cinque anni prima ma l’espressione matura che portava con decisione sul viso la faceva sembrare una giovane donna sicura di se.
La modella la salutò semplicemente con un bacio sulla guancia mentre Mina inaspettatamente le si gettò al collo, quasi commossa. Dopo tutto lei era stata fin dall’inizio la sua migliore amica e la lontananza dovuta a tutti quegli anni a Londra si era fatta sentire per entrambe. Anche per la più fredda e calcolatrice ballerina. Strawberry non potè fare a meno di invitare le due a cena tanta era stata la contentezza nel trovarsele sulla soglia di casa.
La cena trascorse tranquilla e per più di una volta la rossa rischiò di arrivare alle mani con la vecchia mew bird sotto lo sguardo divertito di Pam, proprio come ai vecchi tempi.
Arrivate le 11 le ragazze salutarono l’amica e si avviarono a casa consapevoli che il giorno seguente si sarebbero ritrovate tutte al Caffè Mew Mew, dovendo parlare in definitiva del nuovo progetto.

POV Strawberry

Le ragazze erano andate via da mezz’ora e da mezz’ora non facevo altro che starmene seduta con le gambe al petto sul divano, davanti alla tivù accesa, senza degnarla della minima attenzione. Le parole di Ryan mi avevano ferito così tanto che non riuscivo a smettere di pensare a quanto male aveva fatto sentire pronunciare quelle parole proprio da lui, con così tanta freddezza da farmi congelare dentro, fino alle ossa.
Stufa di piangermi addosso mi alzai e lasciai il soggiorno per dirigermi in cameretta. Entrai senza nemmeno accendere la luce, ringraziando la vista da gatto che lo stronzo sopracitato mi aveva donato cinque anni prima. Stavo per chiudermi in bagno quando qualcosa attirò la mia attenzione sul letto. Leggermente indispettita mi guardai in torno cercando di capire se ci fosse qualcuno nascosto in camera ma non trovai nessuno. Uh. La finestra.. pensai. Era stranamente aperta, anche se ricordavo benissimo di averla chiusa prima della cena con le ragazze.
Mi avvicinai al letto curiosa e mi chinai a raccogliere il foglio di cartoncino bianco, ripiegato appena, sopra il cuscino. La carta era fine e quando l’avvicinai al naso un odore famigliare mi pervase le narici. Aprii il pezzetto di carta e lessi le poche lettere che erano state incise sul foglio bianco con la penna nera.
“Mi preoccupo per te. Scusa.”
Il messaggio non recava nessuna firma ma sapevo benissimo a chi appartenesse quella grafia e, soprattutto, a chi appartenesse quell’odore.
Non potei fare a meno di sorridere.

 

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Capitolo 5
*** capitolo V - Incubi felini ***


Pian piano la storia sta prendendo forma e posso assicurarvi che avrete ben presto capitoli più lunghi e molto più ricchi di avvenimenti! Spero che la lettura di questo nuovo capitolo non vi deluda!
Buona lettura e... Recensite!!
A presto! :)




La notte dopo aver trovato il piccolo pensiero di Ryan ripiegato sul letto, passò leggermente più tranquilla della precedente.
Almeno adesso sapevo che per lui qualcosa ancora valevo.

Dopo aver scoperto quello che provava per me, l’avevo inevitabilmente allontanato, non capendo più come dovermi comportare nei suoi confronti. Quando poi lo rividi tre anni dopo assieme a Fujiko, mi convinsi che i suoi sentimenti per me erano totalmente scomparsi.

La baciava sempre con una tale passione da far sembrare me e Mark due scolaretti alle prime armi. Il che mi mandava letteralmente fuori di testa.
Come se non bastasse ogni qual volta era capitato che li vedessi baciarsi, era come se Ryan percepisse il mio disappunto e, terminate le effusioni con la fidanzata, mi rivolgeva quello sguardo soddisfatto e allo stesso tempo di superiorità, che sembrava dire “quando mai il tuo Mark ti bacia in questo modo, micetta?”.
Ed io puntualmente davo in incandescenze, e lui sempre puntualmente sembrava accorgersene, e ridere sotto i baffi.

Mi alzai relativamente ad un orario decente, quindi mi concessi un lungo bagno rilassante e una volta asciugata e vestita, mi diressi a piedi verso il Caffè.
L’aria, pur essendo dicembre inoltrato era abbastanza calda e mi accarezzava la pelle della pancia lasciata scoperta dal bustino bianco che portavo sotto la giacca.
Mi sentivo particolarmente allegra, pur vista l’intera situazione di merda in cui mi stavo per cacciare a causa del nuovo progetto e quei chimeri che avrebbero reso Ryan intrattabile per tutti i giorni a seguire. Camminai in silenzio, diretta all’edificio rosa, beandomi del fatto che in giro non ci fosse un cane, poi a metà strada presa da quella strana euforia mi trasformai in gatto e corsi fino al locale beandomi della sensazione della corsa e dell’aria che mi accarezzava il pelo nero sulla testa e tra le orecchie.
Una volta raggiunta la destinazione, mi ritrasformai, controllando bene intorno se qualche curioso stesse sbirciando nella mia direzione, e mi avviai verso la porta d’ingresso, aperta proprio come il giorno precedente.

Da quando avevo iniziato le iniezioni, avevo maggiore controllo sui geni del gatto, il che mi rendeva pienamente soddisfatta. Avevo cominciato a cercare un modo, una “cura” che mi permettesse di convivere non solo tranquillamente con i geni che Ryan ci aveva impiantato all’inizio del progetto, ma anche riuscendo a giovarne.
All’inizio era stato complicato, visto che non ero mai stata particolarmente portata nello studio (e sinceramente non m’interessava neanche esserlo), poi pian piano mi ero messa sotto e mi ero resa conto, in realtà, di possedere molte più capacità di quanto credessi.
 I primi tempi fu difficilissimo capire da dove iniziare. Poi dopo aver lavorato su alcuni reperti ritrovati in Egitto un mese prima dall’università di Londra in uno scavo finito non propriamente bene, avevo rintracciato residui di acqua cristallo sul materiale, fusa con altre particolari sostanze, che mi avevano permesso di sviluppare il siero.
Non ci volle molto per capire quale dovesse essere la giusta concentrazione degli ingredienti all’interno della “pozione”, ma i primi due tentativi furono un buco nell’acqua. Accentuarono così tanto la presenza dei geni nel mio DNA da costringermi a mantenere la forma felina per ben due giorni di seguito, la prima volta, e andare in giro costantemente con un cappello, la seconda, a causa delle orecchie che non volevano più scomparire.

Stavolta non trovai Kyle nel salone principale e le ragazze non erano ancora arrivate.
Mi sedetti su una delle sedie che si trovavano vicino alla porta d’ingresso fin dal giorno che ero arrivata lì con Mark, attendendo in pace che qualcuno scendesse, o salisse, in caso si fossero trovati nel laboratorio a lavorare su qualcosa in particolare.
Sentii una porta richiudersi proprio in cima alle scale.
Deve essere Ryan, ora mi sente.
Feci per alzarmi e andargliene a dire quattro sul comportamento che aveva avuto il giorno prima, pur sapendo che tanto sarebbe tutto finito con lui che mi sfotteva, visto che sapeva benissimo che, dopo avermi lasciato il bigliettino sul letto, non potevo più essere così tanto arrabbiata.
Stavo per chiamarlo, quando comparve davanti a me una Fujiko non propriamente vestita, con indosso solo una maglietta dell’americano, i capelli sparsi sulle spalle e gli occhi ancora impastati per il sonno. Evidentemente si è svegliata ora.
Non appena la consapevolezza del fatto che aveva passato la notte al caffè iniziava a insinuarsi sempre più forte nel mio cervello fino a stamparsi a fuoco, la gallina iniziò a parlarmi –Cerchi qualcuno, Strawberry?-.
Oh quanto volentieri la prenderei a schiaffi. Le feci un bel sorriso di circostanza e mi apprestai a rispondere; non volevo leggesse alcuna incertezza nei miei occhi, o nelle mie parole –Si, stavo cercando Ryan-.
-Oh... beh, mi dispiace cara, ma sta ancora dormendo…- fece una pausa per permettersi un piccolo sorriso malizioso –Sai non ha dormito molto stanotte-.
Ok, se fossi stata la Strawberry di cinque anni prima, probabilmente, sarei diventata nel giro di pochi secondi di tutte le tonalità di rosso esistente sulla faccia della terra. Ma ora no.
Ringraziai mentalmente il mio autocontrollo nuovo di zecca per non rovinarle quel bel faccino piantandole tutte le unghie della mano sulle labbra perfette (ma cosa mi salta in testa?) e risposi cercando di sembrare il più... tranquilla possibile –Non c’è problema, lo aspetterò qui, o giù in laboratorio.-
Al sentire quelle parole, s’irrigidì non poco, stringendo per un attimo i pugni.
Probabilmente pensava che me ne sarei andata lasciandole la sua piena intimità col ragazzo, o semplicemente la mia presenza la infastidiva tanto da non voleva avermi tra i piedi. Sorrisi sorniona dentro, felice di poterla infastidire in qualche modo e dopo averle fatto un cenno di saluto con la mano mi diressi verso il laboratorio.
Cosa pensa di fare? Farmi ingelosire?
Provai a reprimere quei buffi pensieri che mi balzavano in testa, ma il telefono squillò non appena misi piede nel laboratorio. Tirai fuori il cellulare scocciata ma quando lessi il nome sullo schermo, fui felice di non aver dimenticato il telefono a casa e di averlo portato nella tasca del Jeans. Era Mark e avevo davvero bisogno di sentirlo dopo aver passato la notte da sola in quella che ormai per me era diventata la casa degli incubi.
-Hey- risposi cercando di mantenere un tono allegro, pur avendomi fatto passare, Fujiko, almeno la metà della voglia di vivere che avevo ritrovato quella mattina, appena uscita di casa.
-Buongiorno tesoro, ti ho svegliata?-
-No, tranquillo Mark-.
Dopo un anno passato a vivere con me sotto lo stesso tetto ormai era consapevole dei miei “comodi” orari e sapeva benissimo che a quell’ora, le 9:20 all’incirca, salvo impegni irrevocabili, sarei stata ancora (e per un bel pezzo ) tra le braccia di Morfeo. –Sono in laboratorio… ma tu? Tutto apposto? Hai trovato i chimeri?- sputai una domanda dietro l’altra senza dargli neanche il tempo di rispondermi. La sera prima mi ero completamente dimenticata di dove si trovasse Mark e perché, e ora mi sentivo terribilmente in colpa per averlo fatto.
-No Berry, sono arrivato in pratica ora tra uno scalo e un altro. Appena so qualcosa t’informo, okay? Non preoccuparti.- Perfetto, tra una cosa e un'altra mi ero anche dimenticata che aveva dovuto affrontare un volo complessivo di dodici ore per tornare a casa.
Che stupida.
-Oh, giusto hai ragione... è andato bene il viaggio?- chiesi.
-Si, tutto apposto, ora però devo andare…- fece una pausa aspettando che dicessi qualcosa ma non sapevo davvero cosa aggiungere -…ci sentiamo, Straw. Ti amo-.
-A presto, Mark. Anch’io.-
L’ultima parola mi si fermò in gola quasi non volesse essere pronunciata e uscì fuori come un suono soffocato quasi mormorato. Speravo solo che lui non se ne fosse accorto.
Ma che mi prende?
Attaccai di corsa. Riponendo il cellulare in tasca e accendendo le luci della sala mi diressi verso la poltrona dove di solito Ryan, o Kyle passavano le loro giornate a cercare informazioni, o smanettare tra i computer.
Negli ultimi tempi, ero diventata piuttosto brava anch’io con quegli aggeggi anche se, profondamente, continuavo ad odiarli, e volendo, potevo benissimo farne a meno. Preferivo fare le mie ricerche direttamente sul campo, ma dovevo ammettere che, talvolta, un piccolo aiutino era estremamente utile.

Adattare una nuova concentrazione di acqua cristallo al mio DNA non mi era sembrato difficilissimo, e non sarebbe stato complicato farlo anche con le altre ragazze, ma ora la questione era un'altra.
Saremmo dovute tornare a essere in grado di trasformarci, o per lo meno dovevamo trovare il modo di diventare più forti possibile per sconfiggere il nuovo nemico. Non si trattava più di semplici chimeri. Dovevamo confrontarci con avversari molto più potenti dello stesso Profondo Blu.
Di due cose ero assolutamente certa. La prima era che il cervello di lì a poco avrebbe iniziato a fumarmi e probabilmente sarebbe esploso riducendo in pezzi tutto nel raggio di 20 km. L’altra cosa di cui ero sicura e sulla quale ero irremovibile era che avrei fatto di tutto, pur di non indossare di nuovo il completino rosa della vecchia Mew Berry.
Mi spiace Ryan, ma stavolta delle divise me ne occupo io.

***

Ormai ero scesa in laboratorio da una buona mezz’ora, e di Ryan nemmeno l’ombra.
Stavo iniziando a innervosirmi visto che, con tuto quello che c’era da fare, invece di concentrarsi sul progetto, al momento probabilmente stava lavorando a ben altro.
Cazzo.
Mi alzai dalla sedia poggiando una mano sulla scrivania per sostenermi, mentre con l’altra mi stropicciai gli occhi.
Non ero abituata a stare con la luce dello schermo puntata in faccia e anche solo dopo cinque minuti gli occhi cominciavano a bruciarmi.
Fissai lo schermo sul quale si alternavano immagini di dati inerenti al progetto e sconsolata per non aver trovato nulla di nuovo decisi di fare una pausa e andare a “disturbare” Ryan. Qualsiasi fosse stata l’attività che tanto lo stava tenendo impegnato, al momento.
Più pensavo alla sua decisamente immotivata assenza più mi imbestialivo. Strinsi i pugni iniziando a salire le scale. Se avessi continuato a sbattere in quel modo i piedi, probabilmente, avrei fatto sprofondare l’intero edificio.
Sbuffando mi voltai a controllare di aver chiuso la blindata. Quando tornai a dirigere la mia attenzione sugli scalini però, mi accorsi che qualcuno stava scendendo le scale, ma troppo tardi, e così finii direttamente contro l’altra persona, prendendo una botta tanto forte sul naso da farmi venire in mente ogni tipo di imprecazione possibile e condendola con una buona dose di fantasia. Dalla gola fuoriuscì un suono gutturale, quasi un ringhio.
Non mi era mai capitato fin ora, e anche la persona che mi trovavo davanti in quel momento sembrava esserne stupida.
Kyle stava di fronte a me, agitando le mani all’altezza delle spalle senza sapere che dire, con il viso rosso per la vergogna di avermi involontariamente colpito.
Cercai di ricacciare indietro qualsiasi tipo di pensiero omicida e mantenere l’espressione più rilassata e pacifica possibile per quando il dolore lancinante me lo permettesse.
-Tranquillo, Kyle- dissi per rassicurarlo –mi hai colta di sorpresa!-
-Oddio, mi dispiace tantissimo Strawberry!- sembrava sentirsi veramente in colpa.
-Non ti preoccupare! Davvero!- tolsi la mano dalla faccia sentendomi sollevata nel vedere che non avevo alcuna traccia di sangue sul palmo e sorrisi al ragazzo che sembrò un poco rassicurarsi.
-Per farmi perdonare ti farò assaggiare una mia nuovissima torta okay?-
-Ti avrei perdonato comunque, Kyle- dissi già pregustando il sapore delizioso che avrebbe avuto la sua nuova creazione. Adoravo i dolci di Kyle, che era decisamente un pasticcere eccezionale.
Se c’era una cosa che in tutti quegli anni non era cambiata era sicuramente il mio amore per i dolci. Ne avrei mangiati a tonnellate.
-Perché eri là giù?- chiese scrutando alle mie spalle, per vedere se ci fosse qualcun altro con me.
-Stavo lavorando al progetto- disi timidamente –mi piacerebbe darvi una mano per quanto mi è possibile-.
Pe quanto potessi cavarmela bene quando si parlava di acqua Mew e metamorfosi, Kyle e Ryan erano pur sempre i fondatori del Progetto, e rispetto a loro avevo sicuramente meno esperienza. Mi sentivo come una bambina inesperta.
Lui mi afferrò le mani con gentilezza, come faceva spesso cinque anni prima, quando mi trovava in difficoltà e voleva darmi il suo sostegno.
-Certo Straw… Ci farebbe piacere!-
“Ci”, non “mi”. Dubito vivamente che Ryan mi volesse tra i piedi.
-Oh no, fidati cara, Ryan non avrà nulla in contrario- pronunciò il tutto con un tale tono malizioso da farmi arrossire, per poi lasciarmi un occhiolino prima di voltarsi.
L’ho sul serio detto ad alta voce? No,no,no.
Mi morsi la lingua sperando di autopunirmi per la mia immensa, incommensurabile stupidità e… alt! Cosa voleva dire Kyle? C’era forse qualcosa tra le righe che non ero riuscita a cogliere?
Cercai di smettere di pensare per evitare di dire qualsiasi altra cosa mi fosse passata per la testa senza volerlo.
–Allora questa torta?- dissi cercando di cambiare discorso e spostare la discussione su qualsiasi altra cosa fosse stata diversa da Ryan Shirogane.
Lo seguii in cucina.
Ultimamente rimanevo sempre piacevolmente sorpresa dai progressi che faceva il locale, tornando sempre più velocemente a essere adorabile e accogliente come un tempo.
Non c’era un briciolo di polvere in tutta l’intera stanza. Al centro vi era un piano di lavoro così lucido da potercisi quasi riflettere, come fosse uno specchio. La maggior parte dell’arredamento era nuovo di zecca.
Era tutto particolarmente piacevole, ma perché tutta questa cura nei dettagli? Insomma, i due americani vivevano ormai stabilmente nella villa di Ryan, poco fuori città che era comunque facilmente raggiungibile. Che senso aveva re-arredare completamente l’edificio?  Perché avrebbero voluto tornare a vivere lì?
Kyle sembrò quasi leggermi nel pensiero, tanto che temetti di aver nuovamente dato fiato senza rendermene conto.
-Sai, pensavamo di riaprire il caffè!-
-Come?-
Che bisogno c’era di riaprire il locale? Non erano più delle ragazzine e non avrebbero più avuto bisogno di giustificare le loro assenze a genitori preoccupati con la copertura del lavoro part-time.
-Perché volete riaprire?- insistetti, cercando di ricevere una risposta.
Kyle sembrava perso nel suo mondo, poi si voltò a guardarmi e rispose sorridendo -Oh no, non preoccuparti Strawberry, non siete costrette a lavorare qui! Era da un po’ che ci pensavo, e ora che siamo di nuovo tutti qui, non so perché, Ryan si è finalmente deciso a darmi il via libera!-
Negli anni passati avevo lavorato un po’ ovunque per continuare li studi e sostenere le spese dei miei che, a fatica, portavano avanti per potermi garantire una carriera scolastica all’estero. Ora avendo dovuto abbandonare Londra a tempo indeterminato, mi ritrovavo ovviamente disoccupata e non avevo la benché minima intenzione di recarmi a Kyoto, per chiedere a mio padre di mantenermi.
Aveva ben altro a cui pensare e non ero sicura di essere pronta a incontrarlo.
-In realtà mi farebbe comodo un lavoretto part-time-.
Il viso di Kyle s’illuminò in un sorriso a trentadue denti – Perfetto! Lory e Paddy saranno felicissime di averti qui!-
-Anche loro hanno intenzione di tornare a lavorare al caffè?-
-Sono state proprio loro a propormi una riapertura, all’inizio!-
A Paddy era sempre piaciuto stare lì. Quindi non me ne stupii.
Lory non era esattamente “portata” per quel lavoro, era una gran pasticciona; ma ero convinta che fosse ancora cotta di Ryan e che pensasse, in questo modo, di poter avere qualche possibilità con lui, passando più tempo possibile in sua compagnia.
Kyle posò sul tavolo un piatto azzurro con sopra una torta a tre strati, cioccolato, panna e fragole. Inforcai il cucchiaino come un’arma e iniziai a mangiarla lentamente, gustandola il più a lungo possibile.
La porta alle mie spalle si aprì e ne entrò un Ryan trafelato e molto, molto sudato. La maglia aderente metteva in risalto il busto scolpito e i capelli bagnati e attaccati alla fronte disordinatamente lo rendevano se possibile ancora più eccitante. Ma che vado a pensare?
Si tolse le cuffiette appoggiandole sulle spalle e mi guardò gelidamente. Ricambiai lo sguardo freddo ma sorrisi, tranquilla. Non volevo dargli la possibilità di stuzzicarmi più di quanto già involontariamente non avesse fatto quella mattina.
-Allora gliel’hai detto?- disse rivolgendosi a Kyle.
-Si, e sarà dei nostri!- rispose il moro, contento.
Stavolta Ryan si rivolse a me, stranamente stupito.
–Ci degnerai della tua presenza?-
Lo guardai divertita e risposi per le rime –Dovresti essere felice che ci sia qualcuno disposto a lavorare in tua compagnia-. Accompagnai il tutto con un sorriso angelico. Sapevo quanto l’avrebbe fatto incazzare e mi potevo già ritenere soddisfatta.
Come immaginavo, lui si voltò e uscì dalla stanza senza dire una parola con Kyle in sottofondo che sghignazzava.
-Dovresti essere contenta sai? Sei l’unica che riesce a mandarlo così fuori di testa!-
C’è Fujiko per quello, pensai nervosamente.
Si, senza dubbio solo io riuscivo a farlo incazzare in quella maniera. Ma c’era già qualcun altro, o meglio qualcun’altra a farlo agitare in ben altri modi.
L’idea che lei avesse così tanto potere su di lui mi faceva diventare pazza.
Ryan era sempre stato “il ragazzo indipendente” per antonomasia e questa nuova situazione (che poi tanto nuova non era, visto che durava da ben due anni) non mi andava giù. Tutto ciò mi faceva sentire perennemente inadeguata. Per quanto Pam potesse dirmi che lui era (o meglio, era stato) innamorato di me, mi aveva sempre e solo trattato come una ragazzina stupida e pasticciona. 

***

Ho bisogno di riposare.

La giornata era trascorsa abbastanza velocemente. Praticamente passai il pomeriggio da sola in laboratorio, cercando di studiare vecchie ricerche di Ryan.
Dovevo ammettere che quel ragazzo aveva davvero un gran cervello.

Di tanto in tanto Kyle scendeva per vedere se mi serviva qualcosa e per tenermi un po’ compagnia, ma scompariva praticamente subito per tornare a sbrigare chissà cosa di sopra in cucina.

Paddy, Lory e Mina arrivarono al caffè verso le cinque e scesero in laboratorio a salutarmi.
Appena comunicammo a Mina la quasi imminente riapertura del locale per poco non si mise ad urlare. Temevo quasi che ci prendesse a schiaffi. Non voleva sentirne ragioni; non sarebbe tornata a “lavorale” lì per tutto l’oro del mondo. Per quanto poi avesse mai veramente lavorato… dovetti farmi forza e desistere dal ridere, altrimenti mi avrebbe ucciso sul serio.

Indipendentemente dalle sue numerose (e rumorose) proteste, sapevamo bene, tutte e tre, che non ci avrebbe mai abbandonato lì, e che indossando o meno una divisa, ben presto avrebbe ripreso il suo posto al solito tavolo in fondo a sinistra, tornando a “sorvegliare” il lavoro altrui. Soprattutto il mio.

Quando furono le 7:30 me ne tornai a casa. Kyle mi aveva invitato a rimanere a cena, ma la stanchezza iniziava a farsi sentire e per di più, sarei stata disposta a sconfiggere tutti i chimeri del mondo pur di non cenare in presenza di Ryan e Fujiko che pomiciavano come due adolescenti in preda agli ormoni.

Quando mi misi a tavola, da sola, nella cucina bianca e rossa, guardai dispiaciuta il mio piatto di riso, scotto e scondito, avanzato dalla cena della sera prima.
Okay, forse l’idea di fermarmi a cena al caffè doveva essere varata con più attenzione.
Ero quasi tentata di ordinare una pizza al volo ma tenni duro e finito il misero pasto mi sedetti sul divano a guardare un film di cui non avevo capito neanche il nome, tanto ero presa dai miei pensieri.
Con la luce spenta e solo il bagliore altalenante del televisore a illuminare l’ambiente, sembrava che la stanza respirasse, restringendosi e allargandosi di continuo attorno a me. Mi sentivo sempre più piccola, ogni minuto che passava.
Respirando a fatica, portai la testa tra le gambe, cercando di trattenere le lacrime che spingevano per uscire, ma ormai gli occhi iniziavano a bruciarmi e mi abbandonai al pianto. Prima calde scie bagnate si formarono sul mio viso, percorrendo strade immaginarie, poi pian piano iniziai a singhiozzare, sentendomi stringere lo stomaco.
La stanza si illuminò di una luce intensa, bianchissima, accecante. Durò solo pochi secondi, il tempo di lasciarmi stordita, poi tutta la luce fu risucchiata dall’oscurità. Il televisore si spense e un rombo assordante mi attraversò le orecchie.
Sobbalzai sul divano spaventata e senza che me ne accorgessi, spuntarono orecchie e coda da gatto.
Ci mancava soltanto il temporale.
Il rumore della pioggia che tintinnava sui vetri stava divenendo assordante e ormai, era un tutt’uno con il battito del mio cuore, sempre più rapido. Tu-tum. Tu-tum.
Dovevo uscire da quel posto, e alla svelta. Mi sentivo morire, scomparire, sprofondare.
Mi sentivo così estranea a tutto quello che mi circondava che per un attimo mi chiesi se per davvero quella era stata, una volta, la mia vita.
Mi alzai di corsa dal divano facendo cadere il telecomando a terra, ma non ci feci molto caso.
Mi diressi verso la porta e l’unica cosa di cui mi preoccupai fu di prendere le chiavi e di chiudermi la porta alle spalle. Poi, iniziai a correre.
Non avevo pensato a dove sarei potuta andare, ma il mio corpo sembrava conoscere la risposta senza che io mi pronunciassi.
Continuavo a correre, e le gambe si muovevano quasi da sole. Non sentivo nulla se non l’acqua che pian piano m’inzuppava i vestiti e i capelli.
Non mi trasformai in un gatto e probabilmente fu molto meglio così, visto che se mi fossi ritrovata completamente bagnata in versione felina, oltre che una crisi di nervi, avrei avuto anche un crollo nervoso.

Quando entrai nel parco Inohara, la pioggia aumentò così tanto che mi rimaneva difficile capire dove mettessi i piedi. Le lacrime si fondevano inesorabili con la pioggia ma non potevo fare  ameno di continuare a fale uscire.
Sono vicina, pensai.
Stavo andando nell’unico posto in cui sarei voluta essere. Nell’unico altro posto che avrei mai potuto chiamare casa.

Quando mi ritrovai davanti al caffè Mew Mew, mi diressi verso l’entrata posteriore e, una volta al sicuro dall’acqua sotto la tettoia, iniziai a bussare incessantemente.
L’acqua non m’inzuppava più, ma avevo cominciato a tremare come una foglia, scossa dal freddo e da tremiti che non riuscivo più a controllare. I singhiozzi scomparvero e con loro le forme feline che avevo assunto a causa dello spavento per il temporale, ma mi sentivo così stanca. Stanca e sola.
Erano le 23:30, e speravo vivamente che almeno uno degli abitanti dell’edificio fosse ancora sveglio. In fondo Ryan era abituato a fare le ore piccole no?
Continuai a bussare finché le mani non cominciarono a dolermi. Mi strinsi a me stessa sperando che qualcuno, chiunque venisse ad aprirmi. E il mio desiderio fu esaudito.
Quando la porta si spalancò, mi trovai davanti Ryan solo coperto dai pantaloni della tuta che usava per dormire la notte. Mi fissò con aria interrogativa e riuscii a leggere nei suoi occhi una certa preoccupazione.
Penserà che sia stata attaccata di nuovo.
Aprì la bocca per parlare ma non fece in tempo a proferire una singola parola che mi fiondai tra le sue braccia.
Inizialmente si lasciò cingere la vita, immobile, poi mi strinse anche lui a se, così forte che fui pervasa da un calore inimmaginabile. Un calore che sapeva di casa, sicurezza, protezione e Ryan.
Poggiai la testa sul petto del biondo lasciandomi cullare dal ritmo cadenzato del suo cuore. Lo sentivo così bene che sembrava stesse per sbalzargli fuori dal petto da un momento all’altro.
Iniziò ad accarezzarmi leggermente i capelli e la schiena provocando brividi lungo tutta la spina dorsale. Mi scostai dall’incavo del suo collo, così profumato, per poterlo guardare dritto negli occhi. Lui vedendo che non la smettevo più di piangere mise le mani a coppa intorno al viso e con i pollici cominciò a lasciare strade bollenti sulla pelle del viso, per raccogliere le lacrime.
-Perché sei qui?- chiese con una dolcezza tale che mi sentii sciogliere all’altezza del petto. Speravo che quel momento non finisse più.
-Non posso stare lì- dissi riprendendo per un attimo a singhiozzare –s-scusami, non volevo disturbarti…- abbassai il viso –non sapevo dove andare-.
Lessi nei suoi occhi un misto di sollievo, tenerezza ma anche una grande tristezza. Capiva quello che intendevo, e sapeva benissimo quello che stavo passando, così raccogliendomi il viso in una mano mi domandò: -Vuoi rimanere qui?-.
Si! SI! Avrei voluto urlarlo, sul serio.
-Posso? Sai, non vorrei… creare problemi con… con Fujiko…- Non avevo pensato a lei fino a quel momento. Non avevo pensato a lei quando correvo verso il caffè. Non avevo pensato a lei mentre mi rompevo quasi una mano, per farmi sentire da qualcuno, bussando alla porta. E non avevo pensato a lei quando mi ero gettata tra le braccia di Ryan. In realtà non avevo intenzione di pensare a lei neanche ora. Lo facevo solo per Ryan.
Lui mi sorrise. Un sorriso splendido, dolce. Così raro che cercai di imprimerlo a fondo nella memoria per non dimenticarmene. Mi sentivo al sicuro.
-Fujiko non c’è! Poi non dobbiamo mica dormire insieme-.
Duro colpo. Significava che alla fine avremmo dovuto sciogliere il nostro abbraccio ed io sarei nuovamente sprofondata in quello stato di malinconica solitudine che mi assaliva ogni sera.
Abbassai la testa cercando di celare il desiderio di rimanere incastrata nel suo corpo per il resto della notte. Mai con Mark, nell’ultimo anno mi ero sentita così al sicuro.
Mark.
Mi sentii terribilmente in colpa.
In colpa perché lui non era lì e perché io ero tra le braccia di un altro. In colpa perché, pur non volendo, quel calore mi aveva catturato. In colpa per sentirmi a casa. E in colpa, perché, in fondo, non mi sentivo affatto in colpa per il fatto di essere lì. Ero esattamente dove avrei dovuto essere.
Mentre questi pensieri mi affollavano la mente la bocca iniziò a snocciolare giù discorsi che non avrei voluto far trapelare, quasi come se fossi stata un incontrollabile ubriaca.
-Mi sei mancato. Da morire-
-Anche tu gattina mia-.
Mia? Rabbrividii così forte che lui dovette pensare che sentissi freddo e mi strinse ancora più forte.
-Vieni a cambiarti Strawberry, o ti ammalerai-.
Sciolse il nostro abbraccio, ma prima di darmi le spalle e dirigersi al piano superiore, nella sua stanza, intrecciò le dita con le mie, e io mi sentii ancora una volta meno sola.
Ero stata migliaia di volte in quella stanza, ma, ogni volta che entravo lì dentro non ero mai meno imbarazzata della volta prima.
Era inevitabile che trovarmi da sola con Ryan, in un qualsiasi posto che avesse una superficie grande abbastanza da farci sdraiare sopra entrambi, mi mandasse in pappa il cervello.
Strawberry, basta!
Avrei voluto sbattere la testa al muro. Abbastanza forte da farmi restare svenuta a tempo indeterminato. Avrei fatto meno pensieri “dannosi”.

Ryan mi diede la maglia ed io andai in bagno cambiarmi. Una volta sotto la doccia ogni pensiero scomparve nel nulla.
Ora, l’unica cosa che volevo addosso era l’acqua che, in qualche modo, avrebbe cancellato tuti i drammi di quella sera.


POV Ryan

Me ne stavo seduto sul letto da ormai quindici minuti buoni, quando la rossa uscì dal bagno con i capelli raccolti in una cosa disordinata e le gambe lasciate quasi totalmente scoperte dalla maglia che, seppur lunga, non riusciva a coprire in tutto e per tutto quelle misure vertiginose. E’ diventata una donna, Dio.
Ogni singola parte di lei mi tentava a tal punto da costringermi a distogliere lo sguardo e fissare il pavimento. Avrei baciato, accarezzato e assaggiato ogni singolo lembo della sua pelle profumata.
-Grazie Ryan, mi sento molto meglio-.
Il mio nome pronunciato da quelle labbra rosse e carnose, sembrava quasi un sussurro. Ed erano molto, troppo, invitanti.
Si avvicinò sedendosi accanto a me. Ora potevo davvero sentire il suo odore. Ma Alt! Non era il suo odore. Era il mio. Non quello di Mark, non il suo solito profumo alle fragole. Era il MIO odore sulla sua pelle. E questo anche se solo in minima parte e per poco tempo la rendeva unicamente mia. Mia e basta.
Avrei voluto durasse per sempre.
Ma cosa sto pensando?
Lei era pur sempre la ragazza di Mark, ed io non avrei mai potuto saggiare quelle labbra così morbide, non avrei mai potuto farla mia per davvero.
Lei sembrò accorgersi della consapevolezza che trapassò i miei occhi in quell’istante. La consapevolezza della dura realtà. 
Si accostò lentamente, venendomi ancora più vicino e sfiorandomi il ginocchio con il suo, nudo. Alzò la mano fino a sfiorarmi il viso provocandomi brividi che cercai di non far trapelare, poi passò ad accarezzarmi i capelli sulla nuca e sulla fronte, con una delicatezza immensa. Riuscivo a percepire il suo respiro a fior di labbra tanto eravamo vicini. Mi sarebbe bastato inclinare la testa per colmare quella distanza di pochi centimetri che, seppur breve, in quel momento sembrava essere kilometrica.
Fu lei ad avvicinarsi, ma le sue labbra non s’incontrarono con lei mie. Si spinse fino all’incavo del mio collo tanto che la sentii sospirare, poi sfiorandomi con la bocca il lobo dell’orecchio, prese a sussurrare –Buonanotte, Ryan-.
Dio fai che duri per sempre.
Persi un battito. Sarei morto d’infarto ne ero certo.

Quando lei scomparve dietro la porta recandosi nella stanza degli ospiti, non so per quanto tempo rimasi a fissare l’uscio, ma, forse dopo ore, o secoli, mi addormentai desiderando, ancora, lei.

 

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Capitolo 6
*** capitolo VI - Caccia al Tesoro ***




Mi scuso per la luuunga assenza di questo mese, ma la scuola mi ha tenuta parecchio impegnata. Comunque, il capitolo è leggermente più lungo del solito anche se non succede un gran che. Dal prossimo capitolo ci sarà molta più azione, sarà molto più lungo, e introdurrò i punti di vista di altri personagg oltre a quello di Strawberry e di Ryan. Le cose vanno complicandosi ma, mano a mano, le risposte verranno a galla! Detto ciò, buona lettura!


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La mattina seguente mi svegliai praticamente all’alba.
Era da tanto tempo che non dormivo così bene.
Poca luce filtrava dalle persiane e decisa più che mai a rendermi utile, nel silenzio più assoluto, mi diressi in laboratorio.
Non so dire quanto tempo trascorsi davanti allo schermo cercando possibili combinazioni chimiche che avrebbero permesso alla squadra Mew Mew di tornare sul campo più forte di prima, ma una cosa durante quei minuti (o forse ore) passate ad arrovellarmi il cervello, l’avevo capita.
Dovevamo fare in modo di essere pronte, sempre.
Stavolta, in questa lotta non potevamo farci cogliere di sorpresa. I nostri nemici purtroppo riuscivano a mescolarsi ben bene tra la gente, almeno la maggior parte delle volte, senza destare il minimo sospetto, e di certo noi non potevamo irrompere nel bel mezzo della folla vestite di tutto punto come il vecchio team cercando qualcuno che apparentemente sembrava essere “normale”. Avremmo solo creato il marasma più generale e gettato le persone nel panico.
Quello che ci serviva era un modo per poter acuire sempre di più i sensi degli animali a codice rosso, in modo da usare le loro caratteristiche a nostro favore 24 ore su 24.
Nella “guerra” passata era capitato più volte che gli alieni ci cogliessero impreparate e che per un verso o per un altro non riuscissimo a trasformarci mettendo in pericolo le altre Mew e noi stesse, pur essendo capaci in precedenza di rintracciare, grazie ai radar e a Mash (ormai fuori uso), i nemici.
Ora non avevamo più alcun vantaggio su di loro, quindi avremmo dovuto agire in modo diverso.
Stavolta però non sarebbe stato sufficiente il campione di acqua Mew, che mi iniettavo una volta a settimana. Il mio cambiamento, anzi il nostro cambiamento sarebbe dovuto essere ben si più profondo.
Le Mew Mew sarebbero dovute diventare predatrici naturali e per farlo sapevo bene che non sarebbe bastato qualche gene in più, ma anche del buono e duro allenamento. Il che paradossalmente era la parte più difficile.
Per quanto riguardava le modifiche genetiche ci avrebbe pensato Ryan, che con il mio aiuto paradossalmente avrebbe fatto di certo un ottimo lavoro. Ma dal momento che non avremmo avuto più le solite armi ad aiutarci, e una metamorfosi a trasformarci, avevamo decisamente bisogno di prepararci.
Già mi vedevo lì, disperata a cercare di convincere Lory ad usare un po’ di violenza e Mina a sporcarsi le mani.
Avrei dovuto provare a corromperle, o forse ricattarle con qualche bel segreto da tempo nascosto, ma sapevo bene, in fondo, che non si sarebbero mai tirate indietro se questo avesse significato difendere la terra da un'altra eventuale minaccia.
La parte delle divise era quella che mi emozionava di più. Non avrei permesso che Ryan o Kyle mettessero bocca sulle mie uniformi; un po’ perché mi piaceva l’idea di essere utile, e un po’ perché volevo scampare la possibilità di ritrovarmi ad essere vestita di un rosa confetto allucinante.
Tuttavia eravamo pur sempre delle eroine ed ero sicura che sarei riuscita a trovare qualcosa di adatto per delle ventenni che se ne andavano in giro a sconfiggere i cattivi per le strade di Tokyo.


Ryan mi raggiunse in ufficio alle 11 inoltrate, con gli occhi ancora impastati dal sonno.
Quando mi vide seduta al suo solito posto, a smanettare sulla tastiera senza neanche degnarlo di un saluto per quanto ero presa dalle mie ricerche, sembrò non poco sorpreso.
-Mi sarebbe piaciuto che fossi arrivata in orario anche quando lavoravi per me come cameriera- disse ironicamente;
non si aspettava che fossi diventata così mattiniera.
Colsi la palla al balzo infastidita dalle sue allusioni – E a me piacerebbe che ti svegliassi ad un orario decente e venissi a darmi una mano, ora che ce ne è davvero bisogno. Invece di provare a riprodurti-. Lo dissi tutto d’un fiato senza degnarlo di uno sguardo e probabilmente interpretò il mio sfogo come semplice e pura gelosia visto che iniziò a ridere sotto i baffi, mugolando.
-Sai bene che Fujiko non era qui sta notte-
-Sta' notte no.- ci mancava che mi uscisse il fumo dalle orecchie. Lui tuttavia sembrò non dare peso alle mie parole. Forse di prima mattina non amava beccarsi con me.
Ero ancora intenta ad evitarlo quando mi poggiò una mano sulla spalla e tirandomi lievemente , facendo ruotare la sedia girevole mi trovai a pochi centimetri dal suo viso. Fissò i suoi occhi nei miei e potei sentire il suo sguardo indagatore scavarmi dentro, forse alla ricerca di quel briciolo di gelosia che prima aveva colto nella mia voce.
Eh ti pareva, ho parlato troppo presto!
Cercai di sostenere il suo sguardo il più a lungo possibile, non volevo dargliela vinta. Poi mi afferrò per le braccia  e mi tirò in piedi quasi come se fossi stata leggera come una bambola. Feci per scostarmi ma sentivo il suo respiro accarezzarmi il collo e per un attimo mi abbandonai a quella sensazione, cullata quasi da quelle carezze d’aria che mi si infrangevano sulla pelle; poi velocemente sempre tenendomi vicinissima a lui, tanto che riuscivo a percepirne il calore, mi spostò di poco e si sedette al mio (o meglio dire suo) posto.

Stizzita rimasi per alcuni secondi a guardarlo indecisa se lasciar correre o se prenderlo a sberle per non aver ancora smesso dopo cinque anni di prendermi in giro, ma poi fui interrotta dalla sua voce che mi domandava a cosa stessi lavorando fino a quel momento, e dovetti abbandonare la discussione che stavo intrattenendo con me stessa.
Gli raccontai delle riflessioni che mi avevano tenuta impegnata tutta l’ora precedente e lui sembrò particolarmente colpito nel trovarsi d’accordo con me. Quando gli comunicai che sarei stata io a occuparmi delle uniformi sembrò leggermente scocciato per il fatto che mettessi in dubbio le sue doti da stilista ma  anche se storcendo un po’ la bocca alla fine acconsentì.
-Mi piacerebbe darti una mano con le ricerche- feci una pausa sperando che per un secondo si togliesse da dosso un po’ di quel gelo che lo caratterizzava –potrei esserti utile-.
-D’accordo- la risposta arrivò quasi immediatamente e fu non poco inaspettata. Mi aspettavo che si rifiutasse categoricamente di lavorare al mio fianco considerandomi tutt’ora una pasticciona bella e buona, invece aveva deciso di darmi fiducia.
-Grazie- risposi sorridendo.
-Dovrai stare alle mie condizioni, ragazzina-.  L’ultima parola della frase la scandì pian piano in modo da farmela percepire il meglio possibile. Non volevo essere considerata una ragazzina, e soprattutto sentivo di non esserlo più da ormai alcuni anni, tuttavia cercai di mantenere la calma.
–Accetto le tue condizioni-.


***


La progettazione delle divise mi tenne impegnata per tutta la settimana successiva.
Sdraiata sul letto della camera degli ospiti al piano superiore del caffè continuavo a disegnare le tute della squadra “Mew 2.0”, come la chiamava Paddy.
Avevo pensato ad un colore che potesse star ben a tutte evitando di riutilizzare le tinte degli ex completi.
Con Pam avevamo convenuto che il nero potesse essere il colore ideale per scendere meglio nelle parti delle “cacciatrici”.
Quella dopotutto era stata la parte più divertente di cui occuparsi; messa in confronto al collaborare con Ryan, poi. In quei sette giorni era riuscito a togliermi ogni fantasia di lavorare al suo fianco.
Non è mai stato così stronzo.
-Come sta andando?- Mina entrò nella stanza spalancando la porta che era soltanto leggermente socchiusa.
-Bene, devo solo mettere appunto alcuni particolari delle divise di Lory e Paddy-.
-Fammi vedere!- la Mew Bird si avventò su di me per prendere il blocco ma io fui più veloce e lo nascosi sotto il cuscino dietro le mie spalle.
–No! Assolutamente Mina, è una sorpresa!-
-Se solo proverai a mandarmi in giro conciata come un pagliaccio io…- disse agitando il pugno in aria, fingendo (o forse no) di minacciarmi.
-Stai tranquilla, vedrai che ti piacerà!-
Mina si sedette di fronte a me sbuffando, con strana arrendevolezza. –Mark ti ha chiamata?-
-Si ci siamo sentiti tre giorni fa… è riuscito a catturare uno dei chimeri, ma l’altro è scappato-.
-Ha intenzione di tornare a Tokyo?-
Non capivo proprio perché la mora si stesse interessando tanto a Mark. In fondo pur facendo ormai ufficialmente parte della squadra, nessuno aveva prestato particolare attenzione alla sua presenza.
-Non per il momento. Deve sbrigare delle ultime cose a Londra-.
-Bene- mormorò.
Bene?
-Perché ti importa?- dissi stranita. Lei si voltò e sorrise tranquilla.
-Oh non è a me che importa, Straw-.
-E allora a chi?-. se stava cercando di dirmi qualcosa tra le righe allora proprio non riuscivo ad arrivarci. Questo improvviso interessamento a Mark non faceva altro che stranirmi. Inoltre più domande mi faceva più temevo si sarebbe chiesta se stavo soffrendo per la sua assenza. E certi dubbi per alcun motivo dovevano colpire Mina perché se avresse capito che c’era qualcosa che non andava, non mi avrebbe più lasciata in pace. per di più la situazione sarebbe tesa tutta a suo favore vista l'immensità del fuso orario e il fatto che tra gli impegni a Tokyo e i suoi a Londra, nei giorni successivi saremmo riusciti a sentirci solo per miracolo.
-A volte sai essere sciocca esattamente come cinque anni fa-.
Mi lasciò a bocca aperta e rossa di rabbia. Prima di riuscire a dire qualsiasi altra cosa si alzò dal letto con la solita aria di superiorità, che le avrei tolto dalla faccia a suon di ceffoni se solo avessi potuto, e si diresse verso l’uscita dicendomi solo che Ryan l’aveva mandata a ricordarmi che l’indomani nel pomeriggio ci sarebbe stata l’inaugurazione del locale.
Grazie al cielo avevo portato a termine quasi del tutto i bozzetti dei completi. Dovevo solo darli a Ryan, il che sarebbe stata di gran la parte più complicata.

La prima volta che glieli avevo mostrati non era andata esattamente bene come mi aspettavo. Certo non che credessi che mi avrebbe riempita di chissà quali complimenti, o che avrebbe fatto i salti mortali. Ma decisamente non mi aspettavo quello.

Stavo disegnando nel salone, l’unico punto veramente luminoso in tutto l’edificio, e dove, soprattutto verso mezzogiorno, la luce che filtrava dalle finestre rendeva l’ambiente piacevolmente caldo e illuminato.
I nuovi tavoli erano veramente deliziosi e la superficie bianca e lucida sembrava fatta di marmo. Sapevo già che sarebbe stato parecchio difficile ripulire tutto la sera senza lasciare aloni. Il che mi disturbava personalmente visto che circa il 90% delle volte avrei dovuto occuparmene io.
Ryan era stato giù in laboratorio per tutta la mattina non salendo nemmeno per pranzo e lasciando mangiare me e Kyle da soli.
Sarebbe stato piacevole trovarsi consapevolmente in sua assenza. Certo se ciò non avesse voluto dire che lui si trovava al piano inferiore con Fujiko probabilmente sulle gambe a distrarlo da ciò che realmente avrebbe dovuto fare.
Egoista sfaticato.

La ragazza era arrivata al caffè poco prima di mezzogiorno e salutando tutti con un gran sorriso era scesa di tutta fretta in laboratorio, tenendosi ben stretta nel pellicciotto nero che indossava sopra un vestito così mini che ad uno sguardo poco esperto poteva sembrare non esserci affatto. No, decisamente non aveva freddo lei. Al contrario di me che, a distanza di una settimana e mezza al Natale, sarei andata in giro vestita come un uomo delle nevi.
Verso le 5:30 il biondo era uscito dalla “tana” e trovandomi nel salone si era avvicinato sbeffeggiando quell’aria fredda e distaccata, anche se sapevo bene che se non fosse stato realmente interessato non mi avrebbe degnato neanche di uno sguardo.
Da quando ero letteralmente fuggita da casa mia per andare al caffè nel bel mezzo della notte non avevamo più parlano.  Certo, se si evitava di considerare qualcuna di quelle frasette di circostanza che eravamo stati costrette a dirci, tanto per non far pensare agli altri che fosse successo qualcosa.
Poi è esattamente così no? Non è successo assolutamente nulla.
Ahh ma a chi volevo prendere in giro. Mi sentivo in colpa, terribilmente, per averlo desiderato così tanto quella sera. Per aver voluto così ardentemente il suo calore. Per aver cercato il contato col suo corpo.
Ma solo perché lì per lì ne avevo bisogno, no?
Nei giorni addietro, tutte le volte che si era trovato in mia presenza assieme a Fujiko, aveva dato piena mostra di se, facendo sfoggio della ragazza in modo assolutamente troppo evidente. Come se avesse avuto qualcosa da dimostrare.
Lei era visibilmente innamorata le si leggeva in faccia. Lui non so, forse lo era anche lui. Le sorrideva “sempre” il che era raro per Ryan quindi vederglielo fare così frequentemente era senza dubbio un segnale inequivocabile del suo interessamento verso di lei.
Non mi ero neanche accorta che stava immobile dietro le mie spalle ad osservarmi in silenzio.
Almeno fino a quando non lo sentii ridere così forte che si piegò su se stesso per lo sforzo e intanto con le mani si asciugava le lacrime per il troppo ridere.
-Cos’è che suscita la tua ilarità, Shirogane?-
Cercò di recuperare un po’ della sua composteza per rispondermi ma mentre lo faceva aveva assunto un colorito molto simile alla tonalità dei miei capelli, forse per lo sforzo impiegato nel trattenersi da scoppiare a ridere nuovamente.
-Sono davvero belli-
-Così belli che ti stai ammazzando dalle risate?- strinsi i pugni. Dovevo trattenermi o lo avrei attaccato al collo, ne ero certa.
-Mi fa ridere il fatto che tu possa credere di indossare una cosa del genere-
-Perché non potrei?-
-Sei una ragazzina, Momomiya. Non puoi fingere di essere ciò che non sei-.
Colpita e affondata.
Non ero più una ragazzina. Ero cambiata così tanto dall’ultima volta che …oh non so neanche io cosa. Ma non poteva di certo trattarmi come la bambina pasticciona e bonariamente casinista che ero stata. Ero una donna, e tra soli tre mesi avrei compiuto 21 anni.
-Cosa fingo di essere esattamente, di grazia?- Chiesi, sapendo già dove voleva andare a parare e che la sua risposta mi avrebbe fatto incazzare almeno otto volte di più di come ero ora.
-Sensuale?- Lo disse sorridendomi, porgendomi un’altra domanda come risposta. Mi stava lanciando una sfida bella e buona e non gli avrei dato per alcun motivo la soddisfazione di farmi vedere imbarazzata di fronte a quello sguardo malizioso e a quella voce così roca.
Mi alzai dalla sedia su cui ancora stavo seduta e mi avvicinai a lui con una lentezza quasi insopportabile. Una volta di fronte all’americano, gli cinsi la nuca con le braccia, accarezzando dolcemente i ciuffi biondi che ribelli ricadevano sul collo. Lui per un attimo parve sorpreso e sono quasi certa di averlo sentito rabbrividire sotto il mio tocco, poi dopo pochi attimi riacquistò la sua solita compostezza e mi accarezzò a sua volta un fianco sfiorando la pelle lasciata nuda dalla maglia che si era alzata.
-E tu come fai a saperlo, Ryan- sussurrai il suo nome con voce roca, il più sensualmente possibile, continuando a guardarlo negli occhi cercando di non affogare in quei pozzi blu.
-Ti conosco, gattina-.
Dovevo resistere ad ogni costo. Non gliel’avrei mai data vinta. Così mi avvicinai al suo orecchio e cercando di far aderire il più possibile il seno al suo petto caldo e scolpito sussurrai, proprio sforandolo nell’incavo del collo: -Mi conosci male-.
Non gli diedi il tempo di rispondere. Mi staccai da lui e me ne andai di sopra.
Sicuro di voler giocare?

***

Domenica, Giorno dell’inaugurazione

Ryan e io eravamo scesi in laboratorio alle7:30 della mattina ed erano ben 3 ore che cercavamo di combinare i nostri DNA con quelli degli animali a codice rosso nel miglior modo possibile.
Era la prima volta dopo una settimana di convivenza che lavoravamo veramente insieme. Nel senso che io non boccheggiavo nella speranza che il supplizio finisse presto e lui aveva finalmente smesso di darmi ordini a bacchetta e il più delle volte sembrava dare credito alle mie idee. Non avevamo parlato gran che quella mattina ma avevamo fatto un sacco di progressi e a me andava bene così. Ero particolarmente rilassata visto che Fujiko ancora non si era fatta vedere.
L’ultima volta che ci eravamo incontrate lei stava sgattaiolando in camera di Ryan con in mano una bomboletta di pana spray.
Rabbrividii immaginando alle particolari abitudini “alimentari” dei due e cercai di togliermi dalla testa l’immagine del biondo che faceva chissà cosa con gli ingredienti di Kyle.
Odiavo che lei fosse sempre così estremamente e ormonalmente sensuale. Il che mi faceva sentire una ragazzina proprio come Ryan aveva provato a insinuare il mercoledì passato.
Da quel giorno non è che mi fossi impegnata tanto a pensare come potergli fare cambiare idea sulla piccola scaramuccia che avevamo avuto riguardo alla MIA sensualità. Ma sapevo che prima o poi avrei avuto la possibilità di riscattarmi e farlo ricredere. Mi sarebbe bastato un suo piccolo attimo di titubanza e di cedimento per sentirmi soddisfatta.
Poi la vendetta è un piatto che va gustato estremamente freddo, no?

Ryan quando lavorava sembrava quasi non vedermi; fissava lo schermo massaggiandosi di tanto in tanto le tempie ma era perfettamente impresso nel suo lavoro.
Non gli avevo parlato delle mie iniezioni fatte in casa perché sapevo che mi avrebbe ucciso con le sue stesse mani e perché ero consapevole che il siero che avevo progettato serviva solo ed unicamente a stabilizzar un po’ i miei sensi felini e a non crearmi più di tanti problemi. Le altre, per lo meno per quanto ne sapevo, non avevano mai avuto problemi simili al mio.
Quello che stavamo creando io e lui al momento era ben diverso.
Le Mew Mew dovevano essere in grado di combattere, di entrare così tanto in sintonia con la natura da diventare un tutt’uno con essa. Dovevamo controllare la natura. Avremmo avuto delle armi certo, ma saremmo dovute diventare prima di tutto noi stesse un arma.
Non conoscevamo per nulla il nemico che ci trovavamo davanti e che sembrava non voler far mostra di se nascondendosi nell’ombra. Quindi, dovevamo essere pronte a tutto.
Solo una cosa ci era ben chiara. Non avremmo dovuto semplicemente mettere KO i chimeri. Dovevamo uccidere i chimeri. E per quanto le due cose possano sembrare lì per lì simili, sapevamo bene che c’era un immensa differenza.
-Poteri o no, ci servirà un duro allenamento- dissi dando voce ai miei pensieri.
-Lo so, cerchiamo di superare questa giornata e…-
-E..?-
-Ce l’abbiamo fatta, Straw!- disse alzandosi in piedi –Sono riuscito a trovare la combinazione! Abbiamo il siero!-
Non ci potevo credere.
Dopo una settimana passata a sgobbare sopra a quei computer finalmente ce l’avevamo fatta! E insieme per di più! Sorrisi a mia volta alzandomi anch’io e mi gettai tra le sue braccia stringendolo così forte che temevo smettesse di respirare. Lui mi stringe a sua volta preso dalla contentezza e senza che me ne resi nemmeno conto mi tirai di poco indietro andando a baciarlo sulla guancia, sfiorandogli di poco le labbra, e lasciandolo esterrefatto. Rimase in quel modo, fermo ad abbracciarmi.
Sentivo il suo calore e il suo odore assalirmi l’intero corpo poi realizzai la stronzata che avevo appena fatto.
Cazzo.


Stavo per scusarmi ma lui mi precedette: –Scusami- disse quasi mormorando, e si allontanò da me, uscendo dalla stanza e lasciandomi lì in piedi, davanti allo schermo del PC a schiaffeggiarmi mentalmente e a chiedermi perché l’avevo baciato. Perché mi ero gettata tra le sue braccia. E soprattutto perché ora desideravo che accadesse di nuovo?
Quel ragazzo faceva uscire fuori parti di me che nemmeno io sapevo riconoscere. Solo in sua presenza riuscivo ad essere così, incazzata, sgarbata, istintiva. Riusciva a tirar fuori la parte peggiore di me.
Ma era anche estremamente piacevole e liberatorio dimostrarmi di tanto in tanto per la pessima ragazza che potevo essere. Era in assoluto, la valvola di sfogo più strana, perfetta e sensuale che mai sarei riuscita a trovare.


Il caffe era strapieno. C’erano persone in piedi che aspettavano di potersi sedere e altre sull’ingresso che cercavano di vedere se qualche tavolo stava per essere liberato. Kyle era indaffaratissimo come me, Lory e Paddy che correvamo a destra e a sinistra per prendere ordini e portare questa o quella torta da un cliente o da un altro.
Le divise erano quelle di cinque anni prima ma non me ne dispiacevo. In fondo quei completini erano davvero deliziosi e per di più quel colore era perfetto con i miei capelli che ora per quanto lunghi dovevo raccogliere in una coda alta.
Ryan girovagava per il locale tranquillamente senza degnarci di uno sguardo e senza avere la minima intenzione di darci un aiutino anche se eravamo visibilmente in alto mare. Lo sguardo di quasi tutte le ragazze nella sala erano puntati su di lui e nessuna sembrava voler smettere di mangiarselo con gli occhi. Fujiko dal canto suo era estremamente a suo agio con quella situazioni e anzi sembrava essere particolarmente soddisfatta di poter esporre il proprio fidanzato quasi come fosse un premio.
Dal mio punto di vista provavo un po’ pena per tute quelle mocciose che sbavavano dietro al capo. Sole due settimane di conoscenza e come minimo sarebbero tutte scappate a gambe levate davanti alla sua presunzione al suo brutto caratteraccio. Anche se a volte… no Straw! Stai zitta!
-Hey tu!- mi sentii  chiamare alle mie spalle da una voce graziosa e delicata, e mi voltai.
Una ragazza biondissima con gli occhi verdi e profondi stava guardando nella mia direzione.
-Si dimmi- dissi con un sorriso.
-Quel ragazzo là- disse indicando Ryan- come si chiama?-
-Ma chi? Shirogane?- sgranai gli occhi. Non ero più abituata a dover fare da informatrice per le ragazze che venivano al caffè con l’unico scopo di fare colpo sul proprietario, e quella ragazza che fino a poco prima avevo pensato essere di una bellezza sconvolgente ora mi procurava solo che fastidio.
Senza dirle più nulla mi voltai decisa a continuare a lavorare ma lei mi afferrò per un braccio e mi strattonò delicatamente per farmi tornare a guardarla.
-E dimmi, è impegnato?-
Ancora??
Stavo per rispondere di si, quando la consapevolezza del fatto che si, Shirogane era felicemente fidanzato mi colpì allo stomaco e le parole mi si bloccarono in gola. Non so perché e neppure come, ma la mia lingua prese a muoversi senza che io lo volessi e tirai fuori la prima cosa che in quel momento avevo creduto di desiderare.
-No, liberissimo-.
Arrossii subito dopo ma lei sembrò estremamente soddisfatta della mia risposta. In fondo a Fujiko non avrebbe fatto altro che piacere no?
Ma che cazzo…
Sarebbe stata decisamente una lunga, lunghissima serata.

 

***

 

 

Di nuovo mercoledì. Adoravo il mercoledì. Forse perché a Londra quello era il mio giorno libero. O forse perché era sempre di mercoledì che da qualche tempo a quella parte tassativamente provvedevo all’iniezione. La mia “dose” settimanale, in un certo senso. Adrenalina pura che mi incendiava i muscoli, la pelle e le ossa continuando a scuotermi per ore intere.
Ora, il mercoledì non era più il mio giorno libero. La settimana lavorativa era appena riiniziata e già mi ero trovata di nuovo immersa nei miei 15 anni, passati assiduamente a lavorare al caffè.
Da domenica non avevo fatto altro che correre a destra e a sinistra, da un tavolo all’altro, sotto lo sguardo vigile di una Mina sempre attenta e rischiando di perdere la vita praticamente sei ore su otto al giorno, dal momento che le abitudini di Lory e Paddy erano sempre le stesse.
La verde aveva già provveduto a far scivolare casualmente uno o due coppe da gelato dal vassoio. Stava venendo a tutti il dubbio che lo facesse apposta e ci trovasse gusto a spandere di tutto sul pavimento per poi costringere la sottoscritta a pulire. Paddy aveva rischiato di investire me e una decina, si e no, di clienti, da sopra il pallone su cui ancora imperterrita di esibiva, e per poco quella mattina non aveva portato via a Kyle un braccio, cimentandosi nel lancio dei coltelli. Quello era stato più che altro un incidente, grazie al cielo.
Nell’ultimo periodo ero rimasta in contatto si e no con Mark  un giorno su tre, ma il saperlo al sicuro sotto l’occhio vigile dei sistemi di ricognizione di Kyle e Ryan mi faceva sentire tranquilla. Per di più ora, che avevo scoperto che era riuscito a catturare il chimero fuggitivo che, secondo la sua descrizione, assomigliava tanto ad una enorme balenottera con le zampe caprine. Che poi come ha fatto un chimero del genero a passare inosservato proprio non riesco a spiegarmelo.
La sera prima mi aveva chiamata tutto entusiasta per come stavano procedendo i suoi studi e perché probabilmente avrebbe ottenuto una gratifica da uno dei suoi docenti universitari riuscendo forse a partire per un progetto nel nome dell’eco life.
La sua presenzaa Tokyo al momento non era richiesta, per lo meno Ryan se lo sarebbe voluto tenere lontano il più a lungo possibile, e anche le altre Mew non sembravano dispiacersene in modo particolare.
Con i geni di Profondo Blu che gli erano rimasti non sarebbe stato in grado di esserci di supporto e i due cervelloni del progetto non avevano la benché minima idea di come incrementare anche i suoi poteri visto che , almeno apparentemente, il DNA del ragazzo non sembrava adatto a legarsi con alcun animale, e loro non predisponevano di geni alieni. Poi detto chiaro e tondo, non è che avessero tutta quella voglia di incentivare ulteriormente il geni di Profondo Blu. E dovevo ammettere, nemmeno io.
Il moro cominciava a mancarmi, ma tutto sommato saperlo a casa mi permetteva di rilassare un’altra parte del mio cervello che altrimenti sarebbe stata da tutt’altra parte.

Dal momento che due paia di braccia in meno per Ryan, sembravano essere un rischio troppo grosso da correre aveva deciso di farci un regalo. Uno splendido regalo.
Fujiko con immane gioia della sottoscritta sarebbe entrata a far parte del team. Anche se in cuor mio sospettavo che l’assenza di Mark c’entrasse poco con la scelta del biondo, pur tenendo conto di quanto non poteva subirlo, e che la cosse fosse già stata preventivata da tempo. Molto tempo.
Tempo a sufficienza da farm chiedere con un groppo in gola quanto in realtà questa cosa fosse stata progettata. 
E perché?

Per la verità però, le domande che mi turbinavano in testa erano un infinità. Ad esempio, perché la gallinaccia lì, fosse venuta a conoscenza di chi fossimo e come, quando e dove. Mi chiedevo quando avessero scoperto che il suo DNA fosse compatibile e cosa avesse spinto Ryan a infilarla in mezzo, anche se sentivo che lei aveva fatto le sue belle pressioni. Mi domandavo quale fosse l’animale che si legasse al suo DNA e su questa questione i miei sensi felini sembravano volermi avvertire di qualcosa e il cuore salirmi in gola. Avevo un brutto presento.
Ma d’altronde lei era di per se un orribile presentimento, con tanto di gambe cerettate e capelli scuri e splendenti.
Ma non potevo ,ne da una parte “volevo”, soddisfare de mie infinite domande, perché se Ryan non era venuto da me per aggiornarmi della nuova recluta non vedevo il motivo per cui avrei dovuto farlo io con i miei numerosi interrogativi.
La notizia mi era giunta per così dire vie traverse. Innumerevoli vie traverse a dire il vero.
Pam mi aveva avvisato freddamente più o meno 24 ore prima in modo gelido , senza darmi ulteriori spiegazioni e dicendomi soltanto che era stata Mina, ovviamente, a dirglielo. Non mi ci era voluto poi tanto a scoprire che Mina lo era venuta a sapere da Paddy, Paddy da Lory e la verde da Kyle che ovviamente ne aveva discusso ancora prima con Ryan.
Non ne avevo parlato con nessuna delle Mew e tanto meno con i due ragazzi, ma ero sicura che Ryan con il suo cervello da genio intuisse che ne ero venuta a conoscenza.
Il fatto che non ne avesse parlato con nessuna di noi non mi piaceva visto che volente o nolente noi eravamo la squadra. Noi il braccio e lui la mente. Mente che sicuramente aveva orgogliosamente agito sulla base del mio stesso identico principio.
Sbuffai ancora dalla rabbia sperando che almeno si sarebbe tenuta un minimo in disparte così da non costringermi a salvarle la pelle, e felice di non aver dovuto disegnare anche la sua uniforme per poi sottostare anche a qualche pessimo capriccio della castana.
Mancavano soli due tavoli da pulire che Pam entrò nel caffè, ormai chiuso al pubblico da una quarantina di minuti buoni, vestita, improfumata e pettinata di tutto punto, proveniente da uno dei suoi servizi fotografici che quei giorni la tenevano impegnata (grazie al cielo) proprio a Tokyo.
-Buonasera- disse con voce piatta, accennando un piccolo sorriso.
Salutai di rimando un po’ distratta, rimettendomi dritta e sciogliendo i capelli fino a poco prima dolorosamente e strettamente legati in una coda altissima.
Negli ultimi anni ero cresciuta molto diventando alta quasi quanto la modella. L’idea mi faceva sempre sorridere visto quanto quattro anni prima lei mi mangiasse letteralmente in testa.
-Sei pronta?-
La sua voce mi destò del tutto dai mie voli pindarici e focalizzai seriamente cosa significasse la domanda che mi aveva posto. E soprattutto la risposta che avrei potuto, più sinceramente possibile, darle.
Era chiaro che fossi pronta e disposta a  combattere. Ma ora, che praticamente stavo per essere rigettata in mezzo a tutto quel marasma catastrofico che era stato il progetto Mew, avevo paura.
Paura per quello che sarebbe potuto succedere alla terra, ai miei amici e a me. Paura di non riuscire più ad accogliere il gatto selvatico dento di me e paura di non essere più abbastanza in gamba per riuscire a reggere tutto il peso che significava tenere unito il team e stare alla testa del gruppo.
-Non lo so, Pam- era infondo la risposta più veritiera che potessi darle.
Lei mi guardò quasi riuscendo a cogliere i miei pensieri, e forse qualcosa in più perché rispose: -Stai tranquilla, non cambierà nulla- provò a rassicurarmi,- o quasi.
-Dove sono gli altri?-
-Sono di sotto da un po’, io stavo finendo di sistemare- risposi.
-Vedi? Infondo siamo sempre le stesse- sorrise un ultima volta poi ci dirigemmo assieme al piano inferiore.
Quanto hai ragione, Pam.



***

Quando aprimmo la porta ritrovammo tutta la squadra Mew (più una) ad attenderci.
Fujiko era seduta sulle gambe di Ryan, Paddy stava importunando Mina con le sue sconnesse chiacchiere e Lory sembrava stesse facendosi tranquillizzare un po’ da Kyle, vista la sua palpabile preoccupazione e il viso cinereo. Proprio non le andava di tornare sul campo.
Quando Fujiko mi vide sorrise maliziosa e si chinò di poco verso il biondo, fino a poggiarsi con la fronte sulla tempia di lui, che non sembrò quasi dare peso al gesto. Come se fosse naturale.
E lo è, stanno insieme.
Tutti salutarono e l’agitazione era nell’aria tanto fitta da poterla toccare con mano.
La prima cosa che attirò la mia attenzione, messo piede nella stanza, fu la serie di sei valigette stipate sul tavolo di ferro a sinistra della stanza. Mi accostai e posai una mano su uno dei contenitori.
-Sono pronte- sussurrai.
Non era una domanda, ma Kyle mi sorrise radioso e fece un cenno d’assenso nella mia direzione:
-Si, de devo dire che sei riuscita fare uno splendido lavoro.-
Miagolai un grazie e percependo l’ansia di vedere le mie creazioni si avvicinò a me posandomi piano una mano sulla spalla: -Se volete, potete aprirle subito-.
-Oh, si! Sono così curiosa!-
Risi divertita dall’emozione che trapelava da Paddy, che aveva preso a battere le mani felice e cercai di distogliere l’attenzione del biondo e dalla castana ormai in piedi, decisi anche loro a partecipare all’apertura delle valigette.
-Si, direi che possono aprire i loro “regali di Natale” in anticipo- si intromise Ryan, che fino a due secondi prima non aveva proferito parola.
Io di tutta risposta lo guardai storto per quell’intermezzo, e afferrai il “pacco” che Kyle mi passò sulle braccia.
Lo riappoggiai sul tavolo con un gesto meccanico e , aprendolo cominciai a scartare il mio regalo.
Erano proprio le mie tute!
Le ragazze guardavano eccitate le loro nuove divise, stupide dalla finezza e dalla resistenza del tessuto, da una parte proprio come lo ero io.
Avevo tenuto segreto loro ogni mia bozza, dal più piccolo particolare al colore della tutta (eccetto Pam) e per le ragazze fu una piacevole sorpresa scoprire di non essere più costrette ad indossare le vecchie mise. Eccetto forse Paddy che ero convinta sarebbe andata in giro anche in pigiama se il caso l’avesse richiesto e permesso.
Tirai fuori la mia divisa e la rimirai soddisfatta. Era esattamente come nel disegno.
Il bustino, un poco rigido, avrebbe sorretto le forme abbondanti del seno, permettendo un piacevole effetto push-up che mi avrebbe concesso una libertà di movimenti, degna di un gatto. 
Il bustino che lasciava scoperte le braccia, dall’allacciatura posta dietro il collo faceva partire un cappuccio abbastanza coprente da proteggere il viso fino a sopra gli occhi. Un piccolo e ben congeniato escamotage che avrebbe fatto parte della divisa di ognuna. Gli stivali alti fasciavano tutta la gamba, fin sopra il ginocchio  e sfinavano maggiormente le cosce che erano invece protette da morbido e liscio tessuto nero.
Guanti neri senza dita e una cintura pesante che avrebbe potuto contenere tutte le munizioni dell’esercito giapponese, russo e americano insieme, erano accessori perfetti che rendevano ancora di più l’idea della femme fatale. Fin’ora a me tanto estranea.
L’unico particolare, che un po’ per malinconia verso le vecchie mise, avevo deciso di mantenere invariato per tutte era il collarino sottile che fasciava il collo, facendo spiccare il  filo nero rispetto alla pelle più pallida. Un filo che collegava quelle che eravamo e quelle che eravamo state tanti anni prima.
Anche le altre continuavano a rimirare gli abiti nuovi e per un secondo fui davvero convinta di aver fatto un ottimo lavoro.
Pam osservava il top a maniche lunghe che lasciava la pancia scoperta, e che avrebbe quindi lasciato intravedere il suo marchio.
 La parte inferiore della divisa era costituita da un paio di pantaloncini corti, che fasciavano le curve della modella e che intervallavano i lembi di pelle bianca dell’addome e delle cosce, lasciati invece scoperti. Lunghi e stretti stivali le avrebbero accompagnato e protetto le gambe, ma nei lati erano abbastanza morbidi da poter nascondere qualche eventuale arma affilata.
La divisa di Mina invece era un aderente tutina che lasciava scoperta buona parte della schiena della schiena, che di lì a poco avrebbe ospitato le ali del lorichetto blu, ma abbastanza accollata sul davanti, con maniche a tre quarti e le gambe lasciate scoperte da pantaloncini poco più lunghi di quelli di Pam.
 Paddy sembrava non capire in che modo dovesse indossare il body nero smanicato e dal collo alto. Anche Mew Paddy avrebbe indossato degli stivali sopra al ginocchio, ma privi del tacco che mi ero concessa di aggiungere solo alle divise mie, di Pam e di Mina, vista l’adorabile imbranataggine di Lory e l’astio che la biondina provava per le cose troppo femminili. Ovviamente la scelta di aggiungere un particolare così apparentemente scomodo alle nostre divise non era soltanto una scelta di stile.
I tacchi di cui erano dotate le alte calzature mie e della Mew-Lupo e degli stivaletti più bassi di Mina erano delle vere e proprie armi. Resistenti e perfino, apparentemente, affilate sul profilo dello spillo.
Lory che inizialmente parve sbiancare notando i particolari delle divise delle altre si rassicurò un poco vedendo lo scollo a V non eccessivamente provocante ma (forse anche troppo) profondo e che la parte superiore della mise non lasciava scoperta troppa pelle sul ventre. Riacquistò particolarmente colore poi quando fu certa che avrebbe potuto indossare dei pantaloni lunghi e dei comodi e resistenti anfibi.

Gongolante per i risultati raggiunti mi voltai verso Ryan cercando di capire se alla fin fine avesse apprezzato o meno il mio lavoro ma raggelai quando lo vidi essere distratto da ben altro.
Sorrideva sornione in direzione di Fujiko che sventolava entusiasta un top nero aderentissimo a maniche corte, che visto da dove mi trovavo sembrava appartenere quasi ad una bimba di 10 anni e non lasciava affatto spazio all’immaginazione vista la profonda scollatura, e un paio di pantaloni neri che probabilmente arrivavano poco sotto il ginocchio.
Cercando di scacciare la morsa di nervoso che costrinse me e il mio stomaco a ricacciare indietro la bile ormai convinta di uscire, continuai a sbirciare il contenuto della valigetta rimanendo estremamente soddisfatta da quello che trovai al suo interno. Due magnifiche Colt, risplendevano alla gelida luce del laboratorio. Pericolose e fatali, le afferrai la calcio e me le rigirai nelle mani.

Avevo imparato a sparare  tre anni prima, accompagnata da Mark. Entrambi eravamo stati convinti dal biondo ad imparare visto che al tempo non aveva idea per quanto tempo i nostri geni modificati ci avrebbero aiutato e pensava (mio malgrado giustamente) che avessimo la NECESSITA’ impellente di poterci difendere in ogni caso.
Ora come ora, mi trovavo a ringraziare il biondo per una delle sue ansie.
Mentre rimiravo ancora le due armi, pensando a quanto sarebbero sembrate “da dura” infilate nella cintura della divisa notai che non ero l’unica a possedere un arma. O meglio, io ero l’unica a possederne una sola.
Tutte avevano trovato nella “scatola”  altro oltre le pistole, eccetto me, che anche ricontrollando, non riuscii a vedere niente.

Pam arrotolava distratta, già pregustando quasi il gusto della battaglia, una frusta lunga, tagliente e argentea che quasi le ricopriva tutta la lunghezza del braccio affusolato.
Mina ammirava una grande balestra nera e lucente, così imponente che sembrava quasi sovrastare la mora ma allo stesso tempo adattarsi perfettamente a lei. Risultava azzeccatissima tra le sue mani.
Paddy, con un espressione buffa, faceva roteare un ascia dal manico lungo, che pareva essere particolarmente pesante, ma che lei maneggiava con estrema facilità, divertendosi, mentre Lory dall’altra parte della stanza, toccava lievemente con l’indice la punta di uno dei due sai che teneva in mano, simili a quelli che aveva utilizzato Ghish cinque anni prima. Con la sola differenza che in mano a lui sembravano essere molto più temibili.
Lory non sembrava neanche capire da dove avrebbero dovuto essere impugnati.
Il colpo di grazia però, me lo auto-inflissi gettando per un attimo l’attenzione sulla castana di fronte a me , che con lentezza inesorabile facile scivolare la mano su uno dei sei coltelli da lancio, prelevati dalla sua valigetta, sfidandomi e allo stesso tempo saggiando la lama affilata e lucente.
E’ uno scherzo.
Ryan notò la mia espressone accigliata e pensando che non cogliessi il suo gesto si voltò interrogativo verso di me. Non sembrava soltanto leggermi dentro, ma anche percepire quello che mi passava per la testa.
Senza sapere perché, una rabbia sorda fece si che lo stomaco mi si rigirasse venti o trenta volte su se stesso, tappandomi le orecchie e facendo aumentare i battiti del mio cuore che percepivo fin dentro alle tempie. Rombavano così insistentemente, che fui costretta a portarmi una mano alla fronte, stringendo con l’altra ancora più forte il calcio della pistola.
In un attimo ero passata dal semplice fastidio alla rabbia più pura. Razionalmente non ne comprendevo il motivo, ma c’era qualcosa dentro di me, che stava urlando affinché di lì a poco mi preparassi al peggio.
-Perché non ho un’arma?-
-Mi pare che tu ne abbia una ben stretta in mano, al momento- disse Ryan sardonico.
Pam capì che stavo per sbottare e mi si accostò molto lentamente, come se dovesse avvicinare in silenzio una preda, e mi poggiò lieve una mano sulla spalla. Per un attimo pensai di calmarmi, poi vedendo il ghigno irrisorio che aveva colto Ryan e di conseguenza aveva fatto sorridere maliziosa Fujiko cancellai ogni buon proposito.
-Sono l’unica a non avere un ‘altra arma, Ryan- sibilai a denti stretti.
Kyle percependo che la situazione stava per mettersi male intervenne in soccorso del biondo e del bene comune:
-Non è ancora pronta Strawberry, ma lo sarà di qui a poco-. Cercò di sorridermi lieve ma quando vide che la mia espressione non stentava a rilassarsi si irrigidì.
-Dobbiamo aspettare ancora quindi?-
-Non c’è tutta questa fretta.
-Non abbiamo rintracciato niente di strano e dei chimeri fin ora non ce ne traccia-. Anche Ryan ora sembrava innervosirsi e le parole che pronunciò mi apparvero poco convinte, a malapena sussurrate. Tuttavia la falsa ingenuità che lessi tra le righe mi fece ribollire l’intestino, e per tutti  sospiri che potessi provare a fare o per tutte le divinità che povai a pregare in quel momento affinché mi trattenessero, scoppiai:
-E ti stupisci? Non fare l’idiota con me, Ryan.
-Sai bene che non c’è modo di rintracciarli, e decisamente non si presenteranno alla nostra porta suonando il campanello e offrendoci un cesto di frutta.-
La bomba era ufficialmente esplosa. il bello era che nemmeno io sapevo per quale motivo ero tanto incazzata; anche se qualcosa, dentro di me, mi diceva che presto l'avrei scoperto. come una premonizione.
Tutte le ragazze guardavano la scena in silenzio, non capacitandosi di tanta irascibilità. Pam aveva ormai lasciato la mia spalla e Lory aveva abbassato gli occhi non appena i miei avevano incontrato i suoi.
Mina non fece un fiato, stranamente, evitando di riprendermi. Ognuna delle ragazze sembrava in fondo capire più di me il perché di quella sfuriata. O semplicemente volevano essere, in ogni caso al mio fianco.
-Sono due settimane che ci rigiriamo i pollici! E questo soltanto perché tu non ci permetti di allenarci come dio vuole! Io sono stanca di aspettare-.
Da quando avevamo definito quali fossero i nuovi pericoli da affrontare sia Ryan che Kyle erano stati d’accordo sul fatto che un buono e duro allenamento sarebbe stato indispensabile per affrontare questa nuova missione, ma l’unica cosa che almeno nelle ultime 72 ore il biondo ci aveva permesso di fare, era correre come maratoneti nel parco. Quasi come se ci dovessimo impegnare per scappare meglio.
Purtroppo i nostri poteri si erano indeboliti, il che era inevitabile, e per quante altre modifiche avremmo potuto subire nessuno di noi era tanto convinta di andare a gettarsi così, sul campo di battaglia, tanto all’acqua di rose, vista la pericolosità di questi chimeri. Per di più se fossimo state colte impreparate e non fossimo riuscite a utilizzare gli eventuali poteri garantiteci dal nuovo siero, che ancora erano un mistero, dovevamo saperci per lo meno difendere.
-Che cosa avreste potuto imparare Strawberry, in settantadue ore?-  camminava a pugni chiusi verso di me. Temevo davvero che mi avrebbe preso a sberle. Era infuriatissimo, come poche volte lo avevo visto. Per inciso, sempre con la sottoscritta.
-Per di più senza l’aiuto del siero!- Continuava a sbraitare senza aspettare neanche che gli rispondessi, -Se tu, e sottolineo TU, vuoi rischiare la tua vita, fai pure. Ma non farò ammazzare l’intera squadra perché non sei in grado di ragionare come una persona matura.-
In men che non si dica era tornato imperturbabile come sempre, distogliendo lo sguardo da me e tornando a fissare lo schermo.
-Non ho bisogno di una mocciosa nella mia squadra.- L’aveva praticamente sussurrato, come se stesse parlando tra se e se, ma il messaggio arrivò forte e chiaro, diretto come un pugno nello stomaco.
Avevo dato praticamente qualsiasi cosa per la riuscita del primo progetto Mew.
Ero addirittura morta per portare a termine la missione. Ero disposta a rinunciare a tutto e avevo continuato a farlo anche alla fine rincorrendo i chimeri superstite, ed ora mi stavo rimettendo in ballo. Avevo lasciato tutto per tornare indietro, per poter dare una mano.
Potevo accettare qualsiasi cosa, ma non quello. Non quella irriconoscenza, non da parte sua.
-Se la mia presenza non ti è gradita Ryan, hai fatto bene a cercarti una sostituta-.
Stavo per andarmene ma la mano di Pam mi ancorò il braccio costringendomi a voltarmi nuovamente verso gli altri presenti che osservavano la scena come spettatori immobili, manichini in una vetrina. Ryan nel frattempo si era alzato e mi stava venendo incontro. Quando parlò, mantenne un tono atono ma ero sicura che se avessi riaperto bocca avrebbe dato di matto di nuovo:
-Una volta iniettato il DNA del gatto selvatico, sarà anche lei molto utile per la squadra.
-E farà sicuramente meno stronzate di quante ne abbia fatte tu.-
Pam come scottata dal contatto con la mia pelle allentò di fretta la presa e ritrasse la mano, lasciandosi cadere le braccia lungo i fianchi. La fissai per un attimo non comprendendo quella reazione, così inusuale per lei; poi, lasciai correre.
-Ryan, piantal…- Kyle aveva provato a frenare la lingua del biondo, rendendosi conto dei danni che stava facendo, ma senza dire una parola, lo fermai, con un gesto della mano.
Gatto selvatico? L’Iriomote? Stava sul serio dicendo che avrebbe iniettato il DNA del mio animale ad un’altra persona? A Fujiko?
D’un tratto la frase che gli avevo buttato là, tanto per fargli capire che quello che aveva detto poco prima mi aveva ferita, aveva acquistato un significato tutto nuovo. Era vera.
Ero stata declassata, offesa. Ero stata realmente sostituita, per altro, dalla persona che sulla faccia della terra sopportavo meno.
Cercai di trattenere le lacrime di rabbia che volevano per forza uscire fuori. Era troppo. Era tutto troppo, e non potevo più rimanere lì o sarei esplosa, e l’ultima cosa che avrei voluto sarebbe stata dargli la soddisfazione di vedermi piangere, per lui.
Sentii ribollirmi, le luci del laboratorio sfarfallarono per un attimo, e tutti si guardarono attorno per un secondo spaesati come se si fossero appena svegliati da un sogno. Poi il gioco di luci e ombre terminò lasciando tutti indecisi sul da farsi.
Io, dal mio punto di vista sapevo benissimo cosa avrei dovuto fare.

-Dov’è il mio siero?-
-Strawberry che vuoi fare?- Lory aveva ripreso un poco di colore dopo che Ryan aveva smesso di lanciare urli, ma al momento sembrava essere seriamente preoccupata per quello che mi stava passando ipoteticamente per la testa.
-Nulla che altrimenti non avrei fatto -.
Puntai lo sguardo sul biondo e riacquistai il coraggio perso nel rispondere a Lory, vedendola così spaventata. –Allora, dov’è?-
Ryan non rispose, ma per un attimo i suoi occhi schizzarono nella direzione delle valigette e potei giurare su qualsiasi cosa che stava guardando il primo cilindro sulla sinistra.
Negli anni a lavorare al caffè ero diventata impeccabile nel cogliere ogni minima variazione del suo sguardo e riuscivo a percepire i suoi pensieri (o quasi ) soltanto riuscendo a notare dove si posavano quegli oceani blu.
Mi avviai a passo di carica verso il contenitore precedendo di poco Kyle che non sapendo dove stavo andando a parare aveva cercato di fermarmi afferrando la siringa con il mio preparato. Ora ero sicura di quale fosse. La afferrai e me la puntai al collo.
Sapevo già come andavano fatte quelle iniezioni ed ero già sicura che il dolore che avrei provato sarebbe stato almeno quattro volte multiplo rispetto a quello provato solitamente col siero blu per la stabilizzazione del DNA felino.
Senza indugiare oltre, stringendo il calcio della siringa spinsi la levetta e i milioni di aghi, che mi sembrarono penetrare il collo, sovrastarono le rumorose proteste di Paddy, Lory e Mina.
Una serie infinita di lame che graffiavano, penetravano, perforavano il corpo, in ogni parte possibile. Dalla punta dei capelli a quella dei piedi.
Era un dolore così intenso che mi irrigidii tanto che temetti per un secondo che sarei caduta in pezzi da un momento all’altro come una statua di sale.
Poi, come una scarica di elettricità.
Pura, inebriante, potente, ovunque, come se avessi spinto play e la canzone fosse partita un po’ in ritardo.
Ogni cellula, che un secondo prima, sembrava voler esplodere ora vibrava di una forza adrenalinica, di una sicurezza mai provata. Quella serie di istanti divennero infiniti e il tempo sembrò plasmarsi attorno a me; poi, sentii tutto.
Sentivo il respiro spezzato di Ryan, il cuore di Lory che martellava e Pam che tratteneva il respiro. Sentivo l’odore del sofisticato profumo francese di Mina, il traffico nella via adiacente al locale, il rumore del vento che si infrangeva leggero sui vetri. Gli spifferi che penetravano nel laboratorio e che ora sembravano soffiare come brezza. Sentivo, ogni cosa.
Cominciai a sgranchirmi dalle dita delle mani al collo, fissando i palmi come se mi aspettassi di vedere spuntare fiamme dalle mani, poi  mi rivolsi a Ryan:
-Hai fatto bene a trovare qualcuna che prenda il mio posto-.
 Mi voltai dandogli le spalle e mi diressi verso la porta, quando la voce del biondi mi accarezzò flebile la schiena.
-Dove vai?- mormorò.
Soppressi una risatina nervosa e senza voltarmi gli rifilai, tanto per citare, le parole che aveva usato pochi minuti prima: -A rischiare la mia vita, da sola.-


***

Una volta infilata la nuova divisa ed essermi rimirata allo specchio per qualche secondo quasi non riconoscendomi, uscii di corsa dal locale, cercando di non farmi sentire e impedendo qualsiasi altro contatto diretto col resto del gruppo. Mentre salivo avevo udito le proteste di Lory e Paddy e gli urli insopportabilmente acuti di Mina, venire placati da un Pam fredda ma molto più altera del solito. L’occhiata che mi aveva gettato prima di mettere il piede fuori dalla stanza era molto simile, se non peggiore, a quelle che mio padre mi lanciava ogni volta che Mark mi bussava alla porta per chiedermi di uscire. Era ovviamente una classica occhiata da “facciamo i conti dopo”. Solo che Pam non era mio padre, che si infervorava per un po’ di gelosia paterna. Pam mi avrebbe probabilmente strozzato nel sonno con la sua frusta nuova di zecca per la mia impulsività.


***

Camminai nel parco per una trentina di minuti che mi sembrarono infiniti. Tutta la zona era praticamente e totalmente disabitata.
Erano quasi le 22 e l’unica cosa che rendeva il parco meno inquietante erano le luci dei lampioni che illuminavano un poco, con cerchi di luce giallastra, la piazza con la fontana e i sentieri tra la vegetazione.
Era tutto tranquillo. Fin troppo tranquillo.
Arrivai all’estremità nord del parco e mi diressi verso la periferia della città.
Non sapevo esattamente dove andare, quindi decisi di seguire l’istinto. Istinto che non appena mi ero iniettata il siero aveva cominciato a vibrare, teso come una corda di chitarra.
Più lo seguivo e prendevo le strade che lì per lì sembravano le uniche a portare da qualche parte, più ogni senso del mio corpo si tendeva come fosse un muscolo. Poi, lo sentii. Di nuovo. Quell’odore acre, sanguinolento metallico. Uguale e allo stesso tempo diverso da quello solito del sangue. Sembrava…rugginoso. Se ne poteva quasi percepire la solidità.
Era il loro odore. E questo mi bastava per trovarli.
Assunsi le sembianze di un gatto e in meno di un secondo quegli odori e quei rumori che prima percepivo in modo cristallino divennero ancora più chiari. Se prima avevo creduto di sentire, percepire, ogni cosa, mi ero sbagliata. Ora percepivo davvero qualsiasi cosa mi circondasse.
Corsi tra una via e l’altra beandomi del fatto di essere semplicemente un gatto e che quindi nessuno pur vedendomi si sarebbe insospettito, finché non arrivai a confondermi in un labirinto di viottole e bassi sottopassaggi che collegavano un palazzo all’altro.
L’odore era vicino ma si diffondeva in fretta e girando in quel modo come una trottola non avrei concluso nulla. E avevo giurato su Dio che avrei concluso “qualcosa” da sola. Pur di non darla vinta a quello sbruffone di Ryan. E di non dare soddisfazione a Fujiko, ovviamente.
Mi ritrasformai, sentendomi un attimo frastornata per i giramenti di testa che mi colpivano ogni volta che tornavo alle dimensioni standard.
Dovevo salire sul tetto. Dall’alto avrei avuto una visuale molto più ampia e una percezione migliore del labirinto in cui mi stavo spostando. Camminai ancora lungo il vicolo rabbrividendo per lo squittire dei topo dietro ai cassonetti e facendomi strada, attenta a dove mettevo i piedi.
Il posto non era per niente illuminato ma la vista felina mi permise di individuare a pochi metri una scala anti-incendio.
La base era incastrata in alto ma non troppo in alto per non poter essere raggiunta con uno bello slancio. Presi un minimo di rincorsa e facendo leva sul muro con una spinta mi aggrappai al primo piolo. Rimasi sospesa a ciondolarmi per qualche secondo poi mi arrampicai sopra, raggiungendo due scalini alla volta la cima del tetto.
Grazie al cielo in quella zona i palazzi non erano altissimi e non c’erano tetti troppo spioventi da cui avrei rischiato di cadere, quindi, seguendo sempre la traccia che, seppur indebolita, rimaneva facilmente percepibile, mi spostati da un tetto all’altro, saltando di qua e di là quando la distanza lo permetteva e cambiando strada quando non era possibile.
Avevo detto di voler rischiare la mia vita era vero. Ma non avevo intenzioni di spiaccicarmi al suolo.
Seguivo la scia lasciata dal chimero senza neanche più pensarci. Come un cacciatore che insegue la preda, il corpo agiva automaticamente. Il che, poteva solo voler significare che era vicino, o comunque mi precedeva di poco perché l’intensità dell’odore era costante e io procedevo abbastanza velocemente.
I tetti dei palazzi cominciarono a divenire sempre più bassi e il fatto di rimanere in una posizione sopraelevata cominciava ad essere irrilevante. Per di più avevo la sensazione che chiunque stavo cacciando stava mettendo una distanza sempre maggiore tra me e lui perché l’odore iniziava a scemare e la traccia diventava sempre più difficile da seguire.
Spiccai un salto che mi permise di atterrare su di una palazzina alta forse una decina di metri e ruzzolando due o tre volte mi rimisi in piedi, decisa a riscendere per le strade, quando mi accorsi che quella che avevo avuto poco prima non era una semplice sensazione o il sesto senso che mi giocava tiri mancini. L’odore era davvero sempre più flebile,  per di più ora quel senso di adrenalina che fino a poco prima mi aveva spinta a correre e saltare a destra e a manca si era spostato un po’ per fare spazio a qualcosa che il mio corpo percepiva come “merda”. Parafrasando, c’era qualcosa che non andava e più proseguivo più mi ci trovavo immersa dentro. Alla merda intendo.

Sviando vicoli a casaccio mi resi conto che la traccia, quasi totalmente scomparsa, mi stava portando in un posto che conoscevo anche fin troppo bene. Casa mia.
Accelerai il passo. Qualsiasi fosse quella cosa che mi stesse gridando il sesto senso in quel momento, non mi piaceva.
Ero ormai a mezzo chilometro da casa, in linea d’aria, quando l’odore scomparse e fu sostituto da un altro che lì per lì non riuscii a distinguere da quello dei chimeri. Poi avvicinandomi capii.
Non era l’essenza rugginosa, stantia di quegli esseri. Era metallico si, ma sembrava… sangue. Semplicemente sangue. Tanto, troppo sangue. Una quantità troppo abbondante per poter essere ricollegata a qualcosa di irrilevante.
Quando svoltai l’angolo, capii perché qualcosa dentro di me mi diceva di andare più veloce. Di arrivar lì prima che fosse troppo tardi.


Nel percepire una massa scura, circondata da chiazze rosse che sembravano essere nere e lucide come il cielo notturno, sull’asfalto grigio e gelido, spuntarono fuori orecchie e coda feline.
Quando fui a 10 metri dalla figura percepii un lento ritmo, lievi battiti che si ripetevano a distanza di pochi secondi gli uni dagli altri.
Qualcosa sbucava da sotto il tessuto riversato a terra in modo scomposto e quando un minimo movimento fece alzare e abbassare la stoffa nera feci un balzo di spavento allontanandomi di nuovo dall’ammasso nero supino a terra.
L’odore era quasi insopportabile. Pensavo potesse essere una trappola e che sarebbe stato meglio agire con cautela, quando ciuffi verdastri uscirono da sotto il nero del tessuto e rantoli sconnessi mi fecero tremare le orecchie e la coda felina.
Il cuore mi balzò in gola.
Dio dimmi che non è lei.

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