Sapore speziato

di Ale_xandra
(/viewuser.php?uid=209254)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** CAPITOLO 1 ***
Capitolo 2: *** CAPITOLO 2 ***



Capitolo 1
*** CAPITOLO 1 ***


CAPITOLO 1

Come capire quando una persona ti mente? A meno che tu non abbia motivo per sospettare della falsità di qualcuno, solitamente non te ne accorgi.
Sarebbe da censire il numero di bugie che ci propinano quotidianamente amici, famigliari, fidanzati… Bugie innocenti, dette per proteggere lati di noi che non vogliamo condividere col mondo. Bugie che non danneggiano nessuno, se non noi stessi.

Dove vai?

Vado a fare una corsa con Paola.

La corsa c'era. Paola no. Come nemmeno la voglia di confessare a mia madre il mio bisogno improvviso di solitudine.

Mi piaceva correre al tramonto, I miei capelli assumevano riflessi rossicci e al contempo non c'era luce a sufficienza perché I passanti riuscissero a scrutarmi negli occhi. Sembravo avere la consistenza di un fantasma: mi lasciavo attraversare dal mondo senza che questo potesse bloccare il mio passaggio.

Respiravo aria fresca imbevuta di luce soffusa.

Quando ormai il tramonto aveva lasciato posto al crepuscolo e alla brezza serale, mi avvicinai al lungomare. Ero stanca di correre, ma non ero neppure pronta a ritornare a passeggiare tra la gente come se fossi parte di quella folla.

Ero una persona generalmente socievole, convinta che l'empatia e il rispetto per il prossimo fossero valori imprescindibili, ma a volte avevo anch'io bisogno di addentrarmi in me stessa e ripulirmi delle voci, dei sorrisi, delle idee altrui che si imprimevano sotto forma di ricordi nella mia mente.

Non che desiderassi dimenticare, l'esperienza era il bene immateriale che consideravo più prezioso, ma a volte avevo semplicemente voglia di ripulire gli eccessi, fare spazio in me stessa per accogliere nuove esperienze con più entusiasmo.

Un po' come liberare spazio in un dispositivo elettronico eliminando I file superflui.

Decisi di raggiungere quella zona del lungomare che solitamente era deserta per fare un po' di stretching e verticali.
Il mio ex mi ci portava spesso per allenarsi con la breakdance. Rimpiangevo il non aver imparato qualcosina in più da lui, perché per quanto mi piacesse quello stile e la danza in generale, a tecnica stavo a zero. Come anche a tempo per iscrivermi ad un corso. Senza considerare poi che forse ero già “vecchia” per darmi al ballo…

Mi rimanevano solo le discoteche, ma costituivano un ambiente le cui dinamiche sociali non sempre mi facevano impazzire.

Rimasi un po' delusa nello scoprire che quel giorno quella zona che speravo deserta non lo fosse affatto. Un ragazzo e una ragazza probabilmente cinesi erano appoggiati al muretto che contavo di usare come supporto per fare le verticali.

Purtroppo avevo ancora bisogno di un sostengo per quando salivo con le gambe, seppur riuscissi a mantenerle dritte per qualche secondo. Più che altro mi mancava la sicurezza psicologica per buttarmi.

Decisi di scendere in spiaggia, le verticali avrebbero aspettato tempi più propizi. L'acqua doveva essere gelida, eravamo a marzo dopotutto, ma sembrava così calda e accogliente per merito degli ultimi luccichii del sole, ormai quasi scomparso.

Le onde erano lente, più che infrangersi sui grandi massi vicino alla riva, li avvolgevano in un abbraccio spumoso.

Il vento pacato, misto allo scroscio dell'acqua, vibrava in maniera ancestrale contro il mio corpo, tra I miei capelli… raggiungeva I timpani e si insinuava nel mio cervello a fare piazza pulita. Quella musica mi lavava l'anima, la vista, l'udito.

Panta rei: tutto scorre. Fermarmi ogni tanto ad osservare questo incessante movimento mi dava la conferma che ero parte di quel movimento, parte di quel tutto.

Inutile essere egoisti, inutile essere felici se si è soli. Meglio accertarsi che anche gli altri lo siano e condividere quel sentimento. Perché la felicità condivisa è amplificata.

E la sofferenza, fosse anche quella di qualcuno altro e non la nostra, è sempre e comunque distruttiva.

Non mi ritenevo una moralista, in chiesa nemmeno ci andavo, ma certi principi del cristianesimo mi piacevono molto. Ama il prossimo tuo come te stesso era uno di questi. E per quanto mi era possibile, cercavo sempre di metterlo in pratica.

Mi era capitato di essere ferita, usata… sapevo cosa significava soffrire e non avrei mai voluto che qualcun altro provasse lo stesso a causa mia. Forse non potevo eliminare tutto il dolore dal pianeta, ma potevo fare la mia parte, per quanto piccola, e cos'è il tutto se non l'insieme di tante piccole parti?

Mi sedetti sulla sabbia, quella zona della spiaggia era poco frequentata e forse per questo più pulita. L'effetto che mi faceva il mare era irreplicabile, ma mi rendevo conto che stava già svanendo. Tornavo a pensare alle solite cose: il mio ex, gli esami, la doccia che avrei fatto a casa…

Le docce. Adoravo le docce. Fossero anche brevissime, ma quotidiane. E poi tanto borotalco, tanto deodante e una goccia di profumo, perché no? Mi piaceva sapere “di buono”. Mi piaceva avere vestiti ogni giorno puliti e impregnati di ammorbidente. Volevo essere una presenza piacevole per chi mi stava vicino, perché io per prima adoravo chi sapeva di pulito.

Fu quasi il pensiero di tornare a casa e insaponarmi per bene a farmi alzare e incamminare sulla via del ritorno. Risalii sul lungomare.

Della coppia che c'era prima era rimasto solo il ragazzo, ancora appoggiato al muretto, il collo piegato sul cellulare. Istintivamente sfiorai il mio di collo, ripensando con orrore alle tre rughe che lo segnavano, come probabilmente segnavano anche il suo e quello di tutta la mia generazione. Effetti collaterali della rivoluzione tecnologica.
Il fatto che studiassi informatica non mi aiutava a far fronte a tali effetti. Iniziavo anche a considerare l'idea di acquistare un paio di occhiali riposanti, di quelli grandi alla moda.

Mentre mi avvicinavo a lui iniziavo a sentire della musica, probabilmente aveva perso o rotto le cuffiette. Per cui faceva senza, almeno lì dove non passava quasi nessuno… nessuno tranne me.

Mi notò quando ormai fui a due metri da lui, sollevò lo sguardo e io incontrai I suoi occhi a mandorla, ma nonostante questo particolarmente grandi.

Aveva un'espressione serissima, ma guardandomi di colpo quasi scoppiò a ridere.

“Scusami” disse facendomi fermare per lo stupore, e nel frattempo anche la musica si interruppe.

“Come?”

“Pensavo di essere solo… Di solito non viene mai nessuno qui” Sorrise a labbra chiuse stavolta.
“Io ci vengo per fare le verticali ogni tanto”

Ormai ero di fronte a lui e mi stupii della sua altezza. Gli asiatici raramente sono così alti e slanciati, o perlomeno quelli che mi era capitato di conoscere non lo erano.

Sollevò le sopracciglia, folte e perfettamente dritte “Davvero? Sei una ginnasta?”
“Mi diletto” risposi con un mezzo sorriso di cortesia e imbarazzo.

“Mi fai vedere?”
“Mh no” stavolta scoppiai a ridere “Non sono così brava”

Rimase in silenzio a guardarmi con un'espressione serena, poi si staccò dal muretto.

“Sei timida?”
“No” E non pensavo di esserlo “Però non mi piace fare brutte figure...”
“Sei orgogliosa allora” In quel preciso istante mi resi conto di quanto il suo italiano fosse perfetto. Non aveva alcun accento ed era la prima volta che mi capitava di sentir parlare un asiatico tanto bene.

Mi strinsi nella spalle, con un brivido di freddo: “Forse”

Notai un pizzico di disagio sul suo volto, con la mia risposta non gli avevo fornito materiale sufficiente per continuare la conversazione.

“Cosa ascoltavi?” mi stupii io stessa a chiedere. Lui sembrò altrettanto stupito a dire il vero, ma subito sorrise.

“Dubito tu conosca… è una canzone coreana”
“Sei coreano?”

Il sorriso sparì e anche I suoi occhi abbandonarono il legame coi miei. Scosse la testa “Mia madre”
“Tuo padre invece è italiano? Perché parli perfettamente”
Sorrise stringendosi nelle spalle “Sai com'è, sono nato in italia...”

“Bè, conosco tanti cinesi che sono nati qui e parlano malissimo italiano”
“Io non sono cinese...”
“No, certo!” mi affrettai a correggermi, ma mi ignorò.

“… comunque è una lunga storia”.

“Capisco” Incrociai le braccia sul petto con un altro brivido “Bè, io ora vado che inizia a fare freddo. Grazie della chiacchierata”
Mi piaceva sorridere agli estranei, conoscere persone nuove… ce n'erano tante di meravigliose a questo mondo e io se solo avessi potuto le avrei conosciute tutte una per una.

Quindi ero sinceramente felice per quella conclusione inaspettata della giornata.

Ero uscita per isolarmi un po', eppure ancora una volta mi rendevo conto di quanto l'essere umano fosse un animale sociale. Nulla inebria di più il suo cervello che il contatto con un suo simile. Non c'è spettacolo, tramonto o mare che sia, a reggere il confronto.

“Grazie a te” disse lentamente “Vuoi la mia giacca?” chiese all'improvviso. Aveva un bellissimo completo blu, quasi celeste. Gli calzava alla perfezione. Mi domandai il perché di tanta eleganza per passeggiare sul lungomare, poi ripensai al fatto che fosse in compagnia di una ragazza fino a poco tempo prima… quindi magari si era trattato di un appuntamento.

“No, figurati! Poi come te la ridarei?”
Lui rise “Non penso sarebbe un problema mettersi in contatto. E poi io vengo spesso qui ultimamente… magari un giorno ti becco a fare le verticali” disse con il sorriso che si apriva sempre di più sul suo volto. Aveva un che di tagliente quella sua espressione. I denti erano perfettamente allineati e bianchi e gli conferivano un aspetto quasi… letale. Forse a questo contribuivano anche lo sguardo allungato e il volto ovale, dagli zigomi alti e dalla mascella stretta e definita. Era anche molto magro… spigoloso insomma, insolitamente bello per essere asiatico, considerando che a me gli asiatici non erano mai piaciuti.

“Mh. Allora mi sa che cambierò posto...” dissi senza pensarci più di tanto, ma dal cambiamento repentino della sua espressione mi resi subito conto della gaffe “Perché così non mi vedi fare le verticali, non per te!” squittii tendando di rimediare.
Per fortuna sorrise, mettendosi le mani in tasca “Tranquilla. Sicura che non la vuoi quindi?”
“Sicurissima”
“In Corea nessun ragazzo al mondo lascerebbe una donzella indifesa in preda al freddo”

“Davvero?”
Improvvisamente mi si avvicinò, guardandomi dall'alto degli suoi 180 centimetri forse. E per me che ero bassina era già tanto. La sua espressione aveva un che di seducente, non so se più per via del sorrisino sghembo o dello sguardo penetrante, sta di fatto che mi mise leggermente in soggezione. Era estramemente sicuro di sé, ma non arrogante. E… aveva un buonissimo profumo.
“Anche se sono cresciuto qui, penso di avercelo nel sangue. Non vuoi che ti accompagni a casa almeno? Sono in macchina”

Scossi il capo tornando seria “Scusami, ma non accetto passaggi dagli sconosciuti” dissi sfoderando il mio miglior sorriso come per farmi perdonare. E sperando di non sembrare infantile oltretutto.
Lui ricambiò il mio sorriso, ma senza prendermi in giro “Fai bene”.

“Ok, allora… forse ci si vede”

Continuò a sorridere e pensai che si sarebbe limitato a quello, ma poi mentre mi allontanavo finalmente rispose “Ci conto, sai. Mi devi una verticale”
 

 

Ero abbastanza soddisfatta dell'incontro, come se avessi compiuto un'opera di bene, anche se difatti non avevo fatto proprio nulla io.

La cosa che più mi era piaciuta di quel ragazzo coreano era la sua mancanza di timidezza, l'apertura verso gli estranei: avrei voluto averla anche io.

Non ero timida, ma a volte a frenarmi era l'idea di disturbare o infastidire qualcuno di cui non conoscevo le reazioni. Forse ero troppo prudente o intimorita.

Dovevo rischiare di più… soprattutto quando c'era così tanto da guadagnare. Ogni persona costituiva un mondo fatto di idee, punti di vista, espressioni, esperienze. Conoscere qualcuno di nuovo era come viaggiare.

Ero anche incuriosita dalle origini di quel ragazzo, se mai l'avessi incontrato di nuovo avrei fatto più domande in merito.

Dubitavo comunque sarebbe successo. Non sapevo nemmeno come si chiamava dopotutto

 

Quando uscii di casa, la mattina dopo, fui lieta di iniziare la giornata con un sole bello alto. Mi era tanto mancato durante quell'inverno di biciclettate sotto la pioggia e il vento. La pelle del mio viso in particolare ne aveva risentito molto.
Speravo che il tepore della primavera appena iniziata disinfiammasse le mie guance arrossate e screpolate.

Avrei voluto non essere in ritardo per godermi al meglio quel breve tragitto in bici sotto il sole, nell'aria profumata dai ciliegi, ma come sempre rischiavo di perdere il treno.

Arrivai alla stazione che quasi mi mancava il fiato. Il tempo di legare la bici ed era già arrivato.

Prendere il treno ogni giorno non aveva privato quest'esperienza della sua magia. Non avrei mai smesso di divertirmi nell'osservare I volti, I vestiti, le espressioni di quegli estranei che nel tempo erano divenuti familiari ormai. C'era chi trascorreva il tempo guardando fuori dal finestrino, io lo trascorrevo ammirando esseri umani. Sentirli conversare poi mi affascinava un sacco.

Quel giorno mi soffermai ad osservare un ragazzo orientale che conoscevo già di vista: probabilmente veniva all'università con me, ma non mi ero mai concentrata più di tanto su di lui. Avevo un viso rotondo e paffuto, secondo il cliché, ma era più alto e robusto della media. Forse faceva palestra. Mi chiesi come potessero I suoi capelli, seppur tinti di viola melanzana, brillare in maniera tanto sana. Io l'estate prima avevo semplicemente schiarito un po' le punte eppure I miei capelli non si erano ancora ripresi.

Valutai l'idea di tagliarli un po', mentre me ne arrotolavo una ciocca intorno all'indice osservandola con aria sconsolata.

Quel giorno all'università ogni volto orientale catturava la mia attenzione e mi stupii di scoprire quanti cinesi ci fossero, o almeno supponevo fossero cinesi.

Ma tutti più o meno si assomigliavano tra di loro, per me che ero abituata a distinguere volti occidentali. Solo il ragazzo conosciuto il giorno prima era diverso, vuoi perché era coreano, vuoi perché il padre era occidentale… sta di fatto che la sua bellezza rimaneva un'eccezione.

Per un attimo mi dispiaque l'idea di non vederlo più.
 

Quella sera uscii a correre un po' più tardi del giorno prima, forse per questo non lo ritrovai. Rimasi lì a fare qualche esercizio per più di un'ora, poi il freddo misto a stanchezza mi convinse a ritornare a casa.

 

Coi miei compagni d'università non si era ancora creato chissà che rapporto, forse per I pochi mesi che avevamo trascorso insieme, ma c'era un ragazzo tra di loro che mi incuriosiva in maniera particolare. Tra l'altro pensavo di essergli abbastanza indifferente da quel punto di vista e forse era anche questo ad alimentare il mio interesse.

Assomigliava un po' al mio ex, solo era un po' più basso. Aveva un bel fisico robusto, protettivo. Doveva essere bello abbracciarlo, anche se non ne avevo mai avuto l'occasione. E poi aveva una risata che mi faceva impazzire. Adoravo le sue labbra morbide e grandi, forse perché io, invece, avevo una bocca piccola. Adoravo come incorniciavano I suoi denti quando rideva.

Nei giorni a venire, a proposito di sorrisi, mi capitò di ripensare a quello del ragazzo coreano. Inziavo a dimenticare il suo volto e probabilmente a riempire le falle del ricordo con la fantasia, ma l'immagine della sua bocca ce l'avevo ben impressa in mente.
Non aveva labbra particolarmente evidenti e questo rendeva ancor più affilato quel sorriso ampio e furbo. La bocca di un vampiro, ecco cosa mi ricordava.

Comunque non ebbi più il tempo di recarmi sul lungomare. Le giornate mio malgrado erano tornate ad essere più fresche e io avevo iniziato a girare le pizzerie vicine in cerca di un lavoretto serale, ora che il pagamento della seconda tassa universitaria si avvicinava.
In compenso il mio desiderio di rivedere il ragazzo coreano si era trasformato in un leggero ed acerbo interesse per la cultura coreana. Mi ero stampata l'alfabeto e avevo imparato un po' di lettere aiutata dagli audio online. Si era rivelato più semplice di quanto avessi mai potuto immaginare. Nulla a che vedere col cinese.

Mi ero letta inoltre qualche curiosità culturale ed ero rimasta colpita nello scoprire come gli uomini coreani fossero servizievoli e gentili con le loro compagne. Mi era tornata in mente la proposta del ragazzo di prestarmi la sua giacca.

“Ce l'ho nel sangue” aveva detto, o comunque qualcosa di simile.

Erano passate quasi due settimane ormai e avevo perso la speranza di rivederlo. Ero troppo scostante quando si trattava di sport purtroppo.

Mi chiesi se lui fosse mai tornato in quel punto del lungomare pensando di rivedermi.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** CAPITOLO 2 ***


CAPITOLO 2

“Ok adesso rilassati e cerca di stare dritta”

Ero seduta nella camera di Paola, che, per quanto piccola, era molto accogliente. Lei era di fronte a me, tra la finestra e la sedia su cui mi aveva fatta accomodare.
Piccole gocce d'acqua scivolavano dalle mie ciocche bagnate su viso e collo, facendomi rabbrividire. Per fortuna Paola mi passò un asciugamano intorno alle spalle e il problema si risolse.

Trovai difficile stare perfettamente dritta come mi aveva chiesto mentre mi tagliava I capelli.
“Non voglio tagliarteli troppo, ce li hai così lunghi e belli...”
“Sì, ma ho tutte le punte rovinate Paola. E poi col sole iniziano a cadermi...”
“Vabbé però anche se te li taglio di dieci centimetri rimangano comunque lunghi e pesanti. Se devono cadere cadono. Piuttosto non lavarli così spesso...”
“Ci credi che da quando li lavo ogni giorno mi cadono molto meno? Non so perché”

“Mh. Mi suona strano… ma vabbé. Il ciuffo te lo accorcio?”
“No, quello voglio farmelo ricrescere”
“Ok, comunque mia sorella ieri è andata a vedere quel salone, ricordi?”
“Ah… tu non sei andata?”
“No, ieri lavoravo” disse passando ad una seconda sezione di capelli e bloccando la parte restante con la molletta “Comunque ha detto che anche se non costerebbe troppo, ci sarebbero un sacco di lavori da fare… E' degli anni settanta e non è mai stato ristrutturato”
“Mh. Vabbé ma magari se lo arredate in maniera moderna, chi se ne frega se è degli anni settanta”
“Guarda, io ti ripeto che non l'ho visto, ma mi fido di mia sorella e se dice che non andrebbe lì nemmeno a farsi una pedicure le credo. Ha detto che c'era un sacco di muffa e altre cose mostruose… Ok che costa meno rispetto a quelli che abbiamo già visto, ma se poi c'è un sacco da spendere per la ristrutturazione non è che risparmiamo chissà che”
“Meglio prendere qualcosa di più nuovo allora...”
Paola sospirò, mentre liberava un'altra sezione di capelli dalla molletta “Vedremo dai”
“Sarà strano non farmi più tagliare I capelli nella tua stanza”
“Ahah bé se vuoi puoi venire sempre qui a tagliarteli, però ci terrei che fossi tu ad  inaugurare il salone, magari anche solo con una manicure”
“Mh. In questo periodo non metto nemmeno lo smalto...”
“Uff, che noiosa!”
“Se fate anche massaggi volentieri”
“Mh. Non credo. Per adesso almeno non è tra I nostri progetti”

“Peccato. Avrei proprio voglia di un bel massaggio” dissi sgranchendomi un po' la schiena.

“Non muoverti! Dai che ho quasi finito”
“Mh, sei stata veloce oggi”
“Ahah perché? Cosa vorresti dire, che sono lenta?” mi stuzzicò.

“No, anzi mi stupisco che tu riesca a migliorare sempre nonostante sia già così brava”
“Shh! Ruffiana! Comunque trovati un fidanzato che ti faccia I massaggi, no?”

“Mh. No, sto bene da sola ultimamente”
“Ma non ti piaceva quello dell'università? Luca?”

“Sì, ma dubito di piacergli...”
“Come no? Sei una bella ragazza perché non dovresti?”
La ignorai, nonostante fossi grata del complimento che non ero certa di meritare “E poi non è che lo conosca così bene, non sono entrata tanto in confidenza con lui. Per ora mi attira solo fisicamente”
“Vabbé ovvio, è il punto di partenza quello”
“Sì, ma non vorrei ritrovarmi come con il mio ex che alla fin fine mi ero innamorata di lui solo per la sua "figaggine"”

“E vabbé, che male c'è? E' un talento anche quello”
Sapevo che scherzava, ma quel ragionamento mi dava comunque fastidio “Dai Paola, che discorsi sono? C'è di male che non se lo meritava tutto l'amore che gli ho dato. Forse non era nemmeno amore vero. Forse mi ero solo invaghita, però comunque ho sofferto tanto per lui e non ne valeva la pena. Non era nemmeno una bella persona. Mi ha illuso il fatto che fosse sempre allegro, sicuro di sé… Così sicuro che non si è fatto scrupoli a usarmi, perché alla fin fine è questo che ha fatto. E si è pure rivelato un vigliacco. Chi sparirebbe in quel modo? Voglio dire non ha nemmeno avuto il coraggio di lasciarmi, si è fatto lasciare”
Paola mi ascoltava in silenzio, poi qualche secondo dopo che ebbi finito rispose: “Ma la tipa con cui sta adesso se l'è trovata subito dopo di te o pensi che l'abbia conosciuta mentre ancora stavate insieme?” Notai dal suo tono di voce che quasi temeva di chiederlo.

“L'ho lasciato proprio perché a furia di chiedere mi ha confessato di aver conosciuto questa ragazza e...” Mi bloccai perché improvvisamente la mia voglia di ricostruire quei momenti mi toglieva il respiro “Ho capito. Ho dovuto capire. Sono stata obbligata a lasciarlo andare. Però mi sono anche resa conto di essere stata usata, giusto perché non restasse solo dopo essersi lasciato con la sua ex. Sono stata tipo un ponte tra due relazioni serie. Ed è questo che mi fa più male”
Paola si fermò - probabilmente aveva finito - per appoggiare la sua guancia contro la mia e abbracciarmi le spalle da dietro “Non ti sei persa niente”
“Sì, lo so, ma...”
“Tra l'altro sinceramente sei anche più bella di quella che si è presa adesso. Sei intelligente e sei una brava persona. Lui non lo è quindi ovvio che non ti ha saputa apprezzare”
Rimasi per un po' in silenzio mentre mi strappavo via un pezzetto d'unghia coi denti. “Ecco, appunto, io voglio una brava persona al mio fianco, che magari non si limiti a considerarmi solo un pezzo di carne. E poi voglio qualcosa di serio, voglio qualcuno che mi faccia da compagno d'avventura, di vita. Che mi conosca nel tempo”
“Forse la prossima volta dovresti prenderti più tempo anche per frequentarlo, prima di fidanzarti…”
“Prima di fidarmi più che altro, perché ora come ora non penso che rischierei di affezionarmi tanto a qualcuno che poi non mi ricambia allo stesso modo”
“Vedrai che col tempo starai meglio”
Sorrisi debolmente “Ne sarebbe passato già tanto di tempo a dire il vero. Se ci pensi è quasi un anno ormai, però vabbé, non mi fa nemmeno più tanto male come prima… Solo che non sono ancora pronta ad una nuova relazione”
“Allora aspetta il momento giusto”
Mi venne da ridere “Non che si ponga il problema visto che non mi vuole nessuno”
“Ma smettila! E io cosa dovrei dire allora? Che sono single da una vita? Comunque ho finito. Guardati allo specchio e dimmi se ti piace”

In realtà per vedermi bastò alzarmi e voltarmi alla mia sinistra, vista la disposizione piuttosto compatta degli arredi “Vanno bene Paola, hai tagliato il giusto”
“Ti ho fatto una lunghezza media perché sinceramente ti preferisco coi capelli più lunghi che corti”
“Sì, mi ricordo che non stavo bene quella volta che li avevo tagliati a caschetto” dissi mentre mi pettinavo il ciuffo infilandoci le dita “Grazie comunque. Se hai un problema al computer… sai da chi venire”

“Bé ovvio! Se succede qualcosa al mio computer mi precipito sotto casa tua in lacrime, sappilo!”
“Ahah comunque una sera di queste se non sei troppo stanca ti andrebbe di fare una corsetta sul lungomare?”
Vidi I suoi occhi sgranarsi per il terrore “Oddio Veronica sai che detesto correre davanti a tutti...”
“Ma mica siamo le uniche”
“Ahah scusa ma proprio non fa per me. E' per questo che mi sono presa il tapis roulant”
Incrociai le braccia sul petto Vabbé ma è tutta un'altra cosa correre all'aria aperta...” Mi fermai comunque perché capivo che farle cambiare idea sarebbe stato impossibile “A proposito, l'ultima volta che sono andata ho anche parlato con un ragazzo, così a caso”

“Cioè?”
“Mah, non mi ricordo neanche perché mi ha rivolto la parola, però è stato interessante. Era coreano”
“Mh” Fece una smorfia “Non mi piacciono gli asiatici”
“Nemmeno a me, però lui era stra affascinante, te lo giuro. Aveva il viso allungato e ha sorriso tutto il tempo. E poi era gentilissimo...”
“O menomale che non volevi più fermarti alle apparenze!” disse mentre mi toglieva l'asciugamano dalle spalle.

“Vabbé ma ti sto dicendo solo l'impressione che mi ha fatto, visto che ci ho parlato solo per qualche minuto. Mica mi sono presa una cotta per lui perché aveva un bel sorriso”
“Bé dopo tutto il discorso che mi hai fatto prima sarebbe il minimo” disse ridendo.

“Massì. E poi dubito di rivederlo. Non sono praticamente più andata a correre”
“Vedi che nemmeno tu hai voglia?”
“Ma no, è che aveva ripreso a fare freschetto”

“Oggi fa caldo però”
“Sì, infatti ora che mi ci fai pensare potrei anche farmela una corsetta sul lungomare”

 

               

I capelli erano ancora abbastanza lunghi da farci una coda. Uscii di casa dopo aver ristemato un po' la mia camera ed essermi preparata la cena per dopo, dato che sarei rimasta da sola.

Raggiunsi il lungomare piuttosto velocemente, senza mai fermarmi, – che stessi già diventando più resistente? - ahimé non avevo previsto che quella sera dovesse esserci una qualche manifestazione, vista la mole di persone e la lunga di fila di capannoni e bancarelle su tutto il lungomare. Mi chiesi se tornare indietro e optare per un'altra strada o se approfittarne per dare un'occhiata. Decisi più per pigrizia che per curiosità di fare una breve passeggiata. La manifestazione si rivelò niente meno che una mostra di artisti sconosciuti, da quel che mi pareva persino dilettanti. Strano comunque perché eventi del genere erano più frequenti d'estate.

Era l'ora dell'aperitivo, I bar che costeggiavano il lungomare e la spiaggia erano gremiti, la musica alta proveniente dai diversi locali si mescolava confondendosi. Era un bel clima, ma non per viverlo da soli.

Se solo Paola mi avesse accompagnata... Tra l'altro vedere tanta gente rilassata mi aveva tolto qualsiasi voglia di mettermi a faticare e sudare in una sera calda e bella come quella.

Sorrisi: prima era il fresco, poi il caldo a farmi lamentare. Trovavo tutte le scuse possibili.

Forse davvero iscrivermi ad un corso di qualche danza movimentata si sarebbe potuto rivelare l'unico modo per tenermi in forma senza abusare della mia forza di volontà.

Continuai a passeggiare, con più lentezza. I capannoni si perdevano a vista d'occhio. Superai persino quella zona in cui mi andavo a rifugiare a far verticali.

D'un tratto notai un volto conosciuto spuntare da uno dei capannoni, la pipa in bocca e il cappello da D'Artagnan come sempre. Era Viktor, pittore tedesco divenuto ormai l'artista simbolo del lungomare di Reggio. I suoi acquarelli erano di una delicatezza sovrumana, eterei e impalpabili. Dipingeva la spiaggia e il mare in quei momenti di quiete in cui persino la luce del sole assumeva tonalità pastello. Osservare I suoi quadri era come immergersi sottacqua: diveniva tutto ovattato e immobile, come un respiro trattenuto.

Faceva anche ritratti e io a casa ne avevo parecchi di suoi. Non so perché ma gli piaceva disegnarmi, tra I quadri che esponeva sempre sul lungomare c'era anche un mio ritratto.

Aveva un debole per gli occhi e I miei dovevano piacergli particolarmente, per quanto fossero dei banalissimi occhi castani. A suo dire in Germania erano rari. Avrei voluto fargli notare che mezza Reggio Calabria fosse in possesso di un paio d'occhi scuri, ma perché contraddire qualcuno che trovava qualcosa di bello in me?

Appena mi vide gli sorrisi raggiungendolo “Ciao Viktor. Allora? Che te ne pare della mostra?”

Lui mi guardò sospirando sconsolato “Saranno studenti. Non c'è uno che abbia uno stile suo”

“Temevi ti rubassero la scena?” lo canzonai.

“No, io sono il migliore” disse con quell'accento tedesco che adoravo e sorridendo sornione “Tu che fai qui? Sei occupata o vuoi che ti faccia un ritratto?”

L'idea non mi faceva impazzire. Odiavo stare ferma, ma dopotutto non avevo altro da fare e lui mi aveva spiegato come vederlo all'opera con un ritratto attirasse spettatori e possibili clienti. Se c'è già qualcuno che compra sei più invogliato a fare lo stesso: chiamasi psicologia. Poi che io gli facessi solo da modella era un segreto tra noi due.

Sorrisi infine “Va bene dai”

“Solo se hai voglia, eh”

“Massì, solo che tipo ero uscita per correre un po', invece sono finita per passeggiare e infine starò seduta” dissi ridendo.

“Correre? Non hai bisogno. Hai un fisico perfetto”

“E' per fare un po ' di esercizio fisico, tutto qui”

“Tranquilla che comunque non ti porterò via tanto tempo. Ormai sarei capace di disegnarti a occhi chiusi” disse mentre raggiungevamo la sua postazione: un angoletto di lungomare tappezzato con I suoi quadri, due sedie e il necessario per fare un ritratto.

Poco prima di sedermi un ritratto che probabilmente avevo già visto senza però prestarci particolare attenzione, stavolta catturò il mio interesse.

Mi abbassai per osservarlo da vicino.

“Ti piace quello?” chiese lui alle mie spalle.

“Sì, ma io questo ragazzo forse lo conosco...” dissi mentre riconoscevo quegli occhi a mandorla insolitamente grandi e profondi “Ci ho parlato qualche settimana fa qui sul lungomare”

“Sì, passeggia spesso qui la sera. Ha degli occhi bellissimi vero?”

Sorrisi “Scuri come piacciono a te”

“Sì, sono più scuri anche dei tuoi: neri praticamente”

“E' pazzesco. Sei riuscito a dargli proprio quell'espressione particolare che ha”

Lo sentii ridacchiare compiaciuto “Non sembra un po' un vampiro? Perché é molto seducente e misterioso, ma lo conosco ed è un bravissimo ragazzo. Allegro...”

Mi voltai a guardarlo “Non sai per caso come si chiama?”

“Yurim. E' un caro amico” sentii tanta tenerezza nella sua voce, seppur fosse spesso resa dura dal fumo e dall'aspro accento tedesco “Tra l'altro l'ho visto poco fa”

“Sul serio?” chiesi sgranando gli occhi.

“Sì, era in un bar con un suo amico. Mi ha pure offerto da bere”

“Dici che è ancora là?”

“Non lo so, penso di sì. Vuoi andare a controllare?” chiese portandosi la pipa alla bocca.

“Sì, perché era tanto che aspettavo di rivederlo”

“Allora il ritratto te lo faccio dopo?”

Me ne ero completamente dimenticata “Sì, scusa” sussurrai mortificata, addolcendo il tono di voce “Se non dopo un altro giorno che passo di qui, te lo prometto”

“Tranquilla Veronica. Quando puoi”

“Grazie” e sfoderai il mio miglior sorriso nel dirlo “In che bar l'hai visto?”

“Al Café Mondano. Se ti sbrighi forse lo trovi ancora”

“Ok, allora buona serata Viktor. Ci vediamo”

“A presto” disse facendomi l'occhiolino.

 

Mi diressi verso il bar senza esitazione, poi però l’idea che fosse in compagnia di un amico e il fatto che dopotutto rimanessi un’estranea per lui fece sì che cambiassi i miei propositi.

La curiosità mi portò comunque a destinazione e mi ritrovai a cercare il suo particolarissimo volto tra i tavolini.

Incrociò il mio sguardo, o forse io incrociai il suo, e per un po’ rimase a fissarmi con un’espressione corrucciata e seria, nel complesso disarmante, chiedendosi probabilmente dove mi avesse già vista.

Non seppi reggere il peso di quello sguardo, forse per l’imbarazzo: non avendomi riconosciuta di sicuro si stava chiedendo perché mai un’estranea lo stesse fissando in maniera tanto molesta.

Presi in mano il cellulare e mi ci aggrappai come ad un’ancora di salvezza, iniziando anche ad incamminarmi con fare incerto.

Mezzo minuto dopo venni fatta voltare da una mano sulla mia spalla.

“Ehi, perché te ne vai?” Mi ritrovai di fronte al suo volto sorridente, lo sguardo stupito. Rimasi lì imbambolata senza sapere cosa rispondere “Ti ricordi di me, vero? Mi dovevi una verticale”
Non potei non sorridere “Sì che mi ricordo. Per quello stavo scappando…” osai scherzare. Lui ricambiò il mio sorriso.

“Sempre da sola, come mai?”
“Bé, ho provato a convincere un’amica a venire a correre con me, ma non ha voluto”
“Il fidanzato che ti accompagni non ce l’hai?”
“No, niente fidanzato”
“Capisco” sussurrò osservandomi per qualche istante in silenzio “Bé, a dire il vero oggi sono solo anche io” aggiunse voltandosi verso il tavolino che aveva lasciato “Ero venuto a salutare un mio amico che lavora qui, ma ormai posso anche andare, se no lo distraggo” Poi, tornando a guardare me, disse: “Vuoi che ti offra qualcosa?”

“No, no grazie. Non bevo”
“Davvero?” chiese stupito “Che brava! Bé, ma un gelato? O sei a dieta?”
“No non sono a dieta”
Sorrise “Perfetto allora. Però andiamo a prenderlo da Cesare, anche se probabilmente ci sarà una fila interminabile”

Si fece accompagnare dentro al bar per pagare e salutare il suo amico, poi tornò a guardarmi con quei suoi occhi profondi in contrasto con l’espressione pacata.

“Comunque io sono Yurim” disse porgendomi la mano, che si rivelò calda e ferma.
“Piacere, Veronica” dissi sorridendogli, ammirando sempre di più la sicurezza che emanava.
“Alla fine non ti ho più vista venire a correre. Eppure sono passato di lì quasi tutti i giorni verso quell’ora. Ho pensato che davvero avessi cambiato posto” disse ridendo.

“No, sono stata semplicemente impegnata…” Avevamo appena attraversato le strisce pedonali quando lui di colpo letteralmente mi scansò dal lato che dava sulla strada per sostituirsi a me.

“Scusa ma è meglio se stia io da questo lato. Non si sa mai”
Io non sapevo che rispondere, ma ripensando agli accenni di cultura coreana che mi ero andata a leggere poteva essere che anche questo rientrasse tra gli atteggiamenti che gli uomini coreani adottavano con le ragazze, come mi confermò lui subito dopo “In Italia forse non ci si fa tanto caso, a me mia madre invece ha sempre insegnato a proteggere le ragazze dai pericoli della strada” disse facendomi l’occhiolino e un sorriso a trentadue denti.

“Sai che mia madre, invece, mi ha sempre insegnato a tenere gli occhi aperti con i galantuomini? Ha sempre detto che sono quelli da cui aspettarsi il peggio”

“Ahah tipo? Pensi che abbia fini loschi?”
“Oddio spero di no!”
“Ma no, sta tranquilla” disse sfiorandomi appena la spalla con la mano, come per avvicinarmi a lui, mentre attraversavamo di nuovo la strada “E’ che sono stato educato così”
Ripensai a Viktor e al fatto che avesse offerto da bere anche a lui e mi convinsi della possibilità che fosse davvero gentile a prescindere, sia con le ragazze che coi ragazzi. Non ero del tutto certa che ciò mi facesse piacere a dire il vero, per un attimo mi ero lasciata quasi lusingare dalla sua cordialità.

Una volta attraversate le strisce pedonali, entrammo da Cesare. Non c’era la lunga fila che mi ero già immaginata, ma sembrò comunque interminabile il tempo passato all’interno della gelateria, visto il silenzio in cui piombammo.

Yurim mi rivolse la parola solo alla fine per chiedermi che gusto preferissi

“Facciamo fragola”
“Ok” E accompagnò anche quel misero ok con un accenno di sorriso, quel sorriso furbo e attraente che era parte integrante della sua espressione.

Per uscire mi cinse in maniera quasi impercettibile le spalle, dato che nel frattempo si era formata la tanto temuta fila fin fuori dalla gelateria - c’è da dire che comunque era molto piccola - tanto da ostruire il passaggio.

Mi propose di passeggiare sul Corso lontano dal caos del lungomare e, mentre lo raggiungevamo, iniziavo ad abituarmi alla sua "scorta" sia sul marciapiede che sulle strisce pedonali.

“Allora? Mi parli un po’ di te?” mi chiese osservandomi con quello sguardo languido e imbarazzante per certi versi.

“Cosa vuoi sapere?”
Si strinse nelle spalle “Quanti anni hai?”
“Venti. Tu?”
“E studi? Cosa fai?”

“Sì, studio Informatica. Comunque non mi hai risposto”
Lui a quel punto sollevò lo sguardo di fronte a sè con un’espressione indecifrabile, tra il divertito e l’imbarazzato “Tu quanti me ne dai?”
“Bé, in realtà io pensavo avessi più o meno la mia stessa età. Ventuno magari. Non è così?” chiesi curiosa.

“Diciamo che non sei la prima a darmene meno di quanti in realtà ne abbia”
“Dai smettila di tenermi sulle spine, quanti anni hai?”
Lui rise “Senti senti che fare autoritario” Io in quel preciso istante credo di essere arrossita “Comunque, se proprio ci tieni a saperlo, ne ho ventinove”
Quasi stentavo a credere alle mie orecchie “Non l’avrei mai detto te lo giuro, li porti benissimo”
“Bé, grazie”

“Infatti ti vedevo più maturo dei ragazzi della mia età, ma più per i modi di fare che per l’aspetto”

“Eh, per questo ringrazio i miei geni coreani”

“Mi dici qualcosa in coreano?” La proposta doveva averlo spiazzato un po’.

“Oddio lo parlo malissimo. Lascia stare”
“Come me con le verticali insomma” dissi sorridendo, mentre lui si voltava verso di me con l’espressione bonaria che assumeva a tratti.

“Facciamo che ti devo anche io una parola in coreano, però dammi il tempo di allenarmi un po’ con le pronuncia. Comunque attenta che ti sta colando il gelato”

Me lo fece notare giusto in tempo perché non mi sporcassi la manica della felpa, ma si fermò comunque per tirare fuori un pacchetto di fazzoletti e porgermene uno, nel caso avessi bisogno.

Inutile dire che ero sempre più deliziata dalla sua attenta cortesia. Mi chiedevo solo quanto ancora sarebbe durata, se mai ci fossimo visti ancora.

 


PS Nel caso vogliate vedere il ragazzo a cui mi sono ispirata per l'aspetto fisico di Yurim perché magari non riuscite a visualizzarlo fatemi sapere. Preferirei che riusciste a visualizzarlo solo grazie alle mie parole, se no sarei un fallimento come scrittrice, ma a mali estremi estremi rimedi ;)

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3410463