Un Strana Sensazione.

di AndThenWeKiss
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1: Arrivo a Scuola. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2: L'uscita. ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3: La Cena ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4: Lezioni di Yoga a Scuola. ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5: L'appuntamento. ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6: Il racconto di Dakota. ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7: Zoey e Dawn disperse nel Bosco. ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8: A casa di Scott. ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9: A Casa delle Gemelle. ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10: Scoperte. ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1: Arrivo a Scuola. ***


Capitolo 1

Ciao a tutti! Non so come iniziare questa storia, quindi vi parlerò di me.
Il mio nome è Dawn, Dawn Medrek. Ho venti anni, ma questa storia risale a quando ne avevo sedici; i miei capelli sono lunghi e biondi, ma non un biondo scuro, un biondo chiaro. I miei occhi sono celesti, come il cielo della Virginia, lo stato in cui sono nata e cresciuta, e che in questo momento sto abbandonando, ma vi spiegherò dopo.
Sono una ragazza bassa, di corporatura esile, il mio stile può essere definito casual.
Le mie passioni? Be' senza dubbio leggere, meditare, collezionare tè e scrivere.
Collezionare le bustine di tè è una delle cose più malate e strane che io abbia mai fatto, è una cosa iniziata da quando avevo sei anni: mia madre mi aveva dato del tè per curare il mio mal di pancia, e da allora rimasi affascinata da quella bevanda nervina, a tal punto da collezionare le bustine vuote, leggerne le foglie e berne a quantità industriali, sostituendolo spesso all'acqua.
Tornando a me, ho sedici anni, e come ho scritto precedentemente sono nata e cresciuta in Virginia, in particolare nei suoi boschi e con la sua cultura.
Purtroppo per ragioni lavorative mi sono ritrovata a dover abbandonare tutto e tutti, senza sapere che stavo andando in contro ad una delle più grandi avventure della mia vita.
Penso di aver detto tutto, ora vi lascio alla storia.

 

Aprii i miei occhi azzurri come il cielo e guardai fuori dal finestrino, tenevo il palmo della mano poggiato sotto il mento, mentre osservavo con sguardo stanco le file e file di automobili, immaginando da dove venissero, dove fossero dirette e soprattutto mi divertivo a guardare la targa delle automobili.
Ero letteralmente schiacciata sul sedile posteriore della chevrolet rossa dei miei genitori, accanto a me c'erano diversi bagagli, assicurati da delle corde.
Sul sedile davanti al mio era seduta mia madre, anche lei, come me, aveva i capelli biondo chiaro che teneva sempre raccolti con una crocchia elegante, mentre gli occhi celesti e stanchi erano incorniciati da due occhiali a mezzaluna. La sua pelle era pallida, esattamente come la mia, e in quel momento si stava dilettando nella sua attività preferita: la lettura.
Sull'altro sedile era seduto mio padre, anche lui aveva i capelli biondi, ma leggermente più scuri rispetto ai nostri; gli occhi erano blu notte, in contrasto con la sua pelle chiara, anche essi, però, incorniciati da due occhiali a mezzaluna. Teneva gli occhi fissi sulla strada, eravamo quasi arrivati ad Ottawa.
Avevo sentito parlare molto bene della mia nuova scuola, una delle migliori di tutto il Canada. Mi ero documentata su Internet, effettivamente sì: forniva una preparazione adeguata più o meno in tutte le materie e in tutti i settori, quindi era anche più costosa rispetto alla scuola dove andavo prima, ma mio padre e mia madre avevano trovato un posto di lavoro lì, ben retribuito, e quindi dovetti cambiare i miei programmi.
Nelle orecchie indossavo due auricolari, oltre ai miei orecchini a forma di ravanello fatti da me. In quel momento ascoltavo una rilassante canzoni dalle note orientali, non ricordo il titolo, però.
Mi lasciai cullare di nuovo da quel ritmo rilassante e chiusi gli occhi, poi poggiai i piedi sulla scatola ai miei piedi e mi riaddormentai.
Vi risparmio il resto del viaggio, dato che l'ho passato interamente a dormire e a parlare con mamma e papà della fine del libro che aveva finito di leggere mia madre, discutevamo sull'improbabilità dell'assassino che aveva ucciso la madre della protagonista: una delle ragazze più brave, belle ed intelligenti della scuola, ma che era stato in grado di compiere quel crimine. Inutile dire che i nostri sospetti ricadevano sull'inquietante vicino di casa o sulla sorella pazza, ma gli stereotipi ci avevano ingannato alla stragrande.
Mio padre parcheggiò l'auto davanti ad una villetta. Gli esterni erano decorati di un giallo crema, il tetto era marrone e le mattonelle ricordavano tanti pezzetti di cioccolato incastrati tra loro.
Ovviamente la prima che guardai fu il giardino, era ampio ed era pieno di piante rigogliose, aiuole e c'era persino un grande albero su cui avrei costruito la mia casa sull'albero, nonché la mia casa dello yoga.
Mi tolsi la cintura di sicurezza e con molta precipitazione uscii dalla macchina, sgranchendomi le gambe e guardando la nostra nuova casa, estasiata da tutto ciò.
Notai che nel retro della casa, quindi sul giardino sul retro, c'era anche una fontana, ma vi racconterò più tardi.
Mio padre aprì il cofano e mi passò le mie tre valige, tutte rigorosamente rosa e alcune mie scatole contenenti vecchie scartoffie.
-Dawn, andiamo a vedere com'è dentro, dai.
Mi disse mia madre, sottobraccio teneva alcune borse, nella mano sinistra stringeva un trolley nero, mentre nella destra impugnava le chiavi color rame.
Si avvicinò alla porta di casa, le andai dietro e aspettai che aprì. Fece tre giri, la porta bianca con il numero “11” scritto su una lastra di bronzo si aprì, permettendomi di guardare la casa.
Che dire? Era molto semplice. Le mattonelle erano “a scacchiera”, ossia bianche e nere alternate e c'era un corridoio che conduceva a delle scale che scendevano in giù che portavano verso uno sgabuzzino, mentre accanto c'erano le scale che portavano al piano di sopra.
Alla mia destra c'era un muretto con sopra un telefono fisso e una pianta di orchidee -che ben presto sarebbe diventata mia-, e dall'altra parte del piccolo muretto in marmo c'era il salotto: c'erano due poltrone in pelle marrone e un grande divano sempre in pelle-spero sintetica-, davanti un grazioso tavolinetto con un centrino bianco ricamato e dietro un termosifone incastrato nel muro con sopra il davanzale e la finestra, coperta da due tende color rosa salmone, che stonavano con il giallo crema delle pareti interne ed esterne. Alla destra del tavolino centrale, un po' più in basso, verso il muro, c'era un altro mobile con sopra una TV moderna.
Accanto alla poltrona a destra del vivano c'era un piccolo ripiano in marmo su cui erano poggiati gli attrezzi per il caminetto, che si trovava sullo stesso ripiano in marmo.
Guardai di sbieco la cucina, il bagno, la dispensa e mi avviai al piano di sopra, diretta verso la mia camera da letto.
C'era un altro corridoio, davanti a me c'era una portafinestra, mentre alla mia sinistra un altro muretto con accanto una porta finestra, e alla mia destra, ovviamente, la ringhiera.
Andai sempre dritta, poi svoltai verso destra, c'era una stanza con le pareti rosa e abbastanza grande, sarebbe stata la mia camera da letto.

 

Aprii i miei occhi udendo il rumore assordante della sveglia poggiata sul comodino e sorrisi alla vista del pianeta Rosso sopra il mio letto: avevo iniziato ad arredare la stanza seguendo i miei gusti, e dopo scuola avrei continuato, aggiungendo il mio tocco magico.
Nonostante il trasferimento mi avesse stancata, decisi comunque di andare a scuola, così mi sarei ambientata prima. Scesi in cucina, i miei erano già lì e indossavano i loro pigiami; papà era seduto su una sedia di legno con un comodo cuscino rosso e leggeva il giornale, mamma invece stava cucinando i pancackes, teneva i capelli ancora legati, sulla fronte invece c'era la sua maschera da notte rosa con il pizzo bianco. Li salutai con un cenno della mano, poi presi una mela e tornai nella mia camera da letto.
Il mio armadio era color lilla, lo aprì e presi dei vestiti: una camicia sul celestino, un maglione verde, una minigonna viola, calze dello stesso colore e scarpette nere. Indossai i vestiti con rapidità, poi presi la borsa a tracolla dentro la quale avevo messo dei libri la sera precedente e afferrai la mela che avevo appoggiato pigramente sulla scrivania.
-Io vado a scuola, a più tardi.
Dissi salutando i miei e uscendo dalla porta.
La mia scuola, la Moonchild High School, come ho detto prima, è una scuola un po' particolare: si tratta di un progetto dello Stato Canadese in cui vengono selezionati diversi alunni da scuole sparse nel territorio dello stato e professori molto qualificati, e nel mio caso è stata fatta un'eccezione, dato che non sono canadese. I docenti invece provenivano anche da altri stati.
Il progetto era iniziato da parecchi anni, dal 2007 e stava dando buoni risultati, preparando gli studenti ad ogni tipo di settore, dall'alberghiero, al linguistico, allo psicologico e persino al netturbino, anche se per quest'ultima non ne sono sicura: Nonciclopedia non è una fonte così affidabile, dopotutto.
La scuola era davvero grande ed era totalmente bianca, niente più, niente meno.
A separarla dal resto della strada c'era un grande cancello ben decorato e la serratura si trovava sopra un cuore grigio sorretto da degli angeli, dello stesso colore.
Il cancello era aperto, entrai e mi guardai intorno, mi sentivo osservata, ed era ovvia la ragione.
C'erano persone di tutti i tipi, di tutte le nazionalità. Mi soffermai davanti a due gemelle bionde vestite da cheerleader che si picchiavano, mentre una ragazza di colore molto alta cercava di fermarle.
La campanella suonò, indicando a noi studenti che era giunto il momento di entrare, quindi presi un respiro ed obbedii. Salì le scale in pietra, guardando male i ragazzi e le ragazze che mi spintonavano per entrare, poi udii un rumore familiare, mi voltai: la macchina dei miei genitori si parcheggiò davanti al muretto della scuola.
Essendo un membro della classe terza, terza B, per la precisione, mi avviai nel punto preciso in cui erano raccolti gli alunni delle terze: eravamo dentro una sala davvero enorme, c'erano molte sedie e su ogni sedia c'era scritto il numero e la sezione.
Sulla mia c'era scritto “3B”. Accanto a me si mise a sedere una ragazza con i capelli rossi raccolti in due piccole codine, indossava un top rosso che le faceva intravedere la pancia, di un colorito chiaro, ma non come il mio, dei pantaloni beige e zeppe dal tacco basso nere con la suola beige. Il particolare che più mi aveva colpito di lei, però, fu il grande fiore di pesco che teneva in testa: emanava un odore buonissimo e i suoi petali rosa mi ipnotizzavano.
Ovviamente, la ragazza se ne accorse.
-Ehi. Io mi chiamo Zoey, tu devi essere la ragazza nuova.
Disse tendendomi la mano e rivelando un bracciale nero che prima non avevo notato. La strinsi e sorrisi, ma prima di pronunciare il mio nome, la guardai negli occhi. Era sola, non aveva molti amici per via del suo carattere introverso, provava amore per un ragazzo della classe, ma non aveva il coraggio di dirglielo. La guardai meglio, eccelleva in ogni materia e le persone la stimavano per questo, le chiedevano anche di poter copiare i compiti, cosa che lei accettava di buon cuore, convinta che fossero gesti di amicizia.
Smisi di guardarla notando il suo sguardo tra l'imbarazzato e lo spaventato.
-Io sono Dawn, piacere mio.
Prima di voltarmi, la guardai di nuovo: aveva un animale domestico, un criceto, con il quale passava i suoi pomeriggi.
Alla mia sinistra si sedette un ragazzo: aveva i capelli marroni e un po' spettinati e indossava una t-shirt verde acqua, dei pantaloni di jeans e delle scarpe blu e bianche. La sua pelle era abbastanza scura, non era di colore, molto probabilmente era semplicemente abbronzato. Notò il mio sguardo.
-Ehilà! Io sono Mike, tu sei?
Anche lui mi tese la sua mano, era molto più grossa rispetto a quella di Zoey, strinsi anche questa e lo guardai.
Era un ragazzo abbastanza bravo a scuola, di carattere mite e abbastanza espansivo, aveva una cotta per una ragazza della classe, ma non aveva il coraggio di dirglielo. Non eccelleva molto nelle discipline sportive, ma soprattutto, dentro di sé, aveva un grande segreto. Spalancai gli occhi: non avevo avvertito una sola aura, ma ben cinque auree, tutte con sfaccettature diverse: quel ragazzo aveva sei personalità.
Notò il mio sguardo stupito.
-Tutto ok?
Mi domandò agitandomi la mano davanti al viso, mi ripresi subito.
-Certo, pensavo. Il mio nome è Dawn, piacere di conoscerti.
Lui sorrise e si voltò, mentre con la coda dell'occhio notai che guardava me, o forse Zoey? Guardai Zoey, faceva lo stesso, i loro sguardi si stavano incrociando.
Stavo per combinare il loro fidanzamento, quando il preside picchiettò il dito sul microfono-producendo un rumore basso- e ci fece tacere.
-Buongiorno a tutti, miei studenti. Per chi non lo sapesse, il mio nome è Chris McLean e sono il Preside di questa scuola, nonché fondatore di questo progetto. Alo sviluppo hanno contribuito diversi professori, e alla fine è stato approvato. Vorrei ringraziare quindi questi professori, e soprattutto voi studenti, che rendete possibile il continuo di questo progetto-scusate la ripetizione-.
Continuò a spiegare le regole, io incrociai i suoi occhi neri, come i suoi capelli.
Chris era un uomo vanitoso, avido, e quelle parole erano sicuramente false, ma dietro al suo comportamento c'era una ragione ben più profonda. Divorzio? Insicurezza? Repressione?
In quel momento non potevo affermarlo con certezza, quindi mi limitai a guardare altri studenti.
Leggere le auree è uno dei miei passatempi preferiti, prima non l'ho nemmeno menzionato: mi piace vedere cosa nascondono le persone, ma evito di abusare perché so che mancherei la loro privacy. Ok, questa è una contraddizione. Diciamo che vorrei trattenermi, ma è più forte di me e alla fine finisco sempre per sapere che dietro quella maschera di perfezione si nasconde in realtà tristezza, a volte unita anche con la rabbia.
Una volta lessi l'aura di una ragazza di nome RoseMary, non era proprio una mia amica, diciamo più una conoscente; scoprii che in realtà nel suo corpo c'era solo falsità, ma non caratteriale, anzi, ma esteriore. I capelli arrivavano fino al didietro, erano allungati da delle extensions, il trucco copriva diversi brufoli e utilizzava un reggiseno imbottito per aumentare le sue forme. Insomma, voleva dare l'idea di essere la perfezione fatta donna, quando in realtà era solo insicura del suo aspetto.

 

Dopo una lunga ed interminabile ora in cui Chris aveva fatto visitare la scuola a tutti i primini-che avevamo dovuto seguire- e aveva fatto un altro discorso, ci ritrovavamo inchiodati nell'aula di inglese.
Dietro la cattedra era seduta una donna, aveva i capelli biondi e lunghi fino alla schiena, occhi celesti. Indossava due orecchini rossi e un completino con tanto di scarpe dello stesso colore, sembrava un pomodoro.
La guardai, era un po' come RoseMary, niente di più da dire su di lei. Ok, non aveva brufoli e capelli chilometrici, ma anche lei era molto truccata ed utilizzava delle extensions.
Non vedo il senso di nascondere il proprio aspetto; nulla contro queste cose o chi ricorre alla chirurgia, ma secondo me non serve a niente.
La professoressa prese il registro di classe color blu e lo aprì, poi iniziò a leggere l'elenco di studenti.
-Beverly Brown.
Disse, e uno studente di colore dalla corporatura in carne alzò la mano. Indossava un berretto arancione, una giacca grigia, maglia rossa, pantaloni corti e scarpe da ginnastica, sull'orecchio un orecchino d'oro. Aveva i capelli marroni, un pizzetto e occhi celesti.
-Mike Doran.
Il ragazzo di prima alzò la mano, esibendo un sorriso a trentadue denti.
-Cameron Duhaney.
Accanto a lui, un ragazzino di colore dalla corporatura e dall'altezza simile ai suoi alzò la mano. I suoi capelli erano marroni e rasati, gli occhi dello stesso colore. Indossava degli occhiali da vista con le lenti quadrate, una felpa rossa, pantaloncini arancioni e scarpe da ginnastica arancioni.
-Jo Elliott.
Stavolta fu una ragazza ad alzare la mano, eppure Dawn era convinta che fosse un uomo. Aveva i capelli biondi corti e scompigliati alla base, i suoi occhi erano di color Indaco, davvero belli e particolari. Indossava una banale tuta grigia, scarpe sul verdino e suola bianca.
-Sam Froud.
Di nuovo un ragazzo, aveva i capelli ricci color castano dorato, indossava gli occhiali e aveva gli occhi neri, qualche peletto sul mento. Riguardo al suo vestiario, maglia a maniche lunghe di un giallo chiaro, simile a quello dei suoi capelli con il colletto arancione; dello stesso colore, erano due strisce presenti sulla maglietta, e tra le due arancioni ce n'era una gialla. Aveva i pantaloni corti e scarpe da ginnastica arancioni.
-Anne Maria Karkanis.
Di nuovo una ragazza, seduta accanto a Zoey. I suoi capelli erano neri, così come i suoi occhi. La pelle era scura, quasi color caramello, ma probabilmente usava molto autoabbronzante.
Indossava un top viola che faceva vedere la pancia e la scollatura, pantaloncini fino al polpaccio di tessuto jeans con una cinta rosa e zeppe viola.
-Zoey Mamabolo.
Ora fu Zoey ad alzare la mano, vi risparmio la descrizione: la sapete già.
-Brick McArthur.
Ora fu un ragazzo quello seduto accanto a Jo. I suoi capelli erano a spazzola, neri, idem i suoi occhi-riguardo al colore-. Indossava una maglia a maniche corte verde militare, intorno al collo aveva le tipiche piastrine. Pantaloni corti di jeans e scarponi sulla parte inferiore.
-Dawn Medrek.
Alzai la mano e sorrisi alla prof.
-Ah tu devi essere la ragazza di nuova.
Disse con finto entusiasmo, giocherellando con una ciocca di capelli. Mi resi conto solo ora che stava masticando un chewing gum, probabilmente alla fragola.
Comunque sia, annui convinta.
-Ma dove sono le altre due?
Feci spallucce.
-Prego?
La prof ridacchiò.
-Intendo dire, erano in tre le ragazze nuove, o sbaglio?
Domandò sorridendo.
Mi strinsi nelle spalle, passò al prossimo nome.
-Dakota Milton.
Ora fu la ragazza accanto a me ad alzare la mano. Aveva i capelli biondi e lunghi fino alla schiena, gli occhi verdi. Indossava un top rosa confetto, pantaloni fucsia e ballerine rosa confetto.
In quel momento giocava con il suo cellulare, ma la prof sembrò non accorgersene, o almeno fece finta.
-Staci Peters.
Un'altra ragazza alzò la mano. Aveva i capelli a caschetto di color marrone, adornati da una fascia con un fiocchetto, davvero carini. Gli occhi erano blu notte, come quelli di papà. Indossava una felpa rosa che la ingrassava molto, pantaloni viola e scarpe da ginnastica gialle.
-Lightning Savage.
Un altro ragazzo, era di colore anche lui. I capelli erano a spazzola di colore marrone, così come gli occhi. Intorno al collo aveva una catenina con un fulmine, mentre indossava una maglia a maniche corte blu con strisce bianche e biondo chiaro sulle maniche; pantaloncini marroni e scarpe celesti.
-Scott Wallis.
Ancora un ragazzo. Questo in particolare catturò la mia attenzione, ancora non sapevo il perché. La sua aura era nera e in costante movimento, sembrava ribollire di rabbia e di odio, mascherati da un sorriso furbetto.
I suoi capelli erano rossi, gli occhi blu. Indossava una canottiera bianca che aveva qualche macchia di olio-almeno speravo- sulla schiena, dei jeans con una cintura e delle scarpe da ginnastica nere; aveva delle lentiggini qua e là su tutto il corpo.
L'appello era finito, la professoressa richiuse il registro e tirò fuori il cellulare.
Una delle scuole più prestigiose di tutto il Canada e la prof si prendeva il lusso di non spiegare per parlare al telefono?
D'un tratto ebbi una strana sensazione, mi sentivo turbata, quasi in pericolo. Mi morsi il labbro per la tensione, poi guardai Dakota per vedere il suo viso. Ridacchiava mentre chattava con il suo cellulare; guardai il resto della classe: ero l'unica che sembrava preoccupata da qualcosa, qualcosa che si era avvicinato.
La porta si aprì d'un tratto. 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2: L'uscita. ***


Capitolo 2

Quando la porta si spalancò mi sentii travolta come da un uragano, a tal punto da costringermi a tenermi alla sedia con le mani. Nessuno notò niente. Sull'uscio della porta c'era Chris, esibiva uno dei suoi sorrisi migliori, dietro a lui intravedevo qualcuno, ma dalla mia postazione non vedevo bene-fila a sinistra, secondo banco.- sporgere la testa mi sembrava indiscreto.
Fortunatamente fu il mio potere ad aiutarmi ad identificare le due ragazze, probabilmente erano le studentesse di cui parlava la docente.
Mi concentrai a fondo, chiusi gli occhi e unii il pollice e l'indice di entrambe le mani formando due piccoli cerchi.
-Ma che ti è preso?
Domandò Dakota con tono quasi schifato. Aprii gli occhi e arrossii notando che qualcuno ridacchiava.
Non le risposi e poggiai il mento sul palmo della mano e il gomito sul banco, poi soffiai in alto per spostarmi una ciocca che mi ricadeva davanti al viso e che mi dava fastidio.
-Sono molto timide, cerca di farle adattare.
Disse Chris rivolta alla professoressa, che fece uno dei suoi sorrisi più falsi.
L'uomo uscì dalla classe e al suo posto comparvero due ragazze che avevano all'incirca la mia stessa età.
Erano due gemelle, e questo era possibile determinarlo solamente dai tratti somatici delle due, dato che il loro abbigliamento era totalmente diverso.
La donna le fece mettere davanti a tutti, poi si schiarì la gola.
-Ragazze, presentatevi, dai.
Sgranai gli occhi: non che mi importasse qualcosa, ma a me non era stata riservata nemmeno una presentazione. Sentivo odore di favoritismo e preferenza, era un odore disgustoso e che mi dava sui nervi.
Ma pensai che forse stavo correndo troppo, da una presentazione saltata non puoi capire se un professore o se il preside ha una preferenza per te o no, anche se il mio intuito non si è mai rivelato fallimentare.
-Io sono Charlotte.
Disse una delle due, si trovava a sinistra e sembrava la più docile tra le due. Aveva i capelli lunghi fino alla schiena adornati da una fascia rosa confetto, la pelle era di un rosa carne mentre gli occhi celesti. Indossava una maglia a maniche corte rosa e dei pantaloni dello stesso colore, i due capi d'abbigliamento erano separati da un giacchetto fucsia, ai piedi due scarpe da ginnastica color crema.
La guardai, la ragazza continuava a mordersi il labbro e a tormentarsi una ciocca di capelli: era agitata e non vedeva l'ora di andarsi a sedere. Molto probabilmente non aveva amici e subiva gli scherzi della sorella e della sua compagnia, la sua aura era rosea ed esprimeva comunque grande voglia di vivere. Sinceramente, questa ragazza era un enigma, un enigma che dovevo risolvere.
Per analizzare la prima, non ascoltai il nome della seconda.
L'altra, dunque, aveva la sua stessa altezza, colore di pelle e occhi. I capelli erano lunghi come quelli della sorella ma erano di un blu elettrico; le sarebbero stati meglio se avesse avuto la pelle più chiara. Al contrario della sorella era truccata intorno agli occhi con un eye liner nero e un rossetto dello stesso colore, sul labbro aveva un piercing. Intorno al collo aveva una collana nera con un ciondolo a forma di croce di un bianco lucido. Aveva una maglia nera con delle strisce verdi che rivelava la sua pancia, sotto degli shorts blu scuro; ai piedi degli stivaletti e si vedevano le calze nere stracciate sul polpaccio.
-Charlotte, Tina, andatevi pure a sedere al banchetto lì dietro.
E indicò il banco dietro il mio e quello di Dakota, sarebbe stata una buona occasione per fare conoscenza, e magari analizzare il loro profilo psicologico.
Dopo questa rapida presentazione, la professoressa O'Halloran Blaineley ci spiegò alcune regole della grammatica inglese, che come da programma andavano ripassate. Avevo preso appunti e sgridato Dakota, che invece di ascoltare stava chattando e navigando su Facebook; menomale che qui ammettevano solo persone serie.
L'ora passò molto in fretta-almeno per me- quindi mi alzai dal posto e vidi Zoey poggiata al termosifone che mi chiamava.
-Ehi Dawn, io e Mike stavamo pensando: se oggi pomeriggio venissi a prenderti un gelato con noi? Così magari ti integri meglio, almeno con noi due.
Disse, aveva uno sguardo preoccupato, forse da un mio rifiuto. Sorrisi e mi disse di farmi trovare al parco oggi pomeriggio alle sedici e trenta.
-Che ne pensi delle gemelle?
Mi domandò poi, guardandole con gli occhi ridotti a fessure mentre parlavano con Jo e Lightning.
-Sembrano simpatiche.
Ammisi, poi guardai Tina, la gemella dai capelli blu elettrico.
-Tina sembra aver vissuto qualche dramma, rispetto alla sorella ha un'aura nera e ricolma di rabbia, simile a quella di Scott.
E indicai il ragazzo che se ne stava in disparte a intagliare un pezzo di legno con il coltellino.
Zoey inarcò un sopracciglio e si allontanò imbarazzata; dovevo smetterla di leggere le aure ad alta voce: mettevo solamente paura e sembravo una pazza psicopatica.
Mi allontanai anche io dal termosifone e andai da Scott che stava guardando il suo lavoro con estrema soddisfazione: aveva intagliato la testa del preside con estrema accuratezza, stando attento ad ogni mino dettaglio compreso la fossetta sul mento. Vidi che tracciò una linea sul collo della statuetta in legno, poi la gettò a terra e i nostri sguardi si incrociarono.
-Carina, la statuetta.
Dissi indicandola con lo sguardo. Lui mi guardò sprezzante, poi biascicò un “grazie”. Non doveva essere abituato a ricevere complimenti, proveniva sicuramente da una brutta realtà familiare.
-Perché sei qui da solo?
Domandai ancora, avvicinandomi a lui.
-Non mi piace questa gente. Sono quasi tre anni che li sopporto, sono un branco di persone immature che pensano solo a loro stesse.
E il suo sguardo cadde su Dakota che si stava facendo un selfie con Charlotte, la gemella in tuta.
Capii che mentiva: c'erano persone molto serie lì dentro, come Mike, Zoey, Cameron e da quest'anno anche io.
-Forse la ragione è un'altra.
Risposi io.
Lui inarcò un sopracciglio e disse.
-E quale sarebbe?
Sorrisi.
-La mia è solo un'ipotesi. Magari hai talmente tanta paura di essere respinto dagli altri che sei tu il primo a respingerli, dando a te stesso false motivazioni e comportandoti male con tutti.
Inarcò un sopracciglio, poi scoppiò a ridere, arrivando a tenersi anche la pancia.
-Ti va di uscire con me, Mike e Zoey oggi pomeriggio? Alle quattro e mezza andiamo a prenderci un gelato al parco.
Lui si asciugò una lacrima dovuta alle troppe risate, poi denegò.
-Sono impegnato a casa, non ho tempo per queste sciocchezze.
E così dicendo, andò a sedersi: il professore della prossima ora stava entrando in classe.

 

Feci scorrere i vestiti che avevo davanti con molta leggerezza: non sapevo cosa indossare per questa uscita tra amici e vestirmi bene non è mai stato tra le cose che so fare. Pensate che potrei andare ad una festa in spiaggia indossando un abito da sera, tanto per fare un esempio.
Avevo poggiato i vestiti che avevo indossato a scuola sul letto, poi alzai lo sguardo verso il sistema solare ad illuminazione che avevo messo sul soffitto e sospirai.
-Di questo passo sarò pronta per Natale.
Sbraitai guardando l'orologio a forma di cuore appeso sulla parete, erano le quattro e un quarto, avevo altri dieci minuti, gli altri cinque dovevo usarli per arrivare al parco.
Alla fine indossai una maglia verde acqua a maniche lunghe, pantaloni attillati verde smeraldo e ballerine viola; presi un cappello dal mio armadio e lo misi in testa: era rosso e aveva tutto intorno rosa viola e nere.
Presi la borsa a tracolla poggiata sulla scrivania e quasi rovesciai la mia tazza di tè, l'avrei bevuto dopo, al mio ritorno, sempre se mamma non l'avesse svuotata.
Uscii di casa come una furia e arrivai al parco in meno tempo rispetto a quello che avevo previsto, lì trovai Zoey. Indossava gli stessi abiti di scuola-e io che mi ero fatta problemi a cambiarmi per dare una bella immagine di me.- ed era seduta su una panchina, capii subito che qualcosa non andava.
-Dawn, hai invitato tu Scott?!
Ruggì alzandosi dalla panchina e guardandomi male, io annuii.
-Qual è il problema?
Aggiunsi, non capendo il motivo della sua rabbia.
-Quello è un sociopatico, nonché un bullo.
Rispose lei continuando a guardarmi male.
Mi indicò una zona del parco dietro di noi, coperta da alcuni alberi. Andai esattamente dove mi aveva detto e già mentre mi avvicinavano avvertivo vibrazioni negative che mi faceva rabbrividire, e tutto ciò ora era ovvio: Scott e Mike si stavano pestando. Mi intromisi subito tra i due e li separai usando le mie mani e un po' del mio potere.
-Si può sapere come mai vi stavate azzuffando?
Domandai guardando entrambi con gli occhi sgranati e la bocca aperta.
-Questo tiranno ha cercato di derubarmi.
Rispose Mike digrignando i denti e cercando di colpire Scott, che invece ridacchiava.
-Prenditela con Raggio di Luna: è stata lei ad invitarmi.
Rispose con una calma insopportabile per l'altro ragazzo che si dimenava per cercare di liberarsi.
-Avevi detto che non saresti venuto.
Risposi io a mia difesa, guardando solamente Scott.
-E poi cosa ne potevo sapere io? Ho visto un ragazzo solo, che ha pessimi rapporti con tutti e ho provato a farlo integrare con noi, ma forse ora ho capito perché non hai amici.
Il mio scopo era quello di ferirlo, anche se non pensavo davvero queste cose.
Non pensate che io sia una che voglia far cambiare alla gente il proprio carattere solo perché non mi piace; il fatto è che sapevo che c'era una ragione per cui Scott si comportava così, ed ero determinata a scoprirla. Magari offendendolo si sarebbe fatto due domande e avrebbe cambiato il suo atteggiamento.
Il mio sforzo di trattenere i due fu spazzato via di nuovo da un uragano invisibile che mi fece cadere a terra, oltre che a provocarmi brividi di freddo e paura.
Una ragazza con una tutina rosa e un giacchetto fucsia legato in vita si era avvicinata a noi, si mordeva il labbro e tremava.
-Ragazzi, Tina si è fatta male, dovete darmi una mano.
Aveva il fiatone, aveva corso molto, e probabilmente la corrente negativa che mi aveva spazzata via era la preoccupazione della ragazza, stessa cosa per quando era arrivata a scuola: la sua ansia mi aveva travolta, facendomi pensare che ci fosse qualcosa di negativo in lei e la sua alternativa sorella.
Zoey e Mike si precipitarono dietro di lei, io rimasi a terra, intontita. Mi massaggiai la testa e guardai una mano tesa verso di me, era quella di Scott. L'afferrai e mi rialzai, poi ripresi il mio cappello e controllai che non ci fosse finita dentro qualche formica; c'era una piccola coccinella, la feci salire sul mio dito, lei spaventata volò via.
-Le coccinelle portano fortuna.
Dissi, guardando l'insetto che oramai sembrava essere diventato invisibile. Sorrisi, mi sentivo seriamente fortunata, o forse era solamente superstizione.
-Lo so, nella fattoria ce ne sono molte.
Rispose lui, mi voltai e vidi che il suo sguardo era nello stesso punto del mio-prima che mi voltassi verso di lui, ovviamente-.
-Vivi in una fattoria?
Domandai estasiata: un luogo dove il verde regnava e dove c'erano tanti animali da accudire. Ho sempre adorato le fattorie, specie quando avevo quell'età. Da piccola, d'estate, i miei mi portavano sempre nella fattoria di mia zia Molly, mi divertivo a giocare con i maialini, e una volta cresciuta un po' di più a fare lunghe passeggiate a cavallo, mi sentivo davvero spensierata e libera, una Pocahontas senza cavallo.
Lui annui e mi guardò.
-Credo che dovremmo andare a controllare la gemellina. Com'è che si chiama? Tina?
Il suo atteggiamento e il suo tono erano cambiati, probabilmente il mio piano aveva avuto successo e avevo smosso qualcosa al suo interno, ma non mi pareva il caso di perdere tempo e analizzarlo, quindi iniziammo a correre verso l'uscita del parco, interrompendo anche un gruppo di ragazzini che giocavano a pallone.
Arrivammo davanti al cancello aperto e ci guardammo intorno, poi notai Charlotte poggiata contro un muro, si guardava intorno in modo nervoso, accanto a lei c'era un vicolo. Aspettammo che il semaforo divenne verde e attraversammo la strada, avvicinandoci a lei.
-Ragazzi, mia sorella è andata nel vicolo con il suo ragazzo e non torna più, e ora anche Mike e Zoey non tornano più. Andate a controllare, vi prego.
Aveva le lacrime agli occhi e ci stava praticamente implorando. Presi il cellulare e illuminai il vicolo con la torcia, alla mia destra c'erano diversi cassonetti, alla mia sinistra dei bidoni con delle scale antincendio e di fronte una rete metallica.
-Probabilmente sono andati sulle scale antincendio.
Disse Scott, addentrandosi nel vicolo, io lo seguii con più timore.
Nonostante fosse giorno il vicolo era molto ombroso, ma avevo comunque paura. Indovinato, ho paura del buio, in molti libri e film che ho visto, le persone ci restano secche in questi vicoli bui, questo era solo ombroso, ma comunque sembrava di essere in un film. Intorno a me, oltre a topi nascosti sotto i secchioni che ci osservavano spaventati con i loro occhi rossi e a mosche che svolazzavano qua e là, c'era un odore orrendo, ma cosa potevo aspettarmi? D'altronde il vicolo era pieno di cassetti.
Di nuovo quella sensazione di essere trascinata, strinse forte la mano di Scott e lui mi guardò inarcando un sopracciglio, il piede poggiato sul primo gradino della scala antincendio.
-Non salire.
Dissi.
-Perché?
Sembrava scocciato.
-Avverto vibrazioni negative, Tina è lì sopra e vuole farci del male, me lo sento!
Esclamai ad alta voce, sua sorella entrò nel vicolo e mi guardò male, se gli sguardi potessero fulminare, io sarei già stata bruciacchiata.
-Ma cosa aspetti?! Vai a salvare mia sorella, e sbrigati!
Esclamò Charlotte abbandonando tutta la timidezza e l'insicurezza che aveva dimostrato la mattina a scuola.
Qualunque persona normale data la mia insinuazione-Tina in agguato pronta a colpire- e la fretta di Charlotte nell'andare a salvare sua sorella ci avrebbe riflettuto un po' prima di continuare a salire le scale, cosa che Scott non fece. Continuò a salire le scale, io chiusi gli occhi entrando in contatto con Tina. Capii che non voleva ucciderlo, forse gli avrebbe fatto del male.
-Me ne torno a casa.
Dissi uscendo dal vicolo. Mi sentivo male, quasi disgustata da ciò che avevo detto: Scott era mio amico e io lo stavo abbandonando così, ma in qualche modo se l'era cercata.
Quando mi passò per la mente l'idea di andare a controllarlo, ero già entrata in casa, in mano stringevo la mia fedelissima tazza di tè alla fragola, questa volta, quando mi venne un'idea.
Tornai in camera mia come una furia e poggiai la tazza sopra il centrino bianco e ricamato sulla scrivania, poi presi una delle scatole che avevo portato fuori dalla vecchia casa e ne estrassi diversi barattoli.
Uno era pieno di glitter argentato, l'etichetta era bruciacchiata e ci avevo scritto sopra con un pennarello indelebile nero “Sangue di Unicorno”, un altro conteneva del glitter giallo misto ad acqua e avevo scritto “Sangue Solare”, un altro ancora era verde e recitava la scritta “Muco di Troll”. Non stavo cercando cose per prerare una pozione al glitter, ma comunque poggiai le boccette sulla scrivania. Presi un altro barattolo, questo conteneva quattro foglie di un verde quasi acceso, aprii il barattolo e lo poggiai accanto al vaso contenente l'orchidea che avevo visto ieri, tirai fuori le foglie di tè e le poggiai davanti a me. Accesi un paio di candele alla vaniglia e un po' di incenso, appestando l'aria, ma rilassando il mio corpo e la mia mente, ma non del tutto.
Feci partire di nuovo la canzone dal ritmo orientale, mi chiusi a chiave in camera e mi misi in posizione da yoga: gambe incrociate, occhi chiusi e entrambe le mani che formano due piccoli cerchietti con il pollice e l'indice che si toccano.
Nella mia mente apparve il viso di Scott e sentii un fruscio, aprii gli occhi e vidi che le foglie stavano iniziando a muoversi.
La più piccola di tutte prese ad accartocciarsi, un'altra, di media grandezza fece lo stesso e si posizionò accanto a quella piccola, come spostata da un vento invisibile. Fu il turno della foglia più grande, nuova e possente rispetto alle due.
Sgranai gli occhi, poi passai una mano sulle foglie, che non cambiarono posizione: se l'analisi che avevo fatto era sbagliata, le foglie si sarebbero mosse al mio minimo contatto, invece sono rimaste intatte.
Iniziavo a capire come mai Scott fosse diventato un sociopatico, ma potevo ancora fare qualcosa, anche se all'epoca non sapevo cosa.  

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Capitolo 3
*** Capitolo 3: La Cena ***


Capitolo 3

 

La foglia più piccola rappresentava Scott, la media sua madre e quella grande suo padre. Erano accartocciate perché la foglia più grande sovrastava le due più piccole, insomma, per farvela breve, Scott subiva violenze in famiglia da parte del padre. Più o meno ora capivo il motivo del suo dolore, dovevo aiutarlo a farlo tornare il bambino allegro e spensierato che sicuramente era una stato una volta.
Come potevo fare però a farmi raccontare da lui stesso ciò che aveva subito? Magari essendo una persona sola, senza amici, gli sarebbe bastato poco per aprirsi; o forse per via del rapporto con suo padre trovava difficile fidarsi di una persona perché poi avrebbe potuto tradirlo, per la prima volta mi trovavo in difficoltà. Forse perché era la prima volta che affrontavo un problema simile.
Non potevo mica andare da lui a dirgli “Ehi Scott, ho letto le foglie del tè e mi hanno rivelato che subisci violenze da parte di tuo padre.”
Mi prenderebbe per pazza, non si aprirebbe con me e soprattutto questo potrebbe contiribuire a ferire la sua personalità.
Sbuffai e guardai le boccette pieno di glitter colorato, il viso poggiato sui palmi della mano e i gomiti sulla scrivania.
D'un tratto un venticello sollevò la foglia media e quella grande, facendone uscire altre due piccole dal barattolo: le foglie si accartocciarono e si adagiarono anche all'altra.
-Una rappresenta Scott.
Sussurrai guardando le foglie.
-Forse ha dei fratelli...
Dissi tenendo un tono di voce basso.
Se aveva dei fratelli, allora la cosa ssumeva senso, ma il mio istinto mi diceva che quelle foglioline non rappresentavano i suoi parenti, ma qualcun'altro, magari degli amici.
Oh aspetta, non ne aveva. E allora chi poteva rappresentare?
Mi rimisi di nuovo in posizione da yoga, le mie narici annusarono un buon odore di pesca piuttosto che quello di incenso misto a vaniglia, mentre nella mia mente ricorreva il mio maglione verde acqua.
-Pesca e verde acqua?
Mi domandai, poi sgranai gli occhi.
-Zoey e Mike!
Dal barattolo uscirono altre due foglie, stavolta di grandezza media, si posizionarono sopra quelle piccole.
-Tina e il suo ragazzo. O forse Tina e Charlotte?
Senza indugiare oltre, aprii la finestra per far cambiare l'aria e spensi incenso e candele.
Presi di nuovo la mia borsa a tracolla e uscii di casa, attraversai il parco, interrompendo di nuovo quei bambini-che stavolta mi lanciarono qualche parolaccia, che maleducati- e arrivai al vicolo dove poco prima ero stata. Salii le scale antincendio, la mia mano scivolava sulla ringhiera e il mio passo era accelerato, portavano davanti ad una finestra aperta, entrai nella stanza.
Be' che dire? Era una stanza piccola e decorata in modo orientale, c'era anche qui un odore di incenso, a terra un tappeto persiano, cuscini sparsi qua e là e tavolini spogli. Mike, Zoey e Scott erano adagiati su quei cuscini, chiusi gli occhi. A parte loro, ero sola, in stanza.
Nella casa si aggiravano ben tre auree.
-Ragazzi, ragazzi.
Sussurrai smuovendo prima Mike e Zoey e poi Scott. I tre aprirono gli occhi e mi guardarono, poi si rialzarono.
-Usciamo.
Andai verso la finestra, loro mi seguivano. Uscimmo dalla piccola dimora orientale e tornammo al parco.
 

-Vorrei un gelato alla vaniglia.
Dissi porgendo il mio dollaro al gelataio, che mi passò un cono alla vaniglia. Prendevo il gelato alla vaniglia da quando ero piccola, non so perché, ma è sempre stato il mio gusto preferito.
Diedi una leccata al gelato, non era buono come quello che ero abituata a mangiare, ma non lo dissi.
Mi misi a sedere su una panchina, io ero accanto a Scott, accanto a lui c'era Zoey e poi Mike, tenevo le gambe incrociate.
-Avevi ragione a non mandarmi lì.
Disse Scott senza guardarmi, stava guardando la panchina di fronte che era deserta. Sorrisii compiaciuta e lo guardai.
-Che cosa è successo?
Domandai poi con tono serio, rivolta anche a Mike e Zoey.
-Quell'arpia di Tina ci ha colpiti con una mazza da baseball.
Disse Mike massaggiandosi la testa.
-Ed era sola, non c'era nessuno.
Continuò Zoey guardando in basso.
-E Charlotte lo sapeva.
Concluse Scott continuando a guardare la panchina.
-Ma perché?
Domandai rivolta a Zoey, che fece spallucce.
-Domani mi sentono quelle due sgualdrine!
Esclamò Mike ad alta voce facendo voltare una ragazza dai capelli viola raccolti in una treccia, accanto a lei c'era un ragazzo con i capelli marroni, si tenevano la mano.
Zoey salutò la ragazza timidamente, lei ricambiò.
-Chi è?
Domandò Mike quando la ragazza dai capelli viola si fu allontanata.
-Una ragazza di scuola.
Rispose lei sorridendo.
Dunque, era tutto organizzato da quelle due gemelline, e anche quella che sembrava la più dolce era coinvolta, ingannata di nuovo dagli stereotipi.
Ora c'era da capire chi fossero, che cosa volessero, perché si trovavano nella nostra scuola?
Tutte queste domande non avrei potuto farle di certo ai tre rapiti: ne sapevano quasi quanto me, dopotutto erano stati messi ko.
-Noi andiamo.
Disse Zoey rompendo il silenzio imbarazzante che si era creato sulla panchina. Lei e Mike si alzarono e ci salutarono con un cenno della mano-che io ricambiai- poi si allontanarono. Restavamo io e Scott da soli, dovevo trovare un modo per parlargli.
-Scott...
Lui si voltò e mi guardò.
-Vuoi venire a cena da me?
Domandai. Che domanda stupida. Ok, dovevamo fare amicizia, solo così avrei potuto aiutarlo, ma invitarlo a cena? Dannata me e la mia boccaccia.
-Che ci stai provando?
Domandò lui ridacchiando, lo guardai male.
-Dai scherzo, certo che vengo. Mi farà bene stare lontano da casa.
Bene, queste parole potevano già essere un buon inizio.
-Andiamo allora.
Mi alzai, lui fece lo stesso. Iniziammo ad avviarci verso casa, entrambi guardavamo il cielo tinto di arancione per via del tramonto, potevo sentire la sua aura più forte che mai: era nera, ma era in qualche modo più calma rispetto a prima quando era sul letto di cuscini o di stamane a scuola. La rabbia faceva ancora parte di lui, ma in questo momento sembrava aver lasciato ad una piccola sfumatura di rosso, e non rosso rabbia, ma rosso...amore? No, sto sicuramente impazzendo. Devo essere ancora stanca per il trasferimento, era meglio non andare a scuola oggi.
Ci conoscevamo da un giorno, molto probabilmente il rosso sta anche un'altra cosa oltre che per amore e rabbia.

 

Mia madre mise i piatti di coccio davanti a noi due, il profumo di tortino vegetariano mi arrivò fino alle narici, e contenta lo assaporai. Versai del tè nel mio bicchiere, poi lo offrii a Scott che denegò.
-Spero ti piaccia il cibo vegetariano. Qui non mangiamo carne.
Gli dissi notando il suo sguardo stupito davanti al tornino che conteneva nemmeno una salsiccia.
-Tranquilla.
Rispose iniziando a mangiare, ma lo bloccai.
-Dobbiamo aspettare che ci siano tutti a tavola.
Gli spiegai, indicando il posto vuoto riservato a mio padre, che entrò in casa poco dopo, la valigetta sottobraccio.
Quando vide Scott iniziò a fargli delle domande, domande del tipo “da dove vieni?”, “chi sono i tuoi genitori?”, “perché mangi con le mani?” ecc. Sì, mio padre sapeva come mettere a disagio una persona e riusciva anche a farla sbottare, come nel caso di Scott.
-Sei davvero rozzo.
Aveva detto mio padre, notando che Scott non utilizzava praticamente mai il tovagliolo e non si faceva problemi ad emettere rumori fastidiosi durante i pasti.
Questa cosa contrariava anche la mia rigidissima madre, che però si limitò ad aprire la finestra.
Ero imbarazzata più che mai, sia da Scott sia dal comportamento dei miei, a volte sospettavo che lui lo facesse apposta ad avere atteggiamenti rozzi, così, per divertirsi e per far indispettire mio padre.
Tra le urla dei due mi venne in mente un'idea: avrei potuto provare a fare un rito per scoprire il vero passato di Scott, anche se non mi sembrava giusto. I due avevano alzato la voce, mio padre batteva i pugni sul tavolo. Perché ogni cosa che cerco di fare in buona fede deve essere sempre rovinata?
Mi sembrò di udire un rumore, simile ad uno sparo, non dissi nulla: sicuramente lo stavo immaginando per il nervoso.
Odiavo più che mai mio padre e Scott, e per farmi odiare una persona ce ne vuole.
Non si sarebbe mai confidato con me, specie dopo ciò che gli aveva detto mio padre.
All'ennesima provocazione di Scott, all'ennesimo insulto di papà e all'ennesima chiusura e apertura di finestre da parte di mamma, mi alzai in piedi ed uscii dalla cucina, salii le scale e mi chiusi a chiave in camera.
Mi guardai intorno e notai di aver lasciato la miniatura del sistema solare accesa, mi guardai intorno: tutto era come prima, tranne per una leggera brezza che mi fece tremare, mi avvicinai alla finestra e notai un foro nel vetro, per terra c'era un proiettile. Lo presi in mano, era tiepido.
Mi scappò un urlo, ma mi trattenni.
Ok, qualcuno aveva sparato per davvero e proprio in camera mia, magari era uno scherzo di pessimo gusto, magari un brutto tiro di Charlotte e Tina.
-Dawn!
Ruggì mia madre, scesi al piano di sotto con il proiettile in mano, decisa a mostrarlo ai miei.
-Si può sapere che gentaccia porti a casa?
Domandò mio padre con tono nervoso, mi morsi il labbro e cercai di focalizzarmi su Scott, ma non era lì, fortunatamente.
-Volevo solo farlo stare con noi, non viene da una bella realtà.
Risposi con il mio solito tono calmo, il proiettile stretto in mano.
-Abbiamo notato.
Commentò mia madre leggermente adirata.
-Se i suoi genitori sono stati troppo impegnati...
Lo anticipai, sapevo cosa stava per dire: quando mio padre perde le staffe dice anche cose orribili, cose che pensa, ma che però non direbbe mai. Inoltre perde le staffe per poche cose, tra cui le mancanze di rispetto-ed è ovvio-. Ricordo ancora che una volta litigò con una vecchietta che ci aveva superati mentre eravamo in fila al supermercato: dovetterlo cacciarlo.
-Non mettere bocca dove non sai.
Fu ciò che dissi, strinsi entrambi i pugni.
-Non parlarmi così.
Rispose lui, stava per sbottare di nuovo.
-E tu non parlare così di lui. Ok, è una persona rozza, ma dimentichi il principio fondamentale su cui si basa la nostra famiglia? “Nessuno è Perfetto”. Ho portato Scott qui non per fargli vedere come bisogna comportarsi, semplicemente per farlo evadere dalla pessima realtà familiare che deve vedere ogni giorno.
Mio padre alzò un dito, ma continuai.
-Se non riesci a capirlo, be', mi dispiace, ma hai perso tutta la mia stima.
Salii di nuovo le scale, lo sentivo sbraitare e chiamare il mio nome, non mi importava. Mi chiusi a chiave in camera e misi il proiettile sulla scrivania, poi chiamai Zoey al telefono.
 

-Ma è terribile.
Commentò Zoey una volta che finii di raccontarle ciò che era accaduto questa sera a tavola, ero seduta in giardino e guardavo un piccolo ragnetto che saliva sulla mia mano, il telefono poggiato all'orecchio.
Alzai lo sguardo verso la Luna e sorrisi pensando a quanto potesse essere bello ma allo stesso tempo misterioso quel satellite. Sono sempre stata convinta che le persone siano come la Luna: hanno tutte un lato oscuro che non mostrano a nessuno.
Forse nel caso di Scott era il contrario: il suo lato oscuro era sempre esposto alla gente, ma sono convinta che anche lui avesse un lato dolce che teneva nascosto per qualche recondita ragione. Forse per non sembrare un debole, chi lo sa.
Continuai a parlare con Zoey, sempre della cena, poi le dissi la mia teoria.
-Secondo me subisce violenze in casa.
Continuai a guardare la Luna, poi udii un fruscio provenire dai cesougli vicino la parete di casa.
Li ignorai, erano solo gatti, o almeno credevo.
-Da cosa puoi dirlo?
Domandò Zoey.
Pensai alle foglie del tè accartocciate, ma evitai di dirlo.
-Intuito...
Mentii, se ne accorse.
-Dawn non sono nata ieri. Sei una ragazza misteriosa, e in qualche modo avevi ragione quando hai detto quelle cose su Tina.
Stavolta il suo tono sembrava volermi rimproverare.
La conoscevo solo da un giorno, non potevo dirle queste cose: mi avrebbe giudicata e se ne sarebbe andata pensando che io fossi una pazza scatenata che va in giro a leggere foglie.
Mi schiarii la gola e usai il tono più convincente che ero in grado di fare.
-Ci sono arrivata semplicemente guardandola, guardando i suoi occhi. “Gli occhi sono lo specchio dell'anima”, ti dice niente questa frase? Questo vale anche per Scott.
In qualche modo non avevo mentito neanche tanto: non è raro che per confermare una mia teoria io guardi negli occhi una persona, stava iniziando a passarmi per la mente di prendere il ramo di psicologia alla fine di quest'anno.
Lei non rispose subito e quando lo fece disse solo un “Mmh”, quindi cambiai argomento e le parlai del proiettile e del fatto che ero sicura che fosse stata Tina a spararlo.
Mentre lei mi rispondeva, presi il ragnetto che si stata arrampicando sulla mia camicia da notte e lo poggiai di nuovo sulla mia mano, costringendolo a fare di nuovo il percorso daccapo.
-Io ora ti saluto, devo cenare.
Mi disse Zoey, poi la sentii rimproverare qualcuno e ridacchiai.
-Buona cena, Zoey.
Lei mi ringraziò e riattaccò. Presi il ragnetto e lo poggiai a terra, proprio mentre era arrivato sul pizzo presente sulla manica, quindi mi voltai di nuovo verso i cespugli da cui avevo udito il rumore e lo guardai, vidi qualcosa, qualcosa di rosso, e non era un fiore o una mela.
-Scott?
Domandai, nonostante ne avevo avuto la conferma grazie al mio potere, lui sbuffò e si rivelò, lo sguardo truce.
Si avvicinò a me e mi puntò l'indice contro, eravamo troppo vicini e il suo dito toccava il mio petto, iniziai ad innervosirmi ma non lo diedi a vedere.
-Tu.
Mi disse, lo interruppi.
-Mi stavi spiando?
Lui sgranò gli occhi.
-Volevo scusarmi per ciò che è successo a tavola.
Mi strinsi nelle spalle e non dissi nulla, il suo sguardo era cambiato, ma si divenne truce un attimo dopo.
-Come fai a sapere determinate cose?
Domandò, mi strinsi di nuovo le spalle.
-Non fare la finta tonta.
Mi rimproverò.
-Ho sentito che ne parlavi con Zoey, non sono né sordo né stupido.
Mi morsi il labbro, ma inventai subito una scusa.
-Come ho già detto, intuito.
Lui continuò a guardarmi male.
-Non ci credo. Stamattina, a scuola, hai detto qualcosa sulla mia aura. Cosa significa?
Non potei negarglielo, dopotutto mi avrebbe presa per pazza solo lui: non avendo amici non lo avrebbe potuto dire a nessuno.
-Ho letto le foglie del tè e mi hanno rivelato che tu e tua madre subite violenze in casa.
Lui sgranò gli occhi, era sorpreso. Pensava sicuramente che fossi una pazza scellerata, ma comunque sia c'avevo preso alla stragrande e non poteva negarselo. Abbassò lo sguardo e gli presi la mano, provai ad infondergli la mia energia positiva: in futuro le cose sarebbero cambiate, doveva solo tenere duro e intanto avere degli amici con cui aprirsi e sfogarsi.
-Vuoi parlarne?
Sussurrai, lui denegò.
-Sai che potrai sempre contare su di me? Se mai ti sentirai sul punto di piangere, sappi che puoi chiamarmi. Non ti prometto che ti farò ridere, ma piangerò con te e ti aiuterò a farti passare tutto.
Se in quel momento provavo pena per Scott, essa svanì subito così come i miei buoni propositi.
O almeno questo fu ciò che feci credere a me stessa nel preciso momento in cui Scott mi scoppiò a ridere in faccia, come aveva fatto questa mattina a scuola.
-Bene.
Risposi con calma.
-Sbellicati pure dalle risate, io ho provato a farti fare un'amica, tu decidi di ridermi in faccia e ora resti da solo.
Odiavo aver pronunciato quelle parole, non lo pensavo: sapevo che se lui mi avesse richiamata per scusarsi o per parlarne io lo avrei perdonato senza dirgli nulla, mi dispiaceva troppo per lui e volevo aiutarlo a scappare da quella situazione ma doveva essere il primo a collaborare.
-Pensi che io venga a dire le mie cose ad una hippy che legge foglie del tè che conosco da un giorno?
Domandò lui, inarcando un sopracciglio.
-Un hippy che legge foglie del tè e che conosci da un giorno che ha provato a fare amicizia, che ti sta dicendo di aprirti e confidarti e che soprattutto non ti giudica per il tuo carattere perché si mette nei tuoi panni.
Lo corressi chiudendo gli occhi e agitando l'indice come fa una professoressa o una mamma che rimprovera un bambino.
Lui sbuffò, non sapeva cosa dirmi. Si girò e si avvicinò al cancello, poi si voltò.
-Buonanotte.
Risposi con un cenno della mano e lo guardai allontanarsi; l'aura che lo circondava era calma come le onde del mare ed era stranamente rossa.
Esteriormente poteva dimostrarsi come ciò che non era e nascondere che provava, ma dimenticava che io potevo leggere la sua aura interiore.
Gli sorrisi, era voltato di spalle, quindi rientrai dentro casa.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4: Lezioni di Yoga a Scuola. ***


Capitolo 4:

 

Il presentatore al telegiornale urlava-perché è questo è il termine più adatto per descrivere la voce dei presentatori dei TG di prima mattina- le notizie.
Tutte cose orribili che non facevano altro che turbare il mio corpo e la mia anima, quindi decisi di concentrarmi sul tè.
-Il carcere di Toronto tiene ad avvisare che due pericolosissimi criminali sono evasi di prigione. I soggetti soffrono di turbe mentali molto gravi, ma allo stesso tempo dotati di grande agilità, furbizia e un'ampia gamma di abiti per mascherarsi nella gente più comune.
Aveva detto l'uomo reggendo in mano i fogli di carta su cui era scritto ciò che doveva dire-o almeno credo-, mio padre spense la tv perché disse che “faceva troppo rumore.”
Nessuno dei due disse niente su ciò che era accaduto la sera prima: uno dei pregi dei miei genitori è che una volta che una cosa è passata non viene nominata mai più.
Come al solito, finii prima di loro di mangiare ed uscii di casa, durante il tragitto incontrai Anne Maria insieme a Zoey e Mike, le due parlavano di moda, Mike e io parlavamo di scuola.
-Credo che anche io sceglierò Psicologia.
Mi disse, la sua voce era strana, a tratti comica. Non dissi nulla per un po', poi continuai a parlargli. -Mike, posso farti una domanda?
Chiesi di getto. Lui annuì, sembrava a disagio.
-Dove sono finite le tue cinque anime?
Anne Maria e Zoey smisero di parlare e di camminare e mi guardarono con gli occhi sgranati. Non so neanche io perché me ne ero uscita con quella domanda, dopotutto io e Mike ci conoscevamo solo da un giorno, ma solo dopo mi resi conto che era meglio stare zitta.
Eppure guardandolo per quei pochi minuti, mi ero resa conto che dentro di lui non c'erano più quelle strane personalità, ma solo una. Forse si era curato, boh.
Lui non mi rispose.
-Allontaniamoci da questa svitata.
Disse Anne Maria prendendo Zoey sottobraccio, lei si trascinò dietro Mike che mi guardava come se avesse visto un fantasma.
Decisi di sedermi su una panchina e di meditare per un po' di tempo, dovevo ragionare su alcune cose.
Passarono diversi minuti, ore non di certo, sentii qualcuno mettersi accanto a me.
-Giorno Scott.
Dissi senza aprire gli occhi mentre il vento mi sollevava i capelli biondi.
-Come hai fatto a...
Lo bloccai.
-Ho sentito la tua aura avvicinarsi.
Tenevo gli occhi chiusi, sorrisi quando davanti mi passò Dakota, troppo impegnata a parlare al cellulare a inviare messaggi per voltarsi e accorgersi di me.
Riguardo a Scott, sicuramente era venuto per parlarmi di ciò che era successo ieri sera.
-Come fai?
Domandò lui, scuotendomi per farmi aprire gli occhi: sicuramente odiava che non lo stessi guardando, io non mi scomposi.
-E' da quando sono nata che dedico tutta me stessa ad aiutare la Natura e le sue creature, che medito e che faccio yoga. Ho sviluppato capacità che nemmeno immagini, e inoltre lo yoga è tra le cose più rilassanti.
Conclusi e aprii un occhio non sentendolo parlare, era ancora accanto a me e mi guardava con gli occhi ridotti a fessure.
-...e aiuta a sfogarsi.
Dissi quasi sussurrando, lui mi sentii e mi guardò inarcando un sopracciglio.
-Davvero?
Domandò, stavolta il suo tono era interessato, sorrisi.
-Se vuoi ti insegno. Possiamo farlo-e lo sentii ridacchiare, abbozzai un sorrisetto e continuai a parlare- qui nel parco o a casa tua, di certo non a casa mia.
Aprii entrambi gli occhi e lo guardai, stava riflettendoci.
-Scordatelo sfigata voodoo, io non medito con nessuno.
Fu la sua risposta acida, peccato che la sua aura diceva altro.
-Io non pratico il voodoo.
Gli dissi, lui sbuffò, poi si alzò e se ne andò.
Mi venne da ridere pensando al fatto che voleva mostrarsi tutto tranne per ciò che era. Voleva farsi una vedere una persona dura, fredda, senza emozioni, invece era tutto il contrario.
Era solo una questione di tempo: presto avrebbe mostrato il vero Scott.

 

Il professore di Psicologia era assente ed era l'ultima ora, tutti eravamo in classe, seduti al nostro posto.
Zoey e Mike non mi avevano rivolto la parola per tutto il giorno, Anne Maria invece si era divertita a dire a tutta la classe-tranne le gemelle, che erano assenti, e Lightning che l'aveva respinta- di ciò che era successo stamattina, gonfiando anche la situazione aggiungendo dettagli non veri, tipo che avevo fatto levitare Mike e lo avevo strattonato.
-Ehi ragazza magica!
Mi gridò Lightining alzandosi in piedi e attirando l'attenzione di tutti, persino di Dakota che smise di chattare su Facebook e di Sam, che salvò la sua partita a Pokémon e spense il Nintendo.
Mi voltai verso di lei, non sapevo cosa avesse in mente: il colpo che mi arrivò in faccia fu più veloce del mio potere e in quel momento mi trovavo il viso impiastricciato di carta masticata e insalivata.
-Fai schifo.
Le disse Dakota, non tanto per compassione verso di me ma perché un po' di saliva era caduta sopra la sua borsetta rosa.
Lei non rispose, si limitò a passare un pezzo di carta a Jo e un altro a Cameron, che lo gettò via.
-Facci fare un tiro.
Disse Mike, il suo sorriso cordiale era svanito e sembrava più un ghigno malefico, accanto a lui, Zoey ridacchiava e stringeva in mano una cerbottana che passò al suo amico.
Sgranai gli occhi, non sapevo cosa fare.
Dovevo scappare, ma poi mi avrebbero vista tutti e avrebbero riso di me. Potevo rispedirgli indietro il colpo usando il mio potere, ma questo avrebbe significato abbassarsi al loro livello di stupidità e confermando la versione-falsa- di Anne Maria, ossia che potevo far levitare le cose.
Scelsi la prima opzione e bombardata da pezzetti di carta insalivati e masticati e con un sottofondo di risate abbandonai la stanza, le lacrime che volevano uscire. Le trattenni e rimasi in corridoio, poggiata sul termosifone. Solo in quel momento mi misi a piangere.
Zoey mi si avvicinò.
-Dawn, non piangere...
La ignorai e presi un ragno viola che stava arrampicandosi sul termosifone, quindi inizia a fargli dei delicati grattini sul dorso. Non volevo fare pace con una persona come lei: era falsa.
-Sei ridicola.
Disse ancora, schiaffeggiandomi la mano e facendo cadere l'aracnide ai suoi piedi, schiacciandolo. La guardai male.
-Come ti sei permessa?!
Mi resi conto di aver alzato la voce, lei ridacchiò.
-La streghetta perde le staffe?
Ma cosa le era preso? Fino a ieri la sua aura era bianca e pura, era la ragazza più timida che avessi mai visto-dopo Charlotte- e ora invece era diventata lei una strega. Rideva e mi guardava ghignando, non le risposi.
-Che c'è? Il ragno ti ha morso la lingua?!
Il suo tono era alto e si stava innervosendo, mi ricordava qualcuno, ma non capivo chi; o meglio, ero troppo arrabbiata per ragionarci su, chiusi gli occhi e nella mia mente apparii la cosa che al momento mi rendeva felice: Scott.
Sgranai gli occhi, spaventata. Zoey se ne accorse.
-Che c'è?
Mi domandò, si guardava intorno nervosamente.
-Niente.
Dissi, quindi le vidi tirare fuori una cerbottana dai pantaloni., nella mano stringeva un foglio di carta.
-Preparati.
Disse, masticando la carta, quando la vidi ruzzolare a terra: Scott l'aveva spintonata a terra e aveva calpestato la cerbottana.
-Tutto ok?
Mi domandò prendendomi la mano e guardando male Zoey, che si sistemò i capelli e il fiore, il fiore che prima emanava un buonissimo odore ora sembrava quasi finto, statico.
Quando la sua mano toccò la mia mi sentii pervadere da una strana sensazione, del vento penetrò dalla finestra aperta accanto al termosifone e si avvolse intorno alle nostre mani, formando un infinito. Ovviamente Scott non se ne accorse, quindi mi limitai ad annuire.
In tutto ciò, suonò anche l'ultima ora e tutti gli studenti della scuola si spintonavano per cercare di uscire per primi, come se per la paura qualcuno potesse trattenerli all'interno dell'edificio.
Io e Scott tornammo in classe a prendere le nostre cartelle, quando, ad un certo punto, mi misi a piangere.
-Che succede?
Mi domandò, probabilmente era una domanda retorica. Mi abbracciò e stavolta fui io quella a sgranare gli occhi.
Mi stringeva con delicatezza, sembrava quasi che tenesse in mano una farfalla e che avesse paura di ucciderla stringendo un po' di più. Mi asciugai le lacrime e lo sentii mollare la presa, quando mi voltai era seduto a terra con le gambe incrociate iimpegnato in un goffo tentativo di meditare.
Ridacchiai e mi avvicinai.
-Non si fa così.
Teneva le mani poggiate sulle ginocchia e sembrava costipato piuttosto che rilassato. Mi misi a sedere dietro di lui e presi il suo viso in mano in modo che guardasse il mio.
-Le mani si mettono così.
E gli feci vedere la posa che doveva fare, lui fece lo stesso.
Gli misi le mani sui fianchi e lo aiutai a raddrizzare la schiena, poi gli accarezzai i capelli e il viso.
-Che fai?
Domandò aprendo gli occhi, la sua voce era imbarazzata.
-Cerco di farti rilassare. Tu chiudi gli occhi e lascia fare a me.
Chiuse gli occhi e continuai ad accarezzargli viso e capelli, lo sentivo meno rigido e più rilassato.
Mi misi di fronte a lui.
-Ti senti meglio?
Lui annuii e continuai ad accarezzarlo, ad un certo punto, quando notai che era totalmente rilassato, smisi e meditai anche io. Volevo stabilire un contatto con lui, volevo fargli capire che avrebbe potuto contare sempre su di me, credo che lui capii. Non disse nulla, il nero della sua aura era sparito.
-C'è qualcosa che ti turba?
Domandai continuando a sussurrare.
-Non voglio parlarne.
Disse ad alta voce, gli dissi di stare zitto e che doveva solamente sussurrare.
Dato che non era più rilassato, tornai ad accarezzarlo, poi smisi.
-Ora espira ed inspira, immagina che tutte le cose negative vadano via quando butti fuori aria dalla bocca.
Continuai, sorridendo notando che stava seguendo i miei ordini.
-Scott, sappi che volevo dirti una cosa: puoi scegliere di non parlarne, ma sappi solo che nella vita non pioverà sempre. Finirà il tuo periodo buio.
La calma che si era creata fu interrotta, di nuovo.
-Ma tu già sai di cosa soffro.
Mi picchiai una mano sulla fronte.
-Voglio che sia tu a parlarmene. Scott, devi aprirti con qualcuno: a lungo andare fa male tenersi le cose dentro.
Lo sentii sospirare, aprii gli occhi: si stava mordendo il labbro, poi aprii bocca.
-Quando ero piccolo...
Di nuovo interrotti, strinsi i pugni per evitare di sbraitare.
-Che ci fate qua, mocciosi?
Ruggì Chef, cuoco e bidello della nostra scuola, in mano reggeva lo scopettone e si trascinava il carrello con i detersivi.
-Uscite prima che vi faccia espellere.
Ordinò, facemmo come ci aveva ordinato e andammo ognuno in direzioni diverse, per il breve tragitto scuola-casa pensò a tenermi compagnia l'immagine del suo viso felice e rilassato per davvero, per la prima volta da ieri.
Sentivo che qualcosa sarebbe cambiato, che le nostre vite sarebbero cambiate radicalmente, ma trarre conclusioni affrettate non ha mai portato nulla di buono.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5: L'appuntamento. ***


Capitolo 5:

 

Quella sera prima di andare a letto un messaggio mi aveva colpito in particolare.
In genere io sono una persona che evita di rispondere ai messaggi, tranne per fatti urgenti, ma quella sera, anche se la cosa non era particolarmente urgente, risposi.
Era di Scott, me lo aveva inviato su whatsapp e mi chiedeva se domani sera volevamo uscire, se accettavo dovevo farmi trovare alle otto al parco, poi saremmo andati da qualche parte.
Ci pensai un po' su, avrei voluto parlarne con qualcuno per vedere cosa fare, ma chi?
Zoey mi odiava senza motivo, con Mike non avevo confidenza-oltre al fatto che stamattina mi aveva preso in giro insieme agli altri.- e Anne Maria mi credeva svitata.
Poi mi venne in mente una persona: Bella. Bella era una mia amica: ci conoscevamo dalle elementari perché lei era la mia maestra e anche lei aveva questa passione per Yoga, Auree e cose simili.
Le scrissi in chat di Scott, che lo conoscevo da poco ma di ciò che vedevo in lui, dei suoi comportamenti...bipolari? Non sapevo come definirli.
La sua risposta non tardò ad arrivare-dato che era una versione hippy di Dakota: sempre attaccata al telefono.- e mi disse di andare e vedere come si sarebbe sviluppata la serata, magari con la scusa si sarebbe avvicinato di più, rafforzando anche il nostro rapporto.
Alla fine accettai di vederlo, ringrazia Bella e andai a letto.
Io e Scott eravamo seduti, mi prese il viso con la sua mano e lo avvicinò al suo. Io arrosii e lui poggiò le sue labbra sulle mie, io per qualche motivo...be' non posso scrivervi cosa accadde perché suonò la sveglia e quindi aprii gli occhi. Mi fiondai subito sul libro per interpretare i sogni che tenevo poggiato sulla libreria in legno esattamente sopra la mia scrivania.
Andai sulla voce “Baciare” e sotto trovai delle note: baciare un fidanzato, baciare la mano, il capo, un VIP, niente di tutto ciò. Poi lo trovai “baciare un amico”.
Significa che vuoi avere più affetto da questa oppure perché provi un'interesse per lui.
Sgranai gli occhi e richiusi il libro, scesi al piano di sotto e come al solito trovai i miei immersi nei loro programmi, li salutai e presi la solita mela rossa, andai a vestirmi e uscii di casa.
Anche stavolta incontrai Zoey, Mike e Anne Maria ma non li chiamai e mi limitai a passargli davanti, ma loro sembravano non avermi notata-o almeno spero-.
A scuola Scott non mi disse nulla, a parte di essere puntuale e che questa sera sarei rimasta sorpresa da questa uscita che aveva organizzato, ero abbastanza ottimista, glielo avevo detto e lui sorrise riscaldandomi il cuore.
Anche oggi le gemelline erano assenti, quindi Zoey e Mike si misero dietro me e Dakota.
Qualcunò mi chiamò, era Zoey.
-Volevo scusarmi per ieri, non so cosa mi sia preso.
Aveva detto con il viso basso, iniziavo a pensare che lei e Mike si fossero scambiati i corpi e che ora era lei quella con tante parti piuttosto che lui, che ne aveva una sola-così come quella di Zoey, ovviamente, era solo un pensiero stupido, il mio-.
Non potevo dire se stava mentendo oppure no, quindi mi limitai a sorriderle e ci avrei pensato su.
-Potresti anche rispondere.
Il suo tono era diventato un po' più acido e scontroso.
-Già, rispondile streghetta.
Le fece eco Mike, calciandomi lo zaino.
Stranamente fu Dakota a difendermi, ma come al solito, lo faceva per interesse personale.
-La piantate di prenderle a calci lo zaino? Ogni tanto calciate anche la mia sedia, questa cosa mi sta irritando e non poco.
Aveva detto guardandoli male e sorridendomi; ok, forse lo faceva anche un po' per compassione, anche se fino a ieri ridacchiava per la cosa che mi era successa, o forse no?
Riconoscevo le voci dei miei compagni e nel cumulo di risate giuravo di non aver sentito ridere Dakota, Scott, Cameron e Brick, forse anche qualcun altro, ma non ne ero sicura: non avevo guardato chi rideva e chi no, mi ero solo limitata a scappare via senza voltarmi, probabilmente la mia era una sensazione e anche loro si era sentiti male dal ridere. Altro che riconoscere le voci dei miei amici.

Uscii di scuola e Scott si avvicinò a me, mettendomi anche un po' di paura dato che non lo avevo sentito arrivare ed ero immersa nei miei pensieri, che erano: il sogno, l'appuntamento, Scott, Dakota e la sua pseudo-amicizia, Zoey&Mike e il loro cambiamento.
-Tutto ok?
Gli domandai prima che potesse dirmi qualcosa. Lui annuì.
-Ricordati di venire stasera, vedrai che ti piacerà il luogo in cui ti porterò.
Mi disse, aveva tutta l'aria di un primo appuntamento, ma cancellai subito quell'idea dalla mente: non ci si fidanza con una persona appena conosciuta.
I sogni non sempre si avverano, tra me e Scott non sarebbe successo nulla.
Mi fece compagnia fino alla fermata dell'autobus, quindi qualche metro di distanza dalla scuola, poi lui rimase lì e io tornai a casa mia da sola.
Mi sentivo osservata, sentivo un'aura intorno a me ma non capivo di chi fosse.
Stavo attraversando il parco, continuavo a sentirmi osservata nonostante tutti stessero facendo i propri comodi: chi giocava con il cane, chi guardava i bambini piccoli, tutto al proprio posto.
Mi voltai verso un gruppo di alberi, la zona dove Scott e Mike stavano facendo a botte, e vidi, tra gli alberi, una sagoma indefinita che con lo sguardo seguiva ogni mio movimento.
Sapeva che non mi sarei avvicinata: quando si accorse che i nostri sguardi si stavano incrociando continuò a guardarmi, io feci lo stesso e quasi non andai a sbattere contro una ragazza di scuola che faceva il quinto.

 

Passai tutto il pomeriggio e buona parte della sera a scegliere cosa mettere: come ho scritto prima, potrei andare con un abito da sera ad un ballo in spiaggia solo per la parola “ballo”, che immediatamente associavo a qualcosa di elegante.
L'uscita mi aveva causata problemi, immaginate andare ad un appuntamento.
Feci scorrere davanti ai miei occhi diversi vestiti e scartai a priori quello che avevo indossato il giorno dell'uscita e quello del primo giorno di scuola. Scartai anche un top rosso e degli shorts perché non era decisamente il mio stile, non so nemmeno perché lì tenevo lì.
Erano le otto di sera, scesi le scale e mi specchiai davanti allo specchio sul corridoio per darmi un'ultima controllata: i capelli erano-come sempre-sciolti, indossavo una maglia a pipistrello beige che lasciava intravedere una bretella del reggiseno, una gonna verde separata dalla maglia tramite una cinta, dei pantacollant neri e ballerine nere.
-Mamma, papà, esco. A più tardi.
Avevo detto ai miei dell'uscita già quella mattina, ovviamente avevano acconsentito perché sapevano che non avevo molti rapporti sociali e questa cosa li fece gioire molto.
Indossai il mio cappotto e presi la borsa a tracolla poi uscii di casa e andai al parco lì vicino, Scott era seduto su una panchina ed era impeccabile.
Mi aspettavo di trovarlo con i capelli sudici e gli stessi abiti della scuola, invece si era cambiato.
I capelli erano puliti, indossava una t-shirt bianca coperta da una giacca nera davvero giovanile, una cinta separava la t-shirt dai jeans e aveva delle scarpe da ginnastica.
Mi avvicinai e notai che si era spruzzato del profumo, si alzò e si complimentò per il mio aspetto, io ringraziai e feci lo stesso.
La situazione di essere osservata non mi aveva mollata ma perlomeno al buio non potevo vedere e convincere me stessa che fosse solo una sensazione.
-Andiamo in auto.
Mi disse, già guidava.
Ne rimasi sorpresa, probabilmente lo notò.
-Ahimè non è la mia...Ci accompagna mia sorella.
Disse arrossendo e mettendosi una mano dietro i capelli, io sorrisi e gli dissi di non preoccuparsi.
La macchina era, be' non mi intendo di auto e quindi non ne avevo idea, ma probabilmente una cinquecento, era bianca e piccolina.
Dentro, al posto del guidatore, c'era una ragazza un po' più grande di noi: aveva i capelli rossi raccolti in una coda di cavallo non molta lunga, indossava una camicetta bianca, pantacollant neri e stivali. I suoi occhi erano marroni.
-Lei è Albertha, mia sorella.
Disse lui aprendomi la portiera e abbassando il sedile anteriore per salire dietro, io feci lo stesso e mi misi accanto a lui.
-A te è riservato il posto davanti.
Disse Scott.
-Preferisco questo.
Risposi io.
-La signorina è un po' timida, eh?
Mi domandò Albertha aprendo il finestrino e mettendo in modo la macchina. L'aria fredda raffreddò subito il veicolo, fortuna che avevo il mio cappotto, ma avevo un po' di freddo sulle gambe che non erano del tutto coperte dai pantacollant.
Scott mi disse che mi portavo alla fattoria e che i suoi genitori non c'erano e sua sorella disse che era meglio così, che dopo tanti anni ci sarebbe stata un po' di pace.
-Come sta la mamma?
Le domandò Scott, probabilmente dimenticandosi della mia presenza-dato che ero stata tutto il tempo zitta-.
-Bene, bene. Ha smesso di piangere e sta tornando ad uscire, e con uscire intendo che va dal fruttivendolo sotto casa, ma è tanto.
Teneva gli occhi fissi sulla strada.
-Che cos'ha vostra madre?
Domandai in piena sfacciataggine e pentendomene subito: Scott sarebbe stato di malumore per tutta la serata, avevo rovinato tutto.
Come al solito la mia curiosità aveva avuto il sopravvento.
-Delle piccole divergenze con papà e se n'è andata da Albertha per un po'.
Disse Scott abbozzando un sorriso.
-Che si traduce con “Papà alzava le mani su noi tre, io me ne sono andata appena fatti diciotto anni, mamma è con me da poco e Scott non vuole venire per non si sa quale ragione.”
Disse Albertha, accidenti non aveva peli sulla lingua e parlava di questo evento con leggerezza.
Scott le disse di evitare l'argomento e lei obbedì.

Arrivammo nell'immenso giardino della fattoria di Scott, e quando dico immenso non lo dico per favore un complimento. C'erano alberi che circondavano la fattoria, oltre a recinti dove c'erano polli e animali di piccola taglia.Alla sinistra dell'edificio c'era una stalla e tutto era rigorosamente in legno. L'aria era alquanto disgustosa, ma non dissi nulla.
-Vi ho preparato la cena.
Annunciò Albertha sorridendo e calciando la porta per aprirla, facendo ridere il fratello. Entrai con timidezza e rabbrividii notando la testa d'alce appesa sopra al camino, mi veniva da vomitare.
Scott se ne accorse e si sbrigò a farmi entrare in cucina, un piccolo locale in legno con un tavolinetto al centro con sopra una tovaglia bianca e due sedie messi ai capi della tavola. Al centro c'era un candelabro e i piatti erano già stati serviti.
-Ti avevo detto che non era una cena romantica.
Commentò Scott rivolto a sua sorella che ridacchiò.
-Le cose si saranno raffreddate, le metto un attimo nel microonde.
Gli rispose Albertha prendendo con poca grazia i nostri due piatti e schiaffandoli nel microonde.
Rimasero qualche minuti a girare all'interno dell'oggetto, poi li tirò fuori e io e Scott ci sedemmo.
-Sto in salotto a vedere la TV, se vi serve qualcosa chiamatemi.
Disse poi allontanandosi e andandosene in salotto.
La cena andò avanti tra discorsi comuni e quando parlai di Mike e Zoey lui mi disse che li aveva notati strani anche lui, ma non avendo mai parlato con loro non poteva giudicare tanto.
Confermò la mia versione secondo la quale Dakota, lui, Cameron e Brick non avevano riso.
Parlammo anche di Albertha e della sua simpatia e lei disse che la stavamo facendo arrossire e che dovevamo stare zitti o ci appendeva insieme all'alce, ecco, questa battuta non la trovavo divertente.


La cena era finita, avevo visto un lato di Scott totalmente nuovo, più spensierato e allegro.
Aveva abbandonato quella corazza che usava per ripararsi dagli altri stile armadillo in pericolo.
La sua aura era rossa, serena, calma e spensierata, così come la mia.
Mi prese per mano e ignorò le battutine di Albertha e uscimmo a fare una passeggiata, aveva detto che voleva farmi vedere un posto bellissimo in cui andava quando era piccolo e i suoi litigavano.
Camminammo un po' all'interno del bosco finché gli alberi non svanirono del tutto lasciando posto ad una collinetta rialzata, davanti a noi c'era lo spettacolo bellissimo della città illuminata.
Si mise a sedere per terra, io mi misi accanto a lui e incrociai le gambe come per meditare, quando all'improvviso un rumore mi distolse mentre guardavo il viso di Scott, un fuoco d'artificio esplose in aria.
Poi altri, fu un susseguirsi di fuochi.
Inutile dire che fui sorpresa, ripensai al sogno, a come eravamo vestiti e a come era fatto il luogo: tutto corrispondeva così come i tasselli di un puzzle.
Volevo evitare quel bacio? Decisi di lasciar agire il destino e di guardare il cielo, avvertivo che l'aura di Scott era in movimento, ma in senso buono.
-Ti piacciono i fuochi? Ho chiesto ad Albertha di spararne un po'.
Disse, probabilmente sua sorella aveva fatto prima di noi usando la macchina e ora era lì giù a sparare fuochi d'artificio per creare un'atmosfera romantica.
-Scott, come mai anche i fuochi?
Domandai incredula.
-Non lo so. Stanotte ho sognato che io e te eravamo qui sotto ai fuochi d'artificio, i miei piani sono cambiati in base al sogno. Diciamo che la mia idea originale era di andare a farci una canna al parco, poi però quel sogno mi ha ispirato.
Disse senza distogliere gli occhi dal cielo.
-Per caso, nel sogno eravamo vestiti come adesso?
Domandai. Lui annuì, lo vidi anche arrossire.
-Ho fatto un sogno simile...
Mentii, dato che era proprio uguale.
-E cosa succedeva alla fine?
Domandò lui voltandosi verso di me.
Mi strinsi nelle spalle.
-Non me lo ricordo.
Mentii io voltandomi di lato, vidi qualcuno strisciare nella foresta.
-Be', io sì.
Mi prese il viso con la mano facendomi voltare verso di lui.
Non sapevo cosa fare. Restare? Andarmene? Dirgli di quella cosa che avevo visto? Magari fuorviare sarebbe stato un ottimo espediente per allungare il brodo e pensare a qualcosa.
Mentre pensavo ad una delle tante soluzioni sentii le sue labbra poggiarsi sulle mie, arrossi e prima che potesse infilare la sua lingua dentro la mia bocca mi ritrassi. Ero rossa in viso e non sapevo che fare, lui mi guardò sorpreso.
-Scusa...
Disse con una voce triste. Mi avvicinai a lui e gli presi la mano.
-Scott...io...
Stavo per dirgli ciò che provavo, ma che non so se me la sentivo di intraprendere una relazione, volevo parlarne con lui.
Tutto ciò fu interrotto dall'urlo di Albertha che ci fece voltare entrambi verso la sua direzione, decidemmo di mettere da parte quello che era successo e di precipitarci da lei.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6: Il racconto di Dakota. ***


Capitolo 6:

Attraversammo il bosco con molta difficoltà, aiutati solo dalla Luna perché entrambi avevano dimenticato i cellulari in casa, ma fortunatamente il mio potere tornava utile anche in questo caso: lo utilizzavo stile pipistrello ed evitavo di urtare animaletti che passavano di lì per caso o che si nascondevano per poi attaccare(tipo i serpenti).
Scott correva dietro di me, sembrava che del bacio non gli importasse più molto e che fosse concentrato solamente su sua sorella: da ciò che avevo capito i due si volevano molto bene e il loro legame era davvero stretto a tal punto che potevano contare l'uno sull'altra per ogni cosa, da un lato li invidiavo.
Io, alla fine, non avevo nessuno su cui contare. Non che i miei siano cattivi genitori, ma ai tuoi genitori non diresti mai che un ragazzo che conosci da pochi giorni ti ha baciata e che tu ti sei allontanata perché non sapevi che fare, giusto per fare un esempio.
Finalmente eravamo usciti dal bosco, ora toccava a Scott dirigermi.
-Vieni, di là”
Esclamò senza troppi complimenti addentrandosi dentro una stradina di campagna fangosa e che era separata dal bosco solo tramite una rete.
Continuammo a correre mentre io maledivo me stessa per essermi messa quelle scarpe nuove che si stavano macchiando ad ogni passo che facevo nel fango, Scott invece sembrava non curarsi del fatto che anche le sue scarpe e i suoi jeans si stavano sporcando.
-Ferma Dawn.
Mi sussurrò bloccandomi con una mano, davanti a noi c'era qualcuno: era girato di spalle, ma aveva una sagoma troppo familiare, la Luna la illuminò e in quell'istante vidi Zoey, tirammo un sospiro di sollievo.
-Zoey!
Esclamò Scott, lei si voltò e sorrise, agitando la mano per salutarci.
-Ragazzi, che ci fate qui?
Domandò avvicinandosi a noi, adesso teneva entrambe le mani dietro la schiena. Inarcai un sopracciglio, poi tirai Scott per il giacchetto, allontanandolo da Zoey.
-Ha un'arma.
Gli dissi indicando la rossa con mano tremante.
-Ma non è vero.
Rispose lei con tono offeso.
-Zoey hai sentito qualcuno che urlava?
Domandò Scott con tono allarmato, la rossa si strinse nelle spalle.
-Però posso accompagnarvi.
Disse sorridendo e voltandosi verso il resto della stradina illuminata solamente dalla Luna.
-Ci tradirà Scott, credimi!
Gli dissi praticamente implorandolo e tirandogli il giacchetto, lui alzò gli occhi al cielo e sbuffò.
-Ma mangiati un verme.
Mi rispose Zoey guardandomi male.
-Facci vedere le mani!
Stavolta anche il mio tono di voce si era fatto alto.
-Senti, mia sorella è in pericolo e non ho alcuna intenzione di aspettare. Zoey, accompagnaci.
Zoey sorrise e mi fece una pernacchia, poi la vidi armeggiare con le mani dietro la schiena, quando si voltò dietro non aveva niente, anche se sentivo ancora la presenza maligna dell'arma nascosta sicuramente sotto la sua felpa rossa.
Continuammo a camminare, seguivamo Zoey che per tutto il tempo parlava di affari propri. Ogni tanto notai che cercava di farci imbucare verso altre stradine di campagna, ma Scott la correggeva dicendole che Albertha era verso un'altra direzione.
Continuammo a camminare e quando guardai per l'ennesima volta la ragazza avvertii una strana sensazione, come quella che avevo avvertito all'arrivo delle gemelle e quella che avevo avvertito nel parco quando la gemellina Charlotte era venuta a chiederci aiuto. E se...?
Forse stavo delirando.

Arrivammo davanti all'auto di Albertha, c'erano altre scatole di fuochi d'artificio tutto intorno ad essa mentre il corpo di Albertha giaceva sul tetto dell'auto.
Scott sgranò gli occhi e scosse la testa, lo rassicurai.
-Sento la sua aura, è viva. E' solo svenuta.
Non so se mi diede più o meno retta, so solo che si calmò.
-Che razza di maniaco può far questo?
Domandai, ma Scott si era già precipitato a prendere il corpo della sorella.
 

-Io credo che abbiate visto troppo.
Disse Zoey avvicinandosi a me con fare minaccioso, teneva di nuovo la mano dietro la schiena.
Tirò fuori un coltello e me lo puntò.
-Zoey, che ti è preso?
Domandai indietreggiando, lei continuava ad avvicinarsi con la punta del coltello rivolta verso di me.
Nonostante guardassi pochi film, sapevo benissimo come sarebbe andata a finire questa scena: mi avrebbe messo sull'orlo di un precipizio, non avrei saputo cosa fare e mi sarei lasciata uccidere.
Dovevo impedirlo.
La mia salvezza non tardò ad arrivare, e come avevo previsto, Scott si fiondò su Zoey rubandole l'arma e ribaltando la situazione.
-Tu pensa ad Albertha.
Mi disse, aveva adagiato il corpo di sua sorella accanto all'auto, ma non potevo pensare ad Albertha quando davanti a me c'era Scott che stava puntando un coltellaccio contro Zoey.
L'avrebbe uccisa, non potevo permetterlo.
Nonostante Zoey fosse stata inspiegabilmente cattiva con me, sentivo che Zoey non stava agendo seguendo la sua volontà, la sentivo lontana.
Quella non era Zoey.
La ragazza rossa stava indietreggiando, come ho detto prima, la situazione si era ribaltata, mi guardai intorno: avevo bisogno di qualcosa per distrarre Scott e allo stesso tempo smascherare la falsa Zoey.
Pensai a fondo, Scott afferrato la ragazza per il colletto della felpa e teneva il coltello sulla sua fronte.
-Scott fermo!
Gridai, lui si voltò.
-Non è Zoey quella.
Mi avvicinai e vidi la ragazza sogghignare, accelerai il passo e le diedi una spinta, facendola cadere a terra.
Ok, molte persone sulla lista di cose mai fatte hanno gli sport estremi, le canne, alcool, io avevo spingere le persone.
Non so ancora adesso da dove presi tutta l'energia e la rabbia per spintonare quella ragazza che io consideravo amica ma che in realtà non lo era.
Mi inginocchiai e misi le mani a coppa, presi l'acqua di una pozzanghera e gliela gettai in faccia: strati e strati di trucco colavano misti al fango, le tolsi il fiore che al tatto era di plastica e lo poggiai, poi sciolsi i capelli rossi e tolsi la parrucca rivelando capelli castani e lunghi.
-Passami della carta, le ripuliremo il viso e vedremo a chi appartiene il volto.
Dissi a Scott, che si stava guardando intorno alla ricerca di qualcosa da usare per pulire il viso della ragazza.
Uno sparo allarmò entrambi, c'era qualcuno che aveva sparato in aria e che era immerso nell'ombra.
Albertha riaprì gli occhi e udendo il secondo sparo rivolto al vuoto ci prese per mano entrambi e scappammo, lasciando la falsa Zoey stesa a terra con il viso sporco di fango e trucco colato.
Continuavo a pensare ad un ipotetico nome, anche se più o meno mi ero fatta un'idea su chi potesse essere la responsabile.

 

Il giorno dopo, in classe, ero di nuovo accanto a Dakota che era impegnata a limarsi le unghie colorate di rosa confetto, dietro di me c'erano Mike e Zoey che mi guardavano male, specialmente quest'ultima.
Il pensiero di averla smascherata ma allo stesso tempo di aver quasi rischiato di morire per colpa di quella scellerata e del suo alleato mi faceva rabbrividire. Soprattutto ora dovevo stare sempre in gruppo con qualcuno: il pericolo era seduto un banco dietro di me.
Dakota continuava a limarsi le unghie, io la guardavo, non tanto perché mi interessassi di queste cose ma perché il movimento della limetta mi rilassava.
Lei si accorse del mio sguardo.
-Ti piace il colore?
Disse facendomi vedere le unghie, io annuii e lei sorrise entusiasta.
-Se vuoi te le faccio anche a te.
Disse, e prima che potessi risponderle la vidi tirare fuori diversi flaconi di smalto dal suo astuccio.
-Magari me le farai per il mio prossimo appuntamento con Scott.
Dissi inarcando un sopracciglio. Lei riposò i flaconi.
-Allora scrivimi in chat privata e ti renderò bellissima!
Esclamò alzando le braccia al cielo e sorridendo. Sembrava una bambina piccola che si esaltava per un non nulla, la cosa mi divertiva e mi faceva piacere: magari Dakota non era una persona antipatica come voleva far sembrare; magari l'idea che ho avuto di lei all'inizio è stata sbagliata.
Il suo bisogno di fama e complimenti in realtà vuole nascondere un bisogno di amore: suo padre e sua madre sono troppo ricchi per darle consigli e preoccuparsi di lei e ha dovuto passare ogni anno della sua vita a cavarsela da sola. Era dell'idea che nonostante i regali che le facevano, i suoi non le volevano bene. La guardai ancora un po' e mentre nella vita reale controllava i suoi duecento e più mi piace sotto il suo ultimo selfie, nella sua mente c'era un ricordo.
Mi misi in posizione da yoga e decisi di guardarlo, un po' come si guarda un film in 3D.
Dakota indossava un pellicciotto rosa intorno alle spalle e un abitino corto color crema, stringeva la sua pochette rosa, era in lacrime.
Io la osservavo in disparte.
Era al centro di una stanza e c'erano delle persone che ridevano di lei, non sapevo il motivo.
La vidi sbottare, lanciare a terra il pellicciotto e andarsene in bagno, lì compose il numero di sua madre che le disse di non chiamarla quando si trattava di queste cose di poco conto e che lei era troppo impegnata per pensare ai problemi da ragazzina.
Quando la Dakota del ricordo scoppiò in lacrime, quella reale continuava a controllare i mi piace alle sue foto, il suo sguardo però era triste e perso.
-Sai Dawn, volevo dirti una cosa.
Mi disse poi senza staccare gli occhi dal cellulare.
-Cosa?
Il mio tono era alquanto disinteressato dato che conoscendola si trattava di qualcuna delle sue cose riguardanti smalti e vestitini.
La vidi voltarsi, Mike e Zoey prendevano appunti riguardo alla lezione che il professor Josh stava spiegando.
Si avvicinò verso di me e iniziò a parlare.
-Tempo fa ero nel parco, erano più o meno i primi giorni di scuola. Hai presente i bagni pubblici vicino la gelateria?
Annuii e lei continuò.
-Ho visto Charlotte che trascinava qualcosa, ma dato che era buio non ho visto cosa. Certo che quelle lì sono strane: non vengono a scuola e poi le vedi girare nel parco. Be', tutto qui.
Mi disse tornando ai suoi mi piace e lasciandomi tra i miei pensieri, il puzzle iniziava ad avere un disegno ben preciso piuttosto che diversi tasselli sparpagliati qua e là.
Non ascoltai il resto delle lezioni, finita la scuola raccontai a Scott ciò che mi aveva detto Dakota.
-Dawn, aspetta.
Mi disse mentre mi allontanavo per andare ai bagni, lo guardai e mi avvicinai a lui. Mi diede un bacio sulla guancia-anche se il suo intento era un altro- e lo vidi arrossire, gli sorrisi e feci lo stesso, anche se anche il mio scopo era un altro.

 

Il parco era più affollato che mai, come era prevedibile a quell'orario, io andai vicino il chiosco dei gelati e vidi le toilette: erano più appartate rispetto al resto, non si vedevano bene gli altri per via di qualche albero.
Nel preciso momento in cui la mia mano si poggiò sulla maniglia della porta, qualcuno mi colpii in testa facendomi cadere a terra, ero svenuta.

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Capitolo 7
*** Capitolo 7: Zoey e Dawn disperse nel Bosco. ***


Capitolo 7:

 

Aprii i miei occhi color cielo dopo non so quanto tempo, era buio e non vedevo niente; mi tastai le tasche: non avevo più il cellulare.
Strinsi i pugni e continuai a guardarmi intorno ma l'oscurità avvolgeva tutto quanto, tutto tranne il mio potere: mi stava avvisando che con me non c'era un'aura ma ben sette aure.
Chiusi gli occhi e continuai a camminare, arrivai davanti ad uno scaffale che probabilmente conteneva oggetti per pulire i bagni.
-C'è qualcuno?
Domandai con un po' di timore, l'unica risposta che ricevetti fu un “mmh” da parte di qualcuno nascosto nell'ombra.
Spostai lo scaffale a fatica, facendo cadere sicuramente qualcosa-dato che avevo sentito un rumore- e sorrisi riconoscendo le aure di Mike e Zoey.
I veri Mike e Zoey.
Tornai verso la porta-non che lo stanzino fosse poi così grande- e inizia a tastare le pareti, finché non tornò la luce.
Mike e Zoey erano legati al muro, la bocca coperta da un pezzo di nastro adesivo grigio; i corpi coperti da uno scaffale, quello che avevo appena spostato.
Mi avvicinai di nuovo e staccai con molta calma il nastro adesivo per evitare di far loro del male, poi sciolsi i nodi-e questa parte impiegò parecchio tempo dato che io i nodi non so proprio districarli.-
-Grande Dawn!
Esclamò Mike dandomi il cinque, Zoey mi abbracciò.
-Chi vi ha fatto questo?
Domandai, anche se oramai avevo più o meno chiaro chi fosse il colpevole.
-Quando ce ne siamo andati, la sera che ci avete salvati, siamo stati presi di nuovo. Charlotte e Tina, sono loro le responsabili: Charlotte veniva a portarci qualcosa da mangiare ogni giorno, è lei che tiene la chiave.
Disse Zoey stringendo la mano di Mike.
-C'è un modo per uscire?
Domandai io guardandomi intorno alla ricerca di qualcosa con cui sfondare la porta.
-A breve dovrebbe venire un vecchietto per prendere i detersivi per pulire.
Spiegò Mike.
-Ma non ci ha mai visti perché eravamo coperti.
Continuò Zoey, lo sguardo rivolto a terra.
Quindi era tutta una questione di tempo.
-Sapete che intenzioni hanno le gemelle?
Domandai, loro fecero spallucce.
-So solo che hanno rubato i vestiti che indossavamo il primo giorno di scuola.
Disse Mike. Li guardai, loro due indossavano i vestiti delle gemelle. Mike la tuta rosa di Charlotte, Zoey i capi d'abbigliamento di Tina.
Continuammo a parlare, parlai loro del mio potere, di Scott-senza entrare troppo nei dettagli- e del fatto che stavo per smascherare Charlotte.
Dopo qualche minuto, il vecchietto fece la sua comparsa e quasi non svenne vedendoci all'interno dello stanzino.
-Che ci fate qui, ragazzacci?!
Sbraitò guardandoci male e gesticolando. Mike prese un respiro profondo, quindi la sua schiena si curvò, una mano poggiata su di essa e chiuse un occhio.
-Hai proprio ragione, amico. Questi giovinastri di oggi non hanno proprio un contegno.
Doveva essere una delle personalità di Mike all'opera, Zoey ridacchiò.
-Mike, piantala di recitare.
Gli disse dandogli una gomitata sul braccio, prese un altro respiro e tornò alla normalità. Osservai senza dire nulla, così come l'anziano, che si limitò a farci uscire senza dire nulla.

 

-Dobbiamo andare dalla polizia!
Esclamò Zoey. Io, lei e Mike stavamo correndo per uscire dal parco, scontrandoci anche con diversa gente di scuola e facendo fermare più volte il traffico, dato che attraversavamo senza nemmeno guardare le strisce.
Mentre andavamo al commissariato, vidimo una persona stesa a terra: aveva un'aria familiare.
Capelli rossi, lentiggini e felpa bianca. Scott.
Mi avvicinai e mi chinai davanti a lui, era sporco di sangue e aveva un occhio nero
-Scott che ti è successo?
Domandai guardandolo negli occhi e spostandogli i ciuffi di capelli che gli ricadevano sugli occhi.
Lui non rispose, si limitò a tossire.
-Dobbiamo portarlo in ospedale.
Disse Zoey tastandosi le tasche come avevo fatto io.
-Oh già, non posso chiamarlo.
Disse. Mike si avvicinò a Scott e lo aiutò a rialzarsi, io feci lo stesso. Entrambe le braccia di Scott erano poggiate sulle nostre spalle, Zoey invece si stava sbracciando per strada per chiamare un Taxi.
-Ma come lo paghiamo?
Domandò Mike quando il Taxi si fermò.
-Tranquillo, gli spiegheremo tutto.
Rispose Zoey entrando per prima, noi due facemmo lo stesso, per fare posto, Zoey si mise a sedere in braccio a Mike.
-All'ospedale più vicino, presto.
Dissi.
-Per favore.
Aggiunsi: ero stata troppo rude, ma mi ero lasciata sopraffare dall'agitazione. Il vero problema era come pagare l'ospedale piuttosto che il tassista, ma dopotutto vedendo degli adolescenti avrebbero lasciato correre.
Iniziò a piovere e vidi Scott mordersi il labbro, sembrava spaventato all'idea di bagnarsi sotto la pioggia.
Adoro la pioggia, quando ero piccola-quindi anche quando avevo sedici anni- passavo i pomeriggi interi sotto la pioggia, a saltare nelle pozzanghere e a godermi il ticchettio delle gocce sopra i davanzali delle finestre o sopra gli ombrelli.
Arrivammo davanti ad un ospedale, il tassista ci diede un ombrello viola e ci disse che non faceva nulla e che non si sarebbe fatto pagare; aveva una voce strana, ma non ci badai.
Il taxi sfrecciò a tutta velocità e solo in quel momento mi resi conto che ci aveva portato in una trappola: non eravamo davanti ad un ospedale funzionante, ma uno psichiatrico e totalmente diroccato, circondato dal bosco e dalle edere che avevano praticamente preso possesso dell'edificio.
Eravamo isolati dal resto del mondo dato che non passava anima viva, non c'erano case.
-Ci ha imbrogliati.
Disse Zoey abbracciando Mike che invece teneva l'ombrello per riparare Scott, che scoppiò in una fragorosa risata. Una risata femminile ed inquietante al tempo stesso.
Strappò l'ombrello dalle mani di Mike e si fece bagnare dalla pioggia. Strati e strati di cipria stavano cadendo dal suo corpo, così come quelli di rossetti e ombretti. La parrucca rossa e corta fece posto a dei capelli castani e lunghi.
Il trucco rendeva praticamente irriconoscibile la persona sotto di esso, ma noi sapevamo perfettamente chi avevamo davanti: Charlotte.

-Stacci alla larga!
Esclamò Zoey puntandole contro un dito, lei scoppiò a ridere: con tutto il trucco sbafato era uno spettacolo inquietante.
-Dannata pioggia.
Si limitò a dire giocherellando con i suoi capelli castani.

 

Charlotte faceva avanti e indietro, sembrava volesse fare dei solchi sul terreno.
-Perché?
Le dissi, lei rise.
-Questo era diretto a Dakota: credevi che non vi avessimo sentito mentre parlavate a scuola? Be', errato. Lei si sarebbe messa paura e mi avrebbe portata all'ospedale, io l'avrei uccisa.
Tutto molto logico. Ovviamente scherzo.
-Ti aspettavi seriamente che Dakota prestasse attenzione a te? E poi perché proprio Scott? Se volevi colpirla potevi travestirti da Sam.
Disse Zoey, Mike si picchiò una mano sul viso e disse.
-Dalle anche altri spunti, mi raccomando.
Zoey ridacchiò e arrossii.
-La tassista era tua sorella travestita da uomo, giusto?
Domandai, lei annuì.
-Perché non ci hai uccisi in taxi?
Domandò Mike, la pioggia gli aveva abbassato i capelli, un ciuffo gli copriva l'occhio.
-Perché voi siete in tre e io e mia sorella in due, considerando che tra di voi c'è una strega, non mi sembrava il caso di attaccare. Vi abbiamo portato qui perché non c'era nessuno.
Mi reputai alquanto offesa dal nomignolo “strega”, ma non dissi nulla.
-Il vostro è stato un piano geniale, ma un'arma da fuoco sarebbe meglio di un coltello.
Rispose Mike avvicinandosi a Charlotte, che per tutta risposta estrasse l'arma con la lama per difendersi.
-Mike basta recitare!
Esclamò Zoey.
-Non sta recitando, Zoey. Il tuo ragazzo soffre di un disturbo di personalità multipla.
Le dissi prendendole un braccio, lei sgranò gli occhi e spalancò la bocca.
-Avresti potuto dirmelo!
Le gridò lei contro.
-Inutile, ora la parte di Mike non c'è.
Le dissi toccandole una spalla per provare a calmarla.
-Stavolta non arriverà né Albertha né Scott né nessuno a salvarvi! Morirete qui per mano mia!
E scoppiò a ridere, Mike le tappò la bocca.
-Per mano nostra, volevi dire.
Dalla tasca della tuta rosa tirò fuori una pistola.
-Ecco dov'era finita.
Disse Charlotte cercando di prendere l'arma che lui sollevò in aria per non fargliela prendere.
-La rivoglio, la pistola!
Le gridò la gemellina, aveva la stessa voce che Zoey aveva usato con me tempo prima.
-Ma taci.
Le rispose lui puntandole l'arma contro.
Presi Zoey per il braccio e la trascinai nel bosco, lasciando i due nemici/alleati a litigare per un'arma.
-Cos'ha Mike?
Mi domandò Zoey sprofondando in lacrime, io la abbracciai e non le dissi nulla. Sapevo cosa aveva Mike, lo sapeva anche lei, eppure non lo accettava. Probabilmente Mike aveva subito violenze da piccolo, oppure non distingueva ricordi dalla realtà: non sono una scienziata e non posso dire con certezza a cosa sia dovuto questo suo disturbo, figuratevi quanto potevo saperne a sedici anni.
-Dobbiamo vagare nel bosco e trovare una via d'uscita.
Dissi a Zoey interrompendo la sua crisi di pianto.
-Non voglio fare la selvaggia!
Esclamò lei sprofondando in lacrime: la cosa era più complicata del previsto, la rabbia ebbe di nuovo il sopravvento.

 

-Ma insomma, Zoey! Datti un contegno. Non resteremo in questo bosco all'infinito. Cammineremo finché non troveremo una via d'uscita, ce la faremo. Oppure preferisci uscire e lasciarci uccidere dalla personalità di Mike e da quella psicopatica di Charlotte?!
Avevo alzato la voce attirando diversi animali del bosco, Zoey si gettò a terra e sprofondò di nuovo in lacrime, mi restava una cosa sola da fare. Iniziai a fischiettare, chiamai a me altri animali e indicai loro di andare da Zoey a consolarla.
In men che non si dica, coniglietti, scoiattolini e cerbiatti cercavano di farle alzare il volto e la coccolavano, alla fine si rialzò.
-Mi hai preso per Biancaneve?
Domandò accarezzando la testa di un cerbiatto.
-No. Però ora ti sei convinta?
Le domandai facendola rialzare e carezzando un coniglietto.
-Va bene, hai ragione. Non possiamo restare qui a morire, forza!
Era tornata carica, carezzò anche lei un coniglietto e mi prese la mano, poi iniziò a correre verso un punto indefinito, io la seguii.
Ci toccava scappare dal bosco, mi sembrava familiare ma presa dalla fretta di Zoey non notai alcuni particolari, particolari che ci avrebbero tirato fuori dai guai se li avessi notati prima.

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Capitolo 8
*** Capitolo 8: A casa di Scott. ***


Capitolo 8:

 

Il Sole se n'era andato insieme alla pioggia lasciando il posto alla Luna e alle sue stelle.
Il bosco di notte assumeva un aspetto inquietante, come se le piante fossero in realtà demoni sotto forma di vegetale che cercavano di afferrarci mentre ogni scricchiolio o verso di animale era associato immediatamente a Charlotte e a Mike.
Con Zoey avevamo parlato di un po' di argomenti, evitando quelli inquietanti e paranormali perché, nonostante fossi abituata agli animali, mi sentivo anche io spaventata.
Uscimmo dal bosco dopo parecchie ore di cammino e ci ritrovammo in una strana di campagna fangosa e disseminata di sassolini, erbacce e pozzanghere, ai lati della strada c'era il bosco bloccato da una rete.
Presi Zoey per un braccio-dato che nonostante fosse stanca morta aveva accelerato il passo- e le dissi che eravamo vicini alla casa di Scott e che saremmo arrivati fin lì, poi Albertha ci avrebbe accompagnato in città-sempre ammesso che fosse rimasta i casa.-
Continuavamo a camminare, eravamo stremate e le nostre gambe imploravano pietà ma non potevamo fermarci.
Ok, Mike e Charlotte potevano essersi persi nel bosco come potevano esserne usciti, non potevamo permetterci soste e in quel momento la fattoria in legno di Scott dove c'erano lui e il suo violento padre per noi era come il paradiso.
Camminammo diversi minuti, forse mezz'ora, senza cellulare non potevo controllare l'ora, e finalmente vidi la figura familiare della fattoria che era illuminata da una debole luce prodotta da un lampione vicino alla strada.
-Dovremmo andare nel giardino? Non è che se ci vede suo padre ci ammazza?
Mi domandò Zoey indecisa se attraversare o no la luce proiettata dal lampione, la luce di una delle stanze al piano di sopra era accesa e per quanto ne sapevamo, suo padre avrebbe potuto riservarci un'accoglienza con i proiettili.
-Possiamo passare di qui dove non c'è la luce.
Le risposi indicandole un punto non illuminato dal lampione: non c'era un cancello e quindi chiunque poteva entrare raggirando il lampione, non che fosse poi un grande ostacolo, ma anche io mi sarei spaventata vedendo due ombre di sconosciuti proiettate sulla mia finestra e per quanto potesse essere cattivo il padre di Scott, in questo caso lo avrei capito.
-La luce nel fienile è accesa.
Sussurrò Zoey riducendo gli occhi a fessure per cercare di vedere chi ci fosse all'interno, ma non si capiva bene. Ci saremmo dovute avvicinare alle porte spalancate e sporgere la testa, ma era un cinquanta e cinquanta e Scott poteva non essere lì.
-Ho un'idea: ci avvicineremo alla finestra e vedremo da lì.
Sussurrò Zoey, avrebbe potuto usare il suo tono normale, tanto non l'avrebbe sentita nessuno.
Da lontano udimmo uno sparo che fece accendere diverse luci nella casa.
-Sono Mike e Charlotte!
Esclamò Zoey ad alta voce poggiandosi entrambe le mani ai lati della testa, io la presi per il braccio e la trascinai verso un cumulo di fieno bagnato, ci nascondemmo al suo interno.
Il fieno era giallastro e umido, faceva anche schifo. L'odore era nauseante, ma sempre meglio che trovarci la fronte perforata da un proiettile scagliato da una ragazzina svitata.
-Papà cos'era?
Era Scott, sembrava preoccupato, ed era comprensibile.
-Non ne ho idea, tu piuttosto pensa a prendere un fucile nel fienile, forza non perdere tempo.
Suo padre aveva una voce bassa e cavernosa, ricordava quella di un demone. Sì, era inquietante.
Comunque restammo un altro po' nel cumulo eravamo schiena contro schiena, i capelli bagnati e impiastricciati di fili di fieni, che si intrufolavano anche all'interno dei vestiti e ci provocavano un fastidioso prurito.
Altri spari ci fecero drizzare i visi bassi e tendere le orecchie, la voglia di fare capolino era tanta, ma la paura ancor di più, restammo chiuse lì dentro, fortuna che essendo fieno, passava l'aria.

 

Aprii i miei occhi e vidi una distesa giallognola e meno viscida rispetto a quella della sera precedente davanti a me, avevo la schiena a pezzi: la schiena di Zoey non è un buon cuscino, lei sicuramente pensava lo stesso della mia.
Incredibile, avevamo passato l'intera notte nel fienile, sentimmo un autobus fermarsi e poi ripartire, sicuramente Scott era salito e noi eravamo rimaste da sole.
-Usciamo.
Le sussurrai senza rendermi conto che stava dormendo. La lasciai riposare ed uscii per conto mio, ripulendomi i vestiti dal fieno e dal terriccio, per quanto fosse possibile almeno.
Alzai lo sguardo e rabbrividii, davanti a me c'era un uomo non molto alto, magro, capelli biondi e occhi verdi, in quel momento indossava una canottiera bianca, jeans consumati e scarponi.
-Tu chi sei?
Domandò con voce calma cinando il suo viso al mio come se non avesse mai visto una ragazzina. Dietro di me, uscii Zoey dal cumulo di fieno e la vidi avvicinarsi a me con timore.
-Posso spiegarle...
Provai a dire, mi bloccò posandomi un dito sulle labbra.
-Tranquilla, basta che il capo non lo venga a sapere.
Mi rispose, io e Zoey tirammo un sospiro di sollievo.
-Il capo?
Domandò Zoey grattandosi la testa, confusa.
-Già. Quello passa le giornate ad ubriacarsi alle osterie e io devo tenergli a nuovo la fattoria, di là c'è un mio collega, mi aiuta anche lui. Non so dove trovi tutti questi soldi per pagare l'alcool, noi due e la retta scolastica di suo figlio, so solo che è molto violento.
Disse toccandosi poi un braccio e nascondendo un livido violaceo che però avevo già notato.
Diedi un'occhiata veloce alla sua aura, accettava quel lavoro perché aveva una pessima situazione familiare e teneva molto alla sua bambina, tutto il contrario del padre di Scott.
-Per caso sa quando passa un autobus per andarcene via di qui?
Domandò Zoey, stavolta meno timorosa. Lui denegò.
-Se volete, finito il lavoro, possiamo darvi un passaggio io e il mio amico.
Ci disse, Zoey stava per accettare, la bloccai.
-Ci penseremo su, grazie dell'offerta.
La rossa non comprese il mio gesto, quando ci allontanammo dal dipendente le dissi che non era prudente andare con il primo sconosciuto che capitava e che poteva essere benissimo Charlotte o Tina e che Mike potesse essere nascosto da qualche parte con la pistola puntata contro di noi.
Ci avvicinammo alla stalla, c'era un altro ragazzo, era voltato di spalle ed era impegnato a dare il fieno alle mucche.
Ci allontanammo per via dell'odoraccio e tornammo al cumulo di fieno, il ragazzo di poco prima era sparito.
-Io ho fame.
Dissi ad un certo punto massaggiandomi la pancia che brontolava.
-Andiamo a prendere qualcosa in casa?
Domandò Zoey guardando la casa in legno.
-Non so, non mi pare carino.
-Nemmeno io senza cibo sono carina, andiamo!
Stavolta fu lei a trascinarmi per il braccio finché non ci bloccammo sul portico in legno della casa, scricchiolava sotto i nostri piedi.
Il motivo del nostro blocco non fu perché c'erano davvero Charlotte e Tina all'interno della casa ma perché i due dipendenti del padre stavano parlando proprio del loro datore.
-Ovviamente prende sicuramente i soldi della sua compagna.
Disse il ragazzo che prima era voltato di spalle.
-Quella ha già due figlie da mantenere, figurati se si fa spilare i soldi da un contadino che deve mantenere anche suo figlio.

 

La conversazione stava facendosi interessante, restammo in ginocchio sotto alla finestra per sentire e cogliere altri stralci.
-Che poi va addirittura fiero delle sue bambine e detesta a morte suo figlio.
-Tornando al discorso del mantenimento, mi pare di aver capito che la sua compagna sia davvero ricca.
-Ma non era una professoressa?
-Boh, probabile. Sbrighiamoci a lavare i bicchieri che se il capo ci scopre sono affari nostri.
Smisero di parlare e sentimmo l'acqua del rubinetto scorrere. Camminammo a gattoni fino a che non fummo davanti alla porta, poi mentre stavamo per bussare, essa si aprì.
-Oh, ragazze.
Disse il ragazzo con cui avevamo parlato stamattina facendoci passare.
-Se prendete qualcosa, lucidate tutto quanto che altrimenti se ne accorge.
Ci disse il suo amico uscendo dalla casa, noi entrammo.
Il frigorifero ci stava praticamente chiamando, lo aprimmo.
Tende e tende di prosciutto. Sul serio?!
Per me che non mangio carne quella visione era atroce, ma nella casa di un fattore cosa mi aspettavo di trovarmi?
Zoey tagliò del pane e ci schiaffò dentro due fette di prosciutto, io mangiai del pane asciutto e qualche mela, eravamo sazie.
Probabilmente Scott si era preoccupato non vedendoci a scuola e mi stava tartassando di messaggi, volevo rispondergli e soprattutto volevo vederlo: con tutto il trambusto che si era creato non avevamo avuto modo di parlare del bacio, anzi mi ero solo cacciata nei guai ascoltando Dakota, ma dopotutto voleva solamente mettermi in guardia.
-Secondo te Dakota vuole fare amicizia con me?
Domandai all'improvviso, interrompendo il silenzio che si era creato mentre ripulivamo il pavimento dalle briciole di pane e cercavamo un posto dove gettare i fazzoletti accartocciati e i torsoli delle mele.
-Dawn, sai che a scuola non ci sono stata...
Fu la sua risposta, poi aggiunse.
-Perché che ti dice? Provò a fare amicizia anche con me, la cosa non è andata a buon fine.
Le raccontai di ciò che era successo, di Charlotte e del modo in cui mi aveva trattato, del fatto che a modo suo avesse provato a difendermi e che era grazie a lei se ora lei e Mike potevano rivedere la luce del sole.
-Con me non è stata così. Era appiccicosa, mi abbracciava in continuazione e non faceva altro che dirmi “amichetta”, non le davo tanta confidenza.
Abbassò lo sguardo.
-Dakota ha poca esperienza con gli amici, esclusi smalto e trucchi che lei considera tali. Secondo me dovresti provarle a darle un'altra possibilità, la sua voglia di attenzioni è una disperata ricerca di amore e affetto.
Le dissi quasi rimproverandola, lei mi sorrise.
Buttammo le briciole a terra e demmo i torsoli ai maiali. La carta fu bruciata dai dipendenti e dal loro accendino.
-Allora lo volete 'sto passaggio o no?
Domandò infine il primo ragazzo con cui avevamo parlato. Se solo i due si fossero presentati, tempo fa, ora non dovrei ripetere sempre “quei ragazzi, dipendenti ecc.” ma purtroppo non lo fecero.
Alla fine accettammo questo passaggio, con un po' di timore, ma non accadde nulla e arrivammo davanti scuola per l'ora di pranzo.
-Scott!
Esclamai correndogli intorno e abbracciandolo, lui ricambiò con molta freddezza, non perché fosse arrabbiato ma perché non riceveva molti abbracci.

 

-Dawn!
Esclamò entusiasta.
-Ma puzzi di...ehm.
Mi disse imbarazzato, lo bloccai e gli raccontai tutto ciò che era accaduto, Zoey si intromise.
-Hai visto Mike, per caso?
-Era in classe seduto accanto a Charlotte, l'altra gemella invece era seduto al tuo posto, Dawn. Non puoi capire, lei e Dakota sono state sgridate tutto il giorno, sono diventate subito amiche.
Disse ridacchiando.
-Scusa, ma com'erano i capelli di Mike?
Domandò Zoey, lui si strinse nelle spalle.
-Come li tiene di solito.
Rispose con semplicità.
-E ora dov'è Dakota?
Domandai, avevo una brutta sensazione. Lui si strinse di nuovo nelle spalle.
-Vado a cercare Mike.
Disse Zoey, i miei tentativi di fermarla furono inutili: si era già precipitata nella folla di studenti fuori scuola.
Io e Scott ci sedemmo sopra una panchina, era un posto troppo popolato, ma non mi importava molto.
-Riguardo a ciò che è successo l'altra sera...
Dissi abbassando lo sguardo.
-Sì, sei arrabbiata, lo so.
Rispose agitando una mano.
-Io volevo dirti che...
Presi un respiro, poi gli presi il viso con le mie mani e poggiai le mie labbra sulle sue. Questa volta la sua lingua entrò nella mia bocca e mi lasciai trasportare da lui, abbandonando le mie inibizioni e la mia inesperienza.
Chiusi gli occhi ignorando gli sguardi incuriositi della folla, poi dopo qualche minuto mi staccai.
Lui era rosso come un peperone, come i suoi capelli, io non ero da meno.
Ridacchiavo, non sapevo nemmeno io il perché. Sierra, una ragazza di scuola, ci fece addirittura una foto per il blog della scuola creato da lei stessa, accettammo con qualche timore.
-Scott, devo andare al parco.
Gli dissi poi, interrompendolo mentre mi parlava di argomenti poco interessanti.
-Perché?
Domandò con poco interesse.
-Ho la sensazione che Dakota sia nei guai.
Dissi alzandomi, lui fece lo stesso e mi prese la mano.
-Vengo con te, andiamo.
Mi diede un altro bacio, poi iniziai a correre verso il parco, lasciando la sua mano. Ero stanca per via della strana giornata avuta ma allo stesso tempo mi sentivo carica per il bacio avvenuto poco prima.
Stavolta avrei fermato quelle due tiranne e avrei scoperto che cosa le spingeva a commettere certe cose, quanto è vero che mi chiamo Dawn Molly Medrek.

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Capitolo 9
*** Capitolo 9: A Casa delle Gemelle. ***


Capitolo 9:

 

Vestitino rosa decisamente poco adatto ad una giornata scolastica, capelli come al solito eleganti e cellulare in mano: Dakota era seduta su una panchina e probabilmente stava dedicandosi alla sua età preferita, accanto a lei c'era un imbarazzato Sam che cercava di dirle qualcosa-dato che alzava spesso il dito e apriva la bocca- ma alla fine non diceva nulla per il troppo imbarazzo, lei sembrava non notarlo nemmeno, o almeno questo voleva far credere: quando lui si girava, come fece quando ci vide arrivare di corsa, lei gli lanciava dei sorrisi pazzeschi.
-Ehi ragazzi.
Ci salutò alzando la mano, Dakota fece lo stesso, senza staccare gli occhi dal dispositivo.
-Dakota!
Lei alzò lo sguardo dal cellulare e mi guardò inarcando un sopracciglio.
-Dawn?
La sua voce sembrava normale.
-Ti senti bene?
Mi domandò notando il mio sguardo perplesso rivolto verso di lei: le stavo analizzando l'aura, in particolare andavo a ricercare quel ricordo che mi aveva fatto capire il motivo del suo caratteraccio; lo trovai, nei meandri più nascosti della sua mente, ma c'era.
Quella visione era straziante, ma ero anche sollevata che le gemelline non avessero attuato il loro piano di scambio con Dakota.
-Ehi amichetta.
I miei pensieri furono interrotti da un'allegra Charlotte che giocherellava con i suoi capelli e che sgranò lo sguardo vedendo il mio sguardo accigliato.
Dietro di lei c'era sua sorella, teneva la mano di Mike, Zoey invece li osservava in disparte.
-Zoey.
La chiamai, lei si avvicinò ma non disse nulla.
-Da quando ti piacciono le ragazze blu elettrico? Non eri per le cose naturali?
Domandò Scott con un sorrisetto. Lui lo guardò male e diede un bacio sulla guancia della sua ragazza, potevo sentire l'aura di Zoey ribollire di rabbia, ma accidenti se la rossa era brava a nascondere le sue emozioni: in viso aveva un'espressione calma, diversa da quella che aveva avuto avvicinandosi a me poco prima.
Ci fu un silenzio imbarazzante, interrotto proprio dall'arrabbiatissima Zoey.
-Qualcuno vuole parlare di ciò che è successo ieri? Eh Charlotte?
La gemellina dall'aria dolce smise di giocherellare con i capelli e ridacchiò.
-Cosa ho fatto ieri?
-Mh, forse farci perdere nel bosco e minacciarci con un coltello?
Continuò la rossa, non sapevo a cosa fosse dovuto questa carica di rabbia, o forse sì: a ogni bacio che si scambiavano Mike e Tina, la rabbia e il rosso della sua aura crescevano. Era questa la ragione.
-Ma...
Zoey la interruppe.
-O di come hai rapito me e Mike?
La gemella si coprì la bocca con le mani e sgranò gli occhi.
-Io...io vi voglio bene, non farei queste cose. Tu mi credi Dakota?
La bionda fece di no con la testa, continuando a sorridere.
-Ti ho vista mentre trasportavi qualcosa, qualche sera fa.
-Ma non è vero! Mi avrai confusa con qualcun'altra.
Continuò, lei si strinse nelle spalle e continuò a chattare.
Non vidi nemmeno partire lo schiaffo, rimasi solamente a bocca aperta vedendo il cellulare di Dakota schiantarsi a terra con un crash e la mano di Charlotte ancora tesa. Accadde tutto in breve tempo, la bionda si mise in ginocchio e iniziò a raccogliere i vari pezzi dello smartphone, cercando di ricomporlo.

 

-Non eri quella gentile tu?
Domandò Zoey, Charlotte si strinse nelle spalle.
-Non sarebbe carino parlarne in privato?
Domandò la gemella, intorno a noi c'erano solamente gli sguardi degli studenti e dei genitori, ci sentivamo tutti a disagio.
Nonostante nessuno di noi avesse il coraggio di andare a casa delle gemelle, riuscii a convincere me stessa e gli altri: con la scusa sarei riuscita a farmi confessare il motivo dei loro atteggiamenti e magari le avrei potuto aiutare ad integrarsi nella società, un po' come stavo facendo con Scott. Magari senza baci e fidanzamenti.
Le gemelle si scambiarono un ghigno malefico poi attraversammo tutti quanti il parco, tappandoci le orecchie per non sentire le lagne che Dakota stava facendo per il suo cellulare distrutto, che cosa immatura: suo padre glielo avrebbe ricomprato subito.
Tornammo nella strada che dava sul vicolo dove le gemelle avevano azionato la loro trappola, esso era disposto tra due file di case a schiera di colore rosso.
Tina aprì il cancelletto con una chiave color rame e poi aperse la porta, il colore era nero e c'era un cartellino di color arancione ramato, su di esso era inciso il numero civico.
Essendo una casa a schiera, non era molto grande, ma neanche tanto piccola.
-Andate in salone a sedervi.
Ci disse Charlotte con un sorriso molto probabilmente dei più falsi che avesse mai fatto, lei e sua sorella andarono in cucina e le sentii armeggiare con qualcosa: ci stavamo preparando qualcosa.
-So che avete fame, ma per il pranzo dovrete aspettare mamma.
Continuò la gemella dall'aspetto dolce.
-Perché non cucinate voi?
Domandò ingenuamente Sam.
Stavolta fu Tina a parlare, la sua voce era bassa.
-Non ci è permesso accendere il fuoco: mamma ha paura che bruciamo tutto, poi.
Il nostro sguardo attraversò utta la stanza e notammo alcuni post-it appesi in giro per la casa, ad esempio sul caminetto c'era di non usarlo, sulla libreria c'era scritto di prendere solamente i libri in basso-che tra l'altro erano libri per bambini- e di aspettare la mamma per prendere quelli in alto.
Mi alzai e mi avvicinai alla porta della cucina, non stavano mettendo su del tè o del caffè, stavamo versando l'acqua nei bicchieri e anche con estrema lentezza, su un vassoio erano disposti diversi biscotti e accanto ad essi, sulla tovaglia, c'era un pacchetto aperto.
Notai che in tutta la cucina erano sparsi post-it di raccomandazione: non accendete il fuoco, mamma mi vuole bene. Potete prendere solo i cucchiai, i coltelli sono pericolosi per voi e per chi vi sta intorno-anche se avevo qualche dubbio che avessero rispettato questa regola-. Sul frigo c'era scritto che non potevano aprirlo senza la supervisione di qualcuno; avevano una mamma davvero protettiva, questo era troppo: avevano sedici anni e sapevano badare a loro stesse, anche se ancora non avevo capito il motivo di quei post-it.
Tina si voltò verso di me, in mano teneva il vassoio con i biscotti e abbozzò un sorriso vedendomi, io arrossii e tornai a sedermi sul divano.
-Ora possiamo parlare.
Disse Charlotte prendendo un biscotto e spezzandolo a metà, dando l'altra a sua sorella.
-Si può sapere cosa vi...
Interruppi Zoey.
-Come mai tutte queste richieste d'attenzione?
Domandai, la cosa mi interessava di più, al momento.
-Mamma ha paura che possa succederci qualcosa, siamo un po' sbadate.
Ammise Charlotte mettendosi una mano dietro la testa e ridacchiando. Ero alquanto confusa.
-Ma avete sedici anni, per Dio. Se vostra madre fosse impegnata e facesse tardi, cosa fareste? Come i cani? Aspettereste il suo ritorno per mangiare?
Scott sapeva essere alquanto indelicato, ma alla fine era un po' quello che volevo sapere anche io.

 

-E' capitato molte volte: mamma è impegnata con un signore, a volte vengono anche qui e lei non ha tempo per cucinare e ci fa quei panini asciutti. Fanno un po' schifo, ma noi non le disobbediamo mai.
Sembrava di avere davanti una bambina piccola, la vocina di Charlotte era qualcosa di dolce e smielato, non capivo se lo facesse apposta.
-Ma vostra madre non vuole che prendete i coltelli, eppure l'altra volta hai minacciato me e Zoey, e avevi anche una pistola.
Stavolta fui io a parlare, Charlotte sgranò gli occhi.
-Be' ma mamma non lo sa, è come se non l'avessimo tradita. Tu non dirglielo, o ci metterà in punizione.
Nessuno sapeva cosa dire.
-Be' carina, la tinta ai capelli fa perdere i capelli, questo tua madre non te lo ha insegnato? E a te non ha insegnato a non rompere cellulari altrui?!
Lo sguardo di Dakota passava da Tina a Charlotte ed era severo, loro non si scomposero.
-Lo sappiamo, infatti questa è una parrucca. Me l'ha comprata per non sentirmi urlare.
Tina stava iniziando a mettermi ansia: sempre sulle sue, in silenzio, guardava e ascoltava, nient'altro.
-Lo so, ma a volte ho questi attacchi. Ma non dirlo a mamma, ci punirà.
Stava praticamente implorando Dakota.
-E io rivoglio i soldi!
Sbraitò lei.
-Ma ne hai quanti ne vuoi.
Rispose calma Tina.
-E' una questione di rispetto.
Affermò lei chiudendo gli occhi e mettendosi a braccia conserte.
-Charlotte, Tina, seriamente: come mai ci trattate così?
Domandò Zoey con calma.
-Sapete, nostra madre ci ha sempre detto che siamo un fallimento e che non ha abortito perché le dispiaceva. Eppure c'è qualcosa in cui siamo sempre state brave: camuffarci e imitare gli altri.
Questa cosa dell'imitare gli altri mi ricordò qualcosa, forse stavo iniziando a capire.
“Il carcere di Toronto tiene ad avvisare che due pericolosissimi criminali sono evasi di prigione. I soggetti soffrono di turbe mentali molto gravi, ma allo stesso tempo dotati di grande agilità, furbizia e un'ampia gamma di abiti per mascherarsi nella gente più comune.”
Era ciò che aveva detto il telecronista qualche giorno fa, parlava di due criminali in grado di mimetizzarsi tra la gente.
Eppure se le criminali erano evase dal primo giorno di scuola, noi come siamo stati avvisati dopo?
Agilità e furbizia: entrambe le gemelle erano molto astute, e nonostante Tina e Charlotte-specialmente lei- sembravano stupide, in realtà c'era molto di loro che non conoscevamo.
Entrambe hanno un passato oscuro alle spalle, si capisce già da ciò che aveva detto Charlotte: la madre che le maltrattava, o che forse continua a farlo tutt'ora.
C'era molto da scoprire e potevo arrivarci io tramite qualche domanda, senza cadere però nell'ovvio e nel banale.
Ascoltai il racconto della gemella timida, Charlotte, parlava di loro padre, che era sposato e aveva due figli, della madre che aveva un posto di lavoro prestigioso all'interno del nostro stesso edificio e del fatto che fosse iperprotettiva con loro per paura di danneggiare prima sé stessa e poi loro.
Provai a chiederle di andare oltre, ma un'occhiataccia da parte della sorella le fece dire solamente: “Mamma non ci autorizza a dire molto.”
Era terribile: provavo solamente pena per queste due.
Ripensai al discorso dell'uomo del TG, aveva parlato di turbe mentali, ma Charlotte e Tina sono persone intelligenti, i loro camuffamenti erano tra i migliori, riuscivano ad imitare alla perfezione anche i ragazzi o ragazze di fisionomia diversa dalla loro.
Udimmo un auto parcheggiare nel vialetto e le gemelle sussultare.

 

Tina si affacciò dalla finestra e quando si voltò era più bianca di prima, strinse forte la mano di sua sorella.
-Sta arrivando mamma. Mamma non vuole amici in casa: dice che sono pericolosi. Andate nello sgabuzzino, luci spente e in silenzio. Ah, tenete questi.
Tina ci passò i nostri telefoni cellulari, poi congedò Mike con un bacio sulla guancia e ci ritrovammo tutti quanti chiusi a chiave all'interno della stanza.
Iniziavo ad avere la claustrofobia e ad avere paura del buio, strinsi forte la mano di Scott, poi tesi l'orecchio udendo la chiave girare.
-Sono tornata!
La voce era familiare, troppo familiare. Posto prestigioso nella scuola? Avevo capito quale, ma sinceramente non mi sarei mai aspettata che fossero le figlie di una persona di rilievo.
-Mamma, siamo qui.
Sembrava di avere davanti due robot: ripetevano le stesse cose, nello stesso istante e con lo stesso tono.
Ovviamente non lo erano, era solo un'impressione.
I miei occhi si irritarono quando Zoey mi puntò la torcia del suo cellulare in faccia, ma non dissi nulla.
La vidi rovistare dentro gli scatoloni e perlustrare gli scaffali, poi prese un foglio, ma lo accortocciò poco dopo.
Il foglio di carta volò davanti ai piedi di Scott, lo afferrò e lo illuminò con la torcia del suo telefono e sgranò gli occhi, aumentando la presa sulla mia mano. 

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Capitolo 10
*** Capitolo 10: Scoperte. ***


Capitolo 10:

 

Il buio ci impediva di vedere, era interrotto dalle fette di luce prodotte dai cellulari di Zoey e Scott, puntati rispettivamente in giro per la stanza e sul foglio di carta.
Vidi Scott mordersi il labbro grazie alla luce che arrivava sul suo viso e sentii la presa sulla mia mano aumentare, come se volesse strapparmela, feci un gemito di dolore.
-Dawn...
Mi sussurrò, probabilmente sia per non farsi sentire dalla madre di Charlotte e Tina e sia per il dispiacere che gli ha arrecato leggere il foglio.
Gli feci cenno col capo per invitarlo a parlare, ma probabilmente non lo notò a causa del buio: la sua torcia si era spenta e quella di Zoey era puntata contro tutt'altra parte.
-Che c'è?
Sussurrai di rimando, l'orecchio teso a cogliere ogni minimo rumore che potesse provenire dalla stanza esterna. Accese di nuovo la torcia e illuminò il foglio di carta scritto in mano.
C'era un titolo scritto in rosso, il resto era scritto a mano e in colore nero, la calligrafia era in corsivo e molto elegante: sembrava scritta a computer.

In fondo c'era tre spazi dedicati alle firme: era un atto di proprietà e una delle firme era quella del proprietario della terra/proprietà da vendere, l'altra dell'acquirente e una del notaio.
Lessi con attenzione le firme, una era scritta abbastanza male ed era di un certo signor Wallis, l'altra di una certa signora O'Halloran, conosciuta comunemente come Blaineley.
In questo atto, il padre di Scott cedeva alla docente di inglese della nostra scuola, tutte le proprietà in suo possesso, tra cui la fattoria.
-Perché proprio a lei? Perché senza dirmi niente?
Continuò a sussurrare tra le lacrime, gli strinsi la mano cercando di calmarlo.
Il mio sguardo guizzò su Zoey, impegnata a ispezionare un ritratto impolverato.
Si avvicinò a me illuminò il ritratto con la torcia del telefono, passai un dito sullo spesso strato di polvere e mi pulii sulla camicia, l'altra mano continuava a stringere quella di Scott, che teneva lo sguardo basso.
Nella foto c'era una famiglia, un classico ritratto di famiglia.
Il primo a sinistra era un uomo barbuto, i capelli sembravano sporchi e gli occhi erano celesti. Non sembrava particolarmente alto ed era in carne. Indossava una camicia a quadri rossi e blu, si intravedevano dei jeans consumati. La sua mano era grossa e le nocche pelose, stava poggiata sulla spalla di una bambina, lo sguardo dritto verso l'obbiettivo e il sorriso praticamente assente.
I capelli erano castani e legati a treccia, gli occhi erano celesti. Indossava una maglietta fucsia e si vedeva una cinta nera.
Accanto a lei c'era una bambina con i capelli neri, la pelle pallida e gli occhi celesti. Aveva una maglia verde con un orsetto di peluche ricamato, in mano ne stringeva uno reale.
Sopra la sua spalla c'era una mano smaltata che apparteneva ad una donna: i suoi capelli erano biondo scuro, gli occhi celesti e indossava un abito rosa confetto coordinato ai vari gioielli che indossava.
Erano il padre di Scott, Charlotte, Tina e la professoressa Mildred-o Blaineley, per gli amici-.
Notai che sulla cornice c'era intagliata la scritta “Perfect Family”.
La cosa era strana, a tratti inquietante. Necessitavamo tutti dei chiarimenti, solo per curiosità. A parte Scott, a lui erano dovuti quei chiarimenti: si parlava pur di sempre di suo padre, il suo odiato padre.
In quell'istante, avvertii un'energia negativa diffondersi nella stanza quasi quanto si diffondeva l'odore di lacca per capelli che Anne Maria si spruzzava in classe. Quest'energia, almeno da quanto vedevo, era di colori rosso e nero.
In quel preciso istante, Mike aprii bocca.
-E così hai due madri, eh?
Domandò rivolto a Scott, il tono era provocatorio e c'era solo voglia di litigare.
Scott non rispose, lo fulminò con lo sguardo e basta.

 

-Parlo con te!
Esclamò Mike, le braccia conserte e la testa pronta ad indicare Scott con un cenno del capo e la voce normale, a volte anche più alta del dovuto.
Inarcai un sopracciglio, sorpresa, poi strinsi la mano di Scott infondendogli tutta la mia positività.
-Stai zitto.
Ringhiò Scott a denti stretti. Quattro.
-Altrimenti?
Continuò Mike, ridacchiando.
-Ragazzi calmatevi, dai.
Sam si era messo in mezzo ai due pronto a dividerli, il suo sguardo incrociava quello di Mike. Tre.
-Altrimenti ti prendo a pugni.
Continuò Scott. La sua rabbia era piu forte della mia calma, e vorrei ben vedere. Due.
-Non ne hai il coraggio. Anche perché se poi ti facessi male, andresti a piangere dalla mamma. Hai anche l'imbarazzo della scelta.
Gli occhi di Scott diventarono rossi quasi quanto i suoi capelli. Uno.
-Mike, piantala subito!
Lo rimproverò Zoey, probabilmente dimenticandosi del disturbo di Mike. Zero.
Non lo vidi nemmeno partire, vidi solamente Sam che ruzzolava ai piedi di Dakota e Scott affondare un pugno sul viso di Mike, facendolo cadere a terra. Continuò a percuoterlo sul viso, Zoey e Dakota iniziarono a gridare, io e Sam tirammo rispettivamente Scott e Mike dalle magliette e da sotto Scott-che bello saper descrivere certe parti-, ma era tutto inutile: il mio ragazzo era molto resistente, e per avere maggiore comodità, smise di percuotere Mike e mi prese la mano, poi mi spintonò via, contro uno scaffale.
Mi caddero contro scatole, souvenir e soprammobili di ogni tipo, il fracasso che si era creato era pari a quello che avrebbero fatto dieci elefanti urlanti inseguiti dai topi, quindi potete immaginare quanto fosse gradevole e “silenzioso”.
Di certo questa è la definizione perfetta di “basso profilo”.
Non seppi cosa fecero Mike e Scott in quel momento, non ero svenuta, ma mi sentivo molto debole.
Sentii la porta aprirsi, probabilmente Blaineley era stata attirata dal fracasso prodotto da tutti noi e si era spaventata.
La immaginavo già con il suo abitino di qualche colore uguale a quello dei suoi gioielli che brandiva un coltello totalmente spaventata.
-Cosa ci fate voi qui?!
Gridò spaventata, be', almeno sul suo umore c'ero andata vicina.
-Ci scusi professoressa...
Sussurrò Zoey imbarazzata.
-Scusarvi? Vi siete nascosti nel mio sgabuzzino e mi avete distrutto tutto!
Ringhiò la donna.
-Il fatto, professoressa è che...
Dakota interruppe Zoey.
-Il fatto è che le sue bambine predilette hanno distrutto il mio telefono e siamo venuti qui per il risarcimento.
Che bella scusa: una massa di studenti per il risarcimento di una persona sola. Brava Dakota.
-Certo, così se non ve lo avrebbero dato avreste picchiato le mie bambine?!
Alzò la voce, udii un coro di “no”, “assolutamente no” ecc.
-Primo, secondo poi hai tanti soldi e tanti telefoni.
Continuò calma la professoressa.
-Non è questo il punto! E comunque ai miei followers di twitter ho scritto di scrivermi su uno dei miei tre iphones di riserva.
Alla faccia.
-Ora uscite, e vi ritroverete con una media in inglese da far paura, letteralmente!

 

In qualche modo ero contenta di essere stata sepolta sotto i cimeli della famiglia Wallis/O'Halloran: mi ero risparmiata un'insufficienza e la sgridata della prof.
Ovviamente ci avevo guadagnato una bella botta in testa e il fatto che stavo per svenire, io e la mia fortuna.
Udii Scott dire qualcosa tipo “aspetti prof”, ma lei fu irremovibile e li cacciò tutti, abbandonandomi sotto i soprammobili.
-Riguardo a voi, piccole mocciose, ripulite tutto. A voi penserò una volta finito.
Udii la porta chiudersi con poca grazia e vidi la luce penetrare tra le fessure.
Volevo chiudere gli occhi, ma il discorso preso da Charlotte mi convinse a restare sveglia.
-Io non ne posso più di quella.
Sussurrò alla sorella, probabilmente nel frattempo stavano togliendo le scatole.
-Basta Charlotte.
Le rispose Tina con tono triste, la voce rotta dalle lacrime.
-Basta? Ci hanno mandate addirittura nel carcere di massima sicurezza di Toronto, ti rendi conto?!
Anche la sua voce era triste.
-Abbiamo ucciso...
Rispose Tina.
Incredibile come le apparenze potessero ingannare: Charlotte sembrava la più fragile, quella timida e vittima di scherzi e torture, Tina il contrario. Probabilmente mi sbagliavo, eppure il mio sesto senso...
-Abbiamo ucciso, ok, ma non ci hanno mai volute. Sempre con questa scusa dei “Disturbi Mentali”.
-Forse hanno ragione, magari abbiamo davvero qualcosa che non va...Come le spieghi tutte le avvertenze che ci dà la mamma? Non toccate questo, non fate quest'altro, nessuno può venire in casa.
Tina continuava a sussurrare e a parlare con voce triste.
-Noi siamo sanissime! E' mamma che ha qualcosa che non va.
Sbottò Charlotte, la immaginavo con i pugni stretti.
-E che pensi di fare?
Domandò Tina.
In quel momento Charlotte sollevò la scatola che copriva il mio viso e vidi un ghigno formarsi sul suo volto.
Perché avevo una brutta situazione?
-E riguardo all'omicidio, gli abbiamo fatto anche un favore.
Charlotte si voltò verso di me e il suo viso adirato si trasformò in una smorfia di terrore, poi sospirò.
-Ecco dov'eri finita.
-Dobbiamo farla uscire.
Aggiunse Tina, che si era avvicinata. Le due spostarono le scatole e i cimeli, aiutandomi a rialzarmi.
Udimmo il rumore die tacchi avvicinarsi verso la porta, le due mi nascosero, appunto, dietro la porta. Pessima scelta.
Blaineley la spalancò come una furia, sbattendomela contro il naso e facendomelo sanguinare. Trattenni il dolore e la voglia di urlare.
-Io sto uscendo, guai a voi se quando torno non avete sistemato! Sappiate che siete in punizione per aver invitato gente in casa, specialmente quello Scott. Se ha scoperto tutto?!
Non riuscivo a capire se fosse arrabbiata, agitata o entrambe le cose.
-Scoprire cosa?
Domandò Tina con voce stanca.
-Come cosa?! Scoprire che ho una storia con suo padre, che voi siete le sue amate sorelline, che il padre ha venduto a me la fattoria e che a breve io la rivenderò e con il ricavato sapete cosa facciamo? Andiamo tutti e quattro via di qui. Vi ricordate o devo farvi un post-it?
Probabilmente Tina lo aveva chiesto a posta, era un modo gentile per farmi sapere la verità: non avvertivo tracce di dimenticanza in lei.

 

-E Scott?
Domandò Charlotte.
-Scott, come vi ho già detto, resterà con la madre e con la sorellina che volevate uccidere e far saltare in aria per puro svago. Anzi, dato nemmeno, dato che poi potrebbero denunciare il mio tesoruccio per i maltrattamenti che ha inferto alla moglie, uccideremo anche quelle due streghe e quel contadino del figlio.
Non so nemmeno da dove mi fosse uscita tutta quella rabbia, seppi solamente che calciai la porta e guardai male Blaineley, che invece mi guardava in modo schifato per via del sangue secco sul naso.
-Voi due...
Sussurrò la prof rivolta alle figlie, puntando contro di loro un indice accusatorio.
-No. Lei. Mi fa schifo.
Sussurrai mettendomi davanti alle due gemelle.
-Certo biondina, peccato che ora il numero di testimoni da uccidere sia aumentato.
Mi rispose con una naturalezza che mi fece rabbrividire.
Si voltò.
-Ciao ciao.
Cantilenò, poi uscì e aprì la porta principale, chiudendola con pochissima delicatezza.
Mi ero cacciata in un guaio, non potevo stare zitta?
Dovevo avvisare Scott, e anche in fretta.
-Ti accompagniamo noi.
Disse Charlotte, io annuii.
L'auto di Blaineley si allontanò a grande velocità, noi uscimmo da casa in quel preciso istante e andammo nel vicolo dove le ragazze avevano pensato il loro primo inganno, poi riconobbi che la stanza dove eravamo state non era altro che il ripostiglio dove giacevano Scott, Mike e Zoey.
Parcheggiato infondo al vicolo, c'erano due motorini.
-Vostra madre vi lascia guidare?
Domandai inarcando un sopracciglio.
-No. Ma come credi che ci fossimo arrivate a casa di Scott?
Tina salì sul motorino, io mi misi dietro di lei e strinsi forte la sua vita. Le due partirono a gran velocità, non avevo nemmeno il caso e i capelli svolazzavano in libertà: era come essere a bordo di un cavallo motorizzato e più pericoloso.
Attraversammo il parco, non c'era nessun volto familiare, o meglio, il volto familiare di Scott.
Probabilmente stava tornando a casa sua, quindi sussurrai a Tina di andare verso le campagne.
Era una corsa contro il tempo, dovevamo avvertire Scott e mettere in salvo lui, sua madre e sua sorella, e dovevamo sbrigarci.  

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