In every universe, it's gonna happen

di steffirah
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Day 1 - Comfort ***
Capitolo 2: *** Day 2 - Firsts (Date, dance, kiss...) ***
Capitolo 3: *** Day 3 - Breaking the rules ***
Capitolo 4: *** Day 4 - Cherish ***
Capitolo 5: *** Day 5 - Bedridden ***
Capitolo 6: *** Day 6 - Flames and flowers ***
Capitolo 7: *** Day 7 - Secret ***



Capitolo 1
*** Day 1 - Comfort ***


1

 
Un'altra battaglia vinta. Ma stavolta ho esagerato. Ho lasciato che le fiamme prendessero il controllo su di me. Come ho potuto permettere che accadesse? Avevo promesso a Yukio di farcela con le mie sole forze, di impegnarmi, di usare la testa, proprio perché desidero diventare un Paladin... E voglio farlo come essere umano, non come "figlio di Satana".
Frustrato, arrabbiato con me stesso, vado via. Stringo i pugni, mi mordo le labbra. Invisibili lacrime mi pizzicano gli occhi. Impreco. Dannazione! Avrei potuto ferirli. Avrei potuto fare loro del male, nel peggiore dei casi ucciderli. Non me lo sarei mai perdonato.
«Rin...»
Ignoro Kuro. Sento il suo tono preoccupato per me, ma non voglio ascoltarlo. Non desideravo mi vedesse esplodere in quel modo. Nessuno avrebbe dovuto vedermi prossimo alla trasformazione... Eppure quando si trattava di mio padre non capivo più nulla. Quando ferivano i miei compagni perdevo la ragione. Che problema ho? Ormai ero sicuro di riuscire a controllarmi.
«Rin!» Un'altra voce, più dolce e cristallina. Shiemi...
Alzo la testa di poco, la guardo. Il suo viso corrucciato, una ruga di preoccupazione le solca la fronte.
«Che ci fai qui?» Mi rendo conto di quanto possa suonare roca la mia voce alle sue orecchie. Era come se fossi stato muto per anni.
«Desideravo parlarti.» Pronuncia queste semplici parole, poi si siede accanto a me.
Temo che da un momento all'altro possa cadere dal tetto - il vento qui soffia fortissimo - e dalla mia posizione irrigidita e composta mi sciolgo, pronto ad afferrarla nel caso sfortunato in cui fosse accaduto. Ormai mi stavo quasi rassegnando all'idea che ero destinato a tutte le cose brutte di questo mondo. Chi mi stava accanto si faceva del male, ed era per questo che...
«Non dovresti essere qui.»
«Lo so.» Sospira, senza guardarmi. Il suo viso è nascosto dalle corte ciocche di capelli che il vento non fa altro che spettinare. La vedo, eppure sembra evanescente. «Rin, riguardo a prima...»
Ci siamo. Me lo dirà anche lei. Che sono un mostro, un demone, che devo sparire dalla faccia della terra. Mi sento morire. Trattengo il fiato. Se persino lei comincerà ad odiarmi sarò finito.
Si volta nella mia direzione. Sorprendentemente mi sorride. «Volevo ringraziarti.»
Fisso le sue guance rosee, i suoi occhi tristi ma sinceri, gli angoli delle sue labbra piegati all'insù.
«Per-per cosa?» La guardo confuso. Non era quello che mi aspettavo.
Il suo sorriso si fa più grande, stavolta coinvolge anche i suoi occhioni verdi.
«Per avermi salvata. Non è la prima volta che lo fai, e mi dispiace dipendere così tanto da te. Vorrei essere più forte per riuscire a cavarmela da sola, ma a quanto pare non ne sarò mai in grado. O perlomeno, mi sembra un obiettivo ancora lontano da raggiungere.»
Cerco di fare mente locale. Quando sarei corso in suo aiuto? Le altre volte le ricordavo, ma di oggi... Tutto quello che è successo oggi pomeriggio è sfociato in tabula rasa. Cerco nella mia mente almeno un brandello di ricordi, un qualcosa di importante che potrebbe collegarmi a lei. Ma niente. Assolutamente nulla. L'oscurità totale, rabbia e tormento avvolti in dannate fiamme azzurre.
«Shiemi, cosa stai dicendo? Non ho fatto niente per te, anzi. Ho esagerato. Ho perso il controllo. Non dovresti starmi accanto. Io non sono altro che un demone, un giorno finirei col farti male e non potrei mai perdonarmelo.»
«Non è vero! Rin, guardami. Non è vero.»
Faccio come dice, la guardo, anche se con riluttanza. Non sono fiero di me, del mio stato, delle mie misere condizioni, dei miei pensieri, dei miei sentimenti, del mio oscuro cuore. Desidero soltanto sparire.
«Tu non mi faresti mai del male.» La sua voce, come un’ancora di salvezza, attracca alla mia nave distrutta, cercando di non farla andare alla deriva.
Continuo a guardarla imbambolato, mentre mi si fa più vicina e mi abbraccia, stringendosi alla mia camicia ridotta a brandelli. Sporca di polvere e sangue. Deglutisco, cercando di ritrarmi, ma lei non mi lascia andare. Alza le sue chiare iridi su di me, e vedo calde lacrime impossessarsi di esse.
«Rin, tu sei una delle persone più gentili che conosca. Non sei senza scrupoli, né senza cuore. Tu non feriresti mai me, o Yuki-chan, o Suguro-kun, Shima-kun, Miwa-kun, Kamiki-san. Tu ci vuoi bene. Tu ci ami. E anche noi... Anche noi ti amiamo, Rin.»
Sciolgo l'abbraccio, trattenendo a stento le mie emozioni.
«Come puoi saperlo? Come puoi dirlo? Hai visto quello che ho fatto?! Sono esploso! Le mie fiamme vi hanno quasi uccisi tutti! Perché è questo che sono, Shiemi. Non sono la persona buona che pensi. Hai ragione, vi voglio bene, tengo tantissimo a tutti voi. Ed è per questo che per la vostra salvezza dovete allontanarvi da me. Anche tu Shiemi, devi starmi lontana.»
«No.» Il suo tono risoluto mi spiazza. Continua a piangere, ma dietro il velo d'acqua mi guarda con determinazione. «Non voglio starti lontana. Io voglio aiutarti. Come tu hai fatto tante volte per me. Voglio ricambiare la tua gentilezza, in un modo o nell'altro. E se tu mi caccerai con la forza, io tornerò. Non puoi tenermi lontana da te.»
Sento le mie guance riscaldarsi. Cosa sta succedendo? Com'è possibile mi dica queste cose? Lo pensa davvero?
Mi faccio indietro, ma lei si avvicina. È praticamente addosso a me. Il calore adesso avvolge tutto il mio corpo. Allarme rosso, la situazione sta degenerando. Il suo viso è vicinissimo al mio. Mi si annebbia la mente. Cavolo, cosa devo fare? Mi faccio ancora indietro, finendo con le spalle al muro. Lei mi blocca col suo corpo. Sono totalmente spaesato, non era mai successo prima. Fortuna che abbia indossato il kimono, altrimenti... Argh, i miei pensieri stanno deviando. Devo darmi una calmata.
Riprende il discorso, mi concentro sulle sue parole. «Rin, se io sono la persona di adesso è soltanto grazie a te. Ricordi il nostro primo incontro? Se tu non m'avessi sgridata non sarei mai riuscita ad allontanarmi dal giardino. Sarei sempre stata legata al ricordo di mia nonna, e questo mi avrebbe consumata. Probabilmente sarei morta, senza di te. Grazie a te sono riuscita a fare pace con mia madre. È soltanto grazie a te se mi sono iscritta al juku e ho deciso di intraprendere una carriera da esorcista. È grazie a te se sono riuscita a farmi degli amici. È grazie a te, al tuo coraggio, alla tua forza, al tuo altruismo per i quali ti ho sempre ammirato se oggi sono qui, a parlarti. Mi sono sempre sforzata di raggiungerti e non permetterò proprio adesso che sia tu a cacciarmi via. A meno che tu non mi consideri una scocciatura, allora non potrò oppormi.»
«Non potrei mai -»
«Il mio intento adesso è quello di consolarti. Di farti stare meglio perché non è giusto che tu ti butta giù così, incolpandoti di tutto. Forse non te ne sei reso conto, la tua mente era annebbiata, però sappi che ti siamo tutti grati. Le tue fiamme non hanno salvato solo me, ma anche gli altri . I demoni erano troppi, non saremmo mai riusciti a farcela con le nostre sole forze. Quindi grazie Rin, per essere quello che sei.»
Mi abbraccia nuovamente, rilassata, senza alcuna traccia di paura. Come può essere così buona, gentile, altruista?
Istintivamente la stringo a me, quasi desiderando di non lasciarla più andare. Ma chi voglio prendere in giro? Ho bisogno di Shiemi, così come ho bisogno di mio fratello e dei miei compagni. Se restassi da solo, se li allontanassi tutti, non farei altro che fare il gioco di Satana.
Sorrido tra me, rilassandomi tra le sue braccia. Affondo il viso nei suoi morbidi capelli e sussurro: «Hai ragione.»
«Eh?» Sobbalza tra le mie mani, allontanandosi per guardarmi con gli occhi spalancati.
Ridacchio intenerito dalla sua reazione.
«Ho bisogno di voi. Ho bisogno di te.»
Ricomincia a piangere e io non capisco cosa ho detto di male. Ma lei scuote la testa, spiegandomi che è felice. Le sorrido dolcemente, sfiorandole una guancia, asciugandole le lacrime.
«Grazie Shiemi per essere giunta fin quassù. Non deve essere stato facile arrampicarti.»
«Sono venuta con la chiave, attraverso quella porta.», mi rivela indicando una porticina poco più giù rispetto alla nostra posizione. «Non sono agile quanto te.»
«No, ma comunque grazie per esserti avventurata di notte, su un tetto, in balia del vento, solo per me.»
«Un... Tetto?» La vedo impallidire. Non mi dire che non se n'era accorta? «Perché sei venuto qui? Avevi intenzione di suicidarti?!», mi rimprovera, sembrandomi l'ansia fatta persona.
La guardo senza parole, poi esplodo on una fragorosa risata. Suicidarmi? Io? Che idea ridicola.
«Ridi pure, guarda che ero molto preoccupata. Sei scappato via senza dirci una parola.»
Mi rendo conto di quanto trovi il suo broncio adorabile. Perdo un battito, mi limito a sorriderle rassicurante e al contempo pentito. Non avrei mai voluto farla soffrire. Immagino tutte le fisime si sia fatta venendo qui, e tutte quelle che si starà continuando a creare in questo momento di silenzio. Sono agitato. Devo parlarle. Devo dirle qualunque cosa, portandola su un argomento leggero. Poi mi viene un'idea. Mi alzo in una sola mossa.
«Shiemi, posso farti una domanda?»
«Certo.», risponde, facendo per alzarsi. La aiuto rendendomi conto di quanto possa essere un impaccio indossare il kimono e intanto le chiedo: «Come mi trovi?»
La vedo sussultare, il suo viso diventa tutto rosso. Mi chiedo cosa abbia potuto capire e mi affretto a spiegare: «Ah cioè... Intendo a scuola. O mentre combatto. Sembro almeno un po' figo?»
Le lascio le mani, grattandomi una guancia, guardando verso la città. Ma come mi è venuto in mente di chiederglielo? È così imbarazzante, soprattutto considerando che quella era una delle mie debolezze.
«Ma certo! Sei fighissimo Rin!»
La guardo sorpreso e lei annuisce energicamente, il suo tono serissimo. 
«Lo pensi davvero?», mi accerto.
«Davvero!», conferma, al che non riesco ad evitare un ghigno.
Aha! Shiemi mi considera un figo! Anzi fighissimo! Alla faccia tua, Yukio!
Mi riprendo in fretta, guardandola con occhi sinceri.
«Anche tu Shiemi, soprattutto ultimamente, sei diventata parecchio forte! Sappi che non è vero che sei quella che sei grazie a me. Ce l'hai fatta da sola. Quindi smettila di sottovalutarti, ok? Me lo prometti?»
Le scompiglio i capelli con una mano, lei arrossisce cercando di metterseli a posto.
«Ci... Ci proverò.»
«Brava!» Le sorrido incoraggiante, poi mi rendo finalmente conto di quanto si sia fatto tardi.
«Cavolo Shiemi! Devi dormire, è stata una giornata stancante! Mi scuso per averti tenuta sveglia.»
La prendo per mano e prima che possa ribellarsi utilizzo la chiave per raggiungere in fretta la sua stanza. La trascino praticamente verso il letto, costringendola a stendersi e a mettersi sotto le coperte.
«Non preoccuparti. Tanto ci vediamo domani.», la rassicuro.
Lei annuisce, speranzosa, e chiude gli occhi. Che ingrato, non m'ero neppure reso conto di quanto le sue palpebre fossero diventate pesanti. Ero totalmente preso da me stesso - non che io mi sentissi meno stanco, comunque. Le do un leggero bacio sulla fronte prima di allontanarmi.
«Buonanotte Rin.», mormora, al confine tra questo mondo e il regno dei sogni.
«Buonanotte.», le auguro a bassa voce, aprendo la porta e chiudendola alle mie spalle.
Mi ritrovo nella mia stanza. Noto che Yukio non c'è, ma un pezzo di carta bianca sulla scrivania attira la mia attenzione. Lo afferro, leggo che è da parte sua: un'altra missione. Storco le labbra, contrariato. Anche mio fratello ha il diritto di riposare, dovrebbero capirlo.
«Rin. Come ti senti?»
Kuro mi si avvicina, facendomi le fusa vicino alle caviglie. Mi abbasso per grattargli la testa.
«Meglio. Scusa per prima.»
«Non importa. Posso immaginare come ti sentivi.»
Gli sorrido e dopo averlo carezzato un po' mi preparo un bagno caldo. Comincio a spogliarmi, rendendomi conto di quanto facessi schifo. Sangue e polvere, che combinazione vincente! L'ideale per conquistare una ragazza. Avvampo davanti al mio stesso riflesso, rifugiandomi nella vasca. Che cosa avevo appena pensato? Non essere idiota, Rin! Sai che a Shiemi piace tuo fratello. Non è il caso di competere in amore. Finiresti solo col farti male.
Con un sospiro rassegnato mi sciacquo velocemente, per poi immergermi nell'acqua fino al naso. Faccio delle bollicine, stizzoso. Non è giusto forse, ma devo accettarlo. Shiemi non è un premio da vincere, sarà lei a scegliere l'uomo che desidera.
Apro gli occhi di scatto, sconvolto. Ma quindi io... Io sono innamorato di Shiemi?!




Angolino autrice:
Yoohoo! Eccomi tornata dopo tempo immemore con qualcosa di assurdo e impensabile. Un capitolo scritto al presente! Mi sembra ancora incredibile che ci sia riuscita, anche se la vera sfida sta nel narrare qualcosa in terza persona. Ho ancora molti passi da fare prima di poter migliorare. :S
Eeee dopo Tsubasa e Naruto, eccomi qui con AnE. Sì, mi piace variare, ma il problema sta nel fatto che ho troppe ship, troppi sogni, e troppo poco tempo per fantasticarci su in maniera cartacea (oh, credetemi, la mia fantasia vola...)
Ora, spero che dopo tutto questo almeno il capitolo sia di vostro gradimento. Altrimenti vi permetto di offendermi alla grande, haha
Tra l'altro, aspettatevi one-shot moooolto lunghe. ^_^'
Detto ciò, buona serata/nottata a tutti!

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Capitolo 2
*** Day 2 - Firsts (Date, dance, kiss...) ***


2


«Woaaah! È fantastico!», esclama Rin appiccicandosi con la faccia contro l'enorme vetro della vasca.
Resto in disparte a fissare gli abitanti degli abissi senza parole. Sono meravigliosi. Così ricchi di colori, dalle forme e le grandezze più svariate. Brillano sotto le luci bianche dell'acquario come fasci di arcobaleno. Per non parlare poi dei fiori marini! Gli anemoni, in cui vivono i pesci pagliaccio! Non li avevo mai visti di persona, soltanto in fotografia su un libro della nonna.
«Shiemi, avvicinati anche tu!», aggiunge su di giri, sorridendomi a trentadue denti, prendendomi la mano e tirandomi verso sé.
Mi lascio trasportare dal suo entusiasmo e lo ascolto mentre mi illustra le varie razze - o perlomeno, quelle di cui aveva sentito parlare. In cambio io gli parlo delle piante, sempre in maniera limitata, in base ai miei studi. Ciononostante, non appena ci imbattiamo in una specie ignota ci divertiamo a darvi un nome nuovo, paragonandola a qualcosa che già conosciamo.
«Guarda quella sorta di spugna! Non sembra una mongolfiera?», indico, poggiando il dito sul vetro, ticchettando.
«Vorrai scherzare! Un dirigibile piuttosto!»
«Un “mongibile”? O “dirilfiera”?», propongo sorridente e lui pare rifletterci su. Scruta la spugna più da vicino, al punto da offuscare il vetro col suo respiro.
«È senz'altro una dirilfiera.» Non appena pronuncia queste parole un pesce dalla grandezza del suo viso - se non mi sbaglio dovrebbe essere il pesce palla - si frappone a lui, impedendogli la visuale. Rin gli rivolge un'occhiataccia e si sposta su un lato, ma il pesce segue i suoi movimenti. Sembra quasi che voglia prenderlo in giro.
«Ohi.»
Rido divertita nel vederlo tanto irritato con un animaletto così dispettoso, quando poi mi accorgo che attorno al punto in cui tengo ancora posato il mio dito s'è formato un piccolo banco di pesciolini rossi e dorati.
«Wow...», sussurro, senza fiato.
Do dei leggeri colpetti al vetro e loro si spargono all'improvviso, per poi ritornare subito da me. Che carini.
«Rin, guarda cosa -» Lascio la frase a metà notando una piccola fiammella lampeggiare nei suoi occhi. Oh-oh.
«Rin, calmati.» Gli poso una mano sulla spalla, lui mi guarda estremamente irritato.
«Peggio per lui, tanto un giorno lo cucinerò.» Ghigna maleficamente, e in tutta risposta lo guardo bonaria.
«Non erano velenosi?», gli chiedo innocentemente.
«Al diavolo!», esclama, per poi guardarmi con un sorriso enorme. «Ti sta piacendo?»
«Un mondo! Grazie per avermi invitata.»
«No, grazie a te per aver accettato di venire qui con me.»
Mi prende per mano, pronto a proseguire.
«Allora? Continuiamo ad esplorare questo labirinto marino?»
«Dobbiamo ancora scoprire a che tipo di evento parteciperemo.», gli ricordo.
Riprendiamo a camminare e lui alza lo sguardo sui pesci tropicali che nuotano sopra le nostre teste.
«Mmh... Conoscendo Mephisto ci sarà sicuramente qualche manifesto super sfarzoso da queste parti o farà un annuncio in grande stile.»
«È probabile.» Ammetto la possibilità, tenendo lo sguardo fisso sulle vasche.
Dopo qualche istante di silenzio Rin attira la mia attenzione, la sua voce più bassa del normale.
«Neh, Shiemi?»
«Si?» Mi volto nella sua direzione, ma lui continua a fissare il soffitto d'acqua.
«Davvero non eri mai stata qui?»
Annuisco rumorosamente.
«Nessuno mi ci ha mai portata.»
«E cosa pensi?»
«Riguardo all'acquario?»
Mi fa un cenno affermativo con la testa.
«Mi sembra un altro mondo. Ho come l'impressione che a momenti potremo trasformarci tutti in sirene e tritoni e nuotare in mezzo a queste meraviglie.»
Lo vedo sorridere, un velo malinconico gli ottenebra il viso. Non riesco ad evitarmi di porgergli la stessa domanda, e la sua risposta mi ammutolisce.
«Pensavo che è tutto blu, esattamente come le mie fiamme. Eppure siamo circondati da acqua, e l'acqua spegne il fuoco, no? È quasi ironico trovarmi qui. D'altra parte, è come se mi sentissi un po' oppresso. Ma ciononostante...» Abbassa gli occhi su di me, sorridendomi dolcemente. Inavvertitamente stringe le mie dita tra le sue, quasi volesse rendersi più presente. I suoi occhi, tuttavia, celano ancora un briciolo di tristezza. «Ciononostante, essere circondato da così tante piante e animali mi fa pensare che è una fortuna essere qui con te. Così puoi distrarmi da queste idee negative e insegnarmi tante cose nuove!»
«E io sono felice di insegnartele.»
Ricambio la sua stretta, mentre lui aggiunge: «E poi molte di queste specie ti assomigliano.»
Il fatto che l'abbia detto proprio mentre passiamo davanti a una piovra gigante non è consolante.
«Mi stai paragonando a quella?», chiedo indicando la vasca alla sua destra e quando la vede sobbalza, la sua coda si rizza come quella di un gatto.
«Raccapricciante!» Viene attraversato da un brivido e poi mi guarda scioccato. «Come ti è venuto in mente? No, che schifo! Shiemi tu sei molto più carina, e dolce e sicuramente non viscida come quel mostro tentacolare, bleah!»
Ridacchio e lui mette il muso - intanto la sua coda torna al suo posto.
«Non ridere, sono serio.»
«Come può spaventarti un semplice animale?»
«Non mi spaventa, è soltanto disgustoso.», ribatte, affrettando il passo per allontanarci di lì.
Trattengo le risate per il suo bene, anche se mi sento scoppiare. Lui si volta e assottiglia gli occhi.
«So che stai per esplodere.»
Apro bocca ma al posto di una negazione esce fuori una fragorosa risata. Mi impegno per cercare di calmarmi, ma non sembro riuscirci. Rin tenta di richiamarmi all'ordine in quanto così attiriamo l'attenzione di tutti; per quanto la cosa mi imbarazzi non sono in grado di frenarmi. Spazientito mi si avvicina e mi stringe con forza tra le braccia, facendomi sprofondare col viso nel suo petto.
«Se non la smetti di deridermi ti soffoco.», mi minaccia, in tono sibilante.
Rabbrividisco, ma non per la paura. Provo ben altri sentimenti in questo momento. Adesso esiste soltanto il suo cuore che batte, fortissimo, accanto al mio viso. Esiste soltanto il calore che dalla sua pelle scoperta mi avvolge le guance. Le mie orecchie sembrano incendiarsi, e mi sento quasi svenire. Per evitare che accada prendo un bel respiro, ma si rivela essere una pessima idea: il suo odore, così inebriante, forte, penetrante, raggiunge le mie narici, mi perfora il cervello, facendomi girare la testa. È come restare chiusa in una stanza piena di fumo e fuoco, ma senza provare alcun tipo di sofferenza. È indescrivibilmente piacevole. Talmente piacevole da farmi quasi perdere i sensi.
«Ohi Shiemi, respira! Stavo scherzando, mica voglio soffocarti davvero?» Il suo tono allarmato mentre mi scuote per le spalle mi riporta alla realtà. Incontro quelle due sfere d'oceano e avvampo, divenendo più rossa d'una rosa Lincoln. Avrei dovuto dirglielo che anche a me il luogo in cui ci trovavamo ricordava lui? Che quel kimono, della stessa cromatura delle sue iridi, l'avevo scelto apposta per averlo più vicino? Che da quando m'ero innamorata del blu io –
«Attenzione signore e signori, l'evento speciale di questa serata sta per avere inizio nella sala principale.»
Mi ridesto, scivolando via dalle sue mani.
«Avevi ragione, è un annuncio!», esordisco, spostando la sua attenzione altrove.
«E anche molto minimale, conoscendo il personaggio.», si lascia sfuggire. Quando se ne rende conto fa una linguaccia, per poi riprendere la mano che poco prima mi aveva lasciato.
«Beh, allora andiamo a vedere di cosa si tratta!»
Ci rechiamo nel salone principale e qui scopriamo che l'evento speciale si chiama Ballo delle sirene. Guardo Rin e lui chiede: «Un ballo?»
Gli sorrido emozionata.
«Non sarebbe la prima volta.»
Mi sento gasata. È trascorso tantissimo tempo dal festival e da allora non c'è più stata alcuna occasione per svagarsi. Siamo sempre pieni di missioni, studio, impegni, tanto che è divenuto raro poter trovare un po' di pace per dedicarci a noi stessi.
«No, ma... Sei sicura? Insomma, l'altra volta era diverso, non ho mai fatto un... Com'è che si chiama? Valzer?»
Lo guardo stranita, sbattendo gli occhi.
«Cos'è un valzer?»
«Ecco, figuriamoci.», sospira. «Magari la prossima volta.»
Sta per voltarsi quando il preside appare dal nulla, facendoci spaventare.
«Guten Abend!», esclama, con gesti esagerati.
«Buonasera.», ricambio cordiale e Rin lo guarda male.
«Tu. Cosa ci fai qui?»
«Si dà il caso che io abbia organizzato questo ricevimento e che voi due siate totalmente inadeguati.»
«Infatti stavamo per andarcene.», brontola, voltandogli le spalle.
«Nein, nein. Ora che avete messo piede qui dentro non potete più tirarvi indietro.»
«Che cosa?!», sbotta, fulminandolo con uno sguardo.
«Sono le regole della serata. Non vi preoccupate, vi aiuterò io.»
Ci sorride subdolamente, poi schiocca le dita e i nostri abiti cambiano in un battito di ciglia.
«Osservatevi.», ordina, facendo apparire dal nulla uno specchio della nostra altezza.
Sposto lo sguardo sulla parete riflettente, restando a bocca aperta. Non avevo mai indossato nulla del genere! Era un vestito lungo, stretto in vita, con lo scollo a fascia, blu come la notte, brillante come le stelle, che scendeva come una calla. Non riesco ad evitare di sorridere al mio viso luminoso. È come essere una principessa!
Mi volto raggiante verso Rin, trovandolo a rimirarsi poco convinto. Trattengo il fiato, valutando quanto gli donino abiti così formali. Anche se così bello ordinato è... diverso.
«Allora, soddisfatti?»
Io annuisco con sicurezza, Rin continua a scrutarsi per poi spettinarsi i capelli, sbottonarsi la giacca e qualche bottone della camicia, lamentando: «Fa caldo.»
Arrossisco ma cerco di non darlo a vedere. Abbasso lo sguardo e con la coda dell'occhio lo vedo voltarsi verso di me.
«Neh Shiemi, non sto meglio cos-?» Lo sento trattenere il respiro e comincio a preoccuparmi.
«Sto... Sto tanto male?», esito, guardandolo appena. Lui scuote energicamente la testa e io tiro un sospiro di sollievo.
«Shiemi-san, siete bella come un fiore.», si complimenta il preside, baciandomi una mano.
Arrossisco, ma in effetti è merito suo.
«Bastardo, che intenzioni hai?» Rin digrigna i denti, il suo tono minaccioso mi preoccupa.
In tutta risposta riceve un sorriso da volpe.
«Divertitevi.», ci augura, prima di sparire in una nuvoletta di fumo.
Lo ringrazio mentalmente, mentre Rin cessa di spergiurare tra sé e si schiarisce la gola.
«Allora... Te la senti davvero?»
Mi stringo nelle spalle.
«Spero di non pestarti i piedi.», mormoro con un filo di voce e lui mi sorride incoraggiante.
«Sarebbe più realistico se fosse il contrario!»
Si fa più vicino per sussurrarmi all'orecchio: «Ho un piano. Imitiamo quello che fanno gli altri.»
Gli rispondo determinata. «D'accordo. Mettiamocela tutta.»
Una volta raggiunta la pista da ballo mi limito a coordinare i miei movimenti con quelli di Rin, il quale senza farsi notare osserva gli altri di sottecchi. Con la mano destra mi afferra un fianco, con l'altra prende la mia mano e, appena attaccano i musicanti, mi guida in un vortice di passi. Dopo un po' comprendo come funziona e smetto di guardare i miei piedi - che avevo tenuto d'occhio tutto il tempo nel timore che avessi potuto realmente calpestarlo o inciampare. Alzo la testa e, sorprendentemente, incrocio lo sguardo con quello di Rin.
«Non guardi più cosa fanno gli altri?», gli chiedo a bassa voce.
«Sarebbe inutile, è sempre la stessa cosa: un passo a destra, uno dietro, sinistra, avanti e così via, formando cerchi e quadrati. Troppo noioso, preferisco ballare a modo mio.»
«Cosa intendi dir-», non termino la domanda che mi sorride sornione, lasciandomi una mano e spingendomi per allontanarmi.
Mi sento parecchio impacciata, tuttavia tento di assecondarlo. Ricordo d'aver visto una volta una cosa simile, così quando siamo più lontani - senza lasciargli però la mano destra -  mi arrotolo su me stessa come un tappeto, finendo dritta tra le sue braccia. Mi stringe da dietro, facendomi dondolare, il suo respiro mi accarezza i capelli. Sono felice. Anzi, felicissima. Il mio cuore palpita fortissimo, come mai era successo prima. Dopo qualche istante mi rilascia, facendomi voltare verso di lui. Mi stringe a sé, tenendo le mani ferme sui miei fianchi - mentre io appoggio le mie con esitazione sulle sue spalle -, riprendendo a volteggiare, ma più lentamente di prima. Che stia seguendo la musica? Non saprei dirlo, ormai non la sento quasi più. Mi sembra tanto lontana, quando tutto ciò che per me conta è così vicino a me. Vedo gli occhi di Rin lampeggiare, ma non con le solite fiamme. Semplicemente gli brillano, come luccicanti zaffiri.
«Ti stai divertendo?», mi chiede, e io affermo con un cenno della testa.
«Tantissimo.»
«Non hai ancora visto il meglio!», dichiara, sorridendomi a trentadue denti.
Spalanco gli occhi quando senza alcuno sforzo mi alza da terra e, tenendomi in alto, fa un giro su se stesso. Non posso evitare di ridere, dilettata. È fantastico.
Quando mi riporta coi piedi sul pavimento ritorna alla posizione iniziale.
«Allora?» Il suo tono soddisfatto allarga il mio sorriso.
«Grazie.», gli rispondo calorosamente.
«Per cosa?»
«Per avermi portata all'acquario, per il ballo, per farmi vivere queste esperienze. Te ne sono davvero grata.»
«Suvvia Shiemi, non c'è bisogno di ringraziarmi. L'ho fatto anche per me.», confessa, guardando da un'altra parte. Ma certo. Anche lui voleva vivere qualcosa di nuovo.
Lo osservo comprensiva, sentendomi ancora una volta molto vicina a lui. Non tanto a livello fisico, ma proprio nei sentimenti. Nei nostri cuori. Era come se avessimo entrambi le stesse radici e ci stessimo impegnando per diventare alberi forti e vigorosi.
A un certo punto smette di muoversi e mi fermo anch'io, realizzando solo in quel momento che la musica è finita. Lascia la presa su di me, voltandosi altrove, grattandosi una guancia. Sembra più timido del solito. O è soltanto una mia impressione?
«Ti... Ti va di prendere un po' d'aria?»
Accetto istantaneamente, sentendone il bisogno. Lui mi prende con delicatezza la mano sinistra, il mio cuore sussulta. È molto più cauto e composto e delicato. Quest'aspetto di lui lo rende in qualche modo fragile, ma non mi dispiace.
Quando mettiamo piede fuori dalla sala i nostri abiti spariscono all'istante, cedendo il loro posto a quelli che indossavamo precedentemente. Il sogno è finito. Sono un po' delusa, lo ammetto.
«Finalmente.», sospira Rin. «Mi sento molto più a mio agio adesso.»
Carezzo la foggia del mio kimono, teneramente. «A chi lo dici.»
Probabilmente non mi ha sentita, visto che non ribatte nulla e continua a camminare. In silenzio seguiamo un sentiero che scende lungo una collina, per poi arrivare al delimitare di un bosco. Qui il cammino si ramifica in tre strade diverse: una davanti a noi che si perde di vista nella foresta, una alla nostra destra che, proseguendo a zig-zag, ritorna in città, e un'altra alla nostra sinistra che non si capisce dove porta. Sembra quasi scomparire al di là di minuscole luci gialle. So già Rin cosa sta pensando.
«Sinistra?» Si finge disinteressato, ma noto i suoi occhi scintillare d’eccitazione. È palese che non vede l'ora di avventurarsi.
«Sinistra.», concedo, lui quasi saltella dalla gioia.
«Tranquilla, se veniamo attaccati ti proteggo io.»
Lo guardo fiduciosa. So che posso affidarmi a lui, ma devo anche avere coraggio e contare su me stessa.
Senza lasciarmi la mano ci inoltriamo nell'ignoto, ma dopo pochi passi mi faccio un'idea sul luogo che stiamo per raggiungere. Una volta arrivata, dopo esserci fatti largo tra gli alti arbusti, ricevo la mia conferma.
«Waaah, che meraviglia!», esclamo emozionata, gli occhi che mi brillano.
Il sentiero si è perso, ma in cambio abbiamo trovato una minuscola radura, delimitata da un sottile ruscelletto che riflette la luce della luna. Ci sediamo su un prato di margheritine chiuse in boccioli, guardandoci intorno con stupore, circondati da aiuole e piante di "Yoru-chan" (conosciute anche come "bella di notte"). Le piccole luci che abbiamo visto da lontano non sono altro che lucciole, le quali si confondono con l'erba alta, giocando a nascondino.
«Shiemi, cosa sono quelle?»
Rin interrompe il silenzio, indicandole, e io glielo spiego rasserenata. Lui annuisce dopo aver capito.
«Ero convinto fossero fantasmi.»
Ridacchio silenziosamente, poi mi indica le Yoru-chan.
«E perché questi fiori sono sbocciati anche se è quasi notte?» La sua curiosità è ammirevole. Gli spiego anche questo e i suoi occhi si illuminano. «Non lo sapevo!»
«Se lo desideri un giorno ti insegnerò tutto quello che so.», propongo.
Lui annuisce con vigore. «Si, per favore.»
Lo guardo soddisfatta, per poi godermi della vista delle lucciole.
Lo sento stendersi accanto a me, sospirando. Mi volto, lui porta le mani dietro alla nuca per appoggiarvi la testa. Chiude gli occhi, inspirando a pieni polmoni. Dopo pochi secondi espira e riapre le palpebre, fissando le iridi sul cielo stellato.
«Che pace.», sussurra, la sua voce talmente flebile da confondersi col vento. Si perde nell'universo, mentre io mi incanto ammirando la morbida danza delle lucciole.
«Rin.», richiamo la sua attenzione, immalinconendomi. «Quando ero piccola ogni notte, prima di addormentarmi, mia nonna mi posava un fiore accanto al letto. E su quel fiore inventava una storia, dove spesso la protagonista era una principessa col nome simile al fiore in questione. È da allora che ho preso l'abitudine di dare un nome alle piante, perché immagino che ognuna di loro abbia vissuto una vita fantastica prima di rinascere. E anche perché così diventano mie amiche.»
Sbatto gli occhi, cacciando le lacrime, chiedendomi se lo sto annoiando. Taccio, facendomi piccolina sul posto, mentre lui si alza per affiancarmi. Dice soltanto, gonfiando le guance: «Mephisto è uno scemo.»
«Eh?»
Lo guardo stranita. Noto che evita in tutti i modi di guardarmi.
«Non è vero che sei bella come un fiore.»
Non so bene come sentirmi. È un'offesa? Mi mordo le labbra, desiderando quasi sparire.
«Pe-perché...» Temporeggia, prima di guardarmi, e alla flebile luce della luna noto le sue guance arrossate. «Perché tu sei il fiore più bello.»
Nel momento in cui assimilo le sue parole avvampo, facendomi rossa come un pomodoro maturo. Mi porto le mani al viso, imbarazzata.
«Gra-grazie.» Per quanto la mia voce sia ovattata dai miei palmi, persino a me risulta più alta di un'ottava. Non mi sono mai sentita così... Non lo so come mi sento. Felice? Lusingata? Contenta? Emozionata? Timida? No, è qualcosa di molto, molto più forte. Mi chiedo se sia normale reagire così esageratamente ad un semplice complimento.
Mi faccio forza e guardo Rin, trovandolo con la testa nascosta tra le sue ginocchia e notando del fumo uscirgli dalle orecchie.
«Rin?», lo richiamo spaventata. «Stai bene?»
Mi appresto a lui, posando una mano sulla sua schiena e un'altra su un suo braccio. Alza il viso, noto le sue labbra tremare, i suoi occhi lucidi. Mi chiedo se non abbia la febbre, forse ha preso freddo. Avvicino il mio viso al suo, spostandogli i capelli per posare le labbra sulla sua fronte. In effetti, scotta parecchio.
«È imbarazzante.»
Mi allontano di poco per guardarlo, lui evita il mio sguardo. Oh, forse capisco come si sente. Gli sorrido gentilmente. Approfittando del fatto sia voltato mi riavvicino per baciargli una guancia come ringraziamento. Sto per posare le labbra sulla sua pelle, quando lui si gira nel momento meno adatto ed esse finiscono col posarsi all'angolo della sua bocca. Sgrano gli occhi, sorpresa, facendo un salto indietro. La sua espressione riflette la mia. Il cuore sta per scoppiarmi nel petto, mentre realizzo che l'ho quasi...
Il suo sguardo stordito mi distrae dai miei pensieri. Il fumo pare uscirgli da tutto il viso, fino a che non perde conoscenza con un sorriso ebete sulle labbra.
«Rin!»
Adesso mi sto preoccupando davvero.




Angolino autrice:
Helloooo! Spero abbiate trascorso tutti una serena Pasqua :3 e buona pasquetta xD mangiate tanta cioccolata, mi raccomando *^*
Ecco qui la seconda one-shot u.u Ho una cosa da confessarvi. In realtà questa sarebbe collegata alla prima (tra le due avevo scritto un intramezzo in cui si passava dal punto di vista di Rin a quello di Shiemi), tuttavia non mi sembrava il caso di pubblicarlo. Insomma, non faceva parte della raccolta di storielle per la week... In ogni caso, se a qualcuno interessa (ma io non credo, haha) posso inviarlo in qualche modo (mail, boh?). Altrimenti, lascio vagare la vostra splendida fantasia.
Con tanto affetto,
Steffirah 

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Capitolo 3
*** Day 3 - Breaking the rules ***


3

 
"La vita va avanti." Forse si, ma è difficile farlo dopo aver scoperto che tutto il tuo passato non è altro che una menzogna. Una bugia ben orchestrata per tenerti all'oscuro di tutto. Perché certo, può capitare che dopo ben 15 anni tuo padre ti riveli che in realtà tu sei il figlio di Satana. Insomma, a chi non è mai capitato? Roba da tutti i giorni, no? Ah, e a ciò aggiungiamo lo scoprire che tuo padre è un esorcista. Così come tutti i preti che ti hanno cresciuto. E così anche tuo fratello minore, che sapeva ma taceva "per il tuo bene". Poi un giorno tuo padre muore. E tu sai che è colpa tua - non c'è bisogno che te lo ricordino gli altri. E allora, per onorare la sua memoria, per espiare il suo peccato ti dici: "Diventerò una persona migliore. Smetterò di ribellarmi, sarò diligente, diventerò forte e vendicherò la sua vita." Ma non è facile. La vita è sudore, è fatica, devi quasi ammazzarti ogni giorno per avere in cambio cosa? Un fratello - più piccolo di te, e ci tengo a precisarlo - che si comporta come se fosse tua madre.
Immaginiamo la scena: ti stai davvero impegnando, ce la stai mettendo tutta per essere serio, paziente, studioso e così via; insomma, ti sforzi per diventare un diavolo di angelo e poi cosa? Ragazzi più grandi di te vengono a sfotterti, parlando male del tuo caro padre, della tua famiglia, di tutto ciò che per te contava di più al mondo. Cerchi di fartelo entrare da un orecchio e uscire dall'altro, ma nel momento in cui mettono in gioco tua madre, definendola una puttana, dopo che non hai mai avuto modo di conoscerla... Beh sommando il tutto, credo sia ovvio che una persona al momento psicologicamente instabile, delusa da tutto e da tutti, con tanta rabbia repressa, finisca per esplodere. Così fai casini. Rompi qualche osso e, com'è giusto che sia, vieni punito.
La mia fortuna è che la mia punizione si limita a "ti è vietato uscire dalla tua stanza se non per mangiare o andare in bagno". So che non mi è andata male, peccato che trasgredire le regole sia scritto nel mio dna. Forse sono masochista, mi piace essere punito. O forse voglio soltanto essere libero e disfarmi di tutta quest'immondizia.
Poiché tre giorni da bravo ragazzo sono troppi per me - la punizione dovrebbe durare una settimana, durante la quale dovrei studiare tutto il tempo a casa... figuriamoci! - approfitto di una missione di Yukio per uscire dal dormitorio. A contatto con l'aria fresca prendo un bel respiro, allargando le braccia. Aaah, ora si che si ragiona! Faccio una linguaccia all'edificio polveroso che sto per lasciarmi alle spalle e m'allontano in fretta, dando inizio alla mia breve fuga. So che non posso stare via a lungo, altrimenti mi scoprirà. Tra l'altro, non devo farmi notare. Soprattutto, niente risse. Per questo motivo preferisco saltare da un tetto all'altro o gironzolare nei luoghi più scuri e desolati della città. Una cosa che spero è di non incrociare demoni per la strada, altrimenti sono fritto. Cioè, come sempre ho la mia Kurikara con me, ma non posso sguainarla. Purtroppo le mie fiamme blu non si possono definire discrete.
Alla fine mi scoccio persino di errare, come un gatto randagio, così mi stendo sul terrazzo di un edificio, guardando le nuvole susseguirsi velocemente nel cielo. Strano a dirsi, ma il vento pare abbastanza forte lassù. Se solo riuscisse portarmi via... Lontano da qui, dove nessuno mi conosce... Dove non possono giudicarmi...
Chiudo gli occhi, respirando lentamente, lasciandomi carezzare dal flebile calore del sole autunnale. Totalmente immerso nei miei miseri pensieri non mi accorgo che qualcun altro mi sta facendo compagnia. Sento la sua presenza, così apro le palpebre, specchiandomi in due occhioni curiosi, verdi come le foglie di un faggio.
Sarebbe stato un primo incontro molto romantico se mi fossi lasciato andare, se non avessi reagito, se le avessi ceduto le redini del gioco. Ma non è da me, così dopo che lei mi sorride angelicamente, augurandomi buongiorno, scatto a sedere, sbattendo la fronte contro la sua. Gridiamo entrambi per la botta, poi lei comincia a piagnucolare, portandosi una mano alla zona colpita.
«Ti ho fatto male? Scusa, non volevo.»
Mi avvicino  cautamente, esattamente come un gatto che esplora il territorio e cerca di fidarsi di un umano. Lei mi rassicura con uno sguardo, abbassando poi la mano. Così facendo scopro del sangue. Impallidisco.
«Mi dispiace!»
Cerco disperatamente un fazzoletto nelle mie tasche, ma lei mi anticipa, prendendolo dalla borsa che portava con sé.
«Non fa niente. Ero già ferita, ma con la frangetta non si vedeva. Non potevi saperlo.»
Il suo sorriso, così cordiale e gentile, la sua voce, così calda a cristallina, i suoi gesti, misurati ed eleganti, stonano totalmente con la mia persona. Mi sento chiaramente a disagio, messo sotto prova, ma al contempo rilassato, come se con la sua sola presenza riuscisse a quietare il mostro che sono. Che potere ha? È una sorta di demone anche lei? Nah, impossibile. Ma può anche essere, visto che adorano ingannare la gente - ero l'unica eccezione probabilmente, dato che non riuscivo assolutamente a mentire. Già mi stavo pentendo della fuga. Un attimo. Perché mi sento così in colpa adesso?
Incontro gli occhi puri e sinceri di questa ragazza. Sto per indagare sul cosa ci faccia in questo luogo reietto, quando mi anticipa.
«Tu invece stai bene? Ti ho visto qui steso a terra e per un attimo ho pensato che fossi...», indugia, piccole lacrime si addensano nei suoi occhi. Abbassa la testa, mormorando: «Non sarebbe strano, considerando tutti i demoni che si nascondono nelle ombre.»
«E nel cuore delle persone.», aggiungo, amareggiato.
Lei annuisce, sommessamente, per poi guardarmi sbigottita.
«Eh? Un attimo, tu... Tu riesci a vederli?!»
«Già.», taccio, chiedendomi come posso riuscire a non spaventarla.
«Sei... Sei stato ferito?»
Il suo titubare mi colpisce, non riesco a non rivolgerle un sorriso - evitando di mostrare le zanne, ovviamente.
«No, peggio direi.»
«Peggio?», chiede spaventata.
Allunga una mano, posandola sul mio braccio, al cui contatto sussulto lievemente. È normale che nonostante gli strati di vestiti io riesca a percepire il suo calore?
«Mi dispiace.»
La sua sincerità fa male. È la prima volta che sento un tono tanto accorato, ma sono consapevole che è dovuto unicamente al fatto che non sa ancora chi sono. Non posso traumatizzare anche lei con la rivelazione sulla mia nascita.
«Tu invece che ci fai qui?», mi interesso, spostando l'argomento altrove.
Lei sembra agitarsi.
«Ah, io... Non saprei come spiegartelo. È una storia strana. Potresti prendermi per pazza.»
Sorrido sghembo, chiedendomi se sia scappata o cosa.
«Puoi dirmelo, rimarrà un segreto tra noi se vuoi.», le prometto e lei ridacchia nervosamente.
«Non è questo, soltanto che... Non so cosa ci faccio qui.»
La guardo stranito, lei mi scruta attraverso la frangetta.
«Ricordo soltanto d'essere andata a letto e prima di addormentarmi qualcosa, dentro di me, mi ha suggerito che avevo una sorta di "missione" da compiere. Quando ho aperto gli occhi mi sono ritrovata qui e ho visto te. È tutto ciò che ricordo.»
La sua voce affievolisce e non sono molto convinto. È troppo assurdo, ma al contempo non credo stia mentendo. Non so se fidarmi o meno.
«Cioè... Mi stai dicendo che questo sarebbe un sogno?» Leggo l'incertezza dei suoi occhi che riflette la mia. «Tu mi stai sognando?!»
Forse sto dando in escandescenze. Questa cosa ha del paranormale! Poi ci rifletto. Il figlio di Satana che si impressiona per queste cose? Vorrei ridere di me stesso.
«Non ne sono sicura. Ma non riesco a ricordare di più.» Scuote la testa, il suo tono è mortificato. Le sue corte ciocche bionde le frustano delicatamente le gote come conseguenza del suo movimento.
«Non importa.», dico, sia a lei che a me stesso.
«... Non mi trovi strana?», chiede insicura.
Stendo lievemente le labbra, divertito.
«Un po', ma se non lo fossi non saresti interessante.» In ritardo mi rendo conto di quello che ho appena pronunciato.
Lei sbatte le ciglia, come se stesse cercando di assimilare le mie parole, incredula. Poi mi allunga una mano, sorridendomi amichevolmente.
«Moriyama Shiemi!»
«Eh?»
«È-è il mio nome!»
Mi incita a stringerle la mano e dopo un attimo di esitazione la accontento.
«Okumura Rin.»
«Piacere di conoscerti, Rin!»
Questa ragazza... Come può essere così schietta e impersonale?
La guardo con diffidenza, ma so già la mia mente malefica cosa sta pensando. Mi piace. Ovviamente mi riferisco al suo essere così diretta, tralasciando futili convenevoli. Anche perché non che io me ne intenda granché.
«Il piacere è mio, Shiemi.» Nel sentire il suo nome pronunciato senza onorifici il suo sorriso si allarga ancora di più. Non ritenevo umanamente possibile poter sorridere così apertamente, ma non la trovo né spaventosa né inquietante. Tutt'altro. Mi stringe il cuore, ma non fa male. Cerco di non farci caso.
«Quindi, qual è la tua missione? Se vuoi posso aiutarti.»
«Ehm, ipotizzavo dovessi occuparmi di te, guarirti da qualche ferita, ma a quanto pare mi sbagliavo...» Mi osserva con attenzione, prima di sussurrare: «A-a meno che... Non si tratti di altro.»
«Altro?», ripeto confuso.
«Si, ad esempio... Una ferita invisibile.»
«Esistono ferite invisibili?!», reagisco di nuovo in maniera esagerata. Devo imparare a contenermi.
«Lo sono le ferite del cuore.»
Mi guarda dritto negli occhi. Come posso ritrarmi a quello sguardo così... Protettivo e invitante? Rassicurante? E al contempo preoccupato?
"Bingo."
«C'è qualcosa che ti rattrista?»
«Mettiti comoda Shiemi, non sono un paziente facile da analizzare.», scherzo. «Ah e non sono nemmeno molto collaborativo, ma farò uno sforzo per te.»
«Lo apprezzo. Ti ascolterò finché vorrai.»
Mi sorride incoraggiante e io comincio a confessarmi - mi ricordava un po' mio padre, ma perlomeno con lei potevo parlare più liberamente, anche accennando alle mie paure più recondite.
Vi è mai successo di sentirvi bene con una persona? Talmente bene che anche se non la conoscete, anche se a malapena sapete il suo nome, vorreste parlare con lei ancora, e ancora, e ancora, ininterrottamente, magari fino all'alba? Ecco cosa sto provando adesso con questa ragazza. Se potessi le racconterei della mia intera eppure breve vita, perché mi fido istintivamente di lei. E di norma il mio istinto ha sempre ragione. Ma purtroppo mi ritrovo a dover sintetizzare partendo dagli ultimi eventi più catastrofici.
Pensavo potesse gridare, scappare, terrorizzata. E invece l'unica reazione che ricevo da parte sua sono lacrime. Decine, centinaia, scivolano copiose sul suo mento, gocciolando poi sulle sue tremanti mani. Smetto di raccontare, presumendo la stia turbando.
«Shiemi? Se sei spaventata lo capisco, io-»
«No...», mi interrompe, la sua voce rotta, infranta, un prezioso vaso in mille pezzi. «Mi  dispiace.»
Sgrano gli occhi. È incomprensibile. Perché reagisce così? La afferro per le spalle, avvicinandomi al suo viso.
«Per cosa Shiemi? Sono un mostro! Sono il figlio di Satana!»
Lei non risponde, prende a singhiozzare, le sue spalle sussultano sotto i miei palmi.
«Non è giusto...»
Non capisco. Perché parla così? Perché non mi disprezza? Perché non va via?
Sto per perdere la pazienza. Il suo atteggiamento mi infastidisce, mi rende felice. È una felicità a cui non sono abituato.
«Diamine, perché non lo accetti? Le vedi le mie zanne?! Le mie orecchie appuntite?! La mia coda??! Ti sembro un comune essere umano? Mi stai forse compatendo?» Le faccio domande a raffica, fuori di me. A un certo punto credo di non sentirmi più. Vedo solo i suoi occhi liquidi riflettere la disperazione sul mio volto. No. Tutto questo è sbagliato.
«Ti accetto, Rin.», mormora dopo poco, zittendomi con un flebile alito di vento lenitivo. «Ti guardo. Ti vedo. E ti accetto, per quello che sei. Mi dispiace per tutto quello che hai dovuto sopportare. Deve essere stato un dolore fortissimo, vivere così, per non parlare del ritrovarsi orfano all'improvviso. Non posso neppure immaginare ciò che si prova. Anche io ho dovuto patire le mie pene, e ancora oggi ne pago le conseguenze. Ma se ci rifletto non è nulla rispetto a -»
Smette di parlare. Ci metto un po' a capire che non è lei ad aver taciuto volontariamente; sono io che le ho chiuso la bocca, posando le mie labbra sulle sue. Che cavolo mi afferra?!
Faccio un balzo indietro, col cuore in gola. Non mi riconosco più. Come ho potuto comportarmi così sconsideratamente? 
Lei mi fissa paonazza, incredula, impietrita, le labbra dischiuse, gli occhi sbarrati. Non capisco nemmeno se respira, ma non la biasimo. Suppongo d'aver assunto la sua stessa posa, troppo sconvolto da me stesso. Cosa accidenti mi è venuto in mente? È proprio questo il problema! Non ci ho pensato! Minimamente! L'idea di baciarla non aveva sfiorato neppure il più lontano dei miei pensieri! Ma allora cosa mi ha spinto a farlo? A farle dono del mio primo bacio? Devo riparare, in un modo o nell'altro.
Mi sblocco, ma continuo a percepire i miei arti rigidi come quelli di un robot.
«Ah... Ecco... Io... Non so cosa... Cioè...»
Non riesco a formulare una semplice frase! Quanto sto messo male?! Cos'ho che non va?! E non mi dite "amore a prima vista"! Potrei vomitare, queste cose non accadono. Perlomeno, non alla prole degli Inferi!
Non so come ci riesca, ma ritrova la compostezza prima di me. Gattonando lentamente mi si avvicina, quasi stesse misurando ogni passo. Buon per lei che io non abbia la forza di muovere un muscolo.
Arrivata di fronte a me mi guarda con i suoi occhioni ricchi di speranza, dal basso della sua altezza.
«Rin, non fa niente. Ma quanto meno adesso... Ti senti meglio?»
Ci penso su. Non ho neppure bisogno di rimuginare, conosco fin troppo bene la risposta. Incredibile, mi sento così leggero, così...
«Si, molto meglio.»
Che potere ha usato su di me? Non riesco a capire. Non me ne capacito. Questa voce insicura, tremolante, esitante, mi è totalmente sconosciuta.
Lei sospira, portandosi la mano destra sul cuore.
«Meno male. Allora ci sono riuscita.»
«A fare cosa?», esterno i miei dubbi, dimenticando immediatamente il mio precedente agire.
«Ho portato a termine la missione.»
Sorride soddisfatta, io la osservo perplesso. Non mi sono mai considerato normale - soprattutto a causa della mia forza bruta e rabbia repressa. Ma le sue reazioni non sono da meno.
«Tu... Eri preoccupata per me?»
«Io continuo ad esserlo. Ma il vederti così risollevato mi rassicura. Significa che almeno un minimo sono riuscita a farlo per te.»
Le sue parole scorrono nella mia mente limpide come una sorgente d'acqua pura, attraversando il solco dei miei timpani fino a raggiungere la pozza del mio oscuro cuore. Mi sento poetico. E io non lo sono mai stato in vita mia. Probabilmente Yukio ne sarebbe soddisfatto.
«Si è fatta ora.», dichiara all'improvviso, alzandosi.
Sbarro gli occhi. Non può essere. Non può andare via così presto!
Salto in piedi, ponendomi davanti a lei. A stento mi trattengo dall'afferrarle le braccia per trattenerla. Non voglio costringerla a restare. Non voglio forzarla a fare nulla per me. Non voglio che mi consideri asfissiante, pesante, ma al contempo non voglio sparisca per sempre. Non ora che ho finalmente trovato una... Amica, presumo.
«Devi andare?» La voce mi si mozza in gola. Sono triste. Tristissimo. E non ne capisco il motivo, la causa scatenante. È come se avessi bisogno della sua presenza. Come se fosse per me vitale. Non voglio separarmi da lei. È piacevole averla al mio fianco.
Ma lei fa un cenno affermativo, desolata, e io comprendo che devo lasciarla andare.
«Ci rivedremo?», indugio, vedendola svanire.
«Sicuramente.», afferma, sicura di sé.
Poi mi sorride apertamente, le sue guance arrossate, mentre agita una mano in segno di saluto.
«È stato un grande piacere averti conosciuto, Rin. Mi ha resa davvero felice.»
«Anche a me. Sono felice, Shiemi», sussurro con voce rotta al fantasma che resta di lei.
Mi hai reso una persona migliore.
Grazie.

All'epoca ero soltanto un ingenuo egocentrico preso unicamente da se stesso. Mi autocommiseravo, mi autopunivo per ogni azione malvagia fatta o soltanto meditata. Così, non mi rendevo conto che attorno a me c'erano anche persone che non giudicavano dall'apparenza. Persone che guardavano nel cuore degli altri, e ci vedevano del bene anche se apparteneva a una bestia. Una di quelle persone, la migliore che avessi mai avuto modo di conoscere - si chiamava Moriyama Shiemi. 




Angolino autrice:
Ehilà! Oh cielo, da quanto tempo non aggiorno. Linciatemi pure, perché credo che da oggi sarà ancora più difficile T.T Mi sembrava giusto avvisarvi.
Voglio solo dire un grazie a coloro che leggono e portano tanta pazienza. Vi sono debitrice.
Con affetto,
Steffirah

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Capitolo 4
*** Day 4 - Cherish ***


4


Amare, adorare, apprezzare. Tre verbi, tutti e tre comincianti con una vocale - la quale, non a caso, era anche la prima lettera dell'alfabeto. Tre lessemi, mille complessi, perché riuscire a comprenderli non è impresa da niente: il confine tra essi è estremamente labile, e sono in pochi coloro che riescono realmente a distinguerli. Li differenziano, li separano, in modo tale da non illudere né illudersi. Ma in realtà, i vincitori sono coloro che ne comprendono i singoli significati, ma li uniscono in un unico essere. In una sola persona, che dall'istante in cui lo realizzano rappresenta il loro tutto: il loro centro, il loro punto fermo, il loro sole, il loro spazio, il loro mondo, il loro davanti, il loro perché, il loro futuro, il loro destino, il loro cammino, il loro viaggio, il loro adesso, il loro domani, il loro infinito, il loro immenso. Riuscire a trovare questo qualcuno per cui provare tali sentimenti è una fortuna perché non significa soltanto starvi accanto, proteggerlo - anche se lo implica; bensì, apprezzare semplicemente che un simile essere umano esista. Che sia nato, sia venuto al mondo per noi e abbia incrociato la nostra strada. Motivo per cui noi saremmo sempre grati della sua vita. E ciò potettero provarlo anche due giovani che credevano di essere stati baciati dalla cattiva sorte. Tuttavia, sorprendentemente, quando stavano per perdere la speranza, il mondo aveva preso a girare a loro favore, facendoli incontrare.


Era una chiara giornata di primavera, il sole splendeva sereno nel cielo, un piacevole venticello solleticava le fronde degli alberi, su cui piccoli uccellini intonavano i loro inni di gioia, dedicandoli ai piccoli boccioli ancora neonati. Quel giorno la Tour Eiffel era piena di turisti, ma una minuta ragazza - il cui nome era Shiemi Moriyama - non ne sembrava toccata. Non le interessava della gente, soprattutto non ora che aveva scoperto quel piccolo angolo di Paradiso. Non si aspettava che i giardini, piccoli guardiani di quel gigante di ferro, potessero essere così preziosi: così vivi, così ricchi di voci, così  allegri e spensierati. Così calmanti, da riuscire a placare tutta la sua ansia, fino a farla sentire a casa. Era la prima volta che ci pensava, anche perché da quando sua madre s'era risposata ed era venuta in Francia non si sentiva altro che una straniera. La gente era molto cordiale, aveva provato persino a farsi delle amiche, ma quel pensiero la tormentava: non importava quanto si sforzasse, sarebbe sempre stata una straniera.
In realtà, se non fosse stata lei a raccontarlo nessuno lo avrebbe mai supposto, per il semplice fatto che i suoi tratti avevano ben poco di orientale: i suoi grandi occhi verdi, il suo viso tondo, le sue guance piene, i suoi lisci capelli chiari come camomilla, la sua voce squillante, il suo accento canterino non la facevano appartenere a nessun luogo in particolare. Essendo nata e cresciuta in Giappone si sentiva, dentro di sé, appartenente a quella terra. Ma forse doveva ancora scoprire il posto in cui si celavano ad arte le sue radici. Quel posto lo trovò nel momento in cui venne a conoscenza del significato di quelle tre parole. Il tutto, dopo aver conosciuto Rin Okumura. 
Questi era un suo coetaneo, anch'egli nativo giapponese - e ciò era facilmente ipotizzabile dagli occhi a mandorla, nonché dai tratti marcati del suo viso e dal suo fisico asciutto. L'unico inganno avrebbe potuto essere indotto dai suoi colori, in quanto era in possesso di due iridi blu cobalto e ribelli ciocche tinteggiate dal cielo notturno. Tuttavia si vantava delle sue origini e, al contrario di Shiemi,  era talmente espansivo, simpatico, amichevole, impavido, coraggioso, divertente, sicuro e fiero di se stesso da essersi guadagnato la fiducia di quelli che poi sarebbero divenuti suoi amici nel giro di pochi giorni - dopo non poche difficoltà, certo, ma questa è tutt'altra storia.
I nostri due protagonisti frequentavano lo stesso istituto, ma stavano in classi diverse. Talvolta si incrociavano per i corridoi, ma non riuscivano a rivolgersi mai la parola - chi a causa della timidezza e chi per l'imbarazzo. In realtà Shiemi era molto attratta da quel ragazzo, o meglio, affascinata. Si chiedeva come potesse essere così espansivo, così forte, in un Paese tanto distante dal loro nido. Al contempo Rin era interessato a quella fanciulla che gli sembrava una bambina, dalle movenze così raffinate, e un sorriso così gentile. Insomma, volenti o nolenti prima o poi avrebbero dovuto rivolgersi la parola.
Quell'occasione arrivò proprio in quel giorno di frenesia, mentre Shiemi restava accovacciata tra i cespugli per nascondersi agli occhi del mondo, facendo da spettatrice d'onere alla lirica dei piccoli volatili che recitavano su un palcoscenico fatto di foglie e rami. Sorrise allo spettacolo, ma poi fu sopraffatta da uno starnuto. Nel momento in cui abbassò lo sguardo vide qualcosa d'azzurro luccicare tra le foglie di un’aiuola. Da lì proveniva un flebile pianto, così incuriosita - e preoccupata - vi si avvicinò, abbassandosi quasi col viso all'altezza del terreno. Scostò i fiori e i rametti per scoprire un rarissimo esemplare d'un uccellino dalle piume blu. Rimase a bocca aperta. Lo prese con delicatezza tra le mani, portandolo fuori da quella gabbia ingarbugliata in cui era rimasto prigioniero, e esaminandolo alla luce del giorno si accorse avesse un'ala spezzata. Lo posò sulla morbida terra come se fosse l'essere più fragile al mondo e si guardò intorno, alla ricerca di un rametto che potesse andare bene. Ne spezzò uno da un basso arbusto, ne tolse le insenature e lo lisciò, posandolo poi su un lato. Dopodiché aprì la borsa, sperando d'aver portato delle bende con sé. Di solito aiutava chiunque si ferisse, quindi aveva un piccolo kit di pronto soccorso. Quella volta, però, non riusciva a trovarlo.
Le mani le tremavano, temeva che quell'uccellino potesse non guarire mai più. Il suo lamento le straziava il cuore, doveva fare qualcosa per lui e in fretta. Stava per andare nel panico, quando una voce la raggiunse alle spalle.
«Cercavi questo?»
Delle lunghe dita affusolate entrarono nel suo campo visivo, porgendole un disordinato gomitolo di bende. Lo afferrò esitante, alzando di poco lo sguardo. Un sorriso dai canini pronunciati la accolse, germogliando in mezzo a tutti quei fiori. Rimase senza parole. Lo conosceva. Non aveva mai parlato con lui, certo, ma non era una persona che passava inosservata. Era giapponese come lei. E soprattutto, le si era rivolto nella loro lingua madre. Come poteva saperlo?
«Credo ti sia caduto dalla borsa mentre rovistavi. Cosa devi farci?», chiese il ragazzo, gli occhi marina lampeggiarono nell'abbassarsi maggiormente, incuriosito dal suo operato. Si accorse del piccolo volatile ferito e trattenne il fiato.
«Ti aiuto. Io gli tengo ferma l'asticella di legno, tu avvolgi le bende. L'hai mai fatto prima?»
Non la guardava, lei avrebbe dovuto rispondere che sì, l'aveva fatto tante volte perché era nella sua natura curare i feriti, esseri umani, animali o piante che siano. Ma non riusciva ad emettere neppure il minimo suono. Non ne comprendeva il motivo. Era lì, ferma, pietrificata, inginocchiata a terra, l'abito nuovo che le aveva regalato la madre il giorno del suo compleanno sporco d'erba e terriccio, incapace di rispondere. Stringeva la garza tra le mani, cercando una risposta in essa. Sarebbe stato il suo primo e vero approccio con un ragazzo. Doveva fare bella figura, mostrarsi interessante.
Lui, intanto, s'era reso conto che qualcosa non andava. Forse aveva sbagliato approccio. Forse non era la maniera migliore per cominciare una conversazione. Forse l'aveva spaventata, apparendole così di soppiatto davanti. Forse era stato invadente.
«Ah, perdonami, non volevo mettermi in mezzo.», si scusò, lasciando l'asticella, grattandosi la nuca, a disagio. «Se vuoi me ne vado, ti lascio da sola.», non ebbe nemmeno il tempo di pronunciare l'ultima sillaba che lei scosse la testa. Riprese il legnetto, posandolo nella sua grande mano.
«M-mi farebbe molto piacere se mi aiutassi.»
Gli sorrise, lui sentì il suo cuore scaldarsi come una brace. Non comprese quella sensazione, ma riconobbe fosse piacevole.
«Allora mi capisci se parlo giapponese.», si lasciò scappare, al che lei arrossì lievemente.
Abbassò la testa, occupandosi di districare le bende e tagliarle, mentre lui faceva il suo dovere.
«Si, beh, io... Non mi aspettavo ci fosse qualcuno, ecco...» Si strinse nelle spalle, timidamente e lui le sorrise rassicurante.
«È che non volevo disturbarti. Sembrava ti trovassi a tuo agio.»
Lei fu sorpresa dalle sue parole, ma se lo tenne per sé. Sfiorò le sue dita, così grandi e nodose rispetto alle sue giunture da bambina, avvolgendo la stoffa attorno all'ala incrinata del piccolo animale che adesso taceva, come in ascolto per essere testimone del loro primo incontro; dello sbocciare della primavera.
«Di norma, questo posticino sarebbe il mio rifugio. Ci vengo sempre quando voglio stare un po' per i fatti miei e fuggire dalla massa. È rilassante, tranquillo, molto naturale. Mi ricorda un po' il Giappone, perciò mi rende anche un tantino nostalgico. Ma mi piace.»
Fece un'altra pausa, osservando come lavorava meticolosamente, precisa in ogni movimento, senza sprecare neppure un filo d'aria.
«Non avrei mai pensato di trovarci qualcun altro.», ammise e lei finì l'operato, guardandolo improvvisamente pallida. Sudore freddo le imperlava la fronte, gocciolandole sulla nuca, scivolandole giù lungo la spina dorsale, irrigidendola come un tronco d'albero.
«No-non volevo violare i tuoi spazi.», si scusò, parlando ad una velocità che a lui parve impressionante. Spalancò gli occhi, poi esplose in una sonora risata. Lei continuò a guardarlo perplessa dalla sua inaspettata reazione.
«Sei divertente, Shiemi!»
Lei sgranò gli occhi, le sue pupille rimpicciolirono fino a quasi sparire. Non capiva se era spaventata, terrorizzata o eccitata da quella nuova situazione.
«Tu... Come sai il mio nome?!»
Lui tentennò, incerto su che risposta darle.
«Diciamo che ti conosco indirettamente.» Fu più forte di lei, incontrollabile, ma a quell'affermazione le sue guance arrossirono. «Anche se le mie conoscenze si limitano al tuo nome e cognome e la tua provenienza.», proseguì, elencando sulle dita di una mano. «So che ti piace la natura e ti preoccupi per gli altri, ma purtroppo sei timida e insicura e non riesci ad integrarti. Tuttavia hai un cuore d'oro che potresti donare a chiunque se soltanto ti facessi un po' di coraggio e - ops, queste sono soltanto mie supposizioni. Sto esagerando, eh?»
Lasciò cadere il discorso, ma lei lo riprese abilmente, avvicinandosi a lui e scrutandolo bene in viso.
«Come fai a sapere tutte queste cose?»
«Vuoi che sia sincero?»
Lei annuì, lui sviò lo sguardo. Aiutò a rimettere in piedi il loro minuscolo paziente, carezzandogli delicatamente il piumaggio sulla testa con la punta dell'indice.
«Ti sto studiando da quando ti sei iscritta al nostro istituto. Ora ti sembrerò un pazzo, uno stalker, un maniaco o chissà cos'altro, ma sappi che non c'è da preoccuparsi. Semplicemente, con la tua presenza mi hai colpito. Il tuo incedere con eleganza, il tuo essere pacata, la tua calma mi rasserenavano. E continuano a farlo tutt'ora. Ora mi dirai che sono uno scemo, se dopo circa sei mesi ancora non ti ho rivolto la parola. Soltanto che non trovavo l'occasione. Anche io ho qualche debolezza, quando voglio colpire qualcuno non so mai come comportarmi per riuscire a fare bella figura.» Sorrise sghembo, l'uccellino si era rialzato e aveva cominciato a zampettare tra di loro. «Lo so, parlo a vanvera e sono inopportuno. Giuro che me ne vado e non ti infastidirò più.», concluse, senza neppure attendere che lei rielaborasse il suo monologo.
Fece per alzarsi, ma lei lo tirò giù, trattenendolo per una manica della sua felpa.
Lui la guardò col cuore in gola, timoroso della sua opinione, ma lesse nel suo viso puro stupore. Era esterrefatta.
Il cuore le galoppò nel petto mentre pronunciava: «Non sei strano, Rin.»
Lui sbatté più volte le palpebre, chiedendosi se non avesse capito male. Se lei conosceva il suo nome era possibile che...?
«Capisco perfettamente come tu ti senta. In un certo senso, potrei dire che per me vale lo stesso. Se non che io avevo molti più motivi per ammirarti e trovarti interessante.» Ridacchiò, lui la guardò perso in quella rivelazione e non si accorse che intanto il loro piccolo amico li aveva lasciati soli. Persino i suoi compagni avevano cessato di cantare per ascoltare quella buffa e incredibile storia.
«Anche io conosco soltanto poche cose di te, ma al contrario di me, sai, tu non passi di certo inosservato.» Sorrise tristemente, stringendosi nelle spalle. «Volevo parlarti da tanto tempo, visto che sei anche tu giapponese. Volevo chiederti come hai fatto ad ambientarti in così poco tempo, come sei riuscito a farti degli amici e così via. Non ho problemi con la lingua, l'ho imparata in molto meno tempo di quanto mi ritenessi capace, ma hai ragione: sono troppo timida e il mio essere introversa mi impedisce di aprirmi con gli altri. Sono una frana.»
Abbassò la testa, stringendo le dita attorno ai lembi della sua gonna. Lui stese le labbra in un sorriso che avrebbe dovuto infonderle coraggio, ma ebbe come unica conseguenza il palpitare infrenabile del suo piccolo cuore.
«Con me ci stai riuscendo.», le disse, togliendole alcune foglie che le si erano impigliate tra i capelli.
«Eh?» Lo guardò sbigottita. Percepiva il suo tocco e la calmava in maniera pazzesca. Se soltanto fosse riuscita a distinguere quella sensazione...
«Sei diventata mia amica. Mi sbaglio forse?»
Lei lo guardò a bocca aperta, poi scosse energicamente la testa. I suoi capelli danzavano nelle sue mani. Gli occhi di lei brillavano come gioielli nell'udire tali parole. Amica. Non riusciva a crederci. Sua madre ne sarebbe stata entusiasta.
Prese le mani di Rin, stringendole tra le sue, facendo su e giù come una bambina.
«È un vero onore conoscerti. Grazie per essere diventato mio amico, Rin!», esclamò raggiante, felice come non lo era mai stata prima.
Lui deglutì, sviando lo sguardo, arrossendo lievemente. Con la coda degli occhi osservò la sua gioia e sorrise, lasciandosi trasportare da essa.
«Grazie a te Shiemi. Se non avessi scoperto questo luogo nascosto forse non avrei potuto avere questa chance. Come mai ti trovi qui?»
Lei intanto gli aveva lasciato le mani, cominciando a giocare nervosamente con le sue dita.
«Oh, beh... Ero incuriosita dalla Tour Eiffel, ma c'era troppa gente attorno a me... Mi sono sentita oppressa, e poi non sono mai salita tanto in alto, temevo che sarei svenuta, così -»
«Aspetta.», la interruppe, incredulo. «Mi stai dicendo che non ci sei mai salita?»
Lei negò col capo e lui si alzò in un'unica mossa, ripulendosi il pantalone per poi porgerle la mano destra.
«Forza, alzati.»
Lei eseguì gli ordini, senza capirne il motivo. Prese la sua mano per farsi aiutare da lui, ma anche quando fu in piedi lui non la lasciò.
«Ti porto sulla torre.», enunciò, facendole l'occhiolino.
Lei si sentì svenire.
«No, aspetta, io non so se -»
«Alt, non voglio sentire scuse.», la ammonì, puntandole un dito contro. «Dobbiamo superare le paure, no?»
Lei lo guardò timidamente, ma alla sua sicurezza si arrese.
«D'accordo.», pronunciò riluttante, e lui esultò, visibilmente contento.
Uscirono da quell'angolo segreto di giardino ma arrivati accanto alla gamba dell'uomo di ferro lei si arrestò. Impuntò i piedi al suolo, le mani le sudavano e tremavano per la paura, il timore che potesse andare tutto a rotoli.
Lui si chiese se non fosse claustrofobica o avesse paura delle altezze. In tal caso era un bel problema. Dopotutto non sapeva quasi nulla di lei, se non ciò che aveva visto con i suoi occhi. Dalle sue labbra era uscito ancora ben poco. E gli dispiaceva, visto che trovava la sua voce adorabile, estremamente infantile, ma graziosa e primaverile. Sarebbe rimasto ad ascoltarla per ore.
«Ho cambiato idea.», annunciò, mettendosi davanti a lei fino ad impedirle la visuale.
Lei guardò unicamente il suo viso, sentendosi in colpa.
«Non devi farlo per me, anzi hai ragione. Devo superare le mie paure.»
Lui scosse la testa, come se non fosse questo ciò che lo fermava.
«Ci sei stata di notte?»
Lei fu spiazzata da quella domanda.
«No. Perché?»
Il viso di Rin si illuminò.
«Allora ci ritorneremo, ma quando sarà buio! Così vedrai i giochi di luci della torre e ti sembrerà molto più bella e meno spaventosa. Per non parlare della città vista dall'alto, è uno spettacolo! Ovviamente, non devi necessariamente tornare con me, anche se mi farebbe piacere. Ti consiglio però di salirci dopo il tramonto. Non potresti mai pentirtene, credimi.»
Rin si portò le mani dietro la nuca, cercando di mostrarsi fico, anche se dentro di sé era agitatissimo. In realtà avrebbe voluto trascorrere molto, molto più tempo con lei. Avrebbe voluto imparare a conoscerla. Avrebbe voluto essere per sempre al suo fianco, anche come amico, gli bastava e non chiedeva di più - nonostante il suo cuore si opponesse a quel pensiero.
«Va bene.», lei gli concesse, sorridendogli. «Torniamoci di nuovo, insieme.», accettò di buon grado.
Si fidava di lui e lui viveva a Parigi da molto più tempo, quindi ne sapeva certamente più di lei.
«Fantastico!»
La riprese per mano, portandola verso le fontane. Guardò il suo orologio e spalancò la bocca.
«Shiemi? Hai già visto i giochi d'acqua?»
«No.», mormorò lei, al che lui sorrise a trentadue denti.
«Allora dobbiamo sbrigarci, iniziano tra pochi minuti.»
Cominciò a correre, trascinandola con sé. Si rese conto che non era una grande corritrice, dopo pochi metri già era senza fiato. Avrebbe voluto prenderla tra le braccia per accelerare il passo, considerando la sua forza fisica quasi sovrumana, ma gli sembrava un po' invadente al momento. Sperava quanto meno di farcela in tempo.
Fortunatamente riuscirono ad arrivare in cima non appena i giochi cominciarono. L'acqua usciva in maniera scenografica dagli impianti e si incrociava con altri getti, creando spettacolari archi e arcobaleni che culminavano nelle limpide vasche di Champ de Mars.
«Wow...!», si lasciò scappare Shiemi, sopraffatta.
Era bellissimo. Non aveva mai assistito a qualcosa di simile prima, al contrario di Rin che ormai conosceva a memoria orari e spettacoli. Così, piuttosto che guardare quella incantevole rete idrica, preferì concentrarsi sul viso della ragazza al suo fianco. Era proprio come una bambina, si emozionava anche per le più piccole cose. Si chiese come mai in sei mesi non aveva ancora fatto il giro della città, ma era plausibile che non c’era nessuno che potesse fungerle da guida turistica. Una fortuna per lui, poteva essere una buona motivazione per la sua presenza. Perché il voler semplicemente stare al suo fianco, senza alcuna ragione particolare, non gli sembrava ancora reale.
Lei si voltò a guardarlo e lo ringraziò. Lui osservò quegli smeraldi, che brillavano come se fossero fatti d'acqua e di luce. Inconsciamente se ne innamorò, così come di tanti altri tratti che le appartenevano, fino ad apprezzare tutta la sua persona. Ma era ancora presto per questo. Si ricordò di una cosa, così le chiese: «Hai ancora un po' di tempo?»
Piuttosto che consultare un orologio o il telefono, lei si limitò ad elevare lo sguardo verso il cielo. Si barrò gli occhi dalla luce accecante del sole poggiandosi una mano sulla fronte.
«Qualche ora.», confermò, al che lui fece delle capriole interiormente.
«Allora vieni con me, devo mostrarti una cosa. Sei già stata a Notre Dame?»
Senza attendere risposta le afferrò la mano e la condusse verso la metropolitana più vicina.
«Sì.»
Lo seguì senza indugio, affiancandolo e lui le rivolse un sorriso sghembo.
«Quando?»
«Ehm... Se non mi sbaglio era fine ottobre. Poco dopo che ci eravamo trasferiti, ci recammo lì per poter conoscere il nuovo compagno della mamma.»
«Tua madre si è risposata?»
«Si, con un uomo francese. Credo sia una sorta di giornalista freelance, ma non ne ho la certezza.»
«Interessante.» La guardò veramente interessato e, mentre scendevano le scale diretti alla metro osò chiederle, abbassando la voce: «Sei felice qui, Shiemi?»
Il rumore del treno in arrivo occupò i loro pensieri per circa un minuto. Nel momento in cui dovettero salire a bordo lei gli sorrise, arrossendo lievemente.
«Da oggi lo sono.»
Lui ebbe la sua stessa reazione e, dopo essere saliti e in seguito alla chiusura delle porte, istintivamente la strinse tra le braccia, proteggendola dalla calca di persone. Temeva di perderla, bassina come era, in mezzo a quella marea. Lei alzò lo sguardo su di lui , il cuore le batteva di nuovo fortissimo. Lui si sentiva osservato, ma non riusciva a ricambiare lo sguardo senza avvampare.
«Fa un po' caldo, mi dispiace.», le disse miseramente.
«Non fa niente, si sta bene.»
Senza neppure rendersene conto si appoggiò con la testa sul suo petto, e restarono così, stretti l'uno all'altro, in attesa della loro fermata. Scesero quando questa arrivò e si ritrovarono nei pressi dell'isolotto che divideva la Senna. Attraversarono il ponte, continuando a chiacchierare amabilmente, finché non giunsero dinanzi alla cattedrale. Lui le coprì gli occhi con le sue mani e la guidò con cautela al lato che affacciava sul fiume, facendo attenzione che non inciampasse o sbattesse contro qualcosa o qualcuno. Arrivati davanti agli alberi in fiore si fermò, togliendo le mani, rivelandole una tela dipinta di petali rosati. Lei rimase senza fiato e si portò le mani alla bocca, commossa.
«È quasi come assistere all'hanami dei ciliegi.», sussurrò alle sue spalle. «Ci tenevo che lo vedessi.»
«È bellissimo. Grazie.»
Guardò lui, con le lacrime agli occhi. Sembrava che il suo cuore stesse per esplodere dalla felicità. Lui le sorrise, lei lo abbracciò di slancio.
«Grazie.», ripeté.
Lo sentì ridacchiare mentre la stringeva a sé. Sapeva che era sbagliato perché dopotutto Rin era ancora uno sconosciuto. Ma lei si fidava di lui, si sentiva a suo agio, sicura, tranquilla, protetta. Non sapeva come altro descrivere quel calore che provava dentro di sé quando stava al suo fianco, anche se si trattava soltanto di poche ore. Tuttavia le aveva mostrato più lui del mondo in un minimo lasso di tempo di quanto fosse riuscita a fare da sola in tutta la sua vita. Le aveva aperto gli occhi ai colori del mondo, che parevano adesso più accesi, più rosei, più sgargianti e pullulavano come caldi fuocherelli sulla città dell'amore.

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Capitolo 5
*** Day 5 - Bedridden ***


5


Era un'uggiosa giornata invernale. Il cielo era plumbeo, grandi nuvole oscure minacciavano l'orizzonte, annunciando tempesta.
Grosse gocce d'acqua presero a cadere, picchiettando con forza su tetti, mezzi di trasporto, ombrelli e teste di poveri sfortunati passanti che avevano dimenticato di guardare le previsioni meteorologiche. Ebbene, io ero uno di questi ultimi sfigati.
Come se non fosse bastata una settimana nella steppa sconfinata a quaranta sotto zero (come recitava la canzone per bambini, anche se io, a differenza dei cosacchi dello zar, non me ne infischiavo del gelo, tutt’altro) e una bufera di neve a mettere a dura prova il mio sistema immunitario d'acciaio, ora ci si metteva persino il clima giapponese che non era mai stato tanto rigido. Non faceva freddo, di più. Si ghiacciava.
Fortunatamente mi trovavo nei pressi del dormitorio, così riuscii a raggiungere di corsa il riparo.
Mi chiusi la porta alle spalle, salendo rapidamente le scale. Necessitavo di un bagno caldo subito, all'istante. Stavo congelando in quei vestiti tutti zuppi d'acqua. Mi spogliai lanciando i panni alla rinfusa e mi tuffai in acqua non appena fu pronta. Il vapore avvolse il mio corpo come una bella coperta di flanella, ma paradossalmente mi sentivo ancora congelare il naso e le tempie. Per non parlare dei polmoni. E poi, come mai mi sentivo le ossa a pezzi?
Quel bagno era durato molto meno del previsto e una volta che mi fui asciugato e fui tornato in stanza ebbi una rivelazione scioccante: dopo ben 17 anni di vita (giorno più, giorno meno) mi era venuta la febbre. Meglio tardi che mai, eh? Eppure non avrei mai pensato che potesse essere così tremenda da costringermi a letto per un'intera settimana. In un periodo sfavorevole, tra l'altro, visto che Yukio sarebbe stato via per una missione speciale.
Fortuna volle che ad assistere questo povero malato ci pensò l'infermiera più dolce e se-... ehm, premurosa dell'accademia. Non potevo chiedere di meglio, visto che ricevere le attenzioni di Shiemi non mi dispiaceva affatto. Non dopo che ero finalmente riuscito ad ammettere a me stesso e soprattutto a lei che mi piaceva. Non importava se non fosse stata in grado di darmi una risposta, avrei aspettato che facesse anche lei chiarezza con i suoi sentimenti.
Ero stato incoraggiato a farmi avanti dalla scoperta che non fosse interessata da quel punto di vista a mio fratello. Beh, se è per questo nemmeno a me, ma per quanto potesse valere ciò significava un rivale in meno. Era una mera consolazione.
Dopo circa sette giorni ebbe fine la mia convalescenza. Quelle giornate parevano interminabili, ma non mi dispiaceva finché c'era Shiemi a prendersi cura di me come una sposina. Era adorabile. Mi impensieriva soltanto che raramente tornasse a casa sua. Davvero non c'erano problemi con sua madre? Lei mi disse che poteva tornare quando lo desiderava, grazie alla chiave, quindi non dovevo darmene pena. Effettivamente, a volte spariva e tornava dopo circa una mezz'oretta, linda e pulita. Io invece mi sentivo sporco, sudato, coi capelli attaccati alla fronte e probabilmente puzzavo anche. Che ribrezzo dovevo farle.
Dato che quel giorno mi sentivo meglio riuscii a convincerla che ce la facevo ad alzarmi e lavarmi. Desideravo ardentemente una rapida doccia che cancellasse tutti i rimasugli di quella che fino ad allora era stata una sconosciuta malattia e profumare di qualunque bagnoschiuma avessi in bagno. Tutto poteva essere meglio delle mie attuali condizioni. Tuttavia ci volle un po' di insistenza per convincerla che stavo veramente bene. Doveva prima controllarmi la temperatura - e finché posava le sue morbide labbra sulla mia fronte (anche se madida di sudore, ma lei non sembrava farsene un problema) la lasciavo fare -, bagnarmi il viso e il collo con un asciugamano, aiutarmi ad alzarmi, tenermi stretto a sé per condurmi fino in bagno. Forse stava esagerando, ero in grado di camminare perfettamente con le mie gambe senza vacillare, ma dopotutto di cosa mi lamentavo. L'importante era averla così vicina.
In bagno addirittura mi preparò le asciugamani pulite, preparò l'acqua alla temperatura giusta e poi corse in camera a prendermi indumenti puliti. Fu alquanto imbarazzante vederla ritornare con i miei boxer su un colle di vestiti, ma dovetti riconoscere che era stata estremamente gentile. Un angelo sceso in terra per assistermi.
Ah, che ironia, una cosa tanto smielata pensata dal figlio di Satana.
Effettivamente mi chiedevo, se lei davvero fosse stata figlia di un angelo - era possibile, visto che non sapevo nulla di suo padre - avevamo qualche possibilità per stare insieme? Dopotutto saremmo stati due inversi, due poli opposti, ci saremmo esclusi l'uno con l'atro. Ma potevamo coesistere e quello già era un buon inizio.
«Se hai bisogno di qualcosa è sufficiente che mi chiami.» Detto questo fece per andarsene, ma io la bloccai.
«Shiemi?»
Lei mi guardò in attesa. Abbassai lo sguardo, impacciato. Mi stavo rincitrullendo per amore. Dovevo star messo davvero male.
«Grazie.», borbottai, il suo sorriso mi raggiunse anche se non la stavo guardando.
Vidi i suoi piedi avvicinarsi. Alzai timidamente lo sguardo, trovandola a pochi centimetri da me. Sorrideva ancora, e se la mia teoria fosse stata veritiera doveva essere la figlia dell'angelo più bello, più buono, più gentile del Paradiso.
«Rin, tu avresti fatto lo stesso per me.»
Mi tolse una ciocca di capelli che si era attaccata alla guancia e mi sentii avvampare. C'era una cosa da riconoscere: nel giro di un anno e qualche mese Shiemi era cresciuta. Rimaneva sempre un animo infantile, ma io la vedevo sempre più aggraziata e affascinante, qualunque cosa facesse. Mi conquistava nuovamente, ogni giorno, anche soltanto con uno sguardo. Okay, forse ero accecato dall'amore e la vedevo seducente più di qualunque altra ragazza al mondo. Ma ero certo soltanto di amarla e quest'amore nella sua persona non faceva altro che crescere.
Incapace di risponderle, mi limitai a sorriderle e lei mi rivolse quello sguardo. Odiavo quello sguardo. Era troppo raggiante, troppo bella, troppo luminosa, troppo felice e al contempo sembrava chiedermi un'unica cosa: baciami. Ma come avrei potuto, senza la certezza di essere ricambiato? Non potevo metterla alle strette coi miei forti sentimenti. Dovevo trattenerli ad ogni costo o avrei finito persino col rovinare la nostra amicizia. Non me lo sarei mai perdonato.
Ciononostante il suo viso era ancora lì, a guardarmi come se fossi la creatura più rara al mondo e mai concezione fu più errata. Probabilmente si trattava soltanto di un mio desiderio recondito che mi induceva a falsare la realtà. Lei aveva sempre il suo stesso viso, e io ci stavo fantasticando sopra come un babbeo.
Eppure i suoi occhi non si spostavano dai miei, nessun battito di ciglia, nulla che la turbasse, niente che la agitasse come me. Argh, dovevo fare qualcosa. E anche in fretta perché il cuore pareva volesse scoppiarmi. Il pensiero che fossimo completamente soli, e l'acqua del rubinetto facesse da sottofondo a quel momento così privato mi stava per travolgere. L'avrei baciata, davvero l'avrei fatto. Avrei posato le mie labbra sulle sue, l'avrei stretta a me, l'avrei carezzata, avrei sfiorato ogni angolo del suo viso, le avrei dimostrato il mio amore. Il mio affetto. La mia passione - non mi venite a dire che è un'infatuazione o vi sputo in faccia, sul serio.
Ma non feci niente di tutto ciò perché fortunatamente ricordai quanto fossi da buttare in una discarica - o meglio, fu lo scrosciare dell'acqua stessa e il vapore che si andava addensando a schiarirmi le idee e farmi tornare con i piedi per terra.
Così, ruppi l'incantesimo - anche se a malincuore - e afferrai le mie cose dalle sue braccia.
Lei sussultò e parve a sua volta ridestarsi, ma di certo i suoi pensieri erano molto più casti dei miei. Tuttavia la vidi arrossire. Un momento... Non poteva essere!
«Shiemi, tu...?»
«Ah, scu-scusami, l'acqua deve essere pronta. Ti lascio i tuoi spazi, intanto ti aspetto in camera tua. Anzi, ti cambio le lenzuola e quelle te le lavo, poi dopo il bucato ti rifaccio il letto, così...» Continuò a parlare a raffica, volutamente evitando il mio sguardo.
Oh mio Dio, era così tenera da essere tentato a stuzzicarla. In fondo, ero un, come si diceva? “Mischeivuos boy.” “Mischievous boy.” Insomma, quello.
«Se lo preferisci puoi anche restare in bagno con me e farmi compagnia. Cosa succederebbe se mi sentissi male all'improvviso?» Le sorrisi innocentemente, interrompendola, ma in me mi sentivo diabolico.
Il silenzio calò tra di noi, lei aveva sgranato gli occhi e mi guardava paonazza.
«I-io n-non… Cioè, non credo che... Però hai ragione… E se cadessi? E se svenissi? E se ti girasse la testa e scivolassi? Cosa devo fare? Ma non posso restare!»
Si portò le mani al viso, mancava poco che le uscisse il fumo dalle orecchie. Era troppo divertente ed estremamente carina quando era indecisa, ma riconobbi che mi stavo comportando in maniera molto bastarda. Per cui la tirai fuori dagli impicci.
«Shiemi, stavo scherzando. Puoi tornare in camera, non mi succederà niente. Però non strafare, cerca di non stancarti. Il letto posso anche rifarmelo da solo. Ok?»
Lei mi guardò senza parole, poi annuì col capo. Il rossore non aveva del tutto abbandonato le sue guance.
«Prenditi il tuo tempo.», mormorò uscendo dalla stanza e chiudendosi la porta alle spalle.
«Anche tu.», sospirai rassegnato, a ciò che rimaneva della sua presenza. «Prenditi tutto il tempo che ti serve per capire.» Chiusi gli occhi, sorridendo tristemente. «Io ti aspetterò, dovessi anche farlo per sempre.»
 



Angolino autrice:
Salve! Sono profondamente mortificata, non pensavo fosse trascorsa già una settimana dall'ultimo capitolo ç.ç Tra l'altro, torno con una one-shot terribile D: Perdonate lo schifo, stavolta potete offendermi alla grande senza che io me la prenda :'(
Vi auguro un buon weekend <3
Saluti,
Steffirah

 

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Capitolo 6
*** Day 6 - Flames and flowers ***


6


Era giunta la notte.
Sapeva che non poteva ancora fermarsi per riposare, ma la stanchezza prese il sopravvento sulla ragione.
Si ritrovò in uno spazio aperto, accanto ad un grosso gelso. Al buio non riusciva a vedere molto, così comprese che fosse molto più sicuro riposare e proseguire all'alba. Magari dormire lo avrebbe rinvigorito.
Si sedette ai piedi del maestoso albero con un sospiro, guardando poi in alto verso le stelle. L'oscurità era avvolta da una luce verdastra, brillante, e non sapeva che pensare. Era reale? O soltanto un frutto della sua fervida immaginazione? Un monito per ricordargli di fare in fretta?
Si appoggiò al tronco, stendendosi accanto ad una grossa radice che spuntava dal terreno. Chiuse gli occhi, i suoi pensieri corsero a suo fratello. L'avrebbe salvato, ad ogni costo. Glielo promise, nuovamente, poi la sua coscienza fu trasportata via sulle note del vento e raggiunse il regno dei sogni.
Lì incontrò una fanciulla, o meglio, la vide seduta in un prato, intenta a raccogliere fiori. Indossava una lunga veste velata, d'un verde chiarissimo, decorata con boccioli di rose, che le lasciava le spalle scoperte. Anche i suoi capelli biondi, che le arrivavano fino alle fossette di Venere, erano intrecciati con foglie e margherite.
Ella si alzò in piedi e così si accorse che l'abito fosse evanescente, così come la sua pelle, simile alla superficie di uno stelo, tanto da illuderlo che si trattasse anch'essa di una pianta. Avrebbe voluto avvicinarsi, ma qualcosa lo tratteneva. Forse era la regalità di quella figura.
La fanciulla si girò, come se potesse percepire i suoi occhi fissi sulla sua figura, e nel momento in cui i loro sguardi si incontrarono lui si svegliò.
Aprì lentamente gli occhi, stropicciandosi le palpebre col dorso di una mano. Sbadigliò rumorosamente e si stiracchiò.
“Che sogno strano”, pensò.
Notò che i primi raggi di luce stavano infrangendo le barriere del cielo, per cui decise di rimettersi in cammino. Stava per mettersi in piedi quando lanciò un'occhiata fugace all'ambiente che lo circondava. Spalancò gli occhi. Non sapeva che nella foresta ci fosse una zona così eterea. I suoi piedi sfioravano una pietra che affacciava direttamente in un piccolo ruscello, la cui superficie rifletteva i raggi rosati del levante e li trasferiva a cespugli, arbusti, piante, alberi secolari, tutti vivacemente fioriti. I colori stridenti lo colpirono in pieno, riempiendo la sua testa con dipinti e arcobaleni. Provò a liberarsene, ma era intrappolato da questo inimmaginabile incantesimo.
Strisciò verso il corso d'acqua e guardò la sua immagine riflessa. Vedeva lo sgomento sul suo volto. Allungò le mani, immergendole, per poi portarsi l'acqua al viso. Molto meglio.
Tirò un sospiro di sollievo, ma l'apparizione di un'altra figura indistinta accanto alla sua sulla superficie acquatica lo colse di sorpresa. Spalancò gli occhi nel riconoscerla. La fanciulla che aveva sognato!
Si voltò di scatto e lei arretrò impaurita, tanto che una parte del suo corpo svanì nell'albero. Lui era senza parole.
«Che... Che cosa sei?»
Alzò la guardia, ricordando le storie dei suoi compagni sulle Undine, e di come elle soggiogassero gli uomini con i loro canti, le loro arti, la loro bellezza. Sapeva che vivevano nei pressi dei corsi d'acqua e riconobbe d'essere stato un ingenuo.
«Sono una Amadriade. Per la precisione una Morea.», rispose lei, la sua voce sottile come una ragnatela, vibrante e cristallina, come se fosse messa in risonanza da gocce di rugiada.
«Non ne ho mai sentito parlare.», dovette ammettere e lei gli sorrise timidamente, uscendo fuori dall'albero e indicandolo con un dito, sfiorandone delicatamente il tronco.
«Faccio parte di lui.», spiegò. C'era tenerezza nella sua voce, una sorta di amore filiale, ma lui vi sentì anche un accenno di tristezza.
Non cercò di indagare più a fondo, non sapeva ancora quali poteri nascondeva.
«Voi cosa ci fate in questo posto? Non è molto sicuro.»
Lui le rivolse un'occhiata sospetta.
«Devo avere paura di te?»
Lei spalancò gli occhi, affrettandosi a precisare: «No, non faccio del male alle persone. Ma nei boschi ci sono ovunque pericoli in agguato. Volevo soltanto metterla in guardia.»
Lui le sorrise sghembo.
«Grazie, allora. Ora posso proseguire il mio viaggio in maniera molto più rilassata.», ironizzò, alzandosi in piedi.
Lei fece nuovamente un passo indietro quasi temesse fosse lui a farle del male.
«Tranquilla, non ho tempo da perdere. D’altronde, non che sia nella mia indole fare del male, soprattutto non alle donne - nonostante tu possa essere un potenziale nemico e stia cercando di rassicurarmi per poi fregarmi.»
«Le assicuro che non è così.» Colse la sincerità nella sua affermazione. Ancora non si fidava, ma non poteva stare lì a pensarci.
«Buon per me. È stato un piacere conoscerti, Morea, ma adesso devo proseguire, sperando di portare a termine la mia missione e poter tornare presto a casa.» L'ultima affermazione la borbottò tra sé, ma a lei non sfuggì e si impensierì. Non voleva trattenerlo ad oltranza, ma allo stesso tempo non voleva che sparisse così presto. Dopotutto erano anni che non vedeva una persona.
«Se mi è concesso chiedervelo, qual è la vostra destinazione?»
«Devo trovare la lacrima di fuoco.», rispose automaticamente, raccogliendo le sue cose.
Non si accorse di lei che tratteneva il fiato e si mordeva le labbra, preoccupata per la sua sorte.
«Ma non so dove si trova.»
«All'interno di una grotta c'è un labirinto. Dovete entrare e raggiungere il centro, così la troverete.»
Lui si voltò a guardarla, speranzoso.
«Tu lo sai?»
«Sì. Vi ci potrei portare, se lo desiderate.»
Lui ci pensò su e si chiese se fosse un bene seguirla.
«È comprensibile che non vi fidiate di una sconosciuta, ma permettetemi di mostrarvi almeno la strada. Per ripagarvi.»
«Ripagarmi di cosa?»
Lei sorrise dolcemente.
«Per avermi svegliata.»
Gli fece segno di seguirla e lui stette alle sue spalle, confuso. In che senso, svegliata?
Abbassò lo sguardo e si rese conto che dai suoi piedi nudi spuntavano tanti piccoli fiorellini variopinti. Inoltre delle farfalle le svolazzavano attorno ai capelli. 
Quando si voltò un attimo per accertarsi che la stesse seguendo, il suo sguardo si immerse in due iridi verdi come le foglie di quel gelso. Notò le sue guance divenire più rosee e lui accelerò il passo per affiancarla. Guardò verso il cielo che andava rischiarandosi, cercando di fuggire ad un pensiero. Un pensiero che gli ripeteva che quella Amadriade fosse bellissima.
Senza guardarla diede voce alle sue questioni.
«In che senso ti avrei svegliata?»
«Perché mi avete sognata.»
«Non mi è molto chiaro.», confessò e lei gli sorrise affabile.
«Vi siete addormentato accanto all'albero cui sono legata e, così facendo, vi è stato permesso l'accesso al suo regno. Lì mi avete vista. Nel momento in cui ho incrociato i vostri occhi mi è tornato alla mente il cielo. Era tanto che non ne vedevo uno vero. Così ho ardentemente desiderato di potervi rivedere e sono finalmente riuscita a svegliarmi. Erano anni che non accadeva.», concluse nostalgica.
Lui deglutì rumorosamente.
«Anni?»
«Esatto. Sono molto più anziana di quanto possa sembrare.», rise e lui la fissò sconcertato.
«Più o meno quanti anni hai?»
«L'età dell'albero, e dato che adesso è nella sua piena giovinezza ho l'aspetto di una fanciulla aggraziata.» Sorrise, come se ciò la divertisse.
“Fortuna per me.”, pensò allora lui.
Per infrangere nuovamente il silenzio si rese conto di quanto fosse stato scostumato.
«Perdonami se ho cominciato subito a darti del tu, Morea, senza nemmeno presentarmi. Io sono Rin.»
«Non siete un principe?», chiese allora lei, stupita.
«Ehm, no. Soltanto un umile cavaliere al servizio della corona.»
La fanciulla lo ammirò a lungo, imbarazzata. Eppure ne era convinta, dato che aveva un aspetto così regale.
«Capisco. Comunque, Morea non è il mio nome.», ridacchiò,portandosi elegantemente una mano alle labbra. «Le mie sorelle mi chiamano Shiemi.»
«Ah, perdonami allora, Shiemi.»
Ripeté mentalmente la sua affermazione e alzò un sopracciglio.
«Sorelle?»
«Le altre Driadi e Amadriadi.»
«Quante ne siete?», chiese il cavaliere, spalancando gli occhi.
«Tante quanti gli alberi che ci circondano.»
Lui non riusciva a credere alle sue orecchie. Possibile che fino ad allora non ne avesse incontrata nessuna?
«Se mi è lecito chiederlo, potrei conoscere la vostra età?»
«Ho ventun anni.»
Lei sorrise tra sé, pensando che era da molto più tempo che non apriva gli occhi. Eppure, fortunatamente, anche nel sogno le informazioni le arrivavano chiare. Ventun anni le pareva una data importante, ma non ricordava a cosa corrispondesse.
«A cosa vi serve la lacrima di fuoco?»
Lui tacque per lungo tempo, lei non insistette. Soltanto quando il sole fu alto nel cielo e si fermarono pochi minuti per cibarsi lui rivelò: «È per mio fratello. Sta morendo.» Shiemi percepì piccole lacrime pizzicarle gli occhi nell'udire una tale triste notizia. «Ho sentito che ha dei poteri curativi.»
«È vero, ma...» Non sapeva se fosse un bene parlargliene.
Si allontanò di poco, guardando verso il sentiero invisibile che conduceva alla grotta. Ormai mancava poco. Doveva dirglielo.
«Ma?»
Si sorprese nel trovarselo al suo fianco. Alzò lo sguardo per guardarlo dritto negli occhi, mesta.
«C'è una condizione. Soltanto coloro che hanno legami di parentela con colui che l'ha versata può farne buon uso.»
Lui imprecò tra sé, fissando un punto indefinito dell'orizzonte. Rivedeva la sofferenza di suo fratello davanti ai suoi occhi. Non poteva indugiare, doveva salvarlo ad ogni costo. L'aveva promesso. Gli aveva detto che avrebbe potuto sempre contare su di lui. Non poteva venire meno alla sua parola.
«Chi è la persona che ha versato questa lacrima?»
Lei rabbrividì pronunciando: «Colui che governa gli Inferi.»
Il viso di Rin dapprima si oscurò, ma poi si riaccese con un sorriso vittorioso. Perfetto.
Lei non comprese quella reazione e quando si rimise in cammino cercò di fermarlo. Era una pazzia, avrebbe potuto morire. Ma lui la rassicurò che sarebbe andato tutto per il meglio. Sarebbe riuscito nella sua impresa. Ed effettivamente riuscirono ad arrivare alla bocca della grotta senza alcun intoppo.
Si fermarono dinanzi ad essa, percependo un flebile venticello sussurrare parole oscure e incomprensibili nella loro direzione. Rin si fece coraggio, tenendo la spada stretta tra le mani.
«Aspettami qui.», ordinò prima di fare un passo avanti.
«Cosa? No. È troppo rischioso andare da solo!», provò ad opporsi Shiemi, ma fu tutto inutile. La sua decisione era irrevocabile.
«In un modo o in un altro tornerò indietro, sano e salvo. Fidati di me, Shiemi.»
Ammiccò e il cuore della fanciulla ebbe un sussulto, provando un senso di grande familiarità. Osservò impensierita le sue grosse spalle mentre si allontanavano, ansiosa, ma voleva fidarsi della sua parola. Giunse le mani in preghiera nel momento in cui egli fu inghiottito dalle tenebre.
Dopo essere entrato nella grotta, Rin si ritrovò in una sorta di dedalo racchiuso tra le mura di alti e fittissimi cespugli, fiori appassiti, siepi chilometriche e intricati sentieri con ciottoli e pietre appuntite. Era circondato da un'aria tetra, ma nulla poteva spaventarlo. Avrebbe raggiunto la sua meta, non si sarebbe fermato davanti a nulla. Qualunque creatura gli fosse apparsa davanti l'avrebbe sconfitta senza paura.
Impavido, coraggioso, procedette a testa alta; davanti ad un bivio sceglieva di seguire l'istinto e, guidato da se stesso, si ritrovò dinanzi a un grande arco con rose nere, appassite, dai bordi bruciacchiati. Notò anche della cenere sulle piastrelle.
Apparentemente imperturbabile ci passò sotto con noncuranza e si ritrovò in uno spiazzale circolare con al centro un vecchio pozzo di pietra lavica. Al centro galleggiava una lacrima infuocata. L'avrebbe trovata meravigliosa, se non avesse avuto ottimi motivi per odiarne le origini. La goccia fiammeggiante versava fasci di luce azzurrognola sul suo viso, illuminandolo con ciò che più odiava al mondo: ciò che rappresentava il suo potere, ma anche la sua più grande maledizione.
Si avvicinò con cautela e allungò una mano, ma una barriera invisibile gli impedì di impossessarsene. Gli era sembrato troppo semplice.
Dal nulla apparvero creature mitologiche simili a fauni, ma lui era certo che si trattasse degli scagnozzi di suo "padre". Rivolse loro un sorriso storto. Leggeva il desiderio nei loro spenti, vacui, vuoti occhi; lo bramavano, ma non avrebbero mai ottenuto ciò che desideravano. Non c'era possibilità di vittoria per loro. Non l'avrebbero strappato via da questo mondo.
Estrasse la spada e combatté: per il proprio onore, per la propria vita, per suo fratello. Li sconfisse in pochi minuti. Era stato troppo semplice, di nuovo.
«Come ci siete riuscito?»
Una voce sbigottita lo fece sobbalzare. Si voltò e così la vide, impietrita sotto l'arco morto.
«Che cosa ci fai qui? Ti avevo detto di restare fuori!», sbottò stizzito.
Lei si riprese e lo guardò dritto negli occhi, serrando le labbra, avvicinandosi impettita a lui. I fiori che uscivano dai suoi piedi appassivano in un istante in quel luogo fetido, cedendo il posto a brevi scie di sangue.
«Avete bisogno del mio aiuto.», disse lei con fermezza.
Lui si sentì terribilmente in colpa per averla trascinata in quella situazione. Cosa le sarebbe potuto accadere? Non poteva avere alcuna certezza. Si era affezionato a quella creatura, non voleva vederla soffrire.
«Shiemi devi tornare subito indietro.»
Le prese le spalle e la spinse via con gentilezza, ma lei si liberò della sua presa con un unico, pulito, flessuoso movimento.
«No. Vi aiuterò.», ripeté la sua decisione, determinata.
Lui sospirò rassegnato.
«D'accordo, ma stai in guardia. Se la situazione dovesse degenerare non esitare a scappare.»
Lei annuì e si fece spiegare la situazione. Al suo vano tentativo lo guardò confusa.
«Pensavo lo sapeste.»               
«Cosa?»
«La lacrima di fuoco non può essere afferrata. È inconsistente.»
Lui impallidì. Che cosa ci faceva ancora lì? Come poteva aiutare Yukio? Era stata un'impresa inutile! Uno spreco di tempo prezioso che avrebbe potuto sfruttare trovando una cura alternativa.
Invisibili lacrime di frustrazione si impossessarono dei suoi occhi. Le labbra gli tremavano dalla rabbia, il sangue gli ribolliva in corpo come veleno. Rischiava di esplodere e sarebbe potuto accadere se lei non gli avesse posato una mano su una guancia, ottenendo tutta la sua attenzione.
Gli sorrise debolmente, rivelandogli: «Possiamo unire le forze.»
Rin non riusciva a capire il come e lei cercò di spiegarsi.
«Possiamo usare i nostri poteri.»
Lui aprì la bocca per ribattere, lei lo anticipò zittendolo.
«Prima vi ho visto. So che siete suo figlio. E non vi giudico per questo. Anche se sono stata poco tempo con voi, ho capito sin da subito che le vostre intenzioni sono nobili. Penso che meritiate quella lacrima, soprattutto visto che è stata versata per voi.»
Lui la guardò senza parole. Lei sapeva. Era a conoscenza di tutto, anzi di molto più di quanto sapesse egli stesso. Ma non c'era tempo per le spiegazioni.
Shiemi gli spiegò come utilizzare le sue fiamme blu per avvolgere e proteggere la lacrima; lei avrebbe utilizzato i suoi fiori per trasportarla fino da loro, poi avrebbe creato una boccetta di resina in cui custodirla. E così fecero.
Mentre tornarono sui loro passi lei costruì una collana con foglie e rami, annodandola poi al collo del cavaliere. Lui se la strinse al petto, quasi temendo che potesse spegnersi o evaporare.
Una volta usciti dalla grotta lei vacillò. Lui la prese immediatamente tra le sue braccia, riportandola al suo albero. Era leggerissima, come se non esistesse.
Lei chiuse gli occhi, appoggiando la testa sul suo petto, affermando d'aver usato troppa energia e che per questo s'era indebolita. Tra l'altro, il luogo che avevano appena lasciato si nutriva di forza vitale. Lui si arrabbiò con lei per l'essere stata tanto imprudente, per non averglielo rivelato prima, ma lei si limitò a sorridergli, come una carezza.
La adagiò accuratamente accanto all'albero e metà del suo corpo si fuse con esso. La vide riprendere colore e si tranquillizzò. Lei riaprì gli occhi, ringraziandolo. Per ricambiare la sua gentilezza gli raccontò ciò che successe durante la notte blu, esattamente ventuno anni prima: come anche lui già sapeva, l’Oscuro Sovrano era giunto in Terra, perdendo il controllo, finendo col distruggere tutto ciò che trovava lungo il suo cammino. Ma piangeva.  Era spinto dall'amore, un amore che aveva appena perduto per sempre. Perché anche il peggiore dei demoni era in grado di amare.
Lui la ascoltò taciturno, pensieroso, riflettendo sulle sue parole. Poi la guardò con decisione, nel momento in cui dovettero separarsi.
«Allora questo è un addio.», mormorò lei, dispiaciuta.
Lui scosse la testa e le sorrise raggiante.
«No. Quando avrò salvato mio fratello tornerò da te.»
«Cadrò nuovamente in un profondo sonno, dopo che mi avrete lasciata.»
«Allora ti sveglierò di nuovo.»
«... E se non sarà più possibile?», indugiò.
Shiemi era consapevole che, essendo una Morea, sarebbe sopravvissuta fintanto che l’albero fosse rimasto in vita. Una volta morto l’albero, anche lei sarebbe sparita. Provò a spiegarglielo, ma lui sembrava determinato.
«Significa che troverò un modo per liberarti. E se non dovessi riuscirci resterò qui, davanti a questo gelso, finché non mi concederà nuovamente di incontrarti.», rispose risoluto.
Lei lo fissò stupefatta, trattenendo il fiato. «E poi?»
«E poi,», riprese, avvicinandosi a lei, «Poi possiamo costruire una casa in questo posto, per noi due. Così ti renderò mia, Shiemi.», le promise, suggellando il tutto con un casto bacio.
 



 

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Capitolo 7
*** Day 7 - Secret ***


7
 

Erano già trascorsi dei mesi da quando avevano cominciato a frequentarsi.
Shiemi si sentiva più felice che mai, al sicuro, protetta, avendo una persona forte e gentile come Rin al suo fianco. Era sempre altruista, dolce, schietto, diretto. Le diceva tutto quello che pensava, tutto ciò che desiderava, faceva quel che gli passava per la testa senza curarsi delle conseguenze. Era istintivo, e forse ciò era anche dovuto alla sua natura mezza demoniaca.
Shiemi pensava di sapere quasi ogni cosa di lui, di essere a conoscenza di ogni ombra e ogni sfumatura di Rin.
Aveva scoperto che leggeva manga, che gli piacevano le storie drammatiche e strappalacrime - non se lo aspettava, ma ne era stata felicemente sorpresa -, i film d’azione e d’avventura, cucinava alla pari di uno chef di primo livello, adorava ovviamente mangiare, dormire (per ben 11 ore al giorno!), passeggiare e stare in compagnia, che si trattasse di animali, amici, Yukio o di lei. L'importante era che non restasse mai solo, perché se c'era qualcosa che odiava era proprio la solitudine.
Poteva affermare di conoscerlo ormai come le sue tasche, ma non era convinta; doveva pur nasconderle qualche segreto. Lei, ad esempio, non gli aveva rivelato che non aveva mai imparato ad andare in bicicletta. Forse non era poi così importante, ma se ne vergognava tantissimo. Così come del fatto che fosse lievemente allergica al polline. Proprio lei, che amava le piante! O pure peggio, di quante volte avesse pianto quando suo padre era sparito all'improvviso, lasciandola sola con sua madre. Di quando, preda dei sensi di colpa per la morte di sua nonna, avesse tentato più volte il suicidio, senza però riuscire a trovare il coraggio di compiere un atto tanto drastico e affidandosi ogni giorno alla speranza. Non gli aveva spiegato come lui avesse travolto la sua vita, come l'aveva cambiata, rendendola una persona migliore, che accettava e apprezzava l'esistenza in tutte le sue cromature.
Quel giorno era decisa a raccontarglielo. Doveva fargli capire quanto fosse follemente innamorata di lui. Quello che non si aspettava fu la rivelazione che ricevette in cambio.
«Non sono mai stato il bravo ragazzo che conosci, Shiemi. Da bambino ero ribelle, facevo a botte per ogni pretesto, e più volte ho rischiato di uccidere, anche se non lo volevo. Ma era come se una forza più grande di me mi dominasse, prendesse il controllo del mio corpo ed esplodesse, distruggendo tutto ciò che incontrava sul suo cammino. Parve scomparire solo quando ruppi delle costole a mio padre; da allora decisi che avrei cessato di essere una testa calda e avrei cominciato a fare del bene, come desiderava lui. Partendo dalle piccole cose, per esempio cucinando per lui e Yukio. Ricevendo i loro complimenti mi sentivo felice, così è diventato una sorta di sfogo creativo grazie al quale ho affinato anche le mie papille gustative. Non nego che un giorno mi piacerebbe divenire un cuoco rinomato, conosciuto in tutto il mondo», ridacchiò.
Lei lo ascoltava ammutolita mentre stavano lì, seduti su una panchina, all'ombra di un olmo.
«Ero felice durante la mia infanzia, e anche se non avevo una madre riuscivo a crearne una nella mia mente. Tra l'altro Yukio si è sempre comportato come se fosse lui la mamma, quindi non mi sono mai sentito totalmente triste e solo... Almeno non fino al giorno in cui ho scoperto che tutto ciò per cui e con cui avevo vissuto non era altro che una bugia. Mio padre non era il mio vero padre, nostra madre è morta dandoci alla luce e io e Yukio... È come se fossimo figli di nessuno. Sono dannato, maledetto, ma ciò nonostante ho deciso che avrei lottato per i miei ideali, per raggiungere i miei obiettivi, per realizzare i miei sogni.
D’un tratto ero completamente svuotato, privato di quell'affetto a cui ero tanto legato, e durante i momenti più malinconici, in cui mi sentivo più perduto che mai, pensavo a tutte le persone che mi erano accanto: i miei amici, i miei superiori, quel che resta della mia famiglia – che per me è tutto. Ero deciso a proteggere queste persone ad ogni costo, e lo sono ancora.
Poi ho cominciato a capire che qualcosa mi mancava. Una figura da amare e custodire, con cui un giorno, magari, avrei potuto costituire una nuova famiglia, crescere dei bambini. Avremmo avuto una grande casa accogliente, con un grande giardino, in cui ci saremmo divertiti un mondo. E proprio quando ho cominciato a meditare su ciò tu sei apparsa nella mia vita, Shiemi. Se quel giorno al giardino botanico non avessi trovato il coraggio di farmi avanti e chiederti di uscire probabilmente me ne sarei pentito per tutta la vita.»
Le rivolse un goffo sorriso sbilenco, grattandosi dietro la nuca.
Lei arrossì, riportando alla memoria il loro primo incontro e la sua baldanza nell'avvicinarla per chiederle se per quella serata aveva impegni. Seppure avesse già compiuto da tempo 18 anni non aveva mai avuto esperienze simili prima di allora, quindi era stata totalmente presa contro piede. Lo stesso aveva scoperto di lui, e infatti si era chiesto più volte se fosse una buona idea, ma alla fine aveva deciso di cogliere l'attimo per non sprecare quella che si era successivamente rivelata un'ottima occasione.
Si erano amati sin dal primo istante, e nel momento in cui lei aveva scoperto la sua vera natura non era scappata via urlando, rifiutandolo, come lui si aspettava; bensì gli ripeté le stesse parole che gli disse anche quel giorno.
«Rin, lo sai. Io ti amo perché sei Okumura Rin, e il fatto che tu sia mezzo demone, o mezzo umano, o un ribelle scapestrato senza regole, o un ragazzo dal passato disastroso, non può far scomparire quello che io provo per te. Anzi, semmai lo può accrescere. Perché più tu mi rendi partecipe dei tuoi problemi, dei tuoi lati oscuri, delle tue paure, dei tuoi desideri più reconditi, più io capisco che ti fidi di me. Sapere questo mi scalda il cuore e rafforza il dolce sentimento che provo per te. Dovresti esserne consapevole, ormai.»
Posò la testa sulla sua spalla e lui la strinse a sé, lasciandole un leggero bacio tra i capelli. Chiusero gli occhi e, stretti l'uno all'altro, stettero ad ascoltare il corale dell'oceano che gorgheggiava alle pendici del monte su cui si trovavano.
«Shiemi?»
«Si?»
«Grazie di esistere.»
Bastò questo, affinché tutte le ombre dissipassero.
Alzò lo sguardo su di lui, incontrando i suoi sereni occhi blu. Gli sorrise, scaldata dalle sue parole, e posò le sue labbra sulle sue. Contenta che dopo tanto errare avessero entrambi trovato una ragione per cui valesse la pena vivere.



Spazio autrice:
Salve a tutti!
Finalmente questa raccolta è giunta alla fine (anche se ciò - in parte - mi rattrista...). Fortuna che si tratta di one-shot, o immagino voi lettori mi avreste quasi sicuramente sepolta lanciandomi pomodori (o peggio), considerando il ritardo con cui aggiorno ^^" 
C'è poco da dire su questa storiella, come avrete potuto capire è in parte AU e in parte fedele all'originale. Spero sia di vostro gradimento.
Ringrazio chi ha letto tutte le storie (anche se non era necessario), ma anche chi ne ha letto soltanto una. Mi auguro le abbiate trovate piacevoli e siano riuscite a farvi rilassare, se non a strapparvi un sorriso <3
Ora vi saluto, augurandovi tante buone cose nella vita :3
Un bacio,
Steffirah

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