Rebirth di Gemini_no_Aki (/viewuser.php?uid=62854)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Chapter 01 ***
Capitolo 2: *** Chapter 02 ***
Capitolo 3: *** Chapter 03 ***
Capitolo 4: *** Chapter 04 ***
Capitolo 5: *** Chapter 05 ***
Capitolo 6: *** Chapter 06 ***
Capitolo 7: *** Chapter 07 ***
Capitolo 1 *** Chapter 01 ***
Chapter 01
All’inizio
era rabbia.
Una
furia
cieca che Mick sapeva di conoscere meglio di quanto gli sarebbe
piaciuto
ammettere, la furia che anelava al fuoco, inarrestabile, indomabile, la
furia
che arrivava quando restava bloccato lontano dalle fiamme. O quando le
persone
non riuscivano a vedere oltre le apparenze. Quel giorno erano state
entrambe le
cose a far scattare la scintilla nella sua mente.
Aveva
chiuso ogni cosa fuori nel momento in cui Rip Hunter si era voltato
borbottando
quella che lui intendeva come una scusa ma che Mick sapeva non essere
sentita,
aveva cacciato Jefferson lontano dai suoi pensieri, il ragazzino non
aveva
fatto nulla di male, non voleva davvero coinvolgerlo. Aveva chiuso
fuori dalla
mente l’intera squadra con cui stava viaggiando, la missione
che avevano, ogni
singola cosa. Per un breve istante la sua mente rimase
all’oscuro, silenziosa,
avvolta in una pace incredibilmente rara. Poi fu il fuoco. Mick aveva
imparato
presto come funzionava, come una fiammella innocente sulla punta di un
fiammifero potesse espandersi in un attimo, Mick conosceva il fuoco e
in quel
momento era l’unica cosa che esisteva.
Eppure
in mezzo al crepitio delle fiamme resisteva un piccolo pensiero,
qualcosa che
era stato dimenticato mentre ogni altro pensiero fuggiva, qualcosa che
Mick non
era sicuro di sapere come fosse arrivato.
“Non
ferirli. Non trascinarli nelle
fiamme. Non ucciderli.”
No, lui voleva solamente tornare a casa.
Apparentemente
loro non erano della stessa idea, apparentemente il suo partner
non era della stessa idea mentre lo abbandonava in una
foresta in chissà quale luogo, chissà
quale tempo.
Non
era necessario per quella missione, era un pericolo, era stupido,
Rip l’aveva detto più chiaramente che poteva,
perché non
riportarlo nel loro tempo? Cosa sarebbe cambiato?
La rabbia
mutò in attesa.
Impiegò
una settimana per accadere, una settimana perché il fuoco
smettesse di ardere
così impetuosamente da cancellare ogni altra cosa. Non si
trattava del fatto
che non fosse più arrabbiato con loro perché dire
quello sarebbe stato mentire,
era ancora arrabbiato, furioso, ma loro non erano lì, era da
solo. Aveva tutte
le ragioni per essere arrabbiato ma nessuno di fisico con cui esserlo.
Così attese.
Non
si
spostava troppo dal luogo in cui Snart lo aveva lasciato e anche se lo
avesse
fatto dove avrebbe potuto andare? Non aveva indicazioni da poter
seguire, non
aveva una destinazione.
Un’altra
settimana dopo smise di contare i giorni che passavano, un pensiero
più piccolo
del precedente si fece largo nella mente, era una vocina lontana ma
nella mente
ormai silenziosa risuonò come se giungesse da ogni direzione
e da nessuna al tempo
stesso.
“Non
tornerà a prenderti.”
Non
voleva ascoltarlo eppure ogni volta che Mick cercava di concentrarsi su
qualunque altra cosa, che fosse una pianta, che fossero delle bacche o
un
coniglio che si era sventuratamente trovato sulla sua strada, quella
voce
tornava prepotente a farsi sentire.
Snart,
no, Len non sarebbe tornato, nessuno sarebbe tornato indietro per lui.
L’attesa
divenne rassegnazione.
Tre
settimane,
tre mesi, forse erano quattro, forse erano solo due giorni.
Decine
di chilometri, venti, due soltanto.
Mick
aveva completamente perso il senso del tempo, della distanza, si era
perso e
non era certo se si riferiva a quello in senso letterale mentre si
guardava
attorno e non vedeva altro che alberi, o in senso metaforico mentre
cercava un
appiglio che gli permettesse di mantenere la mente unita mentre la
sentiva
spezzarsi, vagare in ogni direzione, con una miriade di pensieri tra i
più
disparati, senza capo né coda.
Il
fuoco
aveva smesso di bruciare, “Questo
è
letterale” pensò, la fiammella davanti a
sé spariva in un ramo troppo
grande e robusto che non si era acceso come lui avrebbe voluto. Il
freddo lo
avvolgeva, cercava di entrargli nelle ossa, di trascinarlo a fondo con
sé e Mick
non sapeva più cosa fare per impedirglielo.
Non
sapeva
perché fosse ancora vivo, perché si ostinava a
cercare di sopravvivere, perché ogni
mattina quando il sole sorgeva e i raggi filtravano fra le fronde lui
si alzava
e si ostinava a trascinarsi avanti in una direzione qualsiasi.
Perché?
Perché?
Che
senso
aveva tutto quello? Cosa aspettava, cosa cercava, perché il
suo corpo non
riusciva a fermarsi come la mente stancamente cercava di imporgli?
Cinque
mesi, dodici giorni, forse erano sette settimane, ogni cosa era senza
significato, perché cercava di ricordare quanto fosse
passato? Perché cercava
ancora di capire dove fosse? Come uscire da quel mucchio di alberi, o
come bruciarli
tutti uno dopo l’altro finché non fosse rimasto
solo lui in mezzo ad un bosco
di cenere, magari avrebbe attirato l’attenzione di qualcuno.
Qualcuno.
«I
tuoi compagni, amici, ti hanno
abbandonato.» Mick alzò lo sguardo su chiunque
stesse parlando.
“Chi
è? Si è perso anche lui?” No,
impossibile. “Sa troppe
cose.” L’uomo
continuò a guardarlo dall’alto con fare superiore.
“Chi si crede di essere?”
Voleva dirlo, voleva parlare, ma quando
aprì la bocca non uscì alcun suono.
«Posso
darti quello che cerchi.» Aveva una cadenza lenta,
controllata e precisa. Si inginocchiò
davanti a lui, Mick non riusciva a scorgere il viso, solo i vestiti
scuri, qualcosa
di familiare ma non per quello sicuro.
«Tu
li trovi per noi» “Di chi
parla?” «Gli
darai la caccia, non temere, ti insegneremo come fare, li consegnerai a
noi,
non importa come.» “La
squadra.” «Avrai
la tua vendetta, noi avremo fermato una minaccia, tutti
vincono.» “No. Manca
qualcosa. Non ti fidare Mick.”
La voce nella sua mente era diversa, era una voce che non sentiva
da… da troppo
tempo, non sapeva quanto, avrebbe dovuto averla dimenticata.
«E tu potrai
andare a casa.»
Casa.
Mick
accettò senza più dubbi, con voce rauca per il
troppo disuso.
Quando
aprì nuovamente gli occhi gli alberi erano svaniti, la
stanza era ampia e
bianca, senza finestre, senza mobili ad eccezione del letto su cui era.
Mick posò
finalmente lo sguardo su un uomo con le braccia conserte che lo
guardava.
«Cosa
volete da me? Dove sono?» La voce era sbagliata o forse era
solo lui ad averne
dimenticato il suono.
«Non
temere, ci occuperemo noi di te.» Fece un breve gesto con la
mano indicando
attorno a sé mentre le pareti cambiavano mostrando uno
schermo con cose che Mick
non capiva. «Questo è il Punto di non Ritorno. Ti
consiglio di restare il più
fermo possibile.» Il sorriso che aveva era tutto
fuorché rassicurante, Mick conosceva
quel tipo di sorrisi. L’uomo uscì da una porta a
scomparsa e una volta richiusa
la parete era nuovamente uniforme come poco prima come se non esistesse
nessuna
porta.
Era
a metà strada tra il letto e la parete che qualcosa gli
attraversò la mente,
come una scossa, come… non lo sapeva, cadde a terra.
La rassegnazione infine
divenne Vuoto.
Angolino dell'Autrice: Alla
fine mi sono convinta a scriverla subito e, soprattutto a pubblicarla.
Non so quando la aggiornerò, non so se saranno due capitoli
o dieci o cos'altro. So in che direzione voglio andare ma non se
prenderò la strada più lunga... vedremo. Potrebbe
prendere in considerazione la coppia Mick/Len, lo aggiungerò
se sarà così. E probabilmente dovrò
spostare il rating su giallo, ma vedremo anche qui come si sviluppa. Al
momento è un poì confusionaria, non è
che i pensieri di Mick siano esattamente lineari, nè tanto
meno semplici D:
Per intanto spero vi piaccia com'è ;)
Bye Bye~
Aki
|
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Capitolo 2 *** Chapter 02 ***
- Chapter
02
-
«Uno
solo di noi uscirà vivo da questa
situazione.»
Il
raggio congelante che lo sfiorava. La
pistola che per forse la terza volta quel giorno andava a cozzare
contro la sua
testa. Il freddo. La solitudine, l’abbandono, il tradimento
di quell’unica
persona di cui si fidava incondizionatamente, che era la sua famiglia,
la
paura.
Mick
si
svegliò di soprassalto, si mise a sedere scandagliando la
stanza con
attenzione, una dopo l’altra le domande iniziarono ad
ammassarsi nella sua
mente, si spintonavano l’un l’altra per avere una
risposta per prime, urlavano
a gran voce ma le risposte non arrivavano. I lunghi tentacoli della
paura si
erano attorcigliati attorno a polsi e caviglie, sottili e robusti, per
quando
l’uomo cercasse invano di muoversi e liberarsi loro non
lasciavano la presa.
Inquieto lasciò vagare ancora lo sguardo attorno a
sé dando di tanto in tanto
qualche colpo nella speranza di potersi muovere liberamente.
Non
era
casa, non uno qualunque dei rifugi dislocati a Central City e nelle
altre zone
limitrofe, non era un ospedale, niente prigione, niente urla da
manicomio. Non
l’infermeria della Waverider, non la cella, non-
«Ah,
Signor
Rory.» Si voltò verso la fonte della voce
più in fretta di quel che il suo
collo avrebbe voluto. «Vedo con piacere che ha deciso di
svegliarsi.» La stanza
era vuota e sterile, Mick non riusciva a ricordare dove fosse o come ci
fosse
arrivato, si dimenò ancora una volta ma tutto ciò
che ottenne in cambio fu un
costante dolore ai polsi.
«Suvvia
non si agiti in questo modo, non voglio essere costretto a sedarla di
nuovo.»
Mick non lo ascoltò, continuò a dimenarsi come un
animale in gabbia. Una vocina
dentro di lui dichiarò che stava impazzendo, solo i pazzi
sentono voci senza
persone attorno.
«Possiamo
risparmiare molto tempo se
collabora.» Si bloccò nella posizione in cui era
in quel momento quando la voce
maschile pronunciò quelle parole, tempo,
così aveva detto, le cose iniziarono a tornare al loro posto
lentamente, i
Signori del Tempo, il Punto di non Ritorno, la
stanza. La luce si fece soffusa e tendente
all’azzurro mentre uno schermo
piatto comparve sul muro davanti a lui, quando si accese un uomo
diverso da
quello che il giorno prima, era il giorno
prima? l’aveva portato in quel luogo era seduto ad
una larga scrivania, le
mani unite davanti a sé e un sorriso rilassato.
«Bene
Signor Rory, iniziamo dalle basi.» Anche mentre parlava il
sorriso restava
stampato sul volto del Signore del Tempo, il primo pensiero che
attraversò la
mente di Mick fu quanto sarebbe stato soddisfacente farlo sparire a
pugni,
provò a mimare il gesto ma i polsi erano ancora bloccati.
«Voi e i vostri amici, da
quale tempo arrivate?»
Mick
stava per aprire la bocca per rispondere quando qualcos’altro
scattò nella sua
mente, perché lo stavano chiedendo a lui? Abbassò
lo sguardo sulle mani
bloccate dalle cinghie scure, “Non
erano
tentacoli allora.” pensò, poi
tornò a guardare il Signore del Tempo nello
schermo, composto e rilassato alla sua scrivania. Avrebbe incrociato le
braccia
al petto se fosse stato libero nei movimenti.
«Ma
come?» Domandò con tono sicuro e canzonatorio.
«Non sapete una cosa così
banale?» L’uomo non sembrò essere preso
alla sprovvista dalla sua risposta, a
onor del vero rimase completamente impassibile.
«Purtroppo
Signor Rory nemmeno noi siamo onniscienti.» Rimasero a
guardarsi per alcuni
minuti senza che nessuno dei due parlasse come se fosse un gioco.
«Come
ho detto poc’anzi possiamo risparmiare tempo se
collabora.» Il grugnito che
ottenne in risposta fu sufficiente a farlo sospirare ma nulla di
più.
«È
anche vero, purtroppo, che ero stato informato che avreste opposto
resistenza.»
Sospirò nuovamente, in modo troppo teatrale
perché Mick potesse prenderlo sul
serio. «Non sono solito usare questi metodi, preferirei
evitarlo quindi
ripeterò la domanda. Da quale tempo l’ex Signore
del Tempo Rip Hunter vi ha
prelevati?»
Mick
continuò a guardarlo con aria di sfida, aspettò
un paio di minuti prima di
lanciare un’altra frecciatina, e un’altra ancora, e
ancora.
«Non
è
così facile farmi parlare, dovrai impegnarti di
più.» Una scossa attraversò
rapida il suo sistema nervoso, sembrava generarsi da ogni singolo punto
allo
stesso tempo, strinse i pugni riuscendo in un primo momento a mantenere
un’espressione pressoché neutrale.
«Tutto qu-» Il Signore del Tempo
dall’altro
lato dello schermo non gli diede il tempo di finire la frase, una nuova
scossa
attraversò il suo corpo seguita in rapida successione da
un’altra, e un’altra
ancora, e ancora, Mick non sapeva quante erano state, aveva smesso di
contare
concentrandosi esclusivamente sul mantenere almeno
un’apparenza forte. Finché il
suo corpo non decise che era troppo, si lasciò cadere
disteso sul materasso
fissando il soffitto bianco. Il Signore del Tempo aveva smesso di
ripetere la
stessa domanda, o lui aveva smesso di ascoltare, eppure ogni volta che
sentiva
il suo corpo contorcersi sapeva che era solo un altro modo per
chiederglielo
senza sprecare fiato prezioso.
Una
parte
di lui implorava di rispondere e mettere fine a quella tortura,
l’altra sapeva
che anche con una risposta il Signore del Tempo non si sarebbe fermato.
Ciò che
vinse però fu qualcosa che Mick non si aspettava di trovare
in quel momento né mai
più, lealtà.
Lealtà verso la squadra,
verso Snart. Non sarebbe stata la prima volta che li vendeva a dei
nemici ma
mentre contro dei pirati spaziali potevano avere qualche chance contro
di loro
sarebbe stato diverso. Non li avrebbe traditi in quel momento, non
sapeva cosa
spingesse la sua mente verso quella decisione ma era la scelta
dominante, non
poteva far altro che assecondarla. Se ne sarebbe pentito, se ne stava già pentendo.
Alzò
lentamente la testa verso lo schermo stringendo le labbra per lasciar
intendere
che non avrebbe parlato, l’uomo voltò il capo
verso qualcuno fuori dalla
visuale della telecamera e annuì. La testa di Mick ricadde
sul cuscino e
lentamente ogni cosa sfumò
nell’oscurità.
«Se
non
vuole parlare non ci resta che entrare nella sua mente. Mio caro
ragazzo ti
avevo detto da subito di procedere in questo modo.»
Angolino dell'Autrice:
è stato più complicato del previsto e non sono
certa di sapere il perchè, forse perchè non avevo
(nè ho...) bene in mente che genere di cose possano
combinare quei gran simpatici Signori del Tempo... Oh beh, lo
scoprirò andando avanti. Per il momento spero continuerete a
seguirla, anche se è un inizio decisamente lento, sorry
>.<
Bye Bye~
Aki
|
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Capitolo 3 *** Chapter 03 ***
Chapter
03
Quando
erano in casa da soli, mentre suo
fratello maggiore seguiva il padre nei campi, era solita suonare per
lui, Mick
non aveva mai dimenticato quei momenti, quando le note di diverse
canzoni riempivano
il silenzio della casa accompagnate dal canto dei grilli, si lasciava
cullare
dalla sua voce come quando era piccolo, la sua voce lo rilassava come
poche
cose al mondo. Erano principalmente canzoni d’amore, la
guardava negli occhi e
non aveva bisogno di chiederlo, lei sorrideva e “Love will
keep us together”
risuonava serena nella campagna di Central City.
Leonard
era un ragazzino magrolino,
incredibilmente piccolo e con una bocca che non sapeva stare chiusa,
come fosse
sopravvissuto i primi tre giorni di riformatorio senza di lui era
ancora un
mistero. Sopravvissuto forse era una parola troppo grande, Mick era
quasi certo
che l’occhio non fosse nero quando l’aveva visto
entrare la prima volta, non
zoppicava nemmeno a differenza di quel momento. Zack al contrario era
un
armadio, i ragazzi erano divisi tra quelli che lo appoggiavano e quelli
che lo
temevano e gli stavano il più lontano possibile, ma questo
Leonard ancora non
lo sapeva. Lo imparò presto sulla sua pelle quando si
rifiutò di consegnarli il
dolcetto nel vassoio che non vedeva l’ora di mangiare. In un
primo momento Mick
non vi diede peso, le risse erano quasi all’ordine del
giorno, fu il luccichio
di un coltello ad attirare la sua attenzione. Si alzò
sospirando, infilò in
tasca l’accendino che aveva rubato dalla tasca di una guardia
una settimana
prima e si avvicinò. Non sopportava chi non era in grado di
difendersi da solo
ma ancora meno sopportava quelli come Zack. Si fermò dietro
di lui afferrando e
girandogli il braccio con cui teneva il coltello lasciandolo cadere,
l’altro
ragazzo si voltò livido, stava forse pensando cosa fare
quando il pugno di Mick
incrociò il suo naso. Lasciò la presa facendolo
cadere seduto a terra
guardandolo dall’alto senza dire una parola poi lo
superò, alzò il ragazzino
per un braccio e si allontanò dalla stanza col giovane che
correva al suo
fianco per stare al passo.
«Grazie
di avermi aiutato.» Mick grugnì
sommessamente fermandosi un corridoio prima dell’infermeria.
«Non
l’ho fatto per te, Zack lo meritava.»
«Io
sono…» Esitò un attimo pensando a
come presentarsi. «Len.» Decise infine, Mick
scrollò le spalle, non che già non
lo sapesse, non era passata inosservata la notizia che il figlio di un
poliziotto fosse lì dentro, e aveva letto il nome su uno dei
fogli nella stanza
di uno dei dottori.
«Mick.»
Gli indicò la porta
dell’infermeria e si voltò senza più
una parola.
I
bambini sanno essere crudeli, spesso
più degli adulti, più di quegli adulti di cui
Mick sente parlare ai
telegiornali. Mick avrebbe voluto credere nella sua
ingenuità di bambino che
era davvero solo uno scherzo come l’insegnante si
giustificò coi suoi genitori,
ma per quanto ci provasse, e ci provava, eccome se lo faceva, sapeva
che non
era uno scherzo. Li aveva sentiti sogghignare alle sue spalle mentre
camminava
quasi in fondo alla fila, con le mani affondate nel cappotto e il
cappello ben
calcato sulla testa, aveva sentito le loro battutine su come lui
sapesse già
come funzionavano quelle cose dal momento che, a differenza loro,
viveva in
campagna, aveva sentito il disprezzo mentre lo dicevano. E di risposta
aveva
affondato di più la testa nel giubbotto per ripararsi dal
freddo.
Non
era uno scherzo, non si chiudono i
compagni di classe in una cella frigorifera per uno scherzo. Eppure
quello
avevano raccontato senza nemmeno fingersi dispiaciuti. Uno scherzo.
Mick si era
aggrappato con entrambe le mani al fratello maggiore quando, in un
momento in
cui l’insegnante e i genitori si erano voltati, questi aveva
stretto la mano a
pugno con l’intenzione di colpire il compagno di classe.
«Ty,
puoi insegnare anche a me?» Domandò
una volta a casa infilando la testa nella stanza del fratello che si
girò verso
di lui prima dubbioso poi, dopo qualche istante, mimando un pugno con
la mano.
Mick annuì energicamente entrando e chiudendo la porta alle
spalle, fu Tyler a
insegnarli come difendersi, così come gli aveva insegnato
molte altre cose
prima di quello.
Ormai
quarant’anni dopo ancora ricorda
quanto le sue urla disperate gli avessero spezzato il cuore, se
c’era una morte
che non era riuscito a perdonarsi dopo tutti gli anni passati era
proprio
quella.
Il
giovane Signore del Tempo che aveva cercato inutilmente di avere un’informazione da Mick aveva
lasciato
il posto a Zaman Druce, lo stesso che Mick aveva fronteggiato una
volta, lo
stesso che l’aveva trovato abbandonato, lo stesso che aveva
addestrato Rip
Hunter.
Osservava
i ricordi che lentamente raccoglieva, non seguivano un ordine
cronologico ma
non era importante, ogni cosa, anche la più piccola, faceva
parte di uno schema
più grande che il Signore del Tempo aveva ben chiaro in
mente, c’era molto da
lavorare, fortunatamente avevano tutto il tempo
che serviva loro.
Da
quando Mick lo aveva salvato Len non
aveva più lasciato il suo fianco, non che avesse ancora
bisogno di protezione,
nessuno osava avvicinarsi a lui per timore di Mick, semplicemente era
diventato
la sua ombra. C’era qualcosa nel ragazzino che Mick non
riusciva a spiegarsi,
qualcosa che gli diceva di tenerlo dalla sua parte, che non era saggio
averlo
come nemico.
«Davvero,
Len? Questa è tutta la forza
che metti in un pugno?» Non che come nemico in quel momento
sarebbe risultato pericoloso.
Mick sollevò di nuovo il cuscino che teneva tra le mani
all’altezza del torace.
«Ancora.» Disse soltanto mentre il più
giovane prendeva a pugni il suddetto
cuscino cercando di imitare al meglio quello che Mick gli aveva
mostrato.
Sei
mesi dopo le cose erano decisamente
migliorate e il ragazzino sarebbe stato in grado di difendersi da solo.
«Ora
sarò in grado di difendere anche
Lise quando sarò fuori di qui.» Aveva detto fin
troppo eccitato dalla cosa.
“Ogni
cosa che tocco finisco col
bruciarla.” Pensò prima di prendere dalle spalle
Len per uscire dalla stanza.
«Se avrai bisogno di una mano col tuo vecchio conta su di
me.» “Non questa
volta. Non loro.”
Il
fuoco cancella ogni cosa, distrugge e
ricrea dalle sue ceneri. Mick non ricorda a che età si
è innamorato del fuoco
ma sa che non può farne a meno. Il fuoco è caldo,
è sicurezza e protezione,
come una soffice coperta nelle notti invernali. Eppure il fuoco
è indomabile,
puoi controllare un caminetto, puoi controllare un fornello, una
sigaretta, a volte
un fiammifero o un accendino graffiato, ma non sempre. Il fiammifero si
accorcia in fretta, il giovane Mick lo lascia cadere e ne accende un
altro, si
accorcia, cade anche quello, è un ciclo continuo
finché un fiammifero non cade
prima del tempo e ogni cosa svanisce.
Mick
non voleva quello. Non voleva
ucciderli. Non voleva bruciare ogni cosa. Il fuoco gli aveva tolto
tutto ciò
che aveva ma nonostante quello, nonostante la paura, Mick continuava a
cercarlo.
Don
se lo era meritato. Si era meritato
di bruciare, si era meritato il fuoco che lambiva le tende, i tappeti,
i
vestiti e la pelle. Mick era rimasto in piedi davanti alla sua casa,
l’accendino stretto nella mano e gli occhi fissi sulle fiamme
che si alzavano
al cielo.
Il
fuoco era vendetta. Una vendetta
lenta, attesa e progettata per lunghi anni, Don era quel bulletto
stupido a cui
Tyler voleva dare un pugno, il bambino che lo aveva chiuso in una cella
frigorifera, che lo aveva costretto al freddo, Mick lo costrinse al
fuoco.
«Se
lo meritava.» Fu l’unica spiegazione
che diede, la famiglia adottiva con cui era in quel periodo non
cercò di
difenderlo, non lo andò a trovare, semplicemente lo
abbandonò come Mick già
sapeva che avrebbero fatto, non gli importava, alla fine tutti lo
abbandonavano, alla fine ogni cosa che toccava finiva col bruciare.
Fu
allora che conobbe Leonard.
«Non
c’è nessuno che ti aspetta.» Furono
quelle le prime parole che Mick sentì
quando riprese conoscenza, sapeva di aver già sentito quella
voce ma non
ricordava dove né quando, non tentò di sollevarsi
dal letto, le cinghie erano
ancora strette attorno ai suoi polsi, la testa pesante, aprì
gli occhi cercando
inutilmente di mettere a fuoco lo schermo sulla sua testa.
“Non
era lì prima.”
Pensò guardando l’immagine sfuocata
dell’uomo. “O forse
sì?” Ogni cosa attorno a lui era
confusa, nella sua testa
le cose non andavano meglio, sapeva di aver sognato ma non ricordava
cosa, non
ricordava di essersi addormentato, non
ricordava perché fosse lì. Ovunque lì
fosse.
«Nessuno
ti cerca. A nessuno importa di te.»
“Len. Lisa. Ty.”
«No.
L’hai ucciso.» Lo corresse il Signore del Tempo,
Mick non sapeva se era in
grado di leggere nella sua mente o se inconsciamente avesse parlato ad
alta
voce senza sentirsi, l’unico suono era la voce calma e
controllata dell’uomo,
nessun movimento nella stanza, niente fuori, lo schermo era silenzioso
anche
quando il collegamento sembrava saltare, il letto non cigolava sotto il
suo
peso mentre si muoveva, c’era solo la sua voce.
«L’amore,
il senso di colpa, sono tutte cose inutili Signor Rory.» Se
Mick fosse riuscito
a vedere chiaramente il suo volto probabilmente lo avrebbe paragonato
ad
un’inquietante stregatto, Druce sorrise nuovamente
dall’altro lato dello
schermo, abbassò lo sguardo sulla pulsantiera posata sulla
scrivania e pigiò
alcuni tasti.
«Senza
è tutto molto più semplice. Senza ricordi non si
ha nulla per cui sentirsi in
colpa.»
Lo
schermo si spense e lentamente le luci nella stanza si affievolirono
fino a
spegnersi. Con esse, lentamente uno dopo l’altro, i volti
della sua famiglia
svanirono dalla sua mente, poi scomparvero i nomi, ogni ricordo a loro
collegato, il fuoco che aveva avvolto la casa in campagna, Mick avrebbe
voluto
afferrare quel ricordo come se fosse reale e tangibile, stringerlo
prima che
svanisse come tutto il resto nel buio.
Per
ultimo svanì il calore che il fuoco aveva portato con
sé, Mick sentì il gelo
penetrargli lentamente nelle ossa, iniziò dalle dita per poi
risalire
lentamente verso il petto e da lì espandersi ovunque,
sentì il freddo muoversi
dentro di lui, prendere il posto del sangue e scivolare indisturbato
nelle vene
lasciando dietro di sé una sensazione di vuoto. Lo
sentì entrare nei polmoni,
riempirli e prendere il posto dell’aria, soffocarlo
lentamente nella sua morsa
gelida.
«Non
c’è nessuno che ti aspetta.»
Il
Vuoto lo prese con
sé e
per la prima
volta nella sua vita tutto ciò che provò fu pace.
Angolino dell'Autrice: Terzo
capitolo finalmente sei arrivato a destinazione, quasi completamente
concentrato sui ricordi di un giovane Mick, sappiamo che Gideon
può monitorare i sogni quindi immagino che anche i Signori
del Tempo abbiano quel tipo di tecnologia, oltre che un modo per
scatenarli. E quale modo migliore di eliminare i ricordi se non questo?
Riportarli a galla per poi cancellarli, giusto per lasciare
ancora di più quel senso di vuoto che per quanto ti sforzi
non puoi riempire..
... Non dovrei divertirmi così tanto a torturare Micky...
è sbagliato. xD
Alla prossima ;)
Bye Bye~
Aki
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Capitolo 4 *** Chapter 04 ***
Chapter
04
«Non
l’hai ucciso.» Era un’affermazione,
Leonard si fermò davanti alla porta aperta
della sua stanza ma non rispose. «Va contro il tuo
codice.» “E non
uccideresti l’unica persona che ti
conosce più di chiunque.” Non lo disse
ma era sottinteso nel tono che aveva
usato.
«Ho
fatto quello che dovevo fare.» Entrò lasciando che
la porta si chiudesse dietro
di lui lasciandolo solo, era trascorsa un’ora, forse anche di
meno, e la
sensazione di aver preso la decisione sbagliata era sempre
più opprimente.
«Tornerò
a prenderti.» Promise a mezza voce prima di tornare ad
indossare la maschera di
Captain Cold, quelle cosiddette Leggende volevano credere che aveva
ucciso il
suo partner? Ottimo, lui non avrebbe fatto nulla per smentirlo.
Quando
Mick si svegliò sentiva che c’era qualcosa di
strano ma non sapeva decidere
cosa fosse. Mancava qualcosa, qualcosa di importante, quasi
fondamentale ma più
ci pensava e meno riusciva a capirlo. La stanza era uniforme, lo
schermo era
svanito esattamente come la porta e, dopo diversi minuti,
un’altra porta sul
muro davanti a lui si aprì, nessuno gli disse cosa fare,
nessuno gli disse se
poteva entrare o meno, lo fece per mera curiosità, o
quantomeno ci provò.
Alzarsi
dal letto e restare in equilibrio in piedi sembrava improvvisamente una
delle
cose più complicate che avesse mai fatto, era come se il suo
stesso corpo gli
fosse estraneo, come se restare in piedi fosse qualcosa di impossibile
per lui.
Quando finalmente vi riuscì sembravano essere passate ore,
era convinto che la
parte più difficile fosse finita, invece cadde nuovamente in
ginocchio nel
momento in cui cercò di muovere un passo. La porta era
rimasta aperta tutto il
tempo davanti a lui, non sapeva se lo stesse chiamando, invitandolo ad
attraversarla o se lo stesso osservando divertita davanti alla sua
incapacità
di restare in piedi.
Potevano
essere passate ore come potevano essere stati solo minuti, non aveva
modo di
calcolare il tempo lì dentro, dall’altra parte
della porta c’era una stanza
piccola, come se fosse uno sgabuzzino, un tavolino metallico contro al
muro e
uno specchio. Un accendino arrugginito era stato lasciato lì
incustodito
insieme ad un coltellino, Mick ghignò a quella vista.
«Finalmente
si ragiona.» Disse avvicinandosi e prendendo
l’accendino in mano, lo aprì e lo
accese, la fiamma era piccola, probabilmente era troppo vecchio e
scarico, alzò
lo sguardo osservando il riflesso allo specchio. Per un attimo rimase
concentrato solo sul riflesso della debole fiammella come accadeva
sempre
quando il fuoco era coinvolto, quando finalmente lo sguardo
riuscì ad andare
oltre e osservò il suo riflesso nello specchio
capì da dove arrivava la
sensazione che aveva avuto svegliandosi.
Lasciò
l’accendino sul tavolo e si sfilò la maglia solo
per aver maggior conferma di
ciò che aveva visto sulle braccia. Ogni cicatrice, ogni
bruciatura che aveva
definito chi era Mick Rory era di colpo scomparsa.
«Cosa
mi avete fatto?» Si ritrovò a domandare ma nessuno
rispose, la stanza restava
silenziosa, sembrava quasi che avessero perso ogni interesse in lui.
Continuò a
fissare lo specchio mentre un inusuale terrore si faceva strada dentro
di lui.
Ognuna di quelle bruciature aveva definito la sua persona, gli avevano
rivelato
chi era veramente, ed ora era andato perso.
Come
i tatuaggi, anche le cicatrici raccontano una storia e gran parte del
suo corpo
ne era coperto, fino a quando non si era addormentato erano
lì, Mick ne era più
che certo nonostante quella certezza stesse vacillando pericolosamente
nel
momento in cui si rese conto di non ricordare quando
si era addormentato.
Ispezionò
a fondo il palmo di entrambe le mani trovandolo liscio come non era
stato da
quando era giovane, la prima bruciatura era stata proprio
lì, poche ore dopo
l’incendio che aveva distrutto la casa di campagna.
“La
mia casa?”
Pensò confuso, scosse la testa decidendo che per quel
pensiero ci sarebbe stato
tempo, la cosa importante in quel momento erano le cicatrici. O la loro assenza.
I
vigili del fuoco spegnevano le fiamme velocemente prima che si
espandessero al
campo dietro la casa, il giovane Mick li guardava seduto sul retro di
un’ambulanza, frugò distrattamente nelle tasche
della felpa estraendo una
piccola scatola di fiammiferi, la stessa che stava usando prima che
l’incendio
scoppiasse. Ne prese uno, lo accese e lo fissò
finché non si bruciò
completamente spegnendosi sulle sue dita. Passò ad un
secondo e un terzo. Al
quarto posò la scatola sul pavimento metallico e tenne il
fiammifero contro il
palmo della mano, il calore rimase circoscritto in quel punto e quando
si
spense lasciò dietro di sé solo il ricordo. Mick
si guardò rapidamente intorno,
tutte le persone presenti correvano da un lato all’altro, i
medici lo avevano
lasciato solo. Con un saltello scese a terra, infilò la
scatolina nuovamente in
tasca e dopo aver controllato nuovamente che nessuno stesse guardando
nella sua
direzione iniziò a correre lasciando la sua vecchia casa
dietro di sé senza mai
voltarsi. Solo una volta lontano si fermò e il primo istinto
fu di tenere tra
le mani il piccolo fiammifero finché una bruciatura tonda
non comparve sul suo
palmo, non era troppo dolorosa, non era abbastanza
dolorosa, meritava di peggio, li aveva uccisi. “Chi?”
Li aveva lasciati morire nella disperata ricerca di un po’
più di calore.
La
bruciatura era scomparsa. Mick guardò l’accendino
per un attimo, lo accese e lo
avvicinò al palmo, non si era accorto fino a quel momento di
quanto quel calore
gli fosse mancato, chiuse gli occhi beandosi di quel momento come se
fosse una
delle cose migliori che gli fossero mai capitate, il dolore era
sopportabile,
la fiamma troppo piccola, ma una nuova bruciatura comparve sulla sua
pelle
prendendo il posto di quella che doveva esserci, il fuoco era parte di
lui, il
fuoco aveva definito chi era. Ma quello non era abbastanza, era solo un
piccolo, minuscolo segno sulla sua mano e quel vecchio accendino non
sarebbe
mai stato in grado di ricreare l’opera che il capanno in
fiamme aveva compiuto
sull’80% del suo corpo.
“Chi
sono?”
La
domanda sorse spontanea nella sua mente, aveva vissuto così
a lungo con un
corpo sfregiato da non riuscire a ricordare un momento in cui non era
stato
così. Ricordava di aver intimato Gideon, sulla Waverider, di
non toccare
nessuna delle cicatrici ogni volta che era costretto a passare in
infermeria, e
così era stato, ma non era sulla nave, non più.
Il suo sguardo si posò sul
coltello, lo sollevò rigirandoselo tra le mani, sembrava
vecchio proprio come
l’accendino ma la lama era affilata e scintillante.
Ricordava
la posizione di ogni singola cicatrice, le aveva guardate talmente a
lungo da
averle memorizzate, aveva imparato a non guardarle soltanto ma
ammirarle come
piccole opere. La lama scintillò nuovamente sotto la luce
accecante, stavolta
con una tinta rossa. Solo un paio delle cicatrici originali erano state
provocate da un coltello, solo quelle che era stata la sua mano a fare
mentre
la vocina spaventata di una piccola Lisa lo pregava di smettere e al
contempo
chiamava il fratello, Snart non era lì a fermarlo, Lisa non
lo pregava di
smetterla con gli occhi grandi e spaventati di bambina, nessuno lo
avrebbe
fermato, anche perché a nessuno
importava
di lui.
Le
cicatrici avrebbero impiegato qualche tempo a formarsi ma per il
momento
sarebbe stato sufficiente, quel corpo che vedeva riflesso nello
specchio
iniziava a somigliare nuovamente a quello che era davvero. Raccolse la
maglia
che aveva abbandonato a terra e la infilò fissando
l’accendino mentre un’idea
si faceva strada nella sua mente, non sarebbe stato abbastanza forse ma
sarebbe
stato quantomeno un inizio. Avvicinò la fiammella alla
manica e attese
pazientemente. Quando finalmente il fuoco si attaccò alla
stoffa il gioco era
fatto, sentì il calore espandersi lentamente, bruciare la
maglia e attaccarsi
alla pelle, Mick chiuse gli occhi sorridendo, immaginò che
l’intera stanza
attorno a lui fosse invasa dalle fiamme, non era possibile
poiché l’unica cosa
in grado di bruciare in quella stanza era lui, e lui soltanto.
Immaginò le
fiamme danzare davanti ai suoi occhi, muoversi sinuose ed eleganti e
letali, le
immaginò avvicinarsi, lambire il suo corpo in carezze
roventi, plasmarlo fino a
creare ciò che era davvero Mick Rory. Le persone andavano e
venivano, le
amicizie si spezzavano, i rapporti finivano con una parola o un gesto
di
troppo, il fuoco invece era eterno, il fuoco era l’unica cosa
che non l’aveva
mai abbandonato dal giorno in cui lo scoprì, il fuoco non lo
avrebbe mai
tradito, non importava quanto potesse bruciare o quanto lo avvolgesse.
Quando
riaprì gli occhi le fiamme erano svanite, il loro calore
solo un lontano
ricordo ormai, non ricordava quando si era spostato sul letto e
ultimamente
accadeva spesso che non ricordasse qualcosa di così banale.
C’era un tavolino
accanto al letto che non c’era la volta precedente,
l’accendino e il coltello
erano posati su di esso. Lo schermo era nuovamente calato sul muro,
come se i
Signori del Tempo si fossero ricordati della sua presenza.
«Ho
solo una domanda.» Disse l’uomo con la solita
pacatezza e il sorriso di chi
conosceva già la risposta. «Chi sei?»
Mick
inclinò la testa leggermente, lo guardò come se
fosse stupido prima di pensare
che magari era un trabocchetto, magari era una specie di codice assurdo
per
avere qualche informazione precisa da lui, lasciò passare un
minuto pensando a
cosa rispondere.
«Il
mio nome è Mick Rory, nato appena fuori Central City nel
1970.» Disse infine in
modo quasi meccanico, qualunque informazione volessero da lui avrebbero
dovuto
fare di meglio per ottenerla, di certo non chiedendogli chi fosse. Al
contrario
delle aspettative il Signore del Tempo non cambiò
espressione, al contrario
sembrò quasi soddisfatto dalla risposta.
«Ne
sei davvero sicuro?» L’immagine scomparve lasciando
al suo posto uno specchio,
non impiegò a lungo per capire cosa non andasse questa
volta, le ferite e le
bruciature del giorno prima erano scomparse, ancora una volta. Rimase
ad
osservare l’immagine per pochi secondi prima di voltare la
testa di scatto,
afferrare il coltello e l’accendino e farli cadere sul letto.
La
prima
volta che Lisa l’aveva visto con un coltello insanguinato in
mano e un taglio sull’avambraccio
si era giustificato semplicemente dicendo che era stato un incidente
mentre
cucinava la loro cena, quella sera era stata la verità, ma
non le altre, il
senso di colpo per l’incendio che aveva distrutto la sua
famiglia non svaniva
negli anni, si rafforzava, le radici si facevano più
profonde.
Nel
presente
aveva dimenticato il perché di quelle cicatrici svanite,
aveva dimenticato la
famiglia che urlava tra le fiamme chiedendogli aiuto mentre lui restava
incantato ad osservare la loro danza di morte, aveva dimenticato ma non
capiva perché,
né come. Nel presente quelle cicatrici senza più
una ragione erano una delle
poche cose che lo teneva ancora intero.
La
lama
affondava quel che bastava perché una volta guarita potesse
restare la traccia
chiara, la fiamma lambì la manica e si allargò
sulla schiena, si attaccò
caparbia al lenzuolo avvolgendolo.
Il
lenzuolo era intoccato quando si svegliò, i due strumenti
ordinatamente posati
sul tavolinetto e lo schermo davanti a lui.
«Chi
sei?» Mick sapeva dentro di sé che c’era
qualcosa di strano, come un
inquietante déjà-vu di quel momento.
«Il
mio nome è Mick Rory, nato appena fuori Central City nel
1900…
qualcosa.» Esitò
incapace di ricordare l’anno esatto, il Signore del Tempo si
limitò a
sorridere, lo schermo si spense mostrando la sua immagine, pochi
secondi e il
sangue gocciolava sul lenzuolo che attendeva di prendere fuoco come se
già
conoscesse la sua sorte, Mick non capiva se la mano che reggeva il
coltello
tremasse per rabbia o per paura, non capiva nemmeno di cosa avrebbe
dovuto aver
paura. Il fuoco abbracciò ogni cosa che poteva toccare,
vestiti, lenzuola,
pelle, fino a trascinarlo nell’oblio.
«Chi
sei?» Mick sapeva del tavolino, del lenzuolo bianco e i
vestiti puliti, sapeva
dello schermo calato e della voce che gli poneva quella domanda. E
sapeva la
risposta senza pensarci, era sempre più automatico.
«Il
mio nome è Mick Rory, nato appena fuori Central
City.» Mancava qualcosa,
qualcosa che non riusciva ad afferrare, non aspettò che lo
schermo si
spegnesse, istintivamente abbassò lo sguardo sulle braccia.
“Perché
lo fate? Perché continuate a
togliere ogni cosa?”
Le parole morirono in gola, le mani
tremavano mentre afferrava l’accendino e lo passava sulla
lama del coltello. Quando
la terza famiglia adottiva si accorse dei tagli e delle nuove
bruciature che
ogni tanto comparivano sul suo corpo lo guardarono con disprezzo, una
settimana
dopo era ancora tra le mura di quel piccolo e sovraffollato
orfanotrofio nel
cuore della città.
Zaman
Druce dall’altro lato dello schermo ghignò
compiaciuto mentre il fuoco bruciava
ogni cosa, si alzò lasciando il posto a un altro, una volta
sulla porta si
voltò verso il collega che osservava disgustato la scena.
«Lascia
che bruci.» Disse senza dar peso al verso ancor
più schifato dell’uomo. «Poi
resetta.» E abbandonò la stanza, dopotutto Mick
Rory non era l’unico paziente
di cui doveva occuparsi.
Angolino dell'Autrice:
Uff!! E' stato un parto questo capitolo, specialmente per il fatto che
non ne volesse sapere di restare come avevo deciso, sono andata avanti
per giorni a scrivere, cancellare e riscrivere finchè oggi
non mi sono messa lì a concluderlo lasciando che prendesse
la strada che voleva senza più cercare di impormi... (Odio
quei capitoli che hanno vita propria... e al tempo stesso li amo,
quando ho il tempo di scriverli tutti in una volta.)
Per l'anno di nascita vista la confusione che fanno nella serie ho
deciso di tenere lo stesso dell'attore, almeno sono sicura non
sbagliare o dimenticarmelo.
Spero di non esserci andata troppo dura, l'idea era che avesse solo
l'accendino (e me lo sono ritrovata con un coltello in mano... D: ) e
di non aver disturbato nessun lettore, nel caso mi scuso per questo!!
>.<
Grazie di essere arrivati fin qua, al prossimo capitolo!
(Mick: vuoi dire "Alla
prossima tortura.", giusto? No perchè io lo
traduco in questo modo...)
Bye Bye~
Aki
|
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Capitolo 5 *** Chapter 05 ***
Chapter
05
Ogni
volta che apriva gli occhi ogni cosa era come la volta precedente, come se il tempo non fosse mai trascorso,
come se fosse stato tutto un sogno. Ogni volta le nuove bruciature che
era
certo di essersi fatto erano svanite, ogni volta lasciava che il fuoco
lo
avvolgesse in nuovi modi, più caldo, più vicino, più letale. Ogni volta non era
mai abbastanza.
Poi
c’erano i sogni veri, quelli simili a dei ricordi ma non
chiari abbastanza da
essere effettivamente ricordi. Quelli coi volti sfumati o talvolta
senza volto,
quelli in cui le persone non avevano nomi eppure dentro di
sé sapeva di
conoscerli, spesso anche molto bene. Amici, famiglia, ogni cosa sfumava
nella
nebbia e quando si risvegliava l’uomo dall’altro
lato dello schermo, a volte lo
stesso, a volte no, ripeteva sempre la stessa domanda, «Chi
sei?», con un
sorriso sempre più compiaciuto ogni volta che Mick
rispondeva.
«Il
mio nome è Mick Rory, sono nato a Central City.»
Esitò per qualche istante,
corrugò la fronte e distolse lo sguardo dallo schermo prima
di aggiungere
«Credo.» in tono sommesso.
Quello
che seguì era diverso dal fuoco quanto piuttosto
più simile a tanti minuscoli
aghi impiantati nel suo corpo, il dolore si espanse velocemente
lasciandolo ben
presto in uno stato di torpore.
«Chi
sei?»
Mick
deglutì, un innaturale senso di paura si fece strada nelle
sue viscere quando
la voce parlò, come quando a scuola ti viene fatta una
domanda a sorpresa e non
sei sicuro della risposta giusta, ma vuoi tentare comunque. E Mick
tentò.
«Il
mio nome è Mick Rory, sono nato…» Si
bloccò, gli occhi spalancati in
un’espressione di terrore, deglutì nuovamente
mentre la mente scavava sempre
più a fondo alla ricerca della risposta.
“Dove?
Dove? Dove?”
Era
diventato quasi un mantra, non c’era altro che riuscisse a
domandarsi se non
quello. Dove? Il Signore del Tempo
appoggiò una mano sulla scrivania accanto ai comandi in
attesa.
«…
Non ricordo dove. Né quando.» Non si
stupì di vedere l’uomo sorridere, si
passò
le mani sul viso continuando a scavare nella mente alla ricerca di
qualcosa che
non era più lì. Più a fondo scavava e
più i ricordi si facevano annebbiati e
lontani, le voci che un tempo avrebbe riconosciuto in un batter
d’occhio erano
delle perfette sconosciute, le canzoni che da bambino amava ascoltare
non erano
altro che musica e parole senza significato né interesse.
“Dove?”
Quella parola era diventata l’unica costante, chiuse gli
occhi, li strinse, si
coprì completamente il volto con entrambe le mani, si
rannicchiò sul letto con
le ginocchia strette più possibile al suo corpo.
Il
Signore del Tempo diede solo un paio di istruzioni al computer prima di
abbandonare la stanza.
Lo
schermo si spense e con esso anche ogni luce nella stanza, Mick
sbirciò intorno
a sé attraverso le dita, come un bambino spaventato, si
azzardò ad abbassare le
mani quando si rese conto che la stanza era vuota e buia, erano passati
anni
dall’ultima volta in cui si era sentito in quel modo, non
sapeva nemmeno bene
come definire quella sensazione, smarrimento? Paura? Per un istante gli
parve
di essere tornato il ragazzino quindicenne che nonostante
l’età e la stazza si
rintanava nell’armadio della camera per sfuggire al padre che
rientrava
ubriaco. Di tutte le famiglie che aveva avuto negli anni che seguivano
l’incendio
quella era la peggiore, non era nemmeno certo del perché lo
avessero preso con
loro e alla fin fine non importava davvero, erano come tutti gli altri,
non
ascoltavano, non capivano, fingevano che potesse importare loro
qualcosa di lui
ma Mick sapeva la verità, non importava, non era importante
per nessuno al
mondo, le uniche persone che lo avevano in considerazione erano morte a
causa
sua. E il padre, quel padre, non si
faceva di certo tanti problemi a mettere in chiaro quanto fosse
desiderato.
Mick
si spinse contro la spalliera del letto, lasciò vagare lo
sguardo nell’oscurità,
sobbalzò al suono di una porta che si apriva, gli occhi
scattarono sulla parete
su cui l’ultima volta aveva visto la porta ma non vide nulla
se non il muro
liscio, il rumore della porta che cigolava sui cardini e si chiudeva
arrivò
forte e chiaro, l’uomo osservò le altre tre pareti
con la stessa inquietudine
di bambino, la chiave girava rumorosamente nella toppa, si strinse se
possibile
di più contro la spalliera, lo scalpiccio trascinato dei
piedi si avvicinò, un
passo dopo l’altro, inesorabile.
«No…»
La voce che uscì dalle sue labbra non era sua,
deglutì, si portò le mani
davanti per proteggersi meglio, sembravano così piccole
rispetto a come
ricordava, erano piccole,
esattamente
come la voce.
«La
scuola ha chiamato ancora.» Mick si lasciò
scappare un breve singhiozzo, si
riparò con le braccia mentre lo scalpiccio si fermava
accanto al letto.
«Non
ho fatto niente…» Ribatté il
quindicenne, perché non poteva essere nessun
altro, perché non era più Mick, era solo un
bambino spaventato senza un
passato.
Le
luci si riaccesero di colpo, ogni angolo della stanza venne illuminato
di un
bianco accecante, Mick si coprì gli occhi con la mano, non
era in grado di
distinguere la realtà dai sogni, non più ormai.
«Chi
sei?» Lo schermo era spento quando Mick lo guardò,
la voce sembrava arrivare da
ogni angolo della stanza, o forse era direttamente nella sua testa.
Aprì la
bocca per rispondere e si fermò qualche istante dubbioso.
«Chi
sei?» Il Signore del Tempo sembrava ridere di
quell’incertezza, senza un’effettiva
risata, era qualcosa solo nella voce, qualcosa che Mick non sapeva
definire,
qualcosa che doveva avere un nome ma in quel momento non gli veniva.
«Il
mio nome è… Michael.»
Mormorò, sapeva che mancava qualcosa, mancava un cognome,
mancavano altri dettagli che avrebbero potuto definire chi era davvero
ma in
quel momento sembravano non esistere. Era solo Michael.
Michael
era un nessuno, nessuno di importante, nessuno che sarebbe mancato a
chiunque
lo conoscesse, come se ci fosse qualcuno
al mondo a cui importasse qualcosa di lui.
“Lenny.”
La
mente si fermò su quel nome, uno dei pochi che ancora
sembravano avere un
volto, uno dei pochi nomi che forse appartenevano a qualcuno di reale. Lenny. Lenny. Lenny. Eppure per quanto
potesse apparire reale Michael non sapeva nient’altro di
questo Lenny, solo il volto e il
nome. Non sapeva
perché fosse nella sua mente eppure si aggrappò
ad esso con tutte le sue forze
come se fosse l’unica salvezza che aveva.
Forse
quel Lenny era con lui, forse no,
forse lo stava cercando, forse no,
forse era qualcuno per cui Michael era importante, forse
era qualcuno che lo aveva abbandonato.
Michael scattò in
piedi a quel pensiero,
spalancò gli occhi nella realizzazione della
verità. Abbandonato.
Ogni cosa tornò ad avere senso in quel momento.
Dovevano
fermare uno psicopatico immortale, dovevano salvare il mondo, diventare
eroi, leggende, ma non lui. Lui non era previsto, lui era una
specie di danno collaterale,
Rip non aveva detto quelle esatte parole ma il significato era quello. Lui non era previsto. Non sarebbe
diventato un eroe, non che Mick lo volesse, non sarebbe mai stato
nessuno per il
mondo come non lo era mai stato in passato. Era un’ombra che
cerca di
allungarsi e prendere con sé tutto il resto, una scintilla
che attende il
momento giusto per esplodere, una fiammella che non aspetta altro che
crescere e
distruggere ogni cosa al suo passaggio.
Non
era destinato ad essere un eroe, non era destinato ad essere ricordato,
voleva tornare a casa.
Così era stato
abbandonato, lasciato indietro da quel Lenny a cui la mente si
aggrappava. Non gli
aveva dato il tempo di spiegare, non l’aveva ascoltato, forse
Michael non aveva
chiesto di essere ascoltato, non lo sapeva, non
ricordava, ma non importava, in fondo Lenny come tutti gli
altri in passato
non avrebbe ascoltato.
«E
tu potrai andare a casa.»
Qualcuno gli aveva detto quelle parole, quell’uomo che vedeva
nello schermo a
volte, non sapeva il nome, ma gli aveva promesso di lasciarlo tornare a
casa.
La mente lasciò andare il nome e il volto di Lenny
e si appigliò alla promessa di un volto ghignante senza nome.
Lenny
era ancora lì, tranquillo nel suo tradimento, Michael
concentrò ogni frammento
di rabbia verso di lui, l’odio, la furia, la pazzia, il fuoco, riversò ogni
sentimento che provava in quel momento su
quel nome, su tutto ciò che significava, su ciò
che era stato in passato, su
ogni ricordo che in quel momento riaffiorava solo per essere spazzato
via
nuovamente.
E
quando ogni briciola si fu concentrata su Lenny la mente si fece
bianca, dello
stesso bianco accecante della stanza. L’odio, la rabbia, il
fuoco, ogni cosa
svanì. Lenny, la missione suicida, Rip Hunter, la squadra,
il bianco inglobò
ogni cosa.
La
vide arrivare nella forma di un piccolo puntino azzurro, una scia che
dal nulla
era schizzata contro di lui come un proiettile invisibile, non
provò dolore nel
momento dell’impatto, una scossa gli attraversò la
testa, si espanse in tutto
il corpo, nervi, muscoli, Michael non urlò mentre cadeva in
mezzo alla stanza,
mentre il dolore ora si attaccava ad ogni cellula e le distruggeva
lentamente. Strinse
gli occhi riverso sul pavimento con lo sguardo al soffitto,
l’ultimo pensiero
che il nulla distrusse fu l’odio e quando anche quello
svanì Michael rimase
immobile.
«Chi
sei?» L’uomo parlò dopo dieci minuti che
lo schermo venne acceso, erano rimasti
fermi a fissarsi, a studiarsi, il Signore del Tempo seduto alla sua
scrivania lucida,
con le mani incrociate, in attesa, Mick seduto sulle coperte bianche
del letto,
le gambe distese e le mani su di esse, immobile come una statua,
impassibile.
Pensò alla risposta, pensò a chi fosse, senza
muovere un muscolo.
«Non
lo so.» Disse in tono neutrale, senza reagire
all’assurdità della situazione,
la mente non scavò per scoprire chi fosse, rimase silenziosa
e immobile. «Non
sono nessuno.» Il Signore del Tempo sorrise, Mick non si
domandò il perché, la
porta si aprì, un uomo apparve sulla soglia, gli fece cenno
di alzarsi e
seguirlo e Mick obbedì senza domande, si mosse in automatico
senza più degnare
di uno sguardo lo schermo.
«Informate
Declan che il Cacciatore è pronto
all’addestramento.»
Angolino dell'Autrice:
Mi dispiace incredibilmente del ritardo! Ho avuto un blocco pauroso,
poi dovevo completare un disegno molto molto molto importante in
davvero poco tempo e farlo uscire il più perfetto possibile.
E così ogni volta il capitolo slittava avanti, fino ad oggi
in cui ho deciso di mettermi lì d'impegno e dare il meglio.
Ho scovato un paio di playlist strumentali che hanno aiutato non poco
nella scrittura (incredibile quanto la musica possa influenzare, sono
arrivata al punto che seguivo il ritmo, scrivevo più
velocemente quando la musica era veloce e rallentavo quando
rallentava!). Anyway, eccoci qui. La prima parte di rebirth
è finita, ora inizia la seconda, si spera con qualche
interazione umana più consistente per il nostro Micky.
Spero che fino ad ora vi sia piaciuta, e che continuiate a
seguirla!
Thanks
Aki Out
|
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Capitolo 6 *** Chapter 06 ***
Chapter
06
Mick
non contò quante persone, uomini e donne tutti con vestiti
semplici e chiari
come i suoi, fossero nella stanza quando entrò, loro non
fecero caso alla porta
che veniva aperta e al nuovo arrivo, continuavano a muoversi e a
combattere gli
uni contro gli altri. Il Signore del Tempo che lo aveva condotto
lì non disse
nulla, non gli diede istruzioni, si voltò ed uscì
dalla stanza mentre Mick li
osservava.
“Pecore.”
Fu
il primo pensiero che gli attraversò la mente, sembravano un
gregge
disordinato, disorganizzato, senza uno scopo preciso, senza un piano.
Uno
degli uomini cadde e rimase immobile, nessuno si curò di
lui, passarono ad
altri, continuarono a combattere impassibili, due guardie si
avvicinarono e
presero il corpo allontanandosi.
Non
c’era ombra di rabbia nei movimenti, non c’era
odio, non c’era nulla, si
muovevano, attaccavano come automi, come se non avessero altri stimoli
se non
quello, Mick non riusciva a vedervi nemmeno spirito di sopravvivenza.
Almeno
finché non notò una donna nell’angolo
opposto a lui, era completamente vestita
di nero ma non sembrava una guardia quanto più una come lui,
come tutti loro,
teneva la schiena dritta appoggiata al muro, le braccia conserte
strette
davanti a sé e gli occhi non si staccavano un istante dal gregge impazzito al centro della stanza,
li studiava con avidità,
non perdeva nessuna delle mosse, il suo sguardo incrociò
quello di Mick, non fu
sorpresa, probabilmente l’aveva visto entrare, forse si
aspettava di vederlo
unirsi alla massa come accadeva sempre, forse non pensava che qualcun
altro a
parte lei restasse immobile a studiare gli altri. E fu lei a fare il
primo passo,
si staccò dal muro e attraversò la stanza di
corsa, veloce e agile scivolando
tra quelli che tentavano di scappare e chi cadeva, Mick si
preparò all’impatto
quando fu vicina abbastanza, nessuno dei due sapeva come
l’altro si sarebbe
mosso, nessuno sapeva come l’altro potesse pensare o agire.
Tre minuti dopo la
schiena toccò il pavimento con un rumore secco, la donna
rimase ferma in piedi
sopra di lui, le gambe divaricate e i piedi contro i suoi fianchi per
bloccarlo, gli occhi erano diversi da quelli che Mick aveva intravisto
dagli
altri uomini nella stanza, avevano una particolare scintilla che non
sapeva
descrivere, la mente era ancora troppo vuota per poter trovare le
parole
giuste, non era rabbia, non era odio e non riusciva ad avvicinarla
nemmeno al
fuoco, era qualcosa di totalmente nuovo. A differenza degli altri la
donna
rimase ferma su di lui, non cercò di dargli il colpo di
grazia, non cercò di
avere la meglio, attese semplicemente, Mick fu quasi certo che, per un
momento,
il suo sguardo fosse cambiato come ad invitarlo a contrattaccare. Non
se lo
fece ripetere due volte, si mosse, non agile quanto lei ma comunque
veloce
quanto bastava per la situazione e si rimise in piedi caricando contro
la donna
spingendola verso l’altro lato della stanza, nel parapiglia
centrale nessuno
diede peso a loro che continuavano a scambiarsi di ruolo senza mai
cercare di
avere completamente il controllo l’uno sull’altro,
come se fosse un gioco.
Il
Protocollo Omega era il vanto di
Declan,
aveva addestrato personalmente la Pellegrina rendendola una delle sue
armi più
letali, la lasciava nella sala d’addestramento di tanto in
tanto, qualcuno
osava fare una mossa contro di lei, e solitamente quel qualcuno veniva
eliminato dopo pochi secondi. Quel giorno l’aveva fatta
entrare con una
promessa.
«Troverai
qualcuno alla tua altezza.» Aveva detto, la Pellegrina aveva
semplicemente
annuito impassibile mentre chiudeva la giacca nera e superava una delle
guardie
verso la stanza, era rimasta immobile ad osservare i candidati
per quasi due ore prima di posare lo sguardo su Mick. Nel
momento in cui avevano iniziato a combattere Declan sapeva che si stava
muovendo nella direzione giusta, presto sarebbero stati una coppia
letale,
dopotutto era ciò che il Tempo gli aveva mostrato.
Nel
giro di un paio di sessioni l’ultimo arrivato si era rivelato
uno dei migliori,
dalla sua scrivania davanti al monitor Declan sorrideva soddisfatto, la
Pellegrina aveva iniziato ad addestrarlo personalmente e quando non era
presente lui restava immobile contro al muro osservando gli altri che
si
spintonavano e cercavano di avere la meglio. Di tanto in tanto qualcuno
si
avvicinava a lui, un attimo dopo era a terra mentre Mick si era mosso
di
qualche centimetro soltanto. Senza di lei quella sala aveva perso ogni
interesse dal momento che non vi era mai nessuno alla sua altezza.
«Vieni.»
Mick non aveva mai più tentato di calcolare lo scorrere del
tempo, dopo i primi
giorni durante i quali a quel tentativo otteneva solo confusione, aveva
imparato che il tempo in quel luogo era relativo, quegli uomini dagli
abiti
scuri che li controllavano decidevano quando era ora di smettere e
quando
iniziare, una parte di lui osare azzardare che il tempo avesse smesso
di
esistere. Si alzò dal punto in cui la Pellegrina
l’aveva atterrato per
l’ennesima volta e la osservò, osservò
ogni movimento, osservò lo sguardo,
studiò la voce che parlava così di rado da non
saperla ancora riconoscere. Ma
nonostante tutti gli interrogativi, nonostante la sensazione di
pericolo che la
donna emanava, la seguì.
La
guardia alla porta non lo fermò pur scoccandogli
un’occhiata incerta.
“Disapprovazione.”
Tradusse in automatico la mente, qualcosa gli diceva che stava
infrangendo una
qualche regola che nessuno si era preso la briga di elencargli. La
stanza in
cui si fermò dopo diversi corridoi tutti uguali, bianchi e
sterili, era
piccola, aveva solo un lettino simile a quello di un ambulatorio
medico, e un
macchinario strano che Mick non aveva mai visto.
«Addestrarti
è una cosa.» La voce era bassa come ogni volta che
aveva parlato, non lasciava
trapelare alcuna emozione, quasi non ne avesse. «Ma la forza
bruta non è tutto.
Declan vuole un Cacciatore ma tu non sarai solo
questo.» Fece un cenno verso il letto mentre accendeva il
macchinario e, una
volta carico, lo collegava ad un casco che gli aveva passato.
«E
questo» Mick indicò con un gesto vago della mano
il casco guardandola con la
coda dell’occhio da sotto il visore che si
illuminò di un tenue azzurro.
«Questo mi mostrerà cosa, esattamente? Il mio
scopo?» C’era un che di derisorio
nel suo tono, la Pellegrina si limitò ad arricciare le
labbra in quello che
poteva sembrare, se lo si guardava con attenzione, un sorriso.
«No.
Questo è solo il nostro speciale sistema di apprendimento
rapido.» Aggrottò la
fronte ma non ebbe il tempo di formulare la domanda che, troppo
lentamente a
confronto di quella macchina, era scivolata nella sua mente.
In
un attimo decine e decine di diverse nozioni si rovesciarono in una
mente fino
a quel momento irrealmente vuota. Cose che non avrebbe potuto imparare
a
scuola, cose per cui sarebbero serviti anni di studi, cose di cui
nemmeno
conosceva l’esistenza. Nulla era veramente approfondito,
erano piccoli spezzoni
di miliardi di cose, il minimo indispensabile. Lingue straniere che non
si era
mai sognato di parlare, funzionamenti di macchine e tecnologie
così lontane dal
suo tempo, e infinite nozioni sul Tempo stesso. In un istante che parve
infinito il Tempo prese ogni cosa.
Quando
un urlo ruppe il silenzio la Pellegrina chiuse gli occhi appoggiata al
muro
fuori dalla stanza, prese un respiro e attese. Tutti al Punto di non
Ritorno la
conoscevano per la sua dedizione ad ogni missione che le era affidata,
per la
sua mancanza di scrupoli, di emozioni di qualunque tipo, girava una
voce,
appena sussurrata tra quelle mura sterili, che lei fosse un androide
uguale in
tutto e per tutto ad un essere umano, con gli stessi bisogni e lo
stesso
calore, ma privo di qualunque emozione. Lei lasciava che parlassero. In
quel
momento spinse il rimorso per ciò che stava accadendo nella
stanza alle sue
spalle il più in basso possibile, chiuse la mente e il
cuore, che dopo anni si
rese conto di avere ancora al suo posto, dietro una fortezza
inespugnabile
creata in anni e anni di condizionamento. Non sarebbe stato un urlo a
farla
cadere, per quanto straziante fosse.
Pur
non essendo stata nella volontà di Declan il Signore del
Tempo non fece nulla
per fermare il processo, al contrario lo osservò con una
crescente curiosità, quando
aveva preso l’uomo con l’intenzione di trasformarlo
in un Cacciatore e metterlo
sulle tracce della sua precedente squadra non aveva immaginato altro
che si
allontanasse da quel piano, una cosa semplice e diretta, nessun ricordo
se non
quelli importanti per la missione, una forza bruta che l’uomo
già possedeva e
che, una volta addestrato a dovere, sarebbe stata ancora più
letale, una
corazza e qualche arma. Nulla più di quello, un Cacciatore
come ne avevano
altri, solo più indirizzato ad ucciderli, avrebbe acceso
quella scintilla di
vendetta nei loro confronti e avrebbe lasciato che bruciasse ogni cosa
sul suo
cammino. Vederlo in quel momento, dimenarsi sul lettino, mentre
briciole di
ogni cosa conosciuta trovavano residenza in una mente a cui non aveva
davvero
creduto, mentre il Tempo dispiegava i suoi filamenti e si ancorava
unendo
insieme ognuna di quelle conoscenze in qualcosa di più
grande e unico, Declan
non poteva che ritenersi soddisfatto di aver lasciato tutta quella
libertà alla
sua Assassina.
«Credo
tu abbia un nuovo incarico.» Le urla erano finite, il
macchinario si era spento
in automatico, eppure la Pellegrina non si era mossa dal suo posto
contro al
muro, non finché Declan non si era presentato davanti a lei
con un sorriso mellifluo
e uno schermo olografico in mano. La donna lo prese senza parlare,
osservò la
fotografia e le poche informazioni che le servivano impassibile, poi
scivolò
accanto al Signore del Tempo e l’unico suono che
riempì il corridoio fu quello
dei tacchi mentre si allontanava.
Declan
rimase in un angolo della stanza, visibile quanto bastava da Mick non
appena
questi si svegliò stordito. Si avvicinò
lentamente, forse per tranquillizzarlo,
forse al contrario per innervosirlo con quella calma, in tutto quello
una cosa
era certa, il Signore del Tempo era indubbiamente, e piacevolmente, non
che l’avrebbe
mai ammesso apertamente, colpito dalla resistenza che l’uomo
sembrava avere,
per quanto il concetto di morte
fosse
differente mentre si trovavano al Punto di non Ritorno in pochi erano
apparsi
così lucidi dal lanciarsi contro chiunque fosse nella stanza
in quel momento.
«Cosa.
Mi. Avete. Fatto?» Scandì con rabbia bloccandolo
al muro, Declan non si
scompose nemmeno in quel frangente, sorrise conciliante e
allargò le braccia.
«Ti
abbiamo dato tutta la conoscenza di cui hai bisogno per
sopravvivere.» Rispose
come se fosse la cosa più logica al mondo, come se tutte
quelle informazioni
che ora vagavano impazzite nella mente dell’uomo fossero davvero fondamentali. «Ti
stupiresti di sapere quanto ne hai
bisogno qui.» Lo guidò fuori dalla stanza lungo
altri corridoi all’apparenza
tutti uguali fino ad un luogo piccolo, la stanza più piccola
che fino ad allora
Mick aveva visto all’interno di quel luogo che pareva
sconfinato.
Al
centro
della stanza, su una piattaforma metallica, fluttuava una sfera azzurra
luminescente.
«Stanze
come questa, sfere come questa sono ovunque in questo luogo. Gli danno
l’energia
che serve per non crollare su sé stesso, forniscono tutta la
potenza per
mandarlo avanti e anche di più, controllano ogni singola
cosa.» Mick si
avvicinò, aggrottò la fronte, curioso, attratto
da quella sfera che galleggiava
nel nulla in mezzo alla stanza buia, come se lo chiamasse. Quando
allungò la
mano per toccarla il Signore del Tempo non lo fermò, al
contrario sembrava che
non aspettasse altro che quella reazione. Mick spalancò gli
occhi
indietreggiando di un passo ma senza potersi veramente allontanare da
quella
sfera una volta che la mano la attraversò. Qualcosa in lui
ripeteva costante
quanto fosse una trappola e quanto lui, povero stolto, vi fosse caduto
a piè
pari dentro, ma mentre i fili dorati si districavano dalla sfera
davanti ai
suoi occhi e lo avvolgevano, mentre le sue orecchie vennero riempite
esclusivamente
dal lontano crepitio del fuoco, nulla suonava più falso di
quell’avvertimento. Aveva
domandato alla Pellegrina se quel casco e quella macchina gli avrebbero
mostrato il suo scopo, la risposta era lì davanti ai suoi
occhi in quel
momento.
«Non
avere fretta, Cacciatore, la rinascita è appena
cominciata.»
Angolino
dell'Autrice:
Lo so, lo so. L'ultimo aggiornamento è stato a giugno, sono
infinitamente dispiaciuta per chi lo stesse aspettando. Ma sono qui
ora! Sono tornata per la vostra felicità!! *grilli che
cantano in lontananza* Oh beh... se c'è qualcuno, buonasera!
Sono qui e non intendo abbandonare questa storia, ancora adesso so dove
voglio portarla ma non ho idea del come, è una continua
improvvisazione, per questo è così
difficile.
So che sembra che
Chronos sia solo un Cacciatore come quegli altri tre che sono stati
mandati prima di lui, ma sarebbe stato troppo semplice così,
no? Quindi ho deciso di infilargli un po' troppe cose nella testa, roba
che in questo preciso momento sarebbe in grado di intavolare un bel
dibattito col professor Stein senza il rischio di perdere il filo se
solo lo volesse e non continuasse a fingersi tonto. E no, la sfera alla
fine non è l'Oculus, è solo un micro frammento di
Tempo. è una connessione necessaria per qualcosa che sto
architettando per il dopo dopo, ma stiamo andando OFF.
E la Pellegrina è uno degli avversari che
più ho amato nonostante sia durata un misero episodio e non
si sia visto granchè quindi ho deciso di sfruttarla e di
crearla praticamente, non si sa niente di lei, ho carta bianca, e sotto
sotto non è completamente priva di emozioni, è
solo molto molto brava a non mostrarle. (Una buona vulcaniana, non
c'è che dire.) E poi, sì, volevo vedere lavorare
insieme quel cosino di 1.60 m con uno di circa 1.90.
Spero il prossimo
aggiornamento di non caricarlo per Natale ma prima...
Bye Bye~
Aki
|
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Capitolo 7 *** Chapter 07 ***
Chapter
07
«Sei
sicuro di esserne in grado?» Se Mick non l’avesse
conosciuta meglio, e ancora
non era sicuro di conoscerla in ogni caso, avrebbe osato dire che
c’era una
nota spaventata nella voce seria della Pellegrina.
«Lo
scopriremo presto.» A quelle parole la donna lo
bloccò con un gesto rapido
della mano posandola sul pannello di controllo della navetta.
«Quindi
equivale ad un no.» Affermò puntando gli occhi su
di lui, Mick scosse le spalle
come a voler dismettere la sua preoccupazione.
«Ho
visto come si fa.»
«Ma non l’hai mai
fatto.» «Memoria fotografica.»
«Presunzione.» «Senti chi parla di
presunzione
ora. Puoi farmi il favore di sederti e allacciare la
cintura?» La fortuna, di
entrambi, era che erano soli a bordo della navetta temporale, nessun
estraneo
ad assistere allo scambio di battute di due delle persone
più pericolose del
Punto di Non Ritorno. Mick si era offerto, spontaneamente e in modo
anche
troppo entusiastico, di accompagnare la Pellegrina nella nuova missione
nonostante
lei avesse ripetuto, più e più volte, che non
aveva bisogno né di una scorta e
nemmeno di un pilota. Quello non era servito a fare desistere
l’uomo che, dopo
aver indossato abiti diversi da quelli bianco sterile che aveva
normalmente
durante l’addestramento la aveva aspettata a braccia conserte
davanti alla
navetta che era solita usare.
Sentì
uno sbuffo dietro di lui e il clack della cintura che veniva chiusa,
Mick sorrise
mentre sfiorava i controlli della navetta, il pannello si
illuminò di un tenue
azzurro. Era vero, non aveva mai pilotato prima di allora, era vero
anche che
non aveva idea di cosa facessero più della metà
di quei pulsanti, e anche che
Declan era all’oscuro della sua presenza su quella navetta.
Ma dopo un mese di
addestramenti intensivi, un mese, o almeno era quel che sembrava, di apprendimento rapido, come lo aveva
chiamato la donna, era discretamente sicuro si sapere come fare.
Quantomeno lo
sperava.
«Non
così veloce! Rischi di non imboccare la giusta
uscita!» La voce della
Pellegrina sembrava arrivare da molto più lontano del
normale quando fece
ruotare lentamente la sfera della velocità e si
ritrovò a far sfrecciare l’anonima
navetta per il flusso temporale.
La
prima
volta non fu semplice, prima andò troppo avanti, poi troppo
indietro, sbagliò
di mesi, a volte di minuti, aveva perso il conto di quante volte la
Pellegrina
gli aveva ripetuto «Non è il tempo
giusto.» con voce sempre più stizzita.
La
seconda volta andò un po’ meglio, non troppo, solo
un poco, impiegò meno a
raggiungere la destinazione; la terza volta era sempre meglio, aveva
imparato
in fretta a regolare la velocità e al tempo stesso
controllare il flusso
temporale. La quinta volta la navetta schizzava nel tempo indubbiamente
sbagliato evitando le fauci di un gruppo di dinosauri che li avevano
scambiati
per delle prede, eppure non poteva fare a meno di ridere mentre
cambiava
direzione all’ultimo momento prima di rientrare nel flusso
temporale.
«Qualcosa
mi dice che non è stato un errore.» Mick non si
voltò, non aveva bisogno di
voltarsi per sapere che nonostante tutto si era divertita di quella
piccola
deviazione, che in fin dei conti era solo il suo modo di mettere in
mostra le
sue innate abilità di pilota. Non che lei lo avrebbe mai
ammesso.
In
tutto
quello gli addestramenti continuavano, aveva abbandonato la sala con le
pecorelle smarrite per passare a qualcosa di più efficace e
raffinato. La prima
volta che il maestro Declan lo aveva condotto nell’armeria e
gli aveva detto di
scegliere un’arma con cui iniziare lo sguardo di Mick era
caduto su un pesante fucile
e aveva passato le ore successive, o erano stati giorni? a smontarlo e
rimontarlo memorizzando ogni singolo meccanismo. Sparare era venuto
naturale
come se il fucile fosse un’estensione del suo braccio, senza
difficoltà e con
precisione letale.
«Volevi
un cacciatore per fermare Rip Hunter e abbiamo qualcosa di
meglio.» Commentò
Zaman Druce mentre osservava i progressi dell’uomo che aveva
raccolto dal
nulla, Declan sorrise.
«Questo
l’Oculus non lo aveva mostrato, eppure non vedo come possa
giocare a nostro
sfavore.»
«È
imprevedibile.»
Asserì Druce guardando l’uomo sparare ai bersagli
della simulazione. «Inizia il
condizionamento, dobbiamo avere la sua completa lealtà se
vogliamo che
funzioni. Non mostrargli gli obbiettivi finali, non ancora
almeno.»
«E
i
Nuclei Temporali, Signore?» Zaman si voltò a
guardarlo prima di uscire dalla
stanza, l’ombra di un sorriso sul suo volto.
«Il
suo corpo è sopravvissuto la prima volta senza il nostro
intervento, l’energia
temporale lo renderà più forte quando
sarà il tempo. Prosegui.»
Le
simulazioni dovevano essere, almeno in teoria, più
complicate volta dopo volta,
Mick si ritrovò a pensare che doveva esserci qualche
problema nella
programmazione, ogni volta che entrava in una simulazione quella durava
sempre
meno, gli obbiettivi erano lenti e spesso non reagivano agli attacchi
come
sarebbe dovuto accadere. Il suo corpo fremeva per qualcosa di
più, sempre di
più, le simulazioni non erano abbastanza, mai
abbastanza.
Se
avesse saputo che la conseguenza di quella semplice richiesta sarebbe
stato un
ciclo di puro dolore che gli penetrava in ogni cellula del corpo fino a
distruggerla per poi essere rigenerato ogni volta avrebbe pensato due
volte
prima di farla, ma era tardi per tirarsi indietro.
Condizionamento,
così lo aveva chiamato Declan, completamente diverso
dall’apprendimento a cui era
stato sottoposto, il condizionamento era qualcosa che non sapeva come
descrivere, lo lasciava sospeso nel nulla, fuori dal tempo e dallo
spazio, ogni
cosa nella sua mente veniva creata solo per poi essere distrutta e
ricreata
nuovamente, ogni volta simile ma con una sfumatura impercettibilmente
diversa. Era
come morire e rinascere nel giro di pochi istanti, per centinaia di
migliaia di
volte. E ogni volta rinasceva più forte.
A
volte Declan si azzardava a far penetrare la sua voce nel flusso di
morte e rinascita,
una domanda semplice che interrompeva il silenzio del Tempo.
«Qual
è il tuo nome?» Mick non rispondeva mai, il suo
vero nome, perché certamente ne
doveva avere uno, non lo ricordava, il nome che aveva scelto per
sé stesso
stava aspettando il momento giusto per rivelarsi, si era insinuato
sinuoso nella
sua mente la prima volta che aveva toccato un Nucleo Temporale e si era
ancorato lì, gli diceva di aspettare, gli diceva che il
tempo non era ancora
giunto, c’era una strana ironia nel parlare di Tempo in un
luogo in cui il
tempo era quasi immobile. Un’ironia ancora più
profonda se considerava il nome
che aveva scelto.
«Quelli
come te non sono semplici Cacciatori.» Mick aveva alzato un
sopracciglio mentre
seguiva Declan nell’hangar, più volte il Signore
del Tempo si era rivolto a lui
con quell’appellativo. «Quello era il nostro scopo
iniziale, quello che dovevi
essere.» Spiegò notando il dubbio che si era
dipinto sul suo volto solitamente
impassibile. Gli stivali rinforzati risuonavano sul pavimento,
l’armatura era pesante
sulle sue spalle, l’elmo assicurato sotto un braccio e il
mantello scivolava
alle sue spalle. «Ma sei più di un semplice
Cacciatore, li hai visti. Eseguono
gli ordini senza alcuna inventiva o conoscenza, conoscono solo la
missione di
quel momento. Tu al contrario…» Mick si
lasciò sfuggire uno sbuffo orgoglioso,
si era accorto della differenza tra lui e i quattro Cacciatori
Temporali che
erano presenti al Punto di Non Ritorno. Tre uomini e una donna che non
aveva
nulla da invidiare a loro in fatto di brutalità, tutti
provenienti dal gruppo
di pecorelle, quattro sopravvissuti, i più forti. Ma non per
quello i migliori.
«Gli
Agenti Temporali sono una classe d’Élite, se
così vogliamo dire. A metà tra i
Cacciatori e i Signori del Tempo.» Mick conosceva la
differenza, la Pellegrina
faceva parte di quella classe, la Pellegrina era stata la sua
insegnante molto più
che Declan ed era l’unica veramente degna della sua fiducia.
Declan gli passò
lo schermo olografico che aveva avuto in mano fino a quel momento, Mick
spostò
la maschera da un braccio all’altro per avere una presa
più solida sullo
strumento e prese a scorrere i file leggendo solo le indicazioni
iniziali. «Queste
sono le tue prime missioni.» Spiegò il Signore del
Tempo. «Al termine di ognuna
voglio che tu rientra a fare rapporto prima di proseguire.»
Riprese a camminare
fino a giungere davanti ad una nave scura. «D’ora
in avanti userai questa nave
per viaggiare, posso sperare che tu sia in grado di
pilotarla.» Mick non
rispose, sapeva dal tono di voce che era una domanda retorica, Declan
sapeva
delle sue scappatelle a bordo della
navetta temporale, ma in quel momento non importava, forse non era mai
importato, forse tutto era voluto per giungere a quel momento.
«Non
voglio errori.» Decretò infine mentre Mick si
faceva scivolare la maschera sul
volto e saliva a bordo della nave temporale.
«Sapete
che non commetto errori.» Ribatté con voce
meccanica prima di chiudere lo
sportello e avviarsi verso il ponte; le luci che illuminavano i
corridoi
stretti e scuri tendevano ad un leggero verde, il ponte era ampio, una
poltrona
singola e un pannello di controllo più grande di quello a
cui era abituato, ma
a differenza di quando aveva iniziato ora sapeva come operare.
Lasciò che la
mano guantata scorresse sul pannello attivando i controlli manuali
quando prese
posto. L’ingresso nel Flusso Temporale lo
schiacciò contro lo schienale mentre
lo spettacolo a cui non si sarebbe mai abituato si apriva sullo schermo
davanti
a lui, un turbinare di vortici di colori brillanti, fulmini bianco
accecante e
filamenti dorati che si estendevano e intrecciavano tra loro in una
danza
antica e immortale.
Lasciò
vagare lo sguardo nuovamente sul riepilogo della prima missione.
2348,
Pirati Spaziali, Attentato all’Imperatore
delle Tre Galassie.
“E
pirati spaziali siano.”
Pensò mentre spostava di qualche grado i comandi e la nave
virava senza
diminuire la velocità.
«Posso
ricordarle la cintura, Capitano
Chronos?»
In un attimo, mentre Mick sobbalzava cercando di capire chi
avesse parlato, da dove e soprattutto come faceva a conoscere quel nome, la nave uscì dal
flusso
temporale nel 1348.
«Chi
diavolo sei?!»
Angolino
dell'Autrice:
Eccomi di nuovo qui, con un capitolo scritto completamente in una sera,
perchè come lo avevo iniziato non mi soddisfava
più e, a quanto pare, oggi ero discretamente ispirata (Dopo
essermi sparata una playlist di soundtrack discretamente rapide mentre
scrivevo per un'ora).
Non ci sono
grandi eventi ma si apre effettivamente la "storia" di Chronos, non
descriverò completamente le missioni, non tutte (e dipende
da quanta ispirazione c'è, sempre lì siamo!)
So che Chronos
è tecnicamente un Cacciatore, ma ho iniziato questa fanfic
per dare ppiù spazio a Mick e a quella mente che tiene bella
nascosta, volevo che fosse qualcosa in più di un semplice
Cacciatore, quindi ho creato la via di mezzo, gli Agenti Temporali. La
differenza è che i Signori del Tempo, come Zaman Druce e
Declan per capirci, controllano il tempo dalla loro postazione,
raramente vanno in missioni effettive per sistemare qualcosa. A quello
ci pensano gli Agenti. Loro sono fuori, nel Tempo a sistemare le
anomalie, o almeno quello dovrebbe essere il loro compito principale,
ogni Agente poi ha delle particolari specializzazioni, la Pellegrina
per esempio si occupa per eliminare le minacce prima che diventino
minacce.
Spero che la
storia continui ad interessarvi, se trovate errori mi scuso da subito,
l'ho riletta tre volte ma gli errori scappano sempre. E spero che
continuerete a seguirmi!
Bye Bye~
Aki
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