Stage of my life

di FiammaBlu
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Stage #1. Il produttore e l’attrice ***
Capitolo 2: *** Stage #2. La corda spezzata ***
Capitolo 3: *** Stage #3. Ritorno a casa ***
Capitolo 4: *** Stage #4. Maree dal passato ***
Capitolo 5: *** Stage #5. Intervista con sorpresa ***
Capitolo 6: *** Stage #6. La festa degli attori ***
Capitolo 7: *** Stage #7. Le anime gemelle ***
Capitolo 8: *** Stage #8. Il fuoco dell’anima ***
Capitolo 9: *** Stage #9. Anime spezzate ***
Capitolo 10: *** Stage #10. Il filo rosso ***
Capitolo 11: *** Stage #11. Akoya e Isshin ***



Capitolo 1
*** Stage #1. Il produttore e l’attrice ***


stage ‹stàaˇ∫› s. m., fr. [dal lat. mediev. stagium, che risale, come il fr. ant. estage «soggiorno» (der. di ester «stare»), al lat. volg. *staticum]. – Periodo, fase d’iniziazione pratica o comunque di addestramento per lo svolgimento di una determinata attività o professione; anche, corso breve e intensivo: uno s. di danza, di fotografia.  La voce è spesso confusa in Italia, sia nell’uso parlato sia in quello scritto (e anche in alcuni dizionarî) con la parola ingl. stage, e viene perciò anche pronunciata all’inglese, ‹stèiǧ›; ma i sign. di questa, alcuni noti e, in parte, usati anche in Italia, sono diversi: «piattaforma, palco, palcoscenico, scena, e sim.», e in senso fig. «stadio, fase, tappa, e sim.».

[Fonte: Treccani online]

 

 

 

Stage #1. Il produttore e l’attrice

 

Tutte le luci erano state spente e Maya Kitajima era rimasta immobile sulla poltrona centrale accanto al corridoio di passaggio. Da lì poteva vedere tutto il palcoscenico e, nonostante il buio, avrebbe potuto muoversi su di esso senza alcuna difficoltà. Lentamente il teatro si era svuotato, ma lei sembrò non accorgersene. La rappresentazione indimenticabile era appena terminata eppure lei ne sentiva ancora gli strascichi. Un formicolio insistente le faceva prudere le mani, fermamente appoggiate ai braccioli morbidi.

- Maya… - il suo nome sussurrato gentilmente la riscosse dall’ipnosi in cui era caduta. Si voltò lentamente con gli occhi spalancati e le labbra socchiuse in una muta espressione di meraviglia.

- Sì, ti è piaciuto, si vede… - aggiunse Rei mettendosi le mani sui fianchi. L’aveva attesa nell’atrio per venti minuti poi, non vedendola arrivare, era tornata indietro. Anche se il tempo passava, Maya e il teatro continuavano a mantenere la stessa connessione intensa.

- Rei… - sussurrò, ancora avvinta dall’interpretazione del personaggio di Cleopatra.

- Andiamo o faremo tardi - l’avvisò l’amica prendendola per un gomito e aiutandola ad alzarsi. Rei sorrise osservando il suo volto: era sempre la stessa storia. Maya si calava completamente nella parte ed era sicura che se le avesse chiesto di recitare quella rappresentazione, lei l’avrebbe fatto senza sbagliare una battuta.

Raggiunsero l’atrio allestito come un tempio egizio, pieno di gente che chiacchierava, e il suo arrivo destò subito interesse. Il suo nome venne pronunciato di bocca in bocca fino a diventare un’onda che tornò indietro e si infranse contro di loro.

- Guardate… è Maya Kitajima… - sussurrò attonita una signora mentre infilava lentamente la mano nella borsetta per estrarne un foglio bianco e una penna.

- Sì… è Maya Kitajima… - confermò una ragazza accanto a lei.

Rei si guardò intorno immaginando già cosa sarebbe accaduto e dandosi della stupida per non averlo prevenuto. Maya era ancora nel mondo dei sogni e provò a scuoterla. La giovane si girò con aria imbambolata, il suo sguardo si fece più chiaro e Rei tirò un sospiro di sollievo.

Un silenzio inquietante calò nell’atrio dorato gremito di gente. Maya realizzò la folla che si apriva davanti a lei e istintivamente si strinse all’amica.

- Signorina Kitajima, un autografo, per favore! - quell’unica frase scatenò l’inferno.

In breve si trovarono circondate da braccia allungate con penne e carta, dietro di loro solo la grande doppia porta che conduceva alla platea.

Maya e Rei fecero qualche passo indietro senza poter arginare la folla eccitata in alcun modo. Spingevano, si accalcavano, gridavano, ma quell’atmosfera piena di attenzioni stava trasformandosi in qualcosa di pericoloso.

- Signori, vi prego… - mormorò Maya intimorita facendo un altro passo indietro.

- Un autografo! Signorina Kitajima, per mia figlia! - gridò qualcuno.

- Qui, signorina Kitajima! Firmi qui! - le voci si sovrapposero una all’altra in una cacofonia di suoni. Maya commise l’errore di prendere la prima penna per cercare di interrompere quel flusso che le costringeva a retrocedere. Quel gesto scatenò ulteriormente la folla e le due amiche vennero spinte ancora indietro.

Le doppie porte si aprirono e Maya ci finì addosso. O almeno questo pensò in un primo momento, finché un paio di mani robuste la sostennero per le spalle. La figura si chinò sopra di lei sovrastandola e le tolse di mano con fermezza la penna e il foglio che aveva preso da una signora.

- La signorina Kitajima non è qui per rilasciare autografi - la voce autoritaria zittì la folla e Maya si girò di scatto.

- Signor Hayami… - mormorò, costretta a sollevare gli occhi per guardarlo. La sua espressione era gelida e nascondeva tutta la stizza per averla trovata a fare qualcosa che violava il suo contratto in un posto dove non avrebbe dovuto essere.

- Guardate… quello è Masumi Hayami della Daito Art Production… - il mormorio riprese sottile e significativo.

Masumi la fissò per un istante cercando di infondere al suo sguardo solo un’attenta e studiata professionalità. Maya esitò un attimo, poi corrugò la fronte, i suoi occhi si indurirono, gli strappò di mano carta e penna sollevando il mento in segno di sfida e si girò verso la folla sotto lo sguardo preoccupato di Rei.

- Il signor Hayami scherza sempre - esordì Maya con un sorriso dolce indossando una delle sue maschere migliori - E ha a cuore tutte le sue attrici, non fatevi spaventare dalla sua aria gelida - aggiunse facendo qualche passo avanti - Venite, se mi fate raggiungere quei divanetti, sarò lieta di firmare tutti gli autografi che vorrete! - disse felice ignorando lui e indicando in avanti.

La folla esultò e si aprì come un ventaglio, concedendole lo spazio necessario per passare. Maya intravide il direttore del teatro che conosceva bene e lui le andò incontro con le mani nervose che rigirava una dentro l’altra.

- Signorina Kitajima, è sicura di voler… - iniziò l’uomo palesemente preoccupato.

- Ma certo, signor Okamoto! - lo rassicurò Maya senza voltarsi con un gran sorriso. Non sarebbe riuscita a tener testa di nuovo al signor Hayami se l’avesse guardato. Sentiva la sua presenza anche a distanza: era immobile, davanti alla porta della platea e la fissava gelidamente.

- Ma… il signor Hayami… gli autografi… lei non può… - balbettò il direttore con il volto terreo, senza sapere come uscire da quella situazione.

- Certo che posso! - replicò Maya felice, nascondendo la folle paura che le dilaniava l’anima. Era un gioco pericoloso quello che intavolava ogni volta con lui e prima o poi ne avrebbe pagato le conseguenze. Ma non sarebbe stato quello, il giorno.

Maya, seguita dalle decine di persone urlanti e festose, si sedette su una poltrona, ignorando lo sguardo smarrito del direttore del teatro. Le dispiaceva metterlo in difficoltà, ma quell’uomo odioso e presuntuoso non avrebbe dovuto strapparle di mano la penna e il foglio!

- Potrebbe gentilmente farmi avere qualcosa su cui scrivere? - gli chiese con aria innocente, aumentando il disagio del poveretto, coinvolto suo malgrado in una guerra vecchia e più grande di lui. Con un sospiro di rassegnazione, il signor Okamoto schioccò le dita e immediatamente uno degli inservienti sparì tornando poco dopo con un vassoio. Il direttore lo porse a Maya, lei lo rigirò appoggiandolo sulle proprie ginocchia e firmò il primo autografo, rendendolo alla signora che squittì via contenta.

Tutti si accalcarono intorno, spingendo malamente il direttore che, offeso e impossibilitato ad arginare la situazione, si sistemò la giacca e si fece da parte. Lanciò un’occhiata all’atrio semi deserto, dato che tutti si erano praticamente raccolti in quell’angolo, e individuò Masumi Hayami. Quando dalla biglietteria gli avevano detto di aver staccato un biglietto a Maya Kitajima sapeva che sarebbe stata una giornata turbolenta.

Masumi osservò la folla con lo stesso sguardo assente e freddo con cui aveva cercato di allontanarla da lei, ma il suo cuore batteva ancora rapido dall’istante in cui Maya si era girata e l’aveva fronteggiato. Aveva volontariamente infranto il contratto: non avrebbe dovuto essere in quel teatro né avrebbe dovuto firmare autografi se la Daito non avesse disposto diversamente. Se lui non avesse disposto diversamente. Ma quella era Maya Kitajima, la Dea Scarlatta, l’attrice più pagata del momento, e non perdeva occasione per ricordargli chi fosse veramente.

- Non la invidio, signor Hayami… - mormorò Rei scoccando un’occhiata all’austero Presidente della Daito Art Production che era riuscito ad ottenere un contratto di esclusiva con la vincitrice dello spettacolo dimostrativo di gennaio, ormai undici mesi prima. Rei ricordava perfettamente la tensione del momento in cui la signora Tsukikage aveva designato la sua erede, sebbene, dopo aver visto la Dea di Maya, non aveva avuto dubbi su chi delle due contendenti avrebbe scelto la sensei.

L’uomo non rispose, continuando a fissare la folla accalcata intorno a Maya. Rei comprendeva bene i motivi che avevano spinto Masumi Hayami a rivolgersi in quel modo alla gente, ma Maya sembrava divertirsi a contraddirlo. Nei mesi che erano seguiti alla rappresentazione di prova, la “Dea Scarlatta” era rimasta nelle mani dell’Associazione Nazionale per lo Spettacolo e del suo Presidente, il signor Yamagishi, non per un mese, come preventivato, ma per tre, visto il successo.

Poi Maya aveva firmato un contratto con la Daito Art scioccando il mondo del teatro. Neanche Rei conosceva la verità su quella scelta discutibile, sebbene fosse sicura di averla intuita, ma da quel momento la vita di Maya era cambiata. In meglio, ovviamente. Masumi Hayami e la Daito Art Production avevano trasformato la “Dea Scarlatta” in un’autentica macchina per produrre soldi e l’attrice che ne interpretava il ruolo principale era stata ricoperta d’oro e onori. Ma chiaramente c’erano anche gli oneri, che Maya puntualmente non rispettava.

La Daito decideva i suoi ingaggi, le pubblicità, i posti pubblici in cui avrebbe potuto farsi riconoscere e quando rilasciare autografi. La sola presenza di Maya Kitajima generava soldi e la Daito e il suo Presidente non erano disposti a cederla gratuitamente. La “Dea Scarlatta” prodotta da Masumi Hayami era rimasta in cartellone per sei mesi, da aprile a ottobre, ma Maya nel frattempo aveva recitato anche in altri spettacoli e partecipato a centinaia di interviste con Sakurakoji e il cast di Kuronuma, che si erano aggiudicati rispettivamente i ruoli di Isshin e di regista alla fine dello spettacolo dimostrativo.

Rei venne riscossa dai suoi ricordi da un movimento dell’uomo accanto a lei. Masumi Hayami raggiunse il terrorizzato direttore del teatro che non poté in alcun modo evitare il confronto.

- Signor Hayami… io non potevo sapere che… - iniziò deferente, cercando di scusarsi per qualcosa che, tra l’altro, non dipendeva da lui.

- Signor Okamoto, sono io che devo scusarmi per il comportamento della nostra attrice - lo stupì a tal punto che l’ometto rimase rigido come un pezzo di legno - Questo non è un teatro Daito e la signorina Kitajima non avrebbe dovuto essere qui a mettere scompiglio alla prima del vostro spettacolo - aggiunse con voce tagliente scoccando un’unica e breve occhiata all’indirizzo di Maya che sorrideva a tutti e aveva calamitato l’attenzione globale. Cosa sarebbe accaduto quando gli attori fossero usciti?

- Ma lei non deve preoccuparsi di questo… - mormorò Okamoto ancora indeciso su come affrontare quell’uomo enigmatico.

- Invece mi preoccupo - insisté Masumi - Porterò via immediatamente la nostra attrice in modo che il vostro cast possa ricevere gli onori che merita senza essere disturbato da un’ingombrante presenza -

- Ma sono certo che la signorina Kitajima non voleva… - il direttore cercò di difendere la giovane attrice che veniva spesso, di nascosto, nel suo teatro a guardare gli spettacoli per ore, a volte restando in piedi dietro le porte della platea. All’inizio ne era rimasto intimidito, ma quando l’aveva conosciuta meglio aveva compreso perché la signora Tsukikage l’avesse scelta come sua erede. Il suo amore per il teatro e la passione che le scorreva nelle vene erano uniche e non le aveva mai viste in nessun altro prima di quel momento.

- Lo so - replicò Masumi spostando lo sguardo un’altra volta su di lei - Ma che l’abbia fatto innocentemente non ne diminuisce la gravità - aggiunse soppesando le parole.

Okamoto osservò lo sguardo tagliente e la direzione che aveva preso. La fama di quell’uomo lo precedeva ovunque andasse. Conosceva tutti in ambito teatrale e tutti conoscevano lui e i suoi modi oscuri e spesso incomprensibili. I battibecchi fra il Presidente della Daito e Maya Kitajima risalivano addirittura a quando la ragazzina, appena dodicenne, entrò in contatto con il mondo del teatro proprio con la Ondine. Quando la giovane vincitrice della sfida della “Dea Scarlatta” aveva stipulato un contratto con la Daito Art, i pettegolezzi si erano susseguiti alla velocità della luce, ma il rapporto fra attrice e produttore non era cambiato rispetto al passato, anzi, si era inasprito.

Maya Kitajima sembrava non tollerare le catene imposte dall’austero Presidente pur avendo firmato lei stessa il contratto di esclusiva e, di contro, lui non ammetteva alcuna concessione. Il direttore rifletté sullo strano legame di quei due, fonte di mille chiacchiere nei foyer, di cui aveva avuto una chiara dimostrazione solo qualche minuto prima.

Masumi Hayami si congedò e fece un passo verso la folla, ma Rei, che aveva seguito lo scambio di battute con il direttore del teatro, si interpose sulla sua traiettoria.

- Lasci fare a me, signor Hayami - gli consigliò fissandolo intensamente. Lui abbassò lo sguardo, distogliendolo dal suo bersaglio, annuì una sola volta e rimase immobile.

Rei rabbrividì per la tensione che emanava da lui. Maya stavolta l’aveva fatta grossa, tanto da spingerlo ad uscire dal suo ufficio in vetta alla torre dorata della Daito per venire a prenderla. Dal momento in cui l’aveva visto alle loro spalle si era domandata come fosse venuto a conoscenza di quella scappatella. In parte si sentiva responsabile ed era certa che quell’uomo di ferro la ritenesse tale, ma Maya era ingestibile quando si parlava di teatro e, se non l’avesse accompagnata, ci sarebbe andata da sola. Annuì a sua volta, gli dette le spalle e raggiunse decisa l’amica che firmava allegramente autografi.

Girò intorno alla poltrona e si chinò verso di lei.

- Maya, hai fatto di testa tua, il tuo scopo è raggiunto, ora andiamo, stanno per uscire gli attori, non vuoi rubar loro la scena, vero? -

Qualsiasi cosa Rei Aoki avesse detto, Masumi vide Maya restare impassibile, sorridere e consegnare un altro autografo. Indossava una maschera, ne era certo, ma d’altronde, chi non lo faceva?

- Maya… - sussurrò di nuovo Rei afferrandole una spalla.

- Sì, Rei, solo l’ultimo - le sorrise Maya come se niente fosse, utilizzando un tono che venne sentito da tutti. Prese carta e penna che qualcuno le stava porgendo e siglò il foglio bianco, in mezzo alle proteste e alle lamentele della gente.

Maya si alzò e si inchinò profondamente davanti a tutti.

- Vi ringrazio per la vostra gentilezza, ma adesso devo andare - disse con un sorriso dolce, trasformandolo immediatamente dopo in un’espressione seria quando puntò gli occhi accesi di rabbia su Masumi Hayami.

Come un sol uomo, la folla si girò in massa, zittendosi e fissando l’uomo con l’elegante cappotto nero che teneva le mani in tasca, apparentemente incurante di tutto e tutti, tranne della sua attrice.

- Quel Masumi Hayami… - borbottò una signora stringendo i pugni - La tiene come una prigioniera in catene! -

- È venuto lui qui! A prelevarla come una carcerata! - sibilò un’altra donna poco più avanti stringendo gli occhi con astio verso quell’uomo freddo e calcolatore.

Maya lasciò che la gente sfogasse il proprio rancore ancora per un po’, poi si lisciò l’abito, indossò il cappotto e si rivolse a Rei.

- Andiamo a casa - le comunicò semplicemente. Rei sbuffò, abbassò le spalle rassegnata e la seguì.

Quando passarono vicino a lui, Maya non lo degnò di uno sguardo e proseguì verso il direttore, seguita da Rei. Masumi si voltò e attese che facesse il suo dovere.

- Mi dispiace di aver creato scompiglio - si scusò arrossendo lievemente e inchinandosi.

- Oh… ma signorina Kitajima non deve neanche dirlo - disse a voce alta - È la benvenuta ogni volta che vorrà tornare… con più discrezione, magari - aggiunse a bassa voce, inclinando la testa verso di lei e strizzandole un occhio. Maya ridacchiò e arrossì ancora di più. Si ricompose e con portamento da principessa attraversò tutto l’atrio diretta verso l’uscita. Rei lanciò un’occhiata a Masumi Hayami che le stava seguendo poco dietro a passo lento. Aveva un’espressione indecifrabile che le metteva ancora più paura. Maya giocava davvero col fuoco e non era sicura che se ne rendesse conto.

Una volta arrivate all’esterno sulla scalinata, Rei comprese perché Hayami se la stesse prendendo comoda: quattro uomini eleganti vestiti di nero li attendevano, le gambe leggermente divaricate, le mani strette l’una nell’altra e appoggiate davanti, come le guardie del corpo dei film.

Maya rallentò il passo fino a fermarsi a metà della scalinata. Rabbia e terrore si mescolarono dentro di lei in un cocktail pericoloso. Uno degli uomini si staccò dalla formazione e aprì la portiera posteriore della berlina nera e lucida parcheggiata di fianco al marciapiede.

- Che significa? - domandò l’attrice senza neanche voltarsi. Rei si trovava fra Maya e il signor Hayami e le sembrava di essere attraversata da scosse gelide. Sospirò e attese che il dramma si consumasse.

- Sali sull’auto, ragazzina - ordinò la voce imperiosa di Masumi raggiungendo Rei sullo scalino. L’aria si saturò di elettricità e Rei si trovò a stringersi nelle spalle per il freddo.

Maya rimase immobile, ma la tensione della schiena rivelava tutta la sua rabbia nascosta.

- Smetta di chiamarmi in quel modo! - urlò senza riguardi, girandosi di scatto e stringendo i pugni.

- Lo farò quando dimostrerai maturità - replicò freddamente Masumi Hayami scendendo ancora qualche gradino e imponendosi con tutta la sua altezza - Sali - ripeté avvicinando una mano alla sua spalla senza toccarla e allungando l’altra ad indicare la portiera aperta.

Maya ribollì ancora qualche istante, poi si girò, discese gli ultimi gradini e infilò in auto senza replicare ulteriormente. Rei espirò il fiato che aveva trattenuto e senza aprir bocca la seguì. Si trovò seduta in mezzo, mentre Hayami chiudeva la portiera. Sollevò gli occhi al soffitto dell’auto e pregò di non trovarsi nel fuoco incrociato.

La macchina partì, seguita da un’altra con i quattro bodyguard. Il silenzio era così opprimente che Rei si trovò a cacciare fuori il fiato per vedere se congelava. Maya guardava fuori dal finestrino e Hayami in avanti, verso la strada. Se possibile, i loro alterchi erano passati da sporadiche apparizioni alla fine degli spettacoli a vere e proprie guerre in cui lei tirava da una parte e lui dall’altra. Rei era giunta alla conclusione che entrambi cercassero appositamente il modo per litigare, strascico e ampliamento del loro precedente rapporto che era diventato ancora più anomalo da quando Maya aveva deciso di firmare il contratto di esclusiva con la Daito Art.

- Hai messo in difficoltà il signor Okamoto - esordì Masumi dopo venti minuti di silenzio tombale. Gli erano occorsi per riflettere sulla situazione e sul modo di redarguirla. Ogni volta diventava più difficile e, rischiando di dirle la cosa sbagliata, sapeva che l’avrebbe allontanata sempre più.

- Se non fosse venuto, non sarebbe accaduto niente - ribatté Maya sempre guardando fuori dal finestrino.

Rei si portò pollice e indice al ponte del naso, reclinando lievemente la testa. La guerra iniziava e lei era proprio in mezzo.

- Se non fossi venuto, il Consiglio di Amministrazione della Daito ti avrebbe commutato una multa salata! Senza contare i guai che avresti fatto passare al direttore Okamoto! - sibilò Masumi voltandosi appena. Rei puntò lo sguardo alla strada, appoggiandosi lentamente allo schienale del sedile posteriore e sperando che non si scatenasse una rissa. Avrebbe potuto scommettere sul signor Hayami, sempre rigido e compunto, ma non su Maya.

- Nessuno le ha chiesto di venire! - urlò Maya, voltandosi di scatto e fissando gli occhi accesi d’ira in quelli azzurri e gelidi del suo datore di lavoro.

Masumi si rese conto che sviava appositamente la responsabilità circa i guai che avrebbe causato al direttore di quel teatro rivale e seppe di aver puntato sulla ferita giusta.

- Sai perfettamente che non ti è concesso andare liberamente nei teatri di altre compagnie né distribuire autografi senza autorizzazione! - insisté Masumi - Ci sono delle regole da rispettare! Regole a cui anche il signor Okamoto sottostà! Permettendoti di andare agli spettacoli, rischia il suo posto di lavoro! - accentuò l’ultima frase con la speranza di inculcare in quella testa cocciuta e ribelle un minimo di buon senso.

Maya lo fissò accaldata, aveva il fiato accelerato, il corpo teso e rigido, le mani strette a pugno: una premeva contro il poggiatesta del sedile anteriore e l’altra affondava accanto a Rei. La tensione crebbe mentre realizzava che, ancora una volta, Masumi Hayami aveva ragione. Era la cosa che più la irritava al mondo.

Si schiacciò contro il sedile morbido di pelle e distolse lo sguardo dai suoi occhi accusatori.

- Almeno hai avuto il buonsenso di scusarti con lui - aggiunse Masumi quando la vide capitolare. Ogni volta che la costringeva a riflettere, si trovava ad un bivio pericoloso: sgridarla come la ragazzina sconsiderata che era, oppure stringerla a sé e mettere fine a quell’angoscia che lo dilaniava da anni. La prima era la strada più semplice e quella che sempre imboccava, ben conscio dei pericoli che avrebbe corso lei se avesse deciso per la seconda. Quando l’aveva abbracciata sull’Astoria, gli esiti erano stati disastrosi.

Maya rimase in silenzio, Rei allungò una mano senza farsene accorgere e strinse quella dell’amica finché la sentì rilassarsi. Il signor Hayami non aggiunse altro, rimase rigido, le mani appoggiate sulle ginocchia, le labbra tese e serrate.

L’auto si fermò dopo mezz’ora di gelo inquietante davanti a casa di Maya. Quando era divenuta l’erede della signora Tsukikage e aveva firmato il contratto con la Daito, le era stato assegnato un bellissimo appartamento dove viveva da sola. Avevano trovato sconveniente che condividesse gli spazi con la vecchia amica e che quella solitudine giovasse al personaggio drammatico di Akoya che avrebbe dovuto impersonare, aumentandone mistero e romanticismo. Maya si era ribellata, presentandosi come una furia nell’ufficio di Hayami, ma ne era uscita sbattendo la porta senza ottenere niente.

Un uomo della scorta aprì la portiera di Maya e l’aiutò a scendere.

- A domani, Rei, grazie - le disse, ignorando completamente il signor Hayami. Lasciò che il collaboratore l’accompagnasse alla porta del palazzo e non si voltò mai indietro nonostante sentisse gli occhi di quell’uomo odioso puntati sulla schiena.

Rei si mosse per uscire a sua volta, ma lui la fermò.

- Mi permetta di riaccompagnarla a casa - si offrì gentilmente, espressione e voce completamente diversi da qualche istante prima. Rei lo fissò sconcertata: riservava quell’atteggiamento sgradevole solo a Maya…

- La ringrazio - rispose annuendo e sedendosi più comodamente nel posto dove era stata l’amica.

L’auto ripartì immergendosi nel traffico cittadino della sera e neanche per un istante Rei pensò di essere al sicuro. Rigirò fra le mani le chiavi di casa, cercando di tenere la mente serena, ma Masumi Hayami le concesse solo dieci di minuti.

- La ringrazio per essere andata con lei - le disse spiazzandola. Era sicura che l’avrebbe redarguita per averla aiutata in quella follia, invece la stava ringraziando.

- Io… ho provato a fermarla, ma… - mormorò dispiaciuta, notando che la sua espressione era apparentemente neutra, sebbene gli occhi azzurri, accesi da un lampo irritato, dicessero ben altro.

- Lo so - la rassicurò lui con un sorriso accennato.

La conversazione si interruppe e calò il silenzio, intervallato solo dai rumori del traffico, ovattati dagli spessi vetri oscurati dell’auto.

- Cosa devo fare, secondo lei? - chiese all’improvviso facendola sussultare.

Rei si girò a guardarlo, ma lui fissava pensieroso oltre il finestrino. Non poteva sapere a cosa si stesse riferendo né se stesse davvero attendendo una risposta da lei. Decise di rimanere in silenzio proprio quando lui si girò e la guardò con espressione interrogativa. Gli rispose con la prima cosa istintiva che le venne in mente.

- La lasci respirare, signor Hayami - suggerì riferendosi naturalmente a Maya. Lui rimase immobile, così lei proseguì, incoraggiata da quello sguardo cristallino. Si preoccupa sempre per lei… l’ha sempre fatto… e ho la sensazione che lo farà per sempre...

- Da quando ha vinto la sfida con Ayumi Himekawa non ha avuto un attimo di respiro - gli fece notare - Oltre alla “Dea Scarlatta” per l’Associazione Nazionale, ha recitato Akoya per la Daito da aprile a ottobre! Ma a voi non è bastato! Le avete fatto interpretare altri sette personaggi cavalcando l’onda del suo genio instancabile e della fama dovuta alla “Dea Scarlatta”! - aggiunse con sentimento, lasciandosi andare a quella confessione spassionata. La Daito aveva spremuto Maya senza alcuna pietà e lei aveva accettato ogni parte con entusiasmo crescente, come fosse una droga di cui non poteva privarsi, continuando, allo stesso tempo, ad essere Akoya, magica e innamorata di Isshin.

Masumi la fissò trattenendo a stento la meraviglia. Era convinto che Maya avesse gradito gli ingaggi che le avevano offerto. Dopo i primi spettacoli della “Dea Scarlatta” con l’Associazione Nazionale, le era sembrata a proprio agio con il personaggio di Akoya. Per quel motivo, quando aveva stipulato il contratto con lui, aveva deciso di proporle altre rappresentazioni da intervallare alle due settimanali della “Dea Scarlatta”.

- Akoya l’ha sfinita, non se n’è accorto? - continuò spietatamente Rei, incapace di credere che un uomo così attento agli affari avesse dimenticato la fragilità umana. Hayami tornò a guardare fuori dal finestrino, facendo mente locale sulle volte in cui l’aveva incontrata, anche dietro le quinte, alle conferenza stampa, alla Daito, nei teatri di prova. Aveva sempre mostrato il solito sorriso aperto e carico di aspettativa per il prossimo personaggio da sviscerare e interpretare e lui aveva potuto guardarla risplendere sul palco senza sosta per tutti quei mesi. Più tempo trascorreva in un teatro, meno possibilità aveva di incontrarla. Restava a distanza, dove poteva apparire come il Presidente della Daito che controllava il suo investimento.

- Basta pubblicità… basta spettacoli e corse da un teatro di prova all’altro, basta conferenze stampa e servizi fotografici - sussurrò Rei sporgendosi verso di lui, sperando che quelle parole facessero breccia nel suo cuore - Ritiri la sua proposta per “Madama Butterfly”! - quasi lo implorò, ma quando lui si voltò lentamente, Rei raggelò e si tirò istintivamente indietro.

- Perché dovrei annullare il più grande impegno della Daito dopo la “Dea Scarlatta”? Ha idea degli investimenti dietro questo progetto? - le spiegò con calma come se avesse di fronte un bambino - Inoltre è stata Maya a chiedere un’altra interpretazione nel semestre di riposo della “Dea Scarlatta”! -

Rei lo guardò corrugando la fronte.

- Davvero mi sta dicendo che un uomo scaltro come lei non si è accorto che l’ha fatto solo ed esclusivamente per dimostrare a se stessa di potercela fare e per preservare il lavoro al cast di attori de “L’isola che non c’è” che lei avrebbe licenziato? - senza accorgersene aveva alzato la voce in un crescendo. Quando terminò, aveva il fiato corto per l’emozione e la tensione di dover fronteggiare quell’uomo distante e calcolatore. Eppure c’era stato un tempo in cui aveva creduto che fosse l’ammiratore delle rose scarlatte.

Masumi dilatò le iridi chiare. Rei Aoki era la persona più vicina a Maya, se gli stava dicendo quelle cose sicuramente lo faceva con cognizione di causa.

- Come poteva sapere del cast di quello spettacolo? - domandò stupito stringendo le dita in pugni serrati. Era un gruppo di attori scelti appositamente per rappresentare “L’isola che non c’è” con un contratto unico. Sapevano che dopo non ci sarebbe stato un altro impiego, ma quando Maya aveva accettato “Madama Butterfly” aveva proposto, apparentemente in modo innocente, di tenere quegli attori. Ora finalmente comprendeva il motivo.

- Uno di essi faceva parte della Unicorno, si ricorda? - spiegò Rei - Avevano scambiato due parole e Maya aveva capito tutto -

- Ma dovrebbe sapere che i contratti sono a chiamata! Tutti gli attori lo sanno! - replicò Masumi evitando di pensare che lei l’aveva raggirato.

- Lo sa - ribatté Rei che stava perdendo la pazienza - L’ha fatto per sé e per dare a loro altri sei mesi di lavoro! -

Masumi Hayami la fissò in silenzio e Rei si accasciò sul sedile. Se non era riuscita a fargli capire che Maya era al limite, non sapeva davvero cos’altro avrebbe potuto aggiungere.

- Signor Hayami… - aggiunse infine riallacciandosi a quell’idea che non l’aveva mai abbandonata - La madre di Maya è morta, i suoi amici sono tutti distanti, la signora Tsukikage e Genzo sono a Nara, perfino il suo ammiratore ha pensato che fosse pronta per camminare da sola e l’ha abbandonata… Maya è sola! - gli disse impedendo al groppo in gola di trasformarsi in lacrime.

Il Presidente della Daito Art Production continuò a guardarla in silenzio. Non fece una piega al suo accenno all’ammiratore, ma Rei sapeva che era un uomo in grado di dissimulare perfettamente i suoi stati d’animo. Quando lo aveva visto allo spettacolo dimostrativo della “Dea Scarlatta” era rimasta stupita dalla sua espressione: sembrava completamente avvinto al dramma, come se ne facesse parte lui stesso. C’era stato un ultimo mazzo di rose, con un biglietto che Maya ancora conservava, quando la signora Tsukikage l’aveva eletta sua erede.

L’auto si fermò e Rei scese davanti a casa sua.

- Arrivederci, signor Hayami, grazie per avermi accompagnata - lo salutò con un inchino. Lui la fissò e la congedò con un breve cenno della testa. La macchina ripartì e lei rimase sul marciapiede ancora qualche istante, ripensando a quella strana conversazione quasi completamente a senso unico. Avrà compreso quanto sia precario lo stato di Maya? I suoi interventi in passato erano sempre volti agli affari, ma con un occhio alle persone coinvolte…

Sospirò e rientrò nel suo appartamento, sperando che Saiaka avesse preparato la cena come promesso.



- Dove vuole andare, signore? - la voce scandita e professionale dell’autista lo riscosse.

- Alla Daito, per favore - ordinò cordialmente mettendosi comodo. Si sfilò il cappotto con una rapida torsione delle braccia e lo abbandonò sull’altro sedile, ora vuoto. Fissò lo spazio che fino a poco prima era stato occupato da Maya e da Rei Aoki, poi tornò a guardare l’asfalto che correva veloce al lato della strada.

I loro alterchi erano cresciuti d’intensità perché Maya era stanca? Era così sicuro che volesse recitare da non porsi il problema della sua resistenza fisica. Aveva sempre dimostrato grande combattività e determinazione ed era certo che, dopo la “Dea Scarlatta”, niente l’avrebbe fermata. Il ruolo di Akoya sembrava fatto per lei. Era questo che la signora Tsukikage aveva visto in lei quando aveva appena dodici anni? La capacità di trasformarsi in qualsiasi cosa volesse? Per Maya, l’importante era capire a fondo il personaggio, sviscerarlo e indossare la sua maschera, vivere su quel palcoscenico migliaia di vite diverse. E ci riusciva con, apparentemente, pochissimo sforzo. Ma non era così a detta della sua amica Rei, che probabilmente la conosceva meglio di chiunque altro.

Quando Maya si era presentata con un avvocato, pronta a discutere i termini del contratto di esclusiva che lui le aveva proposto con la certezza che lei avrebbe rifiutato, aveva pensato che la signora Tsukikage gli stesse tendendo una trappola. Ma Maya lo aveva stupito, ribattendo ad ogni sua battuta ironica con freddezza e distacco. Voleva affidare alla Daito Art l’allestimento e la cura del nuovo spettacolo e lui ancora non era riuscito a comprendere cosa l’avesse spinta a prendere una decisione del genere.

L’aveva rivista qualche giorno dopo, quando era entrata come un ciclone nel suo ufficio, seguita dalla signorina Mizuki che aveva tentato invano di fermarla. Non voleva separarsi da Rei Aoki e quando aveva saputo che per ordine del Presidente della Daito Art le sarebbe spettato un appartamento a Ginza, lei si era precipitata da lui sputando fuoco come un drago. Gliene aveva dette di tutti i colori, lanciandogli critiche velenose e accusandolo di essere un uomo spregevole e senza cuore che agiva alle spalle della gente, pugnalandola. Lui era stato inamovibile: per enfatizzare il ruolo di Akoya, era necessario che lei vivesse da sola, aumentando il fascino misterioso del personaggio. Maya l’aveva fissato con occhi di fuoco, poi era uscita senza dire una parola.

Rei Aoki aveva parlato di solitudine. L’aveva messa lui in quella triste posizione. La solitudine aveva aiutato la concentrazione sulla Dea. Non c’erano più gli amici attori delle sue esperienze precedenti. Non c’erano più la signora Tsukikage e Genzo. Non c’era più Ayumi Himekawa che rappresentava il traguardo da raggiungere. L’aveva superata e erano rimaste solo Akoya e la Dea con il loro infinito amore verso gli uomini e Isshin.

Non c’era più neanche l’ammiratore delle rose scarlatte. Quando la signora aveva scelto la sua erede, aveva incaricato Hijiri di consegnare a Maya un ultimo mazzo accompagnato da un biglietto che aveva avuto difficoltà a scrivere.

Al ricordo parte del suo cuore s’incrinò nuovamente, quando venne assalito dai ricordi e dal dolore per aver preso quella decisione. Era stato necessario lasciarla andare. Ogni rosa avrebbe potuto rivelarsi un pericolo troppo grande per la sua carriera.

Due giorni dopo lo spettacolo dimostrativo, come voluto da suo padre, aveva sposato Shiori Takamiya, cancellando qualsiasi cosa fosse avvenuta sull’Astoria e spezzando il cuore di Maya che gli aveva chiesto di aspettarlo. Quella era stata una decisione sofferta, ma giusta.

Shiori si era ripresa quel tanto che bastava a celebrare la cerimonia: sposandola avrebbe potuto controllare meglio e di persona l’umore di quella donna instabile, impedendole di fare del male a Maya e tenere buoni, allo stesso tempo, suo padre e il nonno di lei.

Così le rose scarlatte erano morte con il suo cuore. Chissà cos’ha pensato Maya del mio voltafaccia… le avevo fatto una promessa...

Spostò lo sguardo distendendo la mano sinistra e fissandolo sull’anello bronzeo che cingeva il suo anulare e che lo legava con un contratto a Shiori Takamiya.

- Catene… - sussurrò ripensando alle parole della gente nell’atrio del teatro. Si tolse la vera nuziale e la rigirò fra pollice e indice. Era un cerchio perfetto che indicava qualcosa che sarebbe durato all’infinito. Non esistevano più rose fisiche da regalarle, ma quelle nel suo cuore non sarebbero mai appassite, questo lo sapeva da tempo.

Si rinfilò l’anello e prese una decisione.


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Capitolo 2
*** Stage #2. La corda spezzata ***


Stage #2. La corda spezzata



Maya uscì dall’ascensore, tirò fuori le chiavi dalla piccola borsetta e aprì stancamente la porta di casa. L’appartamento che la Daito, anzi no, che Masumi Hayami l’aveva costretta ad occupare si trovava al trentacinquesimo piano di un nuovissimo palazzo a vetri di Ginza. Quando aveva dovuto abbandonare quello che condivideva con Rei a Yokohama, le era pianto il cuore. Non tanto per il pregio, era piccolo e vecchio, quanto per la libertà perduta.

Spaziò con lo sguardo nell’ampio salone in cui non trascorreva mai del tempo. C’erano due divani bianchi, uno di fronte all’altro, con un basso tavolino di vetro in mezzo. Le pareti, le tende, i cuscini, i soprammobili, tutto era bianco, tranne un enorme tappeto blu copriva il pavimento in ceramica bianca. Una grande porta finestra dai bordi in acciaio conduceva ad un terrazzo rettangolare. Quell’arredamento non faceva per lei, non era il suo stile e non aveva mai sentito sua quella casa dalla prima volta che ci aveva messo piede.

Scivolò lentamente in camera percorrendo il corridoio sulla destra. C’erano altre tre stanze, tutte vuote, che non usava mai. Aveva scelto l’ultima in fondo, forse perché si sentiva più protetta e sicura. C’era una grande cabina armadio, vuota per due terzi, una scarpiera, un letto di dimensioni astronomiche che era stata costretta a tenersi, una consolle per truccarsi con un grande specchio, che non aveva mai usato, e un cassettone. Appoggiò borsa e cappotto sulla poltroncina bianca vicina al cassettone e si buttò sul letto.

Il cuore le batteva ancora senza sosta, picchiava in modo prepotente contro la sua cassa toracica e non le dava tregua. Teneva la bocca aperta, per incamerare più ossigeno, ma la situazione non migliorava. Si sentiva soffocare e scoppiare allo stesso tempo. Tirò le ginocchia al petto e le cinse strette con le braccia cercando di calmarsi. Aveva imparato così bene a indossare la sua maschera quando c’era lui da avere difficoltà a toglierla. Quando ci riuscì finalmente scoppiò a piangere.

Le lacrime scivolarono sulle lenzuola candide e profumate, ma non se ne preoccupò. Avrebbe voluto svuotarsi completamente, lasciarsi andare e cadere in un oblio senza fondo. Sapeva che sarebbe stata la sua fine: lei aveva bisogno del teatro, senza di esso le sarebbe mancato l’ossigeno per vivere. Indossare le maschere di altri personaggi le permetteva di vivere vite piene e colorate, dimenticandosi della sua.

Quando aveva calcato il palcoscenico dello Shuttle X e aveva mostrato alla signora Tsukikage e al suo ammiratore la sua Dea, qualcosa era cambiato dentro di lei. Tutte le prove nella valle dei susini, la sfida con Ayumi, la severità della sensei, le difficoltà incontrate, ogni cosa era svanita. Un’energia dirompente e calda le aveva invaso l’animo, aveva cessato di essere Maya Kitajima ed era diventata in tutto e per tutto Akoya. Ricordava distintamente l’attimo in cui quella separazione avveniva ed era l’istante prima di mettere piede sul palco. Quella trasformazione era accaduta altre innumerevoli volte ed era andata intensificandosi. Nessun altro dei ruoli che aveva ricoperto l’aveva assorbita a tal punto e, senza rendersene conto, quell’energia l’aveva consumata.

Quando la signora aveva pronunciato il suo nome, il mondo si era fermato. Ricordava un’ovazione, lo sguardo vuoto di Ayumi, il sorriso di Genzo. Poi qualcuno le aveva stretto una mano, poi l’altra, abbracci, baci, ed era stata fagocitata da amici e giornalisti. Le era occorso molto tempo per realizzare ciò che era avvenuto e la consapevolezza vera e propria era giunta quando era rientrata nel suo camerino e aveva trovato le rose.

Il biglietto che le accompagnava confermava che una nuova fase della sua vita era iniziata e che niente sarebbe stato più come prima.

Due giorni dopo, come sbandierato da tutti i giornali di spettacolo, il signor Hayami si era unito in matrimonio con Shiori Takamiya. Aveva appreso la notizia dal telegiornale che aveva mostrato foto e interviste a profusione della coppia più bella e interessante del momento. Mi aveva fatto una promessa… perché ha confuso di nuovo ogni cosa? Perché mi ha detto quelle cose orrende? Perché si è sposato?

Maya strinse il pugno e lo picchiò sul letto serrando gli occhi con forza. Ingoiò il nodo doloroso che le ostruiva la gola e riprese fiato senza riuscire a trovare una risposta a quelle domande che le rimbalzavano in mente da oltre un anno.

Una settimana prima dello spettacolo dimostrativo, il signor Hijiri l’aveva accompagnata a Izu, dove avrebbe dovuto incontrare il suo ammiratore, ma lui non c’era. Se ne era tornata a casa piena di dubbi e con l’anima lacerata dall’impossibilità di agire. Quel senso di inutilità e indecisione, sommato alla conferma del suo matrimonio, avevano dato vita alla sua Akoya più intensa. Se quella dello spettacolo dimostrativo aveva convinto la signora Tsukikage, la prima sotto l’egida dell’Associazione Nazionale aveva conquistato il Giappone intero.

Ogni volta che saliva su quel palco, metteva in Akoya tutti i sentimenti nascosti e non corrisposti che provava per Masumi Hayami. Senza rendersene conto, quell’uomo distaccato e cinico, di cui aveva visto il vero volto sull’Astoria, aveva fatto breccia nel suo cuore fino a conquistarlo completamente. Più volte si era detta che confondeva la generosità che aveva avuto nei suoi confronti come ammiratore delle rose scarlatte con quell’affetto che credeva amore profondo, ma con l’andare dei mesi, la sua anima lacerata e divisa aveva bramato di ricongiungersi alla sua metà senza mai riuscirci e questo aveva creato la perfetta Dea Scarlatta.

Non l’aveva più rivisto dallo spettacolo dimostrativo. Il tempo passava, gli impegni l’avevano travolta e i suoi sentimenti erano ingigantiti ogni giorno di più. L’angoscia era così dilagante che per sfogarla aveva costretto Sakurakoji, che aveva ottenuto la parte di Isshin, a ore e ore di estenuanti prove, spesso anche da soli, senza Kuronuma a guidarli, solo per guarire egoisticamente il suo dolore. Aveva compreso che l’ammiratore non c’entrava niente. Si era innamorata di Masumi Hayami, non del suo alter ego, ed era avvenuto ben prima che lei scoprisse la verità sulle rose. Era stata così stupida da non riconoscere i suoi sentimenti e quella mancanza, unita al suo senso di inadeguatezza, l’avevano quasi fatta impazzire.

Poi, alla fine dei tre mesi di rappresentazione dell’Associazione Nazionale, la signora Tsukikage aveva predisposto ogni cosa perché lei diventasse a tutti gli effetti la sua erede. Uno studio di avvocati si era occupato di tutto e nel giro di un giorno si era trovata fra le mani i diritti della “Dea Scarlatta”. Ricordava perfettamente di aver fissato come un’ebete il plico che le era stato consegnato e di essere tornata nel mondo reale solo quando la signora le aveva rivolto la parola.

- Maya, tu conosci la storia della “Dea Scarlatta” e di Ichiren Ozaki - aveva esordito con voce commossa - Abbi cura della sua opera - si era raccomandata. Da quell’istante, un piccolo tarlo si era insediato nel suo cervello, prendendo sempre più piede, perforando e sussurrando, finché si era resa conto di quanto la storia della signora Tsukikage fosse simile alla sua. Anche lei aveva amato un uomo che non la ricambiava, sposato e con figli. Anche lei aveva riversato in Akoya il dolore del suo amore non corrisposto dando vita ad una Dea Scarlatta che veniva ricordata come un evento ineguagliabile. Non avrebbe mai coinvolto il signor Hayami in uno scandalo né avrebbe mai fatto niente per dimostrargli nuovamente i suoi sconvenienti sentimenti, ma aveva in mano l’arma più potente che le avrebbe permesso di legarsi almeno al produttore, se non all’uomo.

Così aveva agito. Sconvolgendo il mondo dello spettacolo e andando contro chi l’aveva messa sull’avviso, aveva firmato un contratto di esclusiva con la Daito Art Production che prevedeva una clausola vessatoria a scadenza: dopo cinque anni i diritti sarebbero divenuti di proprietà di Masumi Hayami. Lei desiderava solo una scusante per poterlo incontrare, era certa che il suo ammiratore non avrebbe fatto niente ai danni della “Dea Scarlatta” e dentro di sé sapeva che lui più di ogni altro si sarebbe preso cura del dramma di Ichiren Ozaki. Inoltre, anche se i diritti sarebbero diventati suoi, era riuscita a far inserire nella clausola un piccolo bilanciamento che la rendeva meno sfavorevole: lei avrebbe deciso i futuri Akoya e Isshin, proprio come aveva fatto la signora Tsukikage.

Quella sera, sfinita, si era addormentata fra le braccia della sua sensei alla quale aveva raccontato ogni cosa, svuotando la sua anima. La signora non aveva detto una parola, le aveva lisciato i capelli senza sosta e l’aveva ascoltata mentre raccontava dell’ammiratore delle rose scarlatte e di ciò che aveva fatto per lei, ma non solo, anche delle azioni di Masumi Hayami viste con un’altra ottica.

La mattina seguente si era svegliata rinnovata e ancora più sicura di aver fatto la scelta giusta sebbene un globo nero e buio oscurasse parte del suo cuore.

- La nebbia si è diradata, Maya? - le aveva chiesto Chigusa con un sorriso dolce e comprensivo.

- Sì, signora Tsukikage! Il signor Hayami proteggerà la “Dea Scarlatta” anche da suo padre, ne sono convinta! - le aveva risposto entusiasta.

- Lo credo anche io, Maya - aveva annuito l’anziana sensei, stupendola.

Con quella sconcertante benedizione, era tornata a casa e alle nuove prove sotto la guida della Daito Art Production.

Nonostante tutti i suoi buoni propositi, il tempo non l’aveva aiutata a capire la dualità di quell’uomo apparentemente gelido e insensibile. I loro incontri li vedevano contrapposti, lui ironico e sfacciato, lei che ribatteva a qualsiasi cosa. Ciò che prima accadeva sporadicamente nei foyer era diventato una routine giornaliera, soprattutto nel primo periodo in cui vennero prese delle decisioni per la messa in scena del nuovo spettacolo.

Maya non riusciva ad abbassare i toni, ogni volta che lo vedeva sentiva il cuore battere follemente e ciò la faceva imbestialire. Non riusciva a comprendere quel suo sentimento, cosa l’attirasse a lui come una calamita e si odiava per questo. Di contro, Masumi Hayami la trattava come un’attrice viziata, quella “gallina dalle uova d’oro” di cui le aveva parlato nel tempio nella valle, facendola innervosire ancora di più. Era una spirale senza fine che la faceva soffrire immensamente ed era senza soluzione.

Quando la prima della “Dea Scarlatta” nel teatro Daito decretò quel successo che lui tanto agognava, iniziarono ad arrivare i nuovi ingaggi. Il signor Hayami aveva iniziato a proporle nuove rappresentazioni da alternare al dramma, che veniva messo in scena due volte la settimana. Pur di passare il tempo nei panni di un’altra persona, aveva accettato qualsiasi cosa la tenesse impegnata senza accorgersi di quanto invece quel processo la logorasse.

Si asciugò le lacrime e si mise a pancia in su, fissando il soffitto. Il matrimonio del signor Hayami sembrava procedere senza intoppi, almeno secondo i giornali di gossip, e la fusione con il gruppo Takatsu aveva rafforzato le due società e arricchito entrambe le famiglie, proprio come avevano previsto le testate economiche. Shiori Takamiya appariva raramente in pubblico, ma quando lo faceva era sempre al suo fianco, la pelle d’alabastro perfetta e lucente, le lunghe ciglia appoggiate alle guance, le labbra tese in un sorriso dolce. Era una donna bellissima e non avrebbe potuto scegliere moglie migliore.

Frenò un altro scoppio di pianto e si girò verso il comodino reprimendo quella rabbia che le bruciava lo stomaco. Afferrò il copione di “Madama Butterfly” e si tuffò nella lettura, scacciando dalla mente tutti quei pensieri inutili e concentrandosi sulla sua nuova maschera. Più s’immergeva nel personaggio, più il suo cuore rallentava, tornando ad un battito regolare. Niente la tranquillizzava come la recitazione. Quando entrava nel mondo del personaggio, quello reale svaniva, i suoi sentimenti diventavano quelli della parte che avrebbe dovuto interpretare, gli ambienti cambiavano, le sue abitudini si modificavano, perfino fisicamente si sentiva diversa.

Il dramma di Chōchō-san l’aveva affascinata dal momento in cui il signor Hayami le aveva dato la bozza di copione. Non conosceva quel dramma e aver scoperto la sua storia l’aveva rattristata e incuriosita. Aveva cercato immediatamente un modo per entrare in sintonia con Chōchō-san senza riuscirci, ma era convinta che avrebbe trovato la strada. Dopo la Dea Scarlatta aveva iniziato ad affrontare in modo diverso l’analisi dei personaggi. Ognuno di essi aveva una chiave di volta che lei avrebbe individuato e usato per poterlo recitare.

C’erano scene molto intense, soprattutto l’ultima, in cui Chōchō-san si suicidava, lasciando il figlio all’ex marito che era venuto a reclamarlo. Non aveva ancora trovato la sua Madama Butterfly, ma si nascondeva da qualche parte dentro di lei!

Rilesse di nuovo tutto da capo, lasciando che piano piano un sonno senza sogni prendesse il sopravvento e le evitasse di ricadere nella solita girandola di ricordi.



Non c’è niente di più bello durante i mesi freddi di una cioccolata calda. In una traversa del quartiere di Ginza, il più famoso e alla moda di Tokyo, c’era una pasticceria francese che creava dolci squisiti e in cui Maya e Rei trascorrevano alcuni pomeriggi quando non erano impegnate con le rispettive prove o lo studio.

- E pensare che avevo creduto la scuola un capitolo chiuso - si lamentò Maya appoggiando la fronte sul libro d’inglese.

- Non ti va mai bene niente! - sbottò Rei infilandosi in bocca il cucchiaino pieno di cioccolata bollente.

- La Daito mi costringe a decine di corsi e non credo riuscirò a superare l’esame di inglese! - singhiozzò disperata afferrando il libro ostico con espressione terrorizzata.

Rei la fissò alzando un sopracciglio. Erano trascorsi tre giorni dalla sua chiacchierata con il signor Hayami e Maya restava oberata d’impegni. Forse si era proprio sbagliata su quell’uomo.

Maya si appoggiò sconsolata allo schienale, facendo scorrere le pagine del testo scolastico. Sembrava assorta in qualche pensiero e, spostando lo sguardo, Rei vide sbucare dalla borsa a terra il copione sgualcito di “Madama Butterfly”, pieno di segni e appunti. Sorrise e continuò ad occuparsi della sua cioccolata, che Maya aveva già divorato.

- Non è curioso che in inglese la parola “stage” abbia un duplice significato? - mormorò Maya ancora assorta catturando la sua attenzione.

- Cosa intendi dire? - si informò l’amica corrucciando la fronte e abbassando la tazza fumante.

- Lo usano sia per indicare il “palcoscenico” o “scena” che come “fase” o “stadio della vita”… - spiegò Maya sollevando gli occhi d’un tratto brillanti e vivi.

Rei rimase stupita da quel cambio improvviso. Sebbene la Daito l’avesse incasellata nei suoi programmi serrati, lei non aveva perduto quella capacità di stupire con la sua innocenza e ingenuità. Rifletté qualche istante su quella particolare parola, poi annuì.

- Ogni volta che salgo sul palcoscenico, ogni interpretazione, rappresenta una fase della mia vita - aggiunse Maya insistendo su quel punto - È naturale che gli inglesi, dove il teatro ha avuto grande rilevanza, lo usino per entrambi i significati - concluse convinta e sorridente, come se avesse raggiunto una grande verità.

Come se quel ragionamento le avesse ricordato qualcosa di importante, scattò rigida con gli occhi spalancati, si chinò come un robot e prese un’agendina. Rei soppresse una risatina nel vederla alla prese con quel quadernetto. La Daito aveva provato a darle un telefono, anzi due, ma li aveva perduti entrambi, così la signorina Mizuki le faceva segnare ogni appuntamento, ma Maya riusciva comunque a dimenticarseli.

- Dove avresti dovuto essere? - le domandò Rei con espressione rassegnata.

- Alla Daito! - sussurrò Maya terrorizzata, guardandola.

C’erano solo due motivi per cui avrebbe potuto recarsi lì: una conferenza stampa o un incontro con il signor Hayami e, vista la cera pallida del suo volto, Rei optò per la seconda. Nonostante il trascorrere del tempo, quell’uomo le faceva ancora lo stesso effetto di qualche anno prima: appariva spaventata, ma quando erano uno di fronte all’altra, Maya diventava una furia. Anche se bisticciavano come cane e gatto, Rei non riusciva a togliersi dalla testa che quegli atteggiamenti, in entrambi, celassero ben altro.

- Vieni, ti accompagno - sospirò alzandosi e fissando sconsolata la cioccolata rimasta. Maya stava ficcando tutto nella borsa alla velocità della luce, s’infilò il cappotto con poca grazia, saldò il conto offrendo anche per Rei e schizzò in strada seguita dall’amica che manteneva un’andatura più placida.

- Maya, non correre! - gridò - Cadrai! - non fece in tempo a finire la frase che l’altra rovinò sul marciapiede. Maya si rialzò lamentandosi e sfregandosi le ginocchia, fortunatamente coperte dai jeans sportivi.

- Che ti avevo detto? Non riuscirai a recuperare il tempo così. Dai, prendiamo quel taxi - la spronò prendendola per un braccio e sollevò una mano per chiamare il taxi libero che si stava avvicinando.

In breve raggiunsero l’ingresso principale della Daito, Maya schizzò fuori dal taxi e si fermò a riprendere fiato, mentre Rei pagava la corsa. Sollevò lo sguardo al cielo, poi si voltò ansiosa verso Rei, che intuì il suo stato d’animo.

L’amica guardò l’orologio, poi le annuì con un sorriso.

- Vengo anche io, ti aspetterò nel salottino - la rassicurò. Maya rifiorì e s’illuminò strappandole un sorriso imbarazzato. Nonostante il mondo del teatro sia pieno di insidie e cattiverie, lei non ha perso la sua spontaneità...

Maya corse sulle scale e varcò le doppie porte a vetri, che si aprirono automaticamente davanti a lei. Attraversò l’atrio, sollevò una mano per salutare le receptionist, che sorrisero divertite e, seguita da Rei, s’infilò nell’ascensore le cui porte stavano per chiudersi. Era strapieno di gente e quando il suo nome venne sussurrato e si trasformò in un richiamo, Rei chiuse gli occhi con un sospiro, immaginando già cosa sarebbe accaduto.

- Signorina Kitajima, un autografo per favore! - chiese un uomo e bastò solo quell’incitamento a far comparire penne e foglietti di vario genere.

Maya arrossì, ancora intimidita dagli assalti dei fan che ormai la riconoscevano dovunque, scoccò un’occhiata birichina a Rei e iniziò a firmare.

- Siete gentili - mormorò arrossendo e restituendo il primo autografo.

- La sua Dea è incredibile! L’ho vista tre volte, sa? - una voce accorata giunse da dietro il gruppo.

- Oh! Grazie signore! - gridò Maya facendo ridere tutti. Le domande si accalcavano una sull’altra impedendole di rispondere.

- Quando ricomincerà? -

- Continuerà a lavorare per la Daito? -

- Sta preparando un nuovo spettacolo? -

- Dove potrò vederla ancora? -

- Scriverebbe una dedica alla mia bambina? Adora la sua Alice! -

Rei fissava con astio il gruppo di curiosi, senza ottenere la benché minima attenzione. Maya era divenuta famosa indubbiamente per l’interpretazione di Akoya e della Dea, ma anche altri suoi personaggi avevano riscosso grande successo come la sua Alice di “Alice nel paese delle meraviglie”.

- Grazie signore! Ecco qui la dedica! - rispose entusiasta Maya restituendo l’autografo con un sorriso.

Tutto questo accadeva mentre l’ascensore si fermava ai piani ed entravano e uscivano le persone, per cui i complimenti si rinnovavano ad ogni arrivo e gli autografi aumentavano. Rei si portò due dita al ponte del naso immaginando la scena quando quell’ascensore si sarebbe fermato al piano della presidenza…

Rimasero solo cinque uomini che arrivarono con loro all’ultimo piano. Maya terminò di firmare tutti gli autografi e quando le porte si aprirono il chiacchiericcio dei ringraziamenti si sparse sul piano.

La signorina Mizuki sollevò la testa e individuò immediatamente Rei. Si scambiarono un’occhiata breve, ma la segretaria comprese subito la situazione. Si alzò, ma il suo tempismo non bastò. La porta dell’ufficio del suo Presidente si aprì e ne uscirono il signor Hayami e il regista Kuronuma.

Entrambi si bloccarono nel vedere una piccola folla intorno all’ascensore poco distante. Maya sorrideva e chiacchierava dando corda a tutti i manager in abito scuro che la elogiavano e riempivano di complimenti.

- Kitajima! - la chiamò Kuronuma scoppiando a ridere.

Il silenzio cadde sulla scena, Maya si girò di scatto come un soldato che riconosce la voce del generale e per poco non fece anche il saluto militare. Rei trattenne una risata e rimase in disparte a godersi i prossimi minuti.

- Si-Signor Kuronuma! - esclamò stupita, arrossendo. Il regista era appena fuori dalla porta, le braccia incrociate al petto, il volto corrucciato anche se sorridente. Accanto a lui c’era Masumi Hayami che la fissava con il consueto sguardo di ghiaccio pieno di rimprovero.

Deglutì, salutò formalmente i cinque uomini che erano con lei in ascensore e che si erano zittiti tenendo lo sguardo basso, e raggiunse il regista. Invano cercò di mettere un freno al cuore che aveva preso a battere come un tamburo.

- Buonasera - li salutò entrambi con un lieve inchino.

- Kitajima, stai battendo la fiacca? - la interrogò severo il regista.

- No! No! - replicò subito lei dimenticandosi completamente di chi aveva intorno - Sto preparando un nuovo spettacolo! - lo disse con orgoglio e voce carica di aspettativa.

Masumi s’irrigidì quando sentì quelle parole uscire dalle sue labbra. Maya dimostrava sempre il massimo entusiasmo per ogni lavoro che le proponevano. Tutti i registi con cui aveva lavorato l’avevano definita un talento naturale e molti degli attori con cui aveva condiviso il palco non volevano più saperne di lei. Emanava quel potente magnetismo sulla scena, rubandola anche ai personaggi principali, tanto erano intense le sue interpretazioni. Gli era bastata un’occhiata per rendersi conto che aveva firmato di nuovo degli autografi: li aveva visti in mano a quegli ossequiosi ammiratori.

- Brava! Non ti rammollire, altrimenti non sarai in grado di interpretare di nuovo Akoya! - la redarguì Kuronuma scoppiando di nuovo a ridere.

Maya lo fissò con occhi spalancati, atterrita: sembrava realmente terrorizzata all’idea di non essere più in grado di recitare la Dea e Masumi si sentì invadere da un’immensa tenerezza.

- No! Continuerò a recitare, signor Kuronuma! La mia Dea migliorerà, glielo prometto! - esclamò facendo un passo avanti e imponendo la sua piccola figura.

Il regista alzò un sopracciglio e le sorrise.

- Ne sono convinto, Kitajima - mormorò lui diventando subito serio.

Maya ricambiò lo sguardo franco e sincero e si rasserenò: probabilmente voleva solo spronarla come era solito fare e lei ci era caduta in pieno.

- Arrivederci, signor Hayami - si congedò il burbero regista.

- Tenga a mente quanto le ho detto - annuì Masumi stringendogli la mano.

- Ne farò tesoro - convenne Kuronuma allontanandosi - Arrivederci, Kitajima! -

- A presto, signor Kuronuma! - esclamò lei con esuberanza facendo sollevare un sopracciglio all’uomo dietro di lei.

Quando Maya si voltò, sapeva che l’avrebbe trovato lì, rigido come una colonna, a fissarla severamente. Il signor Hayami le spalancò la porta e la fece entrare senza una parola.

Rei espirò il fiato, in fondo non era accaduto niente di grave e il signor Hayami non aveva reagito come a teatro, sebbene avesse indubbiamente visto gli autografi nelle mani di quei dipendenti di cui, era sicura, conoscesse nome e cognome. Rabbrividì e si avvicinò lentamente alla scrivania della signorina Mizuki, che aveva seguito tutta la scena con la sua stessa apprensione e curiosità.

- Pensa che accadrà qualcosa? - domandò alla segretaria a bassa voce.

- No - rispose lei serenamente, scuotendo la testa.

- Sa perché le ha dato appuntamento qui? - chiese ancora Rei con una certa confidenza nata col tempo.

- No - negò di nuovo Mizuki aggiustandosi gli occhiali.

Rei sospirò, indicò i divanetti del salottino di attesa dei clienti e la segretaria annuì capendo al volo.



Appena fu all’interno dell’ufficio, Maya evitò di pensare alla presenza di lui alle sue spalle e si sedette su una delle due poltroncine di fronte alla scrivania. In quei mesi da dipendente della Daito era stata molte volte in quella stanza e quasi mai erano state visite di piacere. Quell’ufficio era la sua nemesi. In quel luogo, Masumi Hayami la rimproverava ogni volta che faceva qualcosa che non approvava - ed erano tante le sue mancanze - al riparo da occhi indiscreti e da lingue malevole.

- Non pensare che non abbia capito cosa stavi facendo in ascensore - esordì Masumi sedendosi di fronte a lei, sulla sua poltrona.

Maya strinse i pugni in grembo, invisibili al suo sguardo grazie all’ampia scrivania.

- Non lo penso, signor Hayami - replicò accondiscendente.

Masumi corrugò la fronte e appoggiò i gomiti sul tavolo di legno.

- Hai con te il copione di Madama Butterfly? - le domandò all’improvviso, fissandola. Nonostante il tempo passasse inesorabile, ogni volta che affrontava Maya si sentiva estremamente a disagio. Tutte le sue riflessioni, il suo autocontrollo, le decisioni che prendeva riguardo lei, crollavano come castelli di carte appena la vedeva. Ormai quel dualismo faceva parte della sua vita, divisa a metà fra una pubblica, conosciuta da tutti, e una privata, nota solo a lui.

Maya annuì, stupita da quella domanda. Tirò fuori i fogli sgualciti e arrotolati e glieli passò, arrossendo lievemente.

Masumi li girò rapidamente, notando commenti ed evidenze e serrando le labbra per non farsi sfuggire un sorriso alla vista dei fogli malridotti. Li arrotolò a cilindro, chiuse parte del suo cuore ai sentimenti, e li gettò nel cestino.

Maya seguì il movimento con occhi sgranati e il cuore che batteva follemente. Si alzò di scatto con un sussulto e poggiò le mani sul bordo della scrivania, aggrappandosi ad essa.

- La parte di Madama Butterfly è stata data ad un’altra attrice - le riferì gelidamente Masumi, come se fosse cosa da niente, ignorando la sua espressione sbigottita.

- Perché? Il regista era soddisfatto di me! Perché ad un’altra attrice? Ho quasi trovato la mia Chōchō-san! - replicò rapidamente, sbattendo le mani sulla scrivania mentre un’angoscia oscura si impadroniva di lei. Non riusciva a comprendere cosa avesse sbagliato. Era impossibile che quella decisione derivasse dall’aver firmato qualche autografo! Il signor Hayami non si era mai vendicato contro di lei...

- Devi girare le riprese di alcune pubblicità negli studi di Minami-ku - proseguì come se lei non avesse parlato.

Maya lo fissò con gli occhi spalancati, chiuse la bocca di scatto e si rassegnò. Perché, signor Hayami? Ha già deciso tutto… qualunque cosa io dica non servirà a niente...

- Resterai là un mese e sarai accompagnata da un manager della Daito che si occuperà di tutte le necessità burocratiche - continuò Masumi alzandosi e raggiungendo la vetrata che dava sull’esterno. Non riusciva più a guardarla, vulnerabile e sconfitta, ma non avrebbe mai potuto dirle cosa nascondeva davvero quella decisione. Rinunciando a Maya Kitajima in “Madama Butterfly” aveva rotto un contratto e perduto migliaia di yen, ma Rei Aoki aveva ragione, Maya aveva bisogno di una pausa, lo poteva vedere chiaramente in quel momento dalla sua espressione distrutta.

- I corsi che sto seguendo? - mormorò lei immobile, lo sguardo fisso davanti a sé sulla sedia vuota.

- Sospesi - confermò lui senza voltarsi.

Un silenzio doloroso e carico di tensione riempì la stanza, costringendolo a girarsi per vedere se lei fosse ancora lì. Maya era proprio dietro di lui, non l’aveva sentita muoversi. Le lacrime scendevano lungo le guance, in un pianto muto.

- La prego, signor Hayami, non mi tolga la parte di Chōchō-san, non mi mandi via! - lo supplicò - Farò tutto ciò che vorrà, rispetterò il mio contratto, non firmerò più autografi senza permesso, non andrò in altri teatri! La prego, mi faccia recitare! -

Masumi dilatò le iridi sorpreso. Aveva creduto che si sarebbe ribellata, che lo avrebbe accusato di essere un cinico vendicatore, invece era lì, in piedi, davanti a lui e lo stava pregando, immaginando probabilmente che i capricci passati si stessero ritorcendo contro di lei e che lui fosse il suo boia.

- Vai a Minami-ku, è questo ciò che voglio - le ripeté con enorme sforzo, infilandosi le mani in tasca e costringendosi all’immobilità più assoluta. La tristezza che emanava dal suo volto lo aveva colpito in profondità, il suo tono di supplica lo aveva quasi fatto capitolare.

Maya fissò quegli occhi azzurri che replicavano la stessa intensità con cui aveva ribadito il suo ordine. Il dolore che la lacerava era acuto e bruciante. Era stata lei a portarlo a quella decisione. Lei aveva perduto la possibilità di interpretare Chōchō-san, lei aveva tirato la corda finché si era spezzata. Si asciugò le lacrime con un gesto secco del braccio e lo guardò di nuovo.

Masumi serrò i denti celando i sentimenti che lo dilaniavano mentre il pollice della mano sinistra, nascosta nella sua tasca, sfiorava la vera che gli cingeva il dito, ricordandogli penosamente la sua condizione e ciò che Shiori avrebbe potuto fare alla ragazza davanti a lui se avesse iniziato di nuovo a sospettare qualcosa.

- Sì, signor Hayami - acconsentì Maya con voce spezzata e dimessa. Si inchinò, ruotò su se stessa, raccolse cappotto e borsa e raggiunse la porta.

Masumi fece un passo avanti, combattuto fra il senso di colpa e ciò che provava per lei, tra i suoi doveri e le sue responsabilità, tra la paura di perderla e i rischi che avrebbe corso la sua carriera di attrice. Quello sguardo stupito e addolorato per aver perduto la parte, indicava il suo reale stato d’animo: il teatro era tutto per lei e non poter recitare l’avrebbe piegata in modo irreversibile, ma non era più quella sofferenza genuina che aveva scorto altre volte in passato quando anche la signora Tsukikage l’aveva punita. Una vacanza era la cosa migliore. Lontana da Tokyo. Lontana dallo stress. Lontana da lui.

- Ci saranno altri spettacoli - aggiunse cercando di rassicurarla, impedendosi di raggiungerla e trattenerla a sé. Maya si fermò con la mano sulla maniglia, si girò lentamente verso di lui e gli sorrise.

- Sì, signor Hayami - ripeté con la stessa voce spenta di qualche attimo prima.

Uscì, la porta si chiuse con un tonfo lieve e Masumi inspirò aria nei polmoni che agognavano ossigeno. I loro incontri avevano sempre lo stesso finale: lei se ne andava, arrabbiata o triste, e lui restava a guardare la porta chiusa.

Il cellulare trillò, riscuotendolo dai suoi pensieri. Si avvicinò alla scrivania, fissò il display su cui lampeggiava il nome di sua moglie e rispose.



Mizuki si alzò lentamente quando vide uscire Maya. Era terrea e sembrava aver perduto tutta la sua esuberanza. Avanzò di qualche passo, le spalle accasciate, il mento basso, le guance umide di lacrime. Signor Hayami…! Cos’ha combinato stavolta?

Rei scattò in piedi e le raggiunse appena la vide uscire. Dall’espressione di Maya era accaduto qualcosa che l’aveva profondamente sconvolta. Scambiò un’occhiata rapida con la segretaria e si affiancò a loro.

- Maya… - sussurrò gentilmente Mizuki avvicinandosi a lei. La giovane si girò e la fissò con sguardo vacuo.

- Mi ha tolto Madama Butterfly… mi ha punita… - mormorò con voce appena udibile.

La segretaria spalancò gli occhi. Non era mai accaduto che il signor Masumi le togliesse uno spettacolo, di solito le procurava ingaggi uno dietro l’altro! Inoltre quella rappresentazione aveva dei partner, non era solo Daito. Il contratto che legava gli investitori era molto rigido e prevedeva clausole severe in caso di inconvenienti o rescissioni.

- Oh, Maya, mi dispiace tanto! - la consolò affranta, prendendola per le spalle.

- Ha dato la parte ad un’altra attrice… - continuò Maya come un automa - Devo andare a Minami-ku per un mese per registrare delle pubblicità… - concluse con la voce che si perse in un singhiozzo strozzato.

Rei e Saeko si guardarono negli occhi con espressione sconcertata. Poi Rei realizzò all’improvviso cosa stesse accadendo quando si rese conto che Masumi Hayami stava spedendo Maya a Yokohama, nei luoghi dove aveva vissuto la sua giovinezza: Minami-ku era uno dei quartieri del porto.

Sorrise alla segretaria e le strizzò un occhio. Mizuki inarcò un sopracciglio, certa che Rei Aoki l’avrebbe messa a parte dei suoi pensieri in un momento migliore.

- Maya, non disperare! - la rincuorò battendole una mano sulla spalla - Sai com’è fatto il signor Hayami! Se dice che devi fare delle pubblicità anziché Madama Butterfly, ci sarà sicuramente un motivo! - aggiunse abbassandosi su un ginocchio e fissandola negli occhi.

Maya la guardò dubbiosa. Se fosse stato ancora il suo ammiratore probabilmente avrebbe dato ragione a Rei, ma adesso non sapeva davvero cosa pensare di quell’uomo. Tirò su col naso, annuì e si fregò via le lacrime.

Mizuki le accompagnò verso l’ascensore e, una volta dentro, Rei fissò lo sguardo sulla porta dell’ufficio del signor Hayami domandandosi se ciò che lui aveva fatto derivasse in parte dalle parole che si erano scambiati in auto.


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Capitolo 3
*** Stage #3. Ritorno a casa ***


Stage #3. Ritorno a casa



Maya era così presa ad autocommiserarsi da non rendersi conto neanche di dove fosse diretta. Solo quando sollevò la testa e la volse verso il finestrino del treno notò alcuni ambienti familiari. Appoggiò lentamente le mani al vetro mentre la consapevolezza si faceva strada dentro di lei. Si girò di scatto verso il signor Matsuda, il manager che le aveva affiancato Masumi Hayami, e lo scosse con forza. L’uomo, colto alla sprovvista, sussultò e chiuse il giornale con un movimento secco.

- Signor Matsuda! - esclamò Maya fremente - Siamo a Yokohama! - realizzò a parole ciò che i suoi pensieri gridavano da qualche secondo.

- Sì… - annuì il manager confuso - Minami-ku è uno dei distretti di Yokohama… - aggiunse meravigliandosi per quell’ovvietà. Il signor Hayami era stato chiaro sul modo in cui avrebbe dovuto comportarsi con quell’attrice. Quando il Presidente l’aveva chiamato nel suo ufficio, aveva temuto di aver commesso un errore, ma nel momento in cui gli aveva rivelato il suo nuovo incarico, era rimasto a bocca aperta. Scortare Maya Kitajima per un mese. Le sue abilità come manager sarebbero state necessarie solo nei momenti delle registrazioni o delle interviste, per il restante tempo avrebbe dovuto tenere d’occhio la Kitajima senza essere troppo invadente e assecondare le sue richieste.

La giovane spalancò gli occhi e si bloccò in ginocchio sul sedile mentre gli strattonava la manica della giacca.

- Yokohama… - sussurrò con lo sguardo assente.

Matsuda alzò un sopracciglio. La fama di Maya Kitajima la precedeva, ma da quella mattina aveva dovuto rivedere l’idea astratta che si era fatto di lei. Era un’attrice famosa e, dicevano, aveva accumulato una ricchezza che era stata esponenziale al suo talento, esploso con la rappresentazione della “Dea Scarlatta”. Aveva ovviamente visto lo spettacolo, era abituato a seguire gli attori, ma quella ragazza era diversa. Si era aspettato la solita attricetta viziata e presuntuosa grazie al successo raggiunto in breve tempo, invece si era rivelata umile e con un inspiegabile senso di inferiorità che lo aveva destabilizzato, dato che aveva un talento ormai noto a tutti. Aveva compreso che era genuina e trasparente proprio come appariva e gli erano bastati dieci minuti insieme sul treno per comprenderlo.

La osservò sedersi lentamente e tornare composta, lo sguardo sempre vacuo e fisso davanti a sé. Sembrava assorta in qualche riflessione legata al fatto che avrebbe trascorso del tempo a Yokohama. Sapeva che era il luogo in cui la signora Tsukikage l’aveva scovata quando aveva appena tredici anni, sette anni prima, ma non riusciva a comprendere cosa l’avesse così sconvolta.

Ripiegò il giornale che stava leggendo e la guardò di sottecchi: aprì la borsetta che aveva portato con sé, infilò una mano dentro e ne estrasse un’agendina colorata, di quelle che le ragazze amavano tanto. Represse un sorriso e tornò alla sua lettura. Avrebbe avuto tutto il tempo del mondo per conoscere meglio quell’attrice talentuosa e poi, magari, chissà, avrebbe potuto offrirsi come suo manager. Era sicuro che il signor Hayami si occupasse di lei, ma lui sicuramente aveva altro da fare che pensare a quella ragazza, solo l’ultima delle tante attrici assunte dalla Daito Art Production.

Maya aveva la testa piena di immagini e pensieri. Il suo cervello aveva fatto un collegamento immediato, ma si rifiutava di credere che il signor Hayami l’avesse congedata solo per farle trascorrere un periodo tranquillo. Lui non poteva sapere quanto si sentisse sotto pressione, non l’aveva detto a nessuno, neanche a Rei. Perché escogitare tutto questo? Non avrebbe semplicemente potuto dirmi che voleva darmi requie?

Con mano tremante prese il biglietto che giaceva fra le pagine della sua agenda. Gli occhi le si colmarono di lacrime e il suo cuore rispose con un battito frenetico a quell’emozione dilagante.

“La sua Dea Scarlatta è riuscita a farmi credere che possa esserci uno spirito che ci protegge. La sua recitazione è stata eccellente e non ha trascurato nessun aspetto di entrambi i personaggi da lei interpretati. Questo dimostra come ormai sia un’attrice completa, pronta per il mondo dello spettacolo. Queste rose sono state il mezzo per incoraggiarla all’inizio e il mio modo per ringraziarla di avermi trasportato nel suo mondo. Sono ansioso di vederla procedere nel suo viaggio, io la guarderò sempre brillare sul palcoscenico. Con profondo affetto, il suo ammiratore.”

Strinse il biglietto al petto e lasciò che le lacrime scivolassero via silenziose. Le risultava impossibile riuscire a capire quell’uomo complesso e controverso. Anche in questa occasione, era sicura che avesse orchestrato ogni cosa per darle respiro, nonostante lei non avesse fatto niente per dimostrare la sua fragilità e stanchezza. Non le aveva più mandato rose da quell’ultimo mazzo, ma non aveva smesso di occuparsi di lei anche se lo faceva attraverso la Daito e la signorina Mizuki. In quei mesi di collaborazione lavorativa, non le aveva lesinato partacce e ammonimenti, fino ad arrivare alle minacce quando era stato necessario.

Maya non riusciva a gestire le sue emozioni, ogni volta che ce l’aveva di fronte reagiva in maniera scomposta e illogica. Quando aveva compreso di essersi innamorata di lui aveva anche capito, finalmente, che quel modo di rapportarsi era collegato ai suoi sentimenti. Non conosceva il motivo per cui l’aveva trattata male dopo la crociera né la sua assenza a Izu. Aveva creduto che quell’appuntamento sarebbe stato un modo per chiarire la situazione e quando il signor Hijiri glielo aveva riferito aveva stentato a crederci, eppure Masumi Hayami non si era presentato.

La delusione era stata talmente immensa da farle vincere la sfida con Ayumi. Aveva riversato nella sua Akoya tutta quella disperazione e l’interpretazione della Dea era stata così intensa da conquistare la signora Tsukikage. Era ben consapevole che il loro divario sociale, culturale ed economico era così vasto da risultare inconcepibile per qualsiasi giapponese, ma non riusciva in alcun modo a cancellare quei sentimenti. L’unico conforto che le rimaneva era il ricordo di quell’abbraccio sul ponte dell’Astoria che le aveva fatto credere di aver finalmente trovato la metà della sua anima.

Chinò il mento sul petto e pianse sommessamente con quel biglietto stretto sul cuore. Lo ripose dentro l’agenda e controllò con più lucidità gli appuntamenti segnati dalla signorina Mizuki. Un singhiozzo si mescolò ad una risatina quando si rese conto che in un mese avrebbe registrato quattro pubblicità e due interviste. Ero troppo delusa per Madama Butterfly, tanto da non rendermi conto di ciò che stava accadendo… l’ha fatto per me… di nuovo...

Chiuse la borsa e fissò fuori dal finestrino quei luoghi che le erano così familiari.

- Siamo quasi arrivati - la informò Matsuda.

Maya annuì meccanicamente, con in testa l’elenco dei luoghi che avrebbe rivisto.



I suoni della notte lo circondavano completamente. Aveva parcheggiato l’auto nell’ampio viale della villa, il motore e le luci spente. Udiva i picchiettii del metallo e delle plastiche che si raffreddavano nel corpo d’acciaio della macchina. Si accese una sigaretta e si appoggiò allo schienale. La sagoma della grande villa del nonno di Shiori, l’Imperatore Takamiya, si stagliava davanti a lui, segnata dalla luce della luna.

Dopo il matrimonio, le condizioni di lei erano rimaste precarie, non si era mai ripresa del tutto, così, di comune accordo con suo nonno, si era trasferito momentaneamente a vivere da loro. Lo spazio c’era e questo avrebbe permesso un’integrazione più rapida e un luogo comune e riservato dove apprendere il maggior numero di informazioni riguardo il gruppo Takatsu, di cui sarebbe diventato presto amministratore delegato.

Ciò aveva ridotto al minimo le sue ore libere, ma lo preferiva al dover trascorrere del tempo con Shiori. Non era fiero del suo comportamento, non stava agendo nel modo giusto e non serviva qualcuno che glielo facesse notare, ma preferiva controllarla di persona e da vicino che lasciarla libera di fare del male a Maya. E gliene avrebbe fatto. C’era andata vicinissima e non voleva ripetere l’esperienza. Aveva scoperto il legame con le rose scarlatte e da allora il suo obiettivo era stato Maya.

Sull’Astoria era accaduto qualcosa. Era certo di aver visto negli occhi di Maya una consapevolezza ignota, che l’aveva stupito. Aveva reagito al suo abbraccio, proprio come aveva fatto a Nara, con quel ruscello in mezzo, alla fine della rappresentazione della signora Tsukikage, ma non era certo del motivo che l’avesse spinta a farlo. I versi recitati della Dea su quel ponte indorato dall’alba erano diretti a lui, a Masumi Hayami, e le parole che gli aveva detto un istante dopo sembravano confermare quell’assurda e sconcertante verità: Maya amava lui.

Una volta a terra, Shiori aveva completamente cambiato le carte in tavola. Se lui avesse proseguito sulla strada che voleva intraprendere, Maya avrebbe subito le conseguenza maggiori e il sentimento che sembravano ricambiare a vicenda non sarebbe bastato da solo a salvarla, anzi, sarebbe stato la sua rovina, come attrice e come donna.

Spinto dalle suppliche dell’Imperatore Takamiya, aveva acconsentito a sposare sua nipote, nonostante non fosse nel pieno delle sue facoltà mentali, piegata da una follia spaventosa. La paura che aveva provato all’idea che potesse davvero far del male a Maya lo aveva convinto che tenersi Shiori accanto era il modo migliore per proteggerla. Scacciare Maya dicendole che quella sera sull’Astoria era stato solo un passatempo, lo aveva sconfortato più di qualsiasi azione negativa avesse mai fatto nei suoi confronti.

Ridacchiò e spense la sigaretta, slacciandosi la cravatta. Era molto tardi, ma non aveva alcuna voglia di rientrare. Era davvero inquietante rendersi conto di come tutto ciò che avesse fatto per proteggerla risultasse, agli occhi di lei, come qualcosa di avverso e a volte lo era stato realmente. Le parole di Rei Aoki lo avevano costretto a riflettere e a notare alcuni aspetti che non aveva visto, accecato dalla propria volontà di non guardarla e di trattarla come tutte le altre attrici in modo che Shiori non sospettasse niente. A Yokohama avrebbe ritrovato il contatto con la sua personalità, con sua madre, con i luoghi che conosceva.

Ogni giorno si domandava se le cose sarebbero andate diversamente se quel giorno si fosse presentato a Izu come le aveva promesso. Shiori aveva intuito che c’era qualcosa che non andava e l’aveva bloccato per tempo. Gli era risultato impossibile avvisare Hijiri e quando gli aveva riportato l’espressione di Maya si era maledetto per giorni. Nel biglietto che aveva accompagnato all’ultimo mazzo di rose firmandosi ancora “il suo ammiratore”, aveva deciso di non inserire alcun riferimento a Izu, con la volontà di riuscire a chiarire in seguito di persona. Voleva ardentemente rivedere quello sguardo sincero che aveva intravisto sull’Astoria, voleva abbracciarla nuovamente e scusarsi per il suo comportamento, dirle che l’aveva fatto solo per lei.

Ma c’era stata la “Dea Scarlatta”. Maya aveva interpretato Akoya con un’intensità tale da rapirlo completamente dal quel mondo e trasportarlo nel suo. Non l’aveva mai sentita così vicina come in quelle due ore di rappresentazione dello spettacolo dimostrativo. Maya, Akoya e la Dea, si erano fuse in un nuovo, spettacolare personaggio, che sacrificava la sua vita per la salvezza degli uomini e del suo amore. Aveva colpito tutti, per prima la signora Tsukikage che l’aveva meritatamente scelta come sua erede. Il sentimento che sul palco aveva coinvolto lei e Sakurakoji nei panni di Isshin gli aveva dimostrato quanto impressionante fosse la capacità di Maya di entrare nel personaggio o di far entrare il personaggio dentro di lei. Non era sicuro di quale fosse il procedimento che adottava, ma il risultato era fuori dal comune.

Due giorni dopo, come voluto dal nonno di Shiori, si era sposato e, trascinato dai nuovi eventi, non aveva avuto modo di incontrarla. Hijiri aveva tentato più volte di convincerlo, ma alcune velate minacce di Shiori gli avevano fatto rimandare ogni cosa, finché era giunta una lettera da parte di un avvocato. Aveva dovuto rileggerla due volte per comprendere appieno ciò che c’era scritto: Maya Kitajima era disposta ad accettare un contratto di esclusiva con la Daito Art Production.

Era rimasto talmente interdetto da fissare il foglio per svariati minuti. Non riusciva a comprendere cosa fosse accaduto e quando lei si era presentata all’incontro per la firma, si era rivelata fredda e distaccata, parte della Maya che conosceva era completamente sparita. Quando aveva insistito per inserire la clausola vessatoria e Maya aveva accettato, aveva temuto che quel comportamento remissivo nascondesse una trappola, ma non si era rivelato niente di tutto ciò. Ha accettato ogni condizione che ho aggiunto…

Maya aveva lavorato alacremente ed insieme a Kuronuma e Sakurakoji avevano dato vita al nuovo allestimento che aveva fruttato miliardi di yen. Questo però non aveva cambiato il loro rapporto, anzi, lo aveva inasprito. Sembrava quasi che un dolore lacerante filtrasse da lei e passasse ad Akoya, rendendola più viva e vera. Non era più riuscito a parlarle, c’erano sempre persone intorno o giornalisti e perfino il tempo che le dedicava all’interno del suo ufficio non superava mai la soglia di sospetto. Shiori aveva pagato il suo medico per confermare una malattia che non c’era e avrebbe potuto fare la stessa cosa con altri.

Sollevò lo sguardo e lo puntò sul piano superiore della villa. Shiori si era dimostrata collaborativa e apparentemente soddisfatta del matrimonio. Aveva ottenuto ciò che voleva e in parte la colpa di tutto il rancore che provava verso Maya era sua: se non l’avesse ingannata all’inizio, lei forse non si sarebbe innamorata di lui e il loro fidanzamento non ci sarebbe stato.

Uscì dall’auto, sistemò il cappotto ed entrò in casa, appoggiando le chiavi nello svuota tasche all’ingresso. Si tolse il soprabito e le scarpe e s’inoltrò nel corridoio semi buio. Era troppo tardi perché potesse esserci qualcuno in giro, perfino i domestici si erano abituati ai suoi orari assurdi. Nonostante ciò, ebbe un tuffo al cuore quando vide una figura spettrale in fondo al corridoio. Avanzava verso di lui, la vestaglia bianca ondeggiava piano e i lunghi capelli neri si fondevano con le tenebre circostanti.

Il suo cuore si placò proprio appena lei lo raggiunse.

- Masumi - lo salutò chinando la testa.

- Shiori, è tardi, perché sei ancora alzata? - le chiese rassegnato. Non era la prima volta che la trovava ad attenderlo e non riusciva in alcun modo a convincerla di restarsene a letto.

- Entri in casa come un ladro - replicò lei abbracciandolo e appoggiando la testa sul suo petto.

- Non volevo svegliarvi - si scusò prendendole delicatamente i gomiti e allontanandola.

Shiori sollevò lo sguardo cercando di incrociare i suoi occhi, ma c’era troppa poca luce per scrutarli come avrebbe voluto.

- D’accordo - acconsentì con un sorriso - Vieni a letto? - lo invitò prendendolo per mano.

- Sì - annuì lui - Ti raggiungo, voglio farmi una doccia - aggiunse grato all’oscurità di celare le sue espressioni che non era sicuro di camuffare abbastanza bene. I primi tempi subito dopo il matrimonio, Shiori era ancora troppo instabile perché potesse vivere pienamente la sua vita matrimoniale, ma anche quello scoglio che aveva rimandato il più possibile, alla fine era stato superato.

Shiori rimase immobile qualche attimo, poi gli lasciò la mano e ripercorse il corridoio in silenzio. Masumi espirò e raggiunse il bagno, chiudendosi dentro. Si appoggiò alla porta e chiuse gli occhi accendendo la luce. Rispettava quel contratto matrimoniale come tutti gli altri. Non avrebbe fatto niente per trovarsi dalla parte del torto. Non voleva che lei o suo nonno potessero in qualche modo far valere le proprie ragioni mettendo a repentaglio la Daito Art e tutto il lavoro di una vita. Questo però non significava che non gli pesasse.

Si trattenne molto più del dovuto, forse proprio per evitare i suoi doveri, perché altro non erano, e quando raggiunse la loro camera matrimoniale, Shiori era visibile sotto le coperte. Sembrava addormentata e gli uscì spontaneo un sospiro di sollievo appena accennato. Raggiunse il lato destro del letto, scostò il piumone ed entrò sotto le coperte. La sensazione di morbidezza lo avvolse subito. Avvertiva la testa pesante e chiuse immediatamente gli occhi rilassandosi. Incrociò le mani dietro la testa, sollevando un po’ il cuscino.

Stava per cedere al sonno ristoratore quando sentì la mano delicata di Shiori posarsi sul suo petto. Un istante dopo, lei si era rannicchiata al suo fianco, la testa nell’incavo della spalla, il corpo longilineo e flessuoso aderente al suo. Abbassò il braccio e lo posò sulla spalla di lei, girata da un lato.

- Hai dovuto lavorare molto? - gli chiese con un sussurro dolce.

- Sì - rispose lui accomodandosi meglio. Il suo calore si diffondeva attraverso la vestaglia da notte e il suo pigiama. La sentiva arrendevole e assonnata, il corpo abbandonato contro di lui. Qualsiasi cosa succeda o io dica, lei si appoggia a me…

- Buonanotte, Masumi - sussurrò dopo qualche istante di silenzio.

- Buonanotte, Shiori - ripeté lui, chiudendo gli occhi.



L’albergo era di alto livello, ma Maya ci fece appena caso, tanto era elettrizzata. Il signor Matsuda aveva la camera accanto alla sua e si premurò che fosse allineata per l’intervista della mattina seguente. Lei aveva annuito vigorosamente e gli aveva chiesto di poter uscire.

L’uomo l’aveva fissata a lungo, chiedendosi a cosa fosse dovuto quel cambio repentino di umore rispetto alle lacrime che aveva visto in treno ma, trattandosi di Maya Kitajima, preferì soprassedere e seguire gli ordini del suo Presidente. Aveva preso il cappotto e l’aveva seguita. In quel momento la stava osservando: era immobile, davanti ad un ristorante cinese. Teneva le mani conserte in grembo e non si muoveva da oltre cinque minuti. Le persone le sfilavano accanto, senza degnarla di uno sguardo.

Si voltò verso di lui e rimase sconcertato dal suo sorriso. È raggiante…

- Grazie, signor Matsuda, per la sua pazienza! - gli disse facendo un profondo inchino - Ora possiamo andare - e si incamminò nella stessa direzione da cui erano venuti.

Trascorsero il resto del pomeriggio a pianificare l’intervista alla radio locale del giorno seguente, cenarono insieme e si separarono per la notte. Chiunque l’avesse conosciuta in quel frangente non l’avrebbe riconosciuta come la Dea Scarlatta. Sembrava timida, fragile, bisognosa di attenzioni, ma sul palco diventava tutt’altra persona. Matsuda chiuse la porta della sua stanza dopo essersi assicurato che lei avesse fatto altrettanto.

Maya si abbandonò con la schiena alla porta. Chiuse gli occhi e rievocò i ricordi della sera sulla nave di ormai più di un anno prima. Erano i soli che custodisse gelosamente, gli unici che avevano un senso per lei. Quell’abbraccio sul ponte dell’Astoria aveva drasticamente cambiato la sua vita. Per due giorni. Poi era caduta nella disperazione più nera quando le aveva sputato addosso quelle parole ostili e fredde. Eppure era sicura di ciò che aveva sentito in quell’abbraccio! Era certa dei suoi occhi, della sua voce, di ciò che le aveva detto! L’amava! Il signor Hayami, il suo ammiratore, era innamorato di lei!

Chiaramente aveva riflettuto sul perché di quel cambio di rotta, ma allora come mai non si era presentato a Izu? Perché le aveva mandato quell’ultimo mazzo di rose? Perché si era sposato?

Portò le mani al volto e pianse sommessamente.



La prima settimana passò senza alcun intoppo. Realizzarono l’intervista alla radio, che provocò un ingorgo nella strada per la quantità di gente che si presentò per avere un autografo, e il primo servizio fotografico per una pubblicità. Matsuda si era trovato sostanzialmente a fare il turista. Quella ragazza silenziosa e riservata lo aveva trascinato nei luoghi più impensati di Yokohama, dal suo vecchio appartamento, ad una pasticceria, ad un vecchio teatro, un cinema. Ma c’era un luogo che amava più di tutti gli altri: era un piccolo parco vicino a dove aveva vissuto con Rei Aoki. Aveva trascorso due interi pomeriggi seduta su un’altalena, mentre lui si godeva il sole che faceva capolino dalle nubi oscure di novembre.

Gli era sembrata malinconica, ma in realtà cambiava espressione così rapidamente da renderla una persona completamente indecifrabile. Il parco era frequentato da molte madri che portavano i figli a giocare ai giochi e la giovane attrice li aveva osservati con uno strano bagliore negli occhi finché due giorni prima, inaspettatamente, lui aveva alzato lo sguardo dal giornale che stava leggendo e l’aveva vista impegnata in un racconto pieno di gesti davanti ad un gruppetto di bimbi affascinati. Dopo qualche minuto era stato costretto ad abbandonare la sua lettura per ascoltare quella favola così magistralmente narrata usando la pantomima.

Anche in quel momento, Maya Kitajima stava intrattenendo un gruppo numeroso di bambini. Era domenica, il sole splendeva e, nonostante l’aria fredda che spirava dal mare, molte mamme avevano portato i loro figli al parco giochi. Con il solo ausilio della voce e del corpo di lei, l’amore di Vega e Altair prese vita davanti a lui.

Maya non riusciva a credere di poter nuovamente raccontare storie. Il primo giorno erano stati tre bambini, quello successivo sette, quello seguente ancora, più di dieci. Quel pomeriggio erano lì ad attenderla e l’avevano circondata ridendo e chiedendole un racconto. Aveva sentito il cuore scoppiare di gioia e si era prodigata subito per soddisfare le loro richieste. L’emozione che provava era indescrivibile. Si sentiva libera dalle costrizioni del copione, senza qualcuno che le dicesse come muoversi, che tono usare, come impersonare il suo personaggio. Di volta in volta il ruolo entrava e usciva da lei, prima Altair, poi Vega, poteva essere la Via Lattea, un’altra stella, quella Deneb che le aveva indicato una volta il signor Hayami a Nara guardando il cielo estivo pieno di stelle. Quel ricordo accentuò la sua narrazione, lasciò che i suoi sentimenti trovassero libero sfogo nel racconto, nessuno poteva sapere, nessuno poteva immaginare cosa celasse realmente il suo cuore. I bimbi davanti a lei stavano tutti con il naso all’insù, le boccucce semi aperte per la meraviglia.

- È bravissima… - sussurrò Matsuda fissandola con occhi spalancati.

- È un genio - ribadì una voce accanto a lui. Il manager si girò di scatto e si alzò in piedi trattenendo il fiato.

- Signor Hayami! - lo salutò con un profondo inchino cercando di nascondere il giornale che teneva stretto in mano.

- Buongiorno, Matsuda - ricambiò Masumi tenendo lo sguardo fisso su Maya - Vedo che qui va tutto bene - aggiunse spostando gli occhi per un attimo su di lui. Non l’aveva mai vista recitare in quel modo. Era spontanea, la pantomima sembrava nascere dai suoi arti o dalle espressioni del suo volto che cambiavano con una rapidità sconcertante senza perdere la loro identità.

- Sì… Sì, certo, signor Hayami - si affrettò a confermare l’imbarazzato manager - La prima intervista e il primo servizio fotografico sono stati fatti - riportò, immaginando che volesse conoscere i progressi.

- Sì… - mormorò Masumi senza troppo interesse - Perché siete qui? - gli chiese stringendosi il cappotto addosso. Il vento che spirava dal mare attraverso il porto di Yokohama era freddo e pungente.

Il manager si guardò intorno spaesato, pensando al peggio. Forse aveva preso troppo alla lettera ciò che lui gli aveva detto quando gli aveva affidato quell’incarico?

- Non ci siamo mai sottratti agli impegni - spiegò subito - Ma la signorina Kitajima ha voluto visitare alcuni posti e sembra particolarmente affezionata a questo - concluse sperando di non beccarsi un aspro rimprovero.

Masumi rimase in silenzio, lo sguardo fisso sulla giovane donna che mimava la storia dell’amore eterno di Altair e Vega. Fece qualche passo avanti e si appoggiò ad uno dei tubolari che formavano un intricato gioco per arrampicarsi. Incrociò le braccia al petto e continuò a guardare la rappresentazione. Chissà cosa ne penserebbe il consiglio di amministrazione della Daito se la loro attrice più pagata venisse fotografata a raccontare favole ai ragazzini in un parco…

Maya era presa lei stessa dal racconto. La storia delle due stelle era sempre stata una delle sue preferite e avere la possibilità di farla conoscere ad altri bambini la riempiva di emozione. Aveva dimenticato quanto fosse appagante recitare per il puro gusto di farlo, ma quell’incanto finì quando, sollevando lo sguardo, incrociò gli occhi azzurri di Masumi Hayami. Che ci fa qui?

Si bloccò e i bambini, spaesati, si voltarono seguendo il suo sguardo.

- Vorrei sentire la fine della storia - le disse con un sorriso curioso. Maya arrossì, si rassettò il maglione che indossava sui jeans, annuì e tornò al racconto, fra le grida felici dei bambini.

Maya… non avrei mai dovuto venire qui… questo mio gesto egoistico potrebbe metterti in grave pericolo, ma l’abitudine ad averti nei miei teatri o alla Daito mi ha fatto sentire immensamente la tua mancanza…

Lei cercò di riprendere la storia, facendosi passare l’imbarazzo. Coraggio, Maya! Hai recitato davanti a lui moltissime volte! Una in più non farà differenza… Cancellò la sua presenza dallo spazio intorno a loro e si concentrò sui due protagonisti. La storia arrivò alla sua naturale conclusione, i bambini applaudirono entusiasti e Maya s’inchinò accogliendoli poi intorno a sé, festosi e urlanti.

- Grazie! Adesso devo andare… - si scusò, sollevando per un attimo lo sguardo verso di lui e trovando i suoi occhi attenti che la fissavano. I bimbi iniziarono a lamentarsi, alcuni si girarono verso Masumi Hayami e con la spontaneità innata lo supplicarono di lasciarla restare ancora, intuendo che l’ostacolo da superare fosse proprio quell’uomo col cappotto nero che era apparso all’improvviso.

- Noooo! Signore, la prego, un’altra favola, per favore! - pregò un bambino seguito in coro da altri.

- Per favore, signore! La lasci qui con noi! - insisté un altro.

Maya era circondata dai piccoli corpi che premevano contro di lei in modo affettuoso. L’espressione del signor Hayami era indecifrabile come al solito, teneva le braccia incrociate al petto e li guardava pensieroso. Qualcuno le tirò il maglione e quando Maya abbassò lo sguardo si accorse che era una bambina dalle manine grassottelle.

- È il tuo fidanzato? - le chiese senza alcuna malizia. Quella domanda generò un silenzio agghiacciante e tutti gli occhi si puntarono su di lei. Maya avvampò, ma rimase immobile, la testa chinata verso la bambina sperando di celare il suo imbarazzo.

- Lui è il mio capo - le rispose strizzandole un occhio e mettendole una mano sui capelli morbidi.

Masumi osservò la scena frenando i battiti del suo cuore. A quella domanda, lei aveva risposto con una frase semplice, senza alcun coinvolgimento. I bimbi invece, chiarito quel punto, tornarono all’attacco.

- Signor Capo, per favore, un altro racconto! - le lamentele si moltiplicarono finché un impercettibile cambiamento nell’espressione di quel volto severo fece esplodere i bimbi di gioia. Probabilmente erano così abituati a cercare le piccole modifiche nei volti dei genitori da accorgersi immediatamente che anche lui aveva capitolato.

- Maya! Maya! Un’altra storia! - gridò vittorioso il bambino che aveva iniziato tutto. Lei passò lo sguardo dal gruppetto indiavolato al suo ammiratore. Cosa ci avessero visto i bambini in quella faccia rigida era un vero mistero, però sembrava effettivamente concorde.

- Quella del samurai! - urlò un ragazzino.

- No! No! Quella della sirena e del principe! - si intromise la bambina che aveva fatto la domanda spintonando l’altro.

- La balena! La balena! - gridò un terzo. Maya passò lo sguardo felice su tutti, indecisa su cosa raccontare.

Masumi lasciò vagare lo sguardo sulla giovane donna che popolava i suoi sogni. Era rilassata, sulle guance c’era un rossore diffuso che accentuava la sua spontaneità e il sorriso che addolciva la sua espressione avrebbe potuto incantarlo per sempre. Sembra tornata a prima della Dea Scarlatta… era davvero sotto pressione… ero così impegnato a non guardarla da non rendermi conto di ciò che le stesse accadendo…

- Ho trovato! - esclamò Maya picchiando un pugno sul palmo aperto della mano e facendo sussultare tutti i bambini - Vi racconterò quella del bruco e della tartaruga! - un grido di esultanza spontanea la rincuorò. Sollevò timidamente lo sguardo verso di lui, ma lo trovò nella stessa esatta posizione. Avrebbe potuto farlo lui l’albero di susino…

Come sempre le accadeva quando interpretava una parte, non aveva valore quanto fosse importante quel ruolo, abbandonò se stessa e si dedicò ai due animaletti e alla loro storia di amicizia e coraggio.

Masumi ebbe modo di osservarla nella mezz’ora seguente senza temere che lei si accorgesse del suo sguardo prolungato né che qualche giornalista li fotografasse. Ora che era lì, non sapeva neppure lui cosa fare. Negli ultimi mesi l’aveva sempre avuta vicina: in teatro, alle prove, alla Daito, e non era stato necessario trovare una scusa per incontrarla come aveva fatto in passato. Quella settimana di distanza aveva riacceso la sua apprensione, nonostante i messaggi rincuoranti del manager Matsuda. Cosa si era aspettato? Che l’accogliesse a braccia aperte dopo che le aveva tolto Madama Butterfly? Maya non era una che dimenticava facilmente. Represse un sorriso e si lasciò avvolgere dalla fiaba che non conosceva.

Quando la fine della storia venne narrata, Maya ricevette uno scroscio di applausi, in cui erano compresi anche quelli di Matsuda che, ancora seduto sul muretto, non aveva osato raggiungere il Presidente poco più avanti. Quando gli era sbucato accanto, per poco non gli era venuto un infarto. Il primo quesito che gli era saltato in mente riguardava come avesse fatto a trovarli e il secondo perché fosse lì. Tutta l’azienda conosceva ormai la storia della “Dea Scarlatta” e del contratto che legava Maya Kitajima alla Daito Art Production. Non era la prima volta che quell’attrice veniva assunta, ma uno degli addetti stampa gli aveva riferito che anni prima era stato il signor Hayami in persona a stracciare il contratto, lasciandola andare per quella strada che l’avrebbe portata al successo nazionale e di nuovo sotto il suo controllo. Ciò di cui nessuno era a conoscenza era la verità nascosta dietro la finzione drammatica.

Non pensava che il suo Presidente fosse un bugiardo, ma era consapevole che gli affari celavano sempre il risvolto della medaglia, come le quinte dietro il palcoscenico, ed era indubbio che lui tenesse particolarmente a quella giovane attrice. Le segretarie in ufficio lo ritenevano all’unanimità un uomo affascinante, ma misogino, disinteressato alle donne e concentrato sul lavoro. Il matrimonio, imposto dal padre per fondere due società, aveva solo rafforzato quella visione di lui che i dipendenti avevano. Un conto era tutelare un investimento, un altro raggiungerli in quel posto lontano da tutto.

Le grida divertite dei bambini lo riscossero facendolo sorridere alla scena che gli si presentò davanti.

Maya stava cercando di non soccombere al loro entusiasmo, ma piano piano la ressa si diradò, le madri vennero a riprendere i figli fra pianti isterici e lamenti, e in breve lei si trovò libera da quel piacevole impedimento. Ora arriva la parte peggiore… Sospirò Maya e si preparò ad affrontarlo. Salutò l’ultimo bambino e s’incamminò verso di lui.

- Buonasera, signor Hayami - lo salutò per prima con un inchino - Grazie per avermi fatto terminare con loro -

- Buonasera, Maya - rispose lui scostandosi dal palo di ferro - I tuoi spettatori ti reclamavano - le confidò con un lieve sorriso che lei non riuscì a interpretare.

È ironico? Mi prende in giro?

- È accaduto qualcosa? Devo tornare a Tokyo? - gli chiese immediatamente dopo, sopendo la rabbia che era esplosa improvvisa.

Masumi rimase colpito dall’espressione contrita che cambiò il volto di lei. Sembrava aver dimenticato del tutto la perdita per “Madama Butterfly” ed essersi completamente ambientata nuovamente nel suo vecchio mondo.

- No - rispose seccamente - Ho visitato un vecchio teatro a Fujisawa - mentì cercando di giustificarsi. S’incamminò verso la balaustra che proteggeva dal mare e si appoggiò fissando l’orizzonte.

Maya corrugò la fronte, lanciò un’occhiata al manager Matsuda ancora seduto sul muretto e lo seguì. Aveva la sgradevole sensazione che Masumi Hayami la stesse controllando.

- L’intervista si è svolta senza intoppi? - le chiese, tanto per fare conversazione e smettere di pensare così intensamente al suo sorriso.

Maya sollevò lo sguardo verso il suo profilo. Era sicura che gliel’avesse chiesto perché ogni volta accadeva sempre qualcosa.

- Sì, è andato tutto bene - rispose piccata - E anche il servizio fotografico per la pubblicità - aggiunse ignorando il suo sguardo distaccato.

- Davvero? - chiese Masumi prima di riflettere alzando un sopracciglio e l’espressione di lei per poco lo fece scoppiare a ridere. Ogni volta che la coinvolgeva in qualcosa che non fosse uno spettacolo, la sua sbadataggine rischiava di mandare tutto in fumo.

- Sì, davvero, signor Hayami! - ribatté stringendo i pugni lungo i fianchi. Era incredibile come quei duplici sentimenti albergassero in lei: si irritava appena apriva bocca e allo stesso tempo si sarebbe perduta in quelle profondità azzurre che celavano un’inconfessata malinconia che aveva visto a tratti nel suo sguardo. Signor Hayami, è venuto a controllare la sua gallina dalle uovo d’oro? Oppure voleva vedere se il suo oscuro piano per allontanarmi dalle tensioni dei miei obblighi sta funzionando?

- Acquisterà quel teatro? - gli chiese sperando che non se ne andasse. Iniziava a farsi tardi e sarebbe sicuramente dovuto tornare a Tokyo da sua… Deglutì e spostò lo sguardo sul ferro rotondo della balaustra. Come sono meschina… non riesco neppure a pensarlo… eppure ora sono sposati…

- Eh? - si riscosse lui preso alla sprovvista - Sì, il teatro. Non lo so, devo valutare l’investimento - mentì di nuovo. Non c’era nessun teatro a Fujisawa, a sud di Yokohama, era andato lì solo per lei, sfidando i sospetti di Shiori e preparando già le rispose alle domande che lei gli avrebbe fatto.

- Pensa sempre così tanto? - gli chiese tornando a guardarlo. Doveva essere molto difficile ricoprire il suo ruolo e non immaginava neppure le abilità e lo sforzo necessari.

Masumi si girò verso di lei interdetto. I suoi occhi erano sinceri e non c’era alcuna malizia nella sua domanda. Come sempre è genuina...

- Sì - le rispose pacatamente - Negli affari serve cautela - mormorò, incantato da quello sguardo cristallino. Ormai la conosceva, ma nonostante tutto quella sua spontaneità lo catturava ancora. Avrebbe dovuto dirle tutta la verità quando si erano trovati sull’Astoria. In parte era riuscito a confessarle i suoi sentimenti, ma le cose erano precipitate improvvisamente quando erano scesi e aveva dovuto prendere una decisione.

Maya avvertì la tensione, i suoi occhi azzurri come il cielo avevano un’ombra malinconica e quell’insistenza nel guardarla la fece arrossire. Distolse lo sguardo e incrociò le mani dietro la schiena. Non m’importa del matrimonio! Non m’importa che sia il Presidente! Ora lui è qui e ci sono anche io...

- Le va di fare due passi? - domandò Maya, scacciando quell’insicurezza che le faceva tremare le gambe. Vide la sua espressione distendersi e stupirsi, poi un lieve cenno del capo la fece inspiegabilmente arrossire di nuovo. Quel profilo attraente cambiava di punto in bianco, era impossibile sapere cosa gli passasse per la testa.

- Sì - acconsentì Masumi senza riuscire ad aggiungere una parola in più. Era la prima volta che lei gli suggeriva di stare insieme, da quando l’aveva conosciuta era sempre stato lui a cercare la sua compagnia, che lei non gradiva affatto. Quell’abbraccio e quelle parole che avevano condiviso sul ponte della nave tormentavano ancora i suoi sogni e i suoi ricordi. Si era domandato a lungo come avesse potuto innamorarsi di lui, proprio lei che diceva di odiarlo, ma dopo ciò che le aveva detto il giorno seguente, lei era irrimediabilmente cambiata. Aveva tentato di cambiare le cose invitandola a Izu, ma Shiori gli aveva impedito di andarci. Avrà pensato che la sua prima impressione era stata quella giusta… che io non sono altro che un affarista senza scrupoli…

Maya gli dette le spalle e iniziò a camminare lentamente. Masumi si voltò verso il manager Matsuda. Non ebbe necessità di dire alcunché, l’uomo fece un lieve inchino e se ne andò.

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Capitolo 4
*** Stage #4. Maree dal passato ***


Stage #4. Maree dal passato



La balaustra lungo il porto correva per decine di metri, aggrappata a blocchi di cemento armato. Da un lato il parco e poi degli edifici, dall’altro l’oceano Pacifico. Il rosseggiare del tramonto a ovest ammantava tutto di un tenue rosa, conferendogli quell’aspetto tipico delle sere di novembre.

Maya camminava in preda a sentimenti contrastanti. Quell’atmosfera che era venuta a crearsi fra loro era troppo simile a ciò che era avvenuto un anno prima sulla nave. Le parole di lui le rimbombavano ancora in testa, un mantra a cui si era aggrappata innumerevoli volte, quando il mondo pareva crollarle addosso, quando sperava che il suo sogno ancora si avverasse. Non riusciva a frenare l’emozione che le faceva palpitare il cuore né a togliersi dalla mente quel sorriso aperto e gentile che le riservava a volte. Perché è venuto qui, signor Hayami? Perché si preoccupa ancora per me? Lei è sposato adesso e io non potrò mai essere nient’altro che un’attrice…

- “Madama Butterfly” è stato rimandato - le disse all’improvviso con voce profonda - Vogliono che sia tu a interpretare Chōchō-san -

Maya si fermò, si girò di scatto e lui le finì quasi addosso. Il suo volto era illuminato di gioia, gli occhi brillavano come stelle e Masumi rimase incantato a guardarla. Le ho detto che reciterà di nuovo e lei si è trasformata così…

- Davvero? Davvero, signor Hayami? - le chiese con la voce rotta dall’emozione.

- Sì - annuì lui sorridendole. Non aveva alcuna intenzione di rovinarle quel momento mostrandosi come il Presidente esigente e cinico che era di solito. Maya s’illuminò ancora di più e batté le mani insieme per la contentezza.

- Potrò essere Chōchō-san! Vedrà, signor Hayami, non la deluderò! - gli disse con determinazione - Le prometto che non firmerò più autografi senza autorizzazione e non andrò in giro per teatri! -

Masumi aggrottò la fronte e le guance di lei si tinsero di un lieve rossore.

- Non promettere cose che non puoi mantenere - le fece notare lui con tono benevolo. Maya arrossì completamente e lui scoppiò a ridere.

Lei rimase a guardarlo, stupita di quanto cambiasse la sua espressione con una risata genuina come quella. Quando i loro occhi si incrociarono nuovamente divenne chiaro ad entrambi che quella magia di un anno prima non si era dissolta. Qualcosa li attraeva inevitabilmente, rendendo vani tutti i loro tentativi di dimenticarsi a vicenda. Forse c’era davvero un filo rosso che univa le loro anime come diceva la leggenda, ma ciò che gridavano i loro cuori in quel momento era reale e portava verso un unico esito.

- Signor Hayami… - balbettò Maya con gli occhi spalancati e il cuore che le usciva dal petto. L’emozione contrastava con il dolore di aver perduto l’attimo un anno prima, di aver avuto paura di non essere ancora abbastanza adulta per lui, di averlo lasciato andare. Una lacrima scese solitaria lungo la guancia, raffreddata subito dal vento oceanico.

- Maya… - sussurrò Masumi allungando una mano e togliendo quell’orrida riga bagnata. Il tempo sembrava essersi fermato, la paura di essere pedinato e fotografato con lei, spazzata via del desiderio più profondo del suo cuore, sopito in quei mesi solo per salvaguardarla. Appoggiò la mano alla sua guancia calda e lei ci mise sopra la sua.

Il contatto li squassò entrambi, partecipi e coinvolti dalle emozioni che erano rimaste nascoste dentro di loro. Maya lo fissava sbalordita, ma un sorriso dolce affiorò sulle sue labbra. All’improvviso e inspiegabilmente comprese che per lui non era cambiato niente da quell’alba sull’Astoria. Quell’abbraccio lungo e intenso aveva avuto un valore per lui e probabilmente quelle acri parole che avevano avvelenato il suo cuore per tanti mesi erano state dettate dalla necessità di proteggerla. Non sapeva spiegarsi il motivo, ma nell’istante in cui si erano toccati e aveva guardato nei suoi occhi azzurri aveva compreso ogni cosa.

Masumi inspirò profondamente e per la prima volta realizzò che quelle parole sulla nave erano state proprio per lui e che niente era cambiato per Maya in quei mesi. L’aveva aspettato e continuava a farlo. Un nodo rovente gli serrò lo stomaco quando si rese conto di averle fatto vivere probabilmente un inferno.

Lei fece un movimento impercettibile verso di lui, l’espressione rapita, le guance soffuse di rosso, ma questo bastò a liberare le loro emozioni. Masumi l’attirò a sé e l’abbracciò con forza. Maya si rifugiò fra le sue braccia, riassaporando la stessa sensazione che aveva provato le altre volte, anche quando era stato il suo ammiratore a farlo. In quell’istante, tutti i suoi dubbi vennero cancellati dall’impeto con cui lui la strinse, dalla bramosia con cui le sue mani afferrarono il cappotto sulla sua schiena inarcata.

- Maya… - sussurrò di nuovo Masumi sentendo il cuore andare in mille pezzi quando le sue braccia esili lo cinsero aggrappandosi alla sua giacca. Non era un sogno, era lei, era proprio Maya, e lo abbracciava consapevolmente!

- Mi dispiace… - aggiunse lui in un sussurro appena udibile, gli occhi serrati mentre il profumo della sua pelle e dei suoi capelli gli invadeva le narici.

Maya si sentiva al sicuro, al caldo e protetta. Quanto aveva desiderato sentire ancora il suo abbraccio e trovare una conferma che ciò che le aveva detto fosse la verità? È sempre stato così… me lo disse allora e tutt’ora lui… lui mi ama!

- L’ha fatto per me, vero? - mormorò lei voltando appena la testa. La teneva così stretta da impedirle quasi di respirare, ma non le importava affatto.

- Sì… perdonami… per me non è cambiato niente… e per te, Maya? - doveva chiederglielo! Non poteva attendere oltre, doveva essere certo di ciò che aveva visto nei suoi occhi brillanti.

- Neanche per me, signor Hayami! Neanche per me! - si affrettò a confessare lei, stringendolo a sé. Non le importava niente di tutto il resto del mondo, lì c’era l’altra metà della sua anima. Signora Tsukikage… aveva ragione…

Masumi continuò a tenerla stretta con il cuore che gli scoppiava in petto. Era ben conscio dei rischi che correvano, ma non era venuto da solo, c’era Hijiri da qualche parte che vegliava su di loro. Se ci fosse stata qualche persona sospetta o qualche giornalista, se ne sarebbe occupato lui. La parte analitica della sua mente che aveva tirato fuori quella riflessione, lo avvisò anche che quel riavvicinamento avrebbe cambiato le cose.

Rimasero a lungo l’uno fra le braccia dell’altra, incuranti del vento che sferzava il porto, mescolando i loro capelli e inondandoli di salmastro. Masumi allentò appena la stretta, non voleva ancora separarsi da lei. Quando Maya sollevò lo sguardo era rannicchiata contro di lui, senza alcuna costrizione, si era abbandonata alla sicurezza del suo abbraccio.

- Cosa accadrà adesso? - gli domandò titubante. Non voleva più tornare nell’oblio, non era più disposta a soffrire quando lui la ricambiava! Era incredibile che lui l’amasse davvero, ma voleva crederci con tutta se stessa!

Masumi la fissò, incapace di risponderle prontamente, perché per la prima volta nella vita non sapeva davvero cosa sarebbe accaduto. La sua domanda inoltre nascondeva implicitamente che lei aveva preso una decisione. È molto più coraggiosa di me… lo è sempre stata, fin dalla prima volta che l’incontrai in quel teatro mentre, smarrita, cercava il suo posto…

- Non lo so, Maya - le rispose infine sinceramente, lasciando galoppare i fremiti del suo cuore - Io… non posso più… - lasciò che i pensieri svanissero, perdendosi negli occhi carichi di speranza di lei che lo guardava come mai aveva fatto prima di allora. Maya...

- Neanche io, signor Hayami! Non ci riesco più neanche io! - ammise disperata finendo la frase al posto suo. Maya strinse forte le braccia e affondò il volto nel suo petto ampio e caldo. Chiuse gli occhi con forza, frenando le lacrime di disperazione che volevano uscire prepotenti. Sono cresciuta! Non sono più una ragazzina! Si calmò e rimase in quella posizione, ascoltando i battiti del cuore del suo ammiratore che rimbombavano con costanza e velocemente. Sorrise dolcemente quando realizzò che anche per lui non doveva essere stato facile quel periodo.

Masumi espirò profondamente. Quando aveva deciso di raggiungerla non aveva minimamente pensato ad un riavvicinamento. Vederla recitare davanti ai bambini aveva rievocato il passato con brutalità e si era trovato a stringerla fra le braccia scacciando il suo senso di colpa. Avrebbe potuto contare sulle dita di una mano le volte che era entrato in contatto con lei, eppure in quel momento sembrava la cosa più naturale del mondo. Signora Tsukikage… è stato così tormentato anche il suo rapporto con Ichiren Ozachi? È così che lui ha tratto ispirazione per un dramma così profondo dei sentimenti umani?

Non aveva alcuna intenzione di infrangere quel momento, non voleva che lei se ne andasse né voleva rinunciare a quell’istante di pura gioia. Era sempre rigidamente vincolato alla sua vita pubblica e quando era a casa manteneva una maschera per suo padre e per Shiori. Con Maya, invece, poteva essere se stesso senza temere giudizi da parte sua.

Aveva timore di soffocarla così allentò appena la stretta inspirando l’odore fresco dei suoi capelli sottili come seta. Riusciva ad avvolgerla completamente, ma a lei non sembrava dispiacere. Si meravigliò nuovamente di quella reazione che aveva sorpreso entrambi senza lasciar loro possibilità di scelta, esattamente com’era avvenuto sull’Astoria, quando si erano resi conto che non potevano più nascondere i loro sentimenti.

- Maya… - sussurrò scostandola da sé - Non sono uomo che fa promesse vane, quindi non te ne farò - iniziò catturando il suo sguardo pieno di speranza - Ma farò tutto ciò che è in mio potere per sistemare le cose - le confidò tenendo la voce bassa e tesa.

Lei spalancò gradualmente gli occhi, quando divenne consapevole del significato di quelle parole riflesse in quegli occhi che d’improvviso s’erano fatti freddi e distanti. Durò solo qualche istante, poi le iridi tornarono azzurre e sorridenti. Ha preso una decisione… è terrificante quando si distacca così dal mondo e mi ricorda con forza il Masumi Hayami che conobbi sette anni fa...

- Ho capito - rispose lei annuendo e ricambiando la dolcezza nello sguardo.

Masumi deglutì imbarazzato per la fiducia che lei sembrava riporre in quella dichiarazione. Non era mai accaduto niente di tutto ciò fra loro due, era un campo che non conosceva e si sentiva disarmato. Sei cresciuta, Maya… dovrò imparare qualcosa di nuovo…

Allungò una mano e le accarezzò una guancia lasciando che i suoi sentimenti trasparissero sul suo volto com’era accaduto sulla nave. Era liberatorio non dover indossare una maschera. E pensare che per lei, invece, è una condizione gradita e agognata…

Maya si appoggiò dolcemente, immobile, persa in quello sguardo nuovamente amico e complice che per tanto tempo aveva evitato credendo di trovarci ancora quell’astio e quella derisione che aveva subito in quelle parole terribili dopo la crociera.

- Ho fame - gli sussurrò all’improvviso spezzando la magia del momento - C’è un negozietto qui vicino che vende dei takoyaki buonissimi! - aggiunse immediatamente dopo con la speranza che lui decidesse di restare.

Masumi represse una risata, si rilassò e la lasciò andare completamente. Pensò alle morbide polpette di polpo e chiuse gli occhi sollevando il volto al cielo. Maya lo fissò strabiliata, registrando l’ennesimo volto di quell’uomo complesso e poco incline alla trasparenza.

- Ne mangiavo quando ero bambino… - sussurrò puntando le mani sui fianchi.

Maya ridacchiò e si coprì la bocca con le mani.

- Non ne ha più mangiati da allora? - chiese, meravigliata che si fosse privato di una simile delizia culinaria. Deve aver vissuto una vita davvero difficile…

Masumi scosse la testa arrossendo lievemente. Lei riusciva a far sembrare la sua vita una specie di esperimento andato storto.

- Allora dobbiamo rimediare! - incalzò decisa sollevando un indice ammonitore che Masumi scrutò con attenzione. Si chiuse bene il cappotto tenendo fuori il vento che stava aumentando d’intensità e s’inoltrò nuovamente nel parco. Lui sorrise e la seguì, infilandosi le mani in tasca. Non avrei mai immaginato che sarebbe andata a finire così… io volevo solo vederla…

Appena furono in mezzo agli alberi, la forza del vento freddo diminuì. Maya gli camminava a fianco, in silenzio, teneva lo sguardo basso e le mani ben chiuse nelle tasche. Quando l’aveva abbracciata, nell’impeto del momento non si era accorto che il suo corpo era cambiato ancora: era sempre esile, ma definita, e il volto aveva perduto i tratti da ragazzina che, anche senza trucco, di scena o meno, rivelava già tratti più adulti. Gli occhi avevano sempre la stessa profondità e in quei mesi avevano continuato a sfidarlo spudoratamente. Vederli ora brillare in quel modo per lui, gli aveva tolto il respiro e l’aveva costretto a domandarsi cosa avesse pensato lei in tutto quel tempo.

Il negozio era davvero vicino e vendeva direttamente sulla strada. Masumi si guardò intorno valutando le facce che li circondavano, poco prima di attraversare la strada e raggiungerla sul marciapiede opposto. Maya ordinò entusiasta e lo guardò con un gran sorriso. Era contagiosa, quindi rispose nella stessa maniera, lanciando un ultimo sguardo all’angolo dove la strada curvava. Hijiri era lì, in piedi, bastò un semplice scambio di sguardi e il collaboratore si dissolse nell’ombra del vicolo poco distante.

- Ecco, signorina - la voce del venditore attirò la sua attenzione e un instante dopo Maya gli stava porgendo una barchetta di bambù piena di polpette bollenti coperte di salsa otafuku. La prese delicatamente e inspirò il profumo saporito che gli fece venire l’acquolina in bocca.

- Le va di tornare nel parco? Ci sono delle panchine... - propose Maya soffiando con insistenza sulle polpette per dissimulare l’imbarazzo. Non si era mai esposta così tanto, non aveva mai avuto il coraggio di parlare per prima, ma in quel momento non aveva niente da perdere e tentò sperando che lui acconsentisse. Lui si stava comportando in maniera diversa rispetto alle volte in cui l’aveva incontrato alla Daito o nei teatri e lei si sentiva stranamente a suo agio.

- Sì - annuì Masumi imponendosi di non fissarla come un ragazzino innamorato. Sono ben più di quello… non è solo questione di ciò che provo io… è anche l’intensità che percepisco in lei a spaventarmi… ho sempre pensato che non avrebbe mai ricambiato i miei sentimenti e ora che mi trovo a chiacchierare con lei come se il tempo non fosse trascorso, ho difficoltà ad accettare la situazione…

Maya attraversò di nuovo e lui la seguì con un brivido di apprensione, accorgendosi che, concentrata sui takoyaki, si era buttata in mezzo alla carreggiata senza guardare la strada.

- Dovresti guardare dove vai… - borbottò corrugando la fronte.

Maya si girò senza comprendere, poi realizzò quando lui indicò le auto di passaggio.

- Oh… io… - fissò lo sguardo sulle polpette fumanti e arrossì. Riesce ancora a farmi sentire una ragazzina sprovveduta… avevo paura che fosse cambiato… che mi avrebbe trattato in modo diverso, invece è sempre lui, il mio ammiratore delle rose scarlatte, che mi guarda le spalle e si preoccupa per me!

Masumi la vide sorridere all’improvviso senza motivo, ma non ebbe tempo per fare qualche battuta pungente perché lei si girò di scatto e raggiunse una panchina. Si sedette e si cacciò subito in bocca una polpetta.

- Stia attento a non macchiarsi - lo avvisò senza alzare lo sguardo dal suo spuntino. Lui prese posto vicino a lei e la imitò, inforcando quelle rotondità golose. Ardevano come piccoli fuochi e quasi si ustionò, ma il sapore era un’esplosione di gusto.

Mangiarono in silenzio, con il vento come unica compagnia che spirava fra le fronde possenti del parco.

- Come mai quelle sono diverse? - le chiese Masumi osservando la sua barchetta che conteneva sei polpette come le sue e sei con una copertura bianca e un trito verde.

Maya sussultò, come se l’avesse presa in castagna. Si girò verso di lui, ne inforcò una con decisione e la sollevò.

- Ne vuole assaggiare una? - propose allegra, troppo tardi si accorse del suo gesto spontaneo - Scusi… - sussurrò arrossendo violentemente. Appoggiò delicatamente la polpetta infilzata e avvicinò la barchetta tenendola con entrambe le mani in modo che potesse prenderla da solo.

Masumi era rimasto immobile ad osservarla. Era incredibile come ogni suo gesto semplice e spontaneo gli togliesse il respiro. Si capiva perfettamente che non era un atteggiamento studiato, era fatta così e basta.

- Grazie, ne assaggio una volentieri - le disse prendendo lo stecchino e infilandosi la polpetta in bocca. Non voleva farla sentire ancor più a disagio e non voleva mostrarle quanto fosse rimasto scioccato lui all’idea che lo imboccasse. Con lei non riesco mai a mantenere il mio autocontrollo… se mi guardasse ora leggerebbe ogni mia debolezza…

Maya continuò a tenere lo sguardo basso sia quando lui la prese, sia quando la mangiò, sia quando tornò ad occuparsi del suo spuntino. Si sentiva avvampare e il cuore le batteva follemente. Cosa mi è venuto in mente? Solo che… è colpa sua! È lui che è diverso!

- Erano molto buone - esordì Masumi dopo un silenzio prolungato.

- Sono felice che le siano piaciute - ammise genuinamente Maya con un sorriso dolce raccogliendo la sua barchetta e gettandole entrambe in un cestino vicino. Tornò a sedersi accanto a lui senza mai guardarlo. Non aveva idea di come comportarsi, era consapevole che presto sarebbe andato via e la malinconia le dilaniava l’anima.

- Resta qui e riposati - aggiunse Masumi voltandosi a fissarla. Era molto tardi, ma qualche scusa gli sarebbe sicuramente venuta in mente per strada.

- Sì - annuì Maya guardandosi le punte delle scarpe.

- Quando tornerai a dicembre potrai riprendere solo le attività che vorrai oltre alle prove per “Madama Butterfly” - proseguì osservando il suo volto inclinato - Non mi ero reso conto del carico di lavoro a cui ti avevamo sottoposto - si scusò infine spostando lo sguardo sugli alberi che ondeggiavano sotto il vento.

- Non deve dire così! - replicò Maya girandosi di scatto - Ho accettato io gli ingaggi! Alice, il garzone, l’Imperatrice Suiko, Ofelia e tutti gli altri! Sono stata io! Ho potuto essere tutti loro sul palcoscenico! - aggiunse con veemenza, le guance arrossate per il vento e la gioia che traspariva dalle sue parole infervorate.

- E sei stata eccellente… - sussurrò Masumi rapito dalla sua espressione, ricordando tutti i ruoli che si erano intervallati alla “Dea Scarlatta” - Ma avremo dovuto lasciarti il tempo per riprenderti, invece io… - Maya lo bloccò impedendogli di continuare.

- No! - gridò con gli occhi spalancati - No! Io ho accettato! Io… io non potevo restare lì, ferma a guardare! Non potevo… - la voce incrinata scemò nel vento. Maya serrò i pugni, non avrebbe pianto, sarebbe rimasta stoicamente a guardarlo sperando che lui non capisse cosa le agitava l’animo e che la trattasse come la solita ragazzina avida di teatro.

Masumi la fissò mentre brividi gelati gli risalivano lungo la schiena. Non erano dovuti al freddo, bensì alla consapevolezza di ciò che l’aveva spinta a recitare senza fermarsi, a passare da Akoya, alla Dea, ad un altro personaggio senza concedersi respiro. Sono stato io… è stato il mio comportamento… il matrimonio… per questo mi trattava freddamente… per questo non riuscivamo più a comunicare! Soffriva per ciò che le ho detto quel giorno… sono stato io…

- Ti è stato di aiuto? - le chiese con voce roca per l’emozione. L’unica consolazione che poteva avere era che quelle interpretazioni avessero alleviato la sua angoscia.

Maya annuì. Aveva imparato a decifrare alcuni suoi sguardi e quello le stava dicendo che era dispiaciuto. Non conosceva i motivi delle sue aspre parole dopo la crociera né del perché non fosse andato a Izu, ma era certa, in quel momento, che avesse fatto ogni cosa per proteggere lei, per i sentimenti che si erano dichiarati sul ponte dell’Astoria. Venne invasa da un’immensa tenerezza al ricordo dei mesi che aveva passato a struggersi e al contempo a maledirlo. Non riusciva a pensare al suo matrimonio, usava Akoya e gli altri personaggi per sfogare la sua rabbia, il rancore e l’amore che non poteva esprimere.

Lasciò che l’emozione la invadesse completamente. Chiuse gli occhi abbassando la testa e infilò dolcemente la mano sotto la sua, appoggiata alla panchina.

Masumi sussultò e venne folgorato dal contatto. Rimase immobile, avvertendo la pelle fredda e morbida di lei che si insinuava sotto le sue dita. Le incrociò e chiuse a sua volta gli occhi per assorbire la trepidazione che lo stava avvolgendo.

- Hai freddo - constatò lui stringendo appena la presa. Maya annuì rimanendo in quella posizione, sicura che il cuore le sarebbe scoppiato presto.

Masumi sollevò le mani unite e le infilò nella sua tasca. Era calda e accogliente e Maya fu costretta ad avvicinarsi. La prima volta che le aveva stretto una mano era stato durante “Anna Karenina”, quando se lo era trovato seduto accanto e aveva scoperto che era stato proprio lui a invitarla. Quella volta, però, l’aveva obbligata a restare ad ascoltarlo. In quel momento invece era premuroso e gentile, la sua mano era grande come la ricordava da allora e cingeva la sua con dolcezza e riguardo.

Maya si accostò ancor più a lui e appoggiò la testa al suo braccio. Sentì il sangue affluire spinto dal cuore che batteva incessante. Chiuse di nuovo gli occhi e rimase immobile, pregando che quel momento durasse più a lungo possibile.

Masumi inclinò appena la testa, emozionato e partecipe per quel gesto spontaneo, lo stesso che lei aveva fatto durante la crociera. Maya… vorrei cancellare tutto ciò che ci circonda, ma so che siamo qui proprio grazie a quello… ho capito che tu sei la metà della mia anima. Anche se non volevo crederci, sono costretto ad accettare l’evidenza… sembra proprio che, come dice Akoya, le divisioni sociali non contino affatto…

Rimasero immobili, ascoltando il mare e il vento, godendo di quella vicinanza inattesa. Maya strinse appena le dita quando la bruma della sera prese il sopravvento e lui rispose con altrettanta dolcezza all’interno della tasca buia e confortevole.

- Ti accompagno all’albergo - le sussurrò avvicinandosi al suo volto ancora appoggiato alla spalla. Gli risultò difficile parlare dopo tanto silenzio. Un nodo gli stringeva la gola e non voleva scendere.

Maya si riscosse e fece uno scatto in avanti che fece sussultare Masumi. Era in piedi, davanti a lui con un’espressione atterrita stampata sul volto.

- Il signor Matsuda! - gracchiò sconsolata rendendosi conto di essersi completamente dimenticata del povero manager.

Masumi scoppiò a ridere quando comprese la motivazione di tanta apprensione, lei lo fissò corrugando la fronte e mettendosi le mani sui fianchi in una posa agguerrita.

- L’ho congedato poco dopo la tua favola! - e riprese a ridere, appoggiandosi allo schienale della panchina di legno e ferro. Da quella posizione riusciva a guardarla direttamente negli occhi, anzi, per una volta era lui a dover sollevare un po’ il mento.

- Signor Hayami! - lo redarguì Maya stringendo un pugno.

- È impossibile annoiarsi con te! - aggiunse immobilizzandosi poco dopo e fissandola. Maya arrossì senza una ragione. Si sentiva scrutata da quello sguardo chiaro, divenuto improvvisamente serio. Il vento le faceva ondeggiare i capelli sciolti creandole prurito sulla faccia, ma per nulla al mondo si sarebbe mossa da lì. Signor Hayami… che succede?

- Vorrei chiederti di chiamarmi per nome, se volessi, ma non posso farlo - mormorò piano tenendo gli occhi incatenati in quelli di lei.

Lei avvampò. - Per nome? Ma… io… - borbottò portandosi una mano alle labbra.

- No, infatti - annuì gravemente Masumi - Vedo che convieni con me che non sarebbe saggio - le disse più duramente di quanto avrebbe voluto.

Maya non aggiunse altro. Chiamarlo per nome indicava un’intimità e una conoscenza della persona che lei ancora non aveva. Inoltre.. è tanto più grande di me ed è sposato…

Arrossì di nuovo e Masumi si prese qualche attimo per osservarla ancora. Aveva abbassato la testa, si guardava le mani nervose in grembo e quel rossore soffuso aumentava solo l’immensa tenerezza che provava nei suoi confronti. Non meriti questa vita, Maya… sei sicura di voler affrontare tutto questo? Faccio ancora fatica ad accettare che tu sia… tu sia innamorata di me…

- Vogliamo andare? - le domandò alzandosi in piedi. Maya si riscosse, annuì con un sorriso e lo seguì camminandogli a fianco ad una distanza opportuna.



Ripercorsero il sentiero interno del parco finché raggiunsero l’auto del signor Hayami parcheggiata a bordo marciapiede. C’erano tante auto in fila, la maggior parte di visitatori del grande parco. Molti stavano rientrando, perfino la ciclabile era frequentata.

Masumi le aprì la portiera e si guardò brevemente intorno. Non gli piaceva restare allo scoperto, ma il modo in cui avevano camminato non avrebbe potuto insospettire nessuno. Anche se qualcuno avesse riportato delle fotografie a Shiori, avrebbe potuto trovarle alcune scuse valide per la sua presenza lì, e la prima era il contratto di “Madama Butterfly” che aveva nella sua valigetta. O magari era solo paranoico: Shiori era contenta del risultato raggiunto e non sognava neppure di farlo pedinare. Hijiri gli aveva assicurato che nessuno lo seguiva, ma il suo acuto sesto senso, che tante volte lo aveva salvato negli affari, lo costringeva a restare sempre ben attento.

Quando il motore si accese, Maya serrò le mani in grembo. Mancava davvero poco, presto lui se ne sarebbe andato, sarebbe tornato a casa, da sua… da sua… Avanti, Maya, non essere meschina! Dillo! Dillo e rassegnati! Dorme nel suo letto… bacia le sue labbra… ignorarlo ti rende solo egoista e cattiva…

Fermo ad un semaforo, Masumi osservò il suo volto tirato. Sembrava stesse lottando con un leone, tale era la concentrazione con cui fissava davanti a sé.

Maya strinse forte la mascella, finché quella parola finalmente si formò nella sua mente, togliendole un gran peso dal cuore. Moglie…

Masumi la vide rilassarsi all’improvviso e appoggiarsi allo schienale, sfinita come se avesse corso una maratona.

- Stai bene, Maya? - le chiese preoccupato, ma lei si girò verso di lui cambiando completamente espressione e spiazzandolo.

- Sì! - rispose con entusiasmo e un sorriso ampio. Non c’è niente che io possa fare… sono sposati… lo era anche Ichiren Ozaki eppure lui… alla fine… amò la signora Tsukikage così intensamente da dar vita alla Dea Scarlatta…

Il semaforo divenne verde e Masumi ripartì, incerto su cosa fosse accaduto esattamente in quei pochi secondi. Sembrava assorta in un ragionamento e alla fine averne trovato la conclusione.

- Grazie per aver scelto Yokohama - mormorò Maya dopo qualche istante di silenzio. Si sentiva a proprio agio nell’auto con lui, la tensione che aveva provato in passato sembrava svanita come neve al sole.

Masumi spostò gli occhi su di lei solo un istante: teneva il mento basso e si guardava le mani in grembo. Non era abituato a conversare, solitamente i suoi dialoghi si fermavano agli ordini che impartiva oppure a lunghe riunioni tecniche, ma con lei gli riusciva spontaneo.

- Speravo che tornare in un luogo che conoscevi ti avrebbe permesso di rilassarti - le confessò celando l’imbarazzo che gli era salito alle guance nell’ammettere di aver calcolato esattamente quella soluzione.

Maya ridacchiò e si voltò a guardarlo.

- Io le invidio questa sua capacità di pensare, lo sa? - gli confessò senza vergogna - Io non ce l’ho… - ammise arrossendo e tornando a guardare la strada.

- Io invece ti invidio la passione che metti nel teatro, l’avere uno scopo e metterci tutta l’anima - replicò Masumi fermandosi davanti all’albergo. Lei lo fissò incredula mentre la malinconia della separazione imminente prendeva il sopravvento.

- Signor Hayami… - sussurrò con la voce spezzata dall’emozione. Non riusciva a muovere un muscolo, avrebbe dovuto aprire la portiera e uscire invece l’unica cosa che riusciva a fare era fissare sconcertata quelle profondità azzurre. Il respiro accelerò improvvisamente, portandola verso una commozione che non voleva dimostrare. Niente lacrime…

Masumi osservò gli occhi brillanti, la tensione del suo corpo e in un istante seppe che provava i suoi stessi sentimenti. È angosciata come me…

Protetto dal cruscotto da sguardi indiscreti, prese dolcemente la sua mano e la chiuse nella sua frenando i battiti del suo cuore quando le iridi di lei si dilatarono per la meraviglia.

- Ho lasciato a Matsuda il copione, puoi studiarlo mentre sei qui - mormorò avvinto da quell’atmosfera di condivisione e tensione.

Maya annuì meccanicamente, sfilò la mano dalla sua e appoggiò l’altra alla maniglia.

- Studierò, signor Hayami - gli promise con un sorriso delicato. Si voltò e uscì ingoiando il singulto che avrebbe fatto sgorgare lacrime inopportune.

Masumi la lasciò andare, come sempre aveva fatto, per permetterle di percorrere ancora quella strada che la legava al teatro e alle sue maschere. Le aveva detto che avrebbe fatto tutto ciò che era in suo potere per sistemare le cose senza sapere neanche lui cosa fare esattamente. Sistemare le cose… cosa significa per me? Liquidare Shiori Takamiya? Fare un patto con mio padre? E poi? Cosa accadrà se io dovessi tornare libero? Non posso trascinarla in uno scandalo che le rovinerebbe la carriera tanto quanto la gelosia di Shiori… Non potrebbe più recitare e io la vedrei morire… No!

Strinse a pugno la mano che aveva stretto la sua per trattenere ancora un po’ quel calore e puntò gli occhi gelidi sulla schiena di Maya che saliva lentamente la scalinata dell’albergo. Non avrebbe permesso a nessuno di rovinarle la carriera, tanto meno a se stesso!

Attese che fosse entrata poi ripartì, seguito dalla seconda auto che si era fermata poco distante. Hijiri era l’unico a cui poteva assegnare quegli incarichi, nessun altro avrebbe potuto capire. Accelerò imboccando l’autostrada verso Tokyo e la casa del nonno di Shiori pensando alle risposte che avrebbe dato alle sue domande.



L’uomo che lo pagava era scaltro e molto ricco. Erano mesi che seguiva quella ragazza, saltando da un teatro all’altro, e i pagamenti erano stati sempre puntuali e precisi. La richiesta di quel cliente, che l’aveva assunto per investigare su un’eventuale infedeltà coniugale, gli era parsa strana. Per due mesi, all’inizio dell’anno, gli aveva chiesto non di osservare la giovane, ma l’ambiente intorno a lei e di tenersi ben distante e invisibile. Il cliente era stato molto chiaro su quel punto: non avrebbe dovuto farsi vedere né scoprire da nessuno. Il suo compito era stato individuare eventuali altri osservatori. A lui non erano mai interessati altri investigatori che indagassero sui suoi stessi bersagli, ma chiaramente aveva acconsentito, vista l’ingente somma in più che il cliente gli aveva offerto per cambiare la sua modalità lavorativa.

Quando aveva scoperto ciò che intendeva per “altri osservatori”, era rimasto di sasso.

Oltre alla ragazza, il pacchetto comprendeva un uomo e, dovendoli seguire entrambi, aveva richiesto un sovrapprezzo alla sua tariffa visto che sarebbe stato costretto a rinunciare ad altri clienti per dedicarsi esclusivamente a quel pedinamento. Il cliente aveva pagato senza fare una piega e gli aveva fornito un fascicolo su quelle due persone. Quando aveva compreso l’entità della faccenda riconoscendo immediatamente l’uomo alto e dai capelli chiari nella foto, aveva tentato di tirarsi indietro, ma l’altro era stato fermo nella sua posizione: conosceva la sua fama di investigatore e voleva che fosse lui a occuparsi del caso. Consolandosi per la somma che avrebbe guadagnato, aveva accettato. Il fascicolo riportava nozioni dirette e utili alla sua investigazione. Era convinto che il mandante reale fosse la moglie di Masumi Hayami, visto il recente matrimonio, ma lui non l’aveva mai vista, trattava solo con l’uomo ricco.

C’era davvero un altro osservatore! Ma non era un collega investigatore, era una specie di guardia del corpo, comunque un collaboratore di Masumi Hayami. Spesso lo seguiva, ma soprattutto sorvegliava la ragazza. Maya Kitajima rappresentava il più ingente investimento della Daito Art Production ed era ovvio che Hayami la tenesse sotto controllo. Il cliente aveva anche parlato di rose scarlatte.

Quando aveva affrontato quel discorso era apparso estremamente serio e lui gli aveva prestato attenzione: la gente faceva un sacco di cose strane e ormai non si meravigliava più di niente. Quando aveva riferito di aver individuato l’osservatore, il cliente era rimasto particolarmente soddisfatto, come se si fosse aspettato quel risultato, e lo aveva premiato con altro denaro. Da quel momento in avanti, il suo ruolo era cambiato ed era passato all’investigazione vera e propria facendo attenzione a quell’ombra che seguiva la ragazza. Il cliente era convinto che Hayami intrattenesse una relazione con quell’attrice.

Maya Kitajima era un’attrice eccezionale, un talento raro e l’aveva capito anche lui, ma in tutti quei mesi non si erano mai incontrati da soli, tranne presso gli uffici della Daito, e i loro incontri pubblici finivano quasi sempre in aspre litigate, che confermavano un’abitudine assodata negli anni. Per nessuno dei suoi spettacoli aveva ricevuto rose scarlatte ed era sicuro che non ne avesse ricevute neppure in camerino perché pagava sempre garzoni o stagisti per ottenere le informazioni.

Aveva ripetuto più volte al suo cliente nei mesi che quell’investigazione non era necessaria, quei due non avevano una relazione, anzi, per quanto aveva visto e sentito, non c’era praticamente niente che li accomunasse, tranne il teatro: la recitazione per lei e i soldi per lui. Ma certo quella non era una novità. Eppure il cliente lo aveva pagato per continuare.

E aveva avuto ragione.

Svogliatamente aveva raggiunto Maya Kitajima fino a Yokohama. Lei aveva fatto un’intervista, un servizio fotografico ed era sempre accompagnata da un manager della Daito Art Production. Solita routine. Annoiato e infreddolito li aveva seguiti per mezza città, in posti assurdi che per lui non avevano alcun senso. Il tizio che la controllava sempre a distanza non c’era, così lui si era rilassato.

Quel pomeriggio era tornata di nuovo al parco. Aveva portato la sua fida macchina fotografica e si era appostato poco distante. Incantato dalle favole che lei stava interpretando per dei ragazzini, non aveva notato l’arrivo di Hayami. Aveva sussultato all’improvviso ma, cosa ben più importante, aveva visto l’uomo in abiti scuri. Era riuscito a nascondersi scorgendo dei fogli bianchi che Hayami aveva passato al manager seduto sul muretto. Era stato costretto a fare un lungo giro per evitare l’altro osservatore. Si spostava, guardava, scrutava, forse cercava fotografi o giornalisti in agguato, sempre pronti allo scoop, e lui doveva farlo a sua volta. Quando era riuscito a inquadrarli, stavano comprando dei takoyaki ad un chiosco sulla strada oltre il parco.

Lei sembrava felice, forse i documenti che aveva passato al manager erano un copione per uno spettacolo ed era venuto a portarglielo di persona. Sembrava il solito incontro di lavoro, si erano seduti su una delle prime panchine del parco e l’atmosfera era cambiata.

Aveva seguito così tante coppie che ormai non aveva più necessità neanche di origliare. Le espressioni cambiavano, anche le posture del corpo. Si erano scambiati alcune frasi a bassa voce, aveva scattato molte foto, era la prima volta che li osservava così vicini. Non era in una buona posizione, ma avrebbe scommesso che lui l’aveva presa per mano o viceversa, perché d’improvviso si erano avvicinati e lei si era appoggiata al suo braccio.

Non era accaduto nient’altro, ma era qualcosa di completamente diverso dai mesi precedenti.

Aveva dovuto attendere qualche minuto che le due auto si allontanassero dal parco, poi li aveva seguiti. Con lo zoom che aveva acquistato era riuscito a fotografarli anche all’interno dell’auto, ma non era accaduto assolutamente niente. Avevano scambiato due parole, poi lei era scesa e lui ripartito, seguito dalla macchina dell’osservatore.

In quel momento stava scorrendo le foto che aveva fatto sul display e, tranne la sua sensazione di aver visto qualcosa di diverso, non testimoniavano assolutamente nulla. Sì, lei si era appoggiata a lui, ma potevano esserci mille motivi che non giustificavano certo un’infedeltà di Hayami. Era molto combattuto se rivelare o meno quelle immagini al suo cliente oppure indagare ancora prima di fissare un appuntamento.

Sospirò, chiuse l’obiettivo con la protezione e decise di dormirci su.


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Capitolo 5
*** Stage #5. Intervista con sorpresa ***


Stage #5. Intervista con sorpresa



Se Maya avesse dovuto fare un bilancio di quell’ultimo mese avrebbe scritto “positivo”. Sfogliò l’agenda fitta di impegni ben incasellati negli orari. Da quando era tornata da Yokohama, il signor Hayami aveva mantenuto la parola. Aveva potuto scegliere i corsi da frequentare, dilatando lo spazio e lasciandosi un pomeriggio libero a settimana che trascorreva sempre a teatro. Lei invece non era riuscita affatto a mantenere la promessa.

Chiuse di scatto l’agenda e arrossì. Aveva assistito ad alcuni spettacoli in altri teatri, ma sempre di nascosto, senza coinvolgere Rei e soprattutto non aveva più rivelato la sua presenza facendosi riconoscere o firmando autografi. Lui non l’aveva più chiamata nel suo ufficio per rimproverarla, segno che non l’aveva ancora beccata, e lo aveva incontrato solo agli inizi di dicembre per discutere di “Madama Butterfly” con il regista e lo sceneggiatore. Era stata così contenta di poterlo rivedere che non le era interessato affatto che fossero presenti altre persone. L’euforia di poter interpretare Chōchō-san aveva camuffato la sua emozione più profonda.

Le prove proseguivano serratamente e Natale si avvicinava. Era contenta di poter lavorare con ottimi attori sebbene non avesse ancora trovato come rendere al meglio il personaggio complesso che avrebbe dovuto interpretare. C’erano molti punti che la lasciavano perplessa, ad esempio cosa spingesse una donna ad attendere un uomo così a lungo e, cosa ben più difficile da comprendere, come potesse suicidarsi lasciando a quello stesso uomo ingrato il suo unico figlio. Erano sentimenti molto forti, niente in confronto a diventare un albero di susino, ma stava affrontando Chōchō-san con la stessa caparbietà con cui aveva, alla fine, compreso Akoya.

Si vestì rapidamente e uscì di corsa per recarsi alle prove. Quel pomeriggio la signorina Mizuki aveva inserito un’intervista per “Madama Butterfly” alla quale avrebbe partecipato insieme ad altri attori. Si portò dietro un cambio di abiti, come le aveva insegnato la segretaria, dato che non avrebbe avuto tempo di tornare a casa, e si fiondò in camerino una volta raggiunti gli Studi della Daito.

Indossò il suo abito di scena e schizzò rapida in sala prove. Col passare del tempo si rendeva conto che una delle cose che più le mancava, era lavorare con Kuronuma. Il cast della “Dea Scarlatta” che aveva partecipato allo spettacolo dimostrativo era stato quasi interamente confermato e assunto anche dalla Daito Art Production. Era assurdo formare nuovi attori quando quelli presenti erano stati diretti addirittura dalla signora Tsukikage. In quel momento, proprio come lei, erano tutti impegnati in altre rappresentazioni. Sakurakoji non era neanche in Giappone e stava trascorrendo tre mesi in Europa. Ad aprile si sarebbero tutti ritrovati per rimettere in scena nuovamente la “Dea Scarlatta”.

Appena comparve, venne immediatamente fagocitata dalle direttive del regista Ito. Le scene si susseguirono una dietro l’altra, mettendola a dura prova. Non riusciva a comprendere come mai ogni regista da lei incontrato era un burbero esigente dalla voce che le faceva tremare le gambe. Quest’ultimo ovviamente non era diverso. L’unico conforto, solitamente, era nei colleghi che si dimostravano spesso amichevoli e comprensivi, quando non le facevano una lotta serrata. Sia la signora Tsukikage che il signor Hayami l’avevano avvisata di quanto fosse spietato il mondo dello spettacolo e in passato aveva avuto modo di provarlo sulla propria pelle. L’unica rivale che si era battuta lealmente con lei ed era munita di un incredibile senso dell’onore era Ayumi Himekawa.

La bambina prodigio era cresciuta, nonostante avessero la stessa età, lei era sbocciata come un meraviglioso giglio. Aveva sposato il fotografo Peter Hamil che l’aveva seguita in tutte le fasi dello spettacolo dimostrativo, avevano aperto una scuola di recitazione dove venivano accolti attori che non potevano permettersi le rette di scuole come la Ondine. Inizialmente la scuola si era avvalsa di un fondo curato dal padre di Ayumi, poi aveva iniziato a marciare con le sue gambe ottenendo grandi successi coi loro spettacoli.

Ayumi era cieca. Ancora non riusciva a capacitarsi come avesse potuto accettare un compromesso del genere pur di partecipare alla sfida contro di lei per la “Dea Scarlatta”. Era sicura che la signora avesse scelto con coscienza e in base al loro rendimento, neanche per un istante aveva pensato che la sensei avesse escluso Ayumi per ciò che le era accaduto. Anche la maggior parte degli attori che accettava la sua scuola avevano qualche disabilità, oltre a problemi economici, ma le loro rappresentazioni erano stupefacenti e meritavano tutto il successo che avevano.

Faceva molta attenzione alle persone che aveva intorno, soprattutto dopo quello che era accaduto durante le registrazioni di “Lo splendore del cielo” e il suo incontro con la terribile arrivista Norie Otobe. Era uscita cambiata da quell’esperienza, parte della sua innocenza irrimediabilmente perduta. In alcuni degli spettacoli che avevano inframezzato la “Dea Scarlatta” c’erano stati dei problemi, ma il signor Hayami aveva stroncato sul nascere qualsiasi reazione, intimando a tutti gli attori di lavorare seriamente a discapito di multe salate sui loro contratti. Magicamente, citando i soldi, tutte le cose tornavano a posto…

Uscì dalla sala prove sudata e sfinita con quel ricordo in testa. Ridacchiò e l’attore che interpretava il tenente Pinkerton corrugò la fronte.

- Il regista ci ha appena detto che la scena nove è terribile e tu ridi? - borbottò sconsolato.

- No! No! Non ridevo di quello! - si affrettò a rettificare Maya arrossendo - Per la scena non preoccuparti, vedrai che troveremo la giusta interpretazione! - lo rassicurò trattenendolo per un braccio e sfoderando il suo sorriso migliore.

L’attore la guardò e sorrise a sua volta.

- Kitajima… - sussurrò pensieroso - Penso che parte delle nostre difficoltà vengano dal fatto che non ci conosciamo -

Maya sbatté più volte le palpebre.

- Sei un’attrice famosa, chi non conosce Maya Kitajima - recuperò arrossendo - Ma io intendo… insomma… non sappiamo niente l’uno dell’altra… io a volte non so neanche come prenderti durante le prove, invece Chōchō-san e Pinkerton hanno un rapporto molto intenso… - abbassò la testa e arrossì di nuovo.

Maya spalancò gli occhi, comprendendo infine cosa stesse cercando di comunicarle. La consapevolezza la disorientò quando si rese conto che aveva ragione: parte dei loro problemi erano dovuti sicuramente al fatto che fra loro due non ci fosse alcuna affinità. In scena risultavano troppo imbarazzati, la recitazione era solo tecnica e poco coinvolgente.

Picchiò un pugno nel palmo della mano facendo sussultare il collega davanti a lei.

- Ma certo! - esclamò soddisfatta - Vieni, andiamo a prendere un tè! - suggerì afferrandolo per la manica della divisa da ufficiale della marina degli Stati Uniti. Il giovane fu costretto a seguirla tenendosi il cappello in testa perché non volasse via.

Maya entrò come un ciclone nella grande sala ristoro degli studi attirando gli sguardi sorridenti di altri attori seduti. Occupò un tavolo e il collega si sedette accanto a lei sul divanetto che fungeva da seduta. Un cameriere si avvicinò immediatamente e ordinarono il tè e due fette di torta.

- Bene, partiamo dall’inizio! - propose Maya - Io sono Maya - disse porgendogli la mano. L’attore la guardò imbarazzato, poi la strinse.

- Io sono Kinji - rispose sorridendo iniziando a rilassarsi. Tutti conoscevano l’eccentricità di Maya Kitajima, ma da quando l’aveva conosciuta per “Madama Butterfly” si era accorto che invece era una ragazza semplice e, scopriva in quel momento, estroversa.

- Io compirò ventun anni a febbraio - disse lei abbassando lo sguardo e ammettendo che fra loro c’era troppa tensione.

- Io ne ho ventotto -

- Mi piacciono il teatro, la cioccolata e gli hamburger! - confessò sperando che iniziare con i suoi peccati potesse rompere il ghiaccio.

- Davvero? Io ho iniziato a recitare a quindici anni, a scuola, e da allora non ho più smesso. Mi piace il gelato e leggo tantissimi manga! - le disse lasciandosi contagiare dal suo entusiasmo. Mi sta rendendo le cose più facili… è come se sapesse esattamente cosa serve per fare conoscenza… è intuitivo o studiato questo dialogo?

- Manga! - esclamò Maya accogliendo con gioia la fetta di torta al cioccolato che le porse il cameriere, il quale appoggiò due tazze, il tè e la torta di Kinji.

- Sì, soprattutto sui robot - annuì l’attore - Tu leggi qualcosa? - le chiese iniziando a trovare piacevole la chiacchierata.

- No… - Maya arrossì, vergognandosi, ma si rese conto che era inutile mentirgli. Lo scopo era conoscersi.

- La signora Tsukikage è così terribile come dicono? - le chiese usando il cucchiaio per raccogliere un pezzo di torta.

Maya deglutì e sbiancò e Kinji scoppiò a ridere.

- Immagino di sì - si rispose da solo. Era una domanda che voleva farle da quando aveva saputo che avrebbe lavorato con lei. La sensei Tsukikage era tratteggiata come una donna severa ed esigente.

- Lei è… - Maya si prese del tempo per rispondere - Lei conosce profondamente il teatro e l’animo umano, i sentimenti e le maschere con cui dovrebbero essere rappresentati i  personaggi - iniziò in un sussurro lieve - Però… ti lascia trovare il tuo modo, lascia che tu entri nel personaggio e lo faccia tuo! - aggiunse con enfasi e occhi brillanti.

Kinji dilatò lentamente gli occhi quando vide la sua espressione farsi intensa e comunicativa. Ecco Maya Kitajima… quando parla di teatro si illumina come una stella…

- Mi piacerebbe essere diretto da lei… - mormorò il giovane con il cucchiaio a mezz’aria.

- Non si trova più a Tokyo… - lo informò Maya - Si è ritirata - aggiunse con malinconia. All’inizio, l’assenza della signora Tsukikage e la decisione di stipulare un contratto con la Daito, l’avevano enormemente mortificata, poi, spronata dalla sensei stessa e da Masumi Hayami, aveva trovato il modo di cavarsela da sola.

- Immagino non sia facile sopravvivere alle sue direttive - ridacchiò Kinji cercando di risollevare la situazione. All’improvviso si era oscurata e i suoi occhi si erano riempiti di malinconia.

- Oh, no! Per niente! - replicò Maya scacciando quei ricordi. Scoppiarono a ridere insieme e si tuffarono nuovamente sulle fette di torta.

- E… dimmi… com’è Ayumi Himekawa? - riprese Kinji chiedendole la seconda curiosità che l’aveva assillato negli ultimi tempi. Maya sollevò gli occhi dal piatto e rifletté un istante.

- Un talento naturale - disse infine - Determinata, caparbia con un grande senso dell’onore e un rispetto infinito per il teatro - aggiunse sperando di aver colto in poche parole l’essenza della sua più acerrima rivale e amica.

Kinji smise di masticare e osservò affascinato il volto della ragazza davanti a lui. I giornali di gossip avevano riportato le notizie più assurde circa il rapporto fra le due attrici e ciò che Maya gli aveva appena detto contrastava nettamente con tutto quello che credeva di sapere. Maya Kitajima stima la Himekawa… ne parla con grande orgoglio e la sua espressione aggiunge dell’affetto alle sue parole…

- Allora non è fredda come dicono… - valutò finendo di masticare il dolce.

- No, non lo è - rispose tranquillamente Maya versando il tè per entrambi - Quali sono i momenti nelle scene che stiamo provando che ti impediscono di recitare al meglio? - aggiunse catturando la sua attenzione. Kinji deglutì e comprese che le chiacchiere erano finite proprio quando iniziava a divertirsi.

- Quando devo toccarti - le confessò arrossendo come un liceale. Aveva recitato molte parti da innamorato, ma ciò che coinvolgeva Pinkerton e Chōchō-san era sfolgorante e incredibile, almeno all’inizio, e lui non si sentiva mai a suo agio sulla scena.

- Lo so, è stato uno scoglio che ho dovuto superare anche io - annuì Maya incupendosi.

- E come l’hai risolto? - chiese lui in un sussurro teso sporgendosi verso di lei.

- Con la pratica… - mormorò Maya arrossendo lievemente.

Kinji spalancò gli occhi e rimase di sasso.

- Pratica? - balbettò indeciso.

- Sì, devi pensare fortemente di essere Pinkerton, devi trovare dentro di te la sua maschera e mostrarla alla mia Chōchō-san! Quando siamo sulla scena, io non dovrei essere Maya Kitajima! - gli disse - Probabilmente, il motivo per cui non riesci ad interpretare bene il tuo Tenente dipende da me… è colpa mia… - aggiunse abbassando lo sguardo e appoggiandosi allo schienale del divanetto con un sospiro debole.

- No! Che dici? - Kinji la scosse per le spalle - Ogni volta che io ti guardo resto sconcertato dalla tua trasformazione, Maya! - cercò di rassicurarla. Quando lei saliva sul palco, cambiava completamente e perdeva perfino i tratti fisici dell’attrice per diventare il suo personaggio.

- A quanto pare non basta - borbottò Maya sconsolata - Qui non siamo in sala prove, ci sono altre persone, macchinari, tutto è moderno. Recitiamo ora la quarta scena - gli propose.

Kinji spalancò la bocca per lo stupore, ma non riuscì in alcun modo a fermarla. I suoi occhi cambiarono, la sua postura si modificò completamente e dentro il kimono rosso apparve Chōchō-san. Deglutì sconvolto, era impreparato e sentì le mani coprirsi di sudore freddo. È spaventosa… entra nel personaggio in un secondo…

Maya recitò la sua prima battuta e lui, dopo un attimo di esitazione, rispose. Lei si alzò, simulando un ventaglio che non aveva. Kinji fu dolorosamente consapevole delle persone intorno a loro che si voltarono a guardarli, ma la sua attenzione venne attirata di nuovo dai movimenti di Maya. Camminava leggiadra sugli zoccoli che ticchettavano sul pavimento. Era chiaro che stava prendendo una bottiglia e due bicchieri. Tornò da lui e li mise sul tavolino, ignorando completamente ciò che c’era già appoggiato.

Maya dette voce alla seconda battuta, lui si lasciò trasportare, cercando di immedesimarsi nel tenente Pinkerton. All’improvviso ogni cosa scomparve e vide solo Chōchō-san. Era imbarazzata, lo sapeva e lui aveva solo una gran voglia di toccarla. Quando gli avesse offerto il vino, lui le avrebbe toccato le dita affusolate della mano. Rispose alla battuta e la sua espressione cambiò. Chōchō-san si voltò e abbassò lo sguardo, poi prese il calice e glielo porse.

Pinkerton attuò il suo piano e volontariamente la toccò. Il cuore di Kinji palpitò d’emozione quando i suoi occhi incontrarono quelli ardenti della giapponese. Il Tenente americano non aveva mai incontrato una come lei. Chōchō-san rimase immobile, attirata come un magnete dall’uomo davanti a lei. Il bicchiere cadde e andò in frantumi strappando qualche esclamazione agli spettatori intorno a loro.

Il Tenente si alzò lentamente e allo stesso tempo incrociò le dita a quelle di lei. Il tempo trascorse lentamente, come se anche solo respirare avesse potuto infrangere quel momento. Chōchō-san sentiva il cuore scoppiarle in petto e il calore delle dita di lui irradiarsi dentro di lei.

- Chōchō-san… - sussurrò Pinkerton continuando a guardarla con occhi brillanti. Le due mani incrociate si unirono, lui allungò l’altro braccio e l’attirò a sé con un gesto morbido e di possesso. Il militare abbassò lentamente la testa per baciarla e lei si lasciò guidare, avvolta dal suo amore per lui che finalmente trovava una corresponsione.

Un applauso indolente richiamò l’attenzione della sala e spezzò l’incanto della recitazione dei due attori. Immediatamente Kinji la lasciò e Maya sbatté le palpebre ritrovando se stessa.

- Complimenti, davvero un’ottima interpretazione - li elogiò una voce fredda e ironica smettendo di battere le mani.

Maya si girò sapendo già chi avrebbe trovato. Kinji era sbiancato ed era rimasto immobile come una statua.

- Signor Hayami - lo salutò Maya con un profondo inchino eseguito perfettamente alla maniera antica.

- Pr-Presidente Hayami - la imitò Kinji senza riuscire a mantenere la voce ferma. Era ben consapevole che quell’uomo controllato non amava che i suoi attori si comportassero in modo poco consono e sicuramente recitare in mezzo all’area ristoro non era certo degno di un attore che si ritenesse tale.

- Credevo che la Daito Art Production avesse pagato profumatamente la costruzione di questi studi e sale prove annesse - sibilò infastidito - Perché trovo due dei nostri attori più pagati che recitano a casaccio nell’area ristoro infastidendo i presenti che avrebbero diritto ad un po’ di relax? - la domanda fece letteralmente fuggire la decina di persone e congelò Kinji sul posto. Maya invece fece un passo avanti.

- Abbiamo dei problemi con i nostri personaggi - riferì altrettanto freddamente. Non aveva alcuna intenzione di concedergli dello spazio per quell’assurda e inutile rimostranza. Non stavano dando fastidio a nessuno!

- E li risolvete al bar? Cosa ne pensa il regista? - indagò Masumi assottigliando lo sguardo. Mentre stava attraversando il corridoio per raggiungere la zona delle sale prove, li aveva visti intenti in quella che era chiaramente una scena di “Madama Butterfly”. Come al solito Maya aveva attirato l’attenzione senza neanche accorgersene, trascinando con sé Miura Kinji, l’attore che interpretava il tenente Pinkerton. Li aveva osservati per un po’, l’atmosfera era sensibilmente cambiata e anche le persone intorno se ne erano accorte. Quando le loro mani si erano unite, per la prima volta da mesi aveva avvertito nuovamente quell’inutile morsa di gelosia. Quante parti aveva recitato da innamorata? Per non parlare del rapporto intenso che aveva avuto con Sakurakoji e che sarebbe ricominciato in aprile. Nell’istante in cui il giovane attore l’aveva abbracciata, avrebbe voluto correre a separarli, ma era rimasto immobile, e quando era evidente che l’avrebbe baciata davanti a tutti, aveva interrotto la scena.

- Signor Hayami, perché è qui? - gli domandò Maya con tono irritato.

Kinji passò lo sguardo fra i due che si guardavano in cagnesco e rimase sbalordito rendendosi conto che stava assistendo ad uno dei confronti che avevano reso famosi i loro incontri. L’attrice e il produttore… non ci posso credere… è tutto vero…

Masumi aggrottò pericolosamente la fronte, ma Maya rimase esattamente dov’era, continuando a fissarlo.

- Voi due non dovete partecipare ad un’intervista? - chiese con calma godendosi la scena che sarebbe scaturita.

Maya sbiancò, si girò di scatto, guardò Kinji con occhi spalancati, sollevò lo sguardo sull’orologio da parete, imitata dall’attore, poi tornò a guardare il signor Hayami portandosi una mano alla bocca.

- Non cambierai mai, Maya… - le fece notare lui con un sorriso enigmatico. In realtà gli era occorso un notevole autocontrollo per non scoppiare a ridere.

Maya arrossì violentemente, si tolse i geta, fece un inchino veloce e scappò rapida come il vento ignorando lo sguardo assassino che sentiva sulla schiena. Kinji fece quasi i suoi stessi movimenti e si dileguò in fretta.

Masumi li seguì con lo sguardo lungo il corridoio e sorrise mettendosi le mani sui fianchi. Da Yokohama non l’aveva più rivista e aveva sperato in un incontro più sereno. Quella notte, quando era rientrato a casa, aveva trovato Shiori ad attenderlo. Si era preparato ad un suo quarto grado, invece gli aveva fatto le solite domande sulla giornata trascorsa che lui aveva liquidato con le risposte che si era preparato, senza necessità di scendere nel dettaglio. Da allora si era già messo in movimento. Più del matrimonio, per il quale avrebbe potuto chiedere il divorzio, lo preoccupava il Gruppo Takatsu. Aveva chiamato due dei suoi avvocati più fidati e, al termine di quell’insolita riunione, aveva incaricato Hijiri di prelevare alcuni documenti dall’azienda di cui presto sarebbe divenuto amministratore delegato.

Inoltre c’era il contratto di esclusiva firmato con Maya stessa. Le clausole vessatorie che l’aveva costretta ad accettare si stavano rivoltando contro di lui. Se non le avesse inserite, sarebbe stato più facile fare ciò che aveva in mente. Il matrimonio, la Takatsu, i diritti della “Dea Scarlatta”, ogni cosa aveva una sola origine: suo padre. Masumi aveva contribuito a peggiorare le cose, questo era indubbiamente vero, ma sapeva bene cosa avrebbe potuto fare il suo genitore se solo l’avesse voluto. Qualsiasi piano volesse attuare doveva tenere in considerazione soprattutto Eisuke Hayami.

L’idea di abbandonare il nome di suo padre per sganciarsi da ogni cosa, come aveva pensato poco prima del matrimonio, rimaneva la sua ultima possibilità, perché adesso c’era in gioco molto di più. Sapeva che non sarebbe stato facile, ma non riusciva più a condurre quella duplice vita, separando due realtà che non sarebbe mai riuscito a far convivere.

In quell’istante, Maya e Miura sbucarono nel corridoio. Correvano senza neanche guardare e lei si bloccò quando lo vide. Che ci fa ancora qui???

- Forse sarebbe stato meglio presentarvi con gli abiti di scena… - valutò Masumi scrutandoli da capo a piedi.

- Siamo pronti, signor Hayami - disse Maya trafelata, ignorando la sua battuta.

- Quella divisa ti dona molto, Miura - continuò Masumi.

- Grazie, signor Hayami - sorrise l’attore con un lieve inchino.

Maya fremeva per uscire e chiamare il primo taxi o avrebbero fatto tardi davvero.

- Ormai non c’è più tempo - constatò Masumi guardando l’orologio - Andiamo - aggiunse indicando il corridoio e, in fondo, l’atrio.

- Andiamo? - ripeté Maya spalancando gli occhi.

Masumi la ignorò, si incamminò seguito da Kinji che lanciò un’occhiata a Maya intimandole di seguirli. Lei mosse un passo, poi un altro, mentre la consapevolezza si faceva strada dentro di lei. È la prima intervista per Madama Butterfly… lui è sempre presente alla prima intervista… come ho potuto dimenticarmene?!

Affrettò il passo e li raggiunse. Quando uscirono c’era un’auto della Daito ad attenderli. Maya salì in mezzo, alla sua sinistra Kinji e alla destra il signor Hayami. La macchina partì immediatamente ad un suo cenno e Masumi guardò in tralice il suo profilo. Aveva le guance soffuse di rosso, si era chiaramente dimenticata della sua presenza all’intervista, ma non l’avrebbe ammesso neanche sotto tortura. Represse un sorriso e portò la sua attenzione sulla strada.

Maya spostò lo sguardo per un istante e lo abbassò immediatamente dopo. Stava guardando avanti e per fortuna non l’aveva trovato a fissarla con sguardo cupo come faceva di solito. Devo calmarmi altrimenti anche Kinji si accorgerà che qualcosa non va… io… non ricordavo che ci fosse… Sollevò ancora lo sguardo e incontrò i suoi occhi indagatori. Lei sussultò e lui rise, facendo sporgere la testa di Kinji in avanti.

Maya arrossì e distolse immediatamente lo sguardo, mentre l’attore accanto a lei alzò le sopracciglia interdetto, senza comprendere cosa fosse accaduto.

- Attenetevi alle informazioni che vi sono state fornite e non improvvisate. Se una domanda vi mette in difficoltà, risponderò io - li rassicurò Masumi dopo qualche attimo di silenzio.

- Sì, signor Hayami - risposero entrambi gli attori.

- La signorina Mizuki vi ha detto quali sono i giornalisti più insidiosi, prestate attenzione durante l’intervista - aggiunse vedendo in lontananza il palazzo dove si sarebbe svolto l’evento promozionale.

L’autista si fermò nella corsia riservata e immediatamente due valletti si occuparono della loro accoglienza, aprendo le portiere. Il direttore dell’evento si presentò a Masumi Hayami con deferenza e li accompagnò nella sala allestita e gremita di giornalisti. Li fece passare per un corridoio laterale che sbucava dietro il piccolo palco rialzato con tavolo e microfoni. Cartelloni di “Madama Butterfly” decoravano le pareti e la base del palco. Il regista e i due attori che interpretavano Suzuki, la servente di Chōchō-san, e il principe Yamadori, erano già lì in attesa.

- Kitajima! - la redarguì subito il regista - Dove eravate finiti! Usciti dalle prove avreste dovuto semplicemente cambiarvi! - l’aggredì, riprendendosi immediatamente quando anche il Presidente Hayami entrò nella stanza - Ben arrivato, signor Hayami -

- Ho trovato i suoi due primi attori che amoreggiavano al bar - lo informò con tono ironico - Dovrebbe fare più attenzione, regista Ito -

Il regista avvampò e si girò verso Maya.

- Kitajima! - esclamò di nuovo furente e lei incassò la testa nelle spalle puntando lo sguardo al suolo.

- Signori, vi prego! - il direttore cercò di ristabilire l’ordine - Se siete pronti possiamo iniziare - aggiunse prima che il signor Ito proseguisse.

- La seguiamo - lo rassicurò Masumi avanzando sicuro verso di lui. Maya ebbe modo di guardarlo qualche attimo. Nonostante la sua ironia, era concentrato e non perdeva mai il controllo della situazione. Ormai dovrei essere abituata a questo suo modo di fare, eppure ogni volta mi stupisco delle sue capacità…

Il direttore aprì la porta alle sue spalle ed ebbero accesso alla sala vera e propria che era protetta da un lungo e pesante tendaggio rosso, come un sipario. Da un lato delle scalette portavano al palco rialzato. Salì per primo chiedendo agli altri di attendere, annunciò l’inizio dell’evento e il brusio che proveniva dalla sala cessò, seguito da un applauso. Chiamò il nome del regista che oltrepassò la tenda rossa con decisione.

Maya avvertì una stretta lieve al braccio e non ebbe alcuna necessità di voltarsi, sapeva che era lui.

- Ricordi la prima intervista per la “Dea Scarlatta”? - le sussurrò e lei annuì con il cuore in tumulto - “Madama Butterfly” è altrettanto importante per la Daito, esattamente come lo è per i suoi attori - aggiunse sospingendola appena, quando il direttore chiamò il suo nome.

Venne accolta da un applauso come i colleghi che la seguirono, uno dopo l’altro. Presero posto al tavolo allestito con una elegante tovaglia bianca che arrivava fino al palco e, sebbene il direttore non avesse accennato l’entrata di Masumi Hayami, lui era lì, proprio dietro di loro. I giornalisti sussurravano a più riprese il suo nome, indicando l’angolo dietro di lei e Maya fu costretta a fissare lo sguardo avanti per non voltarsi e cercare i suoi occhi.

Aveva affrontato tante interviste nei mesi passati, riusciva a dominare l’ansia, ma era rimasta intatta la paura di sbagliare, di dire qualcosa che non avrebbe dovuto.

L’intervista iniziò, le prime domande furono tutte per il regista e loro si limitarono ad ascoltare. Poi passarono a Maya, che se la cavò discretamente eccetto un’unica risposta che generò l’ilarità generale e la fece arrossire da capo a piedi. Fu il turno dei colleghi e lei poté rilassarsi, notando come Kinji fosse a suo agio coi giornalisti e non subisse alcuna pressione dalle loro domande. Proprio come era accaduto con Sakurakoji all’inizio della “Dea Scarlatta”, qualcuno domandò se la passione fra Pinkerton e Chōchō-san fosse esplosa anche nella realtà.

- Maya Kitajima ed io siamo solo colleghi, attori che cercano di interpretare al meglio i loro personaggi - rispose neutro Kinji mantenendo la calma. Maya lo guardò ammirata, invidiandogli l’autocontrollo che stava mostrando.

Stava proprio ringraziando il cielo che le avessero risparmiato quella domanda, quando qualcuno, dal fondo della sala, si rivolse a lei.

- E lei, signorina Kitajima, condivide i pensieri del suo collega? -

Maya raggelò e non fu la sola. Dietro di lei avvertì distintamente il signor Hayami fare la stessa cosa quando la moglie avanzò di qualche passo facendosi ben visibile. Pensò rapidamente come comportarsi, la mente frullava impazzita. Poi fece la cosa che le veniva più naturale: recitò.

- Kinji Miura ed io siamo solo colleghi, attori che cercano di interpretare al meglio i loro personaggi - ripeté utilizzando sostanzialmente la stessa identica flessione della voce che Kinji aveva usato pochi secondi prima. Aggiunse un sorriso che avrebbe dovuto aumentare la sua sicurezza e che invece la fece quasi vacillare quando i giornalisti riconobbero la donna alta in tailleur, i lunghi capelli, che prima del matrimonio portava sciolti, erano appuntati in un’elaborata ed elegante acconciatura.

- Quindi il vostro è solo un rapporto professionale - insisté Shiori imponendo la sua presenza.

Maya continuava a tenere lo sguardo fisso su di lei per il terrore che i giornalisti male interpretassero la sua reazione. L’ultima cosa che voleva era mettere in difficoltà il signor Hayami con la sua goffaggine.

- Assolutamente - replicò Maya annuendo lentamente.

- I sentimenti presenti in “Madama Butterfly” sono potenti e devastanti - le venne in aiuto Kinji, trasformando la provocazione in una semplice domanda come se l’avesse fatta un giornalista - Se ogni volta che interpretiamo un personaggio dovessimo farci trascinare anche nella realtà, si immagini che confusione! - aggiunse con una lieve risata che conquistò alcuni tra i presenti sciogliendo la situazione.

Per fortuna era stato lui a parlare, Maya non avrebbe mai potuto darle una risposta così presuntuosa. Sei stato bravissimo, Kinji… Spero tu sappia chi è la donna a cui ti stai rivolgendo… Aveva appena terminato il pensiero quando sotto il tavolo sentì il suo piede toccarla lievemente e seppe che sapeva perfettamente chi fosse.

Maya vide distintamente lo sguardo di Shiori spostarsi lentamente alle sue spalle. Un freddo gelido le irrigidì la schiena: sapeva che stava guardando il signor Hayami.

Le risatine dovute alla replica di Kinji si spensero e un altro giornalista riprese l’intervista, rivolgendo una nuova domanda al regista Ito. Maya perse il filo del discorso, avvinta dalla tensione di cui si sentiva stranamente partecipe. Perché mi sento così? Mi sembra quasi di avvertire il suo disagio anche se è distante da me e non sto guardando la sua espressione… Signor Hayami, cosa succede? Perché la signora Shiori è qui?

Quello scambio silenzioso e sofferente proseguì finché l’intervista terminò, salutata con gli auguri di buon proseguimento e un lungo applauso. La sala si svuotò lentamente, loro tornarono dietro il tendaggio e quando Maya passò accanto al signor Hayami azzardò una fugace occhiata. Il suo volte era privo di espressione, non accennava a muoversi, e quando lei si voltò verso la platea di sedie quasi vuote, vide Shiori ancora in piedi in mezzo.

Discesero le scalette borbottando fra loro e, quando furono dall’altra parte, Maya non poté fare a meno di restare indietro e sbirciare scostando un lembo rosso. Masumi Hayami aveva raggiunto la moglie e stavano parlando sommessamente.

- È sua moglie, vero? - sussurrò una voce vicinissima a lei facendola sussultare.

- Sì, Kinji, è Shiori Hayami - rispose in un mormorio lieve con notevole sforzo - Grazie, per prima - aggiunse voltandosi a guardarlo e arrossendo lievemente.

- I giornalisti chiedono sempre le stesse cose, sono noiosi. Basta prepararsi le risposte e dare sempre le stesse. Però non vale! Tu mi hai copiato! - l’accusò scherzosamente dandole una spintarella.

Maya ridacchiò e tornò a guardare oltre il tendaggio.

- Tu la conosci? - le domandò Kinji quando la vide farsi nuovamente assorta.

- No, direi di no… - ammise Maya rievocando ciò che era accaduto con l’anello, l’abito e l’assegno con cui aveva tentato di corromperla. Un moto di rabbia le incendiò le vene. Mentre correvo per riportarle l’assegno, ricordo di essermi domandata più volte il perché del suo atteggiamento nei miei confronti… Poi ogni cosa è stata chiara su quel ponte all’alba… aveva paura di perdere il suo amore… che io fossi un ostacolo… ma ora l’ha sposato, cosa vuole ancora da me?

Kinji fissò il profilo di lei, concentrato sulla scena che vedeva in mezzo alla sala. Era stato un intervento davvero anomalo quello della moglie del Presidente della Daito Art. Si era rivolta direttamente a Maya con una domanda specifica, poi aveva rivolto tutta la sua attenzione al marito.

- Kitajima! - la voce del regista li fece sussultare entrambi - Che fate?! Andiamo! - aggiunse sbracciandosi. Maya mollò il tendaggio e lo seguirono a testa bassa.

- Quando fa così sembra un cavernicolo… - sussurrò Kinji all’orecchio di lei. Maya ridacchiò e si portò una mano alla bocca.

- Non hai mai visto Kuronuma! Agita il copione come una clava! Saranno parenti? - gli disse sempre ridacchiando.

- Cos’avete da ridacchiare?! Quando torniamo in sala prove vi sistemo io! - urlò vendicativo il regista facendo sorridere tutti gli attori.

Maya si voltò un’ultima volta verso il drappeggio rosso. Sapeva che lui era dall’altra parte, insieme a lei e, per la prima volta dal giorno in cui aveva saputo che si erano sposati, provò una acuta fitta di gelosia. È sua moglie… di cosa dovrei essere gelosa… anche se un sentimento profondo ci lega, non è detto che debba consolidarsi… siamo così diversi…

Chiuse la porta e seguì il gruppo.


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Capitolo 6
*** Stage #6. La festa degli attori ***


Stage #6. La festa degli attori



La presenza di Shiori all’intervista per “Madama Butterfly” gli aveva inizialmente fatto pensare al peggio. Quando l’aveva raggiunta al centro della sala, lei l’aveva salutato cordialmente con un bacio, come faceva sempre, e gli aveva proposto di cenare insieme. Masumi le aveva chiesto il perché di quell’entrata durante un’intervista ufficiale e lei aveva risposto che altrimenti non riusciva mai a parlare con lui.

Lui l’aveva fissata in silenzio, conscio della propria colpa, intrinseca in quelle parole, poi l’aveva condotta fuori e a cena, proprio come voleva. Non era accaduto nient’altro da allora: Shiori non era più piombata all’improvviso in luoghi dove non avrebbe dovuto essere e lui si era concentrato nuovamente sul Gruppo Takatsu.

I documenti che Hijiri era riuscito a trafugare confermavano alcuni sospetti che gli erano venuti durante le prime analisi dei bilanci che aveva richiesto la settimana seguente il suo matrimonio. Alcuni conti non tornavano e c’erano spostamenti sospetti di capitali. Forse l’azienda non era così sana come suo padre pensava.

Se avesse fuso la Takatsu alla Daito senza le dovute precauzioni, avrebbe rischiato di far collassare entrambe. Doveva muoversi con molta cautela perché se l’Imperatore Takamiya o qualcuno dei suoi collaboratori avesse subodorato le sue indagini, i pericoli sarebbero stati ancora maggiori.

Si appoggiò allo schienale della poltrona, sollevando gli occhi verso il soffitto bianco dell’ufficio. Il regista Ito aveva richiesta un colloquio direttamente con lui. Si avvicinavano Natale e Capodanno, forse voleva chiedere un periodo di requie per tutti. Sapeva che agli studi avrebbe visto forse Maya e il suo cuore si chiuse spaventato. Era la stessa sensazione che aveva provato in passato quando Shiori aveva scoperto le rose e il suo legame con Maya. Non voleva che ricominciasse tutto da capo, incontrarla avrebbe significato dover dominare i propri sentimenti, rischiare che qualcuno scorgesse il debole filo che li legava e trasformasse quell’informazione in un’arma.

L’interfono squillò, Masumi si riscosse e premette il pulsante.

- Signore, l’appuntamento con il regista Ito - gli ricordò la sollecita segretaria. Lui sorrise stancamente e si alzò.

- Sì, Mizuki, grazie. Sto uscendo - la rassicurò.

- Per gli inviti posso spedirli? Vuole portare lei quelli per il cast di “Madama Butterfly”? - aggiunse con tono malizioso - Dato che sta andando là… - lo pizzicò prima di attendere la sua risposta.

Masumi fissò con astio la lucetta rossa che indicava la linea aperta. Vedo che non ha perso il suo smalto…

- No! Mi ha scambiato per un postino? Li invii normalmente! - sbottò chiudendo la linea.

Mizuki sbatté le palpebre in direzione dell’interfono e della luce ora bianca. Sorrise e tornò ad occuparsi del suo lavoro - Nervoso, signor Hayami? - mormorò soddisfatta. Avrà anche smesso di mandarle rose, ma non significa che l’abbia cancellata dal suo cuore…

La porta dell’ufficio si aprì e lui ne uscì con il cappotto al braccio. Oltrepassò la sua scrivania dirigendosi verso gli ascensori, ma Mizuki non seppe resistere alla tentazione.

- Mi saluti Maya Kitajima! - gli chiese con tono allegro.

Lui si fermò, restando di spalle, poi riprese a camminare senza rispondere.



Gli studi della Daito Art erano tra i più belli in cui Maya avesse mai lavorato. Le sale dove provavano erano tutte fornite di palco, attrezzature per le luci e il suono, scenografie e una cabina di regia, fondamentale per registi e sceneggiatori. Quelle sale non venivano utilizzate solo per il teatro, ma anche per filmare le pubblicità o le serie televisive. Quella che stavano usando in quel momento duplicava un teatro in miniatura.

Dall’intervista le prove erano riprese senza intoppi. Lei e Kinji avevano continuato a vedersi anche oltre l’orario di lavoro, approfondendo la reciproca conoscenza. Il regista aveva constato immediatamente il miglioramento delle loro interpretazioni e li aveva spinti a continuare su quella strada. L’attore si era rivelato un ragazzo intelligente e pieno di interessi, con le idee ben chiare in testa circa il suo futuro. Maya si trovava a suo agio ed era indubbio che la confidenza nella vita privata giovasse anche ai loro ruoli.

Ma c’era ancora qualcosa che non andava con Chōchō-san. La scena del suicidio finale proprio non riusciva a immaginarla. Eppure non è così diverso dalla Dea Scarlatta… anche lei si sacrifica... Incassò il mento nelle mani unite a coppa e osservò gli altri attori sul palco. No! Un momento! Non è affatto uguale… Akoya è una dea incarnata… Chōchō-san invece è una donna! La rivelazione scontata l’avvicinò di un passo al tassello che le mancava.

- Basta! Dieci minuti di pausa! - l’urlo del regista Ito la riscosse dai suoi ragionamenti. I colleghi che stavano provando si raccolsero in gruppetti e uscirono lentamente dalla sala. Le luci vennero abbassate e lei rimase seduta sulla sedia di lato al palco. Sbuffò nervosa, cambiò posizione, poi si alzò. Salì sul palco con l’intenzione di fare qualche tentativo e quando si voltò verso la piccola platea e la cabina di regia, lo vide.

Il signor Hayami era in piedi, dietro quel vetro insonorizzato. Il cuore prese a battere incontrollabilmente e il tempo si fermò. Quando i loro occhi si incrociarono, Masumi lasciò scorrere lo sguardo lungo il suo corpo esile. Indossava il kimono di scena, la parrucca acconciata coi kanzahashi e i geta. Sembrava una donna d’altri tempi e le ricordò la sua interpretazione di Midori in “Takekurabe”.

Maya camminò lentamente avanti, senza smettere di guardarlo. Non riusciva proprio a distogliere lo sguardo anche se nel profondo sapeva che era un comportamento sbagliato da tenere con un uomo sposato. Raccolse i lembi del kimono e lo sollevò appena per scendere i gradini del palco. Lo rilasciò e con eleganza raggiunse la fila di sedie appoggiate alla parete della cabina di regia. Masumi la osservò, catturato dal suo movimento fluido e aggraziato. Più evitava d’incontrarla e più cresceva il suo desiderio di vederla da quel giorno a Yokohama.

C’era solo quella parete a dividerli, con gli sguardi allacciati e il cuore in tumulto rimasero immobili per non infrangere quell’attimo di condivisione. Maya mise le ginocchia sulla sedia, allungò una mano e l’appoggiò al vetro spesso. Inclinò la testa e gli sorrise.

Masumi inspirò e trattenne il fiato. Con un gesto semplice aveva espresso i suoi sentimenti, gli stessi che gli stavano divorando l’anima. Fece un passo avanti, allungò una mano e l’appoggiò al vetro, proprio in corrispondenza della sua. Il suo sorriso era dolce e caldo, come quelli che aveva sempre sognato in passato, ma questa volta lo stava rivolgendo a lui nella realtà.

La porta della sala si aprì con forza, la magia s’infranse e entrambi ritirarono la mano di scatto, come scolari colti in flagrante.

- Oh, signor Hayami, è qui? - il regista fece capolino dentro la sala di regia e dal vetro vide Maya Kitajima.

- Sì, signor Ito - ammise Masumi voltandosi e raggiungendolo. Il regista fece un cenno anche a Maya, che lei ricambiò, poi i due uomini se ne andarono insieme.

Lei espirò e si portò una mano al petto. Santo cielo come batte! Ha toccato il vetro anche lui… è ancora tutto come prima… anche se passano i giorni, lui continua a provare gli stessi sentimenti… chissà perché è qui...

Arrossì nella semi oscurità della sala e chinò la testa chiudendo gli occhi. Anche se fosse riuscito nel suo intento di sistemare le cose, cosa sarebbe cambiato per loro? Non avrebbero potuto vivere quell’amore allo scoperto! Come conciliare il suo ruolo di attrice con il suo di produttore? Scosse la testa con forza e fermò le lacrime improvvise. Non c’è alcun modo…

La porta si aprì di nuovo, gli attori e i tecnici rientrarono costringendola a riprendere le prove e concentrarsi sulla recitazione. Erano tutti euforici e non ne comprendeva il motivo.

- Maya! Hai sentito? - Kinji la raggiunse subito appena la vide.

- No, cosa? - lo interrogò Maya perplessa.

- Il signor Ito ha chiesto una settimana di fermo delle prove da Natale a Capodanno! - esultò felice con un’espressione compiaciuta.

Ecco perché il signor Hayami è qui! Lo avrà chiesto direttamente a lui…

- È... è confermato? - domandò lei titubante.

- Sì! Certo che è confermato! E la festa cade precisa in quel periodo! - Kinji appariva euforico e non stava in sé dalla gioia.

- Festa? - chiese ancora Maya senza capire.

- È vero! Tu sei da poco con la Daito Art - ammise l’attore con aria di chi la sa lunga - Viene organizzata una festa degli attori l’ultimo giorno dell’anno! - spiegò allegro - Io potrò andare a trovare Mina e… - la voce gli morì in gola e arrossì, guardandosi intorno furtivo.

Maya ridacchiò scoprendo finalmente il suo segreto e il motivo per cui sviava sempre il discorso quando gli altri parlavano di fidanzati e della risposta gelida e trattenuta che aveva dato al giornalista durante l’intervista.

- È la tua ragazza… - constatò lei con espressione di chi aveva appena conquistato un’arma letale - Non hai motivo di tenerlo nascosto! - aggiunse strizzandogli un occhio.

- Shhh! Non dirlo a voce alta! - la redarguì Kinji mettendole una mano sulla bocca.

- Perché? - bofonchiò Maya incapace di articolare bene la parola, gli occhi spalancati e le mani che cercavano di togliere la sua.

- Mina… suo padre è un regista famoso! Se si sapesse in giro che stiamo insieme, non riuscirei mai a farmi valere come attore! Tutti penserebbero che suo padre mi favorisce! Io invece voglio farcela da solo e dimostrare al mio futuro suocero di essere un uomo degno per sua figlia! - sollevò gli occhi al cielo come un guerriero samurai e strinse con forza i pugni lungo i fianchi.

Maya rimase allibita da tutta quella veemenza, ma non scoppiò a ridere per rispetto nei confronti della sua determinazione. Lui lotta per raggiungere il suo scopo… deve amare molto la sua Mina… la sua situazione però è diversa…

- Sono sicura che ci riuscirai, Kinji! - si congratulò con lui - Sei un ottimo attore e si vede che l’ami molto. Ogni cosa andrà per il meglio, vedrai! - lo rassicurò.

Kinji la fissò, improvvisamente attento. Su Maya Kitajima non giravano voci. L’unica che conosceva era vecchia e riguardava una sua inesistente relazione con Yu Sakurakoji, l’attore che aveva interpretato lo scultore Isshin. Magari anche lei aveva qualcuno nel cuore e soffriva l’impossibilità di vivere appieno quei sentimenti. Era sicuro che non fosse nessuno degli attori di “Madama Butterfly”, forse si trattava di qualcuno che non aveva niente a che vedere con il teatro. La sua espressione, in quel momento, era triste e corrucciata, come se stesse pensando a qualcosa di sgradevole.

A volte aveva sentito di attrici costrette, dai propri manager o produttori, a non intrattenere relazioni pubbliche per non rovinare o infangare il loro nome e danneggiare le produzioni a cui partecipavano, ma Maya Kitajima gli era sempre apparsa estremamente testarda e indipendente, e di sicuro non subiva il potere imposto da Masumi Hayami viste le volte che gli aveva tenuto testa.

- Anche tu devi essere positiva - mormorò avvicinandosi per non farsi sentire da altri due attori che si erano avvicinati. Maya sollevò lo sguardo e annuì, incapace di rispondere a voce per il nodo che le serrava lo stomaco. Avrebbe tanto voluto credere a quelle parole, ma era consapevole di quanto fosse ingarbugliata la sua situazione.



Natale arrivò in un baleno e con esso la pausa prolungata promessa dal regista Ito. Maya trascorse nel suo appartamento quasi tutto il tempo che le era stato concesso, concentrandosi in solitudine sul personaggio di Chōchō-san. Kinji era andato a trovare la sua ragazza senza dire niente a nessuno degli altri attori. Di comune accordo con il regista, avevano deciso di presentarsi alla festa degli attori insieme. Maya si era subito sentita sollevata: l’affinità con Kinji era cresciuta nel tempo e si trovava a proprio agio con lui. Sicuramente meglio che andare da sola.

Aveva sempre odiato quegli appuntamenti mondani che non le interessavano affatto e la innervosivano. Non si sentiva parte del mondo glamour legato al teatro, lei voleva solo recitare. Sapeva che Rei era impegnata con le sue prove, ma alla fine aveva ceduto alla vergogna e le aveva chiesto aiuto per un abito. Quello era un altro aspetto che proprio non riusciva a far diventare parte della sua vita. Concepiva la necessità degli abiti di scena, ma non quelli della vita reale.

Lasciò scivolare la mano sulla seta morbida del vestito disteso sul letto. Era consapevole di essere bassina e con poche forme, ma le sarebbe dispiaciuto far sfigurare Kinji. Rei come al solito era stata pratica e concisa. Dopo averle fatto provare alcuni abiti le aveva assicurato che quello le calzava a pennello. L’aveva obbligata a comprare scarpe, borsa e cappotto che andassero d’accordo con l’abito lasciandola libera di decidere su trucco e capelli. Maya ovviamente non si era affatto interessata e, completamente avvolta da Chōchō-san, non si era resa conto del passare dei giorni fino a quella sera.

In preda al panico, si era lavata asciugandosi i capelli come meglio aveva potuto. Dopo qualche tentativo aveva rinunciato al trucco che la faceva sentire tutta impiastricciata e goffa, ma il momento più esilarante doveva ancora venire.

Come avrebbe fatto a chiudere la cerniera?

Osservò disperata l’abito. Provò ad infilarselo da sopra, ma nulla, non passava anche contorcendosi. Così tentò l’ultima soluzione: mise la cerniera sul davanti e la chiuse, poi iniziò a ruotarlo lentamente per non strappare il tessuto floreale e rovinarlo. La trama scricchiolò pericolosamente, ma piano piano e con tanta pazienza riuscì a girarlo completamente.

Tirò un sospiro di sollievo, terminò con gli accessori e, rincuorata, si guardò allo specchio. L’effetto globale non era male sebbene Rei si sarebbe sicuramente lamentata nel vederle i soliti capelli che le scendevano sulle spalle.

- Spero che Kinji non si senta in imbarazzo… - arrossì tenendo il cappotto scostato dal corpo avvolto nell’abito avorio. Il corpetto rigido sagomato di pizzo sosteneva il peso della gonna al ginocchio, leggermente svasata e gonfiata da alcuni strati di tessuto morbido sottostante. Le scarpe, delle sobrie decoltè con tacco non troppo alto, e la borsa, erano di vernice avorio.

Chiuse il cappotto e sospirò. Non avrebbe mai potuto recuperare in cinque minuti tutte le mancanze che aveva in ambito sociale, così avrebbe fatto del suo meglio per apparire invisibile in mezzo alle altre centinaia di attori della Daito Art e si sarebbe tenuta lontano dai guai.

Uscì di casa, attese un taxi e si fece portare al lussuoso hotel che era stato prenotato per ospitare la festa e i numerosi invitati che sarebbero giunti da tutto il Giappone e dall’estero. Con l’unica compagnia del tassista silenzioso, la sua mente si concentrò su ciò che aveva cercato di tenere lontano in quei giorni senza lavoro: Masumi Hayami. Piegò la bocca in un sorriso malinconico: qualunque impegno mettesse nell’obiettivo di non pensare a lui, falliva miseramente nell’istante in cui i suoi pensieri avevano un attimo di respiro.

Guardò fuori dal finestrino la città euforica per l’imminente capodanno. I negozi erano ancora tutti illuminati e le persone camminavano di fretta con le borse dello shopping inforcate alle braccia. Aspetterò, ammiratore… ma mi manchi ogni giorno… mi sento in colpa a pensare a te, come se questa concessione fosse sconveniente visto che sei sposato… io però non riesco a frenare questi miei sentimenti! Stasera ci saranno tante persone e tu sarai occupato con ciascuna di loro e forse io potrò guardarti sapendo di essere legata a te più di chiunque altro…

Il taxi si fermò, Maya pagò e scese stringendosi il cappotto addosso per il freddo gelido. Salì la scalinata rotonda che portava all’ingresso dell’albergo e, immediatamente fuori dalla grande porta girevole, c’era Kinji, esattamente nel punto in cui le aveva promesso di essere.

Le andò incontro con un sorriso genuino e amichevole e Maya si sentì subito rincuorata. Avrebbe avuto accanto una persona gentile con cui trascorrere la serata senza doversi guardare la spalle ad ogni parola che avrebbe pronunciato.

- Maya! - la salutò calorosamente, raggiungendola. Aveva le guance arrossate dal freddo e lei si sentì in colpa per averlo fatto attendere.

- Kinji! Da quanto tempo sei fuori? - gli chiese preoccupata - Avresti dovuto restare dentro! -

- Non preoccuparti, sono arrivato da poco - la rassicurò - Ma è davvero freddo - aggiunse rabbrividendo e offrendole il braccio - Ci buttiamo nella mischia? - le propose strizzandole un occhio.

Maya annuì e, aggrappata a lui, varcò la porta che un valletto stava tenendo aperta per loro, accanto a quella girevole. All’interno li accolse una temperatura piacevole e un altro valletto li accompagnò al guardaroba, dove Maya e Kinji poterono lasciare i cappotti.

- Sono felice di essere il tuo cavaliere stasera - le sussurrò lui dolcemente all’orecchio - Questo vestito ti sta benissimo - aggiunse con un sorriso.

Maya lo fissò arrossendo lievemente, felice che il suo commento fosse del tutto privo di qualsiasi altro sentimento che non fosse pura amicizia.

- Ti ringrazio, Kinji. Non sono abituata a questo ambiente, spero che ti prenderai cura di me ed eviterai che io combini qualche disastro… - ammise abbassando lo sguardo.

- Non preoccuparti, ci sarà così tanta gente! Inoltre potremo stare in compagnia del regista Ito e di altri attori di “Madama Butterfly” - la rassicurò seguendo il valletto che li stava accompagnando verso la sala.

L’immenso locale aveva una volta altissima, costituita da una spettacolare intelaiatura di metallo e vetro, simile a quella di una serra. Nel cielo notturno, la luna faceva capolino dietro le nuvole scure. Alle pareti erano stati affissi decine di cartelloni delle varie produzioni Daito e Maya lasciò spaziare lo sguardo tutt’intorno.

- Santo cielo… - sussurrò osservando la sala piena di gente dalla loro posizione rialzata. Si trovavano in cima ad una breve scalinata rotonda che scendeva gradatamente fino al punto in cui cominciavano i tavoli rotondi coperti da tovaglie candide. Sulla destra era stato allestito un buffet e in fondo c’era un palco con un’orchestra classica.

- La Daito non bada a spese - disse con orgoglio Kinji. Maya si voltò a guardarlo. È fiero di fare parte di quest’azienda… si capisce dal tono della sua voce e dal suo sguardo…

- È la prima volta che partecipo… - mormorò Maya stringendosi al suo braccio.

- Ci divertiremo! All’inizio la festa è seria, ci sarà qualcuno che farà un discorso sicuramente, ma a mezzanotte, l’orchestra cambierà e ci sarà un gruppo rock a suonare! - le spiegò - Gireranno fiumi di champagne e, come ad ogni festa, le cose degenereranno - scoppiò a ridere e Maya spalancò gli occhi stupita. Non riusciva ad immaginare che il signor Hayami avrebbe permesso che la festa prendesse una piega insolita. Kinji sembrò leggerle nel pensiero.

- Se stai pensando alla dirigenza - sussurrò l’attore mentre altri invitati sfilavano accanto a loro scendendo la scalinata - Se ne andranno tutti poco dopo lo scoccare della mezzanotte, ed è allora che inizierà il divertimento vero! - puntò lo sguardo sollevando il mento. Maya seguì la traiettoria e vide Masumi Hayami che parlava con alcune persone. Il suo cuore rintoccò come una campana facendole salire un lieve rossore alle guance. Accanto a lui c’era Shiori Takamiya. Sono insieme… perché mi meraviglio? È naturale che sia così…

Distolse lo sguardo e scesero le scale. Riconobbe tantissimi attori, alcuni dei quali conosceva solo grazie alla fama raggiunta a teatro o al cinema. Qualcuno la salutò, riconoscendola, ma tutto sommato non si sentì soffocata.

- Visto? Che ti avevo detto? - Kinji le dette di gomito gentilmente mentre si avvicinavano al buffet - Rilassati e divertiti! - le suggerì avvicinandole un bicchiere pieno a metà di una bevanda rosa. Maya lo prese e lo assaggiò. Sapeva di fragola e non era alcolico.

- Grazie, è buonissimo! - disse realmente stupita. Non si era aspettata quel sapore avvolgente e gradevole. Si costrinse a non guardare nella direzione in cui aveva visto lui. Sentiva lo stomaco contorcersi come un’anguilla e la spiacevole scintilla della gelosia scoccò in fondo alla sua gola, che sentiva chiusa da un nodo. Sono cose stupide a cui pensare…

Mangiarono qualcosa dal buffet e riuscì a non macchiarsi. Fiera del proprio autocontrollo, si lasciò guidare da Kinji lungo tutta la sala. Parlarono dei cartelloni affissi, di film e commedie teatrali, attori e attrici finché individuarono il regista Ito insieme a Kuronuma. Maya s’illuminò e li raggiunsero immediatamente.

- Signor Kuronuma! Signor Ito! - li salutò Maya con un inchino, imitata da Kinji.

- Oh, ragazzi! - li apostrofò il regista della “Dea Scarlatta” - Ci siete anche voi! - poi squadrò Maya da capo a piedi facendola arrossire - Kitajima… sei diversa… - valutò scrutandola con insistenza.

- Non potevo venire qui vestita come al solito… - mormorò afflitta - Così… ho pensato che… - non riuscì a finire la frase. Kuronuma scoppiò a ridere e la prese per le spalle.

- Kitajima… stavo scherzando! Non mi devi spiegare! - le fece notare - Nonostante ciò, stasera sei bellissima! - ammise con franchezza riportando la voce ad un tono normale. Lei divenne paonazza e spostò lo sguardo su Kinji che annuì sorridendo, trovandosi d’accordo col regista.

Parlarono a lungo di “Madama Butterfly” e anche dell’opera di Ichiren Ozaki, della quale il signor Ito era un fan sfegatato. Tessé le lodi alla regia di Kuronuma e per come avesse diretto gli attori, includendo Maya nel discorso sebbene lei fosse lì presente.

Kinji ridacchiò e lei incrociò le braccia al petto. Da quando lo aveva conosciuto per “Madama Butterfly” non le aveva mai fatto un complimento né accennato alla “Dea Scarlatta”! Stava per fargli notare che lei era lì in carne e ossa, quando un gruppo di persone davanti a loro si mosse come un’onda unica, lasciando uscire Masumi Hayami e sua moglie. Era impreparata non tanto alla loro presenza, quanto al fatto che lui la stesse guardando. Distolse subito gli occhi, non voleva che qualcuno scorgesse nella sua espressione quei sentimenti che nascondeva così abilmente. È impossibile che stesse guardando proprio me!

- Buonasera, signor Hayami! - lo salutò Kuronuma con la solita voce allegra. Il regista si inchinò a lui e alla signora, imitato dagli altri. Maya riusciva solo a guardarsi le scarpe. Dall’alto della scalinata, quando era entrata, aveva visto il bellissimo abito che indossava lei. Era alta e slanciata, i capelli erano acconciati come usava fra le donne sposate, e i gioielli che sfoggiava illuminavano la sua pelle diafana e perfetta.

- Buonasera, vi state divertendo? - domandò Masumi tenendo lo sguardo su Kuronuma. Da quando aveva visto Maya arrivare, aveva contato i minuti che lo separavano dal poterla incontrare. C’erano molti personaggi illustri da salutare, attori, registi, sponsor, investitori e doveva a loro la priorità. Si sarebbe comportato come ogni anno, dimostrando a Shiori che non faceva preferenze.

- Festa meravigliosa, signor Hayami! - replicò Kuronuma con una risata - Il sake è ottimo! - e gli strizzò un occhio.

Masumi sorrise a sua volta e Maya osservò allibita lo scambio di battute e il modo disinvolto del regista. Sembravano avere un rapporto diverso, come se avessero approfondito la loro conoscenza, ed era sicura che la maggior parte del merito andasse a Kuronuma.

- Come stanno andando le prove per “Madama Butterfly”? - la delicata voce femminile intervenne solo dopo che gli uomini ebbero terminato i convenevoli - Sarà un altro successo degno della “Dea Scarlatta”? - aggiunse Shiori interpellando proprio Maya.

Ci fu qualche secondo di silenzio, in cui Maya cercò di compattare i pensieri. Poi, scacciando inutili timori e senso di inadeguatezza, le rispose come si conveniva.

- Siamo a buon punto anche se è il regista, signor Ito, a decidere quando le scene sono perfette - rispose educatamente Maya e l’uomo annuì con vigore - Con “Madama Butterfly” farò del mio meglio perché sia un degno e proficuo prodotto Daito - concluse seriamente.

Dopo attimi di gelo, Kuronuma decise di rompere il ghiaccio. Shiori Takamiya non gli era mai piaciuta dalla volta in cui aveva provato a corromperlo con del denaro, coinvolgendo anche la sua prima attrice.

- Kitajima è un’attrice eccezionale e sono sicuro che saprà dare nuova vita a Chōchō-san! - e chiese conferma al regista Ito che mosse di nuovo la testa in segno affermativo.

- Deve essere piacevole lavorare sapendo di essere così apprezzata - disse Shiori fissando Maya intensamente. Nonostante le rassicurazioni di Masumi, era sicura che lui continuasse a prendersi cura di lei, rose o meno. Ma adesso io l’ho sposato e non permetterò a nessuno di portarmelo via…

- Mi spinge a fare meglio - ammise Maya annuendo e arrossendo lievemente. Avrebbe voluto rispondere in maniera neutra per dimostrarle che sapeva mantenere il controllo anche di fronte ai complimenti, ma era vero che la spronavano, una sorta di sfida con se stessa. Era certa che sotto quelle domande apparentemente innocue, quella donna nascondesse qualche trama. Non aveva mai dimenticato il modo in cui l’aveva trattata prima della crociera. Aveva addirittura cercato di pagarla per allontanarla da lui!

- È lodevole da parte di una ragazza così giovane - ne convenne Shiori - Altrimenti si potrebbe pensare che viva di rendita - concluse con un sorriso accennato.

Maya ebbe la prontezza di spirito di non rispondere alla provocazione, ma Kuronuma non si fece fermare da alcuna remora.

- Maya Kitajima vivere di rendita? - e scoppiò a ridere. I gruppi intorno a loro si voltarono e Shiori s’immobilizzò. Masumi si scostò appena, ma con quel gesto l’avvisò che era da sola e che lui non l’avrebbe supportata. Sapeva che Shiori non si era rassegnata all’idea che lui ne fosse ancora innamorato, ma sentirla dire quelle parole provocatorie lo aveva allertato.

La risata si protrasse per svariati secondi mettendo in imbarazzo l’algida signora Hayami, che fissava il regista con evidente astio.

- Signor Hayami, dovrebbe spiegare a sua moglie chi è davvero Maya Kitajima - aggiunse il regista ignorando deliberatamente Shiori e rivolgendosi a Masumi. Lui glissò la risposta accennando un sorriso di circostanza.

- Già... - sottolineò Shiori - Chi sei davvero, Maya Kitajima? - domandò rivolgendosi direttamente alla giovane attrice.

L’aria intorno a loro si saturò, diventando quasi elettrica. Eppure Maya si sentiva stranamente tranquilla. C’era Kinji alle sue spalle, che era rimasto in silenzio, ma le aveva fatto sentire la sua presenza. C’erano il signor Kuronuma e il regista Ito, e poi c’era lui, il suo ammiratore. È l’altra metà della mia anima, che a lei piaccia o meno… soffro perché sono costretta lontana da lui e, ora lo so, lui soffre come me…

- Io sono un’attrice - rispose serafica Maya con un sorriso disarmante.

Shiori si trovò a corto di parole. Non c’era niente altro che potesse ribattere ad un’affermazione così schietta e palese. Ragazzina impertinente… magari gli altri si saranno meravigliati del contratto che hai stipulato con la Daito e MIO marito… ma non io! Io so perché l’hai fatto!

Qualcuno parlò nel microfono richiedendo attenzione e annunciando l’inizio ufficiale della festa e l’apertura delle danze.

- Signor Hayami! - lo speaker chiamò il suo nome - Vuole essere lei a rompere il ghiaccio? - lo incitò scherzosamente cercandolo fra la folla. Qualche risatina si levò qua e là.

- Vieni, Shiori, andiamo - la invitò Masumi porgendole la mano col palmo aperto.

La signora Hayami, ben lieta di essere stata salvata dall’impossibilità di ribattere, lasciò l’ultima parola a Maya. Accettò la mano del marito, salutò con un lieve inchino della testa e scoccò un’ultima occhiata alla giovane attrice. Maya la sostenne mantenendo ancora quel sorriso, ma dentro di sé era morta di paura.

- Sembra che quella donna ce l’abbia con te… - sussurrò Kinji avvicinandosi a lei.

- Non capisco cosa voglia… - mormorò Maya girandosi a guardarlo, ma le sue parole, che sarebbero dovute apparire cariche di sfida, contrastarono nettamente con il suo sguardo.

Kinji la fissò perplesso. Dovevano essersi conosciute in qualche modo in passato e Maya non andava a genio alla signora Hayami. Il giovane attore spostò pensieroso lo sguardo sulla coppia che raggiungeva il centro della sala e dava inizio alle danze.

Masumi cinse la vita della moglie con il braccio e seguì perfettamente le note del valzer. Stava nascondendo con grande sforzo l’irritazione che lo pervadeva, mentre l’espressione di Shiori appariva compiaciuta. Chissà cosa aveva voluto dimostrare con quelle battute pungenti.

Altre coppie si unirono dopo qualche minuto e finalmente Shiori alzò lo sguardo incontrando gli occhi gelidi del marito. Che espressione… perché ho toccato la sua… Non riuscì a finire neanche il pensiero. Un nodo le chiuse la gola all’idea che loro si vedessero di nascosto.

- È cresciuta - constatò Shiori alludendo chiaramente a Maya. Le sue forme erano cambiate e quell’abito corto le cadeva perfettamente.

- Shiori - la riprese con tono calmo Masumi - Non sai niente di questo mondo, astieniti dal coinvolgere registi e attori nelle tue chiacchiere - la fece girare su se stessa impedendole una risposta diretta e quando tornarono l’uno di fronte all’altra lei preferì rimanere in silenzio. L’ha messa sul piano professionale, ma si è irritato perché ho coinvolto lei!

Una volta terminato il primo valzer di apertura, Masumi ballò con molte altre attrici e lo stesso fece Shiori con alcuni attori. Sapeva che quello era il suo ruolo come moglie di Masumi Hayami. Probabilmente qualcuno non conosceva neppure il suo nome, era solo “la moglie del capo”. Ogni volta che lui cambiava compagna di ballo, i suoi occhi controllavano chi fosse, per vedere se avrebbe ballato con lei. Si era data della stupida migliaia di volte, ma Masumi mandava le rose a Maya Kitajima mentre corteggiava lei! Come poteva credere alle sue rassicurazioni che per lui fosse solo un’attrice talentuosa a cui non poteva dimostrare pubblicamente il suo apprezzamento?

Dal canto suo, Maya aveva osservato il signor Hayami ballare con la moglie, reprimendo quella punta di gelosia che la coglieva ogni volta che li vedeva insieme. La verità era che erano una coppia perfetta. Età, rango sociale, aspetto: tre qualità che li accomunavano e facevano di loro un esempio da invidiare. Mentre lui ballava, lei poteva osservarlo da un punto riparato, lontana da occhi indiscreti che potessero vedere dove si posava il suo sguardo. Nonostante tutto il suo impegno, non riusciva a fare altro che seguire i suoi movimenti eleganti, ripensando alla volta in cui aveva ballato con lui sull’Astoria. Arrossì al ricordo e abbassò gli occhi, puntandoli sui piedi.

- Vuoi ballare, Maya? - la voce profonda e calma le fece sollevare la testa di scatto. Masumi Hayami le stava porgendo la mano con un sorriso invitante. Spalancò gli occhi atterrita e il suo sguardo corse involontario a Shiori Takamiya.

- Non preoccuparti di niente, vieni - insisté Masumi rimanendo nella stessa posizione. Era spaventata, probabilmente aveva paura delle conseguenze. La prese per un polso e la tirò verso di sé - Non vuoi dire di no al Presidente della Daito Art che invita a ballare la sua attrice più proficua, vero? - aggiunse catturando il suo sguardo dilatato.

Maya lo fissò sconvolta. Non poteva davvero costringerla ad una cosa del genere! Cercò di divincolarsi, ma lui era inamovibile. Lui iniziò a muoversi e, se non voleva essere trascinata, avrebbe dovuto camminargli a fianco. Sarebbe fuggita lontano, se lui non l’avesse guardata dolcemente e le avesse preso la mano.

- Signor Hayami… - sussurrò balbettando, ma era troppo tardi. Si raddrizzò e tenne saldamente la mano sulla sua.

Gli invitati si aprirono davanti a loro per lasciarli passare e l’attimo dopo volteggiavano già in mezzo alle altre coppie. Shiori li vide immediatamente. Era sicura che avrebbe ballato con lei! L’aveva lasciata per ultima e solo uno stupido avrebbe valutato quella scelta associandola al fatto che Maya Kitajima valesse poco.

- Non devi temere - la rassicurò subito Masumi che, nonostante mostrasse assoluta calma, sentiva il cuore battere follemente. Da quando l’aveva incontrata a Yokohama aveva contato i giorni fino a quella sera.

- Ma… - iniziò Maya titubante.

- Sei l’attrice che in questo momento fa guadagnare una montagna di soldi alla Daito, nessuno si meraviglierà se balliamo - le spiegò stringendola ancora un po’.

Maya arrossì appena sentendosi afferrare saldamente, ma allo stesso tempo gioì per quel contatto inaspettato.

- Ti chiedo scusa per prima - le disse oscurandosi e riferendosi all’intervento poco ortodosso della moglie.

- Oh, va tutto bene - si affrettò a rassicurarlo lei.

- Hai dato delle ottime risposte - le fece notare sorridendo e allontanandola da sé per farle fare un giro su se stessa.

- Davvero? - gli domandò stupita lei tornando nel suo abbraccio.

- Sì - ammise lui che era rimasto piacevolmente sorpreso dalla sua calma - Anche quando si è attaccati, in questo ambiente è molto importante farsi valere rispettando l’etichetta -

Maya arrossì tenendo gli occhi dentro i suoi. Cosa sarebbe accaduto se l’avessero vista guardarlo in quel modo? Se l’avesse vista sua moglie? Distolse immediatamente lo sguardo e avvertì la stretta della sua mano. Mi rassicura anche adesso…

Masumi osservò il suo cambio di atteggiamento. Non gli restava molto tempo così inspirò e si accinse a chiederle ciò per cui l’aveva realmente invitata a ballare.

- Vorresti… - iniziò rendendosi conto che per la prima volta era senza fiato. Tossicchiò e riprese - Ti andrebbe di passare del tempo con me? - finì la frase e la vide sollevare lentamente la testa e fissarlo stupita.

- Tempo? - sussurrò Maya basita.

- Sì, solo se ti va, ovviamente - si affrettò ad aggiungere cercando il più possibile di celare il suo imbarazzo.

Maya aveva il cuore che batteva a mille, mentre la sua mente elaborava quella richiesta anomala.

- Sì, certo, signor Hayami - rispose meccanicamente, impegnandosi per non perdere i passi di danza. Con lui? Del tempo?

- Ne sono felice - e lo era davvero. Non aveva immaginato che gli sarebbe occorso così tanto coraggio per tirare fuori quell’unica frase. La sua espressione era un misto di incredulità e dolcezza e dovette far ricorso a tutto il suo autocontrollo per non abbracciarla in mezzo alla sala. Se lo facessi… cosa accadrebbe? Non m’importa di me… ma lei… lei perderebbe tutto…

La musica finì e sull’ultima nota le loro mani si separarono. Maya fece un lieve inchino ringraziandolo e si allontanò. Non sarebbe stata in grado di fare niente altro e non voleva che qualcuno fraintendesse i suoi gesti o le sue parole. Masumi la seguì con lo sguardo solo per un secondo, poi lo distolse e la sua attenzione venne attirata dal presidente di una società che sovvenzionava spesso produzioni cinematografiche. Per la prima volta nella sua vita fu felice di vederlo e di essere obbligato ad intrattenersi con lui.

Kinji vide Maya andare verso di lui. Camminava rigida come un tronco e la sua espressione era vacua, con lo sguardo perso davanti a sé. Che strana ragazza…

- Maya? Va tutto bene? - le domandò appena le fu di fronte.

- Eh? Oh, sì - annuì schiarendo gli occhi e tornando nel mondo dei vivi.

- Avete parlato di “Madama Butterfly”? - domandò incuriosito.

- Eh? Oh, sì - disse di nuovo Maya con un sorriso ebete. Kinji la fissò alzando un sopracciglio perplesso. Comprese che non era il momento di farle domande a cui non avrebbe dato una risposta coerente. Spostò lo sguardo sul signor Hayami che poco più avanti sulla destra parlava con un gruppo di uomini d’affari. Che strano uomo… chissà cosa si saranno detti…

La festa proseguì e, come anticipato da Kinji, appena scoccata la mezzanotte e stappato lo champagne, la dirigenza della Daito sparì e l’orchestra classica venne sostituita da un gruppo rock che scaldò gli animi degli attori più giovani pronti a fare baldoria per tutta la notte. Maya festeggiò il nuovo anno con un calice in mano e la mente annullata da un’intensa emozione.

Solo più tardi, quella mattina all’alba, mentre Kinji la riportava a casa in taxi, si rese conto che non le aveva detto dove e quando.


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Capitolo 7
*** Stage #7. Le anime gemelle ***


Stage #7. Le anime gemelle



Per fortuna le prove di “Madama Butterfly” ripresero il due gennaio, perché la mattina seguente la festa non sarebbe stata in grado di uscire dal letto. Non era solo stanca fisicamente, era provata mentalmente. I suoi pensieri si rincorrevano senza sosta, come foglie sospinte dal vento. Quell’iperattività la costringeva ad uno stato d’animo confuso e irritabile, e a farne le spese erano i suoi colleghi attori.

Malinconia, rabbia, senso di impotenza si alternavano senza darle pace. Aveva accettato quell’invito senza neppure pensarci, d’istinto, ma lui non le aveva detto né quando né dove. Perché l’aveva invitata? Davvero per passare del tempo insieme? Più passavano i giorni, più si convinceva che c’era qualcosa sotto. Il signor Hayami non faceva mai nulla senza averlo prima studiato e che questa fosse la prima volta in cui aveva agito senza un secondo fine, non riusciva a crederlo.

Dov’era in quel momento? Era con lei? Erano insieme?

Afferrò il vaso sul tavolo e lo lanciò con forza davanti a sé in un impeto d’ira incontrollabile.

Kinji la fissò con gli occhi sgranati, fermandosi in mezzo al palco. Il regista Ito buttò a terra il copione e urlò sbuffando.

- Kitajima! -

Maya si riscosse e, visto il disastro, si portò le mani alla bocca, sconvolta, poi corse subito a raccogliere i pezzi, inginocchiandosi sul palco. Kinji le fu subito accanto, ignorando gli improperi del regista.

- Va tutto bene? Mi sembri assente in questi giorni… Perché non chiedi una pausa al regista? - propose il giovane attore toccandole un braccio, apprensivo.

- Pausa? No! Neanche per sogno! - replicò lei con il cuore che batteva all’impazzata. Si era distratta mentre Kinji recitava le sue battute! Era davvero una pessima attrice… Non ho mai pensato a loro due così… sono sposati… è naturale che passino il tempo insieme...

- Se oggi non hai voglia di recitare, vattene fuori di qui! - gridò il signor Ito schiacciando i palmi sul bordo del palco e attirando la loro attenzione.

Maya lo guardò con aria colpevole e quando Kinji aprì bocca per correre in sua difesa, il regista lo fulminò con lo sguardo e lui la chiuse con un colpo secco.

- Forse ha ragione lui, Maya - sussurrò - Torna domani, quando starai meglio - le suggerì preoccupato. Lei annuì sconsolata e uscì dalla sala prove. Raggiunse il camerino a passo lento, sconvolta per il suo comportamento e per essersi completamente distratta durante una scena in cui era coinvolta. La verità è che io voglio passare del tempo con lui! Voglio parlare e… e vederlo ridere… come vorrei poter cancellare il mondo in questo momento, come quel sogno nella valle dei susini, in mezzo al ruscello, in cui sembravamo solo io e lui al centro dell’universo…

Sconsolata e abbattuta, incapace di gestire quelle emozioni, si lasciò cadere sulla sedia davanti allo specchio del camerino che le restituì impietosamente un volto stanco e tirato. Ricacciò indietro le lacrime e si cambiò rapidamente.

Il vento freddo di gennaio la investì immediatamente. Si avvolse ben bene la sciarpa intorno al collo e infilò le mani in tasca.

L’uomo dall’altra parte della strada, imbacuccato in un giubbotto pesante per difendersi dal clima, s’incamminò lentamente sul marciapiede tenendola d’occhio dalla parte opposta. Era uscita molto prima dei soliti orari che faceva e si stava sicuramente dirigendo alla metropolitana. Si assicurò che la macchina fotografica fosse accesa e continuò a seguirla.



Era pronto. Quando l’aveva invitata aveva agito lasciandosi trasportare dai sentimenti. Voleva farle sapere che non aveva dimenticato ciò che si erano detti a Yokohama e desiderava davvero trascorrere del tempo con lei. Era l’occasione per chiarire ogni cosa, ora che conosceva perfettamente le condizioni del gruppo Takatsu. Non aveva ancora parlato con suo padre, perfino l’avvocato lo aveva consigliato di attendere. Avrebbe potuto denunciare il vecchio Takamiya per illecito, frode e almeno altri due o tre reati gravi di appropriazione indebita, ma avrebbe significato distruggere la famiglia di Shiori e lui non lo desiderava. Se sfruttata nel modo giusto, quella situazione spiacevole avrebbe potuto essere girata a suo vantaggio.

In passato aveva pensato di rinunciare al cognome di suo padre, così da far decadere l’interesse nei suoi confronti per il matrimonio combinato e l’unione dei due imperi, ma ora non era più attuabile. Lasciare la famiglia Hayami, inoltre, avrebbe significato abbandonare anche la Daito Art Production. Forse, se avesse giocato bene le sue carte, sarebbe riuscito a risolvere amichevolmente il suo matrimonio e a tenere la sua azienda.

Suo padre era l’ultimo scoglio da abbattere ed era collegato al contratto che aveva firmato con Maya e ai diritti della “Dea Scarlatta”. Il giorno in cui gli aveva fatto vedere il documento, era rimasto in silenzio per dieci minuti buoni. Aveva appoggiato il contratto sulle gambe coperte dal plaid e, chiudendo gli occhi, aveva pianto. Masumi non avrebbe saputo dire se di gioia o amarezza, lui se ne era uscito dallo studio lasciandolo da solo. Non aveva fatto domande, non si era più intromesso, non l’aveva più incalzato: semplicemente l’aveva lasciato lavorare sulla “Dea Scarlatta”. I profitti sono stati enormi… e Maya probabilmente non conosce neppure l’ammontare esatto di quanto ha guadagnato dalla sua interpretazione…

Sorrise tirandosi su il bavero del cappotto e quando alzò lo sguardo la vide venirgli incontro sul marciapiede. Sbatté le palpebre più volte, credendola un’allucinazione, poi dovette cedere alla realtà. Si fermò tenendo gli occhi su di lei, che camminava lentamente, il capo chino, avvolto in una sciarpa bianca. Teneva le mani in tasca per il freddo e sembrava afflitta. Come avveniva ogni volta che la vedeva, i pensieri che lo tormentavano svanirono all’istante, sostituiti da un tepore piacevole che ad ogni passo di lei si trasformava in un batticuore sempre più frenetico.

Maya intercettò un ostacolo sul marciapiede e distrattamente si fermò sollevando lo sguardo. Sbatté più volte le palpebre finché realizzò che stava guardando davvero Masumi Hayami.

- Si-Signor Hayami… - balbettò abbassando con un dito la sciarpa per scoprire la bocca da cui uscì una nuvoletta di fiato caldo. Sentì il calore guizzare nelle dita di mani e piedi e raggiungere le guance arrossandole per la differenza con il freddo esterno.

- Anche io ero perplesso quando ti ho visto - ammise lui con un sorriso accennato - Non sei alle prove? - era proprio lì che contava di incontrarla. Lo sguardo di Maya si oscurò e lo abbassò per non essere costretta a fronteggiarlo.

- Io… - le parole non vennero fuori, non voleva deluderlo dicendogli ciò che era avvenuto in sala prove solo pochi minuti prima.

- Hai fatto innervosire il regista Ito - terminò Masumi per lei facendo qualche passo avanti e fermandosi di fronte a lei. Maya annuì in silenzio.

- Dovresti avere più riguardo per lui, è un uomo anziano - aggiunse con un tono di rimprovero. Lei incassò la testa nelle spalle accusando il biasimo. Masumi si trattenne dal ridere davanti a lei e mantenne il proverbiale contegno.

- È stata colpa mia - ammise Maya con un sussurro lieve. Era appena riuscita a mettere un po’ d’ordine nella sua testa promettendosi di rimanere più concentrata durante le prove, che tutto stava ripiombando nell’oblio più assoluto. Vederlo sbucare dal nulla aveva azzerato i suoi pensieri che si erano concentrati su tutte le belle sensazioni che l’avevano scaldata da capo a piedi.

- Non fatico a crederlo - rimarcò Masumi continuando a guardarla. L’avrebbe stretta a sé di nuovo se non fosse stato in mezzo ad una strada. C’erano persone tutt’intorno a loro e ciascuna di esse avrebbe potuto essere un giornalista o un semplice curioso, pronto a scattare qualche foto e venderla ai giornali.

- Cioccolata? - le chiese quando lei rimase in silenzio, in quella posizione prostrata. Maya sollevò timidamente lo sguardo e scosse la testa.

- No? Non credevo avresti detto di no alla cioccolata calda! - replicò Masumi scoppiando a ridere sotto il suo sguardo che da imbarazzato si era fatto acceso.

- Non voglio guai - sibilò semplicemente Maya accennando un passo avanti. Lui sollevò un sopracciglio perplesso, mettendosi di lato per lasciarla passare.

- Mi sembra che i guai tu li abbia già combinati in sala prove e sia stata cacciata - le fece notare lui serafico senza comprendere a cosa si riferisse. La seguì affiancandosi a lei.

Maya lo scrutò con la coda dell’occhio. Era così vicino che se avesse messo la mano fuori dal cappotto avrebbe toccato la sua.

- Non quel tipo di problemi… - specificò parlando a bassa voce e arrossendo. Masumi rifletté in silenzio qualche istante finché la comprensione arrivò lasciandolo stupito. Mi sono sempre occupato io di mantenere il giusto distacco… per non creare scandali… perché la voce non arrivasse a Shiori… per non rovinarle la carriera… e ora è lei che ci pensa? Scoppiò a ridere e Maya si fermò, guardandolo con la fronte corrugata.

- Ho capito, ragazzina! - le disse addolcendo lo sguardo e smettendo di ridere - Niente cioccolata, ma permettimi di accompagnarti alla metropolitana - si offrì osservando il suo volto cambiare radicalmente espressione. I suoi occhi divennero lucidi ed espressero da soli quanto fosse combattuta.

- Vorrei… davvero, signor Hayami, io vorrei… ma… - sussurrò con tono appena udibile. Abbassò la testa e serrò le labbra chiudendo fortemente le palpebre.

Masumi osservò impotente la scena, sentendosi morire dentro, anche lui dibattuto fra abbracciarla e rassicurarla, e mantenere invece quel distacco necessario.

- Ricordi l’invito che ti ho fatto alla festa? - le domandò ritrovando la calma. Lei alzò la testa e annuì con un debole sorriso - Dopodomani alle otto manderò un’auto della Daito a prenderti. Segui le indicazioni dei miei collaboratori. Ci vedremo a mezzogiorno - le parole avrebbero potuto apparire un po’ criptiche e fredde, ma per Maya furono un raggio di sole in quella giornata nuvolosa. Masumi la vide rifiorire e si sentì ancor più in colpa per averla fatta attendere così a lungo.

- Sì, certo, signor Hayami! - rispose entusiasta Maya senza riuscire a contenere la sua felicità. Due giorni! Lo vedrò fra due giorni!

- So che questo non… - iniziò lui, ma Maya lo bloccò.

- Non importa! Aspetterò! - gli disse con entusiasmo - Arrivederci, signor Hayami! - lo salutò tirando fuori una mano e schizzando via di corsa, senza neanche dargli tempo di replicare.

- Ragazzina… - sussurrò e le parole si persero nel vento. Le dette le spalle e continuò verso gli studi, avrebbe colto l’occasione per parlare con il regista di “Madama Butterfly”.

Maya correva, insensibile all’aria gelida, con il cuore che scoppiava di gioia. Stava venendo da me? Veniva a dirmi quella semplice frase? Per questo l’ho incontrato qui? Due giorni! Imboccò la scalinata di discesa e si lanciò sulla scala mobile verso i treni sotterranei.

L’uomo chiuse l’obiettivo della macchina fotografica con estrema delusione. Si erano inaspettatamente incontrati, ed era palese come fosse effettivamente un evento fortuito. Si erano scambiati qualche parola uno di fronte all’altra, poi lei gli aveva detto qualcosa di pungente andandosene e lui l’aveva seguita per qualche passo, finché, dopo qualche battuta, lei lo aveva salutato e lui stava andando verso gli studi della Daito Art. Aveva scattato delle foto, ma non erano significative e sicuramente non testimoniavano alcun tradimento coniugale.

Il fotografo, però, non si era accorto che c’era qualcuno ad osservarlo.



Appena le aveva confermato il loro appuntamento, la sua mente si era svuotata. Non le era importato più di niente. Dell’angoscia che sentiva ogni volta che lo incontrava, del terrore che qualcuno l’avrebbe fotografata con lui montando chissà quale storia, delle conseguenze se la signora Hayami avesse visto o capito qualcosa. Alla festa era stata sgradevole, ma non si era aspettata niente di diverso. Era difficile che qualcuno che cercava di corromperti avesse qualche possibilità di cambiare. La cosa più importante era che non scoprisse i suoi sentimenti, forse li aveva immaginati un anno prima, ma credere non significava certezza.

Fissava il citofono di casa sua da almeno dieci minuti. Si era svegliata nel bel mezzo della notte e non era più riuscita ad addormentarsi. Aveva vagato per la casa senza neanche accendere la luce. Presa dalla frenesia, aveva frugato nell’armadio, indecisa come al solito su cosa indossare. Elegante: scartato. Sportivo: scartato. Una via di mezzo era stato il compromesso che era riuscita a raggiungere. Faceva freddo, non aveva idea di quale fosse la meta, ma a parte non fossero le Hawaii, in Giappone era freddo dovunque. Raggiunta quella riflessione, scelse camicetta azzurra, maglione bianco, pantaloni e stivaletti. Con qualsiasi altro abito non sarebbe stata lei stessa e non voleva apparirgli proprio ora qualcosa di diverso da ciò che non fosse realmente.

Si erano confrontati per così tanti anni che si era accorta di aver notato molte cose di lui che tornavano nei momenti più scomodi. Espressioni del volto, il modo di muovere le mani, di camminare, di portare quei lunghi soprabiti…

Arrossì a quei ricordi, il campanello suonò e lei sussultò. Scattò con la mano e sollevò la cornetta bianca. Nel piccolo televisore vide il volto serio di un uomo che non conosceva.

- Scendo subito! - gridò immaginando fosse uno dei collaboratori e lui si scostò infastidito. Maya ridacchiò, chiuse il cappotto, afferrò la borsa e volò verso l’ascensore. C’era un’auto ferma al lato del marciapiede e lo stesso uomo che aveva suonato teneva aperta la portiera.

- Buongiorno, signorina Kitajima - la salutò con deferenza.

- Buongiorno! - rispose lei salendo in auto.

L’uomo si sedette davanti insieme all’autista e la macchina partì. Via via che si addentravano nel traffico di Tokyo riconobbe le strade finché si fermarono di fronte agli studi di prova della Daito. Maya si guardò intorno incuriosita: avrebbe potuto andarci per conto suo! L’uomo scese, le aprì lo sportello e l’accompagnò all’interno salendo la lunga scalinata. Anche se era domenica, c’erano delle compagnie che provavano, sebbene il loro gruppo non ci fosse. Attraversarono l’atrio e lo seguì in un corridoio laterale che non conosceva.



L’autista spense il motore e si mise a leggere il giornale, come gli era stato ordinato. Apparentemente tutt’intorno le cose erano normali finché l’uomo sbucò da dietro un albero, la fedele reflex stretta in pugno. Si mosse furtivo, nascose la macchina fotografica dentro il cappotto e si sedette sulla panchina di fronte dall’altra parte della strada.

- C’è qualcuno che la segue, signore - disse la voce di Hijiri parlando nell’auricolare del cellulare - È lo stesso dell’altro giorno -

Era contento di aver notato quel tizio, ma allo stesso tempo contrariato per non averlo visto prima. Chissà da quanto tempo la segue…

- Sì, signore, procedo come eravamo d’accordo - chiuse la telefonata e chiamò immediatamente il suo uomo all’interno.



Maya non riusciva a capire dove la stesse portando quell’uomo silenzioso e vestito di scuro. Avevano attraversato quasi tutto l’edificio, quando lui si fermò improvvisamente. Rispose al telefono ascoltando attentamente colui che parlava dall’altra parte. Disse solo un secco “sì” e riprese a camminare facendole un cenno gentile.

Lei lo seguì, impossibilitata a fare altro. Raggiunsero la fine di quel dedalo di corridoi dove c’era una grande porta antincendio, di quelle con i maniglioni rossi in mezzo. Ne spinse uno e Maya si preparò al rimbombo dell’allarme come diceva il cartello, invece non accadde niente. Sbucarono all’esterno, nell’immenso parcheggio che accoglieva i camion che di solito consegnavano le scenografie e l’attrezzatura, dove c’era un’altra auto. Era una berlina acciaio, anonima.

- Prego, signorina Kitajima - le disse l’uomo con premura aprendole lo sportello. Maya salì, scombussolata e confusa, sicura però di una cosa: se il signor Hayami aveva preferito fare in quel modo, c’era un motivo e lei non l’avrebbe messo in discussione in quel momento.

- Grazie - lo salutò quando lui tornò indietro, richiudendo la porta degli studi, rendendosi conto che non conosceva neppure il suo nome.

L’unica particolarità di quell’auto erano i vetri oscurati posteriori. L’autista le fece un cenno di saluto dallo specchietto e partì. Si immise nel traffico e lei iniziò a rilassarsi e a domandarsi dove l’avrebbe portata.



Hijiri vide l’uomo che aveva portato dentro Maya uscire dagli studi, entrare in auto e mettersi a chiacchierare con il collega. Il fotografo era ancora sulla panchina, immobile, in attesa probabilmente che lei uscisse.

Sorrise, domandandosi chi fosse e quali fossero le sue intenzioni giungendo alla conclusione che non gli interessava affatto. Adesso le posizioni si erano invertite e lui non l’avrebbe mollato tanto facilmente.



Quando l’autista imboccò l’autostrada verso sud, Maya si appisolò appoggiando la testa sullo schienale fino ad addormentarsi distesa sul sedile. La pelle era calda e morbida e il tepore dato dal sistema di climatizzazione della macchina assecondò la sua necessità di riposare, dovuta anche al fatto che quella notte non aveva dormito bene.

Si lasciò cullare dai rumori soffusi del traffico e tutta la tensione svanì lasciando il posto ad un sonno profondo e ristoratore. Fu privo di sogni, l’unica certezza che la colse quando riprese conoscenza era la sensazione che stesse facendo la cosa giusta: incontrare la sua anima gemella.

- Siamo arrivati, signorina - l’avvisò l’autista gentilmente. Maya si sfregò gli occhi, aprì la portiera e immediatamente un vento freddo e profumato la investì. L’auto si era fermata fuori da un largo cancello aperto, ma non era entrata. Scese e l’aria le fece gonfiare i capelli e il cappotto. Si girò nella direzione da cui proveniva e inspirò con forza.

- Il mare! - esclamò entrando nel cancello senza neanche guardarsi intorno e raggiungendo il promontorio poco distante. La scogliera su cui si trovava cadeva a picco nell’oceano Pacifico. Bianca spuma frizzante si infrangeva sugli scogli appuntiti in una danza eterna e l’odore marino permeava ogni cosa. Si sentiva libera ed emozionata, il cuore le batteva in petto alla vista di quello spettacolo selvaggio della natura.

- Ti piace? - chiese una voce dietro di lei che la fece girare di scatto.

Maya incontrò gli occhi azzurri di Masumi Hayami che l’aspettava poco dietro di lei. Sembravano riflettere la superficie dell’oceano e, allo stesso tempo, celare profondità buie e nascoste.

- Sì! È bellissimo! - rispose con sentimento dilatando le iridi per la sorpresa. Lui teneva le mani nelle tasche del cappotto nero e il vento scompigliava i suoi capelli in modo ipnotico. Sembra un’altra persona… perfino la sua postura è più rilassata...

Masumi si avvicinò, gli erano occorsi alcuni istanti per decidersi a palesare la sua presenza. Aveva preferito guardarla un po’, mentre lei restava immobile, sulla punta della scogliera, i capelli mossi dal vento e le mani strette al petto. Aveva provato a fare una scaletta delle cose da dirle, proprio come faceva in ufficio, ma nell’istante in cui l’aveva vista ogni cosa si era cancellata. Dovrò improvvisare…

Si avvicinò raggiungendola. Nonostante fosse gennaio, lo spettacolo dell’oceano era maestoso.

- Ti ricordi, durante la crociera ti parlai di un posto dove ogni tanto mi rifugiavo? - le disse fissando gli occhi sul mare. Maya annuì e lui intravide il gesto.

- Questa è la penisola di Izu - aggiunse voltandosi a guardarla. Aveva le guance arrossate per il freddo o l’imbarazzo, non avrebbe saputo dirlo, gli occhi brillanti e colmi di aspettativa guardavano i suoi, senza paura, senza acredine.

- Oh… - sussurrò lei stupita dilatando gli occhi - C’è anche la spiaggia con i granchi? - aggiunse entusiasta illuminandosi in volto.

- Sì - rispose Masumi indicando una scalinata di pietra che scendeva lungo la scogliera - È là sotto sebbene i granchi in questa stagione non ci siano - la informò. Sentiva chiaramente la tensione in mezzo a loro. Era vibrante, piena di attesa, ma nessuno dei due si azzardava a muoversi. Che mi succede? È qui, davanti a me, eppure esito...

Maya lo fissava con il cuore in gola. Non sapeva cosa dire, era incantata dalla sua espressione, da quegli occhi che per tanto tempo aveva creduto nemici, dalla sua fisicità evidente che insieme al suo stato sociale li aveva divisi in quei sette anni. Avanti, Maya! Che fai? È il tuo ammiratore delle rose scarlatte! Perché esiti?

Lei si mosse appena, imbarazzata, le labbra tremanti e il cuore che le scoppiava di gioia, e Masumi annullò lo spazio che li divideva, stringendola fra le sue braccia e spezzando la tensione di quell’attimo agognato da entrambi. Il vento spazzava la scogliera, ma lui la tenne saldamente lasciando che le sue emozioni fluissero dalle sue braccia nel corpo di lei.

Maya seppe all’istante che era quella la cosa giusta, che loro erano anime gemelle. L’aveva abbracciata a Nagano, nella valle dei susini, in crociera, a Yokohama, ma se le altre volte le era parso quasi un sogno, in quel momento non c’erano dubbi. Sentiva in quella stretta tutti i sentimenti che il suo ammiratore non aveva mai potuto dimostrarle e che in passato aveva nascosto dietro mazzi di bellissime rose. Si aggrappò a lui, aprendo il cuore e mescolando le sue emozioni a quelle di lui.

Masumi la sentì avvinta, partecipe e i suoi ultimi dubbi vennero spazzati via dalla sua spontaneità. Teneva gli occhi chiusi e la testa vicina a quella di lei. Era una sensazione dirompente e straripante, temeva svanisse se avesse allentato la stretta delle braccia. Poteva sentire perfino i sentimenti di lei, nel picchiare frenetico del suo cuore che batteva all’unisono col suo, nelle dita strette sulla schiena, nel modo in cui staccò appena la testa per guardarlo.

- Hai freddo? - le chiese perdendosi in quello sguardo reso dorato dal sole che brillava sopra di loro.

- No - sussurrò lei emozionata - Siamo insieme, ora -

L’attimo rimase sospeso, l’intensità dei loro sguardi non aveva bisogno di parole, l’abbraccio in cui erano avvinti era solo l’estensione fisica dei loro sentimenti, l’ululare del vento non riusciva a far breccia nei loro animi, legati strettamente uno all’altro.

Maya era sommersa da una miriade di scintille ardenti, scappavano di qua e di là, ma i loro sguardi allacciati e intensi agirono da catalizzatore e quel fuoco si concentrò nel suo cuore, esplodendo. Lo amo! Lo amo immensamente! È la mia anima gemella!

Masumi vide il suo sguardo cambiare, colmarsi di una consapevolezza che lo riempì di struggente dolcezza. Lo sa anche lei… siamo parte di qualcosa di incredibile…

Si abbassò appena mentre lei gli andava incontro, finché l’esiguo spazio che li separava venne annullato e l’unione delle loro labbra creò il legame fisico delle loro anime. Entrambi si sentirono travolgere dai sentimenti a lungo repressi e nascosti. L’abbraccio, che si era allentato un poco, tornò serrato e fremente, come se avessero raggiunto una fonte d’acqua dopo anni di deserto.

Maya lasciò che quella marea la riempisse, che lui l’avvolgesse come in un bozzolo caldo, che le due bocche si esplorassero avide e curiose, dimenticando completamente i loro ruoli, il loro carattere, le differenze che li separavano e che in quell’istante si annullarono completamente. Non c’era più niente intorno a loro, il promontorio spazzato dal vento sparì, insieme al sole che picchiava sulla scogliera, ai garriti dei gabbiani, al profumo di salmastro.

C’erano solo loro due.

Masumi era attratto da lei come una calamita. A nulla aveva potuto la sua ragione quando le loro labbra si erano incontrate e lui aveva lasciato che l’istinto prendesse il sopravvento. Maya aveva risposto con altrettanto ardore e lui si era sentito avvolto da un calore naturale che non credeva possibile. La strinse a sé, lasciando scivolare le mani su quella schiena che tante volte aveva fissato quando lei se ne era andata piena di rabbia.

Il bacio divenne languido e dolce, mentre le coscienze tornavano a far capolino in quel turbinio di emozioni incontrollate. In modo naturale le labbra si staccarono e gli occhi si aprirono su un mondo nuovo.

Maya aveva le iridi dilatate e brillanti, le guance arrossate dall’imbarazzo e dalla felicità. Masumi la scrutò aspettandosi qualche sua uscita strana, invece lo fissava stupita. Le sorrise sperando di farla sentire più a suo agio, sebbene lui non fosse in condizioni diverse. Si sentiva scombussolato, accaldato nonostante il vento freddo, e tutti i suoi sensi si erano svegliati di colpo facendogli apparire il mondo più lucido e nitido.

- Maya… - sussurrò con voce profonda per l’emozione.

Lei annuì socchiudendo gli occhi, gli sorrise dolcemente facendogli battere il cuore di nuovo, e si appoggiò al suo petto. Il cappotto era caldo; profumi, suoni, colori, ogni cosa tornò a colorare l’ambiente. Masumi l’avvolse ancora, incapace di rilasciarla da quell’abbraccio da cui neanche lei sembrava volersi separare. Appoggiò la testa ai suoi capelli e rimasero in quella posizione a lungo, in silenzio e ignorando il vento freddo.

- Masumi Hayami… - Maya sussurrò il suo nome per intero alzando la testa per guardarlo - Tu sei l’altra metà della mia anima - affermò sollevando una mano per accarezzargli una guancia come aveva fatto sulla nave.

- Non riuscivo a crederci - rispose Masumi con sincerità - Sì, io sono l’altra parte di te - concluse dolcemente allentando appena le braccia con cui la stringeva e sussultando al suo tocco lieve.

L’aver ammesso quella semplice verità fu come aprire un’immensa porta. Maya lasciò scorrere lo sguardo sul suo volto appena arrossato sugli zigomi, sugli occhi blu che riflettevano l’oceano, sull’oro che brillava nei suoi capelli colpiti dal sole. Lo fece con naturalezza, senza alcun imbarazzo e Masumi si sentì apprezzato come mai prima di quel momento. Mi guarda senza alcun timore… sembra che mi veda per la prima volta…

- Sai? Me ne sono accorta… - iniziò Maya catturando di nuovo il suo sguardo limpido.

- … nella valle dei susini - finì Masumi - Quando ti ho vista sull’altra riva del ruscello e mi hai recitato quelle battute. In quel momento le nostre anime si sono toccate - lei annuì con vigore sentendo il cuore riempirsi di gioia. Siamo così affini e io non avevo capito… È vero, signora Tsukikage, tutto vero… È stato così anche per lei con il Maestro Ozaki? È così per Akoya e Isshin?

- Hai le mani fredde - constatò lui prendendo nella sua quella che teneva appoggiata al suo petto, sopra il cuore - Vuoi entrare in casa? - aggiunse stringendo le piccole dita e lasciando che l’emozione lo riempisse di nuovo.

Maya avrebbe voluto restare ancora un po’, quel promontorio era bellissimo, ma era davvero curiosa, all’improvviso, di sapere qualcosa in più su di lui, su quel rifugio dove le disse che ritrovava se stesso.

- Sì - gli rispose uscendo di malavoglia dal suo abbraccio. Com’è possibile che io ne senta già nostalgia? Non mi è bastata questa lunga unione?

Arrossì abbassando la testa e lo seguì tenendolo per mano. C’era un giardino che circondava la casa per tre quarti, di cui il promontorio faceva parte, mentre il quarto lato era sicuramente a strapiombo sulla scogliera. L’edificio era a due piani, basso, dal tetto largo con gli angoli arricciati, tipico delle case di mare sulla costa. Era tutto di legno, c’erano tante vetrate e dal comignolo usciva il fumo.

Masumi le aprì la porta di casa e le fece cenno galantemente di entrare. Maya arrossì di nuovo, ma entrò, togliendosi subito il cappotto, la borsa e gli stivaletti. Masumi la imitò, indossarono le ciabatte da casa senza dire una parola, colti entrambi da un intenso imbarazzo. A parte Hijiri, il suo domestico e Shiori, Maya era la prima persona estranea che entrava in quella casa.

Il tepore la investì immediatamente, si guardò intorno, spostando lo sguardo nell’ampio e luminoso soggiorno. C’erano un terrazzo e una libreria che occupava tre pareti: in quella centrale c’era una porta che conduceva ad altre stanze. Sulla parete sinistra un camino acceso diffondeva il suo calore di fronte ad  un divano. Sul lato destro faceva bella mostra di sé un tavolo rettangolare con quattro sedie. Tutti i mobili erano di legno e creavano un ambiente confortevole e caldo. È completamente diversa dal suo ufficio… questo stile si adatta di più al mio ammiratore...

Masumi la vide sorridere, concentrata su qualche ragionamento e rimase immobile ad osservarla.

- Ti piace? - le chiese di nuovo trattenendo il respiro. Lei si girò con l’espressione più bella che le avesse mai visto.

- Sì! Questo sei tu! - gli disse con sincerità facendolo arrossire.

Maya aveva quell’incredibile capacità di andare a fondo nelle cose scrutandole appena. Non gli aveva detto quanto fosse bello il camino o quanto fosse pregiato il tavolo o la boiserie per i libri, no: lei aveva visto la sua essenza in quella casa. Non resistette all’impulso che gli scoppiò nel cuore, fece un passo, prese il suo volto fra le mani e la baciò di nuovo con impeto. Maya spalancò gli occhi, colta alla sprovvista, ma si unì alla sua felicità, che era anche la propria. Sollevò le mani e si aggrappò a lui, condividendo quell’attimo emozionante e dolce.

Quando separarono le labbra, avevano il fiato corto entrambi. Masumi appoggiò la fronte alla sua e la fissò con occhi cupi.

- Scusami… io… - si trovò a corto di parole, troppo coinvolto per riuscire ad essere chiaro. Maya scosse la testa in silenzio, imbarazzata, e lo accarezzò su una guancia, rassicurandolo. Anche lei non riuscì a spiccicare parola, tale era il turbamento che le scuoteva l’anima.

Si abbracciarono stretti, sancendo nella quiete il comune intento di stare semplicemente vicini. Maya si rese conto che indossava un maglione a rombi e una camicia e si staccò all’improvviso facendo un passo indietro. Masumi la guardò stupito e lei lo squadrò da capo a piedi. Poi si mise una mano sulla bocca iniziando a ridacchiare.

Lui si guardò addosso, poi tornò su di lei e corrugò la fronte.

- Che c’è? - le chiese con tono spazientito.

- È la prima volta che… - ma Maya non riuscì a finire e scoppiò a ridere. Lo aveva sempre visto in abiti scuri e severi e con quell’abbigliamento aveva un’aria strana.

- Hai pensato che indossassi solo abiti da ufficio? - la interrogò torreggiando sopra di lei e puntando i pugni sui fianchi. Maya si fece piccola, ma continuò a ridacchiare.

- Sinceramente, sì… - ammise ricomponendosi - Ti stanno bene - concluse innocentemente. Masumi la fissò severo, ma di fronte a quell’espressione, capitolò e scoppiò a ridere.

- Beh, come vedi mi vesto normalmente - replicò con una punta di ironia nella voce che lei archiviò fra gli atteggiamenti di lui che conosceva. Masumi si spostò raggiungendo il camino e si inginocchiò davanti ad esso dopo aver preso un attizzatoio.

Maya si fermò alla sua destra, le fiamme intense le scaldarono i pantaloni e diffusero un piacevole tepore. Lui mosse abilmente i piccoli tronchi e migliaia di scintille si sparsero tutt’intorno, mescolandosi al fuoco rosso vivo. Terminata l’operazione, si rialzò e rimise a posto l’attizzatoio, voltandosi a guardarla. Sembrava che quei silenzi fossero parte di loro, eco degli anni in cui non avevano realmente comunicato. Si avvicinò e appoggiò una mano sulla sua guancia calda. Maya ci mise sopra la sua e gli sorrise.

- Tu sei il mio ammiratore delle rose scarlatte - gli rivelò in un sussurro lieve.

Masumi s’irrigidì e spalancò gli occhi, meravigliato da quell’affermazione improvvisa. Lasciò ricadere la mano tenendo gli occhi nei suoi, abbandonandosi a quel calore che gli invase l’anima, e le rispose.


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Capitolo 8
*** Stage #8. Il fuoco dell’anima ***


Stage #8. Il fuoco dell’anima



Un ciocco nel camino scoppiettò sottolineando l’importanza del momento. Masumi la fissava, incerto sul motivo per cui gli avesse confidato quella certezza proprio in quel momento. Era comunque inutile pensarci, non restava altro che confessare la verità.

- Sì - annuì alla fine. Non c’era molto altro da dire; e pensare che gli era sembrata una cosa impossibile da fare, invece si era risolta immediatamente.

Maya s’illuminò e gli si gettò fra le braccia con un gridolino estasiato. Lui la tenne stretta a sé, affondando il volto nei suoi capelli caldi per la vicinanza col fuoco.

- Come potevi immaginare che io… - mormorò Masumi, ma lei lo interruppe, scostandosi per guardarlo.

- Non lo immaginavo! - esclamò - Lo sapevo! - aggiunse trionfante lasciandolo di stucco.

- Lo… sapevi? Ma come…? - domandò incerto, senza lasciarla assolutamente andare. Gli piaceva averla tra le braccia e lì non c’era motivo per privarsi di quella gioia.

Maya ridacchiò e assunse un’espressione birichina che lo riempì di tenerezza.

- Che uomo curioso! - replicò imbronciata - Non ti basta sapere che avevo capito? -

Masumi la fissò meravigliato da quell’atteggiamento, lei arrossì tornando la Maya di sempre e abbassò lo sguardo. Lo aveva colpito profondamente sapere che lei era a conoscenza di quel segreto, ma ancor più voleva sapere come l’avesse scoperto.

- Alla fine di “Lande dimenticate” ho ricevuto un mazzo di rose… - raccontò lei a bassa voce, tenendo la testa giù - Nel biglietto c’era indicato il foulard blu con cui Jane comprende la sua umanità… -

Masumi assottigliò lo sguardo annuendo lentamente e lei si accoccolò meglio fra le sue braccia, come se fosse la cosa più naturale del mondo. Lui ricordava bene ogni particolare, ma non capiva come potesse averle fatto scoprire ogni cosa.

- Abbiamo utilizzato quel foulard solo alla prima, poi era rosso… - concluse Maya arrossendo da capo a piedi. Masumi la fissò intensamente, passarono alcuni secondi prima che riuscisse a far collimare ogni cosa. Lentamente spalancò gli occhi e lei sorrise dolcemente. Lo sa da allora! Da così tanto tempo! Ma allora… si è innamorata dell’ammiratore o di me?

- Sono state quelle rose a farmi arrivare dove sono… - sussurrò Maya appoggiandosi a lui - È stata la forza impressa in quei biglietti e in quella presenza invisibile che mi ha spronato a dare sempre di più - ammise abbracciandolo stretto - Ma scoprire che eravate la stessa persona è stato come inserire la chiave nella giusta toppa -

Masumi la fissò sconcertato. Si era innamorata di me prima?! Prima di Lande dimenticate… è impossibile…

- Ne sono felice - mormorò Masumi con il cuore colmo di gioia - Erano l’unico modo che avevo per dimostrarti il mio apprezzamento per la tua recitazione - spiegò con un nodo d’emozione che gli stringeva la gola - Il mondo dello spettacolo è pericoloso… -

- Lo so, ora ho capito - sussurrò lei strusciandosi dolcemente al suo petto. Era solido come lo ricordava, caldo e ampio, come a Nagano, come durante il ballo della premiazione, come sull’Astoria.

- Oh, Maya! - Masumi la strinse forte, lasciandosi travolgere dalla tenerezza. L’emozione era così intensa da togliergli il fiato, sapeva che avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di continuare a proteggerla da chiunque volesse farle del male.

Lei sentì l’angoscia nella sua voce. Quella dualità che aveva visto per tanti anni, lui l’aveva vissuta e doveva essere stata un vero inferno. Diviso fra dovere e aspirazione, responsabilità e desiderio, mostrava a me un lato in pubblico e un altro in privato… finché ho compreso tutto...

Masumi le mise una mano dietro la testa costringendola dolcemente a reclinarla. Maya incontrò le sue iridi azzurre cariche di sentimenti, così diverse dallo sguardo gelido e distaccato a cui era abituata. Dicevano ogni cosa: le parlavano di rose, di privazioni, di attesa, di paura, di orgoglio, di rispetto, di stima, di fiducia e, infine, d’amore.

Si chinò a baciarla di nuovo, impossibilitato a starle lontano ora che l’aveva lì, nel suo rifugio. Fu un bacio diverso, era colmo di consapevolezza, dell’essere destinati l’uno all’altra, irrimediabilmente, per l’eternità. Niente avrebbe potuto dividerli: età, aspetto, rango, società, obblighi, responsabilità. Ogni cosa era stata spazzata via da quel sentimento dirompente e devastante che condividevano.

Il baciò divenne più ardente, le loro mani guidate dalla necessità di saggiare, scoprire, rivelare, si mossero frenetiche tirando tessuti, sfilando maglioni, finché la pelle calda di entrambi venne a contatto con le fiamme brucianti del fuoco. Masumi la sollevò verso di sé e Maya si aggrappò intorno a lui con le gambe ancora fasciate nei pantaloni e gli gettò le braccia al collo. Stava seguendo la bramosia dell’istinto, non ragionava, non rifletteva, voleva solo diventare un’anima sola con lui.

Masumi, che dall’alto della sua esperienza avrebbe dovuto mantenere un minimo di controllo, cancellò ogni riferimento, ogni ragionamento, affidandosi al puro istinto, senza sapere che lei stava facendo esattamente la stessa cosa. La sua pelle era chiara e liscia, con una meravigliosa sfumatura dorata donata dalle fiamme del fuoco nel camino. I capelli spettinati le ricadevano davanti solleticandogli il volto, che lui affondò nel suo collo morbido e profumato. Chiuse gli occhi appoggiando le labbra alla pelle e la sentì sospirare.

Fece qualche passo incerto tenendola stretta e si chinò davanti al divano, lasciando che si sedesse più comoda, ma lei, travolta dall’emozione, continuò a restare aggrappata a lui. Masumi allargò le mani sulla sua schiena così da aumentare la presa e scese con le labbra fino al seno. Maya reclinò la testa all’indietro chiudendo gli occhi per l’eccitazione che sembrò frantumarle il cuore. Gli afferrò i capelli con le mani e tirò con forza, respirando rapidamente. Non aveva mai provato niente di simile fino ad allora. Ogni altra esperienza era scialba rispetto a quella, perfino l’essenza della Dea che entrava in Akoya. In quel momento comprese cosa fosse ciò che mancava alla sua interpretazione e che andava ancora cercando dopo innumerevoli repliche: l’unione di due anime.

Sentendo le sue mani fra i capelli, Masumi venne inondato da una bramosia folle. Anni di attesa, di speranza, di repressione, potevano avere libero sfogo. Non c’erano più restrizioni né barriere, lei era lì, fra le sue braccia, la sua Maya, la ragazzina che brillava sul palco nel mondo dell’arcobaleno voleva diventare una cosa sola con lui. Catturò di nuovo la sua bocca e affondò in lei cercando la sua collaborazione. Strinse l’abbraccio come una morsa, togliendo il respiro ad entrambi, incapace di fermare quel desiderio devastante. I pensieri coerenti erano banditi, la mente era concentrata sul profumo di lei, sulle sue mani, sul suo seno che strusciava contro il suo petto.

Maya ricevette le sue labbra con avidità. In un altro momento avrebbe pensato a quel suo strano comportamento, ma non lì. C’era il suo ammiratore, l’uomo di cui si era perdutamente innamorata e nessuno dei vecchi pensieri venne a disturbarla, la sua mente completamente attratta dalle sue labbra e dalle sue mani grandi e forti che l’accarezzavano facendo esplodere il suo desiderio. Si appoggiò allo schienale del divano e lui le andò dietro, i ginocchi sul pavimento e le lunghe braccia sempre intorno a lei.

Erano coscienti che quell’approccio irruente e bramoso si stava trasformando in una calcolata ricerca. I loro sguardi cupi, il fiato corto, erano testimoni di un’accettazione totale di quell’obiettivo, di quella volontà implacabile di unirsi e formare un’anima unica.

Con gesti rapidi e imbarazzati gli ultimi indumenti raggiunsero gli altri sul pavimento. Masumi scorse lo sguardo sul corpo dorato della ragazza distesa sul divano. Le curve perfette, sempre nascoste da vestiti o abiti di scena, spiccavano nette sul tessuto scuro. Ma lui non era l’unico a riempirsi lo sguardo, anche Maya guardava, senza vergogna, con gli occhi brillanti e pieni d’amore.

Quando Maya si era slacciata i pantaloni in un impeto colmo d’eccitazione, l’aveva visto fare la stessa cosa, gli occhi blu carichi d’elettricità, l’espressione del volto accaldata e completamente diversa da qualunque altra lei gli avesse mai visto. Da quell’istante non aveva smesso di fissarlo, incuriosita e affascinata. Non aveva mai visto un uomo nudo, c’era una bellezza rude e definita in quel corpo statuario. Le spalle larghe, la muscolatura evidente ma proporzionata, le braccia, le mani, i fianchi più stretti, la sua virilità. Era uno spettacolo unico, il fuoco alle sue spalle definiva la sua persona, evidenziandola con luci e ombre. Aveva creduto che l’imbarazzo l’avrebbe divorata, invece si scoprì solo invasa da un ardente desiderio.

Quell’esame reciproco durò solo qualche secondo, poi lui l’avvolse di nuovo fra le sue braccia e la baciò intensamente. Maya gli affondò le mani nei capelli godendo dei brividi estesi che le fecero accapponare la pelle. La sollevò senza alcuno sforzo e lei gli afferrò la vita con le gambe, aderendo completamente a lui. Era una sensazione incredibile che aumentò quando le sue mani scesero sulle natiche rotonde.

Avvinta dalla bramosia, Maya strisciò le mani sulle scapole ampie e in tensione, sentendolo rabbrividire e gioendo perché era lei a provocargli quelle emozioni. Si sentiva bruciare, come Oshichi durante l’incendio, e Masumi, inconsciamente consapevole del loro stato, seguendo istinto e eccitazione, la distese sul divano seguendola subito dopo.

I loro occhi si incrociarono, accesi di desiderio, e immediatamente dopo i loro sospiri pesanti si fusero nuovamente con le loro labbra. I corpi accaldati sfregavano, smaniosi l’uno dell’altra, alla ricerca di quel completamento che avrebbe finalmente riunito le due anime.



Quando Maya aprì gli occhi, sbatté le palpebre più volte, avvolta in un torpore piacevole. Il fuoco ardeva ancora nel camino e le occorse qualche secondo per ricapitolare tutto e farsi quasi venire un infarto. Il cuore prese a battere all’impazzata quando realizzò di essere ancora distesa sul divano, le sue braccia l’avvolgevano dolcemente ed erano entrambi coperti da un plaid leggero.

Voltò appena la testa e trovò i suoi occhi.

- Ti sei spaventata? - sussurrò Masumi alzando un braccio e scostandole un ciuffo di capelli dalla fronte.

- Solo per un attimo - ammise lei - Poi ho ricordato ogni cosa - aggiunse arrossendo imbarazzata.

Masumi cercò la sua mano e incrociò le dita alle sue, portandole alle labbra e depositandoci un bacio lieve. Maya si accoccolò contro di lui, scoprendo che quell’imbarazzo era piacevole e che era l’ultimo atteggiamento che le mancava da unire a quelli che aveva provato con lui.

- Un giorno la signora Tsukikage mi disse che se avessi avuto la fortuna di trovare la mia anima gemella avrei dovuto fare di tutto per tenermela - mormorò Maya tirando fuori quella frase in modo spontaneo, rendendosi conto solo dopo dell’impatto che avrebbe potuto avere - La mia Akoya è stata frutto del mio tormento - si affrettò ad aggiungere e Masumi corrugò la fronte - In Akoya ho riversato tutti i sentimenti che provavo per lei… - Maya si tappò la bocca e si voltò sconvolta verso di lui: all’improvviso aveva realizzato di aver abbandonato quella forma di rispetto che gli aveva sempre riconosciuto.

Masumi scoppiò a ridere anche per scacciare la malinconia delle sue parole. E io che pensavo fosse innamorata di Sakurakoji…

- Ti preoccupa la forma di cortesia? - la interrogò alzando un sopracciglio e alludendo a ciò che avevano condiviso da poco.

Maya si voltò verso il camino arrossendo violentemente.

- No… ma non mi ero resa conto di averlo fatto… - ammise mordicchiandosi un dito.

- Sul promontorio, quando sei arrivata, mi hai chiamato per nome - mormorò lui avvicinandosi e curvandosi verso il suo orecchio. Lei aggrottò la fronte finché il dialogo iniziale le tornò in mente.

- Masumi Hayami… - sussurrò di nuovo al fuoco ascoltando come suonava. Il cuore le sussultò in petto ripetendo quelle sillabe che sapevano di proibito - Non mi è concesso chiamarti per nome - si girò verso di lui realizzando quanto fosse ampia la seduta di quel divano e quanto fosse caldo il corpo di lui accanto a lei.

Masumi raffreddò lo sguardo e la fissò. Era una cosa assurda e senza senso. Avrebbe voluto dirle di farlo liberamente, ma comprese a cosa si riferiva. Non era una questione etica, bensì di stato sociale. Sono sposato… si considera la mia amante? Pensa che non potrà mai avere niente più di questo? Come la signora Tsukikage e Ichiren Ozachi?

- Ti dissi di aspettarmi, quel giorno al porto - le disse serio - Lo farai ancora un po’? - aggiunse lasciando scivolare una mano dalla spalla di lei lungo il braccio esile.

Maya rabbrividì al tocco sensuale, poi annuì, impossibilitata a parlare a causa del groppo che le serrava la gola, un misto di paura e desiderio.

- Aspetterò - scandì lentamente voltandosi verso di lui e appoggiando le mani sul petto ampio. Anche se dopo la crociera, a quella stessa promessa, lui aveva ribadito con parole cattive e dure, ora sapeva che erano state dettate dalla necessità e che lui l’aveva sempre amata in silenzio. L’unica voce, con cui ha potuto dimostrarmi il suo affetto, sono state le rose scarlatte…

Maya sentì il cuore riempirsi di tenerezza a quel pensiero. Gli occhi del suo ammiratore la fissavano pieni di stima e riconoscenza, come se quell’aspettare avesse avuto per lui un valore inestimabile. Si sporse verso di lui e allo stesso tempo Masumi l’avvolse nel suo abbraccio. Far scivolare la pelle contro quella di lei stimolava tutte le sue terminazioni nervose, costringendo la mente a concentrarsi solo sulle loro due essenze.

Nell’istante in cui le loro labbra s’incontrarono, avvertirono un piccola scossa e si separarono ridacchiando. Maya si sporse di nuovo e lo baciò con apprensione stringendo le palpebre e aspettando un’altra scossa. Quando non accadde niente si rilassò, si allontanò ancora e lo baciò di nuovo. Masumi l’assecondò in quel breve ballo, finché la tensione si fece così estrema da costringerlo a reagire prima di impazzire. L’attirò a sé passandole un braccio sotto il fianco e facendola ruotare appena. Affondò nella sua bocca e lei rispose con altrettanto ardore.

C’era qualcosa di veramente potente che li univa, un’intesa sotterranea e profonda, invisibile, ma che si concretizzava in quelle emozioni e nel contatto della loro pelle che bruciava come fuoco vivo. Quel singolo bacio fece esplodere i battiti dei loro cuori e accese immediatamente il desiderio, proprio come era avvenuto davanti al camino.

- Maya… - sussurrò Masumi con la voce arrochita all’emozione affondando il volto nei suoi capelli. Lei spostò le labbra umide sul collo inspirando il suo odore.

Avrei dovuto riconoscerlo al ballo della premiazione… non solo dalla stretta delle sue braccia… ma ero troppo spaventata all’idea che fosse proprio lui e ho scacciato l’attimo in cui l’ho pensato… spaventata di ammettere che mi era piaciuto quell’abbraccio e che me ne ero innamorata…

Masumi rabbrividì a quei baci titubanti, incredulo che potesse essere nuda fra le sue braccia. Lasciò scivolare lentamente una mano lungo la schiena di lei e raggiunse il globo rotondo della natica. Quando l’accarezzò, Maya fremette e si distese come un gatto che fa le fusa. Lei proseguì spostando le labbra sulla clavicola, sui pettorali finché lui le sollevò il mento di scatto, incapace di resistere a quella piccola tortura.

La baciò con forza, ma lei non si tirò indietro, avvinta dalla sua stessa eccitazione. L’unica cosa che Maya sentiva era il calore emanato dai loro corpi, tesi e vicini, che strusciavano l’uno contro l’altro in movimenti languidi e intimi. In quella posizione semi sdraiata era comoda, si sentiva avvolta e protetta sia da lui che dalla coperta ancora magicamente ferma al suo posto. Il bacio prolungato aumentò l’eccitazione in mezzo alle sue gambe e sentì anche la sua virilità che le premeva contro la coscia. Sentì le guance avvampare, fece scivolare una mano lungo lo sterno, seguendo le cunette dell’osso in mezzo ai pettorali definiti. Incontrò gli addominali accennati e Masumi emise un breve verso soddisfatto che la fece emozionare ancora di più.

Le piccole dita incontrarono la peluria e Maya s’irrigidì appiattendo la mano sul ventre di lui. Masumi trattenne a stento una risata sulle sue labbra e intensificò ancora quel bacio che li teneva uniti.

Maya rimase immobile in quella posizione, subendo l’assalto della sua lingua che cercava continuamente la sua, quasi dimentica di ciò che voleva fare inizialmente. Lui si mosse mettendosi sul fianco e la sua virilità tesa sfiorò il dorso della sua mano immobile. Lei sussultò e si staccò dal bacio all’improvviso. Masumi la fissò, aveva le iridi dilatate, il respiro pesante e le labbra arrossate dal contatto prolungato e intenso.

Lei aveva il cuore che batteva all’impazzata, i suoi occhi la guardavano assorti, socchiusi ed erano di un blu scuro e profondo, carichi di una brama ardente. Anche lui respirava rapido. Maya deglutì e continuando a fissarlo con espressione imbarazzata, sollevò la mano che gli teneva appiccicata all’addome e lo cercò.

Quando strinse le dita delicate intorno alla sua rigidità, Masumi serrò le labbra e lei vide cambiare il suo sguardo, che divenne cupo e pericoloso. Mantennero quel contatto visivo nonostante l’imbarazzo e lei tastò con delicatezza, lo avvolse nella sua mano rendendosi conto della sua reale forma.

Masumi, incatenato agli occhi di lei che sembravano sfidarlo, inspirava ed espirava rapidamente dal naso, tenendo serrati i denti per l’eccitazione causata dal suo tocco innocente. Abbassò una mano e fece esattamente la stessa cosa che aveva fatto lei: l’appoggiò dapprima sul suo seno, poi la lasciò strisciare lentamente verso il basso.

Maya sussultò e rabbrividì, gli occhi ancora nei suoi, ardenti e socchiusi. Le dita lunghe scivolarono sulla sua pancia e la mano si fermò appena incontrò i riccioli del suo triangolo. Lei spalancò gli occhi e strinse la mano intorno alla sua virilità eretta e Masumi sorrise inclinando appena un angolo della bocca.

Spinse la mano in mezzo al piccolo groviglio castano. Maya arrossì violentemente, ma separò appena le gambe per lasciarlo passare. Le dita sicure discesero lentamente fino ad incontrare la sua parte più delicata. Lei, che era rimasta in tensione a fissarlo meravigliata, espirò all’improvviso quando la toccò, stuzzicandola.

Masumi gioì del suo sguardo carico d’eccitazione, non era spaventata, voleva toccare ed essere toccata e, dopo la prima condivisione dettata dal desiderio, era curioso anche lui. Era umida e calda, i suoi muscoli si tesero, ma la sfregò appena con un solo dito e la vide trasalire. Le piccole dita si strinsero di nuovo intorno alla sua virilità e si mossero su e giù, guidate da un istinto primordiale. Si sentì sopraffatto dall’emozione e digrignò i denti. Nonostante le sensazioni devastanti di entrambi, quell’erotico scambio di sguardi non cessò.

Maya voleva guardarlo, voleva sovrapporre il suo vero volto a quella maschera che gli aveva sempre visto indossare. Voleva vedere Masumi Hayami. Lui era rimasto dapprima sconcertato da quell’audacia, poi aveva dovuto capitolare di fronte al suo coraggio: non aveva mai abbassato gli occhi davanti a lui e non lo stava facendo neanche in quel momento così delicato e intimo.

Masumi scivolò piano in quella fessura bagnata e infilò un dito, attirandola al contempo verso di sé e baciandola con trasporto. Il contatto visivo s’interruppe, Maya sussultò ed emise un piccolo grido, soffocato dalle sue labbra. Lasciò andare la sua virilità e picchiò un pugno sul suo petto in un’inutile protesta, abbandonandosi al suo bacio esigente. Masumi non smise di tormentarla, nonostante la sua reazione, e venne ricambiato da quei deliziosi versetti che faceva.

Il pugno che aveva chiuso si rilassò e la mano distesa passò piano sulla sua pelle, riempiendolo di brividi. Quando lei iniziò a muoversi, Masumi scivolò con la schiena sul divano e Maya gli si mise cavalcioni, appoggiando entrambi i palmi sui pettorali. Ansimavano entrambi, ebbri di quel sentimento che li univa.

La coperta scivolò a terra, rivelando completamente le loro nudità, ma a nessuno dei due sembrò interessare minimamente. I loro occhi erano allacciati di nuovo, seri, intensi, pronti a sancire di nuovo quel legame sfolgorante. Masumi la osservò sentendo crescere ancora di più quel sentimento che lo aveva irrimediabilmente legato a lei anni prima. I capelli spettinati, l’espressione arrossata e gli occhi scintillanti gli rivelarono quanto fosse coinvolta. Realizzò che non era diversa da altre volte, tranne l’essere nuda davanti a lui. Maya era esattamente ciò che era sempre stata.

Lei inclinò la testa assottigliando lo sguardo. Lo scrutò qualche attimo, poi gli sorrise in modo dolce facendolo fremere.

- Ora so chi sei, Masumi Hayami - sussurrò compiaciuta. Lui arrossì inspiegabilmente e spalancò gli occhi come un ragazzino beccato a fare qualcosa che non doveva.

Maya si sollevò appena e gli permise di entrare accogliendolo fino in fondo con un sospiro appagato pieno di soddisfazione. Masumi l’afferrò per i fianchi e accettò la sua bocca quando calò su di lui iniziando a muoversi.



Lo stesso autista che l’aveva accompagnata, l’aveva riportata agli studi di prova della Daito. Quando arrivarono erano quasi le nove di sera.

Per tutto il tragitto non aveva fatto che rievocare quella giornata. Oltre ad aver incontrato intimamente la sua anima gemella, cosa che la faceva arrossire completamente ad ogni minimo ricordo, avevano parlato a lungo della “Dea Scarlatta”. Il nodo di tutta la situazione era sempre legato ai diritti di quel dramma. Nel contratto, la clausola, controfirmata anche da Eisuke Hayami, prevedeva che dopo cinque anni, lei avrebbe ceduto i diritti a Masumi Hayami - che poi li avrebbe dati al padre - ma lui non intendeva fare niente di tutto ciò. Avrebbe dato a lei nuovamente la proprietà, estromettendo di fatto suo padre.

Quando le aveva detto le sue intenzioni, Maya era rimasta senza fiato. Non riusciva a comprendere perché la situazione fosse così complicata, me le aveva chiesto fiducia e lei gliel’aveva accordata.

Avevano parlato di Hijiri, ora che la verità sul donatore di rose era stata rivelata. Lui sarebbe stato l’uomo ombra alle sue spalle e avrebbe mantenuto quel ruolo finché fosse stato necessario. Lei era rimasta stupita nell’apprendere quanto tempo della sua vita Hijiri Karato avesse dedicato a lei. E lo stava facendo ancora.

Avevano parlato di “Madama Butterfly” e del seguente impegno con la “Dea Scarlatta”. Masumi le aveva rivelato di aver coinvolto il regista Kuronuma in un nuovo progetto e che sarebbe stato lui a comunicarlo direttamente al cast il primo giorno di prove ad aprile. Lei aveva provato a farsi dire di cosa si trattasse, ma lui era rimasto inamovibile come una colonna di pietra. Maya si era irritata, ma lui l’aveva bellamente ignorata, divertendosi alle sue spalle.

Le aveva parlato brevemente del gruppo Takatsu e delle avverse condizioni in cui versava. Maya l’aveva visto preoccupato per la Daito che, aveva compreso da tempo, considerava alla stregua di una sua creatura e a cui era molto attaccato. Temeva che quella spiacevole situazione avrebbe trascinato in un baratro anche la sua azienda.

- Non puoi sistemarla? - gli aveva chiesto innocentemente riferendosi alla Takatsu.

Masumi era scoppiato a ridere e l’aveva baciata a lungo, colto da un’immensa tenerezza.

- Vorrei - le aveva sussurrato alla fine di quello scambio ardente - Ma non posso. Non c’è modo di ripianare una situazione così disastrosa - le aveva confessato con espressione cupa.

- Non riesco a credere che il cinico affarista senza scrupoli si faccia fermare da un dettaglio! - aveva aggiunto Maya irritata per essere stata zittita.

Lui aveva riso di nuovo facendola innervosire ancora di più.

- È un dettaglio da dieci miliardi di yen* e ci sono degli appalti non chiari che probabilmente farebbero finire in prigione l’intero Consiglio di Amministrazione e il suo Presidente… - aveva spiegato con un sorriso dolce. *(circa 32 milioni di euro)

Lei si era portata una mano alla bocca sconcertata e aveva smesso di ribattere.

Non avevano invece accennato al suo matrimonio e lei non aveva neanche provato a chiedergli niente. Nonostante il grado d’intimità a cui erano arrivati, c’erano delle cose di cui ancora non si sentiva di parlare con lui e una era Shiori Takamiya. Era sicura che la sua richiesta di aspettare ancora un po’ si riferisse a quel fatto e non ai problemi economici dell’azienda del nonno che, sebbene gravi, sembravano completamente sotto il suo controllo.

Durante quell’incredibile pomeriggio aveva visto avvicendarsi più volte le due personalità di lui che conosceva: l’ammiratore e l’uomo d’affari. Era consapevole che si trovassero ad anni luce di distanza, ma si era anche resa conto che non aveva alcuna importanza. Lui era un bravo manager, lei una brava attrice, lui era un uomo affascinante, lei no, lui era ricco, lei lo stava diventando, ma non sarebbe mai stata considerata alla pari di una famiglia come gli Hayami. L’aveva trattata come se avesse avuto la sua stessa età e le sue stesse conoscenze. È vero, non era sceso in dettagli, ma le aveva spiegato cosa intendeva fare.

Quando lui le aveva chiesto dei due spettacoli, lei aveva fatto altrettanto. Le aveva fatto molte domande, su cosa provasse durante un’interpretazione, su quali fossero i suoi sentimenti in quei momenti, sul modo in cui affrontava i personaggi. Lei aveva provato a spiegarsi in maniera semplice e con stupore si era accorta che lui aveva fatto altrettanto con lei quando avevano affrontato i suoi argomenti. Si era sentita stranamente parte di qualcosa di unico ed era stata ben felice di rispondere a tutte le sue domande.

Non appena l’auto si era fermata nel parcheggio posteriore degli studi Daito, aveva trovato ad attenderla lo stesso uomo in scuro di quella mattina. Le aveva sorriso e in quel momento stavano riattraversando i corridoi. La sensazione era davvero incredibile: le sembrava un immenso déjà-vu e per un attimo temette di nuovo fosse stato un sogno, finché vide il signor Hijiri in fondo ad un lungo corridoio.

Si guardarono qualche istante, poi lui le sorrise dolcemente.

- Buonasera, Maya - la salutò con un cenno gentile.

Gli occhi le si riempirono di lacrime e lo abbracciò stretto, gettandosi fra le sue braccia.

- Sono felice che sia andato tutto bene - le sussurrò in orecchio. Quando aveva sentito il signor Masumi a telefono non era riuscito a crederci.

- Oh, signor Hijiri! Allora non è stato un sogno? - singhiozzò, provata e sconvolta ancora da tutto ciò che era accaduto nella giornata.

- No, era tutto reale - la rassicurò lui scostandola gentilmente da sé.

- Grazie! - gli disse con entusiasmo asciugandosi le lacrime - Grazie, signor Hijiri, per tutto quello che ha fatto per me! -

Lui scosse la testa minimizzando il suo impegno e si fece subito serio. Maya comprese all’improvviso, raggelandosi, che ci fosse un motivo per la sua presenza lì.

- C’è qualcosa che devo dirle - le riferì - C’è un giornalista o un investigatore che la segue. Non è niente di diverso dalle altre volte in cui è successo, ma le chiedo particolare attenzione finché avremo capito cosa vuole - si affrettò a rassicurarla quando la vide sbiancare.

- S-Sì… certo… - annuì serrando la borsa in grembo. Quella semplice e spaventosa frase le confermò che il signor Hijiri in quei mesi e negli anni in cui le aveva consegnato le rose si era sempre occupato di lei su richiesta di Masumi Hayami.

- Adesso la accompagneremo a casa proprio come abbiamo fatto all’andata, lei si comporti normalmente e per qualsiasi cosa faccia affidamento su di lui - aggiunse Hijiri indicando l’uomo in nero accanto a lei. Maya annuì di nuovo.

Si salutarono e lei seguì il collaboratore uscendo dagli studi e raggiungendo l’auto già in moto davanti alla scalinata. cercò di adottare un’espressione serena sebbene non riuscì a fermare lo sguardo facendolo saettare rapidamente intorno. Era buio e i lampioni non fornivano abbastanza luce da illuminare tutti i punti oscuri. Quell’uomo avrebbe potuto essere dovunque. Cosa voleva da lei?

Deglutì e salì in macchina con l’angoscia nel cuore.



Tre ore in auto da solo, seguendo la berlina con Maya a bordo, non lo avevano aiutato a metabolizzare quanto era accaduto. Il suo cuore batteva ancora incessante e aveva così caldo che non si era infilato il cappotto né aveva acceso il climatizzatore.

I minuti erano passati troppo veloci, senza che se ne accorgessero. L’intenso avvicinamento che avevano avuto non era paragonabile a nessun’altra esperienza lui avesse mai fatto. Non riusciva a pensare in maniera lucida: ogni suo pensiero era concentrato in quell’incredibile e travolgente condivisione. Aveva temuto di avvicinarla, attendendo che crescesse, per così tanti anni, che quando l’aveva vista sulla scogliera e l’aveva abbracciata, ogni sua riserva si era smaterializzata di fronte all’evidenza. Maya lo amava tanto quanto lui amava lei, nonostante gli sembrasse ancora impossibile.

Gliel’aveva detto sull’Astoria, ma aveva creduto che, infranta la promessa dell’aspettarsi, lei avesse deliberatamente deciso di dimenticarlo. Quando aveva firmato il contratto con lui, Maya si era dimostrata l’acerrima nemica di sempre: diretta, coraggiosa, senza peli sulla lingua. Il suo carattere si era inasprito nei suoi confronti, rafforzando l’idea che le sue aspre parole dopo la crociera e il suo matrimonio avessero messo la parola fine a ogni cosa.

Poi a Yokohama l’aveva abbracciata di nuovo, scoprendo che lui era mancato a lei con la stessa intensità. Aveva compreso quanto il matrimonio di Shiori avesse minato la sua già debole autostima: sul ponte della nave le aveva rivelato i suoi sentimenti per poi sposare un’altra donna.

Era consapevole che le sue azioni avevano portato la situazione vicina ad un pericoloso baratro. Sinceramente, anche se Shiori non ci fosse stata, non aveva idea di come avrebbe risolto le cose. Matrimonio o meno, come avrebbe fatto a stare insieme a lei? Avrebbe semplicemente annunciato al mondo che si sarebbero sposati? Un produttore e un’attrice… troppi conflitti di interesse e non avrebbe giovato a nessuno dei due.

Con quei pensieri ad arrovellargli l’anima, aveva parcheggiato nel box di villa Takamiya. Tutte le luci erano spente, nonostante fossero le nove e mezzo di sera. Come faceva ogni volta, si prese qualche attimo, appoggiandosi allo schienale e accendendosi una sigaretta. Chiuse gli occhi e lasciò filtrare alcuni ricordi. Non avrebbe potuto tenerli sempre vivi dentro di sé perché rischiava di lasciarli trapelare, rendendoli visibili a tutti e se c’era qualcosa a cui ora più che mai avrebbe dovuto fare attenzione era che niente del suo rapporto con Maya venisse intercettato da qualcuno.

Il suo cellulare squillò e, vedendo il nome sul display, rispose immediatamente.

- Hayami - si annunciò immediatamente attento.

- Maya sta andando verso casa sulla nostra auto - riferì Hijiri - L’uomo che la seguiva, dopo aver atteso qualche minuto, se ne è andato -

Masumi espirò il fiato che aveva trattenuto.

- Grazie, Hijiri, puoi andare - lo congedò chiudendo la telefonata

Appoggiò la testa sul poggiatesta del sedile e chiuse gli occhi. Poi prese il cappotto, la valigetta, le chiavi e entrò in casa.

C’era silenzio, come sempre, ma stranamente Shiori non era lì ad attenderlo come avveniva quasi tutte le sere. Camminò nei corridoi bui senza fare alcun rumore e si diresse nello studio. Non accese alcuna luce, non ne aveva bisogno e non la voleva. Si sfilò il maglione venendo investito immediatamente dal ricordo dello stesso gesto che Maya aveva fatto davanti al camino, quando avevano…

Si buttò sulla poltrona sbuffando e celando un sorriso imbarazzato nonostante fosse solo e al buio. Si portò le mani al volto sentendo il calore che gli era salito alle guance e le passò fra i capelli, tirandoli indietro. Non era sicuro di riuscire a nascondere i suoi sentimenti, soprattutto la mattina seguente quando avrebbe visto Mizuki. Quella donna mi leggerà come un libro aperto…

Sfruttando la sola luce lunare che entrava dalle grandi porte finestre, raggiunse il mobiletto dei liquori e si versò da bere. Neppure l’impatto con l’alcol cancellò quei ricordi emozionanti. Raggiunse la scrivania senza dover fare niente in particolare e la sua attenzione venne attirata da un piccolo riflesso. Girò intorno e si sedette. Appoggiò il bicchiere sul piano lucido e prese in mano alcune fotografie mentre un brivido di terrore freddo spense definitivamente l’ardore che gli scorreva nelle vene.



Maya trascorse il breve tempo di viaggio fra gli studi e il suo appartamento cercando di tenere lontane le emozioni che le devastavano l’anima. Abbiamo avuto troppo poco tempo… c’erano altre cose che avrei voluto dirgli… Si portò le mani alle guance sentendosi avvampare. Aveva finalmente trovato il tassello che mancava alla sua Akoya. Ancora non riusciva a crederci, ma come aveva promesso a Kuronuma, sarebbe riuscita cambiare ancora il suo personaggio e a portare un’altra Dea sul palcoscenico.

Quell’avvicinamento intimo era stato improvviso e febbrile, sfuggito completamente al loro controllo. Se fosse stata la sola a lasciarsi andare, si sarebbe assunta la colpa, ma non era stato così. Lui era stato… ancora più coinvolto di lei, come se l’attesa che l’aveva separato da quell’unione fosse pesata come un macigno sulla sua vita.

O forse si è solo liberato di una costrizione… del dover nascondere a tutti i suoi veri sentimenti, quel Masumi Hayami dietro la maschera…

Arrossì di nuovo ringraziando la penombra dell’abitacolo e il fatto che i due uomini guardassero la strada e non lei. L’indomani avrebbe dovuto assolutamente chiamare Rei. Non sarebbe stata più in grado di mentire all’amica e aveva necessità di condividere con qualcuno ciò che era avvenuto.

Fissò quell’appuntamento mentale proprio nell’istante in cui la macchina accostò davanti al marciapiede del suo palazzo.



Masumi sfogliò le fotografie con occhi spalancati. Erano state meticolosamente strappate in quattro parti. Tutte. Ritraevano lui e Maya a Yokohama, al porto, quando avevano mangiato le polpette sulla panchina. Non erano compromettenti, anzi, il fotografo che li aveva ritratti non era in una buona posizione, ma agli occhi di qualcuno che voleva vedere solo una specifica versione, erano più che sufficienti.

Lasciò cadere i pezzi stracciati, si alzò e corse nella sua camera. Spalancò la porta col fiato corto per aver fatto gli scalini tre a tre. Non voleva dar voce alla paura che gli attanagliava l’anima, ma quel brivido divenne intenso quando trovò il letto vuoto.

- Shiori… - mormorò con il cuore che gli usciva dal petto.

Prese il cellulare dalla tasca con uno scatto e chiamò il numero di Maya. Squillò a vuoto e lei non rispose. Poi chiamò a casa, ma anche lì nessuno rispose. Fissò il cellulare con occhi spalancati, ansimando per la tensione.

Compose il numero del suo uomo ombra mentre scendeva di nuovo le scale rischiando di ammazzarsi.

- Hijiri! - lo chiamò appena la comunicazione venne stabilita - Vai da lei! - sibilò riattaccando immediatamente e infilandosi al volo le scarpe. Cercò le chiavi dell’appartamento, ma non le trovò da nessuna parte. Un’angoscia oscura e terrificante riempì il suo cuore.

Scattò in macchina e uscì rapidamente, sperando che i pensieri che gli affollavano la testa fossero solo frutto della sua immaginazione.



Maya entrò nell’atrio del palazzo, si voltò a salutare i due collaboratori, che ripartirono, e si diresse agli ascensori. Il portinaio notturno le sorrise dolcemente riconoscendola, controllò la posta, ma era vuota, infine schiacciò il pulsante di chiamata dell’ascensore.

Una volta all’interno si abbandonò alla parete vetrata con un sospiro. Come si sarebbe comportata quando l’avrebbe rivisto? Si portò una mano al petto sentendo il cuore palpitare immediatamente. Non riesco a controllare le mie emozioni… come riuscirò a tenere nascosto al mondo quello che provo per lui?

Le porte si aprirono al suo piano e lei percorse il corridoio coperto da uno spesso tappeto variopinto. Aprì la porta del suo appartamento, entrò e accese la luce nell’ingresso. Si spogliò stancamente, raccolse la borsetta e sbucò sul salotto. Stava per imboccare il corridoio e raggiungere la sua camera, quando si rese conto che c’era qualcuno nell’ombra. S’immobilizzò per la paura appena la figura nera si alzò, abbandonando la poltrona bianca e l’oscurità in cui era nascosta.

- Ciao, Maya Kitajima - la salutò con voce fredda.

- B-Buonasera, signora Hayami - ebbe la presenza di spirito di rispondere Maya prima di spalancare gli occhi e ammutolire di fronte all’espressione della donna che entrò nel cono di luce, diventando ben visibile.


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Capitolo 9
*** Stage #9. Anime spezzate ***


Stage #9. Anime spezzate



L’idea che Shiori avesse in mente qualcosa di folle e potesse fare del male a Maya gli annebbiò completamente la ragione. L’aveva vista bruciare le rose scarlatte, tagliarne i bocci lasciando i soli rami scheletrici, ma era stata una reazione del passato, che non si era più ripresentata. L’aveva sposata e rassicurata che Maya Kitajima era sempre stata per lui solo un’attrice talentuosa alla quale aveva regalato dei fiori anonimamente non potendo in altro modo dimostrare il suo apprezzamento.

Shiori sembrava aver accettato quello stato di cose e quando lui aveva firmato il contratto assicurandosi i diritti della “Dea Scarlatta” e legandosi a Maya più strettamente di quanto non fosse mai avvenuto prima, sua moglie era rimasta in silenzio, probabilmente conoscendo il valore di quel traguardo per il suocero Eisuke.

Quelle fotografie… ha assunto lei quell’investigatore?

I ricordi della giornata appena trascorsa, che sembrava lontana già un milione di anni, gli invasero la mente aumentando l’afflizione che gli torceva lo stomaco come un veleno. Abituato all’analisi e alla riflessione anche nei momenti più tormentati, il suo cervello allacciò quella felicità al rovescio della medaglia facendo apparire in un angolino lontano e oscuro il sacrificio della Dea Scarlatta. L’associazione fu così assurda e poco coerente da strappargli un sorriso. È solo un dramma… anche se, ogni volta che l’ho vista morire su quel palco per Isshin, una parte di me moriva con lei per poi rianimarsi quando la vedevo sorridere radiosa agli applausi del pubblico...

Schiacciò l’acceleratore e si concentrò sulla strada.



Maya era sicura di non aver mai provato un terrore così profondo da quando era in vita. Le membra non rispondevano, gli occhi restavano ostinatamente spalancati, la bocca era asciutta, la mani sudavano freddo e il respiro andava a ritmo del cuore accelerato che s’era fatto piccolo piccolo dietro le costole. La donna di fronte a lei indossava un elegante e severo tailleur grigio, scarpe coi tacchi, gioielli. I lunghi capelli erano acconciati all’insù e un trucco perfetto metteva in evidenza i suoi lineamenti algidi.

Ciò che l’aveva inchiodata all’inizio dell’ampia sala, impedendole qualsiasi movimento, era il suo sguardo. Gli occhi bruciavano di una luce sinistra e fredda, sembravano senza vita, come se dietro non ci fosse una coscienza. Appariva compiaciuta di se stessa, come se fosse soddisfatta di farle quell’effetto.

- Spero di non averti spaventato facendomi trovare qui… - iniziò con voce suadente - Ma sai, ho trovato la copia delle chiavi di questo appartamento nella scrivania di Masumi - aggiunse sollevando il mazzo agganciato ad un suo dito, che tintinnò in modo inquietante.

Maya deglutì e cercò di riprendersi.

- Questo appartamento è della Daito - le disse Maya pescando dai suoi ricordi confusi, ritrovando la voce dopo aver mandato giù la saliva un paio di volte.

- Oh, no, ragazzina - precisò Shiori con voce tagliente, facendo un passo avanti e gioendo del terrore che vedeva sul suo volto - Questo appartamento è di Masumi e, come già accaduto in passato con altre concessioni che ti ha fatto, l’ha dato a te - le rivelò assottigliando lo sguardo.

Maya dilatò le iridi stupita. Non lo sapeva davvero! Era sicura che fosse uno degli appartamenti che la Daito dava ai suoi attori quando erano a Tokyo! Ma quei dubbi vennero spazzati via da una seconda, terrificante, consapevolezza che la colpì come una scossa potente e debilitante. Sa tutto… sa tutto dell’ammiratore!

- Non lo sapevo… - ammise candidamente Maya rimanendo immobile, cercando di non lasciar trapelare l’angoscia che le stritolava lo stomaco. Ora cosa faccio? Sono sola… cosa vorrà da me?

- BUGIARDA! - urlò all’improvviso trasformando la sua espressione in una maschera orrenda. Maya fece un passo indietro spaventata, muovendosi per la prima volta da quando l’aveva vista. Per un attimo il suo volto era apparso deformato, simile alla maschera teatrale della rabbia, ritornando normale l’istante successivo.

- Sei una piccola e cattiva bugiarda - ripeté con un sibilo trattenuto, come se parlasse a se stessa. Faceva girare intorno al dito il mazzetto di chiavi e la sua bocca si era piegata in un sorriso malevolo.

Maya rabbrividì, cercando di fermare i tremori che la squassavano. Era consapevole che non c’era molto che potesse fare a parte subire la sua sfuriata. L’aveva attesa di nascosto in casa, chissà da quanto si trovava lì.

- Dove sei stata oggi? - le chiese suadente facendo un altro passo avanti. Puntò gli occhi brucianti nei suoi e indurì lo sguardo come se avesse voluto trafiggerla.

Anche se la voce aveva un tono dolce, neanche per un attimo Maya pensò che lei avesse cambiato atteggiamento. Ricordava perfettamente le accuse che le aveva lanciato: la scomparsa dell’anello di fidanzamento “finito” nella sua borsetta, l’abito da sposa macchiato, l’assegno.

- Agli… agli studi della Daito - rispose Maya schiarendo la voce che aveva preso a tremarle e pensando che fosse la scusa migliore.

- BUGIARDA! - gridò di nuovo Shiori irrigidendo i tratti del volto. Scagliò le chiavi con violenza che si infransero sullo specchio a parete alla destra di Maya, mandandolo in mille pezzi. Maya si girò di scatto facendo un altro passo indietro, terrorizzata e confusa da quell’atteggiamento senza senso.

- Signora Hayami, ma cosa…? - provò a farla ragionare, ma la donna la congelò con lo sguardo.

Shiori si avvicinò con passo felino, come una tigre fa con la sua preda, pronta a verificare ciò che sapeva fosse la verità. All’improvviso fece scattare le mani in avanti e l’afferrò per le spalle tirandola verso di sé. Avvicinò il volto al suo, lentamente, socchiuse gli occhi e inspirò col naso, arrivando quasi a toccare la sua guancia. Maya sentiva il cuore battere incessantemente mentre un sudore freddo le aveva bagnato tutta la schiena.

- Hai il suo profumo addosso, piccola sgualdrina arrivista! - ringhiò tornando a fissarla con occhi di fuoco.

Maya, tremante di paura e con gli occhi spalancati, negò scuotendo leggermente la testa e Shiori la schiaffeggiò con forza, gettandola a terra. La guancia le bruciava come fuoco ardente e aveva sentito scricchiolare il collo. Teneva gli occhi chiusi e tante piccole stelle le ballavano davanti agli occhi. Sentì lacrime di rabbia e dolore pungerle gli occhi.

- Ma a te non interessa affatto che io sia sua moglie, vero? - sibilò dall’alto - Non ti interessa che lui sia sposato! - aggiunse alzando il tono della voce che si fece isterico.

Maya rimase carponi, cercando di riprendersi da quello schiaffo a cui era stata impressa una forza incredibile. Si massaggiò la guancia tenendo lo sguardo socchiuso sulla punta delle scarpe eleganti della donna davanti a lei.

Shiori rodeva di una rabbia infinita e a lungo trattenuta. Sapeva, l’aveva sempre saputo, che si incontravano di nascosto! Sapeva che Masumi vedeva in lei ben più di un’attrice talentuosa, eppure aveva sposato lei, una Takamiya, probabilmente solo per fondere i due imperi e fregandosene altamente dei suoi sentimenti!

- SGUALDRINA! - urlò calciando con violenza e colpendola in pancia. Sentire affondare la punta della scarpa nella carne morbida la riempì di soddisfazione. Non meritava alcun riguardo! Era lei quella che era stata tradita! Lei che era stata costretta a fare buon viso conoscendo perfettamente le mire di quell’attrice arrampicatrice! Lei, che era sempre riuscita a vedere la verità dietro quegli occhi da cerbiatto che incantavano tutti! Per fortuna non era stata la sola a vedere così a fondo, altri attori, altri registi la consideravano egocentrica, arrogante e presuntuosa. Un’attrice nata dal nulla che aveva avuto l’ardire di lottare per un ruolo ambito in tutto il Giappone strappandolo addirittura alla blasonata Ayumi Himekawa!

Maya, colta di sorpresa, rimase senza fiato mentre un dolore lancinante si propagava in tutto il suo corpo. Tossì con forza schiacciandosi sul pavimento freddo, boccheggiando e scuotendo la testa.

- Forse i vostri teatrini nei foyer avranno divertito e ingannato i giornalisti, ma non me! - gridò ansimando Shiori e calciò di nuovo, colpendola su un braccio quando Maya tentò di difendersi sollevandolo. Il dolore si diffuse di nuovo, unendosi a quelli precedenti e facendole scoppiare la testa. Si accucciò di nuovo mentre paura, angoscia e un forte senso di colpa le invadevano l’anima.

- Amoreggiavi con lui come la maledetta prostituta che sei! Un uomo sposato! Socialmente anni luce da te che non hai nulla, ma nonostante ciò, sei stata così arrogante e presuntuosa da provarci lo stesso! - l’accusò lasciando uscire le parole come un fiume in piena.

Esse entrarono nella mente di Maya come una stilettata rovente. Ha ragione… è tutto vero… sono stata davvero meschina… ho volutamente ignorato che fosse sposato pur di avere la mia anima gemella! Ma non so come frenare questi sentimenti! Non ci riesco! Scoppiò a piangere, gli avambracci a terra, le mani chiuse a pugno, il corpo prostrato e la testa incassata fra le spalle. Shiori rise con forza.

- Con le tue lacrime false potrai ingannare Masumi, ma non me! - ringhiò calando di nuovo il piede su di lei e calpestandola. Maya non si ritirò nemmeno, rimase immobile, congelata nel suo dolore avvolto di paura. Ognuna delle parole che aveva detto era vera. Cos’erano in fondo quei battibecchi che cercava sempre con lui? Gli erano occorsi anni per capire che erano l’unico modo che aveva per comunicare, credendo i suoi sentimenti non ricambiati. Cercava un contatto, uno qualsiasi. Aveva raccolto ogni sfida che le aveva lanciato per dimostrargli che era un’attrice capace, per non deluderlo. Tutto questo molto prima di scoprire che fosse il suo adorato ammiratore, molto prima di capire che si era innamorata di lui.

Maya si alzò lentamente, dato che Shiori Takamiya sembrò concederle una tregua da calci e schiaffi. Piegò le labbra in una smorfia e sentendo il sapore ferroso del sangue invaderle la bocca si rese conto di averne uno spaccato. Si sfregò via il rivolo appiccicoso con il dorso della mano e una volta completamente in piedi sollevò lo sguardo su di lei.

La donna la fissava con occhi dilatati e folli, pieni di un’acredine e una rabbia che le gelarono le membra tremanti. Qualsiasi cosa dirò, lei non mi ascolterà…

Quando Shiori scrutò il suo sguardo terrorizzato, gioì dell’effetto che faceva su quella ragazzina insignificante. Non solo aveva provato a portarglielo via mentre erano fidanzati, ma ne era diventata l’amante una volta sposati! Eppure quello stupido investigatore insisteva che non c’era alcun tradimento. Quando il suo collaboratore, che usava come intermediario, le aveva mostrato quelle foto a Yokohama, lei aveva visto nella coppia sulla panchina ciò che l’investigatore non avrebbe mai potuto vedere: Masumi era rilassato. Le sue spalle, la posizione della testa, delle braccia, le avevano detto ben più di qualsiasi prova compromettente su come si sentisse lui accanto a lei. Così, quando Masumi due giorni prima le aveva detto che quella domenica sarebbe stato impegnato per la nuova “Dea Scarlatta” visionando alcuni teatri, lei non aveva neanche perso tempo a verificare la veridicità di quell’affermazione, ma aveva chiesto al suo collaboratore di far intervenire l’investigatore per controllare dove sarebbe andata Maya Kitajima. Quando il suo collaboratore l’aveva chiamata dicendole che era arrivata agli studi di prova, lei aveva semplicemente chiamato la segreteria e aveva chiesto di parlare con l’attrice. Le avevano risposto che quel giorno non c’erano in programma prove per “Madama Butterfly” e che la Kitajima non si era vista.

- Dove siete stati? Tra una fornicazione e l’altra hai deciso di liberarti di me? - sibilò Shiori stringendo i pugni lungo i fianchi finché le nocche sbiancarono - Pensi veramente che io mi farò da parte lasciandoti campo libero? - l’aggredì verbalmente avvicinando il volto al suo, accecata dalla gelosia che le corrodeva l’anima.

Maya rimase immobile, il respiro pesante che usciva rantolando dalle labbra tumefatte. Passò la lingua sul taglio, assaporando con disgusto il proprio sangue ferroso. Le argomentazioni di quella donna erano valide, tutte quante. Non sapeva cosa avesse fatto con lei Masumi Hayami durante il fidanzamento. Non sapeva se l’avesse corteggiata né se si fossero innamorati, poi Shiori Takamiya aveva scoperto in qualche modo che era lui l’ammiratore delle rose scarlatte. Avevano discusso? Ricordava ancora l’angoscia di quel periodo, quando era sicura di averlo perduto per sempre, convincendosi che fosse troppo per lei, irraggiungibile ed inafferrabile. Poi c’era stata l’Astoria.

Un tepore caldo e piacevole le invase il petto al ricordo e non riuscì a trattenere un sorriso dolce. Era qualcosa che non poteva fermare, era consapevole che stava correndo un grave pericolo, ma nonostante ciò quei momenti la riempirono di tenerezza che trasparì evidente dalla sua espressione sognante.

Shiori spalancò gli occhi vedendo il suo sguardo che lentamente cambiava fino a riempirsi di una straziante e dolce consapevolezza. Quella ragazzina stava pensando a qualcosa e la ignorava!

- Sei stupida?! Smettila! - ringhiò arricciando le labbra e dandole una spinta.

Maya arretrò, ma ormai il calore dell’amore che provava per Masumi Hayami aveva agito come un balsamo e lenito il dolore delle ferite fisiche, spinto dal battito del suo cuore che aumentava ad ogni istante mentre la sua mente rievocava gli attimi di quell’alba indimenticabile. Aveva usato le parole della Dea per dichiararsi e lui aveva capito! L’abbraccio in cui l’aveva stretta, le parole che le aveva detto, ogni istante era ben inciso nella sua mente.

- Non posso… - sussurrò mantenendo quel sorriso caldo e dolce. Dire la verità una volta l’aveva portata a scoprire che anche il suo ammiratore l’amava, che non era sola come aveva creduto in quel sentimento esplosivo, che lo condivideva con lui anche se le era parso incredibile.

- NON PUOI COSA? - urlò Shiori schiumando di rabbia e dandole un’altra spinta che Maya incassò stoicamente.

- Non posso non amarlo - le rivelò serena fronteggiandola e sentendo l’anima più leggera e libera. Mi dispiace… posso immaginare quanto sia doloroso perché l’ho provato anche io quando si sono sposati… quel senso di perdita immane e infinita che ti lacera dentro e ti strappa via la voglia di vivere… ma io lo amo! È la mia anima gemella! Non riesco a rinunciare a lui!

Shiori sbiancò, immobilizzandosi. Sentire quelle parole dalla sua bocca la destabilizzò. Qualcosa si ruppe definitivamente dentro di lei, lasciando fuoriuscire tutto il dolore e la rabbia per essere stata ingannata, tradita e umiliata.

Scattò in avanti cogliendo Maya di sorpresa che troppo tardi vide il suo sguardo farsi vacuo e privo di coscienza. L’afferrò al collo ghermendola con le mani. Caddero sul pavimento duro e Maya sentì tutte le ossa scricchiolare. Shiori si mise cavalcioni su di lei schiacciandola con forza, ignorando il tessuto della gonna che si strappava in quella posizione scomoda.

Ben presto Maya rimase senza fiato nonostante cercasse in tutti i modi di uscire da quella costrizione che le fece salire un panico incontrollato. Annaspava e la vista si fece sempre più scura mentre le forze scemavano via mentre le dita artigliavano e stringevano.

- Se è così, devo trovare un modo per toglierti di mezzo, Maya Kitajima! - gracchiò Shiori in preda ad una disperata e folle angoscia. Quando avesse finito con lei, Masumi non si sarebbe più avvicinato!

Tolse una mano dal collo esile che avrebbe potuto spezzare in qualsiasi momento, ma non era la sua morte che voleva. Maya respirò un po’ quando lei allentò la costrizione, ansimando pesantemente, e nonostante grossi globi neri invadessero il suo campo visivo, si accorse che la donna teneva qualcosa in mano.

- Perfino la grande Chigusa Tsukikage fu costretta a ritirarsi dalle scene e a vivere come una reietta, senza un soldo e impazzita, quando il suo volto venne sfregiato! - stappò con studiata lentezza la piccola boccetta nera che teneva in mano. Esultò ridendo follemente quando Maya tremò, realizzando cosa volesse fare. L’attrice prese a dibattersi e dimenarsi, ma Shiori la teneva fermamente schiacciata a terra senza darle alcuna possibilità di fuga. La mano rimasta tornò a serrarle la gola aumentando la stretta e quando il respiro le mancò, Maya seppe che era tutto finito e non avrebbe più potuto recitare. Mi dispiace, signora Tsukikage… mi dispiace…

Shiori avvicinò la boccetta al volto inclinandola lentamente mentre la sua risata riecheggiava per le stanze dell’appartamento deserto.

Maya chiuse gli occhi e attese, sentendo che stava per soccombere all’oblio.



Masumi Hayami non era mai stato concentrato su un obiettivo come in quel momento. Era sicuro che Shiori fosse andata nell’appartamento di Maya con l’intenzione di… Non era riuscito a terminare il pensiero ogni volta che quell’idea si era affacciata alla sua mente durante quella folle corsa in auto. Si rifiutava di accettare quell’opzione perché non era sicuro che sarebbe riuscito a mantenere la calma se avesse trovato una situazione irreparabile. Era stato sicuro che sposare Shiori gli avrebbe permesso di controllarla, invece lei aveva continuato a sospettare e a tramare, nonostante le sue rassicurazioni. Avrebbe dovuto immaginare che non sarebbe stato semplice convincerla: non aveva creduto lui stesso alle rassicurazioni dietro cui si era trincerato. Aveva allontanato Maya dopo la crociera spinto da una paura incontrollata che rifiutare Shiori e mettersi contro il futuro suocero avrebbe solo rovinato lei e la sua carriera, anziché permettere ad entrambi di vivere apertamente i loro sentimenti.

Per farlo, non sarebbe bastato solo evitare il matrimonio con Shiori Takamiya, bensì cambiare lo stato del loro rapporto professionale. Lei era un’attrice, il teatro avrebbe fatto parte della sua vita per sempre e lui per niente al mondo l’avrebbe privata di quella possibilità. Lui invece era un produttore teatrale e in quel settore non gli era concesso ammirare qualcuna delle stelle che gli gravitavano intorno né tanto meno frequentarla intimamente.

Probabilmente, se avesse seguito la sua idea iniziale di lasciare il nome di suo padre, ogni cosa si sarebbe aggiustata da sola: i Takamiya avrebbero rinunciato spontaneamente al matrimonio non essendo più un partito appetibile e avrebbe perduto la Daito Art, ma sarebbe stato libero di frequentare Maya senza che lei rischiasse la sua intera carriera. Ormai la situazione era andata in tutt’altra direzione e sarebbe occorso più tempo per ripristinarla, ma era sicuro di riuscirci. Questa volta non si sarebbe tirato indietro, non ora che loro due si erano trovati.

Strinse la mascella e chiamò Hijiri col vivavoce appoggiando il cellulare sul cruscotto mentre superava un semaforo quasi rosso a velocità folle.

- Dove sei? - gli chiese apprensivo appena la conversazione si aprì.

- Ci sono quasi, signor Masumi - rispose pacatamente l’uomo ombra - Posso sapere cosa succede? -

- Shiori… - mormorò a denti stretti - Credo sia a casa di Maya - quando dall’altra parte sentì un silenzio comprensivo, proseguì - Quando arriverai, chiedi al guardiano notturno una copia delle chiavi dell’appartamento, non trovo più le mie -

- Sì, signore - rispose fermamente Hijiri.

- Non deve farle del male! - aggiunse Masumi lasciandosi cogliere per un attimo dal panico. Se non l’ha già...

- Non gliene farà, signore, lo eviteremo - lo rassicurò Hijiri all’altro capo del telefono.

- Grazie, Hijiri. Ci vediamo lì - e chiuse la comunicazione.

Rifletté qualche altro istante, poi compose un numero che squillò a vuoto per un po’ finché la comunicazione venne stabilita.

- Signorina Mizuki - la chiamò dal vivavoce - Le chiedo scusa per l’ora, ma ho necessità che faccia qualcosa per me. Pensa di potermi aiutare? -

Dall’altra parte ci fu un breve silenzio, poi la voce decisa e chiara di Saeko gli sollevò l’animo - Certo, signore. Mi dica cosa devo fare -

- Credo che Maya sia in pericolo, si trova nel suo appartamento, ma non è da sola - le riferì - Voglio che vada da lei e porti con sé il nostro medico - ci fu un silenzio prolungato e poteva immaginare il volto serio e concentrato della segretaria che pensava. L’immagine fugace gli strappò un breve sorriso.

- Ho capito, signor Masumi, mi muovo subito - acconsentì lei - Le serve qualcos’altro? -

- Sì, chiami per favore i Takamiya e li avvisi che Shiori è con me e che siamo usciti - dette quelle disposizioni costringendo la sua mente a pensare - E mandi una mail urgente al redattore del servizio stampa, avvisandolo di tenersi a disposizione questa notte negli uffici della Daito, io lo raggiungerò lì appena mi sarà possibile -

- Sì, signore - rispose prontamente Mizuki e Masumi non dubitò neanche per un istante che lei non avesse compreso la gravità della situazione.

- La prego anche di chiamare Sujimoto, il collaboratore di mio padre, avvisandolo che potrei avere necessità di tornare a casa all’improvviso questa notte -

- Sì, lo farò certamente, signor Masumi - il tono conciso e chiaro e i piccoli rumori che sentiva sotto, gli indicarono che si era già mossa, forse si stava vestendo.

- Grazie, Mizuki - e mai come in quel momento si sentì di dover ringraziare sentitamente quella donna seria, professionale e reattiva. Chiuse la telefonata e tornò ad accelerare sulle strade semi deserte della sera.

Era vicino, poteva vedere la zona con i palazzi residenziali che svettavano maestosi, brillanti di luci artificiali. Superò un incrocio ignorando un furgone che gli suonò con insistenza e svoltò nell’ampia strada principale che l’avrebbe portato sotto quel palazzo dove mesi prima aveva comprato quell’appartamento per lei, spacciandolo per uno di quelli della Daito e in cui l’aveva costretta a trasferirsi senza Rei Aoki.

Sorrise al ricordo della sua reazione vedendola ora con altri occhi. Quei litigi, le risposte piccate che gli dava, forse il contratto stesso che aveva firmato, erano solo un modo per confrontarsi con lui. Un velo d’immensa tristezza calò sul suo cuore quando si rese conto di aver involontariamente partecipato a quella pantomima utilizzando quello stesso sistema come aveva fatto lei. Si amavano, ma erano impossibilitati a dimostrarlo.

Accostò con una brusca frenata al marciapiede. C’era un’altra auto scura parcheggiata, probabilmente quella di Hijiri. Uscì rapidamente, sbattendo lo sportello, e corse verso l’atrio illuminato. Bussò al vetro d’ingresso, scrutò all’interno e vide il guardiano sporgersi dal suo bancone. Hijiri era in piedi davanti a lui. Il portone si aprì con uno scatto secco e li raggiunse immediatamente. Senza una parola e con lo sguardo scuro, il suo uomo ombra gli porse un mazzo di chiavi che aveva lasciato Masumi stesso in portineria quando aveva acquistato l’appartamento sapendo, quanto Maya fosse sbadata.

Ringraziò l’ometto stupito, che però non aveva fatto domande, e presero l’ascensore. Un silenzio pesante grava nell’aria, non erano necessarie parole fra loro due quando si trattava di Maya, e Masumi gliene fu immensamente grato. Non c’era niente che avrebbe potuto dire, l’unica cosa di cui necessitava in quel momento era assicurarsi che lei stesse bene. Inoltre, poteva anche aver esagerato la situazione e che Shiori fosse da tutt’altra parte, ma lo dubitava fortemente.

Scacciò l’angoscia che gli attorcigliava lo stomaco e schizzò fuori dall’ascensore appena le porte si aprirono. Sebbene non fosse mai andato lì da lei in quei mesi, ricordava esattamente dove fosse ubicato e ci si diresse senza esitazione. Scambiò un’occhiata con Hijiri e accostò l’orecchio alla porta blindata d’ingresso. C’era una voce ovattata dentro, ma non si riusciva ad individuare di chi fosse né quale tono stesse usando.

Inserì la chiave lentamente e girò piano, cercando di non far rumore. Aveva le mani sudate e la tensione stava per spezzargli la schiena, ma quando ruotò la chiave per la terza volta, la porta si aprì e lui cacciò fuori tutto il fiato. Attese in silenzio, per constatare che nessuno avesse sentito quell’entrata furtiva. Preferiva spaventare a morte Maya entrando all’improvviso che mettere in allarme Shiori. Annuì di nuovo a Hijiri, che sostenne serio il suo sguardo, e spalancò la porta irrompendo nell’appartamento.



I polmoni le bruciavano come se avesse una fiamma dentro e sentiva gli occhi uscirle dalle orbite. Il dolore al collo era talmente intenso da essere inconcepibile. Il pesante corpo della donna la schiacciava senza darle possibilità di movimento e le forze rimaste a causa della mancanza di ossigeno erano troppo esigue perché potesse tentare di liberarsi in qualche modo. Chiuse le palpebre quando l’ultimo soffio d’aria svanì e con esso la sue speranze. L’avrebbe comunque sfregiata, non avrebbe potuto più recitare, quindi poteva anche morire. Signora… non sono stata all’altezza… mi dispiace… mio caro ammiratore, è stata la tua forza a guidarmi nelle prove difficili che ho dovuto sostenere e la persona che mi spiace più deludere sei proprio tu… perdonami, ti prego...

Lacrime calde rotolarono giù fino al pavimento e Shiori rise di nuovo, follemente, ruotando il polso e la boccetta d’acido con cui avrebbe posto fine alla carriera di quella sfrontata.

- Non reciterai più! Sarai costretta a vivere in una prigione che tu stessa hai voluto! Masumi smetterà di cercare una luce ormai spenta! -

La porta d’ingresso si spalancò all’improvviso sbattendo sul muro e Shiori sussultò sollevando lo sguardo e incontrando gli occhi inorriditi e gelidi di suo marito. Eccolo! È venuto qui! È venuto per lei!

Masumi osservò la scena senza fiato. Come un istante sospeso nel tempo, tutti i suoni cessarono, le cose intorno a lui persero la loro forma e gli unici punti a fuoco erano la mano di Shiori intorno al collo esile di Maya e la boccettina nera sollevata poco sopra il suo volto.

- Shiori… - sussurrò, rimanendo immobile per paura che un suo movimento le facesse rovesciare il contenuto della fiala sul viso esanime di Maya.

Hijiri, più lucido e reattivo, scattò rapido lungo il breve corridoio e, sorprendendo tutti, si lanciò su Shiori cadendo rovinosamente insieme a lei sul pavimento del salotto. La donna gridò e Masumi si riscosse, raggiungendo immediatamente Maya e inginocchiandosi accanto a lei.

La scosse dolcemente per le spalle, ma il suo volto era grigio ed inerme. Il suo cuore venne avvolto da un sudario di terrore mentre la sua mente si rifiutava di accettare ciò che stava guardando. Passò un braccio dietro le sue spalle e la tirò verso di sé, stringendola al petto e affondando il volto nei suoi capelli. La sua testa reclinò orrendamente all’indietro strappandogli un singulto straziante.

Hijiri si rialzò, Shiori Takamiya era svenuta, a terra, e la boccetta si era rovesciata, macchiando una delle poltrone bianche. Voltò la testa verso Masumi quando udì un lamento addolorato e lentamente le sue iridi si dilatarono di fronte alla scena. No! Non può essere! Con il cuore che batteva colmo di angoscia, raggiunse il suo capo e amico, inginocchiandosi accanto a lui. Teneva Maya stretta a sé, come quell’amore segreto nato sette anni prima per volere di un destino che li aveva uniti da subito, che loro l’avessero voluto o meno, fino a quell’epilogo infausto e doloroso. Chiamava il suo nome incessantemente, un sussurro pieno di tormento e pena.

Masumi si sentiva svuotato e azzerato. Improvvisamente nessuna delle cose per cui aveva vissuto né quelle che avrebbe voluto vivere sembravano avere più importanza. Aveva perduto l’unica cosa che desse un senso alla sua esistenza, quella piccola fiamma che si era ingrandita ogni giorno di più illuminando i suoi passi e che ora si era estinta. Il corpo inerme pesava come un macigno fra le sue braccia, tutta la sua vitalità e allegria cancellate di colpo e il responsabile era solo lui! Non avrebbe mai dovuto permettere di arrivare a quel punto, avrebbe dovuto proteggerla senza abbassare la guardia credendo di aver tutto sotto controllo! Quando quella consapevolezza divenne parte di lui, sollevò la testa e gridò una nota profonda e disperata, serrando le braccia intorno al suo corpo e stringendolo ancor più fortemente a sé.

L’uomo ombra accanto a lui, abbassò lo sguardo afflitto, chiudendo al mondo i sentimenti che gli laceravano il cuore e quando lo rialzò, venne attirato da uno scintillio poco più avanti. Un enorme vetro era in frantumi, per terra, tetra similitudine di una vita spezzata. I frammenti erano sparpagliati, brillanti come piccole stelle grazie ai riflessi donati della luce artificiale. Erano in posizioni assurde e lui li osservò rapito: distesi, appoggiati, inclinati. Trattenne il fiato quando, in uno di essi, vide la figura distorta di Shiori Takamiya alle loro spalle: brandiva un coltello e si stava avvicinando a Masumi. No!

Hijiri si alzò con un grido carico di rabbia e sofferenza. Non avrebbe permesso che uccidesse anche lui! Shiori venne colta di sorpresa mentre il coltello si abbassava verso la schiena curva dell’uomo che amava follemente. Era venuto per lei, sempre e solo per lei, per Maya Kitajima! L’aveva tradita e meritava di morire!

Masumi si girò di scatto, il volto deformato dal dolore, continuando a tenere Maya stretta al suo petto, come lo era stata per tutto quel pomeriggio appena trascorso a Izu. Non ebbe tempo di comprendere ciò che stesse accadendo, accecato dalla sofferenza e con l’animo spezzato, vide Hijiri protendersi verso Shiori e rimase scioccato quando la lama affondò nel torace dell’amico fedele con un suono sinistro e malsano.

Il silenzio calò nella casa.


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Capitolo 10
*** Stage #10. Il filo rosso ***


Stage #10. Il filo rosso



Mizuki aveva eseguito con prontezza ognuno dei compiti affidatole e si stava dirigendo, insieme allo stesso medico che aveva aiutato il signor Masumi la notte dell’aggressione, all’appartamento di Maya. Non l’aveva più chiamata e pregò che tutto fosse andato per il meglio e che non fosse necessario il loro intervento.

Erano ormai le dieci passate, in pochi minuti sarebbe stata lì. Non fece in tempo a terminare il pensiero che scorse il palazzo e le due auto parcheggiate davanti. Corrugò la fronte, posizionò l’auto con una manovra precisa e insieme al fidato medico raggiunse a passo svelto l’ingresso dell’edificio. Suonò alla portineria notturna e l’ometto di guardia le permise di entrare quando specificò che era stata chiamata dal signor Hayami.

Con l’ascensore raggiunsero in breve l’appartamento, mentre l’ansia le cresceva in petto immaginandosi le scene più improbabili. Il medico ebbe la decenza di non trascinarla in qualche discussione inutile, probabilmente conosceva bene Masumi Hayami e se richiedeva il suo aiuto in piena notte, un motivo valido doveva esserci. Signor Hayami, spero tanto che si sia sbagliato e che Maya fosse semplicemente a dormire… però non mi ha richiamato…

La campanellina del piano suonò riscuotendola dai suoi pensieri e le porte si aprirono. Affondò le scarpe nel tappeto morbido che rivestiva il corridoio e in breve fu davanti alla porta d’ingresso. Era socchiusa e quel particolare inquietante le fermò il sangue nelle vene. Scambiò un’occhiata preoccupata col medico, che annuì come incoraggiamento.

Saeko scostò la pesante porta blindata aperta per metà e un urlo maschile e disperato riempì l’aria. Il corridoio davanti a loro era illuminato, ma avrebbe preferito ci fossero le tenebre. Il suo cuore, che batteva accelerato per la tensione e la paura, s’arrestò di colpo e il fiato le si mozzò in gola.

Masumi Hayami era in ginocchio a terra con Maya esanime fra le braccia. Dietro di lui, che era girato in modo innaturale e con gli occhi spalancati, c’erano un uomo in abiti scuri e Shiori Takamiya. Nell’istante in cui realizzò il manico del coltello che sporgeva dal torace dello sconosciuto, un fiotto di sangue schizzò l’abito grigio di Shiori e il suo volto mentre l’uomo crollava a terra. Mizuki spalancò la bocca, le membra congelate e la mente vuota, che si rifiutava di accettare quella scena assurda che andava ben oltre le sue fantasie precedenti. Shiori cadde lentamente in ginocchio, gli occhi spalancati, il respiro pesante, irrigidita e sotto shock, cosparsa di sangue vermiglio. La realtà è sempre peggiore…

Il medico, forse più avvezzo a scene simili, scattò in avanti, lanciando un’occhiata alla ragazza stesa a terra per dedicarsi al giovane accoltellato. Mizuki deglutì e raggiunse il signor Hayami senza capire chi fosse più sconvolto in quella stanza.

- Signor Hayami… - sussurrò posandogli una mano sulla spalla. Lui si girò lentamente, gli occhi azzurri assenti e dilatati. Saeko sussultò per quell’espressione vuota, poi passò lo sguardo sul volto tumefatto e grigio di Maya. Le si strinse il cuore in una morsa dolorosa che le fece uscire pesanti lacrime salate, cariche di rabbia e sofferenza quando si accorse di guardare un volto senza vita.

Lui la teneva stretta a sé, in un abbraccio delicato e dolce, contemplando sconcertato i lineamenti conosciuti e adorati, e quell’atteggiamento di dedizione scavò ancor più dentro di lei dando conferma evidente dei sentimenti del suo capo per quella ragazza.

- Mi aiuti! - gridò il medico attirando la sua attenzione. Controvoglia, Mizuki lasciò il suo capo e si avvicinò al dottore.

- Tenga qui! Prema e non lo lasci sanguinare! - ordinò con sicurezza indicando la sua mano lorda che premeva una garza quadrata intrisa di liquido rosso. Il coltello giaceva a terra, avvolto in un’altra benda bianca.

Mizuki, meccanicamente, premette col palmo sul torace dell’uomo disteso, la mente vuota e distante, ancora incapace di metabolizzare quanto accaduto. Il dottore aveva strappato la camicia dello sconosciuto e la pelle, terrea per il trauma a l’ingente perdita di sangue, era inondata orrendamente di sangue scuro e appiccicoso.

Accertatosi che la segretaria facesse quanto le aveva chiesto, il medico scoccò un’occhiata alla donna in tailleur, inginocchiata a terra con lo sguardo fisso e vacuo diritto davanti a sé. Era in stato di shock, ma non sembrava ferita e avrebbe potuto attendere ancora un po’. Raggiunse Masumi Hayami, probabilmente scosso anche lui, e si inginocchiò di fronte a lui. Era evidente che la ragazza fosse stata brutalmente strangolata. Aveva anche un taglio sul labbro inferiore di minor conto e un livido sulla guancia destra. Non erano da escludere delle lesioni interne, invisibili in quel momento.

Allungò le braccia per agire prontamente, ma Masumi gli afferrò un polso con occhi gelidi ed espressione demoniaca. Si fissarono immobili, sotto lo sguardo desolato di Mizuki.

- Signor Hayami, mi ha chiamato per questo, no? - mormorò il medico indicando con gli occhi Maya.

Masumi lo lasciò e allentò la presa delle sue braccia, consegnandogli il suo corpo statico. Non sentiva niente, non provava niente, era vuoto come un guscio, insensibile e freddo. Freddo come la sua pelle, come i suoi occhi che non brillavano più, come il suo volto che non rideva, le sue mani che non gesticolavano, le sue gambe che non correvano da qualche parte, come le sue labbra che non l’avrebbero più baciato.

Il medico si dedicò a lei, si mise cavalcioni sulle sue anche e iniziò a spingere con le mani premute in mezzo al suo petto. Masumi lo fissava atterrito. Sta provando a rianimarla! Contava, si fermava e riprendeva. Il tempo sembrava non passare mai e Masumi teneva lo sguardo fermo sui lineamenti delicati e spenti, il cuore che batteva senza sosta in un miscuglio di emozioni: paura, ansia, speranza. Impazzirò… Alla terza volta, Maya tossì.

- Maya! - gridò Masumi sporgendosi in avanti senza riuscire a contenere la quantità di emozioni che gli devastarono l’anima. Ce ne erano troppe per contarle e dar ragione ad ognuna di esse, così scelse la prima che l’aveva inondato: gratitudine. Sollevò gli occhi azzurri che finalmente avevano ripreso la loro espressione e fissò in silenzio il medico che ansimava appena. L’uomo annuì con un sorriso, tirando un sospiro di sollievo e si mise di nuovo in ginocchio di lato, effettuando i primi accertamenti sulla paziente che tossiva e piangeva.

Masumi accostò una mano alla sua guancia, tremando di felicità. Scostò una ciocca di capelli fissando il suo viso che piano piano riprendeva colore e che ora era velato di un rossore intenso. Sentiva lacrime ardenti dietro gli occhi e un nodo stringergli la gola.

Maya si girò su un fianco stringendosi la pancia, sfuggendo alle analisi del medico che si rassegnò e si appoggiò sui talloni. Sentiva bruciare dovunque, soprattutto il petto. Non riusciva a respirare bene e i suoi ricordi erano confusi e incoerenti. Ricordava voci, grida, ma niente aveva senso perché l’ultima, che aveva chiamato il suo nome, era la sua. Era distesa sul pavimento freddo, poi un tocco, caldo, bruciante, le arrivò diritto al cuore come una saetta. Inspirò a fondo cercando di calmare il tumulto che l’aveva scossa e aprì gli occhi che sentiva incollati dalle lacrime dense. Il mondo girava come una trottola, non c’era una sola parte del corpo che non le dolesse e la nausea le sconvolgeva lo stomaco, ma strinse i denti e sbatté le palpebre un paio di volte.

Mise a fuoco e lo vide.

- Maya… - sussurrò Masumi con voce rotta dall’emozione quando si rese conto che era lucida. Aveva il cuore che gli scoppiava in petto per la felicità e allo stesso tempo era invaso da una paura oscura e immotivata, forse residuo di quella provata precedentemente.

- Sei… qui? - gracchiò Maya con voce pesante mentre un sorriso dolce e pieno d’amore si stendeva sulle sue labbra.

- Sì - la rassicurò lui ricacciando indietro le lacrime che gli inumidivano gli occhi - Ce la fai a sollevarti un pochino? - le chiese premuroso chiedendo conferma con lo sguardo al medico che mosse appena il mento in senso positivo. Lei annuì lentamente e tentò di puntarsi sul fianco spingendo con le mani. Quando le braccia non risposero, crollò sotto il suo stesso peso, ma Masumi, pronto, l’afferrò tirandola verso di sé. Lei scoppiò a piangere all’improvviso e si aggrappò a lui buttandogli le braccia al collo mentre Masumi la stringeva con forza.

- Va tutto bene - sussurrò più volte al suo orecchio, cullandola e inspirando il suo profumo dolce che credeva di aver perduto per sempre.

I singhiozzi liberatori di Maya si sparsero per la stanza, facendo commuovere Mizuki che distolse lo sguardo dai due innamorati lasciando uscire lacrime di felicità, mentre il medico si stava prendendo cura di Shiori Takamiya. La segretaria spostò lo sguardo sull’uomo disteso che sembrava morto. Non l’aveva mai visto e non aveva idea di chi fosse, ma da ciò che aveva scorto quando era entrata, aveva difeso il signor Hayami a costo della sua stessa vita. I lineamenti del suo volto erano decisi, un naso dritto sbucava dalla fronte tesa e le labbra in quel momento erano tirate dalla sofferenza.

Poteva vedere il flebile battito nella vena sul collo candido, che creava un raccapricciante contrasto e che allo stesso tempo le indicava che era ancora vivo, ma se non avesse ricevuto cure specifiche prima possibile, sarebbe morto sicuramente.

- Signor Hayami - la voce del medico attirò l’attenzione di Masumi e Mizuki - Sua moglie deve andare in ospedale immediatamente e anche quel ragazzo - aggiunse indicando Hijiri a terra - La signorina Kitajima necessita di molto riposo e di una visita approfondita -

- Mizuki - chiamò Masumi voltandosi verso la segretaria mentre teneva ancora Maya stretta al suo petto sebbene i singhiozzi si fossero attenuati - Dobbiamo andare a casa di mio padre, Karato non può andare in ospedale… - mormorò posando uno sguardo carico di riconoscenza e affetto sul volto esanime dell’amico.

Saeko trattenne il respiro per un attimo, domandandosi che tipo di legame ci fosse con quell’uomo che si chiamava Karato e perché non potesse andare in ospedale, poi annuì.

- Ma, signore… - si lamentò il medico - Se non lo porterete in ospedale, morirà! -

Masumi lo fissò con freddezza.

- Chiami qualcuno disposto ad operare a casa mia con tutto il materiale necessario - ordinò con voce che non ammetteva repliche - Lei può andare con mia moglie in ospedale - aggiunse distogliendo lo sguardo.

Il medico annuì con un sospiro rassegnato e chiamò due ambulanze private. Comprendeva quanto fosse delicata quella situazione, ma temeva che un’azione del genere non sarebbe bastata a salvare il giovane accoltellato.

Masumi si alzò in piedi, trascinando Maya con sé. La teneva senza alcun problema e non l’avrebbe lasciata neanche se fosse crollato il mondo sotto i suoi piedi. Lei si sistemò meglio cingendogli la vita con le gambe e il collo con le braccia sottili.

Mizuki li guardò arrossendo lievemente e si rese conto di non aver mai visto quell’espressione completa e concentrata sul volto del signor Masumi da quando lo conosceva. Spostò gli occhi su Shiori Takamiya e i suoi pensieri cambiarono radicalmente.

Quest’evento cambierà le nostre vite…



Le tenebre riempivano completamente la stanza. Solo un piccolo spiraglio di luce filtrava dalla finestra dove la tenda era leggermente spostata. Non c’erano rumori che potessero disturbare il suo sonno, tranne il cuore martellante che ancora gli batteva in petto.

A niente erano valse le rassicurazioni dei medici che se ne erano appena andati: da quando le aveva detto quelle due parole e l’aveva abbracciato, non aveva ancora ripreso conoscenza né spiccicato parola. La osservava con le mani in tasca, di fianco al letto che già una volta aveva occupato. Non riusciva a calmarsi, l’adrenalina gli saturava ancora le vene a tal punto da rendergli impossibile uscire di lì e occuparsi di Shiori, Karato, suo padre e della Daito.

Storse la bocca in una smorfia disgustata e sospirò spostando lo sguardo lungo i lineamenti appena illuminati del suo volto. Una tenerezza immensa gli invase il cuore soppiantando per un attimo quell’ansia travolgente che non voleva abbandonarlo. Non si riconosceva più. Non era mai stato particolarmente emozionabile dopo la morte di sua madre, ma Maya sembrava aver riportato alla luce tutte le sue insicurezze e paure.

Anni prima, proprio quando aveva saputo della morte di sua madre, Maya era fuggita abbandonando per la prima volta lo spettacolo a cui avrebbe dovuto partecipare. Anche quella situazione era stata causata da lui stesso, dalla sua cecità. Anche allora si era sentito smarrito, perduto e inerme di fronte al dolore di lei. L’aveva portata in quella casa, curata, aveva provato a farle tornare la voglia di recitare, ma aveva fallito in tutto.

Si avvicinò al letto irrigidendosi. Tecnicamente, buona parte dei problemi che aveva avuto nella vita erano stati colpa sua. Strinse i denti e allungò una mano piegandosi verso di lei. Strisciò le nocche sulla guancia gonfia a causa probabilmente di uno schiaffo. Chiuse gli occhi al tocco e quando lei sospirò, li riaprì di scatto credendo di trovarla sveglia. Invece le sue palpebre erano ancora abbassate, ma le labbra erano distese in un sorriso dolce e sereno.

- Maya… - mormorò pronunciando le due sillabe con grande trasporto. Faceva parte della sua essenza, gli era entrata dentro in profondità, legata strettamente a lui non con un contratto, ma probabilmente con un filo rosso come narrava la leggenda. Sorrise osservando la sua espressione rilassata e permise alla paura di abbandonare il suo cuore lasciando spazio ai sentimenti che provava per lei e che proprio in quella stanza anni prima le aveva esternato di nascosto. Abbassò lo sguardo imbarazzato, al ricordo del sapore di quell’orrenda medicina che le aveva dato.

- Ora non c’è più bisogno che io mi nasconda - sussurrò sentendo le farfalle nello stomaco. Appoggiò un ginocchio sul letto ed entrambe le mani ai lati del cuscino. Calò lentamente su di lei, unendo le labbra alle sue. Erano calde e morbide e il desiderio di svegliarla e infilarsi nel letto accanto a lei fu così impellente da costringerlo ad alzarsi di scatto.

Arrossì nel buio, infilandosi di nuovo le mani in tasca, come un ragazzino beccato a compiere qualche malefatta.

- Perché debba imbarazzarmi così, poi, non lo capisco proprio… - borbottò contrariato di se stesso scuotendo la testa mestamente. Invece lo sapeva perfettamente. Era la spontaneità di Maya, il modo in cui gli si era concessa solamente quel pomeriggio, senza riserve, con curiosità e senza alcuna paura. Sorrise e, dopo averle dato un’ultima occhiata, uscì dalla stanza.

Percorse il corridoio fino in fondo dove una porta semi aperta lasciava filtrare la luce a forma di spicchio. La scostò piano ed entrò senza fare rumore. Un sorriso curioso si dipinse sul suo volto mentre un debole sospiro di sollievo gli uscì spontaneo alla vista di Hijiri che giaceva immobile, ma salvo, nel letto degli ospiti. Il dottore era riuscito davvero ad ottenere uno staff di medici privati che avevano operato d’urgenza Karato salvandogli la vita senza fare domande sconvenienti. Avevano lasciato un macchinario per il monitoraggio e una flebo pendeva dal suo braccio. Il volto aveva riacquisito colore e aveva perduto la tensione orribile dell’avvicendarsi della morte che aveva visto nell’appartamento.

Il suo sguardo si posò sulla sua segretaria che non aveva voluto saperne di andarsene. Quando i medici avevano finito con Hijiri, lei era rientrata e gli aveva tenuto la mano. Dormiva appoggiata alla sedia, la mano affusolata su quella dell’amico.

Un’emozione intensa lo investì alla vista di quel legame e dei volti delle due persone che più stimava. Non si erano mai incontrati prima… quando Karato si sveglierà, la prima cosa che vedrà saranno gli occhi di Mizuki… non vorrei essere nei suoi panni…

Ridacchiò felice augurandosi che il destino facesse il suo corso e prese la coperta adagiata ai piedi del letto. La distese sulla segretaria, abbassò l’intensità della lampada sul comodino al minimo, e uscì. Chiuse lentamente la porta e quando risollevò lo sguardo s’immobilizzò.

- Padre… - sussurrò sia per la meraviglia che per non fare rumore. Eisuke Hayami era in piedi, appoggiato al suo bastone, in mezzo al corridoio buio.

Masumi s’irrigidì. Gli erano piombati in casa nel mezzo della notte con un moribondo e una che quasi lo era. Sujimoto lo aveva avvisato, grazie alla prontezza di Mizuki che lo aveva chiamato come le aveva chiesto, ed Eisuke li aveva lasciati agire, facendo entrare e uscire ambulanze e medici come fosse un ospedale e ora suo padre aveva diritto ad una spiegazione.

Discesero le scale e raggiunsero lo studio.

- Mi dispiace per questo trambusto, padre, e grazie per aver permesso ad Hijiri di essere operato qui - gli disse subito senza preamboli una volta che lui si fu accomodato sul divano storcendo la bocca per una smorfia di dolore.

- Ora vorrai degnarti di dirmi cos’è successo - replicò Eisuke alzando lo sguardo duro su di lui. Masumi annuì, si versò da bere dato che ne aveva proprio bisogno, mise una mano nella tasca interna della giacca prelevando le foto e si sedette davanti a lui affondando nella morbidezza del divano.

- Quando sono rientrato a casa Takamiya, c’erano queste - e gli porse i pezzetti strappati - Ho cercato le chiavi dell’appartamento che abbiamo dato a Maya Kitajima - proseguì ignorando l’occhiata prolungata e poco convinta di Eisuke - Ma non le ho trovate. Shiori non era a letto e io… -

- E tu hai ben pensato di interpretare la parte del principe che salva la damigella - ironizzò il padre con un sorriso beffardo sfogliando i frammenti e corrugando la fronte. Masumi mosse appena la testa, annuendo stancamente: non sarebbe servito a niente negare l’evidenza.

- Quando siamo arrivati, Shiori aveva soffocato Maya Kitajima e stava per versarle in volto dell’acido - Eisuke sollevò lo sguardo freddo e calcolatore - Hijiri le è saltato addosso e l’ha allontanata. Apparentemente Maya sembrava morta e io… -

- E tu eri troppo preso dalla tua Dea Scarlatta per renderti conto di come stessero esattamente le cose… - terminò Eisuke per lui, che sembrava essere perfettamente cosciente della situazione. Masumi lo fissò serio, chiedendosi come potesse leggerlo così a fondo. Oppure sono io che sono trasparente…

- Non so come sia accaduto, ma Shiori ha preso uno dei coltelli della cucina e quando Karato l’ha vista… lui… - abbassò la testa con voce incrinata al ricordo della lama che affondava nel suo petto.

- Lui ti ha protetto - finì Eisuke come se fosse una cosa scontata. Masumi alzò gli occhi carichi d’ira per l’assenza di interesse nel tono della sua voce.

- Ha dato la vita per me, anche se ora è salvo! Come puoi parlarne come se niente fosse! - sibilò stringendo le mani intorno al bicchiere finché le nocche divennero bianche.

- È il suo ruolo! Non rendere grande qualcosa che non lo è! - ribatté Eisuke con voce dura sostenendo lo sguardo adirato del figlio.

- No! Mi ha salvato la vita! - insisté alzandosi in piedi. Era stanco e la tensione ancora non l’aveva abbandonato.

- E ora cosa farai, Masumi? - lo interrogò Eisuke ignorando le sue parole cariche d’astio.

- Ora farò ciò che avrei dovuto fare un anno fa - lo informò lapidario. Eisuke assottigliò lo sguardo cercando di indovinare i pensieri del figlio, ma Masumi sembrava impenetrabile.

- Non fare pazzie - sibilò il vecchio con sguardo minaccioso.

Masumi lo ignorò, bevve tutto il liquore e si avviò verso la porta dello studio.

- Dove vai? - gracchiò cercando di alzarsi con l’aiuto del bastone.

- Alla Daito - lo liquidò il figlio senza neanche voltarsi.

Eisuke rimase in piedi, immobile, con il cuore che batteva forte in petto come non gli accadeva da tempo. La casa in quel momento era silenziosa e lugubre. Imboccò il corridoio e iniziò a salire lentamente le scale.

Quando Masumi era arrivato con in braccio quella ragazza, non aveva avuto necessità di altre conferme ai suoi sospetti, gli era bastato guardare il suo volto. Lui non si era accorto neanche della sua presenza, troppo preso da lei, all’idea che potesse morire.

Si fermò ansimando a metà scala per riprendere fiato. Avrai pensato anche tu che ti sarebbe intollerabile non poterla più vedere recitare? O hai pensato che la maledizione della Dea Scarlatta si stesse ripetendo nuovamente?

Riprese a salire e quando arrivò in cima tirò un sospiro di sollievo. Il cuore era ancora accelerato e i polmoni gli bruciavano intensamente, ma la sua più grande emozione era stata vedere Maya Kitajima il giorno dello spettacolo dimostrativo. Immobile, in cima a quella scale, immerso nel silenzio e nelle tenebre, lasciò che quel calore gli invadesse l’anima.

Proseguì lungo il corridoio, aprì la porta della stanza ed entrò senza far rumore. Dette tempo agli occhi di abituarsi all’oscurità e, aiutato dalla luce lunare che entrava da una tenda aperta, raggiunse la sedia a fianco del letto e si sedette stancamente.

La ragazza dormiva, apparentemente serena. Il suo profilo spiccava illuminato dai raggi argentei rendendo la sua figura quasi soprannaturale, proprio come lo era stata su quel palco. Era naturale che Masumi se ne fosse innamorato, era davvero una Dea, sia sul palco che fuori, se avevi occhi per guardare e non ti fermavi alla superficie. L’aveva vista quel primo giorno ai binari del treno, dove gli aveva detto con grande ardore e trasporto, a lui, uno sconosciuto, che avrebbe voluto “diventare” la Dea Scarlatta. Ogni altra volta che l’aveva incontrata senza mai rivelarle chi fosse veramente, aveva colto sempre più la sua essenza, quella che Chigusa doveva aver intravisto in lei fin dall’inizio.

Quando Maya Kitajima aveva accolto la proposta di Masumi di firmare un contratto di esclusiva, inizialmente aveva creduto ad una trappola e, ne era certo, anche suo figlio aveva pensato la stessa cosa. Invece lei non solo aveva firmato, ma aveva accettato anche un futuro passaggio di proprietà dei diritti. Aveva riflettuto a lungo sul motivo che poteva averla spinta a fare un passo del genere e, come diceva un noto investigatore occidentale, “quando hai eliminato l'impossibile, qualsiasi cosa resti, per quanto improbabile, deve essere la verità”.

La verità era che Maya Kitajima si era innamorata di suo figlio. Improbabile, sì, assurdo viste le vessazioni che Masumi aveva perpetrato nei suoi confronti, eppure vero. Shiori Takamiya aveva commesso un grave errore, non poteva sapere se di valutazione o dettato dalla follia, ma l’indomani avrebbe dovuto necessariamente incontrarsi con suo nonno.

Si alzò con un gemito, raggiunse il bordo del letto e allungò una mano sfiorando con le nocche la guancia tiepida. Un sorriso separò le labbra di Maya e quel tepore sembrò passare da lei a lui.

- Riposa, ragazzina, qui non ti disturberà nessuno - sussurrò nelle tenebre.



I sogni nebulosi e distorti che avevano reso il suo sonno tormentato si stavano pian piano dissipando. C’erano facce demoniache, voragini profonde in cui cadeva senza possibilità di aggrapparsi a niente, ma la cosa che più l’aveva terrorizzata era l’idea di essere stata chiusa in una bottiglia. Poi la bottiglia era diventata un mare in cui affogava, un sacchetto che le cingeva la testa come un sudario di morte e infine due mani scheletriche e adunche che stringevano la sua gola.

In quel dormiveglia agitato si domandava perché avesse sognato quelle strane cose, dato che in quel momento era certa che tutto andasse bene. Annaspò con una mano, passandosela fra i capelli, sentì il braccio pesante e lo riadagiò lungo il fianco. La coperta che la copriva era soffice e morbida, non sembrava però una di quelle che ricordava sul suo letto.

Ignorò quell’ultimo pensiero vacante e si crogiolò un po’ in quel calduccio confortevole. Era sicura che ci fosse qualcosa di importante che avrebbe dovuto ricordarsi, ma in quel momento proprio non le sovveniva. Inoltre avrebbe potuto essere tranquillamente un altro frammento di quel sogno assurdo.

Quando la patina del sonno sembrò svanire, con essa se ne andò anche quell’antidolorifico naturale che annebbiava i nervi. Un’acuta fitta di dolore le tagliò il respiro, un bruciore intenso le aggredì la gola e si ripercosse nella schiena, nelle costole, sul fianco e dentro la pancia. Il labbro le martellava appena e quando ci portò una mano sopra, il ricordo di quanto avvenuto nella realtà scacciò completamente il sogno, sostituendosi ad esso e giustificandolo.

Rimase pietrificata, gli occhi spalancati nelle tenebre rese chiare da una fonte lontana di luce che registrò a malapena, il cuore che d’improvviso le schizzò fuori dal petto quando rivide Shiori Takamiya sopra di sé, le mani intorno al suo collo, la boccetta d’acido in mano. Il ricordo la investì come un ciclone, non poté arrestare in alcun modo quell’ondata terrificante finché la sua mente rievocò ogni particolare che vibrò nei suoi ricordi come la nota prolungata di un violino.

Ci mise qualche attimo a rendersi conto che quella minaccia era passata, che non era distesa a terra, ma in un letto, che respirava anche se a fatica, che il suo volto non era sfregiato dall’acido. Quell’ultimo pensiero fece scaturire grosse lacrime rotonde che rotolarono sulle sue guance fino al cuscino.

Deglutì con fatica sentendo la gola gonfia e irritata sebbene il bruciore che aveva sentito appena si era svegliata fosse diminuito. Potrò recitare ancora! Signora! Io posso… esultò interiormente stringendo gli occhi con forza per l’emozione.

Esattamente come i ricordi precedenti, un altro perforò la sua mente. La sua voce. I suoi occhi. Le sue braccia intorno a lei. Era lì! Il mio ammiratore era lì! L’ho visto per un attimo, ne sono sicura! Ma com’è possibile? L’ho forse sognato?

Confusa e con il cuore in subbuglio, si portò le mani al volto, asciugandosi le lacrime di felicità. Più conscia della realtà intorno a lei, Maya si voltò a destra e vide una tenda scostata che faceva filtrare la luce dell’alba, un cassettone, un tavolino tondo e due sedie. Poi si girò lentamente dato che il collo le faceva male e spalancò gli occhi congelandosi.

Masumi Hayami dormiva su un fianco accanto a lei, sopra le coperte. Era vestito e la sua espressione era rilassata e distesa. Si girò su un lato anche lei, lasciando che il cuore battesse all’impazzata e sentendosi imbarazzata perché poteva scrutarlo in quel modo mentre dormiva.

Le sopracciglia arcuate segnavano il taglio deciso degli occhi e le ciglia chiare poggiavano sulle guance dagli zigomi perfettamente delineati. Il naso diritto formava una linea geometrica gradevole che rendeva il suo volto attraente, lasciando spazio alla bocca poco sotto, chiusa e distesa nel rilassamento del riposo. Non aveva mai avuto modo di osservarlo così da vicino e così attentamente. Indugiò a lungo, arrossendo e ringraziando che stesse ancora dormendo.

Come sono finita qui? Dove siamo? Perché dorme accanto a me? Allungò una mano e spostò una ciocca di capelli senza toccarlo, eppure rabbrividì, appena le dita sfiorarono i fili dorati. Come può avere questo aspetto? È curioso… Lasciò vagare lo sguardo sui vari punti del volto memorizzando ogni piccola imperfezione, particolari che non aveva mai potuto vedere, forme, linee, curve.

Infine terminò la sua esplorazione sui suoi occhi che lentamente si aprirono. Maya trattenne il fiato, incapace di distogliere lo sguardo, rimase incatenata a quel bagliore azzurro ghiaccio che divenne immediatamente consapevole della sua presenza. Le iridi si contrassero e il blu si fece più intenso, perdendo il velo di sonno che le aveva offuscate per un attimo.

- Maya… - sussurrò Masumi restando immobile, perso in quegli occhi cioccolato che lo stavano guardando mentre dormiva. Quella consapevolezza gli fece accelerare il cuore che prese a battere freneticamente.

Lei non riuscì a spiccicare parola, agganciata a quello sguardo magnetico e al suono dolce della sua voce.

- Stai bene? - aggiunse un istante dopo, sempre usando quel tono sussurrato, come se avesse timore di spezzare l’incantesimo.

- Sì - ammise Maya che nel complesso poteva ritenersi fortunata. Sentì le lacrime inumidirle gli occhi, ma non scesero, creando invece una patina lucida e commossa che fecero stringere il cuore dell’uomo al suo fianco.

Quel silenzio teso e carico d’attesa si protrasse a lungo, mentre si scambiavano invisibili emozioni che apparivano fugacemente sui loro volti. Quando Maya fu sicura che il suo cuore sarebbe scoppiato, lui allungò lentamente una mano e le sfiorò una guancia. Si sentì rabbrividire da capo a piedi e venne attraversata da una scossa potente.

Masumi la fissò, mentre il suo volto esanime tornava a tormentarlo, lasciò scivolare lentamente le dita dietro il suo orecchio sussultando all’incontro con i suoi capelli morbidi. Lei reagì al suo tocco muovendosi appena, ma bastò a lui per cacciare con forza quei ricordi angoscianti. Distese il braccio, l’afferrò dietro il collo e si avvicinò a lei con uno scatto imrovviso, stringendola a sé e appoggiando il volto alla sua testa.

Maya si sentì avvolta dalla sua paura che lentamente lasciava il posto al sollievo. Era proprio lui… mi ha trovata e mi ha portata qui… chissà cosa ha visto… per un attimo i suoi occhi si sono oscurati… Si appoggiò con la fronte contro di lui, udendo il suo respiro accelerato, come se fosse ancora spaventato per qualcosa. Era piacevole il peso del suo corpo sul piumone, la faceva sentire sicura e protetta. La sua mano fra i capelli era gentile, la carezzava dolcemente e un groppo di commozione le chiuse la gola facendola sussultare per il dolore improvviso.

Masumi la scostò appena mentre le sue dita indugiavano sul collo caldo e liscio. Il ricordo di averla creduta morta stava tornando a devastarlo, ma appena lei incrociò il suo sguardo, fissandolo sorridente, si convinse che era lì con lui. Lasciò trapelare quell’emozione intensa, si avvicinò ancora e appoggiò le labbra alle sue delicatamente.

Maya sollevò il viso per incontrarlo, sentiva il cuore battere senza freni in petto e l’unica cosa che voleva era incontrarlo ancora, in modo che ciò che provavano scacciasse il terrore che le ghermiva l’anima al ricordo della sera precedente. Sentì solo una piccola fitta al labbro tagliato, che ben presto venne sostituita da un languido calore. Le sue labbra erano gentili e lievi, come se non volesse farle del male, e chiudendo gli occhi per la gioia, lasciò scivolare due lacrime argentee di felicità.

Masumi venne travolto dal sentimento che li univa e gli occorse uno sforzo immenso per tenere sotto controllo le sue emozioni. Quelle piccole labbra accoglievano le sue con dolcezza, sicuramente il labbro le doleva ancora, ma era trepidante come lui. Entrambi distesi su un fianco, potevano concentrarsi unicamente su quell’attimo. Fu lei a modificare il ritmo di quel bacio sensuale e lento che lo stava facendo impazzire, strusciando lentamente la lingua sulle sue labbra. Dischiuse la bocca e l’accolse dentro di sé, intrecciandola alla sua. Poteva sentire la tensione del corpo di lei allentarsi, quando portò fuori dalle coperte un braccio e glielo passò intorno il collo, avvicinandosi strettamente a lui.

Le piccole dita strisciarono piano dalla guancia fin dietro l’orecchio, poi si attorcigliarono avide intorno ai suoi capelli. Maya si sentì trascinare in un abisso pieno di luce e calore, dove ogni cosa era bella e buona e proveniva da loro due. L’amore che condividevano era inebriante e coinvolgente, tutti gli ostacoli che aveva visto nel passato le sembravano in quel momento dei pensieri inutili. Che senso aveva preoccuparsi del rango o dell’aspetto se un solo bacio poteva scatenare un simile turbinio di emozioni?

Si aggrappò alle ciocche bionde, attirandolo verso di sé sebbene non ci fosse affatto spazio. Masumi assecondò il movimento avvinto da quell’euforia che richiedeva un contatto più approfondito. Quell’incredibile eccitazione aveva il potere di cancellare ogni altra cosa: pensieri, preoccupazioni, luoghi, persone. Esistevano solo loro due, insieme.

Le labbra sfregavano e si torcevano senza concedersi tregua in una danza frenetica per scacciare la paura e sostituirla con un ricordo più bello. Era un contatto disperato, denso di sollievo e accettazione, che li coinvolgeva interamente. Maya sgusciò fuori dalle coperte staccandosi dal bacio. Aveva il respiro veloce e lo sguardo brillante, fisso negli occhi di lui. Masumi la guardò interdetto, in una posizione semi sdraiata. Ebbe appena il tempo di sollevarsi, che lei gli si gettò fra le braccia.

- Maya… - sussurrò serrando le braccia intorno alla sua schiena. Era calda per essere stata sotto le coperte e scossa da piccoli brividi. Era ancora spaventata, ecco perché quell’assalto irruente e poco in linea con le sue abitudini. Serrò le labbra ricacciando la rabbia e la tenne stretta, dimostrandole tutto il suo appoggio.

Lei si scostò, tenendosi al suo collo, le gambe intorno alla sua vita. Inclinò la testa e lo scrutò imbarazzata.

- Sei venuto a prendermi - sussurrò sicura con il batticuore che la squassava.

Lui non rispose, catturato da quell’espressione riconoscente e tenera. Aveva le guance arrossate, poteva vederle appena nella penombra della stanza.

Maya vide la verità in quello sguardo cristallino e non ebbe bisogno di altro. Si sollevò aderendo completamente al suo corpo solido e si abbandonò alle sue labbra esigenti, preludio dell’amore che avrebbero condiviso.


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Capitolo 11
*** Stage #11. Akoya e Isshin ***


Stage #11. Akoya e Isshin



Rei rigirava la cioccolata, ormai fredda, da dieci minuti buoni, lo sguardo fisso e vuoto davanti a sé, cercando di metabolizzare ciò che le aveva appena raccontato Maya. Sebbene in parte avesse confermato i sospetti che aveva sempre avuto, i segni sul volto e sul collo di ciò che era avvenuto due giorni prima erano una prova inconfutabile dell’aggressione della signora Hayami.

Il racconto era partito proprio da lì, da quando era rientrata nell’appartamento e aveva trovato Shiori Takamiya ad attenderla. Solo dopo Maya aveva rivelato il rapporto che la legava a Masumi Hayami. La sua mente stava incollando tutti i pezzi formando finalmente un puzzle con un senso. Quell’uomo doveva essere l’ammiratore delle rose scarlatte, non poteva essere nessun altro, sebbene neanche Maya conoscesse i motivi che l’avevano spinto ad agire in certi modi spaventosi. Lei aveva insistito che l’aveva fatto credendo di proteggerla, incluso sposare quella donna orribile.

L’amica non era scesa in particolari, ma il volto che le andava a fuoco era un chiaro segno di quanto il loro avvicinamento si fosse fatto intimo.

- Rei? - la interrogò Maya titubante, sapendo di averla sconvolta, dato che lo era lei stessa.

- Sì? Ci sono! - esclamò facendola ridacchiare - Quindi ora che farete? Vi sposerete e vivrete felici e contenti? - le chiese riscuotendosi dalle sue elucubrazioni.

Maya arrossì violentemente e scosse la testa.

- È sposato, Rei, non mi sono fatta illusioni sul futuro, ho ancora troppe cose a cui pensare, inoltre sono ancora incredula che tutto questo stia avvenendo proprio a me! - replicò ficcandosi le mani in grembo, imbarazzata.

- Chiederà il divorzio, nessuno potrebbe stare con una squilibrata come quella donna - borbottò Rei con espressione cattiva - E non dirmi che non vorresti sposarti! -

Maya la fissò con occhi spalancati, ancor più in soggezione.

- Ce-Certo che vorrei, ma… - abbassò lo sguardo e sospirò.

- Smettila di fare quella faccia, se ti ha promesso che sistemerà tutto, lo farà. Se c’è qualcosa che ho capito di quell’uomo, è che mantiene sempre le sue promesse - replicò Rei con convinzione.

Maya sussultò a quella frase, la stessa che lui gli aveva detto prima di “Lande dimenticate”. Già a quel tempo mi amava… venne per me, in quella tempesta, per vedermi recitare…

Rei fissò il foulard che le copriva i lividi sul collo. La Daito l’aveva dispensata dalle prove di “Madama Butterfly” per due settimane per darle il tempo di riprendersi. Masumi Hayami l’aveva ospitata nella sua villa per due giorni dopo l’incidente e quella sera sarebbe ritornata al suo appartamento. Non sembrava spaventata, quindi dedusse che in qualche modo aveva superato il trauma psicologico, sebbene quello fisico richiedesse più tempo.

- Hai detto qualcosa alla signora Tsukikage? - le chiese dopo qualche minuto di silenzio. Maya sollevò la testa di scatto e negò con vigore.

- No! Perché avrei dovuto? La signora non sta bene, si trova a Nara, le sarei solo d’impiccio se andassi a trovarla. Inoltre ho le prove per “Madama Butterfly” e subito dopo inizieranno quelle della “Dea Scarlatta”! - parlò rapidamente, infilando le scuse una dietro l’altra e arrossendo.

Rei ridacchiò realizzando che Maya era ancora terrorizzata dalla signora Tsukikage e magari voleva cominciare a risolvere da sola i propri problemi.

- Va bene, come vuoi tu - annuì con condiscendenza.

Era proprio curiosa di vedere cosa avrebbe fatto Masumi Hayami per risolvere quell’intricata situazione.



Il grigiore che gli aveva offuscato la mente per un tempo indefinito sembrò sollevare il suo sudario cupo lasciando filtrare qualche raggio di luce. Il primo rumore che sentì era un “bip” costante e fastidioso che gli perforava i timpani. Quando provò ad aprire gli occhi venne investito da una variegata gamma di dolori che andavano dal prurito ad una opprimente sensazione di schiacciamento al petto che gli impediva di respirare. Si rese conto di avere un tubo che gli scendeva in gola, la muscolatura sembrava ingessata e non rispondeva ai suoi comandi, e le palpebre si rifiutavano di separarsi per permettergli di vedere. Frenò un conato di vomito a causa del tubo che gli ostruiva la gola e si bloccò.

La sensazione di essere sepolto vivo lo congelò, togliendogli quel poco respiro che riusciva ad incamerare. Iniziò ad agitarsi, spaventato e confuso, gli occhi si aprirono e vide alla sua sinistra una donna addormentata, la testa appoggiata sulle proprie braccia ripiegate sul bordo del letto.

L’apparizione fu così improvvisa e incoerente con il suo stato che lo costrinse a calmarsi. Anche la macchina, che aveva aumentato i suoni sembrò placarsi. La fissò con occhi spalancati, domandandosi chi fosse e ricordando di averla già sognata. È la stessa donna che ho visto… i capelli lunghi e neri, il volto ovale e cesellato, la pelle bianca come alabastro… Si guardò intorno spaesato, riconoscendo l’arredamento sebbene non la stanza. Poi tornò immediatamente sulla bellissima sconosciuta. Sono a casa di Masumi… ma non ricordo…

Come se quel pensiero fosse stato una chiave nella toppa, la sua mente riversò una marea di immagini e ricordi, fino alla lama che gli entrava nel petto. Rimase a lungo, con gli occhi spalancati verso il soffitto, ricordando il corpo esanime di Maya fra le braccia di Masumi, la sua espressione vuota, quella folle di Shiori Takamiya e per ultimi quegli occhi scuri sconosciuti chini su di lui che credeva fossero un sogno.

Voltò lentamente la testa e fissò lo sguardo sulla donna. Deve essere sfinita per non aver sentito questa maledetta macchina che suona…

Spostò piano la mano più vicina a lei e le sfiorò il dorso. L’impatto con la pelle tiepida e liscia fece perdere un colpo al suo cuore e la macchina infernale prese a suonare come fosse posseduta. La donna spalancò gli occhi e si mise seduta di scatto interrompendo il tenue contatto che Karato aveva stabilito.

- Si è svegliato! - esclamò lei con espressione stupefatta e subito attenta, come se non si fosse svegliata in quell’istante. Si alzò e uscì dalla stanza quando lui avrebbe voluto fermarla e chiederle almeno il nome.

Pochi istanti dopo entrò una donna con un camice bianco, seguita da lei che si fermò poco prima del separé verde, rimanendo in disparte. L’infermiera controllò i parametri della macchina alla sua sinistra e tolse il tubo facendolo quasi vomitare, tutto con un ampio sorriso disegnato sulla faccia. Controllò la flebo e la farfalla che gli bucava il dorso della mano destra, poi preparò una siringa con un liquido trasparente. Tolse l’ago e la infilò in un’apertura circolare del connettore della flebo.

- Questo la aiuterà con il dolore - sussurrò e dall’espressione che fece, Karato dedusse che ne avrebbe provato molto.

- Si ricorda quello che le è accaduto? - chiese l’infermiera facendosi vicina.

Lui provò a parlare, ma non ci riuscì, così annuì.

- Non si spaventi, la voce uscirà fra qualche minuto - lo rassicurò con un sorriso - La lama è stata deviata da una costola e non ha perforato il polmone, ma si è fatta spazio fra muscoli e carne. Abbiamo suturato tutti gli strati perforati ed è stato necessario farle tre trasfusioni di sangue - lo informò parlando lentamente.

Karato probabilmente fece un’espressione interrogativa perché l’infermiera si affrettò ad aggiungere: - È stato il signor Masumi a fornirci il suo gruppo sanguigno -

Lui chiuse gli occhi e sorrise. I suoi dubbi non avevano senso. Era naturale che tutto quello fosse opera sua. E ora, oltre che in debito con Eisuke Hayami per aver aiutato suo padre, lo sarebbe stato con il figlio…

- Grazie - gracchiò con enorme sforzo.

- Lei è un uomo forte, si conceda il tempo per riprendersi - gli consigliò stringendo appena la sua mano. Fece un lieve inchino e uscì, sorridendo alla donna dai capelli lunghi.

Mizuki aveva osservato la scena con apprensione, rasserenandosi sempre più ad ogni movimento sicuro dell’infermiera. Gli aveva tolto il tubo che lo faceva respirare e iniettato qualcosa nella flebo, probabilmente un antidolorifico. Il volto dell’uomo disteso di cui conosceva solo il nome era terreo e la mano sinistra, le cui dita l’avevano toccata poco prima che riprendesse completamente conoscenza, era serrata a pugno. Si passò la mano sopra il dorso dove aveva ricevuto una piccola scossa, forse dovuta al tessuto lanoso che lo copriva.

Rimase immobile ancora qualche istante, finché lui si voltò verso di lei con sguardo interrogativo. Si avvicinò e si inchinò rispettosamente, poi si sedette sulla sedia dove era stata negli ultimi due giorni. Il signor Masumi l’aveva dispensata dai sui compiti di segretaria, senza permetterle alcuna rimostranza. Le aveva detto che alla Daito non ci sarebbe stato bisogno di lei in quei giorni e che preferiva essere lasciato da solo per ciò che aveva da fare. L’aveva mollata lì con quelle parole sibilline e se ne era andato.

- Buongiorno, io sono Mizuki Saeko, la segretaria del signor Masumi - si presentò, dato che probabilmente lui non aveva idea di chi fosse.

Hijiri la fissò a lungo e lei abbassò lo sguardo sotto quell’esame minuzioso e intenso.

- Grazie - disse e quella seconda volta gli uscì meglio. Quando si schiarì la gola, lei versò dell’acqua e gli porse il bicchiere.

- Io non ho fatto niente - riferì Saeko ricordando la garza premuta sul suo petto insanguinato.

- È stata qui - gracchiò Karato bevendo piano.

Lei annuì e arrossì appena. Quel tocco di colore la rese ancora più bella e la ringiovanì dandole l’aria di una ragazzina, sebbene dovesse avere sicuramente qualche anno più di lui.

- Come sta Maya? - le domandò tremando in attesa della risposta. Non aveva avuto il coraggio di chiedere se era morta, sperava con tutto se stesso che fosse viva.

- Sta bene - lo rassicurò la segretaria con un sorriso e lui sentì un peso enorme sollevarsi dal suo petto.

- Quanto tempo…? - mormorò appoggiando la testa sul cuscino per avere una migliore visuale della sua figura.

- Due giorni - rispose prontamente Mizuki tornando a guardarlo. Rimasero a fissarsi alcuni istanti e quando quello scambio divenne troppo evidente, lei lo distolse. Hijiri sorrise, felice di non esserle indifferente.

- Sono morto? - le domandò con un filo di voce e quando lei sollevò gli occhi dilatati seppe la verità.

- Sì, per qualche minuto - annuì Saeko ricordando quegli attimi concitati - Il signor Masumi è riuscito a far venire qui un gruppo di medici, non ha voluto che lei fosse portato in ospedale - gli riferì senza riuscire a celare una nota inquieta nella voce.

Hijiri mosse la testa due volte in segno affermativo e chiuse gli occhi. Ha fatto anche questo per me…

- Mi dispiace che sia stata trascinata in questa vicenda… - mormorò stancamente, interrompendosi quando la voce gli venne meno.

- Non deve preoccuparsi di questo - lo rassicurò Mizuki - Mi ha fatto piacere aiutare l’amico del signor Masumi - ammise arrossendo al ricordo del momento in cui aveva aiutato i paramedici a spogliarlo dopo la rianimazione.

Karato si domandò per quale motivo fosse così imbarazzata, poi venne folgorato dal ricordo in cui mani gentili gli toglievano i vestiti imbrattati di sangue.

- È stata lei a… - le chiese fissandola sconcertato.

- Sì, le chiedo scusa - confermò Mizuki abbassando lo sguardo e avvampando. I capelli le ricaddero in avanti come un velo, celando il suo volto agli occhi attenti di lui.

Hijiri arrossì e spostò lo sguardo sul soffitto.

- Suppongo che in questi casi sia inevitabile - mormorò minimizzando la situazione.

Mizuki rimase in silenzio, imbarazzata e tesa.

- Grazie per essersi presa cura di me - ripeté sperando di vedere ancora una volta il suo sorriso e lei lo accontentò. Saeko lo guardò e distese le labbra in un delicato sorriso, gentile e dolce.

- Sono qui per aiutarla, non esiti a dirmi ciò di cui ha bisogno - si propose seriamente la segretaria posando le dita affusolate sulle sue. Fece per alzarsi, ma lui la trattenne.

- La prego, non se ne vada, resti qui con me - sussurrò con espressione malinconica. Essere un uomo ombra, ignoto alla società civile, poteva avere i suoi vantaggi, ma ti obbligava ad un’assoluta solitudine.

Mizuki si bloccò, tremando a quel contatto così serrato, persa in quegli occhi grigi, densi di una pacata tristezza.

Si sedette nuovamente, annuendo alla sua richiesta, senza rendersi conto che le loro mani erano rimaste una allacciata all’altra.



Quei due giorni erano stati talmente pieni da non consentirgli addirittura di mangiare. Si era reso conto che parte del problema era l’assenza di Mizuki, ma per niente al mondo l’avrebbe cacciata dal capezzale di Hijiri. Se c’era qualcuno capace di ritirarlo in piedi, era lei.

Non riusciva a credere di aver posto le basi di tutte quelle azioni che gli avrebbero permesso di stare con lei. Era talmente elettrizzato dalla faccia che avrebbe fatto suo padre, che non vedeva l’ora di spiattellargli in faccia la decisione che aveva preso e messo in movimento. Sarebbe occorso del tempo, mesi, ma non era più disposto a soccombere agli eventi né a permettere che qualcun altro potesse fare del male a Maya.

L’avrebbe rassicurata e le avrebbe detto tutto il necessario perché potesse affrontare in serenità “Madama Butterfly” e, subito dopo, il nuovo allestimento della “Dea Scarlatta” che stava progettando con Kuronuma.

Parcheggiò nel box della casa di suo padre e, anche se era certo che non avrebbe trovato Maya come nei due giorni precedenti, non lasciò che la malinconia offuscasse i traguardi che aveva raggiunto. Nonostante fossero mesi che non abitava più lì, si trovò a rifare gli stessi gesti che avevano accompagnato ogni sera il suo rientro a casa. Lasciò il soprabito nel comodo guardaroba, indossò le ciabatte morbide, appoggiò le chiavi nello svuota tasche e portò la valigetta con sé nello studio.

Quando entrò si bloccò sulla porta. Eisuke Hayami era in piedi davanti alla porta finestra, appoggiato al bastone. La sua sedia a rotelle si trovava poco distante, pronta all’occorrenza.

- Padre - lo salutò chiudendo l’anta. Per tutto il viaggio di ritorno aveva riflettuto su come si sarebbe svolto il loro confronto l’indomani, ma il destino aveva accorciato i tempi.

- Dov’è la ragazzina? - lo interrogò senza voltarsi. Masumi s’immobilizzò, posando lentamente la valigetta sopra la scrivania.

- Intendi Maya Kitajima? L’attrice più proficua sotto contratto alla Daito che è stata quasi strangolata dalla donna che mi hai fatto sposare? - sibilò senza nascondere la sua rabbia.

Eisuke si voltò all’udire quel tono sarcastico.

- Tutto quello che è successo è a causa della tua sconsideratezza! - replicò infuriato picchiando con la punta del bastone a terra.

Masumi fu sul punto di ribattere la prima cosa che gli era venuta in mente, ma per fortuna non aveva perduto tutto il suo buonsenso. Avrebbe avuto la sua più grossa rivincita fra qualche settimana, attaccare ora suo padre era solo una perdita di tempo. Inoltre ciò che gli aveva appena detto era vero: si sentiva responsabile e per quel motivo si era isolato per due giorni, cercando di sistemare le cose.

Eisuke lo vide combattuto, ma quando rilassò le spalle seppe che Masumi aveva ceduto ancora una volta di fronte all’evidenza. Gli era piombato in casa in piena notte con il figlio di Hijiri quasi morto e quella ragazza priva di conoscenza! Dopo essersi assicurato che lei fosse al sicuro, era andato in ufficio dove aveva preparato un comunicato stampa che era stato battuto l’indomani mattina. Era tornato quasi all’alba e si era chiuso in quella stanza con lei. Tecnicamente aveva gestito la situazione in modo impeccabile, ma aveva visto il suo sguardo quando era entrato in casa con quella ragazza in braccio: assorto e concentrato su quel volto cinereo.

- Maya Kitajima è tornata a casa - lo informò dandogli le spalle e svuotando la valigetta dai documenti.

- Perché? - lo interrogò freddamente Eisuke.

Masumi sollevò lo sguardo fermando le mani che frugavano fra i documenti e lo fissò perplesso. Era una strana domanda, ma decise di rispondergli sinceramente.

- È stato già arduo tenerla qui due giorni, sai meglio di me quanto siano maligni i giornalisti… -

- Avresti dovuto consultarmi! - replicò piccato - So bene come zittire i giornalisti! - aggiunse con sguardo ardente. Masumi sollevò un sopracciglio interdetto e appoggiò i documenti sulla scrivania.

- Consultarti? Ero convinto che allontanare lei fosse la cosa migliore che avessi fatto in questa situazione! - replicò ridacchiando sull’ironia della sorte. Padre… cosa stai architettando?

- Invece hai sbagliato! - ribatté l’anziano Presidente, girandosi verso il giardino.

Masumi rimase in silenzio senza sapere cosa aggiungere. Non riusciva a comprendere l’atteggiamento di suo padre né perché fosse così irritato. Allora forse non è il momento per rivelargli quanto ho fatto…

- Avresti dovuto avvisarmi… - sussurrò fra sé appoggiandosi al bastone ben puntato in mezzo ai piedi.

Il figlio, ancora più interdetto, lo raggiunse, affiancandosi a lui. L’anziano padre fissava il giardino buio all’esterno, il volto appariva rilassato, completamente diverso da come gli si era mostrato solo qualche attimo prima. Padre… a cosa stai pensando?

- L’avrei fatto se avessi saputo che ti interessava - mormorò con tono addolcito.

- Non mi interessa! - ringhiò duramente girandosi di scatto verso di lui. Masumi lo fissò immobile, incerto su come reagire di fronte ad un atteggiamento così volubile. Suo padre era sempre stato un uomo compassato e trattenuto, raramente l’aveva visto dare in escandescenze tanto meno fare discorsi sconclusionati come quello.

Eisuke tornò a guardare il suo giardino. Non aveva incontrato volutamente Maya Kitajima di persona quando se ne era andata, non voleva essere riconosciuto. Poteva solo immaginare cosa avrebbe detto se avesse scoperto chi era quel vecchietto che aveva incontrato diverse volte in passato. Ridacchiò fra sé e non vide l’espressione sconcertata di Masumi che lo fissava senza parole.

- Come sta? - domandò invece senza guardarlo.

- Non lo so - rispose Masumi aggrottando la fronte.

- Chiamala! - ribatté il padre secco.

- Chiamarla? Ma io non… - iniziò Masumi disorientato da quel comportamento anomalo.

- È impossibile che il Presidente di un’azienda di spettacolo non abbia il numero per contattare una delle sue attrici! - replicò Eisuke girandosi glaciale verso di lui.

Masumi sbuffò e prese il cellulare soppesandolo in mano un paio di volte, poi strisciò lo schermo e lo attivò. Maya non rispondeva praticamente mai, era come se non ce l’avesse il telefono, nonostante la Daito gliene avesse fornito uno appena avevano firmato il contratto e, se non ricordava male, anche un secondo, ma li aveva perduti entrambi. Forse col terzo sarebbe andata diversamente.

- Metti il viva voce - gli intimò il padre fissandolo con sguardo imperscrutabile.

Maya avrebbe potuto dire qualsiasi cosa, la sua spontaneità era un’arma a doppio taglio. Masumi valutò l’idea di negargli quella richiesta, ma suo padre si stava comportando in modo strano e decise di fidarsi dell’eterno senso di inadeguatezza di Maya.

Lo squillo del telefono risuonò tre volte e proprio quando Masumi stava per chiudere la telefonata, lei rispose. Eisuke parve illuminarsi e lui si chiese cosa stesse accadendo.

- Sono Maya Kitajima - rispose la sua voce squillante, viziata da un tono roco sul finire, segno che la sua gola era ancora arrossata.

- Sono Masumi Hayami - disse lui sentendosi davvero strano nell’iniziare quella conversazione davanti a suo padre che ascoltava ogni cosa.

- Signor Hayami! - esclamò la vocetta dall’altra parte e Masumi sperò che non dicesse qualcosa di inappropriato. Si ritrovò a sorridere ignorando lo sguardo penetrante di suo padre.

- Scusami per l’ora. Volevo sapere come stai? Sei tornata a casa? - si informò mantenendo un tono neutro.

- Sissignore, signor Presidente! - gridò facendoli sorridere - L’attrice Maya Kitajima è al sicuro di nuovo fra le quattro mura di casa! - alcuni colpi di tosse seguirono quell’ultima frase e Masumi vide suo padre corrugare la fronte.

- Hai tenuto il collo coperto e preso le medicine? - le chiese ancora lasciandosi trascinare dal suo entusiasmo senza rendersi conto che quella domanda poteva essere molto personale.

- Confermo, Presidente Hayami! - rispose ancora Maya come un soldato davanti al suo Generale - Nessuno ha visto i lividi e sto già molto meglio, invece di due settimane, lunedì potrei già essere pronta per “Madama Butterfly”! -

- Due settimane - ribadì glaciale Masumi dimenticandosi per un attimo la presenza del padre. Con Maya era un tira e molla costante. Aveva idee tutte sue su come dovessero andare le cose e non dava mai ascolto a nessuno.

Dall’altra parte ci fu silenzio, poi un tonfo e un borbottio irritato. Eisuke ridacchiò e Masumi lo guardò interdetto.

- Sc-Scusi, signor Hayami, mi è… mi è caduta una cosa - balbettò probabilmente imbarazzata - Sì, d’accordo, due settimane - acconsentì sebbene il tono non fosse quello di una persona che si era arresa.

- Riposati e non pensare allo spettacolo - le disse sapendo bene che il copione era già lì accanto a lei.

- Signor Hayami? - lo chiamò con urgenza, come se avesse timore che la telefonata si interrompesse.

- Sì? - Masumi avvertì un brivido freddo lungo la schiena, in attesa delle sue prossime parole.

- Grazie per essersi preso cura di me - la voce arrivò sommessa, pacata e piena di dolcezza. Masumi fissava il telefono e sentì un calore soffuso diffondersi sul suo volto.

- Sono felice di averti potuto aiutare - e lo era ancor di più che non fosse accaduto niente di irreparabile - Buonanotte - aggiunse sperando di chiudere la telefonata.

- E io sono felice che sia stato lei - sussurrò Maya - Buonanotte - e chiuse la comunicazione.

Masumi fissò il cellulare rendendosi conto che una sola frase aveva acceso il suo cuore e gli aveva fatto immaginare esattamente ogni sua espressione, come se fosse lì davanti a lui. Sorrise allo schermo, completamente dimentico di suo padre.

- Masumi, sei arrossito? - la domanda lo riscosse così all’improvviso da farlo sussultare ed Eisuke lo fissò compiaciuto.

- No - replicò seccamente - Ho solo caldo - aggiunse posando il cellulare sul tavolo e togliendosi la giacca. Suo padre non insisté su quella strada, probabilmente contento di ciò che aveva visto, e lui ebbe il tempo di versarsi da bere.

- Allora, sei soddisfatto ora? Maya Kitajima è a casa e sta bene - esordì dopo qualche minuto di silenzio. Non giunse risposta, così si girò e lo trovò assorto, con lo sguardo sempre verso l’esterno. Lo raggiunse e scrutò il suo volto in tralice, cercando di non farsi notare.

La quiete si prolungò, mentre Masumi finiva lentamente il suo liquore.

- Stai facendo tutto ciò che è in tuo potere per tenerla con te, vero Masumi? - disse Eisuke infrangendo il silenzio.

Il figlio lo fissò con gli occhi spalancati e il cuore che batteva all’impazzata. Sa ogni cosa o la sua è solo immaginazione?

- Se lei è la tua Dea Scarlatta, non commettere il mio stesso errore - proferì voltandosi e catturando il suo sguardo.

Masumi rimase scioccato da ciò che vide nei suoi occhi: rabbia, rassegnazione, sofferenza. Ogni fibra dell’uomo davanti a lui tremava e sembrava a stento trattenere i propri sentimenti. Non era certo che sarebbe stato in grado di affrontare suo padre in quel momento. Era sicuro di non conoscere quel lato del suo carattere né di averlo mai visto.

Non ebbe il coraggio di rispondergli, non sapeva a cosa si riferisse esattamente e se gli avesse confessato ogni cosa per scoprire che stava parlando dei diritti dell’opera, non se lo sarebbe mai perdonato.

- Fai bene a non esporti - concluse Eisuke raggiungendo la sedia a rotelle - Potresti accompagnarmi in camera, per favore? -

Masumi appoggiò il bicchiere vuoto sulla scrivania e, sconvolto da quell’ultima discussione, accompagnò suo padre.



Nei mesi seguenti all’aggressione, Maya fu totalmente fagocitata dal teatro. Lo spettacolo di “Madama Butterfly” riscosse talmente tanto successo da costringere la Daito ad affittare altri teatri dove eseguire le repliche, dato che nei loro erano già in cartello altre rappresentazioni. Il regista Ito era al settimo cielo e Kinji aveva guadagnato uno stuolo di ammiratrici.

Maya, oltre alle repliche di quello spettacolo, partecipò alle prove del nuovo allestimento della “Dea Scarlatta”. Nonostante gli impegni fossero notevoli, non si perse d’animo e mise il consueto entusiasmo in ogni incombenza.

Non aveva più incontrato Shiori Takamiya e i giornali, dopo il comunicato stampa che il signor Hayami aveva rilasciato, sembravano non interessarsi più a lei o alla Daito Art. Quando aveva ascoltato quel comunicato, si era resa conto che doveva per forza averlo preparato la notte in cui era stata aggredita, eppure all’alba, quando aveva aperto gli occhi, lui era lì, sul letto, accanto a lei, che dormiva. Si era domandata spesso quale energia muovesse quell’uomo instancabile che riusciva, nonostante tutto, a vivere una doppia vita: una davanti ai riflettori, una davanti a lei.

Perché Masumi Hayami non aveva smesso di essere il suo ammiratore. Non c’erano state rose scarlatte, ma c’erano quelle che erano fiorite nei loro cuori. Maya non si era neanche accorta del passare del tempo, assorbita dalle sue interpretazioni, dalle conferenze stampa, dalla pubblicità che doveva registrare, dalle prove, ma da quel giorno nefasto erano trascorsi otto mesi.

Kuronuma non si era smentito e, stimolato anche dal signor Hayami stesso, era riuscito a mettere in scena una nuova “Dea Scarlatta”, rinnovandola proprio come aveva fatto con “Lande dimenticate”. All’inizio il cast era stato scettico, tutti tranne Maya, che invece aveva battuto le mani entusiasta, comprendendo immediatamente il disegno del geniale regista. La sua Akoya era apparsa subito più profonda e si era allineata senza problemi alla nuova impostazione del dramma. Erano occorsi mesi di prove estenuanti perché Kuronuma fosse soddisfatto e il nervosismo aveva spesso causato litigi e pianti disperati, ma alla fine gli incassi e il pubblico avevano dato ragione a lui e al signor Hayami, che non aveva esitato a scommettere sul regista eccentrico.

La signora Tsukikage aveva assistito alla visione della valle dei susini voluta da Kuronuma e ne era rimasta talmente colpita da restare seduta al suo posto per oltre un’ora. Poi aveva voluto parlare con Maya.

Non avrebbe mai dimenticato lo sguardo della signora: era limpido, brillante e gridava “soddisfazione”. Aveva pianto a lungo sulle sue ginocchia mentre la sua mano, che in passato l’aveva schiaffeggiata, le lisciava i capelli come una madre fa con la propria figlia. La “Dea Scarlatta” del suo Ichiren era andata oltre la sua stessa immaginazione e tutto ciò era potuto avvenire grazie alla profonda introspezione effettuata dal regista e dalla prima attrice.

Maya non era riuscita a spiccicare parola sotto gli elogi della signora che l’aveva definita un’attrice a tutti gli effetti. Quelle parole, più di ogni altra, più di qualsiasi compenso o riconoscimento, le avevano riempito l’anima di orgoglio e commozione.

Avvolta da quei ricordi bellissimi, posò lo sguardo sull’elegante statuetta dorata del premio come “Migliore attrice protagonista” che aveva appena vinto.

- Beh… anche i premi fanno stare bene! - mormorò convinta, arrossendo e cacciando fuori la lingua.

La cucina era in ordine, il bagno pulito, la camera sistemata: poteva prepararsi e uscire con Rei per fare shopping come si erano promesse. Si tolse il grembiule, attraversò il corridoio e raggiunse la camera. Anche se era stata aggredita proprio lì, non aveva mai avuto incubi in quella casa, non aveva mai ricordato l’evento né aveva avuto brutte sensazioni passando in quel corridoio. Quando era rientrata dopo due giorni, aveva trovato tutto perfettamente in ordine, era stato appeso al muro perfino lo stesso specchio che era andato in frantumi. Ricordava solo l’alterco iniziale con Shiori Takamiya, poi le cose erano diventate confuse. Ormai era un evento lontano nel tempo, ma a volte le tornava alla memoria quel periodo oscuro.

Si lavò rapidamente, indossò l’accappatoio e pettinò i capelli bagnati. Prese l’asciugacapelli e diresse il getto caldo sulla testa, continuando a pettinarli e sperando di dargli una forma decente. Il campanello suonò e lo sentì solo per caso, perché aveva spento per un attimo il phon.

Si guardò allo specchio corrugando la fronte, ma decise di guardare dallo spioncino: avrebbe sempre potuto far finta di non essere in casa. Nonostante fosse sola, si mosse come se dovesse nascondersi nelle ombre, quatta quatta aderente al muro. Guardò dentro lo spioncino e raggelò. Santo cielo! Non può vedermi in queste condizioni! Con un’occhiata valutò di essere indecente, però se si era presentato lì e aveva suonato significava che era accaduto qualcosa.

Arrossendo dalla testa ai piedi, deglutì e si decise ad aprire. Rimase nascosta quasi completamente dietro la porta e sporse solo la testa arruffata.

- B-Buongiorno… - balbettò - Perché è… - ma non riuscì a finire la frase, che si trovò con la parete alle spalle e le labbra di lui sulle sue. Lo stupore e l’imbarazzo iniziale vennero sostituiti da un calore dilagante quando il suo bacio divenne esigente e profondo, tanto da farle tremare le gambe. La teneva stretta per le spalle e non aveva alcuna possibilità di muoversi, sebbene non fosse nelle sue immediate necessità.

Il cuore le schizzò fuori dal petto quando la sua mano discese a cercare il suo corpo, calda, avida, quasi disperata. Maya assecondò quel desiderio ardente e, anche se non ne comprendeva il motivo, si lasciò trascinare in quell’oblio, afferrando la camicia e tirandolo verso di sé. L’accappatoio si sciolse in quei movimenti ciechi e spasmodici e lei si ritrovò attaccata ai suoi abiti, con le sue mani che cercavano la sua pelle, toccavano ogni cosa, strisciavano, a volte rudi, a volte dolci.

Neanche per un istante Masumi lasciò la sua bocca, non ne aveva alcuna intenzione né in quel momento né per i prossimi. La pelle era liscia, calda e profumata, tutte caratteristiche che gli facevano perdere la testa. Non gli interessava più mantenere il controllo, non ce ne era più bisogno. Era sua, solo ed esclusivamente sua, e nessuno gliel’avrebbe mai più portata via. L’attirò a sé, schiacciandola contro il suo corpo e soffocando con la bocca la sua flebile lamentela.

Anche lei partecipava con lo stesso ardore, non era spaventata né aveva provato ad allontanarlo. Il desiderio bruciava in entrambi che da troppo tempo non condividevano un po’ di tempo insieme. Masumi lasciò scivolare le mani sulle natiche tonde e lei s’inarcò emettendo un lieve mugolio.

Maya si sentiva travolta da una tempesta bruciante, non si era mai presentato a casa sua in quel modo, aveva le chiavi dell’appartamento, lo sapeva, ma non le aveva mai usate. Riuscì in qualche modo a sbottonare la sua camicia e a strisciare le dita sul petto ampio e caldo rabbrividendo al contatto, la mente occupata e sommersa di baci e mani che la toccavano ovunque.

Quando le piccole dita esplorarono il suo torace, Masumi l’afferrò per la vita e la tirò su sorridendo al suo gridolino di sorpresa. In pochi passi veloci raggiunse la camera e incurante della confusione la distese sul letto riprendendo ciò che aveva interrotto.

Maya stava per dire qualcosa, ma trovò di nuovo le sue labbra. Aveva risvegliato ogni centimetro di pelle, ogni anfratto, ogni piega e tutti i suoi nervi erano ricettivi e tesi. Ogni sua carezza era un brivido profondo, il bacio con cui la teneva inchiodata sul cuscino le comunicava chi avrebbe dominato in quella partita. L’idea imbarazzante che fosse nuda, indifesa, spettinata, venne spazzata via dal desiderio crescente. Si aggrappò al suo collo, traendo una piacevole sicurezza dal peso sopra di sé, e affondò le mani nei suoi capelli.

Non aveva idea che l’unione potesse essere anche così travolgente, senza parole, senza sguardi, solo contatto fisico, ma la sua anima gridava di gioia che fosse proprio lui a farle provare quelle sensazioni estreme. Chissà se si rendeva di ciò che le provocava, se sapeva quanto le sue mani infiammassero i suoi sensi, quanto i suoi baci esigenti le facessero perdere la ragione, quanto il suo corpo la rendesse felice.

Lo sai… quanto sono felice quando ti tocco… Tu sei l’altra parte di me, io sono l’altra parte di te…

Le parole di Akoya irruppero ben chiare nella sua mente e seppe che Ichiren Ozaki aveva ragione. L’anima gemella era in grado di riformare quell’unico spirito da cui erano nati entrambi, riunendosi alla sua metà.

Masumi si teneva appoggiato ad una mano e con l’altra stava rischiando seriamente di farle perdere il contatto con la realtà. Scattò per fermarlo, togliendo quelle dita dal suo centro e sorrise quando lo sentì ridacchiare sulle sue labbra umide. Credeva che le avrebbe concesso un po’ di respiro, invece la cercò di nuovo, unendo ancora le labbra alle sue.

Maya spostò le mani sulla cintura di pelle dei suoi pantaloni e una parte molto lontana della sua mente le ricordò che avrebbe dovuto domandarsi perché stava accadendo tutto ciò, ma liquidò quel pensiero inutile appena le sue dita lo toccarono. Ci furono quattro secondi in cui il tempo parve fermarsi. Erano immobili, aprirono gli occhi allacciando immediatamente lo sguardo.

Masumi dovette fare appello a tutto il suo autocontrollo per non impossessarsi immediatamente di lei. Aveva le guance squisitamente arrossate, le labbra umide e irritate dai suoi baci, il respiro affannato che usciva rapido e gli occhi languidi e brillanti. Maya vide la sua espressione rapita, quelle iridi blu come un mare in tempesta accese di desiderio e ci si tuffò dentro facendo esplodere il proprio cuore in mille frammenti.



Era avvolta completamente dal suo profumo. Si stirò sonnacchiosa e osservò l’uomo disteso accanto a lei, girato su un fianco. Teneva gli occhi chiusi, forse dormiva, ma non ne era sicura. Il petto, semi coperto dalla camicia che non aveva neanche fatto in tempo a togliersi, si alzava e abbassava a ritmo regolare. Un braccio era piegato sotto la testa e l’altro adagiato sulla vita e sull’addome. Il lenzuolo copriva il resto e si trovò ad arrossire ripensando al tempo che avevano passato insieme e al modo un po’ rude in cui era avvenuto. Un brivido la scosse da capo a piedi, chiuse gli occhi crogiolandosi nel ricordo eccitante e quando li riaprì si trovò ad affogare di nuovo nei suoi, stavolta più calmi e pacifici, azzurri come zaffiri.

Lui sorrise e Maya trattenne il fiato per l’emozione. Avrebbe dovuto sorridermi più spesso, signor Hayami…

Allungò il braccio libero e l’attirò a sé con un unico movimento. Lei gli si accostò arrossendo e si trovò vicinissima al suo volto rilassato. C’era qualcosa di strano nei suoi occhi, una luce argentata e viva che aveva notato per un fugace momento anche quando l’aveva spinta contro il muro ed era entrato.

Masumi fissò quel volto che popolava i suoi sogni. Era arrossita di nuovo e avrebbe fatto in modo che si imbarazzasse così per il resto della loro vita. Quella mattina, l’ultimo tassello della trama che aveva ordito otto mesi prima, subito dopo l’aggressione di Shiori, aveva trovato la sua giusta e agognata conclusione. Si era ripromesso di dire ogni cosa a Maya infinite volte, ma qualcosa li aveva sempre interrotti: prove, registrazioni, conferenze stampa. Ogni volta che si erano incontrati aveva bramato di poterla stringere a sé ed era certo di aver visto anche in lei la stessa necessità, ma Maya sembrava serena e concentrata, e non se l’era sentita di farla preoccupare per niente. Nonostante avesse le chiavi del suo appartamento, non aveva mai ceduto alla tentazione di raggiungerla lì, ma quella mattina non era riuscito ad attendere.

Grazie alle prove raccolte da Hijiri prima di quella notte orribile, era riuscito ad affrontare suo padre e l’Imperatore Takamiya. Il gruppo Takatsu affondava in acque torbide e lui non aveva alcuna intenzione di essere trascinato in quel gorgo insieme alla Daito Art e alle sostanze di suo padre. Stranamente, Eisuke Hayami era rimasto in silenzio e non aveva difeso a spada tratta l’amico con il quale aveva un grande debito. Così aveva fatto la cosa che sapeva fare meglio: aveva smembrato la Takatsu, tenendo solo le parti solide e sane, e venduto o smantellato il resto, marcio e corrotto.

Alla fine, Takamiya l’aveva anche ringraziato e lui, per la prima volta, era stato ben felice di saldare il debito di suo padre con quell’uomo. Eisuke Hayami aveva rinunciato alla guida della Daito a suo favore ed essendone il nuovo proprietario aveva potuto apportare delle modifiche sostanziali sia al Consiglio di Amministrazione che al regolamento interno. Non era mai riuscito a capire come suo padre avesse potuto rinunciare ai diritti che tanto aveva bramato, ma era sicuro che in qualche modo c’entrasse Maya.

Erano occorsi più di quattro mesi per convincere tutti, ma alla fine ce l’aveva fatta. Il suo primo atto era stato stracciare il contratto con Maya e redigerne uno nuovo. I fogli immacolati giacevano nella sua valigetta in auto in attesa della firma di lei in calce in cui non venivano nominati i diritti della “Dea Scarlatta” e veniva indicato un periodo di cinque anni sotto la Daito Art Production. In quella data futura avrebbero discusso di un ulteriore prolungamento, ma i diritti sarebbero rimasti a lei per sempre.

Ora era sicuro che niente avrebbe potuto separarlo dalla sua anima gemella e si sarebbe personalmente occupato di chiunque avesse messo in dubbio l’onestà del loro rapporto professionale.

Maya sospirò, persa in quei magnetici occhi azzurri. C’era indubbiamente qualcosa di diverso in lui, una consapevolezza che era stata assente in quei mesi concitati, che avevano visto lei impegnata costantemente in teatro e lui con la Daito e i problemi con la moglie. Il suo cuore si strinse a quel pensiero, ma scacciò immediatamente i dubbi, cosciente che lui avrebbe fatto tutto il necessario.

In quel lungo scambio di sguardi silenziosi, l’atmosfera intorno a loro divenne soffice e ovattata, come fossero dentro una nuvola bianco latte. Maya vide la sua espressione cambiare e corrugò appena la fronte, sospettando che stesse per accadere qualcosa. Il cuore prese a batterle freneticamente senza un motivo valido.

Masumi si trovava ad punto cruciale della sua vita, una fase a cui per niente al mondo avrebbe rinunciato. Inspirò un po’ e la vide trasalire. Lui stesso sentiva un’elettricità inebriante solcargli la schiena, era una sensazione di grande potere, di attesa, di libertà.

- Maya, vuoi sposarmi? - le chiese concentrando in quell’unica frase tutti i suoi sentimenti e sentendo il sangue affluire alle guance. Quella mattina il tribunale aveva sciolto definitivamente il legame con Shiori Takamiya e finalmente avrebbe potuto proseguire per la sua strada.

Maya spalancò gradualmente gli occhi via via che quelle parole si facevano strada nella sua mente. Immediatamente dopo di esse, rievocò i momenti appena trascorsi, la sua dolce aggressione quando era entrato, l’assenza di parole nella loro unione in cui avevano dato completo spazio alle loro sensazioni, il finale senso di appagamento che aveva saziato il loro desiderio. Allora… significa che… che non è più sposato!

Il suo petto venne investito da un calore bruciante e non ci fu più spazio per i pensieri. Aveva raggiunto un’altra fase della sua vita, una di quelle che ti convince di quanto valga la pena di essere vissuta, qualunque siano gli ostacoli.

- Sì, Masumi - rispose con voce chiara e sicura, avvicinando le labbra alle sue.



FINE.


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