la vendetta di un dio minore

di PeterPan_Sherlocked
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 01 - viene diagnosticata una psicosi ***
Capitolo 2: *** 02 - l'ironia di un'equazione ***
Capitolo 3: *** 03 - effetto farfalla ***
Capitolo 4: *** 04 - il gioco è iniziato ***
Capitolo 5: *** 05 - la fisica nasce da una domanda ***
Capitolo 6: *** 06 - Passato e futuro ***
Capitolo 7: *** 07 - Segreti ***
Capitolo 8: *** 08 - Incontri ravvicinati ***
Capitolo 9: *** 09 - Il violinista maledetto ***
Capitolo 10: *** 10 - Blocco mentale ***
Capitolo 11: *** 11 - The coldest human, the warmest machine ***
Capitolo 12: *** 12 - E' facile scendere agli Inferi ***
Capitolo 13: *** 13 - Quid custodiet ipsos custodies? ***



Capitolo 1
*** 01 - viene diagnosticata una psicosi ***


La psicopatia è un disturbo della personalità caratterizzato principalmente da un deficit di empatia  e di rimorso, emozioni nascoste, egocentrismo ed inganni. Gli psicopatici sono fortemente propensi ad assumere devianti e a compiere atti nei confronti degli altri, nonché a essere orientati alla più violenza. Spesso sembrano persone normali: simulano emozioni che in realtà non provano, o mentono sulla propria identità.

Il sadismo è un disturbo della personalità caratterizzato da una modalità pervasiva di comportamento crudele, umiliante e aggressivo diretto verso gli altri. Il comportamento sadico si manifesta spesso sia nelle relazioni sociali, specie con i familiari, sia sul lavoro, ma raramente nei contatti con persone in posizione di autorità o di più elevato livello sociale

Il disturbo antisociale di personalità è un disturbo della personalità caratterizzato dal disprezzo patologico del soggetto per le regole e le leggi della società, da comportamento impulsivo, dall'incapacità di assumersi responsabilità e dall'indifferenza nei confronti dei sentimenti altrui. Il dato psicodinamico fondamentale è la mancanza del senso di colpa o del rimorso, con la mancanza di rispetto delle regole sociali e dei sentimenti altrui. Spesso chi soffre di questo disturbo è detto sociopatico.

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23 settembre 3517 - Merna, Nuova Europa.

L'uomo sorrise impercettibilmente, il suo divertimento era tangibile nonostante non ci fosse nessuno a poterlo percepire; nessuno di vivo almeno. Il buio lo circondava ma lui sapeva esattamente come muoversi. Si aggrappò agli infissi della finestra e con una svelta capriola si buttò giù per atterrare con un tonfo sordo sulle scale antincendio. Per la seconda volta il suo sorriso illuminò la notte; era un sorriso sadico, cattivo e se avessimo potuto guardare nei suoi occhi vi avremmo scortò una scintilla di follia. I guanti erano sporchi di sangue e dalla cintola spuntava una pistola carica. La flessuosa figura dell'uomo scomparve nella notte.

Il giorno dopo la notizia campeggiava sull'enorme schermo della base operativa: "Funzionario governativo ucciso dal sadico seriale."

Era questo il nome che gli avevano cucito addosso e per una volta, i giornali avevano avuto ragione. Solo un sadico avrebbe potuto uccidere a sangue freddo con pistole vecchie di più di un secolo: i metodi per dare la morte si erano evoluti, non comprendevano più le urla soffocate, il sangue, il dolore. Lui invece il dolore lo voleva vedere nelle sue vittime, voleva godersi ogni loro attimo di sofferenza. Ora era lì alla base operativa come ogni mattina, impeccabile nel suo smoking eppure ancora un po' inquietante. Si avvicinò a una ragazza e la tirò a sè stringendole il braccio. Accostò il suo viso all'orecchio di lei.

"Non sono stato bravo?" sussurrò tenendola bloccata contro il suo corpo. Lei non sembrava minimamente preoccupata. Storse leggermente la bocca tinta di rossetto del colore del sangue, in quello che sarebbe dovuto essere un sorriso.

"Impeccabile come sempre, Jules." rispose puntandogli addosso i suoi occhi azzurri. Azzurro su azzurro, lo stesso colore degli occhi di lui; ghiaccio su ghiaccio, logica su follia. In fondo non sono la due facce della stessa moneta, la logica e la follia? Non sono forse i due volti del genio?

La ragazza si rigirò, ora era bloccata tra il tavolo e il corpo di lui. Lei era molto più bassa e minuta eppure ridacchiò.

"Quando uscirà il tuo nuovo libro, soldato?"

Jules si allontanò malvorentieri e si irrigidì nel saluto militare.

"Oggi signor Generale. Chiedo il permesso di lasciare la base in anticipo."

"Permesso accordato. Attieniti alle misure di sicurezza, soldato." rispose la ragazza.

"Ah e... Nazelie?"

Lei alzò un sopracciglio e l'uomo sbuffò.

"Signor Generale." si corresse.

"Dimmi."

"Veda di non farsi bocciare anche quest'anno."

"Mi hanno cambiato scuola, di nuovo." sorrise lei.

"Finisca questa dannata scuola che ci serve qui alla base."

"E tu cerca di non arrivare tardi alla presentazione del tuo libro."

"Dannazione Generale, ha capito? Non si faccia sospendere." detto questo prese la sua ventiquattro ore e se ne andò di corsa.

Nazelie rise. Aveva appena diciannove anni ed era il Generale della Resistenza, Jules era il suo miglior sicario, scrittore di successo di giorno e serial killer di notte. Venticinque anni e una doppia vita da invidia.

La dittatura aveva esasperato gli animi e la Resistenza era inafferrabile ma ancora non abbastanza potente per un colpo di Stato. Era ripetente non per le materie, aveva il QI più alto dell'intera nazione e probabilmente di tutto il mondo, ma per il comportamento. Aveva fatto letteralmente impazzire il professore di matematica l'anno prima, la bocciatura era stata automatica. Si guardò allo specchio, scrutando il suo viso come se lo vedesse per la prima volta. Quella miriade di efelidi e i capelli naturalmente rossi non le appartenevano. Non sapeva perché, non era quella classica sensazione adolescenziale di una ragazza che non si trova bene con il proprio corpo. Lei era bella in modo pauroso, eppure c'era qualcosa di profondamente sbagliato in lei. Si lasciò lo specchio alle spalle e guardò i suoi soldati che come ogni mattina, aspettavano ordini. Si appoggiò al tavolo. Quella stanza sembrava tutto tranne che il quartier generale di un gruppo ribelle anti-governativo. Era un sotterraneo formato da una ventina di sale e quella era la più grande, interamente rivestita in ferro e insonorizzata. Una parete era completamente occupata da un enorme schermo collegato a tutte le notizie della nazione e ai computer disseminati per tutta la stamza in postazioni singole o ammassati uno vicino all'altro insieme a televisori antichissimi. Addossati alla parete laterale destra c'erano le armi. Il tavolo si trovava in fondo alla stanza, davanti allo schermo.

"Potetr andare, ci vediamo questo pomeriggio." li liquidò Nazelie. Doveva andare a scuola, era in ritardo e aveva ancora addosso la divisa da Generale, quella lungua tunica nera che la faceva scomparire agli occhi del mondo e la rendeva inquietantemente pericolosa. Nessuno dei suoi soldati indossava la divisa per le riunioni mattutine ma lei era il loro capo. Più che soldati erano un esercito informatico. Avevano sicari come Jules al loro servizio ed erano tutti addestrati alla uerra ma la loro occupazione pricipale era il sabotaggio informatico e l'hackeraggio. In un'epoca nella quale tutto funzionava attraverso la rete informatica, chi conosceva i codici di accesso aveva il potere, e la resistenza mirava a quei codici. All'inizio sembrava non ci fosse speranza, i computer governativi sembravano impenetrabili e i loro attacchi inutili e visibili. Poi era arrivata Nazelie. Nessuno sapeva come era arrivata a loro, sembrava essere scesa direttamente dal Paradiso o vomitata dall'Inferno più oscuro. Con lei però tutto sembrava possibile, riusciva ad hackerare qualsiasi cosa, sembrava scritto nei suoi geni, come la sua vena ribelle. Non sembrava nemmeno umana quando dava  quegli ordini incomprensibili che portavano sempre al successo.

Si cambiò velocemente, sola in quella stanza infinita, avendo come compagnia il ronzio delle macchine sempre in funzione. Il trucco nero copriva quasi del tutto l'azzurro dei suoi occhi, la canottiera larga infilata dentro i pantaloni strappati malamente. Appena mise gli occhiali da sole si sentì pronta a dare la sua immagine allo Stato.

Il sole illuminava le larghe strade pedonali mentre le automobili sfrecciavano sopra di lei, creando secondi di ombra. Luce, buio, luce, buio, era un'intermittenza alla quale era abituata. Alla sua destra e alla sua sinistra si diramavano ordinatamente alti palazzi di cemento. Era grigia qualsiasi cosa, erano grigie anche le telecamere di controllo disseminate dappertutto. L'unica macchia di colore era data dai rari alberi disseminati per la via. Erano stati piantati nel minimo numero per assicurare l'ossigeno alle persone che avrebber dovuto attraversare quella strada il giorno. Come facevano a sapere quante persone passavano per una certa strada? Semplice, lo decidevano loro. Decidevano dove abitavi, dove lavoravi, ti organizzavano il tempo libero, ti indicavano la strada da usare. Nazelie aveva lasciato la casa dei suoi genitori l'anno prima, come tutti i neodiciottenni, per permettere ai suoi di generare un nuovo bambino. Non che i suoi genitori l'avessero concepita. C'erano le donne create apposta, quelle povere o le prigioniere di guerra. Lo Stato non poteva permettere di perdere forza lavoro per nove mesi, per un bambino. Le donne della classe media lavoravano come gli uomini, a ritmi massacranti e i bambini venivano usati come ricompensa alle brave lavoratrici. Nazelie avrebbe voluto conoscere la sua vera madre, magari era una dissidente anche lei. Non che Nazelie lo facesse per qualche spirito patriottico. La sua era una leggera voglia suicida, una vena drammatica e un desiderio di dimostrare la sua intelligenza. Lei era cresciuta così, teatrale e scomposta, eppure era una delle persone più ignorate del governo. In quegli anni la libertà di costumi era stata portata all'esasperazione e nei quartieri del piacere trovavi antiche ed eleganti villette a disposizione di tutti. Di giorno signore e signori dell'alta società pagavano profumatamente per escort di lusso, di notte lo stesso quartiere si trasformava con la puzza di alcol e droghe mentre ragazzi e ragazze occupavano gli edifici. Al governo faceva comodo avere giovani con la testa rovinata dalle droghe, potevano controllarli meglio. Non c'era spazio per l'amore in quella società, solo per l'eccesso. E Nazelie incarnava perfettamente quell'eccesso, con i tacchi alti di prima mattina e il sorriso cattivo. Rappresentava il massimo della falsa libertà che era stata creata sdoganando i tabù morali e formandone di politici. Lei era in quel modo, anche in quel modo. Sociopatia, gliel'aveva diagnosticata una psicologa della Resistenza. Non che a lei interessasse qualcosa, giustamente. La sociopatia è anche questo, è anche indifferenza. Ma Nazelie era brava a fingere, le veniva naturale, uno dei suoi tanti doni. Il telefono squillò. Era Jules che le mandava un messaggio ricordandole di non fare danni a scuola e di passare da lui per prendere il suo libro. Impertinente. Nazelie lo avrebbe voluto uccidere a volte, se solo non le fossero piaciuti così tanto i sadici.

 

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Capitolo 2
*** 02 - l'ironia di un'equazione ***


Jules era in ritardo. Era sempre in ritardo, ma poteva permetterselo. I suoi capelli ricci e il suo sorriso da divo del cinema, insieme alla fortunata capacità di inventare mondi d'inchiostro, lo avevano reso amato dalla stampa e dalle persone. Il suo ultimo libro parlava di un viaggio oltre i confini dell'Universo in cui esseri più evoluti degli uomini combattevano per la salvezza della Terra. Alcuni mesi dopo, Jules avrebbe trovato piuttosto ironico il fatto di aver pubblicato quel libro proprio quel giorno e Nazelie avrebbe parlato delle equazioni, del fatto che sono uguali a destra e a sinistra e di come il Tempo è come un'equazione. Uguale prima e dopo, destra e sinistra, all'inizio e alla fine. Ancora però la sua vita era perfettamente normale, per quanto può essere normale la vita di uno scrittore di successo che fa il serial killer e Jules camminava tranquillamente per la strada. Un gentiluomo cammina, non corre mai. Una folla di ragazzine adoranti, di donne insoddisfatte che trovavano nel suo sorriso la ragione di vita e di uomini che giocavano a fare gli intellettuali lo stava aspettando all'entrata della sala comunale. Il suo libro sarebbe stato disponibile in tutti i tablet e gli apparecchi elettronici da quel giorno. Naturalmente erano state stampate anche copie cartacee, ma il governo scoraggiava questo tipo di lettura, in quanto meno controllabile. Riuscivano a capire come eri anche dalle frasi che sottolineavi ed era più complesso vederle se acquistavi un libro cartaceo. Nonostante tutto però non erano riusciti a eliminare la carta. Jules firmò tutti i notes elettronici che le persone gli porgevano, sorridendo e ammiccando a tutti. Si accomodò dietro al tavolo che gli era stato riservato. L'intervistatore, un uomo sulla quarantina che da almeno venti anni serviva il Partito, iniziò a parlare. "I suoi romanzi sono sempre perfetti, signor Rochery." La folla lo interruppe con un fragoroso applauso e Jules sorrise di nuovo. Gli sarebbe venuta una paresi facciale a forza di sorridere - pensò annoiato mentre giocherellava distrattamente con il microfono. Quelle presentazioni duravano sempre poco per fortuna, i funzionari governativi si limitavano ad esaltare la folla e a fare domande per scoprire se eri abbastanza devoto al governo. Abbastanza esaltato da osannare il Partito in ogni tuo gesto. Jules, che di libri ne avea già scritto sei, ci era abituato, eppure sapeva anche quanta cautela usare per rispondere. "Il mio è un dono che serve un ideale." rispose infatti il nostro serial killer, facendo passare nei suoi occhi una scintilla di follia. Essere pazzi aveva qualche lato positivo. Potevi far credere al governo che quella follia era la stessa che cercavano di instillarti con la propaganda. L'intervistatore annuì soddisfatto e continuò a parlare: "Da fan numero uno c'è una domanda che mi assilla. Quale è il significato nascoto di questo libro? Con le storie fantastiche non è sempre facile, non siete d'accordo?" l'uomo si rivolse alla folla ottenendo un grido di approvazione. Jules sfoderò il suo miglior sorriso e il suo miglior sguardo da invasato, lo stesso sguardo di pura follia che aveva quando uccideva e quando torturava. "E' una metafora. Gli esseri più evoluti sono il Partito, che combatte per noi e ci protegge e ci ama, nonostante siano superiori a noi." Era diventato bravo a mentire - pensò mentre guardava la faccia soddisfatta dell'intervistatore. Dover nascondere un disturbo della personalità, una doppia vita e la sua appartenenza alla Resistenza, lo aveva reso esperto in quell'arte. All'inizio non era stato facile, aveva rischiato di essere scoperto. Non era come Nazelie, che sembrava riuscire ad adattarsi a qualsiasi ruolo le venisse imposto. Lei era come dell'acqua che prendeva forma a seconda del contenitore. Chi era la vera Nazelie però, nessuno lo sapeva. Era la ragazza estrema e ribelle, il Generale freddo e calcolatore, oppure era il dolore nei suoi occhi e la rabbia quando nessuno la guardava? O era tutte e tre le cose insieme? L'unica cosa di cui Jules era sicuro era la su sociopatia, quel disturbo della personalità che lo aveva attratto da subito. Avevano qualcosa in comune. Era anche intelligente, intelligente da far paura. Gli altri riconoscevano le sue capacità ma lui vedeva oltre, vedeva il genio dietro la follia, accanto ad essa, vedeva la superiorità di ogni suo calcolo. Quella ragazza non assomigliava a nessuno di loro, a nessun essere umano. Gli piaceva naturalmente. Non in senso romantico, lui non aveva mai capito cosa fosse la parola "romantico". Non gli interessava, i sentimenti erano noiosi. Però Nazelie gli piaceva. Gli piaceva la sua aria di sfida, il suo non aver paura di lui. Tutti hanno paura di un sadico, ma non Nazelie. Capivi che era una forza della natura da suoi capelli, rossi come il fuoco e dalla miriade di lentiggini che le attraversavano il corpo. Jules si trovava spesso a pensare a lei, soprattutto in quei momenti, quando si annoiava e sentiva le voci delle ragazzine urlargli dichiarazioni d'amore. Il suo fascino era stato costruito anche sulla sua indifferenza e freddezza, quindi dopo qualche bacio lanciato alla platea e qualche autografo in più, uscì dalla sala. Sapeva dove andare. La loro macchina teletrasportatrice aveva bisogno di manutenzione. Potendosi teletrasportare, potevano illudere il governo di uscire ogni mattina da casa loro e non dalla base operativa. Quella macchina era stata la loro salvezza e quella donna la loro benefattrice. Era stata Nazelie a portarli da lei. Lei era dappertutto, c'erano varie entrate nei punti ciechi delle telecamere. Jules prese la più vicina. Da lontano sarebbe potuta assomigliare a Nazelie, anche lei aveva i capelli rossi, gli occhi chiari e quella sensazione di non essere del tutto umane, eppure non sarebbero potuto essere così diverse. La donna che ora gli stava davanti aveva la pelle candida come la porcellana e lo sguardo velato. Se Nazelie era misteriosa e cristallina allo stesso tempo, quella donna era ambigua, con il sorriso perfettamente dritto e i capelli raccolti alla perfezione. "Sophie." Jules la salutò. La donna si sedette e lo invitò a fare lo stesso. Lo studio era piccolo e una serie di porte si aprivano ai suoi lati. Tutto era pieno di libri cartacei, di strumenti tecnologici. Su un vecchissimo mobile di legno c'era un cofanetto aperto, vuoto. Jules non aveva mai capito il perché di quel cofanetto ma Sophie lo guardava con rabbia. Guardava con rimpianto invece una vecchia foto di un ragazzo di diciassette, massimo diciotto anni con gli occhi di colori diversi. Poteva sembrare una donna distrutta, eppure nei suoi occhi non c'era dolore. Per questo la guardava con sospetto, per quel dolore mancato. "Dimmi tutto, caro." la sua voce era tranquilla e ponderata, i bracciali avevano accennato un leggero tintinnio al muoversi della sua mano. Più che bracciali sembravano manette ma nessuno le aveva mai chiesto perché le portasse. "La macchina ha bisogno di manutenzione." "Non per molto." rispose Sophie, sorridendo. Jules ebbe paura, come mai ne aveva avuta in vita sua. "Perché?" chiese. "Io so molte cose. Ricordati di queste mie parole. Comunque darò un'occhiata alla macchina, non ti preoccupare." Sarebbe potuta piacere a Jules, se non l'avesse odiata così tanto. Non voleva il bene di Nazelie, nonostante continuasse a dire il contrario. Era venuta da loro dicendo di conoscere Nazelie e di avere un debito con lei. Nient'altro. Che tipo di debito, nessuno lo sapeva. A Jules sembrava falsa eppure li aveva aiutati. Era grazie a lei se ancora non erano stati scoperti. Il ragazzo fece per andarsene "E Jules..." lo fermò lei. "Non perdere tempo dietro a quella ragazzina. Non ti porterà nulla di buono." "Staremo a vedere." fu la sua lapidaria risposta. Uscì soddisfatto, lasciando quella donna contrariata. Sophie Hurner però sapeva cosa fare. Era arrivato il momento di porre la parola fine a tutta quella storia. Erano passati venti anni, era arrivato il momento di iniziare a scrivere la battuta finale.

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Capitolo 3
*** 03 - effetto farfalla ***


Il preside era stato avvisato, i professori erano stati avvisati, persino gli studenti sapevano del suo arrivo e lei ne era consapevole. Eccome se ne era consapevole. Mentre camminava aveva gli occhi di tutti puntati addosso, sui suoi vestiti eccessivi, su quell'atteggiamento provocante e così estremo da risultare quasi grottesco. Non recitava Nazelie, era sempre stata impertinente. Estremamente folle ed estremamente logica. La sua fama la precedeva e dietro di lei si inseguivano in sussurri storie raccontate e leggende. Aveva il QI più alto dell'intero Universo, diceva qualcuno che sicuramente non aveva ben presente la vastità del cielo. Aveva fatto impazzire il suo professore... era un esperimento governativo... no, era il primo automa pensante... si diceva avesse legami con quelli dei nuovi manicomi... era lei stessa una pazza lasciata libera come esperimento sociale... parole su parole, verità e bugie che si ingigantivano di bocca in bocca, di sorriso in smorfia. Lei percorse tranquillamente il lungo corridoio dal quale spuntavano file di porte per le varie classi ed entrò nell'ultima a sinistra. Tutto era pulito, bianco, asettico. I banchi trasparenti permettevano di vedere ogni libro, ogni apparecchio elettronico e ogni foglio degli studenti, mentre computer altrettanto trasparenti erano impostati sulla schermata iniziale. Gli studenti non avevano bisogno di veri professori, solo di funzionari governativi che controllassero e indrottinassero la popolazione. C'erano già le borse sopra i banchi ma Nazelie si buttò malamente seduta su una sedia e scansò una borsa nera, collegandosi alla rete e iniziando a navigare. "Quello è il mio posto." A parlare era stata una ragazza con i capelli neri quanto il suo rossetto e piercing dappertutto. Aveva l'aria di una che si faceva rispettare. "Non più." rispose placidamente Nazelie, preparandosi mentalmente allo scontro. Nonostante sembrasse mingherlina aveva una grandissima forza che non sempre riusciva a controllare. Era un mistero per se stessa, non riusciva proprio e schematizzarsi secondo l'anatomia umana. L'attenzione dell'altra ragazza si spostò però al computer. "Era protetto da password..." sussurrò con un filo di voce. "Non puoi forzarlo, è vietato!" Nazelie alzò un sopracciglio. "Password di sette lettere. Ventisei alla settima possibilità, comprese le parole senza senso. Ci ho messo un minuto e otto secondi. Hai libri di fisica cartacei sopra il banco, di cui due sulle leggi di Maxwell. Borsa con dentro un calcolatore. Devi essere la più intelligente qui dentro. Ottima scelta del banco, avrei fatto anche io lo stesso, comunque." "Chi sei, lo Sherlock Holmes dei poveri?" "Non so di cosa tu stia parlando, comunque sono Nazelie, la tua nuova vicina di banco." Aveva appena deciso di volerla come vicina di banco. Quella ragazza le stava simpatica e le sembrava anche abbastanza intelligente per essere una persona normale. Una sapiens. Fu questo quello che la sua mente formulò in un attimo, poi rise di se stessa. Anche lei era una sapiens, forse più intelligente di tanti altri, ma pur sempre della loro stessa specie. Non aveva la più pallida idea di chi fosse Sherlock Holmes e voleva scoprirlo. La ragazza con i capelli neri sorrise involontariamente e spostò la borsa del banco accanto al suo. "Diana." "Bene Diana. Chi è Sherlock Holmes?" Diana rise, per poi tornare seria. Non era una mossa molto intelligente ridere in quell'epoca. Se sei felice sei libero e se sei libero, loro non possono permetterlo. "Un investigatore. Il miglior investigatore della storia della letteratura. Riusciva a dedurre qualsiasi cosa da piccolissimi dettagli." "Io non deduco, ragiono. E' probabilità matematica quella che mi ha fatto scoprire la tua password, oltre a una tua certa ingenuità." Nazelie accavallò le gambe e giocherellò distrattamente con la sua coda di cavallo. Era vero. Lei non deduceva quasi mai. Pensava e capiva. Calcolava. Le era sempre piaciuto sentirsi più intelligente degli altri, essere èiù intelligente degli altri. La faceva sentire a posto. Al suono della campanella la classe si riempì ed entrò il professore. Fece un veloce appello, soffermandosi un attimo al nome di Nazelie, poi iniziò la lezione con il discorso del Partito. A Nazelie arrivarono stralci di quella propaganda, già la sua mente vagava alla notte, poi al giorno dopo, alla Resistenza, ai suoi soldati. Essere controllati è essere liberi, liberi di obbedire al Partito perché il Partito sa cosa è buono... l'uomo è incostante e tende al male... il Partito provvede a voi... voi dovete essere riconoscenti al Partito, obbedirgli... Ogni giorno della settimana c'era un discorso diverso. Lunedì, obbedienza, Nazelie lo odiava con tutta se stessa. Lei non era nata per obbedire, per sottomettersi. Lei era nata per comandare, lo sapeva, sentiva il potere scorrerle nelle vene eppure non sapeva che farci. A volte si sentiva solo una ragazzina con manie di onnipotenza, eppure sapeva che ci doveva essere qualcosa di più in lei, era nata in quel modo per un motivo. A venti anni hai fiducia nel mondo, anche in un mondo distrutto come il loro. Sai che tutto può cambiare. E tutto sarebbe cambiato ma non come lei si sarebbe aspettata. Forse in peggio, forse in meglio. Lei non poteva saperlo, non ora. Era appena iniziata la lezione vera e propria quando Jules entrò correndo. Aveva spalancato la porta della classe. Ansimava come se avesse corso, la cravatta era allentata e la giacca stropicciata. Nonostante le sue condizioni, la classe si sciolse davanti a lui. Le ragazze sospiravano e urlavano felici, i ragazzi guardavano con ammirazione quell'uomo che aveva conquistato tutte le donne del mondo. "Sei il mio scrittore preferito." gli urlò addosso una ragazza quasi in lacrime, segita da cori di approvazione. Nazelie stava in fondo e sorrideva leggermente. Loro non sapevano chi era veramente quell'uomo e non sarebbero state così felici di sapere di avere un sadico come scrittore preferito. Un sadico serial killer al servizio della Resistenza. Al servizio suo. Era una cosa che la lusingava parecchio e che la faceva sentire potente, sapere di avere il potere su un uomo come lui. Lei aveva venti anni, lui trentacinque eppure era Nazelie a tenergli testa, a tenere testa a un sadico. Non era cosa da poco, anche se tutti i sadici sono masochisti in fondo. Jules non li degnò di uno sguardo ma continuava a far vagare i suoi occhi sbarrati per la stanza, in cerca di una zazzera di capelli rossi. "Nazelie, dannazione!" "La preghiamo di uscire dall'aula, sta disturbando la lezione." lo interruppe il professore, un uomo sulla cinquantina con le occhiaie e un completo malandato. Jules non lo ascoltò e richiamò la ragazza. Nazelie sorrise impercettibilmente. Ora tutti gli occhi erano puntati su di lei, tutti si chiedevano perché uno scrittore della fama di Jules conoscesse una ragazza ripetente. "A cosa devo l'onore, grande scrittore?" la sua voce era puro sarcasmo. "Dannazione Nazelie, vieni com me. Ora." Jules era visibilmente spaventato e la ragazza iniziava a preoccuparsi. Poteva dare ancora spettacolo però, le piaceva farlo. "Mi dai ordini, Jules?" ora lei si era alzata in piedi e tutti in classe, compreso il professore e il supervisore, la guardavano sorpresi senza sapere che fare. La voce strascicata e annoiata era stata sostituita da un tono sicuro, freddo, formale. "C'è una talpa. Abbiamo mezz'ora. Se mi permette, e mi permetterà, la porto in salvo." Ora si che stavano dando spettacolo. Non solo lui le aveva dato del lei, ma le sue parole erano incomprensibili. Incomprensibili per tutti tranne che per Nazelie. Lei smise di fare domande e ignorando l'ispettore che aveva iniziato a urlare minacce sanguinarie, prese il suo zaino e trascinò Jules fuori dalla scuola. "Abbiamo mezz'ora per uscire dal Paese, ho bloccato le comunicazioni. Fra trenta minuti esatti si riattiveranno e arriverà il mandato di incarcerazione a tutti i computer della nazione. Ci vediamo alla stazione da Sophie." le disse il ragazzo mentre correvano, poi si divisero. Nazelie corse a riempire il suo zaino. Documenti falsi, soldi, qualche cambio e cibo per parecchi giorni, non sapeva quando avrebbe potuto fare di nuovo rifornimento. Usci di casa correndo. Venti minuti. Sapeva benissimo dove trovare Jules: nell'unico ancgolo della stazion e dove non arrivavano le telecamere. Non poteva prendere mezzi di trasporto, non con i documenti che aveva dietro. Arrivò alla stazione, cioè ai ruderi di quella che sarebbe dovuta essere una stazione ferroviaria molti secoli prima. La porta era lì dove la ricordava, nera lucida tra tutta quella polvere. Si sarebbe potuta chiedere il motivo, ma Nazelie non si faceva mai domande quando si trattava di Sophie Hunter. Dieci minuti. Jules aprì la porta per lei. Sophie li stava aspettando, sorridente come sempre. "Siete stati veloci. Ditemi tutto." Era seduta su una poltroncina di velluto rosso mentre intorno a lei tutto era uguale come sempre. Sembrava quasi che vivesse in quella stanza, eppure non era possibile. Non si erano mai chiesti niente su di lei. A volte Sophie si chiedeva come avesse fatto Nazelie a crescere così stupida nonostante i suoi genitori. Forse la genetica era tutta una farsa o forse era cresciuta repressa da quella società. Nazelie continuava a sprecare la sua intelligenza in giochetti informatici senza nemmeno applicarsi. Un bene per Sophie. Non voleva persone curiose intorno. "Dobbiamo andarcene." rispose Jules. "Lo so." Naturalmente lo sapeva. Sapeva molte cose, le piaceva la conoscenza, era una cosa che la mistificava molto. Quello che le serviva. Gli uomini tendono sempre a mistificare quello che non capiscono e a razionalizzare quello che è già mistificato. Semplice logica da sapiens. Cercano di dare una ragione meccanica al mondo ma mistificano le scienze. "E allora che aspetti? Non abbiamo troppo tempo!" "No, non ne avete. Avete cinque minuti e io vi propongo un accordo." "Dicci." le disse Nazelie, appoggiando le mani sul tavolo e sporgendosi verso di lei. "Io vi salvo la vita ma tu" indicò Nazelie "Non entrerai nei giochi, oppure sarò costretta a ucciderti, e non voglio farlo. Le rosse mi stanno simpatiche." "Io non sono rossa." rispose lei. Non sapeva perché lo diceva, lo aveva sempore detto. Eppure lei aveva i capelli color del fuoco e la faccia cosparsa di lentiggini come solo una rossa naturale può avere. Nazelie però non si sentiva rossa. "Affare fatto?" chiese di nuovo Sophie, ignorando l'ultimo commento di Nazelie. La ragazza gli strinse la mano. "Affare fatto." "Vi trasporterò in Russia. E' piuttosto freddo lì, ma nessuno verrà a cercarvi. E' stato un piacere conoscerti Nazelie. Jules." fece un cenno del capo verso l'uomo, poi i due ragazzi videro tutto nero. Quando riaprirono gli occhi era tutto bianco e faceva freddo, molto freddo. Così almano sosteneva Jules, Nazelie non sentiva nulla. Intorno a loro tutto era ricoperto di neve. Sophie non lo sapeva ma i giochi erano già iniziati, erano iniziati nel momento stesso in cui Nazelie disse di non essere rossa. Gli eventi poi si concatenano in automatico, come un destino già scritto; e come una Storia che non puoi cambiare, quella frase fu il battito di ali di una farfalla che generò l'Apocalisse.

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Capitolo 4
*** 04 - il gioco è iniziato ***


Ora anche Nazelie iniziava ad avere freddo. Le mani cominciavano a tremare mentre piccoli cristalli di neve si infilavano sotto i vestiti provocandole spiacevolio brividi lungo la spina dorsale. Si voltò verso Jules, le sue labbra stavano diventando viola e tra i suoi ricci iniziavano a cristallizzarsi piccoli fiocchi di ghiaccio. "Dobbiamo muoverci o finiremo assiderati." mentre Nazelie parlava, la nuvola di freddo provocata dal suo respiro si condensava davanti a lei. Dopo secoli di surriscaldamente il mondo sembrava prepararsi a un'altra era glaciale. Era iniziata dieci anni prima proprio lì in Russia. "Perché Sophie a fatto questo? Non era dalla nostra parte?" le chiese Jules cercando di scongelare le mandibole e iniziando a camminare verso le fioche luci della città che sembravano troppo lontane per essere raggiunte. Dietro di loro e ai lati era solo bianco, non un albero, non una roccia, non una casa. "Non lo so, lei non è di Merna, ho controllato, non è schedata. Forse pensa che io voglia entrare in questi gioch che mi ha detto di ignorare, eppure io non so di cosa parla. Non lo voglio nemmeno sapere." "E per questo ci manda a morire. Devi essere piuttosto pericolosa." Non ci fu risposta da parte della ragazza. Jules però aveva ragione, sarebbero morti probabilmente, sepolti da metri di neve. L'unica cosa che avrebbe potuto salvarli sarebbe stato un miracolo, ma Nazelie non credeva nei miracoli. Non sapeva però che c'erano altre forze in gioco, forze potenti che conoscevano il destino del mondo e che potevano controlarlo. Forze che un miracolo potevano farlo, o almeno parte di esso. Potevano fare quel poco che rendesse l'accaduto un fatto fortuito, senza rischiare la vita di quella ragazza e del suo accompagnatore, al quale la ragazza sembrava particolarmente legata. Jules e Nazelie intanto arrancavano su metri di neve. Certo, la Russia era decisamente distante dalla Nuova Europa, ed era meglio morire che essere rinchiusi prigioni di Merna, ma l'assideramento era decisamente spiacevole. Successe nell'esatto istante in cui Jules cadde a terra, primo di sensi. Nazelie si girò per soccorrerlo, la bocca storta in un sussurro e le braccia nude. Si era tolta la leggera giacca e ora la stava adagiando sul corpo di Jules. Lo aveva alzato da terra, in modo che la schiena non toccasse la fredda neve e lo stringeva verso di sè per coprirlo dalle intemperie. Il vento si stava alzando e la neve che prima scendeva in delicati e freddi fiocchi ora le sferzava la faccia, provocandole piccole ferite superficiali. Lei stava bene dopotutto, aveva un principio di assideramento ma sarebbe potuta arrivare tranquillamente alla città. Non più però, non a maniche corte e poi non avrebbe mai potuto lasciare Jules. Era un sadico, un serial killer e certamente un pazzo ma era stato il suo primo sicario, il suo primo uomo e l'unico che si rendeva conto della sua intelligenza. Lei era il Generale della Resistenza, ma lui per un tacito accordo veniva subito dopo di lei. Era stata Nazelie a deciderlo con il suo atteggiamento, dandogli notizie di prima mano e mandandolo a compiere gli omicidi più importanti. Lui l'aveva salvata mille e mille volte, e l'aveva fatto anche quel giorno. Non poteva abbandonarlo, non poteva e non voleva, sarebbe morta si, ma sarebbe morta cercando di salvarlo. Un elicottero di pattuglia però non era dello stesso avviso. Il destino, la Storia (o la storia?), il caso o la pattuglia di passaggio decisero che dovevano vivere. All'inizio Nazelie non vide nulla, sentì solo il rumore e una forte raffica di vento che spostava la neve verso di loro, rendendo ancora più difficile coprire Jules e se stessa da quel ghiaccio che gli sferzava la faccia, ferendoli come una scheggia intaccherebbe un pezzo di legno. La seconda cosa che vide furono tre uomini vestiti tutti di nero correre verso di loro con degli assaltatori puntati alle loro tempie. Un solo colpo e tutte le loro connessiosi cerebrali sarebbero saltate dando morte istantanea. "Aiutateci vi prego!" urlò Nazelie. Le sembrava la cosa più intelligente da dire per fargli capire di non essere una minaccia. Mentre gli uomini si avvicinavano la ragazza vide il suo riflesso sul casco di uno di loro. Non era lei, non poteva essere lei quella ragazza con il viso bianco e rosso incrostato di terra e ghiaccio, non poteva essere lei con gli occhi semi chiusi e la bocca viola. Non era la Nazelie che ricordava. Ma quale era la Nazelie che ricordava? Quella dai vestiti corti e dai capelli indomabili o quella con la tunica da Generale e la bocca severa? Era forse la donna che si ribellava al governo o una ragazzina a cui piace fare danni? Buffo come tutte quelle cose le vennero in mente in quel momento, mentre stringeva il corpo di Jules sempre più freddo e mentre aspettava la morte o la salvezza da un gruppo di pattugliamento russo. Un secondo dopo non vide più nulla, sentì solo sempre più freddo e un secondo dopo ancora aprì gli occhi e vide azzurro intorno a lei. Erano in un ospedale. Si alzò di scatto e chiamò un'infermiera. Arrivò una donna con la pellechiara quanto la neve e i capelli biondi raccolti in una stretta treccia dietro la schiena. "Avvertirò che si è svegliata." disse solamente dandole di nuovo le spalle. "Dov'è Jules? Come sta?" la interruppe Nazelie, guardandosi intorno con circospezione ed analizzando l'ambiente. Aveva una flebo attaccata al braccio mentre vari macchinari rinzavano intorno a lei per rilevarle i parametri vitali. Tutto era di un celeste pastello che sarebbe potuto assomigliare al cielo d'estate se in quella regione l'azzurro non fosse stato sempre coperto dalle nubi. Aveva una stanza tutta per se e Jules nonnera accanto a lei. "E' vivo e non riporta danni permanenti." quella donna era fredda almeno quanto il ghiaccio. Nazelie ebbe poco tempo per pensare all'infermiera, perché subito dopo entrarono due uomini in giacca e cravatta. Nonostante fossero tutti e due vestiti in maniera simile, non potevano essere più diversi. L'uomo che si presentò come il presidente russo era biondo anche lui, con qualche capello bianco e delle rughe rassicuranti. Teneva in mano il file in cui c'erano le facce di Nazelie e Jules e la taglia sotto in bella vista. "E' una rifugata politica. Si dice che sia il Generale della resistenza. Noi siamo in guerra con la Nuova Europa, il suo aiuto sarà molto gradito." Freddo anche lui, eppure non cattivo. Nazelie sorrise e annuì brevemente. "Anche il mio amico sarà felice di collaborare." L'altro uomo era tutta un'altra storia. Aveva la fronte ampia che mettva ancora più in risalto due occhi che brillavano divertiti. Era un bell'uomo dal profilo regolare e i capelli scuri, eppure c'era qualcosa nella sua espressione, forse nel sorriso, che lo rendeva spaventoso. Sembrava psicopatico, forse lo era. Non sembrava nemmeno umano con quella sua compostezza e quel fisico troppo perfetto per un uomo della sua età. Non aveva detto una parola, la studiava solamente con quei suoi occhi indagatori e folli. Quando parlò la sua voce era più di un sussurro, eppure Nazelie la distinse perfettamente. "E' una alius ne sono certo. Sei rossa naturale?" Nazelie fu tentata di rispondere che no, non era rossa, poi pensò che la risposta non avrebbe avuto senso. "Si." Quell'uomo, quell'uomo spaventoso era folle, eppure era molto più simile a lei di chiunque altro avesse mai incontrato. "Presidente, ne dovremmo parlare." "Così sia, Regulus." rispose il presidente "ma prima di tutto è rifuagiata qui in Russia, sotto la nostra giurisdizione." "Cosa è una alius?" chiese la ragazza. L'unica risposta fu un sorriso. -------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- Le urla provenivano dalla sala. Era sempre successo in sala e le cose non sarebbero cambiate quel giorno. Un ragazzo dai capelli bianchi e una brutta cicatrice sulla faccia teneva in mano un pugnale ricurvo elaborato in maniera magistrale. Anche le sue braccia erano coperte di cicatrici, più piccole e meno profonde di quella che gli deturpava il viso. Seduta su uno sgabello di legno c'era una ragazza che urlava con gli occhi chiusi. Le urla erano così strazianti che avevano dovuto insonorizzare la stanza e ancora non erano del tutto abituati a sentire l'uno le urla dell'altro. "E' l'ultimo Lea." sussurrò il ragazzo premendo la punta del pugnale contro la pelle della ragazza. Anche le braccia scoperte di Neumalea erano piene di quei piccoli segni. "Ora tocca a te, Tommy." Lea prese il pugnale e si mise in piedi, mentre il ragazzo prendeva posto sullo sgabello. Un respiro e un taglio, l'urlo di dolore subito dopo. Sulle pareti della stanza erano incisi dei segni, come se i due ragazzi avessero contato i giorni. Gli anni. Le loro facce da adolescenti parlavano di dolore, e i loro comportamenti non si addicavano a due diciassettenni. Loro però non avevano diciassette anni. Nel corpo si, si erano bloccati venti anni prima quando si erano iniettati il siero, quando era iniziato tutto. Il dolore era solo un espediente, era la soluzione per non impazzire. C'era la voce, quella voce che continuava a ripetergli in testa la maledetta filastrocca. Venti anni da quando era iniziato quel loop infinito, venti anni che giorno e notte nella loro testa rimbombavano quelle rime. Il tempo era arrivato, gli anni passati. "Manterrete la promessa o non conoscerete la felicità, manterrette la promessa o l'inferno vi prenderà. I pazzi a volte possono salvare il mondo, basta solo che la loro mente non cada in profondo. Venti anni e un legame di sangue si spezzerà, venti anni e il mondo cadrà." In un istante tutto tacque. Le loro menti erano libere.

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Capitolo 5
*** 05 - la fisica nasce da una domanda ***


A quella prima visita ne seguirono altre del presidene Olsoff. Non parlava e non si avvicinava, rimaneva solamente a guardarla da dietro il vetro della stanza, studiandola con i suoi occhi acquosi e pacati. A prima vista non avresti mai detto di avere davanti un uomo di guerra, il capo di Stato che si opponeva alla Nuova Europa con tutte le sue forze, sembrava più un impiegato di mezza età che passava la sua vita tra il lavoro e una squallida casa fredda. L'altro uomo, quello chiamato Regulus, Nazelie non lo vide più. Da una parte ne era felice, dall'altra era rimasta affascinata da quell'umanità così particolare, quasi che quell'uomo fosse troppo distante da loro per poterli comprendere. Probabilmente era stata solo una sua impressione dovuta alla stanchezza, eppure non poteva fare a meno di pensarci quando la sua mente si rilassava e non aveva preoccupazioni. Quei giorni però ne aveva tante, di preoccupazioni. Era andata a trovare Jules ed era stata così felice di vederlo vivo che lo aveva quasi abbracciato. Non era mai stata una persona affettiva, anzi aveva sempre avuto seri problemi relazionali, ed il pensiero di perdere l'unica persona che non volesse strozzare ogni secondo della sua vita, l'aveva quasi uccisa. Le condizioni di Jules però non erano buone. Andava da lui ogni giorno e ogni giorno lo vedeva migliorare di poco. Troppo poco. Quel giorno l'avevano finalmente fatta alzare per più di dieci minuti ed era un'ora che stava vicino al letto di Jules, in quella asettica stanza d'ospedale, bianca e uguale alla sua. Lui dormiva, tre siringhe gli iniettavano acqua, medicine e elementi nutrizionali nelle braccia; due segni viola sotto gli occhi testimoniavano quello che aveva passato e tutti i suoi bellissimi ricci gli ricadevano disordinati sulla fronte. Quando aprì gli occhi, aggrottò la fronte. "Dovresti riposare." biascicò verso Nazelie. La ragazza sorrise leggermente e allungò una mano verso i suoi capelli, spettinandoli ancora di più. "Io sto benissimo, sei tu che sembri uno straccio. Sei più bianco di un fiocco di neve!" Jules alzò leggermente la schiena, sedendosi sul letto. Guardò curioso il suo braccio pieno di siringhe e sbuffò. "Naz... l'altro giorno sono venuti due uomini." L'attenzione di Nazelie, che si era spostata momentaneamente sui tagli sulle mani di Jules, fu catturata completamente dalle sue parole. Regulus. Magari lui sapeva chi era. "Anche da me, uno era il presidente, mi ha chiesto una mano con la guerra. L'altro non si è presentato, ma Olseff lo ha chiamato Regulus." Jules annuì stancamente alle sue parole, tirandosi un po' più su con il corpo facendo forza sulle mani distrutte dal ghiaccio. "Anche a me il presidente ha detto la stessa cosa. Quell'altro uomo, Regulus, è psicopatico, lo potrei giurare. Sai che riconosco le persone con disturbi della personalità. Mi ha guardato, si è messo a ridere e mi ha detto che è impossibile andare in giro con una alius e non rendersene conto. Un secondo dopo mi ha chiesto perché andavo in giro con una alius e mi ha stretto il braccio così forte che me lo avrebbe potuto spezzare. Non mi sembrava normale." fece una pausa e si indicò il braccio. Nazelie si avvicinò e gli alzò la manica, scoprendo un grosso livido viola. Quanta forza poteva avere quell'uomo? Un uomo che, da quello che aveva detto Jules, era pazzo. Con lei si era comportato bene alla fine, non aveva espresso in maniera troppo evidente la sua mancanza di senno, anzi era stato gentile, misterioso certo, ma non schizofrenico come lo aveva descritto Jules. Forse proprio quella particolarità che a l'aveva affascinata tanto era solo la pazzia. Ora la domanda principale era perché il presidente russo girava con un pazzo al suo fianco. "Schizofrenico?" chiese quindi conferma la rossa. "E il presidente ha reagito in qualche modo?" "Schizofrenico. Olseff non sembrava troppo turbato dalla sua presenza, era come se fosse abituato a quelle scene." un brivido percorse tutta la schiena di Jules, al ricordo di quello che era successo. "Perché vai in giro con una alius?" l'uomo lo aveva appena sussurrato con la sua voce da folle. Sembrava calmo e il presidente Olseff non mosse un dito nemmeno quando quel pazzo si avvicinò a Jules ancora convalescente. Regulus si soffermò su ogni piccola escoriazione del suo corpo, su ogni ferita, sulle occhiaie e sulle labbra spaccate dal freddo, poi sorrise di un sorriso sbagliato, storto, di sbeffeggiamento. "Guardati" continuò "così debole, questa carne così poco protettiva, le sinapsi che si connettono lentamente, il DNA esatto di chi è inferiore. Lei non è così, lei è potente, è diversa, è una alius." prese un repiro profondo, poi la sua faccia si deformò in una maschera spavetosa. "Perché vai in giro con una alius, perché si trovava qui, chi è lei, chi sei tu piccolo e debole uomo?" quasi urlò. Gli aveva preso il braccio e stringeva così forte che Jules ne era sicuro, avrebbe potuto staccarglielo solo con una mossa. Aveva paura, eccome se ne aveva. Che cosa voleva quell'uomo da lui? Si aggrappò al lenzuolo bianco con l'altra mano e lo strinse forte, come se quello potesse scacciare il dolore. Quando parlò, la sua voce era affannosa. "Se non sei un uomo, cosa sei?" poi spostò lo sguardo verso il presidente, quasi implorante. "Regulus." lo redarguì stancamente Olseff, quasi fosse abituato a quelle reazioni. L'uomo si calmò per un secondo e rivolse a Jules uno dei suoi migliori sorrisi, un sorriso che avrebbe accompagnato Jules in tutti i suoi incubi. "Sono un dio." Detto questo se ne uscì dalla stanza, lasciandolo solo con il presidente. "Ha detto di essere un dio." All'improvviso Nazelie si rilassò. Era solo un pazzo, quindi, nessuno di pericoloso. Più o meno, visto il livido di Jules. Se la Russia aveva veramente quei soldati, avrebbe potuto conquistare la Nuova Europa velocemente. Forse però Regulus era un esperimento, perché allora accompagnava il presidente e spaventava le persone? C'era qualcosa che le sfuggiva e, come ogni volta, Nazelie sentiva come un blocco nella sua testa, come se ci fossero altre parti del suo cervello che avrebbero potuto risolvere la questione ma che non erano funzionanti. Imprecò dentro la sua testa, per poi tornare a concentrarsi sul ragazzo. Per la prima volta pensò che lui l'aveva salvata, mettendo in pericolo anche se stesso. Era un soldato, il migliore, il suo serial killer preferito e irriverente, ma non avevano mai avuto un rapporto di amicizia. Eppure a lei era venuto spontaneo coprirlo quando stava per morire e lui l'aveva salvata di getto dalle prigioni politiche. Forse si sentivano affini, due anime sbagliate in un mondo ancora più sbagliato, dove non essere perfetti era un errore. Nazelie nascondeva la sua incapacità di relazioni dietro la superbia e lui nascondeva il suo sadismo verso i politici con una doppia vita. I sadici riversano la loro malattia verso un preciso gruppo di persone e Jules aveva indirizzato tutto il suo voler sentire il dolore verso i capi del Partito, verso coloro che l'avevano uccisa. Lei. Si erano innamorati subito, e tutto quello era proibito. Era un amore clandestino, lei non aveva mai avuto paura, lui sì. Lei ne aveva pagato le conseguenze, ma lo aveva protetto fino alla morte. Si chiamava Laira e aveva i capelli scuri e corti, come una ragazzina. Già lui aveva mostrato i primi segni di squilibrio e lei gli aveva insegnato come controllarlo. Poi gliel'avevano portata via, incarcerata e uccisa perché si rifiutava di dare informazioni. L'avevano torturata, smembrata pezzo per pezzo, questo Jules lo sapeva, conosceva i loro metodi. Quando era morta era morto anche lui, poi Nazelie era arrivata e lo aveva salvato, dandogli uno scopo per cui uccidere, per cui far provare dolore. Mentre uccideva, mentre sentiva le urla delle sue vittime, non poteva fare a meno di pensare a Laira, a come le avevano estirpato fuori dal corpo le urla più dolorose del mondo e allora faceva ancora più male alle sue vittime, e si crogiolava nel dolore che provocava. Perché provava piacere in quelle urla, in quelle ferite sanguinanti e nello sguardo di orrore che gli rivolgevano. Perché non uccideva finché non sentiva di averli portati al limite, a volte li lasciava morire di dolore, altre volte aveva pietà. La tortura era un'arte che lui aveva imparato piuttosto bene, sapeva dove incidere, come incidere, sapeva che il dolore andava somministrato lentamente per far impazzire. Sadico. Sì, lo era. Lo era sempre stato. Nella Resistenza c'erano eroi, lui non era uno di quelli. Jules si girò verso Nazelie, guardandola forse per la prima volta. "Cosa è una alius?" Tutte le peggiori storie, si sa, iniziano con la domanda giusta.

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Capitolo 6
*** 06 - Passato e futuro ***


I pazzi hanno il controllo del manicomio. Marvel Agent of Shield. Le avevano dato vestiti pesanti, guanti cappotto e cappello. Si, ora sentiva caldo, nonostante Jules accanto a lei, continuasse a dire che faceva comunque freddo. Non aveva mai fatto caso a quello che avrebbe potuto renderla diversa, ma da quando quell'uomo si era presentato all'ospedale tutto era cambiato. Alius, quel termine non le diceva nulla eppure era sicura che quella parola era esistita in qualche luogo, in qualche tempo. Aveva un suono melodico, strano, quasi appartenesse a qualcosa di dimenticato. Probabilmente era tutta una sua proiezione dovuta al fatto che quella parola le era sconosciuta e che quell'uomo la utilizzava con tanta naturalezza. Stavano camminando verso il Palazzo Presidenziale che, da quanto avevano capito, era uno dei palazzi più belli del mondo, o di quello che ne rimaneva. Il mondo stava lentamente collassando su se stesso e quell'inizio di era glaciale era l'ultima di una serie di fattori che stavano lentamente portando il pianeta alla distruzione. La strada che si diramava davanti a loro era completamente imbiancata e il presidente Olseff, davanti a loro, ogni tanto si girava per dare un'occhiata preoccupata a Nazelie. Se quello che aveva detto Regulus era vero... allora era un gran problema. Forse sarebbe stato aperto un caso inter - specie. Da quando aveva saputo della loro esistenza, la parola specie aveva assunto un significato piuttosto amaro e ora Regulus, quello psicopatico con cui era costretto ad avere a che fare, aveva appena detto che Nazelie non apparteneva a quel mondo. Apparteneva al mondo che aveva risucchiato lui, nonostante si fosse opposto con tutta la sua forza. Ancora non capiva perché Regulus e quell'altra donna che si faceva chiamare Mariame, volevano l'accesso al suo palazzo presidenziale. Soprattutto non capiva la donna, che sembrava conoscere tutto e non capire nulla di quello che aveva intorno. Ora il problema nonera Mariame, era Nazelie. Che ci faceva una alius come rifugiata politica? Era il generale della Resistenza, aveva detto, e sembrava totalmente all'oscuro della sua identità, così tanto all'oscuro che Olseff non aveva creduto alle parole di Regulus finché non aveva visto i risultato delle analisi. Per questo continuava a guardarla, per cercare delle anomalie in lei, eppure non ce ne erano, non di visibili almeno. Non doveva però induguare in quei pensieri, ora doveva solo pensare alla Nuova Europa e all'arma che aveva in mano. Due ribelli che avrebbero potuto dargli preziose informazioni su quel paese di cui nulla si poteva sapere. Era come fare guerra a un fantasma, nessuno usciva dalla Nuova Europa. Nessuno di vivo. Quel posto era così diverso da Merna, sembrava quasi uscito da un vecchio libro di fiabe. Non c'erano enormi palazzoni di cemento grigio che proiettavano le loro ombre sui stretti viali e non c'erano strade a coprire il cielo e il sole. Lì potevi ancora vedere il cielo, grigio quasi quanto la neve, mentre il ghiaccio rifletteva immagini distorte di vita quotidiana, delle persone che camminavano affrettandosi per larghe vie. Le strade erano sotterranee, da quanto avevano capito, e studiate in modo da non deturpare il delicato equilibrio di quel palazzo. Le abitazioni erano tutte chiare, celesti, di un materiale che sembrava ghiaccio se visto da lontano. Tutto l'atmosfera sembrava quasi irreale, come se la città fosse sospesa nel tempo, in un punto non definito tra un passato glorioso e un morto futuro. Il palazzo era qualcosa di indescivibile. Jules sarebbe potuto rimanere a guardarlo per ore, a studiare i suoi ornamenti, a pensare una storia da ambientare al suo interno; una storia di amore impossibile, di suicidi e di passione, che avrebbe dovuto contrastare con la freddezza di quella struttura ma che ne avrebbe rispecchiato la maestosità. Il materiale era quello usato per il resto delle case, quello stesso materiale che sembrava ghiaccio puro. "Che ve ne pare?" chiese Olseff, guardando con un mezzo sorriso le facce stupite dei due giovani. Nazelie sorrise nella sua direzione. "Sembra uscito da un sogno." la bocca era leggermente aperta per lo stupore e i suoi occhi guizzavano velocemente dalle guglie ai decori sulla fiancata. "Appartiene al presidente russo dalla fine della Terza Guerra per le Energie. E' stato il primo palazzo costruito con il glac, un materiale che assomiglia al ghiaccio, studiato dai nostri migliori ricercatori. Se poi, Nazelie, vuoi dare un'occhiata allo studio e vedi se riesci a migliorarlo, i ne sarei felice." Jules si girò confuso verso la ragazza, che rise appena. "Sono lusingata, ma ho venti anni, non ho finito ancora la scuola e non sono una ricercatrice. Tanto vale che chiede a Jules." "Io sono uno scrittore." bofonchiò in risposta lui, muovendo appena le labbra sotto la sciarpa. Faceva un dannato freddo e se Olseff sembrava sopportarlo stoicamente, Nazelie sembrava non sentirlo. Lui era l'unico che continuava a tremare mentre camminava, l'unico al quale le lacrime dovute al vento venivano congelate nella sua stessa guancia. "Uno scrittore? Potete scrivere a Merna?" poi spostò lo sguardo verso la ragazza, sorridendo appena mentre le piccole righe si formavano intorno alla sua bocca e ai suoi occhi "Sei una alius. Non avrai problemi a capire gli studi, potresti migliorarli e basta." Una donna uscì dal palazzo: portava un macabro vestito da sposa bianco sporco, strappato in alcuni punti e una tiara sporca e storta. Il leggero velo che aveva calato davanti alla faccia permetteva però di vedere i lineamenti. Aveva gli occhi grandi, spalancati e la bocca rossa serrata. Nello stesso istante Nazelie si fermò stizzita proprio davanti all'immenso portone, piantando i piedi e storcendo la bocca proprio come una bambina. "Che cosa significa alius?" chiese imprecando dentro la sua testa, poi notò la donna. "Mariame?" sussurrò Olseff. La donna che diceva di chiamarsi Mariame non lo degnò di uno sguardo. Tutta la sua attenzione era rivolta a Nazelie. Inclinò il capo di lato, aprendo la bocca in un terribile sorriso. Quando parlò la voce sembrava quella di una bambina, eppure era così cupa. "Nazelie! Tesoro, hai la stessa espressione facciale di tua madre." si fece un attimo seria e sospirò. "E' ora quindi." poi ricominciò a ridere. "Oh, quello deve essere Jules. Vieni qui, fatti guardare! Oh, si si, vai benissimo, bisogna solo sperare che tu sopravviva. Certo, un sapiens... ma non facciamo congetture, in fondo se io non lo so vuol dire che tutto deve essere ancora scritto!" "Scusa tu sei...?" chiese Jules. "Mariame. Certo, mi conoscerete con un altro nome, ma ora per voi sono Mariame. Bene. Ora devo proprio andare o perderò l'appuntamento con il mio destino. Ci rivedremo ancora una volta, poi dovrete giocare anche voi. Presidente Olseff, sarà l'ultima volta che la importunerò." "Mariame." la fermò Nazelie, toccandole il braccio. Era strano, sembrava porcellana, non pelle. Sembrava tutta una bambola di porcellana. "Sei la prima che mi tocca, a parte tua madre naturalmente." Lo sguardo di Nazelie divenne duro. "Che significa mia madre? Mia madre non è una delle partorienti? Che cosa è una alius? Perché conosce mia madre?" Mariama sospirò, giocherellando distrattamente con il velo e appoggiandosi allo stipite della porta. "Odio quando fanno le domande giuste." si rivolse a Jules. "Non lo odi anche tu? Fanno sempre le domande giuste. E' normale che Nazelie sia così, degna figlia dei suoi genitori. Ma non posso rispondere, non ancora. Ti potrò dire che cosa è una alius tra un po', ma chi è tua madre... no. Nemmeno tua madre lo sa. E' sempre tutto un gran casino nella mia testa." Jules rimase interdetto e anche Nazelie. Olseff invece la liquidò con un cenno della mano e lei iniziò a correre come una ragazzina per il viale principale, davanti agli sguardi attoniti dei passanti. Quella donna si che era strana. "Scusi se sono inopportuno" Jules si rivolse al presidente. "Ma uno sano di mente non ne conosce?" "Voi siete i più sani di mente finora." sospirò, poi fece cenno ai sue ragazzi di entrare. "Ora vi prego, discutiamo di politica e dimentichiamoci di Mariame che, a quanto pare, avrò la fortuna di non vedere mai più, se quello che ha detto è vero." Jules e Nazelie, più confusi che mai, entrarono dentro al palazzo. Sembrava quasi che qualcuno li avesse catapultati in un racconto fantastico. Quello che non sapevano però, era che a volte l'impensabile può essere il reale. "Quindi, signor Olseff. Cosa vuole da noi?" Jules non perse tempo.

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Capitolo 7
*** 07 - Segreti ***


Il palazzo era enorme e, se era possbile dirlo, l'interno era ancora più maestoso dell'esterno. Tutte le pareti erano bianche, i corridoi quasi ti abbagliavano per il loro candore. Lungo i corridoi si aprivano una serie di porte che portavano ai vari uffici o addirittura ad altri corridoi, i vari piani erano collegati da ascensori di ultima generazione, anche essi bianchi come tutto il resto. Sembrava un ospedale, un laboratorio, qualcosa di improbabile. "E' un sogno..." sussurrò Nazelie, camminando per quell'intrico di corridoi che avrebbero fatto perdere l'orientamento a chiunque. Olseff ci simuoveva con disinvoltura, come se li conoscesse a memoria. Entrarono in una stanza che sarebbe potuta sembrare una delle tante porte lungo i corridoi, questa però aveva un accenno di colore: la scrivania dietro la quale si sedette il presidente era nera e un piccolo schermo - computer campeggiava davanti a quel tavolo, facendo da muro trasparente tra Olseff e gli ascoltatori. I due ragazzi si accomodarono sulle sedie e Jules ripetè la domanda. "Cosa vuole da noi?" "Informazioni." il presidente non era uno di tante parole, e compensava questa sua apparente mancanza con la capacità di andare dritto al punto senza tanti giri di parole. Probabilmente per quel motivo Regulus l'aveva scelto come collegamente per i sapiens, perché era il meno propenso e il meno capace a mentire. Le bugie richiedono una dialettica piuttosto complessa che non è nel bagaglio di chi è solito usare poche parole. Regulus aveva scelto bene, Olseff sarebbe stata la loro unica speranza. Naturalmente Reguls non sapeva che il presidente russo sarebbe stata una speranza quando l'aveva scelto, anche perché in quel momento tutto sembrava perfetto all'Agenzia, eppure aveva scelto bene. Alcuni fatti dovevano accadere, degli avvenimenti erano inevitabili e molte volte il loro esito era oscuro. Tutto quello che gli uomini potevano fare era cercare di fare le scelte migliori in modo da poter ottenere gli effetti collaterali e le conseguenze migliori dagli avvenimenti già scritti. Se era tutto molto confuso? Sì, lo era e questo spiegava molte cose. Per esempio spiegava il motivo per cui la Storia era perennemente confusa e decisamente fuori di testa. Questo però non era importante, non in quel momento, non con il cervello di Nazelie che lavorava velocissimo per pensare se accettare l'offerta, così tanto veloce che quasi Jules poteva sentire il rumore del suo cervello, come se avesse ingranaggi al posto di neuroni. "Accettiamo." rispose poi. "Ehi guarda che non puoi parlare per due!" protestò fiocamente Jules, sapendo però che quella di Nazelie era stata una buona idea. In più si fidava di lei, lo aveva sempre fatto. Era l'unica pseudo relazione della sua vita nella quale non era lui a comandare. Di tutta risposta Nazelie si girò verso di lui e fece quella particolare smorfia di disapprovazione con le labbra che lui avrebbe potuto riconoscere dappertutto. "Okay." capitolò. "accettiamo, hai ragione." Riusciva sempre ad avere ragione, sempre. Jules si sedette nella scomoda poltrona nera che, insieme al tavolo, spiccava nella sala, mentre Nazelie rimase in piedi, nonostante le poltrone fossero due. Prima di qualsiasi domanda di Olseff, la ragazza iniziò a parlare. "Le dirò tutti i dettagli domani naturalmente, oggi mi limiterò a darle un quadro generale e poi vorrei essere scortata con Jules in un appartamento sicuro, siamo stanchi e dobbiamo riposare. Comunque la Resistenza si occupava principalmente di hackeraggio e sabotaggio informatico. Liberavamo prigionieri, facevamo saltare le telecamere di sorveglianza, mandavamo in corto circuito le sedi del Ministero. Questo naturalmente in superficie: parallelamente lavoravamo per entrare nelle telecamere del Ministero stesso, per riuscire ad arrivare al Partito e conoscere il nostro nemico, così da poteer scoprire i suoi punti deboli. Avevo anche una squadra di sicari che uccidevano i dirigenti e i funzionari del Partito stesso, una volta che ne accertavamo l'identità." "Io ero uno di quelli." interruppe Jules "il migliore per l'esattezza, come Nazelie era la migliore in tutto tra noi, per questo è il Generale. Senza di lei non saremmo entrati nemmeno nei computer del supermercato dietro l'angolo, il Partito ha i migliori informatici e programmatori di tutta la Nuova Europa." Il presidente Olseff mostrò un sorriso vagamente compiaciuto e chiuse il computer. Ora si potevano guardare dritti negli occhi, tutti e tre chiari eppure di tre sfumature diverse. "Non tutti i migliori informatici a quanto pare, anche se oggettivamente hanno tutti i migliori informatici umani." Si interruppe, quasi non fosse sicuro delle sue stesse parole, poi scrollò le spalle "oh beh, in fondo sei umana anche tu, a volte tendo a dimenticare che anche voi siete umani." "Noi siamo molto umani." protestò Jules. "No, non tu. Lei, Regulus e tutti gli altri come loro. Tu sei umano tanto quanto me, quindi al cento per cento. Anche loro lo sono, semplicemente sono qualcosa in più. Ma basta, non dovrei parlarne così esplicitamente, vi farò scortare nel vostro appartamento." Tutto quello che il presidente stava dicendo continuava a confondere sempre di più Nazelie. Jules aveva rinunciato a capirci qualsiasi cosa, la ragazza invece cercava di ragionare, eppure c'era qualcosa che le sfuggiva, c'era sempre qualcosa che le sfuggiva come se non riucisse a pensare al massimo, come se qualcosa le impedisse di usare tutto il suo cervello. Naturalmente sapeva che nessun uomo sapeva usare il cento per cento del proprio cervello, eppure la sensazione che aveva era proprio quella, come se nella sua testa ci fosse qualcosa di bloccato. Sbuffò e rinunciò a cercare di collegare i deliri di Olseff, poi con le mani si raccolse i capelli per portarseli dietro la nuca. "Bene, portateci all'appartamento grazie." Furono le sue uniche parole. Olseff chiamò due guardie che fecero cenno ai due ragazzi di avviarsi lungo la strada, seguendoli. "Sei consapevole che potrei essere tuo padre?" chiese quasi scherzosamente Jules a Nazelie. "Mi avresti avuta quando avevi quindici anni. Sei consapevole che potresti essere il mio amante?" "Perché hai anche un fidanzato?" fu l'unica risposta del ragazzo che suscitò un attacco di risarella in Nazelie. "Sono allergica alle persone." gli ricordò mentre erano finalmente usciti dal palazzo e si stavano avviando per una traversa della strada principale, nella quale si affacciavano graziose decorazioni. Le due guardie non avevano proferito parola, si limitavano a guidarli. "Non sei allergica a me." fece notare Jules, per poi rivolgersi proprio alle due guardie "è una sociopatica diagnosticata. Da dove veniamo noi sarebbe dovuta morire per questo, ma lo ha sempre nascosto particolarmente bene." "Le persone con disturbi della personalità vengono uccise?" chiese quasi stupito una delle due guardie. "Sì, sono una variabile non richiesta, qualcosa di non controllabile, tipo lei." ripose Jules.+ "Tipo te." ammiccò Nazelie. Nel frattempo erano arrivati a quello che sarebbe stato il loro appartamento. Era grazioso, i muri tutti bianchi mentre l'interno era pieno delle migliori tecnologie. Avrebbero potuto scegliere i colori della casa, la disposizione degli oggetti, tutto. "Anche tu hai un disturbo della personalità?" chiese sempre la stessa guardia. Jules sorrise. "Come ti chiami?" "Derwin, Chris Derwin, signore, non volevo essere inopportuno." "Non sei inopportuno, Chris. Comunque sì, ho un disturbo della personalità anche io, sono un sadico." ripose con il suo più dolce sorriso che, accompagnato a quella frase, fece un effetto abbastanza inquietante. "Grazie signori, ci vediamo domani!" disse velocemente Nazelie e chiuse la porta. Finalmente erano in una casa, in una vera casa. Si girò verso la cucina e aprì la dipensa. "Biscotti" esclamò deliziata, per poi girarsi verso Jules "Vieni, sarai affamato, qui c'è tutto!" Cenarono stesi sul divano davanti alla televisione a guardare programmi idioti e a ridere come bambini. Erano sfuggiti alla morte due volte in pochi giorni e decisamente era stato divertente. Nazelie lanciò un cuscino a Jules e gli saltò addosso, a Olseff ci avrebbe pensato domani. Quando suonò il campanello però, lei capì subito che non ci sarebbe stato un domani.

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Capitolo 8
*** 08 - Incontri ravvicinati ***


Forse hai ragione, ho la manutenzione dell'Universo. - Decimo Dottore. "Chi può essere?" sussurrò Jules a Nazelie, avvicinandosi lentamente alla porta. La ragazza però lo precedette, aprendo la porta e preparandosi allo scontro. "Tu non sei del Partito della Nuova Europa." La donna sbuffò e si aggiustò i ricci che le erano ricaduti davanti alla faccia. Era spaventata. "Mi aspettavo qualcosa di meglio dai tuoi cromosomi." commentò per poi entrare nella casa e sedersi sul divano. "Bene. Io sto per essere rapita, il che è un gran brutto casino, giusto per farvelo sapere. Dovete farmi un favore." "Sei Mariame!" esclamò Nazelie. Era proprio lei, anche se sarebbe stato difficile riconoscerla ora: sembrava più vecchia o più giovane a seconda del lato da cui la guardavi, aveva una gonna lunga e nera, a balze viola. "Se sai che ti stanno per rapire, scappa, no?" questa volta era stato Jules a parlare. "Sapiens." sbuffò Mariame. "Non tutto è semplice come sebra, alcune cose devono accadere e io lo so meglio di tutti. Adesso ascoltami Nazelie. Non farmi domande stupide come quella che stai per farmi, non è importante come io sappia il tuo nome. Vi manderò in un luogo, in un tempo... diverso. Ora assimila Nazelie, ho bisogno della tua concentrazione." "Tempo diverso?" fu Jules a parlare. "Il sapiens non deve partire." "Io faccio qurello che mi pare! E non lascio Nazelie da sola." il ragazzo sbattè un pugno sul tavolo. Quella donna gli incuteva timore, la odiava a pelle e poi lo chiamava sapiens come se fosse un insulto. Anche Mariame era umana. Jules vide Nazelie annuire. "Bene. Ventunesimo secolo, a quanto pare quei due cretini hanno deciso di prendersi una vacanza. Se fossero rimasti a casa vi avrei potuto tranquillamente portare lì, ma non sono dove dovrebbero stare. Non ci stanno mai. Prenderete il primo pullman che passerà, vi lascerò davanti alla fermata. Dovrei... non posso darvi indicazioni troppo specifche o rischio di accellerare il Tempo e tutto sarà compromesso. Cercate i ragazzi più pericolosi del pullman, cercate i segni del dolore e della pazzia e ditegli che venti anni sono passati, che la Storia è stata rapita, che Sophie ha compiuto la sua vendetta. Ditegli che se io non sarò liberata, la Terra collasserà su se stessa." "Dovremmo cercare dei pazzi? Una pazza ci chiede di cercare altri pazzi, bene." chiese Nazelie. "Non sono esattamente pazzi, hanno avuto qualche problema negli ultimi tempi, diciamo. Potrebbe essere stata colpa mia e poi, non siete anche voi con qualche disturbo della personalità?" "Come lo sai?" chiese Jules. "Io sono la Storia. Adesso, fate uscire quel dannato poliziotto da dietro la porta, ha origliato tutto, viene con voi." I due ragazzi si guardarono confusi mentre la porta di uno stanzino si apriva e ne usciva fuori una ragazza con i capelli neri, corti, vestita di rosso e con una pistola in mano. "Non esattamentre russa, una rifugiata immagino?" chiese Mariame. "Rifugiata dalla Cina, ora faccio parte della polizia di Olseff, sono qui per proteggerli. Io parto con loro." aveva detto tutto quasi fosse un robot "Una pazza dice a dei pazzi di andare a cercare altri pazzi in un tempo e in un luogo diverso e noi le crediamo. Nazelie dannazione, non eri tu quella logica?" esclamò il ragazzo portandosi una mano davanti al viso. "Infatti è lei che razionalizza. Due sapiens. Regulus mi ucciderà quando mi avranno liberato. Se mi avranno liberato, questo non lo so ancora. Dannazione quì tutti e tre, per mano come i bambini all'asilo." "Siamo tre sapiens." precisò Jules. "Sennò cosa sarebbe lei?" indicò Nazelie, arrabbiato, mentre le prendeva la mano come Mariame gli aveva indicato di fare. "Una dea." Poi ci fu un lampo di luce e furono tutti catapultati dentro a un pullman. Dentro a un fetido e sporco pullman in un piccolo quartiere italiano nel Ventunesimo secolo. D'estate. Loro, con i vestiti pesanti, i tessuti improbabili e la pistola della poliziotta di una tecnologia ancora non sviluppata. "E se questo non è il pullman giusto? Ci aveva detto che ci avrebbe lasciati alla fermata, non dentro al pullman!" "Oh, Jules, zitto e un po' di fede. Questa sicuramente non è la Russia e sicuramente non è la nostra epoca e io non capisco una singola parola di quello che le persone stanno dicendo. Ora cerchiamo questi tipi strani." "Martha." si presentò di punto in bianco la poliziotta. "Visto che non l'avete chiesto." "Bene Martha, seguiamo le istruzioni." sbuffò Jules, appoggiandosi al vetro dell'autobus. Le istruzioni erano semplici. Troppo semplici: seguire i ragazzi più pericolosi del pullman. Ovvio. Naturale. Banale. Non bastava essere stati sballottati non si sapeva quanti anni indietro e vestire in modo assolutamente anacronistico, no. Ci voleva quel pullman fatiscente, lo smog e quelle istruzioni indecenti. Eliminate le vecchiette con la busta della spesa e un ragazzo che teneva per mano una bambina, rimaneva mezzo autobus. era impossibile capire chi fossero i più pericolosi, tutti mettevano soggezione. Forse per il loro modo di fare, forse per la loro libertà, forse per la decadenza di quel luogo. Perché due persone capaci di spostarsi nel tempo, oh perché era questo che facevano, Nazelie l'aveva capito, erano dei viaggiatori spazio - temporali che loro stavano cercando, ma perché andare in vacanza in quel luogo rovinato, loro che sarebbero potuti andare dapperttutto. Mariame, o la Storia, aveva detto che li avrebbero riconosciuti, eppure lei non sapeva come e Jules non era d'auito. Continuava a stare rigido come un palo di legno, mnetre si guardava intorno con circopezione. Martha intanto stringeva convulsamente la sua pistola. La mente di Nazelie continuava a lavorare a una velocità che non credeva possibile, finché non li vide e si chiese come aveva fatto a non notarli prima. Non sembravano conoscersi, erano appoggiati ai lati delle porte dell'autobus, uo di fronte all'altro, lo sguardo basso. Potevano avere diciassette, massimo diciotto anni eppure appena Nazelie li vide, fu sicura. Avevano le stesse cicatrici, sottili segni lungo le braccia. Lei era vestita di nero, lo smalto nero, i capelli neri; lui aveva i capelli bianchi eppure non sembravano tinti, ed aveva un cappotto che sarebbe potuto sembrare quasi elegante, se non fosse stato per il cappuccio. Nazelie aveva deciso, erano loro. Diede una gomitata a Jules e Martha. Arrivati alla stazione, un vecchio edificio diroccato che tremava ogni volta che passava un treno, il ragazzo con i capelli bianchi e la ragazza inquietante si scambiarono una veloce occhiata, poi scesero contemporaneamente. Nazelie, Jules e Martha li seguirono a ruota finoa delle scalette, che i due ragazzi scesero. Altri giovani li stavano aspettando, coltellini alla mano. Sembrava una lotta tra gang, anche se in verità era più una gang contro due persone. Inaspettatamente la ragazza rise. Nazelie rabbrividì: mai aveva sentito una risata più cattiva. Le metteva paura, ma mai quanto il ragazzo che ancora non aveva aperto bocca. "Vuoi un altro sfregio bambinetto? Dì al tuo amico che questa zona è nostra e che deve venire lui se vuole reclamarla." era stato un ragazzone con troppi tatuaggi e poco cervello a parlare. Il ragazzo dai capelli bianchi alzò la testa, rivelando una bruttissima cicatrice spaventosa che partiva dall'occio e correva lungo tutta la sua guancia. "E' la cosa più bella e terribile che io abbia mai visto." sussurrò Nazelie e Jules. Quel ragazzo era bello, perfetto anche con quello sfregio. Poi accadde tutto troppo in fretta. Il ragazzo che aveva minacciato allungò il coltellino verso il ragazzo con i capelli bianchi, che alzò la mano, tagliandosi il palmo. Come se non avesse sentito dolore, calciò l'aggressore al muro, mentre dietro di lui quella ragazza minuta con un segno nero sopra l'occhio destro metteva K.O. gli altri cinque membri della banda, da sola. "Così mi togli tutto il divertimento." si lamentò il ragazzo, poi alzò lo sguardo e vide Nazelie. Durò un secondo, la sua vista si annebbiò, come se le sue cellule cerebrali cercassero di respingere l'immagine che aveva davanti. Si riprese in tempo per sentire l'utrlo della sua amica. "Lea!" corse verso di lei. "Lea dannazione, stabilizza le connessioni cerebrali, obbliga il tuo cervello ad accettare quello che vede." Lentamente la ragazza chiamata Lea aprì gli occhi. "Il riso di una bambina..." sussurrò. Si tirò in piedi come se non fosse successo nulla e guardò i tre ragazzi, poi prese Nazelie per la collottola e la sbatté al muro. "Tre sapiens..." borbottò Thomas. "Due sapiens, Tommy, osserva attentamente." Il ragazzo si concentrò, poi sorrise. Non era un sorriso felice, era un sorriso di chi ha scoperto qualcosa e quel qualcosa non gli piace. "Naturalmente." rispose. Neumalea pigiò ancora di più Nazelie contro il muro. "Chi sei?"

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Capitolo 9
*** 09 - Il violinista maledetto ***


Quella... che abbiamo lasciato [...] per recitare un dramma di cui il passato è il prologo mentre il futuro è affidato a noi due? La tempesta - Shakespeare. Dicevano che era maledetto. In verità era Lea ad esserlo, lui riusciva a trovare molto più senso nella loro esistenza della ragazza che, accanto a lui, stava pigiando Nazelie contro il muro. Eppure i loro vicini di casa lo chiamavano "il violinista maledetto". Forse per il fatto che suonava Paganini, forse per la sua tecnica impeccabile, forse per la sua cicatrice da cattivo ragazzo. Thomas però non era un cattivo ragazzo, più o meno. Era un alius, ragionava e la sua logica poteva sembrare spaventosa, in più aveva quella sua particolarità dovuta alla mutazione virale che lo rendevano ancora più inquietante, anche solo a vederlo. Lo vedevi, lo sentivi che poteva entrarti dentro, che avrebbe potuto farti sentire qualsiasi cosa, che avrebbe potuto ucciderti. Le ragazze ci avrebbero provato in massa con lui, se solo Lea non avesse fatto così paura. Nessuno si avvicinava a Thomas senza subire un'occhiataccia da un demone mingherlino. Le loro cicatrici erano diventate troppe e troppo profonde per essere nascoste: ogni volta che qualcuno li guardava, vedeva infiniti sfregi bianchi lungo la loro pelle fino alla base del collo. Bastava un'occhiata e tutti si giravano. Così avevano fatto il ragazzo e la ragazza che erano arrivati insieme a Nazelie. Sapiens naturalmente. Inutili sapiens. "Sono Nazelie... vengo dal 3517, sono stata teletrasportata in Russia e poi una tipa strana mi ha detto di cercarvi! Parlava di una promessa, di alcuni pazzi e della storia. E tu come fai a parlare la mia lingua?" Nazelie ripose cercando di continuare a respirare. Quella ragazza era forte, troppo forte, troppo svelta, troppo tutto. "Chi sono gli alius? Perché continuano tutti a chiamarmi alius?" Lea non le rispose, si girò verso Thomas. Nazelie iniziava ad arrabbiarsi. Ogni volta che chiedeva a qualcuno qualcosa degli alius non riceveva risposta, o veniva ignorata o sulla faccia del suo interlocutore appariva un sorrisetto disturbante. Prima quell'uomo inquietante, poi Mariame e infine questa ragazza. "Non mente." borbottò il ragazzo per poi rivolgersi agli altri due. "E voi chi siete?" "Lui è Jules, viene da Merna, nella Nuova Europa del 3517, io sono Martha e sono una poliziotta rifugiata in Russia. Il presidente russo di quel tempo mi ha ordinato di tenerli al sicuro." rispose la ragazza. "Martha non è il tuo vero nome." osservò Thomas. "Ora lo è." fu la riposta della poliziotta. "ma tu come fai a saperlo?" Thomas scrollò le spalle. "Ragiono, entro dentro la testa delle persone, osservo. Cose così. Lea, questi vengono a casa." Lea lo guardò sconcertata. "Oh, Lea dannazione! Lui è un sadico, lei è sociopatica, la poliziotta non dovrebbe esserci e hanno tutti e tre visto sia Regulus che la Storia." "Dovresti smetterla, Tommy. Lo sai che ti stanca entrare nella testa delle persone in una sola direzione." rispose Lea. Davvero, Thomas non si prendeva mai cura di se stesso. La sua mutazione genetica gli permetteva di stabilire connessioni cerebrali con le persone vicine a lui. Come lui poteva leggere ogni piccolo impulso di memoria o di pensiero delle persone a cui si connetteva, loro sentivano tutto lo strato superficiale dei pensieri di Thomas, cioè il dolore fisico. Non poteva connettersi senza fare del male ai sapiens, che mai avrebbero potuto sopportare il dolore che si portava con quelle cicatrici. Con gli anni aveva imparato a connettersi in una sola direzione, cioè a schermare il suo dolore fisico. Certo, era una cosa che lo faceva quasi impazzire ma aveva passato di peggio. Ora però c'erano altre cose che preoccupavano Lea o, per l'esattezza, che la facevano arrabbiare. E non era mai una buona idea farla arrabbiare. Se Regulus aveva visto Nazelie sicuramente l'aveva riconosciuta e probabilmente si era arrabbiato. "Bene." Thomas iniziò a parlare. Prendetevi tutti per mano come..." "I bambini dell'asilo, sì." sbuffò Nazelie. Avevano tutti un modo così particolare di esprimersi, come se veramente li credessero bambini dell'asilo. Thomas scrollò le spalle. "Lea, ce ne andiamo alle cascate." La loro casa, la loro vera casa si trovava lì, alle cascate di Reichenbach, in quel punto indefinito di spazio - tempo di cui solo loro conoscevano le coordinate. A volte ricevevano ospiti, ma a nessuno era permesso guardare le coordinate spaziali e ancor meno le coordinate temporali. All'Agenzia c'era anche chi diceva che se qualcuno le avesse viste sarebbe impazzito in quanto le coordinate erano impossibili da razionalizzare. Arrivarono in pochi secondi. Di solito un viaggio richiedeva pochi millisecondi, ma il posto dove stavano andando era, appunto, impossibile. Intorno a loro tutto era come la prima volta, come quando avevano combattuto Alexander e avevano vinto, come quando lei era morta. Tutto rimaneva lì immobile da vent'anni come congelato. Tutto, tranne una piccola villetta costruita al limite della foresta, lungo il fiume che portava alla cascata. "Mi hai fatto male." sussurrò Martha a Jules, guardandosi segni delle unghie di lui sul polso. "Sono nervoso" commentò lui di rimando, lanciandole un sorriso e non accennando le scuse. Era troppo tempo che si staa controllando. Prima Nazelie, poi la Russia e l'ospedale, Mariame e infine viaggi temporali. Lui aveva solo bisogno di uccidere in quel momento. Nazelie camminava in mezzo a Thomas e Lea. Era più alta di loro, decisamente più alta di loro. "Quanti anni avete detto di avere?" "Trentasette, tutti e due." rispose per l'ennesima volta Thomas. "Eppure ne dimostrate meno di diciotto!" "Te l'abbiamo già detto, siamo immortali, il nostro tempo si è fermato venti anni fa. Non capiresti né il come, né il perché." a parlare questa volta fu Lea. "E gli alius sono? Mariame ha detto che sono una dea." chiese ancora Nazelie. "Sei una dea. Evoluzione forzata dell'homo sapiens." finalmente qualcuno le rispondeva. "Viviamo in un punto indefinito dello spazio - tempo, facciamo parte di un'organizzazione chiamata Agenzia che controlla i criminali temporali, risolviamo i vostri problemi e combattiamo le vostre guerre senza che voi lo sappiate. Io e Lea siamo i migliori, ma siamo anche fuori dall'Agenzia. Noi la controlliamo." Prima che Nazelie riuscisse a rispondere, Lea prese parola. "Tu sei una di noi, o qualcuno non ha fatto una buona pulizia del virus nella tua epoca, oppure sei della nuova generazione. Io penso che tu sia della nuova generazione perché qualcuno ha usato un blocco genetico su di te." "Il cosa?" "I tuoi capelli non sono rossi." rispose Thomas. Era buffo come quei due ragazzi continuavano a finirsi le frasi a vicenda, a continuare uno il discorso dell'altro. Stavano insieme, si vedeva benissimo, eppure non avevano quei comportamenti da coppie innamorate. Forse per gli alius era diverso, forse l'amore era diverso. Entrarono in salotto, in un enorme salotto con un tavolo, una televisione e un divano, senza contare gli scaffali con i libri che occupavano tutte le pareti. Era come se tutto il muro di quella casa fosse fatto di scaffali. Thomas aprì un baule e iniziò a lanciare per terra una quantità indecente di oggetti metallici strani e decisamente pericolosi, finché non prese una piccola pistola, anch'essa di metallo, poi la puntò verso Nazelie. "Cosa...?" la ragazza era spaventata. Tempo due secondi e Martha era davanti a lei. "E' mio compito proteggerla con la vita. Ti ucciderò, se necessario." disse la poliziotta. Thomas sbuffò. "Non è una pistola. Cioè, lo è, ma non uccide. Rimuove ogni tipo di blocco genetico. E' uno dei giocattolini preferito dall'Agenzia, serve a riconoscere i criminali quando decidono di cambiare i connotati. Ora spostati, Nazelie deve scoprire chi è." Senza aspettare una sua risposta, Lea prese Martha e Jules e li bloccò sul pavimento, poi fece un cenno a Thomas. Probabilmente quei due sapiens si stavano chiedendo come faceva ad essere in quel modo forte ma a lei non interessava. Non le interessava di nulla, solo di quello che stava succedendo alla Storia, vedere però una alius inconsapevole della sua natura era noioso. Nazelie non sapeva se fidarsi, ma cosa altro poteva fare? Appena Thomas finì con il raggio, Lea lasciò andare i due sapiens e si tolse a sua volta l'illusione. "Che cosa sei... che cosa siete?" era stato Jules a parlare e questa volta non guardava solo Thomas e Lea, ma anche Nazelie che a malapena si era resa conto del fascio di luce che l'aveva colpita. Nazelie guardò i capelli grigi di Lea e si soffermò a lungo sulle iridi aracioni, così strane eppure così giuste su di lei. Lea la trascinò davanti a uno specchio. Ci fu un secondo di silenzio, squarciato solo dall'urlo della ragazza.Che cosa era?

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Capitolo 10
*** 10 - Blocco mentale ***


I might even call you a genius except I'm in the room. - Doctor who. Martha arrancò fino alla porta cercando di uscire, spaventata mentre Jules non aveva nemmeno la forza di muoversi, era impietrito davanti a lei, davanti a quella ragazza che credeva di conoscere. Il rosso dei suoi capelli era semplicemente scivolato via mentre gli occhi avevano cambiato colore mille volte prima di assestarsi su quello definitivo. "Un ottimo blocco genetico, non c'è che dire. Probabilmente ti avrò sbloccato qualche area del cervello che non credevi di avere." commentò Lea, mentre Thomas continuava a girare intorno a Nazelie. "Interessante... perché bloccarla geneticamente? E' un'Agente normale. Forse è un esperimento, ora però sarà tutto più semplice. L'ho sbloccata geneticamente, la sua testa ora sarà un caos di informazioni e da quel caos noi dobbiamo capire il più possibile." Era sempre veloce a ragionare Thomas e saltava sempre pezzi di ragionamento quando spiegava ad alta voce. Nazelie continuava a fissare lo specchio rendendosi conto che il problema non era il fucsia acceso dei suoi capelli, non era nemmeno quell'arancione tendente al nero e il blu notte dei suoi occhi, nonostante mai aveva visto qualcuno con gli occhi di due colori differenti. Il problema era la sua testa, la sua testa che continuava a elaborare informazioni, che mandava impulsi dappertutto e lei poteva sentirli e non impazzire. La sua mente stava analizzando a sua insaputa ogni istante della sua vita per trovare un senso. "Dentro la vostra testa... è sempre così? Voi parlate di un argomento e la vostra mente si concentra su altre dieci cose diverse?" "Solo dieci? In questo momento il mio cervello sta pensando a diciannove cose, più sto creando un problema impossibile perché mi annoio, quello di Thomas probabilmente starà componendo qualche melodia o se ne starà andando a spasso per le epoche, è molto poetico, sai?" rispose Lea. "Ora che finalmente sei utile a qualcosa, puoi tranquillizzare la poliziotta e svegliare il sapiens dallo stato di shock? Mi danno fastidio." Nazelie corse verso Jules. "Sono sempre io, okay? Sono solo... più intelligente? Non so come spiegartelo, la mia mente ha accettato il tutto dopo i primi trenta secondi ma tu non hai la mia mente. Okay, Jules. Sono sempre io, sono sempre Nazelie, Generale della Resistenza, bocciata, flirto con te perché sei l'unico essere umano che sopporto anche se hai quindici anni in più di me. Ora va e tranquillizza Martha, ti prego." Jules si alzò con ancora lo sguardo vacuo e raggiunse la poliziotta che nel frattempo si era accasciata contro la porta. Per Jules era più semplice, conosceva Nazelie, sapeva che la sua intelligente era sempre stata inumana e quasi poteva far finta di credere a un potere superiore che in quel caso era lei. Per Martha era diverso. "Flirti con un sapiens veramente?" chiese Thomas. "Tu hai flirtato con lei." rispose Nazelie acida, indicando Lea che, seduta sulla poltrona, aveva iniziato a mangiare cereali dalla busta. Lea rispose con una smorfia. "Certo, lei è Atena, la dea della guerra." "E' una vita che non sentivo qualcuno chiamarmi con quel nome." Lea si addolcì un po'. "Comunque! Cosa ci dovevi dire?" "Che cosa vi dovevo dire, che cosa vi dovevo dire..." Nazelie si prese la testa tra le mani iniziando a camminare in modo febbrile lungo la stanza. "Troppa confusione, troppa confusione! Tu, torna al tuo posto e tu, cosa dannazione ci fai lì in mezzo a fluttuare tra i miei impulsi neuronali?" continuava a darsi botte in testa. Jules guardava sconvolto la sua Nazelie impazzire. "Che cosa le avete fatto?" Fu Neumalea a rispondere. "E' molto intelligente anche per una alius, supponendo che sia della seconda generazione deve aver avuto genitori con un ottimo patrimonio genetico, non molti sono capaci di ordinare pensieri che sono in viaggio sottoform di impulsi. Comunque, sapiens, ora sta mettendo in ordine nel suo cervello per riucire a trovare quello che le serve." "E cosa le serve?" "Trovato!" in quel momento Nazelie alzò la testa. "Oh, sono intelligente, molto intelligente!" Jules la guardò male. "i segni del dolore e della pazzia sono le vostre cicatrici, ho un messaggio per voi. Venti anni sono passati, la Storia è stata rapita, Sophie ha compiuto la sua vendetta. Se lei non sarà liberata, la Terra collasserà su se stessa. Questo era il messaggio e... oh." Nazelie si girò verso Jules e Martha, poi verso Thomas e Lea. "Sophie Hunter! Sophie Hunter ha compiuto la sua vendetta! Capelli rossi, occhi azzurri... penso. Potrebbe essere una di noi, ci ha trasportati in Russia a morire, ma perché? E prima avete nominato Regulus, è il pazzo vero? Anche lui è uno di noi, continuava a dirmi che sono una alius! Quanti siamo? E Mariame, la Storia, eprché è la Storia, ho ragionato bene vero? Mariame continuava a dirmi dei miei genitori, penso sia importante." "Regulus sapeva di te. Male, molto male. Tommy, fa una chiamata all'Agenzia, ci serve quel dannato direttore. Abbiamo una alius misteriosa, la Storia scomparsa, genitori che abbandonano i figli e di nuovo la sgualdrina di Alexander." Lea era stizzita. "Alexander è morto." le ricordò Thomas. "Lo so, c'ero quando è successo. Cioè, ero morta in quel momento... ma hai capito no? Prima cosa da fare: rimanda la poliziotta in Russia." "No." Martha si strinse a Jules. "Sì." tutti si voltarono, era stata Nazelie a parlare. Continuava a fissare Martha e Jules, concentrandosi sulle braccia di lei intorno alla vita dello scrittore. "Martha torni a casa, è per la tua sicurezza e per la nostra." "Quanto sei sentimentale, Nazelie." sbuffò Lea e si decise finalmente ad alzarsi dalla poltrona. Non aveva voglia di rimettersi in gioco, non di nuovo ma una promessa è una promessa. Lei e Thomas erano cambiati così tanto in quegli ultimi venti anni. Forse erano diventati come i cattivi delle favole, egoisti e senza cuore, ma il dolore porta a delle scelte. Il dolore porta all'odio, l'odio porta alla freddezza e ti ritrovi un giorno ad uccidere senza sentire sensi di colpa, semplicemente pensando di aver eliminato un altro sapiens inutile dalla faccia di quel misero pianetino verde e blu. Guardare Nazelie, Jules e Martha così pieni di vita la innervosiva. Aveva trentasette anni e si sentiva stanca, mentre quando si guardava allo specchio vedeva una diciassettenne con le occhiaie troppo scavate, il rossetto troppo scuro e le cicatrici troppo profonde. Riusciva a non impazzire solo guardando Thomas. Anche lui era cambiato, anche il suo viso si era fatto scuro eppure lui aveva sempre avuto quella capacità di farla sentire a posto con il mondo. Lea a malapena si accorse di Martha che scompariva di nuovo nel suo tempo, di Jules che spingeva Nazelie chiedendo spiegazioni e dell'arrivo improvviso di Regulus. Stava immersa nei suoi pensieri, cercando di capire quale fosse il problema più importante: forse la scomparsa della Storia? O la vendetta di Sophie? Le due cose erano sicuramente collegate, ma come, quale era il collegamento? Lea alzò gli occhi verso Thomas e gli prese la mano, stringendogliela forte, poi guardò Regulus che era appena atterrato sul divano. La ragazza puntò il dito contro Nazelie. "Chi sono i suoi genitori?" "Io sono il direttore! Ero nel bel mezzo di una riunione quando quella dannata voce metallica mi ha annunciato che sarei partito, di nuovo, per questo posto ignoto! Che ci fa un sapiens in questa casa e perché la alius non registrata sta a casa vostra? Dannazione Agenti, perché qualsiasi cosa succeda, ci siete sempre in mezzo voi due?" Thomas ignorò tranquillamente lo sproloquio di Regulus. "Hai sentito cosa ha chiesto Lea, chi sono i genitori della alius?"

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Capitolo 11
*** 11 - The coldest human, the warmest machine ***


Tanto è pronta a svanire ogni cosa che splende.

- Shakespeare.

Regulus si guardò intorno, nervoso, passando in rassegna i mobili della sala e le armi appese al muro, cercando di non incontrare i volti delle persone.

"Avete cambiato l'assetto della sala." quella era una brutta situazione e lui odiava dover rendere conto a quei due ragazzini. Eppure erano loro che comandavano, loro che decidevano, loro che avevano potere di vita e di morte su tutta l'Agenzia. Bastava solo farli inervosire troppo e avrebbero potuto far crollare la gerarchia dalle fondamenta. A loro non interessava il bene dell'umanità, non volevano sentire parlare di compromessi, loro si ergevano a giudici sopra gli alius, mentre gli altri Agenti erano soltanto dèi minori. Thomas e Lea, con le loro facce da ragazzini, con gli occhi scavati e magri da far paura, come se avessero smesso di mangiare da tanto tempo, riuscivano a farsi obbedire con un solo sguardo. L'essere umano più freddo e la macchina più passionale, erano loro che comandavano l'Agenzia.

"Ci annoiamo facilmente." rispose secca Lea, continuando a guardarlo. Gli prese il viso e lo costrinse a guardarla negli occhi "Rispondi alla mia domanda."

"Non so di chi sia figlia, so solo che è una alius."

"Voglio tutti i registri delle alius che sono rimaste incinta venti anni fa, sono stata chiaro? Noi partiremo per una missione, vogliamo campo libero dappertutto e squadre di pronto intervento a ogni ora." Thomas prese in mano la situazione, capendo che avrebbero dovuto risolvere da soli quel mistero. Di nuovo pronti insomma, di nuovo Agenti. Forse gli era mancata l'azione, eppure in quei anni erano stati troppo impegnati a non impazzire per riuscire a pensare ad altro. Ora la profezia si era compiuta, la testa aveva smesso di parlare e il mondo aveva di nuovo bisogno delle leggende, perché non sapeva prendersi cura di se stesso. Si girò verso Regulus vide i suoi occhi vuoti, di nuovo.

"Io sono il direttore e voi mi obbedirete! O l'orrore, l'orrore vi succederà, vi ucciderò nel sonno, mentre dormite o vi avvelenerò il piatto in cui mangiate."

Lea era veramente arrivata al limite di sopportazione. Quell'uomo era un alius e avrebbe potuto tranquillamente curarsi da solo, eppure preferiva tenersi il disturbo dissociativo d'identità, diceva che lo faceva sembrare diverso, quasi più importante. Questo a Neumalea non interessava, a lei interessava solo che le cose fossero fatte per bene. Guardò Thomas e il ragazzo seppe cosa fare. Era facile entrare nella seconda personalità della gente, di solito era instintiva e non logica, quindi non opponeva una resistenza specifica e mirata. Fu facile anche eliminarla momentaneamente, mentre gli occhi di Regulus tornavano coscienti.

"Spero di non doveri ripetere." gli sussurrò Thomas all'orecchio, guardandolo come si guarda un giocattolo difettoso. Lea non sprecò nemmeno le sue parole per quell'uomo che non sapeva cosa fare della sua vita, che si attaccava alla poltrona come se fosse quello il potere. Eppure c'erano loro a ricordargli ogni giorno che il potere era quello che non si vedeva, il vero potere stava dietro le quinte, a manovrare le persone come burattini, a mostrare il volto di altri al mondo.

Certo, Regulus aveva portato miglioramente alla gerarchia e alla società degli alius, per questo continuavano a lasciarlo al comando, era un uomo intelligente e perspicace quando voleva.

Il direttore dell'Agenzia guardò i due ragazzi e sospirò. Sapeva con chi aveva a che fare, sapeva i soprannomi che si sussurravano nei corridoi dell'Agenzia: la dea della guerra e il dio dei morti, li chiamavano, Ade e Atena, gli Inferi e il massacro. Gli occhi di Thomas erano l'Inferno, neri e scuri e vuoti, un buco nero che ti risucchiava quando li guardavi, che ti leggeva l'anima. Lea, oh Lea era diversa, i suoi occhi chiari come i tramonti più belli parlavano di sangue e di omicidi, di calcoli e di opportunità. Avrebbe sterminato il mondo se la cosa avesse avuto un senso logico. Ecco chi era al di sopra di tutti gli dèi, ecco su quali mano poggiava il mondo: su due dannati che avevano smesso di essere degli eroi, su due persone che avevano perso tutto, che trasformavano tutto quello che toccavano in cenere.

Nazelie e Jules non stavano seguendo la conversazione. La ragazza aveva perso l'interesse abbastanza presto, più o meno quando Thomas aveva ripetuto la domanda per la seconda volta. In quel momento non le serviva sapere da quali geni era stata partorita, le interessava solamente riuscire a rispondere a Jules che continuava a bombardarla di domande.

"Perché l'hai fatta andare via? Martha non voleva!"

"Ti sei innamorato per caso, Jules?" chiese piccata la ragazza, guardandolo storto attraverso le sue iridi colorate che mandavano il ragazzo fuori di testa. Come faceva a concentrarsi quando la persona con cui stava parlando sembrava dipinta da un daltonico?

"No, ma perché a lei l'hai mandata via e a me no? Aveva il diritto di restare!" Jules ebbe finalmente il coraggio di toccarla. Era calda, sembrava viva e non un fantasma come si era immaginato, e ormai conosceva a memoria quel polso. Era veramente Nazelie eppure non era del tutto lei.

"Vuoi andartene anche tu? Seguila, no? Va a consolare la povera poliziotta, avrà sicuramente bisogno di un sadico nella sua vita!"

Jules affondò un po' di più le mani sul polso di Nazelie, per sentire il suo dolore, perché lo faceva impazzire con quelle sue scenate. La ragazza però sorrise sicura.

"Non mi fai male, non puoi farmi male, la mia pelle è ferro ancora più di prima, è acciaio che non si può ferire."

Sorrise di nuovo. Sentiva il potere scorrerle nelle vene, era una sensazione terribilmente bella mentre guardava gli occhi di Jules scurirsi. Sapeva di avere potere su di lui, lo capiva mentre sentiva la stretta sul polso allentarsi. Sapeva anche che in quel momento ogni fibra del corpo di Jules chiedeva sangue e lacrime e preghiere, sapeva cosa voleva.

"Io voglio rimanere." il ragazzo abbassò lo sguardo, poi si avvicinò a Nazelie e le sussurrò all'orecchio: "Sono sempre rimasto dove stava il mio generale."

Per quanto avesse potere, quell'uomo ancora le dava i brividi e riusciva a farlo con una sola frase. Le piaceva quella sensazione a volte, le piaceva pensare che quel sicario potesse essere suo. Perché lei lo sapeva, lui era suo, era sempre stato suo dalla prima volta che le si era avvicinato con i suoi occhi distanti e il sorriso magnetico. Non avrebbe ceduto però, non l'avrebbe mai baciato. In fondo, non aveva bisogno di un uomo per essere se stessa, lui era soltanto un vezzo, una distrazione che si permetteva quando voleva sentirsi lusingata. Non che Jules fosse innamorato. A lui piaceva quella figura minuta che odorava di morte a chilometri di distanza, gli piaceva pensare che quell'oscurità la creasse lei stessa.

Quando Regulus scomparve, Lea e Thomas si avvicinarono a loro.

"Avete fatto la pace o vi dobbiamo lasciare una stanza?" chiese Lea, provocando Nazelie. La ragazza le rispose con una smorfia. Già quella ragazzina più bassa di lei con i capelli grigi e li occhi vecchi le stava antipatica.

"Certo, Jules viene con noi." rispose asciutta, guardando Lea con aria di sfida.

"Bene." rispose Neumalea.

"Bene." confermò Nazelie, incrociando le braccia al petto. Dire che c'era tensione era dire poco, molto poco. Lì c'era direttamente aria di morte lenta e dolorosa. Thomas guardò le due donne vagamente divertito, poi prese due pistole e le diede una a Nazelie e una a Jules.

"Dobbiamo trovare Sophie e per sapere dov'è abbiamo bisogno di indizi. Avrà lasciato segni del suo passaggio nella vostra epoca." il ragazzo si stava preparando a partire.

"Noi siamo ricercati." ricordò Jules. Lea sbuffò e maneggiò con un piccolo computer addossato alla parete.

"Ora non esistete più, va bene? Datemi data e luogo preciso."

"23 settembre 3517, Nuova Merna." le rispose Nazelie.

"Oh carina, vieni dal Tremila anche tu?" Lea era sarcastica, non capiva perché ma Nazelie la metteva a disagio, come se le assomigliasse troppo con quell'occhio quasi arancione. Decise di accantonare i pensieri da una parte e premette sul bracciale che molto tempo prima le aveva dato la Storia, trascinando nel tempo e nello spazio tutti quanti, fino alle coordinate indicate.

 

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Capitolo 12
*** 12 - E' facile scendere agli Inferi ***


Facilis descensus averni.

Virgilio.

Nuova Merna  sembrava perfetta eppure un'occhiata esperta poteva riconoscere facilmente i segni di una dittatura: dalla precisione maniacale degli alberi fino alle telecamere disposte a ogni angolo della strada, tutto urlava l'appartenenza a una società malata.

"Sicuri che non esistiamo più? Qualcuno potrebbe riconoscere il nostro viso." obiettò Jules, coprendosi il viso con il cappuccio. Thomas rise leggermente, come se dovesse spiegare qualcosa di ovvio a un bambino con quoziente intellettivo troppo basso.

"Quante persone possono dire di conoscerti bene e cosa potrebbero fare? Andare in giro a denunciare una persona che non è nemmeno nata?"

"Sono uno scritture famoso." borbottò Jules obiettando alla logica stringente del ragazzo. C'erano cartelloni enormi per tutta la città con la sua faccia stampata sopra, sarebbe bastato avvicinarsi al centro.

"E allora sei cretino." rispose Lea pragmatica, insistendo quasi con piacere su quell'insulto "fai parte di un'organizzazione segreta che cerca di sovvertire il governo e fai in modo che il tuo viso sia uno dei più conosciuti? Se ti scoprono, come è successo, ti rendi conto che per te è impossibile nasconderti? Avresti potuto sfogare il tuo sadismo anche fuori dalla Resistenza."

"Io non ti ho mai detto di essere sadico." protestò il ragazzo, calandosi ancora più il cappuccio sul volto e avvicinandosi a Nazelie. Almeno lei aveva i capelli e gli occhi di colore diverso, mentre lui era rimasto uguale, un uomo normale che torna nel luogo in cui lo vogliono uccidere. Thomas rise di nuovo. Parlava poco e ti guardava con quell'aria di superiorità che riusciva a farti sentire una nullità: quando sorrideva l'enorme cicatrice tirava il viso in una smorfia spaventosa, Jules si chiedeva cosa aveva potuto ridurre in quello stato il volto di una persona che non può essere scalfita. Si chiedeva anche le cause delle mille cicatrici che rovinavano le braccia e il collo di tutti e due i ragazzi, sapeva però che mai avrebbe potuto avere una risposta. Appartenevano a un altro mondo, appartenevano al cielo, come gli dèi, e Nazelie stava per prendere posto con loro. Era esattamente come loro, aveva la stessa camminata cadenzata come se fosse in marcia, gli stessi occhi vuoti e quella strana iperattività di pensiero che l'avrebbe mandato in tilt. Lea alzò un sopracciglio e si voltò verso di lui, scuotendo leggermente la mano come per scacciare una mosca fastidiosa. Le unghie erano laccate di nero e sul polso cinereo spiccavano i bracciali argentati.

"Non ho bisogno che tu mi dica di essere sadico. Lo so già, non insultare la mia intelligenza."

"Tra quanto?" li interruppe Thomas. Non stava parlando con Lea questa volta, si stava riferendo a Nazelie.

"Dieci... nove... li abbiamo dietro". Nazelie era divertita. Era così semplice quando si sapeva tutto, era così semplice e gli uomini così prevedibili e deboli. Erano veramente deboli, quasi carne da macello con quella loro ostinata voglia di sopravvivere e l'incapacità di vivere. Non se ne era mai resa conto prima, ma con il suo cervello che finalmente lavorava a dovere, davanti a lei si spalancavano i segreti dell'universo mentre gli uomini si affannavano dietro al potere. Oh, gliel'avrebbe mostrato il vero potere. Non le interessava chi, perché, cosa, non le interessava come era diventata forte in quel modo. Era forte e basta. Si mise davanti a Jules quasi istintivamente, per fargli da scudo. Lui era umano, le pallottole non l'avrebbero risparmiato.

"Fermi." la voce dietro di loro era perentoria. "Giratevi e fatevi riconoscere. I vostri volti non risultano registrati e l'uomo deve togliersi il cappuccio."

Davanti a loro c'erano una ventina di uomini armati che puntavano i fucili a infarto degli arsenali governativi. Si chiamavano in quel modo perché mandavano una scarica elettrica direttamente al cuore delle persone, uccidendole sul colpo e in modo pulito. Nessun urlo, niente sangue, solo un corpo accasciato per terra. Intorno a loro le poche persone che camminavano su quella strada, si affrettarono ad andarsene. A nessuno interessava di quei quattro ragazzi che rischiavano la vita, tutti pensavano a non trovarsi in mezzo al fuoco.

Nazelie si mise ancora di più davanti a Jules, per coprirlo.

"Scusate, scusate..." iniziò a parlare Lea, strascicando in modo strafottente le parole. "Io sono Neumalea, piacere. Sono una dea." Sorrise e fece l'occhiolino all'uomo che aveva parlato. In tutta risposta un poliziotto fece partire una scarica elettrica, che però non arrivò mai a destinazione. Lea sorrise ancora.

"Posso darvi un consiglio? Mai cercare di colpire una ragazza che può controllare le composizioni degli elementi intorno a sé. Adesso, parliamo. Presentati." si rivolse all'uomo.

"Non ti deve interessare, io sono il generale per te." l'uomo strinse gli occhi, cercando di capire perché il fucile non aveva funzionato, iniziando a preoccuparsi di quei ragazzi così strani.

"Sono io il Generale." Nazelie alzò la mano come una scolaretta divertita.

"Oh, ma che coincidenza." Lea sembrava deliziata. "Anche io sono un generale, come il mio ragazzo. Generali temporali, ma puoi chiamarci Geniet. Possiamo tranquillamente parlare da pari a pari."

La ragazza si avvicinò tendendo la mano verso il generale, per stringergliela. L'uomo di mise in posizione d'attacco.

"Avvicinati e sei morta. Voglio nome e intenzioni, poi verrete con noi."

"Okay, okay. Il gioco è finito, che ne dite eh?" Thomas si avvicinò a loro e Lea sorrise. Rideva spesso, ma mai in modo limpido. Aveva il sorriso di chi sapeva di stare per fare qualcosa di profondamente malato. Bastò un secondo e il generale si accasciò a terra, senza nemmeno la forza di urlare. La bocca si apriva, ma ne usciva solo un suono sordo. Aveva spalancato gli occhi e guardava Thomas come se fosse l'Inferno in persone.

"Vogliamo l'accesso a tutte le telecamere di sorveglianza e vogliamo tutte le informazioni su una donna che si fa chiamare Sophie Hunter." Lea parlava mentre Thomas continuava a torturare quell'uomo, con una cattiveria inaudita e il sorriso sulle labbra.

Nazelie stava lì dietro, a chiedersi come due persone potessero far soffrire senza rimorso, come due persone con così tanto potere avessero l'autorizzazione a girare per il tempo e lo spazio. Jules le prese involontariamente la mano, quasi in stato di shock davanti allo spettacolo che gli si presentava davanti. Quello era troppo anche per lui, quello trascendeva i limiti umani, i limiti della ragione, persino della ragione di un sadico. Torturare la mente di un uomo a quei livelli era qualcosa di terribile. A Thomas non serviva molto, gli bastava far sentire il dolore delle sue cicatrici, che sfioravano a malapena un alius come lui, ma che avrebbero potuto uccidere un sapiens. Headstrich ne era stata la prova vivente. Aveva piegato il direttore dell'Agenzia solo con la sua mente, far spezzare un generale di una dittatura era quasi banale.

"Che cosa siete?" chiese un soldato, impaurito dallo stato del suo generale, indietreggiando.

"Siamo i tuoi dèi. Portateci da chi comanda qui." la voce di Lea ora era quella di un generale, di qualcuno abituato a dare ordini e a essere obbedito all'istante, senza domande. Thomas lasciò andare l'uomo che si accasciò al suolo.

"Non riuscirà ad alzazarsi per le prossime due ore. Dovrete trascinarlo." sorrise divertito.

Che cosa erano diventati? Due esseri pieni di odio e rancore, pieni di dolore e di perdite. Al posto del cuore, un buco nero, al posto dell'anima, una terra bruciata.

 

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Capitolo 13
*** 13 - Quid custodiet ipsos custodies? ***


"You either die a hero, or live long enough to see yourself become the villain"
 

I soldati si caricarono il loro generale sulle spalle, rimanendo in silenzio, senza avere il coraggio di chiedere nulla. La strada era ormai deserta: nessuno voleva avere a che fare con dei ribelli, perché era proprio questo che sembravano mentre camminavano spediti e sicuri di loro stessi, lungo le grigie vie di una dittatura. Neumalea e Thomas si erano messi uno a destra e l'altra a sinistra del secondo in comando, la bocca serrata e il passo militare: erano di nuovo sul campo, anche se contro la loro volontà, di nuovo soldati, di nuovo potenti. Subito dietro di loro c'erano Jules e Nazelie, ancora frastornati, sicuramente terrorizzati dai loro compagni di viaggio. Non sapevano chi fossero, semplicemente una pazza gli aveva detto di cercarli e quei due ragazzini che sembravano più piccoli di loro, parevano sapere già tutto. Jules continuava a non capire come Nazelie potesse condividere la natura di quei due esseri dagli occhi vuoti e le cicatrici profonde che sembravano bruciare perennemente sulla loro pelle. Nazelie non era così, lei era forte, intelligente, sarcastica, ma mai crudele per il semplice gusto di esserlo. Il comportamento di Thomas sarebbe potuto sembrare quello di un sadico ma Jules sapeva che quel ragazzo non aveva un disturbo, quel ragazzo era un mostro, qualcosa che non poteva essere umano, un incrocio tra un errore di natura e un dio vendicativo che anelava alla distruzione del mondo. Prese istintivamente la mano di Nazelie, stringendogliela forte, ma la ragazza si divincolò, arricciando il naso.

"Sto pensando." furono le sue uniche parole. Prima lo aveva difeso, ora però lo ignorava, come se avesse perso interesse per lui, come se quello che c'era dentro la sua mente fosse più interessante della realtà esterna. Jules strinse i pugni così forte per la frustazione, da farsi uscire il sangue dalle ferite non ancora tutte rimarginate, dovute all'assiderazione. Nazelie naturalmente non le aveva più e la sua pelle era di nuovo liscia e perfetta.

Il palazzo del governatore si stagliava alto e minaccioso, nero in mezzo al grigio, le finestre oscurate e le porte controllate da uomini in uniforme armati.

"Non hai paura di entrare?" sussurrò Jules a Nazelie.

"No, in fondo è un solo un uomo."

"Anche io sono un uomo." il ragazzo tremò impercettibilmente, senza sapere se era per la paura del dittatore o per la consapevolezza di essere inferiore a lei.

"Tu però sei il mio uomo." Nazelie gli sorrise gentilmente, poi tornò a concentrarsi, lasciando Jules completamente in panico. Sembrava quasi bipolare, tra quegli scatti di umanità intervallati a ragionamenti da robot e insulti verso gli esseri inferiori. Forse doveva ancora capire chi era completamente, e Jules sperava che essere una alius non avrebbe significato diventare come Neumalea e Thomas. Avrebbe preferito la morte che vedere il suo piccolo Generale diventare un mostro.

Appena le guardie videro il generale accasciato sopra uno dei soldati, si misero in posizione di attacco.

"Riferite protocollo 00Agency07..." Lea iniziò a parlare, ma fu interrotta da una delle guardie.

"I controlli dell'Agenzia sono passati da poco." li guardò con aria strafottente "e dovrete anche spiegare come fate a conoscere l'Agenzia, visto che sicuramente non siete dei loro."

Thomas sbuffò: "O la fate finire di parlare, oppure potrebbero esserci dei problemi."

"Protocollo 00Agency07, sessione Geniet, vox immortales. E ora sono cazzi." Lea rise pronunciando le ultime parole.

C'erano solo due parole che nessun uomo, in nessuna epoca, avrebbe mai voluto sentire tra i codici dell'Agenzia. Tra coloro che erano addestrati a conoscere gli Agenti temporali, c'erano due persone che non avrebbero mai voluto vedere: si diceva che chi li guardasse in faccia fosse dannato per l'eternità; ora però gli immortali erano davanti a loro e tutti gli incubi stavano prendendo forma.

"Non state imbambolati, dite a quel cretino che ha un problema enorme tra le mani, avvisate le altre guardie di farci passare e pregate. Pregate, perché siete nei guai."

"Thomas?" Nazelie chiamò il ragazzo "che cosa vuol dire Geniet? E immortali?"

Il ragazzo nemmeno si girò, semplicemente le rispose dandole le spalle.

"Geniet sono i Generali Temporali, il grado più alto da conseguire all'Agenzia. Immortali, beh... io non ho veramente diciassette anni. Fa due più due, alius."

Neumalea sorrise impercettibilmente quando Tommy chiamò Nazelie "alius".

SI incamminarono per le infinite e ripidissime scale dell'edificio.

"Un ascensore no, eh?" si lamentò lo scrittore a metà salita, senza ricevere risposta. Più salivano, più le guardie aumentavano, eppure si spostavano impaurite, tremando quando venivano urtare da Thomas o Lea. Evidentemente era stato dato l'allarme. Un conto era l'Agenzia, ma gli immortali, oh loro non avrebbero avuto pietà. Anche l'ambiente cambiava intorno a loro: era sempre più opulente, più lucido, più semplice anche, spoglio da tutta la propaganda. Lì c'era il potere, il vero potere. Aprirono la porta dello studio del governatore, entrando in una stanza dalle pareti verde pastello, piena di libri, semplice e ricercata allo stesso tempo. Un uomo li stava aspettando seduto su una poltrona. Appena li vide si alzò di scatto.

"Gli Inferi e il massacro. A cosa devo l'onore? Io comunque sono Michael Rochester."

"Fossi in te starei attento con le parole." rispose Thomas freddo. Sapevano quali erano i soprannomi che venivano sussurrati tra le epoche, ma nessun finora era stato così sfacciato da buttarglieli in faccia.

Era sempre lui a parlare e mai Lea, questo Nazelie lo aveva notato. La ragazza dai capelli grigi parlava poco e faceva male, molto. Thomas invece sapeva giocare con le parole. Neumalea si avvicinò al tavolino in legno intarsiato e si versò un bicchiere di rum, per poi sedersi divertita sul divanetto. Rochester si girò verso di lei, si sentiva accerchiato e tra quei ragazzi c'era un uomo che lui conosceva.

"Perché vi tirate dietro uno della nostra razza?"

"Niente domande, sapiens." lo interruppe Tommy "Ascolta quello che abbiamo da dirti."

Lea stava centellinando il suo bicchiere quando si alzò di scatto fino a trovarsi a due centimetri dal volto del governatore.

"Avevi una alius nella tua città, una non registrata. E non le hai mai dato filo da torcere, quindi sapevi della sua esistenza."

"N - no, assolutamente no!"

Lea lo spinse contro il muro, facendo tremare le pareti della sala.

"Hai metodi di controllo che ti permettono di trovare anomalie, avrai visto i suoi risultati scolastici e i controllori governativi nelle scuole ti avranno riferito di questa ragazza fuori dal comune, eppure non hai mosso un dito. Chi? O lo dici o sei morto."

Era un sapiens come tutti gli altri, attaccato al potere e incapace di morire per un ideale, avrebbe risposto.

"Si chiama Sophie la donna che me l'ha ordinato, diceva di essere dell'Agenzia, in una missione in incognito!" provò a giustificarsi Rochester, piagnucolando pietà all'angolo della stanza.

"Sapevi benissimo che non era dell'Agenzia." si inserì Thomas, davvero pensava che fossero così stupidi? "Dov'è ora?"

"Questo vuol dire che tu sapevi?" gli urlò improvvisamente contro Nazelie, già pronta a mettergli le mani addosso, ma fu fermata dalla stretta calda e tranquilla di Jules, che la fece calmare, ricordandole di far parlare i due mostri che si tiravano dietro.

"Non lo so, ogni tanto però torna per avere notizie." Michael Rochester si era alzato di nuovo e cercava di darsi un contegno, con scarsi risultati. Il grande dittatore stava implorando davanti a due ragazzini di diciassette anni.

"Bene. Le prepareremo una trappola e tu ci aiuterai. In più dovrai aiutarci a scoprire di chi è figia Nazelie." disse lapidaria Lea.

 

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