Happy Together

di arangirl
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il Matrimonio ***
Capitolo 2: *** La Festa ***
Capitolo 3: *** La Cena ***
Capitolo 4: *** La Recita ***
Capitolo 5: *** Scintille ***
Capitolo 6: *** In bilico ***
Capitolo 7: *** I Fiori ***
Capitolo 8: *** Il Bacio ***
Capitolo 9: *** La Confessione ***



Capitolo 1
*** Il Matrimonio ***


Clarke era seduta sul letto a fissare il nulla davanti a sé ormai da quasi un’ora prima che la sveglia finalmente si mettesse a suonare. Aveva seguito il passare lento di ogni singolo minuto con impaziente attesa e timore allo stesso tempo; non voleva alzarsi dal letto, non ancora. Perché se si fosse alzata, tutto sarebbe diventato improvvisamente reale, ma mentre era lì, ancora parzialmente avvolta dalle coperte, poteva fingere che fosse tutto un sogno.
 

Spense la sveglia con un gesto distratto e prese un respiro profondo. Era tutto vero. Dopo anni di attesa era arrivato il fatidico giorno, il giorno del suo matrimonio.

 
Il solo pensiero di Finn che l’aspettava all’altare con la sua aria tenera e impacciata nel vestito che gli aveva visto provare settimane prima la fece sorridere. Stava per sposare non solo l’amore della sua vita, ma anche il suo migliore amico, si disse mentre si lavava i denti con cura e si guardava allo specchio, sollevata nel vedere che l’orribile macchia rossa che le era spuntata il giorno prima sulla guancia era svanita; quante donne poteva dire la stessa cosa?

 
I suo pensieri furono interrotti dal suono del campanello, e Clarke finì di lavarsi i denti in tutta velocità prima di correre ad aprire. Si fermò solo un attimo prima di girare la maniglia, prendendo un respiro profondo. Da quel momento non si poteva tornare indietro.
 

Non appena aprì, si trovò faccia a faccia con le sue due migliori amiche, Raven e Octavia, che la guardarono per qualche secondo con dei sorrisi giganteschi prima di cominciare a gridare e saltare. Non era esattamente da lei, ma tutta l’agitazione che Clarke aveva tenuto dentro di se in quelle ultime settimane esplose in un attimo mentre iniziava a saltare anche lei, stringendo le amiche in un abbraccio quasi fossero ancora delle adolescenti, e non delle donne adulte.

 
“Oggi Clarky si sposaaaa” Raven le arruffò i capelli mentre tutti e tre non riuscivano a smettere di sorridere. “Raven lasciale stare i capelli, già sarà difficile sistemarli in tempo.” Octavia allungò la mano per aggiustare il danno dell’amica ma Clarke scosse la testa “Mia madre ha chiamato non solo quale famoso parrucchiere per modelle, sono sicura che sarà in grado di combinare qualcosa.” Raven entrò nella sua stanza e si sedette sul letto, dove solo pochi minuti prima era seduta Clarke, a fissare l’inesorabile scorrere del tempo.

 
“Abby si sta davvero impegnando per queste nozze, eh?” Clarke alzò gli occhi al cielo al pensiero della madre “E’ più agitata lei di me. Non è poi questa grande cosa, io e Finn stiamo insieme da… da sempre! Questa è solo una formalità.”

 
Octavia la fissò per un attimo “La solita Clarke… è il giorno delle tue nozze, puoi anche permetterti di essere felice e poco obiettiva per una volta.” “Devi permettertelo Clarke!” Sorrise Raven “Così poi mi dirai com’è il sesso da sposati.” Clarke arrossì violentemente “Tu ed io non faremo mai questo discorso.” “Dai Clarke! Sei l’unica che me lo può dire!” “Sposati e lo saprai.”

 
Raven si alzò dal letto e si diresse verso il bianco vestito da sposa che Clarke aveva appeso all’armadio la sera prima, prendendolo senza troppa cura e mettendoselo davanti a se, per poi guardarsi allo specchio “Nah, non mi ci vedo in bianco.” Nel vedere l’amica Octavia sbiancò “Raven, lascia subito quel vestito.” Clarke chiuse la porta e non riuscì a non sorridere guardando le due bisticciare.

 
Quello era il suo grande giorno. Tutto sarebbe andato come previsto.
 

 
 
“Mi serve qualcosa che dica –Mi dispiace che sia morto, ma neanche tanto. Era solo un cane, e non avresti dovuto amarlo più di me.-” Lexa alzò lo sguardo dall’orologio alla cliente davanti a sé. Era in ritardo. E lei odiava essere in ritardo.
 

La donna dovette vedere la sua espressione confusa, perché si avvicinò di un passo e le disse “Può farmi un mazzo che dica questo?” Lexa non era una persona che amava lamentarsi, questo era sicuro. Ma in quel momento avrebbe tanto voluto urlare. Perché la gente più strana doveva sempre bussare alla porta del suo negozio, il giorno in cui aveva una qualche cerimonia importante da organizzare, due minuti prima dell’ora stabilita per la partenza?
 

Si sforzò di sorridere alla donna davanti a lei, e prese un mazzo di rose bianche che aveva accanto al bancone “Queste. Queste sono perfette.” La donna la guardò poco convinta, e Lexa imprecò mentalmente “Offre la casa. Mi dispiace molto per il suo cane, arrivederci.” “Ma era il cane di mio…” non sentì la fine della frase, perché chiuse la porta dietro alla cliente, girando finalmente il cartellino da aperto a chiuso prima di ricominciare a sistemare i fiori per il matrimonio.
 

Sarebbe stata una lunga giornata.
 

 
 
“Ho una domanda” Clarke sentì Aden esclamare nell’altra stanza, insieme ad un irritato brontolio di sua madre “Perché l’alfabeto è in quell’ordine?” “Nessuno lo sa” tagliò corto Abby mentre cercava di sistemare i capelli al bambino “E a nessuno interessa. Per una volta nella tua breve vita potre…” Sua madre si fermò mentre la guardava uscire dalla stanza, il vestito da sposa che le calzava perfettamente, candido come la neve. Clarke non riusciva a fare a meno di sentirsi una principessa mentre tutti la fissavano a bocca aperta.
 

“Allora… che ne dite?” Kane, nell’angolo opposto della stanza la guardò con occhi quasi lucidi “Sei divina.” Sua madre per una volta non poté che essere d’accordo con suo marito “Oh tesoro…” Aden rise, sottraendosi alle mani della madre che ancora cercavano di sistemargli i capelli ribelli “Sembri una meringa.” Clarke rivolse un sorriso al fratello, l’unico che sembrava essere rimasto normale nel caos intorno a loro “Carino.”
 

Kane camminò verso di lei, e la strinse la spalla in un gesto affettuoso “Posso parlarti un attimo in privato?” Clarke vide sua madre alzare gli occhi al cielo, ma annuì e seguì il patrigno nella stanza che aveva appena lasciato “Clarke, lo so che ne abbiamo già parlato, ma voglio che tu ne sia sicura…” Clarke gli strinse una mano con un sorriso. “Kane, ascoltami. So che abbiamo avuto le nostre divergenze, soprattutto all’inizio, ma… Tu sei la mia famiglia. Sei il padre di Aden, il marito di mia madre, e il mio patrigno. Sì, vorrei tanto che mio padre… che lui fosse qui oggi.”
 

Clarke provò un nodo alla gola al pensiero del padre. Aveva cercato di non pensarci, ma era inevitabile; nonostante fossero passati tanti anni dall’incidente, suo padre le mancava come il primo giorno. Ma Kane si era dimostrato un patrigno perfetto, dolce e comprensivo con la figliastra adolescente che non vedeva di buon occhio il nuovo compagno della madre, fino a quando lei non aveva imparato ad apprezzarlo, ed era felice di averlo al suo fianco il giorno delle sue nozze. Kane ricambiò la stretta “Sono sicuro che Jake rimarrebbe estasiato nel vederti così.”
 

Clarke annuì cercando di non piangere “Vorrei che fosse qui per portarmi all’altare. Ma sono felice che ci sia tu a farlo al posto suo. Gli saresti piaciuto.” Kane annuì con un sorriso “Sarà un onore per me portare la sua splendida figlia all’altare. Finn è davvero un uomo fortunato.” Clarke sorrise, a Kane, al contrario della madre, Finn era sempre piaciuto. “Forza, è ora di andare. Tua madre starà già impazzendo.”
 

 
 
Lexa lasciò andare l’ultimo scatolone di fiori dentro il bagagliaio con uno sbuffo guardando in cagnesco la donna che era appena arrivata davanti al negozio “Sei in ritardo.”

Anya le rivolse il suo solito sorriso sornione “Ho rimorchiato. Che roba è?” Lexa alzò gli occhi al cielo mentre cercava di sistemare le ultime cose “Matrimonio. Rimorchi sempre?” L’espressione di Anya si fece ancora più divertita “Una delle due deve. Bella coppia?”

Lexa entrò in negozio a prendere i fogli che aveva preparato per Anya. Sapeva che l’amica non li avrebbe nemmeno guardati, ma doveva almeno provarci “Non lo so, non li ho mai visti. Ha organizzato la madre di lei.” Anya alzò gli occhi al cielo “Come sempre, no? Che cosa sono questi?” Anya agitò i fogli Lexa la guardò esasperata “Sono i fogli delle istruzioni per il negozio. Quelli che ti do ogni volta che mi sostituisci, e che tu inevitabilmente finisci per perdere.” “Senti non è colpa mia, loro… spariscono.” Lexa si avvicinò e la guardò negli occhi “Spariscono? Anya…” L’alta donna bionda la bloccò avvicinandole un dito alle labbra “Non eri in ritardo?”
 

Lexa imprecò sottovoce, era maledettamente in ritardo per quello stupido matrimonio. Lei odiava i matrimoni.
 

“Esci con me dopo?” Anya la guardò con un sorriso, le carte spiegazzate in mano. Un giorno al suo ritorno avrebbe trovato il negozio in fiamme, ne era sicura. “Assolutamente.” Si concesse un piccolo sorriso nel vedere l’espressione sorpresa di Anya “Oh, bene. Allora andiamo insieme?” Lexa indicò la macchina completamente piena di fiori di ogni forma e colore “No, ti raggiungo dopo.”
 

Anya incrociò le braccia davanti a sé “Quindi non vieni…” Lexa aprì la portiera dell’auto, guardando l’amica con espressione esasperata “Fanno la mia serie preferita in tv.” “Lexa, non hai una vita affettiva.”
 

Ancora con questa storia. Perché tutti non potevano semplicemente smetterla e lasciarla in pace “Ne ho una che ci assomiglia, e mi va perfettamente bene.” Stava mentendo, lo sapevano entrambe. Ma Lexa aveva un gatto ad aspettarla a casa, e per lei era più che sufficiente. Vide Anya aprire la bocca per ribattere, ma prima che potesse aggiungere altro chiuse la portiera dell’auto. Non poteva arrivare più in ritardo di così.
 

 
 
Finn si guardò intorno leggermente nervoso, salutando alcuni ospiti che entravano sorridendo nella chiesa. Bellamy accanto a lui lo guardò con curiosità “Il nervosismo comincia a farsi sentire? Se vuoi scappare sei ancora in tempo.” Finn gli lanciò un’occhiataccia “Non sono per niente nervoso. E…”

 
“Congratulazioni!” una ragazza spuntata dal nulla si avvicinò ai due, con un sorriso che a Finn sembrò leggermente forzato “Tu sei Finn giusto? Lo sposo?” Finn rimase un momento interdetto guardando gli occhi verdi e brillanti della ragazza. Non aveva idea di chi fosse. Un’amica di Clarke? Non gli sembrava di averla mai vista prima, ma Abby aveva invitato così tante persone alla cerimonia che quella ragazza avrebbe potuto essere chiunque. “Sì, sono io.” Vide la ragazza tirare un sospiro di sollievo mentre il suo sorriso assumeva una piega più naturale “Io mi sono occupata dei fiori.”
 

Finn rimase in silenzio per qualche secondo. I fiori… i fiori non li aveva minimamente notati “Bè sono… splendidi. Vero Bellamy?” Guardò il suo testimone sperando che potesse aiutarlo a uscire da quella situazione, ma il ragazzo sembrava più concentrato ad analizzare ogni centimetro della bella fioraia davanti a loro “Certo, splendidi” disse con fare distratto, osservando con poca delicatezza il decolté della donna, per poi alzare lo sguardo solo qualche secondo dopo “Anche se io non so distinguere un fiore da un pugno in un occhio.”
 

“Ma sono splendidi. Splendidi, Bellamy.” Finn lanciò l’ennesima occhiataccia all’amico, temendo che non sarebbe stata l’ultima della giornata; era peggio di un bambino.
 

Lexa non sembrò accorgersi di niente e porse ai due uomini un paio di fiori rosa che Finn non riuscì a riconoscere, ma che era sicuro sarebbero stati precisamente uguali a quelli del bouquet di Clarke. “Siamo arrivati!” la voce di Abby si fece largo tra la folla, seguita dal piccolo Aden che lo salutò con un sorriso, dandogli il cinque, e Finn si dimenticò ben presto dei fiori.

 
 
 
“Puoi aiutarmi?” Il ragazzo, Bellamy o comunque si chiamasse, la guardò negli occhi mentre le si avvicinava con un sorriso, agitando il fiore che lei gli aveva appena dato. Lexa dubitava altamente che l’uomo non fosse in grado di metterselo da solo all’occhiello, ma inghiottì la risposta sarcastica che aveva sulla punta della lingua e si avvicinò, cercando di ignorare il penetrante profumo di dopobarba lo avvolgeva.
 

Quando lei gli toccò il petto per sistemare meglio il fiore, lui le sorrise “Sai, faccio molta palestra.” Lexa fece finta di non aver sentito “Questi non sono pettorali.” Lexa imprecò mentalmente ancora una volta, l’ennesima di quell’infinita giornata “No?” Doveva sforzarsi di essere cordiale, o almeno provarci. “No, sono montagne rocciose.” Il suo sorriso si fece ancora più ammiccante “Vuoi arrampicarti?”
 

Lexa riuscì grazie ad un grande autocontrollo a non ridergli in faccia, e scosse la testa, allontanandosi leggermente “Non vado pazza per gli uomini muscolosi.” O per gli uomini che ci provano con questo genere di battute. O per gli uomini in generale, pensò distrattamente.
 

“Ma la cosa bella è che sono molto sensibile in aggiunta.” E sei anche molto idiota pensò lei, finendo di sistemargli il fiore con un sorriso che avrebbe potuto valerle l’oscar come miglior attrice non protagonista di quel matrimonio infinito.
 

“Finn posso farti una domanda?” Lexa notò per la prima volta il bambino che cercava di catturare l’attenzione dello sposo, impegnato a salutare gli ultimi invitati che si accalcavano in chiesa. “Non ora Aden…” La madre della sposa, di cui Lexa aveva dimenticato il nome, toccò la spalla del bambino ma Finn sorrise “Che domanda è?” “Che cosa succede se una forza inarrestabile incontra con un oggetto inamovibile?”
 

I quattro adulti rimasero interdetti dalla domanda, e per un attimo nessuno disse nulla. Poi Finn scosse la testa “Non ne ho idea.” “Ecco lo vedi?”
disse la madre cercando di far allontanare il ragazzo “Adesso lo lasci sposare in pace?” Il bambino assunse un’aria delusa che strappò un sorriso a Lexa.
 

“Non può accadere.” Disse facendosi avanti e guardandolo “Se esiste qualcosa che non può essere fermato, non è possibile che esista qualcos’altro che non può essere mosso, e viceversa.” Si accorse troppo tardi di aver cominciato a gesticolare, nervosa per aver attirato tutta l’attenzione su di sé “Non possono esistere entrambi, capisci? E’ una domanda tranello.”
 

Sorrise guardando la madre della sposa, che la fissava con evidente sorpresa “E la risposta è questa.” Concluse, sentendosi un’idiota mentre il ragazzo veniva trascinato dentro la chiesa dalla madre. Pensò di essergli suonata noiosa e saccente, invece poco prima che entrassero, riuscì a sentire chiaramente la voce di Aden “Può sedersi vicino a me?”
 

E fu così che l’orribile, infinta giornata di Lexa la portò a sedersi in una delle prime panche della chiesa, a domandarsi che diavolo ci faceva seduta lì con un bambino che non doveva avere più di dieci anni, che le chiedeva con sguardo ammirato quando secondo lei, i pesci andavano a dormire.
 

Lexa odiava i matrimoni.
 
 

 
Finn fissò l’altare per l’ennesima volta, cercando di concentrarsi sul respiro. Pensò a Clarke, così bella e gentile, la sua fidanzata, presto sua moglie, che sarebbe arrivata da lì a poco. Perché sarebbe arrivata, giusto?
 

Si guardò intorno con nervosismo “Arriverà vero?” Bellamy lo guardò con un sorriso “Arriverà.” Finn si sentì uno stupido “Certo, arriverà.” Si girò di nuovo verso l’altare, cercando di rimanere fermo in quella posizione, ma l’istinto di guardare dietro di sé era troppo forte “Quando, quando arriverà?”
 

Bellamy non sembrò nemmeno sentirlo “Sono attratto dalla fioraia.” Finn, che continuava a guardare l’entrata della chiesa, annuì distrattamente “E lei da me, vero? Sento la vibrazione del suo richiamo.” A quelle parole, Finn si girò a guardarlo negli occhi “Mi sto sposando, si può parlare di me?”
 

Bellamy scosse la testa “Certo certo, scusami.” Aspettò solo qualche secondo per aggiungere “Tu non senti la vibrazione del suo richiamo?”
 

 
 
“Bene, l’ultimo che arriva all’altare è una sciacquetta!” Raven sorrise e uscì dalla macchina mentre Clarke prendeva un altro respiro profondo. Il viaggio verso la chiesa le era sembrato il più lungo e insieme il più breve della sua vita. Non era sicura di essere pronta, in quel momento non era sicura di nulla.
 

Octavia le strinse la mano e si guardarono per un attimo, mentre Clarke si sforzò di sorridere “Bene, eccoci qua.” L’amica annuì stringendole la mano “Dimmi buona fortuna.” “Buona fortuna a te?” Octavia la guardò stupita “E’ un matrimonio, le damigelle rimorchiano sempre ai matrimoni!” Raven da fuori sorrise “E io ho intenzione di rubare tutti gli spasimanti O, non farti strane idee. Posso lasciarti tuo fratello se vuoi, lo sai che ci ho già fatto un giro.”
 

L’espressione che Octavia le lanciò fu di puro disgusto “Non ricordarmelo ti prego. E’ stato un trauma. Avanti Clarke, dimmi buona fortuna.” Clarke rise, sollevata dalla presenza delle amiche “Buona fortuna a tutte.”
 
 

 
“Sono loro!” Abby, ecco il nome della madre, andò a sedersi vicino a loro e quello fu il segnale per Lexa di levare le tende. Il suo lavoro lì era finito, ora doveva solo andare a sistemare i fiori per il rinfresco. Era la parte del suo lavoro che preferiva, perché non c’era nessuno intorno che potesse darle fastidio, e lei era libera di andarsene non appena avesse finito.  
 

I fiori erano la sua vera passione, l’unica cosa che riusciva a farla sentire in pace e tranquilla; le persone al contrario, non erano davvero il suo forte. Gli adulti soprattutto, pensò mentre salutava Aden, che si era rivelato molto più simpatico del previsto. La marcia nuziale iniziò a suonare mentre tutti si alzavano in piedi per guardare la sposa camminare sulla navata, e Lexa pensò con ironia al fatto che il percorso della ragazza era parallelo al suo, ma dal verso opposto. Quella poteva tristemente dirsi una metafora della sua vita.
 

Aveva in programma di uscire senza nemmeno lanciare uno sguardo alla sposa, ma poi senza alcuna ragione, si voltò a guardare.
 
 

 
Clarke sentiva come in un sogno risuonare intorno a lei la marcia nuziale, il braccio di Kane stretto attorno al suo mentre camminavano lungo la navata. Non riusciva ad alzare lo sguardo tanto era tesa, ostinandosi a fissare le immacolate scarpe bianche ai suoi piedi, l’orlo dell’abito che accarezzava il pavimento freddo della chiesa. Prese un respiro profondo, decisa a guardare finalmente in avanti, a cercare Finn con lo sguardo, ma quando finalmente riuscì ad alzare gli occhi, girò il capo a sinistra, non ancora pronta per guardare l’altare.
 

E allora la vide. Fu un attimo, eppure a Clarke sembrò infinito; una ragazza camminava verso l’uscita, quasi uno spettro silenzioso in contrasto con l’animata folla che la circondava. Si guardarono negli occhi, e anche se subito dopo Clarke non riuscì a ricordarsi bene i contorni del suo volto, o il colore dei suoi capelli, il verde dei suoi occhi le rimase impresso a fuoco nella mente, come se ci fosse affogata dentro.
 

Per la prima volta in quella lunga giornata Clarke desiderò fermare il tempo, rimanere lì ancora e ancora, a perdersi in quello sguardo. Ma fu solo un attimo, e presa alla sprovvista da quell’imprevista emozione, Clarke si girò, guardando davanti a sé. Quando si girò di nuovo alla ricerca di lei, la ragazza era sparita.


Mentre Clarke alzava lo sguardo per incontrare quello calmo e pieno d’amore di Finn, si chiese se quella ragazza non fosse stato solo un sogno.
 

Troppo occupata a guardare il suo futuro sposo, non notò nemmeno la figura silenziosa che, a pochi passi dall’uscita, si era girata a guardarla un’ultima volta prima di uscire.








Note: Ciao a tutti! Vi starete chiedendo, quale mente contorta e problematica può avere unito due cose tanto agli antipodi come The 100 e Imagine Me and You? Non c'è un motivo particolare, semplicemtente adoro questo film, e dopo i recenti avvenimenti dello show, mi sembrava carino scrivere qualcosa che non finisse in tragedia. La maggior parte delle scene sono prese dal film (che se non avete visto dovete assolutamente vedere perché oltre ad essere super dolce e carino c'è Lena Headey e mi sembra già un motivo sufficiente!), ma ne aggiungerò di originali andando avanti! Mi sto già divertendo un sacco a scrivere Bellamy come Cooper, e ad immaginarlo mentre ci prova con Lexa! Lasciatemi un parere se vi va, alla prossima!

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Capitolo 2
*** La Festa ***


Lexa si guardò intorno, lo sguardo impassibile che sondava la sala, cercando di capire quale sarebbe stata la sua prossima mossa. Tutti intorno a lei stavano ballando o chiacchierando, i volti sereni e felici, e lei non riusciva a fare a meno di sentirsi a disagio. Perché era rimasta?
 

Aveva finito di sistemare quasi tre ore prima i fiori nel grande padiglione del rinfresco e, soddisfatta del suo lavoro, aveva deciso di andarsene prima che arrivassero tutti gli invitati… eppure, per qualche motivo, era rimasta.
 

Ed era rimasta solo curiosità si disse, assolutamente. Non aveva nulla a che fare con il fatto che l’unica cosa a cui era riuscita a pensare dal momento della cerimonia era l’intenso colore azzurro che aveva visto poco prima, che era riuscito in un attimo ad annullare qualsiasi altro pensiero.
 

Così quando Abby l’aveva gentilmente invitata a rimanere per il pranzo, non aveva posto molte obiezioni, e si era seduta in un tavolo a caso. Non aveva fatto in tempo
a sentirsi fuori luogo in mezzo a perfetti sconosciuti che Aden l’aveva raggiunta, entusiasta di poterla sommergere di domande anche durante il pranzo.
 

Era un bambino curioso e intelligente, ma da quello che Lexa aveva potuto vedere anche molto educato e gentile. “Hai visto mia sorella? Non è bellissima?” le chiese a un tratto e Lexa, che ancora non era riuscita a trovare il coraggio di alzare lo sguardo verso il tavolo principale, si era limitata a sorridere e annuire, cercando di non pensare all’immagine che aveva impressa nella mente dalla cerimonia.
 

Un po’ per noia, un po’ per evitare il testimone dello sposo che stava cercando di braccarla da tutto il pomeriggio, Lexa si diresse verso il tavolo delle bevande. Le fu impossibile non capire chi ci fosse davanti al tavolo, con l’enorme e vaporoso vestito bianco che le ostacolava i movimenti. Per un attimo pensò di tornare indietro, ma si diede della sciocca; era più che normale presentarsi alla sposa, visto che era stata lei a sistemare tutte le decorazioni floreali del suo matrimonio.
 

Eppure c’era una voce in un angolo della sua mente, che le sussurrava lentamente che quello che era successo poche ore prima nella chiesa non era stato per niente normale. Ma Lexa scacciò quei pensieri mentre si avvicinava alla ragazza; nel sentirla arrivare, lei si girò, fissandola per un attimo con lo sguardo spaventato di un bambino che ha appena rotto qualcosa di prezioso “Tu sei quella della chiesa” le disse mentre i loro occhi si incontravano per la seconda volta quel giorno.
 

Lexa le sorrise, sentendo dentro di se una piccola sensazione di compiacimento; non era l’unica a essere rimasta colpita da quello sguardo. “E tu sei quella che si è sposata, se l’apparenza non m’inganna.” La ragazza la guardò per un istante, poi le sorrise a sua volta, leggermente impacciata.
 

“Non ci siamo presentate. Sono Lexa.” “Clarke.” Disse semplicemente l’altra evitando il suo sguardo. Lexa non riusciva a capire che cosa la turbasse tanto, sembrava terribilmente nervosa. “Mi sono occupata dei fiori.” Avrebbe dovuto farsi una maglietta con scritta quella frase. Almeno così la gente avrebbe smesso di domandarsi se si era o no imbucata alle nozze di qualcuno che non conosceva.
 

“Ah sì?” lo sguardo di Clarke sembrò distendersi per un attimo “Sono splendidi davvero.” Lexa fece un gesto verso la caraffa di punch dietro di lei “Comunque ero venuta solo per..” Clarke si spostò leggermente, per coprire completamente la grossa bacinella dietro di lei “..un drink?” Lexa la guardò confusa “Non è il caso.” Sussurrò Clarke, avvicinando il volto a quello di Lexa, così che solo le la potesse sentire; per un attimo soltanto, Lexa riconobbe un inconfondibile profumo di gigli.
 

In quel momento sapeva che la cosa migliore da fare sarebbe stata allontanarsi, evitare di entrare ancora più in confidenza con quella strana ragazza con cui sembrava avere una sintonia terribilmente singolare, eppure non riuscì a trattenersi davanti al suo sguardo preoccupato “C’è qualche problema? Posso darti una mano?”
 

Clarke cercò di resistere per due secondi prima di rivelarle il vero problema con voce preoccupata “E’ il mio anello…” si girò a prendere il mestolo, guardando sconfortata la bevanda rosso scuro in cui galleggiavano veri pezzi di frutta “Volevo questa porcheria di punch e…” Lexa per poco non scoppiò a ridere “Parli della fede?” Clarke sorrise guardandola per un secondo, forse non notando quanto erano vicine in quel momento, le teste che quasi si sfioravano sopra la bacinella trasparente; Lexa ne era invece pienamente consapevole “Mi è caduta dentro… qui in mezzo.”
 

Il liquido era così torbido che era impossibile riuscire a distinguere qualcosa, e Clarke la guardò con aria sconsolata “La mia fede, qui in mezzo.” Che fosse un segno del destino, pensò Lexa prima di riuscire a fermarsi, a chiudere ogni tipo di pensiero come quello in un angolo recondito della sua mente a doppia mandata.
 

“Hai provato con il mestolo?” Clarke sorrise ancora, e Lexa si ritrovò a fare altrettanto; la situazione era semplicemente assurda, eppure era probabilmente il momento più divertente della sua giornata “Niente.” “E non puoi svuotare il… no che stupida.” Lexa si guardò intorno per un attimo, poi si girò di nuovo verso la ragazza bionda accanto a lei “C’è solo una cosa da fare. Coprimi.”
 

Clarke la guardò confusa mentre si arrotolava la manica della camicia fin sopra al gomito “Cosa?” “Usa il vestito.” Ma vedendo che Clarke ancora non aveva colto le sue intenzioni, le circondò la vita con un braccio e la spinse davanti a se, in modo da essere almeno coperta dal resto della sala. Era stato un attimo, quindi cercò di non pensare al sussulto che le sembrava di aver sentito quando aveva toccato Clarke; non era nemmeno sicura che fosse stata la ragazza, in quel momento le sembrava di non capire più niente.
 

Certo, prima di quel momento aveva organizzato matrimoni di molte ragazze carine, ma questo era diverso. Era come se tra lei e Clarke, per quanto sembrasse assurdo, ci fosse una sintonia di qualche tipo. Quello era l’unica ragione che riusciva a darsi per essere finita, nel bel mezzo di un ricevimento nuziale, con il braccio immerso per metà nel punch cercando di ripescare una fede.
 
 
 
 

Clarke, nonostante cercasse di apparire disinvolta e tranquilla, sapeva di star facendo una pessima prima impressione sulla ragazza dei fiori. Non che avesse molta importanza quale opinione aveva di lei, cercò di ripetersi, ma chi riesce a perdere la propria fede nuziale in una bacinella di punch il giorno del matrimonio? Se l’avesse vista sua madre, sarebbe morta sul colpo.
 

Per questo non era riuscita a resistere quando Lexa -che razza di nome è Lexa?- si era proposto di aiutarla. Per quello e perché, inspiegabilmente, sentiva di potersi fidare di lei. Non aveva nessun senso, si conoscevano da qualche minuto, eppure era lì che cercava di coprirla con la sua enorme gonna bianca mentre lei recuperava la sua fede dal punch. Perché non ci aveva pensato lei prima?
 

Tutti quei pensieri si affollavano nella mente di Clarke quando un giovane uomo dall’aspetto curato le si avvicinò con un sorriso, e lei sperò fino all’ultimo momento che non fosse diretto proprio lì. Sentì Lexa mormorare qualcosa dietro di lei e le si avvicinò di più, cercando di coprirla meglio che poteva con il suo corpo. L’uomo si allungò per prendere un bicchiere accanto a lei e la squadrò in un modo che Clarke trovò decisamente fastidioso “Dicono che il bianco sia il colore delle vergini, ma se conosco Finn l’unica cosa vergine è l’olio d’oliva.”
 

Clarke cercò di trattenersi dal insultare pesantemente l’uomo davanti a lei, avendo intuito di chi si doveva trattare, ma non riuscì a non sorridere captando l’insulto che Lexa aveva sussurrato dietro di lei.
 

“Le vecchie battute sono sempre le migliori.” L’uomo le sorrise “Sono Cage. Finn lavora per me.” Tombola. Clarke aveva sentito innumerevoli volte il fidanzato lamentarsi del suo capo, a suo dire, un emerito idiota; non poteva dire che Finn avesse torto. “Sei proprio come ti descrive, perfetto.”
 

Gli occhi di Clarke scivolarono velocemente alla bacinella a cui si stava avvicinando l’uomo, notando con sollievo che Lexa non era più lì. Mentre l’uomo davanti a lei continuava a parlare di cose che Clarke non riuscì più a capire, sentì la mano calda di Lexa afferrarle il polso della mano che teneva nascosta dietro la schiena, e la fede scivolare al suo legittimo posto mentre un paio di gocce di punch scivolavano dalla mano di Lexa alla sua; quando la lasciò andare per sistemarsi al suo fianco, come se nulla fosse successo, Clarke provò una spiacevole sensazione di vuoto dove prima lei l’aveva toccata.
 

“Salve” disse Lexa all’uomo che la guardava incuriosito, e che le rispose con un cenno del capo “Lei è Lexa.” Clarke lasciò scivolare le sillabe di quel nome particolare tra le labbra, decidendo che non era poi così male “Fa la fiorista.”
 

Ancora una volta l’uomo lasciò vagare lo sguardo sulla ragazza “Io sono Cage Wallace. Ma puoi chiamarmi come preferisci.” Le porse la mano e Lexa lo guardò con un sorriso, stringendogliela “Sono certa che lo farò.” Solo dopo aver notato l’espressione confusa di lui, Clarke si ricordò che la mano di Lexa doveva essere ancora completamente bagnata di punch.
 

Cage si allontanò guardandosi la mano, confuso, e Clarke rise come non era ancora riuscita a fare quel giorno. “Hai visto la sua espressione?” Lexa scosse la testa “Perdonami, dovevo farlo.” “Hai fatto benissimo. Quell’uomo è un’idiota.” Clarke guardò la fede al dito prima di incrociare lo sguardo di Lexa, anche se solo per pochi secondi. Non riusciva ad ammetterlo con se stessa, ma non riusciva a non sentirsi spaventata da quegli occhi verdi; spaventata e incuriosita.
 

“Ti ringrazio, non sapevo davvero che fare. Le mie damigelle mi hanno abbandonata.” Clarke lanciò uno sguardo verso Octavia, che stava ballando ormai da ore con lo stesso tipo alto e palestrato che lavorava con Finn; Raven invece non si faceva vedere da un po’, e Clarke non voleva nemmeno immaginare dove o con chi potesse essere sparita.  Lexa scosse la testa, come a sminuire la cosa “Felice di averti aiutata.  Sarebbe stato un peccato rovinare il vestito, ti sta molto bene.”
 

Nonostante non fosse la prima ad averglielo detto quel giorno, Clarke si sentì arrossire “Io…” “Clarke!!!” Qualcosa di grosso e pesante andò a sbattere contro la sua gonna e lei sorrise nel vedere il fratello, non aveva avuto un minuto per lui in tutto il giorno “Aden, comportati bene.” “Ho visto che stavi parlando con Lexa e sono venuto a salutarvi!” Clarke guardò stupita prima lei poi il bambino “Vi conoscete?”
 

Lexa sorrise ad Aden e annuì “Tuo fratello è un vero gentiluomo, mi ha fatto compagnia tutto il pomeriggio.” Aden le sorrise di rimando e annuì “Lexa è simpaticissima Clarke! Mi ha spiegato perché i pinguini non volano.”
 

Clarke guardò Lexa con espressione stupita “Ma davvero? “ la ragazza annuì “Abbiamo avuto delle discussioni molto interessanti.” Clarke le sorrise, e per una volta si concesse di guardarla per davvero, di soffermarsi sulla piega delle labbra, il naso sottile, le lunghe ciglia che facevano apparire i suoi occhi ancora più grandi di quanto non fossero già. Se prima Clarke l’aveva trovata carina, in quel momento le sembrò bellissima. “Clarkeee” Si girò verso Aden, che la guardava spazientito “Cosa?” “E’ la terza volta che ti chiamo! Finn ti sta cercando. Lexa perché non balliamo insieme?”
 

Lexa la stava ancora fissando, ma sorrise al bambino “Certo Aden. Se a tua sorella va bene.” Clarke annuì, ancora leggermente confusa “Certo. E’ stato un piacere conoscerti Lexa.”  “Anche per me. Ancora congratulazioni Clarke.” Quando pronunciò il suo nome Clarke sentì un brivido lungo la schiena, ma cercò di non darci peso. Come tutte le emozioni che il loro assurdo primo incontro le aveva suscitato, doveva essere colpa della stanchezza; si girò cercando Finn con lo sguardo, che l’aspettava nel bel mezzo della pista, per invitarla a ballare.
 
 
 

Al terzo ballo da discoteca con Aden, Lexa cominciava a sentirsi stanca. Era in piedi da tutto il giorno ormai e quel matrimonio era riuscito a spossarla sia fisicamente sia mentalmente; voleva solo tornare a casa, infilarsi sotto le coperte e dormire fino al giorno dopo. E doveva chiamare Anya, almeno per assicurarsi che non fosse morta nell’incendio che aveva causato nel suo negozio.
 

Si girò a guardare Clarke che volteggiava nel centro della pista con Finn, entrambi sorridenti e felici. Forse l’unico vero motivo per cui non le piacevano i matrimoni era perché servivano solo a ricordarle quello che lei non aveva più.
 

In quel momento sentì un famigliare e penetrante profumo maschile vicino a lei, e quando si girò, Bellamy era accanto a lei che la guardava sorridendo. “Forza Aden, perché non vai a giocare con i tuoi amici?” Il bambino sorrise a Lexa e corse via, mentre lei lo guardava allontanarsi con una punta d’invidia.
 

Improvvisamente la musica cambiò in una canzone dolce e lenta, con un tempismo che Lexa non riuscì ad attribuire al caso, e Bellamy le porse la mano “Questo ballo tocca a me credo.” Lexa si guardò intorno in cerca di una via di fuga, ma il ragazzo le aveva già appoggiato la mano sul fianco e la stava trascinando verso il centro della sala.
 

“Ci abbiniamo molto bene, vero?” Lexa ridacchiò, leggermente divertita dalla sfrontatezza senza eguali del ragazzo “Sì.” Voleva essere ironico, ma da come Bellamy la strinse ancora di più a sé Lexa capì che non aveva colto, oppure che non doveva essere abituato ad un rifiuto. In effetti non era un brutto ragazzo,  si ritrovò a pensare, se non avesse avuto quel carattere vanesio e infantile, sarebbe stato persino affascinante.
 

Ma nonostante questo Lexa non dubitava che avesse uno stuolo di donne pronte a cadere ai suoi piedi; allora perché insistere tanto su di lei? Nuova idea per la maglietta, pensò, “Mi sono occupata dei fiori e sono lesbica, non disturbare grazie.” Doveva assolutamente parlarne con Anya.
 

“Tutto bene?” Le chiese lui sussurrando “Mi stai stringendo un po’ troppo.” Lui allentò solo un pochino la presa, per guardarla negli occhi “Sai, ho perso la verginità con questa canzone.” Prima che Lexa riuscisse a trovare qualcosa da dire, la musica scemò fino a smettere mentre qualcuno cercava di parlare con un microfono.
 

Lexa approfittò della situazione e si scostò da Bellamy, osservando l’uomo che aveva accompagnato Clarke all’altare mentre cercava di far funzionare il microfono senza troppo successo. Dal nulla spuntò la madre di Clarke, che toccò il braccio a Bellamy “Bellamy per fortuna sei qui. Leva quel microfono a Marcus e fai tu un discorso come si deve, l’ultima volta la gente ha cominciato a dormire.”
 

Lexa capì che era il giusto momento per andarsene, ma decise di restare ancora un attimo per ascoltare i vari discorsi, lasciando la sala solo quando il microfono passò alla sposa, fermandosi solo per lanciarle un ultimo sguardo, cosa che la lasciò sorpresa. Non era solita guardarsi indietro.
 
 
 
 

Clarke sapeva quanto Finn odiasse parlare in pubblico. Mentre ascoltava distrattamente Bellamy fare il suo discorso da testimone, lanciando inviti non propriamente sottili a Raven che gli fecero guadagnare occhiate di fuoco dalla sorella, riusciva chiaramente a vedere come il colorito di suo marito si faceva sempre più pallido ogni secondo che passava. “Alcuni dicono che Finn ci abbia messo tanto a sposarsi per paura di dover fare un discorso. Bene, questo momento è giunto! E lui ci farà un discorso, vero?”
 

Bellamy passò il microfono a Finn mentre la folla intorno a loro applaudiva entusiasta, e Clarke gli strinse la mano per incoraggiarlo.  Lui si alzò, lo sguardo che vagava nervoso per la sala, senza dire una parola. “Conosco qualcosa che aiuta!” gridò Raven, ormai ubriaca “Immaginateli tutti nudi.”
 

Tutti quanti risero, ma lo sguardo di Finn era sempre più terrorizzato. Incapace di guardarlo rimanere lì in piedi da solo, così vulnerabile, Clarke si alzò accanto a lui, senza lasciare la sua mano.
 

“Salve a tutti. Io sono Finn e benvenuti alle mie nozze.” Disse senza esitazione, e tutti quanti scoppiarono a ridere, e Clarke fu sollevata nel sentire che accanto a lei anche Finn sorrideva “Sono felice che siate tutti qui perché voglio dirvi quanto è grande il mio amore per Clarke.” Si fermò un attimo guardando Finn negli occhi “E che straordinaria, meravigliosa, unica e fantastica persona lei sia.”
 

Finn le lasciò la mano e fece per sedersi, ma lei lo bloccò “Vuoi continuare tu?” Lui scosse la testa facendole un gran sorriso, e Clarke si accorse di quanto dovesse essere stanco; anche lei si sentiva incredibilmente stanca “Stai andando benissimo, principessa.”
 

Lei si voltò di nuovo verso la folla e sorrise “Okay, sono Clarke adesso. E’ tutta la vita che attendo questo giorno, e sono felice di condividerlo con molte persone che amo, e con alcune che non so chi siano, ma sono sicura che anche loro sono fantastiche.” Il suo sguardo vagò per la sala per un momento a quelle parole, alla ricerca di occhi verdi e magnetici che non riusciva a togliersi dalla mente, ma non trovando nessuno, riprese il discorso, non senza una punta di delusione che cercò di scacciare dalla mente.
 

“Mi sembra di conoscere Finn da sempre, e lo conoscerò per il resto della mia vita.” Finn le prese la mano e la baciò, guardandola con quella dolcezza che le faceva sempre stringere il cuore. “Lui è il mio migliore amico. Dicono che le favole abbiano un lieto fine, anche se il tragitto può essere accidentato, ma io e Finn siamo stati amici, e poi amanti, ed è andata liscia dal principio alla fine. Forse questa è una favola più bella delle altre. Quindi niente brindisi, non lo faremo, ma se ci auguraste buona fortuna io e Finn lo apprezzeremmo moltissimo.” Tutti si alzarono a battere le mani, e Finn le diede un leggero bacio sulla fronte.
 

Il grande giorno era finito.
 
 
 
 

“Anya, per favore, dimmi che la musica che sto sentendo non viene dal mio negozio.” Lexa strinse il telefono nella mano sinistra mentre cercava la chiave per aprire la porta del suo appartamento. Dall’altro capo del telefono, la voce dell’amica le arrivava distorta e confusa dalla musica “Be, non proprio il tuo negozio… le casse sono fuori.”
 
 
Lexa contò mentalmente fino a dieci prima di rispondere “Hai organizzato un rave party nel mio negozio Anya?” Anya scoppiò a ridere “Un rave? Tesoro quelle cose andavano di moda anni fa, ci sono solo un paio di amici intimi.” “Un paio?” “Forse sono più una trentina. Ma ti giuro che non stanno toccando niente. E non è andato a fuoco nulla… a parte un mazzo di papaveri che qualcuno ha provato a fumare ma te lo ripago io, promesso.”
 

Lexa sospirò mentre entrava in casa, dando una carezza veloce al grosso gatto rosso che si era avvicinato a salutarla “Anya, è tardi, per favore…” “Ma vedi mi avevi chiesto di badare al negozio, ed io avevo una festa a casa di amici, quindi mi sono detta, perché non spostare qui la festa? Così avrei comunque…”
 

Lexa chiuse la conversazione con un gesto irritato, appoggiando il telefono sul comodino, la sua amica era impossibile. Gustus miagolò sonoramente, invocando la sua cena, e la ragazza lo guardò esasperata “Adesso ti ci metti anche tu?” Il gatto le rispose con un miagolio ancora più forte, e Lexa si arrese senza troppe storie, per poi prepararsi per la notte.
 

Il giorno dopo doveva organizzare un battesimo e non avrebbe avuto tempo nemmeno per respirare, ma almeno in quel momento tutto era tranquillo, e lei poteva finalmente stendersi a letto e spegnere completamente il cervello.
 

Spense la luce e lasciò scivolare pigramente la mano sul pelo del gatto acciambellato accanto a lei, sperando che il sonno la prendesse presto. Non aveva messo in conto due paia di occhi azzurri come il cielo, che continuarono a tornarle in mente finché, a notte inoltrata, riuscì a prendere sonno.
 
 
 

Dall’altra parte di Londra Clarke ascoltava i respiri regolari e leggeri di quello che dal quel giorno era ufficialmente suo marito, troppo stanca perfino per dormire, troppo stanca per riuscire a fare altro che sfiorare le fede con la punta delle dita, là dove una ragazza sconosciuta che le sembrava di conoscere da sempre l’aveva sfiorata.
 
 
 
 


Lexa stava sistemando alcuni dei fiori fuori dal negozio quando un uomo sulla quarantina entrò trafelato, guardandosi attorno con aria nervosa.
 

Si salutarono con un salve, mentre l’uomo, incapace di stare fermo, continuava ad andare su e giù per il negozio “Ho bisogno di aiuto. Mi serve un fiore, solo uno, uno bello, il migliore.” Lexa lo ascoltava distrattamente mentre continuava a trasportare i fiori fuori dalla porta d’ingresso “Va bene.”
 

“E’ la mia ultima chance. Il fiore della mia ultima chance.” A quelle parole Lexa si fermò, guardandolo negli occhi “L’ultima chance?” L’uomo annuì “Sì, ho fatto un casino enorme. Solo il fiore giusto può salvarmi. Che ne dice di una rosa rossa? Che cosa significa?”

“Amore.”

“Amore, forte, funziona…”

“E fedeltà.”

L’uomo si girò di scatto “Come non detto allora.” E Lexa provò l’improvviso impulso di sbatterlo fuori dal negozio, ma si limitò a scuotere la testa “No, niente rose, sono troppo banali. Se è davvero l’ultima occasione devo trovarle qualcosa di spettacolare.”
 

Andò dietro al bancone, cercando l’elenco dei fiori che teneva in negozio. Lo sapeva a memoria, ma voleva essere sicura di non perderne nemmeno uno; se c’era una cosa di cui Lexa andava fiera era la precisione nel suo lavoro.
 

Quando sentì bussare alla porta quindi non si girò nemmeno, troppo presa a leggere le carte che aveva in mano “Un attimo e sono subito da lei.”
 

“Tranquilla.”
 

Erano passate tre settimane, eppure Lexa capì subito chi era appena entrato nel suo negozio. Si girò di scatto, i fogli ancora in mano, ritrovandosi faccia a faccia con Clarke. “Sei tu” disse, per poi rendersi conto di quanto fosse suonata patetica “.. ciao.”
 

Ma Clarke sembrava ricordarsi quello che si erano dette, e le sorrise “Sei tu… avevo paura di non trovare il negozio. E’ davvero splendido; non sapevo vendessi anche candele.” Lexa sorrise, guardando distrattamente lo scaffale pieno di candele profumate “Ti ringrazio. Le candele… sono un po’ la mia passione.” Clarke annuì, e Lexa maledisse il suo cervello che sembrava essere andato completamente in tilt davanti alla ragazza “Come stai?” riuscì a dire, mentre non riusciva a tenere le mani ferme, cercando un posto in cui mettere le carte.
 

“Bene, grazie.” Clarke sembrava a disagio quanto lei mentre si fissavano in silenzio, ma nonostante il nervosismo, Lexa capì che avrebbe potuto passare ore intere a guardare come il sole si rifletteva nei suoi capelli dorati. “Io stavo…”
 

“Andiamo a vedere fuori.” L’uomo uscì di corsa passando accanto a Clarke, e Lexa si ricordò solo in quel momento della sua presenza nel negozio. Si era completamente dimenticata di lui. Clarke abbassò lo sguardo, imbarazzata, ma le sorrise, e lei non riuscì a non sorridere a sua volta.
 

“Ero venuta per ringraziarti” le disse Clarke guardandola di nuovo, e lei annuì “E’ stato un vero piacere.” La guardò ancora per qualche secondo, gli occhi fissi su quelli di lei, e quasi non notò l’uomo che fuori stava toccando tutti i vasi di fiori che lei aveva appena riordinato “Scusami io dovrei…” “Si certo, non preoccuparti.” “Ci vorrà un attimo.”
 

Prima che Lexa potesse uscire, l’uomo fece capolino dalla porta, guardando Clarke “Qual è il tuo fiore preferito?” I gigli, pensò Lexa. “Non saprei… penso siano i gigli.” Lexa sorrise, l’aveva capito non appena aveva sentito il suo profumo, ma l’uomo non ne sembrava entusiasta “No, quelli no.”
 

Guardandolo agitarsi in giro per il negozio Lexa si chiese se solo a lei capitassero tutti clienti di quel genere, assolutamente fuori di testa. Ma il cliente ha sempre ragione, no? Anche quando avresti voglia di buttarlo giù da un palazzo alto mille metri.
 

“Che ne dice di questo?” Gli fece vedere un fiore giallo e sottile, dall’aspetto prezioso e delicato, uno dei suoi preferiti “L’uccello del Paradiso.” L’uomo sembrava interessato “Illustrami.” “Il vero nome è Strelitzia Reginae, da Charlotte von Strelitz, consorte di re Giorgio III.” Lexa guardò Clarke, che la osservava con ammirazione, e si sentì inspiegabilmente piena di euforia “Ebbero quindici figli, non passarono neanche un’ora separati e…” “Okay, smetti di parlare.” L’uomo uscì di nuovo, e questa volta sperò Lexa, per sempre.
 

“Vuoi venire a cena?” Lexa si girò di scatto, fissando Clarke negli occhi, sorpresa “Scusa?”
 

Clarke si morse il labbro, imbarazzata “A cena. Da noi. A casa mia.” Lexa aprì un attimo le labbra, mentre nel suo cervello sembrava essersi acceso un grosso segnale antipanico che risuonava in ogni cellula del suo corpo. Non doveva accettare. Non era una buona idea. Non doveva assolutamente… “Con piacere.”
 

Il volto di Clarke s’illuminò con uno splendido sorriso, e Lexa non riuscì davvero a pentirsi della sua risposta. “Questo venerdì?” Lexa annuì “Sì, venerdì, perché no?” “Allora ti scrivo l’indirizzo.” Clarke prese un pezzo di carta dalla scrivania, quelle che sembravano essere le istruzioni che Lexa aveva scritto per Anya, ma questa volta non si preoccupò nemmeno.
 

“Ecco, perfetto.” L’uomo rientrò nel negozio, e Lexa lo fissò stupita, convinta che se ne fosse andato. In mano, aveva una delle piccole piante grasse che aveva appena messo fuori, un piccolo cactus. “Questo qui ci vuole. Ecco il fiore della mia ultima chance. Fammi gli auguri.” Le diede i soldi e senza aspettare il resto corse via, mentre Lexa lo guardava allibita.
 

“Auguri.” Disse piano, ma mentre si girava a guardare negli occhi Clarke che le porgeva il biglietto con il suo indirizzo, si ritrovò a pensare che quell’uomo e il suo cactus non fossero la cosa più assurda che le era successa quel giorno.  






Note: Ciao a tutti! Volevo ringraziarvi per tutte le recensioni e le risposte positive che mi sono arrivate, sono stata davvero contenta! Spero che questo secondo capitolo vi sia piaciuto, e che siate pronti per la grande cena che ci sarà nel prossimo (dove c'è uno dei miei dialoghi preferiti di tutto il film). Ho deciso di cambiare le prime battute che Clarke e Lexa si rivolgono perché, anche se in inglese, "you are the one" è stata la prima cosa che si sono dette nel telefilm e l'ho sempre trovata molto romantica (e ho messo le candele, perché quelle ci stanno sempre!). Fatemi sapere come sempre cosa ne pensate, grazie e alla prossima!

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Capitolo 3
*** La Cena ***


“Uccidi con lo sguardo, occhi iniettati di sangue. Lo farei io, ma tu sei più spaventosa.”

 
Clarke si fermò per un secondo, confusa dalle parole del marito, per poi ricordarsi dove si trovavano. L’asta. Giusto, doveva concentrarsi. “Non è vero” rispose guardandosi attorno, la mente che ricominciava a vagare senza riuscire a fermarla.
 

Il giorno prima era andata a correre nel parco prima di cena, cercando di distrarsi, ma nemmeno quello era riuscito a distogliere il suo pensiero dalla cena di venerdì. La sua mente era piena di dubbi.
 

Aveva fatto bene a invitare Lexa? Sarebbe stato strano averla a cena con loro? Ma soprattutto, perché l’aveva fatto? Certo, Lexa sembrava simpatica; molto più che simpatica, ma non si invitato a cena perfetti sconosciuti solo perché hanno fatto i fioristi al tuo matrimonio, o no?
 

Mentre la sua mente viaggiava veloce come un treno, sentiva che Finn accanto a lei continuava a parlare del divano che avrebbero dovuto comprare quel giorno. L’aveva fatto ancora, si era distratta di nuovo, e la cosa cominciava a darle sui nervi.
 

“Ho invitato una persona a cena.” Finn si fermò di colpo, guardandola con curiosità, e Clarke capì che avrebbe dovuto parlargliene subito. Chi meglio di lui poteva aiutarla a mettere ordine nei suoi pensieri?
 

“La fiorista, Lexa, Lexy, quello che è.” Clarke sapeva benissimo il suo nome, tanto da ripeterlo nella sua mente ancora e ancora mentre pensava a quanto dovesse esserle sembrata sciocca quel giorno nel suo negozio di fiori, mentre le chiedeva di andare a casa sua. Che fosse un diminutivo di Alexandria? O un nome fatto e finito, dal tono così incisivo come la personalità di chi lo possedeva?
 

“Bene, cucino io!” Finn sorrise, e a Clarke questo diede fastidio, senza sapere bene il perché. Come poteva essere così tranquillo al riguardo? Liquidare una cosa del genere come una questione di poca importanza? E soprattutto, perché lei se la stava prendendo tanto?
 

Scosse la testa, cercando di liberarsi da tutti quei pensieri mentre qualcuno nel sottofondo della sua mente annunciava che era giunto il momento del loro lotto, il divano che Finn tanto voleva. Lo sguardo del marito si fece più acceso mentre si avvicinavano all’oggetto, e Clarke, decisamente più interessata al soggetto cena che a quel divano che non le piaceva nemmeno tanto, tornò all’attacco.
 

“L’ho invitata perché… ti dico il mio piano.” Finn le lanciò un’occhiata distratta mentre teneva gli occhi fissi sul banditore “Volevo fare venire anche Bellamy.” Finn alzò lo sguardo sul pubblico intorno a loro “Ottima idea, davvero. Ma sarebbe meglio non farlo. Arriva tardi, la psicoanalizza per tutta la sera Non ancora” L’attenzione del marito ritornò all’asta, e Clarke si sentì leggermente offesa.
 

“Io invece li trovo perfetti. Tu non li trovi perfetti?” Era una bugia, Clarke riusciva a rendersene conto da sola. Voleva molto bene a Bellamy, ma in quanto a donne era un vero coglione, e Lexa non sembrava il tipo da una notte e via. Per un attimo Clarke si domandò che tipo sembrasse Lexa, con i suoi occhi dolci che aveva visto diventare di ghiaccio all’occorrenza, e le sue mani calde che sembravano fatte per essere strette, sia durante una passeggiata romantica sia nel mezzo di un’appassionata notte d’amore.
 

Clarke bloccò il pensiero sul nascere, ma non riuscì a non provare un brivido al solo pensiero. Un brivido che si trasformò in una sensazione d’irritazione pura quando nella sua mente passò l’immagine di Lexa e Bellamy a letto insieme, ma riuscì a tenere chiuso in un angolo della sua mente anche questo pensiero.
 

Qualcosa nella sua mente le diceva che era una buona idea. Avrebbero potuto fare delle uscite a quattro, lei e Finn e Lexa e Bellamy, e lei e Lexa sarebbero diventate amiche. Era un piano geniale.
 

“Io penso siano perfetti insieme.” Ripeté di nuovo, più per se stessa che per Finn, che era troppo concentrato sul divano per prestarle attenzione. “Bè, lui dice che si erano trovati bene al matrimonio.” Finn seguì con lo sguardo la mano del banditore, diretta verso un altro possibile acquirente.
 

“Allora è perfetto!” Clarke sorrise, contenta di aver convinto Finn. Ma era come se non riuscisse a smettere di pensare a lei, di parlare di lei, anche in quel momento così assurdo. “E’ strano. Sono andata al suo negozio per ringraziarla dei fiori e…” Finn alzò o sguardo, mentre l’uomo davanti a loro avvicinava sempre più l’offerta alle duecento sterline che loro due avevano pattuito come limite massimo “Non ancora… “, Clarke dal canto suo non lo stava nemmeno ascoltando “Hai presente quando hai appena conosciuto qualcuno e senti che farete subito amicizia?”
 

“Centoottanta…”
 

“Pressappoco…” Finn si alzò leggermente dal divano, pronto a scattare.
 

“Chissà perché…” Clarke aveva lo sguardo perso, immersa nel ricordo dello sguardo che si erano lanciate mentre lei stava percorrendo la navata della chiesa. Era stato un attimo, eppure“… vite precedenti, fisionomia, ma per qualche ragione senti che ti scatta un click.”
 

Era difficile descriverlo, probabilmente perché persino per Clarke era una cosa nuova. Aveva stretto molte sincere amicizie nel corso degli anni, eppure nulla era mai accaduto così in fretta. A prima vista Raven le era sembrata una ragazza volgare con qualche rotella fuori posto, e Octavia una bambina viziata, e solo dopo averle conosciute meglio era riuscita a vedere quanto fossero in sintonia.
 

Con Finn non era stato diverso. C’era voluto molto tempo a Clarke, diffidente di natura, per lasciarsi andare completamente nel rapporto con il ragazzo, prima come amica e poi come qualcosa di più. Era stato lui a dichiararsi, e prima di quel momento Clarke non aveva mai pensato a lui in quei termini.
 

Ma quello che era successo con Lexa era completamente diverso. Era come se ogni fibra del suo corpo le stesse dicendo che sì, loro due era fatte per essere amiche. Clarke non credeva alla reincarnazione, non era mai stata una persona spirituale, eppure in quel momento non riusciva a dare altra spiegazione alle emozioni che aveva in testa e
 

“Amore, l’abbiamo perso.”
 

Per Clarke fu come svegliarsi da un sogno. Finn dovette vedere la sua espressione confusa “Il divano…”
 

“Cosa?” Aveva combinato un disastro. Si era distratta di nuovo pensando a Lexa e aveva lasciato in mano tutto a Finn, che era terribile in quelle cose. L’espressione contrariata del ragazzo la fece sentire in colpa come non le succedeva da tempo “E’ andato oltre il limite, non possiamo più permettercelo…”
 

“Quattrocento!” Clarke si alzò in piedi, gridando e mostrando il cartellino con il loro numero ben in evidenza. Tutti quanti intorno a loro si girarono a guardarli e Finn annuì al banditore, mentre Clarke gli sorrideva raggiante.
 

Avevano il divano, Lexa sarebbe venuta a cena da loro e tutto sarebbe andato per il meglio. Era tutto perfetto.
 
 
 
 

Lexa aprì la vecchia porta a fatica, cercando di non rovinare il mazzo di fiori che teneva in mano e allo stesso tempo di non ficcarsi nessun rametto nei capelli. Erano già abbastanza caotici di loro, con quei ricci selvaggi che andavano dove volevano, senza aggiungerci la flora selvatica di cui si occupava tutti i giorni a lavoro.
 

Era sempre stata una bambina solitaria, e spesso amava passare ore intere nel bosco vicino casa, immersa nel verde della natura e nel profumo dei fiori. Era stata la sua prima grande passione, e anche se avere un negozio di fiori non era stata la sua unica aspirazione nella vita, era quella che le era rimasta dentro più di tutte.
 

Entrò nel salotto sovrappensiero, come spesso le capitava di essere in quei giorni, e per poco non lasciò cadere il voluminoso mazzo di fiori che teneva in mano quando vide le due persone sedute sul divano. “Indra! Anya! Che spavento.”
 

“Come siamo suscettibili oggi…” Anya la salutò con una smorfia a cui Lexa non rispose, avvicinandosi a lasciare un leggero bacio sulla guancia dell’altra donna, che la guardava con un sorriso. “Ti ho portato alcuni Iris, so che ti piacciono.”
 

“Grazie Lexa. Mettili pure sul bancone della cucina e vieni a bere un tè qui con noi. Tua sorella come al solito si è autoinvitata senza portare niente.” Anya sorrise imitando il tono che Lexa aveva usato poco prima “Ti ho portato la mia simpatia, so che ti piace.”
 

Indra alzò gli occhi al cielo mentre guardava Lexa sedersi nella poltrona accanto a lei con un sospiro. La ragazza aspettò che le due ricominciassero la discussione che aveva interrotto, ma quando nessuna delle due sembrò voler dire nulla, prese una tazza di tè tra le mani e le guardò entrambe negli occhi.
 

“Allora di cosa si stava parlando questa volta? Del fatto che non ho amici? O che non ho una relazione da più di due anni? O avete trovato qualcos’altro che non va nella mia vita?”
 

“Lexa…” Indra allungò una mano per toccarle delicatamente il ginocchio “Lo sai che ci preoccupiamo perché ti vogliamo bene.” “E perché da quando non vai a letto con qualcuno sei diventata ancora più insopportabile di prima.”
 

Indra lanciò un’occhiata di fuoco all’altra ragazza “Anya, tu invece lo sei sempre indipendentemente dal numero di persone che ti porti a letto.” Lexa sorrise nel vedere Anya finalmente zitta.
 

“Lo sappiamo che per te non è stato facile dopo… bè, lo sai. E noi ti siamo sempre rimaste accanto. Ma non puoi rinchiuderti in te stessa così. Sei giovane, ci sono ancora tante cose che puoi fare e…”
 

Lexa smise di ascoltare la madre adottiva, sentendosi messa all’angolo come ogni volta che riportavano a galla quel discorso. Era vero, loro erano sempre rimaste al suo fianco nei suoi momenti peggiori, quando il dolore era così forte che Lexa non riusciva nemmeno ad alzarsi dal letto, schiacciata dal peso di una perdita che l’aveva lasciata sola e disperata.

 
Ma poi il tempo era passato, e quando Lexa aveva ripreso a comportarsi come una persona normale, quando aveva imparato a chiudere il suo dolore in un angolo della sua mente e a conviverci, si erano aspettate da lei quello che lei non poteva fare: andare avanti.

 
Dal giorno dell’incidente nulla nella sua vita aveva più avuto un senso. Per questo aveva lasciato lo studio legale in cui era riuscita a farsi strada con sudore e fatica, aprendo un minuscolo negozio di fiori in un angolo dimenticato di Londra.

 
Per questo aveva lasciato la sua vecchia casa, aveva rotto i contatti con tutti i suoi vecchi amici e aveva deciso che da sola stava meglio, senza nessuno che potesse farla sentire ancora così.

 
E non è che le fosse pesato più di tanto, o almeno non fino a quel momento. Non da quando aveva visto Clarke. Da tempo non le capitava di voler conoscere qualcuno come aveva desiderato farlo con lei, e la cosa la spaventava a morte. Eppure non era riuscita a dire  di no, non voleva farlo.
 

“Esco stasera.” Disse a un tratto, lasciando ammutolite sia la sorella sia la madre adottiva. Anya si sporse verso di lei con gli occhi sgranati “Hai un appuntamento?”
 

Indra le sorrise con tanta gioia che Lexa si sentì male; quanto aveva fatto preoccupare Indra con il suo atteggiamento? “Non è un vero e proprio appuntamento. Lei è sposata.” Le uscì prima di rendersi conto di quello che aveva detto; per poco Anya non versò il tè sul tavolino davanti a loro “Hai una tresca con una donna sposata?”
 

Lexa arrossì al solo pensiero “No, ci sarà anche il marito.” Indra la guardò incredula e Anya scoppiò a ridere “E’ una cosa a tre allora! Lexa non ti facevo così sfacciata.” A suo malgrado anche Lexa cominciò a ridere “Smettetela, è solo una cena.”
 

“Cena con spettacolo!” “Anya, se non la smetti…” “Smettetela tutte e due!” Indra alzò la voce e loro due, come facevano quando erano bambine, si zittirono immediatamente “Sono davvero contenta Lexa. Appuntamento o no, vogliamo solo che tu sia felice.”
 

Lexa ripensò per un attimo al volto di Clarke, al colore dei suoi occhi, e sorrise.
 
 
 
 

“Clarke… vogliamo andare a pranzo?” Raven sbatté sonoramente i due pennelli che teneva in mano come bacchette da batteria sul tavolo “Sto morendo… Ti stiamo aspettando da mezz’ora.”
 

Erano nello studio di Clarke, immerso nel caos e nel disordine esattamente come piaceva a lei, i colori e i pennelli sparsi ovunque nel piccolo spazio che si classificava tranquillamente tra i posti preferiti al mondo.
 

Nonostante le proteste della madre, quando Clarke era riuscita ad ottenere un posto come insegnante in una delle tante accademie d’arte della città si era sentita al settimo cielo. Era stato un onore per lei, ancora giovane e inesperta poter lavorare accanto a importanti esperti dell’ambiente, poter insegnare agli studenti, anche se si trattava ancora dei più giovani del corso base.
 

Il tempo che non spendeva a insegnare lo passava nel suo piccolo studio a comporre paesaggi, modificare spunti che aveva annotato nel suo taccuino, persone, oggetti o qualsiasi cosa attirasse la sua attenzione. Era il suo spazio personale, il suo piccolo rifugio.
 

“Terra chiama Clarke, terra chiama Clarke.” Clarke sobbalzò e per poco non rischiò di bucare la tela che aveva davanti quando Octavia le parlò “Raven ha ragione, la nostra pausa pranzo non dura per sempre.” “Ancora un secondo, voglio finire qui.” Clarke riprese il pennello saldamente tra le mani, tornando alla composizione della sua tela.
 

“Clarky, sono venti minuti che non aggiungi una singola punta di colore a quegli alberi. Non può essere così complicato. E’ solo verde.”
 

Clarke allora si girò a guardarla, leggermente risentita “Solo perché non si tratta d’ingegneria meccanica non vuol dire che non sia difficile Raven. Non è solo verde, deve essere il giusto verde. Più intenso, più scuro… ma allo stesso tempo dolce, deve essere qualcosa che ti fa venire voglia di immergerti in esso.”
 

Octavia inarcò leggermente il sopracciglio “Stiamo ancora parlando di un colore?” Raven la guardò con un sorriso complice “Secondo me Clarke sta pensando alle magie del sesso matrimoniale che non vuole svelarmi.”
 

Clarke arrossì leggermente, tornando a fissare la tela “Stronze. Cinque minuti e possiamo andare, devo solo pulire i pennelli.” La ragazza raccolse tutto con calma, sentendo però sempre dentro di lei quel leggero prurito tipico dell’insoddisfazione. Non aveva mai avuto grandi problemi nel trovare il colore adatto ai suoi paesaggi, eppure era da qualche giorno che non riusciva a fare pace con quel quadro; nessun verde sembrava andarle bene, nessun verde sembrava abbastanza, e la cosa la stava facendo diventare pazza.
 

Cercò di pensare ad altro, e mentre si asciugava le mani distrattamente guardò le amiche con un sorriso “Stasera avete voglia di venire a cena da noi? Ho invitato Lexa e Bellamy.” Octavia la fissò confusa per un secondo “Lexa? Chi è?”
 

“La ragazza che si è occupata dei fiori al mio matrimonio. Lei e Bellamy sembrano andare molto d’accordo.” “Be sappiamo che a Bellamy basta poco.” Octavia rise guardando Raven, che le lanciò un pennello in testa senza esitazione “Ehi! Queste cose costano.” Clarke lo raccolse da terra, rigirandoselo tra le mani “Non è quello, Lexa è davvero interessante. E’ molto carina, simpatica, con dei modi davvero gentili… Ed è molto intelligente, l’ho sentita parlare di fiori ed era come guardare un documentario.”
 

“Sembra che questa Lexa vada più d’accordo con te che con Bellamy.” Octavia rise “Mio fratello non è esattamente interessato all’intelligenza.” Nascondendosi dietro la mano, agitò il dito in direzione di Raven, e Clarke scoppiò a ridere.
 

“Ti ho visto Octavia Blake, non credere di ingannarmi. La prossima volta che la tua macchina ha problemi non venire da me strisciando.”
 

“Vedremo.” Clarke non si sentiva davvero a suo agio a parlare di quello che lei provava per Lexa. Che era solo puro amichevole interesse, nulla di più.  “Comunque, volete venire?”
 

Octavia strinse le labbra “Scusami Clarke, stasera ho un appuntamento con il ragazzo del matrimonio… te lo ricordi, Lincoln?” Clarke sorrise “Certo! Il collega di Finn. Mi ha detto che è davvero un bravo ragazzo, sono felice se le cose tra voi stanno funzionando. Potresti portare anche lui alla cena.”
 

“Non so se è ancora pronto a conoscere Bellamy. Sai quanto sa essere protettivo mio fratello.” Raven si avvicinò, aggiustandosi i capelli con aria distratta “Passo anch’io. Non ho per nulla voglia di sorbirmi Bellamy che corteggia una tipa per tutta la sera. Faremo un'altra volta!”
 

Clarke sorrise, cercando di ignorare la fitta che sentiva allo stomaco al pensiero di Bellamy che usava le sue alquanto discutibili tecniche di seduzione con Lexa.
 

Rinunciare a finire il dipinto le costò più di quanto non volesse dare a vedere, e per tutto il resto della giornata continuò a pensare a quel verde, a cercare di capire cosa
potesse mancare nella sua composizione.
 

Solo quella sera, trovandosi davanti agli occhi splendenti di Lexa riuscì a capirlo; non avrebbe mai potuto riprodurre qualcosa di così bello.
 
 
 
 

Lexa era nervosa. Anche più che nervosa. C’era qualcosa di sbagliato nell’essere così nervosa per una normale cena tra conoscenti, ne era sicura. Aveva speso più del tempo necessario per decidere cosa indossare, cambiandosi almeno cinque volte davanti ad una divertita Anya che non la smetteva di ridere.
 

Accettare questo invito era stato un errore, l’aveva capito dal primo momento. Eppure… Avrebbe davvero potuto dire di no a Clarke? Lexa temeva di conoscere questa risposta fin troppo bene.
 

Se la scelta dell’abito era stata difficile, ancora di più lo era stata quella dei fiori. Aveva scelto i gigli più belli, con sfumature rossastre che facevano risaltare il bianco perlaceo a centro come se si trattasse di una gemma preziosa. Aveva messo la massima cura nel organizzarli, nel tenerli insieme con un nastro che non fosse né troppo scialbo né troppo appariscente.
 

Aveva anche pensato di scrivere un biglietto, in verità ne aveva anche scarabocchiati un paio, ma poi aveva rinunciato, incapace di trovare qualcosa di adatto per una situazione del genere.
 

Quindi ora era lì, davanti alla porta di casa di due perfetti sconosciuti, con un mazzo di gigli forse troppo grande e i nervi a fior di pelle. Con riluttanza suonò alla porta, pensando che ormai era troppo tardi per tirarsi indietro.
 

Fu Finn ad aprirle, con un sorriso raggiante che riuscì persino a metterla a suo agio “Hey, entra pure. Sei splendida!” Lexa gli sorrise e si fece strada nel corridoio d’ingresso, cercando di non guardarsi intorno troppo sfacciatamente alla ricerca di Clarke.
 

Finn le guardò i fiori che teneva in mano, come se stesse cercando di capire che cosa farne, e la stretta di Lexa su di essi aumentò leggermente. Non aveva speso tutto quel tempo per darli a lui. Ma si diede della sciocca immediatamente; anche Clarke li avrebbe visti, prima o poi.
 

“Guarda cosa ho portato” disse porgendogli i fiori, che Finn prese tra le mani immediatamente, come se non stesse aspettando altro “Sono magnifici, Clarke ne andrà matta.” Ma Lexa questo già lo sapeva.
 

“Tesoro…” Finn si girò verso il salotto, e sorrise quando vide Clarke avvicinarsi a loro, i capelli ancora leggermente bagnati dalla doccia e un sorriso leggero in viso. Per un momento, Lexa pensò che il cuore le si fosse fermato in petto. Com’era possibile essere così belle?
 

Clarke si avvicinò a lei e Lexa per un attimo ebbe paura che la volesse salutare con un abbraccio; non era certa di riuscire a sopravvivere a una cosa del genere, non in quel momento. Invece Clarke si fermò accanto a suo marito, abbracciandolo distrattamente mentre si voltava per guardarla finalmente negli occhi.
 

Forse fu solo un’impressione, ma a Lexa sembrò per un attimo che anche Clarke si fosse bloccata, guardandola negli occhi per più di quanto sarebbe raccomandabile fare con una persona che conosci appena.
 

“Ciao.”
 

 Lexa si chiese se esistesse al mondo qualcosa di più dolce del sorriso di Clarke.
 

“Ciao.”
 

Per un attimo, ci furono solo loro due nella stanza, gli sguardi incatenati l’uno all’altro da una forza che Lexa non riusciva a comprendere. Ma fu solo un attimo, poi Clarke si girò verso il salotto e le fece un cenno con la mano.
 

“Devi assolutamente provare il nuovo divano!” Finn sbuffò leggermente a quelle parole “Sapessi quando c’è costato.”  Lexa sorrise “Le comodità non hanno prezzo.”
 

Clarke la ringraziò con un sorriso “Vedi? Finalmente qualcuno che la pensa come me.” Questo sembrò ricordare qualcosa a Finn, perché si girò verso di lei “Lexa, tu credi nella reincarnazione? Perché Clarke pensa che voi due vi siate già conosciute.”
 

Lexa alzò lo sguardo su Clarke, allibita per un attimo che anche lei potesse aver provato quello che si sentiva dentro da giorni. La ragazza arrossì e strinse le labbra in una smorfia che a Lexa parve imbarazzata e infastidita allo stesso tempo, ma che trovò comunque adorabile.
 

“Non ho detto esattamente…”
 

“Bè, me lo ricorderei, credo.”
 

Lexa pronunciò le parole senza pensarci troppo, gli occhi ancora persi nel viso di Clarke. Si sentiva come euforica, ubriaca, anche se ancora non aveva toccato vino. Clarke le sorrise imbarazzata, e Finn si schiarì la gola, cercando di portare l’argomento altrove.
 

“Bene appendiamo questi fiori e mettiamo la tua giacca dentro un vaso.” Il ragazzo sorrise e Lexa pensò vagamente che Indra e Anya l’avrebbero adorato. Clarke si fece avanti, prendendo i fiori in mano con delicatezza “A questi ci penso io. Sono splendidi Lexa, grazie.” Lei scrollò le spalle, come a minimizzare il tutto, ma dentro di sé non riuscì a non provare un moto di orgoglio.
 

 
Si trovò presto immersa in un’accesa conversazione con Finn sul suo sogno di scrivere un libro di viaggi, o qualcosa del genere. Ma Lexa ascoltava solo in parte, la mente impegnata a pensare a quanto cose sbagliate aveva fatto in quei pochi minuti.
 

“Ma allora, dimmi di te… Sposata, mai sposata, ti sposerai mai?” Lexa lo guardò per un attimo, incerta su cosa dire. Domande così le facevano ancora male, nonostante il tempo passato, ma non le sembrava il caso di mettersi a raccontare delle sue tragedie in quel momento, non lì, con Clarke che poteva arrivare da un momento all’altro.

 
Così si limitò a distogliere lo sguardo per un momento “No, no, magari ora la legge ci aiuta.” Finn rimase in silenzio per un attimo “Che vuoi dire?” Lexa gli sorrise “Sono gay.”
 

Finn rise per qualche secondo prima di rendersi conto che Lexa non stava scherzando. Il suo imbarazzo fece presagire a Lexa la situazione che si sarebbe creata da lì a pochi istanti; quando il campanello suonò, capì immediatamente chi doveva esserci dietro la porta.
 

“Deve essere Bellamy.” Ecco, come voleva dimostrare. “Oh, c’è anche Bellamy.” Non riuscì a trattenere una lieve nota di fastidio nella voce. “Eh sì.” Finn sembrava più sconvolto di lei, e quella fu la sua unica, piccola consolazione.
 

 
 
Era facile perdere il conto dei minuti che passavano mentre cercavi di non fissare troppo qualcuno, o almeno così sembrava a Lexa.
 

Forse era la compagnia non proprio gradita di Bellamy, o la cena abbastanza disgustosa che Finn aveva preparato, ma Lexa non riusciva a staccare gli occhi da Clarke. E, con sua sorpresa, anche Clarke sembrava osservarla ogni volta che lei distoglieva lo sguardo, per poi arrossire leggermente quando i loro occhi s’incontravano per sbaglio.
 

“Finn, lo trovo assolutamente rivoltate.” Bellamy indicò il piatto che aveva sotto di sé e per una volta Lexa non poté che essere d’accordo con lui. Finn non sembrò particolarmente offeso “Tu dici?”
 

Clarke rise guardando il marito “Ha ragione, è disgustoso.” Lexa cercò di non ridere troppo, ma era evidente che il futuro di Finn non fosse l’alta cucina; si chiese distrattamente se Clarke fosse più brava di lui ai fornelli.
 

“Parliamo di cose importanti.” Bellamy appoggiò le mani sul tavolo e guardò prima Clarke poi Finn “Sono passate tre settimane. Diciamolo, quanto è meglio il sesso dopo sposati?” Lexa per poco non si soffocò con il vino, ma cercò di farlo in silenzio, senza darlo troppo a vedere.
 

“Ti prego, mi sembra di sentire Raven…” Clarke rise prendendo un sorso di vino, cercando di evitare lo sguardo di Lexa, ma Bellamy continuò imperterrito.
 

“Perché mi è successo di fare sesso con donne appena sposate e mi hanno asserito che era fantastico. Clarke?” “Ti dirò la stessa cosa che ho detto a Raven, sposati e scoprilo da solo.”
 

Finn rise “Non può prendersi l’impegno, massimo due o tre anni della sua vita.” Bellamy lo guardò fingendosi offeso “Io non sono una persona qualunque.” Lexa alzò gli occhi al cielo. “Non esiste la tua metà?”
 

Clarke si sporse verso di lei mentre teneva lo sguardo fisso su Bellamy “Che ne so, qui?”
 

Secondo rischio di morte per soffocamento della serata, andiamo bene, pensò Lexa.
 

“Andiamo Clarke…” Finn cercò di intercettare lo sguardo della moglie e Lexa si chiese come mai non le avesse già comunicato la sua scoperta. Clarke sembrò non captare il messaggio del marito, perché continuò imperterrita “Perché no? Ci sono donne interessanti qui!” Sì che ci sono, pensò Lexa guardandola.
 

“Sì che ci sono.” Disse Bellamy girandosi nella sua direzione con un sorriso sfrontato che metteva in evidenza i suoi zigomi marcati da modello “E cerco di portarmene a letto più che posso.” “E non sbagli un colpo, vero?” Finn sembrava divertirsi un mondo.
 

“Le margheritine adorano essere impollinate da me.” Bellamy le fece l’occhiolino e Lexa scoppiò a ridere, senza più riuscire a trattenersi. La situazione era così assurda da sembrarle quasi divertente. Quello, o aveva bevuto troppo vino.
 

“Cambia tutto se incontri quella giusta.” Clarke gli lanciò uno sguardo pensieroso “E come faccio a sapere che è lei?” rispose Bellamy con un sorriso canzonatorio.
 

“Non lo sai, non subito.” Clarke prese a giocare con il tovagliolo che aveva tra le mani, guardandolo mentre parlava con voce tranquilla “Ti senti solo… caldo e a tuo agio, e allora vai avanti e ci provi.” Si girò a guardare Finn “E a un tratto dici sì, eccolo qua. Deve essere amore.”
 

Finn le strinse la mano con un sorriso “Sono d’accordo.” “D’accordo anch’io.” Disse Bellamy sorridendo.
 

Lexa avrebbe tanto voluto riuscire a stare zitta in quel momento, ma fu più forte di lei; non era quello che si provava “Io non sono d’accordo. Credo che te ne accorgi subito.” Guardò Clarke per un attimo prima di distogliere lo sguardo “E’ sufficiente che i tuoi occhi…” pensò alla chiesa, al primo momento in cui si erano incontrati i loro sguardi “E quello che succede da lì in poi prova soltanto che avevi avuto ragione fin dal primo momento. Quando ti sei reso conto che da incompleto eri diventato un intero.”
 

Sentiva lo sguardo di Clarke su di se, forte come non mai, le labbra leggermente aperte per lo stupore, gli occhi azzurri nuvolosi di pensieri; desiderò non aver mai detto quella frase, che metteva in luce in modo così chiaro e lampante quello che lei aveva cercato di negare ogni singolo giorno se stessa da tre settimane.
 

Era successo a lei, anche quando non lo credeva più possibile, per quanto potesse essere assurdo.
 

“In realtà sono d’accordo con lei.”
 

“Anch’io.”
 

I due ragazzi le sorrisero e lei si scostò una ciocca di capelli dal volto, leggermente imbarazzata. Ora che qualcosa era scattato nella sua mente, non riusciva più a guardare Clarke come prima.
 

“No.” La voce di Clarke risuonò limpida e irritata nella stanza, e Lexa fu costretta a incrociare il suo sguardo di nuovo. Era così strano, temere e desiderare allo stesso mondo qualcosa di così semplice come uno scambio di sguardi.
 

“No?”
 

“No. Se credi questo, allora tutti quelli a cui non succede… In quel caso è tutto falso?”
 

“Non ho detto questo.” Lexa si sorprese di doversi mettere sulla difensiva; le capitava molto di rado di doverlo fare.
 

“E’ all’incirca quello che hai detto.”
 

Bellamy si schiarì la gola, sorpreso dalla foga di Clarke quanto Lexa “Ha detto una cosa più carina.”
 

“Zuppa inglese?” Disse Finn dalla cucina, interrompendo la discussione, e Lexa ne fu terribilmente felice.
 
 
 
 

Clarke sentì distrattamente Bellamy e Finn parlare in cucina di qualcuno che cambiava squadra mentre saliva a passo leggero le scale che portavano sul tetto. Aveva visto Lexa salirci poco prima, e nonostante avesse evitato il pensiero con tutte le sue forze, alla fine aveva deciso che unirsi a lei non era poi una brutta idea.
 

La trovò seduta sul ciglio del tetto, lo sguardo perso nella notte, i capelli castani mossi dal vento che le incorniciavano il viso pallido. Clarke cercò di imprimersi quel momento nella mente, desiderando di poter avere con sé il suo taccuino per poterlo disegnare, un’immagine troppo perfetta per lasciarsela sfuggire. Faceva freddo, ma non le importava; sarebbe potuta rimanere lì a guardarla per sempre.
 

“Che cosa stai facendo?” Lexa si girò a guardarla con un sorriso splendido che le illuminò il volto “E’ stupendo qui.” Clarke non riuscì a non sorridere a sua volta “Ma piove.”
 

Lexa guardò il cielo scuro ancora per un attimo prima di scivolare leggermente di nuovo sul terrazzo, camminando senza troppa fretta verso di lei; sembrava incurante della pioggia e del vento, semplicemente felice in quel momento, serena, e Clarke non riuscì a non sentire di nuovo dentro di sé quella sensazione di calma e tranquillità che sembrava provare sempre accanto a lei.
 

“Vengo spesso qui a dipingere. Finn invece non ci sale mai, dicono sia la paura inconscia di cadere.” Lexa la guardò con occhi pieni d’interesse “Tu dipingi?”
 

Clarke sorrise “Sì, insegno arte. E dipingo nel mio tempo libero. E’ la mia passione più grande.” Lexa la guardò con un sorriso “E’ sempre bello riuscire a trasformare quello che ami nel tuo lavoro. Che cosa dipingi?” Clarke guardò di nuovo fuori dalla finestra, incapace di guardarla negli occhi troppo a lungo.
 

“Paesaggi soprattutto. Ma anche persone, oggetti… Quello che più mi piace.” Lexa rise “Mi sembra perfetto. Mi piacerebbe vedere i tuoi quadri.” Clarke alzò lo sguardo senza riuscire a trattenere un sorriso “Davvero?”
 

Non si era accorta di quando Lexa le fosse vicina in quel momento, tanto da riuscire a sentire il profumo delicato dei suoi capelli, ma non riusciva a curarsene troppo, le sembrava tutto così naturale, così giusto.
 

“Davvero. Se lo vuoi ovviamente.”
 

Clarke annuì forse con troppa foga, felice come una bambina “Scusami per prima, a cena…”
 

Lexa alzò le spalle “Ho mangiato peggio.” Clarke rise, ma non cambiò discorso “Sono scattata.” Il sorriso dell’altra non abbandonò mai le sue labbra, e Clarke si chiese come poteva in quel momento sentirsi così imbarazzata e felice allo stesso tempo “Non sei scattata, se solo un po’ scattata.”
 

Gli occhi di Clarke catturarono il leggero tremito nelle braccia di Lexa, e senza pensarci allungò le braccia per toccarla, per passarle leggermente la mano sulla leggera giacca di tela completamente bagnata; si pentì di quel contatto che Lexa avrebbe potuto non gradire, ma fermarsi fu più difficile del previsto.
 

“Sei tutta bagnata.” Lexa arrossì di colpo, ma lei non riuscì a vederlo mentre si toglieva il maglione e glielo porgeva “E hai freddo.”  
 

“Sto bene!” Protestò l’altra senza troppa energia, lasciandosi circondare dalle braccia di Clarke mentre le appoggiava delicatamente il suo maglioncino addosso, avvicinandosi a lei senza esitazione. Qualcosa nella sua testa le stava dicendo di allontanarsi, che erano davvero troppo vicine per il loro stesso bene.
 

Sentì gli occhi di Lexa scivolare lentamente sulle sue labbra, solo per un attimo “Adesso hai freddo tu” Disse piano la ragazza, ma Clarke sentiva tutto fuorché freddo in quel momento; lei era così vicina che le sembrava di sentire su di se il tocco caldo della sua pelle.
 

“Ehi cosa state combinando lassù?”
 

La voce di Finn la riportò alla realtà come una doccia fredda, e si stacco velocemente da Lexa, il cuore che sembrava volerle esplodere in petto.
 

Dopo quel momento non riuscì più a pensare lucidamente. Continuava a rivivere quell’attimo, a quel momento in cui si era trovata così vicina alle labbra di Lexa che il suo unico, limpido pensiero era stato di baciarla.
 

Cercò di incolpare il vino, alla stanchezza, alle discussioni di poco primo, eppure quando Lexa si avvicinò per salutarla con un abbraccio si tirò indietro, incapace di dirle altro se non un semplice ciao.
 

Le sembrava di sentire ancora sul suo maglione il profumo delicato di lei, inebriante come quello dei fiori che aveva portato quella sera, e dopo aver lottato contro se stessa per non fermarsi a stringerlo per un solo momento, se lo tolse di dosso con un gesto irritato, lanciandolo a terra senza troppe cerimonie.
 

Quando Finn si avvicinò a lei nel letto, baciandola delicatamente sulla spalla come faceva sempre quando facevano l’amore, lei si tirò indietro di nuovo, cercando di non affogare nel senso di colpa, asserendo con voce tremante di essere troppo stanca per quello; eppure non riuscì a prendere sonno.
 

Alla fine, dopo aver sentito il respiro del marito farsi più pesante e regolare, si alzò dal letto e prese il suo taccuino, cercando di disegnare a memoria i contorni di quel volto che continuava a perseguitare i suoi pensieri.
 
 
 
 
 



Note: Ciao a tutti! Che dire, Lexa e Clarke non sono proprio bravissime a nascondere i loro sentimenti ma... come dar loro torto? Ho cambiato un po' di cose rispetto al film in questo capitolo, fatemi sapere cosa ne pensate! Adoro la frase che dice Luce a cena sull'amore e ci tenevo a rendere bene le loro emozioni, non solo perché mi fa pensare alle mia ragazza, ma anche perché penso che Lexa abbia provato esattamente la stessa cosa vedendo Clarke per la prima volta, quindi spero davvero che vi sia piaciuto! Grazie per le recensioni e per leggere la storia, alla prossima!

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Capitolo 4
*** La Recita ***


Lexa teneva lo sguardo fisso davanti a lei, cercando di concentrarsi sulle luci delle macchine che sfrecciavano sulla strada, o sulle persone che ogni tanto incontravano il suo sguardo, nel volto la luce riflessa degli occasionali lampioni che costeggiavano la strada.
 

Tutto pur di non pensare a quello che le era appena successo. Per non rivivere, attimo dopo attimo, il momento il cui aveva capito che la simpatia che provava per Clarke andava oltre la semplice amicizia.
Era assurdo, semplicemente assurdo sentirsi così per una persona che conosceva appena, eppure Lexa si stava rendendo conto che in cuor suo l’aveva capito molto prima.

 
Bellamy, che si era offerto di portarla a casa dopo la cena, aveva cercato di intavolare una discussione con un paio di volte, ma lei aveva sempre risposto a monosillabi, incapace di pensare a un discorso di senso compiuto in un momento come quello.
 

“La prossima a sinistra.” Disse in tono distratto, appena in tempo perché lui mettesse la freccia per girare nella via. “E’ una possibile opzione sì. Che ne dici se invece ce ne andiamo a casa mia?” Bellamy la guardò con un sorriso malizioso che, Lexa ne era sicura, doveva far impazzire le donne; ma lei non era davvero dell’umore adatto “Ho detto sinistra.”
 

“Stai bene Lexa?” La ragazza si sorprese del suo tono leggermente preoccupato, ma ancora una volta cercò di non farsi illudere da quello che poteva semplicemente essere un trucco del ragazzo “Solo perché non voglio scopare con te?”
 

Bellamy scoppiò a ridere, e suo malgrado Lexa non riuscì a trattenere un sorriso “Padrona di non scopare con me.” Bellamy le lanciò uno sguardo veloce “Solo non stare muta come un pesce.”
 

Lexa lo guardò per un attimo, rendendosi conto che effettivamente non era stata di grande compagnia quella sera. Non che fosse da lei, non era mai stata una grande chiacchierona, ma persino Bellamy era riuscito a capire che c’era qualcosa di diverso in lei, qualcosa che non andava.
 

Si passò una mano sui riccioli castani, cercando di mettere ordine nella sua testa, dove sembrava essere appena passato un uragano “Scusami. Scusami davvero.”
 

Bellamy scrollò le spalle, lo sguardo fissò sulla strada davanti a loro “Hai un pensiero fisso nella testa, si vede benissimo.” Lexa annuì in silenzio, desiderando di poter scacciare via quel pensiero con la velocità con cui si era fatto strada nella sua mente.
 

“Sai cosa dovresti fare? Condividerlo. Con me.” Lexa lo guardò con evidente sorpresa per un attimo, e lui fece finta di offendersi con un’espressione che la fece sorridere “Perché sotto a questa ruvida corazza, batte un cuore sensibile.”
 

“No, non è vero.” Lexa sorrise e Bellamy scosse la testa “Sì, non è vero. Ma tu dimmelo lo stesso.”
 

Lexa fu tentata di rifiutare, di lasciarsi semplicemente accompagnare a casa e seppellire i propri sentimenti in un angolo della sua mente, com’era solita fare. Ma c’era qualcosa in Bellamy, qualcosa che andava aldilà della sua spavalderia e dei suoi modi arroganti che le faceva capire che lui l’avrebbe veramente ascoltata. Quello, o Lexa sentiva tanto il desiderio di parlarne con qualcuno che era disposta ad accettare anche il più improbabile degli aiuti.
 

Avrebbe potuto chiedere ad Anya, o a Indra, sempre pronte a darle consigli, ma aveva cominciato a trovare irritante il modo in cui loro la trattavano, come un prezioso oggetto di vetro che poteva rompersi in mille pezzi al minimo tocco.
 

Lexa sapeva che loro le volevano bene, e che lo facevano solo per quello, ma lei si era già rotta, ed era riuscita a rimettersi in piedi. Aveva un disperato bisogno che qualcuno le parlasse senza preoccuparsi della sua reazione, con onestà. E Bellamy sembrava essere esattamente la persona giusta.
 

“Solo un caffè.”
 

Bellamy sorrise “Ai tuoi ordini comandante.”
 
 
 



Lexa si pentì quasi subito della sua scelta quando, imbarazzatissima, si trovò di fronte a Bellamy mentre lui richiamava alla mente tutte le informazioni ricavate da film porno lesbici per aiutarla a risolvere la sua situazione.
 

Quando Lexa le chiese come facesse a sapere della sua sessualità, lui la guardò con il suo solito sorriso sbruffone, cercando di convincerla per qualche minuto che lo sapeva perché era l’unica spiegazione alla sua mancanza d’interesse verso di lui prima di cederle e dirle la verità, ovvero che era stato Finn a dirglielo.
 

Lexa si chiese per quale motivo Finn non l’avesse detto anche a Clarke, cercando di immaginarsi come avrebbe potuto reagire la ragazza nel saperlo. Forse avrebbe dovuto dirglielo, ma in quale contesto avrebbe potuto tirare fuori un argomento del genere in una normale conversazione? Le cose tra loro due sembravano già abbastanza tese senza aggiungerci questo.
 

“Allora Lexa? Andiamo, racconta tutto allo zio Bellamy.” Il ragazzo la guardava con sincera curiosità, e nonostante la sua natura dubbiosa, Lexa non vide alcun segno di malizia nel suo sguardo, decise di fidarsi.
 

“Tu hai… hai mai conosciuto qualcuno di…” Lexa cercò nella sua mente una parola che riuscisse a esprimere il modo in cui lei vedeva Clarke, ma era come se niente riuscisse a descriverla appieno, così si limitò a scrollare le spalle, a gesticolare impacciata, sperando che Bellamy capisse, sentendosi come una ragazzina alla prima cotta adolescenziale “Ma è già impegnato.”
 

Il sorriso che Bellamy le rivolse le fece capire che per lui doveva essere quasi una routine “Sì, certo. Quelle belle sono sempre impegnate.”
 

Lexa aprì leggermente le labbra, incerta su come continuare la conversazione “E tu…cosa fai?” Il sorriso di Bellamy si fece ancora più grande “Cosa faccio io? Ci vado a letto.” Concluse, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
 

Lexa sorrise, leggermente stupita, pentendosi per la seconda volta di aver deciso di parlare con lui; era evidente che lui non poteva capire. Bellamy la guardò per un attimo, rendendosi conto forse di essere stato troppo diretto “Senti, il partner è un loro problema, non mio. Sono donne adulte.”
 

Lexa rimase in silenzio per un attimo, rigirandosi tra le mani la tazzina di caffè che aveva finito in un sorso non appena la cameriera l’aveva posato davanti a lei. Avrebbe voluto berne ancora. O ancora meglio, qualcosa di più forte.
 

“Io credo che sia giusto non interferire. Non causare mai sofferenza. E accettare il fatto che se non può accadere…” Ripensò con una punta di rimpianto il momento in cui, solo pochi minuti prima, aveva avuto Clarke così vicina a sé che c’era voluta tutta la sua forza di volontà per non baciarla “Allontanarsi. Cercare qualcuno che sia libero.”
Il problema era che lei non aveva mai cercato. Clarke era caduta dal cielo, trascinando lei e tutte le sue certezze verso un caos per cui non si sentiva preparata. Non avrebbe mai voluto trovarsi in quella situazione, eppure allo stesso tempo sapeva che non avrebbe cercato altri, non in quel momento, quando tutto quello a cui riusciva a pensare era lei.
 

Bellamy si rivelò molto più empatico del previsto, spezzando la tensione “Facciamo a casa tua o da me?” Lexa rise nonostante tutto “Andiamo, sono una forza della natura a letto.”
 

La ragazza prese la giacca che aveva lasciato sulla sedia e si alzò “Andiamo, portami a casa forza della natura. Abbiamo tutti e due bisogno di dormire.”
 
 
 



“La serata è stata un successo non credi? Sono andati via insieme.” Clarke guardò fiduciosa Finn mentre il ragazzo sembrava assorto nella scelta dei biscotti per la colazione. “Cosa amore?”
 

Clarke gli andò accanto, prendendo in mano una marca a caso di biscotti al cioccolato “Lexa e Bellamy. E’ stato un successo.” Alla fine Clarke si era convinta che doveva essere stato tutto un grande sbaglio. Colpa del vino, e dello stress. Lei e Finn erano felici, e non era il caso di turbare la loro tranquillità per una cosa da poco come quella.
 

Questo non aveva vietato a Clarke di riempire il suo block notes di schizzi di Lexa, o di pensare a lei in continuazione, ma per ora era riuscita a tenere la situazione sotto controllo, o almeno così continuava a ripetersi.
 

Finn la guardò scettico “Clarke…” “Andiamo Finn! Quelle che senti? Campane a nozze…”
 

“Vuoi dirmi che non hai colto?” Clarke guardò confusa il marito che spingeva lentamente avanti il carrello della spesa “Oh, come sei antiquata… Lexa è… è qui.”
 

Clarke si girò giusto in tempo per non andare a sbattere contro la persona che aveva appena girato l’angolo, dirigendosi proprio verso di loro. Il colore verde degli occhi in cui Clarke si ritrovò a guardare la lasciarono senza fiato, come già era successo, incapace di formulare un pensiero razionale.
 

“Ciao Lexa!” Finn la saluto con un sorriso, e solo quando Lexa distolse lo sguardo per salutarlo Clarke riuscì a calmarsi, e a registrare quello che stava succedendo attorno a lei.
 

Fu allora che notò la ragazza che accompagnava Lexa, una stangona bionda dagli zigomi così affilati che a Clarke sembrò di potersi ferire solo guardandoli, che squadrava lei e suo marito con evidente curiosità.
 

“Bizzarro, parlavamo di te!” Finn sorrise, ma Clarke si sentì arrossire improvvisamente prima di poterlo evitare, e anche Lexa sembrò leggermente imbarazzata dalla situazione “Bene spero.”
 

La ragazza bionda si schiarì la gola e guardò Lexa con insistenza “Certo, scusatemi, Finn, Clarke, questa è Anya.” Anya strinse la mano a entrambi e poi sorrise “Lexa, non sapevo avessi degli amici oltre a me!”
 

Lexa lanciò alla ragazza uno sguardo omicida che la zittì “Grazie ancora per l’altra sera, è stato davvero bello. Dobbiamo sicuramente…” “Sicuramente!” “Certo” dissero
all’unisono Finn e Clarke, e la ragazza desiderò più di ogni altra cosa di potersi allontanare da Lexa, anche solo per riprendere a respirare normalmente, o allontanarsi dallo sguardo curioso e indagatore dell’amica di lei.
 

“Bene, buona spesa allora.”
 

“Anche a te Clarke.”
 

Il modo in cui lei disse il suo nome, guardandola prima di allontanarsi la fece rabbrividire inconsciamente, incapace di staccarle gli occhi di dosso finché non fu sparita dietro l’ennesimo scaffale.   
 

“Era quello che cercavo di dirti prima, Lexa è gay.”
 

Clarke registrò solo parzialmente il rumore dei biscotti che cadevano dalle sue mani mentre la sua mente si faceva di colpo completamente bianca.
 
 
 



“Allora, questa sera vuoi uscire?” Lexa cercava di spingere il carrello più lontano possibile dalla coppia appena incontrata, cercando di evitare lo sguardo indagatore che, era sicura, Anya le stava lanciando dietro di lei. “Frena frena micetta, cosa stava succedendo prima? Chi erano quelli? Non ti vedevo così tesa dal giorno della tua laurea.”
 

Lexa continuò a evitare il suo sguardo, ostentando una sicurezza che sapeva di aver perso nel momento in cui si era ritrovata Clarke davanti a lei; come poteva essere una coincidenza, ritrovarsela davanti ovunque, come se non fosse già abbastanza grande lo spazio che occupava nei suoi pensieri.
 

“Ti ricordi la coppia che mi ha invitato a cena l’altro giorno? Sono loro.” Le sopracciglia di Anya si alzarono leggermente mentre continuava a scrutarla con sospetto “E com’è andata?”
 

Lexa si finse interessata alla vasta gamma di cibo per gatti davanti a lei mentre rispondeva “E’ andata bene. Loro sono simpatici, anche se hanno provato a incastrarmi con il migliore amico di lui, un vero personaggio. Potreste andare d’accordo tu e lui sai…”
 

Anya spinse nel carrello la solita marca di croccantini che compravano sempre per Gustus e intercettò il suo sguardo con precisione assassina “Qui non stiamo parlando di me Lexa, ma del fatto che alla vista di quegli occhioni celesti ti sei ammutolita come un pesce lesso.”
 

Lexa fissò Anya negli occhi finalmente, sentendosi leggermente offesa dal fatto che la cosa fosse così evidente “Non mi sono ammutolita. E non c’è nulla da dire a riguardo.” Anya la fissò stupita “Allora è una cosa seria.”
 

Lexa decise che ne aveva avuto abbastanza di quella conversazione, e si diresse a passo sicuro verso il corridoio successivo, con Anya alle calcagna “Oddio Lex, te la sei presa davvero brutta questa volta. Ma perché lei? Insomma, è carina, ma è così eterosessuale. Una barbie eterosessuale.”
 

Prima che Lexa potesse girarsi a risponderle a tono, notò con crescente panico che la sorellastra si stava dirigendo sorridente verso Finn e Clarke, che era rispuntati da chissà dove.
 

“Ehi, come va! Parlavamo noi di voi adesso.” Lexa la raggiunse e le strinse il braccio in quella che sperò fosse una convincente presa assassina da farle capire che doveva smetterla immediatamente con qualsiasi giochino avesse in mente.
“Perderemo il calcio d’inizio.” Lo sguardo di Clarke passò nervosamente tra Lexa e Finn, ma il ragazzo sembrò non accorgersene, e sorrise gentilmente ad Anya “Manca più di un’ora. Tifiamo per la stessa squadra.”
 

“Oh che grazioso!” Cinguettò Anya in modo così convincente che solo Lexa riuscì a sentire l’ironia dietro la sua voce. Avrebbe preferito essere in qualsiasi altro posto al mondo in quel momento pur di non trovarsi lì, e stava cominciando sinceramente a sperare che una voragine si aprisse al centro del supermercato e la inghiottisse in quel momento, lei e quella chiacchierona inutile di Anya.
 

“Non è grazioso Lexa?” Il sorriso che aveva stampato in volto era più falso di una banconota da tredici sterline, riusciva a sentirlo “Spero che vinca.” Lexa fece per girarsi e andarsene, sparire nell’angolo più remoto della terra, quando sentì Finn parlare di nuovo.
 

“Anya tu sei gay?”
 

“Oddio”
 

Clarke si coprì gli occhi con la mano, mentre Lexa sentiva che questa volta era la presa di Anya ad aumentare sul suo braccio, impedendole la via di fuga.
 

“Se sono gay? Diciamo che non mi faccio molti problemi, se capite cosa intendo.”
 

Finn evidentemente non capiva, perché un leggero sorriso confuso gli apparve in volto “E voi due siete…?”
 

“No” quasi urlò Lexa, e Anya scoppiò a ridere “No no… Siamo solo vecchie amiche.” “Sorellastre” corresse Lexa senza togliere per un attimo lo sguardo da Clarke. Allora lo sapeva. I loro sguardi s’incontrarono per un attimo e Lexa capì che Clarke doveva sentirsi poco a suo agio quanto lei in quella conversazione così assurda.
 

Anya la tirò verso di lei e sorrise alla coppia “Sono mesi che cerco di accasare la mia sorellina, ma lei ama un’altra.” Lexa pregò con tutto il cuore di aver sbattuto la testa contro uno degli scaffali, e che quello fosse solo un brutto incubo dovuto allo svenimento; vide due solchi profondi apparire sulla fronte di Clarke alle parole di Anya, e un sorriso forzato, così poco simile al bel sorriso che Clarke le aveva regalato qualche sera prima sul suo tetto di casa.
 

“Bene, noi dobbiamo andare da questa parte.” Finn indicò le casse e circondò la vita di Clarke, guidandola in quella direzione; sembrava l’unico ad non essersi accorto della tensione onnipresente. “Ottimo. Allora vi chiamo, dobbiamo sicuramente…” “Certo!” risposerò all’unisono i due, e fu Lexa questa volta a guardare Clarke sparire verso l’uscita.
 

“Allora Lex, mi vuoi parlare seriamente di questa cosa?” Non c’era più alcuna traccia d’ironia nello sguardo di Anya, e con un sospiro Lexa annuì, incapace di protestare ancora tanto l’incontro di prima l’aveva spossata.
 
 



Il giorno dopo, mentre si preparava ad aprire il negozio, Lexa si diede della stupida per non aver parlato prima con Anya dei suoi problemi. Non era il massimo come fioraia, e ne sapeva ancora meno di relazioni probabilmente, ma era sempre stata un’ottima amica e anche in quel caso si era rivelata essenziale per calmare l’animo inquieto di Lexa.
 

Era vero, ormai era palese a lei e a chiunque, aveva una cotta per Clarke. Era stata una cosa forte, improvvisa e inaspettata, ma Clarke era impegnata, etero e quindi del tutto al di fuori della sua portata; a Lexa non restava che farsene una ragione.
 

Così si era ripromessa di impegnarsi quel giorno, e di pensare a lei il meno possibile, ma non era facile quando aveva così tanti fiori intorno, così tanta bellezza da farle venire in mente qualcosa di altrettanto splendido e unico come Clarke.
 

Aveva allontanato tutti i gigli in un angolo del negozio, acceso candele per rilassarsi e cercato di riordinare tutto senza lasciar vagare la mente, ma poi era entrata una cliente, e nel sentire il campanello suonare non era riuscita ad evitare il pensiero che fosse proprio Clarke.
 

Invece era una ragazza leggermente confusa che le aveva chiesto una composizione floreale, e Lexa si era messa al lavoro con gioia “Serve un tocco di colore qui.”disse a un certo punto “Ho degli splendidi lillà.”
 

La ragazza sorrise, leggermente forzata “Oh, perché no? Sono per il mio fidanzato.” Inusuale, pensò Lexa, ma pur sempre un gesto carino. “Sto per dirgli che avremmo un bambino.” “Oh che bello.” Lexa sperò che il racconto della ragazza si concludesse lì; non aveva davvero spazio in mente per i drammi degli altri.
 

“Credo di sì. Cioè lo vuole anche lui. Sicuramente.” Ecco che ci siamo pensò Lexa, che ormai riusciva a riconoscere i clienti problematici al primo sguardo. “Solo che è un po’ fissato con la contraccezione e…”
 

Così Lexa si ritrovò ad abbracciare la ragazza in lacrime, con il bouquet di fiori schiacciato tra loro, la sua mano che dava leggere pacche sulla spalla della sconosciuta, sperando che non ne avesse ancora per molto. Almeno l’aveva distratta per un pochino, pensò mentre dietro di lei il telefono del negozio cominciava a squillare, e lei si allungava, stretta tra le braccia della sconosciuta per riuscire a rispondere.
 

“Flower Polis, prego?” “Lexa, sei tu?” Una voce sconosciuta dall’altro capo della linea la lasciò interdetta per un attimo “Sì, chi è?” “Sono Aden, il fratello di Clarke! Ci siamo conosciuti al matrimonio qualche settimana fa.”
 

Clarke, maledetta Clarke, sembrava essere ovunque. “Certo, Aden! Scusa non ti avevo riconosciuto!” “Tranquilla, sono felice se ti ricordi di me. Volevo chiederti se ti andava di darmi una mano, sono in biblioteca e devo preparare una ricerca, ma non so da dove iniziare.”
 

Lexa sospirò “Aden, posso chiederti perché stai chiedendo proprio a me?” Ci fu un attimo di silenzio dall’altro capo della linea “Non mi capita spesso di incontrare un adulto così simpatico.” Lexa sorrise e valutò le sue opzioni. O restare abbracciata alla ragazza piangente, o andare a scoprire cosa voleva Aden da lei.
 

“Arrivo subito Aden.”
 
 
 



“Scusa, è la recita scolastica di mio figlio, potevi lasciare che preparassi delle magliette.” Abby sbuffò girando l’ennesimo corridoio, e Clarke riuscì a vedere gli occhi di Marcus alzarsi verso il cielo in un modo così eclatante da strapparle un sorriso.
 

“Non mi sembrava il caso mamma.” Clarke sapeva che la madre poteva essere leggermente asfissiante quando ci si metteva, ma l’unica cosa che voleva era dimostrare il suo supporto. Se la ricordava benissimo a una delle sue prime partite di calcio, completamente vestita dei colori della sua squadra, a urlare contro l’arbitro quando non aveva fischiato un fallo che l’aveva lasciata a terra boccheggiante.
 

Si era congratulata con lei poi, dicendole che era stata coraggiosa a non piangere; Clarke piangeva di rado da quando il padre era morto, quasi a non voler sprecare lacrime per qualcosa di inutile, quando aveva provato in prima persona un tipo di dolore così forte da farle versare tutte le lacrime che possedeva.
 

Abby non era stata una madre molto presente a causa del suo lavoro, ma quando c’era non si poteva dire che non dava il massimo, si girò a guardarla e le strinse il braccio, quasi come se avesse capito i pensieri cupi della figlia senza che lei aprisse bocca “Alla fine è meglio così, Marcus non ha più il fisico per le magliette attillate.”
 

“Ti sento Abby.”
 

Clarke ridacchiò di nuovo e sentì la tristezza di poco prima dissolversi. Sarebbe stata una bella giornata.
 
 

“Salve.” Lexa spuntò accanto a loro quasi come per magia e per Clarke fu così inaspettato che non riuscì a nascondere lo stupore sul suo volto. Anche sua madre dal canto suo sembrava leggermente sorpresa.
 

“Lexa, cara, cosa ci fai qui?” Anche Clarke avrebbe voluto saperlo. Come poteva essere ovunque? Al supermercato, ora qui… Clarke perse qualche secondo per osservarla meglio, i vestiti ordinati dal tocco leggermente vintage che sembrava avere sempre, l’aria disinvolta di chi si trova al bar e non nel bel mezzo di una scuola a fare quattro chiacchiere con degli amici.
 

Ma quando i loro occhi s’incrociarono, Clarke riuscì a notare qualcosa nel riflesso smeraldo degli occhi di lei che lasciava intuire che la serenità che dimostrava era tutt’altro che vera. Si chiese per un secondo se anche Lexa, come lei, si sentiva completamente spiazzata quando si trovavano insieme.
 

“Ho aiutato Aden con la sua…” gesticolò verso la classe, in cui Clarke poteva vedere chiaramente suo fratello prepararsi per lo spettacolo. “Mi ha invitato lui.” Disse lei con tono leggermente nervoso, quasi preoccupata che la famiglia potesse mandarla via.
 

“Ma certo” Abby sembrava leggermente confusa, ma il sorriso cordiale non lasciò mai il suo viso; Lexa sembrava starle simpatica “Allora vieni pure con noi, puoi sederti vicino a Clarke.”
 

Clarke la guardò sorridendo, o almeno cercò di farlo senza far trasparire il panico che provava al pensiero di dover stare per mezz’ora nella semi oscurità accanto a quella donna che le aveva completamente scombussolato la vita.
 
 

“Questo è lo spazio. Lo spazio è distante molti anni luce…”
 

Clarke perse quasi subito il filo del discorso di suo fratello, impegnata com’era nel evitare di toccare Lexa anche solo per sbaglio. Ma c’era molta gente nella piccola aula, e poteva percepire benissimo le loro spalle sfiorarsi, le loro mani a pochi millimetri l’una dall’altra, il profumo inebriante di Lexa, quella mista fragranza di fiori che non era riuscita ancora a riconoscere che si abbinavano splendidamente ai suoi capelli castani e gli occhi verdi, facendola apparire come una creatura silvestre, una ninfa dei boschi.
 

Clarke si annotò mentalmente uno schizzo che avrebbe dovuto fare appena ritornata a casa prima di darsi della pazza. Non riusciva a spiegarsi come una persona potesse farle quell’effetto.
 

Guardò nella semioscurità il profilo della ragazza, gli zigomi disegnati, le labbra carnose, i capelli che le ricadevano in boccoli disordinati sulle spalle. Desiderò più di ogni altra cosa di poterli toccare, scostare leggermente con una carezza dal suo viso, sfiorarle delicatamente la guancia. Avrebbe voluto guardarla negli occhi per ore, perdersi in quel mare verde che la rapiva ogni volta, anche solo per un attimo, quando i loro sguardi s’incontravano.
 

Si chiese per un secondo se Lexa riuscisse a sentirlo, il battito del suo cuore nel petto, così forte ora da rimbombarle nelle orecchie e impedirle di percepire qualsiasi altro suono.
 

Solo dopo qualche istante Lexa si accorse che la stava guardando, e si girò per fissarla a sua volta, le labbra leggermente socchiuse, quasi piene di stupore. I suoi occhi sfiorarono le labbra di Clarke per un lunghissimo secondo per poi ritornare nei suoi, e Clarke percepì distintamente il resto del mondo svanire intorno a loro mentre si sentiva incapace di qualsiasi altro pensiero razionale se non il desiderio estremo di avvicinarsi ancora di qualche centimetro per poterla sfiorare.
 

La luce si accese all’improvviso, abbagliando Clarke per un attimo, costringendola a chiudere gli occhi, interrompendo la magia che si era creata qualche attimo prima. Quando gli riaprì, Lexa si era già girata ad applaudire Aden, che sorrideva dal piccolo palco improvvisato, e Clarke si chiese se quei pochi secondi non fossero stati solamente frutto della sua mente, che ultimamente le tirava non pochi scherzi.
 

 


“Lexa!” Lexa si fermò nel bel mezzo della scalinata, desiderando di poter continuare a camminare, fingendo di non aver sentito nulla. Si girò invece, per ritrovarsi faccia a faccia con Clarke.
 

“Stai andando via?”
 

-Sì- rispose la parte ragionevole del suo cervello “No” disse lei, incapace di non sorridere alla ragazza “Sto bene qui.” Clarke le sorrise a sua volta, e scese un ultimo gradino per raggiungerla.
 

Lexa non riusciva a trovare parole adatte a descriverla se non bellissima. Ma era più di così; era raggiante ed eterea come un raggio di sole, e la sua sola presenza accanto a lei sembrava riuscire a illuminare qualsiasi angolo buio della sua mente.
 

Pensò a poco prima, allo sguardo che avevano condiviso, al brivido che aveva provato nel sentirla così vicina. Aveva ringraziato mentalmente la sua buona stella quando le luci si erano accese, perché in quel momento sarebbe potuto succedere di tutto.
 

Era quella cosa che più di ogni altra la spaventava, lei, così sempre precisa e ordinata in ogni così, sentiva il controllo sfuggirle dalle mani davanti a Clarke, e in quel momento la cosa nemmeno sembrava importarle.
 

“Lexa io…” Clarke esitò per un attimo, evitando il suo sguardo “Credo che dovremmo parlare di una cosa.”
 

Lo stomaco di Lexa fece una doppia capriola carpiata nel sentire quelle parole, l’agitazione crescente. Qualsiasi cosa volesse dirle Clarke, non poteva essere nulla di buono.
 

“E’ che non lo so, quando sto con te io…”
 

“Sì, in effetti devo andare” borbottò abbassando lo sguardo, lasciando la ragazza davanti a lei in silenzio, le labbra leggermente schiuse in un’espressione sorpresa.
 

“Mi sono ricordata che devo fare una consegna.” Lexa cominciò ad arretrare, sentendosi codarda come non mai, guardando Clarke mentre cercava di ricomporre il suo sorriso “Certo, va bene. Vai pure.”
 

Lexa a malapena la sentì, tanto aveva fretta di tornare alla sicurezza del suo negozio. Prese il cellulare con foga quasi disperata.

 
“Anya, sono io. Puoi venire da me più tardi?”












Note: Ciao a tutti! Volevo scusarmi per il grosso ritardo, spero non abbiate perso le speranze! Purtroppo la sessione estiva è un periodaccio, ma per fortuna adesso sono più libera e dovrei avere più tempo di scrivere (si spera). Spero che il capitolo vi sia piaciuto! Fatemi sapere cosa ne pensate, alla prossima!

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Capitolo 5
*** Scintille ***


“Anya, sono un caso disperato.”
 
 
Anya annuì accarezzando distrattamente Gustus che faceva le fusa acciambellato su di lei “Ma questo lo sapevamo già, vero micione?” Il gatto rispose con un sonoro miagolio di conferma e Lexa lo guardò truce.
 
 
“Traditore.”
 
 
“Allora, hai rivisto la tua barbie eterosessuale?” Lexa girò un paio di volte il cucchiaino nella sua tazza di tè, più per nervosismo che per altro, visto che le piaceva senza zucchero.
 
 
“Non chiamarla così per favore. Il suo nome è Clarke.”
 
 
“Il suo nome è Clarke.” La imitò Anya con lo stesso tono canzonatorio che usava quando erano bambine, e Lexa alzò gli occhi al cielo, esasperata.
 
 
“Okay, va bene, scusami. Cos’è successo?” “E’ successo che ho completamente perso la testa Anya. Non mi riconosco più. Sono sempre distratta, confusa, non riesco a pensare razionalmente… e quando sono con lei è ancora peggio, sono…”
 
 
“Sei innamorata.” La frase di Anya la lasciò spiazzata per un secondo, incapace di negare una verità tanto semplice. “Temo di sì. Non mi sono mai sentita così, nemmeno con… Costia.”
 
 
Anya corrugò leggermente la fronte nel sentire quel nome che sua sorella non pronunciava mai. Lexa stessa tremò leggermente, sorpresa di essere riuscita a pensare a lei senza che le venisse voglia di piangere.
 
 
“Voglio dire… con lei era diverso. Eravamo amiche e la nostra storia… è cresciuta nel tempo. Ci sono voluti anni prima che mi accorgessi di provare qualcosa per lei.”
 
 
L’altra sorrise, ripensando al passato  “Mi ricordo, era ovvio per tutti tranne che per te.” Lexa la guardò stizzita “Grazie. Quello che voglio dire è che… non sono veloce con i sentimenti. Non lo sono mai stata. Ma questa… questa cosa tra me e Clarke, non sono riuscita a ignorarla. Mi ha colpito come un treno in corsa.”
 
 
Anya annuì pensierosa “Un treno con un due gran belle tette.”
 
 
“Anya… per favore.” Lexa si passò le mani tra i capelli, timorosa delle sue stesse ammissioni.
 
 
“Lex… lo so che non è una situazione facile, ma dovresti esserne contenta, almeno in parte.” Quando Lexa la guardò confusa, Anya si avvicinò a lei quel tanto che bastava per stringerle la mano “E’ passato così tanto tempo dall’ultima volta che ti ho vista così… viva. Quando parli di questa ragazza, sorridi come una bambina. Ero davvero preoccupata per te, tutti eravamo preoccupati, ti stavi spegnendo. Ma adesso, vederti così… anche se non è quello che volevi Lexa, ti sta facendo bene.”
 
 
Lexa sapeva che c’era una parte di lei che era d’accordo con Anya, eppure scosse la testa “Come può farmi bene un sentimento non ricambiato? Lei è sposata ed io… io non voglio fare nulla che possa farla soffrire.”
 
 
Anya rimase in silenzio a lungo, e l’unico rumore nel piccolo salotto erano le fusa sonore del gatto, ancora acciambellato tra le sue gambe “Ma tu mi hai detto… che anche lei prova qualcosa per te.”
 
 
Lexa scosse la testa, cercando di non pensare al modo in cui l’aveva guardata Clarke mentre erano al buio nella classe di suo fratello, quando tutto tranne loro due era scomparso dalla realtà.
 
 
“Non lo so. Forse sono io che m’immagino le cose. Non vedo perché mai dovrebbe interessarsi a una come me . Suo marito è… è davvero un bravo ragazzo. Bello, simpatico, gentile, con una carriera promettente e ha occhi solo per lei. Io… guardami.”
 
 
Lexa fece un gesto che sembrò indicare tutta la sua persona e l’ambiente circostante. Anya le sorrise dolcemente “Una gattara amante del tè con un negozio di fiori, senza vita sociale e una sorella simpatica da morire. Lexa, se non fossi la sorella in questione ti sposerei sicuramente io.”
 
 
Lexa rise e per la prima volta da quando aveva lasciato Clarke davanti alla scuola ore prima, si sentì incredibilmente leggera, anche se solo per qualche istante “Non sopravvivresti dieci minuti con me Anya, ti caccerei via al primo incendio casuale.”
 
 
La sorella finse di essersi offesa “Non è colpa mia se faccio scintille, sei solo gelosa!”
 
 
Le risate si spensero lentamente mentre entrambe sorseggiavano il tè ormai freddo; quando parlò di nuovo, il tono di Anya era completamente diverso “Ti rendi conto però che se non vuoi portare avanti questa storia dovresti smettere di vederla?”
 
 
Lexa annuì “Non so se posso farlo senza sembrare scortese. Ma cercherò di evitarla meglio che posso.”
 
 
Anya strinse ancora una volta la mano della sorella “Mi dispiace Lex. Andrà meglio.”
 
 
“Andrà meglio.” Ripeté lei, cercando di convincersi di aver fatto la scelta giusta.
 
 
 *
 
“Voi ci credete all’amore a prima vista?”
 
 
Raven per poco non si strozzò con i noodles che stava mangiando, e tossì più volte prima di riprendere fiato. Octavia si limitò a guardarla sorpresa.
 
 
Clarke arrossì immediatamente dopo aver posto la domanda, senza sapere bene cosa l’aveva spinta a chiederlo alle due amiche. Ma erano giorni che quel pensiero la tormentava. Erano nel suo studio, la pausa pranzo era appena iniziata, e si erano ritrovate come al solito a mangiare insieme.
 
 
Clarke aveva sorriso nel vedere le due amiche arrivare con il cibo cinese, ma era rimasta leggermente contrariata per l’improvvisa inclusione, che l’aveva strappata dai pensieri che le volavano in testa dal momento in cui si era svegliata.
 
 
“Bè suppongo che sia un buon modo per risparmiare tempo.” Raven sorrise riprendendo a mangiare, ma Clarke non era per niente soddisfatta della risposta.
 
 
“No, sul serio. Quando incontri qualcuno, entri in una stanza, e ti basta uno sguardo negli occhi per vedergli l’anima.”
 
 
Ripensò agli occhi verdi di Lexa, al modo in cui avevano incrociato i suoi il giorno del matrimonio, quando camminava nella navata verso Finn. Pensò a quanto poco fosse bastato per sconvolgerla in modo così profondo.
 
 
Quando notò che Octavia la guardava stranamente, fece un sorriso che sperò sembrasse innocente “Una cosa del genere, pensate che possa accadere?”
 
 
Raven e Octavia si scambiarono uno sguardo complice “No.” “Assolutamente no.” E scoppiarono a ridere.
 
 
“No, avete ragione.” Clarke si diede della stupida per averlo chiesto “Lo penso anch’io.”
 
 
“Anche se quello tra Octavia e il bel Lincoln sembra una cosa del genere.” Raven rise e il viso di Octavia si colorò di una calda sfumatura rosata “Per favore, la stiamo prendendo con calma.”
 
 
Raven roteò gli occhi “Calma certo. Eravate molto calmi ieri mattina quando sono venuta a riprendere gli attrezzi che ti ho prestato e tu non mi hai lasciato entrare in casa perché c’era qualcuno che con molta calma si faceva la doccia.”
 
 
Enfatizzò ogni “calma” all’estremo, e Octavia le lanciò un’occhiataccia “Solo perché qualcuno non ha una vita sentimentale non vuol dire che nessuno possa averla.”
 
 
“Io ho molte vite sentimentali, grazie per l’interessamento.”
 
 
“Andiamo ragazze, non litigate. Sono molto contenta per te O. Te lo meriti.” Raven la guardò fingendosi offesa “Anche tu ti meriti… qualsiasi cosa tu stia facendo adesso.” Risero tutte e tre, e Clarke riuscì a sentirsi più serena. Eppure c’era ancora qualcosa che le ronzava in testa.
 
 
“Adesso ho deciso comunque.” Raven parlò a bocca piena, ignorando le occhiatacce di Octavia “Basta uomini, perdo solo tempo. E’ ora di esplorare altre sponde.”
 
 
Octavia sbuffò, fingendosi offesa “Ti ricordi che sei bisessuale solo quando io sono impegnata, vero?”
 
 
“Scusa tesoro, mi ricordi troppo tuo fratello.”
 
 
Clarke rise all’espressione disgustata di Octavia, ma un’idea stava lentamente prendendo vita nella sua mente.
 
 
 *
 
Fu così che mezz’ora dopo la fine dei corsi, Clarke si ritrovò a fare una cosa che mai avrebbe pensato di fare. Erano parecchi minuti che gironzolava per la videoteca senza veramente interessarsi ai titoli, cercando il coraggio di fare quello che era venuta a fare.
 
 
“Serve aiuto?”
 
 
Clarke per poco non fece un salto da quanto era tesa. La ragazza bionda che gestiva il negozio la stava guardando con un sorriso simpatico da dietro il bancone. “Ehm… ciao…” Clarke guardò distrattamente la targhetta con il nome che la ragazza portava sul petto “Niylah. No grazie stavo solo guardando.” 
 
 
Peccato che si trovasse casualmente davanti allo scaffale dei film porno gay, attorno a cui aveva girovagato tutto quel tempo.
 
 
Niylah la guardò con un lampo d’interesse negli occhi “Capisco. Hai trovato nulla d’interessante?”
 
 
Clarke scosse la testa imbarazzatissima, e si sbrigò a consegnarle due film che aveva preso a caso sperando di mascherare il suo acquisto proibito e di cui nemmeno si ricordava il titolo “Prendo questi.”
 
 
Mentre la ragazza trafficava con i dvd, Clarke si diede mille volte della stupida per non aver agito prima. Non sarebbe mai riuscita a ritrovare il coraggio per provarci. Mentre i secondi passavano inesorabili, capì che era il momento, ora o mai più.
 
 
Si girò verso lo scaffale, e con un respiro profondo prese in mano uno dei dvd che avevano attirato la sua attenzione prima, consegnandolo alla ragazza evitando il suo sguardo “Prendo anche questo.”
 
 
Niylah guardò la copertina con un sorriso sornione, come se avesse capito le intenzioni di Clarke nel momento in cui era entrata nel suo negozio.
 
 
“E’ per… una ricerca.” Clarke era terribilmente consapevole che il colorito del suo viso doveva essere acceso come non mai in quel momento.
 
 
“Chiamalo come vuoi tesoro.” E le fece l’occhiolino prima di riprendere a scrivere sul computer. Clarke sarebbe voluta  sprofondare nel pavimento in quel momento; perché ci stava mettendo così tanto?
 
 
“E’ fuori adesso. Faccio una telefonata…” Clarke si affrettò a recuperare la custodia dalle mani della ragazza con uno scatto “Oh non importa, davvero lo metto giù…” “Ma devono riportarlo, tranquilla.”
 
 
“No davvero, posso fare a meno…” La bionda prese in mano il telefono “No credimi” il suo sorriso si allargò leggermente “Vale la pena di vederlo.”
 
 
Passò solo qualche secondo prima che Clarke sentisse alle sue spalle un suono che la fece rabbrividire: la voce di sua madre “Clarke, lo dicevo che eri tu!”
 
 
Abby entrò sorridendo nel negozio e Clarke sentì il rossore nel suo viso lasciare il posto a un pallore cadaverico. Come poteva essere lì sua madre?
 
 
“Stavo andando a casa tua e ti ho vista!” Clarke si spostò con uno scatto a coprire la copertina del dvd, ancora posata sul bancone davanti a lei “Volevo portarti le foto del matrimonio. Quel fotografo è davvero un disastro, io sembro un’ergastolana.” Clarke, che stava ascoltando solo con metà del suo cervello i discorsi della madre, la guardò senza capire “Un’ergastolana in lillà.”
 
 
Fu allora che la madre sembrò accorgersi dei dvd accanto a lei “Qualcosa d’interessante?” Clarke riuscì a balbettare un timido “No”
 
 
Niylah tornò con un sorriso “Sta arrivando. Ma se sei interessata a una dimostrazione pratica...” le passò un biglietto con un numero di telefono prima di farle di nuovo l’occhiolino “Chiamami.”
 
 
Sua madre rimase un momento interdetta “Dimostrazione pratica?” “E’ per una ricerca” Si limitò a dire Niylah sorridendo e Clarke annuì velocemente, sperando con tutto il suo cuore che quell’incubo finisse presto.
 
 
 
Clarke stava proprio chiedendosi confusa come mai le ragazze nello schermo stessero urlando tanto e se veramente quella posizione fosse fattibile quanto la facevano sembrare loro quando la voce di Finn la richiamò alla realtà.
 
 
“Tesoro, sei a casa?”
 
 
Il cuore cominciò a batterle a mille mentre con mani tremanti cercava di bloccare il dvd, toglierlo dal lettore e metterlo nuovamente nella sua custodia, il tutto prima che Finn entrasse nella stanza.
 
 
Non credeva fosse già così tardi, pensò guardando distrattamente l’orologio appeso alla parete, ma aveva perso più tempo del previsto a liberarsi di sua madre, e infine a decidersi di guardare il dvd.
 
 
Quando Finn entrò sorridendo, lei aveva appena chiuso la custodia, e con un sospiro di sollievo la nascose tra le altre che aveva portato a casa, cercando di sorridere al marito in modo non troppo sospetto.
 
 
“Ciao!” Lui la guardò con un sorriso che fece crescere i suoi sensi di colpa in modo esponenziale. Una volta, pensò con una punta di tristezza, quel sorriso era stato capace di illuminare le sue giornate. Perché non era più così? Che cosa era cambiato in lei?
 
 
“Non sai come sono contento di vederti. E’ stata una giornata orrenda, non vedevo l’ora di tornare a casa.” Si avvicinò e le diede un leggero bacio sulla guancia prima che qualcosa attirasse la sua attenzione
 
 
“Oh, hai preso dei dvd!”
 
 
Merdamerdamerdamerdamerda “Oh non perdere tempo con quelli sono film vecchi…”
 
 
“Questo mi piace! Questo è spazzatura. E questo… questo non l’ho mai visto.” Il sorriso di Finn si aprì pieno di stupore.
 
 
Fu allora che a Clarke venne l’idea di sfruttare tutte le sue doti da attrice che aveva dovuto adoperare da adolescente per convincere la madre che era veramente malata e non poteva andare a scuola.
 
 
“Di quale stai parlando?” Prese la custodia del dvd in modo più innocente possibile, inscenando un finto stupore “Oddio! Mi hanno dato quello sbagliato!”
 
 
Altro che pittura, avrebbe potuto fare carriera nel mondo dello spettacolo, magari l’avrebbero presa come personaggio principale di una famosa serie tv.
 
 
“Deve essere stata la ragazza della videoteca sai, quella un po’ strana. Glielo riporto.”
 
 
Finn sembrava stranamente deluso “Sì certo. Insomma è un porno, è degradante, offensivo.”
 
 
Clarke lo guardò confusa, senza capire a cosa stesse mirando “Sì, esatto.” Fece per andare a prendere la borsa, ma lui la trattenne stringendole leggermente il polso “Però guardiamolo lo stesso.”
 
 
Il sorriso era tornato a illuminargli il volto, e Clarke per un secondo fu tentata di dirgli di sì. Eppure non riusciva a pensare di guardare un video del genere con lui, mentre in mente aveva tutt’altro.
 
 
Vedendo la sua espressione contrariata, Finn la strinse più vicina a lui “Andiamo Clarke… Ultimamente non siamo andati molto bene in quella specialità… Ed è colpa mia lo so, il lavoro…”
 
 
Clarke sarebbe voluta sparire; non era per niente colpa sua, e lei lo sapeva.
 
 
“No, è colpa mia. Solo che… non ho voglia di vederlo.”
 
 
Era una bugia, ma ancora una volta Finn sembrò non accorgersene. Clarke si domandò se questo fosse davvero dovuto alle sue abilità di attrice o alla cieca fiducia che Finn aveva in lei.
 
 
“Perché no?” Il marito la guardò con la sua migliore espressione da cucciolo triste, quella che al liceo faceva impazzire tutte le ragazze, ma che lui riservava sempre e soltanto a Clarke.
 
 
“Perché non mi eccita.” Altra bugia, ma Finn sembrò arrendersi “Bè parla per te.”
 
 
Clarke tirò un sospiro di sollievo quando lui lasciò cadere l’argomento, anche se mentalmente si stava già preparando a riportare indietro quel dannato dvd.
 
 
*
 

Lexa si guardò in giro sorridendo mentre davanti a lei i fuochi d’artificio continuavano a scoppiare, provocando un vociare emozionato dalla folla intorno a lei.
 
 
Decise che farsi convincere da Anya e Indra ad andare fuori quella sera non era poi stata una cattiva idea; aveva bisogno di distrarsi, e quella era esattamente il tipo di serata che le serviva.
 
Stavano camminando lentamente nel viale alberato del parco, parlando del più e del meno, sorseggiando la cioccolata calda che Indra aveva comprato come faceva quando Lexa e Anya erano ancora bambine, quando Lexa notò qualcosa che attirò la sua attenzione.
 
 
Aden, il fratello di Clarke, era leggermente davanti a loro, e stava camminando e parlando allegramente con una ragazza che Lexa aveva già visto, probabilmente una delle damigelle di Clarke; avvicinandosi, riuscì a sentire quello che la ragazza stava dicendo al bambino.
 
 
“Allora Aden ricorda, cerca di non sembrare mio figlio, perché questo allontana le prede. Ma tieni gli occhi spalancati, e se vedi qualcuno che potrebbe interessare alla zia Raven fammi un cenno, d’accordo?”
 
 
Ma Aden aveva già individuato Lexa tra la folla, e si staccò da Raven per andarle incontro e abbracciarla “Lexa! Sono contento di vederti! Grazie a te la mia ricerca è stata un successo!”
 
 
Anya e Indra la guardarono leggermente sorprese mentre lei sorrideva al bambino “Indra, Anya, questo è Aden il… il fratello di Clarke.” Nel sentire nominare la ragazza, le due donne si lanciarono uno sguardo che Lexa non riuscì a non notare.
 
 
“Aden aspettami! Non puoi scappare così!” “Ma volevo salutare Lexa!” Raven guardò il gruppo delle tre donne davanti a lei, sorridendo leggermente “Oh così tu sei Lexa! Clarke mi ha parlato di te.”
 
 
Lexa sentì il cuore perdere un battito a quelle parole “Lei… lei ti ha parlato di me?” Anya dietro di lei sbuffò leggermente e si fece avanti, interrompendo il discorso “Andiamo Lexa, dove sono finite le buone maniere? Non mi presenti l’affascinante amica di Clarke?”
 
Raven, che fino a quel momento si era concentrata su Lexa, guardò Anya con un sorriso malizioso, porgendole la mano “Non penso che lei si ricordi il mio nome, io sono Raven.”
 
 
Anya ricambiò il sorriso e la stretta di mano “Ed io sono libera stasera.”
 
 
“Anya…” Lexa cercò di suonare più minacciosa possibile mentre Indra dietro di lei alzava gli occhi al cielo.
 
 
Raven però sembrava voler stare al gioco “Io purtroppo no invece… devo fare da babysitter ad Aden, Clarke mi ha chiesto di tenerlo finché lei e Finn sono a farsi un giro qui intorno.”
 
 
“Non ho bisogno di una babysitter!” Il bambino s’imbronciò leggermente, ma la testa di Lexa era da tutt’altra parte “Clarke è qui?” Questo voleva dire che lei doveva andarsene il più lontano possibile. Peccato che Anya sembrasse essersi dimenticata del loro precedente discorso, o meglio, sembrava averlo interpretato come voleva lei.
 
 
“Lexa, perché non porti Aden a fare un giro, così se vedi Clarke le dici quella cosa che dovevi dirle? Raven sembra aver bisogno di una pausa.” Anya le strizzò l’occhio incoraggiante, e Lexa rimase interdetta mentre la sorella e Raven scivolavano velocemente fuori dalla sua vista, e lei rimaneva sola con Aden e sua madre.
 
 
Indra scosse la testa “Cos’è appena successo?” Lexa sospirò “E’ Anya, se non combina guai non è contenta.” Aden le sorrise “Anche Raven fa sempre così. Le piace far esplodere le cose.” “Allora sono perfette l’una per l’altra.”
 
 
“Vado a prendere una cioccolata calda anche per te Aden.” Indra sorrise e tornò verso il bar, mentre il bambino si sedeva su una delle panchine vicino a loro “Lexa tu lo sai perché i pinguini non possono volare?”
 
 
Lexa sospirò; sarebbe stata una lunga serata.
 
 
 *
 
 
Clarke stava guardando i fuochi d’artificio seduta sull’erba accanto a Finn quando sentì il suo cellulare squillare nella tasca.
 
 
Quando vide il nome di Raven sul display, si affrettò a rispondere “Pronto?”
 
 
“Ciao Clarke. Volevo solo dirti che non sono più con tuo fratello.” Clarke sentì una risata che non apparteneva a Raven dall’altra parte della linea, e la sua preoccupazione crebbe esponenzialmente.
 
 
“Che cosa vuol dire che non sei più con lui Raven? Dov’è?”
 
 
“L’ho venduto a un tipo losco all’uscita del parco per venti grammi di coca… Andiamo Clarke, un po’ di fiducia!” Raven rise, ma Clarke non si unì a lei “Allora?”
 
 
“Come sei pesante…” Raven e l’altra persona risero ancora, e a Clarke sembrò di sentire l’altra voce dire qualcosa come Barbie, ma non ne era sicura.
 
 
“E’ al sicuro, l’ho lasciato con Lexa.” Nel sentire quel nome, Clarke impallidì. “Lexa? Come… come conosci Lexa? E’ qui? Dove?”
 
 
“Ehi calmati principessa! Mi hai parlato tu di lei no? Ti sta così simpatica e tutto il resto… Anche Aden sembra adorarla, si divertirà molto di più con lei. E poi… ho trovato qualcuno.”
 
 
Clarke alzò gli occhi al cielo e si diede della stupida per essersi fidata di quell’ormone ambulante che era Raven “Raven, se succede qualcosa ad Aden io giuro che ti uccido.”
 
 
“Sono vicini al bar! Vai a prenderlo se non ti fidi. Così saluti anche Lexa, sembrava contenta di sapere che eri qui.” Raven chiuse la comunicazione prima che Clarke potesse rispondere, e il pensiero di Lexa che aspettava di vederla le scaldò il cuore.
 
 
“Amore, tutto bene?” Finn la guardava preoccupato. “Sì, devo solo andare un attimo a recuperare Aden.” Finn fece per alzarsi, ma Clarke scosse la testa “Resta pure qui. Così non perdiamo il posto; ci metterò un attimo.”
 
 
La verità era che erano giorni che pensava a Lexa, e in quel momento voleva solo poter passare qualche secondo con lei, da sola.
 
 
S’incamminò verso l’entrata del parco, dove si trovava il bar, mentre dietro di lei i fuochi continuavano a scoppiare, riempiendo il cielo di luci. Prima di accorgersene, cominciò a camminare veloce, sempre di più, impaziente di trovare Lexa.
 
 
Alla fine riuscì a vederla. Era in piedi accanto ad una panchina, e parlava sorridendo con una donna che Clarke non aveva mai visto. Si fermò, incapace di continuare prima di aver lasciato scivolare il suo sguardo su Lexa, il volto illuminato dalla luce dei fuochi e da quella dei lampioni, che lanciavano sfumature di colore sul suo bel viso.
 
 
Clarke realizzò in quell'istante quanto le fosse mancata. In quel momento, per caso, Lexa alzò lo sguardo nella sua direzione, e si bloccò. Clarke le sorrise, cercando di trattenersi dal correre verso di lei, emozionata come una bambina nel sapere che l’aveva vista.
 
 
La donna che era con lei, una bella signora dalla carnagione scura e i capelli corti, si girò quando Lexa smise improvvisamente di parlare, e rimase a guardarla per qualche secondo; cosa che Clarke notò appena, impegnata com’era a osservare ogni leggero movimento che Lexa faceva, cercando una reazione alla sua presenza.
 
 
Alla fine riuscì ad alzare la mano e scuoterla in segno di saluto, sperando di suscitare in lei una qualche risposta. Lexa rimase immobile, come pietrificata sotto il suo sguardo, gli occhi confusi di chi non sa cosa fare.
 
 
“Clarke! Ehi Clarke!” La ragazza si girò, interrompendo il contatto visivo con Lexa, trovandosi faccia a faccia con sua madre, Aden e Marcus che le sorridevano contenti.
 
 
“Finalmente, sembravi in catalessi!” La madre le strinse il braccio in modo affettuoso, e Clarke cercò di sorriderle “Ciao mamma… Aden, Raven mi ha detto che ti aveva lasciato con…” Clarke si girò verso la panchina, ma Lexa e la donna erano sparite. Provò un tuffo al cuore.
 
 
“Lexa sì. Che cara ragazza! L’ho vista con Aden quando siamo entrati e le ho detto che poteva andare, lui può venire con noi adesso.” “Ma io volevo restare con Lexa mamma!” protestò Aden, e Clarke pensò con tristezza che era esattamente quello che voleva anche lei.
 
 
* 
 
Clarke si lasciò cadere sul divano con poca grazia, sfinita dalla giornata “Metto a scaldare il bollitore!” le disse Finn dalla cucina, e lei si voltò a guardarlo con espressione confusa “Io prendo una birra se c’è.”
 
 
A quelle parole Finn sembrò leggermente interdetto, con il bollitore in mano a mezz’aria “Oh… Volevo offrirtela ma pensavo che…”
 
 
“Pensavi cosa?”
 
 
Finn prese un respiro profondo prima di parlare “Sei incinta Clarke?”
 
 
Clarke si mise a ridere prima di notare che Finn c’era rimasto male “Io… no, perché?”
 
 
“Forse poteva spiegare il recente…” Finn agitò la mano in aria, e Clarke pensò che non lo aveva mai visto così imbarazzato.
 
 
“Il recente?”
 
 
“No niente, lascia stare, scusami….” Fece per prendere una birra dal frigo, ma si bloccò “A meno che…”
 
 
“A meno che?” A Clarke non piaceva per niente la piega che stava prendendo quella conversazione.
 
 
“Tu vorresti restare incinta?”
 
 
Clarke sospirò “Ne hai parlato con mia madre?”
 
 
Finn sorrise scuotendo la testa “Lo so che abbiamo detto di aspettare ma… aspettare cosa?” Si guardò intorno “Non potremmo essere più sistemati di così.”
 
 
Quando Clarke rimase in silenzio, lui le strinse dolcemente la mano “Allora, cosa ne pensi?”
 
 
Clarke non riusciva a pensare a una buona scusa per dire di no. Non potevano avere un bambino, non in quel momento, quando la sua mente era confusa come non mai, quando nemmeno lei riusciva a capire cosa voleva.
 
 
Finn la guardò con occhi luminosi e felici, e lei si sentì in colpa come non mai per non riuscire a condividere la sua gioia; quello doveva essere uno dei momenti più felici della sua vita, eppure lei non riusciva a volerlo, non riusciva nemmeno a pensarci.
 
 
Fu il telefono di Finn a salvarla, mettendosi a squillare improvvisamente, e Clarke tirò un sospiro di sollievo, avvicinandosi al frigo per prendere una birra mentre sentiva Finn parlare nell’altra stanza con il suo solito tono pacato.
 
 
Pensava a Lexa, al modo in cui si erano guardate, al fatto che non l’avesse nemmeno salutata. Aveva forse fatto qualcosa di sbagliato? Lexa la stava evitando?
 
 
Il telefono di casa era accanto e lei, e lo fissò per un attimo prima di prendere una decisione impulsiva di cui si sarebbe sicuramente pentita.
 
 
Compose il numero a memoria, senza curarsi del fatto che c’era voluto così poco per impararlo, ripetendolo nelle ore di pittura mentre era combattuta se chiamarla o no, solo per sentire come stava.
 
 
Il telefono cominciò a squillare mentre il suo cuore batteva sempre più forte.
 
 
“Pronto?”
 
 
La voce di Lexa era limpida e dolce dall’altra parte della linea, e colpì Clarke come una freccia al cuore; rimase in silenzio, completamente incapace di dire una parola.
 
 
“Pronto? Chi è?”
 
 
Clarke chiuse la telefonata con uno scatto, allontanandosi dal telefono più che poteva. Perché aveva fatto una cosa così stupida? Sperò con tutto il cuore che Lexa non richiamasse.
 
 
“Amore, ho una brutta notizia.” Finn arrivò con sguardo addolorato “Ho una cena di lavoro martedì prossimo.” Clarke ci mise qualche secondo per collegare la cosa “Oh, la partita.”
 
 
Finn scosse la testa “E’ che non posso davvero dire di no, lo sai com’è Cage…”
 
 
Quando il telefono squillò, Clarke pensò di avere un infarto; forse fu proprio quello a impedirle di prendere il telefono e chiudere la conversazione prima che lo facesse Finn.
 
 
“Pronto?”
 
 
“Pronto? Finn? Sono Lexa.”
 
 
“Oh ciao Lexa! Tutto bene?”
 
 
“Sì… senti il mio telefono ha squillato, per caso…”
 
 
“Ottimo! Sei libera martedì sera?”
 
 
Clarke ci aveva ripensato, ora stava certamente avendo un infarto. Cosa diavolo stava facendo suo marito?
 
 
“Ti va di accompagnare mia moglie in un posto?”
 
 
“No, Finn, no no no.” Clarke non riusciva a crederci, avrebbe voluto strappare il telefono dalle mani del marito e gettarlo dalla finestra.
 
 
“Sai ho un appuntamento di lavoro che non posso evitare, e sarebbe bello se tu ti occupassi di Clarke. Avanti dì di sì!”
 
 
Clarke realizzò in quel momento che era impossibile che Lexa dicesse di sì. Non aveva nemmeno voluto salutarla prima; l’idea di passare un’intera serata con lei doveva atterrirla. Il pensiero riuscì a calmarla leggermente, e smise di inseguire Finn cercando di rubargli il telefono di mano.
 
 
Poi vide il sorriso di Finn “Magnifico, magnifico. Clarke ti chiamerà per i dettagli! Stammi bene.”
 
 
Chiuse la conversazione e guardò Clarke con un sorriso “Ottimo, ti ho sistemata!”
 
 
Clarke avrebbe voluto urlare. Non poteva sopravvivere a un’intera serata insieme a Lexa. Ma c’era una parte di lei, una parte che cercava con forza di ignorare, che non vedeva l’ora di farlo.
 
 
“Non avresti dovuto, la conosco appena.” Finn sembrava non capire “Ma come? E’ tipo la tua… anima gemella incontrata in un’altra vita, no? Ve la spasserete!” Le diede un bacio leggero sulle labbra e andò in camera, senza accorgersi dell’espressione sconvolta che Clarke aveva in viso.
 
 
 *
 

Dall’altra parte della città intanto, Lexa fissava allibita il telefono, incapace di credere a quello che aveva appena fatto. Guardò sconvolta il gatto seduto davanti alla ciotola, l’unico essere vivente presente in casa a parte lei “Perché ho detto sì?”
 
 
Gustus miagolò. Aveva fame.
 




 Note: Ciao a tutti! Sono una bruttissima persona, lo so, ma ormai non mi invento più scuse per il ritardo, sono lenta come una tartaruga zoppa, ma giuro che scrivo appena posso! Spero che il capitolo vi piaccia anche se Clarke e Lexa praticamente non interagiscono... Ma nella prossima puntata ci aspetta uno dei miei momenti preferiti, l'uscita *__* Fatemi sapere se il capitolo vi è piaciuto, anche con i cambiamenti fatti rispetto alla storia! Alla prossima!

(ps: un grazie speciale ai messaggi vocali di C. senza i quali non sarei riuscita a finire il capitolo)

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Capitolo 6
*** In bilico ***


Dire che Lexa era agitata per la sua imminente uscita con Clarke sarebbe stato un eufemismo. Aveva passato ogni singolo giorno che la separava da martedì a escogitare una scusa per non andare.
                                 
 

Aveva persino preso in mano il telefono un paio di volte, pronta a chiamare Clarke per annullare tutto; eppure non ci era riuscita, e temeva di conoscerne il motivo.
 
 

C’era una parte di lei che desiderava passare del tempo da sola con Clarke più di ogni altra cosa, nonostante tutto il buonsenso che aveva in corpo le dicesse di non farlo. L’altra sera, quando l’aveva vista al parco, era stata solo la presenza di Indra a impedirle di andare da lei.
 
 

Riusciva a immaginarsela ancora in quel momento, bella come un dipinto, mentre le sorrideva; l’aveva lasciata senza fiato, incapace di formulare un pensiero coerente. Cercò di non pensare a come doveva essersi sentita Clarke quando si era girata e non l’aveva più vista.
 
 

Era stata Indra ad afferrarla per il braccio e trascinarla via, lontano dalla sua sirena incantatrice, prima che potesse salutarla, sorriderle, fare qualsiasi cosa.
 
 

“Adesso capisco i discorsi di tua sorella.” La madre aveva scosso la testa “Dammi retta, quella ragazza può portarti solo guai.”
 
 

Lexa non aveva risposto, vergognandosi del suo comportamento di poco prima, adatto più a un’adolescente che a una persona adulta; il tono di Indra sembrò addolcirsi leggermente.
 
 

“Ti piace davvero questa ragazza?” Lei annuì, incapace di dire altro. “Penso che anche a lei tu piaccia.”
 
 

“Davvero? Io… io non ci capisco niente.” Lexa si passò la mano tra i capelli, emozionata e spaventata allo stesso tempo da quell’idea.
 
 

“E’ tutto nello sguardo piccola mia.” Indra le strinse il braccio e Lexa rimase sorpresa, non era mai stata una donna molto espansiva “Ti ha guardata come si guarderebbe una stella che ti indica la via verso casa.”
 
 

Indra le aveva lasciato il braccio, e si era allontanata leggermente. “Ma ciò non toglie che la situazione sia quella che è. Non sono nessuno per giudicare lei, ma non voglio che tu rimanga ferita. Stai attenta Lexa, proteggi il tuo cuore.”
 
 

Lexa si era domandata con paura se non fosse ormai troppo tardi per quello.
 
 

Si fermò a guardare per l’ennesima volta i vestiti che aveva sparsi sul letto, senza sapere cosa indossare. In fondo non era un appuntamento, Lexa si affrettò a togliere quell’idea dalla mente.
 
 

Si era fatta la doccia ormai mezz’ora prima, eppure continuava a girare per casa coperta solo con l’asciugamano, Gustus alle calcagna che miagolava affamato. “E’ mai possibile che tu abbia sempre fame? Sono in una situazione critica qui.”
 
 

Suonò il campanello e Lexa guardò l’ora preoccupata prima di tirare un sospiro di sollievo, era troppo presto, mancava almeno mezz’ora all’arrivo di Clarke. Questa doveva essere Anya, aveva detto che forse sarebbe passata sul tardi per salutarla e raccontarle delle novità. Lexa sperava tanto che non riguardassero Raven.
 
 

Aprì la porta senza preoccuparsi di controllare, lasciandola aperta e girandosi per cercare la spazzola che aveva appoggiato chissà dove qualche minuto prima “Entra pure Anya, scusa il casino ma non so cosa mettermi, puoi darmi una mano?”
 
 

“Volentieri.” Rimase immobile per un secondo, le spalle alla porta, i capelli ancora leggermente umidi che le ricadevano sulla faccia in ciocche scomposte e selvagge, prima di girarsi e trovarsi faccia a faccia con Clarke.
 
 

“Tu… non sei Anya.” Clarke rise nervosa e Lexa riuscì fisicamente a percepire il suo sguardo vagare sul suo corpo, sentendosi improvvisamente scoperta nonostante l’asciugamano “No, non sono Anya. Scusa l’anticipo, ma ho finito di lavorare prima e ho pensato di passare… se è un problema posso aspettare fuori.”
 
 

La presa di Lexa sull’accappatoio si strinse spasmodicamente “No figurati, entra pure. Scusa il disordine… e scusa l’abbigliamento.”
 
 

Clarke sembrò arrossire, ma Lexa non era sicura di averlo visto veramente “Siediti pure dove vuoi… Mi cambio subito, dammi cinque secondi.”
 
 

“Tutto il tempo che vuoi Lexa, davvero.” Clarke si sedette nervosa sul divano, e Lexa rimase per un attimo a guardarla, come se le sembrasse impossibile vederla lì in quel momento, sul divano di casa sua. Impegnata com’era nel salvarsi al meglio in quella situazione imbarazzante, non era riuscita a guardarla bene.
 
 

Indossava una sciarpa blu che richiamava il colore dei suoi occhi, i capelli biondi erano sciolti e le accarezzavano le spalle, incorniciando il suo bel viso. Lexa notò che sulla guancia destra portava ancora un segno di tempera arancione e la cosa la fece sorridere.
 
 

“Hai intenzione di andare a vestirti prima o poi?” Clarke la guardava divertita “Non che mi dispiaccia… Cioè no, nel senso di arrivare in ritardo. Non c’è problema.” Era arrossita di colpo e aveva borbottato le ultime parole in fretta, distogliendo lo sguardo, e lei la trovò adorabile.
 
 

“Hai ragione, torno subito.”  
 
 
 
 


Clarke guardò Lexa uscire dalla stanza e tirò un sospiro di sollievo. Che cosa le era saltato in mente? Si guardò intorno, osservando il piccolo appartamento di Lexa, cercando di memorizzare l’ambiente così da poterla immaginare lì quando pensava a lei.
 
 

Una cosa in particolare catturò la sua attenzione, e si alzò dal divano per osservare meglio il piccolo mobile davanti a lei, pieno di fotografie.
 
 

Ne trovò una di Lexa e Anya sulla cima di una montagna, vestita da trekking e stanche morte, e sorrise nel vedere l’espressione sfinita di Anya e il sorriso stanco di Lexa. Un’altra ancora mostrava Lexa e Anya da ragazzine, con la donna che aveva visto quella sera al parco; un piccolo ritratto di famiglia.  Le si scaldò il cuore nel vedere Lexa da piccola, i capelli selvaggi come adesso che le incorniciavano il viso, il sorriso sfrontato senza un paio di denti che le illuminava l’espressione. Notò che portava gli occhiali, e si rese conto di non aver mai fatto caso a quel dettaglio; probabilmente Lexa indossava sempre le lenti.
 
 

Un'altra foto, nascosta leggermente dietro le altre ritraeva Lexa il giorno della sua laurea. Clarke pensò di non averla mai vista sorridere così, sembrava il ritratto della felicità. In una mano stringeva la laurea appena ricevuta, e con l’altra mano stringeva a sé una ragazza, anche lei con la toga di laurea e incredibilmente sorridente.
 
 

Clarke prese la foto per osservarla meglio, notando come la ragazza accanto a Lexa fosse incredibilmente bella, la carnagione color caramello e i riccioli scuri e splendenti. E il modo in cui Lexa la guardava, lo sguardo pieno d’amore, sembrava renderla ancora più bella.
 
 

“Miao”
 
 

Clarke sobbalzò nel sentire il rumore, e per poco non lasciò cadere la cornice. Dietro di lei si era appostato un grosso gatto rosso, che la fissava con calma intensità. Clarke appoggiò la foto con delicatezza e si accucciò per accarezzare il gatto, che cominciò a fare le fusa rumorosamente; cercò di non pensare al modo in cui si era sentita nel vedere lo sguardo di Lexa, nel rendersi conto che avrebbe dato qualsiasi cosa per essere guardata così da lei.
 
 

Il gatto si sdraiò mostrandole la pancia, chiedendo più attenzioni, e Clarke sorrise “Sei davvero un bel micione. Come ti chiami?”
 
 

“Si chiama Gustus.” Lexa era rientrata nel salotto con un sorriso, finalmente vestita “E di solito non è così amichevole con gli estranei, devi stargli simpatica… oppure deve avere veramente fame.”
 
 

Clarke rise e si alzò, senza notare che Lexa aveva cambiato espressione. Il sorriso si era spento nel suo volto quando aveva notato la foto spostata, e Clarke si sentì immediatamente in colpa “Scusami io… non volevo curiosare.”
 
 

Lexa prese la foto con gesti delicati che parlavano di un grande affetto e la strinse tra le mani “Non importa, tranquilla. Questa è di quasi sei anni fa… Sembra un’altra vita.”
 
 

“Non sapevo fossi laureata.” Lexa sorrise “Una fiorista non può esserlo?” Clarke abbassò lo sguardo imbarazzata “No, non volevo dire questo.”
 
 

“Scusami tu, non è facile parlare di certe cose. Mi sono laureata in giurisprudenza, e ho esercitato per qualche anno come pubblico ministero. Costia si era laureata in Lettere Moderne.”
 
 

Clarke non riuscì a fare a meno di notare che la voce di Lexa aveva avuto un tremito nel dire quel nome. “La ragazza nella foto?” Lexa annuì “Era la mia ragazza. Volevamo sposarci dopo la laurea ma abbiamo deciso di aspettare qualche anno, giusto per sistemarci meglio, lei faceva fatica a trovare un lavoro e alla fine decise di aprire un negozio di fiori, perché le erano sempre piaciuti… era così piena di entusiasmo e di vitalità, sempre con nuove idee.”
 
 

Una lacrima solitaria le scese sulla guancia, lasciando una scia lucente sul bel viso di Lexa, e senza pensarci Clarke alzò la mano a stringerle il polso, cercando un contatto che potesse consolarla, perché aveva già capito che quella storia non poteva avere un lieto fine.
 
 

“E’ morta un anno dopo. Un piccolo bastardo voleva farmela pagare per averlo messo qualche mese in prigione per spaccio, e mi ha tamponato con l’auto, per farmi andare fuori strada.” La voce di Lexa era stranamente impassibile durante il racconto, cosa che stonava terribilmente con le lacrime che le solcavano il volto.
 
 

Clarke avrebbe voluto fermarla, dirle che non c’era motivo per dirle tutto questo, eppure sentiva che in quel momento Lexa aveva bisogno di parlare, di sfogarsi. Si chiese se avesse mai raccontato veramente questa storia a qualcuno.
 
 

Lexa riprese fiato con un sospiro “Doveva essere una cosa da niente, solo per spaventarmi… Ma c’era una curva ed io… io non sono riuscita a fermarmi. E’ morta sul colpo. Non ho potuto fare niente.”
 
 

Lexa ormai singhiozzava, e Clarke si avvicinò a lei per abbracciarla, la cornice con la foto intrappolata tra di loro. Lexa si strinse a lei, e Clarke sentì una lacrima scivolarle dolcemente sulla spalla. “Dopo l’incidente non sono più riuscita a lavorare. Non ne venivo fuori. Così ho cambiato lavoro, ho cambiato casa… Mi sono data all’unica cosa che aveva ancora un senso per me.”
 
 

“Il negozio di fiori?”
 
 

Sentì Lexa annuire “Era l’unica cosa che mi rimaneva di lei. Dovevo prendermene cura.”
 
 

“Avrei voluto conoscerla.” Clarke non sapeva bene cosa dire, eppure la distruggeva vedere Lexa in quello stato.
 
 

“Le saresti piaciuta. Ti avrebbe chiesto di dipingere dei fiori.”
 
 

Lexa si staccò da lei, improvvisamente imbarazzata, asciugandosi le lacrime con la manica della camicia “Scusami, non so perché ti sto dicendo tutto questo, tu volevi solo andare alla partita e…”
 
 

Clarke le strinse nuovamente il polso, bloccandola “Puoi dirmi quello che vuoi Lexa, davvero. Sono qui per te.” Clarke registrò solo parzialmente la voce nella sua testa che le consigliava di stare attenta, perché era a un tratto tutto troppo intimo.
 
 

Lexa scosse la testa “E’ più facile parlarne adesso. Ma ci sono voluti anni… Il senso di colpa mi distruggeva tanto quanto la sua mancanza.”
 
 

“Non è stata colpa tua. Per niente. Sono sicura che anche Costia te lo direbbe.”
 
 

Lexa le sorrise; aveva smesso di piangere, e adesso sembrava più serena “Grazie Clarke, davvero. Adesso possiamo andare.”
 
 

Clarke intuì che Lexa volesse cambiare argomento, e questa volta non oppose resistenza. “D’accordo, andiamo.” Eppure quando la lasciò andare, annullando il contatto con la ragazza, fu lei a sentirsi persa per un attimo. Avrebbe voluto continuare a stringerle la mano.
 
 
 
 

Lexa non aveva pensato molto prima di rivelare la storia del suo passato a Clarke, le era venuto spontaneo essere sincera con lei, non cercare di nascondersi come di solito faceva quando si entrava sul personale.
 
 

Adesso, mentre camminavano fianco a fianco verso lo stadio, con il vento che le gelava le mani e le schiariva i pensieri, non era sicura di aver fatto la scelta giusta. Che cosa avrebbe pensato Clarke di lei dopo la sua confessione?
 
 

Era strano per lei, sentirsi così dipendente dall’opinione di qualcuno, lei abituata a stare da sola, indipendente e autonoma in tutto. Guardò Clarke di sottecchi, cercando di non farsi vedere, ma sorprese la ragazza mentre la guardava a sua volta, e i loro sguardi s’incontrarono.
 
 

Clarke arrossì e distolse lo sguardo “Scusami, non volevo fissarti.” Lexa sorrise spontaneamente nel vedere il rossore nel volto di Clarke, che la faceva sembrare una bambina “Un penny per i tuoi pensieri.”
 
 

“E’ una cosa stupida.” Lexa si avvicinò, dandole un lieve colpo di incoraggiamento alla spalla “Andiamo, dimmi.” “E’ strano essere qui con te.”
 
 

Lexa inarcò leggermente un sopracciglio, dubbiosa “Non strano in modo negativo. Mi piace, ma… Ci sono sempre venuta con Finn.”
 
 

Nel sentire quel nome Lexa fece un involontario passo indietro “Mi dispiace che lui non si riuscito a venire oggi.” Clarke alzò le spalle “E’ molto impegnato con il lavoro ultimamente. Ma non mi dispiace, ho te.” Lexa la guardò negli occhi, cercando di capire se Clarke la stesse o no prendendo in giro “Stiamo bene insieme io e te.”
 
 

Clarke arrossì di nuovo, ma Lexa annuì “Lo penso anche io.” Ci fu qualche secondo di silenzio imbarazzato, poi Lexa si schiarì la gola “Allora, è stato Finn a farti appassionare al calcio?”
 
 

Clarke rise mentre salivano i gradini che le avrebbero portate nei loro posti all’interno dello stadio “In realtà è stato il contrario. Vengo qua da quando sono piccola. Mio papà… Mi portava lui.”
 
 

Lexa sorrise “Oh, Marcus? Non mi sembrava un tifoso.”
 
 

Clarke s’irrigidì per un momento “Marcus non è mio padre.” Lexa rimase immobile per un attimo mentre Clarke proseguiva sulla scalinata, per poi affrettarsi a raggiungerla “Mi dispiace, non lo sapevo.”
 
 

“Non potevi saperlo.” Clarke le sorrise “Non parlo quasi mai di papà. Fa ancora male, a volte.”
 
 

Lexa rimase un secondo in silenzio, chiedendosi se insistere o meno, ma Clarke la guardò negli occhi e sembrò capire il suo dubbio, perché riprese a parlare.
 
 

“E’ morto. Un incidente sul lavoro, quando ero piccola… Sono passati quasi quindici anni.”
 
 

“Mi… mi dispiace moltissimo Clarke.” Lexa allungò la mano e le strinse delicatamente la spalla, timorosa che qualsiasi altro contatto avrebbe potuto innescare qualcosa che non sarebbe riuscita a fermare.
 
 

Vedere Clarke così fragile mentre cercava di trattenere le emozioni che provava dentro le rendeva quasi impossibile sopportare la distanza tra loro, eppure sapeva di non avere altra scelta; non poteva rischiare di rompere quel fragile equilibrio che si era creato tra loro, perché sapeva bene che facendolo non avrebbe ottenuto nulla, se non far soffrire Clarke ancora di più.
 
 

“Ormai ho imparato a conviverci. Non mi piace parlarne, ma dopo che tu mi hai parlato di Costia…” Che strano, sentire quel nome pronunciato da Clarke “Volevo dirti che ti capisco. Mia madre non è mai stata una donna molto espansiva, e quando papà è morto si è chiusa ancora di più in se stessa. Io ero una ragazzina, e non capivo più niente.”
 
 

Erano arrivate al loro posto, e Clarke si sedette con un sospiro, con le mani intrecciate sulle ginocchia “Avevo perso il mio punto di riferimento. Io e papà… eravamo molto uniti, più di quanto lo sia mai stata con mia madre purtroppo. Lui mi capiva, c’era sempre per me… era la mia roccia.”
 
 

Lexa non aveva mai avuto un padre, ma capiva bene di cosa parlava Clarke; Indra era sempre stata tutto quello per lei “Deve essere stato difficile per te.”
 
 

Clarke annuì “Ero così piena di rabbia. Non uscivo, non parlavo con nessuno, non dipingevo nemmeno più. Mi sentivo spenta, come se una parte di me fosse morta con lui.”
 
 

Nonostante la folla intorno a loro, la musica da stadio che risuonava tra le gradinate, Lexa poteva percepire che si era creata una piccola bolla tra lei e Clarke, una specie di mondo a sé, in cui non c’era suono più importante della voce leggermente incrinata di Clarke.
 
 

“Ci sono voluti mesi per rendermi conto che dovevo riprendermi. Le mie amiche, Raven e Octavia… Loro mi sono state vicine come nessuno. E’ grazie a loro se mi sono ripresa. Poi al college ho conosciuto Finn e… la vita è andata avanti.”
 
 

Clarke si girò a guardarla negli occhi e le sorrise “Marcus è un brav’uomo, e rende felice mia madre, ed è stato paziente con me anche quando lo odiavo perché pensavo volesse prendere il posto di mio padre. Poi ho capito che niente e nessuno potrà mai prendere il suo posto, riempire quel vuoto. Ma ci si può costruire sopra, si può andare avanti. So che è quello che lui avrebbe voluto per me e la mamma.”
 
 

Lexa annuì “Sono sicura che sarebbe molto orgoglioso di te.”
 
 

Clarke le sorrise, e Lexa non sentì più freddo, nonostante il clima gelido della serata
 
 

“Grazie Lexa. Grazie di essere qui.”
 
 

“Il piacere è mio.”
 
 

Rimasero a fissarsi negli occhi per un lungo momento, l’una accanto all’altra quando il fischio dell’arbitro tagliò l’aria, riportandole alla realtà.
 
 
 
 



“Avanti dai, buttalo giù! Colpisci alle gambe!”
 
 

Clarke gridò con tutto il fiato che aveva in corpo, cercando di ignorare gli sguardi divertiti che Lexa le lanciava; non aveva mai visto una vera tifosa all’opera?
 
 

Non lo faceva certo per farsi vedere, assolutamente no, eppure mentre saltellava per la tensione, incitando la sua squadra, lo faceva con più veemenza del solito.
 
 

Forse era solo per cercare di togliersi di dosso quel senso di malinconia che l’aveva colpita parlando di suo padre, o semplicemente il desiderio di coinvolgere Lexa in quello sport che tanto appassionava lei.
 
 

Il giocatore della sua squadra che stava portando avanti la palla in quel momento si avvicinò alla porta, e per un attimo Clarke si concentrò interamente sulla partita.
 
 

L’uomo arrivò vicinissimo al portiere e, ingannandolo con una finta, riuscì a trovarsi da solo davanti alla porta. L’urlo di esultanza che stava per lanciare le morì in gola quando vide che il tiro da principiante non era andato a segno, lasciando spazio solo a un gemito di disapprovazione che si unì a tutti quelli degli uomini intorno a lei.
 
 

“Vai troppo di testa Clarke.”
 
 

“Che cosa?” Clarke spostò la sua attenzione su Lexa, che non sembrava minimamente toccata dalla tragedia a cui avevano appena assistito, ma che la guardava sorridente.
 
 

“Quando urli. Se vuoi che sentano gli insulti devi alzare la voce. Come… come se fossi il comandate di un esercito e dovessi urlare ai tuoi uomini di partire all’attacco.”
 
 

Clarke alzò lievemente un sopracciglio, scettica “Sono sicura che hai molta esperienza riguardo eserciti e urla, comandante...”
 
 

Lexa sorrise “No, ma quando devi parlare a un’aula piena di gente durante un processo, devi imparare a farti sentire.”
 
 

Clarke cercò di immaginarsi Lexa in un’aula di tribunale, e non le fu per nulla difficile vederla in piedi davanti alla giuria, gli occhi verdi che brillavano mentre cercava di far valere le ragioni del suo cliente. Per un attimo la sua mente fu trascinata via dai dettagli di quell’immagine, gli zigomi marcati della ragazza che sembravano incisi nel marmo, le linee del suo volto, il suo corpo tonico avvolto da uno di quei completi firmati che gli avvocati indossavano nelle trasmissioni che guardava sua madre in televisione.
 
 

Si accorse che Lexa era rimasta a fissarla in silenzio, e le sorrise imbarazzata “Insegnami allora.”
 
 

Lexa le riservò un sorrisetto scaltro che Clarke trovò tremendamente affascinante “Per prima cosa, indurisci i muscoli dello stomaco.”

 
 
Clarke rise “Non credo di averli.”
 
 

Lexa fece un passo verso di lei, sorridendo “Ma certo che ce li hai.” La sua mano le sfiorò l’addome, indicando un punto imprecisato.
 
 

Ora era così vicina che Clarke riusciva a sentire la sua voce sussurrata nel suo orecchio, facendola tremare come una foglia, e non per il freddo.
 
 

“Eccoli qui. Indurisci.”
 
 

Clarke si sentì più imbarazzata che mai “Ci sto provando.”
 
 

“Devi tenderli.”
 
 

“Sono già piuttosto tesa.” E lo era davvero; la vicinanza di Lexa la stava facendo impazzire.
 
 

“Bene. Adesso allarga il diaframma.”
 
 

“Il cosa?” Clarke sapeva esattamente di cose stava parlando Lexa, ma sperava che fosse l’altra a mostrarglielo.
 
 

Quando la mano di Lexa salì verso il suo petto, aumentando lievemente la pressione su di lei, non riuscì a capire se era felice o no di averlo fatto.
 
 

“Sta qui.”
 
 

“Oh” fu l’unica cosa che Clarke riuscì a dire. Si sentì improvvisamente avvolgere dal calore mentre il suo volto si colorava di rosso.
 
 

Il tono di Lexa scese di un’ottava mentre le sussurrava comandi all’orecchio, così vicina che Clarke riusciva a percepire il calore del suo respiro sulla sua pelle.
 
 

“Okay, spingilo contro la mia mano.”
 
 

Clarke non sapeva bene come fare, e si limitò a girarsi per guardare Lexa negli occhi.
 
 

“Senti la mia mano?”
 
 

Clarke prese un respiro profondo, incapace di trattenersi dal dare la prima risposta che le era venuta in mente
 
 

“Metticele tutte e due.”
 
 

Lexa esitò solo un secondo, fissando Clarke negli occhi, come valutando la pericolosità che un gesto del genere poteva comportare.
 
 

Per Clarke era come se camminassero su un filo sottilissimo, in balia di un vento che rischiava di farle cadere da un momento all’altro.
 
 

Lexa sembrò decidersi e la circondò con le braccia, stringendola a sé per un momento.
 
 

“Okay, adesso la cosa importante. Immagina come se il tuo palato fosse una cattedrale.”
 
 

Clarke rise e girò lievemente il volto, sfiorando la guancia di Lexa con la punta del naso
 
 

“No, non ti seguo.”
 
 

“Oh andiamo!” Lexa si separò da lei, lasciandola con un’improvvisa sensazione di freddo vuoto.
 
 

“No no, i muscoli, il diaframma, ci sono, ma…”
 
 

“E’ per sentire lo spazio! Hai una bocca enorme, grande, e devi cercare di riempirla di suono…”
 
 

“Vi insegnano questo a giurisprudenza?”
 
 

Lexa scosse la testa ridendo, ma riprese il discorso “Dal tuo più profondo, riempi lo spazio e poi… fuori.”
 
 

Clarke la guardava ancora molto scettica “Come?”
 
 

“Così…”
 
 

Lexa guardò i giocatori che stavano tornando in posizione per ricominciare il gioco, sporgendosi leggermente in avanti, mentre Clarke la guardava onestamente incuriosita.
 
 

“NON VALI UNA SEGA NUMERO NOVE!”

 
 

Il giocatore numero nove, colpevole di aver sbagliato il tiro qualche attimo prima si girò a guardarle, visibilmente stupito.
 
 

Clarke si portò la mano alle labbra, nascondendo una risata, colpita dall’abilità di Lexa, e Lexa le sorrise, solo leggermente imbarazzata; nonostante la folla intorno a loro che le fissava, era come se non ci fosse nessun altro.









Note: Ciao a tutte! Intanto spero che il capitolo vi sia piaciuto! Avevo pianificato di mettere tutto l'appuntamento in un unico capitolo, ma stava diventando troppo lungo e non volevo farvi aspettare troppo per l'aggiornamento (lo so, vi ho fatto aspettare un sacco lo stesso)  quindi questa è solo la prima parte! Sto cercando di inserire più scene originali che posso, anche perché mi piace molto scriverle, ma a volte non è facile inserirle nella trama generale! Spero comunque che questo capitolo vi sia piaciuto, fatemi sapere cosa ne pensate! Grazie a tutti quelli che mi lasciano recensioni e che continuano a seguire la storia,
alla prossima!

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Capitolo 7
*** I Fiori ***


Quando Lexa aveva suggerito in modo molto ironico che dopo la partita sarebbero potute andare a ballare, si aspettava tutto meno che il posto in cui Clarke l’aveva portata.
 
 

Non che morisse dalla voglia di andare in una discoteca, non le piacevano i posti rumorosi e pieni di gente, ma se Clarke voleva era disposta a fare un sacrificio per lei. Invece Clarke l’aveva portata in una rumorosa sala giochi piena di ragazzini, con un sorriso così luminoso da fare concorrenza alle scintillanti luci dei giochi attorno a loro.
 
 

“Clarke… cosa ci facciamo qui?” Clarke indicò uno dei giochi davanti a loro, e Lexa capì immediatamente cosa aveva in mente la ragazza; era una di quei giochi per ballare con le frecce colorate che Lexa non vedeva almeno da una decina d’anni.
 
 

“Volevi una sfida di ballo, e ti ho accontentata.” Lexa la guardò stupita “Io su quel coso non ci salgo.”
 
 

“Non puoi dirmi di no Lexa, altrimenti vinco automaticamente io.” C’era una vaga espressione di sfida nello sguardo di Clarke, mista al divertimento che evidentemente provava nell’averla messa in un angolo, e Lexa per un momento rifletté sulle sue opzioni.
 
 

Valeva veramente la pena rischiare di mettersi in ridicolo solo per non darla vinta a Clarke? Con un altro sguardo all’espressione sicura di sé di Clarke Lexa prese la sua decisione.
 
 

Si tolse la giacca, appoggiandola con delicatezza sulla sedia accanto a lei e sorrise a Clarke “D’accordo, ma non hai idea di cosa stai scatenando.”
 
 

Clarke si mise in posizione e inserì i gettoni nella macchina, invitando Lexa a unirsi a lei. Quando la musica iniziò a risuonare attorno a loro, Lexa si sentì, come spesso le accadeva in presenza di Clarke, quasi fuori dalla realtà.
 
 

Iniziò a ballare e fu sorpresa di vedere che Clarke accanto a lei ci metteva persino più impegno. Doveva essere divertente vederle da fuori, due adulte che si muovevano come scalmanate per prendersi più punti possibili.
 
 

Lexa perse il conto dei minuti, troppo impegnata a seguire la musica e a guardare Clarke, bella come il sole sotto le luci del gioco, sentendosi felice come non le succedeva da tantissimo tempo.
 
 

Per questo quando la musica finì all’improvviso ci rimase quasi male, nonostante il punteggio davanti a lei dicesse che aveva battuto Clarke di qualche punto.
 
 

“Non è valido!” La ragazza le diede una leggera spinta con il braccio “Hai imbrogliato!”
 
 

Lexa finse di essere offesa “Non è assolutamente vero, ho vinto in modo leale! E adesso mi spetta un premio.”
 
 

Clarke la guardò incuriosita “Che cosa vorresti, campionessa?” Lexa valutò per un attimo le varie possibilità che aveva, poi sorrise quando trovò l’idea giusta.
 
 

“Vorrei vedere i tuoi disegni.” Clarke sembrò presa alla sprovvista dalla richiesta, l’espressione leggermente confusa.
 
 

“Se ti va, ovviamente.”
 
 

“Io… si certo. Non pensavo t’interessassero veramente.”
 
 

Lexa la guardò stupita “Certo che si Clarke. Sarebbe un onore vederli.”
 
 

Clarke arrossì visibilmente e le sorrise “Allora va bene. Dobbiamo andare nel mio studio però, spero che non ti dispiaccia.”
 
 

Lexa scosse la testa “Per niente.”
 
 
*
 
 

Quando Clarke aprì la porta del suo studio Lexa rimase un secondo interdetta nel vedere il caos attorno a lei, e Clarke sorrise “Il caos nel mio studio può essere usato come una realistica rappresentazione del caos nella mia testa.”
 
 

“Uno splendido caos.” Lexa distolse lo sguardo mentre Clarke arrossiva, muovendo i primi passi all’interno della stanza.
 
 

Era stato strano camminare fianco a fianco con Clarke nella scuola deserta, in silenzio, nel cuore un misto di imbarazzo ed eccitazione; ora che era davanti alle opere di Clarke, si sentiva come una bambina a Natale.
 
 

“Questo è di qualche anno fa, lo tengo qui perché mi piace particolarmente.” Indicò uno dei quadri davanti a loro, raffigurante un paesaggio invernale, una scogliera ricoperta da un sottile strato di neve, il mare mosso e scuro tanto realistico da sembrare vivo, pronto a uscire dal dipinto e sommergerle entrambe.
 
 

“E’ bellissimo. E così realistico…” Clarke sorrise “L’ho fatto di ritorno dal mio viaggio di laurea. Io e Finn siamo andati in Norvegia.”
 
 

Lexa la guardò sorpresa “L’hai dipinto a memoria? E’ incredibile.” “Avevo preso qualche scatto, ma mi affido di più alla mia memoria. Faccio sempre così, quando vedo qualcosa che m’interessa, è come se ne catturassi i dettagli nella mente.”
 
 

Lexa avrebbe voluto toccare il dipinto, lasciar scivolare le dita sulle dense pennellate di colore che Clarke aveva lasciato sulla tela con gesti metodici e precisi, ma si trattenne per paura di rovinare un quadro tanto bello.
 
 

“E cosa t’interessa, di solito?”
 
 

Lexa notò il rossore che salì alle guance di Clarke, e scosse la testa “Scusa, non sono affari miei.”
 
 

“No no, tranquilla. Solo che… è difficile da spiegare. A volte non capisco nemmeno io perché certe cose mi restino nella mente, senza che io riesca a farle sparire.”
 
 

Si guardarono negli occhi, e Lexa riuscì a sentire la tensione crescere nell’aria intorno a lei. Forse andare lì non era stata una buona idea. Distolse lo sguardo da Clarke, schiarendosi la gola “Posso vederne un altro?”
 
 

Clarke annuì e si spostò verso un quadro al centro della sala, vicino a dove erano posati diversi colori, alcuni ancora freschi. “Questo è quello su cui sto lavorando in questi giorni. Non so perché, non riesco a finirlo. Non sono mai soddisfatta.”
 
 

Lexa fissò a lungo il dipinto, un altro paesaggio, un campo di un verde brillante illuminato dal sole, circondato dalla foresta; era un dipinto magnifico, ma effettivamente anche lei percepì che qualcosa mancava.
 
 

“Dovresti metterci dei fiori.” Lo sguardo di Clarke passò dal quadro a lei “Come scusa?”
 
 

Lexa sorrise, imbarazzata al pensiero di suggerire a un artista come fare il suo lavoro “Dovresti metterci dei fiori, in quel campo. Ci vuole una nota di colore in tutto quel verde.”
 
 

Il volto di Clarke s’illuminò con un sorriso “Ma certo… Che stupida, non ci avevo pensato. Cioè sì, ci avevo pensato, ma poi non sapevo che fiori fare, cosa poteva starci bene, e avevo abbandonato l’idea sul nascere. Però hai ragione, così manca di realismo.”
 
 

Lo sguardo di Clarke si fece all’improvviso più attento mentre scrutava la tela “Ma voglio metterci qualcosa di significativo, di importante. Puoi aiutarmi?”
 
 

“Cosa ti serve sapere?” Lexa si avvicinò a lei, osservando meglio il dipinto. “Puoi parlarmi del significato dei fiori? Quando ti ho sentita parlare nel tuo negozio… era così interessante.”
 
 

Fu Lexa questa volta ad arrossire imbarazzata “Non ne so poi così tanto. Ma prova a dirmi un fiore, vedrò quello che riesco a fare.”
 
 

Clarke la fissò negli occhi, e Lexa si perse per un momento nei riflessi azzurri del suo sguardo.
 
 

“Parlami del giglio.”
 
 

Lexa sospirò leggermente, se l’era aspettato “Il giglio… meglio di no.”
 
 

Clarke finse di imbronciarsi “Ma è il mio preferito.”
 
 

“Lo so.” Lexa spostò lo sguardo verso un punto indefinito alla sua destra “Chiedimi dell’azalea.”
 
 

Clarke rise “D’accordo, cosa mi dici dell’azalea?”
 
 

Lexa fece un passo indietro, cercando di alleggerire la leggera tensione che sentiva in quel momento “L’azalea significa ti auguro sicurezza economica.”
 
 

Clarke la guardò stupita per un attimo prima che entrambe scoppiassero a ridere “E’ sicuramente molto poetico Lexa. Starebbe benissimo nel mio quadro, potrei persino intitolarlo –Sicurezza economica-“
 
 

“Non ho mai detto che i fiori debbano portare poesia.”
 
 

Clarke le diede una leggera spinta con la spalla, e quel solo tocco fece recuperare a Lexa tutto l’agitazione che aveva sentito scivolare via con la risata di poco prima. Stava giocando col fuoco.
 
 

“Andiamo Lexa, dimmi del giglio.”
 
 

Gli occhi di Clarke la guardavano così speranzosi che le ultime resistenze di Lexa cedettero con un sospiro “Il giglio significa: ti sfido ad amarmi.”
 
 

Clarke si bloccò, come congelata, gli occhi spalancati come se avesse appena visto un fantasma. Lexa avrebbe voluto distogliere lo sguardo, ma ne era come catturata. Clarke era come un magnete che la tirava a sé; Lexa non era mai stata abbastanza forte da resistere al suo richiamo.
 
 

Ringraziò il cielo quando fu Clarke a distogliere lo sguardo, fissando con insistenza il pavimento.
 
 

“E’ tardi, forse dovremmo rientrare. Grazie della bella serata.”
 
 

Lexa le sorrise nonostante tutto “Grazie a te. Oggi è il mio compleanno.”
 
 

Clarke alzò di nuovo la testa, un’espressione incredibilmente stupita in volto “Avresti dovuto dirmelo. Ti ho pure portata a quell’inutile partita…”
 
 

“No davvero, è stata una splendida serata. Di solito io non faccio nulla per il mio compleanno. Questo… questo è stato davvero bello.” Lexa aveva detto questo, perché non era riuscita a trovare una parola più adatta per quello che avevano appena vissuto.
 
 

Clarke scosse la testa “Non ho nemmeno un regalo da darti…” si guardò intorno, come alla ricerca di qualcosa.
 
 

“No Clarke, davvero non devi. Mi sono divertita molto, mi basta questo.” Mi basta stare con te, avrebbe voluto dire, ma era quasi sicura che Clarke non l’avrebbe sentita comunque, perché si era messa a cercare qualcosa tra gli scaffali disordinati della stanza.
 
 

“In realtà ho qualcosa per te.” Prese quello che sembrava un blocco da disegno, prima di tornare verso di lei, il volto accaldato “Ma mi devi promettere di non ridere.”
 

 
*
 
 

Clarke riusciva a sentire con precisione assoluta i dettagli del blocco da disegno sulle sue dita, il battito del suo cuore leggermente accelerato mentre si avvicinava a Lexa.
 
 

Quella serata era stata a dir poco strana, piena di momenti in cui si era sentita assolutamente persa, come se tutto ciò che sapeva, che fino a un momento prima le era stato chiaro fosse svanito nel giro di un secondo.
 
 

Lexa la guardava incuriosita, con quei suoi grandi ed espressivi occhi assurdamente verdi, di un colore così unico che nemmeno in mille anni Clarke sarebbe riuscita a riportarlo sulla tela.
 
 

In quel momento, dopo tutte le confessioni, dopo averle mostrato i suoi dipinti, Clarke si sentiva vicina a lei come non mai. Eppure c’era ancora qualcosa, qualcosa d’impercettibile ma allo stesso tempo presente, sempre presente tra di loro; Clarke temeva e desiderava allo stesso tempo il momento in cui quel qualcosa si sarebbe spezzato.
 
 

“Cos’è? Prometto di non ridere.” A Clarke ci volle tutto il coraggio che sentiva dentro per aprire il blocco da disegno e mostrare a Lexa il suo ultimo schizzo. Era lei, ovviamente era lei, in piedi davanti al terrazzo di casa sua, intenta a osservare il cielo.
 
 

Clarke l’aveva disegnata più e più volte, eppure era quello il ritratto che le piaceva di più, nonostante si rendesse conto che non sarebbe mai riuscita a riportare esattamente la bellezza di Lexa su di un semplice foglio.
 
 

Alzò lo sguardo per osservare la reazione di Lexa, e quando vide i suoi occhi brillare di emozione capì di aver fatto la cosa giusta mostrandole il suo disegno, per quanto imbarazzata potesse sentirsi in quel momento, così esposta alla sua musa.
 
 

“Clarke tu…” Lexa scosse la testa, spostando lo sguardo da lei al quadro ripetutamente, come se non credesse a ciò che aveva davanti agli occhi “E’ così che mi vedi?”
 
 

Clarke sorrise e annuì, la gola secca per l’emozione “Non sono mai stata così bella.”
 
 

Oh e invece lo era, in quel momento, davanti a lei, così vicina che Clarke poteva quasi toccarla.
 
 

“Grazie per averlo fatto, anche se ci sarà di certo un soggetto più indicato alla tua arte.”
 
 

Lo stava facendo di nuovo, Clarke se ne rese conto, Lexa stava cercando di allontanarsi, di fuggire da quella nuova intimità che avevano scoperto insieme, ma lei non intendeva permetterglielo.
 
 

“Che posso dirti…” La sua voce era poco più che un sussurro “Mi sei rimasta in mente, e non riesco a farti sparire. Non voglio farti sparire.”
 
 

Lexa alzò lo sguardo allora, incrociando i suoi occhi, senza distoglierli questa volta, mentre avvicinandosi alzava leggermente il braccio, per scostarle con leggerezza una ciocca di capelli dalla fronte, e quando le sue dita le sfiorarono la guancia, Clarke non riuscì a trattenere un brivido.
 
 

“Clarke…” Lexa sussurrò il suo nome, come confusa, in preda a sentimenti che non riusciva a capire; ma in quel momento Clarke riusciva a capire benissimo ciò che provava, ciò che voleva.
 
 

Si sporse lentamente verso di lei, le loro labbra ormai così vicine da respirare lo stesso respiro; qualunque fosse quella cosa che le aveva divise fino a quel momento, sembrava essersi frantumata in mille pezzi.
 
 

“Clarke!”
 
 

Clarke sussultò tanto che il blocco da disegno le cadde dalle mani, schiantandosi a terra con un tonfo sordo, e Clarke si girò verso la fonte della voce, impallidendo visibilmente nel vedere la sua amica Octavia davanti alla porta, che fissava lei e Lexa con stupore.
 
 

“Io… hey Octavia. Come mai qui?” Clarke riuscì a sentire Lexa allontanarsi di qualche passo dietro di lei, e si domandò con paura che cosa esattamente avesse visto Octavia.
 
 

La sua amica le sorrise, ma Clarke la conosceva abbastanza da dire che era solo un sorriso di circostanza “Ho dimenticato la borsa in classe, ero venuta a riprenderla e ho visto la luce del tuo studio accesa. Pensavo ti fossi fermata a lavorare ed ero venuta a vedere se ti andava di bere qualcosa insieme. Ma vedo che sei impegnata… Ciao Lexa.”
 
 

Lexa arrossì leggermente, facendo ritornare un vago colorito nel suo volto ora più pallido che mai “Ciao Octavia, è un piacere conoscerti.”
 
 

Clarke si domandò per un attimo come facesse Octavia a sapere chi era Lexa, ma non era quello il momento di porsi certe domande “Si io… le stavo facendo vedere i miei quadri. Adesso dovrei proprio accompagnarla a casa.”
 
 

Lexa accanto a lei annuì con imbarazzo “Sì, è già tardi. Io… io non ho dato da mangiare al mio gatto.”
 
 

Octavia annuì “Certo, sarà per un'altra volta. Magari Clarke… puoi darmi un passaggio a casa? Sono venuta a piedi e fa piuttosto freddo.”
 
 

Clarke annuì “Ma certo. Andiamo.”
 

 
*
 
 

Il viaggio in macchina fu una delle situazioni più imbarazzanti che Clarke avesse mai vissuto. Lei era tesa come una corda di violino, perché era certa che Octavia sapesse. Lei era sempre stata brava a capire queste cose al contrario di lei e Raven, e a Clarke era bastato uno sguardo per sapere che l’amica aveva intuito la sua situazione.
 
 

Lexa era scesa dalla macchina con un saluto tirato, il foglio con il suo disegno piegato tra le mani.
 
 

“Grazie Clarke. Buonanotte.”
 
 

“Buonanotte Lexa. E ancora buon compleanno.”
 
 

Clarke avrebbe voluto dirle di più, fermarsi e parlare con lei di quello che era successo, ma la presenza di Octavia incombeva accanto a lei, così riprese a guidare nel silenzio assoluto, finché non accostò accanto alla casa della ragazza.
 
 

Solo in quel momento Octavia si girò a guardarla negli occhi, con un’espressione preoccupata che raramente le aveva visto in volto.
 
 

“Clarke, cosa stai facendo?”










Note: Ciao a tutti, e tantissimi auguri di buone feste e di buon anno in ritardo! Speravo di finire prima questo capitolo, ma tra parenti e viaggi vari non ci sono prorio riuscita, quindi prendetelo come un regalo natalizio in ritardo (nonostante l'angst finale, sorry).  Come sempre grazie per le recensioni e per seguirmi ancora nonostante il ritardo cronico, fatemi sapere se il capitolo e l'appuntamento in generale vi sono piaciuti, soprattutto i cambiamenti che ho fatto in questa volta! Mi sa che adesso ci rivedremo a fine sessione, l'università non perdona, meh.
Come sempre, alla prossima!


PS: vorrei ringraziare la mia dolce metà che mi sopporta nonostante io sia una drama queen, e che legge tutto quello che scrivo anche se non è italiana e le mie frasi sono un casino perché ci metto troppe subordinate; sei tu la mia musa!


PPS: Lo so ho scritto troppe volte ritardo. Ma è tardi, capitemi.


PPPS: Octavia la prossima volta stai a casa tua, grazie.

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Capitolo 8
*** Il Bacio ***


“Clarke, cosa stai facendo?”
                       
 


Clarke inspirò profondamente prima di rivolgere di nuovo lo sguardo verso Octavia, cercando di apparire il più normale possibile “In che senso Octavia?”
 
 


La ragazza scosse la testa, quasi sconcertata dalla faccia tosta dell’amica, e Clarke capì di non avere molte speranze: Octavia la conosceva fin troppo bene. “Che cosa stai facendo con Lexa?”
 
 


“Siamo amiche… Volevo farle vedere i miei disegni.”
 
 


“Sì, e già che c’eri le stavi per dare un bacio molto amichevole, vero?” Octavia la guardò negli occhi, e Clarke sentì le sue difese cominciare a spezzarsi lentamente; eppure non riusciva ad ammetterlo, persino davanti alla verità.
 
 


“Non è come sembra Octavia, davvero.”
 
 


Octavia le prese la mano in un gesto che voleva essere rassicurante, ma Clarke non riusciva a trarne nessun conforto, non in quel momento. “Clarke, ti conosco da anni. Siamo sempre state buone amiche, le migliori amiche. Ci sei sempre stata per me anche quando ero a pezzi, quando mi sembrava impossibile andare avanti. Ora lasciami fare lo stesso per te. Non sei più la stessa da un po’ di tempo, e non sto parlando solo di stasera. C’è qualcosa che non va, e se vuoi parlarne, io ci sono.”
 
 


La ragazza sospirò profondamente, sentendosi sull’orlo delle lacrime. Si sentiva così in colpa che le riusciva difficile persino guardare l’amica negli occhi.
 
 


“Non lo so cosa mi sta succedendo Octavia. Prima ero così sicura, così certa su quello che volevo. E adesso… adesso sta andando tutto a rotoli. La mia vita, il mio matrimonio… Mi sembra che nulla mi appartenga più, mi sembra di non essere più me stessa.”
 
 


Octavia annuì lentamente, senza mai lasciarle la mano “E’ per colpa di Lexa?”
 
 


Clarke scosse la testa “Lei… lei non ha fatto nulla. E’ quello che mi spaventa di più; lei non ha dovuto fare niente ed io… mi è bastato guardarla per mettere in discussione tutto questo, tutta la mia vita. Quando sono con lei… è in quel momento che mi sento davvero me stessa.”
 
 


Octavia rimase in silenzio allora, cercando parole che Clarke già aveva intuito “Dovresti parlarne con Finn.”
 
 


Clarke scosse la testa allora, staccando la mano dalla presa dell’amica “Non posso fargli questo. Lui mi ama… mi ama così tanto. E lo amo anch’io. E’ il mio migliore amico, mio marito… ho scelto lui, e non posso tornare indietro adesso. Non posso fargli una cosa del genere.”
 
 


“Ne sei sicura? Sai che voglio bene a Finn… Ma ne voglio di più a te. E voglio che tu sia felice. Vederti così, è una sofferenza per tutti Clarke, soprattutto per Finn. Bellamy mi ha detto che è molto preoccupato per te.”
 
 


Clarke abbassò lo sguardo sulle mani che teneva strette in grembo, sconcertata all’idea che Finn potesse aver capito che qualcosa non andava.  Ma come aveva detto poco prima, Finn era il suo migliore amico; sapeva sempre quando c’era qualcosa che non andava in lei.
 
 


“Sarò felice Octavia, non preoccuparti.” Clarke si asciugò le lacrime che erano silenziosamente scese sul suo volto “Parlerò con Lexa, sistemerò tutto. Per favore non dire niente a nessuno, nemmeno a Raven.”
 
 


Octavia annuì “Sai che non lo farei mai. Ma Clarke, sei sicura? Sei davvero disposta a rinunciare a Lexa?”
 
 


Clarke la guardò confusa “Perché me lo chiedi? Come potrei scegliere lei rispetto a tutto quello che ho costruito con Finn?”
 
 


“Perché ho visto come la guardavi prima, nel tuo studio. Non ti ho mai visto guardare nessuno così, nemmeno Finn. Pensaci bene Clarke.”
 
 


“Non c’è nessuna scelta Octavia.” Clarke scosse la testa, rimettendo in moto la macchina; la conversazione finiva lì “Domani parlerò con Lexa. Qualsiasi cosa ci fosse tra noi… finisce qui.”
 
 


Octavia non disse nulla, limitandosi a stringerle il braccio un’ultima volta prima di uscire dalla macchina.
 
 

*
 

 
Lexa entrò in casa sbattendo la porta, furiosa con se stessa per essersi trascinata in una situazione del genere. Aveva sempre detestato i tradimenti con tutto il suo cuore e pochi minuti prima l’unica cosa che l’aveva fermata dal diventare l’altra donna, l’amante, era stato l’intervento causale di qualcun altro.
 
 


Era sempre stata una persona che sapeva controllarsi, in grado di gestire se stessa e i suoi sentimenti, anche nei momenti più difficili, eppure le era bastato un attimo per lasciarsi andare con Clarke, per perdere completamente la ragione.
 
 


Un rumore la distolse per un attimo dai suoi pensieri, ma non ci fece troppo caso; probabilmente era solo Gustus che si muoveva con la sua innata grazia da gatto sovrappeso.
 
 


Ma quando vide il micio accanto a lei che faceva sonoramente le fusa, i suoi sospetti si fecero più preoccupanti. Dimenticate l’ansia e la tristezza per il momento, prese l’ombrello da dietro la porta e si avvicinò al salotto con circospezione.
 
 


Se qualcuno era entrato in casa sua con l’idea di rubarle qualcosa, avrebbe passato dei brutti cinque minuti, di questo era sicura; ma quando girò finalmente l’angolo entrando nel salotto il suo timore fu sostituito da esasperazione nel vedere chi c’era davanti a lei.
 
 


“ANYA” La sorella sussultò e si staccò da Raven, che stava baciando sul divano, il suo divano.
 
 


“Oh, Lexa… non ti aspettavo a casa così presto…” Anya arrossì imbarazzata e spense la televisione mentre Raven si staccava da lei. “Evidentemente… Che cosa diavolo ci fate qui Anya?” Era davvero troppo stanca per sopportare anche quello.
 
 


“Bè volevamo vedere un film e la tua televisione è molto più grande così ho pensato…”
 
 


“No Anya, tu non pensi mai, è questo il tuo problema. Pensi solo a fare quello che vuoi e credi che io, che tutti, alla fine ci adegueremo a quello che vuoi tu. Io sono stufa Anya, stufa di sopportare te e i tuoi comportamenti infantili.” Lexa si sentiva improvvisamente arrabbiata, furiosa, e anche se una parte di lei tentava di ricordarle che la colpa non era di Anya, non riuscì più a trattenere il fiume di parole che sentiva crescere dentro.
 


 
“Lexa ma… cosa ti succede?” Anya sembrava sconvolta nel vederla così, ma nemmeno questo riuscì a calmarla. “Succede che ne ho abbastanza Anya. Abbastanza di te che ne approfitti in ogni situazione, abbastanza di non essere considerata...”
 
 


A quel punto anche la sorella sembrò scaldarsi, perché si alzò in piedi, andandole incontro “Sei sicura che stai parlando di me, Lexa? Che questo non ha niente a che vedere con i tuoi problemi sentimentali?”
 
 


“Come… come osi?” lo sguardo di Lexa passò prima su Raven per poi tornare su Anya, stupita e ferita che Anya avesse tirato fuori l’argomento davanti ad un’estranea “Tu non sai niente Anya, niente. Hai passato anni a dirmi come dovevo comportarmi per superare il mio lutto, fregandotene di capire se ero pronta, se era davvero quello che volevo. E adesso mi vieni a parlare dei miei problemi? Come ti permetti?”
 
 


Raven, che si era fatta piccola piccola in un angolo della stanza, a quel punto fece per uscire “Ti aspetto fuori, Anya.” Anya la fermò con un gesto della mano “Vengo con te Raven. E’ inutile cercare di parlare con qualcuno che non vuole starti a sentire.”
 
 


Anya superò Lexa lanciandole uno sguardo di fuoco, ma solo quando Lexa sentì la porta sbattere violentemente alle sue spalle si concesse di muoversi, camminando lentamente verso il divano, sedendosi con un sospiro che aveva trattenuto da quando la sorella le era passata accanto.
 
 


Gli occhi le pizzicavano e sentiva il volto in fiamme, ma non voleva, non poteva mettersi a piangere in quel momento. Si sentiva così stanca, così sola, che per un attimo le sembrò di non riuscire a respirare. Per pochi attimi aveva creduto di poter essere di nuovo felice, serena, ma le era scivolato tutto dalle mani ancora prima che potesse rendersene conto.
 
 


Rimase fino a notte fonda a fissare le foto davanti a lei, quelle che solo qualche ora prima Clarke aveva guardato, toccato, incapace di muoversi, incapace di fare altro se non continuare ad esistere minuto per minuto, cercando di non cadere completamente a pezzi.
 
 
 
*
 


La notte non riuscì a portare altro a Lexa se non più dubbi e tormenti di quelli della sera prima. Provava qualcosa per Clarke? Questo ormai era dolorosamente ovvio. Clarke provava qualcosa per lei? Su questo era quasi certa di non avere dubbi ormai. C’era una qualche probabilità per loro di stare insieme? A questo Lexa non sapeva come rispondere, perché non dipendeva da lei.
 
 


Era Clarke ad avere in mano il loro futuro, così come quello del suo matrimonio, e a Lexa non restava altro da fare che rimanere a guardare, sperando per il meglio. Ma era davvero sicura di sapere qual era il meglio? Voleva davvero essere la causa dell’infelicità di Finn e la fine del matrimonio di Clarke? Non avrebbe mai pensato di poter essere quel genere di persona.
 
 


Rigirandosi per ore nel letto senza trovare pace, con i pensieri che turbinavano inquieti come un mare in tempesta, decise alle quattro del mattino che ne aveva avuto abbastanza. Si alzò esasperata, desiderando solo di lasciarsi i suoi stessi pensieri alle spalle, e decise di camminare fino al negozio di fiori.
 
 


Le strade di Londra erano stranamente calme ed eteree a quell’ora, e a Lexa ricordarono immediatamente i giorni del suo primo internato dopo la laurea, quando la sua carriera di avvocato era ancora agli inizi e si doveva alzare a orari improponibili per studiare e sistemare tutti i casi che le avevano assegnato.  
 
 


Si ricordò con un sorriso triste di come a qualsiasi assurdo orario si svegliasse, Costia si alzasse con lei per prepararle il caffè mentre lei si vestiva, per darle un bacio prima che lei uscisse. Anche se il dolore per la sua perdita si era attenuato, Lexa non riuscì a reprimere il forte senso di nostalgia; Costia non era stata solo il suo primo amore, ma anche la sua migliore amica. Avrebbe dato qualsiasi cosa per poterle parlare ora, chiederle consiglio.
 
 


Che cosa avrebbe pensato di lei vedendola in questa situazione? Lexa scosse la testa mentre camminava lentamente per le strade deserte; Costia le avrebbe detto di seguire il suo cuore, o qualcosa del genere, era sempre stata una ragazza romantica, al contrario di Lexa. Ripensò a come amasse intrecciare corone di fiori per lei, e ammirarla con un sorriso quando aveva finito di sistemagliele nei capelli. Le sembrava ancora di poter sentire il suo tocco mentre la sfiorava, la sua voce sussurrata mentre le diceva con un sorriso quanto le piacesse vederla felice.
 
 


Una lacrima solitaria le scese sul viso al ricordo, mentre realizzava che avrebbe voluto fare lo stesso per Clarke. Avrebbe voluto intrecciarle i capelli con i fiori che tanto le piacevano, nonostante le sue mani non fossero mai state capaci come quelle di Costia; voleva dire a Clarke quanto era bella quando era felice; che quella era l’unica cosa importante.
 
 


Si rese conto di essere arrivata al negozio con un sospiro, e cercò di lasciar andare i suoi pensieri, compreso il volto sorridente di Costia, che ancora una volta l’aveva aiutata a capire meglio se stessa.
 
 


Eppure, nonostante il suo rinnovato stato d’animo, nulla avrebbe potuto prepararla all’arrivo di Clarke, che entrò nel suo negozio qualche ora dopo, con uno sguardo in volto che fece capire a Lexa che non era stata l’unica ad aver avuto una notte tormentata.
 
 


Le sorrise nonostante tutto, perché nonostante capisse benissimo quanto poteva essere sbagliato, il solo vederla era riuscito a spazzare via tutte le preoccupazioni che l’avevano assalita dopo la notte precedente.
 
 


“No” Clarke scosse la testa, senza riuscire a guardarla negli occhi, muovendosi agitata nel suo negozio “Non sei felice di vedermi. Non puoi. Non voglio che tu sia felice di vedermi.”
 
 


“D’accordo…” Lexa appoggiò il vaso di fiori che stava spostando quando Clarke era entrata, confusa e felice allo stesso tempo per la presenza dell’altra ragazza.
 
 


“Sono qui perché non so cosa sta succedendo.” Clarke si passò la mano tra i capelli dorati, lo sguardo confuso “Io provo qualcosa per te Lexa…” Quelle parole, nonostante Lexa le avesse già immaginate, ebbero l’effetto di un uragano dentro di lei. Prima che potesse dire qualsiasi cosa, prima che potesse dire a Clarke che anche lei provava le stesse cose, la ragazza la fermò con un cenno della mano.
 
 


“Qualcosa che non posso assolutamente provare. Io sono sposata… sono sposata.” Ripeté, più a se stessa che a Lexa “Ho un marito. Un uomo fantastico, che non ha sbagliato niente e…”
 
 


Un uomo attempato scelse esattamente quel momento per entrare nel negozio, in volto un sorriso gentile mentre guardava le due ragazze, completamente ignaro di quello che aveva appena interrotto.
 
 


“Scusi, può aiutarmi? Vorrei fare un orto di erbe aromatiche…”
 
 


Clarke la guardò per un attimo sconvolta prima di girarsi ed entrare nel retro del negozio, lasciando Lexa da sola con l’inopportuno cliente. Non sapendo che fare, Lexa si limitò a raccogliere qualche piantina tra quelle che il signore stava elencando e mettergliele in mano, spingendolo poco delicatamente verso l’uscita.
 
 


“Ecco, offre la casa! Vada…” Chiuse la porta del negozio in faccia all’uomo e prese un respiro profondo prima di seguire Clarke nel retro, immaginando già quale tipo di discorso l’attendeva.
 
 


Quando entrò nel piccolo locale in cui era solita tenere i fiori non ancora del tutto sbocciati, Clarke le dava la schiena, ma Lexa riusciva a vedere ugualmente il leggero tremore che la percorreva interamente; si domandò quanto coraggio le fosse servito per presentarsi da lei quel giorno, e ancora, se lei ne sarebbe stata in grado. Nonostante la situazione si trovò ad ammirare Clarke ancora di più, ad aggiungere nel suo cuore un’altra ragione per cui Clarke era così speciale.
 
 


“Tu mi capisci?” Clarke si girò finalmente a guardare, lo sguardo terribilmente triste “Mi devi capire. Io non posso… non posso assolutamente fare questo. Quindi qualunque cosa ci sia tra di noi, va fermata, e va fermata subito.” Il tono di Clarke si era fatto quasi glaciale mentre diceva un discorso che Lexa capì, doveva aver provato e riprovato prima di presentarsi lì come una furia.
 
 


“E’ finita.”
 
 


Non era mai cominciata. Non ne avevano avuto l’occasione, ed era questo che a Lexa bruciava più di tutto.
 
 


Clarke le passò accanto con decisione, e Lexa riuscì a sentire distintamente il suo profumo quando le sfiorò il braccio, lasciandola sola, confusa e senza parole nel retro del suo negozio.
 
 
 
*
 


Clarke fece un passo verso l’uscita prima di fermarsi, senza fiato. Che cosa stava facendo?
 
 


La parte razionale di sé, quella che Octavia aveva risvegliato la sera prima con le sue parole la stava implorando di uscire da quel negozio, di correre via prima di mandare tutto a rotoli.
 

 

Eppure ogni altra cellula del suo corpo la spingeva a tornare sui suoi passi, da Lexa. Dovevano essere passati pochi attimi, ma a Clarke sembrò un tempo lunghissimo, un tempo troppo lungo da passare senza Lexa tra le sue braccia.
 
 


Si girò e rientrò nel retro, osservando con malcelata meraviglia il modo in cui il sole si rifletteva sui capelli di Lexa. Era lì, bellissima e confusa, e Clarke sapeva di non aver mai desiderato altro nella sua vita come in quel momento desiderava lei.
 
 


Lexa si girò sentendo i suoi passi, e fu un movimento così naturale per entrambe andarsi incontro che Clarke non riuscì a capire come avesse potuto pensare anche solo per un attimo di evitarlo. Le loro labbra s’incontrarono come se l’unico scopo della loro esistenza fosse quell’esatto momento, e Clarke lasciò andare un sospiro di sollievo quando sentì la mano di Lexa circondarle il volto, stringerla più vicino che poteva.
 
 


Le labbra di Lexa erano morbide e delicate sulle sue, il suo profumo di fiori freschi che sembrava essere ovunque mentre i loro corpi erano sempre più vicini, e Clarke si perse completamente in quel momento, migliore di qualsiasi fantasia avesse mai immaginato.
 
 


Quando cercò di avvicinarsi di più a Lexa, inciamparono entrambe sui fiori che occupavano quasi tutto il piccolo stanzino e finirono per caderci sopra. Sentì Lexa sorridere sulle sue labbra, ma nessuna delle due lasciò andare.
 
 


Clarke lasciò che le sue mani vagassero per un attimo sul corpo di Lexa prima di stringersi con delicatezza sul tessuto della sua felpa, cercando di toglierla senza interrompere il bacio. Lexa però si staccò da lei, guardandola con quei suoi enormi occhi verdi pieni di felicità, togliendosi la felpa di dosso con un movimento fluido per poi tornare a baciarla ancora e ancora, mentre le mani di Clarke sfioravano i suoi boccoli castani, e quelle di Lexa la stringevano a sé accarezzando i suoi fianchi.
 
 


Clarke emise un gemito soffocato quando sentì Lexa aprire leggermente le labbra per chiederle un permesso che Clarke la aveva già implicitamente concesso. Il bacio si fece più profondo, più sensuale di quanto Clarke avesse potuto immaginare, risvegliando in lei un calore che non aveva mai sentito, così vivo che pensò che si sarebbe consumata lì, in quel momento, se non fosse stata capace di toccare la pelle di Lexa, di sentirla vicino a lei, di essere sua completamente.
 
 


Cercò di cambiare posizione, ma il brusco movimento fece cadere Lexa su un mazzo di rose, e la ragazza si alzò con uno scatto “Ahia!” Clarke si spostò subito, guardandola preoccupata “Che cosa succede?”
 
 


Lexa continuava a ridere mentre con una mano si stringeva la spalla “Le rose… mi hanno punto!” Clarke cominciò a ridere a sua volta, per l’assurdità della situazione, per la corrente di emozioni che si sentiva dentro, semplicemente per la felicità incredibile che provava.
 
 


“Che male…” Lexa scosse la testa che Clarke le accarezzò il viso, sistemandole qualche ciocca di capelli spettinati; stava per avvicinarsi di nuovo quando entrambe sussultarono nel sentire la porta del negozio aprirsi.
 
 


Lexa le sorrise “Un altro cliente…” Clarke appoggiò la fronte contro la sua, il fiato corto e un sorriso stampato in volto prima di sentire l’unica voce che avrebbe potuto riportarla alla realtà.
 
 


“C’è nessuno?” Finn.
 
 


Gli occhi di Lexa si spalancarono per un attimo, la felicità di poco prima dimenticata.
 
 


“Lexa? Lexa sei nel retro?”
 
 


Questo sembrò risvegliarle entrambe dallo shock, perché Clarke allontanò le mani da quelle di Lexa e lei si alzò, andando verso la porta.
 
 


“Non… non entrare Finn. Arrivo.” Lexa uscì nel negozio, ma Clarke riuscì a sentire chiaramente cosa si stavano dicendo lei e il marito.
 
 


“Scusami stavo… stavo facendo l’inventario. Stavo contando i… sai… Ciao”
 
 


“Ciao” La voce di Finn sembrava normale, e Clarke sperò con tutto il cuore che non riuscisse in qualche modo a leggere nel volto di Lexa quello che stavano facendo.
 
 


“Che cosa vuoi Finn?”
 
 


“Ehm… comprare dei fiori, che altro?”
 
 


“Sì… certo.” Persino da lì Clarke riusciva a sentire il sorriso forzato di Lexa, e lentamente tutto quello che avevano appena fatto, così bello e sincero un attimo prima, perse ogni colore.
 
 


“Non sono per me, sono per Clarke…” La voce di Finn sembrava triste, e Clarke cercò di ricordarsi se nell’ultimo periodo gli fosse successo qualcosa, magari a lavoro, ma in quel momento non riusciva a venirle in mente nulla, come se nelle ultime settimane avessero vissuto separati invece di dormire nello stesso letto.
 
 


“Ultimamente è un po’… non lo so. Ma sai come dicono, niente è più confortante di un mazzo di fiori perciò…”
 
 


“Assolutamente.” La voce di Lexa si era fatta piccola piccola, quasi un sussurro che Clarke faticò a riconoscere “Cosa le piace?”
 
 


“Sai cosa le piace.” La frase di Finn fu seguita da un silenzio imbarazzante, finché il ragazzo non continuò “I gigli, le piacciono i gigli.”
 
 


“Sì, certo…” Sentì Lexa lavorare in silenzio per qualche minuto prima che Finn parlasse di nuovo “E ieri, alla partita, ti sei divertita?”
 
 


“Sì… sì certo, è stato molto interessante.” Solo il pensiero della sera precedente faceva venire la nausea a Clarke, come se i bei momenti che aveva passato con Lexa si fossero trasformati in cenere.
 
 


“E Clarke… Clarke per caso ti ha parlato di me?” Finn aveva quasi balbettato, cosa che Clarke non gli sentiva fare dai primi anni dell’università, quando il ragazzo era ancora terrorizzato dagli esami orali e andava in panico sotto pressione.
 
 


Quando Lexa rimase in silenzio, lui continuò “Scusami io… non so cosa sta succedendo. Probabilmente sto sbagliando qualcosa. Se lei magari… se lei ti avesse detto cosa sto facendo o cosa non sto facendo io potrei smettere. O cominciare a farlo. E torneremo come prima… possiamo tornare a stare come prima.”
 
 


In quel momento Clarke capì che non poteva più rimanere lì. Ogni parola di Finn era come una pugnalata al cuore, e lei si sentiva semplicemente schiacciata dal senso di colpa. Uscì di nascosto dalla finestra, cosa che non aveva fatto dai tempi del liceo, e cominciò a correre, inseguita dalla vergogna che provava per se stessa.
 
 


Come aveva potuto fare una cosa del genere a Finn? Era stata troppo debole, troppo sciocca pensando di riuscire a resistere, e si odiava per questo.
 
 


“Clarke… Clarke aspetta.” La voce di Lexa risuonò come un richiamo lontano nella sua mente, ma non poteva evitare di sentirla avvicinarsi, di sentire la sua mano sul polso, che la implorava di fermarsi.
 
 


“Lexa, ti prego.”
 
 


“Dimmi qualcosa…” Clarke cercò di liberarsi, continuando per la sua strada “Che cosa vuoi che ti dica? Ho sentito quello che ha detto, ero seduta lì dietro e ho sentito tutto, lui pensa perfino che la colpa sia sua.”
 
 


“Allora trova una soluzione!” Clarke si fermò, girandosi a guardare Lexa, consapevole di avere gli occhi lucidi, la gola chiusa dall’emozione “Quale?”
 
 


“Dimmi di sparire.” Clarke rimase impassibile per un attimo, incapace di parlare, il cuore che si spezzava nel vedere le emozioni nel volto di Lexa “Dimmi che è quello che vuoi e mi allontanerò e non mi farò più vedere.”
 
 


“Tu vuoi questo?” Clarke avrebbe voluto essere più forte, dirle di sì, ma in quel momento la sua voce uscì come un sussurro, l’idea di separarsi da Lexa improponibile nella sua mente come smettere di respirare; non poteva essere forte, non in quel momento, e si rese conto che Lexa lo stava facendo al posto suo.
 
 


“Io voglio te.” La voce della ragazza era chiara e cristallina, così diversa dal caos che Clarke sentiva dentro, e riuscì a farle capire che anche lei lo voleva, voleva Lexa, e quello che avrebbero potuto avere insieme. Ma non era possibile, non in quel momento, in quella vita.
 
 


“Lexa…” la voce di Clarke era piena di rimpianto “Lo so…” La ragazza scosse la testa, evitando il suo sguardo.
 
 


“Non posso…” Ormai l’aveva detto così tante volte, nella sua testa, a lei, che quelle parole sembravano prive di significato. Non poteva, ma nel suo cuore l’aveva già fatto. “Lo so…”
 
 


Lexa alzò la mano, quasi a voler stringere la sua, ma si fermò “Ce la faremo. Staremo bene.”
 
 


Era una bugia, e lo sapevano entrambe. Clarke allungò la mano per finire quello che Lexa aveva iniziato, e si ritrovò di nuovo tra le sue braccia, mentre Lexa le baciava delicatamente la guancia, stringendola a sé come se fosse l’ultima volta: con una fitta di dolore Clarke capì che probabilmente lo era.
 
 


“Non dimenticarmi.” La voce di Lexa era roca e spezzata, come si sentiva Clarke in quel momento. Come avrebbe potuto dimenticarla? L’avrebbe portata con sé per il resto della sua vita. “Non avrò altri ricordi che te.” Ed era terribilmente vero; ancora prima che Lexa la lasciasse andare per allontanarsi, camminando lentamente e senza guardarsi indietro, Clarke capì che non avrebbe mai amato nessuno come amava Lexa e che, nonostante questo, doveva lasciarla andare. 








Note: Ciao a tutti! Come potete vedere ancora una volta sono un disastro con gli aggiornamenti, mi dispiace... Io ci provo ma ci sono sempre altre mille cose da fare! Comunque questo è un capitolone, finalmente la tanto attesa scena del bacio! Purtroppo c'è ancora un pochino di angst da sopportare prima del lieto fine, ma penso di concludere in altri due capitoli al massimo. Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, ho tagliato delle scene del film che non mi piacciono moltissimo per metterne altre scritte da me, spero che non si sia perso il senso della storia! Come sempre fatemi sapere cosa ne pensate, la vostra opinione mi aiuta sempre a migliorare! Alla prossima!

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Capitolo 9
*** La Confessione ***


Lexa inspirò profondamente prima di girare la chiave nella serratura, senza sapere bene per quale motivo fosse finita lì. Sapeva solo che Anya non rispondeva alle sue telefonate, probabilmente ancora in collera con lei, e in quel momento non riusciva a restare sola. Ci aveva provato, ma pensieri troppo tristi le correvano per la mente, e non riusciva più a farsi coraggio da sola.


 
 
Entrò in casa lentamente, a testa bassa, senza sapere bene cosa avrebbe detto, ma nel salotto davanti a lei non c’era anima viva.
 
 


“Mamma” chiamò, e sentì distintamente un rumore di posate lasciate cadere in cucina; sapeva bene quale shock doveva essere per Indra sentire Lexa chiamarla così, l’ultima volta che l’aveva fatto era stato al telefono, subito dopo l’incidente, per chiederle aiuto.
 
 


Indra era a tutti gli effetti sua madre, lo era stata dal giorno in cui l’aveva presa dalla casa famiglia in cui stava, ma Anya l’aveva sempre chiamata Indra e visto che Anya era la sorella maggiore, Lexa aveva sempre fatto come lei; solo in quei momenti in cui tutto sembrava cadere a pezzi intorno a lei, quando quell’apparenza di forza che si era costruita attorno sembrava crollare, solo in quei momenti Lexa riusciva a chiamarla per ciò che era veramente.
 


 
Quando Indra entrò in salotto il suo sguardo era pieno di preoccupazione, che si accentuò ancora di più nel vedere gli occhi rossi di Lexa “Lexa… tesoro, cos’è successo?” Si avvicinò a lei e Lexa si gettò tra le sue braccia, altra cosa che raramente faceva. Indra le accarezzò i capelli, sussurrandole parole che Lexa non riuscì a capire, ma che servirono a calmarla.
 
 


Indra la fece sedere e le passò dei fazzoletti per le lacrime che Lexa teneva ancora strette a sé, combattendo con la tristezza “Ho baciato Clarke.” Dall’espressione che Indra le riservò capì che la donna doveva esserci già arrivata da sola “Cioè lei ha baciato me. Ci siamo baciate.”
 
 


Indra annuì “E poi cos’è successo?”
 
 


Lexa scosse la testa “E’ successo un disastro. Lei non può fare una cosa del genere a suo marito… ed io non voglio che lo faccia per me. Le ho detto che sparirò dalla sua vita.” Indra le strinse la mano che, Lexa non se n’era resa conto, tremava visibilmente mentre lei parlava.
 
 


“Ed è quello che vuoi?” Lexa strinse la presa mentre distoglieva lo sguardo, vergognandosi di se stessa per quello che non riusciva a smettere di sentire “No, non lo è. Ma non c’è altra scelta.”
 
 


“E lei ti ama?” La domanda era così diretta che Lexa rimase interdetta per un attimo prima di rispondere “Non lo so… No…” Pensò a come Clarke l’aveva guardata quando si erano baciate, al sorriso che le illuminava il volto mentre erano insieme, al tremore nelle sue mani quando l’aveva toccata per la prima volta “Sì.” Clarke l’amava, ma questo non cambiava nulla “Ma tanto non importa.”
 
 


Indra scosse la testa, accarezzandole la guancia con dolcezza “E’ l’unica cosa che importa tesoro.”
 
 


“Wow, non sapevo che girassero la nuova stagione di Beautiful a casa nostra.”
 
 


Anya entrò nel salotto con sguardo infastidito, e Indra le lanciò uno sguardo di fuoco “Non è colpa mia se hai lo spettro emotivo di un’alga marina Anya. Lascia stare tua sorella.” Anya sbuffò “Al contrario Indra, io ho dei sentimenti, anche se sembra difficile crederlo, e qualcuno qui ha pensato bene di calpestarli.”
 
 


Lo sguardo di Indra passò da Lexa ad Anya, confuso “Lexa non è mai sgarbata con te, avrai di sicuro capito male…” “No Indra..” Lexa alzò gli occhi sulla sorella e vide lo sguardo preoccupato di Anya nel vederla in quello stato “Anya ha ragione, me la sono presa con lei senza motivo. Anche se potevi avvisarmi prima di portare la tua ragazza a casa mia.”
 
 


Indra spalancò gli occhi “Anya, hai una ragazza e non mi dici niente?”
 
 


“Grazie Lexa, divulghiamo i fatti miei al mondo. E no Indra, non è la mia ragazza. Ci frequentiamo e basta.” “Nel mio salotto.” Lexa sorrise; nonostante tutto quello che le stava succedendo, era contenta che Anya avesse trovato qualcuno. “Solo una volta! Ma Lexa… cos’è successo?”
 
 


Lexa prese un respiro profondo, non era sicura di voler raccontare tutto anche alla sorella “Non sei più arrabbiata con me?” Anya la guardò per un attimo in silenzio prima di alzare le spalle “Sei un’idiota, ma questo lo sapevo già. E riconosco che non deve essere facile avermi come sorella. Ma se stai male, io ci sono… ci sono sempre per te Lexa.”
 
 


Lexa le sorrise e le strinse la mano, improvvisamente grata di avere dalla sua parte la sua famiglia che, per quanto atipica e caotica, la sosteneva sempre. “Chi è che sta facendo Beautiful adesso?” Indra sorrise ad Anya e la sorella scosse la testa “Mi sembrava più un momento alla Grey’s Anatomy. Lo sai, lo show sui medici che tu non guardi perché sei troppo vecchia…” Le due cominciarono a battibeccare e Lexa fu contenta di avere un attimo di pausa, un momento in cui non si sentiva l’animo pesante al pensiero di Clarke, contenta solo di guardare la sua famiglia, di essere lì con loro.
 
 
*
 
 

“Clarke volevo chiederti, cosa avete combinato tu e Lexa l’altra sera?”
 
 


Clarke per poco non si soffocò con i noodles nel sentire quel nome, e dovette tossire un paio di volte per ricominciare a respirare normalmente. Lei, Raven e Octavia stavano mangiando nel suo studio in silenzio quando Raven se n’era uscita con quella domanda.
 
 


Octavia alzò subito lo sguardo e la guardò allarmata, e Clarke cercò di sembrare più normale possibile nonostante il solo sentire il nome di Lexa le avesse provocato una fitta al cuore “Perché Raven?”
 
 


La ragazza scosse la testa “Bè sapete che sto frequentando sua sorella Anya…” “Tu cosa?” Clarke la guardò sconvolta “Ah… non te l’avevo detto Clarke?” Raven alzò le spalle come se fosse una cosa da niente, ma per Clarke era un problema. Lei e Lexa si erano dette addio, e per quanto le risultasse difficile, quasi insostenibile, non poteva rivederla ancora, non in quel momento in cui si sentiva così persa, così fragile.
 
 


“Non pensavo fosse una cosa seria Raven…” Octavia arrivò in suo soccorso e Raven fece finta di offendersi “Oh, non pensavo mi riteneste una ragazza di così facili costumi!” Clarke cercò di ridere, ma quello che le uscì dalla gola era un suono tutt’altro che allegro.
 
 


“Comunque non so ancora se è una cosa seria o no. Però siamo uscite un paio di volte e… mi piace davvero tanto.” Clarke sentì un moto di gelosia inarrestabile al pensiero che Raven fosse libera di frequentare la ragazza che le piaceva, ma cercò di tamponarlo meglio che poteva; non aveva nessun diritto di pensare una cosa del genere.
 
 


“E l’altra sera eravamo a casa di Lexa perché lei era fuori con te e Anya mi aveva assicurato che per lei andava bene. Ma quando è tornata a casa sembrava sconvolta.” Clarke si morse il labbro al ricordo di quella sera, al pensiero che Lexa doveva esserne rimasta più sconvolta di lei.
 
 


“Comunque si è arrabbiata tantissimo con Anya, in modo spropositato, soprattutto per lei che mi è sembrata una persona molto pacata. Anya poi mi ha detto che sta vivendo un brutto periodo… Però magari era successo qualcosa quando siete uscite?”
 
 


Clarke scosse la testa, cercando di sembrare più naturale possibile “Non è successo niente. Siamo andate alla partita e ci siamo divertite. Magari era solo stanca…” Clarke aveva cercato di trattenere il pensiero di Lexa in un angolo della sua mente da quando si erano lasciate, ma era bastata una frase di Raven perché i ricordi dei momenti passati insieme si riversassero nella sua mente come un fiume in piena, facendola tremare di desiderio e rimpianto. Si erano dette addio, ma Clarke non era pronta a lasciarla andare.
 
 


“Chiederò ad Anya come sta. O magari puoi provare a sentirla tu Clarke?” Raven la guardò con un sorriso ignaro e Clarke annuì “Si… magari.”
 
 


Raven si alzò dal tavolo con un’espressione dispiaciuta “Scusatemi ragazze, ma devo andare… devo finire un lavoro prima del prossimo corso. Ci vediamo domani?”
 
 


Clarke e Octavia annuirono e salutarono Raven, e Clarke sperò che Octavia andasse con lei, ma l’amica rimase ferma al suo posto, aspettando di sentire la porta chiudersi alle sue spalle.
 
 


“Clarke… ci hai parlato? Con Lexa?” Clarke annuì, incapace di dire altro “E com’è andata?” Scosse la testa, desiderando di poter sparire in quel preciso istante al solo ricordo della sua conversazione con Lexa. “Ci siamo baciate.”
 
 


Anche senza osservarla, Clarke sentì l’amica trattenere il respiro alla sua affermazione, e Clarke provò un tuffo al cuore per averlo detto, perché dirlo ad alta voce ad Octavia lo rendeva più reale che mai, com’era reale quello che provava per Lexa; reale e dolorosamente impossibile.
 
 


“E poi ci siamo lasciate. Non la vedrò più.” Sentì la mano di Octavia stringersi sulla sua spalla, incoraggiante “E stai bene?” Clarke riuscì solo in quel momento ad alzare lo sguardo sull’amica “No. Non sto bene. Mi manca… Com’è… com’è possibile che qualcuno entri così nella tua vita e la sconvolga tanto? Nel giro di qualche giorno… Sapere di non poterla più rivedere mi distrugge. Eppure era l’unica cosa da fare.”
 
 


Octavia rimase in silenzio per un attimo, come se volesse dire qualcosa, ma alla fine si limitò a stringerla più forte a sé “Adesso devo solo capire come andare avanti.” “Hai parlato con Finn?” Clarke scosse la testa; in quei giorni era a malapena riuscita a guardarlo negli occhi “Bellamy mi ha detto che ultimamente è sempre depresso. Il lavoro non gli sta andando benissimo e dice che tu non gli rivolgi quasi più la parola. Dovresti parlargli… almeno per dirgli che stai bene.”
 
 


“Ma io non sto bene Octavia!” Clarke sbottò, incapace di trattenersi “Non sto bene e se Finn ha qualche problema potrebbe parlarne con me invece che con Bellamy.” Quell’improvvisa ondata di rabbia sorprese Octavia, ma ancora di più Clarke; pensava di non avere nulla contro il marito, eppure quel suo continuo evitare i problemi, nascondersi dalla verità le stava dando sui nervi. Cercò di ricordarsi che non era colpa di Finn se lei si trovava in quello stato, anzi, era tutta colpa sua se il loro matrimonio stava soffrendo. Non gli doveva forse la verità?
 
 


“Non riesco nemmeno a immaginare cosa stai passando in questo momento Clarke… So che deve essere difficile per te e non sai quanto ti ammiro per la scelta che hai fatto. Ma forse parlarne con Finn ti farebbe sentire meglio? Lui è sempre stato il tuo migliore amico, sai quanto ci tiene a te.”
 
 


Clarke non riuscì a risponderle, incapace in quel momento di prendere una decisione; si sentiva così stanca, così sola, come se rinunciare a Lexa l’avesse lasciata svuotata di qualsiasi emozione e qualsiasi forza. Alla fine fu Octavia ad alzarsi, salutandola con gentilezza prima di andarsene, lasciandola sola con i suoi pensieri.
 
 
*
 
 

Fu solo a notte fonda che Clarke riuscì a vedere Finn di nuovo, quando lui la svegliò rientrando in casa rumorosamente, palesemente ubriaco mentre canticchiava una canzone che Clarke non ricordava di aver mai sentito.
 
 


Una parte di lei voleva essere arrabbiata con lui per averla fatta aspettare fino a così tardi senza sapere dove fosse, per essersi ubriacato, per non averla cercata, ma non ci riusciva; tutto quello che riusciva a sentire era un terribile senso di rassegnazione, come se non ci fosse più nulla da fare. Guardando suo marito mentre le sorrideva vagamente cosciente di quello che stava accadendo, si ripeté per l’ennesima volta che era questo l’uomo di cui si era innamorata, per cui aveva rinunciato a Lexa.
 
 


“Tesoro, stai bene?” Finn la guardò dal divano, dove si era seduto qualche secondo prima, e Clarke capì che quello che Octavia aveva detto era vero: doveva parlargli. Per lui, per se stessa, per il loro rapporto. Aveva detto addio a Lexa, ma c’era ancora il suo pensiero su di lei, su di loro, e forse l’unica cosa da fare per superare quel momento era parlarne. Una parte di lei, una parte che non osava riconoscere, sperava che dopo aver confessato fosse Finn a lasciarla, lasciarla libera di tornare da Lexa.
 
 


“Devo dirti una cosa…” Finn annuì appoggiandosi al divano e Clarke cominciò a camminare su e giù per la stanza, i nervi a fior di pelle “E’ successa una cosa ed io… io non l’ho cercata. E’ capitata, e anche se ora è finita… tu hai il diritto di sapere.”
 
 


Clarke stava dando le spalle al marito, per quanto importante fosse quella confessione, non sarebbe mai riuscita a dirgli tutto guardandolo negli occhi “Sono impazzita Finn. Impazzita per una persona che non sei tu.” Clarke sentì il cuore spezzarsi mentre diceva quelle parole, gli occhi che si facevano lucidi all’idea di far soffrire così tanto la persona che era stata tutto per lei “Scusami. Mi dispiace così tanto… ti prego, credimi… Finn io…”
 
 


Si girò in quel momento, cercando una reazione nel volto del marito, ma quello che vide la lasciò senza parole per un attimo. Finn si era addormentato, probabilmente senza capire nulla di quello che lei gli aveva appena confessato. Presa dal panico si avvicinò a lui, cercando di scuoterlo dal sonno in cui era caduto “No, no ti prego… non ce la faccio a dirlo più di una volta…” Ma Finn era completamente andato.
 
 


Con un sospiro rassegnato Clarke accarezzò il volto del marito, sentendosi in colpa come non mai per averlo trascurato nelle ultime settimane; in quel momento sembrava più vecchio, come se gli ultimi tempi lo avessero trasformato dal ragazzo spensierato di cui si era innamorata a un uomo che faticava a riconoscere “Comunque resto. Non ce la farei mai a lasciarti… sei il mio migliore amico. Questo bastava prima, e basterà anche adesso quindi…”
 
 


Non riuscì a finire la frase, limitandosi a mettergli addosso delle coperte e dargli un bacio sulla guancia prima di andare a dormire nella stanza accanto, senza accorgersi dello sguardo di lui che la seguiva, ora perfettamente attento e sveglio.
 
 
*
 
 

Lexa caricò gli ultimi fiori nel suo fuoristrada con un sospiro, cercando di ricordarsi per quale cerimonia erano stati ordinati, sperando con tutta se stessa che non fosse un altro matrimonio; non pensava di riuscire a sopportarlo.
 
 


Sentì dei passi, ma non ci fece molto caso, e quando alzò finalmente lo sguardo fece quasi un balzo sorpreso nel vedere chi c’era dietro di lei “Bellamy… cosa… che cosa ci fai qui?”
 
 


L’espressione del ragazzo era molto diversa dal normale, la sua solita affabilità e gentilezza dimenticate, sostituite da uno sguardo di pietra “Sei tu, non è vero?”
 
 


Lexa scosse la testa, fingendo di non capire, anche se, in cuor suo, aveva capito benissimo dove Bellamy voleva andare a parare “Cosa? Io non…”

 
 

Lui scosse la testa, lo sguardo pieno di disprezzo “Finn non lo sa… Ha detto che lei non ha fatto nomi, ma io l’ho capito.” Lexa si morse il labbro cercando di raccogliere i suoi pensieri. Clarke aveva detto a Finn di loro due? Perché farlo se si erano lasciate, se tra loro non era successo nulla?
 
 


“E lui… lui cos’ha detto?” Il pensiero di Finn, il ragazzo simpatico e sorridente che l’aveva accolta in casa sua con gentilezza la faceva sentire malissimo, ma Bellamy scosse la testa “Dimmi solo che sbaglio… dimmelo ti prego.”
 
 


Lexa aprì la bocca come per dire qualcosa, ma non uscì niente. Non poteva negare quello che c’era stato tra lei e Clarke, per quanto piccolo, per quanto inafferrabile. Bellamy reagì al suo silenzio esattamente come si era aspettata “Stupida troietta…”
 
 


Lexa gli passò accanto, rientrando nel negozio; non si sarebbe di certo fatta insultare da un uomo del genere “Non provarci nemmeno Bellamy…” Lui la seguì in negozio, l’espressione piena di rabbia “Non provarci? Suo marito, il suo fottutissimo marito ha chiamato me in lacrime nel bel mezzo della notte. T’interessa sapere come stava? Era devastato!”
 
 


Lexa si sentì dilaniata dal senso di colpa, non aveva mai voluto nulla di tutto questo, come non aveva voluto innamorarsi di Clarke al primo sguardo che si erano lanciate, il maledetto giorno del suo matrimonio. Era così stufa di tutto quel disastro, di dover sempre lottare per qualsiasi cosa, perfino per quei sentimenti che non aveva mai desiderato.
 
 


“Vattene Bellamy…” Riuscì a dire, senza guardarlo negli occhi, ma lui non aveva ancora finito “Com’era quella cosa che mi hai detto? Com’era? Mai distruggere un’altra coppia? Hai rispettato bene i tuoi principi…”
 
 


Bellamy lasciò il negozio senza guardarsi indietro, lasciandola con l’animo ancora più spezzato di prima, il sapore amaro delle lacrime tra le labbra. Non riusciva più a sopportarlo, non riusciva a restare lì un minuto di più in compagnia di tutti i suoi fantasmi; aveva bisogno di andare lontano, molto lontano, per un bel po’ di tempo.









Note: Sopresa! Per una volta sono riuscita a non farvi aspettare due mesi... il capitolo è un pochino filler, ma ho preferito lasciare le parti importanti nel finale, mi sembrava meglio non spezzare troppo le scene! Io comunque amo troppo tra Anya/Lexa come sorelle, perciò scusate se inserisco Anya a caso come il prezzemolo sorrynotsorry! Spero che il capitolo vi sia piaciuto e come sempre fatemi sapere cosa ne pensate, grazie mille per tutti i commenti/recensioni e per seguire ancora la storia! Alla prossima!

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