Sophie

di Aicha
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sophie dagli occhi color acquamarina. ***
Capitolo 2: *** Sophie e il primo giorno. ***
Capitolo 3: *** Sophie e le notti insonni. ***
Capitolo 4: *** Sophie e la notte prima di Parigi ***
Capitolo 5: *** Sophie à Paris. ***
Capitolo 6: *** Sophie e il premio Delacroix. ***
Capitolo 7: *** Sophie e la Nuit Dorée ***
Capitolo 8: *** Sophie e l'appuntamento. ***
Capitolo 9: *** Sophie e Hans Bernard ***
Capitolo 10: *** Sophie e la piccola Jane. ***
Capitolo 11: *** Sophie e la mattina dopo. ***
Capitolo 12: *** Sophie e le prime volte. ***
Capitolo 13: *** Sophie e Ewan. ***
Capitolo 14: *** Sophie e i diamanti. ***
Capitolo 15: *** Sophie in London. ***
Capitolo 16: *** Sophie e Uno. ***
Capitolo 17: *** Sophie e il matrimonio ***
Capitolo 18: *** Sophie e Endre, Davide, Dafne, Ewan e Jane. ***



Capitolo 1
*** Sophie dagli occhi color acquamarina. ***


Avevo nove anni, ed era un giorno di inizio primavera. Ricordo esattamente il calore del sole, l'odore di carta che riempiva la libreria, il chiacchericcio della folla visibilmente agitata. Non potrei dimenticare come stringevo la mano di Davide, il mio migliore amico di sempre, e pensavo che quello era il giorno più bello di tutta la mia vita. Doveva esserlo. Stavo per incontrare E.D., il mio scrittore preferito, alla sua prima apparizione pubblica. Avrei scoperto il volto del misterioso uomo che aveva scritto i libri più belli, più intensi, più forti che io avessi mai letto.
"Ti rendi conto, Davide? E.D. sarà qui tra poco, e potrò vederlo, parlargli, e... "
Lui, accanto a me, sbuffò. Era bassino e magro, con un folto ciuffo di capelli che gli ricadeva sul viso. "Io l'ho letto il libro che mi hai prestato, e nemmeno mi è piaciuto."
Non potei fare a meno di scuotere la testa. "I suoi libri sono così intensi, forti, e ogni frase sembra musica..."
Davide alzò le spalle. "Sarà, ma io preferisco giocare a Super Mario. Perchè non hai chiesto a Dafne di accompagnarti?"
"Aveva un impegno." spiegai. "E poi a lei non piace E.D."
"Nemmeno a..."
"Shhhh!" lo zittii, strattonandolo. E.D. era entrato nella stanza, e fui estremamente stupita quando mi resi conto che Endre D., E.D. in arte, non era che un ragazzino. Aveva diciotto, forse diciannove anni, e lo sguardo cupo e quasi impaurito. Non parlò, non salutò, non sorrise. Prese posto e iniziò a firmare autografi alle persone in fila, con movimenti automatici, come se la sua mente si trovasse in un universo parallelo e il corpo fosse lì a gestire le mansioni poco piacevoli.
Quando fu il mio turno, sorrisi e porsi la mia copia di "Peccato originale", eccitata. Lui incrociò il mio sguardo. "Hai dei bellissimi occhi, piccolina." osservò, senza la minima emozione. "Sembrano riempirsi di luce ad ogni tuo movimento. Sei felice?" chiese.
Davide alzò le sopracciglia. "Sophie è sempre felice..."
Mentre arrossivo, Endre mi sfiorò appena la mano e mi osservò come se fossi una creatura rara.
Quattro mesi dopo, nelle librerie di tutto il mondo uscì il nuovo successo del caso letterario dell'epoca: si chiamava Sophie, e parlava di una bambina dagli occhi color acquamarina che arrossiva delicatamente.

"Sono la sua assistente personale, Davide. Puoi crederci?" chiedo al mio coinquilino, che occupa l'altra metà del divano. Abitiamo insieme da circa quattro anni, ormai: io, lui e Dafne.
"Sì, dato che non fai altro che ripeterlo da una settimana." mi risponde lui, sfogliando distrattamente una rivista scientifica. "Senti questa: la fisica quantica risolve l'enigma del gatto nella scatola ipotizzando che il gatto sia vivo e morto, ma in due universi paralleli."
Sbatto le ciglia più volte. "Sì, certo. Credi che si ricordi di me?"
"E' ovvio! " risponde lui, con un velo di ironia nella voce. "Sono sicuro che un uomo che ormai scrive articoli per ogni giornale, colleziona presenze in tv e nelle trasmissioni radiofoniche si ricorda di ogni sua fan! Del resto sono passati solo quattordici anni, no?"
"Ma mi ha dedicato un libro!" protesto, mancando Davide con un cuscino foderato di stoffa lucida.
"Quante volte devo dirtelo? E' stata sicuramente un coincidenza."
Sbuffo. "Quante persone si chiamano Sophie, Davide?"
"Per prima cosa, molte. E poi tu hai gli occhi azzurri, non color acquamarina."
"Questo non è vero. Sono proprio color acquamarina." replico, avvicinandomi al mio amico. "Tu non noti mai i dettagli."
Lui scuote la testa, ridendo. "Ripeti le stesse cose da diciannove anni. Diciannove!"
Sospiro. Sono diciannove anni, infatti, che Davide non fa caso ai dettagli. Né ascolta quando viene richiesta la sua attenzione; tantomeno, ricorda appuntamenti, compleanni o eventi importanti. Persino ai compiti di storia, alle superiori, non riusciva a tenere in mente nomi, alleanze e guerre. "Sophie." sussurrava sempre. "Ma in che anno...?"
Allungo le gambe, occupando ben più della mia metà del divano, ma Davide non sembra notarlo. "Sono terribilmente eccitata. Lui è un genio, è il genio. Certo, il finale del suo ultimo libro era piuttosto scontato e..."
"Ecco, ci risiamo." scuote la testa, improvvisamente serio e rassegnato. "Ci risiamo, Sof. Pensavo stessi cercando di smettere."
Cerco il suo sguardo, per poi rivolgergli un'occhiata interrogativa. "Di straparlare, intendi?"
"Esatto." Lo dice con aria grave, come se stesse parlando del peggior vizio del mondo. Straparlo ogni tanto, in effetti. Ma non è niente di insopportabile. Non per me, almeno. "Sto ancora cercando di smettere." mento, alzando le spalle.
Davide ride, facendomi dimenticare l'espressione seria di prima. "Tranquilla, sei ugualmente adorabile. E a proposito di lingue lunghe..." si interrompe un secondo, giusto il tempo di parare il mio cuscino. "Ha chiamato tua madre, e una delle tue innumerevoli sorelle. Emily, credo. O Charlotte. O forse era Maria. Ad ogni modo, tua madre è preoccupata perchè ha visto E.D. in tv e non le è sembrato affidabile, e mi ha trattenuto circa un'ora, spiegandomi per filo e per segno perchè ti vietava di leggere quei libri, da bambina. Ne hai davvero letti tre in un giorno?" chiede, piuttosto scettico.
Annuisco. "Erano brevi. Mia sorella?"
"Ha squittito che era eccitata e felice per te, che Endre D. è un gran figo, per usare le sue parole, e che ti invidia da morire. Potevo sentire che stava saltando, persino attraverso il telefono. Ora che ci penso, deve essere Emily."
Sospiro. Conosco bene quella descrizione. "E' Emily."
Segue qualche minuto di silenzio, scandito solo dal pesante ticchettio dell'orologio che occupa buona parte del muro. Non ho mai capito perchè Dafne abbia dovuto comprare un orologio tanto grande, ma credo sia qualcosa collegato al Feng Shui. "Senti questa!" riprende Davide, che è passato ora a sfogliare una rivista di cucina. "La cucina molecolare permette di creare il gelato tramite l'azoto liquido."
Non ho idea di cosa stia parlando, e osservo distrattamente le mie mani. "A proposito di gelato, quando pensano di aggiustare l'impianto di riscaldamento?
"L'idraulico ha detto che verrà la prossima settimana."
Mi gratto la testa, riflettendo. "Da quante settimane l'idraulico ci dice che verrà la settimana prossima?"
"Quattro." risponde Davide, alzandosi e mettendo a posto minuziosamente il cuscino. "Lo so, lo so, dovrei parlarci."
"Dovresti minacciarlo di morte." suggerisco, sdraiandomi completamente sul mio scomodissimo divano verde scuro. Davide, in piedi, mi osserva con un sorriso divertito, e mi scompiglia i capelli affettuosamente. "Sei proprio bella, Sof. Sono sicura che Endre D. ti adorerà."
Ecco perchè lo adoro: sa dire la cosa giusta al momento giusto. "Grazie." sussurro, girandomi sulla pancia come un gatto assonnato.
Dafne entra in quel momento, esordendo con un "Da quando abitiamo al Polo?" E' minuta, magra, quasi spigolosa, con capelli scurissimi e una carnagione lattea.
"Lo so, lo so." è la risposta di Davide, che non ammette repliche. "A chi tocca cucinare, stasera?"
"A me!" esclama Dafne, felice. "Vi preparo uno stufato di tofu in brodo..." spiega, dispondendo alcune buste in cucina.
Davide mi rivolge un'espressione sofferente, che non posso fare a meno di ricambiare. "Sopporta." gli dico, sottovoce. "E' solo una volta a settimana, in fondo."
Dopo una cena a base di tofu insipido e racconti sull'ultima lezione di yoga -"Devo farti conoscere il mio maestro, Sof, è talmente sexy..."- decido di andare a letto. Ho bisogno di energie, perchè tra qualche ora sarò davanti alla porta di casa D., e la sua attuale assistente -Bianca, mi pare si chiami- mi darà tutte le istruzioni necessarie. E rivedrò il mio scrittore preferito di sempre, perchè in fondo devo ammettere che non ho mai dimenticato quello sguardo enigmatico e il suo modo di guardarmi, quasi come se mi stesse studiando. Affondo la testa nel cuscino e, finalmente, dormo.

Sono le otto, quando arrivo davanti alla villa di Endre D. Non è affatto come immaginavo: piuttosto piccola, bianca, dall'aria modesta. Non mi sembra neppure di scorgere alcuna piscina, ma c'è qualcosa nel piccolo giardino varipinto che infonde buon umore. Noto anche una piccola serra, dalla quale una pianta di limoni fa capolino. Respiro, cercando di farmi forza. Rimango davanti al cancello almeno dieci minuti. Sono pronta. Sono pronta. Prontissima. Ho il vestito giusto, le scarpe giuste, il trucco giusto. Avrò bisogno anche di qualche risposta giusta, ma non posso procurarmente, adesso. "Sono pronta!" esclamo, a voce alta.
"Bene, perchè abbiamo il videocitofono e francamente mi ero stancata di aspettare." mi risponde una voce femminile metallica, proveniente dal citofono. Nascondo il viso tra le mani. "Sono Sophie Gràìn." sussurro, rossa per l'imbarazzo. Il cancello si apre, e percorro il piccolo sentiero che conduce alla casa in religioso silenzio.
Ad accogliermi alla porta c'è una ragazza bionda dagli occhi scuri come l'inchiostro. "Ciao, Sophie, io sono Bianca. Prego, entra, ti faccio fare un giro della stanze."
Sfilando il cappotto, accenno un sorriso imbarazzato. Seguo Bianca, che mi mostra stanze ampie, ben arredate, dai colori tenui e tenute in perfetto ordine.
"E queste sono le stanze degli ospiti." spiega, indicando una lunga fila di porte in legno scuro. "Non che Endre abbia mai ospiti." sembra quasi ridere sotto ai baffi.
"Dov'è la stanza di Endre?" chiedo, curiosa.
Bianca ridacchia nuovamente, come se fosse a conoscenza di qualcosa estremamente divertente e non potesse dirmelo. "Al piano di sopra. Endre vive lì, e a nessuno è permesso salire, eccetto a Inga, la domestica, che può pulire due volte al mese. Azzardati a salire e verrai licenziata in quattro secondi. E' così che ho avuto il mio posto: l'assistente precedente era salita per portare da mangiare a Endre, dato che non mangiava da più di ventiquattro ore. Aveva paura stesse male. Dovresti sapere che a volte Endre non mangia per un paio di giorni, ma non è affatto un problema."
Sono quasi spaventata, ma cerco di sembrare il più calma possibile. "Quello è il mio studio?" chiedo, indicando un'angusta stanzetta con un pc, un telefono e una scrivania traballante.
"Esatto. La tua comunicazione con Endre, in casa, sarà sotto forma di e-mail. A lui non piace parlare, in ogni caso."
Mentre appoggio la mia borsa sulla scrivania, mi guardo intorno. La stanza è minuscola, bianca, e fa quasi paura.
"Allora!" esclama Bianca, in un tono forzatamente allegro. "Immagino che dovrei parlarti di lui, no? Di Endre. Da dove inziare?" posa un dito sulle labbra piene. "Allora, Endre è un mostro. Non ha anima, cuore, insomma. E' freddo e crudele, e non perderà occasione per umiliarti e farti piangere. Adora torturare le sue assistenti, ma in genere in pubblico ha un certo contegno." la ragazza osserva la mia espressione terrorizzata e mi dà una pacca sulla spalla. "Oh, ci farai l'abitudine. Ovviamente abiterai a casa tua, ma sappi che lui potrebbe chiamarti nel bel mezzo della notte per mandarti dall'altra parte della città a prendere alcune copie di un manoscritto che vuole rileggere. A volte lo fa per puro sadismo, credo. Viaggerete spesso. Endre ha qualche casa in giro per il mondo e ogni tanto soggiornerete lì, altrimenti in qualche hotel di lusso. Questa è la parte divertente!"
Deglutisco, pensando che non mi sembra affatto divertente. Ma non parlo.
"Ora, la tua mansione è semplicemente fare quello che ti chiede, ma ci sono alcune regole che devi assolutamente rispettare. Punto primo, mai porre domande. E mai contraddirlo. Non devi suggerirgli di mangiare meglio, bere meno o cambiare vita. Ah, a proposito, questa è la lista della spesa settimanale."
Mi porge un figlietto spiegazzato, che leggo attentamente. Pane, tonno in scatola, fagioli in scatola, acqua, coca cola, burro d'arachidi, tortillas, pollo surgelato e mele. Non esattamente una dieta corretta e bilanciata.
"Endre mangia di sopra." continua Bianca. "Usa la cucina del piano di sotto solo in rarissime occasioni. Dov'ero rimasta? Ah, sì, certo. Endre è claustrofobico, e soggetto a crisi di panico. Ovunque vada, dovrai assicurarti che le scale siano agibili. Non prende l'ascensore. Detesta anche le macchine e gli aerei, quindi in caso di viaggi devi assicurarti che nessuno gli parli o lo tocchi. La cosa vale anche per te, ovviamente. Nel caso avesse, per qualche ragione, una crisi di panico, cerca di ignorarlo. Gli passano in qualche minuto. In genere suda freddo e non riesce a respirare, ma l'unica cosa che conta è che tu non lo tocchi. Endre odia essere toccato, beh, tranne dalle sue donne ovviamente."
"Le sue donne?" chiedo.
"Una diversa ogni sera, più o meno. Verso le undici esce, e Dio solo conosce la sua meta. Feste, festini, cose del genere. Torna quasi sempre con una bella donna, e quella è la stanza che... beh... hai capito. Non entrarci per nessuna ragione."
"Credo che rimarrò confinata nel mio studio." rispondo, senza mostrarmi troppo simpatica.
"Non è una cattiva idea. Endre ha un solo amico, comunque, il londinese. Si chiama Edward e sta spesso qui. E' simpatico. Umano, almeno."
Sospiro. Il ritratto di E.D. non solo non corrisponde affatto ai miei pensieri, ma neppure ai miei ricordi. Possibile che quel ragazzo dallo sguardo cupo ma gentile si sia trasformato in un mostro senza cuore?
"Ah!" esclama Bianca, come se avesse improvvisamente ricevuto l'illuminazione. "Lui è davvero bello, ma non provarci mai. Non si fa le assistenti, purtroppo. E' per questo che mi ha licenziata."
Dalla mia posizione, mi sembra di scorgere una figura che ci osserva dalla penombra del corridoio. Mi sporgo leggermente, ma la figura scompare proprio come era venuta.
Stropiccio gli occhi. "Allora..." chiedo. "Quando lo vedrò?"
Bianca alza le spalle. "Quando avrà bisogno di te. Ti lascio il mio numero, comunque. Per ogni evenienza."
Fingo un sorrido e mi guardo intorno. Non so bene perchè, ma ho quasi l'impressione che questa sarà la mia nuova prigione, per un po'.

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Capitolo 2
*** Sophie e il primo giorno. ***


La prima e-mail di Endre D. arriva nel pomeriggio. Nel frattempo ho temperato le matite, le ho disposte in fila in ordine di grandezza prima, di colore poi. Ho messo a posto la mia agenda, studiato le istruzioni del telefono, acceso il pc e giocato ininterrottamente a solitario. Sembra tutto infinitamente tranquillo, fino a quando il pc squilla. Una nuova mail.
"Ciao, Sophie Gràìn (che razza di nome è?)
1 - Chiama il mio editore (il numero è nella rubrica) e digli che consegnerò il mio manoscritto con qualche giorno di ritardo. Placa le sue noiose lamentele.
2 - Chiama messieur Rochelle e digli che la settimana prossima saremo a Parigi. Chiedigli di preparare casa, come al solito. Tu ovviamente verrai con me. Compra qualche bel vestito, nel pomeriggio.
3- Hai un appuntamento con dodici aspiranti scrittori, alle sei. La via è nell'agendina viola accanto al pc. Dovrai leggere i loro manoscritti e spiegargli perchè penso che non siano assolutamente adatti alla letteratura. Inventa qualcosa.
4- Dì ad Augusto di preparare la macchina per le dieci, stasera.
Dato che queste mansioni dovrebbero occupare tutta la giornata, gradirei incontrarti verso le nove, in salotto. Non ti costringerò a rimanere molto.
Endre."
Osservo l'e-mail, confusa. Non mi sembra eccessivamente scortese, eccetto per il commento sul mio cognome. So che non devo rispondere, per cui mi limito a comporre il numero dell'editore.
"Ora che c'è, Bianca?" mi chiede una voce esausta.
"Veramente sono Sophie, signore." lo correggo. "La nuova assistente del signor..." mi rendo conto che non conosco ancora il suo cognome.
"Che fine ha fatto Bianca?" al mio silenzio, l'editore sospira. "L'avrà fatta fuori. Allora, Sophie, qual è la scusa, questa volta? Bianca ne aveva di bellissime."
Mi manca l'aria. "E' il mio primo giorno, signore. Non sono ancora esperta."
Sento una risata vigorosa. "Un agnellino, eh? Ti perdono, per questa volta, agnellino. Ma la settimana prossima sarò più duro." click. Sono salva, a quanto pare.
Tamburello con le dita sulla scrivania, e decido di scrivere una veloce e-mail a Endre.
"Mi sono resa conto che non conosco il tuo cognome. Qual è? Il mio, comunque, è gaelico. Significa cuore." Invia. La risposta non tarda ad arrivare.
"Ciao, Sophie Gràìn dal cognome gaelico,
non sei autorizzata a rispondere. Fallo di nuovo, e dovrò licenziarti

Endre."
Ok, questo suonava scortese. Mi rendo conto che una donna bassa e tozza, dalla complessa pettinatura composta da trecce, sta attraversando il corridoio. Deve essere Inga, la domestica. "Ehi!" la chiamo, alzandomi.
La donna si volta e mi guarda senza alcuna sorpresa. "Nuova assistente?" chiede, con un marcato accento dell'est. Annuisco, tentando un sorriso. "Mi stavo chiedendo... potrei sapere qual è il cognome di Endre?"
Lei ride appena, la stessa risata nascosta di Bianca. "Nessuno può saperlo, signorina, perchè non esiste."
Sollevo le sopracciglia, e Inga posa un dito sulle labbra. "Entri, la prego." sussurra, chiudendo la porta dello studio dietro di sé. "Non dovrei dirglielo, ma lei sembra una brava ragazza. Quella Bianca, invece, non mi piaceva affatto."
Annuisco appena, impaziente. La donna si china verso di me. "Il padre del piccolo Endre abbandonò sua madre quando era incinta, quindi prese il cognome della madre, Cecile, che morì appena quattro anni dopo. Fu suo zio materno ad adottarlo, e mi assunse come bambinaia. Lo zio, messieur Blanc, è un uomo terribile, ma per qualche strana ragione Endre lo adorava. Lo adora tutt'ora. Comunque, in questo periodo lo zio lo costrinse a prendere anche il suo cognome, e quando Endre cominciò a scrivere libri, scelse lo pse... psi..."
"Pseudonimo?" suggerisco.
"Sì, quello. Lo pseudomimo di Endre D." risponde lei, annuendo con forza. "Lei non deve odiare il signor D., signorina. Non è una persona cattiva, non intenzialmente, almeno."
Mordendomi un labbro, annuisco. Appena Inga se ne va, chiamo messieur Rochelle, che scopro essere il domestico della casa parigina di Endre, e gli ordino di "sistemare tutto come al solito".
"Può chiedere al signor Endre se sarà qui anche durante la settimana di Natale?" mi chiede l'uomo, in un francese ricco e musicale.
"Posso?" mai rispondere a una domanda con un'altra domanda, lo so.
"Da quanto lavora per lui?"
Sospiro. "Qualche ora."
"Allora temo non possa. Mi metta in comunicazione con lui."
Obbedisco, premendo un paio di tasti lampeggianti sul telefono. Poi attacco la cornetta, ravviando i capelli. Ora arriva la parte interessante: comprare qualche vestito. Prendo la borsa, il cellulare e mi dirigo verso l'uscita ticchettando sulle mie scarpe alte. Augusto, l'autista, mi indica una macchina scura e apre la portiera, e improvvisamente mi sento importante. Sia chiaro, so bene di contare meno di zero, ma seduta sulle poltrone rosse di una macchina tirata a lucido posso immaginare di essere chiunque. Augusto non aspetta istruzioni e mette in moto, nel suo silenzio carico di rispetto.
"Dove stiamo andando?" chiedo.
"In una sartoria, signorina. Il signor D. le farà preparare alcuni vestiti per Parigi." dice, tornando ad immergersi nel suo silenzio assoluto.
"Quindi non sarò io a scegliere?"
"No." di nuovo, nessuna sfumatura in quel 'no'. Una parola veloce e secca, come se non fosse necessaria.
"Allora, ehm... lavora da molto qui?"
"Dieci anni."
"E come si trova?" chiedo, curiosa, mentre Augusto sterza con eleganza.
"Lei parla." osserva lui, senza alcuna inflessione della voce.
"Perchè, lei non parla?"
"Io non sono pagato per parlare."
"Nemmeno io." replico, realizzando solo adesso che era un invito a smetterla. E mentre Augusto riprende il suo pagato silenzio, lo imito, mettendo il broncio.
L'autista sembra accorgersene, e ride. "Lei è carina, signorina. Sembra allegra, ed è molto che non conosco persone allegre. Eccetto il signor Edward, ma lui ha sempre quell'espressione grave, come se avesse troppi pensieri in testa. Eccoci, siamo arrivati. Si diverta."
Scendendo dalla macchina, il ticchettio dei tacchi sui sanpietrini mi accompagna fino all'entrata della boutique, dove una donna assurdamente alta mi accoglie con un rigido abbraccio. Sembra piuttosto... sollevata. "Grazie, grazie, grazie al cielo si è liberato di quell'odiosa Bianca!"
Non capisco perchè tutti odino Bianca, a dire la verità. Non mi sembrava eccessivamente simpatica, ma neppure degna di tanto odio. Capiterà anche a me, tra qualche mese?
"Sono Sophie." dico senza la minima timidezza, porgendo la mano. La donna la stringe con forza. "Io sono Lidia. Bianca aveva una pessima postura, e dovevo sempre modificarle i vestiti. E quel viso sempre annoiato, spento, come se avesse già vissuto tutto! Tu sembri giovane, voglio dire, giovane dentro." mentre mi conduce all'interno della boutique, devo ammettere che il posto è bellissimo. Pavimento color porpora, eleganti cuscinetti rossi, abiti luccinanti tutto intorno, clienti vestite lussuosamente che discorrono delle vacanze di Natale.
Livia prende qualche vestito e mi riempie le mani. "Va' a provarteli!" esclama, allegra, indicandomi un camerino grande quanto il mio studio.
Dopo un tubino blu notte, due abiti impero nelle tonalità dell'azzurro, un vestito color pesca e un Gucci vintage, è il turno di un miniabito che copre a malapena il sedere, ricoperto di paillette. Quando esco, mi sento nuda.
"Splendido!" esclama Lidia, battendo le mani. "Non è un abito fantastico? Così allegro e pieno di vita! Sarà perfetto per la nuit dorée!"
Non ho idea di cosa stia parlando, ma al momento la mia attenzione è concentrata sull'aria che invade le mie gambe. "Non manca un pezzo di stoffa, Lidia?" chiedo, mordendomi un labbro.
"Oh, che sciocchezza!" replica lei, scacciando il pensiero con un gesto brusco della mano. "Allora prendiamo quello blu, che ti sta un incanto, il Gucci e quello che hai indosso. Li metto sul conto di Endre."
"Sul conto di Endre?" chiedo, rendendomi conto che non avevo affatto pensato a chi avrebbe pagato i miei abiti.
"A meno che tu non abbia settemila euro a portata di mano..." risponde Lidia, divertita.
Settemila? Ho davvero fatto spendere settemila euro al mio capo per tre abiti? Abiti che metterò una volta sola?
Lidia sembra leggermi nel pensiero. "Tranquilla, tesoro. Può permetterselo."

"Allora, cosa pensa E.D. del mio manoscritto?" mi chiede una ragazzina con gli occhiali e l'aria antipatica, che non può avere più di dodici anni.
Batto le mani sulla cattedra malconcia che mi fa da appoggio, cercando qualcosa da dire. Il progetto scrittori di domani coinvolge dieci scuole di Roma, o almeno così mi ha detto Augusto. A quanto pare ogni scuola manda i migliori manoscritti a uno scrittore diverso, che deve leggerli e proporre uno stage agli autori validi, e Endre non ha ovviamento letto i suoi. Io ho cercato di dargli un'occhiata velocemente mentre pranzavo, ma non ricordo assolutamente cosa ha scritto la ragazzina che mi osserva con un certo disprezzo.
"Endre pensa che... il tuo stile sia piuttosto immaturo, e che dovresti leggere di più."
Lei fa una smorfia. "Ho undici anni e ho già letto più di ottocento libri, di ogni epoca e genere."
La odio. "Beh, allora dovresti leggerli con attenzione." rispondo con un pizzico di acidità gratuita, mentre la ragazzina lascia la stanza, sdegnata. "Secondo me non l'ha nemmeno letto E.D.!" grida da fuori, mentre un ragazzo rotondo e allegro entra nella stanza. Dopo aver spiegato al terzo concorrente che il suo romanzo era troppo moderno, al quarto che invece le tematiche non erano abbastanza attuali e al quinto che mancava di originalità, la sesta ragazza entra timidamente nella stanza. Si chiama Luna, ha dodici anni e folti capelli scuri che le ricadono con grazia sulla schiena. Ricordo il suo manoscritto perchè mi aveva catturato, la scrittura aguzza così atipica in una bambina, le parole nitide e forti e le frasi musicali. So bene che dovrei liberarmi di lei come ho fatto con gli altri, ma non ci riesco. "Penso... voglio dire, Endre pensa che tu abbia un gran potenziale." dico, a bassa voce.
I suoi occhi, verde chiarissimo, si illuminano. "Avrò uno stage con E.D.? Davvero? Perchè lui è meraviglioso..."
Non serve dirlo: Luna mi ricorda me, circa fino a un giorno fa. "Sì." dico, con convinzione. "Avrai il tuo stage." E io sarò licenziata. Ma questo mi limito a pensarlo.

"Il signor D. la sta aspettando in sala." annuncia Inga, e io ravvio i capelli, sentendo il cuore palpitare. Magari si ricorda davvero di me. E forse non è neppure così scortese.
"Ciao, Sophie." dice con una voce incredibilmente profonda e musicale, tendendo la mano. Avanzo senza troppa convinzione, ossevando i suoi occhi, penetranti, dal taglio leggermente obliquo, di un verde così scuro da perdersi nel nero. Ha un sorriso divertito a fior di labbra, ed è piuttosto alto. Osservo le spalle, forti, e la linea delle braccia, e stringo la mano calda.
"Dita sottili." osserva lui, senza però guardarmi negli occhi. "Vuoi sederti?" indica una sedia, mentre lui prende posto sul divano. "Allora, Sophie, immagino che Bianca ti abbia parlato di alcune regole."
Annuisco, aspettando che lui incontri il mio sguardo. Non succede. "Sì."
"Se mi ha descritto come un mostro, mi dispiace ammettere che non sono certo la persona migliore del mondo. Anzi, sono proprio una pessima persona." ride, mentre io aggrotto le sopracciglia. "Quanti anni hai, Sophie?"
"Ventitre."
"Vivi a Roma?"
"Sì, ho un appartamento a Roma."
"Con i tuoi genitori?"
"No." rispondo, semplicemente, e finalmente lui mi guarda. Si sofferma un secondo sui miei occhi, ma non accenna a riconoscermi. Stupida illusa.
"E la tua famiglia?"
"Mio padre se n'è andato quando avevo sei anni. Mia madre abita poco distante da me con le mie cinque sorelle."
"Cinque?" chiede lui, divertito.
"Per questo ho pensato di andarmene appena iniziata l'Università."
"Sei laureata, Sophie?"
"Sì."
"E non hai trovato nessun posto migliore di questo?"
"Oh, ne ho trovati eccome." rispondo naturalmente, senza pensare, e osservo il suo sguardo sorpreso.
"Non era quello che avresti dovuto dire." osserva.
Alzo le spalle. "Cosa avrei dovuto dire?"
"Che nessun posto è migliore di questo, ovviamente."
"A che scopo? Sai che non è vero."
Endre spalanca gli occhi. "Siamo già arrivati al tu?"
Abbasso lo sguardo, arrossendo. "Scusi."
"No, va bene così." dice lui, con una certa dolcezza nella voce. "Non ho mai amato i convenevoli. Allora, aggiornami sulla tua giornata."
Annuisco. "Ho parlato con il tuo editore, che ha detto che è disposto a dare un'altra settimana di tempo. Ho comprato tre abiti, e..."
"Come sono?" chiede lui, interrompendomi.
"Cosa?"
"I vestiti. Come sono? Lidia ti ha fatto provare quello blu?"
Annuisco, e lui sembra felice, per un attimo. "L'ho preso."
"Non è splendido?" non aspetta risposta. "E quali altri?"
"Uno grigio perla e uno colorato e troppo corto." rispondo, mordendomi poi la lingua.
"Non è troppo corto, sei tu che sei troppo alta."
"Sono alta poco più di un metro e settanta, a dire la verità."
Lui sorride, e non posso smetter di pensare a come quel sorriso sembri prendermi in giro. "Appunto. Detesto le donne più alte del metro e sessanta."
Passo una mano tra i capelli, indecisa su cosa rispondere. Decido di cambiare argomento. "Sono andata in quella scuola, e ho detto a tutti i concorrenti che non erano abbastanza bravi per lo stage, tranne..."
"Tranne?" ora il suo sguardo fa quasi paura. Gli occhi sono infuocati, come accesi da una scintilla di rabbia.
"Tranne un ragazza. E' davvero brava, e..."
"Che fortuna avere una grande critica letteraria tra di noi, non credi?" commenta, glaciale. "Preferirei non ti prendessi queste libertà, in quanto sei una ragazzina tragicamente priva di talento, a giudicare dal lavoro che fai, e convinta di saperne più del resto del mondo. Vattene, ora."
Mi alzo, e non so quale potere mi stia tenendo calma. "Verrà qui per due giorni, poi tornerà a casa sua e lo stage sarà finito."
"Lascia la stanza, Sophie." è la sua risposta, fredda come ghiaccio. "Non mi piacciono le persone."
"Non ne ho alcun dubbio." rispondo prima di abbandonare la stanza, lasciandomi dietro l'espressione confusa di Endre.

Grazie, grazie, grazie! Selene, hai pienamente ragione: ho quasi una 'fissazione' per i nomi, e in genere li scelgo anche in base al significato, oltre che al suono. Sophie, infatti, mi sembrava perfetto per la protagonista... così come Endre, a modo suo.
E prometto che col tempo le cose si faranno più avvincenti! =)

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Capitolo 3
*** Sophie e le notti insonni. ***


"Sei pallida." mi dice Dafne con un'espressione preoccupata, mentre mangio velocemente un cornetto appoggiata al ripiano della cucina. "E sembra che tu non abbia dormito."
"Potrei non aver dormito." ammetto, intingendo il mio cornetto nel latte caldo. "Ho passato la notte a rispondere alle lettere dei fan di Endre, che, tra parentesi, sono davvero tanti."
Dafne scuote la testa. "Lavori per quel tizio da tre giorni e sei già sull'orlo di una crisi nervosa, Sof."
Accenno un sorriso che dovrebbe essere rassicurante. "Sto benissimo. Benissimo. E non ho più avuto alcun contatto diretto con Endre, il che non mi fa stare che meglio. Sto benissimo."
"Ok, l'hai ripetuto troppe volte perchè fosse vero." commenta lei, con una punta di ironia nella voce. "Bevi del succo di aloe. Ti rimetterà in sesto."
Guardo distrattamente l'orologio, e mi rendo conto che è quasi ora di uscire. Osservo lo specchio, che mi restituisce un'immagine spenta e assonnata, e passo un filo di lucidalabbra color fragola, sperando che mi dia un'aria un po' più... viva. Non funziona.
"Io vado. Ci vediamo stasera. Domani ho il giorno libero, così potrò fare le valige a passare un po' di tempo con te e Davide." il pensiero è piuttosto confortante, e anche Dafne sembra condividere la mia idea. "Va bene. Non posso credere che tu stia andando a Parigi! Potrei quasi invidiarti, se non dovessi andarci con il tuo capo dispotico."
Mentre esco, rifletto sul mio dispotico capo. C'è qualcosa che non torna a nessuno dei miei calcoli, se possiamo parlare di calcoli. Come può una persona scrivere cose così belle eppure essere così fredda e sterile dentro? Mi rifiuto di crederci. O ha qualcuno che scrive per lui, oppure non ho capito assolutamente nulla, mai. Magari Antoine de Saint-Exupéry odiava le persone. Forse anche Roal Dahl e Bianca Pitzorno. Chi lo sa.

"Buongiorno, Inga!" esclamo, entrando in casa. Respiro l'odore di detersivo alla lavanda, e decido che un misantropo, despotico e terribilmente attraente capo non può rovinare la mia vita.
La donna mi rivolge un sorriso caloroso, e indica la cucina. "C'è il signor Edward, in cucina. Vada a conoscerlo, è un caro ragazzo."
Sorridendo, obbedisco e raggiungo la cucina, dove Edward sta mangiando una torta di lamponi. "Buongiorno." dico, arrossendo appena.
Edward è, innanzi tutto, bello. Di una bellezza classica e semplice, quasi genuina, così diversa da quella fatta di fascino di Endre.
"Devi essere Sophie!" dice lui, stringendomi la mano con entrambe le sue. Osservando l'espressione stanca dei suoi occhi chiari mi rendo conto che Augusto aveva completamente ragione: ha l'aria di chi porta il mondo sulle spalle. "Buona fortuna!" aggiunge, ridendo senza sforzarsi troppo di sembrare spontaneo.
Non sapendo bene cosa rispondere, mi mordo un labbro, mentre Edward non distoglie lo sguardo dal mio viso. Quella strana tensione tra noi due viene interrotta dall'arrivo di Endre, che non fa assolutamente caso alla mia presenza e stringe l'amico in un abbraccio caloroso. "Ciao, Ed."
L'amico sorride. "So che sarai a Parigi, la settimana prossima."
"Precisamente." risponde Endre, quasi animandosi. "E il premio Delacroix sarà mio!" c'è una certezza sconcertante, nella sua voce. "Non ho praticamente avversari."
Il premio Delacroix! Stiamo andando a Parigi per un' importante premiazione letteraria e io sono invitata!
Edward scuote la testa, vagamente divertito. "E la tua assistente cosa ne pensa?"
"Chi?" domanda Endre, voltandosi verso di me. Ride. "Oh, lei. Lei non sa leggere."
Respiro profondamente, lasciando che tutto l'ossigeno possibile cancelli la mia irritazione. Io sono una brava assistente. Ora sorriderò appena e lascerò la stanza con un cenno della testa. "A dire la verità credo che Johann possa vincere, dato che il suo ultimo libro ha avuto recensioni nettamente superiori alle tue." Ok, ok. E' semplicemente uscito dalla mia bocca. E comunque, io detesto Thomas Johann.
Nella stanza cala un silenzio denso come olio che sembra avvolgermi, almeno finchè Edward non scoppia a ridere. "E' adorabile!" esclama, divertito.
Endre scuote semplicemente la testa. "Comincio a sentire la mancanza di Bianca. Sophie, il tuo volo per Parigi parte alle otto, domani sera. Augusto verrà a prenderti a casa alle cinque. Una volta arrivata al De Gaulle troverai un autista del luogo che ti porterà al mio appartamento. Hai un giorno intero per occuparti della casa. Bianca ti ha faxato tutte le istruzioni, le troverai nel tuo studio."
Annuisco. "Quando mi raggiungerai?"
"Dopodomani. Il premio è lunedì, e la nuit dorée, il gala, avrà luogo martedì."
"Posso partecipare?" chiedo, il tono di voce appena infantile, e arrossendo un po'.
Endre si avvicina e mi fissa guardandomi con una serietà sconcertante. "Devi partecipare. Sei la mia assistente, la mia ombra, la versione umana e costosa del mio blackberry."
Di nuovo, annuisco, senza nascondere la mia eccitazione. "Perfetto. Cosa devo fare, oggi?"
"Trovare la mia accompagnatrice per la nuit dorée. Fissa un casting per le quattro, chiama le agenzie e chiedigli di mandarmi il tipo B. Bella, mora, occhi scuri, una terza piena di seno, pelle dorata. Non importa che lingua parli, ma niente accenti marcati. Starà bene con il vestito che ho scelto per lei."
Sollevo appena le sopracciglia, cercando di decidere se quel sorriso irriverente mi stia prendendo in giro.
"Sì, sono serio."
Ecco.

Altri cinque minuti in questo posto e morirò per scarsa autostima. Annegherò nella mia normalità. Soffocherò nella certezza che il cielo non mi ha regalato una pelle naturalmente abbronzata e capelli folti e neri.
Janica, brasiliana dai grandi occhi da cerbiatta, mi fa l'occhiolino. Poi piega appena le gambe, si inchina incurvando la schiena e scuote vigorosamente la testa lasciando che i lunghi capelli le ricadano sulla schiena. Un paio d'ore fa mi sarei gettata a terra dalla disperazione, ma ormai iniziano a sembrarmi tutte uguali. Tutte belle, tutte ammiccanti, tutte provenienti da un paese esotico e dotate di nomi degni di pornostar. Ho scartato Anais per il seno troppo grande, mentre Annika aveva un terribile accento russo. Kari era troppo alta; Rika troppo bassa. Xenia non conosceva neppure una parola italiana e Anja aveva un naso appuntito che non era adatto al prototipo di bellezza mediterranea.
Alla fine, è Lula Tchomikajaeva ad avere la meglio, anche se a guardarla ora sembra uguale a tante altre. Un'ora fa, però, il luccichio dei suoi occhi nerissimi mi aveva quasi abbagliato.
Quando torno finalmente nel mio studio sono assurdamente sfinita, come se avessi corso per chilometri e chilometri e mi fossi finalmente fermata. Prendo posto alla scrivania, tamburellando con le dita sui bordi della tastiera del computer. Mando un'e-mail a Endre.
Ciao,
ho trovato la tua accompagnatrice. Lula Tchomikajaeva, diciannove anni, russa. Riceverà il vestito domani mattina e ti raggiungerà a Parigi giusto prima della nuit dorée.
Sophie.

Mentre afferro il fax 'istruzioni Parigi' di Bianca aspetto il trillo insolente del computer, quello che segnala una risposta. Invece, sento il rumore di passi venire dalle scale e dal corridoio.
Endre si affaccia alla porta, sorridendo. "Com'è?" chiede.
"Alta, bella, formosa ma non troppo. Come tutte le altre." faccio una smorfia.
"Spero che sia bella davvero." risponde lui, prendendo posto nella poltroncina che occupa un angolo dell'angusta stanza.
"Oh, lo è. Ma non capisco perchè ne hai bisogno."
Lui arriccia le labbra. "Potrei trovare una donna in cinque minuti; bella, magari. Lo so." spiega, senza però darmi una risposta. E invece di alzarsi e fuggire nel suo piano-rifugio, Endre rimane lì a fissarmi con un sorriso divertito. "Stai arrossendo." nota con tenerezza.
"Lo so." ho il viso in fiamme.
Lui piega la testa da un lato, studiandomi, lo sguardo interrogativo. "Lavori per me da tre giorni ed è come se mi conoscessi da una vita. Mi dai del tu, fai domande private, arrivi a dirmi che credi che Johann sia migliore di me!"
"Ho detto che Johann ha maggiori probabilità di vincere quel premio, non che è migliore di te."
Endre aggrotta la fronte. "Non credi sia migliore di me?"
"Lo detesto!" esclamo, con troppa enfasi. "Parole casuali, suoni d'effetto e un paio di figure retoriche qua e là. Ha uno stile poco armonioso, costruito e ridondante."
L'espressione del mio capo è sorpresa. Piacevolmente sorpresa, direi. "E di me? Cosa pensi?"
"Come scrittore?"
"Come scrittore."
"Penso che tu abbia scritto alcuni tra i libri più potenti, intensi ed evocativi che io abbia mai letto. Sono ricchi di sfumature."
Uno sguardo interrogativo perlustra i miei occhi. Sorridendo, cerco di spiegarmi. "Nessuno riesce più a vedere i veri colori. Le sfumature. Vestiamo tutti uguali, parliamo allo stesso modo, guardiamo gli stessi film. E poi ci incontriano negli stessi posti, ridiamo alle stesse battute e ci scambiamo opinioni identiche su identici libri. Ma nei tuoi romanzi c'è qualcosa di più. Sono storie spesso inusuali, storie diverse da quelle a cui siamo abituati, storie che fanno bene al cuore perchè ricche di sfumature." respiro. "Ci sono tante cose che non amo del mondo. I rapporti fittizi, gli eccessivi convenevoli, le regole del buon senso, i limiti che ci autoponiamo. Ma i tuoi libri mi mettono quasi in pace con l'universo."
"Una vera dichiarazione d'amore." osserva Endre, lo sguardo indecifrabile. Poi si alza e gira su se stesso, osservandomi con aria grave. "Dobbiamo andare in un posto." Ha l'aria disgustata, ora, mentre si stropiccia il viso.
Annuisco, spegnendo velocemente il computer. "Quale posto?"
"Un posto." taglia corto lui, e il tono di voce si fa secco. "Un posto che odio. Dì a quella Lula che può venire qui alle otto, affinché possa approvarla. E dì ad Augusto di preparare la macchina. Dobbiamo andare allo studio legale B&C." conclude, abbassando lo sguardo fino a guardarsi le scarpe lucide. Mi alzo, e passando accanto a lui lo sfioro inavvertitamente, percependo la sua presenza imponente. Deve essere alto più di un metro e ottantacinque, ed è strano che non l'abbia notato. In genere, non mi riesce difficile notare i dettagli.

Lo studio B&C ha pareti scure e un pavimento in parquet scuro, su cui le scarpe scure di uomini con abiti scuri dall'aria costosa scricchiolano fastidiosamente. Accanto a me, Endre sembra aver dimenticato il solito passo sicuro e incede con incertezza, come soppesando ogni passo. "Dio, quanto odio questo posto." sussurra più volte, mentre io non riesco a fare a meno di sentirmi impotente.
"Ti sembrerà strano, Sophie, ma ho passato tanto di quel tempo in questo posto che mi sembra quasi di averci vissuto. Il testamento di mia madre, sai, e tutti gli avvoltoi che volevano mettere mano sul suo patrimonio."
"Era molto ricca?" chiedo, pur essendo coscente che un'assistente non dovrebbe porre domande del genere. Ma, in fondo, credo che Endre ne abbia quasi bisogno.
"No, affatto. Aveva un'unica proprietà di valore: una villa nel sud della Francia. E quella villa è mia. Deve essere mia." vedo un lampo di rabbia nei suoi occhi.
"Perchè siamo qui?"
"Perchè voglio quella casa." spiega semplicemente Endre.
"So di essere invadente, ma tu puoi avere tutto..."
Lui mi afferra il polso con forza, tirandomi a sé. "Non voglio una casa, Sophie. Voglio quella casa. Ho avuto una sola, minuscola parentesi di felicità nella mia vita, ed è stata dentro quella casa."
La segretaria dell'avvocato ci fa segno di attendere, e prendiamo posto su un paio di poltroncine, manco a dirlo, scure. "Vuoi raccontarmi una storia?" chiedo.
Endre sembra sorpreso. "Una storia?"
"Non è quello che fai? Raccontare storie?"
"Sì, direi di sì."
Sorrido. "Allora raccontami una storia."
"Vuoi conoscere quella della casa che voglio disperatamente? Vuoi curiosare nella mia vita?" la sua espressione, indecifrabile, potrebbe essere tanto arrabbiata quanto rassegnata. Probabilmente la prima delle due, ma decido di sfidare la sorte. "E' un'idea. Se serve, prometto che non pubblicherò nulla su internet."
Improvvisamente, Endre ride. Non credo di averlo mai visto ridere. "Oh, so che non lo farai. La storia inizia con un bambino abbandonato dal padre e orfano di madre che va a vivere dallo zio in una grigia casa londinese. Dopo aver passato un triste inverno in un collegio maschile, il bambino viene mandato nel sud della Francia, in una piccola villa che era appartenuta a sua madre, e in quel momento apparteneva a sua zia, una donna che non aveva conosciuto prima d'allora. Una villa con il pavimento di pietra ghiacciata e un campo di lavande che frusciava alla minima brezza. Bastavano dieci minuti di corsa per arrivare alla spiaggia, e il bambino amava passare i pomeriggi osservando il moto perfetto delle onde."
Sospiro, osservando la sua espressione sognante. "Sembra meraviglioso."
"Lo era. Amavo quel posto, e amavo mia zia. Ma quando tornai a Londra scoprii che era morta, e la casa venne venduta. Ho cercato di rendere illegale l'atto di vendita, dato che mia zia aveva promesso la villa a me e non aveva scritto alcun testamento, ma non ha funzionato. Quindi sto tentando un'ultima via."
"Quale?"
"Parlare all'uomo che la possiede. Mia zia Sophie..."
Apro leggermente le labbra, sorpresa, mentre la segretaria ci fa cenno di entrare. "Sophie? E' a lei che hai dedicato il tuo libro? Sophie?"
"Signor D., il signor Tommasi la sta aspettando." dice gentilmente la segretaria, indicando la porta che ha appena aperto.
Endre sorride, divertito, posando un dito sulla mia fronte e percorrendo il mio profilo lentamente, regalandomi una minuscola scossa elettrica. Non sono il genere di persona abituata al contatto fisico con gli estranei. "Oh, Sophie, no... quel libro parlava di te."
Improvvisamente, sento il cuore salirmi in gola e non riesco a muovermi per quache istante. Quando riesco finalmente a sollevarmi, seguo Endre nella stanza del colloquio. Quel libro era per me. Il romanzo che sentivo mio da tutta la vita lo era davvero: era mio, solo e unicamente mio. Se dentro un uragano mi sta travolgendo, la mia facciata è calma e pacata, mentre prendo posto accanto a E.D., accavallando le gambe.
Il signor Tommasi, proprietario della villa, è un uomo di un'età indefinita tra i quaranta e i cinquanta, non alto, non bello, con i capelli tirati indietro e uno sguardo spento e... beh, cattivo. Provo un brivido quando lui posa i suoi occhi su di me e piega le labbra nel sorriso più viscido che abbia mai visto. "La sua assistente?" chiede, porgendomi la mano. Annuendo, deglutisco e gli porgo la mia, senza troppa convinzione. Segue la stretta di mano più molle e tiepida della mia vita.
"Davvero una bellissima assistente, signor D." dice, con quel sorriso stampato sulla faccia rugosa.
"Sarei qui per parlare della villa, signor Tommasi." è la risposta glaciale di Endre.
Il signor Tommasi solleva le sopracciglia. "Non ho intenzione di venderla. E' una bella villa, grande, spaziosa. Ci sono quasi affezionato, ormai."
Endre abbassa appena lo sguardo. "C'è ancora la fontana di pietra?"
"Certo, signore. Ho mantenuto tutto intatto."
"Persino la piscina interna?"
Tommasi annuisce con una certa professionalità. "Ovviamente."
Sento una risata amara e devo voltarmi per comprendere che proviene da Endre. "Ville Soleil non ha una piscina interna, né una fontana di pietra."
Improvvisamente, cala il silenzio. "Io..."
"Lei non è mai stato in quella villa. L'ha comprata perchè mia zia le aveva spiegato di averla promessa a qualcuno che la amava disperatamente, non è vero? Tutta questa è solo una manovra per alzare il prezzo." sospiro. "Sappia, signor Tommasi, che non ce n'è bisogno. Le darò tutto cio' che vuole. Qualsiasi cosa." c'è una nota di disperazione nella voce.
"Tutto quello che voglio è il triplo del valore di mercato della villa e un appuntamento con la sua assistente."
Endre si volta verso di me, come a cercare una conferma. Scuoto con forza la testa, pensando che l'ultima cosa che voglio è uscire con quella specie di verme.
"Accordo fatto." dice invece Endre al signor Tommasi, ignorando la mia espressione che grida aiuto. L'accordo viene suggellato con una stretta di mano molle e viscida, e appena i signori si alzano in piedi io scappo verso la macchina.

Non rivolgo la parola a Endre per il resto della giornata. Non che fossimo abituati a grandi dialoghi, ma ora cerco appositamente di evitare il suo sguardo, mentre lui vaga per entrambi i piani della casa come un'anima in pena, evitando accuratamente di rivolgermi la parola.
Sono le dieci, infine, quando Endre decide di entrare nel mio studio, mentre io sistemo le mie cose, pronta a tornare a casa.
"Mi odi." dice, come se fosse la cosa più naturale del mondo.
"Oh, tranquillo. Mi avevano avvisato."
"Mi odi." ripete. E' terribilmente pallido.
Sospiro. "Non ho mai odiato nessuno, Endre. Forse solamente Cristina, quella che in prima elementare girava con le forbici per tagliarmi le trecce." mi avvicino appena. "Stai bene?"
Lui scuote la testa. "E' solo un po' di febbre."
Mi sollevo sulle punte dei piedi e poso le labbra sulla sua fronte. "Non è un po' di febbre. Sei bollente."
"Sto bene. Mi capita, ogni tanto." conclude, appoggiandosi alla mia scrivania per non cadere.
"Ti accompagno a letto." decido, insinuandomi sotto la sua spalla, in modo da sorreggerlo. Lui mi spinge via. "Non è necessario." dice, mentre io aggrotto la fonte.
"Sì che lo è. Hai bisogno di un po' di paracetamolo, qualcosa di caldo e una buona dormita."
Improvvisamente, il suo sguardo si fa duro come un muro di pietra. "Non ti ho chiesto una scenetta di amore materno, Sophie."
Ferita, deglutisco forzatamente, abbassando lo sguardo. "Come vuoi." sussurro, afferrando borsa e cappotto. Mentre corro verso la porta Endre tenta di fermarmi, ma la debolezza gli impedisce di afferrarmi. Così, mi tuffo in strada, correndo verso la metro più vicina nel buio di una notte di Novembre.

Quando torno a casa, Davide è sdraiato sul divano e guarda Frankestein Junior in tv, ridacchiando a ogni scena. Mi accoccolo accanto a lui, senza dire una parola, e lui mi accarezza i capelli, piano. "Brutta giornata, piccolina?"
"Più o meno." ammetto.
"Peggiore di quando Cristina ti tagliò le trecce all'altezza del collo?"
Ridendo, scuoto la testa. "Ho ancora tutti i capelli in testa, no?"
"Per ora. Ti sei persa l'ultima avventura di Dafne."
"L'istruttore di yoga?"
"Proprio lui." risponde Davide, soffocando una risata. "Sono sicuro che domani tornerà su ogni dettaglio. Le candele, il letto ad acqua e tutto il resto."
Sorrido. "Credevo si vedesse con quel barista carino che ha invitato a cena il mese scorso."
"Lo sai, Dafne non crede nella monogamia."
"Mi chiedo se è qualcosa in cui si può credere." sospiro. "Oggi il mio capo mi ha fissato un appuntamento con un verme di mezza età, in modo da poter ottenere qualcosa che vuole disperatamente."
"Se fossi Dafne ti direi che è terribile, ma..."
Rido. "Ma tu sei Davide."
"Esatto. E come Davide, devo chiederti quanto disperatamente E.D. voleva questa cosa."
"Era disposto a dare tutti i suoi averi." spiego.
"Allora la sua colpa potrebbe non essere così terribile."
Mi sollevo. "Il fine giustifica i mezzi?"
"Ogni tanto." risponde lui, alzando il volume della tv.
Il film è praticamente finito, quando qualcuno suona al campanello. Guardo l'orologio: è mezzanotte. Chi potrebbe essere a quest'ora?
"Magari è la vicina." risponde Davide, leggendomi nel pensiero. La nostra vicina ha l'abitudine di bussare alle ore più impensabili per chiedere zucchero, pepe verde, panna acida e marmellata di zucchine. Noi, ovviamente abbiamo solo lo zucchero.
Mi alzo e apro la porta, aspettandomi una paffuta signora con i bigodini; ma al suo posto c'è Endre, pallido come non mai.
"Non sapevo dove andare..." sussurra, svenendomi davanti. Si prospetta un'altra notte insonne, e Dafne sostiene che le notti insonni facciano male alla pelle, al fegato e a qualcosa che non ricordo. Dovrei bere un po' di succo di aloe.

 

Soliti ringraziamenti ai commentatori =) prometto che la storia si farà più interessante, insomma, questo è un inizio. Ah, felice anno nuovo a tutti!

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Capitolo 4
*** Sophie e la notte prima di Parigi ***


"Ok, ok!" esclama Dafne, immergendo un fazzoletto nell'acqua ghiacciata della bacinella e sistemandolo sulla fonte di Endre. "Sta meglio. La temperatura si è abbassata."
Sollevata, respiro a pieni polmoni. "Trentotto gradi." leggo il termometro. "Grazie al cielo."
Quando è arrivato qui, Endre sfiorava i quarantuno gradi. E' stato Davide ad aiutarmi a metterlo a letto, mentre Dafne, svegliata dal rumore di un uomo praticamente trascinato a terra, ha preparato la tachipirina e gli asciugamani bagnati. Così, ora Endre è nel mio letto e fissa il soffitto con occhi inespressivi, mentre io occupo una sedia accanto a lui.
"Credi che dovremmo chiamare l'ospedale?" chiedo a Davide, ma è Endre ad afferrarmi il polso fino a stritolarlo. "No, ti prego." sussurra.
"Va bene, va bene." rispondo, liberandomi dalla sua morsa. "Ma ora devi dormire."
Dafne gli sorride, e in quel sorriso scorgo la strana tenerezza che prova per quest'uomo. "Io, Davide e Sof faremo dei turni per rimanere svegli. Chi inizia?"
Davide alza la mano. "Vado io."
Scuoto la testa. "Non ce n'è bisogno, davvero. Voi lavorate, domattina, mentre il mio lavoro è... lui." concludo, indicando Endre, con gli occhi lucidi e i capelli spettinati. "E poi non ho sonno." mento.
Davide, leggermente scettico, mi dà un bacio sulla fronte e, prendendo per mano Dafne, esce dalla stanza, lasciandomi sola con il malato.
"Mi dispiace." sussurra lui, mentre gli bagno le labbra con un po' d'acqua fresca. "Mi dispiace, ma non sapevo dove andare. Se avessi detto a Inga che stavo male mi avrebbe portato in ospedale, e non sarei riuscito a sopportarlo."
Gli accarezzo la mano, lentamente. "Come sei venuto qui?"
"A piedi. Ho trovato il tuo indirizzo sull'agendina viola, e sono venuto a piedi. La metropolitana aveva già chiuso."
Scuoto la testa, pensando all'idea di un uomo con una temperatura corporea di quaranta gradi che percorre tre chilometri a piedi. "Se mi avessi chiamato, probabilmente sarei venuta a prenderti. Ho la patente, sai, anche se per qualche motivo deve essere Augusto a riportarmi a casa."
Endre sorride debolmente. "Li conosci da molto, Davide e Dafne?"
"Erano i miei migliori amici all'asilo, e lo sono ancora. Quando hai dieci anni, pensi che nulla sia più importante di un'amicizia e che non esista una sola ragione valida per allontanare ciò che la vita ha unito, ma crescendo spesso si dissolve tutto. Come una bolla di sapone. Noi tre, invece, siamo ancora qui, l'uno per l'altro."
Lui sembra quasi scettico. "Non credo di aver mai provato nulla del genere."
Mi mordo un labbro. "Ma tu hai Edward."
Endre piega gli angoli delle labbra, curvandole in un sorriso amaro. "Un'amicizia, Sophie, non è un patto. E' uno scambio in cui il dare e il ricevere non sono equilibrati dalla ragione, ma dall'amore. Dall'affetto."
Mentre misuro nuovamente la febbre, gli rivolgo uno sguardo interrogativo, senza comprendere esattamente quello che sta cercando di dirmi.
"Credi davvero che qualcuno possa realmente volermi bene?" mi chiede lui, senza cambiare espressione. "Sono freddo, distante, spesso odioso. Una mostro che chiunque vorrebbe evitare."
Alzo le spalle. "Non sei un mostro, Endre. Questo non vuol dire che ti trovi simpatico, sia chiaro." aggiungo. "Però credo che tu sia semplicemente un essere umano. Un essere umano che dovrebbe dormire un po', ora."
Sistemo l'ultimo asciugamano imbevuto d'acqua fredda sulla sua fronte, osservando i suoi lineamenti intensi, e appoggio la testa sul suo petto. Pochi minuti dopo mi addormento, cullata dai suoi respiri ritmici e dal rumore dei rami che sbattono contro la finestra per il vento.

Quando mi sveglio, Endre dorme ancora come un bambino. Osservo l'orologio e mi rendo conto che sono appena le sei, e alla fioca luce della lampada del comodino afferro un libro e inizio a leggerlo. E' un romanzo dalla copertina colorata e dalla trama piuttosto promettente, e tuffandomi in quella lettura mi estranio un po' dal mondo. In realtà, gli unici libri che sono davvero riusciti a entrarmi dentro e inghiottirmi in un nuovo universo sono stati quelli di E.D.
"Ti ho visto!" esclama Endre, con una voce squillante. Immagino stia molto meglio.
"Mi hai visto?"
"Hai saltato una pagina. Credevo fossi una brava lettrice." ride.
Io abbasso la testa, colpevole. "E' vero. Ma mia madre dice che un libro non è buono, se il lettore non ha voglia, ogni tanto, di saltare una pagina e vedere come va a finire."
Lui sorride, un velo di tenerezza negli occhi. "E così, questa è la tua stanza." osserva le pareti, verdi come un sorbetto alla menta, e i quadri di Klimt e Monet appesi al muro. Scruta il mio computer, il telefono blu elettrico a forma di décolleté (regalo di Dafne per i miei ormai lontani diciotto anni) e i flaconi di profumo allineati sotto lo specchio. Il suo sguardo si posa, infine, sulla parete interamente occupata dalla libreria, stracolma di volumi di tutti i generi e le epoche.
"Quelli sono i miei libri!" esclama lui, sorpreso. "Tutti i miei libri."
Arrossisco. "Sì, li ho letti tutti."
"Ma quello... quello è Il Principe che voleva volare?" chiede, curioso, sollevandosi con l'aiuto di un cuscino. "Avevo solo quindici anni quando l'ho scritto, e ancora mi chiedo perchè l'abbiano pubblicato."
"Per me." sussurro, sorridendo. "O almeno di questo ero convinta. Quel libro, caro E.D., è stato il primo libro che io abbia mai letto. In assoluto. Mentre tu eri un quindicenne che iniziava a scrivere, io avevo cinque anni e ho iniziato a leggere. E ho amato quella storia talmente tanto che non credevo che quacuno avesse mai scritto un libro più bello, né avrebbe potuto."
Ho l'impressione che Endre stia per dire qualcosa, quando Dafne irrompe nella stanza con tutte le sue energie. "Buon giorno!" esclama, aprendo le tapparelle e facendo entrare aria gelida dalla finestra. "Come stai?" chiede al mio capo, che sorride. "Sto benissimo."
"Perfetto, perchè ti ho preparato una supercolazione che ti riequilibrierà ogni chakra!"
Mentre aiuto Endre ad alzarsi, ogni contatto fisico mi provoca un piccolo brivido. "Andiamo in cucina." dico, lasciando che lui mi segua.

"Vuoi un po' di tofu freddo, Endre?" chiede Dafne, che ha apparecchiato la tavola con la tovaglia a fiori e i miei tovaglioli di carta preferiti, quelli con le coccinelle. Potrei persino perdonarle il tentativo ai fornelli.
Endre scuote la testa educatamente. "Non ho molta fame, ma grazie."
Osservo il mio piatto, pieno di avena e chissà cos'altro. Tento di mandare giù un boccone, ma la sbobba mi rimane in gola. "Dafne, ti offendi se prendo qualcos'altro da mangiare?"
Lei corruccia le labbra. "Certo che sì!"
Ignorandola, mi dirigo verso il frigo e tiro fuori del succo di pera e latte freddo. "Chi vuole un delle brioches?"
"Io!" esclama Davide, che si trascina in cucina con indosso un paio di pantaloni sgualciti e una t-shirt che di certo aveva anche al liceo. "Temevo davvero che fosse Dafne a svegliarsi per prima, e che desse svogo alla sua creatività culinaria." ride, prendendo posto accanto a me. "Grazie al cielo c'è la mia Sof."
Dafne sbuffa. "E poi dici di non avere una perferita! Se volete rovinarvi la salute con tutti quei grassi idrogenati e..."
"Cosa vuoi, Endre?" chiedo, ignorando la mia amica. "C'è del pane, biscotti, dolci di pasta di mandorle..."
"Io non mangio, Sophie. Lo sai." il tono di voce è improvvisamente freddo.
Sospiro, incrociando lo sguardo teso dei miei coinquilini. "Non dormi nemmeno, ma mi pare che stanotte hai fatto un'eccezione. E poi nessuno ha mai rifiutato la mia torta allo yogurt e vaniglia!"
Endre scuote la testa, arrendendosi. "Va bene, va bene."
"Ti rendi conto che non puoi definire una torta tua se ti sei limitata a glassarla?" chiede Dafne, apparentemente sollevata.
Ignorandola, servo al mio capo una fetta spessa di torta, accompagnata da un bicchiere di succo di pera allungato con un po' di latte. Lui mangia e beve tutto senza mostrare la minima soddisfazione o il minimo piacere, e improvvisamente sembra tornare improvvisamente l'Endre inumano che si aggira per casa sua senza rivolgermi la parola.
Quando arrivano le sette e mezza, Davide, come ogni mattina, si rende conto di essere in ritardo. E' l'autore della rubrica 'curiosità' su un piccolo giornale locale. "Scappare scappare scappare scappare!" esclama, correndo verso la sua stanza. Cinque minuti dopo riemerge in un completo nero ed elegante, bello come una copertina di un giornale di moda. "Dafne, se vuoi davvero che ti dia un passaggio a scuola farai meglio a vestirti in dieci, nove, otto..."
Ho vissuto questa scena ogni mattina di ogni settimana, negli ultimi quattro anni, tanto che la conosco a memoria. Ora Dafne sbufferà, infilerà un completo in cotone organico con tutta la lentezza che possiede e si spazzolerà i capelli corvini canticchiando. Davide si avvicinirà alla porta, un passo alla volta, e minaccerà di andarsene e lasciarla lì. Dafne gli griderà che i bambini a cui insegna italiano hanno bisogno di lei e non può abbandonarli; solo a quel punto Davide si arrenderà e aspetterà la sua amica accucciato contro la porta, finché lei non si sarà spruzzata un olio naturale alla vaniglia sul collo. Solo allora usciranno e io potrò godere di qualche minuto di pace.
Dopo che la scenetta si svolge, esattamente come avevo previsto, Endre si alza. "Sarà meglio che torni a casa. Tu devi partire stasera. Vorrai riposare."
Nonostante una parte di me sia realmente intenzionata ad annuire e salutare il mio capo, la mia bocca non è d'accordo. "A dire la verità, pensavo che avresti potuto aiutarmi a fare la valigia." dico, senza alcuna reale ragione.
So già che Endre declinerà l'invito, ma inspiegabilmente la risposta è "Perchè no?"
Già, perchè no? Mi alzo e sparecchio velocemente la tavola, infilando i piatti nella lavastoviglie. "Io ho un mio metodo."
"Un tuo metodo?" chiede lui, curioso.
"Per preparare la valigia."
"Oh, certo." posso scorgere un sorriso su quel viso abituato al buio.
"Per prima cosa devo sapere quanti giorni saremo a Parigi, esattamente."
Lui riflette, grattandosi la testa. "Oggi è... sabato, giusto? Il premio è lunedì, la nuit dorée martedì... credo che il volo di ritorno sia prenotato per le otto di mercoledì sera."
"Cinque giorni." affermo, spostandomi in camera. "Allora inzierò dalla biancheria intima. Che probabilmente sarà la cosa più in vista, data la lunghezza del vestito che mi hai scelto."
Endre mi ignora, curiosando nel mio armadio. "Carine, le autoreggenti fuxia con i bordi in peluche." commenta, divertito.
Arrossico violentemente, mentre chiudo il primo cassetto. "Me li ha regalati Dafne, all'epoca del primo ragazzo." spiego, evitando di incrociare il suo sguardo. Infilo velocemente calze, slip e reggiseni in valigia. "Pigiami!" esclamo, ignorando le risatine di Endre. "Quattro notti, quattro pigiami." li infilo in modo che coprano accuratamente i completi intimi.
"Ok, Sophie." Endre sospira. "Credo proprio che non dovrei essere qui."
"Credo che tu abbia ragione." sospiro. Cosa diavolo mi era venuto in mente? Perchè gli ho chiesto di aiutarmi a scegliere reggiseni e pigiami? E perchè lui ha accettato?
Piuttosto confusa, saluto Endre con un cenno della mano. Poi mi accascio sulla valigia, esausta dopo una notte quasi insonne, e mi addormento su un pigiama viola ricoperto di fragole.

Arrivo a Parigi diverse ore dopo, carica di bagagli e con le istruzioni di Bianca in mano. "Proteggile a costo della vita." mi ha detto al telefono, poco prima di partire.
Temo che quella ragazza sia un tantino melodrammatica.
"Sei Sophie?" mi chiede un uomo alto e talmente sottile che potrebbe essere bidimensionale. Ha i capelli neri, foltissimi, dritti sulla testa e un paio di baffi sottili che mi ricordano Hercule Poirot.
"In persona."
"Sono monsieur Rochelle, il domestico di monsieur Endré!" dice, afferrandomi la mano e chinandosi appena. "La condurrò à la voiture."
A dispetto dell'aria aristocratica e dei baffi impertinenti, Rochelle si rivela essere incredibilmente loquace. "Sophie è un bel nome, signorina. Sicuramente ispirerà meno diffidenza della signorina Bianca. Non che Bianca fosse una cattiva persona, ma aveva quel modo di fare distaccato... Inoltre, rifiutava sempre il cibo del cuoco di Endré, che è piuttosto suscettibile. Prepara delle zuppe meravigliose, signorina, vedrà che non potrà più farne a meno! Era mai stata a Parigi prima d'ora? Una bella città, certo, ma aspetti di vedere la casa di monssieur Endré!"
Tento di aprire la bocca e rispondere più volte, ma la voce curiosa e acuta di Rochelle mi zittisce immediatamente. Alla fine approfitto di un brevissimo silenzio per chiedere dove si trovi la casa di Endre.
"Oh, mademoiselle, è mai stata a Montmartre?" chiede.
Annuisco. "Spesso."
"Avrà quindi presente le scalinate della butte che portano al Sacre Coeur." sorride con fierezza, senza aspettare la mia risposta. "L'appartamento del signor Endré si trova proprio sotto le scalinate. E' un attico a due piani con vista sulla collina di Montmartre, signorina. Lo adorerà."
Tenendo ancora stretto il foglio con le istruzioni di Bianca in mano, decido che Rochelle ha pienamente ragione: lo adorerò.

eeee ancora grazie a tutte! =) ultimamente sto aggiornando anche troppo spesso ç_ç ho paura di finire tutto subito!

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Capitolo 5
*** Sophie à Paris. ***


L'appartamento di Endre, due piani con scala interni, attico, vista su Montmartre, non è altro che il mio sogno di sempre. Da bambina condividevo con Emily e Charlotte uno stanzino immacolato di cinque metri quadri. Dato che io volevo dipingere i muri di verde, Charlotte di rosa e Emily desiderava ardentemente riprodurre l'illustrazione del castello della Disney del suo libro di Cenerentola, mia madre aveva deciso che le pareti sarebbero rimaste bianche. Avevo nove anni quando ci regalò delle matite colorate, nuove e lucide, e tre grandi fogli bianchi. "Disegnate la casa dei vostri sogni." ci disse. "E appenderemo i vostri disegni in camera."
Emily, che all'epoca aveva otto anni, disegnò una piccola capanna sull'oceano blu elettrico increspato da onde in technicolor. Disse che in tv avevano detto che era molto trendy passare le vacanze in una casetta sull'oceano. Lei, che non sapeva cosa significasse trendy ma ne indovinava un aspetto positivo, immaginava così la casa dei VIP: una capanna dal tetto di paglia.
Il disegno di Charlotte, cinquenne, era un miscuglio di colori accesi, un intreccio di giallo, azzurro, verde e rosso rubino. Assolutamente soddisfatta, ci spiegò che era la casa del Re Delle Favole (che era lo stesso per ogni favola, ovviamente). Io, invece, tracciai molte linee su quel foglio e ne cancellai altrettante. Disegnai dapprima una villa in campagna, con un frutteto sul retro e un campo di fiori. Poi fu il turno di una stravagante casa a forma di stivale, della torre di un castello e una casetta col tetto a punta arroccata su una montagna. Alla fine, disegnai semplicemente una finestra, da cui si vedevano tante scale ripide e la sagoma di una grande basilica. Non dimenticai di rappresentare i pittori, gli artisti che disegnavano in piazza, o i chioschi di crèpes. Andavamo spesso a Parigi a trovare i nonni, e nonno Didier mi portava spesso a Montmartre, dove comprava i fiori per la nonna, una quiche e dei macarons. Poi mi prendeva sulle spalle e mi faceva correre in mezzo ai pittori che creavano piccoli paesaggi o caricature, all'uomo che ritagliava i profili e ai venditori di dolci. Non mi sono mai sentita tanto libera quando in quel vortice di parole e colori, e decisi che da grande avrei voluto semplicemente vedere Montmartre, dalla finestra.
"Signorina Bianca, deve aiutarmi a scegliere il menu." mi dice il cuoco, che ha un cognome lungo e altisonante. "Non che il signor D. tocchi cibo, comunque." aggiunge, più a sé stesso che a me.
Tiro fuori dalla tasca la mia Bibbia e cerco istruzioni a riguardo.
Cibo:
Evita le lumache, la frutta (eccetto per le mele), la verdura. Niente carne rossa. Niente tacchino o maiale. Niente zuppe, niente pasta, niente riso. Nessun formaggio francese. Niente vino o champagne. Da bere puoi servire red bull, acqua non gassata, rum o vodka. Se ora riesci a scegliere un menu, sappi che ti invidio. Non essendoci mai riuscita, ho sempre scelto qualcosa di casuale. Tanto Endre non mangia comunque.

Fantastico. "Ok, allora... può preparare delle alette di pollo speziate? E..." cerco di ricordare la sua lista della spesa. "Dei fagioli piccanti."
Il cuoco mi fissa con un'espressione disgustata. "Forse dovrebbe chiamare un take away messicano." suggerisce, una punta di acidità nella voce.
Sospiro. "Perchè dovrei farlo, quando il miglior cuoco è proprio davanti a me, e sono sicura che il suo talento si estende a qualsiasi cucina, non è vero?" chiedo, cosciente del fatto che lo sto palesemente adulando.
L'uomo, però, sembra rasserenarsi. "Va bene, signorina. Lei mi piace molto più di Bianca."
Sollevo le sopracciglia. "Sì, lo immaginavo." Guardo l'orologio, e scopro che sono già le dieci di mattina. Endre sarà qui tra dieci ore e ho ancora milioni di cose da fare.
"Buon giorno, Sophie!" è la vocina di Rochelle a salutarmi. "Come ha dormito?
Come si può dormire su un letto a baldacchino, avvolta dal piumone più soffice che esista e ricoperta di cuscini che profumano di fiori? "Mai dormito meglio."
"Immagino che abbia ancora molto da fare."
Osservo la mia lista. Devo mettere fiori in ogni vaso, recuperare l'abito di Endre per la cerimonia e quello per la nuit dorée, comprare acqua Evian e piazzarne una bottiglietta in ogni angolo della casa, comprare una decina di liquori, invitare una certa Blanche a cena e andare a recuperare il dolce preferito di tale Blanche, che a quanto pare fanno solamente in una pasticceria in tutta la città, a Villejuif. Tecnicamente, Villejuif è un'altra città, ma mi basterà prendere la metropolitana. Perchè ho scoperto che, a Parigi, Endre -o monsieur Endré- non ha un autista. "Non ne ha bisogno." mi ha spiegato Rochelle. "Tanto non si muove mai."
Io, però, mi muovo eccome. E ora devo trovare un centinaio di fiordalisi.

Sono le sette quando ho finalmente terminato ogni mio compito. Ho comprato i fiordalisi, l'Evian, la banalissima torta alla fragola di Blanche (una ragazza dalla voce odiosa, a dirla tutta). Ho sistemato la casa e ora sono stravolta, spettinata e sudata, nonostante il freddo che la città mi offre. Decido di fare una doccia calda nel bagno degli ospiti, una stanza rococò con gli specchi sul soffitto e l'idromassaggio. Mi spoglio, abbadonando il vestito a terra, ed entro nella cabina doccia travolta da un getto caldo e potente. Mi chiedo a cosa sia servito realmente questo pomeriggio. Endre ha davvero bisogno di quei fiori? O dell'acqua? Ho persino dovuto ordinare a Rochelle di apparecchiare con una tovaglia in tinta con i fiordalisi e piatti glicine. Glicine! Chi ha realmente bisogno di piatti color glicine?
"Signorina Sophie!" bussa con forza Rochelle. "Endre e Blanche saranno qui tra mezz'ora. Le consiglio di farsi trovare asciutta e vestita."
Risciacquo velocemente il bagnoschiuma, mi asciugo i capelli, lasciandoli mossi e leggermente disordinati, e corro nella mia stanza per scegliere il vestito. Indecisa tra l'abito che arriva sotto le ginocchia verde smeraldo -professionale, ma rischio di dimostrare due volte la mia età- e il mini-abito blu cielo -che mostra eccessivamente la gambe-, opto per un vestito blu inchiostro, stretto sul seno, che si allarga appena, accarezzando i fianchi fino a sfiorare le ginocchia con l'orlo lilla. Mi osservo allo specchio. I capelli, mossi, senza alcun ordine apparente, coprono interamente le scapole. Passo un velo di lucidalabbra e scendo al piano di sotto, dove Rochelle sta aspettando il suo padrone in piedi, le mani strette dietro la schiena e l'aria agitata.
"E' bellissima, signorina." mi dice, con un sorriso che gli illumina gli occhi acuti. "Mon Dieu, il arrive, il arrive!" esclama poi, terribilmente ansioso. Gli poso una mano sulla spalla. "Andiamo, non è poi così terribile."
"Cosa?" chiede lui, strabuzzando gli occhi. Improvvisamente, comincio ad avere paura.
Improvvisamente, il rumore pesante di una chiave che gira fa sobbalzare Rochelle. Bastano pochi secondi perchè Endre entri, elegantissimo nel suo completo scuro, accompagnato da una donna sulla trentina con una smorfia antipatica sul viso. "E questa chi è?" chiede, disgustata, indicandomi. Molto amichevole.
Mentre Endre alza le spalle, forzo un sorriso. "Sono Sophie, la sua assistente."
"Dov'è finita Bianca? Mi piaceva."
Sospiro. Devo solo sopportarla stasera. Solo per una cena. "Monsieur Rochelle, Edward ci raggiungerà dopo cena. Dica al cuoco di preparare qualcosa."
Blanche sfila il cappotto, rivelando un completo scuro. Non è esattamente bella, ma i lineamenti duri del viso le conferiscono un certo fascino. "Spero che la cena sia pronta, perchè sto morendo di fame."
Annuendo, conduco i due verso la cucina, dove il pollo emana un profumo incredibilmente invitante. Blanche non sembra pensarla come me. "Pollo piccante e fagioli? Sul serio? Potevamo andare direttamente andare in una bettola messicana, no?"
Mortificata, abbasso lo sguardo. "Ho pensato che tu, Endre..."
"Tu? Ti dà del tu?" ora Blanche spalanca gli occhi come se avesse appena visto un alieno mangiare la sua cena. Respiro profondamente, giro sui tacchi e vado in cucina, dove mi attende qualche aletta di pollo troppo cotta.
"Non deve prendersela, signorina." mi dice Rochelle, raggiungendomi. "Conosce il signor Endré."
"Lo conosco?" chiedo, più a me che al domestico, addentando un'aletta. Non faccio che pensare al suo viso cupo e inespressivo mentre quella donna mi insultava. "Chi è Blanche?"
Rochelle sorride. "Chi lo sa? La invita spesso, quando è qui. Le compra i fiordalisi e l'Evian, dato che lei non riesce a mangiare senza, e intrattengono conversazioni ridicole. Il signor D. è un mistero, Sophie."
"E' l'unica cosa che credo di aver capito. C'è un po' di salsa barbeque?"
Lui ride. "Cercherò di procurargliela." mi scompiglia i capelli, quasi affettuosamente, mentre io mordicchio un'altra aletta. Le parole di E.D. hanno catturato il mio cuore e mi hanno cambiato la vita, o almeno il modo di guardare alla vita. Ma questo non vuol dire che devo umiliarmi per sopportare la sua versione in carne ed ossa.

Passo la serata rinchiusa in cucina, la testa tra le mani. Il cuoco mi offre l'unica consolazione che conosce: il cibo. Così, sotto i miei denti passano una quiche con caprino, qualche tartina di crema d'oliva e del fois gras, che mangio silenziosamente e sforzandomi di occupare meno volume possibile. Sembrano essere passate ore da quando Endre è entrato in casa, ma a pensarci bene potrebbero essere anche minuti. O giorni.
"Sophie!" mi chiama una voce calda e gradevole, che riconosco immediatamente.
"Oh, Edward." sorrido. "Come stai?"
Lui ignora la mia domanda e prende posto accanto a me. "Rochelle mi ha raccontato tutto. Per questo credo di doverti delle spiegazioni."
Aggrotto la fronte, osservando l'espressione rassegnata sul suo viso. "No, è Endre che mi deve delle spiegazioni."
"Sai che non te le darà mai."
Annuisco. "Ecco il problema."
"Sophie, Endre è molto nervoso. Ha viaggiato in aereo, e sai che lui è claustrofobico. Inoltre, nonostante non lo ammetterebbe mai, ha il terrore di non vincere quel premio. Per cui puoi perdonarlo se non è stato esattamente affettuoso."
Rido, senza volerlo, divertita da quell'eufemismo. "Non voglio che mi faccia le fusa, Edward. Voglio essere trattata come un essere umano. Per questo sto per licenziarmi."
"No, non lo farai."
Sgomenta, osservo quel viso pacato e tranquillo. "Cosa hai detto?"
"Non lo farai."
"Perchè? Perchè lo stipendio è ottimo? Perchè è il mio scrittore preferito? Perchè dovrei adorare le sue personalità che si alternano?"
Lui sospira. "No. Perchè tieni a lui. So che tieni a lui, perchè invece di dire al cuoco di preparare qualsiasi cosa volesse, hai scelto le uniche cose che avrebbe potuto mangiare. Perchè ti sei preoccupata per lui, quando stava male. Perchè..."
"SANTO CIELO!" grido, perdendo la cognizione dello spazio e del tempo. "Questo non è tenere a una persona! E' comportarsi umanamente! E' avere una coscienza! Qui l'avete dimenticato tutti, non è così?"
Senza attendere risposta, attraverso la sala da pranzo tra gli sguardi stupiti di Endre, Blanche ed Edward, che cerca di seguirmi. Invece, esco dalla porta senza indossare un cappotto e corro per le scale, rallentata dai tacchi alti. Senza smettere di correre, raggiungo la scalinata per Montmartre e la percorro a fatica, ignorando il freddo che sembra lacerarmi. Mi volto solo quando arrivo in cima, e mi rendo conto che Endre è affacciato sul balcone. Mi sembra quasi di vedere la sua espressione impassibile, e dandogli le spalle scelgo una via minuscola e mi infilo in un bar qualsiasi, dove ordino una cioccolata calda.

Mentre siedo in un angolo del bar, travolta dagli sguardi perplessi degli altri clienti, sorseggio la mia quarta cioccolata calda. Circa due tazze fa mi sono resa conto di non aver portato alcun soldo, con me: per cui, la mia strategia è di prendere tempo, finché non mi verrà in mente qualcosa.
"Eccoti qui."
Non ho bisogno di girarmi per rendermi conto che c'è Endre dietro di me. Sospiro. "Come mi hai trovato?"
"Difficile non notare una ragazza mezza nuda, quando la temperatura fuori è meno sette gradi, non credi?" chiede, divertito, porgendomi il mio cappotto.
"Sarei tornata a casa a breve, comunque."
"Di questo ero certo." è la risposta, calma e cristallina.
Sollevo le sopracciglia. "E allora perchè sei qui?"
Lui afferra la sedia accanto alla mia e la sposta rumorosamente, prima di occuparla con prepotenza. "Ho quattro buoni motivi."
"Quattro?"
"Quattro." ripete, allungando una mano verso la mia tazza di cioccolata e prendendone un sorso. "Innanzi tutto, per il bene del tuo sistema immunitario. Meno sette gradi e tu indossi un vestito senza spalline."
"E' una buona ragione." ammetto.
"Inoltre, non hai preso la borsa con te, quindi non avevi soldi. Ero certo che, con questo freddo, avresti cercato rifugio in un locale dove saresti stata costretta a ordinare qualcosa. Ma senza soldi..."
Strappo la tazza di cioccolata dalle sue mani. "Sicuro di non essere un autore di gialli?"
Lui fa una smorfia disgustata. "Odio i gialli. Tendono ad avere un'unica interpretazione... sono come freccie che non possono cambiare direzione."
"Ne sono certa. Qual'è il tuo terzo motivo?"
"Il terzo motivo è che, a quanto pare, secondo le convenzioni correnti dovrei chiederti scusa."
"Le convenzioni correnti si chiamano Edward, per caso?"
"E' possibile. In ogni caso, non credo affatto di doverti delle scuse."
"Lo immaginavo. Ma manca un quarto motivo." faccio notare, stringendomi nel cappotto.
"Beh, ora che Blanche è tornata a casa ho bisogno che tu ripulisca la casa da quei fiori orribili -detesto i fiori, sono pieni di sé- , dall'acqua, e..."
Osservo la sua espressione, in parte seria e in parte divertita, e scoppio a ridere. "I fiori sono pieni di sé?"
"Lo sono eccome. Stavo dicendo che dovrai anche aiutarmi con il mio discorso di vittoria per domani. Non so perchè, ma credo che tu sia brava con le parole."
Arrossisco. "Mai quanto te."
"Questo è certo, ma a volte si ha bisogno di una seconda opinione." conclude, rubandomi di nuovo la cioccolata e mandando giù il fondo in un sorso solo. "Detesto questa roba."
Sollevo le sopracciglia. "Allora perchè me l'hai presa?"
"Per il gusto di farlo, credo." risponde semplicemente, alzandosi in piedi. "Andiamo, piccola fuggitiva, si torna a casa. Quel discorso non si scriverà da solo."




Devo ringraziare, come sempre. i lettori e i commentatori. Ah, e Blanche è in realtà una citazione letteraria... vediamo chi indovina! XD

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Capitolo 6
*** Sophie e il premio Delacroix. ***


"Quel discorso non si scriverà da solo." ha detto, ieri, il mio capo, invitandomi a tornare a casa e aiutarlo. Ora, circa diciotto ore dopo, mi rendo conto che quel discorso non si scriverà nemmeno in due.
"E' banale, banale, banale come un mazzo di rose rosse, Sophie!" è il ritornello di Endre da circa dieci ore.
Appoggio la testa sul tavolo, esausta. "E' solo un discorso. Nessuno ci farà caso, e non sei nemmeno sicuro di vincere."
"Ne sono certo." risponde lui, continuando a camminare avanti e indietro per la stanza. Devo ammettere che mi sta innervosendo.
"Ok, ok, va bene. Rileggilo."
"E' bello sapere che ci siano persone che credono in me, e che investono nei miei libri..."
Lo interrompo, battendo la mano sul tavolo. "E' terribile." sospiro. "Io credo che tu sia eccessivamente nervoso, ecco tutto. Forse dovresti lasciar perdere il discorso e improvvisare, una volta salito sul palco. Sono sicura che le parole verranno naturalmente."
Lui sembra pensarci su, ma poi scuote la testa. "Dov'ero rimasto? Che investono nei miei libri..."
"Investono?" chiedo, mordendomi un labbro. "Stiamo parlando di libri, non di tassi variabili. E poi non stai ringraziando nessuno, voglio dire, dovresti..."
Endre mi ignora. "... e per questo posso considerare il conseguimento di questo premio come estremamente gratificante. Una gara è una gara, e l'averla vinta non può che darmi una spinta per il futuro."
"Molto intenso." commento ironicamente, alzandomi dalla sedia. "Io vado a prepararmi. Dovresti farlo anche tu, dato che mancano poche ore."
Lui annuisce. "Ho fatto arrivare la truccatrice. Sono già nel bagno degli ospiti. Ah, ecco il discorso." aggiunge, porgendomi un foglietto spiegazzato. "Mettilo nell'Armani per stasera. Io vado a farmi una doccia."
Mentre salgo verso la mia camera, osservo il foglio, su cui le parole sono tracciate da una mano rigida e dura. Non ho mai letto un discorso tanto orribile in tutta la mia vita, quindi decido di infilare un foglio bianco nella tasca dello smoking di Endre e di regalare il suo bel discorsetto alla pubelle.

"TudeviessereSophie!" esclama la mia truccatrice, che parla a una velocità doppia rispetto a quella del resto del mondo.
"In persona." rispondo, sentendomi improvvisamente lenta.
"IosonoMia!" dice, soppesando una ciocca dei mie capelli. "Belli. Belli. Belli. Castanopieno, quasicioccolato. Lucidiforti. Vabenesetelistiro?"
"Scusi?"
Mia sbuffa. "Va-bene-se-te-li-stiro?"
"Oh, certo."
Mi indica una sedia imbottita che -ne sono sicura- ieri non c'era, e strizza gli occhi contemplando la sua immagine riflessa nel grande specchio dalla cornice dorata. "Bella. Bella. Bella." dice, ma immagino che si stia riferendo a se stessa. Utilizzando un phon rumoroso e una spazzola assassina procede alla piega, scottandomi le orecchie, il collo e il cuoio capelluto in più punti. Il risultato è senza dubbio bello, ma sento un certo dolore diffuso.
"Passiamoaltrucco!" esclama Mia spegnendo il phon. Mi ronzano le orecchie. "Viso. Viso. Viso." riflette. "Unpo'pallida. Esalto zigomi." inizia a pizzicarmi le labbra. "Piene. Piene. Piene. Nonmale." sorride, massaggiandomi bruscamente le tempie e gli occhi. Ora so come si sente un pezzo di pongo. "Occhi belli. Belli. Belli. Coloracquamarina, sai?"
Sospiro. "Lo so."
Mentre Mia blatera di colori primari e contrasti, stende del fondotina sulla mia pelle con gesti esperti ma bruschi. Poi passa agli occhi, e infine mi massaggia le labbra con non so quale scrub marino e passa un velo di rossetto. Quando osservo la mia immagine allo specchio, decido che mi preferivo prima. Gli occhi sembrano più grandi, ma odio quella linea di eyeliner che sembra imprigionarli in una gabbia. E la pelle? Da quando ho una carnagione dorata e calda? E quegli zigomi da dove sono spuntati?
Qualcuno bussa alla porta. "Pronta?" è la voce di Endre. Mia apre, con un sorriso smagliante. "Uncapolavoro!" esclama, prima di lasciare il bagno.
Endre mi fissa con uno sguardo divertito. "Che fine ha fatto Sophie?"
Sollevo le sopracciglia (che, a proposito, sono più scure). "E' sepolta da qualche parte tra l'illuminante e la cipria iridescente. Mi passeresti quella salvietta, per favore?"
Lui obbedisce, aggrottando la fronte appena inizio a passarla sul viso. "Cosa fai?"
"Tolgo qualche strato di polvere." rispondo, scoprendo con piacere la mia pelle che fa capolino. Elimino accuratamente l'eyeliner nero dagli occhi e lo sostituisco con una passata di mascara, togliendo il rossetto 'rosso passione' per fare posto a un lucidalabbra in un colore naturale. Alla fine, mi osservo soddisfatta. "Così va meglio."
Endre sorride. "Quella truccatrice mi è costata più di mille euro."
Alzo le spalle. "Potevi usarli per qualcuno che ti scrivesse il discorso." ribatto, alzandomi e camminando velocemente verso la mia stanza, dove indosso il meraviglioso abito blu notte che mi scivola addosso come fosse liquido. E' perfetto, perfetto, perfetto. Un'ora con Mia e già ho l'abitudine di ripetere le cose tre volte.

Il premio Delacroix viene assegnato in un'enorme sala del Ritz, scintillante e quasi barocca, dove tanti bicchieri di champagne brillano come le statue di ghiaccio e camerieri in uniforme nera camminano elegantissimi porgendo tartine e dolcetti francesi.
Sono qui da tre ore e non ho fatto altro che sorridere, sorridere e sorridere, ridendo di tanto in tanto per evitare la monotonia.
"Che diavolo di ora è?" mi chiede per l'ennesima volta Endre, mentre manda giù un bicchiere di champagne con fare nervoso.
"Sono ancora le nove e undici, dato che sono passati meno di sessanta secondi dall'ultima volta che lo hai chiesto." sospiro, e improvvisamente mi torna in mente qualcosa. "Dov'è Lula?" chiedo.
In risposta, Endre aggrotta la fronte. "Chi accidenti è Lula?"
"Lula!" esclamo, leggermente spazientita. "La tua accompagnatrice per domani! Come mai non è ancora a Parigi?"
Il mio capo manda giù un sorso dal suo settantesimo bicchiere e ride. "Oh, quella Lula! Sophie, credi davvero che io abbia bisogno di un'accompagnatrice per la nuit dorée? Era solo una prova."
"Una prova?" chiedo, leggermente scettica.
"Ogni volta che assumo una nuova assistente -il che non capita troppo raramente- le chiedo di scegliere un'accompagnatrice per un evento. Spesso sono costretto a inventare una serata, ma con te sono stato fortunato."
Annuisco con scarsa convinzione. "E a cosa servirebbe?"
"A vedere se sei oggettiva. Non hai idea di quante assistenti hanno scelto le più brutte, temendo di vedersi sminuite. Credo sia una reazione tipicamente femminile, ma io ho bisogno di sapere che posso fidarmi della mia assistente."
Respiro l'aria della sala a pieni polmoni, lasciando che centinaia di fragranze diverse mi entrino dentro. "E di me puoi fidarti?"
"A giudicare da Lula, direi di sì. Una bomba." dichiara, senza però sorridere. "Saranno almeno le nove e mezza."
Do un'occhiata veloce all'orologio. "Le nove e tredici."
"Mi chiedo perchè non diano questo maledetto premio, e basta." dice Endre, gettando il contenuto del settantunesimo bicchiere a terra. Ma le sue preghiere vengono esaudite, perchè il presentatore della serata sale sul palco nell'improvviso silenzio generale e inizia a ringraziare chiunque e presentare una decina di uomini dall'aria importante. Uno di loro deve essere il sindaco di Parigi.
"E ora..." esordisce un altro presentatore, più basso e rotondo del secondo, con un viso da topo. "Vorrei presentare le nomination per il premio internazionale Delacroix per il miglior scrittore dell'anno!" Improvvisamente, la parete dietro di lui si trasforma in uno schermo, dove compare la foto di un uomo biondo e sorridente, che stringe in mano un suo libro.
"Thomas Johann, con Fame D'Argento."
Applausi diffusi, e la foto di una donna di mezza età che sostituisce quella del tedesco. "Judith Doe."
Di nuovo applausi. "Marco Lodoli, Christine Danton...."
Finalmente, la foto di Endre compare sullo schermo, seguita da un mugolio d'approvazione da parte del pubblico femminile. "E Endre D.! Mesdames et messieurs, il vincitore di questa sera è..."
Sette secondi. Sette secondi netti prima di tirare fuori quel maledetto nome, e comincio a sentirmi vagamente nervosa.
Il presentatore sorride, illuminando il muso da roditore. "... Endre D, con I sette peccati!"
La prima cosa che sento è un boato, applausi praticamente disperati e grida di un paio di belle ragazze, sicuramente starlette. Mi volto verso Endre, credendo di trovare gioia, sorpresa, eccitazione. Al loro posto, un sorriso beffardo e soddisfatto occupa il suo viso duro. "E' andata come doveva andare." mi dice, dandomi una pacca sulla spalla che mi sposta di dieci centimetri in avanti. E' andata come doveva andare. Che uomo adorabile.

Una volta sul palco, Endre tira fuori dalla tasca un foglietto bianco e il suo sorriso scompare senza lasciare traccia. Si avvicina al microfono e lo afferra, grattandosi la testa. "Avevo scritto un discorso." spiega, con la voce calda che riempie la stanza. "Non un gran discorso, ma lo avevo scritto. Purtroppo sono stato deliberatamente sabotato dalla mia assistente, sì, quella che se ne sta laggiù con un bel sorriso soddisfatto stampato in faccia."
Qualcuno ride, e la maggior parte dei presenti si volta verso di me. Sorridendo, saluto con la mano.
"Ad ogni modo," riprende Endre. "Probabilmente la mia fama mi precede. Non sono un uomo amabile, o simpatico, o corretto." sono stupita dal suo francese perfetto, privo di accenti o inflessioni, e dal tono di voce calmo e sicuro che sembra rapire il pubblico.
"Non vi dirò che non mi aspettavo di vincere questo premio." continua "Né che qualcuno lo meritava più di me. Ma mi è stato fatto notare che dovrei ringraziare qualcuno, in un buon discorso di vittoria. Quindi, ho riflettutto su chi potessi ringraziare. La verità? Non mi è venuta in mente una sola persona." fa una piccola pausa, respirando con calma. "Non ho mai avuto nessuno che mi incoraggiasse, che mi regalasse consigli, che mi stesse vicino. Nessuna pacca sulla spalla, nessuna stretta di mano. Nonostante questo, forse qualcuno da ringraziare c'è. Ho sempre pensato che le parole, le storie, i libri stessi abbiano il significato che siamo noi a dargli. Per cui ogni mio libro non è altro che una fusione, anzi, una reazione tra ciò che io scrivo e ciò che voi leggete. Per questo il risultato è per ognuno diverso. Ma quando così tante persone riescono ad entrare in una perfetta sintonia con le mie parole, allora capisco che devo ringraziare ogni singola persona che ha sfogliato, aperto, letto, sottolineato un mio libro, perchè gli ha regalato forza, anima; gli ha regalato una storia." Endre si schiarisce la voce, mentre il pubblico è assolutamente incantato. "Recentemente, mi è stata raccontata la storia di una bambina che ha imparato a leggere sul mio primo libro, e quella bambina, devo ammetterlo, è diventata una giovane donna meravigliosa, e mi piace pensare che una parte del merito sia mia. Devo ringraziare anche lei, e chiunque sia stato, anche in una minima cosa, cambiato da un mio libro, perchè ha contribuito a rendermi una persona migliore e a darmi uno scopo nella vita, che è quanto di più importante una persona possa avere. Quindi, grazie."
Endre scende dal palco avvolto da uno scroscio di applausi e viene verso di me scuotendo la testa. "Potrei fartela pagare." mi comunica, senza sforzarsi di sembrare serio.
"Un grazie sarebbe sufficiente." rispondo.
"Credo di aver esaurito il mio limite massimo di ringraziamenti per i prossimi dieci anni." replica lui, scostandomi i capelli dalle spalle.
Sospiro. "Tu sei il diavolo."
Endre ride, piegando leggermente la testa. "Oh, lo so!"

Innanzi tutto grazie per le recensioni, quella di S chan era meravigliosa (anche se non credo di essere poi così brava XD ma davvero un grazie infinito).
La cara Blanche è, in effetti, Blanche Ingram. Chi conosceva bene quel personaggio potrebbe anche azzardare una piccola previsione per il futuro... non andrò oltre! Amo le Bronte e soprattutto Jane Eyre, tanto che penso che in Endre ci sia un po' di Edward (ma tranquilli, non nasconde nessuna moglie).
Per quanto riguarda i nomi delle sorelle, sì, sono i nomi delle sorelle Bronte -ma non è causale-e più avanti verrà spiegato tutto per bene!

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Capitolo 7
*** Sophie e la Nuit Dorée ***


"Signorina, è pronta?" mi chiede Rochelle, con la solita vocina acuta attraversata da una vena di preoccupazione.
Io non rispondo. Chiusa nella mia stanza -o meglio, nella stanza degli ospiti- osservo allo specchio il mio vestito troppo corto. "No." dico, infine.
"Sophie?" ora è Endre a bussare. "Sei pronta?"
Sbuffo. "No."
"Ok, ma hai intenzione di esserlo, prima o poi?"
Mi siedo sul letto e mi rendo conto che l'abito copre a malapena il sedere. "Quando questo vestito si allungherà di quindici centimetri."
"Signorina Sophie, la prego..." mi implora Rochelle. "Il signor Endré potrebbe arrabbiarsi."
"Il signor Endre è già arrabbiato." lo corregge il mio capo, bussando nuovamente con impazienza. "Andiamo, Sophie, non può essere così corto!"
"No?" chiedo ironicamente, spalancando la porta e lasciando che Endre e il suo domestico vedano ogni centimetro delle mie gambe. Rochelle si copre la bocca con una mano e arrossisce leggermente. Monsieur Endré, è troppo corto."
Soddisfatta, lancio uno sguardo di sfida a Endre. "Che ne dici?"
Lui si morde un labbro. "Va bene, va bene, è troppo corto." si stropiccia il viso con le mani, camminando avanti e indietro per il corridoio. "Allora... allora..." improvvisamente si illumina. "Sophie, procurami una bacchetta magica!"
Alzo gli occhi al cielo, chiudendo la porta nervosamente.
"Beh, ha funzionato per Cenerentola!" si giustifica Endre, alzando la voce per farsi sentire oltre la porta.
Sospiro. "Non ho intenzione di uscire in queste condizioni."
"Cosa accidenti sta succedendo?" chiede Edward, affacciandosi in corridoio, tanto bello da sembrare una fotografia da esporre. "E perchè Sophie è chiusa dentro la stanza?"
"Perchè ho un vestito troppo corto." rispondo, aprendo nuovamente la porta.
Edward sorride, come davanti a una bambina preoccupata che il suo peluche abbia fame. "Sei splendida. Splendida. E le tue gambe non hanno alcun bisogno di stoffa. Vanno bene così." mentre io arrossisco lui si avvicina e mi prende la mano destra. "Sarà così buio che nessuno ci farà caso. E se ne avrai bisogno, ti prometto che potrai nasconderti dietro di me per tutta la serata. D'accordo?"
Abbasso lo sguardo. "Va bene."
"Abbiamo finito con i capricci? Perfetto, perchè sono già le dieci e dovremmo essere lì da un pezzo." mi comunica Endre, incupendosi e scendendo le scale senza aspettare nessuno.
"Cosa diavolo ha?" chiedo a Edward, che risponde alzando le spalle. "Andiamo, o faremo davvero tardi. Endre dovrebbe festeggiare." c'è una punta di rammarico nella voce, mentre mi afferra con forza e mi trascina per le scale. Sì, si prospetta una gran serata.

No, la sala non è affatto buia e Edward è scomparso circa cinque minuti dopo il nostro arrivo, ma ho deciso che non mi importa. Per prima cosa, perchè almeno non ho i genitali al vento (mentre il 50% della presenza femminile di questa sala sembra provare gusto nel girare senza lingerie e con abiti minuscoli); inoltre, questo posto è talmente bello che sarei venuta anche in pigiama.
Piccoli fiocchi di neve di ghiaccio scintillano ovunque, mentre lampade proiettano giochi di ombre e luci sulle pareti. La musica è un tantino troppo alta e a ballare, per il momento, sono soltando attempati uomini d'affari e politici con show-girl dai semi prominenti. Ho perso di vista Endre mezz'ora fa, e dato che sono pagata per essere la sua ombra credo che dovrei andarlo a cercare. Grazie ai tacchi gentilmente forniti da Lidia ho una buona visuale sulla stanza, ma tutte le luci e la musica mi fanno girare la testa.
"Hey!" mi saluta un uomo sui quaranta dalla mascella squadrata e gli occhi piccoli, incastrati in un viso geometricamente perfetto. "Tu sei la segretaria di E.D., no?"
Annuisco. "Esattamente."
"Se lo trovi, potresti dirgli che Lucas vorrebbe davvero vederlo? Lui sa esattamente a cosa mi riferisco."
Mi stringo nelle spalle. "Lo farò, ma non posso assicurarle niente." sospiro. "E non sono neppure certa di trovarlo."
L'uomo esibisce un sorriso leggermente triangolare. "E' sempre così, non è vero? Endre sparisce sempre, e rifiuta le mie proposte senza mai ascoltarmi, ma questi grandi artisti sono così, non è vero? Sempre concentrati su se stessi, totalmente disinteressati al resto del mondo, non è vero? Se fossi io a farlo mi chiamerebbero egoista, ma sa, se è un grande scrittore il pubblico lo definisce 'tormento interiore'..." l'uomo ride, provocandomi non poco fastidio. "Capisce cosa intendo, non è vero?"
"Cosa intende per tormento interiore?" forzo un sorriso. "Sì, ora più che mai. Cosa ha intenzione di proporre a Endre, per curiosità?"
Lucas si passa una mano tra i capelli a spazzola. "Una biografia. Potrebbe essere un pochino fastidioso avermi in giro tutto il tempo, ma crede che accetterà?"
"Oh, certo, Endre adora gli estranei che curiosano in casa sua e nella sua vita privata." commento con ironia non esattamente nascosta.
L'uomo sembra non ascoltarmi. "Del resto si sta aprendo sempre più al mondo, non trova? Quando ha pubblicato i primi libri non voleva neppure rivelare il proprio nome, mentre ora colleziona presenze in tv e in radio e partecipa a grandi eventi letterari. Il problema è che non rivela mai nulla di personale... io vorrei solo che lui condividesse se stesso con il mondo."
"Oh, davvero nobile." rispondo, sospirando. "Ma, in caso non l'avesse notato, Endre ha già condiviso se stesso con il mondo. Sa, dodici libri..." tiro nuovamente giù l'orlo del vestito, sfinita da quella conversazione. "Ok, dov'è l'open bar?"
Lucas, le spigolose sopracciglia arcuate al massimo, mi indica un angolo affollato. "Laggiù. E, per inciso, sei una pessima assistente."
"Oh, lo so." rispondo, dirigendomi verso il bar, dove un ragazzo muscoloso rivolge sguardi ammiccanti e serve drink.
"Un cosmopolitan." ordino. "Ha visto per caso Endre D.?"
Il ragazzo annuisce. "Gli ho servito qualche vodka e dello scotch un quarto d'ora fa. Non ho idea di dove sia finito."
Annuisco. "Grazie comunque."
"Guarda chi si vede, nel vestito che non le appartiene!" è la voce di Blanche, che mi provoca una fastidiosa fitta allo stomaco.
"Salve, Blanche."
Indossa un abito color salmone che non le sta eccessivamente bene. "Delizioso fingere di essere stata realmente invitata, non è vero?"
"Una meraviglia!" rispondo, esasperando un sorriso. "Hai... ha per caso visto Endre?"
"Credevo che quello fosse il tuo lavoro."
"Già." mando giù l'ultimo sorso di cosmopolitan, abbandonando l'angolo bar, e finalmente scorgo Endre, che cinge con un braccio la vita di una ragazza dai capelli rossi.
"Ciao!" esclamo, andandogli incontro "Ti ho cercato ovunque!". Lui alza a malapena gli occhi. "E perchè?" lo sguardo è duro come roccia, la bocca contratta.
"Perchè sono la tua assistente..."
Lui mi guarda con occhi vuoti. "Non riesci proprio a lasciarmi in pace, non è vero, Sophie? Mi sto divertendo."
"Quanto hai bevuto?" chiedo, avvicinandomi e avvertendo il forte odore di alcool.
"Va' al diavolo!" è la sua risposta. "Ho bevuto quanto volevo, e non so come ripeterti che non mi importa della tua opinione." conclude, allontanandosi dalla sua rossa, che protesta flebilmente. Traballa leggermente, e decido di afferrarlo per il braccio e di trascinarlo fuori. Lui, nonostante l'espressione dura del viso, mi segue, docile.
"Un po' d'aria fresca ti farà bene." dico, lasciando che il freddo parigino ci colpisca con i suoi mille aghi.
"Mi avrebbe fatto bene un po' di sesso con quella Ja... Jo... Jani..." si stropiccia il viso nervosamente. "Al diavolo."
"Che problema hai, Endre?" chiedo, respirando profondamente. "Sì, sono solo la tua assistente e sì, conto meno di zero, ma..."
Lui ride, e comprendo che è completamente ubriaco. "Conti meno di zero? Sul serio?" riprende la risata, che risuona amara nella notte.
"Endre, perchè stai facendo questo? Perchè non mangi? Perchè non dormi? Perchè ti stai distruggendo in questo modo?"
Il suo sguardo si fa più buio del cielo. "Sarà meglio che domani non ricordi nulla di ciò, altrimenti sarò costretto a licenziarti, ma a dire la verità mi piace averti intorno."
"E' per questo che mi hai trattato così, stasera?" chiedo, aiutandolo a sedersi.
"Penso che sia meglio evitarti, e trattarti male, ogni tanto."
"Perchè?"
Lui fissa il vuoto. "Perchè sarebbe sbagliato affezionarsi a me. Vedi, stasera, quando mi hai mostrato quel vestito, ho pensato anche io che fossi splendida. Avrei potuto prometterti anche io di starti vicino tutta la sera, ma non l'ho fatto. Vuoi sapere perchè?" sospira. "Perchè non avrei mai potuto mantenere quella promessa."
"Se può consolarti, nemmeno Edward l'ha fatto."
Endre ride ancora. "Edward, il caro, perfetto Edward! Edward che si prende cura di tutti, Edward che è compassionevole e buono, Edward dalle belle parole! E' così sin da quando siamo bambini, io sono il diavolo e lui l'unico disposto a salvarmi"
"Endre, cosa..."
"Pensi che il mio essere terribilmente complicato dipenda dalla mia storia?" mi chiede a bruciapelo. "Pensi che per il fatto di essere sempre stato solo sia diventato un essere solitario che non si ama abbastanza da mangiare e dormire regolarmente?"
Sospiro. "Beh, sì."
"Non è così. Questo sono io, è la mia natura, e nulla potrebbe cambiarlo. Non sono una persona amichevole, né lo sarò mai. Le persone tendono a odiarmi o volermi salvare, mentre non c'è proprio nulla o nessuno che debba essere salvato. Non sono educato, o gentile, ed è per questo che vorrei evitarti l'inutile pena di starmi vicino."
Scuoto la testa. "Sei ubriaco."
"Lo sono spesso." risponde lui, cupo.
"Devo portarti a casa."
"Sto bene." risponde. "Credo di essermi ripreso."
"Provamelo."
"Cosa?"
"Provamelo."
Endre mi afferra con forza il viso e lo porta a sé, schiudendo le labbra e baciandomi bruscamente, invadendo il mio corpo di brividi. "Hai visto? Sto bene."
Quindici secondi dopo, inizia a vomitare senza sosta sul marciapiede e sono costretta a tenergli la testa per evitare che soffochi. La scena più romantica della mia vita.

Grazie grazie grazie a tutte *_* troppo buone! S Chan, sì Sophie è il nome della bambinaia di Adèle, nonché della protagonista del romanzo "la bambinaia francese" della Pitzorno (si tratta della stessa persona, in effetti!) ma è in generale un nome che adoro.

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Capitolo 8
*** Sophie e l'appuntamento. ***


"Vuoi dire che ti ha baciato e poi ha vomitato?" mi chiede Dafne, tra il divertito e lo sconvolto, mentre manda giù la sua porzione di brodo.
"Esattamente." rispondo. "Davide, vuoi un po' di sale?"
"No, grazie." dice lui, rifiutando con un gesto della mano. "Abbiamo finito con le chiacchere tra donne? Perchè ho scoperto che gli unici animali che non..."
"Ok, ricapitoliamo." lo interrompe Dafne, senza curarsi della debole protesta del mio amico. "Prima ti tratta come feccia. Poi si apre con te e ti racconta cose piuttosto personali, ma ti promette a un uomo con cui non vorresti uscire..."
"... nemmeno se da ciò dipendesse la salvezza della specie." preciso.
"Ok, nemmeno se da ciò dipendesse la salvezza della specie." continua Dafne. "Dopo di che, torna a trattarti male. Poi viene qui e ricomincia a essere gentile con te."
Alzo le sopracciglia. "Ora non esageriamo."
"Comunque, a Parigi ti ignora e lascia che una certa Blanche ti insulti liberamente. Segue il premio che Endre vince, dove dice pubblicamente che sei meravigliosa, ma la notte dopo ti ignora e, sorpresa, torna a trattarti come feccia."
"Finché non mi dice che non devo affezionarmi a lui e mi bacia."
"Per poi vomitarti davanti e farti passare la notte a tenergli la testa e a controllare che non soffochi nel suo vomito."
Annuisco. "E la mattina dopo sostiene di non ricordare nulla della serata precedente."
Dafne beve un sorso d'acqua. "Ci credi?"
Mi stringo nelle spalle. "Non lo so. Voglio dire, era incredibilmente ubriaco, ma sembrava quasi lucido, quando mi parlava."
Segue un breve silenzio, rotto da Davide, che torna allegro. "Perfetto! Ora che abbiamo finito, possiamo tornare a..."
"Però non ha senso." dice Dafne, quasi a sé stessa. "O ha due personalità, oppure c'è qualcosa che ci sfugge. Cosa ne pensi, Davide?"
Il ragazzo sbuffa. "Penso che a quanto pare questo Endre ha capito tutto, perchè si comporta come un pazzo e ha tutta la vostra attenzione, mentre io sono qui a supplicare per un po' d'ascolto."
Mando giù un sorso d'acqua. "Però dopo quel giorno sembra quasi che abbiamo trovato un equilibrio, io e lui."
"Equilibrio?" chiede Dafne.
"Sì, insomma: ci ignoriamo a vicenda gran parte del tempo."
Davide scuote la testa. "Un equilibrio perfetto, ma possiamo smetterla, ora?"
Sorrido. "Va bene, hai ragione. Basta con Endre. Daf?"
La mia amica piega la testa. "Va bene. Ma almeno, quel bacio valeva la pena?"
Rido, osservando l'espressione offesa di Davide. "Devo prepararmi per l'appuntamento con Tommasi, ora." sussurro.
"Non capisco perchè lo stai facendo, tesoro." replica Dafne, scuotendo la testa. "Potresti licenziarti. Sono sicura che troveresti un milione di lavori migliori, e soprattutto che non nuocerebbero alla tua salute psicofisica."
Sospiro, osservando l'espressione preoccupata della mia migliore amica. "Lo so, ma Endre mi paga bene e sto cercando di risparmiare al massimo per quel progetto. E il mio istinto mi dice di rimanere."
Davide sorride, accarezzandomi i capelli. "Non si chiama istinto, Sophie. Si chiama cotta. Tu hai una gigantesca cotta per quell'uomo."
Mi stringo nelle spalle, senza rispondere. No, non ho alcuna cotta per il mio capo. Assolutamente. Senza dubbio. E' ovvio. Credo.

Il ristorante dove Tommasi ha scelto di portarmi è troppo dorato, kitch e grande. Mentre siedo al tavolo tamburello con le dita sulla tovaglia ricamata d'oro.
"Potresti sforzarti di sembrare allegra, Sophie?" mi chiede il sigustoso uomo con i capelli impomatati che siede davanti a me, con un sorriso così falso da darmi i brividi. "O mi arresteranno per sequesto di persona."
Mi limito a pensare che la cosa non è così distante dalla realtà, e tento un sorriso poco convinto. "Va bene."
"Mi chiamo Giorgio, a proposito."
Annuisco. Non ho intenzione di chiamarlo per nome, in questa vita. "Possiamo ordinare?"
Lui sospira. "Hai per caso fretta? Ho chiesto una semplice cena, non altro. Possiamo chiacchierare e bere del buon vino. Allora, deve essere difficile lavorare per quel pazzo, non è vero?"
Alzo le spalle. "Ho fatto cose peggiori."
Lui solleva le sopracciglia. "Come?"
Come uscire con quest'uomo. "Ho cinque sorelle. Niente è mai stato troppo facile."
Tommasi annuisce, comprensivo. "Sei molto bella, stasera."
Abbasso lo sguardo, osservando il tubino a collo alto, lungo fino alle ginocchia, che ho indossato con calze pesanti e scarpe basse. Praticamente, l'esatto contrario di sexy. Ma comincio a pensare che forse avrei dovuto optare per una felpa oversize. "Grazie."
"Un fiore." riprende lui, mangiandomi con gli occhi e dandomi la nausea.
Finalmente, il cameriere ci permette di ordinare. Mentre Tommasi sceglie un paio di pietanze dai nomi esotici, io opto per un' insalata. Non ho esattamente fame, e ogni secondo che passa valuto la possibilità di andarmene. Mangio la mia insalata in silenzio, rispondendo a domande occasionali e utilizzando il minor numero di parole possibili.
"Non è assolutamente fantastico, cara Sophie? Questa cena squisita, il buon vino, un bell'uomo e una bella donna che conversano... Certo, tu sei una semplice assistente mentre io sono ai vertici del mondo, ma se stasera è il tuo giorno fortunato." mi dice Tommasi, piegando le sopracciglia in maniera innaturale. "Stasera potrai essere toccata da queste mani..."
Istantaneamente, allontano la sedia dal tavolo. "Devo andare in bagno, ti dispiace?" senza aspettare risposta mi alzo e corro verso la toilette. Osservo la mia immagine allo specchio e mi sciacquo il viso con un po' d'acqua fresca. Devo resistere ancora poco, e poi la tortura sarà finita. Magari potrò chiedere un aumento, e una volta accumulati abbastanza soldi aprirò una libreria con una zona con divanetti e tavoli di legno, dove si potranno leggere i libri sorseggiando the e cioccolata calda. Il posto che ho sempre sognato. Sospiro, asciugandomi il viso. Non ho assolutamente voglia di tornare al tavolo, sapendo che quella specie di verme mi aspetta con un ghigno dipinto in viso. Improvvisamente, la porta si spalanca.
E' Tommasi, l'aria irritata. "Ci hai messo molto."
Spaventata, indietreggio lentamente. "E' il bagno delle donne."
"Andiamo, Sophie... so cosa vuoi." mi afferra, tirandomi a sé, mentre io tento di dimenarmi con forza. "Una notte con me e potrai diventare chiunque tu voglia."
Il suo viso è a pochi centimetri dal mio, e lo cerca quasi famelicamente. "Grazie, ma ho già questa oppurtunità." rispondo, schivando i suoi baci. "Se non vai via ora giuro che urlerò così forte che..." improvvisamente l'uomo preme una mano sulle mie labbra, e la vista si annebbia. Cosa diavolo devo fare? Com'è possibile che una donna, per quanto forte e piena di risorse sia, sia sopraffatta dal peggiore degli uomini? E' così ingiusto che le lacrime iniziano a sgorgarmi dagli occhi. "Ti prego.." farfuglio, ma lui inizia a mordermi le orecchie e abbassa faticosamente la zip del mio vestito. Mentre il terrore mi assale, mi rendo conto che la mano che premeva contro la mia bocca non c'è più, e che Tommasi è stato scaraventato contro la porta e giace a terra. Alzo lo sguardo e vedo Endre, gli occhi accecati dalla rabbia.
"Ti ha toccato? Ti ha fatto qualcosa?" mi chiede, ma non riesco a parlare. "TI HA FATTO QUALCOSA?" grida.
Con gli occhi spalancati, mi lascio scivolare fino a terra, e Endre si precipita su di me, stringendomi così forte da non permettermi di respirare. "Sophie, ti prego, ti prego, dimmi che stai bene."
"Sto bene." riesco a dire con un filo di voce. "Perchè sei qui?"
"Credevi che ti avrei lasciato andare da sola con un uomo del genere? Ero qui per controllarti, ma mi sono reso conto troppo tardi quel quel maledetto..." la voce è strozzata e trema. "Che quello era entrato nel bagno delle donne. Scusami, Sophie." mi accarezza i capelli, guardandomi con una preoccupazione che non avevo mai visto negli occhi di nessuno, prima d'ora. "Cosa ho fatto..." sussurra, stringendomi ancora. Ho la testa nell'incavo del suo collo e sento un profumo caldo. "Sistemerò tutto."
Endre si alza e afferra per la braccia Tommasi, che sanguina dal naso, e lo trascina fuori dal bagno violentemente. Il cameriere lo osserva preoccupato, ma Endre lo ferma con un gesto. "Non toccatelo." Poi torna verso di me e mi prende in braccio, portandomi fuori tra gli sguardi di curiosità generali e appoggiandomi delicatamente nella macchina di Augusto. "Portala a casa." ordina. "Io devo occuparmi di una denuncia."

"Ancora un po' di the?" mi chiede Dafne per la centesima volta, osservandomi con il solito sguardo premuroso e preoccupato. "Acqua? Vuoi mangiare qualcosa?"
Declino l'offerta, stendendo un velo di smalto color pervinca sul pollice sinistro. "Sto bene, davvero. Non è successo niente. Questo colore?" chiedo, mostrandole la mano.
"Sembra che ti abbiano schiacciato un dito, a dire la verità." commenta lei, fedele al bianco perla dall'età di dodici anni. "Sei davvero certa di stare bene?"
Afferro la bottiglietta di rouge noir e la osserve attentamente. "Troppo scuro?"
"Non hai risposto."
Sospiro. "Ne sono sicura, certa, convinta. Sono passati tre giorni, Dafne. Non nego di aver avuto paura, ma non è successo..." le parole mi sfuggono. "... quello che poteva succedere. Viola o blu?"
Dafne alza le spalle. "Bianco perla. E io non credo che tu abbia recuperato il tuo equilibrio."
Rido. "L'ultimo che mi ha detto una cosa del genere era quel massaggiatore che sosteneva che massaggiarmi il seno mi avrebbe notevolmente aiutato." osservo, soffiando sulle mani in modo da far asciugare lo smalto.
"Almeno era sexy." è il commento della mia amica, che risponde al mio sguardo interrogativo alzando le spalle. "Sì, ci sono andata a letto, in effetti. Ma non era di questo che volevo parlare!" aggiunge, riprendendo il filo del discorso. "Non vai al lavoro da tre giorni, Sof. Questo non è normale."
Mi mordo un labbro. "E' stato Endre a scrivermi di rimanere a casa. Me l'ha praticamente ordinato."
Dafne annuisce. "Lo odi, non è vero?"
"Mi ha salvato." rispondo, semplicemente.
Sul viso della mia migliore amica appare un'espressione di totale disapprovazione. "Da una situazione che dipendeva interamente da lui."
Sorrido, osservando le bottigliette di smalto sparse sul tappeto. "Non nego di averlo odiato, quando ha fissato quell'appuntamento. Ma è venuto al ristorante per controllare che tutto andasse bene, voglio dire... si è comportato come se gliene importasse davvero qualcosa."
"Forse temeva una denuncia." ipotizza Dafne.
Scuto la testa, sospirando. "Avresti dovuto vedere il suo sguardo, in quel bagno... il solo pensare a quegli occhi in fuoco mi dà i brividi. No, io non odio Endre." concludo, quasi parlando a me stessa. "E' solo che non mi va a genio che mi abbia salvato, accidenti. Odio essere salvata."

"Bentornata, signorina Sophie!" mi dice Inga, genuinamente sorpresa. "Credevo che il signor D. l'avesse licenziata." ammette.
Sorrido. "Sono ancora qui." con un cenno saluto Inga e mi avvio verso il mio minuscolo studio, che dopo aver visto la casa parigina di Endre mi sembra ancora più angusto. Per quale motivo sono l'assistente di uno degli uomini più ricchi d'Europa e lavoro in un posto grande quanto il mio bagno?
"Ciao." mi saluta Endre, appena sceso dalle scale, la solita espressione assente. "Stai bene?"
"Comincio a odiare quella domanda."
"Allora stai bene." alza le spalle. "Ho lasciato il mio manoscritto sulla tua scrivania, puoi portarlo al mio editore. Chiama Rochelle e digli che non sarò a Parigi a Natale, poi conferma la prenotazione al New Eve, tavolo per due. Chiama Blanche per avvertirla della conferma. Poi dovresti comprarmi del caffè istantaneo, un migliaio circa, e accompagnarmi a conoscere una persona, domani."
Prendo mentalmente nota di tutto. "Una persona?"
Endre annuisce. "E' un pattinatore svizzero. Il mio editore ha detto che vuole vedermi."
Deglutisco lentamente. "Un... pattinatore?"
Lui solleva le sopracciglia. "Non sei troppo acuta oggi, non è vero? Un pattinatore, sì, di quelli che indossano tutine con i brillantini e scivolano sul ghiaccio. Si chiama Hans..."
Ti prego, ti prego, ti prego, fa che non dica Bernard. Qualsiasi altra persona, ma non Hans Bernard.
"...Bernard."
"Accidenti!" esclamo, portandomi poi la mano alla bocca. "Volevo dire... fantastico. Perfetto."
"Lo conosci?" chiede Endre, corrugando la fronte. Io apro la bocca, ripensando alle spalle forti e nude di Hans Bernard, alle mani grandi e calde di Hand Bernard sulla mia schiena, ai morsi di Hans Bernard e ai suoi baci affilati come spade che perforavano la mia pelle. Amavo chiamarlo Hans Bernard a letto: suona dannatamente bene.
"Potrei... conoscerlo."
Endre solleva le sopracciglia. "Quanto intimamente?"
Sospiro. "Abbastanza da sapere che non porta biancheria intima."
"Perfetto!" la voce di Endre è quasi allegra. "Mi sarai utile, allora."
"Già." commento, un'inspiegabile punta di delusione nella voce, mentre sistemo gli oggetti sulla scrivania in ordine di grandezza. "Non vedo l'ora."

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Capitolo 9
*** Sophie e Hans Bernard ***


Sono ormai le undici quando Hans Bernard fa la sua apparizione. Sì, perchè Hans Bernard non entra semplicemente nella stanza, lui fa la sua apparizione. E' plateale, scenico, degno di un qualsiasi film americano da milioni di incassi, mentre cammina quasi al rallenty nella sala del ristorante, guardandosi intorno con gli occhi leggermente strizzati e lanciando sorrisi assassini, quei sorrisi che raccoglievo con un sospiro. Perchè qualsiasi donna che sia stata con Hans Bernard -e credetemi, non sono poche- sa com'è difficile convivere con l'odio per il personaggio e quelle maledette reazioni chimiche che hanno luogo ogni volta che lo svizzero piega le sopracciglia in quell'angolo perfetto. Un colpo al cuore.
"Buongiorno." dice, tendendo la mano a Endre, che si alza fino a raggiungere la sua altezza. "Hans Bernard."
Dio, come suona bene. "Ciao, Hans." sussurro.
Lui spalanca quegli occhi meravigliosi, sorpreso. "Sophie, è così bello vederti!" esclama, abbracciandomi. Non è esattamente un abbraccio di un amico, nè tantomeno fraterno. "Non dirmi che sei proprio tu, l'assistente!"
Sorrido. "Già." perchè diavolo sto sorridendo? Ci sto ricascando. Di nuovo.
"Ho provato a chiamarti quanto, un milione di volte?" chiede, passando una mano trai capelli.
Odio i bugiardi dannatamente attraenti. "Non ti ho mai dato il mio numero." rispondo, alzando le spalle, e lui ride. "Ok, è vero. Ma mi sei mancata davvero. Amavo il tuo profumo."
E' così che io e Hand Bernard ci siamo conosciuti: io sedevo in un bar e lui mi ha detto che amava il mio profumo. "Dolce, eppure così naturale." disse, e io, che all'epoca avevo diciannove anni e una certa tendenza alla cotta facile, decisi che quell'uomo sarebbe stato mio. A quattro anni di distanza posso dire che quell'uomo è stato mio più volte, ma non posso dire di aver mai avuto l'esclusiva.
Sfortunatamente, Hans Bernard non era solamente il pattinatore più affascinate e sexy dell'universo, ma seguiva lo stesso corso di yoga di Dafne. Era facile incontrarsi, e ancora più facile era finire a letto insieme. A letto per modo di dire, ovviamente: Hans odia la monotonia.
"Vogliamo parlare del motivo per cui siamo qui?" propone Endre, giocando con la sua forchetta. "Ho parlato con l'editore ieri, e ha detto che hai qualche pretesa."
Hans siede e riempie il piatto di uova fritte. "Adoro il brunch!" esclama. "Ecco, sì, avrei qualche richiesta."
"Pretesa." lo corregge Endre, lanciandogli uno sguardo di sfida.
"Richiesta." ripete Hans, impassibile.
Endre si schiarisce la voce. "Signor Bernard..."
"Hans, prego."
"Signor Bernard, c'è una differenza non troppo sottile tra richiesta e pretesa. Lei sta decisamente pretendendo qualcosa, dato che a giudicare dalla e-mail che ha mandato al mio editore lei ama molto il verbo dovere." segue una breve pausa, in cui Endre afferra un pezzo di pane e lo sbriciola. "Lasci a me le parole, signor Bernard, e torni a piroettare sul ghiaccio."
1-0 per Endre, palla al centro. Hans tenta un sorriso. "C'è qualche problema?" chiede, e Endre gli rivolge uno sguardo duro.
"Il problema è che non scriverò quel libro. E non perchè credo che lei sia una persona vuota, inutile, vanitosa e arrogante, e nemmeno perchè la sua essenza interiore è meno interessante di un dépliant sui vantaggi delle aspirapolveri ad acqua. Lo farò perchè non riuscirei a trovare un titolo: l'idiota, ahimé, se lo sono già preso."

"Vi riporto a casa?" chiede Augusto, quando rientriamo nella macchina.
Endre risponde con un cenno positivo, per poi piombare nel silenzio più totale. "Io non capisco." dice, dopo qualche minuto.
"Cosa?" chiedo.
"Come poteva piacerti."
"Devo risponderti?" alzo le sopracciglia in modo eloquente. "E poi sono io a non capire perchè hai dovuto trattarlo così. Certo, non sei mai stato un campione di simpatia, ma Hans..."
"Era solo sesso, quindi?" chiede Endre, ignorando la mia osservazione.
Alzo le spalle. "Ero molto giovane."
"Lo sei ancora." silenzio. "Ma... quello!" esclama, visibilmente scandalizzato. "Come potevi stare con una persona il cui argomento preferito è se stesso?"
Spalanco gli occhi, stupita da tanta confidenza. "Per prima cosa, non parlavamo molto durante i nostri incontri. E poi non credo che tu parli a lungo con tutte le ragazze che lasciano casa tua coi capelli scompigliati quando io inizio il turno."
Endre assume un'espressione burbera e irritata. "E' diverso."
"Perchè sono una donna?"
"Perchè cerchi la felicità in qualcosa di superiore."
Osservo Roma scorrere lentamente via dal finestrino. "L'amore, intendi?"
Lui piega le labbra. "Può darsi. E se ci credi, lo meriti."
"Tu non lo meriti?"
"Io non ci credo."
Augusto, che finge di non ascoltare, ci osserva dallo specchietto centrale. "C'è un ingorgo, signore." dice, e la voce sembra tremare. Endre assume un'espressione grave, osservando la fila immobile di auto che ci stanno davanti. "Fa caldo, eh?" mi dice, togliendo la giacca velocemente e sfilandosi la cravatta.
Aggrotto la fonte. "Ci sono due gradi. Vuoi che abbassi i finestrini?"
"Vuole uscire, signore?" chiede Augusto, notevolmente preoccupato.
Endre scuote la testa. "E' troppo tardi." dice, e sento il suo respiro farsi pesante, e gli occhi stringersi come in preda a un dolore impossibile da calmare.
"Cosa..." chiedo, osservando la sua fronte imperlata di sudore freddo.
"E' una crisi di panico, signorina. Non deve toccarlo, o sarà peggio." mi spiega Augusto, che assiste impassibile mentre Endre comincia a ansimare e stringere i pugni fino a farli tremare. Rimango immobile, di fronte alla scena che sembra durare secoli. "Va... meglio." continua a ripetere con difficoltà Endre, ma io so benissimo che non sta affatto meglio.
"Ok!" esclamo dopo qualche secondo. "Io non posso stare ferma. Dobbiamo almeno aprire i finestrini."
Augusto scuote la testa. "Il signor Endre non vuole essere visto."
"Il signor Endre non agisce per il bene del signor Endre, mentre io sono pagata per farlo." rispondo, abbassando entrambi i finestrini e lasciando che l'aria gelida entri nell'abitacolo. Poi prendo il viso del mio capo tra le mani, ignorando le proteste di Augusto. Lui mi fissa con occhi spaventati. "Va tutto bene, Endre. Senti l'aria? Sta entrando dal finestrino. Va tutto bene, va tutto bene, va tutto bene." continuo a ripetere, finché i suoi respiri si calmano e il suo corpo si rilassa. Con una lentezza estrema Endre mi rivolge uno sguardo stanco e appoggia la mia testa sul suo petto, scivolando leggermente sul sedile e addormentandosi così, senza dire una parola. E' strano come ora, la guancia appoggiata alla sua camicia ruvida, mi senta stranamente calma e tranquilla come non sono mai stata. E' strano come non vorrei tutti gli Hans Bernard del mondo per questa pace.

Quando torno a casa mi sento come se non dormissi da quindici giorni.
"Stai bene?" mi chiede Daniele, quando io e le mie occhiaie entriamo nel salotto.
"Hai un'aspetto terribile." commenta Dafne. "E' successo qualcosa?"
"Non lo so." rispondo. "Ma sono contenta di essere a casa."
Daniele sorride. "Sarai meno contenta quando scoprirai cosa ha cucinato Dafne per cena!" esclama, ridendo. "Oh, ha chiamato tua madre. Ha detto che ha un annuncio molto importante da farti."
Tremo. Conosco gli annunci molto importanti di mia madre. Finiscono tutti con la parola bambino.

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Capitolo 10
*** Sophie e la piccola Jane. ***


"Sophie, la mamma aspetta un bambino." mi dice Emily. E' il ventidue Dicembre, la temperatura è di tre gradi, l'umidità del 70% e mia madre è incinta per la settima volta. Odio il fatto che lei sia una covinta sostenitrice dell'amore libero. Un po' come Dafne, con la differenza che quest'ultima conosce l'uso del preservativo.
Sospiro, producendo un soffio metallico nel cellulare. "Fantastico."
"No, non lo è!" Emily emette un gridolino. "E'... vecchia!"
"Ha quarantuno anni, Em."
"Appunto!" 
Sento il rumore dei passi di Endre. "Em, devo andare. Ti chiamo dopo."
"Va bene. DevitenereJaneperoggi!" aggiunge mia sorella, parlando a una velocità che rende difficile comprendere le parole.
Spalanco gli occhi. "Cosa?"
"Sonogiàsullastrada!" Click. Ha attaccato. Ha attaccato! Mi gratto la testa, cercando una soluzione. Stai calma, Sophie. In fondo dovresti solo tenere la tua sorellina cinquenne iperintelligente e con una certa tendenza all'onestà spudorata. Dicono che i bambini non hanno peli sulla lingua: Jane non ha nemmeno la lingua, praticamente. I pensieri le escono di bocca nel momento stesso in cui li formula.
"Buon giorno, Sophie." mi dice Endre, entrando nel mio microstudio con un'espressione stanca. "Il tuo amico Hans Bernard ha mandato un migliaio di fiori qui, stamattina. Li ho dovuti buttare perchè mi infastidivano. Erano così..."
"... pieni di sé, sì, lo so." rispondo, giocherellando con una matita appuntita. "Devo chiederti un favore, Endre."
Lui alza le spalle. "Dimmi."
"Dovrei tenere mia sorella con me, oggi. Solo per un giorno." dico, sospirando.
"Puoi promettermi che non darà alcun fastidio?"
"No." rivolgo al mio capo un'espressione disperata. "No, ma mia madre è incinta e ha qualcosa da fare."
Lui piega la testa, guardandosi le scarpe. "Fa' in modo che non me ne penta."
Dentro di me, so bene quanto Endre si pentirà di questa scelta, ma mi stringo nelle spalle. Il campanello suona, e pochi minuti dopo dal corridoio emerge Inga.
"Signor Endre, c'è una ragazza che dice di essere Emily Gràìn, la..."
"... sorella di Sophie!" esclama Emily, entrando nella stanza con la solita vitalità. Ha i capelli di un biondo chiarissimo, come il resto della mia famiglia, e occhi nocciola, come il resto della mia famiglia, che illuminano un viso dai lineamenti leggermente spigolosi, come il resto della mia famiglia. E' dura nascere castana e con gli occhi color acquamarina, quando tutti si aspettano una bellezza algida e biondissima. Persino la migliore amica di mia madre era convinta che mi avesse segretamente adottato.
"Tu devi essere Endre! Io sono Emily, piacere!" esclama mia sorella, senza aspettare alcuna risposta. "Jane, puoi entrare, piccolina." grida poi Emily, verso il corridoio.
"Veramente no, dato che la domestica non ci ha ancora dato il permesso." osserva una vocina sottile.
Endre sorride, divertito. "Te lo do io, il permesso."
"Sei il domestico?" chiede la vocina, scettica.
"Sono il padrone di casa."
"Allora va bene." la minuscola Jane entra nella stanza, il visino appuntito e un sorriso rispettoso. "Sono cresciuta con un forte senso della legalità." spiega, facendo un piccolo inchino ottocentesco con l'ampia gonna del vestito. "Oh, ciao, Sophie. Mi piace tanto il tuo vestitino, ma non è troppo corto? Sei a caccia, per caso?"
Sospiro. "Vedo che stai facendo progressi con il suo vocabolario, Em."
Emily ridacchia. "Cosa vuoi farci? Ha cinque sorelle maggiori. Ormai persino Anne dice che vuole rimorchiare il suo compagno di banco."
"Anne ha nove anni e un quoziente intellettivo nella media." osservo. "Non sa cosa vuol dire rimorchiare. Sospetto che invece Jane lo sappia benissimo."
La piccola mi rivolge un sorriso beato, e rimane in piedi in un angolo finchè Emily non saluta tutti e se ne va nel solito turbine di allegria.
"Vuoi leggere il biglietto?" chiede Endre poco dopo, e io lo fisso con uno sguardo interrogativo. "Il biglietto dei fiori, intendo."
"Oh." sorrido. "No, grazie. Non voglio leggere proprio nulla."

"Chi hai chiamato, Sophie?" mi chiede Jane per la millesima volta, seduta sulla traballante scrivania (ho cercato di farla scendere, ma sostiene di pesare troppo poco per romperla).
"Ho chiamato un caporedattore per parlare di un articolo che Endre ha scritto."
"Endre scrive bene?"
Annuisco. "Molto bene. E' davvero bravo."
"E' anche bello." osserva mia sorella, mostrando tutti i denti. "Emily lo dice sempre, quando lo vede in tv, che è bello. E che è elegante."
Sospiro. "Lo è."
Jane sospira. "Però è vecchio. Quanti anni ha? Sessanta?"
"Ne ha trentatre."
"Quindi è vecchio anche per te!"
Sorrido. "Non così vecchio, Jane."
Seguono due minuti di perfetto silenzio. "E' simpatico?" riprende Jane.
"Non proprio. E' un po' strano."
"Strano come il nostro vicino?
Non posso fare a meno di ridere. "Il vicino non è strano, Jane. E' omosessuale."
Lei si stringe nelle spalle. "E non ti sembra strano?"
Accarezzandole delicatamente i capelli, le rispondo. "Endre è una persona molto particolare. Può essere molto buono, e molto cattivo. Può essere simpatico e divertente, e poi non rivolgerti la parola per giorni. E' lunatico, incostante e incoerente."
La piccola mi osserva con un'espressione strana. "Non lo siamo tutti?"
Questa bambina diventerà qualcuno, un giorno.
In quell'istante, Endre appare sulla soglia della porta, una t-shirt nera e l'espressione sfinita, ombreggiata dalla barba di due giorni. "Sto cominciando a stufarmi, Sophie."
Spalanco gli occhi. "Di cosa?"
"Hans Bernard. Ha mandato otto bottiglie di champagne, altri fiori e questo." mi porge un piccolo registratore con un bigliettino che dice 'ascoltami'.
"Cosa posso farci?" chiedo, sospirando.
"Un'ordinanza restrittiva? Forza, premi play." mi ordina lui, fissandomi con insistenza. Sembra quasi arrabbiato. "Ok, va bene." obbedisco.
"Hey, Sophie." dice la voce metallica che proviene dal registratore. "Volevo chiamarti, ma mi sono reso conto che non ho ancora il tuo numero." risatina. "Mi stavo chiedendo se ti fossero piaciuti i miei fiori. Mi sei mancata da morire, e rivederti è stato un colpo al cuore. Grazie di esistere, Sophie. Ho scritto il mio numero sotto al registratore, spero che mi richiamerai. Ti am..."
Premo 'stop' prima che la frase termini, mentre Jane mi osserva, sorridente. "Che persona ridicola!" esclama, e io ed Endre la guardiamo senza capire. "Ti ha ringraziato di esistere, come se l'avessi scelto tu. O come se l'avessi fatto per lui" continua a ridere, rotolandosi sulla scrivania.
"Ascoltami, Sophie." dice Endre con aria grave. "Puoi fare tutto quello che vuoi con Hans Bernard, e lui può spedirti, fiori, champagne e anche elefanti indiani se necessario. Ma se qualcosa del genere arriverà nuovamente a casa mia, dovrò licenziarti."
"Mi dispiace, Endre." sussurro. "Farò in modo che non accada più."
I suoi occhi, tra il verde e il nero, sono immobili. Mi fissa come se non sapesse cosa dire o cosa fare. Come se fosse paralizzato. E' Jane a rompere il silenzio.
"Sei davvero geloso!" esclama, allegra. Arrossendo violentemente, la sollevo e la trascino in bagno, lasciando Endre nel mio studio ancora immobile.
"Jane, ti va di fare un gioco?" le chiedo, posandola a terra.
"Che gioco?"
"Facciamo che tu non parlerai mai più con Endre." tento un sorriso convincente.
"Non mi piace questo gioco. E poi questo è un paese libero."
Scuoto la testa. "A casa ti fanno guardare troppi film, tesoro."
Lei sbuffa. "Anche se smettessi di parlare con Endre, le cose non cambierebbero. Lui è geloso. Gelosissimo. E' pazzamente innamorato di te."
Rido. "E questo tu come lo sai?"
"L'hai detto tu: guardo un sacco di film."
"I film, Jane, nascondono le parti brutte delle cose. Che esistono."
Mia sorella spalanca gli occhi nocciola, che si riempiono di pagliuzze dorate. "L'amore non ha parti brutte." In fondo, è una bambina, e lo rimarrà ancora per un po'.

Il tempo sembra passare con una lentezza inquietante, e le acute domande di Jane scandiscono i minuti, o i secondi se è particolarmente curiosa. Proprio per questo sono quasi sollevata quando Emily torna a prendere il piccolo genio e io sono finalmente sola nello studio, il solo rumore dei tasti a farmi compagnia. Fuori il cielo è terribilmente scuro, schermato da nuvole color fumo, e la pioggia scroscia senza alcuna pietà. Preferirei dormire qui, piuttosto che uscire con questa tempesta.
"Devo farti una domanda." Endre appare improvvisamente sulla soglia della porta, buttando fuori una serie di frasi tutte d'un fiato. "E voglio che tu sia assolutamente onesta."
Spalanco gli occhi. "Lo sarò."
Endre cerca le parole nell'aria, guardandosi intorno, quasi agitato. "Eri innamorata di Hans Bernard?"
"No." rispondo, senza ben comprendere cosa sta accadendo.
Lui sospira, come sollevato. "Credo che tua sorella avesse ragione."
"Ragione?" il mio sguardo è più che mai interrogativo.
Endre mi rivolge un sorriso amaro, avvicinandosi lentamente. "Tu, Sophie, sei una specie di fuoco. Uno scoppiettìo, una scintilla di luce. Tu accendi le persone, e Hans Bernard non è altro che un pezzo di ghiaccio. Non ti merita; non può meritarti."
"E tu, Endre, tu cosa sei?" mi ritrovo a chiedere, trovando il suo viso a pochi centimetri dal mio.
Lui sorride appena. "Sapevo che me l'avresti chiesto, ma temo di non avere alcuna risposta. Non lo so, cosa sono. Ma di certo non sono ghiaccio."
Posso sentire il calore del suo respiro sulla pelle, e i suoi occhi taglienti mi leggono dentro. "Mi piacerebbe scoprire cosa sei."
"Dovrai aspettare che sia io, a scoprirlo."
Improvvisamente, un lampo porta via le luci e la casa piomba nel buio. Sussulto, ma Endre mi afferra per il braccio. "E' solo il temporale. E mi piace il buio. Al buio io non esisto più, e tu non esisti più. Ci sono solo le nostre voci, i nostri corpi, i nostri pensieri, le nostre idee. Ma quel cumulo di immagini che il mondo riconosce come me e te scompare. Il tuo viso scompare."
"Non ti piace il mio viso?" chiedo, senza più riflettere.
Percepisco il suo sorriso. "Adoro il tuo viso." sussurra, esplorando con le dita le mie palpebre, le labbra, i capelli, il mento. "E adoro le tue spalle." aggiunge, abbassandomi appena il vestito e attraversando con l'indice il collo e la spalla destra. "E adoro la tua pelle." sospira. "E il tuo profumo. Ma qui, al buio, tu inizi dove finisco io, e io finisco dove tu inizi. Credi di capirlo?"
Sono percorsa da mille piccole scosse elettriche. "Credo di sì." sussurro, e improvvisamente Endre mi stringe a sé con tutta la forza che possiede e mi bacia. Mi bacia senza che io lo tocchi, o lo abbracci, e si scansa non appena mi avvicino. Ma, allo stesso tempo, quel bacio è intenso, quasi disperato, come l'ultimo bacio di un condannato a morte. C'è una vita intera, nel modo in cui Endre stringe il mio viso, e forse voglio scoprirla.

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Capitolo 11
*** Sophie e la mattina dopo. ***


So bene che gli esseri umani adorano le cose inutili. Io stessa le adoro: adoro guardarle, crogiolarmi nell'idea di possederle, sognarle. Ma proprio non capisco come Endre possa aver comprato un letto a quattro piazze. A cosa accidenti serve, un letto a quattro piazze? E come riesce a trovare le lenzuola? E che lenzuola, devo ammetterlo... mi sento come se avessi dormito su delle nuvole.
"Ciao." Endre sorride, infilando una T-shirt grigia. "Ti sei svegliata, finalmente."
Non credo di aver mai visto un sorriso così bello. E' talmente reale che mi sembra quasi di poterlo toccare. "Dove stai andando?"
"Di sopra, a scrivere." mi spiega.
Mi mordo un labbro. "E io non posso salire di sopra con te, non è vero?"
Endre sospira, passando una mano tra i capelli. "Credimi, Sophie: tu non vuoi vedere dove vivo. Ne sono certo."
Annuisco senza troppa convinzione e mi guardo intorno. Pareti blu notte, un letto a quattro piazze con lenzuola di seta e specchi ovunque. Quando Endre mi ha trascinato qui, ieri sera, la casa era immersa nel buio, ma ora che la luce del mattino filtra attraverso le serrande credo di avere le idee chiare. Conosco questa stanza, perchè Bianca me ne ha parlato il mio primo giorno. "Questa è la tua... stanza del sesso, non è vero?" chiedo, respirando profondamente e cercando di calmare un senso di rabbia che sale verso il mio stomaco. Vedo continuamente ragazze uscire di qui, ragazze sempre diverse, sempre felici, sempre eccitate. Proprio come me, fino a cinque minuti fa. Chissà, magari anche loro sono colme di speranze, quando lasciano questa casa.
Endre mi fissa senza dire una parola, impenetrabile come la prima volta che l'ho visto, gli occhi più neri che mai.
"Sono stata una notte, Endre? Solo una notte?" chiedo infine, con uno sforzo immane.
Lui apre la bocca, poi la chiude. Infine tenta un sorriso. "Inga ti porterà la colazione."
Inga mi porterà la colazione. Che importa se sono stata appena usata e posata in un angolo, non è vero? Almeno Inga mi porterà la colazione. "Sai una cosa? Non ho proprio fame." mi alzo, con indosso solo un paio di coulottes di pizzo, e mi vesto velocemente sotto gli occhi tristi e stanchi di Endre. "Credo proprio che oggi mi prenderò un giorno libero." concludo, uscendo dalla stanza a passo spedito, pur essendo cosciente della mia camicia sbottonata. Inga mi aspetta alla fine del lungo corridoio, e quando incrocio il suo sguardo potrei giurare che abbia gli occhi lucidi. Ignoro la macchina di Augusto, lucente come sempre, parcheggiata davanti al vialetto d'uscita, e corro verso la stazione dell'autobus, senza guardare indietro.

"Io non riesco a capirti." confessa Davide, porgendomi il pacchetto di pop corn. "Credo che tu sia giunta a conclusioni affrettate, Sophie. Come fai a capire se sei stata solo l'avventura di una notte, se non aspetti la seconda?"
Dafne, impegnata con una mela così lucida da sembrare cerata, sbuffa. "L'ha portata in quella stanza, Davide. E' ovvio che ha un significato."
Davide alza le spalle. "Certo che lo ha. Magari è stata la prima stanza a cui ha pensato. Magari voleva fare una buona impressione su di te con tutti gli specchi e il letto enorme e tutto quanto."
E' incredibile come, quando è il mio migliore amico a parlare, tutto sembri plausibile. Dafne, però, non è d'accordo. "Andiamo, lenzuola di seta? Ho dormito in lenzuola di seta, ma mai più di una volta per letto." ammette, addentando la sua mela. "E' inammissibile che Sophie sia stata usata in questo modo. Una semplice avventura!" conclude, sdegnata.
Davide sospira. "Ecco, lo vedi? Non riesco a capire nemmeno te. Credevo fossi una grande fan delle avventure."
"Lo sono eccome! Amo le avventure, ma solo quando sono io a deciderlo."
"Quindi se è un uomo a usarti è un sacrilegio, ma se sei tu a usare lui perchè ti piacciono le sue lenzuola di seta diventa un'azione da ammirare?"
Dafne si stringe nelle spalle. "Se ti può consolare, siamo ancora in pochi a pensarla così. E poi, non faccio sesso perchè mi piacciono le lenzuola lussuose. Ci sono tanti buoni motivi per fare sesso."
Sollevo le sopracciglia. "Quali?" chiedo, curiosa, mentre la mia amica sorride con l'aria di chi la sa lunga. "Si può fare sesso per curiosità, per dovere, per noia, per soldi, per la carriera, per amore o nella speranza di bruciare calorie senza soffrire."
Scoppio a ridere. "E tu? Perchè hai fatto sesso?"
"Noia, la maggior parte delle volte." ammette la mia amica. "Ma anche per curiosità -ti ricordi quell'artista del circo russo, il contorsionista?"
Davide stringe le labbra. "Quello poco dotato? Hai passato due settimane a sbandierarci la tua profonda delusione."
"Oh, avevo i miei motivi per essere delusa." replica Dafne, annuendo con vigore. "E poi ho fatto sesso per amore, un paio di volte. Vorrei dirti che è stato il più bello, ma il mio sesso preferito è quello per dimagrire. Decisamente più scatenato."
Non posso fare a meno di ridere di fronte all'espressione attonita di Davide. "Io ho fatto sesso per curiosità, la prima volta. E poi per un misto di noia e dovere, credo. Mai per amore." ammetto, una punta di amarezza nella voce.
"Credevo che Luca..." tenta Dafne, con delicatezza.
"Luca era carino, premuroso e intelligente. Il problema era che io non ero affatto innamorata di Luca."
Davide sorride. "Daf, mi devi cinquanta euro."
Osservo i miei coinquilini con un'espressione interrogativa. "Avete scommesso su me e Luca?"
Dafne arrossisce. "No, abbiamo scommesso sul tuo non essere mai stata innamorata. Io ero convinta che almeno con Luca..."
"Mi sono innamorata, una volta." ammetto, sospirando. "Di Karl."
"Karl? Il bambino tedesco dello scambio con la scuola di Berlino?" mi chiede la mia migliore amica -nonché perfida scommettitrice- spalancando gli occhi.
Annuisco. "Proprio lui. Non ve l'ho mai detto perchè dopo aver trascorso mesi a sognarlo gli scrissi una lettera, e, beh, lui mi disse di non essere esattamente interessato a me."
Questo, ovviamente, non è proprio quello che Karl ha detto. Karl Heidemberg, tredici anni, alto-biondo-bello, era stato inserito in una quarta elementare per imparare l'italiano. All'epoca conosceva solamente cinque parole: sì, no, grazie, mangiare e bagno. Inspiegabilmente, la lettera che scrisse in risposta alla mia era piuttosto articolata. Mi comunicò che ero una mocciosa, che odiava il fatto che lo fissassi continuamente e mi invitava gentilmente a non rivolgergli più la parola. Se non altro, ho il merito di aver ampliato il suo vocabolario. "Ad ogni modo, ho problemi più grandi qui!" esclamo, tornando alla realtà.
Davide annuisce. "Io credo che dovresti semplicemente tornare lì stasera e vedere cosa succede. Non come sua assistente, ma come Sophie, naturalmente. Potresti fare qualcosa di carino, come preparargli la cena."
"Lui non mangia." replico.
"Sono convinto che possa mangiare, se vuole."
Persino Dafne non è più scettica. "Non conosco Endre, ma ho idea che non sia una persona semplice. Nonostante tutto magari Davide ha ragione. Devi dargli una possibilità."
Ok, va bene. Gli darò una possibilità. Niente può essere più umiliante della lettera di Karl, in ogni caso.

Mentre attraverso la strada che mi separa dalla stazione della metropolitana, osservo una figura vagamente familiare uscire dall'edicola con una decina di chili di riviste in mano. E' bruna, con labbra sottili e occhi vagamente orientali, e tiene in mano qualche Vogue, Elle, un AD e una rivista di alta cucina, che sommate al peso dell'anello costituiscono una massa non indifferente. Improvvisamente, ricordo dove l'ho vista: è uscita dalla stanza del sesso la settimana scorsa, con indosso una camicia maschile -di Endre, suppongo- e l'anello gigante tempestato di pietre colorate.
"Hey, scusami, hey!" la fermo, senza ragionare.
Lei rimane perfettamente immobile e mi rivolge un sorriso cortese. Probabilmente si sta chiedendo chi diavolo sono.
"Ciao, sono Sophie, l'assistente di Endre D."
La ragazza annuisce, e uno sguardo acuto sostituisce quello vago che lo precedeva. "Io sono Monica. C'è qualche problema?"
E ora cosa accidenti dovrei dire? "No, no, assolutamente no! Ma, ecco, ho bisogno di sapere una cosa, sai, mi serve per... il mio... lavoro."
Monica mi sorride come si sorride agli idioti. "Il tuo lavoro?"
"Proprio così. Tu hai fatto sesso con Endre, no?"
Lei corruga la fronte, sorpresa da una domanda tanto esplicita. "Sì, ma non vedo come..."
"E com'è?" la interrompo.
"Il sesso?" ok, ora mi sta guardando come se fossi una specie di maniaca.
"Sì. Cioè, no. Assolutamente no. Il sesso con Endre, intendo."
"Perchè non provi direttamente? Non è difficile."
Mi mordo un labbro. "Non ne ho dubbi. Quello che mi stavo chiedendo è se lui era dolce, o..."
Monica scoppia a ridere. "Dolce? Endre? Mi ha portato a casa, mi ha infilato sotto quelle lenzuola meravigliose e abbiamo fatto sesso. Una volta finito, mi sono rivestita e me ne sono andata."
"E lui?"
"Lui mi ha salutato con un 'arrivederci'." nella breve pausa, la ragazza accende una sigaretta. "Ma non capisco perchè ti interessi tanto."
Alzo le spalle. "Te l'ho detto, è per un lavoro."
Monica solleva un sopracciglio, soffiando fumo grigio ed evanscente. "Un lavoro o il tuo lavoro?"
"Entrambi." sussurro.
Monica sorride. "Hai una cotta per lui, non è vero?"
Respiro profondamente. "Può darsi."
"Io penso che tu stia perdendo tempo. Davvero, Endre è sexy e può farti passare bei momenti, ma rimarrai un corpo uguale a tanti altri, per lui. Conosco quel genere di uomini, e innamorarsi di loro porta solo guai." aspirando delicatamente la sua sigaretta, Monica mi rivolge un sorriso di congedo. "Buona fortuna, in ogni caso. Ne avrai bisogno."
Già, ne avrò bisogno.

"Credevo avesse il giorno libero, signorina." osserva Inga, vagamente preoccupata, quando apre la porta.
"Volevo parlare con Endre." spiego. "E' in casa?"
La domestica mi sbarra la strada verso il corridoio. "No. Forse potrebbe passare più tardi."
Mi sollevo sulle punte, tentando di sbirciare cosa sta accadendo in casa. Improvvisamente, un'idea mi ferisce e sento uno strano freddo che mi è familiare. Lo stesso freddo che sento ogni volta che il mondo mi delude. "Endre è qui dentro, non è vero?"
Inga abbassa semplicemente la testa, colpevole. "Sì, signorina."
Respiro profondamente, sentendo le lacrime affiorare. "E' con un'altra donna e..."
"Cosa?" esclama la domestica, quasi incredula. "Crede davvero che lui..." si guarda intorno, come per cercare le parole giuste. "Signorina Sophie, il signor Endre non sta bene, e mi ha esplicitamente chiesto di fare in modo che lei non lo vedesse in questo stato."
"Quale stato?"
Inga sospira e mi fa cenno di entrare, precedendomi lungo il corridoio, fino alle scale che separano il piano proibito da quello in cui lavoro. Mi sento terribilmente spaesata mentre la domestica mi invita a salire le scale e mi conduce nel luogo più disordinato, caotico e polveroso che io abbia mai visto. Una sala enorme, con un pavimento cosparso di libri, riviste, fogli, penne e oggetti non identificati. Le pareti dell'enorme stanza, alte almeno sei metri, sono interamente ricoperte da libri che traboccano dagli scaffali, come in una biblioteca. Al centro della stanza, una scrivania traballante, identica a quella su cui lavoro, con un computer scintillante. La carta da parati, motivo orientale di fiori, cade praticamente a pezzi e in alcuni punti è fatta a brandelli. "Questo posto..." sussurro, senza parole.
"Questo posto è il signor Endre." dice semplicemente Inga, indicandomi la camera da letto. "Se sto disobbedendo al mio datore di lavoro è perchè credo che lui ne abbia bisogno; la prego, faccia qualcosa." nei suoi occhi una tristezza millenaria. "Faccia qualcosa."
Quando entro nella stanza, il buio mi impedisce di scorgere Endre. Ci vuole qualche secondo perchè riesca a scorgere la sua sagoma, supina, sul letto. "Chi ti ha fatto entrare?" mi chiede, con una voce flebile e quasi inesistente.
"Inga." mi avvicino, e osservo il suo sguardo completamente inespressivo che fissa il soffitto. "Cos'hai, Endre?" chiedo, senza avere il coraggio di sfiorarlo.
"Non riesco a muovermi." mi spiega, senza muovere le labbra. "E' come se tutto diventasse improvvisamente troppo pesante, come se non ci fosse più aria. Come se fossi schiacciato da qualcosa di invisibile. Ma passerà."
Siedo accanto a lui, e guardarlo in quello stato è un pugno al cuore. "Ti capita spesso?"
"Mi capita." è la risposta, sussurrata. "Il mio psicologo sostiene sia legato al fatto che nessuno mi abbia voluto nella sua vita, ma non ci ho mai creduto. Non mi interessa che nessuno abbia avuto spazio per me nella sua vita. Io ho spazio per me, nella mia, e questo è abbastanza."
Mi mordo un labbro, accucciandomi accanto a lui e incastrando perfettamente il mio viso nell'incavo del suo collo. "Io ho spazio, per te. Ettari di spazio vuoto."
Senza neppure accennare a muoversi, Endre sospira. "Lo odio. Lo odio. Lo odio." ripete, la voce flebile.
"Cosa?"
"Odio la pietà. Non ho ricevuto altro, durante la mia infanzia. Ero il povero bambino che aveva perso la mamma e il papà e che viveva con uno zio che, si diceva, non avesse mai sorriso. Ero così fragile che gli altri bambini avevano paura di rompermi, stando troppo vicino. Le loro perfette mamme gli avevano insegnato che un bambino che piange ogni singola notte non è affatto una buona compagnia. Tranne Edward, certo. Poi sono cresciuto, e ho imparato a ignorare tutto quello che sentivo, tanto che sono riuscito a dimenticarlo. Non sento più nulla, Sophie. Non sento nulla, ci credi?"
Inspiegabilmente, sorrido. "No."
"No?"
"Se non sentissi nulla non saresti qui, paralizzato da qualcosa che non esiste."
Lo sento sospirare. "Sono diventato una persona di successo, ricco, discretamente famoso, rispettato. La fama ha occupato il posto della pietà e a me va più che bene, ma quando una persona mi viene troppo vicina... la sento tornare, negli sguardi dispiaciuti, nelle premure non necessarie. Perchè credi che abbia licenziato così tante assistenti? L'unica abbastanza fredda e glaciale da riuscire a ignorarmi mentre avevo un attacco di panico era Bianca, in effetti."

"Perchè l'hai licenziata?"
"Si è infilata nel mio letto, mentre dormivo, completamente nuda."
Mio malgrado, non posso fare a meno di ridere. Poi, osservando quel viso così duro eppure così debole, accarezzo lentamente i capelli di Endre, sfirandogli la fronte e le tempie. "Io non provo nessuna pietà per te, Endre. Io voglio solo che tu stia bene."
Lui piega impercettibilmente le labbra in quello che sembra essere un sorriso. "Non sei stata una notte, Sophie." mi sussurra.
Appoggiando la mia guancia contro la sua, sento il suo respiro sulla mia pelle. "Posso fare qualcosa per te? Per farti stare meglio?"
Improvvisamente Endre muove lentamente la mano, che cerca la mia. La stringo. "Rimani qui."
Annuisco. "Certo che rimarrò qui."
"Tra qualche minuto mi addormenterò, e dormirò per ore. Rimarrai qui? Me lo prometti?"
Sorrido. "Te lo prometto."
E, in realtà, gli ho promesso molto di più.

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Capitolo 12
*** Sophie e le prime volte. ***


"Non puoi essere seria!" esclama Endre, tenendomi per mano mentre attraversiamo la strada, in maniera quasi paterna.
Sorrido. "Te lo giuro." sorpassiamo un paio di vetrine e negozi scintillanti, e getto un'occhiata qua e là mentre continuo il mio racconto. "E poi Vladimir mi ha proposto di versarmi della panna sulla pancia, e fare una di quelle cose che nei film sembrano incredibilmente eccitanti."
Endre scoppia a ridere. "E hai accettato?"
Alzo le spalle. "Al diavolo, ho pensato, sono qui con un fantastico ragazzo russo dall'accento sexy che vuole usare il mio corpo come dessert. Per cui, sì, l'ho fatto. Vladimir è sgattaiolato in cucina, ha afferrato il budino che mia madre aveva preparato e ha tentato di trasformarlo in qualcosa di cremoso massaggiandolo con forza direttamente sul mio busto. Da allora, quando respiro profondamente, sento strani rumori tra le costole."
Lui ride. "Il budino, eh?"
Annuisco. "E mia madre ha sempre esagerato con la colla di pesce. Era un budino talmente solido che ci ho messo ore, a ripulirmi." rido, rendendomi conto che oggi è il ventiquattro Dicembre e che domani è finalmente Natale. E' strano come le cose sembrino andare per il verso giusto. "Comunque, Vladimir mi ha slacciato il reggiseno e ha cominciato a lamentarsi perchè non avevo abbastanza seno."
Endre mi cinge la vita con un braccio. "Io non mi sarei affatto lamentato."
"Sì, beh, il seno mi è spuntato a sedici anni, in realtà." ammetto. "E questa, in sostanza, è stata la mia prima volta. Non dimenticherò mai quella sensazione di dolore mista alla mia pancia appiccicosa."
"Che fine ha fatto Vladimir?"
"Oh, dopo aver scoperto che si chiamava Vladimiro e non era russo, ma aveva un problema al palato..." mi mordo un labbro. "E poi non era stato affatto carino con me."
"Non ho dubbi." commenta Endre, tra il sarcastico e il divertito.
"Ora tocca a te."
"A me?" sembra perplesso.
Annuisco, alzando le sopracciglia. "Credo di essermi umiliata abbastanza. Ora voglio che tu mi racconti la tua prima volta."
Lui aggrotta la fronte, cercando di afferrare un ricordo ormai sfuggito. "Non ricordo nulla."
"Come puoi non ricordare nulla?" chiedo, e la mia voce è un po' troppo alta. E acuta. Dio, odio la mia voce, quando diventa acuta.
"Avevo dodici, tredici, forse quattordici anni. Penso. E lei veniva a scuola con me. Non la ricordo." mi osserva, con un sorriso vago che gli segna il viso. "Ma non ha alcuna importanza. Comunque sia andata, con chiunque sia stata, non significava nulla. Le prime volte non significano mai nulla."
Tento di nascondere un velo di delusione. "Questo vale per ogni tipo di prima volta?"
"Certo. Le aspettative sono così alte che nessun piacere potrà mai raggiungerle; per questo nessuna prima volta può essere minimamente soddisfacente."
Mi gratto la testa. "Sei un mostro, un robot che si impadronirà della razza umana o un gran fan di Leopardi?" alla mia domanda, Endre risponde con un'espressione spaesata. Lo blocco con un gesto della mano. "Ok, non importa. Facciamo così. Hai mai assaggiato un succo di natale alla mela e alla cannella?"
Lui scuote la testa. "Mai."
"Perfetto." sorrido, raggiante. "Sto per regalarti una prima volta perfetta. Non ti deluderà." gli prendo la mano e, quasi correndo, lo conduco verso il piccolo Caffè alla fine della via, quello che serve succo di mela nei bicchieri con le renne. Oh, lo adorerà.

"Lo odio." ripete Endre, mandando giù un altro sorso della bevanda calda. "E' terribile."
"Ok, ok." sospiro. "Il tuo primo succo natalizio non è andato bene, così come il tuo primo dolce ai marshmallows..."
"... credo di avere la glicemia alta, dopo quella roba..."
"... e il tuo primo latte al caramello. Ma sono solo le dieci di mattina, e ti prometto che oggi ti regalerò una prima volta indimenticabile. Hai mai gettato una monetina nella fontana di Trevi? O messo la mano nella bocca della verità? Mai finto di essere in un vecchio film? Mai cucinato qualcosa? Oh, questa è buona!" sorrido, gonfiando il petto d'orgoglio. "Hai mai inventato una parola?"
Endre si stringe nelle spalle, e mi osserva con gli occhi stretti -ora di un verde quasi plastico. "La risposta a tutte le domande è la stessa: no, e non vedo perchè dovrei farlo."
Ignorandolo, mi gratto la testa. "Ok, posso inizieremo dalla bocca della verità. Poi..."
Lui mi interrompe con un gesto della mano. "Perchè invece non andiamo in un posto che ti piace, semplicemente?"
Tamburello con le dita sul tavolo, osservando il latte al caramello di Endre, praticamente intatto. "Mi piacerebbe andare alla galleria d'arte in fondo alla strada. C'è un quadro meraviglioso, un paesaggio sui toni del blu, che potrei osservare per ore. Peccato che sia in vendita per novemila euro." sospiro.
Endre annuisce, sicuro, e tira fuori un portafogli lucido da cui estrae una banconota da cento euro, che poggia sul tavolo. "Dai, andiamo."
"Ma il resto..."
"E' la mancia."
Ok, seriamente, chi lascia novanta euro di mancia? E soprattutto, chi lascia novanta euro di mancia in un Caffè minuscolo dove una ciambella alla crema costa cinquanta centesimi? Tra gli sguardi stupiti delle cameriere, Endre raggiunge la porta con un passo sicuro e forte. Sembra quasi invincibile, con il completo costoso che gli accarezza le spalle larghe. Lo seguo, affrettando il passo per raggiungerlo, e camminiamo senza realmente dire una parola per una decina di minuti. "Oh!" non posso fare a meno di esclamare, il viso poggiato contro una vetrina come un bambino davanti a un negozio di giocattoli. "Adoro questo negozio. Dovrebbero girare 'colazione da Louboutin'." esclamo, indicando un paio di décolletées lucide, con un piccolo plateau e la suola rosso sangue.
"Sarebbero perfette su di te. Entriamo."
"Cosa?" rido, scacciando l'idea con un gesto. "Costano ottocento euro, Endre. Non posso permettermelo."
"Ti pago troppo poco?"
"Oh, no!" esclamo. No, Endre non mi paga troppo poco. Affatto. "Ma sto cercando di risparmiare. Voglio aprire una specie di Caffè letterario, un giorno."
"Vuoi che le prenda per te?"
Scuoto la testa. "Mi piace stare qui a guardarle. E' divertente."
Endre alza le spalle, e mi sembra insoddisfatto. "Come vuoi. Ti dispiacerebbe venire a cena da me, stasera? Verrà mio zio, da Londra, con Ewan. Vorrei che ci fossi."
"Ewan?" chiedo, curiosa.
"E' un mio amico." spiega, come se fosse la cosa più naturale del mondo.
"Ci sarò."
"Devo avvertirti: mio zio non è esattamente amichevole, e Ewan è una specie di inguaribile dongiovanni."
"Oh, capisco cosa avete in comune." affermo, un tantino troppo sarcastica.
La risposta di Endre consiste in una scrollata di spalle. "Mio zio non è affatto amichevole." si corregge.

"Sei bellissima." esclama Davide, vedendomi attraversare la sala scalza, con indosso un abito con la vita impero che mi accarezza i fianchi, di un colore acquamarina luminoso ma non appariscente. Lo adoro, in effetti. Faccio un piccolo inchino. "Ballerine o tacchi alti?" chiedo, rivolta a Dafne, che sgranocchia cereali.
"Oh, a proposito! Endre ha mandato un pacco. Ho ovviamente letto il biglietto..."
Faccio roteare gli occhi. "Ovviamente."
"Ovviamente. C'è scritto qualcosa su 'colazione da Louboutin'."
Mi precipito nell'ingresso, dove tra riviste e lettere impolverate un pacco scuro e lucido mi sta chiedendo di essere aperto. "Voglio che tu indossi queste scarpe stasera, E.D." Quando apro il pacchetto trovo il paio di Louboutin che mi strizzavano l'occhio dalla vetrina, stamattina. Sono assolutamente perfette, e so che dovrei essere eccitata, felice, eccetera. Ma a dire la verità mi sento piuttosto spaesata. Perchè le ha prese? Avevo detto che non potevo prenderle, che non ne avevo bisogno. Le indosso, sapendo che non potrei fare altrimenti.
"Sono davvero belle." ammette Dafne, raggiungendomi all'ingresso. "Devono costare molto."
"Troppo." sospiro. "Le ho viste stamattina, con lui. Chiamami ingrata, ma detesto che le abbia prese."
Davide sbuffa. "Sei troppo orgogliosa, Sof. Sapeva che ti piacevano e che non potevi permettertele, lui poteva, te le ha prese. Ecco tutto."
"Lo so. Ma non ce n'era bisogno. Non ce ne era affatto bisogno."
Davide mi risponde con una scrollata di spalle, mentre io infilo la giacca, pronta alla mia cena con Monsieur Blanc, lo zio-affatto-amichevole di Endre.

Ora, niente affatto amichevole è decisamente un eufemismo. Monsieur Blanc, pur avendo origini francesi, ha un forte accento londinese che lo rende inspiegabilmente antipatico. Ewan, invece, ha uno sguardo divertito e luminoso e parla un italiano impeccabile.
"Quindi, Endre." dice Blanc, in tono solenne. Praticamente ogni sua frase inizia con 'quindi, Endre'. Quanto a me, credo non si sia accorto della mia presenza. "Stai scrivendo un nuovo libro?"
Endre annuisce, stuzzicando il suo pollo con la forchetta, senza mai metterlo in bocca. "Esatto."
Dodici secondi di imbarazzante silenzio. "Quindi, Endre." riprende l'anziano signore con i baffetti ispidi. "Credi ancora che la scrittura sia un modo degno di vivere?"
Lui, di nuovo, annuisce. "E' così, in effetti, zio."
"Ti sbagli." le parole sono glaciali, taglienti come lame. Non immagino come si possa crescere con un uomo del genere.
Altri ventuno secondi di silenzio. "Quindi, Endre, tu e Ewan avete intenzione di deludermi per il resto della mia vita?"
Ewan sospira sonoramente, mentre io immagino i cento modi in cui potrei uccidere quest'uomo.
"Non sarete mai come Edward." aggiunge il signor Blanc, abbassando lo sguardo.
Ewan sorride. "Oh, il caro santo Edward dal Regno Della Carità. Come potremmo mai raggiungere quell'uomo, zio? Io personalmente mi limito a venerare la sua icona, ogni sera."
Senza volerlo, mi sfugge una risatina, e gli occhi di Monsieur Blanc sembrano trapassarmi. "Quindi, Endre, la tua assistente si sta divertendo? Mi chiedo come si possa invitare la servitù a cena. Non ti ho insegnato nulla, non è vero?"
"Grazie al cielo." commento, senza riflettere. "Ora, se sua signoria vuole scusarmi, la servitù deve tornare a lucidare i pavimenti, parlare con i topolini e sognare un ballo al castello del Principe Azzurro."
Con una punta di soddisfazione, mi alzo da tavola e rimango nel mio studio per rispondere a corrispondenza immaginaria. Dopo circa mezz'ora, qualcuno bussa alla porta. Mi alzo per aprire a Endre, ma mi trovo davanti Ewan, sorridente e soddisfatto. "Ciao!"
Sospiro. "Ciao. Mi odia, non è vero?"
"Chi, il vecchiaccio? Lui odia tutti."
Scuoto la testa. "Endre."
Ewan alza le spalle. "Endre ha una certa tendenza a farsi umiliare dal vecchiaccio, ma tu sei stata fantastica."
"Lo conosci da molto?" chiedo.
"Da quando venne ad abitare a Londra. Io, lui e Edward eravamo nella stessa classe. Quando Jean -il signor Blanc- scoprì che ero piuttosto dotato, mi prese sotto la sua ala. Fece la stessa cosa con Edward. Ci pagò le migliori scuole, e fu incredibilmente buono con noi. Pensavo che fosse una persona burbera ma gentile, ma credo che lo facesse solo per averci in suo potere. Per manipolarci. Io, però, feci tutto quello che mi passava per la testa, mentre Edward seguì le volontà del vecchiaccio. Per questo Endre lo ha sempre preferito a me. Sperava di ottenere un'approvazione che soltanto Edward avrebbe potuto ottenere. Endre non è come lui. Endre non ucciderebbe mai tutto quello che ha dentro per eseguire gli ordini di un patriarca, mentre Edward è riuscito a farlo."
Mi mordo un labbro. "Sarà meglio che vada a cercarlo."

Endre è nella sua stanza, sdraiato sul letto, immerso in un buio e un silenzio immobili. "Sei contenta?" mi chiede, incredibilmente aggressivo.
"Mi dispiace."
"Avresti potuto pensarci prima."
Siedo sul bordo del letto, respirando profondamente. "Perchè lo fai? Perchè lasci che quell'uomo ti umili in quel modo?"
Lui si siede, e nonostante il buio posso percepire la rabbia nel suo sguardo. "Quell'uomo è la mia famiglia, Sophie. Quell'uomo è quasi tutto ciò che ho."
Scuoto la testa. "Quest non è vero, Endre. Hai Edward. Hai Ewan. Hai me."
"Tu scapperai non appena ne avrai l'occasione."
Sospiro. "Non ne ho la minima intenzione."
"Domattina, quando scarterai i tuoi regali di Natale, troverai il quadro che abbiamo visto stamattina, alla galleria."
"Non dovevi prenderlo."
Endre si alza. "Ti piaceva."
"Mi piaceva attaccato alla parete della galleria. Non ne avevo bisogno."
"Ma è tutto quello che posso offrirti." sussurra, e quelle parole mi lacerano.
Mentre migliaia di lacrime che non hanno mai visto la luce del sole mi rigano le guance, mentre gli prendo la mano. Lui si scosta. "Endre, tu puoi offrirmi te stesso. Non chiedo altro."
"Non c'è nulla di interessante, in me. Non ho un cognome. Non ho una famiglia. Ho la tendenza a deludere le persone che amo."
"Perchè è così importante per te? Perchè credi che avere una famiglia, o un cognome, sia tutto?" mi ritrovo a gridare.
Endre rimane calmo. "Per te è facile, non è vero? Hai cinque sorelle, hai una madre, un cognome di cui sai persino il significato. Tu sai chi sei."
"Se so chi sono non è perchè so da dove vengo."
"Forse, ma io non so neppure quello. Passo la mia vita a chiedermelo, e non hai idea di quanto sia doloroso. Vuoi sapere perchè non mangio? O perchè non dormo? Perchè vivo in una specie di limbo in cui niente ha sapore e non c'è differenza tra sentirsi stanchi o riposati. E tu odi questo. Lo odi talmente tanto da aver cercato per tutta la mattina di farmi avere una prima volta. Di tirare fuori da me qualcosa che non sono."
"Tu hai tutti i colori del mondo, dentro di te." singhiozzo. "E tutti i profumi, e tutte le sfumature. E lo so perchè ho letto i tuoi libri. Volevo solo tirare fuori quello che sei e stai nascondendo persino a te stesso. So che fa meno male, fingere di non sentire nulla. Ma finirai per diventare un'ombra, Endre."
Lui si siede, di nuovo. "I miei libri sono solo parole."
"Sono molto di più e..."
"Basta, Sophie!" ora Endre sta gridando. "Basta!"
"Io sono innamorata di te." confesso, piangendo senza sosta.
"No, non lo sei. Sei innamorata dei miei libri. Se innamorata di un Endre che esiste solo nella tua testa."
Scuoto la testa. "No. Io sono innamorata di te, Endre. Ma a questo punto mi chiedo se tu provi lo stesso."
Segue un lungo silenzio. "Siamo stati bene, Sophie. Sei una brava ragazza. Ma l'amore è un'altra cosa."
L'amore è un'altra cosa. Stupida, stupida illusa. Senza neppure pensare, esco dalla stanza e percorro la strada che mi separa dalla porta in una specie di trance. Quando sono a casa, quaranta minuti più tardi, non sento nemmeno più freddo. Buon Natale, Sophie.

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Capitolo 13
*** Sophie e Ewan. ***


"Sophie, devi superarlo."
Sollevando le sopracciglia, mi allungo sulla mia nuova sedia reclinabile. Fa sembrare lo studio più grande, lo giuro. "Superare cosa?"
Ewan sospira con aria grave. "Endre. Non ti conosco da molto, ma sono davvero stufo di vederti in questo stato! Smettila di piangerti addosso! Non hai più dignità!" continua, esasperando ogni singola parola. "Ma guardati! Quante ore hai dormito, stanotte?"
Sospiro, facendo roteare gli occhi. "Dieci."
Lui annuisce. "Ecco, ve... dieci?" aggrotta la fronte. "Hai per caso finito il fondotinta?"
"Smettila, Ewan. Non verrò in quel locale con te, stasera."
"Ma è l'occasione perfetta, Sophie! Hai passato troppo tempo a pensare a Endre..."
"... sono passati sei giorni..."
"... e una serata tra amici ti farebbe bene."
Mi guardo distrattamente le unghie. "No, Ewan, non verrò con te in un locale di scambisti fingendo di essere tua moglie, così che tu possa fare sesso con la più bella del locale perchè sai barare al gioco degli orologi."
Lui alza le spalle. "Ho una buona memoria."
"E poi noi non siamo amici. Ti conosco da sei giorni."
"Dettagli. Andiamo, puoi venire e poi fingere di sentirti male se ti capita il classico cinquantenne pelato e insoddisfatto."
Fingo un sorriso. "Credo che rimarrò a casa."
"Per piangere? Ingoiare il contenuto del frigo?" mi chiede Ewan, che negli ultimi quattro giorni ha tentato di convincermi in tutti i modi a partecipare a uno scambio di coppie. Stamattina ho persino trovato un bigliettino sullo specchio. Non voglio immaginare come ci è arrivato.
"Non ho intenzione di piangere, ma la parte sul cibo sembra interessante. Guarderò un film..."
"Che tipo di film, esattamente?" indaga lui, mentre premo 'aggiorna' sulla mia casella e-mail. E' un'azione che compio centinaia di volte al giorno, ormai, nella speranza che un'e-mail di Endre arrivi. In effetti, ne ricevo un paio al giorno, ma quelle del mio ragioniere sono più affettuose. Almeno ha la premura di aggiungere "saluti" alla fine.
"Sicuramente non Die Hard."
"E' ovvio. Sei una donna. Guarderai Harry ti presento Sally, Sabrina, Colazione da Tiffany e insisterai per ore su come fosse perfetta la Hepburn."
Ok, quest'uomo conosce il genere femminile. "La Hepburn era perfetta. E ora, se potessi andare in camera tua..."
Dalla fatidica cena con lo zio Blanc, molte cose sono cambiate. Ewan si è trasferito qui per ragioni a me sconosciute, e occupa la stanza del sesso di Endre. Devo ammettere che averlo attorno mi aiuta a pensare di meno.
"Non posso andare in camera. E' occupata."
Nell'ultima settimana, la camera è stata occupata da tre ragazze diverse, e se una parte di me vorrebbe solo urlare, l'altra piange ogni volta che una giovane seminuda se ne va.
"Io ci credevo davvero. Io credevo in Endre. Credevo che fosse diverso dall'immagine che mostrava al mondo."
"Lo è."
"Non lo credo più." sospiro.
Ewan tenta di sorridere. "L'altro giorno, al bar, ho incontrato una ragazza."
Momento-aneddoto. Sicuramente ora dirà: bella, belle tette, bel sorriso.
"Capelli biondi. Bella, belle tette, bel sorriso."
Bingo. "La cosa non mi stupisce."
"Abbiamo cominciato a parlare di quanto i coloranti dei cocktail siano dannosi."
"Una conversazione tra intellettuali." commento, alzando le sopracciglia.
Ewan mi ignora. "E poi, dal nulla, ha cominciato a parlarmi del suo ex. Di come non la amasse più, dei suoi dolori, dell'orgoglio infranto. Risultato? Le ho detto di aspettarmi un secondo e me ne sono andato. Questo ti insegna qualcosa?"
"Che devo parlare del mio ex per liberarmi di gente come te?"
Lui scuote la testa. "Più a fondo, Sophie."
Poggio un dito sulle labbra. "Che sei una persona crudele?"
"Che bisogna andare avanti! Reagire!"
"Già. Il tuo amico sembra essere un maestro, nel reagire." commento, mentre la ragazza numero quattro percorre il corridoio. E' così vicina che potrei strangolarla. E lo farei volentieri. "Sai una cosa? Ho intenzione di uscire con te, stasera. Voglio incontrare un ragazzo anche io. Bello, bel sorriso, niente tette."
Mentre Ewan mi rivolge un sorriso soddisfatto, io lo guardo negli occhi. "Ma non nel locale per scambisti."
"Sei davvero, davvero, davvero noiosa."

"Ne voglio un' altra." dico al barista, sfoggiando il bel sorriso che l'alcol mi ha regalato. Il corpulento omone mi porge una tequila.
Ewan, nel frattempo, siede a due metri da me. Dice che è più facile attirare persone, se fingiamo di non conoscerci. Nel frattempo, dalla radio esce la voce di Endre. Dafne, una volta, mi ha raccontato una storiella cinese a riguardo. O forse era indiana. O tibetana. Forse non era nemmeno una storiella, ma quello che ricordo è che 'se l'universo vuole che tu veda qualcosa, te lo mostrerà'.
Grazie, universo, ma posso fare a meno della voce calda e forte di Endre.
"Sì, il mio libro uscirà la prossima settimana." sta dicendo, mentre il presentatore del programma tesse le sue lodi come uno che è pagato profumatamente per farlo. "Il libro di E.D. uscirà in contemporanea in dieci Paesi, e E.D. in persona compirà un tour nei dieci giorni successivi all'uscita! L'evento avrà inizio nella libreria Feltrinelli di Roma, a cui seguirà la Oxford Bookshop di Londra e..."
Tiro fuori il mio Blackberry nuovo e invio un'e-mail a Endre per sapere se devo partire con lui. Il Blackberry è un suo regalo. Da quando mi ha gentilmente liquidato, ricevo regali a bizzeffe. La sedia reclinabile, il computer nuovo, il Blackberry, due paia di scarpe, libri, biglietti per il teatro. Li trovo semplicemente sulla mia scrivania, come se nessuno li avesse posati lì. Dafne sostiene che dipenda dal senso di colpa, ma Dafne sostiene un sacco di cose.
"Hey, Sophie." mi sussurra Ewan, avvicinandosi e sgomitando. "Quel tizio ti sta fissando. A ore tre."
Mi ravvio i capelli. "Cosa devo fare?"
"Guardalo. Tre secondi, poi fingi di parlare con qualcuno. Guardalo di nuovo, ma più a lungo. Dopo tre sguardi sarà tuo."
Avrei dovuto leggere Cosmopolitan più spesso. Mi giro e guardo il bel tizio per uno, due, tre, quattro, cinque... ok, Sophie, gira la testa... ce l'ho fatta. L'ho fissato per quindici secondi e ora è convinto che io sia una maniaca. Ne sono sicura.
"Sophie." mi dice gentilmente Ewan. "Prova a non fare quella smorfia, distendere la bocca e tenere gli occhi aperti."
Ok, va bene. Sguardo numero due. Sono tranquilla. Sono sciolta. Mi giro. Uno, due, tre, quattro, cinque secondi. Perfetto. Mi concentro sulla mia tequila, la mando giù tutta d' un sorso e passo all'occhiata numero tre. Non appena mi giro, un bel ragazzo con la camicia lucida aperta cinge la vita del mio tizio e lo bacia. Perfetto. E' gay. E fidanzato.
"Hai visto, Ewan... Ewan?"
Ewan non può rispondermi, perchè la sua lingua è infilata nella bocca di una rossa alquanto passionale. "Un'altra tequila." ordino, mentre il mio Blackberry squilla. E' Endre. "Non ce ne sarà bisogno." Sono contenta di non dover partire con lui. Davvero. Mando giù la tequila. Ora sono un po' più contenta. Altre dodici e arriverò a gioire.

Quando mi sveglio, mi sento come se non bevessi da anni. Apro gli occhi, pianissimo, e sento la testa che pulsa. Devo aver bevuto davvero, ieri sera. Mentre tento di ricordare cosa sia successo, la porta si apre. Chiudo gli occhi. "Ora devo tornare a casa." è la voce di Endre.
"Rimango io con lei." risponde Ewan.
"Falla bere molto. I suoi coinquilini hanno detto che torneranno dal lavoro tra un paio d'ore."
E' pieno pomeriggio, quindi. Mentre tento di alzarmi, Ewan entra nella mia stanza e scuote la testa. "Quindi sei così quando ti svegli la mattina, eh? Non mi sorprende che tu abbia un'intera profumeria in bagno."
Molto lentamente, faccio leva sulle mani e mi ritrovo in piedi. La testa pulsa e vedo tanti puntini iridescenti intorno a me, ma per il resto sto una meraviglia. "Sono così solo dopo una sbronza. E perchè diavolo sai cosa ho nel bagno?"
Lui ridacchia. "Come pensi sia arrivato il mio biglietto sullo specchio, ieri?"
Rassegnata, scuoto la testa. Appoggiandomi al muro arrivo fino alla cucina, dove la luce abbagliante del sole mi fa lacrimare gli occhi. "Abbassa le serrande, per favore."
"Certo. Ti preparo qualcosa? Acqua e cracker?"
"No, grazie. Ho il mio rimedio." rispondo, versando il latte in un pentolino e accendendo la fiamma. Ognuno ha il suo cibo post-sbronza, questo si sa. Dimmi cosa mangi dopo aver bevuto tredici tequile e ti dirò chi sei. Dafne beve litri di succo di aloe, Davide mangia messicano, mia madre rimane digiuna due giorni. Il terzo fidanzato di mia madre optava per un'altra dose di vodka, ma questa è un'altra storia. Io spezzo il pane, lo cospargo di zucchero e ci verso sopra il latte bollente. La stessa cosa che mi faceva mangiare mia madre quando avevo gli incubi. "Era Endre, quello che ho sentito prima?"
Ewan annuisce. "Mi ha chiamato perchè non sei andata al lavoro, stamattina."
Sospiro, spargendo zucchero sul pane. "Non ha bisogno di me, in ogni caso."
"Scommetto che ti sbagli."
"Sta partendo per un tour e mi ha detto che non c'è bisogno che vada con lui."
"Lo ha detto." Ewan alza le spalle. "Non vuol dire che lo pensi davvero. Dopo che lo hai lasciato..."
Spalanco gli occhi. "Per prima cosa, non stavamo nemmeno insieme. Eravamo... qualcosa. E se proprio c'è qualcuno che ha lasciato, tra di noi, non sono certamente io. Mi ha detto che l'amore è un' altra cosa, Ewan."
"Non hai idea di quanto sia difficile per lui. Lui è..."
Mi mordo un labbro. "Sai una cosa? Mi sono stufata. Mi sono stufata di tutta questa storia del poeta maledetto, dell'auto-distruzione, della sensibilità del poeta. Ci siamo già passati, con l'assenzio, Baudelaire e tutto il resto." sospiro. "Ho deciso che non voglio un albatro. Voglio un pinguino."
Ewan scoppia a ridere. "Un pinguino?"
"Ok, la metafora è uscita male. Ma sai benissimo cosa intendo, no? Voglio una persona che si trovi bene in questa terra."
"Buona fortuna con i tuoi pinguini, allora. Ti hanno ridotto piuttosto bene." sulle sue labbra c'è un sorriso fastidioso. "Ma voglio farti leggere una cosa."

 

Graaaazie a tutte siete buonissime *_* davvero troppo!
In questo capitolo c'è un riferimento ai poeti maledetti (Baudelaire, Rimbaud ecc.) e più precisamente alla poesia "L'Albatro" di Baudelaire, dove il poeta è paragonato a questo uccello che domina il cielo per via delle grandi ali, ma sulla terra (la società) è goffo e sgraziato, proprio per queste stesse ali. L'artista è quasi "inadatto" alla società, ma domina la poesia. Il paragone con il pinguino viene di conseguenza: il pinguino ha ali minuscole e non vola. Un po' l'opposto dell'albatro, insomma. Molti probabilmente lo sapevano, ma ci tenevo a precisarlo, anche perchè amo questa poesia e i simbolisti in generale.

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Capitolo 14
*** Sophie e i diamanti. ***


"Cosa vuoi farmi leggere?" chiedo, per l'ennesima volta. Ewan mi zittisce con un gesto. Per l'ennesima volta. Nel tragitto tra casa mia e quella di Endre non ha praticamente detto una parola, e comincio a sentire una strana tensione alla bocca dello stomaco. Ora sta cercando qualcosa di indefinito nella sua valigia, che non è ancora stata disfatta.
"Eccola qui! Sapevo di averla conservata!" esclama, soddisfatto, porgendomi un foglietto spiegazzato. La scrittura è aguzza, e ricorda quella di un bambino che ha imparato a scrivere da solo. Ewan sorride. "Endre mi ha spedito questa lettera circa quattordici anni fa. All'epoca si era trasferito da poco in Italia, e mi mandava fino a venti lettere al mese. Credo che gli mancasse Londra. Voglio che tu la legga."
Spiego il foglio, passandolo tra le mani, e lo osservo da vicino.

"Caro Ewan,
Ti scrivo per non impazzire. Esiste forse un miglior motivo per scrivere? Mi sembra che fissare i miei pensieri sulla carta dia una dimensione alle cose, le renda reali, palpabili, vere. Perchè è come se stessi vivendo un sogno, qui. Uno di quelli strani, né belli né brutti, in cui non desideri altro che svegliarti e tornare a una realtà che non ti dia il capogiro. Ma dov'è il mio pezzo di realtà?
Vivo in una grande casa con duemila stanze inutili. Lo zio ha voluto che portassi Inga con me, e sebbene questo dovrebbe confortarmi, non fa altro che ricordarmi che questo non è il mio posto. Non era il mio posto neppure la villa di Londra, dove non ero altro che l'ospite dello zio Blanc. Non era il mio posto, prima d'allora, l'angusto appartamento di Parigi in cui la gente piangeva mia madre. Chissà se avrò mai un mio posto.
La città è bellissima. Dovresti vederla. Le lezioni di italiano che lo zio Blanc ha tanto voluto sono servite, perchè credo di parlare italiano meglio di chi è nato qui. Probabilmente per te varrà lo stesso.
In questo momento dovrei salutarti, eppure non voglio nasconderti che c'è stato qualcosa, in questo mio soggiorno a Roma, che ha rotto la mia surreale monotonia. Mi trovavo in una libreria per promuovere l'ultimo libro, e si è avvicinata una bambina. Aveva gli occhi color acquamarina, brillanti come un mare da cartolina, che sembravano riflettere tutta le luce di questo mondo. E sorrideva, uno di quei sorrisi che fanno dimenticare tutto. Non saprei dirti perchè, o come; ma guardandola, mi sono sentito come se fosse più facile respirare. Come se, con lei nei paraggi, niente di male sarebbe potuto accadere. Si chiama Sophie, la bambina dagli occhi color acquamarina. Non la conosco, e probabilmente non la conoscerò mai, ma voglio regalarle un titolo. Un titolo è poco, dirai. Un titolo è tutto ciò che posso offrire, ora come ora. Ma voglio ringraziarla per avermi dato l'unico istante di felicità di questi ultimi anni. Se mai un giorno la rivedrò, le regalerò delle rose. La portarò in un bel posto, perchè per allora sarà cresciuta. Le regalerò parole. Non ho molto altro, ma sono sicuro che lei le apprezzerà.
Saluti da Roma,
Endre."

Senza sapere esattamente cosa dire, apro appena la bocca, ma Ewan mi blocca, stringendomi la spalla. "Sophie, sei importante per lui. Non importa quanto lui cerchi di negarlo, o quanto tu voglia un pinguino; credo che l'albatro abbia bisogno di te."
Sospiro. "Sono passati quattordici anni."
"Quattordici anni e gli sei più vicina che mai."
"Mi ha allontanato." replico, ripiegando con cura la lettera e porgendola a Ewan, che scuote la testa. "Dovresti tenerla tu." sussurra, posando una mano sulla mia. "E dovresti parlare con lui."
Mordendomi un labbro, infilo la lettera nella mia borsa. "Posso chiederti perchè hai cercato in tutti i modi di farmi superare Endre nell'ultima settimana, per poi dirmi che devo stargli vicino?"
"Ero convinto che in questo modo te ne saresti accorta da sola. Aveva un significato? Il bar, lanciare occhiate a sconosciuti, cercare qualcuno con cui fare sesso?"
Scuoto la testa. "Non sembra essere un problema per te, però."
"E' perchè non ho ancora trovato qualcosa che abbia significato. E non sto parlando di amore, Sophie, perchè non credo all'amore." Ewan respira profondamente, assumendo un'aria grave. "Non a quello romantico, ai fiori, agli appuntamenti, al matrimonio, alla comunione dei beni e alle fedi. Ma quando tra due persone c'è una connessione così forte da sembrare inevitabile, allora queste persone dovrebbero stare vicine. Non importa come."
"Avevi intenzione di farmelo capire portandomi in un locale per scambisti?" chiedo, vagamente scettica.
"Oh, no. Quello era solo per divertirmi un po'."

"E' la cosa più bella che abbia mai letto." sussurra Davide, tenendo la lettera tra le mani come se fosse la cosa più preziosa del mondo. "Credo che potrei piangere."
Dafne, accoccolata sulla sua poltrona, sbuffa. "Hai il ciclo, per caso?" chiede, facendo roteare gli occhi.
"Solo perchè non sono insensibile come te..."
"Io non sono insensibile." replica Dafne, senza battere ciglio. "Io osservo la realtà. E i fatti sono chiari. Endre può aver buttato giù quattro parole quattordici anni fa, ma questo non giustifica i suoi comportamenti."
Alzo le spalle. "Dovrei parlargli?"
"No!" esclama Dafne, mentre Davide grida un "Sì!", alzandosi in piedi. "Sì, Sof, devi parlargli!"
"Assolutamente no." lo interrompe la mia amica, sbattendo le palpebre più volte. "Non siamo in Jane Eyre, qui. Niente fantasma dell'Opera. Gli uomini che devono combattere con i propri mostri sono perfetti sulla carta, ma insopportabili nella realtà."
"Hai ragione!" esclamo, vedendo tutto più chiaramente. "Hai assolutamente ragione, Dafne. Combattere contro i propri mostri deve essere insopportabile."
"Beh, non è proprio quello che ho det..."
"Devo andare da lui. Devo andare da lui. Devo andare da lui." ripeto, afferrando la borsa e il cappotto e precipitandomi fuori, senza salutare i miei coinquilini. Improvvisamente, tutto sembra andare al proprio posto, come il preciso momento in cui si completa un puzzle. La situazione è davanti a me, nella sua totalità, ed è come se capissi cosa che non avevo compreso prima.

Non appena Endre mi apre la porta, quella sensazione di liberatoria chiarezza svanisce, lasciando spazio a una confusione che mi impedisce di respirare profondamente. Indossa un completo scuro, con una camicia color carta da zucchero e una cravatta dal nodo perfetto. Il viso, stanco e non perfettamente rasato, mi rivolge quello che vorrebbe essere un sorriso. "Cosa ci fai qui, Sophie? Devo andare a Londra tra un paio d'ore."
"Posso venire con te?" chiedo, quasi sussurrando.
"Non è necessario."
"Ma posso lo stesso?" c'è qualcosa di infantile nella mia voce, e quando me ne rendo conto arrossico violentemente. "Mi fai entrare?"
"Per pochi minuti." precisa Endre, aprendo la porta abbastanza da permettermi di entrare. Mi dirigo a grandi passi verso il salotto, dove siedo su una poltrona scura.
"Mi dispiace." dico, semplicemente.
"Ti dispiace."
"Sì."
"E' piuttosto interessante, dato che non hai nulla di cui dispiacerti." afferma Endre, prendendo posto nella mia stessa poltrona. I suoi vestiti frusciano a contatto con i miei.
"Mi dispiace per quello che c'è stato tra di noi." spiego.
"Non c'è stato nulla, tra di noi."
Respiro profondamente. Sono forte. Sono sempre stata forte, e posso tenere a bada i miei punti deboli ancora per un po'. "Allora mi dispiace per quello che non c'è stato, tra di noi." sospiro. "Ricordi quando mi hai detto che sono una brava ragazza, ma l'amore è un'altra cosa?"
Endre annuisce, senza mutare espressione, impassibile come una maschera. "Lo ricordo."
"Non mi sembra una valida ragione per farmi sparire dalla tua vita."
Lui scuote flebilmente la testa. "Non voglio farti sparire dalla mia vita."
"Mi hai tagliato fuori dal tuo tour europeo, per cominciare. E praticamente non ho avuto nessun incarico nell'ultima settimana. Hai smesso di parlarmi." spiego semplicemente, mentre lui sembra infinitamente triste. "Non voglio farti sparire dalla mia vita." ripete.
"Ma lo stai facendo. Non ho la presunzione di conoscerti, ma so che devi lottare contro i tuoi mostri, ogni giorno. Ti sto solo chiedendo se posso farlo accanto a te."
"E' una battaglia persi in partenza." sussurra Endre, coprendo il volto con le mani per qualche secondo.
"Credi che potremmo provarci di nuovo?"
"Mi stai chiedendo di essere amici, Sophie?"
"Sì, credo." rispondo piano, pur sapendo bene che quello che voglio è molto di più. "Possiamo essere amici."
Endre fa scorrere il dito lungo il mio braccio. "Ho qualcosa per te."
"E' un regalo?"
Lui annuisce, tirando fuori dalla tasca una minuscola scatola verde smeraldo. "Volevo lasciarlo sulla tua scrivania, ma credo che dovrei dartelo di persona."
Apro il piccolo contenitore e scorgo un anello di platino con tre pietre, la cui gemma centrale è... "Un diamante, Endre? Credo sia un po' troppo."
Lui sorride, accarezzandomi il viso. "I diamanti hanno circa due miliardi e mezzo di anni. Non è incredibile? Sono sulla terra da molto più tempo di noi eppure ci permettiamo di portarli al dito. I diamanti sono fatti di grafite, nient'altro che grafite. La stessa grafite che costituisce la mina delle matite." Endre fa una pausa, infilando l'anello al mio anulare destro. "Al mondo, siamo tutti grafite. Abbiamo pensieri, sentimenti, idee e bisogni. Ma ci sono milioni, miliardi forse, di matite, pronte a spezzarsi non appena si presenta l'occasione. I diamanti, le pietre più dure e più brillanti tra tutte, si contano sulle dita di una mano. Tu sei un diamante, Sophie, e lo dico unicamente perchè ne sono certo."
"Io..." tento, sopraffatta dalle sue parole.
"Vedi le due piccole pietre accanto al diamante? Le hai riconosciute? Sono due berilli. I berilli sono minerali formati da berillio, alluminio, silicio e ossigeno, ma a seconda delle impurità presenti posso assumere tante sfumature diverse. Possono diventare smeraldi, ad esempio, smeraldi dal color cupo come i miei occhi; ma possono anche trasformarsi in lucenti, vibranti acquamarine. Sono del colore dei tuoi occhi." mi spiega Endre, indicando le pietre che contornano il diamante. "Non lo trovi meraviglioso? I miei e i tuoi occhi non sono altro che due aspetti diversi della stessa identica cosa."
Sopraffatta dalla sua voce forte e calma, non posso fare a meno di sorridere. "Sei davvero bravo, con le parole." osservo il mio anello. "Ma voglio fare qualcosa per te anche io. Mi chiedo se, per una volta, me lo permetterai."
Endre annuisce con un cenno, prendendomi per mano.

Ci vuole quasi un'ora per preparare tutto, ma finalmente posso togliere la benda dal volto Endre, che spalanca gli occhi di fronte a sei tazze di cioccolata.
"Cosa diavolo è?" chiede, scettico.
"Cioccolata calda."
"Hai intenzione di farmi venire il diabete?"
Sorrido. "So che sembrano uguali. In parte lo sono, ma voglio che tu le assaggi, una a una, e mi dica che sapore hanno."
Imprevedibilmente, Endre obbedisce e porta alle labbra la prima tazza. "E' dolce. Troppo dolce. E ha dei granelli di zucchero dentro." commenta, disgustato.
"E' meringa." spiego, porgendogli la seconda tazza.
Endre chiude gli occhi, lasciando che il liquido scuro gli inondi la gola. "E' dolce, fruttata, eppure acidula. Fragola, forse?"
"Fragola e Lichi."
"Questa, invece, è indubbiamente al cocco. E questa... è forte e amara. Caffè. Odio la cioccolata calda." aggiunge poi, rivolgendomi una smorfia di disgusto.
"Te ne mancano solamente due."
"Mandorla!" esclama lui, sorseggiando la tazza numero cinque. Quando porta la sesta tazza alle labbra, un sorriso irriverente compare sul suo viso. "Oh, eccoti, Sophie! Cioccolato al peperoncino."
Ridendo, afferro la tazza e ne mando giù un sorso bollente. "Sembravano tutte uguali all'inizio, non è vero?"
"Sì."
"Ma non lo sono."
Endre corruga la fronte. "Qual'era lo scopo, Sophie?"
"Senti i sapori, Endre. E li senti perfettamente. Se ti fermi all'apparenza insipida delle cose, rischi di perderti il meglio."
"Sei una buona amica, Sophie." la sua voce è limpida e sembra riempire ogni angolo di questa stanza.
Già. Un'amica perfetta.

 

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Capitolo 15
*** Sophie in London. ***


"Come va lì?" mi chiede Davide, urlando nel cellulare senza alcun motivo. E' convinto che la recezione del telefono dipenda dalla quantità di chilometri che ci separano.
Sospiro, torturando una ciocca di capelli. "Perfettamente."
"Oh, mi dispiace, tesoro." risponde il mio amico, assumendo un tono grave e profondo. "Vedrai che si risolverà tutto."
Sollevo le sopracciglia. "Ti ho appena detto che va tutto perfettamente."
"Sì, appunto."
"Sul serio, Davide, è tutto meraviglioso! Londra è bellissima, la villa è enorme, sono riuscita a evitare il caro zio Blanc perchè è in viaggio per affari e a quanto pare Blanche non potrà farcela per cena. E' tutto superlativo. Splendido."
Sento un lungo sospiro. "Stai iperagettivando di nuovo, Sophie."
"Davide, non è nemmeno un vero verbo."
"Non cambia la sostanza delle cose. Siamo preoccupati per te, tesoro."
"Non preoccupatevi, mamma e papà, sto bene." cantileno, prendendolo in giro. "Puoi passarmi Dafne, per favore?"
"E' molto occupata."
Per inciso, Dafne non è mai occupata. Sostiene che essere occupati faccia male alla circolazione di energia positiva. "Passamela."
"Deve vincere un'asta su Ebay."
Scuoto la testa, rassegnata. "Cosa diavolo...?"
Dopo un paio di rumori indefiniti, la voce squillante della mia amica, piuttosto seccata, esordisce con un: "Cosa vuoi?"
"Mi piacerebbe parlare con te, Daf."
"Sto comprando un anello da fidanzamento per soli cento euro, quindi evita di distrarmi."
Spalancando gli occhi, tossisco violentemente. "Mi sono praticamente strozzata con la mia stessa saliva. Sono via solo da una settimana e hai già deciso di sposarti?"
"Non essere ridicola, Sophie. Lo sto comprando perchè mi piace. Ha la montatura in platino con scritto 'oui' e un diamante al posto del puntino della i. E' adorabile."
Mi gratto la testa, sdraiandomi sul letto a tre piazze della casa londinese di Endre. Per qualche strana ragione, nel Favoloso Mondo di Endre i letti a una piazza non sono ammessi. "Dafne, ti rendi conto che non puoi comprare un anello da fidanzamento se non sei fidanzata?"
"Beh, tu ne hai uno." replica la mia amica, ancora seccata.
"E' un semplice anello."
"Già, come è vero che tu e Endre siete grandi amici."
Mi mordo un labbro. "Mi piace, essere amici. Possiamo parlare, e..."
"Sì, percepisco i tuoi salti di gioia." commenta Dafne, ironica. "Devo tornare alla mia asta, ti passo Davide. Sii carina con lui, credo sia in sindorme premestruale, perchè l'ho beccato a piangere davanti al Re Leone ieri sera."
"Sof?" ora la voce di Davide è vagamente infastidita. "Dafne ha mangiato un hamburger, ieri."
Posso sentire la mia amica gridare "Pensavo fosse di soia!"
Mi passo una mano tra i capelli, sbuffando. "Fate i bravi, bambini, che mamma tornerà in città tra tre giorni. Devo andare, ora. Ciao."
Senza dare a Davide il tempo di rispondere, attacco e lancio il telefono accanto a me. Questa stanza ha davvero un bel soffitto, il genere di soffitto da Cappella Sistina piuttosto che camera da letto degli ospiti.
"Posso?" chiede Edward, bussando alla porta.
"Certo." rispondo senza troppo entusiasmo e senza muovermi. "C'è Ewan con te?"
"Sì." risponde quest'ultimo, entrando nella stanza e sedendo sul letto. "A quanto pare, Blanche ce la farà per cena."
"Oh, fantastico! Adoro Blanche!" esclamo. Ho visto quella donna circa sei volte in sette giorni, e speravo davvero di evitare la settima.
"Già, davvero adorabile." commenta Ewan a denti stretti, mentre Eward scuote la testa. "So che non è esattamente simpatica, ma per Endre è importante."
"Ti odio, grillo parlante." faccio una smorfia, tirandomi su. "Ora dovrò assecondare ogni capriccio della primadonna sui fiori, le bottiglie d'acqua e le candele alla lavanda e cannella. Che, tra parentesi, non esistono." respiro prondamente, mentre Ewan appoggia una mano sulla mia spalla. "Guarda il lato positivo della cosa!"
"Se c'è, è ben nascosto." replico.
"Siete amici, almeno."
"L'unica cosa che sono al momento, è la sua assistente. Preparo caffè, faccio tutto ciò che Blanche chiede, organizzo gli incontri con le librerie. Certo, nei quindici minuti liberi che mi lascia possiamo parlare, ma non è esattamente quello a cui aspiro. Il fatto è che io non sono affatto una sua amica, e non ho idea del perchè mi sono illusa di potreci riuscire. Non faccio mica parte del 'E team', io."
Eward e Ewan si scambiano un'occhiata veloce ma piuttosto eloquente, ma scelgo di ignorarli. "Bene, ora io devo andare. Pare che Blanche non possa proprio cenare senza tulipani viola e rose blu, questa settimana. E quelle candele non si inventeranno da sole!" esclamo, alzandomi e uscendo dalla stanza senza alcuna risposta. Quando attraverso il grande ingresso dal soffitto dipinto evito accuratamente di incrociare lo sguardo di Endre, che non sembra avere alcuna obiezione a riguardo.

Distribuisco i fiori davanti a me e li conto. Ho dieci tulipani color ametista, dodici malva, ventuno lavanda, ventotto lilla, otto indaco e ventuno rosa Muntbatten, per un totale di cento tulipani viola. Ovviamente, non vi è alcuna differenza tra un tulipano ametista e uno lavanda, ma a quanto pare sono l'unica a pensarlo. James Avoy, il proprietario della lussuosa boutique di fiori in cui mi trovo al momento, strabuzza gli occhi quando ammetto di non aver sentito prima il 'rosa Muntbatten'.
"E' un colore usato nei camuffamenti mimetici della marina militare." spiega, con aria di sufficienza. "Fu inventato da Luigi Mountbatten della Royal Navy britannica nell'autunno 1940 durante la seconda guerra mondiale. Ma forse lo conosce come rosa plymouth!"
Sì, certo. Il rosa plymouth è proprio il mio colore preferito. "Per quanto riguarda le rose, invece?" chiedo. "Le avete blu di Persia?"
L'uomo passa una mano nel parrucchino, sospirando. "Li abbiamo, ma non sono adatti a palati fini. Suggerirei un blu di Prussia, leggermente più cupo e sensuale."
Sensuale. Ha appena detto sensuale. "Per quanto mi riguarda va benissimo anche un blu di India, mi basta avere cento rose blu."
James aggrotta la fronte. "Temo che il blu d'India non sia disponibile in questi giorni."
Disperata, fingo un sorriso. "Un blu di Prussia sarà perfetto."
"Scuro, medio o andiamo sullo stravagante, con un indaco di Prussia?"
"Sono sicura che il primo che ha nominato andrà benissimo. Venti, allora."
James annuisce con fare professionale. "Per quanto riguarda le altre ottanta?"
Controllo velocemente la mia lista. "Trenta blu oltremare, trenta blu acciaio e venti blu pavone."
L'ometto scompare in un caos profumato e torna soddisfatto con una sola rosa in mano. "Le sue cento rose e i suoi cento tulipani saranno consegnati al signor Endre D. stasera, alle ore diciotto. Questa è per lei. Il signor Endre mi ha chiamato personalmente perché la avesse. E' color blu zaffiro."
Osservo i petali scuri e vellutati del fiore. "E' un blu uguale a tutti gli altri, a dire la verità." ammetto. "Un blu che sembra speciale, che suona perfetto, un blu che poi ti dice che resterete amici e non fa che ignorarti."
James annuisce, strizzando appena gli occhi. "Sta davvero parlando del blu, signorina?"
"Non proprio." afferro la rosa, e mi appare incredibilmente priva di significato. La poggio sul bancone. "Credo che non la prenderò affatto."

Sono le sette quando Blanche arriva in un abito blu scuro (oltremare, direi) di velluto, il cui strascico accarezza i tappeti da migliaia di sterline. Non posso fare a meno di sentire una fitta allo stomaco rendendomi conto che i fiori sono in tinta con il suo vestito. La conduco nella sala da pranzo, dove Endre la aspetta per la loro cena perfetta. La tovaglia, i bicchieri di cristallo e i tovaglioli riprendono il viola dei tulipani sparsi intorno a loro. Nei piatti, salmone al sesamo croccante, purea di patate dolci e frutta colorata. E, all'estremità del tavolo, Endre sorride indossando un completo scuro di Prada. E' un'immagine perfetta, così bella che avrei voglia di fotografarla e appenderla in camera. Un'immagine a cui io, però, non appartengo. Esco velocemente dalla sala per andare in cucina, dove un ramen preconfezionato mi attende, e incrocio Ewan.
"Perchè non vieni a mangiare con noi, stasera?" propone, afferrandomi per il polso.
Sorrido. "Perchè è la regola della casa." spiego, proprio come mi è stato spiegato dalla donna delle pulizie che mi ha accolto il primo giorno. "Il padrone di casa nella sala patronale, gli ospiti nella seconda sala da pranzo e i dipendenti in cucina."
"Andiamo, sei molto più di una dipendente, per lui."
Mi mordo un labbro. "Non lo so, perchè Endre è davvero bravo a confondermi. Perchè ero la sua assistente, e poi una specie di amica. Siamo andati a letto insieme e per un minuto siamo stati qualcosa, noi due. Poi è finita, e sono tornata una semplice dipendente. Una settimana fa abbiamo deciso di essere amici, e oggi sono qui a cercare fiori in tutte le sfumature del colore del vestito della sua ragazza. Per cui preferisco comportarmi da dipendente, per oggi."
"Blanche non è la sua ragazza."
Alzo le spalle. "Non mi interessa. Non mi interessa davvero." senza aspettare risposta, volto le spalle a Ewan e mi dirigo verso la cucina, dove l'addetta alle pulizie del primo piano sgranocchia semi di sesamo, probabilmente avanzi. E' minuta, bionda e sorridente. "Judith." si presenta, tendendomi la mano.
"Sophie."
"Sei l'assistente di Endre?"
Annuisco. "In persona."
"E' davvero bello. Viene poche volte qui a Londra, e il signor Blanc non ne parla mai, ma è davvero bello. E mi piacciono i suoi libri. L'ultimo che ha scritto, quello che sta promuovendo, l'hai letto?"
In effetti, no. Non ho letto l'ultimo libro di Endre. "Non ne ho troppa voglia." ammetto.
"Dovresti davvero leggerlo. C'è questa ragazza, Bianca, e la descrizione che ne fa è così sensuale... deve essere meraviglioso stare accanto a Endre tutto il giorno."
"Bianca, eh?" ridacchio.
Judith annuisce. "Ero così felice quando ho saputo che sarebbe venuto! Certo, non sapevo avesse una ragazza."
Alzo le spalle. "Blanche?"
"Chi?" la ragazza aggrotta la fronte.
"Quella che sta cenando con lui in questo momento."
Judith si illumina. "Oh, intendi la donna arcigna? Io ero convinta che tu e Endre foste... insomma..."
Scuoto la testa. "Io e Endre non siamo proprio nulla. Proprio nulla." ripeto, mentre il mio ramen bolle. Io e e Endre non siamo davvero nulla, e forse non lo siamo mai stati.

La cena con Blanche finisce cinque ore, tre bottiglie di champagne e quattro portate più tardi. Quando la donna se ne va è seria e ha il solito sguardo severo addosso, e quasi la invidio. Io dopo cinque bicchieri di champagne ballo cantando Girls Just Want to Have Fun a squarciagola. A sei mi spoglio.
Immersa nella mia copia di "Giardinaggio Oggi" (Judith non aveva altro) non riesco nemmeno ad accorgermi della presenza di Endre, davanti a me. Alzo lo sguardo solo quando si schiarisce la voce. "Sì?"
Sorride, ed è terribilmente sexy. Non posso farci nulla. "Dove hai trovato le candele alla cannella e lavanda? Non credevo esistessero."
"Non esistono, infatti. Ho fuso quelle alla lavanda e quelle alla cannella, le ho mescolate e le ho fatte raffreddare negli stampi per la creme brulée." spiego, avvicinadomi al camino. Mi trovo nella terza sala da pranzo, che garantisce una visuale perfetta su quasi tutta la casa.
"Sei davvero incredibile, Sophie. Potresti fare qualsiasi cosa. E sei paziente, abbastanza da assecondare ogni capriccio."
"Mi paghi per questo." taglio corto.
"James mi ha detto che non hai preso la rosa."
"Credevo che i fiori fossero pieni di sé."
Endre mi fissa. "Credevo fosse un gesto carino."
"Non saprei che farmene, di un gesto carino."
"Sei arrabbiata con me, non è vero?"
Sospiro. "Davvero perspicace."
"Qual'è il problema, Sophie?" chiede, sedendo accanto a me.
"Il problema è che pensavo che volessimo essere amici, e eccomi qui a scorrazzare per tutta Londra perchè Blanche ha bisogno di una scenografia e a mangiare ramen in cucina."
Lui sorride. "Tu non hai bisogno di alcuna scenografia."
"Stai cercando di cambiare argomento, Endre? Credi che una specie di complimento mi faccia dimenticare tutto? E smetti di sorridere!"
Endre mi prende la mano, e nonostante tutto non riesco ad oppormi. "Il problema è che io sono una persona, non un personaggio."
"Cosa stai dicendo?" la sua mano è calda e ferma.
"Sto dicendo che un personaggio è una linea. Ha un inizio, una fine, delle idee precise. E' buono o cattivo, piacevole o odioso, ricco o povero, solo o felice. Una persona è milioni di personaggi, e io potrei arrivare a miliardi. Per questo posso non essere coerente, o non riuscire a fare quello che voglio davvero. Per questo ti ho confessato che volevo essere un amico, e non ce l'ho fatta."
"Non ti basteranno belle parole, Endre."
"Mi dispiace. Voglio davvero rimanerti vicino, perchè nonostante tutto tu sei ancora quella bambina dagli occhi color acquamarina che riesce a farmi sentire felice."
"Anche Blanche riesce a farti stare bene?" chiedo, senza riuscire a trattenermi.
"Non è così semplice..."
"Cos'è Blanche, per te?" ora sono quasi arrabbiata.
Endre si alza e sospira, tirando fuori una scatola con un anello simile al mio, ma tre volte più grande. "Blanche è la donna a cui, domani, chiederò di sposarmi."
Improvvisamente mi manca il respiro e chiudo gli occhi. Quando li apro di nuovo, negli occhi di Endre c'è un deserto. "Perchè?" chiedo, la voce rotta. "Perchè? Perchè? Perchè?" ripeto, arrivando quasi a gridare.
"E' la cosa giusta." Endre mi prende entrambe le mani, ma io mi ritraggo. "Sophie, ho bisogno che tu non pianga. Non farlo, per favore."
Mi alzo in piedi, ed è come se qualcosa dentro di me si sia spezzato definitivamente. "Mi licenzio, Endre. Mi licenzio perchè non ho alcuna intenzione di vederti sposato con quella donna. Sono innamorata di te,
e anche se la tua attenzione è rivolta altrove non voglio rinunciare alla mia felicità per assecondare ogni richiesta sui fiori del tuo matrimonio."
"Per favore..."
Rimaniamo così qualche secondo, in silenzio, mentre il calore del fuoco ci arrossa le guance. Apro le labbra. "Parto domani."



Giusto per precisare, l'anello visto da Dafne è questo: http://2.bp.blogspot.com/_mqblUbSl-VM/RpwBgWxi2SI/AAAAAAAABj8/6yyMdJm27Es/s400/Dior%2Boui%2Bring.jpg
Ancora grazie alle lettrici! =)


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Capitolo 16
*** Sophie e Uno. ***


Cara Sophie,
Continuo a scriverti perchè sono assolutamente convinto che tu abbia letto le mie ultime sei e-mail e che continuerai a farlo. So quanto tieni a Endre. Anzi, a dire la verità, so quanto ami Endre. Per questo non riuscirai a cestinare questa mail senza resistere alla curiosità di aprirla e leggerla.
I preparativi delle nozze vanno avanti. Blanche è sempre qui, ma lei e Endre praticamente non parlano. Hanno scelto la chiesa, i fiori, hanno comprato la fede. Endre ha chiesto a Edward di fargli da testimone, e ne è seguita una litigata furibonda.
Come ti ho già ripetuto, sono il primo a non capire la decisione di Endre. Il rapporto tra lui e Blanche è sempre stato incredibilmente strano. Pur non piacendosi, non volendosi bene e non condividendo nulla, si sono frequentati per tutta la vita. Lunghe cene, giornate insieme, feste. Non sono mai stati felici o sorridenti, né hanno mostrato di voler diventare qualcosa di più. Sospetto, però, che Edward sappia qualcos'altro. Mi ha detto che sta cercando di contattarti da due settimane e a quanto pare sei scomparsa dalla circolazione.
Ieri sono venuto a casa tua e Daniele mi ha spiegato che sei andata in Asia per ritrovare te stessa meditando e nutrendoti solo di alghe tibetane. Ora, per prima cosa il Tibet non si affaccia sul mare. E poi ti ho visto, mentre prendevi il sole sul balcone.
Io e Edward dobbiamo davvero parlarti. Se non vuoi farlo per Endre, fallo per noi.
Ewan

Con uno sbadiglio, clicco su "elimina" e spengo il computer, respirando il profumo di caffè appena fatto che invade la casa. Se dimenticare Endre non risulta affatto semplice, le e-mail del "E team" non mi aiutano affatto. Accendo distrattamente la tv, e un uomo lampadato mi porge un sorriso luccicante.
"Se ogni libro del giovane e misterioso autore ha goduto di un certo successo, l'ultimo capolavoro di E.D., Uno, sta vendendo milioni di copie in tutto il mondo."
Fantastico. Davvero fantastico. "Si dice che sia per via di una buona promozione." continua l'uomo. "Ma alcuni critici hanno definito Uno il libro più autobiografico dell'autore e vedono in ciò la chiave del suo successo. Abbiamo con noi Rufus Delamanica, che cura la rubrica letteraria di sei giornali in tutto il mondo."
Il signor Rufus è un ometto da capelli folti e bianchi. "Buon giorno!" esclama. "In effetti, questa sorta di apertura verso l'esterno è ciò che rende Uno così speciale, così diverso da tutte le altre opere. Uno è la storia di un uomo di mezza età che sente di aver vissuto già ogni cosa, ed è una ragazza a permettergli di apprezzare tutto di nuovo."
Il presentatore, compiaciuto, sorride. "Sta parlando di Bianca, non è vero? Crede che rappresenti la sua futura moglie, sua cugina Blanche Innevati Gramth?"
"E' molto probabile." asserisce Rufus. "Ma Endre non commenta."
Spengo la tv, deglutendo lentamente. Sua cugina. Blanche è sua cugina. Afferro il telefono e chiamo Edward, che sembra piuttosto sollevato.
"Finalmente mi hai telefonato."
Sospiro. "Ero in Tibet, o qualcosa del genere. Blanche è la cugina di Endre?"
Segue un lungo silenzio. "Sì. Per questo ho cercato di chiamarti. Credo che questo sia il motivo per cui le ha chiesto di sposarlo. Penso che stia cercando di fare chiarezza dentro di sé."
"A questo punto non credo mi riguardi più."
"Sophie, devi fare qualcosa." mi supplica Edward.
"No, davvero. Qualsiasi sia il motivo, Endre ha fatto la sua scelta, e credo sia abbastanza adulto per accettarne le conseguenze."
"Puoi farmi un favore, Sophie?"
Mi mordo un labbro. "Se implica il vedere Endre, no."
"Devi solo leggere l'inizio di Uno. Te l'ho mandato per e-mail. Ti prego, Sophie, leggilo. E se dopo vorrai far scomparire Endre dalla tua mente ti prometto che io e Ewan non ti disturberemo."
Senza nemmeno rispondere, accendo nuovamente il computer e aspetto che la mia homepage si carichi. Mi ci vuole qualche minuto prima che la casella di posta elettronica si apra e l'ultima e-mail di Edward occupi tutta la pagina.

L'uomo era solo. Era solo come lo era sempre stato, né più né meno, e guardava nel suo bicchiere cercandovi il futuro. Non trovò nulla. Aveva già visto quel bicchiere, già toccato quel vetro, già ingoiato il suo contenuto. Era già stato in quella stanza, si era già versato da bere e aveva appoggiato mille volte la testa sul tavolo chiedendosi se un giorno sarebbe riuscito ad aprire gli occhi e vedere qualcosa di nuovo.
L'uomo aveva avuto così tante donne che il ricordo di ognuna di loro sfumava nell'altro. Aveva assaggiato così tanti cibi che nella sua mente nessuno di loro aveva più sapore.
Il resto del mondo si innamorava. Vedeva ogni giorno persone innamorarsi di poesie, di canzoni, di persone, di animali, di sentimenti, di piccole gioie, di sigarette. E lui se ne stava lì, perchè aveva finito la vita prima del tempo e ora non gli restava altro che aspettare in silenzio che la morte giungesse e si portasse via anche il suo corpo.
"Vuole qualcosa da mangiare, signore? Dovrebbe davvero mangiare qualcosa." gli suggerì Bianca, con l'espressione vagamente preoccupata.
Lui la cacciò, come nella vita aveva sempre cacciato le cose belle. Le cose belle avevano bisogno di qualcuno che le apprezzasse appieno, e lui avrebbe potuto regalare a Bianca solo un tiepido sorriso.
"Non ho fame."
Bianca annuì. Aveva un sorriso divertito e occhi che sembravano vedere oltre le cose. Era curiosa, impertinente, irriverente. Ogni tanto l'uomo si perdeva nell'angolo delle sue labbra, o sulle sue ciglia scure. L'uomo avrebbe voluto accarezzarle la schiena, cingerle i fianchi sottili e passarle un dito sulle labbra; ma sapeva bene che non si raccoglie un fiore selvatico, perchè potrebbe appassire tra le proprie mani.

Senza indugiare, decido di andare a casa di Endre. Qualsiasi cosa questo libro significhi, sento che dovrei parlargli, ora.

Trenta minuti più tardi, Inga mi apre la porta con le lacrime agli occhi. "Oh, signorina Sophie, temevo che non l'avrei vista mai più!"
Respiro profondamente. "Endre è in casa?"
"Al piano di sopra. Signorina, lei è tornata a lavorare, non è vero? Perchè il signor D. non vuole più assumere assistenti e sta cadendo a pezzi."
Cadendo a pezzi. E' strano che Inga non abbia detto che la casa stia cadendo a pezzi, o persino che la sua vita stia cadendo a pezzi. E' lui, invece, a distruggersi. "Non lavoro più qui, Inga. Posso entrare?"
La donna scuote la testa, ma non fa nulla per bloccarmi. Si fa da parte, anzi, per permettermi di passare. Attraverso il lungo corridoio che mi separa dalle scale cercando di guardare avanti, per evitare di incontrare Blanche. In realtà, la donna si trova proprio alla base delle scale, seduta sul primo scalino. "Non capisco perchè non posso salire!" sta gridando, con una strana voce gracchiante. Deve essere piuttosto spazientita. "Non mi sembra affatto corretto! Sono la tua futura moglie e ho diritto di entrare nel tuo schifosissimo porcile!"
"Ciao, Blanche." la saluto, divertita dalla scenetta quasi patetica. "Se non ti dispiace, dovrei parlare con Endre."
La donna fa roteare gli occhi. "Sì, certo, come se tu potessi salire."
"Sono salita altre volte." ribatto, osservando il lampo di rabbia che percorre i suoi occhi. La supero e corro fino ad arrivare al piano di Endre, chè ridotto in uno stato che non avrei neppure potuto immaginare. Ogni centimetro di pavimento è ricoperto da abiti, libri, fogli, penne, stampe. Persino il computer, spento, è sommerso da cartacce.
"Ti ho detto di non salire, Blanche." è la voce di Endre, che giunge dalla camera da letto.
"Non sono Blanche. Posso entrare?"
"Cambierebbe qualcosa se te lo impedissi?"
"No." ammetto, entrando nella stanza. Endre è seduto al bordo del letto, con un vecchio libro in mano, e indossa una paio di pantaloni sgualciti e una t-shirt grigia.
"Ho letto il tuo libro." sussurro. "O meglio, il primo paragrafo del tuo libro. Ma non ha importanza."
"Già." commenta lui, ridacchiando. "Mi chiedo perchè mi disturbo a scrivere finali."
Sospiro, ignorandolo. "Sei la persona più profonda che conosco. La più perspicace. Quando ti guardo ho l'impressione che tu abbia capito tutto, che tu sappia già tutto. Quindi mi chiedo, perchè Blanche? Perchè lei, Endre?"
Lui mi osserva senza dire una parola.
Frugo nella borsa alla ricerca del libro. "Tu e Blanche non avete niente in comune, non siete felici, non sorridete. E' questo che vuoi, Endre? E' per questo che hai scritto un libro su di lei? Lei è il fiore selvatico che hai scelto di cogliere?" ora ho le lacrime agli occhi, e mi chiedo da dove siano uscite tutte quelle parole. "Non è giusto. Non è giusto che tu ami Blanche quando io amo te."
L'ho detto. L'ho detto e non ero neppure certa di pensarlo. Endre si alza e mi prende il viso tra le mani. "Blanche non è Bianca, Sophie. Tu sei Bianca. Tu sei il fiore più colorato che la natura abbia mai prodotto. Tu appassiresti se ti tenessi con me."
Siamo così vicini che sento il suo respiro caldo sulla labbra. "Lo sai che non è vero. Lo sai che..."
"Blanche è mia cugina. Ha vissuto nella mia stessa famiglia, ha avuto le mie stesse esperienze. Mi conosce."
Non riesco a respirare. "Io ti conosco, Endre. Io ti conosco. E a me non importa non sapere il tuo cognome, non mi importa non conoscere il tuo gruppo sanguigno o in che mese sei nato. Io ti conosco."
Endre scuote la testa. "E' tutta la vita che cerco di dare un senso alle cose. E questo matrimonio ha senso, Sophie. Questo matrimonio rientra in una logica ferrea. E io ho bisogno di un po' di logica, per non impazzire. Ho bisogno di punti fermi."
"Bene." sospiro. "Se Blanche è il tuo punto fermo, tienitela. Auguri e figli maschi. Spero solo che Endre jr. si renda conto che nella vita ci sono cose più importanti di un cognome. Perchè per te è troppo tardi."
E senza che Endre dica una parola, torno a casa.

 

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Capitolo 17
*** Sophie e il matrimonio ***


"Detesto i matrimoni." ripete Dafne per la centesima volta. "E detesto essere una delle damigelle."
Sospiro, pensando che sì, lo detesto anche io. Soprattutto con indosso questa specie di sacco della spazzatura. "Credo che Jessica l'abbia fatto di proposito." sussurro stringendo i denti, mentre la sarta infila un paio di spilli nel mio abito-spazzatura. Osservo la mia figura nello specchio, rendendomi conto che sembro una specie di enorme, gigantesca nuvola di plastica nera.
"Fatto di proposito cosa?"
"Ha scelto questo abito per le sue damigelle così da poter sembrare splendida accanto a noi."
"In effetti, non vedo come ci sarebbe riuscita altrimenti..."
Mi giro e fulmino Dafne con un'occhiata, nonostante abbia pienamente ragione. Jessica, che frequentava le scuole superiori con noi, è probabilmente la persona più sgradevole che conosco. Alta, spigolosa, con occhi curiosi che sembrano uscire fuori dalle orbite, ha una certa tendenza alla cattiveria gratuita ed è visibilmente felice quando riesce a mettere qualcuno in difficoltà. "Non riesco a credere che tu mi abbia convinto a farlo."
La mia amica alza le spalle. "Innanzi tutto, si era fissata con questa idea delle damigelle ma non conosceva nessuno disposto a sopportarla per tutta la durata del matrimonio."
"Vuoi farmi credere che l'hai fatto per altruismo?"
"L'ho fatto per il karma."
Fingo un colpo di tosse. "Sì, certo. Il karma."
Dafne piega leggermente le labbra, sfilando l'orrendo sacco della spazzatura. "Può darsi che l'abbia fatto perchè è facile rimorchiare ai matrimoni."
"Con quel vestito?"
"Ok, va bene. L'ho fatto perchè tu superassi la tua fobia del matrimonio."
Per inciso, non ho alcuna fobia. Davvero. E' solo una stupida idea di Dafne e Davide. E di Ewan. E Inga.
Potrei, in effetti, aver proibito tutte le parole che inizavano per M, per un certo periodo, quando in tv non si parlava d'altro, ma adesso sto davvero bene. L'idea di Endre che porta all'altare Blanche mi pare quasi tollerabile, soprattutto perchè so che non accadrà.
"La fobia non passa perchè il matrimonio è stato annullato." dice Dafne, quasi parlando tra sé e sé.
La notizia è comparsa sui giornali una settimana fa, e Blanche ha persino rilasciato un'intervista in cui sosteneva di aver rotto il fidanzamento perchè Endre è un uomo misogino, misantropo, asociale e perfido. "Deve essere distrutto." mi ritrovo a dire, senza neppure rendermene conto.
"Potresti andare da lui." suggerisce Dafne, mentre io scuoto la testa. Finalmente abbandono il mio sacco della spazzatura e infilo i jeans. "Non posso andare da lui, Daf. Non siamo rimasti esattamente in buoni rapporti."
"Ma eravate amici."
Non posso fare a meno di ridere. "Amici? Io e te siamo amiche. Io e Davide siamo amici. Persino io e Ewan potremmo essere amici, ma..."
"Ok, voi eravate amici in modo speciale."
"Se per modo speciale intendi che ero assolutamente innamorata di lui e che lui mi ha detto tu sei il mio fiore ma ho intenzione di vivere il resto della mia vita con un'erbaccia, beh, complimenti per l'eufemismo."
"Come vuoi." Dafne alza le spalle, avvolgendo una sciarpa fatta a mano intorno al collo. "Sono sicura che dentro di te non stai morendo dalla voglia di andare a casa sua."
Odio il fatto che la mia migliore amica mi conosca così bene. "Esattamente. Non mi era nemmeno passato per la testa. Sarà meglio che torniamo a casa, se vogliamo fare almeno una doccia prima del matrimonio."

Se possibile, il matrimonio è quasi più sgradevole di Jessica e dello sposo. La chiesa, una minuscola costruzione eclettica con colonne corinzie, decorazioni rococò e una pianta rinascimentale, è niente paragonata all'abito della sposa, una nuvola di vaporoso voile lilla, stretta in vita da un corpetto fuxia con piccoli ricami di perline iridescenti turchesi.
Dafne sta tentando in tutti i modi di non ridere, con scarsi risultati, finchè Davide non ci raggiunge. A quel punto Dafne scoppia in una fragorosa risata, osservando la cravatta dorata del nostro amico. Lui aggrotta la fonte. "Non mi sembra molto carino ridere. L'invito diceva 'cravatta metalizzata'"
Ridendo sotto i baffi, passo il dito sulla cravatta fluorescente. "Sei davvero ridicolo."
"Dissero due donne in un sacco della spazzatura."
Mostro la lingua a Davide, osservando una figura familiare in lontananza. E' alto, indossa un abito scuro e una cravatta blu, piuttosto sobria sebbene metallizzata. "Vedi, Davide, avresti dovuto comprare una cravatta del genere." suggerisco, indicando l'uomo.
"Come Edward, intendi?"
"Edward?" sospiro profondamente, scuotendo la testa. "Aspettatemi un secondo."
Percorro la navata, tra gli sguardi di disapprovazione degli altri invitati, e prendo posto accanto a Edward, che sembra ignorarmi.
"Cosa ci fai qui?"
Lui alza le spalle. "Ero nei paraggi."
"E hai pensato bene di assistere a un matrimonio."
"C'è qualcosa di male? Mi piacciono i matrimoni."
Roteo gli occhi. "Anche quelli in cui la sposa indossa quel vestito?"
"Ok, va bene. Volevo parlare con te."
"Mi avevi fatto una promessa!" esclamo, e un paio di anziane signore si voltano verso di me, scuotendo la testa. Mi mordo un labbro. "Mi avevi fatto una promessa." ripeto, la voce appena percepibile.
"Lo so, lo so. Ti ho detto che non ti avrei più disturbato, se fossi andata da Endre."
"E io ci sono andata."
Lui passa una mano tra i capelli. "Sì, beh, non è esattamente andata come speravo."
"Credevi che ci saremmo corsi incontro al rallenty per poi baciarci con passione e decidere di vivere d'amore insieme tutta la vita, finché tradimento non ci separi?"
"Non ti ricordavo così cinica. E poi non avreste vissuto di solo amore. I libri di Endre rendono bene."
"Sono seria, Edward."
Improvvisamente la sua espressione diventa grave. "Non sarei venuto qui senza una ragione più che valida. E' successo qualcosa, e Endre è totalmente distrutto."
"Sì, l'ho saputo. Blanche l'ha lasciato."
Edward ridacchia. "Oh, quello è stato praticamente un sollievo."
"Di qualsiasi cosa si tratti, non credo mi riguardi. Ho speso fin troppe energie per stare dietro al mio personale poeta maledetto e alle sue manie autodistruttive. Se lui..."
Improvvisamente mi rendo conto che tutta la chiesa è voltata verso di me, e la sposa mi guarda con una rabbia mai vista.
"Non dovresti andare a fare la damigella?" suggerisce Edward, e io mi alzo e corro velocemente verso l'altare, non senza rischiare di inciampare. Odio i matrimoni.

Non appena lo sposo ha potuto baciare la sposa (con un certo coraggio, in tutta onestà) mi ritrovo a correre verso Edward. "Cosa gli è successo?" chiedo a bruciapelo.
Lui alza un sopracciglio. "Credevo non ti riguardasse."
"E' così." rispondo abbassando lo sguardo con aria colpevole. "Non mi riguarda per mille motivi. Non mi riguarda perchè non ho mai avuto una vera relazione con Endre, perchè lui mi ha fatto soffrire infinite volte, perchè mi ha respinto per sposare un'altra donna. Non mi riguarda perchè non mi ha più scritto, né telefonato. Non mi riguarda perchè non so nemmeno il suo cognome, che per lui conta più di ogni altra cosa."
Edward scuote la testa. "Quello che importa, per lui, è appartenere a qualcosa. La famiglia, Blanche, non sono altro che illusioni. Illusioni che sembrano dare un senso alla sua vita, ma la realtà è che se c'è una sola persona a cui Endre appartiene a questo mondo, quella sei tu. Non importa se non sai il suo cognome, o se non avete mai avuto una relazione. Il legame che voi avete, Sophie... è incredibile. E questo non cambierà solo perchè tu non vuoi ammetterlo."
Mi mordo un labbro, e lui mi prende le mani. "E' morto suo zio, ieri notte. Blanc. E' morto ed è da ieri notte che Endre se ne sta sdraiato sul letto, senza mangiare, senza alzarsi, senza muoversi. Ti prego, Sophie. Vieni con me."
"Ok." riesco solo a dire, mentre Edward mi prende per mano.

Siamo quaaaaasi giunti alla fine! Il gran finale la settimana prossima! =) il capitolo è un po' "d'attesa" e spero di non avervi deluso...
PS pubblicitàààà... ho "pubblicato" il primo capitolo di una nuova fanfic, Chloe, il disastro -commedia, originali-. Vi sarei davvero grata se deste un'occhiata =) alla prossima settimana!

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Capitolo 18
*** Sophie e Endre, Davide, Dafne, Ewan e Jane. ***


Conosco questo posto. Conosco il freddo di questa stanza e le sue pareti cupe. Conosco l'uomo che occupa il letto e fissa con un sguardo vuoto e inespressivo il soffitto. E una parte di me sa già come andrà a finire, tra me e Endre: male. Perchè tra noi due non è mai andata altrimenti. Ma quella parte, coscienziosa e razionale, scelgo di ignorarla. Non bisogna mai fidarsi del buon senso, quando si ha a che fare con uno scrittore. E' una lezione che ho imparato da bambina.
"Dovresti mangiare." è l'unica cosa che riesco a dire. Ho pensato a mille frasi e mille parole ma alla fine non faccio altro che suggerirgli di mangiare.
Lui volta la testa verso di me, lentamente. "Dovrei alzarmi, muovermi, sorridere. O almeno questo è quello che tutti pretendono da me. Temo che ma vi deluderò ancora una volta."
"Mi dispiace."
"Ti dispiace?"
"Per tuo zio."
Endre emette un rumore che somiglia a una risata strozzata e amara. "Odiavi mio zio."
"Io..."
"Tutti odiavano mio zio, Sophie. Anche io avrei odiato mio zio, se non avessi dato più importanza a quello che rappresentava."
Faccio qualche passo avanti, fino a raggiungere il letto. Liscio le lenzuola stropicciate con la mano. "Allora mi dispiace perchè sei qui, in questo momento, schiacciato da qualcosa che non c'è."
"Tecnicamente, sono schiacciato da qualcosa di non meno reale della sedia accanto al mio letto, perchè io lo percepisco come ogni altro oggetto della stanza." sento un respiro profondo. "Mi dispiace, sto diventando noioso."
Scuoto la testa, accarezzandogli lentamente i capelli. Lui non oppone resistenza. "Ti va di alzarti?"
"Non ci riesco, Sophie. Credimi. Con mio zio se ne sono andate le poche certezze che avevo. Ti sei mai sentita disorientata? E' come se non avessi idea di chi sono o dove sono, e mi rendessi conto che il problema non è che non riesco a trovare la strada di casa, ma che quel sentiero è stato seppellito da tempo."
"Io credo che se la casa non c'è più, dovresti costruirtene una nuova. E le fondamenta le hai già."
"Le fondamenta?" il suo sguardo è interrogativo, ma vagamente divertito.
"Ok, mi lascio trasportare eccessivamente dalle metafore."
"Il problema è che non ho alcuna voglia di costruire, in questo momento."
Scuoto la testa. "Lascerai cadere in rovina tutto quello che hai?" chiedo, il tono di voce sempre più alto.
Endre muove un braccio lentamente, fino ad afferrare il mio polso. "Sembri arrabbiata."
"Sai una cosa? Sono arrabbiata." e, in effetti, lo sono davvero. E' come se la collera stesse salendo verso la mia testa, violentemente. "Sono arrabbiata perchè potresti avere quello che vuoi, ma non fai niente per averlo."
"Ma se non sono riuscito nemmeno a tenermi Blanche."
"Tu non volevi Blanche!" ora sto urlando. "Tu non volevi Blanche e le hai chiesto di sposarti per impedirti di essere felice. Sei fortunato, Endre, perchè sei una persona meravigliosa. Perchè sei nato con la capacità di vedere l'essenza delle cose, di capire le persone, di farti amare senza neppure dare nulla in cambio. Hai Edward e Ewan, che mi hanno praticamente pedinato negli ultimi mesi perchè venissimi a parlarti. Hai Inga, che ti ama come un figlio. Hai me. E io ti amo, Endre, ti amo e non capisco perchè non vuoi guardarti allo specchio e decidere che sei un essere umano e, come tale, potresti amare anche tu."
"Tu non hai idea di cosa..."
"Non ho idea della tua vita? Non ho idea di cosa voglia dire essere soli?" grido. "Credi che sia stato facile vivere con una madre che portava in casa un uomo a settimana? Credi sia semplice coonvivere con cinque sorelle? Mio padre era un professore cinquantenne che ha sedotto mia madre, poco più che diciannovenne. Non lo ricordo affatto. Il punto è che tutti noi soffriamo, Endre. E' nella natura umana. Si può reagire, oppure..." lascio sfumare la frase.
"Oppure?" il suo volto è impassibile.
"Oppure ci si può costruire un muro intorno, come hai fatto tu. E finchè non sarai pronto a far crollare quel muro, io non riuscirò ad avvicinarmi a te, a conoscerti davvero, a capire quello che ti passa per la testa. Potrò aiutarti, se un giorno vorrai chiedermelo. Fino ad allora, è inutile che io stia qui."
Endre non si muove, e non mi ferma quando mi volto. Vorrei solo aver prestato attenzione alla mia parte ragionevole, per una volta.

"Verrà." ripete Davide, mandando giù una manciata di arachidi. "Ne sono sicuro."
Dafne lo osserva con un'espressione disgustata. "Hai davvero intenzione di cenare con quella roba? Noccioline e carne in scatola?"
"E' sempre meglio del tuo tofu."
La mia amica mi guarda, cercando evidentemente conforto. "Ok, Dafne, affrontiamo la realtà. Non sai cucinare."
"Ma..."
Alzo le spalle, afferrando un po' di carne direttamente con le mani. Non sono in vena di convenzioni sociali, oggi. "Mi dispiace, Daf. Sono nervosa."
"Non verrà."
"Cosa?" afferro il bicchiere e mando giù un sorso di vino.
"Endre non verrà. E' un grande uomo con l'emotività di un bambino. Non verrà perchè è spaventato."
"Spaventato da..." chiedo, ma vengo interrotta dal campanello. Mi alzo, scansando la carne molliccia, e apro la porta a Ewan. "Posso entrare?"
"Entra pure. Vuoi un po' di noccioline?" chiedo, aggiungendo una sedia attorno al tavolo.
"No, grazie. Vengo da casa di Endre."
Deglutisco con difficoltà. "Che ti ha detto?"
"A dire il vero non ha parlato. Però era in piedi." mi prende la mano. "Verrà."
Dafne rotea gli occhi. "Se volesse venire davvero, sarebbe qui. E' evidente che non è destino."
"Non credo affatto nel destino." ribatte Ewan.
"Dovresti. L'universo segue il suo corso e ci trascina."
"Non credi che sia una visione da codardi? L'universo ci trascina, così non dobbiamo prenderci le responsabilità delle nostre scelte..."
"Hey!" esclama Davide, interrompendo i due. "La cosa si sta facendo troppo seria, per i miei gusti. Potremmo tornare a parlare di noccioline?"
Il campanello. Di nuovo. Sussulto, e incrocio le dita dietro la schiena prima di aprire la porta. L'ultima volta che l'ho fatto avevo dieci anni e speravo di trovare una bambola nell'uovo di Pasqua. Ti prego, ti prego, ti prego, fa che sia Endre. Non riesco a pensare ad altro.
"Ciao, Sophie." è Edward, con la solita aria seria e preoccupata.
"Ciao."
"Posso entrare?"
Annuisco, facendogli strada verso la cucina. "Prendo qualcosa da mangiare." dico, quasi a me stessa, afferrando pop corn e cioccolatini. "Qualcuno vuole i biscotti alla cannella?"
Sento qualche 'sì', non troppo convinto, quindi afferro la ciotola.
"Ho parlato con Endre." esordisce Edward.
"Perlomeno con te ha parlato." commenta Ewan, leggermente infastidito.
"L'ho praticamente costretto. Non verrà, Sophie."
Sollevo le sopracciglia. "Sì, pare che ognuno abbia la propria teoria a riguardo. Non capisco perchè siete venuti qui. Senza offesa, ovviamente." mi affretto ad aggiungere.
Edward accenna un sorriso. "Immaginavo saresti stata distrutta. Nonostante tutto, sei parte integrante dell' E team. La nostra mascotte, oserei dire."
"E team?" chiede Dafne spalancando gli occhi, mentre il campanello suona di nuovo. Di nuovo, dita incrociate dietro la schiena. Di nuovo, non è Endre.
"Ciao, Emily. Ciao, Jane."
Emily sorride con aria colpevole. "Devo lasciarti la piccolina. Ti prometto che verrò a prenderla domani mattina. Lo giuro. Va bene, no?"
E incredibile come mia sorella riesca a scomparire senza aspettare la risposta. Prendo Jane in braccio e la porto in cucina, dove il gruppetto sta bisticciando riguardo duemila argomenti contemporaneamente. Jane si guarda intorno per circa dieci minuti, l'espressione concentrata e fortemente interessata, per poi schiarirsi la voce.
"Davide, la carne in scatola in effetti fa male alla salute. Lo dice sempre la mamma."
Dafne assume un'espressione soddisfatta, ma Jane scuote la testa. "Dafne, il tuo tofu è terribile. Anche peggio della sabbia che ho mangiato all'asilo, una volta."
Ewan ridacchia. "La sabbia, eh?"
"Sì, beh, volevo solo dimostrare a un bambino che non è vero che causa danni allo stomaco. Lui poi si è messo a mangiare i sassi, ma si sa come sono i maschi. A questo proposito, Edward, tu hai tutte le caratteristiche del maschio tipico."
"Ovvero?"
"Sei convinto di avere ragione e sei pessimista. E' chiaro, infatti, che Endre verrà."
Sollevo le sopracciglia. "E perchè?"
"Perchè ho visto come ti guarda." la piccola scoppia a ridere. "Ok, ho sempre voluto dirlo, lo ammetto. So che verrà perchè Endre è innamorato di te, e una persona innamorata può complicarsi la vita all'inversosimile, ma andrà sempre verso la persona che ama."
Edward ride. "Sono ancora convinto che Endre non verrà, ma tua sorella farà strada."
Mi stringo nelle spalle. "Tecnicamente, abbiamo tre verrà contro due non verrà."
Il campanello. Ancora una volta. Mi chiedo chi manchi all'appello. Inga? Mia madre? Un'altra sorella?
E invece, nel momento in cui potrei aspettare chiunque tranne una persona, quella persona mi appare alla porta. E' Endre.
"Ciao, Sophie."
"Ciao."
"Credi che possa entrare?"
Scuoto la testa. "E' meglio se parliamo fuori. C'è troppa gente, qui dentro.
Chiudo la porta dietro le mie spalle, e aspetto che Endre inizi a parlare. "Avevi ragione, Sophie. Io so chi sono. Il problema è che rifiuto di ammetterlo."
"Perchè do..."
Lui posa un dito sulle mie labbra. "Hai parlato davvero tanto, oggi. Ora tocca a me. Sono un idiota. E esordisco col dire che sono un idiota perchè è l'unica cosa di cui sono sicuro, ora come ora. Se penso che avrei potuto perdere..." la frase gli muore sulla labbra, mentre lui mi incornicia il viso con le mani.
"Ricordi quando ti ho detto che sei un fuoco? Ecco, è tutto lì. Il problema è che io mi sono spento da solo, Sophie. Mi sono spento attaccandomi a una famiglia che non ho mai avuto e a una donna che non ho mai amato. Mi sono spento perdendo di vista le cose importanti. La mia domanda è semplice: vuoi riaccendermi, Sophie Gràìn?"
Non riuscendo a parlare, mi mordo un labbro. "Io..."
"So che è difficile fidarti di me, ora come ora. Perchè sono un idiota totale. L'ho già detto, giusto?"
Sorrido. "Sì."
"Vuoi riaccendermi, Sophie?"
"Sì."
Lui sorride, e non credo di averlo mai visto così raggiante. Mi stringe a sé, con forza, poi scosta un ciuffo di capelli che copre il mio orecchio e poggia le labbra sul mio collo. "Il cognome di mia madre era Fontaine. Il cognome di mio zio, che presi a Londra, è Blanc. Il cognome di mio padre era Doestev. Era ungherese, o almeno questo è quello che mi è stato raccontato di lui. La D. del mio pseudonimo non significa nulla. E' solo una lettera, messa lì in ordine alfabetico. Quindi, Sophie, se vuoi conoscermi devi sapere che mi chiamo Endre Dostev-Fontaine-Blanc. Non che abbia molta importanza, ma volevo che tu lo sapessi." mi accarezza il polso con l'indice destro, lentamente, e io sono sopraffatta da tutte quelle sensazioni. "Voglio essere completamente onesto con te, perchè lo meriti." riprende. "Abito nel piano superiore di casa mia. Odio il piano inferiore, a dire la verità. Tranne per il minuscolo studio della mia caotica assistente. Ho vinto il premio Delacroix, qualche mese fa, e non riuscivo a pensare altro a quanto quel vestito fosse perfetto su di te. Eri spendida. Sei splendida. Odiavo Hans Bernard, perchè ti guardava come se volesse mangiarti. Adoro tua sorella Jane. Mi piacciono le alette di pollo che hai chiesto al cuoco a Parigi. Mi piacciono davvero tanto. Mi piace anche ridere, solo che non ci riesco spesso. E' che le cose non mi fanno ridere. Tu, però, mi fai ridere." Endre continua a parlare senza sosta, e mi chiedo come riesca a respirare. "Adoro quando parli, perchè non so mai cosa stai per dire. Amo i tuoi occhi tanto da averci scritto un libro. Non ho visto altri sguardi del genere, in vita mia. Non hai mai smesso di portare l'anello che ti ho regalato e questo mi conforta da quel giorno. Il mio gusto di cioccolata preferito è il peperoncino. Ti somiglia, il peperoncino. Sei sorpendente. Sei l'unica persona che può effettivamente fondere delle candele alla cannella e alla lavanda. E ti amo."
Senza sapere esattamente cosa dire, affondo la mia testa nel suo petto e rimango così per un bel po', protetta da tutto il resto. Poi, finalmente, lo prendo per mano e rientro in casa, dove tutti gli altri sono stranamente vicini alla porta.
"Stavamo origliando." ammette Jane. Io rido, mentre Ewan sembra raggiante. "Pare che l'universo abbia preso la sua decisione, non è vero, Dafne?"
Endre mi guarda leggermente disorientato, e non posso fare a meno di stringergli la mano con tutte le mie forze. E' Jane a rompere il surreale silenzio.
"Come al solito, avevo ragione." asserisce la piccola.
Come al solito, aveva ragione. E sono felice che sia così.

 

Ed ecco che un'altra fic è finita. E' sempre triste chiuderle, un po' perchè mi affeziono ai personaggi, un po' perchè temo sempre che il finale non sia all'altezza. Spero, di conseguenza, che lo sia =)
Nel discorso finale di Endre vengono ripercorsi quasi tutti i capitoli, ed è volutamente frammentario: in effetti, con Endre non ho sciolto tutta la "matassa" del personaggio enigmatico, ma lo preferisco così, ancora pieno di contraddizioni irrisolte ma felice, almeno.
Ci vediamo (spero!) su Chloe!

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