Demoni

di Floralia
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Katrine ***
Capitolo 2: *** Kastrup ***



Capitolo 1
*** Katrine ***


Katrine Nielsen percorse il corridoio del terminal 3 a passo sostenuto.
Le ruote del trolley scorrevano fluide al suo fianco sul pavimento di linoleum.
Dalle ampie finestre penetrava la luce calda del tramonto.
A pochi chilometri dall’aeroporto, il sole scendeva dietro la Sagrada Familia e creava al suo interno meravigliosi giochi di luce come in un caleidoscopio.
Se in quel momento Katrine fosse stata dentro la chiesa, avrebbe alzato il viso verso le vetrate a mosaico e avrebbe spalancato gli occhi per la meraviglia.
Ma la ragazza era ormai lontana dal centro città, nel quale aveva trascorso gli ultimi giorni.
“Buonasera” la salutò gentilmente la hostess all’ingresso dell’aereo. Katrine rispose con un sorriso.
Le guance nella loro risalita furono ostacolate dalla pesantezza degli occhi stanchi.
Sorridere era però parte del suo lavoro, così ad ogni modo il suo viso si illuminò e la fece apparire ancora più giovane e più bella di quanto non fosse.
I suoi lunghi capelli biondi, raccolti in una coda alta, sbiadirono e assunsero una colorazione verdastra quando furono colpiti dall’illuminazione interna dell’aereo.
Era molto più alta della maggior parte delle persone presenti nel corridoio. Alcune di queste le lanciarono sguardi curiosi e ammirati.
“Mi scusi” disse Katrine gentilmente per far intendere all’uomo di fronte a lei, il quale stava armeggiando con il suo bagaglio a mano, che aveva intenzione di proseguire nel corridoio.
L’uomo annuì e grugnì allo stesso tempo, spostandosi di qualche centimetro.
La ragazza lo superò con un movimento aggraziato e raggiuse la fila 18.
Sistemò il suo bagaglio a mano nello scompartimento e un ragazzo in camicia e cravatta si propose di aiutarla, anche se era evidentemente più basso di lei di almeno venti centimetri.
“Grazie, molto gentile” acconsentì Katrine, e prese posto con un movimento fluido, allo stesso tempo rivolgendo un sorriso allo sconosciuto, uno dei suoi sorrisi tanto belli da sciogliere il ghiaccio.
Nel movimento la gonna del vestitino nero che portava svolazzò con grazia e per qualche istante parve che da essa stessero spiccando il volo due corvi.
Alcune passeggeri si ritrovarono a guardarla come ipnotizzati. La guardarono mentre si aggiustava le falde del vestito sulle gambe, mentre si allacciava la cintura con le lunghe dita affusolate, mentre salutava con sincera gentilezza negli occhi la signora anziana che si stava accomodando nel sedile accanto al suo.
“Benvenuti sul volo per Copenaghen” esordì la voce del capitano. Proseguì pregando i passeggeri di prendere posto, li informò di un leggero ritardo. Ripeté lo stesso messaggio tre volte: in Catalano, in Spagnolo e in Inglese.
 
Katrine ascoltò distrattamente la versione inglese, mentre cercava di applicare del correttore sotto gli occhi, tenendo uno specchietto nella mano destra di fronte a sé.
La conversazione con la sua vicina di posto si era conclusa in un tempo incredibilmente breve, poiché l’anziana signora parlava soltanto Catalano.
Katrine non aveva potuto fare altro che sorridere e alzare le spalle, come per intendere “mi dispiace ma sono certa che avremmo fatto un’ottima conversazione se avessimo potuto”.
Si domandava il motivo per cui la signora stesse volando verso Copenaghen.
Gli assistenti di volo illustrarono le procedure di emergenza mentre l’aereo si muoveva sulla pista per prepararsi alla partenza.
Una hostess con il rossetto rosso e il viso che Katrine definì “tipico spagnolo” passò velocemente tra le file per controllare che tutto fosse in ordine.
L’aereo prese velocità e si alzò da terra. La signora catalana emise un urletto isterico.
Katrine attese che l’aereo raggiungesse una quota stabile e poi indossò le cuffiette e si immerse in una canzone degli Artick Monkeys.
Sospirò e chiuse gli occhi, appoggiando il collo contro il sedile.
Trovandosi scomoda, raccolse i capelli biondo platino in uno chignon molto alto e si abbandonò finalmente alla stanchezza.
Quando si svegliò, il cielo fuori dal finestrino era completamente buio e immaginò che fosse ricoperto di nubi scure poiché non riusciva a vedere alcuna luce che segnalasse una città o un centro abitato.
Si sentiva indolenzita.
Provò a distendere le gambe e le braccia senza allargarsi troppo per non disturbare gli altri passeggeri.
Comparve la hostess col rossetto rosso a chiedere se qualcuno volesse qualcosa da bere o da mangiare.
Katrine prese un caffè e domandò quanto mancasse alla discesa.
“Circa venti minuti.”
Qualcosa dentro di lei fece le bollicine. Era felice di ritornare in Danimarca dopo tanto tempo.
Avrebbe rivisto la sua famiglia, sarebbe ritornata alle sue abitudini, al suo cibo.
Avrebbe rivisto Jonas.
Sapeva già che avrebbe trovato Jonas davanti alla sua porta di casa il mattino seguente il suo arrivo a casa. Anche se si erano lasciati, a causa del lavoro di Katrine, lei sapeva che Jonas non era il tipo da ricominciare una nuova vita e dimenticarsi di lei in fretta. Sarebbe tornato. E andava bene così.
Sua madre sarebbe stata felice e l’avrebbe fatto entrare. Si sarebbero seduti al tavolo e avrebbero fatto colazione insieme, conversando e attendendo insieme che Katrine si svegliasse e facesse capolino in sala da pranzo. Forse avrebbero riso al vederla stupita e felice.
Ma non sarebbe stata stupita. Conosceva Jonas.
Suo padre sarebbe stato in giardino a falciare il prato o a leggere il quotidiano sulla sua sdraio.
Avrebbe avuto accanto a sé una tazza di caffè lungo e un piattino con una fetta di rugbrød con burro e formaggio da cui prendere sporadici morsi.
Jonas avrebbe parlato del lavoro e dell’università, mentre sua madre preparava le uova strapazzate con la panna.
Sua madre si vestiva sempre bene anche se doveva rimanere a casa. Aveva sempre il viso curato e i capelli in ordine.
Il gatto sarebbe sceso dalla poltrona sulla quale sonnecchiava e si sarebbe strusciato sulle gambe di Jonas facendo le fusa.
Poteva vedere il ragazzo sorridere e prendere l’animale in braccio per posarlo sulle sue gambe, dove si sarebbe accoccolato.
Allora sua sorella Johanne sarebbe ritornata rumorosamente a casa, dopo aver passato la nottata in città o da qualche amica e fare festa.
Avrebbe certamente avuto mal di testa e si sarebbe servita un’abbondante porzione di uova strapazzate inondate di salsa remoulade.
L’unico elemento mancante all’interno del quadretto che i stava immaginando, era Katrine stessa.
La sua famiglia era vicina ora, ma lontana da lei. Le scelte che aveva dovuto compiere, come quella di lavorare per lunghi periodi lontano da casa, avevano fatto in modo che i suo genitori e sua sorella vivessero nella sua mente soltanto, e nello schermo del telefono durante qualche sporadica chiamata su skype.
Katrine volse leggermente il viso verso il corridoio mentre rifletteva su tale argomento. Vide una ragazza seduta qualche fila più avanti, con lunghi capelli biondi raccolti in una treccia.
Per una frazione di secondo aveva creduto che fosse sua sorella.
Dato che doveva rimanere ancora per del tempo lontano da lei, rimase a fissare la sconosciuta di schiena, immaginandosi che fosse realmente la sorella, conversando con lei nella mente.
Le cuffiette nelle orecchie trasmettevano un canzone dei Red Hot Chilli Peppers ora.
Katrine appoggiò il viso sulla testata del sedile lateralmente e socchiuse gli occhi esalando un lungo respiro.
I suoi occhi furono tutto d’un tratto catturati da un movimento periferico. Si voltò verso la sorgente dell’impulso, ma non vide nulla.
La ragazza si raddrizzò, distese le gambe e spostò la propria attenzione verso l’oblò alla sua sinistra, dal quale si intravedeva il cielo nero come inchiostro di seppia.
Si sporse ancora , fino ad appoggiare la fronte contro il vetro e a premervi contro il naso, dalle quali narici si formavano due piccoli aloni di condensa.
Il cielo si era rasserenato ed il panorama sottostante mostrava le diramazioni luminose delle metropoli, che brillavano come se fossero causate da un pugno di gemme preziose e pepite d’oro sparse sopra un lenzuolo di velluto nero.
Qualunque cosa stesse succedendo per le strade, chilometri sotto di lei, Katrine se le immaginava affollate, cariche di uomini e donne intenti in una lotta disumana.
Un senso di inquietudine le avvolse la gola come una mano gelida.
Immaginava uomini che nascondevano il volto, intenti ad ordire attacchi e attentati.
La sicurezza della popolazione era compromessa, la folla urlava, gridava a pieni polmoni, devastata dalla consapevolezza del pericolo.
La ragazza cominciò a respirare affannosamente e si distaccò dall’oblò con un movimento repentino e inaspettato che le causò una forte fitta al collo.
Tentò di alzarsi, spinta da un’irrefrenabile istinto, chiedendo scusa alle persone che le sedevano di fianco.
Subito accorse una hostess che doveva aver notato il movimento dall’altro capo del corridoio.
“Non può alzarsi, abbiamo cominciato la discesa, torni al suo posto” interloquì gentilmente.
“Io devo andare in bagno!” balbettò Katrine, consapevole di essere nel torto. Le guance le si tinsero di rosso.
La hostess si limitò e ripetere la stessa frase e a indicare con una mano il posto alla ragazza, e attese che tutto tornasse alla normalità.
Katrine sentiva gli occhi delle persone addosso. Sentiva la loro cattiveria che le faceva una radiografia ai raggi x. Annaspò e sbuffò e scopri che la fronte le prudeva selvaggiamente. Quando si grattò la colpì un fronte bruciore e le sfuggì un’esclamazione di dolore. Tuttavia quando abbassò la mano ad altezza degli occhi, sicura che vi avrebbe trovato sopra del sangue, la scoprì pulita, anche se ora leggermente tremante.
Le sfuggì un’imprecazione in danese mentre prendeva lo specchietto del make-up dalla borsa e si controllava il viso.
La signora seduta al suo fianco si era lanciata in vari tentativi di capire cosa succedesse e di rassicurarla, ma in catalano.
Katrine era pietrificata dallo scoprire che la sua fronte era liscia a rosea, come avrebbe – o non avrebbe- dovuto essere.
Imprecò di nuovo in danese e affannosamente cercò di calmare la donna catalana, che nel frattempo le aveva posato una mano sul braccio con aria preoccupata. 





Ciao a tutti :) vi riterrei delle persone fantastiche se lasciaste una recensione, anche piccola!
Grazie per aver letto, spero che vi siate almeno un po' incuriositi della storia e che continuiate a seguirmi ^___^
Fatemi sapere se trovate degli errori o se avete suggerimenti ^___^

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Capitolo 2
*** Kastrup ***


Katrine entrò dal bagno del terminal 2 e si diresse agli specchi.
Si sciacquò il viso con abbondante acqua e si asciugò con le salviette di carta.
Il mascara aveva sbavato, formando colature nere sotto gli occhi. La ragazza si raggiustò con un dito.
Si fissò allo specchio per un tempo troppo lungo, chiedendosi che cosa le fosse successo sull’aereo. Il panico intenso e immediato che aveva provato si stava ora lentamente dissolvendo, rimpiazzato dall’inquietudine di non sapere che cosa stesse succedendo.
Spinse la maniglia del bagno per uscire e fu completamente inondata dall’aroma di barbecue. Inspirò a grandi boccate l’odore di salsiccia alla griglia, voltando il capo per individuarne la fonte. Decise che proveniva dal bar poco vicino e si incamminò verso le porte automatiche verso l’esterno, mentre lo stomaco le si contraeva e gorgogliava per la fame.
Si appuntò mentalmente di fare un buon pasto una volta arrivata in albergo, anche se fosse stata ora di andare a letto.
Quando uscì dal terminal, Katrine fu colpita da una forte folata d’aria gelida.
Riconobbe sulla pelle il clima danese e si deliziò nel sentire la sua lingua di nascita parlata dai passanti tutto intorno a lei.
Le fu impossibile trattenere uno dei suoi sorrisi gentili e sensuali allo stesso tempo.
Cercò con lo sguardo un taxi disponibile, mentre si sfregava le braccia con entrambe le mani per scaldarsi.
 
L’interno del taxi era tiepido e Katrine si lasciò andare sul sedile appoggiando il collo sulla testata dello schienale.
Alla radio risuonava un’aria classica che la ragazza, nel torpore della stanchezza che la avvolgeva, riconobbe a stento come Mozart.
Le luci della città apparvero al finestrino del veicolo.
Le vie pedonali erano affollate e gremite dai turisti, così come Tivoli, che risplendeva di luci e risuonava di chiacchiere e canzoni.
Il tassista la lasciò poco lontano da Tivoli, ai piedi di un grande edificio che ospitava uno degli hotel più rinomati di Copenaghen, circondato dalle ambasciate a dalle vie dello shopping.
Katrine effettuò il check-in e raggiunse la sua stanza al secondo piano utilizzando un ascensore foderato di velluto rosso cremisi.
Gettò il bagaglio sul letto e tirò le tende alla finestra.
Si sfilò i vestiti e li lasciò con noncuranza sul pavimento, massaggiandosi il collo con aria sofferente.
Riempì la vasca di ceramica color avorio di acqua bollente, aggiunse il bagnoschiuma sotto il getto di acqua corrente così che creasse una fitta schiuma bianca, come usava fare quando era bambina, e vi si immerse.
Senza più preoccupazioni, la sua mano si levò d’istinto verso la fronte e la ispezionò brevemente.
Alla luce dorata che proveniva dal lampadario sopra la sua testa, Katrine sembrava immersa nel metallo liquido.
Sollevò una gamba e la appoggiò sul bordo della vasca e con grazia l’acqua scivolò via dalla sua pelle per ricadere in una pioggia di goccioline sulla superficie.
La ragazza chiuse gli occhi e fece mentalmente un sommario della giornata appena trascorsa, e si soffermò sui momenti sull’aereo durante i quali non sapeva cosa le stesse succedendo.
Quelle sensazioni estranee l’avevano sorpresa quanto un pacifista convinto si può sorprendere scoprendo se stesso immaginare scene di guerra e provarne piacere.
Disegnò piccoli cerchietti sull’acqua con la punta delle dita affusolate.
Quando si levò in piedi, rimase per qualche secondo immobile al centro della vasca a strizzarsi i capelli e se uno sconosciuto avesse fatto capolino nella stanza in quel momento, sarebbe stato persuaso per qualche istante di star guardando ad una copia della venere di Botticelli.
Si asciugò e si infilò un pigiamo caldo.
Alcune delle regole non scritte riguardanti essere una modella sono che il lavoro non finisce su un set fotografico, ma bisogna sempre e in ogni istante presentarsi al proprio meglio, mantenere un atteggiamento dignitoso e in qualche modo sempre tenere alto il livello di sex appeal.
Anche allo zoo la domenica, oppure al supermercato, o su un aereo di linea, il lavoro continua perché il lavoro della modella non è tanto venire bene in fotografia, quanto essere un essere umano perfetto sempre.
Il pigiamone caldo era riservato alle serate private. In cui il mondo era chiuso fuori da spesse tende.
Una volta nel letto chiamò al cellulare la sua famiglia e chiacchierò con ognuno di loro per almeno tre quarti d’ora prima di sprofondare in un sonno popolato di aerei che si schiantavano al suolo e bagni di sangue.
 
La mattina si presentò presto al lavoro.
Era una giornata di sole intermezzato da nubi, che fluttuavano veloci creando zone d’ombra sulla terraferma.
Il set fotografico si teneva all’interno del Blå Planet, l’acquario di Copenaghen.
Katrine arrivò portando come biglietto da visita uno dei suoi sorrisi più smaglianti e incontrò il fotografo.
Insieme scambiarono alcune battute amichevoli in inglese, poiché l’uomo era brasiliano.
Katrine scoprì che era specializzato in quel tipo di scatti in ambiente scuro e che sapeva come far risaltare i colori e le figure.
“Il mese scorso ho svolto un servizio all’interno di una grotta in Croazia per Vogue. Le modelle stavano congelando, perché avevano addosso lingerie, ma è stato comunque molto interessante.”
Katrine rise per cortesia.
“Nora, la tua stylist, ti preparerà in due minuti.” Aggiunse, indicando una donna che era apparsa con una grande borsa in spalla.
Katrine si accomodò ad una delle postazioni del trucco portatili che erano sorte all’ingresso e mentre attendeva che la stylist avesse il tempo di parlare con lei, conobbe le altre tre ragazze con cui avrebbe condiviso il servizio fotografico.
Discussero di lavoro e di conoscenze in comune e si promisero che si sarebbero incontrate dopo il lavoro per bere qualcosa insieme.
“Indosserai tre vestiti, avrai alcune foto singole e alcune di gruppo” la istruì la stylist con fare materno “il cliente sta per arrivare sul set e vuole che l’atmosfera sia estremamente seria.”
Il truccatore applicò il make up sul viso della ragazza mentre le raccontava una storia divertente che gli era capitata qualche sera prima.
Rese le labbra molto più carnose contornandole e tingendole di rosso corallo. Gli zigomi erano contornati e gli occhi sfumati di nero.
L’hair  stylist le pettinò i capelli con il gel e li lasciò sciolti dietro la schiena, posizionandoli lisci e tirati dietro le orecchie.
Il primo vestito era di Cavalli, di seta arancione e azzurra con uno scollo che proseguiva fino all’ombelico.
“Appogiati al vetro” le diceva il fotografo.
Erano nel tubo, quella parte dell’acquario in cui si attraversa un tunnel completamente di materiale trasparente e si ha la sensazione di essere circondati dall’acqua.
“Guardami, ora” aggiunse mentre era intento a scattare foto e cambiare angolazione. Tutto intorno le luci artificiali creavano un’atmosfera calda e intrigante.
Katrine appoggiò la schiena al vetro curvo e proprio mentre un’enorme razza passava sulla sua testa aprì appena le labbra in un’espressione al contempo incurante ed estatica.
“Brava, così! Abbiamo degli scatti formidabili. Ora cambia posizione.”
Il secondo vestito era un Dior lungo e ampio, di tessuto leggero che si fermava sotto il seno e ricadeva in figure simili a onde del mare. Era contornato di filo dorato.
Katrine posò di fronte all’acquario in cui erano contenuti i pirana.
L’ultimo abito era un Valentino di pizzo con le maniche lunghe e il make up prevedeva rossetto nero. La foto doveva contenere tutte quante le modelle. Posarono appoggiandosi una all’altra, poi in un intreccio fino a quando il fotografo concordò con il cliente che il servizio poteva essere considerato terminato con successo.
Katrine si cambiò e prima di andare via salutò tutti i membri dello staff e le altre modelle.
Mantenne l’acconciatura e il trucco, come era abituata a fare, e si avventurò a piedi verso la metro di Kastrup.
 
Katrine scese le scale in silenzio e attese che la metro arrivasse.
Le poche persone presenti la degnarono di una lunga occhiata inquisitoria.
La ragazza si passò una mano tra i capelli per scollarli e girò il volto. In quel momento si erano aperte le porte di una carrozza della metro alle sue spalle e un fiume di gente si disperdeva in direzione dell’uscita più vicina. Fu un attimo, un battito di ciglia.
Katrine vide di fronte a lei un uomo. Non aveva idea del perché, ma sentì il cuore che le sprofondava nello stomaco. L’uomo non era come tutti gli altri, era fatto di una materia diversa.
Il corpo irrigidito con una mano all’altezza del collo, Katrine continuava a fissare lo sconosciuto negli occhi.
Lui la fissava di rimando con la stessa intensità. Era giovane, sulla trentina, con i capelli castani e le spalle larghe.
Così come era apparso, si dissolse al passaggio di nuovi arrivati provenienti dalla metro appena arrivata.
Katrine si rese conto di non star respirando e di avere la bocca spalancata.
Si ricompose e per un soffio riuscì a entrare nel vagone proprio mentre le porte si chiudevano.
Si sedette e si prese la bocca tra le mani.
Le stava succedendo qualcosa.
Sentiva sensazioni mai provate prima, inadeguate al contesto e non capiva come fare ad evitarlo.
Si portò le mani davanti agli occhi e si accorse di due cose: stava tremando e aveva le mani sporche di nero, quindi anche la sua faccia doveva essere tutta sporca.
 
L’acqua scendeva nera lungo le gambe di Katrine mentre la ragazza era intenta e sfregare il viso vigorosamente utilizzando un bagnoschiuma.
Qualche goccia le finì negli occhi e sibilò tra i denti mentre sentiva un pizzicore acuto diffondersi irrimediabilmente. Imprecò in danese.
Si asciugò e vestì distrattamente, mentre non riusciva a scostare il pensiero dal volto dell’uomo che aveva visto in metropolitana.
Sicuramente esisteva solo nella sua mente.
All’improvviso si bloccò nel mezzo di un’azione, stringendo nella mano destra un maglione che rimase a penzolare a mezz’aria sopra il trolley spalancato.
David.
David aveva versato una droga nel suo bicchiere il giorno prima.
La ragazza cercò di riprendersi dal momentaneo sgomento che la rivelazione aveva portato.
Era stata nell’appartamento di David il pomeriggio prima di partire. L’uomo era un ricco fotografo canadese che lavorava a Barcellona e amava circondarsi di modelle e organizzare festini.
Si ricordava di aver conversato con altre ragazze, essersi rilassata a bordo piscina nel giardino della grande villa barocca in cui abitava il fotografo. Aveva conversato anche con l’uomo, lasciandolo avvicinare tanto da mantenere buoni rapporti ma non abbastanza da dargli un’idea sbagliata.
David aveva capito che non sarebbe riuscito a portarsi a letto la ragazza e l’aveva salutata per poi gettarsi verso un gruppo di giovani modelle polacche.
Katrine aveva ammirato il magnifico panorama che dava sul mare, si era portata alle labbra una dolce bevanda alcolica e ne aveva bevuto qualche sorso. Tenendo il bicchiere in mano, rigirandolo lentamente come si fa con i vini pregiati, aveva percepito l’odore del cocco e della menta.
Un altro sorso, mentre guardava David tirare a sé due giovani modelle bionde impegnate in risolini e cingerle per i fianchi, poi aveva posato il bicchiere e si era incamminata in direzione della macchina che l’avrebbe condotta all’aeroporto.
Nel bicchiere c’era della droga.
Ora che la notizia la colpiva come un’onda in pieno viso, si sentì mancare.
Si sedette, respirò profondamente come aveva imparato durante le lezioni di yoga, poi si alzò e terminò di fare i bagagli.
Giunta alla stazione di Copenaghen ordinò un caffè espresso e lo consumò tutto in un sorso, come uno shot di tequila.
Raggiunse un altro bar e ordinò un caffè americano, che cominciò a sorseggiare mentre si incamminava giù per le scale mobili verso il binario.
Si accomodò sul treno, infilò le cuffiette nelle orecchie e alzò il volume della musica al massimo. Se la droga le avesse causato ancora degli effetti, li avrebbe contrastati ad ogni costo.
Riprese il contegno necessario alla Katrine-modella e tentò di stamparsi in viso un sorriso più o meno falso.
Il paesaggio rurale della Danimarca intanto correva veloce al di là del finestrino.
Un agglomerato di nuvole nere in lontananza preannunciava un forte temporale autunnale e il vento percuoteva gli alberi conferendo loro le sembianze di anime tormentate dell’inferno dantesco.
Una voce registrata ricordava a intervalli regolari che i possessori di carta d’imbarco erano pregati di effettuare il check out appena scesi sul binario.
Il treno si immerse sotto il mare per un tratto e il buio oppresse i vagoni mentre percorreva una lunga galleria.
Quando riemerse, il veicolo percorreva un ponte sopraelevato sull’acqua scura e torbida, sulla quale cominciavano a picchiettare le prime gocce del temporale.
Giunti sullo Jutland il panorama cambiò e si potevano osservare chilometri e chilometri di campi coltivati e fattorie, foreste e immense pianure di prati incolti dove a volte pascolavano le mucche.
Poche città intermezzavano la vasta campagna e sorgevano e scomparivano di pari velocità dai finestrini del treno.
 

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