Da Adesso in Poi

di nikita82roma
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** UNO ***
Capitolo 2: *** DUE ***
Capitolo 3: *** TRE ***



Capitolo 1
*** UNO ***


Temperance conosceva bene il suo corpo. Sapeva bene che quelle reazioni che vedeva ormai da qualche giorno erano l’evidenza di qualcosa che le avrebbe cambiato la vita, per sempre. I segnali erano inequivocabili, ma lei voleva le prove, lei era una scienziata, non si sarebbe accontentata della sua voce interiore che le diceva cosa stava accadendo. Doveva sapere. Voleva sapere. Voleva avere la certezza.
Ogni mattina, però, la nausea era più forte e si svegliava sempre più stanca, insonnolita ed ora che lo guardava bene il suo seno sembrava più gonfio, sicuramente era più sensibile, pensò massaggiandoselo.

Possibile che era bastata una notte, una sola notte per rimanere incinta? Certo che era possibile, lo sapeva bene. Non si mise a fare calcoli mentali su quante probabilità c’erano in base alla sua ultima ovulazione e se era in periodo fertile oppure no, quella notte a casa di Booth, però doveva essere stata per forza quella notte, l’unica nella quale sopraffatti dalle emozioni si ritrovarono amanti senza pensare alle conseguenze. Non ci aveva più pensato, fino a quando l’evidenza faceva strada nella sua mente, si insinuava il dubbio che era diventato certezza.

Erano sempre stati attenti dopo. Perchè, sì, dopo quella notte, c’era stato un dopo. Anzi diversi dopo. Diversi, piacevolissimi, dopo. Da lei e da lui. In segreto, perchè benchè tutti da tempo fossero convinti che tra loro c’era di più, ora che se ne erano convinti anche loro stessi, l’unica cosa per ora volevano era tenere tutto questo solo per se. 
Senza dire niente a nessuno, senza dare spiegazioni, senza dover sentire i “Ve l’avevo detto” di Sweets che li avrebbe guardati compiaciuto che le sue teorie erano vere e i “Io l’ho sempre saputo” di Angela. 
La Montenegro a dire il vero qualche cosa sapeva, sapeva che alla fine lei aveva ceduto e “aveva dormito con Booth” queste le parole letterali di Temperance alla sua amica ed aveva anche intuito dalla sua espressione che la dormire non era il verbo esatto di quello che era accaduto, che era stato qualcosa di molto più piacevole. Poi però Temperance non aveva più parlato, non aveva più detto nulla e loro, presi dalla morte di Vincent ed Angela soprattutto dalla nascita di suo figlio che si faceva attendere, non aveva più approfondito il discorso con lei.

Bones e Booth però avevano approfondito eccome la loro conoscenza ed era diventato sempre più difficile stare lontani e far finta di nulla davanti agli amici. Erano stati sempre affettuosi l’uno con l’altra, quindi a nessuno sembrava strano se lei si aggrappava al suo braccio o se lui le cingeva la vita, se ridevano e si sorridevano più del normale. Solo Angela coglieva quei segnali in modo diverso e se ne compiaceva, perché vedeva la sua amica finalmente felice.

 

Si erano visti anche la sera prima, da lui e come sempre il loro vedersi finiva nello stesso modo, in camera da letto. Che sarebbero stati molto compatibili dal punto di vista sessuale lei lo aveva sempre sostenuto per via delle loro qualità fisiche e della loro resistenza ed aveva ragione quando pensava che sarebbe stato molto appagante fare l’amore insieme, ma si era ritrovata più di una volta a pensare finito l’amplesso, che lo era molto di più di quanto credesse, perchè sentiva che il suo appagamento non era solo fisico era qualcosa di più, qualcosa di diverso, non era una reazione fisica o chimica, era qualcosa a cui non riusciva a dare un nome o non voleva farlo, perchè lo sapeva che quel nome esisteva ed era quello che più la spaventava: amore.

Si chiedeva, in quei momenti di totale beatitudine fisica, se anche lui provasse la stessa cosa. Lo guardava sdraiato vicino a lei, con gli occhi chiusi e le braccia larghe, il volto disteso e sudato, il torace che si alzava ritmicamente ogni volta che insiprava profondamente, fino a quando respiro e battito non tornavano normali, calmi. Poi si appoggiava con la testa sul suo petto ed aspettava che lui la abbracciasse appena la sentiva su di se e lui lo faceva. Sempre. Booth era totalmente rilassato, lei ci provava, ma no, non lo era. Era felice, era soddisfatta, ma non aveva la mente sgombra, non riusciva a stare senza pensare, a godersi semplicemente il momento. Pensava. Si chiedeva e si tormentava se anche per lui quello voleva dire la stessa cosa che era per lei. 

Si vedevano, facevano sesso, si abbracciavano, baciavano, ridevano, scherzavano. Ma non erano mai riusciti a parlarsi. A dirsi realmente cosa gli stava accadendo, cosa erano l’uno per l’altra. Lei sapeva che non poteva essere solo una storia di sesso, per sfogare i normali impulsi, non dopo tutto questo tempo, non dopo tutto quello che si erano detti prima di cominciare a frequentarsi in quel modo. Perchè prima parlavano molto, a modo loro, con i loro dico e non dico, con le mezze frasi e le allusioni. Ora invece no. Non ne avevano più parlato. Forse Booth lo dava per scontato. Si erano detti di amarsi, in tempi diversi, quando nessuno dei due era pronto in quel momento. Ora che erano tutti e due pronti non lo avevano detto più e Temperance non pensava che, invece, la cosa fosse così scontata.

Così la sera prima, dopo che avevano finito di nuovo la serata facendo sesso, per la prima volta, con una scusa, decise di tornare a casa. Lui sembrò confuso e non credere molto a quella storia che doveva assolutamente finire un articolo per un’importante rivista scientifica, però preferì mettere da parte il suo dispiacere e fare finta di nulla.

Le avrebbe voluto dire che l’accompagnava, ma poi Booth sapeva esattamente come avrebbe voluto far finire la cosa: se lei aveva da scrivere, sarebbe rimasto lui lì, da lei anche a guardarla scrivere tutta la notta. Ma sapeva bene che se era vero che doveva farlo, averlo lì in casa non l’avrebbe aiutata a concentrarsi, perchè aveva scoperto che esistevano vari modi per distogliere la rigida ed inflessibile antropologa dal suo lavoro, e a lui piaceva metterli in pratica tutti. A malincuore, quindi, l’accompagnò solo fino alla porta di casa, baciandola più volte fino a quando lei non la chiuse definitivamente, lasciandolo solo con il suo sapore sulle labbra. Guardò l’orologio, l’avrebbe rivista la mattina dopo, in fondo non era molto tempo, ma ormai si era abituato a dormire quasi tutte le notti con lei che stare senza gli sembrava di non riposare bene, ma si ributtò a letto ispirando forte il suo profumo che era ancora sul cuscino. Era innamorato. Profondamente innamorato di quell’imprevedibile donna che era Temperance Brennan, la sua Bones e doveva dirglielo chiaramente, perchè a lui questa relazione così, non bastava più.

 

Così era tornata a casa sola quella sera. Si era sdraiata nel suo letto, piena dei suoi pensieri a cui se ne stava aggiungendo uno in più. Uno enorme. Prese dalla borsa il test di gravidanza che aveva comprato quel pomeriggio ed era stata con la paura per tutto il giorno che Booth lo scoprisse per sbaglio. Era consigliato farlo di mattina. Lo voleva fare subito a quel punto ma avrebbe aspettato, qualche ora in più non avrebbe cambiato le cose, in fondo.
Dormì poco. Pensò a come lo avrebbe detto a Booth, a cosa sarebbe stato di loro a come avrebbe reagito. In realtà non sapeva ancora nemmeno come avrebbe reagito lei. Ma reagire a cosa poi? Lei lo sapeva, Temperance lo sapeva, glielo diceva tutto di se e quelle due lineette sarebbero servite solo alla Dottoressa Brennan che voleva le prove per ogni cosa. E lei, Temperance, gliele avrebbe sbattute in faccia e le avrebbe detto che aveva ragione lei. Non tutto si può spiegare razionalmente, Booth lo diceva sempre.

Poi un pensiero la invase: e se non era vero? Se tutto questo era solo una sua proiezione mentale? Se si stava auto convincendo di essere incinta, esattamente come si era convinta tempo prima di essere un’altra persona? 
No. Aveva bisogno delle prove, della certezza. Doveva e voleva averle. Perchè non tutto si può spiegare razionalmente, ma se una persona è incinta oppure no sì. Lo dice la scienza in modi molto semplici. Basta controllare i valori del Beta-HCG, non è una cosa complicata.
Dormì, alla fine, almeno un po’. 

 

La mattina dopo si ritrovò quindi in bagno con la nausea e stanca più de dovuto, anche per la notte quasi insonne. Aveva lo stick tra le mani ed una paura folle di fare quel test. Non sapeva in quel momento di cosa avrebbe avuto paura? Di un risultato negativo o positivo? Aveva paura di vedere la sua vita sconvolta da lì a poco oppure che tutto rimanesse come era? Non si sapeva dare una risposta, ma prese coraggio e fece il test.
Lo appoggiò sul comodino imponendosi di aspettare quei cinque minuti senza guardare ogni pochi secondi se qualcosa appariva. Era una scienziata, si ripeteva, se dicono cinque minuti, doveva aspettare cinque minuti. Era quello il tempo tecnico per avere un responso.
Erano i cinque minuti più lunghi della sua vita, almeno da quando era rimasta sepolta in auto sotto terra con Hodgins. Controllava l'orologio compulsivamente e il tempo sembrava essersi cristallizzato. "Il tempo scorre sempre alla stessa velocità, sei tu a percepirlo diversamente" si ripeteva facendo uno sforzo massimo di razionalità. 

Ora quei cinque minuti erano passati. Afferrò lo stick, chiuse gli occhi, fece un respiro profondo e poi li riaprì. Quelle due lineette erano lì a confermare quello che lei in fondo sapeva. Ora anche la sua parte razionale aveva le prove. Certo un test di gravidanza non era attendibile al 100% e lei voleva quella percentuale di sicurezza. Avrebbe fatto le analisi, quella mattina stessa, in una clinica che conosceva bene dove le avrebbero dato il responso subito, nella massima discrezione.
Lasciò il test sul letto, si vestì velocemente ed uscì. Poco più di un'ora dopo aveva in mano quel foglio che non ammetteva repliche: positivo.

Aveva tutte le prove che servivano alla sua parte di scienziata che in quel momento stava diventando sempre più piccola dentro di lei. Salutò il medico del laboratorio che gentilmente le aveva dato il responso così celermente che congedandola le fece gli auguri. Rimase spiazzata e ringraziò balbettando.

Si sedette in macchina, posò la cartellina con i risultati sul lato passeggero e appoggiando le mani sul volante si lasciò andare, per la prima volta, ad una vera e sincera commozione.
Appoggiò la testa sulle mani e lasciò che le lacrime uscissero senza trattenersi oltremodo. Rideva e piangeva nello stesso momento, sopraffatta da emozioni che si susseguivano dentro di lei senza possibilità di arginarle in nessun modo. E in realtà non voleva fermarle, voleva lasciarsi invadere da quelle sensazioni mai provate ed ebbe la certezza che le sue barriere si erano sgretolate.
Si ricompose, si asciugò le lacrime e si guardò allo specchietto. I segni sul viso del suo pianto erano evidenti, non poteva presentarsi in laboratorio così. Fece un giro un po’ più lungo con la macchina. Andò a prendere un caffè. “Decaffeinato” si ricordò di dire all’ultimo alla ragazza che prese il suo ordine. Non le piaceva stare da sola in un cafè, ma ora ne aveva bisogno. Doveva riprendersi. Si portò entrambe le mani sul ventre, sorrise, e si appoggiò allo schienale della poltroncina. Aveva bisogno di qualche momento solo per lei, anzi solo per loro.

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Capitolo 2
*** DUE ***


Le appoggiarono il caffè sul tavolo. Decaffeinato, si sarebbe dovuta abituare a quel gusto che non la entusiasmava proprio.
Guardò l'orologio, era prima di quanto pensasse. Si domandò se avesse assunto di nuovo un aspetto presentabile. Finì il caffè, pagò il conto e si apprestò ad uscire.
Il suo telefono squillò e guardando il nome nel display il suo viso si aprì in un sorriso. Booth. "È papà" pensò tra se e se e si trovò ridicola da sola a pensare certe cose. Contegno, doveva ritornare in se. Rispose

- Brennan
- Ciao Bones, abbiamo un caso, ad una pista di Bowling, ti passo a prendere a casa?
- Ciao Booth, sono già fuori con la mia auto, mandami l'indirizzo, ti raggiungo io.
- Bones, tutto bene? Come mai già in giro?
- Tutto bene Booth, ci vediamo tra poco.

Mise i dati nel navigatore e lasciò che questo le indicasse la strada per arrivare da Booth. Almeno quella fisica era una strada certa. Come si sarebbe comportata, adesso, quando lo avrebbe visto? Certo non poteva dargli una notizia tanto importante davanti ad un cadavere. No, assolutamente. Doveva fare finta di nulla, doveva essere la sua Bones di sempre. Poi avrebbe avuto modo di parlargli, da soli, a casa, nella speranza che le sarebbero venute in mente le parole giuste.

Lei parlava sempre solo con termini scientifici, cosa gli avrebbe detto? "Il mio gamete femminile è stato fecondato dal tuo gamete maschile durante un rapporto sessuale" No, decisamente non era la spiegazione adatta da dare a nessuno, specialmente ad uno come Booth.

"15.000 bambini nascono ogni ora, non è un fatto eccezionale" Aveva detto ad Angela qualche anno fa, quando seguendo un caso le era venuta voglia di avere un figlio. Non era un fatto eccezionale? Perchè, invece adesso le sembrava la cosa più eccezionale del mondo avere dentro di se quel minuscolo ammasso di cellule che crescevano e si moltiplicavano fino a quando non avrebbero creato dal nulla un bambino? Un bambino che ancora non c'era, lei lo sapeva che scientificamente quello non era ancora un bambino, ma solo cellule di non più di qualche millimetro, eppure non riusciva a percepirlo così, non erano solo cellule, era di più e la cosa la spaventava perchè era tutto irrazionale, non rientrava in nessuno dei suoi schemi mentali.

Ed ora ecco lì, che la accoglieva all'entrata del locale con quel suo sorriso timido stampato sul volto e gli occhi che brillavano, come sempre. Ma lei faticava a guardarlo negli occhi, non solo perchè gli si sarebbe buttata al collo per baciarlo, proprio come aveva fatto l'ultima volta che lo aveva visto, sulla porta di casa, ma perchè aveva paura che lui avrebbe potuto cogliere nello sguardo di lei qualcosa di diverso dal solito, che si sarebbe tradita in qualche modo.

Ora dovevano lavorare, c'erano delle ossa che la aspettavano. Per il resto ci sarebbe stato tempo, tutto il tempo per parlare con calma, di loro e di quello che sarebbe stato il loro futuro, ora non potevano più rimandare e far finta di niente.

Sperava solo che la nausea non le sarebbe tornata. Vomitare davanti ad un cadavere non sarebbe stato da lei e di quello sì, avrebbe dovuto dare spiegazioni. Pochi giorni prima, nel bosco, le era capitato, ma per fortuna era riuscita ad allontanarsi con la scusa di cercare altre prove e nessuno l'aveva vista. Eppure Booth una volta glielo aveva detto che anche a lei sarebbe successo di vomitare davanti ad un cadavere, ma lei non gli aveva creduto: "Capiterà anche a te, tutto capita prima o poi. Quello che pensi che non ti succederebbe mai, prima o poi ti capita.". Pensava che si sarebbe innamorata di Booth? No. Pensava che avrebbe avuto un figlio da Booth, in modo convenzionale? No. Eppure Ora era innamorata ed incinta. E lui era lì, che la guardava imbambolato e le sorrideva. "Il trucco è farsi trovare pronti" diceva Booth. E lei era pronta? Non lo sapeva.

- Andiamo Bones?

La prese sottobraccio, come sempre e andarono dentro insieme ad analizzare quei resti sulla pista di bowling: erano veramente ridotti male, ringraziò mentalmente il suo stomaco per aver retto senza problemi.

Fece portare i resti al Jeffersonian e ben presto si scoprì che era un giocatore di bowling della stessa squadra di Max, fu quindi Booth a chiamarla di nuovo per parlare con suo padre, le aveva dato appuntamento per pranzo al loro solito ristorante.

Ma Bones per la mente aveva tutt'altro: Angela avrebbe partorito da un giorno all'altro, ogni momento sembrava quello giusto e lei non poteva fare a meno di sentirsi vicina alla sua amica, adesso più che mai. Le avrebbe voluto dire tutto, subito, per condividere con qualcuno quello che aveva dentro, ma era sicura che poi non sarebbe riuscita più a tenersi e poi non era giusto che altri lo sapessero prima di Booth. Lui doveva essere il primo a cui lo diceva, sarebbe stato giusto così.

Max aveva avuto un incidente e Booth prese il suo posto nella squadra di bowling sotto copertura, insieme a Bones.

Temperance ne fu entusiasta, adorava le missioni nelle quali si doveva travestire ed in più così avrebbe potuto fingere meglio, recitando una parte, e quella giornata sarebbe passata più velocemente. Al padre però non passò inosservato il suo comportamento, vedeva lei e Booth uniti, molto più del solito, non si punzecchiavano come di consueto, ma erano complici ed accondiscendenti uno con l'altra: si trovò a negare insieme a Booth che fosse accaduto qualcosa tra loro, non poco imbarazzata.

Max li provocava, dicendogli di essere più affettuosi tra loro visto che interpretavano Buck e Wanda, una coppia di fidanzati e loro non si lesinavano abbracci ed effusioni.

Temperance provava ad indagare per scoprire qualcosa su quel caso di omicidio, ma i suoi pensieri, ogni volta che si fermava a pensare, volavano istintivamente a quella mattina e ad Angela che era entrata in travaglio. Era singolare che avesse scoperto di essere incinta il giorno stesso che la sua migliore amica avrebbe dato alla luce il suo primo figlio.

Un paio di volte, però, rischiò di tradirsi, con suo padre e con lo stesso Booth parlando di ipotetici figli futuri tra Wanda e Buck, salvandosi all'ultimo secondo solo perchè diceva di interpretare una parte, ma lei sapeva che non era così e sapeva che il loro bambino non sarebbe mai stato odioso come quella ragazzina della squadra di suo padre, perchè un bambino che aveva metà del patrimonio genetico di Booth non poteva essere così, non lo sarebbe mai stato.

Risolto il caso andò subito con Booth in ospedale da Angela e Jack e lì, seduta in sala d'attesa, con il resto dei loro colleghi, tutti in silenzio, aspettò con il coniglio di peluche in mano, quello che aveva comprato con Booth, la nascita del piccolo Hodgins, accarezzandolo dolcemente. Wendell camminava nervoso avanti e indietro, Cam e Sweets leggevano, Booth beveva un caffè e lei invece se ne stava seduta, nervosa con quei pensieri che bussavano ancora più prepotenti nella sua mente.

Guardava Booth, con il braccio appoggiato al bracciolo della sedia tenersi il volto teso, stanco, ma sempre bellissimo: Mandibola larga, un osso zigomatico prominente ed ha un rapporto elevato tra l'ampiezza delle clavicole e dell'osso iliaco. Angela le aveva tradotto tutto questo in modo molto più semplice: Booth le piaceva, lo trovava fisicamente attraente e lei lo poteva anche nascondere dietro una descrizione anatomica scientificamente corretta, ma nei fatti, nella vita quotidiana, era quello che diceva la sua amica: Booth le piaceva, le era sempre piaciuto. E non era perchè le persone attraenti hanno più successo nella vita, era perchè Temperance era attratta da quell'agente così diverso da lei.

Da quando lo aveva conosciuto, e l'idea di un figlio era entrata nella sua mente, non aveva mai pensato a nessuno di diverso per essere il padre di suo figlio. Perchè di lui non apprezzava solo le qualità estetiche ma anche quelle morali, quelle che come gli aveva detto tempo prima, non si trovano su un catalogo di donatori di seme, non è il QI o l'aspetto fisico, era il suo animo, la sua bontà, la sua generosità ed il suo coraggio. Tutte quelle qualità che avrebbe voluto per suo figlio, perchè ne avrebbero fatto una persona buona, proprio come era Booth.

Non riusciva ancora a realizzare che tra non molti mesi ci sarebbe stata lei al posto di Angela, in una sala parto per far nascere suo figlio e già la terrorizzava l'idea di vivere una situazione nella quale non poteva avere il controllo su ogni cosa, come suo solito, soprattutto sul suo corpo.

Mentre pensava si passò forse un paio di volte la mano sul ventre, ma nessuno la notò, nemmeno Booth che pure ogni tanto si voltava a guardarla e le sorrideva.

Jack uscì con il piccolo in braccio e tutti andarono intorno al Re del Laboratorio che teneva in braccio Michael, un bambino bello e sano, che ci vedeva benissimo. I volti tesi di tutti si aprirono in sorrisi sinceri. Temperance lo fissò per qualche istante con lo sguardo sognante, si morse il labbro e pensò che i suoi ormoni già cominciavano a fare le bizze, perchè aveva una gran voglia di piangere ed invece sorrise e guardò Booth, che ricambiò lo sguardo, sorridendo a sua volta e mentre tutti erano intorno al nuovo arrivato, lei invece sentì il bisogno di andare dall'unica persona che in quel momento era sola, Angela.

La sua amica era distesa sul letto, esausta ma non potè non essere enormemente felice nel vedere la Brennan fare capolino dalla sua porta e la accolse con il suo sorriso più bello, quello di una donna appena diventata mamma. Temperance si chiese se anche lei avrebbe sorriso così, se quello stato di felicità ed appagamento che vedeva nel volto dell'amica era la condizione normale di chi ha appena messo al mondo una vita. Non le vennero altre parole da dire, se non chiederle come era stato, perchè istintivamente cercava qualcuno che la potesse confortare su quello che le sarebbe capitato e nel sentire Angela raccontarle commossa l'esperienza più bella della sua vita le sorrise e fece sua la rasserenante felicità dell'amica.

Usciti dall'ospedale decisero di fare una passeggiata fino a casa di Booth, che non era tanto lontana da lì. Non vedeva l'ora di arrivare per mettersi comodi sul divano e potergli finalmente dire tutto. Camminavano vicini sul marciapiede, chiacchierando del più e del meno, fino a quando non fu Temperance a parlare della nascita di Michael e di come questa avrebbe cambiato per sempre le vite di Angela e Hodgins, lo fece senza volerlo, parlava di loro, ma in realtà pensava a se stessa, a lei e Booth, ma lui sembrava non capirla e non faceva altro che ripeterle che loro erano felicissimi perchè avevano appena avuto un figlio, che era una cosa bellissima, che loro si amavano e per questo era il giorno più bello della loro vita. E la guardava quasi a volerla rimproverare di aver fatto dei pensieri negativi su una cosa tanto bella e non si capacitava da dove le venissero tutti quei dubbi. Si fermarono sul marciapiede, sotto un lampione a discutere di questo, tra le macchine che passavano dietro di loro. Bones non resistette di più, non sarebbe arrivata a casa, non avrebbe aspettato ancora. Glielo avrebbe detto lì, in quel momento. Non era come aveva immaginato, come aveva pensato di farlo, forse non era nemmeno il modo giusto ma non poteva rispondere in altro modo a Booth che le chiedeva cosa c'era che non andava.

Così balbettando un po', imbarazzata e timorosa, glielo disse.

- Io... io sono incinta. Tu sei il padre.

Booth la fissava incredulo. Rimase senza parole, non reagì per qualche istante e lei in quel momento che cercava nel suo volto una minima reazione, si sentì sprofondare, preoccupata che lui non avrebbe reagito come lei credeva, che tutte le belle parole dette fino a poco prima erano solo perchè si parlava di Angela e Hodgins, che loro in quel discorso non c'entravano nulla, perchè non sapeva nemmeno se loro stavano insieme, in realtà e nemmeno era più così sicura che lui la amasse ancora, perchè da quando glielo aveva detto era passato troppo tempo. In una frazione di secondo tutti i pensieri peggiori che poteva fare le passarono nella mente che li elaborava alla velocità della luce uno dopo l'altro. Si immaginava lui che se ne andava e la lasciava lì, da sola, che le diceva che non era pronto, che non era questo quello che voleva. Non era da Booth, lo sapeva, ma non riusciva ad essere razionale mentre guardava il suo volto imperturbabile.

Durò solo pochi secondi, ma a lei sembrarono un'eternità. E quando il sul viso di Booth comparve quel sorriso stupito si sentì rinascere e gli sorrise anche lei e tutte le paure scomparvero nel vedere gli occhi raggianti di lui guardarla come mai aveva fatto prima di adesso.

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Capitolo 3
*** TRE ***


Rimasero così, in piedi, sotto al lampione, sul marciapiede a sorridersi per un tempo indefinito. Nessuno dei due aveva il coraggio di dire o fare nulla. Quel momento era carico di tutto quello che erano loro: imprevedibilità, emozione, silenzio, imbarazzo, amore.
Booth conosceva Bones, per certi versi meglio di quanto lei conoscesse se stessa. "Andrà tutto bene, Bones, andrà tutto bene" Furono queste le prime parole che le disse dopo quell'annuncio che lo aveva destabilizzato e reso immensamente felice, perchè questo era il momento della felicità, al resto ci avrebbero pensato dopo.
Ma ora nella sua mente, la prima cosa che sapeva di dover fare, era quella di tranquillizzarla, rassicurarla. Sapeva che Bones aveva un tremendo bisogno di questo, anche se non lo avrebbe mai ammesso.
- Come fai a saperlo Booth?
- Lo so, fidati di me. Andiamo adesso?

Così ripresero a camminare, vicini, come prima, senza sfiorarsi, fino a quando non fu lei ad aggrapparsi al suo braccio ed appoggiarsi alla sua spalla.
Arrivati a casa si sedettero sul divano. Non vicini come forse si aspettavano entrambi, ma ognuno ad una estremità. Erano imbarazzati e non sapevano come affrontare l'argomento, come parlarsi.
Bones interpretò questa posizione di Booth come un ripensamento rispetto quanto le aveva detto prima.
- Booth io questo bambino voglio tenerlo. So che è successo tutto all'improvviso ma... Se tu non te la senti non ti chiederò nulla. Posso provvedere da sola alla sua crescita.
Lui si voltò di scatto e la guardò ferito. Veramente dubitava di lui? Pensava che l'avrebbe lasciata perché incinta? Che le avrebbe fatto crescere il loro figlio da sola?
- Bones, no aspetta, ma cosa dici! È bellissimo, io, te... Il nostro bambino... È tutto meraviglioso, sul serio Bones!
- Non voglio obbligarti Booth, veramente.

Temperance sapeva che Booth era un uomo buono, glielo aveva dimostrato tante volte, sapeva che lui si sarebbe preso tutte le responsabilità ma non voleva che si facesse carico di qualcosa per la quale non si sentisse completamente pronto. Teneva lo sguardo basso, la mani giunte appoggiate stancamente sulle gambe. Se qualcuno non l'avesse conosciuta avrebbe potuto pensare che stesse pregando. Ma non lei, Temperance Brennan non pregava, non esisteva un Dio per lei.
- Bones, guardami.
Booth si avvicinò a lei, le prese le mani tra le sue, le accarezzò dolcemente in attesa che la donna alzasse il suo sguardo verso di lui. Lei aveva paura, lui lo sapeva. Non l'avrebbe mai ammesso per nulla al mondo ma lui non aveva bisogno di sentirselo dire. Booth non era uno di quegli uomini che avevano bisogno di essere adulati o di ricevere richieste di aiuto per andare in soccorso di qualcuno. Lui lo faceva e basta e con Bones l'aveva sempre fatto da quando l'aveva conosciuta, da quando non era nemmeno un'amica ma solo una collega, figuriamoci se non lo avrebbe fatto adesso che era... Beh la futura madre di suo figlio, certo, ma anche la donna che amava e doveva dirglielo, rassicurarla su questo che lui dava così per scontato che non ci aveva pensato nemmeno.
- Bones... - la chiamò di nuovo - ... Io ti amo.
La donna alzò lo sguardo e lo fissò negli occhi. Lui poteva vedere il tipico luccichio che preannuncia le lacrime.
- Ti amo Bones, lo capisci? E non c'è nessun motivo al mondo per il quale io adesso rinuncerei a te... A voi... 
- Dici sul serio Booth?
- Certo perché hai dei dubbi?
- No è che io... - Era in difficoltà. Parlare dei suoi sentimenti, delle sue paure la faceva sentire a disagio perché sapeva che era un campo dove non poteva padroneggiare, dove lui era molto più bravo di lei che era, anzi, assolutamente impacciata - Ecco... Non abbiamo mai parlato di noi...
- Siamo qui, parliamone allora, se vuoi, se ti fa sentire meglio.
- Tu non hai bisogno di sentirti dire che ti amo?
- Io lo so che mi ami Bones, però se me lo vuoi dire mi fa piacere - provò a strapparle un sorriso, senza riuscirci. Lei si sentiva sempre più sovrastata da tutti quei sentimenti che non riusciva a gestire. Si chiedeva da dove lui trovasse tutte queste certezze che a lei mancavano e cosa lui riuscisse a vedere tanto chiaramente che a lei sfuggiva. Perchè lei aveva bisogno di prove su tutto e lui era convinto del suo amore senza che lei glielo avesse mai detto?
- Ti amo Booth, ti amo. - disse lasciando che le lacrime vincessero la sua volontà di non piangere e si abbandonò sulla sua spalla. Le braccia forti di Booth, ecco di cosa aveva bisogno, di cosa aveva avuto bisogno già da quella mattina. Tuffarsi nelle sue braccia e lasciarsi andare come solo con lui riusciva a fare, per scaricare tutta la tensione di quella giornata e smettere di darsi un contegno. Le era capitato, in passato, di pensare di diventare madre. Aveva anche deciso di esserlo. Ma adesso, che lo sarebbe diventata realmente, era tutto così diverso da come aveva immaginato che stava sconvolgendo i suoi schemi mentali. Poi sarebbe tornato tutto come sempre, lei sarebbe tornata come sempre, si riprometteva, ma ora era il momento di lasciarsi andare.

Lui la strinse a se, come aveva fatto quella sera dopo la morte di Vincent, in camera sua, quando lei piangeva triste ed impaurita e lo implorava di tenerla con se. E già sapeva Booth in quell'istante che se lei glielo avesse permesso lui l'avrebbe fatto per sempre, come già da tanto voleva fare senza che lei gliene avesse dato mai la possibilità.
Si ricordava tutto di quella notte, ogni singolo istante. Che non dormirono più fino alla mattina dopo, che gli abbracci si erano trasformati in baci consolatori sui capelli e sulla fronte mentre la teneva tra le sue braccia. Poi la sentì calmarsi e ne fu sollevato e solo in quel momento si rese conto della situazione, che finalmente lei era lì, con lui, totalmente indifesa tra le sue braccia. Non avrebbe mai approfittato di lei, della sua debolezza se non fosse stata proprio Bones a fare il primo passo. Sentì la sua mano accarezzargli il petto e la sua bocca sfiorargli il collo, lasciandogli una scia di piccoli baci. Le chiese più volte se fosse sicura di quello che stava facendo, di quello che voleva fare e l'unica risposta che ottenne fu che lei si arrampicò letteralmente su di lui per cercare le sue labbra a prendersi un bacio infinito. Per lui era bellissima anche così, nella sua felpa grigia che le stava enorme, ma quando gliela tolse pensava che così era ancora più bella. Gli piaceva accarezzare la pelle nuda della sua schiena, tanto quanto sentire le mani di lei sotto la sua maglia, indugiare su ogni parte del suo petto, accarezzare la sua carne e le sue cicatrici. Poi fu solo tempo di amarsi per la prima volta. Lui sapeva che era lei quella giusta, lo aveva sempre saputo, perchè ogni donna che in quegli anni aveva incontrato e frequentato l’aveva sempre paragonate a lei: lei era il suo metro di giudizio, perchè solo lei era quella perfetta per lui. 

Booth si destò dai suoi pensieri quando sentì finalmente Bones smettere di piangere. 
- Da quanto lo sai? - le chiese facendola appoggiare con la schiena su di se
- Ho fatto il test e le analisi questa mattina
- Quindi è sicuro. - E la sua voce lasciò percepire la sua gioia.
- Sì. Però sai Booth, è strano... Io credo di averlo saputo già da prima di fare il test. È assurdo, non trovi?
- No, Bones, non è assurdo. È nostro figlio che comunicava con te.
- Impossibile Booth è solo un embrione di poche cellule senza alcuna capacità senziente.
- Scientificamente sì. Però in realtà è molto di più. È il nostro bambino e tu sei la sua mamma. Per questo lo sapevi.
- Non è ancora un bambino Booth. Ed io ho solo analizzato i segnali che il mio organismo mi mandava.
- Certo Bones. Tutto scientificamente. Ma lo sarà, Bones. Sarà il nostro bambino, o bambina. 
Booth sapeva che non gli avrebbe mai dato ragione. Mai. Ma già il fatto che glielo aveva detto voleva dire che lo aveva ammesso a se stessa, che tra lei ed il suo bambino c'era già un intesa che andava molto oltre quello che la scienza può spiegare razionalmente e per questo non lo poteva ammettere. 
Bones non continuò la discussione. Sicuramente se avesse voluto avrebbe trovato altre mille risposte scientifiche da dargli, per confutare la sua tesi sentimentale, ma non lo fece. Rimase in silenzio. Prese le mani di Booth e le portò sotto la sua maglia, adagiandole sul suo ventre ancora piatto, tenendole ferme sotto le sue. 
- Saremo una famiglia Bones. Io, te ed il nostro bambino.
Sentì la commozione nelle parole del suo uomo e le sue grandi mani tremare mentre racchiudeva il frutto ancora invisibile del loro amore. Bones voltò il suo viso lo baciò sul collo, proprio come quella sera quando una tragedia si era trasformata nella cosa più bella della sua vita. 

Ora erano abbracciati, insieme, nello stesso divano sul quale lei era quella notte.
Da quando Booth aveva chiuso la porta della sua camera il pensiero di Vincent la tormentava. Lo vedeva sdraiato a terra, con le loro mani sporche del suo sangue tentare di fermarlo in ogni modo, senza risultati. La vita di Vincent scivolò via quel giorno, mentre la implorava di non lasciarlo andare. Si domandava che persona fosse, lei non si sentiva così insensibile e glaciale come gli altri la descrivevano, ma solo Booth sembrava averlo capito. Quella notte sentì l’irrefrenabile necessità di vederlo e lui era solo dietro quella porta. Si fece coraggio ed entrò e lui per poco non le sparò, sempre sul chi va là, preoccupato di sentire qualche rumore strano. Tra le sue braccia tutto le sembrò migliore. Gli poggiò una mano sul cuore mentre la stringeva a se. Booth: avrebbe dovuto rispondere lui al telefono. Avrebbe dovuto esserci lui al posto di Vincent e lei non avrebbe avuto altre possibilità, loro non avrebbero avuto altre possibilità. Era il cuore di Booth il suo bersaglio ed il solo pensiero la pietrificò, lì tra le sue braccia, nel suo letto, facendola piangere ancora di più. Aveva la testa appoggiata sul suo petto, voleva sentire il battito del cuore di Booth, che era ancora vivo. Quel rumore forte e ritmato distrusse gli ultimi residui delle sue barriere che le impedivano di lasciarsi andare. Aveva rischiato di perderlo per sempre, non poteva più immaginare di vivere con il rimpianto di non essersi data una possibilità con lui, non doveva più avere paura di essere felice. Il destino, prendendosi la vita di Vincent, le aveva dato un’altra occasione per essere felice e lei non doveva più sprecarla, non doveva gettarla via per le sue paure. 
Il battito del suo cuore, insieme alle sue carezze e i suoi affettuosi ma innocenti baci la calmarono e lei prese coraggio, prese, finalmente, la sua vita in mano e le labbra di Booth tra le sue. Lo amò quella notte e si lasciò amare da lui e le sembrò di non essere mai stata amata così in vita sua, perchè nessuno l’aveva mai amata come lui e perchè, per la prima, volta lei lo faceva totalmente, senza nessuna barriera a frenare i suoi sentimenti: si mostrava nuda davanti a lui, non nel corpo, ma nell’anima, senza corazza, sicura che lui non l’avrebbe mai ferita. 
Nessuno, per lei, era mai stato quello che era Booth: un amante, un compagno, un amico, un partner. Lui era sempre stato tutto quello di cui lei aveva bisogno e non aveva mai voluto ammettere a se stessa, fino a quella notte. “I legami emotivi sono effimeri e del tutto inaffidabili” aveva detto una volta, ma ora non aveva più senso, perchè Booth non era nè effimero nè inaffidabile. Lui ci sarebbe stato, sempre. Per lei e per il loro bambino. Ora ne era certa.

- Ti amo Booth.
- Ti amo anche io Bones. Da sempre.
Dopo averlo detto una prima volta ora sembrava tutto più semplice. Non sapeva ancora se era diventata forte, ma di sicuro non era più impenetrabile, perchè si sentiva invasa da emozioni e sensazioni che non aveva mai provato, che le riempivano il cuore e non le importava se il cuore era solo un muscolo e non poteva essere riempito da emozioni. Lui rendeva la sua vita migliore, di questo ne era certa, una vita che finalmente poteva dire di riuscire a vivere completamente, sotto ogni aspetto, lasciandosi anche andare a quell’irrazionalità che aveva sempre rifiutato e cominciando a vedere anche il mondo con altri occhi, quelli di una donna e non di una scienziata.
 Avrebbe avuto un figlio con l'uomo che amava, non riusciva a rendersene conto, eppure era vero. 
Non era importante ora pensare ad altro, a come si sarebbero organizzati, a come lo avrebbero detto ai loro amici e colleghi, a come dirlo a Parker, a come la loro vita sarebbe cambiata, per sempre.
In quel momento, tra le braccia di lui che accarezzavano il suo ventre ne era convinta: sarebbe cambiata in meglio.

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