Quel manicomio in Corso Tre Novembre numero trentatrè

di LaMarghe_e_LaGio
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Benvenuti in manicomio: l’estintore si trova nell'ingresso, in basso a destra ***
Capitolo 2: *** Le serate al manicomio sono sempre sovraffollate ***
Capitolo 3: *** La mattina, invece, in manicomio son tutti pigri. O quasi. ***
Capitolo 4: *** In manicomio è permessa anche l'ora d'aria ***
Capitolo 5: *** In manicomio l’ukulele onnisuonante cessa (temporaneamente?) la sua attività ***
Capitolo 6: *** Chi è talmente pazzo da rubare ad una pazza il suo strumento di follia? ***
Capitolo 7: *** Dal manicomio qualcuno riesce ad evadre... ***
Capitolo 8: *** ...anche se non per molto ***
Capitolo 9: *** Ti sono vicino... ***
Capitolo 10: *** ... anche se tu non vuoi ***
Capitolo 11: *** Il manicomio si rianima ***
Capitolo 12: *** Perché questo è il nostro manicomio, e noi lo amiamo così com'è ***



Capitolo 1
*** Benvenuti in manicomio: l’estintore si trova nell'ingresso, in basso a destra ***


Quel manicomio in Corso Tre Novembre numero trentatré





1. Benvenuti in manicomio: l’estintore si trova nell'ingresso, in basso a destra



Era una bella giornata di sole: gli uccellini cinguettavano, le persone che si erano appena alzate sorridevano, le caffettiere fischiettavano… O, almeno, questo era quello che stava accadendo in qualsiasi appartamento che non fosse l'interno otto di Corso Tre Novembre numero trentatré, secondo piano, prima porta a destra, di fianco all’ascensore, abitato a partire da quell'anno da cinque inquilini piuttosto particolari.

Michele!”. Il ragazzo rabbrividì: il suo nome urlato e scandito bene significava sempre guai. “Dannazione, se decidi di cucinare i pancake non sparire!”, gridò Margaret Arrigoni, agitando le braccia da destra a sinistra, nel tentativo di far sparire il fumo che si era addensato nella cucina.

Scusa scusa scusa!”. La risposta del giovane si udì forte e chiara dal corridoio ed era accompagnata dai suoi passi pesanti. Michele Rangotti non era assolutamente in grado di cucinare: anche quel giorno, nonostante avesse acquistato il preparato per pancake al supermercato e avesse incaricato Megan di finire di mescolare l'impasto, non era riuscito a seguirne la cottura, poiché era stato distratto da un pensiero fulminante.

Stavo cucinando e mi è venuto in mente che dovevo farmi una doccia!”, esclamò, tentando di giustificarsi, passandosi le dita in mezzo alle treccine nere.

E mentre ti fai la doccia pensi che i pancake si girino da soli?!”. Ok, l'amica era davvero alterata quella volta: di solito non alzava la voce di due ottave.

Sì?”, tentò, mordendosi il labbro inferiore e provando a rendere il suo sguardo dolce come quello di un cucciolo indifeso.

No, cazzo! Sei un idiota, Mike!”, gridò Margaret, ma dal fatto che lo aveva chiamato con il suo soprannome lui comprese che era già stato perdonato, grazie al Cielo!

Io direi di punirlo costringendolo a lavare i piatti per una settimana”, si aggiunse intanto un’altra voce, mentre l'ombra del giovane a cui apparteneva si faceva largo nel fumo: un attimo dopo l'aria fresca del mattino inondò la stanza, e a poco a poco cominciò ad intravedersi l'espressione compiaciuta di Margaret, che evidentemente trovava l'idea del coinquilino molto allettante.

Non mi dispiace come pu-”, si bloccò a metà frase, perché un urlo di gioia la interruppe.

Scacco matto, pivello! E sono tre partite di fila che la grande Megan vince!”.

A quelle parole Mike e Margaret si affacciarono con sguardo confuso alla porta del soggiorno, la quale confinava con quella della cucina, mentre l'altro ragazzo sbiancava e balbettava sillabe sconnesse, incredulo.

Ma come?! Stavo vincendo io!”.

Ieri sera a mezzanotte, forse! E solo perché stavo crollando dal sonno”, ribatté l'altra, senza ammettere repliche: amava vincere contro Jack, perché lui, a differenza di tutte le altre persone che aveva sfidato in passato, era un degno avversario. Ovviamente non lo avrebbe mai ammesso davanti a lui.

Ho sentito come crollavi dal sonno quando all'una gli hai gridato che stava barando”, borbottò Mike, beccandosi una gomitata dalla donna al suo fianco, la quale voleva evitare una rissa: Megan era su una sedia a rotelle, ma le aveva dimostrato più volte di sapersi difendere.

Non era l'una”, ribatté Jack sorridendo: le partite sue e di Megan si protraevano per ore, ma qualche giorno prima avevano deciso che arrivati alla mezzanotte avrebbero continuato la mattina. Ovviamente prima di andare a letto fotografavano entrambi la scacchiera: si fidavano l'uno dell'altra, ma un po’ meno confidavano nel fatto che Mike avrebbe lasciato i pezzi nella stessa posizione, se si fosse svegliato durante la notte.

Sono convintissimo che fosse l'una”.

All'una russavi come un trombone, te lo posso assicurare”, si intromise Margaret, che ogni tanto si svegliava nel bel mezzo della notte a causa del sonno leggero: il minimo rumore la portava ad aprire gli occhi, a meno che non si fosse infilata nelle orecchie le sue inseparabili cuffiette color bordeaux, meglio se con sottofondo musicale.

Io non russo!” protestò Michele, indignato, mentre tutti gli altri scoppiavano a ridere. “Comunque, cambiando argomento, io non ho ancora fatto colazione”.

Puoi prendere i miei biscotti!” propose Megan, ma sul viso dell'altro comparve un'espressione disgustata.

Faccio a meno dei biscotti integrali, grazie”.

Ingrato”.

Salutista”.

Ingordo”.

Credo che possa bastare. Mike, ti offro la colazione quando arriviamo a Povo”, li interruppe Jack, il ‘giudice di pace’ della compagnia, mentre si infilava le scarpe nere. “Preparati che andiamo”.

Siamo in ritardo?”, esclamò a quel punto l'altro, mettendosi sull'attenti: Jack abitava con lui da ormai tre anni, e quella frase era da tempo entrata nella sua routine.

Il cinque parte tra dieci minuti”, lo informò Megan, che non lo conosceva ancora abbastanza bene da sapere che lui sapeva già la risposta alla sua domanda. Senza contare che non era mai stanca di battibeccare con lui e che, non avendo altre particolari occupazioni, aveva imparato l'orario a memoria.

Stalker”, borbottò Mike in risposta, mentre cercava il cappotto sotto a quelli dei coinquilini: a sorpresa ne trovò uno di colore giallo, che evidentemente non apparteneva a nessuno di loro, ma non se ne curò più di tanto.

Seguì a ruota l'amico già scomparso sulle scale, e si chiuse la porta alle spalle con un tonfo.

Ciao, ragazze, ci vediamo questa sera. Divertitevi a lezione!”. Margaret scimmiottò la voce di un uomo con fare teatrale, rimarcando il fatto che i due amici non le avessero salutate, mentre Megan rideva in risposta, gli occhi azzurri che scintillavano.



Ragazzi, benvenuti al corso di fisica nucleare e subnucleare”. Il professor Franconi, un uomo brizzolato e sulla quarantina, stava introducendo il suo corso, gesticolando animatamente e rischiando di rovesciare la bottiglia verde di vetro contenente mezzo litro di chinotto che aveva appoggiata sul tavolo a fianco a lui. Si interruppe alla fine della frase, alzando gli occhi verso l'ingresso dell’aula, dopo aver udito la porta aprirsi: due ragazzi, uno dalla pelle scura e pieno di treccine tra i capelli e l'altro moro e caucasico, entrarono cercando di fare meno confusione possibile, maledicendo il fatto che le porte fossero in cima all’aula invece che in fondo, e sgattaiolarono fino al posto libero più vicino.

Benvenuti anche ai nuovi arrivati: prego, venite pure più avanti, qui ci sono ancora delle sedie libere”, commentò sorridendo: si divertiva troppo a veder trasalire i poveri malcapitati. Nonostante se lo fosse ripromesso più volte, non riusciva a far finta di niente come facevano i suoi colleghi, né ad evitare le frecciatine scherzose.

Jack sbuffò e, mentre si accomodava nei posti indicati dal professore tirò una gomitata a Mike: odiava arrivare in ritardo, lo portava a dire addio al suo amato anonimato.

Soprattutto, però, odiava ritardare a causa del suo adorato coinquilino, il quale era troppo lento per prendere il primo cinque e pretendeva addirittura di fiondarsi in caffetteria: lo odiava, oh, se lo odiava!



Questa sera ti insegno a giocare a scacchi, allora”. Durante la pausa pranzo Margaret e Megan quel giorno avevano deciso di evitare la mensa universitaria sovraffollata, optando per il panificio “Sosi” di Via Belenzani, che esponeva sempre delle focacce fantastiche, e in quel momento erano sedute a mangiare sui gradoni dell’imponente Fontana del Nettuno, in Piazza Duomo, e davano le spalle alla cattedrale.

Questa sera è il turno di Harry Potter”, puntualizzò Margaret, contraddicendo l'amica.

È vero! Tu sei l'unica persona sulla faccia della terra che non ha mai giocato a scacchi né ha visto HP. Dovremmo sfrattarti: mi chiedo perché sei ancora mia amica”.

Perché ti spingo per tutta la città?” propose l'altra, retorica, mentre addentava un pezzo della sua focaccia alle cipolle.

Giusto: perché non ci ho pensato prima?!” risero assieme, mentre i minuti passavano e si avvicinava l'ora di entrare tra le quattro mura dell'università. Risero assieme in quel soleggiato pomeriggio di fine settembre, perché tra amiche è piacevole trascorrere il tempo anche in quel modo.



Alcune ore dopo, invece, Jack non rideva, perché era stato costretto a scendere troppe fermate dopo quella di Piazza Fiera. Il suo presunto amico, infatti, nel bel mezzo della lezione si era improvvisamente ricordato che non possedevano ancora una connessione WiFi nel loro palazzo storico, così lo stava trascinando verso la biblioteca di Via Roma, quella all'incrocio con Via Belenzani, per recuperare il Dvd da guardare quella sera.

Non appena entrarono nel palazzo Jack scomparve tra gli scaffali di Sala Manzoni, alla ricerca di un buon libro in cui potersi rifugiare prima di addormentarsi, mentre Mike si avvicinò sorridendo alla donna bassa e sulla cinquantina che sedeva sul lato del bancone circolare che dava verso l'ingresso.

Salve… Pamela!” esclamò solare, dopo aver letto il nome della bibliotecaria sul cartellino che portava appuntato alla camicetta bianca: l'altra alzò lo sguardo dal libro che stava sfogliando e piegò le labbra verso l'alto.

Buongiorno”, gli rispose, mentre Mike osservava curioso la copertina del volume e cercava di decifrarne il titolo.

Astrologia”, spiegò l'altra, notando il suo interesse.

Wow. Sono un ariete: che cosa può dirmi sul mio segno zodiacale?”. In risposta Pamela cominciò ad elencargli una sfilza di informazioni, parlando come una macchinetta ed interrompendosi solo a tratti per occuparsi di prestiti e restituzioni. Ad un certo punto Mike perse il filo del discorso, cogliendo parole strane come ascendente ed ora di nascita, così si limitò ad annuire e a fornirle le informazioni che gli richiedeva: mezz'ora dopo uscì dall'edificio con un libro sottobraccio, mentre Jack lo derideva e gli sventolava davanti al naso il primo film di Harry Potter, che si era ritrovato a dover chiedere ad una donna giovane e bionda di nome Ilena, dopo che la bibliotecaria seduta accanto a Pamela lo aveva indirizzato con fare brusco dalle sue colleghe. Si era spazientito, ma ne era valsa la pena: vedere l'espressione imbronciata di Mike, combinata alle sue braccia incrociate, non aveva prezzo.






Angoletto di Gio e Marghe:

benvenuti nel nostro amato manicomio!

Solo alcune precisazioni:

la storia è ambientata a Trento: i luoghi in cui vivono e si muovono i personaggi sono esattamente quelli della città, e anche eventuali personaggi "famosi" che nomineremo esistono realmente. Al contrario, i personaggi sono solo frutto della nostra fantasia, così come le situazioni in cui si vanno a cacciare.

Speriamo che continuerete a seguire questi ragazzi un po' matti: se, poi, deciderete di lasciarci anche una piccola recensione, ci renderete molto felici :) 

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Capitolo 2
*** Le serate al manicomio sono sempre sovraffollate ***


2. Le serate al manicomio sono sempre sovraffollate



All’interno uno di Corso Tre Novembre numero trentatré, piano interrato, seconda porta a sinistra, era tutto molto silenzioso. Non che fosse strano per quel piccolo appartamento. Infatti, preciso come un orologio svizzero, o, meglio, come Jack Davies alla consegna di un compito, Nicola Ferrari, dottorando all’Università di Matematica di Trento, era concentratissimo nel guardare l’ultimo episodio di Agent of Shield, uscito la sera prima negli Stati Uniti. Aveva aspettato quella puntata per ben due settimane, in quanto, per ragioni a lui sconosciute, la settimana prima la serie aveva fatto una pausa, quindi niente e nessuno doveva distrarlo da essa! Ma proprio niente; per nessuna ragione si doveva distrar-
TOC TOC TOC TOC

Il ragazzo fece un balzo sulla sedia e si perse la  scena fondamentale su cui verteva tutta la puntata.
“Abbiamo preso il film, manchi quasi solo tu!” Sentendo la voce di Mike provenire dal corridoio del piano si alzò di scatto, tutto preso da una furia omicida. Interruppe il telefilm: lo avrebbe riguardato tutto quella notte, una volta andato a letto. In due passi raggiunse la porta e la spalancò di scatto.
“QUANTE VOLTE TI HO DETTO DI NON BUSSARE QUATTRO VOLTE!”, esordì. Mike riuscì a contenersi a stento dal ridacchiare: ancora non aveva capito cosa avesse contro il numero quattro, ma il fatto che lo innervosisse così tanto era per lui troppo divertente.
“... Sei fortunato che oggi non ne ho voglia, ma la prossima volta giuro che ti concio per le feste! Tanto che quando avrò finito non ricorderai neanche il tuo nome. Ti rendi conto che mi hai interrotto nel punto più bello? A volte mi chiedo se non hai installato da qualche parte una telecamera nascosta per spiarmi e scegliere il momento meno opportuno per disturbarmi…” Man mano che lo sproloquio continuava, la vena omicida svaniva, tanto che nel momento in cui li raggiunse Jack, che si era fermato ad avvertire Rosa, che abitava al piano terra, i toni erano così calmi che non c'era bisogno che intervenisse. Non che ci fosse mai la necessità di farlo: Nick era così magro che anche colpendo più forte che poteva non avrebbe mosso Mike di un millimetro. Il ragazzo di colore, infatti, era robusto e molto atletico, complici i mille allenamenti di basket a cui prendeva parte fin da quando era piccolo.
“Allora ti va di venire a fare cena più film?” chiese Jack una volta che il ragazzo più grande ebbe finito.
“Basta che lui”, indicò con la testa Mike. “Mi stia lontano”. Il ragazzo lo guardò sorridendo innocentemente, come per dire: ma se non faccio mai niente di male?
“Sarò un agnellino, parola di scout”, rispose alzando il dito indice e medio nel segno della pace.
“Dai andiamo, scout”, lo rimbeccò Jack incominciando a salire le scale lì vicine.


Al piano di sopra Megan e Margaret avevano appena incominciato a cucinare quando la porta dell’appartamento si spalancò facendo entrare Rosa, la ragazza spagnola in Erasmus che abitava al piano seminterrato. Come a suo solito la giovane teneva tra le mani Mima, il suo amato ukulele. La strimpellata velocissima tipica delle musiche spagnole fece capire anche alle due cuoche l’identità della nuova venuta.
“Ciao ragazze! Como estais?”. Come al solito la sua entrata piena di vita non poté non strappare un sorriso alle due ragazze.
“Molto bene Rosa”, rispose Megan, mentre Margaret riprendeva il suo ruolo di sbucciatrice di patate. “Vuoi aiutarci a cucinare?”. La faccia che fece la ragazza in riposta portò Megan, che ben prima di porre la domanda di rito era a conoscenza del profondo odio che lei nutriva verso la sacra arte della cucina, a scoppiare a ridere.
“Piuttosto preparo la mesa”, disse la Spagnola avviandosi verso i cassetti che ormai conosceva a memoria. Proprio per questo suo odio la ragazza accettava ben volentieri tutti gli inviti a cena dell’appartamento otto, e, odiando non poter dare una mano ai fornelli, aiutava sempre ad apparecchiare e sparecchiare, cosa che salvava sempre Mike, che di solito era l’addetto al compito.

“Enrico arriva stasera?”. Margaret lanciò un’occhiata alla coinquilina: la divertiva il fatto che la Spagnola fosse l’unica a chiamarlo con il suo nome, tranne ovviamente sua madre. In più appena avrebbero detto al ragazzo che Rosa aveva chiesto di lui, l’aspirante medico avrebbe acquistato quel colore rosso scuro che alle due amiche piaceva troppo.
“Sì, anzi dovrebbe essere qui tra poco: il treno deve essere arrivato in stazione da un po’ ormai”. Enrico, detto Henry, Lagrande era probabilmente l’unico pazzo che avesse deciso di prendere un appartamento a Trento pur frequentando l’Università di medicina a Verona, per cui, tutte le volte che aveva lezione, prendeva il treno o la sua inseparabile Panda azzurra e scendeva, per poi tornare la sera. Aveva dato molte motivazioni, sia ai suoi amici che ai suoi genitori, in merito a questa scelta, ma nessuna aveva convinto del tutto nessuno: dopo tre anni, però, sia gli uni che gli altri avevano rinunciato a chiedere, facendosi ognuno la propria idea su quella scelta bizzarra.
Margaret non fece quasi tempo a finire la frase che la porta si aprì di nuovo, lasciando entrare questa volta tutti e quattro i ragazzi, che si erano incrociati subito prima della porta, chi salendo dalle scale e chi, troppo pigro per farle, con l’ascensore.
“È mai possibile che non prendi mai le scale? Sei pigro da far paura Mr. Medicus!”. Le ragazze sorrisero immaginando la scena senza aver bisogno di vederla.
“Non è vero! A volte le faccio!”, protestò il biondo sistemandosi una ciocca che gli era arrivata davanti agli occhi.
“Persino Nick è meno pigro di te”, continuò imperterrito l’altro come se non avesse sentito le parole dell’amico.
“Rango, zitto che tu ti lamenti per quel mezzo piano di scale a Povo che dobbiamo fare di corsa perché tu non riesci ad essere puntuale la mattina”, si intromise Jack ben sapendo che l’unico modo per interrompere il fiume di prese in giro dell’amico era dargli pan per focaccia. Infatti con un’ultima sghignazzata Mike la smise.
“Ciao ragazze, che preparate di buono?”. Nick intanto aveva preceduto i tre litiganti in cucina e stava ispezionando le padelle da cui usciva un ottimo profumino. Se non avesse sempre avuto da recuperare qualche serie TV o da leggere qualche fumetto probabilmente gli sarebbe anche piaciuto cucinare, invece che mangiare sempre quei piatti pronti da riscaldare al microonde o una pasta con un sugo già pronto.
“Megan mi ha insegnato a fare gli spätzle e come contorno preparo un po’ di patate... Non è tantissimo, ma per il film abbiamo comprato talmente tanti pop-corn che ci basteranno per i prossimi dieci anni”, rispose Margaret ridendo mentre continuava a fare il suo lavoro, cioè far andare avanti e indietro lo strano strumento per fare gli spätzle… Si trattava di una specie di grattugia, che per quanto ne sapeva non aveva un nome.
“Ciao Enrico”, salutò intanto Rosa vedendo Henry, il quale arrossì subito.
“C-Ciao Rosy, come va?”. Megan e Margaret non si perdevano una parola, come fosse una delle loro ship dei telefilm. Purtroppo Jack e Mike non erano così interessanti su quel fronte… Mike ogni tanto si trovava una ragazza ma non durava mai molto, e soprattutto non riceveva mai l’ok delle due coinquiline. Jack invece era il più noioso: era carino come ragazzo, ma non sembrava interessato a trovarsi una morosa; anzi quando loro provavano a chiedergli qualcosa in proposto aveva la sfrontatezza di ribaltare la domanda!
Con suo disappunto Margaret scoprì che nel perdersi nei suoi pensieri si era persa il piccolissimo scambio di battute  di quelli che lei definiva i “piccioncini” e, cosa più importante, un’esclamazione di Jack, entrato in quel momento, la portò a rendersi conto che se non avesse raccolto i vari spätzle che incominciavano a riemergere sarebbero rimasti con solo un po’ di patate e dei pop-corn per cena.
Salvata quest’ultima pian piano arrivarono tutti per mettersi a tavola. Sapevano di essere un appartamento un po’ particolare: non era da tutti cenare sempre tutti insieme e addirittura invitare i propri vicini di casa, ma l’amicizia che si era creata andava al di là di tutte le loro differenze e così sembrava loro naturale farlo.

Mike ripensò per un attimo all'anno prima, quando conviveva solamente con Jack ed Enrico: cenavano assieme, ma preparavano raramente qualcosa da mangiare tutti insieme. Senza contare che vivevano a Povo, in un edificio abitato per lo più da anziani e famiglie e, di conseguenza, non potevano festeggiare ed invitavano raramente degli amici. Era stata una fortuna incontrare Margaret, che era stanca delle sue coinquiline, e conoscere Megan, che aveva trovato difficoltoso essere pendolare, nonostante vivesse in una valle poco distante da Trento, a causa della sua sedia a rotelle. Si erano trasferiti in uno stabile davvero fantastico e si erano resi conto che senza la presenza delle donne negli anni precedenti era mancato qualcosa alla convivenza.
Quella sera Mike, come suo solito, fu il primo a finire, e così ne approfittò per sistemare la stanza delle ragazze per il film. Quella era la più grande dell’appartamento, per cui si erano accordati per utilizzarla come cinema. Henry aveva trovato a casa sua un proiettore che i suoi non usavano più da anni, era vecchiotto ma serviva allo scopo: non avevano la TV, ma quando volevano vedersi un film tutti insieme lo facevano in grande stile.
Poco dopo arrivò ad aiutarlo Nick, che non si fidava mai di quel che faceva l’amico quando doveva armeggiare con ciò che era nel suo campo di conoscenza.
Intanto nell’altra stanza le chiacchiere continuavano:
“Come vi è sembrato ricominciare le lezioni?”, stava chiedendo Margaret mangiandosi l’ultimo pezzetto di mela di Jack, che in tutta riposta la guardò male.
“Mi sono reso conto di aver già visto il professore di fisica subnucleare, ma non riesco bene a capire dove”, disse alzando le spalle. “E Mike mi ha fatto fare la brutta figura di entrare in ritardo proprio con lui”, aggiunse facendo sorridere gli altri alla vista della sua faccia rassegnata.
“Io e Margaret alla fine iniziamo domani”. Megan incominciò a sbloccare le ruote della sua sedia avendo visto Mike in corridoio: probabilmente avevano ultimato i preparativi.  “L’unico prof. che dovevamo avere oggi non c’era per qualche ragione”.
“Così ci siamo date allo shopping sfrenato”, intervenne Margaret. “O almeno volevamo, ma essendo povere universitarie ci siamo limitate a sbavare davanti alle vetrine”. Le ragazze risero mentre Jack e Henry si guardavano perplessi. Fu Mike a salvarli: infatti, come aveva pensato Megan, tutto era pronto per iniziare; alla fine della serata anche Margaret sarebbe diventata cosciente di essere una babbana.



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Capitolo 3
*** La mattina, invece, in manicomio son tutti pigri. O quasi. ***


3. La mattina, invece, in manicomio son tutti pigri. O quasi.


Nel silenzio della notte si udivano solamente i passi di Jack, che, nonostante tentassero di essere felpati, facevano scricchiolare le assi del pavimento in legno. Mentre raggiungeva la cucina, però, il giovane si rese conto del fatto che un altro suono risuonava nell’appartamento: quello di un ukulele. Di conseguenza, si lasciò sfuggire una breve risata soffocata, perché la Spagnola era davvero strana, poi notò che la luce filtrava sotto alla porta socchiusa del soggiorno: curioso, la aprì con cautela, e trovò l’ultima persona che si aspettava di incrociare alle cinque e mezza del mattino.
Megan era seduta sul divano viola in pelle, le gambe stese sulla lunghezza, la sedia a rotelle di fianco a lei, e gli dava le spalle: mentre osservava la sua massa informe di capelli rossi, Jack udì il lieve fruscio della carta che veniva mossa, e si chiese che libro stesse leggendo.
"Ehi, già sveglia?", le domandò invece in un sussurro, e la notò sussultare lievemente al suono inaspettato della sua voce.
“Già, Miss Spagna ha rotto con quella chitarra”, borbottò, nascondendogli il reale motivo del suo essere alzata all'alba: le gambe le davano dei lancinanti dolori fantasma; oltre al danno, la beffa!
"È un ukulele”, puntualizzò Jack, mentre l'altra roteava gli occhi per la sua pignoleria. "Strano che Margaret non si sia svegliata”, osservò poi il ragazzo.
"Ha le cuffie ed una musica molto rock a tutto volume: non sentirebbe neppure lo scoppio della bomba atomica", gli spiegò Megan, ricordando lo sgradevole insieme di rumori che l'aveva accolta non appena si era svegliata.
"Potresti evitare di parlare di nucleare e simili?", le chiese Jack in risposta, mentre lei lo guardava alzando un sopracciglio, interrogativa.

“Diciamo che il corso di fisica nucleare mi sta uscendo dalle orecchie”, puntualizzò lui, grattandosi il collo all'altezza dell'attaccatura dei capelli.
"Ricevuto. Vuoi sederti?" gli chiese lei a quel punto, sorridendo e non appena notò la testa inclinata del coinquilino si affrettò ad aggiungere. "Se mi passi il cuscino che sta in fondo al divano alzo le gambe, così ci stai". In risposta lui annuì, ubbidendo ai suoi ordini, ma successivamente si rese conto del fatto che si sentiva decisamente a disagio seduto accanto ad una ragazza che quasi non conosceva: era strano come ci si potesse sentire estranei pur vivendo nello stesso appartamento e giocando a scacchi assieme. Si voltò per chiederle che cosa stesse leggendo, tanto per rompere il silenzio imbarazzante che si era creato, ma notò che lei stava disegnando: un mandala colorato troneggiava sul foglio bianco, perfettamente geometrico. Si lasciò sfuggire un fischio di ammirazione, ed in risposta lei alzò lo sguardo, interrogativa: i suoi occhi blu lo trafissero da parte a parte.
"Sei brava", le spiegò, indicando il foglio con un cenno del capo. Lei sorrise, ma gli sembrò lievemente amareggiata:
"Prima dell'incidente ero una frana”.
"Oh”, ecco, la paralisi di Megan non era un argomento che lo metteva propriamente a suo agio. Avrebbe voluto chiederle qualcosa in proposito, ma aveva il timore di risultare sgarbato: diamine, non sapeva come comportarsi! Percepì le sue guance andare a fuoco, mentre la ragazza scoppiava a ridere.

“Se vuoi sapere qualcosa basta chiedere”, osservò: ormai era piuttosto abile a notare quando la sua paralisi causava disagio nelle persone. Lo guardò scuotere la testa, ma cominciò ugualmente a parlare:

“Sono paraplegica da quando avevo sedici anni: incidente d’auto. Sono paralizzata all’altezza della vertebra sacrale L4, il che significa che poteva andarmi molto peggio: non sento nulla solo da qui in giù”, spiegò, portando entrambe le mani all’altezza della metà dei suoi glutei. “Quasi nulla, a dire la verità: quando qualcuno fa una forte pressione a volte lo sento. E nei giorni buoni riesco anche a muovere le dita dei piedi: è divertente”. Rise brevemente, e Jack non poté fare a meno di chiedersi come facesse a parlare della sua paralisi con tale facilità: nonostante tutto, però, grazie a quel discorso cominciava a sentirsi meno a disagio.

“Quindi questo non lo senti?” le chiese, premendo il dito indice sulla sua caviglia.

“No. Però evita di pestarmi i piedi, perché anche se non li sento potrebbe venirmi fuori un’emorragia o qualcosa di simile”. Rise nuovamente, e quella volta il fisico rise con lei.

Poco dopo, però, si alzò in piedi.

“Dove scappi?” gli chiese lei, curiosa.

“Scusa, esco a farmi una corsa: a partire dalle otto sono reperibile in caserma, quindi devo andare presto”.

“Aspetta, quindi tu hai messo la sveglia per alzarti a quest’ora?!” Megan lo guardò come se fosse impazzito.

“Già”, ribatté lui, sorridendo.

“Posso venire con te? Prometto che non sarò di intralcio”.



Alcune ore dopo Margaret stava percorrendo il corridoio: mentre sbadigliava alzò le braccia sopra alla testa, stiracchiandosi. Il suono di un ukulele accompagnava il suo cammino verso la cucina e arrivata lì trovò Mike, seduto sulla panca nell’angolo di fronte alla porta, con il giornale aperto sul tavolo davanti a lui e una tazza piena di caffellatte tra le mani. Di fianco a lui sedeva Nicola e stavano gridando qualcosa di incomprensibile riguardo ad un film a lei sconosciuto. Beh, non era difficile che lei non conoscesse un film: almeno ora quando si parlava di Harry Potter riusciva a sostenere la conversazione, dato che in due settimane aveva visto tutti i film assieme agli amici. Avevano concluso l’ultimo all’una e mezza di quella notte.

“Buongiorno, ragazzi”. Ormai il fatto che al tavolo della cucina ci fosse gente che non viveva nel suo appartamento non la stupiva più.

“Ciao!” esclamò il dottorando, alzando gli occhi, mentre Michele borbottava un “Buongiorno” distratto. Quando sollevò anche lui il capo, però, quasi scoppiò a ridere, perché Margaret indossava un pigiama davvero buffo: era rosa con dei coniglietti in rilievo sulla maglia, il che per lei era decisamente insolito. Non ricordava di averla mai vista intenerirsi per un animaletto, da bambina.

“Conigli?”, osservò, alzando un sopracciglio.

“Sì, conigli: qualche problema?!”.

“No, semplicemente non ricordavo che ti piacessero”.

“Invece li adoro”, obiettò.

“Scusa se nel mio ultimo ricordo ci sei tu con due trecce disordinate, un enorme cappellino da baseball in testa, gli abiti di tuo fratello indosso e un bastone in mano”, si giustificò. Dall’altro lato, nominando la loro infanzia, sperava di essere perdonato: Margaret si scioglieva sempre quando la ricordava. Da bambini erano stati vicini di casa: avevano incominciato assieme il corso di basket, quando lei era in prima elementare e lui in seconda, avevano trascorso assieme ogni pomeriggio libero, e spesso la sera lei entrava di soppiatto dalla finestra della camera di lui per una battaglia con i cuscini. Avevano pianto entrambi lacrime amare quando, a dieci anni lui si era dovuto trasferire vicino a Brescia a causa del lavoro dei suoi e quasi altrettante ne avevano versate quando l’anno prima si erano ritrovati per caso in stazione.

“Ok, messaggio recepito”, borbottò lei, ma presto si illuminò. “Potremmo comprare un coniglio!”.

“Io sono allergico”,commentò Henry, comparendo in quel momento.

“Allora una tartaruga”.

“Ne ho il terrore”.

Margaret sbuffò.

“Facciamo che mi prendo quello che voglio e tu ti trasferisci da Nick?”.

“Anche io ho paura delle tartarughe”, commentò a quel punto Nicola.

“Ha guardato troppe volte Tartarughe Ninja”, lo giustificò Mike, portandola a sorridere per un attimo, ma beccandosi una gomitata nelle costole.

“Seriamente, non puoi bannarmi da casa vostra, sennò quando Miss. Ukulele suona il suo arnese come sopravvivo se non mi rifugio al piano superiore?!”, osservò l'inquilino del piano interrato, apparentemente disperato.

“Ti metti un paio delle tue cuffie enormi”, propose Mike, ma quando sia Henry che Nick gli lanciarono un’occhiataccia si rese conto conto che con quelle parole sembrava essere passato dalla parte di Margaret, il che non era del tutto vero.

“Trovato!”. Il grido della mora lo portò a sussultare. “Compriamo un gufo!”.

“Un gufo”, ripeté Michele, pacato, chiedendosi che cosa avesse in mente. “Sai che i gufi non vivono negli appartamenti, vero?” continuò, mentre udiva la porta dell’ingresso sbattere.

“Sarebbe utile per mandarci i messaggi da un piano all’altro”, esclamò la ragazza, felice per la sua trovata.

“Che cosa?” la voce di Megan li raggiunse.

“Un gufo”, le spiegò la compagna di corso, mentre lei compariva in cucina.

“Figo. Lo troviamo su e-bay?”.

“Sì, e io sono Silente”, borbottò Mike in risposta, tentando di dissuaderle da quell’assurda idea, ma le due erano già scomparse in camera, alla ricerca del PC di Margaret, sepolto sotto metri e metri di vestiti.

Il ragazzo dalla pelle scura sospirò, poi fissò la tazza e alzò il dito indice:

“Wingardium leviosà!”, esclamò, e subito la voce di Margaret lo rimproverò. “È leviòsa, non leviosà!”.

Lui sorrise, poi scavalcò il tavolo, lasciò la tazza nel lavello e raggiunse l'amica in corridoio, ma incrociò solamente Jack in tenuta da corsa:

“Sei ancora in pigiama?! Hai il tempo che impiego per farmi una doccia per renderti presentabile!”.

“Ho un appuntamento?”, chiese dopo qualche secondo l’altro, mentre si domandava dove diavolo dovesse recarsi il sabato mattina alle sette e mezza. Si beccò uno scappellotto, e subito spalancò gli occhi, perché ricordò che il sabato alle otto aveva il turno alla centrale dei pompieri come volontario.

“Dove vai?”, gli chiese Margaret quindici minuti dopo, notandolo vestito.

“Pompieri”, spiegò, mentre infilava le scarpe.

“E il basket? Mi avevi promesso che andavamo al campo questo pomeriggio”. Sospirò, amareggiata, mentre lui si batteva una mano in fronte, dandosi dello stupido: odiava deluderla da quando erano alti un metro e due tappi, ma era troppo sbadato per ricordarsi tutto.

“Domani. Promesso, domani sono a casa”, tentò di rimediare.

A quelle parole lei annuì sorridendo e ritornò a cercare gufi su e-bay.








Due parole della Marghe e della Gio:
ci chiedevamo se la storia stesse piacendo a qualcuno... ce lo fareste sapere? :)
alla prossima settimana!


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Capitolo 4
*** In manicomio è permessa anche l'ora d'aria ***


4. In manicomio è permessa anche l'ora d'aria



Come promesso il giorno prima, nel pomeriggio di domenica Mike e Margaret erano sul campetto di basket all’aperto in piazza Venezia. Con loro c’erano anche Megan e Jack: la prima assisteva a tutte le sfide dei due e ne teneva il conto, mentre il secondo aveva semplicemente voglia di prendere una boccata d’aria.
“Mi chiedo perché facciano queste sfide”, commentò il ragazzo mentre osservava i due giocatori prepararsi. “Mike è più forte di Margaret, oltre al fatto che è molto più alto di lei e più grosso, gioca a basket da sempre…”. Megan scosse la testa.
“Primo: anche la Marghe ha sempre giocato, secondo: Mike è molto più lento di lei per via della sua stazza”. La ragazza allargò le braccia e gonfiò le guance facendo ridere Jack. “Non li hai mai visti giocare, vero?”, chiese con l’aria da esperta. Jack scosse la testa: era la prima volta che assisteva ad una delle famose sfide di basket, anche se a volte era andato a vedere Mike giocare con la sua squadra. “Si sfidano fin da quando erano piccoli, quindi Margaret conosce bene come gioca Mike e questo rende meno scontata la faccenda. Questo dovrebbe valere anche per Rango, ma a quanto pare avvantaggia di più Marga”. Megan fece spallucce per far capire che non aveva la più pallida idea di perché fosse così, poi aggiunse. “E poi…”, abbassò la voce. “...Credo che Mike, per qualche ragione, ci vada leggero con lei, mentre lei ci mette tutta sé stessa”.
“Leggero?”, si stupì Jack abbassando anche lui la voce. Megan annuì.
“Non che non voglia vincere… Se dovessi dare una ragione forse è perché essendo grande e grosso ha paura di far male a Margaret, mentre lei non ha questo problema”. Jack riportò lo sguardo ai due che si stavano scaldando soppesando le parole dell’amica: in parte era d’accordo, ma non lo convincevano del tutto. Strinse le spalle arrivando alla conclusione che non lo avrebbe mai scoperto: magari lo avrebbe chiesto dopo a Mike. Pensi al diavolo e ne spuntano le corna, proprio in quel momento il giovane gli gridò di passargli la palla, cosa che prontamente fece.
Si sistemarono davanti al canestro fuori dalla linea dei tre punti. Toccava a Margaret partire quella volta così Mike le passò la palla e si mise in posizione di difesa.
“Pronto ad essere battuto come un bocia alle prime armi?”, chiese lei sorridendogli. Il ragazzo la guardò sorpreso.
“Come chi, scusa?”. Approfittando della sua momentanea distrazione Margaret partì velocemente battendolo al primo passo e andando a fare il suo primo canestro senza che Mike potesse fare niente.
Bocia. Vuol dire ragazzino, me lo ha insegnato Megan”, rise lei mentre riprendeva la posizione in attacco, essendoci la regola di chi segna regna.
“Giochi sporco, lo hai detto apposta per farmi distrarre”, borbottò lui ripromettendosi di non farsi più ingannare da lei.
“Ok, ho capito cosa intendevi. Margaret usa questo”. Jack si toccò la tempia mentre Megan annuiva per poi scoppiare a ridere.
“È divertente perché Mike ci casca sempre”, spiegò, così anche Jack scoppiò a ridere.
Ma quella volta era destino finisse male per la ragazza, infatti Rango si sentiva molto carico e, una volta conquistata la palla, incominciò a segnare sia dentro che fuori dall’area qualsiasi cosa facesse la sua avversaria.
“Avevi le mani calde oggi”, commentò Margaret con il fiatone, dopo che Mike aveva segnato la tripla che chiudeva l’incontro.
“Esatto”. Mike prese la palla e se la fece girare su un dito. “Ormai ti sto lasciando indietro!”, aggiunse facendole la lingua.
“Mi dispiace ma non è vero”. Megan entrò in campo arrivando vicino a loro con un sola spinta sulle ruote. “Prima di questa partita eravate pari, per cui ti distanzi solo di uno”. Tirò fuori il suo taccuino mostrandolo a Mike, che la guardava deluso e scettico allo stesso tempo.
“Sai amico mio, dovresti venire ogni tanto con me a farti qualche vasca di nuoto…”, intervenne anche Jack. “Un attimo e avevi già la lingua a terra, ci mancava solo che ci inciampassi sopra”. Tutti tranne il diretto interessato, che lo guardò male, scoppiarono a ridere.


“...Non puoi offendere Dada e poi pensare di passarla liscia”.
“Non lo sto offendendo, dico solo che ha un tiro inguardabile”.
“Posso venirti incontro e dirti che ha un tiro particolare… Però li mette ed è questo l’importante!”. Mentre passeggiavano più o meno verso la strada di casa, Jack si stava quasi pentendo di essere andato a vederli giocare al parco. Infatti, i due non avevano smesso un attimo di parlare di basket. In particolare si concentravano sulla squadra di Trento, che da quando si erano trasferiti li aveva conquistati quasi quanto la “loro” Tezenis Verona. Margaret in particolare si era fissata su uno dei giocatori: un certo Davide Pascolo detto Dada, che a quanto pare era davvero forte nonostante il suo aspetto non del tutto aggraziato.
“Che ne dite di un gelato da Peterle?”, chiese il castano, cercando di cambiare discorso. Nonostante fosse già ottobre il tempo si manteneva inaspettatamente caldo durante il giorno, per cui era ancora possibile godersi un buon gelato. Gli occhi di Megan si illuminarono, sia perché anche lei era ormai stufa dei discorsi dei due cestisti sia perché l’idea del gelato le aveva fatto venire voglia di cioccolato e pistacchio, che a suo parere l’ormai famosa gelateria Peterle preparava divinamente.
“Ci sta, il meritato premio per la mia vittoria”, commentò Mike gonfiando il petto. Margaret non perse la propria occasione e lo colpì alla pancia scoperta facendolo piegare con uno sbuffo.
“Mangia, mangia, che alla prossima non vedrai neanche il canestro!”. Il ragazzo la guardò male mentre si raddrizzava tenendosi la pancia.
“Facciamo che l’ultimo che arriva paga per tutti?”, chiese Jack incominciando a correre spingendo la carrozzina di Megan. Gli altri due, dopo un secondo di sorpresa, gli corsero dietro. Nonostante Jack avesse l’ostacolo di portare anche la sedia a rotelle si vedeva che andava a correre tutti i giorni e così vinse quella piccola gara. Margaret arrivò poco dopo subito seguita da Mike, il quale aveva reagito un attimo più tardi della ragazza alla sfida dell’amico e poi, complice anche la sua corporatura massiccia che lo rendeva più lento, non era riuscito a superarla.


Qualche minuto dopo i quattro stavano tornando finalmente verso casa, ognuno con il proprio gelato in mano: yogurt e nocciola per Mike, cioccolato e pistacchio per Megan, due palline di stracciatella per Margaret e il classico fragola e limone per Jack.
Arrivati vicino incrociarono Henry che usciva in quel momento: una volta che li ebbe notati, e soprattutto ebbe notato ciò che stavano finendo, li guardò male.
“Avete preso il gelato senza di me!”, li accusò mettendo il broncio. Jack, che era il più vicino, gli scompigliò i lunghi capelli biondi beccandosi una seconda occhiataccia.
“Povero piccolo”, aggiunse Mike aggiudicandosi la terza. “Cosa ti ha portato a mettere in pausa i tuoi studi?”. Henry veniva spesso preso in giro dagli altri per la mole di studio che aveva fin da subito e che a volte lo costringeva in casa per tutto il giorno nonostante non fosse in sessione.
“Sta per finire il caffè, pensavo di andarne a comprare dell’altro”. Mike gli saltò addosso abbracciandolo, cogliendolo di sorpresa.
“Questo è il mio uomo!”, urlò. “Ti posso dire che ti adoro? Non so come vivrei senza caffeina”. Tutti, nessuno escluso, risero: in effetti il loro amico si poteva definire caffeinomane.
“Si, si, ok, ora lasciami che mi stai soffocando”: Mike lo lasciò andare dal suo abbraccio stritolatore.
“Vengo con te”, si propose Jack. “Devo comprare due quaderni per gli appunti”. Lanciò un’occhiata al suo compagno di corso come per suggerirgli che sarebbero serviti anche a lui e Mike, recepito il messaggio, sbuffò.
“Non è che me li puoi comprare tu? Ti restituisco tutto dopo”, chiese guardandolo supplichevole. Jack sospirò: ogni volta era la stessa storia. “Ok, ma è l’ultima volta”, lo ammonì per poi schivare sapientemente il suo abbraccio stritolatore. Poi lui e Henry si avviarono. Gli altri invece salirono in casa incrociando sulla porta Nick, la maglietta del quale quel giorno diceva: le petit hobbit. Per una volta era facile capire la citazione filmica/letteraria, chiaro il riferimento al Piccolo principe e al Signore degli Anelli, con il piccolo mondo e lo Hobbit disegnati nel caratteristico stile dei disegni del libro di de Saint-Exupèry.
“Bella la mia nuova maglietta, vero?”, disse con un sorriso enorme prima di sorpassarli per uscire. I tre ragazzi si guardarono un secondo prima di scoppiare a ridere. Quante magliette Nerd aveva il loro vicino? Probabilmente nel suo armadio c’erano solo quelle perché da quando lo avevano conosciuto non lo avevano mai visto indossare niente di diverso.



Alle sette della mattina successiva Jack era già pronto per uscire per andare a correre. Uscì piano della stanza per non svegliare Mike, anche se il suo amico aveva un sonno così pesante che non lo avrebbe svegliato neanche se fosse uscito suonando una tromba a pieni polmoni. Sul corridoio, con sua sorpresa, lo trovò ad aspettarlo Megan.
“Che ci fai sveglia?”, le sussurrò incominciando a cercare nello sgabuzzino le scarpe da corsa.
“Posso venire con te a correre?”, chiese la ragazza, allo sguardo stupito dell’altro sbuffò. “Accompagnarti, non correre anche io! Prometto che me ne starò buona come l’altra volta”, aggiunse facendo gli occhioni dolci, Jack soffocò una risata e annuì.

Era ormai diventata una mania quello sguardo?
“Ok, va bene. Ero solo stupito, già dicono che sono strano io che mi alzo presto per andare a correre… Però tu mi batti: ti alzi presto per vedere correre qualcun altro”. Jack si infilò le scarpe mentre Megan, alzando le spalle per quello che lui aveva detto, incominciava già ad uscire per chiamare l’ascensore.





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Capitolo 5
*** In manicomio l’ukulele onnisuonante cessa (temporaneamente?) la sua attività ***


5. In manicomio l’ukulele onnisuonante cessa (temporaneamente?) la sua attività



Tre minuti e trentaquattro secondi: stai diventando bravo, Jackie”. La voce di Megan risuonò nel parco confinante con il teatro Santa Chiara, mentre l'interessato era fermo a pochi metri da lei, con le mani sulle ginocchia leggermente piegate e il viso arrossato nascosto perché rivolto verso il terreno: il suo respiro ansante si udiva distintamente anche dalla cima del pino che lo copriva con la sua ombra. Un chilometro di corsa veloce pesava anche ad uno sportivo come lui.

Non chiamarmi Jackie”, riuscì a sussurrare, anche se a fatica, alzando il viso e fulminando la coinquilina con lo sguardo.

Non sei molto credibile in quelle condizioni, sai?”, osservò lei in risposta, raddrizzando gli occhiali quadrati con il dito indice.

Comunque sei andato bene”. Teneva i suoi tempi ormai da una settimana e mezza: assistere ai suoi allenamenti mattutini e prenderne nota era ormai diventato un passatempo al pari del disegno e del tenere il conto delle vittorie di Mike e Marghe.

Ora, però, prova a prendermi!”. Rise, mentre metteva forza nelle braccia e si allontanava, e poco dopo udì i passi del corridore cominciare a muoversi: ormai Megan aveva compreso che era un tipo competitivo, così ne approfittava per divertirsi un poco.

Nonostante lui fosse sfinito, trascorsero solamente pochi secondi prima che la raggiungesse ed afferrasse le maniglie della sua sedia a rotelle, bloccandola di colpo.

Ehi, non vale!”, protestò lei, come sempre.

Sì che vale”, obiettò Jack, mentre cominciava a spingerla verso l'uscita del parco.

Ok, ma lasciami, che so cavarmela da sola!”. Quando si trovava solamente con un'altra persona la infastidiva essere spinta: preferiva girare le ruote con le mani e camminare fianco a fianco. Eccetto che con Marghe, ma solamente perché lei era bassetta e, di conseguenza, non occorreva urlare perché si udissero.

Ok, capo”, rise brevemente lui, affiancandosi a Megan. “Devo ancora capire perché non ti compri una sedia elettrica”.

Perché costa?”, ribatté lei, ironica, ma si rese presto conto di essersi comportata in modo eccessivamente brusco. “E poi devo pur muovermi, no? Prima avevo i muscoli delle braccia davvero flosci!”.

Touché”.

Megan osservò il suo coinquilino fare un bel sorriso, solo per poi notare quest’ultimo congelarsi sul suo volto. Seguì il suo sguardo e vide che stava fissando un uomo alto e distinto, tranne che per uno zainetto rosa che portava sulla spalla, sicuramente di proprietà della bambina che saltellava allegramente accanto a lui cercando di seguire la sua lunga falcata. Non era la prima volta che lo incrociavano e Jack le aveva spiegato che era il suo professore di fisica subnucleare, un certo Franconi, che lui stimava molto. Jack però faceva sempre il timido, così spesso ritardava o anticipava il rientro a casa per non doverlo incrociare: una volta si era divertita un mondo perché Jack l’aveva costretta a nascondersi dietro ad un cespuglio! Megan, che aveva imparato a conoscere il ragazzo in quelle mattinate passate insieme, sospettava che Jack odiasse mettersi in mostra tanto quanto Mike lo adorava, e incrociare il proprio professore ogni mattina gli avrebbe tolto l’anonimato che stare in gruppo gli dava.

Professor Franconi, buongiorno”, lo salutò educatamente, quando giunse a pochi metri di distanza da lui, esattamente sotto al cartellino con il numero trentatré stampato sopra.

Signor Davies, buongiorno”, sorrise lui facendogli capire che ormai l’anonimato se ne era andato da tempo: Jack era molto sveglio e Megan sospettava che in aula non si facesse problemi a fare domande, rendendosi, senza rendersene veramente conto, visibile. Ma l’uso del cognome la portò anche ad incuriosirsi:era raro infatti che un professore ricordasse il nome di uno studente in particolare.

E anche a Lei, Signorina”. Megan gli fece un cenno del capo, mentre notava una bambina nascondersi dietro alle gambe dell'uomo, accanto ad una busta di plastica in cui, tra il resto, si intravedevano delle bottiglie verdi.

Ciao, piccola”, la salutò, allegra, e notò i suoi due occhietti spuntare e fissarla intensamente.

Su, Luciana, saluta i ragazzi: non ti mangiano mica!”, la riprese bonariamente suo padre. “È timida”, aggiunse, quando notò che la figlia non si sarebbe mossa di un millimetro.

Abitate qui nei dintorni anche voi?”, chiese poi, cambiando argomento, mentre il suono di un ukulele cominciava ad udirsi fin sulla strada.

Già”, rispose Megan, sorridendo, senza rivelare la precisa ubicazione del loro appartamento.

Quindi sentite anche voi questo strazio tutti i santi giorni!”, esclamò, e ai due ragazzi occorsero alcuni secondi per comprendere a che cosa si riferisse: lo capì per primo Jack, che si voltò verso la coinquilina con sguardo d'intesa. Scoppiarono a ridere all'istante.

Non è brutta!”, intervenne intanto Luciana, con la vocina acuta tipica dei bambini di sei anni.

Oh, sì”, la contrariò bonariamente il professore. “Deve trattarsi di uno studente”.

Megan annuì lentamente. “Si tratta si una studentessa spagnola”, spiegò.

Lo sapevo! Maledetti Spagnoli e i loro ukulele!”, borbottò, mentre gli altri tre provavano a trattenere una risata: la bimba scoppiò poco dopo, ma per loro fortuna gli altri due riuscirono ad evitare la figuraccia.

Quanto vorrei che le si staccasse una corda!”, continuò intanto il Franconi, imperterrito.

Anche noi…”, sussurrò Jack in risposta.

Il professore, però, possedeva un udito molto sviluppato. “Aha! Non sono l'unico!”, esclamò, vittorioso, mentre l’ukulele cessava bruscamente la sua attività: si sentì il rumore di una corda saltata, seguita da un urlo agghiacciante.

Franconi, Jack e Megan si guardarono per un attimo senza parlare, sentendosi anche un po’ in colpa: era davvero possibile rompere qualcosa con la sola forza del pensiero?

Bene, ragazzi, vi saluto: vado ad accompagnare mia figlia a scuola: ci vediamo dopo, Davies, non ritardi!”, ruppe il silenzio poco dopo l'uomo, ma prima di allontanarsi si avvicinò all'orecchio di Jack. “Comunque, è una bella ragazza: complimenti per la scelta!”.

Jack divenne del colore della sua camicia preferita, mentre il professore si allontanava e Megan ridacchiava.

Non stiamo insieme!”, chiarì lei, rivolta a Franconi.

No? Beh, è un vero peccato”. commentò lui, senza voltarsi e continuando a camminare, per poi alzare un braccio in segno di saluto.



Quando rientrarono in casa vennero travolti da un uragano: le urla incomprensibili di Rosa, che parlava in spagnolo troppo velocemente perché chiunque potesse comprenderla, si udivano anche nell'ingresso.

Jack immaginò Nicola ridacchiare divertito mentre si immaginava la scena spaparanzato sul divano del piano interrato, felice perché non abitava nell'interno otto e perché l’ukulele era stato messo a tacere: probabilmente presto si sarebbe messo a guardare NCIS.

Necesito una cordita, non una cana da pesca!”.

Jack udì Megan, che era entrata in soggiorno, ridacchiare mentre dava una gomitata a Margaret, che invece stava roteando gli occhi. Quando giunse anche lui nella stanza ne comprese il motivo: Michele era in piedi proprio al centro dell’uragano, cioè davanti alla Spagnola, e brandiva tra le mani un rocchetto di filo di nylon, con un’espressione vittoriosa stampata sul volto. Rosa, invece, gli stava urlando contro, mentre Henry le era vicino, una mano sul suo braccio, il viso rosso come il mantello di un toreador, e le sussurrava alcune parole in spagnolo all'orecchio, nel tentativo di calmarla per evitare lo scoppio della terza guerra mondiale.

A Rosa si è rotta una corda”, gli spiegò Margaret non appena Jack si fu seduto sul divano accanto a lei.

Lo so. Tu, invece, ti godi lo spettacolo”.

Non mi sembra che tu stia intervenendo”.

Touché”.

Ad un tratto, tutto tacque.

Gli occhi dei quattro coinquilini di Enrico si spalancarono increduli mentre Rosa gli gettava le braccia al collo e gli stampava un braccio sulla guancia; subito dopo la giovane corse fuori, lasciando Mr. Medicus a boccheggiare con una mano che sfiorava il punto in cui la Spagnola gli aveva lasciato lo stampo del rossetto.

Presto, però, si riprese, e rispose con un'occhiataccia agli sguardi interrogativi dei suoi amici, per poi allontanarsi.

Beh?”, esclamò Mike, indignato, mentre lo ricorreva. “Che è successo?”.

Nulla”, borbottò l'altro, ma compì l'errore di voltarsi: lo sguardo supplichevole del giovane lo raggiunse. Sbuffò, poi lanciò uno sguardo verso il soggiorno, sbagliando nuovamente: anche le ragazze lo guardarono piene di curiosità. Fu solo quando notò gli occhi fintamente disinteressati di Jack che decise di rivelare l'accaduto. Il moro era suo amico da quando avevano quattordici anni, dall'anno in cui lui si era trasferito a Bressanone, Alto Adige, città di provenienza del padre, da un paesino vicino a Londra, patria della madre. Avevano frequentato assieme buona parte della scuola superiore, erano diventati molto amici e ormai comprendevano quando l'altro era curioso o preoccupato, così finivano per rivelarsi tutto: poco male se a volte c'erano persone moleste attorno, soprattutto se si trattava di un argomento che a breve sarebbe stato comunque sulla bocca di tutti.

Le ho proposto di venire con me giù a Verona oggi pomeriggio per cercare una corda”.

Occorre andare fino a Verona?!”. esclamò Margaret, ma lui non fece in tempo a risponderle, perché la pacca sulla spalla che ricevette da Mike gli tolse il fiato.

E bravo Mr. Medicus, allora non sei proprio irrecuperabile!”.

Forse no, non era irrecuperabile, ma la mattina dopo, quando Rosa piombò nell'interno otto puntandogli un dito contro accusandolo di averle rubato la sua querida Mima, Henry ricordò improvvisamente perché di solito preferiva lo studio alle ragazze.


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Capitolo 6
*** Chi è talmente pazzo da rubare ad una pazza il suo strumento di follia? ***


6. Chi è talmente pazzo da rubare ad una pazza il suo strumento di follia?



Ehi, ehi, ehi!”, esclamò Mike mettendosi tra Rosa e Henry, il quale malauguratamente era andato ad aprire la porta ritrovandosi attaccato da una spagnola inferocita che gridava qualcosa circa la sua querida Mima, sul fatto che era sparita e di come fosse colpa sua. Quando anche Margaret arrivò di corsa a dare una mano e la ragazza si fu calmata poterono finalmente capire cosa stesse succedendo: alla fine i due non erano riusciti a scendere a Verona il giorno prima e si erano accordati per andarci quel pomeriggio; l’ukulele era stato messo direttamente nella macchina di Henry. Rosa con ancora le lacrime agli occhi spiegò che quella mattina era scesa per assicurarsi che Mima stesse bene, ma non l’aveva trovata.

Sicuri di averla messa veramente in macchina? Magari vi siete dimenticati di aver deciso di metterla da un’altra parte”. Margaret fu fulminata dallo sguardo torvo della spagnola per aver potuto insinuare una cosa di quel genere.
“Perché hai incolpato il povero Henry?”, intervenne Jack, il quale collezionò anche lui un’occhiataccia, ma dall’amico, seccato per quel ‘povero’ non del tutto sincero.
“Solo lui ha le chiavi della macchina, chi altro potrebbe averla presa?”, rispose Rosa sorpresa della domanda che le sembrava scontata; Henry arrossì mentre tossiva.
“A dir la verità non ricordo di averla chiusa”, borbottò imbarazzato. La sua Panda era piuttosto scassata, senza niente di valore all’interno, a parte qualche quaderno di appunti che però era più caro allo studente che a chiunque altro: aggiungendo questo alla sbadataggine del suo proprietario si poteva comprendere come fosse per lo più lasciata aperta.
“Henry!”, esclamò Jack scuotendo la testa. “Dovresti starci attento, sono secoli che te lo dico”, aggiunse guardandolo male. Lui ed Enrico erano migliori amici fin da quando erano dei ragazzini eppure erano completamente diversi in tutto o quasi: Jack era molto ordinato e le sue cose duravano negli anni, mentre Enrico era probabilmente una delle persone più disordinate della Terra, e trascurava le sue cose senza farlo veramente apposta: era semplicemente sbadato. Beh, tranne che con le sue adorate mazze da golf.

Nella stanza, intanto, era sceso il silenzio, e dopo alcuni minuti Rosa si alzò attirando su di sé tutti gli sguardi.

Vi offro un tè da me, ci penseremo assieme e capiremo dove è finita”. Li guardò tutti male prima di continuare. “Oppure il colpevole si farà avanti”. Detto ciò, se ne andò senza lasciare modo a nessuno di replicare. Nel silenzio che seguì i cinque sentirono la Spagnola bussare alla porta del piano di sotto con tanta forza che la sentirono distintamente per chiamare a rapporto anche Nick. A quel punto non riuscirono più a trattenersi e scoppiarono in una sonora risata. Poi si alzarono per scendere, perché a loro poteva sembrare tutto divertente, ma era meglio non fare arrabbiare Rosa, o sarebbero stati guai.



Dieci minuti dopo erano tutti nell’appartamento della spagnola, compreso uno scocciato Nick, che fissava tutti con sguardo torvo e le braccia incrociate.
“Ancora non capisco cosa ci faccio qui”, commentò sbuffando.
“Potrai andare quando ci darai la prova che non hai preso tu Mima”, rispose Rosa rispondendo al suo sguardo sospettosa.
“Ma hai già controllato tutto il mio appartamento!”, protestò. “E poi sai benissimo che sono stato tutta la notte a lavorare e recuperare le puntate di Doctor Who: Classic.”. Aggiunse, ma Rosa non smise di fissarlo. “Qui secondo me c’è un grande equivoco: nessuno di noi avrebbe preso il tuo maledetto ukulele!”, disse pentendosi subito di aver aperto bocca. Rosa gli sarebbe saltata addosso se Jack e Mike non l’avessero intercettata in tempo.
“Nick si è espresso male, ma ha ragione”, intervenne Megan. “Nessuno avrebbe mai potuto farti una cosa del genere sapendo quanto ci tieni”. Tutti annuirono mentre la ragazza si calmava.
“Piuttosto potrebbe averla rubata uno di quei barboni per usarla per cantare nelle strade”. Margaret ricevette una gomitata da Henry, che era seduto vicino a lei: non era certamente la prospettiva migliore, e infatti Rosa la guardò sgomentata.
“Oppure è stato Luca, che abita qui a fianco: ha sempre detto di volere andare alle Hawaii, un ukulele potrebbe farlo sentire più vicino”, disse Megan più per scherzare che per altro. In verità tutti stavano pensando che lo strumento si trovasse da qualche parte in casa, ma nessuno aveva il coraggio di dirlo, così tutti avevano autonomamente deciso di assecondare la Spagnola inventandosi le scuse più assurde. Prima che Rosa potesse alzarsi per andare a spaventare a morte il povero Luca intervenne Jack.
“Però considera che è un bello strumento, il tuo in particolare, e che è tenuto benissimo, chiunque passando avrebbe potuto prenderlo. In più Luca ieri non era a casa, è tornato questa mattina: l’ho visto quando sono uscito a correre”
“Oh, sì! È così bello che sicuramente saranno arrivati i siluriani a rubarlo”, commentò svogliatamente Nick, e nonostante nessuno tranne lui fosse un esperto di Doctor Who non fu difficile capire che si trattava di un qualche tipo di alieni: la situazione stava degenerando. Ci fu un momento di silenzio dopo il commento del matematico, interrotto improvvisamente da Mike, che si alzò addirittura in piedi. Jack si mise già la testa fra le mani: sapeva che avrebbe sparato una cazzata colossale.
“L’ha rubata il prof. Franconi! L’altro giorno ha detto a Jack e Megan che odia profondamente Mima e abita qui vicino!”. A Jack scappò una risatina, non era riuscito a resistere: l’immagine del prof. che apriva la macchina di nascosto per rubare l’odiato strumento gli era passata davanti agli occhi non appena Mike aveva spiegato la sua teoria.
“Ok, dopo questa mi serve una pausa”. Ancora ridacchiando il fisico si alzò. “Rosa, posso usare un attimo il bagno?”, chiese educatamente e, ricevuto ovviamente il cenno positivo, si diresse verso il bagno, situato vicino alla camera da letto. Quando uscì non poté fare a meno di lanciare un’occhiata dentro la stanza, ma si sentì in dovere di guardare con più attenzione quando, con la coda dell’occhio, notò un pezzo di quello che sembrava un ukulele che spuntava dalla coperta caduta per terra e non ancora sistemata. Il suo animo da amante dell’ordine fu disturbato dal caos che regnava in quella stanza colorata, ancor di più per il fatto che probabilmente tutta quella situazione assurda era nata dal fatto che Rosa non si facesse il letto. Infatti, sollevata la coperta trovò proprio l’ukulele: probabilmente la Spagnola nella notte aveva dato il meglio nel suo sonnambulismo ed era scesa a recuperarla.

Trionfante, Jack rientrò nel soggiorno dove le teorie andavano a farsi sempre più assurde. L’ultima che sentì fu di Nick, il quale stava incominciando a divertirsi, che arrivò a sostenere che Franconi in verità era una reincarnazione del Maestro a cui serviva, per chissà quale ragione, Mima per sconfiggere il Dottore, chiunque fossero quei due.

Ehi!”, esclamò per attirare l’attenzione su di sé, lo strumento ben nascosto dietro la schiena. “Guardate cosa ho trovato”. Gli occhi di Rosa si spalancarono riconoscendo il suo amato ukulele, mentre tutti gli altri, che si aspettavano un finale del genere, scoppiarono a ridere. Jack consegnò Mima nelle mani della proprietaria che incominciò, senza curarsi troppo della mancanza di una corda, a strimpellare qualcosa.
“Dove l’hai trovata?”. Lo sguardo colmo di adorazione che rivolse a Jack sembrò infastidire Henry, cosa che non sfuggì a Megan e Margaret. Si lanciarono un occhiata piena di significato: probabilmente avrebbe voluto ritrovare lui lo strumento e ricevere quello sguardo
Mike e Nick invece sembravano delusi: si erano appassionati troppo a inventarsi le ragioni più assurde per la scomparsa di Mima e per i loro gusti Jack era arrivato troppo presto.



Franconi, intanto, ignaro delle teorie che lo riguardavano che erano state proposte, stava accompagnando la figlia a scuola, quando udì un grido di gioia che lo portò istintivamente a tapparsi le orecchie, presto seguito dal peggiore dei suoi incubi: l'ukulele aveva ricominciato a suonare, stonato più che mai a causa della corda ancora mancante.

Alzò gli occhi al cielo e sospirò, mentre Luciana ridacchiava, i suoi occhioni chiari che brillavano.

Papà, mi compri un ukulululele?” chiese, e scoppiò in una sonora risata non appena il padre le lanciò un'occhiataccia.

No.” rispose, secco: era rimasto talmente tanto sotto shock che non si era neppure reso conto del fatto che la sua piccola peste lo stava prendendo in giro.





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Capitolo 7
*** Dal manicomio qualcuno riesce ad evadre... ***


7. Dal manicomio qualcuno riesce ad evadere…



Henry non ha proferito parola per tutto il viaggio, tutto!”, esclamò Mike, mettendo l'accento sull'ultima parola.

Il viso sconcertato del giovane era ben visibile su un quarto dello schermo del computer di Margaret, la quale si trovava sdraiata a pancia in giù sul letto e chiacchierava con l'amico via Skype.

Mi sembra ovvio”. Queste furono le parole che la giovane udì in risposta: proveniva dal riquadro in basso a destra, da Jack.

Concordo”. Questa era Megan, dal quarto in alto a sinistra.

No che non è ovvio! Ragazzi, un po’ di comprensione…”.

Niente comprensione: gli hai rovinato il pomeriggio con la sua Rosa”.

Frena frena frena: non ho rovinato proprio nulla. Gli ho chiesto solo un passaggio andata-ritorno per me e Marga per Verona. Un mese fa”.

Potevamo prendere il treno, ma sei un testardo patentato”.

Oh, ma c'è l'avete tutti con me?!”.

Mike poté notare tutti e tre i visi nei riquadri della schermata di Skype annuire all'unisono.

Guai ne combinava spesso, ma quello Henry non glielo avrebbe perdonato facilmente: due pomeriggi prima, per la precisione il giorno in cui l'ukulele era stato ritrovato, quello della gita programmata per comprare una corda, infatti, Mike si era presentato davanti all'automobile dell'amico in cerca di un passaggio per andare a vedere la partita di basket della sua squadra del cuore. Margaret lo aveva seguito a braccia incrociate e con un'espressione imbronciata stampata sul viso.

Come se non bastasse, in viaggio verso Verona Michele non solo si era seduto accanto ad Henry, ma non era neppure rimasto un attimo in silenzio. La scena si era ripetuta al ritorno.

Rosa si era divertita molto, ma Enrico non era della sua stessa opinione: si era pregustato ore di chiacchierate con la sua Rosita, si era immaginato di farla innamorare di lui durante il viaggio, ed era andato tutto in fumo.

Senza contare che, arrivati a Verona, Rosa aveva incontrato una sua compagna di università spagnola, in Erasmus nel veronese.

Il pomeriggio dopo Enrico aveva accompagnato nuovamente Michele, che voleva risparmiare parte dei soldi del biglietto del treno per Brescia, a Verona, ma lo aveva ignorato per tutto il tempo: di conseguenza, il fisico, appena giunto a casa, aveva chiamato in soccorso gli amici via Skype, interrompendo il fine settimana brissinese di Jack e quello caldonazzese di Megan.

Io sì che sono arrabbiata con te, perché Enrico è ancora arrabbiato e io sono l'unica che è rimasta con lui in casa.” borbottò Margaret.

Preparagli i canederli con la ricetta che ti ho insegnato e vedrai che si rilassa.” suggerì a quel punto Megan.

Ehi, e io?” la interruppe Michele.

Stai a casa per le prossime due settimane”, intervenne Jack.

Concordo!”, una voce arrivò da dietro la schiena di Margaret, che la zittì prontamente.

Che ci fa lì Nick?”.

Sei geloso, Mike?” lo provocò il ragazzo appena nominato.

No”.

Non sei sdraiato sul mio letto, vero?”, commentò la Caldonazzese, preoccupata.

Sono sul pavimento e il tuo PC è quasi come nuovo”.

Margaret tossì rumorosamente per coprire la sua voce, ma non ci riuscì.

Il mio computer cosa?”. Anche Rosa udì quel grido incredulo.

Credo che Margaret lo abbia fatto cadere. Oppure ci ha versato sopra qualcosa”.

L'interessata, però, non udì l'intervento di Jack, perché aveva già salutato velocemente gli amici e aveva chiuso la chiamata.

Mentre Megan continuava a chiedere spiegazioni al rettangolino ormai buio e Mike sperava ancora di ricevere qualche consiglio, l’Anglo-brissinese alzò gli occhi al cielo, chiedendosi perché continuasse a vivere in Corso Tre Novembre numero trentatré.



Quel pomeriggio era tiepido e soleggiato: Henry passeggiava fischiettando, di ritorno da una vittoriosa partita a golf, ed intanto ripensava al disastroso viaggio a Verona. Un lato positivo, però, quella faccenda lo aveva: quando era arrabbiato riusciva a giocare piuttosto bene. All'improvviso, mentre si crogiolava nei suoi pensieri cupi, un'idea lo illuminò: avrebbe potuto portare Rosa a giocare a minigolf! Come aveva fatto a non pensarci prima?
Altro che aggiustare l'ukulele: quello era un campo in cui non avrebbe commesso errori, la spagnola si sarebbe finalmente innamorata di lui!
In fondo, però, quello strumento gli piaceva: era ormai diventato un punto fermo della sua vita udire il suono perenne delle corde che vibravano veloci.
Quando arrivò al suo palazzo, però, quel giorno le sue orecchie stranamente non lo captarono: al suo posto, il giovane ne udì uno che giudicava ancora più soave, quello della risata di Rosa. Proveniva dal retro del palazzo, così aggirò la costruzione grigia e giunse nel cortile asfaltato, pentendosene all'istante: avrebbe preferito vedere la sua Spagnola baciare un altro uomo. Invece, la trovò accucciata ai piedi del palazzo, mentre armeggiava con una sottile corda verde, il colore preferito di Margaret: doveva trattarsi di un'idea di quest'ultima. Come volevasi dimostrare, alzò lo sguardo e la trovò: si stava sporgendo dal balcone del secondo piano e reggeva l'altro capo del filo.
Henry sbuffò, chiedendosi il senso di quelle azioni: aveva dei coinquilini davvero troppo strani, maledetto il giorno in cui Jack lo aveva convinto del fatto che cambiare appartamento non sarebbe stata una cattiva idea. La stramberia di Mike gli era già sufficiente, non pensava che avrebbe dovuto reggere altri tre Mike in versione donna!
"Enrico”. Un sussurro lo raggiunse, distogliendolo dai suoi pensieri: l'interessato iniziò a guardarsi attorno, confuso e alla ricerca del proprietario della voce, finché non si convinse di essere diventato pazzo.
"Guarda giù, Mr. Medicus!".
Sì, stava decisamente impazzendo: l'asfalto aveva deciso di cominciare a parlargli. Poco dopo, però, ricordò che il loro palazzo possedeva un piano interrato con delle minuscole finestre in vetro smerigliato all'altezza del terreno: proprio da una di queste spuntavano le dita e gli occhi di Nicola. Henry giudicò tutto questo inquietante, ma alla fine si avvicinò al matematico.
"Ciao. Potresti anche uscire per parlare, così non mi spacco la schiena”. Per rivolgersi a lui, infatti, si era dovuto accucciare.
"Troppo semplice”, ribatté tranquillamente l'altro, prima di indicare Rosa. "Che cosa sta facendo? Mi sono preso un colpo quando ho notato quel filo fuori dalla finestra della cucina!".
"Sì, sono arrivati gli extraterrestri: credici”.
"Ha.ha. Molto divertente. Il tuo sarcasmo ferisce questo prode cavaliere più dell'ironia di Michele”.
"Stai giocando a Age?".

"Sì, problemi?".
La risposta spiazzò il nerd. "Posso unirmi a te?".
Gli sorrise: "Ti sto istruendo bene, Mr. Medicus!".
Mentre si stava alzando, però, Rosa corse loro incontro.
"Advinate! Abbiamo messo un filo”.
"Brave. Ora potete toglierlo”. A causa delle sue parole, Nick si beccò un'occhiataccia.
"Stava scherzando”, lo difese Henry, sentendosi all'improvviso il sostituto del loro abituale giudice di pace.
"No invece: toglilo subito!".
"Non sai neanche a cosa serve!". La voce di Margaret li raggiunse da qualche piano più in alto.
"Spiegamelo, allora, genio”.
In risposta, si udì un tonfo sul terreno, e per un attimo Henry pensò che la giovane si fosse buttata dal balcone: quando ebbe il coraggio di guardare, però, notò un secchiello d'acciaio.
"Così ci passiamo i le comunicazioni: è meglio del gufo! Quando gli altri torneranno ne saranno entusiasti”.
Di sicuro, pensò Henry, ma saggiamente non espresse i suoi commenti sarcastici a voce alta.
"Lasciate perdere i bigliettini e venite giù fa me: partitaccia ad Age of empires II e poi ordiniamo una pizza per cena”. Mentre parlava, il secchiello stava lentamente ritornando al secondo piano; scivolò verso il basso poco dopo, assieme ad un biglietto:
"Preferirei andare a giocare a basket al campetto, ma visto che non ho un avversario arrivo."

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Capitolo 8
*** ...anche se non per molto ***


8. ...anche se non per molto

"Margaret, no. Marga!". Le grida contrariate di Nick si udivano fino al corridoio, assieme alle risate delle giovane.
I due ragazzi si trovavano davanti alla televisione di Nick, seduti sul tappeto e collegati alla Wii, mentre giocavano a Mario Cart, un must per la consolle. Tra loro e la TV, sul tappeto giacevano due cartoni di pizza ormai vuoti, che ben si abbinavano al disordine che regnava nel soggiorno dell'appartamento del matematico.
"Marga!". Un secondo grido contrariato venne pronunciato dal ragazzo: la Veronese, infatti, lo stava spingendo barbaramente a terra, nel tentativo di conquistarsi la vittoria, che non tardò ad arrivare. Margaret batté le mani felice, fiera di aver sconfitto il mago dei videogiochi, che se ne stava ad occhi spalancati, ancora incredulo. La giovane si voltò in direzione del divano dove erano seduti Henry e Rosa, che avevano abbandonato i videogiochi ad ora di cena, stanchi del monopolio che Nick deteneva sulle vittorie, e subito notò che i due stavano chiacchierando amabilmente: sorrise, fiera di aver rimediato al pasticcio compiuto dal suo migliore amico.
L'incanto, però, fu presto spezzato dal suono dell'ukulele della studentessa Erasmus, suoneria del suo cellulare: la giovane, infatti, fuggì immediatamente nel suo appartamento, ansiosa di chiamare via Skype il suo ragazzo.
Henry si alzò dal divano, sconsolato, e Margaret tornò con lui al primo piano:  la felice serata si era conclusa in modo disastroso.


Quando Enrico Lagrande era depresso, si tuffava nei libri e non riemergeva almeno per qualche ora; c'era un solo problema: quando studiava diventava molto, troppo, ipocondriaco. In proposito ne sapeva qualcosa Luciano, il suo fedele vicino di banco, che aveva il compito di rassicurarlo ogni volta che ripassavano assieme in biblioteca.
Anche in Corso Tre Novembre,  però, gli inquilini avevano adottato delle strategie per frenare l'ansia di Henry: nonostante ciò, quella sera Margaret venne quasi presa alla sprovvista.
Si stava asciugando i capelli davanti allo specchio con indosso soltanto i jeans e il reggiseno color nero, quando l'aspirante medico bussò alla porta del bagno, distogliendola dalla macchinazione di un piano per tirare su di morale l'amico.
"Che c'è?", chiese, spegnendo il phon.
"Margaret, secondo te mi sta venendo un infarto?". La sua voce era ansante.
La giovane sbuffò: "Stai studiando il cuore?".
"No".
"Che cosa ti senti?".
"Dolore al petto e al braccio destro e la testa che gira: si tratta di un infarto, Marga”.
"Sei stanco e stai studiando: ecco il perché dei capogiri. Il braccio perché scrivi”. Il giovane, infatti, era mancino. "E il petto perché Rosa ti ha spezzato il cuore”, concluse, ironica.
"Non mi ha spezzato il cuore!", gridò, e nel mentre udì la porta dell'ingresso sbattere: Mike lo guardò malissimo, mentre Jack sospirò e attraversò il corridoio, raggiungendolo ancora con la giacca indosso e la valigia in mano.
"Tutto bene?".
"Sì”, borbottò l'altro, ritornando in camera sua. I due fisici si guardarono negli occhi, poi alzarono le spalle e si diressero nella loro stanza subito dopo aver salutato Margaret, che stava ridacchiando dietro alla porta del bagno.
"Ricordati che devi farti perdonare”, osservò Jack poco dopo, mentre riponeva gli abiti puliti nell'armadio.
"Sì, lo so”, sbuffò l'altro: aveva anche una mezz'idea sul da farsi, architettata assieme al coinquilino sulla strada dalla stazione a casa; sperava solo che funzionasse.
"Vado a sentire che cosa è successo”, continuò l'Anglo-brissinese poco dopo. "Tu stai qui fermo e non intrometterti”.
Michele annuì:
"Intercederai per me?", chiese subito dopo con occhi da cucciolo all'amico, che lo fissò con sguardo perplesso dalla porta.
"No”, esclamò infine, ma entrambi sapevano che alla fine, come sempre, lo avrebbe fatto.
Bussò alla camera di Henry, ma non aspettò il suo permesso per entrare: lo studente di medicina, seduto alla scrivania, lo fissò per un momento, poi si rituffò nei libri. Jack, a quel punto, si sedette sul letto e aspettò, guardandosi attorno, che l'amico proferisse parola; poco dopo lo udì sbuffare.
"Sì, lo so, devo riordinare". La sua stanza, come del resto tutte le altre, ad eccezione dell'angolino di Jack, erano un disastro.
Il fisico alzò le spalle: "Non mi fa differenza: questa settimana le pulizie toccano a te e a Mike”.
Si guardarono negli occhi per alcuni secondi, finché Enrico non aprì nuovamente bocca:
"Ho chiacchierato con Rosa questa sera”.
"Ed è un bene?".
"Certo. Solo che poi l'ha chiamata il suo ragazzo”.
"Sai che ha un ragazzo: non puoi prendertela per quello”, osservò Jack, imperturbabile.
"Tu sì che sai come rincuorarmi”, borbottò l'altro, e notò l'amico abbozzare un sorriso: era così strano vederlo piegare le labbra all'insù.
"Sempre”.
"Scherzi a parte, uomo dalla risposta sempre per tutto: che devo fare, lasciar perdere o provare?".
"Io non ho sempre la risposta per tutto”. Jack si rabbuiò e l’amico non insisté sapendo a cosa stesse pensando il castano. "Per le ragazze, poi!", esclamò però poco dopo, sorprendendo Henry, ancor di più per il mezzo sorriso che gli rivolse.

"Ma davvero? Con Jessica Lawrence avevi sempre la risposta pronta se non erro... ‘Jack, e dopo averla baciata che farai?' 'Ovvio, la porto da Ivan'".
"Tralasciando il fatto che l'appuntamento al Bar Centrale non era di sicuro l'opzione migliore, avevo quindici anni e mi sentivo fin troppo sicuro di me. Con Catarina non era andato tutto così liscio, ti ricordo”.
L'altro fece spallucce. "Catarina era una psicopatica”.
"Forse un po', ma anche Rosa lo è. Con quell'ukulele, poi!", osservò l'amico, riportando l'attenzione dalle sue ex alla Spagnola. Come se lo avesse udito e lo avesse voluto provocare, l'inquilina del piano inferiore cominciò a suonare: Jack alzò gli occhi al cielo.
"Decisamente pazza, ma è questo che la rende fantastica", ribatté Enrico, sognante.
"Ok, sei proprio partito... che pensi di fare, ragazzo innamorato?".
"Invitarla al minigolf”, ribatté l'altro all'istante.
"Approvo. Stai solo attento che Mike non si trovi nei paraggi...".
"Stanne certo", borbottò Henry.
"Perdonalo, però”.
"Forse”.
"La convivenza è ancora lunga, En”. Perché si ritrovava sempre nelle vesti di giudice di pace nelle liti tra i suoi due amici? Era davvero stressante...
"Lo so”.
"Ok, indovina un po'!"; riprese la parola poco dopo Jack: doveva lasciar germogliare l'argomento 'perdoniamo Mike', per il momento lo aveva annaffiato a dovere.
"Cosa?".
"Ieri sono stato ai mercatini a Bressanone: pensavo che un week-end potremmo invitare su gli altri. Ci porti Rosa e con quell'atmosfera sei a cavallo", osservò: i mercatini di Natale nei paesi dell'Alto Adige, seppur piccoli, con le loro luci, i suoni e le casette, erano sempre uno spettacolo che portava gli occhi di grandi e piccini a luccicare. Anche buona parte dei residenti, che potevano ammirare le piazze addobbate a festa da metà novembre all'inizio di gennaio, non ne era mai stanca. "Oppure si potrebbe andare anche nella cittadina vicino al paese in cui vive Megan: ha detto che lì installano le casette in un grande parco”.
"Domani a cena ne parliamo a tutti, allora!", esclamò l'altro, entusiasta. "A proposito di domani: Nick propone di andare a vedere Star Wars al Nuovo Roma”. Casa loro si trovava ad una decina di metri dal suddetto cinema, ma, poiché erano studenti squattrinati fuori sede, per il momento non ne avevano ancora approfittato. Nessuno eccetto Mike che, da grande appassionato di filmografia, ogni tanto la sera spariva per accomodarsi su una poltrona nera con un cartone di popcorn tra le mani.
"Domani devo finire la partita a scacchi con Megan”.
Henry alzò gli occhi al cielo. "Megan di qua, Megan di là”.
"Enrico, che caz-", il fisico venne interrotto da un grido acuto di Michele: i due si fissarono, poi corsero ad affacciarsi in corridoio. Lì notarono Mike, in piedi davanti alla porta del bagno, che fissava Margaret ad occhi spalancati; la giovane, dal canto suo, lo stava guardando con un sopracciglio alzato.
"Che succede?", domandò Jack.
"Chiedilo a lui!", borbottò lei, puntando il phon contro il petto del suo amico. "Voleva lavarsi le mani e quando gli ho aperto si è bloccato”.
"Ti ho chiesto se eri nuda!", protestò il giovane con le lunghe trecce nere.
"Non sono nuda! Mi hai vista mille volte più svestita di così!".
"Sì, ma-", iniziò Michele, ma le parole gli morirono in gola: e ora come avrebbe potuto spiegarsi?
"Quello che Mike vuole dire è che quando ti vedeva mezza nuda eravate bambini, mentre ora è un uomo, e un uomo se ti vede il seno-". A quelle parole Margaret arrossì di brutto e guardò incredula Enrico, che aveva parlato. "Beh, immagino che tu possa immaginare il resto”, concluse lui, improvvisamente in imbarazzo.
"Uomini!", esclamò lei in risposta, per poi rientrare in bagno sbattendo la porta.
"Stai per dare l'esame sull'apparato riproduttivo, Mr. Medicus?", cercò di sdrammatizzare Mike.
"Non ti ho ancora perdonato”, ribatté l'altro, rientrando nella sua stanza: nonostante ciò, però, sorrise senza farsi notare alla battuta.
Michele guardò Jack.
"Lo farà presto”, osservò quest'ultimo. "Ti ha salvato la pelle, dopotutto. Ci guardiamo un film sul mio PC?". L'altro annuì, così l'Anglo-brissinese alzò il tono della voce. "Marga, ti unisci a noi?", le chiese, certo che li avesse uditi: il phon non aveva ancora ripreso a funzionare.
"Solo quando sarà buio pesto: non ho alcuna intenzione di guardarvi negli occhi”. Si fermò un attimo. "E a patto che non mettiate un horror o una romanticheria oscena”.
"Ok, capo!", esclamò Mike, portandola quasi a ridere.
"Henry, tu vieni?", domandò invece l'altro.
"No”.
Alcuni minuti dopo, però, Enrico era nella loro stanza e stava discutendo con Michele riguardo al film da guardare, mentre Jack, con il portatile in mano, li osservava perplesso. Tuttavia, fu il primo a notare Margaret sulla soglia, il viso pallido, il cellulare in mano.
"Henry?", lo chiamò lei, e i due litiganti si bloccarono all'istante e la osservarono, l'uno incuriosito e l'altro preoccupato: Michele, infatti, sapeva che quello sguardo spento si presentava sul volto dell'amica solo quando era in pena per uno dei suoi cari. L'ultima volta che lo aveva visto era stato a dieci anni, quando gli aveva confidato che suo fratello maggiore aveva intenzione di arruolarsi nell'esercito.
"Domani mi accompagni a Verona?".
L'interessato annuì. "Con piacere. Non hai lezione?".
La mora mentì scuotendo la testa.
"Tutto bene?", le chiese Jack.
"Sì”, sussurrò lei, ma era sull'orlo delle lacrime. Il fisico, però, comprese che non aveva voglia di parlarne, così agì come avrebbe voluto che gli altri avessero agito quando lui stava male per sua madre: niente compassione, solo sostegno.
"Ok. Ti fermi per il film?", quando lei annuì, lui continuò. "Che ne dite di Sole a catinelle?". Anche Mike, che nutriva un odio profondo nei confronti dei film italiani, si proclamò favorevole alla commedia. Inoltre, quando Margaret si sedette a gambe incrociate sul suo letto, accanto a lui, Michele coprì la sua piccola mano con la sua e le sorrise al buio. Poco dopo lei appoggiò la testa sulla sua spalla e, come accadeva un tempo, si sentì subito meglio.





Angoletto della Marghe e della Gio:
toc toc: c'è nessuno? Qualcuno ci legge? Ha un senso continuare a pubblicare?
Ci piacerebbe avere qualche riscontro, insomma :)
Al prossimo capitolo!




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Capitolo 9
*** Ti sono vicino... ***


9. Ti sono vicino…

Dopo il film tutti se ne andarono nella propria camera: le prove intermedie si avvicinavano e avevano molto da studiare. Jack però decise di andare a bussare alla camera che Margaret divideva con Megan, la quale non era ancora ritornata all’appartamento. La ragazza era stata silenziosa per tutta la serata e nessuno aveva voluto chiederle niente, ma tutti si erano accorti che c’era qualcosa che la preoccupava.
Aprì piano la porta e la trovò sdraiata sul letto ancora vestita. Non disse niente, entrò e chiuse piano mentre lei lo guardava con lo sguardo preoccupato che aveva da quando aveva ricevuto la telefonata qualche ora prima.
“Allora, che succede?”. Le chiese quasi sottovoce sedendosi sul letto vicino a lei. L’aveva capita quando non se l’era sentita di dire cosa la turbava davanti a tutti, ma sapeva che faccia a faccia le cose erano diverse, e probabilmente subito dopo di lui sarebbe andato a parlarle anche Mike, mentre Henry avrebbe deciso di parlarle nel viaggio fino a Verona del giorno seguente.
“M-mio fratello…”, incominciò sconnessamente, quasi che dirlo ad alta voce avrebbe reso la cosa in qualche modo più vera. “... Ha fatto un incidente questa sera, è all’ospedale. Non sanno ancora se riesce…”. La voce si spense prima di finire la frase, non che ce ne fosse bisogno.
Jack non disse niente in un primo momento, sapeva per esperienza che era inutile rassicurarla che sarebbe andato tutto bene.
“Marga...”, la chiamò per far tornare il suo sguardo su di sé, dopo che era andato inevitabilmente a finire sul cellulare che rimaneva zitto. “Ci conosciamo da poco, ma voglio dirti che ti sono vicino, per qualsiasi cosa”. Lo disse guardandola dritta negli occhi e Margaret annuì.
“Grazie”, mormorò. Poi il ragazzo si alzò.
“Credo che ci sia anche Michele che voglia sapere cosa succede, so che lui conosce tutta la tua famiglia”. Margaret annuì: il fratello era più grande di loro di cinque anni, ma nonostante questo non aveva mai disdegnato di giocare con la sorellina e Mike.
Detto questo uscì e, come aveva appena predetto, trovò il suo compagno di corso fuori dalla porta. Non gli disse niente, era meglio che fosse Margaret a parlargli.
Quando anche Mike entrò nella stanza Margaret si alzò ed andò ad abbracciarlo. “Roberta mi ha chiamato”. La ragazza annuì, era normale che sua madre avesse chiamato anche lui e questo la salvava dal doverlo spiegare un’altra volta. Chiarito questo fatto non ci fu bisogno di aggiungere altro: si sedettero sul letto rimanendo abbracciati e Margaret sfogò le lacrime che fino a quel momento aveva trattenuto. Quando la ragazza si fu calmata a sufficienza Mike si slegò dall’abbraccio e ordinò a Margaret di cambiarsi e mettersi a dormire.
“Quando domani andremo a salutare tuo fratello non puoi presentarti come se avessi litigando con un panda inferocito”. Con quelle parole il ragazzo riuscì a scucirle un sorriso. Quando erano piccoli si azzuffavano spesso per gioco e, per chissà quale ragione, Matteo, che ormai si considerava il fratellone di entrambi, usava sempre i Panda inferociti come termine di paragone di una furibonda lotta che aveva lasciato i due un po’ ammaccati. Se Margaret fece caso al fatto che Michele le avesse detto implicitamente che l’avrebbe accompagnata a Verona non lo diede vedere.
Il ragazzo aspettò che la ragazza fosse uscita dal bagno e si fosse messa a letto e, senza bisogno che glielo chiedesse, rimase con lei fino a che non si fu addormentata.



La mattina dopo Margaret, Henry e Mike partirono lasciando Jack a badare alla casa e ad accogliere Megan, che sarebbe ritornata quel giorno. Il padre di Margaret e Matteo aveva chiamato in mattinata presto per dire che quest’ultimo era ammaccato, ma stava bene, quindi i tre erano partiti con l’animo molto più leggero.
Michele si era seduto, incredibilmente, dietro e poco dopo essere partiti si addormentò: gli altri due compagni di viaggio si scambiarono un’occhiata divertita. Il ragazzo era famoso per non riuscire a tenere gli occhi aperti la mattina neppure se dormiva più di otto ore: non li sorprese vedere che non era riuscito a resistere neanche fino al confine del Trentino.
Dopo un attimo di silenzio Margaret riuscì a tirar fuori la questione che si teneva dentro dalla sera prima.
“Tu conosci Jack da molto, vero?”. Henry annuì.
“Fin da quando si è trasferito da Londra: eravamo vicini di casa”, rispose dandole una veloce occhiata prima di riportare gli occhi sulla strada. “Perché?”. continuò.
“Io… Ieri sera è venuto a chiedermi cosa succedeva e come stessi”, incominciò lei non sapendo bene come porre la sua domanda. “E mi è sembrato che sapesse esattamente come mi sentivo…”. Guardando Enrico capì che aveva compreso quale fosse la domanda che non aveva avuto il coraggio di porre al mezzo Inglese quella mattina prima di partire.
Il ragazzo non rispose subito: fin da quando lei gli aveva fatto la prima domanda sospettava dove volesse andare a parare, e riusciva bene a figurarsi cosa fosse successo il giorno prima. Jack era di poche parole già normalmente, ma anche fosse stato più simile a Michele in quelle situazioni sapeva benissimo che c’erano poche cose che valeva la pena dire, lo sapeva purtroppo troppo bene.
“... Come se lo avesse vissuto anche lui?”, completò al suo posto e la ragazza annuì. Ci fu dell’altro silenzio mentre l’aspirante medico decideva che parole usare. “È successo a Londra, credo che sia in parte il motivo per cui si è trasferito a Bressanone. Non mi ha mai raccontato molto. Anzi, ora che ci penso credo che sia stato suo padre a parlarmene veramente dopo un accenno di Jack”. Come prima Margaret anche Enrico si trovò a prendere tempo prima di dire ciò che contava veramente. “È anche il motivo profondo per cui Jack è entrato nei pompieri volontari... Sua… Sua madre è morta in un incendio che ha distrutto la sua casa quando aveva undici anni”. Calò di nuovo il silenzio. Margaret non fu sorpresa del fatto che il ragazzo non avesse confidato una cosa così grande: anche con le cose molto meno gravi era molto riservato, addirittura spesso venivano a sapere come erano andati i suoi esami da Michele.
“Ugh”. Fu quest’ultimo a rompere il silenzio con un grugnito degno del più grosso babbuino selvatico. “Siamo arrivati?”, chiese con faccia assonnata. Gli altri due scoppiarono a ridere.
“No, bella addormentata, manca ancora almeno una mezz’oretta”, lo prese in giro Margaret beccandosi un’occhiataccia assonnata.
“Bene allora, c’è tempo per sentire la musica!”. Rapidamente prese il cd che aveva portato con sé e lo allungò a Margaret, che riconoscendolo sbuffò.
“Neanche morta mi ascolto ancora quel cd di Max Pezzali”. Glielo mise sotto il naso cercando di farglielo riprendere.
“Mi avevi detto che ti piaceva Pezzali!”, esclamò l’altro mentre Henry ridacchiava: Michele era famoso per ascoltare per mesi le stesse dieci canzoni facendole pian piano odiare agli altri coinquilini.
“Esatto! Per questo ho Spotify sul cellulare, cosa che mi impedisce di ascoltare solo dieci canzoni allo sfinimento”. Prese la sua piccola cassa per la musica e fissò il cellulare pensierosa. “Però oggi preferisco ascoltare Jannacci”. Subito la voce del cantante riempì la piccola macchina sulle note di Messico e Nuvole. Per fortuna di Enrico Michele non protestò e così il viaggio continuò in tutta tranquillità.

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Capitolo 10
*** ... anche se tu non vuoi ***


10. ...anche se tu non vuoi

A casa Jack era pensieroso. In teoria stava studiando per la prova parziale che avrebbe avuto la settimana dopo, ma non riusciva molto a concentrarsi. Ciò che era successo a Margaret gli aveva ricordato ciò che era successo a lui tanti anni prima. Era solo contento che l’amica non avesse dovuto vivere anche il lutto.

Era così preso dai suoi pensieri che non notò Megan finché lei non gli passò la mano davanti agli occhi.
“Ehi! Sono ore che ti chiamo, dove sei?”, scherzò lei ridendo, ma il ragazzo rispose solo con un debole sorriso.
“Scusa, stavo studiando”, mentì. Poi però entrambi abbassarono gli occhi sul tavolo, dove tutti i libri erano chiusi.
“Stavi studiando i titoli?”. Megan provò a dirlo in una maniera scherzosa, ma aveva capito che c’era qualcosa che non andava. Margaret le aveva telefonato quella mattina e le aveva raccontato quel che era successo, ma era chiaro che Jack avesse qualcosa d’altro. Non tanto per il fatto che avesse provato con scarsissimi risultati a nascondere il fatto, anche Mike le aveva detto che da quando si conoscevano Jack non si era quasi mai confidato con lui delle cose a lui più vicine. Sapeva che con Henry si apriva di più, ma loro erano amici dall'infanzia.
“No, hai ragione, devo essermi incantato”. Megan fu risvegliata dai suoi pensieri quando Jack riprovò a fare un sorriso tranquillizzante, come per dire: sto bene, non fare domande. Ma quella volta la ragazza decise che non si sarebbe arresa.
“A cosa stavi pensando?”. Mentre parlava andò ad appendere la giacca ed ad appoggiare la borsa in un angolo; la valigia era già stata portata in camera della giovane alcune ore prima, prima di recarsi a lezione, quando era passata a casa assieme a suo padre, che l'aveva accompagnata in auto.
“Niente di importante”. Il fisico scosse la testa aprendo il libro che aveva davanti, forse sperando che in questo modo Megan avrebbe desistito, cosa che la ragazza non era intenzionata a fare.
“Ti ho chiamato almeno una decina di volte e non mi hai neanche sentito. Non ti estranei così tanto dal mondo per una cosa poco importante”. Si riavvicinò. “Neanche se ti chiami Jack sognatore ad occhi aperti Davies”. Gli spettinò il ciuffo che spesso copriva i suoi occhi azzurri cielo.
“Credo che saremo soli a cena stasera, potrei cucinare un po’ di crepes che ti piacciono tanto”. Non si stupì quando lui provò a cambiare così repentinamente discorso.
“C’entra con ciò che è successo al fratello della Marghe?”. Jack si alzò prendendo i libri sparpagliati sul tavolo e mai aperti senza rispondere. Ci fu un attimo di silenzio.
“Allora le vuoi le crepes?”.

Male, incomincia a far finta di non sentire le mie domande. Pensò Megan. Mise la mano sull’ultimo libro che Jack si stava allungando per prendere.
“Ha qualcosa a che fare con l’incidente del fratello della Marghe?”, ripeté guardandolo dritto negli occhi. “Perché anche a me non è indifferente. Non è molto diverso da ciò che è successo a me”. Incominciava a stancarsi di essere sempre respinta quando provava ad avvicinarsi, così il suo tono incominciò a farsi più secco. “Ma ho imparato che chiudersi così, far finta di stare bene, senza parlarne con nessuno, non aiuta. Non aiuta per niente!”. Stettero così a guardarsi negli occhi qualche secondo e Megan poté vedere come il ragazzo non stesse prendendo le sue parole come un aiuto, si stava chiudendo ancora di più, ma in un atteggiamento di sfida. “Te lo dico perché ti voglio bene, Jack. Non è tanto che ci conosciamo ma ti considero un grande amico”, aggiunse più dolcemente, ma l’espressione di Jack non mutò e preso finalmente l’ultimo libro li infilò tutti nel suo zaino e senza più guardarla andò verso la porta.
“Vado a studiare in biblioteca, mi sa che mi fermerò da qualche parte a mangiare, se vuoi c’è qualcosa di pronto in frigo”. Senza aggiungere nient’altro uscì chiudendo semplicemente la porta dietro di sé, ma per Megan fu come se l’avesse sbattuta con tutta la sua forza.



Megan stava ripassando svogliata quando sentì bussare alla sua porta, che subito dopo si aprì, lasciando entrare Jack. Megan non disse niente lasciando al ragazzo la prima parola.
“Volevo chiederti scusa per come mi sono comportato prima”. La ragazza scosse la testa.
“Non ti dovevo spingere così. Ci conosciamo solo da qualche mese in fondo, hai diritto di tenere le cose a te care per te”. Jack si sedette sul suo letto e dal sorriso triste che le fece, Megan capì che le cose si erano sistemate tra loro, Jack non ce l’aveva più con lei per averlo stuzzicato, e questo la rincuorò.
“Stavo pensando a cosa mi hai detto”. Aveva gli occhi fissi sulle mani intrecciate sulle sue ginocchia con fare pensieroso. “Volevo chiederti come stavi”. La ragazza non dovette pensarci su molto per capire che stava parlando di quando gli aveva riferito che l’incidente le aveva ricordato il suo. Megan sospirò.
“La Marghe mi ha telefonato prima, mi ha detto che suo fratello si riprenderà completamente…”. Non era una vera risposta alla domanda di Jack, ma il ragazzo capì che la notizia l’aveva confortata. Megan alzò lo sguardo per incrociare il suo. “I giorni dopo l'incidente, in particolare quando mi hanno detto che non avrei più potuto camminare, sono stati molto duri. Non mi piace ricordarli…”. Fece un'altra pausa prima di riprendere: si rivide in quel maledetto letto d’ospedale, provò nuovamente l’angosciante sensazione di non sentire più le gambe per la prima volta, e rabbrividì. Subito cercò di scacciare il pensiero. “Ma ricordo anche il sostegno che mi hanno dato i miei genitori e gli amici. Questo mi aiuta ogni volta”. Lo guardò come se l'ultima frase fosse diretta verso di lui, ed in parte era proprio così. Capendolo Jack distolse lo sguardo dal suo. Non era mai stato molto aperto con nessuno, su ogni argomento, ma in particolare con quello, forse era così proprio per quella ragione, o meglio, probabilmente quello che era successo aveva acutizzato quella parte della sua personalità. Capiva che Megan voleva solo aiutarlo, ma questo non voleva dire che per lui fosse più facile aprirsi. Quello che lo spinse a parlare fu piuttosto il vedere come lei si era aperta con lui su quel tema altrettanto doloroso.
“È successo quando abitavo ancora a Londra. Nell’appartamento sotto il nostro è scoppiato un incendio, non so il perché e non mi è mai importato, so però che non c’era nessuno in quel momento, per cui non si sono accorti di niente se non quando dei passanti non hanno notato il fumo dalla strada. Io e mia mamma stavamo giocando nella mia stanza, che non aveva finestre se non un abbaino, per cui non ci siamo accorti di nulla in un primo momento. Quando siamo usciti dalla camera abbiamo visto che era impossibile prendere le scale. Però erano arrivati i pompieri e così mi disse di andare alla finestra per attirare la loro attenzione mentre lei andava a prendere Giulia, la mia sorellina. Mio papà era ed è un pompiere, per cui sapevo come comportarmi. Poi ho sentito mia madre che mi chiamava, mi sono girato e l’ho vista tendere Giulia davanti a sé perché io la prendessi. Poi non ricordo molto: so di aver tenuto stretta la mia sorellina, e di aver sentito delle braccia afferrarmi e portarmi fuori”. Fece una lunga pausa. Aveva detto tutto quasi senza respirare, e anche Megan sembrava aver trattenuto il fiato da tanto era silenziosa. “Non ho ricordi chiari di ciò che è successo dopo, se non mio padre che mi diceva che mia madre non era riuscita a sopravvivere all’incendio”. Megan gli si avvicinò piano e gli mise una mano sul ginocchio, riuscendo così a far rialzare il suo sguardo per incrociare il suo. Jack sollevato non ci lesse la pietà che di solito sentiva su di sé quando gli altri venivano a sapere cosa fosse successo. Non riuscì a comprendere esattamente cosa gli stesse trasmettendo, forse era comprensione, perché anche lei aveva subito qualcosa che le aveva cambiato totalmente la vita, ma non ne era sicuro. Ma quello sguardo lo rassicurò, era vero ciò che gli aveva detto prima la ragazza: non era solo.




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Capitolo 11
*** Il manicomio si rianima ***


11. Il manicomio si rianima



A Michele non erano mai piaciuti gli ospedali; lo ricordò non appena il forte odore di disinfettante lo investì e quando percepì le infinite pareti bianche opprimerlo. L'unica cosa che gli impediva di scappare era Margaret, che camminava a testa bassa al suo fianco, trascinando i piedi.
Riuscì a farla ridere quando si persero e lui borbottò che quel posto era più labirintico di Hogwarts, ma la notò scurirsi in volto non appena incrociò gli occhi di sua madre, seduta in una saletta d'attesa vicina alla stanza in cui doveva essere ricoverato suo fratello.
Le due si fissarono a lungo, separate solo da un vetro, mentre sia Margaret che Mike intuivano che qualcosa non andasse: Roberta aveva gli occhi rossi.
"Che succede?" le chiese la giovane, entrando nella saletta; il ragazzo rimase sulla soglia.
"Hanno di nuovo portato Matte in sala operatoria", riferì l'altra, lentamente, e la figlia sussultò immediatamente. "Nulla di grave: dovevano finire di sistemare le ossa del bacino. Dovrebbe essere fuori tra qualche ora".
Margaret annuì impercettibilmente. "Papà?"
"È sceso un attimo a prendere un caffè."
"Ok".
"Ok", le fece eco la madre.
Avvertendo i brividi per il gelo che si era creato tra le due, Mike intervenne:
"Roberta!" esclamò, per poi gettarsi tra le braccia della donna; quando si allontanarono l'uno dall'altra, la madre della migliore amica di Michele lo squadrò da capo a piedi, felice della distrazione: constatò che era diventato alto, molto alto, e muscoloso. E che i suoi capelli erano, a suo parere, peggiorati.
"Guarda chi si vede!" sorrise, allegra. "Sei diventato un bell'uomo, Michelino", continuò, mentre l'altro gongolava. "Però sappi che quelle treccine ti stanno malissimo", concluse. Toccò a Margaret scoppiare a ridere.
Roberta era sempre stata una donna senza peli sulla lingua: tale madre, tale figlia.
Mike la guardò spalancando gli occhi, e solo il giungere di una nuova voce lo portò a serrare la bocca rimasta socchiusa per la sorpresa.
"Toh, Michele!", esclamò un uomo sulla quarantina, dai corti capelli brizzolati: con il suo sorriso a trentaquattro denti, il viso arrotondato e la bassa statura era la copia della figlia.
"Leonardo!" . Michele abbracciò anche lui, felice: aveva ritrovato la sua seconda famiglia; quella brutta faccenda, in fondo, aveva un lato positivo.
"Ha delle brutte treccine, non trovi?", intervenne Roberta.
"Mamma, piantala!", esclamò la figlia, ma intanto rideva sotto i baffi; di conseguenza, Michele le fece segno che avrebbero regolato i conti più tardi. A tutti e quattro per un attimo sembrò di essere tornati indietro nel tempo, a quando i bambini combinavano una marachella, Roberta li sgridava e Leonardo prendeva le loro difese.
"No, dai: gli stanno bene", provò a dire infatti.
"Bah!". Roberta non era per niente convinta, ma strizzò un occhio a Michele, facendo vedere che in parte lo stava semplicemente prendendo in giro.
"È solo strano vederlo cambiato, Robe". Leonardo strinse le spalle mentre alzava una mano sopra la sua testa ad indicare che Mike era enormemente cresciuto dall’ultima volta che si erano visti.
"Credo che papà abbia ragione", commentò Margaret, ricordando il giorno in cui aveva ritrovato il suo amico.
Suo padre scoppiò a ridere, a sorpresa, mentre gli altri lo guardavano male. "Michele, te la sei persa quel weekend che è tornata a casa dopo averti incontrato... era tutta saltelli e 'Che strano, papà; è stato stranissimo!'. E poi-". Prima che potesse concludere la figlia gli saltò prontamente addosso e gli tappò la bocca.
"Dai, Marga, era divertente!", protestò il ragazzo, ricevendo un'occhiataccia.


"Eccomi".
Circa una mezz'oretta dopo, erano tutti e quattro seduti sulle sedie in plastica color verde: alle risate e ai ricordi era subentrata lentamente la preoccupazione per Matteo; inoltre, si erano sentiti un po' in colpa a ridere mentre lui si trovava sotto i ferri, nonostante nessuno lo avesse ammesso.
Margaret alzò lo sguardo verso Michele, che, in piedi davanti a lei, gli stava porgendo un bicchiere di tè.
"Posso il caffè?" chiese indicando l’altro bicchiere che teneva in mano, sentendosi uno schifo per avergli chiesto il tè, per poi domandargli il suo caffè, pur sapendo quanto il suo amico necessitasse delle sue cinque dosi di caffeina quotidiane.
Mike, però, le sorrise, comprendendo che non lo stava facendo con cattiveria, e le porse l'altro bicchiere di plastica, per poi sedersi al suo fianco.
"È peggio starsene qui invece che a Trento: ci si sente molto più impotenti qui..." sussurrò poco dopo la ragazza, appoggiando la testa sulla spalla di Michele.
"Concordo".
"Se preoccupato anche tu". Margaret lo guardò sorpresa, ma Mike rispose al suo sguardo ancora più stupito.
"Perché non dovrei?".
"Vero: per te noi facciamo un po' parte della tua famiglia".
"Già".
Il silenzio calò di nuovo, interrotto solamente dalle lancette dell'orologio a muro, che scandivano il tempo, facendolo sembrare ancora più lungo.
Fu in quel momento che arrivò un medico ad informarli che l'intervento si era concluso con successo, e che Matteo sarebbe ritornato presto nella sua stanza. Fu solo dopo averlo visto vivo, vegeto e sorridente che Margaret credette alle sue parole.
Alcune ore dopo, nel tardo pomeriggio, i due giovani erano seduti su una panchina fuori dall'ospedale, mentre attendevano Henry che li avrebbe riportati a casa, quando le risate che uscivano leggere dalle loro labbra si smorzarono.
"Sai, Mike, per un attimo ho davvero creduto che sarebbe morto".
"Dai, non pensarci più!", ribatté lui, senza rivelarle che lo aveva creduto anche lui lo stesso.
"Ci penso, invece! Anche perché non me ne sarei neppure accorta: avrei continuato a ridere e scherzare, e a progettare cose idiote, a giocare a videogiochi idioti, mentre lui era morto. Poteva morire sul colpo ed io non lo avrei percepito, non avrei avuto nessun presentimento!" ora stava quasi gridando, e quando si fermò il suo corpo cominciò ad essere scosso dai singhiozzi.
Michele l'abbracciò. "Sai, io guardo moltissimi film; troppi. Tutti dicono che quando qualcuno muore lo senti, ti senti quantomeno un tuffo al cuore. Cazzo se mentono!", per un attimo la portò a ridere in mezzo alle lacrime. "Ricordi quando è morto mio nonno, in terza elementare? Stavamo giocando a basket", si interruppe, per poi riprendere. "Lo so che non posso paragonare il nonno a Matte, voglio solo dire che le disgrazie purtroppo non riusciamo a percepirle, neppure se siamo legati da un legame molto forte. Purtroppo", Margaret tirò su con il naso, e sorrise lievemente: Michele si comportava sempre come uno sciocco, ma all'occorrenza era in grado di essere anche molto serio. "Mi preoccuperei del contrario!", concluse ridendo. "Non vorrei avere un cyborg come amica", continuò, portandola a ridere brevemente. "O forse sì", concluse, mentre lei si staccava lentamente dall'abbraccio e si asciugava le lacrime.
"Comunque sappi che mi hai annerito la maglia: maledetto mascara!" Margaret rise nuovamente, ma lui rimase serio. "Davvero, come lo spiego a Henry ora?" borbottò, mentre notava l'auto dell'amico avvicinarsi.
"È un problema tuo!" esclamò lei, alzandosi e finendo di asciugarsi gli occhi con una salvietta umidificata, ma alla fine, persa da pura pietà, gliene porse una per arginare almeno in parte il danno.
"Grazie".
Si sorrisero, mentre lui si alzava in piedi e la precedeva. "Comunque fai sapere a Roberta che le treccine non le taglio. E dì a Leonardo che anch'io un po' saltellavo: chiedi a Henry e Jack", rivelò, camminando all'indietro, per poi provare a salire in automobile: trovò il sedile accanto al guidatore occupato.
"Hola, Rosa!" esclamò, tra il sorpreso e il divertito.
"Hola, chicos!"
"E lei che ci fa qui?" sussurrò il Bresciano a Margaret poco dopo.
"Ti scoccia che ti abbia rubato il posto, vero?" commentò, prendendolo in giro. "Rosa, che cosa ci fai a Verona?" chiese poi alla Spagnola.
"Sono venuta a salutare una mia amiga, poi ho telefonato a Enrico. Sai che andiamo al minigolf sabato?" esclamò, felice, mentre Margaret rifilava una gomitata ad un Mike che voleva provare ad autoinvitarsi.
"Che bello!".
"Volete venire?".
"Io e Mike scendiamo di nuovo a Verona", rispose.
"Oh... possiamo fare un'altra volta, così ci siete anche voi!" esclamò la Spagnola, felice per la sua trovata.
"No, andate voi... il minigolf chiude per l'inverno questa settimana", commentò l'altra: una piccola bugia non aveva mai fatto male a nessuno. Puntando gli occhi nello specchietto retrovisore notò Henry sorridere luminoso, e non se ne pentì.



Nel mentre, in Corso Tre Novembre numero trentatré si stava svolgendo un'importante partita a scacchi: a seguito della confessione di Jack, infatti, Megan aveva proposto di distrarsi dai loro pensieri cupi recuperando la scacchiera. In realtà, in primo luogo aveva suggerito di cucinare i canederli, dei grandi gnocchi composti da pangrattato, farina, lucanica, formaggio, prezzemolo e cipolle, piatto tipico dell'intero Trentino Alto Adige: dopo essere scesi a comprare gli ingredienti ed aver messo il pane raffermo a bagno, però, i due si erano resi conto che avrebbero dovuto attendere per concludere la preparazione; infatti, il pane doveva rimanere nel composto di sale, uova e latte per almeno due ore per diventare sufficientemente morbido.
"Dai, Megan, non puoi metterci così tanto a fare una mossa!".
L'interessata alzò gli occhi dalla scacchiera, notando Nick in piedi sulla soglia del soggiorno; sbuffò, poi si voltò verso il coinquilino.
"Non hai chiuso la porta a chiave", lo rimproverò.
"Sì che l'ho-", cominciò a controbattere, ma si bloccò di colpo: ricordava di aver infilato le chiavi nella toppa, ma non di averle girate. Alzò le spalle:
"Può aiutarci con i canederli".
"No, io in cucina non lo voglio!".
"Sono bravissimo in cucina!", intervenne Nicola, beccandosi un'occhiata assassina.
"Hai imparato guardando Masterchef?", lo provocò l'altra, mentre Jack alzava gli occhi al cielo: ecco che cominciava un'altra battaglia...
"Vado a controllare come va con il pane, tu muovi", borbottò, chiamandosi fuori dalla lite, mentre si alzava e si dirigeva verso la cucina. "E mi ricordo come ti sto facendo scacco: non provare a muovere i miei pezzi!", aggiunse.
"Non sono Mike!", ribatté lei, portandolo a soffocare una risata.
"Regina E3, comunque! Il re è salvo ed è anche scacco!", la voce entusiasta di Megan lo raggiunse nuovamente mentre rientrava in soggiorno e si appoggiava allo stipite della porta, accanto a Nick.
"Come diavolo fate a rimanere così concentrati?", gli chiese il matematico, quasi retorico.
"Pratica. Gli scacchi rilassano, sai?".
"Rilassano solo due squinternati come voi!", esclamò, e Jack dovette impedire a Megan di investirlo con la sedia a rotelle.
"Il pane è pronto: Megan, fotografa la scacchiera, che continuiamo dopo. Tu, Nick, lavati le mani", disse poi, non ammettendo repliche.
"Dispotico il ragazzo...", borbottò Nicola, allontanandosi in corridoio. "Sai almeno come si preparano i canederli?".
"Non è impedito come te in cucina!", lo rimbeccò la Caldonazzese al posto dell'amico, e lui sorrise.
"Ho avuto l'occasione per fare pratica", commentò poi sottovoce, nostalgico: da quando era morta la madre, in casa aveva cucinato sempre lui, dato che il padre lavorava troppo e Giulia i primi anni era troppo piccola. Gli unici ricordi piacevoli che risalivano a quel periodo erano quelli che ritraevano lui e la sua sorellina a cucinare i biscotti.
"Per motivi diversi, ma anch'io", ribatté Megan, ripensando a come a sedici anni la cucina fosse stata la sua ancora di salvezza dalla depressione. "Comunque sappi che sono più brava di te!", esclamò poco dopo, riportando il sorriso sulle labbra di entrambi.
"Non dire baggianate!".

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Capitolo 12
*** Perché questo è il nostro manicomio, e noi lo amiamo così com'è ***


10. Perché questo è il nostro manicomio, e noi lo amiamo così com'è



Per fare dei canederli

col brodo e col ragù

se ciapa del prezemolo

e se lo taia su;


Nick non sapeva bene se disperarsi per dove si era andato a cacciare, rimanere sorpreso o incuriosito. Era ormai un bel po’ che viveva in Trentino e aveva assaggiato i Canederli svariate volte: dunque doveva ammettere che quelli usciti dagli sforzi di Jack e Megan erano davvero buoni. Jack poteva anche essere mezzo inglese, ma sua nonna, madre di sua madre e originaria di Povo, doveva avergli trasmesso tutta la sua trentinità, si ritrovò a pensare il matematico. Di Megan poi non se ne parlava: a discapito del nome straniero che le avevano dato i suoi, lei era una vera Caldonazzese, o meglio Panizzara, utilizzando il termine dialettale che lei preferiva.
Con questi preposti, mentre cenava assieme agli amici il ragazzo aveva pensato di togliersi finalmente una sua curiosità: davvero esisteva una canzone sui Canederli, addirittura sulla ricetta? Ne aveva sentito parlare, ma per una ragione o per l’altra non l’aveva mai cercata, ascoltata. Non lo avesse mai chiesto. Se avesse potuto Megan si sarebbe probabilmente alzata in piedi, mentre iniziava ad intonare la famosa canzone con orgoglio. Jack non l’aveva seguita inizialmente nel suo slancio, ma si vedeva bene che anche lui la conosceva perfettamente.


farina, oio e zigole,

luganeghe col speck,

pan vecio senza migole

e ‘n toc de formai sgnèck


Jack se la rideva sotto i baffi. Megan stava cantando entusiasta, era quasi stupito che non si mettesse la mano sul cuore. Doveva ammettere però che cantava piuttosto bene: non aveva mai pensato fosse intonata, ma in effetti non l'aveva proprio mai sentita.

Guardò Nick trovandolo come incantato e gli venne ancor più da ridere immaginando i pensieri del matematico. Incrociando lo sguardo con la ragazza capì che si aspettava fosse accompagnata, così, per nulla dispiaciuto, si unì a lei.


Se fa balotole

con pan gratà

tre-quatro frègole

de ài pestà;

‘na meza chichera

de lat e vin…


Megan se la stava proprio godendo. Le piaceva cantare nonostante non lo facesse praticamente mai. Quindi quando Nick le aveva fatto quella domanda non aveva saputo resistere. Ma non le piaceva cantare da sola quindi squadrò Jack cercando una mano, cosa che per fortuna (del ragazzo) egli prontamente diede.


Eco i Canederli de noi trentin!


Prima che Megan potesse anche solo pensare di continuare con la seconda strofa un battito di mani la interruppe. Proprio in quel momento erano ritornati a casa Mike, Margaret e anche Rosa ed Enrico.
Era stato Michele ad applaudire e incominciare a gridare. “Grandi! Biis!!”. Megan lo guardò male intuendo ci fosse sotto anche un pizzico di presa in giro, ma prima che potesse rispondere qualcosa fu Margaret a zittirlo con una sberla ben assestata sulla pancia.
“Lasciatelo perdere, voi cantate muy bien”, disse Rosa mentre tutta la comitiva li raggiungeva al tavolo.
“E voi siete arrivati giusti in tempo per mettervi a tavola”, disse invece Jack prendendo in mano la ciotola su cui avevano messo i Canederli pronti per essere cotti. Con la loro cottura veloce erano comodissimi in quelle situazioni in cui non si sapeva bene a che ora sarebbero arrivati gli altri. Con un “yuppie!” Mike corse a lavarsi le mani, seguito dagli altri tre in maniera un po’ meno euforica. Intanto Jack incominciò la cottura.
In poco tempo tutti furono seduti in tavola con la prima razione di balote, come le aveva definite Megan, nel piatto. Jack sorrise pensando a come, dopo tutto ciò che era successo negli ultimi giorni: gli spaventi, le preoccupazioni, le confessioni e le scoperte, tutto fosse tornato alla tranquillità. O meglio ciò che si considera tale in questo appartamento di pazzi. Si ritrovò a correggere dovendo intervenire per l’ennesima volta da giudice di pace quando i toni della discussione tra Michele ed Enrico si fecero sempre più accesi. Ma era per questo che non avrebbe mai desiderato un altro appartamento in cui vivere.



L'angolo delle creatrici del Manicomio:

bene, eccoci giunte alla conclusione di questa storia: è nata come una sfida, ma ci siamo davvero divertite e questi persoanggi sono entrati nei nostri cuori... speriamo anche nei vostri :)

Ogni tipo di parere è sempre gradito!

Alla prossima!

Marghe&Gio

PS: Ah, quasi ci sfuggiva... la canzone di Megan è tipica delle nostre parti: vi invitiamo ad ascoltarla e a cantarla a squarciagola (magari Jack si unirà anche a voi!) https://www.youtube.com/watch?v=D0hubjnlK-w

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