Il Cuore dei Sogni

di Schinken
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Dreem Letus, l'eroe narcolettico ***
Capitolo 2: *** Dreem Letus incontra un amico, dormendo (parte I) ***



Capitolo 1
*** Dreem Letus, l'eroe narcolettico ***


Dreem Letus era solito dormire per molte ore a giorno, anche se non per sua scelta: sia chiaro.

Sin dalla nascita, il ragazzo soffriva di una forma acuta di narcolessia a causa della quale non riusciva a rimanere sveglio per più di qualche ora. Anzi, era solito addormentarsi, volente o nolente, nel bel mezzo della giornata, e senza alcun preavviso: gli poteva infatti capitare di appisolarsi mentre saliva sull'autobus diretto per la scuola, oppure mentre intratteneva una conversazione con un suo amico, o persino mentre attraversava la strada col rischio di venire investito da qualcuno.

Quest'ultima eventualità, d'altronde, gli era già accaduta in passato.

Sebbene fossero trascorsi circa cinque anni da allora, Dreem aveva ancora scolpita nella sua mente l'orribile visione del suo corpo ricoperto per intero da lividi ed ematomi sparsi caoticamente qua e là. Comunque, escluso questo, Dreem ne uscì relativamente incolume da quell'incidente, anche perché il conducente della vettura era riuscito a rallentare quel tanto che bastava da evitare di causargli pure delle fratture in più punti; a sentire sua madre, invece, l'autista gli aveva evitato un'autentica tragedia.

Se da un lato il ragazzo era da sempre risultato incapace a controllare la durata e il momento esatto in cui si manifestavano questi suoi improvvisi attacchi di sonno, dall'altro lato era spesso riuscito a ritardarli abbastanza da trovare un posto tranquillo dove poi potersi addormentare in pace.

Un'ulteriore particolarità di questi attacchi stava nel fatto che si rivelavano comunemente di durata breve, una manciata di minuti circa, ma anche molto frequenti al tempo stesso, arrivando pure a manifestarsi una decine di volte al giorno in alcune occasioni.

Come se non bastasse per il povero Dreem, la sua narcolessia era la fonte di un altro grosso problema: gli capitava infatti di avere delle allucinazioni di tanto in tanto. Alcune si rivelavano talmente distorte ed inconsistenti che Dreem riusciva presto a riconoscerle come tali ed a non lasciarsi ingannare così facilmente; ma le restanti risultavano invece così vivide, così realistiche, così tangibili che gli pareva, in quelle rare occasioni, del tutto impossibile distinguere la sua realtà da quella autentica.

Inutile dire, poi, quante volte Dreem abbia dovuto sperimentare, per via di queste, diversi momenti imbarazzanti che gli avevano irrimediabilmente segnato in negativo la sua (già scarsa) reputazione.

L'ultimo episodio risaliva esattamente ad una settimana fa, durante un cambio di lezione.

Dreem si stava dirigendo verso l'aula di storia, quando notò fuoriuscire curiosamente da uno degli armadietti alla sua destra un fascio di erba blu ondulare secondo i tocchi leggeri e delicati di una brezza primaverile dall'oscura provenienza, alla pari di quella dell'erba blu.

Dreem era ben conscio che stava per avere un altro dei suoi attacchi allucinatori e che la mossa migliore sarebbe stata quella di rimanere immobile, di non agire in maniere strana e di aspettare pazientemente che l'attacco passasse così come era arrivato. Ne era consapevole, eppure qualcosa di irrazionale in lui si fece strada nella sua mente, lo spinse ad infrangere quelle sue stesse regole da lui ideate, ed ad avvicinarsi all'armadietto con l'erba blu incurante del rischio che stava correndo, quasi ipnotizzato.

Non appena giunse ad una distanza tale da sfiorare il fascio con la sua mano sinistra, il paesaggio mutò drasticamente, letteralmente dal giorno alla notte: non si trovava più in un anonimo corridoio della sua scuola, bensì in mezzo ad una radura piena di quell'erba blu.

La brezza primaverile di cui non ne conosceva l'origine, adesso la avvertiva sulla sua stessa pelle.

Fu solo allora che il ragazzo notò con stupore un cavallo color rosso fiammante emergere maestosamente dal resto di quel paesaggio dal netto contrasto cromatico. L'animale possedeva sei zampe, di cui quattro anteriori e due posteriori ed ognuna dalla solida muscolatura. La criniera gli cresceva lunga da dietro il collo e arrivava persino a toccare terra, mentre la coda non mostrava nessun segno di anomalia al di fuori del suo insolito color rosso.

Il dettaglio che, però, catturò più di tutti l'attenzione di Dreem furono i suoi luminosi occhi color oro, le cui iridi parevano inoltre fluide, quasi fossero più acqua invece che materia solida. Ciò dava l'impressione di veder scorgere l'energia vitale che caratterizzava quella straordinaria, così come insolita, bestia rossa.

L'equino brucava tranquillo, totalmente indifferente all'improvvisa presenza del ragazzo che si trovava, d'altronde, neanche ad una manciata di metri da lui.

Ammirato quello stravagante animale e congratulatosi con la sua narcolessia per quell'allucinazione mozzafiato, Dreem cercò a quel punto di ritornare alla vera realtà: dapprima si era dato dei semplici pizzicotti alle braccia, purtroppo senza il risultato desiderato; dopodiché provò pure con dei piccoli morsi alle labbra ma anche questo tentativo si rivelò prontamente del tutto inutile.

L'allucinazione non aveva intenzione di sparire nell'immediato futuro.

Non molto dopo, una voce echeggiò sussurrante per l'intera pianura. Disse soltanto una frase che, sebbene Dreem non ebbe modo di comprendere, fu più che sufficiente per ottenere l'attenzione del cavallo rosso, attenzione che, ricordiamo, neppure la presenza del ragazzo era riuscita minimamente ad attirare.

L'equino smise infatti di brucare d'un tratto, e la sua espressione, da rilassata com'era, assunse velocemente un'aria che era tra una stupita ed una preoccupata: di cosa, Dreem ne rimase all'oscuro per entrambi i casi.

Successivamente, il cavallo rosso rivolse il muso verso di lui, fissandolo coi suoi occhi da 24 carati per la prima volta in assoluto e senza dargli un attimo di tregua. Pareva come intento ad esaminarlo dalla testa ai piedi, e senza tralasciare il benché minimo dettaglio che potesse trasparire dal suo corpo e dal suo abbigliamento.

Sebbene il tutto non durò neppure una decina di secondi, per Dreem sembrava invece essere passata un'infinità.

Trovato alla fine ciò che cercava dal ragazzo, il cavallo diresse il muso verso destra, osservando un orizzonte pieno di luce mattutina ma privo di un sole che ne potesse essere ovviamente la fonte. Fu solo allora che l'equino disse, più telepaticamente che oralmente, una e una sola frase dall'enigmatico significato per il ragazzo: "Sta arrivando".

A quel punto, il cavallo rosso rivolse nuovamente il muso verso Dreem e, senza motivo né preavviso, si alzò sulle sue zampe posteriori, caricando su di lui. Lo avrebbe sicuramente schiacciato col suo enorme peso, se non fosse che Dreem si destò proprio in quell'esatto momento dall'allucinazione.

Si trovava di nuovo nel corridoio della sua scuola, con le braccia alzate e poste attorno alla sua testa nel vano tentativo di difendersi dagli zoccoli del cavallo rosso. Era inoltre col sedere a terra dal momento che era caduto all'indietro per lo spavento.

Si guardò attorno. Notò con disprezzo di come tutti i ragazzi presenti lo avessero nel frattempo video-registrato coi loro cellulari e di come alcuni di loro avessero già caricato il video sui loro profili facebook.

"Stronzi" avrebbe desiderato urlare Dreem quella volta, ma non lo fece: la sua vita era già troppo difficile da gestire così com'era che non gli serviva metterci dentro anche un esercito di bulli per complicarla di più.

Comunque, ciò che gli dava più fastidio in assoluto era la triste consapevolezza che la sua malattia non si sarebbe mai risolta col tempo. D'altronde ci avevano pensato i numerosi dottori, cui i suoi genitori erano andati a rivolgersi, a rendere ben chiaro il concetto; anzi, per alcuni di loro, la narcolessia sarebbe potuta persino peggiorare.

"Come potrebbe?", si domandava spesso Dreem in quelle occasioni, ed ogni volta che si guardava allo specchio. Per lui quel gesto rappresentava una mera tortura, sicché aveva preferito non metterne nemmeno uno nel suo bagno: non tanto per le sue imperfezioni quali brufoli o lentiggini, piuttosto per i suoi difetti dovuti sempre alla sua particolare situazione.

Il suo aspetto non era infatti dei migliori.

A causa della narcolessia non praticava nessuno sport: d'altronde chi vorrebbe un compagno di squadra che si potrebbe addormentare nel bel mezzo di una partita? Di conseguenza, Dreem non aveva mai avuto un fisico muscoloso o anche solo lontanamente allenato.

Inoltre, presentava costantemente due grosse occhiaie attorno agli occhi che suggerivano a chiunque le vedesse l'idea di averle appena prese da qualcuno più grosso di lui.

Infine il suo corpo emanava quasi sempre un'aria trasandata, di eterno spossato, che i suoi capelli perennemente in disordine sapevano far trasparire ulteriormente senza alcuna difficoltà.

In conclusione, Dreem odiava il suo aspetto, odiava dormire, odiava praticamente quasi tutto di sé. E non poteva farci niente, se non accettarlo con rammarico ed andare avanti come meglio poteva con la sua vita.

Ad essere onesti, un lato positivo nella sua vita c'era, per quanto insignificante poteva rivelarsi: quando Dreem sognava, diventava un dio. Infatti, a furia di dormire durante il giorno, il ragazzo aveva sviluppato una piena capacità a gestire i suoi sogni, con la quale dava spesso origine ad avventure spettacolari degni di un autore di libri fantasy, o a creature dall'aspetto insolito come quello del cavallo rosso, o persino a costruire interi edifici nel giro di pochi secondi e senza sforzo.

E, in ognuna di queste occasioni, si sentiva realmente felice.

In certi momenti, gli pareva persino di appartenere di più a quel mondo, piuttosto che a quello dei suoi genitori, dei suoi compagni di classe, di tutte le altre persone presenti sul pianeta, e che il suo corpo stesse semplicemente cercando di tenerlo il più allungo possibile nella sua realtà, quella dove lui era normale e gli altri i malati.

"Purtroppo i sogni sono sogni", si ripeteva spesso con amarezza quando faceva questi ragionamenti. Doveva accettare la triste verità, e nel frattempo accettare anche l'idea di dover trascorrere le prossime quattro ore della sua vita in una stanza piena di ragazzi sani e di professori indifferenti al suo particolare problema.

Depresso com'era quel giorno, non si accorse neppure che il cavallo rosso fiammante dagli occhi dorati che aveva incontrato esattamente una settimana fa, si ergeva adesso dietro le sue spalle e che, osservandolo con aria cupa, gli sussurrò "Sta arrivando, giovane eroe. Spero che tu sia pronto", prima di sparire nuovamente nel nulla.

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Capitolo 2
*** Dreem Letus incontra un amico, dormendo (parte I) ***


Dreem Letus non aveva mai amato la storia. Anzi, l'aveva ritenuta una materia pressoché inutile sin dal primo momento in cui venne costretto a studiarla.

Si era domandato spesso in passato, e si domandava persino ora, mentre stava sfogliando con scarso interesse le pagine del libro di testo, perché conoscere la storia si era rivelato per gli adulti così fondamentale da averla resa infine obbligatoria in ogni scuola italiana.

D'altronde, lui non ne vedeva assolutamente il motivo, neppure dopo otto anni di difficile convivenza con essa.

Ai suoi occhi quella materia si traduceva infatti in un seccante corso di allenamento di memoria. Doveva soltanto imparare fatti di cui nessuno più se ne ricordava, date che sarebbero prontamente ricadute nel triste dimenticatoio da cui era provenute, e nomi di persone che erano decedute da così tanto tempo da non rimanere traccia neppure delle loro stesse ossa. Niente di più, niente di meno.

In pratica, studiare la storia equivaleva per Dreem ad un totale spreco di tempo, del suo tempo. Quello stesso tempo di cui il ragazzo narcolettico disponeva poco nella maggior parte dei casi, o che non possedeva affatto nei restanti, per via della sua particolare condizione fisica.

Quante ore sarebbero passate prima che lui fosse ricaduto per l'ennesima volta in un profondo torpore? Due? Tre? Quattro? Difficile a dirlo, ed ecco che Dreem viveva così, nell'incertezza, i suoi giorni.

Di un solo fatto era sicuro: presto o tardi, la sua narcolessia si sarebbe fatta sentire di nuovo e, a quel punto, lo avrebbe indotto a dormire per un po'. In seguito, lui si sarebbe risvegliato, più stanco ed assonnato di quanto non lo fosse prima, avrebbe cercato di lasciarsi alle spalle l'ennesimo pisolino fuori programma e infine avrebbe finto di godersi il resto della giornata, quando, in realtà, attendeva con ansia l'arrivo del prossimo attacco.

La sua vita si era ridotta sostanzialmente a questo, ad un semplice, quanto opprimente, circolo vizioso in cui lui non aveva mai avuto alcuna voce in capitolo. Al contrario, era stata, ed era tuttora, la sua narcolessia a dettare legge per entrambi.

Ecco perché il ragazzo non era disposto a sprecare quei brevi intervalli di lucidità che la sua malattia gli concedeva stando ad ascoltare un qualcosa che riteneva inutile e noioso a priori ed a posteriori.

Se fosse stato per lui, si sarebbe alzato in quello stesso istante e se ne sarebbe andato via, incurante delle sentenze di morte lanciategli dal professore alle sue spalle. Eppure, se esisteva qualcosa che detestava più della storia e della narcolessia, era quello di deludere ulteriormente i suoi genitori.

Lui era già il loro figlio narcolettico, il loro peso più grande. Non aveva ragione nel diventare anche il loro figlio narcolettico e ribelle: non se lo meritavano affatto.

Ciò gli dava la forza per patire, ma soprattutto sopportare, quelle inutili lezioni.

A questo suo disprezzo verso la materia si aggiungeva, purtroppo, una malcelata antipatia verso l'attuale professore di storia, il signor Conti.

Quest'ultimo non era infatti né quel genere di insegnante che, innamorato del proprio lavoro, cercava con tutte le sue forze di far appassionare gli studenti alla propria disciplina; né quel genere di docente che, seppur non facesse salti di gioia per il proprio mestiere, tentava almeno di far passare il corso in maniera rapida ed indolore, attraverso spiegazioni molto elementari o mediante criteri di valutazione non esageratamente elevati.

Il signor Conti rientrava, invece, nella terza categoria di insegnante, la più odiata, quella del professore freddo, insensibile ed esigente, a cui aggiungeva un pizzico di suo: la noia.

Le sue spiegazioni si erano infatti rivelate potenti bombe soporifere sin dal primo momento in cui aveva aperto bocca. Persino quando dovette affermare ai suoi studenti chi egli fosse, metà della classe cominciò a sbadigliare ed ad appisolarsi senza remore.

Le spiegazioni risultavano, inoltre, così ricche di informazioni e così complicate per gli studenti che il libro di testo pareva al loro confronto soltanto un raccoglitore di immagini su cui andare a scarabocchiare. Dreem si promise infatti che, se anche l'anno prossimo avesse avuto quello stesso professore, non si sarebbe preso certamente la briga di andare ad acquistare il secondo volume. Sarebbero stati soldi buttati all'ortiche.

D'altro canto, l'effetto soporifero era amplificato dal modo con cui l'insegnante si presentava a lezione.

Non vestiva mai con abiti di diverso colore, quasi avesse l'orrore di provare due o più tinte alla volta su se stesso. In particolare, prediligeva un marrone che ricordava le carte da parati delle vecchie abitazioni e che trasmetteva ulteriormente stanchezza e voglia di dormire a chiunque osasse volgergli lo sguardo.

Il suo completo consisteva principalmente in un gilet con bretelle, sopra ad una camicia difficilmente distinguibile dal primo a causa dell'uniformità cromatica. Il pantalone naturalmente non faceva eccezione alla stravagante regola dei colori ed risultava costantemente un po' più corto del necessario, rendendo del tutto visibili i pesanti calzettoni ai suoi piedi, anch'essi della stessa tinta del completo.

Le scarpe erano infine vecchio modello, a tal punto che Dreem non ebbe difficoltà a trovarne un paio identico nell'armadio di suo nonno quando gli andò a far visita.

"Signor Letus", proferì d'un tratto l'acerrimo professore, destando il ragazzo dal flusso di pensieri in cui era piombato, "Mi auguro vivamente che Lei non stia fingendo il suo solito attacco di sonno".

Dreem alzò velocemente lo sguardo dal libro, rivolgendoglielo contro in tono di sfida. Se i suoi occhi, solitamente pacifici e privi di qualunque forza, avessero avuto modo di parlare in quei brevi istanti, gli avrebbero lanciato senza pietà numerose, se non infinite, sentenze di morte. Le stesse che erano soliti lanciargli da più di un mese.

Il professore era infatti fermo nella convinzione che Dreem fosse soltanto un semplice ragazzo svogliato e che sfruttasse l'ingenuità dei propri genitori a piacimento, inventando malattie che non esistevano, quali la narcolessia.

E non ci fu verso a fargli cambiare idea a riguardo, neppure quando gli portò un'intera enciclopedia di medicina a testimoniare il contrario.

"No", sussurrò inizialmente il ragazzo, cercando di trattenere le mani che avevano iniziato a prudergli a morte. Osservò, però, che l'insegnante lo stava ancora osservando, in attesa della risposta che cominciava a tardare troppo per i suoi gusti. Cercò di darsi una calmata. "No", rispose nuovamente ma con più forza.

"Bene", proferì di rimando il professore, prima di riprendere la spiegazione nel punto esatto in cui l'aveva stoppata. Ben presto si dimenticò della questione.

E lo stesso fece Dreem che ritornò a sfogliare il libro con noia malcelata.

***

Dreem Letus comprese di aver raggiunto il suo limite nel preciso momento in cui gli balenò in mente la più improbabile, quanto paradossale, delle richieste: aveva infatti desiderato di addormentarsi, seppur per un breve, brevissimo istante.

Incredulo, si toccò immediatamente la testa con il dorso della mano destra, al fine di verificare se la fronte risultasse bollente o meno. Non lo era, né dava segni che lo sarebbe stato in un prossimo futuro: in pratica, non stava delirando a causa di una qualche malattia, come aveva creduto.

Cominciò quindi a darsi diversi pizzicotti alle guance, nel tentativo di destarsi dal sogno in cui era piombato senza neppure accorgersi. Purtroppo, il paesaggio non mutò, e i suoi compagni, in particolare il professore Conti, rimasero dov'erano esattamente prima: in sintesi, non stava dormendo ad occhi aperti, come aveva infine sperato.

L'aveva fatto, osservò il ragazzo: aveva realmente preteso di appisolarsi di sua sponte.

"Forse sono impazzito, alla fine", ironizzò il ragazzo pochi istanti dopo, non sapendo se dovesse ridere o piangere di fronte a quella inconcepibile richiesta.

D'altronde aveva appena pregato alla sua arcinemica per eccellenza, la narcolessia, di farlo addormentare, come se quest'ultima non lo facesse già abbastanza di suo durante la giornata. D'altro canto, però, appisolarsi gli avrebbe permesso almeno di saltare il resto della lezione rimastagli, in maniera rapida ed indolore.

Solo a quel punto vide che il rapporto guadagno-prezzo non era poi così malvagio.

"Forse non sono impazzito del tutto", ammise infatti il ragazzo, accennando un lieve sorriso.

Qualcuno lo aveva persino preceduto. Un suo compagno di classe, seduto lungo la sua stessa fila ma a due banchi più a destra rispetto al suo, era già crollato dal sonno e, benché nascosto soltanto dal libro di testo e dal ragazzo davanti a lui, non era stato ancora sorpreso in fragrante dal professore.

Ciò diede a Dreem la speranza che il suo piano, per quanto elementare e classico che fosse, avesse un minimo di possibilità di riuscita. Anche se si fosse trattato di un misero dieci per cento, gli sarebbe bastato per tentare.

Creatosi un comodo appoggio con le braccia, vi adagiò la testa sopra e, infine, chiuse gli occhi, consapevole del paradosso che stava vivendo in quell'esatto momento. Paradosso di cui non gli importava per niente. Voleva dormire: solo questo contava.

"Dreem, resta sveglio!", tuonò improvvisamente una voce alla sua sinistra, accompagnata da una leggera gomitata al suo fianco. Avvertì comunque dolore.

Il ragazzo non ebbe neppure bisogno di aprire gli occhi per scoprire l'identità del responsabile. Si trattava sicuramente del suo compagno di banco, Andrea.

"Vuoi per caso farti richiamare di nuovo dal professore?", gli sussurrò nervoso.

Dreem non fece caso alla domanda dell'amico. Era troppo preso col suo piano per preoccuparsi adesso di limare i dettagli e di ridurre i rischi in cui stava incorrendo.

Andrea parve recepire subito il messaggio lanciatogli dal ragazzo narcolettico e non osò intervenire oltre quanto già fatto. Lui aveva tentato, ora non erano più affari suoi.

"Comunque, Dreem, era da un po' che te lo volevo chiedere", proferì nuovamente questo, con un tono curioso però, "Mi spieghi che cosa hai attorno al braccio?".

Il ragazzo narcolettico non comprese nell'immediato a cosa l'amico stesse alludendo. D'altronde non avvertiva nulla di anomalo attorno al braccio che gli stava indicando; eppure Andrea non aveva ancora distolto lo sguardo da lì. C'era sicuramente qualcosa.

Dreem si voltò, con la salda convinzione che non vi avrebbe trovato nulla. Si sbagliò, di molto.

Una mano, proveniente dal basso e completamente bianca, come se non vedesse la calda luce del sole da diverso tempo, lo teneva saldamente per il braccio, per nulla intento a lasciarsi scappare la preda.

Nonostante la paura che lo aveva già assalito di fronte a quella visione, il ragazzo narcolettico abbassò lo sguardo in direzione della presunta origine della mano "fantasma". Ciò che vide non se lo sarebbe mai più dimenticato, ne fu certo.

Il compagno di classe, quello stesso compagno che stava dormendo fino ad un attimo fa a due banchi più a destra del suo, era adesso ai suoi piedi, immerso in parte in una voragine senza fondo creatasi nel pavimento.

Pareva un fantasma vivente per quanto la pelle fosse bianca. Due grandi occhiaie emergevano selvagge sotto i suoi occhi e diverse cicatrici ricoprivano il volto ed entrambe le braccia. Che diavolo gli era successo in quel mezzo secondo?

"AIUTAMI!", gli urlò soltanto, prima di trascinarlo giù con sé nella voragine.

Agli occhi di Dreem, tutto si fece nero e la luce dell'aula divenne presto un vago ricordo.

 

NOTA DELL'AUTORE

Chiedo scusa a tutti per la lunga attesa a cui vi ho involontariamente sottoposto, ma non ho avuto molto tempo per scrivere in questi ultimi giorni. Gli esami sono alle porte, e sia io (autore) sia una mia amica (correttrice) stiamo troppo indaffarati con lo studio.

Per quanto riguarda il capitolo, come è possibile notare dalla sua enorme lunghezza, ho ritenuto più conveniente dividerlo in due (o forse tre) parti. Così sarà più leggero da digerire.

Comunque, con questo abbiamo introdotto un secondo personaggio molto importante per il racconto, l'odiato professore di storia, ma abbiamo soprattutto finito il prologo del Cuore dei Sogni: adesso cominciano i guai per il nostro povero Dreem! 

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