Rosehill Academy

di BlueRon
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La Rosehill Academy è una scuola pubblica. ***
Capitolo 2: *** Fuori dall'ordinario. ***
Capitolo 3: *** Il segreto di Mary Lou. ***
Capitolo 4: *** Drammi di famiglia: Franco De Ville ***
Capitolo 5: *** La lavagna di Axel. ***
Capitolo 6: *** Drammi di famiglia: Evangeline e Jebedia De Ville ***



Capitolo 1
*** La Rosehill Academy è una scuola pubblica. ***


"Benvenuta alla Rosehill Academy" sentenziò il ragazzo con il gilet a rombi non appena ebbi finito di percorrere la gradinata fino al portone.
"Come fai a sapere che sono nuova?" domandai stupita.
"E' il mio dovere, faccio parte del Comitato d'Accoglienza della Rosehill dal mio primo anno."
Scossi la testa, "Bene, potresti indicarmi la segreteria?"

Un gruppo di ragazzini con pantaloni color cachi e camicie azzurre sotto i pullover ci superò schiamazzando.

"Non fare quella faccia, la Rosehill non è una scuola privata piena di smorfiose e figli di papà..." mi disse gilet-a-rombi.
"Quindi è una scuola pubblica piena di smorfiose e figli di papà?"
"Mi piace la tua ironia, potresti unirti al club di giornalismo. Lascia che ora ti racconti un po' di storia." Su fermò sotto l'arco del portone e aprì le braccia, come un uomo che prega per la misericordia. Poi, con gli occhi chiusi, parlò, "La Rosehill Academy fu fondata sul finire del diciannovesimo secolo dai coniugi Rosehill; i quali, non lasciando eredi, diedero istruzioni per la creazione di questa scuola affinché chiunque potesse ricevere un'adeguata istruzione. Molti abitanti del luogo non potevano che permettersi una misera istruzione elementare; la scuola, gratis per la maggior parte delle persone, divenne il punto fermo dell'economia qui a La Lyange."

Seguii il ragazzo lungo l'ampio corridoio, le finestre erano enormi e intervallate da dipinti dall'aria neoclassica con massicce cornici di legno dorato.

"E' stato un piacere" disse gilet-a-rombi indicandomi la segreteria, "Buona fortuna".

Entrai nella stanza e mi avvicinai al bancone, una donna tozza con capelli rossi e crespi mi sorrise gioviale.

"Dimmi pure cara"
"Buongiorno signora, sono qui per completare l'iscrizione. Mio padre ha parlato con la Preside settimana scorsa, Johnson."
"Sei maggiorenne tesoro?"
"Sì, signora"
"Bastano un paio di firme su questi documenti e ti pregherei di portarmi questi fogli compilati da tuo padre entro e non oltre settimana prossima"
"Certo signora, grazie."

Mi diede le spalle alla ricerca di qualcosa e io infilai i documenti nella borsa.

"Ecco il tuo orario" disse passandomi un foglio che somigliava tanto ad un casellario per l'archivio, "L'aula 23 si trova al secondo piano, percorri tutto il corridoio e alla fine giri a sinistra, troverai le scale."
"Grazie signora, buona giornata"

Percorsi il corridoio fino al capo opposto e presi le scale sulla sinistra. Due rampe di gradini coperti da un tappeto borgogna consumato mi portarono al corridoio del secondo piano. Le aule si spiegavano su entrambi i lati, alcuni mezzi busti di marmo bianco erano posti su colonne alte circa un metro e l'atmosfera era resa lugubre dalle pesanti tende di velluto che erano elegantemente piegate ai lati delle vetrate spaziose. I soffitti, alti più di tre metri, erano riccamente decorati con bibliche scene scabrose e grossi lampadari di cristallo prendevano verso il pavimento.

~

Camminai guardandomi intorno fino all'aula 23, la porta era chiusa e non si sentiva una voce uscire dalla stanza.

Bussai titubante e la porta si aprì da sola.
Presi un profondo respiro e mi avventurai nell'aula scura. Le tende erano tirate e l'unica fonte di luce proveniva da un piccolo televisione posto vicino la cattedra. 
Una figura snella e scura mi venne incontro. Uno schiocco di dita e la luce si accese.

La classe mi apparì davanti come un miraggio nel deserto. All'improvviso.

"Sono il signor Parolin", disse l'uomo, "Tu devi essere la ragazza nuova."

"Johnson, signore", dissi assumendo una postura rigida, molto militare.

"Johnson. Bene bene, si accomodi. Stiamo visionando un filmato sulla Caccia alle Streghe, il materiale le sarà fornito a fine lezione, mi aspetto un tema di millecinquecento parole per settimana prossima su ciò che ha comportato questo accanimento verso le donne."

Sollevai un sopracciglio. 
"Aye, signore"
Il professore annuì convinto, "Bene Johnson, si accomodi ora"
M'incamminai verso il banco indocatomi e mi sedetti.

Avevo ancora la giacca addosso quando sentii un secondo schiocco di dita e l'aula tornò buia. Il filmato ripartì e mi persi con lo sguardo nel fuoco di uno dei roghi dell'Inquisizione.

A fine lezione la luce si riaccese senza che nessuno facesse un passo vero l'interruttore.
Il professor Parolin consegnò un plico di fotocopie di documenti antichi e recenti, pinzati insieme senza alcuna logica apparente.

Una ragazza bionda e slanciata si avvicinò al mio banco.
"Sono Mary Lou, seguimi."
Sollevai un sopracciglio, "Scusa?"
"Hai capito bene" disse passando una mano trai capelli dorati, "Seguimi."

Seguii Mary Lou fuori dalla classe e lungo il corridoio, fino a giungere alla scalinata. 
Arrivammo al terzo piano e poi al quarto.
Ci fermammo davanti un'aula vuota.

"Qui", disse Mary Lou entrando.
"Qui", le feci il verso seguendola.

La stanza non era più vuota, noi due non eravamo più sole. Un gruppo di ragazzi, pallidi come morti e sbiaditi come usciti da una vecchia fotografia, erano seduti alcuni sui banchi e altri sulle sedie. Avevano vestiti fuori tempo, come se la porta fosse stata un portale per il passato.

"Mary Lou?" domandai.

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Capitolo 2
*** Fuori dall'ordinario. ***


Sapevo che la Rosehill Academy era diventata, negli anni, una scuola per ragazzi speciali. Le scuole normali non erano adatte a me. Il rumore delle persone era stancante, i colori erano troppo forti. Mi avevano diagnosticato un disturbo dell'attenzione, quando in realtà ero fin troppo focalizzata su ciò che succedeva.

Mary Lou si era seduta sulla cattedra, con le gambe incrociate e le mani in grembo.
Mi guardò e batté la mano vicino a lei, indicandomi di sedermi accanto.

"Anche tu li vedi, vero?"
"Vedere...cosa? le domandai.
"I ragazzi sbiaditi. L'ho visto nei tuoi occhi quando siamo entrate. Tu sei come me."
Schiusi le labbra, pronta a dirle che lei era una svitata. Poi riflettei. 
"Anche...anche tu vedi i fantasmi?"

Mary Lou annuì, "Da sempre. Sono anni che vivo alla Rosehill" disse con una punta di amarezza e malinconia nella voce.
"Vivi a scuola?"
"Nei dormitori del blocco Blu. Molti ragazzi vivono qui, è sempre meglio che dover sopportare gli sguardi di apprensione della mia famiglia."

"Io...mi dispiace" balbettai.
Mary Lou mi toccò la spalla e io trasalii.
"Tranquilla, è normale avere paura."
"No, non è normale. Avere paura è per i deboli, per chi non è abbastanza forte per vivere. Io non ho paura!"
Mary Lou si ritrasse, non mi ero accorta di aver urlato.
"Scusa" mormorò, "Non volevo farti arrabbiare."

Restammo in silenzio per un po' prima che Mary Lou parlasse di nuovo.
"Loro sono morti qui, durante l'incendio del '33. Erano chiusi a chiave nell'aula. Sono morti prima che il fuoco lambisse le loro carni."

Allungai le maniche del maglione fino a coprire le dita smaltate di nero. Mary Lou non era pazza, se lo fosse stata, lo sarei stata anche io. Avrei voluto urlare dalla frustrazione e scappare a casa.

Cosa avrebbe fatto mio fratello? Axel non si sarebbe di certo spaventato, ma questa mattina era sparito prima che varcassi i cancelli del cortile.

Guardai Mary Lou, i capelli le ricadevano sul viso e le lunghe ciglia erano umide, come se si stesse sforzando di trattenere le lacrime.

"Mary Lou..."
"Dimmi" aveva lo sguardo rivolto verso la ragazza minuta alla finestra.
"Siamo... Siamo tutti così? A scuola intendo."

Mary Lou scosse la testa, "No, non tutti. Alcuni possono spostare oggetti con la mente o assorbire il dolore degli altri con un solo tocco della mano. Però se intendi dire che siamo tutti problematici, allora si. Siamo fuori dall'ordinario, dal primo all'ultimo, professori compresi."

Ripensai al signor Parolin e alla luce che si accendeva e spegneva con uno schiocco di dita. 
Siamo tutti fuori dall'ordinario.
La normalità è così sopravvalutata. Axel mi diceva sempre che ero il salto generazionale verso il futuro del pianeta. Axel aveva sempre avuto fiducia in me, fino al giorno della sua morte. Anche ora, che mi parlava solo attraverso il velo, credeva in me.

"Mary Lou?"
"Dimmi"
"Come lo sapevi?" mi sedetti sulla cattedra vicino a lei.
"Era nei tuoi occhi" disse mesta.
Spinsi il pollice contro le labbra.
"Avrei potuto avere altro, tipo telecinesi... come ne eri sicura?"

Mary Lou fece un profondo respiro e lisciò le pieghe della gonna prima di rispondere.
"I tuoi occhi sono quelli di qualcuno che ha visto la morte. Non parlo di EPM, ma della morte vera. I fantasmi lasciano un segno indelebile. Sopratutto quando ti sussurrano costantemente nelle orecchie. Io so come controllarli, posso insegnarti a bloccarli."

Mi alzai di scatto e mi allontanai.
Bloccarli? Era impazzita? L'unico contatto rimastomi con Axel era proprio quello con il mondo dei morti e io non ero un negromante, solo dotata.

Mary Lou mi lanciò uno sguardo triste mente mi allontanavo da lei e dalle sue idee folli.

~

Il corridoio era deserto. Ora che lo guardavo bene mi accorgevo anche di come fosse spoglio rispetto ai piani sottostanti. Niente quadri e niente busti, solo carta da parati strappata e annerita. Il tappeto era, invece, corroso dal tempo e dall'umidità.
Alzai le barriere mentali e corsi verso l'ingresso.

Una volta all'aria aperta, circondata da colori e suoni famigliari, mi sentii più al sicuro.
C'era un panchina che non avevo notato al mio arrivo, mi sedetti e presi dalla borsa l'orario delle lezioni. 
Con Mary Lou avevo perso mezz'ora della pausa pranzo. Non avendo idea di dove si trovasse la sala mensa, optai per cercare l'aula della lezione successiva.
Matematica, aula 17.
"Numero nefando", riflettei tra me e me avviandomi verso il portone.

Solo dopo aver percorso più volte il corridoio del primo piano mi accorsi che dell'aula 17 non vi era traccia, così tornai all'ingresso, sperando che qualche anima pia accorresse in mio soccorso.

Destino volle che vidi gilet-a-rombi fumare poggiato ad un albero in cortile.
"Ehi", dissi avvicinandomi,"Il Comitato di Benvenuto aiuta per tutto il giorno?" domandai con un sorriso di circostanza.

Gilet-a-rombi sollevò il viso e gettò la sigaretta a terra, spegnendola sotto il tacco.
"Solo per le belle ragazze", disse facendo l'occhiolino.

Allungai il foglio con l'orario.
Lui lo scrutò per qualche secondo poi sollevò un sopracciglio, "Hai cercato al primo piano?"
"Certo, non sono mica stupida" ribattei leggermente offesa.
"Non prenderla sul personale, l'aula 17 è stata trasferita nei sotterranei. Seguimi."

Sotterranei? In che diavolo di posto ero finita? Mi mancava solo di avere Piton come insegnate e di dover battere il Signore Oscuro per avere il diploma!

Le scale erano dietro il ripostiglio delle scope, l'ultimo posto dove sarei andata a cercarle.
La vernice del corrimano era rovinata e si scrostava al minimo tocco, l'unica fonte di luce erano dei lunghi led che emanavano una luce fredda che avrebbe potuto concorrere con quella di un ospedale.

Il ragazzo si arrestò di colpo e per poco non gli andai addosso.
Si girò e mise la mano sulla mia guancia.

"Cosa diavolo-"
Una sensazione di piacevole calore mi pervase. Dimenticai di essere nuova, persa, e arrabbiata. Ero in pace con me stessa.
Poi lui lasciò cadere la mano e l'effetto svanì.

"Cosa diavolo hai fatto?", ero sconcertata.
Lui si limitò a scuotere le spalle. 
"Volevo vedere come stavi, tutto qui."
"Tutto qui? Tutto qui? Siete un manipolo di svitati, prima la bionda e ora questo. Sono qui da poche ore e sono già piena fino ai capelli delle vostre stronzate soprannaturali", sbottai iraconda.

Gilet-a-rombi si passò una mano nei capelli, "Comunque mi chiamo Jacques."
"E io voglio fare matematica e uscire da questa dannatissima scuola."
"Scusa", mormorò, "Non avrei dovuto farlo. E' che io posso sentire le persone toccandole e volevo essere certo che nulla di brutto ti fosse successo oggi..."

Rimasi interdetta.
"Ammiro la tua opera cavalleresca Jacques, ma ora è meglio che vada."

Lo lasciai solo ai piedi delle scale di cemento e m'inoltrai negli asettici sotterranei senza una guida.

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Capitolo 3
*** Il segreto di Mary Lou. ***


Una sola porta era aperta, dedussi che quella doveva essere la classe. 
Una donna sulla quarantina con dei folti capelli scuri e un completo giacca-gonna verde smeraldo mi accolse con un sorriso amichevole.

"Mrs Montague, sono la tua insegnate di matematica. Prego accomodati."
Risposi con un gesto del capo e mi lasciai cadere in uno dei banchi vuoti in terza fila.
Nessuno era ancora arrivato e la professoressa era intenta a scrivere qualcosa d'indecifrabile sulla lavagna nera.

Un improvviso vociare mi riportò alla realtà. La pausa pranzo doveva essere finita.
La classe entrò come uno sciame d'api, rumoroso e veloce.

La lezione era noiosa, i ragazzi seguivano in religioso silenzio mentre io vagavo con la mente ripensando agli eventi della mattinata.
Mary Lou forse mi avrebbe potuto aiutare a vedere solo mio fratello, convergendo l'energia solo verso Axel in modo da renderlo il più reale possibile e non la persona sbiadita che vedevo ogni giorno insieme alle facce degli altri morti.

Finita la lezione tornai al piano superiore, facendomi trasportare dalla corrente di ragazzi che risaliva verso il sole e l'aria fresca.
Avevo bisogno di trovare Jacques o Mary Lou, avevo bisogno di risposte. Dubitavo di trovare qualcosa nella biblioteca dell'istituto, quindi i due erano la mia unica speranza.
Individuai la figura slanciata di Mary Lou vicino alla segreteria. Mi avvicinai, innanzi tutto avrei dovuto chiederle scusa per il mio comportamento di prima. Non avrei dovuto trattarla come una svitata quando mi aveva detto che avrebbe potuto aiutarmi.

Mary Lou mi salutò con un sorriso leggero sulle labbra rosate.

"Mary Lou", dissi leggermente trafelata, "Devi scusare il mio terribile comportamento di prima."
Mary Lou si limitò a scuotere le spalle con indifferenza, "Non preoccuparti cara, non sono offesa."

~

La guardai, gli occhi erano leggermente arrossati, come se avesse pianto da poco e la pelle aveva un candore innaturale. Feci un passo indietro.

"Mary Lou..?" Avevo un lieve tremitio nella voce.
"Oh, vedo che te ne sei accorta. Altri ci mettono molto più tempo."

Continuai ad indietreggiare senza voltarmi, fino a quando non finii con la schiena contro il muro. La lobby era stranamente silenziosa. Tutta la scuola era silenziosa, il che rendeva l'atmosfera ancora più lugubre.

"Tu sei..."

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Capitolo 4
*** Drammi di famiglia: Franco De Ville ***


Franco De Ville fu assunto dai Rosehill non appena arrivato a La Lyange. Nel 1920 la mano d'opera era molto richiesta anche se sottopagata e Franco era un ragazzotto forte dalla pelle bruciata dal sole per i saltuari lavori in campagna. Il patrimonio di famiglia era andato perduto con la guerra e con un moglie sulle spalle aveva bisogno di un lavoro fisso.

L'Accademia dei Rosehill era nell'ultima fase di completamento e Franco fu assunto come tuttofare all'interno dell'edificio. Passava le sue giornate a pulire le grandi aule, rastrellare le foglie dal giardino, curare i fiori e tagliare l'erba. In autunno si occupava anche di mettere le scorte di legna da ardere nella legnaia, dove a volte aiutava i boscaioli per arrotondare lo stipendio.

Dieci anni più tardi, nel 1930, sua moglie cominciò a pregarlo di riprovare ad avere un figlio. I due aborti spontanei avuti da Evangeline le avevano segnato il corpo e il cuore. Franco la sorprendeva spesso, nel mezzo della notte, a piangere sui completi da neonato che aveva preparato per entrambe le nascite. Ogni volta che la sentiva singhiozzare, l'abbracciava silenzioso e restavano così fino all'alba, lei scossa dai singulti e lui che la teneva stretta tra le forti braccia. Alla fine del 1931 finalmente Evangeline rimase incinta. La gioia la contornava come un'aura dorata, anche se il timore di perdere anche questo bambino l'aveva spinta ad avvicinarsi in modo ancora più morboso alla fede cattolica. Ogni volta che Franco provava anche solo a chinarsi per darle un bacio, ella si scostava, timorosa di quello che Padre John avrebbe potuto pensare durante la confessione. Questa sua ritrosia nei confronti del marito e di tutto ciò che ella riteneva peccaminoso, portarono Franco a concedersi viaggi sempre più frequenti e soste sempre più lunghe alla locanda di La Lyange. 

Nel maggio del '32 Evangeline partorì un maschio. Il pargolo fu chiamato Jebedia e battezzato ancora tra le braccia della levatrice. Jebedia De Ville era la gioia degli occhi della madre, un dono del Signore. Quando il marito le consigliò di affidarlo a una balia, Evangeline fece una scenata di gelosia e urlò parole tanto cattive che Franco passò due intere notti nel letto di Pamela, giù alla locanda.

In ottobre, finita la stagione del raccolto, la Rosehill Academy riaprì i battenti e Franco tornò ad occupare il suo posto di tuttofare. Rastrellò il giardino, pulì le aule e concimò il terreno. Piantò semi nuovi nel campo della scuola e continuò a frequentare Pamela. I giorni passavano e Evangeline era sempre più tesa, sospettava che il marito la tradisse, ma non aveva la forza di confessarlo a nessuno, neanche a Padre Ludovico, che aveva sostituito Padre John durante l'estate. Il timore di perdere l'amato marito era quasi più grande della paura dello scherno che pensava avrebbe ricevuto se tutta la cittadina avesse saputo degli affari di suo marito. Quella notte Evangeline fece l'amore con Franco.

Il 4 marzo 1933 Roosevelt venne eletto presidente e la disoccupazione contava più di 15 mila persone.

Franco lavorava come un mulo per sostentare la sua famiglia. Era ancora relativamente giovane, solo 32 anni, ma era sfiancato dalla tumultuosa vita che conduceva tra le mura domestiche. Evangeline voleva fare l'amore ogni notte, pensava che la fedeltà del marito le fosse dovuta solo così, e il piccolo Jebedia non faceva altro che piangere. Franco si destreggiava tra il lavoro di tuttofare e piccole riparazioni saltuarie alle famiglie dei dintorni, ma spesso finiva i soldi dello stipendio tracannando alcol nelle locande o nel gioco d'azzardo. 

Due mesi più tardi, in maggio, Franco incontrò il Diavolo.

Franco stava tornando a casa barcollante, fiero di aver rifiutato una puttana che cercava di adescarlo riempiendola di botte e lasciandola morente sul marciapiede fuori la locanda. In casa cercò di non fare rumore, ma Evangeline lo aspettava sveglio con il pargolo tra le braccia.

Franco era troppo ubriaco per inventare scuse, così girò sui tacchi e caracollò fino al parco, si accasciò su una panchina e così rimase, nel dormiveglia alcolico, fino a quando una mano non si posò sulla sua spalla. Seduto al suo fianco vi era un uomo distinto, in giacca e cravatta e panciotto. Snello e molto alto, con i capelli lisci e impomatati. Sussurrò qualcosa nell'orecchio di Franco, il quale mugugnò un assenso e tornò a dormire. Lo sconosciuto scomparve nella notte, lasciando dietro si sé solo l'ombra luccicante di un ghigno.

Il giorno dopo Franco arrivò al lavoro in ritardo, un ghigno sinistro stampato sulla faccia e l'odore di alcol appiccicato ai vestiti. Entrò dal retro e raccolse tutti gli stracci che riuscì a trovare e dopo averli immersi nella benzina, li sistemò strategicamente vicino tutte le porte e le varie uscite dell'accademia. Versò il resto della benzina su di sé ed entrò dal portone principale. Sempre sogghignando, accese una sigaretta.

E il resto è storia.

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Capitolo 5
*** La lavagna di Axel. ***


"Dillo!", urlò.
"Tu sei morta!"

Scoppiò in una grassa risata, tanto che le spalle sussultavano e si teneva una mano sulla pancia mentre sghignazzava.

"Sapevo che l'avresti capito, prima o poi. Sei stata molto brava, complimenti."

Avevo le spalle contro il muro, Mary Lou aveva lo sguardo spiritato. Improvvisamente capii come mio fratello si fosse sentito prima di morire. 
Senza via di fuga.

"Rifletti, dannazione rifletti! Mary Lou è un fantasma ma i fantasmi non possono essere uccisi perché sono già morti... Rifletti! Faccio sparire gli spiriti innalzando le barriere mentali... Le barriere mentali!"

Chiusi gli occhi e mi concentrai. Il viso di Mary Lou era a un soffio dal mio e io tremavo dal freddo. La temperatura si era abbassata notevolmente quando lei si era alterata. 
Respiravo a fatica e avevo paura. Paura di morire sola anche io, senza nessuno a tenermi la mano mentre abbandonavo la mia spoglia mortale.
Pensai ad Axel, pensai a mio fratello così forte e mi sembrò quasi di sentirlo al mio fianco.

"Allontanati da lei, stronza!"

Era una voce conosciuta.
Axel.

~

Aprii gli occhi e Axel era dietro Mary Lou. Una figura opalescente con una grande macchia rossa sul petto.
Ero riuscita a chiamarlo. Le mie barriere alla fine erano i ricordi di noi due da bambini, prima che partisse per il college e non facesse più ritorno.

Mary Lou si voltò di scatto e vidi la sua immagine tremare e sfocarsi. 
Si allontanò da me e fece mulinare i capelli nel movimento. Con un mezza piroetta svolazzò vicino al banco della segreteria.

"Sei stata fortunata, oggi." 
La sua voce mi arrivò lontana e lasciò un eco quando si volatilizzò nel nulla.

Mi lasciai scivolare contro il muro, stringendo le ginocchia al petto e soffocando i singhiozzi nelle palme.

Una mano si posò sulla mia spalla. 
"Devi lasciare questo posto, è pericoloso."

Quando mi fui calmata, parecchio tempo dopo, Axel era sparito e con lui l'adrenalina del momento.
Mi sollevai con le gambe tremanti e uscii dalla scuola traballante. Volevo tornate a casa. Volevo dimenticare tutto.

I miei pensieri turbinavano violenti, come in preda a una tempesta. Emozioni contrastanti e paura. Oh, la paura.

Saltai sul primo autobus e mi rannicchiai sul sedile, non presi le cuffie e non estrassi nemmeno il cellulare. Ero pietrificata.

Una volta nei pressi della mia fermata mi alzai e mi posizionai vicino la porta, pronta a scendere. Quando le porte si aprirono, saltai sul marciapiede e corsi a perdifiato fino al vialetto. Aprii la porta con mano tremate e la chiusi a doppia mandata alle mie spalle.

La mia camera era al primo piano, ma le candele alla vaniglia in cantina. L'idea di entrare in quel posto freddo e angusto era terrificante, così rinunciai all'idea del bagno rilassante.

La porta della mia camera era aperta, vicino al letto c'erano la scrivania e una lavagna magnetica piena di ritagli e foto e scritte con pennarelli di colori diversi. Era la lavagna di Axel. Non proprio sua, ma la lavagna dove raccoglievo le prove sul suo caso. Non era morto in una rissa fuori da un bar come tutti credevano, era stato assassinato, solo che non avevo abbastanza prove, o un assassino, o un movente. Axel era sempre stato giudizioso e con buone amicizie. Sono certa che avesse perpetuato questi atteggiamenti anche al college perché avevo parlato con i suoi amici e compagni di corso, anche le sue ex ragazze erano più che addolorate per la sua morte.

Scoprire di Mary Lou mi aveva sconvolto. Primo giorno nella nuova scuola e già drammi su drammi, sarei mai uscita viva da quel posto? Di tornare in una scuola "normale" non se ne parlava, avrei però potuto studiare in casa, era legale in Louisiana?

Tornai a guardare la lavagna e i fili che s'intersecavano in complicate strade fermate da spilli e pezzi di nastro adesivo multicolore. Gli ultimi giorni di vita di mio fratello raccolti su una lavagna bianca, era così triste pensare che la vita di un uomo, per quanto spettacolare, sarebbe potuta comodamente giacere in una scatola di cartone e venir dimenticata sotto strati di polvere.
Un ritaglio colpì la mia attenzione, mi alzai al volo e lo staccai dalla lavagna, tenendolo tra le mani come un piccolo tesoro. Il nome, quel nome particolare, dove lo avevo già sentito?

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Capitolo 6
*** Drammi di famiglia: Evangeline e Jebedia De Ville ***


Dopo la morte del marito, Evangeline De Ville venne allontanata da La Lyange e accusata di tradimento del senso morale. In cuor suo la vedova sapeva che non era stato suo marito a compiere quello scempio, quei bambini erano morti per colpa del demonio che lo aveva abitato.

Evangeline, seduta immobile sotto il porticato, guardava suo figlio crescere. Jebedia non avrebbe mai conosciuto il padre e la donna sperava che non conoscesse nemmeno il suo ultimo operato.

Quando lo metteva a letto, raccontava a Jebedia anche della sua infanzia alla fattoria, degli alberi da frutto che vedeva dalla sua finestra. Dei pruni in fiore e delle mele acide che mangiava con i suoi fratelli. Rideva Evangeline, ricordando il passato felice. Prima degli aborti, prima di Franco, prima che la vita le cadesse a pezzi tra le mani.

Evangeline dai lunghi capelli biondo grano, con gli occhi verdi e le gote rosate. Evangeline con il vestito a quadri della domenica e le scarpe di vernice. Evangeline durante la guerra, con le mani arrossate e piene di vesciche purulente per il lavoro nei campi. La fuga con Franco, la promessa di una nuova vita.

Jebedia crebbe lontano da La Lyange, senza conoscere la vera storia di suo padre, del quale resistevano solo alcune foto. Frequentò la scuola parrocchiale del piccolo paesino dove la madre si era rifugiata, ignorando l'esistenza dell'oscuro passato a La Lyange e della Rosehill Academy. Terminate le scuole medie venne preso come apprendista panettiere nel negozio del suo patrigno. Evangeline, da fervente cattolica, era stata restia all'idea di concedersi nuovamente, lasciandosi alle spalle la vedovanza. Franco era stato per lei un punto di forza, ma l'amore per Jebedia e la loro situazione finanziaria, le imposero di mettere la religione in un cantuccio e fare tutto il necessario per il figlio.

Jebedia, che aveva il cognome del padre, riuscì ad ottenere quello del patrigno, diventando a tutti gli effetti Beauregard. Evangeline era sollevata dalla decisione del figlio, lasciandosi alle spalle il cognome De Ville sarebbe potuto tornare a La Lyange e trovare un buon lavoro nell'allora centro nevralgico dei commerci dello stato.

Nel 1959 Marco Antonio Beauregard presentò a Jebedia Alexandra, la figlia minore di un suo compagno d'armi, sopravvissuto alla chiamata contro i tedeschi via ferite riportante durante la Grande Guerra. Tra i due scoccò la scintilla e il matrimonio fu immediato, l'anno dopo nacque il primo figlio: Theodore Beauregard. Otto anni più tardi, Alexandra rimase incinta nuovamente, questa volta nacque una bambina, Lucinda Beauregard.

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