Can I Keep You?

di silbysilby_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Parte 1 ***
Capitolo 2: *** Parte 2 ***



Capitolo 1
*** Parte 1 ***


Eccomi tornata con una Klaine basata sulla storia di Casper! Sono consapevole del fatto che sia un film per bambini, ma (scene idiote dei tre fantasmi e la storia del tesoro a parte) mi ha incantata. Vi consiglio vivamente di andare ad ascoltare la bellissima colonna sonora, specialmente "Remember me this way", canzone emblema del film, che è SPETTACOLARE. 
Se volete dare un occhio alla mia pagina di disegni su fb SilbySilby Art e il mio canale youtube SilbySilby mi farebbe molto piacere!
E niente, ora vi lascio alla storia!

 
Al mio Scorfano Brontolone (si, B, parlo di te) e alla mia Beta che mi sopportano sempre!

Quando si pensa ai fantasmi si pensa alla paura che ci provocano, alle notti buie in cui appaiono, alle case desolate che infestano.
Nessuno penserebbe mai che un fantasma potrebbe sentirsi solo. Che tra quelle mura spoglie e fredde potrebbe passare le giornate a chiedersi come poter riempire quella solitudine a cui è costretto.
Già, nessuno lo farebbe.
Kurt

Questa sera sembra essere scandita dal ticchettio fastidioso dei tasti del telecomando che mi ritrovo a premere in continuazione. Come tutte le altre notti sono appoggiato ad un divano logoro ed impolverato, impegnato a... cercare di tenermi impegnato. 
E' dalla sera in cui due spavaldi ragazzini hanno fatto irruzione nel salone del maniero di Whipstaff che non succede niente di interessante. Per quanto cerco di non pensarci, il ricordo di quella serata mi tormenta spesso. Quando mi ero accorto che delle persone vive avevano davvero avuto il coraggio di spingersi fin quassù avevo pensato che era finalmente arrivato il momento di conoscere qualcuno, e li avevo raggiunti in un batter d'occhio; il buio pesto impregnava ogni centimetro dell'immensa sala, smorzato solo dalle flebili lucine delle torce che i due giovani si erano portati dietro. Da quel poco che avevo capito stavano litigando per chi  dovesse scattare una foto all'altro all'interno della stanza, probabilmente per provare che ci fossero realmente entrati dato che, come sanno tutti, il maniero è spesso protagonista di eventi sovrannaturali. Avevo colto l'occasione per farmi avanti nel buio e mi ero offerto di scattare la foto ad entrambi, cercando di rompere il ghiaccio. Peccato che nel momento in cui la luce dello schermo della macchina fotografica mi ha illuminato in volto i ragazzi hanno lanciato un urlo disumano e si sono precipitati prima verso la porta d'ingresso, poi giù di corsa per tutta la collina. Sono rimasto immobile in mezzo alla sala con ancora la fotocamera tra le mani e l'immagine delle facce dei due ragazzi storpiate dal terrore impressa sullo schermo. 
Non posso neanche usare come scusa il fatto che fossero più impressionabili, non essendo adulti, mi dico tra me e me mentre premo di nuovo il secondo canale: nelle settimane passate un gruppo di muratori e operai sono venuti a Whipstaff di buona mattina per fare dei lavori su richiesta di un'avvenente signora e del suo assistente personale. Nonostante siano uomini grandi e vaccinanti se la sono data a gambe spintonandosi tra di loro per attraversare la cancellata e mettere in moto i loro macchinoni. E ho solo indicato ad uno di loro la strada per il bagno.  
Per colpa di questo piccolo incidente ora chiunque si rifiuta di proseguire i lavori nel cantiere, facendo apparentemente impazzire la proprietaria.
Già, penso cambiando canale un'ultima volta, proprio una gran seccatura essere un fantasma.
La televisione si sintonizza su quello che pare essere un telegiornale serale. Sono sul punto di cambiare canale quando la presentatrice cattura la mia attenzione:
"...e l'attenzione di tutti gli appassionati si sta spostando in Ohio, dove un comune cittadino americano suppone di aver trovato il modo per comunicare coi fantasmi. Smith, a te la linea"
Strabuzzo gli occhi e mi risistemo sul divano per poter vedere meglio il servizio che scorre dopo la breve introduzione della donna: un uomo di mezza età dai capelli scuri ormai brizzolati spiega il risultato delle sue ricerche: " Direi che affermare di poter comunicare con gli spiriti mi sembra un po' eccessivo. Io mi considerò più...uno psicologo per fantasmi. E' da quando ho perso mia moglie che studio cose a riguardo e credo di aver trovato il modo per percepire i loro stati d'animo, il modo in cui si pongono su di noi. La cosa potrebbe avere senz'altro sviluppi interessanti dopo qualche generoso finanziamento..." continua guardando dritto l'obbiettivo della telecamera. Ha l'aria di essere stanco ma soddisfatto del suo lavoro. 
Lo scenario cambia di nuovo e ora lo schermo mostra la figura di un ragazzo dietro a una rete metallica. Quest'ultimo continua a camminare imperterrito per la sua strada senza curarsi del giornalista insistente che continua a chiedergli cosa pensa dell'idea del padre, se anche lui crede ai fantasmi e ai fenomeni paranormali; le occhiatacce che rivolge alla telecamera a quanto pare non bastano per convincere il cameraman a smettere di vessarlo, così il ragazzo si volta e lo affronta dicendogli che quello è il suo primo giorno nella nuova scuola (sottolinea la cosa scrollando la tracolla che porta sulla spalla) e non voleva essere disturbato. Quegli occhi ambrati puntano dritto alla telecamera per una manciata di secondi, le sopracciglia corrugate in un'espressione nervosa e qualche ciocca di capelli scurissimi che sfuggono a un'evidente spesso strato di gel. 
La Signorina Crittenden sarebbe davvero felice di sapere che esistono certe persone; chiamerebbe il signor Anderson all'istante e lo pregherebbe di parlare con me. Lui si riempirebbe le tasche di soldi e si porterebbe dietro il figlio. Quel ragazzo dovrebbe già essere abituato alle esperienze paranormali, non dovrebbe aver paura di me. 
La genialità dell'idea mi colpisce con una tale velocità che non posso fare a meno di sollevarmi involontariamente dal divano di qualche centimetro:  farò in modo che la signorina Crittenden venga a sapere di questo psicologo per fantasmi. Solo così forse potrei farmi un amico. Forse non passerò l'eternità da solo. 
Una volta sono riuscito ad intercettare l'antenna satellitare di una delle case più vicine al maniero e sono rimasto a cambiare canale alla televisione per un'oretta buona, facendo imbestialire un marmocchio delle elementari che guardava cartoni troppo violenti per la sua età. Chissà se il trucchetto funziona ancora.
* * *

E' fatta. 
Un fuoristrada e un'auto elegante stanno parcheggiando nel cortile trascurato di Whipstaff. 
Mi limito a restare il più vicino possibile al vetro della finestra senza oltrepassarlo con la faccia, troppo curioso di vedere i due nuovi arrivati. Sia il padre che il figlio mi danno le spalle e, nonostante la distanza tra loro e la camera al terzo piano da cui li sto osservando, posso dire che sembrano entrambi davvero stanchi e spossati dal viaggio. Il ragazzo osserva il padre conversare con la bella signora e il suo assistente, spostando il peso da una gamba all'altra in continuazione. Quando poi, con un sorriso tirato e squallido da parte della donna, gli vengono consegnate le chiavi del maniero, raddrizza la schiena e corre a prendere qualche bagaglio dal fuoristrada. Il padre stringe per l'ultima volta le mani dei due e li saluta, sforzandosi di dare una buona impressione, dopodichè raggiunge il figlio e insieme scaricarono le valigie.
"E questa è  l'ultima!" esclama Robert Anderson (ho fatto ricerche attraverso la rete della signorina Crittenden) facendo scricchiolare la ghiaia sotto il peso dell'ennesima cassa stipata di libri. Si asciuga il sudore sulla fronte con la manica del maglione sformato che fuoriesce dalla giacca a vento e rivolge un sorriso, a cui il figlio Blaine risponde con un'occhiata scettica. 
Chissà se Blaine crede all'idea che sua madre sia diventata un fantasma. Se non ne fossi uno io stesso, penserei che suo padre è semplicemente troppo debole per lasciarla andare, e si è convinto dell'esistenza degli spiriti pur di trovare un modo di arrivare a lei. Chissà se Blaine la considera crudele; come puoi superare una perdita se c'è perennemente qualcuno che ti illude della possibilità di poter comunicare con quella persona? 
Facendo così il signor Anderson non dà la possibilità alla gente di andare oltre, di lasciare che le ferite smettano di sanguinare e si cicatrizzino.
Attraverso il vetro appannato vedo Blaine scostarsi un ricciolo fuori posto da davanti gli occhi e incamminarsi verso l'ingresso, uno zaino enorme sulle spalle e un sacco della spazzatura che sembra sul punto di esplodere trascinato ai suoi piedi. Sale i tre gradini e apre a fatica il pesante portone mentre io attraverso più veloce che mai il pavimento della stanza per poter continuare ad assistere all'arrivo dei miei due ospiti.   Appena muove i primi passi all'interno della stanza si ferma: tutto intorno a lui è buio, l'aria è viziata e un silenzio totale assorbe ogni rumore proveniente dall'esterno. Rimane immobile a fissare la propria ombra scura sul pavimento in pietra, ben delineata dalla luce del pomeriggio, fino a quando il padre non lo raggiunge. Con un paio di torce che quest'ultimo si è curato di tenere nelle tasche esterne dei bagagli, i due cercano subito il salvavita, trovandolo nel sottoscala; il grosso lampadario illumina tutto il salone circolare e il suo liscissimo pavimento di granito rosso, talmente polveroso che quando Blaine lo attraversa si lascia dietro una scia di impronte, per la lunga scalinata che avvolge tutta la stanza, i balconi dalla forma grottesca che danno sui vari corridoi e tutti i quadri, i dipinti, gli orologi, le tende, gli archi e le torce appese fitte fitte per la parete aranciognola.
La curiosità sembra prendere il sopravvento sul ragazzo che ormai non può fare a meno di guardarsi intorno mentre sale le scale ammirandone l'altezza e l'eleganza dei decori del poggiamano. Nel giro di tre secondi si perde a girovagare per gli stretti corridoi sballottandosi dietro il suo sacco e stando attento a non toccare niente. Mi chiedo se tutte queste tende logore, questi specchi incrinati, queste ragnatele onnipresenti lo inquietino oppure non gli facciano effetto. La luce emessa dalle scarse lampade è così fioca da lasciare in ombra tutto quello che non è nel raggio di un metro, facendomi sentire nascosto al suo sguardo. 
La prima cosa che posso constare appena mi si avvicina e che Blaine è più basso rispetto a quello che mi era parso in televisione. Non che mi cambi qualcosa; essendo un fantasma non appoggio mai su quello che un tempo sono stati piedi sul pavimento, quindi sarei stato più alto di lui in ogni caso. 
Il nuovo arrivato si aggira per i corridoi bui stringendo forte il laccio dello zaino che gli penzola contro lo stomaco, le spalle strette come per volersi fare più piccolo e un mischio di espressioni indecifrabili sul viso. Mi viene da chiedermi se sono io che non sono neanche più in grado di riconoscere le emozioni dei vivi o se semplicemente neanche quel ragazzo sa come sentirsi. 
Lo seguo da dietro senza far rumore, cercando di indovinare i suoi pensieri mentre apre porte e ne richiude,  domandandomi ossessivamente se non fosse stato il caso di presentarsi e aiutarlo a scegliersi una stanza. Più passano i minuti più inizio seriamente a pensare che avrei fatto meglio a rintanarmi nella soffitta e lasciare perdere il povero Blaine: anche mettendo che il ragazzo non abbia paura dei fantasmi e che si trovi  bene in mia compagnia, niente impedirebbe a lui e a suo padre di andarsene da Whipstaff una volta finito la "disinfestazione", e io mi sarei ritrovato più solo di prima. 
Sono ormai sul punto di cedere quando vedo Blaine soffermarsi davanti alla porta della mia camera; le sue dita sfiorano come sovrappensiero la maniglia sottile e argentata, gli occhi riflettono la luce colorata delle intersezioni in vetro. Una sensazione buffa, quasi di gelosia, mi agita: quella è la mia camera. La mia camera. Mi sento vulnerabile a vedere Blaine entrare, osservare le mie cose, toccare i miei oggetti, come se ne potesse percepire la storia. Come se potesse percepire me in quella crepa nella vernice azzurra che tinge le pareti, me tra i tasselli dei mosaici alle finestre, me tra le pieghe di quel mucchio di vestiti ancora perfettamente piegati nell'armadio.
Dopo essersi seduto sul mio letto, l'intruso (si, ho deciso che questa nomea gli si addice perfettamente adesso) si mette a rovistare e a tirare fuori dal sacco della spazzatura tutta una serie di vestiti che poi appoggia alla rinfusa sulle coperte, e mi dà la schiena. Prendendo tutto il coraggio a disposizione mi avvicino a lui e mi schiarisco la gola un paio di volte per cercare di attirare la sua attenzione in un modo non troppo diretto, ma quello non sta fermo un attimo e tutti i miei sforzi vengono coperti dal fastidioso rumore della plastica stropicciata. 
"Ehi!" esclamo esasperato, pensando che anche se parlassi più forte l'altro non mi sentirebbe. Peccato che proprio in quel momento Blaine si sia fermato, e di conseguenza la mia voce gli è arrivata forte e chiara. Lo vedo scattare in piedi dallo spavento e voltarsi per urlare contro quello che forse pensa essere il padre. Inutile a dirlo, alle sue spalle non trova il signor Anderson, ma me. 
Appena mi vede strabuzza gli occhi scuri all'inverosimile. Impallidisce tutto di un colpo e un suono strangolato esce dalla sua bocca semiaperta. Il tonfo sordo del suo corpo che cade a terra riempe la stanza mentre Blaine cade a terra apparentemente svenuto. 
Beh, sarebbe potuta andare peggio.
Resto qualche secondo fermo a guardarlo, aspettando che rivenga da solo, e quando è ovvio che il mio ospite non ha intenzione di riprendere i sensi, capisco che devo intervenire io. Fluttuo verso il bagno e lascio scorrere l'acqua del rubinetto per un po' lasciando che il calcare e lo sporco accumulati nel tempo lascino spazio all'acqua pulita. Accumulo un po' di acqua tenendo le mani a coppa (Dio solo sa come un fantasma possa trattenere qualcosa senza che essa gli passi attraverso) e torno da Blaine, lasciandomi dietro una copiosa scia di gocce. Separo le mani facendo cadere l'acqua fresca direttamente sulla sua faccia, sperando che l'impatto lo svegli. Aspetto qualche secondo e sbuffo. Sembra ancora parecchio morto. 
Quando ormai mi sto dirigendo di nuovo verso il lavandino, (e penso che magari se fosse davvero morto, non che io lo speri, ovvio,  per noi sarebbe molto più facile essere amici) Blaine spalanca gli occhi e solleva la schiena appoggiandosi sui gomiti guardandosi freneticamente intorno. Nel momento in cui il suo sguardo sconvolto si posa per la seconda volta su di me penso che, se non fosse per il suono di passi sempre più forte e la voce di suo padre che lo chiama a gran voce dal corridoio, potrebbe benissimo svenire di nuovo. 
"PAPA'!" urla a pieni polmoni senza staccarmi gli occhi di dosso. Provo a fargli segno di tacere, inutilmente. "PAPAAA'"  
I passi in corridoio si affrettano fino a quando la porta a vetro della camera non si spalanca e lo stesso uomo che poco prima avevo visto da lontano corre subito dal figlio ancora semi-sdraiato, sudato e pallido come un cencio. Le mani di Blaine, ora strette da quelle di Robert, tremano vistosamente mentre con gli occhi continua a far segno al padre di guardare verso la mia direzione, incapace di spiccicar parola. La sua aria spaventata mi ferisce.
Non dovevo mostrarmi, lo sapevo. Lo sapevo, lo sapevo. Continuo a ripetermelo, eppure continuo a fare sempre gli stessi sbagli.  
Indietreggio lanciando un'ultima occhiata a Blaine. Se ripenso a quella piccola lucina di speranza che mi si era accesa quella sera... me la sono cercata, non avrei dovuto fare in modo che la signorina Crittenden venisse a sapere di questa storia dello psicologo per fantasmi. Oltrepasso la parete fuggendo via dalla mia stessa camera, rifugiandomi in una delle tante stanze vuote della soffitta. 
Se non mi faccio trovare per un paio di settimane il signor Anderson sarà congedato dall'incarico, lui e suo figlio se ne torneranno da dove sono venuti, e questa giornata si ridurrà ad un vecchio aneddoto da raccontare.
A chi lo racconterò ancora non mi è dato saperlo. 
* * *


I primi raggi del sole attraversano i vetri rotti delle finestre ed illuminano la soffitta, rendendo visibili cumoli di polvere oscillanti nell'aria. Più o meno lo stesso effetto che ha su quel che resta del mio corpo: sollevo l'ombra biancastra di quel che tempo era stata la mia mano e la interpongo tra i fasci di luce osservando come sembri solo vagamente più opaca rispetto a prima. Che sia fatto anche io di polvere? 
Dovrei fare qualcosa per gli ospiti, tipo preparare la colazione o provare a spazzare il pavimento, nonostante io sappia che il manico della scopa mi oltrepassa sempre le braccia dopo neanche quattro secondi. Non lo voglio fare perchè ho dei sensi di colpa nei confronti di quel Blaine. Per quanto mi dispiaccia averlo spaventato e avergli rovinato il soggiorno a Whipstaff, non dovrei neanche pensare a loro come degli ospiti, ma come degli usurpatori di proprietà privata. 
Una volta volato al piano terra dove si trova la cucina mi assicuro che ci sia ancora qualcosa di commestibile negli scaffali, magari qualcosa lasciato dagli operai che venivano qui per la pausa pranzo. A Blaine piaceranno le uova?

Sarà passata una mezz'oretta da quando mi sono messo ai fornelli ed è pronto da mangiare almeno da cinque minuti. Il cibo si sta raffreddando velocemente e mi sto dando dello stupido per aver addirittura cercato ovunque una tovaglia pulita da stendere sul lungo tavolo, aver trovato forchette, piatti e bicchieri e aver riordinato la stanza quando non so neanche a che ora siano soliti fare colazione. Mi sento così avvilito da tutto che sono sul punto di tornarmene in soffitta quando sento la maniglia cigolare mentre viene spinta verso il basso. Blaine scende gli scalini ed entra in cucina, guardandosi intorno con circospezione: è scalzo e l'unica cosa che impedisce ai suoi piedi di toccare direttamente il freddo pavimento di pietra sono i bordi troppo lunghi dei pantaloni del pigiama. Impugna saldamente tra le mani un piccolo aspirapolvere di quelli da viaggio, sembrando, tra i capelli scarmigliati, il pigiama e gli occhi gonfi di sonno, un bambino che gioca alla spia. Ecco, ci mancava solo che mi aspirassero via per confermare la mia teoria del i-fantasmi-sono-fatti-di-polvere.
E' evidente che sta controllando che io non ci sia. Se sapesse che mi sono reso invisibile e che in realtà sono solo a un paio di metri da lui, sverrebbe di nuovo? 
Il ragazzo scruta i muri di pietra grigia, dà un'occhiata sotto il tavolo imbandito e apre un paio di sportelli, ma non mi vede. I muscoli della schiena gli si rilassano vistosamente e lui si abbandona su una sedia (cavolo, mi sarei dovuto ricordare di sbattere almeno i cuscini fuori dalla finestra), appoggiando il mini-aspirapolvere su quella accanto. Sembra accorgersi del cibo solo in questo instante: un'espressione confusa ne precede una più spaventata dopo aver visto la nuvoletta di vapore che ancora fuoriesce dalla teiera. Osserva le uova nel piatto che ha davanti a se come se fossero il peggiore dei suoi incubi, servito direttamente dal diavolo in persona. Le guarda talmente male che per un attimo temo che esse si offendino e che se ne tornino nel loro guscio.  
"Non sono avvelenate, sai? Puoi mangiarle." 
Non so perchè l'ho detto. Davvero, non lo so. Il mio piano era quello di cucinare, assicurarmi che mangiassero qualcosa e tornarmene discretamente alla soffitta, non quello di interagire. Vorrei rimangiarmi le parole, ma neanche da morti si può.
Decido di rendermi visibile; tanto ormai mi sono fregato da solo.
Appena Blaine mi vede comparire trasale e la sua mano afferra immediatamente l'aspirapolvere e me lo punta addosso, mentre il resto del suo corpo incespica per mettersi in piedi. Mi fissa con gli occhi sbarrati, il suo sguardo che mi studia freneticamente alla ricerca di non so bene cosa. Pelle, forse? 
Mi vergogno. Tra tutte le cose che potessi provare, io mi vergogno, come se fosse stata una mia scelta quella di dimenticarmi il corpo sottoterra e presentarmi alla colazione con solo lo spirito. Voglio che smetta di guardarmi a quel modo. Come se io fossi un mostro, un pericolo. 
Alzo le braccia verso l'alto in segno di resa e tento una roba che più che un sorriso è una smorfia insofferente. "Le uova intendo."  
Blaine continua a guardarmi ammutolito e a me sembra di essere più impalpabile che mai. Apre la bocca un paio di volte, deglutisce, e finalmente si decide a dire qualcosa: "Tu, tu cosa...sei, esattamente?" 
Inarco un sopracciglio. Non pensavo di sembrare disumano al punto di essere messo nella categorie "cose". Insomma, la forma di una faccia, delle articolazioni e di una persona in generale ce li ho, no? Decido di sorvolare sulla cosa segnandomi mentalmente Non capiscono che cosa si provi ad essere morti nella lista dei contro riguardo all'avere degli amici in carne e ossa. 
"Mi chiamo Kurt" dico al pavimento, desideroso di finire questa conversazione con la stessa velocità con cui l'ho iniziata. 
Blaine sembra ancora abbastanza perplesso, e mi tiene ancora puntato addosso quell'affare, ma la sua voce non trema più. "Kurt. Sei... un fantasma? Cioè, oddio, questo era un po' indelicato...esisti davvero o ti sto immaginando? Sta a vedere che i tacos che abbiamo mangiato in auto ieri erano andati a male e io sto avendo gli incubi..." 
Mi sento completamente inerme. Non provavo tutto questo turbinio di emozioni da, cosa sarà, un decennio? Non è ancora passato un giorno e già ho capito che Blaine Anderson è un' idiota insensibile e fifone, e io vorrei così tanto prenderlo per le spalle e scuoterlo fino a quando la stupidità non gli uscirà dalle orecchie: è ovvio che sono un fantasma, cos'altro dovrei essere? Ma sono tutti così quelli ancora in vita?
La solita vocina fastidiosa mi sussurra all'orecchio che forse non è Blaine ad essere senza speranze, che forse sono io a non ricordarmi neanche come ci si senta e cosa si pensa quando si è vivi. 
Non pensarci, mi dico continuando a fissare vacuamente gli occhi sgranati di Blaine, così belli mentre mi studia come se cercasse le famigerate catene che dovrebbero pendermi dalle braccia, così caldi e così incredibilmente vispi. Non pensarci, non pensarci.  
Ignoro la sua domanda e faccio per dargli la schiena, inabile di sopportare la sua vista per un altro secondo. "Tu e tuo padre dovreste andarvene. Fingete pure di essere riusciti a disinfestare Whipstaff, prendetevene tutti gli onori, la pubblicità o qualsiasi altra cosa dovrebbero darvi in cambio. L'importante è che lasciate il maniero."  
Sento i piedi della sedia su cui era seduto poco prima strascicare contro il pavimento e sento i suoi passi fare il giro della tavola. Aspetto di sentire i cardini della porta cigolare e non credo che mi stupirei se sentissi Blaine correre sù per i gradini urlando a squarciagola al suo paparino che devono assolutamente levare le tende dal maniero prima che il brutto fantasma cattivo cambi idea e decida di ucciderli all'istante.
Aspetto, aspetto, ma non sento cigolii e non sento urla. 
Non se ne è andato, è ancora in cucina. 
"Kurt," ripete il mio nome con voce incerta, come se non fosse sicuro che mi calzi. Non sta parlando con un tono molto alto, ma le sue parole sembrano urlate nel silenzio della mattina a Whipstaff. "sei morto?" 
Non posso credere che mi abbia davvero chiesto una cosa del genere. Sto stringendo le mani a pugno così forte che se avessi avuto ancora un corpo mi si sarebbero conficcate le unghie nel palmo. 
L'ombra di una lacrima non bagnata mi scivola giù dalla guancia e mi stringo tra le mie stesse braccia, una tristezza decennale che prende il sopravvento su tutto quanto. Nonostante sia fatto di polvere, aria e poco più, mi sento il petto così pesante che potrebbe trascinarmi giù fino agli inferi.
La voce mi esce roca quando mi volto il minimo per poter scorgere con l'angolo dell'occhio la figura del mio sgradito ospite. "Vattene, Blaine. Per favore." 
Posso vedere la sua bocca schiudersi nel momento in cui lo chiamo con il suo nome. Blaine indietreggia con fare titubante, si ferma e mi guarda bene. Afferra lo schienale della prima sedia che gli capita sotto tiro e la tira all'indietro per accomodarcisi. Nel giro di pochi secondi si è riempito il piatto di uova, il bicchiere trabocca di succo di arancia e un fazzoletto gli copre il bavero del maglione a mo' di tovagliolo. Sono esterrefatto; sta seriamente facendo colazione! Si lascia addirittura scappare qualche mugolio di apprezzamento mentre mastica la pancetta. 
Mi sta prendendo in giro, vero? Io mi sono messo in ridicolo davanti a lui mostrandogli le mie debolezze e dicendogli di andarsene e lui se ne sta lì a ingozzarsi come se non mangiasse decentemente da giorni e forse, dato che il viaggio in auto non dev'essere stato breve e piacevole, è proprio così. Ma come cavolo ragiona questo Blaine Anderson? 
Sbuffo tentando di nascondere quanto la sua presenza mi stia scombussolando. Continuo a ripetermi che vorrei che mi lasciasse stare, ma mi sento così sollevato che rischio di mettermi a ridere.
E' rimasto.
Lo ha fatto davvero.
* * *

La mattina dopo mi ritrovo di nuovo in cucina di buon'ora per preparare qualcosa per gli ospiti. Non so esattamente per quale motivo lo faccio. Quando ieri ho visto Blaine iniziare a mangiare di gusto sono rimasto per un po' a guardarlo, interdetto da quella situazione assurda, poi me ne sono andato; suo padre stava arrivando e io non ero dell'umore giusto per fare altre nuove conoscenze. 
Con mia sorpresa oggi trovo Blaine già in cucina, un ridicolo grembiule pescato chissà dove addosso e un chilo di farina sparso ai suoi piedi. Sul ripiano in marmo sono appoggiati un sacco di tipi di frutta, latticini,  verdure e altri ingredienti freschi che il giorno prima mancavano, e lui è così intento a mettere tutto in ordine negli scaffali che sembra non si sia accorto di me. Mi schiarisco la gola e lui si gira verso di me, colto di sorpresa. Dalle mani gli cade il resto della confezione di farina che rovina per quella che deve essere la seconda volta per terra. Le gote di Blaine si colorano di un vago rossore e con un sorriso tirato si china e si affretta a raccoglierla alla bell'e meglio tra le mani e a buttarla nel sacco della spazzatura (che riconosco essere lo stesso che usava come valigia). 
"Aspetta, ti aiuto." gli dico avvicinandomi a lui con cautela. Non mi sembra spaventato dalla mia presenza, solo molto curioso e forse un tantino agitato. 
Mi abbasso su di lui e riesco a trattenere qualche manciata di farina tra le mie mani, giusto il tempo per sollevarla e farla ricadere nell'apertura del pattume. Blaine segue ogni mio movimento con aria stupita: osserva come la farina trapassa le mie mani dopo pochi secondi, ricadendo in nuvolette bianche. Continuiamo in silenzio fino a quando il sacco della spazzatura non sembra sul punto di cadere a sua volta.
Mi allungo con l'intento di tirarne almeno un lembo per ridurre i danni, ma a quanto pare Blaine ha la mia stessa prontezza di riflessi; la sua mano stringe la plastica nello stesso momento in cui il mio braccio trapassa il suo. E' una sensazione strana, come se la superficie della pelle abbia opposto più resistenza prima di lasciarsi trapassare rispetto a un comune oggetto inanimato, e provo un vago senso di umido simile a quella che si prova quando si attraversa una nuvola di vapore. Appena mi rendo conto di essermi incantato ad analizzare le mie sensazioni per troppo tempo ritiro immediatamente il braccio. Faccio finta di niente e cerco di finire il più velocemente possibile il lavoro. Blaine è rimasto immobile, ancora piegato sulle ginocchia ed il fatto che continua a osservarsi il braccio incriminato non mi mette a mio agio.
"Cosa stavi cucinando?" chiedo cercando di sciogliere la tensione e dando un'occhiata più da vicino al bancone. Non so quando ho deciso di cercare di far andare bene questa cosa della convivenza con i vivi, ma ci sto provando davvero. Ormai il danno è fatto, Anderson Grande ed Anderson Junior ormai sono qui perchè io ho fatto in modo che loro arrivassero e non sembrano intenzionati ad andarsene tanto presto, perciò tanto vale provarci.
Blaine si riscuote dal suo stato di trance e mi raggiunge: "Non lo so di preciso... ho solo comprato tutto quello che mi sembrava indispensabile in una cucina. Se aspetto che lo faccia mio padre vivremmo sicuramente di cibo d'asporto fino a quando non mi uscirebbero sushi e pizza dalle orecchie." Accenna un sorriso sincero al quale ricambio, nonostante l'immagine mentale che mi ha suggerito mi inquieti un pochino.
Insomma, tra un momento di disagio ed un altro, io e Blaine riusciamo a mettere sù una colazione abbastanza decente; restare fermo a dirgli quali e quanti ingredienti usare mentre lui mescola, si sporca di farina e sbatte le uova mi mette una tristezza infinita. Doveva essere divertente riuscire a trattenere le cose nelle proprie mani per più di cinque secondi. 
Blaine si siede subito a tavola e inizia a riempirsi il piatto di cibo, non intenzionato ad aspettare il padre. Giusto per non sembrare maleducato mi "accomodo" di fronte a lui dall'altra parte del tavolo. Se chiudo gli occhi e mi concentro posso quasi fingere che il mio corpo non trapassi la sedia, immaginarmi il legno solido sotto di me.
Blaine mangia così velocemente e a bocconi così grossi che mi stupisco del fatto che lo faccia in modo così silenzioso; gli unici momenti in cui non è impegnato a trangugiarsi sono quelli in cui si sofferma a fissarmi dopo aver mandato giù tutto con un gran sorso d'acqua. Il suo sguardo d'ambra sembra chiedermi ogni volta una cosa diversa, la paura e la diffidenza dei giorni precedenti già dimenticati. 
"Se continui a ingozzarti così ti strozzerai..." mormoro tracciando spirali nella polvere depositata sul tavolo.
Blaine deglutisce rumorosamente e, come al solito, risponde alla mia domanda con un'altra domanda. "Ma tu riesci a mangiare? O il cibo ti passa attraverso?" 
Gli lancio un'occhiata in tralice alla quale lui risponde con un drammatico "NON DIRMI CHE TI NUTRI DI SANGUE?" alla quale non degno neanche un cenno.
Blaine ridacchia e infilza l'ennesimo pezzetto di bacon. Provo con tutte le mie forze a mantenere un'aria seria per fargli capire che quella che ha posto non era esattamente una domanda educata, ma gli angoli della bocca mi si sollevano involontariamente. 
"No, seriamente, non mangi, vero? Credo sia impossibile, ma se la settimana scorsa mi avessero detto che i fantasmi esistono davvero e che non sono solo un'ossessione di mio padre avrei detto che anche quello era impossibile."  E Blaine continua e continua a guardarmi, come se non fosse mai sicuro di ritrovarmi qui ogni volta che batte le palpebre. 
"Posso vedere attraverso di te..." mi dice con lo stesso tono con cui i bambini si sussurrano i segreti. 
Non gli rispondo per il semplice fatto che non so cosa dire. Seppur lui non abbia fatto questa grande scoperta, sollevo in automatico una mano e mi fisso il palmo, osservando il legno della tavola che traspare dietro di essa, come se non me ne fossi mai accorto. "...tranne per i tuoi occhi."
I miei occhi?
"Cosa hanno i miei occhi?"
Blaine si sporge col viso sulla tavola, come se volesse guardarli da più vicino. "Tutto nel tuo corp... nella tua figura è di un bianco opaco, come se tu fossi un disegno a gessetto che qualcuno si è divertito a sfumare, ma i tuoi occhi no. Sono azzurrissimi." 
E allora son fortunato che non mi si arrossino le guance perchè al momento sembrerei un semaforo. 
Blaine solleva la mano e me la porge con cautela, stando attento a non colpire la confezione aperta di latte di fronte a noi. Ma come cavolo fà a passare da essere uno scemo a quest'aria adulta? Ho come l'impressione di essere più impressionato io da lui che lui da me.
Allungo la mia mano verso la sua a mezz'aria e lui mi fa un piccolo cenno col sopracciglio per incitarmi a congiungerle. Nel momento in cui le mie dita trapassano le sue sento l'ansia scoppiare come una bolla, lasciando spazio a un mare di delusione. Cosa pensavo che sarebbe successo?  
Noto un'ombra anche negli occhi di Blaine che mi guarda dispiaciuto mentre abbassa il braccio e si guarda i polpastrelli. "Sei così freddo."
* * *

Saranno passate ormai due settimane da quando Blaine e suo padre sono qui: con quest'ultimo non ho ancora avuta nessuna interazione civile, e non penso proprio che Blaine gli abbia parlato di me, eppure Whipstaff è talmente grande che riesco a evitarlo senza neanche impegnarmi. Del resto... non ricordo l'ultima volta in cui sono stato così felice. Da quando sono un fantasma, oltre a una grandissima confusione iniziale, ricordo solo un infinito mondo di apatia. Non esiste giorno e non esiste notte quando non puoi dormire. Non esiste domani, non esiste ieri se tutto quanto scorre inesorabilmente. 
Blaine ha cambiato tutto. Quando lui dorme è notte. Quando mi raggiunge in cucina è iniziato un nuovo giorno. Le settimane sono scandite da un calendario scarabocchiato in rosso. Quando mi lascia per andare a scuola ho il terrore di ricadere nell'oblio, e quando lo vedo tornare mi riempo così tanto di gioia che mi stupisco di non volare via come un palloncino. Amo porgli mille domande su come sta passando queste prime settimane di scuola, aiutarlo a ripetere le lezioni, giocare a scacchi mentre aspettiamo che il padre lo chiami per la cena. 
La sua presenza mi fa sentire vivo. Esasperato, nervoso, agitato, elettrizzato, triste, ma sempre vivo. 
Ho paura di quello che sento per lui. Un giorno suo padre capirà che a Whipstaff non c'è niente per cui valga la pena continuare le ricerche e se lo porterà via. 
Non potrei sopportare di vedere la mia camera senza i suoi oggetti sparsi ovunque. Ho un bisogno così disperato che resti con me che se non fossi già morto me ne sentirei morire.


Blaine questa mattina mi aveva avvisato che avrebbe fatto tardi per via di una riunione di classe, perciò quando sento il cancello del giardino cigolare sono ormai le sette di sera. Il portone sbatte dal piano di sotto e devo resistere alla tentazione di precipitarmi giù per la scalinata per andargli incontro. Nel momento in cui la sottile maniglia argentata si abbassa e finalmente lui entra in camera, i capelli ancora stuccati nel gel messo appositamente per la foto di classe e i vestiti un po' sgualciti, mi cerca subito con gli occhi e mi rivolge uno stanco ma bello, bellissimo sorriso. Con la mano cerca a tentoni l'interruttore della luce, facendomi rendere conto di essere rimasto al buio per tutto questo tempo, e inizia a slacciarsi la giacca a vento. "Ho un'altra caratteristica da far aggiungere a mio padre nel suo vendutissimo libro sugli spettri: la fosforescenza." 
Gli faccio il verso come se la cosa mi desse fastidio, ma temo che l'unica smorfia che ho stampata in faccia non sia una linguaccia infantile ma un sorrisone da ebete. Lo seguo quando si dirige al bagno e resto fermo sullo stipite della porta mentre lui si sfila il maglione e si sciacqua la faccia schizzandosi tutta la canottiera. "Come è andata la riunione?" chiedo cercando di distogliere lo sguardo da una goccia intenta a scivolare per il suo avambraccio nudo. 
"Bene, direi..." dice Blaine dopo aver sfilato la testa da sotto il getto d'acqua del lavandino. "Alla fine non c'era solo la mia classe, c'erano tutte le classi del nostro anno. A quanto pare in questa scuola ogni festa viene sempre organizzata da una classe a turno, e a noi tocca proprio la prossima, quella di Halloween." continua passandosi le dita bagnate tra i capelli per cercare di lavare via tutto quel gel dai suoi ricci. "Dovevamo cercare un posto dove tenerla, chiedere quanti e quali professori fossero disposti a partecipare per tenere tutto sotto controllo, trovare qualcuno per la musica, i decori... Più o meno era già tutto deciso, non essendo la prima volta che facevano una cosa del genere, l'unico problema era la location: la ragazza che gli anni scorsi aveva sempre dato disponibile il ristorante del padre si è trasferita e tutte le altre proposte erano o troppo care o troppo distanti per la metà degli alunni, così... così..."
Blaine continua imperterrito a fissarsi nello specchio e a occuparsi dei suoi capelli senza parlare guardandomi negli occhi, credendo forse che così non mi sarei accorto del tono nervoso con cui mi sta raccontando la sua giornata. Una vaga idea di dove vada a parare la faccenda mi salta subito in mente, ma io cerco di ricacciarla subito da dove è venuta. Ditemi che Blaine non l'ha fatto davvero. Ditemelo. 
"...così, ho detto loro che avremmo potuto festeggiare tutti quanti qui, a Whipstaff." 
Lo sapevo.
Alla fine lo stupido si volta verso di me, evidentemente timoroso della mia reazione. Non sono arrabbiato, non ho intenzione di sbraitargli contro o convincerlo ad annullare a tutti i costi la festa, ma mi sento così scocciato all'idea che Blaine non si sia confrontato con me prima di invitare almeno una settantina di adolescenti irresponsabili a casa mia. A volte sembra che si scordi del fatto che ho passato tutta la mia non-vita completamente solo, e che già la sua presenza è ancora una novità per me. 
Mi limito a rivolgergli un'occhiataccia stanca e biasimatoria. "Blaine."
"Lo so, Kurt, lo so, " fa quest'ultimo avvicinandosi, una luce diversa nei suoi occhi.
Per un attimo mi sembra davvero come tutti gli altri ragazzi; capriccioso, egoista, testardo. Allunga le sue mani verso le mie come se volesse stringerle, ma all'ultimo evita di toccarmi, probabilmente ricordandosi del fatto che mi trapasserebbe e basta. " ma mi farei un sacco di amici alla nuova scuola e papà smetterebbe di pensare che me ne sto tutto il giorno sempre in camera da solo. Continua a chiedermi se ha fatto qualcosa di sbagliato..." 
"Ne sono al corrente, Blaine, avrei solo preferito che tu prima me l'avessi chiesto..." gli dico mormorando. Blaine si sforza di spezzare la tensione tra di noi con una qualche stupida battuta su quanto potrei rimorchiare al ballo, riferendomi che una sua compagna sostiene di avere il fantasma della prozia chiuso in soffitta. Ridacchio solo perchè odio avercela con lui. Battute di pessimo gusto sui morti: il suo nuovo passatempo preferito. 
"Dimmi almeno che è una vera festa con della vera musica e dei veri balli dove la gente non si limita a saltellare sul posto." Lo prego ripensando a quegli orribili party trasgressivi che si vedono alla televisione. 
"Tranquillo, i partecipanti dovranno essere mascherati, eviterò che il punch venga corretto e mi assicurerò che ognuno torni a casa con il proprio accompagnatore, nessun maniaco seriale inaspettato..." mi rassicura con lo stesso tono di voce lagnoso con cui i figli si rivolgono alla mamma apprensiva. Esce dal bagno, si infila una magliettona presa da sotto il cuscino e si siede alla scrivania aspettando che io lo raggiunga e mi appoggi su di essa, come se ci fossi seduto sopra. Lui inizia a svuotare i cassetti alla ricerca di chissà che cosa e io approfitto della sua distrazione per chiedergli quello che mi preme davvero: "Chi porterai al ballo? O almeno, chi verrà qui per te?" 
Blaine smette di rovistare e mi lancia un'occhiata dal basso, l'accenno di un sorrisetto che gli prude l'angolo della bocca. Okay, forse non l'ho detto proprio col tono casuale che avevo sperato, ma comunque non sono così ovvio, dai! 
Il mio sguardo truce gli basta per convincerlo a tornare a fare quello che stava facendo e rispondere alla mia domanda senza pormene un'altra, come suo solito. "Prima...finita la riunione, un ragazzo della mia classe è venuto da me e me l'ha chiesto."
"E tu hai accettato?" Fingiti disinvolto, fingiti disinvolto, fingiti disinvolto
Blaine si ritira sù a sedere facendo roteare un flaconcino di crema tra le mani. "Non mi sembra di avere tutta questa vasta scelta a cui attingere. E poi lui è carino." 
Non riesco proprio a stare fermo; ho l'urgente bisogno di fare qualcosa tipo torcere le mani, mordicchiarmi le unghie, dondolare freneticamente le gambe. Devo chiederglielo. No, no, non devo, sarebbe solo umiliante. Ma devo, non posso non provarci nemmeno. Mi sollevo dalla scrivania e mi tolgo dal campo visivo di Blaine, cercando di schiarirmi le idee mentre lui inizia ad applicarsi un po' di crema sul viso. 
Mi basta guardare un attimo lui e quella sua matassa di ricci per convincermi. "Sono un ottimo ballerino..."
Blaine si volta subito, il sorriso trattenuto di poco prima ora gli scorrazza per tutto il viso rendendogli gli occhi grandi e brillanti e marcandogli le fossette. 
"...e non ho bisogno del costume." Mi sento un fascio di nervi e potrei iniziare a balbettare come un idiota da un momento all'altro. 
"Kurt," pronuncia il mio nome come se mi volesse ammonire, nonostante la sua espressione sprizzi soddisfazione da tutti i pori. Sicuramente se lo aspettava, o comunque gli era passato per la testa uno scenario simile, e io dovrei davvero avercela con lui per avermi dato per scontato, ma vederlo così sicuro di sè mi fa venire le farfalle nello stomaco. Ha i denti così bianchi. "Kurt, mi dispiace molto, ma tu non puoi venire al ballo con me... " continua a sorridermi mentre lo dice, come se volesse addolcirmi la cosa. Ignoro il magone che mi è immediatamente piombato sullo stomaco a quelle parole ripetendomi che me lo aspettavo, e sforzo un sorriso, come se stessi scherzando. Quando parlo la voce mi vacilla, così come la luce nello sguardo ambrato di Blaine. "E perchè no? Dopotutto è casa mia."
"Beh, ti mancano un po' di requisiti," inizia lui contando sulle dita. "La pelle, il riflesso..."
Sbuffo drammaticamente e gli dico che la fisicità è una cosa sopravvalutata con un'alzata di spalle, come se la mia proposta implicita non fosse altro che uno scherzo, una cosa detta tanto per dire. Un velo di tristezza copre i suoi bei occhi, ma Blaine finge di credermi lo stesso.


 

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Capitolo 2
*** Parte 2 ***


Ecco qui la seconda e ultima parte della storia! Spero vi piaccia (è la mia preferita u.u). Spero anche di tornare su EFP il prima possibile con la mia long klaine che sto ancora scrivendo, oppure con una qualche OS come questa, nel frattempo potete trovarmi sulla mia pagina fb e canale youtube "SilbySilby".
Mi farebbe taaaaaaaaaaaaaaanto piacere ricevere critiche costruttive e recensioni sulla storia! Grazie per averla letta!
A Rob, Caty, Andrea, Costy, Anto e Deb 
per essere delle persone così speciali <3 

Una delle cose che più preferisco di Blaine è il fatto che, qualsiasi cosa spiacevole possa accadere tra noi, nel giro di pochi minuti lui se la lascia completamente alle spalle, come se non fosse accaduta, e questa è una dote che fa veramente comodo, soprattutto per le persone come me che fanno figuracce una volta sì e l'altra pure. La nostra breve ed imbarazzante conversazione sull'eventualità che lui potesse venire al ballo con me è stata presto dimenticata e insieme ci siamo messi a buttare giù qualche idea su come poter decorare il salone principale. 
E' questo che facciamo più di tutto, io e Blaine: parliamo. Parliamo di ogni cosa, senza escludere nulla. Sono stato solo con me stesso per così tanto tempo che non riesco a farne a meno. Ho bisogno che qualcuno sappia la mia opinione, come la penso su certe cose, se preferisco il buio o la luce, la luna o le stelle.
In particolare di quest'ultima cosa stiamo parlando adesso. Il signor Anderson è fuori con un paio di amici per una birra e prima di uscire si è assicurato che Blaine gli promettesse che non sarebbe uscito da Whipstaff nemmeno questo sabato sera. Neanche lui ha particolarmente apprezzato che il figlio abbia proposto il maniero per tenere la festa di halloween senza il suo permesso, ma non ha avuto il cuore di costringerlo ad annullarla, così si è accontentato di limitare le sue uscite nel fine settimana. Io non posso che dargli ragione, ma il faccino annoiato di Blaine che cerca di distrarsi facendo rotolare la gomma sulla scrivania mentre studia mi fa troppo pena. Dopo neanche venti minuti gli dico di infilarsi la giacca a vento e di seguirmi: lui prova a dirmi, giusto per tentare di essere fedele alla promessa fatta al padre, che dovrebbe restare in casa, ma si sta già allacciando le stringhe delle scarpe. Insieme attraversiamo corridoi e saliamo scalinate per tutta Whipstaff, accendendo e spegnendo luci durante tutto il nostro passaggio. Ridiamo al pensiero che dall'esterno potrebbe sembrare che i vetri delle finestre illuminate si rincorrano in una sequenza complicata. Ogni tanto mi fermo per far riprendere fiato a Blaine che continua a chiedermi dove stiamo andando. Io non gli rispondo e lo porto sempre più sù, sempre più sù, fino a quando non raggiungiamo la soffitta.
Le assi del pavimento cigolano e si inarcano sotto il peso di Blaine che continua a guardarsi intorno mentre io attraverso l'ultima porta. Sento i passi di Blaine dall'altra parte rallentare fino a fermarsi completamente, il trambusto di colori e risate ora messi a tacere nello stesso modo in cui una candela viene spenta dopo essere stata coperta da un bicchiere. Con qualche colpo secco per sbloccare la serratura arruginita, Blaine riesce ad aprire la pesante porta un po' a fatica e subito la mascella gli cade. 
Ho scoperto l'estremità più alta di Whipstaff un giorno per sbaglio e da quel momento l'ho sempre considerata il mio posto preferito; appena varcata la porta si rischia subito di inciampare nel primo scalino di una stretta gradinata che ti costringe a portare lo sguardo verso l'alto. Già da quella posizione si intravede il cielo. Probabilmente sarà stato lo sbaglio di un qualche architetto o muratore che avrà fatto male i suoi calcoli e sarà stato costretto ad interrompere la costruzione di una torre, limitandosi a pavimentare il lavoro già fatto e a lasciarlo così, senza pareti, senza soffitto, una semplice ringhiera di ferro attorno, come se fosse un balcone a tutto tondo.
Guardo Blaine che, con la stessa espressione trasognata che sicuramente avrò avuto anche io quella prima volta, sale i gradini uno per uno facendo scivolare il braccio sul corrimano senza staccare gli occhi dal soffitto di stelle che ha sopra di sè. Appena mi raggiunge sulla superficie piatta sembra trattenere il fiato dall'emozione. Oppure soffre di vertigini e rischia di farsi venire un attacco di panico per colpa mia. 
Una brezza leggera gli sparpaglia i ricci neri, facendomi notare che effettivamente sta tirando il vento, e Blaine si tira il cappuccio sulla testa per coprirsi le orecchie dal freddo. Ammira a bocca aperta tutto il giardino sotto di sè, tutti gli alberi secolari smossi anch'essi dal vento, tutte le case di città che appaiono piccole e luminose nella lontananza, ascolta il fruscio delle foglie, i lamenti di qualche animale selvatico, il sibilo del vento. E poi il cielo. Il cielo ricoperto di secchiate di tinta nera, sprazzato da macchie violastree e punteggiato da centinaia di migliaia di stelle. Il signor Anderson aveva spesso raccontato a Blaine delle notti passate in montagna, dove si è lontani dalle luci artificiali delle città e ogni stella, anche la più lontana, la più piccola, faceva capolino nella volta celeste, ma non aveva mai avuto occasione di portarcelo. 
Io guardo Blaine, Blaine guarda la notte e la notte guarda noi. 
Vorrei tanto poter entrare nella sua testa, sapere cosa ne pensa. Mi sento così nervoso ad averlo qui, come se questo posto così solitario, così alto da far dimenticare tutto mi rappresentasse: l'unico luogo in cui ogni cosa si rimpicciolisce fino a diventare niente. Dove anche io posso essere niente senza sentirmi fuori posto.
Mi chiedo se anche Blaine, che in questo momento mi sembra così piccolo e giovane con la carnagione biancastra sotto la luce della luna, provi la stessa cosa. 
Dopo i primi minuti in cui gli lascio ammirare la vista in silenzio, Blaine si siede praticamente sul bordo della torre, una gamba da una parte e una dall'altra di una delle sbarre della grata mentre entrambe le mani sono ben strette al corrimano sopra la sua testa. Una parte di me si allarma immediatamente e gli raccomanda di non sporgersi. L'altra si chiede cosa succederebbe se la presa gli scivolasse dai palmi sudati e Blaine cadesse di sotto; diventerebbe anche lui un fantasma? Forse uno gentile come lui passerebbe subito la luce e io non avrei più occasione di incontrarlo...
I pensieri di Blaine non devono essere di una natura tanto differente dai miei perchè a un certo punto mi chiede: "Kurt, com'è morire?"
I suoi occhi ambrati sembrano neri tra le luci della notte, svuotati mentre fissano un punto indefinito del bosco. "Suppongo abbastanza doloroso per la maggior parte dei casi." 
Sembra confuso dalla mia risposta. "Come, non lo sai?"
"Non mi ricordo niente di quello che sono stato prima di diventare un fantasma, neppure come lo sono diventato."
Il suo viso si adombra. "Proprio niente di niente? Come si chiamavano i tuoi genitori, i tuoi amici? Quello che ti piaceva fare per passare il tempo?"
"Niente." rispondo con un sorriso amaro.
Dopo una ventina di minuti passati al freddo decidiamo di rientrare e, mentre scendiamo le scalinate che poco prima avevamo corso con tanta foga, ci pare anche di sentire lo sferragliare del cancello d'ingresso: il signor Anderson deve essere tornato. Blaine mi tiene come suo solito la porta per farmi entrare nella nostra camera, come se si scordasse che posso benissimo passarci attraverso, poi se la richiude dietro di sè con un tonfo. Nonostante non debbano neanche essere le undici passate mi pare esausto mentre si trascina verso il letto e si abbandona sulle coperte ancora arruffate dalla notte precedente. Fa lo sforzo di togliersi i vestiti per infilare il pigiama solo dopo che glielo ho chiesto, poi si raggomitola su un fianco per premere la faccia contro il cuscino. Visto che non mi sembra per niente disposto ad alzarsi da quel materasso senza prima averci dormito sopra almeno dodici ore di fila, mi occupo io di spegnere le luci del bagno e della camera, ma la stanza non piomba nel buio. La stessa luna che poco prima ci illuminava dalla torre ci illumina anche adesso passando dai vetri colorati delle finestre, come se le stessimo mancando troppo e lei avesse l'urgente bisogno di trovarci.
Faccio il giro del letto e mi sdraio alle spalle di Blaine fingendo di poter sentire le molle piegarsi sotto il mio corpo. Credo sia già piombato tra le braccia di Morfeo, quando mi chiede se secondo me è possibile che lui dimentichi sua madre. Non posso guardarlo in faccia ma sono sicuro che stia guardando la piccola fotografia incorniciata sul comodino da dove una donna tutta riccioli ci sorride spensierata mentre una manina che spunta da destra le porge un fiore. "No" gli rispondo, perchè è quello che penso davvero. Posso quasi vedere la foto prendere vita, un piccolo Blaine che entra nell'inquadratura tuffandosi tra le braccia aperte della madre e le incastra la margherita tra i capelli.
"E se è lei a dimenticare me?" la voce di Blaine è poco più di un sussurro, una crepa nel muro di silenzio di Whipstaff. 
Le mie stesse parole sul fatto che non ricordo niente della mia vita mi ripiombano addosso e mi tormentano, facendomi sentire terribilmente in colpa. Quel discorso valeva per me, non ho idea di cosa ricordino gli altri fantasmi, ma qualcosa mi dice che per Blaine qualsiasi legge per i non-viventi farebbe un'eccezione; la sua risata, i suoi sorrisi ampi, la luce nei suoi occhi...ti entrano tutte dentro, ti si legano al petto e restano lì. La signora Anderson non avrebbe potuto scordarselo neanche volendo.
" Nessuno potrebbe dimenticarsi di te." gli dico sicuro come non mai. Tanto meno io, vorrei aggiungere.
Mi sento così sopraffatto; il silenzio della camera mi urla nei timpani, la sua pelle bluastra alla luce filtrata dalle vetrate colorate. 
"Blaine, se fossi vivo...verresti al ballo con me?"  
In risposta mi arriva solo un mugolio assonnato.
Mi avvicino a lui e mi sollevo di poco, giusto per poter vedere se ha gli occhi chiusi. Le sue ciglia lunghe e scure sfiorano le guance soffici, il respiro gli si fa più pesante.
"Posso tenerti con me?" gli chiedo, la voce poco più che un sussurro. Mi sporgo e poso un bacio inconsistente sulla sua fronte per augurargli la buonanotte. E mentre io mi perdo a immaginare come sarebbe sentire veramente la sua pelle contro le mie labbra, Blaine si tira le coperte fin sotto il mento e mi chiede con la voce roca di sonno di chiudere le finestre. Ha freddo.
* * *

"Resta in camera nostra finchè non ti vengo a chiamare", è stata questa la richiesta che mi ha fatto Blaine dopo pranzo. Se ne è scomparso per un paio di orette ogni giorno della settimana, e a quanto pare è arrivato il momento per me di scoprire cosa abbia combinato alle mie spalle; mi guida su per le scale con un sorrisetto perennemente stampato in faccia mentre si volta verso di me per controllare che lo stia seguendo. Finalmente arriviamo all'ultimo piano e io inizio a chiedermi cosa avrà da mostrarmi Blaine di tanto importante nelle soffitte; tra scatoloni, bici e  vecchi mobili si vedono chiaramente le impronte delle scarpe di Blaine sul polverosissimo pavimento in assi. Quest'ultimo si dirige verso una delle tante porticine, l'unica a non essere ricoperta da strati e strati di ragnatele, e un attimo prima di abbassare la maniglia mi sorride, compiaciuto di vedermi così curioso. La porta si apre e subito veniamo investiti dalla luce del pomeriggio: il sole batte insistente su un paio di grandi finestre policrome aperte in una stanza circolare piena zeppa di oggetti. Il muro dipinto da tinte pastello è tappezzato di fotografie e cartoline, disegni e poster, mentre la mia attenzione viene quasi subito attirata da un grosso e prestigioso pianoforte all'angolo, spartiti e quaderni sparsi tutt'attorno. Un armadio enorme rivela al suo interno una marea di camicie, jeans, foulard, maglioncini e scarpe, rigorosamente ordinate per colore. Provo ad aprire i cassettoni di una grande scrivania per trovarci pile e pile di fogli ricoperti da una scrittura stretta ma leggibile. Sembra essere una storia.
...La mia storia. Quella che avevo scritto in terza media durante le ore di aritmetica! E per quel paio di stivaletti ho dovuto lottare contro una marea di gente durante il black friday! E come, come ho potuto dimenticare anche una sola nota degli spartiti di Les Miserables! 
Più mi guardo intorno più ricordo piccole e grandi cose del mio passato da vivo, la persona che ero e quella che sarei voluta diventare un giorno, e a dirigere tutto questo turbinio di emozioni c'è Blaine che mi guarda dallo stipite della porta, come se si tenesse da parte per lasciarmi protagonista di questo momento. I suoi occhioni, adesso di un intenso nocciola, mi guardano fieri e pienamente soddisfatti, mentre si allaccia le braccia al petto e solleva il mento. 
Si avvicina al pianoforte solo quando io gli faccio cenno di farlo, si accomoda sullo sgabello facendolo cigolare e posiziona le mani sopra lo strumento. Ricordo bene il momento in cui mi ha confessato di aver studiato musica in un paio delle vecchie scuole che ha frequentato; 
avevo sentito qualcosa, un senso di familiarità, un ricordo sul punto di sbocciare, come quando si ha una parola sulla punta della lingua che non si decide a formularsi. Le punta delle dita mi bruciano tanto quanto vorrei toccare quei tasti lucidi.
Blaine suona un paio di note per sgranchirsi le dita, poi rivolge il suo sguardo caldo su di me. "Qualche richiesta in particolare?" 
Il suo sorriso dolce mi fa accapponare la pelle. "Scegli pure tu...quello che sai suonare meglio." Mi rendo conto che il mio tono di voce è vagamente sognante, ma non posso evitarlo. Vorrei che questo momento pieno di sole, Blaine, tutti i miei oggetti e la musica del pianoforte potesse rimanere congelato con me. 
Dopo qualche minuto da quando Blaine ha preso a suonare gli sfioro le spalle per incitarlo a continuare mentre lascio la stanza. Dopo aver cercato in un paio di scatoloni faccio ritorno da lui e gli lascio scivolare addosso la manica bianca di una camicia. Blaine si blocca e la distende sul pianoforte toccando la stoffa liscia e osservando i merletti un po' ingialliti sul colletto. "E questa dove salta fuori?"
"Dev'essere appartenuta a qualche mio parente ... se ancora non hai trovato nessun travestimento sarebbe perfetta per la festa di halloween."
Blaine scavalca agilmente la panca del pianoforte per mettersi in piedi, si toglie la felpa e si infila la vecchia camicia tirandola per far passare la testa ricciuta senza slacciare nessun bottone. Le maniche troppo lunghe gli penzolano facendo spuntare solo le unghie, e per via della sua bassa statura gli sta piuttosto abbondante, arrivandogli a metà coscia. 
"Credo vada bene, no? O sono ridicolo?" mi chiede lisciandosi la stoffa sullo stomaco e girandosi per farsi vedere.
"E' halloween, anche se tu fossi ridicolo nessuno avrebbe il diritto di dirti niente." gli dico scostandogli i capelli dal viso, contento di riuscire a fare almeno questa cosa come se avessi un corpo. Blaine alza le spalle al collo mentre rabbrividisce e un lampo di consapevolezza gli passa attraverso gli occhi mentre mi fissa la bocca; non dice niente, si limita a guardarmi e a far finta di niente, sapendo che se alzasse l'argomento probabilmente mi metterebbe a disagio. Invece deglutisce e mi indica una vecchia cassa spinta contro il muro nell'angolo. "Quella non ero sicuro appartenesse a te..."
Blaine sgancia il lucchetto malandato legato da un misero pezzo di corda e mi lascia vedere cosa contiene all'interno: è un vecchio slittino in legno dall'aria ancora nuovissima nonostante si tratti di un modello vecchio. E ad un tratto ricordo.
"Questo...questo slittino me lo aveva regalato mio padre." Il mio cambiamento di umore deve essere stato abbastanza drastico perchè Blaine mi guarda corrucciando le sopracciglia. "Non sono mai stato il tipo di ragazzino che va fuori a giocare con gli altri nella neve, ma lui voleva tanto che provassi a farmi degli amici. Mi ero detto che ci avrei fatto almeno un paio di giri per farlo contento, ma ho preso freddo. All'inizio si trattava di una semplice febbre ma poi la cosa è degenerata. Il dottore non capiva cosa avevo, perchè non riuscivo a guarire. Più mi ammalavo più mio padre diventava triste." 
La voce mi si rompe e l'oppressione sul petto mi impedisce di finire di raccontare. Mi sento piccolo, vulnerabile. Non ho addosso la rabbia che pensavo avrei provato una volta ricordato l'accaduto, ho solo come questa pesantissima coperta di tristezza buttata sulle spalle. Nella testa mi rimbomba ancora la melodia suonata poco prima da Blaine.
Quest'ultimo mi si avvicina talmente tanto che se si muovesse di un millimetro mi trapasserebbe il braccio. Anche la sua voce è seria e piatta, come se si stesse sforzando di non piangere. "Com'è morire?"
Questa domanda me l'ha già fatta, ma adesso ho la risposta. Mai più che adesso mi rendo conto di essere morto. Sono morto. Non ci posso credere, non avrò neanche raggiunto la maggiore età che sono morto. 
Mi sforzo di pensare lucidamente, di mettere in linea le parole giuste per spiegare l'inspiegabile. I ricordi riaffiorano nella mia mente in continuazione senza che neanche io me ne accorga, come quando si continua a conoscere il testo di una canzone a memoria dopo non averla ascoltata per anni. "E' come nascere, solo al contrario. Ricordo...di non essere andato dove sarei dovuto andare. Sono rimasto indietro, così mio padre non sarebbe stato solo."
Blaine tira su col naso e si china sulla cassa per raccogliere qualcosa che sta sul fondo, sotto lo slittino. Ne vengono fuori decine e decine di ritagli di giornali ingialliti e sgualciti dal tempo che Blaine distende dalle pieghe e inizia a leggere. Non ho bisogno di chiedergli di farlo ad alta voce per sapere cosa c'è scritto. Hummel afferma di aver visto il fantasma del figlio. Attività misteriose al maniero di Whipstaff. Diciassettenne muore, il padre inventa una macchina della resurrezione per riportarlo in vita. 
...Il Lazzaro! 
Blaine si volta verso di me nello stesso momento in cui io mi volto verso di lui, la stessa luce incredula negli occhi.
"Kurt, dov'è la macchina che ha costruito per te tuo padre? Può davvero farti risorgere? Davvero?" 
Il mio cervello spara trecento pensieri al secondo risultando impossibile da starci dietro e rispondergli. Mi limito a dirgli di seguirmi e ci precipitiamo giù per le scale, fino alle cantine di Whipstaff.

* * *

In una grande nuvola di vapore la porta del Lazzaro si spalanca con un rumore metallico. Ne esce a fatica il signor Anderson in carne ed ossa, le gambe traballanti e instabili come se avesse dimenticato come si fa a camminare. Si guarda intorno spaesato per poi soffermarsi sulla figura di Blaine che corre verso di lui e gli butta le braccia al collo piangendo.
Appena un paio di orette fa io e Blaine abbiamo trovato il laboratorio di mio padre e con esso il Lazzaro, questo enorme macchinario tutto leve, pulsanti luminosi e sirene che accerchiano una specie di cabina di metallo. Non potevo credere a quello che stava succedendo, non potevo credere di avere un'ultima e sola opportunità di vivere. Trattenendo a malapena l'entusiasmo siamo riusciti ad azionarlo, ed ero sul punto di entrare nella cabina e dare inizio al processo quando abbiamo sentito degli schiamazzi; il fantasma del signor Anderson entrò urlando nel laboratorio fluttuando a quella che credo sia la massima velocità che uno spirito possa raggiungere. La linea marcata della sua mascella era ancora vagamente visibile ed anche gli occhi nocciola, ma per il resto era irriconoscibile. Si sarebbe detto che era ubriaco, completamente impazzito  e inabile di sentire i miei richiami. Blaine si era immobilizzato. Teneva gli occhi vitrei fissi sul padre, i muscoli rigidi e il respiro bloccato in gola. Dopo un tempo che era sembrato infinito aveva iniziato a chiamarlo e a chiedergli di fermarsi, cercando di farsi riconoscere. Quando esso gli rispose ridendo che non aveva mai avuto figli Blaine mi guardò con gli occhi iniettati di sangue e lacrime, la linea delle labbra dura. Nessuno potrebbe dimenticarsi di te. 
Alla fine siamo stati costretti a forzare il signor Anderson dentro la cabina del Lazzaro, azionare il macchinario e aspettare. Ogni istante in cui la macchina ha sbuffato fumo o ha fischiato sembrava corrodere Blaine che non aveva smesso di piangere per un attimo. Continua anche adesso, stretto tra le braccia del padre che continua ad accarezzargli la schiena con le sue ampie mani, anche se suppongo siano lacrime di sollievo. I due si separano solo quando un vago trillo del citofono inizia a suonare insistente, probabilmente dopo essere stato coperto a lungo dai rumori del Lazzaro. Guardo Blaine con addosso la mia vecchia camicia, guardo i suoi occhi gonfi e rossi, guardo i suoi capelli ricci attaccati alla fronte e lo trovo ancora dannatamente bello. E io sono ancora dannatamente morto. Non mi pento e non mi pentirò mai di aver ceduto il posto che mi spettava al signor Anderson, ma non posso fare a meno di sentirmi a pezzi. Semplicemente doveva andare così. Blaine ha più bisogno di un padre che di un amico.
"La festa sta iniziando senza di te" gli dico tenendo gli occhi fissi sul pavimento. Non voglio che si senta minimamente in colpa o in debito per quello che ho fatto.
Blaine apre bocca per rispondermi ma poi si blocca. Deve aver realizzato. "Non inizierà se io non aprò la porta agli invitati." mi dice sospirando. Mi passa di fianco e scompare su per le scale, subito seguito dal padre. 
                 
            * * *
Il salone di Whipstaff è gremito di gente in maschera intenta a ballare, e l'insopportabile musica hause che stanno sparando a tutto volume si sente addirittura dalla soffitta. Guardo i tasti candidi del pianoforte nella speranza che si suonino da soli e che mi facciano un po' di compagnia, o che almeno mi distraggano dall'immagine mentale che ho di un Blaine spensierato intento a prendersi la sua prima sbronza mentre balla appioppato a una persona qualsiasi. Chiudo gli occhi dicendomi che li riaprirò solo a festa finita ma sono costretto a riaprirli quando il suono limpido e cristallino di un "sol" mi coglie alla sprovvista. In un primo momento penso sia Blaine che, mosso da compassione, è venuto a vedere come me la passavo, ma non si tratta di lui; la donna che ho davanti agli occhi ha lo sguardo dolce e una cascata di capelli ricci. Ha un'aspetto evanescente e luminoso come quello dei fantasmi, ma le gote e il vestito piene di colore. "Sei la madre di Blaine? Sei...sei un angelo?" 
Che strana parola "angelo". Suona sbagliata nella mia bocca.
"Hai fatto davvero una cosa nobile, Kurt. Blaine ha già perso me, non può perdere anche il padre. Non così presto." Anche la sua voce mi ricorda quella di Blaine. Ha quel non so che di vellutato, di gentile. "Voglio ricambiare almeno in parte il favore."
La situazione appare totalmente surreale anche ai miei occhi. Credo di sapere cosa intenda, ma date le precedenti delusioni mi impedisco di sperarci veramente. "Mi farai tornare in vita?"
I suoi occhi brillano mentre mi sorride e allunga un braccio per sfiorarmi i capelli. Non è come con i vivi, con cui semplicemente non sento niente; entrare in contatto con lei è come essere accarezzati da una brezza calda e leggera.
"Ti darò una sera e una soltanto. Mi dispiace non poterti concedere di più."
Cerco ancora di reprimere quel senso di speranza che si sta facendo spazio a gomitate nel mio petto. "Come in Cenerentola?"
Lei ride senza malizia, divertita dal mio paragone. "Già, proprio così. Solo che il tuo incatesimo scade alle undici in punto. Non voglio che tu faccia far troppo tardi al mio bambino."
Sono seriamente sul punto di sottolineare che Blaine non è più un bambino e che ovviamente non andrà a letto prima dell'una di notte, ma il fatto che sua madre approvi una presunta relazione tra me e lui mi convince a non obbiettare.
E mentre penso questo, tutto diventa nero. 



Nel momento in cui riesco a raggiungere la balconata che da su quella che è stata battezzata come pista da ballo il dj mette su un lento. Mentre mi tengo stretto alla ringhiera osservo dall'alto decine di coppiette stringersi tra di loro per dondolare sulle note della canzone. Devo ammettere che la sala principale di Whipstaff con quella sua aria gotica e misteriosa, è proprio giusta per una festa di Halloween. 
All'inizio non riuscivo neanche a stare in piedi, come se le mie gambe fossero un paio di pantaloni troppo larghi su cui continuare a inciampare, ma ora va decisamente meglio; le ginocchia mi tremano e i piedi mi formicolano ogni volta che ci appoggio il peso sopra. Ho un corpo. Ho davvero un corpo. Posso toccare la ringhiera. Posso percepire quanto è fredda. Respiro.
Aspettando che la testa mi smetta di girare (che sensazione fantastica) cerco Blaine tra le persone in pista; sono stato così sopraffatto dall'opportunità di poter vivere di nuovo che non ho pensato a quello che sarebbe successo dopo. E se Blaine non mi avesse riconosciuto? Se avesse preferito passare la serata con il suo accompagnatore? Cosa avrei fatto? Ho un terrore assurdo che Blaine si sia appartato con lui e che io non riesca a trovarlo entro le undici. 
La mia mente troverebbe benissimo altri mille scenari tragici, ma finalmente vedo Blaine: se ne sta seduto da solo in disparte in una delle sedie a ridosso della parete, le mani che giocherellano col colletto in pizzo, gli occhi piantati a terra e l'aria annoiata. Lui è lì ed io sono qui. Ci sono davvero.
Tenendomi alla ringhiera inizio a scendere la scalinata, ogni passo meno traballante del precedente man mano che prendo confidenza con il mio corpo. Ogni scalino riduce la distanza tra me e Blaine, ogni scalino è un colpo al cuore. Quando i mocassini che non mi ero accorto di portare toccano il marmo del pavimento sono abbastanza sicuro che potrei morire di nuovo in questo esatto momento. Al mio passaggio le coppie in pista si spostano, mormorano tra di loro e un paio di ragazze mi lanciano spudoratamente qualche occhiata. In un altro momento mi sarei chiesto se per caso non stessi occupando il corpo sbagliato, oppure se per caso il mio naso non aveva iniziato a sparire precocemente, ma non potrebbe importarmene di meno. Ad ogni persona che si scosta riesco a vedere sempre meglio Blaine, come se esistesse solo lui al mondo. Non mi è neppure passato per l'anticamera del cervello di passare questo poco tempo che mi resta da vivo se non in sua compagnia.
Trattenendo il respiro mi presento davanti a lui e gli porgo la mano per invitarlo a ballare. Avevo pensato a qualche battuta sarcastica per entrare degnamente in scena e farmi riconoscere, ma il fiato mi si è mozzato in gola e non riesco a proferire parola. Lo sguardo ambrato di Blaine si schioda dal pavimento e fluttua su di me, un'espressione interdetta sul viso. Allaccia i suoi occhi ai miei solo dopo essersi guardato intorno con discrezione per appurare che non mi stessi rivolgendo a qualcun altro. Sembra pensarci sopra un attimo ma poi si decide e solleva la mano per prendere la mia ed alzarsi dalla sedia. Non posso evitare di intrecciare le mie dita fredde alle sue calde, mentre lentamente guido Blaine verso la pista da ballo. Sento i fuochi d'artificio. Siamo pelle contro pelle. La sua mano non trapassa la mia, anche se la stringe timidamente. Mi fermo solo una volta arrivato al centro della stanza dove la musica sembra più alta e la gente accalcata ci costringe a stare più vicini. Blaine si posiziona di fronte a me e appoggia le mani sulle mie spalle, facendomi notare la differenza d'altezza tra noi due. Automaticamente le mie mani volano sui suoi fianchi asciutti. Gli occhi profondi di Blaine mi scrutano il viso in ogni sua parte senza vergogna, soffermandosi ogni volta sugli occhi. Mi torna alla mente uno dei primi momenti in cui ci siamo conosciuti, quando mi aveva detto di riuscire a vedere solo i miei occhi azzurri con chiarezza. 
Un sorriso imbarazzato mi affiora involontario e lui contraccambia subito soffocando una risata nervosa che sfuma quando, raccolto tutto il coraggio che io abbia mai posseduto, gli sposto le mani dalle mie spalle per lasciare che me le allacci al collo e gli appoggio con più sicurezza i palmi sulla schiena per attirarlo a me. Non mi importa se non mi riconosce, ho solo bisogno di sentire il suo corpo contro il mio per una prima ed ultima volta. 
Dondoliamo sul lento da un paio di minuti quando Blaine distoglie per la prima volta gli occhi dai miei e sobbalza, notando che tra noi e il pavimento c'è un metro buono. La cosa avrebbe colto di sorpresa anche me se Blaine non si fosse immediatamente ancorato a me, spaventato dall'idea di cadere. Il suo naso è a un centimetro dal mio, le sue braccia sulle mie spalle, la sua guancia arrossata mi sfiora la mandibola. La sua espressione stupita mi fa ridacchiare mentre con il braccio gli circondo ancor di più la schiena, riempendomi i polmoni del suo profumo. 
"Ti avevo detto di essere un bravo ballerino..." gli dico sorridendo da quella distanza ravvicinata. Ancora una volta non voglio che tutto questo finisca, non voglio tornare ad essere un fantasma. Blaine è tutto quello che ho. Ho bisogno di sapere che lui resterà. "Posso tenerti con me?"
I suoi occhi si spalancano all'inverosimile, le ciglia lunghe e scure gli sfiorano le sopracciglia. "Kurt?" mi chiede senza voce. Rispondere a una mia domanda con un'altra domanda: ormai non mi dà neanche più fastidio.
Non faccio in tempo ad annuire che Blaine mi si getta addosso e mi stringe tanto forte da farmi male. Mi conficca le unghie nella pelle, mi accarezza le scapole e nasconde il viso tra l'incavo del mio collo e la spalla, respirandomi direttamente sulla pelle. Le sue dita tirano leggermente i capelli sulla mia nuca e si incastrano lì. Sono incapace di fare qualsiasi cosa se non tenerlo stretto a me con la stessa foga, continuando a dondolarmi sulla musica lenta, come se ci stessimo cullando.
Voglio soffocare tra le sue braccia per sempre.
Peccato che la scadenza del mio per sempre si fa sentire con un primo forte e sonoro rintocco: dall'altra parte della stanza l'enorme orologio a pendolo segna le dieci e cinquantanove. Al secondo rintocco alzo la testa dai ricci di Blaine e fisso le lancette, pregandole con tutto me stesso di rallentare. Il terzo rintocco mi rimbomba nella cassa toracica, divertendosi a prendermi in giro.
Anche Blaine solleva il capo probabilmente chiedendosi perchè mi sto distraendo da qualsiasi cosa non fossimo noi. Al quarto rintocco il mio sguardo viene nuovamente calamitato sul suo che non si è staccato per un solo secondo da me. Nel momento in cui il quinto rintocco ci coglie impreparati mi chino su di lui e guardandoci un'ultima volta negli occhi, l'ambra nel celeste, io e Blaine ci baciamo. 
Il tempo si protrae facendo sembrare i pochi secondi in cui le labbra piene e calde di Blaine sono contro le mie infiniti. L'orologio a pendolo suona l'ultimo rintocco, il decimo, e le sue braccia mi scivolano giù dalle spalle, facendogli aprire gli occhi, e io so di essere di nuovo un fantasma.
La gente intorno a noi mi vede ed inizia ad urlare e a correre verso l'ingresso innescando una reazione a catena. Nonostante il fuggi fuggi generale di adolescenti in maschera io e Blaine rimaniamo fermi immobili sulla pista uno di fronte all'altro, inermi. Lo sguardo affranto e le lacrime che minacciano di scivolargli giù per le guance sono tutto quello che riesco a vedere. Blaine non sapeva del patto fatto con sua madre, non sapeva che c'era una fine prestabilita. Continua a fissarmi come se cercasse un ultimo lembo di pelle concreta a cui aggrapparsi, ma non può vedere altro che aria. 
Restiamo uno di fronte all’altro senza dire una parola per quella che pare un’eternità. Ormai tutti i compagni di scuola di Blaine sono scappati via dall’ingresso principale, i loro schiamazzi udibili dal grande giardino, subito seguiti da decine di rombi di motori e sgommate per il vialetto. La sala di Whipstaff è rimasta seminata da decine di striscioni, bicchieri in plastica, patatine e popcorn schiacciati. Sento di dovergli dire qualsiasi cosa pur di rompere quel silenzio, scusarmi probabilmente, dirgli che mi dispiace, ma non riesco a dirglielo. Una parte di me è incredibilmente arrabbiata con Blaine per quello che mi sta mostrando adesso: ci siamo baciati, questo dovrà pur significar qualcosa, no? Perché dovrebbe provare sentimenti diversi in base al mio avere o non avere un corpo? L’altra parte lo capisce, eccome se lo capisce.
E mentre io penso tutto questo lui continua a starsene lì con quelle guance arrossate e le lacrime che gli colano sul mento a guardarmi con aria tradita. Sono sul punto d’ implorarlo di parlarmi quando lui scuote un paio di volte la testa ricciuta, si gira e corre su per la scalinata senza voltarsi indietro. 
Dovrei andargli dietro? Spiegargli come sono andate le cose? Forse vuole solo che io lo raggiunga per parlarne con più calma in un posto che ci appartiene…
Il fragoroso sbattere della porta in lontananza risponde a tutte le mie domande. 
* * *

Non soffia un alito di vento questa notte sulla torre di Whipstaff. Gli alberi non ondeggiano come la prima volta che ci ho portato Blaine, e la luna è coperta da quelle che credo siano nuvole. La festa di Halloween è “finita” più o meno quattro orette fa e la mia rabbia nei confronti di Blaine è completamente sbollita. Verso l’una di notte mi sono presentato davanti alla porta di camera nostra e, non riuscendo a bussare, ho provato a chiamalo ad alta voce. Blaine non rispondeva, così sono entrato lo stesso nella stanza e l’ho trovato addormentato in posizione fetale sul letto ancora fatto. L’immagine di lui che entra nella stanza dopo aver sbattuto la porta, di lui che si butta sul letto piangendo e che poi finisce per addormentarsi mi tormenta, i momenti bellissimi vissuti poco prima già ridotti a un lontano sogno.  

Più lo guardavo dormire, le palpebre che ogni tanto tremolavano, l’ombra delle lunghe ciglia sulle guance, i ricci che gli ricadevano sulla fronte, le dita da pianista che stringevano flebilmente l'orlo della coperta, più ogni tipo di rancore che serbavo nei suoi confronti spariva lasciando spazio solo al silenzio. Un silenzio che mi apparve eterno. Un silenzio pieno di significato, un silenzio che dice più di tutto. 
Ed ora che sono qui a guardare Whipstaff e tutti i suoi territori dall'alto, capisco che è l'ultima volta che lo faccio. Non infesterò più questo posto. Sono in pace con me stesso. Mi è stata data l'opportunità di fare quel che la mia morte prematura mi aveva impedito in vita. Posso dire di essermi innamorato. Posso dire di essere stato amato a mia volta. Credo, o almeno spero. Ma più di tutto spero di riuscire a mantenere fede alla mia parola e di ricordarmi Blaine in tutti i suoi aspetti negativi e positivi. E spero che anche lui si ricordi di me, nel bene o nel male. Spero che lui e suo padre si trasferiscano in una casa definitiva, magari un bell'appartamento in una qualche grande città, visto che dopo la mia apparizione tutti quanti compreranno il libro del signor Anderson. Blaine si farà tanti nuovi amici con cui vivrà tutte le esperienze possibili ed immaginabili. Incontrerà una persona speciale con cui desidererà per la prima volta passare il resto della propria vita. E chissà che lavoro andrà mai a fare, uno squinternato come lui! Non credo proprio che si lascerà ingabbiare in un ufficio qualsiasi, deve essere qualcosa di importante, qualcosa che lo faccia tornare a casa stanco ma soddisfatto. Sarà il tipico padre che vizia sempre troppo i figli. Scommetto che soffrirà di calvizia precoce se continua a mettersi tutto quel gel per le occasioni importanti. Diventerà uno di quei vecchietti scorbutici che alla prima occasione si rivelano piene di tante cose da raccontare. Chissà se avrà mai voglia di raccontare a qualcuno la nostra storia...
Tutto intorno a me sta venendo inesorabilmente assorbito da un bianco accecante. 
E' buffo, penso con il mio ultimo sorriso sulla bocca. Ho implorato Blaine di restare con me solo per poi andarmene senza salutare. 
 
Blaine

Dal momento in cui questa mattina ho aperto gli occhi sapevo che c'era qualcosa che non andava. Accoccolato nel letto, sommerso tra coperte e sole, l'aria sembrava più leggera, più pura della notte prima. Mi sono girato sapendo che Kurt sarebbe stato dietro di me, gli occhi chiusi e il capo sul cuscino, come se avessimo effettivamente dormito insieme. Eppure non c'era. 
Ho pensato che avesse preferito lasciarmi i miei spazi dato quello che era successo, così ho ignorato la cosa e mi sono diretto giù per le scale, fino alla cucina. Ho mangiato qualcosa in solitudine, mio padre disperso chissà dove. 
Al suo ritorno mi ha buttato sul ripiano della cucina il giornale locale, probabilmente ancora fresco di stampa dato l'odore di inchiostro. Ho smesso di fare i piatti e mi sono seduto per darci un'occhiata. Quando i miei occhi sono caduti sul titolo a caratteri cubitali in prima pagina sono schizzato in piedi e sono corso in camera nostra, sperando di trovarci Kurt. 
Non era lì.
Stavo iniziando a preoccuparmi seriamente, così ho abbandonato il giornale sulla scrivania e mi sono messo a correre come un dannato per ogni stanza, cercando in ogni angolo del maniero, nelle cantine, nelle soffitte, addirittura dentro il Lazzaro, un terribile sospetto che cresceva a ogni stanza vuota dove lo cercavo. Così ora me ne sto in cima alla torre ad aspettarlo, sperando che lui sappia di trovarmi qui. Non so più cosa pensare di quel che è successo ieri: era vivo, era vivo e io l'ho toccato, l'ho stretto, e non so se è per qualcosa che ho sbagliato io, ma fatto sta che non sono riuscito a trattenerlo con me. Nel giro di un secondo lui se ne era andato, lasciandomi solo con il suo fantasma. Mi sento a pezzi, sconfitto. E' come se nel momento in cui ieri ho baciato Kurt avessi trovato tutti i pezzi di me, tutti i cocci, la parte complementare di qualcosa che non sapevo fosse incompleto. Mi sono abbandonato a lui con quell'unico gesto, in me la speranza crescente che fosse tornato per restare, ma non è andata così. 
Afferro il giornale e me lo srotolo sulle gambe, temendo che il titolo sia ancora lì. "AVVISTAMENTO DI FANTASMI A WHIPSTAFF: SCHERZO DI HALLOWEEN O VERE APPARIZIONI?" scritto a caratteri cubitali e sotto, scritto in piccolo, c'è il numero della pagina a cui si deve andare per poter leggere l'articolo. Scorro velocemente le pagine e trovo quella che mi interessa, accompagnata da una foto del maniero agghindato per la festa. E sotto, sotto a un lungo articolo pieno di parole che non ho intenzione di leggere con tanto di piccole testimonianze sottolineate col grassetto, c'è stampata una fotografia in bianco e nero di due ragazzi al centro della pista, uno dei due, quello più alto, evidenziato da un cerchio aggiunto probabilmente al computer in un secondo momento. I loro piedi mancano il pavimento di qualche centimetro e i loro corpi abbracciati sembrano una cosa sola. Sono così inglobati tra di loro che non si capisce a chi appartengano i capelli scuri e a chi quelli chiari o di chi sia quel lembo di camicia bianca e quel mocassino lucido.
Mi metto seduto a gambe incrociate sulla fredda pietra del maniero, qualche uccellino in lontananza che fischietta nonostante il cielo nuvoloso. Una lacrima salata mi riga la guancia e finisce sulla carta, ma le lettere non si sfumano. Me la strofino via con le nocche della mano, facendo grandi respiri per impedire al panico di prendere il sopravvento.
Non so quanto tempo passo a stringere i denti, a trattenere senza successo singhiozzi che mi scuotono il petto, a deglutire e a piangere senza ritegno. Non so come sia successo, ma sono pienamente cosciente del fatto che se ne sia andato, scoppiato come una fragile bolla di sapone. 
Se ripenso alle sue braccia strette intorno a me, alla mia fronte sul suo collo, mi sembra di assistere al sogno di qualcun altro; un bel ragazzo castano che, durante una noiosa festa di halloween, chiede ad uno sconosciuto di ballare con lui. I due ballano per tutta la notte, non sentono il click della macchina fotografica, non vedono il flash. Appena scattata la foto i due ragazzi si baciano. Quando l'orologio fa le undici non ci fanno neanche caso, troppo presi l'uno dall'altro. Spero che dopo si siano fermati a prendere qualcosa da bere dal bancone allestito appositamente per i drink e siano andati a passeggiare nel vasto giardino di Whipstaff. 
Magari sono ancora là; hanno passato tutta la notte a conoscersi e a parlare ininterrottamente,
 si sorridono, si tengono per mano. Se chiudo gli occhi sento il loro vociare tra gli alberi, perfino da quassù. Forse dovrei riprenderli, dirgli di parlare più piano visto che è comunque una giornata feriale e la gente dorme fino a tardi.
Sento ogni battuta, ogni confessione. Quando sono sul punto di sporgermi per sgridarli sento l'ennesima domanda data in risposta ad un'altra domanda. Il ragazzo castano si lamenta scherzosamente di questo fastidioso modo di fare dell'altro, e quest'ultimo ridacchia. 
Sembrano così felici e spensierati che decido di rientrare nel maniero per lasciarli alle loro chiacchiere, le loro risate che mi risuonano nelle orecchie mentre scendo le scale. 
Strappo con cura la fotografia e me la infilo in tasca, gettando il resto del giornale per terra. Chiamo mio padre e gli dico di fare le valigie. Mi si spezza la voce quando gli dico che non c'è più nessun fantasma da cacciare qui.
I'll make a wish for you
and hope it will come true
that life would just be kind
to such a gentle mind.
If you lose your way
think back on yesterday
remember me this way
remember me this way






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