Kuroshitsuji II

di Ecila2000
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La ragazza che ingannò il demone ***
Capitolo 2: *** Un nuovo nome ***
Capitolo 3: *** Contratto ***
Capitolo 4: *** Racconti di Mezzanotte ***
Capitolo 5: *** Undertaker ***



Capitolo 1
*** La ragazza che ingannò il demone ***


 

La ragazza che ingannò il demone

 


Era una gelida sera di ottobre e il vento sferzava gli sporchi capelli della ragazza pallida e dolorante.
La capigliatura bionda con le punte ramate della fanciulla si spostava alla minima brezza che le colpiva e il viso di lei era contratto in un’espressione di dolore.
Era ferita, e anche profondamente e il sangue le aveva macchiato l’abito nero che un amico le aveva prestato.
Stava in attesa, attenta al minimo rumore.
Sapeva che stava arrivando, sapeva che presto l’avrebbe trovata, lo sapeva, ma il pensiero non la spaventava.
L’idea che forse il suo piano non avrebbe funzionato non le aveva neanche minimamente sfiorato l’anticamera del cervello, perciò se ne stava tranquilla, seppur sofferente, appoggiata al tronco dell’albero su cui si era arrampicata.
Stringeva spasmodicamente tra le dita l’unico arnese che le serviva per procedere con la sua strategia: una pistola con un solo colpo che aveva custodito gelosamente come se fosse la sua vita.
Per giorni aveva girato per Londra, cercando l’unico negozio in cui nessuno sarebbe mai entrato: quello di un becchino.
“Undertaker” diceva l’insegna e appena l’aveva vista era entrata senza esitazione.
Non era servito nessun pagamento sostanzioso per il servizio che lo strano proprietario del negozio aveva fornito alla giovane.
Solo una cosa, però, aveva voluto l’uomo: una ciocca di capelli della giovane, la quale non aveva minimamente tentennato quando aveva preso le forbici e poco dopo, era uscita armata e con una fasciatura malconcia che non aveva resistito per molto, anzi, aveva ceduto dopo un paio d'ore lasciando scoperta la ferita che l'abito succinto metteva in mostra.
Il vento le fischiava nell’orecchio coprendo molti suoni, ma lei distinse chiaramente il rumore che tanto aspettava: piccoli passi veloci e leggeri, quasi impercettibili se non al suo udito molto sviluppato.
Alzò la revolver verso il punto il cui il suo bersaglio sarebbe sicuramente passato e senza esitazione premette il grilletto.
Il rinculo dell’arma le fece partire il braccio all’indietro sbattendolo contro il tronco di legno, ma lei non se ne curò e rimase con gli occhi fermi dove una figura in nero era comparsa.
Un sorriso comparve sul volto della ragazza che rinfilò la pistola tra gli sbuffi della gonna nera.
-Allora è vero- esclamò lei continuando a osservare il giovane uomo.
Era alto, slanciato e il suo aspetto era assolutamente affascinante.
Completamente in nero e con un paio di guanti bianchi, Sebastian Michaelis guardava col cipiglio alzato la giovane donna che se ne stava tranquilla a sette metri da terra sul ramo di un albero.
-Non capisco Milady, di cosa parlate?- chiese il mero maggiordomo, senza muoversi di un millimetro e mantenendo un sorriso cordiale.
-Che Ciel Phantomhive ha stretto un patto con lei, signor Michaelis, un demone-corvo- disse malignamente la bionda.
Lo sguardo dell’uomo si incupì all’istante e il proiettile che aveva precedentemente bloccato tra le dita, tintinnò ai suoi piedi.
-Chi siete voi?- domandò calmo il demone millenario, osservando con maggiore attenzione la bizzarra ragazza: sporca di sangue, i capelli di colori diversi e con l'abito strappato e macchiato… Eppure così vitale e beffarda, per quanto fosse in uno stato pietoso.
-Solo una ragazza. Nemmeno una goccia di sangue demoniaco o angelico scorre nelle mie vene- e detto questo alzò lo sguardo verso il cielo plumbeo, le cui nuvole si spostavano velocemente verso l'orizzonte e lei si perse ad osservare quella scena che forse non avrebbe mai più rivisto.
-Solo una ragazza…- sussurrò appena, quasi a convincersi che lo era davvero.
La figura del mero maggiordomo le coprì la visuale e lei fu costretta ad osservare nuovamente il volto piuttosto attraente dell'uomo.
-Come sapete del patto stretto col mio signorino?- chiese ancora serio e non staccando lo sguardo dagli occhi di ghiaccio della ragazza.
-Onestamente non ne ho la più pallida idea.
So solo che meno di tre giorni fa mi sono ritrovata riversa a terra con una profonda ferita sul fianco e senza alcun ricordo sul mio passato.
L'unica cosa che ricordavo era la bizzarra storia di un ragazzino con una benda a coprire un marchio di un contratto accompagnato da un avvenente demone-corvo e il bisogno di sapere se eravate reali o frutto del mio delirio è stato impellente- dichiarò lei restando stranamente calma e non abbassando mai lo sguardo.
Dopotutto, mentire non le sarebbe servito a niente, perciò, perché non dirgli la verità?
Sebastian continuava a non capire: se sapeva che lui era un demone, perché non aveva paura?
-Cosa le fa credere che io non sia il frutto di un suo delirio, Milady?- chiese ancora il maggiordomo sorridendo malignamente, ma non ebbe neppure il tempo di battere ciglio che uno schiaffo gli calò sulla guancia facendogli voltare il viso verso l'albero vicino.
Quando si voltò verso la giovane, la vide sorridere con una mano sul fianco e un rivolo di sudore che gli colava dalla tempia.
La mano con cui evidentemente l'aveva colpito era sicuramente rotta, ma Michaelis aveva sentito il colpo e questo l'aveva immensamente sorpreso.
-Questo, Mr Michaelis. Se riesco a colpirla ciò sta a significare che lei almeno non è un'illusione. Dopotutto, sono assolutamente certa di essermi appena fracassata una mano su una morbida guancia di pietra- disse sul punto di scoppiare a ridere per l'espressione sorpresa dell'uomo di fronte, dopodiché piantò un coltello da cucina, rubato ad un fornaio, nel tronco dell'albero e si calò a fatica sul ramo sottostante.
Con cautela e con la stessa tecnica, continuò a discendere verso il suolo e quando i suoi piedi toccarono terra, le gambe non la ressero e lei cadde in ginocchio.
Riuscì ad appoggiarsi nuovamente al tronco e attese che il demone le si parasse davanti, cosa che accadde immediatamente dopo: con un balzo felino, l'essere scese dall'albero e si inginocchiò di fronte all'ansimante bionda.
Notò che Michaelis le stava osservando la ferita, ben visibile seppur coperta in parte dalla mano della giovane.
-Non sapete neppure come vi siete procurata questa ferita, vero?- chiese dopo poco Sebastian, non staccando gli occhi dal sangue che colava senza sosta.
-Arma da taglio sicuramente, ma non saprei davvero chi sia stato e perché- affermò lei con voce sempre più lieve.
La sua vista iniziava a farsi sempre più scura e presto avrebbe perso del tutto coscienza.
Doveva sbrigarsi.
-A che caso state lavorando?- chiese allora la bionda mentre spostava il palmo insaguinato dal fianco per dare più visuale all'uomo.
-Stiamo indagando su dei libri Doomsday, custoditi da una setta insediata nel monastero cattolico vicino al castello di Preston- rispose lui strappando l'orlo della corta gonna che la ragazza indossava con vergogna e stringendo intorno alla ferita quella specie di benda.
-Cosa bisogna fare con voi, eh Milady? Nessuno dovrebbe sapere del patto con il mio signorino-
-La preoccupo così tanto? Sul serio? Ne sono onorata, caro Sebastian, ma le assicuro che non sono una minaccia, anzi, potrei essere la sua carta vincente nello scontro che prima o poi avverrà- disse lei ghignando e osservando con un certo sforzo gli occhi cremisi che la stavano trapassando.
-Non comprendo Milady, cosa vi rende così importante?-
-Bhe, so come si concluderà il contratto fra voi due-
-Oh Milady, ma quello lo so pure io- esclamò Sebastian col suo sorriso spaventosamente angelico.
-Ah no, mio caro. Lei crede che si concluderà con la vendetta del suo signorino e la morte di quest'ultimo per mano sua, ma credo che rimarrà piuttosto turbato dal sapere che non finirà così se non farà attenzione- disse lei ricominciando ad osservare il cielo da cui avevano iniziato a cadere gocce terribilmente pesanti che le piombavano addosso facendola tremare e soffrire il dolore.
Sebastian sembrò notarlo, tanto che si tolse la giacca e la usò per coprire la ragazza, la quale accettò il gesto con un sorriso sincero.
-Una cosa è certa, non vi posso lasciare qui sotto la pioggia. E poi il mio signorino le vorrebbe parlare- ammise sconfitto il mero maggiordomo raccogliendo la giovane da terra e stringendosela al petto.
-Come mai?- chiese debolmente la bionda mentre si sentiva sollevare da terra e terribilmente stanca appoggiava il capo nell'incavo del collo dell'uomo.
-Perché oggi vi abbiamo visto uscire da Undertaker con in mano una pistola e chiedendo allo Shinigami abbiamo scoperto che gli avevate estorto alcune informazioni che ci riguardavano- rispose lui iniziando a camminare verso la magione dei Phantomhive.
-A proposito, perché avete preso una pistola sapendo che io non posso morire per mano umana e neanche sotto i colpi di armi da fuoco?- chiese il demone, cercando di coprire il più possibile il corpo della giovane che continuava a tremare.
-Era un altro test, per vedere se non ero pazza: solo un essere sovrannaturale può bloccare un proiettile tra le dita di una mano senza farsi minimamente male-
-Quindi mi avete messo alla prova…-
-Più o meno- disse lei in un sussurro iniziando a vederci davvero male
-Un ragazzino- disse poi -Sarà un ragazzino a portarti via la preda- e poi tutto fu buio.

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Capitolo 2
*** Un nuovo nome ***


 

Un nuovo nome



Fu un lieve bussare a svegliare la ragazza, ma questa si finse ancora addormentata per usufruire della morbidezza del materasso e per non abbandonare il bellissimo sogno da cui, purtroppo, era stata trascinata via con violenza.
Aveva sognato di volare sopra le nuvole in braccio ad un uomo bellissimo dalle ali nere.
E lei era felice, sembrava così vero…
La porta si aprì e la testa di Sebastian Michaelis fece capolino dentro la stanza, vedendo che la loro giovane ospite era ancora assopita.
O almeno lui credeva così.
Alla giovane veniva facile simulare il sonno, forse una dote naturale, forse no.
Il mero maggiordomo si avvicinò alla figura che scompostamente stava sdraiata sotto le lenzuola blu zaffiro e la scoprì con delicatezza.
Ella indossava una camicia da notte che, durante il suo stato di incoscienza, si era alzata, rivelando la pancia piatta e gli slip di pizzo nero.
Sebastian sentì dentro di sé un qualcosa smuoversi, ma non si scompose, anzi, con maggiore decisione iniziò a srotolare le bende sporche di sangue.
Chissà che sapore aveva il sangue di quella fanciulla…
Ma subito si riprese e continuò il suo lavoro.
Reputò strano che la ragazza non si fosse ancora svegliata, eppure non le sembrava una donna dal sonno pesante.
Volle testare questo suo particolare, tanto che fece scorrere una mano sulla sua guancia per poi iniziare a scendere.
Passò in mezzo ai seni prosperosi di lei, da sopra la stoffa, senza che quest'ultima desse segno di svegliarsi e continuò a scendere con delicatezza, fino ad arrivare al pizzo scuro, ma quando fu sul punto di alzarlo una voce lo bloccò:
«Attento a quel che fai, demone. Ti potresti ritrovare senza una mano» e finalmente aprì i suoi occhioni azzurri.
«Chiedo venia milady» disse l'uomo con un sorriso malizioso sulle labbra sottili.
Allontanò velocemente la mano ritornando sulla ferita e continuando a stringere le bende.
Lei non si lamentò e voltandosi notò che quel giorno il sole spiccava tra le nuvole, rendendo la giornata luminosa e leggera.
«Quanto ho dormito?» chiese la ragazza guardando sempre il cielo.
«Un giorno intero. Per tutto quel tempo non l'abbiamo disturbata, stia tranquilla» affermò il maggiordomo vedendo lo sguardo sorpreso della bionda che si posava su di lui «Il medico ci aveva detto di lasciarla riposare e così abbiamo fatto. La ferita era molto profonda e ha la mano rotta. Direi che per lei è sconsigliabile schiaffeggiarmi» disse allegro il demone.
Si era quasi dimenticata della mano rotta che d'istinto strinse provocandosi stilettate di acuto dolore per tutto il braccio.
Strozzò un gemito in gola prima che il demone potesse accorgersi della scemenza che aveva fatto e, per fortuna, sembrò non notarlo.
Quando finì di curare la ferita della ragazza fece scivolare la leggera camicia da notte lungo il ventre piatto della ragazza e le rimboccò le corperte fino al seno.
«Le ho anche portato la colazione Milady, stamattina abbiamo salmone in camicia e insalata alla menta.
Per accompagnarli, abbiamo toast, focacce o pain de campagne, cosa preferisce?»
«Mi spiace molto Sebastian, ma non ho molto appetito, mi basta solo una tazza di tè» ammise dispiaciuta la ragazza, per aver fatto lavorare inutilmente il cuoco.
«Milady, sarà certamente debole e ha bisogno di zuccheri.
Inoltre, il medico ci ha imposto di darle da mangiare regolarmente e di mantenerla a riposo» rispose il demone sorridendo.
«Ah… D'accordo, allora una focaccia» disse infine la bionda cercando di appoggiarsi alla spalliera del letto.
«Ciel è in casa?» chiese poi la ragazza prendendo un sorso di thè dalla tazzina offertale dal mero maggiordomo.
«In questo momento sta riposando, ieri è stata una giornata non molto piacevole per tutti e una pausa non fa male a nessuno, siete d'accordo Milady?»
«Si, ovviamente. Vedere i suoi genitori in quello stato dev'essere stato un duro colpo per lui» assentì lei pensierosa.
Sebastian sussultò sommensamente, per poi continuare il suo lavoro come se niente fosse.
«Se posso chiedere, vi è già arrivata la lettera da parte della regina su quei casi di sparizione di bambini?» domandò tranquillamente la giovane, assaporando un altro sorso della bevanda dolce e dal colore dorato contenuto nella tazzina bianca.
Per il demone fu un altro colpo basso e si sorprese di sentirsi preso in contropiede, seppur per poco, da un essere umano.
«Si, milady, la lettera è già arrivata e presto il mio signorino partirà per risolvere questo caso» affermò lui non riuscendo più a mentire.
«Molto bene. Le chiederei la cortesia di venirmi a chiamare appena il suo signorino sarà disposto a ricevermi. Fino ad allora non ho bisogno di nient'altro, se non di una cameriera che mi aiuti nel cambio d'abito, le spiacerebbe andarla a chiamare? Non sono sicura di riuscire a vestirmi senza un aiuto» concluse lei con un sorriso e guardando nella direzione del maggiordomo.
Anche lui sorrise e inchinandosi disse: «Yes, my lady» per poi uscire dalla stanza e andare a chiamare Mey Rin.
La trovò impegnata a tentare di lucidare l'argenteria strofinandoli con uno straccio unto e sporco, cosa che lo fece sospirare contrariato.
«Mey, potresti cortesemente andare ad assistere la nostra ospite? Si dovrebbe cambiare, trovale un abito comodo in mezzo a quelli nell'armadio della sua stanza e un paio di calzature comode»
«D'accordo!» esclamò la cameriera per poi avviarsi verso la porta scontrando un carrellino con dei bicchieri di cristallo che, senza l'intervento Sebastian, si sarebbero infranti contro il pavimento di pietra.
La ragazza arrossì davanti alla propria goffaggine e poi scomparve oltre la porta di legno.
Intanto la giovane bionda si era faticosamente alzata dal letto e si era avvicinata alla finestra.
Non ricordava di aver visto il sole, certo, sapeva che quello che vedeva era una finestra, il parco di una magione, un albero eccetera, ma non ricordava di averne mai visti.
Associava le immagini a qualcosa a cui la sua mente aveva tolto la raffigurazione, come quando si mette una targa con il nome di un quadro davanti ad esso e poi viene tolta l'opera lasciando solo la piastra di ottone.
Era qualcosa che la faceva imbestialire.
L'unica cosa che ricordava era la storia della vita di Ciel Phantomhive e come unico indizio della sua era uno strano marchio stampato a fuoco che aveva sul seno sinistro di una sottospecie di spirale contornata da un cerchio.
Non ricordava neppure il suo nome.
Neanche sforzandosi le veniva in mente qualcosa, neppure una lettera di quello che poteva essere il punto di partenza per la ricerca del suo passato.
Sbuffò esasperata e poi si appoggiò la mano lesa in grembo, osservando come il gonfiore che all'inizio le aveva dato molto fastidio in quel momento fosse quasi del tutto sparito.
Appoggiò il viso al vetro della finestra e chiuse gli occhi.
Improvvisamente sentì un bussare alla porta, esclamò “Avanti” alzandosi subito dopo e avviandosi verso la porta, guidata dall'istinto.
Mey Rin inciampò sui propri piedi e finì tra le braccia della bionda che prontamente la raccolse.
«State bene?» chiese la ragazza alla cameriera che dopo poco si rialzò.
Allora toccò all'inserviente raccogliere l'altra perché ebbe un capogiro e per poco non finì per sbattere la testa contro il pavimento.
«Devo dire che tra noi due non so chi è messa meglio» affermò l'ospite a Mey, che arrossì e trattenne più che potè le risate che le stavano salendo in gola.
Doveva mantere un certo contegno, era lì per lavorare non per divertirsi.
Ma l'altra le sorrise, le disse:
«Ridi tranquillamente, non sono né una pomposa nobile né un'ospite snob, te lo garantisco» e subito entrambe scoppiarono in una grossa risata.
«Milady, io sono Mey Rin e sono la cameriera incaricata a servirla» disse infine la giovane quattrocchi quando entrambe furono in piedi e ebbero ripreso un certo contegno.
«Molto piacere Mey Rin, io sono… Beh, non lo so» affermò alla fine la bionda sorridendole affabilmente.
«Non si ricorda il suo nome, milady?» domandò sopresa l'altra, che intanto le passo un braccio intorno al busto e l'aiutò ad avvicinarsi al paravento.
«No, non ricordo nulla di me, ma spero di riuscire a ricordare presto qualcosa sul mio passato» ammise lei e si sedette su un grosso baule.
Mey si avvicinò all'armadio e iniziò a guardare vari vestiti, cercandone uno che, dal suo punto di vista, potesse essere adatto e comodo alla donna che l'aveva tanto colpita per modi e cortesia.
«Quale colore preferisce, milady?» chiese dopo averli guardati per un po'.
«Mi piacciono molto i colori scuri, come il blu notte e il nero, ma anche il rosso non mi dispiace»disse infine lei dopo averci pensato.
Con questo nuovo criterio la cameriera continuò la sua ricerca fino a trovarne un paio che potevano essere indossati senza corsetto e che non avevano la gonna troppo lunga: il primo era scarlatto, con una serie di fiocchi sul davanti e dalla gonna che arrivava a mezza gamba, mentre il secondo era nero, la gonna lunga come il primo, ma senza fronzoli vari e con un cappuccio di tessuto ricamato di pizzo.
«Preferisco quello nero, grazie» decise infine l'ospite e poi entrambe si ritirarono dietro il paravento.
Faticosamente misero le calze, visto che lei non si riusciva a tenersi in piedi per i capogiri, e ci volle un un po', ma alla fine, dopo una mezz'ora di tentativi e risatine da entrambe le parti la bionda si ritrovò scalza, ma vestita, seduta ancora sul baule.
Per le scarpe la cameriera scelse subito un paio di stivaletti stringati neri che le arrivavano sotto il ginocchio e quelli si premurò di allacciaglierli senza troppe cerimonie. Non sarebbero servite a nessuna delle due.
Mentre stringeva i lacci della seconda scarpa, Mey Rin prese coraggio e disse:
«Se pensa che non sia un gesto troppo irrispettoso da parte mia, le potrei dare io un nome» e subito abbassò di più lo sguardo, non avendo il coraggio di vedere la reazione della giovane.
Si aspettava qualcosa come un ceffone o degli insulti, invece le arrivò una dolce carezza su una guancia e un sorriso, accompagnato dalla dolce voce della ragazza che le diceva:
«Sarei molto felice se fossi tu a darmi un nome».
A quel punto calò il silenzio, interrotto solo dal rintoccare dell'orologio a pendolo vicino alle due.
Mey non sapeva davvero che nome scegliere: ne sapeva tanti, ma ne voleva uno regale e davvero particolare, un nome che fosse degno della donna che lo portava.
Le vennero in mente milioni di diverse opzioni, ma nessuna le sembrava abbastanza appropriata, e poi l'illuminazione, finalmente le venne in mente quello giusto e guardando la bionda le prese entrambe le mani e disse:
«Diana, il suo nome sarà Diana».

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Capitolo 3
*** Contratto ***




Contratto

 




Appena Mey Rin uscì dalla stanza, Diana, in quel momento seduta su una poltrona esattamente accanto alla finestra, chiuse gli occhi e abbandonò la testa contro lo schienale morbido e di velluto del sofà, facendo attenzione a non rovinare l'acconciatura che la cameriera le aveva fatto su sua richiesta: le aveva pazientemente intrecciato i lunghi capelli per poi stringerli in uno chignon alto e solido.
Avrebbe molto volentieri fatto un pisolino e stava di nuovo per cadere nel sonno quando sentì un rumore fortissimo di qualcosa che cadeva a terra.
Subito aprì gli occhi e si avvicinò faticosamente alla finestra.
Vide il giardiniere della magione che stava tirando giù a suon di pugni una fila di alberi del giardino vicino.
In un primo luogo le sembrò incredibile, poi però si ricordò del maggiordomo di quella casa e delle abilità che lei stessa possedeva e non diede molto peso a quell'ennesima stranezza.
Osservò come ogni maestosa quercia venisse sradicata dal ragazzo come se fosse un'erbaccia secca.
Quasi le venne da ridere, ma il suo sorriso si spense quando vide qualcosa di nero dondolare da un ramo di uno di quelli che stavano per essere abbattuti e impallidì all'istante.
«Fermo!» urlò a pieni polmoni e il ragazzo si fermò, girandosi verso di lei e guardandola accigliato.
«C'è un gatto sull'albero» disse a mo' di spiegazione lei.
Lui alzò lo sguardo e lo vide.
Allora staccò l'albero e con “cautela” lo portò vicino alla finestra della ragazza che allungandosi un po' raccolse l'animaletto impaurito.
Era un cucciolo di almeno un mese, tutto nero e talmente piccolo che si poteva tenere nel palmo di una mano
Appena la bestiola finì in braccio alla ragazza quello, o quella, guardò con degli occhioni azzurri Diana e iniziò a farle le fusa.
Lei se lo strinse al petto e vide che il giardiniere si era arrampicato fino a raggiungere il suo davanzale, su cui si era seduto a gambe incrociate.
«Sembra che gli piacciate!» esclamò contento.
«Come lo chiamerete?» chiese ancora guardandola.
«Non lo so ancora, ma intanto potremo capire se è maschio o femmina» rispose lei, e prendendo l'animale per una zampina delicatamente lo capovolse.
«E' maschio» dichiarò lei dopo un appurato esame.
«Pallino?» propose lui subito
«Santo cielo, no, è terribile!» esclamò lei divertita e disgustata.
«Linus?»
«Niene male, ma ancora non ci siamo».
Entrambi si misero a pensare, mentre il gattino si muoveva impaziente nelle mani della bionda.
«Dark?» disse lei, guardando verso il giovane.
Lui scosse la testa:
«Troppo cattivo, lui è una pallina di pelo carinissima» rispose allegramente dondolandosi.
«Figaro?»
«No, non mi piace» rispose lei.
«Rogers?»
«Anche peggio del primo!» ribattè ancora lei.
Infine, il giovane ebbe l'illuminazione.
«Chaplin!»
«Questo si che mi piace! E Chaplin sia!» accettò lei e anche Chaplin apprezzò la scelta.
«A proposito di nomi, tu come ti chiami?» chiese Diana al biondo.
«Io sono Finnian, il giardiniere» rispose il ragazzo con semplicità.
Era magro e non molto alto, aveva i capelli di un taglio corto, disordinato e di un colore simile a quello del grano, tenuti fermi da fermagli rossi.
Aveva dei grandi occhi verdi, una carnagione chiara e indossava un cappello di paglia, una maglietta bianca e dei pantaloni di plaid.
Le sembrò paradossale che tanta forza potesse risiedere in un corpo così minuto, ma si diede della sciocca vista la gente che frequentava quella magione e sorrise a Finnian.
«Ti spiace se ti chiamo Finny?» domandò lei mentre infilava Chaplin nel cappuccio del vestito, sentendolo iniziare a grattare con i piccoli artigli il tessuto e il pizzo.
«Assolutamente no, milady. Qui nella residenza Phantomhive mi chiamano tutti così» rispose vivacemente e quasi con tono infantile il giovane giardiniere.
«Torno sradicare alberi, ciao» e saltò giù dal davanzale.
Lo osservò ritornare al suo lavoro con il sorriso sulle labbra e quasi non si accorse del bussare e della porta che si apriva, rivelando il mero maggiordomo.
«Milady?» la chiamò Sebastian, che rimase all'entrata della camera.
Lei si voltò e subito si dovette appoggiare alla poltrona vicina per restare in piedi, poiché un violento capogiro l'aveva presa in contropiede.
Il demone fece per aiutarla, ma lei alzò una mano e lo guardò con spavalderia.
«Mi dica Sebastian, ha notizie che mi possano interessare?» chiese lei un po' impaziente.
Michaelis annuì:
«Il mio padrone, il conte Ciel Phantomhive, vorrebbe incontrarla.
Prego, da questa parte» e aprì la porta, per poi inchinarsi e attendere che lei la oltrepassasse.
Lei fece un profondo respiro e poi, mettendosi il più dritta possibile, iniziò ad avanzare verso l'uscio.
Ignorò il mal di mare che le stava mangiando lo stomaco e, appena fu uscita, attese che il maggiordomo le facesse strada.
Questi, velocemente, la superò e proseguì per i corridoi labirintici della magione con sicurezza e classe, quasi non fosse un servo, ma un nobile di alto rango.
Maledetti demoni e la loro eleganza da predatori.
A metà strada alla ragazza iniziarono a cedere le gambe e sentì l'aria mancarle.
«Milady, forse è il caso che io...»
«Sto bene, Sebastian, non mi serve il tuo aiuto»
«Questo non lo metto in dubbio, ma preferirei non doverla portare svenuta dal mio padrone, perciò si lasci aiutare» disse infine con voce più fluida il demone e la ragazza non potè fare altro che accettare.
Con un solo braccio le circondò la vita e le sostenne le gambe e subito riprese a camminare, cercando di dare meno scossoni possibili alla giovane.
Lei appoggiò la testa contro il petto di lui e sentì un cuore battere fortissimo.
Ci misero un attimo ad arrivare davanti allo studio del conte e lui l'appoggiò di nuovo a terra.
L'ansia le contorse le budella e potè giurare di non avere il fiatone per la ferita.
Si concentrò su Chaplin che aveva smesso di combattere contro il tessuto e che adesso probabilmente dormiva.
Sentiva il pancino del gattino che si gonfiava e sgonfiava contro la sua schiena e si segnò mentalmente di toglierlo dal cappuccio prima di sedersi.
Sebastian bussò alla porta e la voce di un ragazzino dall'altra parte gli diede il permesso di entrare.
Entrambi varcarono la soglia dello studio e sia lui che lei si inchinarono davanti al giovane Ciel Phantomhive.
Non l'aveva mai visto di persona, ma, ora che ce l'aveva di fronte, Diana sapeva di conoscerlo.
I suoi occhi del colore dello zaffiro erano difficili da dimenticare.
Portava una giacca lunga verde, una camicia abbottonata anche sul collo, tanto che lei si chiese come facesse a non soffocare, pantaloncini corti e scarpe con tacco alto.
Aveva i capelli del colore di una notte senza luna e un fisico magro e ancora infantile.
Alla mano sinistra l'anello con il diamante blu, alla mano destra l'anello d'oro col marchio di famiglia e alle orecchie due perle blu, proprio come il padre.
La guardava con un'espressione severa e stanca, forse ancora provata per la notizia del giorno prima, ma pronta a continuare, nonostante tutto.
«È un vero onore incontrarvi di nuovo, Conte Phantomhive» esordì lei stampandosi il miglior sorriso del suo attuale arsenale.
«Mi piacerebbe dire lo stesso, ma purtroppo non so davvero dove potrei averla già incontrata.
Prego, si sieda» e lei eseguì.
Prima di poggiare la schiena, tolse Chaplin dal suo rifugio di tessuto e se lo mise in grembo.
Percepì alle sue spalle il demone che, alla vista del felino, fremeva dalla voglia di ammirarne le caratteristiche che tanto amava e Ciel, per evitare tale imbarazzante scena, gli ordinò di andare a preparare del tè e qualcosa da mangiare.
«Yes, my lord» disse lui con celato fastidio e lasciò in fretta la stanza.
Per qualche minuto il silenzio pervase l'ambiente: mentre lui firmava scartoffie riguardanti il suo impero di articoli per bambini, lei osservava il cucciolo dormire sereno, raggomitolato su se stesso e rintanato sotto un lembo della larga gonna della ragazza per stare al caldo.
Il lussuoso studio era immerso in un odore di carta nuova e inchiostro che le diede un senso di pace, tanto che sospirò e si rilassò maggiormente contro lo schienale della poltrona.
«Sebastian mi ha detto che lei ha un qualcosa per me» esordì subito il dodicenne.
Diana lo guardò e annuì:
«Non è un oggetto come un prezioso gioiello o una nuova carrozza.
Ciò che vi porto è un qualcosa che forse vi aiuterà o forse vi danneggerà: ciò che vi porto è il vostro futuro»
«Cosa intende dire?» chiese lui perplesso.
Lei sorrise e continuò:
«Quattro giorni fa mi sono risvegliata nei pressi di Londra con un abito da serva distrutto e una ferita da arma da taglio che si stava infettando.
Non sapevo niente di me, neppure come mi chiamassi, ma, in qualche modo, ricordavo di un giovane conte Phantomhive e del suo maggiordomo demoniaco, Sebastian Michaelis.
In un primo momento pensai che fosse una storia che avevo letto in qualche libro e che mi era piaciuta così tanto da rimanermi impressa nella memoria.
Ma arrivata a Londra mi capitò di leggere su un giornale di un caso che il conte Ciel Phantomhive aveva brillantemente risolto e quando vidi il suo volto,
compresi che quello che ricordavo era reale.
O almeno in parte.
Scoprii anche che buona parte degli avvenimenti che conoscevo non erano ancora accaduti, perciò tutto quello di cui avevo bisogno era una prova...»
«Quindi è andata da Undertaker per farsi dare l'arma e per attirare la nostra attenzione servendosi dello Shinigami, che avrebbe dovuto affermare che lei era un personaggio scomodo.
Poi sparando al mio maggiordomo ha appurato che lui non era umano.
Davvero ingegnoso» concluse il giovane conte molto interessato alla sua storia.
La bionda annuì e voltò lo sguardo verso la finestra, notando come il cielo, qualche tempo prima sereno, in quel momento si stesse rannuvolando.
Entrambi non fiatarono finché non arrivò il maggiordomo con il tè.
Senza dolci.
«Ti avevo ordinato di portarmi anche qualcosa da mangiare» disse stizzito Ciel, osservando il carrellino che portava solo una tegliera con due tazzine.
«Chiedo perdono, padroncino, ma tra poco ci sarà il pranzo e non è salutare per lei mangiare al di fuori dei pasti principali» rispose Sebastian e versò la bevanda calda con maestria e precisione.
Passò una chicchera a Diana che lo vide osservare con occhi adoranti il piccolo Chaplin che ancora dormiva.
«Tz, stupido demone. Ritornando a lei, sono molto interessato alle informazioni che tanto vanta, ma vista la particolare merce che mi sta offrendo vorrei avere qualche certezza, perciò prego, mi racconti qualcosa del mio futuro» concluse il conte sorseggiando il liquido dorato contenuto nella tazzina.
Diana stava per dargli una risposta quando si bloccò.
No, non poteva dirgli il suo futuro, non poteva.
Se l'avesse fatto molti avvenimenti che a lei interessavano non si sarebbero svolti e lui alla fine sarebbe divenuto un demone, cosa che lei voleva evitare ad ogni costo.
Ma perché lo voglio evitare?
«Se vi dicessi subito come va a finire la storia non crede che io diverrei inutile? Devo pur salvaguardare il mio interesse.
Vi propongo un altra via: vi seguirò nei vostri casi insieme a Sebastian e quando noterò che ci sarà una scelta che cambierà il corso della storia velo dirò»
«E cosa mi assicura che lei non mentirà?» chiese il ragazzino
«Assolutamente niente, vi dovrete fidare di me. Però, in fondo, cosa ci perdete? E se risulterò inutile dal vostro punto di vista, potrete sempre ordinare a Sebastian di uccidermi.
Dopotutto, è difficile scappare ad un demone-corvo, dico bene?» disse infine lei rivolgendosi al mero maggiordomo che sorrise sornione e si inchinò.
Il giovane conte si mise a pensare sui pro e sui contro di questo patto: già il fatto che sapesse della vera natura del suo servo era un buon punto a favore dell'omicidio della giovane, ma c'era qualcosa in lei che gli impediva di dare l'ordine al demone.
Qualcosa di caldo, quasi viscerale.
«E sia. D'ora in avanti seguirà me e il mio maggiordomo nei miei casi.
Dovrà essere la mia ombra, non potrà andare da nessuna parte senza la supervisione di almeno uno dei miei servitori e non dovrà dire a nessuno le informazioni che scoprirà.
Se non rispetterà queste regole, Sebastian li ucciderà. Tutto chiaro?»
«Assolutamente» affermò la ragazza tirando un sospiro di sollievo, ringraziando il cielo che stesse andando tutto come aveva progettato.
«Qualche preferenza su come vuole essere chiamata?»
«Diana mi piace, chiamatemi così» e suggellarono il contratto con una stretta di mano.

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Capitolo 4
*** Racconti di Mezzanotte ***


Racconti di mezzanotte



Maledette carrozze, pensò Diana, passandosi una mano sulla fronte imperlata di sudore per poi appoggiarla al finestrino fresco.
Era da almeno due ore che stavano viaggiando per raggiungere Londra e fin dalla prima lei si sarebbe volentieri sparata per far finire la terribile nausea che la teneva sveglia.

Il conte dormiva, sdragliato sui sedili di fronte a lei, la benda ancora stretta intorno al suo capo e il bastone da passeggio posato a terra, insieme al cappello.
Sembrava così sereno mentre dormiva, il sonno gli dava una gentilezza e un'ingenuitàà che si addicevano di più al dodicenne che aveva davanti.
Sorrise guardandolo, ma subito dovette voltare lo sguardo verso il paesaggio boscoso per non rigettare tutto il cibo mangiato sul pavimento della lussuosa carrozza.
Dopo aver firmato un contratto cartaceo in cui erano stati messi per iscritto tutti i suoi doveri e i suoi diritti in quel suo nuovo bizzarro incarico, avevano velocemente fatto i bagagli e si erano messi in viaggio alla volta della capitale inglese.
Il conte aveva dato l'ordine di far riempire un valigione con dei vestiti che lei potesse utilizzare in ogni evenienza e in quest'impresa furono messi alla prova il buon occhio di Sebastian e la velocità di Mey Rin, con il risultato di un bagaglio pienissimo e una dozzina di abiti mal ridotti.
Erano partiti di sera, il che mise subito in agitazione la ragazza, la quale sapeva che in principio il conte e il demone sarebbero dovuti partire di mattina per arrivare a Londra nel pomeriggio.
Non credo che questo cambiamento scombussolerà terribilmente il futuro, ma devo stare più attenta o le conseguenze saranno gravi.
Scoprì anche che sì, la lettera era arrivata, ma che il ragazzino non l'aveva ancora letta, benchè ne sapesse già l'argomento, il che le fece tirare un sospiro di sollievo.
Prima di partire era riuscita a farsi offrire del thè dallo steward Tanaka e a scambiare quattro chiacchere con il cuoco Bardroy.
Era scesa nelle cucine per poter conoscere l'ultima persona che le mancava all'appello e quando era entrata nella stanza un familiare odore di tabacco e bruciato le aveva invaso le narici.
Lei fumava, e anche tanto e insieme a questa consapevolezza erano arrivati anche i ricordi: si era vista in diversi posti, con diverse persone e a diverse età mentre fumava la stessa marca di cicche.
Su una spiaggia, in un salotto, a cavallo, su un prato… Tutti posti che in quel momento ricordava con chiarezza, mentre invece i volti delle persone erano tutti appannati.
Ricordò di una volta in cui si era messa a passeggiare per un sentiero di campagna, la brezza mattutina nei capelli, il tabacco che le dava alla testa e la stretta dolce di qualcuno di cui non riusciva a vedere le fattezze.
Si sforzò a lungo di ricordare chi fosse la persona che l'abbracciava in quell'episodio, ma fu interrotta dal cuoco che la riportò nel mondo reale.
Non avevano parlato di molto e quel poco che si erano detti si era incentrato su lanciafiamme e sigarette.
Fu costretta a uscire dalla stanza perché Chaplin aveva iniziato a tossire con molta insistenza e quando ebbe raggiunto il giardino aveva un pacchetto di sigarette in mano e odore di bruciato e di fumo attaccato ai vestiti.
Aveva tirato fuori il gattino e l'aveva appoggiato a terra, lasciandolo gattonare sul terreno umido.
Con un fiammifero preso dal cuoco si era accesa una cicca e aveva passeggiato seguendo con calma il piccolo cucciolo, sorridendo ogni volta che il piccolo inciampava per poi rialzarsi e continuare a giocare.
Sbuffando fumo grigiastro aveva iniziato a cantare una ninna nanna che non sapeva di ricordare e ogni persona che l'aveva udita aveva smesso di svolgere la propria mansione per ascoltare la giovane donna: gli inservienti si erano spostati vicino alla vetrata più vicina per poter anche osservare la bionda e Ciel si era alzato dalla sua scrivania e si era seduto sul davanzale della sua finestra.
Solo Sebastian aveva continuato imperterrito a lavorare, cercando di non dare peso alle strane emozioni che quel soave canto gli avevano smosso nelle viscere.
Quando lei si era accorta degli spettatori che aveva attirato, per l'imbarazzo aveva smesso di cantare e, recuperato Chaplin, era rientrata nella magione Phantomhive.
Affianco a lei sedeva concentrato il demone che cercava in ogni modo di non toccare il gattino nero in grembo a Diana.
Se non esco da questa carrozza giuro che vomito, e la ragazza sentì un conato toglierle il fiato e bloccarle la gola.
Il mero maggiordomo, avvertendo il disagio della bionda, senza toccare il micio, le prese entrambi i polsi e piantò il pollice su una vena in particolare.
All'inizio lei non capì e visto il fastidio che le procurava tale gesto cercò di scostarsi, senza ottenere alcun risultato, ma dopo poco capì il motivo di ciò.
La nausea iniziò lentamente a scemare e lei riuscì di nuovo a respirare normalmente.
«Come ci siete riuscito?» domandò lei sistemandosi meglio sul sedile.
Riprovò anche a togliere le mani, ma ancora una volta la presa del demone fu così ferrea che lei non riuscì nuovamente nel suo intento.
«Ho vissuto per moltissimi secoli Miss Diana, bene o male qualche trucchetto l'ho imparato» rispose lui con un sorrisetto malizioso.
«Perché non mi lascia i polsi?» chiese ancora lei sentendo la stanchezza che prendeva il sopravvento.
«Perché è mantenendo la pressione che la nausea scompare. Se le lasciassi i polsi tornerebbe al punto di partenza» le spiegò lui gentilmente.
«Si appoggi a me e si riposi Miss. E' ancora convalescente e deve riposare», ma quando lei posò la testa sulla sua spalla, l'odore agrodolce e incredibilmente buono del demone la svegliò completamente e la mise in allerta.
Ma certo, è un essere degli inferi che attira le anime a sé. Se non fosse attraente in ogni suo aspetto, come farebbe a attirare vittime?
Rimasero a lungo in silenzio, ascoltando il rumore delle ruote della carrozza che produceva sul sentiero.
«Come si diventa un demone?» chiese lei e Sebastian si irrigidì in modo impercettibile per chiunque tranne per lei.
«Perchè le interessa saperlo?» domandò lui con voce fredda.
«Curiosità» rispose subito e voltò il capo per guardarlo in volto.
Anche di profilo è così dannatamente bello…
«Ci sono diversi modi per poter far parte della stirpe demoniaca: quello diciamo “più semplice” è bere sangue di un demone e la forza del neodemone dipenderà da quanto forte era il diavolo da cui si è preso il sangue.
Un altro modo è un'antico rito che solo alcune streghe conoscono e che in breve è maledire una certa persona per poi ucciderla.
Un altro modo ancora è commettere così tanti peccati da far diventare la propria anima nera e ingraziarsi il favore di satana, il quale FORSE potrebbe trasformare il peccatore in un suo servo.
Credo che esistano altri modi, ma questi sono quelli più frequenti»
«Lei com'è diventato un demone?».
Lui la guardò dritta negli occhi e senza abbassare mai lo sguardo iniziò a raccontare:
«Io non sono diventato un demone, io lo sono sempre stato.
Io vengo da un mondo in cui non esistono gli esseri umani e gli esseri che lo popolano sono solamente demoni, che vivono lì da milioni di anni.
La nostra presenza definita da voi umani “peccaminosa” ha ucciso ogni genere di pianta e animale che ci fosse, rendendolo un posto buio, tetro e umido, come il sotterraneo di un antico maniero.
Alcuni trovano quel mondo adatto a loro e quindi vi restano e si edificano la loro vita in base ai loro gusti, ma ci sono altri, come me, che odiano quel mondo e ci tornano solo in casi estremi.
Quando trovammo questo mondo, fu quasi una benedizione e portarci la disperazione un obbligo.
Non ricordo a chi venne l'idea del contratto, ricordo però il mio primo contratto, che mi fece capire quanto un'anima che si concede sia più buona di una che lotta».
L'occhiata eloquente della ragazza lo spinse a prendere un profondo respiro e a raccontare quella storia:
«Era un anno vicino al 900, non ricordo bene quando.
Ero in Italia per un qualche strano viaggio e in quel periodo molti demoni avevano già iniziato a stringere contratti.
A me sembrava un'idea davvero stupida: diventare i servi di un essere umano? Che indegnità.
In quel periodo però incontrai lei: era una donna povera, neanche tanto attraente, ma una cosa mi attirò di lei, ed era la sua furia omicida che riusciva a nascondere a tutti dietro ad un bel sorriso.
La sua era una vita terribile, sposata con un uomo vecchissimo e costretta a dargli in continuazione pargoli di cui poi l'uomo si dimenticava anche l'esistenza.
Il suo odio era così forte che riuscii a sentirne l'odore anche fuori dal paesello in cui lei viveva e quando lei chiamò a se un demone, la fame mi spinse a presentarmi subito da lei.
Mi disse che mi avrebbe dato la sua anima se io avessi ucciso tutta la sua famiglia e distrutto il villaggio in una notte e io lo feci, facendo eruttare il vulcano lì vicino e rendendola spettatrice di tale distruzione e, quando non rimase altro che cenere, lei rise.
Rideva di gusto, finalmente libera, ma condannata.
Questo però non la rattristò, anzi, ricordo che prima che io la divorassi mi ringraziò e io banchettai con il suo corpo, scoprendo così la bontà di un'anima rassegnata al proprio destino» concluse lui, con la sua profonda voce e una nota seria.
Diana osservò il suo profilo illuminato dalla Luna e si meravigliò di quanto la sua pelle potesse essere così pallida da sembrare di ceramica.
Un po' si diede della sciocca, dal momento che cercava di chiacchierare amabilmente con un demone e che soprattutto lo trovava attraente.
La stanchezza gioca brutti scherzi, cercò di giustificarsi.
Sebastian si riscosse all'improvviso e voltò lo sguardo verso di lei:
«Miss Diana? Lei dice di sapere molto di me e del mio padroncino, ma non vuole dirlo nè a me, né a lui.
Perché?» e allora fu lei a sorridere.
«Ho già risposto a questa domanda, non ricorda?»
«Credo che vi sia dietro molto più di semplice interesse e mi chiedo quale sia il motivo di tale silenzio sul nostro futuro» lei non si scompose e, quando si accorse del sottile attacco del demone, rialzò la maschera e rispose con calcolata freddezza:
«Se fosse stato utile saperlo, l'avrei detto fin dall'inizio al suo padrone.
Crede invece che lo dirò a lei? Una creatura della notte col semplice scopo di divorare anime?».
Il disprezzo con cui concluse la frase lo lasciò basito, ma un'altra volta dovette sottostare al suo ruolo.
Perciò le sorrise amabilmente e girò il capo verso il finestrino.
Un senso di orgoglio crebbe come un ruggito dentro di lei, che sorrise deliziata e si sistemò meglio contro il maggiordomo, addormentandosi di colpo.




Angolino autrice

Ciao gente!!! Lo so, mi odiate per il supermegaiper ritardo, ma per un certo periodo ho perso l'ispirazione :'(.
Spero davvero di non avervi deluso e che continuerete a commentare (cosa che mi renderebbe moooooolto felice XD).
Beh, non ho altro da dire.
Ringrazio tutte le persone che si sono offerte di aiutarmi nel caso avessi qualche dubbio e le avverto che presto mi farò sentire.
Bacioni e grazie di essere passati <3.
Con affetto,
Ali <3

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Capitolo 5
*** Undertaker ***


Undertaker





«Miss Diana? Siamo arrivati» disse all'orecchio della ragazza il mero maggiordomo, scuotendola leggermente.
La ragazza aprì lentamente entrambe le palpebre, sentendo ancora la debole morsa di Morfeo che cercava di tenerla tra le sue spire inutilmente.
Si accorse distrattamente di avere entrambe le mani in grembo al demone e quando le tolse, sfiorò per puro caso il cavallo di Sebastian.
Molto dotato, il demone… pensò lei con una nota maliziosa, ma subito si soprese ancora una volta dei suoi stessi pensieri verso quella bestia demoniaca.
Il maggiordomo sembrò non accorgersene e le lasciò qualche minuto per riprendersi dal sonno, ma poi si allungò nuovamente verso il suo volto e appoggiando la propria guancia contro quella di lei sussurrò:
«Spero avremo tempo per approfondire Miss, credo lo troverebbe piuttosto… Passionale» e scese dalla carrozza lasciandola basita.
«Le lascio il compito di svegliare il padroncino e di accompagnarlo a cercare le informazioni sui bambini.
Io cercherò da un'altra parte» e scomparve.
Diana guardò per qualche minuto il punto in cui il demone era sparito, paralizzata dallo sconvolgimento e con Chaplin che, sulle sue gambe, si contorceva, preda di un sogno piuttosto movimentato.
Il demone… Si era augurato… Di… Avere… Rapporti sessuali… Con… Lei?
Si diede innumerevoli schiaffetti sulle guance dandosi della stupida e della patetica.
Ricordava e sapeva di avere un'indole piuttosto spinta che le permetteva di essere sciolta in ogni genere di discorso con gli uomini e non era la prima volta che lei sfiorava l'argomento con Michaelis, ma sentirgli dire così apertamente che l'avrebbe volentieri fatto con lei, le aveva attaccato addosso un retrogusto di ansia e… Desiderio.
L'aveva fatta sentire come una ragazzina che veniva corteggiata per la prima volta da un bell'uomo… Un'altra cascata di schiaffetti calò sulle sue guance e quando iniziarono a bruciarle per davvero una voce la distrasse dal suo supplizio volontario.
«Madre...» chiamava la voce di Ciel da dietro le sue spalle con sofferenza e mancanza.
«Padre...» disse ancora con tristezza cominciando a contorcersi su se stesso in preda ad un incubo.
«Madre! NOO!» urlò il bambino e calde lacrime fuoriuscirono dall'occhio scoperto, mentre le altre venivano raccolte dalla benda sull'altro occhio e solo allora Diana si riscosse e, rischiando di uccidere Chaplin, si alzò dalla sua postazione e andò a scuotere il suo padrone.
«Ciel! Ciel! Svegliati!» e lui aprì il suo occhione blu come il mare e come lo zaffiro e in quell'iride lei vide la disperazione e la paura che stavano lentamente consumando l'anima del giovane conte.
E ne ebbe compassione.
Ma Ciel Phantomhive non aveva bisogno della compassione di nessuno e si scansò dalla presa della ragazza sistemandosi sul capo la tuba abbandonata vicino a lui.
«Ti ricordo, Miss Diana, che ora io sono il tuo signore, perciò mi devi portare rispetto» disse con tono gelido.
Lei rimase congelata da tanta freddezza e quando si riscosse fece un inchino imbarazzato e a testa china esalò: « Yes, My Lord» per poi scendere dalla carrozza.
Aspettò appoggiata con la schiena contro un lato della carrozza, il viso rivolto al nuvoloso cielo inglese.
Faceva freddo, lo capiva dalle nuvolette di vapore che uscivano dalle sue labbra, ma grazie alla giacca di velluto che Mey-Rin le aveva regalato non ne risentiva.
Chaplin si era di nuovo addormentato tra le sue braccia, dopo aver manifestato il suo malcontento per il trattamento di poco prima mordendole un dito.
I capelli di Diana erano legati in un elegante treccia laterale che le pesava sulla spalla e le ricadeva sul seno sinistro e il nuovo abito di velluto verde le teneva caldo insieme alla giacca.
Quando il ragazzino scese finalmente dalla carrozza, la guardò e le chiese dove fosse finito Sebastian.
«Ha detto di avere un compito da svolgere e mi ha incaricato di svegliarla e di accompagnarla a cercare informazione sui bambini scomparsi» rispose lei staccandosi dalla carrozza e infilando il gattino ormai sveglio dentro il cappuccio.
«Stupido demone, avrebbe dovuto aspettare i miei ordini! Sarà andato da Scotland Yard a cercare informazioni sul caso… Mfp, muoviamoci, dobbiamo andare da Undertaker» dichiarò infine Ciel e, dopo aver fatto un cenno al cocchiere, risalirono entrambi.
Il tragitto fu silenzioso e fece crescere in Diana un odio così immenso da farle venire voglia di bruciare tutte le carrozze presenti sulla faccia della Terra.
Quando arrivarono a Londra quasi non ci credeva e, scendendo da quel mezzo infernale, ebbe quasi la tentazione di baciare il terreno.
L'ultima volta che era stata da Undertaker era ferita e bisognosa di cure.
Ora ci tornava vestita elegantemente e al servizio di un conte.
La situazione si era leggermente bilanciata a suo favore, solo leggermente.
Aprirono la porta e entrarono nell'ambiente oscuro, prima che qualcuno notasse il conte Phantomhive entrare nel negozio di un becchino.
Non videro subito il proprietario della bottega, ma sentirono la sua risatina spandersi per l'ambiente.
Ciel non reagì affatto allo scherno dell'individuo ancora invisibile, Diana si guardò intorno confusa e Chaplin soffiò timidamente per poi nascondersi ancora più a fondo nel cappuccio.
Sentirono un bussare cupo, poi un battito improvviso che li fece sobbalzare.
Diana arrivò a sentire le unghiette del gattino tirare il velluto per lo spavento.
Una bara poggiata in un angolo si era aperta, il coperchio in legno scuro era a terra, la nube di polvere andava spandendo, per poi diradarsi poco dopo e dalla bara videro uscire un uomo completamente vestito di nero che, sorridendo, disse:
«Oh, conte! Che piacere rivederla! È venuto a scegliere la sua bara?»
«Sono felice di deluderti, Undertaker, ma non sono qui né per scegliere né per provare una bara» rispose il ragazzino al curioso proprietario del negozio.
Erano passati pochi giorni da quando lui e Diana avevano conversato e lui era sempre lo stesso: i lunghi capelli d'argento che gli coprivano il volto erano luminosi e di un candore quasi surreale in un posto del genere e il volto, piagato dalla lunga cicatrice, mostrava un ghigno beffardo e cupo.
La lunga tunica nera e il cappello nero erano sempre al loro posto, sporchi di terra e malandati, e le sue unghie nere e lunghe sembravano pronte a incidere qualsiasi superficie che avessero accarezzato.
«Ah! Miss! Che piacere rivederla ancora viva! È lei che è interessata a comprare una bara? Il legno è ottimo e le assicuro che non le asporterò nessun organo… Biscotto?» e le porse una scatola con dentro dei biscotti a forma di ossa.
La bionda rifiutò gentilmente entrambe le offerte e accettò invece una tazza di thè, che però si guardò bene dal sorseggiare, notando la polvere non bene identificata che galleggiava sulla superficie della bevanda.
Diana si sedette su una bara e, tenendo il barattolo che fungeva da tazza in grembo, si guardò intorno.
L'ambiente che la circondava era piuttosto buio, illuminato solamente da alcune candele che proiettavano lunghe ombre contro le pareti umide e chiazzate dallo sporco.
Il giovane conte, con un'agilità sviluppata con l'abitudine, salì su una delle bare e appoggiò affianco a sé il suo bastone da passeggio.
«A cosa devo questa visita se non è riguardante le mie bare?» domandò con un sorrisino il becchino, sgranocchiando poi allegramente uno dei suoi strani biscotti.
«Informazioni… Informazioni sul caso dei bambini scomparsi» rispose il conte mentre picchiettava nervosamente un dito sul legno.
«Sapete bene qual è il prezzo per tale servizio» e a Ciel venne la pelle d'oca.
Oh, eccome se lo sapeva, era da quando erano partiti per ranggiungere quel negozio che non faceva altro che pensarci.
Sospirando, si fece si coraggio e rispose: «Si, lo so bene. Non posso lasciare questo ingrato compito a una signora: sono prima un gentiluomo e poi un conte.
Miss Diana, aspettami fuori» e, dopo essersi tolto il cappotto, iniziò ad alzarsi le maniche della camicia.
«Bocchan non è il caso, posso farlo comunque io...» iniziò la ragazza, ma il giovane alzò una mano ancora guantata e, guardando il negoziante che era già sul punto di scoppiare a ridere, disse con voce gelida: «È un ordine!» e la ragazza dovette sottostare al comando.
Uscita dalla bottega, fece uscire Chaplin dal cappuccio e lo lasciò inseguire qualche topolino che si aggirava per quelle strade secondarie.
Un altra sigaretta fu accesa e mentre sbuffava fumo grigio come il cielo, i suoi pensieri si concentrarono sull'unica persona che avrebbe dovuto rifuggire come la peste nera.
Ma perché i suoi pensieri tornavano sempre sul demone?
Perché? Perché i suoi occhi cremisi la mettevano in soggezione?!
Era un demone! Perché si sentiva attratta da lui?
Forse perché era dannatamente attraente?
Forse perché la sua eleganza lo rendeva una preda appetibile e un terribile predatore?
Forse perché la sua misteriosità la incuriosiva oltre ogni dove?
Quanto avrebbe voluto poter cancellare dalla propria testa tutti i pensieri spinti che si era fatta su di lui.
Mentre rifletteva aveva seguito senza pensarci il gattino che, attirato da qualcosa, si era infilato in un vicolo.
Mentre allontanava la sigaretta dalle labbra un paio di mani la agguantarono, tappandole la bocca e stringendole i fianchi.
«Hey bambolina, adesso noi tre ci divertiamo» disse un altro omone uscendo dall'ombra e avvicinandosi ai due appiattiti contro un muro.
Con il mozzicone ancora acceso bruciò una mano al tipo che la teneva il quale, preso in contro piede, la lasciò e lei potè vederlo in volto.
Si guardarono per pochi secondi, in cui la mente di lei si sforzò in tutti i modi di capire chi diavolo era la persona che aveva davanti.
Le sembrava di conoscerlo, ma non capiva dove potesse averlo già visto.
Poi però un'immagine: lei in un bosco mentre passeggiava, qualcuno che l'aggrediva, un combattimento uno contro quattro, un coltello e sangue e lei ricordò dove l'avesse visto.
Rabbia, paura e angoscia le annebbiarono la mente e non riuscì più a muoversi, diventando infine un fantoccio tra le mani dei due uomini.
Il suo cervello era andato in blackout totale e stava cercando di andare incontro alle emozioni che lo stavano travolgendo.
I due uomini colsero il momento di debolezza e allungarono le mani sulla ragazza.
Chaplin era corso dai due e aveva iniziato a graffiare le caviglie a entrambi, per poi venir scaraventato contro un muro dal calcio di uno di loro.
Il cappotto di velluto finì per terra e i primi bottoni del vestito vennero strappati.
E per la seconda volta quest'uomo si prende il diritto di sfruttare il mio corpo pensò lei senza rendersene conto.
Quando infine accettò che fosse arrivata la fine chiuse gli occhi, non volendo vedere lo scempio che avrebbero fatto del suo corpo.
Uno spostamento piuttosto veloce dell'aria e il suono della carne che veniva lacerata le fece spalancare gli occhi.
Un coltello da lancio di acciaio lucidissimo si era piantato nella spalla dell'uomo che la teneva e un altro trapassò il collo di quello davanti a lei.
Schizzi di sangue le arrivarono in faccia e lo sgomento le si dipinse sul volto.
Dall'alto di un edificio un ragazzo vestito di nero e di bianco con un gesto simultaneo lanciò un altro coltello e centrò in pieno anche l'altro uomo che cadde a terra lasciando la ragazza.
«Stai bene?» urlò il ragazzo non scendendo.
Diana annuì ancora sconvolta e sentì le gambe cederle, dopo tutta l'adrenalina che l'aveva tenuta cosciente.
Scivolò contro il muro e si sedette accanto ai cadaveri, vedendo il sangue macchiarle l'abito e Chaplin che le gattonava velocemente in braccio, incurante del liquido cremisi.
La bionda alzò ancora una volta lo sguardo non trovando più il ragazzo a guardarla, ma voltato e pronto ad andarsene.
«Grazie!» gridò lei e il giovane, voltandosi, le sorrise, per poi saltare giù dal palazzo e scomparire.







Angolino (non meritato) autrice

GOMEN NASAI!!!!!!!
Lo so che vi ho fatto aspettare tanto e mi dispiace tantissimoooooooooo!!! :'(
Solo che mi sono impallata con dei cantanti metal e non facevo altro che pensare a loro o a Another (lo si può notare dal coltello nel collo XD).
Comunque che ne pensate? Vi piace? E l'entrata scenica di Dagger? Fatemi sapere subito se avete già pensato a qualche ship o se ne avevate già qualcuna che amavate particolarmente in un commentino piccolo piccolo ;).
Vi aspetto in tanti!
Al prossimo capitolo ! (Si spera presto)
Bacioni,
Alice <3

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