Fallen angel

di AnAngelWithBrokenWings
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Dicembre ***
Capitolo 2: *** Vivere, vivere, vivere ***
Capitolo 3: *** Una corsa a perdifiato ***
Capitolo 4: *** Il bacio dell’angelo ***
Capitolo 5: *** C'era una volta... ***
Capitolo 6: *** La mia piaga ***
Capitolo 7: *** Un orologio e un candelabro ***
Capitolo 8: *** Per Sempre ***
Capitolo 9: *** Non più paura ***
Capitolo 10: *** Come il re Davide d’Israele ***
Capitolo 11: *** Uguali ***



Capitolo 1
*** Dicembre ***


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“Non sono uno di quelli che non credono all'amore a prima vista, ma preferisco sempre dare una seconda occhiata.”  [Bruce Lee]
Siamo in pieno Dicembre
Il Natale è in assoluto il periodo più bello dell’anno. Si diventa più buoni, i soliti musoni sono persino più ridanciani; si mettono da parte, almeno per un po’, i rancori e i dissapori reciproci, concentrandosi sulla serenità, la gaiezza, la spensieratezza della festività, sulle luci bianche, sullo strano ma familiare e ben accolto profumo del proprio albero natalizio, tirato fuori dall’ingombrante scatolame polveroso dopo undici mesi di letargo, sulla natività del nostro Gesù, per la quale si organizza una delle messe più incantevoli dell’anno.
Insomma, questo periodo ha qualcosa di magico, letteralmente. Ho formulato una mia teoria al riguardo- tanto suggestiva quanto bizzarra, mi dice spesso il mio fratellino-, secondo la quale, a partire dall’inizio delle vacanze natalizie, le driadi dei boschi invernali (delle ninfe bellissime appartenenti alla mitologia greca) abbandonino le loro case, ovvero i tronchi ruvidi e resinosi degli alberi, e spandano un cucchiaio del loro spirito stagionale pure nei centri abitati, cosicché tutto cambi aspetto, le strade si srotolino in un trionfo di persone, bande, pacchetti, luci colorate, alberi e neve… neve bianca come il latte, la cosa che forse adoro maggiormente di questo momento dell’anno, e altra testimonianza- mi piace pensare- che la magia esiste, così come esistono driadi, naiadi, orchi, serpenti che si trasformano in uomini, draghi minacciosi e sirene ingannatrici dalle squame brillanti.
‘Questa qui è tutta matta’. Vi ho sentito, so cosa state pensando, ma niente di preoccupante gente, il mio è solo amore smisurato per le storie impossibili, e, da quello che avete sentito finora, credo abbiate dedotto che sono un’ammiratrice del fantasy, anche se ho sempre condotto una vastità eterogenea di letture di generi differenti. E sapete? Non sono neanche una vecchia matusalemme, insegnante di lettere o quant’altro, ma una semplice ragazza adolescente al tramonto della sua “fase ormonale”, con la genuina passione della lettura, con una sfilza di preferenze in fatto di musica, una famiglia pressoché “normale”, nella sua stravaganza, e un gatto insolente che mi soffia ogni qualvolta incrocia il mio sguardo. Ho chiesto più volte a mia madre di disfarcene, ma la peste e il mio fratellino vanno maledettamente d’amore e d’accordo, quindi il mio intento è fallito da subito. A volte penso che quel gatto mi voglia piegare fino all’esasperazione.
Non c’è molto da dire riguardo a me, sono come le carte da gioco comuni, che, in confronto a quelle rare, olografiche e che hanno chissà quanti punti attacco, sembrano inutili, insignificanti, poco interessanti. Ma  mi presento ugualmente come si deve: mi chiamo Angela, ho diciassette anni e frequento un grigio Liceo della mia provincia, dove ogni giorno è uguale a quello precedente e l’unica nota positiva sono le materie letterarie, che scuotono per qualche ora il tedio insopportabile che mi preme dietro al banco. Se dovessi aggiungere qualcos’altro, guardandomi allo specchio, posso dire di essere piuttosto alta per la mia età- il ché mi fa solo piacere-, ho una costituzione sottile, ma per niente fragile, e sono, a detta di molti amici e parenti, anche ben prosperosa: una calda bellezza mediterranea, mi dicono. E, in effetti, assieme alle mie labbra carnose, le lentiggini appena accennate, spruzzate ai lati del mio volto rotondo e asciutto, e gli occhi grandi e autunnali di un grado di marrone molto scuro, lo stesso colore dei miei capelli ondulati e lunghi, questa nomea che mi sono creata attorno penso non sia discorde al mio aspetto.
Ho perso il conto di quante volte le mie compagne di classe mi abbiano incitato a mettere da parte ‘quei vecchi libri polverosi e ammuffiti’ per andare a caccia… di ragazzi. Mi dicono spesso, con tono quasi mellifluo, che ‘tutta questa bellezza è sprecata sulle pagine di un libro, piuttosto che sulle labbra di un ragazzo. Come vorrei essere al tuo posto!’.  Certo, l’importante è solo l’aspetto esteriore, chi se ne infischia della cultura e di ciò che una persona ha dentro e quanto valga in realtà, a dispetto del proprio aspetto? Ma io non cerco questo, non gli amori inconsistenti ed effimeri, non le avventure passionali da un mese o due… o forse sarebbe più corretto dire che ancora non l’ho trovato, non ho trovato mai una persona che mi abbia fatto battere il cuore fino a fare male, che abbia fatto trasparire un sentimento puro e disinteressato come fece Dante con la sua Beatrice.
Ergo, attualmente le mie uniche amanti sono solo la religione e la scienza.
Tuttavia non sono un cuore di ghiaccio, se mai ci sarà qualcuno per cui valga la pena lottare, farsi male, piangere, soffrire, gioire, ringraziare la vita, state pur certi che me ne accorgerò.
Ma ora basta. Rimettiamo i piedi a terra, torniamo alla realtà. Farò tardi a scuola se mi perdo in pensieri così stupidi all’alba.
Già. A scuola…
Un’altra piatta, dimenticabile giornata nel luogo meno emozionante della terra. Chissà se tutti i licei del mondo sono come il mio, un sassolino della scarpa che non si decide a uscire fuori, professori che non vogliono insegnarci a vivere, ma solo a risolvere equazioni e funzioni, e ‘amici’ da cui faresti bene a guardarti. Al solo pensiero di quel luogo finto e delle persone che vi brulicano come ipocrite, tiro fuori una leggera smorfia di disgusto, mentre mi infilo una camicia candida e morbida, seminascosta da un maglioncino blu cobalto della Hollister. Indosso di furia un paio di jeans con piccole scuciture che gli danno un’aria molto shabby e chiudo il tutto con delle All Stars bianche. Giubbotto grigio e zaino in spalla, scendo velocemente fino a pian terreno, dove già riesco a sentire più freddo rispetto ai piani superiori.
All’improvviso però un pensiero mi tange, e, prima di abbassare la maniglia del portoncino di casa, decido di portare qualcosa da leggere, così da riempire quei buchi vuoti che mi capita di avere a scuola, anche se ho un presentimento estraneo che mi comanda di avere un libro a portata di mano. Percorro di gran carriera le rampe del mio appartamento a ritroso, per arrivare fino all’entrata del piano in cui abito. La porta è di castagno, e ha delle venature che a volte mi rilassano al sol guardarle, ma non ho proprio tempo per rilassarmi sta mattina, potrei perdere l’autobus. Perciò attraverso immediatamente l’uscio e misuro a grandi passi il corridoio, fino a giungere davanti alla mia camera:  ha uno stile romantico, che si addice a una bambolina ricamata a mano, e il legno domina per ogni mobile qui presente, compresa la libreria, sulla quale getto subito uno sguardo frenetico, passando in rassegna molti titoli di svariati generi, fino a quando decido di estrarre un quadernetto nero, piuttosto maltrattato e con delle orecchiette dal lato dell’apertura. Decido che è la scelta giusta, per qualche motivo che non mi spiego bene. Al suo interno ho annotato sempre le poesie o i passi più belli e incisivi che si sono scolpiti nella mia mente sin dalla prima volta che li lessi, continuando tutt’ora questo mio piccolo hobby, quasi da giovane scriba in erba. Pascoli, Pirandello, Neruda, Manzoni, Dante, Holderlin, Foscolo, Shakespeare… loro e molti altri sono in questo piccolo oggetto, apparentemente insignificante e inutile per il suo contenuto. Almeno questo è ciò che continuano a ripetermi i miei compagni, che volgono gli occhi al cielo non appena alzo le spalle, come se volesse essere una risposta e una giustificazione alla loro considerazione. Mi diverto molto nel rivedere queste situazioni nella mia mente, perché alla fine vinco sempre io e faccio esasperare buffamente gli altri miei colleghi di classe. spesso li esorto anche a condividere con me una lettura che mi ha coinvolto particolarmente, ricevendo però un cortese ‘no, grazie’ come risposta.
Ma, in fondo, de gustibus disputandum non est, non posso biasimarli solo perché non abbiamo gli stessi interessi, eppure…
Eppure sarebbe meraviglioso trovare una persona così simile a me, tanto da poterla vedere dall’altra parte dello specchio ogni qual volta mi ci piazzi davanti io… qualcuno che mi ascolti davvero, che mi guardi negli occhi mentre parla e non nel vuoto, come fanno tanti, qualcuno con cui poter parlare delle cose piccole e semplici, che fanno della vita un’orchestra di maestosa bellezza.
Ma, più di ogni altra cosa, desidero ardentemente incontrare qualcuno che non mi giudichi da fuori, ma  che scruti dentro di me fino a scoprire come sono veramente, che non sono solo una bella ragazzina, magari stupida, che pensa solo a se stessa e chiude il mondo fuori dalla propria porta con una chiave invisibile.
Mentre sfilo questa raffica di pensieri sono ormai giunta alla fermata dell’autobus, che mi scorterà a breve al pallore della mia solita routine.
Almeno una consolazione c’è: la neve. Siamo in pieno Dicembre.
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Hey, salve care lettrici elettori! Vi sta piacendo questa storia alternativa de La Bella e la Bestia? Se sì, vi invito ad aggiungermi ai preferiti, dato che pubblicherò altri capitoli di questa fanfiction, e anche a lasciarmi una recensione per conoscerci meglio e avere uno scambio proficuo di idee e pareri! E a proposito di letture, che libro state gustando ultimamente?
Buona continuazione!

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Capitolo 2
*** Vivere, vivere, vivere ***


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"Io, Insomma, Volevo Vivere, Vivere, Vivere!" [Il Fu Mattia Pascal, Luigi Pirandello]

 

Vivere, vivere, vivere

La mia scuola si erge su una struttura a tre piani, contrassegnati da alte finestre rettangolari non moto curate e leggermente opache. I collaboratori (si, è così che esigono che chiamiamo i bidelli) non svolgono di buon grado le loro mansioni e, a parte qualcuno, tutti gli altri non sembrano essere molto gioviali con gli studenti. In alcuni punti del palazzo il muro si è scrostato, segno che la costruzione dell’edificio è stata svolta da delle scimmie e che dell’acqua piovana è entrata con estrema facilità in mezzo al “solido” cemento di compattazione.
Anche da dentro non è un gran ché: corridoi insulsi, illuminati da un’ancora più insulsa e triste luce al neon; classi vecchie e sgretolate, che sembrano quasi cadere a pezzi sotto il peso degli anni, ornate da quel poco che occorre per l’apprendimento: cattedra, banchi, sedie e lavagna, tutti rovinati e consunti talmente tanto, da far credere che siano stati usati come armi durante una guerra tra classi adiacenti.
Se non fosse per le discipline, condotte piacevolmente da professori fantastici, si potrebbe dire che questo istituto sia sbucato fuori dal terzo mondo. Ok, ora magari esagero, la verità è che le cose mi appaiano più orrende di quanto non sono perché vorrei tanto che le cose cambiassero. Ultimamente sento sempre più pesante la cappa della monotonia, che non mi permette di compiere più molti passi in avanti, mi sta inchiodando mano a mano in un punto fermo. E’ per questo che chiedo con tutto il cuore a qualche angelo o spirito che mi ascolti, di scuotere la mia vita ripetitiva, sempre uguale e spalancarmi la porta per un’avventura irripetibile, di quelle che leggo nei miei romanzi e che invidiavo a tal punto da odiare quei libri per averli amati oltre misura. So che posso sembrare una Madame Bovary di quarta categoria, ma sono nel fiore degli anni ed è frustrante vedermeli scivolare dalle mani come acqua, senza poter fare nulla per riacciuffarli e modellarli a mio gusto. Quindi, penso di fare una delle cose più imbarazzanti che mi stanno frullando nella mente in questo momento, forse come consolazione momentanea.
-Ti prego, ti prego…- sussurro a bassa voce, mentre scendo dal grosso autobus che mi ha condotto davanti alla grata di ferro del liceo- ti prego, strappami da queste vesti, anche solo per un giorno…-Non so esattamente chi io stia pregando, ma continuo comunque, chiudendo gli occhi, concentrandomi tanto, troppo, sentendo dolere la testa- voglio poter vivere una storia incredibile, straordinaria, più appassionante di quelle che ho letto, più inaspettata di quanto creda, movimentata come il mare in tempesta e romantica come il Sole quando bacia la sua Terra, permettendole di vivere, vivere, vivere…
Vivere… chissà qual è il suo significato reale, perché c’è ancora chi ci studia sopra. Alcuni pensano addirittura che sia un altro sinonimo di amare. Ho ancora gli occhi chiusi dopo aver pronunciato quel magnifico verbo tre volte, sicura che, quando li riaprirò, mi si parerà dinanzi il solito cancello arrugginito e rovinato della scuola. Quindi li spalanco di colpo. Ci vuole qualche secondo prima che metta bene a fuoco gli oggetti, mentre pronunciavo quelle parole senza significato e senza fondamento ho strizzato talmente tanto gli occhi, che sono costretta a stropicciarli per vederci meglio… e ritornare con i piedi per terra, alla realtà. Una cosa però mi sembra strana: fino a pochi minuti prima c’era un sole gentile che inondava di tiepido calore la bianca coltre invernale. Adesso, anche mentre cerco di riacquistare una vista lucida, mi pare di vedere figure indefinite, ma sottili e scure, quasi nere… i miei piedi poggiano su un terreno duro, privato del candore della neve, e il cielo… sembra molto macabro, perché ha assunto un colore spettrale, sembra notte inoltrata.
Ma solo quando riesco a distinguere ciò che mi circonda, per poco un grido mi si cuce in gola, sostituito da una deglutizione che lo ricaccia indietro nello stomaco.
Mi trovo in una foresta.
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Hey, salve care lettrici elettori! Vi sta piacendo questa storia alternativa de La Bella e la Bestia? Se sì, vi invito ad aggiungermi ai preferiti, dato che pubblicherò altri capitoli di questa fanfiction, e anche a lasciarmi una recensione per conoscerci meglio e avere uno scambio proficuo di idee e pareri! E a proposito di letture, che libro state gustando ultimamente?
Buona continuazione!

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Capitolo 3
*** Una corsa a perdifiato ***


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La più antica e potente emozione umana è la paura, e la paura più antica e potente è la paura dell’ignoto. [Howard Phillips Lovecraft]

Una corsa a perdifiato

Che cosa ho fatto? Come ci sono riuscita? Perché mi trovo qui? E’ solo un brutto sogno, ne sono sicura! Tutto questo non può essere reale…
Non riesco a trattenere i pensieri nella mia testa, sento che da un momento all’altro potrei urlare alla luna impassibile, che si scorge appena, tra le braccia spinose dei pini e le nuvole sformate, che paiono fantasmi. Sento che il respiro mi si fa sempre più affannoso e, credendo che tutto questo sia solo un orribile incubo, mi ricopro di violenti pizzicotti in ogni punto visibile di pelle, sulle braccia, sulle gambe, sul viso aggiungendo pure agli schiaffi. Ma il risultato è solo un dolore lancinante che mi stordisce completamente e mi rassegno al fatto di non star sognando.
Un istante dopo mi ricordo del luogo in cui mi trovo, grazie- o per colpa- di un lungo ululato proveniente dalla mia postazione. I lupi, ci sono dei lupi nelle vicinanze, e il loro olfatto non sbaglia facilmente quando si tratta di prede. Devo correre, correre il più veloce possibile… ma verso dove? Non so nemmeno se ci sia un rudero fuori da questo bosco, se ci sia anche solo un’uscita certa, ma nonostante ciò, prendo quel poco di coraggio che ricompatto alla bell’e meglio e biascico per una direzione incerta, sentendomi i piedi di piombo e la fronte madida di sudore.
Ok Angela, non puoi proseguire in questo modo- penso tra me e me- fermati, prendi un bel respiro profondo e valuta tutte le…
Non ho nemmeno il tempo di elaborare quello che è appena successo, che un grosso lupo grigio mi sbarra la strada con violenza, zampe anteriori spalancate come segno di avvertimento, gli occhi, due fessure di un azzurro così vitreo da farmi salire un brivido di terrore lungo tutta la schiena, solo rosso e bianco tra le gengive sporgenti e i denti affilati, pronti per essere affondati nella carne.
Corri Angela! Vai via di lì...
Il canide si è fermato a una decina di metri da me, ma me lo sento addosso, paralizzata dal suo ringhio costante, che vuole dire ‘ormai di ho in pugno, non ti darò via di fuga. La tua carne sarà la mia cena, questa notte.’
Che cosa aspetti?! Muovi quelle gambe se ci tieni alla pelle!
Continua minaccioso, adesso il ringhio è più deciso, come se il predatore si preparasse ad attaccare. Lo sguardo puntato intensamente sulla mia carne.
Corri, maledizione, corri!
E inizio la corsa più disperata della mia vita, senza una meta né una sicurezza, solo con la speranza di non imbattermi in un branco intero di quegli assassini pelosi. La notte non mi può aiutare, perché non riesco a vedere molto, e mi capita di essere graffiata dai rami degli alti fusti smilzi, venendo ricoperta anche di sangue, di cui sento l’odore intenso e sgradevole: chissà se le mie ferite sono molto gravi. Ma finché riesco a correre, ignoro le piaghe che mi sta assestando la foresta e avanzo decisa a enormi falcate.
Mi chiedo, tra le lacrime che mi riscaldano a malapena le guance rosse e ghermite dal gelo, se a casa mi stiano cercando, se mia madre e mio padre stiano bene, mio fratello, gli insegnanti, gli amici… Si, certo, gli amici. Sicuramente, anche se mancassi per molto tempo, stapperebbero lo spumante prima di subito. A chi serve una come me, che sta tutto il tempo arricciata su uno libro e non pensa a migliorare il proprio aspetto o a slinguazzare qualche stupido dalla mattina alla sera? Patetico. Solo maschere, sempre maschere attorno a me…
Improvvisamente ogni pensiero si blocca. Tra quelle superfici legnose, che sembrano carcasse per la loro eccessiva sottigliezza, riesco a intravedere una torre piuttosto alta, che deve appartenere a un maniero, e, con una goccia di speranza nel cuore, mi ci dirigo il più velocemente possibile. Mano a mano il castello si compone di tutti i suoi pezzi: allora riesco ad ammirarlo nella sua maestosità, per quel poco che mi concede la luna: un trionfo di torri, mura spesse e temibili, archi a tutto sesto, bassorilievi, busti di angeli cherubini sporgenti da alcune finestre e arcangeli guerrieri di marmo bianco con lo sguardo indefinito e avviluppati per buona metà dall’oscurità. Non ho un attimo di esitazione, invoco aiuto a squarciagola mentre avanzo fulminea. Qualcuno dovrà pur sentirmi: delle guardie, il castellano, uno stalliere. Ma niente. Richiedo nuovamente soccorso, più forte di prima, ricevendo come risposta solo il silenzio. Perché mi fanno questo?
Grido una terza volta tra le lacrime, che cadono copiose a terra e mi bruciano le guance. Sembro una disperata mentre corro verso il pesante cancello che, finalmente, si spalanca. Si è aperto di scatto, non so da chi, dato che non vedo nessuno, ma non mi lascerò sfuggire quest’occasione di salvezza. Lo supero senza indugi, essere sbranata a morsi è l’ultima cosa che voglio!
La grata viene chiusa dietro le mie spalle subito dopo avermi fatto passare, un attimo prima che la belva possa accedere all’entrata della fortezza, facendola sbattere con estrema violenza e producendo un forte tonfo metallico.
Sono salva.
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Capitolo 4
*** Il bacio dell’angelo ***


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"Non esiste uomo tanto codardo che l’amore non renda coraggioso e trasformi in un eroe." [Platone]

Il bacio dell’angelo

Sono a corto di fiato, ho l’impressione che il cuore possa schizzarmi fuori dal corpo da un momento all’altro, perciò mi porto una mano graffiata e sporca di resina e sangue sul petto, ripetendomi più volte che il peggio è passato, anche se la mia voce trema e il suo tono è flebile. Anche il mio aspetto non dovrà essere dei migliori in questo momento, mi basta uno sguardo distratto sul dorso delle mani e su quelli che erano i miei vestiti, ora chiazzati di rosso scuro e con qualche strappo, per rendermene conto.
Solo adesso che è passata la tempesta ed è venuta la quiete, alzo gli occhi verso il possente gigante di pietra che mi ha accolto nel suo ventre. Prima di accedere al castello vero e proprio, mi ritrovo in un  complesso di stradine fiancheggiate da tigli e betulle spogli non molto alti e da rose rosse… quasi esclusivamente da rose rosse. Sento anche il nitrito sommesso di qualche cavallo che per un attimo mi fa sobbalzare. Nel castello ci deve essere una stalla, quindi anche chi se ne occupa. Non può essere un luogo disabitato, qualcuno mi ha aperto il cancello, eppure c’è troppa calma, troppo silenzio, che mi fa tremare le dita pallide di freddo.
Provo comunque a schiodarmi dalla mia posizione e avanzare di qualche passo, per chiedere asilo entro le mura del maniero notturno. Penso di offrirmi come domestica per un po’ di tempo, finché non avrò capito come andarmene da questo posto infernale, anche se ho un presentimento sinistro, il luogo sembra attorniato da un’aura oscura, ora che lo guardo meglio. Gli angeli abitanti del giardino, che prima non si distinguevano bene durante l’inseguimento, hanno ora un aspetto più chiaro: alcuni hanno il volto triste e sono rannicchiati in ginocchio o distesi sul fianco, le ali deboli, fragili; altri sguainano una lunga spada dal fodero, con un atteggiamento da giudici e giustizieri. Ce n’è persino uno che fa venire una tremenda angoscia al guardarlo: è una statua ad altezza naturale, collocata a pochi passi dalla mia destra, sopraelevata da un piedistallo in marmo bianco venato di grigio. L’angelo sembra molto realistico, come tutti gli altri esseri alati che popolano la facciata del castello. E’ piegato verso il basso, nell’atto di avvicinare le labbra ad un uomo sofferente, per baciarlo . Ha un sorriso appena accennato nella penombra, gli occhi marmorei e sereni, senza pupille e il volto rotondo, scolpito con gran maestria, visivamente liscio e morbido, come la pelle di un neonato. I capelli corti, divisi da una lieve riga centrale, sono onde perfette che ricadono sulle guance liscie, e la tunica disegna perfettamente ogni curva dell’angelo con pieghe leggere, lasciando uno scorcio di spalla scoperto. Le ali fanno da schermo a tutta la scena, fiere e forti, composte da un mosaico di piume candide, la cui punta poggia gentilmente sul freddo piedistallo. Le braccia sinuose sorreggono l’uomo, che sembra avere non più di vent’anni. Indossa vesti molto pregiate, a giudicare dalla giacca col colletto alla coreana, chiusa da quattro bottoni di diamante e ornata di due spalline con la frangetta. Forse è un nobiluomo, un personaggio storico, un… principe. Ha un volto affascinante e possente, degno di un atleta dell’Ellade antica, incorniciato da capelli corti e lisci, il suo aspetto scorda però con gli angoli interni delle sopracciglia tesi in alto, il dolore effuso dal suo sguardo, il dorso della mano sinistra leggermente alzato per bloccare l’avanzata dell’angelo, la bocca semiaperta in un gemito di pietà mai proferito. E’ uno spettacolo bellissimo e inquietante allo stesso tempo, a causa della notte avversa. Forse l’angelo che vuol baciare l’uomo è un angelo della morte… Mi ricorda vagamente l’Estasi di Sante Teresa.
Distolgo la vista da quell’opera e proseguo lungo la petrosa via costeggiata da rose. Trascino con difficoltà un piede davanti all’altro, la fuga dal lupo mi ha causato delle ferite poco profonde  alle gambe, che però, se non curo al più presto, potrebbero infettarsi gravemente. Sono a pochi metri dall’alto portone ovale di legno massiccio, per usare quel poco di forza che mi rimane e bussare alla porta, pregando che qualcuno di buon cuore mi accolga dentro. Ma all’improvviso mi sento intorpidita e la vista mi si annebbia, le palpebre pesanti cercano di portarmi nell’oscurità. Arretro di qualche passo, come se qualcuno mi avesse preso a pugni sullo stomaco, e vi incrocio entrambe le braccia per proteggermi dal pugile inesistente che mi sta dinanzi, impedendomi di raggiungere la mia meta.  Le orecchie incominciano a fischiarmi e ho un dolore lancinante al fianco sinistro e al petto. Deve essere stato l’inseguimento di prima a ridurmi così, infarcito dalla buona dose di angoscia e terrore che ho avuto non appena ho messo piede in quel malaugurato bosco, che deve aver fatto aumentare i mie battiti cardiaci.
E’ questione di pochi secondi prima che le mie ginocchia battano con violenza a terra e il resto del mio corpo si abbandoni con esse, cadendo bocconi, gli occhi rivolti al legno che avrei dovuto raggiungere.
E’ finita. Morirò e non ci sarà nessuno a salvarmi stavolta.
L’ultima cosa che ricordo è l’immagine sbiadita del portone che si apre piano piano e una mano… no, una… una zampa, tirarla da dietro. Il mio corpo sporco di sangue secco sollevato delicatamente da due braccia forti, muscolose e… ispide, pelose.
Dove sono finita? Chi è lei? Ma non riesco a pronunciare neanche queste poche parole, perché il sonno prende il sopravvento e i miei occhi si richiudono nel riposo più profondo.
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Hey, salve care lettrici elettori! Vi sta piacendo questa storia alternativa de La Bella e la Bestia? Se sì, vi invito ad aggiungermi ai preferiti, dato che pubblicherò altri capitoli di questa fanfiction, e anche a lasciarmi una recensione per conoscerci meglio e avere uno scambio proficuo di idee e pareri! E a proposito di letture, che libro state gustando ultimamente?
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Capitolo 5
*** C'era una volta... ***


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"La bellezza non è nel viso. La bellezza è nella luce del cuore." [Khalil Gibran]

C’era una volta…

C’era una volta, tanto… troppo tempo fa, un uomo.
Egli era un principe affascinante, forte e molto potente, ma altrettanto avido, crudele e spietato, a causa della morte prematura del re e la regina durante una spedizione mercantile in una terra selvaggia e primitiva, che lo lasciarono orfano a soli cinque anni.
Il castello in cui abitava era al sommo di una collina splendente rivolto verso Nord, con all’opposto infinite praterie che si estendevano a Sud, baciate passionalmente ogni giorno dal sole di mezzodì, e un immenso lago dove abitavano cigni candidi, bianchissimi. Nel maniero lavoravano servi molto umili e semplici, che avevano tentato invano di correggere il comportamento errato del loro padrone, andando anche incontro alla sua posizione, che non doveva essere per nulla semplice. Tuttavia gli sforzi dei domestici, delle nutrici, dei consiglieri, persino dei garzoni di stalla, non riuscirono a smorzare la rabbia incontenibile del ragazzo, che montava giorno dopo giorno.
Nonostante ciò, la vita di corte entro le mura reali sembrava sempre molto festosa e gaia. Essendo troppo giovane per reggere la corona, il fanciullo si faceva guidare, spesso malvolentieri, dalla propria servitù, la quale cercava in tutti i modi possibili di rallegrare lo spirito caduto del giovane. Se infatti non si fosse ripreso, il regno sarebbe piombato nel caos, nell’anarchia.
Ma gli anni passavano inesorabili e, mano a mano, a corte, si respirava un’aria sempre più tetra: il neo-re si era rifiutato di assumersi le proprie responsabilità verso il regno, anteponendovi i propri capricci, ed era diventato sempre più irascibile, pure con gli stessi servi che l’avevano cresciuto e che avevano tentato di trasmettergli il medesimo affetto dei suoi genitori.
Poi, un giorno, il giorno del suo diciannovesimo compleanno, una visita inaspettata irruppe nel suo freddo mondo dorato.
Il principe camminava indisturbato per i propri giardini, colmi di narcisi bianchi irradiati dal sole, e animato da statue di angeli in marmo bianco. Sebbene tutti i domestici lo avessero esortato a festeggiare i suoi diciannove anni con una grande festa, invitando molti nobili del regno, la risposta era stata categorica- Non voglio nessuna stupida festa, non irritatemi oltre!- non c’era spazio per la serenità, la felicità, la bontà nel suo cuore, da tempo tinto di nero e avvolto dalla caligine.
Avanzava a passi pesanti tra quegli splendidi fiori bianchi, battendo con violenza i piedi ad ogni passo, quando all’improvviso fu abbagliato da una luce bianca, intensissima, e cadde all’indietro per lo spavento.
-Tu, giovane irreparabile, sei stato osservato per tanto tempo. La tua insolenza, la durezza, la mancanza di bontà, hanno nutrito la bestia che è nata nel tuo cuore di pietra. Potrai anche sembrare un principe all’esterno, ma il tuo atteggiamento con te stesso, con i tuoi servi, con i tuoi parenti, fa del tuo animo quello di una belva feroce, insaziabile di odio e cattiveria.
-Chi… chi siete voi? Come osate irrompere tra le mura del mio palazzo? Guardie! Guardie!
-E’ inutile urlare, non c’è nessuno qua fuori, a parte me e te. Tu chiedi chi io sia, ebbene: sono un angelo, il tuo angelo protettore. Più volte ho cercato di dirti una parola buona all’orecchio per farti imboccare la strada dell’amore e della generosità, ma tu sei stato sordo e cieco a tutte le mie correzioni, perciò il mio Signore mi ha permesso di scendere sulla Terra e manifestarmi con la mia vera natura luminescente per darti la punizione che meriti.
-Di cosa stai parlando? Sei un pazzo! Tu non puoi…
-Dato che sei stato incapace di amare nonostante il tuo bell’aspetto, verrai trasformato in un’orrenda bestia, e, con te, tutti gli abitanti del castello si tramuteranno in oggetti insulsi. Solo l’amore di una giovane fanciulla in grado di vedere oltre le apparenze potrà liberarti dal castigo. La tua dimora splendente cadrà nella penombra e nella malinconia. Gli angeli, miei compagni, che popolano questo grigio spazio cinto da gelide mura, d’ora in poi esprimeranno a pieno le loro reali emozioni. I fiori bianchi, perle di questi cespugli, verranno rimpiazzati dal sanguigno delle rose spinose, per ricordarti il sangue versato dai tuoi buoni genitori, ai quali non hai mai pensato in questi quattordici anni. Ricorda: solo l’amore di una fanciulla potrà rompere le catene della tua condanna. Se entro il tuo ventesimo compleanno non riuscirai ad amare ed essere ricambiato a tua volta, rimarrai una bestia per sempre e tutto il castello sarà il riflesso della tua immagine.
L’angelo si dissolse repentinamente e con esso tutta la dolcezza che offriva il vivaio: le statue alate iniziarono a cambiare posizione, contorcendosi, rannicchiandosi, coprendosi il volto con le mani. Gli arcangeli combattenti uscirono il gladio dal fodero come se dovessero puntarlo contro un nemico stante più in basso. Poi toccò ai piccoli narcisi, sgretolatisi in polvere abbandonata al vento, e rimpiazzati da rose vermiglie che si schiusero nel giro di pochi istanti, punteggiando di rosso sangue ogni superficie disponibile e arrampicando le proprie spine sui piedistalli degli angeli sofferenti. Intanto, il cielo si fece plumbeo.
E il principe, che aveva assistito attonito all’oscura metamorfosi, improvvisamente provò un dolore insopportabile alla schiena, la sentì arcuarsi, le gambe scomparvero per lasciare il posto a due zampe lupine artigliate. Una lunga coda canina spuntò dal fondo del dorso, il petto si fece più ampio e si riempì anch’esso di una copiosa peluria marrone. Le dita lisce e sconosciute al lavoro manuale si ingrossarono e si rivestirono di folti peli e neri artigli affilati. Anche sul bel volto del fanciullo scese l’ombra: i denti ormai erano zanne bianche e sporgenti, le spesse sopracciglia aggrottate in un’espressione truce, di sofferenza e rabbia, due corna nere leggermente attorcigliate cadenti sull’ampia fronte. Ora, più che un viso umano, quello del giovane era il muso di un animale mai esistito in natura.
Solo una cosa non era variata: gli occhi. Quegli occhi di un azzurro così brillante, che sembrava contenessero tutto il mare dei Caraibi, non erano stati privati della loro umana luminosità, proprio perché sono gli occhi lo specchio dell’anima. Quell’anima che doveva essere rinvenuta dalla più coraggiosa e sensibile delle ragazze. Concedendogli uno sguardo umano, è stato come se l’angelo avesse voluto dare al principe uno strumento prezioso per spezzare quella che, più che una punizione, gli appariva come una vera e propria maledizione.
-Rooaar! No! No! No! Non può essere!- anche la sua voce era diventata quella di una bestia, roca e tonante.
Con la mente che rimbombava di odio e ira, la nuova creatura scattò quattro zampe verso il portone del castello, che spalancò furiosamente con la massima facilità- la sua forza fisica era ora pari a quella di un leone- e si piazzò in pochi secondi al centro dell’immenso ingresso, che terminava frontalmente con due larghe scale tappezzate rivolte a lati opposti: quella a destra portava all’ala Est, l’altra all’ala Ovest.
La bestia urlò a gran voce, invocando imperiosamente i nomi dei servi più fidati, ma gli rispose solo l’eco dei propri ruggiti disperati.
‘Che siano… morti?’ pensò a un tratto. Solo allora, per la prima volta, un velo di tristezza e senso di colpa attraversò il suo sguardo, tornato un istante dopo carico di rabbia.
Passò qualche minuto. La Bestia era ancora immobile in mezzo alla grande sala, scuro in volto, quando un lieve rumore ruppe il silenzio: il clangore, il tonfo di oggetti, che uscirono allo scoperto al cospetto del loro padrone.
Proprio così, tutti gli abitanti del castello si erano trasformati in insulsi oggetti. Esattamente come aveva predetto l’angelo.
Era settembre.

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Hey, salve care lettrici elettori! Vi sta piacendo questa storia alternativa de La Bella e la Bestia? Se sì, vi invito ad aggiungermi ai preferiti, dato che pubblicherò altri capitoli di questa fanfiction, e anche a lasciarmi una recensione per conoscerci meglio e avere uno scambio proficuo di idee e pareri! E a proposito di letture, che libro state gustando ultimamente?
Buona continuazione!

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Capitolo 6
*** La mia piaga ***


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“La più diffusa malattia degli occhi è l'amore a prima vista.”  [Gino Cervi]

La mia piaga

Il buio è la mia casa.
Nel suo grembo nessuno può vedermi e soprattutto io non posso vedermi, questo ammasso informe di peli e zanne, che mi ha procurato solo odio e sofferenza e ha piantato un costante timore tra i miei servi, i quali, pur nutrendo per me ancora lo stesso immutato rispetto, non riescono nemmeno a guardarmi in faccia. E la cosa più umiliante è che non riesco a farlo neanche io stesso.
Digrigno i denti e premo ancora di più la schiena nella poltrona, mentre stringo i pugni fino ad affondare le mie unghie… le mie zanne, nei palmi delle mani. Fisso accigliato e immobile le capriole del fuoco dentro il camino e penso a come vorrei essere qualsiasi altra cosa in questo momento, ma non… questo.
Solo l’amore di una fanciulla potrà rompere le catene della tua condanna.
Tiro un sospiro di esasperazione e, fissando ancora le lingue di fuoco, scatto in piedi e cammino avanti e indietro per il gran salone tappezzato di bordeaux, facendo ondeggiare ad ogni giro il lungo mantello rosso. Chi potrebbe mai amarmi? Non è assolutamente possibile. Quell’angelo maledetto mia ha tratto in inganno e adesso sono tra l’incudine e il martello. E’ inutile illudersi.
In più, quell’essere mi ha lasciato un ricordino per essersi preso il disturbo di irrompere nel mio castello e trasformarmi in quello che sono ora: quella statua, quell’angelo, quell’uomo… quel bacio. Ogni giorno vedo la creatura alata avvicinare sempre più le labbra a quell’uomo, una clessidra inesorabile che determinerà l’esito del mio castigo.
Solo l’amore di una fanciulla…
-Tockins!- la rabbia ha preso il sopravvento, di nuovo; cerco di strozzare la rabbia inspirando ed espirando profondamente. -S-s-si padrone!- la sua voce è lontana ma subitanea, e quando passa sotto l’alto arco a tutto sesto del salone, sono costretto ad abbassare gli occhi nella sua direzione: pochi centimetri di un orologio a pendolo in legno, con un quadrante ampio e grassoccio. Potrebbe non sembrare, ma Tockins è il più ligio dei servitori, assieme a Lumière e pochi altri, che sono rimasti ancora fedeli a me, nonostante il mio atteggiamento… - Ai comandi, padrone! In cosa posso servirla?- mi chiede tutto d’un fiato e con reverenza.
Chissà cosa lo spinge a comportarsi così, in questo posto maledetto e pieno di ombre. – Tockins- il mio tono si fa più moderato e la coda dell’occhio fugge verso lo scoppiettio del fuoco, che ci irradia entrambi solo da un lato- ecco… volevo chiederti una cosa.
-Oh. Mi dica padrone- si è accorto del mio cambio di voce. Mi giro lentamente dandogli le spalle, non riesco a sostenere il suo sguardo mentre devo chiederglielo. – Secondo te, c’è la minima possibilità che qualcuno si innamori di me?- buttare fuori queste parole è come liberarsi di un grosso peso, che turbina dentro di me da troppo tempo. Per alcuni, eterni secondi, regna soltanto un silenzio lacerante, interrotto dalla sua risposta strozzata- Beh… i-io credo che…- mastica le parole, ma, in fondo, come biasimarlo? Credo sia normale che si trovi a disagio di fronte a una domanda del genere.
-Va bene Tockins, fai finta che non ti abbia chiesto niente. Puoi andare.- Gli rivolgo ancora le spalle quando mi risponde con uno sconsolato ‘si, padrone’ e procede a piccoli passi verso l’uscita della stanza.
Mi ci vuole qualche secondo perché sposti il mio sguardo dal pavimento in marmo venato alla poltrona con l’alto schienale rivolta verso il camino, su cui sprofondo nuovamente per pensare a… cosa? Niente ha più senso ormai: questa non è una punizione dalla quale posso redimermi, è una pena infinita. Chiudo gli occhi concentrandomi solo sullo stropiccìo del focolare.
Solo l’amore di una fanciulla…
Un tonfo metallico proveniente dall’esterno mi fa spalancare di scatto gli occhi, e in pochi secondi sono già di fronte alle pesanti tende che nascondono il vetro di una delle due alte finestre della sala. Non ho intenzione di aprirle, ma mi limito a osservare attraverso uno spiraglio tra le due cappe ciò che sta succedendo, aspettandomi di sorprendere un mendicante o un incosciente in cerca di rogne. Ma ciò che vedo mi conficca improvvisamente un coltello invisibile nel cuore, che inizia a battere più affannosamente.
-No- sussurro a me stesso mentre, ancora incredulo, osservo la scena da quello spiraglio tra i tendaggi- no, non è possibile, sto impazzendo, sto avendo un’allucinazione!- sposto allora le pupille un po’ più in basso, puntandole sul vuoto e mi sfrego gli occhi come se mi fossi appena svegliato da un sonno senza fine.
Una ragazza.
Ritorno alla mia posizione di spionaggio, e mi accorgo di non stare impazzendo: la vedo veramente, avvolta dalla penombra notturna, i contorni del viso disegnati dalla luna bianca, che le definisce la morbida chioma fluente. Non la vedo bene in volto, ma posso seguire i suoi movimenti deboli e lenti, diretti verso l’entrata del castello: mi chiedo che cosa le sia successo. Si sofferma sulle rose e sulla statua del bacio: la studia, la valuta, cerca i capire cosa significhi, anche se non potrà mai capirlo. Non è lei che l’angelo sta per baciare.
Riporta il volto sottile in direzione del castello, biascicando ancora più lentamente di prima, e ora che è più vicina riesco a vederne i lineamenti e i contorni del viso, i suoi abiti bizzarri e inusuali quanto le scarpe che indossa, le curve sottili e sinuose del corpo provato da chissà quale pena, dato che è ridotta come un cencio.
E’ quasi giunta al portone e allunga una mano come se volesse raggiungerlo con quel semplice gesto, e io mi chiedo come mai non mi stia nascondendo da qualche parte per poi cacciarla via di prepotenza, senza uscire allo scoperto e facendole udire solo il mio ruggito. Eppure non riesco a muovermi, sono catturato dai suoi movimenti indifesi che invocano protezione, soccorso. E un istante dopo, la vedo cadere pesantemente a terra, i vestiti sporchi di sangue e terriccio.
Un impulso estraneo mi fa precipitare immediatamente davanti all’ingresso, e sto per aprire la porta per portare la fanciulla dentro quest’armatura gigante che mi ha sempre protetto, quando sono ghermito per un solo istante da dei pensieri angoscianti: ma cosa sto credendo di fare? E se mi vedesse in faccia? Cosa accadrebbe?
Ma poi penso che è notte fonda e che ho il favore delle tenebre a mia disposizione, nonostante la presenza della luna. Quindi tiro lentamente il pesante legno verso di me, stando ben attento a mantenermici dietro, per non farmi vedere, e non appena creo lo spazio necessario per poter passare, mi precipito in un soffio di fronte a lei ancora dolente e con un filo di voce, dando le spalle alla luna per evitare che riveli la mia natura: la sollevo con attenzione con entrambe le braccia e a questo punto si lascia cullare dalle tenebre, sprofondando in un sonno silenziosissimo.
Mentre ripercorro a memoria il tragitto che mi porterà dall’esterno fino al gran salone, mi accorgo di quanto sia incredibilmente leggera e bella, nonostante la foresta l’abbia provata parecchio: le labbra rosa a forma di cuore, leggermente socchiuse, il nasino a forma di patatina, le guance rotonde e impreziosite da piccole lentiggini, le ciglia sottili e le sopracciglia marcate che fanno da cornice a due occhi di un colore ignoto, i capelli lunghi che ricadono morbidi come onde del mare; l’espressione riposata e sollevata, come se dopo tante sofferenze avesse trovato la pace interiore. Ha un corpo bellissimo e fragile, una vita sottile che avvolgo facilmente, il petto che si alza e si abbassa lentamente a ritmo del suo respiro impercettibile, che mi trasmette una tranquillità momentanea mai provata finora.
E’ successo tutto talmente in fretta e senza il minimo rumore, che appena entro non c’è nessuno ad attendermi, sono tutti a dormire. Poggio la misteriosa ragazza sul divano color crema accanto alla poltrona, di fronte al calore del camino, e la osservo per qualche momento e poco a poco le si colora il viso di un tenue rosa che la fa più tenera e dolce di prima.
Ma cosa sto facendo? E se fosse proprio lei a…?
Scuoto agitatamente la testa, come per espellere via una speranza vana e irraggiungibile, e mi dirigo a passi felpati fino alla postazione di Tockins, che riposa placidamente su un tavolo dalle gambe arricciate. Gli spiego in fretta e senza troppi particolari che una ragazza è venuta nel castello e gli chiedo di sorvegliarla fino a quando no si sarà svegliata. Il suo volto brilla di una luce nuova- Agli ordini padrone! Mi occuperò personalmente della pulzella, assieme a Lumière e Mrs Bric, ovviame…- non gli lascio il tempo di completare la frase che subito intervengo intimandogli- Non ti azzardare a parlare di me a lei. Appena si sveglierà, prenditi cura di lei come meglio puoi e limitati a dire soltanto che domani sera voglio che venga a cena con me!- Lui acconsente in silenzio con un cenno del capo, dopo di ché smonta dal suo tondo piedistallo in legno lucido e saltella festosamente in direzione della sala dove dorme la ragazza. Riesco persino a sentirlo quando esclama tra sé e sé- Oh, gioia! Un vero miracolo! Una benedizione!
Solo l’amore di una fanciulla…
Già, un miracolo. O una piaga lenta e dolorosa.
 
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Hey, salve care lettrici elettori! Vi sta piacendo questa storia alternativa de La Bella e la Bestia? Se sì, vi invito ad aggiungermi ai preferiti, dato che pubblicherò altri capitoli di questa fanfiction, e anche a lasciarmi una recensione per conoscerci meglio e avere uno scambio proficuo di idee e pareri! E a proposito di letture, che libro state gustando ultimamente?
Buona continuazione!

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Capitolo 7
*** Un orologio e un candelabro ***


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"Sono il disastro riuscito meglio nella storia dei difetti di fabbrica" [Anonimo]

Un orologio e un candelabro

-Lumière! Lumière! Smettila di fissarla, per favore! Ricordi? Basso profilo.
-Oh, ma sta zitto, vecchio brontolone! Guarda com’è carina!
-Ma cos… Andiamo stupido, se non vieni adesso sarò costretto a trascinarti di prepotenza! Non ti ho chiamato a quest’ora per fare il cascamorto!
-E va bene, va bene! Bastava chiederlo gentilmente.
Quando mi sveglio sento il caldo buono che mi cinge nel suo abbraccio e ho qualche ciuffo sulla guancia che scosto con un soffietto. Sono sdraiata sul fianco su un comodo divano color crema e con rifiniture dorate, e ho di fronte un gran camino, dove c’è un bel fuoco che scoppietta vivacemente. Sul suo tettuccio ci sono soltanto un piccolo orologio a pendolo e un candelabro a tre bracci. Senza pensarci troppo, mi dò un pizzicotto sul braccio, che mi fa fare una smorfia di dolore. Non sono morta, sono stata salvata, un’altra volta.
-Mademoiselle! Sono così lieto che si sia svegliata! Come si sente adesso?- mi chiede una voce dal marcato accento francese.
-Ma la vuoi finire di fare il finto apprensivo?-la rimprovera un’altra leggermente acuta. Mi stacco dal sofà e mi guardo attorno, spostando le pupille da un lato all’altro della stanza.
-Chi ha parlato?
-Eh eh eh, ma chérie, non deve temere. Siamo quassù!
Punto lo sguardo sul soffitto e poi sopra il camino e non posso credere ai miei occhi, la mia bocca è come cucita. Il candelabro e l’orologio mi stanno fissando.
- Sono morta- sussurro a me stessa.
-No, no, mia cara. Non ditelo nemmeno- mi rassicura subito il piccolo pendolo. –Coraggio, si sieda sul divano, qui nessuno le farà del male. A proposito, sono Tockins, maggiordomo, consigliere e direttore di corte. Qual è il suo nome, signorina?- Le sue parole mi arrivano poco chiare, ma mi siedo comunque, avvertendo un dolore insopportabile all’altezza dello stomaco che mi fa gemere sommessamente. Il candelabro mi chiede allarmato- Che cos’ha Mademoiselle?- almeno sembrano gentili.
-Nella foresta, mentre fuggivo dal lupo, mi sono procurat… ah! Potreste… potreste portarmi dei disinfettanti, vi prego, solo per chiudere queste ferite. Mi pulsano troppo!- incrocio le braccia sullo stomaco per strozzare il malore. Il piccolo orologio si rivolge al suo compagno –Lumière, chiama subito il dottore, ma senza svegliare il… sai cosa devi fare. Sbrigati!- e così si chiama Lumière, eh?- Agli ordini, mon capitaine!
Poco dopo fa il suo ingresso Lumière, seguito da quello che sembra un appendiabiti in legno piuttosto smilzo, con un bauletto in mano. Mi chiede a gesti di sdraiarmi, togliermi il maglioncino e aprire gli ultimi bottoni della camicia. Obbedisco senza fare domande e, mano a mano, le braccia legnose e lucide del dottore-attaccapanni si prendono cura delle mie ferite, disinfettandole e fasciando quelle più profonde. Dopo di ché mi viene accennato di stare sdraiata per qualche ora e che poi potrò muovermi liberamente. Quest’ultimo messaggio mi viene detto con una corsetta sul posto dell’attaccapanni che mi fa sorridere un po’, dopo tutto quel turbine di paura che mi ha incatenata all’angoscia.
Lo ringrazio per avermi prestato le sue attenzioni e lui mi rivolge un lieve inchino, riprende il baule contenente le restanti garze e i medicinali, e ritorna a riposare, ammesso che gli attaccapanni riposino. Mentre rindosso il maglioncino di lana rovinato, Lumière e Tockins seguono i suoi movimenti per poi scambiarsi un’occhiata preoccupata. Tockins si rivolge a me -Ehm, cara fanciulla, sappiamo bene che è notte fonda e hai passato una disavventura assai spiacevole, ma, d’altronde, non è bene addentrarsi in un bosco, specialmente nelle ore di buio e…
-Oh, ma piantala, e vai dritto al punto!- gli dice spazientito Lumière.
-Ah, è così. Allora perché non glielo dici tu?- c’è un lieve tremolio nelle sue parole.
-D’accord- mi rivolge un largo sorriso- Bella signorina, come si chiama?
-Angela. Era questo che mi dovevate chiedere?
-Beh, no. Cioè…cioè, sì! Cara Angela, il padrone del castello, che l’ha salvata, domani sera avrebbe il piacere di fare una cena con lei.
Non credo alle mie orecchie –Il padrone del castello. E’ stato lui a salvarmi? E vuole tenere una cena con… me?
-Oui.
Ci rifletto su, e penso che in ogni caso non potrei rifiutare e andarmene, non sarebbe giusto nei confronti di chi mi ha soccorso, e il mio corpo è ancora troppo debole per sostenere i pericoli della foresta –Va bene. In fondo il vostro padrone è stato anche il mio salvatore, lo devo almeno ringraziare. -Tornano a guardarsi, con l’euforia dipinta sul viso.
–Perché siete degli oggetti?- improvvisamente s’incupiscono entrambi. E Tockins, che finora ha assistito a tutto da sopra il camino, fa un piccolo passo avanti e prende la parola, guardandomi con un sorriso sconsolato –siamo stati puniti da un angelo.
-Questo genere di punizioni esiste solo nelle storie- ribatto prontamente.
-No. Questa è la realtà- mi dice a testa china. Forse sono stata troppo brusca.
-Perdonatemi, non volevo ferirvi.
-Si figuri! Ci sono cose ben più gravi.- Ma, all’improvviso si pente di quello che ha detto, e Lumière lo fulmina con gli occhi, mentre le fiammelle che gli coronano i due bracci e il capo si fanno più accese. Poi ritorna a me emettendo un sospiro ad occhi chiusi- Ma chérie, non pensi a noi. Piuttosto, pensi a riposarsi e riprendersi. Domani sarà una lunga giornata- e dicendo questo mi ammicca con l’occhio.
-Si, d’accordo. Se non vi dispiace, adesso vorrei dormire, mi sento molto stanca. Non so neanche come ripagarvi per esservi presi cura di me.
-Sciocchezze, non si curi di questo. Buona notte, signorina –Tockins è piuttosto formale nel suo modo di fare.
-Buona notte. Ah, un’ultima cosa: so che ora non devo sforzare il mio corpo, ma domattina potrei fare un bagno, per piacere?
-Certamente. Provvederò anche per farle avere una stanza tutta sua.
-Grazie, signor Tockins. E’ più di quanto potrei chiedere- fa un lieve inchino e attraversa l’arco assieme a Lumière, scomparendo nell’ombra della notte.
Di fianco al divano ho notato che c’era una cesta con delle coperte, per cui allungo una mano e ne pesco una grigio chiaro. Mi ci infilo sotto fino al mento e osservo il fuoco nel camino, pensando per la prima volta, da quando sono qui, alla mia famiglia e allo spavento che starò facendo prendere ora a molte persone. -Sono un disastro- sussurro tra le lacrime che scendono da sole, solcando le guance e battendo con piccoli ‘plop’ sul tessuto color crema. Poi, dopo aver versato in silenzio un oceano dagli occhi, il sonno prende il sopravvento, lasciandomi ancora il viso rigato.
 

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Capitolo 8
*** Per Sempre ***


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"Incontri migliaia di persone, le tocchi e non accade niente. Poi ne incontri una che nemmeno sfiori e la tua vita cambia. Per sempre."

Per sempre

Il giorno seguente, quando apro gli occhi, il sole irradia con un potente calore tutta la sala, indice che ho superato da un bel pezzo le ore mattutine,  e non posso fare a meno di notare che non sento più dolore allo stomaco, così come al resto del corpo. Stendo le braccia, ancora assonnata, e mi stiracchio sbadigliando. Intanto entra Lumière e io mi tiro su, saltando dal divano per sentire cos’abbia da dirmi.
-Bonjour, Angela. Come sta? E’ rimasta addormentata a lungo- mi dice con un sorriso comprensivo.
-Già- un po’ sono imbarazzata, non è da me poltrire e svegliarmi a mezzogiorno inoltrato- Comunque sto molto meglio adesso, grazie.
-Mi fa un immenso piacere. Coraggio, ora mi segua, mademoiselle. La condurrò nella sua stanza, è stata già preparata qualche brocca d’acqua calda.
Beh, non sarà una doccia, ma meglio di niente. Lo seguo a ruota fuori dalla sala, che ammiro un’ultima volta prima di attraversare la struttura curvilinea e accedere a un raffinato ingresso principale, coronato da due scale enormi che terminano in versi opposti. Imbocchiamo quella a destra, alla fine della quale si trova una fila di porte simili tra loro, e ci fermiamo davanti alla prima. Chissà perché, ma non vedo l’ora di incontrare il mio salvatore, questa sera, anche se…
siamo stati puniti da un angelo.
E se anche il padrone del castello fosse…
-Ma chérie, ecco la sua stanza. Spero sia di gradimento- sono così assorta dai miei pensieri che quasi annullo la realtà attorno a me. Ringrazio distrattamente il candelabro prima di spingere la porta, ma poi ricordo di non aver chiesto l’orario e il luogo della cena.
-Oh, giusto! La cena si terrà nella sala dirimpetto al gran salone, alle sette in punto di ce soir. –Lo ringrazio per la cortesia e premo la maniglia ricciuta della porta. La stanza è molto più spaziosa della mia angusta cameretta, i colori chiari risaltano grazie all’alto finestrone ad arco, dal quale filtrano i raggi del sole. Alla mia sinistra c’è un grosso armadio arricchito di ovuli, a destra un largo letto addossato al muro col baldacchino sui toni del beige, e di fronte la bacinella e le brocche.
Tiro le tende e chiudo la porta a chiave. Dopo essermi sfregata con vigore nella tinozza, mi piazzo davanti all’armadio ancora coi capelli bagnati, e quando apro entrambe le ante, sono investita dai colori stupendi degli abiti messi a mia disposizione: gonne vaporose, tulle morbido, pizzo, balze, sbuffi, corpetti di stoffa pregiata, scarpe con tacco e senza tacco, ballerine… abitano tutti quell’armadio immacolato, aspettando solo di entrare nel corpo di una regina.
 Alla fine decido di indossarne uno rosso a maniche lunghe- che mi ricorda tanto il Natale-, col corpetto aderente, il collo a giro impreziosito da un sottile merletto bianco e la gonna a ruota, lunga fino alle caviglie. Abbino al tutto un paio di ballerine color panna e quando mi giro e rigiro davanti allo specchio fissato accanto al guardaroba, dopo essermi spazzolata i capelli asciutti due o tre volte, sono soddisfatta del risultato.
Manca ancora qualche ora prima che mi presenti per la cena, perciò momentaneamente mi sfilo le scarpe e mi abbandono di schiena sul letto, a braccia aperte: è sofficissimo e mi verrebbe voglia di farci un pisolino di cinque o dieci minuti, ma la mente mi frulla di domande che non hanno risposta, e scarto l’idea.
-Perché mi trovo qui?- chiedo, con gli occhi rivolti al soffitto. Un altro punto interrogativo da aggiungere alla lista delle Domande Senza Risposta. Regna il silenzio per qualche minuto, mezz’ora, un’ora, due, fino a quando stacco gli occhi dal vuoto e li punto verso un piccolo orologio sul comodino: sono le sette e cinque.
Salto in piedi e mi infilo i tacchi di furia. Volo verso le scale e mi precipito di fronte alla porta della sala da pranzo. Prima di attraversarla, chiudo gli occhi e tiro un profondo respiro, poi la mia mano spinge per entrare, ma quello che mi ritrovo davanti mi forma un nodo in gola: uno dei due posti della lunga tavola è occupato da un essere peloso e pingue, seduto di spalle; non riesco a vedergli il volto ma ha una zampa poggiata sul tavolo. Improvvisamente mi pento di essere capitata in questo castello.
-Siediti, Angela- mi dice mentre mi indica con la zampa il posto di fronte a lui. La sua voce è profonda e calma, ma ha un ché di timoroso e inquietante.
Metto con difficoltà un piede davanti all’altro, col fiato mozzo e la testa bassa, lo sguardo fisso sul pavimento. Raggiungo il mio posto, mi siedo, ma non riesco a toccare cibo.
-Mangia- mi ordina.
-Non ho molta fame- mento, ancora a testa bassa. Non trovo il coraggio di alzarla.
-Mangia- mi ripete, ora più imperiosamente. Immergo il cucchiaio nella minestra fumante e lo avvicino alla bocca. –Perché eri nella foresta?- questa domanda mi coglie alla sprovvista, tanto che lascio perdere il mio piatto e alzo il capo, in direzione del mio compagno: anche se solo illuminato dalle candele presenti nella stanza e sul tavolo, lo vedo bene, e realizzo di non aver mai visto o letto una creatura simile finora. Non riesco a distogliere lo sguardo da quella… cosa. Evidentemente deve essersi accorto della mia reazione, perché mi dice secco –Ti piace fissare la gente, vero ragazzina? Allora perché non farlo meglio? –si alza e procede a grandi passi verso di me, mentre scosto anche io la sedia e arretro immediatamente, il cuore che batte come un tamburo. Lo blocco a metà strada dicendo –Non… non so come sono finita nella foresta. Ricordo d’aver chiuso gli occhi e poi era tutto buio, gli alberi, il lupo e… -ma la mia voce tremante e sopraffatta dalla sua, tonante e grave –Zitta! Non voglio sentire un’altra parola. Figuriamoci: e come ci sei finita lì? Per magia?
-Beh, sicuramente voi per magia siete diventato così –dico seria. Ma in poche falcate la bestia torreggia di fronte a me, col suo respiro pesante e nervoso, impedendomi ogni movimento. Ha due occhi azzurri, ma gelidi e indagatori, il muso grande, due zanne uscenti dalla bocca. –Esatto- mi intima tra i denti affilati- e non puoi lontanamente comprendere come ci si senta, sciocca prigioniera.
-Co-come prigioniera? –balbetto strabuzzando gli occhi.
-D’ora in poi sarai mia prigioniera e riconoscerai come casa tua questo castello. Ho deciso.
-Ma non potete farlo! Ho già una casa, una famiglia che mi sta aspetta…
-No!- tuona, il volto carico di rabbia –a partire da adesso, tu starai qui, per sempre!
Ha detto… per sempre?
Arranco ancora indietro, ma urto contro il muro, e le lacrime prendono a scendermi sulle guance avvampate –Perché? Perché mi fate questo? –subito noto qualcosa di strano. La bestia ha abbassato di poco la guardia ed è meno rigida, ha gli occhi fissi nei miei; ed è a questo punto che, animata non so da quale coraggio, la supero lateralmente spingendomi dal muro più forte che posso, approfittando della sua esitazione, e corro verso il portone del castello, che si spalanca da solo, come se avesse una volontà propria, ma non voglio farmi delle stupide domande proprio ora, ora che non voglio più avere nulla a che fare con questo posto, con quella bestia, con candelabri, orologi, castelli, maledizioni. Voglio solo tornare a casa.
-Signorina! Non se ne vada, la prego! –Sento alle mie spalle la voce lontana di Tockins, ma non le do minimamente retta. Un ruggito agghiacciante mi impone di aumentare la corsa. Sento già le grosse falcate della bestia avvicinarsi sempre più, producendo tonfi pesanti sul suolo. Me la sento addosso mentre attraverso l’enorme cancello leggermente imbiancato dai primi, timidi raggi della luna, che si apre esattamente come il portone, quasi spinto da una forza misteriosa.
E un secondo dopo sono fuori dall’incubo, senza fermarmi, e con la bestia ansimante che mi sta alle calcagna.


 
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Buona continuazione!
 
 

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Capitolo 9
*** Non più paura ***


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”Forse Dio vuole che tu conosca molte persone sbagliate prima di conoscere la persona giusta, in modo che, quando finalmente la conoscerai, tu sappia esserne grato.” [Gabriel García Márquez]

 

Non più paura


La corsa non mi ha mai attratto particolarmente. Durante l’ora di educazione fisica di solito mi rintano da qualche parte e mi immergo in un libro, oppure in Bob Dylan. Non che reputi lo sport inutile o improduttivo, ma diciamo che l’espressione “lavoro di squadra” mi sta leggermente stretta. Solitamente sono l’ultima ad essere scelta nella formazione delle fazioni, o non vengo mai coinvolta attivamente durante l’azione di gioco. Così evito di prendere parte ad attività sportive. Ecco tutto.
Ma è in momenti come questo che vorrei aver preso parte a tutte le sessioni sportive scolastiche. Incespico ogni tre passi a causa del velluto rosso, ormai insozzato a dovere da terreno e polvere, e come se non bastasse c’è un freddo pungente che mi penetra la carne e arriva alle ossa.
Ho seminato la bestia, ma la sento scalpitare e ruggire di rabbia, una rabbia cieca, incontrollata. Ad un tratto vedo una forma familiare a terra: il mio zaino. Durante la fuga dalla foresta ero così spaventata che deve essermi caduto senza che me ne rendessi conto. Lo afferro al volo e continuo a correre. Ma dove? Dove voglio andare? A casa. Solo a casa.
All’improvviso, un’idea folle quanto plausibile.
Per tutti questi attimi oscillanti tra l’angoscia, la paura e l’ignoto, non ho mai capito come potessi riuscire a tornare indietro. E invece potrebbe essere tutto così semplice se solo ci provassi…
Mi butto su un cespuglio dalle foglie rinsecchite, abbastanza grande da potermici accovacciare, e chiudo gli occhi, concentrandomi intensamente. Quindi comincio un’altra sorta di preghiera, molto simile a quella che mi ha condotta fin qui, ma sta volta le parole cambiano: supplico con voce strozzata la forza invisibile di riportarmi a casa, che questo posto è il male, che mi manca profondamente la mia famiglia e vorrei solo aver fatto un brutto sogno. Spero con tutta me stessa che abbia funzionato e riapro gli occhi.
Non ha funzionato.
Non posso più tornare indietro.
Sento di essere sulla soglia del pianto, ma la mia attenzione è catturata da un quadrupede che mi sta scrutando famelicamente, gli occhi gialli, i ringhi incessanti. Penso che sia la bestia, invece è un lupo dalla mole spaventosa, che avanza sicuro ad ogni zampata verso di me. E’ la fine, non vedo più nessuno nei paraggi che mi possa aiutare.
In un effimero istante, ripercorro la melodia ora corretta, ora sfasata, della mia vita e recito in un sussurro una mia ultima, breve, misera, improvvisata preghiera. E l’istante dopo, aspetto la falce della morte a occhi chiusi.
Ma non arriva. Passano due secondi, tre, cinque.
Riapro gli occhi di colpo e il carnivoro è ad appena due metri dalla mia destra, cerca di dimenarsi e avere la meglio in un combattimento con la… bestia. Ruggiti e ululati  rimbombano tra i rami ruvidi e in pochi minuti si raduna un gruppo di quattro canidi, ansimanti e minacciosi, probabilmente attirati dal richiamo del loro coetaneo in difficoltà. Attorniano la bestia e la ricoprono impietosi di  zannate e morsi, ma questa non demorde, e dopo attimi crucianti, per me trascorsi tra singulti e ansimi lacrimosi, per la bestia patiti tra graffi e sangue, si leva nel cielo stellato un ruggito talmente forte da farmi cadere all’indietro e inibire gli stessi predatori, i quali, adesso, indietreggiano cauti con le orecchie basse e la coda tra le gambe. E, una volta che la bestia ha ghermito quello che sembra il più stremato tra i cinque carnivori per poi scaraventarlo con ferocia contro un albero, il branco intero batte in ritirata, e sopraggiunge la calma.
Guardo con tanto d’occhi la linea spoglia del bosco, dove sono scomparsi i lupi, per poi volgermi alla bestia e al suo grande petto che si alza e abbassa rumorosamente. La luna illumina il suo pingue corpo per metà, ma sono ben visibili le sue gocce di sangue che precipitano al suolo, con dei piccoli e costanti plop.
Poi, beh, accade qualcosa che non so come spiegare.
Dovrei essere sollevata dal fatto che anche il padrone di quel castello infernale è privo di forze, sta volta potrei fuggire indisturbata. Ma non lo faccio. Ed è qui che faccio la seconda cosa che non mi aspetto: corro verso il mio soccorritore sanguinante per sorreggerlo, un momento prima che cada a terra per lo stremo. E’ più pesante di quel che immagino, ma fortunatamente non perde del tutto conoscenza e si trascina come meglio può, appoggiandosi un poco anche su di me, senza caricarmi troppo. Mano a mano chiedo se stiamo andando nella giusta direzione per il castello e ricevo in risposta un dito puntato nella via da seguire. Dal suo volto solo gemiti e smorfie di dolore. Chissà quanti sono i graffi e quanto sono profondi. Mentre avanziamo lentamente, un senso di colpa terribile mi tocca lo stomaco. E, soprattutto, non provo alcuna paura nei confronti della bestia, non so perché.
Scorte le punte delle torri più alte del castello, una nuova linfa mi rivitalizza l’animo e cammino più sicura verso quel lugubre complesso architettonico come se fosse un luogo ameno.
-Coraggio - esclamo, toccata dalla speranza –siamo arrivati ormai.
Quando facciamo in nostro ingresso poco trionfale nell’atrio principale, l’orologio a pendolo indica le undici e venti minuti.

  Angolo autrice
“Ma hai pubblicato tardi!”
“Lo so, chiedo venia, è che ho avuto impegni.”
“Seeeee tutte scuse.”
“Giuro.”
La mia costanza nel pubblicare gli episodi di questa serie è pari a quella di una testuggine che gareggia ad un corsa a ostacoli di 400m. Ad ogni modo, cercherò veramente di essere più presente per questa storia. Il motivo di questa “assenza” prolungata sta in Plauto e Catullo che mi assillano pure nei sogni in questo periodo. E poi Dante, Boccaccio e Petrarca mi hanno infuso non so quale follia per scrivere delle ff su di loro (e che, se vi fa piacere, potete leggere). Spero che questo episodio non vi abbia annoiato, non conosco molto bene il mio livello di scrittura; vi invito a prenderlo con le pinze ahahah. ;)

 

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Capitolo 10
*** Come il re Davide d’Israele ***


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“L’amicizia nasce nel momento in cui una persona dice ad un’altra: “Cosa? Anche tu? Credevo di essere l’unica”. [C.S. Lewis]

Come il re Davide d'Israele



Tossisco, perdo sangue a fiotti e potrei essere morto.
C’è lei che mi sorregge, che non si dà per vinta, troppo concentrata per dedicare attenzione al suo stato e, nonostante ciò, è bellissima.
Poteva cogliere al volo l’occasione per scappare e non l’ha fatto, conscia di ciò che era accaduto poche ore prima. Sono stato un mostro, sta volta sul serio.
Angela mi poggia cautamente sul sofà del gran salone e qualche domestico fa capolino per vedere quel che succede. Lei se ne accorge e chiede immediatamente delle garze pulite e dell’acqua mista a calendula, con la voce intrisa di una certa apprensione.
-Hai intenzione di curarmi? – le chiedo – Perché?
-Posso provarci, è il minimo – risponde, osservando dispiaciuta la mia zampa graffiata.
 Non appena le viene recapitato il necessario, inizia a tamponare sulle mie ferite, che bruciano abbastanza a contatto con il panno. C’è molto silenzio e lei non alza mai gli occhi. Un dolore acuto si concentra sul mio braccio.
-Aaarh! Fa male! – sbotto, ritraendo la zampa in medicazione.
-Beh, forse se stesse fermo sarebbe anche meglio – commenta lei.
-Beh, forse se non foste fuggita tutto questo non sarebbe accaduto.
Blocca i movimenti ritmici del suo braccio e solleva lo sguardo, assumendo un’espressione accigliata – Io sono fuggita perché mi avete dichiarato come vostra… proprietà, e vi siete avvicinato a me come se aveste avuto intenzione di… - tronca il discorso volgendosi alla garza. Non ho voglia di controbattere, perché ha ragione. Mi volto altrove con aria seccata.
-Ad ogni modo – dice arrossendo, quasi in un sussurro – grazie… per avermi salvata.
-Di… di niente – rispondo, girandomi– mi dispiace per quello che è successo, intendo... a cena. - Interrompe per un momento la tamponatura e solleva le lunghe ciglia verso di me, senza un minimo accenno di disgusto in volto – Vi ho già perdonato prima, nel momento esatto in cui mi avete soccorso – un sorriso fugace le si dipinge in volto, poi torna alla zampa per bendarla – comunque ho finito, non sarò la croce rossina ideale, però penso che per lenire i dolori e chiudere in modo progressivo le ferite queste essenze siano adatte.
Durante la disinfezione delle mie ferite lei non ha curato le sue, e proprio quando sta per alzarsi e andare nella sua camera, la blocco chiedendole perché non l’abbia fatto. 
– Grazie,  ma mi medicherò nella mia camera – risponde subitanea. Sta per immergersi nella penombra dell’atrio quando si ferma e, voltandosi, mi chiede – Qual è il vostro nome?
Ormai sono così disabituato a sentirne il suono che quando lo scandisco sembra quasi non appartenermi più – David.
-Ah! – esclama ridente, tra due fossette – come il re Davide d’Israele – ma si ricompone subito. –Beh, allora… buonanotte.
-Buonanotte – Angela. Il suo nome mi muore in gola un attimo prima che oltrepassi l’arco della stanza e che mi lasci da solo con la mente in preda a una furiosa tempesta.



Angolo autrice: ecco un altro capitolo, sistematicamente in ritardo. Spero vi piaccia ^_^ in cso contrario lasciatemi pure un commento con delle critiche costruttive per aggiustare la scrittura, la scorrevolezza della storia o simili. Bye! ;)

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Capitolo 11
*** Uguali ***


Ora il vibrante abito rosso sembra un sordido panno, zeppo com’è di macchiette di sangue e terriccio, quindi Mrs Bric, una teiera molto paffuta e cortese, mi ha chiesto di affidarglielo per metterlo a nuovo. E’ stato gentile da parte sua.
Dopo essermi strofinata a fondo per una buona mezz’ora m’infilo nel pigiama, una veste lunga, chiara e grondante di fiocchetti qua e là, per poi sprofondare nel letto. Mi giro e rigiro più volte, senza riuscire a prendere sonno, tirando ogni due per tre gravi sospiri.
Non sono riuscita a tornare a casa. E’ frustrante, angosciante, ingiusto. Eppure deve esserci un modo per riavere la mia vecchia vita, ne sono sicura.
Ma se invece non potessi più ritornare indietro…
Cosa farei qui? Con quella bestia? – voglio dire… David.
Sua carcerata: per me significherebbe agonia costante, che non posso affrontare da sola. Però non si è dimostrato cattivo, in fin dei conti, anzi, tutto il contrario: gli sono debitrice perché mi ha soccorso quando nessun altro avrebbe potuto farlo, e nonostante fossi fuggita da palazzo. Il punto è: perché ricoprirsi di sangue per salvare me?
Il cuore ha alterato i suoi palpiti per un attimo.
Forse, dietro a quell’ammasso di peli e zanne c’è un corpo di carne e sangue e un cuore umano che batte sempre, anche se non si vede.
C’è un silenzio immacolato, l’unico accenno di vita e movimento lo danno le nuvole che coprono la luna nel cielo notturno. E’ in momenti come questi che dimentico chi sono e dove sono e mi sento bene, in pace con me stessa. Peccato che siano solo piccoli momenti , che terminano nell’istante stesso in cui si ricade nella realtà. E’ quello che mi succede proprio ora.
Scalcio le coperte e scendo le gradinate che mi conducono all’ingresso pavimentato in marmo dipinto, cercando di fare silenzio. Procedo verso il salone, dove trovo David (o forse dovrei dire ‘il padrone’? o ‘la bestia’? Non lo so più neanche io) immerso in un sonno profondo. Non ho intenzione di svegliarlo, solo… guardarlo.
Conserva sempre il suo aspetto inumano, ma sembra così calmo e indifeso nel bel mezzo del sonno che persino le sue zanne non mettono paura. Messami in ginocchio, gli prendo delicatamente una zampa – che si rivela più grande e pesante di quel che credevo - e combacio il palmo della mia mano minuta col suo, peloso e irsuto.
Non è diverso da me, forse solo nell’aspetto, ma sono sicura che ci sia qualcosa di più in lui che, semplicemente, non riesco a vedere. I servitori sono stati tramutati in oggetti da un’entità soprasensibile e anche David potrebbe essere stato vittima dello stesso sortilegio, ma come mai non ha subìto la medesima sorte della servitù? Perché una bestia e non un lampadario? O una scodella?
Scuoto la testa e riposo la zampa sul suo grosso petto. Meglio lasciarlo riposare e non sforzare il suo corpo, per dare alle lesioni il tempo di disinfettarsi.
Tornando verso la mia camera non posso pensare ad altro che a questa notte movimentata.
Incredibile.
Mi ha salvato più di una volta senza chiedere niente in cambio.

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