Waking up in Vegas

di Mick_ioamoikiwi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 21: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Capitolo 1
 
Why are these lights so bright?
Did we got hitched last night?
Get up and shake the glitter off your clothes, now.
That's what you get for waking up in Vegas.
- Katy Perry -




 
Las Vegas, tre anni dopo l'omicidio di Abigaille Williams.


«Michelle, dove sei?»
La voce di Hodges risuonò in tutto il laboratorio: essendo quasi ora di cena molti degli agenti della scientifica erano corsi a mettere qualcosa sotto i denti così i locali erano rimasti prettamente vuoti.
«Sono qui.» Mi alzai dalla sedia facendo attenzione a non appoggiare troppo il peso sulla gamba destra, ancora fasciata dopo l’operazione.
Il ragazzo arrivò di corsa con un fascicolo in mano, che mi aprì sul bancone sul quale stavo lavorando.
«Ho trovato il DNA della nostra vittima nel CODIS, si chiama Laura Sanchez.»
«Ottimo.» Dissi, massaggiandomi il ginocchio: ogni volta che mi alzavo comincia a darmi fastidio. Lui osservò questo mio gesto quasi con compassione.
«Mi piacerebbe chiederti perché non sei rimasta a casa ma temo di sapere già la risposta.»
«Questo caso ha la precedenza e poi basta non appoggiare troppo il peso sulla gamba.» Mi sedetti di nuovo, presi in mano il fascicolo e cominciai a leggere. «Dunque... aveva diciannove anni e un arresto per prostituzione risalente a due anni fa.»
«Sì, per questo l’ho trovata quasi subito; deduco che la zona in cui è stata ritrovata fosse il suo posto di lavoro... Montgomery Street mi sembra.»
«Non è di certo uno dei posti in cui vorrei trovarmi se fossi sola e avessi quell’età.» Ripensai alla mia adolescenza, in particolare a quando avevo la sua età. «Nessuno ha sentito delle urla? So che lì vicino ci sono delle case.»
«Nessuno ha sentito o visto niente.»
«Hai anche chiesto al proprietario della sala giochi che c’è lì vicino?»
Hodges sembrò imbarazzato. «A dire il vero no... ho pensato fosse troppo lontano per aver sentito qualcosa...»
Gli sorrisi ampiamente, mi rivedevo in lui il giorno in cui Grissom mi affiancò a fare il test per entrare nella scientifica. «Bene, andremo adesso.» Gli lanciai le chiavi della macchina. «Guida tu.»
 
Ci vollero quasi venticinque minuti per arrivare in Montgomery Street; Hodges lasciò la Denali nel parcheggio retrostante la sala giochi, a pochi metri da dove avevano trovato il cadavere della ragazza: il nastro giallo era ancora lì a delimitare l’area.
Lo aspettai sul marciapiede, armata di occhiali da sole e cappellino; arrivò qualche secondo dopo, con la fronte imperlata di sudore.
«Dovevo mettermi questa stupida maglia di nylon nera proprio oggi, che ci sono trentasette gradi.»
«Vedi il lato positivo, David, ti aiuta a mantenere in forma il fisico.» Scherzai.
«Spiritosa, sento il gilet appiccicarsi alla pelle. Mi da prurito ovunque!» Guardò la porta del locale espirando con la bocca aperta. «Spero che dentro ci sia l’aria condizionata.»
Ci avviammo verso la porta, a Hodges bastarono tre lunghi passi per arrivarci mentre io me la presi con calma. Il mio collega mi tenne la porta aperta per farmi entrare.
«Dovresti ascoltare tuo marito qualche volta, sai?»
«Greg mi conosce fin troppo bene, lo sa che quando ho un’idea in testa nessuno me la toglie.» Mi appoggiai alla stampella mentre la porta si chiudeva dietro di me.
Nella sala giochi c’era un gran brusio misto al suono delle consolle e delle slot, apparentemente nessuno si accorse della nostra presenza ma qualche istante dopo ci venne incontro un ragazzo con i capelli tirati indietro col gel e un completo grigio, al collo portava un’importante collana dorata.
«Salve, posso esservi d’aiuto?» Ci disse masticando uno stuzzicadenti.
«Salve, Michelle Williams e David Hodges della polizia scientifica. È il proprietario del locale?» Mostrammo i tesserini identificativi, il nostro interlocutore li fissò attentamente.
«Sono il gestore degli introiti, Gary Garrett.» Ci allungò la mano. «C’è qualche problema agenti?»
«L’altra sera era qui?» Domandai.
«No, ma c’era il mio socio in affari, Brett.»
«Bene, se è qui vorremmo rivolgergli qualche domanda. Avrà certamente sentito dell’omicidio avvenuto qui vicino lunedì notte.»
«Oh sì, certo... una vera tragedia ma, sapete, ha attirato molti curiosi e molti di loro si sono fermati qui nel mio locale.» Ridacchiò. «Diciamo che ne ho tratto vantaggio.»
«Mi scusi ma a noi non interessano i suoi guadagni... può portarci da Brett?» Hodges stava perdendo la pazienza.
Garrett sembrò irritato dalla sua faccia tosta perché rispose a denti stretti. «Per di qua.»
Misi la mano sinistra sulla spalla. «Ottimo lavoro, stavo per rispondergli con un pugno in faccia.» Sussurrai.
«Grazie collega.»
Salimmo al piano di sopra con l’ascensore situato in fondo alla stanza. Non si sentiva il benché minimo rumore della sala giochi ma gli uffici avevano una grossa vetrata dalla quale si poteva tenere d’occhio tutta la gente che si intratteneva ma, da sotto, nessuno lo avrebbe notato perché i vetri erano oscurati.
I cubicoli erano due, uno per ogni proprietario: quello a sinistra era arredato con mobili dal gusto decisamente bizzarro: tappeti animalier e colori molto forti regnavano in ogni centimetro della stanza; l’altro invece sembrava appena uscito da una rivista di design.
«Chissà come fanno ad essere soci di questa bettola.» Pensai.
Garrett bussò sulla porta del secondo cubicolo urlando chiamando a gran voce Brett. Ci aprì un ragazzo poco più che trentenne, i capelli arruffati andavano in tutte le direzioni ma la cosa che mi colpì più di tutte furono i graffi che aveva sulla faccia.
«Alla buon’ora, questi due tizi sono qui per parlarti.» A queste parole il ragazzo divenne paonazzo.
«È lei Brett?»
«Sì sono io, Brett Dawson.»
«Agenti Williams e Hodges, scientifica... vorremmo parlarle dell’altra sera.»
Lo vidi chiaramente deglutire.
«Sì, certo... entrate!» Disse a stento, facendoci accomodare nel suo ufficio. Garrett invece se ne andò nel suo ufficio. Ci sedemmo davanti alla sua scrivania, appoggiai la stampella alla mia sedia.
«Allora, signor Dawson... cosa ci può dire di lunedì sera?»
«Ecco... io... posso spiegarvi!» Guardai istintivamente Hodges e lui fece lo stesso con me.
«Sta forse confessando?» Chiese Hodges quasi incredulo.
«Sentite, io non volevo, o meglio, non sapevo che quei tre ragazzi fossero minorenni! Avevano dei documenti fatti a regola d’arte!»
«Ragazzi? Di cosa sta parlando?»
Brett sembrò spaesato e molto confuso. «Non siete qui per quei tre teppistelli?»
«No, siamo qui per l’omicidio della ragazza avvenuto nel vicolo qui dietro.»
«Oh! Bhe, non so cosa dirvi... pensavo di essere in arresto perché ho servito da bere a quei ragazzi.»
Hodges mi guardò. «Forse potrebbe essere collegato con il nostro caso!»
«Già! Lei per caso ha qualcosa che ci possa condurre a quei ragazzi?»
Brett ci pensò su. «Non credo... ho la fotocopia delle loro patenti ma se sono false lo saranno anche i nomi.» Si girò verso lo scaffale alle sue spalle, aprì il primo cassetto e ne tirò fuori un foglio con sopra stampate le foto delle tre patenti.
«Ecco qua.» Le consegnò a Hodges.
«Bhe almeno sappiamo che questa sono le loro facce... non sarà troppo complicato trovarli... parlando di altre questioni, il suo socio in affari ci ha detto che lei era qui da solo. Ha per caso visto o sentito niente?»
«No, sono stato al bar tutta la sera a servire e non sono uscito fuori dal locale neanche per un minuto... da lì in poi sono stato a fare la ramanzina a quei tre ragazzini con le patenti false.»
«D’accordo, grazie per la collaborazione, signor Dawson. Se avremo ancora bisogno di lei dove possiamo trovarla?»
«Passo la maggior parte del tempo nel mio ufficio, Garrett non è molto collaborativo quindi devo fare il doppio lavoro, in caso contrario casa mia è a due isolati da qui. Questo è il mio numero di telefono.»
«La ringrazio.» Ci alzammo in piedi e Brett venne ad aprirci la porta; appena fummo fuori dal suo ufficio lui tornò dentro e tornò a sedersi.
«Credi che ci abbia detto la verità?» Mi domandò Hodges.
«Non lo so, sembrava sincero.» Guardai le foto dei ragazzi sulle patenti. «Ma per esserne sicuri dobbiamo trovare questi tre.»

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


 Capitolo 2

 
 
Durante il viaggio di ritorno ripensai al caso, qualcosa non andava perché sembrava tutto fin troppo chiaro.
«Stai pensando anche tu quello che penso io?» Hodges mi ridestò dai pensieri.
«Dipende. C’è qualcosa che non mi convince.»
«Neanche a me. Se fossero stati quei tre lì la domanda che mi sorge più spontanea è che cosa ci facesse Laura nel retro della sala giochi.»
«Esatto. Le cose sono due: era già lì con qualcuno oppure l’hanno raccattata dopo.»
«La prima mi convince di più... però stiamo partendo dal fatto che lei abbia continuato a fare la prostituta, come facciamo ad esserne così convinti?» A volte il suo spirito d’osservazione mi colpiva perché Hodges sembrava tutto fuorché un agente da campo.
«Ottima intuizione... Dobbiamo trovare qualcuno che la conosca.»
In quello stesso istante varcammo il cancello del laboratorio, c’erano altre due Denali parcheggiate sotto la tettoia.
«Greg e Nick sono già arrivati, vediamo chi conclude per primo il caso stavolta.»
«Se lavoriamo bene sono sicura che vinciamo noi.»
«Allora al lavoro, agente Williams... dopo di lei.» Mi tenne di nuovo la porta aperta.
Mostrammo il tesserino alla guardia, che ci fece passare senza problemi: ormai ci conosceva da una vita.
«Allora, tu cosa vuoi fare?» Esordì Hodges.
«Voglio cercare informazioni sia su Laura che sugli altri sospettati. A te lascio volentieri le prove che sono rimaste da controllare.»
«Insomma a me tocca la spazzatura, evviva.»
«Sei il migliore in questo campo, non piagnucolare!» Scherzai. «Ma non dire a Greg che te l’ho detto!»
«Sarò muto come un pesce!»
Prese il camice dal suo armadietto e corse nel suo laboratorio; io imboccai l’altra parte del corridoio, verso il mio cubicolo.
«Ehi bambina!» Al suono di queste parole mi voltai, sorridendo.
«Greg!» Mi lasciò un bacio sulla fronte. “Ehi, ricordi? Niente avance... sono quasi tre anni che te lo ripeto!» Sorrisi di nuovo.
«Sì ma non ci posso fare nulla, mi viene automatico.» Guardò la gamba fasciata. «Ti fa ancora male?»
«Non molto, devo soltanto fare attenzione a non sforzarla troppo... non preoccuparti.»
«Michelle, lo so che sei testarda, ma vorrei ricordarti che il medico ha detto di stare a riposo e sottolineo la parola ‘riposo’.»
«Oh dai, tesoro, non è nulla di grave.»
«Nulla di grave? Sei andata vicino a perdere la gamba!»
«Solo mezza.» Risposi ironicamente. «Rilassati, sono ancora qui e non me ne vado.» Gli sistemai una ciocca di capelli che gli penzolava vicino all’occhio.
«Lo so.» Sorrise.
«Adesso vado che ho del lavoro da finire. Ci vediamo più tardi.»
«D’accordo, a più tardi.»
Mi girai per andare verso il laboratorio; Greg era rimasto lì, fermo, come un pesce lesso a guardarmi zoppicare.
«Ti amo.»
Mi girai. «Ti amo anche io, adesso torna a lavorare altrimenti chi lo sente D.B.?»
«Giusto.» Lo guardai andare verso gli ascensori poi ripresi la mia strada.
A Las Vegas c’erano solo quattro ‘Laura Sanchez’: una aveva settantacinque anni, un’altra aveva appena quattro anni, un’altra ancora aveva circa cinquant’anni e aveva appena cambiato nome perché si era sposata, rimaneva solo la nostra vittima diciannovenne ed era registrata al corso di storia della Las Vegas University per merito, non aveva nessun parente in città a parte la zia con la quale abitava prima del college: era meglio avvertirla.
Passai le patenti allo scanner e le inserii nel programma di riconoscimento facciale ma non ottenni nessun riscontro utile, anche i nomi si rivelarono falsi. Guardai attentamente le foto, avevano all’incirca la stessa età di Laura quindi il metodo più utile era quello di passare la foto ai giornali locali, le scuole erano troppe da controllare; mi appoggiai allo schienale della sedia girevole, si afflosciò sotto il mio peso reclinandomi indietro: meditai per qualche minuto, guardando il soffitto. Sentii bussare sulla porta, qualche istante dopo mi ritrovai davanti la faccia di Hodges con un sorriso entusiasta stampato sulla faccia.
«Vediamo chi dei due ha trovato la prova schiacciante?» esordì.
«Bhe, spero proprio che sia tu stavolta.»
«Oh ma così mi togli tutto il divertimento. Non hai trovato nulla di buono?»
«Purtroppo ho solo cattive notizie: quei tre lì hanno usato dei nomi falsi, non sono così stupidi come credevamo, di conseguenza mi toccherà andare da Ecklie a chiedergli di farmi parlare con l’ufficio stampa per rintracciarli più velocemente.»
«Oh, bhe, allora diciamo che posso toglierti un fastidio.»
Mi raddrizzai sulla sedia. «Davvero?»
«Già! Ho analizzato le impronte che ho rilevato sulle bottiglie di alcol che abbiamo trovato nel cassonetto vicino al luogo del delitto dopodiché le ho passate nell’AFIS. Indovina di chi sono?»
«Del signor doppia G?»
«No, molto meglio.» Mi passò il foglio. «Di uno dei tre teppistelli che stiamo cercando.»
Osservai la foto segnaletica. «Marcus Floyd.» Mormorai. «Arrestato per un furto qualche anno fa ma, siccome era minorenne, hanno fatto che non condannarlo... in compenso gli è rimasta la fedina sporca!»
«Meglio per noi, no? Tra l’altro abita nello stesso quartiere di Laura.»
Gli riconsegnai il foglio. «Portalo a Brass e digli che potrebbe essere uno dei sospettati e che abbiamo delle prove che lo collocano lunedì sera sulla scena del crimine.» Mi alzai in piedi. «Io scendo un attimo da Robbins.»
 
Varcai la porta dell’ascensore, alle mie spalle sentii qualcuno che mi chiamava. «Mick, aspettami!» Era Nick.
«Muoviti che mi fai perdere tempo!» Sorrisi.
«Scusa, stai andando anche tu da Albert?»
«Già, spero che abbia già terminato l’autopsia sulla mia vittima.»
«Ehi, detto così sembra che tu abbia assassinato qualcuno!» Scherzò.
«Oh credimi, sarei anche capace di farlo con il giusto motivo.»
«Un giorno fammi una lista di questi motivi così almeno evito che tu mi uccida!»
«Oh, dai... a voi non farei nulla di male, siete parte della mia famiglia.»
Nick sospirò. «Meno male!» Scoppiammo a ridere entrambi, mentre le porte dell’ascensore si aprivano sul lungo corridoio dell’obitorio.
«Dopo di te.» Mi fece segno di passargli davanti. «Visto che sei un mezzo lento.» Rise di nuovo.
«Ehi, guarda che potrei offendermi!» Feci finta di tirargli un calcio.
«Pietà vossignoria, pietà!»
Avanzammo lungo il corridoio portandoci dietro un eco di risate; l’aiutante di Robbins uscì dalla sala autopsie spingendo un carrello con sopra il cadavere di un uomo.
«Ehi super Dave!»
«Ciao ragazzi! Il dottor Robbins e io ci chiedevamo cosa stava succedendo: di solito, chi entra qui, piange o strilla.»
«No è che Nick oggi è in vena di fare battute stupide.»
«Scusa ma la vedi? Con questa stampella sembra il dottor Robbins.»
«Ragazzi avete bevuto?»
«No!» Scoppiammo a ridere.
«D’accordo... adesso devo andare. Se vi serve Robbins è di là, sta finendo di esaminare la tua vittima.» Disse rivolto a me.
«Grazie super Dave. Ci vediamo.»
 
Robbins aveva appena richiuso Laura e stava finendo di annotare le sue conclusioni sopra il foglio apposito; Nick mi accompagnò fino da lui.
«Doc!»
«Ciao Nick, Michelle. Sospettavo foste voi, avete due risate molto contagiose.»
«Già.» Sorrisi, tentando di contenermi dall’imbarazzo. “Allora, trovato qualcosa di utile?»
Robbins si spostò verso la testa della ragazza. “Per prima cosa parliamo della ferita alla testa: a giudicare dalla forma direi che è stata colpita con un oggetto cilindrico, in più ho trovato alcune schegge metalliche quindi ho pensato fosse un tubo.»
«Cercheremo meglio sulla scena, io e Hodges abbiamo trovato solo delle travi di legno nei dintorni.»
«Mi pare una decisione saggia. Andiamo avanti...» Si spostò verso le gambe della ragazza. «Ha avuto dei rapporti sessuali poco prima di morire, infatti ho trovato dello sperma nel canale vaginale.»
«Hodges ha scoperto che Laura aveva una condanna per prostituzione risalente a due anni fa... forse era con un cliente.»
«Probabile.»
Nick era fermo di fianco a me, si stava lisciando la barba, perso nei pensieri.
«Cosa ti turba?»
«Uh? No, stavo guardando le ginocchia della vittima.» Le guardai attentamente anche io: erano arrossate. «Non noti nulla di strano?»
«Sono arrossate e graffiate... il cliente avrà chiesto del sesso orale.»
«Esatto, quindi potrebbe esserci anche dello sperma...» Fece un gesto eloquente.
«È meglio se prendo qualche tampone orale, vero?»
«Già.»
Robbins prese una scatola dal bancone dietro di sé, che conteneva dei tamponi e delle provette riempite di liquidi colorati per la conservazione del DNA.
«Vi lascio fare, io devo finire di esaminare il tuo uomo, Nick.»
Mi girai verso di lui. «Non mi avevi detto di avere un fidanzato.»
«Spiritosa, è la mia vittima.»
«Tranquillo, ti avrei voluto bene lo stesso.» Presi la scatola in mano. «Grazie Al, ci vediamo più tardi.»
«A dopo ragazzi.» Si allontanò verso la stanza adiacente a quella in cui ci trovavamo, appoggiandosi al bastone.

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3

 
 
Dopo quasi venti minuti di lavoro, Nick mi porse una bacinella di alluminio in cui riporre l’ultimo tampone.
«Direi che abbiamo raccolto abbastanza campioni... grazie per l’aiuto.» Sorrisi.
«Figurati, per te questo e altro.»
Abbassai lo sguardo, non volevo fargli vedere che ero arrossita come un peperone. Nick era l’unico altro uomo che riusciva a farmi questo effetto.
«Allora, come sta andando la vita da sposati?»
Alzai lo sguardo su di lui. «Direi bene... ogni tanto io e Greg litighiamo ma nulla di che. Lui sa come sono fatta quindi riesce sempre a prendermi dal verso giusto e a farmi ragionare.»
«Tipico.»
«Che vuoi dire?»
«Greg sa sempre come far ragionare le persone.»
«Già... c’è un motivo per cui me lo hai chiesto?» Chiusi l’ultimo sacchetto delle prove e lo misi dentro la vaschetta. Nick si stava sfilando i guanti di lattice sporchi di sangue.
«No. Era per fare semplice conversazione.» Sorrise anche lui.
«Non è che mi nascondi qualcosa?»
«N-no.» Stava iniziando ad arrossire.
«Avanti Nick, so riconoscere quando un uomo sta mentendo. Esci con qualcuna?»
«Non sto proprio uscendo... diciamo che mi sto ‘sentendo’.»
Sfilai anche io i guanti, che emisero un sonoro schiocco a causa del vuoto d’aria provocato dal sudore. Incrociai le braccia appoggiando il mento sul pugno chiuso. «Davvero? Come si chiama? Da quanto uscite insieme?» Lo tempestai di domande.
«Ehi frena! Si chiama Melinda. Non dire niente a nessuno, mi raccomando.»
«Sarò muta come un pesce!» Sorrisi. «Spero che tu me la faccia conoscere al più presto!»
«Un giorno di questi magari possiamo organizzarci per uscire tutti insieme a berci qualcosa.»
«Mi farebbe piacere. Oppure possiamo fare finta di incontrarci.»
«Sei proprio diabolica.»
Controllai l’orologio da polso. «Diabolica e anche in ritardo! Devo portare questa roba di sopra così io e Hodges possiamo finire di analizzare tutte le prove che abbiamo!»
«Vuoi una mano?»
«No, ce la faccio ma grazie lo stesso. Ci vediamo più tardi, grazie Nick!»
«Figurati!»
Presi la mia vaschetta di prove e, appoggiandomi alla stampella, camminai fino all’ascensore.
 
Arrivai fino al cubicolo dove avevo lasciato il kit con le prove: trovai Hodges intento a lavorare, aveva già iniziato a sequenziare il DNA proveniente dal sangue ritrovato nel parcheggio.
«Ecco qui, David. Questi sono tutti i campioni prelevati dal cadavere di Laura.»
«Cosa ti ha detto Robbins?» Hodges prese tutti i tamponi e li dispose in ordine sul bancone, leggendo le etichette poste sopra.
«La nostra vittima ha fatto sesso poco prima di morire e, a giudicare dalle abrasioni sulle ginocchia, suppongo abbia praticato anche del sesso orale.»
«Batteri!!! Lungi da me queste orrende pratiche! Quindi faceva ancora la prostituta?»
«Temo di sì.» Presi il sacchettino contenente le particelle metalliche. «Queste invece provengono dalla ferita alla testa. È morta a causa del trauma al lobo frontale... le ha provocato un’emorragia interna. Dalla composizione chimica forse possiamo risalire all’impiego che ne viene fatto.»
«Bene.»
«Tu invece hai delle novità?»
«Non ancora ma se aspetti un secondo vediamo cosa posso dirti. Ho analizzato il sangue che abbiamo rilevato sulle travi di legno.» In quello stesso istante lo strumento per l’analisi del DNA emise un suono acuto, dallo sportellino davanti uscì un foglio con sopra il risultato dell’analisi. «Come temevo, il sangue è di Laura e non del nostro assassino.»
«Abbiamo altri campioni... al lavoro. Tu prendi questi tamponi orali e vaginali, io analizzo quelli provenienti dal profilattico.»
«D’accordo.»
 
Andai nel mio laboratorio in tempo per trovare Greg seduto su una delle mie sedie girevoli.
«Che ci fai qui?»
«Non posso venire a trovare mia moglie?»
«Certo che puoi, però sembra che in questo momento tu stia bivaccando in giro per i laboratori... Tu e Nick non avete nulla da fare?»
«A dire la verità no, il nostro amico ha confessato dieci minuti fa perché aveva i sensi di colpa che gli impedivano di dormire.»
«A volte mi stupisce la fortuna che avete voi due.» Posai i campioni sopra il tavolo.
«Non me ne capacito nemmeno io.»
«Comunque sia io devo lavorare, a meno che tu non voglia passarmi un po’ della tua fortuna.»
«No, mi spiace, questa è tutta mia... però posso tenerti compagnia.»
«Allora stai pure lì in panciolle.» Sorrisi.
Prelevai un campione dal profilattico usando un tampone: tagliai via il bastoncino per tenere solo il cotone, che immersi nella provetta già preparata e piena di reagenti.
Centrifugai e prelevai il liquido, che passai poi allo strumento che stava usando Hodges nel suo laboratorio.
«Come va la gamba?»
«Greg, smettila di chiedermelo. Ho detto che non fa male se non la sforzo... il medico ha detto che tra una settimana sarà tutto a posto quindi non serve preoccuparsi.»
«D’accordo.»
Lo strumento emise lo stesso identico rumore di prima e, subito dopo, stampò il referto. Lessi velocemente lungo la descrizione del campione e sogghignai.
«Bene, il nostro signor doppia G è nei guai.»
«Il signor doppia G?»
«Già, un tipo tutt’altro che affidabile... è il co-proprietario della sala giochi che si trova vicino al luogo del delitto.» Annotai il risultato del referto sopra la cartellina, come facevo di solito. «Ha fatto sesso con la vittima poco prima di essere ammazzata, questo fa supporre che lui sia l’ultimo ad averla vista viva... inoltre c’era anche della saliva della vittima all’esterno del profilattico.»
«Ottimo.» Si massaggiò l’addome. «Io invece andrò a mettere qualcosa sotto i denti, mi è venuta fame. Ci vediamo dopo, bambina.» Mi stampò un bacio e uscì dal laboratorio. Quando fu a metà del corridoio sgattaiolai fuori e andai direttamente da Hodges per vedere se aveva finito ma forse lui ebbe la stessa mia idea, perchè lo incontrai a metà del corridoio con un foglio uguale al mio in mano.
«Ho trovato il DNA di Garrett sul profilattico.» Esclamai.
«Fantastico, io l’ho trovato nei tamponi orali... dobbiamo andare da Brass a dirglielo, vero?»
«Sì, vado io. Tu raduna tutte le prove che abbiamo su di lui, nel caso servano.»
Hodges alzò il pollice della mano destra per acconsentire, poi lo vidi fiondarsi verso la sala interrogatori.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Capitolo 4
 


Mezz’ora dopo, Garrett era già seduto nella sala interrogatori ma stavolta era venuto in compagnia del suo avvocato; io e Hodges li stavamo osservando da dietro il vetro-specchio.
«Non sono sicuro di riuscire a farcela.»
«È stato strano anche per me la prima volta, però si tratta di smentire le stronzate che questo tizio proverà a raccontarci. Pensa al fatto che tu sei quello che ha ragione.»
«Ehi, io ho sempre ragione.»
«Appunto.» Gli diedi una pacca sulla spalla. «Andrai alla grande.»
In quello stesso istante Brass venne a chiamarci: toccava a noi adesso.
 
Garrett aveva un’espressione molto irritata, probabilmente lo avevano sottratto dal suo ufficio con la forza; l’avvocato invece pareva molto tranquillo, di sicuro aveva già in mente qualche scappatoia per scagionare il suo cliente.
«Signori, questi sono gli agenti Williams e Hodges, lei li conosce già, signor Garrett. Vorrebbero farvi alcune domande.»
L’uomo in giacca e cravatta si alzò in piedi per stringerci la mano ma non c’erano bisogno di presentazioni: era già famoso per aver difeso alcune carogne della malavita organizzata.
«Gary, come vanno gli affari?»
Sogghignò. «Siamo sempre al completo.»
«Mi fa piacere... abbiamo bisogno di rivedere alcune delle dichiarazioni che ci ha fatto questo pomeriggio.»
«Mi sembrava di avervi già detto tutto.»
Hodges prese la bustina di plastica contenente il profilattico. «Bhe, questo dimostra il contrario.»
«Già, e sa perché? Perché lei ci ha detto di non conoscere la vittima ma qua sopra ci sono i vostri DNA.»
L’avvocato gli disse qualcosa sottovoce che poteva sembrare un consiglio sul non dire nulla. «Il mio cliente si appella alla facoltà di non rispondere.»
«Bhe, le dico come la penso. Lei aveva bisogno di, mi lasci passare il termine, svuotarsi un po’ le palle e ha raccattato quella poverina in strada... magari vicino alla Strip?» Garrett sembrava innervosirsi ad ogni parola che gli dicevo. «Sta cominciando a sudare! Forse è perché ho ragione.»
«E anche se fosse? Io non l’ho uccisa.» Incrociò le braccia.
«Allora ci dica la verità.» Hodges ripose le prove dentro la scatola di cartone.
Garrett aspettò un cenno del suo avvocato prima di parlare. «Ok, l’avevo incontrata sulla Strip... poi l’ho portata nel mio locale per una sveltina.»
«Perché portarla in un luogo così distante?»
«Senta, mi piace stare in un ambiente familiare, ok? Ma questo è tutto ciò che ho da dire a riguardo.»
Guardai Hodges e la scatola di cartone: effettivamente non avevamo altre prove che potessero trattenerlo quindi ci toccava lasciarlo andare. «Sa quanti anni aveva?» Tentai il tutto e per tutto.
Garrett cominciò a sudare. «Non mi sono mai interessato di saperlo... a vederla ne avrà avuti una ventina.»
«Ne aveva diciassette. Sa cosa intendo, vero?»
L’avvocato si illuminò: se ci aiutava, poteva tenere lontano il suo cliente da altre eventuali accuse e gli suggerì qualcosa all’orecchio. «Voglio un accordo.»
«Solo se ci darà una mano. Ci aiuti a catturare l’assassino di quella poveretta e noi parleremo con il giudice... dieci anni per favoreggiamento della prostituzione minorile direi che possano andare bene, considerando che ci ha già mentito una volta.»
«Vogliamo anche alcuni vantaggi come la buona condotta.»
«Possiamo parlarne... dipende da quanto ci saranno utili le informazioni che ci darà...»
L’avvocato fece un cenno a Garrett, il quale rispose che avrebbe accettato l’accordo. «Dunque... Quando se ne è andato, dopo aver fatto sesso con la vittima, ha visto o sentito qualcosa di strano?»
Garrett ci pensò su, grattandosi il pizzetto. «Ho sentito alcune voci provenire da lì vicino... potevano essere alcuni clienti che sono usciti a fumare.»
Presi un taccuino: le testimonianze non valevano di certo come le prove fisiche ma potevano darci una mano a risolvere il caso. «Mi descriva queste voci... erano maschili o femminili?»
«Maschili, sì, sembravano di ragazzi molto giovani... sono sicuro che fossero almeno in due.»
Hodges mi piantò il dito nel fianco. «Saranno Floyd e i suoi due amici... sai, i teppisti di cui ci ha parlato Brett.»
«Ottima osservazione socio... lei li conosce, Garrett?» Hodges gli fece scivolare la foto di Marcus Floyd sotto il naso.
«L’ho già visto qualche volta al locale... è sempre circondato dai suoi due cugini ritardati.»
«Cosa intende?»
Garrett sogghignò, prendendo in mana la foto. «Lui comanda la banda, gli altri due lo seguono come dei cagnolini e fanno tutto ciò che lui dice di fare... in compenso spendono molto e mi fanno guadagnare parecchio.»
Annotai tutto sul taccuino. «Sa come si chiamano i due?»
«Uno mi pare si chiami Lucas... l’altro non me lo ricordo.»
Finii di scrivere tutto poi chiusi la penna e il taccuino. «Grazie del suo aiuto, signor Garrett... adesso dovrà seguire questo agente che convaliderà il suo arresto. Le faremo sapere quando avremo chiuso il caso.»
Garrett e il suo avvocato si alzarono in piedi e uscirono dalla stanza in una manciata di secondi, seguiti dall’agente che gli leggeva i diritti.
 
Hodges mi aiutò a rimettere in ordine le sedie poi prese la scatola delle prove e, insieme, ci avviammo verso il laboratorio.
«Ottimo lavoro, David.»
Sembrava sorpreso. «Oh, grazie! Anche se non mi sembra di aver fatto molto, purtroppo.»
«Questo è anche il tuo primo interrogatorio... andrà meglio la prossima volta. Cosa bisogna fare adesso?»
Hodges ci meditò su. «Credo bisogna trovare al più presto quel Marcus e portarlo qui insieme ai suoi cugini.»
«Esatto. Hai chiesto a Brass di rintracciarlo?»
«Sì, ma mi ha detto che le prove che avevamo prima non erano sufficienti e che dovevamo andare noi da lui. Forse con le nuove dichiarazioni riusciamo a portarlo qua.»
Gli lasciai il taccuino. «Ottimo! Vai e scoprilo... le porto io queste cose in laboratorio.»
«Grazie! Così mi faccio bello davanti a Jim.»
«Sei sempre il solito.»

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Capitolo 5


 
Lasciai le prove nello scaffale apposito, in modo da averle a portata di mano nel caso ci fossero di nuovo servite. Qualche minuto dopo entrò nella stanza anche Nick, che era venuto a prendersi la giacca.
«Sei in partenza?»
«Non esattamente, la tua dolce metà ha deciso di non avvisarmi ed è andato a cenare con Henry e Morgan più di un’ora fa quindi sto andando a mettere qualcosa sotto i denti, vieni anche tu? Così possiamo parlare un po’.»
Scesi i tre gradini della scaletta che avevo usato per arrivare in cima allo scaffale molto lentamente: ogni tanto la gamba mi dava qualche scossa insopportabile e dovevo fare attenzione. «Volentieri! Se hai tempo di aspettare qualche minuto vado a dirlo a Hodges.»
«Ti aspetto qui.» Sorrise, infilandosi la giacca nera addosso.
 
[...]
Nick zigzagò nel traffico come un esperto automobilista, per poi girare nel parcheggio di una paninoteca.
«Ma dove diavolo mi hai portato? Non conosco questo posto!»
«Vedrai, fanno degli ottimi panini.»
Entrai subito dopo di lui, appoggiandomi alla stampella: l’odore di carne rosolata ci investì seguito da un forte schiamazzo, infatti il locale era gremito di famiglie e le cameriere dovevano fare molta attenzione a non pestare qualche bambino sfuggito alle attenzioni dei genitori. Però, nonostante la confusione, una delle cameriere salutò Nick da lontano, che ricambiò arrossendo.
«Chi è quella?» Chiesi, ammiccando.
«Oh... ehm... È la ragazza di cui ti parlavo oggi pomeriggio.»
«Ah, la famosa Melinda.»
«Eh sì... andiamo a sederci perché, se entra qualcun altro, dobbiamo poi aspettare delle ore per mangiare.»
Individuato un posticino libero, Nick si fece strada tra i tavoli e andammo a sederci, qualche minuto dopo Melinda ci venne incontro portandoci due menù.
«Ciao Nicki!» Disse la ragazza porgendoci le due carte. La prima cosa che notai in lei fu il curioso accento ispanico (probabilmente arrivava da Porto Rico) poi, in seguito, mi resi conto della bella ragazza che era: la carnagione olivastra faceva da sfondo a un paio di occhi scuri e ad una bocca rosea, e pensare che non era nemmeno truccata... teneva i lunghi capelli neri, che le arrivavano quasi fino al fondoschiena, legati in una coda di cavallo. Indossava una divisa rossa molto attillata e un berretto da baseball, come tutte le altre cameriere.
«Ciao Melinda! Come vanno le cose?»
«Si lavora come pazzi qua dentro, come potete ben vedere.»
«Oh sì.» Intervenni anche io. «Questi bambini vi danno parecchio fastidio mentre corrono.»
Melinda sorrise. «Sì, è vero, ma sono così adorabili.»
Nick la guardava come un pesce lesso, si vedeva che gli piaceva molto.
«Eh già... oh, ti presento Michelle, una cara amica e collega.»
«Molto piacere.» Dicemmo in coro; gli porsi la mano e lei, sorridendo, me la strinse.
Dopo averci preso le ordinazioni filò dritta in cucina, per poi rispuntare in sala a prendere altri ordini e ad accogliere e salutare nuovi clienti. Nick la seguiva con lo sguardo quasi come fanno i gatti con i pesci dentro gli acquari.
«Stokes!» Richiamai la sua attenzione. Si girò di scatto con lo sguardo spaesato.
«Perdonami! Mi ero perso nei pensieri.»
Scoppiai a ridere. «Me ne sono accorta... ti sei scelto proprio una bella ragazza.»
Arrossì in un battito di ciglia. «G-già... come ti è sembrata?»
«Molto dolce, si vede che ti piace da morire... e anche tu piaci a lei.»
«Dici sul serio? Le ultime ragazze che ho conosciuto non volevano qualcosa di serio...»
«Si vede lontano un miglio che lei non è così, sembrate fatti l’uno per l’altra.» Allargai le braccia. «Non hai visto come guardava quei marmocchi mentre correvano? Credimi, quello è lo sguardo che io non avrò mai, ovvero quello dell’istinto materno.»
Nick quasi si strozzò con l’acqua che stava bevendo, poi cominciò a ridacchiare. «Se lo dici tu...»
«Perché non le chiedi di uscire?»
Lo vidi arrossire completamente. «Perché temo che lei non sia interessata.»
«Ehi se non glielo chiedi non potrai mai saperlo.»
In quel momento un’altra cameriera ci portò la cena poi, dopo averci augurato ‘Buon appetito’ filò via come aveva fatto Melinda poco prima.
«Il fatto è che non saprei nemmeno come chiederglielo... come avete fatto tu e Greg?»
Non potei fare a meno di sorridere ripensando a come era stato il nostro primo incontro. “La verità è che Greg non ci ha girato molto intorno, me lo ha chiesto e basta.» Addentai il panino che avevo nel piatto: la pancia non aveva smesso di gorgogliare da quando eravamo usciti. «Non credo di essere la persona più indicata per dare consigli da veri uomini.»
«Forse hai ragione, dovrei farmi meno problemi e chiederglielo.»
«Puoi farlo adesso. Sta venendo in qua.»
«Cosa?» Nick si girò, ritrovandosi Melinda di fronte mentre gli appoggiava una mano sulla spalla.
«Ragazzi vi porto qualcos’altro?»
«Per me no, grazie. Nick? Vuoi qualcosa?» Strizzai l’occhio per fargli capire che era il momento giusto per farsi avanti, ma la reazione del ragazzo davanti a me quasi mi fece cadere in terra dal ridere: aveva cominciato a sudare e a diventare prima bianco e poi rosso.
«Ehi tutto bene?» Chiese lei, preoccupata.
«S-sì, certo...» Riprese fiato. «Melinda, que quiere cenar conmigo
Sul volto della ragazza apparve un leggero sorriso. «Mi farebbe molto piacere!»
«Davvero?» Sembrava stupito della risposta.
«Sì, io sono libera solo il martedì... capisco che però tu lavori quasi tutti i giorni.»
«Che coincidenza, il martedì è il mio giorno libero.»
«Maravilloso, quando està livre venha conhecer-me, eu vivo en final da estrada
«Verrò di certo. Grazie.» Gli sorrise ampiamente poi Melinda tornò a fare il giro tra i tavoli che aveva interrotto per parlare con noi.
Nick si girò, guardandomi. «Come sono andato?»
«Alla grande, avresti conquistato chiunque, me compresa, con questo tuo parlare in spagnolo!»
«Me la cavo... dopo il mio ultimo viaggio in Messico* ho capito che avevo bisogno di rinfrescare le mie conoscenze linguistiche.»
«Ti sono servite, vedo.»
«Speriamo che abbiano anche funzionato...» Riprese in mano il panino che stava mangiando qualche minuto prima. «Forza, finiamo la cena o Russell comincerà a sbraitare che non lavoriamo mai.

 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Capitolo 6

 
 
Lasciammo il locale verso le nove di sera, Nick aveva voluto fermarsi ancora qualche minuto per chiedermi consigli su come comportarsi all’appuntamento con Melinda. Per la strada del ritorno decidemmo di passare lungo la Strip e di goderci un po’ quei pochi minuti di libertà che ci rimanevano.
 
Las Vegas, come dico sempre, è una città magica: sembra di essere in un altro mondo perché ci sono così tante luci e colori da farti venire il mal di testa ma più la guardi e la vivi più vuoi restarci. Lo diceva anche The King, Elvis, che bastava solo una volta per non essere più gli stessi: non è un caso se quelli che passano da qui ne restano vittime, molti vengono qui solo per trasgredire da un mondo piatto e monotono, altri denigrano tutto questo e la definiscono “La città del peccato”, ma qui l’unico vero peccato è voler essere felici anche solo per un secondo.
 
[...]
Appena rientrammo in laboratorio vidi un affannato David Hodges che mi correva in contro, aveva un sorriso soddisfatto in faccia.
«Indovina un po’?» Disse con un accenno di fiatone.
«C’è una svolta nel caso?»
«Non proprio ma potrebbe aiutarci... hanno arrestato Marcus Floyd mentre tentava di rubare degli alcolici in un supermercato vicino a casa sua. Brass lo sta portando qui così potremo interrogarlo.»
Gli diedi una pacca sulla spalla. «Ottimo... prendi tu la scatola delle prove, questa gamba mi dà un fastidio continuo.» Poggiai una mano sul ginocchio: in effetti lo stavo sforzando un po’ troppo perché si era gonfiato leggermente. Cercai di non darci troppo conto, il giorno dopo l’avrei avuto libero e sarei potuta andare dal medico a farlo controllare.
Hodges uscì dal laboratorio con la scatola in mano, dopodiché ci avviammo verso la sala interrogatori dove, fino a poche ore prima, avevamo interrogato Garrett. Dopo esserci seduti al tavolo e aver rivisto le prove, aspettammo ancora una buona mezz’ora prima dell’arrivo del nostro sospettato.
Erano le dieci e mezza di sera passate quando il ragazzo fece capolino dentro la sala, scortato da un agente e dal suo avvocato d’ufficio.
«Ben arrivato, signor Floyd. Si accomodi.»
Il ragazzo non fece una piega, si sedette senza battere ciglio e con il volto contratto in un’espressione di sfida.
«Dawson Cappelletti, avvocato difensore. Tengo a informarvi che il mio cliente sarà fuori entro la mezzanotte, quindi cerchiamo di accelerare i tempi.»
«Non ci vorrà molto, signor Cappelletti.» Presi la cartellina e una penna dalla borsa, in modo da appuntarmi tutto. «Abbiamo motivo di credere che il suo cliente sia coinvolto in un omicidio avvenuto lunedì sera vicino al Red Lips Game, sulla Montgomery Street.»
Floyd sembrò rilassarsi infatti aveva assunto uno strano ghigno. «Lunedì sera, eh? Ero a casa con mia madre. Non c’entro nulla.»
Hodges prese la copia della dichiarazione firmata da Garrett al momento del suo arresto. «Le conviene dire la verità, signor Floyd, perché abbiamo un testimone che giura di averla sentita parlare sul luogo del delitto la sera dell’omicidio.» Non era stata una grande idea usare quelle esatte parole perché l’avvocato si umettò le labbra, pregustando la vittoria.
«Giura di averlo sentito parlare? Andiamo, se non erro quel locale è famoso per avere degli amplificatori sul tetto che disturbano la quiete pubblica dell’intero quartiere. Come può quest’uomo essere certo di aver sentito proprio il mio cliente?»
Hodges sbiancò, era consapevole di aver fatto un grave errore così intervenni io: per fortuna avevamo materiale a sufficienza per supportare la testimonianza di Garrett. «Il mio collega può provare ciò che dice, noi della Scientifica non diamo mai nulla per scontato e verifichiamo sempre le ipotesi: abbiamo trovato diverse impronte sopra alcune bottiglie di Vodka e Gin rinvenute nel cassonetto fuori dal locale, in più il gestore del Red Lips ci ha confermato la presenza del suo cliente al bar, insieme ai suoi due cugini, la sera in questione. Abbiamo delle ricevute che confermano che eri lì a bere, Marcus, questo non puoi negarlo.»
Floyd incrociò le braccia e corrucciò la fronte. «Scommetto che è stato Lucas a parlare, quell’idiota me la pagherà uno di questi giorni.» L’avvocato gli consigliò di stare zitto.
«Sta forse confessando l’omicidio?»
«Ehi! Frena cocca. D’accordo, ero lì con i miei cugini a bere, il tizio col pizzetto non ci aveva mai detto niente ma l’altro si è infuriato come una bestia, ci ha detto che se non ce ne andavamo via subito avrebbe chiamato gli sbirri, così ce ne siamo andati.»
«E le bottiglie?»
«Visto che non abbiamo potuto bere abbiamo fatto un salto nel supermercato che c’è lì vicino, il commesso è così idiota che non si è accorto della patente falsa.»
Annotai tutto sulla cartellina, dovevamo confermare il loro alibi. L’avvocato controllò l’orologio: mancava un quarto d’ora a mezzanotte.
«Il mio cliente non ha più nulla da dirvi quindi, se non vi dispiace, toglieremmo il disturbo.»
Nonostante le accuse fossero piuttosto pesanti, Floyd venne rilasciato con un ammenda di mille dollari, pagati subito dalla madre del ragazzo.
 
[...]
Andai in laboratorio per cercare David: lo trovai intento ad analizzare le prove del caso di Catherine. Bussai sul vetro ma lui parve non sentirmi, così entrai.
«Pessime notizie, socio.» Hodges alzò la testa dal microscopio per stare ad ascoltarmi, nel frattempo andai a sedermi su una delle sedie da ufficio girevoli che arredavano il piccolo cubicolo. «L’alibi di Floyd e dei suoi due cagnolini è stato confermato: Archie ha visionato il nastro della sorveglianza, la telecamera all’ingresso li ha ripresi mentre ciondolavano per le corsie del supermercato mezz’ora prima che la ragazza venisse uccisa e sono rimasti lì per quasi un’ora... Sembravano ubriachi.»
David mi guardò perplesso. «C’è sicuramente qualcosa che ci sfugge.»
«Sì ma cosa?» Ripensai alle prove raccolte, alle dichiarazioni fatte da Garrett,... qualcosa mancava di sicuro. «Abbiamo pensato troppo al contesto dove l’abbiamo trovata e non a quello dove dovrebbe stare.»
Se prima Hodges mi guardava perplesso, adesso era totalmente confuso. «Che vuoi dire?»
Mi alzai in piedi, camminando lentamente su e giù. «Rifletti, Garrett ci ha detto che aveva voglia di divertirsi un po’.»
«Sì, ma continuo a non capire.»
«Andiamo David, mi deludi... Dove è andato per cercare qualche ragazza?»
Il ragazzo assunse un’espressione corrucciata. «Sulla Strip se non sbaglio...» Poi meditò sulle sue stesse parole. «Stai forse pensando ad un protettore incazzato?»
Mi fermai un attimo, passando una mano dietro la nuca. «Sì, sappiamo che Laura aveva vinto, a inizio anno, una borsa di studio alla Rebels*. Secondo me voleva smettere di lavorare...» Guardai l’orologio: mezzanotte e dieci minuti. «Direi di vedere se qualcuno in strada la conosce, sicuramente troveremo altre ragazze che giravano con lei...»
Hodges annuì al mio ragionamento. «Vado a stampare una foto della ragazza, in questo modo sarà più facile trovarla.»
«Ottimo, vado a prendere le chiavi della macchina.»




* Università di Las Vegas con sede a Paradise.
 

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Capitolo 7
 

La Strip si era praticamente riempita di gente nel giro di poche ore, i club avevano acceso ogni sorta di luci e neon per attirare nuovi clienti, i ristoranti avevano piazzato alcuni ragazzi vestiti con i più svariati costumi pur di far entrare gente a mangiare un boccone ma, soprattutto, si vedevano fin troppe ragazze vestite con abiti succinti che abbordavano le auto che si fermavano vicino al marciapiede. Individuammo un ragazzo seduto su una panchina all’incrocio con la Robindale. «Sei mai stato sotto copertura, David?» Fermai l’auto vicino al marciapiede, poco distante dal tizio che avevo adocchiato.
Hodges mi guardò, un po’ stupito dalla domanda. «Mickey, lo sai che sono rimasto chiuso in laboratorio fino a pochi mesi fa, come puoi pensare che io sia andato sotto copertura?»
Continuai a tenere d’occhio il ragazzo, sganciai la cintura dell’auto. «Chiedevo.» Misi in sicurezza la glock nella fondina. «Lo hai notato anche tu?» Feci un cenno con la testa per indicare il ragazzo. «Cappellino rosso, occhiali da sole e giubbotto di pelle.»
David lo cercò tra la folla. «Sì, pensi sia il protettore? Devo forse distrarlo?»
«Non proprio, credo sia più un suo sottoposto, sai, un pesce piccolo. Non preoccuparti, ci andrò io a parlare, nel frattempo tu cerca di abbordare una ragazza poi falla salire in macchina. Una volta salita chiedile di Laura e mostrale una foto.» Scesi dall’auto, Hodges fece lo stesso ma aveva un’aria un po’ spaventata.
«Michelle io non credo di farcela. Sono prostitute e io uno scienziato, le due cose non vanno d’accordo!» Mi scongiurò.
«Oh dai, sei un uomo affascinante. Fai del tuo meglio.» Attraversai la strada guardando a destra e sinistra. «Non cacciarti nei guai.» Gli dissi ancora.
Mi avvicinai all’obiettivo, le bande catarifrangenti del mio gilet rilucevano debolmente alle luci dei neon, il ragazzo con il cappellino rosso sembrava avermi adocchiata ma non si scompose più di tanto. Si tirò su a sedere, masticando una gomma. «Qualche problema, agente?»  abbassò gli occhiali da sole.
Presi il tesserino dalla giacca e glielo mostrai. «Agente Williams, della scientifica. Lei è…?»
«Luke Girlwalker.»
Riposi il tesserino nella tasca, sorridendo. «Nome curioso per un pappone, voglio il nome vero.»
Spostò lo sguardo svogliatamente. «Donald Scott, gli amici mi chiamano Donnie. Sono forse in arresto?» Fece scoppiare la bolla che aveva appena fatto con la gomma da masticare.
«No. Ho bisogno di qualche informazione su questa ragazza, la conosci?» Gli mostrai la foto di Laura.
Donnie la prese tra le dita, guardandola con noia. Si lisciò il pizzetto, poi fece un lieve sorrisetto. «È Misty. Sono tre giorni che non si fa vedere... se non torna a lavoro giuro che-»
«Laura è morta, Donnie. L’hanno uccisa lunedì sera.» Gli dissi gelamente. «Quindi, come puoi immaginare, dovrò chiederti dov’eri al momento dell’omicidio.»
Donnie sbiancò, una puttana morta significava solo guai per un pesce piccolo come lui che aveva, come unico compito, quello di assicurarsi che tornassero a casa dal paparino. Probabilmente non era neanche lui l’assassino ma dopo aver visto gente impalata per questioni molto più stupide non mi sembrava neanche così impossibile come finale. «Sto aspettando.» Intimai ancora una volta.
«Lunedì sono rimasto tutta la notte con un’altra delle ragazze...» Incrociò le braccia sul petto. «Si chiama Angelica Petersen, ma in strada la conoscono come Miranda.» Alzò il dito puntando una rossa con un vestito bianco dall’altra parte della strada. Mi soffermai a guardare la Denali su cui avevo lasciato un povero David Hodges in completo affanno. «È lei.» Continuò Donnie. «Ma il mio capo non deve sapere nulla, mi ammazzerebbe se sapesse che noi due stiamo insieme.»
Sorrisi. «Rovinare un amore nascente come il vostro è proprio l’ultimo dei miei desideri. Qualcuno a parte lei può confermare il tuo alibi?» Chiesi in ultimo.
«Eravamo al Motel Astro, a Paradise.» Guardò di nuovo la foto che stringevo ancora in mano. «Laura era una ragazza a posto, non ha mai dato problemi... trovate chi l’ha uccisa.»
“Strano ragazzo uno che fa il protettore e al contempo si prende cura delle proprie pollastrelle.” Mi ritrovai a pensare. Lo rassicurai che avremmo fatto il possibile per trovare chi l’aveva uccisa, poi mi riavviai verso la Denali. Hodges mi sorrise dal finestrino abbassato, si vedeva chiaramente dal suo colorito rosso vivace che non sarebbe mai più venuto con me in strada.
«Finalmente sei tornata. Non farmi mai più fare una cosa simile, ti prego! È stato tremendamente imbarazzante!» Disse con la sua vocina stridula e agitata.
«Andiamo David, hai superato le immersioni nelle montagne di immondizia e persino la nausea di fronte ai cadaveri, vuoi dirmi che chiedere a una ragazza di salire in macchina con te è peggio?» Lo canzonai ridendo mentre risalivo sul SUV.
Hodges mise la prima e ripartì verso il laboratorio. «Io sono un uomo raffinato e gentile, chiedere a una... donna di facili costumi... di venire a spassarsela con me è qualcosa di inconcepibile.» Si fermò a un semaforo rosso. «Sappi che non lo farò più la prossima volta.»
«Sarà. E io che pensavo di farti un favore!» Lo apostrofai con sarcasmo. «Voglio dire, siccome ho potuto notare che sei un tipo riservato e timido ho colto l’occasione per farti maturare, se una ragazza mostrasse interesse nei tuoi confronti ora come ora scapperesti a gambe levate!»
«Io non scappo a gambe levate! Per l’amor di Dio, sono uno scienziato. Queste cose non mi spaventano.» Ripartì sgommando lungo il Las Vegas Boulevard.
«Sarà, comunque hai scoperto qualcosa?» Chiesi.
«Ho parlato con tre ragazze che la conoscevano bene.»
«E...»
«Sostengono che il loro protettore la stesse importunando da svariate settimane, sembra ce l’avesse con lei perché voleva andarsene.»
Aggrottai un sopracciglio. «Il ragazzo con cui ho parlato ha detto che non stava dando problemi, o ci ha mentito oppure non sapeva nulla di questa storia e, sinceramente, sono più propensa alla seconda teoria.»
«Può essere. Come sappiamo anche noi aveva ottenuto la borsa di studio alla LV University... le tre ragazze con cui ho parlato hanno detto che è rimasta solo per guadagnarsi ancora dei soldi per estinguere il restante prestito scolastico. Ah, l’uomo si fa chiamare Mr. Squeezer. Se non ricordo male Nick deve averci avuto a che fare.»
Presi il cellulare dalla tasca e composi il numero di Nick: l’uomo rispose pochi secondi dopo. «Stokes.» Disse con tono vivace l’uomo all’altro capo del telefono.
«Nick ho un favore da chiederti.»
«Dimmi, tesoro.» Scherzò, avendo riconosciuto la mia voce.
«Non chiamarmi così o subirai l’ira di Greg.» Sorrisi.
«Il tuo consorte è proprio qui, l’ho detto apposta. Scema.» In sottofondo sentii la voce di Greg che diceva a Nick di far attenzione alle parole che usava.
Arrossii un po’, in fondo mi piaceva che due uomini si canzonassero a vicenda per me, in più Nick mi faceva fin troppi complimenti e adoravo quando mi chiamava così. Scacciai i pensieri dalla mente per ritornare al caso. «Ascolta, David mi ha detto che conosci un certo Mr. Squeezer.» Lo misi in vivavoce così anche Hodges poté ascoltare la conversazione.
Nick cambiò improvvisamente tono. «Sì, l’ho conosciuto cinque anni fa, fu uno degli ultimi casi in cui ho lavorato con Warrick...» Mi si strinse il cuore, sapevo quanto fossero legati e mi dispiacque dover far riaffiorare i ricordi. «Che ti serve sapere?» Continuò lui.
«Vorrei sapere che tipo è e se è di nuovo in circolazione.»
«Non siamo mai riusciti a inchiodarlo... Era coinvolto solo in parte in quel caso di omicidio, lo avevamo beccato a giocare a Poker con uno dei sospettati ma il suo avvocato è riuscito a tirarlo fuori di galera immacolato. Non so se sia stato pizzicato in altre occasioni, per il resto è il classico tipo d’uomo che considera le donne come una proprietà.»
«Credi che possa uccidere una delle sue pollastre?» Chiesi.
Nick ci pensò su. «No, in uno dei nostri interrogatori mi sembra abbia detto che per lui si tratta solo di denaro, ma se qualcuno tocca una delle sue donne gliela fa pagare, dopotutto per lui sono fonti di guadagno. Se c’è qualcosa che odia è doverne rimpiazzare anche solo una perché sono tutte scelte accuratamente, oltre ad aver speso un mucchio di quattrini per comprarle al mercato nero.»
«Insomma, è uno che detesta perdere ciò che è suo.» Incalzò David.
«Esattamente. Faresti bene a chiedere a Jim per i suoi movimenti, di sicuro lui saprà dirti più di me.»
«Lo farò, grazie Nick.»
«Prego, tesoro.» Prima di chiudere la chiamata sentii soltanto Greg che gli diceva “Fai attenzione, Stokes, è a mia moglie che stai parlando.” Sorrisi di nuovo, alzando il volume della radio che trasmetteva la nuova canzone dei One Republic, “All this time”*.

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Capitolo 8
 

Una volta tornati al laboratorio corsi nell’ufficio di Brass, per tentare di capire qualcosa in più su quel Mr. Squeezer. Jim era seduto in panciolle sulla sua sedia girevole, sembrava una giornata tranquilla così si era preso qualche minuto di pausa: continuava a rigirarsi tra le dita una sferetta di vetro, era la biglia che Grissom regalava ai suoi colleghi quando le cose sembravano andare male. “Quando la vita va storta, tu bigliala così” erano queste le parole che accompagnavano quel regalo, ne aveva data una anche a me il giorno in cui l’assassino di mia sorella chiese un nuovo processo. Era il suo modo di farci sentire meglio, un po’ strano ma a quanto pare funzionava. Quando entrai nell’ufficio Jim mi lanciò la sua solita occhiata fugace, chiedendomi cosa volessi: mi accomodai sulla sedia davanti alla scrivania, spiegandogli la situazione per filo e per segno; l’uomo controllò dal suo database gli spostamenti del nostro sospettato ma non furono belle notizie, specie perché era rimasto quiescente da un bel po’ di mesi e noi non avevamo prove a sufficienza né per chiedere un mandato di perquisizione né per un confronto in centrale... L’unica alternativa era andare direttamente nel suo covo, in una bettola di locale in periferia a North Las Vegas. Jim mi stampò il suo indirizzo, raccomandandoci prudenza e di chiamare rinforzi appena ne avessimo avuto bisogno. Tony Richards non era di certo un uomo collaborativo e detestava l’intrusione delle forze dell’ordine nelle sue proprietà. «Per caso con te c’è anche lo scienziato leccapiedi?» Si limitò a chiedermi.
L’espressione “scienziato leccapiedi” mi fece sorridere non poco, perché era la descrizione esatta di David, ma cercai di tenere un’espressione seria. «Sì, Hodges in questo momento è in laboratorio che analizza alcune prove del nostro caso insieme ad Archie.»
Il capitano annuì, poi prese il suo telefono per chiamare qualcuno. Digitò un numero a tre cifre, “Un numero interno” pensai. L’uomo attese qualche secondo, prima che la voce all’altro capo della cornetta rispondesse poi, finalmente, risposero. «Sono Brass» esordì, «puoi venire un attimo nel mio ufficio? Sì, certo, ho bisogno di un favore. Ti aspettiamo.»  Chiuse la chiamata e congiunse le mani sul tappetino della scrivania. «Non voglio che tu vada da Richards con uno svitato. È troppo pericoloso.»
Sorrisi. «Ha ragione: Hodges è uno strano individuo ma è, tutto sommato, un ottimo scienziato e sta facendo pratica per diventare un agente da campo, signore.» Ripensai ai progressi che stava facendo. «È ancora alle prime armi ma, addestrandolo a dovere, potrà sviluppare le due doti che ha già ovvero un’ottima capacità d’osservazione e di intuito.»
Brass rimise a posto la biglia nel cassetto della scrivania. Poi continuò a compilare il rapporto che aveva sulla scrivania. «Anche Grissom lo definiva un odioso leccapiedi, lo sapevi?»
«Certamente. Ma è anche vero che gli ha dato una grossa mano a risolvere il caso del killer delle miniature.» Risposi io fermamente.
A quelle parole Brass smise di scrivere per poi spostare lo sguardo su di me. «Tu non apprezzi le critiche negative, vero?»
«Al contrario, signore, ma se si tratta di persone allora ha ragione, non le apprezzo. Come forse ricorderà dalla morte di mia sorella, i miei genitori hanno sempre mosso critiche negative nei miei confronti eppure... ho insegnato alla Las Vegas University per merito mentre ora sono qui alla scientifica come agente di livello II e ho contribuito a risolvere più di un centinaio di casi. I miei genitori hanno sbagliato tutto con me.»
Jim mi guardava con un labbro mezzo alzato, formando un mezzo sorriso. «Hai un bel caratterino. Continua così.» Poi spostò lo sguardo fuori dalla porta, probabilmente la persona che aveva chiamato prima era arrivata. «Grazie per essere venuta!» Si trattava quindi di una donna. Stavo per girarmi quando la sentii dire «Michelle!» Al ché mi girai di scatto. La voce era indistinguibile. «Sofia! Quanto tempo è passato?»
La donna mi abbracciò. «Troppo, ti vedo in forma. Come stai?»
Soffocata nel suo abbraccio riuscii a ostentare qualche parola. «Tutto sommato bene, a parte la gamba ma ti spiegherò poi con calma.»
«Non ti preoccupare, ne avremo di tempo.» Poi si girò verso l’uomo. «Allora, Jim, di cosa volevi parlarmi?»
Brass si schiarì la voce. «Ricordi il caso Munroe? Di cinque anni fa.»
Sofia si fece scura in volto, evidentemente l’aveva toccata nel profondo. Purtroppo io non sapevo nulla di quel caso. «Come potrei dimenticarlo? Quella povera bambina mi fa ancora tenerezza. Se non sbaglio fu Nick a lavorarci, con Warrick.»
«Già...» Dissi io amaramente, ripensando alla voce spezzata di Nick.
«C’è un collegamento con il tuo caso?» Continuò lei rivolgendosi a me.
«Più o meno, la mia vittima era una proprietà di Tony Richards.»
Sofia portò l’indice sul mento, intenta a ripensare sul passato, fece qualche gesto con la testa ripetendo “Richards...” un paio di volte. «Se intendi quell’avanzo di galera che ho arrestato durante la retata alla bisca posso solo augurarti buona fortuna. Quello è proprio marcio nell’anima, ci ho messo diverse ore per tentare di convincerlo a parlare ma niente, il suo avvocato è riuscito a tirarlo fuori senza battere ciglio.»
«Io non credo che Richards sia il nostro colpevole, tuttavia non dobbiamo escludere nessuna pista. Da come mi si è presentata la scena del crimine e a giudicare dalle ferite non è stato lui... sono quasi sicura che sia un delitto passionale.»
Sofia appoggiò la mano sulla mia spalla, sospirando. «Mickey, ti assicuro che non è una buona idea, tantomeno se hai dei dubbi. Il mio consiglio è di trovare delle prove che sostengano un possibile coinvolgimento con lui, per ora cosa sai?»
«Non molto, abbiamo tre ragazze che sostengono di aver visto uno dei suoi scagnozzi litigare con Laura perché voleva abbandonare il giro e ritornare a studiare, tuttavia lei ha continuato a lavorare per lui.» Cercai di raccogliere le informazioni che ci avevano dato tutti i testimoni, comprese le dichiarazioni di Nick a proposito del caso a cui aveva lavorato lui. Effettivamente non avevamo niente in mano, se non qualche voce di corridoio che avrebbe potuto anche essere infondata.
«Deduco che Richards sia riuscito a convincerla a rimanere... so che su di lui c’è un fascicolo aperto sia alla buon costume che all’FBI, se ne occuperanno loro.» Continuò la donna davanti a me. «Comunque sia, se salteranno fuori altre informazioni su di lui non esitare e fammi sapere. Sarò felice di sbatterlo finalmente dentro dopo anni.» Mi mostrò il suo solito sorriso rassicurante, avevo di nuovo un’amica su cui contare. In più mi aveva tolto un fastidio. In quel momento la chiamarono al cellulare, c’era stato un omicidio al Mirage. «Mi dispiace ragazzi ma devo andare. Michelle, fammi sapere se ti serve aiuto.»
«Contaci.» Cercai di sfoderare un sorriso rassicurante. Sofia mi abbracciò di nuovo, poi uscì dall’ufficio dirigendosi verso il parcheggio sotterraneo dell’edificio.
Quando chiuse la porta di sé, Brass tornò a sedere dietro la sua scrivania. «C’è altro, Williams?»
«Direi di no. Torno a lavorare sul caso.» Uscii dall’ufficio, in direzione del laboratorio analisi videografiche.

Qualche metro più avanti rischiai di scontrarmi con Russell, intento a bere un bicchierone di caffè, eravamo entrambi con la testa tra le nuvole. «Michelle, ancora qui?» Fece lui.
«Ci sono state alcune svolte nel caso Sanchez, abbiamo dovuti interrogare alcuni sospettati finchè erano sotto custodia del dipartimento quindi...»
«Quindi non sei ancora andata a casa.»
«Già ma il caso ha la precedenza, Laura ha bisogno di giustizia.»
«E tu hai bisogno di dormire! Greg che fine ha fatto? Non ti avrà lasciato qui spero, altrimenti gli farò-»
«Non ce n’è bisogno D.B., so badare a me stessa. Mi farò riaccompagnare a casa da Nick, dovrebbe essere ancora qui.»
«Sì, è di là che sta leggendo un fascicolo, digli che è stata colpa mia. Ci vediamo, mi raccomando vai a casa a riposare... cominci ad avere le occhiaie.» Disse andando nuovamente per la sua strada.
«Agli ordini, capo.» Sorrisi, poi cambiai direzione, andando verso la sala riunioni in fondo al corridoio.
 

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Capitolo 9
 
Chiamai Greg al cellulare, per sapere che fine aveva fatto e se era il caso di aspettarlo in ufficio ma mi informò che c’era stata una chiamata e che era corso su un’altra scena del crimine, la stessa alla quale aveva risposto Sofia pochi minuti prima. «Vai pure a casa, appena arriva il coroner ti prometto che torno.» disse. Così seguii il consiglio di Russell, facendomi portare a casa da un Nick molto stanco che si era appisolato sul tavolo nella sala riunioni. «Ehi bell’addormentato» mi sedetti di fianco a lui, punzecchiandogli un fianco con il dito. «è ora di svegliarsi.»
Lui alzò di poco la testa, il foglio del fascicolo si era stropicciato sotto il peso della testa e da un lato si era appiccicato alla guancia. «Che ore sono?» Chiese assonnato, così controllai l’orologio. «Sono le quattro e dieci. Avrei bisogno di un favore, se ne sei in grado ovviamente.» Aveva più sonno di me, questo era chiaro ma tutti sapevano che io sopportavo la stanchezza meglio di lui e Greg messi insieme.
«Di cosa hai bisogno, Albert?» Scherzò.
«Ancora con questa storia?» Sorrisi diventando rossa come un peperone. «Puoi portarmi a casa? Greg si è tenuto la macchina ed è andato su un’altra scena del crimine.»
«Certo, prendo la giacca.» Si alzò dalla sedia, stiracchiandosi, mentre io lo aspettai lì dov’ero.
 
[...] Dieci minuti dopo eravamo già in viaggio verso casa mia, in Washington Avenue: il campo da golf che costeggiava il lato est della strada appariva di un bel verde brillante alle luci dei riflettori mentre la recinzione metallica brillava a seconda della luce.
Per tutto il tragitto Nick non aveva parlato molto e se lo aveva fatto si trattava di lavoro, la cosa mi sembrò molto strana tant’è che decisi di sondare il terreno alla ricerca di prove. Esordii con un «C’è qualcosa che devi dirmi?», al chè Nick diventò leggermente paonazzo.
«Cosa te lo fa pensare?»
«Ah no, hai sbagliato risposta. Lo so che hai qualcosa che non va, altrimenti avresti risposto che era tutto a posto.» Lo conoscevo da tre anni ormai, riuscivo a capire molte cose.
«Melinda mi ha chiamato.» Trovai tristezza nella sua voce. «Suo padre non approva che lei esca con un americano.»
«Ma non siete ancora usciti insieme, o sbaglio?»
«No, mi sono soltanto fermato a parlarle qualche volta dopo cena ma suo padre deve averci visti, lui è il cuoco del ristorante dove ti ho portato a cena.»
Tentai di rassicurarlo ma lui ormai vedeva la sua prematura storia d’amore già al capolinea. «Nick, dai tempo al tempo... sei un ragazzo» “Meravigliosamente splendido” pensai nella mia testa ma riuscii a fermarmi in tempo. «adorabile e mi sembra che tu abbia la testa sulle spalle. Sono sicura che quando ti conoscerà meglio ti adorerà anche lui.»  
A quelle parole si tranquillizzò. «Grazie Mickey, sei una vera amica
Sentii come un tuffo al cuore quando mi chiamò “amica”, ma cosa mi stava succedendo? Io amavo Greg e non Nick eppure per quale motivo stavo così male? Innamorarmi di un altro era da escludere: io, che per così tanti anni avevo portato avanti le mie cause, dove sostenevo che quando sei innamorato di una persona devi fare di tutto per tenertela stretta, andavo ad innamorarmi di un altro dopo essermi sposata? No, di certo era altro... forse stanchezza e debolezza, nulla di più e dovevo farmene una ragione. In ogni caso dovevo parlarne a qualcuno prima di cacciarmi di nei guai.
Finalmente, dopo pochi minuti Nick fermò la macchina davanti a casa mia: lo salutai e poi mi fiondai in casa elettrizzata, come sempre, all’idea di un bagno caldo e di un morbido letto dopo una lunga ed estenuante giornata. La prima cosa che facevo appena mettevo piede dentro era accendere la luce in ogni stanza, lo facevo per una questione di sicurezza: avevo imparato ad essere prudente dopo aver seguito un caso di stalking finito molto male. Accesi anche la TV, più per compagnia che per altro: sul canale nove trasmettevano una replica del Jay Leno Show, dove intervistavano Angelina Jolie di ritorno dal set del suo nuovo film. Greg torna a casa presto, ho bisogno di te... pensai, dopotutto erano settimane che non riuscivamo a restare insieme per più di dodici ore, vuoi il lavoro e vuoi altri impegni.
Mezz’ora dopo sentii lo scatto della serratura che girava. «Sono a casa.» Esordì una voce che conoscevo molto bene.
«Era ora.» Risposi, nel momento in cui i nostri sguardi si incrociarono Greg sfoderò il suo solito sorriso, nonostante fosse parecchio stanco. «Vuoi qualcosa?» Chiesi ancora.
Lui si passò una mano sul viso, poi appese la giacca e il cappello alla John Belushi all’attaccapanni vicino alla porta. «In questo momento voglio solo dormire e non svegliarmi per i prossimi tre giorni.» Si avvicinò a me, nonostante ci fosse un anno di differenza tra di noi mi superara di una buona spanna in altezza. «Mi sei mancata moltissimo.»
Un senso di colpa mi pervase da capo a piedi per quegli strani sentimenti che provavo per Nick in quel momento. Alla luce dei fatti sembrava che mi mancasse soltanto passare del tempo con Greg, come facevamo una volta. «Via, non esagerare. Ci siamo visti solo un’ora fa.»
Lui mi strinse in un caldo abbraccio. «Hai ragione ma, vedi» si abbassò di colpo per prendermi in braccio. «quando siamo a lavoro non posso fare così.» Mi baciò intensamente.
«Agente Sanders» lo canzonai come mio solito. «questo non è un comportamento professionale.» Questa volta il mio tono di voce assomigliava a quello dello sceriffo.
«Non ricordavo di aver sposato Ecklie... vogliamo andare a letto?» Mi diede un bacio sulla fronte. Io annuii senza pensarci due volte poi mi portò in camera e mi buttò sul letto. Scivolai sotto le coperte in men che non si dica, aspettando che venisse anche lui ma, invece di darsi una sistemata, rimase in boxer e venne a coricarsi di fianco a me. «Posso restare qua con te?» Chiese.
Lo guardai sorridendo. «No, tu devi restare qui con me.» Poi sprofondai ancora di più sotto le coperte: Greg mi guardò intensamente. «Allora vieni qui.» Disse per poi abbracciarmi, mi accarezzò una guancia. «Ti amo, bambina.»
«Anche io ti amo.» Gli diedi un bacio furtivo un attimo prima che lui mi tirasse verso di sé per baciarmi ancora più intensamente. Ripensai alla prima volta che avevamo fatto l’amore, era la stessa sensazione di allora nonostante fossero passati tre anni. Rimanemmo a letto nudi, felici. Greg si addormentò quasi subito, amavo osservarlo mentre dormiva... presi il suo orologio da polso da sopra il comodino e rilessi l’incisione che avevo fatto fare quando glielo regalai: Il mio vero inizio sei tu

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Capitolo 10.
 
Mi svegliai verso le nove, Greg stava ancora dormendo accanto a me: nonostante fossero passati quasi più di tre anni, conservava ancora quel suo sguardo dolce da ragazzino. Decisi di alzarmi per preparare qualcosa da mettere sotto i denti, così infilai la vestaglia e andai in cucina: in pochi minuti gli preparai caffè e uova strapazzate, mentre lasciai i toast pronti da scaldare da parte, giusto per evitare che diventassero gomma da masticare. Afferrai la mia tazza e uscii in veranda: il sole era già alto nel cielo blu e limpido. Il clima torrido faceva boccheggiare e, come se non bastasse, da quel lato della casa spirava il vento dal deserto che rendeva l’aria ancora più calda.
Rimasi ferma a guardare il campo da golf dall’altra parte della strada: il prato verde scintillava alla luce del sole. Dovrei prendermi qualche giorno di vacanza appena chiuso il caso, pensai tra me e me, e dovrebbe farlo anche Greg. Finii il caffè nella tazza e mi rilassai sulla sdraio, assaporando quell’attimo di tranquillità lontano dal lavoro e dalla frenesia della città. Dopo qualche minuto apparve Greg sulla porta della veranda, porgendomi un piattino con uno dei toast che avevo preparato. «Come al solito li adoro.» Esordì. «Mi danno la carica per affrontare la giornata.» Venne a sedersi davanti a me.
Nel frattempo io mi tirai su a sedere. «Ricordati che non sono una mia ricetta.» Poi appoggiai il piattino sulle mie ginocchia e aspettai che anche lui si sedesse. «Stavo pensando che dovremmo fare una vacanza.»
«Dove?» Chiese infilandosi un pezzo di pane caramellato in bocca.
Sorrisi. «Oh non lo so, che ne dici delle Hawaii?»
«Sarebbe una bella idea.» Alzò le braccia al cielo per poi incrociarle dietro la testa. «Palme, sabbia, mare... cocktail con ombrellini... Sì. Davvero una bella idea.»
In quello stesso istante il mio cellulare prese a vibrare. Addio tranquillità. «Williams.» Risposi.
«Sono David, ho delle novità per te.» Rispose la voce dall’altro capo del telefono.
«Ottimo, di che si tratta?» 
«Due ore dopo che sei andata via, Sofia e Brass hanno avuto una soffiata anonima da qualcuno che era a conoscenza del nostro caso» Fece una pausa. «e grazie a quelle informazioni sono riusciti a parlare con quel protettore... come si chiamava già?»
«David, mi stupisce che non te lo ricordi. Tony Richards.»
«Sono stanco anche io, sai? Uff.»
«Vai a casa David, ci penserò io più tardi.» Alzai gli occhi al cielo. «Comunque sia... gli hanno già parlato?» Addentai un altro pezzo di toast, Greg ogni tanto mi guardava ma poi tornava a concentrarsi sulla meravigliosa vacanza alle Hawaii che ci aspettava in un futuro prossimo.
David ci pensò su, in modo da non dilungarsi troppo ed evitare di addormentarsi al telefono. «Da ciò che ho visto e sentito sembra che Richards avesse un debole per la Sanchez, tant’è che nel giro avevano cominciato a soprannominarla “Miss Squeezer”, insomma la considerava la sua donna.»
Meditai su quelle affermazioni. «Interessante, non deve averla presa bene quando ha saputo che voleva uscire dal giro.» Pensai anche a quello che ci aveva detto uno dei suoi sgherri, era una a posto e non ha mai dato dei problemi. «Richards cosa ha risposto?»
«Che non aveva interesse a ucciderla, dopotutto poteva avere tutte le donne che voleva, anche migliori di lei quindi dopo una sfuriata con la Sanchez si è calmato e le ha detto che doveva estinguere il suo debito prima di andarsene.»
«Che tipo di debito?» Molto probabilmente si trattava di soldi.
«Laura gli aveva chiesto un prestito per estinguere l’ultima rata della retta universitaria ma, in cambio, avrebbe dovuto lavorare per lui un altro anno e portargli altre ragazze che la sostituissero.» Spiegò David.
Che bastardo, pensai. «Bene socio. Hai fatto un buon lavoro.»
«Oh... grazie.» Rispose lui esitando, poi sbadigliò sonoramente. «Forse dovrei andare a riposarmi.»
«Forse sì, vai a casa David, come ti ho già detto prima ci penserò io quando torno in laboratorio. Ci vediamo.»
«D’accordo, saluta anche G.» Chiuse la chiamata e io finii i rimasugli di pane che avevo avanzato nel piatto.
«D. mi ha detto di salutarti ma non so se ne ho voglia.» Sorrisi.
«Non è un problema... quindi c’è una svolta nel caso?» La sua aria trasognata svanì in quello stesso istante.
«Già. Sembra che le nostre informazioni su Richards non siano abbastanza per ottenere un’incriminazione e poi, come ho già potuto constatare dall’autopsia, mi sembra un crimine passionale... un protettore come lui non avrebbe mai fatto il lavoro sporco, al massimo avrebbe detto a uno dei suoi sgherri di risolvere la questione in modo pulito.»
Greg mi fissava divertito. «Stai parlando come se fossi un vecchio poliziotto scontroso di mia conoscenza.» Era fin troppo chiaro che alludeva al capitano Brass.
«Non ti ci mettere anche tu, basta già Nick che mi chiama Albert per via di questa gamba... un giorno o l’altro me la taglio.» Risposi con il naso all’insù.
«Così poi ti chiameremo Gamba di Legno.»
«Dovete solo provarci.» Gli feci una linguaccia poi mi alzai. Il sole mi aveva dato la carica necessaria per affrontare al meglio la giornata: avevo un assassino da rinchiudere, non potevo permettermi di oziare oltre. «Vado a vestirmi poi, dopo aver sbrigato alcune commissioni, tornerò in laboratorio e sbatterò quel delinquente in cella.» Dissi con le mani appoggiate ai fianchi in posa da supereroe.
«Ottima idea. Io invece rimarrò ancora qui ad immaginare come si sta bene sulla sabbia ad arrostire.» Si sistemò ancora più comodamente sulla sdraio.
«Vorrei farti notare che a poco meno di 10 miglia da qui di sabbia ne trovi quanta ne vuoi, l’unico problema è che, forse, potrebbe essere una vacanza a lungo termine...» Dissi cercando di mettergli paura.
«Precisamente si tratta di tungsteno, oro, argento, minerali di ferro, borace, potassio, salgemma... insomma, viviamo in un deserto fatto di terra, non di sabbia.»
Mi ero appoggiata allo stipite della porta, con le braccia incrociate e lo sguardo teso sul panorama della città. «Come al solito non ti smentisci mai.» Dissi sorridendo.
«Non lo faccio apposta, te lo posso assicurare.»
«Non ne dubito.» Tornai in casa per vestirmi all’alba delle 14, alle 20 sarei dovuta rientrare a lavoro il che voleva dire che mi rimaneva tutto il pomeriggio per fare tutte le commissioni che mi ero prefissata. Greg mi accompagnò in tutti i posti possibili e inimmaginabili, era raro avere un pomeriggio intero libero per entrambi così cogliemmo l’occasione per passare un po’ di tempo insieme, passeggiando sulla Strip come facevamo una volta.
A fine pomeriggio, nel momento stesso in cui salii in macchina, ripensai a ciò che mancava al nostro caso, ovvero il movente per un delitto passionale. Per fortuna avevamo finito le commissioni in tempo così ci rimaneva soltanto più da andare a casa e prendere i borsoni da lavoro, per terminare il pomeriggio frenetico decidemmo di cenare insieme da qualche parte lungo la strada.

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


Capitolo 11
 
D.B. mi chiamò poco prima di iniziare il turno per informarmi che David non sarebbe venuto a lavoro: a quanto pare si era preso l’influenza e ora era casa con qualche linea di febbre. Sul momento avevo creduto di dover passare l’intera nottata a parlare con me stessa ma poi D.B. mi aveva detto che Nick era libero e che quindi avrebbe potuto darmi una mano lui.
Io e Greg arrivammo puntuali come un orologio svizzero ma lui dovette ripartire subito per raggiungere Sofia, in quanto dovevano interrogare alcune persone sulla scena del crimine della sera precedente. Ad attendermi nello spogliatoio trovai Stokes, intento a leggere una rivista di entomologia. «Ehi! Pensavo fossi già a lavoro.» Intervenni.
Nick alzò lo sguardo dalla rivista, sghignazzando. «In realtà stavo aspettando Albert, sai con una gamba in riabilitazione ci mette sempre un po’.»
Alzai gli occhi al cielo. «A volte mi chiedo perché parlo ancora con te... cosa leggi?» Dissi alludendo alla rivista, dopodiché aprii il mio armadietto per buttarci dentro il borsone, appesa allo sportello c’era una foto che avevamo scattato il giorno che ero entrata alla scientifica, c’era tutta la squadra al completo compresi Catherine e Grissom: a casa ne avevo una copia ma in formato maxi. Sotto, invece, c’era una foto del nostro matrimonio.
«C’è un articolo di Grissom sulla Megasoma Actaeon.» Rispose Nick.
«Mh, interessante. Cavolo, deve divertirsi un mondo in Perù se non ha neanche preso in considerazione l’idea di tornare a casa.» Richiusi l’anta dell’armadietto e mi ci appoggiai con la spalla.
«Grissom è fatto così, lo sapevamo un po’ tutti che non sarebbe rimasto alla scientifica ancora per molto... da quando Warrick ci ha lasciati ha cominciato a provare un senso di disperazione verso il genere umano che lo ha cambiato.» Infilò la rivista nel suo armadietto. «Nemmeno Sara, che è sua moglie, è riuscita a capirlo del tutto! Figurati noi che siamo stati dei suoi semplici colleghi.»
A quelle parole mi venne spontaneo sorridere. «Mi ricordo che una volta, pochi giorno dopo la morte di Abigaille, mi sorprese a piangere proprio lì, dove sei tu ora... Mi chiese che cosa fosse successo: stavo male perché, dopo aver letto un articolo sul Daily Mail sulla Williams & Co., avevo ripensato alle parole di Thomas, in particolare a quando mi disse che non avrei più fatto parte di quella famiglia, in pratica mi aveva privato della mia identità, portavo ancora il loro cognome, questo è vero ma non ero nessuno, fondamentalmente.» Mentre parlavo, Nick mi guardava confuso ma allo stesso tempo notai molta curiosità nei suoi occhi. «Così gli raccontai dei miei demoni... Allora Grissom si sedette accanto a me, si staccò il cartellino identificativo che portava attaccato al camice e se lo rigirò tra le mani. “Che cosa leggi qua sopra?” mi chiese... Subito mi sembrò una domanda stupida e risposi ingenuamente “dott. Gil Grissom – supervisore”. Al ché lui sorrise, era raro vederlo sorridere, vero? Tu lo sai meglio di me.» Nick annuì. «Poi mi chiese se questo lavoro mi rendesse felice.» Continuai.
Nick fece un sorriso amaro. «Faceva sempre i soliti giochetti... cosa gli hai risposto?» Chiese.
«Gli ho detto la verità, ero felice perché avevo finalmente coronato il mio sogno e, inoltre, mi ero appena fidanzata con Greg.» Feci una pausa. «Poi si è di nuovo attaccato il cartellino al taschino del camice, si è alzato e ha preso in mano le sue solite cartelline che si portava dietro. Non avevo ancora capito che cosa volesse dirmi con quelle domande ma poi, dopo aver sorriso di nuovo, mi disse “Daniel Keyes, una volta ha detto “Non so che cosa sia peggio: non sapere chi sei ed essere felice, o diventare quello che hai sempre voluto essere e sentirti solo.”, poi il sorriso sul suo volto si è affievolito. Da lì ho capito che noi due eravamo gli esatti opposti di quell’affermazione: io ero felice ma senza identità mentre lui era esattamente chi voleva essere eppure si sentiva profondamente solo.»
Nick rimase spiazzato. Nonostante la barba scura si vedeva benissimo che i muscoli della faccia erano contratti in una mezza espressione di rabbia e tristezza. Stava pensando a Warrick di sicuro. «È incredibile come tu sia riuscita a capire Grissom in pochi minuti...»
«In realtà è stato lui a farmelo capire... non sono poi così brava a capire le persone.»
Nick mi guardò dolcemente. «Grissom riponeva grandi speranze in te, sapeva che saresti stata un’ottima agente e, inoltre, eri la più piccola della squadra. Ti vedeva come una figlia, forse è per questo che si è aperto con te.»
«Può darsi.» Controllai l’orologio. «Ora però abbiamo un caso da risolvere. Andiamo?»
«Andiamo.»
 
Hodges mi aveva lasciato il suo quaderno degli appunti sul bancone del laboratorio, nel caso servisse. Così decisi di passarlo a Nick in modo che si facesse un’idea delle informazioni che avevamo raccolto dai vari testimoni, in quell’istante sentii la voce di Sheila che mi chiamava dalla reception. Così lasciai Stokes in laboratorio, nel frattempo andai all'ingresso dove qualcuno mi stava aspettando. Trovai Sheila intenta a parlare con una donna dall’aspetto ispanico, aveva i capelli scuri raccolti in uno chignon ma era chiaro che fosse avanti con l’età. Sheila stava tentando di raccogliere i suoi dati personali ma la donna parlava inglese a fatica, così mi feci avanti io. «Ciao Sheila.»
«Oh Michelle, c’è questa donna che ti cerca, dice che sei tu ad occuparti del caso di sua nipote.» Mi spiegò.
«Buenos días señora Sánchez, le ha ocurrido algo?» Le chiesi ostentando una pronuncia quantomeno ridicola, quando mi vide notai subito che stava stringendo tra le braccia un computer portatile argentato.
«Oh señorita, he encontrado la computadora de Laura.» Mi porse il computer.
«Sheila grazie, adesso me ne occupo io.» Dissi alla receptionist, che mi ringraziò. L’unica persona in grado di aiutarmi era seduta in laboratorio a leggere un quaderno, così chiesi alla donna di seguirmi per parlare con Nick.
Quando arrivai nel laboratorio con la donna, Stokes si alzò in piedi. «Lei è la signora Sanchez, la zia della nostra vittima, sfortunatamente per me parla per lo più spagnolo quindi devi aiutarmi.»
«Ma certo! Hola señora.» La donna a sentire che anche Nick parlava la sua lingua con un accento più formale del mio si rasserenò, la feci accomodare sulla poltroncina girevole insieme a Nick che cominciò a chiederle di raccontargli qualcosa della vita di Laura. Nel frattempo io mi fiondai da Archie con il portatile, se c’erano delle informazioni utili dovevamo saperlo al più presto.
Lo trovai in una full immersion di video di sorveglianza del Mirage. «Archie!»
Lui si girò di scatto, probabilmente lo avevo spaventato. «Oh sei tu Michelle... Sofia e Greg mi hanno riempito di questi stupidi video di sorveglianza, dubito che riuscirò a cavarne un ragno dal buco, ti prego dimmi che hai bisogno di me così posso staccare gli occhi da questo schermo pieno di persone che si muovono.»
«Allora posso aiutarti! Ho bisogno delle mail e di eventuali informazioni contenute in questo portatile.» Glielo consegnai.
«Facile come rubare le caramelle a un bambino... aspetta solo un secondo... fatto! Sono nel sistema.» Gli occhi saltavano da un’icona all’altra. «Che cosa stiamo cercando?»
«Qualsiasi traccia di un possibile fidanzato... prova a cercare nelle mail.»
«Dunque... ci sono diverse mail scambiate tramite un sito che si chiama “TeenLover” con un certo Bubble_Gamer.»
«Queste sono mail di un certo spessore... “Vorrei renderti mia”, “Potrei venire a prenderti e farti qualsiasi cosa se solo ci vedessimo”.»
«Sembra che si siano fidanzati sette mesi fa: ha aggiornato il suo stato sentimentale da single a impegnata. Però è strano» Fece una pausa. «Come hai detto che si chiamava la ragazza?»
«Laura Sanchez, perché?»
«Leggi qua: “Carol mi dispiace, ho bisogno di rivederti, dammi almeno un’altra possibilità.”»
«Sembra che Laura volesse nascondere la sua vera identità al suo misterioso amante, forse non voleva dirgli che in realtà era una prostituta.»
«Molto probabile.»
«Questo Bubble_Gamer ha un’identità vera e propria giusto?»
«Esatto, dovrei riuscire a risalire al suo ID senza problemi.» Trafficò con la tastiera, sullo schermo comparvero diversi numeri fino a quando non si aprì una finestra con un nome e un volto fin troppo familiare. Chi si rivede, pensai.

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


Capitolo 12.
 
Archie, a quelle parole, mi guardò stranito: «Tu conosci questo tizio?» fece una pausa, il viso sembrava congelato in un’espressione stupita e divertita allo stesso tempo. «Lo conosci di persona?»
Al ché io mi girai a guardarlo con ancora più stupore. «Sì, è uno di quelli che abbiamo interrogato ma ci aveva detto di non conoscere la vittima, tuttavia penso che quest’uomo sia una celebrità se mi hai fatto questa domanda.»
Archie prese la tastiera e iniziò a digitare, in mezzo secondo approdammo su un sito per nerd in cui si programmavano eventi e fiere a tema, prettamente riguardante il mondo dei videogame. «Questo sito è la Gerusalemme per chi ama partecipare a tornei online di GDR.»
«Intendi i giochi di ruolo?»
«Sì, l’ultima edizione è stata all’inizio di quest’anno, il montepremi era di mezzo milione di dollari» Cercò la sezione di foto e video risalenti a quell’edizione «indovina chi è stato l’ultimo vincitore.»
Dopo aver cercato nella galleria, Archie selezionò il video della premiazione: un ragazzo con la divisa ufficiale dello staff aveva fatto salire sul palco il vincitore, accompagnato dalla sua giovane fidanzata. I fotografi inquadrarono il viso del ragazzo che teneva ben saldo tra le mani il tanto agognato assegno da mezzo milione. Alla sua destra, con un microfono, il ragazzo incaricato annunciava che «Con un punteggio da record, il più alto di tutte le precedenti edizioni, il vincitore di questa nuova edizione è Brett Dawson!» seguito da un fragoroso applauso degli spettatori accorsi da tutta la Contea.
«Fai un’inquadratura sulla ragazza» Non c’erano dubbi che fosse lei ma per evitare intoppi col sistema era meglio essere organizzati. «puoi migliorare un po’ la grafica della foto?»
«Mi prendi in giro? È una stupidaggine» bastò premere qualche tasto per ottenere un’immagine nitida del volto di Laura. «Ecco fatto. È lei?»
«Direi proprio di si, dopo mi servirà anche una copia cartacea delle mail che si sono scambiati.» Archie me le mandò in stampa insieme alla foto.
«Hai bisogno di qualcos’altro? Ho ancora qualche minuto prima che Greg o Sofia vengano a chiedermi aggiornamenti.»
«In questo momento no, mi occorrerà un mandato per visualizzare i suoi conti bancari, credo che quell’uomo non ci abbia detto tutto.» Dissi alzandomi dalla sedia, per fortuna il fastidio al ginocchio non si faceva più sentire da un po’, il che mi rendeva il lavoro molto più semplice.
Archie chiuse il sito web che stavamo controllando per tornare a scansionare i video della sorveglianza. «Se può esserti d’aiuto, ho visto passare Jim qua fuori giusto poco fa, dovrebbe essere in ufficio.» Disse poi prendendomi i fogli che gli avevo chiesto dalla stampante per poi rendermeli.
Grazie Archie, mi sei stato davvero d’aiuto. Ci vediamo!» Dissi. Appena fuori dal suo laboratorio scorsi, in lontananza e in prossimità dei bagni maschili, una chioma castana con riflessi biondi che conoscevo bene. «Greg!» Dissi ad alta voce, il ragazzo si girò di scatto come se lo avesse chiamato un fantasma ma, quando mi vide, si rilassò del tutto dopodiché mi venne in contro. «Qualcosa non va?» Chiesi divertita.
Greg divenne paonazzo. «Sofia oggi è di pessimo umore e quindi mi sono dovuto sorbire tutte le sue lamentele su quanto la collaborazione del Mirage sia scarsa, per questo mi ero nascosto nei bagni. Quando mi hai chiamato ho pensato fosse lei.»    
Il fatto che Sofia si alterasse a dismisura quando la gente non collaborava non mi era nuova infatti trattenni a stento un risolino. «Dai non è tutta questa fine del mondo» gli dissi ancora. In quell’istante, però, vidi Jim Brass uscire dal suo ufficio e trascinarsi verso le macchinette del caffè. «Greg, perdonami ma devo proprio andare. Ci sentiamo più tardi.» lo liquidai in fretta per correre dietro al capitano, mi serviva assolutamente quel mandato o non avremmo mai inchiodato l’assassino.
Attraversai a passo deciso tutto il corridoio e quando gli fui abbastanza vicino gli misi una mano sulla spalla. «Jim!» la mia voce squillante lo fece quasi trasalire.
«Williams, mi hai fatto prendere un colpo! La prossima volta avvertimi usando un tono di voce consono, potrei morire di infarto da un momento all’altro.» Disse con tono laconico.
Mi passai una mano dietro la testa in segno di scusa. «La prossima volta farò più attenzione, promesso.»
Lui mi guardò serio, ultimamente aveva avuto parecchi problemi in famiglia e non veniva quasi mai a lavoro con il buon umore, infatti mi stava guardando con uno sguardo teso, pronto a scattare da un momento all’altro. «Che cosa vuoi?» Infilò le monetine nella macchinetta e prese il suo solito caffè espresso doppio: la cosa non giovava di certo al suo umore ma non potevamo non biasimarlo.
«Avrei bisogno di un favore, puoi aiutarmi?» Nonostante avessi le scarpe basse lo superavo di una buona spanna in altezza.  Aspettai un suo cenno di approvazione della testa prima di continuare a parlare. «Bene, forse abbiamo trovato l’assassino della Sanchez, aveva un movente e la possibilità per ucciderla.» Gli spiegai quello che avevamo trovato tra le mail e decisi di fargliene leggere alcune prima di spiegargli la mia teoria.
«Quindi sei convinta che lui stia nascondendo qualcosa nei suoi conti in banca?»
«Esatto, da quello che abbiamo potuto vedere io e Hodges al suo ufficio sembrava che avesse l’aria trasandata, di sicuro non quella da chi ha vinto cinquecentomila dollari. Io credo che lui abbia scoperto che la sua fidanzata era una prostituta per di più minorenne, lei aveva bisogno di soldi e secondo me lo ricattava per non spifferare tutto, per questo hanno litigato e lui l’ha uccisa. Delitto passionale, nient’altro da dire.» Ripresi i fogli che gli avevo fatto leggere.
«Mi sembra un’ottima deduzione, farò qualche telefonata per avere un mandato sia per il suo conto personale che per quello del suo locale e del socio.» Jim buttò giù un altro sorso avido dal bicchiere, poi meditò un secondo tenendo fisso lo sguardo sul liquido al suo interno. «Hai già controllato il conto della Sanchez? Lei è morta, non c’è bisogno di un mandato.» Mentre parlavamo ci avviamo verso il suo ufficio.
«Avevo sentito che con le nuove leggi serviva lo stesso.» Replicai.
Jim scosse la testa. «Alla fine hanno bocciato l’idea, è inutile chiedere un mandato per qualcuno che non si curerà più dei suoi risparmi, non ti pare?»
«Effettivamente» Rimisi i fogli nella loro cartellina pochi istanti prima che l’uomo si fermasse davanti alla porta di vetro del suo ufficio. «grazie dell’aiuto Jim, andrò subito a controllare i conti della Sanchez. Fammi sapere per il mandato.»
«Senz’altro.» Rispose l’uomo prima di sparire nello stanzino chiudendosi la porta alle spalle.
Mezz’ora dopo mi telefonò dicendo che potevamo sbirciare i conti del nostro sospettato ma non del suo compare. Io e Archie trovammo dei grossi prelevamenti di denaro periodici, mille ogni settimana da un mese a quella parte, tant’è che il conto di Brett era ormai in rosso e non si trattava di pagamenti rintracciabili. Sul conto di Laura invece non c’era traccia di quei soldi che sparivano a Brett. Tutto ciò era molto strano, dove finivano? In un conto estero? Brett non era quel tipo ma forse il suo socio sì.
Terminate le ispezioni uscii di nuovo dal cubicolo per andare dritto fino al mio laboratorio: Nick stava finendo di appuntarsi alcune note dal quaderno di David. «Finito di leggere?» Esordii sorridendo.
Nick alzò lo sguardo dal quadernino e incrociò le mani. «Ho finito giusto dieci minuti fa, la calligrafia di Hodges è perfetta a tal punto da farmi venire male agli occhi.»
«Eh sì, lo so bene anche io.» Mi sedetti in fronte a lui, aprii la cartellina giallo senape in modo da leggergli alcune delle mail. Ma prima gli chiesi qualcosa della Sanchez. «Cosa ti ha detto la signora?»
«Poco o niente, sua nipote era una brava studentessa e aveva vinto una borsa di studio che gli pagava metà retta scolastica. Il resto era stato pagato dal suo generoso e benedetto datore di lavoro.» Mi disse.
«Quindi non sapeva che la nipote faceva la prostituta?»
«Direi di no, ho preferito non dirglielo in ogni caso. Perché, qualcosa non va?»
Mi alzai e iniziai a camminare su e giù per la stanza. Il mio sguardo era del tutto corrucciato, avevo mille dubbi che mi frullavano in testa.
«Conosco quello sguardo, qualcosa ti turba.» Mi canzonò Nick.
«È una sensazione... come se mancasse qualche tassello al puzzle.» Rifletti Mick, cosa manca? Continuavo a ripetermi, ma dove stavo sbagliando? Se le avevano già pagato tutta l’Università, non aveva motivo di chiedergli soldi in cambio, allora dove sono finiti quei soldi?

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


Capitolo 13
 
Nick mi fissava titubante, aspettava una mia risposta o qualsiasi altra cosa avessi da dire sul caso. «In che senso manca qualche tassello al puzzle?» Chiese poi richiudendo il quadernino.
Mi fermai a osservare il mio riflesso nel vetro della porta, era ovvio che mancasse qualcosa ma nel mio cervello non riuscivo a capire cosa fosse, forse dopo un’altra chiacchierata con Brett sarei riuscita a capirlo quindi non restava altro da fare se non convocarlo in centrale. «Non ne sono certa, dobbiamo convocare il signor Dawson per farci spiegare il perché ci abbia mentito sulla sua relazione con Laura.»
Nick si alzò in piedi per riconsegnarmi il blocco appunti di Hodges. «Ti farò da spalla, mi dispiace che non sia David ad aiutarti.»
Ripensai al povero David che era rimasto a casa con la febbre. «Probabilmente mi starà maledicendo per averlo contagiato con qualche batterio strano proveniente dalle prove.» Scherzai, Nick trattenne un sorriso da sotto la barba. Non guardarlo, non guardarlo! Mi ripetevo, quell’uomo mi faceva strani effetti e non dovevo pensarci. Mi morsi il labbro, cercando di cancellare il suo sorriso dalla faccia. Chiamai Jim con il telefono del centralino interno, chiedendogli di far venire alla centrale il signor Dawson. Per rintracciarlo ci vollero quasi venti minuti, il fatto che all’interno della sala giochi il segnale fosse scarso aveva reso più difficile contattarlo, in più ci volle quasi un’ora per portarlo alla centrale.
Fortunatamente, verso le 23, due agenti scortarono Brett nella sala interrogatori, io e Nick lo stavamo aspettando da dietro la vetrata a specchio, aspettammo ancora qualche minuto in modo da osservare il suo comportamento: il ragazzo dava l’impressione di essere calmo ma continuava a tormentarsi le mani. «Sta chiaramente nascondendo qualcosa.» Disse Nick per smorzare il silenzio che si era formato. Io mi limitai semplicemente ad annuire con la testa. «Lo credo anche io.» Diedi un leggero colpetto al vetro con le nocche della mano e mi avviai verso la porta. «Su, andiamo.»
Nick mi seguì senza fiatare. Quando entrammo nella stanza Brett mi fissò apatico. «Buongiorno signor Dawson, si ricorda di me vero? Ci siamo parlati ieri pomeriggio.» Mi sedetti davanti a lui, aprendo la cartellina gialla.
«Sì, certo.» Rispose lui, poi fissò Nick. «Ma lei non la conosco.» Il suo tono ostentava nervosismo.
Nick sorrise ampiamente, l’ironia in quello sguardo traspariva da ogni poro. «Nick Stokes, scientifica.» si limitò a dirgli.
«Che fine ha fatto il suo vecchio collega? Quello strano, intendo.»
Alzai gli occhi su di lui, i suoi occhi verdi mi stavano indagando dalla punta dei capelli fino alle dita delle mani. «Al momento è indisponibile, se vuole però glielo faccio chiamare.»
«No, non ce n’è bisogno.» Si buttò contro lo schienale della sedia, incrociando le braccia. «Di cosa sono accusato?» Disse con tono infastidito.
Presi alcuni fogli dalla cartellina ma decisi di tenerglieli ancora nascosti, l’unico che misi in bella mostra era la sua dichiarazione, quella che avevamo raccolto quando eravamo andati alla sala giochi. «Al momento non è ancora accusato di niente, tuttavia è nella lista dei sospettati per l’omicidio avvenuto vicino al suo locale.»
«Vi ho già detto che non ne ero a conoscenza. In più non conoscevo la vittima.»
Presi una penna e cominciai a cancellare alcune parti dal foglio. «Sicuro? Non vuole ritrattare?» Chiesi.
«Assolutamente.» Si grattò un lato della testa, Nick lo fissava dall’alto in basso, se voleva poteva incutere molta paura. Brett ogni tanto gli lanciava un’occhiata fugace per smorzare la tensione.
Presi le e-mail stampate che si erano scambiati i due presunti innamorati, in giallo era evidenziata la parte in cui lui la chiamava Carol. «In questo caso, mi può spiegare chi era questa Carol con cui stava intrattenendo una relazione?» Gli feci scivolare i fogli sotto il naso. Al chè Brett cambiò espressione.
«Non è più nessuno per me, ci siamo lasciati qualche settimana fa.»
«La smetta di mentirmi, Brett, lo sappiamo entrambi che avete continuato a sentirvi anche dopo. L’ultima risale a quattro giorni fa, cioè al giorno prima dell’omicidio. Allora, che mi dice? Lei l’ha scaricata e per rabbia l’ha uccisa?»
Sembrava che trattenesse a stento l’impulso di lanciare via i fogli, nonostante ciò rimase apparentemente impassibile a quelle parole. «E se anche fosse? Senta, non avevo nessun motivo per ucciderla dopotutto avrei potuto trovarmi un’altra fidanzata.»
«Sa, la mia collega è un po’, come posso dire, chiusa di mentalità» A quelle parole mi si infiammarono le guance, ma come si permette? Nick mi fissò ridendo. Era tutto un trucco e decisi di stare al gioco facendo l’ingenua. «Lei è una femmina e non pensa che un uomo possa avere a sé tutte le donne che vuole, capisce cosa intendo, vero signor Dawson?»
L’uomo seduto dall’altra parte del tavolo annuì sogghignando. «Se avesse un buon motivo per uccidere di sicuro non sarebbe quello del rifiuto, le avrebbe fatto vedere chi era quella che stava perdendo.»
«Quella smorfiosa rompipalle non mi dava la giusta importanza, per questo l’ho lasciata.» Disse l’uomo battendo la punta dell’indice destro sul tavolo.
«Esattamente. In più, oltre ad essere una donnaccia priva di sentimenti, Carol aveva bisogno di soldi ed essendo minorenne la stava ricattando, questo spiega i prelievi dal suo conto, per un po’ le è andata bene ma quando ha cominciato a finire i soldi ha dovuto trovare una soluzione alternativa, i suoi conti erano già in rosso e Carol la stava prosciugando del tutto. Fin qui come sto andando?» Nick sapeva il fatto suo in materia di interrogatori, Brett infatti lo adocchiò minacciosamente. «Così ha pensato ad una soluzione definitiva per togliersela dai piedi.» Concluse poi.
«Lei mi sta sfidando, agente Stokes, le dico solo una cosa: non era Carol a ricattarmi. Pensavo che almeno lei fosse dalla mia parte ma come ho visto voi della scientifica siete tutti uguali e, dato che non volete credermi, chiamerò un avvocato.» Disse Brett, spazientito. Maledizione, pensai subito. Era stato tutto tempo sprecato, dovevo immaginarmelo che non ci avrebbe detto niente, che stupida.
«Come vuole, signor Dawson.» Intervenni io. Poi, una volta usciti, lasciai che l’agente fuori dalla sala interrogatori lo scortasse fino alle cabine telefoniche per fare la sua agognata telefonata. Io e Nick lo guardammo allontanarsi, delusi dall’aver sprecato quell’occasione. «Ce lo avevamo in pugno.» Dissi a denti stretti. Ma Nick invece mi mise una mano sulla spalla. «Non te la prendere, lo acciufferemo in un modo o nell’altro.» Disse soltanto.
«Ora che ci penso non abbiamo molte speranze di ottenere qualcos’altro dalle prove, abbiamo già analizzato tutto e dalla scena del crimine non risultano altre tracce. Che facciamo?» Strinsi i pugni così forte da farmi venire le nocche biancastre.
Stokes si illuminò. «In realtà abbiamo altre prove. Andiamo!» Si diresse verso i laboratori con me al seguito, faticavo a stargli dietro: un suo passo erano due dei miei visto il mio ginocchio ballerino. «Rallenta per favore! Che vuoi dire che abbiamo altre prove?»
«Pensa a ciò che ci ha appena detto Brett: era talmente snervato che si è lasciato sfuggire il fatto che non era Carol a ricattarlo.»
Scossi la testa. «Non riesco a capire il nesso.»
«Era qualcun altro a ricattarlo, qualcuno che probabilmente era a conoscenza della sua relazione con Laura. Hai idea di chi potrebbe essere?»
Pensai a tutte le persone coinvolte nel caso e con cui avevamo già parlato. «In effetti sì.» 

 

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


Capitolo 14


«Chi sarebbe?» Chiese Nick incuriosito.
Non poteva che essere lui. «Garrett, il socio in affari di Brett ma adesso dubito che potremo parlargli. Lo hanno spedito alla prigione di stato ma dovevano ancora convalidargli l’arresto e la pena, non so dove sia in questo momento.» Spiegai. «Inoltre manca poco più di mezz’ora a mezzanotte, non riusciremo a interrogarlo prima di domani ammesso che riusciamo a capire dove si trovi.» Mi appoggiai con la schiena contro il vetro. «Che seccatura.»
«Dai non prendertela, in fondo è sotto custodia dello stato e non in giro a bighellonare. Basterà fare qualche telefonata.»
«Sarà.» Presi a tormentarmi il labbro mordicchiandolo. Siamo molto vicini alla soluzione, me lo sento, pensavo in continuazione. Nick, poi, mi disse che sarebbe uscito a prendersi una bibita e che mi avrebbe raggiunto più tardi: D.B. voleva sapere come andavano le indagini e se era disponibile a seguire un altro caso appena arrivato, una sparatoria in uno strip club. Gli dissi che non c’era problema, in fondo me la potevo cavare benissimo da sola, non avevo granché bisogno di una mano. In quel momento squillò il cellulare, era Hodges. «David! Va meglio?» Chiesi. La voce all’altro capo del telefono mi sembrò debole e assonnata.
«Va meglio un cavolo, qualcosa ha attaccato il mio sistema immunitario e ora ho la febbre a 38.5, voglio sperare che tu sia dispiaciuta per avermi fatto sguazzare nell’immondizia.» Nonostante fosse assonnato e debole, Hodges non mancava di essere puntiglioso.
«Bhe mi sembra che comunque tu sia sempre il solito, o sbaglio?» Dissi con sarcasmo.
«Per fortuna il mio prezioso intelletto non è stato ancora attaccato da quei piccoli bastardelli, gli farò vedere io chi comanda.» Sentii un feroce starnuto. «In ogni caso» poi si soffiò rumorosamente il naso. «come stanno andando le indagini?»
«Al momento siamo in una specie di vicolo cieco, io e Archie abbiamo trovato delle mail in cui Brett Dawson se la faceva con la vittima, però lei si era fatta passare per un’altra, Carol Martinez. Abbiamo interrogato Brett ma lui non ha mai accennato alla sua vera identità, probabilmente non sapeva nemmeno che lei gli stava mentendo.»
«Interessante.» Seguì un altro starnuto. «Avete scoperto altro?»
«Qualcuno sta ricattando Brett, io sospetto del suo caro amico, il signor doppia G. Se sapeva che il suo socio se la faceva con una minorenne poteva ricavarne una montagna di soldi, inoltre Brett non poteva denunciarlo senza uscire allo scoperto.»
Hodges si fece silenzioso, probabilmente stava rimuginando su quanto gli avevo detto. «Quindi che idea ti sei fatta?»
«Dunque, all’inizio pensavo che Brett l’avesse uccisa perché lo stava ricattando, ma ora non ne sono più sicura. Ora che ci penso era un’idea stupida, lei non ne aveva motivo.»
«Esatto. Mi dispiace ma ora ti devo lasciare perché mi sento proprio uno straccio, maledetti piccoli e insignificanti batteri.»
Era divertente immaginare Hodges che faceva la guerra contro degli esserini grossi quanto un nanometro. «Falli fuori mi raccomando, ci sentiamo se ci sono novità.» Riattaccai il telefono nello stesso istante in cui partì un altro sonoro starnuto.
In quel momento vidi passare in corridoio Sofia, così provai a chiedere a lei per avere notizie su Gary Garrett: mi disse che l’unico posto in cui potevano averlo mandato per il momento era il centro di detenzione preventiva a North LV e che sarebbe rimasto lì per una settimana al massimo. Inoltre, c’era un’alta probabilità che il centro avesse anche orari di visita notturni, certo bisognava avvertire prima ma lei aveva alcuni amici che lavoravano lì e che quindi avrebbero potuto farmi avere un colloquio con Garrett anche un’ora più tardi. Non gli farà male svegliarsi per fare quattro chiacchiere, pensai. Così Seguii Sofia nel suo ufficio, dove si mise in contatto con la sede operativa del centro. Sfortunatamente, la donna che rispose alla chiamata ci disse che al momento non erano permesse visite ai detenuti di notte, a causa di alcuni problemi di organico all’interno del personale della struttura. Secondo le nuove e provvisorie disposizioni, gli agenti di polizia erano autorizzati a fare visita ai prigionieri durante l’orario notturno solo in casi particolari che richiedevano urgenza, come i rapimenti e i casi federali. Un semplice omicidio poteva anche aspettare dopotutto. Così, mi ritrovai a dover aspettare ancora svariate ore prima di poter parlare con il nostro sospettato. Era mezzanotte inoltrata e il centro avrebbe aperto alle sei del mattino. Decisi di andare a trovare Harry nel laboratorio adiacente al mio, era sommerso dal lavoro quindi decisi di dargli una mano e lui accettò ben volentieri: passai la successiva ora e mezza ad analizzare alcuni campioni provenienti dalle scene del crimine di Morgan e D.B., finchè Sofia non entrò impetuosa dalla porta. «Prendi la giacca!» Disse, mostrandomi un sorriso beffardo. «Un amico mi ha detto che possiamo andare dal tuo sospettato anche adesso se vuoi.»
Non me lo feci ripetere due volte, mollai l’attrezzatura che stavo usando sul bancone, con Harry che mi guardava confuso e disorientato. Gli dissi solo un veloce “ci vediamo dopo” prima di sparire fuori dalla porta, subito dietro a Sofia. Non ci volle molto ad arrivare, considerando che l’edificio si trovava quasi dall’altra parte della città, ma era anche vero che Sofia era una tipa scatenata e, quando c’era da correre, lei correva.
Arrivate davanti all’enorme palazzo arancione, ci venne in contro un ragazzo in divisa: Sofia lo salutò calorosamente, era da parecchio che non si vedevano a giudicare dal loro comportamento, poi me lo presentò come Blake Parker, una delle reclute che aveva addestrato quando lavorava a Boulder City, subito dopo aver lasciato la scientifica. Il ragazzo ci fece da guida all’interno dei lunghi corridoi ma ci disse che aveva già informato Garrett del nostro arrivo e che ci stava aspettando in una delle sale interrogatori, accompagnato dal suo avvocato che era subito corso in suo aiuto, bramoso di altri sconti di pena.    
Ci vollero svariati minuti prima di arrivare a quella sala, l’edificio era molto più grande e intricato di quanto sembrasse dall’esterno ma, alla fine, ci ritrovammo davanti a una piccola stanza con al centro un tavolo metallico, alle pareti non era appeso nessuno vetro a specchio. In compenso Garrett era seduto al tavolo in silenzio ma dava comunque l’impressione di essere molto irritato per averlo tirato giù dal letto nel cuore della notte. Quando mi vide spalancò le braccia. «Agente Williams, che cosa avrò mai fatto questa volta per farla venire qui a quest’ora?» disse sotto occhiataccia del suo avvocato.
«Ci ha mentito e questo non giova alla sua situazione, sa sono in tempo a parlare con il procuratore.» Lo schernii, il suo avvocato accentuò il suo sguardo penetrante e disse subito qualcosa nell’orecchio al suo cliente.
«Vi ho mentito? A che proposito?» Chiese lui confuso.
Purtroppo, nella fretta avevo dimenticato di prendere la cartellina gialla con tutti i documenti e le prove riguardanti il caso. «Sull’identità della ragazza che abbiamo trovato morta e con cui lei ha fatto sesso, ovviamente.» Risposi.
«Vi ho già detto che non la conoscevo, come devo dirvelo? Con la macchina della verità?»
«La mia idea è che aveva scoperto che quella era la fidanzata del suo socio in affari e, siccome era minorenne, ha pensato bene di poterci fare dei bei soldoni. Capisce dove voglio arrivare?»
Garrett dapprima ebbe come un’illuminazione, probabilmente non sapeva che Laura e Brett fossero fidanzati poi lui e il suo avvocato si guardarono fissi per alcuni secondi, finchè Cappelletti non gli fece un cenno quasi impercettibile con la testa. «I soldi che Brett mi passava ogni mese» fece una breve pausa, sospirando. «non erano per quella puttanella, come vi ho già detto non la conoscevo.» Mentre parlava prese a tormentarsi vigorosamente le mani, teneva lo sguardo fisso contro il tavolo mentre, dalla voce, sembrava quasi che si vergognasse di quello che stava dicendo.
Stupita, guardai d’istinto il suo avvocato. «Per cos’erano allora?» Cappelletti incoraggiò il suo cliente a parlare ma, prima, chiese a me e Sofia di non tenere conto delle affermazioni che stava per fare, vista la sua collaborazione al caso. «Avevo bisogno di soldi, non erano per avidità.» Disse Garrett. «Con lo stipendio che ricavo dalla sala giochi non riesco neanche a pagare le cure di mia sorella, dopotutto io ho il 40% della baracca. Quando ho scoperto che Brett vendeva gli alcolici a quei ragazzini per aumentare gli introiti, ho pensato di poter fare soldi facili, Brett aveva vinto mezzo milione a un torneo di GDR online e aveva molti altri soldi arrivati da chissà dove.»
Vista da quella prospettiva, le cose cominciavano ad assumere un significato del tutto diverso: Garrett, che prima sembrava quello spietato e menefreghista del genere umano, si stava rivelando un fratello amorevole mentre il suo socio nerd cominciava a sembrare più uno spietato assassino. I tassellli del puzzle stavano pian piano andando al loro posto. «Ci dica realmente come sono andate le cose quella sera.» Intervenne Sofia, che per tutto il tempo era rimasta in silenzio a farsi un’idea dell’uomo che le stava di fronte. Garrett si lisciò la barbetta, come faceva quando pensava. La giacca arancione fluo lo faceva sembrare più pallido del solito. «Come ho già detto a lei, ero andato nel retro del locale con quella puttanella a spassarmela, quando eravamo sul punto di finire ho sentito diversi rumori di vetri rotti, come se qualcuno stesse lanciando delle bottiglie di birra contro i cassonetti dell’immondizia. Ho sentito delle voci che urlavano “tanto non puoi farci niente!” seguite da altri rumori, non sono riuscito a distinguere chi fosse. Preso dal panico, ho detto alla ragazza di smammare, le ho chiesto quanto voleva e sono filato via con l’auto. Lei è rimasta lì a raccogliere le sue cose, nella fretta devo averle rovesciato la borsa.» Si interruppe. «Questo è quanto.»
Annotai tutto su un block notes che mi ero fatta portare dalla guardia amica di Sofia. «Ricorda altro? Non so, qualche particolare che potrebbe aiutarci a identificare l’assassino.» Chiesi ancora, speranzosa di ottenere anche solo un dettaglio insignificante che ci aiutasse. Garrett si grattò la testa. «Non ne sono sicuro, mentre andavo via mi è sembrato di aver visto qualcuno avvicinarsi a lei dallo specchietto retrovisore, la ragazza ha fatto un salto spaventoso quando quello si è avvicinato.»
Sgranai gli occhi. «Cosa aspettava a dircelo? Me lo descriva, forza!» Lo incitai.
«Non l’ho visto le ho detto! Era buio ed era rimasto all’ombra...» fece una pausa. «Però credo portasse gli occhiali.»
«Da cosa lo deduce?» Chiese Sofia mentre io mi apprestavo a scrivere tutto. Garrett disse di aver notato un piccolo bagliore sulla faccia dell’uomo, all’altezza della testa. La descrizione dell’uomo ormai non contava più di tanto, il cerchio si era ristretto quasi del tutto e io conoscevo solo un uomo, tra i sospettati, che portava gli occhiali.

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


Capitolo 15

 
Fortuna volle che Brett Dawson fosse rimasto in centrale ad aspettare il suo avvocato, non aveva fatto per niente caso al fatto che non era ancora in arresto quindi, al nostro arrivo, ci trovammo già con un pezzo di lavoro svolto: non c’era più bisogno di scorrazzare per la città cercando di rintracciare il principale sospettato così Jim Brass mi venne in contro apposta per informarmi di quanto era successo durante la nostra assenza. Mi diede alcune informazioni utili su come trattare l’avvocato che si era scelto il signor Dawson, un certo Mac Patterson, novellino del dipartimento della difesa iscritto all’albo degli avvocati da soli due anni, di cui uno e mezzo passato a scartabellare documenti in un noto ufficio della zone clue di Las Vegas. Prima di lasciarlo tornare nell’ufficio, gli raccontai le nuove informazioni che avevamo raccolto da Garrett. Brass mi disse che c’erano tutti gli estremi per richiedere un mandato di perquisizione a casa del nostro sospettato, così telefonò subito al procuratore per richiederne uno. Nel frattempo mi fiondai nella sala interrogatori, ma non prima di aver recuperato la mia cartellina gialla che, forse, poteva essermi utile. Appena arrivata, notai subito l’avvocato di Brett: era evidente che stava facendo da poco quel lavoro, probabilmente quella era il primo vero confronto che affrontava direttamente in un commissariato. Il sospettato mi squadrò nuovamente da capo a piedi. «Stavolta l’hanno mandata qui da sola?» Chiese Brett laconico. Andai a sedermi davanti a lui, ignorandolo e presentandomi al suo avvocato come facevo di solito. Avevo già inquadrato Brett come un maschilista pieno di sé, infatti le mie parole non fecero altro che farlo imbestialire. «Non mi ignori! Lo so che lei ce l’ha con me!» L’avvocato cercò di calmarlo, inutilmente.
«Capisco la sua frustrazione, ma qui non siamo in un asilo.» Dissi a denti stretti, Brett si fece rosso di rabbia in volto. «Ad ogni modo, lei ci ha mentito. Aveva visto Carol quella sera, vero? Intendo lunedì.» Chiesi poi.
Brett spostò con veemenza lo sguardo altrove. «Le ho già detto di no.»
«Andiamo, la smetta di dire fesserie. Abbiamo un testimone che è pronto a giurare di averla vista sulla scena con la vittima.» Risposi io secca nonostante, in cuore mio, sapessi che non era vero. L’avvocato gli disse qualcosa sottovoce poi rispose per lui dicendo che si appellava alla facoltà di non rispondere.
«Non fa altro che peggiorare la situazione, Brett. In questo momento stiamo aspettando il mandato per perquisire casa sua e, nel caso trovassimo le prove che lei ha ucciso Laura, la inchioderemo e la sbatteremo in carcere per il resto dei suoi giorni.»
«Sempre che le troviate le prove.» L’avvocato gli lanciò uno sguardo avvelenato, se non chiudeva la bocca per il suo cliente non ci sarebbe stata via di scampo, così gli suggerì di stare zitto per la milionesima volta.
«Il mio cliente è forse in arresto, signora Williams?» Chiese poi.
Nonostante lo volessi trattenere di più dovetti rilasciarlo. «No, non ancora. Ma in queste circostanze possiamo trattenerlo per quarantotto ore quindi, almeno per stanotte, lei non si muoverà da questo dipartimento. Trascorrerà una piacevole notte in cella.» Dissi conquistando un altro sguardo carico di odio da Brett. Uscii per poi chiamare un agente che lo portò alle celle che stavano al piano più basso dell’edificio.
Dopo averlo visto sparire in ascensore, mi precipitai a cercare Jim Brass, con la speranza che avesse ottenuto un mandato per la casa di Dawson.
Lo trovai fermo in ufficio a firmare alcuni documenti. Bussai freneticamente sulla porta, senza neanche aspettare un suo cenno, Jim mi guardò serio. «Immagino tu sia qui per il mandato!» Disse.
«Esatto, abbiamo avuto fortuna per stavolta?»
«Pare di sì, il nostro amico procuratore era giusto a cena a casa del giudice Connelly, ci ha autorizzato a perquisire la casa di Dawson. Qui c’è il mandato faxato e firmato, come volevi.» Mi consegnò il foglio firmato e timbrato.
«Grazie Jim! Ti devo un favore.» Scappai in corridoio, con la speranza di trovare qualche agente o collega disponibile a darmi una mano. Mi avevano caldamente consigliato di non  trasgredire alla regola di andare su una scena da sola: molti anni prima c’era stato uno spiacevole incidente ed era morta una nuova recluta della scientifica al suo primo giorno di lavoro. Per mia fortuna trovai Mitchell, uno degli agenti del dipartimento che aveva anche lavorato nella scientifica per qualche tempo, che si offrì con entusiasmo di accompagnarmi, a noi si unì anche Nick, dato che era rimasto momentaneamente fermo sul suo caso.
 
Brett abitava in una piccola casa per conto proprio nello stesso quartiere della sua sala giochi: le luci al neon che erano rimaste accese fuori si potevano scorgere fin dal fondo della strada. Dall’esterno la casa si presentava un po’ trasandata, specialmente il prato davanti, infatti l’erba che un tempo doveva essere verde, ora era quasi del tutto bruciata e ingiallita.
Mitch parcheggiò l’auto di servizio dietro alla nostra Denali e ci fece strada per controllare che in casa non ci fosse nessuno, al via libera entrammo anche noi. Quando le luci si accesero quello che ci si presentò davanti era un salotto che sembrava appena uscito da una rivista di design, moderno quasi quanto il suo ufficio, pensai. Io e Nick ci dividemmo le camere ma in casa, a parte qualche cosa fuori posto, non trovammo niente che lo potesse incriminare. Dopo un’ora e mezza buona ci ritrovammo tutti e tre nella piccola cucina. Fui io a parlare per prima. «In questa casa sembra tutto dannatamente in ordine, quasi con precisione maniacale.»
Nick annuì. «Già, sembra quasi da serial killer. Ho i brividi, sai?»
«Già, ora che si fa?» Chiesi sorridendo.
Mitch si riaggiustò il cappello in testa. «Sapete, nella mia lunga esperienza ho potuto constatare che, se devi nascondere qualcosa, il modo più semplice è sotterrarlo.»
Io e Nick ci guardammo istintivamente. «Il giardino!»
Così uscimmo tutti e tre nel piccolo appezzamento che stava nel retro della casa: anche qui, come sul prato anteriore, l’erba era prettamente bruciata e non c’erano tracce di giardinaggio o simili, in compenso c’era un mini fabbricato che fungeva da casetta per gli attrezzi, così decidemmo di entrare a dare un’occhiata. C’erano molti attrezzi da giardino compresi pale, rastrelli, sarchiatori,... al fondo della parete c’erano accatastati alcune latte di vernici piene e vuote e una tanica di benzina quasi a metà. Quest’ultima attirò la mia attenzione ma poi vidi un tosaerba a benzina coperto da un telo quindi non mi preoccupai più di tanto, finché Nick non mi chiamò da fuori. «Che c’è?» Dissi uscendo dalla porta di alluminio.
Nick mi mostrò un vecchio bidone arrugginito. «Ho sentito uno strano odore di bruciato misto a benzina quando mi sono avvicinato a questo vecchio fusto e guarda cosa ci ho trovato.» Infilò un braccio dentro per ripescare qualche pezzo di stoffa bruciacchiata scampata al falò. In alcuni punti si vedevano distintamente delle macchie rosse, probabilmente era sangue ma, per esserne certi, bisognava portarle in laboratorio. «Credo che il nostro amico non abbia fatto un buon lavoro.»
«Direi di no, ora che mi ci fai pensare...» Tornai nella casetta, non ci avevo fatto molta attenzione ma avevo notato che una delle pale appoggiate al muro era molto infangata e coperta di terra così l’andai a prendere, poi uscii di nuovo fuori: Nick aveva appena finito di imbustare i pezzi di stoffa. «Questa pala è fuori posto, non ti sembra?» Dissi indicando le incrostazioni di terra. «Non vedo nessun orto o aiuola, quindi a che serve una pala se non ad interrare qualcosa?» Dissi con un sorriso ironico.
Mitchell mi diede ragione. «Ho notato che c’è un pezzo di prato in cui l’erba è cresciuta un po’ più verde, ma sembra più bassa del solito. Dovremmo guardare lì.»
«Ottima osservazione, facci vedere.» Disse Nick.
Mitch ci fece vedere il punto esatto, un quadrato non perfetto vicino allo steccato. Dopo aver scattato alcune foto alla pala, ci mettemmo a scavare in quello stesso punto finchè non sentimmo un rumore metallico sordo: probabilmente avevamo colpito qualcosa. Scavai con le mani: sotto pochi centimetri di terra trovai un tubo in acciaio a cui diedi una rapida ma attenta occhiata. «Qui sopra ci sono delle macchie, passami un tampone.» Nick me ne passò uno sterile, con cui tamponai alcune macchie: dopo averci versato sopra qualche goccia di reagente, il tampone si colorò di un rosa brillante. «Non c’è dubbio, è sangue.» Disse Nick richiudendo la sua valigetta di alluminio.

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


Capitolo 16
 
Dopo aver imbustato e catalogato anche il tubo che avevo rinvenuto vicino allo steccato, io e Nick rovistammo ancora nella casetta degli attrezzi. Infine, prendemmo un campione di benzina dalla tanica e uno dal fusto di alluminio per verificare che fosse stata usata la stessa per bruciare i vestiti. Avevamo finalmente chiuso il cerchio: se quella era l’arma del delitto Brett poteva dirsi spacciato definitivamente. Il suo avvocato dovrà tirare fuori una bella scusa per scagionarlo. «Che dici Mick, torniamo in laboratorio?» Chiese Nick uscendo dopo di me dalla casetta, Mitch era rimasto fuori a sorvegliare il circondario.
Mi diedi qualche pacca sui pantaloni per togliere la polvere che mi era volata addosso quando avevamo sollevato il telo dal tosaerba. «Direi di sì, qui non c’è più nulla da fare, nemmeno per Brett. Ormai è spacciato.» Dissi beffarda. Così, all’alba delle quattro del mattino, tornammo sulla Denali, in direzione della scientifica. Dietro le montagne che circondavano la città cominciavano a vedersi degli sprazzi di luce del sole.
Arrivati al dipartimento io e Nick ci dividemmo i compiti per analizzare le nuove prove mentre Mitch andò a fare subito rapporto a Brass.
In laboratorio trovai di nuovo Greg seduto, come al solito, sulla sedia girevole a ciondolare. Quando mi vide saltò subito in piedi come se fosse entrato Gil Grissom in persona. «Stai pure comodo!» Gli dissi sorridendo.
«Ma io sono comodo tesoro» Si sedette nuovamente. «sai, stavo pensando ad una cosa.»
«Dimmi.» Mentre lo ascoltavo, presi un tampone per verificare che effettivamente il liquido rosso sul campione fosse effettivamente sangue, quando il tampone diventò rosa acceso ritagliai un pezzo dalla stoffa bruciacchiata che misi poi in una provetta in plastica sterile riempita di reagente, dopodiché la passai in centrifuga per far separare il DNA dal cotone.
«E se andassimo veramente alle Hawaii?» Nel suo tono di voce si nascondeva, malamente, un’euforia incommensurabile. Lo fissai sorridendo. «Mahalo nui ia ke ali’i wahine, ‘o Lili’ulani ‘o ka wo hi ku! Ea mai ke ali’i kia manu, Ua wehi ka hulu o kamamo!»
* Mentre cantavo mimai un passo di Hula. Greg, vedendomi ondeggiare, rise toccandosi il sopracciglio destro come faceva di solito. «Guarda che ero serio!»
Mi rigirai verso il bancone, tolsi la provetta dalla centrifuga e, tramite una pipetta automatica, prelevai il liquido che passai poi al computer per analizzarlo col software per la sequenziazione. «Lo so! E comunque direi che una vacanza non ci farebbe male, ora come ora!» Risposi, aspettando che il computer elaborasse i dati. Mi girai a guardarlo, era da tanto che non lo sentivo così felice e rilassato, le ultime settimane erano state veramente dure da sopportare tra una cosa e l’altra, eravamo stati tutti impegnati a seguire il caso del killer di Gig Arbor, seguendo principalmente le disposizioni di D.B. e di Finn, poi era saltato fuori quell’idiota che mi aveva quasi fatto perdere l’uso della gamba: si poteva dire che né la noia né lo stress ci erano mancati. Come se non bastasse, non eravamo mai riusciti a starcene tranquilli noi due da soli, il lavoro aveva sempre la precedenza e non potevamo di sicuro dire di no quindi le litigate in casa erano pressoché soventi, a volte non riconoscevo neanche Greg come l’uomo con cui vivevo da ormai tre anni. Forse era proprio per quel motivo che mi sentivo attratta da Nick che, invece, era sempre solare e gentile nei miei confronti. Venni distolta dai miei pensieri dal sonoro bip del computer: le macchie di sangue sulla maglietta appartenevano a Laura. «Andiamo a dire tanti saluti al nostro amico.» Dissi stampando i risultati.
Greg si alzò in piedi per venire verso di me: era a pochi centimetri da me e mi guardava dall’alto, sorridendo. «A volte mi dimentico che con te a lavoro posso prendermi alcune libertà.»
«Libertà di che genere esattamente?» Chiesi arrossendo.
Greg mi baciò intensamente stringendomi a sé. Mi staccai controvoglia dalle sue labbra e mi appoggiai al suo petto, Dio quanto mi mancava. Greg mi accarezzò i capelli. «La prospettiva di una vacanza, più che altro passare del tempo solo noi due, mi fa ripensare ai primi tempi, non trovi?» Disse quasi sottovoce e io gli risposi con un timido “già”. Ed era stranamente vero: i primi tempi che uscivamo insieme coincidevano con il periodo in cui ero entrata alla scientifica, noi due passavamo la maggior parte del tempo a lavorare su casi diversi proprio perché Grissom voleva evitare problemi con Ecklie. Noi facevamo di tutto per vederci, per parlare, scambiarci idee e opinioni. Da quando Grissom era andato via le cose erano cambiate, invece di passare il comando a Catherine lo sceriffo aveva voluto il dott. Ray Langston alla guida della scientifica: non l’avevo mai visto di buon occhio, era una persona un po' oscura e solitaria ed ero la sola, insieme ad Hodges, a non andarci d’accordo. Tuttavia, dopo un po’ di tempo, ero rimasta l’unica a pensarla così e quindi, spesso ricevevo dei giorni di sospensione per insubordinazione: alla fine, non andando a lavoro, la mia presenza per Greg era del tutto inesistente e quasi mai si portava a casa il lavoro. Poi Langston si era licenziato, il caso di Nate Heskell lo aveva profondamente provato; con la promozione di Catherine a supervisore la situazione era tornata normale perché si sentiva gli occhi puntati addosso di continuo e quindi aveva tassativamente proibito il contatto fisico tra agenti della stessa squadra. Ciò aveva fatto sì che io e Greg ci riavvicinassimo, quello che non riuscivamo a dirci a lavoro lo facevamo a casa, poi le cose erano cambiate ulteriormente: da quando era arrivato D.B. Greg era diventato introvabile, Russell lo considerava uno dei suoi migliori agenti, per questo era molto richiesto e aveva cominciato a diventare presuntuoso, quasi fastidioso. Non aveva più la stessa voglia di scherzare di un tempo, non era più il ragazzo di cui mi ero innamorata. Questo mi fece contrarre lo stomaco, quella che prima era felicità si era improvvisamente trasformata in delusione, tristezza e, soprattutto, nostalgia. Gli occhi mi si offuscarono dalle lacrime ma riuscii a darmi un contegno. Lo salutai, dicendogli che Nick probabilmente mi aspettava per l’interrogatorio. Quando fui abbastanza lontana mi fiondai in bagno a darmi una sciacquata al viso ma, per poco, non mi scontrai con Morgan. «Ehi!» mi disse. «va tutto bene?»
Mi strofinai copiosamente le mani con il sapone. «Non lo so.» Aprii il rubinetto.
«Ti va di parlarne?» Mi chiese lei dopo essersi appoggiata con le spalle al muro. «è per Greg vero?»
«Già» Risposi seccamente. «è cambiato, sta cambiando e io sto assistendo impotente a questo suo cambiamento. La verità è che, da quando c’è D.B. ha smesso di essere se stesso, lo vedo anche dal modo in cui si veste.»
Morgan mi guardava confusa. «A me sembra che si vesta in modo normale, voglio dire che c’è di male in una camicia?»
«è proprio il fatto che si tratti di una camicia a tinta unita a darmi preoccupazioni.» Lei mi guardava sempre più confusa ma io stavo già sorridendo. «Il giorno che ci siamo conosciuti ne indossava una bianca a righine effetto lucido con degli orrendi disegni damascati rossi sopra... ah, come se non bastasse aveva i capelli strapieni di gel tutti dritti, me lo ricordo bene perché avevo subito pensato “se parla spagnolo sarà di sicuro uno del cartello”.» Morgan scoppiò a ridere e dapprima lo feci anche io ma poi quel ricordo fece più male che bene. Chiusi il rubinetto e rimasi ferma con le mani appoggiate al lavello. «Greg era eccezionale, venivo da una serie di storie finite male e lui mi fece totalmente cambiare idea. Adesso... fatico persino a riconoscerlo.» Presi il foglio con l’esito delle analisi sul sangue. «Adesso devo andare, Nick mi sta aspettando... se può andarti bene ci possiamo fermare a bere qualcosa dopo il lavoro.»
Morgan mi sorrise timidamente. «Senz’altro. E non ti preoccupare per Greg, lui non fa altro che pensare a te, stai tranquilla.» Mi disse, quelle parole mi diedero un po’ di sollievo ma non era il momento per pensarci, dovevamo catturare un assassino.


Spazio Kiwi
*La frase in dialetto hawaiano è presa da "He Mele No Lilo" di Lilo e Stitch,
Ho parlato più di Michelle e Greg perchè non ne parlo quasi mai LOL spero vi sia piaciuto ugualmente, premetto che questo è il penultimo capitolo.

 

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Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***


Capitolo 17
 
 
Incontrai Nick sull’uscio del laboratorio di Henry, stava venendo a cercarmi proprio come stavo facendo io con lui. Mi mostrò il suo referto quasi raggiante: il sangue sul tubo corrispondeva a quello di Laura e, inoltre, ci aveva trovato anche alcune impronte parziali di Brett. I puntini erano stati tutti collegati e mancava solo più la sua confessione.
Uno degli agenti di sorveglianza fece portare nuovamente nella sala interrogatori il nostro sospettato mentre un altro era andato a chiamare il suo avvocato, che aveva chiesto di poter rimanere in una saletta della centrale a preparare le carte per un’eventuale accordo. «Dovresti chiamare Hodges per dirgli che hai risolto il caso.» Disse Nick facendomi sorridere. Stavamo entrambi fissando Brett da dietro il solito vetro a specchio e, sapere che finalmente lo avevamo inchiodato, mi riempiva di soddisfazione.
«Dovresti dire “abbiamo”, dopotutto mi hai dato una mano a recuperare le prove!» Risposi, in quello stesso istante entrò nella stanza il giovane avvocato. Era ora di andare.
La scena era la stessa di poche ore prima, noi che entravamo con lo sguardo di Brett fisso addosso seguito da quello quasi intimorito del suo avvocato già pronto a tenere a bada il suo cliente ma, questa volta, noi sapevamo già il finale.
«Signor Dawson, siamo qui per chiudere definitivamente questa faccenda. È l’ultima occasione che ha per dirci la verità sulla morte della sua presunta ex fidanzata, se parla e confessa potrebbe avere alcuni sconti di pena.» Dissi rivolgendomi anche all’avvocato, che si prestò subito a illustrare al suo cliente le prospettive che aveva davanti anche se, in ogni caso, sarebbe finito in prigione. Brett, dal canto suo, non fece comunque una piega, si limitò a serrare ancora di più la mascella e a restare in silenzio per alcuni minuti. Spazientiti, io e Nick appoggiammo sul tavolo le due buste gialle contenenti le prove e i referti delle analisi, conquistandoci lo sguardo torvo e spaventato di Brett. «Questo tubo lo riconoscerà sicuramente, è l’arma del delitto rinvenuta nel suo giardino! Proprio accanto alla sua casetta per gli attrezzi» Disse Nick, spingendo il sacchetto verso il sospettato e l’avvocato che già cominciava a sudare. «e vuole sapere una cosa? Sopra c’è il sangue di Laura insieme ad alcune delle sue impronte, quindi eviti di dire che la stanno incastrando.» Spiegò ancora.
«Mentre questi sono presumibilmente alcuni dei lembi dei suoi vestiti insanguinati. Quelli che aveva al momento dell’omicidio» Presi il foglio delle analisi. «e anche qui risulta che il sangue che abbiamo trovato è di Laura. Non ha fatto un buon lavoro, dato che la benzina per il tosaerba che ha usato nel falò non ha distrutto tutte le prove. L’abbiamo in pugno e, a meno che non voglia affrontare un processo, in cui verrà dichiarato colpevole al cento per cento, le conviene parlare ora.»
L’avvocato disse qualcosa nell’orecchio al suo cliente, che rilassò per un secondo le spalle. «Cosa offrite al mio cliente in cambio della sua totale confessione?» Chiese l’avvocato. Io e Nick ci guardammo ma fu lui a rispondere. «Da venticinque anni all’ergastolo, per i dettagli dovrà mettersi d’accordo con il procuratore.»
L’avvocato rimase fermo immobile per alcuni istanti, indeciso su cosa fare per aiutare il suo cliente poi farfugliarono qualcosa tra di loro, Brett sembrava del tutto contrariato a dichiararsi colpevole ma sul viso aveva dipinta l’espressione di chi sa che non può opporsi ad un destino segnato. Passarono quasi dieci minuti, sembravano interminabili di fronte a lui. I miei piedi tremavano, un chiaro segno di impazienza. Poi Brett allungò le mani in segno di resa. «A quanto pare avete vinto voi.» Disse in segno di disprezzo con il suo solito tono impudente. «Dovrei partire dicendo che da un po’ di tempo la mia sala giochi non gira molto bene, così per arrotondare mi sono messo a vendere alcol anche ai ragazzini. Di solito non passano molte pattuglie di qua così ero abbastanza tranquillo finchè quell’idiota di Gary non mi ha beccato. Voglio dire, che gli importava? Io gli avevo dato un lavoro e una mano con sua sorella, doveva stare zitto e invece ha deciso di spifferare la cosa ad alcuni agenti così, per tappargli la bocca, ho dovuto riempirlo di soldi. I miei soldi!» Disse, battendosi la punta delle dita in mezzo al petto. «I soldi che avevo vinto con le mie capacità.»
«Questo lo sappiamo già Brett, ci parli di lunedì.» Dissi laconica, dopotutto avevo già raccolto quelle informazioni dal suo socio. Ciononostante mi beccai un’altra delle sue occhiatacce.
«Se mi lascia finire, ci arrivo senza problemi.» Si aggiustò gli occhiali sul naso. «Quella sera stavo al solito servendo al bancone poi quei tre idioti di Marcus Floyd e i suoi due cugini ritardati sono venuti a bere, pretendendo anche lo sconto. Non gli bastava che gli servissi da bere senza fare domande, comunque sia non ne potevo più di farmi spillare soldi da Gary così ho detto loro di andarsene o che avrei chiamato la polizia ma quei tre hanno cominciato a deridermi» Strinse il pugno sul tavolo. «e allora li ho spinti fuori grazie all’aiuto di un amico. Quando furono fuori dal locale hanno cominciato a lanciarmi lattine e bottiglie di birra vuote, probabilmente le avranno pescate dal cassonetto lì vicino.»
«Vada avanti.»
«Sono uscito brandendo una mazza e loro se ne sono andati. Finalmente c’era il silenzio. Stavo per rientrare quando ho sentito degli strani rumori provenire dal retro del locale così mi sono avvicinato giusto in tempo per vedere Gary dare dei soldi ad una prostituta.» La sua voce si fece più incrinata, carica di rabbia. «Quando ho realizzato che la donna era Carol, o Laura come diavolo si chiamava, non ci ho visto più. Ho aspettato che Gary andasse via e poi l’ho affrontata.»
Lo guardavo agitarsi sulla sedia. «Cosa le ha detto per farla arrabbiare in questo modo?»
Brett fece un profondo respiro per contenersi. «Il fatto che mi abbia mentito per quasi un anno sulla sua vera identità le sembra poco? Si vergognava di essere una lurida puttana, mi ha fatto credere di essere una ragazza di buona famiglia!» Era sul punto di dare di matto. «Abbiamo litigato, continuava a dirmi che le dispiaceva e che mi aveva mollato per quel motivo perché non voleva che sapessi. Poi ha cominciato a insultarmi dicendomi che non le avevo mai dato troppa attenzione, che ero solo un pomposo egoista e bla bla bla. Non ci ho visto più, quando ho visto il tubo l’ho preso e in un attimo lei era morta.»
Dal cassetto del tavolo presi il taccuino giallo con i moduli da compilare per le deposizioni scritte. «D'accordo signor Brett, scriva qui quello che ci ha appena raccontato. Per quanto possa valere, bastava che le andasse in contro e le chiedesse perché le aveva mentito. Sono sicura che sarebbe potuta andare diversamente.» Brett mi guardò apatico e si limitò a dire di farmi gli affaracci miei. Quando firmò la confessione, l'agente che lo aveva portato di sopra gli elencò i suoi diritti per poi condurlo fuori ammanettato. Nick mi appoggiò una mano sulla spalla destra. «Ottimo lavoro, ce l'abbiamo fatta.» disse sorridendomi. Mi persi completamente in quello sguardo, tenendo a freno l'impulso di baciarlo. «Siamo stati bravi» conclusi. «Ora devo andare, Morgan mi aspetta per un drink inoltre devo telefonare a Hodges per informarlo della buona notizia!» Dissi mentre uscivamo dalla stanza. Dopo averlo salutato mi dileguai per fare quella telefonata.

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Capitolo 18
*** Capitolo 18 ***


Capitolo 18
 
Come d'accordo andai a sedermi in laboratorio, per farlo dovetti passare davanti la sala riunioni che utilizzavamo per discutere i casi più importanti, era uno dei pochi posti che condividevamo tutti insieme, principalmente lo usavamo quando si trattava di cenare in compagnia durante il lavoro mentre D.B. l'aveva usata per farci un sacco di ramanzine nei primi periodi del suo insediamento a supervisore. Al tavolo al centro della stanza c'erano sedute Sara e Morgan, intente a bere un caffè. Le salutai, chiedendo se potevo aggregarmi a loro dopo aver chiamato Hodges. Io e Sara avevamo stretto un profondo legame di amicizia, tant'è che la consideravo ormai come una sorella. Morgan invece era molto più timida rispetto a noi due e avevamo avuto poche occasioni per poter diventare amiche strette. 
Arrivata in laboratorio mi buttai di peso sulla sedia nera girevole, la stanchezza mista alla soddisfazione di aver chiuso il caso cominciavano a farsi sentire e, per non rischiare di addormentarmi, chiamai subito Hodges. Probabilmente lo avevo appena svegliato perché la sua voce risultava impastata. «Ma che ore sono? Fuori è ancora buio.» Chiese lui.
Sorrisi, ripensai a un libro che avevo letto in cui uno dei personaggi diceva alla ragazza "è così tardi che è quasi presto!". «Scusa per l'ora, David» mi limitai a rispondere. «volevo informarti che abbiamo chiuso il caso.»
David sembrò risvegliarsi subito a quelle parole. «È una buona notizia!» Disse per poi tossire un paio di volte, doveva essersi preso una bella influenza. «Ma tu non mi sembri molto entusiasta.» Aggiunse ancora.
«Oh, non preoccuparti. Non riguarda il caso.»
«È per G?»
Il fatto che tutti, all'interno della squadra, pensassero che i miei problemi riguardassero per lo più Greg, cominciò a insospettirmi. «David c'è qualcosa che io non so sul conto di Greg?» Chiesi. E se c'era per quale motivo io non lo sapevo?
«N-no, Michelle ho proprio sonno e non mi sono ancora ripreso, credo proprio che tornerò a letto... ciao!» David mi riattaccò il telefono in faccia seguito dalle mie imprecazioni ma i miei tentativi di richiamarlo furono del tutto vani, aveva spento il cellulare. «Maledizione!» Urlai.
Ma cosa sta succedendo?, Pensai. C'era solo una persona che poteva togliermi quei dubbi, e quella persona era proprio Greg solo che, al momento, non si trovava in centrale, era su un'altra scena del crimine dall'altra parte di Las Vegas. Decisi di andare a parlare con Morgan e Sara, loro non mi avrebbero trattato come David, ne ero più che sicura. Per mia fortuna erano ancora al tavolo della sala riunioni, quando mi videro mi sorrisero entrambe ma non era un sorriso finto e questo mi sembrò un buon proposito per iniziare la conversazione. Andai a sedermi vicino a Sara.
«Ho saputo che tu e Nick avete chiuso il caso.» Disse lei.
Mi sgranchii le braccia incrociandole dietro la testa. «Già, il nostro amico ha confessato quasi subito. È bastato fargli vedere l'arma del delitto.» Sbadigliai, erano le cinque e trenta circa e il turno stava quasi per finire.
«Beata te, io sono ancora in alto mare... mi hanno portato il cassonetto dove hanno trovato il mio uomo giù in garage. Peccato che sia ricoperto da diecimila impronte diverse e altre schifezze.» Esordì Morgan. «Allora, vogliamo andare a berci qualcosa?»
«Che ne dite di una birra? Stavolta tocca a me offrire!» Disse Sara.
Accettai senza compromessi, dopotutto ci voleva proprio. «Certo, guido io.» Risposi.
Optammo per il solito locale dove usavamo trovarci di solito, ormai eravamo diventate amiche con la barista che sapeva già a memoria i nostri ordini. Stavo rimuginando già da una decina di minuti su come iniziare il discorso ma mi mancava il coraggio. «Ho bisogno di chiedervi una cosa.» Dissi improvvisamente, ero talmente concentrata che non mi ero accorta di averlo detto sul serio, Morgan e Sara mi guardavano pensierose. «Voi...» dalla paura di sapere la risposta mi si formò un groppo in gola. «...sapete qualcosa di Greg che io non so, vero? Hodges mi ha dato quest'impressione al telefono e voglio saperlo anche da voi. Mi state nascondendo qualcosa?» Dissi quasi con timore.
Sara e Morgan si guardarono quasi impassibili. Morgan sembrava volesse parlare ma Sara intervenne per prima. «Il fatto è che non sono cose che riguardano noi due, capisci? Greg ci ha fatto promettere di non dirti niente perché voleva essere lui a parlarti.»
Morgan mi guardava con aria vagamente triste. «Aveva detto che le avrebbe parlato la sera stessa che ce lo ha fatto promettere, ma a quanto pare non l'ha fatto! Perché non dovremmo dirglielo?» Disse lei ma Sara continuava a non essere d'accordo. «Perché non sono cose che ci riguardano.» Ribatté.
La cosa cominciava parecchio a infastidirmi. «Sentite, lo so che non sono cose che dovrebbero interessarvi... però c'entrano con me. Greg ultimamente si comporta in modo strano e io vorrei sapere il perché. » Dissi ancora gentilmente, anche se stavo per scoppiare. Sara però continuava ad essere irremovibile. «Ti ho sempre considerata una sorella fin da quando sei entrata in squadra. Non voglio essere una possibile causa di scontro tra te e Greg, tengo davvero molto a entrambi e so come vanno le cose tra marito e moglie. Fidati di me, parlane direttamente con lui.» A quelle parole mi calmai, Sara aveva pienamente ragione così decisi di assecondare la sua richiesta e di chiedere direttamente a Greg. Tuttavia, aspettare di tornare a casa, non fece altro che aumentare la mia preoccupazione, avevo già escluso la probabilità di un'altra donna ed era la cosa che più mi spaventava, perciò cosa poteva essere? In quello stesso istante mi chiamò proprio Greg al cellulare, aveva finito anche lui il turno e si stava preparando per tornare a casa. 
Mi feci venire a prendere al locale che tanto era di strada per lui. Quando uscii in strada notai che, nelle poche ore in cui eravamo rimasti in laboratorio, il cielo si era fatto scuro e minacciava pioggia. Non era strano, in mezzo al deserto il clima cambiava molto rapidamente, pochi minuti dopo vidi il suv nero della GMC di Greg arrivare. «Ehi!» disse abbassando il finestrino. «Non stare alla pioggia o ti ammalerai!» mi bastarono due ampi passi per avvicinarmi, feci appena in tempo a salire in macchina che cominciarono a cadere le prime gocce. «Allora? Ho sentito che avete chiuso il caso.» Esordì, accompagnato da un ampio sorriso. 
«Greg c'è qualcosa che devi dirmi?» Dissi io freddamente, guardandolo. La mia domanda gli fece cambiare totalmente espressione, si vedeva che la questione lo stava tormentando ma era comunque riuscito a nascondersi dietro una maschera per tutto quel tempo. «Ho fatto qualcosa che non va?» Chiesi con la voce tremante. «Ti comporti in modo strano ultimamente, c'è un'altra donna nella tua vita?»
Greg piegò la testa da un lato. «Perché dovrei volere una donna che non sia tu nella mia vita?» Aveva lo sguardo pensieroso, in quel momento girammo a destra per uscire in Washington Avenue in prossimità del campo da golf. Greg si appoggiò sulla mano sinistra con la testa, indugiando sulle parole da usare. Pochi istanti dopo fermò la macchina davanti al nostro vialetto. Scendemmo entrambi, Greg si avvicinò a me.
«Allora per cos'è tutto questo mistero?» Chiesi quasi con voce sommessa, la pioggia ormai si era infittita e i miei capelli, quasi del tutto fradici, cominciarono ad attaccarsi al viso. Greg, invece, si era coperto con la giacca. «Vieni dentro e ne parliamo!»
«Voglio saperlo ora!» Cominciai a farmi insistente, ero stufa di aspettare.
Greg indugiò ancora un attimo. «Russell se ne va a Washington» Fece una pausa. «E... vuole promuovermi.»
Ero incredula. «Tutto questo mistero per una promozione?» No, c’era dell’altro sotto.
Greg però aveva ancora addosso quell'alone di preoccupazione che non accennava ad andarsene. «Non è così semplice la cosa.» Aveva rinunciato a coprirsi con la giacca e la pioggia aveva cominciato a bagnargli i vestiti, la camicia grigia si era appiccicata al suo corpo, mettendo in risalto il suo fisico asciutto. «Che vuoi dire?» Dissi io, la mia impazienza si faceva sempre più sentire.
Greg dal canto suo continuava a esitare. «La sua proposta è di andare con lui, alla crimini informatici.» Il cuore mi si fermò di colpo, sentivo le gambe cedermi. Presa dal panico corsi in casa, smollai la borsa e la giacca per terra, vicino all'attaccapanni, per poi fiondarmi in camera da letto. Greg mi era corso dietro, pregandomi di aspettare. 
«Michelle, per favore apri la porta.» Il suo tono di voce sembrava dispiaciuto. «Ti prego.»
La notizia mi aveva sconvolta, mi ero lasciata scivolare giù, andandomi a sedere sul pavimento con le spalle attaccate alla porta, fissando il soffitto: se Greg accettava la promozione la mia vita sarebbe cambiata drasticamente, e io non ero di certo pronta a un cambiamento simile.

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Capitolo 19
*** Capitolo 19 ***


Capitolo 19
 
 
Greg aveva rinunciato ad entrare in camera ed era pressoché calato il silenzio in casa, l’unico rumore a smorzarlo era il ticchettio della pioggia sul vetro della finestra. «Credi che potremo parlare guardandoci in faccia, prima o poi?» Chiese lui ad un tratto, probabilmente si era seduto nella mia stessa posizione ma dall’altro lato della porta. Sospirai, ripensando a quello che avevo fatto: non gli avevo neanche lasciato il tempo di spiegarsi o di dirmi se aveva già pensato ad accettare oppure rifiutare l’offerta. In quel momento sentii il mio telefono squillare, lo cercai in tasca ma mi ricordai che lo avevo lasciato nella giacca, buttata malamente per terra vicino all’ingresso. Sentii Greg alzarsi per andare a rispondere, sentivo uno strano nodo allo stomaco che tentai di affievolire portando le ginocchia al petto. Dalla conversazione capii che era stata Sara a chiamarmi, forse voleva sapere se avevamo parlato. «No, si è chiusa in camera e non vuole uscire. Tranquilla, me la cavo io. Grazie.» Lo sentii dire, poi più niente, aveva chiuso la chiamata ed era tornato a sedersi dov’era prima. «Senti...» Iniziò. «...non ho ancora preso in considerazione fino in fondo l’idea di Russell. Sapevo che avresti reagito così, per questo ho aspettato a parlartene.»
Appoggiai il mento sulle ginocchia. «Non voglio ritrovarmi in mezzo a te e il lavoro, Greg.» Gli dissi. «Non voglio che tu sia costretto a scegliere tra me e Washington.» Ero sul punto di piangere mentre lui continuava a stare in silenzio. «Non posso e non voglio perderti, non ora.» 
«Non voglio abbandonarti, Michelle. Dopo ciò che hai passato, sarei un vero bastardo se ti lasciassi qui per andare a Washington.» Fece un sospiro. «Credo sia una decisione da prendere insieme.»
«No Greg, è una tua decisione... ma se tu volessi andare via sappi che io non verrei con te.» Dissi di getto, quasi per liberarmi da quel peso. Il nodo che avevo allo stomaco si fece sentire ancora di più, quasi a farmi venire la nausea. «So solo che in questi tre anni ho messo tutta me stessa per conquistarmi il ruolo che ho nella squadra, finalmente ho trovato il mio posto e non credo di essere pronta ad abbandonare tutto.» Cominciai a piangere, le lacrime scendevano calde lungo le guance.
«Lo so.» Disse lui, il suo tono di voce sembrava incrinato. «Per quanto possa valere, la mia idea iniziale era di tornare a casa il venerdì, dopotutto sarei a Las Vegas con qualche ora di volo...» Vista da quella prospettiva non sembrava neanche male come idea, ma c’era sempre tutto il Paese in mezzo. «E poi c’è Skype, possiamo vederci ogni sera.» Disse quasi per rassicurarmi.
«Quindi hai deciso di accettare?» Chiesi freddamente. Dovevo pensarci e ripensarci, ma non volevo convincermi che quella fosse la soluzione giusta.
«Non lo so ancora, sarebbe un’occasione da non perdere. In ogni caso posso provare e, se la cosa non dovesse funzionare, tornerei subito alla scientifica. Però...» Fece una pausa. «Questa è la mia grande occasione, e voglio che tu sia felice con me a Washington.» Disse. In quel momento non ci vidi più: non mi avrebbe portato via nessuna delle cose che mi ero costruita negli ultimi anni, non lo avrei permesso a nessuno, tantomeno a lui che avrebbe dovuto capire i miei sentimenti più di chiunque altro. «Las Vegas è casa mia, Greg. Non verrò con te dall’altra parte del Paese.»
«È anche casa mia! Diamine, pensi che per me sia facile?» Il suo tono era drasticamente cambiato. Se aveva voglia di litigare era il benvenuto.
«La verità è che pensi solo più a te stesso ultimamente, non sei più il ragazzo che ho conosciuto sulla Strip.»
«Forse perché io sono maturato, al contrario di te che sei rimasta la solita ragazza infantile di un tempo!» Disse quasi urlando. «A volte penso che non ci saremmo dovuti sposare. Avrei dovuto pensare di più al lavoro!»
«Quindi sono solo un impiccio per te? È questo che pensi adesso?»
«Michelle, per l’ennesima volta, smettila di fare la vittima.» Disse urlando.
«Non sto facendo la vittima!» Mi alzai in piedi e iniziai a camminare su e giù frettolosamente. «Ti sto solo spiegando le mie ragioni!»
«Le tue ragioni? Prima hai detto che ero io quello che pensava solo a se stesso ma tu stai facendo esattamente la stessa cosa. Vuoi obbligarmi a rinunciare a un’occasione importante per far contenta te stessa.»
Aveva maledettamente ragione ma il mio orgoglio non volle dargli ragione. «Anche tu mi stai chiedendo di rinunciare a tutto questo per seguirti!»
«Dio. Michelle, quando fai così penso di capire tuo padre! Aveva ragione a mandarti via.» Mi portai le mani alla bocca, come se avessi assistito ad una tragedia. Questa volta aveva esagerato. Aveva davvero esagerato, gli occhi mi si erano riempiti di lacrime e bruciavano come non mai, mentre il nodo che avevo allo stomaco si era stretto ancora di più, il respiro mi si bloccava all’altezza della gola per poi sbloccarsi in una serie di sonori singhiozzi. Feci una serie di profondi respiri per potermi calmare. Il sangue mi ribolliva nelle vene, lui sapeva cosa avevo passato e non aveva nessun diritto ad usare quella storia contro di me. Aprii la porta di getto, lui era davanti a me, immobile ma quando vide il dolore che stavo malamente nascondendo cambiò espressione. «Non intendevo dire quelle cose.» Disse.
Le lacrime continuavano a scendere, lasciandomi un segno scuro sulle guance. «Vattene Greg. Vattene a Washington se è questo che desideri.»
«Ti prego Michelle» Tentò di dire altro ma lo fermai alzando una mano. «Avresti dovuto pensarci prima di dirmi quelle parole. Non voglio essere d’ostacolo alla tua carriera quindi forse è meglio se ognuno va per la sua strada.» Raccolsi il telefono dal pavimento. «Scusami Greg, non pensavo che le cose stavano in questo modo. Ho bisogno di una boccata d’aria.» Presi le chiavi dell’auto intenta ad uscire ma mi fermai a metà corridoio girandomi a guardarlo ancora una volta: era rimasto fermo davanti alla porta della camera da letto, le spalle leggermente curvate in avanti, la testa che fissava un punto a metà tra la porta e il pavimento, il viso contratto in un’espressione di tristezza e di rammarico e i pugni, stretti fino a farsi venire le nocche bianche, indicavano che dentro di sé si sentiva in colpa. Nonostante tutto ciò che voleva farmi credere, sapevo che era rimasto il ragazzo solare di un tempo. Deglutii per andare via quell’ultimo sprazzo di singhiozzo che avevo in gola poi uscii dalla porta.
Salita in macchina mandai un messaggio a Sara con scritto che avevo bisogno di parlarle e che stavo andando da lei. Poco più tardi lasciai la macchina davanti complesso di case dove abitava. Quando le suonai il campanello non ero propriamente lì, o meglio, il mio corpo sì ma la testa era ancora a casa a litigare con Greg.
Mi aprì quasi subito, aveva addosso il pigiama. «Ehi, posso entrare?» Le chiesi. Mi aprì la porta per farmi entrare ma quando vide le righe rosse sul mio viso sgranò gli occhi. «Ma che è successo?» Chiese preoccupata. A stento trattenni le lacrime, poi Sara mi fece sedere sul divano. Mi portò una tazza di the appena fatto, probabilmente aveva in previsione di andare a dormire di lì a poco. Perfetto, adesso ho rovinato anche la mattinata a Sara, pensai. «Io credevo che Greg ti avesse parlato.» Disse lei quando si sedette accanto a me.
«Oh, abbiamo parlato. Diciamo che abbiamo urlato come facciamo di solito in queste situazioni.» Fissavo il mio riflesso al centro della tazza. «Stavolta però ha esagerato...» Le raccontai tutto quello che mi aveva detto, fino a quando aveva sostenuto che mio padre aveva fatto bene a cacciarmi dalla famiglia. Era rimasta scioccata. «Ti ha detto così?»
«Già. Io... io non voglio perderlo, Sara. E non voglio nemmeno perdere voi e il lavoro.» Dissi bevendo un sorso.
Sara fece lo stesso, poi si fermò un secondo a pensare. «Sai, Michelle, io ci sono già passata con Gil. Noi abbiamo fatto la stessa cosa e non ha funzionato, forse non ha mai funzionato in partenza tra noi due ma per te e Greg è diverso. Voi vi amate sul serio e io sono sicura che le cose potrebbero risolversi molto prima di quanto pensi.»
«Che vuoi dire?» Chiesi sorseggiando altro the.
Lei sorrise. «Conosco Greg fin troppo bene, è sempre stato un po’ l’ultimo del gruppo, i primi anni che veniva con noi sul campo gli facevamo fare le peggio cose e lui ha, come dire, risentito di questa cosa, quindi vede questa situazione come un modo per emergere nella squadra.» Posò la tazza sul tavolo, poi congiunse le mani sulle ginocchia. «Greg non è portato per il lavoro che gli ha proposto Russell, io penso che dovresti dargli la possibilità di andare a Washington per provare sulla sua pelle che quella non è la vita adatta a lui.»
«Tu dici?» Ripensai al Greg che conoscevo: lui era il classico topo di laboratorio, uno di quelli che ama stare con il camice addosso a trafficare tra provette e DNA, e non un nerd da computer. Sara forse aveva ragione, quello non era il lavoro adatto a Greg, dovevo lasciarlo provare. «Forse hai ragione.»  Le dissi ancora. «Però» feci una pausa, sentii di nuovo il nodo allo stomaco. «Non riesco a perdonarlo per ciò che mi ha detto... Mi ha fatto veramente male, oltretutto non mi sarei mai aspettata sentirmelo dire proprio da lui.»
«Lo so e per questo lo andrei a prendere a pugni.» Disse Sara con un sorriso che nascondeva molta cattiveria. «Il mio consiglio è di prendervi una pausa. Lascia che lui vada a Washington ad annoiarsi, ci prenderemo cura noi di te nel frattempo.» Disse sorridendomi. «Ora vai a casa, parlane con lui. Sono sicura che le cose si sistemeranno.»
Le sue parole mi rincuorarono, e ringraziai per aver trovato un’amica come lei.

 

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Capitolo 20
*** Capitolo 20 ***


Capitolo 20
 
 
Abbracciai Sara, stringendola e ringraziandola per essermi stata vicino e mi preparai per andare a casa. Al mio arrivo, notai una mustang del '67 parcheggiata sotto casa mia, l'inconfondibile colore verde salvia mi disse che a casa mia c'era Nick Stokes. Quando entrai vidi i suoi folti capelli neri spuntare da dietro il divano. «Che ci fai qui?» Chiesi, al chè lui si girò facendomi segno di fare silenzio. Mi avvicinai in tempo per vedere Greg collassato sulla poltrona. Nick si alzò, facendomi poi cenno di seguirlo in cucina. «immagino che abbiate litigato un'altra volta eh?» Chiese quasi sottovoce, appoggiando una mano lungo il fianco e tenendosi con l'altra al tavolo. Mi morsi un labbro per il senso di colpa. «Sì, gli ho detto che se voleva andarsene a Washington poteva farlo ma che ci sarebbe andato da solo!» Risposi. «Ma cosa è successo? Nick mi fece vedere lo scontrino che aveva ritirato una ventina di minuti prima. «Era ubriaco! Sono andato a prenderlo in un bar qua vicino, dove andiamo di tanto in tanto quando stacchiamo dal lavoro. Il barman è un mio amico e, quando ha riconosciuto Greg, mi ha chiamato.» Mi passai una mano sulla fronte per poi farmela scorrere lungo la guancia e dietro il collo. «Cosa ti ha detto?» Gli chiesi, sperando che si fosse pentito. Per mia fortuna Nick cominciò a sogghignare. «Ti assicuro che non l'ho mai visto in quella condizione ma ammetto che mi ha fatto parecchio ridere.» Si sedette davanti a me. «Gli ho chiesto cos'era successo e ha cominciato a piagnucolare che tu non lo volevi più e che avrebbe vissuto il resto dei suoi giorni da solo a morire di sensi di colpa per averti detto delle brutte cose su tuo padre.» Quelle affermazioni mi strapparono un sorriso. «Poi gli ho detto che da lui non mi sarei mai aspettato una cosa simile e che doveva assolutamente rimediare a quanto ti aveva detto.» Sorrisi, spostandomi una ciocca di capelli dietro l'orecchio. «Sì, sarebbe una buona idea. Ora come ora sono veramente incazzata.» Nick mi sorrise. «Non ti preoccupare, gli ho fatto una bella strigliata. Poi l'ho riportato a casa, non la smetteva di parlare così l'ho obbligato a stare buono sulla poltrona. Si è addormentato farfugliando qualcosa su una vacanza alle Hawaii.» Già, in tutto quel trambusto mi ero completamente dimenticata di quella proposta. «Abbiamo deciso di prenderci una piccola sosta dal lavoro, l'ultimo periodo è stato devastante.» Mi passai una mano sugli occhi, la stanchezza si stava facendo sentire. «Grazie che sei andato a recuperarlo, non avrei mai pensato che avrebbe reagito così.» Presi i soldi necessari a saldare il conto del locale e glieli passai. «Questi sono tuoi.» «Ti ringrazio ma davvero, non ce n'è bisogno.» «Ti prego, prendili, hai già fatto più del dovuto.» nel frattempo ci eravamo alzati ed avviati verso la porta dell'ingresso. Eravamo rimasti fermi a guardarlo dormire. «A volte penso che non sia più lo stesso Greg di un tempo.» Dissi, stringendomi le braccia. Nick si era avvicinato e mi aveva messo una mano sulla spalla. «Ciò che siamo non cambia mai, ma è chi siamo che è in continuo cambiamento.» Disse atono. Mi girai a guardarlo. «Scommetto che è una frase di Grissom.» Risposi sarcastica. «Ti stupirai sapendo che invece me l'ha detta Sofia mentre assistevamo ad un'autopsia?» «Forse.» Spostai di nuovo lo sguardo su Greg. «In ogni caso... appena si sarà svegliato parlerò con lui, anche se avesse un forte mal di testa.» Nick mi diede qualche pacca sulla spalla. «Non ti preoccupare, se hai bisogno sai dove trovarmi.» «Certo.» gli risposi sorridendo, poi lo accompagnai alla porta. «Grazie Nick, ti devo davvero molto.» «Servono a questo gli amici, ora però vai a dormire anche tu, altrimenti finisce che reggerò meglio io la serata.» Disse ancora, avviandosi lungo il vialetto in mattoni rossi. «Non sia mai, ci vediamo.» Lo salutai con una mano e lui fece altrettanto, poi lo guardai ancora salire in auto e sgommare via. Grazie, pensai. Rientrai in casa diretta verso la camera da letto, quando sentii Greg parlottare: era ancora in uno stato di dormiveglia. «Michelle» mi chiamò. Mi avvicinai in punta di piedi per non svegliarlo. «Cosa c'è?» Chiesi sottovoce con ancora una punta di amarezza nella voce. «Sei tornata...» Disse aprendo un po' gli occhi. «Sei ancora arrabbiata, vero?» Si stropicciò gli occhi. Andai a sedermi sul divano davanti a lui. «Sì, vorrei parlare civilmente con te, ma con il Greg premuroso che ho conosciuto un tempo.» Lui si rialzò a sedere. «Mi dispiace, sono stato veramente un idiota a dirti quelle cose. Vorrei chiederti scusa ma non credo basti.» Sospirai. «Ho tentato di schiarirmi le idee, sono arrivata alla conclusione che se tu andassi via io morirei di solitudine e di paura. Non voglio finire come Sara e Grissom, né come Barbara e Russell.» Greg si passò una mano sul volto, se fosse successo ne avrebbe risentito anche lui. «Però...» Continuai. «Voglio anche che tu ci vada a Washington. È la tua grande occasione quindi sarei felice per te se accettassi la promozione.» Dissi atona, nonostante tutto era stata una decisione molto sofferta e ne stavo ancora risentendo. «Michelle io...» Tentò di alzarsi ma l'alcol che aveva ancora in corpo gli fece perdere l'equilibrio. «Ma come mi sono ridotto?» Disse lui ridendo facendomi scappare un sorriso. Lo aiutai ad alzarsi, ritrovandomelo a pochi centimetri di distanza, l'odore dell'alcol era veramente forte. «Ti amo, bambina.» Disse a un tratto, quelle parole mi fecero ripensare alle prime volte che gliele avevo sentite dire, gli occhi mi si riempirono di lacrime. Sono passati solo tre anni, ma sembrano un'eternità. Quanto sei cambiato, Greg? Mi ritrovai a pensare. Mi strinsi forte a lui, appoggiando la testa sulla sua spalla. Avevo un disperato bisogno di sentirlo vicino a me in quel momento, Greg ricambiò l'abbraccio stringendomi ancora di più. Sentii nuovamente le lacrime scendere lungo la guancia, Greg se ne accorse e mi prese il viso tra le mani. «Ehi, basta piangere, non serve.» Disse con tono mellifluo, asciugandomele. «Andiamo a letto, dai.» Mi prese sottobraccio e, insieme, ci buttammo sul letto. Greg si addormentò di sasso quasi subito, io rimasi a fissarlo ancora per qualche minuto, poi la stanchezza fece il resto: stretta tra le sue braccia, mi addormentai con ancora un mezzo sorriso dipinto sul volto, finalmente la giornata era finita.

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Capitolo 21
*** Epilogo ***


Epilogo
 
Russell partì due mesi dopo per Washington, accompagnato da Greg che aveva deciso di accettare la promozione che gli era stata offerta. Tuttavia, proprio come aveva detto Sara, il lavoro non era adatto ad un tipo come lui. Infatti, aveva dato le dimissioni qualche mese dopo. La tempesta Sanders si era calmata nel momento in cui ci eravamo seduti sulle comode poltrone dell’aereo che ci avrebbe portati alle Hawaii nelle quali, tra cocktail con ombrellini, spiaggia e mare, avevamo finalmente ritrovato noi stessi e la nostra relazione di un tempo. L’avevamo considerata quasi come una seconda luna di miele così avevamo preso entrambi un mese di vacanze arretrate, conquistandoci le ire di Sara, Morgan e Nick che si erano ritrovati sommersi dal lavoro, per fortuna avevano ancora Hodges, alle prese con il suo primo caso ufficiale dopo la promozione ad agente da campo. Ero orgogliosa di lui perché gli avevo fatto da mentore parecchie volte anche durante la fase di studio della parte teorica. Inoltre, la partenza di D.B. aveva permesso il ritorno di Catherine Willows alla scientifica, la quale aveva preso nuovamente e definitivamente il posto vacante di supervisore.
Al nostro ritorno a Las Vegas scoprii che Nick aveva finalmente deciso di chiedere a Melinda, la ragazza che amava, di uscire ed ora erano fidanzati a tutti gli effetti: il padre della ragazza aveva pensato che Nick fosse un teppista a causa della giacca di pelle nera da motociclista che aveva indossato una sera al ristorante, ma poi la cosa si era risolta nel migliore dei modi.
 
Si poteva dire che le cose erano tornate alla normalità, tranne che per una serie di bizzarri omicidi avvenuti nei quartieri alti di Las Vegas. Ma questa è un’altra storia.

 

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