Viaggio nelle terre di Tohlann

di HeywelGalwine
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La partenza ***
Capitolo 2: *** LA PARTENZA parte seconda ***
Capitolo 3: *** IN VIAGGIO ***
Capitolo 4: *** DAME, NOZZE, BANCHETTI E DUELLI parte prima ***
Capitolo 5: *** DAME, NOZZE, BANCHETTI E DUELLI parte seconda ***



Capitolo 1
*** La partenza ***


VIAGGIO NELLE TERRE DI TOHLANN, CAPITOLO PRIMO

Dopo la pubblicazione del mio ultimo manoscritto (dei e leggende) è seguito un periodo di inattivitá di circa un lustro , durante il quale mi sono dedicato ad esplorare questa grande terra che mi ha generato e a ricostruire la sua lunga storia di eroi e leggende. Ebbene la mia penna si presterà ancora una volta a trascrivere i miei pensieri e le mie riflessioni parlandovi di questo mio lungo viaggio.
Ma prima di parlarvi delle montagne di Gwynterald, delle mura ciclopiche di Widran o delle valli profumate e luminose di Fjorlann vi parlerò delle persone, dei colori e dei profumi della Terra Di Vera. Vi parlerò quindi non solo di ciò che è disegnato sulle carte, ma anche di ciò che questa regione lascia nel cuore dei viaggiatori. 
Tohlann è una madre severa, una terra ostile e rigida, ma allo stesso modo è una madre saggia e maestra. Un luogo amaro.
E questo mio nuovo manoscritto è un elogio che intendo farle.



In ogni viaggio la parte più importante è quella che precede la partenza. Ovvero la fase preparatoria, delle ricerche e degli studi. Durante questa fase gli esploratori di rispetto sono soliti preparare tutto il necessario per affrontare ogni situazione, come calzature resistenti, abiti caldi e comodi, armi, vivande e strumentazioni. Possiamo dire che nel mio viaggio questa fase è venuta meno, o meglio, è stata fortemente trascurata. 
Certamente essendo io un amante di popoli e lingue antiche conosco in linea generale la culla di esse, ovvero Tohlann. La mia preparazione però non era e non è tutt'oggi minimamente sufficiente ad intraprendere quell'avventura.
Ad ogni modo partiamo con ordine.
Mi piacerebbe incominciare il mio racconto con una lunga e minuziosa descrizione del giorno in cui tutto ebbe inizio. Tuttavia era una mattina normale di una primavera normale di esattamente mezzo decennio fa. Stavo appunto scrivendo varie bozze per la mia nuova storia e nel farlo elaboravo nella mia testa una trama convincente. Tuttavia nulla mi ispirava quell'irrefrenabile euforia che provo ogni volta che scrivo. 
Devo ammettere che la cosa mi lasciò perplesso. 
continuai ostinatamente per diverse ore, accartocciando le carte e scompigliandomi nervosamente i capelli. 
Non contento, anzi assolutamente contrariato, andai nella mia biblioteca personale , e iniziai a consultare morbosamente tutti i volumi. 
In essi erano riportate le grandi storie di altrettanto grandi eroi, le loro gesta più celebri.
Proprio allora delle domande mi si fissarono nella testa 
"Ma chi erano questi eroi? Quali luoghi fecero da sfondo alle loro grandi gesta?"
In quel momento mi resi conto per la prima volta che nei miei libri citavo e parlavo di luoghi che non avevo mai visto. In effetti non ero mai uscito dalla mia valle. 
Provai un'improvvisa e grande angoscia nel realizzare ciò. Accantonai perciò questi pensieri, e consumando un buon pranzo, subito me ne liberai. Almeno credevo.
Così la giornata passò inquieta fino a che, dopo una frugale cena, mi addormentai, insoddisfatto dell'improduttiva giornata appena trascorsa. 
Quella notte feci un sogno, un sogno davvero magnifico.
Ero sulla cima di un monte così alto che il cielo mi accarezzava il viso e il vento nascente mi sussurrava parole dolci e sibilanti per poi scendere a valle serpeggiando come una viverna tra le fronde di abeti secolari e maestosi. La neve sotto i miei piedi nudi era calda e soffice e di tanto in tanto un fiocco solitario mi si posava sulle guance sciogliendosi immediatamente. 
Davanti a me le nebbie di Gwynterald si stagliavano nel cielo rosato della prima alba.
[Le nebbie di Gwynterald si trovano oltre l'omonima fascia di montagne a sud di Tohlann. Ne parleremo più avanti durante la nostra avventura]. Mi svegliai allora con la dolcezza di quel sogno ancora nel cuore ma al contempo con l'amarezza di essermi destato da un sonno così piacevole. Gwen, la mia giovane fantesca, entrò nella mia stanza da letto con un infuso sopra un piccolo vassoietto di legno, per svegliarmi come faceva ogni mattina. Ma io allora ero perfettamente sveglio, e anzi, turbato. Dissi a Gwen di non preparare la colazione e lesto mi infilai camicia, tunica, calze, brache e stivali e uscii di casa, più irrequieto che mai. Percorsi varie stradine, finchè non arrivai alla piazza porticata dove si teneva il mercato, che a quell'ora era in allestimento. Li avrei trovato l'ispirazione per quest'opera.

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Capitolo 2
*** LA PARTENZA parte seconda ***


La Partenza: Parte Seconda

Dissi a Gwen di non preparare la colazione e lesto mi infilai camicia, tunica, calze, brache e stivali e uscii di casa, più irrequieto che mai. Percorsi varie stradine, finchè non arrivai alla piazza porticata dove si teneva il mercato, che a quell'ora era in allestimento. Fojhloch era molto tranquilla nel primo mattino. Essendo in primavera si sentiva l'odore intenso e inebrianre delle glicini violacee. Dalle case coperte da rampicanti si sentivano le voci dolci delle fanciulle, mentre le dame meno timide e sposate si parlavano da una finestra all'altra attraverso la piazza. Le fantesche mettevano fuori le camicie e la biancheria candidi che diventavano di un bianco lucente sotto la luce del sole. I mercanti preparavano le loro merci mentre i contadini con i loro carretti portavano bestiame vario. Anche le botteghe aprivano. Dalla farmacia si sentiva l'odore di vino speziato, mentre il barbiere sonnecchiava davanti alla sua bottega.
Mi diressi allora verso un vicolo a me noto. In fondo ad esso si trovava una piccola bottega la cui insegna riportava la scritta "carte e mappe".
Entrai. Il piccolo ambiente si presentava polveroso e poco illuminato.
-Buongiorno Baduin- dissi sfoderando un sorriso
-Oh, il signir Heywel, la dea Vera lo porta! Cosa le occorre oggi?-
Rispose il bottegaio Baduin, un signore dal profilo aquilino e tagliente che portava una infula in testa.
-una carta, cos'hai sulle Nebbie?-
Il volto di Baduin, che era increspato in un mezzo sorriso, divenne serio.
-Nessuno chiede nulla sulle Nebbie signore- disse -mi auguro che sia per uno delle sue storie...ad ogni modo...-
E sparì nel retrobottega per poi ricomparire con in mano alcune carte ingiallite e arrotolate.
Ero rimasto piuttosto perplesso dalla sua reazione, ma dopo averlo rassicurato che non sarei partito (decisione che però avrei preso poco più tardi) pagai con una moneta d'argento, emi congedai cordialmente. Passai poi dal barbiere per farmi radere come d'abitudine. Quando ritornai in piazza il mercato era nel vivo dell'attivitá. Passai allora davanti al banco di un amico di vecchia data, Edwyn, che vendeva pelli e armature portate da sud.
-Caro Edwyn, hai della bellissima pelliccia di volpe oggi, profumata e fulgida- gli dissi con un mezzo inchino informale.
-Ma buongiorno signor Heywel, in cerca di storie?-
Fece lui rispondendo con lo stesso inchino.
-Non ora, piuttosto volevo passeggiare, ma vedo che il mercato quest'oggi è piuttosto ghermito, un bel giorno per voi mercanti!-
-Ah! Dovresti vedere la fiera di Locwude, comincierá tra qualche settimana e rimarrá per tutto l'anno si dice. Meraviglie da tutto il mondo ho visto li, che non avevo mai veduto altrove, parola mia-
Allora di nuovo mi congedai rapidamente. Ma stavolta qualche in ingranaggio in me si era sbloccato, e anzi, non smetteva più di girare.
Come preso da una febbre allora cominciai una serie di giri per il mercato che terminai solo il tardo pomeriggio.
Tornai a casa. Martha, la vecchia fantesca, aspettava nella cucina per servire la cena, mentre Gwen tesseva in silenzio davanti al camino. Consumai in silenzio il pasto e andai a dormire.
Passarono alcuni giorni durante il quale nessuno seppe della mia folle decisione.

La primavera era ormai conclusa e i fiori profumati sugli alberi cedevano il posto a frutti carnosi di un rosso vivace. Tuttavia il freddo che caratterizza tutta la terra di Tohlann non era di certo venuto meno, anzi, sembrava essere animato da nuovo vigore, tant'è che aveva fatto una breve nevicata.
Ero in casa che leggevo sulla mia poltrona alcuni manoscritti, quando sentii bussare al portone. Martha andò subito ad aprire.
Scesi le scale per vedere chi era.
-Sono sicura che c'è stato uno sbaglio signore, non sono stata avvisata dell'arrivo di alcun pacco, e tantomeno di un carro stracolmo di merci-
Disse la vecchia fantesca affacciata alla porta.
-Vogliate perdonarmi buonadonna, la bolla riporta il nome del suo padrone, Heywel Galwine-
Rispose il facchino dall'altra parte.
-Nessun errore Martha, ho ordinato io tutto-
Dissi io da dietro.
-Signore, per cortesia, porti tutto dentro e lo sistemi sul tappeto.-
Subito l'uomo ,che stava sopra un grande carro di legno trainato da due cavalli pezzati, scaricò una miriade di pacchi, casse, fagotti, borse e borselli, e con l'aiuto di un secondo uomo nerboruto, portò tutto dentro.
Firmai i documenti e presi dalla scarsella svariate monete d'oro (non sono un amante del pagamento a credito) tanto che la povera Martha per poco non svenne. Una volta che ebbero preso e registrato i soldi i due se ne andarono, e venne il momento di mostrare a Gwen i miei acquisti.
Feci chiamare la ragazza e poco dopo si trovava vicino a me che non la smetttevo di camminare avanti e indietro preso da uno smisurato entusiasmo.
-Bene mia dolcissima fanciulla vediamo cosa abbiamo qui-
Dissi sorridendo alla mia giovane domestica mostrandogli la montagna di pacchi nella stanza.
Essi contenevano guanti e calzari di cuoio, mantelli di pelliccia di lupo, abiti da viaggio e da festa, femminili e maschili, e poi bussole, pugnali, mappe medicinali acqua e cibi quali carne secca, formaggi e pane.
Insomma, ogni cosa utile per un lungo viaggio.
Erano rimasti due fagotti e un pacco avvolto nella carta e chiuso con uno spago. I due fagotti contenevano due spade non molto lunghe, con la guardia finemente cesellata e una pietra rossa nel pomolo, di fattura nordica.
-Che la dea ci aiuti, mio signore! A cosa vi serve tutto questo? Avete per caso intenzione di mente di metter su bottega?-
Sbottò Gwen sconvolta.
Sorrisi bonariamente.
-all'alba di domani, non appena apriranno le porte della cittá, monteremo su un carro e partiremo per La Gola Del Lupo, Martha si occuperá della casa nel frattempo. Naturalmente ti do la possibilitá di rifiutare, mi riferirai domattina la tua decisione-
A martha, per la seconda volta in poco tempo, venne un mancamento.
-ma signore, perchè volete che io venga con voi?-
Protestò Gwen sbalordita.
-lo capirai viaggiando mia cara Gwen-
Risposi, e ritornai a leggere.

Dopo cena tutti i preparativi erano ultimati. Tutto il necessario per la partenza era giá pronto per essere caricato sul carro che ci avrebbe portati Nella Gola Del Lupo.
Stavo sulla mia poltrona davanti al camino e guardavo Gwen indaffarata come sempre nel filare. L'ombra sul suo viso. Lo sguardo fermo, concentrato, ma grazioso e dolce. Le mani delicate che lavoravano con tanta maestria.
Niente in lei lasciava trasparire segni di preoccupazione. Solo più tardi seppi di quanto fosse profondamente turbata.
Poco dopo ci recammo nelle rispettive stanze. Quando mi poggiai sul letto la mia testa era colma di preoccupazioni e dubbi, ma il corpo fremeva per la voglia di partire. Chiusi gli occhi e per un attimo immaginai montagne, praterie, cittá magnifiche e villaggi. Ricordo che quella notte scoppiò un violento temporale e che l'aria era umida e fredda. Il tempo veniva scandito dal rumore della pioggia che batteva contro la finestra di vetro. Sapevo che dovevo addormentarmi ma proprio non riuscivo, e questo, paradossalmenre, mi faceva innervosire tanto da non riuscire a prendere sonno. Preso da questi pensieri mi alzai e presa una candela cominciai a vagare per la casa in cerca di un po' di pace. Mentre scendevo al piano inferiore mi imbattei in Gwen: stava rannicchiata di fronte alla finestra, e guardava le goccioline di pioggia scivolare sui vetri.

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Capitolo 3
*** IN VIAGGIO ***


Gwen: stava rannicchiata di fronte alla finestra, e guardava le goccioline di pioggia scivolare sui vetri.
-Cosa fai qui a quest'ora della notte, dunque?-
La interrogai.
-Mi scusi signore, non riuscivo a dormire-
Disse girandosi di scatto, con il tono di chi si scusa per aver fatto qualcosa di grave.
Alzai la mano come per dirle che non faceva nulla.
-Hai preso una decisione?-
-Se voi volete che io venga, io verrò-
-Puoi decidere-
-Non voglio andare, se la mia presenza non è necessaria. Piuttosto è solo di ostacolo per i vostri fini- 
-La vostra presenza non m'è d'ostacolo! Anzi, è vitale! Ti avrei detto tutto più tardi ma capisco il tuo bisogno di sapere:
In questa terra, soprattutto a nord, nelle grandi corti, non è visto di buon occhio l'uomo adulto che non sia accompagnato da una sposa (è visto piuttosto come un individuo donnaiolo e empio) e sono sicuro che tu ti presterai benissimo a questo compito. Inoltre il tuo aspetto, perdona la sfacciataggine, sará per me un'arma ben più prestante di uno spadone, di un arco e persino della parola e della logica.-
A questo punto d'istinto porsi la guancia e attesi un ceffone, che però non arrivò mai.
-mi state dicendo che mi fingerò vostra moglie? Che dovrò ingannare dei gentiluomini?-
-Gwen, questo viaggio durerá molto, al di lá dell'indubbia utilità del tuo ruolo in questa avventura...ho bisogno di qualcuno di familiare con me-
-Come desidera-.
Concluse chinando la testa.
Seppi solo più tardi che la cosa che conquistò Gwen fu proprio il sentirsi ,per la prima volta, essenziale.
Dopo quel breve dialogo andai a dormire, ma questa volta, come alleggerito da ogni peso, mi addormentai.

All'alba, per la prima volta fui io a svegliare Gwen, e Martha non fu affatto felice della mia visita in una camera dove dormivano due donne.
Velocemente ci attrezzammo per la pattenza e indossammo degli abiti comodi. Senza parlare uscimmo dalla casa ci incamminammo verso le mura della cittá. Fojhloch era desolata.
Quando arrivammo le porte erano appena state aperte e uscendo trovammo un carro ad aspettarci, sul quale era stato caricato tutto ciò che ci occorreva. Avevo deciso che avrei condotto io stesso il mezzo, munito di mappe e soprattutto di senso dell'orientamento. Così salii sul sedile e Gwen si sedette al mio fianco. L'aria era gelata, e Gwen, avvolta nel suo mantello di pelliccia, tremava e batteva i denti. Il cielo appariva grigio e sfumava sul bianco all'orizzonte, fondendosi con il profilo delle montagne a Est. Mi scaldai le mani con il fiato, poi infilai i guanti di pelle. Un fiocco di neve, lentamente, si posò sulla mia guancia. Poi una goccia d'acqua, poi di nuovo un fiocco di neve. In pochi istanti il dio Silferith liberò i suoi dardi argentati e le sue sacre gemme, e dal cielo piovve e nevicò in egual misura. Questo secondo gli antichi culti religiosi dei Ravinh era presagio di terribili sventure.
-È un ottimo giorno per iniziare un'avventura- dissi mentre guardavo con aria sognante il cielo. Controllai un'ultima volta la mappa, poi afferrai le redini dei cavalli e partimmo.

Quando ormai era pieno mattino i monti si acceserò di un bel colore primaverile, che fece spuntare nel volto di Gwen una sorta di sorriso, che però inquadrato nella sua personalità misteriosa e malinconica, appariva in qualche modo triste o meglio...nostalgico. Dopotutto nei sorrisi di Gwen c'era sempre qualcosa di viscerale, doloroso, intimo.
Ad ogni modo, a me che ero tanto diverso da lei, quel profumo di prati brinati suscitò una risata quasi ebete. 
Il sole si era insinuato tra le nubi argentate e sembrava mi invitasse a continuare il mio viaggio. 
Stavamo entrando nella gola del Lupo, e all'orizzonte potevo scorgere, arroccata sulle montagne dalle tinte azzurre, la Rocca della Fonte Eterna, governata dallo Xiorh Gareth Gruffyde.
Decisi che per intrattenere la fanciulla che mi siedeva accanto le avrei raccontato una breve storia.
-Hai mai sentito parlare del signore che tra poco ci ospiterá, Gwen?-
Dissi, e rimasi sorpreso dalla mia stessa voce, dal momento che non la sentivo da molto tempo.
-No mio signore, mi dispiace- 
Rispose allora Gwen quasi imbarazzata.
Allora cominciai:
-Il suo nome è Gareth, figlio di Guffryd, fu uno dei generali più coraggiosi che abbiano mai guidato un esercito di Cavalieri della Luna. I suoi uomini marciarono in questa gola in pieno inverno e sempre tra questi monti difesero la Rocca per infiniti giorni, resistendo ai nemici e al freddo, senza mantelli e senza pane. Quegli uomini, tra i quali vi erano anche ragazzi col volto ancora imberbe, non conobbero altra guerra che quella, in trappola come topi tra montagne, me coraggiosi come fiere contro il nemico. Tra loro si distinsero Urien, xiorh presso Lochlann, Ynyr, ora tenente delle truppe Della Luna stanziate a Summerald, sotto il comando del generale Lorcan, e ovviamente il loro comandante Guffryd, che perse la vita per cancrena, pochi Giorni dopo la fine del conflitto. Tra i cavalieri si dice che l'eco che viene prodotto in questa gola, è la voce dei tanti valorosi che morirono.-
-Alcuni di loro li ho sentiti nominare. A Fojloch molte fanciulle raccontano storie di cavalieri, e spesso si parla proprio di costoro.-
Disse Gwen visibilmente incuriosita.
-Ad ogni modo, non mi avete parlato di Sir Gareth, ma piuttosto del padre-
Scoppiai in una risata.
-Hai ragione, ma lo conoscerai di persona tra poco, e voglio risparmiarti le storie su di lui per il banchetto, non vorrei annoiarti durante la cena.
Toh, siamo praticamente arrivati-
Mentre parlavo eravamo arrivati ai piedi della montagna ,che ospitava la Rocca quasi come un nido cela le uova di un Falco.
Fermai il carro. La fortezza appariva imponente e desolata, come se nessuno vi vivesse più da secoli. Eppure enormi bandiere con i simboli dorati dello Xiorh (l'ascia bipenne e lo scudo) sventolavano seguendo il vento del Nord. Dalle torri di guardia e da dietro le merlature del muro che le univa, spuntarono circa dieci soldati armati di balestra.
Gwen d'istinto chinò il capo e se lo nascose tra le mani, ma a un mio cenno riassunse un atteggiamento calmo e autorevole.
-Sono Heywel, figlio di Galwin, poeta, storico e bardo. Vengo da Fojloch, e sono qui perchè ospitato dallo Xiorh, al quale fu recapitata una mia lettera  alcuni giorni fa.-
Gridai, e le mie parole echeggiarono tra le pareti dei monti, amplificandosi enormemente.
I soldati, ai quali apparivo come un punto lontano, abbassarono le armi, e dopo qualche istante si udì un rumore meccanico e le porte della Rocca si aprirono.
Una manciata di soldati scesero la ripidissima e tortuosa strada fino ad arrivare a noi. Alcuni si misero a scaricare le attrezzature dal carro, altri sbrigliavano i cavalli per condurli alle stalle nel forte, altri ancora ci scortavano nella salita.
percorremmo tutta la stradina, che portava all'ingresso principale che era sormontato da numerose bertesche merlate e decorate. Entrammo poi nelle mura e fummo condotti dentro il mastio.
L'interno della torre maschia, a dispetto dell'esterno austero, appariva ricco e sfarzoso. Il pavimento era coperto da un magnifico tappeto di lana sulle tinte del rosso sangue impreziosito da filo d'oro, mentre tre pareti erano  coperte da arazzi che rappresentavano scene di caccia e guerra. Una quarta parete era invece completamente affrescata e al centro di essa stava un grande camino di pietra, accanto al quale si trovava un'arco che portava ad un corridoio. al centro della stanza un lungo tavolo di quercia, con i bordi completamente cesellati, arrivava fino a una piattaforma rialzata dove si ergevar il trono monolitico sul quale stava seduto Gareth in persona.
Lo Xiorh della Rocca era un uomo enorme, dai lineamenti duri e uno sguardo penetrante.
Questo appena mi vide, ci sorrise bonariamente, e si alzò dal suo trono per riceverci personalmente.
Quando ci fu davanti io e Gwen ci inchinammo, e come d'usanza consegnammo i pugnali che tenevamo assicurati alla cintola, tradizione che nell'etichetta Ravinh simboleggiava gli intenti pacifici degli ospiti. 
-Heywel il bardo, è un onore riceverti nella mia casa-
Tuonò giovialmente.
-L'onore è mio e mio soltanto, Xiorh della Rocca- dissi piegando ancor di più il capo.
Sir Gareth era un signore infinitamente grande di cuore ma più di chiunque altro esigeva un ferreo rispetto nei suoi confronti. 
Questo si rivolse poi a Gwen.
-E tu, donna, qual è il tuo nome e cosa ti porta qui come mia ospite?-
-Gwen Galwine-
Poi si interruppe e ci scambiammo una rapida occhiata.
-moglie del bardo Heywel-

[N.D.A come avete potuto notare i "cognomi" dei personaggi finiscono sempre in -e. Questo perchè nell'antica lingua Ravinh il genitivo singolare della prima declinazione (uguale per femminile e maschile) corrispondeva alla terminazione -e. Quindi tecnicamente anzichè un cognome è da considerarsi una sorta di patronimico: per esempio il nome di Heywel Galwine in italiano sarebbe "Heywel di Galwin" ovvero "Heywel figlio di Galwin".]

Grazie per aver letto anche questo capitolo, nei prossimi inserirò, se volete, anche accenni di lingua e grammatica Ravinh (la lingua di Tohlann). Se avete tempo lasciate una recensione, a presto :) 

ILLUSTRAZIONE DEL FORTE, QUI RIPORTATO COME "MAACH BARN INFEA" (rocca della fonte eterna)- dal diario di Heywel
 

RITRATTO IN LAPIS DI GWEN - dal diario di Heywel


 

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Capitolo 4
*** DAME, NOZZE, BANCHETTI E DUELLI parte prima ***


DAME, NOZZE, BANCHETTI E DUELLI- Parte prima

Gareth ci fece mandare dei servitori, che ci accompagnarono alla nostra stanza. Qui ci servirono vino speziato e una focaccia con il miele. Appena mi fui ristorato un poco mi lavai in una stanza separata, mentre alcune servitrici aiutavano Gwen a togliersi i vestiti, a lavarsi e a indossare un abito color zafferano che le avevo comperato al mercato. 
Anche io mi vestii e indossai un mantello porpora. 
Recatomi nella sala incontrai la Xiorhessa della rocca, Yolda, una signora di almeno 40’anni, alta e snella, con lo sguardo severo. Mi squadrò con una rapida occhiata, poi mi presento il figlioletto Garda, di appena sei anni. Mi raccontò di come fosse preziosa la vita di quel giovane per Gareth, poiché aveva partorito quel solo maschio, e vista l’età non era saggio per lei concepire nuovamente. Infatti lo Xiorh aveva molte figlie, tre delle quali erano rimaste nella corte e ora sedevano alla tavola alta, aspettando che fosse servita la cena.
Gareth chiamò un servo a gran voce: “Iorde, porta qui l’arpa, e tu Bardo” m’interpellò “se ne hai diletto, suona e canta, e allieta la mia corte, te ne prego”. Detto questo il buon servo subito portò un’arpa di salice cesellata e pitturata con motivi floreali orientali.
Allora mi sedetti e presi a sfiorare le corde dell’arpa come fa un fanciulletto sulle rive di un fiume, passando le dita sull’acqua cristallina. Eseguii per puro diletto una serie di ballate classiche senza cantare, e mi guadagnai in breve tempo il silenzio e l’attenzione sia da parte della famiglia dello Xiorh che da parte della servitù. Cominciai con melodie semplici, anche suonate ad una sola mano, ma più il tempo passava più le note si moltiplicavano, i suoni si intrecciavano e creavano figure e immagini, che divertivano e allietavano la corte. Cavalieri, dame, eroi, principesse, prendevano vita e danzavano per mezzo delle mie mani. Suonai con tale disinvoltura che il mio sguardo vagava per la sala piuttosto che rimanere fisso sulle corde, contratto per la tensione. 
La musica e gli accordi si diffondevano nella sala come nebbia all’alba.
Il mio sguardo per un breve istante incontrò gli occhi grigi di Gwen, che era scesa nella sala, e ora mi guardava immobile e incantata. Mi fermai di colpo, senza concludere quell’ultimo accordo. 
Quel grigio argenteo mi riportò per un breve e intenso momento a tanti anni prima. Lo stesso grigio del cielo durante una nevicata invernale, quando la fitta coltre di nubi rifulge della luce del sole dietro di esse.
Non sapendo dar forma ai miei pensieri, lasciai che le mie mani fossero guidate da quella bruciante nostalgia e malinconia che mi affliggeva. Il mio sguardo si fece remoto poi i miei occhi si chiusero, e da quell’arpa di salice scaturì la più potente delle magie, l’incanto della musica.
Un suono triste e struggente si diffuse nella sala, e come in trance, dalla mia bocca uscì un dolce canto che impregnò l’aria di silenzio e magia. Tacquero i bambini, i cuochi, i cani che abbaiavano nei cortili  e persino i venti che battevano contro le vetrate. E per un attimo mi sembrò che Tohlann osservasse un religioso silenzio nel rispetto di ciò che io cantavo: la Battaglia Della Gola.
Il gelo di quel cielo d’inverno era stato rievocato dagli occhi grandi e luminosi di Gwen, come avesse scagliato su di me un incanto proibito. ll gelo…il cielo…le spade…le armature. Il mondo in quei giorni, quando fui soldato, appariva grigio e spento. Il sangue che sgorgava da ogni armigero colpito da una freccia, da un sasso scagliato da lontano, da un fendente, era l’unico macabro guizzo di colore su quell’intonaco gelido.
Ormai la mano non mi apparteneva più e l’arpa era dominata anch’essa da un sortilegio, e la mia voce si faceva più cupa, più dolce, più remota.
Mi fermai improvvisamente: avevo lasciato che la mia mente esplorasse territori sepolti della mia memoria. E alzando lo sguardo mi accorsi che avevo smosso gli stessi ricordi nel cuore dello Xiorh: i suoi occhi brillavano come i miei, brillavano della stessa luce pietosa.
Ripresi l'arpa e stavolta intonai una canzone più allegra, e gli animi di Tutti si fecero più leggeri. Era un brano che cantavano i bardi a Fojloch durante l'assedio alla gola del Lupo, e celebrava le gesta del grande guerriero Gareth, il gigante della Rocca. Raccontava un episodio in particolare: quando lui e i suoi uomini, barricati da giorni, morivano di fame, davanti al re passò un lupo enorme e minaccioso. Con il suo braccio possente subito afferrò la bestia e la sbattè a terra sollevando l'ascia in aria. Poi preso da meraviglia alla vista di un così magnifico animale posò l'ascia e dopo aver liberato dalla presa la bestia che si dimenava e grignava, la fece fuggire. Giorni dopo alcuni nemici stavano per avere il sopravvento sugli uomini di Gareth, quando dalla foresta spuntarono 17 lupi che attaccarono con ferocia i nemici offrendo alle truppe dello Xiorh la possibilitá di respingere gli avversari. E si dice che molti intravidero tra quelle bestie il lupo che Gareth aveva liberato.
Ovviamente quella storia era intrisa di leggenda ma il re ne rise e se ne compiacque. 
-bene Bardo, la cena sta per essere servita, siediti dunque e lascia che sia il bardo di corte ad allietarci durante il banchetto- disse allora lo Xiorh, così presi il mio posto accanto al re e la cena poco dopo fu servita. Gwen raggiunse la cerchia di Yolda in un altra stanza, mentre al tavolo degli uomini fu servita carne di cervo arrostita, focacce d'avena, miele, vino e birra. Accanto a me si sedette Fynnian Thumne, uno dei tenenti di Gareth, e capo della cavalleria. Era un uomo stempiato con lunghi capelli grassi. Mi guardò a lungo e mi sorrise a mezza bocca, evidenziando una paralisi parziale per metá del viso. 
-Heywel...io mi ricordo di te- disse a bassa voce.
-Sei stato soldato presso la mia stessa coorte, quando Thumn, mio padre, era il capitano della cavalleria di Sir Guffryd-
-Lo ricordo- dissi io, e alzai il boccale come per brindare alla memoria di Thumn, per poi bere un sorso di birra. 
-Sai cosa sta succedendo?-
Disse poi Fynnian in tono sconsolato.
Altrettanto mestamente anuii.
-Le orde del sud spingono a Lochlann, gli Waxh premono a nord est sulle coste, e non mancano i conflitti interni tra i Nord e i Sud-
Aggiunse lui.
Sospirai.
-Tohlann è e sará sempre una terra in guerra. Questa regione è stata forgiata nella fiamma del conflitto e la sua storia sarà sempre costellata da lotte e dissidi politici. Quest'odio irrazionale tra popoli del sud e del nord poi, mi è impossibile da comprendere. È vero che noi della fascia a sud di Tohlann discendiamo da tribù delle Orde Tamaath, che si insediarono qui in seguito al trattato di Lochlann nel 657 della seconda Era, ma ,ora che sono passati 200 anni, dal loro arrivo siamo a tutti gli effetti parte del Popolo di Tohlann.-
Fynnian annuì scuotendo il capo.
-si definiscono di sangue puro, ma i veri Ravinh erano guerrieri nati e avrebbero saputo tenerci testa, mentre questi Nord sono solo ricordi sbiaditi dei loro grandi antenati.- intervenne in tono polemico Gareth.
-Dei nostri antenati- puntualizzai io.
-Per quel che mi riguarda molti miei parenti erano Nord, e mia madre stessa fu un'abitante dei fiordi, bella e Fulva come loro-
Gareth mi squadrò con disprezzo.
Ma dovette ammettere che probabilmente chiunque nella sala era di sangue misto dopo 200 anni di miscuglio tra popoli. 
-Un esempio noto che avvalora la mia tesi- dissi- è senza dubbio quello di Tharyell, il leggendario cavaliere di Lochlann che sposando la Nord Gwennon assicurò grande pace alla regione per anni, e suo figlio Bredri fu il primo grande Re di tutta Tohlann, il progenitore dell'attuale Re dei Re Medorio-.
Gareth infilzò un pezzo di carne con un coltello -Medorio è un incapace, dico io!- concluse.
Le cena non durò molto e quando fu conclusa ognuno ritornò ai suoi compiti e io andai nella mia stanza. Incontrai Gwen. Aveva l'aria stanca e sembrava non avesse mangiato molto. Mi disse che aveva solo mordicchiato pane imbevuto nel latte poichè in soggezione di fronte alla raffinatezza e all'austeritá di Yolda. Sorrisi al pensiero di lei che come un timido 
passerotto si nascondeva alla vista di una grande aquila impettita.
Entrai con lei nella camera. Quella sera pareva non fare particolarmente freddo e il caminetto era spento. 
-Tu riposa, ti vedo stanca. Io aspetterò che tu ti addormenti passeggiando. Poi mi addormenterò su una seggiola per non arrecarti alcun fastidio-
Gwen protestò dicendo che non era così pudica da non permettere che un uomo in camicia dormisse accanto a lei, io sorrisi e la invitai a coricarsi senza protestare. Lei ubbidì e un po' imbronciata si tolse il soprabito senza vergogna e si infilò nel letto vestita solo della camicia candida.
La cosa mi suscitò ilarità: solo un giorno passato come la moglie di un borghese le era bastato per farle assumere un atteggiamento da fanciulla facoltosa. La cosa non mi dispiacque, era solo uno ragazzina di 15'anni, poteva comportarsi come voleva.
Vagai un poco all'interno della zona fortificata del castello ammiramdo dalle piccole feritoie strombate il paesaggio montuoso avvolto nella notte. Dalla foresta più a valle si sentiva un branco di lupi ululare, e le stelle brillavano incerte nel cielo nuvoloso.
Alcuni scudieri dissellavano i cavalli e cambiavano la paglia mentre le guardie, avvolte nei mantelli rossi, accendevano i fuochi sopra le torri.
Mi sedetti a terra con la schiena premuta contro le solide pietre del mastio. Mi coprii gli occhi con il berretto e, sognando un cielo pieno di stelle, mi addormentai di un sonno profondo.

La mattina seguente mi svegliai presto, e dopo essermi sgranchito rientrai nella torre. Non avevo pensato che mi sarei addormentato in una posizione tanto scomoda, e la schiena mi doleva terribilmemte. 
Sul grande tavolo della sala era stata servita zuppa d'avena calda, e focacce con miele. Mangiai qualcosa, poi presi una ciotola piena e la portai a Gwen. 
La ragazza, che si era appena svegliata, mangiò di buon appetito, seduta sul bordo del letto. 
Le dissi di vestirsi e mi recai nuovamente nella sala. Alla tavola alta ora sedeva Gareth, che beveva dell'hypocras appena fatto.
-Buongiorno Heywel- disse seccamente.
Feci un profondo inchino.
-Ho una richiesta da farti:
Mia figlia Celbion è stata data in moglie allo xiorh Kain di Marghad.
La sua corte e rinomata per ospitare alcuni tra i più illustri intellettuali e artisti dei nostri tempi, e vorrei che tu suonassi le tue splendide melodie al matrimonio. Ti dono la mia arpa. I tuoi bagagli saranno portati con il dono di nozze e la dote, e una volta che il rito sará celebrato farò in modo che ti venga dato un adeguato compenso e ti farò scortare personalmente in qualunque zona di Tohlann desideri. Il matrimonio è fra 5 giorni e ovviamente la tua giovane sposa ti seguirá.-
Rimasi spiazzato nel sentire quelle parole. Poi analizzai velocemente la situazione: dovevo ripartire per il mio viaggio, tuttavia andando alla corte di Marghad avrei avuto la possibilitá di esplorare la Cittá del Guado delle Acque (Marh=acqua, Ghad=passo). Inoltre Gareth si offriva di scortarmi ovunque e non avrei quindi faticato a ritornare nel sud.
-Accetto volentieri- dissi. E mi congedai.

Spero abbiate gradito il nuovo capitolo, lasciate una recensione e se vi è piaciuto continuate a seguire la storia, al prossimo capitolo!

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Capitolo 5
*** DAME, NOZZE, BANCHETTI E DUELLI parte seconda ***



I giorni seguenti passarono rapidamente. La mattina presto lasciavo Gwen sola nel letto e uscivo dalle mura per cogliere le mele profumate e succose che crescevano in un piccolo frutteto. Durante il pomeriggio fino a sera suonavo l'arpa per la corte menre all'imbrunire giravo per la Rocca, scrivevo sul mio taccuino e esaminavo attentamente le carte.
Persi spesso di vista Gwen. La vedevo solo di rado, ed era sempre accompagnata da Fynnian. Questo la portava a cavallo e la riempiva di doni: fiori colti in alta montagna, anellini d'oro e pietre colorate di Lochlann. 
Il capitano la guardava sempre e insistentemente, con occhi desiderosi di compiacere la fanciulla.
La cosa di certo non mi piaceva: Fynnian aveva almeno 40'anni, e Gwen era solo una ragazzina che non conosceva il mondo e tantomeno gli uomini.
Ma non potevo dirle cosa fare dal momento che aveva l'età per prendere le sue decisioni. Tuttavia mi assicurai che passasse ogni notte nella stanza che ci era stata assegnata. Non mi fidavo di quell'uomo e il mio compito da gentiluomo e suo tutore era quello di vegliare su di lei finché non fosse diventata una donna a tutti gli effetti. 
Uno di quei giorni le avevo detto "Gwen, guardati da quell'uomo, che è tanto più vecchio di te. Tuttavia fai ciò che vuoi fuorché disonorarmi poiché per la corte tu sei mia moglie".
Lei mi aveva rivolto uno sguardo disgustato e offeso e aveva risposto che non si sognava di sposare un uomo di 30'anni più vecchio se non costretta, e che Fynnian era solo un amico e un gentiluomo che vezzeggiava una dama per cortesia.
Ad ogni modo arrivò il giorno della partenza per Marghad.
Partimmo con una lunga carovana di carri, che trasportavano i nostri bagagli, la dote, che consisteva in monete d'oro, il dono di nozze e il corredo. La fila di mezzi era scortata da uno stuolo di cavalieri, tra i quali spiccava Fynnian, che cavalcava un grosso stallone bianco di nome Bagwine, domato per esserere portato in dono al re Kein do Marghad
La prinicipessa Celbion,  si spostava in lettiga mentre a me e a Gwen erano stati offerti due cavalli. Per arrivare sino al punto dove la gola del lupo diventava una pianura verdeggiante impiegammo dall'alba alla notte. Dovemmo piantare le tende per trascorrere le ore buie.

-Gwen, hai fame?- dissi porogendo alla fanciulla un pezzo di formaggio stagionato.
Lei scosse distrattamente la testa
Era una bella notte piena di stelle.
-Vedi, mia fanciulla, la costellazione del Dio Cervo, il Gwython?-
Dissi rivolgendomi a Gwen.
La ragazza seguì il mio braccio e guardò dove puntavo il dito.
-Non mi sembra...oh aspettate...si la vedo!-.
-Li sotto a destra c'è la costellazione del Re, la cui "corona" è rappresentara dalla stella Ygerna, la stella più luminosa del firmamento-
Spiegai.
Gwen guardò il cielo a lungo con aria sognante.
-Questa terra sembra così grande fuori le mura della cittá. Fa così paura l'immensitá di questo cielo!-
Disse chiudendo gli occhi con un'espressione sofferente.
Cercò la mia mano con la sua, e la strinse. 
-Cosa facciamo qui fuori, lontani da casa?-
Mi interrogò poi continuando a guardare il cielo. Per un momento tornai agli anni dell'infanzia di Gwen. All'epoca avevo 23'anni e quella bambina graziosa e silenziosa mi venne affidata da un padre che non poteva permettersi di mantenere la figlia più piccola. Lei aveva 7 anni.
La accolsi subito come sorella, e come allieva: le insegnai a leggere e a scrivere. Nel lunghi pomeriggi invernali, Martha le insegnava come prendersi cura della casa, e io all'imbrunire le facevo leggere testi in Ravinh e le insegnavo la geografia. Spesso in quel periodo le portavo dei piccoli doni e di tanto in tanto le offrivo una leggera carezza sulla guancia pallida. 
Così allungai la mano e le sfiorai il viso delicatamente.
Lei si ritrasse e arrossendo si strinse nel mantello.
-Sono stanca, se permettete vado a coricarmi-
Disse freddamente allontanandosi. 
Io rimasi lì sotto la volta stellata, Confuso, e piccolo.
Un naufrago che annaspa in un mare di stelle.
Passeggiai muovendomi alla cieca nella prateria buia, sicuro di muovermi in un terreno pianpo e regolare.
Scorsi una grande sagoma scura, che nella notte mi apparve come un  gigante silente e sottile.
Mi avvicinai a tentoni con un senso di angoscia crescente.
Quando fui vicino alla sagoma allungai la mano e mi sentii rassicurato quando tastai un'antica pietra ruvida coperta di muschio. Continuai a tastare pietra per pietra camminando lungo il perimetro della costruzione fino a quando la mia mano non incontrò più alcuna parete. Varcai quella che sembrava una porta , scostai le rampicanti e all'improvviso, nel buio, colsi un barlume di luce.
Una piccola fiammella bianca ardeva al centro di un focolare di pietra cesellato. L'interno del piccolo edificio era illuminato solo dalla luce delle stelle e della luna che filtrava attraverso le parti mancanti del soffitto a crociera. 
Rimasi affascinato e meravigliato, e nacque in me un'insoddisfabile curiosità. Cautamente mi inginocchiai e passai la mano sui bordi del focolare pulendolo dalla polvere. La fiammella guizzò improvvisamente, sobbalzai e caddi all'indietro, mentre la timida scintilla esplodeva in una grande fiamma di un bianco intenso, contornata da un'aurea celeste incandescente. Intorno al focolare il pavimento era completamente ghiacciato. 
Sbalordito fissai la luce eterea del fuoco e noncurante del pericolo mi avvicinai nuovamente: non sentivo alcun calore anzi dal focolare proveniva un gelo pungente, tanto che il mio respiro affannoso produceva una spessa condensa. Ora sul focolare potevo scorgere chiaramente dei simboli e delle scritte in antico ravinh. Presi il taccuino e le annotai rapidamente.
L'incisione recitava:


Che tradotto nei nostri caratteri sarebbe "Cash Seth Hoolhud Shrinhud Toe Wirneh", ovvero "Qui si trova il sacro tempio del dio Wirneh", il dio dell'Inverno, la Grande Volpe bianca. Ammirai a lungo quell'incredibile manufatto nato dalla magia druidica e dalla lavorazione della pietra poi rivolsi una rapida preghiera al dio. Esplorai ancora la struttura, e trovai sul retro un piccolo locale diroccato nel quale
Il tempo pareva essersi fermato: l'arredamento era costituito da circa 8 letti e altrettante cassapanche di legno annerito dagli anni. Le finestre presentavano delle imposte marce e senza decorazioni e su un rozzo tavolino c'erano una forma di pane e dei boccali che dovevano aver contenuto birra, o sidro. Tutto lasciava presupporre che si trattasse di un'abitazione di monaci custodi del tempio che, durante qualche incursione, avevano abbandonato la casa senza poter completare il frugale pasto.
Potevo immaginare quegli uomini segnati dagli anni e dal lavoro, da una vita dedicata alla preghiera e alla difesa del tempio. Una vita passata tra gesti semplici e quotidiani e...battaglie cruente. Gli appartenenti all'ordine dei Monaci Custodi non erano affatto uomini deboli e estranei al mestiere delle armi. Erano infatti guerrieri austeri e fieri, addestrati a difendere i tempi da piccoli assemblamenti di invasori delle Tribù: probabilmente avevano lasciato la struttura non in un impeto di fuga, ma per combattere, e probabilmente erano morti nel farlo. Annotai altri dettagli rilevanti, esaminai qualche rotolo che conteneva preghiere e spartiti e lasciai l'abitazione per poi uscire dal complesso templare grazie all'illuminazione della fiamma bianca. 

La mattina seguente smontammo le tende e riprendemmo la Strada dell'Oro.
Questa lunga arteria che si dirama nel sud-est di Tohlann deve il suo nome all'ingente quantitá di minerali di Lochlann che venivano trasportati in tutta la regione grazie a queste vie. 
Dopo qualche ora Raggiungemmo il passo D'Inverno, che era l'unica breccia nella massiccia barriera montuosa che univa la regione civilizzata di Tohlann ai Boschi Selvaggi dove vivevano le tribù Waxh.
Alla nostra sinistra una sconfinata prateria erbosa si estendeva fino alle rive del fiume Lwyn, mentre alla nostra destra i giganti di roccia torreggiavano austeri su di noi.
Le montagne calcaree della catena orientale di Gwynterald erano sovrastate da formazioni sottili e senza vegetazione, bianchissime, che riflettevano la luce del mattino.
Gwen cavalcò accanto a Fynnian per gran parte del viaggio, mentre io stetti in silenzio ad ammirare i paesaggi come un fanciulletto davanti a uno stuolo di soldati dalle armature scintillanti. Fui ancora più felice quando vidi dei verdi pascoli, puntellati da soffici sbuffi di bianco, che erano le pecore dalla lana più calda e sofficie della regione, allevate solo qui da secoli.
Ci dirigemmo verso ovest per attraversare il Guado dell'Acque passando vicino a innumerevoli fattorie e piccoli villaggi di pastori. 
Ogni tanto questi si avvicinavano curiosi alla vista del vessillo della Rocca che un cavaliere di nome Gylfur teneva alta su una lunga asta: molti avevano saputo del matrimonio di Kein avvertiti dagli altri pastori che andavano al pascolo da Marghad, che avevano visto il castello decorato a festa e molti padiglioni colorati in allestimento.
Le montagne si allontanarono e il candore della roccia viva sfumò verso i toni del rosa e del rosso, e divenne sera. 
Passammo il ponte di pietra che collegava la prateria al castello isolano del re Kein e ci trovammo di fronte a una moltidutine di padiglioni colorati appollaiati sulle pendici della collina sulla quale torreggiava la fortezza, che appariva ancora più imponente sovrastata dalla luce del tramonto. 
Galloppai adagio destreggiandomi tra la folla sulla collina: i soldati cuocevano qualcosa con fuocherelli improvvisati, i dignitari venuti da tutta l'isola e le rispettive consorti passeggiavano discorrendo, alcuni operai montavano un'arena di legno in uno spiazzo sulla sponda del fiume...
Gylfur mi affiancò a cavallo.
-Sir Heywel, pianteremo il nostro padiglione lì- disse indicando una piccola macchia erbosa libera a ridosso delle mura.
-Prego mi segua-
-Non dobbiamo presentare la sposa al Signore?- protestai io perplesso.
Gylfur alzò le spalle.
-La Signora si è espressa chiaramente, non è buon costume, secondo lei, presentarsi con gli abiti del viaggio e al tramonto, quando le nozze si celebreranno domani prima di pranzo-
Alzai le spalle a mia volta e seguii il cavaliere. I carri furono condotti dentro atteaverso una strada sgombera sul retro del castello, e tutta la compagnia consegnò i cavalli agli scudieri mentre i soldati della scorta procedevano a montare la tenda.
Il padiglione di canapa rossa e gialla fu eretto velocemente dopo aver assemblato una struttura in legno, poi quando furono fissate le funi di canapa cerata e picchetti nel terreno, vennero portate dentro delle stoffe e dei materassi per passare la notte.
Il ciambellano del re ci fece portare alcune vivande come gesto di favore per la futura consorte di Kein.
Mangiai con modesto appetito senza mai prendere parola, e ripensai ai giorni appena trascorsi: questo viaggio era appena cominciato, eppure mi sentivo pieno di vita, di giovinezza e di sogni.
Fantasticai immaginando tutti i luoghi che avrei potuto conoscere durante la mia avventura, e vi anticipo, cari lettori, che neppure nelle mie più remote fantasie presero mai forma meraviglie come quelle che io vidi con i miei occhi terreni.
Ma ci arriveremo piú avanti...
Tuttavia quando ancora avevo gli occhi pieni di sogni incontrai lo sguardo del capitano, e vidi la sua mano sulla gonna di Gwen...piegai la testa da un lato come un animale che guarda una preda e Fynnian ritrasse lentamente il braccio come per dimostrare che non lo stava facendo perché aveva paura di me.
"Suono l'arpa, ma alla cintura porto una spada proprio come te, e per Blodwyn se la so usare!" Pensai in un impeto d'ira e i miei occhi divennero due fessure. Fynnian tenne lo sguardo ma poi cedette e dissimulò la sconfitta girandosi a conversare con Gylfur. Bevvi un sorso di vino senza celare un sorriso orgoglioso.
Celbion stava in piedi davanti all'entrata della tenda, e con la mano pallida teneva un lembo di stoffa per guardare fuori.
Fui preso da un senso di amarezza, così mi alzai e mi avvicinai a lei.
La fanciulla mi vide solo 
dopo un po', e sussultò un poco trovandosi dietro un uomo che non conosceva molto.
Feci un inchino portandomi il berretto al petto. I capelli sciolti mi ricaddero davanti gli occhi. Con un piccolo gesto li riportai all'ordine e sorrisi.
Celbion mi squadrò e alzò gli occhi per guardarmi in viso, dal momento che ero più alto di lei. 
I suoi capelli corvini e lisci, legati in una treccia, e il suo corpo formoso denotavano la sua discendenza, seppur parziale, da una famiglia dell'est mentre io, sottile e non molto alto, con i capelli bruni, rappresentavo il perfetto archetipo di uomo del sud.
-Signora, si sente bene?- domandai progendole un calice di vino che avevo riempito apposta.
-Sto bene-
Disse seccamente e con un gesto nobile prese il calice. Ma il suo sguardò angosciato tradì la sua sicurezza.
Quando notò che la stavo guardando negli occhi il viso le se increspó in una sorta di sorriso patetico.
-Sei spaventata Signora?- 
Non mi resi subito conto di essere stato diretto e troppo confidenziale, passando al tu.
Celbion mi guardò sdegnata e gli occhi le si gonfiarono di lacrime.
-Come ti permetti bardo!-
Le sue parole suonavano imperiose eppure era appena un sussurro strozzato.
Non mi scomposi e abbozzai un sorriso. 
-Signora sono stanco di essere chiamato bardo dalla tua corte, sono un veterano e un uomo di cultura, non un druido-
Dissi sempre sorridendo, ma non nascondendo una nota di sdegno a mia volta.
-Non intendevo offenderti assolutamente, e chiedo venia, e anzi, le propongo di accompagnarla a prendere aria, perché la vedo angosciata e sofferente-
Aggiunsi con una voce gentile.
Avevo davvero voglia di passeggiare al chiaro di Luna. 
Celbion parve fingere indecisione ma vidi nei suoi occhi che non era in collera e che aveva accettato appena avevo pronunciato la proposta.
Dissi ai cavalieri della scorta, che mi guardavano giá con sospetto, che la principessa desiderava prendere aria e che aveva accettato di farsi accompagnare fuori e uscimmo. Inaspettatamente la notte era priva di stelle. Mi allontanai dai padiglioni e portai Celbion verso il fiume, dove il terreno era sgombero.
-Cosa ti tormenta, mia Signora?-
La interrogai dolcemente.
La fanciulla non rispose e guardò con aria sconsolata verso l'acqua sulla quale lingueggiavano i riflessi delle torcie. 
-Posso immaginarlo- dissi rassegnandomi.
-Non posso e non voglio darti lezioni di vita mia signora, perché come dicevano gli antichi "i maestri di vita sono coloro che ignorano maggiormente, perché i veri sapienti tacciono quando non sanno".
Tuttavia posso indirizzarti verso una prospettiva più piacevole.
Si dice che Kein sia bello, e virtuoso.
È un abile condottiero e combattente, e si dice sia un uomo gentile e piacevole come pochi-
Aggiunsi.
Celbion annuì silenziosamente.
Una lacrima furtiva le scese lungo la guancia bianca e io finsi di non notarlo.
L'acqua del fiume si increspò leggermente poi molti anelli concentrici si formarono sulla superficie illuminata dalle torcie, e cominciò a piovere.
L'acqua scese con incredibile violenza e io e Celbion fummo costretti a ripararci sotto una tettoia dove veniva raccolta la legna da ardere.
-Appena spiove un poco la accompagnerò al padiglione-
la rassicurai.
La ragazza tremò fregandosi le spalle con le mani, così sfilai la fibula d'argento che avevo sulla spalla e misi il mantello cremisi sulle spalle di Celbion.
-Fuori e fradicio, ma dentro è asciutto e caldo...hai i capelli e la tunica bagnati, così non prenderai un malanno-
La ragazza vi si strinse ringraziandomi sottovoce, e di nuovo una lacrima le rigò il viso.
-non voglio passare il resto della vita con un uomo che non ho scelto, e vivere come la sua schiava, secondo la legge di queste terre-
Disse ed eruppe in un pianto sommesso.
Si giró verso me, nell'oscuritá non potevo vedere altro se non il bagliore dei suoi occhi.
-Questo lo voglio scegliere, Heywel-
Si alzò in punta di piedi e mi baciò.

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