This is my despair

di Kore Flavia
(/viewuser.php?uid=619920)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sentirsi inutile ***
Capitolo 2: *** Vita ***



Capitolo 1
*** Sentirsi inutile ***


Note d'autore: E battezziamo anche questo fandom, tanto non ho nulla da fare se non lasciare aborti in giro per i fandom, no?
No Beta perché sono scema.
Spero che i personaggi non siano OOC, non si sa mai, in caso fatemi sapere.
Piccole spiegazioni random:
Il titolo deriva da una delle taaaante soundtrack di PMMM (Sì sono andata in fissa con le soundtrack, non è colpa mia, sono scema, ciao)
Per ogni capitolo ci sarà un "This is my despair" caratterizzante il personaggio protagonista del capitolo.(O che, almeno per me, caratterizzi il personaggio)
Vi dò un anticipo di ogni "despair":
Madoka=Sentirsi inutile
Mami=Horror Vacui (studio del medioevo, sei tu?)
Homura=Tempus Fugit
Kyoko=Autofobia (Paura di rimanere soli)
Sayaka=Fragilità
Il punto di vista di questa one shot non è mio (Secondo me Madoka non è inutile, ma vb, se lo dice lei crediamoci), ma è della protagonista del capitolo. Non odio Madoka e men che meno le altre magical girls. 
Metto in chiaro perché sia mai che qualcuno mi venga a dire "Eh, ma se odi un personaggio non scriverci". Non lo odio, semmai lo adoro, per questo lo tratto di cacca. As usual.
Vi lascio alla lettura che poi rischio di annoiarvi troppo con lei mie pippe mentali.
Buona lettura!
(Recensite, leggete, fate un po' quel che vi pare)
Kore



 

This is my despair: 
-Sentirsi inutile-


Madoka non era sola, no, aveva Sayaka e Hitomi. Non era certo sola.
Madoka non era inadeguata. Era una ragazzina normale con una vita normale e degli amici normali.
Madoka non era ignorata: le persone attorno a lei l’ascoltavano volentieri, ridevano delle sue battute –quelle poche che faceva- e piangevano davanti ai film assieme a lei.
Madoka non era neanche infelice. Per essere infelice doveva venir meno anche la serenità e la beatitudine della vita e a lei non mancava nessuna delle due. Lei, perciò, non si poteva dire infelice.
Madoka era inutile. Ogni giorno si alzava da quel letto troppo ampio per la sua corporatura minuta, si lavava i denti davanti al suo riflesso mediocre e scambiava qualche chiacchiera con sua madre. Sua madre era utile: forte e determinata le dava continuamente consigli per aiutarla nella sua squallida vita.
La sua esistenza non comportava alcun cambiamento trascendentale per ciò che la circondava. Sayaka sarebbe sempre stata la stessa schietta e felice ragazza, la stessa ragazza innamorata di sempre. Hitomi sarebbe rimasta silenziosa ed introversa, ma anche determinata e fiduciosa. Senza di lei non sarebbe cambiato nulla: le vite sarebbero trascorse con la stessa lentezza e ripetitività di sempre. Era giunta alla conclusione più ovvia: lei non era infelice, lei era inutile.
Non era il tassello mancante di alcun gioco, non era un’esistenza valida. Era un’ameba di un mondo di giganti, era l’ombra dei passanti, era il nulla.
Madoka non ci aveva messo molto a capirlo, per quanto superflua potesse essere non era stupida, ma la consapevolezza del suo stato d’ameba l’aveva colpita come un pugno. L’aveva gettata nell’apatia e impaccio più totale. Si sentiva in impaccio ed era un impaccio per gli altri: la sua esistenza era divenuta quasi paradossale.
Ci aveva anche pensato: tanto valeva morire, non sarebbe interessato a nessuno e forse era proprio per questo che era ancora in vita. Ancora tra i piedi della gente e i combattimenti tra maghe. Non voleva privare il mondo della propria esistenza empia, voleva gridare “guardatemi, sono qui e non riesco a fare nulla, abbracciatemi perché non voglio privarvi della mia presenza”. Poi era morta Mami. Era morta proprio quando, finalmente, si era sentita pronta a dare un senso alla propria vita. Era morta e Madoka era rimasta paralizzata dalla paura. Il tempo sembrava essersi fermato e sembrava sfuggirle tra le dita trasportato dal vento.
Un secondo paradosso nella sua vita: il tempo le sfuggiva dalle mani e lei sfuggiva da esso.
Mami era morta senza che lei potesse far nulla e, nuovamente, era stata inutile. Che cosa aveva cambiato la sua presenza nella vita di Mami? Nulla. La maga sarebbe morta anche in sua assenza. A Madoka avrebbe quasi tranquillizzato l’idea che l’amica fosse morta a causa sua, ma ciò era impossibile: essere fautrice di una morte doveva essre terribile e, infine, ciò l’avrebbe resa utile. Quest’ultima verità era ovviamente l’unica che l’impediva di sentirsi in colpa: se era superflua non poteva aver –seppur indirettamente- ucciso qualcuno.
Era anche per questo che sentire Kyubey ricoprirla di lodi l’aveva intimorita ed esaltata. Fosse stata una maga sarebbe stata potentissima, avrebbe potuto spazzare via eserciti interi di streghe e essere utile. Utile. Una parola così succulenta e spaventosa agli occhi di Madoka. Essere utile significava avere responsabilità, essere utile significava cambiare il corso della storia, essere utile significava non ricoprir più un ruolo da comparsa nella vita di qualcun altro, ma essere la protagonista della propria, di vita.
Madoka non voleva tutto ciò. Era stata viziata nella sua empietà, nulla di ciò che aveva sempre fatto aveva avuto ripercussioni nel futuro e, invece, tutto ciò che avrebbe fatto d’ora in poi avrebbe potuto ribaltare la storia dell’intera umanità. Davanti a quella scelta decise di rannicchiarsi nel proprio giaciglio di noia e vanità, osservando le altre ragazze uccidersi a vicenda a pochi metri da sé. Osservava Sayaka combattere contro la depressione e non faceva nulla. Guardava Kyoko crogiolarsi nella propria solitudine e distoglieva lo sguardo. Vedeva Homura parlarle, supplicarla di non accettare di divenire una maga.
L’unica cosa in cui aveva cambiato il corso degli eventi era quando aveva quasi ucciso la sua migliore amica e, nella prospettiva della validità tanto agognata, non era un gran traguardo. Per la prima volta, però, era stata in parte lei la causa del collasso emotivo di una persona. Rabbrividì al pensiero. Se questo era avere un ruolo nel mondo allora lei lo rifiutava più che volentieri.
Preferiva essere una buona a nulla, se l’altra possibilità era essere un’assassina.
Alla fine, però, la tentazione dovuta alla responsabilità e alla validità si era fatta troppo opprimente e aveva ceduto. Aveva deciso di abbandonare quel giaciglio sicuro per divenire la pedina mancante del gioco, per divenire un’entità di valore nel mondo.
Aveva deciso di essere viva.
Ed era divenuta utile, ed era divenuta una dea. Aveva salvato il mondo e la sua superflua esistenza aveva preso consistenza. Ora era qualcuno.
Ora aveva meriti e colpe.
Ora aveva il diritto d’essere infelice poiché era sola.

Madoka non era inutile, aveva estinto la minaccia delle streghe e salvato migliaia di ragazze.
Madoka non era neanche infelice. Per essere infelice doveva venir meno anche la serenità e la beatitudine della vita e a lei non mancava nessuna delle due.
Madoka era soddisfatta di ciò che era e di ciò che aveva fatto.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Vita ***


Note d'autrice: Ok, sì, vi aspettavate Horror Vacui? E invece no! Perché ho deciso di cambiare tutte le carte in gioco con altri prompt. Ma quanto sono simpatica?
Questa shot è su Mami, ovviamente.
(Sono stata stranamente puntuale, un miracolo!)
No Beta perché sono scema.
Spero di non essere andata OOC, in caso segnalatemelo e vedrò di metterlo come avvertimento.
A dire il vero non ho spiegazioni riguardo questo capitolo perché mi sembra si "spieghi" già da solo.
Ora fuggo che devo andare a cena ^^
Prompt: Mami=Vita
Buona lettura e al prossimo capitolo
(Recensite, leggete, fate quello che vi pare as usual)
Kore



 
This is my despair:
-Vita -
 
Il vuoto è fastidioso, si sa, soprattutto quando questo è percepito come mancanza, assenza di qualcosa.
 
Il vuoto era frustrante e si palesava nella sua pienezza tutt’attorno a Mami. Lei ne aveva paura: da quando era divenuta una maga si era aggrappata alla vita con le unghie di tutte e dieci le dita. Ne strappava le vesti adorne d’oro e argento e affondava i suoi artigli nelle sue carni. Non l’avrebbe lasciata sfuggire nuovamente: poteva perdere tutto tranne quella.
L’aveva trovata vuota. Voleva riempirla: rattopparne gli abiti eleganti e seducenti tra amici e divertimenti, tra famiglia e primi amori. Lei, però, non aveva più una famiglia: nessuno a cui fare affidamento. Nessun a cui urlare la propria disperazione, nessuno a cui dire “non andartene, stai con me, fammi sorridere”. Di amici neanche ne aveva: da quando era tornata a scuola, dopo l’incidente, qualcosa era cambiato. Un meccanismo maligno aveva cominciato a stridere e Mami era rimasta sola.
Non usciva di casa e restava in compagnia della sola tazza di tè. I cuscini soffici a coccolarla e il calore inumano della bevanda a pervaderne le dita. Osservava il cielo notturno sperando che una strega facesse la sua scomparsa anche quella notte. Aveva accettato la sua condizione di maga e, anzi, era grata a Kyubey per avergliela offerta. Non si sentiva in trappola: come uno schiavo può crogiolarsi nel proprio vincolo, lei si beava d’essere una maga.
Irragionevole, era questo l’aggettivo che più esplicava questo suo apprezzamento. Per quanto fosse attaccata alla vita era in un perpetuo stato di pericolo. Da una parte continuava a rischiare la propria esistenza per sconosciuti e dall’altra parte continuava a stringersi contro gli indumenti della Vita, nascondendosi tra le loro pieghe come una bambina impaurita. Aveva i piedi in due scarpe diverse: se da un lato baciava la vita, dall’altra si lasciava possedere dalla morte.
Era soddisfatta, però, di sé stessa o, almeno, così credeva. Lei voleva salvare il maggior numero possibile di vite dalla malvagità del mondo e non aveva mai chiesto nulla in cambio. Ovvio, se fosse stata l’eroina di qualche film sarebbe stata appagata da mille ringraziamenti, quasi troppi, tanto da farle desiderare ardentemente l’anonimato. Lei, invece, non aveva ricevuto nulla del genere, ma non lo desiderava neanche.
Era stata sufficientemente egoista in precedenza, non poteva più permettersi una tale libertà. Era stata una ragazzina sciocca ed egocentrica quando, il giorno dell’incidente, aveva espresso il desiderio di vivere. Non aveva pensato ai suoi genitori, non aveva pensato a nulla, a dire il vero si chiedeva anche solo se avesse realmente pensato.
Aveva continuato a combatter come aveva sempre fatto. Aveva continuato ad uccidere sia le streghe che i loro servi, perdendo ogni volta il proprio potere un poco di più. Se grazie alle streghe poteva “pulire” la propria Soul gem, uccidendo i familiari non faceva altro che indebolirsi.
Il lusso dell’individualismo non le era concesso.
Lei aveva un solo obiettivo: vivere e combattere per il bene altrui.
Poi aveva conosciuto Madoka e Sayaka e aveva desiderato che divenissero maghe come lei. Questa volta, però, si era presa lo sfarzo di pensare e d’invogliarle a fare altrettanto. Non voleva che anche loro prendessero una decisione tanto in fretta, colte dall’emozione e dall’istinto. Non voleva che se ne pentissero. Ci aveva tenuto, tuttavia, a sottolineare il fatto che non si fosse mai pentita del proprio desiderio: era meglio vivere quella vita che essere morta.
Madoka le aveva cambiato la visione delle cose. Dandole un motivo per vivere, le aveva ridato luce in quell’esistenza di solitudine. Le aveva promesso amicizia e compagnia e Mami era divenuta felice.
Era tornata ad essere egoista.
Mentre combatteva contro Charlotte il suo obiettivo non era più quello di aiutare gli altri, ma quello di soddisfare se stessa. Era felice perché non era più sola e, in questo modo, non avrebbe mai potuto morire isolata. E, finalmente, poteva morire con qualcuno al suo fianco.
Durante quel combattimento non aveva più ricoperto il ruolo della guerriera, in bilico tra vita e morte, ma quello dell’insegnante, una maestra infallibile ed aggraziata. Ma lei non era mai stata un’istruttrice e aveva fallito. Aveva commesso un imperdonabile errore davanti alle due allieve: se da una parte non era più sola, dall’altra era divenuta una sciocca ingenua.
La sua inesperienza dopo anni di consapevolezza era divenuta la sua tomba. Da grande guerriera si era trasformata in vittima ed aveva visto un esofago inghiottirla inerme.
Era tornata ad essere quella di prima: la ragazza prima dell’incidente. Era tornata ad essere la Mami petulante ed egocentrica, una bambina disinteressata degli altri.
Era divenuta impotente davanti a quella vita sfilacciata e quella morte onnipresente. Disarmata di fronte a quell’errore che le era costata la vita e la reputazione.
Alla fine si era sbilanciata ed era inciampata, sfuggendo alle vesti e gli anelli della vita era caduta nella voragine amorevole della morte.
Aveva tradito la vita a causa della sua ingenuità e aveva abbracciato la fine a causa della sua esperienza. Questa volta era morta: non c’era alcuna possibilità di tornare indietro, di sfuggire all’errore commesso. L’iride dorata venne inghiottita dal buio della pupilla. I capelli biondi vennero inglobati dall’esofago nero della strega. L’oro si contrapponeva alle cupi interiora e veniva masticato, divorato e inghiottito dalle tenebre.
Se da una parte era riuscita a non essere più sola, dall’altra aveva perso ciò che più agognava e amava. Le vesti eleganti vennero disfatte e stracciate dai canini bianchi.
I piedi ondularono nel vuoto, sembravano muoversi a ritmo di una cantilena lugubre. Poi caddero, seguiti dal corpo della maga. 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3436611