Only smart girls do without

di Farawayeyes
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1º ***
Capitolo 2: *** 2º ***
Capitolo 3: *** 3º ***
Capitolo 4: *** 4º ***
Capitolo 5: *** 5º ***
Capitolo 6: *** 6º ***



Capitolo 1
*** 1º ***


Ricordo bene la prima volta che l'ho incontrato. È stato uno dei momenti più imbarazzanti della mia vita.


Diciamocelo chiaro, iniziare il liceo non è mai una cosa semplice. Non lo è soprattutto se di cognome fai Ferretti e sei la sorella più piccola di una delle ragazze più popolari della scuola. Qualcuno potrebbe pensare che questo possa essere un aiuto, un vantaggio. Ma vi assicuro che non è così.
Tanto per cominciare lei stamattina se ne è andata a scuola in macchina e io sto aspettando l'autobus, da sola.
“Non è che non ti voglio bene, solo che ho bisogno dei miei spazi. Non voglio mocciose tra i piedi”
Mocciose. Una a quattordici anni è ancora considerata una mocciosa? Ho parecchi dubbi a riguardo, ma stamattina a colazione le ho annuito accondiscendente.

La 4ªA fu facile da raggiungere, meno facile fu scegliere il posto che mi avrebbe accompagnato per tutto quell'anno scolastico. Lato finestra o lato muro? Prima o ultima fila?
Optai per una moderata seconda fila lato finestra. Così non avrei dovuto resistere tutto l'anno all'impulso di stare seduta con la schiena appoggiata al muro. 
“È libero?”
Una ragazza dalla faccia più assonnata della mia mi guarda speranzosa.
“Certo, siediti pure”
“Sono Sofia”
“Arianna, piacere” 
Ricordo solo questo del primo giorno di scuola. A ricreazione feci un giro con quella che sarebbe diventata una delle mie migliori amiche. Perlustrammo la zona: le macchinette più vicine alla classe, i bagni, l'auditorium, il cortile. 
Quando uscimmo fuori vidi mia sorella con un gruppetto di amici, lei mi ingoró e io feci lo stesso. Rideva, come sempre. E beveva il suo estathè al limone fumando una sigaretta. Fumando? Ok, Beatrice fumava. Fu più traumatico di quello che pensavo scoprirlo. Quanto può essere frustrante per un'adoloscente avere una sorella come lei? Tu ti consideri ancora l'anatroccolo piu sfigato della storia e lei è il cigno più invidiato del lago.
Eravamo poi cosi diverse infondo? Mia madre diceva che ero lei in miniatura, forse intendeva per via delle tette che non avevo. E' sempre stato normale per me vederla come un traguardo. Bella è bella, simpatica non credo, o forse lo è solo con chi decide lei. Abbiamo sempre avuto una grande differenza: lei si sa rapportare con le persone, io no. 
Non voglio dire che io sia scortese, anzi. Forse é l'unica cosa che sono: cortese, gentile. Ma al di là di questi rapporti di facciata vorrei che nessuno mi rompesse le palle. Io amo la solitudine, lei è l'animale sociale per eccellenza.  
Ogni giorno tornava a casa da scuola, studiava un paio d'ore e poi scendeva in centro con gli amici, sempre. Ah no, se pioveva andava in palestra. Insomma a volte vorrei sapere dove ha l'interruttore.
Odio essere vista, mi piace osservare, ma non essere osservata. Le interrogazioni alla lavagna per esempio erano un'esperienza traumatica. Il problema non era non sapere le risposte alle domande, il problema era parlare davanti a tutti.
Un'altra delle cose più imbarazzanti della mia vita da adolescente era prendere l'ascensore con il ragazzo che abitava al sesto piano. Due piani sotto di noi. Anche lui veniva al Costa, ma a scuola lo avevo solo un paio di volte. Non so cosa mi imbarazzasse di più, fatto sta che appena lo vedevo diventavo rossa. Non che lui mi desse motivo per diventarlo intendiamoci, al di là di un semplice saluto non mi diceva mai niente. Forse diventavo rossa perchè pensavo che lui pensava che io lo trovassi attraente. Non che non fosse vero, eh. Però insomma, non l'ho mai visto come un possibile ragazzo, sapevo bene di non avere la benché minima speranza con lui. Per capirci: delle sorelle Ferretti non ero certo io quella che avrebbe voluto portarsi a letto.
Cosa gli sia passato per la testa quel giorno proprio non lo so. Fatto sta che mentre stavamo aspettando insieme l'ascensore mi rivolse la parola.
“Come sta andando matricola?”
“Cosa?” Dissi togliendomi una cuffietta dall'orecchio, non potevo crederci che mi stesse rivolgendo la parola.
“Dico, come stanno andando questi primi giorni?”
“Ah, insomma, la macchinetta non ha gli oreo
-Che cavolo ho detto? Sono veramente una cretina, gli oreo? Ma che cazzo c'entra?-
Scoppia a ridere. Non so se con me o di me.
“Già, bella rottura, sono buoni quei biscotti”
Annuisco. Sperando che non mi rivolga mai più la parola.
Entrati in ascensore tiró fuori dalla tasca il suo cellulare.
-Oggi proviamo alle 17, non fare tardi- 
Che odio quelli che ascoltano i messaggi vocali in pubblico, cosa vi fa pensare che tutti vogliano farsi i cazzi vostri? 
-No, io oggi non ci sono-
-Fottiti Saul! Che devi fare?-
-Devo fare quello che tu hai appena detto di fare a me-
-Fottere? Che palle, tu la figa l'hai presa come un lavoro vecchio mio lasciatelo dire-
-Alla prossima Micheal, non te la prendere-
Sembrava fosse finita. Ero rimasta a fissare il bottone ALT per tutto il tempo. Quella volta ci si era impegnato a mettermi in imbarazzo. Grazie a Dio l'ascensore raggiunge il sesto piano.
“Beh, ci vediamo” disse uscendo.
“Ciao”





<<< Ciao! Spero che questo capitolo non vi faccia troppo schifo! E' un'idea strana lo so, ma mi incuriosiva :) >>>

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Capitolo 2
*** 2º ***


Perchè tu vuoi i colori
Stai attenta a te



Era un giorno di novembre la mattina che durante latino capì che non potevo resistere fino all'intervallo per andare in bagno. Per fortuna la Martinez era di genio quel giorno e acconsentì senza problemi.     
Entrai soprappensiero e quando mi accorsi di non essere sola era ormai troppo tardi. L'usanza di fumare nei bagni nell'orario di lezione è una tradizione difficile da eliminare. Solo che non capisco perché i ragazzi non possano fumare nel loro bagno invece di andare in quello delle ragazze.  
Ho quella scena stampata nella mente da parecchi anni ormai. Lui era appoggiato a una porta dei bagni e fumava sereno, una cicca di capelli rossi gli usciva ribelle dal cappuccio. Intorno a lui c'erano tre ragazze della sua età. Si girarono di scatto verso di me, e io sarei voluta sprofondare. Dov'è il mantello dell'invisibilità di Harry Potter quando serve?
Fui presa da un'indecisione cosmica. -Entro in un bagno come se nulla fosse o scappo a gambe levate?- 
Sentivo già il viso andarmi a fuoco, dopo tutto non mi scappava così tanto. Girai i tacchi e tornai in classe. 
“Che ti è successo?” Mi bisbiglió Sofia.
“Perché?” 
“Hai una faccia...”
“Ho fatto una figura di merda”
“Con chi?”
“Boh, con dei tipi di terza credo. Erano nel bagno delle ragazze”
“E quindi?”
“E quindi niente, appena li ho visti me ne sono andata”
“Senza andare in bagno?”
“Già”
-Ferretti, Gervasi: fate silenzio-
“Scusi”

La seconda volta che lo vidi fu all'entrata di scuola. Mancavano dieci minuti alle otto, ed ero alla macchinetta a prendere il caffè. Misi dentro due euro e quando mi accorsi che la macchinetta non ne voleva sapere restituirmi il resto tirai un vaffanculo cosmico.
“Non ti si addice” disse una voce alle mie spalle.
Mi girai. Era dietro di me, sorrideva, il ragazzo del bagno.
Dovevo rispondere? Forse. Lo feci? No.
“Facciamo così, con i soldi che hai lasciato dentro prendo il caffè e la prossima volta te lo offro io così ti restituisco il favore”
Mi implorai di dire qualcosa, qualunque cosa, ma non ci riuscì. Ero distratta, mi ero appena accorta che aveva degli occhi stupendi e aveva anche delle occhiaie paurose.
“Sei sempre così loquace?”
Fui presa di soprassalto da quell'ultima frase che quasi sussultai.
“No” dissi e me ne andai. Già, me ne andai senza prendere il caffè.

“Facciamo un giro fuori?” Mi chiese Sofia quel giorno all'intervallo.
“Se prorprio insisti”
Ero combattuta tra la curiosità e la paura di rivederlo. Volevo capire che tipo fosse, quanti anni avesse, insomma inquadrarlo. Non fu difficile da trovare in mezzo alla folla, il colore dei suoi capelli fu di grande aiuto. Ci appoggiamo a una staccionata e, con quella che speravo essere una grande disinvoltura, lo osservai.
“Sofi non ti girare, ok? Ma per caso tu li conosci quei tipi?”
“Quali?”
“Sono dietro di te, seduti sui gradini. Due ragazzi biondi e uno con i capelli rossi. No, aspetta, non ti girare”
“Ari, come faccio a vederli se non mi giro?”
“Ok, allora girati, ma poco"
Giró lentamente la testa e la vidi sgranare gli occhi.
“Davvero non sai chi sono?”
“No”
“Io li ho notati subito il primo giorno e il pomeriggio li ho subito stalkerati su Facebook. Li ho trovati tutti, tranne uno, quello che mi piaceva di più, ovviamente”
“E quindi?”
“Niente, sono tutti di 3ªC. Quello con il giubbotto di jeans si chiama Steven, quello alto Michael e quello con i capelli rossi William. Però il gruppo non è finito lì, ne mancano due all'appello” 
“Capisco. Allora è William quello con cui ho fatto la figura di merda in bagno e alla macchinetta”
“Giura?”
“Già”
“Io pagherei per ritrovarmelo in bagno”
“Tu sei pazza. Rientriamo dai, sta quasi per suonare”.

A quel punto avevo un nome, una classe, era già qualcosa. Qualcosa per cosa? Non lo sapevo, ma mi sembravano informazioni di vitale importanza.
A pranzo quel giorno meditai a lungo sul da farsi. Perché non potevo avere una sorella maggiore di quelle che ti chiedono com'è andata la giornata o se hai visto qualche ragazzo carino? Il nulla, per lei potevo ancora essere in terza media. La presi da lontano.
“Che fastidio quelli che fumano nel bagno”
Alzò un attimo la faccia dal piatto di pasta e poi continuò a mangiare.
Il colpo non era andato a segno, riprovai.
“Poi non capisco perché i ragazzi debbano fumare nel nostro bagno”
“Ma che ti frega?”
“No, nulla”
Non aveva voglia di parlare, come sempre. Si sforzava così tanto di essere socievole all'esterno che dentro casa diventava una iena.
“Vado in camera mia” dissi.
“Aiutami a sparecchiare prima”
Aiutarla voleva dire sparecchiare mentre lei continuava a smanettare con il telefono. Quando finì mi ritirai in camera, chiusi la porta e presi il tablet. Avevo delle ricerche da fare. Da circa un anno avevo bloccato mia sorella su Facebook in modo tale da non dover vedere ogni suo singolo post in bacheca. Andai sul suo profilo e cercai tra gli amici, purtroppo erano visibili solo quelli in comune. Odiosa.
Guardai le foto, e realizzai nuovamente perché l'avevo bloccata. La maggior parte erano suoi selfie con minimo 200like ognuno. Doppiamente odiosa. Lei al mare, lei con il nostro cane, lei che studiava, lei con la nonna, lei con le amiche. 
Dovetti scorrere un po' di foto prima di trovare quelle interessanti, erano di tre anni prima. Ed eccola lì taggata in una foto in discoteca insieme a lui. Era un bacio quello? Lo sembrava. I capelli biondi di Beatrice coprivano leggermente il volto del ragazzo, nonostante ciò era abbastanza chiaro che fossero intimi. Lessi i commenti:
Ginevra (all'epoca della foto lei è Beatrice erano grandi amiche) aveva scritto: -Ragazzi siete stupendi-
Un nome sconosciuto aveva scritto: -Eravate anche voi al Power? Non ci siamo beccati-, William aveva commentato con un semplice cuoricino.
Lessi l'ultimo commento: -
Se era sabato sera io non me ne sono accorto- sbarrai gli occhi, era un commento di Saul, il ragazzo del sesto piano. Insomma erano tutti grandi amici, almeno un tempo. Me lo dovevo immaginare. Fui invasa da un sentimento strano. Gelosia, fastidio, umiliazione. C'era sempre lei in mezzo nella mia vita. Tutto prima, tutto meglio. 






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Capitolo 3
*** 3º ***


The look on your face is delicate
 
“Ciao vicina” mi disse un giorno all'intervallo. 
Rimasi un attimo stupita, ma poi mi sforzai di rispondere ”Ciao”
“Ancora niente oreo nella macchinetta?”
“No”  
“Beh puoi sempre prendere altri biscotti” 
“Mi piacciono solo quelli” 
-Con che coraggio glielo avrei detto che mangiavo solo gli oreo perché erano gli unici vegani? Non avevo certo voglia di essere presa in giro a vita. E poi questo fatto che parlavamo solo di biscotti iniziava ad infastidirmi-
“Per caso hai una sigaretta?” Sentì chiedere a Sofia
“E tu da quand'è che fumi?” 
Mi tirò un'occhiataccia e stetti zitta.
“Sei fortunata” disse lui “Le ho comprate stamattina. Tieni, a buon rendere”
“Certo” disse Sofia sorridente. Si sarebbe comprata dieci pacchetti di sigarette solo per averle da offrire a lui in futuro.
“Beh a presto...” 
Decisi di toglierlo dall'imbarazzo.
“..Arianna” dissi.
Saul sorrise “Già, allora a presto Arianna”
“Ciao”.
Mi sentivo lo sguardo di Sofia addosso.
“Che c'è?”
“Che c'è mi chiedi? Tu conosci quel tipo e non mi dici niente? Che amica sei?”
“Ma che tipo è?”
“No, no, tu sei completamente fuori dal mondo. Prima mi chiedi informazioni sul quel gruppo di ragazzi e poi scopro che ne conosci uno”
“Saul fa parte del gruppo di William eccetera?”
“Direi!”
“Non ne ero sicura, ed è lui quello che ti piace?”
“In realtà no, cioè sono belli tutti, ma il mio preferito è quello disadattato”
“Chi?
“Ma si, quello con il fascino tenebroso, capelli neri, viso emacciato. Insomma, mi piacciono i tipi così”
“E viene a scuola qui?”
“Certo, beh ogni tanto”
“Comunque non capisco perché mi rivolga la parola, non mi ha mai calcolata di dieci anni”
“Boh, magari vuole fare l'amicone, ma poi scusa che problema c'è? Non dirmi che ti dispiace”
“No, cioè, boh, non lo so”
“Tanto lui ha altre persone a cui pensare” disse Sofia e con la testa mi indicò Saul. Stava parlando con una ragazza, Beatrice. Chissà cosa si stavano dicendo, chissà se erano mai stati insieme, chissà se pensava che ero bella anche un decimo di quanto lo era Beatrice.
“Già, quella è mia sorella sai? E prima che tu dica niente, no, non è una cosa positiva”
“Sei piena di risorse Ferretti”
“Si, risorse degli altri”
“Che stronza però, non ti saluta nemmeno”
“Pace, me ne sono fatta una ragione”

Immagino sappiate bene come sono le mattinate scolastiche: tutte uguali.
Entri (più o meno in orario), prendi un caffè per affrontare le ore successive, segui le lezioni, intervallo, lezioni, campanella della salvezza, uscita. Cambiano i vestiti che indossi, i libri che hai nello zaino, a volte i capelli fanno un po' meno schifo del giorno prima, per il resto tutto si ripete allo stesso modo. Poi ci sono le mattine diverse, quelle che sembrano normali, ma ti riservano delle sorprese.
Quindi sei in fila per il caffè e basta una frase per cambiarti la giornata.
“Ferma, sta volta tocca a me pagare” 
Lo osservai, in silenzio (c'è bisogno di dirlo?)
“Puoi anche non parlare tranquilla, dimmi solo quanto zucchero”
“Tre pallini”
“Hai una voce anche tu allora”
“...”
“Ok,ok ho capito, sei per le domande dirette. Vediamo, come ti chiami?”
-mi stava prendendo per il culo?-
“Arianna”
“Piacere William. Sei nuova?”
“Sono del primo anno”
Mi sembrò veramente stupito.
“Davvero?”
Non risposi.
“Sembri più grande, o forse è solo perché di solito le ragazze della tua età non sono belle come te”
Avvampai, che altro potevo fare?
“Non serve che diventi rossa” disse ridendo.
“Mica lo faccio apposta” rispondo io.
“Giusto. Ti metto a disagio?”
“No no”
Forse mi parlava perché gli ricordavo Beatrice, morivo dalla curiosità di sapere cosa fosse successo tra di loro e morivo dalla curiosità di capire se sapeva chi fossi. 
“Quindi?” mi disse
“Cosa?”
L'avevo fatto di nuovo: mi ero distratta a guardarlo mentre parlava.
“Dico ci vieni alla festa sabato?”
“Forse” -Festa? Che festa? C'era una festa?-
“Ottimo, spero di vederti allora, sono curioso di scoprire finalmente cosa c'è sotto quella felpa”
L'aveva detto veramente? Che poi che avevano le mie felpe che non andavano? Erano comode, versatili e se ti tiravi su il cappuccio facevi capire a tutti che non avevi voglia di parlare. Erano un'invenzione fantastica.
“Tu ci vai alla festa sabato?” Chiesi a Beatrice quel giorno a pranzo.
Io sì”
Aveva detto io in un modo così incisivo che era come se volesse dire: io sì ma tu non ti azzardare nemmeno a pensare di venire.  
“Ok”
“Perché?”
“Così, curiosità, di classe mia ci vanno alcune persone”
“È la solita festa pre vacanze natalizie Ari, è così da cinque anni. Ormai è una noia pazzesca, ci vado solo perché è il compleanno di Emma e lo festeggiamo così”
“Capisco”
“Avrai un sacco di tempo per andare in discoteca, già dall'anno prossimo potrai andare. Il primo anno mamma e papà non avevano mandato nemmeno me”
Odiavo quando faceva lo sorella vissuta e premurosa, la preferivo di più quando stava zitta.
“Mica volevo venire”
“Meglio così”
E invece si, si che volevo andare. Non ero mai stata in discoteca, ma sapevo già che era un posto che avrei odiato. Ma mica andavo per quello, mica volevo andare per ballare. Andavo perché lo volevo vedere. Soprattutto lo volevo vedere mentre mi vedeva non vestita da scuola.




 
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Capitolo 4
*** 4º ***


 
Gimme danger, little stranger
And I'll feel your disease
 
 

Il fatidico sabato sera arrivó. Beatrice era in camera sua a finire di prepararsi o di ammirarsi davanti allo specchio. Indossava un vestitino nuovo comprato da Zara quel pomeriggio. Era nero dalle forme geometriche e le arrivava sopra le ginocchia, al centro un triangolo sottile di raso le scendeva in mezzo ai seni. Io in quel pomeriggio di shopping mi ero comprata un pigiama da Tezenis e indossavo quello.
“Tesoro allora io e la mamma andiamo a cena, sicura che non vuoi venire anche tu?”
“No papà, grazie”
“Ma è il tuo ristorante preferito”
“Sto bene così, ne approfitto per studiare”
Rimase sulla porta valutando il da farsi e poi decise di entrare, si sedette sul letto vicino a me e prese il libro che stavo leggendo.
“Philip Roth, eh? Dove l'hai preso?”
“Dalla tua libreria”
“E ti piace?”
“Direi”
“Strano no? Una non è troppo piccola per leggere la Pastorale Americana ma è troppo piccola per andare in discoteca”.
Feci spallucce.
“Ci tenevi ad andare?”
“Avrò un sacco di tempo per farlo, no?”
“Brava la mia bambina, buona serata allora, a domani”
“Ciao”.

Non studiai, neanche a dirlo. Ma anche se avessi voluto non avrei potuto, alle 22:30 suonó il campanello e la mia vita non fu più come prima.
Sbirciai dallo spioncino e mi sentì morire. Pensai di avere le allucinazioni e controllai di nuovo, non una, non due, tre volte.
Bussarono. Ed io ero in pigiama. Che cazzo dovevo fare? I pantaloni erano dei leggins presentabili ma la maglia aveva troppi cuoricini per i miei gusti. Me la tolsi rimanendo in canottiera e presi un cardigan morbido dall'armadio di Arianna.
Potevo evitare di aprire, ma non prendiamoci in giro, non era proprio un'alternativa plausibile il non aprire.
“Chi è?” 
“Pizza” sentì delle risate dietro la porta.
Decisi di aprire. William e un altro ragazzo erano davanti a me, avevano una bottiglietta d'acqua in mano, ma ero certa non fosse acqua quella all'interno.
“Buonasera” disse quello biondo.
“Ciao”
“Allora sei pronta?” Mi chiese William. 
“Non vengo”
“Come no? Papino non vuole?” Disse il biondo ridendo.
“Io..ehm..”
“Ehi tranquilla” disse William portandomi una mano al viso.
Può uccidere una carezza?
Entrarono, senza chiedere. Iniziavo a sentirmi male, che diavolo ci facevano qui? Piano piano realizzavo quello che stava succedendo.
“Dai vatti a cambiare, noi ti aspettiamo qui”
“No, ho deciso di non venire”
“Su dai, mettiti un vestito e andiamo, giuro che non sbirciamo”
“Penso...penso che sia meglio che ve ne andiate” 
Ancora non so dove trovai la forza per dirlo.
“Tu vuoi andare Micheal?”
“Mmm in realtà no”
“Vi prego, se i miei dovessero tornare...”
“Gli spiegheremo la situazione, giusto?”
Ed era surreale quella situazione. William e Micheal seduti sul divano di casa mia e io in pigiama davanti a loro. Mi venne in mente la faccia di Sofia quando glielo avrei raccontato.
“Per favore”
“Dai piccina tra un po' andiamo, stiamo aspettando che Saul finisca di prepararsi”
“Già, ammazziamo il tempo. Pensavo ti facesse piacere vedermi”
Restai di nuovo ammutolita.
“Sbaglio?” Mi disse.
“Cosa?”
“Dico, non ti fa piacere vedermi?”
“Dai William guardala, sta andando a fuoco. Hai bisogno che te lo dica quanto è contenta di vederti?” Disse Micheal.
“Mi farebbe piacere sentirmelo dire”
“Ragazzi..” Riuscì a dire.
“Sì?”
Quella scena fu interrotta da delle urla dal pianerottolo, avevo lasciato la porta di casa aperta e dopo poco Saul entró.
“Che diavolo ci fate qui?”
“Facciamo amicizia”
“Fuori, uscite! Levatevi dalle palle”
“Buono amico, non facevamo niente di male, giusto Ari?”
Non risposi, ma guardai Saul come se fosse il mio salvatore. Li cacció fuori da casa mia in un baleno.
“Ciao piccola” mi disse William “a lunedì”.

 

 
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Capitolo 5
*** 5º ***


There's nothing in my dreams 
just Some ugly memories 
kiss me like the ocean breeze 

Lunedì arrivó e davanti all'entrata di suola c'era lui ad aspettarmi. 
“Buongiorno” mi disse sorridente. 
“Ciao”     
“Caffè?”     
Annuì con un cenno del capo.
“Scusaci per l'altra sera, eravamo sbronzi”
“Immaginavo”
“Ti sei spaventata?”
“Mi avete colto di sorpresa”
“Comunque avrei fatto meglio a restare a casa con te, la festa è stata un noia assurda”
“Non ci credo”
“Te lo assicuro, però ho avuto conferma di una cosa, sei veramente la ragazza più bella del tuo anno”
“Ti diverti a farmi arrossire eh?”
Rise.
“Ormai sono poche le ragazze che lo fanno, sei una perla rara”
“Fortunate loro, è una rottura essere un libro aperto”
“Tu non sei per niente un libro aperto”
“Comunque anche mia sorella dice che quelle feste sono una noia”
“Ha ragione” lo disse con noncuranza, non mi chiese chi fosse mia sorella e da come rispose ero certa che non ne avesse idea.
“Comunque” proseguì “dici che settimana prossima la scuola resterà chiusa?”
“Beh, ci sono le vacanze di Natale”
“Già, peccato. Mi mancherà prendere il caffè con te per due settimane e mi mancherà non vedere il tuo viso imbronciato per due settimane”
“Io non ho il viso imbronciato”
“Lo hai, fino a che non mi vedi”
“...”
“Che farai a capodanno?”
“Cortina”
“Con gli amici?”
“I miei sono dei tipi apposto”
Rise di nuovo. Forse gli stavo simpatica.
“Non te la prendere. Sei ancora piccola per festeggiare sola con i tuoi amici, arriverà anche il tuo momento”
“Non ho fretta”
“Brava. Comunque tornando al caffè, penso che due settimane senza vederti non ci posso stare, quindi magari un giorno potremo vederci, magari potremo prendere un caffè vero in un bar vero e avere una vera conversazione, non due minuti rubati ogni mattina”
-Era un appuntamento?-
“Sí, perché no?”
“Ottimo, dammi il tuo numero allora”
Glielo diedi, ma mi scordai di chiedergli il suo.
Verso le 11:30 durante una noisa lezione di storia mi accorsi che avevo un messaggio su whatsapp.
-
Axl- chi cazzo era Axl? 
Lo capì dalla foto, era William.
- Sto ripensando ai leggins che avevi l'altra sera -
Oh cazzo, mi sentii morire. Ormai avevo visualizzato, dovevo rispondere, ma che potevo rispondere? E che foto di profilo avevo? Un'immagine che diceva "non puoi rendere tutti felici, non sei una pizza". Cercai una foto decente da mettere, però poi ci ripensai, sembrava che la cambiassi solo per lui. E che dovevo rispondergli? Era un bene o un male? Magari intendeva dire: sto ripensando ai leggins che avevi l'altra sera e ho realizzato che ho sbagliato a chiederti il numero.
Risposi con una faccina che rideva: sono la banalità fatta persona.
-che fai oggi pomeriggio?-
-algebra-
-non hai niente di meglio da fare? Io vado a trovare Saul, posso passare a salutarti?-

Dio. Ti. Prego. Aiutami. Tu.
Puoi passare? Non lo so. Il pomeriggio io e Beatrice siamo sempre sole a casa, i miei non tornano mai da lavorare prima delle 20:00. Però Bea usciva sempre sul tardi e non volevo certo che lui suonasse e scoprisse che io ero la sorella di...Aspetta. Mi venne in mente all'improvviso. Come avevo fatto a non pensarci prima? Era ovvio che lui sapessi chi fossi. Era venuto a bussarmi a colpo sicuro perché sapeva dove abitavo, o meglio sapeva dove abitava a Beatrice e sapeva che io ero sua sorella. 
-dopo le 17 ovviamente- mi scrisse prima che gli rispondessi.
Ero combattuta, molto combattuta. E se Beatrice fosse stata ancora presa di lui? Non volevo certo che scoprisse che mi stavo sentendo con un suo ex.
-come preferisci- risposi e ricacciai il telefono nello zaino.


Alle 16:45 andai in cucina a farmi un tè, mentre l'acqua bolliva uscì sul terrazzo per vedere le macchine nel parcheggio. Non avevo idea di quale fosse la macchina di William, in realtà non sapevo nemmeno se avesse una macchina. 
“Ari” la voce di mia sorella di colse di soprassalto.
“Che diavolo fai fuori con questo freddo? Socchiudi la porta almeno”
“Scusa”
“Non ti sarai messa a fumare?”
-ah beh, bel coraggio che hai tu a dirmelo-
“Ma no”
“Vabbè, io sto scendendo in centro, ti serve qualcosa?”
“In realtà ci sarebbe il 25% sui gli economici Feltrinelli...”
“Ti fa male leggere così tanto! Dovresti uscire di più”
-ti odio-
“Vabbè lascia perdere”
“Dai, che libro vuoi?”
“Nessuno”
“Vabbè, di a mamma che mi fermo a fare aperitivo, quindi stasera per cena prendo solo un tè”
“Divertiti”
“Anche tu”
Contaci, oggi mi diverto anch'io.

Non vedevo l'ora che arrivasse avevo troppe domande da fargli e troppi dubbi da levarmi. Ma sopratutto dovevo scegliere come vestirmi, non feci in tempo. Dopo dieci minuti che Beatrice era uscita bussarono alla porta.
“Ciao” dissi
“Ciao piccola” 
“Tu sai chi sono?” 
Mi guardò perplesso.
“So che ti chiami Arianna, per il resto so poco”
“No, voglio dire, sai chi è mia sorella?”
“Beh, avete lo stesso cognome. Sei la sorella di Beatrice no?”
“Esatto, quindi la conosci?”
“Ovvio, come potrei non conoscerla? Siamo nella stessa scuola”
“Perché non me l'hai detto?”
“Pensavo fosse scontato, era importante per te?”
“Non lo so, forse. So che siete stati insieme”
“Insieme? E cosa sai?”
“No in realtà nulla, ho visto una foto”
“Senti, non è che potrei entrare? Non mi piace parlare sulla porta”
“Oh sì scusa, certo, entra pure”
“Grazie” 
Si andò a sedere sul divano del salotto e mi fece segno di sedermi vicino a lui. Si tolse la felpa e rimase in maniche corte.
“Sei gelosa di Beatrice?”
“Potrei non esserlo?”
“Secondo me sei più bella tu”
“Bugiardo”
“È la verità. Lei alla tua età non era bella come te. Sei da tenere d'occhio piccina, tra qualche anno le mangerai in testa”
“Ti farò sapere”
“Magari lo vedrò di persona”
Stavo morendo, quante volte mi aveva già fatta morire da quando lo avevo conosciuto?
“Comunque non mi hai detto che c'è stato tra di voi”
“Lei non ti ha detto niente?”
“Non parla di queste cose. In realtà non parla e basta”
“Beatrice?”
“In casa è diversa da com'è fuori”
“Non mi dire”
-Non sono scema William, me ne sono accorta che stai evitando di rispondermi-
“Quindi?”
“Cosa?”
“Siete stati fidanzati o no?”
“Tu che vuoi sentirti dire?”
“La verità”
“È stata una storiella breve, una settimana o due. Doveva succedere tra di noi, capisci? Se fossimo in America io e lei saremo stati il re e la reginetta del ballo, doveva capitare che finissimo a letto, si deve dare qualche gossip di cui parlare no?”
“Credo di sì”
“Ora però sono anni che ci salutiamo e basta”
“Come mai?”
“Siamo cresciuti”
“...”
“Contenta ora?”
“Penso di sì”
Parlammo a lungo quel pomeriggio. Mi raccontò un po' della sua vita, del suo gruppo. Da quanto mi disse a scuola erano parecchio temuti, anzi, lo erano in tutta la città, ma lo diceva come se fosse una cosa positiva.
“Quindi è per questo che mi chiedi sempre se ho paura?”
“Mi sa che tu non hai niente di cui avere paura, sei con le spalle coperte ormai”
Voleva dire che era lui a proteggermi le spalle?
“Dici?”
“Già, se qualcuno volesse farti del male si dovrebbe impegnare parecchio”
Squillò il telefono e mi sentì il sangue raggelare. Gli feci segno di stare zitto portandomi un dito alla bocca, lui annuì e si alzò iniziando a gironzolare per casa. Era mia nonna, voleva sapere se avevo apprezzato la marmellata, tempismo perfetto nonnina!
Quando finì la telefonata mi alzai dal divano per cercare William. Lo trovai in camera mia, aveva la mia chitarra in mano.
“Suoni?”
“No”
“E perché hai la chitarra?”
“Strimpello. Non ho mai preso lezioni, quindi non posso dire di suonare, e tu?”
“Più o meno. Io ho studiato pianoforte. Però conosco due chitarristi niente male. Uno abita nel tuo palazzo”
“Saul?
“Esatto”
“Lo so bene, la vecchietta sotto di lui si lamenta sempre del suo amplificatore alle assemblee condominiali. Invece io ringrazio il cielo quando inizia a suonare”
“Una sera dovresti venire a sentirci allora”
“A sentirvi?”
“Siamo un gruppo, io, Saul, Steven eccetera. Suoniamo insieme, io canto”
“Davvero?”
“Mio dio piccola, ma da che pianeta vieni?”
Feci spallucce e lui iniziò ad arpeggiare sulle corde della chiatta: do, sol, la, do. E iniziò a fischiettare suguendo la musica. 
Fu lì che mi innamorai.
Shed a tear cause i'm missing you, i'm still allright to smile, girl i think about you every day now”
Aveva la voce più profonda ed espressiva che avessi mai sentito. O forse dicevo così solo perché nessuno dei miei cantanti preferiti aveva mai suonato sul mio letto. Mi immaginai se al suo posto ci fosse stato Kurt Cobain, con il suo maglione informe a suonarmi “where did you sleep last night”. Quello sì che sarebbe stato uno spettacolo. Tuttavia William non era da meno, io non mi intendevo molto di musica e forse erano gli ormoni che parlavano al mio posto, ma aveva la voce più bella che avessi mai sentito.
Alzò la testa per guardarmi, stavo tremando dall'emozione. Iniziavo ad avere freddo.
“È incantevole, no, è riduttivo, è stupenda..non ho parole”
“Grazie. Purtroppo questa non l'ho scritta io, ma questa è quella che rende meglio in acustica”
“Devo assolutamente sentirvi del vivo“.
Sorrise. Ripose la chitarra e mi venne vicino. Era davanti a me, appoggió le sue mani sui miei fianchi (vabbè fianchi, all'epoca ero un palo della luce) e mi guardò negli occhi.
“Fallo allora, di ai tuoi che dormi da un'amica e ci vieni a sentirci, suoniamo questo sabato al RedCarpet” 
“Non lo so” dissi cercando di evitare il suo sguardo, ma lui mi seguiva non lasciandomi via di fuga.
“Non è che non voglio venire è che è un casino”
“Ti prego, sarei felicissimo se ci fossi”
“Ci devo pensare, non sono una ragazza ribelle purtroppo”
“Per questo mi piaci, per me è una novità”
“Nemmeno Bea è una ribelle”
Si irrigidì, forse dovevo smetterla di parlare di lei, ma era più forte di me.
“Si vede che tua sorella non la conosci. Comunque, io voglio che ci sia tu sabato. Ti avverto però, di tutte le canzoni che suoniamo ce n'è solo un'altra dolce come questa, le altre sono di tutt'altro genere”
“Ah sì?”
“Già, anzi, ora che ci penso forse è meglio che tu non venga, sei troppo piccola per ascoltare certe cose”
Lo guardai scocciata.
“Scherzo dai, non c'è bisogno che fai l'offesa!”
Mi colse di sorpresa. Un momento prima mi stava parlando e quello dopo mi stava baciando. Fu un bacio lento, armonioso, fu il primo, almeno per me. Dischiusi le labbra e mi lascia trasportare. In realtà aveva già baciato un ragazzo l'estate precedente, ma in quel momento realizzai che forse non avevo mai baciato veramente qualcuno. I baci dei grandi sono un'altra cosa. Lasciai scivolare le sua mani su di me, pensando che purtroppo aveva ben poco da toccare. Mi tornò in mente Bea e il suo di corpo, lì si che si sarebbe divertito. Mi prese in braccio e mi strinse forte a se per non farmi cadere. Ogni contatto con la realtà se ne andò insieme alla perdita del contatto del pavimento sotto ai miei piedi. Scusate se sono ripetitiva, ma veramente la frase "mi sentii morire" è quella che riesce a descrivere meglio la situazione. Iniziò a baciarmi con più passione tenendomi stretta a lui, sarò anche stata piccola, ma ne ne accorsi subito che si stava eccitando. 
“Meglio se mi fermo” disse. Lentamente mi fece scendere facendomi toccare terra, ma continuava a tenermi stretta.
“Sei un sogno piccola. Vorrei non dovermene mai andare da qua”
Ero pietrificata dall'emozione, affondai la testa sulla sua spalla e finalmente riuscì ad abbracciarlo anch'io. Era la prima volta che ero io a fare qualcosa. Aveva un odore, un profumo che non dimenticherò mai. I ragazzi della mia età non profumavano così. Era contagioso, assuefante, una droga. Iniziò a baciarmi i capelli e mi chiesi se il profumo del mio balsamo gli piacesse. Profumavo anch'io come una donna o profumavo ancora di bambina?
“Dimmi che verrai sabato”
“William, mi piacerebbe tantissimo, ma poi come faccio? Torno a casa alle due di notte?”
“Chi ha detto che devi tornare a casa? Gli dirai che dormi da un'amica”
“Si ma poi dove dormo davvero?”
Mi guardò incredulo, come se la risposta fosse la cosa più facile del mondo.
“Con me”
Avrei voluto (dovuto) chiedergli dove, ma non lo feci. Non riuscivo a pensare ad altro che al fatto che avrei dormito con lui, una notte intera.
“Si è fatto tardi, sarà meglio che vada, Saul mi avrà dato per disperso”
“Già”
“A presto piccola, non vedo l'ora di rivederti”
“Ciao”

Quando la mattina dopo mi svegliai tolsi la modalità aereo dal telefono e trovai un suo messaggio, era delle tre di notte.
Grazie, te l'ho già detto che sei stupenda, ma te lo ripeto. Sono stato benissimo piccola. Buonanotte! Ah oggi mi sono dimenticato di dirti una cosa: hai il culo più bello della storia” 
E buongiorno a me.



 
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Capitolo 6
*** 6º ***


Sogna
che sogno
che sogni
che sono vicino




Meditai a lungo nei giorni successivi, escogitando vari piani d'azione per il sabato sera del concerto. Erano tutti ridicoli, insulsi e mi mettevano un'angoscia terribile. 

“Tu devi andare! Se fossi al tuo posto non esiterei un attimo”
La faceva facile lei. Avrei voluto vedere se ci fosse stata veramente al mio posto. I giorni successivi furono densi di scuola. La settimana prima delle vacanze è sempre così: compiti, interrogazioni, verifiche.
Tuttavia la mia mente era bloccata ad un pensiero fisso.

Una sera dopo cena ero sul divano con mio padre, stavamo guardando uno di quei talk show politici in cui gli invitati si urlano contro come scimpanzé, e fu lì che mi venne in mente.
“Papà” dissi.  
“Dimmi” Disse continuando a guardare la TV.
“Devo chiederti una cosa”
Mi guardò, dovevo avere una faccia terribile. 
“Sarebbe?” disse e tolse il volume dalla TV.
Respirai profondamente. Mi fidavo di lui.
“Vedi...sabato sera...” Abbassai lo sguardo, certe cose si riescono a dire meglio se non si guarda l'interlocutore negli occhi. 
“...sabato sera dei ragazzi del Costa suonano al RedCarpet, sono davvero bravi...”
Rise. Si passò una mano sulla testa. Era nervoso.
“E tu vorresti andare?”
“Credo di sì. In realtà pensavo di andare nascosto, ma poi ho capito che era una grande cazzata”
Annuì.
“Grazie per non averlo fatto Arianna, mi fa molto piacere”
“Figurati”
“Forse sarebbe meglio ne parlassimo anche con la mamma”
“No ti prego! Io l'ho chiesto a te, lei lo sai com'è fatta” abbassai la voce per non farmi sentire. “Lo sai com'è fatta, si fa prendere dal panico e risponde prima di pensare”.
“Dovresti darle una possibilità”
“Magari un'altra volta”
“Vediamo a che ora sarebbe questo concerto?”
“Iniziano alle dieci”
“Quindi prima dell'una non finirà”
“Suppongo di no”
“Arianna...”
“Ti prego!”
“Facciamo così, un compromesso, vai e poi ti vengo a riprendere io per mezza notte e mezza”
Ponderai la situazione, in realtà avevo poco da ponderare, era molto di più di quello che speravo. 
“D'accordo! Grazie, grazie!” Dissi e lo abbracciai.
“Si, prego, prego. Due figlie femmine ecco cos'è la cosa più difficile che possa capitare ad un uomo”
Gli sorrisi “Te la cavi alla grande”.
Sospirò scuotendo la testa, mi rendo conto di quanto potesse pesargli.
“Fanno buona musica almeno?”
“Parecchio!”
“Come chi? Stile One Direction?”
“Papà! No, decisamente no! Fanno rock. Stile...mmm non so stile chi. Romones forse, no neanche. È uno stile loro, non ho mai visto niente del genere”
“Addirittura?”
“Ti assicuro! E poi il cantante ha una voce strepitosa, stupenda”
“Insomma mia figlia andrà a vedere il Robert Plant degli anni duemila chi sono io per impedirglielo?”
“Scemo!” Dissi e scoppiai a ridere.
Mio padre e il suo amore per i Led Zeppelin.


La smania che mi si propagava nel corpo venne smorzata bruscamente quando entrando nel locale vidi due occhi neri pronti ad incenerirmi. 
Non doveva essere molto felice di vedermi. Anzi non lo era per niente.
Saul mi fulminó con lo sguardo e non riuscì a capire perché trovasse così spiacevole la mia presenza nel locale.

“Beviamo qualcosa?”
“Certo!” Risposi a Sofia. Tralasciando qualche bicchiere di spumante ai matrimonio il mio rapporto con l'alcol non si poteva certo definire confidenziale. Eppure optai con una vodka alla pesca lemon. Se solo ci ripenso ora, come facevo a bere certi intrugli dolciastri? Forse era per il colore, di certo era per darmi un tono.

Riconobbi William nella stesso tavolo di Saul ai bordi della sala. Era terribilmente buio là dentro e il fracasso impediva di parlare.
“Dovresti andare a salutarlo”
“Tu vorresti che andassi, giusto?”
“Una volta tanto che posso vedere Jeffrey da vicino, non vorrei sprecare l'occasione”
“Non so se ha voglia di vedermi in realtà”
“È lui che ti ha chiesto di venire”
“Facciamo così, passiamo lì davanti come se dovessimo uscire sul balcone e vediamo se mi ferma”
“Meglio di niente”

Avrei voluto posticipare quel momento il più possibile. Il momento della verità. Quando hai ancora tutte le possibilità aperte, un po' come quel gatto dentro la scatola che poteva essere sia vivo che morto, si sta decisamente meglio. Camminai lentamente, sforzandomi di guardare dritta, con l'ansia che mi frizzava nelle vene.
“Arianna!”
Mi girai, calcolai quei due secondi che servono per riconoscere una persona e per far sembrare più reale la mia reazione, poi salutai.
“Ehi, ciao”
I due biondi del gruppo scoppiarono a ridere, così senza ragione, diciott'anni spesi male. 
“Sono felice che tu sia venuta, sedetevi dai! Presentaci la tua amica”
“Si beh, lei è Sofia”
Credo che debba avermi odiata a lungo per quella presentazione discutibile.
Presi posto vicino a Saul, puzzava di rum.
“Ciao”
Fece un segno con la testa, confermando le mie impressioni sulla sua felicità di vedermi.
“Siete venute ad ascoltare un po' di buona musica?”
“Questo dipende da voi”
L'ho sempre odiata per quelle rispostine che riusciva a dare, a me forse risposte del genere sarebbero venute in mente dopo un paio di giorni.
“Senti, senti, coraggiosa la bambina” commentò Micheal.
“Cos'avrei fatto di coraggioso?”
Il biondo le mando un bacio e non le rispose.
“Tra quanto iniziate?”
“Hai fretta piccola?” Mi disse William, era la prima frase che mi rivolgeva.
“No, chiedevo solo”
“Ottimo, perché a me piace fare le cose con calma” disse prendendomi le mani.
Saul si irrigidì vicino a me.
“Fammi passare” mi disse.
Lo guardi impietrita.
“Alzati!” 
Così feci, mi spostai per farlo passare e lo guardai allontanarsi. 
“Questo è il vero lui, tesoro. Mezzo uomo, mezza bestia, noi lo chiamiamo Slash”
“Slash?”
“Già. Qui abbiamo tutti dei soprannomi”
“E qual è il tuo?” Chiese Sofia a Jeffrey.
Lo vidi sgranare gli occhi incredulo, evidentemente era stupito che quella ragazzina si rivolgesse a lui con quel tono così confidenziale.
“Svuotami il cannone” disse si alzò in piedi facendo il gesto di sbottonarsi i jeans “Se vuoi andiamo in bagno”.
Scoppiarono tutti a ridere, Sofia avvampò. Poteva essere tosta con i ragazzi della nostra età, ma con loro, con il fuoco, non valeva niente. Loro giocavano in un'altra categoria.
“Beh ragazze, ora scusate, ma noi dobbiamo andare. Felice di avervi conosciuto”.
“Devo andare anch'io piccola. Spero che i miei amici non ti abbiamo sconvolta eccessivamente” 
“Mi aspettavo di peggio”
“Ottimo, e lascia stare Slash, quella è solo gelosia. Non te ne andare fino alla fine, cercherò il tuo sguardo per tutto il concerto”

La canzone del letto era radicalmente opposta da quello che sentii quella sera. Sentii rabbia , menefreghismo, distruzione e speranza. Delle frasi mi rimasero appiccicate in testa per gironi, alcune sono ancora appiccicate mentre scrivo e sono certa che alcune resteranno appiccicate in eterno. Erano puri, indiavolati e con una carica talmente forte da riuscire a far crollare il locale con le vibrazioni dei loro amplificatori. La voce di Axl calda e rassicurante che avevo ascoltato in camera mia si era trasformata in una voce tagliente, roca, aggressiva. Sicuramente orgasmica. L'avrei ascoltata spesso, di notte sola nel letto. 
Non penso fosse in grado di vedermi, il buio era quasi totale e le prime file erano occupate, ma se mi avesse guardato anche solo per un momento mi avrebbe vista urlare in silenzio quanto fossi felice. 
In quel momento mi pentì amaramente di non essere andata oltre quel pomeriggio, mi sentì come se avessi perso l'unica occasione della mia vita. Aveva sicuramente avuto un abbaglio, quel ragazzo non poteva davvero volermi, o per lo meno non mi avrebbe voluta per molto tempo. 
Infatti non mi voleva, ma questo lo scoprii solo dopo molto tempo. All'epoca vivevo ancora nella speranza, nell'ingenuità che uno come lui potesse essere veramente interessato a me. 

"C'è bisogno di commentare?" Gli dissi a concerto finito.
Mi venne incontro prendendomi per mano e portandomi in un posto più isolato. Mi baciò e il sapore  racchiuso in quella bocca fu il biglietto di sola andata per il mio suicidio. Tutto di lui mi attraeva, inesorabilmente.
Dolce, tenere, ingenua Arianna, eppure quella notte mi sarei infilata nel bagno di quello squallido locale per lasciargli prendere quello che voleva.
L'orario mi impedì di fare quella cazzata, purtroppo non ci fu un angelo custode ad impedirmi di farla anche le volte successive.
"Purtroppo devo andare"
"Di già?"
"Lo so: troppo tardi per me è troppo presto per te"
"Te l'ho detto, so aspettare. Grazie per essere venuta"
"Grazie a te, è stata un'esperienza questo concerto"
 Mi baciò di nuovo.
"Pensami sta notte"
Già, come se ci fosse stato bisogno che me lo dicesse di farlo. 
Non sarei riuscita a chiudere occhio.

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