Remember

di Calya_16
(/viewuser.php?uid=793294)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Nota dell'autrice: benvenuti in questa nuova storia! E' la mia prima ff a tema TWD a capitoli e spero di non deludervi. Vi saranno capitoli più lunghi e altri meno, come per esempio questo: mi serviva un momento per introdurre la storia ma spero lo apprezziate comunque. Prometto che i prossimi capitoli saranno più lunghi, anche a me fa strano vederne uno così corto. Prendetelo come un piccolo prologo.
La storia è ambientata durante la seconda parte della quinta stagione, dopo la morte di Beth.   Ho pensato a molti altri momenti in cui ambientare la storia, ma questo mi ha presa particolarmente, mi son venute un po' di idee e spero di riuscire a realizzare tutto bene come vorrei. Basta, adesso vi lascio alla lettura e lasciate un commento!





Prologo

Stava correndo lontano dagli zombie, dietro di lei: erano troppi e da sola sapeva di non poterli affrontare. Quando gliene capitava qualcuno troppo vicino lo uccideva con il proprio coltello, ma senza fermare i suoi passi.
Voleva cercare Daryl: dopo la morte di Beth si stava allontanando da lei e Carol non voleva che succedesse, erano stati lontani già troppo a lungo e non voleva perderlo di nuovo.
Il gruppo era sulla strada, tutti stremati dagli ultimi eventi e indeboliti dal viaggio a piedi. Daryl era andato a caccia, ma lei non riusciva a stare ferma e dopo un po’ decise di andargli dietro. Non l’aveva trovato e anzi, si era ritrovata circondata dagli zombie, non sapeva neanche lei come.
Ora stava cercando di tornare indietro seminandoli, per non portarli al gruppo. Stava cercando di orientarsi tra erba e alberi, ma tutto le sembrava uguale, come se girasse intorno. Ad un certo punto inciampò in un tronco nascosto nell’erba alta e cadde di faccia sul duro terreno. Riuscì a rotolarsi sulla schiena, gemendo appena e portandosi una mano sulle costole destre: un sasso le aveva tolto il fiato e adesso era dolorante.
Respirò e cercò di rimettersi in piedi, ma uno zombie inciampò nello stesso tronco e le crollò sopra. Carol lo tenne a distanza con le braccia tese, cercando di spingerlo lontano da lei. Lo zombie non sembrava però essere della stessa idea e facendo sbattere tra loro i pochi denti che gli rimanevano cercò di morderla sul braccio.
Carol lanciò un piccolo urlo, presa alla sprovvista, ma riuscì a spostare il braccio in tempo. Sempre tenendo lo zombie sopra di lei cercò di muovere le gambe per poterlo spingere lontano, ma il peso del cadavere e una piccola radice gliele bloccava.
Continuarono a lottare per un po’, mentre Carol cercava di farsi venire un’idea su come prendere il proprio coltello. Riuscì a sfilare un poco un piede e con il ginocchio piegato spinse un po’ più lontano il morto: ma aveva ancora le mani impegnate e non poteva spostarle, e aveva paura che altre di quelle creature potessero avvicinarsi. Non riusciva a liberarsi di uno, figurarsi di diversi! La stanchezza di quei giorni, senza ne cibo né acqua si stava facendo sentire.
Stava pensando questo quando un braccio le cedette e sentì lo zombie crollarle addosso per metà. Carol urlò e subito vide comparirle davanti agli occhi una freccia.
Si girò e vide la testa dell’uomo attraversata da una freccia verde, per poi sentire il peso del corpo lasciarla e ritrovarsi Daryl in piedi, vicino a lei.
“Vuoi farti ammazzare?” le sputò addosso Daryl, riprendendosi la freccia e pulendola sui propri pantaloni.
Carol si alzò e gli si avvicinò.
“Grazie”
Daryl grugnì in risposta, non incrociando il suo sguardo ma riprendendo a camminare, avviandosi senza aspettare Carol.
“Ero venuta a cercarti”
Carol gli corse dietro, cercando di fermarlo posandogli una mano sul braccio. A questo gesto Daryl saltò di lato, fermandosi.
“So cosa provi, l’ho passato anch’io, ma non puoi fare tutto da solo. Ci sono, se vuoi”
Carol non voleva dirgli altro, non voleva che Daryl le parlasse. Sapeva che non era da lui, ma voleva una sua reazione, e fargli sapere che non era solo, non più.
“Torniamo dagli altri, si staranno preoccupando” gli disse poi, lanciando una veloce occhiata alla mano di lui e notando il segno circolare di una bruciatura. Sperava che fosse tutto lì, non voleva vedere Daryl cadere e non poter far niente.
Accennò un sorriso e si avviò, senza bisogno di controllare se lui la stesse seguendo. Lo sentiva.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Erano seduti a terra, stremati. Non formavano un cerchio, si erano seduti scomposti; Glenn e Maggie leggermente in disparte.
Maggie posò il capo sulla spalla di Glenn, trattenendo i singhiozzi. Tuffò poi il volto nel collo di lui, lasciandosi cullare.
Stava cercando di andare avanti dopo aver assistito alla morte di sua sorella: si sentiva vuota, andava avanti ma a lei sembrava di stare ferma. Niente aveva un vero senso, in quel periodo.
Rick teneva in braccio Judith, mentre Carl le accarezzava i capelli con lo sguardo perso nel vuoto e i capelli impregnati di sudore attaccati al volto. Rick si stava chiedendo dove avrebbe condotto il suo gruppo, cosa ne sarebbe stato di loro: doveva fare qualcosa, trovare una nuova “casa”. Gli mancava la prigione, ma ora la sentiva lontana, erano successe troppe cose.
Doveva fare qualcosa: per lui, per loro e per i suoi figli. Voleva fare tutto quello che poteva per farli crescere al meglio anche in quel mondo.
Ognuno del gruppo stava affrontando i propri pensieri quando comparvero Daryl e Carol: tutti gli occhi si puntarono sull’arciere, che però sollevò le mani in segno di sconfitta. Come se avesse capito che non vi era da mangiare Judith si mise a piangere. Subito Rick si alzò in piedi e iniziò a cullarla, sussurrandole piccole parole.
Carol si passò una mano sul viso, stanca. Si rimproverò mentalmente per essere andata dietro a Daryl: se lei non avesse fatto casino e non avesse messo sul chi va la gli zombie forse adesso avrebbero avuto qualcosa da mangiare, anche se minimo.
“Dobbiamo proseguire” mormorò Rick, dopo aver calmato Judith.
Nessuno protestò, tutti si alzarono, chi con un sospiro e chi senza il minimo rumore. Ogni emozione sembrava averli abbandonati, sembravano zombie vivi che proseguivano senza una meta, un piccolo scopo solo, o istinto di sopravvivenza: cibo, acqua e un riparo.
Non chiedevano altro.
Proseguirono, gli sguardi vuoti, finché Carl non si fermò: si trovava più avanti rispetto agli altri e aveva notato qualcosa al centro della strada, poco più avanti. Vi corse incontro, curioso e speranzoso.
“E’ acqua!” urlò pieno di gioia, mentre il gruppo lo raggiungeva.
Rick prese il biglietto posato sopra le casse d’acqua e lo lesse.
Da un amico. Non mi piace, non mi fido. Nessuno ti regala niente” disse iniziando a guardarsi attorno, in cerca di qualcuno nascosto nel sottobosco.
Gli sembrava di sentire qualcosa, pronto a fare cenno agli altri, quando spuntarono sulla strada dei cani. Si bloccò, non sapendo bene che fare: non gli era mai capitato di incontrare animali che una volta fossero domestici, e sinceramente non vi aveva pensato. I cani davanti a lui avevano ancora i loro collari, messi con cura e amore dai loro padroni orami morti, ma gli ringhiavano contro, pronti a spiccare il balzo per poterli uccidere.
Uccidi o muori. Non vi erano tante scelte in quel momento, e così Rick portò la mano alla pistola, alzandola leggermente tremante. Sperava che gli altri non lo notassero, non poteva farsi vedere debole in un momento in cui nessuno aveva forze: si sarebbero sentiti persi, senza più nessuno a guidarli e proteggerli.
Respirò, pronto a far fuoco, quando uno sparo vicino lo fece balzare di lato: Sasha teneva ancora il fucile ad altezza della spalla, e si stava sistemando per sparare un secondo colpo. Rick la lasciò fare: aveva bisogno di sfogarsi e gli stava prendendo la cena, non poteva dire molto.
 
Mangiarono in silenzio, guastando la carne ma sentendosi anche un poco in colpa: il mondo era andato a puttane, letteralmente, ma loro non potevano farci niente. Dovevano stare al gioco per poter sopravvivere.
Michonne guardò il suo spiedino di carne e sospirando gli diede un morso: le sembrò la carne più buona di sempre.
Stavano tutti meglio adesso che avevano finalmente messo qualcosa nello stomaco, e così si misero a parlare sottovoce accanto al fuoco, cercando di distrarsi e di passare qualche momento in una sorta di normalità.
Daryl si trovava un poco in disparte, ancora preso a mangiare la sua carne, con Carol che lo guardava dalla parte opposta, attraverso il fuoco: si chiese cosa stesse pensando, come stesse reagendo dentro di lui. Avrebbe voluto alzarsi e andargli vicino, stare seduti uno di fianco all’altro e basta. Stava pensando realmente di farlo quando sentì un tuono entrarle nei pensieri.
Sollevò il capo in alto, imitata dal resto del gruppo: una nuvola scura si avvicinò e in pochi secondi iniziò a piovere.
Si misero quasi tutti a sorridere, Tara e Rosita a terra, pronte a prendere tutto quell’acqua dopo molto tempo.
Carol si unì al gruppo in quella gioia, ma solo per pochi secondi: il suo sguardo fu nuovamente catturato da quello di Daryl, che ora la fissava di rimando, dopo essersi alzato. Vi lesse il nulla, e questo portò Carola preoccuparsi ancora di più.
Doveva farlo reagire, non poteva continuare a vivere in quell’apatia.
“E’ meglio trovare un riparo” Rick si alzò e diede Judith in braccio a Carl.
“Ho visto un fienile, qua vicino” Daryl si chinò a prendere da terra la propria balestra e face strada, mentre la pioggia li bagnava e il buio della sera si avvicinava.
Quando arrivarono al fienile, poco dopo, i raggi del sole erano quasi del tutto spariti.
 
          °°°°°°°°°°
 
Il fuoco schioppettata tranquillo, un piccolo cerchio vi si era formato attorno.
Maggie stava girando per il fienile: non riusciva a stare ferma. Quella pioggia le faceva piacere, certo, eppure non riusciva ad esserne completamente contenta. Avrebbe solamente voluto rifugiarsi in un angolo, al buio, e piangere fino ad addormentarsi.
Sembrava quasi un animale in gabbia, in cerca di una via d’uscita.
Chi si sentiva in gabbia ma si era arreso però era Daryl. Carol gli si era seduta accanto, pronta a non farsi sfuggire quell’opportunità. Non sapeva come, ma si erano messi a parlare di loro e degli essere che affrontavano ogni giorno. Un discorso estremamente triste, eppure così vero che Carol rimase incantata dalla storia di Rick e suo nonno, fino a che non pronunciò un altro tipo di frase.
“Noi sopravviviamo. Ci ripetiamo che noi siamo i morti che camminano”
Tutti gli occhi si puntarono sullo sceriffo a quel punto: come si poteva reagire a un frase del genere? Lo siamo davvero? Si chiese Carol.
Distolse la sua attenzione da Rick solo quando sentì una voce vicino a lei farsi avanti.
“Non siamo loro”
Daryl puntò lo sguardo su Rick, pronto a contraddirlo se avesse smentito quell’affermazione. Carol dentro di sé accennò un piccolo sorriso: era bello sentire quelle parole provenire proprio da Daryl, voleva dire che stava provando a reagire, forse le sue parole nel bosco lo avevano un poco aiutato.
“Non lo siamo” confermò Rick, annuendo all’amico.
Carol gli fece un cenno affermativo, allungando una mano in direzione di Daryl e sfiorandogli la sua. Sentì l’uomo irrigidirsi un poco a quel tocco, eppure non si ritrasse subito.
Stavano tutti meditando su quello che era appena stato detto quando un tuono più forte li fece balzare dallo spavento. Qualche risolino riempì l’aria, nell’imbarazzo di essersi fatti spaventare da una cosa così normale.
Daryl spostò delicatamente la mano da quella di Carol, alzandosi e iniziando a gironzolare per il fienile, fina fermarsi davanti al portone e guardare fuori, attraverso il piccolo spiraglio che rimaneva tra le catene che avevano usato per chiuderlo.
Voleva guardare fuori per curiosità, vedere quanto stava piovendo quando un lampo illuminò l’esterno e gli diede l’esatta visione di quello che li aspettava.
Zombie, una mandria, che si avvicinavano al portone, pronti a sfondarlo con il proprio peso. Daryl subito si allarmò e si posizionò con la schiena contro il legno, spingendo contro zombie, pioggia e vento.
Non chiese aiuto, ma poco dopo tutti corsero ad aiutarlo, vedendo e capendo.
Spingevano, tutte le loro forze concentrare in quel momento, sentendosi più vivi che mai.
Carol si trovò in mezzo al gruppo, braccia e gambe che si distinguevano poco nel buio, gli occhi socchiusi per concentrare ancora di più le proprie energie.
Stava spingendo, contrastando le forti spinte degli zombie. Puntò i piedi, abbassandosi un poco e mettendovi ancora più energia.
In questo movimento spostò un poco la testa e le spalle per non perdere l’equilibrio a causa del fango, ma una gamba le scivolò comunque e sentì uno spostamento d’aria: aprì gli occhi appena in tempo per vedere un qualcosa nel buio andarle contro, colpirle la testa.
Sentì male, non riuscì più a spingere e cadde a terra, perdendo i sensi.
In tutto quello spingere con i piedi nel fango i sopravvissuti avevano riportato alla luce i sassi che con il tempo si erano accumulati all’entrata.
Solo poco dopo qualcuno si accorse che Carol era a terra, svenuta, e del sangue le usciva dal capo.





Nota dell'autrice: so che nel telefilm certe cose sono andate diversamente, come per esempio i cani e le bottiglie d'acqua, ma ho voluto riadattare certe cose. Questo capitolo riprende molto della puntata 5x10 del telefilm, ma mi serviva per introdurre meglio il contesto e per dare il via alla storia. Vi saranno ancora riferimenti, ma non me la sentivo di stravolgere trippo il tutto fino a che Carol non fosse stata male.
Spero di riuscire a pubblicare presto anche il secondo capitolo. Che la storia abbia veramente inizio! Ricordatevi inoltre di passare sulla pagina autrice facebook per rimanere sempre aggiornati! 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Sophia le stava sorridendo, allungando le sue piccole mani in alto per esser presa in braccio.
Carol la prese su dal lettino e la coccolò, cantandole una ninna nanna e dandole dolci baci sulla testa. Da quando Sophia era nata la sua vita era totalmente cambiata e mai era stata più felice. Ed non la toccava da quando era tornata a casa dall’ospedale e sperava che questa volta tutto sarebbe cambiato per sempre, forse aveva capito che aveva sbagliato a ubriacarsi e picchiarla, magari l’amore per sua figlia lo aveva cambiato davvero.
Carol vide la sua vita diversa, piena di gioie: avrebbe portato Sophia ovunque, le avrebbe insegnato tutto quello sapeva e anche di più e sarebbe diventata una donna forte e bella, con un uomo che la meritava davvero al suo fianco.
Chiuse gli occhi e stringendola al petto inspirò il suo profumo di neonata, di latte e di buono, mentre sua figlia si addormentava serena.
 
          °°°°°°°°°°
 
C’era freddo e umido e la testa le pulsava. Il terreno sotto di lei era duro e uno strano odore aleggiava nell’aria.
Carol provò ad aprire gli occhi, ma appena la luce filtrò oltre le palpebre li richiuse subito, emettendo un lamento.
“Carol sei sveglia?” sentì qualcuno chiederle, accanto a lei.
Voltò la faccia verso la voce e aprì di poco un occhio: la vista era un po’ sfocata inizialmente, ma poi riuscì a distinguere i tratti di un ragazzino magro con in testa un cappello troppo grande per lui.
“Tu…” provò a parlare, ma il ragazzo non la stava ascoltando, ora in piedi.
“Papà si è svegliata!”
Carol sentì dei passi avvicinarsi veloci.
“Carol, oddio. Ci eravamo spaventati così tanto!”
Lei si voltò e riuscendo ad aprire anche l’altro occhio guardò l’uomo che le stava davanti.
“Chi siete?”
Rick a quella domanda si fermò con il braccio teso, già pronto ad abbassarsi per abbracciare l’amica.
“Carol, sono Rick” le rispose titubante.
‘Rick, Rick. Sì, mi ricordo qualcosa di lui, ma non bene. Perché è tutto sfocato?’ si chiese Carol, chiudendo gli occhi e stringendosi la base del naso tra le dita, pensando. ‘Atlanta: siamo scappati e poi è arrivato quest’uomo nel nostro gruppo e ci ha guidati, mi sembra. Ma perché eravamo scappati?’ stralci di memoria le affioravano davanti agli occhi.
Rick si chinò sulle ginocchia e la fissò preoccupato.
“Ti ricordi di me? Come ti senti?”
“Sì, scusa. Ho avuto un momento di..buio” Carol cercò di tranquillizzarlo il più possibile, avvertendo un po’ di tensione lasciare il suo corpo e la sua mente pulsante.
Rick annuì, senza smettere di guardarla.
“Ti ricordi cosa ti è successo?”
Carol si mise a sedere con fatica, le braccia tese dietro la schiena. Sentiva i palmi delle mani bruciarle leggermente, questo era un indizio forse.
“Non molto bene” era dispiaciuta e anche un po’ imbarazzata: cosa ci faceva lei lì, in quelle condizioni? Cosa le era successo? Sapeva di essere al sicuro, ogni secondo che passava a guardare il volto dell’uomo le tornavano dei ricordi, anche se pochi e sfocati.
Solo non riusciva a mettere insieme i pezzi, e quel pulsare alla testa non la stava aiutando.
“Sei caduta, scivolata e hai sbattuto la testa. Ti abbiamo pulito la ferita e penso che dopo mangiato proveremmo a cambiarti la fasciatura. Per sicurezza, così che non si infetti” cercò di sorriderle lo sceriffo, anche se era molto preoccupato dalla reazione della donna.
“Hai bisogno di riposare, ti sveglieremo quando sarà pronto da mangiare” le disse Rick, posandole cauto una mano sulla spalla. Sperò che fosse un estraniamento momentaneo, a volte poteva capitare.
Carol lo guardò alzarsi e tornare da dove era venuto. Si sdraiò di nuovo, toccandosi la fasciatura di cui non si era inizialmente accorta, solo per notare il ragazzino che la fissava dall’alto.
“Se hai bisogno sono in quell’angolo lì” le disse, indicandole un punto poco distante.
Carol lo fermò prima che se ne andasse.
“Sono l’unica ferita?”
Stava ricordando anche il ragazzo, ma il suo nome era immerso nel fumo, non riusciva a riportarlo a galla.
“Sì, ma non sei mai un peso se è questo che pensi. Poteva succedere a chiunque” le sorrise, per poi andare a sedersi sul piccolo giaciglio nell’angolo.
‘Carl’ il nome le arrivò alla mente all’improvviso, mentre cercava una posizione comoda per riposarsi un altro po’. Ne sentiva il bisogno.
‘E’ amico di Sophia’ questo fu l’ultimo pensiero prima di addormentarsi.
 
          °°°°°°°°°°
 
“Mamma! Il mio ginocchio!”
Sophia mise in mostra il ginocchio con le mani e le lacrime agli occhi. Carol le corse incontro, buttandosi a terra davanti a lei, subito preoccupata.
“Cosa ti è successo?”
“Sono caduta dalla bicicletta” le lacrime non si fermavano, il volto di Sophia era completamente bagnato.
Carol tirò un sospiro di sollievo, andando a stringere sua figlia. Aveva avuto paura che suo padre l’avesse toccata, facendola cadere come quella volta dal seggiolone, o come un anno prima, quando le aveva spezzato un braccio perché era andata a toccare le sue cose.
Quella bambina era forte, a quattro anni aveva già affrontato e visto molte cose.
Carol era davvero orgogliosa della sua bambina, ma voleva proteggerla da tutto. Si lasciò sfuggire un risolino di sollievo al pensiero che si era fatta male con una semplice caduta dalla bicicletta come tutti i bambini.
“Vieni, andiamo a disinfettarci”
Carol prese per mano sua figlia e la guidò in bagno, dove le pulì la ferita.
“Ti voglio bene, lo sai?” le disse Carol una volta finito.
“Lo so mamma. Te ne voglio anch’io”
 
          °°°°°°°°°°
 
“Carol”
Qualcuno le stava scuotendo il braccio, fino a che non si svegliò.
“E’ pronto da mangiare, Daryl è riuscito a trovare un cinghiale” Rick l’aiutò ad alzarsi, per poi tornare a parlarle.
“Aveva bisogno di sfogarsi, era molto agitato. Sarà contento di vederti sveglia e in piedi” le sorrise, andando poi dagli altri, seduti attorno al fuoco.
Carol riportò alla mente il nome di Daryl, poi il suo volto. Le vennero subito in mente i suoi occhi e si chiese se fosse tutto frutto della sua immaginazione.
Raggiunse poi Rick e si guardò attorno, chiedendosi quando si erano trasferiti in un fienile.
Tutti la salutarono felici e lei sorrise, alzando una mano in segno di saluto, benché molte facce le fossero sconosciute, solo qualche particolare alla mente.
“Carol” una mano le si posò sulla spalla e la fece voltare.
Davanti a lei vi era Daryl, il volto teso. Entrambe le sue mani erano ora sulle spalle di lei, la stringeva lievemente come a non volerla lasciare andare.
Lo riconobbe subito e non seppe come reagire, catturata dagli occhi di lui. ‘Non me gli ero immaginati’ si stupì a pensare, non sapendo neanche bene da dove le veniva quel pensiero.
“Come ti senti?”
“Bene, grazie” Carol fece un passo indietro, estranea a quel contatto con un uomo di cui aveva solo un vago ricordo: rude, silenzioso e strano, era questa l’immagine che aveva nella sua mente. Si chiese come mai le stesse così vicino, parlandole con tanta confidenza: lei era buona con tutti, eppure non si ricordava di aver mai parlato molto con quell’uomo.
Daryl spalancò gli occhi al gesto di lei, stupito e ferito, le mani ancora in aria ma vuote, abbandonate velocemente lungo i fianchi: aveva fatto qualcosa che l’aveva ferita? Si era comportato in maniera strana? Lo spaesamento era evidente sul suo volto, ma solo Carol lo notò e abbassò imbarazzata lo sguardo.
“Venite a mangiare o volete rimanere lì in piedi?”
Lì chiamò Michonne e subito il volto di Daryl tornò alla sua serietà e impassibilità.
“Arriviamo” il suo tono sembrò duro a Carol, che lo vide sorpassarla lanciandole un’ultima occhiata.
Subito lo seguì, ma si sedette vicino a Rick e Carl, le uniche persone di cui aveva più ricordi al momento. Passò lo sguardo sul resto del gruppo: ricordava il coreano, Glenn: andava sempre ad Atlanta per cercare qualcosa di utile; accanto a lui vi era una ragazza che le sembrava chiamarsi Maggie, e le faceva venire in mente prati verdi e una casa sicura, con una nota di tristezza. Accanto a loro vi era una donna di colore di cui si ricordava il volto ma non il nome.
Gli altri non le dicevano niente, la sua mente era un buco nero in cui dimoravano.
Stava mangiando il cinghiale appena cotto quando ad un certo punto iniziò a muovere il capo velocemente, agitandosi: ricordava che Ed era morto, lei ora era una donna libera. Ricordava che se ne erano andati dall’accampamento, ma poi tutto era confuso, mancava qualcosa.
“Carol cosa c’è?” Rick la fermò, preoccupato.
Tutti stavano guardando la scena cercando di non farsi notare, per non agitare ancor di più Carol. Dalla parte opposta del cerchio Daryl si fermò dal mangiare, osservandola attentamente e pronto a scattare se fosse successo qualcosa.
Carol guardò Rick con gli occhi sgranati.
“Dov’è Sophia?”







Nota dell'autrice: ho voluto fare un piccolo omaggio a Stephen King con il riferimento del braccio rotto di Sophia, come succede a Danny in Shining. Penso sia un qualcosa che sarebbe potuta succedere anche a lei, e forse è stato così, non lo sapremo mai. Non ho molto altro da dirvi, spero che il capitolo vi sia piaciuto e farò il possibile per pubblicare il prossimo al più presto (la colpa è degli esami, io vorrei tanto scrivere di più!). A presto!
 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


Carol era disperata: perché la sua bambina non era lì con lei, a farsi stringere?
Tutti si zittirono, smisero di mangiare. La tensione era palpabile e certi sguardi iniziarono a volare da Carol a Daryl, cercando di non farsi notare troppo.
Rick le pose una mano sulla spalla, voltandola verso di lui.
“Carol, forse è stata la botta. Tra poco ricorderai” lo sceriffo non sapeva bene cosa dire: Carol avrebbe ricordato di lì a poco o le avrebbero dovuto infliggere il dolore di dirle che sua figlia era morta? E come, nel qual caso?
Carol scosse il capo, mentre il respiro le diventava sempre più irregolare.
“Dimmi cos’è successo alla mia bambina!” iniziò a urlare, cercando di allontanarsi dalla presa di lui.
Rick però la tenne ferma fino al silenzioso arrivo di Daryl: le prese le spalle e la tenne ferma, dicendole che prima doveva calmarsi. Carol sembrava non sentire e iniziò ad agitarsi sempre di più.
Le orecchie le fischiavano, tutto si stava fondendo davanti ai suoi occhi: facce e luoghi, in un vortice che sembrava non avere fine.
Daryl le circondò il corpo con le braccia, cercando di trattenere la sua forza disperata.
“Rick ha un attacco di panico!” la voce di Michonne riscosse tutti e lo sceriffo le disse che andava tutto bene, che le avrebbero spiegato tutto.
Maggie si fece avanti e prese una mano dell’amica tra le sue: era sudata e fredda.
“Carol, sono Maggie. Adesso ti siedi e parliamo. Prendi aria con me, forza” la ragazza cercò di calmarla, provando a sorriderle. Voleva farle capire che non vi era niente e nessuno di cui avere paura, erano tutti lì per lei.
Carol continuò a tremare fino a che non iniziò a piangere in maniera scoordinata.
“Carol mi senti?” una voce la stava chiamando: le giungeva ovattata, lontana alle orecchie.
Carol strinse più forte le palpebre e lentamente riaprì gli occhi: doveva essere forte, non poteva lasciarli andare così. Si lasciò aiutare e l’appoggiarono con la schiena alla parete, mentre tutto riacquistava piano piano forma e i suoni tornavano normali.
Quando la vista le si definì vide quella che doveva essere Maggie accanto a lei, che le sorrideva.
“Brava, sei forte come sempre. Ora ti diamo un po’ d’acqua e poi parliamo, ok?”
Carol annuì, non sapendo bene cosa aspettarsi. Mentre qualcuno le portava una bottiglia d’acqua si guardò attorno: tutti erano vicino a lei, formavano un mezzo cerchio.
Uno sguardo particolare attirò il suo: Daryl le era di fianco, poco distante e in piedi. La fissava, illeggibile. Carol si sentì attratta e intimorita allo stesso tempo.
Bevve avidamente: le sembrava la cosa più reale di sempre.
 
Stava guardando la scena da lontano, con Glenn: Rick continuò a tenersi una mano sulla nuca con lo sguardo a terra, girando in tondo.
“Dobbiamo dirglielo, rimandare farà solo peggiorare le cose” Glenn aveva ragione, Rick lo sapeva.
Aveva voluto aspettare indietro con lui per poter discutere su come affrontare la faccenda. Aveva bisogno ora più che mai anche del parere di Daryl, soprattutto di quello di Daryl, ma non riusciva a farlo star lontano da Carol. Capiva il suo bisogno di proteggerla, ma questa era una questione che lo riguardava troppo e non poteva non prenderne parte.
“Glenn, porta qua Daryl. Trascinalo se necessario”
Glenn annuì, poco convinto sul fatto di poter riuscire a trascinarlo.
Arrivò alle spalle dell’arciere, richiamando la sua attenzione. Gli fece semplicemente cenno di andare da Rick.
Quando i tre uomini furono lontani dal gruppo e soli iniziarono a parlare di come dire tutto a Carol.
“Dille che è dispersa” suggerì Glenn.
“Così la faresti sperare per niente” sputò Daryl, scuotendo il capo.
“Dobbiamo dirle che Sophia è morta, questo è sicuro. Ma dobbiamo trovare il modo giusto, non possiamo semplicemente andare lì e dirglielo come se niente fosse. Daryl, te la sentiresti?” Rick si spostò verso l’amico.
Questo scosse il capo.
“Come posso fare a dirle che sua foglia non c’è più?!”
“Ti prego, non urlare” Rick cercò di calmarlo, per non attirare l’attenzione.
Daryl gli rispose con un ringhio frustrato.
“Sei tu il capo, sei tu quello che le ha sparato in testa: diglielo e basta, condiscile la notizia, ma fallo”
Senza aggiungere altro Daryl tornò dal gruppo, più in disparte questa volta.
Rick sospirò, chiudendo gli occhi e posando le mani alla base del naso. Sentì una pacca sulla spalla e girò di poco il volto: Glenn guardava davanti a sé con sguardo triste.
“Ha ragione: devi essere tu a farlo. Richiamo gli altri, è meglio che abbia attorno meno gente” Rick annuì, per poi osservare Glenn che disperdeva il gruppo.
S’incamminò così verso Carol, ora solo circondata da Glenn, Daryl e Maggie. Le s’ inginocchiò vicino, sospirando.
“Sei una donna forte, lo sai questo?” Rick non voleva partire subito con la notizia, doveva prima prepararla.
Carol annuì, confusa.
“Ne abbiamo affrontate tante: Atlanta, la fattoria in fiamme, la prigione; ma tu hai sempre sopportato tutto, sei sopravvissuta anche quando era fuori da sola. So che puoi farcela di nuovo”
Carol continuò a non capire, ma si mise a sedere meglio. L’agitazione stava crescendo, ma non voleva darlo troppo a vedere. Non ricordava certe cose che lo sceriffo le aveva appena detto e voleva sapere.
“Hai affrontato la cosa di Sophia come nessun altro di noi avrebbe saputo fare. Era una ragazzina dolce, troppo forse per questo mondo. Tu hai fatto di tutto, non è stata colpa tua” Rick non voleva fare una pausa, voleva continuare mentre gli occhi si inumidivano, ma Carol lo bloccò cacciando un piccolo urlo e portandosi le mani alla bocca.
Aveva capito.
“Sophia è morta?” quasi sussurrò, troppo spaventata da quella domanda eppure bisognosa di risposta.
Rick annuì “Sophia è morta”.
Carol rimase a fissarlo senza realmente vederlo, mentre cercava di assimilare la notizia.
“Carol?” Maggie cercò di scuoterla, e questa voltò il capo nella sua direzione.
“Cosa?” sembrava che nulla fosse stato detto.
“Come ti senti?”
“Bene” Carol si alzò, senza farsi aiutare da nessuno. Li guardò e poi si chinò a bere ancora: non aveva sete eppure sentiva il bisogno di fare qualcosa.
Glenn e Maggie si scambiarono uno sguardo preoccupato: qualcosa non andava, era evidente.
Prima che uno di loro potesse fare qualcosa Carol lanciò lontano la bottiglia e iniziò a correre verso l’uscita del fienile, lasciando dietro di sé solo lacrime.
Stava realizzando e non sapeva come fermare tutto quello che sentiva: così all’improvviso, troppo per poter continuare a stare ferma, a far finta di niente, a mantenere il volto impassibile. Era una maschera di dolore, calde lacrime lo solcavano.
Aveva solo bisogno di esser lasciata sola, capire se tutto quello era un sogno o realtà, e aveva paura.
Carol corse fuori, respirando a pieni polmoni l’aria fresca. Le lacrime continuarono ad uscirle prepotentemente, ma non le importava. Come poteva credere che sua figlia, la sua Sophia, fosse morta? Come? Era una realtà in cui non voleva vivere, eppure sembrava che ce l’avesse fatta: perché non ricordava? Si sentiva così persa.
Si portò le mani alle tempie e spinse, stringendo i denti per trattenere un urlo, in un moto di rabbia e disperazione. Proprio in quel momento una voce le giunse dalle spalle.
“Dobbiamo parlare” la voce di Daryl era gentile, ma quando le posò una mano sulla spalla Carol si divincolò.
Non voleva ascoltare, non voleva sapere: solo correre lontano, immaginarsi altro e scordare. Così iniziò a correre, ritrovandosi presto dietro al fienile bloccata dagli alberi caduti la sera precedente. Fece per voltarsi e trovare un’altra via ma vide Daryl bloccarle la via di fuga.
“Vuoi fermarti?” questo voleva urlare, ma cercò di trattenere un po’ l’agitazione che aveva.
Carol non ricordava, si sentiva persa, ma anche lui: gli mancava la sua amica, la sua Carol, i loro sguardi, il loro rapporto: tutto quello che avevano passato e che lui era diventato sembrava d’improvviso tutto svanito. Questo Daryl non voleva accettarlo, così avanzò verso la donna.
“Sono io, non hai bisogno di scappare da me”
Carol rimase ferma, il petto che si alzava e abbassava velocemente per la corsa. Era guardinga, ma quando Daryl le fece segno di seguirla per potersi sedere su un tronco lo seguì. Sentì che poteva fidarsi di lui, lo diceva il suo istinto.
Rimasero per po’ seduti vicini, senza dirsi niente.
“Cosa ricordi?” Daryl interruppe quel silenzio voltandosi verso di lei.
Si stupì di quella domanda: prima di lui nessuno si era preoccupato di chiederle cosa ricordasse, tutti volevano solo che lei comprendesse e tornasse quella che non sapeva di essere. Forse aveva solo bisogno di parlare, di riportare alla mente quello che poteva e ricomporre i pezzi. Ma la cosa più importante era che voleva sapere come Sophia fosse morta.
“Io che stringo Sophia, su una strada. Siamo circondate da macchine, ma va tutto bene” si stupì di esser riuscita a parlare, ma sentì un peso lasciarle lo stomaco.
Ecco le lacrime, di nuovo, ma questa volta serano leggere e silenziose. Daryl avrebbe voluto allungarsi e toglierle dal volto, alzò la mano per andarle a sfiorare una guancia quado si rese conto del gesto: si grattò il mento e poi si posò la mano sulle gambe.
Carol ignara di questo continuò a guardare avanti a sé, per poi riprendere a parlare.
“Ti prego, raccontami cos’è successo. Se non posso riavere la mia bambina, ridammi la mia memoria”
Daryl spalancò gli occhi e si agitò a quelle parole: questo era il riscatto per non esser riuscito a salvare Sophia? Salvare Carol era la sua missione? Era quello che voleva, riportarla da lui, e ora aveva uno scopo per rialzarsi: Carol lo aveva sempre aiutato, ora era il suo turno.
La rivoleva indietro più di ogni altra cosa.
Senza pensarci troppo l’abbracciò, respirando il suo profumo e chiudendo gli occhi. ‘Torna da me’ pensò l’arciere stringendola più forte a sé.
Carol si ritrovò d’improvviso circondata da due forti braccia e schiacciata contro il petto di Daryl: non ricordava molto di quest’uomo, ma si lasciò andare al conforto che le stava dando posando la testa sulla sua spalla e piangendo.
‘Chi sei Daryl? Chi eravamo prima di tutto questo?’ quell’uomo era un mistero, continuava a pensarci. Che tipo di legame avevano? Carol aveva notato le occhiate che le tirava, come la teneva d’occhio e ora come si stava preoccupando di lei.
Certo, anche gli altri erano preoccupati, ma lui voleva ascoltarla, lasciarla parlare: Carol non aveva risposte, solo più domande.
Dopo un po’ Daryl si staccò dall’abbraccio imbarazzato, tornando al suo posto ma tenendo la sua gamba premuta contro quella della donna.
“Posso cominciare a raccontarti da lì se vuoi” le propose.
Lei annuì, andando ad asciugarsi le lacrime.
“Eravamo sull’autostrada quando un’orda di zombie ci venne contro. Ci nascondemmo, ma Sophia si lasciò prendere dalla paura e scappò. Era corsa nel bosco. Rick la seguì..” Daryl gli raccontò tutto, di come arrivarono alla fattoria, di Carl ferito e di Hershel. Carol lo ascoltava annuendo di tanto in tanto, mentre piccoli sprazzi di memoria le portavano davanti agli occhi immagini nuove eppure conosciute.
Daryl notò il suo sguardo perso, ad un certo punto, e le strinse la mano scuotendola.
“Ricordi qualcosa?”
“Delle tende, una casa e un fienile. Ma non saprei metterli insieme se non fosse per te” Carol cercò di sorridergli, benché quel racconto le facesse male.
Daryl non lasciò la sua mano quando riprese a parlare: era arrivata la parte più dura, ovvero raccontarle di quando uscirono gli zombie dal fienile e scoprirono Sophia.
“Sembrava che non ve ne fossero più…” stava per arrivare al punto quando sentì una voce chiamarli: era Glenn che li stava cercando.
“Vi è un tipo che vuole portarci in un posto sicuro. Dice di conoscerci e di essere nostro amico”
Daryl guardò Carol, non sapendo che fare.
“Arriviamo subito, grazie” questa prese la parola, per poi tornare a voltarsi verso Daryl.
“Cosa successe poi?”
“Sophia”
Solo quella parola e la presa di Carol ricordò a Daryl che avevano ancora la mano intrecciata.
Glenn capì il discorso e tornò indietro.
“Forse dovremmo seguirlo” Carol si alzò, lasciando la mano di Daryl e cercando di ricomporsi gli abiti.
Iniziò a camminare verso il fienile, la testa bassa e troppe cose per la testa.
“Adesso dobbiamo andare, ma mi spiegherai poi una cosa?”
“Cosa?” Daryl si alzò e la seguì.
“Come ho fatto a superare tutto?”
‘Ero lì con te, non eri sola. Non lo sei mai stata’ avrebbe voluto dirle Daryl, ma si limitò a “Non eri sola, tutti ti hanno aiutata”
“Grazie Daryl”
Con queste parole Carol riprese a camminare, mentre il racconto e la consapevolezza prendevano forma dentro si lei.






Nota dell'autrice: ci sono ancora molte cose da spiegare, e Carol è visibilmente sotto shock. Non volevo farle avere subito attacchi isterici o altro, una notizia così non si può comprendere e metabolizzare subito. Arriverà un momento in cui comprenderà davvero, saprà che Daryl era andato a cercare Sophia, ma tutto a tempo debito. 
Ricordatevi di passare sulla pagina autrice e alla prossima!

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


Glenn gli spiegò cos’era appena successo: un uomo di nome Aaron gli aveva detto che voleva portarli ad una comunità, che li seguiva da tempo, ma che Rick non era per niente sicuro e adesso voleva indagare.
Quando arrivarono davanti al fienile Glenn li salutò, poiché doveva andare con una parte del gruppo a cercare l’auto di questo Aaron. Daryl annuì, per poi entrare a recuperare la sua balestra.
Carol si ritrovò così sola fuori all’aria aperta e si guardò attorno: tutto era tranquillo, eppure lei non sapeva cosa fare, come stare. Se non avesse perso la memoria sarebbe andata anche lei in missione?
Si strinse le braccia al corpo. In quel momento uscì Daryl che le lanciò un’occhiata, per poi fermarsi a guardarla.
“Dove vai?” Carol lo fermò, preoccupata. Non voleva rimanere sola, e lui era l’unico con cui avesse veramente parlato, era un piccolo appiglio in tutto quel casino.
“Devo perlustrare la zona. Non voglio che tu venga con me, entra e stai con Rick”
Solo dopo aver detto queste parole Daryl si rese conto del tono duro che aveva usato e così le si avvicinò.
“Come stai?” non gli era venuta in mente nessun’altra domanda, eppure gli sembrava così sbagliata e fuori luogo quella che quasi si morse la lingua.
“Penso bene, non ne sono del tutto sicura. Grazie per essermi stato vicino, sei stato davvero di grande aiuto”
Carol allungò la mano e prese quella di Daryl stringendola poi tra le sue, inconsapevole del disagio dell’altro. Quest’ultimo cercò di rimanere il più rilassato possibile, annuendo alle parole di lei.
“Lo avrebbe fatto chiunque”
“No. Gli altri non sono come te: non ti conosco bene come poteva essere prima, ma mi hai tratta in maniera diversa, non mi hai fatto sentire vuota” Carol gli sorrise, per poi lasciargli la mano e fare cenno verso il fienile.
“Ti lascio al tuo compito” un leggero velo di tristezza accompagnò quelle parole.
Daryl non avrebbe voluto lasciarla, ma non se la sentiva di farla andar con lui: quanto ricordava di quel mondo? Era pronta a difendersi? ‘Rimedierò’ con questo pensiero si girò e sparì alla vista.
Sospirando Carol entrò nel fienile, trovando un uomo seduto a terra, con le braccia legate ad un palo dietro la schiena.
“Ciao” la salutò questo, in maniera gentile.
Lei si bloccò, non sapendo bene cosa fare: come ci si doveva comportare con un prigioniero? Lo doveva salutare o fare finta di niente? Per fortuna arrivò Rick in suo aiuto.
“Lui è Aaron, dice che ha una comunità sicura e che vorrebbe che andassimo là con lui”
“Sembra una bella cosa” replicò Carol.
Rick le rivolse una strana occhiata, per poi andare a guardare appena fuori dalla porta. Carol andò a sedersi non molto distante, osservando tutto attentamente. Aaron iniziò a parlare e l’attenzione di Carol fu catturata da un breve scambio di parole tra i due.
“Voi non ci ucciderete, e noi sicuramente non uccideremo voi”
Rick si voltò un attimo a guardarlo “Solo perché siamo brave persone, non significa che non vi uccideremo”
Carol sentì un leggero brivido lungo la schiena e si schiacciò ancor di più contro la colonna cui si era appoggiata. ‘Che gruppo è mai questo? Io ho mai ucciso nessuno?’ per la prima volta quella domanda sfiorò la sua mente e iniziò a cercare di ricordare se aveva mai fatto del male a qualcuno, e nel qual caso era per difendersi?
Non ce la faceva più, doveva uscire da quel posto e cercare di trovare un po’ di pace. Si alzò in piedi e si diresse verso l’uscita, ma Rick la fermò.
“Dove pensi di andare?”
“Ho bisogno d’aria, non ce la faccio a stare qua dentro. Per favore”
“No Carol, è troppo pericoloso. Aaron dice che fuori vi è solo un suo compagno, ma non mi fido”
Lei scosse il capo, cercando ancora di convincerlo, ma quando vide che non vi era speranza di fargli cambiare idea iniziò a girare per il fienile, ispezionando ogni sua parte pur di non pensare troppo.
Stava finendo il suo giro quando un pianto attirò la sua attenzione: Rick si precipitò subito verso sua figlia e Carol lo raggiunse.
“Ti ricordi di lei?” le chiese con tono gentile Rick.
Lei scosse il capo e allungò un dito, subito preso dalla piccola e morsicato. A Carol scappò una risatina e poi una lacrima.
“Lei è Judith. E’ mia figlia, come Carl. Puoi prenderti cura di lei, lo hai sempre fatto. Sei una brava mamma”
Per la prima volta Carol sentì un’ondata di affetto verso Rick, un tipo di affetto che non si costruisce in un giorno e così lo abbracciò.
Prese poi in braccio Judith, che nel frattempo aveva ricominciato a piangere.
“Ha fame, dovremmo trovare qualcosa” con questo Rick la lasciò con la piccola e prima di iniziare a cercare del cibo osservò la sua amica cullare sua figlia e parlarle: solo la vecchia Carol lo avrebbe abbracciato in quel modo e un sorriso gli affiorò tra la barba.
 
          °°°°°°°°°°
 
Daryl stava facendo il terzo giro attorno al fienile ormai e non aveva visto nessuno, ne umani né zombie. Ormai stanco, dopo aver cercato tracce anche tra rami e sottobosco, decise di tornare dentro.
Voleva stare vicino a Carol, eppure tutta quella situazione lo spaventava; gli aveva fato bene stare un po’ solo con i suoi pensieri, si sentiva più in forze e pronto per delle sue domande, se ve ne fossero state. Solo sapeva che lui non avrebbe ripreso il discorso ma avrebbe aspettato lei, i suoi tempi: non aveva fretta, non voleva forzarla, gli bastava starle vicino e sentirla di nuovo lì con lui.
Gli era sembrato di sentire un legame prima, anche se molto debole e non voleva rovinare quello che stavano ricostruendo.
Quando Rick lo lasciò entrare andò subito con lo sguardo a cercare la figura della donna: non era molto distante da loro e stava cullando la piccola Judith. Sentendolo entrare sollevò lo sguardo e gli sorrise.
“Questa marmellata è buona. L’approviamo tutti, non è vero?” quell’ultima frase la rivolse alla piccola, che si stava leccando le labbra e intanto cercava di prendere il cucchiaio dalle mani di Carol.
A Daryl sfuggì un sorriso a quella visione, immaginandosi Carol con Sophia e quanto la vicinanza di Judith in quel momento potesse aiutarla e anche tenerla occupata.
“Scoperto niente?” chiese poi a Rick.
Questo gli raccontò che stava aspettando gli altri, e se non fossero tornati entro quaranta minuti avrebbe ucciso quell’uomo. Daryl annuì, in pieno accordo con lui.
Ora l’arciere voleva andare da Carol e sapere come stava, così le si avvicinò e posò la balestra a terra.
“Come sta la Spaccaculi?”
La testa di Carol si alzò di scatto a quel nome e rise.
“Come l’hai chiamata?”
“Spaccaculi. Fin da quando non aveva un nome l’ho chiamata così, penso che le si addica”
Senza pensarci troppo allungò la piccola all’uomo seduto accanto a lei e lo guardò dar da mangiare a Judith senza problemi, quasi trattarla come se fosse sua figlia.
Sentì qualcosa muoversi verso di lui, un sentimento strano che però non sapeva spiegarsi. Continuando ad osservarlo vide come la bambina giocava con lui, sembrava quasi adorarlo.
“Le piaci” constatò a voce alta.
“Lei piace a me” replicò Daryl con il suo tono un po’ burbero.
“Avevi una famiglia prima di questo?” Carol voleva sapere di più di lui, era curiosa verso quell’uomo che la capiva e aiutava. Lui sembrava conoscere così bene lei che quasi si sentiva un po’ a disagio.
Daryl la guardò con lo sguardo triste “Avevo un fratello”
“Intuisco che non c’è più, mi dispiace”
“Lo dici adesso. Era un vero stronzo, però tu lo hai messo a tacere una volta” Daryl accennò un sorriso a quel ricordo.
Carol si stupì e si fece più vicina “Quindi l’ho conosciuto. Quante altre cose ci sono capitate?”
“Molte” replicò lui, per poi venir distratto da Judith che reclamava altra marmellata.
“Non fatele venire mal di pancia!” sentirono Rick urlare.
Entrambi annuirono, così Carol prese il barattolo di marmellata dalle mani di Daryl e ne assaggiò un po’. Allungò poi un cucchiaio verso Daryl.
“E’ veramente ottima”
Questo la guardò scettico all’inizio, ma poi accettò. Carol rimase affascinata a guardarlo mentre mangiava la marmellata di mele.
‘Quella bocca è estremamente invitate. Carol smettila di pensare queste cose, non lo conosci. E se lui fosse qualcosa di più di un amico? Un altro cucchiaio, ti prego!’ la mente di Carol aveva iniziato a correre e lei faceva fatica a fermarlo.
Tirò via il cucchiaio a forza e poi si alzò, strabuzzando gli occhi: quell’uomo le dava troppe emozioni e lei in questo momento non riusciva a capire cosa volessero dire, era ancora sconvolta dalla notizia della morte di Sophia.
“Tutto bene?” l’alzarsi improvviso di Carol lo aveva allarmato.
“Sì, scusa. Crampo alla gamba” gli sorrise lei, per poi tornare a camminare in tondo.
‘Sophia non c’è più ed io mi metto a fantasticare su un uomo, forse c’è qualcosa che non va in me’ non riusciva a darsi altra spiegazione ‘O forse il mio cervello sta metabolizzando nuovamente la cosa e mi fa sentire meno il dolore. Dopo quel racconto, di come è stata trovata la mia bambina, sto meglio. Posso quasi vederla, quasi ricordare’ di questo non ne era sicura, sapeva che la memoria non le era tornata e vi avrebbe messo ancora un po’, eppure il suo cuore era un poco più leggero.
Fu riportata alla realtà dall’arrivo degli altri insieme a cibo e notizie.
 
          °°°°°°°°°°
 
Il camper su cui stavano viaggiando non era molto grande, tutti erano vicini e stanchi, vi era chi cercava di tenere compagnia parlando di tanto in tanto e chi invece si addormentava con la testa sulla spalla di un compagno.
Carl era seduto a terra con Judith in braccio, un braccio penzoloni oltre il fratello, gli occhi che le si chiudevano. Carol li osservava pacifica finalmente dopo molto tempo: poteva prendersi cura degli altri anche se non aveva più Sophia vicino, poteva continuare a fare del bene anche in quel mondo pieno di morti.
Aveva parlato con gli altri e le avevano spiegato bene la situazione e quasi le veniva da ridere: riusciva ad accettare un mondo dove le persone morte tornavano in vita e cercavano di mangiarti ma non ancora del tutto la scomparsa di sua figlia e dei suoi ricordi.
Poco prima di addormentarsi sul tavolo guardò la figura di Daryl seduto a terra, impegnato a pulire la sua arma, e un’immagine le arrivò alla mente: loro in una situazione simile, ma col camper fermo e lui che le parlava e poi le allungava qualcosa.
Sognò bottiglie di birra e fiori bianchi.
 
La notte passò tra scendere e salire da camper, fino a che alla mattina non arrivarono al cancello di Alexandria. Tutti stavano con il fiato sospeso, speranzosi e impauriti allo stesso tempo.
Carol aspettò che tutti fossero scesi, ma si sentì richiamare da un tocco sulla spalla: Daryl era rimasto indietro con lei e le passava un fucile.
“Sei brava con questo, tienilo con te. Mi sentirei più tranquillo”
Quell’ultima frase gli uscì quasi sussurrata, ma fu felice di averglielo detto.
Carol sbarrò gli occhi, alzando le mani e scuotendo il capo.
“Non ho la minima idea di come usarlo”
“Te lo insegnerò appena sarà possibile, te lo prometto”
Detto questo Daryl scese dal camper, ma Carol lo fermò prima che potesse scomparire alla sua vista.
“Daryl! Grazie”
Lui annuì, per poi raggiungere gli altri. La sentì vicino a lui poco dopo: respirava piano e teneva il fucile sulle spalle; non sapeva come usarlo, ma il suo corpo ricordava come andava tenuto e quello non sarebbe mai cambiato. Era convinto che quando le avesse insegnato nuovamente ad usare un’arma non avrebbe avuto bisogno di molte spiegazioni: il suo corpo ricordava, anche la sua mente ci sarebbe riuscita.
Per la prima volta dopo molto tempo era speranzoso, credeva in lei più che in chiunque altro.
L’intero gruppo era schierato davanti a quel cancello, non sapevano cosa aspettarsi.
Maggie e Michonne davanti, le più speranzose e con la voglia di un posto sicuro in cui vivere. Rick, Carl e Judith poco dietro, padre e figlio con la stessa espressione tesa sul volto.
Dietro loro cinque tutti gli altri, che ogni tanto di guardavano tra loro e non sapevano che pensare.
Carol pensò a casa sua, poi al camper che aveva sognato, alla fattoria che ricordava e al fienile dove si era svegliata: era la cosa più vicina alla realtà che conosceva e aveva paura. Fece un passo avanti e posò una mano sulla spalla di Daryl, poco più avanti di lei.
Lui si girò a guardarle e annuì col capo: non era sola, mai lo era e sarebbe stata.
Rimasero fermi così, quando il cancello finalmente venne aperto e una piccola cittadina si rivelò ai loro occhi.








Nota dell'autrice: non ho descritto il punto dove Aaron si ferma a recuperare il suo compagnio poichè rendeva la storia piuttosto pesante e non volevo rallentarla troppo, essendomi poi accorta di aver occupato due capitoli per descrivere una sola giornata! cercherò di migliore per questo, magari scrivendo capitoli più lunghi. Grazie a chi segue questa storia e cercherò di non pubblicare più così tardi, ve lo prometto!

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


Una festa. Gli abitanti di Alexandria l’avevano organizzata per il loro arrivo e li stavano aspettando.
Carol si osservò allo specchio e controllò ancora una volta di avere i vestiti messi bene. Pensò che quella era la cosa più normale successa negli ultimi giorni.
Era contenta di fare qualcosa di normale, ma quando arrivò sul portico il sorriso diminuì un po’: Daryl fissava contrariato le case attorno a loro, appoggiato ad una colonna.
“Niente doccia per te?” Carol gli si avvicinò cercando di capire cos’avesse.
Daryl la guardò e sputò un secco no. Aspettò poi una risatina e la presa in giro di lei, ma queste non arrivarono.
‘Non è la stessa che conosci’ quel pensiero aumentò il suo malumore.
“Cosa ne pensate di questo posto?” Rick spuntò dietro di loro, sbarbato e con abiti puliti.
“Wow, c’è una faccia sotto quella barba” Carol ritrovò il sorriso, ammirando l’uomo davanti a lei.
“E’ una bella sensazione” lo sceriffo si passò una mano sulle guance lisce dopo mesi.
Il volto però aveva ancora l’espressione tesa di chi è sempre in guardia e non si lascia mai andare.
“Non mi piace” la voce di Daryl fece tornare in mente la domanda di poco prima.
“Neanche a me, ma voglio valutare bene. Questo posto sembra sicuro, potremmo davvero viverci”
“A me non dispiace”
I due uomini si girarono a guardare Carol. Rick le si avvicinò, posandole una mano sulla spalla.
“Quando quella donna, Deanna, ci ha chiesto di noi cosa le hai detto?
“Che abbiamo viaggiato molto, partendo da Atlanta. Mi ha chiesto cosa faccio e le ho detto che sono una brava casalinga e che le armi non so usarle. Quel poco che so e che mi avete detto”
“E a proposito della tua memoria?” Daryl si staccò dalla colonna e la raggiunse.
“Non ho detto niente, non lo sanno” lei scosse il capo.
Pensavano fosse così stupida da rivelare la sua attuale debolezza ad una sconosciuta? Quel posto le piaceva, certo, ma non conosceva nessuno e non voleva fidarsi troppo.
“Hai fatto bene”
Rick diede una veloce stretta alla spalla di lei per poi allontanarsi ad osservare la strada. Daryl annuì, pronto a rientrare.
“Non vieni alla festa?” Carol lo fermò, sperando di avere più volti familiari vicini.
‘Ti prego, non lasciarmi sola’
Come se avesse sentito il pensiero di lei, Daryl si fermò.
“Non amo particolarmente le feste, davvero ci vuoi andare?”
“Sì. Potremmo scoprire di più su questo posto. E poi spero ci sia della cioccolata”
“Tra poco arrivo”
Carol gli sorrise, sollevata. Si avviò alla festa, mentre i due uomini rimanevano soli.
“Come sta secondo te?” Rick non si voltò, sapeva che Daryl era ancora lì.
“Cerca di reagire. E’ ancora furba, è lei: non ha rivelato niente”
“Giusto. Starà bene, ne sono sicuro” lo sceriffo accennò un sorriso, per poi proseguire “Davvero verrai alla festa?”
“Voglio tenerla d’occhio” Daryl si stiracchiò, riprendendo la sua strada.
“Daryl” lo richiamò Rick “Non mi fido. Tieni gli occhi aperti. Potremmo prenderci questo posto”
 
          °°°°°°°°°°
 
C’era musica, gente e cibo. Perfino da bere.
Carol si era già buttata sulla torta: un impasto semplice, niente di che, con qualche goccia di cioccolato qua e là. Rimase davanti alla finestra a guardare il misero ripieno e pensò che appena si sarebbero sistemati per bene si sarebbe data da fare con i dolci.
Adorava cucinare, e l’ultima portata era senza dubbio la sua preferita e quella che le veniva meglio.
Daryl entrò silenzioso, cercando di rimanere il più possibile in disparte e nell’ombra, ma sembrava che tutti sentissero la sua presenza e ogni tanto si giravano a fissarlo.
Si sentiva a disagio, forse non era stata una gran idea seguire Carol.
In fondo, erano in una zona sicura, dentro una casa che lo sembrava altrettanto e quelle persone non erano esperte di armi.
Ripercorse la strada verso la porta, ma Carol lo intercettò prima che potesse uscire.
“Non vieni a mangiare?” gli porse un piatto con della semplice pasta e un poco di pomodoro.
Daryl fissò il piatto e nel mentre lo stomaco lo pregava di accettare, ma il suo orgoglio non voleva cedere. Non avrebbe mai fatto parte di quel posto, non doveva adagiarsi.
Carol però continuava a passarglielo sotto al naso e così alla fine lui lo prese, per poi uscire comunque al fresco della sera.
Si sedette sui gradini della veranda e iniziò a mangiare. Carol gli si sedette accanto, sospirando.
“Tutto questo è strano, eppure mi fa sentire più vicina a me stessa. Forse perché non ricordo quello che ho passato?” la sua voce era velata da una nota di tristezza che cercava di mascherare con il sorriso.
Daryl smise di mangiare, posando il piatto accanto a lui. Voltò il capo verso di lei, ascoltandola.
“Grazie per quello che hai fatto: mi hai raccontato tutto e..”
‘Mi sembra di conoscerti’
“… E niente, tutto qua. Volevo ringraziarti” Carol gli sorrise dolcemente, per poi indicare con il mento il piatto “Te ne porto dell’altra se vuoi”
Daryl ci mise un po’ a capire che lei non voleva andare sul discorso e scosse il capo “Non preoccuparti. Per il resto: tornerai a ricordare, ci vorrà solo un po’ di tempo. E’ la botta”
A Carol parve si sentire un po’ di speranza dietro quelle parole, pronunciate come se nulla fosse, e cercò di crederci. Si allungò posando il peso del corpo di lato e diede un bacio veloce sulla fronte di Daryl.
Senza aggiungere altro si alzò e tornò dentro, sfregandosi le braccia: era sceso un po’ di vento, e lei era stanca.
Voleva mangiare un altro po’, parlare con gli altri e poi andare a letto, eppure continuava a pensare a quel breve momento di solitudine con quell’uomo.
Sospirando, si avviò verso un gruppo di donne e iniziarono a parlare di ricette.
 
Daryl osservò la figura di Carol sparire e lui tornò con lo sguardo sul piatto di pasta quasi terminato.
In realtà non lo vedeva, continuava ad avere davanti agli occhi il sorriso dolce di lei e poi quel bacio sulla fronte: lo sentiva ora più che mai. Si portò due dita a sfiorare il punto appena baciato e rimase in quella posa per secondi, pensando che fosse un legame non solo tra lui e Carol, ma tra la donna che glielo aveva appena dato e quella che lui aveva imparato a conoscere prima dell’incidente.
Si tirò in piedi e posò il piatto su un davanzale, fermandosi a guardare gli invitati e i cittadini di Alexandria: si vedeva che loro non erano più abituati a cosa normali come una festa, si guardavano tutti attorno con gli occhi spalancati e avevano sorrisi tirati, ma allo stesso tempo cercavano un po’ di quella normalità che mai avrebbero immaginato di ritrovare.
Quel posto era una piccola oasi in cui il mondo pre apocalisse continuava a vivere.
 
          °°°°°°°°°°
 
Adorava stringerla in quel modo, sentirla così vicina al proprio cuore.
Le prese una manina e gliela baciò, per poi allungarsi e prendere il libro di fiabe che le piaceva tanto.
“Leggimi quella del coniglio mamma!” iniziò a chiedere a gran voce.
Carol non poté fare altro che accontentare la richiesta della figlia. Iniziò a leggere e così entrambe si persero in una piccola isola di magia tutta loro.
Carol stava per voltare pagina quando improvvisamente sentì un vuoto sulla gamba e tra le braccia. Si girò immediatamente, ma Sophia era sparita.
“Sophia!”
 
“Sophia!” con un urlo Carol si tirò a sedere sul letto, respirando affannosamente.
Si guardò attorno, la mano sul cuore e cercò di capire dove si trovava.
Proprio in quel momento sentì dei passi concitati fuori dalla porta e poi la vide spalancarsi.
Daryl arrivò dentro alla stanza con un coltello in mano, cercando di capire se vi era un pericolo o solamente Carol che aveva fatto un brutto sogno. Vedendola seduta, i capelli tutto scomposti e lo sguardo perso, capì che si trattava di quello e con un cenno della mano tranquillizzò Rick e Michonne nel corridoio.
“Possiamo fare qualcosa?” Michonne si fece avanti, spuntando con la testa dallo stipite della porta e osservando dolcemente Carol.
Questa scosse il capo “Scusatemi, non volevo svegliarvi”
“Carol, non è successo niente. Capita a tutti di fare brutti sogni, se hai bisogno sono nella stanza accanto” Michonne le diede un ultimo sorriso stanco e sparì.
Daryl si avvicinò alla porta e la chiuse, voltandosi poi verso la donna.
“Come stai?”
Lei scosse il capo, passandosi una mano tra i capelli.
“Ho sognato Sophia, le stavo leggendo una favola e poi è sparita. All’improvviso, non ho potuto fare niente” sospirò “Starò bene, è stato solo un attimo, puoi tornare a rilassarti”
Carol voleva tranquillizzarlo e si sentiva in colpa per aver svegliato tutti. ‘Quanto scompiglio sto creando con la mia amnesia. Vorrei poter ricordare’
Daryl si avvicinò al letto e vi si sedette “Torna a dormire, starò qui stanotte”
Lei lo guardò un poco sconvolta: non sembrava piacergli molto quel posto, eppure era disposto a rimanere dentro casa, su un comodo letto, solo per lei.
‘Cos’è che non mi dici?’ il pensiero che tra loro due vi fosse qualcosa di più che un’amicizia tornò in mente a Carol, che però si sdraiò e rimase a fissarlo.
“C’è spazio per entrambi se vuoi”
Daryl scosse il capo, fissando comunque il cuscino e il letto. Davanti a lui comparì l’immagine di loro due che dormivano vicini, si svegliavano alla mattina assonnati e con tutto fuori posto e cercò di non sorridere.
‘Non con te, non succederà mai’ Daryl aveva subito troppo in vita sua e di certo non si aspettava una cosa così bella e semplice come quella.
Stava sprofondando sempre più in pensieri tristi quando vide Carol fargli posto e lasciargli il suo. Capì che non voleva invadere quello di lui e la ringraziò con un cenno del capo.
‘Solo cinque minuti, per riposare. Non le starai troppo vicino, non si sentirà pressata. Andrà tutto bene, è ancora lei, lo hai detto tu stesso’ facendosi forza Daryl si tolse le scarpe e si sdraiò, lasciando uscire un piccolo sospiro e un leggero sorriso a sentire il materasso morbido sotto di lui.
Erano nello stesso letto, senza toccarsi eppure entrambi sentivano la presenza dell’altro: tranquillità e agitazione in un piccolo letto, il buio attorno a loro.
“Andrò tutto bene, vero? Siamo arrivati fino a qua, e tornerò a ricordare” Carol aveva già gli occhi chiusi, queste le ultime parole prima di addormentarsi.
Daryl si girò a guardarla, il respiro di lei diventato pesante. Sapeva che non poteva sentirlo, e così le sussurrò “Certo che andrà tutto bene. So che tornerai da me. Farò di tutto”
Quelle parole tranquillizzarono anche lui, e vi credette più che mai.
Si addormentarono girati l’uno verso l’altra, i volti per una volta sereni.
Daryl sognò di Carol che gli diceva che andava tutto bene, sapeva cos’era successo e non lo avrebbe più lasciato. Sognò del loro abbraccio dopo Terminus, e si perse in quello. Anche in sogno non la lasciava mai andare.








Nota dell’autrice: mi scuso se ci ho messo così tanto tempo per postare, ma tra impegni vari e la linea internet che poi ha deciso di andare in vacanza mi era impossibile aggiornare. La storia sta partendo, so che può essere un po’ lenta e mi scuso, ma è la mia prima long su questa coppia e voglio cercare di farla bene. Mi sto già impegnando nel capitolo successivo a far andare un po’ meglio le cose, o almeno spero
 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


I giorni passarono e le cose procedevano bene: Rick e Michonne erano stati nominati sceriffi, gli altri si stavano integrando, tra cui Carol: era entrata nelle grazie del circolo delle casalinghe e in poco tempo era stata eletta a regina dei consigli culinari. L’unico che era fuori posto era Daryl: passava le sue giornate nei boschi, a caccia, e le notti sotto al portico della casa del gruppo.
Dopo la notte passata con Carol, non si era più concesso il privilegio del materasso; stava all’erta, pronto a scattare se mai lei avesse avuto bisogno, ma a distanza. Alla sera e alla mattina stavano insieme, lei lo aspettava sempre per mangiare: erano gli unici momenti in cui lui si sentisse bene, nuovamente accettato.
“Rick, dovrò stare fuori una notte: ho visto un cervo, un po’ distante da qui, e non so quanto vi metterò per prenderlo” Daryl comunicò la cosa allo sceriffo poco prima di uscire dalla safe zone, di mattina presto.
“Va bene. Parti subito o lo dici tu a Carol?”
“Fallo tu. Mi direbbe di stare attento e mi guarderebbe con timore, non come…”
‘Prima’.
Quella parola risuonò silenziosa tra i due uomini. Rick capì bene: Carol stava bene ad Alexandria, era quella che si era adattata ed integrata meglio di tutti, e quando loro uscivano li guardava come se avesse paura di non vederli tornare, quasi degli incoscienti ad uscire nell’altro mondo.
 
          °°°°°°°°°°
 
“Una notte là fuori?”
Carol cercò di mantenere la voce calma alla notizia, ma dentro tremava.
“Tornerà domani, non preoccuparti”
“Perché non me l’ha detto lui?”
“L’ha deciso all’ultimo, e poi l’avresti lasciato partire?” Rick fissò Carol, che abbassò lo sguardo.
“Mi sento inutile: cosa ci faccio ancora qua? Ho delle immagini di cose che forse sono successe, ma mi sembra di vivere in una bolla… e di ostacolarvi”
A quelle parole, a Rick si strinse il cuore. Abbracciò Carol.
“Non ci ostacoli, e qui puoi prenderti tutto il tempo che ti serve per ricordare”
Carol ricambiò l’abbraccio, e capì che Rick non le stava mentendo. Sentì un gran affetto per lui, e comprese – anche se non bene – che li legava una grande amicizia.
“Siamo tutti qui, e ti vogliamo bene. Daryl tornerà sano e salvo”
 
          °°°°°°°°°°
 
Sano e salvo, ecco le parole che Carol si ripeté per due giorni.
La prima sera senza Daryl le fece uno strano effetto: si sentiva sola, come se una parte di lei fosse lontana. Le mancavano i loro silenzi, i quali non erano molo diversi da un silenzio normale, solo erano insieme, vicini, e tanto bastava.
Le parve persino di sentire la sua voce: si girò, un sorriso in volto, solo per poi scoprire che un loro vicino aveva la voce simile a quella dell’arciere. Il sorriso, da prima dolce e sorpreso, divenne malinconico: rimase alla finestra ad ascoltare l’altro parlare, gli occhi chiusi ed il volto di Daryl in mente.
Il secondo giorno passò, e lei alla sera rimase sotto al portico ad attenderlo, sperando di vedere i cancelli aprirsi.
La notte scese e lei si addormentò, ma quando venne svegliata da Michonne capì che lui non era ancora tornato: un po’ di panico iniziò ad insinuarsi in lei.
“Carol andiamo a dormire dentro, domani mattina avrai male al collo altrimenti” Michonne le porse la mano e l’aiutò ad alzarsi.
“Non è tornato, vero?” Carol voleva sentirselo dire, aveva bisogno di sapere.
“No. Però non ti preoccupare, molto probabilmente domani mattina lo troveremo qua in una strana posa” cercò di farla sorridere, ma lei non rispose.
Si coricò e provò a dormire, con molta fatica. I suoi sogni erano agitati, vedeva Daryl che tornava solo per poi ripartire, oppure vedeva in giro solo la sua balestra senza però trovarlo da nessuna parte.
Finalmente il sole fece capolino nella camera e si svegliò: corse giù per le scale, i capelli al vento e i vestiti stropicciati poiché non si era cambiata. Spalancò al porta e fissò il portico, percorrendolo più volte con lo sguardo: nessuno.
‘Gli è successo qualcosa. Lui torna sempre’.
Panico. Prima lento, una leggera consapevolezza, poi prepotente, come una marea improvvisa.
‘Devo fare qualcosa. Rick e gli altri lo sapranno già, e forse si organizzeranno per uscire a cercarlo’ con quel pensiero in mente si mise a cercare i due sceriffi.
“Lui tornerà. Non preoccuparti, ma ti prometto che se domani mattina non sarà qua usciremo” Rick cercò di mantenere la voce ferma, non far capire che anche lui era un po’ preoccupato. Ma conosceva bene Daryl e sapeva quali erano le sue capacità.
“Se ce l’ha fatta a tornare con la bambola di Sophia questa sarà una passeggiata”
Si pentì però subito di quelle parole, vedendo Carol incassare il colpo, quasi come se fosse tutta colpa sua.
Le mise una mano sulla spalla e le parlò con dolcezza “Carol, cerca di non preoccuparti troppo. Non ti ricordi com’è lui fuori, ma ti assicuro che non c’è da preoccuparsi. Se vuoi tenerti impegnata, puoi passare la giornata con Judith, così vediamo se Carl riesce a socializzare un po’ “.
Lei annuì, e in effetti quando iniziò a cullare e parlare e giocare con Judith tutto le sembrò più leggero: i pensieri scorrevano ma con meno pressione di prima. Adorava quella bambina, e si sentiva in dovere di proteggerla e renderla felice: sapeva che non era sua figlia, eppure a volte ci rivedeva Sophia. Era il suo modo per rendere omaggio alla sua memoria.
 
          °°°°°°°°°°
 
Il cervo era sulle sue spalle, e non pesava poco. Daryl stava cercando di trascinarlo fuori dalla fitta boscaglia in cui finalmente era riuscito a catturarlo.
Non aveva incontrato particolari ostacoli lungo il cammino: qualche zombie qua e là, ma niente di cui preoccuparsi.
Aveva passato al prima notte fuori, e solo all’alba aveva visto il cervo, lo aveva inseguito e infine ucciso. L’animale era in ottima salute, e non aveva neanche danneggiato il mantello: avrebbero potuto ricavarci qualcosa per l’inverno.
Lui era bravo a sfruttare ogni cosa gli capitasse sotto mano, e si sentì contento a quel pensiero, utile.
Con queste cose in testa, non si accorse di non aver sollevato abbastanza in piede, il quale rimase impigliato in una radice. Con il peso del cervo sulle spalle cadde a terra, slogandosi la caviglia.
Imprecò, il piede in una strana posizione e lui a pancia a terra, mezzo schiacciato dall’animale morto. Iniziò a spingerlo lontano da lui e poi, tra un gemito di dolore e l’altro, cercò di liberarsi. Il problema è che quella zona non era mai stata esplorata prima, e non tutti gli zombie uccisi.
Uno si avvicinò pericolosamente a Daryl, strisciando su quello che rimaneva delle sue gambe. L’arciere non era ancora riuscito ad alzarsi, aveva troppo male alla caviglia per riuscirci. Il braccio sinistro venne stretto, ma con una veloce mossa Daryl riuscì ad estrarre dalla cintura il pugnale e ad ucciderlo.
Riuscì a mettersi seduto, una gamba piegata e l’altra lungo distesa, mentre cercava di riprendere fiato e si guardava attorno: il secondo zombie si stava avvicinando e sembrava messo meglio del suo amico, questo riusciva ancora a stare in piedi.
Daryl puntò con la balestra e fece centro: il corpo cadde non lontano da lui, ma almeno adesso era al sicuro.
‘Ci metterò un giorno in più a tornare’ pensò, maledicendo quella radice e la sua caviglia.
‘Devo trovare un modo per portare via il cervo e me senza correre pericoli’.
Riuscì a tirarsi su e a partire, anche se con fatica. A sera riuscì a trovare rifugio in un capanno abbandonato, ma la caviglia si era gonfiata e sentiva strani rumori in giro.
Per la prima volta, sperò che qualcuno lo andasse a cercare. Non perché voleva essere salvato, ma perché voleva tornare da Carol, le aveva promesso di aiutarla, e non poteva farsi abbattere da una cosa così.
‘Se solo questo maledetto cervo camminasse da solo’ con questo semplice pensiero si addormentò.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


Carol non ce la faceva più: era da ore che si rigirava nel suo letto, cercando di dormire ma niente, il sonno non voleva arrivare.
Sapeva cosa la turbava: Daryl non era ancora tornato e lei era in pensiero. Tutti le dicevano che poteva stare tranquilla, lui se la sapeva cavare e sarebbe tornato, ma l’attesa la stava sfinendo. E non solo quella.
‘Ho una brutta sensazione, ma non voglio dirlo agli altri. Molto probabilmente non capirebbero, penserebbero sia una cosa dovuta alla mia amnesia’ continuava a pensare. Quanto avrebbe voluto ricordare in quel momento!
Si alzò di scatto dal letto, mettendosi seduta e cercando di respirare con calma, per far smettere al cuore di battere così velocemente. Sentiva che quella era una sensazione diversa dal non sapere dove fosse Daryl: era come se gli fosse successo qualcosa e la stesse chiamando.
Si guardò attorno, cercando i suoi vestiti nella camera scura, illuminata solo dalla luna. Si vestì lentamente, pensando a cosa fare: una piccola corsa per il perimetro di Alexandria, guardare poi l’alba ed infine una bella doccia e colazione insieme agli altri.
Le sembrava un buon piano, un ottimo piano per muoversi un po’ e smaltire tutta la tensione che stava accumulando. Non voleva continuare a percepire il richiamo del pericolo, era come se un sesto senso si fosse risvegliato in lei.
‘Adesso calmati, segui il tuo piano e domani mattina tutto ti sembrerà assurdo. Questi sono i tipici pensieri della notte’ si stava convincendo, mentre scendeva silenziosa le scale.
Guardava i suoi piedi scendere i vari scalini, la sua mano aprire la porta in maniera così silenziosa che si sorprese di se stessa: dove aveva imparato ad appoggiare i piedi in quel modo? Il suo corpo si era mosso come da solo, una memoria di gesti che lei non aveva. O pensava di non avere.
‘Chi ero? Chi sono?’
Iniziò a correre, prima lentamente, poi sempre più velocemente, mentre cercava di sforzare la sua mente. Calde lacrime di rabbia iniziarono a scenderle lungo il viso: perché non ricordava? Perché era tutto così difficile? Ce l’aveva con se stessa, e non sapeva come fare.
Sapeva che non era colpa sua tutta quella storia, ma si sentiva in colpa. Verso se stessa, verso il gruppo e verso Daryl.
Si fermò, il fiato corto e il sudore tra i capelli; piegata con le mani sopra le ginocchia chiuse gli occhi, sentendo ancora quella sensazione di dover fare qualcosa in lei. La corsa non l’aveva aiutata a mandarla via, l’aveva anzi caricata a fare di più.
Un flash la investì, e lei cadde sull’erba, mentre immagini sfocate le riempivano la mente: una pistola che veniva nascosta appena fuori Alexandria, l’aveva visto anche se non ne capiva bene il motivo. Rick che tornava, e non l’aveva più con sé.
Era vicino ad una casa, ma non aveva visto dove lo sceriffo l’aveva messa, solo che vi si era diretto. L’aveva sentito parlare con Daryl, e nessuno sapeva che lei aveva ascoltato.
Era a conoscenza del loro segreto, ma neanche loro lo sapevano.
Aprì gli occhi e si ritrovò a guardare il cielo che si andava schiarendo, la rugiada che le solleticava le braccia scoperte.
‘Devo andare a cercarlo. Gli altri non lo faranno, e nel qual caso non mi lasceranno andare con loro. Sono la meno utile in questo gruppo: se ce la farò saprò di poter contare qualcosa, altrimenti non sarò una grave perdita’
Questo pensiero la colpì prepotentemente, e non se ne spaventò: sapeva di aver paura, ma non abbastanza per esser fermata. Sapeva di voler fare qualcosa, e sapeva che doveva uscire, affrontare quello che c’era là fuori senza che qualcuno le corresse dietro a gridarle che tutto sarebbe tornato come prima.
Non aveva idea di com’era il prima, e doveva tornare a costruirsi un futuro. In quella condizione stava impazzendo.
Si alzò e tornò veloce alla propria camera, dove aveva lasciato un coltello datole in precedenza. Fece in fretta: tra non molto tutti si sarebbero svegliati e non voleva che la trovassero in giro. Doveva già aver scavalcato il muro al loro risveglio, e così fu.
 
          °°°°°°°°°°
 
Daryl si era addormentato come non gli succedeva da tempo: il dolore alla caviglia e lo sfinimento l’avevano letteralmente steso. Stava sognando di tornare ad Alexandria, in una casa illuminata dal giorno e di trovarvi Carol e i suoi biscotti.
Era un sogno semplice, ma gli spuntò comunque un sorriso sulle labbra.
Fuori dal capanno vi era solo uno zombie, il quale aveva trovato un tasso e lo stava mangiando lentamente, facendo poco rumore.
Daryl si girò nel sonno e percepì quei piccoli rumori provenienti dall’esterno.
Gli occhi gli si aprirono lentamente, quasi controvoglia, e si osservò la caviglia: era gonfia e aveva un brutto colore. Certo, aveva avuto e affrontato da solo situazioni e ferite peggiori, ma gli faceva un gran male. Senza contare che era emotivamente stanco.
Lì, solo in quel capanno, sentì tutto il peso degli ultimi avvenimenti cadergli addosso.
Avrebbe desiderato poter piangere, ma non ce la faceva; era troppo radicata in lui la forza che gli bloccava le lacrime. Ma non si alzò. Decise di rimanere lì, in silenzio, finché non si sarebbe sentito un po’ meglio, e intanto pensava a come uscire da lì, tornare ad Alexandria…e a Carol.
Doveva tornare per lei, e così decise che in quel momento di riposo avrebbe pensato ad un modo serio per aiutarla, farla tornare quella che era.
 
          °°°°°°°°°°
 
Sembrava tutto tranquillo, e il bosco attorno a lei le stava dando un senso di calma.
Carol procedeva spedita, il fiato ben regolato e la mano che ogni tanto accarezzava la pistola al suo fianco. Era riuscita a trovarla ed era partita, seguendo prima un sentiero e poi un altro.
Non aveva idea da che parte fosse andato Daryl, così si lasciava guidare dall’istinto, da quella voce che aveva imparato ad ascoltare quella notte e che l’aveva messa in moto.
Si stava sentendo viva, finalmente, e aveva uno scopo. Sorrise all’idea di non dover stare tutto il giorno in cucina, o a girare con le mani in mano per la safe zone. Gli altri si sarebbero preoccupati e sarebbero corsi a cercarla, il suo atteggiamento avrebbe avuto delle conseguenze, lo sapeva bene, ma sperava che capissero. Se erano davvero diventati la sua famiglia, allora l’avrebbero capita.
Un piccolo rantolo la fece fermare e sobbalzare: aveva abbassato la guardia, e sapeva che questo non andava bene. Si stava quasi dimenticando che c’erano strane creature in giro.
Alzò il coltello e si guardò attorno: uno zombie era a terra, e si trascinava su un braccio solo. L’aveva vista, e probabilmente doveva avere un’aria gustosa da come la puntava.
Carol rimase immobile, il fiato corto: era la prima volta che si trovava da sola davanti a quegli esseri, e sapeva di non poter chiedere aiuto a nessuno.
‘Devo farlo. Da quel che mi hanno detto l’ho fatto più e più volte, quindi vai e riprenditi!’
Si fece forza e trattenendo il respiro immerse il pugnale fino all’elsa nel cranio dello zombie. Rimase inginocchiata lì vicino per un minuto, poi si alzò e riprese a respirare, senza neanche accorgersene.
Le aveva fatto strano, eppure non le era sembrato nulla di eccezionale…o fuori dall’ordinario. Qualcosa stava scattando in lei.
Si allontanò dal corpo con passo calmo, girandosi ogni tanto a guardarlo. Poco dopo pulì il coltello e lo strinse forte: sopravvivere era il primo passo.
 
Camminò tanto, per tutto il pomeriggio, mangiando solamente delle mele che si era portata da Alexandria. Ne aveva ancora nello zaino, insieme a quelli che sembravano panini fatti con poche cose, ma preferì risparmiare per un eventuale viaggio di ritorno.
La stanchezza di una giornata di cammino stava iniziando a farsi sentire, quando udì un rantolo: un altro zombie. Per sua fortuna non ne aveva incontrati altri e così strinse il coltello e s’incamminò in quella direzione.
Questo stava in piedi e grattava contro la parete di un capanno. Sembrava più in forma di quello che aveva ucciso alla mattina, e un piccolo brivido di paura le percorse la schiena: un conto era ucciderne uno che neanche poteva camminare, ma questo era un po’ più agile del precedente.
Cercando di far meno rumore possibile gli si avvicinò alle spalle, pugnale sollevato, pronta a colpire. Stava per calarlo quando un altro zombie spuntò dalla boscaglia dietro di lei e le afferrò un braccio.
Carol urlò, muovendo le braccia per staccarselo di dosso, mentre i denti della creatura cercavano di morderla, ma afferravano solamente l’aria.
L’altro zombie perse interesse per il muro e si avvicinò al suo compare: ora era da sola contro due morti. Iniziò a indietreggiare, fino a che non sentì un albero contro la schiena.
Respirò, cercando di pensare a una soluzione mentre i due zombie si avvicinavano velocemente. Si guardò attorno: un ramo basso le consentiva di salire sull’albero e mettersi in salvo.
Saltò e dopo vari tentativi riuscì a issarsi, ma nel momento in cui stava per mettersi al sicuro non riuscì più a muovere la gambe destra: uno zombie gliel’aveva presa e stava per morderla.
 
          °°°°°°°°°°
 
Aveva radunato le proprie cose e i pensieri, con molta calma. Lo zombie fuori dal capanno non lo preoccupava, era lì da tanto tempo e il massimo che faceva era graffiare insistentemente un lato dalla costruzione.
Daryl si rimise le scarpe, lasciando però aperta quella della caviglia gonfia, la quale gli faceva ancora molto male.
Il suo piano era quello di chiudere bene quel posto e lasciarvi il cervo, tornare ad Alexandria e mandare qualcun altro a riprenderlo. La bestia lo avrebbe solamente appesantito e se avesse incontrato degli ostacoli non sarebbe stato molto in grado di affrontarli.
Con una smorfia di dolore si alzò in piedi, leggermente barcollante. Un sospiro e poi guardò la porta: il primo passo era quello. Stava per posare il piede quando sentì un urlo provenire da fuori.
I muscoli si tesero e subito si armò, il dolore alla caviglia leggermente diminuito dall’adrenalina che stava iniziando a scorrere in corpo: si precipitò, entro i limiti, verso la porta e la spalancò.
Due zombie stavano procedendo verso l’angolo del capanno, probabilmente avevano individuato una vittima. Gli sembrava di conoscere quell’urlo, iniziò ad andare in quella direzione.
Appena svoltato l’angolo si bloccò per lo stupore: Carol era lì, quasi al sicuro su un albero, con due zombie ad inseguirla: cosa le era passato per la testa? Perché era là fuori da sola, cosa pensava di fare?
Formulò questi pensieri in fretta, e poi si mise in azione: uno degli zombie le aveva preso una gamba e la tratteneva, pronto a morderla. Daryl corse per quanto possibile e lo uccise.
Carol liberò la gamba, scivolando in salvo sul ramo e girandosi spaventata.
“Daryl!” urlò tra la gioia e la sorpresa.
Lui non le rispose, impegnato a girarsi per contrastare il secondo morto. Solo che si girò sul piede sbagliato e la caviglia non lo resse: cadde a terra, lo zombie sopra di lui.
Carol agì d’impulso, senza pensare: scese veloce e scattante dall’albero e girò il vagante, coltello alla mano. Il suo braccio calò e colpì il cranio con efficacia e precisione.
Nel momento in cui si rialzò, Carol capì cosa aveva fatto. Rimase a bocca aperta, a fissare la lama sporca, sentendo la forza di quel momento lasciarla lentamente, per far posto alla calma.
Daryl si alzò a sedere e con l’aiuto di Carol si alzò in piedi.
“Cosa ci fai qua? Dove sono gli altri?” era contento di vederla, ma saperla lì fuori da sola lo preoccupava.
“Sono venuta da sola. Sentivo che qualcosa non andava, e loro…non mi avrebbero ascoltata. Ma dovevo venire a cercarti, ne avevamo bisogno entrambi”
finì la frase indicando con il capo la caviglia gonfia.
Lui annuì, non tranquillizzato.
“Ho trovato un cervo, pensavo di ripartire appena avessi ripreso un po’ di energie. Non c’era bisogno del salvataggio, grazie”
Daryl avrebbe voluto stringerla a sé, ma allo stesso tempo era arrabbiato con lei per esser andata a rischiare la vita.
“Ti accompagno dentro”
“Ce la faccio da solo”
“Si vede che fai fatica a reggerti in piedi”
“Ho avuto ferite peggiori” con questo Daryl iniziò a camminare verso il capanno, cercando di avere un atteggiamento sicuro e ignorando il dolore.
Carol rimase ferma nella piccola radura, guardò i due corpi a terra e poi entrò anche lei. Daryl era seduto a terra e la guardava.
“Scusa”
Lei si voltò, non sapendo bene cosa aspettarsi.
“Perché sei uscita? Sarebbe potuto capitarti qualcosa…qualsiasi cosa”
“Io…non lo so di preciso, ma non ce la facevo più a stare là ad aspettarti. Mi sento così inutile. Invece adesso…” Carol allargò le braccia e accennò un sorriso “Ti ho trovato. Ho visto il mio corpo agire da solo, e penso di aver ricordato qualcosa”
Abbassò il capo, mentre immagini confuse le attraversavano la mente: altri zombie, orde, e lei che combatte, in svariati modi. Potrebbe sembrare la vita di qualcun altro, ma non è così. Una coscienza iniziò a farsi spazio in lei, e piccoli flash, piccoli ricordi, iniziarono a venire a galla. Il problema era metterli insieme e distinguere cosa veniva prima e dopo.
Daryl stava cercando di alzarsi, contento alla notizia della memoria: sentiva l’impulso di abbracciarla, ma questo lei lo capì dai suoi movimenti. Gli si avvicinò e dopo essersi chinata lo abbracciò stretto.
Rimasero lì, in silenzio, per diversi minuti, poi lei ruppe quell’attimo.
“Ho qualcosa da mangiare. Potremmo riposare e ripartire domani mattina”
“Mi sembra un buon piano”
“E’ bello essere utile, e sapere che me la so cavare da sola”
“Ad Alexandria si staranno preoccupando. Hai detto a qualcuno che partivi?”
“A nessuno”
Daryl la fissò, per poi annuire.
“Agisci, come sempre. E’ bello averti qui”
Lei gli sorrise, per poi mettersi comoda e prendere il cibo dallo zaino.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3446328