ΜΉΔΕΙΑ ─ MEDEA

di Rooosteerr
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prefazione ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1. ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2. ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3. ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4. ***



Capitolo 1
*** Prefazione ***


Prefazione

MEDEA: «Giove, e di Giove tu figlia, Giustizia,
e tu, raggio del Sole, alta vittoria
or dei nemici nostri, amiche, avremo,
e siam già su la via: speranza nutro
or che i nemici miei la pena scontino,
poi che quest'uom, dal lato ove il periglio
era maggiore, come un porto apparve
dei miei divisamenti. Indi la gomena
da poppa legherò, come io di Pàllade
giunga alla rocca, alla città. Sin d'ora
tutti vi voglio esporre i miei propositi,
né voi crediate che per gioco io parli.
Dei miei famigli alcuno invierò
a Giasone, e ch'ei venga chiederò
al mio cospetto; e, come ei giunga, blande
parole gli dirò: ch'io son convinta,
che mi par giusto quanto accade; e i figli
miei chiederò che restino. Non già
che abbandonarli io voglia in terra estranea;
ma con la frode voglio morte infliggere
alla figlia del re. Li manderò,
che a lei rechino doni: un peplo fine
e, foggiato nell'oro, un serto; e, ov'essa
ne abbellisca le sue membra, morrà
d'orrenda morte, e chicchessia la tocchi:
di tal farmaco i doni intriderò.
Ma tronco qui le mie parole, e gemo
per l'opera che poi compier dovrò:
ché morte ai figli miei darò: nessuno
v'è che salvarli possa. E, poi che tutta
di Giasone sconvolta avrò la casa,
e compiuto lo scempio nefandissimo,
partirò da Corinto, e dei figliuoli
la strage fuggirò: ché dai nemici
esser derisa, amiche, io non lo tollero.
Su via, la vita a lor che giova? Io patria
non ho, né casa, né rifugio ai mali.
Bene errai, quando le paterne case
abbandonai, credendo alle parole
d'un ellèno che il fio mi pagherà,
con l'aiuto d'un Dio: ché i fig1i nati
da me, piú vivi non vedrà, né prole
dalla sua nuova sposa avrà: ché deve
per i tossici miei morir la trista,
di trista morte. Me dappoco e fiacca
non creda, o rassegnata: anzi, al contrario,
per gli amici benigna, e pei nemici
funesta: a gloria cosí giungon gli uomini.
» ─Euripide, Medea.

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1. ***


Capitolo 1.

Le mani si strinsero l’una nell’altra come le zampe di una mantide religiosa che non aspetta altro che uccidere il suo compagno; le gambe invece si mossero velocemente all'interno della stanza come quelle di una gazzella che cerca di sfuggire al suo predatore. Cosa fare? Come agire? Vendetta, vendetta, nient’altro che vendetta. È questa la soluzione ad ogni questione: vedetta. Ma come? Come vendicarsi? Cosa mettere in atto? La mente di Nadja era un turbine nefasto di pensieri dolorosi e aberranti, tanto che lei stessa se ne vergognava.
Una ferita nel cuore, anche la meno profonda, non può rimarginarsi; una donna tradita non dimentica e non perdona. Mai dimenticare, mai perdonare. Lei, lei che ha lasciato la sua città, Mosca, per lui; lei che avrebbe venduto l’anima al Diavolo pur di renderlo felice. Lei che ha sempre creduto che quel progetto di vita prevedeva solo e solamente lei. E i piccoli. Ma si rese conto che la sua non era altro che una illusione bella e buona.
“Gli uomini sono tutti uguali, Nadja. Non avresti dovuto fidarti, fidarsi è da deboli, fidarsi è sbagliato”, pensò la donna e i pugni si serrarono sul tavolo della piccola cucina. “Ti vendicherai, non oggi, non domani. Lo farai, prima o poi, fosse l’ultima cosa che farai”. E avrebbe continuato quel rimuginare infuriato se la porta d’ingresso non si fosse chiusa con un tonfo che fece sussultare la donna e farle perdere un battito al cuore. I due gemelli corsero ─urlando gioiosamente come al loro solito─ per lo stretto corridoio per arrivare, senza prima spintonarsi per essere i primi, nella piccola stanzetta per abbracciare le gambe della mamma.
«Come è andata a scuola, bambini?» Si inginocchiò, la mamma, e rivolse ad entrambi un sorriso radioso; chissà dove riuscì a trovarla quella felicità mentre li guardava uno ad uno negli occhi: nel suo cuore vi era solo rabbia, rabbia e gelosia, tutti quei sentimenti che non dovrebbero mai sfiorare l’anima di un uomo. Ma quando li guardava, quando le voci piccole e dolci dei bambini le arrivavano alle orecchie, lei non poteva non sorridere, non sentirsi piena e in pace con se stessa. Una madre ama sempre e comunque i suoi figli. I bambini raccontarono della loro mattinata a scuola, tra disegni vari e battibecchi con gli altri compagni di classe ─tutto nella norma, insomma─ e proprio quando entrambi erano concentrati nel narrare di come un maschietto aveva dato un pugno ad un altro nel cortile durante la ricreazione perché per sbaglio era stato colpito da un pallone da calcio, sulla porta della cucina si manifestò come se fosse uno spirito ─o comunque un qualcosa di indesiderato e mistico─ Marco, quel simpatico siciliano che anni prima aveva incontrato a Palermo, durante una piccola gita italiana con la famiglia. Ricordava ancora quel giovane che, gentilmente, aiutò lei e il resto della nordica combriccola a ritrovare la strada per l’albergo in centro. Amore a prima vista, lo definirebbero alcuni.
“Ah, se solo potessi tornare indietro!” Pensò con furia. “Non mi farei di certo incantare da questo viscido essere. Rimarrei a casa… la mia dolce casa… Oh, quanto mi manca la mia famiglia.”
I bambini finirono di raccontare la storia avvincente e si sedettero a tavola sulla quale, poco prima del loro arrivo, erano state appoggiate tutte le stoviglie e le pietanze per il pranzo. Marco lanciò un breve sguardo verso la compagna e avrebbe voluto anche sorridere se la donna non l’avesse incalzato con uno sguardo fulmineo; avrebbe voluto anche azzardare un passo e parlarle per capire cosa stesse succedendo, sapere se fossero arrivati ad un punto di rottura o se si potesse recuperare il loro rapporto, ma questo tentativo gli sembra assurdo e inutile.
I due adulti fecero compagnia ai bambini ed insieme consumarono il pranzo. “Come una vera famiglia”, non poté far altro che considerare ciò la russa e il suo cuore si strinse in una morsa soffocante, facendole così perdere la cognizione della realtà. “Se solo potessi tornare indietro”, continuò. “Ma non posso… seppur vorrei”. Non avrebbe mai pensato che sarebbe arrivata al punto di rinnegare un passo della sua storia: tutto, anche ciò che è doloroso, serve per crescere, per migliorarsi. Anche il tradimento di Marco l’avrebbe aiutata a crescere.
Tradimento… quale affronto! Non poteva far altro che pensare e ripensare a quella sera in cui li aveva visti assieme; lui, il suo uomo e lei… Chi era quella donna? Chi aveva osato intromettersi nella sua vita, nella sua tranquillità?
Vendetta, Si sarebbe vendicata. Al più presto.

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Capitolo 3
*** Capitolo 2. ***


Capitolo 2.

«Ne sei proprio sicura?»
La voce di Andrea era calda, accogliente come dei vestiti asciutti dopo una corsa estenuante sotto la pioggia; rapirono la mente della donna concentrata in quel perenne rimuginare sulla propria questione, sulla propria famiglia.
«Sì», rispose seccamente con un tono di voce tale da non permettere alcun dissenso.
«La legge italiana è chiara, amica mia: se porti i tuoi figli via, sarà sequestro di minore o qualcosa del genere... Insomma, è comunque un reato sottrarli al padre e portali addirittura a Mosca!»
«Andrea, non puoi capire come mi senta». Ed era vero: per Nadja nessuno l’avrebbe mai potuta capire, soprattutto un uomo. Oh, maledetta stirpe, stirpe infame, unica vera creatrice di discordie!
«Prova a spiegarmi, allora!» Andrea sembrava piuttosto alterato, più che dall’affronto dell’amica dal suo pensiero di voler portare via i bambini dal proprio padre. «Nadja, ti puoi fidare di me: sono tuo amico da anni, ho visto i gemelli crescere… fidati di me, raccontami ciò che non va» e l’uomo allungò la mano sul tavolo alla ricerca di quello della donna, in modo da stringerla e darle con un semplice e misero gesto del conforto.
«Non sai, non puoi sapere quanto il mio cuore ora stia sanguinando per una ferita che quel verme, quel viscido mi ha inflitto!» La voce era dura, sibilata fra i denti come una sentenza truce mentre negli occhi dell’interlocutore compariva una espressione interrogativa, come quella di chi non riusciva ad afferrare il senso ultimo del discorso; Nadja lo guardò e in un istante era in piedi per camminare avanti e indietro, in quanto solo attraverso questo movimento continuo riusciva a scaricare la tensione e la rabbia. «Non gli ho chiesto di sposarmi, sia chiaro, non ho mai dato l’impressione di una che vuole sposarsi a tutti i costi, non l’ho mai voluto nemmeno costringere, quindi non credo di averlo messo alle strette con ciò; e seppur l’avessi fatto, questo non lo giustificherebbe. Buon Dio, arrivare addirittura a tradirmi! Perché mi sono meritata una punizione simile? In conseguenza a cosa?»
E nella mente di Andrea, i cui occhi non fecero altro che seguire l’ondeggiare irrequieto della russa, l’immagine si fece più nitida e sul suo viso comparve sia un’espressione dubbia che infuriata. «Ne sei proprio certa?» Furono le sue uniche parole in quell’istante di silenzio assoluto, nel quale solo l’incedere tempestoso della donna dominava.
«L’ho visto con i miei occhi, Andrea! Come mai potrei mentire su una cosa del genere? Era lì, teneva fra le braccia un’altra donna, la stava accarezzando, la stava baciando, faceva tutto ciò che dovrebbe fare solo con me! ─Nadja prese un respiro profondo, cercando in quel gesto di ritrovare il controllo dei suoi sentimenti;─ Non sai come mi sia sentita lì, in mezzo alla strada, ferita e umiliata da un uomo che… da un uomo che non merita nulla, in realtà. Non capisco, Andrea, non capisco davvero: perché un uomo tradisce? Perché arriva a desiderare un’altra donna?» Ed esausta, la donna dai capelli biondi come il Sole si lasciò crollare sulla sedia sulla quale fino a pochi istanti prima era seduta. «Se chiudo gli occhi… ridevo quella dannatissima scena, Andrea… La rivedo e la detesto, come detesto me stessa per essermi… innamorata perdutamente di lui, anni fa. Vorrei tornare indietro, non commettere il fatidico errore… Oppure… Oppure vorrei semplicemente non esser uscita di casa quel giorno, mi sarei risparmiata dolore inutile».

“I bambini fra poco usciranno di scuola, devo sbrigarmi, devo far presto. Dannata me che non sono uscita subito di casa per fare la spesa! Dio, speriamo di non incontrare troppa gente al supermercato: non riuscirei poi in tempo a presentarmi di fronte a scuola e prendere i gemelli. Allora, cerchiamo di ricordare: latte, uova, formaggio, le pesche che tanto piacciono a Bea e saranno la prima cosa che prederò perché non mangia altra frutta... Poi, poi, poi… Niki mi ha chiesto le patatine e se le merita dato che mi ha portato un eccellente al tema di italiano, così come Bea alla quale prenderò la cioccolata al latte che adora. Quindi: latte, uova, formaggio, pesche, patatine, cioccolata al latte… Credo che le priorità siano solo queste; se poi trovo qualche offerta su altri prodotti, ne approfitterò. Mentre… la strada per il supermercato? Ah sì, devo ora girare a sinistra. Sì, credo almeno. Ah, sono nove anni che abito in questa dannatissima città e ancora non posso ambientarmi? Oh, ecco l’insegna: sì, avevo ragione, dovevo girare a sinistra. Ottimo sesto senso, Nadja.”
Ma i suoi occhi si posarono su una scena orribile. La sua mente si estraniò. Anche il resto del corpo sembrava ormai un qualcosa di estraneo. Il suo cuore si lacerò, piccole ferite certo, ma in diversi punti e dolorose. E tutto le bruciava, soprattutto gli occhi che di lì a poco avrebbero stillato acqua salata.
Non sarebbe mai dovuta uscire di casa.

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Capitolo 4
*** Capitolo 3. ***


Capitolo 3.

Nadja si strinse a sé, portando le ginocchia contro il proprio petto: in una di quelle posizioni strane che avrebbe fatto paragonare la donna quasi ad una contorsionista, seppur quella si sentisse comoda e piuttosto protetta, sicura di sé; stringeva tra le mani la tragedia shakespeariana di Macbeth, una delle sue preferite. La pazzia, il doppio, due temi che l’avevano sempre affascinata. Uno dei suoi più grandi rammarichi era di non aver frequentato la facoltà di psicologia: le sarebbe piaciuto tantissimo studiare la mente umana, conoscere i lavori di Freud magari, soprattutto riguardo l’interpretazione dei sogni… Quanto le sarebbe piaciuto. Ma purtroppo non poteva tornare indietro e, a trentadue anni, non sarebbe mai riuscita a riprendere a studiare. E poi aveva i bambini! Come avrebbe potuto dedicarsi all’otium se la maggior parte del suo tempo prevedeva prendersi cura dei gemelli? Ed ora che il suo cuore era stato così dilaniato, così ferito l’ultima cosa che avrebbe voluto fare era studiare i problemi di altri.
Quante cose cambierebbe se potesse tornare indietro. O forse non farebbe proprio nulla. Seppur in un momento del genere fosse pentita di aver avuto il proprio cammino intralciato da Marco, allo stesso tempo non poteva che essergli grata di averle dato due bambini bellissimi, Beatrice e Nikolaj, detti Bea e Niki. Erano la sua ragione di vita, la sua anima, il motivo per cui aveva deciso di abitare per sempre a Palermo. Anche se ─c’era da dirla tutta─, era rimasta a Palermo dopo la prima volta che vi era stata con i genitori d’estate più che altro perché fu folgorata dalla bellezza del luogo, così etereo, e anche dagli abitanti, così cordiali gli uni con gli altri e capaci di dare ospitalità anche ad una straniera come lei.
E solo dopo aveva iniziato a frequentare Marco.
Sì, se lo ricordava quel giovanotto che aveva aiutato l’intera chiassosa combriccola ─una caratteristica poco usuale per chi proviene dal Nord della Russia… dalla Russia in generale, anzi─ e dispersa in una città sconosciuta a ritrovare la retta via; ricordava soprattutto i suoi enormi occhi marroni luccicanti ─scoprì dopo un po’ che quel bagliore persisteva anche nella notte più buia─ e la sua pelle scura, olivastra. Tutto in quel ragazzo della stessa età contrastava con l’aspetto di Nadja: occhi scuri come la terra nuda contro occhi chiari come il ghiaccio; pelle scusa come la corteccia di un arancio colpita dal sole contro una pelle talmente candida che era impossibile paragonarla con altro in natura, se non forse il manto di un orso polare. Caldo contro freddo. Sud contro Nord. Una battaglia continua che però gli aveva uniti. E seppur si conoscessero da nemmeno cinque mesi, era felicissima alla notizia di essere incinta e con un solo sguardo verso Marco aveva capito che non avrebbe mai amato alcun uomo all’infuori di lui, l’avrebbe seguito ovunque, anche dall’altra parte del mondo.
Ma la sua fiamma di passione si era spenta al soffio di una leggera brezza di primavera, proprio quel giorno in cui aveva deciso di uscire di casa più tardi del solito. In una situazione del genere, si predilige decisamente non sapere, rimanere all’oscuro anche di un tale tradimento: si risparmierebbe così tanto al proprio cuore infranto.
Ritornò con la propria attenzione sull’opera teatrale. Ecco, Macbeth raggiungeva Lady Macbeth con le mani intinte di sangue e semplicemente le diceva “L’atto è compiuto”. Macbeth, che pochi istanti prima aveva ucciso un uomo, non riusciva a dare un nome a quel gesto, chiamandolo semplicemente atto. E la sua mente cominciava a vacillare, a dare i primi segni di pazzia mentre la risoluta moglie gli dava ordini. Lei il cervello, lui il braccio, ma un braccio ora tremante.
«Mi spieghi cosa ti prende?», la voce di Marco la strappò da quello spettacolo teatrale immaginario. Nadja alzò lo sguardo la libro, lo squadrò gelidamente e ritornò a leggere, senza fiatare, anche perché se avesse davvero aperto bocca, avrebbe svegliato i bambini con le sue urla di rabbia. Marco aspettò: magari la sua compagna stava solo pensando a come rispondere ─seppur non ci fosse nulla a cui pensare. Ma dopo alcuni minuti di silenzio tombale, riprese a parlare. «Sul serio Nadja, che cosa ti prende? Sono giorni che non mi parli, sono giorni che ti rifiuti addirittura di dormire nello stesso letto con me. Cos’è? Il divano è molto più comodo?»
«Tu».
«Cosa? Io?»
«Non ci sei tu, ecco perché preferisco il divano», rispose seccamente, sbuffando alla fine perché era la terza volta che rileggeva la stessa riga senza capirne il senso ultimo.
«Non capisco…», aggrottò la fronte con fare confuso, mentre si avvicinava al viso della donna con la mano destra per lasciarle una dolce carezza di conforto e di perdono, qualunque cosa avesse fatto.
«Non osare nemmeno toccarmi!» Sbottò Nadja, ritraendosi più che poté contro lo schienale del divano, contro il quale fino a poco tempo prima era premuta.
«Nadja, cosa…»
Prima che Marco potesse dire altro, uno schiaffo colpì la sua guancia, causando subito un arrossamento della pelle. «Esci da questa casa. Immediatamente. Non farti più sentire.» Le parole erano secche, scandite bene quasi a voler rendere chiaro il concetto, mentre lo sguardo ardeva di furia e rabbia, il corpo fremeva per il gesto appena compiuto e anche la pelle, scossa da tutti questi orribili sentimenti, era diventata soprattutto in viso di un rosso vivo. Marco invece era confuso, molto confuso, ma non voleva andare oltre per non subire un’altra reazione del genere. Filò allora nella camera, preparò una borsa, mise il necessario per due giorni ─perché di certo non sarebbe stato lontano più di due giorni dai suoi figli─ ed uscì con in dosso un cappotto pesante, prima però diede un’occhiata alla stanza dei gemelli, sussurrando un “Buonanotte” paterno, e rivolse anche un breve sguardo alla compagna, che stava ancora seduta sul divano immerso nel suo dannato libro.
La porta si chiuse con un leggero tonfo, nulla di assordante che avrebbe ridestato il sonno dei gemelli. Nadja chiuse l’opera e la scagliò dall’altra parte del divano, spalmandosi poi le mani contro il viso per evitare di scoppiare in un pianto isterico.
Prima o poi finirà”, si ripeté nella mente. “Finirà tutto”.

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Capitolo 5
*** Capitolo 4. ***


Sono molti i casi che ─quasi giornalmente, per disgrazia─ riempiono le pagine dei giornali italiani. Nadja si accorse di avere le mani tremanti mentre leggeva su La Gazzetta Palermitana un tentativo di omicidio della figlia da parte di una madre, da anni depressa a causa dell’abbandono da parte del padre della piccola. A Nadja le si era gelato anche il sangue nelle vene mentre gli occhi scorrevano veloci sui dettagli della scena: fortunatamente la vicina era in allerta in quei giorni; “C’era qualcosa che non andava in quella donna”, ha rivelato al giornalista. “Guardava, anche se può sembrare strano, la figlia in modo torvo, come se fosse lei la causa della scomparsa del compagno. Da un po’ di tempo la sentivo urlare: ‘Un giorno di questi finisci di vivere’ quando la bambina commetteva un piccolo ed insulso errore”. E così ─continuava il giornalista a riportare le parole della salvatrice di vite─ è stata attenta a ogni rumore e a ogni singola e minima azione. E per fortuna l’ha fatto! Perché ad un tratto, nel pieno della notte, si è svegliata di colpo a causa de urla strazianti, sia adulte che infantili ed è uscita sul pianerottolo, ha accostato l’orecchio alla porta della casa accanto, accertandosi che tutto quel trambusto provenisse proprio da quella casa, ha udito frasi che una madre non dovrebbe mai rivolgere alla propria figlia. Ha chiamato subito i Carabinieri e ha salvato in questo modo la vita della bambina. Dopo l’intervento delle Forze dell’Ordine, la bambina è stata mandata in un istituto minorile, aspettando così l’adozione da parte di un’altra famiglia; mentre la madre è stata rinchiusa in carcere per tentato omicidio e aspettava ancora la sentenza del giudice che stava trattando il caso.
Nadja aveva afferrato subito il computer e aveva cercato; non riuscì a comprendere nel mentre perché stesse cercando, ma ne aveva il bisogno: avvertiva in lei quasi una forza che le stesse imponendo di cercare, di sapere. Google si aprì con la sua impaginazione bianca che ferì e urtò gli occhi della russa.


Madri che uccidono i figli.


Venticinque mila risultati; alcuni erano articoli che trattavano di cronaca, altri rimandavano a siti o riviste scientifiche che spiegavano il tema della depressione, della vendetta, della pazzia, addirittura alcuni sembravano dal titolo giustificare un’azione del genere. Nadja ritornò con l’attenzione sull’articolo della Gazzetta della sua città, dato che non era finito con il “lieto fine” per la bambina e la giusta condanna per la madre ─se ancora così la si poteva definire. Il giornalista infatti, forse rispolverando qualche sua conoscenza in ambito medico e letterario, cominciò a descrivere il Complesso di Medea. “Il Complesso di Medea deriva dalla tragedia greca omonima di Euripide, nella quale si narra dell’uccisione dei figli da parte della madre Medea per vendicare il tradimento del marito Giasone, colpevole di amare un’altra donna. Ed il Complesso di Medea è esattamente questo: una vendetta truce e violenta per far pagare un affronto”.

Si prese la testa fra le mani; se la sentiva scoppiare, sentiva tutto dentro di lei scoppiare. Anche il cuore. Ecco, il cuore accelerò i suoi battiti e sembrò quasi volesse uscire dalla gabbia toracica e correre, fuggire.

Complesso di Medea.
Vendetta.
Uccidere i figli per vendicarsi del marito.
Un marito che tradisce.


A Nadja scoppiò una scintilla malata nella propria mente e tutto le apparve più chiaro. La tensione dovuta alla lettura dell’articolo andò via come se fosse nulla di importante e sul viso della donna comparve una espressione rilassata, non tesa e non preoccupata; il cuore ritornò al ritmo naturale, il respirò si calmò, la testa non le scoppiava più.


Le apparve tutto più chiaro. 

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