The Real After ever After

di Mimithe_Moonlight
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** La ragazza e il Lupo ***
Capitolo 3: *** La ragazza e il Lupo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Mi chiamano Alet. Nacqui all'alba dei tempi quando tutto era ancora ombra e silenzio e gli astri non illuminavano ancora questa crudele oscurità. Vivevo sola fra altri che come me non potevano fare altro che trascinarsi nell'ombra senza una meta. Non potevo parlare, non potevo vedere nulla e nemmeno toccare gli altri esseri cercando un po' di conforto. Questo finchè non nacque Cevo, piccola sola, appena nata come me. Mi sfiorò appena ed in un momento diventammo una cosa sola. Da quel momento potei finalmente parlare. Quando infatti aprii la bocca, da essa nacque un canto che uno degli esseri trasportò nelle tenebre. Quest'essere si chiamava Vento. Presto io e lui divenimmo amici. Mentre io  iniziavo a sentire nella mia anima il peso di mille parole che mi frullavano nella testa. Ne parlai con Vento che decise di darvi un nome e le chiamò Store. Ci sedevamo vicini e io iniziavo a narrare mentre lui trasportava le mie parole nell'oscurità. Una volta, quando finii di narrare successe qualcosa di straordinario. Sentimmo una voce.
-Alet- chiamava questa. Subito Vento rispose scrutando nelll'ombra
-Chi sei  e che cosa vuoi da noi?- chiese. La voce tacque per qualche momento poi parlò singhiozzante.
-Io non ho un nome. Vivo come voi nell'ombra e ascolto ogni storia che nostra signora Alet narra e che rimane ben impressa in questa anima sola- Io attesi prima di rispondere perchè comprendevo la sua disperazione nell'essere solo e senza un nome con il quale chiamarsi. -
Cosa desideri da me Senza Nome- Di nuovo la voce risuonò nell'oscurità
- Dammi un nome ti imploro e lascia che io ascolti le tue storie per farne tesoro e poi raccontarle a quelli che come me e te vivono nel buio ma non possono sentirti- Mi pregò. Io rimasi in silenzio qualche momento pensando a un nome e ad una risposta poi ecco
-Uomo. Uomo sarà il tuo nome e quello di tutta la tua specie. E ti assegno un compito, ascolta le mie storie e narrale a tutti. Affinchè portino un po' di luce in questo regno di Tenebre-.
Fu così che l'Uomo iniziò a far parte del nostro gruppetto di cantastorie. E quando finalmente nacque Luce e il mondo divenne un po' meno tetro, Uomo conobbe i suoi simili e iniziò a narrare loro le mie storie e tutte quelle nuove che la sera con l'aiuto di Vento, gli cantavo. Furono anni di gioia ma quando pultroppo il mondo dell'Uomo divenne più grande, io venni relegata in un angolo. Divenni un semplice passatempo per i loro cuccioli umani. Non servivo a nulla tranne che a cullare il loro sonno mentre per i più grandi diventavo solo un accessorio. Nel caos delle grandi metropoli nemmeno Vento riusciva a trasportare la mia voce che diventò solo un flebile sussurro. Rimasero però alcuni, pochi in verità, che riuscivano a sentire ancora le mie storie che in qualche modo facevano in loro nascere una voglia di immaginare e di creare. Facevano germogliare e crescere in loro il seme folle della fantasia. Imparavano a fare ciò che io facevo da secoli e secoli. Impararono a Narrare. Fu per questa loro abilità che i loro simili li chiamarono Scrittori. Erano pochi ma si distinguevano nel mondo portando ovunque le loro Storie che divennero Libri. Ormai priva di un compito ben distinto iniziai a viaggiare e scoprii che questo mondo era molto diverso da ciò che le mie storie raccontavano e per questo decisi di farle diventare realtà. Presi coraggio e mi sedetti ad aspettare e inventare ed ecco che uno dopo l'altro i miei personaggi presero vita e divennero persone reali, ma il mio intento di portarle nel mondo e far riscoprire a questo le loro storie fallì miseramente. Nati su questa terra i personaggi non ricordavano più le loro storie se non a brandelli e iniziarono quindi a viverle senza quell'ottimismo e tutta quella magia che caratterizzava il mondo che avevo pensato per loro. Divennero così persone normali, senza niente a contraddistinguerle dagli altri se non quella loro nascita voluta da me. Ed è così che ho iniziato ad osservarli e a raccogliere le loro nuove storie. Le storie che ora io, Alet, sto per narrarvi.





ANGOLO DELL' AUTRICE
Salve a tuttiiiii, sono nuova in questo settore e quindi non so bene con chi sto parlando comuuuunque vorrei dare due dettagli su questa raccolta. Allora in primis non sarà una storia tutta "Vissero per sempre felici e contenti" l'idea è quella di prendere i personaggi delle fiabe e trasportare le loro storie nel nostro mondo dando un aspetto più reale e tenebroso ad ognuna di loro. Sono ancora inesperta come scrittrice quindi vi prego recensite e datemi consigli perchè ho tanta tanta voglia di imparare e migliorarmi. In secondo luogo spero di riuscire ad aggiornare una volta al mese (scuola e impegni vari permettendo)  tuttavia se vedo che la storia non piace o che comunque non interessa a nessuno probabilmente la interromperò per evitare di perdere tempo e portarlo via a chiunque capiti sopra questa fanfiction che non piace a nessuno, mi farebbe molto piacere sapere quali fiabe/favole volete vedere trasportate nel nostro mondo così magari potrò inserirle. Direi che vi ho già rubato abbastanza tempo, Buona serata e al prossimo mese con la prima Storia di Alet.
Darkalyce

P.s Per i meno appassionati Alet è l'anagramma di Tale che in inglese vuol dire appunto Racconto/fiaba eccettera.

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Capitolo 2
*** La ragazza e il Lupo ***


LA RAGAZZA E IL LUPO


La prima di cui seguii le tracce fu una bambina conosciuta nelle fiabe come Cappuccetto Rosso. Era una bambina sempre felice e gentile con tutti. Era. Ma fu catturata dalla realtà di questo mondo e un po’ di quella spensieratezza sparì. Quando la trovai era già grande e viveva nella periferia di una grande città. Gli abitanti chimavano quella zona della città “The Wood” perchè molti anni prima lì a fianco erano state piantate decine di piante e alberi vari per rendere la zona cittadina più verde. L’unico problema fu che la gestione cittadina iniziò a trascurare quei luoghi dove la natura prese piano piano forza soffocando il resto delle infrastrutture. Le case furono ricoperte di edera e piante rampicanti mentre gli alberi presero a crescere anche in mezzo alle strade rendendo il quartiere una sorta di paese a se stante. Non so se fu una coincidenza se i genitori della nuova Cappuccetto si stabilirono là ma sicuramente questo aiutò me a trovarli.Quando la loro figlioletta nacque, forse ricordaandosi inconsapevolmente del cappuccio che portava nella foresta delle fiabe, la chiamarono Scarlet. Crebbe felice nonostante tutto, lei e i suoi genitori erano molto uniti, e soprattutto il suo legame con il padre era fortissimo. Ma purtroppo non sempre le cose vanno nel verso giusto. A causa degli incendi dilaganti a The Wood , si decise di istituire un corpo di pompieri specializzati per contenerli. Suo padre era uno di questi e non dimenticherò mai le lacrime che solcavano il suo viso ancora bambino mentre guardava la tomba del padre che veniva calata nella terra. Era morto così, per un semplice fiammifero lasciato acceso che aveva incendiato un intero palazzo. Ne aveva salvati molti ma non era riuscito a salvare se stesso. Sua moglie non riusciva più a parlare o ad uscire per il dolore che provava. Iniziò a bere chiudendosi nella loro stanza a piangere e piangere senza mai fermarsi. Scarlett dovette quindi crescere in fretta per fare in modo che la loro famiglia ormai distrutta non perisse definitivamente. 
Gli anni passarono e lei crebbe diventando una ragazza dai lunghi capelli color cioccolato fondente con gli occhi blu oltremare. Era alta con lunghe gambe magre e il corpo snello e veloce grazie al fatto che sin da piccola giocava ad arrampicarsi sugli alberi. Quegli stessi alberi che ormai odiava ma in mezzo ai quali era costretta a vivere.
La trovai una sera tardi, mentre tornava a casa dal suo lavoro part-time. Era stata assunta da una giovane ragazza Clarisse, che ormai tutti chiamavano Granny. Questa aveva infatti lunghi capelli argentati come quelli di un’anziana signora, che le arrivavano fino a metà schiena. Era la più bella ragazza del quartiere, con le sue lunghe gambe e il fisico slanciato. Le curve aggraziate e il seno pronunciato avevano spesso fatto girare la testa a molti ragazzi. Sicuramente lei non lasciava molto all’immaginazione di questi poveretti, dal momento che indossava sempre vestiti piuttosto succinti che le fasciavano il corpo perfettamente. Scarlet un po’ invidiava tutta quella sua sicurezza, non che lei non fosse bella, ma semplicemente non sapeva usare le sue qualità come faceva Granny.
La mia vecchia amica Cappuccetto lavorava al locale  come barista da qualche anno, ed è proprio allo ‘Sweet Bastards’ che la rividi per la prima volta. Proprio da lì la vostra Alet, inizierà la sua storia.

Era una sera d’inverno e il vento soffiava impetuoso fra le fronde degli alberi di The Wood. Una giovane ragazza camminava svelta districandosi fra gli arbusti attraverso i pochi sentieri che la popolazione del quartiere si era creata. Sopra di lei il cielo plumbeo minacciava pioggia. Si strinse nella felpa rossa che indossava tirandosi su il cappuccio del medesimo colore. Era un regalo di suo padre, quando gliel’aveva data aveva solo dieci anni e le stava enorme, quell’uomo non era un granchè a scegliere le taglie, ora invece le stava appena lunga sulle maniche che aveva rimboccato leggermente. 
Ammetto che ci misi un po’ a riconoscerla, il suo passo fiero e la sua espressione decisa mi                                                                                                       avevano portato fuori strada ma quel cappuccio era inconfondibile.   
              Forse che un po’ delle fiabe fosse rimasta in lei e nella sua famiglia?
Scarlet era il nome di quella ragazza dagli occhi blu cobalto. Entrò in un locale le cui luci erano ancora spente ma l’insegna splendeva già luminosa. ‘Sweet Bastard’ diceva ammiccante. La giovane si sistemò nel piccolo locale adibito a spogliatoio e indossò l’uniforme, una semplice camicia nera e un paio di shorts di jeans. Ai piedi calzò le sue fedeli all-star nere preparandosi al lavoro che l’aspettava.Raccolse i capelli sopra la testa legandoli stretti in modo che non le ricadessero sul viso e aggiustò il trucco sciolto dalla leggera pioggerella che aveva iniziato a cadere mentre stava arrivando. Si voltò ritrovandosi davanti la proprietaria nonchè capo-cameriera del locale. Clarisse le sorrise radiosa sistemandosi la camicetta bianca dentro la minigonna nera e aggiustando il nodo al finto cravattino. Si avvicinò a lei con passo sicuro nonostante i notevoli tacchi a spillo facendo ondeggiare la capigliatura argentata che era legata in una coda di cavallo. Scarlet si era sempre chiesta se la giovane che tutti ormai chiamavano Granny se li tingesse per qualche oscuro motivo o se fosse semplicemente un po’ pazza. Tuttavia era la migliore amica che avesse e non poteva permettersi di perderla per una sciocchezza del genere. Con un sorriso l’amica le sciolse i capelli e le aprì i primi bottoni della camicetta
-Cosa ti ho sempre detto sul regolamento?-
-Sexy e provocante, lo so, ma tanto io faccio la barista!-
-Proprio per questo devi esserlo ancora di più! Dove sono i tuoi tacchi?-
-Lo sai benissimo che io e quegli affari non andiamo d’accordo- Lei sapeva cosa era successo l’ultima volta che l’amica ne aveva messo un paio per il suo primo appuntamento con un ragazzo conosciuto al locale. Dopo essere inciampata nei suoi stessi piedi ed essergli caduta addosso sicuramente il fatto di avergli rotto il naso nel tentativo di ritirarsi su non aveva proprio aiutato il giovanotto a farsi una buona impressione di lei. 
-Su, su Scarlet ti ho regalato apposta quegli stivali in modo che tu ti senta più a tuo agio-
-Dai, fa questa eccezione per me ti prego!-  L’albina scosse la testa passandole il paio di stivali alti con il tacco a spillo. 
-Le regole sono regole anche per te amica mia- La ragazza sbuffò scalciando via le scarpe da ginnastica e infilando quelli che lei considerava come strumenti da tortura alla moda. Certo le donavano qualche centimetro in più ma le era quasi impossibile camminare dal poco equilibrio che le causavano. Appoggiandosi al muro si alzò faticosamente gettando un’occhiataccia all’amica. 
-Sei responsabile delle vesciche che mi verranno-
-Me ne farò una ragione- rispose ridendo lei.
Le due si presero a braccetto e si allontanarono verso la sala pronte per aprire.

La serata trascorse come tutte le altre da quando Scarlet lavorava lì. Ore al bancone a sorridere con fare provocante shakerando drink per tutti i clienti. La maggior parte di loro ormai Scarlet li chiamava per nome e molti facevano lo stesso con lei. L’unica nota di novità era stata il giovane ragazzo con i capelli corvini che l’aveva sorretta quando, come previsto, era inciampata nei suoi tacchi a spillo in modo decisamente poco sexy. Le aveva regalato un sorriso furbo prima di tornare a ridere con i suoi amici. La ragazza non aveva mai vista nessuno di loro al locale prima di allora ma erano piuttosto ricchi a giudicare dai vestiti firmati e dagli orologi costosi. Sorrise sotto i baffi, ecco le sue nuove prede. Perchè purtroppo le serviva qualche furto ogni tanto per arrivare a fine mese comprando le medicine per sua madre e il necessario per non sembrare una totale stracciona. L’avevano beccata qualche volta ma ormai era una veterana di quel lavoro e comunque sapeva correre veloce. Doveva solo aspettare la fine del turno e prepararsi. Quei ragazzi non erano molto furbi. “Se conosci The Wood non vai in giro con il portafogli che spunta dalla tasca di dietro dei tuoi pantaloni da riccone”. Pensava con disgusto Scarlet seduta a gambe accavallate sul suo bancone. Non le piaceva la gente dei quartieri alti. Troppi pieni di sè e sicuramente non degnavano manco di uno sguardo i loro più poveri vicini delle zone malfamate. E poi The Wood non sarebbe neanche diventata così mal tenuta se qualcuno di loro avesse impiegato un po’ di quei soldi per aiutarli. Si guardò le unghie decorate da uno strato mangiucchiato di lucido smalto nero. Insomma lei faceva un po’ come Robin Hood, a eccezione della parte sul dare ai poveri. Ma ognuno fa quello che deve per soppravvivere no?
Finalmente il turno era finito. Scarlet era seduta sulla panca davanti al suo armadietto guardando sconsolata le sue all-star. Un grosso buco sotto la suola si era aperto con il tempo, il che non sarebbe stato un problema se non fosse stato per il fatto che fuori diluviava. Le rimaneva solo una cosa da fare. Si infilò nello zaino le scarpe da ginnastica e afferrò gli stivali. A mali estremi, estremi rimedi. Dopo aver salutato con un sorriso l’amica Granny, si calò il cappuccio sulla testa ed uscì seguendo a debita distanza il giovane ragazzo corvino che si era separato da poco dai suoi compagni. Ridacchiò osservvando compiaciuto che il portafoglio era ancora al suo stupido e inutile posto nella tasca di dietro. “Complimenti il tuo cervello è inversamente proporzionale al tuo patrimonio” pensò accelerando per portarsi più vicina. Allungò la mano verso la tasca del ragazzo facendo finta di scontrarlo per sbaglio con la spalla. Si voltò verso di lui rivolgendogli un sorriso fintamente dispiaciuto mentre si infilava in tasca il suo portafoglio. Lui la guardò confuso per un attimo poi lo vide sollevare un angolo delle labbra mentre faceva scattare in avanti la mano e le bloccava il polso.
-Allora dove pensi di andare cara barista, con il mio portafoglio?-
-Si può sapere di che diavolo stai parlando?!- esclamò la ragazza mentre lui le afferrava l’altra mano costringendola a tirarla fuori dalla tasca mostrando la refurtiva.
-Di questo-
-Merda...- sussurrò la ragazza cercando di divincolarsi. E come se non bastasse ecco spuntare in lontananza la divisa blu di due poliziotti. “Oggi è proprio la mia serata” pensò Scarlet sollevando gli occhi al cielo mentre il ragazzo attirava l’attenzione dei due agenti. Lei alzò un attimo lo sguardò verso di lui per osservarlo meglio. Lunghe ciglia nere contornavano un paio di occhi grigio chiaro in cui ricadevano i ciuffi troppo lunghi dei capelli lisci e neri. Era più alto di lei di almeno una testa buona. La sua presa salda lasciava intendere che a celarsi sotto quella camicia bianca leggermente stropicciata si nascondesse un fisico forte e scolpito. Scossa la testa allontanando da lui lo sguardo imbarazzato e aguzzando la vista verso gli agenti in arrivo. Le sembrò di riconoscere uno dei due, anzi non si sbagliava lei uno di loro lo conosceva e anche bene. 
-Scarlet, di nuovo tu?- La ragazza sorrise al vecchio amico di suo padre. Le coincidenze avevano portato proprio Max ad arrestarla.
-Sai ogni tanto succede, è assurdo però che debba provare a derubare qualche idiota dei quartieri alti per vederti-
-Io sarei qui presente- disse il ragazzo schiarendosi la voce.
-Shh, con te finiremo più tardi. Come sta la famiglia vecchio mio?-
-Niente da lamentare, devo ammettere che ce la caviamo piuttosto bene-
-Vai ancora a caccia? Non mi hai più invitato, mi sento leggermente offesa-
-Sentite per quanto sia felice di assistere a questa riunione fra amici non potremmo occuparci del fatto che questa ragazza mi stesse derubando?- Intervenne il giovane con gli occhi spalancati e la vena del collo che pulsava per la rabbia.
-Io in realtà vedo semplicemente un ragazzo che trattiene una giovane donna per i polsi impedendole di allontanarsi e che questa CASUALMENTE tenga in mano il suo portafogli magari caduto per terra. Questo atteggiamento da parte sua, signore, potrebbe farla arrestare per aggressione se non per molestie sessuali-
-Molestie sessuali?!- Esclamò il giovane arrossendo con gli occhi spalancati.
-Ma se lei la lasciasse potrei essere disposto a chiudere un occhio- continuò Max
-Inoltre se la ragazza glielo restituisse, magari lei sarebbe disposto a chiudere un occhio? Almeno per questa volta- Il giovane abbassò lo sguardo verso di lei incrociando il blu degli occhi della ragazza che riflettevano la poca luce dei lampioni. Ci pensò qualche secondo e poi annuì.
-Scarlet...-
-Ma Max era una preda facile!- esclamò lei con uno sbuffo.
-Non così tanto se ti ho beccata!-
-Stai zitto damerino, sto parlando con l’agente- Nel frattempo il collega di Max ridacchiava sbocconcelando cibo cinese da un contenitore maleodorante.
-Il tuo collega domani avrà la dissenteria, spero non abbia ordinato da Made In Asia, quelli ci mettono il cane nel cibo cinese- Il giovane agente sputò subito affianco a se il poco cibo che stava mangiando guardandolo disgustato mentre Scarlet rideva.
-Scarlet, molla il portafoglio- disse il più anziano guardandola serio. Fine dei giochi. La ragazza lasciò la preziosa refurtiva al ragazzo che la afferrò con fare circospetto per poi reinfilarla al solito, stupidissimo posto.
-Tu non imparerai mai la lezione vero?- sussurrò la giovane alllontanandosi da lui con le mani nelle tasche della felpa. Lui la guardò probabilmente perchè aveva sentito qualche arola del suo borbottio.
-Allora se a voi due baldi giovani non dispiace io e il mio amico ci andremmo a fare il nostro giro di Ronda, ciao Scarlet, salutami tua madre-La ragazza rispose con un cenno del capo mettendosi subito in marcia verso casa. Stava camminando già da un po’ quado una mano la prese per la spalla costringendola a voltarsi. Scarlet si ritrovò a fissare negli occhi il giovane di prima che le sorrideva leggermente imbarazzato.   
- Ti accompagno a casa-
-Non ce n’è bisogno, me la cavo benissimo da sola-
-Lo so, ma è tardi e siamo a The Wood- Lei lo guardò esasperata per la sua cocciutaggine.
-Senti fai come vuoi- Rispose lei incamminandosi sentendo dopo poco il passo leggero del ragazzo al suo fianco. 
-Scarlet, giusto?-
-Non fraternizzo con i figli di papà-
-Io mi chiamo Jonathan, Jonathan Wolf-
-Ma io dico sei sordo? Smettila di parlarmi- Esclamò Scarlet mentre con un ghigno si infilava il portafoglio del ragazzo magistralmente rubato nella tasca della felpa.

Angolo dell’autrice.
Hello everybody! come state? pultroppo quella che doveva essere una raccolta di storie brevi si trasformerà in una raccolta di one-shoot in quanto, già questo capitolo mi stava venendo troppo lungo e non vorrei asfissiarvi con troooooooppe parole quindi vi butto lì la prima parte della storia su, come avrete capito, Cappuccetto Rosso. Ammetto di non sapere perchè ho iniziato proprio da questa fiaba ma mi è venuta in mente durante l’ora di greco e ho deciso di buttarla giù. La seconda parte è già in via di scrittura quindi potrei aggiornare anche prima di un mese. Perciò rimanete pronti e allerta che non si sa mai quando la metterò. Fatemi sapere cosa ne pensate e ringrazio che ha già recensito. Un bacione a tutti.
Darkalyce che fra poco, se EFP me lo permette, diventerà Mimithe

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Capitolo 3
*** La ragazza e il Lupo ***


-Sai il fatto che io abbia un bel portafoglio non vuole per forza dire che io sia un figlio di papà-
-Il tuo cognome sì invece mio caro principe azzurro-
-Cosa intendi dire?-
-Mi vuoi far credere che non sai quanto tuo padre sia famoso a The Wood? Ha fatto distruggere metà delle case popolari per farci costruire i suoi “splendidi” centri commerciali. Poi quando ha visto che la vegetazione continuava a crescere ha abbandonato i lavori lasciando centinaia di famiglie a dormire nelle rovine di un proggetto mai terminato- rispose Scarlet con astio. 
In fondo sono fiera di lei. E’ cresciuta forte e orgogliosa. Un po’ aggressiva forse ma vedo nei suoi modi che sa essere gentile. Magari come me anche lei ha riconosciuto qualcosa di familiare in Jonathan Wolf.
Il giovane rampollo ebbe la decenza di rimanere qualche minuto in silenzio.
-Mi dispiace- sussurrò infine voltandosi ad osservare la ragazza. -Non sono mai stato molto d’accordo con la politica imprenditoriale di mio padre, in effetti non siamo dello stesso avviso per molte cose- Osservò il ragazzo con tono amaro. Scarlet per la prima volta si pentì per un attimo del modo in cui stava trattando Jonathan, in fondo lui non c’entrava niente con il modo in cui suo padre aveva gestito l’azienda. Fu solo un’attimo però. Lei non voleva e non avrebbe mai voluto provare empatia per un ragazzo del genere. 
-Se stai cercando di diventarmi simpatico parlandomi delle tue liti con il tuo paparino ti sbagli di grosso-Disse con voce incerta Scarlet accellerando il passo. Si stava facendo tardi e a quell’ora l’area non era sicura nemmeno per chi conosceva la zona. Una risata di lui la fece bloccare e voltare ad osservarlo. Illuminato dalla luce debole di un lampione aveva alzato verso di lei lo sguardo, qualcosa di luminoso billava nelle sue iridi fredde e grigie. Si avvicinò a grandi passi fermandosi a pochi centimetri da Scarlet con un sorriso sghembo. 
-Come mai stai cercando di farmi arrabbiare?-disse con una voce profonda che la ragazza non riconobbe come quella del ragazzo di poco prima. Fece un passo indietro titubante.
-Non mi piacete voi dei quartieri alti, sempre con quell’aria da ricconi- 
-Perchè ti piacerei di più se non fossi ricco?- Lei arrossì allontanandosi ancora.
-Ti preferirei se non fossi un deficiente pallone gonfiato e narcisista-
-Io non sono narcisista- borbottò lui leggermente offeso. Lei rise.-Lo siete tutti- disse poi correndo via. Era veloce e le piaceva la sensazione del vento sulla pelle che la accarezzava pungendole il viso col suo freddo. Si sentiva libera e senza freni. Non doveva pensare a niente. Solo sentire l’aria gelida che le riempiva i polmoni stremati per la corsa e alla ricerca di ossigeno. O almeno si sentì così finchè il tacco di quegli stupidi stivali non si incastrò in una crepa dell’asfalto ormai distrutto . Ancor prima di cadere pregustava già il dolore e l’odore del sangue. Chiuse gli occhi ormai sicura di schiantarsi per terra ma qualcosa la sostenne. O per meglio dire qualcuno. Senti la mano di Jonathan poggiarsi sul suo fianco mentre la tirava verso di se impedendole di cadere. La sua schiena scontrò il petto del ragazzo mozzandole il fiato per lo stupore.
-Dovresti smettere di fare tutto questo per attirare la mia attenzione, finirai per farti male-
-Mi si è incastrato il tacco in una pietra- sussurrò lei rabbrividendo per il contatto del fiato di lui contro il suo collo. Sentiva il cuore batterle all’impazzata nel petto che si alzava e abbassava velocemente per il fiatone.
-Se ti fa sentire meglio pensarla così...- sussurrò lui facendola arrossire. Si allontanò zoppicando leggermente guardando con gioia il suo palazzo a pochi metri di distanza. Si voltò a guardarlo. Sorrideva ammiccante con le braccia incrociate davanti al petto. 
-Quella è casa mia, quindi direi che puoi tornartene al tuo castello mio caro principino- disse Scarlet riacquistando un po’ di contegno mentre indicava dietro di sè.
-Dopo che mi avrai ridato il portafoglio- rispose lui allungando una mano. Scarlet sbuffò estraendo il suo prezioso tesoro e lanciandolo al ragazzo che lo afferrò al volo.
-Ora smamma-
-Arrivederci Scarlet- sorrise lui camminando all’indietro.
-Addio Jonathan Principino Wolf- Esclamò lei voltandogli le spalle e spalancando la porta di casa sua. Con un sospiro la richiuse e vi si accasciò contro sedendosi per terra. La luce era spenta ovunque tranne che in camera di sua madre, da dove filtrava da sotto la porta chiusa a chiave. Sentiva i singhiozzi di sua madre mentre ogni tanto appoggiava la bottiglia di Whiskey . Anche senza vederla Scarlet era sicura di cosa stesse facendo. Sospirò sollevandosi in piedi e trascinandosi fino alla sua stanza per poi lanciarsi sul letto e abbandosi al sonno popolato da una zazzera di capelli neri e da due occhi grigi come nuvole in tempesta.

Si svegliò con il suono martellante della sveglia nell’orecchio. Era sabato mattina indi per cui niente scuola ma sicuramente lo Sweet Bastards sarebbe stato pieno. Accarezzò l’idea di rimanersene nel letto a dormire fino alla sera ma sapeva che non era possibile, aveva delle commissioni da fare e dopo il furto mal finito del giorno prima doveva trovare qualche altro allocco da depredare. Insomma doveva anche mantenersi in qualche modo no? Lasciò un bigliettino sul tavolo della cucina alla madre, pur sapendo che questa non ľavrebbe letto. Indossò un vecchio paio di jeans e una consunta canottiera bianca che nascose sotto la felpa di suo padre. Si sarebbe recata in centro, lì sicuramente avrebbe trovato qualche stupido ragazzino con le tasche piene di bei soldini. Pensò amaramente a quando poteva concedersi quelle giornate di pace per fare ciò che le piaceva di più, cucinare dolci. Era bravissima ma gli ingredienti costavano e lei ormai non poteva più permetterseli. Afferrò lo zainetto dove teneva chiavi, cellulare e portafoglio. Si alzò il cappuccio sulla testa ed uscì di casa sbattendo la porta ormai rotta dietro di sè. Non c’era più niente che funzionasse bene in quell’appartamento. I fornelli non si accendevano ed ormai mangiava solo cibo precotto. Per quanto riguardava sua madre, credeva che fosse il whiskey a farle da pranzo e cena. Non mangiava molto in realtà. insomma, il necessario per non svenire per strada ma non molto, anche perchè ormai aveva preso l’abitudine di sostituire il suo pranzo con il fumarsi una o due sigarette e a volte anche di più. Sapeva che a sua madre non sarebbe piaciuto ma non ce la faceva, il cibo a quell’ora le faceva venir la nausea. Si guardò intorno sollevando gli occhi sulle foglie bagnate degli alberi. Il cielo era ancora scuro ma per il momento sembrava che non sarebbe piovuto ancora. Si diresse a passo spedito verso i quartieri alti stringendo lo spallaccio dello zainetto e preparandosi a lavorare. 

Scarlet si sedette su un gradino e tirò fuori dalle tasche i soldi che aveva estratto dai portafogli delle sue vittime. Era stato un buon bottino senza dubbio anche se aveva avuto qualche problema quando un ragazzo sulla trentina l’aveva beccata e si era messo a rincorrerla. Ma era stata abbastanza veloce da sfuggirgli e così sperava di non aver problemi. Era già tardi e quella sera il turno al bar non glielo toglieva nessuno. Ci voleva circa un oretta a tornare a The Wood da dove si trovava e sebbene le piacesse camminare comunque si sarebbe dovuta mettere subito in marcia. Poi lo vide passare proprio davati a lei.Era un giovane ragazzo che camminava col capo chino nascosto dal cappuccio dlla giacca leggera. Infilò il bottino nello zaino e si avvicinò facendo finta di niente al giovane. Con delicatezza sfilò la refurtiva dalla tasca sul retro dei pantaloni del ragazzo e stava per allontanarsi quando... Il portafoglio era bloccato, legato ai pantaloni da una catenella che nell’ansia dell furto Scarlet aveva tirato troppo forte. Lui si girò a guardarla e dopo un momento di sorpresa sorrise. Era Jonathan. 
-Stai scherzando! Di nuovo tu? Ma cosa ho fatto di male nella mia vita precedente?-
-Allora che fai mi segui?- rispose lui con un sorriso malizioso dipinto sul volto trionfante e beffardo.
-Fottiti, sto solo cercando di andare a lavoro-
-Fantastico! Vorrà dire che ti farò da guardia del corpo signorina-
-Non c’è un modo in cui potrei riuscire a liberarmi di te vero?-
-Sai alcuni prernderebbero questo atteggiamento come un rifiuto ma io adoro le sfide-
-Che Dio mi aiuti- esclamò la ragazza alzando gli occhi al cielo. Lo sentì ridere mentre la seguiva con le mani infilate nelle tasche.
Prese una sigaretta dal pacchetto che aveva nello zaino e se la mise in bocca poi porse il pacchetto a Jonathan che però rifiutò. 
-No, non fumo. Mia madre è morta di cancro- le spiegò mentre lei le metteva via e si accendeva la propria inspirando profondamente.
-E mio padre è morto soffocato in un incendio a The Wood proprio in uno dei palazzi di tuo padre, ma ciò non vuol dire niente- disse glaciale, forse con l’intento di farlo sentire un po’ in colpa. Lui abbassò gli occhi per guardare dritto nei suoi. 
-Mi dispiace- disse infine e per la prima volta fu lei a sentirsi in colpa per come l’aveva trattato. Per la cattiveria con cui aveva accusato lui e la sua famiglia di ciò che era successo a suo padre.
-Anche a me- sussurrò abbassando lo sguardo.
-Dovrei segnarmi questa data sul calendario non è vero? Sai non sembri proprio una che chiede scusa così facilmente- esclamò con uno dei suoi sorrisi ai quali Scarlet si era abituata. Buttò fuori il fumo con un sospiro.
-Non mi piace sbagliare, sono una tipa orgogliosa- 
-Me ne sono accorta Bonnie- rispose lui mentre svoltavano avvicinandosi finalmente allo Sweet Bastards.
-Chi scusa?-
-Bonnie. Sai Bonnie e Clyde, i due ladri!- Lei scosse la testa confusa mentre Jonathan la guardava stupito.
-Ti devo istruire un po’ signorina- sospirò lui. -Provvederò la prossima volta-
-Quale prossima volta? Non ci sarà una prossima volta. Non ci vedremo mai più- disse lei fermandosi ormai di fronte al locale.
-Vuoi scommettere?- domandò lui sollevando un sopracciglio e avvicinandosi fino a ridurre a pochi centimetri la distanza fra loro. Scarlet stava per ribattere quando la vide.
 Sua madre camminava veloce lungo la via ma il suo passo era incerto, malfermo e spesso doveva appoggiarsi alle ringhiere per non cadere. In una mano luccicava il profilo della bottiglia di Vodka che stringeva come un arma. O come un ancora di salvezza. Il suo volto era deturpato dalla rabbia e i capelli erano arruffati e le contornavano il viso come una nube nera. Si avvicinò ai due mentre Scarlet con gl occhi sbarrati sussurrava -Mamma-. Quando arrivò davanti alla figlia tutto accadde velocemente. La donna la prese per un polso e la tirò verso di se per poi costringerla a lasciar cdere la sigaretta che spense pestandola con un piede al secondo tentativo tanto era ubriaca. Quando la figlia tentò di calmarla e di costringerla a tornare a casa la madre iniziò ad urlare. Bestemmiava e ogni sorta di parolaccia usciva dalla sua  bocca mentre tirava Scarlet per i capelli e con uno schiaffo la spingeva indietro. Granny era corsa fuori dal locale per vedere cosa stesse succedendo e ora piangeva stretta alla cornetta del telefono mentre chiamava la polizia. Mentre chiamava Max. 
Jonathan impotente assisteva alla scena con gli occhi spalancati aveva provato a bloccare la donna ma quella lo aveva spinto via con una forza che nemmeno immaginava potesse avere una donna così minuta. 
-Sei una disgrazia per la nostra famiglia. E’ colpa tua se mio marito è morto. Tutta tua la colpa. Figlia di lupi, ecco cosa sei. Non dovevamo tenerti! Dovevamo darti via o ucciderti. Lui non avrebbe dovuto trovarsi un altro lavoro per mantenerci e non sarebbe sicuramente morto. Non saresti mai dovuta nascere!- le urlò mentre Scarlet, in ginocchio per terra a qualche metro da lei, allungava le mani davanti a se in lacrime. 
Cercò di commentare ma la madre era fuori di sè, Il braccio della donna scattò all’indietro mentre con furia scagliava la bottiglia vuota contro la figlia che si coprì il viso con le mani mentre il vetro si infrangeva contro i suoi avambracci. Fu allora che arrivò la polizia e Max con lo sguardo di chi si sentiva tremendamente in colpa. Fu costretto a trascinarla via. Mentre Scarlet urlava di fermarsi, di non portare via anche lei. Ma Max doveva farlo. Jonathan la abbracciò e lui lasciò che la stringesse e la portasse dentro il locale dove Granny le medicò le braccia tagliate. Lo sguardo della donna era triste e sul suo viso scorrevano lacrime silenziose mentre alzava lo sguardo verso l’amica che con le gambe strette al petto era rimasta in silenzio fino a quel momento, guardando dritto davanti a se.
-Portala via di qui, coprirò io il suo turno non è nelle condizioni di lavorare-disse la donna dai capelli argentei al ragazzo quando ebbe finito di medicarla.
-Posso portarla a casa sua, so arrivarci- Granny si voltò verso l’amica e scosse la testa. 
-So che è un grande favore da chiederti ma io a casa non ho proprio posto, puoi ospitarla tu? Solo per una notte o due. Quelllo che basta per farla riprendere- Jonathan annuì e dopo qualche minuto caricò la ragazza su una macchina guidata dal suo autista e la portò a casa sua.
Era silenziosa la stanza dove la portò all’ultimo piano del lussuoso palazzo in cui viveva. La prese in braccio e la portò fino alla camera da letto dove le tolse le scarpe e la fece sdraiare sotto le coperte. Fu allora che finalmente lei alzo gli occhi lucidi verso di lui e sussurrò un timido -Grazie-.
-Te l’ho detto sono un gentiluomo. Anche se di solito preferisco fare altre cose con le donne sdraiate nel mio letto-
Lei sorrise ma una lacrima solitaria scese lungo la sua guancia. Jonathan si avvicinò e con il pollice la asciugò sorridendole.
-Andrà tutto bene, vedrai- le sussurrò guardandola negli occhi blu cielo. E Scarlet non sapendo neanche per quale motivo, appoggiò la fronte contro la sua e sfiorò le sue labbra con leggerezza. Lui resistette poco prima di stringersi contro di lei e baciarla con forza ma anche con una straordinaria dolcezza. Le prese il viso fra le mani accarezzando i suoi capelli che le sfioravano il viso e disegnando con la lingua il contorno delle sue labbra . Il suo viso era bagnato dalle lacrime ma a lui non importò perchè lei stava ricambiando infilando le dita tremanti fra i suoi capelli neri e attorcigliandoli sulle dita mentre gli cingeva il collo con le braccia minute . Fece scivolare la mano lungo la sua schiena lungo il profilo della colonna vertebrale facendola avvicinare a se in modo che i loro corpi fossero completamente attaccati l’uno all’altro. Inclinò il viso reclamando il  bacio come suo mordendole il labbro inferiore, la sentì gemere piano mentre approfondiva il bacio stringendo le dita nelle sue spalle. Si separarono solo per respirare. Un respiro di liberazione e sollievo per aver fatto ciò che il destino li aveva condotti a fare. Innamorarsi. Ed io ero lì a narrare un piccolo lieto fine, finalmente nella vita della mia povera Cappuccetto Rosso che aveva ritrovato finalmente il suo Lupo Cattivo. Anche se forse sul secondo aggettivo avevo iniziato a nutrire i miei dubbi. E come non farlo, quello era un ragazzo buono, forse con i suoi difetti e i suoi scheletri nell’armadio. Ma sicuramente buono. 
-Rimani con me stanotte?- gli chiese sussurrando sulle sue labbra e quando lui rispose di sì finalmente un peso andò ad allegerirsi nel cuore della giovane ragazza. 

Ed ora è forse l’ora che io vi dica che quella non fu l’ultima volta che andai a trovare la mia bambina che ormai era cresciuta. A quella sera nell’attico di Jonathan ne seguirono molte altre, tanto che lei si stabilì lì a tempo indeterminato. Sebbene il problema di sua madre le rendesse la vita un poco difficile sapeva di non essere più da sola ad affrontarlo. Granny e Jonathan erano sempre con lei giorno dopo giorno aiutandola a riprendersi e a spostare le sue cose da quella vecchia casa ormai distrrutta e fonte solo di brutti ricordi. La vecchia felpa rossa di suo padre Scarlet non smise mai di portarla anche se ormai aveva preso l’odore di Jonathan dopo tutte le volta che l’aveva stretta a se. Usando il suo ascendente sul ragazzo riuscì a convincerlo a far pace con il padre. E devo dire che nessuno fu mai più felice di loro dopo quella riunione. Certo non tornarono ad essere una vera e propria famiglia ma grazie a loro finalmente The Wood iniziò ad essere considerata di nuovo. I palazzi furono ricostruitti e le piante ridotte in modo da facilitare la vita agli abitanti. Al gruppo di pompieri di cui aveva fatto parte il padre di Scarlet furono donati mezzi più veloci e più utili per far fronte agli incendi. E quando dopo ben tre anni, sua madre uscì dalla riabilitazione. Scarlet era lì con Jonathan al suo fianco. La mano del ragazzo che con dolcezza e ormai per abitudine le cingeva il fianco e nella mano la ragazza non stringeva più una sigaretta ma quella del suo fidanzato, mentre sul suo anulare sinistro scintillava l’anello di fidanzamento che solo pochi giorni prima Jonathan le aveva dato. Quando vide sua madre stentò a riconoscerla. Elegante nel suo vestito a fiori, con i capelli neri legati in una crocchia sopra la testa e le mani strette sulla sua borsetta, non c’era traccia di rabbia o di nervosismo nello sguardo della donna ormai così diversa dall’ultima volta che l’veva vista. I suoi ochi brillavano di gioia quando vide l’anello e abbracciò la figlia stringendo poi la mano al ragazzo che sorridendo era rimasto lì ad osservare le due donne ricongiungersi. Scarlet aveva solo vent’anni ed aveva già una vita abbastanza bella. Tuttavia non posso nascondere che comunque non fu facile. Ma anche quando il padre di Jonathan si ammalò e Scarlet fu costretta dal cancro a letto per mesi prima di riuscire a sconfiggerlo, anche allora i due riuscirono a lottare insieme fino a costruirsi la loro felicità, il loro piccolo angolo nel mondo.E spero che, ovunque loro siano, tutto sia ancora come quando li ho lasciati. Mano nella mano davanti alla prima ecografia della loro bambina.


Angolo dell’autrice
Ecco qui Alet ha finito di narrare la nuova vita di Cappuccetto rosso e sono felice che anche se in pochi qualcuno l’abbia letta. Mi scuso per il ritardo ma ero fuori casa e non potevo aggiornare. Comuqnue ringrazio molto quei pochi che l’hanno letta o ci sono capitati anche solo per caso e credo di potervi spoilerare che la prossima storia sarà Biancaneve ma non ne sono ancora sicura. 
Spero che qualcuno vorrà recensire prima o poi il mio piccolo e brutto lavoro per aitarmi a migliorare.
Ciao ciao e grazie per aver sopportato questa prima storia. Alla prossima.

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