Demon’s Souls: Le cronache dell’uccisore di Demoni

di Arbiter Ex
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Le Anime del Demone ***
Capitolo 19: *** Un futuro ***



Capitolo 1
*** capitolo 1 ***


Demon’s Souls:
Le cronache dell’uccisore di Demoni
Capitolo 1
 
“…Ricordo ancora come l’aria di quel giorno sembrava schiacciarci e opprimerci, piena di polvere e cenere, sotto un cielo grigio e morto, che non avrebbe mai più permesso al sole di scaldarci la pelle col suo tepore. Ricordo i muri abbattuti ed in fiamme delle case ed i frammenti delle braci dei focolari, una volta così accoglienti, ora spazzati via da un vento lugubre, stanco e triste. Ricordo il miasma emesso dai corpi degli uomini che vennero spogliati della loro persona e che persero il senno, divenuti ora dei gusci vuoti, in attesa solo di essere abbattuti da me. Quante vite sono state spezzate? Quanti sentimenti sono stati infranti? Com’è potuto accadere che l’umanità cadesse in un baratro così profondo? Quel giorno, il giorno in cui io ho arreso la mia umanità, ho realmente compreso come il demone fosse riuscito a proliferare così a lungo, e perché noi ci siamo macchiati della perdita della nostra dignità…”
 
Sul più vasto dei continenti separati dal grande oceano, che a ovest s’interponeva tra le grandi terre del mondo, si estendeva il regno di Boletaria, il dominio di Re Allant XII, il magnanimo sovrano che, attraverso le Arti dell’anima, portò una prosperità senza precedenti al suo popolo. Tuttavia, durante la vecchiaia del re, scoppiò una violenta crisi, che si sarebbe dimostrata fatale per il regno: il re svegliò dal sonno eterno L’Antico, la grande bestia sotto il Nexus, e sulla terra si riversò una fitta nebbia incolore da cui emersero terribili Demoni, venuti a reclamare le anime degli uomini. Coloro che perdono la loro anima, perdono anche la ragione; i folli attaccano i sani di mente, ed il caos regna sovrano. Prendendo le anime umane, un Demone rinvigorisce la propria, ed il potere di un’anima di Demone matura supera l’immaginazione. L’umanità rischia un’estinzione lenta ma sicura, ed un giorno la nebbia che si estende oltre i confini di Boleteria inghiottirà tutte le terre, segnando la fine dell’era degli uomini e dando inizio all’era del Demone.
 
Ad alcune miglia dalle mura della capitale, sulla vasta pianura centrale che la precedeva, un villaggio di agricoltori era animato da un grande viavai di gente, nato dalla commistione di paura e panico. Presto la Nebbia li avrebbe inghiottiti, la vedevano avvicinarsi quasi come se fosse viva e avesse l’intenzione di divorarli. Stavano preparando dei bagagli per trasportare alcuni indumenti e gli effetti personali più significativi, per poi caricarli su delle carrozze ed intraprendere il viaggio fino alla capitale, dove speravano di trovare la salvezza. Claire Farron, con un cestino di provviste raccolte frettolosamente, procedeva a passo spedito verso la casa dei suoi genitori, entrambi deceduti da tempo, dove la sorella minore, Serah, ultimava le sacche con cui avrebbero viaggiato. Claire era poco più di una ragazza, appena ventunenne, ma la sua personalità era stata temprata dalle difficoltà della vita di contadina e di orfana, poiché fu costretta sin da bambina ad occuparsi della sorella, più piccola di tre anni, mostrando una grande forza di volontà. Lei aveva un carattere forte e rigido, mentre Serah era conosciuta per la sua indole altruista ed i modi gentili. Entrambe giovani e belle, dai morbidi lineamenti del viso alle lunghe chiome rosee, rapirono i cuori di molti dei maschi del villaggio, che, però, vennero respinti uno dopo l’altro. Nonostante fossero sole, le due sorelle si guadagnarono il rispetto degli altri contadini con il loro duro lavoro, e nessuno che le conoscesse pensò mai di sminuirle. Riuscirono a tirare sempre avanti, in un modo o nell’altro, trovando forza l’una nell’altra; difficilmente agivano separate. Non poterono comunque prepararsi alla crisi che si abbatté su di loro, che avrebbe inesorabilmente distrutto la vita come la conoscevano. Il giorno che vennero a sapere per la prima volta delle storie sulla Nebbia e sui Demoni, un mercante mezzo morto e dalle vesti imbevute di sangue arrivò zoppicando al villaggio e nei suoi ultimi momenti avvertì gli abitanti su quanto la fine del loro mondo fosse vicina. Successivamente, si susseguirono spesso visite di chi portava con sé le leggende sull’enorme potere delle anime demoniache e di come i Demoni rubassero l’anima alle persone per far crescere le loro. Claire e Serah rimasero profondamente scosse da quelle storie e leggende, ma sperarono fino in fondo che rimanessero tali e che un tale pericolo non toccasse mai i muri della loro casa. Non ebbero avvertimenti quando la Nebbia incombette su di loro.
“Ecco”, disse Claire entrando in casa senza preoccuparsi di chiudere la porta e portandosi velocemente nel modesto soggiorno, dove vide la sorella china a preparare le sacche da viaggio sul tavolo al centro della stanza, illuminata solo dal grigiore del cielo che entrava attraverso le finestre spalancate.
“Queste non basteranno per tutto il viaggio, ma ci permetteranno di non morire di fame se dovessimo avere dei rallentamenti” aggiunse Claire portandosi vicino a Serah e porgendole il cestino. La sorella alzò il capo il tanto che bastava per vederne il contenuto e cominciò a vuotarlo il più rapidamente che poté, riempiendo il sacco che teneva tra le mani tremanti.
“Cosa sta succedendo, Claire? Non possiamo abbandonare così casa nostra!” esclamò Serah, afflitta dallo sconforto.
“Sai che non abbiamo scelta. Ora corri: ci caricheranno sul carro solo se ci sarà lo spazio sufficiente!” Con quell’ultima frase, Claire afferrò saldamente la mano di Serah e la trascinò fuori di casa, lasciando la porta spalancata e senza guardarsi indietro. Le umili vesti che indossavano avevano lembi stracciati e per l’usura sembravano più larghe di diverse taglie, tanto da coprire a malapena le spalle, e Serah vi inciampò ripetutamente, più per le lacrime che le velavano gli occhi che per goffaggine. Percorsero la strada centrale del villaggio, ormai deserta, e superarono le abitazioni abbandonate, arrivando di fretta al confine settentrionale del villaggio, dove gli abitanti si concentrarono in una folla rumorosa e scalpitante e dove i carri stavano venendo caricati di valige e persone; ce n’erano solo tre, già stracolmi, e non avrebbero mai potuto trasportare la moltitudine degli esclusi. Claire, però, sembrò non badarci e, facendosi strada a spintoni tra i contadini che tentavano ancora di salire e che venivano continuamente respinti dai proprietari, si rivolse ad uno dei cocchieri vestiti di nero che tentava di placare gli animi di chi era rimasto a terra, speranzosa che potessero salire comunque.
"Buon Signore, siamo solo io e mia sorella, con delle misere bisacce. Non occuperemo che pochi centimetri...” disse Claire, portandosi vicino Serah e rivolgendo la supplice richiesta all’uomo. Presentava lunghi capelli neri scompigliati, bagnati di sudore, e aveva un volto tirato e percorso da piccole rughe. Quando ascoltò la richiesta di Claire, le rispose con un’espressione spazientita e rassegnata insieme:                                                                                    
“Mi dispiace ragazza, ma non ho più spazio. Io me ne vado, dovrete chiedere a qualcun altro”.
“Possiamo farci molto piccole, non daremo fastidio e non pretenderemo una posizione comoda, se solo-”
“Ti ho già detto che non posso: altre due persone e non ci muoveremmo più veloci di una delle lumache della Valle” la interruppe brusco il cocchiere. “Prenda solo mia sorella allora. Lei è piccola e sarà come se non ci fosse” Claire chiese insistente, avvertendo la stretta di Serah sulla sua mano farsi più forte ed il suo sguardo sbigottito sentendola parlare di una tale possibilità.                                                                                                                                            
“Non posso caricare nessun altro, te l’ho già detto. Puoi provare a chiedere a-”
La prego!” Claire lasciò Serah e prese la mano dell’uomo nelle sue, chinando il capo e cadendo in ginocchia, disperata. Serah non l’aveva mai vista così, Claire non avrebbe mai ceduto il suo orgoglio e la sua dignità, ma ciò che Serah non sapeva era che Claire avrebbe fatto qualunque cosa per lei, sua sorella, anche abbassarsi a tanta pateticità.
“La prego, la porti con sé” continuò Claire, sperando di convincerlo. L’uomo, la cui espressione s’intenerì, si guardò intorno evitando lo sguardo delle persone di fronte a lui e tentò di farla stare in piedi per non attirare l’attenzione.
“Va bene, va bene, visto che è così piccola può salire, ma che faccia in fretta, e tu stai zitta!” le intimò il cocchiere abbassando la voce in modo che potesse sentirlo solo lei. Claire si rialzò e gli lasciò la mano.
“Grazie, signore. La mia gratitudine è infinita”. Serah le si avvicinò e tentò di parlarle in modo sensato, ma non le riuscì a causa del panico che stava provando: sua sorella l’avrebbe lasciata. Afferrò le braccia di Claire, supplicando che restasse con lei.
“Che vuoi fare? Se non possiamo andare entrambe resteremo insieme. Preferisco stare qui che essere sola. Non lasciarmi!”. Serah era in lacrime, non avrebbe mai voluto che Claire, l’unica sua famigliare rimastale, l’abbandonasse. Sua sorella era il suo unico punto di riferimento: perdere lei, avrebbe significato essere soli al mondo.
“Serah, ascoltami” Claire portò la sua fronte vicino alla sua, sfiorandola, e posò le sue mani sulle sue spalle, per infonderle un po’ di coraggio.
“Sin dal primo giorno che ho cominciato a prendermi cura di te mi sono ripromessa che non ti sarebbe accaduto niente. Il nostro obiettivo ora è sopravvivere, ma tu non potrai farlo se non sali su questo carro adesso…”
“Veloci!” sibilò il cocchiere, rivolgendosi soprattutto a Claire.
“Io ti raggiungerò alla capitale. Non devi preoccuparti per me. Ora va’.” Claire diede un bacio sulla fronte alla sorella e la spinse sul carro, aiutandola a salire. Dalla folla, un uomo tozzo e tarchiato, dai capelli rasati, vestito con una giubba macchiata e calzoni larghi, assistette alla scena. Si fece subito avanti gridando non appena vide Serah tentare di trovare un posto sul mezzo.
“Ehi, un momento! Se sale lei voglio salire anch’io!”
Il cocchiere, preparatosi a partire vicino alle redini, rimanendo deluso dalla speranza che nessuno facesse storie dopo aver visto la ragazza salire, si voltò immediatamente per rispondere, irritato, all’uomo.
“Il suo era l’ultimo posto, o preferiresti sottrarlo ad una bambina? Che razza di uomo saresti a fare una cosa del genere?”
“Uno che vuole vivere!” insistette l’uomo, rosso in viso per la rabbia e disperato nella voce, facendosi largo tra i presenti e arrivando accanto a Claire. Lei se ne distanziò subito di qualche passo per non doverne sopportare troppo l’aria rozza. Serah, dal carro, sentendo l’uomo cominciò a provare un forte senso di colpa solo per essere lì, pensando di aver rubato il posto a qualcun altro, magari qualcuno che ne aveva più bisogno. Il cocchiere squadrò meglio l’individuo, come per ricordare dei particolari che aveva tralasciato.
“Aspetta: tu sei Biggs il Macellaio! Ho già fatto salire tua moglie che è incinta. Vorresti forse prendere il suo di posto e dimenticarti del tuo bambino?” disse provocatoriamente il cocchiere, stanco della situazione ed impaziente di partire.
Non lo vedrò il mio bambino se mi lasci a terra!” l’uomo disse urlando, scoppiando in lacrime.
Fu in quel momento che cominciò l’attacco.
Una freccia percorse l’aria, sfiorando di poco Claire, e si piantò nel dorso di Biggs, che cadde morto pochi secondi dopo, sollevando la polvere dal terreno. “NO!” si sentì urlare dall’interno del carro, la moglie del Macellaio scattò in piedi e tese le mani al defunto marito, fermata dal raggiungerlo dalle altre donne vicine. Claire si voltò per vedere chi fosse il responsabile e si rese conto con orrore che la Nebbia aveva superato il confine meridionale del villaggio, probabilmente aveva già inghiottito la sua casa. Individuò il colpevole, un balestriere che portava l’armatura e l’emblema di Boletaria, e dietro di lui, dalla Nebbia, cominciarono ad emergere altri soldati, tutti con un’espressione vuota e le armi in pugno. Nei momenti successivi all’assassinio, si scatenò il terrore. La folla radunata davanti ai carri si disperse velocemente ed in modo confuso, emettendo orribili grida. “I Demoni! I Demoni sono arrivati!” urlò istericamente una donna. I cocchieri balzarono immediatamente alle redini, e le strattonarono con forza per spronare velocemente i cavalli, resi più veloci dall’agitazione e dalla paura. Serah pianse e gridò il nome della sorella diverse volte mentre la vedeva allontanarsi sempre più e tese incondizionatamente la mano, come per poterla raggiungere e stringere abbastanza forte da portarla con sé. Claire imitò il suo stesso gesto, ma si trattenne solo per pochi secondi.
“Avverti Boletaria, avverti il Re!” le gridò Claire, poi cominciò a scappare. I soldati, ormai divenuti demoni, stavano riempiendo la strada e attaccavano qualunque cosa si muovesse che gli capitasse a tiro. Chi non era salito sui carri, tentava disperatamente di fuggire, solo per essere inseguito fino alla morte, dolorosa e certa. Il sangue sgorgava copioso dai cadaveri di chi venne fatto a pezzi o trapassato da spade e frecce. Claire correva, non le importava la direzione, voleva solo evitare di essere vista e di essere inseguita. Si stava avvicinando al confine nord-occidentale del villaggio, dove un boschetto di aceri spezzava la monotonia della pianura. Da dietro l’angolo di una delle case abbandonate, un demone soldato vide Claire avvicinarsi e si preparò a fermarla, alzando lentamente la spada che teneva in mano. Claire, invece di fermarsi ed arretrare, scattò più veloce e caricò il soldato in uno slancio disperato più che coraggioso. Chiuse gli occhi all’impatto e gli assestò una spallata in pieno petto, che fece cadere entrambi e fece perdere al soldato la presa sulla spada. Quei mostri erano lenti, e Claire ebbe tutto il tempo di sottrarre l’arma al nemico e di piantargliela in petto, affondando la lama con rabbia e facendo schizzare il sangue sul terreno, sulla sua veste e sul suo viso. Il soldato contorse il volto per il dolore, e agitò le braccia in spasmi convulsi.
“Muori, Demone!” gridò lei rabbiosa ed esasperata.
Il soldato non si mosse più. Claire si ritrasse, incerta su ciò che aveva appena fatto. Si bloccò un istante, la sua figura tremante era scossa da profondi respiri irregolari. In vita sua, non aveva mai ucciso nessuno, solo dato qualche fendente di spada in caso fosse stato necessario difendersi, avendo perso la protezione e la guida del padre. Ma non avrebbe mai immaginato che lo avrebbe fatto davvero. Prima di quel giorno, aveva pensato spesso a cosa si potesse provare nel commettere un omicidio, e sapendo che i cavalieri lo facevano per professione, credeva che non sarebbe stato così tremendo o di grande impatto, quasi che fosse un aspetto naturale della vita. Si sbagliava. La viscerale repulsione che provò quando si rese conto di quel suo atto le fece capire cosa significasse prendere la vita di qualcun altro. Tentò di consolarsi pensando che aveva ucciso solo un mostro, ma quel pensiero non la confortò molto. Ripensò invece a Serah e a ciò che le aveva detto: “Il nostro obiettivo ora è sopravvivere”.
Lo aveva detto lei. Ripeté le parole nella sua mente e, di nuovo determinata ad arrivare sana e salva da sua sorella, estrasse la spada dal cadavere che giaceva ai suoi piedi, tenendola con entrambe le mani. Era una comunissima spada lunga di quelle che venivano fornite ai fanti dell’esercito di Boletaria, ma le sembrò più pesante di prima, e si sentì fortemente sbilanciata. Non ebbe comunque difficoltà a raggiungere di corsa il bosco oltre il confine e non venne vista da altri inseguitori. Si addentrò sempre di più in quel labirinto verde finché non credette di essere abbastanza lontana e al sicuro da chiedersi dove stesse andando. Le urla dei contadini del villaggio, ormai, un’eco agghiacciante in lontananza. Aveva il fiatone e si fermò per capire dove si trovasse, guardandosi intorno mentre teneva la spada lungo il fianco, la punta bassa e l’impugnatura rilassata per permettere ai muscoli di riposare. Non ebbe il tempo di notare l’uomo che le venne addosso, un sopravvissuto impazzito per il terrore. Correva a folle velocità e non ebbe i riflessi necessari per evitare Claire, che all’impatto rovinò a terra insieme a lui. L’uomo era alto e mingherlino e la caduta lo intontì abbastanza da trattenerlo a terra. Claire, invece, rotolò di lato e tornò subito in piedi per poter affrontare l’attaccante, ma poi si accorse di chi aveva davanti. Non lo riconobbe, e notò che serrava qualcosa nella mano destra, un sasso o una piccola roccia. Il colpo ricevuto lo fece delirare per del tempo.
“Non voglio morire...questa mi salverà, il tesoro del nonno…mi salverà”. Nonostante la voce flebile, lo diceva con convinzione, come aggrappandosi ad una verità assoluta. Claire pensò immediatamente che si riferisse alla pietra che teneva in mano, e capì che avrebbe perso solo tempo se si fosse fermata a chiedere aiuto a quel folle. “…basta romperla…e mi porterà lontano, al sicuro…”. Claire fece per andarsene quando un enorme Demone Grigio emerse dagli alberi, che vennero spezzati e sradicati. Per dei lunghissimi secondi, Claire rimase impietrita ad osservarlo, lasciando languide le braccia e sgranando gli occhi in un misto di paura e stupore. Era l’apparizione più mostruosa e orrenda che avesse mai visto: era alto quanto le cime degli alberi, aveva tre orrendi occhi gialli e sfoggiava denti e corna diaboliche. Aveva delle grottesche, piccole ali sulle spalle, ed in una delle enormi mani artigliate serrava un’ascia enorme, qualcosa che nessun umano avrebbe mai potuto sollevare. L’uomo, rimasto a terra a fissare l’aberrazione, gridò inorridito, tentando di strisciare via e premendosi a terra, come per poter scomparire sotto il manto erboso del bosco. Il Demone lo guardò pochi attimi, poi calò pesantemente l’enorme scure smussata in un ampio arco, riducendolo ad una pozza rossa dall’odore acre. La pietra che l’uomo teneva in mano era volata ai piedi di Claire, che assistette esterrefatta all’esecuzione. A quel punto, venne pervasa dall’impulso di scappare, ma prima di farlo afferrò velocemente la pietra che aveva ai piedi, poi corse veloce. Non seppe perché lo fece, ma non aveva tempo per pensarci.
“Cos’è quel mostro? Come fa ad esistere una cosa del genere?”
Claire tentò di sfuggirgli, ma al Demone Grigio bastò abbassare il braccio una seconda volta per fendere violentemente il suolo e sbalzarla via, sollevando terriccio e polvere. Lei venne scagliata lontano cose se fosse stata priva di peso, la spada volò via, e lei rotolò incontrollata fino ad una piccola radura. Quando smise di muoversi, ebbe il tempo di sentire l’intenso dolore che le correva per tutto il corpo, e non riuscì a fare altro che guardare rassegnata il Demone che l’avrebbe uccisa e che le avrebbe sottratto l’anima, mentre avanzava tra gli alberi per finirla.
“Che razza di morte è questa, senza nome e senza perché?  Dopo tutto quello che ho detto a Serah, morire così è quasi imbarazzante…”
Il Demone si avvicinava, lento e senza fretta, ma Claire non tentò nemmeno di muoversi, il dolore era troppo forte. Mentre rifletteva ancora sull’ironia dei suoi ultimi attimi, si accorse che nella mano sinistra aveva ancora la pietra dell’uomo morto poco prima. L’aveva tenuta saldamente in mano anche dopo il colpo ricevuto. Claire stessa non poteva crederci.
“Non mi aspetto veramente che succeda qualcosa. Chissà che non mi porti davvero lontano e al sicuro…”
Poteva pensare che fosse curiosità, ma in fondo Claire sperava ancora di salvarsi, con quello che sarebbe dovuto essere un miracolo. Il Demone era sopra di lei. Si era fermato, e alzò il massiccio braccio per l’ultima volta, la lama macchiata di sangue in pugno, pronto a concludere ciò che aveva cominciato. L’aria intorno era ferma, non un solo rumore si levò per interrompere quel momento. Claire cominciò a sentire la sua coscienza scivolare via, il suo tempo era scaduto. Evocò le ultime forze che le erano rimaste, e le usò per stringere la mano che teneva la pietra più che poté.
“Ti voglio bene, Serah” pensò, e poi infranse la pietra, chiuse gli occhi e svenne.
La pietra appariva dura e solida, ma quando Claire la strinse, questa si frantumò quasi subito, e dai suoi frammenti s’irradiò un forte bagliore, che accecò il Demone Grigio, facendolo arretrare, ed avvolse Claire completamente. La ragazza svanì nel nulla, di lei non rimasero che le orme degli stivaletti e la sua sagoma sul terriccio erboso. Quando la luce si spense, il Demone Grigio tornò a vedere e cercò la ragazza nel punto in cui stava attimi prima. Non avendola trovata, si voltò e tornò sui propri passi, in cerca di nuove anime.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Demon’s Souls:
Le cronache dell’uccisore di demoni
Capitolo 2
 
Claire era viva, anche se malconcia. Dalla sua disavventura nel bosco poco oltre il confine del villaggio, alternò il sonno a brevi momenti di coscienza, tutti di pochi attimi, e poté udire delle voci, ma non riuscì ad aprire gli occhi, né riuscì a ricordare dove potesse trovarsi e perché. Le voci non erano familiari e sembravano parlare di lei.
“Questa ragazza è svenuta e respira a malapena, dovremmo aiutarla!” disse una voce maschile dal tono ansioso.
“Non sappiamo chi sia né come sia arrivata qui. Guardala bene: è sporca di sangue da capo a piedi, chissà che non sia un’assassina, chissà chi ha ucciso prima di arrivare qui!” rispose un altro, dalla voce più profonda.
“Non dire sciocchezze, vecchio! Di questi tempi non è difficile sporcarsi le mani di sangue, potrebbe esserle successo di tutto” adesso era una donna a parlare.
“In quanto fedeli di Dio Misericordioso, non lasceremo che un’anima innocente muoia sotto il nostro sguardo senza fare qualcosa.”
“Il suo corpo è tutto un livido! Ho paura a muoverla, credo che abbia le ossa rotte,  o peggio!” disse la voce di prima.
“Allora opereremo subito. Ti aiuteremo, tieni duro.”
Claire sentì quelle ultime parole, poi tutto tornò silenzioso e buio. Si addormentò profondamente e non fece sogni. Dopo quello che le sembrò un tempo infinito, riemerse dal mare di oscurità in cui era naufragata, e riprese coscienza. Si svegliò, ma non aprì subito gli occhi, le mancavano ancora le forze per farlo. La prima sensazione che sopraggiunse fu il tatto: era sdraiata su una superficie regolare e liscia, dura e rigida, ed era fredda. Poi arrivò il silenzio, disturbato dalle eco lontane di quelli che potevano essere dei passi o piccoli movimenti, i cui rumori si perdevano tra le pareti di quello che doveva essere un salone enorme. L’aria sapeva di chiuso e di antico, ed era opprimente con la sua pesantezza. Dopo un po’ Claire si decise a scoprire gli occhi, pronta ad abbandonare il comodo torpore del sonno. Le palpebre si mossero lentamente, e batterono un paio di volte per mettere bene a fuoco; non appena tornò a vedere, Claire si guardò in torno. Sopra di lei vedeva un alto soffitto in pietra di un grigio molto scuro, se non nero, che originava da un’ampia parete dello stesso colore alla sua sinistra, mentre a destra degli imponenti pilastri davano su una grande sala con una depressione circolare al centro, circondata da sei grandi monoliti, e da lì partivano due rampe di scale a spirale e simmetriche, che s’innalzavano senza che ne potesse scorgere la fine. C’erano delle candele ad illuminare il posto, non poté contare quante, ma gran parte della luce che si rifletteva sulle pareti non sembrava naturale, tanto che non riuscì ad individuarne le sorgenti. “Dove mi trovo?” disse tra sé e sé, tentando di darsi una risposta e fallendo davanti al mistero di quel luogo. Alzò il busto sugli avanbracci per avere una visuale migliore. Era distesa su un telo sottile, l’unico oggetto tra lei ed il pavimento, e non indossava più la vecchia veste che aveva con sé quando scappò dal villaggio, ora sostituita da una maglia con un colletto a lacci davanti al petto, dei calzoni aderenti e degli stivaletti in pelle. Si accorse, inoltre, di sentirsi sorprendentemente bene per una sopravvissuta ad un attacco dei Demoni. Il dolore che le impediva di muoversi prima di svenire era scomparso, e non vide segni evidenti della sua brutta esperienza. Provò ad immaginare quale intruglio o rimedio sovrannaturale avessero usato i suoi salvatori per poterla guarire dallo stato pietoso in cui l’aveva ridotta il Demone Grigio così velocemente. Continuò a farsi domande senza risposta quando il filo dei suoi pensieri venne spezzato dalla forte esclamazione di una donna:
“Che Dio Misericordioso sia lodato, siamo testimoni dei suoi miracoli! Umbasa!”
La donna spuntò da dietro uno dei pilastri e si avvicinava a passo svelto verso Claire, che rimase ferma dov’era. Lei sobbalzò quando la sentì parlare, provò ad alzarsi ma non ci riuscì, le gambe erano troppo intorpidite. La donna aveva un muso allungato e dai contorni spigolosi, grandi occhi che minacciavano di abbandonare le orbite di appartenenza se sgranati, e dei lunghi capelli giallo paglia raccolti in una coda di cavallo. Non sembrava anziana, ma di certo non era più giovanissima. Si fermò vicino a Claire e s’inginocchiò davanti a lei.
“I Cieli ti hanno benedetto, figliola. Stai bene ora, perché sei stata graziata dall’alto.”
Claire ignorò per il momento qualunque significato avessero le parole della donna e tentò di riordinare i pensieri rispondendo alle domande più importanti.
“Chi sei tu? Che posto è questo? Come mi ci hai portato?” disse Claire spaesata e confusa.
“Sei molto spaventata, non è vero? E’ naturale per qualcuno scampato a quei diabolici Demoni. Perché è da loro che sei stata attaccata, dico bene?”
La donna non rispose a nessuna delle domande che Claire le rivolse, e lei ne prese nota, irritata. Decise comunque di non essere impulsiva e di non apparire infastidita. Invece di insistere subito, avrebbe assecondato la donna, rispondendo prima alle sue domande.
“Si. Il mio villaggio è stato inghiottito dalla Nebbia, non so quanti possano essere sopravvissuti. Dei carri avrebbero dovuto trasportarci alla capitale, ma molti sono rimasti esclusi e altrettanti sono morti.”
Claire aveva omesso di fare menzione di sua sorella. Per quanto ne sapeva Serah era alla capitale al sicuro, lei invece non aveva idea di dove si trovasse e da chi fosse stata aiutata. Mantenere le dovute distanze, sapeva, l’avrebbe ripagata.
“Povera anima triste, il mio cuore piange per la sorte infausta della tua casa” le rispose la donna con tono afflitto, rivolgendole uno sguardo addolorato. A Claire diede l’impressione di essere sinceramente dispiaciuta.
“Tuttavia, l’importante adesso è che tu stia bene. Le nostre preghiere sono state esaudite.”
“Le nostre preghiere?” pensò Claire. “Come hai fatto a curarmi? Mi pare che fossi conciata molto male…”
“La tua vita ci stava scivolando tra le mani: avevi lividi ovunque e respiravi con difficoltà, probabilmente a causa delle costole che si erano rotte. Ma nessuna ferita non può essere guarita dalla fede di noi credenti. Io e i miei fratelli ci siamo fatti tramite del potere divino, che ci ha concesso di guarirti. Il processo è stato immediato, sei testimonianza vivente della grandezza di Dio! Umbasa!” esultò la donna estasiata.
“Umbasa?” ripeté Claire nella sua mente. Poi ricordò. Umbasa era la lode tipica dei credenti della Chiesa, i religiosi che veneravano Dio ed i suoi Santi. Il culto si diffuse nelle città, mentre nessuno ne sapeva niente negli insediamenti isolati.  Claire sentì alcune voci a riguardo solo grazie ai mercanti che facevano regolarmente visita al suo villaggio. Sentì soprattutto voci di come la maggior parte dei sedicenti fedeli non fossero altro che ciechi fanatici in cerca di qualche simbolo da idolatrare, pericolosi più che devoti. Claire abbassò un momento lo sguardo e notò finalmente la veste bianca della credente. Lo riportò velocemente in alto per guardarla negli occhi, per controllarla.
“Mi stai dicendo che avresti eseguito una sorta di magia su di me?” Claire chiese dubbiosa. Lei non era una stupida, e difficilmente avrebbe creduto a qualcosa che non potesse vedere o toccare personalmente. Preferiva sempre verificare le cose da sé, ed in quel caso, cosa esattamente avesse usato la donna per curarla.
Non magia!” urlò brusca la credente, il volto contorto dalla rabbia. Claire non capì le ragioni di quello scatto iroso, e si ritrasse leggermente; la donna era più imprevedibile di quanto desse a vedere.
Lei parve accorgersene, e si ricompose per risponderle appropriatamente. “Quelli che realizziamo noi sono Miracoli, estensioni del potere di Dio. Fino ad ora, nessuno è mai riuscito a compierne, ma in questi tempi bui, Dio ha risposto alle nostre preghiere concedendoci la Sua forza. Una forza che può annientare i Demoni ed i loro perversi Incantesimi. Non smarrire la retta via, rinunzia alle pratiche scellerate…”
“Hai parlato di altri. Chi sono? Mi piacerebbe incontrarli e sapere dove ci troviamo” disse Claire dopo una lunga e scomoda pausa, volendo abbandonare quell’argomento spigoloso e calmare la credente. Si disse che, non appena avesse scoperto dove si trovasse e come lasciare quel luogo, sarebbe corsa via senza ripensamenti. Se gli amici della donna erano come lei, avrebbe fatto meglio ad andarsene il prima possibile.
“Oh, ma certamente! Te li presenterò subito” rispose la donna, aiutando Claire a rialzarsi stendendo entrambe le mani. Claire esitò un momento, poi accettò l’aiuto malvolentieri, ma si sforzò di non darlo a vedere, accennando un sorriso forzato. Mentre Claire si abituava di nuovo a stare sulle proprie gambe, cosa che le fece venire delle leggere vertigini, la credente si voltò verso il fondo della sala e fece un cenno con la mano. Due figure si mossero verso di loro e Claire non le notò finché non vennero richiamati dalla donna. Erano entrambi uomini, uno portava un cappuccio candido e pareva un po’ attempato a causa dei sottili baffi bianchi, l’altro era più giovane, ma aveva un aspetto trasandato e sciatto, non trasmetteva molta sicurezza. Quando furono vicini, la salutarono con dei larghi sorrisi mentre la donna li introdusse:
“Questi sono miei confratelli. Con il supporto loro e della loro fede, sono riuscita a salvarti. E’ anche merito loro se sei ancora tra noi.”
“Il mio cuore canta di gioia nel vederti guarita.” disse il più giovane. “Spero che oggi abbiamo guadagnato una nuova amica per noi e per la
nostra causa: in quanto espressione del potere di Dio, dato che sarai grata per la nuova occasione che ti è stata data, sono sicuro che sarai entusiasta di unirti a-”
“L’accettazione della fede deve venire da dentro, mio giovane fratello, non può essere imposta o suggerita. Questa ragazza si sta ancora riprendendo da una sgradevolissima esperienza: approfittare di questo suo stato, non sarebbe né virtuoso né corretto. Lasciatele il tempo di ritrovare la sua strada” lo interruppe il più anziano, rivolgendosi ai suoi compagni ed offrendo un sorriso spensierato a Claire. Tra tutti e tre, le sembrò il più assennato, forse per merito dell’età.
“Ma certo, ho peccato di presunzione, chiedo venia” disse col capo chino il più giovane a Claire, che messa a disagio da quella esibizione di religiosità chiuse il discorso con un impacciato cenno di assenso della testa.
“Lasciamola per ora. Avrà tante cose per la mente adesso…” continuò il Discepolo, che si voltò dirigendosi verso il fondo da cui venne.
“Sappi che aspettiamo sempre nuovi fratelli, soprattutto di questi tempi” disse l’Accolito prima di seguirlo.
“Ci sono ancora altri che devi conoscere. Non devi avere paura, qui sei al sicuro” concluse l’Adoratrice, facendo per voltarsi verso i suoi compagni.
“Vorrei ringraziarvi, ma non mi avete detto i vostri nomi” la trattenne Claire.
L’Adoratrice sorrise, poi rispose tranquilla e con un’espressione serena: “Noi non abbiamo più nomi, ci sono solo fratelli e sorelle in questo mondo. Quando tutti gli uomini lo capiranno, nemmeno la Piaga dei Demoni graverà così tanto sulle nostre vite.” Poi si voltò, la lasciò e si riunì agli altri due. Claire rimase colpita dalle parole che le rivolse la donna; non le aveva capite fino in fondo, ma poteva coglierne il desiderio di pace a cui, probabilmente, aspiravano anche gli altri fedeli. Forse aveva fatto presto a giudicarli. Però, scacciò velocemente quei pensieri. Nessuno si era ancora preso la briga di dirle dove si trovasse, quindi non poté che tornare a guardarsi attorno, in cerca della risposta che cercava. Oltrepassò i pilastri presso cui aveva appena conosciuto i suoi salvatori, portandosi verso il centro della sala che aveva scorto prima di alzarsi, e non poté non rimanere semplicemente stupita dall’imponenza di quel luogo. Qualunque edificio fosse, si estendeva verticalmente più di quanto avesse mai pensato di trovare tra le mura della capitale. Quello che pensava fosse il soffitto era in realtà il balcone del piano superiore, accessibile dalle rampe di scale a spirale notate precedentemente, che ora apparivano senza fine. Ogni superficie era incisa da simboli runici dorati e delle sinistre statue adornavano i piani alti della sala. La visione del tetto era ostruita da una statua enorme, sospesa in alto da un elaborato elemento decorativo, ostile come le altre e serrava una lunghissima spada in pietra, che pendeva pericolosamente verso il basso. Claire osservava tutto ciò a bocca aperta, sopraffatta dalla solennità di quel posto, quando venne riportata alla realtà da uno sbuffo infastidito dietro di lei.
“Così tu sei la faccia nuova, eh? Devo dire che il tempismo non ti manca…”
Claire si girò di scatto, sorpresa dalla voce. Scoprì che proveniva da un vecchio seduto su di un consunto sgabello in legno, attorniato da attrezzi vari e da una piccola forgia. I pochi capelli canuti rimastigli e la lunga barba bianca ed incolta incorniciavano il viso disilluso percorso da rughe e gli occhi severi e pregiudiziosi, su cui portava dei tradizionalissimi occhiali tondi, rendendo l’idea più comune che si potesse avere di un anziano: un rancido bacucco esausto che non trovava occupazione migliore del suo tempo di mettersi a sputare sentenze sulle decisioni di chi era più giovane di lui.
“Vedo che ti sei ripresa bene, mi sorprende che tu sia ancora viva. Qualunque cosa ti abbiano fatto i chierici deve aver funzionato. Visto che ora riesci a stare sulle tue gambe, potresti anche provvedere al pagamento del servizio che ti ho reso: sono miei gli indumenti che porti, sai? Sei fortunata che li avessi da parte e che fossero all’incirca della tua misura, ma in futuro potrei non sentirmi in vena di perdere tempo a tesserne altri, a meno che non mi venga dato il giusto incentivo” continuò pedante il vecchio scorbutico. Claire rimase ferma ad ascoltarlo ed incapace di rispondergli, presa alla sprovvista dall’uomo anziano. Quando finì, riuscì a pensare di nuovo a cosa rispondergli e decise che non si sarebbe fatta intimidire.
“I fedeli mi hanno detto di altri che abitano questo posto. Deduco che tu sei uno di quelli. Non ricordo di aver mai dato del denaro a chi non conoscessi, e non ne darò al primo vecchio che incontro che ne pretenda da me” disse Claire riposando una mano sul fianco e rivolgendo un gesto incurante con quella libera al vecchiardo.L’altro serrò le labbra in una smorfia irritata che accusava Claire per la sua mancanza di rispetto, ma le riaprì poco dopo:
“Il mio nome è Boldwin, sono un normalissimo fabbro, in caso ancora ti sfuggisse. La mia politica è semplice: pagami il dovuto e compra spesso, portami tutto quello che hai, così che io possa continuare a vivere, e che tu possa continuare a sopravvivere, con le mie armi e armature. Non un cattivo affare, no?”
Claire rifletté alcuni attimi sulle sue parole: il vecchio fabbro era schietto, andava dritto al punto, non si perdeva in circonlocuzioni nostalgiche e patetiche com’erano soliti gli uomini della sua età per accattivarsi la pietà di chi era in torno, lei nel caso specifico. Le uniche cose che sembravano interessarlo erano la sua sopravvivenza ed il guadagno, che era stato l’argomento principale del suo discorso. “Vecchio egoista bastardo”. Il vecchio non le piaceva, ma come aveva fatto con l’Adoratrice, si sarebbe adeguata alle sue richieste.
“Beh, Boldwin, sarò contenta di ripagarti quando avrò trovato monete sufficienti a soddisfarti: con me non ho un solo pezzo d’oro” disse facendo spallucce.
“Monete? …Oro?” chiese con aria pensierosa Boldwin. Passarono lunghi attimi silenziosi, lui la fissava e lei tentava di non evitare il suo sguardo. Poi scoppiò in una risata rauca e tirata, tanto intensa e rumorosa da prosciugarlo fino a farlo tossire. La sua fragile figura era scossa come in preda alle convulsioni, tanto si stava divertendo. Claire gli rivolse uno sguardo incuriosito, interdetta dalla reazione del vecchio fabbro. Aveva detto qualcosa di buffo? Perché ad un tratto il vecchio la stava prendendo in giro? Claire sentì la sua pazienza assottigliarsi.
“I miei fianchi! Che dolore!” riuscì a dire l’artigiano, senza smettere però di ridere. Claire non ne poté più, lei non sarebbe stata schernita in quel modo.
“Ti diverto, vecchio? Ti prendi gioco di me?” disse con voce sprezzante e serrando le palpebre. Boldwin infine si calmò e quando smise di ridere si prese un momento per pulire sulla tunica che portava le lenti degli occhiali, appannate e bagnate da qualche lacrima.
“Non me ne faccio niente di monete e oro, ragazza. Portami anime, più che puoi. Voglio vivere abbastanza a lungo da vedere questi dannati Demoni strisciare nel buco profondo da dove sono venuti!”
Claire credette di non aver capito, ma rielaborando le parole di Boldwin in testa si rese conto di aver sentito bene.
“Tu vuoi che ti porti…anime?”
“Più che puoi” ribadì l’altro.
Fu in quel momento che la paura insorse dentro Claire, e minacciava di pervaderla. Il panico stava prendendo il sopravvento; doveva trovare la soluzione.
“Dove ci troviamo? Cos’è questo posto? Come ci sono arrivata, come posso uscirne?” chiese in tono agitato, facendo ribalzare gli occhi da una parete all’altra.
“Ora come ora non ti conviene uscire. Non vorrai mica che la tua anima ti venga tolta?”
“Anime? Demoni? Miracoli? Magie?” Claire stava perdendo il controllo. Quella sembrava in tutto e per tutto una gabbia di matti, e poteva sentire che ogni secondo passato lì era un passo in più verso la follia.
Boldwin notò il cambiamento nell’attitudine di Claire, e tentò di rassicurarla:
“Ascoltami bene, ragazza: credo di capire che cosa stai pensando e come ti senti in questo momento. Non sono io quello con cui devi parlare. Dovrai aspettare. Non so quanto, forse molto, forse molto poco, ma non devi disperare. Qui nessuno ti vuole fare del male. Attendi. Vedrai che mi darai ragione.”
Claire fu sorpresa nel sentirsi un po’ sollevata dalle parole dello scorbutico fabbro, ma non poteva reprimere l’ansia che le era nata dentro.
“Cosa sta succedendo a Boletaria?” chiese Claire sconsolata.
“Temo che l’unica cosa certa è che i Demoni cacciano noi e le nostre anime” disse una voce dietro al pilastro.
“Questa ragazza ha parlato con me per tutto questo tempo e tu ti presenti solo adesso, Tom? Non ti facevo così maleducato…” disse Boldwin rivolgendosi alla sua destra. Da dietro il pilastro emerse un uomo un po’ più alto di Claire, dai capelli corti e bruni e con dei bei baffoni dello stesso colore. Aveva un’espressione che a prima vista poteva dirsi serena, ma guardandolo negli occhi Claire ebbe l’impressione che soffrisse molto, e che provasse una profonda tristezza.
“Io sono Thomas il Collezionista. Felice di conoscerti, ehm…”
“Si ragazza, qual è il tuo nome?” disse Boldwin interpretando il pensiero di Thomas.
“Il mio nome è Claire. Thomas hai detto? Il Collezionista?”
“Il nostro Thomas qui offre un grande servizio ai Cacciatori di Demoni che bazzicano questo posto, custodendo e ordinando il loro carico di troppo. La sua collezione è ammassata qua dietro e non ha mai chiesto niente in cambio. Ecco perché continuo a dirgli che non farà mai strada con gli affari” spiegò Boldwin.
“Cosa? Cacciatori di Demoni?” esclamò Claire incredula, ripensando al Demone Grigio. Strinse le braccia davanti a sé, per attenuare i brividi freddi lungo la schiena. “C’è qualcuno che cerca e uccide quegli affari?”
“Non sono stati pochi, ma, per ora, ce ne sono soltanto due qui” rispose Thomas.
“Potremmo benissimo dire anche uno solo, dato che l’altro non fa niente se non aspettare seduto la sua morte” disse Boldwin senza guardarli in faccia.
“Non puoi essere così severo. Non sai cos’ha passato”.
“So solo che non è di aiuto qui. Lasciare da solo un giovane cavaliere contro quell’orda infame: sputerei sulla mia immagine se la vedessi, fossi in lui!”
“Boldwin è solito spronarci in modi un po’ duri, come hai sentito, ma ciò che ha detto è vero: sono disposto ad occuparmi di tutto ciò che potresti ritenere superfluo, sempre che tu sia disposta a concedermelo, ovviamente” concluse Thomas con un sorriso.
“Ti ringrazio ma…Thomas, dove siamo? Come sono arrivata qui?”
“E’ una domanda più difficile di quanto credi, ma ti posso dire che solo specifici oggetti, contenenti una magia arcana, possono trasportarti in questo luogo. Deve essere questo il tuo caso, anche se, a quanto pare, a tua insaputa” rispose l’uomo grattandosi la nuca. Claire ripensò al frammento che strinse prima di svenire nella radura: “Possibile? Quella pietra mi ha portato qui?”
“La mia conoscenza è molto limitata, ma se aspetti un po’ potrai incontrare il nostro secondo Cacciatore, che ne sa molto di più. E’ giovane, della tua età credo, ma è abile. Tornerà presto, stanne certa.”
“Ad essere onesti è arrivato non troppo tempo fa, non sappiamo ancora quanto bene sappia menare con la spada” s’intromise Boldwin. “Voi due siete le prime persone che giungono qui da un bel po’.”
“Una recluta, insomma…” sospirò Claire, delusa. Le possibilità di andarsene si facevano sempre più lontane.
“Forse. Non so se soddisfarà le nostre speranze o se fallirà miseramente, ma se c’è una cosa che un vecchio come me può dire di quel ragazzo è che non ha paura. Non cadrà presto né tanto facilmente” affermò solennemente Boldwin.
Claire ascoltò attentamente le parole dei due uomini: cosa aveva fatto questo ragazzo per suscitare così tanta fiducia? Come potevano pensare che una sola persona potesse salvarli?
“Beh, come si chiama questo Cacciatore?” chiese infine Claire. Prima che uno dei due potesse rispondere, al centro della sala divampò uno scintillio che rapì lo sguardo di tutti e tre. Intravidero una sagoma, un guerriero in armatura, che si mosse verso di loro.
“Perché non glielo chiedi di persona?” le sussurrò Thomas.
Arrivato davanti a Claire, il cavaliere si tolse l’elmo, e fece ricadere sulla fronte i folti capelli argentei. “Felice di conoscerti. Io sono Firion.”

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Demon’s Souls:
Le cronache dell’uccisore di demoni
Capitolo 3
 
Il forte bagliore li accecò per un istante. Quando tornarono a vedere, un cavaliere era apparso, materializzatosi dal nulla al centro dei sei monoliti. Claire fissò gli occhi sul guerriero mentre si avvicinava: indossava un’armatura scanalata, dall’aspetto molto pesante, con graffi e ammaccature dappertutto, mentre al fianco era legata una spada infoderata e al braccio sinistro portava uno scudo a goccia decorato con un drago dorato, anch’esso deformato. L’elmo non offriva che un paio di fessure per permettere la vista, e Claire, nonostante si fosse sforzata, non riuscì a spiarvi dentro. I sui passi rilassati erano scanditi dallo sferragliamento degli schinieri e della corazza.
“Perché non glielo chiedi di persona?” le sussurrò all’orecchio Thomas.
Il cavaliere si era fermato ad un passo da lei: era ben più alto della ragazza, almeno una decina buona di centimetri. Tolse l’elmo e lo portò al fianco, facendo ricadere sulla fronte dei folti capelli argentei. Scoprì i profondi occhi nocciola, con cui guardò intensamente Claire.
“Felice di conoscerti. Io sono Firion”.
Presentandosi, fece un inchino, poi stese il braccio e prese nella sua mano quella di Claire e la baciò elegantemente sul dorso. Claire rimase immobile per la sorpresa, e quando si rese conto di cosa era accaduto, le sue guance si colorarono immediatamente di un vivido rosso.
“P-Piacere, io sono Claire” disse a disagio, ritraendo velocemente la mano ed evitando il suo sguardo. Firion si raddrizzò e le offrì un sorriso.
“Ma guardatelo, quale portamento elegante e raffinato…” disse con tono ironico Boldwin. “Sempre tutti dietro alle belle ragazze. Cosa dovrebbe dire un vecchio come me, abbandonato a sé stesso?”
“Non temere, vecchio: ti ho portato qualcosa su cui lavorare.” Firion si sciolse dalla cinta il fodero che portava ed estrasse la spada contenuta all’interno. La porse al fabbro, che la prese in entrambe le mani.
“Allora? Che te ne pare?”
“Una delle spade dei guerrieri d’élite al servizio del re, protettori dei tesori della famiglia reale. Un pezzo raro, brandita da mani esperte. Dove l’hai presa, ragazzo?”
“Diciamo solo che lo scudo si è dimostrato eccellente, ma che ora ha bisogno di qualche riparo. Come l’armatura, del resto” sogghignò Firion, che cominciò ad allentare le cerniere e togliersi le protezioni in ferro.
“Davvero un gran bel pezzo, giovane. Hai fatto felice un vecchio quest’oggi” disse Boldwin mentre si accingeva a riparare l’armamento e migliorarlo. Firion rimase con la giubba di pelle allacciata ed i pantaloni che portava sotto l’armatura, che risaltavano il suo fisico asciutto e tonico.
“Deve essere stato duro per te, da solo contro i Demoni” disse Thomas avvicinandosi. “Avrai bisogno di cure, prendo le erbe medicinali che mi hai lasciato prima di partire, così sentirai subito sollievo, e-”
“Thomas, sto bene. So che ci sarai quando avrò bisogno, ma posso ancora reggermi in piedi. Non ti preoccupare per me” disse il ragazzo sorridendo e posandogli una mano sulla spalla. L’uomo non poté che ricambiare. Poi Firion si rivolse a Claire.
“E tu? Ditemi signori, come ha fatto questa bella fanciulla ad arrivare qui?”
“Ha avuto un brutto incontro con i Demoni, è viva per miracolo” rispose Thomas. Firion diede un breve sguardo al Collezionista, come per accertarsi della veridicità di ciò che aveva sentito, poi tornò su Claire.
“Stai bene ora?” chiese impensierito.
“Ehm, sì, sto bene” rispose goffamente lei, che era rimasta in disparte ad osservarli senza sapere cosa fare.
Si sentirono dei passi provenire dai gradini sopra di loro.
“Il Campione, il nostro Campione è tornato?” Claire si girò per vedere da dove provenissero quelle parole. Alla base della scala a spirale, era comparsa una figura completamente vestita di nero, con un lungo mantello che dalle spalle arrivava fino ai calcagni. Aveva dei lunghi capelli mori, i piedi scalzi e portava un bastone in mano: insieme alla veste rattoppata, dava l’impressione di essere una vagabonda. Poi, quando notò il viso, indietreggiò di un passo, spiacevolmente sorpresa: i morbidi lineamenti del volto della giovane donna erano sfregiati dalle guance fin sopra le sopracciglia, gli occhi erano completamente coperti. Battendo ripetutamente il pavimento con il bastone, procedeva a tentoni verso di loro. Firion, che si era voltato per guardare, la raggiunse senza dire una parola, e la aiutò prendendola per un braccio. Lei alzò il capo, sentendo la sua presenza.
“Bentornato, Uccisore di Demoni. Sei intento a reclamare il Potere dell’Anima?”
Il volto di Firion, prima illuminato dal sorriso, si spense in un’espressione seria e cupa. Attese qualche attimo prima di risponderle, come per decidersi su cosa dire.
“Si. Portiamoci un po’ più là, però…”
La prese a braccetto e si allontanò verso il lato opposto della sala, sotto ad uno dei grandi pilastri, dove si fermarono. Claire li fissava come ipnotizzata.
“Chi è?” chiese a Thomas senza guardarlo.
“Quella fanciulla si prende cura delle candele accese qui. Povera ragazza, gli occhi le sono stati coperti con la cera, una creatura così dolce e gentile…” disse scuotendo la testa, mentre si sedeva stancamente su un grosso baule della sua collezione.
“Credo che abbia la vostra stessa età. Si prese lei cura di me quando arrivai qui, sai? Sono sicuro che abbia rinunciato a molti sogni e progetti per stare qui.”
Da lontano, Claire vide Firion inginocchiarsi a capo chino davanti alla Fanciulla in Nero, non sapeva dire se per riverenza o perché supplice.
“Che stanno facendo?”
“Non lo so” rispose da dietro con sincerità Thomas.
“Lo fanno spesso però. Chiedilo a Firion: non appena avrà finito, sarà tutto tuo.”
Claire non dovette aspettare molto. Firion si alzò e scambiò qualche parola con la Fanciulla, le prese la mano e la strinse nelle sue, scuotendola leggermente. Lei diede un cenno d’assenso, e poi si divisero. Lui si volse subito verso Claire, e la raggiunse a grandi passi, tornando ad avere il caldo sorriso con cui l’accolse.
“Avrai molte domande. Sarò felice di rispondere ad ognuna di esse.”
“Era ora che qualcuno lo facesse!” pensò lei. “Ho bisogno di sapere dove sono e come posso andarmene” disse lei senza mezzi termini.
“Ma certo, nessuno qui deve essere stato in grado di risponderti. Questo è il Nexus. Non sappiamo dove sia effettivamente. Nessuna strada porta al Nexus. Le uniche vie di entrata e uscita sono le Arcipietre, che puoi vedere lì al centro” Firion le indicò i grandi monoliti della sala, in cui erano incastonate le gemme. Claire seguì il suo gesto, attenta alla sua spiegazione.
“Nexus…e Arcipietre?” chiese lei per accertarsene.
“Esatto” annuì lui. “Le Arcipietre portano a dei specifici nodi del mondo. La prima, per esempio, porta alla Fontana dei Cancelli di Boletaria, dietro le mura della capitale.”
“Alla capitale hai detto?” esclamò lei. Lui si limitò ad annuire di nuovo, sorpreso dalla reazione di Claire.
“Perfetto, un po’ di fortuna finalmente”.
“Firion, devo raggiungere la capitale al più presto. Mostrami come usare quelle pietre, e poi non dovrai più preoccuparti di me” disse lei, presa dalla fretta, mentre già si avvicinava al monolite che le aveva indicato il ragazzo.
“No, un momento, non puoi uscire adesso, è troppo pericoloso per te!” si apprestò subito a dire Firion in tono agitato, trattenendola dalla spalla. Lei, irritata dal contatto, lo scrollò via insensibilmente.
“Che vuoi dire? Me ne voglio andare, non puoi trattenermi!”
“Posso eccome! Ne va della tua incolumità!” la afferrò di nuovo, questa volta al braccio e con una stretta più forte.
“Toglimi le mani di dosso! Non capisci che ho bisogno di andarci?” esclamò tentando di sottrarsi alla morsa del ragazzo, ma la sua presa era come ferro. “Lasciami ho detto!”
“Sei tu a non capire! La capitale è caduta, Boletaria non esiste più!” gridò lui esasperato.
“Cosa?” fu tutto ciò che poté dire Claire, ora immobile e sbigottita.
“Non un anima viva, solo Demoni privi di ragione” continuò Firion con espressione mesta mentre allentava la presa sul braccio. Seguì una pausa silenziosa, Claire lo fissava ancora incredula. “Io non ti mando lì. Moriresti inutilmente.”
Claire si riprese e protestò di nuovo:
“Non posso restare! Se non mi aiuterai, andrò da sola.” Si tolse alla stretta di Firion e si volse verso l’Arcipietra; non sapeva cosa avrebbe dovuto fare per usarla ma era determinata ad andarsene da lì. Firion fu più veloce e le si parò davanti.
“Tu non puoi combatterli, non potrai nasconderti. Esci di qui, e non tornerai più” lo disse a voce bassa, come per scacciare l’eventualità. Claire esitò un momento: quello era sicuramente un pessimo presagio, ma ripensò alla promessa che fece a Serah, e decise che non si sarebbe tirata indietro, anche se avesse significato mettere a rischio la vita.
“Addio, Firion”, lo superò e si portò davanti all’Arcipietra. Nonostante la sua risolutezza, Claire rimase ferma davanti alla gemma, indecisa sul da farsi. Decise che avrebbe provato a toccarla; estese il braccio, ma venne fermata prima che potesse posare la mano.
“Non riuscirai ad usarla senza il mio aiuto” disse Firion. Claire lo guardò rabbiosa.
“Facciamo così: visto che non posso farti cambiare idea, lascia che quantomeno t’insegni come difenderti, così sarò sicuro che sarai pronta per quando ti svelerò come uscire di qui. Che te ne pare?”
“Io non ho tempo da perdere in questo modo, e nemmeno tu dovresti averne” rispose lei sprezzante, mettendo una mano al fianco.
“Sta di fatto che non ti dirò come usare l’Arcipietra finché non ti avrò allenato almeno un po’. Non mi pare che te la sia cavata bene l’ultima volta…”
Claire lo guardò storto, visibilmente spazientita. “Allenarmi? Ma chi si crede di essere?”
“Come vuoi. Cominciamo subito allora.”
“Molto bene”. Firion si voltò verso Thomas, che aveva silenziosamente assistito a tutta la scena, e gli rivolse alcune parole. Qualche attimo dopo, il Collezionista aprì il grosso baule su cui era seduto e vi affondò le mani. Ne estrasse due spade lunghe che consegnò al giovane. Firion tornò verso Claire e le lanciò dal verso dell’elsa una delle due armi senza preavviso. Lei ne rimase sorpresa e con mani incerte afferrò la spada, che rischiò di scivolare via.
“Vieni”. Il centro della sala era preceduto da una bassa scalinata che divideva le due serie di pilastri e che portava ad un piccolo spiazzo ribassato, sotto a dove riposava Thomas. Firion condusse lì Claire, e si fermò al centro esatto dello spiazzo, spada in pugno. 
“Prego, attaccami” disse improvvisamente. Claire parve non capire e lo guardò confusa.
“Davvero. Fai finta che sia un Demone: cosa faresti?”
Claire impugnò la lama a due mani e la fece riposare sulla spalla: “Dovrei colpirti adesso?” chiese, riluttante all’idea.
“Provaci" rispose prontamente lui, mettendosi in guardia.
“Non hai paura che ti possa colpire?” insistette un attimo di più lei.
“Non mi accadrà niente. Tu pensa solo a prendermi.”
Lei rifletté ancora qualche momento.
“Va bene” disse con un sospiro, poi distanziò i piedi e si piegò leggermente in avanti, pronta ad attaccare. Firion la aspettava con la spada alzata verso di lei, sembrava molto rilassato. Improvvisamente, Claire scattò in avanti e abbassò la lama disegnando un grande arco, ma il colpo la sbilanciò, e a Firion bastò spostarsi di lato per evitare il fendente e per farla inciampare, cogliendo l’opportunità per colpirla leggermente sul fianco esposto con il lato piatto.
“Ti esponi troppo” disse calmo il ragazzo. Lei, però, la prese come una sfida e la sua pazienza si stava erodendo. Provò a menare un altro fendente, che però venne intercettato da Firion, che scagliò via la spada con uno strattone insieme a Claire, che ancora l’impugnava saldamente. Lei finì pesantemente a terra, e Firion non mancò di farlo presente colpendola di nuovo, questa volta alla spalla.
“Sei troppo rigida”. Lei si rialzò, sempre più irritata, e menò rabbiosamente un altro colpo. Firion lo deviò senza sforzo e sfruttò la sua carica per superarla, colpendola sul sedere.
“Non dare mai le spalle”. Claire si voltò velocemente verso di lui, rossa non solo di rabbia. Continuarono per molto tempo. Claire cadde e si rialzò numerose volte, trovandolo man mano più faticoso. Gocce di sudore le rigavano il viso, le guance erano paonazze, il respiro affannoso. Ogni volta che si rialzava, i suoi movimenti erano più lenti e prevedibili, finché semplicemente non crollò sulle ginocchia, frapponendo le braccia tra lei ed il pavimento e lasciando scivolare la spada dalle sue mani. Incavò la testa tra le spalle per non doverla sorreggere e per poter far cadere a terra il sudore che grondava copiosamente sulla faccia.
“Ho visto come combattono i Demoni. Sono lenti, sia nel corpo che nella mente” riuscì a dire nervosamente tra un respiro e l’altro. “A cosa mi serve questo allenamento?”
“Non puoi permetterti di farti trovare impreparata. La velocità e la tecnica sono essenziali. Senza di esse non puoi sperare di andare molto lontano.”
“E cosa ne sapresti tu di tecnica?” disse brusca. Firion la guardò come per chiedere spiegazioni. Lei si rialzò faticosamente, aiutandosi con la spada, e ancor più faticoso le venne restare in piedi.
“L’ho notato, sai? Lo stemma su quel tuo scudo. Viene dato ai soldati di basso rango dell’Esercito di Boletaria, tu non sei che una recluta!” Detto ciò, impugnò la spada come meglio poté e corse verso di lui con le ultime energie che le rimanevano, tentando un affondo tanto palese quanto facile da prevedere. Firion si spostò solo quei pochi centimetri necessari per non farsi prendere, la lasciò passare, e la lasciò inciampare. Quella sarebbe stata l’ultima volta, dopo di ché non avrebbe più avuto la forza di tornare in piedi.
“Io faccio parte del Corpo dei Difensori di Boletaria del Sud, addestrato dal generale Vallarfax delle Zanne Gemelle in persona. Io non conosco né paura né fallimento. Ad oggi, chiunque abbia incrociato la lama con la mia non ha potuto raccontarlo!” disse Firion a voce alta. Passarono dei secondi molto scomodi. Claire si accorse che aveva fatto male a parlargli in quel modo, e non riuscì a sostenere il suo sguardo, mentre lei, a terra, lo teneva basso.
“S-Scusami”.
Lo sguardo di Firion si ammorbidì e tornò ad offrirle il suo solito sorriso.
“No, scusami tu. Perdere le staffe in quel modo…”
Claire si avvicinò alla parete e vi appoggiò la schiena, riposandosi. “Non sapevo di cosa stessi parlando e ho finito per dire delle sciocchezze su di te. Meriti le mie scuse.”
“No, non preoccuparti. E poi non hai tutti i torti: non mi hanno mai promosso!” ridacchiò lui, suscitando una piccola risata anche nella ragazza.
“Voglio che tu sappia che di me ti puoi fidare. So che è poco ma, mi devi credere se ti dico che non voglio altro che il tuo bene, come voglio solo il bene chi sta qui. E’ il mio compito, dopotutto”.
“Il tuo compito? Pensavo che dovessi solo abbattere i Demoni” disse Claire incuriosita.
“Vi è un essere qui, un Monumentale. E’ stato lui a darmi questa missione, e cacciare i Demoni significa favorire gli uomini, quindi lo faccio volentieri. Non permetterei mai a niente e nessuno di farvi del male”.
Claire cominciava a capire cosa Thomas e Boldwin avevano visto in quel ragazzo: in quei tempi bui, quando tutti avevano dimenticato cosa volesse dire essere umani, uno aveva ricordato cosa fosse l’altruismo, mettendo da parte i propri desideri per poter difendere gli altri.
“Comunque, per essere la tua prima volta, non sei andata affatto male: senza alcun tipo di addestramento hai già acquisito i rudimenti dell’offesa. Però ho notato che la spada ti sbilancia troppo. Forse è troppo pesante. Probabilmente non fa al caso tuo”. Claire capì che lo diceva in modo oggettivo, non pensò più che volesse deriderla.
“Allora cosa mi consigli?” disse, ora calma e riposata. Firion sembrò pensarci su per un po’. Poi chiamò Thomas, che si sporse sullo spiazzo per ascoltarlo, e di nuovo gli parlò, Claire non riuscì a sentire. Thomas scomparve qualche attimo, si sentì lo scricchiolio del suo baule aprirsi e richiudersi, e poi tornò con un arco lungo che consegnò a Firion. Lui ringraziò il Collezionista e poi tornò davanti a Claire.
"Come te la cavi con uno di questi? Sai tirare con l’arco?”
“Ovviamente. Ho un ottimo tiro io.”
“Davvero? Sembri molto sicura di te.”
“E’ una cosa che devi saper fare se vuoi mangiare ogni giorno ed il macellaio del tuo villaggio è un ladro…” disse lei rialzandosi e facendo spallucce.
“Fammi vedere.” Firion porse l’arma a Claire, che lo esaminò per entrarvi in confidenza. Firion si guardò intorno, cercando un bersaglio adatto.
“Lassù. Vedi quella statua capovolta?” disse indicando una delle statue del primo piano. Lei annuì.
“Prendila” disse concisamente. Prese un paio di frecce da un borsellino che portava alla cinta e gliene diede una. Claire la prese e la incoccò, un po’ insicura della sua imminente prestazione. 
“E’ alta, ed è lontana. Ce la posso fare. Non può essere così difficile.” Tese la corda e prese la mira, stette dei lunghi secondi in posizione, e poi lasciò scattare la freccia. Il dardo mancò il bersaglio di un paio di metri.
“La corda era lenta” disse velocemente lei senza guardarlo per nascondere il rossore sulle guance.
“Ne sono sicuro. Tieni, riprova” disse lui senza un accenno d’ironia. Le porse la seconda freccia e lei l’incoccò velocemente, impaziente di dimostrargli il suo valore. La seconda volta si concentrò di più e trattenne il respiro. Quando fu sicura, lasciò la corda e la freccia saettò nell’aria, conficcandosi proprio nella testa della statua. Lei sorrise soddisfatta, e lui la omaggiò con un battito di mani.
“Molto brava. Era un tiro difficile. Anche i più esperti lo penserebbero.” Poi Firion cominciò a togliersi la giubba in pelle che aveva addosso, Claire non capiva cosa stesse facendo. Quando lui rimase solo con la maglia di cotone che portava sotto, diede un’altra freccia a Claire e si allontanò di qualche passo.
“Ora lancerò questa: prendila in volo, e ti accompagnerò fuori. Ci stai?” Lei annuì in modo deciso.
“Pronta allora?” Firion lanciò la giubba in alto e lontano. Claire mantenne la calma, puntò sicura e scoccò il dardo, centrando il bersaglio in movimento.
“Si!” esultò lei contenta.
Firion batté di nuovo le mani complimentandosi: “Perfetto, davvero perfetto. Fatti dare un’armatura leggera della tua taglia da Thomas e una faretra da Boldwin, ti porto a Boletaria.”
 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Demon’s Souls:
Le cronache dell’uccisore di demoni
Capitolo 4
 
Il cielo della capitale era grigio e denso di nuvole gonfie. L’aria era ferma, non un raggio di sole filtrava da quella cappa smorta. Sotto quel manto uggioso si stagliavano le mura del Castello di Boletaria, immense ed eterne. Il castello era stato costruito ai piedi di un monte altissimo, dietro una parete rocciosa naturale, erosa sul fondo da un fiume le cui sponde separavano la parete dal corpo della montagna. Il Castello sovrastava solennemente la città, che si estendeva per miglia sulla vasta e verdeggiante pianura sottostante. Salendo il ripido pendio del monte, era possibile giungere davanti al grandioso cancello d’accesso, scolpito nella parete di pietra. Oltre i suoi battenti vi era il ponte che collegava la città alla Cittadella Reale, ed al suo centro vi erano i resti di quella che una volta era la celebre Fontana dei Cancelli di Boletaria, famosa per essere stata l’ubicazione dell’Arcipietra della capitale, ma ora ne rimanevano solo le macerie. La magica gemma, abbandonata e dimenticata, giaceva ancora lì, fissata al suolo da una sottile spada. Prendendo forma dal nulla, tante particelle luminose si aggregarono vicino a quella reliquia arcana, ed in pochi attimi Firion e Claire si ritrovarono davanti al Catello di Boletaria. Claire si guardò intorno spaesata e un po’ intontita: l’esperienza che aveva vissuto era unica e difficile da spiegare. Solo attimi prima si trovava nel Nexus, ma dopo aver sfiorato l’Arcipietra incastonata nel monolite, come le aveva detto Firion, lei scomparve, come se non fosse mai stata lì. Non aveva provato dolore o disagio. Non aveva nemmeno avvertito del movimento. Si era solo “estesa”, come quando si vuole prendere un oggetto lontano, finché non si raggiunge. Prima che se ne accorgesse, era oltre i Cancelli di Boletaria, vicino alla Fontana di cui tante volte aveva sentito parlare dai mercanti provenienti dalla capitale, portanti storie di come la gemma che sfoggiava illuminasse il cammino ai cittadini durante la notte.
“Tutto bene?” le chiese Firion scoprendosi il volto dalla visiera dell’elmo che portava.
“Si, tutto bene, grazie. Questo è il Castello di Boletaria?” chiese lei incredula ed incapace di smettere di guardarsi intorno.
“E’ incredibile! E’ ancora più grande di come lo immaginavo. Non riesco a credere che una cosa del genere possa esistere.”
“Davvero non sei mai stata qui?” le chiese Firion, attirato dal fascino che stava provando la ragazza.
“Mai. Non ho mai avuto né il denaro né il tempo necessari, anche se un giorno mi sarebbe piaciuto lasciare il mio villaggio e trasferirmi in città.” Si avvicinò al parapetto del ponte e si sporse cautamente. “Siamo parecchio in alto. Cadere da qui non deve essere una bella esperienza…”
“Ricorda di non metterti mai inutilmente in pericolo. Il bracciale che ti ho dato salverà ciò che conta di te qualora accadesse il peggio, ma non pensare mai di contarci sopra. Fidati, io lo so…”
Claire guardò il polso destro dove portava il bracciale a cui si riferiva Firion. Gliel’aveva dato prima di partire, lo aveva chiamato Marchio del Nexus. Era di un nero opaco, la sua superfice metallica era incisa degli stessi simboli runici del luogo da cui prendeva il nome. Firion aveva anche aggiunto che non era stato facile ottenerne uno da darle e che avrebbe dovuto porre moltissima attenzione a quell’oggetto.
“Se dovesse succedere che mi trovi nei guai, un’armatura più spessa potrebbe tornarmi più utile. Perché hai detto a Thomas di darmene una in pelle?”
“Ricorda che tipo di arma usi: con il tuo arco non hai bisogno di una pesante armatura in metallo che ti rallenti. Ora che siamo insieme, lascia che io intrattenga nel corpo a corpo chi ci viene contro, mentre tu puoi bersagliarli da una posizione sicura e sei libera di muoverti.”
“Ti fidi molto di me. Come fai a dire che non ti lascerò in mezzo ai guai alla prima occasione sfavorevole?”
“Non mi sembri quel tipo di persona, è questo che voglio credere. Ti sembrerà molto ingenuo ma, io do molta fiducia ai miei compagni, ed è per questo che ne chiedo altrettanta. Per questo motivo ti devo chiedere perché sei voluta venire qui.”
Claire non si aspettava quella domanda. Esitò un momento, insicura di come dovesse rispondere.
“Non è affare tuo” disse senza guardarlo.
Firion si avvicinò, lentamente, di qualche passo.“Ti ho portata qui, sono qui con te, e ti ho accompagnato solo per aiutarti. Direi che è anche un mio problema ormai.” Claire continuò a non guardarlo. Parve rifletterci a lungo, non voleva fare la decisione sbagliata. Da quello che avrebbe detto, sarebbe potuto dipendere il destino suo o di sua sorella. Una parola sbagliata e Firion avrebbe potuto trarre le proprie conclusioni, magari elaborando piani pericolosi.
“Come faccio a sapere che non mi tradirai?” chiese infine, portando alla luce tutta la sua diffidenza. Per dei lunghi secondi, tra loro cadde il silenzio.
“Pensi davvero che ti abbia fatto arrivare qui col solo intento d’ingannarti?” domandò a sua volta Firion con un sorriso triste. Claire pensò di volgersi per guardarlo negli occhi, ma il pensiero di dover sostenere il suo sguardo, in cui avrebbe visto il suo giudizio, le fece subito cambiare idea.
“Devi capire. Non so ancora di chi mi possa fidare.” Firion annuì lentamente, come per constatare qualcosa di ovvio e naturale.
“Certo. Non mi conosci da molto tempo. Lo capisco.” Firion si girò verso il castello e abbassò la visiera.
“Su, andiamo”. Poi s’incamminò verso l’imponente struttura.
 Claire si portò poco dietro di lui e lo seguì al suo stesso passo, sul suo volto un’espressione di rammarico. “Mi dispiace”.
Ora il silenzio era totale. Claire si rese conto dell’atmosfera surreale che ammantava quel posto solo quando le loro voci tacquero. Non vi era un movimento che non fosse loro. Non una voce, non un verso, in prossimità o in lontananza. Nonostante fossero in alto rispetto alla pianura e si trovassero sulla parete di una montagna, anche il vento sembrava essere fuggito dal Castello, non un fruscio si alzava ad accarezzare la pelle del suo viso. Sul ponte vi erano numerosi carri e barili, casse e cesti, tutti abbandonati. Ancora attaccate alle redini di alcuni di quei carretti vi erano le carcasse scarnificate dei cavalli, beccati dai corvi fino all’osso e poi lasciati a marcire. Claire fece una smorfia disgustata a quella vista. Il ponte continuava con delle basse e larghe scalinate che portavano davanti ad un altro cancello, dalla pesante grata in ferro sollevata da terra. Oltre di esso, poteva scorgere un buio androne illuminato solo da qualche torcia, mentre immediatamente prima, a destra e a sinistra, si vedevano altre due vie. Quella di destra permetteva l’accesso ad una della torri, mentre quella di sinistra portava ad un pianerottolo sotto ad un’alta balconata.
“Quando sono venuto qui, ho ripulito l’area dai demoni che ho trovato. Non dovrebbero essercene altri, ma sta’ comunque attenta” disse improvvisamente Firion senza smettere di camminare. La voce ovattata che uscì dall’elmo fece sussultare leggermente Claire, assorta com’era nei suoi pensieri. “Demoni…”. Ripeté la parola nella sua mente, chiedendosi che senso avesse la loro venuta e come avessero fatto a soggiogare il regno in così breve tempo.
“Firion, da dove vengono? Cosa sono? Perché ci cacciano?”
“Credo che tu abbia già avuto modo di vederlo. I Demoni sono esseri orrendi e terribili privi di ogni forma di intelletto e ragione. Non provano emozioni o sentimenti: paura, coraggio, amore, odio e qualunque altra che sta in mezzo non significano niente per un Demone. Non curano la loro esistenza o quella di ciò che gli sta intorno, non temono la morte e la portano senza rimorso” la sua voce era piena di disprezzo e risentimento. Fece una breve pausa per guardare oltre la sua spalla e vedere se Claire gli prestava attenzione, voleva che le sue parole si imprimessero nella sua memoria. Soddisfatto nel vedere che lei aveva gli occhi fissi su di lui, continuò a parlare.
“Loro cacciano le nostre anime. I Demoni si cibano di esse, più ne assorbono e più accrescono il loro potere, più fanno crescere la loro stessa anima. Si dice che la maturazione di un’anima demoniaca, porti un potere sconosciuto all’immaginario umano...”
Claire continuava ad ascoltarlo, ma faticava a capire. “Si cibano delle nostre anime? Che vuol dire?”
“Per quanto riguarda la loro origine, non posso che dirti quello che mi è stato detto. Ma è una storia lunga, te la racconterò una volta che saremo tornati-”
“Un momento!” esclamò brusca Claire parandosi davanti a lui e facendolo fermare. Lui abbassò il capo per guardarla. Il suo volto era imperscrutabile sotto l’elmo, e la metteva un po’ in soggezione.
“Tutti continuano a parlare di anime e di questi mostri, ma non ha alcun senso! Nessuno può vedere o toccare un’anima. Come fa Boldwin ad usarle per sopravvivere? Come fanno i Demoni ad usarle per diventare più forti?  E’ tutto troppo assurdo!”. Claire diede sfogo a tutta la sua frustrazione. Non sapeva cosa stesse succedendo al mondo, non riusciva a capirlo, e quando provava a chiederlo a qualcuno che lo sapeva, tutto ciò che otteneva erano altre domande senza risposta. Il suo sfogo la lasciò svuotata, e abbassò il volto desolato. Firion si tolse l’elmo e lo tenne lungo il fianco, posando la mano libera al livello del petto.
“Le cose sono cambiate, Claire. Di questi tempi, poco è impossibile. Osserva.” Lei fece come le era stato detto ed alzò lentamente il capo. La mano di Firion s’illuminò improvvisamente di una tenue luce bianca. Poi l’intensità crebbe, e la mano risplendeva. Firion la allontanò cautamente dall’armatura e porse il palmo verso l’alto. La luce abbandonò la mano e si addensò in una sfera di un bianco vivido a pochi centimetri dal palmo del cavaliere. Claire osservò esterrefatta. Sembrava una sfera di fuoco, ma non bruciava, ed il colore non era certo quello. Inoltre, levitava sulla mano di Firion come se un filo la tenesse sospesa, era una visione unica ed inquietante.
“Questa è un’anima.”
“Impossibile” fu l’unica parola che pensò Claire, la sua attenzione era totale sul fenomeno davanti ai suoi occhi sbarrati. “Questa è…”
“Prendila” disse lui.
“Come?” rispose Claire, certa di non aver capito.
“Coraggio, prendila” ripeté Firion sicuro. Claire avvicinò le mani esitanti, le unì a coppa, ma non era sicura di cosa avrebbe dovuto fare dopo. Firion si limitò quindi a far passare quella bizzarra palla bianca dalla sua mano a quella di Claire, che trasalì leggermente alla sensazione che le mandò attraverso i polpastrelli delle dita. Un’esperienza più strana di quella dell’Arcipietra, l’anima sembrava emanare costantemente delle pulsazioni, sempre della stessa intensità. Portava con sé del calore, gentile e rasserenante, quasi lenitivo, come quello che avrebbe provato se avesse riabbracciato Serah.
“E’…così strano. E’…”
“Piacevole, vero?” concluse per lei Firion.
“Si, lo è. E’ così particolare, non so se riuscirei a descriverlo” rispose estasiata.
“Ora prova a chiudere gli occhi” lo disse in un modo così sommesso che al solo sentirlo Claire avvertì i muscoli distendersi ed i nervi rilassarsi, fu quasi un sussurro. Chiuse lentamente le palpebre per assaporare la serenità che la stava permeando. Poi, come in un sogno, cominciò a vedere delle immagini, luoghi e persone che non conosceva. Vedeva molteplici scenari come se fosse stata lì presente, mentre si muoveva senza che potesse controllarsi. Quando, in una foresta baciata dal sole, il suo sguardo cadde su un ruscello vicino, l’immagine riflessa le rivelò che i suoi occhi erano quelli di un uomo di mezza età dai lineamenti morbidi e felici. Si voltò per guardare una donna ed un bambino dalle chiome bionde, entrambi sorridevano e lo abbracciavano caldamente. Claire poteva sentirli su di sé, tutto il loro affetto. “Un uomo e la sua famiglia. Sono felici.” Le immagini si susseguivano, mostrando numerosissimi episodi, uno più lieto dell’altro. Tra essi vi erano così tante di quelle occasioni allegre e spensierate passate con la moglie ed il figlio che Claire si perse nella beatitudine del calore di quella famiglia. “Sono molto felici” pensò con un pizzico d’invidia, ma condividendo la loro letizia. Poi arrivò la Nebbia. La luce s’ingrigì, i sorrisi scomparvero e con essi la gioia di vivere. Arrivarono i Demoni, separarono l’uomo dalla sua famiglia. Non li vide mai più, e poi venne preso. Claire aprì di scatto gli occhi, riportata alla realtà dalla violenta fine della vita dell’uomo.
“Hai visto?” chiese Firion, che non smise di guardarla per un istante.
“Si. Cosa è successo?”
“Hai visto la vita di un uomo di nome Hadrian. Quella che ti ho dato è la sua anima. Le nostre anime contengono la nostra forza vitale, il nostro essere, la nostra persona. Anche se il corpo muore, noi continuiamo a vivere, anche se di un’esistenza un po’ diversa. E’ di questa forza vitale che si nutrono i Demoni, ma la realtà è che possiamo farlo anche noi con le Anime Demoniache. Invece di consumare cibo e guarire dalle ferite, possiamo assorbire anime demoniache per rinvigorirci e sopravvivere. Ecco perché Boldwin ti ha chiesto di pagarlo in anime: perché sono diventate la moneta corrente per ogni tipo di transazione.”
“Quindi è vero che anche i Demoni possiedono un’anima? Ho capito bene?” chiese Claire con l’anima di Hadrian ancora tra le mani.
“Nonostante tutto, si. Anime corrotte e oscure, totalmente diverse da quelle umane.”
Claire annuì tra sé e sé come per accertarsi che avesse capito. Il suo sguardo tornò sulla sfera che tratteneva fra le dita. Ormai si era già abituata alla sua presenza, e si stupì con quanta familiarità la teneva nei suoi palmi, come se fosse stata una sua estensione da tutta la vita. “Hai detto che il nome dell’uomo a cui apparteneva quest’anima era Hadrian: come fai a saperlo? Io ho visto solo delle immagini, non ho sentito niente.”
“Accade col tempo. Le anime umane sono anime affini, creano forti legami, e, pian piano, diventano un tutt’uno, diventano parte di te. Vivono in te. E’ così che ho conosciuto Hadrian. Non l’ho mai visto di persona ma, quando lo trovai abbandonato e solo, lo presi con me, e col tempo mi ha raccontato la sua storia…o almeno, questo è quello che sento dentro di me.”
Comprendendo cosa volesse dire Firion, Claire tentò di far uscire la voce in modo convincente: “Quante…quante anime hai dentro di te, Firion?”
Lui non rispose subito. Guardò in alto, probabilmente cercando le parole giuste da dire, come se si trovassero nel cielo. Nella sua esitazione, Claire fu spaventata da quella che sarebbe potuta essere la risposta. “Ha importanza?” rispose infine.
“No, credo di no” rispose a sua volta lei, un po’ delusa e guardinga: quante cose le stava nascondendo il cavaliere veramente?
“Coraggio, andiamo. Ci siamo fermati fin troppo, di questo passo non concluderemo niente” disse lui per cambiare discorso.
“Hai ragione, riserviamo le parole per il viaggio di ritorno” disse lei accondiscendente. Fece per restituirgli l’anima che teneva per le mani, ma Firion scosse le la testa.
“Tienila con te. Vedrai che comincerà a raccontarti la sua storia.” Lei fece per protestare, ma lui si era già rimesso in marcia, senza badare a cosa avrebbe fatto lei per ospitare Hadrian. Claire, indecisa, ripensò a cosa fece il cavaliere per estrarre l’anima dal suo “rifugio”, quindi lo imitò meglio che poté. Quasi parlandole, concentrò la sfera nel palmo destro, che s’illuminò, poi posò la mano sul petto. Sentì il passaggio di quell’impulso vitale dentro il suo essere, una nuova presenza nel suo corpo, e sussultò durante il processo. Ora quell’anima aveva occupato un posto nel suo cuore e nella sua mente, in attesa di essere di nuovo destata. Claire si costrinse a minimizzare l’evento e le nuove sensazioni per portarsi rapidamente dietro Firion: non voleva che pensasse che fosse solo un peso. Gli avrebbe dimostrato che, di fatto, non lo era.
Raggiunsero l’altro capo del ponte, dove avrebbero attraversato l’androne che Claire vide qualche minuto prima. Firion procedeva dritto verso la loro meta, mentre Claire continuava a spostare lo sguardo da un punto all’altro della facciata frontale del castello, irresistibilmente attratta dal fascino delle mura. Dopo aver visto le proporzioni esterne della roccaforte, non vedeva l’ora di visitarne l’interno e le stanze nobiliari. Già immaginava sontuosi mobili in legno pregiato e regali tendaggi in tessuti rari ed esotici. “Chi potrebbe lamentarsi di me ormai?” pensò con un accenno di vergogna. Aveva sempre sognato di uscire dal villaggio, andare in città e visitare la corte del Re almeno una volta nella vita, ma il suo status di popolana non glielo avrebbe mai permesso. Quella era probabilmente l’unica occasione che avrebbe avuto per vedere la reggia da vicino. Continuava a fantasticare su cosa avrebbe trovato dentro quando i suoi occhi si posarono sulla balconata del piano superiore del pianerottolo di sinistra. Da essa pendevano due catene, e… “C’è qualcosa appeso?” Claire si sforzò con la vista di capire cosa stesse guardando, due macchie grigie contro la parete in pietra del Castello che dondolavano alle estremità delle due catene. Capì immediatamente quando scorse le braccia penzolanti.
“Firion!”
Lui si voltò subito verso di lei, pensando che avesse scorto qualche pericolo. Lei, invece, si limitò ad alzare il dito, indicando i corpi appesi alla balconata. Lui seguì l’indicazione e, quando li vide, da sotto l’elmo digrignò i denti per la rabbia.
“Prima non c’erano!” esclamò in collera mentre guardava, poi corse sotto di loro.
“Claire, spezza le catene, io li prenderò al volo! Forse c’è ancora una possibilità!”. Lei non perse tempo e prese un paio di frecce dalla faretra che teneva dietro, incoccandole e scagliandole magistralmente contro i vincoli in ferro, che si spezzarono facilmente. Firion afferrò prima uno e poi l’altro corpo, distendendoli attentamente sulla pavimentazione. Poi controllò che vi fossero segni di vita. Quando Claire lo raggiunse, poté vedere chi erano state le vittime: due donne, una poteva avere sì e no un anno in più di lei, l’altra sarà stata sulla quarantina, erano entrambe bellissime e dai lunghi capelli biondi. Si somigliavano tantissimo, probabilmente erano madre e figlia, entrambe coperte da vesti stracciate e piene di rattoppi. “Chi può aver fatto questo? Un demone si sarebbe limitato a ucciderle. Questo è crudele.” Firion era su un ginocchio, chino prima su una e poi sull’altra. Sconfitto, il capo crollò floscio quando si accorse che era troppo tardi. Scosse la testa visibilmente, come per rimproverarsi dell’accaduto. Claire tentò di confortarlo portando una mano sulla sua spalla e stringendola quanto poteva attraverso la maglia di ferro.
“Non è colpa tua”. Lui le guardava ancora, come se si fosse sbagliato e aspettasse solo che riaprissero gli occhi.
“Avrei potuto fare di più. Cercare più a fondo. Combattere più a lungo. Se l’avessi fatto, forse sarebbero ancora qui.”
“Possiamo solo andare avanti ora. Troviamo chi o cosa ha fatto questo e facciamolo pagare.”
Firion girò di poco la testa per poterla guardare e sembrò riflettere su quell’ultima frase. Dopo qualche attimo Claire lo vide annuire, condividendo il proposito. Prima di alzarsi, Firion posò le mani sulle due donne, si concentrò a lungo, e poi fu soddisfatto nel vedere che s’illuminavano. “Grazie al cielo le loro anime sono rimaste con loro. Non è questa la loro fine.” Firion portò prima una e poi l’altra mano a sé, per un breve attimo gli si illuminò la corazza, e poi si alzò.
“Le hai prese con te, vero?” chiese Claire.
“Si. Però è strano: un Demone che uccide senza prendere l’anima della sua vittima?”
“Forse non è stato un Demone” azzardò Claire.
“Spero vivamente che non sia così, ma è possibile.”
Claire si abbassò sulle ginocchia per poter guardare da più vicino i due corpi. Poi cominciò a tastarli, battendo le mani più volte, in cerca di qualcosa di non specificato. Sentì Firion sferragliare seccamente per l’armatura in seguito a dei movimenti agitati.
“Che fai, Claire? Non vorrai forse-”
“Depredarle?” concluse prima lei ironicamente.
“No, Firion. Stavo solo cercando qualcosa per poterle riconoscere, così non dovremo aspettare di sapere ‘cosa ti diranno’. Credevo che ti fidassi di me, per che razza di persona mi hai preso?” chiese in tono beffardo.
“Ma certo, mi dispiace. Come ho potuto pensare una cosa simile? Prometto che non accadrà più.” Claire non poté che stupirsi difronte alla sua correttezza, e quasi si sentì in colpa per quello scherno malizioso.
“No, che dici?! Ti stavo solo prendendo in giro. Mi sarei fatta la stessa domanda se lo avessi fatto tu” si affrettò ad aggiungere, gesticolando con le mani per enfatizzare la cosa.
“Oh. Bè, non lo penserò comunque d’ora in poi.”
Claire gli sorrise e tornò a controllare. Sul corpo della donna più matura trovò, in una tasca interna al vestito, una strana boccetta trasparente, che conteneva una polverina rossa.
“Guarda: ti dice niente?” chiese a Firion, porgendo il piccolo contenitore. Firion lo prese tra le mani, esaminandolo in ogni dettaglio. “Boldwin vende una cosa simile, ma il colore è diverso”. Stappò la boccetta e, dopo aver alzato un momento la visiera, la portò sotto le narici, inalando l’odore del contenuto. “Si, è la stessa spezia che vende lui, solo molto attempata.”
“Qualcuno che conosceva?” ipotizzò Claire riferendosi alla donna.
“Ne dubito. A parte noi, nessun altro è arrivato al Nexus di recente”. Firion posò la spezia rossa nel borsellino da viaggio, mentre Claire passava alla ragazza. Per quanto cercasse, non c’era niente sul corpo della fanciulla se non i vestiti. Poi Claire notò un piccolo ornamento verde tra i capelli biondi, e per un attimo si trattenne dal prenderlo. “Spero davvero che non stia depredando i morti. Se non ci dirà niente su chi fosse, glielo rimetterò addosso.” Si decise a prenderlo: un fermaglio di giada, intagliato a mano, era molto grazioso. Subito lo fece vedere a Firion, dietro di lei. Lui lo guardò qualche momento, girandolo di lato e di rovescio, ma poi si limitò a fare spallucce e lo riconsegnò a lei. Claire non pensava di restituirlo alla sua proprietaria immediatamente; prima l’avrebbe fatto vedere agli altri nel Nexus. Dopo di ché avrebbero potuto dire che nessuno sapesse chi fossero quelle donne. Si alzò mettendo in tasca il fermaglio, rivolgendo un’occhiata a Firion.
“Non possiamo fare altro. Andiamo.” Non riuscì a fare un passo che Firion protestò immediatamente.
“Vorresti lasciarle qui?”
“Perché? Volevi seppellirle?” la voce con cui lo disse le sembrò più sprezzante di quanto avrebbe voluto, ma il messaggio era lo stesso: non avrebbe perso altro tempo.          
“Non erano carcasse da macello, meritano una degna sepoltura” rispose lui, leggermente irritato.
“Firion, lo hai detto anche tu, i tempi sono cambiati. Non possiamo aspettarci di comportarci come una volta. Dobbiamo prendere delle decisioni, indipendentemente da quanto dure possano sembrare. Dobbiamo lasciarle e continuare! Se gli altri sono troppo deboli per resistere, non sei obbligato ad aiutare!” non badava più a quanto potessero essere crude le sue parole, voleva solo che Firion si desse una mossa, o si sarebbe rivelato lui il peso.                                                        
“Io ho il dovere di aiutare se ne sono in grado!” ormai anche lui aveva alzato la voce.
“Non hai un minimo di amor proprio? Perché fai lo sciocco? Pensi davvero che qualcuno lo farebbe per te? Perché ti interessi così tanto della vita degli altri? Perché sei così compassionevole?” ormai urlava, incapace di sopportare la sua ingenuità.
“Perché è una delle uniche cose che mi distingue da un Demone!” urlò esasperato. Qualunque cosa Claire aveva in mente di dirgli prima che rispondesse, gli morì in gola.
“Mi ricorda che sono ancora umano” aggiunse lui, il suo tono più calmo.
“Non so che cosa ci faccia ancora qui” disse lei scuotendo la testa e con le mani sui fianchi.
“Sapevo che venire con te sarebbe stato un errore. Ho già perso troppo tempo a causa di queste sciocchezze. Se le vuoi seppellire, lo farai da solo. Io me ne vado, ho cose più importanti da fare.” Gli diede un ultimo sguardo carico di disapprovazione, girò i tacchi e scese il pianerottolo verso l’androne a passo spedito.Da sotto l’elmo, Firion la guardò andarsene pieno di rimorso. Era pericoloso che se ne andasse lì in giro da sola, e non se lo sarebbe mai perdonato se le fosse successo qualcosa. Avrebbe pensato velocemente a come seppellire appropriatamente i due corpi sotto di lui, poi sarebbe corso da lei.
 
“Firion è uno stupido. Anzi, sono io la stupida per aver pensato che mi potesse tornare utile la sua presenza. Ho fatto bene a non fidarmi di lui e a non dirgli di Serah.” In tali termini Claire continuava a pensarla del cavaliere. D’un tratto, però, si accorse di quanto veleno stava versando nei suoi pensieri. Di che cosa stava incolpando Firion esattamente? Di essere il primo uomo in tutta la sua vita a comportarsi realmente come tale e a dimostrare di avere ancora un cuore? Lui aveva ragione, ovviamente, ma lei aveva permesso al desiderio di averla vinta su di lui e di provare di avere ragione di farle perdere il controllo. Firion non aveva nessun obbligo verso di lei: non era costretto ad indicarle la strada, non era costretto a darle dei mezzi efficienti per difendersi, e di certo non era costretto a spendere il suo tempo accanto a lei. Il minimo che lei avrebbe dovuto fare per ricambiare era esaudire una sua piccola richiesta. Solo ora si rendeva conto di essersi comportata come una bambina, e aveva mandato a monte un’importante alleanza per una stupidaggine. Ormai, però, era troppo tardi. Tornare indietro sarebbe stata una mancanza di carattere impossibile da colmare, e lei non se lo sarebbe mai permessa. Se avesse rincontrato Firion, avrebbe tentato di risanare il loro rapporto, ma adesso era da sola e non avrebbe supplicato un aiuto. “Posso comunque farcela da sola. Basterò a me stessa.”
Claire percorse velocemente l’androne scuro, nonostante fosse più profondo di quel che sembrava, ed arrivò in quella che doveva essere una stanza di transito dei carri da trasporto tra l’esterno delle mura e la Cittadella Reale. Era leggermente più stretta dell’androne, ma ospitava diverse suppellettili, tavoli e panche con barili e carretti a mano. Fu allora che vide due dei carri che lasciarono il suo villaggio. Sgomenta, si precipitò su uno dei due. I cavalli che li avevano trainati già stavano marcendo a terra, e sulle assi del telaio vi erano due cadaveri di facce note del suo villaggio, due ragazzi una volta suoi spasimanti di cui non ricordava i nomi e, sinceramente, non le importava. Circa lo stesso valeva per il secondo carro, solo che i cadaveri erano tre. Il sollievo che provò nel constatare che Serah non era tra quei morti fu spazzato via dalla sempre più urgente necessità di trovarla il prima possibile e portarla al sicuro. Mancava ancora un carro, quindi era probabile che Serah avesse superato le mura della Cittadella. Corse avanti e attraversò l’arcata della stanza, ritrovandosi su un lunghissimo ponte sospeso sulla profonda vallata che sovrastava la capitale, ad un’altezza vertiginosa. Il ponte portava direttamente alle porte della Cittadella, oltre la quale era possibile vedere la famosa montagna del Castello di Boletaria: due corpi rocciosi, separati alla base, univano le loro sommità come due mani che si incontrano. Di nuovo Claire rimase stupefatta davanti allo spettacolo di quel luogo, ma si concentrò sul muoversi in fretta. Il ponte aveva due torrette che dovevano avere la funzione di difesa, e sulla prima di esse poteva scorgere del movimento. Prese l’arco ed incoccò una freccia, pronta a scagliarla contro chiunque volesse sorprenderla. Da dietro i bastioni della torretta, si mostrarono due balestrieri che, non appena la videro, fecero scattare le armi. Claire evitò agilmente i due dardi, lanciati con una mira grossolana, e scoccò il suo, che andò a segno nel petto di uno dei due. “Lenti nella mente e nel corpo. Non sono pericolosi. Firion aveva paura che io affrontassi loro?”            
Prese un’altra freccia con cui colpì il balestriere rimasto, che non fece nulla per evitare la punta in acciaio mirata alla sua fronte. Attraversò il passaggio sottostante la torretta e si avviò alla seconda.
“Queste difese sono fallaci. Non ci vorrà molto. Arrivo Serah!” Conficcò altre due frecce nei suoi nemici, che caddero morti senza opporre resistenza. Doveva percorrere l’ultimo tratto del ponte, poi avrebbe attraversato il piccolo arco che dava sulla piazza del portone di entrata. L’ultimo ostacolo era un unico cavaliere d’argento, l’aspettava con la spada e lo scudo in mano. Emanava un cupo e perturbante luccichio azzurro dalla visiera dell’elmo; Claire non aveva fretta di sapere cosa ci fosse sotto. Attaccò per prima e scoccò una freccia, ma l’avversario alzò prontamente lo scudo bloccando la punta ferrea. Lei sbuffò sprezzante.
“Non sei stupido come gli altri…”Il cavaliere la caricò a passi pesanti. Claire pescò dalla faretra, incoccò una freccia e ne trattenne un altro paio. Fece scattare la prima, ed il cavaliere parò davanti a sé lo scudo, comprendo momentaneamente anche la sua visuale. Quando, però, lo riabbassò per controllare il suo bersaglio, non poté fare niente per fermare le altre frecce mirate ai suoi occhi luminescenti. Claire aveva previsto quella reazione, quindi superò in astuzia il nemico, e ritardò il secondo attacco rispetto al primo. Quando il colpo andò a segno, il cavaliere rimase scoperto, e Claire ebbe tutto il tempo di finirlo con un’altra scarica di dardi. “…Ma non sei ancora abbastanza intelligente.” Finalmente raggiunse l’altra estremità del ponte, corse il resto della strada fino all’arcata antecedente la piazza del portone d’ingresso, quando, di colpo, si fermò. Sotto l’area della volta una nebbia densa non permetteva di distinguere chiaramente cosa vi fosse dall’altra parte. Non era della comune nebbia: era viscosa, si muoveva, quasi era viva. In essa, a Claire sembrò di poter scorgere dei volti pallidi e privi di connotati, contorti dal dolore. Ma lei ne stava avendo abbastanza di tutti quei bizzarri eventi e fenomeni. Voleva solo che quella storia finisse in fretta. Voleva solo ritrovare Serah, portarla al sicuro e vivere quel poco di serenità che era rimasto nelle loro vite insieme a lei, nella speranza che tutto tornasse alla normalità, per quanto squallida fosse. Impugnò l’arco e attraversò la nebbia senza esitazione, determinata e pronta. Avrebbe abbattuto qualunque cosa si sarebbe interposta tra lei e sua sorella. Si ritrovò nella piazza dei portoni d’ingresso, dove due grandi scalinate poste ai lati della porta maestra conducevano ai bastioni soprastanti, ornati dalle statue di fieri soldati a spada tratta. Fu allora che tutta la sicurezza che credeva di aver accumulato dentro di sé scomparve. Al centro della piazza, il colossale Cavaliere della Torre giganteggiava su di lei. Con uno scudo spesso come le mura del castello e alto quanto i suoi terrificanti venti piedi, l’enorme Demone brandiva una lancia due volte il suo braccio, con cui avrebbe potuto perforare qualunque protezione. La sua armatura in ferro lo copriva per intero, lasciando come unica feritoia la visiera dell'elmo, talmente stretta che le uniche cose che si potevano scorgere dentro erano buio e ombra. Dai bastioni di destra e di sinistra spuntarono una dozzina di balestrieri pronti a colpire, ognuna delle armi era puntata su di lei. Claire rimase ferma a guardare in alto con espressione mesta. Quando il Cavaliere fece battere lo scudo a terra e fece tremare la terra con i suoi passi avvicinandosi a lei, Claire sentì la presa sull’arco allentarsi, la determinazione lasciar posto alla disperazione, e la sua risolutezza lasciar posto al terrore. “E’ questa la mia fine?”                                                                                                                                                              
 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Demon’s Souls:
Le cronache dell’uccisore di Demoni
Capitolo 5
 
Claire se ne era andata già da parecchi minuti, ma Firion ancora tentava di trovare il modo adatto di seppellire le due donne che avevano trovato appese oltre il parapetto del balcone al primo piano. Non riusciva a pensare in modo chiaro dopo quello che le aveva detto la ragazza. Lui credeva fermamente che la sua umanità avrebbe prevalso sull’istinto di sopravvivenza che stava dilagando tra le persone durante la crisi, e che, anche se lentamente, sarebbe riuscito a ristabilire l’ordine nel regno. Era il suo compito. Tuttavia, abbracciare interamente gli ideali che scaturivano da quel compito comportava delle limitazioni non indifferenti. Significava prendere a cuore ogni vita che incontrava, proteggere gli altri e servirli come meglio poteva, dimenticando sé stesso ed i suoi interessi per favorire quelli degli altri. Ma era davvero la cosa giusta da fare? O la sua passione e compassione per gli uomini era malriposta? Claire gliela aveva mostrata, la diffidenza e la distanza che poteva esistere tra le persone. “Pensi davvero che qualcuno lo farebbe per te?”: ripeté le parole di Claire nella sua mente. Affilate come coltelli, sbrindellarono la sua convinzione più profonda: era forse inutile quello che faceva? Stava realmente aiutando qualcuno, o si era illuso fin dall’inizio? Il Monumentale gli aveva dato una missione che, alla fine, gli avrebbe chiesto il più grande dei sacrifici e avrebbe comportato la perdita più grande…
Qualcuno se ne sarebbe ricordato?
Scacciò prepotentemente quei pensieri, frustrato dal non essere riuscito a darsi una risposta certa. Per il momento, doveva concentrarsi sul lavoro che aveva tra le mani, per poi raggiungere Claire il più velocemente possibile. Lei aveva quasi sicuramente guadagnato un vantaggio che lui avrebbe dovuto colmare correndo, e sarebbe andato ancora più veloce sapendo che Claire correva il rischio di imbattersi in un Demone Maggiore. Purtroppo, però, l’unico campo in cui avrebbe potuto seppellire le due donne era il sito di esecuzione dei prigionieri condannati a morte, raggiungibile per mezzo di un passaggio sottostante il ponte e parallelo allo stesso, non il miglior luogo dove onorare i loro resti. Non era possibile nemmeno un tumulo, a meno che non si mettesse a scavare le pietre del ponte, ma quella non era nemmeno un’opzione. La cosa migliore che gli venne in mente fu montare una sorta di zattera legando insieme le casse che si trovavano sul ponte usando le corde che una volta le fissavano ai carretti trainati dai cavalli. Su di essa avrebbe posato i corpi e si sarebbe assicurato che fossero saldi al mezzo di trasporto, poi li avrebbe calati dolcemente nelle acque del fiume. Decise di agire in quel modo e fece in fretta. Non badava all’aspetto finale dell’imbarcazione, l’importante era che potesse stare a galla per un tempo sufficiente affinché raggiungesse un lago o il mare, sperando che non ci fossero rapide o cascate ad ostacolare il suo viaggio. Quando finì, posò le spoglie sulla zattera e le coprì con una coperta che trovò su uno dei carri, li legò abbastanza stretti perché non scivolassero via, e li calò lentamente oltre il parapetto del ponte in acqua, usando una lunga fune. Sforzò ogni fibra delle sue braccia per non lasciare la presa sulla costruzione troppo presto, mentre le mani bruciavano per lo sfregamento. Quando mancava poco meno di un metro, Firion lasciò finalmente andare, e vide la zattera allontanarsi trasportata dalla corrente.
“Ora troveranno riposo”.
Si soffermò un attimo in più, poi si voltò e cominciò a correre velocemente verso l’androne. Abbandonando molta della sua solita cautela, superò celermente sia quello stanzone oscuro sia la camera di transito successiva, ritrovandosi quasi sul ponte che portava alla Cittadella Reale. Stava superando l’arcata che lo precedeva quando sentì un sibilo, che lo attirò alla sua sinistra. Passarono dei secondi, poi lo sentì di nuovo, questa volta più marcato. Voleva ignorarlo, e stava per andarsene quando sentì parlare.
“C’è qualcuno?”
Fu allora che riconobbe la voce. Si avvicinò alla presunta sorgente, che si trovava dietro ad una grossa grata metallica alla sinistra dell’arcata, illuminata dalla tenue luce di una torcia.
“Ostrava!” esclamò Firion, sollevandosi la visiera.
“Salute, Firion”. Ostrava di Boletaria, fu il nome con cui si presentò a Firion. La prima volta che lo incontrò, era circondato da dregling, gli schiavi ora divenuti demoni, in attesa che scendesse da un cornicione per poterlo massacrare. Firion si sbarazzò velocemente di quei deboli avversari e si accattivò la sua gratitudine. Ostrava portava la sua stessa armatura, per cui Firion dedusse che anche lui provenisse da Boletaria del Sud, ma a differenza di Firion, non si tolse l’elmo per presentarsi. Aveva con sé delle armi uniche, una spada e uno scudo runici e dorati, dai simboli affascinanti e misteriosi. Firion fu tentato di chiedere come un guerriero qualunque fosse riuscito a procurarsele, ma mancò l’occasione di farlo quando, dopo il suo intervento, Ostrava si dileguò senza lasciare traccia. Non l’aveva più visto fino a quel momento.
“Ostrava, che ci fai qui?” gli chiese inginocchiandosi al suo livello.
“Non sono patetico, circondato di nuovo da guerrieri malvagi?” rispose in modo sconsolato.
“Mentre attraversavo il ponte, un drago rosso sputafuoco è volato in picchiata tentando di ghermirmi tra i suoi artigli e di bruciarmi con le sue lingue incandescenti. Non potevo crederci e quasi non ci credo tuttora. Non fosse stato per il passaggio sotto le torri difensive, ora sarei il suo pasto.”
“Temo che dovrai credere a questo e anche a di peggio: ce n’è un altro, dalle scaglie bluastre e più grosso. Probabilmente fiutano le anime demoniache che portiamo con noi, cosa che mi fa pensare siano divenuti anch’essi demoni. Sono sicuro che dovremo aspettarceli anche tra i muri della Cittadella.” Firion vide i due draghi la prima volta che venne al castello, mentre svolazzavano minacciosi sopra la sua testa, in cerca di prede. Avevano fatto di una piccola porzione della montagna intoccata dalle mura il loro nido, e da quando arrivarono collezionarono corpi su corpi di pasti e spuntini, che una volta erano stati i soldati al servizio del regno. Aveva comunque sperato che non lasciassero il loro rifugio per più di qualche ora al giorno, ma l’esperienza dell’amico fece diradare quella possibilità.
Ostrava sembrò assorbire l’informazione con indifferenza.
“Ma io non sarò in grado di proseguire; dopo essere scappato qui, dei soldati privi di senno mi hanno precluso l’uscita. Non potrei, forse, chiederti aiuto un’ultima volta?”
Firion non sapeva che dire. Avrebbe dovuto negare la salvezza ad Ostrava per accorrere in aiuto di Claire, o sarebbe dovuto restare e aiutare l’amico, nella speranza che Claire resistesse fino al suo arrivo? Erano scelte come queste a cui probabilmente si riferiva Claire. Ostrava aspettava silenzioso la risposta, Firion poteva quasi vedere attraverso l’elmo la sua espressione speranzosa ed implorante. Logicamente parlando, sapeva cosa avrebbe dovuto fare: Ostrava si trovava nelle sue immediate vicinanze e gli aveva chiesto apertamente aiuto, mentre Claire lo aveva respinto e si trovava possibilmente all’altro capo del ponte. Ostrava non sembrava capace di poter uscire dal suo guaio da solo, mentre Claire aveva tutti i mezzi per sopravvivere. Eppure, non poteva mettere a tacere una voce dentro di sé, un presentimento che Claire fosse in serio pericolo, e che lui dovesse essere con lei per prevenirle ogni danno.
“Ostrava, ascoltami: in questo preciso momento non posso aiutarti. Prima ho bisogno di attraversare il ponte, ma ti assicuro che accorrerò da te non appena potrò. Nel frattempo devo chiederti di rimanere qui senza attirare l’attenzione, come hai fatto fin ora. Sarò veloce. Io non ti lascerò indietro.”
Infilò una mano tra le sbarre di ferro, con l’intenzione di stringere quella dell’altro. “E’ una promessa.”
Ostrava la fissò qualche secondo, sollevò il capo per guardare il viso di Firion ed estese la sua, stringendola a quella del compagno.
“Io ti credo Firion. Ti aspetterò e la mia fiducia non vacillerà. Si cauto sul ponte: quel drago è continuamente vigile.”
“Ti ringrazio. Attendi. Tornerò sicuramente.”
Detto ciò, si alzò e corse via. Ostrava lo seguì con lo sguardo finché poté, premendosi contro il ferro della grata. Quando non ci riuscì più, adagiò la schiena alla parete e si lasciò scivolare a terra, sforzandosi di trovare una posizione comoda ed illuminata almeno un po’ dalla poca luce che emetteva la fiaccola al muro. Il buio che lo attorniava lo stava cullando verso il sonno, e presto sarebbe stato vinto dalla fatica. Rifletté un ultima volta prima di addormentarsi: Firion rappresentava l’unica possibilità che aveva di salvarsi, ma soprattutto di poter avere udienza da sua padre. Doveva sapere perché i demoni erano riusciti a penetrare così in profondità nel regno e dove fossero finiti i difensori di Boletaria, per non parlare delle voci secondo cui suo padre fosse il responsabile della Piaga dei Demoni. Lui, Re Allant.

Dopo aver promesso ad Ostrava che sarebbe tornato a salvarlo, Firion tornò a correre verso l’esterno, sul ponte che collegava le porte della Cittadella alle mura esterne. Ricordando l’avvertimento che gli diede il cavaliere, puntò un paio di volte gli occhi in cielo in cerca del drago rosso, ma a parte quello, ormai aveva abbandonato la prudenza in favore della velocità. Il ponte offriva due torri difensive come possibile riparo dalla minaccia del demonio volante, ma rimanervi intrappolato non sarebbe stato preferibile al pericolo di un attacco aereo, quindi si convinse ad attraversare l’intero percorso a perdifiato, incurante dell’eventualità di essere visto. Aveva già superato la prima torre ed era oltre metà strada senza che avesse incontrato impedimenti. Ai lati del cammino, notò i cadaveri di due demoni-soldato uccisi da delle frecce conficcate all’altezza del cuore. Se Claire era passata di lì, con tutta probabilità doveva aver raggiunto ed oltrepassato il portone d’ingresso alla Cittadella Reale…sempre che qualcosa non glielo avesse impedito. Si trovava in prossimità della seconda torre quando sentì lo stridio del drago. Il carnivoro volante si trovava ad alcune decine di metri sopra di lui, e stava planando in discesa con gli affilatissimi artigli pronti ad afferrarlo. A Firion servirono un paio di secondi buoni per rendersi conto del pericolo, e ad ognuno che passava il demone alato si faceva più vicino. Non aveva alternativa se non correre più veloce. Si accorse, però, che se anche fosse riuscito ad evitare il primo assalto, il ponte era troppo scoperto perché potesse scampargli una seconda volta, quindi aveva bisogno di trovare un modo di liberarsi di quell’essere diabolico definitivamente. Non aveva il tempo di pensare, ma quando si avvicinò alla seconda torre difensiva pregò che l’idea che gli balenò in mente potesse avverarsi. Si concentrò sull’estendere e ripiegare i muscoli delle gambe rapidamente ignorando il bruciore che stava consumando i suoi polmoni, mentre l’adrenalina faceva battere il suo cuore ad un ritmo tanto forsennato che si sarebbe potuto fermare da un momento all’altro. Il drago era quasi su di lui, pochi metri e lo avrebbe preso. Prima che potesse farlo, Firion oltrepassò l’arcata della torre difensiva con una capriola, sfuggendo alla presa mortale dell’assalitore per un soffio. Il drago, nella foga di catturare la sua preda, non aveva posto attenzione al grosso ostacolo in pietra che sbarrava il suo volo.
L’impatto fu devastante. La sommità della torre venne ridotta in polvere, le macerie volarono ovunque. Incredibilmente, pochissime crollarono sulla testa di Firion, che si affrettò comunque fuori dall’arcata di uscita. Nello scontro, il drago doveva essersi spezzato un’ala, perché Firion lo vide agitare miseramente l’altra mentre cercava disperatamente di appigliarsi con le fauci sul bordo del ponte. Incapace di sostenere il proprio peso, il drago precipitò nella profonda valle sottostante, emettendo un ultimo, agghiacciante verso. Firion non poteva credere che la sua idea, anzi il suo azzardo, avesse funzionato. Aveva previsto che la bestia sarebbe stata troppo concentrata su di lui per notare la torre, ma il risultato superò di molto le sue aspettative. Fissò per un momento il punto dove poco prima il demone tentava di issarsi verso la salvezza, riprese un po’ il fiato, che ancora si soffermava a stento nel suo petto, e si rimise a correre verso il portone d’ingresso. Ormai era vicino. Avrebbe raggiunto Claire e l’avrebbe protetta fino al ritorno al Nexus. D’un tratto sentì un rombo scuotere il suolo pavimentato, come un fulmine in lontananza che si scaricava a terra. Spaventato dall’idea di aver intuito cosa poteva essere stato, accelerò di nuovo la sua corsa. Impallidì quando scorse la Nebbia bianca sotto l’arco che portava alla piazza del portone della Cittadella.
“NO! Claire!”

Claire evitò per pochissimo il gigantesco scudo con cui il Cavaliere della Torre stava per schiacciarla. Le onde d’urto provocate da quel colpo violentissimo fecero scuotere orribilmente il terreno, e lo spostamento d’aria buttò la ragazza a terra. Il Cavaliere stava già preparandosi per infilzarla con la lancia, e Claire si costrinse a tornare in piedi per salire nuovamente le scale della piazza e trovare riparo tra i cornicioni. Mentre correva, evitò per pura fortuna una serie di dardi scoccati dai balestrieri che ancora la bersagliavano dal cornicione opposto. Era riuscita ad uccidere quelli che occupavano i bastioni di destra, e avrebbe fatto lo stesso a quelli che rimanevano se l’insistenza di quel cavaliere titanico gliel’avesse permesso. Poco prima aveva tentato di contrattaccare tornado sulla piazza, ma si era rivelata un’idea davvero stupida, e per poco non s’era fatta ammazzare. S’inginocchiò alla parete di una delle torri di raccordo tra i cornicioni e le scale, controllando i movimenti del Demone per mezzo di alcune strette finestre. Anche quando nascosta alla vista, gli attacchi non cessavano. In particolare, quelli del guerriero colossale conservavano tutta la loro veemenza, dato che, a quanto pareva, poteva attaccare anche a distanza, scagliando delle lance di energia azzurra che s’infrangevano contro i muri della piazza, i continui rombi che emettevano al contatto erano assordanti. Claire non sapeva se fosse quella la magia che usavano i demoni e non gli interessava. L’unica cosa importante al momento era che dietro quelle barriere di pietra lei era al sicuro.
“Ma per quanto ancora?”, pensò insicura. Controllò quante frecce le rimanevano nella faretra e constatò con orrore che era praticamente vuota, poteva averne una ventina al massimo. Sin da quando era rimasta intrappolata lì, non aveva fatto altro che scoccare frecce cercando la morte dei suoi aggressori. Ma, indipendentemente da quante ne scagliasse contro il Cavaliere della Torre, quest’ultimo le respingeva con lo scudo oppure non sembrava minimamente intralciato dalle punte che si conficcavano nella sua armatura, nonostante fosse stato colpito più e più volte in zone critiche come i tendini di gambe e piedi. Il fatto che ora le frecce stavano per finire la metteva in ulteriore svantaggio, in una situazione che fin dall’inizio ammetteva pochissime possibilità di vittoria.
“Venti frecce?! Cosa ci dovrei fare? Cosa dovrei fare adesso?!” pensò disperata. Strinse ancora di più l’arco che serrava in mano e lo guardò alcuni istanti.
“Dannazione!” urlò lanciando l’arma contro il muro, mentre il suo grido veniva assorbito da un’altra delle lance magiche dell’enorme demone in piazza. Appoggiò la schiena al muro, incurante degli scossoni che arrivavano fino a lei a causa del gigante. Riposando una mano sul ginocchio, la testa era crollata e lo sguardo si era dipinto di un velo oscuro e cupo.
“E’ solo colpa mia se mi trovo in questa situazione. E’ colpa mia se Serah è lontana da me e adesso è sola. Perché non sono abbastanza forte. Se avessi avuto la forza necessaria, avrei potuto proteggerla, invece di mandarla via. Se non fossi stata così debole, adesso saremmo insieme e saremmo al sicuro lontane dalle mura. Se fossi più forte, potrei affrontare quei mostri e vincere, invece di nascondermi ed accovacciarmi per la paura. Per la paura di morire.” Ormai la disperazione si stava impadronendo di lei, la sentiva crescere e lei lo permetteva senza opporre resistenza. Voleva combattere, ma la volontà da sola non sarebbe bastata. Cosa poteva fare, circondata e senza vie di uscita?
“Se solo…fossi più forte…”. Poi le rivenne in mente, e al ricordo si fermò un attimo: “Anche se il corpo muore, noi continuiamo a vivere, anche se di un’esistenza un po’ diversa. E’ di questa forza vitale che si nutrono i Demoni, ma la realtà è che possiamo farlo anche noi con le Anime Demoniache.
“Io posso…” Si alzò e si allontanò dalla parete. Portò la mano al petto, pochi secondi dopo s’illuminò. Non dovette nemmeno concentrarsi come la prima volta, ormai era diventato spontaneo e naturale.
“Invece di consumare cibo e guarire dalle ferite, possiamo assorbire anime demoniache per rinvigorirci e sopravvivere.”
Dalla mano comparve l’anima che custodiva all’interno del suo cuore. L’affascinava ancora come quella fiamma bianca rimaneva sospesa sul suo palmo.
“Rinvigorirmi…e sopravvivere…”
Il pensiero si faceva più forte, cresceva nella sua testa, facendo rimpicciolire qualunque altro. Cominciava a persuaderla, dalle periferie dei nervi fino agli angoli più profondi della sua psiche, la corrodeva, cominciava ad assumere un aspetto così…
“Allettante”.
Era un’idea disperata, quanto la situazione in cui si trovava. Ma era la sua condizione a farla ragionare in quel modo, e lei doveva uscirne…
“A qualunque costo!”
“Se consumo adesso quest’anima, forse potrei acquisire delle nuove forze. Se Firion ha detto che lo si può fare con le anime demoniache, che differenza farebbe se io usassi un’anima umana? In entrambi i casi la forza vitale contenuta mi renderebbe più forte, no?"
Rifletteva ad alta voce come se qualcuno avesse potuto darle una risposta. Dirlo ad alta voce l’avrebbe aiutata ad affrontare quello che avrebbe fatto, quasi come per giustificarsi con chi avrebbe dovuto obiettare. Ma, nonostante lo sapesse nel suo intimo, non lo avrebbe mai ammesso, né a sé stessa, né a nessun altro. Era troppo orgogliosa, e troppo vergognata.
“Sono sola adesso, e non posso fare altro. Io devo sopravvivere, per Serah!”
Chiuse gli occhi, non poteva vedere l’attimo in cui sarebbe accaduto, l’attimo in cui avrebbe divorato Hadrian. Avrebbe stretto la mano, avrebbe distrutto l’anima e ne avrebbe assorbito la forza. Lo avrebbe fatto, se, all’ultimo momento, il suo dubbio non l’avesse fermata e se non avesse ricordato: “Perché è una delle uniche cose che mi distingue da un Demone!”
Le parole di Firion la trapassarono come lame di coltelli, ognuna di esse più appuntita di un ago.
“Mi ricorda che sono ancora umano”
“Umano…”. Claire ripotò la mano sul petto, ripose quell’anima nel suo nuovo rifugio.
“Umano…”. Gli occhi si facevano stranamente turgidi, la vista si stava appannando.
“Se io consumassi adesso quest’anima, non sarei diversa da un Demone!” Crollò di nuovo a terra, delle lacrime cominciarono a rigarle il viso.
“Sono ancora troppo debole!” gridò rabbiosa, mentre sbatteva i pugni a terra. Come poteva aver pensato una cosa del genere, usare l’anima che Firion le aveva affidato per accrescere il suo potere? Sarebbe stato qualcosa di mostruoso, ma lei era pronta a farlo, si era preparata a divorare un’anima umana. Non stava più combattendo per riprendersi la sua libertà, stava solo crogiolandosi nel suo sconforto e nella sua debolezza. Aveva smesso di reagire e stava calando il capo difronte al tiranno, anziché combattere e reclamare ciò che era suo.
“Ma non succederà più. Mi dispiace, Serah. Stavo per perdere la mia strada.”
Raccolse l’arco che aveva malamente lanciato prima e si rimise in piedi, forte di una ritrovata determinazione.
“Io combatterò fino alla morte e anche oltre di essa!”
Prima che il Cavaliere della Torre potesse scagliare un’altra delle sue lance, per dei brevi secondi vi fu silenzio, rotto da un nuovo grido.
“Claire!” urlò Firion dalla piazza, poco dopo aver attraversato la Nebbia. Claire, dalla torre in cui stava, credeva di averlo immaginato. Si ricredette quando lo risentì.
“Claire, non sei sola! Abbi fiducia in me, e vinceremo!” urlò di nuovo sguainando la spada che portava al fianco ed alzando lo scudo del braccio. Claire si portò alla finestra per avere conferma che non stesse sognando tutto, e quando capì che era tutto reale, la gioia e lo stupore che divamparono dentro di lei le concessero lo stesso ardore che aveva dimostrato il giovane Difensore di Boletaria. Il Cavaliere della Torre ed i balestrieri del cornicione di sinistra sospesero l’assalto alla ragazza per concentrarsi sul nuovo avversario. Il guerriero demoniaco si voltò lentamente ed in modo inquietante, e quando lo vide avanzò pesantemente, ogni suo passo un terremoto. Firion non si fece intimidire e lo caricò ferocemente, mirando alle gambe del gigante. Claire seguì il suo esempio, corse fuori dal suo riparo e scattò verso il cornicione delle scale opposte, bersagliando i balestrieri, troppo occupati a prendere la mira su Firion. Uno ad uno caddero tutti, e tolti di mezzo loro, Claire fu libera di puntare le poche frecce rimaste alla testa ora scoperta del demone ciclopico, mentre Firion si destreggiava tra i suoi piedi ed attirava tutta la sua attenzione. Firion colpiva e lacerava, si muoveva di continuo, la sua lama era spietata, incurante dei poderosi affondi e spazzate del malevolo diabolico. All’ennesimo fendente di spada, il Cavaliere della Torre cadde all’indietro, incapace di reggersi ancora sulle proprie gambe, e la forza con cui rovinò al suolo distrusse il pavimento della piazza.
“La nostra occasione!” gridò Firion, scattando verso la testa. Nonostante fosse caduto, il Cavaliere agitava la mano che prima teneva la lancia tentando di afferrare il ragazzo, che gli si faceva sempre più vicino. Claire scagliò la sua ultima freccia, che si conficcò proprio nella visiera del demone, che lo distrasse il tempo necessario perché Firion si avvicinasse abbastanza e piantasse con forza la spada nell’elmo del demone, perforandolo in profondità. La sua enorme figura fu percorsa da un fremito irruento. Quando si placò, nella piazza non vi fu un movimento, ed ogni suono si era disperso nell’aria.
“Ce l’abbiamo fatta” disse sottovoce Claire, non credendoci fino in fondo. Ma ormai quell’enorme corpo di ferro era immobile, e questo poteva solo significare che avevano vinto. Il suo sguardo si spostò su Firion, anch’egli rimasto fermo dopo l’ultimo attacco. Stava per raggiungerlo quando il Cavaliere della Torre s’illuminò di una luce opaca. La luce cresceva d’intensità mentre ciò che rimaneva del demone si faceva sempre più incorporeo, finché non si trasformò in una nuvola di scintillii azzurri che convogliarono verso il petto di Firion. Tutta quella luce scomparì dentro il giovane cavaliere, che in quel momento non sembrava diverso da una delle statue che ornavano la piazza. Claire si riprese dalla meraviglia di quello spettacolo e scese velocemente le scale verso il compagno, fermandosi a qualche metro di distanza.
“Firion, sei arrivato proprio quando ne avevo più bisogno. Io ti ho abbandonato ma tu sei tornato comunque. Ti ringrazio tantissimo.” Claire gli parlava, ma lui non sembrava sentirla. Non alzò nemmeno lo sguardo per guardarla.
“Firion?”
Finalmente sembrò accorgersi di lei, ma quando lo vide tentare di fare un passo in avanti, lui baciò la polvere dove prima giaceva l’avversario sconfitto, lasciando andare scudo e spada ed elmo, che si sfilò dal capo rotolando via. Claire lo raggiunse immediatamente, si chinò e lo girò sulla schiena.
“Firion! Che hai?” chiese reggendogli il busto. Cercando i suoi occhi, Claire notò come fossero spenti, e la vista la raggelò.
“Sto bene, Claire. Sono solo un po’ stanco. Fammi appoggiare al muro qualche minuto e mi riprenderò.” Lo disse in modo freddo e senza emozioni, e la cosa la fece preoccupare, anche se non lo diede a vedere.
“Va bene” disse lei senza troppa convinzione. “Riesci a muoverti?”
Aspettava la risposta, ma non venne mai. Firion si appoggiò solo un attimo, poi raggiunse il muro e si lasciò scivolare a terra, riposando una mano su un ginocchio e lasciando la testa ciondoloni. Lo ammantava un silenzio innaturale, e Claire lo raggiunse un po’ riluttante. Si sedette vicino a lui e si abbracciò le ginocchia, unendosi alla sua quiete. Si guardava le punte dei piedi, non sapendo che altro fare o cosa pensare. La malinconica pace che scese tra di loro le ricordò quella che aveva provato vicino alla Fontana. Rifletté sul fatto che probabilmente era così per tutto il regno: non un suono, non un movimento, niente di vivo. Condivise il silenzio per un po’ di tempo, poi trovò il coraggio di romperlo.
“Mi hai salvato prima, sai? E per quello che ho detto prima che ci dividessimo: mi dispiace. Ho parlato a sproposito, invece di ragionare. Scusa.”
“Non dire così. Ho pensato a quello che mi hai detto, e non credo che tu abbia tutti i torti. Piuttosto, ho permesso che ci separassimo, nonostante avessi detto che ti avrei accompagnato. Sei caduta in un grande pericolo a causa mia ed io non ero con te. Non succederà più.” La sua voce aveva ritrovato il calore di sempre, e Claire fu contenta nel sentirlo parlare di nuovo.
“Grazie di esserti fidata di me.”
“Ma io non ho fatto niente per ricambiare.” Fece una pausa, per essere sicura di quello che avrebbe detto.
“Ho insistito per venire alla capitale, perché mia sorella, Serah, è scappata su di un carro diretto qui. Ancora non c’è segno di lei, ed io sono sempre più preoccupata. Non volevo dirtelo perché non sapevo cosa avresti pensato di fare dopo averlo saputo. Ho sbagliato.”
“No, è normale. Vuoi proteggerla, quindi hai agito nel modo che hai ritenuto migliore. Hai fatto la cosa giusta.”
“Grazie.”
I secondi passarono senza che nessuno dei due dicesse altro. Claire sentiva un po’ d’imbarazzo, ma non gli dava molto peso. Probabilmente, non c’era bisogno di dire altro.
“Su, troviamo tua sorella” disse improvvisamente Firion, alzandosi in piedi. Lei lo imitò ed annuì in accordo. Claire lo vide soffermare il suo sguardo su di lei, poi spostarlo rapidamente sul portone d’ingresso alla Cittadella Reale, verso cui s’incamminò. Nel frattempo raccolse l’elmo che gli si era sfilato, ma non lo rimise addosso. Lei lo seguì e si mise vicino a lui. L’armatura in ferro del cavaliere emetteva cigolii ad ogni passo e aveva numerosi squarci di diverse profondità, probabilmente causati dal combattimento affrontato prima.
“E’ stato ferito? Io non ho visto tagli aperti o sangue…”
“Maledizione” sentì dire a Firion sottovoce. Si erano fermati davanti alla grande porta maestra della Cittadella, e per la prima volta Claire si accorse che era ammantata da un alone nebbioso e grigio. Nel bel mezzo della battaglia, non l’aveva notato.
“Che succede?” chiese lei, incuriosita dalla reazione di Firion.
“Spero non sia quello che penso” rispose lui, avvicinandosi alla porta. Quando provò a toccarla, venne respinto subito, senza che fosse riuscito a spostarne i battenti.
“Niente” disse con tono deluso abbassando languidamente il braccio.
“Questa è una barriera eretta perché solo dei veri Demoni possano passare” disse voltandosi verso di lei.
“Devo acquisire un’anima più potente.”
“Non possiamo passare?”
“No, mi dispiace.”
Lei guardò la porta un attimo e poi tornò su Firion. “Beh? Che facciamo allora?”
“Per ora torniamo al Nexus. Riposiamoci un po’. Poi emergeremo in un altro nodo, dove credo che potremo trovare anime demoniache ancor più nere di quelle che si trovano qui.”
“Aspetta! Non possiamo tornare a mani vuote!” esclamò Claire facendosi avanti.
“Mia sorella deve essere dietro quella porta. Se c’era quel colosso a fare la guardia, cosa ci potrebbe essere dietro? Sarà in pericolo, non posso andarmene adesso!”
“Claire, come hai detto tu, dato che non hai trovato segni della presenza di tua sorella finora, lei probabilmente sarà dietro quelle porte. Questo significa che deve essere passata quando la porta non era sigillata e quel mostro non c’era. Se questo è il caso, e probabilmente lo è, lei starà aspettando i soccorsi in un luogo sicuro lontano dai soldati. Sono sicuro che sia così.”
Claire non c’aveva pensato, presa com’era dalla fretta di passare.
“Sì, può essere. Comunque, vorrei tentare ancora.” Firion si avvicinò e posò le mani sulle sue spalle.
“Claire, noi passeremo da quella porta”. La guardava con uno sguardo così serio che non ammetteva alternative.
“Ma adesso devi riposare”. Strinse un poco le mani per enfatizzare quanto ci credesse. Lei non rispose. Voleva salvare Serah, ormai era vicinissima, non poteva lasciarla andare così. Tuttavia, Firion non era riuscito a passare, quindi che possibilità aveva lei?
“Va bene” disse infine con lo sguardo sconfitto.
“Brava” disse lui battendole le spalle. “Usa il Marchio del Nexus per tornare. Concentrati su dove devi andare mentre stringi il bracciale, ed esso ti riporterà a casa. Vai prima tu, ho ancora una cosa da fare qui.”
Claire avrebbe voluto chiedere di che cosa si trattava, ma cominciava a sentire tutta la stanchezza che aveva accumulato in giornata, e l’interesse scemò velocemente.
“Non farti attendere troppo” disse lei con un sorriso stanco.
“Non noterete la mia assenza” rispose ricambiando il sorriso. Dopo di ché, Claire seguì il consiglio, prese nella mano il bracciale, chiuse gli occhi, ed in un battito di ciglia era sparita. Firion fu sollevato nel vederla tornare sana e salva. Per quello che avrebbe dovuto fare, dopotutto, non poteva che agire da solo.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Demon’s Souls:
Le cronache dell’uccisore di Demoni
Capitolo 6
 
Claire si risvegliò sul medesimo telo che accolse il suo sonno la prima volta che arrivò al Nexus. Alzò il busto per guardarsi intorno, riconoscendo l’angolino oscuro in cui riprese i sensi e conobbe i chierici che l’avevano salvata, con i loro prodigiosi “Miracoli”. Nonostante avesse l’impressione di aver riposato per molto tempo, sentiva il collo e la schiena indolenziti: non una sorpresa dato che, a parte quella misera coperta che teneva sotto di sé, niente la separava dalla fredda pavimentazione del salone, ospitale come lo poteva essere la terra bagnata dalla pioggia battente. Proprio come la prima volta, ebbe bisogno di qualche momento per raccogliere ed ordinare i tanti pensieri che minacciavano di confonderla. Per prima cosa, tentò di ricordare come fosse arrivata lì: ripercorse quindi la giornata trascorsa alla capitale, chiedendosi se non fosse stato tutto un sogno quando riportò alla memoria il confronto con il demone nella piazza antecedente la Cittadella Reale. Ma ormai era troppo tardi per pretendere che fosse tutto solo un brutto incubo, e Claire si convinse a lasciare ogni speranza che si trattasse di una cosa così banale. Dopo lo scontro, Firion le aveva detto di tornare al Nexus e riposare, un ordine mascherato da consiglio che, inizialmente, non voleva accettare, ma che una volta arrivata seguì molto volentieri, avvertendo quanto fossero esauste le sue membra. Sentiva di aver dormito per almeno due paia d’ore, ma dentro al Nexus ogni cognizione temporale era destinata a perdersi, quindi quella poteva essere una supposizione totalmente sbagliata. Comunque fosse, l’importante era che durante la sua esplorazione aveva scoperto la via per sua sorella. Avrebbe dovuto lottare solo un altro po’, quel poco che bastava per riaprire le porte della Cittadella, e poi avrebbe potuto riabbracciare Serah. Il pensiero la riempiva di determinazione, non aspettava che quel momento. Tuttavia, per portare a termine quell’intento sarebbe stato necessario seguire la sua guida, Firion, nella ricerca di entità ancor più malvage di quelle che aveva incontrato. In tutta onestà, ritrovare Serah sarebbe stato quasi esclusivamente merito del cavaliere più che suo. Senza la sua esperienza, probabilmente non sarebbe nemmeno riuscita a lasciare il Nexus, per non parlare di come l’avesse salvata tra le mura della capitale. Senza di lui, sarebbe senza dubbio caduta vittima dei demoni. Firion era sicuramente un uomo come non ne aveva mai incontrati o conosciuti: fiero, impavido, oltremodo valoroso, dai modi gentili ma mai privi di fermezza. Si era volontariamente offerto di accompagnarla e di proteggerla nonostante non la conoscesse e non avesse alcun obbligo verso di lei, e senza chiedere nulla in cambio. Claire si ritrovò a pensare a lungo sul Difensore di Boletaria, più di quanto avrebbe voluto. Dai momenti passati con lui, Claire cominciò a soffermarsi su come il suo sguardo intenso si posasse su di lei, su i suoi profondi occhi color nocciola, la sua argentea chioma ribelle, i lineamenti morbidi ma decisi del volto, ed il suo sorriso, caldo come il focolare di casa. Quando finalmente si accorse di cosa stava facendo, Claire si obbligò istantaneamente a fermarsi e cacciò violentemente ognuna di quelle immagini. Cosa gli era preso? Pensare in quel modo di Firion…
Lui era sicuramente indispensabile per la sua missione, e gli sarebbe stata eternamente grata del suo aiuto, ma nulla di più. Non provava interesse per lui, aveva ben altro a cui pensare. E poi, non un solo maschio nella sua vita che non fosse suo padre si era mostrato degno di starle accanto: che si nascondessero dietro a delle maschere di cortesia o che lo ammettessero spudoratamente, tutti loro avevano una sola cosa per la testa, ed il pensiero la disgustava. Tutti quei ragazzi del villaggio che le davano continuamente attenzioni ed il casuale forestiero che l’aveva adocchiata non vedevano altro che una deliziosa bambola che non doveva permettersi di pensare con la propria testa ed assolvere esclusivamente al ruolo di moglie e di madre: convinzione più e più volte smentita davanti alle loro dichiarazioni smielate alla dimostrazione di un minimo di carattere e di un rifiuto. Firion sembrava diverso, ma anche se lo fosse stato, non avrebbe fatto differenza. Lei non cercava un uomo, non ne aveva bisogno e non ne avrebbe avuto mai. Lei bastava a sé stessa e non aveva bisogno di un uomo per sentirsi realizzata.
“Con Firion, però…Forse…” disse una voce speranzosa nel suo profondo che chiedeva di essere ascoltata.
Si alzò di scatto per forzarsi a pensare ad altro, scuotendo energicamente la testa come per far uscire a forza quei pensieri. Magari sarebbe bastato scambiare qualche parola con gli altri abitanti di quel tetro ospizio. Camminando verso il centro del salone si accorse di avere ancora addosso l’armatura in pelle che le aveva dato Thomas, sporca di polvere e macchiata quasi ovunque. A quanto pareva, al suo ritorno doveva essere talmente spossata da non riuscire nemmeno a togliersela, anche se era imbrattata ed ancora umida del sudore che aveva perso durante la visita al castello. Probabilmente lei doveva avere un aspetto similmente tirato, ma non poteva essere molto diverso da quello che avrebbe avuto al suo villaggio dopo una giornata di lavoro.
“A casa c’era la vasca, però…”
Si sfilò le vesti rinforzate per la battaglia, rimanendo con la camicia ed i pantaloni, e permise alla pelle di respirare di nuovo. Persino l’aria di quel luogo così chiuso si era fatta fresca al contatto. Girato l’angolo di uno degli enormi pilastri, venne salutata da uno sbuffo familiare: “La principessa si è svegliata? Com’è stato il pisolino?” chiese in tono ironico Boldwin. Claire ignorò la provocazione del fabbro per non perdersi in chiacchere inutili.
“Salve anche a te, Boldwin. Ti occupi di armature, no? La mia potrebbe aver bisogno di qualche ritocco.” Gli porse il pettorale, i gambali e gli stivaloni, che lui accettò malvolentieri quando sentì quanto fossero sudati.
“Ma cosa c’hai fatto? Un pellegrinaggio, andata e ritorno, dalla capitale alle terre di Latria?” disse in una smorfia nauseata.
“Sempre meglio che farsi brutalmente uccidere da un demone” rispose a tono lei, imbarazzata da quell’affermazione.
“Lascia perdere. Piuttosto, cosa credi che ci debba fare? Ti ricordo che devi ancora pagarmi i vestiti che porti addosso, o pretendi che ti lavi anche lo sporco sul viso senza niente in cambio?”
A conferma di ciò che aveva detto il vecchio, Claire si passò un dito sulla guancia, che si colorò di uno scuro fuligginoso e ben poco attraente. Probabilmente sembrava una scappata di casa che si era trovata a strisciare nelle strade più luride.
“Ma io non ho niente con me. Non può pagare Firion in mio nome?”
“E sentiamo: dove sarebbero lui e la mia paga?” chiese lui in tono dubbioso ed infastidito insieme.
“Non è ancora tornato?” chiese sorpresa. Firion le aveva detto che sarebbe tornato presto…cosa lo stava trattenendo fuori?
“Quanto tempo è passato da quando sono tornata?”
“Direi mezza giornata. Dovrebbe essere sera adesso” disse l’altro con tono più sereno.
“Mezza giornata?! Non credevo di aver dormito così tanto. Ma questo vuol dire che Firion non è rientrato da quando è uscito con me!”
“Boldwin, Firion non rientra da stamattina: devo tornare fuori per vedere cosa è successo”. Non finì di parlare che già si era avviata verso il monolite che l’avrebbe riportata a Boletaria.
“Stai ferma, dove vuoi andare?” disse dietro di lei Boldwin alzando stancamente gli occhi verso il soffitto, in mancanza del cielo di fuori. Claire si immobilizzò e si voltò verso il fabbro, sentendo quello che sembrò più lamento infiacchito che non una domanda retorica.
“Firion esce periodicamente dal Nexus per informarci sulla situazione esterna: come avrei fatto secondo te a dirti per quanto tempo hai dormito, sciocca? Voi giovani siete tutti uguali, tutti con la fretta di fare, ma senza sapere cosa fare esattamente.”
Per la seconda volta, Claire mancò di pensare alla cosa più ovvia. Avrebbe potuto dare ragione al vecchio, non fosse stato per il commento poco lusinghiero che le rivolse.
“Ehi, sarò anche più giovane di te, ma anch’io pretendo rispetto. Non chiamarmi in quel modo” disse leggermente alterata, posando una mano al fianco.
“Manchi di disciplina. Un vecchio come me non può che sopperire a questa mancanza.”
Boldwin la poteva vedere già farsi rossa in viso, ma continuò senza badare all’aura irosa che emetteva la ragazza.
“Comunque, Firion è passato mentre tu ancora dormivi, ha portato con sé un nuovo ospite. E’ uscito di nuovo in attesa che ti risvegliassi.”
“Un nuovo ospite?” chiese Claire stupita, chiedendosi chi potesse essere e dove Firion l’avesse trovato. Boldwin si limitò ad alzare pigramente il braccio indicando un angolino dietro uno dei monoliti in cima alle scale che portavano alle Arcipietre, dove quella che sembrava un ammasso informe di ferraglia rivelava la figura di una persona in armatura, seduta alla parete, che pareva guardasse verso di loro.
“E chi sarebbe?” domandò lei.
“Chiediglielo” rispose semplicemente l’altro facendo spallucce. Claire si allontanò verso il nuovo arrivato scuotendo la testa tra sé e sé dopo aver ascoltato la risposta del vecchio fabbro.
“Possibile che l’unica cosa che sappia sia come si batte il martello?” pensò scocciata, mentre poté sentire sbuffare di nuovo dietro di lei. Salì la breve scalinata che la portò rapidamente vicino all’interessato, che nel frattempo non aveva smesso di osservarla dal suo posto finché non si alzò per riceverla. Lo fece con movenze goffe e un po’ buffe, facendo echeggiare rumorosamente lo sferragliamento del suo equipaggiamento, ma Claire non si scompose e non pensò di farglielo notare, non era quello che le interessava.
“Ebbene? Chi sei?” esordì lei con tono quasi aggressivo, riposando le mani ai fianchi e dando un cenno con la testa.
“Felice di conoscerti. Io sono Ostrava di Boletaria” disse l’altro facendo un inchino.
“Sono stato portato qui dal prode cavaliere Firion, mi ha salvato da un fato orrendo. E’ un mio concittadino, ma le sue abilità in combattimento sono ancor più eccelse di quelle che si vedono in sede reale, davvero un guerriero come non ne avevo mai visto.”
Claire lo squadrò qualche secondo: portava la stessa armatura di Firion, ma chi poteva dire che gli appartenesse veramente. Quando aveva detto il suo nome, non si tolse l’elmo per presentarsi, cosa che invece fece Firion quando lo conobbe: che non volesse farsi vedere in viso? Firion poteva essere un po’ ingenuo, ma sicuramente non era uno stupido; avrebbe capito se era o non era il caso di fidarsi della parola di quello sconosciuto, e doveva avere un motivo per ammetterlo tra loro. Eppure, lei nutriva già i suoi dubbi.
“Dove ti ha trovato Firion? Tra le mura della capitale?”
“Si, esatto. Dentro il castello del Re per essere precisi, in una galleria sotto il Passo dei Lord, il ponte che lega la Cittadella Reale alle porte esterne.”
L’aspetto apparentemente loquace di Ostrava tranquillizzò almeno in parte le preoccupazioni di Claire. Sarebbe stato molto più sospetto uno che avesse parlato poco o vagamente. Per qualunque conferma, comunque, avrebbe dovuto attendere il ritorno di Firion.
“Beh, Ostrava, il mio nome è Claire. Benvenuto al Nexus” disse facendo un cenno della mano per indicare il luogo.
“E’ davvero qualcosa di impressionante. Non ho mai visto nulla del genere. Chissà quanti arcani misteri nasconde” commentò Ostrava, perso nella contemplazione meravigliata dell’antico edificio.
“Nessuno che tu voglia scoprire”. La voce provenne dalle scale che portavano al piano superiore, sembrò il sibilo malevolo di un serpente velenoso. Claire non la riconobbe, e fece un passo indietro allarmata da quello che poteva essere un nemico. Quando finalmente il proprietario della voce di espose alla vista raggiungendo la base della scalinata, Claire rimase perplessa da quello che vedeva. Chi aveva parlato era un uomo di statura e corporatura medie, forse poco più giovane di Thomas, dalle linee del volto appuntite e scarne e dai capelli rasati corti. Portava l’armatura ed una spada alla cinta, ma l’attenzione di Claire si fissò su un solo dettaglio: l’uomo era completamente ammantato da un alone blu, come un velo che lo copriva per intero e che si fondeva con la pelle e le vesti. Claire lo vedeva camminare verso la scalinata opposta, ma era sicura che i suoi sensi la stessero tradendo, perché ogni suo passo non emetteva il minimo rumore, come se non avesse avuto peso o consistenza. Non riuscì a trovare un altro modo per descrivere ciò che aveva davanti se non col nome di Spettro.
“Vedo che questo carcere ha trovato due nuovi prigionieri da ospitare. Dimenticate ogni progetto futuro, se non vi siete ancora rassegnati ad uscire fuori” continuò il fantasma, la sua voce era un’eco lontana che si ripeteva nell’aria e sui muri.
“Ecco il nostro eroe, di ritorno dalla tremenda caccia!” esclamò Boldwin quando gli passò vicino con il suo solito sarcasmo, che questa volta, però, sembrava ancora più malizioso.
“Deve essere stato sfibrante per te respingere quel branco di bestie malefiche assetate di anime al piano di sopra: perché non ti siedi a goderti il meritato riposo, e lasci a quelli più giovani di te svolgere il tuo lavoro?”. Boldwin non era solito mascherare il suo lato ironico, ma quella volta sembrava volesse strappare la carne con la sola forza delle parole, dietro le quali Claire sentiva molta rabbia e poco scherno.
“Ah, Boldwin: mi fa piacere constatare che non mi sei mancato per nulla, nonostante fossi semplicemente qui sopra. Dimmi quello che vuoi, non fai che sprecare il poco fiato che puoi trattenere nei tuoi polmoni. Sarebbe uno scherzo davvero crudele che alla fine del mondo tu muoia per una sciocchezza del genere.”
Boldwin sputò nella sua forgia e fissò uno sguardo inceneritore su quel guerriero sconfortante mentre si sedeva sui gradini ai piedi dell’Arcipietra di Boletaria, dandole le spalle. Claire lo guardava ancora quando finalmente ricordò che Firion non era l’unico Cacciatore di Demoni del Nexus: Thomas aveva parlato di un secondo, che Boldwin sembrava detestare e che a sua detta si era ritirato dalla sua missione. Claire dedusse che quello spettro fosse il Cacciatore in questione. Ma cosa gli era successo? Cosa era successo al suo corpo?
Thomas scese i gradini che poco prima aveva percorso l’ex-cacciatore con un’espressione sconsolata che rivelava rassegnazione. Il Collezionista notò Claire e sembrò dimenticare qualunque cosa l’avesse crucciato.
“Oh, ben svegliata Claire. Hai riposato bene? E come sta il nostro nuovo amico?”
Claire si era quasi dimenticata di avere Ostrava dietro, rimasto ammutolito per tutto il tempo che si mostrò il guerriero etereo. Rivolse un cenno affermativo a Thomas, poi Claire gli si avvicinò e gli parlò a voce sommessa: “Quindi è lui il secondo Cacciatore di cui parlavi. Non sembra un campione di coraggio schierato contro le belve immonde. Tutt’altro, ha l’aspetto di uno che vorrebbe solo farla finita.”
Il viso di Thomas s’ingrigì di nuovo, mentre lasciava languide le spalle e sospirava pesantemente.
“No, non lo farebbe mai. Morire in forma di anima nega la tua esistenza. Svanirebbe senza lasciar traccia.”
“Forma di anima…”. Firion gliene aveva parlato, quando le diede il Marchio del Nexus, della differenza tra le persone normali che perdono la vita e coloro che sono vincolati a quel limbo. Chi veniva preso sotto l’ala del Nexus aveva diritto ad una seconda possibilità alla morte del corpo: l’anima avrebbe preso forma, avrebbe risollevato le armi e avrebbe combattuto ancora, nell’attesa di guadagnare di nuovo le proprie carni uccidendo i Demoni peggiori, il cui potere poteva ristabilire la forma fisica. Ma se era l’anima a morire, allora non vi era speranza di salvezza: l’essenza di una persona si sarebbe dissolta, svanendo completamente dal mondo terreno e dal prossimo, qualunque esso fosse.
“Quindi è già morto una volta” concluse lei dopo una breve pausa.
“Si, o almeno così spero, per quanto sia strano da dire. Lui era qui da prima che ci fossi io, e non voglio chiedergli se è già successo e quante volte…”
Thomas diede un’occhiata preoccupata verso quell’ombra triste, soffermandocisi per un po’.
“L’ho convinto a tornare con noi qui sotto. Non mi piace che stia da solo. Hai sentito come parla, no? Credo sia molto depresso, e non vorrei che facesse qualcosa di cui si potrebbe pentire.”
“O di cui potremmo pentirci noi…” bisbigliò Claire cupamente. Thomas alzò il capo e le rivolse uno sguardo che sembrava implorare che una cosa del genere non potesse mai accadere. Ma dopo aver dato un’altra rapida occhiata oltre la ragazza Thomas la guardò di nuovo, un po’ abbattuto, e annuì in accordo.
“Ho capito. Starò attento.”
“Bene.”
Il centro della sala risplendette improvvisamente di un’intensa luce azzurra da cui prese velocemente forma la sagoma di Firion, di ritorno dalle sue esplorazioni. L’attenzione di tutti i presenti si focalizzò sul guerriero da poco tornato, ma solo Claire gli venne incontro, mentre gli altri tornavano ai loro principali interessi. Prima che Claire lo raggiungesse, Firion si tolse l’armatura e la lasciò a terra: dopo una giornata intera passata indossandola, voleva tornare a muoversi liberamente senza l’impaccio di tutto quel ferro.
“Ben trovata, Claire. Hai riposato bene?” chiese il cavaliere non appena la ragazza si fermò davanti a lui, con le braccia conserte.
“Mi hai lasciato dormire mentre tu sei uscito una seconda volta. Avremmo potuto usare quel tempo per tentare di raggiungere mia sorella” disse lei con impazienza, incurante della domanda del giovane.
“Mi dispiace non avertene messo a parte, ma sarebbe stato inutile. Sono tornato fuori a cercare un modo per aggirare quel portone, e purtroppo non ne ho trovato nessuno. Comunque, non ti chiederò di riposarmi: partiremo subito se lo desideri.”
L’espressione di Claire si rilassò, riconoscendo lo sforzo del compagno.
“Dici di contare sul mio aiuto e poi te ne vai da solo: avresti dovuto chiedermi la mia opinione anziché andartene così. Non posso permettermi di perderti di vista, sei l’unico che mi possa aiutare” disse in un tono più comprensivo.
“Mi rendo conto, mi dispiace” rispose lui, annuendo ed offrendole un sorriso.
“Non ci pensare più. Piuttosto, dove andremo adesso?”
“Emergeremo nei territori di Latria, la Regina d’Avorio, nelle terre di confine oltre Boletaria. E’ l’unico nodo che ancora non ho esplorato, ma potrebbe avere ciò che cerchiamo.”
“Allora muoviamoci”. Come al suo solito, Claire non attese una risposta e si era già avviata a prendere il suo equipaggiamento.
“Un momento, Claire” disse Firion, posandole la mano sulla spalla, obbligandola a fermarsi. Claire lo guardò dubbiosa.
“C’è una cosa che dobbiamo fare, prima…”. Aveva assunto un’espressione grave, qualcosa che Claire non si sarebbe mai abituata a vedere su di lui.
“E’ successo qualcosa?” chiese esitante lei.
Non le rispose subito. Sembrò lottare e sforzarsi per trovare le parole giuste.
“Le anime delle due donne, mi hanno parlato. Tu non lo sai, ma quando conobbi Thomas, lui mi aveva raccontato di cosa gli successe prima di arrivare qui, di chi si era lasciato dietro…”
Intuendo cosa stava per dire il cavaliere, per un momento a Claire mancò il fiato.
“Non dirmi che-”
“Sua moglie e sua figlia: Rue e Wren” finì lui con un filo di voce.
Claire sgranò gli occhi e li diresse verso l’ignaro Collezionista, che tranquillo se ne stava sul suo baule a scambiare qualche parola col nuovo arrivato Ostrava. Claire provò a pensare ad un modo per rendere la cosa più facile, meno soffocante e soverchiante, ma non ci riuscì. Quella era una notizia atroce, ed era solo loro il dovere di comunicarla. Nasconderla sarebbe stata una terribile slealtà nei confronti del gentile Thomas, ma portagliela avrebbe comportato la rottura del suo spirito, e loro sarebbero stati i primi a contribuire al suo decadimento. Claire riportò lo sguardo su Firion, ora condividendo la sua stessa faccia.
“Chi glielo dice?”
Firion inspirò affondo e rilasciò l’aria immessa seccamente, come per prepararsi ad un grande sforzo fisico e mentale.
“Sarò io. Non può essere nessun altro. Era la mia missione e ho fallito: tocca a me risponderne.”
“Non è stata colpa tua” ribadì lei. Rifletté un po’ sulla decisione del cavaliere, per un istante ne valutò il peso. Non era una cosa semplice, e Firion se la voleva addossare per intero, come se la sua missione e le continue promesse di tenerli tutti al sicuro non fossero già un grosso macigno sulle sue spalle. Claire non era stata abbastanza forte per combattere da sola, ma solo i forti possono farsi carico del dolore altrui, e lei aveva bisogno di diventare più forte.
“Glielo dirò io” disse tutto d’un fiato, una forte risolutezza le illuminò gli occhi.
Firion la guardò sorpreso, ma non obiettò. Invece, era curioso di sapere perché lo volesse fare.
“Non devi farlo se non vuoi.”
“Sono stata poco più che un peso morto per voi da quando sono arrivata: ora ho bisogno di farmi avanti.”
Firion intese che dietro quelle parole c’era molto più di quanto la ragazza non desse a vedere, ma non volle assolutamente discutere su cosa potesse essere e rispettò l’intento della giovane.
“Va bene. Io sarò con te.”
Claire pose immediatamente avanti la mano e scosse la testa.
“No, devo farlo da sola. Però, dovremo essere solo io e lui.”
“Ho capito. Andiamo.”   
Si avviarono insieme verso il Collezionista, ancora trattenuto in una piacevole conversazione con l’affabile Ostrava. Quando furono vicini e Thomas alzò lo sguardo sereno a Claire, già lei poté sentire le prime fitte al petto, che attenuavano la decisione che aveva provato prima.
“Thomas, vorrei scambiare una parola con te” disse tentando di mantenersi il più indifferente possibile.
“Ostrava, vieni con me: voglio illustrarti la tua nuova casa” s’intromise Firion con fare un po’ indiscreto. Cinse le spalle dell’altro uomo con un braccio e lo allontanò cominciando a puntare il dito verso ogni decorazione e parete, descrivendone i più piccoli dettagli.
“Sarò sempre disponibile per te. Di cosa hai bisogno?” chiese Thomas.
“Ti dispiace se ci portiamo un po’ più in là? E’ una cosa privata…”. Claire indicò lo spiazzo dove si era allenata con Firion. Lì sperava che fossero abbastanza lontani da non essere sentiti.
“Ma certo, andiamo” rispose l’altro, un po’ preoccupato dopo aver avvertito l’aria poco rassicurante attorno alla ragazza.
Si misero a camminare. Claire, davanti a lui, stabiliva l’andatura. Si muoveva lentamente, stava disperatamente pensando a come avrebbe dovuto dare la notizia all’amico. Pensava e pensava, ma non vedeva soluzioni indolori. Lei tra tutti, poi, era forse la meno indicata a gestire situazioni del genere, dati i suoi modi diretti e talvolta insensibili. Fallendo nel concentrarsi su cosa avrebbe dovuto dire, finì invece per assorbire ogni piccola sensazione che la circondava: l’aria pesante e polverosa, la fioca luce delle candele, il fastidioso prurito degli aderenti abiti in stoffa usurata. Poi notò qualcosa a cui non aveva dato attenzione per tutto quel tempo, una piccola presenza che portava addosso. Nella tasca dei pantaloni sporgeva un oggetto: lei infilò la mano, e quando tastò il contenuto, s’immobilizzò. Thomas le finì quasi sopra, non aspettandosi quell’azione così atipica per la ragazza. Ormai erano al centro dello spiazzo; era il momento. Dando le spalle all’uomo dietro di lei, Claire estrasse il fermaglio di giada che aveva portato con sé da quanto trovò il corpo di Wren appeso alla balconata del Castello, chiudendolo nella mano. Si voltò lentamente, e poi cominciò a parlare:
“Stamattina, io e Firion abbiamo attraversato i Cancelli del Castello di Boletaria. Non abbiamo trovato nessuno, se non due persone…”
Claire schiuse la mano, rivelando l’ornamento finemente realizzato a mano. Thomas sgranò gli occhi ed il suo viso sbiancò.
“Q-Quel fermaglio!...”
“Una donna e una ragazza dai capelli d’oro: la ragazza portava questo fra i suoi…”
Thomas estese una mano per prendere il piccolo oggetto, ma il braccio era scosso da fremiti continui e gli furono necessari dei lunghi attimi per riuscire ad afferrarlo. Se lo portò vicino e lo guardò intensamente. L’attimo dopo, copiose lacrime presero a scendergli lungo il viso mentre si strinse le mani al petto e si lasciò cadere sulle ginocchia. Singhiozzò a denti stretti, chiuse gli occhi e continuò nel suo dolore. “Mi dispiace.”
Claire non aggiunse altro e si voltò per non dover sopportare quella vista. Stette vicino a lui ancora alcuni secondi, poi si allontanò silenziosamente, non osando guardarsi indietro. Se lo avesse fatto, non avrebbe potuto fare a meno di idealizzare la scomparsa di sua sorella. Cosa avrebbe fatto se fosse successo? Come avrebbe potuto vivere con sé stessa sapendo di non essere riuscita a proteggerla? Non poteva lasciare che succedesse: lei avrebbe acquisito un potere in grado di salvare Serah…
“Un potere oltre l’immaginario umano.”
Tornò al centro del salone, dove vide Firion aspettarla nell’ala destra, lontano dagli altri. Lui si sentiva a disagio, sapendo cosa probabilmente stava passando il fidato compagno. Si voltò non appena sentì i passi della ragazza, ne notò l’espressione mesta e sentì una morsa stringergli lo stomaco.
“Com’è andata?” chiese con un tono poco fiducioso.
“Come poteva andare? E’ distrutto. Non so quanto tempo potrebbe occorrergli per riprendersi.”
Sentendo le parole di Claire, Firion si massaggiò le palpebre con la mano e abbassò la testa, sospirando pesantemente.
“Non so cosa mi aspettassi. Sarebbe stato strano se avesse reagito in modo diverso. Questi sono tempi crudeli: non possiamo subire troppe perdite, o le nostre volontà andranno in pezzi. Devo concludere la mia missione in fretta. Preparati, ti aspetto all’Arcipietra”. Si era diviso da lei per riprendere la corazza lasciata al centro dei sei monoliti.
“Aspetta” si oppose Claire, facendolo fermare.
“Firion, io…voglio consumare un’Anima Demoniaca.”
Firion coprì lo spazio tra loro in un passo fulmineo che si concluse quando afferrò saldamente le spalle di Claire. Lei trasalì avvertendo la presa, non si aspettava una reazione come quella, tantomeno a quella velocità.
“Cosa hai detto?! Sei forse impazzita?!” esclamò lui scuotendola energicamente.
Claire si dimenava tentando da liberarsi. Cosa gli era preso? Aveva perso il senno?
“Consumare anime ti rende più forte! E’ così che sei sopravvissuto contro il Demone che abbiamo affrontato alle Porte della Cittadella! Anch’io voglio diventare più forte!”
Firion ricordò lo stato pietoso della sua armatura dopo quello scontro titanico. Il Cavaliere della Torre era riuscito a colpirlo più volte, ma lui riprese a combattere come se i suoi colpi avessero avuto un effetto minimo. A quanto pareva, Claire se ne era accorta, ma l’aveva tenuto per sé.
“Lasciami!” strepitò Claire, tentando di spingerlo via. Le mani continuavano a stringere, per un attimo credette che le avrebbe slogato le spalle. Chiuse gli occhi per il dolore.
“Mi fai male!”
Fu allora che Firion tornò finalmente in sé, e mollò immediatamente la presa.
“Santo cielo, no!”. Firion si guardò inorridito le mani, come quando si fissa uno spettacolo orribile. Tornò su Claire per controllare che non fosse ferita in qualche modo.
“Claire, io non-” non riuscì finire che un potente schiaffo gli arrossò la guancia e gli fece ruotare il capo.
“Cosa diavolo ti è preso?!” proruppe Claire con tono inasprito. Firion si riprese senza badare al dolore sul volto e fece un passo indietro.
“Mi dispiace, ma non ti lascerò consumare nessuna anima.”
“Perché? Quel Demone enorme mi avrebbe ucciso se non fossi arrivato tu. Non posso continuare a dipendere da te!”
“Hai almeno un’idea di che cosa significhi consumare un anima?”
“Devo salvare mia sorella e lo farò ad ogni costo: non m’interessa cosa possa accadere!”
“Sei solo una stupida! Non sai di cosa parli!”
Non appena Firion smise di parlare, Claire gli assestò un pugno dritto sull’altra guancia, e lui indietreggiò guardandola sbigottito. Lei era furiosa: la mano con cui scagliò il colpo cominciò a bruciare di dolore, ma non le importava. Anzi, stava già scagliando il secondo. Quella volta, però, Firion rispose all’offesa: evitò la mano chiusa di Claire e le afferrò il braccio, torcendolo dietro la schiena.
“Smettila!” gridò lui rabbiosamente.
La risposta di Claire fu una testata sul muso che lo intontì per dei lunghi istanti. Firion, esasperato, la fece inciampare prona a terra e le si buttò sopra, tenendole il braccio sulla schiena e bloccandole l’altro.
“Sei calma adesso?” chiese ancora alterato.
“Tu smettila”. Firion rimase sorpreso nel sentire la voce di Claire flebile e rotta. “Smettila di farmi sentire così debole…”.Vide alcune limpide gocce macchiare il pavimento sotto di lei, ed allora la lasciò andare. Lei non si mosse, nemmeno quando il peso di Firion non la tratteneva più al suolo. 
“Stavolta ho davvero esagerato. Non merito il tuo perdono.” S’inginocchiò vicino a lei e l’aiutò a mettersi seduta, reggendole il dorso. Con l’altra mano le prese il mento e la spinse a guardarlo negli occhi: i suoi erano rossi, e a quella vista provò un nodo alla gola.
“Non ti concederò di farlo. Non meriti un destino tanto ingiusto…”. Si alzò e fece per andarsene, lasciandola dietro di sé.
“Cosa succede se consumi Anime Demoniache?” chiese in un sussurro Claire. Firion si arrestò bruscamente. Tra loro calò un profondo silenzio, e di colpo sembravano gli unici presenti in tutto il Nexus. Quando Firion parlò, Claire venne investita da una tremenda ondata fredda.
“Ti trasformi in un Demone.”
Lui riprese ad allontanarsi, girò l’angolo di un pilastro e scomparve alla vista. Claire rimase sola e avvilita. Si trascinò alla parete e vi si appoggiò, abbracciò le ginocchia e fece scomparire il capo tra le braccia.
"Lottare per diventare ciò che combatti..."
“Un destino davvero ingiusto…”

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Demon’s Souls:
Le cronache dell’uccisore di Demoni
Capitolo 7
 
La Storia ed i Miti di Boletaria – Capitolo 13. Sezione 2
Nei mei viaggi attraverso le vaste terre del nostro mondo, alla ricerca di reliquie dimenticate e scritti perduti, sono incappato più e più volte in testimonianze antiche estremamente affascinanti su una passata società unita che abbracciava ogni popolazione esistente di quei tempi remoti. Sotto quello che, dalle numerose fonti acquisite- nonostante talvolta fossero molto frammentate ed incomplete -, era considerato all’unanimità un “benevolo governo”, le genti erano congiunte grazie alle Arti dell’Anima, che io tutt’oggi studio, benché siano solo una frazione di quel che erano. Ciò che è, però, estremamente interessante di queste cronache è una leggenda inserita tra quelle pagine di storia, che segue gli sviluppi a cui dovettero far fronte gli abitanti del regno. La leggenda vuole che dopo un arco temporale, di non meglio specificata permanenza, di pace beata, un evento tramandato col nome di “Piaga dei Demoni” sembra abbattere l’incredibile avanzamento sociale di quelle genti. Un essere soprannaturale noto come l’Antico, rinchiuso in un luogo mistico chiamato Nexus, si risveglia da un sonno lungo eoni, “chiamato da un’insaziabile sete di potere”, e con la sua rinascita sopraggiunge anche una fitta Nebbia incolore, da cui emergono i Demoni servitori dell’Antico. Scoppiò una guerra come non se ne videro mai, tra i prodi guerrieri umani e le terribili ed immonde belve al servizio dell’Antico. La forza dei Demoni era soverchiante, ma ciò che li rendeva ancor più temibili era il loro appetito per le anime umane: queste aberrazioni erano, infatti, in grado di spogliare i corpi delle proprie essenze vitali, privandoli della ragione e rendendoli gusci folli e malvagi. Gli uomini riuscirono comunque a respingere le armate maligne e a rimettere a riposo l’Antico, ma “al costo di innumerevoli anime e di metà del mondo, cancellato dalla Nebbia”. Sorvolando sulla parentesi favolistica, trovo questo racconto un espediente narrativo gradevole da inserire in un annale storico, la cui lettura può sempre risultare monotona e tediosa, nonché un ottima lente d’ingrandimento sul panorama politico di quella civiltà. Dalla prospettiva rigorosamente storica, sia le testimonianze che la fabula dovrebbero risalire ad almeno una dozzina di secoli fa, durante il governo del primo re di Boletaria, il fondatore Re Doran, anch’egli ammantato, però, seppur in minor misura, dal mito. La metafora dell’improvvisa voluttà per il potere è, quindi, un chiaro riferimento al sorgere dei primi consigli di ministri del re, ordine percorso dalla corruzione e responsabile di alcuni dei più clamorosi attentati regicidi e colpi di stato di cui si abbia memoria, colpe che portarono rapidamente, col susseguirsi dei regnati, allo smantellamento dell’ordine, per tornare alla monarchia assoluta che oggigiorno è guidata dal nostro sapiente monarca Allant XII. Se il potere ha risvegliato “l’Antico”, cioè la latente sete di domino insita in ogni uomo, i suoi “Demoni” sono i seguaci di quel potere, i corrotti delle cariche politiche sottostanti la corona, aspiranti al trono. Infine, la perdita dell’“anima” di alcuni potrebbe rappresentare la diffusione incontrollata di quella bramosia e smania di possanza, che arrivò a tingere i cuori di molti all’interno della società. Concludendo, questa storia ha decisamente catturato il mio occhio e la mia fantasia, nonostante il suo carattere quasi fanciullesco, senza ombra di dubbio grazie al suo irresistibile fascino immaginifico, che è comunque riuscito a trasmettere importanti dettagli della nostra storia antica.
                                                                                                                                                Tratto da “Racconti di un Visionario”
 
“Hmph…” borbottò Claire chiudendo seccamente il libro che teneva in mano, la schiena e l’arco su di essa appoggiati al muro. L’aria era pungente e nascondeva un retrogusto metallico. La tenue luce del piccolo candelabro fissato alla parete che stava sopra di lei era appena sufficiente da permetterle la lettura, ma il resto della prigione, nonostante mancasse del tetto, era pressoché indistinguibile nel buio nero pece della notte, priva dei pallidi raggi rassicuranti della luna e del fidato bagliore delle stelle. “Non poi così fantasiosa, dopotutto…E questo vuol dire che è già successo in passato, a causa di questo ‘Antico’.”
Sentì il rumore invadente del ferro infrangere l’apparente serenità della tarda serata. Proveniva dal fondo del passaggio e si faceva sempre più forte, un tutt’uno con l’oscurità. Estrasse con la mano libera il lungo pugnale che portava alla cintura e si mise in guardia per quello che sarebbe venuto: una misura precauzionale, non poteva mai essere certa di quello che si nascondeva nell’ombra.
“Sono io, Claire. Sono tornato.” Claire riconobbe la voce ed abbassò la lama, senza comunque riporla. Il viso di Firion emerse al debole chiarore delle poche candele appese alla parete, per poi lasciar scorgere l’argentea armatura che indossava, e solo allora Claire rinfoderò lo stiletto.
“Hai avuto fortuna?” chiese la ragazza con tono distaccato. Firion esitò un momento, avvertendo la distanza che li separava.
“Molta. Due lanterne ad olio. Speranzosamente, ce n’è abbastanza all’interno da illuminarci la strada fino alla Torre di Latria.” Teneva le due lampade in entrambe le palme, e ne porse una alla compagna. Claire ripose il piccolo libro tenuto fra le dita in una tasca del pantalone, poi prese la lucerna per l’anello in metallo per cui la reggeva Firion. Nel farlo, sfiorò il dorso della mano del cavaliere, sussultando lievemente e creando tra i due un breve istante di tensione ed imbarazzo. Claire abbassò gli occhi subito dopo, evitando quelli dell’altro di proposito. Firion non riuscì a reprimere il forte senso di afflizione che gli montò dentro quando provò il trattamento della giovane su di sé.
“Come hai fatto a trovarle?” domandò lei, assumendo un aspetto guardingo.
“Mi sono fatto guidare dalle pareti finché non le ho urtate con la mano”.
“E perché non le hai provate subito?”
“Non volevo sprecare inutilmente l’olio…”
Claire diede un cenno con la testa e chiuse la discussione. Armeggiò un po’ con la piccola gabbia di metallo e vetro e dopo qualche secondo si accese una timida fiammella che proiettava luce fino ad alcuni metri intorno a loro. Se la legò alla cinta e la sistemò in modo che non intralciasse il movimento.
“Andiamo”. Claire superò Firion senza guardarlo e cominciò a camminare senza controllare che la seguisse. Il volto del giovane guerriero si dipinse di uno scuro velo d’amarezza. Era una situazione difficile: da quando l’aveva assalita in quel modo barbarico, Claire non lo aveva degnato di una parola se non dello stretto necessario, e anche quelle poche parole che gli rivolgeva erano cariche di diffidenza. Sebbene avesse fatto tante promesse, alla fine era stato proprio lui il primo a farle del male. Non valevano a niente i ragionamenti che vedevano il suo gesto come un atto di protezione nei suoi confronti: lui l’aveva ferita nonostante avesse giurato di proteggerla. Come si poteva giustificare quel suo atto? Avrebbe mai guadagnato il perdono? Era inutile pensarci su. Lei avrebbe accettato le sue scuse quando sarebbe stata pronta a fidarsi di nuovo, e non poteva pretendere che fosse un processo veloce. A dirla tutta, non poteva più pretendere molte cose da lei, almeno fino a quando non gli si sarebbe aperta di nuovo. Firion si sottrasse momentaneamente a quei pensieri, pesanti come catene. Accese la sua lanterna, se la legò addosso, e si affrettò dietro a Claire, lasciando che fosse lei a guidarli.
Quando lo stretto passaggio della prigione venne toccato dalla luce, Firion e Claire poterono notare come quello su cui erano era solo uno dei tanti piani che si potevano intravedere a fatica sopra e sotto di loro. Ogni piano era un balcone che seguiva la linea rettangolare della struttura; ognuno dava su quello che doveva essere un cortile, giù nel profondo dell’edificio, e l’unica cosa che si frapponeva tra i due girovaghi ed una lunga caduta in quel pozzo nero era una rugginosa ringhiera deformata. I due viaggiatori poterono anche notare le numerosissime e piccole celle che periodicamente si susseguivano lungo la parete del carcere, e quasi avrebbero preferito rimanere al buio. Quasi tutte, ospitavano almeno un cadavere, uomini portati alla morte con metodi brutali: c’era chi era stato appeso al soffitto per mezzo di catene con degli spuntoni metallici che sporgevano dal corpo, chi era stato infilzato sulle sedie chiodate, chi era stato buttato dentro alle vergini di ferro, e c’era addirittura chi era stato incastrato a forza dentro a delle grasse anfore, non sempre abbastanza capienti…
Era uno spettacolo raccapricciante, reso ancora più lugubre e tetro dal silenzio di tomba che vi era intorno. Il sangue e le viscere erano ovunque, in grosse macchie che imbrattavano i muri ed il pavimento ogni pochi centimetri, e l’odore della carne putrida riempiva le narici con un miasma venefico.
“Non sono sicura di aver voluto una lampada per questo…” pensò ripugnata Claire. Stavano già rallentando l’andatura di marcia: Claire era stata indebolita dal puzzo di morte e da quello spettacolo mostruoso e stomachevole. Non fecero che poche decine di metri quando Claire s’accasciò al suolo sulle ginocchia con una mano a coprirle naso e bocca e l’altra premuta sul ventre, come per impedire che gli intestini uscissero fuori. Il suo corpo era scosso dai brividi mentre si frenava disperatamente dal rimettere qualunque miseria ospitasse il suo stomaco. Firion si precipitò su di lei, sostenendola per una spalla e scostandole i capelli ricaduti sul viso.
“Claire! Tutto bene? Che hai?” chiese preoccupato.
“Sto bene! Lasciami!” esclamò lei, anche se la sua espressione non comunicava una tale sicurezza. Si scrollò bruscamente Firion di dosso forzandosi in piedi e fece per continuare avanti, barcollando visibilmente. In quel momento, malgrado il tenue bagliore delle lampade, Firion notò quanto smunta ed esangue Claire fosse in viso. Si chiese come aveva fatto a non accorgersene prima. Da quanto tempo non mangiava? Sapeva che aveva dormito un buon numero di ore prima di partire, ma per quanto tempo aveva speso energie senza reintrodurne? In aggiunta a questo, lo choc della prigione doveva averla scombussolata ancora di più. Si portò vicino a lei, pensando che sarebbe svenuta a momenti. La vide fare pochi passi, poi cadere di nuovo, emettendo un piccolo lamento. La raggiunse di nuovo e quella volta non ebbe paura di parlare.
“Ora basta. Non puoi continuare così. Devi riposare e mangiare qualcosa” disse cingendole le spalle col braccio.
“No! Siamo appena arrivati. Non possiamo già fermarci…”. La sua voce era fragile e stanca, e non rispecchiava minimante il proposito che si era prefissata. Senza preavviso, Firion le tolse l’arco, se l’imbracciò, e la alzò da terra, prendendola in braccio e cullandola tra i suoi forti arti. Lei gli batté subito la mano sul petto per allontanarlo, volendo farsi rimettere al suolo.
“Che fai?! Mettimi giù! Posso reggermi sulle mie gambe!” urlò imbarazzata ed infuriata.
“No, non puoi. Sarebbe logorante per te continuare in questo stato” rispose calmo Firion.
“Pensi che questo cambi qualcosa? Pensi veramente che questo possa farmi dimenticare-”
“Non credo nulla del genere. Puoi pensare di me quello che vuoi: a me interessa solo che tu stia bene, indipendentemente da che tu lo voglia o no.”
Claire si zittì di colpo, sorpresa dalle parole del cavaliere. Sconfitta, abbassò il capo e lo appoggiò fiaccamente sul petto di Firion che, soddisfatto di averla convinta, tornò a muoversi, in cerca di un luogo dove farle consumare il minimo indispensabile per non vederla morire davanti a sé stremata ed esausta. Il passaggio in cui si trovavano svoltava due volte a destra, dove un corridoio di raccordo congiungeva due ali separate del carcere e permetteva l’accesso alle scale. Le rampe dei gradoni erano strette, e sebbene avesse la lanterna ad illuminarle, Firion fu costretto a salirle per il piano superiore con cautela, per evitare di scivolare o di far sbattere Claire contro il muro. La prigione che precedeva la Torre di Latria era un edificio sorprendente: conteneva una quantità smodata di celle e strumenti di tortura, e tutte erano state adoperate in un modo orrendo o nell’altro. Claire si chiese se tanta crudeltà era stata portata dai Demoni o se era già uso comune prima della caduta del regno. Sorprendentemente Firion riuscì, infine, a trovare una cella aperta e libera, relativamente pulita e abbastanza larga da risultare comoda per entrambi. In realtà, una qualunque in cui non ci fosse stato un cadavere sarebbe andata bene, ma non ne aveva trovata nessuna fino a quel momento. Entrò e adagiò lentamente a terra la ragazza che teneva stretta a sé, che gli facilitò il compito lasciando che la maneggiasse opportunamente. Nel farlo, il libro che Claire teneva in tasca scivolò a terra, facendo un lieve tonfo quando entrò in contatto col pavimento. Firion lo prese e diede una veloce occhiata al titolo, poi lo porse a Claire, appoggiata al muro della cella.
“Ti deve essere proprio piaciuto per essertelo portato qui. E’ una fortuna che Logan lo avesse”. Claire prese il libro e lo ripose dove stava.
“Ho sempre letto i lavori di Saggio Freke: se Logan è davvero un suo seguace, probabilmente non se ne sarebbe fatto niente di questo. Forse voleva solo fare un po’ di pulizia…”
Logan l’apprendista, un incantatore seguace dell’illustre storico e filosofo Saggio Freke il Visionario, nonché grande mago e scolaro delle Arti dell’Anima, le pratiche un tempo perdute che canalizzavano il potere delle anime per ottenere effetti sorprendenti e altrimenti ritenuti impossibili per gli uomini. Logan, un uomo scontroso sulla trentina dal fisico un po’ trascurato, abitava il Nexus da prima che vi arrivasse Firion, ma la sua tendenza ad isolarsi lo allontanava da tutti, e solo di rado dialogava con gli altri. Per quanto questo suo comportamento potesse essere spiegato dalla presenza dei chierici, con i quali non avrebbe potuto nemmeno respirare la stessa aria a causa delle opposizioni di idee sulla concezione di Dio, la verità era che gli studi sugli arcani incantesimi non avevano fatto altro che accrescere smisuratamente il suo ego e la sua presunzione, facendogli vedere tutti coloro che non mostravano la stessa elasticità mentale o semplicemente, come spesso accadeva, lo stesso interesse, come appartenenti alla categoria di bruti balbuzienti e non adatti ad uno scambio di idee produttivo. Dopo il litigio di Firion e Claire, Logan sbucò dalla nicchia nel pilastro dell’ala destra del Nexus dove era solito studiare i suoi appunti sulle ricerche di Saggio Freke, incuriosito e disturbato dall’improvviso trambusto che scoppiò vicino al suo eremo di cultura. Fu allora che conobbe Claire e la sua passione per gli scritti del Visionario, quando alla menzione del grande mago gli occhi della giovane guizzarono di vita. Poco dopo Logan scoprì che Claire ed il nuovo Cacciatore di Demoni Firion, quello che più volte aveva chiamato “selvaggio babbeo”, erano intenzionati a partire per le terre della Regina d’Avorio Latria, da tempo traboccanti di demoni famelici. Il destino o il caso volevano che Saggio Freke fosse stato imprigionato proprio lì: quando scese la Nebbia, infatti, il potente mago, seguito dal suo apprendista, si avventurò nelle terre confinanti Boletaria, forte della convinzione che potesse fronteggiare e sconfiggere i demoni con la sua magia. Invece, fu lui ad essere sopraffatto, da un anziano dal potere demoniaco accompagnato da guardie disumane che aveva deposto la Regina e rinchiuso i suoi famigliari. Logan mancava della forza per salvare il maestro, quindi arrivò al Nexus su richiesta di Freke per cercare qualcuno che potesse aiutarlo. Quando arrivò, però, non trovando nient’altro che barbari e briganti, abbandonò velocemente le speranze di poter affidare la sua missione a qualcun altro, cominciando un intenso studio degli appunti e dei lavori del maestro. Forse, col tempo, sarebbe riuscito a diventare abbastanza bravo da poterlo salvare da solo. Ma non fu quello il caso, e colse immediatamente l’occasione quando Claire gli disse della loro prossima destinazione. Le chiese, data la sua disponibilità e presunta apertura mentale, di salvare il saggio stregone. In cambio lui le avrebbe insegnato quel che poteva, così da rendere l’impresa più abbordabile. Claire rifiutò di tenere una lezione di magia: al momento non era emotivamente disposta ad apprendere nuove cose. Invece chiese all’apprendista di separarsi da uno dei libri della sua raccolta, quello che più le sarebbe piaciuto. Logan accettò con riluttanza, ma non sembrava troppo scontento quando Claire chiese di prendere una semplice raccolta di leggende sulla storia di Boletaria commentate dal maestro, una lettura adatta anche ai più giovani. Dopo di ché, Claire lasciò il Nexus in compagnia di Firion, dicendo a Logan che avrebbe fatto il possibile.
“Non avrei mai pensato che fossi un’amante del genere filosofico e metafisico. Mi hanno sempre detto che i saggi di Freke il Visionario sono spesso complessi e molto astratti” disse Firion sedendosi davanti a lei. Con le lucerne addosso, erano due puntini luminosi nel mare di oscurità della prigione.
“Infatti non lo sono” rispose Claire con un’alzata di spalle.
“Dovendomi prendere cura di mia sorella non ho avuto la possibilità di frequentare la scuola del mio villaggio. Per imparare a leggere e scrivere, ogni volta che passavano i venditori ambulanti spendevo qualche soldo per un qualunque libro avessero con loro, ed i testi di Saggio Freke erano ovunque. Col tempo ho cominciato a comprarli anche per il loro contenuto, ma non mi hanno mai catturato più di tanto i discorsi sulle “anime” e sulle “magie”. Le ho sempre viste come delle favole, qualcosa di utile per distrarsi un po’.  Io preferivo sempre i saggi storici, per quanto non fossero particolarmente dettagliati.”
“Hai dovuto prenderti cura di tua sorella da sola?” chiese Firion, interessato dall’affermazione di Claire.
“I miei genitori sono morti a causa di una malattia quando avevo cinque anni. Gli adulti del villaggio mi permisero di tenere la casa a patto che io cominciassi subito a lavorare nei campi.”
Firion sorrise tristemente e sospirò sonoramente alla sua goffaggine ed insensibilità. “Non avrei dovuto chiedertelo. Ti ho fatto parlare anche troppo.” Infilò una mano nel borsello che portava con sé ed estrasse un fagotto di stoffa che conteneva un po’ di carne secca, formaggio ed un tozzo di pane. Estrasse anche una piccola otre piena d’acqua, e passò le vivande a Claire. Lei si chiese dove avesse preso quelle cose e quando, ma poi pensò che probabilmente le aveva trovate durante una delle sue esplorazioni.
“Mangia e bevi tutto: non deve rimanere niente”. Claire aggrottò la fronte e lo guardò accigliata.
“Non ho appetito. Non trattarmi come una bambina”.
“Se non lo sei non farai capricci e capirai che morirai di stenti se non mangi. Mi serve che tu sia in forze se dobbiamo salvare Freke. T’imboccherò io se necessario.”
“Questo no…” pensò lei mentre gli tolse velocemente il cibo dalle mani. Firion la vide portarlo in grembo senza mangiarlo, limitandosi a guardare, persa in chissà quali pensieri.
“Perché lo fai?” chiese gravemente lei di colpo, alzando il capo.
Firion non capì a cosa si riferisse e la guardò dubbioso.
“Perché continui la tua missione sapendo quello che ti costerà?”
Allora gli fu chiaro di cosa parlasse. Lui sviò lo sguardo, cercando qualcos’altro su cui concentrarsi, non sapendo cosa dire.
“Se facessi come mi chiedi adesso, ti aiuterei a distruggerti. Io voglio ritrovare mia sorella perché non voglio più lasciarla: tu non pensi alla tua famiglia? Non pensi al tuo futuro?”
Ci fu una lunga pausa, il silenzio era assordante. Firion si alzò da terra e si portò alle sbarre della cella, stringendo la mano sulle strette aste metalliche, il volto fosco e ombroso come la notte attorno a loro. Poi parlò, la sua voce un sibilo rabbioso e malinconico.
“La mia famiglia è morta, ed io non merito un futuro...”
Claire ascoltò sgomenta, una fitta al petto le impedì di respirare.
“Firion, io non-”
“Sarò qui fuori a fare la guardia. Tu mangia, non lasciare niente”. Claire lo seguì gli occhi mentre usciva dalla cella finché poté, poi tornò sulle sbarre che poco prima lui serrava in mano: le aste erano piegate.
Claire morse i suoi primi bocconi malvolentieri, ma smise di mentirsi, togliendo la sua maschera di fortezza, quando sentì di nuovo per la prima volta in mesi il sapore della carne sulla lingua. Mangiò e bevve con piacere. Non si era resa conto di quanto avesse veramente bisogno di rifocillarsi finché non finì di mangiare tutto ciò che aveva davanti, riempiendo un vuoto dentro di lei di cui prima non sentiva nemmeno l’estensione. Comunque, sapere che lei si godeva un buon pasto protetta da un cavaliere mentre Serah poteva essere sola, affamata e nascosta per la paura di essere uccisa, la riportò rapidamente in piedi, questa volta pronta ad affrontare le insidie dell’incubo perverso che era diventato il regno di Latria. Claire uscì dalla cella una ventina di minuti dopo che Firion l’aveva lasciata. Lo vide alla fine del passaggio, appoggiato sulla ringhiera arrugginita con le braccia conserte e l’aspetto pensieroso. Lo raggiunse velocemente e si fermò davanti a lui, facendo un cenno affermativo con la testa per indicare che era pronta a riprendere la marcia. Firion replicò il gesto e le restituì l’arco che aveva in spalla. S’incamminò verso un grosso cancello socchiuso che portava ad un nuovo corridoio, sopra aveva l’insegna “Prigione delle Speranze 3° Piano”.
“Continueremo a salire. Salveremo Freke solo se lo troveremo lungo la strada, altrimenti lo faremo in un secondo tempo” disse Firion guardando Claire per un istante, poi aprì lentamente i battenti del cancello. Lei diede un cenno affermativo e superarono la porta. L’ombra aveva divorato il percorso, ma le loro lanterne permettevano di distinguere qualche dettaglio anche a diversi metri di distanza. Lungo la parete dell’andito oscuro erano state appoggiate numerose, semplici bare in legno, alternate da qualche sporadico vasetto da cui usciva un inquietante vapore verde. Il silenzio era totale, gli unici rumori provenivano dai loro passi e dall’armatura di Firion. Camminarono a lungo, seguendo la linea retta del passaggio. Non fosse stato per delle finestre lungo la parete ed il susseguirsi dei feretri, sarebbe stato difficile percepire un reale spostamento. Arrivarono in vista di una svolta a sinistra che segnava la fine del corridoio quando, ad un tratto, Firion si fermò, lo sguardo fisso davanti a lui.
“Che c’è?” chiese Claire, fermandosi al suo fianco e guardando nella sua stessa direzione.
“Spegni la lanterna!” rispose lui bisbigliando ed estinguendo la fiamma della sua. Claire obbedì immediatamente e venne tirata dietro una della bare lungo il muro. Entrambi si accovacciarono, sporgendo leggermente la testa, in attesa.
“Cosa hai visto?” chiese di nuovo lei sottovoce, mentre gli occhi si abituavano lentamente all’oscurità.
“Ascolta…”. Claire tese l’orecchio, poi lo sentì. Il tintinnio di un campanello. Dall’altro capo del corridoio si accese un bagliore verde che illuminò la grottesca figura di un umanoide dalla testa di polpo dai lunghi tentacoli e con il campanello in una delle viscide mani, le cui dita erano percorse da ventose, gli occhi erano due lucidi ed enormi punti neri. Addosso aveva una veste vecchia e strappata, avanzava lungo il corridoio rischiarando la zona con lo strumento che teneva con sé, dando perturbanti scorci delle sue forme mostruose.  
“Che diavolo è?” disse Claire disgustata.
“Deve essere uno dei guardiani”, rispose Firion. Il demone-polpo si era fermato esattamente a metà tra loro e ed il capo opposto del passaggio, bloccando la loro avanzata. Sembrava cercare qualcosa, puntando in tutte le direzioni il suo arnese luminescente e facendolo risuonare continuamente.
“Deve averci sentito arrivare”.
“E’ rivoltante” aggiunse Claire mantenendo il suo tono ripugnato.
“Si, lo è, e non sappiamo cosa possa fare. Non credo che ci veda da qui, quindi potresti stordirlo con delle frecce mentre io lo carico per finirlo. Se agiamo in fretta non avrà il tempo di reagire.”
“Va bene”. Claire uscì lentamente dal nascondiglio, seguita dal cavaliere, facendo quanto meno rumore possibile. Imbracciò l’arco e pescò un paio di frecce dal borsello da viaggio, incoccandole e prendendo la mira. Era molto buio, ma il bersaglio era l’unica cosa visibile, quindi il colpo sarebbe stato sicuro. Firion si era portato leggermente più avanti di lei, pronto a scattare verso il bersaglio. Quando Claire lo intravide fare un deciso gesto della mano, lasciò la corda e conficcò i dardi nel petto e nella spalla del demone, che lanciò un urlo di dolore. Firion corse velocemente e sguainò la spada con un potente fendente, che staccò di netto la testa alla creatura, il sangue volò a fiotti violenti; il corpo senza vita dell’essere anomalo cadde mollemente mentre i tentacoli non smettevano di contorcersi e l’armatura di Firion si bagnava di rosso. Lui si voltò per controllare che la sua vittima fosse effettivamente morta.
“E’ stato facile…”. Claire continuò a pensarlo finché non vide il secondo demone comparire alle spalle del Cacciatore.
“Firion!” urlò lei per avvertirlo. Il nuovo avversario alzò minacciosamente il campanello e, in un battito di ciglio, un’esplosione verde investì il giovane guerriero. Firion ebbe solo il tempo di scorgere dietro la sua spalla il nuovo assalitore prima di venire scaraventato al muro con abbastanza forza da farlo crepare, perdendo i sensi dopo la collisione.
“Dannazione!”. Claire aveva perso l’effetto sorpresa, quindi abbandonò la furtività e cominciò a scoccare quante più frecce poté. Il guardiano demoniaco rispose all’attacco sprigionando una rapidissima saetta magica che inghiottì le frecce di Claire e che mirava al suo petto. Lei si buttò di lato appena prima che la lancia di energia la toccasse, riparandosi dietro al suo precedente nascondiglio. Quando provò a sporgersi, vide arrivare un ulteriore proiettile del guardiano, che la costrinse a ripararsi di nuovo. Riuscì solo a vedere la guardia mostruosa arretrare per il passaggio da cui proveniva trascinando il corpo di Firion per la caviglia, mentre il suono di un altro campanello la fece disperare.
“Lascialo!” urlò al demone che ormai era sparito alla vista e che aveva ceduto il posto ad un terzo custode, pronto a colpirla se avesse deciso di uscire allo scoperto.
“Non posso lasciare che porti via Firion!”.
Rotolò via dal rifugio, evitando un’altra delle frecce magiche lanciate dall’aggressore, e si rimise in piedi, scagliando le sue ad un ritmo incalzante e correndo contro il nemico. Inizialmente la sua controffensiva non superò la barriera magica del demone guardiano, ma quelle difese crollarono quando fu abbastanza vicina da conficcare il pugnale tra gli occhi dell’orrendo sorvegliante. L’essere orripilante lanciò un grido che le fece desiderare di avere qualcosa con cui coprirsi le orecchie, intanto che i suoi fluidi si riversavano su di lei. Abbassò le palpebre per evitare che quella poltiglia schifosa le arrivasse negli occhi, e affondò ancora più in profondità la lama, finché non sentì più niente. Estrasse il pugnale solo per penetrare il cadavere una seconda volta, assicurandosi che non fosse più in vita.
“Firion!”. Riaccese la sua lanterna e scattò in piedi, mettendosi all’inseguimento del guardiano che aveva rapito Firion. Abbandonò il corridoio e salì le scale che portavano al piano superiore. Quando i gradini finirono, sulla destra trovò un’arcata che portava ad un’ala secondaria della prigione, mentre davanti a lei una nuova rampa di scale la portava ancora più in alto. Per un momento si chiese che direzione avesse scelto il rapitore, ma il tempo scorreva e lei doveva decidere. Decise di salire le scale, sperando di aver fatto la scelta giusta.
“Firion, resisti”. Raggiunse il terzo piano della prigione: le infinite celle echeggiavano con le urla dolenti dei suoi morti detenuti, mentre lei si apprestava ad esaminarle una ad una.
 
Il Nexus era una tomba silenziosa i cui abitanti avevano dimenticato il giovamento che potevano portare le parole, solitari nonostante l’obbligata convivenza che condividevano. I chierici, come erano soliti, pregavano fiduciosi nel profondo dell’ala sinistra, mentre l’introverso Logan faceva loro controparte nell’ala destra. Per quanto si fosse sforzato di rendere l’ambiente più vivibile, da quando Firion e Claire se ne erano andati, Thomas aveva assunto un’espressione non troppo dissimile da quella del Guerriero Afflitto, entrambi erano curvi con lo sguardo vuoto e di umore nero. Il vecchio fabbro Boldwin non sembrava il tipo da cominciare una conversazione per passare il tempo: anzi, continuando a modellare il ferro fumante della sua forgia sembrava voler avvertire di non disturbarlo. Tutto questo lasciava Ostrava ancor più indeciso su cosa avrebbe dovuto fare: non avrebbe concluso niente rimanendo seduto come facevano gli altri, ma non era del tutto pronto a lasciare la sicurezza del Nexus. Non aveva dimenticato la sua missione, il perché aveva lasciato la sua comoda residenza a Boletaria del Sud, mascherandosi da soldato semplice e prendendo lo pseudonimo che spacciava per suo nome: doveva raggiungere suo padre, Re Allant, aiutarlo a ristabilire l’ordine ed il suo onore, macchiato dell’accusa di aver provocato la caduta del regno. Ma per ben due volte aveva dimostrato di non essere in grado di difendersi dalle orde dei Demoni, e se non fosse stato per Firion, il suo proposito si sarebbe da tempo concluso tragicamente. Rifletteva seduto con la gamba penzolante sulle scale dei monoliti al centro del salone, quando la Fanciulla in Nero comparve dietro di lui con un aspetto incuriosito.
“Qualcosa ti turba, compagno del Cacciatore?” chiese lei, chinandosi leggermente. La sua voce era soffice, ma Ostrava si girò comunque sorpreso e un po’ spaventato. La vista del volto della Fanciulla lo metteva ancora un po’ in soggezione, ma si stava abituando, e la sua presenza aveva cominciato ad avere un effetto rasserenante su di lui, conoscendo la gentilezza che la giovane donna si portava dietro. Si chiedeva come facesse a riconoscere le persone dato il suo impedimento, ma quella domanda si diradò velocemente.
“No, niente che valga la pena del tuo interessamento”. Sorrise da sotto l’elmo, sperando che lei lo percepisse, ma scosse la testa poco dopo.
“Beh, forse qualcosa c’è…”
“I pensieri nebbiosi offuscano la vista, non permettono di vedere la propria strada” disse lei enigmatica. Lui fu sorpreso nel sentirla parlare in quel modo, un uso tipico delle case reali dei tempi antichi, tramandato anche nella sua. Pensò quindi di risponderle appropriatamente.
“Ma come faccio a percorrere la mia strada se mi manca la forza di camminare? Senza di essa, non posso avanzare neanche quando il sole splende sul mio cammino.”
“I potenti s’illudono di poter piegare il mondo, ma la verità è che solo chi ha coraggio acquisirà la vera forza, solo chi ha il coraggio di perdere sé stessi potrà acquisire il vero potere. E’ quello che fa il nostro Cacciatore ogni giorno.”
Ostrava la guardò dubbioso, non comprendeva a pieno cosa intendesse.
“Stai dicendo che non dovrei avere paura di combattere e che, in tal modo, acquisirò la forza per andare avanti?”
Lei non rispose. Invece, accennò un mezzo sorriso, e cominciò a scendere gli scalini, con cautela e facendo battere il lungo bastone che portava ad ogni passo. Ostrava la fissò finché non si allontanò verso la scala opposta, stranito da quella discussione atipica. Tuttavia, era poco meno che ironico che la Fanciulla in Nero gli avesse aperto gli occhi: come poteva aspettarsi di ottenere il suo obiettivo se non era nemmeno disposto a rischiare? Se non lo avesse fatto adesso, avrebbe mai potuto farlo quando sarebbe asceso al trono? Si alzò e stette in modo deciso, determinato nella sua convinzione: sarebbe uscito, avrebbe combattuto e avrebbe vinto.

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Nota dell’autore:
Per quanto non l’abbia fatto prima, questa volta mi sento in dovere di scusarmi per il vergognoso ritardo che ha avuto questo capitolo ad essere pubblicato. Non darò giustificazioni vaghe pretendendo che comprendiate i miei impegni o quant’altro, ammettendo che non sono riuscito a mantenere una pubblicazione serrata. Non scrivo tutto questo in un eccesso di dovere verso voi e la storia, ma perché so quanto possa essere seccante aspettare aggiornamenti di qualcosa di proprio interesse, soprattutto in vista della mole di nuovo contenuto che dovrei scrivere periodicamente. Augurandomi che non abbiate perso interesse nel mio lavoro, non posso che augurarvi una buona lettura, sperando di non aver deluso le vostre aspettative e di avervi, almeno in parte, soddisfatto.


 
 
Demon’s Souls:
Le cronache dell’uccisore di Demoni
Capitolo 8
 
Firion riprese conoscenza, svegliato da un intenso dolore alla testa. La sensazione era sgradevole come essere destati da un secchio d’acqua fredda. Batté gli occhi per capire dove fosse, aspettando pazientemente che la vista sfocata si schiarisse. Quando tornò a vedere, una luce bianchiccia dietro di lui illuminava il malsano pavimento di una delle celle del carcere, sporco di lordura e polvere. A quanto pareva, era stato chiuso dentro. Alzò il busto su di un braccio, massaggiandosi la fronte con la mano dell’altro per lenire almeno in parte il dolore che sentiva. Guardò intorno a lui e oltre le sbarre, ma la coltre oscura che ammantava la prigione era impenetrabile. Per quanto fosse tornato vigile, il colpo che gl’inflisse la sentinella lo lasciò tanto stordito da impedirgli ancora di recepire con lucidità la sua situazione. Si costrinse a tornare a ragionare nonostante ogni pensiero richiedesse lo stesso sforzo che avrebbe chiesto sollevare un macigno, e ricostruì gli avvenimenti che lo portarono alla sua condizione. Ricordò come lui e Claire avessero attraversato la prigione fino al corridoio che li avrebbe portati ad uno dei piani superiori, dove dei custodi demoniaci li avevano intercettati. Lui era riuscito ad ucciderne uno, ma poi venne colto di sorpresa e tramortito, probabilmente dal suo rapitore.
“Claire!” pensò agitato. Claire era rimasta da sola contro quegli esseri mostruosi, mentre lui era stato talmente incauto da lasciarsi prendere. Doveva uscire immediatamente e trovarla il prima possibile. Si alzò frettolosamente e si proiettò verso le sbarre, con l’intento di sfondarle.
“Vedo che ti sei ripreso, aitante giovane” disse una voce rauca dietro di lui. Firion si fermò un attimo prima che toccasse le aste di ferro, sorpreso da quel suono, e si voltò; un vecchio, rannicchiato in un angolino della stretta stanza ed illuminato da una strana sfera di luce che levitava sopra di lui, si fece lentamente avanti. Era vestito con abiti larghi e logori, e aveva un cappuccio a coprigli il volto. Alla fioca luce, Firion notò una barba e dei baffi grigi su delle guance ossute e delle labbra sottili, mentre l’uomo strisciava nella sua direzione sulle due gambe incrociate, facendo forza sui palmi delle mani. Si fermò quando arrivò esattamente sotto la sfera luminosa, permettendo a Firion una chiara visione di chi avesse davanti. Il vecchio alzò il capo mostrando occhi incavati nelle orbite ed uno sguardo stanco.
“Mi dispiace di non essermi accertato delle tue condizioni quando sei stato lasciato qui dal guardiano, ma se avessi usato anche solo parte delle anime che mi sono rimaste avrei pericolosamente assottigliato la mia permanenza in questo mondo, la cui fine è ormai sempre più vicina.”
Firion guardò attentamente la sfera lucente ed il vecchio davanti a sé. Nella sua fretta di abbandonare la sudicia stanza, non si accorse né di una né dell’altro. Il globo bianco, in particolare, attirò la sua attenzione. La luce che irradiava era molto simile a quella che emettevano le anime quando messe a nudo, era una manifestazione incantevole e fascinosa. Produrre qualcosa di simile era impossibile per un uomo, a meno che…
“Quella è frutto di magia, vero? Tu sei un mago, il più famoso di Boletaria forse: Saggio Freke il Visionario, dico bene?” azzardò Firion.
Il vecchio non rispose subito ed annuì solennemente, con aria circospetta.
“Sono conosciuto con quel nome, ma tu come fai a sapere che mi appartiene? Non riconosco il tuo volto, e non ho dato modo ad altri di sapere dove trovarmi se non ai miei più vicini” disse con tono inquisitorio.
Firion s’inginocchiò davanti allo stregone e protese il braccio, sollevando l’inserto in maglia della manopola della sua armatura e mostrando il bracciale nero che legava la sua anima al limbo in cui era obbligato.
“Non dovete temere niente da me, Saggio Freke: io vengo dal Nexus e sono stato mandato qui su richiesta di Logan per portarla al sicuro.”
Alla menzione del nome dell’apprendista, i lineamenti di Freke si fecero sorpresi e flosci insieme.
“Quel caprone ottuso è riuscito a contattare aiuto? Davvero sorprendente da parte sua. Tuttavia, ora che sei stato preso anche tu, temo che non ci sia scampo. Io sono stato troppo indebolito dopo che L’Aureo Anziano mi ha sconfitto e mi ha confinato qui, e non sono più in grado di rappresentare una minaccia per nessun Demone.”
“L’Aureo Anziano?” ripeté Firion, confuso dalle parole del saggio. Freke sospirò stancamente ed inarcò la schiena per non doverla sorreggere intanto che s’apprestava a spiegare al ragazzo.
“Come saprai, il regno della saggia Regina d’Avorio è una terra dove vige la tradizione matriarcale, l’unico motivo per cui, a questo mondo, si siano viste donne al comando di un impero. Latria aveva un marito con cui condivideva il trono e governava con benevolenza i suoi soggetti. Il marito, però, nel tempo mostrò una tale sete di depravazione da essere ripudiato dalla sua stessa moglie, e venne condannato all’esilio. Con la venuta della Nebbia, quell’uomo deve aver trovato il modo di manipolare le anime ed ottenere il potere demoniaco e, in preziosi abiti dorati, è tornato e si è vendicato della Regina, deponendola e togliendole la vita. Io, col duplice fine di approfondire i miei studi e di liberare questa terra dalla Piaga dei Demoni, ho affrontato l’Anziano sicuro delle mie abilità magiche, ma, ahimè, mi ero illuso come un pivello alle prime armi, e sono stato rinchiuso qui.”
Fece una lunga pausa per riprendersi da quel torrente di parole, inspirando a pieni polmoni per soddisfare la sua fragile forma. Firion gli rivolse uno sguardo costernato, dispiaciuto per non essere in grado di aiutare in qualche modo: aveva dato le poche provviste che aveva a Claire, e non aveva rimedi utili a ristabilire la salute di una persona. Capì quanto la cattività doveva essere costata all’incantatore quando gli posò la mano sulla magra spalla per infondergli un po’ di forza, mentre Freke dava qualche colpo di tosse e tornava a raccontare la sua storia.
“Fortunatamente avevo tenuto Logan lontano, intuendo la pericolosità del mio avversario, dicendogli di trovarmi se non fossi tornato nel giro di qualche tempo: per quanto non mi piaccia la sua compagnia, sa rivelarsi utile. Dopo di ché l’ho mandato al Nexus in cerca di forti guerrieri in vena di aiutare un vecchio mago, ma è stato talmente tanto tempo addietro che non sono nemmeno sicuro di quanto effettivamente ne sia passato, ed io, intanto, mi sono ridotto così. Chissà che quel caprone non stesse escogitando la mia morte…”
“Mi sembra improbabile che Logan farebbe una cosa simile” commentò un po’ divertito Firion.
“Non mi spiego, però, perché ci abbiano imprigionati e non semplicemente uccisi." Il volto di Freke si fece più nero del cielo sopra di loro, mentre prese a scuotere la testa in maniera strana ed allarmante.
“La morte è un destino migliore di quello che ci aspetta. La fortuna ti ha voltato le spalle a farti apparire un degno esemplare per l’Anziano: i Demoni, ora, non provengono solo dalla Nebbia…”
Lasciò morire in gola qualunque altra parola potesse seguire e calò lo sguardo, bianco di fantasma. Sicuramente, pensò Firion, l’esperienza che Saggio Freke doveva aver provato non doveva essere stata piacevole, considerato che aveva influenzato tanto negativamente persino un uomo stoico come il Visionario. Stando alle sue parole, l’unico motivo per cui erano stati presi vivi era perché si erano dimostrati interessanti ai fini di questo malvagio usurpatore demoniaco, chiunque egli fosse. Un essere in grado di manipolare le anime a proprio piacimento e responsabile, da solo, della caduta della Regina d’Avorio e della sconfitta del più grande e potente mago di Boletaria: forse era esattamente quello che cercava Firion. Una volta recuperata Claire, avrebbe sfidato l’Anziano per scoprire se la sua anima era veramente talmente nera da poter accrescere i suoi poteri.
“Saggio Freke, la scorterò via da questa prigione, ma lei deve indicarmi la strada per trovare questo demonio: è in grado di farlo?” chiese Firion, ancora chino sul Visionario. Freke non poté credere alle sue orecchie e puntò sul ragazzo uno sguardo attonito.
“Che sciocchezze vai blaterando?! Il terrore ti ha reso delirante?! Tu non puoi pensare di batterlo. Non ci sono riuscito io: come speri di farlo tu, che sei rinchiuso qui con me?!” ammonì scetticamente il saggio. Firion non rispose. Invece, accese la lampada che potava alla cinta, in modo che potesse essere visto anche fuori dalla potata della sfera luminosa, e si voltò verso le sbarre. Si avvicinò e posò le mani sui cardini e sulla serratura della porta della cella. Improvvisamente, cominciò a sollevare dal terreno la grata di ferro, facendola stridere rumorosamente e piegandola in avanti. Il metallo raschiava il pavimento lasciando dei solchi profondi e si deformava sotto la pressione esercitata dal Cacciatore. Con un impeto vigoroso, sfondò l’apertura trascinandola con sé sul corridoio del carcere, buttando poi la porta oltre la ringhiera del balcone, nel fondo oscuro dell’edificio. Dei lunghi secondi dopo, se ne sentì il tonfo lontano. Freke sgranò gli occhi sgomenti e lasciò languida la mascella, incredulo davanti alla forza sovrumana del ragazzo.
“Ma tu possiedi…”
“Credo di avere le mie possibilità” disse deciso Firion. Il cavaliere tornò vicino a Freke e tese la mano. “Forza, la porto al sicuro.”
Il Visionario si riprese dal suo attonimento e ricambiò lo sguardo del giovane con un’espressione risoluta.
“No. Tornerò da solo al Nexus, conosco la strada per l’Arcipietra. Tu invece, sappi che nel profondo di questo passaggio, svoltando due volte a sinistra, una a destra, poi sempre dritto fino alla settima svolta a sinistra, troverai oltre un’arcata le scale per il piano superiore. Lì, superate le prigioni, all’estremo dell’ala destra, un ponte porta alla Chiesa della Regina, un tempio in onore di Latria incavato nella roccia. Raggiunto l’altare in fondo alla navata, gli emissari dell’Anziano avvertiranno l’onda della tua anima, e ti porteranno dove ti sarà possibile arrivare al cospetto del nuovo tiranno.”
Infilò una mano nel profondo della sua veste e tirò fuori delle pietre che rovesciò nel palmo di Firion.
“Queste t’illumineranno il percorso infido: usale per ritrovare la via di casa tra questi muri caotici se dovessi smarrirti.”
Firion guardò le pietruzze un po’ perplesso: emettevano un tenue bagliore, ed ognuna aveva un colore diverso. Gli sembrò un dono un po’ singolare, non sapendo cosa effettivamente erano in grado di fare, ma le accettò senza discutere e le mise nel borsello da viaggio, senza farsi troppe domande.
“Grazie, Saggio Freke. E’ sicuro di potercela fare da solo?”
Freke rivolse un sorriso dilettato al ragazzo, trattenendosi dal ridere.
“Per chi mi hai preso? Non farti ingannare dalle apparenze. Aspetterò il tuo ritorno al Nexus. Vai ora. Non perdere più tempo con me. Riporta l’ordine in questa terra stanca e lacerata” disse Freke con un fragile gesto della mano.
Firion diede un determinato cenno affermativo e si voltò nella direzione che gli aveva indicato l’incantatore.
“Ragazzo!” lo fermò un’ultima volta il Visionario. Firion si voltò aspettando cosa volesse dirgli.
“La ricerca del potere porta alla perdita di sé stessi: non dimenticare mai chi sei.”
Firion fissò lo sguardo negli occhi dell’uomo seduto a terra, uno che diceva che il mago si era preso troppe libertà a parlargli usando quelle parole, e lo mantenne per degli interminabili secondi. Finalmente, si girò e lasciò solo il vecchio, affrettandosi verso la sua destinazione. Freke esalò un respiro di sollievo che esprimeva quanta tensione avesse provato sotto l’occhiata truce del giovane. Per un attimo gli parve di aver scorto la speranza di Boletaria, ma un perfido bagliore gli fece anche vedere uno dei Demoni peggiori.
Firion percorse velocemente a ritroso la strada per cui era stato trascinato dal suo demonico rapitore, facendo attenzione alle indicazioni date dal saggio, e trovò in pochi minuti l’arcata di cui gli aveva parlato Freke. Da lì, due rampe di scale si diramavano, una scendeva e l’altra saliva. Il suo obiettivo si trovava alle sommità delle torri, ma Claire era ancora persa per lui, ed era difficile capire cosa aveva la priorità: trovare Claire o combattere da solo l’Aureo Anziano. Non riuscendo a decidersi in modo definitivo, Firion analizzò la situazione da un punto di vista logico e distante, che gli avrebbe dato una prospettiva più attendibile: non gli piaceva farlo, perché rischiava di dimenticare cosa stesse veramente a cuore a chi dipendeva da lui, ma un’azione avventata sarebbe stata molto più dannosa se dai risvolti inaspettati. Quando era stato rapito, Claire combatteva ancora contro i custodi: il fatto che lei fosse assente nella cella sua e di Saggio Freke gli fece escludere la possibilità che anche lei fosse stata rapita. Che senso avrebbe avuto che i custodi li avessero messi in celle diverse? Questo lasciava presupporre che Claire era libera per la prigione, e con tutta probabilità lo stava cercando. Era quasi impossibile trovarla tra le labirintiche pareti del carcere, rese tutte uguali dall’assenza di luce, sapendo che poteva essere in continuo movimento. Se c’avesse provato, si sarebbe perduto prima d’incontrarla. Avrebbe potuto gridare il suo nome, ma questo avrebbe quasi sicuramente attirato altri mostri a lui e reso più imprudente Claire, che nella fretta di trovarlo avrebbe abbassato la guardia. L’unica opzione sicura per entrambi era paradossalmente che lui avanzasse verso l’Anziano mentre Claire trovava da sola la strada per raggiungerlo: lei era abile e abbastanza forte da poter sopravvivere, prima o poi si sarebbero riuniti. Certo, tutto questo a patto che lei fosse ancora viva. Che non lo fosse era un’eventualità amara, cruda, ma pur sempre possibile. Se fosse accaduto il peggio, il bracciale nero che le aveva dato avrebbe preservato la sua anima, e a quel punto avrebbe sperato che la ragazza avrebbe avuto il buon senso di tornare tra le sicure mura del Nexus.
Comunque fosse, ormai aveva deciso. Una cosa era certa, però: non avrebbe lasciato Claire indietro. Ovunque fosse, lui l’avrebbe trovata. Era il suo compito tenerla al sicuro, e non l’avrebbe delusa. Con quell’ultimo pensiero, uscì sul pianerottolo delle scale e salì di corsa la rampa che portava su per l’edificio. Muoveva rapidissimo le gambe e superava i numerosi gradoni ad una velocità sorprendente, merito dell’infusione delle anime demoniache; in pochi secondi, percorse l’intera salita ed attraversò fulmineo l’arco di sbocco sul nuovo piano. Fu tutta la sua velocità, però, a negargli il tempo di scansare la sagoma che si ritrovò all’improvviso davanti, prima nascosta dallo spigolo del muro. Ebbe appena l’opportunità di frenare lievemente la sua corsa, ma lo scontro fu inevitabile. Batté la fronte, e tutto il dolore che pensava di aver dimenticato prima si riaccese di colpo, forzandolo ad indietreggiare. Sentì il tonfo di chi aveva urtato mentre cadeva sul pavimento e dei lamenti scontenti.
“La mia testa…” sentì gemere Firion. Riconobbe la voce. Si avvicinò alla figura nell’ombra per fare luce con la sua lanterna, e non poté nascondere la sua sorpresa.
“Claire?”
Lei, che ancora a terra si massaggiava il capo per il colpo ricevuto, si rialzò animata di conforto e soddisfazione non appena lo guardò.
“Firion! Ti ho trovato finalmente!”

 I due s’incamminarono verso il capo opposto della via d’ingresso seguendo le vaghe indicazioni che aveva ricevuto Firion, l’una vicina all’altro per godere entrambi della poca luce proveniente dalla lanterna del cavaliere, quella di Claire aveva esaurito l’olio combustibile.
“Quindi, si potrebbe quasi dire che siamo stati fortunati che quel custode ti abbia preso. Chissà quanto tempo avremmo impiegato per trovare Freke se non ti avessero rinchiuso con lui” disse Claire, oltre la sua spalla. Firion aveva colto l’occasione per raccontarle di come avesse incontrato il potente incantatore, ora ridotto a pelle e ossa, e di come l’avesse aiutato a ritrovare la strada.
“Vista la quantità di corridoi che avremmo potuto prendere, potremmo dire così, ma avrei preferito comunque non farmi sorprendere come un novizio e non prendere un esplosione in pieno volto. Soprattutto, non avrei voluto lasciarti sola”. Firion guardò dispiaciuto le macchie di sangue che sporcavano il viso di Claire, segno della sua lotta spietata. Lei alzò leggermente il capo per dargli un piccolo sorriso e rassicurarlo.
“Ho saputo badare a me stessa” disse con tono positivo.
“Quando quel mostro ti ha rapito, mi sono liberata del suo amico e ho provato a seguirlo, ma l’ho perso di vista, e quindi ho cominciato a cercarti qui. Credo di aver fatto il giro del piano almeno un paio di volte cercandoti, ma quando la lanterna ha consumato tutto l’olio, ho semplicemente vagato nel buio nella speranza che prima o poi trovassi qualcosa per fare luce. Quando ti ho intravisto sulle scale, non mi ero nemmeno accorta di essere tonata al punto di partenza. Ammetto di essere stata molto fortunata, ma non me ne lamento.”
“E per fortuna io sono arrivato al momento giusto, ma sarà meglio che non siano più necessarie tutte queste coincidenze, quindi, da ora in poi, non staccarti più da me.”
“Non aspettavi altro, vero?” aggiunse lei con tono ironico e malizioso, così inusuale sentito da lei.
“N-Non intendevo in quel senso!” esclamò Firion fermandosi di colpo e mettendo le mani avanti. Claire soffocò una piccola risata e continuò a camminare.
“Lo so, lo so. Vedi che ti lascio indietro”.
Restarono in silenzio per il resto del tragitto e non incontrarono minacce o altri pericoli. Il carcere era sempre una macchia nera tinta dal dolore dei suoi prigionieri, e la sua aria ammorbava le menti dei due viaggiatori con il suo sentore nocivo, ma ormai sia Firion che Claire si erano purtroppo abituati a quelle sensazioni, e le consideravano solo un fastidio. Dopo del tempo incalcolabile passato tra altre innumerevoli stanze di tortura, avvistarono l’apertura che segnava la fine dell’ala destra del carcere e che li avrebbe portati al ponte che Saggio Freke aveva illustrato a Firion. Il viadotto era sospeso a collegamento tra il corpo principale dell’edificio ed un’area isolata e totalmente a sé, ed era la prima costruzione interna alla prigione che Claire e Firion videro illuminata da delle torce, incavate in delle nicchie dei parapetti. Persino dei pavidi raggi lunari riuscirono a rompere lo schermo delle nubi nere, e la luce permise ai due viandanti di vedere i numerosi cadaveri che giacevano lungo l’estensione del cavalcavia, anime sfortunate in cerca di libertà e salvezza i cui sogni furono spazzati via anzitempo. All’altro capo del ponte, una grande statua bianca avorio, dalle fattezze femminili e scolpita a braccia aperte in segno di accoglienza, invitava a passare con un sorriso rasserenante: in quel mare di morte, il contrasto che creava e l’ombra sinistra che le torce lanciavano sul volto marmoreo suscitavano più inquietudine che sicurezza. Firion e Claire poggiarono un po’ riluttanti i piedi sulla pavimentazione del ponte, attraversando a passo veloce e lanciando occhiate scettiche alla scultura che li ammetteva al santuario della decaduta Regina del regno. Il ponte li condusse ad una larga scalinata, che si intrametteva tra due alte pareti rocciose: su di esse, eleganti contrafforti sostenevano lunghe balconate che originavano dalla Chiesa, ornata all’esterno da splendide vetrate a colori e truculenti gargoyle. Salirono la scalinata e arrivarono davanti al grande portone di legno, i cui battenti erano spalancati e permettevano l’ingresso libero alla cappella. Le tre piccole navate erano accese dai pochi candelabri appesi agli alti pilastri, ma era la soffusa luce di fuori ad illuminare maggiormente l’ambiente, entrando dai finestroni e da una grossa apertura circolare nel tetto in corrispondenza dell’altare in fondo, donando un’aria riservata e pacifica. Claire osservò affascinata le vetrate delle pareti raffiguranti una bellissima donna dai capelli corvini vestita di candidi veli.
“Questa non è una chiesa dei credenti in Dio…” rifletté a voce alta.
“Freke ha detto che è un tempio dedicato a Latria: i suoi soggetti dovevano amarla molto per costruirlo vicino ad un penitenziario” disse Firion dietro di lei, anche lui perso tra quelle preziose rappresentazioni.
“Veneravano la Regina? Come una sorta di dea?” chiese un po’ stranita lei.
“Non lo so, ma immagino che non doveva essere dissimile da come vengono venerati i Santi della Chiesa, come la Sesta Santa Astraea” azzardò Firion. Claire sbuffò sonoramente e le pareti della navata le fecero eco.
“Quante sciocchezze…”
Firion fu attirato dall’ultima affermazione della ragazza e ne rimase fortemente incuriosito e un po’ irritato.
“Non credo che riporre la propria fiducia in qualcuno che si ritiene meritevole sia una sciocchezza.”
“Ma assoggettarsi in questo modo non è diverso dal rinunciare alla propria indipendenza e dignità: non è che una giustificazione che i deboli usano per smettere di impegnarsi e lasciare che altri si prendano cura di loro. Molte persone dovrebbero imparare a prendere le cose che vogliono, se le desiderano veramente, invece di lamentarsi sul non averle e di auspicarsi il meglio”.
Come al solito, Claire non era solita edulcorare l’esposizione dei suoi pensieri, un aspetto graffiante della sua personalità che piaceva a Firion, ma che molto più spesso lo feriva quando trattavano argomenti delicati come quello.
“Dici che essere subordinati a questo punto ad una persona equivale alla perdita della propria indipendenza e dignità, ma tu non sei da meno: sei una suddita, nata a Boletaria sotto il governo di Re Allant…”
“E credi forse che mi piaccia esserlo?” disse lei con tono derisorio.
“Ho avuto la sfortuna che i miei genitori mi concepissero in un villaggio sotto il controllo di Allant, tutto qui.”
Firion stentava a credere quello che sentiva: erano davvero quelli i sentimenti che abitavano in Claire?
“Quindi non solo neghi ogni rispetto a chi riserva i propri servizi e desideri a coloro che possono aiutarli e proteggerli, ma neghi anche ogni credenza che possa animare una persona, che sia in un dio, un individuo o la propria casa?” chiese enfaticamente Firion facendosi avanti di qualche passo. Claire cominciava ad innervosirsi e fece per allontanarsi, dando al cavaliere uno sguardo infastidito.
“Io credo solo nel mio potenziale e nelle mie possibilità, ma tu non eri tenuto a saperlo! Io non sono debole come gli altri, e non ho tempo da perdere affidandomi a qualcuno, Firion!”
Si voltò e si distanziò da lui, avanzò lungo la chiesa verso l’altare alla fine della navata per non dovergli stare troppo vicina. Sapeva che non c’era una svolta da prendere, voleva solo allontanarsi da lui, sospettando che stesse per nascere una discussione come quella che ebbero al Castello di Boletaria.  
“Nemmeno a me, immagino…”. Quelle parole piene di malinconia le bloccarono le gambe e fecero cadere il silenzio tra i due. Una rabbia segnata da confusione ed incertezza la pervase: doveva qualcosa al Cacciatore? Firion voleva suggerire questo? Ma se gli doveva qualcosa, cosa pretendeva da lei? Tenne la schiena voltata: se lo avesse guardato, avrebbe potuto dire cose che non pensava.
“Ne abbiamo già parlato: ti sei proposto di aiutarmi a trovare mia sorella ed io ho accettato. Io non ho nessun obbligo verso di te.”
“Quindi, per te non sono che uno strumento per aprirti la strada fino a tua sorella...” continuò lui con tono amaro. Claire non disse niente per smentire l’ipotesi di Firion, mentre lui aspettava con trepidante fiducia una parola, una qualunque che gli dicesse che non era vero. Ma non si sentì niente; Claire continuava a dargli le spalle, mentre lui cadeva sempre più in profondità in un abisso di sconforto e delusione.
Claire decise infine di girarsi e di parlare, la sua voce era un sussurro come quello di chi doveva aver pregato in quella chiesa.
“Firion, non volevo crederlo, ma ora so che non mi stai aiutando per non avere niente in cambio. Sii sincero: cos’è che vuoi? Perché tieni così tanto a me?”
L’aria tra di loro si tacitò nuovamente, nessuno dei due ebbe la forza di emettere ancora un suono. Claire teneva lo sguardo fisso su di lui. Firion evitava di fare contatto con gli occhi azzurro cielo di lei, sapendo che non sarebbe stato in grado di mentire e che si sarebbe tradito il momento in cui avesse visto il suo viso. Claire lo vide stringere i pugni tanto che s’aspettava di vedere le manopole che indossava cadere a pezzi sotto la pressione: cosa poteva nasconderle di tanto grave da causargli tanti disagi interiori?
“Come può aspettarsi che io mi fidi se non è disposto a rivelarmi perché mi abbia voluto accompagnare?  
 Nella sua mente, Firion combatté innumerevoli battaglie, cercando di vincere le sue paure e di convincersi che doveva fare il necessario per tenere al sicuro Claire e per non compromettere la sua missione, dicendo l’unica cosa possibile. Che fosse quello che Claire si aspettava o meno, purtroppo non faceva differenza. Dopo averle detto la verità, il loro rapporto sarebbe inevitabilmente cambiato, e questo metteva a repentaglio i progetti che Firion aveva fatto sul suo futuro, ma se si fosse rivelato l’inizio di un solido accordo, allora non si sarebbe più dovuto preoccupare di mentirle.
“Claire, io ti-”
Dei versi disumani ed il battito di potenti ali lo interruppe. Dall’apertura circolare nel tetto, discesero tre grossi gargoyle: le bestie di pietra avevano preso vita, e svolazzarono sulle teste dei due viaggiatori con un minaccioso bagliore giallo ad illuminargli gli occhi e le smorfie orripilanti delle loro facce. Avevano lunghi arti grigi, con cui atterrarono pesantemente a terra, uno vicino a Claire e gli altri due vicino Firion.
“Ma cosa-” fu tutto ciò che riuscì a dire Claire prima che una delle statue viventi le ghermisse le braccia e la sollevasse da terra, elevandosi sempre di più dal suolo. Mentre si dimenava per liberarsi, Claire vide Firion che veniva costretto tra le mani artigliate dei demoni volanti: anche lui era stato preso, ormai erano alla mercé di quei mostri. Le tre gargolle passarono di nuovo attraverso il grande foro che apriva la cappella al cielo, e li portarono in alto, fino ad oltre l’ultimo piano del carcere. A quel punto Claire smise di contorcersi per liberarsi, augurandosi invece che accadesse di tutto purché il suo rapitore non decidesse lasciare la presa. Sorvolarono la zona contigua al penitenziario, rischiarata spettralmente sotto la falce della luna, superando alte torri ed edifici imponenti. Ogni torre era collegata ad un’altra per mezzo di ponti, individuabili da grossi focolari che segnavano l’inizio e la fine di ognuno di essi, ed il disegno che se ne ricavava era un’enorme ragnatela che si estendeva fin dove arrivava l’occhio.
“La citta?” pensò Claire.
Volarono per alcuni minuti, veloci sotto le nuvole, attraversando da un capo all’altro la distrutta città della Regina d’Avorio. Claire poté sentire ogni secondo che rimase sospesa il suo cuore battere tanto ferocemente che sembrava potesse uscirle di forza dal petto, e con grandissimo sollievo notò che i gargoyle stavano lentamente perdendo quota. Dimenticata velocemente la consolazione provata poco prima, Claire capì che quegli esseri li avevano presi per portarli da qualche parte all’interno della città: si chiese dove avessero mai potuto pensare di condurli quando, dal buio in cui era inabissata, emerse alla sua vista un’enorme struttura nera, un torrione gigantesco che sormontava terribilmente la terra ai suoi piedi. Di lì a poco, le gargolle volanti scesero in picchiata verso la base del torrione, facendo sbattere violentemente il vento sui volti dei loro ostaggi. Claire fu costretta dall’aria tagliente a chiudere gli occhi, che presero a lacrimare copiosamente, intanto che il freddo le graffiava le guance. Per tutto il tempo che scesero, perse di vista Firion, e l’inquietudine continuò a crescere dentro di lei. Quella tortura ebbe termine quando, finalmente, i demoni volanti rallentarono e si fermarono ad alcuni metri sopra quello che sembrava essere un grande lago attorno la base della grande torre, ma il cui colore rosso cremisi lasciava intuire una natura assai diversa. Sul lago correva un pontile di legno logoro e marcio, consumato dall’odore acido e metallico che emanava lo specchio rossastro. Claire guardò sospettosa sotto di sé, confusa mentre cercava un segno del cavaliere sua guida, quando venne lasciata improvvisamente cadere. Emise un soffocato verso di sorpresa, fece un grosso zampillo, ed il suo rapitore si dileguò silenzioso, ora che il suo compito era finito. Claire tornò in superficie tossendo convulsamente, stando in piedi sul basso fondale. Il liquido rosso le arrivava a poco sotto la gola, e l’aveva insozzata fino al midollo, sporcandola fino ai capelli in modo quasi indelebile. Si portò le mani agli occhi per togliersi le goccioline che le ostruivano la vista e sputò quelle che le invasero la bocca, ma facendolo ne assaggiò una e comprese con orrore cosa fosse quel fluido viscoso: sangue, un lago di sangue.
“NO! NO!”
La reazione fu istintiva e violenta, il panico e la paura presero il sopravvento e la fecero impazzire, facendole dimenticare ogni ragione. Tentò di correre via, lontano, inciampando in qualcosa sul fondale ed inzuppandosi di nuovo, cercando qualsiasi appiglio la potesse fare uscire. Alla sua destra, vide il pontile che aveva notato dall’alto, e ci si fiondò disperatamente. Annaspava nel sangue e tendeva le mani, ma era ancora troppo lontana, e ogni bracciata incideva sul suo fisico e sulla sua psiche. Dopo uno sforzo che le sembrò infinito, arrivò ad afferrare l’impalcatura di legno del pontile: provò a tirarcisi su, ma le sue mani erano troppo scivolose, e continuava a cadere in basso. Provava e riprovava, la mente priva di qualunque pensiero che non fosse lasciare il lago. Qualcosa afferrò il suo braccio mentre tentava un’altra volta di salire e la issò di forza sul pontile. Firion, toltosi il pesante pettorale e dai capelli scarlatti, la portò davanti a sé, lasciando che lei scivolasse sulle ginocchia, poiché le gambe fallirono nel reggerla. Claire necessitò di qualche secondo per rendersi conto di chi l’avesse tirata fuori e, quando mise bene a fuoco la vista, abbracciò stretta Firion, seppellendo il viso nel suo petto. Lui la lasciò fare e ricambiò il gesto: cinse il suo corpo tremante, la strinse per darle calore e sicurezza. Firion non seppe per quanto stettero in quel modo, ma si staccò da lei solo quando gli sembrò che si fosse calmata. Visibilmente provata, Claire rimase muta e avvinghiò le braccia a sé, ancora spaventata. Lui, mesto e desolato, si strappò un lembo della camicia e cominciò a passarlo delicatamente sulla pelle della ragazza, pulendole, per quanto possibile, il viso. Quando finì, posò a terra lo straccio e si alzò, voltandosi verso l’edificio nero al centro del lago.
“Il responsabile di quest’incubo ci aspetta…”. Non guardò indietro e cominciò a camminare lentamente lungo il pontile. Claire lo seguì, a breve distanza, con le braccia continuamente unite e la testa bassa.

 
 


 
 2a nota dell’autore:
L’idea dietro questa storia è sempre stata, comunque, quella di interagire con i lettori, per poter capire cosa ne avrebbero pensato. Vi invito, quindi, a farmi presente di un qualunque parere vogliate informarmi, che sia sulla storia o sullo stile o una vostra osservazione, scrivendomi cosa vi piace e cosa no. In questo modo sarò in grado di offrirvi un lavoro sempre migliore e di soddisfare (speranzosamente) la maggior parte di voi. Detto questo, vi aspetto al prossimo capitolo (che uscirà sicuramente in minor tempo di questo).      

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Demon’s Souls:
Le cronache dell’uccisore di Demoni
Capitolo 9
 
L’enorme torre nera sfiorava ambiziosa il cielo notturno, in mezzo ai fiumi di sangue versati per poterla erigere, rispecchiando la folle determinazione nella ricerca del potere del suo maestro. All’ultimo piano, la sala del trono illuminata dalle poche torce, dalle alte e variopinte vetrate e dai tetri raggi lunari, lui sedeva dove prima stava sua moglie, ormai un ricordo lontano nella mente dell’uomo che non era più. La spaziosa sala circolare era adornata dai dipinti della famiglia reale, le tele dei ritratti strappate, bruciate o semplicemente lanciate via dalla parete, testimoni della rabbiosa vendetta del tiranno. Il regale seggio su cui stava era uno splendido e preziosissimo dono alla Regina, che portava la sua effige su di un grande sole dorato sull'alto schienale, irradiando una luce inestimabile e un’antica promessa di prosperità e pace, ora infranta e disillusa. Lui stava comodo nel suo domino, avvolto nelle lussuose, auree vesti stregate che coprivano lei sue carni, consumate oltre quanto umanamente possibile: dove prima vi era pelle, ormai i muscoli esposti e raggrinziti si appendevano alle fragili ossa; gli occhi erano da tempo marciti, e solo le orbite vuote rimanevano; le labbra e la lingua erano scomparse, i denti erano caduti tutti. Ciò che era sopravvissuto di lui, non era che meno dell’ombra dell’individuo di una volta. Da quando si era impadronito della terra della sua defunta consorte, l’Anziano si era compiaciuto del terrore e dei massacri che aveva perpetuato, rinchiudendo i sudditi traditori, sfruttandoli e trasformandoli in aberrazioni mostruose, svuotandoli da dentro e ammassandone i corpi in creazioni meritevoli solo dell’oblio. Aveva estratto le anime di centinaia e le aveva infuse in statue di pietra dalla natura sofferente, assoggettandole perennemente a lui in un misto di afflizione e obbedienza. Aveva ingannato la morte costruendo un cuore artificiale fatto di quelli dei suoi prigionieri, che lo aveva sostentato il tempo necessario per poter vedere le sue forze progredire. Il suo esercito di nuovi demoni era quasi completo, ma gli mancava ancora un generale meritevole di quel nome. Saggio Freke si sarebbe rivelato un buon servitore, con le giuste modifiche, ma non avrebbe mai potuto ascendere ad una carica tanto elevata da poter stare al suo fianco: la sua anima era bramosa abbastanza, ma la sua tempra era pateticamente debole. Il nuovo ragazzo, invece, era molto più interessante. Aveva un’anima così contorta, avviluppata su sé stessa, con un potenziale così alto che lasciava ben sperare.
“Il mio nuovo Demone si avvicina…”.
Con mani impazienti, evocò un sigillo ai suoi piedi, un passaggio per un mostro orrendo quanto lui. Dal simbolo runico, emerse una figura oscura, uno di quei uomini che avevano abbandonato la propria umanità per ricercare invece l’intossicante potere delle anime demoniache. Il volto era coperto, indossava un’armatura sinistra ed era armato di affilati artigli assassini. Non disse niente, avendo dimenticato cosa fossero le parole e che significato potessero avere.
“…E’ il momento di riceverlo.”
L’Anziano diede un secco gesto della mano, impartendo pretenziosamente la missione al suo seguace. Quando quello si mostrò indifferente al comando e rimase immobile, la sottile schiena dell’Anziano fu percorsa da un brivido che lo congelò all'istante, avendo intuito che aveva perso ogni potere. Improvvisamente, la veste adorata che portava si animò come se avesse avuto una coscienza propria, e volò verso il nuovo, forte e cupido ospite, su cui si avvolse strettamente e gelosamente. Solo in quel momento il vecchio pazzo si era reso conto dell’errore imperdonabile che aveva commesso: per tutto quel tempo, si era lasciato manipolare da quello sfarzoso abito percorso da magia nera, che lo aveva sedotto ed usato per soddisfare l’innata sete di avarizia che portava dentro di sé, e lui era rimasto ammaliato dalla sfrenata libidine che aveva alimentato l’indumento e corroso la sua mente ed il suo corpo. Ora che era avvizzito e debole, la veste aveva trovato qualcun altro a cui concedere il suo potere. Senza le capacità della veste, nessun cuore poteva continuare a battere per il suo fisico consunto, ormai più simile a delle spoglie riesumate. Non gli rimaneva che morire in un ultimo, tirato respiro, tendendo inutilmente la mano scheletrica, mentre la vita lo abbandonava definitivamente. Rimpiangeva ogni momento che aveva passato a compiere il   suo peccato, mentre si trasformava in polvere e si dissolveva senza lasciar niente di sé. 
Il nuovo ospite assistette impassibile alla miserabile morte del precedente possessore dell’abito incantato. Si voltò, sentendo una risonanza, la presenza di un potente Demone e della sua anima dietro di lui. La chiamata dell’avidità era impossibile da ignorare: impadronirsi del potere di quel demone avrebbe accresciuto il suo oltre qualunque limite. Stette, quindi, in attesa, preparandosi ad uccidere il più potente nemico che avesse mai affrontato.

Firion avanzava concentrato sul deteriorato pontile che lo avrebbe condotto alla torre dell’usurpatore del trono della Regina d’Avorio. Il lago sanguigno sottostante, appartenente alle vittime dell’efferato crimine condotto dal despota diabolico, rispecchiava opacamente una falce della luna ed i suoi raggi. Firion puntava dritto davanti a sé, attento alle insidie che si nascondevano tra le ombre, ma si guardava spesso anche oltre la spalla per controllare che Claire lo seguisse ancora. Lei era poco più indietro, teneva un passo più lento ed il capo chino. La povera ragazza aveva vissuto un’esperienza molto impressionante e sconvolgente, che l’aveva lasciata priva di molta della sua solita sicurezza. Benché non lo desse a vedere, Firion non si perdonava per aver permesso che le accadesse quell’evento traumatico, e si disperava tentando di trovare un modo di poterla aiutare. Il contatto sembrava averla tranquillizzata prima, ma non poteva certo tenerla perennemente accanto a lui: aveva capito com’era fatta, lei avrebbe ritenuto quel gesto degradante e patetico, ed un simile pensiero avrebbe quasi sicuramente aggravato la sua situazione. Cercando ancora tra le cose che avrebbero potuto farle dimenticare gli orrori di quel luogo, e che avrebbero potuto riportare anche l’accenno di un sorriso sul suo volto, Firion si accorse, innervosito, che messo a parte il carattere determinato e talvolta scontroso della ragazza, lui non conosceva quasi niente di Claire. Non si era mai fermato a chiederle di parlare di sé, quindi come poteva pensare di consolarla? Eppure, non poteva più sopportare la vista di lei senza la sua tipica aria risoluta e con l’animo spezzato, quindi disse l’unica cosa che gli venne in mente, anche solo per farla distrarre da pensieri più lugubri.
“Tua sorella, Serah, quanti anni ha?”
Claire alzò di scatto lo sguardo, sorpresa dalle parole del cavaliere, che l’avevano tirata fuori dal vivido ricordo della sua recente disavventura. Erano le prime che sentiva da quando era stata tirata fuori dal lago e, francamente, quella di Firion era una cosa un po’ strana ed insolita da chiedere, soprattutto nella situazione in cui si trovavano. Nonostante ciò, sentì il bisogno di rispondere ed avvertiva che se lo avesse fatto si sarebbe sentita un minimo più serena.
“Ne ha diciotto. E’ poco più di una bambina, gentile ed ingenua com’è, ma non potrei desiderarla diversamente.”
“Una sorella minore, quindi…”
Firion fece una pausa e tornò a guardare davanti a sé. Stranamente, in quel momento cominciò a vagare con la memoria, sollecitato dall’argomento, riportando alla mente tempi più lieti e semplici. Prima di rendersene conto, stava già condividendo i suoi ricordi.
“Anche mia sorella era più piccola di me. Una monellaccia come non se vedono spesso. ‘Maria la Birbante’: a casa la chiamavamo così…”
Claire rimase incuriosita e un po’ stupita dalle parole di Firion: per qualche motivo, dopo essere rimasto silenzioso per un bel pezzo, stava per rivelare qualcosa di sé, e lei aveva tutte le intenzioni di ascoltare. Lo guardò intrigata e tese l’orecchio, aspettando che dicesse di più su di lui e della sua famiglia.
“Prendeva in giro gli adulti del vicinato, li punzecchiava, e a volte rubava addirittura qualche soldo dalle loro tasche. Noi non eravamo ricchi: mio padre lavorava d’artigianato e mia madre tesseva, per molte ore al giorno ogni giorno. Ma il guadagno era sempre basso, quindi Maria s’impegnava per racimolare un po’ di denaro, non sempre in modi convenzionali” raccontò con un sorriso. Le immagini venivano da sole, rispondevano alla necessità di riportare alla normalità la sua vita, cambiata così repentinamente e così in peggio. Sentiva il bisogno di rivivere quei momenti, di lasciarsi andare a quegli attimi difficili, ma felici.
“Fortunatamente, mio fratello Leon mi aiutava a badare a lei, ed insieme aiutavamo come potevamo mamma e papà. Noi tre ci ripromettemmo che un giorno avremmo portato i nostri genitori alla capitale, e che lì non avrebbero più avuto bisogno di lavorare.”
Claire rifletté lunghi momenti sulla storia di Firion: neanche lui aveva vissuto un’infanzia priva di avversità, qualcosa che li rendeva simili. Lei aveva sempre pensato di essere stata ingiustamente vittima della crudeltà del mondo, vedendosi privata del calore dei suoi genitori. Ma in quel momento si rese conto che, come lei, molti altri dovevano aver vissuto lo stesso, e dover sopportare la vista della propria famiglia lottare per sopravvivere senza poter fare niente per aiutare, come successe a Firion, non poteva essere diversamente arduo e sfibrante.
“Fu così che mi arruolai nell’esercito. Scelsi di entrare nel Corpo dei Difensori di Boletaria del Sud, guerrieri che avrebbero costituito parte dell’élite a fianco del Re, alla capitale. Impegnandomi duramente, sarei potuto ascendere tra i ranghi e ottenere il permesso di trasferimento, e con me avrei portato anche la mia famiglia…”. L’ultima frase si spense con un sospiro malinconico e nostalgico.
“A loro sarebbe piaciuta tanto la capitale…”
Claire rimase silenziosa, continuando a seguirlo. Non sapeva se fosse il caso di dire qualcosa oppure no. Per quanto Firion si fosse aperto un po’, non le aveva detto molto, e se gli avesse chiesto di più sarebbe sembrata eccessivamente insensibile, ma non voleva nemmeno che lui si fermasse così presto. Aspettò che aggiungesse altro: lui, invece, scosse la testa e si portò una mano al volto.
“Scusa, non so perché ne stia parlando adesso. Volevo farti sentire meglio, ma vedo che io non sono in condizioni migliori per farlo” disse, sogghignando tristemente.
“Grazie di provarci. Sei molto gentile.”
“E’ il minimo che possa fare” rispose lui con un sorriso. Solitamente, quell’aspetto così attento al benessere degli altri e talvolta troppo bonario che lui dimostrava cozzava fortemente con la prospettiva che Claire aveva delle cose e delle persone, e molto spesso la innervosiva. Da quando, però, cominciò a stare così tanto in sua presenza, lei si stava velocemente abituando alle sue attenzioni, e le piaceva che si prendesse cura di lei, anche se non lo avrebbe mai ammesso. Pensò, quindi, che fosse il caso di restituire il favore, almeno in piccola parte.
“Firion, il tuo pettorale: perché non lo hai più addosso?”
“Non faceva che rallentarmi. La sua protezione era diventata superflua.”
“Avresti dovuto tenerlo: non mi piace che tu sia rimasto senza.”
Firion emise un sincero verso di sorpresa, divertito dall’idea: “Oh? Non dirmi che adesso ti preoccupi per me? Non sarebbe da t-”
Non finì la frase che Claire gli afferrò la spalla e lo fece girare prepotentemente, mettendo le mani ai fianchi ed assumendo un’espressione irritata.
“Ascolta adesso: smettila di pensare che niente m’interessi! Non pretendere di sapere come mi sento!”
Lei lo superò a grandi passi e con andatura spedita, lasciandolo visibilmente confuso e preso alla sprovvista dal suo sfogo improvviso. Firion la fissò immobile mentre si allontanava e, di colpo, si fermava di nuovo. Schiuse le labbra una seconda volta, e la voce fu molto più dolce.
“Mi dispiace. Io non sono brava con le parole, e so che ti ferisco molto spesso. Però, non voglio che pensi che tu non sia…importante per me. Io spero solo che tu non perda la voglia di aiutarmi, e di restare al mio fianco…”
Sentì la mano di Firion sulla spalla: il tocco era leggero nonostante la protezione in ferro, e trasmetteva un calore inaspettato. Lei alzò gli occhi e lo vide sorriderle serenamente, un sorriso che le donò calma e sicurezza.
“Non potrei mai.”
“Grazie” disse lei, restituendo il sorriso. Firion si compiacque di aver compiuto il suo intento, ed indicò soddisfatto la strada.
“Andiamo?”
Bastarono quei brevi momenti per far dimenticare ad entrambi molte delle preoccupazioni che li confondevano. Trovando forza l’una nell’altro e riscoprendo una positività lasciata in un tempo che sembrava remoto, andarono decisi avanti, percorrendo per intero le lunghe assi sotto i loro piedi. Avvicinandosi al centro del lago, nuovi e numerosi morti, affissi alle ruote di tortura su degli alti pali piantati sul fondale, adornavano macabramente la struttura della torre. Quando il ponte di legno finalmente terminò, un colossale arco permetteva l’ingresso all’edificio che ospitava il seggio reale, che s’innalzava altissimo fino alle nuvole del cielo. Firion e Claire entrarono e vennero accolti da una larga scala a spirale che percorreva fino alla sommità lo scheletro in pietra del torrione, modestamente illuminato da sporadiche torce fissate al muro. L’interno quasi completamente ombroso permetteva a malapena di notare il pozzo che si apriva davanti all’arco d’ingresso, da cui proveniva uno spiacevole suono viscido. Firion aumentò l’afflusso di olio alla fiamma della sua lanterna per diradare maggiormente le ombre. Claire gli diede un’occhiata perplessa sul suono che si sentiva: lui scosse fermamente la testa, come per dire di non indagare oltre. Le indicò la scala, esortandola a seguirlo sui gradoni. Cominciarono la lunga salita, e dopo aver percorso le prime rampe, il tempo sembrò fermarsi, a causa della vista sempre uguale davanti a loro e della ripetizione quasi ossessiva dei dislivelli. Per quanto la scala fosse larga, la mancanza di una ringhiera li portava a mostrare cautela e sfiorare la parete, per mantenersi lontani dal subdolo margine che dava sul fondo vuoto. Così facendo, Claire cominciò a strisciare la spalla sulla pietra dura, e la sensazione di spazio claustrofobico che ottenne risultò maggiormente accentuata. Si ritrovò a cercare ripetutamente la fine della salita guardando in alto, abbassando poco dopo gli occhi delusi, incapaci di penetrare l’oscurità dei livelli più alti. Il tedio logorava lentamente i suoi nervi, e presto anche le gambe cominciarono a protestare contro l’insensato supplizio a cui le stava sottoponendo. Stava asciugandosi le prime gocce di sudore sulla fronte quando sentì un rombo sopra di lei: l’intensità non era elevata, ma lo aveva percepito chiaramente. A distanza di qualche istante lo sentì di nuovo, e poi ancora, un’altra volta, in continuazione.
“Lo senti?” chiese esitante a Firion, davanti a lei.
“Non c’è pietà per gli uomini?”
“Come dici?”
Firion non aggiunse altro e continuò a salire. Claire lo seguì circospetta ed impugnando l’arco, pronta alla minaccia che sentiva nell’oscurità sulla sua testa. Man mano che salivano, il rombo si faceva più forte, ne cresceva il volume e l’energia, scaricata in misura sempre maggiore sui timpani dei due girovaghi. Assumeva un ritmo sempre più cadenzato, si alternava ad un secondo che si era aggiunto con l’aumentare dell’altezza. Salirono abbastanza perché la sorgente del rumore si spostasse al centro della tromba delle scale, ed insieme ad esso si univa uno strano ed inquietante brusio, come lo sciamare di un nugolo di vespe. Claire fu tentata di coprirsi le orecchie con le mani, ma preferiva averle pronte su arco e frecce.
“Che cos’è?” gridò lei per farsi sentire su quella cacofonia.
 Firion si limitò a staccare la lanterna dalla cinta e la lanciò senza esitazione oltre il bordo delle scale. Claire lo guardò sbalordita, pensando che avesse perso il senno. La lanterna esplose al contatto col corpo che si dimenava violento contro cui venne scagliata, incendiandone la superficie. Allora la luce divampò, e Claire poté vedere la risposta del cavaliere:
“Il cuore del tiranno. Il cuore della città.”
Un enorme muscolo cavo dal tessuto nero, che due voluminose arterie, che si calavano dal soffitto e fuse con le mura, mantenevano sospeso dentro la torre. Ingenti litri di sangue venivano immessi dai canaloni rossicci e pompati all’esterno da vasi monchi, che gettavano il fluido vitale giù nel pozzo al piano terra in una linea sottile ed oziosa.
“Dev’essere così che si è formato il lago” pensò ripugnata Claire.
“Non possiamo permettere che continui a battere” disse Firion.
“Allora sbrighiamoci. Uccidiamo quest’Anziano, liberiamo questa terra e torniamo a casa. Ne ho abbastanza di quest’incubo!”
La loro attenzione si focalizzò nuovamente sull’organo mostruoso quando un fremito improvviso ed incontrollato percorse i suoi tessuti nero pece. Il suo battito accelerò per dei lunghi secondi, poi s’interruppe di colpo, svuotandosi completamente del sangue gorgogliante e perdendo la sua tonicità. Anche il brusio si fermò, ed l’afflosciamento della sua forma fece danzare vivacemente le fiamme che ancora lo consumavano.
“Ma che diavolo sta succedendo?” chiese Claire ad alta voce, esprimendo tutta la sua confusione. Firion fissò davanti a sé perplesso quanto lei, non riuscendo a spiegarsi quel fenomeno.
Senza preavviso, qualcosa dall’interno del cuore eruppe, riducendo a brandelli la carne che lo conteneva; una grossa macchia nera, che si riversò sui gradoni sottostanti i due viaggiatori. Firion estrasse la spada e saettò davanti a Claire, stendendo l’altro braccio a scopo difensivo e per tenerla dietro si lui; lei pescò tre frecce e le incoccò prontamente, trattenendo nervosamente la corda e pronta a lasciarla al minimo indizio di pericolo. Attesero ed osservarono, mentre la cosa oscura avanzava nella penombra. Dal velo semibuio, emersero dei volti, fusi insieme, immortalati in espressioni dolorose e disperate. La testa era attaccata ad un corpo squamoso e molle, allungato e anellare, che terminava con un pungiglione, mentre tre paia di zampe da insetto lo facevano pattinare sulla pietra delle scale. Emetteva versi orrendi ed una bava violacea sfuggiva alle labbra delle facce affrante. Di quegli esseri che si mostravano alla poca luce, ne contarono un numero sempre maggiore: un’orda di cui non vedevano la fine veniva avanti, digrignando i denti e spalancando le bocche fameliche.
“Sono troppi!” esclamò Claire allarmata.
Firion diede un calcio all’aberrazione più vicina, facendola rotolare giù per le scale e trascinare con sé molte delle sue compagne, alcune delle quali caddero giù nel vuoto della torre.  
“Corri!” urlò lui, spingendola su con la mano libera. Lei scoccò le frecce che teneva, centrando due delle creature che si misero al loro inseguimento, e si voltò rapida per scattare via. I demoni scavalcarono incuranti i morti e recuperarono velocemente il terreno perso: i loro movimenti creavano un frastuono insopportabile, pochi centimetri e avrebbero potuto afferrare i calcagni del Cacciatore. Firion fu costretto a girarsi continuamente per respingere gli assalitori, lacerando i loro corpi deformi con la spada. Ogni suo attacco produceva delle perdite a quella massa scura e viscida, ma la marmaglia faceva arretrare sempre più il cavaliere, che stava venendo lentamente sommerso dal loro numero. Claire lo copriva da sopra, ma la corsa forsennata la stava sfiancando velocemente, e presto la sua mira divenne imprecisa, mancando ripetutamente punti vitali come gli occhi e le giunture delle zampe. Quando ormai stavano per arrivare alla sommità, Firion venne atterrato da un demone che gli saltò addosso, pronto ad affondare il pungiglione. Claire gridò e lo infilzò con una cinquina di frecce che lo penetrò a fondo nel cranio, uccidendolo quasi immediatamente. Firion si rialzò impetuosamente e lanciò il corpo morto sugli altri che lo seguivano, stordendoli. Ebbe, così, il tempo necessario di rinfoderare la spada e di caricarsi in spalla Claire, ansimante e sfinita. Veloce come una saetta e per nulla impensierito dal peso in più, raggiunse finalmente l’ultimo piano e l’arcata che li avrebbe portati alla sala del trono. La stessa Nebbia che Claire trovo a Boletaria ostruiva il passaggio: quando la vide, Firion accelerò la sua corsa sapendo che era la loro unica speranza, sentendo gli inseguitori sempre dietro di loro. Con un ultimo balzo, attraversò senza esitazione il grigiastro velo viscoso, rotolando e abbracciando Claire per proteggerla dalla caduta. I demoni erano sopra di loro, non avrebbero avuto scampo. Invece, davanti alla Nebbia, tutti si fermarono. Dimostrando una calma di cui non sembravano capaci, girarono su se stessi e se ne andarono per la strada che avevano percorso, come se avessero dimenticato per quale motivo fossero arrivati lì. Claire e Firion rimasero stesi a terra, respirando affannosamente e profusamente per far rallentare il battito dei loro cuori. Sostarono in quella posizione per vari minuti, sentendo il bisogno di recuperare parte delle energie perse durante quella notte infernale. Dopo aver ritrovato il fiato e aver fatto riposare i muscoli, Claire trovò la forza di alzare il busto per controllare che fine avessero fatto i loro aggressori: aveva capito che Firion aveva fatto qualcosa per mandarli via, dato che si era semplicemente fermato dopo aver raggiunto l’ultimo piano, ma non capiva cosa potesse essere stato.
“Perché non ci seguono più?”
“Quella Nebbia viene eretta dagli Arcidemoni. E’ come un guanto di sfida. I Demoni minori ne stanno bene alla larga. Fortunatamente vale anche per loro.” rispose Firion, che si sforzava per mettersi seduto.
“Arcidemoni?”
“I Demoni più potenti, i migliori servitori dell’Antico.”
“Come quello che stiamo per affrontare, vero? E quando lo avrai ucciso ne assorbirai l’anima, non è così?” disse lei gravemente.
Firion si alzò e tese il braccio per farla alzare, issandola gentilmente in piedi.
“E’ per questo che sono qui.”
Le diede uno sguardo eloquente mentre stringeva ancora la mano a quella di Claire. La lasciò riluttante e si diresse verso la fine del corridoio: poteva già intravedere lo splendore del trono.
“Io sarò con te” sussurrò Claire tristemente, portandosi dietro di lui e serrando l’arco in mano.
Ad un passo dalla stanza regale, Firion si fermò e diede un’occhiata di conferma a Claire, che rispose con un deciso segno del capo: il viso era pieno di determinazione e lei era pronta ad impegnarsi nella lotta imminente. Il cavaliere non avrebbe voluto che lei rischiasse inutilmente contro un nemico così potente, ma sapeva com’era fatta: Claire avrebbe preferito combattere e morire piuttosto che lasciare un alleato da solo. Se non per coraggio o amicizia, sicuramente per non dover affrontare la vergogna che sarebbe scaturita da un atto così infame. Lui sapeva che lei era capace, ansiosa di dimostrare il suo valore e che poteva difendersi da sola. Decise, quindi, che come lui pretendeva che lei si fidasse e si affidasse al suo aiuto, lui avrebbe creduto nella forza della sua compagna e le avrebbe permesso di dare prova della sua utilità. Replicò il gesto di Claire e superarono insieme l’entrata della sala.
Entrati nella grande stanza principale, vennero in un primo momento abbagliati dalla luce d’oro che veniva emessa dal seggio della Regina, la cui architettura li colpì per elaborazione e bellezza, e sui cui si rifletteva il tenue bagliore di alcune torce. La notte era ai suoi stadi finali, e ormai le nubi che avevano coperto il cielo si erano completamente rarefatte, lasciando che le prime luci lilla dell’aurora inondassero il salone circolare attraverso i vetri multicolori dei finestroni. L’atmosfera silenziosa in cui erano piombati i due viandanti era suggestiva e fatata, evocava visioni fantasiose e mistiche, molto diverse dal sogno angoscioso e diabolico, immerso nella paura e nell’afflizione, in cui si era trasformato il regno. In quell’ambiente così atipico rispetto a ciò che lo circondava, l’orrore causato dalla Piaga dei Demoni sembrava solo una storia lontana di un’altra terra. La sala era grande abbastanza da poter contenere decine di persone, ma era impossibile nascondersi: eppure, non vi era ombra del loro avversario. Dopo essersi guardata intorno diverse volte, lanciando occhiate sospette alle finestre, Claire non poté fare a meno di abbassare per un momento l’arco e chiedersi cosa stesse cercando, dando un’occhiata interrogativa a Firion poco lontano.
“Dov’è?”
In un battito di ciglio, l’arcidemone ammantato nell’abito dorato si abbatté su di lei calandosi dal tetto dove si era messo ad aspettare. Il suono degli artigli che venivano sfilati attirò l’attenzione della ragazza, che all’ultimo momento ebbe i riflessi per scansare l’attacco mortale con una capriola. Le mani armate del Demone assassino si piantarono a terra, crepando il pavimento e sollevando una piccola nube di polvere: le estrasse prepotentemente dai fori che aveva creato e si gettò velocissimo, con furia omicida, sul suo bersaglio. Claire stava prendendo la mira con l’arco, e non avrebbe mai avuto la velocità di schivare un secondo colpo. Quando il malevolo si avvicinò abbastanza da poterla infilzare, la mano ferma di Firion lo afferrò per il collo e lo spinse indietro, fermando l’attacco e garantendo un’occasione al Cacciatore, che aprì uno squarcio nell’armatura e nell’abito del demone. Uno stridio acuto si levò dal tessuto stregato, che avvertendo la minaccia, spinse la sua marionetta ad attaccare con maggiore ferocia, facendolo avventare sul Cacciatore con ripetuti colpi, rapidissimi e letali. Firion rispose con la sua tecnica, deviando le corte ed affilatissime lame e riuscendo a connettere altri fendenti, mentre Claire si spostò alle loro spalle e scoccò le sue frecce sulla schiena esposta del demone. La loro offensiva era incessante e lacerava ulteriormente l’ospite delle vesti stregate, dalle quali s’innalzavano urla agghiaccianti. Fu allora che, pervaso dalla rabbia, l’ospite demoniaco afferrò la spada di Firion e gliela sottrasse, scagliandolo via con un potente calcio che lo fece volare per la stanza e che lo lasciò senza fiato. Poi, l’ospite lanciò l’arma che aveva ottenuto verso Claire ad una velocità tale che lei ebbe solo il tempo di vederne la punta mentre le passava accanto, aprendo un grosso taglio sul suo braccio, da cui uscì subito molto sangue. La spada si conficcò nella parete dietro, e Claire gridò per il dolore, cadendo sul ginocchio con l’altra mano sulla ferita: lasciò andare l’arco, non essendo più in grado di usare entrambe le braccia. In cuor suo, sapeva di dover ringraziare solo la pessima mira dell’avversario per essere ancora viva. Si costrinse a stare in piedi e ad ignorare il male bruciante al braccio ed estrasse il lungo pugnale dalla cinta, tenendolo davanti a sé e rifiutando di arrendersi. Il demone stava per caricarla e finirla, ma Firion arrivò in tempo per afferrarlo di nuovo, questa volta bloccandogli gli arti.
“Claire! Scappa! Torna al Nexus!” gridò il cavaliere, che faceva fatica a trattenere il guerriero demoniaco. Claire, invece di fare come gli venne detto, si rese sorda agli ordini di Firion e corse a lama protesa, vedendo un’opportunità per colpire.
“No Claire!” gridò Firion disperato.
Il demone colse il momento di distrazione del Cacciatore, assestandogli una gomitata ed un calcio che lo allontanarono e lo buttarono pesantemente a terra. Prima che Claire potesse affondare il pugnale, il demone liberatosi strinse la mano attorno al suo collo, alzandola da terra, chiudendo lentamente le dita e sottraendole crudelmente il respiro; si preparava a trafiggerla con gli artigli della seconda mano, divertendosi prima a torturarla. Firion la vide battersi per liberarsi, agitando le gambe ed il braccio buono per tentare di allentare la presa, ma era tutto inutile. Vide come lei si aggrappava angosciosamente alla vita, che così inesorabilmente la stava lasciando. In quel momento, tornò a ricordare, ed in Claire vide i suoi fratelli ed i suoi genitori: come stava per succedere alla ragazza, loro gli erano stati portati via davanti ai suoi occhi, e lui non era stato in grado di proteggerli. Ma non sarebbe più accaduto. Lui lo aveva promesso. Tragedie come la sua, non si sarebbero mai più ripetute. Lui non avrebbe dovuto mai più dire addio a chi gli stava a cuore. Lui avrebbe annientato tutti i responsabili del suo dolore e coloro che minacciavano la felicità sua e della sua famiglia!
Sentì il sangue ribollire nelle vene, intanto che un’ira viscerale s’impadroniva della sua ragione. Il potere demoniaco permeò la sua intera essenza: senza freni inibitori, Firion sfogò in una volta tutta la rabbia e l’odio che portava nel suo spirito. Smise di pensare da uomo e si trasformò in un mostro.
Scattò rapido in piedi e prese nel suo palmo la faccia dell’arcidemone, stritolandolo nella sua morsa. La presa che teneva Claire si aprì subito, lasciandola cadere boccheggiante e dolorante. Quando vide in viso Firion, gli occhi erano accesi di violenza, e la sua espressione era contorta da una collera che non era minimamente paragonabile a quella possibile da un normale essere umano. Lei si ritrasse immediatamente, temendo di non trovarsi più davanti alla persona che conosceva. Firion scagliò alla parete la sua vittima con abbastanza forza da far crepare il muro, e poi cominciò a colpirlo senza sosta con una brutalità che Claire non aveva visto appartenere nemmeno ai demoni: lo schiacciava sotto ai piedi, gli percuoteva la testa contro il pavimento, lo accecava con le dita, gli rompeva la mandibola e le ossa…
Il sangue veniva spruzzato ovunque mentre i connotati dell’ospite venivano distrutti oltre ogni possibile riconoscimento, e l’aria si riempiva delle sue grida di pietà miste alle strida della veste; le torce lanciano le loro ombre sinistre, che danzavano al ritmo della morte. Quando ogni resistenza aveva abbandonato il corpo che Firion teneva fra le mani, decise di farla finita: irrigidì le dita, che diventarono dure più del ferro, e le piantò veementemente nel petto del malcapitato assassino. Ruggì e conficcò anche quelle dell’altra mano e, come per farsi strada in un ostacolo, cominciò a separare le due metà. L’assassino gemette miseramente e si scuoteva convulsamente, tentando di spingere via l’abomino che lo stava massacrando impietosamente, intanto che le sue carni venivano divise. La veste d’oro lanciava le ultime grida, ora che veniva fatta a pezzi. L’agonia atroce si esaurì quando Firion fece di una sola persona due sezioni più o meno combacianti, che annegarono la sua figura in una cascata rossa di viscere e fluidi. Claire osservò l’intera scena inorridita e terrorizzata, incapace di muoversi se non per tremare.
La veste ed il suo ospite brutalizzato si convertirono presto nella familiare luce opaca delle anime, che si concentrò pienamente nel petto del Cacciatore, ora immobile e silenzioso. Lui chiuse gli occhi alla sensazione, ed accolse con rassegnazione una nuova ondata di oscurità. Rimase fermo in posizione per un tempo che Claire non riuscì a contare, troppo presa com’era dall’essere impaurita. Non osava parlare, muoversi, e nemmeno pensare. Poteva solo guardare, guardare e impallidire. Di colpo, Firion prese a tossire, si portò le mani al petto, e cominciò a dare corti ed irregolari respiri. Cadde e si contorse in preda ad un male invisibile che gli attanagliava il fisico, stringeva e batteva il pugno per sopportare l’assalto di qualunque cosa lo stesse straziando. Continuò così finché non si calmò, esausto e madido di sudore, prono ed in ginocchia. Claire era ancora recalcitrante ad avvicinarsi e stava per dire il suo nome, quando Firion alzò il capo e scoprì gli occhi: Claire sussultò quando vide che il loro profondo color castano era stato sostituito da un rosso sanguigno acceso. Firion si alzò e mosse alcuni passi verso di lei, lo attorniava un’aura minacciosa. Claire si sentì in pericolo, ed il suo primo pensiero fu quello di scappare, ma nonostante il suo cuore stesse per uscirle dal petto, lei non si mosse, impietrita dov’era. Quando Firion le fu sopra e lei temette di essere colpita, lui invece la portò in piedi con il suo tocco leggero. Notò il taglio sul braccio di Claire e vi sfiorò un dito: Claire avvertì una lieve puntura, ma il dolore che provava svanì completamente, e quando cercò la ferita con lo sguardo vide che era scomparsa. Claire guardò il cavaliere stupefatta, ma lui la evitava, riuscendo a dare solo un’espressione triste.
“Temevo di perderti…”
Senza preavviso, Firion la cinse in un caldo abbraccio, che colse Claire alla sprovvista. Inizialmente non sapeva come reagire, sorpresa com’era. Pensò di staccarlo, di far valere i suoi spazi, di agire come era suo solito e ci si sarebbe aspettati da lei, cioè senza abbandonarsi a sentimentalismi e debolezze simili. Lo pensò per qualche secondo, poi smise di mentirsi in quel modo così palese e falso, e ricambiò l’abbraccio, chiudendo gli occhi alla bella sensazione. L’alba arrivò ad accogliere le loro figure unite, inondando di luce la sala del trono. Il sole diradò tutte le ombre, e portò infine il nuovo giorno sulla città.
     

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Demon’s Souls:
Le cronache dell’uccisore di Demoni
Capitolo 10
 
Firion aprì gli occhi. Non ricordava di essersi addormentato: ormai non soffriva più il sonno come faceva quando era semplicemente umano, ma la vista era comunque sfocata e le palpebre pesanti come dopo un brusco risveglio. Guardandosi intorno, si accorse che non poteva essere tornato al Nexus: era in piedi, dell’acqua gli arrivava alle caviglie, in quello che sembrava il centro di uno spazio vuoto e buio, dove vigeva un silenzio di tomba. Lui era l’unica cosa visibile, dalla sua forma si propagava stranamente la sola luce presente in quella dimensione nera. Con indifferenza, capii dove si trovava, ed attese pazientemente che le visite che avrebbe ricevuto si consumassero velocemente ed in modo indolore. Le voci furono le prime ad arrivare, confondevano i suoi sensi vorticando intoro a lui prive di forma, si prendevano gioco della sua vita e della sua missione. Un ingenuo come lui che pensava di poter salvare gli uomini, e forse il mondo, dall’avanzata naturale del tempo e dal decadimento di tutte le cose: un progetto che solo uno stolto poteva pensare di portare a termine, uno stolto che, come un bambino, protesta capricciosamente e pretende di avere tutto ciò che vuole, anche se non gli spetterebbe. Firion non diede a quelle voci cariche di risentimento nessun tipo di considerazione, e lasciò che si spegnessero dopo poco tempo nel fondo oscuro da cui provenivano, inghiottite dall’odio da cui esse stesse prendevano vita. Il cavaliere non rimase solo a lungo. Presto nuove, numerose presenze si affacciarono al limite dell’area illuminata da Firion: i loro occhi gialli erano accesi di intenzioni infauste, e lui li salutò con un’espressione glaciale.
“Salute, piccolo uomo. Gioisci del potere che ti abbiamo concesso?” disse una profonda voce proveniente dalla penombra. Quando il suo proprietario fece un passo in più verso la luce, Firion riconobbe il Cavaliere della Torre.
“La mia forza ora risiede in un individuo tanto gracile e patetico: quanto disonore nel mio fato!” tuonò disgustato alla vista del Cacciatore, che si limitò a guardarlo con sufficienza.
“Trova conforto nel nostro comune dolore, compagno: anche noi siamo stati vinti da questo insetto”. Questa volta fu il Dio Drago a parlare, la bestia leggendaria tramutatasi in demone che veniva venerata nelle cave più profonde del Tunnel di Stonefang, il sito principale apportatore di materie prime e minerali del Regno del Nord di Boletaria. L’immenso Arcidemone superava in dimensioni persino l’enorme guerriero di ferro che volle consolare, sfoggiando ali e arti maestosi. Ringhiava con le sue grandi fauci doppie, alzando minacciosamente una zampa artigliata sopra la testa del ragazzo al centro, indicando tutte le altre belve che lo avevano circondato e che cominciavano a far sentire i loro latrati ostili.
“Tuttavia, ha affrontato e sconfitto ognuno di noi. Questo indica che è un buon adepto del potere. Però, non si è ancora dimostrato degno di averlo!” aggiunse digrignando ancora di più gli spessi denti aguzzi, come se avesse avuto l’intenzione di divorarlo.
“Tali scempiaggini non mi riguardano. Spiegatevi in fretta, detestabili esseri!” proruppe aspramente Firion, stanco delle loro farneticazioni ridondanti ed odiose.
“Allora arriveremo subito al punto” disse una voce suadente dietro di lui. Quando si voltò, Firion vide una bellissima donna dai lunghi capelli rossi ed il cui viso era dipinto da segni magici e arcani, con la veste dorata che indossava il demone nella Torre di Latria. Intuì subito chi fosse nonostante quella era la prima volta che la vedeva.
“Tu sei…”
“La strega intrappolata nella veste. Ti ringrazio di avermi liberato, anche se per farlo mi hai ridotto a brandelli. Devo dire però che se avessi saputo che sarei finita qui, avrei preferito restarmene tranquilla sul seggio con il vecchio, stupido marito della Regina” disse saccentemente con un ghigno poco attraente.
“Che cosa volete?” chiese Firion, la voce carica di disprezzo.
“Ricordarti la tua missione”. La risposta venne con un tono beffardo ed intimidatorio insieme, sembrava una minaccia più che un proposito di aiuto.
“La conosco bene ed è per questo che siete qui: io ucciderò tutti i Demoni che affliggono Boletaria!”
“Tu devi diventare il più potente che esista!”
“Ti sbagli” disse lui con tono sommesso ed abbassando lo sguardo.
“Io non progetto di vivere per sempre…”
“Ed è per questo che hai preso sotto la tua ala la ragazza, non è così?” chiese insidiosa la strega. Firion fu incapace di nasconderle la verità e sgranò gli occhi colpevoli.
“E’ per questo che hai concepito quello scherzo maligno tra le mura del castello, ho ragione?” continuò lei, avvicinandosi lentamente e sinuosa come un serpente, le zanne intrise di veleno pronte ad affondare nella carne. Firion non riusciva a parlare ed ammetteva a malincuore la sua colpa.
“Io…Io ho fatto quel che è necessario. Lei è essenziale per la missione…” riuscì a dire senza troppa convinzione.
“Sei sicuro? Non lo era prima che arrivasse, nessuno lo era: solo tu…solo tu. Per chi o cosa lei è davvero importante: la missione…o per te?”
Il volto della strega venne percorso da un sorriso malvagio, intanto che dalla folla demoniaca attorno a loro si alzavano risate di scherno e pungenti.
“Non dire assurdità!”
Firion si voltò bruscamente per non dover sorreggere più il suo sguardo indiscreto e truce.
“Non riesci ad ammetterlo nemmeno qui, vero? Il brivido, l’eccitazione che ti dà vederla, non è così?!”
“Hai torto! E’ colpa vostra! Io non ero così. Io non sono così!”. Firion parlava rabbioso nel disperato tentativo di convincersi della veridicità di quel che diceva: più che dimostrarlo a chi gli stava attorno, doveva dimostrarlo a sé stesso, dimostrarsi che era ancora la stessa persona che aveva attraversato la Nebbia per porre fine alla Piaga. La strega gli si avvicinò ancora finché non gli arrivò addosso e si appoggiò a lui: era leggera come l’aria, ma il suo strusciarsi invadente evocava in lui una sensazione di disgusto e sozzura. Portò la bocca vicino al suo orecchio, e gli rivolse sussurri insidiosi e provocanti.
“Suvvia, Firion, sappiamo perché permetti a quella ragazza di rallentarti così tanto: se non fosse per lei, avresti completato il tuo incarico da tempo…Noi sappiamo, come vorresti assaggiare la sua morbida pelle, respirare il suo profumo, mordere le sue labbra rosee…”
“Smettila!” urlò esasperato Firion. Tentò di scrollarsela via con forza, ma lei era consistente come il fumo, ed ogni tentativo di mandarla via era destinato a fallire. Lei rideva maleficamente, divertita dai disordini che causava nell’animo di quell’uomo. Disperato, Firion chiuse gli occhi e si premette le mani contro le orecchie, sperando che bastasse a non sentirla più. Ma lei era ovunque nella sua testa, invadeva ogni pensiero, sibilava malignamente e lo portava lentamente alla follia.
“Fallo. Falla tua. Prendile il corpo e poi…”
D’un tratto, un vento tempestoso si alzò a sollevare tutti i demoni lì presenti e l’acqua che avevano ai piedi, facendoli convergere in un solo punto come se tante mani invisibili li avessero ghermiti e li stessero unendo in un’unica entità. La strega si volatilizzò, mentre quella quantità innumerabile di corpi veniva ammassata per formare una nuova immagine, legnosa e colossale, da cui si protendevano lunghi e scheletrici rami. Firion avvertì la nuova presenza, la bocca insaziabile che bramava l’esistenza di ogni creatura che viveva nel mondo. Alzò incerto lo sguardo, incontrando l’opprimente vista dell’Antico, il Veleno del Creatore.
“…La sua anima! Porta altre anime!”.
Un tifone spazzò via il ragazzo inerme e lo scaraventò dritto nella voragine senza fondo che erano le fauci del Demone primordiale. Firion si oppose con tutte le sue forze, ma alla fine venne risucchiato. Fu allora che finalmente si svegliò di soprassalto, la fronte umida di sudore. Era appoggiato di schiena su uno dei pilastri del salone del Nexus, tra l’ala destra ed il corpo centrale dell’edificio. A breve distanza poteva vedere Thomas sul suo baule e Boldwin alle prese con la riparazione del suo equipaggiamento e di quello di Claire, mentre girando il capo si potevano intravedere Logan con il nuovo arrivato Saggio Freke, e sul fondo dell’ala sinistra i chierici, che mostravano espressioni un po’ a disagio per la presenza del famoso mago. Boldwin, in particolare, borbottava infastidito e vivacemente mentre lavava, con alti e rumorosi schizzi, gli abiti sudici del Cacciatore e della sua compagna in una piccola vasca, che costruì appositamente per non dover maneggiare più pezzi di vestiario così maltenuti. Quando i due viandanti tornarono al Nexus, infatti, il vecchio fabbro si ritrasse imbruttito e pieno di sconforto alla vista delle condizioni pietose dei suoi lavori dopo l’abuso che ne fecero i due giovani. Portato al limite dalla loro pessima condotta, costruì nel giro di pochissimo, in uno slancio di frustrazione e rabbia per il mancato rispetto nei suoi articoli, due vasche: una piccola, che gli avrebbe permesso di pulire dalla lordura gli indumenti e le armature, e una a misura d’uomo, per permettere finalmente a quei due ragazzacci di farsi un bagno e di smettere d’insozzare i vestiti e le protezioni. L’acqua venne fornita da un semplice ma eccezionale incantesimo di Logan, che veniva adoperato ogni qualvolta le provviste trovate da Firion scarseggiavano. Fu così che Claire prese il primo turno per lavarsi. Il lavatoio venne posto al primo piano, lontano da sguardi maleducati e curiosi, e Firion la aspettò pazientemente al pian terreno, dove doveva essersi addormentato.
“Cos’era quel sogno?” si disse, rimuginando su quali significati potesse avere e da cosa fosse stata causata l’esperienza surreale che aveva provato ad occhi chiusi. Le anime demoniache lo stavano trasformando in qualcosa di diverso da un normale essere umano: quello gli era molto chiaro e aveva accettato amaramente quell’aspetto della sua missione. Ma come avevano fatto i demoni a parlargli così direttamente? Come potevano parlare di emozioni e sentimenti se per loro non significavano niente? Erano forse personificazioni delle sue emozioni? E poi: come poteva aver sognato l’Antico? Lui non lo aveva mai neanche immaginato, eppure lo aveva visto, aveva chiaramente percepito la sua presenza. Firion non escluse che si trattasse di un primo contatto con il padrone di tutti i demoni, la prima delle sue chiamate. Fu allora che una piccola parte del suo animo venne pervasa dalla paura. Lui non voleva diventare un mostro: aveva accettato la missione, sapeva cosa poteva comportare, ma non era pronto ad abbandonare la sua natura ed i suoi ricordi umani. Non voleva dimenticare chi fossero i suoi genitori ed i suoi fratelli: nonostante nessuna parentela li avesse legati, sapeva che ciò che aveva spinto il padre e la madre di Leon e Maria ad accettarlo nella loro famiglia non poteva che essere un affetto veritiero, e non poteva permettere che quei legami si perdessero per sempre. Sarebbe stato troppo doloroso. Era forse per questo che si era affezionato a Claire? Lei gli permetteva di non dimenticare? I suoi pensieri evaporarono velocemente quando la ragazza gli si chinò vicino e lo destò dalla sua meditazione.
“Firion?”
Lui alzò sorpreso lo sguardo verso di lei: non per un istante l’aveva sentita avvicinarsi. Addosso aveva un cambio pulito che le aveva dato Boldwin, dalle risorse apparentemente infinite, e tra i capelli portava il fermaglio di giada appartenente alla figlia di Thomas. Il Collezionista sembrava essersi miracolosamente ripreso, dicendo che aveva superato il dolore della sua perdita e che era certo che le sue due amate lo stessero guardando e proteggendo dall’alto. Volle che Claire tenesse il fermaglio, così che il ricordo di sua figlia non si spegnesse mai e che continuasse a vivere nel cuore delle altre persone. Claire accettò ed indossò volentieri il dono, vincendo i complimenti del vedovo e del fabbro.
“Io ho finito. La vasca è pronta per te” disse tentando di non evitare il nuovo sguardo del cavaliere. Era diverso da quello che aveva prima, era più freddo e provocava in lei impaccio ed un po’ di timore, ma questo non la scoraggiò a rivolgersi a lui come aveva sempre fatto. Gli altri del Nexus non sembravano aver fatto caso al suo nuovo aspetto, ma se era successo, lo avevano tenuto per sé, probabilmente per non farglielo pesare. Firion annuì con un sorriso riconoscente e si alzò silenzioso, indirizzandosi verso Boldwin. Quando l’artigiano si accorse di lui, tolse le mani bagnate dalla vasca ed afferrò un fagotto di stoffa; gli alzò un ciglio irritato e gli lanciò l’involto ed un paio di stivali nuovi, incurante di dove sarebbero andati a colpirlo. Lui riuscì a prendere il tutto, ma rivolse comunque un’occhiata interrogativa al vecchio per una tale ostentazione di ostilità.
“Dovresti solo ringraziarmi. Devo ancora finirti la casacca: fatti bastare quelli per ora” disse con il secco dito accusatorio proteso.
“Ovviamente” rispose con un sospiro leggero Firion. Stava per salire il primo gradino delle scale per il piano superiore quando la voce rauca del vecchiardo lo fermò.
“Ovviamente con previo pagamento…”
“Ma certo. Dove avevo la testa?” rispose Firion con sarcasmo. Offrì la mano aperta al fabbro, che la prese in una stretta ferrea e senza grazia.
“Di certo non pensavi a me. Ma questo è il destino di noi anziani, quindi cosa posso fare se non vivere più che posso? Non ho forse ragione?” disse con una certa nota di malinconia.
“Direi di sì” sbuffò divertito il ragazzo. Le loro mani si accesero brevemente di una luce bianca opaca, un tenue bagliore che inghiottì le sagome delle dita per alcuni secondi. Claire guardò incuriosita la strana transazione che le stava avvenendo davanti e si chiese cosa effettivamente stessero facendo. Rimase ancora più confusa quando, poco dopo, i due separano le palme, entrambi apparentemente soddisfatti.
“Usale con parsimonia, e cerca di non esagerare” ammonì stancamente il cavaliere.
“Non sono io quello ricoperto di sangue secco” rispose a tono il vecchio.
“Già…”. Firion diede un altro sbuffo e si voltò verso le scale, sulle quali sedeva tranquilla la Fanciulla in Nero. La giovane donna giocava annoiata col bastone: alzò distratta la testa al passaggio del Cacciatore, ma nessuno dei due disse una parola, ed entrambi si ignorarono dopo quel breve attimo di vicinanza. Firion arrivò in cima e sparì alla vista, lasciando Claire con un’espressione turbata e pensieri ansiosi.
“Che gli è successo?” chiese Boldwin in un tono che Claire non si sarebbe aspettato mai.
“Che intendi?” rispose evasiva, tentando debolmente di mostrarsi ignara della situazione della sua guida e di evitare di affrontare il discorso.
“E’…diverso. E’ così…distante.”
Era impossibile che nessuno lo notasse: Firion era cambiato in qualche modo. Claire non lo voleva credere, ma era piuttosto palese. Pensò qualche momento su quale fosse il modo migliore per rispondere, ma non trovando nulla di meglio, si mise a sottolineare l’evidenza.
“E’ molto provato dalla nostra battaglia alla Torre di Latria. Abbiamo affrontato un potente demone e Firion ha dato tutto sé stesso.”
Boldwin scosse pesantemente la testa e puntò gli occhi in alto, come se fosse in grado di vedere attraverso la pietra.
“No, non è questo. Lui è sempre stato così interessato. Poco fa, però, era lontano e distaccato. Non gli era mai capitato prima.”
“Cos’era quella stretta?” chiese Claire per cambiare argomento.
“La mia paga. Anime di demoni minori: non mi causeranno problemi, se le consumerò con criterio. Me lo ha spiegato lui…”
Seguì un silenzio imbarazzato e scomodo, rotto solo dagli invasivi schizzi che Boldwin faceva nella piccola tinozza; un silenzio che sembrava dire che inoltrarsi maggiormente in quella discussione sarebbe servito solo ad evocare nuove preoccupazioni ed incertezze, tutte le paure che nessuno di loro riusciva a confidare.
“Devi stargli vicino, ragazza” disse improvvisamente Boldwin. Claire lo guardò sorpresa, in attesa che si spiegasse.
“Lui non ne parla mai, non vuole farci impensierire. Ma la Fanciulla ci ha parlato della sua missione, di quello che gli comporta. Io posso far finta di fare la mia parte in tutta questa storia, preparandolo come meglio posso agli orrori di là fuori. Ma la verità è che io sono inutile, e questo fardello è portato da lui solo. Quest’immensa battaglia la combatte da solo. Ha fatto sempre così, finché non sei arrivata tu.”
Lasciò incurantemente a metà il lavoro che aveva alle mani e si cacciò via dalle orbite gli occhiali, che trattenne leggermente tra due dita di una mano mentre si massaggiava le palpebre. Corrugò la fronte e tirò col naso, mettendo sul volto una maschera triste e facendo perdere lo sguardo in un punto indefinito davanti a lui.
“Io non ho più niente oltre queste mura. Non ho niente a cui tornare. Tu e quel ragazzo, ormai siete tutto per me…”
 “Boldwin…” disse lei con un fil di voce, stupita dalla fragilità di cui era capace l’artigiano.
“Ne ho visti tanti, troppi. Ad ognuno ho augurato il meglio, ma poi nessuno è tornato. Non posso sopportare che uno di voi mi abbandoni adesso, non posso. Ti prego: stagli accanto…”
Claire s’inginocchiò così che potesse vederlo negli occhi. Gli diede un sorriso rassicurante e gli posò una mano sulla vecchia spalla.
“Non hai da temere: ci sono io con lui. Gli indicherò la strada del ritorno.”
Boldwin mise la sua mano su quella della ragazza e la strinse amorevolmente, serrando le labbra ed annuendo riconoscente.
“Mi sarebbe piaciuto avere una nipote come te.”
Restarono qualche secondo in silenzio, sicuri nella nuova fiducia che era nata tra loro. Poi Boldwin tornò ad assumere la sua solita aria impassibile e disinteressata, concludendo il lavoro che aveva interrotto. Sbatté la camicia bagnata e la strizzò, asciugandola alla buona, la piegò velocemente e la tese a Claire.
“Guarda cosa mi avete fatto. Qualcuno potrebbe pensare che mi sia ammorbidito. Avanti, portagli questa: è un po’ umida, ma non gli dispiacerà. Potrebbe aver finito, ma non è detto, e se ti sbrighi potresti essere molto fortunata: la vasca è abbastanza grande per tutti e due…”
Claire gli strappò via la maglia con mano veloce, indispettita e rossa in viso per le parole insinuanti del vecchio fabbro.
“Non ti smentisci mai, vero?!”
Si voltò stizzita e salì rapida i gradini, superando in poco la figura vestita di nero che ancora agitava pigramente la sua lunga stecca per distrarsi un po’ dalla monotonia del Nexus. Dietro di lei, Boldwin rise tra sé e sé e si rimise contento a lavoro, più sollevato e con nuova tranquillità.
Prima di rendersene conto, Claire mise piede sull’ultimo gradino della rampa. Girò sovrappensiero l’angolo che nascondeva il lavatoio per ritrovarsi davanti al torso nudo di Firion. Era pieno di cicatrici, appena umettato da qualche goccia d’acqua che indugiava ostinata ad evaporare. Alcuni di quei marchi erano più profondi di altri, e disegnavano la fitta rete di un dolore ormai dimenticato, dure battaglie vinte con la forza del sudore e del sangue. Claire si ritrasse immediatamente, sorpresa ed imbarazzata: abbassò lo sguardo a quelle ferite dal fascino quasi magnetico.
“Non ti avevo preso per una a cui piace spiare la gente” disse con ironia maliziosa il cavaliere.
“Non dire stupidaggini! Boldwin ti manda questa”. Claire consegnò la maglia nelle mani di Firion, che esitò un momento prima di metterla. Vide con la coda dell’occhio Claire che tornava a guardarlo curiosa.
“Le anime demoniache possono guarirti dalle ferite, ma neanche esse sono in grado di risanare le cicatrici più profonde. E non tutte stanno sulla pelle…”
Firion si rivestì e fece per scendere al piano inferiore, ma venne fermato da Claire, che lo trattenne dalla spalla.
“Un momento, Firion. Vorrei parlarti.”
“Niente che tu possa dire davanti agli altri?”
“E’ soprattutto di loro che si tratta. Non mi illudo inutilmente: mia sorella è dispersa, ma non posso sapere cosa tu stia passando, e come me anche gli altri. Però, Firion, allontanarci non è la risposta. So che io per prima non avrei il diritto di parlare, ma noi ci fidiamo davvero di te, e siamo sempre pronti ad aiutarti se ne avessi bisogno, quindi non tenerci lontani.”
Firion comprese le preoccupazioni di Claire e tornò a ragionare come faceva la prima volta che incontrò gli amici del Nexus e Claire. L’esperienza vissuta nella città della Regina d’Avorio doveva averlo visibilmente influenzato: a lui sembrò tutto normale, ma evidentemente vi era una differenza che era stata notata subito. Riguardò al suo comportamento da quando rientrò finalmente a casa e si rese conto che aveva mostrato un malanimo mai visto da parte sua. Si rimproverò severamente per aver lasciato che le sue frustrazioni avessero la meglio sul suo approcciarsi agli altri, e si ripromesse di aggiustare le cose.
“Mi dispiace, Claire. Non so che mi abbia preso ultimamente. Forse sono più spossato di quanto pensassi. Ti ringrazio per l’interessamento. Sei molto cara” concluse ritrovando il sorriso che lo rendeva unico.
“Provo solo a fare la mia parte affinché rimaniamo tutti uniti in questa storia. Come ti ho già detto, non posso permettermi di perderti di vista.”
“Perché devo aiutarti a trovare tua sorella, e sono determinato a farlo. Mi preparerò adeguatamente per partire, e quando sarai pronta torneremo al Castello di Re Allant.”
Claire annuì decisa in accordo. Scesero insieme le scale, Firion aveva messo la migliore espressione che poteva così da poter rassicurare tutti sulle sue condizioni. Passò gli occhi sul salone sottostante, in cerca dei suoi abitanti, e scorse dietro i pilastri dell’ala destra Freke e Logan.
“Dovremmo fare visita a Saggio Freke. Tu potresti finalmente conoscerlo.”
“Potrebbe essere interessante…” ammise Claire.
“…Ma non dilunghiamoci troppo: non sai quanto può essere logorroico…”
Arrivarono in fondo e svoltarono per raggiungere la sezione opposta della sala. Passando vicino a Boldwin, Claire fece al fabbro l’occhiolino con un cenno riferito al cavaliere. Boldwin sospirò sollevato ed annuì soddisfatto; li seguì con lo sguardo finché non scomparvero dietro ad uno dei pilastri, e poi tornò al suo lavoro. Claire e Firion ai avvicinarono ai due incantatori del Nexus, occupati in una silenziosa discussione che il volto stanco e nauseato di Saggio Freke riassumeva in poche parole come seccante e fastidiosa. Il vecchio saggio era seduto a terra con numerosi fogli e rotoli di pergamena disseminati e impilati attorno a lui, quasi a fargli da giaciglio, riempiti di appunti sui suoi studi e sulle sue scoperte. Logan era inginocchiato lì vicino e sembrava fare domande con un’insistenza soffocante, tanto che Freke si era da tempo stancato di rispondere. Fu solo alla vista di Firion che i suoi occhi si illuminarono di nuovo di vita, facendo voltare anche l’apprendista, curioso dell’azione del maestro. Diede un’occhiata scocciata quando si accorse che Freke lo stava ignorando in attesa di ascoltare il barbarico Cacciatore di Demoni.
“Salute, Saggio Freke. Vedo che si è ambientato bene qui nel Nexus” disse Firion, fermandosi davanti a loro con Claire accanto.
“Grande è il piacere che provo nel rivederti, giovane Cacciatore. Non è la prima volta che vengo qui, e la solennità e conoscenza che racchiude questo luogo mi accoglie sempre come una madre a braccia aperte.”
“Mi permetta di presentarle Claire, una fidata compagna di viaggio e grande estimatrice dei suoi lavori. Lei mi sostiene nella mia lotta contro le orde demoniache, ed è merito suo se siamo stati informati della vostra presenza nel penitenziario.”
Firion indicò la ragazza al suo fianco e la invitò a fare un passo avanti. Claire abbassò brevemente il capo a mo’ d’inchino e salutò il filosofo il più formalmente che poté.
“Una così bella fanciulla mia ammiratrice? Sono lusingato” commentò scherzosamente Freke.
“Apprezzo molto i suoi scritti. Mi hanno insegnato molto di ciò che so e non nascondo che mi piacerebbe approfondire le mie conoscenze sulla pagina come fa lei.”
“Un’anima votata allo studio, eh? Non c’è niente di più rincuorante per un insegnante come me che vedere un tale amore per la sapienza abitare in un giovane studente. Un tale impegno va premiato e favorito.”
Freke prese un abbondante mazzo di fogli bianchi rilegati insieme da un laccio sottile da una delle pile dietro di lui, insieme ad una penna, un raschietto ed una boccetta d’inchiostro nascosti dalla sua larga veste. Porse tutto alla ragazza, che parve confusa dalle sue intenzioni.
“Scrivi quanto vuoi. Dai la tua conoscenza a questo mondo. Un giorno, il tuo scritto occuperà un importante ruolo negli scaffali della nostra storia, e tu vivrai per sempre, il tuo nome indimenticabile.”
“Non so cosa dire. La ringrazio molto, Saggio Freke” disse lei, accettando i doni del mago. Logan guardava con invidia furente mentre la ragazza prendeva riconoscente i regali del maestro. In tutto il tempo che lui aveva studiato sotto l’insegna di Freke, lui lo aveva sempre lasciato in disparte ed ignorato, senza riconoscere mai i suoi sforzi o premiarlo per il suo impegno. Una ragazza totalmente estranea alla magia e semplice consumatrice di alcuni libri meritava, invece, lode e appoggio? Il piccolo incantatore esaurì la pazienza e la sopportazione, ed esplose in un’esclamazione rumorosa.
“Ora basta! Non vedete che sprecate il prezioso tempo di Saggio Freke? Andate ad insozzarvi le mani e rotolarvi nel fango come ci si aspetta da voi combattenti. Voi Cacciatori dite di salvare il mondo dai Demoni, ma fate poco altro che sollazzarvi qui nel Nexus!” eruppe lui, alzandosi in piedi e agitando enfaticamente le mani. Sia Firion che Saggio Freke rimasero in silenzio, vergognati, delusi ed insoddisfatti dalla pessima ed immatura esibizione di Logan. Claire, invece, fu veloce ed incontrollabile.
“Come ti permetti?! Tu non hai idea di cosa ci sia là fuori! Non hai dovuto lottare per salvarti la vita! Sei tu quello che non si è mosso da qui nemmeno per aiutare il tuo così tanto osannato maestro!”
Freke guardava severamente verso il suo apprendista, che però era concentrato sui due viaggiatori davanti. Logan alzò una mano minacciosa e guardò in cagnesco la ragazza, preparandosi a colpirla.
“Tu, piccola-”
“Cosa, Logan?” sibilò torvo Firion, intromettendosi e serrando in una morsa di ferro il braccio dell’incantatore con la mano. I suoi occhi rossi si accesero di rabbia ed incenerirono qualunque pensiero ostile che Logan nutriva in quel momento verso Claire, spaventato dallo sguardo diabolico del cavaliere.
“Patetici. Non siete che patetici selvaggi in bisogno di civiltà. Chiunque sia trascinato nella vostra spirale di ignoranza non può che perire, come quello stolto in armatura…” sentenziò sinistro Logan, agitandosi per farsi liberare dalla presa che lo costringeva. Firion lo mollò non appena comprese di chi stesse parlando.
“Ostrava? Che vuoi dire? Non è qui al Nexus?”
“Ha usato una delle gemme, quella per la capitale. Doveva essere ancora notte quando se n’è andato…” rispose con risentimento l’altro.
“E’ uscito da solo?! E tu non hai fatto niente per fermarlo?!” chiese furibondo Firion allo scorbutico fattucchiere.
“Qui perdiamo solo tempo, Firion. Non è ancora tornato: questo può solo voler dire che gli è successo qualcosa, e se ha bisogno d’aiuto dovremo andare subito” disse Claire, ignorando l’indifferenza ignobile che così fieramente ostentava Logan. Firion concordò e si costrinse ad allontanarsi velocemente, dimenticando momentaneamente il comportamento vile dell’apprendista. I due tornarono veloci verso Thomas e Boldwin, e reclamarono gli unici pezzi del loro equipaggiamento di cui non potevano fare a meno: Claire prese l’arco ed il coltello, insieme al pettorale in pelle, mentre Firion prese la spada e le manopole. Stavano per raggiungere l’Arcipietra che li avrebbe portati alle porte della capitale quando, al centro del salone, s’irradiò lo scintillio di mille piccole luci, che quando si spensero lasciarono a terra il corpo malridotto del povero Ostrava. Firion e Claire accorsero immediatamente, con Thomas che seguiva poco più indietro. Dall’ala sinistra, emersero anche i chierici, attirati dal bagliore di pochi attimi prima e dalla vista sconfortante del guerriero amico del Cacciatore. Firion alzò con cura il busto del compatriota, la cui armatura presentava numerose ammaccature e squarci, che lasciavano esposte diverse ferite sanguinanti.
“Ostrava! Ostrava, rispondi!”. Firion lo scuoteva nella speranza che non si fosse addormentato, così da non perdere la volontà di restare vivo.
“Fi…Firion”. La sua voce era un rantolo quasi indistinguibile, l’ultimo sforzo prima di perdere i sensi.
“Il boia…ha preso la ragazza…capelli come fior di pesco…non l’ho protetta…salvala…”
Claire sentì una fitta al cuore: Serah era viva, ma in pericolo. Senza pensarci una seconda volta, scattò verso l’Arcipietra della capitale. Firion gridò forte il suo nome per fermarla, poi chiamò i chierici perché aiutassero rapidi l’amico in fin di vita così che lui potesse seguire la ragazza. Nel giro di pochi istanti, entrambi erano spariti, lasciando il caos che in pochi secondi distrusse la quiete di quel limbo statico che era il Nexus.
Le prime luci del sole del mattino illuminavano incerte la capitale del regno, trafiggendo faticosamente le dense e gonfie nuvole che perennemente transitavano sopra la città. Il silenzio di tomba che ammantava l’aria del ponte per accedere al castello venne rotto dal correre frenetico di Claire, che si muoveva veloce in cerca della sorella, nonostante non sapesse dove cercare. Sentiva che era vicina, sentiva che se avesse perso quell’occasione, non l’avrebbe mai più rivista. Si spinse quindi avanti, presa dalla fretta di rivedere Serah e di portarla finalmente in salvo. Firion la seguiva e gridava per farla fermare, ma l’altra non sembrava recepire quelle richieste. Stanco di essere ignorato, accelerò ad una velocità fulminea, coprì in pochi attimi il vantaggio che Claire aveva su di lui, e le si parò davanti, costringendola a fermarsi.
“Togliti!”. Claire lo spinse da parte con una mano per continuare la sua corsa, ma Firion le afferrò il braccio, forzandola a farla voltare.
“Claire, so chi è! So chi ha rapito Serah!”
“Cosa?” chiese lei, abbandonando l’intenzione di correre via.
“I corpi di Rue e Wren: capimmo che non poteva essere stato un demone, poiché erano state appese capovolte, invece di essere state semplicemente uccise. Vi era una donna, qui alla corte, la cui infamia si è diffusa soprattutto grazie a simili metodi di esecuzione: Miralda il Boia, la Giustiziera del Re. Il suo nome è un onta che Allant si è addossato durante il suo governo, quando vennero puniti gli ultimi esponenti dei consiglieri reali che avevano tramato contro di lui. Credo sia stata lei a prendere Serah, e credo si sapere dove possa essere.”
“Non ha importanza chi sia! Dimmi solo dove trovarla!”
“Seguimi.”
Firion corse verso il lato destro del ponte, dove dei gradoni nascosti alla vista scendevano in un passaggio oscuro che attraversava trasversalmente il viadotto soprastante, illuminato solo dalla luce esterna. Claire si fece guidare attraverso il tunnel da Firion, ed entrambi emersero in un grosso spiazzo coperto di bassa vegetazione ed erba, una porzione del monte rimasta intoccata dal castello che ne costeggiava la struttura e visibile dal ponte. Il ciglio sinistro del terreno dava sul fiume che scorreva placidamente alla base della parete rocciosa, e su di esso era stato costruito un palco in legno su cui numerose croci si stagliavano tetramente sulle travi: un sito di esecuzione per i peggiori criminali…o i personaggi più scomodi. Il palco precedeva l’unica costruzione in pietra riconducibile al castello, una torre i cui bastioni poggiavano su una balconata priva di balaustra da cui, probabilmente, il giudice annunciava la pena del condannato. L’unico accesso alla torre era un’apertura al centro della facciata frontale. Firion si fermò a diversi metri di distanza, facendo segno a Claire di fermarsi e di aspettare. Claire diede retta alle istruzioni impartitole, ma decise che se avesse avuto l’impressione che la guida di Firion si fosse rivelata inefficace, lei avrebbe agito di testa sua e avrebbe fatto il possibile per salvare da sola Serah.
“Miralda! Miralda il Boia! Esci fuori. So che ci sei” disse ad alta voce il cavaliere. Passarono dei secondi silenziosi, nulla si fece vedere o sentire. Claire si guardò intorno, in cerca della colpevole, ma nessuno rispose alla chiamata, e la sua rabbia cominciò ad indirizzarsi contro la sua guida, che sprecava inutilmente del tempo prezioso. Quando sembrò che nessuno sarebbe venuto, e Claire stava per esplodere contro Firion, una malefica risata uscì dal balcone, ed una figura cupa emerse dal buio dell’interno della torre. Miralda il Boia indossava un logoro abito stretto in pelle, la tenuta ufficiale degli esecutori suoi colleghi come in uso alla capitale, e portava nella mano che aveva esposto alla luce una spietata ascia a ghigliottina, capace di recidere di netto la testa di un uomo in un solo fendente. Non portava la maschera tipica dei giustizieri, e questo permise a Claire di osservare i tratti maturi e seducenti della donna, dagli occhi ambra ed un neo di bellezza sotto le labbra rosse. Il tratto che la colpì di più, però, erano i fluenti capelli argentei, così simili a quelli di Firion.  
“Salve, giovane Cacciatore. Sei tornato a prendere il tuo trofeo?”
Dall’ombra della torre, Miralda strattonò col braccio nascosto Serah, i polsi legati dietro la schiena e gli occhi rossi per le lacrime che aveva versato. La tratteneva per il nodo che le aveva fatto, e la spinse sul margine del balcone, minacciando di buttarla giù. Lei guardò spaventata in basso, e quando vide Claire non riuscì a contenersi e pianse incontrollata.
“Claire!”
“Serah!”. Claire prese ed incoccò due frecce mirate agli occhi del Boia, e fissò uno sguardo assassino sulla donna.
“Lasciala andare o ti uccido, maledetta!”
Miralda sembrò pesare la minaccia della ragazza e le diede un’occhiata interessata, incuriosita dalla sua presenza. Poi capì il nesso tra l’arciera e la piccola contadina che aveva in pugno, e rise compiaciuta.
“Ma non mi dire: sorelle scommetto. Solo un cieco potrebbe non capirlo. Anch’io avevo una sorella una volta, ma lei si dimenticò in fretta di me. Comunque, ora capisco il tuo gioco, Cacciatore, ma sappi che non hai più niente da offrirmi: ormai anch’io mi sono fatta portatrice delle anime demoniache, non più bisogno di te per portarmi al fianco del nostro grande sovrano! La ragazza morirà adesso!”
Miralda si fece scudo con Serah per evitare che Claire scoccasse le sue frecce, mentre portava lentamente la sua lama alla gola della giovane. Claire si arrese ed abbassò l’arco supplicando che non le facesse del male, ma il Boia la ignorava, ebbra della sete di sangue. Impotente, Claire guardò disperata, e la sua espressione si rifletté negli occhi tristi di Serah. Quante difficoltà doveva aver superato Claire per trovarla? Quanto dura doveva essere stata la sua lotta mentre lei aspettava inerme il suo ritorno? Non poteva lasciare che gli sforzi di sua sorella, che per tutta una vita l’aveva protetta e difesa, venissero vanificati da una sola donna squilibrata. Pregò che il suo tentativo non portasse ad un patetico fallimento: pestò ferocemente il piede di Miralda dietro di lei col duro tacco dello stivaletto, e sbatté il capo sul suo setto nasale, rompendolo. Miralda indietreggiò e mollò la presa, mentre Serah, dolorante, si accasciò in ginocchia.
“Piccola sgualdrinella!” esclamò furiosa la donna, mentre si avvicinava per ucciderla. Serah si ritrasse istintivamente, non pensando alla caduta che l’attendeva appena oltre il margine del balcone. Precipitò veloce verso terra, ma Firion si fece trovare pronto e la prese al volo, salvandola da morte certa. Miralda si affacciò per controllare le condizioni della ragazza, e Claire colse il momento di distrazione per colpire, affondando due frecce nella gamba e nella spalla dell’esecutrice. Il Boia perse l’equilibrio e cadde gridando, rovinando dolorosamente a terra, le anime demoniache l’unica cosa che le permisero di sopravvivere. Firion poggiò Serah a terra e tagliò con la spada le corde che la legavano; poi si voltò verso Miralda, e si avvicinò silenzioso, l’arma ancora in mano. Nel frattempo, Claire si gettò su Serah, e le due sorelle si abbracciarono amabilmente, entrambe piangevano di gioia nel rivedersi e si stringevano forte, temendo che potessero dividersi ancora.
“Credevo che non ti avrei più rivista” disse Serah tra le lacrime.
“Sono qui, ora. Sono qui. Non ti lascerò più, mai più” rispose Claire mentre la baciava, le accarezzava il volto e le scostava i capelli dal viso per guardarla meglio.
“Stupida ragazzina!”. Serah e Claire si girarono verso Miralda, che inspiegabilmente riuscì a mettersi di nuovo in piedi, nonostante la caduta che sarebbe stata fatale per chiunque altro. Barcollava miseramente, la sua voce era un corto respiro che rantolava insistentemente e fissava Claire con occhi stravolti.
“Come fai a fidarti di lui?! Non capisci che è solo un bugiardo?! Tua sorella-”
La lama di Firion le trafisse il cuore, e ad ogni parola che avrebbe voluto dire mancò il fiato. Il cavaliere estrasse la spada, e lei sussultò. Firion la accompagnò dolcemente mentre si spegneva tra le sue braccia, adagiandola sul terreno e chiudendole gli occhi con una mano.
“Dormi adesso.”
Claire e Serah guardarono ammutolite intanto che Firion prendeva in sua custodia un’altra anima, tra le tante che già portava dentro di sé. Quando finì, si voltò e offrì un sorriso incerto, uno che tentava di dire loro che il peggio era passato. Rinfoderò la spada e le raggiunse: s’inginocchiò al loro livello e guardò soprattutto Serah.
“Non temere: ti portiamo al sicuro.”
“Non ancora. Un’amica attende aiuto, nella torre oltre le Porte della Cittadella” disse Serah, ancora stretta a Claire.
“Andrò io. Claire, tu porta tua sorella al Nexus: rimanete unite e basterà il tuo Marchio.”
Detto ciò, Firion le lasciò e si diresse verso le mura del castello.
“Un’amica? Chi?” chiese Claire, incuriosita.
“Una strega. Il suo nome è Yuria.”

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


Demon’s Souls:
Le cronache dell’uccisore di Demoni
Capitolo 11
 
Le vie dei quartieri della Cittadella Reale erano silenziose. Tra le alte e ricche abitazioni s’insinuava solo un tetro vento lamentoso, il cui verso sembrava animato dalle voci afflitte dei vanitosi ed un tempo prosperi nobili, che ora giacevano ai lati delle strade esanimi. Tutta la futilità delle loro vite, la cui vuotezza non poté essere mai colmata né dagli ori né dai preziosi averi che si affannarono a collezionare in ogni modo possibile, si consumava nell’insopportabile rivelazione che non era servita a proteggerli, e per essa furono lasciati da soli quando avevano più bisogno. Tutto ciò che rimaneva di quelle persone era solo un infelice testamento della loro esistenza scontenta, e solo una sincera malinconia, nata dal profondo dell’animo, rimaneva ad accogliere il loro ricordo. Firion avanzava e guardava mestamente, gli occhi velati dal dolore. Aveva oltrepassato le grandi porte d’accesso che prima erano sbarrate dalla barriera eretta dai demoni: superò il carro, ormai distrutto, che portò Serah alla città, mentre si avvicinava alla torre dove la piccola contadina era stata imprigionata insieme alla strega Yuria dal boia Miralda. Arrivò in una piazza circolare, dove una via a sinistra portava più vicino al palazzo reale, mentre una a destra si perdeva tra altre strette viuzze che, una volta, smistavano i residenti tra le numerose case e negozi del rione signorile. D’un tratto, il lugubre vento che graffiava la sua pelle gli portò un suono inaspettato: quasi impercettibile, sentì un grido perdersi nell’aria. Guidato da quella debole traccia, s’immerse nella fitta rete di strade della Cittadella, finché non sentì che ad ogni passo il grido cresceva d’intensità. Quando fu sufficientemente vicino, riconobbe la natura di quella supplica esausta: il pianto di un bambino. Firion non esitò e si mosse velocemente verso la sorgente del pianto: fu così che, dopo numerose svolte e cambi di direzione, raggiunse la torre di prigionia. Era stata isolata dal resto degli edifici per mezzo di un ponte, ed una piccola cancellata in ferro poneva un’ulteriore separazione tra essa e la zona principale. La porta del cancello era stata violata, ed ora pendeva da uno dei cardini emettendo prolungati cigolii. Firion attraversò il ponte ed entrò cautamente nella costruzione, solo poche finestre ad illuminarla: due cadaveri irriconoscibili giacevano agli angoli oscuri dell’entrata, mentre il pianto, dalla cima della torre, si rifletteva sulle pareti di pietra e scendeva rapido i gradoni lungo il muro. Salì silenzioso la scala, finché, sull’ultima rampa, cominciò a distinguere un bisbiglio sommesso, una richiesta implorante.
“Non devi fare così, piccolino. Fai silenzio, ti prego…”
Firion poggiò i piedi sull’ultimo piano della torre, dove vide Yuria, la cosiddetta strega, a terra col bambino piangente in braccio, una sola finestra dietro di lei a permettere il passaggio della luce. Dalla penombra, notò i suoi abiti rattoppati ed il cappello a punta nero, che sembrava un’estensione dei suoi capelli corvini, lunghi fin sotto il mento. Un neo sotto l’orbita sinistra incorniciava occhi verde acqua e occhiaie scure, su uno sguardo tirato e stanco. Tra le braccia cullava goffamente il fagottino bianco in cui era avvolto il piccolo singhiozzante, che dondolava nel fiacco tentativo di calmarlo. Una corta catena a muro la costringeva al pavimento, con uno stretto anello in ferro a trattenerle la caviglia sottile. Quando alzò di poco lo sguardo dal piccolo in braccio, si accorse di Firion sulla cima delle scale, ansimando di sorpresa, e la paura percorse la sua espressione e le attanagliò il cuore.
“Chi siete?!” riuscì a dire tremando e stringendosi il bambino al petto.
Firion non disse niente e fece un passo in più alla fioca luce, mostrando il suo volto. Yuria sbiancò quando vide gli occhi rossi del guerriero e si ritrasse disperata, premendosi contro il muro alle sue spalle come per attraversarlo e andarsene.
“No! No! Stai lontano! Non ho niente da offrirti, la mia è un’anima troppo debole! Non farci del male!”        
La strega si unì al pianto del bambino e lasciò che copiose lacrime le rigassero il viso, mentre il demone si avvicinava minaccioso. Quando le fu vicino, chiuse gli occhi turgidi in attesa che la morte la colpisse. Invece, sentì l’anello della catena che la vincolava rompersi; tornò a vedere, ed un sorriso rassicurante incontrò il suo sguardo angosciato.
“Tu devi essere Yuria. Non temere: Serah mi ha indicato dove trovarti, ora ti porto al sicuro.”
“Serah è viva?!” chiese lei con sincera apprensione. Firion si limitò ad annuire ancora sorridente. Yuria tornò a piangere e lanciò un braccio attorno al collo di Firion, scomparendo nel suo petto.
“Ho avuto tanta paura! Una dopo l’altra le ha portate fuori! Nessuna è più tornata!” riuscì a dire tra un singhiozzo e l’altro. Piangeva a dirotto, e Firion l’abbracciava e le batteva la schiena per darle sicurezza e per calmarla, rivolgendole parole rincuoranti e confortanti.
“Tu ed il bambino avete finito di soffrire.”
Yuria alzò lo sguardo riconoscente e vivo di nuova speranza, e si staccò il fagotto che aveva tenuto vicino a sé. Sia lei che Firion guardarono il piccolo ora calmatosi, che restituiva loro un dolce sorriso ed una tenera risata.

Il Nexus era sempre stato ammantato da un’aura ostile ed arcana. La natura di quel luogo, antico più di quanto qualunque essere umano avesse mai avuto possibilità di provare, era irraggiungibile ed inafferrabile, preclusa alla comprensione di chiunque avesse tentato di conoscerla. Pochi erano stati coloro che nel corso dei secoli lo abitarono, e ancor di meno furono quelli che vi restarono, data la solitudine che spesso lo caratterizzava e che portava alla follia anche i più sapienti. Mai nell’intera esistenza del Nexus si era visto un gruppo di persone tanto numeroso: incredibilmente, quelle stesse persone erano riuscite a sopravvivere e non impazzire grazie alle continue relazioni che costruivano tra loro, aiutandosi a vicenda e vincendo le loro debolezze con il supporto reciproco. Con quell’aria così altruista, il Nexus era diventato un luogo quasi vivibile. A Serah venne data la possibilità di mangiare, lavarsi e riposare, e tutti i presenti si offrirono di aiutarla come meglio poterono, tranne lo sfortunato Ostrava, che riposava disteso su un telo, lo Spettro avvilito, che difficilmente si faceva vedere, e lo scorbutico Logan. Un caldo benvenuto venne dato anche a Yuria ed al bambino, che la strega lasciò alle attente mani materne della piccola sorella di Claire. In realtà, in un primo momento vi fu molta tensione all’arrivo della timida donna col cappello a punta, quando si mostrarono i chierici. Era risaputo che i devoti detestavano la magia ed i suoi esponenti, perché usufruivano delle Arti dell’Anima lasciandosi andare al potere demoniaco, l’antitesi più eretica degli insegnamenti della religione. Come sapevano bene i più anziani membri della Chiesa, però, le scritture parlavano di un messaggio di pace universale, che doveva essere esteso a tutte le anime del mondo, mentre il conflitto andava estirpato dai cuori volubili degli uomini. Il Discepolo se ne ricordò, quindi si avvicinò e tese la mano alla donna, visibilmente spaventata e provata, rassicurandola sulle loro intenzioni e dicendole che avrebbe trovato solo amici tra loro. Un po’ sorpresi dall’azione del confratello maggiore, poco dopo seguirono anche l’Adoratrice e l’Accolito. La prima fece cadere velocemente l’astio e salutò contenta la nuova arrivata, mentre l’altro si mantenne molto più distaccato e circospetto. Nonostante tutti i dubbi che ancora si portavano dietro, Firion guardò soddisfatto i nuovi legami che si creavano: certo, l’unica cosa migliore sarebbe stata vedere i chierici riappacificarsi anche con Saggio Freke, ma forse arrivare a rispettare il primo ed il più grande degli eretici era ancora un passo troppo grande. Finalmente, Firion riusciva a scorgere la parvenza di una nuova normalità, nata dai suoi sforzi affinché il mondo tornasse ad essere la casa che ricordava. La stessa normalità che aveva perso quando la vita come la conosceva gli venne strappata via, stava tornando ad essere una realtà: una nuova famiglia, a cui dare affetto e da cui riceverne.
Sia Serah che Yuria si presentarono agli abitanti del Nexus: quando la strega conobbe Thomas, ella venne a sapere che il Collezionista era il marito ed il padre delle due compagne che erano state imprigionate insieme a lei. L’incantatrice espresse tutto il suo dolore per la loro perdita e se ne addossò la colpa, ma Thomas la rincuorò dicendole che loro non avrebbero voluto che lei si mortificasse in quel modo e che, ovunque fossero, era sicuro che fossero contente di vederla sana e salva. Claire ricostruì a Serah gli eventi che la portarono a ritrovarla: poi, propose alle due nuove arrivate di raccontare le loro storie, come si conobbero e come avessero fatto a sopravvivere per così tanto. Yuria spiegò che, quando scese la Nebbia, provò a scappare via dal regno insieme a due sue consorelle. Lungo la strada, vennero intercettate da dei demoniaci ministri grassi, i nuovi “funzionari” del regno. Vennero portate al castello e lì imprigionate da Miralda, che già aveva preso per sé la moglie e la figlia di Thomas, anch’esse facenti parti del loro ordine. Una ad una vennero giustiziate, e solo lei rimaneva. Serah, invece, parlò della sua fuga per la pianura che precedeva la capitale. Quando arrivò al castello, una furente battaglia si stava consumando tra gli ultimi difensori di Boletaria ed i demoni sempre più numerosi. Il conducente del suo carro, preso dal panico, caricò follemente avanti, fin oltre il Passo dei Lord, ma superato il portone d’ingresso alla Cittadella il carro sbandò, e si schiantò su uno dei palazzi che si affacciavano sulla piazza, uscendone a pezzi. Serah ebbe appena il tempo di capire cosa successe prima di svenire per la collisione. Quando si svegliò, si ritrovò nella torre, prigioniera insieme a Yuria. Sopravvissero soltanto condividendo gli sporadici e risicati pasti che Miralda concedeva, e s’incoraggiarono a vicenda per non perdere la speranza di uscirne vive.
“Miralda non ha mai detto perché abbia imprigionato anche me. Non ho idea del perché mi abbia tenuto in vita…”
“Effettivamente, aveva detto di essersi fatta ‘portatrice delle anime demoniache’, quindi è probabile che stesse mietendo vittime per diventare più potente, e questo spiega anche come abbia fatto a sopravvivere alla sua caduta. Tutto questo rende il fatto che ti abbia risparmiato ancora più strano…” commentò pensieroso Firion.
“Come è strano il fatto che doveva essere in grado di attraversare la barriera demoniaca: ha portato fuori dalla Cittadella Serah, proprio come Rue e Wren, ma come ha fatto se nemmeno tu potevi attraversare il portone? Lei è morta facilmente, non poteva possedere anime molto potenti, mentre tu hai assimilato le anime di Arcidemoni” disse Claire, dando voce ai suoi interrogativi.
“L’unica cosa a cui posso pensare è che possedesse un mezzo per aprire e richiudere la porta, forse una sorta di manufatto o qualcosa del genere. Ostrava l’ha incontrata proprio quando stava portando Serah al sito di esecuzione: forse lui saprà dirmi qualcosa.”
Firion stava avviandosi verso il guerriero steso vicino agli attenti chierici, nel profondo dell’ala sinistra del limbo grigio, ma Claire tese la mano e lo fece fermare.
“Un momento, Firion. Sai dirmi perché Miralda sembrava sapere chi fossi?”
“Che vuoi dire?” chiese lui con sincera curiosità.
“Hai sentito come si rivolgeva a te, cosa ha detto di te, no? Sembrava conoscerti, Firion: come?”
“Miralda il Boia era conosciuta per la sua instabilità. L’assimilazione di anime demoniache deve aver accentuato la sua eccentricità e paranoia. Era solo una folle, Claire. Non merita il nostro tempo…”
Dette quelle parole, le diede le spalle e si allontanò, superò gli ultimi pilastri che separavano l’ala sinistra e si ritrovò in mezzo ai devoti della Chiesa. Claire continuò a guardarlo dubbiosa, un presentimento ansioso la agitava senza che lei potesse controllarlo, la sensazione di aver tralasciato qualcosa di estremamente importante.
“Concordo con lui.”
Serah si portò alla parete vicino Boldwin e si lasciò scivolare mentre reggeva il piccolo addormentato. Claire si girò scontenta del parere e seguì l’esempio della sorella, appoggiandosi di schiena affianco a lei ed incrociando le braccia.
“Io no. Mi sono sforzata in tutti i modi di essere il più naturale possibile da quando lui me l’ha chiesto. Eppure, a volte, sembra evitare apposta di parlare di certe cose, sembra continuare a celarmi dei misteri, e lo odio per questo.”
“Io credo invece che tu pensi troppo alle cose. Dovresti rilassarti, goderti un po’ di più il tempo che puoi passare in tranquillità, e non rimuginare troppo sulle eventualità e sul futuro.”
“Non voglio farmi trovare impreparata, ecco tutto” disse Claire. Poi cadde il silenzio tra loro, che perdurò per qualche secondo, finché Claire riuscì finalmente a lasciar perdere, anche se per poco tempo, i quesiti irrisolti che gli annebbiavano la mente.
“Dove hai trovato il poppante?” chiese con un cenno della testa verso il piccolo visino, l’unica cosa visibile di quell’involto di stoffa bianca.
Gli occhi di Serah si velarono di amarezza, intanto che un sorriso triste si formava sulle sue labbra.
“Durante la fuga verso la capitale, sul carro ho conosciuto una donna, dai capelli chiari e lucenti come l’aurora. In quei giorni, mi disse, si trovava di passaggio nel nostro villaggio, con l’intenzione di raggiungere Boletaria, per occuparsi di qualcosa che si era lasciata dietro. Sfortunatamente, è rimasta invischiata nei nostri tumulti. Con lei aveva il bambino: mi raccontò che molto tempo prima ne aveva avuto un altro, ma fu costretta ad abbandonarlo. Diceva che avrebbe protetto il piccolo come avrebbe dovuto nei confronti del primo figlio, e che non lo avrebbe mai lasciato. Quando però siamo arrivati alla capitale, un drappello di schiavi folli ci aveva accerchiato. Lei mi affidò il bambino, e corse giù dal carro, attirando la loro attenzione. La chiamai, le dissi di tornare indietro, ma lei svanì tra le vie della città. Non l’ho più rivista…”
“Allora hai pensato che l’unica cosa che potevi fare era proteggere il bambino fino al suo ritorno, non è così?” chiese sicura Claire con un mezzo sorriso. Serah alzò sorpresa il capo verso la sorella, comprendendo il messaggio di fiducia e speranza che voleva condividere e lo accettò con fierezza.
“Sì, e proprio così. Lo terrò in forze finché non tornerà a prenderlo.”
Claire sbuffò divertita e fece spallucce, dando l’impressione di una rassegnazione dilettata.
“Tipico di mia sorella, non poteva essere altrimenti. Però, devo chiedertelo: come hai fatto a non farlo morire di fame per tutto questo tempo?”
Serah sviò dallo sguardo della sorella il viso rosso mentre un sorriso imbarazzato si apriva sulla bocca. Claire la guardò perplessa finché non capì cosa quel sorriso suggeriva e restituì il rossore sulle guance.
“Oh. S-Scusa, non ci avevo pensato” disse, evitando di fare contatto con gli occhi.
“Non è stato indolore, ma dopo un po’ è una bella sensazione” aggiunse Serah con aria contenta.
“Immagino…” commentò Claire, assecondandola con poca convinzione.
“Quindi, hai lasciato che lui ti-”
“Sì, è così che funziona…Vuoi provare?”
“Ehm, credo che sarà per un'altra volta…”
Quello scambio di battute un po’ scomode venne interrotto dalla presenza di Yuria, che si avvicinò silenziosamente alle sorelle con fare timido ed insicuro. Rivolse un sorriso incerto a Claire, abbassando spesso gli occhi, e stese un braccio davanti a sé, offrendo una mano trepidante.
“Serah mi ha parlato tanto di te. Lei mi ha molto incoraggiato durante la nostra prigionia. M-Mi farebbe molto piacere conoscerti.”
“Il mio nome è Claire. Yuria, giusto? Ti ringrazio di essere stata vicina a mia sorella: non tutti avrebbero mostrato la tua solidarietà” disse Claire, stringendo la mano della strega.
“Sono io quella in debito: senza Serah, sarei stata divorata dalla paura e dalla disperazione. Ma come sta il nostro piccolo intruso, eh?”
Yuria s’inginocchiò al livello di Serah ed accarezzò giocosamente con un dito la guancia tondeggiante dell’infante, che non accennava a svegliarsi dal suo sonno innocente. Tolse il dito per non infastidirlo ancora e si limitò a tenere sul bimbo uno sguardo spensierato. Dopo poco cambiò espressione, e sfogò parte della sua rabbia.
“Mi dispiace tantissimo, Serah. Se fossi stata più forte, avrei potuto farci uscire prima da quella torre. Se potessi, la farei pagare personalmente a Miralda.”
“Non parliamone più, Yuria. Ne siamo uscite entrambe: a me basta questo e ne sono grata. Lasciamoci questo capitolo buio della nostra vita alle spalle.” disse l’altra con voce leggera e lenitiva.
“Ora che ci penso, Yuria: perché non hai potuto respingere quella donna con qualche magia?” chiese Claire curiosa.
“Canalizzare il potere di un incantesimo può richiedere un grande sforzo fisico e mentale. Quando eravamo imprigionate, Miralda si guardava bene dal darci pasti soddisfacenti, e ci lasciava il più del tempo a marcire. Io mi ero talmente indebolita, che non potevo eseguire nemmeno le magie più elementari” spiegò la maga. Claire annuì comprensiva. Poi la sua attenzione si spostò su Firion, di ritorno dalla sua visita ad Ostrava, attirando anche quella delle due ragazze a lei vicino, che si focalizzarono sul Cacciatore.
“E’ sveglio, ma è ancora molto debole. Ho scambiato qualche parola con lui ma nulla sul suo scontro, voglio che si riprenda completamente per parlarmi di quello. Nel frattempo, io continuerò la mia missione, sento di essere molto vicino. Vi invito a riposarvi e godere della vostra compagnia, in attesa della fine della Piaga.”
Firion si voltò e si portò alla forgia del vicino Boldwin, che se ne stava tranquillo a battere uno spallaccio sulla sua piccola incudine. Raccolse le parti sopravvissute del suo equipaggiamento: si mise addosso una nuova corazza, più sottile, aderente e leggera della prima, e si legò il fodero della fidata spada alla cinta. Mentre allacciava e assicurava sapientemente le numerose cinghie dell’armatura, Claire lo imitò e si mise in cerca dei suoi averi, preparandosi a sua volta. Firion smise di maneggiare le sue protezioni e la guardò senza dire una parola, interessato dai progetti che leggeva nella sua operosità.
“Allora? Qual è la nostra prossima destinazione?” chiese lei senza guardarlo, occupata com’era a prepararsi il borsello da viaggio.
“‘Nostra’?” ripeté Firion, fingendo una sorpresa che non provava. Claire, invece, rimase esitante alla domanda del cavaliere e non seppe cosa volesse dire e come rispondere.
“Claire, non hai più bisogno di accompagnarmi fuori. Hai ritrovato la tua famiglia e la tua felicità, non sei più costretta a combattere. Hai raggiunto il tuo obiettivo.”
Firion le offrì un sorriso e le poggiò le mani sulle spalle, premendole dolcemente, mentre lei poteva solo rimanere disorientata dalle sue parole. Aveva ragione: non vi era più alcun impegno a legarli, niente più che li costringesse a collaborare, non vi era più motivo per lei di continuare a combattere contro i demoni. Quella era la missione di Firion, non la sua. Era stata lei ad aver permesso a Firion di accompagnarla per ritrovare la sorella, e nel momento in cui avrebbero ritrovato Serah le condizioni del loro accordo sarebbero cadute. In fondo, era quello che lei aveva sempre sostenuto…
Però sentiva qualcosa nel profondo che le chiedeva di non tenere conto di quelle costrizioni che si diede e di seguirlo, incurante delle sue vecchie convinzioni. Benché pensò un momento di farlo, non diede voce a quel sentimento, e si limitò a guardare Firion con occhi incerti.
“E’ il mio compito. Resta qui con tua sorella, gioisci della vostra ritrovata tranquillità.”
“Ma io…”
Firion la lasciò prima che potesse dire altro: fece scivolare le mani sulle braccia e se ne staccò quando arrivò a sfiorarle le dita, mostrando una strana riluttanza. Le diede le spalle e si allontanò stancamente, lasciando che l’inerzia lo portasse verso uno dei monoliti al centro del salone. Ad attenderlo, la Fanciulla in Nero stava eretta vicino l’Arcipietra dell’Isola delle Tempeste, il santuario in mezzo al mare dove i pagani, discendenti di un’antica civiltà, veneravano i temporali e le bufere: all’apparenza, sembrava a disagio in presenza del cavaliere demoniaco. Firion si fermò immediatamente davanti al macigno sagomato e alla cieca figura nera. Sapendo di essere abbastanza lontano da non essere sentito dagli altri, a bassa voce, le chiese di spiegarsi.
“Cosa c’è?”
“Campione del Nexus, perché rifiuti il mio aiuto? Lascia che io renda tue le anime demoniache che porti dentro. Assimilate grezze e lasciate libere per il tuo spirito, troppo in fretta corromperanno la tua persona.”
“Ma solo così posso sperare di poterne usare il vero potere. So già cosa mi aspetta: non fa differenza quando arriverà.”
Firion sfiorò la gemma incastonata nel masso levigato che aveva difronte e svanì nell’etere, lasciando la Fanciulla sola coi suoi pensieri. Interdetta allo stesso modo, Claire lo vide scomparire per un altro nodo estremo del mondo, accompagnato solo dalla sua ombra e dalla sua inquietudine. Fissava il punto in cui si volatilizzò, assorta in un’apprensione di cui sconosceva l’origine, finché non la destò la voce di Serah.
“Sai, ti facevo più sveglia, Claire” disse la sorella con un accenno d’irritazione. L’altra la guardò confusa, non capendo a cosa si riferisse e perché l’avesse offesa in quel modo.
“Di che stai parlando?”
“Di Firion, ovviamente.”
“Cosa c’è che dovrei sapere di lui che ignoro e che tu sembri conoscere?”
“Non posso dirtelo. E’ una cosa che dovresti capire da sola. Non avrebbe molto senso se te lo dicessi io.”
“Come ti pare…” concluse Claire indispettita, sedendosi alla parete accanto a lei.
“Sei scorbutica come sempre: Firion deve avere la pazienza di uno di quei Santi della Chiesa per aver resistito al tuo temperamento” insistette Serah indelicatamente, guadagnandosi un’occhiata truce da Claire.
“Ed è anche molto bello…” pensò ad alta voce Yuria, senza riflettere sulle sue parole, concentrando su di sé le facce meravigliate delle due sorelle. Quando se ne accorse, balbettò e le guance divennero paonazze.
“O-Ovviamente, è un p-parere personale!” esclamò con una risatina nervosa.
Da dietro l’angolo del pilastro opposto alla parete, comparve Boldwin, emerso dal fumo della sua forgia, che per la prima volta Claire vide in piedi invece che seduto al suo sgabello. Arrancava pesantemente mentre teneva i regali che le fece Saggio Freke tra le mani: li aveva lasciati a Thomas poco prima di lanciarsi al salvataggio di Serah, e si dimenticò di reclamarli al suo ritorno.
“Claire, Thomas ti manda questi. Lui è andato in cerca dello Spettro, ovunque sia quell’inetto.”
Porse gli oggetti di scrittura alla ragazza e si soffermò su Serah e l’infante che teneva, inarcando legnosamente la schiena per guardare meglio.
“Dorme serenamente il nostro pargolo? Chi può biasimarlo?”
“Perché non lo tiene lei per un po’, Boldwin?” chiese Serah con un sorriso.
“Io? Non credo di essere adatto-”
Non finì di parlare che il fagotto bianco gli arrivò improvvisamente tra le mani. Per pochi secondi restò immobile, non sapendo che fare, ma poi sembrò cambiare completamente aspetto, e cominciò a cullare dolcemente il corpicino portandoselo in giro per il salone.
“Sarebbe stato un ottimo nonno” rifletté ad alta voce Claire per un attimo. Poi aprì la prima pagina del suo volume bianco e bagnò la punta della penna nella boccetta d’inchiostro nero.
“Un libro?” chiese curiosa Serah.
“Un regalo, uno su cui dovrei scrivere. Voglio coprire le nostre vite e la crisi della Piaga.”
“Dovresti includere anche la battaglia di Firion: quando tutta questa assurda faccenda avrà termine, le persone dovrebbero sapere chi è stato a salvare le loro vite.”
Claire rifletté sul consiglio di Serah e concluse che sarebbe stata un’ottima idea da seguire, annuendo al pensiero.
“Sarebbe un bel regalo da fargli per avermi permesso di ritrovare Serah…”
“E’ un’idea, hai ragione. Voglio buttare subito giù le prime righe!”

Mentre, sul fondo del Nexus, i pochi sopravvissuti alla catastrofe della loro era s’ingannavano, pensando di riuscire a costruire ancora qualcosa di vagamente simile ad una vita, lo Spettro del Cavaliere Avvilito guardava malinconicamente dall’alto del primo piano, seduto pericolosamente sulla ringhiera su cui poggiavano le sinistre statue ombrose, guardiane di quell’eremo oltre la vita e la morte. Quasi invisibile, confuso tra quelle sculture tetre, notava tristemente come la sua assenza, che sapeva portare sempre un alone di paura e rassegnazione remissiva, sembrava davvero alleviare l’esistenza di quei compagni. Per quanto si ostinasse a non accettarlo, sapeva che loro erano le sole persone su cui poteva contare, in maniera maggiore o minore a seconda dei singoli, ma semplicemente non riusciva a capire dove trovassero la forza di mostrare speranza nel futuro, dove lui non vedeva altro che una voragine oscura. Per quel motivo non riusciva più ad integrarsi tra loro, e chiedere di tornare dopo tutto il tempo che aveva passato in isolamento, sarebbe stata un’umiliazione troppo grande per lui. Quindi perché non farla finita? Lasciarsi cadere nel vuoto e scomparire per sempre dall’esistenza? Ci aveva pensato, tante volte, ma non aveva mai trovato la forza. Che anche lui, nel profondo, continuasse a sperare? Persino il suo pessimismo aveva finito per ammorbarlo. Non sopportava più nemmeno il suo stato di fantasma. Aveva già dimenticato cosa fosse il gusto e che sapore avevano i cibi, intanto che i ricordi del suo passato continuavano a svanire: la sua casa, le persone ed i loro visi, ormai immagini sbiadite che minacciavano di svanire. Era fuggito per troppo tempo. Non poteva più restare a guardare: era arrivato il momento di riscoprire il suo coraggio.
“Firion, mi occorrerà la tua forza…”
Stava prendendo la sua decisione quando dei passi pesanti ed altezzosi attirarono il suo orecchio alle sue spalle. Senza bisogno di girarsi, sapeva già di chi si trattava, e già sentiva la necessità di allontanarsi.
“Certo che non è facile trovarti, il che è notevole considerando il ristretto spazio di questo ospizio” esordì Logan con tono invadente.
“C’è un motivo se non lo rendo così facile…”
“Suvvia, non fare così: io sono tuo amico, è importante per gente come noi restare uniti.”
“‘Gente come noi’?” ripeté scettico il guerriero spettrale.
“Noi reietti, quelli che sono stati messi da parte ed ingiustificatamente ignorati. Guardali, come si danno da fare mentre noi potremmo benissimo stramazzare a terra senza che loro battano ciglio” disse lui, dando un cenno arrogante con il mento appuntito. Finalmente, lo Spettro si girò quel tanto che bastava per poterlo vedere con la coda dell’occhio, apparentemente interessato.
“Io dico: facciamoli pentire del loro trattamento nei nostri confronti. Ricordiamogli il nostro e il loro posto…” sibilò velenosamente Logan, vicino all’orecchio dell’altro.
“Vorresti ucciderli?”
“Solo una di loro: la meretrice, l’amichetta del Cacciatore troglodita. M’interessa solo lei, gli altri saranno spaventati.”
Il silenzio cadde, mentre Logan credeva di aver convinto lo Spettro a seguire il suo piano. Credeva che il guerriero trapassato stesse solo prendendo tempo per decidersi a dare la risposta che già sapeva essere positiva, rifletteva quel tanto che bastava per accettare la sua proposta. Il fantasma scese dal parapetto e si posizionò davanti a Logan: lo guardò per dei lunghi attimi con un’espressione vuota, i suoi occhi dolorosi si rispecchiavano in quelli vendicativi del fattucchiere. Improvvisamente, con molta sorpresa di Logan, un potente pugno si scagliò sul suo zigomo pungente. Cadde a terra, incredulo, cercando una risposta nei lineamenti dello Spettro, più vivi di quanto non furono mai, animati da determinazione e rabbia.
“Quel ‘troglodita’ di un Cacciatore e la sua amica lottano per salvare questo mondo e le persone intrappolate qui! Tu non meriti l’occasione che ti è stata data! Sparisci per sempre dalla mia vista, serpente infido!”
Logan indietreggiò veloce con occhi ancora sgranati ed una mano sulla guancia rossa, respinto dalla reazione assolutamente inaspettata del guerriero etereo. Scese rapidamente le scale e si ritrovò in poco tempo nel salone. Nella sua marcia rabbiosa e cieca, spintonò incurante l’ignara Fanciulla in Nero, che rovinò sul pavimento emettendo un verso soffocato che attirò l’attenzione degli altri intorno. Subito sopraggiunse Yuria, che chiese confusa una spiegazione. Logan rispose con uno schiaffo che buttò giù la fragile figura della strega, ancora debole per la sua recente disavventura.
“Ma che diavolo fai?!” esclamò Claire allibita.
“Tu! Preparati ad essere incenerita, patetica popolana!” sentenziò l’incantatore mentre creava una palla di fuoco nella sua mano. Claire si preparò a scattare in avanti per attaccare, ma Boldwin colpì per primo: senza farsi vedere, sbucò da dietro le spalle di Logan, e chiudendo le mani dure più del metallo che lavoravano, batté con incredibile impeto e robustezza le ginocchia dell’incantatore, interrompendo il suo attacco e portandolo velocemente al suo livello. Lo colpì ripetutamente al viso per stordirlo e poi gli afferrò il colletto della giubba.
“Picchi una donna?! E hai il coraggio di definirti ‘uomo’?!” sbraitò il fabbro scuotendolo e continuando a percuoterlo. Quando Boldwin rischiò di ridurre ad un’enorme macchia viola il viso di Logan, Thomas intervenne e lo afferrò dalle spalle, trascinandolo a fatica lontano dalla sua vittima. Boldwin fu costretto a lasciare la stretta e ad essere distanziato dall’uomo che aveva lasciato ansimante a terra, non prima di lanciare uno sputo su quel corpo martoriato. Claire accorse ad aiutare Yuria, fortemente scossa e provata dai ricordi dei tormenti subiti quando imprigionata, rievocati dall’atto meschino di pochi attimi prima. Serah issò lentamente per una spalla la Fanciulla in Nero, da cui ricevette un sincero ringraziamento mentre veniva aiutata a rimettersi in piedi. I chierici si mostrarono anch’essi in compagnia di un Ostrava convalescente, ma non meno agitato dai preoccupanti rumori di ostilità che si erano sentiti. Tutti fissarono l’incantatore impazzito, che si sforzava a rialzarsi, mentre dall’ombra dell’ala destra emergeva Saggio Freke. Con un braccio, cullava il bambino che Boldwin gli aveva lasciato per intervenire contro la furia di Logan, e si avvicinava silenzioso e con un severo sguardo che avrebbe potuto uccidere. Quando Freke arrivò sopra di lui, Logan riuscì solo a mettersi sulle ginocchia e a guardare attraverso le fessure viola che erano diventati gli occhi.
“Logan: tu che ti sei pretenziosamente definito mio apprendista, tu che hai appreso dell’accesso alla saggezza e alla conoscenza. Tu, che hai sfruttato quella conoscenza e la mia saggezza per soddisfare la sua sete bramosa e superba. Tu, che per la tua sete di sangue e violenza hai minacciato la vita di innocenti, meritevoli solo della nostra protezione! Non sei degno! Non sei degno della magia e del potere dell’Anima! La tua, corrotta, porta solo pensieri oscuri e di morte! Io ti bandisco, dall’ ordine dei maghi e da questo Nexus! Traccio su di te il marchio, di chi non potrà mai più praticare le Arti dell’Anima!”
Freke stese la sua mano sopra la testa di Logan e, come se lo avesse vincolato a delle catene, lo sollevò da terra senza toccarlo. Poi, strappò un lembo della sua giubba al livello del petto, e vi premette violentemente la mano. Logan venne spinto indietro, un arcano segno a forma di stella con numerose punte e scritte di una lingua misteriosa comparve e s’impresse sulla sua pelle. Logan tentò di reagire e stese il braccio come aveva fatto prima, provando a lanciare un incantesimo di fuoco. Nulla accadde, e lui si guardò implorante prima le mani e poi quello che ormai era stato il suo maestro, che ancora lo fissava con uno sguardo assassino.
“Svanisci ora, e non tornare mai più!”
Logan zoppicò affrettato verso il monolite per la Torre di Latria e si volatilizzò, lasciando il Nexus ed i suoi abitanti in un silenzio orrendo che ricordava loro quanto poco tempo avessero a disposizione in realtà prima che ognuno di loro venisse vinto dalla follia e dalla paura.

Nota dell'autore: E con la nota "decisamente positiva" con cui si è concluso questo capitolo, che spero vivamente sia stato di vostro gradimento, vi auguro un bellissimo Natale e, in caso non dovessi aggiornare la storia prima, un fantastico anno nuovo. Tantissimi auguri e al prossimo capitolo!          

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


Demon’s Souls:
Le cronache dell’uccisore di Demoni
Capitolo 12
 
Sull’Isola delle Tempeste, una perenne coltre di nubi temporalesche transitava, impedendo che il sole brillasse sulla brulla terra di scogliera che se ne stava in balìa delle onde dell’oceano. La grigia pietra che emergeva dalla superficie dell’acqua rispecchiava il grigiore del cielo, e come un suo prolungamento s’inabissava nel profondo specchio azzurro. Le rocce aguzze si ammassavano una sull’altra in una competizione che le vedeva protendersi verso l’alto, con un fare ambizioso e pieno di speranza. Formavano costruzioni naturali imponenti, in cui erano state scavate stanze, interni, abitazioni. I nubifragi eterni che si scatenavano in quella regione avevano permesso solo alla vegetazione più forte e resistente di crescesse e sopravvivere su quell’isola. Nonostante la vita si fosse guadagnata indomitamente un posto anche dove meno ci si aspetterebbe, solo piante erbacee, di un verde smorto e blando, corredavano il terreno per lo più spoglio e la sua scorza dura, ed i pochi alberi che si potevano vedere erano privi di fronde e avvizziti, se non caduti o sradicati, contorti sui loro rami. I pagani, che vennero ad essere conosciuti come gli “Uomini d’Ombra”, avevano ignorato i pericoli che un luogo così inospitale poteva serbare, e sentendosi estremamente vicini ad una sfera superiore, una sfera spirituale, avevano costruito un immenso tempio per la venerazione di dei fittizi, dei della pioggia e del vento, e per rendere omaggio ai loro morti. Trovando conforto solo nell’adorazione delle mutevoli precipitazioni, allontanandosi dal calore del fuoco solare, i pagani erano noti per la loro carnagione pallida, quasi perlacea, che si diceva si fosse estesa fino alle loro ossa. Infelici di quella loro notorietà, dipingevano la loro pelle di nero, colore estratto da frutti e animali di mare, abbracciando per intero la loro natura ombrosa e familiarità con l’oscurità. Per questi motivi erano stati per lo più evitati dalle altre genti, che li credevano poco più che selvaggi, e venivano lasciati a sé stessi quando avvistati su delle precarie imbarcazioni, intenti ad attraversare i mari in tempesta per raggiungere il loro sito di preghiera più sacro. Il tempio che eressero era un tutt’uno con la pietra dell’isola, e la sua superfice copriva quasi per intero ogni spazio possibile su quel grosso scoglio: più che un singolo edificio, sembrava una piccola città, dove i cammini pavimentati si confondevano con il suolo pianeggiante e duro.
Firion camminava silenzioso, con espressione gelida come l’aria che respirava. Una leggera ma insistente pioggia accoglieva la sua venuta, mentre superava la volta dell’arco in rovina che un tempo doveva essere stato l’ingresso per il centro del tempio, una costruzione per metà all’aperto e per l’altra metà scavata nel profondo della roccia. L’acqua lo inzuppava fino al midollo, raffreddava le sue membra e lo intorpidiva malignamente: gelava il suo respiro, condensato in un vapore evanescente. Lui ignorava il tutto freddamente, sapendo che quelli erano solo sciocchi fastidi, e che le sue condizioni non sarebbero mai state influenzate da inezie simili. Sulla sua schiena riposava un enorme spadone, alto quanto lui e largo poco più della sua vita, avvinghiato al suo corpo grazie ad una cinghia in pelle. Sarebbe stato pesantissimo e quasi impossibile da usare in battaglia per qualunque uomo normale, ma a Firion risultò leggero e versatile. Gli era stato venduto al suo arrivo da un certo Blige, un brav’uomo d’affari la cui unica pecca era di provare un eccessivo interesse negli averi che i morti portavano con loro nelle bare, e che, con la discesa della Nebbia, era stato chiamato dalle promesse di guadagno che sentiva emettere dai sepolti dell’isola. Il predatore di tombe disse di essere stato molto fortunato ad aver trovato un acquirente in quel posto sperduto: stava per andarsene a bordo della piccola barca con cui era arrivato a mani vuote, dopo aver tristemente scoperto che tutti i corpi che aveva controllato erano stati inumati in fosse comuni prive di valore, quando vide il cavaliere avvicinarsi al tempio da cui lui era uscito, e colse immediatamente l’occasione. Il caso voleva che lui si portasse dietro da un po’ di tempo, dopo una sua escursione nelle buie cave di Stonefang, un’enorme lama di ferro che avrebbe sicuramente fatto contenti i guerrieri più fieri, ma che non era riuscito a vendere data la scarsità degli stessi. Quel grosso affare era diventato velocemente un peso insopportabile, ma Blige si rifiutò di lasciarselo indietro, sapendo quanto aveva penato per portarselo appresso ed incapace di ammettere di aver sbagliato a valutare un pezzo come quello. Ad un prezzo di anime demoniache che si poteva dire onesto, per quanto fosse possibile dare un valore ad un’anima, il predatore di feretri si disse disposto a separarsi da quella grossa lastra di ferro, inservibile per lui, ma insuperabile per un potente eroe. Firion non vide motivi validi per rifiutare quella proposta ed accontentò il bizzarro mercante, comprando la sua arma. Blige restò meravigliato dalla facilità con cui Firion s’imbracciò lo spadone, ma venne riportato alla realtà da alcune domande che gli rivolse il Cacciatore, chiedendo informazioni utili sul tempio e sui possibili pericoli che nascondeva. Blige rispose spensieratamente ad ogni domanda, e spiegò a Firion che l’intera area era infestata da demoni: anime dimenticate e vendicative erano tornate per impossessarsi delle ossa che riposavano nel suolo, facendo camminare di nuovo i morti sulla terra dei vivi. Solo strisciando nell’ombra e lontano dalle vecchie abitazioni gli era stato possibile evitare scontri e di essere visto da quei minacciosi scheletri armati di spade e bastoni. Blige spiegò, inoltre, la strada per arrivare all’ingresso delle stanze sotterranee del tempio, ma anche che non si era avventurato oltre quel punto, dopo aver sentito inquietanti voci e minacciose presenze tra le mura umide dei livelli inferiori. Firion ringraziò il mercante per la sua disponibilità e lo salutò, separandosi da lui ed augurandogli una vita serena. Blige, pensando di vedere un folle che si era stancato di vivere in quel mondo a soqquadro e aveva scelto di morire, chiese al cavaliere suicida di dire il suo nome, così che almeno lui se ne sarebbe ricordato quando non sarebbe stato più in giro per raccontarlo. Firion non rispose e continuò ad allontanarsi, senza degnarlo di una parola o di una minima occhiata. Blige rimase un po’ sorpreso dalla scottatura che provò quando venne ignorato a quel modo, ma gli diede poco peso e lasciò stare. Salì sulla sua barcaccia, lasciata sui ciottoli di una piccola cala: si mise in acqua, prese un remo e, pian piano, sparì sempre più tra le onde perennemente agitate dell’oceano, diretto verso una piccola macchia marroncina sullo sfondo del cielo nuvoloso, l’unica terra visibile in lontananza.
Stando alle indicazioni che aveva ricevuto, Firion avrebbe dovuto attraversare il grande cortile centrale prima di poter raggiungere il corpo principale del tempio, che scendeva nelle viscere dell’isola. Arrivato a quel piazzale, avrebbe potuto attraversarlo fino ad un grosso vialone di destra, che lo avrebbe portato direttamente all’ingresso della sezione sotterranea del tempio, oppure prendere una via più lunga e stretta, che si diramava a sinistra tra i campi di sepoltura e alcune delle case dei pagani. Il viale sarebbe stato la via più diretta e semplice, ma era anche quella che contava il maggior numero di demoni. La viuzza opposta, invece, costeggiava per intero le mura seguendo il contorno dell’isola, rendendo la possibilità di celarsi tra le ombre delle abitazioni molto più abbordabile e sicura, ma gli avrebbe anche richiesto molto più tempo, tempo che non era disposto a sprecare. Dopotutto, quello che si richiedeva da lui era di eliminare il maggior numero di aberrazioni possibile, e prendere una strada priva di nemici da abbattere avrebbe vanificato la sua visita sull’isola. Quindi, marciò dritto, deciso ed incurante del pericolo. Uno come lui aveva ben poco di cui aver paura: nel suo stato, quali punte e quali lame erano veramente in grado di ferirlo? Nel suo stato, cosa rimaneva di umano in lui?
La pioggia picchiettante che non cessava di accompagnarlo finì per inglobare ogni suo suono e ogni cosa che lo circondava. In quella pace scrosciante, Firion ripensò agli eventi della sua vita che lo portarono a diventare un Cacciatore di Demoni, e in lui venne rievocata una profonda amarezza. Perché combatteva? Per la sua missione, sterminare tutti i Demoni, continuava a dirsi. Ma quella stessa ragione, da motore della sua risolutezza e dei suoi ideali di compassione, ripetuta continuamente, era diventata una voce ossessiva nella sua testa, che aveva adombrato i sentimenti che vi erano stati alla radice. La verità era che, poco a poco, stava dimenticando il motivo che lo portò ad accettare quella missione: cominciava a dimenticare la rabbia che lo animò quando vide la sua famiglia morire davanti ai suoi occhi, la determinazione nel volere che disgrazie simili non si ripetessero, l’importanza del suo ruolo come difensore degli uomini. Ogni battaglia che affrontava si portava via un pezzo di lui, ed i suoi ricordi stavano svanendo in un turbine di violenza e sangue. Ricordava con fierezza il suo nome, vi rimaneva aggrappato saldamente e non lo avrebbe mollato. Ma lui sapeva che della persona che portava quel nome non era rimasto molto: un’irrefrenabile tensione alla grandezza e al potere stavano progressivamente subentrando nel suo essere, comprimendo tutti i valori che vi erano da sempre stati. Andava avanti, la sua meta diventata un punto indistinguibile sulla vaga linea dell’orizzonte, solo per paura che, se si fosse fermato, non avrebbe più avuto la forza di continuare. Tuttavia, la disperazione non si era ancora totalmente impadronita di lui: una piccola luce risplendeva nella sua mente e nel suo cuore, una promessa di redenzione che non avrebbe lasciato andare, indipendentemente dalla fatica che provava. Lei gli ricordò per cosa valeva la pena di combattere, la sua possibilità di tornare ad essere un uomo. Solo per quello non avrebbe smesso, e solo per quello avrebbe abbattuto ogni ostacolo che avrebbe incontrato con la sua spada.
Salì una scalinata costruita su di un basso pendio che lo portò ai limiti della piazza centrale di cui gli parlò Blige, dove delle brevilinee torri di pietra si affacciavano sull’ampia area circolare con numerosi fori e aperture, probabilmente entrate e finestre di quelle dimore abbozzate. Da dove si trovava lui, era già possibile vedere, in lontananza sulla destra, la facciata laterale del corpo centrale del tempio, che si estendeva in profondità verso la cripta sacra. Si alzò il vento: attraversava gli edifici, emettendo un ululato lamentoso, e gli scompigliava i capelli buttandoglieli sul viso. Fece qualche passo verso la sua destinazione, ma un suono alla sua sinistra lo fece fermare. Un lento calpestio sui ciottoli bagnati e sconquassati dell’antica pavimentazione fece direzionare il suo sguardo verso uno degli antri oscuri di quegli alveari petrosi, ed intuendone già la natura, portò calmo la mano sulla lunga elsa della sua nuova, possente arma. Dalla grotta nera emerse alla grigia luce un corpo scheletrico alto e deforme, dalle ossa spesse, disumane e opalescenti. Nelle orbite vuote, solo uno scintillio opaco rivelava una presenza, ed un sorriso di morte si disegnava sui denti scoperti. L’entità ostile serrava una sciabola rugginosa tra le secche stecche delle dita del braccio languido, ed emise un rantolo conturbante alla vista del Cacciatore. Poi, Firion avvertì altro movimento da ogni direzione davanti a lui, e le forme corrotte si fecero sempre più numerose: nascevano incontrollabili, dalla tenebra che avvolgeva il mondo in rovina. In pochi attimi, la piazza deserta si riempì quasi completamente di macchie perlate sibilanti, tutte armate e tutte fissanti gli occhi eterei sull’unica anima viva presente. Firion passò lo sguardo da un capo all’altro sull’orda immonda con sufficienza, trovando nei pochi secondi che precedettero la terribile battaglia un’ultima occasione per pensare a quant’altro di sé stava per perdere. Estrasse lo spadone e lo posò sulla spalla: improvvisamente le due parti caricarono, l’una contro l’altra, ed una contesa mostruosa ebbe inizio.
Firion fece oscillare prepotentemente l’incredibile spadone frantumando le spoglie demoniache senza sforzo, distruggendo molti nemici in un singolo colpo. Piroettò su sé stesso, portando avanti inesorabilmente la sua offensiva. La sua lama fendeva l’aria con colpi fragorosi che cancellavano l’esistenza dei suoi avversari e crepavano il terreno sotto i suoi piedi, portando devastazione ovunque capitasse. Tutti i demoni alla sua portata vennero polverizzati in pochi secondi, intanto che piccoli crateri si formavano dappertutto e venivano velocemente riempiti di acqua piovana. Ogni volta che Firion roteava lo spadone, interi gruppi di scheletri cadevano in pezzi, ma essi continuavano ad accerchiarlo e a colpirlo alle spalle. Due lame superarono la difesa della corazza ed aprirono degli squarci sulla schiena e sul petto, mentre una picca si piantò nella sua gamba. Firion si vendicò e si libererò dei suoi aggressori con un violento colpo alimentato di rabbia. Si prese un momento per tirare via la punta che aveva conficcata, facendo volare fiotti rossi dalla ferita: la brandì in una mano, perforando i crani dei malevoli che gli si opponevano finché si spezzò, agitando con l’altra la sua lama poderosa. La sua intensa lotta lo vide venir ferito numerose altre volte, ma non ci volle molto perché gli ultimi demoni rimasti cadessero sotto la forza esorbitante che aveva acquisito. Presto, Firion tornò ad essere solo: fracassò il teschio dell’ultimo scheletro rimasto, rinfoderò la sua lama, e tornò ad ascoltare il battere rasserenante della pioggia. Lasciò che le gocce purificatrici lavassero via il sangue che aveva sporcato i suoi indumenti e la sua armatura, mentre i lunghi tagli e lesioni che si era procurato si rimarginavano a vista d’occhio. Era stupefacente e orrendo insieme: cosa rimaneva di umano in lui, se nemmeno il suo corpo poteva più rispondere a quel nome? Restò fermo a farsi consolare dalla pioggia per alcuni interminabili minuti. Poi si convinse che compiangersi non lo avrebbe aiutato, né sarebbe stata una condotta onorevole. Se davvero aveva a cuore il destino delle persone che dipendevano da lui, come tanto aveva affermato di essere, avrebbe dovuto smettere di crogiolarsi nel suo dolore e avrebbe agito per superare il suo smarrimento. Ritrovando parte della decisione che lo aveva sempre ispirato e spronato, si rimise in marcia verso il tempio, in cerca di una preda che potesse accrescere ancora il suo potere.
Il resto del cammino fu sorprendentemente tranquillo. Firion non incontrò altri scheletri vaganti lungo il grande viale che percorreva, ed arrivò senza fretta alle alte colonne, grossolanamente lavorate, che sostenevano la volta del corpo principale del sito sacro. Degli ampi scalini ammettevano i visitatori verso il basso della regione interna, scavata in profondità, ammantata nel buio e nel silenzio. Avanzare senza una fonte di luce sarebbe stato un problema: brancolare nell’oscurità, senza vedere la corretta direzione da seguire in un luogo misterioso e sconosciuto come quello, avrebbe potuto compromettere la sua ricerca e forzarlo a tornare al Nexus, vanificando i suoi sforzi. Stava cercando un modo per poter andare comunque avanti quando ricordò di avere ancora con sé il dono che gli fece Saggio Freke, le strane pietre che il vecchio erudito gli aveva dato quando s’incontrarono alla Torre di Latria. Freke aveva detto che sarebbero state in grado di indicargli la via tra i passaggi ombrosi del penitenziario, quindi forse erano di qualche utilità anche nel tempio. Affondò la mano nel borsello di vecchia pelle usurata che portava alla cinta, dove aveva il brutto vizio di dimenticare gli oggetti che raccoglieva durante le sue esplorazioni. Cercò alcuni attimi, poi estrasse i piccoli oggetti: pietre nere come la pece, dagli angoli levigati e morbidi. Non sapeva quale fosse la loro funzione, né come avrebbe dovuto fare ad usarle. Le prese nel palmo della mano e provò a stringerle insieme. Emise un breve verso di sorpresa e soddisfazione quando le pietruzze s’illuminarono, irradiando luce tutt’intorno. Risolto il suo problema, Firion s’inoltrò nei corridoi umidi della cripta, dove piccole pozze si formavano ai piedi delle lesene lungo le pareti. Tra i passaggi tutti uguali, tra quelli che sembravano perdersi all’infinito in avanti e quelli che portavano alle camere ignote del santuario, Firion scelse quelli che portavano ancor più in profondità nelle viscere dell’isola, sospettando che il cuore della struttura si trovasse tra quelle bassezze cavernose. Percorse diverse rampe di stretti scalini e varchi profondi, finché finì per perdere completamente l’orientamento e la cognizione del tempo. Quando prese l’ennesima svolta in quel labirinto, sentì come se la giornata volgesse già al termine. Nonostante quell’inconveniente non sarebbe bastato a fargli perdere la calma, rimase comunque snervato dalla sua situazione, e si augurò di trovare presto un’uscita da quel luogo opprimente. Attraversò un ultimo arco che lo portò in un ampio stanzone dal soffitto molto alto, sorretto da grossi e rozzi pilastri, dove la pietra emetteva uno strano alone verdognolo, permettendogli di scorgere oltre il raggio della sua luce. La stanza si divideva in tre navate: quella centrale portava ad un altare su di un piano rialzato, accessibile per mezzo dei gradoni ai lati delle altre due. Sotto l’altare, un’apertura lasciava intravedere un altro ambiente, ma il suo antro era completamente buio, e non era possibile capire cosa potesse ospitare. Firion diede una rapida occhiata ai misteriosi muri che lo circondavano, addentrandosi in quella sala per riti dimenticati. Superò l’entrata notata prima e si ritrovò in una nuova oscurità. Con le sue pietre, squadrò la piccola stanza per cercare dettagli importanti o nascosti, finché vide gli sportelli in legno logoro abbassati di una grossa botola. Si avvicinò e sporse cautamente la testa per vedere oltre il bordo del buco nel terreno: sotto la trappola, lo stesso chiarore verde di prima rendeva visibile il fondo basso e la spaventosa caduta, per qualunque uomo normale, che avrebbe permesso di raggiungerlo. In quel momento, Firion avvertì una presenza alle sua spalle, un movimento furtivo che mirava a sorprenderlo. Rimase fermo per non destare sospetti nel suo aggressore nascosto, studiandolo al meglio ed aspettando il momento giusto per sorprendere e colpire. Quando l’assalitore gli fu quasi addosso, all’ultimo secondo, Firion si voltò fulmineo e protese il potente braccio, afferrandolo per la gola e sollevandolo da terra. La figura in ombra si dimenava per farsi rilasciare dalla rigida morsa che lo costringeva, mentre Firion avvicinò la mano luminosa per capire di chi si trattasse. Ciò che vide lo lasciò spiacevolmente sorpreso.
“Patches! Il fato mi deve avere in odio per aver permesso che le nostre strade s’incrociassero ancora…” esclamò con un sorriso amaro.
“Ciao, Firion” riuscì a dire l’altro con un corto respiro nella morsa del cavaliere.
Patches la Iena, una delle peggiori canaglie che il mondo avesse mai visto nascere e la più grande che Firion avesse mai conosciuto. Lo aveva malauguratamente incontrato tra le cave di Stonefang, dove Patches si spacciò per amichevole aiutante e desideroso di compagnia. Tutta quella messinscena servì solo ad ingannare l’ancora troppo ingenuo Cacciatore, che finì per cadere vittima di una trappola tesa dal viscido furfante per raggiungere un tesoro difeso da un demone pericoloso. Firion rimase solo a combattere l’essere immondo, mentre Patches se ne scappò con il suo trofeo. Fu una delle prime lezioni che Firion imparò su come vanno veramente le cose nel mondo, e non l’avrebbe mai dimenticata.
“Di’ un po’: volevi buttarmi in quella fossa, magari sperando che morissi?”
Firion non accennava a mollare la presa, e anzi si mise a scuotere il corpo che teneva tra le dita.
“Non avrei potuto, la caduta non è abbastanza alta per-”
Uno scossone più forte degli altri fece ingoiare a Patches le parole che voleva dire, e allora prese a dare ogni tipo di giustificazione per farsi lasciare.
“Andiamo, noi siamo amici! Gli amici non si strangolano a vicenda!”
“Questo lo vedremo…”
Firion rilasciò finalmente il furbo brigante, che cadde a terra con un tonfo rumoroso che echeggiò fastidiosamente sulle pareti, e gli gettò vicino una delle pietre che teneva in mano per far luce sui suoi connotati un po’ stagionati. Patches non era più giovanissimo, era completamente pelato e portava sempre un sorriso scaltro che non anticipava niente di buono per chi gli stava attorno, e la sua voce sembrava nascondere una fregatura continua. Dopo essere stato liberato da Firion, Patches tornò velocemente in piedi e si ricompose, massaggiandosi il collo senza badarci troppo.
“Immagino che tu abbia incontrato il mio compare Blige, quel coso che hai sulla schiena era suo. Certo che sei cresciuto, eh, piccolo cavaliere: sei più forte, più grosso, più alto. E quello sguardo! Sei un vero guerriero adesso!”
“Che ci fai qui, Patches?” chiese Firion stancamente, ignorando l'entusiasmo dello strano amico. L’altro rispose con enfasi e gesticolando energicamente, mettendo un braccio invadente sulle spalle del cavaliere con cui lo allontanò dalla botola e lo fece girare via.
“La roba che faccio sempre io, ma cosa importerà mai la roba noiosa che faccio io ora che tu sei-…”
Una richiesta d’aiuto proveniente dal fondo della fossa alle loro spalle interruppe la bugia di Patches e fece voltare entrambi verso la voce. La richiesta venne di nuovo, rivelando la malefatta del farabutto.
“…qui.”
“Patches, che hai fatto stavolta?” chiese Firion ancor più senza speranza di prima.
“E’ stato un incidente! Io non ho nessuna colpa. Quel sedicente Santo si è avvicinato tanto pomposamente, io gli detto che avrebbe trovato delle incredibili ricchezze nella fossa e lui c’è caduto!”
“Mi stai dicendo che quello là sotto è un Santo della Chiesa, che era venuto per cercare dell’oro, e che è ‘scivolato’ laggiù?” disse Firion con sarcasmo scettico.
“Beh, io gli ho dato una mano!”. Patches esplose in una risata incurante e non fece finta di trattenersi. Firion lo superò annoiato tornando alla grossa bocca nel pavimento e gli rivolse uno sguardo severo.
“Sei incorreggibile. Presto o tardi finirai per farti un nemico non gentile come me, hai capito?”
Senza aspettare una risposta, Firion si buttò oltre il bordo della botola, guadagnandosi la sorpresa della canaglia dietro di lui. Patches si sporse immediatamente e, quando vide Firion totalmente illeso sul suolo della camera inferiore, nonostante la notevole caduta, non poté trattenersi di quanto era sbalordito.
“Ma come diavolo hai fatto?”
Firion non badò al predatore di tombe e si concentrò sull’uomo in necessità che era caduto nelle trappola di Patches. Lo individuò subito sulla parete opposta della stanza, seduto a terra e appoggiato al muro. Aveva capelli corti, basette rasate ed una folta barbetta tendente al grigio: non poteva essere più vecchio di Saggio Freke. Portava abiti ordinari, ma un largo mantello bianco gli dava un’aria particolare. Si abbracciava una gamba al petto con espressione dolorante, ma quando vide Firion, ogni sofferenza sembrò svanire.
“Siano ringraziati i Cieli, Dio ha ascoltato le mie preghiere ed un salvatore è accorso in mio aiuto!”
“Il mio nome è Firion. Sono un Cacciatore di Demoni proveniente dal Nexus” disse il giovane inginocchiandosi davanti all’uomo.
“Io sono Sant’Urbain. Sul mio nome, io ti prometto che ti sarò eternamente grato per questo tuo generoso atto di altruismo.”
“Un momento: lei è davvero un Santo della Chiesa? Cosa ci fa lei qui?”
“Dopo la caduta di Boletaria, la Cattedrale è diventata inaccessibile. Sono andato in cerca di un luogo appropriato per ascoltare la voce di Dio, e questo è quello che più è stato vicino alla sfera dello spirito prima della nascita della Chiesa. Sono venuto qui in cerca d’ispirazione e di una guida, ma, ahimè, sono invece caduto vittima di quel piccolo demonio sotto mentite spoglie.”
“E’ ferito? Riesce a muoversi?”
“No: la gamba sinistra è rotta, la destra mi duole oltre ogni sopportazione.”
“Allora la porterò direttamente al Nexus. Se posso chiedere, perché non ha eseguito un Miracolo per guarire? Conosco dei devoti come lei che lo hanno fatto più volte.”
“Allora la fede e la fermezza di quei tuoi amici deve essere davvero incrollabile. Per potersi fare tramite del potere divino, un corpo di carne e sangue non può semplicemente essere attraversato da una tale energia: le condizioni fisiche e psichiche devono essere perfette, poiché una parte del fedele viene consumata durante l’esecuzione. E’ un enorme sforzo che mette alla prova la mente ed il fisico, quindi richiedono molta energia e pratica.”
“Fortunatamente, i miei amici hanno tutta l’esperienza che serve. Prenda il mio braccio e non lo lasci per un istante.”
Urbain fece come gli era stato detto e Firion avvicinò le dita al Marchio che portava al polso. Curioso, Patches guardò e si chiese cosa avrebbe escogitato per uscire da quella trappola senza uscita: i muri erano troppo alti e ripidi per essere scalati, la pietra troppo spessa per essere abbattuta, e non c’erano indizi di altri passaggi che permettessero l’accesso a qualche altra stanza. Patches continuava a farsi domande quando vide i due uomini a terra del piano inferiore semplicemente sparire in un alone azzurro. Sbatté rapidamente le palpebre per accertarsi che non stesse sognando ad occhi aperti e rimase immobile, senza parole, a pensare per qualche momento a quello che aveva visto. Poi fece una faccia impressionata e si disse che il ragazzo avrebbe dovuto insegnare quel trucco anche a lui. Recuperò una sacca piena di preziosi oggetti depredati dalle tombe lasciata nell’ombra in un angolo della stanza: se la mise in spalla e tornò al suo lavoro, lieto di essersi liberato sia dello stolto Blige che del Cacciatore ficcanaso.
 
“…Per quanto mi dispiaccia pensare che l’attacco al mio villaggio abbia segnato la fine, non della vita che avrei voluto condurre, ma di una vita tranquilla che avrei voluto per mia sorella, lentamente mi sto abituando e affezionando alle persone che mi hanno accolto in questo eremo oltre il tempo e lo spazio chiamato Nexus. Nessuno è mai stato in grado di spiegarmi cosa sia o dove si trovi esattamente. Tutto ciò che so è che, in qualche modo, il Nexus vincolava l’Antico, e che qui si riuniscono coloro che sono stati marchiati come Cacciatori di Demoni, le loro anime per sempre incatenate a questi muri finché porteranno la fine della Piaga e stermineranno tutti i demoni fino all’ultimo. I Cacciatori ricevono la loro missione dal Monumentale, un’entità di cui conosco solo il nome, ma che mi è stato detto abita anch’esso il Nexus, e vengono confortati e curati da una donna vestita di nero, di cui non so niente se non che gli occhi le sono stati coperti di cera per ragioni che non riesco ad intuire. Non sono mai stata una persona religiosa, né ho mai dato veramente retta alle pratiche delle Arti dell’Anima che si diceva venissero praticate a corte, e mai avrei pensato che la prospettiva che avevo del mondo potesse essere sconvolta così tanto. Ciò che mi capita attorno sembra derivare da una fantasia incontrollabile, dove magie e miracoli e anime sono tutte cose tangibili e visibili. A volte, faccio ancora fatica a crederci.
Durante la crisi che ha colpito il nostro regno, il regno di Re Allant, mi è stato detto che molti sono stati i Cacciatori scelti per far fronte alla minaccia demoniaca, ma solo due adesso rimangono. Il primo afferma di aver abbandonato la sua missione: non essendo più in grado di affrontare gli orrori del mondo esterno, aspetta silenzioso la fine, non so se sua o della Piaga. Il secondo è il primo uomo in tutta la mia vita, dopo mio padre, che sono arrivata ad ammirare e rispettare dal mio più profondo. Il suo nome è Firion, e a lui devo tutto. Firion è mosso da principi e virtù che ho sentito solo nelle vecchie storie degli antichi eroi che si diceva vagassero per il mondo in cerca del male per estinguerlo. Affronta ogni sfida che gli viene contro con forza, coraggio e volontà ineguagliabili; non ha paura di niente e tiene solo al benessere di chi è con lui; è sempre pronto al sacrificio, e dimostra un altruismo estraneo a chiunque abbia avuto modo di conoscere; ha una personalità splendida, ed ogni sua parola è un fuoco che porta un po’ di calore e di luce in questo mondo freddo e buio.
Tuttavia, temo che anche questo stia cambiando. La anime demoniache corrompono quella del Cacciatore che le assorbe, tramutandola in quella di un Demone. Se è davvero questa la verità, ad ogni nemico sconfitto, Firion si avvicina sempre più a diventare uno di quei mostri, ed il processo ha serie ripercussioni sul suo fisico e sul suo spirito. Anche se non dice niente, io ho capito che lui avverte il cambiamento, e nonostante questo non si ferma, sapendo che deve distruggere ogni singolo Demone. Cosa succederà quando avrà concluso la sua missione? Sarà rimasto sé stesso anche allora? Non posso sopportare l’idea che possa diventare uno di quegli esseri orrendi. Non voglio. Non lo permetterò…”
Claire sollevò la penna macchiata d’inchiostro dal foglio su cui scriveva e si prese un secondo per pensare e guadarsi intorno. Se per un momento era riuscita a sentirsi a casa vicino alle persone che erano confinate con lei, dopo l’aggressione di Logan tutti persero il coraggio di sorridere, ed un silenzio fatto di paura calò sulle loro teste. Lei stava al suo posto vicino Serah, che non per un istante lasciava la presa sul bambino che aveva portato con sé. Gli altri, allo stesso modo, restavano isolati e distanti, tutti con sguardi persi nel vuoto o guardinghi e costantemente in allerta. I chierici erano tornati nel profondo dell’ala sinistra, Freke all’ombra dei pilastri sulla destra. Yuria si era rannicchiata ai piedi di una colonna opposta a Claire, mentre Ostrava era appoggiato ad uno dei monoliti al centro. Thomas e Boldwin non proferivano parola, e la Fanciulla in Nero sedeva sulle scale per il piano superiore, dove probabilmente si era perso lo Spettro del Guerriero Avvilito. Da quando Firion aveva raggiunto il Nexus, lui aveva fatto di tutto per far interagire e conoscere quelle persone, che altrimenti sarebbero rimaste degli sconosciuti, e questo permise ad un ambiente famigliare di sbocciare tra i cuori assopiti di quegli individui diffidenti. Solo nel momento in cui quel tepore spensierato venne a mancare Claire capì a quale estensione Firion voleva far arrivare il suo operato: lui non combatteva i Demoni solo perché gli era stato detto. Lui li combatteva per far tornare quei legami che gli uomini avevano dimenticato di saper creare. Era bastato l’odio di uno solo affinché la fiducia che costruì con la sua lotta venisse spazzata via dall’angoscia, e lei non poté fare niente per evitarlo.
“Non posso più restare.”
Il Discepolo si alzò dal posto che aveva in mezzo ai suoi due confratelli e si mise in spalla una sacca da viaggio, un bagaglio leggero con non più che qualche provvista ed utensile, ma tanta speranza in compenso. Gli altri due lo imitarono e subito fecero sentire il proprio disaccordo.
“Vorresti uscire?! Come puoi dire una cosa simile?! Lo sai cosa rischi se metti piede fuori di qui?!” esclamò l’Accolito.
“Non lasciarci soli! Dopo quello che è successo, non avrei la forza di resistere senza di te!” seguì l’Adoratrice. Il Discepolo posò le mani sulle spalle di entrambi ed offrì lo stesso sorriso che un padre amorevole avrebbe potuto dare a dei figli piangenti.
“Devo andare per cercare una guida più luminosa di quella che abbiamo ora. Prima della discesa della Nebbia, i Santi del nostro ordine erano in pellegrinaggio in diverse regioni di Boletaria. Sono sicuro che anime così pure stiano ancora vagando in cerca di fedeli da poter aiutare e proteggere. Andrò nella Valle di Corruzione, dove chiederò loro di concedere parte dello splendore della loro fede anche a noi. Non fallirò. Voi non sarete da soli: io mi fido di Firion. Quel ragazzo tiene a voi con la stessa intensità che provo io.”
Li lasciò increduli e spaventati e si allontano verso i pilastri al centro del salone. Attirò l’attenzione di Claire, che si liberò velocemente di libro e raschietto e lo raggiunse frettolosamente.
“Ehi! Aspetta! Che intendi fare?”
“La mia permanenza qui è terminata. Tornerò solo con coloro che potranno darci delle risposte in questi tempi di dolore.”
“Vuoi andartene?! Non puoi! Non così! Non pensi a Firion? A tutto quello che ha fatto per te?”
“E’ l’unico modo che ho per ripagarlo…” rispose con un sussurro l’altro. Claire non seppe dire altro e lo guardò stupita.
“Saggio Freke!” gridò il Discepolo. Dopo pochi istanti, quell’ombra, estensione della cupa magia di cui si faceva portatore, si mostrò alla vista. Si portò avanti finché fu a pochi centimetri da colui che lo aveva evocato. Entrambi si fissavano con uno sguardo impietoso che in un momento palesava l’odiosa disputa che avevano le loro diverse prospettive del divino. Ad un tratto, quello del Discepolo si ammorbidì. Estese il braccio e protese la mano.
“Abbi cura di queste anime desiderose di vita.”
Fu una richiesta priva di rancore, un’azione sincera nata dal cuore. Freke squadrò l’uomo davanti a sé: un vero saggio, nel cui spirito albergavano solo bontà e rettitudine. Invidiò ed ammirò quell’uomo virtuoso, sapendo che non avrebbe mai raggiunto il suo livello di comprensione delle cose. Una profonda tristezza lo pervase: per una ragione a lui ignota, avvertiva che non lo avrebbe più rivisto, ed il pensiero che il mondo avrebbe perso una tale personalità in un modo così ignobile abbatté il suo morale. Strinse la mano con sicurezza, un segno di rispetto, e la promessa di continuare il suo viaggio verso la verità.
“Come fossero figli miei, fratello.”
Il Discepolo diede un cenno riconoscente e sciolse la stretta. Con un ultimo saluto, si congedò dai suoi compagni e dai suoi amici. Sfiorò la gemma di uno dei pilastri e svanì.

Claire non seppe quanto tempo passò. Senza riferimenti di alcun tipo, potevano essere passate intere ore o pochi minuti. Stava per cedere davanti alla spiazzante monotonia del Nexus, quando un’esplosione di luce divampò al centro del salone, da cui emersero le figure di Firion e di un uomo ferito con un mantello bianco. Il Cacciatore attirò subito l’attenzione di tutti per l’enorme spadone che sfoggiava sul dorso, ed i chierici vennero chiamati per portare aiuto all’uomo in difficoltà. Quando si accorsero di chi si trattava, una lode acuta si levò dalle loro voci.
“Sia lode al Grandissimo! Sant’Urbain è in mezzo a noi!”
Sia Claire che Serah alzarono il capo incuriosite da quel canto gioioso. Urbain, rimasto a terra, fece calmare i due devoti e diede uno sguardo riconoscente a Firion.
“La fede di questi miei giovani fratelli è grande, lo vedo nei loro occhi. Loro mi guariranno velocemente. Non ho niente da darti per simboleggiare la mia gratitudine, se non questo…”
Urbain si sfilò il mantello candido come neve e lo porse all’Adoratrice perché lo consegnasse a Firion, che lo accettò di buon grado e se lo mise sulle spalle. Dopo di ché, i due membri della Chiesa più giovani trasportarono attentamente con loro Urbain per medicarlo al meglio delle loro possibilità. Quando ebbe il tempo di guardarsi intorno, Firion sembrò finalmente percepire il cambio di atmosfera avvenuto mentre era via. Passò lo sguardo su ogni volto presente e capì che qualcosa non andava. Si avvicinò alle due sorelle appoggiate al muro di sinistra e le salutò con un cenno discreto. S’inginocchiò davanti a Claire e parlò a bassa voce.
“Claire, che accade? Cosa sono quelle espressioni?”
“E’…successa una cosa, mentre tu non c’eri…”
Claire spiegò della furia omicida che dimostrò Logan e della partenza del Discepolo. Non fu una storia lunga, ma Firion sembrò faticare a comprendere quegli avvenimenti così improvvisi ed inspiegabili.
“Almeno…almeno state tutti bene. Tu non sei stata ferita, vero?” disse prendendo la sua mano.
“No, ma per quanto ancora, Firion? Queste persone sono stanche. Non so per quanto resisteremo…”
“Allora non ho tempo da perdere qui.”
Firion cambiò repentinamente espressione, nonostante si perse lunghi momenti negli occhi celesti di Claire. Tornò in piedi e si allontanò verso il centro della sala, ma Thomas e Boldwin lo pregarono di trattenersi qualche minuto.
“Spero che adesso le cose ti siano un po’ più chiare, o semplicemente ti piace ignorarle?”
Claire si girò confusa verso Serah, che vide con un’espressione severa che accrebbe il suo smarrimento.
“Di che parli?”
“Di Firion, ovviamente!”
“Ancora questa storia? Se devi dirmi qualcosa, dilla e basta!”
“Va bene! Lui è innamorato di te, stupida!”
“C-Cosa? N-Non sai di che parli…” disse Claire scuotendo la testa.
“Hai mai notato come ti guarda? Come ti parla? Sei proprio insensibile, lo sai?”
“Beh, cosa dovrei fare, allora?” chiese lei dopo alcuni attimi di silenzio.
“Accompagnalo fuori e chiediglielo. Avrete tutta l’intimità che potresti volere. Se non fosse vero, io mi rimangerò tutto e tu ti sarai tolta un pensiero.”
“Come se ti potesse chiedere a qualcuno se si è in amore così apertamente…” pensò Claire dubbiosa.
“Va bene, ma quando mi avrai fatto fare una pessima figura mi aspetto che mi ripaghi adeguatamente” disse Claire alzandosi.
“Qualcosa mi dice che mi darai ragione…”
Claire le diede un’ultima occhiata incerta prima di voltarsi e raggiungere il Cacciatore. Boldwin lo stava intrattenendo in una discussione riguardante la sua nuova arma. Entrambi si accorsero di lei ed aspettarono cosa volesse dire.
“Voglio tornare fuori per aiutarti: non posso permettere che tu combatta da solo mentre io me ne sto qua con le mani in mano. E prima che tu possa obiettare: sappi che Serah è d’accordo, quindi non mi farai cambiare idea.”
Firion incrociò le braccia e sospirò pazientemente. Rifletté in silenzio sulla richiesta della ragazza e, dopo un po’, pensò che non sarebbe servito provare a convincerla di restare.
“Sei proprio testarda, tu. Sarà pericoloso…”
“Non lo è stato fino ad ora?”
Firion non poté fare a meno di sorridere davanti alla temerarietà di Claire e gli fu impossibile negarle il suo desiderio.
“Molto bene. Partiremo subito.”
“Verrò anch’io.”
Tutti loro si voltarono verso la voce proveniente dai gradoni delle scale, rivelando la figura del fantasma del Nexus. Si avvicinò senza emettere un suono: guardò in modo deciso prima Claire e poi Firion.
“Non resterò più a guardare.”
“Oh? Finalmente un po’ di carattere? Era ora!” commentò Boldwin. Poteva sembrare uno scherno, ma dietro si poteva avvertire la soddisfazione nel vedere un’anima che aveva riscoperto quanto poteva essere combattiva. Claire e Firion diedero un cenno affermativo e di convinzione: non era il momento di chiedere le motivazioni che lo portarono ad agire dopo così tanto tempo. Firion diede ai suoi due compagni il tempo di equipaggiarsi adeguatamente. Poi, tutti e tre sfiorarono la gemma dell’Isola delle Tempeste, dissolvendosi nel nulla.

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


Demon’s Souls:
Le cronache dell’uccisore di Demoni
Capitolo 13
 
L’Arcipietra che un tempo venne affidata ai capi delle tribù degli Uomini d’Ombra risplendeva opacamente nella perenne ed impetuosa pioggia che affliggeva l’Isola delle Tempeste. Successivamente alla prima discesa della Nebbia, l’Arcipietra venne donata con l’intento di creare un fiorente scambio tra la cultura degli sciamani e quelle degli altri popoli, ma il destino volle che venisse dimenticata e, con essa, anche il suo scopo. Unica traccia rimanente di quei tempi antichi, ora la pietra sopportava in solitudine le feroci intemperie che si abbattevano su quell’isola sperduta, incastonata in una lugubre scultura per i riti religiosi dimenticati, posta al centro della via principale per il grande tempio. Nuove nubi portavano un potente temporale sulle ripide pareti di scogliera dell’isola, abbattendosi con veemenza sugli scogli e sulle rocce inermi ed ammantando l’intera area in una cappa oscura ed impenetrabile. Un vento spietato correva e strappava tutto ciò che trovava sulla nuda terra dell’isola e lo trascinava via, sollevando la polvere ed i resti delle rovine delle antiche costruzioni in vortici violenti ed impetuosi. In quel disordine affannato e caotico, comparvero le figure di Firion, Claire e dello Spettro. Tutti e tre vennero sorpresi dalle condizioni proibitive del tempo: Claire non ebbe nemmeno il tempo di ambientarsi che quasi rischiò di essere sbalzata e spinta via dal vento, e come lei anche il cavaliere etereo che li accompagnava. Il diluvio che si riversava sui loro piccoli corpi impiegò così poco ad inzuppare le loro vesti che a malapena avvertirono la transizione dall’aria chiusa ma confortevole del Nexus a quella gelida dell’isola, e la differenza di temperatura traumatizzò la loro pelle ed i nervi. Solo Firion sembrava restare impassibile difronte alla manifestazione di una natura così selvaggia, ma ruppe subito quell’immagine per accorrere al fianco dei suoi compagni. Si portò vicino Claire tenendola per la vita per darle un supporto saldo a cui aggrapparsi, mentre teneva per la spalla lo spirito accanto.
“Dobbiamo trovare un riparo!” gridò Claire per farsi sentire oltre il frastuono della tempesta. Teneva gli occhi socchiusi per la polvere e la pioggia che l’accecavano e per i capelli che le venivano scompigliati e continuamente buttati sul volto. Si riparava come meglio poteva dietro un braccio teso davanti a lei, mentre con l’altro si teneva stretta a Firion.
“Entriamo nel tempio! Attraversa l’intera isola e ci porterà dall’altra parte!” urlò lo Spettro, tentando di distinguere le loro sagome nella terra bagnata sollevata dal vento. Firion fu tentato di chiedergli come facesse a saperlo, ma non era il momento di trattenersi sotto quel cielo burrascoso.
“Fai strada!” rispose lui con un accenno affermativo. Il fantasma si voltò e cominciò a marciare controvento, sforzandosi di non cedere a quella pressa vorticosa che aveva del soprannaturale. Firion mosse i primi passi insieme a Claire, parandole davanti il lungo mantello impermeabile che portava sulla schiena per difenderla dalle folate graffianti che le impedivano la vista. La reggeva e la incoraggiava, spingendola a continuare sotto la sua guida. Claire faceva come le veniva detto, concentrandosi sul mettere un piede davanti all’altro sul suolo fangoso che minacciava di inghiottirla ogni volta che poggiava il piede. Sbandava spesso, e lo sforzo che faceva per muoversi consuma velocemente le sue energie. Tenne lo sguardo quasi sempre basso nel tragitto che li portò al tempio di cui aveva sentito parlare poco prima allo Spettro, lasciando che fosse Firion ad indirizzarla correttamente. Benché non fosse molta la strada che li separava dalla loro destinazione, a Claire ogni secondò sembrò un’eternità, spesa a contrastare l’incredibile forza del vento che la voleva portare via. In esso, percepiva quasi una volontà ostile, una che voleva dirle che quello non era luogo per lei e che avrebbe fatto bene a tornare sui suoi passi finché poteva. Più si convinceva ad andare avanti, più si sentiva respinta ed in procinto di essere scagliata via, in preda ai venti furiosi come una foglia secca. Le poche volte che pensò di alzare gli occhi per vedere cosa la circondasse, le sembrò di vedere forme strane ed inquietanti ai lati della strada che percorrevano: macchie bianche ed informi, per dei lunghi momenti si facevano più vicine per poi sparire nell’impeto delle raffiche. Scoraggiata da quelle visioni, tornò a guardare basso. Trasse forza dalla presenza di Firion, attento a non lasciarla nemmeno per un istante, e dopo una lotta interminabile contro il nubifragio, arrivarono all’entrata del tempio. Salirono rapidamente i rozzi scalini che ammettevano all’ingresso per poi scendere nelle viscere dell’isola e del sito sacro. Quasi leggendosi i pensieri a vicenda, si fermarono alcuni attimi sui gradoni consumati dal tempo per ricomporsi e riprendersi dalla difficile traversata: per quanto odiasse ammetterlo, Claire si rese conto che non le fu affatto facile, nonostante non sembrasse una cosa così complicata. Si sedette su uno dei gradoni con la schiena alla parete e si diede un’occhiata intorno. La struttura in cui erano entrati era molto grande ma assai scarna e scarsamente realizzata. Chiunque l’avesse costruita, pensò, non doveva essere stato un bravo architetto. In un battito di ciglio, perse interesse in quell’ambiente vecchio di più secoli di quanti volesse immaginare quando si accorse quanto era bagnata ed infreddolita. Tremava e non riusciva fermarsi, le battevano i denti e, per attenuare un minimo il freddo, incrociò le mani sotto le ascelle e si strinse le gambe al petto. Sia Firion che lo Spettro se ne accorsero: il primo poggiò l’enorme spadone che portava al muro e si sedette accanto alla ragazza, offrendo il mantello ed il suo calore. L’altro cercò qualcosa nel borsello da viaggio che portava alla cinta, uno dei tanti che si ritrovava Thomas. Ne fece uscire un grosso fagotto di stracci ed una piccola boccetta d’olio. Costruì una sorta di letto con dei ciottoli e porzioni di pietre sparse per la sala e vi posizionò sopra la stoffa unta. Un attimo dopo schioccò le dita ed una piccola fiamma s’accese sui suoi polpastrelli. Diede fuoco al piccolo falò sotto di lui e lasciò che le fiamme crescessero. Claire guardò meravigliata, Firion un po’ sorpreso.
“Anch’io ero un Cacciatore, no? Non mi limitavo alla spada…” disse in un sussurro accennando un sorriso.
“Quella là fuori…non è una tempesta normale, vero?” chiese Claire avvicinando le mani intorpidite al piccolo groviglio fumante e dando un’occhiata interrogativa ai due cavalieri. Firion confermò il suo sospetto annuendo concisamente.
“L’ho avvertito chiaramente. Dovremo essere estremamente cauti nell’aggirarci al di fuori del tempio…”
Passarono alcuni minuti tranquilli a godersi il modesto fuocherello che si consumava velocemente. Fortunatamente, le azioni congiunte dei due Cacciatori permisero a Claire di ristabilirsi e di tornare presto in piedi. Purtroppo avrebbero dovuto continuare ad indossare delle vesti bagnate, non avevano i mezzi per poter risolvere quel problema con un tempo pessimo come quello che li aveva accolti. Avrebbero potuto solo sperare che facessero abbastanza in fretta da poter tornare velocemente tra le ben più calde e familiari mura del Nexus.
“Allora? Qual è il piano?” chiese Claire. Fuori, la tempesta infuriava ancora, ma veniva ovattata dalla pietra del tempio, smorzando il fragore che non accennava a calmarsi. Il fuoco ai loro piedi si spegneva e rilasciava le ultime nuvolette di fumo.
“Percorreremo i corridoi del tempio che portano alla spiaggia dall’altra parte dell’isola; lì, ci aspetta un Arcidemone” disse il guerriero etereo.
“Tu sei già stato in questo tempio, ho ragione?” chiese Firion. Era ormai ovvio che lo Spettro avesse già visitato quel luogo arcano, data la sicurezza con cui voleva guidarli. L’altro si limitò a sorridere affermativamente. Poi si portò sottò l’architrave petrosa che li avrebbe ammessi alle regioni più intime della cripta, ispezionando, per quanto possibile, il percorso immerso nell’oscurità che avrebbero preso. Firion e Claire rimasero fermi a guardarlo alcuni secondi quando alla ragazza balenò un ricordo di qualche tempo prima.
“E tu, Firion? Ricordo che tu hai detto di aver già visitato questo posto…”
“Infatti è così. Tuttavia, non ho mai esplorato il santuario. Abbattei dei Demoni Maggiori che trovai agli estremi dell’isola, senza trovare alcun Arcidemone, quindi pensai che non ce ne fossero affatto. Ammetto di essere stato decisamente superficiale, ecco perché sono tornato. Che sciocco sono stato a non farlo subito…” disse Firion scuotendo la testa deluso. Claire gli mise una mano sulla spalla, stringendola leggermente.
“Non prendertela così tanto. Immagino che avrai modo di rifarti…” disse con una piccola risata. Poi, imboccò l’apertura da cui era passato poco prima il componente mancante del loro piccolo gruppo.
“Dai, andiamo o ci lascerà indietro.”
Firion le fu subito alle spalle. Lo Spettro li aspettava a qualche metro dall’entrata, dove già la luce era tanto minima da permettere a malapena di vedersi in volto.
“Ammetto di non aver portato delle torce. Potrebbe essere un problema…”
“No, non lo sarà. Guardate.”
Claire ed il secondo Cacciatore poterono solo sentire Firion combinare qualcosa con la sua sacca da viaggio, poiché le sue mani erano poco altro che sagome nere nel buio del corridoio. Dovettero aspettare alcuni momenti. D’un tratto una calda luce s’irradiò dalle mani di Firion, illuminando il passaggio oscuro. Il giovane aprì i palmi e fece vedere le luminose pietre magiche che gli furono consegnate a Latria da Saggio Freke, porgendone una ad entrambi i suoi compagni. I due osservarono i piccoli fenomeni un po’ stupiti, ma si soffermarono per poco: ormai la realtà in cui vivevano era totalmente avulsa dalla ben più semplice vita di una volta, che anche gli avvenimenti più impensabili erano diventati cosa comune e facili da credere. Con lo Spettro in testa e Firion in retroguardia, i tre s’inoltrarono nei bassi tunnel dell’edificio di quel culto estinto. Nel giro di una ventina di minuti tra svolte, salite e discese, Claire perse totalmente l’orientamento e la cognizione del tempo, resi ancor più difficili da mantenere a causa del gelo trattenuto dalle pareti che annebbiava i suoi pensieri. L’aria era glaciale e l’umidità si attaccava alle membra come un sudario stretto: ogni secondo che passava, poteva sentirla affondare come tante punte acuminate nella sua pelle e nelle sue ossa. Il freddo minava la sua tempra e la sua resistenza, facendola rabbrividire ingovernabilmente, accentuando ancora di più la sensibilità alle vesti fradice. Cominciò a strofinarsi il più rapidamente possibile le braccia ed incavò la testa tra le spalle per tentare di conservare un po’ del calore che le era rimasto.
“Claire, tutto bene?”
La mano di Firion sulla sua spalla ed il suo tono interessato la fecero voltare leggermente, senza però smettere di camminare.
“N-Non preoccuparti, s-s-sto bene. Certo che f-fa freddo qui, eh?” disse lei rivolgendogli un debole sorriso. Firion la fece fermare e le mise addosso il suo mantello, allacciandolo per lei. Lei non riuscì ad obiettare, grata del caldo che il tessuto trasmetteva.
“Meglio adesso?”
“Sei troppo gentile per un’ingrata come me…” commentò lei con uno sbuffo ironico, stringendosi nella pesante cappa.
“Non serve che mi ringrazi. Tutto per quel sorriso.”
Claire lo guardò silenziosa. In quel momento le fu molto facile credere a quel che Serah le aveva detto. Per un momento pensò che non potesse essere vero, che Firion non potesse essere innamorato di lei, spinta dal senso di inadeguatezza. Se si fosse trattato di chiunque altro, la cosa non l’avrebbe toccata, ma Firion non era uno qualunque. Lei non era tagliata per quel genere di cose. Non le aveva mai provate e, per molto tempo, credette che non le avrebbe provate con nessuno. Aveva sempre pensato esclusivamente al benessere della sorella, non aveva tempo per le smancerie delle contadinelle sue coetanee. Lei non avrebbe saputo come comportarsi in una relazione, e sapeva che Firion ne sarebbe uscito ferito e deluso. Abbassò il capo e tenne gli occhi lontani dal suo viso, cercando le parole tra le mattonelle sotto i piedi.
“Firion…io…”
“Sì?...”
“Che state facendo voi due? Non vorrete perdervi ora che siamo quasi arrivati?” chiese il fantasma loro amico dal fondo del passaggio, la sua voce un’eco sommessa proveniente da un’ombra bluastra tra le altre nero pece. Firion gli rivolse una veloce richiesta per trattenersi un attimo in più ad ascoltare Claire.
“Un momento!”
“No, no arriviamo. Non era niente, Firion. Andiamo.”
Claire non attese una sua risposta e si affrettò dietro il cavaliere spettrale. Firion si scrollò recalcitrante l’argomento mozzato dalla ragazza e li raggiunse senza fretta. Non appena tornarono uniti, il Guerriero Avvilito li guidò attraverso poche altre svolte e passaggi, dove soffi lamentosi potevano essere uditi mentre s’insinuavano nella pietra porosa. Camminarono finché raggiunsero una larga stanza dall’aspetto cavernoso, il soffitto poco più alto di una dozzina di piedi. Dei bassi scalini portavano poco più in basso, dove numerose piccole pozzanghere si allargavano continuamente, alimentate dallo sgocciolare dell’acqua invasiva che erodeva le rocce. Lo stanzone dava sull’esterno, una grossa apertura lasciava che il vento aggressivo penetrasse anche negli interni riservati dell’edificio sacro. La scarsa luce grigia del cielo diradava le ombre più superficiali della camera, mentre quelle più estese non accennavano a ritirarsi. I tre viaggiatori misero via le pietre magiche, accontentandosi della luminosità spenta del giorno nuvoloso. Il Guerriero Avvilito si portò alla bocca della caverna e si sporse cautamente per controllare la situazione fuori, attento a non farsi portare via dalla tempesta nel pieno della sua furia.
“Pensavo che fossimo arrivati. Questo è solo un vicolo cieco” disse Claire alle sue spalle.
“No, questa è la strada giusta. Qui fuori, una sporgenza della scogliera copre per intero la parete rocciosa fino ad un ultimo passaggio tra le stanze del tempio. A quel punto, la spiaggia sarà ad uno schiocco di dita. Tuttavia, non possiamo rischiare di uscire allo scoperto con un tempo come questo. Dobbiamo aspettare che almeno il vento perda intensità, o potremmo essere sbalzati giù sugli scogli aguzzi in preda alle acque mosse e gelide, come se la caduta non fosse già fatale. Quindi, mettiti comoda: un po’ di riposo non può farci male.”
Claire cominciò ad infastidirsi nel sentire lo Spettro continuare a decidere per tutti loro cosa fosse meglio fare e che andatura prendere. Odiava soprattutto l’aria del capo che sembrava essersi costruito attorno. Ma non aveva voglia di discutere, e di certo non aveva intenzione di mettersi inutilmente in pericolo: solo uno stolto avrebbe potuto ignorare l’avvertimento del guerriero trapassato, il suo stato a cavallo dell’oblio un monito sempre presente contro gli atti sconsiderati ed imprudenti. Soppresse l’insofferenza e si sedette alla parete, lontano dalla grossa breccia nel muro, cogliendo l’occasione per asciugare almeno un po’ i capelli ancora fradici.
“Vieni, Firion: ti spiego come faremo a passare” disse lo Spettro al giovane Cacciatore. Quando fu vicino, abbassò la voce il più possibile per non farsi sentire oltre i gemiti del vento.
“Fai finta di guardare fuori.”
Firion lo guardò insospettito, ma fece come diceva.
“Che progetti hai per il futuro?”
“Sai bene che non posso più aspirare ad un futuro…”
“Ne sei davvero convinto? Allora lascia che ti faccia un’altra domanda: quanto sei disposto a perdere prima di renderti conto di ciò che hai?”
Firion gli rivolse uno sguardo confuso, non avendo intuito il suo messaggio.
“Quella ragazza: tu la ami, e anche lei prova lo stesso per te, anche se ancora non lo sa...”
“Come fai a-”
“Abbandona questa folle missione, portala con te dove potrete essere felici, e vivete insieme una vita degna di essere vissuta.”
“Come puoi suggerirmi una cosa simile? Finché esisterà anche un solo Demone, questo mondo non sarà un luogo sicuro per nessuno. Non posso permettere che viva in un posto simile…”
“Quindi credi che la cosa migliore da fare sia diventare tu un demone e buttare via la tua vita per tenere fede ad una promessa fatta ad un Monumentale, il cui unico interesse è porre rimedio ai peccati suoi e della sua gente?”
“Di cosa stai palando?” chiese Firion, spaventato dalla durezza delle parole del compagno, che minavano i propositi della sua missione.
“Come credi che abbia fatto l’Antico a liberarsi dalla morsa del Nexus in passato? Come credi che abbia fatto Allant a liberarlo di nuovo? Te lo dico io: sono stati loro, loro hanno causato le Piaghe! Hanno fatto ricadere le loro colpe su di noi! Ci stanno manipolando per farci espiare i loro crimini! Sei davvero disposto a sacrificarti per loro?!”
Un sentimento nel profondo dell’animo di Firion si frantumò dolorosamente. Non aveva mai visto la sua missione da quella prospettiva, forse perché non avrebbe mai potuto accettarlo. Solo in quel momento cominciò a capire veramente il quadro degli eventi in cui era rimasto invischiato e che ruolo rivestiva in esso. Gli era stato detto che un male devastante era ricaduto sulle terre, un male che avrebbe posto fine ad ogni forma di vita, uno che non poteva proliferare. Per questo, anime forti e senza paura erano state scelte per combattere le orde demoniache e respingere quell’orrenda minaccia. Era tutto solo una bugia. Solo in quel momento Firion capii veramente come il Monumentale dovesse aver scelto accuratamente le parole da rivolgergli per non rivelargli che erano stati loro a causare le Crisi dei Demoni e per invogliarlo a focalizzare il suo odio su quelle aberrazioni. Solo in quel momento capii che era stato manovrato sin dall’inizio.
“Credi di essere stato scelto perché sei speciale? No, non lo sei. Eri un cavaliere di Boletaria, nulla di più nulla di meno. Sei solo uno dei tanti sfortunati caduti vittima della rete d’inganni dei Monumentali, e se fallirai, nessuno ricorderà il tuo nome…”
Il Guerriero Avvilito posò le mani sulle spalle di Firion e lo spinse a guardarlo negli occhi. Il giovane sembrava sconvolto dall’improvvisa rivelazione sulla vera natura della sua missione, era agitato ed in cerca di una risposta.
“Per cosa, secondo te, io ho abbandonato? Quando lei mi fu portata via, io non avevo più niente per cui valesse la pena di vivere. Avevo dato tutto al mio impegno, eppure loro non hanno mosso un dito per proteggerla, nonostante tutti i miei sforzi loro sono rimasti a guardare! Non rimarrò in disparte mentre fai il mio stesso errore. Io non ho più niente da perdere, ecco perché tornerò a combattere, ma tu…Dimentica questa storia. Porta Claire e gli altri via con te, portali dove potrete ricominciare. Fa come ti dico, ora che sei ancora in tempo…”
Lo Spettro batté le mani sulle spalle del giovane. Poi lo lasciò e si fece scivolare alla parete opposta a Claire. Firion perse lo sguardo nelle indistinte linee della scogliera alterate dalla tempesta, poi ne fissò uno impensierito sulla ragazza alle sue spalle: lei era ignara di tutto, intenta com’era a badare alla sua chioma. Inquieto nell’animo e turbato come non fu mai, la raggiunse e si sedette accanto a lei, ansioso di non lasciarsi sfuggire un solo momento per poterle stare vicino.
Nel tempo che i tre viandanti passarono dentro la caverna, le nubi del cielo si fecero più dense e pesanti, imbrunendosi e marcando il grigiore del giorno lugubre. La tempesta non perse una frazione del suo impeto, mentre la pioggia intensificò la sua caduta: precipitava vertiginosa sospinta dal vento, trasformandosi in aculei gelidi. Quando fu ovvio che era possibile aspettarsi solo un peggioramento, lo Spettro propose il rischio di raggiungere l’altro capo dell’isola mentre vi era ancora luce sufficiente: se fosse calata la sera, non avrebbero avuto alcuna possibilità di passare lungo il fianco della scogliera, e l’impresa alla cripta sarebbe stata solo una perdita di tempo. Dopo una sofferta riflessione, Firion e Claire si dissero d’accordo nel tentare la traversata. Con estrema cautela, quindi, si sporsero in fila oltre il bordo dell’apertura, poggiando sul cornicione proteso a strapiombo sugli scogli. Il camminamento era abbastanza largo da permettere a due paia di persone di camminare l’una di fianco all’altra, ma le forti raffiche e la visibilità estremamente ridotta spinsero i tre ad avanzare rasentando la parete. Gli abiti ondeggiavano selvaggiamente, e la pioggia li colpiva ripetutamente sugli occhi e sul volto, costringendoli a proteggersi con un braccio e farsi guidare dall’altro. Intanto che Claire si sforzava di vedere dove stesse mettendo i piedi, un colpo d’aria più forte degli altri le scompigliò violentemente i capelli. Il fermaglio di giada tra di essi perse attrito e volò giù dal percorso sospeso.
“No!”
Claire tentò di riagguantarlo tendendo disperatamente le mani e sporgendosi più che poteva, ma venne trattenuta da Firion che la spinse indietro al suo posto. Lei protestò rabbiosa, ma un secco movimento del capo di Firion la fece fermare, dicendole che il ricordo della figlia di Thomas era ormai perduto per lei. Venne esortata a tornare a muoversi. Claire spese ogni secondo dei lunghi minuti che seguirono ad incolparsi per aver perso il ricordo che Thomas le aveva affidato, temendo il momento in cui avrebbe dovuto dire al Collezionista di essere venuta meno alla sua promessa. Avanzarono a tentoni scorgendo a malapena la strada davanti a loro per un tempo che sembrò incalcolabile, attenti a non scivolare sulla roccia bagnata e friabile. Stavano ancora camminando quando Firion si fermò di colpo, sollevando la testa al cielo.
“Fermi!” chiamò ad alta voce.
Claire ed il Guerriero Avvilito lo guardarono sorpresi attraverso le strette fessure a cui erano ridotti gli occhi. Una forte inquietudine montò in entrambi quando videro il compagno agitare il capo in cerca di qualcosa tra le nuvole nere, tanto che cominciarono a scrutare anche loro. Improvvisamente, l’espressione di Firion mutò in una maschera di spavento, e fece per spingere avanti i suoi amici.
“Corret-!”
Non fece in tempo a finire che una specie di aguzza zagaglia interamente ossea penetrò lo spazio tra il suo pettorale e la spalla. Il colpo lo portò su un ginocchio, mentre il sangue esplose tutt’intorno. Il cuore di Claire rischiò di sfondarle il petto davanti all’attacco improvviso, e lei non poté fare a meno di cadere all’indietro. Quando si rese conto delle condizioni di Firion, accorse prontamente per dargli aiuto.
“Firion!”
Il Cacciatore si portò velocemente in piedi e l’allontanò. Spezzò la punta che sporgeva dal suo corpo ed estrasse il resto dell’asta, rivelando un grosso foro rosso dove era stata prima: la vista raggelò i compagni atterriti. Piroettò su se stesso e lanciò la grossa punta acuminata nella direzione da dove giunse. Un momento dopo, una creatura alata e deforme, dal corpo piatto, due grosse protuberanze nere per occhi ed una lunga coda, cadde stridendo dallo schermo di nubi, prima sul cornicione e poi giù di esso nel vuoto sottostante.
“Ci hanno accerchiati! Correte senza fermarvi!”
Abbandonando la cautela di prima, Claire e lo Spettro accelerarono più che poterono verso la meta invisibile davanti a loro. Da ogni angolo sopra le loro teste, cominciarono a cadere altre di quelle punte mortali, conficcandosi duramente ai loro piedi ed alle loro spalle. Più e più volte vennero sfiorati dai lunghi aculei, evitandoli per puro miracolo. Lo Spettro salvò una volta Claire spingendola di lato e scagliando la sua spada ad una di quelle creature nascoste nella pioggia, colpendola a morte. Claire pensò di fare lo stesso con il suo arco, ma imprecò quando si rese conto che le sue frecce, in quel vento, non sarebbero servite a niente. Continuò a correre finché si accorse che l’assalto sembrava essere terminato, lei ed il Cacciatore spettrale non erano stati più inseguiti dopo gli ultimi attacchi. In uno spiazzo più largo del resto della strada si guardò dietro e vide con orrore il motivo: Firion era rimasto indietro, faceva da esca attirando i demoni volanti con le pietre luminose. Avanzava roteando fulmineo lo spadone, distruggendo le lance in volo, ma erano così tante che alcune riuscivano a superare le sue difese, trafiggendolo. Claire fece per correre da lui, ma venne trattenuta per un braccio dal fantasma.
“Dobbiamo andare!”
“Non lo lascio da solo!” rispose lei tirando via il braccio.
“Ce la farà! Lo impacceremmo e basta! L’unico modo che abbiamo di aiutarlo è metterci al sicuro!”
“Non posso-!”
Un fulmine scarlatto si abbatté a pochi metri da dove stavano entrambi, distruggendo una porzione della piattaforma su cui stavano. Il Guerriero Avvilito sentì la roccia crollare sotto i suoi piedi, cercando freneticamente un appiglio che gli evitasse la tremenda caduta verso una morte definitiva. La pietra tagliente lo respinse e gli tagliò i palmi. Si rassegnò alla sua imminente scomparsa quando avvertì la presa di Claire sul suo braccio. La ragazza lo aveva afferrato con entrambe le mani, era in ginocchia sul bordo della sezione crollata a sfruttare ogni fibra del suo corpo per non lasciare la presa. Digrignava i denti per lo sforzo, gemendo nell’avvertire che veniva lentamente trascinata sul margine mentre l’altro scivolava via. Lui lo aveva capito: Claire non avrebbe mollato, nonostante stesse cadendo anche lei. Avrebbe preferito precipitare nel tentativo piuttosto che accettare di non essere stata in grado di salvarlo.
Per alcuni secondi, il mondo dello Spettro si fermò. Ripensò alla sua vita, al dolore delle innumerevoli perdite che dovette sopportare anche oltre la sua morte. La sua terra, la sua famiglia, la sua amata. La vita degli uomini è dolore, quindi non ha senso tentare di essere felici: troppo tardi l’aveva capito. Per molto tempo rimase certo di quella sua convinzione. Tuttavia, qualcosa cambiò quando comparve un ragazzo di nome Firion, uno stupido che credeva di poter cambiare il mondo e salvarlo dal baratro in cui era caduto. Credeva di poter riaccendere il calore dell’umanità negli uomini, da molto dimenticato sotto le ceneri dell’egoismo e della paura. Ammetterlo fu un duro colpo al suo orgoglio, ma finì anche lui per credere al sogno del ragazzo, e come lui coloro che lo accompagnavano. Decise di non poter accettare di restare a guardare mentre quel sogno rischiava di diradarsi in una nebbia di inganni e sotterfugi. Decise che la speranza si sarebbe sostituita all’angoscia, e alla fine della sua tragica esistenza, la speranza era tutto ciò che aveva.
“Avrei voluto conoscerti meglio, Claire…”
“Ne avrai tutto il tempo quando torneremo a casa!” gridò lei nervosamente.
“Non credo che tornerò…”
“Usa il fiato per issarti su!”
“Stai accanto a Firion. Non abbandonarlo…”
Il Guerriero Avvilito si strattonò seccamente via dalla presa di Claire e si lasciò cadere. Claire emise un verso soffocato e protese la mano, sgranando gli occhi increduli. Lo vide cadere sempre più in basso finché divenne indistinguibile nella furia del vento. Rimase ferma a fissare il punto in cui scomparve, incapace di muoversi. Un’ombra dietro di lei emerse alle sue spalle: era Firion, sanguinante da ferite ancora aperte. Dietro, lo seguivano instancabilmente i mostri alati. Claire venne sollevata di peso e messa in spalla. Rapidissimi percorrevano ciò che rimaneva del cornicione, la cui struttura indebolita cedeva e crollava facilmente sotto il peso del Cacciatore. Tutt’intorno, la tempesta peggiorò di nuovo: funesti fulmini rossi si scaricavano ovunque con fragore. Firion slittava incontrollabile sulla roccia, spintonato dal vento, mentre accelerava forsennatamente per non venir inghiottito dal vuoto che stava aprendosi sotto di lui. Quando arrivò finalmente in vista della piccola arcata che segnava la fine della traversata, diede fondo a tutte le sue energie per coprire lo spazio che li separava dalla salvezza. Superò l’architrave, lasciò andare Claire, e si abbatté a terra, sfinito. Le pareti della piccola galleria in cui entrarono faceva eco dei respiri affannosi del cavaliere che si sforzava di rallentare i battiti del suo cuore. Un tenue bagliore verdastro dal fondo lanciava piccole ombre dei due girovaghi sopravvissuti. Claire sopraggiunse apprensiva sul corpo maltrattato del Cacciatore per prestare aiuto in qualunque modo possibile. Firion aveva ferite ovunque, alcune ben più gravi di altre, ma tutte si stavano magicamente risanando. Era uno spettacolo incredibile.
“Starò bene. Non ti preoccupare” disse lui un po’ a corto di fiato.
Si appoggiò alla parete per riposare e si rilassò per lasciare che il processo di guarigione procedesse placidamente.
“Tu sei ferita?”
“N-No…” rispose lei distrattamente.
“Ti ho vista ferma vicino alla sporgenza, ho temuto che ti fosse accaduto qualcosa. Grazie al cielo sei sana e salva. Ma dov’è lo spirito?”
Non venne alcuna risposta. La ragazza teneva gli occhi bassi e non proferiva parola, mordendosi invece il labbro.
“Claire?...”
“E’ colpa mia! Non l’ho salvato!” esplose la ragazza, battendo rabbiosamente il pugno a terra.
“Aveva detto di muoverci, io non l’ho ascoltato, ed è caduto! Non ho avuto la forza di salvarlo!”
Pianse lacrime esasperate. Firion, ancora dolorante, la cinse con un braccio e la portò alla parete, dove sedettero vicini. Le sfregò dolcemente la mano sul braccio, consolandola in silenzio. Lei poggiò la testa sulla sua spalla, lasciando che il suo affetto lenisse, almeno in parte, il suo dolore.
Stettero in quel modo a lungo. Firion preferì non pensare troppo all’accaduto: un altro membro del loro piccolo gruppo di sopravvissuti se ne era andato e lui non aveva potuto evitarlo. Ormai era evidente che la loro resistenza era al limite. Pian piano, avrebbero ceduto tutti. Non s’illuse più dicendosi che non sarebbe accaduto finché lui avesse continuato a combattere. Doveva agire, ed in fretta. Quando credette che Claire si fosse calmata, si alzò e le tese la mano. Lei si asciugò un’ultima lacrima con un dito ed accettò l’aiuto.
“Mi dispiace di essere così fragile. Vorrei essere forte come te” disse lei con espressione amareggiata.
“Tu sei più forte di quanto pensi. Anche adesso dimostri una forza che molti non avrebbero.”
“Ma non sono riuscita a-”
“Lui ha riposto la sua speranza in noi. La nostra vera debolezza adesso sarebbe tradire quella speranza” la interruppe lui poggiando le mani sulle spalle dell’altra. Lei sembrò riflettere in silenzio alcuni momenti. Poi, la sua espressione mutò in quella decisa che aveva sempre tenuto e diede un deciso cenno del capo.
“Brava.”
Si diedero uno sguardo eloquente e poi s’indirizzarono verso il fondo della galleria. Quello che sembrava il termine dello stretto canale nascondeva, in realtà, una lunga discesa verso il basso. Percorsero guardinghi il dislivello, arrivando in fine in una larga stanza decorata, illuminata dallo strano alone delle rocce e dal grigiore di un’arcata dal lato opposto. Era l’ambiente più elaborato dell’intero edificio, con statue, mosaici e rappresentazioni. Quelli che dovevano essere stati antichi e potenti guerrieri erano stati immortalati nella pietra con le armi in pugno, fieri ed orgogliosi; sulle pareti, invece, erano incise numerosissime scritte antiche ed immagini evocative. Una in particolare colse la loro attenzione: un’enorme oscurità nel cielo incombeva minacciosa, un uomo solo con la sua spada a combatterla tra costruzioni imponenti, vicino ad un grande e rigoglioso albero. Firion guardava affascinato, ma Claire osservò attenta i simboli di quelle scritture antiche. Aguzzò bene la vista, finché riconobbe quei segni primitivi.
“Posso leggerlo…” sussurrò involontariamente.
“Cosa?” chiese incredulo Firion.
“Riesco a capirlo.”
“Dici davvero?”
“Beh, solo in parte. Questi simboli erano in una delle opere più voluminose di Saggio Freke. Lo ricordo perché mi colpì l’accurato parallelismo che fece con la nostra lingua” disse lei distaccatamente mentre si avvicinava a quelle scritture. Passò le dita sulle incisioni per seguirne meglio la successione.
“Proverò a tradurlo al meglio che posso. Spero di non fare errori: “…Viene dalle nuvole. Dio furioso. Dio malvagio. Il peccato…è la sua mano. Ci uccide malvagio. Prendi…la lama di vittoria. Re del vento. Trafiggi il cielo…tra le case dei morti…albero della vita…”
“Che significa?”
“Non ne ho idea” ammise Claire scuotendo la testa.
“In ogni caso, non credo che ci avrebbe aiutato contro l’Arcidemone. Prepariamoci alla battaglia” disse lui tornando a muoversi verso il fondo della sala.
Claire dimenticò il murale e lo seguì tra le numerose altre raffigurazioni. Raggiunsero il capo opposto della camera. L’arcata di uscita era impegnata dalla familiare nebbia bianca e viscosa. Ovattava i suoni di fuori, quasi sfidandoli ad accumulare il coraggio di tornare tra i lampi ed i venti rabbiosi. Claire s’imbracciò l’arco tenuto sulla schiena e lo guardò dubbiosa.
“Questo potrebbe non servire…”
“Confido in te, Claire. Niente potrà mai farmi cambiare idea.”
Lei sorrise malgrado l’intensa lotta che li aspettava e le loro difficili circostanze.
“Grazie.”
Firion le diede un cenno deciso. Poi attraversò il muro spettrale e si ritrovò dall’altra parte. Claire lo seguì, e subito venne investita da una raffica potente che minacciò di scagliarla via. Nella pioggia, nel vento e nei lampi, Claire osservò sbigottita il paesaggio che aveva difronte: la spiaggia di cui aveva parlato il Guerriero Avvilito, dove alti monoliti neri si stagliavano ombrosi ed un enorme albero resisteva incredibilmente alle sferzate continue, era stravolta da vortici violenti di polvere ed acqua. Numerosi massi giacevano erosi al suolo, inermi sotto il cielo nero e pieno di mostruose belve volanti. Quello in cui erano capitati era un inferno, ed in qualche modo loro avrebbero dovuto porvi rimedio. Improvvisamente, dalle nubi prese forma una sagoma oscura ed immensa, illuminata sinistramente dai fulmini spietati. L’Arcidemone si mostrò in tutto il suo orrore, abbattendo il morale dei due viaggiatori: un essere volante le cui dimensioni rivaleggiavano con quelle di una città, ventose, scaglie disgustose e lembi monchi, una bocca orrenda di tentacoli lunghi ed orridi, ed un unico enorme occhio, senza palpebre, fissato su di loro.
“Quell’affare è la causa di questa tempesta…” pensò Claire inorridita.
Firion l’afferrò e la trascinò veloce con sé dietro uno dei massi vicini, riparandosi dalla mostruosità.
“Come dovremmo fare ad uccidere quell’essere?!” esclamò Claire. Firion sporse la testa oltre il misero riparo. Guardò alcuni istanti: l’Arcidemone stava lentamente virando in basso, richiamando a sé le bestie più piccole. Tornò giù e tentò di farsi venire un’idea, ma non venne niente. Il bersaglio era irraggiungibile, e anche se si fosse abbassato abbastanza da essere colpito, non poteva sperare di infliggergli colpi fatali da terra, senza contare le decine di altri demoni che stavano solo aspettando che si mostrassero allo scoperto. Firion guardò Claire con espressione persa.
“Claire, torna al Nexus. Tenterò di ucciderlo da solo” gridò sopra il vento.
“Ti aspetti veramente che ti lasci qui?! Dopo quello che abbiamo passato?!”
“Non mi aspettavo un essere del genere! Non ho idea di come affrontarlo! Non ti chiederò di metterti in pericolo inutilmente, torna al Nexus!”
Detto ciò, Firion estrasse lo spadone e saettò fuori dal nascondiglio, attirando subito l’attenzione dei molteplici nemici. L’immenso Arcidemone emise un verso come un tuono, ed immediatamente tutte le bestie che lo circondavano fecero cadere una pioggia di lunghi aculei sul Cacciatore. Firion si riparò sotto la sua spessa lama, ma solo alcune di quelle punte s’infransero contro di essa, mentre le altre lo ferirono ripetutamente. Imperterrito, avanzò inesorabile oltre i monoliti e sulla riva, aspettando la seconda offensiva.
“Così si farà ammazzare! Non potrà difendersi da un altro attacco come quello!” pensò Claire disperata.
“Ci deve essere un modo per noi di contrattaccare…Qualunque cosa…”
Claire osservò ogni punto visibile della spiaggia, facendosi venire ogni sorta d’improbabile idea. Purtroppo, si rese conto che Firion aveva ragione: non avevano alcun modo di colpire l’immenso demonio. Scrutò ancora, in cerca di un miracolo che potesse salvarli. D’un tratto, scorse uno scintillio nel nero dei grossi monumenti che adornavano macabramente la spiaggia: nella confusione della tempesta, la visibilità limitata faceva intravedere solo una piccola forma. Si riparò dietro un masso più vicino per poter vedere meglio. Fu allora che la vide: l’elsa di una spada, incastonata nel pilastro nero. A Claire tornò subito in mente la storia e l’immagine dentro il tempio. Riconobbe tutti i punti di riferimento: i monoliti, l’albero, la spada e la grande oscurità nel cielo. Senza pensare oltre, si liberò dell’impaccio del suo arco e si precipitò sulla lama nascosta, conficcata nel pilastro più vicino all’albero. Alcune delle belve volanti la videro e cominciarono a bersagliarla. Una della lance la sfiorò di pochi centimetri, ma lei non si fermò. Quando fu abbastanza vicina, serrò le mani sull’elsa e tirò con tutta la sua energia. Fece forza con un piede contro il monolite e strinse fino a far diventare bianche le nocche. L’enorme sforzo la ripagò facendo venire fuori l’arma mitica: una splendida spada dalla lama a spirale, dalla leggerezza sorprendente.
“Fa che funzioni!”
Corse sulla spiaggia, a pochi metri da dove stava Firion, ed alzò la spada sopra la sua testa. Firion si accorse di lei e le gridò di ritirarsi all’istante, ma Claire non lo ascoltò.
Di colpo il vento mutò direzione, scombussolando i demoni volanti, che apparvero disorientati e spaventati. Claire cominciò ad avvertire forti formicolii alle mani, che presero a tremare senza controllo. L’aria prese a vorticare impetuosamente, turbinando attorno alla spada che Claire teneva in alto. Firion stentava a crederci e fu costretto a ripararsi mentre vedeva Claire diventare l’occhio di un ciclone. Tutta quell’energia si condensò in unica, altissima colonna, che originava dall’elsa della spada e toccava il cielo. La paura dell’Arcidemone divenne tangibile, e tuonò di nuovo, ordinando ai suoi seguaci di attaccare. Fu allora che l’aria si fermò, e fu allora che Claire abbassò la lama. Il fendente colossale colpì nel giro di pochi attimi: le nubi sopra il grande demone alato si squarciarono, facendo tornare la luce del sole, intanto che il mare sottostante si apriva in due. Claire abbandonò la spada, che perse il suo potere, e cadde all’indietro, svuotata. Per dei lunghissimi secondi, null’altro accadde: Firion e Claire guardavano immobili il mostro gigante fermo nel cielo, e la ragazza temette di aver mancato il bersaglio. Subitaneamente, una striscia rossa si aprì sul corpo dell’immenso abominio. La linea si allargò sempre più finché divenne chiaro che il demone era stato squarciato a metà. Quando le due sezioni cominciarono a cadere, esse si convertirono nel bagliore opaco delle anime. Anche le numerose altre bestie svanirono, il cielo tornò a risplendere di luce solare ed il vento venne sostituito da una calda brezza. Successe tutto talmente in fretta, che fu quasi impossibile pensare che poco prima la peggiore tempesta di sempre si stesse scatenando. L’anima dell’Arcidemone venne assorbita da Firion, che diversamente dalle altre volte, ebbe come unica reazione alcuni colpi rumorosi di tosse e la caduta su di un ginocchio. Non appena si riprese, corse da Claire, che nel frattempo si era rimessa in piedi, anche se a fatica. Sorrise di gioia nel vederlo sano e salvo. Provò a camminare verso di lui, ma il risultato fu un barcollio scoordinato che la vide quasi cadere. Firion la prese al volo e, capendo quanto dovesse essere spossata, la portò al tronco del grande albero sulla spiaggia, dove la fece appoggiare.
“Grazie.”
“Sei stata incredibile poco fa. Ci hai salvato.”
“Solo fortuna.”
Tra loro cadde un profondo silenzio, accompagnato solo dalle onde del mare, ora più dolci e calme. Si fissarono a lungo negli occhi, silenziosamente in preda ad una strana euforia. Poi Firion tese le mani per stringerla, entrambi si mossero l’uno verso l’altra e Claire lo baciò sulle labbra. Indugiarono alcuni momenti, si staccarono brevemente, e poi si unirono di nuovo, con passione maggiore. Si abbandonarono sul tronco, lasciandosi scivolare, e presto non riuscirono più a fermarsi. 
             

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


Demon’s Souls:
Le cronache dell’uccisore di Demoni
Capitolo 14
 
Il penitenziario della una volta illustre ed amatissima Regina d’Avorio Latria godeva di una tale luce solare che avrebbe superato qualunque piacevole giornata del suo ormai decaduto governo. Le ombre persistevano solo negli anfratti più chiusi e nelle celle più buie, ma da ogni altra parte era raggiante. Da quando la Nebbia portata dall’Arcidemone che aveva usurpato il trono della regina era stata revocata e dissipata, sulla città deserta degli splendidi raggi luminosi portavano la silenziosa promessa di una nuova alba e di un fulgido domani. Tuttavia, la luce esaltava al contempo le spoglie quiete di coloro che persero la vita e la ragione, portate via da un destino spregevole e da esseri ancor più orrendi. Quel sole abbagliante nel cielo terso era la speranza che rifioriva nel cuore ferito degli uomini, ma anche un triste testimone delle ingenti perdite che il mondo aveva subito e da cui a malapena si stava lievemente riprendendo. Indifferente, in egual misura, sia al dolore sulla terra che ai sogni speranzosi in cielo, Logan il fattucchiere ributtante vagava malconcio per i piani della grande prigione della città distrutta, in cerca di sopravvivenza e di vendetta. Zoppicava miseramente, appoggiandosi stancamente alla ringhiera rugginosa, le labbra arse e secche per la sete ed il corpo emaciato e scarno. Quando era stato cacciato dal Nexus da colui che un tempo chiamava maestro, emerse nel carcere dove si erano separati la prima volta, sapendo che si trovava lì il potente avversario che aveva sopraffatto persino lo stoico Saggio Freke. Visto che era stato respinto dall’ipocrita incantatore, Logan pensò di cercare una nuova guida nel rivale che lo vinse, ottenendo l’aiuto che necessitava per tornare a praticare le Arti dell’Anima e la possibilità di farla pagare a coloro che lo gettarono nelle sue tragiche condizioni. Cercò a lungo, in ogni angolo dell’edificio, ma non trovò niente: solo cianfrusaglie, utensili arrugginiti, provviste ammuffite e cadaveri, sia tra gli uomini che tra i demoni rivoltanti. Quando gli fu chiaro che il mago che aveva imprigionato Freke doveva essere morto, maledisse ad alta voce il nome del Cacciatore del Nexus, il quale sapeva essere sicuramente responsabile. Nella sua testa, chiamò quell’insulso cavaliere con ogni appellativo ingiurioso che gli veniva in mente, vedendo in lui la causa di ogni sua disgrazia. Da quando erano arrivati lui e la sgualdrina che lo accompagnava, la sua intera esistenza era stata rovinata. Non avrebbe trovato pace finché non avrebbe tolto ad entrambi la vita: prese ad immaginare mille scene di come avrebbe fatto una volta che sarebbe tornato da loro.
“Figlio di una cagna…prostituta indegna…morrete entrambi…morrete entrambi…”
Arrancando tra le mura sporche di sangue e dolore, s’inabissò sempre più in profondità nella spirale di follia e violenza che lo stava pervadendo.
Camminò senza meta e senza curarsi delle svolte che prendeva, concentrato solo sulle sue farneticazioni sempre più raccapriccianti e deliranti. Arrivò senza accorgersene ad un’ala separata dal corpo principale dell’edificio, una rimasta in ombra nonostante l’intensa luminosità del giorno. Al di sotto di un grosso torrione di raccordo, arrivò in prossimità di una cella più stretta delle altre, una voragine oscura dove ogni luce veniva inghiottita. Logan, sull’orlo della pazzia, bisbigliava ancora quando un rumore ed un movimento da quella stanzetta alla sua sinistra lo riportarono vigile ed attirarono la sua massima attenzione. Rimase immobile, aspettando che la presenza che aveva causato quel suono si mostrasse alla luce smorzata. Dall’oscurità emerse una figura nera, di un metallo scuro. Prima, un guanto artigliato si serrò sulle sbarre; poi, un elmo cornuto e dalla visiera sottile ed imperscrutabile si affacciò alla grata di ferro. Logan lo fissò pietrificato, e sussultò quando sentì la voce, nera come l’oscurità da cui proveniva.
“Sei qui per affrontare i Demoni?”
Logan cercò di sopprimere la paura e la soggezione come meglio poté, non riuscendo comunque a smettere di tremare.
“I-Io…non sono un folle che vuole morire. Non affronterei mai un demone…”
Calò un silenzio teso e tagliente, che si dimostrò per Logan una tortura dolorosa. Nonostante si trovasse dall’altra parte delle solide sbarre, sentiva come se la sua vita fosse appena stata appesa ad un filo, e temeva di muoversi per non perdere la debole presa che teneva a quella stringa sottile.
“Aiutami ad uscire da qui. Io sono dalla tua parte: sono venuto ad affrontare i Demoni.”
“Affrontare i Demoni?” ripeté incuriosito il mago fallito.
In quel momento, qualcosa di perverso scattò nella mente di Logan. Si sforzò di ricordare le voci che raccontavano degli eroi che avevano attraversato la Nebbia per combatterne i Demoni, finché non intuì chi si ritrovava davanti. Al fattucchiere vendicativo balenò l’idea che sapeva gli avrebbe portato la sua vendetta: se ciò che il prigioniero diceva era vero e se era veramente chi credeva che egli fosse, era anche probabile che fosse abbastanza potente da poter rivaleggiare con il Cacciatore del Nexus. Lo dimostrava il fatto che fosse stato imprigionato, come era successo a Freke. Se si fosse accattivato la gratitudine di quel guerriero e gli avesse chiesto di combattere contro il Cacciatore ed uccidere i suoi amici, avrebbe potuto ottenere la giustizia che meritava senza muovere un dito, e godersi lo spettacolo della loro morte senza rischi. Pregustava già la dolcezza di una tale eventualità. Dimenticò la paura che provò momenti prima e si mise a scrutare nell’ombra, cercando la forma del guerriero imprigionato ed il luccichio di un’arma. Lo vide nella lucida lama di una spada ricurva, tagliente e letale, legata alla sua cinta, e subito capì di aver fatto centro con un sorriso beffardo.
“Che te ne pare di un patto? Io ti faccio uscire se tu sbrighi un lavoro per me.”
“Che tipo di lavoro?”
“Una missione di assassinii: uccidi per me gli attuali abitanti del Nexus, in cambio della tua libertà.”
Una leggera inclinazione della testa della figura nera indicò un nuovo interesse nelle parole del fattucchiere alla menzione dell’eremo grigio, e la sua voce sembrò suggerire un responso positivo alla proposta.
“Il Nexus? E’ un lavoro sporco quello che chiedi…”
“Andiamo, ho capito cosa sei, e credo anche di aver capito chi sei. Accetta la mia proposta, e mi abbandonerò alle tue mani esperte.”
Un altro lungo silenzio s’interpose tra di loro. Logan aveva disperso ogni sua preoccupazione per il futuro, la fortuna aveva ricominciato a girare e finalmente il fato gli sorrideva. Sapeva che l’assassino avrebbe accettato: quei mercenari di morte prendevano in parola le condizioni dei loro contratti, poiché era una regola invalicabile della loro professione. Chi non rispettava tale regola, veniva marchiato a sua volta come bersaglio, e dato che quello che aveva davanti era il capo di quell’ordine scellerato, sapeva che il prigioniero non avrebbe mai rischiato di trasgredire il suo codice. Ne era certo: la sua vendetta si sarebbe presto compiuta.
“Io accetto.”
Logan si costrinse a trattenere una risata di trionfo e prese il grimaldello che trovò addosso al cadavere di un ladro dentro la prigione. Con abilità di una vita che si lasciò alle spalle molto tempo prima, sbloccò la serratura della cella dopo pochi tentativi. Forse fu proprio per la nostalgia di quei tempi che prese quel subdolo attrezzo. Si distanziò per lasciar uscire il prigioniero, colui che gli avrebbe servito la sua rivalsa: l’assassino più infame di Boletaria, la sua armatura nera un presagio di morte imminente.
“Chi è il mio bersaglio?”
Logan parve rifletterci un po’. Rispose con sufficienza arrogante e cinica, trattando della vita di un essere umano con una noncuranza disarmante.
“Sai cosa? Per primo, voglio che tu uccida Saggio Freke. Quel vecchio rimbambito si pentirà di avermi privato della mia magia!”
“Sei tu il suo apprendista?”
“Lo sono stato, purtroppo. Ho speso così tanti anni della mia vita inutilmente… Ma non ha più importanza, perché Freke pagherà di tutto ciò che-”
Logan non vide nemmeno lo scatto fulmineo con cui l’assassino piantò la lama ricurva nella sua gola, passandola da parte a parte. Poté solo sgranare gli occhi increduli e supplicanti, intanto che un copioso sgorgo di sangue sfuggiva alle sue labbra e dal grosso squarcio.
“Le anime ingerenti…”
La lama insensibile venne tirata fuori con violenza, recidendo quasi interamente il collo e facendo eruttare fiotti cremisi disperati. Alla testa di Logan non rimaneva che un sottile lembo di carne per rimanere appesa al suo corpo. Nei pochi istanti che precedettero la caduta del suo cadavere, ebbe ancora la lucidità per maledire un’ultima volta la vita ed il mondo, augurandosi che sprofondasse in un abisso di fuoco.
“…non sopravvivono mai a lungo…”
Ciò che rimaneva di Logan cadde oltre la ringhiera di ferro arrugginito che separava il piano dal fondo perennemente oscuro dell’edificio, destinato ad essere dimenticato per sempre. L’assassino spietato si trattenne solo il tempo necessario per assicurarsi della morte dell’uomo e si voltò, dirigendosi a passo svelto verso la sua destinazione. Aveva già perso troppo tempo a causa della sua prigionia, farsi catturare nel pieno svolgimento della sua missione era stato un errore imperdonabile, da novizi. Essere di nuovo in libertà gli avrebbe finalmente permesso di proseguire il suo lavoro. Quello che aveva ucciso era solo uno dei suoi contratti: una volta arrivato al Nexus, avrebbe estinto gli altri.

Firion si svegliò, all’ombra delle splendide fronde dell’albero su cui prima lui e Claire si erano adagiati. Un soffio caldo e gentile scendeva sui ciottoli della spiaggia, agitando lievemente le foglie ed i suoi capelli ed accarezzandogli la pelle. L’infrangersi dolce delle onde poco più lontane, lo accompagnavano affettuosamente nel risveglio. Il mantello che gli regalò Sant’Urbain faceva da coperta sotto il dorso, le morbide radici del tronco da letto. Impiegò qualche secondo per mettere bene a fuoco e riordinare le immagini che precedettero il suo sonno. Cercò Claire col braccio: quando non la trovò, l’incanto finì. Alzò di scatto il busto, scrutando ovunque per cercarla. Solo quando si alzò e guardò oltre l’albero la vide, seduta sulla riva. Eccettuato che per qualche piccolo movimento, non sarebbe stata diversa dai monoliti disseminati sulla battigia. Sollevato per averla trovata, Firion raccolse alcuni dei suoi indumenti e si rivestì dei calzoni e degli stivali. Si avvicinò a passi leggeri, soffermandosi per poco sui sassolini umidi sotto ai piedi. Durante il breve tragitto, ripensò più lucidamente a ciò che era successo tra lui e la ragazza dopo la sconfitta dell’Arcidemone. In poco venne divorato dalla vergogna: e se fosse stato qualcosa che Claire non voleva? Quando si sforzò di pensare alle parole giuste da dirle, era già arrivato a poco meno di un metro da lei. Claire, accortasi di lui, si girò un poco sul suo posto a terra e lo salutò.
“Ben svegliato” disse con un piccolo sorriso. Firion non riuscì a dire o fare niente, limitandosi a non sviare troppo lo sguardo dal suo. Claire non mutò espressione e tirò fuori qualcosa dalla tasca del pantalone.
“Guarda cosa ho trovato…”
Aprì la mano, rivelando il fermaglio di giada appartenuto alla figlia di Thomas.
“Deve essere stato portato qui dalla corrente: non è incredibile? Forse è destino che alcune persone non vengano dimenticate. Forse, dopotutto, riuscirò a mantenere la mia promessa…” disse guardando il piccolo ornamento, che infilò poi tra i capelli. Rivolse un breve sguardo a Firion, e poi lo riportò davanti a sé, sul mare sconfinato. Firion sopportò a malapena il suo silenzio. Dopo aver raccolto il coraggio necessario, trovò la forza di parlarle.
“Claire, so che è poco, ma mi dispiace.”
“Per cosa?” chiese lei voltandosi di nuovo, visibilmente incuriosita.
“Per…quello che è successo. Mi dispiace…” sospirò, non osando guardarla.
Claire aveva ancora lo stesso sorriso con cui lo salutò. Batté una volta con la mano il terreno che aveva di fianco e fece un piccolo cenno.
“Siediti vicino a me.”
Firion esitò qualche momento, ma fece come diceva, sedendosi alla sua destra.
“Più vicino. Voglio starti accanto…”
Firion coprì i pochi centimetri che li separavano. Quando furono spalla a spalla, Claire appoggiò il capo su quella del giovane. Il contatto permise a Firion di abbandonare molta della sua tensione: senza pensarci, allungò il braccio cingendole le spalle, stringendola teneramente a sé. Lei emise un piccolo verso contento, crogiolandosi nell’abbraccio.
“Non hai niente di cui scusarti. Credo…di essermi innamorata di te, Firion. Sono felice che sia stato con te e con nessun altro.”
Un grosso peso svanì dal cuore di Firion, sostituito da un sentimento tanto entusiasta che non pensava sarebbe riuscito a trattenerlo.
“Anch’io lo sono.”
“E’ così strano…” disse lei dopo dei lunghi momenti passati a godere della calma musica delle onde e del calore del suo compagno.
“Cosa lo è?”
“Tutto questo. La prima volta che ho messo piede nel Nexus, non mi sarei mai immaginata in questo modo. E’ stato solo un caso che io ti conoscessi: cosa sarei ora se non fosse accaduto? Dopo la morte dei miei genitori, io…io mi sono sempre sforzata di essere forte per Serah: per questo nella mia vita ho allontanato tutti quanti tranne lei, non potevo permettermi di avere delle debolezze. Con te, però, non ci sono riuscita. Mi hai fatto capire che tipo di legame avresti voluto instaurare con me, e adesso non potrei pensare di farne a meno…”
Firion non parlò, temendo d’interrompere un momento così intimo. Claire non si era mai aperta in quel modo a lui, non poteva fermarla ora che aveva deciso di rivelare parti così profonde di sé stessa.
“Ed è per questo che ho paura, Firion. Dopo oggi, ho solo guadagnato una persona in più da perdere. Tu non vuoi rinunciare alla tua missione, ma io non voglio sapere come mi sentirò in tua assenza. Ora non posso perderti…”
Firion tolse il braccio dalle sue spalle e le prese delicatamente il volto tra le mani: fissò gli occhi in quelli di lei e, rosso in viso per le parole che stava per dire, impugnò le sue emozioni con fiera determinazione.
“Claire, se è per poterti stringere ancora come ho fatto alle radici di quell’albero e per poterti vedere di nuovo radiosa come adesso, allora ti prometto che troverò il modo di stare al tuo fianco per sempre. Non ti lascerei mai da sola.”
Questa volta, sorpresa dai sentimenti dell’altro, fu lei a sviare gli occhi vergognati.
“Che cosa imbarazzante da dire…”
“Non m’interessa, se starò con te…”
La portò a sé ed unì le labbra alle sue in un bacio appassionato. Lei ricambiò con medesima intensità. Indugiarono in quel modo per dei lunghi momenti. Poi lei si staccò, offrendo un sorriso all’espressione confusa di Firion.
“Adesso dovremmo tornare. Gli altri saranno in pensiero…”
“Immagino di sì” rispose Firion, sogghignando ironicamente ai suoi impulsi e desideri. Si alzò e porse la mano a Claire, issandola in piedi e baciandola sul dorso.
“Spero solo avremo altre occasioni come questa…”
“Oh? Non esagerare adesso, ragazzone. Non vorrai farmi cambiare idea sul tuo conto? Rivestiti piuttosto!” esclamò lei scherzosamente, facendolo girare prepotentemente e dandogli il calcio che una madre avrebbe dato al figlio irriverente. Lui si allontanò spaventato e divertito, raccogliendo la camicia ed i vari pezzi della sua armatura disseminati intorno al giaciglio sotto l’albero rigoglioso. Claire lo vide ricomporsi da lontano; quando mosse qualche passo per raggiungerlo, un riflesso l’accecò parzialmente ed attirò la sua attenzione. Seguì il raggio luminoso fino alla lama a spirale della magica spada che le permise di abbattere il grande demone del cielo, abbandonata a terra, ai piedi di uno dei monoliti neri. Dopo la loro vittoria, entrambi i viaggiatori si dimenticarono di quell’arma dall’incredibile potere, presi com’erano ad esprimere il loro amore. Claire si avvicinò e la prese cautamente tra le dita: era sorprendentemente leggera, nonostante l’elaborata realizzazione. Sempre attenta a non evocare erroneamente le portentose abilità della spada una seconda volta, Claire raggiunse Firion, ancora intento ad allacciare tutte le sue varie cinghie, e la indicò interrogativamente.
“Che ne facciamo di questa?”
Firion risparmiò una breve occhiata a cosa Claire gli stesse indicando e poi rispose distrattamente.
“Decidi tu. Sei stata tu a trovarla.”
Claire considerò il suggerimento perdendosi tra i mille dettagli della lama unica e dell’elsa splendente. Rimase in silenzio ad ammirarla incantata per un po’, poi se la legò come meglio poté alla cintura che portava alla vita, dando un’eloquente risposta su quello che ne avrebbe fatto. Era un’arma straordinaria, probabilmente unica nel suo genere: con i giusti propositi, avrebbe potuto fare la differenza nella lotta contro i Demoni. Le bastò ripensare con quanta facilità riuscì ad uccidere l’immenso Arcidemone delle tempeste, un essere che sembrava intoccabile. Riportando alla mente le scene di quella lotta spropositata, Claire assunse un’aria molto più perplessa quando ricordò un particolare strano di quei momenti concitati, uno a cui non fece subito attenzione.
“Firion…poco prima che sconfiggessimo quel mostro…non so, non ti è sembrato che qualcosa fosse diverso?”
“Ti riferisci a quando sembrava che avesse paura?” chiese retoricamente Firion, imitando il tono grave di Claire.
“Sì, esatto” rispose lei annuendo decisamente, sorpresa dall’esattezza con cui l’altro indovinò.
“Quindi lo hai avvertito anche tu…”
Firion smise di badare alla sua armatura ed assunse un’espressione pensierosa, turbato da quell’evento atipico.
“Tu hai detto che i Demoni non dovrebbero provare-”
“Infatti è così: i Demoni non provano emozioni. Sono solo strumenti di morte che vanno sterminati. Non dobbiamo cambiare il nostro approccio verso di loro. Deve essere stata solo una nostra impressione…”
Claire vi rifletté su per un po’. Era sicura di ciò che aveva percepito ed il suo istinto le diceva che c’era molto di più dietro il tentativo di Firion di dimenticare la cosa. Ma, dopo poco, si convinse che non era che una questione di poco conto: non aveva voglia di perdere tempo pensandoci su e, francamente, se quella belva fosse stata in grado di avere paura, allora lei sarebbe stata ancor più felice di essere la causa del suo decesso. Mentre pensava quelle ultime considerazioni, Firion si era completamente rivestito. Si legò il suo enorme spadone ed il mantello candido sulla schiena. Sollevò l’inserto di maglia della sua manopola e poggiò due dita sul suo Marchio.
“Torniamo a casa.”
Claire riemerse dai suoi pensieri e diede un cenno affermativo. Poggiò la mano sulla spalla di Firion, ed in un momento entrambi evaporarono e si unirono alla brezza marina, trasportati lontano dal vento docile.

Il Nexus era in preda ad una forte agitazione e scompiglio. Grida acute ed invadenti si riflettevano sulle pareti claustrofobiche, perturbando oltre il sanabile la sensibilità dei suoi abitanti. Dopo la partenza di Firion, Claire e dello Spettro, la calma passeggera che s’instaurò tra le mura nere venne spazzata via quando uno dei massimi esponenti della Chiesa venne a sapere della presenza, nel medesimo luogo, del peggiore degli eretici di Boletaria. Sant’Urbain protestò furibondo per un tale affronto: il Cacciatore che lo aveva aiutato, il suo presunto salvatore, lo aveva attirato in una trappola pagana dove non uno, ma ben due luridi incantatori trovavano rifugio insieme all’insegna santa del divino. Come se non bastasse, una di quei inqualificabili soggetti era niente meno che una strega, dettaglio che infiammò il Santo ed il rogo che avrebbe voluto consumasse la miscredente blasfema. Saggio Freke non poté rimanere in silenzio davanti alla dimostrazione di un tale astio, e presto una battaglia di posizioni ideologiche insorse, le prospettive sulla divinità delle rispettive parti a confronto. Mentre i due filosofi si scontravano al centro del salone, divisi solo dai due seguaci vestiti di bianco dallo scannarsi a vicenda, Serah, Yuria, il Collezionista ed Ostrava non osavano intromettersi nell’odiosa disputa. Solo Boldwin e la Fanciulla in Nero sembravano intoccati da quel litigio fastidioso: il primo sembrava sordo e cieco a tutto tranne che ai colpi del suo martello e al fumo della sua forgia, la seconda passeggiava assorta in una dimensione tutta sua. Prima che il sonoro dissidio avesse luogo, Serah colse l’occasione per parlare con Yuria e rassicurarla un po’, dato che dopo l’aggressione che subì rimase talmente scossa ed impaurita che non proferì parola con nessuno di loro e si rannicchiò alla parete, avvolgendosi nella sua larga veste rattoppata e separandosi come meglio poteva da tutti. L’unico di cui sembrava fidarsi era Firion, e benché avesse accettato la compagnia della piccola contadina, non era comunque predisposta a dialogare a lungo. Poi i chierici elencarono i presenti e spiegarono della presenza dei due incantatori al loro padre spirituale, e la sua reazione estrema spinse Freke ad uscire dalle sue ombre e cacciò Yuria in un isolamento ancor più schivo e pavido. Solo il ritorno di Firion e Claire pose una momentanea fine alle urla. La coppia attirò su di sé gli occhi di tutti loro, ma prima ancora che potessero capire in cosa erano rimasti invischiati, Sant’Urbain marciò pretenziosamente verso il cavaliere armato di spadone e con rabbioso cipiglio diede una smorfia disgustata.
“Trai giovamento nell’ingannarmi, Cacciatore?!”
“Prego?” fu tutto quello che riuscì a dire Firion, in preda alla confusione.
“Sei in combutta con gli eretici?! Che ci fanno qui Freke ed una strega?!”
I chierici suoi seguaci s’interposero ancora una volta, tentando di far rinsavire il loro maestro e di farlo tornare alla placida generosità da cui era solitamente mosso. L’Accolito gli si pose davanti a mani giunte, in speranza di essere udito.
“Sant’Urbain, la prego, mi ascolti: Firion è un uomo buono ed è animato da una giusta rettitudine. Se i due incantatori sono qui è solo per il suo incorruttibile giudizio…”
Poi fu la volta dell’Adoratrice.
“Mio fratello ha ragione, mio signore. La supplico, abbandoni quest’odio tanto velenoso che la corrode a tal punto e si riappacifichi con il suo spirito caritatevole…”
Urbain guardò prima uno e poi l’altra con occhi allibiti, sconvolto dai loro sproloqui barbarici.
“Quanta insolenza! Pretendete di poter dire a me come esercitare la santità?! Patteggiate con gli infedeli e vi definite devoti?! Vi scomunicherò all’istante!”
Sia l’Adoratrice che l’Accolito, alla menzione di quelle parole, caddero in ginocchia imploranti per una grazia. La donna arrivò a piangere ed a prostrarsi completamente, afferrando un lembo delle vesti del santo e pregandolo di non mettere in atto la condanna. Urbain strattonò via incurante il tessuto, guardando la donna con disprezzo mentre lei singhiozzava col volto a terra.
“I tuoi fedeli dimostrano una misericordia ed una saggezza che tu non hai, Urbain! Potrei mai credere che sia stato lo stesso dio che tu tanto osanni ad aver insegnato loro certi valori?!” esclamò aspramente Freke.
“Non parlare a me di divinità, Visionario folle! Tu trai i tuoi Incantesimi dal potere demoniaco! Non sei che il demonio sotto mentite spoglie!”
“Miracoli ed Incantesimi sono le due facce della stessa moneta: entrambi sono divenuti accessibili in tutto il loro potere solo dopo l’avvento della Nebbia. Il dio da cui traete tutta la vostra fede non è che il primo Demone, l’Antico!”
“Questa bestemmia ti varrà la morte!”
“Ne ho abbastanza!” proruppe Firion a gran voce, facendo tacere le due parti immediatamente. Affrontò minaccioso Urbain, sovrastandolo in altezza e minimizzando la sua sicurezza.
“Non m’interessa quali siano le vostre differenze e non ho intenzione di scoprirle. Se ancora non l’avesse capito, noi potremmo essere gli ultimi sopravvissuti in tutta Boletaria, e non lascerò certo che siano le vostre ossessioni a decretare la fine di queste persone. Oggi, un uomo coraggioso non è più tra noi per permettere a gente come lei di vivere ancora. Rifletta su questo, ‘sua santità’, e smetta di agire come un infante capriccioso!”
Detto ciò, Firion aiutò a rialzarsi i due devoti disperati. Poi, si fece strada per le scale del piano superiore dando una spallata indelicata al chierico scalpitante, salendo i gradoni a passi rabbiosi; Claire si chiese dove stesse andando così all’improvviso e perché. Urbain, adirato e contrariato, puntò uno sguardo furioso prima al Cacciatore e poi allo stregone. Senza dire un’altra parola, si voltò e si ritirò nel profondo dell’ala sinistra del Nexus. I suoi due seguaci scambiarono un’occhiata persa tra di loro e con Claire e Freke, seguendo a testa bassa il capo del loro ordine.
“Non lo avevo mai visto così arrabbiato…” sussurrò Freke a Claire, rimasti soli a guardare in alto verso il cavaliere.
“Credo si sia trattenuto…” rispose lei distaccatamente.
“Diceva davvero, prima? Il dio che per tutto questo tempo hanno venerato i devoti era un falso?”
“Io credo che i primi fondatori della Chiesa siano stati meramente traviati nella loro speranzosa ricerca, poiché hanno colto i primi segni della rinascita dell’Antico come la presenza del divino. Ciò che venerano non è la divinità, ma solo un’altra delle sue creazioni. Eppure, c’è un modo per noi uomini di evolvere e raggiungere uno stato più vicino a quello del Creatore? Io credo di sì, e sono convinto che la risposta su come fare stia nel comprendere la natura delle Anime Demoniache… Comunque sia, è meglio non pensarci più, per ora…”
Freke posò brevemente una mano sulla spalla della ragazza, che seguì il suo discorso senza veramente comprenderlo, e poi si allontanò silenzioso, tornando ai suoi scritti e studi. L’attenzione di Claire si spostò subito su una voce che la chiamò dal fondo della sala: proveniva da Serah, che correva verso di lei con un sorriso in volto. Le due sorelle si abbracciarono amorevolmente, stingendosi con forza.
“Non ti avrei mai mandato fuori se avessi saputo quanto mi saresti mancata…” disse Serah staccandosi da lei.
“Ho intenzione di riposarmi dopo quest’ultima partenza. Credo mi prenderò un po’ di tempo prima di uscire di nuovo.”
“Sono felice di sentirtelo dire: qui, quando uno di voi due non c’è, sembra scatenarsi il finimondo…”
“Cos’è successo sta volta?”
“Cose da credenti, immagino. Quando il tipo sacro ha saputo di Freke e Yuria, ha cominciato a dare di matto. All’inizio voleva che se ne andassero, poi ha cominciato a minacciare…Non so bene quali siano le qualità di un ‘Santo della Chiesa’, ma non mi sembra che quello lì corrisponda a quell’immagine.”
“Forse è proprio così. Teniamo gli occhi aperti…”
Serah diede un deciso cenno affermativo. Di colpo cambiò espressione: mise le mani ai fianchi ed alzò un ciglio furbo, dando un ghigno malizioso.
“Allora: come è andata con Firion?”
Claire, imbarazzata, tentò goffamente di cambiare discorso, facendole dimenticare la domanda.
“Non hai un lattante a cui badare?”
“Dorme con Yuria. Come è andata con Firion?”
“N-Non so di che parli…” continuò lei, sviando lo sguardo.
“Oh, è andata bene allora! Non fosse così me lo avresti già rinfacciato... Quanto in fondo siete andati?” chiese sospettosa ed indiscreta.
“Non ho niente da dirti!”
Claire si allontanò da lei a passo svelto verso il pilastro dove attendevano Thomas, Boldwin ed Ostrava, sperando che la loro presenza scoraggiasse Serah dal fare altre insinuazioni scomode.
“Non mi dire…E tu che mi facevi tutte quelle prediche sui ragazzi e sui pericoli di una relazione…”
Serah si portò dietro la sorella, ma smise di punzecchiarla. I tre uomini ai piedi dell’alta colonna salutarono a turno Claire, chiedendo delle condizioni sue e di quelle del Cacciatore.
“Claire, ho sentito quello che ha detto Firion riguardo lo Spettro. Quindi, è vero che…” cominciò Thomas, a cui però mancarono le parole.
Claire annuì gravemente. Thomas chiuse gli occhi e sospirò tristemente, abbassando il capo deluso. Anche Boldwin ebbe una reazione simile, appoggiando i gomiti sulle gambe e scuotendo lievemente la testa.
“Però, non si è nascosto né ha avuto paura. Ha continuato con coraggio finché ha potuto, e poi ci ha affidato il futuro che avrebbe voluto plasmare per noi, ed io non ho intenzione di deluderlo."
“Sagge parole” commentò Boldwin deciso. Thomas si risollevò ed annuì in accordo.
“Appartenenti ad una saggia eroina” affermò Ostrava, facendo un passo avanti.
 “Boletaria è precipitata in un abisso tetro ed oscuro. I suoi difensori sono caduti tutti, presto la Nebbia divorerà per intero il nostro regno, e ciò che rimane sarà preda dei Demoni. Tuttavia, un faro di speranza risplende ancora: forse la nostra era vedrà il sorgere di nuovi eroi, come questa ragazza davanti a voi. Lei che affronta pericoli che farebbero cedere chiunque, non si ferma nella sua lotta per liberare queste terre. Insieme all’impavido Firion, porterà la salvezza della nostra casa.”
Ostrava estrasse la spada dorata che portava sempre al suo fianco, e l’alzò in alto a lama protesa.
“Onore e gloria a Claire!”
“Onore e gloria!” gridarono Thomas e Boldwin, alzandosi in piedi.
“O-Onore e gloria!” disse Yuria, aggiungendosi timidamente.
Serah cominciò a battere le mani e si avvicinò di più alla sorella, un sorriso gioioso in volto.
“Onore e gloria…”
Claire sentì le guance arrossire, divenuta il centro di quelle lodi generose. Sentì il cuore batterle incontrollato, incapace di rimanere indifferente a quei sentimenti irresistibili.
“Io non merito i vostri elogi. Non ho fatto niente per meritarli…”
“Invece sì. Ogni secondo che passi là fuori lo fai per noi. Nonostante gli orrori che sai dovrai affrontare, non ti tiri indietro, con coraggio ineguagliabile. Sei cambiata, Claire: una volta non avresti rischiato così tanto per qualcuno diverso da me o da te stessa. Sei una persona migliore ora, la migliore che abbia mai conosciuto.”
Dei piccoli applausi presero ad echeggiare sulle pareti, mischiati ad incitamenti ed incoraggiamenti. Claire assorbì incredula quella scena insostituibile, ma nel profondo non poté fare a meno di accettarla con estrema felicità.
“Eppure…” pensò lei alzando gli occhi alla scalinata sopra di lei, mentre agli applausi si sostituivano delle risate allegre.
“…colui che mi ha reso così non è qui con noi, a godere di ciò che ha reso possibile…”

Firion oltrepassò la Fanciulla in Nero, seduta sui gradoni a metà della rampa di scale. Al suo passaggio lei si alzò in piedi, ma non disse niente, voltandosi verso di lui e seguendolo con quei suoi occhi velati. Il cavaliere continuò a salire e salire, lungo l’altezza apparentemente indefinita per cui si estendeva il Nexus. Quando finalmente arrivò all’ultimo piano, il salone in fondo era diventato quasi indistinguibile tra gli elementi architettonici e le statue ornamentali che si protendevano dalle pareti. Attraversò un piccolo arco che portava ad una stretta e vuota anticamera, dove era presente solo un’altra apertura. Da lì, un’ultima rampa di scale, ben più anguste e brevi, schiacciate tra due pareti vicine, lo condussero al balcone. Una piattaforma si affacciava sul vuoto sottostante, mentre la grande statua sospesa, al centro dello spazio sotto il tetto, riceveva i visitatori sul balcone balaustrato con truculenza. Lungo la parete, decine di piccoli simulacri dai connotati abbozzati e tutti uguali, raffiguranti quelli che potevano essere dei bambini, coperti da larghe vesti. Ai piedi di ognuno, una singola candela spenta, le loro teste reclinate segno di una vita ormai passata: i Monumentali. Tutti loro erano periti, tranne uno. Quelle entità, sedicenti sentinelle semi-viventi della struttura della realtà, erano state poste a guardia del sonno dell’Antico. Tuttavia, uno ad uno cominciarono a morire, finché ne rimase solo uno, lo stesso che condusse Firion al Nexus e che gl’impartì la sua missione. Il Cacciatore non badò a quei cadaveri dalla dubbia natura, e si diresse senza esitazione all’unica candela che ancora ardeva della sua piccola fiamma. Quando fu vicino, si fermò davanti all’unica statua illuminata dal timido fuoco: un movimento del capo indicò una presenza pronta ad ascoltarlo.
“Mi hai ingannato.”
“Fosti scelto per porre fine alla Piaga. Tutti gli Arcidemoni devono morire affinché l’Antico non abbia più servi che possano accumulare anime in sua vece. Quando tu sarai diventato il Demone più potente a sua disposizione, ti evocherà al suo cospetto. Allora, la Fanciulla cullerà l’Antico perché cada ancora una volta nel sonno, il tuo compito sarà concluso e sarai liberato dal Nexus. Quanto ti ho detto, è ciò che ti ho detto quando accettasti la missione.”
“Sei tu ad aver causato la mia morte, non è così? Quando mi hai guidato nella Nebbia, mi hai deliberatamente posto nelle condizioni migliori perché io morissi e così hai potuto legare la mia anima al Nexus, ho ragione?”
L’unica risposta fu un lungo silenzio colpevole, troppo accidioso per poter offrire una risposta esaustiva e veritiera.
“Hai perpetuato questo inganno con ogni guerriero che sia caduto nella tua tela. Nessuno è riuscito a sopravvivere, e tu hai continuato a collezionare uomini da mandare al macello, in cerca del sacrificio migliore da offrire…finché non sono arrivato io.”
“I Demoni vanno fermati, o divoreranno il mondo: la moralità dei mezzi per cui intendiamo perseguire quel fine non è oggetto di discussione” disse il Monumentale dopo altro silenzio con la sua voce giovanile.
“I Demoni che voi avete risvegliato. Nella pateticità del vostro soverchiante fallimento nel mantenere il sigillo dell’Antico, avete corrotto la vita di centinaia, condannando al contempo il mondo intero.”
“Gli uomini hanno causato la rinascita dell’Antico e decretato la loro morte. E’ stata la loro sete di potere. E’ stato così in passato, è stato così quando Re Allant XII si è avventurato qui nel Nexus. Tu rimarrai vincolato qui per sempre, i tuoi amici saranno inghiottiti dall’Antico, insieme a tutto ciò che è coperto dalla Nebbia: se non vuoi questo destino, dirigiti alla Valle di Corruzione ed al Castello di Boletaria, ed uccidi gli ultimi Arcidemoni rimasti. Accetta il tuo destino, o cadi nell’oblio.”
Firion sbuffò ironicamente per il triste divertimento che si ritrovò a provare. Tutto il tempo che si era illuso di essere una sorta di salvatore della sua terra era stato manovrato come molti altri prima di lui, alimentato da incoraggiamenti vuoti e bugie attraenti. In realtà, era semplicemente stato allevato nella speranza che potesse risultare una buona esca per l’Antico. Non era un eroe, soltanto un’insignificante esca.
“Ho già fatto la mia decisione. Ormai non posso più tornare indietro. Però, sappi che non lo faccio per me o per rispettare la mia parola, e nemmeno in nome della tua gente…” disse Firion voltandosi.
“Che i motivi per cui intendi portare a termine il tuo compito siano personali o meno è irrilevante.”
“Lo è invece: sono le ultime parole che sentirai…”
Firion serrò una mano sul suo spadone e cominciò lentamente ad estrarlo.
“Distruggi me e le Arcipietre, l’unica rete che tiene uniti i nodi di questa realtà in rovina, si dissolveranno, gettando nel caos ciò che rimane del mondo.”
“Menti: senza l’aiuto dei tuoi fratelli, hai perso da tempo la tua presa sulle terre. L’unica cosa che puoi ancora fare è intrappolare anime innocenti qui, ed io ho intenzione di fermare questa follia. Questa storia finirà con me, nessun altro dovrà soffrire come ho sofferto io.”
Firion estrasse completamente la sua lama possente, dando ancora le spalle al Monumentale. L’entità arcana rimase un’ultima volta in quiete, come per riflettere a fondo su ciò che stava per accadere e su cosa avrebbe comportato. Alla fine, parlò di nuovo, una strana leggerezza nella sua voce.
“Mi dispiace: è nella mia natura preservare la mia esistenza. Molto bene. Affido a te questo mondo. D’ora in poi, il suo tramonto, o la sua nuova alba, dipenderanno solo da te. E’ stato un onore, Cacciatore di Demoni.”
“Sappi che non avrei voluto. Addio.”
Firion roteò con furia su sé stesso e menò un fendente devastante. L’impatto distruttivo fece tremare le mura, propagandosi nel profondo della pietra nera.

Nel grande salone circolare, i presenti si stavano divertendo a scherzare dopo che l’affabile Ostrava portò ognuno di loro a coprirsi un po’ di ridicolo in onore della coraggiosa compagna del cavaliere Firion. La Fanciulla in Nero, attirata da quelle voci gioviali, si avvicinò a tentoni, desiderosa di provare parte di quella serenità. Quando fu a pochi passi, però, avvertì qualcosa sopra la sua testa, che puntò in alto, come per vedere con i suoi occhi occlusi. Ostrava si accorse di lei e della sua espressione strana e preoccupata. La raggiunse e le prese la mano per attirare la sua attenzione, ma lei tenne il viso verso su.
“Tutto bene, mia fanciulla?”
“Un potente Demone è tra di noi…”
Ostrava non capì cosa volesse dire. La fanciulla stette in posizione, in attesa che il suo nuovo padrone tornasse da lei.   

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


Nota dell'autore: Il capitolo di oggi...non è ambietato nella Valle di Corruzione. Siete sorpresi? Lo sono anch'io. Piuttosto che mozzare due capitoli, ho preferito rispettarli entrambi. Spero non rimaniate scontenti. Buona lettura!



Demon’s Souls:
Le cronache dell’uccisore di Demoni
Capitolo 15
 
“…Il mio rapporto con Firion si è stretto ancora: quest’oggi mi sono data a lui. E’ stata un’esperienza come nessun altra, un po’ strana a dire il vero, ma non mi ha spaventato. Lui è stato gentile, come sempre. In tutta la mia vita fino ad ora, non ho mai creduto che avrei provato i sentimenti che adesso provo per lui, nati nel silenzio, come lo schiudersi di un bocciolo. Ora lo amo, ed insieme a lui sembra essersi aperta una prospettiva tutta nuova per la mia vita futura. Prima riuscivo a scorgere solo grigiore, un’indistinta accozzaglia di possibilità, una meno invitante dell’altra, nessuna veramente preferibile alle altre e nessuna in cui Serah ed io potessimo essere sinceramente felici. Forse con lui, quando la Nebbia si sarà ritirata ed i Demoni saranno solo un brutto ricordo, riuscirò a vincere qualcosa di più per me e mia sorella della semplice sopravvivenza. E’ ciò che voglio credere.
Però, prima di poter vedere la luce di quel domani, per ognuno di noi sarà necessario affrontare ogni giorno fino alla fine della Piaga le proprie paure nel rischioso tentativo di fidarci l’un dell’altro, ma qui al Nexus quasi tutti danno segni di cedimento. Perdiamo membri del nostro gruppo, chi in preda alla follia, chi in cerca di una guida; il nostro morale è a pezzi, nonostante le vittorie che continuiamo a collezionare, soppiantate da pochi ma gravi fallimenti e dalla crescente diffidenza; la tensione è palpabile, la paura della morte ed il confinamento incidono sulle nostre menti e ci fanno vedere nemici dove prima avremmo visto dei sopravvissuti timorosi. Queste persone hanno bisogno di assaggiare di nuovo il sapore delle loro libertà, prima che per la mancanza di essa perdano il senno. Tutto ciò che li tiene ancora consapevoli è un ottimismo stanco ed incerto, che li aiuta ad esorcizzare in piccola parte la loro angoscia. Ed è per questo che non posso permettermi di smettere di lottare. Non so quanto ancora dovrò combattere al fianco del mio Cacciatore per veder morire l’ultimo Demone rimasto, ma so che non mi fermerò finché avrò fiato e finché Serah non sarà di nuovo libera di poter vivere serenamente la sua vita, speranzosamente io accanto a lei e Firion accanto a me…”
Claire scrisse diverse altre righe. Quando si sentì soddisfatta, pose un ultimo punto alle sue parole e chiuse il suo incompleto manoscritto. Non aveva pensato a quanto ancora avrebbe dovuto riportare in quelle pagine: generalmente si limitava a descrivere, dal suo punto di vista, la lotta di Firion, il suo stato d’animo e quello delle persone vicine, aggiungendo opportunamente qualcuna delle figure letterarie che aveva conosciuto grazie gli scritti di Freke, per rendere la lettura quantomeno appetibile. Però, non aveva ancora capito che tipo di contenuto avrebbe dovuto produrre: scriveva soprattutto per rilassarsi, distrarsi dalle incombenze future e passare il tempo, di certo non lo considerava un’attività d’importanza rilevante. Fu in quel modo che finì per scrivere una sorta di diario. Non le piaceva l’idea, perché il suo lavoro sarebbe finito per essere accomunato ai diari frivoli di ragazzette infatuate, ma non era disposta ad impegnarsi più di tanto in quell’esercizio, e si accontentò di scrivere un libro dalla media elaborazione. Rifletté con ironia sul fatto che pensava a quel suo scritto in relazione alla loro vecchia società, dove avrebbe dovuto sforzarsi di affermarsi per poter rendere noto il suo testo. Invece, ridimensionò le sue aspettative e si convinse che, in fondo, l’importante era che riportasse con fedeltà la sua testimonianza della Piaga e dell’operato del Cacciatore di Demoni, non di certo che il suo nome diventasse riconosciuto per averlo fatto. Mise da parte il libro, la penna e la boccetta d’inchiostro mezza vuota. Si massaggiò le palpebre e diede uno sguardo lento intorno: Boldwin e Thomas ai rispettivi posti, Serah e Yuria alla sua sinistra, Ostrava presso i monoliti, i chierici e Freke nel profondo dei rispettivi spazi, la Fanciulla in Nero persa chissà dove. Tutti erano silenziosi, dai volti scocciati o distratti. In qualunque momento avrebbero preferito che un po’ di allegria risollevasse i loro spiriti abbattuti, ma semplicemente nessuno di loro aveva la forza necessaria per farlo di propria iniziativa. Per un secondo Claire ebbe l’idea d’ingegnarsi qualcosa pur di ravvivare un minimo l’atmosfera, ma la dimenticò un secondo dopo, dicendosi quanto sarebbe stato sciocco da parte sua anche solo pensarlo. Quasi incontrollabilmente, tornò a rimuginare su Firion. Passò gli occhi cercandolo tra le nicchie silenziose del salone, ma non lo vide. Non lo vedeva da quando era sparito al piano di sopra; qualunque cosa fosse andato a fare, per qualche motivo non era ancora tornato. Alzò il capo tentando di vederlo dove priva non era riuscita, un po’ delusa nel constatare che non vi era segno di lui. Si distrasse in quel modo finché Serah non la svegliò da quel sonno ad occhi aperti.
“Tutto bene, Claire?” chiese lei, sempre attenta alla sorella.
Claire si girò sorpresa. Scosse leggermente la testa, come per riprendersi dalla sua ipnosi sbadata, e le rispose con le prime parole che le vennero, senza nascondere un certo velo di stanchezza in esse.
“Sì, tutto bene.”
“La tua faccia dice un’altra storia…”
“Ero solo sovrappensiero” rispose sviando lo sguardo ed appoggiandosi alla parete. Chiuse gli occhi ed inspirò a fondo, sperando che bastasse a far riposare la mente sempre in preda a pensieri confusi, che mai smettevano di rincorrersi.
“A cosa pensavi?”
“Un po’ di tutto: la nostra situazione qui, cosa ci aspetta fuori, il nostro futuro…”
“Pensavi anche a Firion?” chiese lei con un sorriso.
Claire girò quel poco che bastava la testa per poterle dare un’occhiata annoiata che diceva quanto ormai quell’insistenza la stesse stufando.
“Certo che quando afferri un osso tu non lo molli più, eh?”
“Sono tua sorella minore: sono qui per questo” disse sorridendo.
Claire non poté fare a meno di ricambiarle il sorriso e diede una piccola risata a denti stretti. Senza staccare il capo dalla parete, riportò gli occhi nell’aria indefinita davanti a sé.
“Comunque, hai ragione: pensavo anche a lui. Ho un po’ di paura per quello che lo aspetta, ma è molto forte, e sono sicura che troverà un modo. Pensavo che, quando questa storia sarà finita, potremmo cercare tutti insieme una vita diversa da quella che abbiamo conosciuto. Una che ci permetta di essere quello che vogliamo…”
Serah ascoltò le parole con attenzione esausta. Il suo sorriso divenne triste, ed anche lei portò lo sguardo via dal viso della sorella.
“Una in cui potrei non esserci…”
Claire dimenticò molta della sua spossatezza e la fissò confusa, spinta da una fitta al petto che bruciò al sentire quelle parole.
“Che sciocchezze stai dicendo?...” chiese in un sussurro. Serah sbuffò, mantenendo la sua espressione a metà tra un sorriso ed una maschera di debolezza.
“Supponiamo anche che oltre queste mura ci sia ancora un mondo da poter abitare: credi davvero, che una volta usciti di qui, io, te e Firion potremmo stare sotto lo stesso tetto? Credi davvero, che dopo tutto quello che tu hai ottenuto, io possa accettare di vivere ancora sulle tue spalle?”
Serah riportò gli occhi su quelli spaventati di Claire, a corto di fiato ed impreparata ad un argomento come quello.
“Claire, se tutto tornerà alla normalità, io me ne andrò. Devo trovare la mia strada. La tua è con Firion: non puoi condividerla con me…”
Claire provò a dire qualcosa, ma Serah si era alzata, negandole la possibilità di far sentire la propria. La vide scambiare qualche parola silenziosa con Thomas. Tornò da lei con una sottile coperta tra le mani: le s’inginocchiò davanti e la coprì con il telo, rimboccandola al meglio. Claire non badò a quello che stava facendo, tanto era colpita dalla sorpresa.
“Serah, sei stata condizionata da questo luogo e dalla prigionia del Boia, non sai quello che dici. Devi aspettare poco, Firion ormai ha quasi-”
“So esattamente quello che dico. So che ai tuoi occhi io sarò sempre la piccola ed ingenua sorellina in bisogno d’aiuto che sono sempre stata, e non immagini neanche quanto possa farmi male anche solo l’idea di lasciarti. Però, non posso accettare di vivere ancora nella protezione della tua ombra. Tu hai rischiato tutto per me: non è riparandomi dietro di te che potrò ripagarti. Vivrò la mia vita, facendo i miei errori ed ottenendo le mie vittorie, e quando potrò parlarti finalmente da tua pari, tornerò da te.”
Finì con la coperta e baciò Claire sulla fronte, dal viso incredulo ed atterrito.
“Riposa un po’, adesso. Sei molto stanca.”
Serah si rialzò e le diede le spalle, portandosi verso il centro del salone. Claire tese la mano, solo per ritirarla un attimo dopo. Come aveva fatto Serah a pensare ad un tale progetto? Erano insieme da tutta la vita, e lei credeva di potersene andare così? Come avrebbe dovuto tirare avanti senza di lei? Col cuore spezzato e nuove paure all’orizzonte, Claire si ritrovò suo malgrado a socchiudere le palpebre pesanti. Si sforzò di tenersi sveglia, ma sopraffatta dai nuovi dubbi e dall’apprensione, cadde nel sonno, fatto di silenzio ed oscurità.

Firion riprese conoscenza. La prima cosa che vide con la sua vista sfocata fu il pavimento nero dalla superficie fredda. Era sdraiato malamente prono a terra, la mano estesa verso l’elsa della sua lama. Lo spadone era conficcato in un grosso cratere nella parete: dove prima stava l’ultimo Monumentale rimasto, ora vi erano solo macerie scomposte ed irriconoscibili. Si tirò faticosamente in ginocchia, osservando con mestizia la sua opera. Incerto su ciò che aveva fatto, concluse che aveva agito impulsivamente, sotto l’effetto di un istinto violento che generalmente non lo avrebbe mai governato. Ma era lui il responsabile della scomparsa del Monumentale, era troppo tardi per pentirsene; evitare di accettarlo avrebbe degradato il suo carattere e lo avrebbe sfigurato per sempre. Si accorse di sentirsi diverso, la scomparsa dell’entità padrona del Nexus gli aveva conferito una nuova consapevolezza. Si sentiva parte delle mura e delle statue, sentiva un forte legame ai monoliti in fondo ed alle Arcipietre, la rottura tra le terre del mondo, i suoi sopravvissuti ed i Demoni che vagavano su di esso. Infine, sotto il Nexus, avvertiva un lamento incontrollabile, una cupidigia insaziabile che minacciava di erompere e di riversarsi violenta su di lui.
“Adesso sei tu il maestro del Nexus” disse la Fanciulla in Nero, comparendo alle sue spalle.
“La tua esistenza è legata indissolubilmente a questo luogo: qualora dovessi perire, ogni accesso al Nexus cesserà di esistere. Tuttavia, devi concludere la tua missione in quanto Cacciatore di Demoni. Uccidi gli ultimi Demoni, Cacciatore: allora, e soltanto allora, potremo aprire la via per l’Antico ed io potrò adempiere al mio compito, cullandolo di nuovo al sonno. Sono nelle tue mani…”
Firion si rialzò ed estrasse il suo spadone. Con un rapido movimento, scrollò la polvere delle macerie rimasta sul taglio dell’arma e la ripose sulla schiena. Diede un ultimo sguardo alla depressione che aveva causato, si voltò, ed imboccò il passaggio per i piani inferiori, sfiorando la Fanciulla.
“E sia. Accompagnami in questo ultimo atto della nostra vita. Io spezzerò per sempre i nostri vincoli…”
Mancava poco perché Firion completasse la sua missione: avrebbe abbattuto qualunque ostacolo e chiunque fosse stato abbastanza pazzo da interporsi tra lui ed il suo obiettivo.

Serah era ferma sui gradini al centro del salone, i gomiti sulle ginocchia e le mani a coppa per ospitare il capo annoiato. Dopo aver visto la sorella addormentarsi, pensò di ingannare il tempo parlando un po’ con i chierici ed Ostrava, con i quali non legò in modo rilevante. Nessuno dei tre offrì argomenti interessanti o riuscì a tenere un dialogo a lungo. Tuttavia emerse dai devoti, allontanatosi dalle orecchie di Urbain, un vistoso malcontento nei confronti del loro maestro, comportatosi molto diversamente dalle occasioni ufficiali che ricordavano. Le divenne chiaro che la circospezione dei suoi compagni di disavventura stata ascendendo ad un livello tale che, presto, anche la più piccola delle azioni sarebbe potuta essere vista nel modo sbagliato. Era necessario rinsaldare in qualunque modo i legami che erano andati persi dopo la follia di Logan. Stava pensando a come avrebbe potuto agire per distendere i nervi di tutti quanti, quando alla base dei gradini le sembrò di vedere il tipico convergere di luce azzurra che accoglieva chi arrivava al Nexus. Quando, però, la luce si spense, nessuno apparve.
Serah rimase in posizione, incerta sul da farsi. Diede un’occhiata intorno: né Boldwin né Thomas se ne erano accorti. Intravide Claire ancora addormentata, e non vi era traccia di Firion. Combattendo un cattivo presentimento che sentì nascere nel retro della sua mente, si avvicinò lentamente al punto in cui vide manifestarsi il fenomeno.
Saggio Freke era impegnato nel suo laborioso studio sulle Anime Demoniache, sul loro potere e sulle potenzialità che poteva avere per il genere umano. Gli era servito molto tempo, ma finalmente credeva di essere arrivato ad un punto di svolta nella sua ricerca, uno che lo avrebbe illuminato sulla relazione tra anime umane e demoniache, ben più stretta di quanto si pensasse. Di colpo, avvertì una dissonanza nella magia, l’intromissione di un incantesimo oscuro e non appartenente a nessuno dei presenti nel Nexus. Ne capì la natura mortale: un incantesimo di occultamento. Forzò le sue vecchie gambe a portarlo il più in fretta possibile alla sorgente di quell’energia oscura, affannandosi per prevenire una tragedia. Anche Yuria, in posizione opposta, si accorse di una nuova, pericolosa presenza. Presa d’apprensione, affidò il bambino che aveva tra le braccia a Boldwin, che le rivolse parole di confusione, e si portò in vista di Serah. Poi sopraggiunse Freke, il volto storpiato dallo sgomento.
“Scappa!”
Serah si girò spaventata. Prima che potesse capire cosa stesse succedendo, avvertì una forte presa alla spalla. La forza invisibile la spinse indietro. Sentì lo sguaino di una lama, e l’attimo dopo una ferita ed un dolore lancinante si aprirono sull’addome. Le mancò il fiato per la sorpresa, la paura e l’orrenda sensazione che avvertiva nel sentire il sangue fluire lentamente via.
“Ti avevo immaginato più combattiva…”
Serah sgranò gli occhi mentre davanti a sé compariva dal nulla una tremenda figura nera, la cui mano era sul pugnale che l’aveva trafitta. L’assassino tirò via l’arma e lasciò Serah accasciarsi al suolo.
“Serah!” gridò Yuria.
Sentendo quell’urlo, l’attenzione di tutti si focalizzò su di loro. I chierici accorsero spediti, paralizzandosi alla vista dell’aggressore omicida, un ignaro e scocciato Urbain alle loro spalle.
“Dannato! Affronterai le fiamme dell’inferno!”
Freke evocò roventi lingue di fuoco e le scagliò verso l’uomo in armatura nera, che le evitò con incredibile agilità. Il Saggio continuò con una raffica impetuosa, i dardi esplodevano dalle sue dita cercando d’incenerire il sicario, imbrunendo le pareti intorno e mancando sfortunatamente il bersaglio.
“Saggio Freke, sei un mago potente, ma sei vecchio…Quanto ancora puoi resistere?”
L’assassino vide un’apertura nell’assalto di Freke e scagliò un pugnale da lancio, centrando il palmo proteso dell’incantatore. Freke indietreggiò dolorante e scoperto. L’assalitore scattò verso di lui per dare il colpo di grazia, ma un proiettile di fuoco lo prese alla spalla e lo fermò, l’armatura l’unica cosa che lo protesse dalla potente ustione. Quando l’uomo si voltò per capire cosa l’avesse colpito, vide Yuria, con le mani tremanti ed il volto impaurito.
“Oh, anche la strega è capace di coraggio, dopotutto…non sono bastate le torture a spezzare il tuo spirito? Lascia che vi ponga rimedio…”
L’uomo rotolò veloce e sfuggì ai colpi disperati della strega. Con un solo movimento della mano, scagliò diverse stelle da lancio, tutte mirate su di lei. Yuria tentò di evitarle, ma venne presa da tre di quelle punte, due nel braccio ed una al fianco. Gemette ed indietreggiò fino a ritrovarsi con le spalle ad uno dei pilastri del salone, scivolando a terra. Guardava in preda al panico mentre vedeva il sicario avvicinarsi per finire il lavoro.
“Affronta me, codardo!”
Ostrava caricò selvaggiamente la figura oscura, sfoderò la lama e menò un fendente cieco di rabbia. L’uomo in nero evitò senza sforzo l’attacco e sfruttò l’impeto maldestro del cavaliere, facendolo inciampare. Con rapidità esperta, estrasse la sua spada ricurva ed infilzò la punta nella spalla del giovane a terra, trapassando l’armatura.
“Non avere fretta, mio principe…” disse estraendo la lama e godendosi i lamenti della sua vittima.
“Tornerò da te non appena avrò finito con-”
Una violenta fiammata lo colpì sulla schiena, buttandolo a terra e bruciandogli la pelle sotto l’armatura. Rotolò e fissò lo sguardo su Freke, ostinato a combatterlo nonostante la mano sanguinante. Avendo esaurito la pazienza verso il vecchio, scattò verso di lui, scansando le sue lingue infuocate. Gli arrivò davanti e piantò il pugnale nel petto dell’incantatore, uccidendolo in pochi secondi.
“Non temere vecchio, non rimarrai da solo. Urbain!”
Il sicario guardò attraverso la fessura buia del suo elmo cornuto verso l’uomo santo, il cui dorso venne percorso da un brivido freddo, e si avvicinò a passo svelto.
“Dovete proteggere l’insegna di Dio!” esclamò Urbain prima di spingere l’Accolito e l’Adoratrice contro l’assassino e di scappare per le scale. Il dispensatore di morte tagliò la gola al devoto incredulo e ferì al braccio la donna, superandoli con sufficienza concentrato com’era su Urbain. Lanciò la sua falce, che si piantò nel dorso del santo prima che potesse salire i gradini per il piano superiore, facendolo cadere ai suoi piedi. L’assalitore tirò via l’arma dalla carne con veemenza e calciò Urbain sulla schiena, che lo implorava di risparmiarlo.
“Ho sempre odiato la tua falsità…Ti libererò da queste vili catene…”
La ghigliottina del boia venne abbassata una seconda volta, il sangue schizzò ovunque ed Urbain non si mosse più.
Nella confusione fatale che si scatenò, Thomas non seppe fare altro che correre da Claire e svegliarla. La scosse con forza finché non riemerse dal sonno profondo in cui era caduta. La ragazza non capì molto di quello che il Collezionista tentò di spiegarle con parole frenetiche ed inorridite, ma appena le venne detto che Serah era rimasta ferita, scattò in piedi in cerca della sorella. Quando la vide a terra, ferita e sanguinante, non riuscì a trattenersi e corse da lei disperata.
“Serah!”
L’assassino, chino sul cadavere di Urbain, si voltò verso la nuova voce. La giovane donna somigliava molto alla ragazza che aveva trafitto, ma era più alta e all’apparenza più forte. Entrambe rispondevano alla descrizione che gli era stata fornita, ma lui sapeva di una sola di loro. Intuì che erano sorelle, ma quando notò il bracciale nero al polso della maggiore, capì con angoscia che lei era il suo contratto, non la giovane che aveva pugnalato. Nella foga di concludere il suo lavoro, aveva colpito la persona sbagliata.
“No!...Erano in due…”
Sentì un sibilo sopra la sua testa; alzò il capo per vedere cosa fosse stato. Firion piombò su di lui con tale violenza che non seppe contare quante ossa si fossero rotte per l’impatto. Gli occhi del Cacciatore ruggivano di rabbia e lo trapassavano furenti, soggiogandolo spietatamente. Firion afferrò il corpo sotto di sé e lo alzò da terra, sbattendolo ad uno dei pilastri vicini e piegando le lastre dell’armatura.
“Chi ti ha mandato?! Rispondi!” proruppe sferrando un pugno che deformò l’elmo dell’uomo in nero. L’altro tentò di reagire a quella morsa pescando da sotto la corazza un coltello nascosto e conficcandolo nel ventre del Cacciatore, ma quest’ultimo parve non sentirlo affatto. Invece, percosse ancora il sicario per costringerlo a parlare.
“Rispondi ho detto!”
“E’ stata quella peste del predatore di tombe! Vi ha traditi prima che m’implorasse di risparmiarlo e che io gli tagliassi la testa!”
“Non mentire a me!” urlò Firion assestandogli un altro colpo devastante.
“Se devi uccidermi, Cacciatore, fallo adesso: il giorno in cui Yurt, il Capo Silenzioso, sbaglia il suo bersaglio è il giorno in cui merita la morte!”
Firion lo colpì di nuovo, per dare sfogo all’ intensa rabbia che provava e tentando ancora di strappargli anche la più piccola informazione.
“Ti accontenterò quando mi avrai dato un nome!”
“Al di fuori di queste mura, qualcuno ti vuole morto, Cacciatore… La fine di questo mondo è vicina, non fa differenza il nome che porta. Io vi offro la salvezza, con una morte umana…”
Yurt esplose in una risata malvagia che derideva Firion ed i suoi sforzi inutili e faceva cadere un velo funereo su chi ancora respirava dentro il Nexus. Continuò ad oltranza, dando fondo ai suoi polmoni e a tutto il fiato che contenevano. Firion non poté sopportarlo oltre e decise di finirlo: prese la testa tra le mani e la torse con uno scatto furioso, agghiacciante il suono delle ossa spezzate. Il corpo di Yurt ondeggiò alcuni attimi prima di cadere immobile, privo di vita. Echeggiando contro il pavimento, l’ultimo cadavere sanciva la fine della mattanza e riportava al silenzio. Solo un suono persisteva ancora: un pianto, un dolore incontenibile. Firion si girò e vide Claire in ginocchia singhiozzare mentre cullava la piccola forma di Serah, immota tra le sue braccia e con gli occhi chiusi. La stringeva forte al petto, poggiando le labbra sulla fronte fredda tra un singulto e l’altro. Una piccola sfera di luce si sollevò dal corpo: Claire la prese in mano e la portò al seno, dove sparì, accrescendo la sua afflizione.
Caddero i pensieri e caddero le parole. Firion si avvicinò lentamente tendendo le mani, l’angoscia cresceva ad ogni passo. Mise accidentalmente la punta del piede sulla pozza rossa che si estendeva dalla ragazza. La tolse immediatamente, non permettendosi di calpestarla. Giunto alle spalle di Claire, esitò un momento: si abbassò e la cinse tra le braccia, unendosi alla sua sofferenza. I sopravvissuti fecero un cerchio intorno a loro, chi ferito e chi non, tutti osservavano con mestizia ciò che era rimasto di loro. Solo altre lacrime, solo altro dolore.

Le ore successive passarono rapidamente per Claire, spese in uno stato di catalessi inerte alternata a brevi momenti di lucidità. Dopo la tragedia, i sopravvissuti, curatisi dalle ferite, dovettero a malincuore prendersi cura dei morti e dare loro l’estremo saluto. I corpi di Saggio Freke, Sant’Urbain e dell’Accolito, vennero seppelliti nel campo di esecuzione che precedeva il Castello di Boletaria, non prima che Firion prendesse in custodia le loro anime: fu una scelta sofferta, ma l’unica fattibile. Boldwin propose di gettare il corpo di Yurt nel fiume sottostante, e nessuno si sentì di dissentire. Per quanto riguardava Serah, Claire, distrutta e con voce rotta, fece la richiesta a Firion di aiutarla per tornare al suo villaggio: lì, avrebbe seppellito la sorella vicino alle tombe dei genitori. Firion accettò senza esitazione o ripensamenti, nonostante avrebbero dovuto attraversare la Nebbia e, possibilmente, anche i Demoni che conteneva. Avvolsero Serah in un telo e partirono al tramonto. Il viaggio li vide scendere il pendio dove era allogato il Castello, verso la capitale. Ne varcarono le porte, superando abitazioni abbandonate, incendi inestinguibili, macerie sconquassate e morti ovunque. Coperta l’intera estensione della città, s’immersero nella pianura che la precedeva, completamente avviluppata dalla Nebbia inesorabile. S’inoltrarono in quei fitti vapori malefici, ed il sole della sera divenne presto un ricordo lontano. Non fosse stato per il sentiero su cui marciavano, Firion e Claire avrebbero facilmente smarrito la strada per le campagne. La traversata richiese loro una dozzina buona di ore, passate senza soste a seguire il terreno spianato da carri e persone, ed illuminato solo dalle pietre luminose di Firion e dai deboli raggi lunari che trafiggevano la bruma. Continuarono finché Claire non riconobbe finalmente i segni della sua casa decrepita: erbacce alte, recinsioni di legno marcio, baracche che nella fitta Nebbia sfoggiavano portici abbattuti e malfermi. Nonostante il suo stato emotivo, Claire non poté fare a meno di avvertire, per un istante, un ironico stupore nel vedere che i Demoni, malgrado tutto il loro potere, non erano comunque riusciti a rendere il suo villaggio troppo più squallido di quel che era. Passarono il confine, controllarono che non ci fossero belve assetate di anime o uomini folli, e si ritrovarono nella via maestra del borgo. Quando il cielo sopra i banchi nebbiosi si rischiarò delle prime luci dell’alba, i due viaggiatori misero via le pietre e si lasciarono guidare dalla modesta luminosità del giorno nascente. Giunsero infine nei pressi del confine meridionale, dove la casa di Claire stava tristemente isolata dalle altre: dietro di essa, un alto albero rinsecchito e senza foglie. Claire si fermò per dei lunghi minuti a guardarla. Non aveva niente di speciale, se non che era stato suo padre a costruirla pezzo per pezzo. Ospitò la loro famiglia da quando i suoi genitori si erano sposati, aveva un aspetto curato benché comune. Da quando la casa passò nelle sue mani, si ripromise di tenerla sempre in ottimo stato in onore di suo padre, ma come spesso capita, i figli difficilmente riescono a mantenere il lavoro dei padri con la medesima cura, ed il casolare finì per fondersi perfettamente con il resto del villaggio. Soppresse i ricordi dolorosi, costeggiò la stamberga e si portò vicino all’albero sul retro, Firion con Serah dietro di lei. Ai piedi del tronco stavano due vecchie lapidi, delle incisioni un po’ sbiadite riportavano i nomi del padre e della madre. Claire si distanziò qualche passo da quelle e cominciò a scavare una fossa con la sua spada, in mancanza di una pala. Firion si propose di aiutarla, ma lei insistette che avrebbe dovuto farlo da sola. L’altro rispettò la decisione con riluttanza. Claire impiegò diverse ore per ottenere un risultato che la soddisfacesse, il sole era alto oltre il muro grigiastro attorno a loro quando finì. Sporca, sudata, stanca, e con le lacrime che le velavano gli occhi, Claire diede finalmente il permesso al Cacciatore di adagiare sua sorella nel terreno. Richiusero insieme la tomba e Firion, con un duro coltello che aveva con sé, incise il nome di Serah sotto quello della madre, sulla lapide accanto. Claire passò lo sguardo sulle persone che aveva perso: pianse sconfortata, sopraffatta da una nuova ondata di dolore. Senza aspettare il Cacciatore, usò il proprio Marchio per svanire nel nulla. Firion si trattenne alcuni attimi ancora, fissando i nomi sulla pietra come per figurarsi i volti dei genitori e di Serah ed un passato in cui potevano essere ancora felici. Poi si concentrò sul Nexus, ed anch’egli scomparve, sottraendosi a quelle ferite tristi.
Tornato tra le mura grigie del limbo divenuto sua dimora, Firion sentì dei passi veloci per le scale sopra di sé. Girò la testa per guardare, sebbene sapesse a chi appartenevano.
“Dice di voler stare da sola…”
L’Adoratrice si avvicinò con un sorriso sfigurato da crudeltà e violenza che velava a malapena le atrocità viste dai suoi occhi, la sua veste sporca di rosso secco lacerata sul braccio esposto.
“Come stai? Non dovresti sforzarti nelle tue condizioni…”
“Dopo il tuo intervento, mi sono ripresa completamente. Sono ben altre le ferite che richiedono medicazione…” sussurrò lei, indicando con un cenno Claire.
“Anche tu hai perso qualcuno…Mi dispiace per Urbain e tuo fratello.”
L’Adoratrice sogghignò amaramente, scuotendo la testa come ridendo ad un’idea stupida.
“Non eravamo fratelli, non siamo mai stati una famiglia. Non con uomini come Urbain a capo del nostro ordine. I nostri principi sono un falso, la nostra fede è un falso. Tutto questo tempo io ho voluto credere…Sembra che sia stata sciocca anche solo a pensarlo…”
Firion la fissò in silenzio con espressione vagamente amareggiata, mentre lei cadeva in pezzi e con occhi turgidi e voce tremante ammetteva di essersi fidata di una menzogna.
“Persino tra le bugie, gli uomini sono capaci di bene. Tu sei uno splendido esempio di umanità. Voglio che te ne renda conto” disse il Cacciatore posando la mano sulla sua spalla.
L’altra diede un sorriso triste e riconoscente. Lo lasciò per tornare al suo posto vicino Yuria, ai piedi della parete davanti il pilastro di Thomas e Boldwin, dove anche Ostrava sedeva silenziosamente. Sembravano tutti statue, assorti in una stasi innaturale e disarmante. Firion si avvicinò con passi gravi e pesanti. Solo quando fu sopra di loro, riuscì a tirarli fuori dai loro fitti pensieri. Ognuno lo guardò con occhi persi, stanchi, senza dire una parola. Firion restituì un viso freddo, privo di molto del calore che effondeva una volta.
“Io vi ho delusi tutti. Non sono riuscito a proteggervi, e queste sono state le conseguenze. Siete liberi di andare, se doveste pensare di non essere al sicuro qui. Chiunque abbia mandato Yurt, vuole disfarsi di me e di coloro con cui entro in contatto, anche se non posso carpirne la ragione. Ho intenzione di cercarlo: chiunque sia, conosce i miei movimenti, cosa che mi fa pensare che mi osservi da molto vicino. Se esco allo scoperto, sono sicuro che farà la sua mossa, e questa volta sarò pronto. Nel frattempo, andrò in cerca di altre provviste, che stanno scarseggiando. Yuria: non pretendo che tu rimanga, ma se intendi restare, devo chiederti di occuparti tu della nostra disponibilità di acqua. Saresti disposta a farlo?” concluse il Cacciatore, rivolgendosi alla strega. L’altra annuì senza pensare.
Firion diede un deciso cenno affermativo e passò lo sguardo su tutti loro.
“Allora è deciso.”
Si voltò e si mosse in direzione dei monoliti al centro del salone, ma la voce fragile di Thomas gli chiese di fermarsi.
“Aspetta solo un momento, Firion.”
 L’altro si limitò a dargli un’occhiata da oltre la sua spalla.
“Claire non viene con te?”
“Non è in condizioni di venire.”
Il tono distaccato del giovane sorprese il Collezionista a tal punto che, per un istante, si chiese se stesse parlando con la stessa persona.
“Forse dovresti stare con lei, invece di tornare fuori…”
Cadde il silenzio. Firion riportò lo sguardo davanti a sé, ignorando il consiglio dell’amico.
“Non ancora. Io non merito di starle accanto. Non ho il coraggio di guardarla negli occhi, dopo aver permesso che sua sorella morisse davanti ai miei.”
Thomas provò a dire qualcosa, ma non gli venne niente. Firion non aggiunse altro e se ne andò, nonostante fosse tornato da pochissimo, ancora più lontano di quanto già non fosse.

Passarono diversi giorni, tutti insipidi e spesi in preda ad una paralisi folle che scalfiva sempre più in profondità la mente ed i suoi pensieri. Se gli ultimi sopravvissuti del Nexus faticavano a tenersi sani nutrendosi ed interagendo tra loro, benché in modo minimo, Claire si negava anche quelli. Si era rintanata in una nicchia nel profondo dell’ala sinistra al primo piano, la testa perennemente nascosta tra le gambe abbracciate al petto. Non mangiava e non beveva, dormiva solo quando l’esaurimento aveva la meglio su di lei, e non parlava con nessuno. Thomas la visitava spesso, nonostante venisse sempre respinto dal suo silenzio, portandole cibo e acqua. Lei continuò a digiunare, ma accettava di bere dalla borraccia quando la sete diveniva insopportabile. Oltre quello, non faceva molto altro per tenersi viva. Qualche volta la visitava Firion, lui le stava vicino e la consolava. Riusciva ad essere così gentile con lei, persino con delle mani dure e ruvide come le sue, abituate ad uccidere. Le ripeteva che non era colpa sua, ma dei Demoni: lei ascoltava senza parlare. Se c’era qualcuno da odiare, sicuramente quei mostri meritavano tutto l’odio che le correva dentro. Purtroppo lui si tratteneva poco, tornava alla sua missione o qualcosa del genere. Claire continuò così, in una spirale sempre più vorticosa di apatia, finché non venne vinta dalla fame e cadde nel sonno. Per la prima volta in più tempo di quanto ricordasse, ebbe un sogno. Si ritrovò davanti la sua casa, avulsa dal suo villaggio, immersa nella luce di un sole splendido e nel verde di un erba soffice, mossa da un vento benevolo. L’albero dietro di essa sfoggiava fronde meravigliose, di quelle che non ebbe mai, tendendo orgogliosamente al cielo azzurro. Improvvisamente, l’uscio di casa si aprì, invitandola ad entrare. Lei, curiosa, varcò la porta e si ritrovò nel soggiorno, una stanza umilmente arredata, ma accogliente e calda come nessun altra. Lì, due figure l’aspettavano: erano suo padre e sua madre. Erano esattamente come li ricordava, il papà forte ed affascinante e la mamma bellissima ed amabile.
“Mamma! Papà! Siete qui con me!”
Corse da loro e li abbracciò allargando le braccia più che poteva. I genitori l’accolsero tra le loro ridendo, divertiti dall’ingenuità della figlia.
“Tesoro mio…” cominciò il padre.
“Lo siamo sempre stati…con te e tua sorella…” concluse la madre.
“Ora, anche lei ci aiuta a badare a te…”
La porta sul retro si spalancò, lasciando entrare altra luce ed il vento affettuoso. Oltre di essa, Serah guardava verso di lei, attendendola con pazienza ai piedi del grande albero.
“Serah!” chiamò Claire correndo da lei.
“Alla fine non ho saputo starti lontano…” disse l’altra mentre si abbracciavano.
“Mi dispiace! E’ tutta colpa mia. Io-”
“Smetti di mortificarti. Concentrati su cosa devi fare adesso. Continua a vivere.”
“Non voglio vivere una vita senza di te…”
“Claire…Io sarò sempre con te…”
Claire vide Serah ed i suoi genitori trasformarsi in sfere di luce che convogliarono nel suo petto. Li sentì permeare nel suo cuore, riscaldato dal loro amore. V’incrociò sopra le mani, chiudendo gli occhi ed ascoltando le loro voci.
“Noi veglieremo sempre su di te…veglia su Firion: lui ha solo i suoi Demoni a vegliare su di lui. Una grande oscurità attanaglia il suo cuore ed ottenebra la sua mente…Non abbandonarlo…”
La luce crebbe sempre più, finché Claire non si svegliò. Distesa sul pavimento, si chiese se quello che aveva appena vissuto fosse reale oppure no. Comunque, aveva capito che sua sorella era riuscita parlarle dal profondo della sua anima, e non aveva intenzione d’ignorarla. Si alzò e scese le scale, camminando debolmente dai suoi compagni. Li trovò tutti vicini e muti. Alzarono il capo vedendola arrivare, ma nessuno disse niente. Quando fu davanti a loro, Claire si fermò, evitando di guardarli troppo.
“Dov’è Firion?”
“Saranno passate ore da quando se ne è andato…” disse Ostrava, alzando le spalle.
Nessuno aggiunse altro, ed un silenzio goffo scese sulle loro teste.
“Ho un po’ di fame…” sussurrò Claire massaggiandosi il braccio.
La prima risposta fu una lenta esitazione. Poi Thomas, come svegliatosi di soprassalto, scattò in piedi verso il suo piccolo deposito, facendosi largo tra decine di casse e fagotti di stoffa.
“Ma certo! Attendi solo qualche attimo…”
Thomas tornò con un piccolo involto contenente grossi bocconi nutrienti e gustosi. Claire lo ringraziò e si sedette tra Yuria e l’Adoratrice, tentando di essere il meno invasiva possibile e consumando voracemente il suo pasto. Il suo sguardo si posò, come magnetizzato, sul pargolo che Yuria aveva con sé: non aveva mai smesso di prendersene cura, con la stessa intensità che avrebbe avuto Serah.
“Mi fa piacere rivederti tra noi…” disse la strega, azzardando un’occhiata nella sua direzione. Claire non reagì, fingendo di essere troppo impegnata a masticare.
Improvvisamente, il piccolo prese a vagire. Yuria lo cullò sperando che bastasse a calmarlo, ma non fu sufficiente.
“Io non capisco sempre cosa voglia. Non sono brava come lei, in queste cose…”
Claire deglutì il suo ultimo morso, contrariata dalla menzione, anche se indiretta, della sorella.
“Mi avrà visto mangiare. Forse ha fame…” tirò ad indovinare, scrollandosi via una risposta peggiore.
“In tal caso non posso fare niente. Ultimamente ho tentato, ma io non sono in grado si soddisfarlo…Potresti provare tu.”
“Non ne ho voglia.”
“Serah lo avrebbe fat-”
“Non parlare di lei. Non farlo.”
“Mi dispiace. Ma ho ragione, e lo sai.”
Yuria consegnò il bambino tra le braccia di Claire, che la guardò allibita. Si alzò, e la puntò con occhi severi.
“Non sei l’unica ad aver perso qualcuno. Mia madre, mia zia, e ora lei. Nel poco tempo che l’ho conosciuta, Serah è diventata l’amica che non ho mai avuto. Soffriamo tutti Claire, ma non possiamo fermarci, o il ricordo che abbiamo dei nostri cari si spegnerebbe con noi. Dobbiamo reagire ed andare avanti, anche per loro…”
Yuria si nascose dietro il pilastro per non tradire il suo cuore preso dalle palpitazioni, sottraendosi alla vista di Claire ed attirando l’attenzione di Ostrava. Anche l’Adoratrice la lasciò sola, sentendosi a disagio vicino la ragazza in lutto. Claire si ritrovò con il bambino ancora piangente a riflettere sulle parole di Yuria. Il piccolo la pregava di dargli attenzione; lei si sforzò di ignorarlo finché non cedette alla lamentela e fece del suo meglio per venire incontro alle sue esigenze. Impacciata ed imbarazzata, fece quel che andava fatto. Sussultò leggermente per il dolore.
“Certo che ti piace mordere, piccolino…”
Claire aspettò Firion pazientemente. Il Cacciatore si mostrò di nuovo solo numerose ore più tardi. Il debole entusiasmo che i pochi amici rimasti provarono nel rivederlo tornare, venne spazzato via dal sangue sulle vesti e sulle mani, dalla pelle cinerea e dalle vene nere pulsanti che correvano lungo il suo corpo. La vista atterrì tutti: era divenuto fin troppo chiaro quanto la corruzione si stesse impadronendo del loro eroe.

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


Nota dell'autore: Che ritardo,eh? Spero vivamente che il capitolo sia valso l'attesa. Buona lettura!


Demon’s Souls:
Le cronache dell’uccisore di Demoni
Capitolo 16
 
La Valle di Corruzione era sinonimo di tutto il marcio che gli uomini si lasciavano dietro e contenitrice di ciò che ritenevano inutile, difettoso e da scartare. Una conca paludosa ed immensa, dove liquami tossici e velenosi si riversavano su una terra putrida, casa di creature disgustose e soggette ad un continuo disfacimento, parassiti abietti. Una perenne ed imperscrutabile coltre nera ammantava quella depressione ignobile, formata dai fumi venefici provenienti dalle carni putrefatte di carcasse mutilate, cadaveri abbandonati, aborti indesiderati. Da quel manto malsano cadeva pioggia acida incessante, in una notte eterna e profonda che non faceva mai posto alla luce del sole. La nascita della Valle era sconosciuta a tutti: da sempre si sapeva della sua esistenza, ma nessuno fu mai in grado di capirne l’origine o fu disposto a cercarla. Ancor prima dell’alba del regno di Boletaria e di quelli vicini, veniva già sfruttata come discarica di ogni sorta di rifiuto pensabile, e benché non era possibile che si espandesse nel territorio circostante, la corruzione che consumava quel luogo era fatale per chiunque vi s’addentrasse. Per un motivo e per un altro, ma soprattutto per ragioni che nessuno voleva ricordare, sorprendentemente il numero di coloro che vennero abbandonati nella Valle e che sopravvissero crebbe col passare dei secoli. Si parlava, comunque, di qualche centinaia di persone, ma il fatto che la presenza umana fosse riscontrabile persino in quel luogo era poco meno che un miracolo. Ma la vita che conducevano quegli emarginati, quei malati e malfermi, probabilmente non era meritevole di essere vissuta: regrediti ad animali violenti, storpiati nel corpo e nella mente, resi folli dalle condizioni disumane, diventarono esseri intrattabili ed irraggiungibili. Nessuno si preoccupò di loro. Nessuno, tra regnanti e membri del popolo, pensò di rivolgere anche solo un pensiero a quelle anime sfortunate ed al luogo a cui sopravvivevano, tanto era densa la tenebra che ne diffondeva l’idea. Nessuno ebbe il coraggio di affondare le mani nel sudiciume dei propri misfatti e delle proprie colpe, finché non nacque il Culto. Un giorno, un Capo altruista e magnanimo come nessun altro, incapace di voltare le spalle alle sofferenze di quelle povere persone, creò una comunità completamente devota al soccorso dei deboli e dei reietti, secondo gli insegnamenti di un Creatore benevolo e giusto. Dapprima piccolo gruppo, il Culto si espanse tanto da contare decine di migliaia da quasi ogni parte del mondo, uomini e donne le cui anime assopite si erano destate per correre in aiuto dei più sfortunati e dei dimenticati. Dopo molti tentativi ed altrettanti fallimenti, il Culto riuscì a stabilire un contatto e a guadagnare la fiducia degli abitanti della Valle di Corruzione, ed i governi furono sollecitati a finanziare operazioni di salvataggio in loro aiuto. Fu grazie agli sforzi del Capo che la società del suo tempo sembrò rinascere sotto l’egida di una giustizia benevola, al pari del primo governo dei popoli. Fu quella la speranzosa realtà, finché la sete di potere non traviò gli uomini, e discese la Nebbia. I Demoni emersero, uccisero e divorarono ovunque. Metà del mondo venne persa per sempre, innumerevoli anime vennero inghiottite dall’Antico, ed il tempo si riavvolse con spietata indifferenza. Il Culto si estinse, la Valle di Corruzione tornò ad essere l’inferno infetto che era sempre stata, e gli uomini dimenticarono il significato del sacrificio e della compassione. Del suo ordine, solo il Capo sopravvisse, per un destino crudele che lo vide testimone della vanificazione di tutto il suo lavoro e del suo sogno. Quando i Monumentali sigillarono l’Antico, bandirono le Arti dell’Anima, e crearono le Arcipietre, il Capo raccolse ciò che rimaneva delle sue fatiche, accettò una delle gemme, e si ritirò per sempre con i suoi sopravvissuti nella Valle di Corruzione. Il Culto non venne riformato, e lui esaurì la sua vita vicino a coloro per cui diede tutto sé stesso. Una volta morto, venne dimenticato: i suoi protetti, di nuovo ignoranti. La ruota del tempo tornò a girare, e dalle ceneri di quell’antica società, l’uomo ricostruì. Rinacquero i regni, primo tra tutti quello di Boletaria; rinacquero i popoli e le culture; dagli insegnamenti del Culto, rinacque la fede, con l’avvento della Chiesa. Tuttavia, furono imitazioni stanche e distorte di ciò che volevano rappresentare: l’immoralità intaccò la politica, il degrado guastò lo spirito della gente, la religione venne contaminata dalle ambizioni insaziabili. E prima che l’uomo si rendesse conto degli antichi sbagli che era destinato a ripetere, la tragedia tornò a stroncare i suoi sogni di grandezza. L’Antico venne di nuovo risvegliato, ed i Demoni tornarono sulla terra. L’umanità era sull’orlo dell’estinzione: spettava ad un solo uomo decretarne la fine, o gettare le fondamenta di un suo nuovo inizio.

Nel profondo della Valle di Corruzione, basse palafitte fatiscenti e per lo più distrutte venivano lentamente erose dal terreno molle putrefatto e dalla fine pioggia amara. Vicino a quei vecchi abbozzi di abitazioni pericolanti scorreva quello che una volta doveva essere stato un fiume, ora sostituito da un lento ma costante flusso di rifiuti organici di ogni tipo, su cui ronzavano e strisciavano innumerevoli tra insetti e parassiti. Tutt’intorno, il suolo grumoso emetteva vapori venefici da ogni suo poro, ribollendo indolentemente. Sotto un cielo nero pece, l’unica luce proveniva da numerose torce, appese ad ogni parete, e falò disseminati ovunque. Da sotto il tetto crollato di una delle dimore rovinate, s’aggiunse un nuovo lume: l’antica Arcipietra si accese debolmente, spaventando le miserabili bestioline intorno, che si dispersero confuse. Dal nulla comparvero tante piccole particelle opache, conversero informi finché non rivelarono Firion e Claire. La ragazza venne subito sorpresa dalla pesantezza dell’aria, satura di miasmi infetti e penetranti. Arretrò rivoltata dai piccoli striscianti ai suoi piedi, atti a nutrirsi delle carni morte, e dal suolo agitato sotto di essi. Le orecchie si riempirono della cacofonia dello sciamare di centinaia di quei piccoli esseri, facendole desiderare di perdere l’udito. Si coprì naso e bocca con una mano e serrò gli occhi, bruciati dai fumi insalubri. In un attimo le tornarono alla mente i momenti orrendi vissuti alla Torre di Latria. Rimase sconvolta e stupita dal vedere che potessero esserci spettacoli peggiori di quelli a cui fu costretta ad assistere in quell’incubo ad occhi aperti. Si accorse della pioggia sopra di lei, che la colpì ripetutamente sul capo, sulle dita e sul palmo: pizzicava. Firion la raggiunse e mosse velocemente le mani per metterle addosso il suo mantello. Strappò dalla cappa un lembo lungo per farne un cappuccio, che le aggiustò sulla testa. Claire non disse niente mentre lui lavorava per coprirla al meglio. Si limitò a fissarlo, assorto nel suo lavoro. Le fece un po’ impressione vederlo torreggiare su di lei, sembrava ancora più alto e grosso di quando lo conobbe. A dire la verità, era molto cambiato dalla prima volta che s’incontrarono: la sua pelle lievemente abbronzata aveva migrato ad un cinereo annerito da vene a fior di pelle innaturali, ed i capelli candidi sembravano ora macchiati di fuliggine; i profondi occhi nocciola avevano lasciato il posto ad un rosso sanguigno ferale e selvaggio; il suo sorriso caldo era svanito. Rimaneva un’espressione fredda e distante, che riusciva a trasmettere poco altro solo quando stava o parlava con lei. Per un attimo si disse che il cambiamento si fermava all’aspetto esteriore, e che il suo umore grigio era dovuto solo al fatto che la sua missione lo stava sensibilmente debilitando. In cuor suo, però, sapeva che c’era molto di più, troppo di più, dietro quelle apparenze. L’avvertimento che le aveva dato sua sorella in sogno era stato molto chiaro: Firion era soggetto ad un violento turbamento interiore, represso sotto una maschera stoica e dietro l’ossessione di una missione suicida.
“Questa che senti non è vera pioggia. Ricorda di coprirti sempre e di non esporti per troppo tempo” disse lui, finendo di posizionare per bene il copricapo.
“E tu? Non ti copri?”
Firion diede una piccola risata, priva di allegria.
“A me non può fare niente…”
Tacque e divenne silenzioso, guardandola intensamente per lunghi istanti. Claire non poté fare a meno di sentirsi un po’ a disagio, pensando che volesse dirle qualcosa che però non venne mai. Ruppe il contatto visivo e si portò poco più avanti, tenendosi a debita distanza da insetti e resti organici.
“Allora: sarà il caso di muoversi. Non mi va di restare troppo qui. Dove dobbiamo andare?” disse lei, rompendo il ghiaccio. Firion sembrò capire e seguì il suo suggerimento.
“Dobbiamo raggiungere la profondità estrema della valle, dall’altro capo della conca. Posso sentirlo: è lì il nostro obiettivo.”
“Immagino che dovresti essere tu a fare strada, allora.”
“Certo. Stammi vicino, però: è pericoloso qui.”
Claire diede un leggero cenno affermativo. Firion la superò e scese un piccolo dislivello, che lo portò in vista di nuovi fuochi che illuminavano la strada. Porse senza pensarci la mano a Claire per aiutarla. Lei l’accettò con un piccolo sorriso. Poi, s’incamminarono verso un largo corridoio roccioso, un passaggio per il centro della Valle. Firion si portò in testa, e la loro traversata ebbe inizio. Le uniche cose che li accompagnavano era il disgusto che suscitava quel luogo ed i loro pensieri. Quelli di Firion erano indecifrabili. Claire, invece, si distrasse pensando ai momenti che avevano preceduto la sua nuova partenza, quando il Cacciatore tornò al Nexus dopo aver incontrato Serah in sogno. Lei lo aveva aspettato per molto tempo, passato a legare col bambino che le aveva affidato Yuria. Alla fine Firion tornò, ma non come se lo sarebbe aspettato. La prima cosa che disse quando si materializzò davanti a loro fu che colei che aveva mandato Yurt non avrebbe più dato problemi: era riuscito a tenderle una trappola, e l’aveva fatta venire allo scoperto. Quando si vide messa con le spalle al muro, la donna affrontò Firion, senza dirgli niente su chi fosse e perché avesse sguinzagliato Yurt contro di loro, ammettendo solo di averlo fatto. Firion fu costretto a combattere, e scoprì che il suo avversario era un’umana tramutatasi in un demone molto potente, che era riuscito a mascherare l’onda della sua anima. Nonostante la sua enorme pericolosità, non fu comunque in grado di resistere a lungo sotto i colpi del Cacciatore, e venne ucciso rapidamente. A quel punto, Firion capì, la ragione per cui gli abitanti del Nexus furono assaliti era presto detta: una donna bramosa voleva l’anima del Cacciatore di Demoni per sé, ma non era abbastanza forte per ottenerla da sola. Si rivolse, quindi, ad un assassino, nella speranza che un’uccisione furtiva bastasse allo scopo. Probabilmente, aveva dato istruzioni di togliere di mezzo chiunque lo intralciasse o che ritenesse opportuno uccidere per portare a termine l’incarico. Era una supposizione: solo l’anima di quel demone avrebbe rivelato la verità, col tempo. Firion assorbì quindi un’altra anima demoniaca, che lo ridusse allo stato con cui si presentò ai suoi amici. La loro prima reazione fu istintiva, ma non meno sconfortante: si ritrassero tutti, impauriti e timorosi. Quando si resero conto di chi fosse, lo salutarono come meglio poterono, ma il danno era fatto. Solo Claire lo accolse abbracciandolo e sinceramente impensierita dal suo drastico cambiamento. Lui non ebbe tempo per chiedersi del mutamento repentino dell’umore della ragazza, godendo invece del contatto. Mentre era seduto su uno dei bauli di Thomas, vicino a Boldwin che lavava dal sangue le sue vesti, il Cacciatore tornò a parlare della donna colpevole di aver mandato Yurt contro di loro. Aggiunse malinconicamente che era solo colpa sua se Freke, Urbain, l’Accolito e Serah avevano perso la vita. Se non fosse stato per lui, loro sarebbero stati risparmiati. Il fabbro si affrettò a rispondergli enfaticamente che non doveva pensarlo neanche per un istante. Lui stava dando tutto sé stesso per salvare loro e la loro casa, non doveva permettere che l’operato spregevole di uomini vili offuscasse il suo giudizio. Claire la pensava come il vecchio artigiano, ma Firion non mutò la sua idea, tenendola nascosta. Dopo un po’, il giovane Cacciatore fu di nuovo pronto a partire, lui non aveva bisogno di riposare. Thomas si oppose e lo pregò di trattenersi il minimo indispensabile per recuperare le energie e tornare tra loro: forse non era chiaro a suoi occhi, ma Firion aveva bisogno di fermarsi per del tempo e riordinare i pensieri. L’altro gli rispose che mancava troppo poco per fermarsi ora, e con quello chiuse la discussione. Prima che partisse, Claire gli raccontò del contatto con sua sorella. Non si era ancora del tutto ripresa, e forse non ci sarebbe mai riuscita completamente, ma il fatto che avesse parlato con Serah era per lei la prova che era ancora viva ed accanto a lei, nel suo spirito, e questo la sottrasse a molto del dolore della sua perdita. Diede a Firion una mezza verità, dicendo che Serah le chiese di impegnarsi ad aiutarlo a superare le difficoltà della sua missione, omettendo invece il monito sull’oscurità nel suo cuore. Se gli avesse detto tutto, lui l’avrebbe quasi sicuramente allontanata, sentendosi messo in discussione, e lei non poteva rischiare. Firion non provò nemmeno a farle cambiare idea. Attese che si equipaggiasse opportunamente, e fu così che partirono per la Valle di Corruzione, luogo abietto casa dei peggiori peccati dell’uomo e della natura. Claire pensò in quei termini finché non arrivarono all’altro capo del corridoio che avevano imboccato. Il cammino si fermava su di un dirupo che dava sull’ambiente centrale della Valle, un’estesa palude priva di vegetazione, dove non vi era acqua ma lividi veleni, e dove, in lontananza, numerose torce accese facevano scorgere costruzioni in legno. Uno stretto ponte consunto, costruito tra le sporgenze rocciose, portava in basso, rendendo la discesa scomoda ma fattibile. Firion e Claire lo percorsero con cautela e senza fretta, alla luce di fiaccole e candele. Non ci fece caso prima, ma Claire rifletté che quei fuochi, che bruciavano su resine di alberi come la trementina, dovevano essere recenti. Qualcuno doveva averli accesi: che fossero pericolosi o meno era ancora da scoprire, ma che li avrebbero incontrati, era fuor di dubbio. Arrivarono ad una larga sporgenza, che li separava per circa mezzo metro dai liquidi melmosi della palude, la cui superfice era increspata dalle goccioline di pioggia. Firion segnò a Claire di fermarsi. S’inginocchiò ad esaminare quei fluidi, scrutò davanti a sé, e sembrò considerare in silenzio, per qualche momento, la loro situazione.
“Siamo sulla strada giusta, ma sembra che non ce ne siano altre. Non è possibile aggirare la palude, possiamo solo attraversarla. Però, quella che vedi qui sotto è una mistura letale che corroderebbe la pelle di un uomo normale in pochi secondi. Armature e vesti verrebbero risparmiate, ma non la carne viva. Sta di fatto…”
Firion si tuffò dalla sporgenza, rubando un fremito a Claire ed alzando piccoli schizzi. Era immerso fin poco sotto il bacino, sempre calmo ed impassibile.
“…che io non sono un uomo normale.”
“Mi hai fatto venire un colpo! Non farlo più!” sospirò di sollievo la ragazza.
“Beh, il problema è risolto per te. Io come faccio ad attraversare?”
“Ti traporto io.”
Claire alzò un ciglio, recalcitrante all’idea.
“Cosa? Vorresti prendermi in braccio? E’ stata la cosa migliore che ti è venuta in mente?”
“E’ stato il metodo più veloce che mi è venuto in mente. Credo che per te sia anche il più comodo.”
Claire fece diverse smorfie, cercando e ricercando le alternative che aveva. Alla fine, ammise a sé stessa che Firion aveva ragione: trasportarla sarebbe sicuramente stato più veloce che montare una zattera. Non che fosse certo che ci fossero i materiali adatti per costruirne una in un luogo come quello, probabilità già abbastanza remota.
“E va bene. Facciamo in fretta…”
“Hai paura che ti possa vedere qualcuno?” insinuò lui con un accenno d’ironia.
“Non farmi cambiare idea…” minacciò lei chinandosi. Firion protese le braccia, la sollevò dalla sporgenza, e con estrema attenzione la sospese al sicuro dal veleno. Le permise di sistemarsi, e poi mosse i primi passi. Teneva un’andatura lenta, ma costante. La melma vincolava i suoi movimenti, era talmente viscosa e densa che muovercisi dentro sarebbe stato più sfibrante che tra la neve voluminosa dei monti più alti. Ma la fatica non era un problema per lui, che aveva acquisito capacità fuori dal comune. Quando furono abbastanza lontani, un drappo di oscurità cadde su di loro. Claire pensò di usare le pietre magiche che le diede Firion, così da illuminare almeno un po’ la strada che percorrevano. Al limite del campo brillante che si sprigionò dal suo palmo, poté distinguere le sagome di barili, carri, recinti, barche, mobili ed altro ancora fluttuare alla deriva, sinceri tentativi di portare normalità in quel posto orrido. Vide anche strane, brutte forme grigie galleggiare intorno. Erano grosse e tondeggianti, e le sembrò di scorgere come dei tentacoli.
“Non ti preoccupare. Sono offensive solo se minacciate” la rassicurò Firion.
“Ne parli come se fossero animali. Non sarebbe difficile, per me, credere che siano dei demoni.”
“Non hai nulla da temere da loro. Sono altri i demoni qui, ma li affronteremo solo se necessario. Ricorda che cerchiamo un Arcidemone: una volta tolto di mezzo, sarà più facile occuparsi dei più piccoli. Guarda, siamo quasi arrivati.”
Firion le fece un cenno verso uno stretto sentiero che emergeva dalla robaccia viola, una sorta di secca asciutta ai cui lati bruciavano altri falò. Portava sotto un enorme tetto roccioso, al di sotto del quale stavano i resti di una baraccopoli, interamente in legno ed all’apparenza disabitata. Firion mise a terra Claire, che fu libera di togliersi il cappuccio, e ne imboccarono la via d’accesso. Lungo la strada evitarono le lumache e le zecche giganti, malfatte visioni orripilanti che strisciavano da una rientranza anfrattuosa ad un’altra come tanti scarafaggi. Claire non si sentì fiduciosa e pensò che avrebbe rimesso lì, davanti a Firion, se avesse dovuto osservare anche per un solo secondo in più quei mostri nauseabondi. Fortunatamente, passarono oltre e lei si calmò. Nel giro di poco arrivarono al centro della città legnosa, costruita sulle pareti della Valle e le cui misere abitazioni erano accatastate una sull’altra. Gli spazi stretti echeggiavano dei loro passi mentre transitavano presso quei vecchi ambienti vuoti. Era tutto decadenza e rovina, assi rotte e marce, tetti sfondati e cadaveri, tra corpi arsi su alti pali e carcasse consumate fino all’osso. Per quanto restassero solo pezzi di quegli esseri, Claire ne intuì la forma vagamente umanoide, la testa malforme, le orbite profonde, e come un becco lungo che si protendeva dal volto. Stava ancora muovendosi tra quegli orrendi dettagli quando urtò accidentalmente contro la schiena di Firion, immobile come una statua tra le case diroccate. Gli avrebbe chiesto cosa gli fosse preso, se lui non si fosse portato un dito sulle labbra con occhi da predatore.
“Non siamo soli…” sussurrò. Claire portò istintivamente la mano al suo arco. Prese una freccia e la incoccò, tendendo lentamente la corda per non farsi sentire, pronta all’assalto del nemico. Firion s’inoltrò avanti, acuendo la vista in cerca di chi li stesse osservando. Claire lo seguiva mandando occhiate dietro e sopra di loro, in preda ad una calma smaniosa mentre fissava le tenebre fuori la portata dei fuochi. Avanzarono con cautela, guardando ovunque con sospetto, finché non arrivarono ad uno slargo dove delle rampe portavano al livello superiore della città. Firion si fermò di colpo. Claire avvertì il cambiamento nel compagno e si voltò per capirne la causa. Quando vide, sussultò sconvolta. Al centro della strada, legato ad un palo, stava il corpo del Discepolo: era stato sventrato ed eviscerato, aperto dal petto allo stomaco. La sua espressione serena di morte creava un contrasto spaventoso davanti alla cavità svuotava che esponeva le sue costole.
“Oddio, no…”
Claire lasciò malamente la freccia e si premette la mano sulla bocca, voltandosi per non dover guardare ed ingobbendosi per sforzarsi di non rimettere. Non avrebbe mai dimenticato quell’immagine. Firion si avvicinò e lo esaminò da vicino, facendo seguire alle dita i tagli e le incisioni. Posò la mano sul capo reclinato di quell’uomo buono una volta suo amico, rimpiangendone la morte così violenta ed immeritata.
“Cosa ti hanno fatto…”
Claire si costrinse a riprendersi, ma non riuscì comunque a posare gli occhi su quei resti disonorati. Aveva conosciuto quell’uomo, aveva condiviso con lui un rifugio, cibo, idee. Era uno dei più saggi, gentili, onesti e comprensivi uomini che avesse mai incontrato. Vederlo ridotto a quello stato, era un’offesa troppo grande e dolorosa.
“Firion…la sua anima…”
Il Cacciatore si concentrò lunghi secondi, poi scosse la testa amareggiato.
“Svanita. Lui è perso, per sempre…”
D’un tratto, sentirono movimenti affannati tutt’intorno. Sopra di loro, affiorarono dall’oscurità figure corte e corrotte. Se un tempo erano stati uomini, le orbite nere, il becco lungo, la mascella sfondata, che lasciava penzolare lingue innaturalmente lunghe, e la pelle immonda, prolungamento del putridume della Valle, li identificava come qualcos’altro. Comparirono numerosi ed illuminati dal fuoco, brandendo pugnali e picche, squadrandoli dall’alto come tanti avvoltoi, pronti a strappare via le loro vite. Claire riprese la freccia a terra e sentì montare la rabbia e la determinazione. Quei mostri avevano massacrato un suo amico: non ne avrebbe lasciato uno in vita.
“Non essere avventata. Uccidi, ma non farti uccidere. Non lo meritano…” avvertì Firion posando una mano sull’elsa del suo spadone.
“Non hai bisogno di ripetermelo: i demoni meritano soltanto la morte. Sarò più che felice di portargliela.”
Una delle creature deformi si agitò ed emise un lamento acuto, ed improvvisamente l’intera orda si riversò contro i due viaggiatori al centro. Firion lasciò che gli assalitori venissero a lui, carne da macello pronta per essere sminuzzata dalla sua lama. Bastarono pochi fendenti per aprire in due una dozzina di quei folli privi di ragione, e le sezioni e le membra andarono ad aumentare ed accumularsi su una pozza sempre più larga di sangue ai suoi piedi.
Claire lì caricò scoccando dardi mortali e colpendoli al petto, agli occhi ed alla testa. Si girava e si muoveva costantemente, evitando gli attacchi nemici con agilità e restituendo colpi fatali. Ovunque si voltasse, aveva un bersaglio su cui sfogare la sua frustrazione e ed il suo rancore, riducendo qualunque cosa vedesse muoversi ad un guscio inanimato e martoriato. Correva, non fece attenzione a cosa la circondasse. Era mossa solo dal desiderio di uccidere ancora, e tutto divenne sfocato. Cominciò a vedere solo nemici, maschere agonizzanti le cui urla lenivano l’avvilimento dei suoi tanti giorni passati nel dolore. Nella frenesia della carneficina, perse sé stessa. Incoccò un’ultima freccia, si voltò pronta a scagliarla alla fronte della sua prossima vittima. Prima che potesse farlo, qualcosa la fece rinsavire: un lamento straziato. Tornò ai sensi, capendo che si era allontanata da Firion. Ascoltò il suo respiro affannato, ritrovandosi davanti uno di quegli esseri ripugnanti schiacciato contro la parete di una delle case decrepite, proteggendosi con le mani, singhiozzante e tremante. Tremante di paura. Un brivido freddo le corse lungo la schiena.
"Ma loro... loro non sono-"
Non finì il pensiero che Firion apparve dal nulla, facendo cadere la sua arma micidiale sull’avversario inerme, riducendolo a poco altro che pezzi di carne. Claire si ritrasse spaventata, tentando di evitare gli schizzi di sangue. Il Cacciatore, imbrattato di rosso, rinfoderò lo spadone e si voltò con espressione preoccupata.
“Tutto bene, Claire? Claire, puoi sentirmi?”
La ragazza fissò il punto dove vide la creatura venir disintegrata finché Firion non la destò da quella sua ipnosi.
“Sì, sto…sto bene” disse con poca convinzione.
“Ti avevo detto di non essere avventata. Comunque, questo era l’ultimo, ma potrebbero essercene altri in giro. Meglio muoverci. Seguimi: siamo vicini, ormai.”
Firion si mosse avanti, ma quando diede un’occhiata dietro la sua spalla e vide Claire bloccata con gli occhi persi nel vuoto, si fermò e le parlò impensierito.
“Claire, sei sicura di star bene? Claire?...”
La ragazza non rispose. Tenne la testa china e lo superò a passo spedito. Firion non seppe cosa dedurre dal comportamento della compagna, ma sapeva che la tana dell’Arcidemone era davanti a loro. Riprese a muoversi e tenne pronta la lama sul suo dorso, sapendo che non sarebbe stato facile sottrarre l’anima a quel demonio.
Camminarono lungo le vie strette della città, che si estendeva verticalmente più di quanto non facesse sulla distesa velenosa su cui si ergeva. Claire permise a Firion di tornare in testa, concentrata e turbata da quello che aveva visto prima dell’arrivo del Cacciatore. E se avessero sbagliato? E se quelli che avevano ucciso così ferocemente erano solo gli abitanti disperati di quel luogo infame? Certo, erano ostili, erano responsabili dell’assassinio del Discepolo, e li avrebbero uccisi se l’avessero permesso, ma questo giustificava la strage che commisero? Cosa non era permesso, nel mondo buio in cui erano precipitati? Smise di pensare a quelle riflessioni angosciose solo quando Firion le fece segno che erano arrivati. Avevano raggiunto il livello più alto della città, potevano scorgere l’intera estensione della palude e le tante torce che, come lucciole, brillavano nella notte. La piattaforma su cui si trovavano portava alla bocca di una grande caverna, di cui poteva già intravedere il tetto alto. Firion le rivolse uno sguardo che le chiedeva se fosse pronta o meno. Nonostante tutti i suoi dubbi, Claire soppresse come meglio poteva le incertezze ed annuì. Varcarono la soglia che li chiamava ad entrare, e si ritrovarono in un grande spazio vuoto, su di una pedana scricchiolante ai cui lati ardevano alcuni fuochi. All’estremità opposta, poterono notare l’inizio di una nuova galleria, che sembrava scendere nella roccia, in meandri ancora più oscuri. Si guardarono intorno, osservando le pareti nude e silenziose della grotta. All’improvviso, il legno sotto i loro piedi prese a vibrare vivacemente, minacciando di andare in pezzi sotto la forza che lo scuoteva. Da ogni fessura visibile della roccia e del terreno, provennero infiniti tra sanguisughe, locuste, scolopendre, mosche ed insetti e parassiti di ogni tipo, strisciando tra i loro piedi. Conversero tutti in un solo punto, creando un enorme umanoide dal tronco spesso e lunghe braccia, le cui mani erano mazze massicce. Si agitò convulsamente, lanciando uno dei suoi arti contro i due pericolosi intrusi. Firion e Claire si mossero allo stesso momento, uno scansò l’attacco a destra e caricò per rispondere all’offensiva, l’altra schivò a sinistra, tenendosi a distanza e scagliando le poche frecce che le rimanevano. Tuttavia, i dardi scoccati trapassavo il colosso da parte a parte senza ferirlo, vanificando gli sforzi della ragazza. Il Cacciatore pressava il gigante con fendenti rapidi e potenti, ma la sua spada sembrava tagliare l’aria, in quanto non uno dei microbi che componeva la mostruosità veniva ucciso. Ogni volta che lo tagliava in pezzi e gli esserini si disperdevano, quelli tornavano al loro posto e le parti ricrescevano quasi immediatamente. Non vide il grosso pugno dell’orrore vivente e prese il colpo violento in pieno petto, venendo lanciato indietro come una bambola. Rotolò malamente finché non piantò la lama nella pedana e si issò di nuovo in piedi, apparentemente illeso.
“Le armi convenzionali non funzionano!” gridò Claire oltre il ronzio assordante nella caverna, schivando un altro attacco che fracassò le travi sotto di lei.
“Si rigenera costantemente! Vanno uccisi tutti gli insetti che lo compongono contemporaneamente!” rispose Firion, tornando all’attacco ed attirando a sé l’attenzione del grosso demone. Claire rifletté alcuni attimi: subito pensò ai falò che li circondavano. Sarebbe bastato riuscire ad appiccare il fuoco ed il colosso si sarebbe acceso come una torcia. Corse al falò più vicino, tagliò un grosso lembo del suo mantello con il coltello da caccia che aveva alla cinta, e, con estrema attenzione, lo bagnò nella trementina che attendeva di essere combusta. Infilzò lo straccio con una freccia che scagliò sul gigante, troppo impegnato con Firion per accorgersi di lei. Infine, diede fuoco alla punta di un altro dardo, che puntò sul cencio grondante resina infiammabile.
“Via, Firion!”
Firion obbedì all’istante e si tirò indietro con un balzo: non sapeva cosa sarebbe successo, ma si fidava di Claire a tal punto da non chiedersi in cosa consistesse il suo piano. Claire mollò la corda e la freccia infuocata, centrando in pieno il brandello. Le fiamme presero subito vita e si propagarono ai piccoli vermi striscianti, che vennero bruciati vivi. Il colosso immondo si contorse ed emise un grido fatto dei lamenti di ogni piccolo essere che lo formava, collassando finalmente e disperdendo piccole candele carbonizzate.
Claire si avvicinò di fretta a Firion, che guardava i resti fumanti accertandosi che non si rialzassero.
“Ha funzionato?”
“E’ stato esattamente quello di cui avevamo bisogno. Sei stata perfetta, Claire.”
“Beh, è stato facile a dire la verità. Era l’Arcidemone più debole che abbiamo affrontato finora” ammise Claire, alzando le spalle. Firion si voltò verso la galleria al capo estremo della grotta, un’ombra inquieta sul suo viso.
“Non era quello l’Arcidemone.”
“Cosa?” esclamò Claire.
“Era solo un cane da guardia, un mastino rabbioso. No, il padrone è più in fondo, laggiù.”
Firion si diresse verso quel grosso buco nel terreno. Claire lo seguì e, sporgendosi un poco, poté riconoscere la densa Nebbia degli Arcidemoni, che li aspettava in fondo al passaggio. Emise un sospiro stanco e deluso: ne aveva abbastanza di combattere solo per ritrovarsi davanti a nemici sempre più pericolosi e diabolici. Per una volta le sarebbe piaciuto che le cose si risolvessero facilmente come aveva fatto poco prima col gigante putrido. Con riluttanza, cominciò a scendere la parete rocciosa, appigliandosi alle sporgenze che offriva con cautela. La galleria non era molto alta, ma percorrerla tutta in sicurezza le avrebbe richiesto molto tempo. Firion la guardò interrogativamente. La vide sforzarsi ed affannarsi a non perdere la presa sulle rocce, scendendo lentamente, un piccolo movimento dopo l’altro. Stette a fissarla finché non decise di scendere anche lui: fece un passo oltre il margine e si buttò di sotto. Claire, a bocca aperta, lo vide volarle accanto ed atterrare indenne.
“Sbruffone…” pensò, vedendolo così indifferente e calmo.
Lui alzò le braccia e le allargò sopra la sua testa.
“Lasciati andare. Ti prendo io.”
“E’ una cosa che posso fare da sola!” mentì lei, i muscoli che le bruciavano ed i polmoni affaticati.
“Lo so che ne sei in grado, come sei in grado di tirarci fuori dai guai quando io non posso, nonostante tutta la mia forza. Non hai bisogno di dimostrarlo ancora…”
Claire fu colpita dalle sue parole: in un momento, lui riuscì ad esprimere tutto il rispetto che stava alle fondamenta del loro rapporto, e lei si ricordò quanto questo lo rendesse diverso dagli altri. Chiuse gli occhi, mollò la presa, e prima che se accorgesse era tra le braccia di Firion.
“E’ stato più facile, no? Fidarsi di me…”
“Molto più facile.”
La mise a terra, e poi si baciarono. Non lo pensarono né rifletterono. Lo fecero e basta, sentirono di doverlo fare e non si trattennero. Per quell’attimo, tutto sparì, insieme alla Valle ed all’Arcidemone. Si separarono e furono costretti a tornare alla realtà, preparandosi ad un nuovo, estenuante scontro. Attraversarono la Nebbia, sorprendentemente a cuor leggero e privi del solito nervosismo. Raggiunsero il cuore della Valle di Corruzione, una profonda spelonca in cui sozze cascate si riversavano in un fiume sporco, dove piccoli corpicini si agitavano nella melma. Erano bambini, aborti indesiderati. Una sporgenza seguiva la parete sinistra della cava portando in basso, dove poterono scorgere due figure, una vestita di bianco ed una in armatura. Su una di destra, invece, alcuni degli umanoidi che li attaccarono alla baraccopoli erano prostrati a terra, in riverenza. Claire osservava senza fiato: si aspettava mostruosità provenienti dagli incubi più terribili e demoni diabolici. Quello che vide, era solo incomprensibile e straziante. L’espressione di Firion era sicura e risoluta, ma lei pensò che dovesse esserci un errore.
“Per favore, lasciaci, Cacciatore di Demoni…” sentirono improvvisamente. La voce di una donna echeggiò nelle loro menti, dolce ed affranta.
“…Qui, i reietti ed i perduti trovano rifugio. Non troverai gloria o trofei. Te ne prego, ora va’…”
Firion ignorò la richiesta e cominciò a scendere lungo la sporgenza di sinistra. Claire, incerta, lo seguì.
“…Ti imploro…”
Firion proseguì, sordo alle suppliche. Claire non sapeva cosa pensare: aveva bisogno di capire, prima di poterlo fare. Quando furono a metà della sporgenza, videro la figura in armatura avvicinarsi. Uno splendido elmo lo copriva completamente, brandiva uno scudo ed un’arma enorme, una mazza dorata dall’aspetto pesantissimo. Firion stese una mano davanti a Claire ed impugnò la sua lama, pronto ad estrarla.
“Fatti da parte. Siamo venuti solo per l’Arcidemone.”
“Fino a questo punto sei ebbro della sete di sangue e potere?” lo provocò l’uomo, la voce cupa, ovattata dal metallo.
“Astraea è venuta qui per alleviare le sofferenze di queste povere anime. Lei porta conforto e compassione a questa Valle dimenticata: risana le ferite dei suoi abitanti, riporta alla vita chi non ha mai visto la luce, ed accoglie le preghiere di chi si è perso. Voi, invece, invadete il nostro rifugio, distruggete la nostra casa e minacciate la nostra umile vita. Lasciateci in pace!”
“Astraea? La Sesta Santa Astraea?” esclamò Claire incredula.
“T’inganni. Lei è un Demone: non prova niente, merita soltanto la morte” disse Firion con voce glaciale. Claire lo guardò sorpresa e spaventata da quello che disse, ma lui non la vide.
“Non permetterò ad alcun male di toccare la carissima Astraea. Che tu possa marcire negli abissi più profondi di questa palude!”
L’uomo corazzato caricò ed estese il braccio per colpire con il suo possente martello. Firion lo intercettò e deviò il colpo, assestando un pugno feroce con la mano libera. Il cavaliere lo parò con lo scudo, ma la forza con cui il Cacciatore lo scagliò era talmente grande che venne spinto indietro. Tuttavia, non perse l’equilibrio e tornò all’attacco. Claire estrasse l’arco e puntò una delle ultime frecce che aveva. Sarebbe bastato un tiro ben piazzato e la battaglia sarebbe finita. Qualcosa però la fermò: non sapeva se fosse il dubbio sulla presunta impurità della Santa e le sue buone azioni, ma sapeva che non avrebbe scagliato la sua freccia.
Il Cacciatore ed il cavaliere scontrarono le armi con veemenza, facendo accendere scintille e danzando tra fendenti, schivate, calci e colpi violentissimi. Nonostante l’incredibile forza ed ardore del Guardiano della Santa, però, Firion aveva un vantaggio insormontabile: le sue energie erano pressoché illimitate. Non ci volle molto prima che agitare la sua enorme mazza diventasse per il Guardiano sempre più difficile, e che i suoi movimenti si facessero più lenti e prevedibili, finché non barcollò sotto l’offensiva dell’aggressore. Fu allora che il Cacciatore cominciò a guadagnare terreno, con fendenti fulminei ed implacabili. La fine dello scontro arrivò quando Firion fece volare via l’arma al cavaliere, che non poté fare altro che ripararsi dietro il suo scudo. Seguirono attacchi rabbiosi e spietati che spinsero il Guardiano sempre più indietro, finché anche lo scudo non gli venne portato via e lui volò a terra, ai piedi di Astraea. Lei, una bellezza pura, dalla chioma bionda, gli occhi chiari e la pelle e la veste candide, guardò inorridita.
“Garl!” gridò, buttandosi sul cavaliere ed incurante del Cacciatore.
“Sta’ indietro!” le disse lui portandosela alle spalle, frapponendosi, esausto, tra la Santa e Firion. Lei fissò uno sguardo implorante sul loro assalitore, ma tutto ciò che ottenne era un freddo disprezzo.
“Morirete insieme…” disse Firion alzando la spada. I due sotto di lui si strinsero e chiusero gli occhi, rassegnati alla loro sentenza. Prima che potesse trafiggerli, Claire corse a perdifiato e gli si parò davanti, tentando di spingerlo via.
“Claire… che significa?”
“Non puoi farlo, Firion!” esclamò lei usando tutta la sua forza per sbilanciarlo, ma lui era inamovibile.
“Devo farlo! Lei è un Arcidemone, uno strumento di distruzione privo di senno! Finché respira, la Nebbia non si ritirerà, e l’Antico sarà in grado d’inghiottire le anime dei morti. E’ il fato che ha subito il Discepolo insieme ad innumerevoli altri. E’ colpa sua!”
Firion la spintonò di lato, ma lei si riprese immediatamente e continuò a dargli contro.
“Abbiamo sbagliato tutto, Firion! Abbiamo sbagliato! In questa Valle ci sono solo persone, non dobbiamo uccidere nessuno!” gridò disperata, sforzandosi di farlo tornare in sé.
“Causerà la fine del nostro mondo se la lascio vivere!”
Il suo viso era diventato una maschera assassina di rabbia e di odio, voleva azzannare la donna tremante ed il suo Guardiano sentendo la loro vita fuggire via dalle sue mani.
“Usa il suo potere a fin di bene, come te! Non è un Demone!”
Venne spinta di nuovo, cadendo pesantemente a terra. Si rialzò a fatica, ma tornò ad ostacolare il Cacciatore.
“I Demoni vanno sterminati tutti!”
“Firion!” pianse infine Claire, facendolo finalmente voltare verso di lei. Le sue lacrime esasperate ammorbidirono subito la sua espressione famelica. In quel momento, tornò a ragionare come l’uomo che fu una volta.
“Guardala…Guardami…Non puoi farle del male…Non puoi…”
Firion tornò in sé e fece come gli venne detto. Fissò il suo sguardo atterrito sulla donna implorante ai suoi piedi, stretta al Guardiano pronto a morire per lei. Impresse nella sua mente la paura che leggeva in quegli occhi innocenti, e qualcosa nel suo profondo si frantumò. Un sentimento, un ideale alle fondamenta del suo cuore, s’infranse e gli tolse il fiato. Cosa era diventato?
La mano che serrava lo spadone lasciò la presa languidamente, la lama echeggiò miseramente quando fece contatto col suolo. Firion si allontanò di qualche passo, fino ad arrivare sulla sponda del fiume. Lì, cadde in ginocchia. La voce, rotta come non lo fu mai.
“No, non può essere…Ho fallito…Non posso portare a termine la mia missione…”
Nello specchio sporco davanti a sé, vide un’immagine distorta e rovinata: la sua. Gli occhi rossi bestiali, la pelle di cenere come terra arida, le vene nere sul viso di sangue lurido e corrotto.
“Io mi sono ridotto così…Quanti sono morti perché io diventassi così?... Quanti muoiono adesso perché io sono diventato così?... E’ tutta colpa mia… E’ stato tutto inutile… Non è servito a niente… non è servito a niente…”
Firion pianse. Il cavaliere ed Astraea rimasero immobili, non sapendo cosa fare davanti alla reazione del Cacciatore. Claire guardava, sopraffatta dall’emozione. Firion si era sempre dimostrato superiore ad ogni difficoltà, ad ogni fallimento, ad ogni perdita. Credeva che niente potesse buttarlo giù, e che, se anche fosse caduto, lui si sarebbe rialzato più forte di prima. Ora era lì, distrutto e disperato. Lo raggiunse e s’inginocchiò davanti a lui, abbracciandolo forte. Lui la strinse a sé, piangendo sulla sua spalla perché incapace di fermarsi.
Astraea provò grande mestizia per il Cacciatore: quell’uomo triste fu costretto a mettere da parte la sua umanità nella speranza di ristabilire l’ordine nel mondo. Aveva sacrificato tutto sé stesso, solo per scoprire che i suoi sforzi erano stati vani. Non aveva intenzione di ucciderla, e questo non gli avrebbe permesso di affrontare l’Antico. Si sciolse dal suo protettore, riluttante a lasciarla andare.
“Grazie di tutto, Garl. La mia vita non sarebbe stata la stessa senza di te…”
Si avvicinò alla coppia in lacrime. Claire le diede uno sguardo esitante ed afflitto, Firion lo tenne basso per la vergogna.
“Qual è il tuo nome, Cacciatore?”
“Firion. Una volta potevo rispondere a questo nome…”
“Firion, quando partii in pellegrinaggio, alla ricerca di un contatto con il mio Signore, mi diressi qui. La gente era moribonda, infelice, ostile, costretta ad una vita orripilante. Pregai e pregai, ma come potevano le mie preghiere salvare la vita di quelle povere persone? Come poteva il mio signore permettere l’esistenza di un dolore simile? Fu così che mi concedetti all’anima di un Demone, rinnegando gli insegnamenti della Chiesa. Ho creduto fino alla fine, e divenni in grado di aiutare davvero le persone attorno a me. Tuttavia, non potei mai eradicare la corruzione da questa terra: la Nebbia lo impedisce. Tu lo farai? Potresti farlo tu, per me?”
Firion alzò il capo, guardandola in un misto di confusione e tristezza. Astraea unì le mani al petto, offrendogli un sorriso gentile, dietro cui si nascondeva una sofferenza incontenibile.
“Per quanto le tenebre ti abbiano accecato, il tuo cuore è sempre stato un faro di purezza. Le tue intenzioni sono buone, Firion, e voglio aiutarti. Non volterò le spalle a coloro che chiedono aiuto come ha fatto il mio Signore. Se la mia esistenza è un peso così insostenibile per questo mondo, sono disposta a cederla…”
“No! Aspetta!” esclamò Firion tendendo la mano.
Astraea estrasse dal suo essere la sua anima e gliela porse sulle mani. Emanava un chiarore splendido come il sole.
“Salvali…tutti…”
Astraea vacillò e si accasciò a terra, gli occhi chiusi e l’espressione serena. Firion e Claire non riuscirono a muoversi, esterrefatti e pieni di rimorso e rammarico. Garl scattò verso la donna, gridando d’angoscia.
“Astraea!”
Cadde davanti al corpo, ormai immoto. Scostò una ciocca di capelli d’oro dal viso con una mano tremante, mentre il suo respiro si faceva un singulto irregolare. Si chinò su di lei disperato, portandosi vicino alle labbra dolci. Vide l’anima che levitava sulla mano aperta. La prese con cura, si abbassò davanti a Firion, e la offrì.
“Prendila. Voleva che tu l’avessi…”
Firion era precipitato in un turbinio di emozioni che non provava da quando assistette alla morte della sua famiglia e che, sapeva, lo avrebbero cambiato per sempre. Con mani esitanti, prese con sé l’anima, ospitandola nel suo più profondo.
“Non tradirla. Promettimi, che vivrà sempre nel tuo cuore…”
Firion non seppe fare altro che annuire. Garl diede un deciso segno di riconoscimento. Poi diede loro le spalle e prese in braccio Astraea.
“Ora, vi prego di lasciarci…”
Claire fissò Firion con occhi tristi, che dicevano che era il momento di tornare a casa. Firion raccolse lo spadone, Claire lo abbracciò e poggiò le dita sul suo Marchio: in un attimo svanirono nell’etere. Da solo, Garl Vinland rimase in contemplazione. Si voltò verso il fiume, che si perdeva nelle viscere di quella terra malsana. Fissò gli occhi sul viso della sua amata, di cui s’innamorò da quando erano ragazzi, ma a cui non fu mai in grado di dichiararsi.
“E’ tempo di riposare, Astraea. Ascolterò la tua voce una volta ancora…”
Garl scese dalla sponda e sparì nella corrente, il suo spirito ed il suo amore immortali.

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Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***


Nota dell'autore: Miei cari lettori, non è un segreto che il viaggio del Cacciatore di Demoni stia volgendo al termine. Ciò che verrà dopo sarà, infatti, la conclusione di questa storia. Vi ringrazio in anticipo per il vostro tempo e spero di avervi soddisfatto ed intrattenuto durante questi mesi. Sperando che il capitolo sia di vostro gradimento, vi auguro una buona lettura!


Demon’s Souls:
Le cronache dell’uccisore di Demoni
Capitolo 17
 
La Nebbia era inarrestabile. Insaziabile e sconfinata, si estendeva sempre di più, arrivando a coprire le coste sull’oceano e sporgendosi sulle terre oltre quel grande specchio azzurro. Divorò completamente l’entroterra, la maggior parte delle campagne, le città una volta piene di vita. Ormai erano pochi gli spazi risparmiati da quei fumi demoniaci, ma era solo questione di tempo: anch’essi, presto o tardi, sarebbero entrati a far parte della completa distesa grigiastra in cui si stava trasformando il mondo. Anche quelli sarebbero diventati dimore per i Demoni. In tutto il regno di Boletaria, quasi come a sancire la disfatta totale di quel popolo, solo l’antico Castello di Re Allant XII aspettava di crollare, un decadente simbolo di potere che attendeva di sparire nella bruma cancellatrice, che si arrampicava imperterrita sui suoi cancelli. Sulle sue pietre eterne si agitavano solo gli ultimi Demoni assetati di anime, imitazioni stupide, sfigurate e patetiche di quelli che una volta erano gli speranzosi abitanti. La vita che si spendeva tra quelle mura apparteneva a persone e giorni di altri tempi. Tutto ciò che rimaneva era il silenzio di una promessa rivelatasi una bugia, la missione di un Cacciatore divenuto una bestia al pari delle sue prede.
Firion era seduto sul limite dello spiazzo su cui stava il sito di esecuzione del Castello di Boletaria. Alle sue spalle, di fronte al palco e alle sue croci, a qualche passo di distanza e nel terreno morbido, la terra smossa e tre piccole targhette su dei corti paletti segnavano le misere tombe scavate per gli amici del Cacciatore di Demoni. In silenzio, lui fissava il lento scorrere del fiume ben al di sotto della sporgenza. Solo, faceva perdere gli occhi oltre il ciglio erboso e tra i movimenti placidi di quell’acqua cristallina, ingrigita dal cielo di sopra. Guardava in modo assente, il suo pensiero era altrove. Stava ripensando all’incontro con Astraea, alle sue parole e alla sua morte. Da quelle immagini, divagò tornando all’inizio del suo viaggio, ricordando, con una strana nostalgia, tutte le difficoltà, le battaglie e le vittorie che aveva vissuto. Rivide tutti i nemici che aveva sconfitto, tutti gli amici che aveva conosciuto. Si soffermò su ognuno di loro, sentendo una stretta al petto ed un bruciore dentro nel rammentare i momenti passati insieme. Lo scontro con l’Arcidemone della Valle di Corruzione, quando Claire gli negò il colpo fatale contro quella donna gentile, nei cui occhi rivide la sua disperazione nel momento della morte della sua famiglia, gli portò nuove considerazioni di sé stesso e della sua storia. Fu come una rivelazione, la scoperta abbagliante ed infelice insieme di ciò che albergava nel suo animo: lui non era l’uomo che pensava di essere. Era stato davvero necessario consumare tutte le anime che aveva accumulato durante il suo viaggio, oppure era stata solo la risposta all’irresistibile ambizione di accrescere il suo potere? Nessuno lo costrinse, eppure lui divorò anima dopo anima, come un qualunque Demone. Ciò che lo spinse a farlo era solo il desiderio, un desiderio nato dall’insopportabile fallimento di non essere riuscito a difendere coloro che amava. Fu per questo che non poté accettare di essere rimasto da solo: avrebbe costruito una nuova famiglia, sarebbe diventato più forte, e avrebbe dimostrato a sé stesso che era in grado di salvare i suoi cari. Quello che per tanto tempo credette essere, illudendosi, altruismo, era da sempre stato un egocentrico gesto egoista, il cui unico risultato era stato quello di portare altra morte ed altro dolore a chi gli stava vicino. Era colpa sua. Era colpa sua e non poteva rimediare. Dopo una scoperta del genere, la vergogna ed il senso di colpa gli fecero esplorare angoli ancora più bui della sua mente, arrivando a considerare il suicidio come unico modo per espiare almeno in parte i suoi peccati. Si rese conto, tuttavia, che più provava a pensarci, meno riusciva a figurarsi la scena: non era più in grado di concepire la fine della sua esistenza, la sua anima demoniaca lo impediva. Nella situazione di totale sconfitta della persona che pensava di essere in cui venne a trovarsi, l’unica cosa che seppe fare per non impazzire fu abbandonarsi ai ricordi di quando poteva ancora assaporare la felicità, quando ancora la sua indole maledetta non aveva preso il sopravvento.
Il suono dell’erba calpestata dietro di lui lo destò dai suoi pensieri oscuri. Girò lo sguardo quel poco che gli bastava per scorgere Claire oltre la sua spalla, ferma ad un metro o poco più dall’entrata del tunnel che conduceva al ponte della Fontana. Vederla gli fece battere il cuore come la prima volta che la incontrò, ma gli fece anche desiderare di sparire nel nulla: per quello che le aveva fatto, non meritava nemmeno di guardarla. Lei aveva un aspetto molto incerto, uno sguardo dubbioso che non s’impegnava a mascherare l’apprensione ed il turbamento che provava.
“Ehi…” esordì goffamente, accennando un debole sorriso e con un piccolo gesto della mano.
Lui non rispose, abbassando invece nuovamente gli occhi al torrente. Claire, scoraggiata, esitò di nuovo, non sapendo quale fosse il modo migliore per approcciarsi a lui nel suo stato. I minuti passarono veloci, il silenzio assordante distrusse ogni sua sicurezza sottolineando la lontananza che li divideva.
“Non dovresti stare così vicino al margine, è pericoloso…”
Passarono altri secondi quieti. Firion non disse niente. Claire chinò il capo, sconfitta, sospirando delusa al suo tentativo fallimentare di riportargli la parola. Dopo la morte di Astraea, infatti, quando tornarono al Nexus, Firion rimase visibilmente scosso da quello che successe. Senza una spiegazione, corse all’Arcipietra di Boletaria, sfuggendo veloce agli sguardi impensieriti di Thomas, Boldwin e degli altri e alle suppliche di Claire, che lo pregò di rimanere. La ragazza capì che sarebbe stato necessario lasciarlo da solo per un po’ di tempo, ma non fu facile per lei ignorare lo stato d’animo burrascoso che affliggeva il suo compagno. Non poté fare altro che aspettare. Consigliata dal premuroso Collezionista del Nexus, si riposò e scaricò molta della sua tensione nella scrittura Aveva ormai quasi finito l’inchiostro a sua disposizione, ed il suo piccolo volume era macchiato solo per metà delle pagine. Convenne, quindi, di concludere la sua minuta e futile opera, arrivando a comprendere quanto poco quel suo scritto significasse in mezzo ai tortuosi eventi che avevano sconvolto la sua vita. Spese del tempo col bambino, permettendo a Yuria di rilassarsi un po’, ma quando pensò che ne fosse passato troppo, avvertì gli altri che sarebbe andata alla ricerca del loro Cacciatore per confortarlo e tentare di farlo rinsavire. Fu allora che Ostrava si alzò e le chiese di farsi accompagnare: da quel che capì, Firion avrebbe avuto bisogno di raggiungere la sala del trono del Castello per poter portare a termine la sua missione. Fu così che pregò Claire di permettergli di venire con loro. Lei contestò subito il suo intento, dicendogli che non c’era nessun motivo per lui di mettersi in pericolo. Ostrava sembrò un momento riluttante, ma alla fine annunciò di averne uno molto preciso. Ad alta voce, fece sapere ai presenti che non fu del tutto onesto con loro: togliendosi per la prima volta l’elmo, il cavaliere rivelò il suo giovane viso, gli occhi chiarissimi ed i lisci capelli biondo platino. Affermò di essere il legittimo erede al trono di Boletaria Ariona Allant, e che le sue armi runiche, cimeli antichi degli eroi appartenenti alla sua famiglia, ne erano la prova. Sia Thomas che Boldwin riconobbero in lui il sangue reale che aveva garantito la prosperità del regno per così tanti anni, ed entrambi si chinarono davanti al principe. Nell’atmosfera d’incredulità che permeò l’aria del Nexus al pensare che, per tutto quel tempo, l’affabile Ostrava altri non era che il più grande dei nobili di quella terra, Ariona s’apprestò a far rialzare loro le teste, dicendo che non avrebbe mai richiesto tali formalità in tempi come quelli, soprattutto dai suoi amici. Vivere nel dolore dei suoi sudditi gli aveva insegnato molte cose, in particolare che, indipendentemente da quanto uno si sforzi, non sempre le proprie forze possono bastare per raggiungere i propri sogni ed obiettivi. Per questo è necessario ricorrere alla forza dei legami che s’instaurano con gli altri per poter vincere le avversità. Ariona era tornato alla capitale per ristabilire l’ordine e provare che non era suo padre l’origine della Piaga, come invece insinuavano le voci che si diffusero durante la prima espansione della Nebbia. Avrebbe dimostrato che suo padre era ancora il regnante magnanimo ed illuminato che tutti quanti ricordavano, e che con lui avrebbe ricostruito Boletaria. Tuttavia, lui da solo non era in grado di farcela, ammise di non avere la forza di farsi largo da solo tra le orde demoniache per raggiungere le stanze del Re. Aveva già messo da parte l’orgoglio e la rispettabilità del suo nome: tutto ciò che chiedeva adesso, era l’aiuto del Cacciatore di Demoni e della sua compagna. Claire spese qualche minuto a digerire la sorprendente rivelazione di Ariona e della sua richiesta. Alla fine, non poté certo negargliela. Il principe la ringraziò umilmente e salutò gli altri abitanti del Nexus, riconoscente di essere stato così bene in loro compagnia, nonostante i momenti difficili. Espresse il desiderio di salutare anche la Fanciulla in Nero, che non si vedeva per le sale dell’eremo grigio già da qualche tempo. Quando finalmente anch’ella si mostrò, Ariona le prese la mano e la baciò sul dorso, promettendole che l’avrebbe ritrovata e portata con lui a corte non appena il trono fosse stato ristabilito. Sulle prime, la Fanciulla inclinò il capo come incuriosita da quella promessa. Poi gli prese il volto e lo baciò sulle labbra, un tipico augurio di buona fortuna all’amico del Cacciatore. Gli altri li guardarono sorpresi. Ariona si sentì rinvigorito e si disse che aveva un motivo in più per tornare vivo dalla sua missione. Claire superò la meraviglia di quel momento e chiamò a sé il principe. Dopo di che, entrambi emersero al Castello, alla ricerca di Firion. Lo videro dal ponte non appena presero forma dall’Arcipietra della Fontana, aveva l’aria di essere molto afflitto. Claire disse ad Ariona di aspettare lì: gli avrebbe parlato da sola.
Tuttavia, il mutismo del Cacciatore la respingeva con forza. Si chiese se a quel punto le parole servissero ancora a qualcosa. Mossa per lo più dalla frustrazione, coprì la poca distanza che li separava.
“Posso sedermi vicino a te?”
Lui non rispose, ma sviò di nuovo lo sguardo per suggerire che era libera di farlo. Claire si accomodò alla sua sinistra sull’erba soffice, distendendo le gambe e riposando le mani in grembo. Anche lei puntò gli occhi al torrente sereno dentro il quale Firion sembrava essersi perso. Ne apprezzò l’incresparsi calmo e silenzioso, la quiete diffusa intorno, che evocavano in lei una sensazione di purezza e pace che non sentiva da molto tempo, memorie della sua casa, dei suoi genitori e di Serah.
“Nonostante tutto, è bello qui…”
“Lo è…” convenne l’altro.
“Non devi sentirti in colpa per Astraea. Ciò che ha fatto lo ha fatto di propria volontà. Voleva aiutarti, e così facendo ti ha affidato il destino degli abitanti della Valle…” disse Claire azzardando solo qualche occhiata fugace nella sua direzione. Lo vide scuotere la testa, come per suggerire quanto fosse inaccettabile per lui un’idea simile.
“Questo non cancella i peccati che ho commesso. Ho fallito, come uomo e come cavaliere. Non sono la persona che credevo di essere…”
Chiuse il pugno e gli occhi nel sentire la rabbia ed il dolore che montavano al ricordare ancora quanti avevano sofferto a causa della sua egoistica ricerca del potere. Claire gli prese la mano tra le sue e la strinse forte, attirando finalmente tutta la sua attenzione.
“Io sono disposta ad aiutarti. Nessuno ha detto che devi essere da solo…”
Si guardarono a lungo, rispecchiandosi a vicenda negli occhi. Fu in quel momento che Firion si ricordò della promessa che le aveva fatto. Non poteva farsi vincere dalla disperazione ed abbandonarla, permettere che vivesse in quel mondo morente. Benché non avesse più i suoi ideali a guidarlo, non poteva ancora smettere di combattere. Decise che non era ancora il momento per lui di rispondere delle proprie colpe. Sen non per altro, sarebbe andato avanti per Claire. Lei doveva essere salvata: era la sua unica possibilità di redenzione. Si sciolse dalla presa e si alzò, preparandosi a fare ciò che andava fatto. Lei lo imitò, ansiosa di sapere se fosse riuscita a farlo tornare in sé.
“Ci sono tante cose per cui dovrei pagare e chiedere perdono, Claire… Ma non ancora. Non posso ancora fermarmi. Dopo tutto quello che abbiamo passato, devo andare fino in fondo. Grazie.”
Firion sorrise come non faceva da molto tempo, suscitando la medesima reazione nella ragazza. Si abbracciarono godendo del calore che effondevano l’uno per l’altra, felici di essersi ritrovati.

Il principe di Boletaria aspettava i compagni appoggiato al parapetto del ponte dove Claire gli aveva chiesto di attendere. Si era accomodato sulla sponda opposta a quella da cui vide i due parlarsi, per dare loro l’intimità necessaria. Nel tempo che rimase da solo, pensò alle soverchianti difficoltà che lui e suo padre avrebbero dovuto affrontare per risanare il regno e le terre vicine. Dopo una crisi come quella che si abbatté sul suo popolo, non sarebbe bastato semplicemente riorganizzare la politica ed il governo: avrebbero dovuto ricominciare da zero, costruire una società completamente nuova sulle ceneri di quella precedente. Era davvero arduo da ammettere, ma i lunghissimi anni che Re Allant aveva speso per rendere il suo regno un luogo migliore per la sua gente erano stati vanificati completamente. L’unica cosa che potevano fare adesso era dare fondo a tutte le loro energie per ricostruire. Avrebbero impiegato molto tempo, probabilmente le loro intere vite e oltre, ma era un sacrificio che era disposto a fare per i suoi sudditi, il sacrificio che ci si aspettava da un re degno della propria comunità. Tagliò quel lungo filone di pensieri quando Claire e Firion emersero dal buio del passaggio sottostante il ponte, salendo i gradoni che correvano sul fianco destro del cavalcavia. Ariona si mosse subito per salutare il Cacciatore, il quale sembrò, a ragione, molto sorpreso di vederlo lì.
“Che piacere rivederti, Firion” disse stendendo il braccio.
“Non immagini quanto mi faccia piacere vedere te, Ostrava” rispose lui stringendo con sincerità la mano.
“In realtà, sembra che il nostro Ostrava abbia qualcosa da dirti riguardo la sua identità…”
Come suggerito da Claire, Ariona si scoprì di nuovo il volto e rispiegò velocemente a Firion chi fosse in realtà ed il motivo per cui si avventurò nella Nebbia di Boletaria. Il Cacciatore rimase sorpreso dalla verità dell’erede al trono del regno, ma assorbì la notizia con distacco.
“Ora, vengo umilmente in cerca del tuo aiuto, mio amico e compatriota. Questo fragile sovrano ti chiede di assisterlo per portare nuova vita a questa terra seviziata. Mi concederai la tua forza?”
“Non sarò io a trattenerti, Ariona, e finché sarò al tuo fianco ti sosterrò con la mia lama. Però, poiché quello che rischi è molto di più della vita, ed affinché tu possa ben decidere se metterti a repentaglio in questo modo, non voglio nasconderti nulla: tuo padre, il Re, non è più quello che pensi. Lui è-”
“Sono già al corrente di ciò che si dice sia diventato mio padre!” esclamò Ariona con rabbia, digrignando i denti. La reazione soprese Claire, mentre Firion guardava comprensivo. L’espressione del principe si rilassò per migrare ad una più inquieta, riassumendo comunque la sua aria posata.
“Ma non posso crederci. Non voglio crederci. Semplicemente non può essere. Lo dimostreremo al mondo intero: mio padre è ancora l’uomo di sempre. In questo momento, deve essere vincolato dai Demoni diabolici. Io lo salverò e, per mezzo della sua guida, Boletaria tornerà a splendere, ne sono certo!”
“Allora sono con te. Fai strada, principe: vi guarderemo le spalle” disse Firion dopo lunghi momenti silenziosi. Ariona annuì riconoscente e soddisfatto e si rimise l’elmo, portandosi avanti ad entrambi. Senza voltarsi indietro, con passo cadenzato e fermo, cominciò il suo insediamento al Castello. Firion rimase indietro, continuando a fissarlo. Claire fu incuriosita dal suo comportamento, ma pensò che si sarebbe mosso se anche lei avesse preso a spostarsi. Proprio quando decise di fare il primo passo, un sussurro di Firion la fermò.
“Non è pronto per la verità.”
“Cos’è che non può sapere?”
“E’ stato Re Allant a causare la Piaga. Si avventurò nel Nexus, dove si diede all’Antico e diventò il primo Arcidemone. Ariona non troverà più suo padre…”
Claire guardò preoccupata prima il Cacciatore e poi il principe. Capì subito che Firion aveva ragione. Ariona provava una fede cieca nella convinzione che suo padre fosse ancora la stessa persona che aveva conosciuto. Scoprire che si era volontariamente concesso ad un’Anima Demoniaca e che era lui il responsabile della quasi totale distruzione del loro mondo sarebbe stato un peso troppo grande da sopportare. Se lo avesse scoperto, non sarebbe stato difficile predire la sua reazione.
“Cosa facciamo allora?”
“Possiamo solo assisterlo e sorreggerlo quando arriverà il momento. Ariona è la promessa del futuro di questo regno: deve vivere per prendere il suo posto come re.”
Detto ciò, Firion si portò dietro l’uomo speranzoso in armatura, ignaro della realtà appena condivisa. Claire li seguì a qualche passo di distanza, presa a sforzarsi di reprimere l’inquietudine del pessimo presagio che sentì nascere dal profondo della sua anima.
I tre viandanti percorsero ancora una volta la lunga via che collegava le mura della Cittadella Reale alla capitale che si estendeva sotto l’alto colle del Castello. Con passo lento ma deciso, superarono l’oscuro androne d’ingresso, il piccolo magazzino successivo, e si ritrovarono sul Passo dei Lord. Ariona non parlò molto durante la traversata, ma quando raggiunsero quella sorprendente costruzione scaturita dal genio umano, immersa nello spettacolo della valle in cui nasceva, non poté trattenersi e cominciò a narrare la storia della nascita di Boletaria e della reggia, soffermandosi con orgoglio sulla determinazione degli ingegneri del regno. Firion e Claire ascoltavano contenti di sentirlo così spensierato, ma senza troppo interesse. Superarono l’arco della prima torre difensiva e furono in prossimità della seconda quand’egli sbuffò scocciato, vedendo la struttura distrutta e ridotta a macerie sparse.
“Un altro danno a cui i Demoni dovranno rispondere…”
Scavalcarono con attenzione il mucchio di pietra in rovina e continuarono verso il portone d’ingresso alla Cittadella, passando per la piazza sconquassata dove Claire e Firion si batterono contro il Cavaliere della Torre. Entrati nel rione signorile, vennero accolti dai lamenti invasivi di un vento morto e dai corpi degli aristocratici che vennero dimenticati durante l’invasione demoniaca, lasciati a marcire ai lati delle strette strade. Ariona perse immediatamente ogni voglia di parlare e si limitò a guardare prima da una, poi da un’altra parte, indugiando per poco su quel triste spettacolo e forzandosi avanti. Non ci volle molto perché raggiungessero la piazza principale del quartiere nobiliare, un grande spazio circolare dove resti di carri ed altri cadaveri giacevano sulle mattonelle di pietra. Davanti a loro, due vie in posizioni opposte si estendevano per il ricco quartiere. Ariona si mosse subito per quella sulla sinistra, facendo attenzione a non calpestare qualche povera salma. Claire e Firion lo seguirono lungo quel percorso angusto, chiuso tra gli alti palazzi grigi ed il cielo smorto. La fine del passaggio li portò ai piedi di una larga scalinata, alla cui destra un’altra viuzza si perdeva chissà dove. Sulla cima della gradinata, l’arco di un grosso cancello sbarrava loro la strada con una pesante grata di ferro. Ariona salì ugualmente i gradoni, Firion e Claire sempre dietro di lui. Solo quando poggiò una mano su quel grosso ostacolo, squadrandone ogni angolo, condivise finalmente la sua delusione, lasciando languide le spalle e sbuffando sonoramente attraverso la visiera.
“Gli ultimi Difensori devono averlo abbassato durante l’invasione. Questa è la via più diretta per arrivare al Castello: se non superiamo questo cancello, dovremo fare il giro e passare per i bastioni esterni…”
Tutti e tre si scambiarono occhiate interrogative.
“Forse tu lo puoi sollevare, Firion” suggerì infine Claire.
“‘Sollevare’?” ripeté Ariona.
Firion sembrò pensarci su qualche istante.
“Sì, immagino di sì. Siamo stati già abbastanza fortunati da non incontrare nessuna minaccia venendo fin qui: magari non attireremo l’attenzione nemmeno adesso. Vuoi provare, Ariona?”
“Tutto se può servire a raggiungere prima mio padre!” rispose deciso il principe, non avendo però compreso di cosa stessero parlando gli altri due.
“Molto bene. Vediamo un po’…”
Firion si mise davanti alla pesante barriera, adocchiando e tastando i punti migliori dove incastrare le mani. Claire prese Ariona per il braccio e se lo tirò indietro, per sicurezza. L’altro faticava ancora a capire. Solo quando Firion fece forza ed il metallo pesantissimo stridette acutamente lui riuscì ad intendere, nonostante stentava a crederci. Usando tutta la sua forza, Firion riuscì a sollevare, centimetro dopo centimetro, la ponderosissima grata, facendo echeggiare ovunque cigolii acuti e graffianti. Il silenzio venne infranto con prepotenza, il rumore tagliente forzò Claire a premersi le mani contro le orecchie. Firion si fermò non appena riuscì a stendersi in posizione eretta, scaricando il peso che gravava su di lui sulle spalle e facendo perdere gli ultimi echi nell’aria vuota. Ariona guardava ancora stupefatto. Claire lo svegliò con una pacca sulla schiena ed annuendo eloquentemente. D’un tratto, Firion si agitò. Tutti e tre sentirono la terra tremare sotto i piedi: da ogni angolo buio del quartiere presero forma cavalieri neri con lame e lance oscure e scudi opachi, bagliori cremisi sotto le visiere distorte, caricando con foga verso la sorgente del rumore che li aveva evocati. Claire guardò con tanto orrore l’orda scura diretta verso di loro che per un momento non poté muoversi.
“Passate, presto!” esclamò Firion.
“Vai, Ariona!” ordinò Claire imbracciando l’arco e scoccando velocemente frecce che si conficcarono negli elmi di alcuni di quei demoni, facendoli stramazzare al suolo.
Ariona si affrettò a passare dall’altra parte della cancellata e fece per correre via, ma quando vide un’altra squadra di guerrieri demoniaci venirgli contro, si ritrasse spaventato, estraendo la sua spada.
“Claire! Corri! Aiutalo!”
Lei scagliò un’altra freccia sulla cupa schiera e si voltò per fare come le era stato detto. Delle lance presero a volare dalla frotta sempre più vicina: quasi tutte mancarono i bersagli, ma due di esse colpirono Firion alla gamba. Le ferite lo forzarono su un ginocchio, e Claire ebbe, per poco, i riflessi necessari per buttarsi a terra e non farsi infilzare dalle punte del cancello. Il rapido movimento causò la fuoriuscita di qualcosa dal suo borsello da viaggio. Firion diede un’occhiata fugace e vide il tomo che le regalò Saggio Freke. Claire, dall’altro lato del cancello, si rimise in piedi e si stirò per raggiungere il libro.
“Lascialo! Aiuta Ariona!”
Lei esitò lunghi momenti, ma alla fine gli diede retta, imprecando alla sua goffaggine e portandosi al fianco del principe. Con tiri fulminei e precisi, centrò il petto e la testa dei nuovi attaccanti, liberando Ariona da un guerriero folle con cui aveva ingaggiato il combattimento. I due ebbero pochi attimi per riprendere fiato prima di sentire la pesante grata di ferro cadere con fragore alle loro spalle. Claire si voltò in cerca di Firion: sentì il cuore fermarsi quando si rese conto che era rimasto dall’altra parte. Si premette sull’inferriata come per poterla attraversare e raggiungere il Cacciatore, che vide estrarre le picche dalle sue ferite e prepararsi ad affrontare quell’esercito malvagio incombente.
“Firion, che vuoi fare?!”
“Non smetteranno di darci la caccia. Gli darò qualcosa da inseguire mentre raggiungete la sala del trono. Aiuta Ariona, state uniti, ed aspettatemi dove sarete al sicuro! Vi troverò!”
Firion si separò dal cancello ed agitò con rapidità il suo spadone, facendo a pezzi i soldati ormai sopra di lui. Si divincolò da quella marmaglia orrenda e l’attirò nella via che precedeva la cancellata. Claire lo seguiva ancora con lo sguardo quando Ariona la chiamò per avvertirla contro nuovi assalitori. Puntò i suoi dardi e scagliò sicura alle giunture di quei mostri feroci, che crollavano incapaci di portare avanti la loro offensiva. Ariona faceva del suo meglio per sfruttare le aperture dei suoi avversari e colpirli mortalmente, tentando di imitare la tecnica del Cacciatore di Demoni, ma i nemici erano troppi e troppo forti. Stavano per sopraffarlo, ma l’intervento di Claire lo salvò. Lei lo tirò su, e gli disse che, se non volevano morire, sarebbe stato necessario continuare a muoversi. Ariona comprese e si mise a correre, lungo il largo passaggio ornato di stendardi che si estendeva innanzi l’altissima struttura principale del Castello. Sulla destra, Claire scorse i bastioni, che scendevano verso diverse scale e piattaforme di tiro per arcieri: probabilmente, Firion li avrebbe raggiunti passando da lì. Davanti a loro, invece, una regale e splendida scalinata li invitava sotto l’enorme volta che permetteva l’accesso alla reggia. Stavano per mettere piede sui primi gradoni, quando da un angolo alla sinistra, nascosto alla vista, comparirono altri tre dei guerrieri neri a guardia della fortezza, tutti a spada tratta e pronti a colpire. Claire si tirò subito indietro per poter meglio rispondere all’agguato. Ariona, mosso più dalla disperazione, non fermò la sua corsa e scontrò lo scudo sulla lama del guerriero più vicino. Per istinto, usò la forza del nemico per deviare di lato la lama e farlo inciampare, sfruttando poi l’occasione per superarlo e continuare a correre. Claire era appena riuscita a conficcare una freccia nell’elmo di uno dei suoi attaccanti, dopo aver schivato a fatica le loro sferzate disumane, quando vide il principe correre dentro il Castello con il cavaliere nero alle sue spalle.
“No, Ariona!” gridò per farlo tornare indietro.
Un fendente di spada del demone rimasto la fece tornare vigile ed attenta alla sua lotta. Lei schivò e rotolò via, da accovacciata si girò e scoccò un dardo che centrò la mano del soldato diabolico. La spada scivolò dalla presa, ma il demone caricò comunque avanti. Claire non si aspettava una reazione simile, e si ritrovò davanti la figura nera. Tentò di allontanarsi per guadagnare distanza, ma il cavaliere l’afferrò per l’arco che serrava in mano e lo strattonò via. Claire rimase scoperta, ed il demone le assestò un durissimo colpo all’addome, che le tolse il fiato e la buttò indietro di diversi passi. Lei si contorse a terra per il dolore, abbracciandosi il ventre e tossendo mentre si sforzava di tornare in piedi. Privata dell’arco, impugnò la spada che trovò sull’Isola delle Tempeste. Con essa, si preparava ad eliminare il guerriero demoniaco, che nel frattempo aveva raccolto la sua arma con la mano buona: lei non aveva molta esperienza con le lame, ma non aveva scelta. Il cavaliere nero si lanciò in un affondo, che Claire non provò nemmeno a bloccare. Invece si abbassò, e fece passare l’attacco sopra la sua testa. Poi fu lei a lanciarsi, trafiggendo, con tutta la sua forza, l’armatura del soldato da parte a parte. Il demone ebbe un fremito: stava per perire. Claire tirò l’elsa della spada, ma la lama era rimasta incastrata tra le membra di quell’essere indescrivibile. Prima che avesse il tempo di mollare la presa, nei suoi ultimi momenti, il demone soldato stese il braccio armato avanti.
Claire sussultò sentendo la spada che la trapassava, chiamando fuori il suo sangue. Il demone morì stringendo l’arma macchiata, cadde sollevando la polvere da terra. Claire emise un lamento doloroso quando la lama venne tirata fuori dal suo corpo. Cadde in ginocchia e si accasciò a terra, tremante. Teneva la mano sulla ferita al grembo per tamponare il sangue, ma quello sgorgava copioso e le inondò le dita. Stava morendo. Stava morendo e faceva tremendamente male. Suo malgrado, si ritrovò a lacrimare per il dolore che sentiva. Non riusciva a pensare a niente se non che stava per morire e che era un’esperienza orribile. In un attimo di lucidità, pensò che sarebbe risorta sotto forma di spirito, dato che il Nexus la vincolava. Ma era qualcosa che non voleva provare: non voleva sapere cosa volesse dire morire. Aveva paura, ammise a sé stessa. Non voleva morire perché aveva paura. In quel momento, avrebbe colto qualunque occasione che le avesse assicurato la possibilità di sopravvivere.
Un bagliore cupo attirò i suoi occhi stanchi sul cadavere del demone che aveva ucciso con la sua spada, ancora lì conficcata. Sul corpo era comparsa una sfera grigia, eterea, brillante di oscurità: un Anima Demoniaca. Indirizzò faticosamente lo sguardo agli altri corpi che si era lasciata dietro, abbassando le palpebre e temendo che non si sarebbero rialzate. A nessun altro era successa la stessa cosa. Non sapeva perché, ma quell’anima si era mostrata solo perché in sua presenza. Lei non voleva morire. Avrebbe fatto il necessario per sopravvivere.
Strisciò, aiutandosi con il braccio libero, al corpo del demone caduto, lasciandosi dietro una dolorosa scia rossa. Ogni spinta che si dava si faceva sempre più faticosa, le forze l’abbandonavano, non le restava molto tempo. Quando fu abbastanza vicina a quella strana sfera, la sua vista era sfocata ed indistinta. Allungò la mano, tendendo alla sua ultima speranza.

Firion, sporco di sangue da capo a piedi, sia suo che non, abbassò un’ultima volta lo spadone ed uccise l’ultimo demone che rimaneva dell’enorme schiera che si trovò a fronteggiare. Per sviare la loro attenzione da Claire ed Ariona, corse sulle vie per i bastioni esterni, abbattendo, uno dopo l’altro, ogni singolo demone alle sue calcagna. Dovette lottare ininterrottamente per un tempo che gli sembrò infinito, le nuvole in cielo non lo aiutavano a tenere ben presente la cognizione del tempo. Il diversivo lo portò alle alte mura esterne, sui bastioni difensivi che si diramavano dal corpo principale del Castello.
“E’ stata davvero una pessima idea alzare quel cancello…” disse tra sé e sé.
Rinfoderò lo spadone e si rimise in marcia. Dalla sua posizione era già possibile vedere l’arco d’ingresso della reggia, preceduto da una sontuosa scalinata e stendardi decorativi. Osservando i dettagli in basso, notò diversi cadaveri e macchie rosse di soldati oscuri: dovevano essere quelli uccisi da Claire ed Ariona. Avrebbe distolto lo sguardo, se una forma particolare non avesse catturato la sua attenzione. Aguzzò la vista, sporgendosi più che poté. Sentì un tuffo al cuore riconoscendo Claire.
Senza pensarci due volte, scavalcò i bastioni e si buttò di sotto, conficcando la lama nella pietra per controllare la sua caduta. Saltò, da una piattaforma di tiro all’altra, finché non atterrò pesantemente a pochi metri dal corpo inerte di Claire. Era distesa su di un cadavere in cui era infilzata la sua spada. Gli si fermò il respiro alla vista della scia di sangue che portava a lei.
“Claire!”
La prese tra le braccia e la girò delicatamente sulla schiena, sorreggendole il busto ed il capo. Gli parve svenuta, e nonostante il sangue non vide ferite aperte. Sentì il suo debole respiro, provò a scuoterla lievemente per farla rinvenire.
“Claire, mi senti?”
Lei gemette e scoprì gli occhi come assonnati. Le si illuminò lo sguardo non appena mise a fuoco il viso di Firion.
“Firion, sei qui…”
“Sì, sono qui. Scusa se ti ho fatto aspettare” disse, cingendola in un abbraccio. Lei lo abbracciò a sua volta.
“Cosa è successo? Perché Ariona non è con te?”
“Tre di quei soldati ci hanno teso un agguato. Lui ha continuato a correre verso il Castello, mentre io sono rimasta a combattere. Ho tentato di fermarlo, ma lui non mi ha dato retta. Non so che gli abbia preso…” spiegò lei stancamente, mentre si faceva aiutare per alzarsi.
“Non avrei mai dovuto lasciarvi…Non sei ferita, vero?”
“N-No, no, anche se non sembra. Non so come, ma quel demone deve essere riuscito a tramortirmi prima di crepare. Sto bene, davvero. Piuttosto, dovremmo affrettarci: Ariona era inseguito da uno di quei mostri quando è corso via, potrebbe essere ancora in pericolo.”
Firion convenne annuendo decisamente. Claire si prese un attimo per riappropriarsi del suo arco e della sua spada magica. Sfilò la seconda con facilità dal morto ai suoi piedi: sbuffò amaramente nel farlo. Diede un cenno a Firion ed entrambi scattarono all’interno del regale edificio davanti a loro. Dopo l’ingresso, si susseguirono ambienti spaziosi e sale enormi, alternandosi a corridoi stretti e bui, tutti o quasi invasi da macerie e segni di una battaglia spietata. Spesso incontrarono cancelli chiusi e passaggi tanto ostruiti da muri e soffitti abbattuti da risultare impraticabili, e furono costretti a tornare sui loro passi molte volte. Finalmente, raggiunsero la base di una torre dove videro il segno del passaggio di Ariona: il corpo del demone che lo inseguiva. Firion e Claire non esitarono e la salirono veloci. Arrivati in cima, giunsero su di un lungo viadotto che sovrastava diverse sezioni del palazzo, in raccordo con quello che doveva essere un ingresso secondario alla sala del trono. Lo attraversarono spediti, ponendo ben poca attenzione a possibili trappole. Erano a circa metà del percorso quando un verso rabbioso esplose sopra le loro teste. Firion avvertì immediatamente la minaccia e si gettò istintivamente su Claire. Un momento dopo, enormi artigli li sfiorarono di pochi centimetri, ed il drago dalle scaglie cobalto volteggiò intorno alle sue prede.
“Che diavolo è?! Da dove sbuca fuori?!” esclamò Claire, riparandosi dietro il parapetto.
“Ci stava aspettando. Dannazione! Non l’ho avvertito in tempo!”
Il drago picchiò di nuovo e gettò lingue di fuoco incandescenti, accendendo di fiamme il ponte. Firion riparò sé stesso e Claire sotto il suo spadone, l’unica difesa tra loro ed il demonio volante.
“Siamo troppo esposti!” gridò Firion sopra lo scoppiettio delle vampate.
“Gli strapperò le ali!”
Prima che Firion potesse obiettare, Claire saltò oltre il fuoco ancora acceso ed impugnò la sua spada. Fissò gli occhi sul suo obiettivo volante, che già si preparava a fiammeggiare ancora. Con una familiare sensazione alle mani, evocò gradualmente, ma con rapidità, la magia della lama. Il vento vorticò attorno a lei, rafforzando il potere della sua arma. Aspettò che il drago fosse abbastanza vicino: un attimo prima che potesse incenerirla, lei disegnò un grande arco con le braccia, e la spada fendette lo spazio con violenza impercettibile. Sul corpo del drago si aprì un grosso squarcio che interruppe il suo attacco e che lo intontì gravemente, facendolo scartare malamente al suono di lamenti dolorosi.
“Non è morto!” proruppe scontenta Claire, mentre si preparava ad evocare di nuovo la magia.
“E’ più che sufficiente!”
Firion le afferrò la mano e la trascinò di corsa all’altro lato del ponte. Una robusta porta in ferro gli bloccava la fuga: lui si limitò a calciarla, e quella si aprì in un battito di ciglia. Spinse dentro Claire e poi se la richiuse dietro, deformando la maniglia per chiuderla definitivamente. Si ritrovarono in un corridoio illuminato solamente dal grigiore proveniente dalla sala al capo opposto.  Sentirono altri versi e battiti d’ali, poi anche quelli si spensero e tornò il silenzio.
“Perché non mi hai permesso di finirlo?!” strepitò improvvisamente Claire.
“Non ne avevamo bisogno. Ti ricordo che stiamo cercando Ariona. Cosa ti è saltato in mente per essere così imprudente?!”
“Se mi avessi permesso di ucciderlo, avrei potuto prendere la sua-…”
Claire si fermò di colpo, come colpita da una rivelazione. Firion la guardò preoccupato.
“…Prendere la sua…la sua…Dannazione!”
Si prese la testa tra le mani e la scosse vivacemente, sbarrando gli occhi ed appoggiandosi al muro. Firion la raggiunse subito e la prese per le spalle, chinando un po’ la schiena per guardarla direttamente negli occhi.
“Claire! Claire, che succede? Puoi dirmi tutto…”
“Non è niente, Firion. Solo un po’ di nervosismo. Mi dispiace per poco fa. E’ passato adesso” disse più calma dopo alcuni momenti.
“Sei sicura? C’è qualcosa che posso fare per aiutarti?”
“Non ti preoccupare. Troviamo Ariona” disse procedendo avanti.
Firion obbedì e si portò dietro di lei. Uscendo dal piccolo e nascosto corridoio, arrivarono in un grande salone arredato da arazzi e tappeti lussuosi ed illuminato da grandi vetrate. Decine di candelabri spenti ricordavano la solennità che quella stanza doveva aver ospitato quando ancora l’intelletto apparteneva agli uomini. In fondo alla grande sala, videro un’elegante ma strana gabbia di ferro rettangolare. Sembrava incavata nella pietra, in una colonna che copriva l’intera altezza del salone. Si avvicinarono tanto da scorgere il meccanismo di ruote dentate e schiavi imprigionato dietro di essa, confinato oltre delle strette sbarre. Videro un’ombra muoversi dentro quella strana cella: portarono subito le mani alle loro armi e si fermarono in attesa, temendo un nuovo assalto. Invece, da quell’ombra emerse il principe.
La sua armatura era divelta ed esponeva una grossa ferita aperta, che si teneva con una mano. L’elmo era sparito: rimaneva un’espressione stravolta e sanguinante da naso, bocca e occhi. Barcollando miseramente, appoggiandosi al muro, si lasciò scivolare a terra. Claire e Firion lo raggiunsero di corsa, inginocchiandosi angosciati davanti ai suoi occhi spenti.
“Firion, tu puoi-”
La ragazza vide il Cacciatore scuotere solennemente la testa.
“Troppo tardi…”
“No, Ariona…”
“Oh, siete voi. Mi dispiace…” ansimò il principe con le labbra impiastrate di sangue.
“Ho pensato…che se avessi…se avessi avuto la forza che ebbe mio padre…se avessi avuto il suo coraggio, nessun altro avrebbe dovuto più soffrire…Ma ero troppo debole…Ora è solo un diabolico demone…Ho intrapreso questo viaggio…in cerca della verità…ma sembra che sia stato uno sciocco anche solo a provarci…”
Ariona tossì un rivolo di sangue, misto alle lacrime che scendevano dai suoi occhi senza luce. Tese la debole mano, cercando le figure sbiadite che una volta erano i suoi amici. Firion la prese tra le sue, ed Ariona sogghignò amaramente.
“Ti prego…uccidi mio padre…Poni fine a questa follia…”
Esalò un ultimo respiro. Il capo cadde floscio, la sua mano scivolò da quelle di Firion ed echeggiò, senza vita, contro il pavimento. Ariona era morto.

Ciò che accadde dopo fu una vista fin troppo familiare: alla morte di un compagno, Firion ne prese l’anima. Claire passò una mano delicata sul volto di Ariona, chiudendo per sempre i suoi occhi. Dopo di ché, entrambi si posizionarono dentro la gabbia metallica. Diedero un ultimo, triste, sguardo al corpo del principe di Boletaria, abbandonato ai piedi del palazzo del padre. Spinsero una leva e la gabbia si chiuse, gli schiavi e gli ingranaggi presero a muoversi, alzando la struttura verso l’apice del palazzo. Claire puntò verso l’alto: sembrava proprio che non sarebbe stata una cosa veloce. Firion notò la sua espressione inquieta, ma preferì non dire niente. Dopo minuti interminabili di silenzio, si ricordò di una cosa. Infilò una mano nel suo borsello, trovando velocemente ciò che cercava.
“Mi ero dimenticato: tieni Claire. Questo è tuo.”
Firion le porse il libro che perse quando furono sorpresi dalle forze demoniache. Claire rimase senza parole. Poté solo sorridergli di gratitudine. Se lo strinse al petto un attimo, poi lo assicurò nuovamente nella sua bisaccia.
“Posso chiederti perché lo hai portato con te?”
Claire gli mostrò una boccetta che conteneva si e no qualche dita di un liquido nero pece.
“Ho quasi finito l’inchiostro. Sentivo di dover vedere ancora qualcosa…”
Claire avrebbe preferito che non si fosse trattato della morte di un altro di loro. Fu in quel momento che arrivarono al cospetto della Nebbia. La gabbia si fermò e si aprì su quello schermo grigio, attraverso il quale era possibile scorgere solo dettagli della sala del trono. Firion la sfiorò, voltandosi verso Claire.
“Ci sarà ancora molto altro che dovrai vedere. Questo è l’ultimo Arcidemone: un solo sforzo ancora…”
Firion porse la mano. Claire la prese, ed insieme attraversarono la Nebbia.
La sala del trono era profonda, vuota se non per alcuni stendardi su snelli pilastri, dall’alta volta arcuata. Una grande breccia nel muro faceva irrompere la luce opaca di fuori. Dietro il trono, ormai distrutto, l’intera capitale era visibile oltre quel varco. Su quelle macerie sparse, sedeva il primo Arcidemone, osservando il suo nuovo regno. Si alzò e si voltò verso i due visitatori.
“Re…Allant?”
Quello davanti a Claire sembrava in tutto e per tutto il Re: vestito con uno splendido abito bianco con rifiniture dorate, imponente e fiero, attempato da una vecchiaia fatta di fortezza e determinazione. Tuttavia, un bagliore cremisi nei suoi occhi lo identificava come non più quello di una volta.
“No, qualcos’altro…”
Senza dire una parola, Allant sollevò una spada nera ai suoi piedi, decorata da simboli runici. Lentamente, cominciò ad avvicinarsi. Claire prese il suo arco e si spostò di lato, Firion gli andò contro. Improvvisamente, il vecchio Re scattò a velocità disumana. Firion estrasse il suo spadone, intercettando la lama dell’Arcidemone. Claire si spostò attorno a loro, scoccando quante più frecce possibile su ogni punto esposto dell’avversario. Allant si liberò di Firion con una spinta e lo ferì con un potente fendente verticale. Piroettò su sé stesso e squarciò l’aria, emettendo un’onda d’urto che in pochi istanti colpì ed atterrò Claire, che si contorse a terra con un lamento. Firion tornò all’attacco, caricando di rabbia il suo assalto. Riuscì a sorprendere il nemico ed aprì diversi tagli sul suo corpo, ma Allant non perse molto terreno, e rispose con medesima intensità. Nel frattempo, Claire si rialzò, riprendendo a scoccare i suoi dardi, stavolta mirando soprattutto al collo e alla testa. Il Re demoniaco superò in velocità il Cacciatore e lo sopraffece, perforando la sua carne con affondi spietati; prima che le frecce mirate contro di lui lo infilzassero, si voltò repentinamente e le bloccò tutte nel suo palmo. Claire guardò sbigottita. Allant scattò verso di lei, arrivandole ad un passo dal viso: afferrò la mano di Claire ed il suo arco, e strinse.
L’arma in legno si frantumò, le dita di Claire si spezzarono. Il suo grido di dolore venne spento da un potente schiaffo che la lanciò indietro, facendola quasi svenire. Quando la sentì gemere in quel modo, Firion perse la testa: dimenticò le sue ferite e caricò selvaggiamente. Colpì Allant con furia e violenza, così tanta che riuscì a superare la sua difesa e a staccargli di netto un braccio. Incredibilmente, Claire riuscì a rimettersi ancora in piedi, sforzandosi di ignorare il trauma che quasi l’aveva messa fuori combattimento. Barcollando, prese la sua spada con la mano buona ed evocò, con le sue ultime energie, tutta la forza che poteva ancora estrarre dal suo essere. Abbassò la lama ed un fendente invisibile squarciò la schiena del Re. L’Arcidemone emise un verso agghiacciante ed intriso di ira. Vedendosi con le spalle al muro, sbilanciò Firion per liberarsi di lui, piantò con veemenza la sua spada nel pavimento, ed improvvisamente si liberò un’esplosione bianca che fece scomparire il Cacciatore e rispedì a terra Claire.
Prima che lei si potesse rendere conto di cosa fosse successo, il Re fu sopra di lei, calando la sua lama demoniaca. Claire reagì di puro istinto e frappose la sua arma tra lei ed il colpo fatale. Fece forza con entrambe le sue braccia, ma non avrebbe resistito a lungo. I muscoli cedevano e tremavano per la fatica: era al suo limite. L’Arcidemone la fissò con occhi crudeli che già assaporavano il gusto della sua anima, lei con espressione disperata. L’affilatissima lama era ormai a pochi centimetri dal suo volto.
Fu allora che lo spadone di Firion perforò, da parte a parte, per la sua intera lunghezza, il corpo di Allant. Il Cacciatore aveva ridotto il suo cuore nero in viscere irriconoscibili, uccidendolo. La spada che stava per trafiggere Claire si volatilizzò, il Re cadde in ginocchia e, prima che toccasse terra, il suo corpo si convertì in mille scintille azzurre, che conversero nel petto di Firion. Il Cacciatore mollò lo spadone, prese la mano ferita di Claire, si concentrò e la guarì con un tocco. Poi si abbandonò a terra vicino a lei, esausto.
Claire non avvertì quasi niente di quel che successe. In qualche modo, erano riusciti a sconfiggere quell’essere infernale. Ancora ansimante, girò la testa quel poco che bastava per vedere Firion. Lui fece la stessa cosa e le sorrise. Bastò uno sguardo, e l’una si lanciò nelle braccia dell’altro: era finita, avevano vinto. Avevano sconfitto l’ultimo Arcidemone di Boletaria.
“Come avete fatto a distruggere il mio prezioso Demone?”

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Capitolo 18
*** Le Anime del Demone ***


Uno dei finali. Decidete quale vi piace di più, tra questi due antipodi complementari. Vi ringrazio tantissimo per il tempo passato insieme (anche se mi piacerebbe sentirvi di più!) e per l'attenzione che avete dato a questa mia piccola storia. Aggiornerò la mia pagina per farvi sapere del prossimo progetto. Intanto, vi auguro una buona lettura. 
 

Demon’s Souls:
Le cronache dell’uccisore di Demoni
Le Anime del Demone
 
“Come avete fatto a distruggere il mio prezioso demone?”
Claire e Firion si guardarono intorno freneticamente, cercando chi stesse parlando, ma nella sala del trono non vi era nessuno a parte loro. La voce sibilò, come un’eco lontana, insinuandosi subdolamente ed ostruendo i sensi ed i pensieri.
“Nessun umano è affamato di amine quanto voi…Spetterà all’Antico decidere…Verrai evocato, se così deve essere…”
Dopo di ché la voce si spense. Claire e Firion, che ne stavano ancora cercando la sorgente, smisero di agitare gli occhi solo quando fu chiaro che nessuno si sarebbe mostrato.
“Cosa è stato?” chiese Claire esitante. Firion scosse la testa, a corto di idee.
“Non lo so…”
“Cosa succederà, adesso? Abbiamo sconfitto l’ultimo Arcidemone, la Nebbia non dovrebbe cominciare a ritirarsi?”
“No, non ancora. Non finché l’Antico non verrà messo nuovamente a riposo…”
“A riposo?”
Quelle parole apparvero a Claire senza senso, ma quando lesse il suo medesimo dubbio sul volto di Firion, capì che nemmeno lui era davvero in grado di capirle.
“D’ora in poi, neanche io so cosa accadrà. Quando mi è stata data la mia missione, non si è mai parlato di uccidere l’Antico: quasi non ho nemmeno l’idea di che forma abbia…Il Monumentale ha sempre detto che, quando sarebbe arrivato il momento, la Fanciulla in Nero avrebbe messo a riposo l’Antico, questa volta per sempre. Il mio compito, è semplicemente aprirle la strada: sarà lei a salvarci dai Demoni, anche se non so come…Torniamo al Nexus. Lì avremo le risposte di cui abbiamo bisogno.”
Claire diede un cenno affermativo, nonostante non sembrasse molto convinta. Era una strana verità quella che il Cacciatore aveva appena condiviso con lei, e così tardi per di più: la Fanciulla in Nero, una figura così appartata, innocua, quasi passiva, aveva tra le mani il potere d’ingannare l’Antico? Un potere tanto grande da inganare il Demone primordiale? Le fu più che ovvio che il quadro fornito dal Cacciatore era stato volutamente privato di dettagli fondamentali, ma non le fu chiaro perché l’altro aveva appositamente deciso di ometterli.
Firion si voltò in direzione della gabbia elevatrice che li aveva portati al cospetto del Re.
“Prima, però, vorrei dare una degna sepoltura ad Ariona: senza la guida del loro sovrano, i demoni rimasti si staranno disperdendo velocemente. E’ il momento adatto per attraversare la Cittadella.”
“Lo capisco, ma…posso chiederti di andare da solo, Firion?” disse Claire a testa bassa.
“Qualcosa non va, Claire?”
“Non è niente. Vorrei solo fare una cosa prima di tornare…”
Firion rifletté lunghi attimi su cosa volesse dire. Non era certamente da lei comportarsi in maniera così schiva, ma non aveva intenzione di chiederle che ragioni avesse.
“Ma certo. Dopotutto, non c’è bisogno che venga anche tu. Qui sarai al sicuro. Tornerò a prenderti quando avrò finito.”
Le rivolse un sorriso e la salutò accennando un gesto con la mano. Lei restituì entrambi. Dopo di ché, Firion si chiuse dentro la gabbia metallica e cominciò la sua discesa. Attraverso le sbarre, lui e Claire si guardarono finché possibile. Poi Firion sparì sotto il pavimento, e Claire rimase da sola. Per lunghi momenti, rimase ad ascoltare il silenzio che l’attorniava. Si portò vicino alla breccia nel muro che dava sull’intera Boletaria: sulle macerie del trono, si trovò un posticino comodo tra i cumuli petrosi su cui sedersi. Pescò il suo manoscritto dal borsello, insieme alle ultime gocce d’inchiostro ed alla penna sfilacciata. Respirando a fondo l’aria del vento morbido che soffiava tra le rovine del Castello, appoggiò la punta macchiata sulla pagina ed impresse i suoi ultimi pensieri, ispirata da un’angoscia insopprimibile, nata dal suo animo irrequieto.
 
Firion affrontò a ritroso la strada tra il Castello ed il ponte della Fontana, il corpo di Ariona tra le braccia. I pochi demoni girovaganti, ormai ridotti a poche decine, si agitavano e si muovevano senza meta e senza ordine, persi nel labirinto della Cittadella. Solo in un paio di occasioni Firion fu costretto a difendersi, ma senza più una guida, quei mostri senza intelletto non erano capaci di coordinarsi, ed il Cacciatore passò inosservato nonostante quegli scontri. Non gli ci volle molto per raggiungere il ponte ed il sito di esecuzione. Aprì col suo spadone un’altra fossa, vicino alle tre che già ospitavano i resti dei suoi compagni. Adagiò il corpo e richiuse quell’umile tomba, così inappropriata al figlio di un regnante. Pieno di rammarico, si abbandonò il tumulo senza nome alle spalle, pensando al futuro spento che avrebbe atteso Boletaria senza la luce di un principe tanto votato ai suoi sudditi.
Tornando da Claire, Firion si concedette di rallentare il passo ad un’andatura comoda e noncurante della crisi attorno a lui. Rifletté sul fatto che il momento che tanto agognava, sin da quando aveva realmente compreso la natura della anime demoniache, era ormai a portata di mano: la Fanciulla avrebbe addormentato l’Antico, Claire avrebbe saputo la verità, e lui avrebbe finalmente potuto abbandonare ogni bugia, ogni segreto, ogni dolore e compiere il suo scopo. Poiché, di lui, non rimaneva niente se non la sua missione e tutta la corruzione che aveva accumulato nel suo essere durante il suo viaggio. L’unico modo che aveva di salvare realmente Claire ed il mondo, prima che fosse troppo tardi, era di svanire insieme all’Antico come il demone che era diventato: Claire lo avrebbe dovuto uccidere.
Oltrepassò l’arco d’ingresso al Castello, ne percorse i numerosi spazi e corridoi, e si ritrovò nel salone sottostante il trono che una volta era appartenuto a Re Allant. Si fece trasportare da quella sorta di montacarichi fino all’apice del palazzo. Quando ne uscì, vide Claire appoggiata ad uno dei pilastri in fondo, in attesa che tornasse. Lo sentì arrivare, quindi si alzò e gli andò incontro, un sorriso stanco sul viso. In quel momento, Firion si perse nei suoi pensieri, tutti focalizzati su di lei. Vederla lo saturò di un tale desiderio che, a stento, la sua parte più ragionevole fermò l’impulso di lanciarsi e farla sua. Sognò di assaggiarla, dominarla, possederla in ogni modo possibile, plasmarla e modellarla per mezzo di violenza e carnalità. Quando finalmente si rese conto delle immagini che stava producendo la sua mente, le distrusse una dopo l’altra, inorridito da quello che era arrivato a concepire.
Si fermò di colpo: barcollando ed emettendo respiri affannosi, si mise una mano in fronte e coprì gli occhi nel tentativo di scacciare quelle scene orripilanti. Cosa gli era preso? Come aveva potuto pensare cose simili? Era forse colpa dell’anima di Arcidemone che aveva assorbito? Stava, infine, per cedere al potere demoniaco? Qualunque fosse la risposta, gli fu chiaro che, ormai, non gli rimaneva molto tempo. Doveva riuscire a portare il più velocemente possibile la Fanciulla in Nero al cospetto dell’Antico: non sapeva come avrebbe fatto a calmare il Demone primordiale, ma l’importante era che lei adempisse al suo compito e che anche Claire fosse presente. Tuttavia, doveva al contempo evitare che la ragazza e gli altri s’insospettissero e si spaventassero, non poteva permettere che loro pensassero al di fuori dei suoi piani. Si sarebbe dovuto controllare, per ogni secondo fino alla fine di tutta quella storia. Era l’ultimo sacrificio da fare.
Claire lo svegliò da quei lugubri pensieri posando la mano sulla sua guancia.
“Ti senti bene, Firion?”
“Sì, sono solo un po’ spossato. Dai, sbrighiamoci.”
Firion allontanò la mano di Claire e portò la sua sul Marchio che portava al polso: il gesto la ferì per il distacco con cui lo fece. Prima che entrambi svanissero nel nulla, richiamati dalla magia arcana dell’eremo grigio, Firion lanciò un ultima occhiata alla sala del trono. Al capo opposto della grande stanza, sul cumulo di pietre che una volta era il trono, scorse le pagine del libro di Claire, sfogliate con indifferenza dal vento invasivo. Nello stesso attimo, riportò gli occhi su di lei: non le poté chiedere perché stesse abbandonando il libro per cui aveva quasi messo a rischio la sua vita, ma la curiosità scemò velocemente, e l’interesse lasciò il posto all’indolenza. Poco dopo, entrambi scomparirono.
 
Il Nexus era silenzioso. Le uniche persone che erano rimaste ad abitarlo erano il Collezionista Thomas, il fabbro Boldwin, la strega Yuria, l’Adoratrice pentita, un bambino e la Fanciulla in Nero. La misteriosa ragazza cieca se ne stava per conto suo, in piedi col naso all’in su vicino il centro del salone, come per osservare le rune antiche che decoravano quell’oscuro ospizio. Gli altri se ne stavano vicini e rannicchiati al pilastro della forgia del fabbro, muti e con espressioni perse. Che fosse per cercare chissà quale conforto o per attenuare il senso di solitudine, si erano stretti come mai prima di allora, cercando sanità nella disperazione altrui.
“E’ tempo…” sentirono improvvisamente dire alla Fanciulla.
D’un tratto, dall’alto soffitto del Nexus prese a cadere polvere, e le pareti tremarono sotto la forza di una scossa potente. I poveri superstiti non poterono fare altro che stringersi ancora di più, in preda alla confusione, allo smarrimento, ed alla paura che tutto intorno a loro stesse per crollare. La figura in nero, invece, senza ombra di turbamento, aprì le braccia come in attesa di un segno dall’alto. La truculenta statua che occupava il tetto del Nexus, la cui mano serrava l’enorme spada in pietra che pendeva verso il fondo, vibrò come animata. Dalla presa del suo palmo, la spada ciclopica si liberò facilmente, rovinando in basso con estrema velocità. Ai sopravvissuti sconcertati, bastarono appena i pochi attimi a loro disposizione per assistere alla scena del pavimento al centro dei monoliti cedere sotto la pressione della lama gigante, che scomparse alla vista con un boato. Con fragore ineguagliabile, un pozzo circolare si aprì dove prima stava solido terreno, ed un polverone di detriti si alzò al momento dell’impatto. La Fanciulla in Nero, imperturbabile, stava esattamente ad un passo da quella bocca enorme. Alcuni momenti dopo, a poca distanza da lei, comparvero avvolti di luce azzurra Claire e Firion. La vista del nuovo aspetto del Nexus sconvolse anche loro, soprattutto per la vicinanza che avevano al grande buco al centro. Thomas e gli altri stavano per raggiungerli, quando un lamento cavernoso proveniente da quell’apertura echeggiò tra le mura del Nexus. Una, due, tre volte quel verso si ripeté e rifletté sulla pietra grigia e sui loro corpi, investendoli di bramosia. Nessuno proferì parola finché la Fanciulla non si portò davanti a Firion, attirando la sua attenzione e quella degli altri.
“Alla presenza del potere del Monumentale, il Nexus rammenta la sua ragione d’essere, ora che la via è stata aperta. L’Antico ti sta chiamando, Cacciatore di Demoni. E’ tempo di scendere nella sua tana.”
“Finalmente…” sospirò lui.
“Firion, che succede?”
La domanda veniva da Thomas, la cui espressione impaurita ben riassumeva in sé quelle indossate dal piccolo gruppo che aveva dietro. Firion si voltò verso di lui distrattamente, pensò rapidamente alle parole migliori da rivolgergli.
“Non dovete preoccuparvi di niente. Presto, tutto avrà fine. Claire, andiamo.”
“Dobbiamo buttarci di sotto?” chiese lei scettica.
“Non c’è nulla da temere, la Fanciulla ci mostrerà cosa fare.”
“Sarò pronta tra un momento, Firion…” disse dopo lunghi momenti silenziosi senza guardarlo, avvicinandosi agli amici confusi.
“Fa’ in fretta” disse lui velocemente, asciugandosi una goccia di sudore sulla fronte.
Claire arrivò a pochi centimetri da Thomas e Boldwin, mentre Yuria e l’Adoratrice chiusero il cerchio intorno a lei.
“Claire, cosa sta succedendo? Dov’è il principe?”
La richiesta di Boldwin di sapere del destino di Ariona le riaccese il dolore dentro. Riluttante, lo condivise anche con loro.
“E’…morto.”
La notizia tolse loro il fiato. Ariona, un ragazzo gentile, premuroso, onesto e giusto prima che principe saggio e pacifico, era stato strappato alla vita anzitempo nonostante i suoi buoni propositi ed il suo destino di regnante. Con lui, moriva l’ultima speranza di riportare alla vita Boletaria, insieme ad un amico ed una personalità insostituibili. Boldwin si portò le mani ai capelli e scosse il capo, l’Adoratrice portò le sue alla bocca, inorridita. Thomas e Yuria non poterono che ammutolirsi. Un altro di loro che se ne era andato: quanto tempo poteva rimanere prima che facessero la stessa fine?
“Non so cosa accadrà adesso. Prima che possa essere troppo tardi, voglio che sappiate che avete significato tanto per me, più di quanto pensiate. Grazie di tutto…”
Li sfiorò tutti toccandoli sulle spalle e stringendo per sottolineare quanto fosse sincera. Davanti al fagottino in braccio a Yuria, Claire si chinò e baciò la fronte del piccolo che aveva imparato ad amare, proprio come aveva fatto Serah prima di lei.
“…Prenditi cura di lui, Yuria…”
La strega sbatté le palpebre per la confusione che suscitò in lei quell’affermazione. Avrebbe voluto chiedere un chiarimento, ma le mancò il coraggio, prevedendo cosa avrebbe potuto dirle. Claire voltò loro le spalle, allontanandosi verso il Cacciatore e la Fanciulla.
“…Addio.”
Poi se li lasciò dietro, tutti persi ed attoniti.
“Assisterai anche tu, compagna del Cacciatore?” le chiese la Fanciulla, ma fu Firion a rispondere per lei.
“Sì, verrà con noi.”
“Allora è deciso…”
Sul margine del grande pozzo che guardava alle profonde ed indefinite fondamenta del Nexus, Claire e Firion fissarono sguardi circospetti e pieni di attesa. Persero gli occhi nell’oscuro abisso che si apriva sotto di loro, non riuscendo a penetrare e dissipare quel buio primitivo. Non sapevano cosa li aspettasse, né come sarebbero arrivati al cospetto dell’Antico: l’unica guida a loro disposizione, era la ragazza corvina su ciglio del baratro nero.
D’un tratto, la Fanciulla li prese per i polsi, si spinse indietro, e tutti e tre caddero giù. Il Cacciatore e la sua compagna, pieni di sorpresa, si allontanarono irraggiungibili dalle voci sconvolte dei loro amici, precipitando per un tempo che sembrò infinito. L’aria tagliente li graffiava al loro veloce passaggio, le pietre della voragine che li circondavano li schernivano con la loro immobilità. Claire, incapace di far rallentare il battito del suo cuore, chiedeva con forza che quella terribile esperienza avesse fine, nonostante sapesse cosa una tale fine avrebbe comportato, quando la caduta si sarebbe arrestata. Quando sentì che la sua coscienza stava per scivolare via, una luce al limite di quel passaggio sconfinato la riportò brevemente ai sensi. Il bagliore crebbe e l’accecò: fu allora che chiuse gli occhi e svenne.
Dopo non seppe quanto, si riprese, lentamente, e la prima cosa che sentì furono gli sfuggenti granelli di sabbia tra le dita. Con vista ancora sfocata, si mise carponi cercando un punto di riferimento. Ovunque si girasse vedeva solo una distesa sconfinata di dune aride e rovine sparse, illuminate da una forte luce di cui non capiva la sorgente, come un sole d’estate. Attorno a lei vi erano costruzioni isolate, scarne ed ormai incomprensibili, insieme a rocce dalle fogge alte e strane, spinose, cadenti.
“Dove…? Cosa…?”
Sotto la duna su cui si era risvegliata, vide Firion e la Fanciulla, sulla battigia di una spiaggia i cui limiti si perdevano indefinitamente oltre dove arrivava l’occhio, come quelli dello specchio d’acqua da cui veniva bagnata. Una strana nebbia indugiava su quel mare: Claire lo chiamò così, nonostante non avesse idea di quale potesse essere o in che parte del mondo si trovasse. Tuttavia, quel banco brumoso non sembrava appartenere ai fumi demoniaci, tanto era chiaro e limpido, come la nebbia del mattino.
Da esso, prese man mano forma qualcosa: legno, rami, alberi. Un corpo di corteccia dalle proporzioni indescrivibili ed estensioni coriacee e verdeggianti, quasi come la terra animata di volontà. L’unico tratto riconoscibile erano le fauci, larghe e di radici arboree, che contornavano il passaggio per l’interno di quel corpo legnoso. Giganteschi vincoli e catene limitavano ed infilzavano miseramente quell’enormità, che lentamente si estendeva verso la minuscola figura nera sulla spiaggia, alzando un vento prima inesistente.
“Antico, vi ho portato ciò che desiderate. Il vostro nuovo Demone. Avanti, comportatevi a modo…”
La Fanciulla protese la mano e l’Antico si abbassò sul basso fondale, adagiandosi quasi pigramente sull’acqua cristallina. Il grande Demone si fermò davanti alla piccola donna, in attesa di ciò che gli spettava. A corto di fiato, Claire fissava la scena incredula, anche se i suoi occhi non mentivano.
“Procedete nella sua tana.”
La Fanciulla in Nero indicò a Firion, rimastole accanto immobile ad ammirare la terribile grandezza di quella visione, la bocca dell’Antico, oltre cui era possibile vedere ombre di altra vegetazione. Firion non disse niente e, semplicemente, si mosse verso l’entrata. Claire, ancora incerta, dovette mettere da parte ogni sua esitazione e dubbio per affrettarsi dietro di lui. Scivolò dalla duna e superò la Fanciulla sulla battigia, rimasta indietro. Raggiunse Firion, che non diede segni di essersi accorto di lei, ed insieme oltrepassarono i denti legnosi dell’Antico. Si ritrovarono in un angusto corridoio di arbusti, piante ed alberi: sembrava un’intera foresta nello spazio di una stanza. Il solo eco dei loro passi che increspavano l’acqua ai loro piedi li accompagnò lungo quel passaggio altrimenti silenzioso come la morte, mentre si facevano strada tra i rami ed i rampicanti.
“L’Antico ha scelto te. Perseguirai le Anime Demoniache immortali, e diventerai un re su questa terra. Ti do il benvenuto…”
Claire riconobbe la voce che parlò nella sala del trono, ed instintivamente prese a cercarla dietro e sopra di lei. Stava per chiedere a Firion se anche lui l’avesse sentita, quando vide la Nebbia, sotto il tetto dei rami di due alberi.
“Com’è possibile?”
“Allant…” sussurrò il Cacciatore.
Attraversò il muro grigio senza spiegarsi o aspettarla. Claire ingoiò la titubazione e si forzò oltre quella barriera smorta, nonostante il suo animo le stesse gridando di tornare indietro. Dall’altra parte, una piccola radura aveva al suo centro un grande albero le cui fronde s’intrecciavano con il corpo dell’Antico ed il cui tronco aperto ospitava una magnifica sfera di luce. Davanti ad esso, stava ciò che rimaneva di Re Allant: una patetica creatura deforme, molle e corrotta oltre ogni possibiltà di rimedio dal potere concesso dall’Antico.
“Di certo avrete visto con i vostri occhi, il dolore e la sofferenza che albergano in questo mondo. Ma combatti il veleno col veleno: Dio è misericordioso, e così creò l’Antico…”
Dall’iniziale raccapriccio che provò nel vedere le mostruose sembianze del Re, Claire non poté fare a meno di rabbrividire e tremare di rabbia alle parole che sentiva. Firion, invece, rimaneva impassibile.
“…L’Antico si nutrirà delle nostre anime, e porrà fine alla nostra tragica esistenza!”
Claire non poteva crederci.
“Sei solo un folle…”
“Mi sono stancato di questo putrido mondo…”
“Hai scatenato la Piaga, hai distrutto la nostra casa, per colpa tua innumerevoli persone sono morte e le loro anime sono state uccise. Tutto ciò che ho passato, tutto il dolore, la paura, la disperazione che abbiamo dovuto sopportare. E’ colpa tua se i miei amici sono morti! E’ colpa tua se Serah è morta! E per che cosa lo hai fatto?!”
Claire estrasse la spada e corse contro l’abominio deturpato ed inerme, piangente e furiosa.
“Bastardo! Muori!”
Claire colpì, ancora ed ancora, sorda ai lamenti di quella storpiatura, incurante dello sguardo fisso di Firion.
“Muori!Muori!Muori!...”
Continuava a tagliare e trafiggere, sfogando con ogni lacrima tutta l’angoscia che aveva in corpo. Quando piantò per l’ultima volta la lama, il Re era morto da tempo. Claire cadde sulla sua spada, conficcata nella carcassa evanescente di Allant, piangendo afflitta sull’elsa. Firion assorbì muto l’anima del vecchio Re, limitandosi ad osservare Claire con occhi vitrei.
La Fanciulla in Nero comparve alle loro spalle. Superò entrambi con sicurezza, arrivando a pochi passi dal cuore dell’Antico.
“La missione è conclusa. Uccisore di Demoni, torna al mondo di sopra. Il Nexus rilascerà la tua anima. Io addormenterò di nuovo l’Antico, e cadremo in un sonno eterno. Alfine…Alfine avrò compiuto il mio dovere…”
La Fanciulla abbandonò il suo bastone e poggiò le mani su quel nucleo luminoso, assorta nel suo compito imminente.
Claire era troppo provata per potersi dire soddisfatta: potevano realmente dire di aver avuto successo? Cosa avevano concluso? Per che cosa avevano sofferto così tanto? Non tirò su gli occhi né trovò la forza di alzarsi.
Improvvisamente, sentì Firion muoversi. Le arrivò vicino e, tenendo lo sguardo fisso sulla donna in abiti neri, le tolse la spada. Claire non voleva capire, ma sapeva.
Firion, arrivato alle spalle della Fanciulla, ne trafisse l’esile corpo. Gemette di dolore mentre la spada veniva tirata fuori e lei veniva, morente, gettata via con violenza. Claire sviò lo sguardo pieno di rimpianto, incapace di sopportare quella vista. Firion lasciò incurante la spada e protese la mano al cuore dell’Antico, dandosi alla sua promessa di potere.
“…Avrò…Avrò il potere di…Posso sistemare tutto…Ora posso farlo…”
La luce crebbe, inglobando al suo interno sempre di più. Il Cacciatore fissò i suoi occhi cremisi brillanti sulla sua donna, il suo possesso. Claire, rassegnata al disastro, restituiva uno sguardo prostrato. Firion fu sopra di lei: facendole provare un dolore superato solo dai suoi sentimenti traditi, la tirò su per i capelli, e la baciò con veemenza. Era un bacio lussurioso e privo di amore, l’inizio della sua schiavitù a quel Demone insaziabile. Pianse incontrollata pensando ad ogni promessa infranta ed ogni sacrificio inutile, mentre l’ombra dell’uomo di cui era innamorata degradava il suo corpo ed il suo spirito con i suoi desideri. La luce crebbe ancora senza limiti, assorbendo loro e tutt’intorno. Presto, quella bramosia avrebbe divorato il mondo, e tutto ciò che su di esso viveva, sarebbe stato ingoiato dalla Nebbia e dai Demoni.
 
Nella sala del trono del Castello di Boletaria, il vento soffiava un’ultima volta mentre la bruma diabolica scavalcava le mura ed avviluppava le ultime testimonianze degli uomini. Sulle rovine del trono, le parole del diario di una ragazza svanivano, ignorate nell’oblio.
“…Ricordo ancora come l’aria di quel giorno sembrava schiacciarci e opprimerci, piena di polvere e cenere, sotto un cielo grigio e morto, che non avrebbe mai più permesso al sole di scaldarci la pelle col suo tepore. Ricordo i muri abbattuti ed in fiamme delle case ed i frammenti delle braci dei focolari, una volta così accoglienti, ora spazzati via da un vento lugubre, stanco e triste. Ricordo il miasma emesso dai corpi degli uomini che vennero spogliati della loro persona e che persero il senno, divenuti ora dei gusci vuoti, in attesa solo di essere abbattuti da me. Quante vite sono state spezzate? Quanti sentimenti sono stati infranti? Com’è potuto accadere che l’umanità cadesse in un baratro così profondo? Quel giorno, il giorno in cui io ho arreso la mia umanità, ho realmente compreso come il demone fosse riuscito a proliferare così a lungo, e perché noi ci siamo macchiati della perdita della nostra dignità.
Il potere è la causa dei nostri fallimenti, come uomini e come persone. Tendiamo ad esso, lo desideriamo, lo cerchiamo, e tutti noi siamo disposti a dimenticarci di ciò che ci rende unici per ottenerlo. Ci ossessiona, ci cambia. Vi è chi lo vuole per sé, chi lo vuole per proteggere gli altri: non fa differenza. Ci rende tutti folli, tutti disperati. Non fanno differenza i valori con cui ci auspichiamo di ottenerlo: ci corromperà, ed alla fine della nostra vita, avremo solo il rimpianto di ciò a cui abbiamo rinunciato per esso.
Una grande colpa attanaglia il cuore di Firion. Il peso dei suoi peccati per il potere che ha ottenuto lo schiaccia. Potrebbe non avere la forza di sopportarli. Allora, potrebbe cedere al potere demoniaco, per trovare sollievo e dimenticarsi di sé, per trovare una soluzione ai suoi misfatti.
Io sono stanca. Non posso e non voglio più soffrire. Non provo più speranza nel futuro che può avere questo mondo freddo e buio. Qualunque cosa accada, seguirò Firion. Esaurirò la mia vita standogli vicino. Sarò un’ombra pallida, tra le sue tante oscure.”
 

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Capitolo 19
*** Un futuro ***


Uno dei finali. Decidete quale vi piace di più, tra questi due antipodi complementari. Vi ringrazio tantissimo per il tempo passato insieme (anche se mi piacerebbe sentirvi di più!) e per l'attenzione che avete dato a questa mia piccola storia. Aggiornerò la mia pagina per farvi sapere del prossimo progetto. Intanto, vi auguro una buona lettura.
 

Demon’s Souls:
Le cronache dell’uccisore di Demoni
Un futuro
 
“Come avete fatto a distruggere il mio prezioso demone?”
La momentanea felicità di aver posto fine all’avanzata degli Arcidemoni che Claire e Firion provarono dopo aver sconfitto il Re scemò velocemente al sentire quelle parole. Si rimisero in guardia, spalle contro spalle, pronti ad affrontare la nuova minaccia nonostante i loro corpi implorassero per del riposo. Tuttavia, nessun nemico comparve, ma la voce echeggiò un’altra volta.
“Nessun umano è affamato di anime quanto voi…Spetterà all’Antico decidere…Verrai evocato, se così deve essere…”
Tornò il silenzio. Ancora guardinghi, Claire e Firion abbassarono le armi, rilassando i muscoli tesi e perennemente sfibrati.
“Cos’era? Un altro demone?” chiese Claire, augurandosi che non fosse quello il caso.
Firion sembrò rifletterci qualche momento.
“Credo di aver capito” disse infine.
“Forse, non tutti gli Arcidemoni sono caduti. Hai notato come Allant, il demone che abbiamo combattuto, non ci abbia rivolto nemmeno una volta la parola? E’ possibile che non fosse mai stato in grado di farlo. E’ possibile che fosse solo uno specchio del Re…”
“Stai dicendo che quello che abbiamo ucciso era solo una copia? Un falso?” chiese Claire confusa.
“Vuol dire che è stato il vero Allant a parlarci poco fa? Ma come?”
Firion pensò di nuovo per lunghi momenti silenziosi.
“Per mezzo dell’Antico.”
Il capo di Claire crollò floscio, ed un pesante sospiro la lasciò, intendendo cosa quelle parole implicavano: non era ancora finita, avevano fatto presto a rallegrarsi per la vittoria. Ma la verità era che lei era allo stremo. La disavventura senza fine in cui era rimasta coinvolta non sembrava avere una soluzione. Ad ogni ostacolo superato con sangue, sudore, dolore ed ostinazione, ce n’era subito un altro ancor peggiore, e lei, ormai, era al suo limite.
“Allora, immagino che avremo ancora una belva da abbattere…” disse con sguardo perso e voce spenta.
A Firion bastò un’occhiata di lei in quello stato per capire quanto le venissero a mancare le forze per sostenere ancora quella guerra senza fine contro gli abomini demoniaci. Era comprensibile, dopotutto, per una persona normale come lei, che aveva vissuto l’intera estensione della Piaga tra mille traversie e perdite, non essere più in grado di sopportare quelle condizioni disumane.
Posò le mani sulle sue spalle, strinse per farle alzare di nuovo il viso ed infonderle fiducia.
“No, la nostra lotta ha avuto termine quando quel demone è scomparso. Rimane solo una cosa da fare, per far ritirare la Nebbia: la Fanciulla in Nero addormenterà l’Antico, ed i Demoni svaniranno per sempre.”
“La Fanciulla…addormenterà l’Antico?” chiese lei di nuovo in preda alla confusione, perdendosi negli occhi cremisi dell’altro.
Firion esitò qualche attimo, preparandosi a spiegarle e rivelarle la verità sul mistero che circondava la donna del Nexus.
“Devi sapere che l’Antico, per quanto mi è stato detto, è sempre esistito, sin dall’alba di questo mondo. E’ sempre rimasto dormiente, un’entità sopita ed eterna che, nel sonno, ha sempre accompagnato questa nostra esistenza. Più di un millennio fa, però, venne svegliato: fu un’insaziabile sete di potere a farlo. L’Antico è un pozzo illimitato di assoluta vuotezza, agogna anime per soddisfare una fame inestinguibile, e rilascia la Nebbia ed i suoi Demoni per collezionarle. La Crisi scoppiata mille anni or sono venne superata solo dopo il sacrificio di innumerevoli vite ed anime, e metà del mondo venne cancellata via dalla Nebbia, ma l’Antico fu respinto. Fu allora che il Nexus…‘nacque’, sigillando l’Antico, e con esso i Monumentali, sentinelle a guardia della realtà in rovina…”
Claire ascoltava in silenzio pendendo dalle sue labbra, incantata come una bambina da una favola d’insuperata fantasia. Nella sua mente, riusciva a vedere le immagini di quei terribili tempi andanti, narrate nei libri che aveva letto da piccola, così simili a quelli che viveva lei.
“Il Nexus, dove vita e morte si confondono, fu concepito per vincolare l’Antico ed il suo sonno. Ma vi è un altro prigioniero, un altro Demone, intrappolato al suo interno…”
“Vuoi dire che…la Fanciulla…” tentò di dire Claire, non riuscendo a finire poiché non riusciva a crederci. Firion, però, annuì, confermando qualcosa che le sembrò impossibile.
“Anche lei è un Demone” continuò lui.
“Proveniente dalla prima Piaga, uno dei più potenti mai esistiti. Venne imprigionata, con lo scopo di neutralizzare nuovamente l’Antico, qualora si fosse risvegliato. Un millennio dopo, abbastanza per l’umanità per dimenticare ciò che fu,  Re Allant raggiunse il Nexus e si diede all’Antico, destandolo, ed il resto lo sappiamo già. Io…non conosco fino in fondo la verità della Fanciulla, ma sono pronto ad avere fiducia e sperare. Ormai, è tutto ciò che ci resta…”
La speranza era davvero l’ultima cosa che rimaneva. Claire non aveva idea se la fede che provava Firion fosse ben riposta o se la storia che le aveva appena raccontato avesse davvero un senso, ma che fosse vera o meno non faceva differenza. Troppo tardi Claire capì, infatti, che lei non era altro che un incidente, uno scherzo del destino che la vide recitare una parte troppo grande persino per una scena tragica come quella della Piaga. Non aveva più importanza riflettere su interrogativi che, forse, non avrebbero mai trovato risposta, né c’era più spazio per l’esitazione. L’unica cosa che rimaneva era fare ciò che si doveva, nella speranza che bastasse a salvarli.
Claire annuì risoluta, concordando con il Cacciatore e promettendogli, con quel gesto, che gli sarebbe rimasto accanto fino alla fine.
“Grazie.”
Lui sorrise riconoscente e la baciò sulla fronte: lei l’apprezzò molto.
“Sarà il caso di tornare al Nexus: siamo vicini alla fine di questa storia. Prima, però, vorrei occuparmi di Ariona, non posso lasciarlo lì…”
“Vai tu. Io rimarrò qui fino al tuo ritorno” disse Claire, infilando le mani nel suo borsello.
“Qualcosa non va?”
Furono le pagine ingiallite del diario di Claire a rispondergli, rilegate insieme da fili tanto sottili che sembrò incredibile vedere quel libro ancora intero dopo tutto ciò che aveva passato insieme alla sua padrona. Claire se l’imbracciò stretto, dimostrando quanto di sé stessa aveva riposto in quella fragile carta di pergamena.
“Voglio concludere questo viaggio. Ho inchiostro per le ultime righe.”
Firion sogghignò divertito, ma rispettò la decisione della ragazza. Le baciò il dorso della mano e si allontanò verso il montacarichi che li portò alla sala del trono. Attivò il marchingegno e si chiuse dietro le sbarre, premendosi sulle aste metalliche come per separarsi il minimo da lei.
“Tornerò presto” sentì il bisogno di dire.
“Ti aspetterò” rispose lei con un sorriso in volto.
Dopo di ché, lui sparì sotto il pavimento e lei rimase sola.
Contemplò con soddisfazione il silenzio pacifico della sala del trono, accompagnato dal vento gentile che s’insinuava dalla larga breccia nel muro. Percorse la grande sala vuota ascoltando con attenzione l’eco di ogni suo passo, fermandosi sulle macerie di quello che, una volta, doveva essere stato l’elegante trono regale. Si sedette su quei frammenti di pietra levigata e si accomodò con il diario aperto, osservando la meraviglia di Boletaria che si estendeva davanti i suoi occhi e la Nebbia oltre le sue mura. Prese le ultime gocce d’inchiostro e la penna ormai consumata, ne macchiò la punta e, animata ed ispirata come non fu mai, cominciò a scrivere la conclusione del suo diario.
“…Ricordo ancora come l’aria di quel giorno sembrava schiacciarci e opprimerci, piena di polvere e cenere, sotto un cielo grigio e morto, che non avrebbe mai più permesso al sole di scaldarci la pelle col suo tepore. Ricordo i muri abbattuti ed in fiamme delle case ed i frammenti delle braci dei focolari, una volta così accoglienti, ora spazzati via da un vento lugubre, stanco e triste. Ricordo il miasma emesso dai corpi degli uomini che vennero spogliati della loro persona e che persero il senno, divenuti ora dei gusci vuoti, in attesa solo di essere abbattuti da me. Quante vite sono state spezzate? Quanti sentimenti sono stati infranti? Com’è potuto accadere che l’umanità cadesse in un baratro così profondo? Quel giorno, il giorno in cui io ho arreso la mia umanità, ho realmente compreso come il demone fosse riuscito a proliferare così a lungo, e perché noi ci siamo macchiati della perdita della nostra dignità.
E tuttavia, io spero ancora. E’ dentro di me. Cos’è questa spinta che sento dal più profondo, quando mi attornia solo il silenzio della miseria? Perché il mio cuore scalpita e batte al pensiero del sole di domani, se finora ho conosciuto solo il grigiore di dolore e tristezza? Sono forse i miei amici, la mia famiglia, il mio amato? Non lo so, né mi serve saperlo. Ma se è questa speranza, allora lascerò che mi pervada completamente, poiché voglio vedere la luce di quel domani, lo splendore di quel futuro. Non importa ciò che ci accade, cosa diventiamo, o cosa eravamo. Abbiamo sempre quella possibilità, indipendentemente dal nostro passato, possiamo sempre guardare avanti. Possiamo sempre decidere di lottare, sognare, vivere per noi, per coloro che amiamo, per coloro che ameremo. Insieme, possiamo creare un futuro dove saremo veramente liberi, sciolti dalle catene che ci hanno separato. Io vivrò per quel futuro, per i miei cari, per coloro che verranno. Lo vedrò splendere per sempre.
L’inchiostro si esaurì su quelle ultime parole. Claire lasciò andare la penna e chiuse il suo diario, accarezzandone la copertina ed il dorso rigido. Improvvisamente, si sentì allegra. Per un motivo che non conosceva, non poté trattenersi dal sorridere. Si alzò dal suo posto e si affacciò sul margine della breccia dietro il trono. Il vento le accarezzava la pelle, scostandole dolcemente i capelli dal viso.
“C’è ancora così tanto da vedere…”
Claire spezzò i fili che legavano insieme le pagine del suo diario. Non più vincolati gli uni agli altri, i fogli furono lanciati in alto, disperdendosi ovunque possibile. Come animati da una meravigliosa magia, ognuno di essi volò via in ogni direzione, trasportato lontano dal vento, oltre l’orizzonte.
“…Non mi fermerò adesso.”
Le sfuggì una lacrima. Non seppe, ne le importò, quanto tempo passò a guardare il cielo dove si librarono i suoi ricordi, il suo passato tra dolore, paura, gioia e felicità. Ammaliata, non dalle nubi grigie, ma dalla luce che nascondevano, lasciò vincere l’emozione.
“Claire?”
La voce di Firion, all’altro capo della sala, la riportò alla realtà. Si asciugò velocemente la scia umida sulla guancia e si voltò verso il Cacciatore. Senza smettere di sorridere, corse da lui, sorprendendolo per la vivacità che trasmetteva. Anche lui fece per andarle incontro, ma, improvvisamente, qualcosa lo fermò. All’inizio barcollò, tenendosi la fronte con una mano e con respiri che si fecero difficili e pesanti. Poi rovinò prono a terra, tossendo sonoramente e dando l’impressione che sarebbe collassato da un momento all’altro. Fu allora che Claire dimenticò la strana spensieratezza di prima ed accorse più veloce al fianco del Cacciatore.
“Firion! Cos’hai?! Che ti succede?!”
Firion diede altri sofferenti colpi di tosse prima di ricomporsi come meglio poteva, drizzando la schiena ma senza tornare in piedi. Visibilmente provato dal malessere che lo aveva sorpreso, parlò con fiato corto.
“Non…non mi rimane molto tempo, Claire…”
“Non dire così. Torniamo al Nexus, vedrai che la Fanciulla ci aiuterà.”
Claire si mise un suo braccio sulle spalle e lo aiutò a rialzarsi. Non seppe perché, ma per quanto spingesse le sembrò di sollevare dei macigni, ed alla fine fu Firion a fare la maggior parte del lavoro. Toccò il Marchio che portava al polso e, in un attimo, erano svaniti.
 
Fu solo una questione di istanti prima che la magia dell’eremo grigio li evocasse nel salone di quell’edificio eterno. La repentinità con cui si materializzarono dal nulla non li aiutò a notare con prontezza l’enorme voragine che si era aperta dove priva stava il pavimento al centro delle Arcipietre. Fu solo per istinto, alla vista del vuoto profondo che s’inabissava sotto di loro, che entrambi si ritrassero in tempo per non cadere il quel pozzo oscuro.
“Ma che diavolo-?!” esclamò Claire col cuore in gola.
“Claire! Firion!”
Dalla loro sinistra arrivarono Yuria col bambino, Thomas, Boldwin e l’Adoratrice. Fecero un cerchio intorno ai due, ed il Collezionista ed il fabbro aiutarono Claire a rimettere Firion in piedi, trattenuto a terra da ferite invisibili.
“Dov’è Ariona?” chiese l’Adoratrice.
Claire sviò lo sguardo, non sapendo come dare la notizia della morte del principe. In fondo, era compito loro proteggerlo tra le mura del Castello, ma il loro fallimento era costata la vita dell’erede al trono, l’ultima speranza di riportare Boletaria al suo splendore dimenticato.
Il silenzio di Claire parlò più di qualunque altra parola, e lacerò con dolore le speranze dei quattro sopravissuti.
“Ariona ci ha chiesto di seguirlo per aiutarlo nella riconquista della sua città…” disse Firion sicuro.
“Ora è lui ad aiutarmi nella mia missione. La sua anima brucia di determinazione, nel mio cuore.”
 “Allora non morirà mai.”
Thomas annuì solennemente agli altri abitanti del Nexus, affermando con fermezza quanto credesse che il principe vivesse ancora nell’anima di Firion. Prima il fabbro, poi la strega e l’adoratrice, concordarono anche loro, scambiandosi sguardi che non volevano cedere al dolore della perdita. 
“Cos’è successo qui?” chiese Claire indicando la voragine davanti a loro. Yuria si sporse facendo attenzione al piccolo tra le mani.
“E’ stato tutto così improvviso! Il Nexus ha tremato come scosso da un terremoto. Parte della statua del soffitto è crollata, distruggendo il pavimento. Per un attimo, sembrava che l’intero edificio sarebbe-”
Un verso profondo quanto il baratro nero da cui proveniva la interruppe con violenza, riflettendosi su ogni parete. Li fece sussultare ed indietreggiare intimoriti, ma Firion, ripresosi, li rassicurò con un gesto deciso. Quel lamento orrendo si ripeté per un tempo che sembrò non avere fine, ma quando finalmente si fermò, nessuno si azzardò a parlare.
“Alla presenza del potere del Monumentale, il Nexus rammenta la sua ragione d’essere, ora che la via è stata aperta. L’Antico ti sta chiamando, Cacciatore di Demoni. E’ tempo di scendere nella sua tana.”
La Fanciulla in Nero, comparsa alle loro spalle, ruppe il silenzio attirando su di sé l’attenzione di tutti. Firion, con sguardo fermo di chi sapeva cosa era necessario fare, si rivolse prima a Claire, sussurrandole all’orecchio.
“Non ti costringerò a venire con me…”
“Io non ti permetterò di andare da solo.”
Firion non poté trattenere il suo sorriso, compiaciuto della decisione con cui Claire era solita agire. Non importava quanto le si potesse dire che i suoi intenti erano sbagliati: se era una sua idea, l’avrebbe perseguita fino alla fine. Caparbia, ma mai cocciuta: un aspetto che lo aveva conquistato.
Si girò verso gli ultimi suoi amici e compagni, coloro che, nonostante tutto, non avevano mai smesso di supportarlo e di stargli accanto. Passò lo sguardo su ognuno di loro, facendo specchiare i suoi occhi consapevoli nei loro confusi.
“Il mio compito è quasi concluso. Quando l’Antico sarà respinto, la Nebbia si ritirerà, ed i Demoni svaniranno. Il Nexus mi rilascerà, e voi sarete finalmente liberi di tornare fuori. Non so cosa veramente mi aspetti, e questa potrebbe essere l’ultima volta che ci vediamo. Quindi, voglio che sappiate che… per me, voi significate…grazie” concluse Firion, in mancanza delle parole giuste.
Thomas e Boldwin fecero prima un passo avanti, poi si lanciarono sul giovane cingendolo in un grosso abbraccio, che non riuscì comunque a coprire le sue spalle larghe. L’altro aprì le braccia prendendo entrambi e restituendo il loro stesso calore.
“Ragazzo mio…”
Boldwin strinse più che poté, non volendolo lasciarlo andare. Quando, però, Thomas si staccò, seppe che anche per lui era il momento di separarsi. Poi furono Yuria e l’Adoratrice a dimostrare il loro affetto.
“Hai cambiato la nostra vita” cominciò l’Adoratrice. “Siamo noi quelle riconoscenti.”
“Non voglio che questo sia un addio…”
Yuria sperava veramente che quella non fosse l’ultima volta che parlava con quell’uomo forte, premuroso e gentile, ma una responsabilità che andava ben oltre i suoi desideri pendeva sulle sue spalle, e doveva lasciarlo andare.
“Forse, non lo sarà…”
Firion accarezzò la fronte del bambino che Yuria teneva addormentato tra le braccia. Poi diede loro le spalle e raggiunse la Fanciulla in Nero sul ciglio del pozzo.
“Torneremo sicuramente, insieme” disse Claire agli altri prima di unirsi al Cacciatore. In silenzio, Thomas si augurò che avesse ragione.
Claire si mise di fianco a Firion, entrambi di fronte la Fanciulla in Nero, ad un passo dal cadere nelle profondità nere del Nexus.
“Assisterai anche tu, compagna del Cacciatore?”
“Sono pronta.”
“Allora è deciso…”
Concentrata sull’accompagnare Firion a qualunque costo, Claire non si era nemmeno posta la domanda di come avrebbero fatto a raggiungere l’Antico, che sembrava essere confinato alle fondamenta dell’eremo grigio. Nei pochi attimi che precedettero la loro caduta, si aspettò una qualche straordinaria magia di trasporto.
La Fanciulla in Nero, invece, afferrò i loro polsi e si tirò indietro, facendoli precipitare giù. Lo sconcerto che colpì loro e gli amici rimasti indietro fu tale che non poté trattenere il suo grido, soffocato dalla mancanza di fiato, tolto via per la sorpresa. I secondi che seguirono furono tremendi: un’esperienza orrenda che sembrava non avere fine, attraverso l’intera estensione buia del Nexus, in attesa di quella che poteva essere solo una morte senza perché.
Sentì la forte presa della mano di Firion sulla sua. Nonostante la caduta e l’oscurità, Claire giovò della sicurezza che la stretta le concesse, e sentì già scemare la paura. Dopo non seppe quanto, una luce in fondo a quel pozzo nero l’accecò: il bagliore crebbe d’intensità e la sopraffece, facendole perdere coscienza.
 
Quando si risvegliò, la prima cosa che sentì fu la mano di Firion ancora stretta alla sua. Poi la sabbia, e poi il calore. Con fatica aprì gli occhi, ritrovandosi stesa vicino al Cacciatore incosciente su una duna illuminata da un sole bianco invisibile, in un cielo terso di luce. Si alzò sui gomiti per guardarsi intorno, chiedendosi dove fossero finiti. La sabbia si estendeva per quelle che le sembrarono infinite miglia, mentre rovine di costruzioni di un’altra epoca e rocce dalle forme abiette li circondavano. Sotto la duna dove si risvegliò, vide la Fanciulla in Nero sulla battigia di una spiaggia di cui non vedeva la fine, bagnata da un mare limpido come la nebbia trasparente che indugiava su di esso.
Stava ancora fissando con stupore quel paesaggio spoglio e fantastico insieme, quando un verso dal corpo del Cacciatore la riportò alla realtà. Subito si portò su Firion per svegliarlo, chiamandolo  con apprensione. L’altro si riprese dopo qualche momento, e subito rimase anche lui smarrito alla vista di quell’ambiente.
Prima che si potessero parlare l’un l’altra, una sagoma enorme prese ad emergere dalla nebbia del mare.
L’Antico, una forza eterna della natura ed incomprensibile, incarnata in un corpo d’incomparabili dimensioni, si mostrava ad occhi mortali come un grande albero le cui radici monche erano in realtà fauci. Il suo tronco maestoso cresceva e non aveva fine, estendendosi invece con dita di legno, rami e fronde. Il suo corpo cavo, una culla di anime, restava inesplorato, ma accessibile, oltre i suoi denti di corteccia.
“Antico, vi ho portato ciò che volete. Il vostro nuovo Demone. Avanti,comportatevi a modo…”
La Fanciulla in Nero tese la mano come per ammansire quell’essere già così sorprendentemente passivo, la cui mole senza precedenti si abbassò sempre più fino ad arrivare al cospetto della piccola, misteriosa donna. Adagiandosi sul basso fondale della spiaggia, l’Antico e la sua bocca aspettavano pazientemente.
Claire e Firion rimasero immobili per l’incredulità. Per loro fu quasi impossibile accettare la rivelazione del mistero dell’Antico, un essere che nelle loro menti aveva assunto forme intangibili. Vederlo palesarsi in quel modo ai loro occhi, semplicemente lo spinse ancor più via dalla loro comprensione, ed innumerevoli domande destinate a non avere risposta si affollarono disordinatamente.
La Fanciulla camminò senza fretta da loro, poggiando attentamente i piedi scalzi sulla sabbia cedevole.
“Procediamo nella sua tana.”
Firion si prese un attimo per tornare in piedi e prepararsi all’incontro con l’essenza dell’Antico: Claire era disposta a concedergli tutto il tempo necessario. Gli bastò poco per trovare la determinazione necessaria e muovere i primi passi verso la fine del suo compito. Scivolò dalla duna, increspando la placida acqua marina al suo passaggio.
Claire rivolse un breve sguardo alla Fanciulla: la fissava con i suoi occhi coperti, come se la vista non le fosse stata mai tolta.
“Affrettati. Ha bisogno di te…”
Claire non tardò a seguire il consiglio e si portò velocemente al fianco del Cacciatore, oltre la bocca dell’Antico.
“…Curati della sua anima…”
L’interno dell’Antico sembrava un’intera foresta confinata tra le anguste pareti del Castello di Boletaria. Rampicanti, arbusti, fronde e chiome verdeggianti li circondavano interamente. Nonostante uno stretto sentiero, invaso dall’acqua cristallina, indicasse loro il percorso meno accidentato, trovarono comunque difficoltà a farsi largo tra i lunghi rami contorti, le cui punte graffiavano la pelle. Firion, sebbene si ripromesse di essere prudente, spezzò quelle estensioni fastidiose, facilitando il passaggio anche alla sua compagna. Continuarono così, seguiti solo dal silenzio e dai loro muti pensieri.
“L’Antico ha scelto te. Perseguirai le Anime Demoniache immortali, od obbedirai a quell’ingenuo Monumentale? Qualunque sia la tua scelta, sei il primo a visitarci. Ti do il benvenuto...”
L’eco di quella voce subito portò la mano di Claire all’elsa della sua spada, mentre lei cercava ovunque il vecchio Re che aveva ceduto la sua anima all’Antico. Firion la calmò posando la mano sulla sua, indicandole qualcosa sotto il tetto di foglie che intravedevano alla fine del passaggio: la Nebbia degli Arcidemoni. Claire era riluttante a lasciare la lama, ma il tocco e lo sguardo sereno di Firion le dissero che non c’era niente da temere. Non senza un po’ di nervosismo, Claire permise alla spada di tornare al suo posto. Firion le sorrise quasi spensieratamente, e tenendola per mano la portò davanti al muro di Nebbia. Si scmabiarono espressioni decise, e poi lo attraversarono.
Si ritrovarono in una radura chiusa. L’acqua arrivava alle caviglie, e l’aria ferma sapeva invece della brezza marina di fuori. Un grande albero centrale, i cui rami nascevano dal tronco e si perdevano nell’immensità dell’Antico, ospitava nella sua cavità il cuore di quell’entità antica, tutte le anime rubate ai viventi della superficie. Prima di esso stava il vecchio Re Allant, o almeno, quello che ne rimaneva. L’illuminato uomo, che una volta aveva guidato il suo popolo verso un’epoca prospera di pace duratura e benessere senza precedenti, era ormai ridotto all’ombra nera pece di una storpiatura abominevole. Allant era stato privato della sua forma umana: distrutta dal potere concesso dall’Antico, lasciò il posto ad un mostro deforme e malfermo.
“Di certo avrete visto con i vostri occhi, il dolore e la sofferenza che albergano in questo mondo. Ma combatti il veleno col veleno: Dio è misericordioso, e così creò l’Antico. L’Antico si nutrirà delle nostre anime, e porrà fine alla nostra tragica esistenza!”
Le parole del Re aprirono ferite insanabili nell’anima di Claire. La sua vita era stata rovinata, quella di sua sorella era stata portata via; la Piaga aveva seminato morte ovunque, frantumando relazioni e sentimenti, mietendo anime innocenti e condannadole ad un buio eterno; i pochi sopravvissuti erano stati costretti a regredire ad animali impauriti, venendo privati anch’essi di una vita degna di essere vissuta. Claire scopriva ora che tutto ciò che era stata la Piaga, tutto il dolore, tutta la disperazione che aveva vissuto, non era stato causato da un essere semidivino venuto a castigarli per i loro peccati o chissà quale altra diavoleria incredibile. La fine della vita come la conosceva, la morte di Serah, della famiglia di Firion, di Thomas, di Boldwin, di Yuria, dei suoi amici e di innumerevoli altri, tutte erano state causate da un solo uomo, uno che decise di condannare tutti insieme a lui.
La mano tese nuovamente all’elsa della spada. Firion notò quel movimento. Pensò di fermarla di nuovo, ma sentì di non poterlo fare: anche lui provò il forte desiderio di farla pagare a quel mostro.
“Sei stato un folle. Un uomo come te che aveva tutto ciò che si potesse desiderare: il potere di un re, l’amore di un figlio come Ariona, la fiducia del popolo di Boletaria…Hai voltato le spalle a tutti, e per cosa? Per crogiolarti nel tuo dolore?”
Claire allontanò la mano dalla spada, e le sue parole sorpresero sia Firion che il Re.
“Sei una sciocca. Non capisci? Nessuno desidera continuare…”
“Mia sorella lo voleva. I miei amici lo vogliono. Invece di comportarti da codardo, avresti dovuto trovare la forza di vivere, per Ariona e per noi.”
“Non accetterò moralismi da una bambina. Tutto ciò che conta, è che l’Antico ci salverà dal nostro orrendo destino. Nessuno merita di vivere in questo putrido mondo…”
Allant era irragiungibile ad ogni aiuto e ragionamento: la corruzione che aveva ghermito la sua anima era troppo estesa. Firion si fece avanti ed estrasse lo spadone. Quando fu sulla deformità, affondò la lama, rapida ed indolore. Il Re divenne una nuvola di luce, che si concentrò pienamente nel petto del Cacciatore, immobile sulla spada piantata a terra. Il cuore dell’Antico, indifeso, attendeva solo di essere messo a riposo.
“Quindi, è così che finisce…” pensò Claire malinconica.
 “La missione è conclusa.”
La Fanciulla in Nero comparve dietro di loro, superando il varco dove priva stava la Nebbia.
“Uccisore di Demoni, torna al mondo di sopra. Il Nexus rilascerà la tua anima. Io addormenterò di nuovo l’Antico, e cadremo in un sonno senza fine. E’ così che deve essere…”
Rivolse brevi cenni ad entrambi: Firion era fermo e dava le spalle, Claire desiderò per un momento che ci fosse qualcosa che potesse fare per lei. La donna in abiti neri abbandonò il bastone e posò le mani sulla sfera bianca, in attesa che il Cacciatore e la sua compagna lasciassero quel luogo.
“Vi ringrazio…Alfine, avrò compiuto il mio dovere…”
Fu in quel momento che Firion sembrò rianimarsi. Lasciò il suo spadone lì dove rimase conficcato e si avvicinò alla Fanciulla a passi pesanti. Prima che lei potesse parlare, la colpì con uno schiaffo tanto forte da lanciarla ai limiti della radura, dove la donna corvina rotolò malamente e svenne.
Claire faticò a recepire ciò che videro i suoi occhi e per un attimo restò inebetita e senza parole.
“Firion, no! Perché…?”
 “Claire, il mio…il mio tempo è scaduto…C’è una cosa che devi sapere…”
Firion aveva un aspetto preoccupante: oltre l’evidente corruzione che consumava il suo corpo, sembrava che ogni pesante respiro potesse essere l’ultimo, mentre vacillava sulle gambe tremanti. Claire fece per raggiungerlo, ma lui alzò la mano in un gesto categorico che non le permise di avvicinarsi.
“Io non sono stato sincero con te. Mi odierai per questo…ma è quello a cui miravo da tanto tempo…”
“Di cosa parli? N-Non capisco…”
“Io ho causato il tuo dolore. Io ti ho fatto diventare ciò che sei. Se non fosse per me, tu e Serah sareste ancora insieme, e tu non avresti dovuto vivere quest’incubo…”
“Non dire così! Non hai nulla di cui incolparti, è solo grazie a te se io-”
“Claire, ho causato io la morte di Serah!”
La ragazza sentì il cuore fermarsi. Cercò un segno della falsità di quelle parole negli occhi di Firion, ma la loro angosciata luce rossa confermò quella verità straziante.
“Cosa?” chiese con un fil di voce.
“All’inizio, pensavo che la mia missione fosse uccidere tutti i Demoni. Hanno ucciso la mia famiglia, non m’interessava cosa potesse succedermi: accettai la proposta del Monumentale, nonostante sapessi delle conseguenze. Ma sono stato ingannato. I Demoni non hanno libero arbitrio, ed in cambio della mia lotta, mi hanno portato via la libertà. Ora non posso neanche morire per mia mano…Per liberare il mondo dal veleno dei Demoni, non avevo alternative che affidarmi alla lama di qualcuno abbastanza determinato, qualcuno che avesse la forza necessaria di abbattere un demone senza esitazione: la tua. Usando Serah, ho potuto darti un motivo per combattere, dei nemici da odiare, un obiettivo da raggiungere…”
“No, non è possibile!” esclamò Claire, non volendo credere ad una sola parola.
“Miralda rapì Serah! La portò oltre il cancello della Cittadella, la barriera era impenetrabile!”
Nonostante la gravità della sua rivelazione e dei sentimenti della ragazza, Firion continuò con tono pacato.
“Claire...” cominciò, scuotendo la testa alla tragicità delle sue stesse azioni.
“Finsi. La barriera non è mai stato un ostacolo per me. Non appena seppi di tua sorella, oltrepassai la porta e la trovai svenuta nella piazza principale, tra i resti del suo carro. Rintracciai Miralda, feci un accordo con lei riguardo la salvaguardia sua e del bambino. Tenendola lontana da te, ti avrei dato un motivo per spingerti avanti. Dopo la sua morte, ho fatto in modo che concentrassi il tuo odio sui Demoni, in attesa di questo momento…”
Il silenzio angosciò Claire tanto quanto Firion, che nonostante tutta la forza che possedeva, resse a malapena lo sguardo disperato della ragazza.
“Tutto questo tempo…mi hai mentito?”
Firion annuì. Allargò le braccia, e portò una mano sul petto.
“Usa il tuo odio. Fai perire il mostro che ti ha portato via tua sorella. Mira al cuore, o potrebbe non servire-!”
Firion tossì sangue nero e si piegò in due per un dolore che solo lui poteva comprendere, cadendo pesantemente sulle ginocchia. Claire lasciò la spada e si lanciò su di lui, incurante dell’acqua e della verità del Cacciatore, cingendolo per dargli un conforto che sapeva non lo avrebbe salvato.
“Cosa fai? Non vuoi vendicare tua sorella? Non vuoi punire chi ti ha mentito così tanto? Io non merito un futuro con te. Finché vi sarà anche solo un demone su questa terra, il tuo futuro sarà in pericolo. Uccidimi…” rantolò lui.
“Serah è con me. Ti amo, voglio averti vicino, come puoi dire un cosa simile?!”
Claire si strinse a lui e pianse sulla sua spalla, non volendolo lasciarlo andare. Le pareti della radura fecero eco dei suoi lamenti, fallendo nel replicare il suo dolore. Firion le mise un braccio intorno le spalle, con l’altro raccolse la spada di Claire.
“Non ho dimenticato la mia promessa.”
Firion si staccò da lei, che lo guardò affranta, e le fece stringere la lama nella mano.
“Io sarò…al tuo fianco per sempre…”
Claire esitò momenti infiniti. Attese abbastanza per sentire la sua anima contorcersi di sofferenza. Sentì, infine, il cuore spezzarsi, quando la sua spada trapassò quello di Firion.
Si abbandonò con lui sul basso specchio d’acqua, poggiando la testa sul suo petto. Improvvisamente, dal suo corpo, una piccola sfera luminosa emerse davanti ai suoi occhi.
“La sua anima ha trovato pace…”
Claire issò il busto per vedere la Fanciulla. La donna in nero camminò da loro e s’inginocchiò davanti a lei, entrambe sul corpo di Firion.
“Prendi l’anima di questo buon Cacciatore. Io renderò omaggio a questa sua forma per l’eternità, porterò con me il testamento di ciò che è stato.”
Claire prese attentamente l’anima tra le mani: la posò sul petto, dove svanì con un ultimo bagliore.
“Addio, compagna del Cacciatore. Torna al mondo di sopra, e vivi.”
Claire uscì dal corpo dell’Antico, lasciandosi indietro la Fanciulla. Vide l’enorme entità ritirarsi lentamente nella Nebbia da cui venne, come se fosse sempre stato solo una fantasia.
 
Claire aprì gli occhi. Non ricordava bene cosa fosse successo, ma si ritrovò in luogo impossibile: ovunque era bianco, e soffice, e caldo, come nuvole e vento. Si guardò intorno, curiosa, ma non spaventata. Ad un tratto, vide una figura poco lontano da lei: acuendo la vista, capì che era Hadrian. Lo vide sorriderle, e poi camminare via. Ne comparve un’altra: era il Cavaliere della Torre, l’uomo che era un tempo. Anche lui le sorrise prima di allontanarsi. Di colpo, Claire vide comparire tantissime persone, le loro espressioni serene. Sulla sua testa volò una splendida creatura alata, che svanì all’orizzonte infinito. Pian piano, ognuna di quelle presenze se ne andò, in viaggio forse. Tra le ultime che rimasero, riconobbe Miralda, Rue, Wren, l’Accolito, Freke, Sant’Urbain, Astraea, Ariona, ed il Re. Tutti le diedero sorrisi eloquenti, prima di unirsi al chiarore di quel luogo. Due ultime figure l’attendevano a poca distanza: una era di spalle, l’altra si rivelò essere Serah. La sorella venne verso di lei con passi spensierati, annuì consapevole, e poi scomparve alle sue spalle. Claire rimase sola con l’ultima anima: benché fosse di spalle, lo riconobbe subito.
Firion si voltò e la salutò con il suo caldo sorriso. Era come quando lo incontrò la prima volta, l’uomo di cui s’innamorò. Le venne incontro, e prima che si potessero toccare, lui si unì al vento amorevole, abbracciandola ed alzandosi verso il cielo.
“Insieme…per sempre…”
Claire alzò il capo e chiuse gli occhi, lasciandosi accarezzare dalla brezza.
 
Diversi anni dopo
 
Su una bassa collinetta in vista delle lontane rovine della capitale, la vecchia Boletaria, il villaggio nato dallo sforzo congiunto dei sopravvissuti alla Piaga si espandeva sempre più. Furono cinque cittadini del regno caduto a dare vita all’insediamento: all’inizio consisteva in un paio di abitazioni e qualche recinto di bestiame, ma col passare del tempo e con l’arrivo di nuovi sopravvissuti pronti ad aiutare, presto si formò una comunità, basata su supporto reciproco e collaborazione. I capi del villaggio, nonostante la loro nomea, data dagli individui a cui diedero una nuova casa, non pretesero mai privilegi particolari, e s’impegarono al fianco dei loro nuovi compagni. Erano Thomas, che gestiva i magazzini di oggettistica e provviste; Boldwin il fabbro, che mise parzialmente da parte la forgiatura di armi per concedersi ad un artigianato più utile alla comunità; Yuria, in possesso di un talento quasi soprannaturale per la medicina; Sofia, impegnata con l’educazione dei più piccoli; ed infine Claire, capo organizzativo di agricoltura ed allevamento. I cinque portarono nuova speranza a chi credeva che non potesse essercene ancora, offrendo qualcosa di più della semplice sopreavvivenza.
Tra le larghe vie del villaggio che cresceva costantemente, il capo Claire, in abiti semplici, camminava rilassata verso la bottega del vecchio Boldwin, ingrigito dagli anni ma eterno come la pietra. Alle sue spalle comparvero due bambini, un maschio e una femmina, che correvano e giocavano senza badare all’occhio attento della donna. Entrambi sfoggiavano chiome argentee come l’aurora, tanto diverse da quella rosea della madre che molti avevano difficoltà nel trovare una parentela.
I due piccoli corsero spediti verso l’anziano occhialuto seduto all’icundine della sua bottega, intento a modellarre diversi pezzi metallici. Boldwin abbandonò immediatamente il suo lavoro non appena vide i due ragazzini saltragli al collo, facendolo quasi cadere dallo sgabello.
“Ciao, nonno Boldwin!” dissero in coro. Lui li abbracciò entrambi, ridendo felicemente.
“Buongiorno, Boldwin” lo salutò Claire. “Instancabile come sempre, vedo.”
“Ehi, io sarò vecchio…” cominciò il fabbro rivolgendo uno sguardo determinato ai due bambini.
“…ma non c’è nessuno più forte di me!”
Tornò a ridere e passò le mani tra i capelli dei due nipoti, che risero insieme a lui.
“Allora? Dove porti questi due discoletti, eh?” chiese l’artigiano a Claire.
“Al confine settentrionale. Oggi è il compleanno di Maria: volevo farle vedere qualcosa di speciale.”
Boldwin annuì, capendo perfettamente a cosa si riferiva.
“Non tardate oltre, allora. Ti coprirò se qualcuno chiederà di te. Ora lasciatemi lavorare, pulci ingrate!”
Boldwin si sporse avanti scherzosamente, ma bastò a far volare via i bambini divertiti e spaventati. I due capi si salutarono, ed il fabbro tornò a lavoro con un sorriso impresso sulle labbra.
Lungo il cammino per il confine a nord, Claire ed i suoi figli incontrarono e salutarono molti degli abitanti, tra chi era affeccendato e chi si godeva un po’ di meritato riposo. Prima di attraversare il confine, sul punto più alto del villaggio, trovarono Thomas, con in mano voluminosi registri legati insieme.
“Salute Claire! E ciao ai piccoli Frioniel e Maria!”
“Salve, Thomas.”
“E’ sempre un piacere vedervi. Forse è anche complice la vista di ciò che abbiamo costruito insieme in questi ultimi anni…”
Thomas sviò lo sguardo perdendosi tra le strade e le case della sua nuova terra illuminate dal sole. Claire lo seguì. Si vedeva tutto: i campi pronti alla raccolta, la scuola di Sofia, i magazzini, la bottega medica di Yuria, la forgia di Boldwin, e tutte le persone che avevano conosciuto in quegli anni.
“Più guardo e più mi convinco che sia tutto merito suo…”
“Lo è…”
Thomas indugiò pochi altri momenti. Poi si sistemò i tanti fogli tra le braccia e prese ad allontanarsi.
“Andate da lui, immagino. Beh, vi lascio proseguire, allora. Ho tanto da fare. A più tardi!”
“Ciao, Thomas!” dissero i bambini agitando le mani. Claire si limitò a guardarlo scendere al centro del villaggio. Poi prese per mano i due e li portò oltre il confine. Raggiunsero la cima della collina, lontani dalla vivacità che li aspettava di sotto. Davanti a loro stava una grande statua, di un uomo fiero che brandiva un’arma incredibile, lo sguardo fermo e pronto alla battaglia. Fu Boldwin a costruirla: gli ci volle molto tempo, ma il risultato fu ineguagliabile. Sia Frioniel che Maria rimasero affascinati dalla scultura, e subito si avvicinarono per ammirarla meglio. Sul pedistallo lessero un’incisione: “Il protettore del nostro futuro, il cui passato non dimenticheremo mai”.
“Mamma, è lui l’eroe di cui ci hai sempre parlato? Quello che ha salvato il mondo dai mostri malvagi?” chiese Maria.
“E’ lui nostro padre?” chiese Frioniel.
“Sì, è lui.”
Claire si sedette davanti la statua, invitando i suoi figli a fare lo stesso. Tutti e tre contemplarono il monumento, tentando di carpire la forza che quel potente Cacciatore una volta effondeva.
“Non ti manca? Perché se n’è andato senza che lo conoscessimo?”
Claire sogghignò a quelle parole.
“Vostro padre è più vicino di quanto pensiate. Veglierà sempre sul nostro futuro, come quando ha dato sé stesso perché noi vivessimo…Non è così, Firion?”
Tornarono assorti ad ammirare il monumento splendido, perdendosi tra le nuvole dell’azzurro cielo terso oltre esso.
...Per sempre…

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